[MED - Ita] Manuale Merck

January 21, 2018 | Author: Χατζηγεωργιου Αντωνιος | Category: N/A
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Manuale Merck Indice generale 1. Disturbi della nutrizione 2. Malattie endocrine e metaboliche 3. Malattie gastrointestinali 4. Malattie del fegato e delle vie biliari 5. Malattie muscolo-scheletriche del tessuto connettivo 6. Malattie dell’apparato respiratorio 7. Malattie dell’orecchio, del naso e della gola 8. Patologie oftalmologiche 9. Malattie dei denti e del cavo orale 10. Affezioni dermatologiche 11. Ematologia e oncologia 12. Immunologia; malattie allergiche 13. Malattie infettive 14. Malattie del sistema nervoso 15. Disturbi psichiatrici 16. Malattie dell’apparato cardiovascolare 17. Disordini genitourinari 18. Ginecologia e ostetricia 19. Pediatria 20. Malattie dovute ad agenti fisici 21. Argomenti speciali 22. Farmacologia clinica 23. Avvelenamenti

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Disturbi della nutrizione

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE

1. Considerazioni generali Nutrizione nella medicina Supporto nutrizionale Nutrizione enterale Nutrizione parenterale Interazioni tra sostanze nutritive e farmaci Additivi e contaminanti alimentari 2. Malnutrizione Digiuno Malnutrizione proteico-energetica Deficit di carnitina Deficit di acidi grassi essenziali 3. Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine Deficit di vitamina A Tossicità da vitamina A Deficit e dipendenza da vitamina D Rachitismo ereditario vitamina D-dipendente Tossicità della vitamina D Deficit di vitamina E Intossicazione da vitamina E Carenza di vitamina K Intossicazione da vitamina K Carenza e tossicità della tiamina Deficit di riboflavina file:///F|/sito/merck/sez01/index.html (1 of 2)02/09/2004 2.00.30

Disturbi della nutrizione

Carenza di niacina Carenza e dipendenza da vitamina B6 Tossicità della vitamina B6 Carenza e dipendenza da biotina Carenza di acido pantotenico Carenza di vitamina C 4. Carenza e tossicità dei minerali Ferro Iodio Fluoro Zinco Cromo Selenio Manganese Molibdeno Rame Carenza acquisita di rame Carenza ereditaria di rame Tossicosi da rame Malattia di Wilson 5. Obesità

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Considerazioni generali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI Sommario: Introduzione Sostanze macronutrienti Sostanze micronutrienti Altre sostanze alimentari Necessità nutrizionali Informazioni nutrizionali per il pubblico

La scienza della nutrizione si occupa della natura e della distribuzione delle sostanze nutritive negli alimenti, dei loro effetti metabolici e delle conseguenze di una loro inadeguata assunzione. Le sostanze nutritive sono dei composti chimici, contenuti negli alimenti, che vengono assorbiti e utilizzati per migliorare lo stato di salute. Alcune sostanze nutritive sono indispensabili perché non possono essere sintetizzate dall'organismo e quindi devono essere assunte con la dieta. Le sostanze nutritive essenziali comprendono le vitamine, i minerali, gli aminoacidi, gli acidi grassi e alcuni carboidrati come fonte di energia. Le sostanze nutritive non essenziali sono, invece, quelle che l'organismo può sintetizzare dagli altri composti, sebbene possano essere ricavate anche dalla dieta. Le sostanze nutritive sono solitamente divise in macro- e micronutrienti.

Sostanze macronutrienti Le sostanze macronutrienti compongono la maggior parte degli alimenti e forniscono l'energia e le sostanze nutritive essenziali, necessarie per la crescita, il sostentamento e l'attività fisica. I carboidrati, i grassi (compresi gli acidi grassi essenziali), le proteine, i macrominerali e l'acqua sono sostanze macronutrienti. I carboidrati sono convertiti in glucoso e altri monosaccaridi; i grassi, in acidi grassi e glicerolo e le proteine, in peptidi e aminoacidi. Queste sostanze macronutrienti sono intercambiabili come fonti di energia; i grassi forniscono 9 kcal/g; le proteine e i carboidrati forniscono 4 kcal/g. L'etanolo, che di solito non è considerato una sostanza nutriente, fornisce 7 kcal/g. I carboidrati e i grassi permettono di risparmiare le proteine. Queste, infatti, non vengono usate per il sostentamento dei tessuti, per il loro rinnovamento e per la crescita, a meno che siano indisponibili, dalle fonti alimentari e dai depositi tissutali, sufficienti quantitativi di calorie non proteiche. In questo caso, per ottenere un bilancio azotato positivo, sarà necessario un apporto proteico alimentare considerevolmente superiore alla norma. Gli aminoacidi essenziali (Essential Amino Acids, EAA) sono i componenti delle proteine che rendono queste ultime essenziali nella dieta. Dei 20 aminoacidi contenuti nelle proteine, 9 sono essenziali, cioè, necessari nella dieta perché non possono essere sintetizzati dall'organismo. Otto EAA sono necessari per tutti gli esseri umani. I lattanti necessitano di un aminoacido in più, che è l'istidina. L'apporto dietetico raccomandato (Recommended Dietary Allowance, RDA) per

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Considerazioni generali

le proteine diminuisce da 2,2 g/kg nei bambini di 3 mesi a 1,2 g/kg nei bambini di 5 anni e a 0,8 g/kg negli adulti. La necessità delle proteine alimentari è, infatti, correlata al tasso di crescita che varia nei differenti periodi del ciclo vitale. La necessità delle diverse proteine si riflette nella necessità di EAA (v. Tab. 1-1). La quantità totale di EAA necessaria per i lattanti (715 mg/kg/die) rappresenta il 32% della loro necessità totale di proteine; i 231 mg/kg/die necessari per un bambino di 10-12 anni ne rappresentano il 20% e gli 86 mg/ kg/die necessari per gli adulti ne rappresentano l'11%. La composizione in aminoacidi delle proteine è molto variabile. Il valore biologico (VB) di una proteina è determinato dalla percentuale della composizione aminoacidica che più si avvicina a quella dei tessuti animali. La migliore corrispondenza è quella della proteina dell'uovo che ha un valore di 100. Le proteine animali contenute nel latte e nella carne hanno un elevato VB (~90), mentre le proteine contenute nei cereali e nei vegetali hanno un basso VB (~40) e alcune proteine derivate, come la gelatina, che non contiene il triptofano e la valina, hanno un VB di 0. La complementarità delle diverse proteine contenute nella dieta determina il suo VB totale. L'RDA per le proteine presuppone che la dieta mista media abbia un VB di 70. Gli acidi grassi essenziali (Essential Fatty Acids, EFA) sono necessari in quantità pari al 6-10% dei grassi assunti (equivalente a 5-10 g/die). Essi comprendono gli acidi grassi ðw-6 (n-6), l'acido linoleico (acido cis 9,12ottodecadienoico) e l'acido arachidonico (acido cis-5,8,11,14-eicosatetrenoico), gli acidi grassi ðw-6 (n-3), l'acido linolenico (acido cis- 9,12,15-ottodecatrienoico), l'acido cis- 5,8,11,14,17-eicosapentenoico e l'acido cis- 4,7,10,13,16,19docosaesenoico. Gli EFA devono essere forniti dalla dieta: gli olii vegetali forniscono l'acido linoleico e l'acido linolenico, mentre gli olii di pesce di mare forniscono l'acido eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico. Tuttavia, alcuni EFA possono essere sintetizzati a partire dagli altri. Per esempio, l'organismo può sintetizzare l'acido arachidonico da quello linoleico, mentre l'acido eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico possono essere sintetizzati, in parte, dall'acido linoleico, anche se l'olio di pesce ne rappresenta una fonte migliore. Gli EFA sono necessari per la sintesi di numerosi eicosanoidi, tra cui le prostaglandine, i trombossani, le prostacicline e i leucotrieni (v. anche Deficit di acidi grassi essenziali nel Cap. 2). Gli acidi grassi ðw-3 sembrano, poi, svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre il rischio di malattie coronariche (v. Modificazioni della dieta nel Cap. 202). Tutti gli EFA sono acidi grassi polinsaturi (Polyunsaturated Fatty Acids, PUFA), ma non tutti i PUFA sono EFA. Negli esseri umani, i macrominerali (sodio, cloro, potassio, calcio, fosforo e magnesio) sono necessari nell'ordine di grandezza di un grammo al giorno, i (v. Tab. 1-2). Anche l'acqua è considerata un macronutriente in quanto è necessaria nella quantità di 1 ml/kcal di energia spesa o di circa 2500 ml/die (v. Acqua e metabolismo del sodio nel Cap. 12).

Sostanze micronutrienti Le vitamine, che sono classificate in idro e liposolubili, e gli elementi oligominerali sono sostanze micronutrienti (v. Tab. 1-2). Le vitamine idrosolubili sono rappresentate dalla vitamina C (acido ascorbico) e dagli otto componenti del complesso vitaminico B, tiamina (vitamina B1), riboflavina (vitamina B2), niacina, piridossina (vitamina B6), acido folico, cobalamina (vitamina B12), biotina e acido pantotenico. Le vitamine liposolubili comprendono il retinolo (vitamina A), il colecalciferolo e l'ergocalciferolo (vitamina D), l'ða-tocoferolo (vitamina E) e il fillochinone e il menachinone (vitamina K). Solo le vitamine A, E e B12 sono immagazzinate in quantità significative nell'organismo. Gli elementi oligominerali essenziali comprendono il ferro, lo iodio, il fluoro, lo zinco, il cromo, il selenio, il manganese, il molibdeno e il rame. A eccezione del fluoro e del cromo, ciascuno di questi minerali viene incorporato negli enzimi o negli ormoni necessari per il metabolismo. Il fluoro forma un composto con il

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Considerazioni generali

calcio (CaF2), che stabilizza la matrice minerale dell'osso e dei denti e previene la carie dentaria. Nei paesi industrializzati, le carenze dei microminerali, ad eccezione di ferro e zinco, non vengono osservate di frequente nella pratica clinica (v. Cap. 3 e 4). Altri elementi oligominerali implicati nella nutrizione animale (cioè, l'alluminio, l'arsenico, il boro, il cobalto, il nichel, il silicio e il vanadio) non sono considerati necessari per gli esseri umani. Tutti gli oligoelementi minerali sono tossici in quantità elevate e alcuni (l'arsenico, il nichel e il cromo) sono stati implicati tra le cause del cancro. Nell'organismo, il piombo, il cadmio, il bario e lo stronzio sono tossici, mentre l'oro e l'argento, in quanto componenti dei denti, sono inerti.

Altre sostanze alimentari La dieta giornaliera dell'uomo contiene più di 100000 sostanze chimiche (p. es., una tazza di caffè ne contiene 1000). Di queste, solo 300 possono essere classificate come sostanze nutritive e 45 come sostanze nutritive essenziali. Tuttavia, molte delle altre sostanze sono utili. Per esempio, gli additivi alimentari (p. es., i conservanti, gli emulsionanti, gli antiossidanti e gli stabilizzanti) migliorano la produzione, la lavorazione, l'immagazzinamento e il confezionamento dei cibi. Gli elementi in tracce (p. es., le spezie, gli aromi, gli odori, i coloranti, le sostanze fitochimiche e molti altri prodotti naturali) migliorano l'aspetto, il gusto e la stabilità del cibo. Anche le fibre, che sono presenti sotto varie forme (p. es., cellulosa, emicellulosa, pectina e resine), sono utili. I diversi componenti delle fibre alimentari agiscono in modo differente, a seconda della loro struttura e solubilità. Le fibre migliorano la motilità GI e aiutano nella prevenzione della stipsi e nel trattamento della malattia diverticolare (v. Cap. 27 e 33). I cibi ricchi di fibre solubili riducono l'aumento postprandiale della glicemia e sono a volte utilizzati nel trattamento del diabete mellito (v. Cap. 13). La frutta e i vegetali ricchi di resine di guar e di pectina tendono a ridurre il colesterolo plasmatico, stimolando la conversione epatica del colesterolo in acidi biliari. Si pensa che le fibre aumentino l'eliminazione delle sostanze cancerogene prodotte dai batteri nell'intestino crasso. Evidenze epidemiologiche supportano con forza l'associazione tra il cancro del colon e la bassa assunzione di fibre e l'effetto benefico delle fibre sulle patologie funzionali dell'intestino, sull'appendicite, sul morbo di Crohn, sull'obesità, sulle vene varicose e sulle emorroidi, anche se il meccanismo è poco chiaro. La tipica dieta occidentale è povera in fibre (circa 12 g/die) a causa di un'elevata assunzione di farina di grano altamente raffinata e una scarsa assunzione di frutta e vegetali. Una maggiore assunzione di fibre, fino a 30 g/die, attraverso un aumentato consumo di cereali, vegetali e frutta, è generalmente raccomandata.

Necessità nutrizionali L'obiettivo di un'alimentazione adeguata è di raggiungere e mantenere una ideale composizione dell'organismo e un elevato potenziale per il lavoro fisico e mentale. Le necessità alimentari quotidiane di sostanze nutritive essenziali, incluse le fonti di energia, dipendono dall'età, dal sesso, dall'altezza, dal peso e dall'attività metabolica e fisica. Il Food and Nutrition Board della National Academy of Sciences/National Research Council e il US Department of Agriculture (USDA) rivede periodicamente la letteratura scientifica sui fabbisogni umani delle 45 sostanze nutritive essenziali. Ogni 5 anni, il Food and Nutrition Board pubblica gli apporti dietetici raccomandati (RDA), calcolati sulle necessità delle persone sane, con un significativo fattore di sicurezza (v. Tab. 1-3). Per le vitamine e i minerali, su cui vi sono minori conoscenze, è stato stabilito l'apporto dietetico quotidiano, considerato sicuro e adeguato (v. Tab. 1-4).

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Considerazioni generali

Per mantenere uno stato di buona salute, la composizione corporea deve essere mantenuta entro limiti ragionevoli. Ciò richiede un equilibrio tra l'energia assunta e quella spesa. Se l'energia assunta eccede quella spesa o quest'ultima diminuisce, il peso corporeo aumenta, causando l'obesità (v. Cap. 5). Al contrario, se l'energia assunta è inferiore a quella spesa, vi è un calo ponderale. I valori del peso corporeo corretto per l'altezza (v. Tab. 1-5) e per l'indice di massa corporea, che è uguale al peso (in chilogrammi) diviso per il quadrato dell'altezza (in metri), sono utilizzati come guida per la composizione corporea ideale (v. oltre). Le diete per le donne in gravidanza sono trattate nella Terapia prenatale nel Cap. 249 e le diete per i neonati nella Nutrizione neonatale nel Cap. 256.

Informazioni nutrizionali per il pubblico Originariamente, l’USDA propose i Basic Four Food Groups (prodotti caseari, carne e vegetali ricchi di proteine, cereali e pane, frutta e vegetali) come guida per una dieta bilanciata. Nel 1992, l’USDA ha proposto come guida migliore la Food Guide Pyramid (v.Fig. 1-1). Rispetto a prima, nella piramide è stata aumentata l’assunzione dei cereali (da 4 a 6-11 porzioni), la frutta e i vegetali sono stati divisi in 2 gruppi (rispettivamente, con 2-4 e 3-5 porzioni), è rimasta stabile l’assunzione dei derivati del latte e dei prodotti carnei (2-3 porzioni), mentre è stato creato un gruppo di grassi, olii e dolci (che deve essere usato "con moderazione"). Il numero delle porzioni raccomandate è basato sulle necessità energetiche della persona che possono variare da 1600 a > 2400 calorie/die. La nuova guida alimentare raccomanda di ridurre l’assunzione dei grassi a circa il 30% delle calorie e di aumentare l’assunzione della frutta, dei vegetali e dei cereali. Il suo proposito è quello di fornire le sostanze nutritive essenziali nell’ambito di una dieta salutare. A questo fine, il Department of Health e l’Human Science of the USDA hanno sviluppato delle linee guida nutrizionali generali che completano la Food Guide Pyramid.

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Manuale Merck - Tabella 1-1

TABELLA 1–1. FABBISOGNO DEGLI AMINOACIDI ESSENZIALI IN MG/KG DI PESO CORPOREO Lattante

Bambino

(4-6mesi)

(10-12anni)

(29)

-

-

Isoleucina

88

28

10

Leucina

150

44

14

Lisina

99

49

12

Metionina e cistina

72

24

13

Fenilalanina e tirosina

120

24

14

Treonina

74

30

7

Triptofano

19

4

3

Valina

93

28

13

Totale aminoacidi essenziali (esclusa l’istidina)

715

231

86

Fabbisogno

Istidina

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Adulto

Malnutrizione

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

2. MALNUTRIZIONE DEFICIT DI ACIDI GRASSI ESSENZIALI Gli acidi grassi essenziali (EFA) comprendono l'acido linoleico e l'acido arachidonico, che sono acidi grassi w-6 (n-6) e l'acido linolenico, l'acido eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico, che sono acidi grassi w-3 (n-3) (v. anche Cap. 1). Nell'organismo umano, l'acido arachidonico può essere sintetizzato dall'acido linoleico, mentre gli adici eicosapentenoico e docosaesenoico possono essere sintetizzati dall'acido linolenico. Gli oli vegetali, come l'olio di mais, l'olio di semi di cotone e l'olio di soia, sono importanti fonti di acido linoleico e di acido linolenico; gli olii di pesce sono, invece, le fonti dell'acido eicosapentenoico e dell'acido docosaesenoico. Il fabbisogno di EFA è pari all'1-2% delle calorie giornaliere per gli adulti e al 3% per i lattanti, con un rapporto consigliato di acidi grassi w-6 e w-3, pari a 10:1. Gli EFA sono necessari per molti processi fisiologici, inclusi il mantenimento dell'integrità cutanea e delle strutture delle membrane cellulari e la sintesi delle prostaglandine e dei leucotrieni. L'acido eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico sono importanti componenti del cervello e della retina. I neonati a termine, alimentati con latte scremato, a basso contenuto di acido linoleico, possono avere un ritardo di crescita, una trombocitopenia, l'alopecia e una dermatite esfoliante generalizzata, che ricorda l'ittiosi congenita, con un'aumentata perdita di liquidi dalla cute. Questa sindrome è reversibile con la somministrazione di acido linoleico. Con l'uso di diete bilanciate, è difficile che si verifichi un deficit, anche se il latte di mucca ha soltanto il 25% circa della quantità di acido linoleico contenuto nel latte di donna. Sebbene l'assunzione totale di grassi sia molto bassa in diversi paesi in via di sviluppo, la maggior parte dei grassi è di origine vegetale e contiene quindi molto acido linoleico e anche dell'acido linolenico. Il deficit di acidi grassi essenziali era una frequente complicanza della NPT a lungo termine e priva di grassi, ma le emulsioni lipidiche, ora in uso, prevengono il problema (v. Nutrizione parenterale nel Cap. 1). Un esempio ne è l'emulsione di olio di soia al 10% che contiene circa 56 g/l di acido linoleico e 8 g/l di acido linolenico. È stato riportato un solo caso di carenza di acido linolenico, caratterizzato da una neuropatia periferica e da una visione sfocata, in una bambina di 6 anni affetta da una sindrome da intestino corto dopo 9 mesi di una terapia EV con una preparazione lipidica contenente 77 g di acido linoleico e solo 0,1 g di acido linolenico/l. I sintomi e i segni sono stati corretti con la somministrazione di acido linolenico. Negli stadi precoci del deficit di EFA, i livelli plasmatici dell'acido linoleico e dell'acido arachidonico sono ridotti ed è presente l'acido 5,8,11-eicosatrienoico, un prodotto anomalo derivante dalla desaturazione dell'acido oleico. Un valore plasmatico di 0,2 è stato suggerito come limite superiore di normalità del rapporto acido eicosatrienoico/eicosatetranoico (arachidonico). Una carenza di EFA diagnosticata sulla base di questo rapporto è stata osservata nei pazienti con malassorbimento lipidico, traumi gravi e ustioni.

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Malnutrizione

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Considerazioni generali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI SUPPORTO NUTRIZIONALE Nutrizione parenterale

Sommario: Introduzione Nutrizione parenterale totale

La nutrizione parenterale viene somministrata endovena. La nutrizione parenterale parziale supplisce solo in parte alle necessità nutrizionali quotidiane del paziente, agendo come supplemento all'alimentazione per via orale. Molti pazienti ospedalizzati ricevono in questo modo le soluzioni di glucoso o di aminoacidi che fanno parte della loro terapia di routine.

Nutrizione parenterale totale La NPT supplisce a tutte le richieste nutrizionali quotidiane del paziente. Una vena periferica può essere utilizzata solo per brevi periodi di tempo in quanto l'uso prolungato ne può causare facilmente la trombosi. È quindi generalmente necessario un accesso venoso centrale. La NPT viene utilizzata non solo in ospedale per le somministrazioni a lungo termine, ma anche a casa (NTP domiciliare), permettendo a molte persone che hanno perso la funzione del piccolo intestino di condurre una vita produttiva. Indicazioni: i pazienti gravemente malnutriti che devono essere preparati per un intervento chirurgico, per la radioterapia o per la chemioterapia per cancro, sono sottoposti a NPT prima e dopo il trattamento, per migliorare e mantenere il loro stato nutrizionale. Negli interventi di chirurgia maggiore, nei casi di ustioni gravi e di fratture multiple, specialmente in presenza di sepsi, la NPT riduce la morbilità e la mortalità correlate, promuove la riparazione tissutale e aumenta la risposta immunitaria. Gli stati di coma e di anoressia prolungati spesso richiedono una NPT dopo la somministrazione di una nutrizione enterale intensiva nelle fasi precoci. Le condizioni che richiedono il riposo completo dell'intestino (p. es., alcuni stadi del morbo di Crohn, la colite ulcerosa e la pancreatite grave) e le malattie GI pediatriche (p. es., le anomalie congenite, le diarree protratte non specifiche) spesso rispondono bene alla NPT. Requisiti di base: la NPT prevede la somministrazione di acqua (da 30 a 40 ml/ kg/die), di energia (da 30 a 60 kcal/kg/die) a seconda del dispendio energetico e di aminoacidi (da 1 a 3 g/kg/die) a seconda del grado del catabolismo. I fabbisogni di queste sostanze, delle vitamine e dei minerali, nei pazienti adulti, sono riassunti nella Tab. 1-9. Le soluzioni base della NPT sono di solito preparate in lotti da un litro secondo formule standard o modificate. Un paziente che non presenta ipermetabolismo o patologie croniche gravi, necessita di 2 l di formula standard al giorno o di quantità variabili di una formula modificata. Le emulsioni lipidiche, che forniscono file:///F|/sito/merck/sez01/0010017.html (1 of 4)02/09/2004 2.00.33

Considerazioni generali

un supplemento di acidi grassi essenziali e di trigliceridi (v. Tab. 1-10), possono essere utilizzate in associazione alle soluzioni di base. Procedura: le soluzioni devono essere preparate in maniera asettica sotto una cappa con aria filtrata mediante flusso laminare. Il posizionamento del catetere venoso centrale non viene mai eseguito in urgenza e richiede condizioni di completa asepsi e un'assistenza adeguata. Di solito viene posizionato un catetere di Broviac o di Hickman nella vena succlavia. Viene identificato un punto subito al di sotto della metà della clavicola, in cui viene inserito l'ago che poi procede attraverso il muscolo pettorale nella vena succlavia e nella vena cava superiore. Dopo il posizionamento del catetere o dopo ogni suo spostamento bisogna eseguire una rx del torace per confermare la posizione della sua punta. La via venosa centrale attraverso cui si infonde la NPT non deve essere usata per altri scopi. La parte esterna del catetere deve essere medicata q 24 ore, quando si cambia la sacca. Non è raccomandato l'uso di filtri lungo la via venosa. L'impiego di speciali medicazioni occlusive, che devono essere sostituite, in genere, q 48 ore nel rispetto di tutte le precauzioni per una totale sterilità e asepsi, è una parte essenziale della cura del catetere. Precauzioni durante l'infusione: all'inizio la soluzione viene infusa lentamente, al 50% delle necessità calcolate per il paziente, completando il bilancio dei liquidi con soluzioni glucosate al 5%. Le fonti di energia e di azoto devono essere somministrate contemporaneamente. La quantità di insulina pronta da somministrare (aggiunta direttamente alla soluzione della NPT) dipende dai valori della glicemia; se la glicemia è normale (70-110 mg/dl [3,89-6,10 mmol/l]a digiuno) la dose iniziale è in genere di 5-10 U di insulina pronta/l di NPT con una concentrazione totale di glucoso pari al 25%. Devono essere prese delle precauzioni per evitare l'ipoglicemia da rebound dopo l'interruzione della somministrazione di glucoso ad alte concentrazioni. Formule: generalmente viene utilizzata una grande varietà di formule. Per soddisfare le necessità del paziente si potranno aggiungere un'emulsione lipidica o quantità calibrate di elettroliti. I pazienti con un'insufficienza d'organo richiedono preparati opportunamente modificati. I pazienti con insufficienza epatica o renale necessitano di preparati a basso contenuto di aminoacidi, quelli con insufficienza cardiaca richiedono che il volume (liquido) somministrato sia limitato, mentre quelli con insufficienza respiratoria necessitano che la maggior parte delle calorie non proteiche sia fornita da un'emulsione lipidica per evitare l'aumento della produzione di CO2. Anche i bambini che necessitano di NPT hanno delle particolari necessità nutrizionali. Monitoraggio: i seguenti parametri devono essere monitorati quotidianamente: il peso corporeo, l'azotemia, la glicemia (diverse volte al giorno fino alla stabilizzazione), l'emocromo, l'emogasanalisi e il bilancio accurato dei liquidi, delle urine delle 24 h e degli elettroliti. Quando il paziente si stabilizza, la frequenza di questi esami può essere considerevolmente ridotta. I test di funzionalità epatica e la misurazione delle proteine plasmatiche, del tempo di protrombina, della osmolarità plasmatica e urinaria, dei livelli sierici di calcio, magnesio e fosfato (non misurati durante l'infusione di glucoso) devono essere eseguiti due volte alla settimana. Le variazioni devono essere annotate su di una scheda. La valutazione dello stato nutrizionale e della frazione C3 del complemento deve essere ripetuta ogni due sett. Complicanze: il maggiore deterrente all'uso della NPT è l'insorgenza di una o più complicanze. Quando è stato adottato un lavoro di équipe, le complicanze sono state ridotte a meno del 5%. Le complicanze possono essere metaboliche, correlate alla composizione della formula nutrizionale, o non metaboliche, dovute a problemi nelle modalità di somministrazione. Le complicanze metaboliche comprendono l'iperglicemia e l'iperosmolarità, che devono essere evitate con un attento monitoraggio e con la somministrazione di insulina. L'ipoglicemia è causata dall'improvvisa interruzione di un'infusione

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Considerazioni generali

costante di glucoso ad alta concentrazione. Il trattamento consiste nella infusione periferica di glucoso al 5% o al 10% per 24 ore prima di ricominciare l'alimentazione attraverso la via venosa centrale. Le alterazioni degli elettroliti e dei minerali devono essere identificate mediante un attento monitoraggio prima che compaiano i disturbi. Il trattamento comprende un'adeguata modificazione delle soluzioni successive o, se la correzione è richiesta con urgenza, un'appropriata infusione attraverso una vena periferica. Le carenze di vitamine e di minerali si verificano con maggiori probabilità nei casi di NPT a lungo termine (v. Cap. 3 e 4). Frequentemente, durante la NPT, si ha un aumento del valore dell'azotemia, che può essere dovuto a una disidratazione iperosmolare, correggibile con la somministrazione di acqua libera sotto forma di glucoso al 5% attraverso una vena periferica. Con le soluzioni di aminoacidi attualmente disponibili, l'iperammoniemia, di solito, non rappresenta un problema negli adulti. Nei lattanti i segni dell'iperammoniemia comprendono la letargia, gli spasmi muscolari e le convulsioni generalizzate; la correzione consiste nella somministrazione di un supplemento di arginina fino a un totale di 0,5-1,0 mmol/ kg/die. La patologia ossea metabolica che si manifesta, in alcuni pazienti sottoposti a NPT per un lungo periodo, con intenso dolore periarticolare agli arti inferiori e al dorso, si associa a bassi livelli sierici di 1,25(OH)2D3(calcitriolo). L'unico trattamento conosciuto in questi casi è l'interruzione temporanea o permanente della NPT. All'inizio della NPT è frequente una disfunzione epatica evidenziata da un aumento, di solito temporaneo, delle transaminasi, della bilirubina e della fosfatasi alcalina (v. anche Cap. 37). Queste variazioni vengono identificate attraverso il regolare monitoraggio. Aumenti tardivi o persistenti di questi parametri possono essere correlati all'infusione di aminoacidi e richiedono una riduzione dell'apporto proteico. Un'epatomegalia dolorosa fa pensare a un accumulo di grassi e richiede una riduzione dell'apporto dei carboidrati. Gli effetti collaterali delle emulsioni lipidiche (p. es., la dispnea, le reazioni allergiche cutanee, la nausea, la cefalea, la lombalgia, la sudorazione e le vertigini) non sono frequenti, ma si possono manifestare all'inizio della terapia. Si può verificare anche un'iperlipemia transitoria, comune soprattutto nei casi di insufficienza renale ed epatica. Gli effetti collaterali tardivi delle emulsioni lipidiche comprendono l'epatomegalia, un lieve rialzo degli enzimi epatici, la splenomegalia, la trombocitopenia, la leucopenia e le alterazioni dei test di funzionalità polmonare, specialmente nei neonati prematuri con sindrome da distress respiratorio. In questi casi può essere indicata l'interruzione temporanea o permanente dell'infusione dell'emulsione lipidica. Tra le complicanze non metaboliche, il pneumotorace e la formazione di un ematoma sono le più comuni, ma sono stati riportati anche danni ad altre strutture e le embolie gassose. L'esatto posizionamento della punta del catetere nella vena cava superiore deve essere sempre confermato da una rx del torace prima di iniziare l'infusione della NPT. Le complicanze correlate all'inserimento del catetere centrale devono essere < 5%. Le gravi complicanze della terapia con NPT sono le tromboembolie e la sepsi correlata al catetere. I microrganismi più comunemente coinvolti comprendono: lo Staphylococcus aureus, la Candida, la Klebsiella pneumoniae, lo Pseudomonas aeruginosa, lo S. albus e le specie di Enterobacter. Durante la NPT va controllata la temperatura corporea. Se non vengono trovate altre cause e la temperatura rimane elevata per > 24-48 h, deve essere interrotta l'infusione attraverso il catetere centrale. Prima che il catetere venga rimosso, deve essere eseguito un prelievo di sangue per l'emocoltura direttamente dal catetere venoso centrale e dal punto di inserzione del catetere. Dopo la rimozione, 2-3 cm della parte terminale del catetere devono essere tagliati con un bisturi o con una forbice sterile, posti in una provetta sterile contenente un terreno di cultura secco e inviati per un esame colturale per batteri e funghi. Un sovraccarico idrico si può verificare quando, per soddisfare delle elevate richieste energetiche giornaliere, sono necessarie grandi quantità di liquidi. Il peso corporeo va monitorato ogni giorno: un incremento > 1 kg/die fa pensare a un sovraccarico idrico e quindi alla necessità di ridurre l'apporto dei liquidi.

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Considerazioni generali

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1–9. Fabbisogni giornalieri basali per la nutrizione parenterale totale Sostanza nutritiva

Quantità

Acqua (/kg peso corporeo/die)

30-40ml

Calorie* (/kg peso corporeo/die) Paziente medico Paziente nel postoperatorio Paziente in ipercatabolismo

30kcal 30-45kcal 45-60kcal

Aminoacidi (/kg peso corporeo/die) Paziente medico Paziente nel postoperatorio Paziente in ipercatabolismo

1,0g 2,0g 3,0g

Minerali (adulti) Acetato/gluconato

90mEq

Calcio

15mEq

Cloro

130mEq

Cromo

15µg

Rame

1,5mg

Iodio

120µg

Magnesio

20mEq

Manganese

2mg

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Manuale Merck - Tabella

Fosforo

300mg

Potassio

100mEq

Selenio

100µg

Sodio

100mEq

Zinco

5mg

Vitamine (adulti) Acido ascorbico

100mg

Biotina

60µg

Cobalamina

5µg

Acido folico

400µg

Niacina

40mg

Acido pantotenico

15mg

Piridossina

4mg

Riboflavina

3,6mg

Tiamina

3mg

VitaminaA

4000UI

VitaminaD

400UI

VitaminaE

15mg

VitaminaK

200µg

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Manuale Merck - Tabella

*I fabbisogni calorici aumentano del 12% per °C di febbre.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1–10. Emulsioni di lipidi per uso parenterale

Contenuto in Contenuto acido in acido linoleico linolenico

Prodotto

Olio

Intralipid®

Olio di soia

LiposynI

LiposynII®

Contenuto % Osmolarità calorico grassi (mOsm/l) (kcal/ml) totali

g/dl

% grassi totali g/dl

260

1,1

50

5,0

9,0

0,90

Olio di girasole

280

1,1

77

7,7

0,3

0,03

Olio di girasole e olio di soia

320

1,1

66

6,6

4,2

0,42

Le emulsioni elencate sono al10%; sono disponibili anche le emulsioni al 20%, in cui il valore calorico e il contenuto in lipidi per dl sono raddoppiati. Il LiposynI è stato usato fino al 1982, quando è stata dimostrata la sua carenza di acido linolenico; da allora, viene usato il LiposynII, che è addizionato con olio di soia. Dati raccolti da Nelson JK: "Appendix 14: Parenteral nutrition solutions," nel Mayo Clinic Diet Manual: A Handbook of Dietary Practices, 6a ed., edito da CM Pemberton, KE Moxness, JK Nelson, et al. Philadelphia, B.C. Decker, 1988, p.573; riproduzione autorizzata dalla Mayo Foundation.

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Screening e valutazione diagnostica

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 37. SCREENING E VALUTAZIONE DIAGNOSTICA Sommario: Introduzione Esami di laboratorio Esami per immagini Biopsia epatica

Il fegato è un organo complesso con funzioni metaboliche, secretorie e di difesa interdipendenti. Nessun test semplice è in grado da solo di valutare la sua funzione globale perché la sensibilità e la specificità dei diversi test sono limitate. L'uso di più esami di screening migliora le possibilità di rilevare anomalie epatobiliari, aiuta nel differenziare le patologie sospettate clinicamente e definisce la gravità della malattia epatica. Sono disponibili molti esami, ma relativamente pochi incidono in modo positivo sulla terapia del paziente.

Esami di laboratorio Tra le analisi comuni, le più utili sono la bilirubina sierica, la fosfatasi alcalina e le aminotransferasi (transaminasi). Il colesterolo e la LDH sono meno utili. Il tempo di protrombina è un indice della gravità della malattia epatica. Solo pochi esami sierologici e biochimici sono patognomonici (p. es., l'antigene di superficie dell'epatite B [HbsAg] per la presenza del virus dell'epatite B, il rame e la ceruloplasmina sierici per la malattia di Wilson e l'a1-antitripsina nella malattia da deficit dell'a1-antitripsina). Bilirubina: l'iperbilirubinemia piò essere causata da un'aumentata produzione di bilirubina, da una ridotta captazione o coniugazione epatica o da una ridotta secrezione biliare (v. Ittero nel Cap. 38). L'aumentata produzione di bilirubina (p. es., dall'emolisi) o le ridotte captazione o coniugazione epatiche (p. es., la malattia di Gilbert) causano un aumento dei valori sierici della bilirubina non coniugata (o libera). La ridotta formazione ed escrezione della bile (colestasi) innalza il livello di bilirubina coniugata nel siero e ne permette il passaggio nelle urine. La reazione di van den Bergh misura la bilirubina sierica attraverso il frazionamento. Una reazione diretta misura la bilirubina coniugata. L'aggiunta di metanolo causa una reazione completa che misura la bilirubina totale (coniugata + non coniugata); la differenza rappresenta la bilirubina non coniugata (reazione indiretta). La bilirubina sierica può non essere un indice particolarmente sensibile della disfunzione epatica o della prognosi della malattia, ma è un test ormai consolidato. La bilirubina totale di norma è < 1,2 mg/dl (20 mmol l). La sola utilità del frazionamento della bilirubina nelle sue componenti è di determinare l'iperbilirubinemia non coniugata (presente quando la frazione non coniugata è > 15% della bilirubina totale). Il frazionamento è di solito necessario nei casi in cui viene riscontrata un'elevazione isolata della bilirubina (cioè, quando gli altri esami di funzionalità epatica, convenzionali, sono normali) o nell'ittero neonatale. Con tecniche sofisticate si possono isolare i diversi coniugati della bilirubina, ma ciò non aggiunge nulla di clinicamente rilevante. file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (1 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

La bilirubina è normalmente assente nelle urine. La sua presenza, prontamente rilevata al letto del paziente con un esame delle urine su striscia, indica la presenza di una malattia epato- biliare. La bilirubina non coniugata è saldamente legata all'albumina, non viene filtrata dai glomeruli e non è presente nelle urine neanche quando i suoi livelli sierici sono aumentati. Un test positivo per la presenza di bilirubina nelle urine conferma che i livelli sierici dipendono da un'iperbilirubinemia coniugata. Non è necessario il frazionamento della bilirubina plasmatica totale. La bilirubinuria può essere un segno iniziale di una malattia epato-biliare, come avviene nell'epatite virale acuta ancora prima della comparsa clinica dell'ittero. Comunque, in altre circostanze può essere assente malgrado l'incremento della bilirubina sierica. Risultati falsi negativi si verificano nei casi di prolungata conservazione del campione urinario con possibile ossidazione della bilirubina o in presenza nelle urine di acido ascorbico (per ingestione di vitamina C) o di nitrati (a causa di un'urosepsi). L'urobilinogeno è normalmente presente in tracce nelle urine (10 mg/l [17 mmol/ l]) e può essere valutato con i test commerciali su striscia. Questo metabolita intestinale della bilirubina aumenta a causa di un'emolisi (eccesso di formazione del pigmento) o di un modesto deficit di captazione ed escrezione epatica (cioè, quando la circolazione enteroepatica di questo pigmento supera la capacità epatica di captazione e di secrezione). Il deficit di secrezione della bilirubina nel piccolo intestino riduce la formazione dell'urobilinogeno tanto che all'esame delle urine potrebbe risultare falsamente basso o assente. Per questo motivo l'urobilinogeno, sebbene sia un indice sensibile in caso di lievi malattie epatiche, è troppo poco specifico e di difficile interpretazione. Fosfatasi alcalina: questi isoenzimi possono idrolizzare i legami degli esteri fosforici organici in un ambiente alcalino, generando un radicale organico e un fosfato inorganico. La loro funzione biologica è sconosciuta. La fosfatasi alcalina nel siero normalmente deriva dal fegato, dalle ossa e, durante la gravidanza, dalla placenta. È presente in alcuni tumori (p. es., nel carcinoma broncogeno). L'accrescimento osseo causa un'elevazione, dipendente dall'età, dei valori normali, specialmente nei bambini < 2 anni e negli adolescenti. In seguito, dopo un picco che corrisponde alla maggiore crescita durante l'adolescenza, l'attività della fosfatasi alcalina diminuisce raggiungendo i normali valori dell'adulto. L'enzima torna, poi, fisiologicamente a valori lievemente aumentati negli anziani. Durante la gravidanza, infine, il livello sierico aumenta di 2-4 volte entro il 9o mese e ritorna alla norma nell'arco di 21 gg dopo il parto. La fosfatasi alcalina aumenta notevolmente nelle malattie che danneggiano la formazione della bile (colestasi) e, in minor grado, nelle patologie epatocellulari. I valori della fosfatasi alcalina aumentano fino a 4 volte nella colestasi, sia da cause intraepatiche (cirrosi biliare primitiva, epatopatia da farmaci, rigetto di trapianto epatico), che da reazione immunologica del trapianto verso l'ospite o da cause extraepatiche (ostruzione duttale per stenosi, calcolosi o tumori). L'aumento non è discriminatorio. Nella patologia epatocellulare (p. es., nelle varie forme di epatiti, nella cirrosi e nelle malattie infiltrative), i livelli sierici della fosfatasi alcalina tendono a essere in qualche modo più bassi, anche se con alcune sovrapposizioni. Gli aumenti isolati (cioè, quando gli altri esami epatici sono normali) si verificano nelle malattie epatiche granulomatose o focali (p. es., ascessi, infiltrazione neoplastica, ostruzione parziale dei dotti biliari). Il meccanismo che causa l'aumento in alcune neoplasie extraepatiche senza metastasi epatiche, è sconosciuto. Il carcinoma broncogeno, per esempio, può produrre una propria fosfatasi alcalina; l'ipernefroma nel 15% dei casi provoca un'epatite non specifica che potrebbe essere la causa dell'elevazione dell'enzima. Nel linfoma di Hodgkin, il motivo dell'elevazione isolata della fosfatasi alcalina è sconosciuto. In genere, l'aumento della sola fosfatasi alcalina nei soggetti anziani, peraltro asintomatici, non richiede ulteriori indagini. Nella maggior parte dei casi origina dalle ossa (p. es., nella malattia di Paget). 5'-Nucleotidasi: la misurazione della 5'-nucleotidasi è più semplice e utile rispetto a quelle delle diverse fosfatasi alcaline, soprattutto al fine di distinguerne file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (2 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

l'origine ossea da quella epatica. La 5'-nucleotidasi differisce dal punto di vista biochimico dalla fosfatasi alcalina e si trova solamente nelle membrane plasmatiche della cellula epatica. I valori sono bassi durante l'infanzia, aumentano gradualmente durante l'adolescenza e raggiungono un plateau dopo i 50 anni. La 5'-nucleotidasi è di norma elevata nel corso dell'ultimo trimestre di gravidanza. Questo enzima sierico aumenta nelle patologie epatobiliari, ma non nelle malattie ossee. È utile nello studio del paziente anitterico. A causa della sua specificità per le malattie del fegato, la 5'-nucleotidasi, pur non potendo differenziare una malattia ostruttiva da una epatocellulare, offre alcuni vantaggi rispetto alla fosfatasi alcalina. I due enzimi possono, o meno, aumentare e diminuire nello stesso modo. g-Glutamil transpeptidasi (GGT): conosciuta anche come g-glutamiltransferasi, la GGT (presente nel fegato, nel pancreas e nel rene) catalizza il trasferimento del gruppo g-glutammico da un peptide a un altro o a un l-aminoacido. I livelli della GGT sono elevati nelle malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas quando il coledoco è ostruito. In caso di colestasi, i livelli della GGT aumentano insieme a quelli della fosfatasi alcalina e della 5'-nucleotidasi. L'estrema sensibilità della GGT (maggiore di quella della fosfatasi alcalina), ne limita l'utilità, ma aiuta a identificare una malattia epato-biliare come causa di un aumento isolato della fosfatasi alcalina. I livelli della GGT sono normali in gravidanza e in presenza di patologie ossee. Poiché non è fisiologicamente aumentata durante la gravidanza o l'adolescenza, la GGT può permettere l'identificazione delle malattie epatobiliari in tali condizioni. L'uso delle droghe e l'ingestione di alcol, che inducono gli enzimi microsomiali, possono causare un aumento della GGT. Come marker dell'epatopatia alcolica, la GGT non ha molto valore se usata da sola, mentre è più affidabile in combinazione con la misurazione delle transaminasi. Transaminasi: l'aspartato transaminasi (AST) e l'alanina aminotransferasi (ALT) sono dei sensibili indicatori delle lesioni epatiche. L'AST è presente nel cuore, nel muscolo scheletrico, nel cervello, nel rene e nel fegato. I livelli dell'AST aumentano in corso di infarto del miocardio, di scompenso cardiaco, di lesioni muscolari, di malattie del SNC e in altre patologie extraepatiche. Malgrado l'AST sia relativamente aspecifica, i suoi elevati livelli indicano un danno epatocellulare ed è, quindi, un esame affidabile nello screening di routine delle patologie epatiche. Valori > 500 UI/l indicano la presenza di un'epatite acuta, virale o tossica e si possono verificare sia nei casi di insufficienza cardiaca importante (epatite ischemica) che, a volte, in presenza di una calcolosi del coledoco. La misura dell'aumento non ha un significato prognostico e non è correlata al grado del danno epatico. Le determinazioni ripetute permettono un buon monitoraggio: un ritorno ai valori normali indica la guarigione, a meno che non corrisponda al quadro finale di una necrosi epatica massiva. L'ALT si trova principalmente nelle cellule epatiche e perciò ha una grande specificità per le epatopatie. La sua titolazione offre, comunque, solo un modesto vantaggio aggiuntivo. Nella maggior parte delle malattie epatiche, l'aumento dell'AST è inferiore a quello dell'ALT (rapporto AST/ALT < 1), a eccezione delle epatopatie su base alcolica in cui il rapporto è, spesso, > 2. Questo ridotto aumento dell'ALT è dovuto alla ridotta concentrazione nell'alcolista della piridossina 5'-fosfato (vitamina B6), un importante cofattore per l'enzima. Anche se dal punto di vista pratico l'uso di questo rapporto è limitato, un rapporto AST/ ALT > 3 con un marcato aumento delle GGT (più di 2 volte il valore della fosfatasi alcalina) è altamente suggestivo di una lesione epatica correlata all'uso dell'alcol (p. es., l'epatite alcolica). Lattico deidrogenasi: la LDH, comunemente inserita nelle analisi eseguite di routine, non è un sensibile indicatore del danno epatocellulare, ma piuttosto dell'emolisi, dell'infarto del miocardio o dell'embolia polmonare. Può essere molto elevata, anche in corso di neoplasie che interessano il fegato. Proteine sieriche: il fegato sintetizza la maggior parte delle proteine sieriche: le a- e b-globuline, l'albumina e i fattori della coagulazione (ma non le g-globuline che sono prodotte dai linfociti B). Anche gli epatociti producono proteine specifiche: l'a1-antitripsina (assente in caso di deficit di a1-antitripsina), la ceruloplasmina (ridotta nella malattia di Wilson), la transferrina e la ferritina file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (3 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

(rispettivamente saturata con il ferro e molto aumentata nell'emocromatosi). Queste e alcune altre proteine sieriche aumentano in modo aspecifico in risposta a un danno tissutale (p. es., nell'infiammazione) con il rilascio di citochine. Queste reazioni della fase acuta possono produrre dei valori falsamente normali o elevati. L'albumina sierica è la principale responsabile della pressione oncotica plasmatica ed è un vettore di trasporto di numerose sostanze (p. es., la bilirubina non coniugata). La sua concentrazione nel siero è determinata dall'equilibrio tra la sua sintesi e la sua degradazione o perdita, dalla sua distribuzione intra- ed extravascolare e dal volume plasmatico. Nell'adulto, il fegato normalmente sintetizza da 10 a 15 g (0,2 mmol)/die di albumina, che rappresentano circa il 3% del pool totale dell'albumina corporea. La sua emivita biologica è di circa 20 gg; quindi, i livelli sierici non riflettono la funzione epatocellulare nelle malattie epatiche acute. L'albumina sierica (e la sua sintesi) è diminuita nelle malattie epatiche croniche (p. es., cirrosi, ascite), soprattutto a causa di un aumentato volume di distribuzione. Anche l'alcolismo, l'infiammazione cronica e la malnutrizione proteica deprimono la sintesi dell'albumina. L'ipoalbuminemia può essere dovuta a un'eccessiva perdita renale (sindrome nefrosica), intestinale (gastroenteropatia proteino-disperdente) e cutanea (ustioni). Le immunoglobuline sieriche aumentano nella maggior parte dei casi di epatopatia cronica quando il sistema reticoloendoteliale è deficitario o bypassato dagli shunt venosi portali. L'incapacità di depurare il sangue venoso dalla normale flora batterica, in corso di batteriemia transitoria, causa una continua stimolazione antigenica del tessuto linfoide extraepatico e un'ipergammaglobulinemia. Il livello delle globuline sieriche aumenta lievemente nelle epatiti acute e più marcatamente nelle epatiti croniche attive, particolarmente nella varietà autoimmune. Le modalità con cui aumentano le diverse Ig aggiungono poco: le IgM sono molto elevate nella cirrosi biliare primitiva, le IgA nella patologia epatica su base alcolica e le IgG nelle epatiti croniche attive. Anticorpi: le proteine specifiche possono essere diagnostiche. La presenza dei diversi antigeni e anticorpi virali è associata a delle cause specifiche di epatiti (v. Epatite virale acuta nel Cap. 42 e Mononucleosi infettiva in Infezioni virali nel Cap. 265). Gli anticorpi antimitocondriali sono diretti contro gli antigeni delle membrane mitocondriali interne di parecchi tessuti. L'antigene M2 è quello più strettamente associato alla cirrosi biliare primitiva. Gli anticorpi antimitocondriali sono positivi, generalmente con un alto titolo, in > 95% dei pazienti con una cirrosi biliare primitiva. Questi anticorpi eterogenei sono presenti anche in circa il 30% dei casi di epatite cronica attiva autoimmune e in alcuni casi di epatite da farmaci e di collagenopatia vascolare. Sono assenti, invece, in presenza di un'ostruzione meccanica della via biliare e nella colangite sclerosante primitiva e hanno, quindi, un importante valore diagnostico, specialmente quando il quadro istopatologico del fegato è equivoco. Nell'epatite cronica attiva autoimmune si trovano anche altri anticorpi: gli anticorpi anti-muscolo liscio, diretti specialmente contro l'actina, sono riscontrati nel 70% dei casi e gli anticorpi anti-nucleo, responsabili di una omogenea (diffusa) fluorescenza e sempre positivi a titoli elevati. Alcuni pazienti con epatite cronica attiva mostrano anche l'anticorpo antimicrosoma del fegato e del rene (LiverKidney-Microsome, LKM-1). Tuttavia, nessuno di questi anticorpi è diagnostico di per sé e nessuno rivela la patogenesi della malattia. a-Fetoproteina (AFP): sintetizzata dal fegato fetale, l'AFP è normalmente elevata nella madre e nel neonato. Entro un anno di vita, l'AFP nel bambino raggiunge i valori dell'adulto (normalmente < 20 ng/ml). Nel carcinoma epatocellulare primitivo si osserva un suo marcato aumento, proporzionato alle dimensioni del tumore. In questi casi, l'AFP è un utile esame di screening, perché sono poche le altre condizioni (teratocarcinoma embrionario, epatoblastoma, rare metastasi epatiche da neoplasie del tratto gastrointestinale, alcuni colangiocarcinomi) che ne causano un aumento dei valori > 400 ng/ml. Nell'epatite fulminante, l'AFP può essere > 1000 ng/ml; elevazioni meno marcate file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (4 of 9)02/09/2004 2.00.36

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(da 100 a 400 ng/ml) si verificano nelle epatiti acute e croniche. Questi valori possono indicare anche la rigenerazione epatica. Tempo di protrombina (TP): il TP risente delle interazioni tra i fattori I (fibrinogeno), II (protrombina), V, VII e X che sono sintetizzati dal fegato (v. anche la trattazione in Emostasi nel Cap. 131). Il TP può essere espresso in unità di tempo (s) o come il rapporto tra il TP misurato e il TP di controllo, detto INR. La vitamina K è necessaria per la conversione della protrombina. I precursori dei fattori VII, IX, X e probabilmente del V, ne hanno bisogno per la loro attivazione attraverso una reazione di carbossilazione, che è essenziale per il loro funzionamento come fattori della coagulazione. Il deficit di vitamina K dipende da un inadeguato apporto o da un malassorbimento. Poiché la vitamina K è liposolubile, sono necessari i sali biliari per il suo assorbimento intestinale che, quindi, dovrebbe diminuire in corso di colestasi. Il malassorbimento della vitamina K come causa di un prolungato TP può essere differenziato ripetendo il dosaggio del TP 24-48 ore dopo la somministrazione di vitamina K, alla dose di 10 mg SC. In corso di epatopatie parenchimali si verifica un miglioramento minimo o nullo. Il TP è un esame relativamente poco sensibile per la diagnosi delle disfunzioni epatocellulari lievi. Comunque, a causa della breve emivita biologica dei fattori della coagulazione coinvolti (da ore a pochi gg.), il TP ha un elevato valore prognostico in corso di patologie epatiche acute. Nelle epatiti acute, virali o tossiche, un TP > 5 s rispetto al controllo è un indicatore precoce di un'insufficienza epatica fulminante. Test per il metabolismo e per il trasporto epatico: diversi test possono misurare la capacità del fegato di trasportare il materiale organico e di metabolizzare i farmaci. I dosaggi della bilirubina sono usati frequentemente, mentre altri esami, sebbene molto sensibili, sono complessi, costosi e aspecifici. Gli acidi biliari sono specifici per il fegato poiché sono sintetizzati solo in questo organo, costituiscono il fattore che promuove la formazione della bile e sono soggetti a un'estrazione del 70-90% al primo passaggio epatico. Le concentrazioni sieriche degli acidi biliari normalmente sono estremamente basse (circa 5 mmol/ l). Gli aumenti sono specifici e molto sensibili per le malattie epatobiliari, ma non aiutano nella diagnosi differenziale né indicano la prognosi. I valori sono normali nell'iperbilirubinemia isolata (p. es., nella sindrome di Gilbert). Le sofisticate analisi dei singoli acidi biliari nel siero possono avere valore nelle ricerche cliniche sulla terapia con acidi biliari della calcolosi e della cirrosi biliare primitiva.

Esami per immagini La scintigrafia, l'ecografia (ECO), la TC e la RMN hanno sostituito le tecniche per immagini tradizionali (p. es., la colecistografia orale e la colangiografia EV). Le tecniche radiologiche invasive (p. es., la CPRE) si avvalgono di strumentazioni sofisticate e permettono di eseguire delle procedure terapeutiche. Radiografia diretta dell'addome: la sua utilità è limitata all'identificazione di calcificazioni nel fegato o nella colecisti, di calcoli radiopachi e di aria nella via biliare. Possono essere evidenziate anche le epato- o splenomegalie e l'ascite. Colecistografia orale: questo esame è semplice, affidabile e relativamente sicuro per la visualizzazione della colecisti; il 25% dei pazienti lamenta, però, diarrea dopo l'esame. Raramente, si osserva una reazione da ipersensibilità al mezzo di contrasto iodato. Uno studio anormale include la mancata visualizzazione della colecisti dopo una seconda dose di contrasto e dopo aver escluso le cause più ovvie: il vomito, l'ostruzione pilorica, il malassorbimento, la sindrome di DubinJohnson o una significativa malattia epatocellulare. La sensibilità nella diagnosi delle malattie della colecisti (p. es., la calcolosi della colecisti) è di circa il 95%, ma la specificità è molto più bassa. Al contrario, i calcoli e le lesioni neoplastiche sono facilmente identificati e differenziati. La colecistografia orale, oltre che file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (5 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

definire l'anatomia della colecisti, evidenzia anche con chiarezza la pervietà del dotto cistico e, in misura minore, la funzione di concentrazione della colecisti stessa. Il riempimento radiologico della colecisti è un criterio importante nella valutazione dell'indicazione alla terapia con i sali biliari, piuttosto che alla litotripsia biliare extracorporea, per sciogliere i calcoli. Questa tecnica è anche più utile dell'ECO nel determinare il numero e il tipo di calcoli (la trasparenza indica che i calcoli sono composti da colesterolo). Tuttavia, l'ECO e la scintigrafia biliare hanno largamente sostituito questo esame, un tempo di riferimento, a causa della loro maggior facilità d'uso e minor incidenza di risultati falsi negativi. La scintigrafia è migliore anche nell'evidenziare il riempimento e lo svuotamento della colecisti. Ecografia: i reperti ottenuti all'ECO sono di carattere morfologico e indipendenti dalla funzione. L'ECO è l'esame più importante per lo screening delle anomalie della via biliare e delle lesioni occupanti spazio nel fegato. È inoltre più utile nella diagnosi delle lesioni focali (> 1 cm di diametro) che in quella delle patologie diffuse (p. es., steatosi, cirrosi). In generale, le cisti sono prive di echi; le lesioni solide (p. es., neoplasie, ascessi) tendono a essere ecogene. La capacità di localizzare delle lesioni focali permette di eseguire delle biopsie e delle aspirazioni ecoguidate. L'ECO è la tecnica meno costosa, più sicura e più sensibile per la visualizzazione del sistema biliare e, in particolare, della colecisti. L'accuratezza per la diagnosi delle patologie della colecisti o da calcoli è prossima al 100%, anche se è necessaria una discreta abilità da parte dell'esecutore dell'esame. I calcoli emettono degli intensi echi con cono d'ombra posteriore e possono essere mobili per la forza di gravità. La dimensione dei calcoli può essere definita accuratamente, ma può essere difficile determinarne il numero, quando sono tanti, a causa della loro sovrapposizione. I criteri per la diagnosi di colecistite acuta includono un ispessimento della parete della colecisti, la presenza di un liquido pericolecistico, la presenza di un calcolo occludente il colletto della colecisti e la dolorabilità alla palpazione (segno di Murphy). I polipi della colecisti sono un frequente reperto accidentale. Il carcinoma si presenta come una massa solida, senza caratteristiche specifiche. L'ECO è la procedura di scelta per valutare la colestasi e per differenziare le cause intraepatiche da quelle extraepatiche dell'ittero. I dotti biliari appaiono come strutture tubulari anecogene. Il coledoco ha un diametro che normalmente è inferiore ai 6 mm, aumenta lievemente con l'età e raggiunge i 10 mm dopo la colecistectomia. La presenza di dotti dilatati è in pratica patognomonica per un'ostruzione extraepatica, ma la presenza di dotti normali non esclude l'ostruzione, poiché questa potrebbe essere intermittente o di recente insorgenza. L'ECO non evidenzia facilmente i calcoli nel coledoco, ma la loro presenza può essere dedotta in caso di dilatazione del dotto stesso e in presenza di calcoli nella colecisti. La visualizzazione del pancreas, del rene e dei vasi sanguigni è un ulteriore vantaggio. Il riscontro di un ingrandimento della testa del pancreas o della presenza di una massa a questo livello, può rivelare la causa di una colestasi o di un dolore localizzato nei quadranti superiori dell'addome. L'ecodoppler misura la variazione di frequenza delle onde a ultrasuoni riflesse dal movimento dei GR. Questa metodica può mostrare con chiarezza la vascolarizzazione epatica, in particolare la vena porta, e la direzione del flusso ematico. L'ecodoppler può mostrare la trombosi dell'arteria epatica dopo un trapianto di fegato. Può anche identificare delle strutture vascolari anomali (p. es., la trasformazione cavernomatosa della vena porta). Scintigrafia con radionuclidi: questa procedura comporta la captazione epatica di un radiofarmaco iniettato nella circolazione sistemica e che di solito è rappresentato dal Tecnezio 99m (99mTc). Per la scintigrafia epato-splenica si usa il 99mTc-solfuro-colloide, che è rapidamente estratto dal sangue da parte delle cellule del sistema reticoloendoteliale. Normalmente, la radioattività è distribuita in modo uniforme. Nel caso di una lesione occupante > 4 cm (p. es., una cisti, un ascesso, una metastasi, un tumore epatico), la parte di fegato sostituita appare come una zona "fredda". Le malattie epatiche generalizzate (p. es., la cirrosi, l'epatite), file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (6 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

provocano una diminuzione eterogenea della captazione da parte del fegato e un suo incremento da parte della milza e del midollo osseo. L'ostruzione della vena sovraepatica si associa a una diminuita visualizzazione del fegato, a eccezione del lobo caudato che ha un drenaggio indipendente nella vena cava inferiore. L'ECO o la TC hanno largamente sostituito la scintigrafia con radionuclidi per la diagnosi delle lesioni occupanti spazio e delle malattie parenchimali diffuse. Colescintigrafia: per studiare il sistema escretorio epato-biliare, la colescintigrafia impiega dei derivati dell'acido imminodiacetico marcati con il tecnezio99m. Queste radiosostanze sono anioni organici, che il fegato capta avidamente dal plasma e secerne nella bile soprattutto sotto forma di bilirubina. È necessario un digiuno di almeno 2 h. Un esame normale mostra una captazione epatica rapida e uniforme, una pronta escrezione nei dotti biliari e la visualizzazione della colecisti e del duodeno entro 1 h. Nella colecistite acuta (con ostruzione del dotto cistico) la colecisti non è visibile entro 1 h. Una colecistite acuta acalcolotica può essere identificata nello stesso modo. La colecistite cronica è più problematica: può essere ragionevolmente diagnosticata se la visualizzazione della colecisti è ritardata di oltre 1 h, a volte fino a 24 h, o se la colecisti non viene visualizzata per nulla, ma la diagnosi è resa dubbia dai numerosi risultati falsi positivi e falsi negativi. Diversi fattori, infatti, possono contribuire alla mancata visualizzazione della colecisti (p. es., una colestasi importante con un marcato incremento della bilirubina, il mancato digiuno, un digiuno > 24 h, alcuni farmaci). La colescintigrafia valuta anche l'integrità del sistema epato-biliare (spandimenti biliari possono essere importanti specie dopo un intervento chirurgico o un trauma) e la sua anatomia (dalle cisti congenite del coledoco alle anastomosi coledoco-enteriche). Dopo la colecistectomia, la scintigrafia biliare può quantificare il drenaggio biliare ed essere di ausilio nell'identificazione di una disfunzione dello sfintere di Oddi. Nell'ittero neonatale, lo studio per immagini del sistema epato-biliare consente la differenziazione tra l'epatite neonatale e l'atresia biliare. Tomografia computerizzata: la TC rileva le variazioni di densità delle differenti lesioni epatiche. L'uso del mezzo di contrasto EV aiuta a distinguere le più sottili differenze tra i tessuti molli e a identificare il sistema vascolare e la via biliare. La TC mostra le strutture epatiche in modo più coerente dell'ECO; l'obesità e i gas intestinali non interferiscono con la loro visualizzazione. La TC è particolarmente utile per studiare le lesioni occupanti spazi (p. es., metastasi) nel fegato e le masse nel pancreas. Può evidenziare anche un'infiltrazione grassa del fegato e un'aumentata densità epatica da sovraccarico di ferro. È un esame costoso e richiede l'esposizione a radiazioni; entrambi i fattori ne riducono l'uso di routine nei confronti dell'ECO. Risonanza magnetica nucleare: la RMN è un'interessante, sebbene costosa, tecnologia che può portare dei vantaggi nell'identificazione delle neoplasie e nello studio del flusso ematico del fegato. I vasi ematici sono facilmente identificati senza mezzi di contrasto. Anche se ancora in evoluzione, la RMN è confrontabile con la TC per l'identificazione delle lesioni occupanti spazio e può visualizzare i vasi periepatici e il sistema biliare. La colangio-RMN sta diventando un esame di screening sempre più interessante, da utilizzare prima di passare a tecniche più invasive. Colangiografia intraoperatoria: questa procedura richiede l'iniezione diretta del mezzo di contrasto nel dotto cistico o nel coledoco durante l'intervento chirurgico. Si ottiene un'eccellente visualizzazione della via biliare. Questo approccio diagnostico è indicato nei casi di calcolosi biliare quando è presente un ittero o quando si sospetta una calcolosi del coledoco. Le difficoltà tecniche ne hanno limitato l'uso durante la colecistectomia eseguita per via laparoscopica. La visualizzazione diretta del coledoco può essere ottenuta anche con la coledocoscopia. La colangiografia EV, eseguita per la visualizzazione del coledoco, è stata di fatto abbandonata a causa del suo scarso potere diagnostico, per i rischi di una reazione da ipersensibilità e per l'avvento della CPRE. Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE): la CPRE combina file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (7 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

(1) l'endoscopia (per l'endoscopia del tratto gastrointestinale superiore, v. Cap. 19) per l'identificazione e l'incannulamento dell'ampolla di Vater nella seconda porzione duodenale e (2) lo studio rx dopo iniezione del mezzo di contrasto nei dotti biliare e pancreatico. Con questa tecnica si posiziona nel duodeno discendente un endoscopio a visione laterale, si identifica e si incannula la papilla di Vater e poi si inietta un mezzo di contrasto per visualizzare il dotto pancreatico e il sistema dei dotti biliari. Otre a ottenere delle eccellenti immagini della via biliare e del pancreas, la CPRE permette la visualizzazione del tratto gastrointestinale superiore e dell'area periampollare. Possono essere eseguite delle biopsie e delle procedure interventistiche (p. es., la sfinterotomia, l'estrazione di calcoli biliari o il posizionamento di una protesi biliare attraverso una stenosi). La CPRE è una procedura ambulatoriale che, in mani esperte, ha un rischio relativamente basso (principalmente di pancreatite nel 3% dei casi dopo sfinterotomia). Ha rivoluzionato la diagnosi e il trattamento delle patologie pancreatico-biliari. È particolarmente preziosa nella valutazione della via biliare in caso di ittero persistente e nella ricerca di una lesione suscettibile di trattamento (p. es., calcoli, stenosi, disfunzioni dello sfintere di Oddi). In caso di ittero e colestasi, la CPRE deve essere preceduta dall'ECO per valutare il diametro del coledoco. Colangiografia transepatica percutanea (CTP): questa procedura comporta la puntura del fegato con un ago da 22 gauge, sotto controllo fluoroscopico o ecografico, per entrare in un dotto biliare intraepatico periferico a monte del dotto epatico comune. La CTP ha un elevato potere diagnostico, ma soltanto per quanto riguarda il sistema biliare. È possibile eseguire alcune procedure terapeutiche (p. es., la decompressione del sistema biliare, il posizionamento di un'endoprotesi). Di solito, si preferisce la CPRE, soprattutto se i dotti non sono dilatati (p. es., colangite sclerosante). La CTP viene usata dopo il fallimento di una CPRE o quando un'alterata anatomia (gastroenterostomia) preclude l'accesso all'ampolla. Può essere di complemento alla CPRE nelle lesioni ilari localizzate alla porta hepatis. La CTP è generalmente sicura, ma ha comunque una maggiore incidenza di complicanze (p. es., sepsi, sanguinamento, spandimenti di bile) rispetto alla CPRE. La scelta tra la CTP e la CPRE viene operata spesso dagli specialisti locali.

Biopsia epatica La biopsia epatica percutanea fornisce delle valide informazioni diagnostiche con un rischio relativamente modesto e un piccolo fastidio per il paziente. Praticata al letto del paziente in anestesia locale, questa procedura comporta una biopsia mediante aspirazione (usando l'ago di Menghini o l'ago di Jamshidi, disponibile come un set monouso e, quindi, sempre affilato) o mediante il taglio (usando il Trucut monouso, una variante dell'ago di Vim-Silverman). Previa anestesia, l'ago è inserito in uno spazio intercostale, anteriormente alla linea ascellare media e appena sotto il punto di massima ottusità in espirazione. Il paziente giace immobile e rimane in espirazione. L'ago procede quindi, rapidamente, nel fegato con l'aspirazione collegata (Jamshidi) o con la parte tagliente avanzata (Trucut). La procedura impiega 1-2 s per fornire un frustolo epatico del diametro di 1 mm, lungo 2 cm. Occasionalmente, è necessario ripetere la manovra una seconda volta; se un secondo o un terzo tentativo risultano infruttuosi, si deve eseguire l'ago-biopsia sotto guida ECO o TC. La biopsia ecoguidata eseguita con una pistola per biopsia, che ha un dispositivo a scatto che fa avanzare un ago Trucut modificato, è meno dolorosa e fornisce una resa maggiore. La guida ecografica è particolarmente utile per eseguire prelievi da lesioni focali o per evitare le formazioni vascolari (p. es., gli emangiomi). Al momento della biopsia, l'inserimento dell'ago permette di valutare la consistenza del parenchima epatico: una sensazione di durezza suggerisce, a esempio, la diagnosi di cirrosi. La biopsia viene sottoposta di routine a esame istopatologico. In casi selezionati possono essere utili l'esame citologico, l'esame colturale e le sezioni al criostato. Nel sospetto di malattia di Wilson si deve misurare il contenuto in rame. L'aspetto macroscopico fornisce alcune informazioni: la frammentazione del pezzo bioptico suggerisce la diagnosi di cirrosi; un fegato steatosico è di color giallo pallido e galleggia nella formaldeide; file:///F|/sito/merck/sez04/0370374.html (8 of 9)02/09/2004 2.00.36

Screening e valutazione diagnostica

il carcinoma è biancastro. La biopsia epatica è una procedura sufficientemente sicura da essere eseguita ambulatorialmente. Dopo la biopsia, il paziente è monitorato per 3-4 h, che rappresentano il periodo durante il quale è più probabile il verificarsi delle complicanze (p. es., l'emorragia intra-addominale, la peritonite biliare, la lacerazione epatica). I pazienti dimessi devono rimanere a non più di un'ora di distanza dall'ospedale, poiché un sanguinamento tardivo si può verificare anche dopo 15 gg. È frequente un lieve fastidio al quadrante superiore destro dell'addome, talvolta irradiato dal diaframma all'apice della spalla, che risponde alla somministrazione di blandi analgesici. La mortalità è bassa, pari allo 0,01%; le complicanze maggiori sono riportate in circa il 2% dei casi. Le indicazioni alla biopsia percutanea del fegato sono elencate nella Tab. 37-1. La biopsia ecoguidata con ago sottile, rivela la presenza di carcinomi metastatici in almeno il 66% dei casi e può permettere la diagnosi anche se gli altri esami per immagini sono negativi; l'esame citologico del liquido ottenuto con la biopsia fornisce dei risultati positivi in un altro 10% dei casi. I risultati sono meno validi in caso di linfoma e sono scarsamente correlati con l'impressione clinica di interessamento epatico. La biopsia è utile specialmente per evidenziare la TBC e le altre infiltrazioni granulomatose e può chiarire i problemi del fegato trapiantato (lesione ischemica, rigetto, patologia della via biliare, epatite virale). I limiti della procedura comprendono: (1) la necessità di un istopatologo esperto (molti patologi hanno una scarsa esperienza con gli agoaspirati); (2) gli errori di prelievo (nell'epatite e nelle altre epatopatie diffuse il tessuto prelevato è quasi sempre significativo, ma non altrettanto si verifica nel caso della cirrosi e delle lesioni occupanti spazio); (3) l'incapacità a differenziare eziologicamente l'epatite (p. es., virale o da farmaci); (4) gli errori occasionali o le incertezze nei casi di colestasi. Le controindicazioni relative includono la tendenza emorragica o un disturbo della coagulazione (un tempo di protrombina > 3 s rispetto ai valori di controllo [INR > 1,2] nonostante la somministrazione di vitamina K, un tempo di sanguinamento > 10 min), una grave trombocitopenia (50000 ml), una grave anemia, la peritonite, l'ascite di grado elevato, l'ostruzione biliare di grado marcato e l'infezione o un versamento sottofrenico o pleurico destro. La biopsia epatica transvenosa viene eseguita, utilizzando un Trucut modificato, attraverso un catetere che viene inserito nella vena giugulare interna destra, passa nell'atrio destro e nella vena cava inferiore fino a raggiungere la vena sovraepatica. Da qui l'ago viene sospinto nel parenchima epatico. Con questa tecnica è anche possibile misurare la pressione nella vena sovraepatica e la pressione di incuneamento. Può essere usata anche quando il paziente ha un'importante patologia della coagulazione, sebbene il campione ottenuto sia relativamente piccolo e l'operatore debba essere molto esperto nelle tecniche angiografiche. È una procedura molto ben tollerata e richiede al massimo una modesta sedazione, fatta eccezione per i pazienti che non collaborano. La metodica, in mani esperte, fornisce una quantità di tessuto epatico sufficiente in oltre il 95% dei casi. La percentuale di complicanze è molto bassa: nello 0,2% dei casi si verifica un'emorragia dal punto di ingresso nella capsula epatica. Un centro non ha riportato alcun decesso in oltre 1000 biopsie transvenose eseguite.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ITTERO La malattia epatica ha numerose manifestazioni cliniche, alcune delle quali sono osservate sia nei disordini acuti che in quelli cronici, mentre altre si presentano solo nelle epatopatie croniche.

Sommario: Introduzione Metabolismo della bilirubina Approccio clinico all'ittero Sintomi e segni Esami di laboratorio

Colorazione gialla della cute, delle sclere e di altri tessuti causata da un eccesso di bilirubina circolante. Un ittero lieve, osservato esaminando le sclere alla luce naturale, è di solito evidenziabile quando la bilirubina sierica raggiunge i 2-2,5 mg/dl (34-43 mmol/l).

Metabolismo della bilirubina Il catabolismo dell'eme porta alla produzione dei pigmenti biliari; i suoi precursori sono l'Hb dei GR in disfacimento, i precursori dei GR nel midollo osseo, nonché le proteine contenenti questo gruppo prodotte nel fegato e in altri tessuti. Non esiste alcuna prova circa l'esistenza di una sintesi diretta della bilirubina a partire dai precursori dell'eme. La bilirubina, un anione organico pigmentato, strettamente correlato alle porfirine e ad altri composti tetrapirrolici, è un prodotto insolubile del catabolismo. Per essere escreta deve essere convertita in una forma idrosolubile; questa trasformazione rappresenta l'obiettivo finale del metabolismo della bilirubina, che si svolge attraverso 5 tappe fondamentali: 1. Formazione: ogni giorno si formano circa 250-350 mg di bilirubina; il 70-80% deriva dalla distruzione dei GR invecchiati. Il restante 20-30% (la bilirubina precocemente marcata) deriva dalle altre proteine contenenti l'eme, localizzate principalmente nel fegato e nel midollo osseo. Il gruppo eme dell'Hb viene degradato dall'enzima microsomiale eme-ossigenasi, a ferro e a biliverdina, un prodotto intermedio. Un altro enzima, la biliverdina riduttasi, converte, poi, la biliverdina a bilirubina. Questi passaggi avvengono principalmente nelle cellule del sistema reticoloendoteliale (fagociti mononucleati). L'aumentata emolisi dei GR rappresenta la causa più importante dell'aumentata formazione della bilirubina. Un aumento della bilirubina precocemente marcata si verifica in alcuni disordini ematologici con eritropoiesi inefficace, ma di solito non è clinicamente rilevante. 2. Trasporto plasmatico: a causa dei legami idrogeno interni, la bilirubina non è idrosolubile. La bilirubina non coniugata (a reazione indiretta) è perciò trasportata nel plasma legata all'albumina e non può attraversare la membrana glomerulare e quindi non compare nelle urine. Il legame si indebolisce in alcune

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

condizioni (p. es., l'acidosi), mentre alcune sostanze (p. es., certi antibiotici e i salicilati) competono con la bilirubina per i siti di legame dell'albumina. 3. Captazione epatica: sono ancora poco chiari i dettagli della captazione della bilirubina da parte del fegato e l'importanza delle proteine di legame (binding proteins) intracellulari (p. es., la ligandina o la proteina Y). La captazione della bilirubina avviene attraverso un trasporto attivo ed è rapida, ma non include la quota legata all'albumina sierica. 4. Coniugazione: la bilirubina libera concentrata nel fegato viene coniugata con l'acido glicuronico a formare la bilirubina diglicuronide o bilirubina coniugata (a reazione diretta). Questa reazione, catalizzata dall'enzima microsomiale glicuronil-transferasi, rende il pigmento idrosolubile. In alcune circostanze, la glicuronil-transferasi forma solamente bilirubina monoglicuronide e la seconda molecola di acido glicuronico viene aggiunta a livello del canalicolo biliare, ad opera di un diverso sistema enzimatico, ma questa reazione non è da tutti considerata fisiologica. Oltre al diglicuronide vengono formati altri composti coniugati della bilirubina di significato sconosciuto. 5. Escrezione biliare: la bilirubina coniugata viene escreta nei canalicoli biliari insieme agli altri costituenti della bile. Questo processo è complesso e può essere influenzato dalla presenza di farmaci o di altri anioni organici. Nell'intestino, la flora batterica deconiuga e riduce la bilirubina a composti denominati stercobilinogeni. La maggior parte di questi viene escreta con le feci a cui dà la colorazione marrone; una quota importante viene assorbita e di nuovo escreta nella bile, mentre una piccola quantità passa nelle urine come urobilinogeno. Il rene può eliminare la bilirubina diglicuronide, ma non la bilirubina non coniugata. Ciò spiega le urine scure tipiche dell'ittero epatocellulare o colestatico e l'assenza dei pigmenti biliari nelle urine dei soggetti con ittero emolitico. Le alterazioni che si verificano in ognuna di queste tappe possono causare ittero. Un'aumentata formazione, una compromessa captazione epatica o una ridotta coniugazione possono causare un'iperbilirubinemia non coniugata. Una ridotta escrezione biliare causa, invece, un'iperbilirubinemia coniugata. In pratica, sia le affezioni epatiche che le ostruzioni biliari determinano delle alterazioni multiple, che causano un'iperbilirubinemia di tipo misto. Inoltre, quando la bilirubina coniugata aumenta nel plasma, una parte di essa viene legata in modo covalente all'albumina sierica. Questa frazione legata alle proteine (d-bilirubina) non è misurabile con le tecniche di routine, ma spesso rappresenta una componente fondamentale della bilirubina circolante, specialmente durante la fase di regressione dell'ittero. Nei pazienti affetti da una chiara malattia epato-biliare, non è molto importante, dal punto di vista diagnostico, conoscere i valori della bilirubina coniugata e di quella non coniugata. In particolare, questo non permette di differenziare l'ittero epatocellulare da quello colestatico, perché l'iperbilirubinemia è di tipo misto indipendentemente dalla causa di base. Il frazionamento è utile solo se si sospettano dei disordini di tipo non coniugato (v. oltre); questi disordini determinano un ittero in assenza di un'epatopatia dimostrabile.

Approccio clinico all'ittero La valutazione clinica e di laboratorio deve rispondere ad alcune specifiche domande: l'ittero è causato da un'emolisi o da un disordine isolato del metabolismo della bilirubina (raro), da una disfunzione epatocellulare (comune) o da un'ostruzione della via biliare (di frequenza intermedia)? Se è presente una patologia epato-biliare, si tratta di una condizione acuta o cronica? Si tratta di un'epatopatia primitiva o delle manifestazioni epatiche di una malattia sistemica? Ne sono responsabili un'infezione virale, l'alcol o un altro farmaco? La colestasi è di origine intra- o extraepatica? È necessaria una terapia chirurgica? Sono presenti delle complicanze? Una dettagliata anamnesi e un completo esame obiettivo sono fondamentali, perché gli errori diagnostici sono, di solito, causati

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

da un'inadeguata valutazione clinica e da un eccessivo affidamento sui dati di laboratorio.

Sintomi e segni Un ittero lieve senza urine ipercromiche, indirizza verso un'iperbilirubinemia di tipo non coniugato causata dall'emolisi o da una sindrome di Gilbert, piuttosto che da una malattia epato-biliare. Un ittero più grave o la comparsa di urine ipercromiche indicano una malattia epatica o biliare ( per gli altri reperti che indicano un disordine epatocellulare o colestatico, v. oltre). I segni dell'ipertensione portale, l'ascite o le alterazioni cutanee ed endocrine, solitamente implicano un processo cronico piuttosto che acuto. I pazienti spesso notano l'emissione delle urine scure prima della comparsa della colorazione giallastra della cute; allora, il momento della comparsa della coluria fornisce la migliore indicazione circa la durata dell'ittero. La nausea e il vomito, che si manifestano prima dell'ittero, in genere indicano un'epatite acuta o un'ostruzione coledocica di origine litiasica; il dolore addominale e la febbre con brivido depongono per quest'ultima. Un'anoressia e un malessere più insidiosi si verificano in molte situazioni, ma indicano in particolare una epatopatia alcolica o un'epatite cronica. Si deve comunque considerare anche la possibilità che si tratti di una malattia sistemica; p. es., il turgore delle vene giugulari, in un paziente con epatomegalia e ascite, indica uno scompenso cardiaco congestizio o una pericardite costrittiva. L'aspetto cachettico e un fegato insolitamente duro o nodulare sono causati più frequentemente dalla presenza di metastasi piuttosto che da una cirrosi. Una linfoadenopatia diffusa suggerisce la mononucleosi infettiva in un ittero insorto acutamente e un linfoma o una leucemia in situazioni croniche. L'epatosplenomegalia senza altri segni di epatopatia cronica può essere causata da un processo infiltrativo (p. es., un linfoma, l'amiloidosi), anche se l'ittero è, di solito, minimo o assente in tali affezioni; in zone endemiche, questo quadro è prodotto dalla malaria e dalla schistosomiasi.

Esami di laboratorio Una lieve iperbilirubinemia, con valori normali delle aminotransferasi e della fosfatasi alcalina, è, di solito, l'espressione di un'emolisi o di una sindrome di Gilbert, piuttosto che di un'epatopatia; ciò viene generalmente confermato dal frazionamento della bilirubina. Per contro, l'entità dell'ittero e il frazionamento della bilirubina non sono utili per la diagnosi differenziale tra ittero epatocellulare e ittero colestatico. Un aumento delle aminotransferasi > 500 U depone per un'epatite o per un episodio di ipossia acuta; un incremento sproporzionato della fosfatasi alcalina fa pensare a una malattia colestatica o infiltrativa. In quest'ultimo caso, la bilirubinemia è generalmente normale o aumentata di poco. Valori della bilirubina > 25-30 mg/dl (428-513 mmol/l) sono di solito causati da un'emolisi o da un'alterata funzione renale sovrapposta a una grave malattia epato-biliare; quest'ultima, da sola, raramente causa un ittero così grave. Bassi valori di albumina ed elevati valori di globuline indicano un'epatopatia cronica piuttosto che una forma acuta. La riduzione di un tempo di protrombina anormale, dopo la somministrazione di vitamina K (5-10 mg IM per 2-3 gg), depone per un processo colestatico piuttosto che epatocellulare, ma questo test ha un valore diagnostico limitato, perché anche i pazienti affetti da una malattia epatocellulare possono migliorare a seguito dell'assunzione di vitamina K. Gli esami per immagini sono molto utili per la diagnosi delle patologie infiltrative e colestatiche (v. oltre Colestasi). L'ecografia addominale, la TC e la RMN evidenziano frequentemente le lesioni metastatiche e le altre lesioni focali del fegato e, a questo fine, hanno sostituito la scintigrafia epatica. Tuttavia, queste metodiche non sono altrettanto utili nella diagnosi delle malattie epatocellulari diffuse (p. es., la cirrosi), poiché i reperti sono, solitamente, aspecifici.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

La biopsia epatica percutanea ha un grande valore diagnostico, ma è raramente necessaria in caso di ittero. La peritoneoscopia (laparoscopia) permette la visualizzazione diretta del fegato e della colecisti senza comportare il trauma della laparotomia ed è utile in casi selezionati. Raramente, in alcuni pazienti con ittero colestatico o con un'epatosplenomegalia inspiegabile, può essere necessaria una laparotomia esplorativa. Queste tecniche sono trattate in modo più esauriente nei Cap. 19 e 37.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ITTERO COLESTASI (Ittero ostruttivo) Una sindrome clinica e biochimica causata da un ostacolato deflusso della bile.

Sommario: Introduzione Eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Il termine "colestasi" viene preferito a "ittero ostruttivo" in quanto non è necessario che sia presente un'ostruzione meccanica. Per la trattazione della colestasi nel lattante Difetti gastrointestinali nel Cap. 261.

Eziologia Il deflusso della bile può essere alterato a qualsiasi livello, dal canalicolo biliare all'ampolla di Vater. Dal punto di vista clinico, è fondamentale la distinzione tra cause intraepatiche e cause extraepatiche. Le cause intraepatiche più comuni sono l'epatite (v. Cap. 42), la tossicità indotta dai farmaci (v. Cap. 43) e l'epatopatia alcolica (v. Cap. 40). Le cause meno frequenti includono la cirrosi biliare primitiva (v. Cap. 41), la colestasi della gravidanza (v. Disordini epatici nel Cap. 251), il carcinoma metastatico e numerose malattie più rare. Le cause extraepatiche più comuni sono la litiasi del coledoco e il carcinoma del pancreas. Le cause meno frequenti includono la stenosi benigna del coledoco (solitamente in rapporto a un pregresso intervento chirurgico), il carcinoma delle vie biliari, la pancreatite o la pseudocisti pancreatica e la colangite sclerosante.

Fisiopatologia La colestasi è espressione di un difetto della secrezione biliare; i meccanismi sono complessi, perfino nell'ostruzione meccanica. Tra i fattori che contribuiscono alla colestasi si può osservare un'interferenza con gli enzimi idrossilanti microsomiali, che conduce alla formazione di acidi biliari scarsamente solubili; un'alterata attività della Na+, K+-ATPasi, necessaria per il corretto deflusso della bile lungo i canalicoli; un'alterata composizione e fluidità dei lipidi

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

di membrana; un'interferenza con la funzione dei microfilamenti (ritenuti importanti per la funzione canalicolare); un aumento del riassorbimento tubulare dei costituenti della bile. Gli effetti fisiopatologici della colestasi sono dovuti al reflusso dei costituenti della bile (principalmente la bilirubina, i sali biliari e i lipidi) nella circolazione sistemica e alla loro mancata eliminazione, data l'impossibilità a raggiungere l'intestino. La ritenzione di bilirubina produce un ittero a iperbilirubinemia mista con emissione di pigmenti biliari coniugati nelle urine; le feci spesso sono acromiche perché una scarsa quantità di bilirubina raggiunge l'intestino. Il prurito è spesso imputato agli elevati livelli di sali biliari circolanti, ma la correlazione è scarsa e la sua patogenesi rimane oscura. Poiché i sali biliari sono necessari per l'assorbimento dei grassi e della vitamina K, un ostacolo all'escrezione dei sali biliari può causare steatorrea e ipoprotrombinemia. Se la colestasi è di vecchia data (p. es., nella cirrosi biliare primitiva) si possono verificare nel tempo un'osteoporosi o un'osteomalacia dovute al concomitante malassorbimento di Ca e di vitamina D. La ritenzione di colesterolo e di fosfolipidi causa un'iperlipemia, a cui possono contribuire anche un aumento della sintesi epatica e una diminuzione dell'esterificazione plasmatica del colesterolo; i valori dei trigliceridi non subiscono modificazioni. I lipidi circolano sotto forma di un'unica lipoproteina alterata, a bassa densità, chiamata lipoproteina X.

Sintomi e segni L'ittero, le urine ipercromiche, le feci chiare e il prurito generalizzato rappresentano le caratteristiche cliniche della colestasi. La forma cronica può essere responsabile di una pigmentazione cutanea bruno-verdastra, di escoriazioni da grattamento, di una diatesi emorragica, di dolori ossei e di depositi cutanei di lipidi (xantelasmi o xantomi). Queste caratteristiche sono indipendenti dalla causa della colestasi. Il dolore addominale, i sintomi sistemici (p. es., l'anoressia, il vomito, la febbre) o altri segni obiettivi addizionali sono invece le manifestazioni della causa di base, piuttosto che della colestasi e, quindi, rappresentano delle utili indicazioni eziologiche.

Diagnosi La colestasi intraepatica deve essere differenziata da quella extraepatica. Sono importanti una dettagliata anamnesi e un esame obiettivo completo, dal momento che la maggior parte degli errori diagnostici deriva da un'inadeguata valutazione clinica e da un eccessivo affidamento sui dati di laboratorio. Depongono per una diagnosi di colestasi intraepatica i sintomi dell'epatite, l'eccessiva assunzione di alcol o la recente assunzione di farmaci potenzialmente colestatici, nonché i segni di un'epatopatia cronica (p. es., gli spider-nevi, la splenomegalia, l'ascite). La natura extraepatica della colestasi viene per contro suggerita dal dolore biliare o pancreatico, dalla febbre con brivido o dalla presenza di una colecisti palpabile. Gli esami di laboratorio hanno una limitata utilità diagnostica. L'alterazione più tipica è data da un valore sierico, sproporzionatamente elevato, della fosfatasi alcalina dovuto più a un aumento della sintesi epatica che a un'ostacolata escrezione, ma che, comunque, non aiuta a identificare la malattia di base. Allo stesso modo, i valori della bilirubinemia riflettono la gravità, ma non la causa, della colestasi e la bilirubinemia frazionata non aiuta a distinguere una forma intraepatica da una extraepatica. I valori dell'aminotransferasi dipendono ampiamente dalla causa di base, ma solitamente sono solo leggermente aumentati. Un aumento marcato suggerisce un processo epatocellulare, ma si verifica occasionalmente anche nella colestasi extraepatica, specialmente nel caso di un'ostruzione acuta causata da un calcolo nel coledoco. Un'amilasemia elevata, solitamente indica un'ostruzione extraepatica. La riduzione del tempo di protrombina dopo la somministrazione di vitamina K indica un'ostruzione extraepatica, ma anche le malattie epatocellulari possono rispondere nello stesso file:///F|/sito/merck/sez04/0380385.html (2 of 4)02/09/2004 2.00.39

Aspetti clinici delle malattie del fegato

modo. La presenza di anticorpi antimitocondriali suggerisce con forza una cirrosi biliare primitiva. Gli esami per immagini del tratto biliare sono fondamentali (v. Cap. 37). L'ecografia, la TC e la RMN mostrano la dilatazione dei dotti biliari, anche se l'assenza di questo segno non indica necessariamente una colestasi intraepatica, specialmente nelle situazioni acute. Questi esami possono evidenziare la causa dell'ostruzione; in genere, i calcoli biliari vengono visti meglio con l'ecografia e le lesioni pancreatiche con la TC. La maggior parte dei centri usa l'ecografia come primo esame in caso di colestasi, per il costo relativamente basso. La CPRE permette la visualizzazione diretta dell'albero biliare ed è particolarmente utile nel definire la causa dell'ostruzione extraepatica; anche la colangiografia transepatica percutanea (CTP) può essere usata a questo scopo. Entrambe le tecniche hanno delle potenzialità terapeutiche. Anche le immagini dirette dell'albero biliare ottenute alla RMN possono mostrare i calcoli e le altre lesioni del coledoco e questo esame sta diventando un'alternativa non invasiva alla CPRE. La biopsia epatica, di solito permette la diagnosi nei casi di colestasi intraepatica; tuttavia, si possono verificare degli errori, specialmente nel caso di esaminatori inesperti. La biopsia è un procedimento sicuro nella maggior parte dei casi di colestasi, ma è rischioso nel caso di un'ostruzione extraepatica grave o di lunga durata, che deve perciò essere esclusa con gli esami per immagini prima di eseguire la biopsia. La colestasi non rappresenta un'emergenza a meno che il paziente non sia affetto da una colangite suppurativa. La diagnosi deve essere basata sul giudizio clinico e su alcune tecniche speciali, quando disponibili. Se la diagnosi è incerta, deve essere eseguita un'ecografia (o una TC). Un'ostruzione meccanica può essere diagnosticata con sicurezza se l'esame mette in evidenza una dilatazione delle vie biliari, specialmente in un paziente con una colestasi progressiva; un ulteriore approfondimento con una colangiografia diretta (CTP, CPRE, RMN) può essere preso, poi, in considerazione. Se all'ecografia non si evidenzia una dilatazione biliare, è più probabile che ci sia un problema intraepatico e si deve pensare a eseguire una biopsia epatica. Quando gli esami speciali non sono disponibili, deve essere considerata l'opportunità di una laparotomia diagnostica, se il giudizio clinico indirizza verso un'ostruzione meccanica e se la colestasi peggiora progressivamente. Tuttavia, l'intervento chirurgico deve essere evitato nei pazienti con epatite colestatica, virale o alcolica.

Terapia Nella colestasi intraepatica, solitamente è sufficiente il trattamento della causa di base. Il prurito che si verifica nelle affezioni irreversibili (p. es., la cirrosi biliare primitiva) risponde in genere alla colestiramina, 4-16 g/die PO, suddivisi in 2 dosi, che si lega ai sali biliari nell'intestino. A meno che non sia presente un grave danno epatocellulare, l'ipoprotrombinemia solitamente migliora con la somministrazione di fitonadione (vitamina K1) a dosi di 5-10 mg/die SC per 23 gg. Nei casi di colestasi irreversibile di vecchia data, vengono spesso somministrati dei supplementi di Ca e di vitamina D, ma la loro reale utilità nel ritardare la malattia degenerativa delle ossa è deludente. I supplementi di vitamina A prevengono il deficit di questa vitamina liposolubile e la grave steatorrea può essere ridotta al minimo con la parziale sostituzione dei grassi alimentari con dei trigliceridi a catena media. L'ostruzione biliare extraepatica in genere richiede un trattamento operativo, chirurgico o endoscopico, con l'estrazione dei calcoli dal coledoco o con il posizionamento di protesi e di cateteri di drenaggio in caso di stenosi (spesso maligne) o di ostruzioni parziali. Per le ostruzioni maligne inoperabili, è possibile in genere eseguire un drenaggio biliare palliativo, inserendo una protesi per via file:///F|/sito/merck/sez04/0380385.html (3 of 4)02/09/2004 2.00.39

Aspetti clinici delle malattie del fegato

transepatica o endoscopica (v. Prognosi e terapia sotto Colangite sclerosante primitiva nel Cap. 48). La papillotomia endoscopica con l'estrazione dei calcoli ha largamente sostituito l'intervento laparotomico nei pazienti affetti da una calcolosi del coledoco. La litotripsia biliare può essere necessaria per facilitare l'estrazione di grossi calcoli duttali selezionati.

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Malattie del fegato e delle vie biliari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

36. Anatomia e fisiologia 37. Screening e valutazione diagnostica 38. Aspetti clinici delle malattie del fegato Ittero Disturbi del metabolismo della bilirubina Colestasi Epatomegalia Ipertensione portale Ascite Encefalopatia porto-sistemica Altri sintomi e segni delle malattie del fegato Alterazioni sistemiche Alterazioni cutanee ed endocrine Alterazioni ematologiche Alterazioni renali ed elettrolitiche Modificazioni circolatorie 39. Fegato grasso 40. Epatopatia alcolica 41. Epatopatia cronica Fibrosi Cirrosi Cirrosi biliare primitiva Deficit di a1-antitripsina 42. Epatite

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Malattie del fegato e delle vie biliari

Epatite virale acuta Epatite cronica 43. Farmaci e fegato Metabolismo dei farmaci Effetti dell’epatopatia sul metabolismo dei farmaci Epatotossicità causata da farmaci Necrosi epatocellulare Colestasi Reazioni di vario tipo Epatopatie croniche 44. Epatopatie postoperatorie 45. Granulomi epatici 46. Lesioni vascolari Lesioni dell’arteria epatica Lesioni delle vene sovraepatiche Malattia veno-occlusiva Sindrome di Budd-Chiari Lesioni della vena porta Trombosi della vena porta Lesioni dei sinusoidi epatici Disordini associati a malattie sistemiche Insufficienza circolatoria Anemia a cellule falciformi Teleangiectasia emorragica ereditaria 47. Tumori del fegato Tumori benigni del fegato Cisti epatiche Metastasi epatiche Carcinoma epatico primitivo

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Malattie del fegato e delle vie biliari

Carcinoma epatocellulare Altre neoplasie primitive del fegato Neoplasie ematologiche e fegato 48. Malattie delle vie biliari extraepatiche Colelitiasi Colecistite Coledocolitiasi Colangite sclerosante primitiva Tumori della via biliare Altre cause di ostruzione extraepatica Colesterolosi della colecisti Diverticolosi della colecisti

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Anatomia e fisiologia

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 36. ANATOMIA E FISIOLOGIA Il fegato è l'organo più grande e metabolicamente più complesso. È costituito anatomicamente da molte unità funzionali microscopiche, tradizionalmente denominate lobuli, delimitate dalle triadi portali e dalle vene centrali. Secondo Rappaport, tuttavia, la divisione funzionale del fegato è fisiologica: ciascuna triade portale è concepita come il centro, e non come la periferia, di un'unità funzionale microvascolare o acino. Ciascun acino è diviso in 3 zone sulla base della distanza dai vasi nutritivi; la tradizionale regione centrozonale del lobulo in realtà è la parte periferica (zona 3) di 2 o più acini. A fini clinici, il fegato può essere considerato in termini di vascolarizzazione, di epatociti, di canali biliari, di cellule di rivestimento dei sinusoidi e di matrice extracellulare. La vascolarizzazione del fegato origina sia dalla vena porta che dall'arteria epatica; la prima fornisce circa il 75% del flusso ematico totale, che si aggira intorno ai 1500 ml/min. Le piccole diramazioni di ciascuno dei due sistemi, rispettivamente la venula portale terminale e l'arteriola epatica terminale, entrano in ogni acino a livello della triade portale (zona 1). Le due correnti ematiche confluiscono poi lungo i sinusoidi delimitati dalle lamine degli epatociti. Lo scambio delle sostanze nutritive avviene a livello dello spazio di Disse, che separa gli epatociti dalla porosa parete sinusoidale. Il flusso sinusoidale proveniente da acini adiacenti confluisce a livello delle venule epatiche terminali (vene centrali, zona 3). Questi piccoli vasi confluiscono tra loro e, alla fine, formano le vene sovraepatiche che drenano nella vena cava inferiore tutto il sangue efferente. Il fegato è provvisto anche di una ricca rete di vasi linfatici. La vascolarizzazione del fegato risulta compromessa nella cirrosi e in altre epatopatie croniche che si manifestano abitualmente con un'ipertensione portale (v. Cap. 38). Gli epatociti (cellule parenchimali) formano la maggior parte della massa epatica. Queste cellule poligonali sono adiacenti ai sinusoidi ripieni di sangue e sono organizzate in lamine o placche che si irradiano da ciascuna triade portale verso le vene centrolobulari adiacenti. Gli epatociti sono responsabili del ruolo centrale che il fegato riveste nel metabolismo dell'intero organismo. Le importanti funzioni cui sono deputati includono la formazione e l'escrezione della bile, la regolazione dell'omeostasi dei carboidrati, la sintesi dei lipidi e la secrezione delle lipoproteine plasmatiche, il controllo del metabolismo del colesterolo, la sintesi dell'urea, dell'albumina sierica, dei fattori della coagulazione, di molti enzimi e di numerose altre proteine e, infine, il metabolismo e l'inattivazione di farmaci e di altre sostanze estranee all'organismo. Gli epatociti situati nelle differenti regioni dell'acino dimostrano un'eterogeneità metabolica nell'eseguire questi processi complessi (p. es., la gluconeogenesi è una funzione svolta principalmente dalle cellule della zona 1, mentre la glicolisi avviene principalmente nelle cellule della zona 3). Nella maggior parte delle epatopatie, si verificano delle disfunzioni epatocellulari di grado variabile, che determinano diverse alterazioni dei parametri clinici e di laboratorio. Le vie biliari originano come sottili canalicoli delimitati da epatociti contigui. Queste strutture, rivestite da microvilli, confluiscono poi progressivamente nei duttuli, nei dotti biliari interlobulari e quindi nei dotti epatici maggiori. Oltre l'ilo del fegato, il dotto epatico principale confluisce con il dotto cistico a formare il dotto biliare comune o coledoco, che convoglia la bile nel duodeno. Un ostacolo al deflusso della bile, a qualsiasi livello lungo la via biliare, produce il quadro clinico e biochimico caratteristico della colestasi (v. Cap. 38). Le cellule che rivestono i sinusoidi comprendono almeno 4 distinte popolazioni cellulari: le cellule endoteliali, le cellule del Kupffer, le cellule perisinusoidali di file:///F|/sito/merck/sez04/0360372.html (1 of 2)02/09/2004 2.00.41

Anatomia e fisiologia

deposito dei grassi e le cellule foveolari. (1) Le cellule endoteliali differiscono dagli altri endoteli vascolari poiché sono prive della membrana basale e contengono numerosi pori (fenestrature) che permettono lo scambio delle sostanze nutritive e delle macromolecole con i vicini epatociti, attraverso lo spazio di Disse. Inoltre, le cellule endoteliali fagocitano varie molecole e particelle, sintetizzano proteine che influenzano la composizione della matrice extracellulare e svolgono un ruolo nel metabolismo delle lipoproteine. (2) Le cellule fusiformi del Kupffer rivestono i sinusoidi e formano una parte rilevante del sistema reticolo-endoteliale; derivano da precursori del midollo osseo e si comportano come macrofagi tissutali. Le funzioni più importanti comprendono la fagocitosi delle particelle estranee, la rimozione delle endotossine e di altre sostanze tossiche e la modulazione della risposta immunitaria. Il fegato, per la presenza delle cellule del Kupffer e per la ricca irrorazione sanguigna, è spesso interessato, secondariamente, da infezioni e da altre malattie sistemiche. (3) Le cellule perisinusoidali di deposito dei grassi (cellule di Ito) rappresentano la sede del deposito anche della vitamina A, sintetizzano diverse proteine della matrice e possono trasformarsi in fibroblasti in risposta a danni epatici. Rappresentano, probabilmente, il principale responsabile della fibrosi epatica. (4) Le rare cellule foveolari si ritiene siano linfociti tissutali con funzioni di cellule killer naturali. Il loro ruolo nelle patologie epatiche è sconosciuto. La matrice extracellulare del fegato comprende la struttura reticolare, costituita da diverse forme molecolari di collagene, dalla laminina, dalla fibronectina e da altre glicoproteine extracellulari. Le funzioni e le interazioni della matrice non sono state completamente comprese. Specifiche malattie tendono a interessare le diverse componenti con quadri prevedibili, spesso con conseguenze cliniche e biochimiche caratteristiche (p. es., l'epatite acuta virale si manifesta principalmente con un danno epatocellulare, la cirrosi biliare primitiva con un'alterazione della secrezione biliare e la cirrosi criptogenetica con una fibroneogenesi e la conseguente interferenza con il flusso vascolare). In alcune malattie (p. es., l'epatopatia alcolica grave), tutte le strutture epatiche possono essere interessate, causando degli sconvolgimenti funzionali multipli. I sintomi di una malattia epatica riflettono in genere la necrosi epatocellulare o la compromissione della secrezione biliare. Questi danni sono, di solito, reversibili perché il fegato ha una notevole capacità rigenerativa in risposta a una lesione epatocellulare. I meccanismi della necrosi epatocellulare sono estremamente complessi; recentemente, l'attenzione si è focalizzata sull'apoptosi, una forma di morte cellulare programmata, regolata dal codice genetico della cellula e dalle vie di trasmissione della matrice. Anche le estese necrosi irregolari possono guarire completamente (p. es., nell'epatite virale acuta). L'incompleta rigenerazione e la fibrosi, comunque, possono essere il risultato di un danno confluente che unisce interi acini o di un danno meno pronunciato, ma cronico. La fibrosi, peraltro, non causa sintomi di per sé; le manifestazioni cliniche sono, in genere, dovute all'ipertensione portale che ne deriva.

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Manuale Merck Indice figure FIG. 1-1

Piramide guida dell’alimentazione quotidiana.

FIG. 2-1

Stadi della malnutrizione causati da un’eccessiva o da un’inadeguata assunzione di sostanze nutritive.

FIG. 3-1

Effetto del trattamento con vitamina D2 (50 mg/die) sui valori plasmatici del calcio, del fosforo, della fosfatasi alcalina e dei metaboliti della vitamina D in un bambino affetto da rachitismo.

FIG. 3-2

Carbossilazione dell’acido glutammico.

FIG. 3-3

Ciclo della vitamina K.

FIG. 8-1

Biosintesi degli ormoni tiroidei.

FIG. 12-1

Quadri ECG nell’ipokaliemia e nell’iperkaliemia.

FIG. 14-1

Prodotti intermedi ed enzimi della via biosintetica dell’eme.

FIG. 61-1

Dito a martello.

FIG. 62-1

Ginocchio del corridore.

FIG. 63-1

Misurazione dell’ippocratismo digitale ("clubbing").

FIG. 64-1

Spirometria e volumi polmonari normali.

FIG. 64-2

Spirometria e volumi polmonari nelle patologie restrittive.

FIG. 64-3

Spirometria e volumi polmonari nelle patologie ostruttive.

FIG. 64-4

Curva flusso-volume.

FIG. 64-5

Equazione per il calcolo della PO2 alveolare (PAO2)

FIG. 64-6

Alterazione dei rapporti / nella broncopneumopatia cronica ostruttiva

FIG. 65-1

La cricotiroidectomia d’emergenza.

FIG. 67-1

Curva pressione-volume in un paziente affetto dalla sindrome da distress respiratorio dell’adulto.

FIG. 68-1

Interrelazioni tra broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD), bronchite cronica, enfisema e asma.

FIG. 68-2

Abitudine al fumo, FEV1 ed età.

Fig. 82-1

Audiogramma dell’orecchio destro di un paziente normoacusico.

Fig. 82-2

Audiogramma in un paziente con otosclerosi prima (sinistra) e dopo (destra) intervento di stapedectomia.

Fig. 82-3

La registrazione elettronistagmografica di risposte normali e il movimento oculare osservato durante la prova calorica.

FIG. 84-1

(A) Membrana timpanica dell’orecchio destro; (B) cavo del timpano dopo la rimozione della membrana timpanica.

FIG. 84-2

Perforazioni della membrana timpanica (orecchio Dx).

FIG. 86-1

Seni paranasali

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FIG. 90-1

Sezione trasversale dell’occhio.

FIG. 101-1

Siti delle lesioni delle vie ottiche superiori e difetti corrispondenti del campo visivo.

FIG. 102-1

Vizi di rifrazione. (A) Emmetropia; (B) miopia; (C) ipermetropia; (D) astigmatismo.

FIG. 102-2

Cheratotomia radiale.

FIG. 102-3

Cheratotomia astigmatica.

FIG. 106-1

Identificazione dei denti.

FIG. 106-2

Sezione di un canino.

FIG. 107-1

Bendaggio di Barton.

FIG. 129-1

Gruppi compatibili di GR.

FIG. 130-1

Valutazione della eritrocitosi.

FIG. 131-1

Coagulazione.

FIG. 131-2

Reazioni generali della fibrinolisi.

FIG. 142-1

Il ciclo cellulare.

FIG. 146-1

Modello dei due segnali per l’attivazione delle cellule T.

Fig. 146-2

Risposta all’inoculazione intradermica di antigene.

FIG. 146-3

Schema della molecola immunoglobulinica che mostra le catene pesanti e le catene leggere.

FIG. 146-4

Vie di attivazione del complemento.

FIG. 146-5

Attivazione della via classica.

FIG. 146-6

Attivazione e regolazione della via alternativa.

FIG. 146-7

Formazione delle C5-convertasi.

FIG. 149-1

Illustrazione schematica del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) nell’uomo.

FIG. 165-1

Schema del Mini-Mental Status Examination.

FIG. 165-2

Dermatomeri delle sensibilità.

FIG. 165-3

Distribuzione cutanea dei nervi: arto superiore.

FIG. 165-4

Distribuzione cutanea dei nervi: arto inferiore.

FIG. 166-1

Schema della neurotrasmissione.

FIG. 169-1

Aree dell’encefalo.

FIG. 173-1

Stadi del sonno nell’adulto in una notte.

FIG. 174-1

Arterie dell’encefalo.

FIG. 182-1

Sezione trasversa del midollo spinale.

FIG. 187-1

Curva di Yerkes-Dodson raffigurante il rapporto tra l’insorgenza di un’emozione (ansia) e la prestazione.

FIG. 197-1

Normale profilo del polso venoso giugulare.

FIG. 197-2

Rappresentazione schematica dei rilievi obiettivi in un paziente con stenosi aortica e insufficienza mitralica.

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FIG. 198-1

Rappresentazione schematica dei vasi polmonari come evidenziati all’RX del torace in proiezione frontale nell’adulto in posizione eretta (polmone destro).

FIG. 198-2

Rappresentazione schematica dell’ecocardiografia M-mode del cuore, dall’apice (1) alla base (4) del cuore.

FIG. 198-3

Quattro proiezioni comunemente utilizzate nell’ecocardiografia bidimensionale.

FIG. 198-4

Rappresentazione del flusso transmitralico mediante Doppler spettrale.

FIG. 198-5

Rappresentazione schematica del ciclo cardiaco, che mostra le curve di pressione dei grossi vasi e delle camere cardiache, i toni cardiaci, il polso venoso giugulare e l’ECG.

FIG. 202-1

Infarto miocardico acuto in sede anteriore, tracciato registrato entro poche ore dall’esordio.

FIG. 202-2

Infarto miocardico acuto in sede anteriore dopo le prime 24 ore.

FIG. 202-3

Infarto miocardico acuto in sede anteriore diversi giorni dopo l’esordio.

FIG. 202-4

Infarto miocardico acuto infero-posteriore, tracciato registrato entro poche ore dall’esordio dei sintomi.

FIG. 202-5

Infarto miocardico acuto infero-posteriore dopo le prime 24 ore.

FIG. 202-6

Infarto miocardico acuto infero-posteriore diversi giorni dopo l’esordio.

FIG. 203-1

Curve di Frank-Starling.

FIG. 203-2

Curva di dissociazione dell’ossiemoglobina.

FIG. 203-3

Rappresentazione schematica delle cardiomiopatie, in funzione dei meccanismi fisiopatologici di base.

FIG. 205-1

Tracciati di ritmo cardiaco da un ECG ambulatoriale delle 24 ore (Holter).

FIG. 205-2

Registrazioni da uno studio elettrofisiologico invasivo.

FIG. 205-3

Potenziali tardivi. (A) Rappresentazione tempo-voltaggio di due derivazioni elettrocardiografiche.

FIG. 205-4

Battiti ectopici atriali (BEA).

FIG. 205-5

Insorgenza di flutter atriale.

FIG. 205-6

Registrazioni durante fibrillazione atriale.

FIG. 205-7

Insorgenza di fibrillazione atriale (FA).

FIG. 205-8

Tachicardia a QRS stretto.

FIG. 205-9

Inizio di una tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare.

FIG. 20510

Tachicardia a QRS stretto: Tachicardia reciprocante ortodromica che usa una via accessoria in un paziente con sindrome di WolffParkinson-White.

FIG. 20511

Sindrome di Wolff-Parkinson-White.

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FIG. 20512

Sindrome di Lown-Ganong-Levine.

FIG. 20513

Sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW).

FIG. 20514

Tachicardia atriale vera.

FIG. 20515

Battiti ectopici ventricolari (BEV).

FIG. 20516

Tachicardia ventricolare.

FIG. 20517

Tachicardia ventricolare a QRS largo.

FIG. 20518

Torsione di punta.

FIG. 20519

Insorgenza di fibrillazione ventricolare.

FIG. 20520

Blocco del nodo atrioventricolare.

FIG. 20521

Blocco di branca destra.

FIG. 20523

Malattia del nodo del seno sintomatica.

FIG. 20522

Blocco di branca sinistra.

FIG. 206-1

Ventilazione dell’adulto mediante aria espirata.

FIG. 206-2

Ventilazione con aria espirata nel bambino.

FIG. 209-1

Pressioni nella pericardite costrittiva.

FIG. 214-1

Massima osmolarità urinaria dopo test di privazione dell’acqua (colonne ombreggiate) versus Osmolarità urinaria dopo somministrazione di vasopressina esogena (colonne aperte)

FIG. 215-1

La normale minzione si verifica quando la contrazione vescicale è coordinata con il rilasciamento dello sfintere uretrale.

FIG. 223-1

Emofiltrazione continua veno-venosa.

FIG. 224-1

Classificazione sierologica e istopatologica della glomerulonefrite rapidamente progressiva (a semilune).

FIG. 224-2

Caratteristiche della microscopia elettronica nella malattie immunologiche glomerulari.

FIG. 226-1

Citotossicità renale da analgesici.

FIG. 234-1

L’asse SNC-ipotalamo-ipofisi-gonadi-organi bersaglio.

FIG. 234-2

Modificazioni dei livelli dell’ormone luteinizzante (LH), dell’ormone follicolo-stimolante (FSH) e dell’estradiolo (E2) nel sangue periferico.

FIG. 234-3

Pubertà - quando si sviluppano i caratteri sessuali femminili.

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FIG. 234-4

Il ciclo ovarico.

FIG. 234-5

Le ideali modificazioni cicliche delle gonadotropine ipofisarie, dell’estradiolo (E2), del progesterone (P), dei follicoli ovarici e dell’endometrio uterino durante il normale ciclo mestruale.

FIG. 235-1

Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, della maturazione del seno umano.

FIG. 235-2

Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, dello sviluppo dei peli pubici nelle ragazze.

FIG. 242-1

Posizioni per l’esame della mammella.

FIG. 248-1

La placenta e l’embrione.

FIG. 256-1

Valutazione dell’età gestazionale; nuovo punteggio di Ballard.

FIG. 256-2

Raccomandazioni per la prevenzione in pediatria.

FIG. 256-3

Altezza ed età equivalenti nei ragazzi e nelle ragazze.

FIG. 256-4

Velocità di crescita lineare (altezza) nei ragazzi e nelle ragazze in cm/anno.

FIG. 256-5

(V. pagina accanto) Calendario delle vaccinazioni raccomandato per l’infanzia*; Stati Uniti, Gennaio-Dicembre 1998.

FIG. 256-6

Schema del riflesso di rilascio del latte.

FIG. 258-1

Variazioni della composizione corporea con la crescita e l’invecchiamento.

FIG. 258-2

Dosaggi di teofillina e concentrazioni plasmatiche.

FIG. 259-1

Nomogramma per il calcolo della superficie corporea dei bambini.

FIG. 259-2

Formula di Holliday-Segar.

FIG. 260-1

Curve di accrescimento intrauterino in base al peso alla nascita e all’età gestazionale in bambini nati vivi, da gravidanza singola, di razza bianca.

FIG. 260-2

Livello di crescita intrauterina in base all’età gestazionale, alla lunghezza del corpo (A) e alla circonferenza cranica (B) alla nascita.

FIG. 260-3

Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B (GBS) a esordio precoce mediante colture di screening in epoca prenatale, a 35-37 sett. di gestazione.

FIG. 260-4

Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B (GBS) a esordio precoce secondo i fattori di rischio, senza colture di screening prenatali.

FIG. 261-1

Circolazione normale con rappresentazione delle pressioni del cuore destro e sinistro (in mm Hg).

FIG. 261-2

Il difetto del setto interatriale è caratterizzato da aumento del flusso ematico polmonare e da aumento del volume dell’AD e del VD.

FIG. 261-3

Il difetto del canale atrioventricolare è caratterizzato da aumento del flusso ematico, aumento del volume delle camere cardiache, e, spesso, da aumento delle resistenze vascolari polmonari.

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FIG. 261-4

Il difetto del setto interventricolare è caratterizzato da aumento del flusso ematico polmonare e da aumento del volume dell’AS e del VS.

FIG. 261-5

Nella tetralogia di Fallot, il flusso ematico polmonare è diminuito, il VD è ipertrofico, e in Ao entra sangue non ossigenato.

FIG. 261-6

Nella trasposizione dei grossi vasi, in Ao entra sangue non ossigenato, il VD è ipertrofico e il forame ovale è sede di un minimo mescolamento di sangue.

FIG. 261-7

Il dotto arterioso pervio è caratterizzato da aumento del flusso ematico polmonare, aumento dei volumi dell’atrio sinistro e del VS, e aumento di volume dell’AO ascendente.

Fig. 261-8

Tipi di fistola tracheo-esofagea.

FIG. 261-9

Rappresentazione delle diverse bande cromosomiche osservate con i metodi di colorazione Q-, G-e R-; rappresentazione del centrometro solo con il metodo di colorazione Q.

FIG. 263-1

Nomogramma di Rumack-Matthew per l’avvelenamento acuto da paracetamolo.

FIG. 263-2

Patogenesi dell’alterazione dell’equilibrio acido-base nell’avvelenamento da salicilato.

FIG. 263-3

Tecnica di compressione toracica.

FIG. 263-4

Sequenza del trattamento per la rianimazione neonatale (protocollo da eseguire in sala parto).

Fig. 263-5

Sequenza del trattamento per la rianimazione neonatale

FIG. 263-7

Colpo sull’addome nel paziente in piedi o seduto (cosciente).

FIG. 263-6

Colpo sull’addome nel paziente che giace a terra (cosciente o meno).

FIG. 269-1

Metabolismo del galattoso.

FIG. 276-1

(A) Regola del nove e (B) diagramma di Lund-Browder per valutare l’estensione delle ustioni.

FIG. 286-1

Simboli per costruire l’albero genealogico di una famiglia.

FIG. 286-2

Ereditarietà autosomica dominante.

FIG. 286-3

Ereditarietà autosomica recessiva.

FIG. 286-4

Ereditarietà dominante legata al cromosoma X.

FIG. 286-5

Ereditarietà recessiva legata al cromosoma X.

FIG. 291-1

Sostenere un paziente durante la deambulazione.

FIG. 291-2

Altezza corretta del bastone.

FIG. 295-1

Interpretazione di un risultato del test per l’esterasi leucocitaria in una donna con 30% di probabilità a priori di una IVU, simulante una coorte di 100 000 donne con le stesse caratteristiche.

FIG. 295-2

Distribuzione dei risultati di un test.

FIG. 295-3

Albero decisionale relativo all’opportunità di trattamento quando non è disponibile nessun test.

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FIG. 295-4

Analisi di sensibilità a una via di un albero di soglia di un test.

FIG. 296-1

Clearance della creatinina corretta per età in uomini normali.

FIG. 298-1

Relazione esemplificativa tra concentrazione plasmatica e tempo, dopo una singola dose orale di un farmaco ipotetico.

FIG. 299-1

Declino della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A dopo la somministrazione EV di una dose singola di 320 mg di aminofillina.

FIG. 299-2

Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A dopo una singola somministrazione orale di 300 mg di aminofillina.

FIG. 299-3

Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina durante l’infusione EV di 45 mg/h di aminofillina a velocità costante, senza e con somministrazione EV di una dose di carico di 530 mg di aminofillina.

FIG. 299-4

Accumulo di teofillina dopo somministrazione orale di 300 mg di aminofillina q 6 h.

FIG. 300-1

Curva dose-risposta ipotetica.

FIG. 300-2

Confronto tra le curve dose-risposta dei farmaci X, Y e Z.

FIG. 301-1

Fattori genetici, ambientali e di sviluppo che possono interagire reciprocamente causando variazioni nella risposta ai farmaci tra i diversi pazienti.

FIG. 303-1

Concentrazioni plasmatiche di teofillina nei pazienti A, B e C, aventi rispettivamente una clearance di 20, 40 e 80 ml/min, durante la somministrazione di teofillina per infusione EV a 36 mg/ h.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 1-1.Piramide guida dell'alimentazione quotidiana.

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 2-1. Stadi della malnutrizione causati da un'eccessiva o da un'inadeguata assunzione di sostanze nutritive. Modificata da Olson RE: "Pharmacology of nutrients and nutritional disease," in Principles di Pharmacology, edito da PL Munson. New York, Munson, Chapman e Hall, 1995; riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/00201.html (2 of 2)02/09/2004 2.00.44

Manuale Merck - Figura

FIG. 3-1. Effetto del trattamento con vitamina D2 (50 mg/die) sui valori plasmatici del calcio, del fosforo, della fosfatasi alcalina e dei metaboliti della vitamina D in un bambino affetto da rachitismo. L'intervallo dei valori normali è indicato dalle linee orizzontali. Da "Rickets in a breastfed infant." Nutrition Reviews 42 (11): 380-382, 1984; riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/00301.html02/09/2004 2.00.45

Manuale Merck - Figura

FIG. 3-2.Carbossilazione dell'acido glutammico. La vitamina K idrochinone (KH2) agisce come un substrato per l'enzima γ-glutammil carbossilasi, che catalizza l'aggiunta dell'anidride carbonica al carbone γ dell'acido glutammico legato alle proteine. R1 e R2 rappresentano gli altri aminoacidi nella sequenza della proteina.

file:///F|/sito/merck/figure/00302.html02/09/2004 2.00.45

Manuale Merck - Figura

FIG. 3-3. Ciclo della vitamina K. Questo ciclo ha lo scopo di conservare la vitamina K. Basato sull'assunzione della vitamina K, il ciclo si ripete da 200 a 2000 volte al giorno negli uomini. Il prodotto della γ-carbossilazione della vitamina K idrochinone è la vitamina K epossido, che è nuovamente ridotto a vitamina K idrochinone in due fasi. I farmaci cumarolici inibiscono in maniera significativa queste due riduttasi.

file:///F|/sito/merck/figure/00303.html02/09/2004 2.00.45

Manuale Merck - Figura

FIG. 8-1. Biosintesi degli ormoni tiroidei. ATP = adenosina trifosfato; cAMP = adenosina 3´:5´monofosfato ciclico; I = ioduro; NADPH = forma ridotta del nicotinamide adenin dinucleotide fosfato; PTU = propiltiouracile; T3 = triiodotironina; T4 = tiroxina; TBG = globulina legante la tiroxina; TBPA = prealbumina legante la tiroxina (transtiretina); TSH = ormone tireo-stimolante.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 12-1. Quadri ECG nell'ipokaliemia e nell'iperkaliemia. (Il potassio sierico è espresso in mEq/ l.)

file:///F|/sito/merck/figure/01201.html02/09/2004 2.00.46

Manuale Merck - Figura

FIG. 14-1. Prodotti intermedi ed enzimi della via biosintetica dell'eme.

file:///F|/sito/merck/figure/01401.html02/09/2004 2.00.47

Manuale Merck - Figura

FIG. 61-1 Dito a martello. Una flessione forzata dell'articolazione interfalangea distale derivante da un trauma tendineo a da avulsione ossea.

file:///F|/sito/merck/figure/06101.html02/09/2004 2.00.47

Manuale Merck - Figura

FIG. 62-1. Ginocchio del corridore. La parte inferiore della gamba subisce una intrarotazione, tirando verso l'interno la rotula, mentre il quadricipite la spinge in fuori. Questo provoca uno sfregamento della rotula contro il condilo laterale del femore, con conseguente dolore.

file:///F|/sito/merck/figure/06201.html02/09/2004 2.00.47

Manuale Merck - Figura

FIG. 63-1. Misurazione dell'ippocratismo digitale ("clubbing"). Il rapporto tra il diametro antero-posteriore del dito al letto ungueale (a-b) e quello alla giunzione interfalangea distale (c-d) è una semplice misura dell'ippocratismo digitale. Esso può essere ottenuto in maniera rapida e riproducibile con un calibro. Se il rapporto è >1, l'ippocratismo è presente. Questo è anche caratterizzato dalla perdita del normale angolo a livello del letto ungueale.

file:///F|/sito/merck/figure/06301.html02/09/2004 2.00.48

Manuale Merck - Figura

FIG. 64-1. Spirometria e volumi polmonari normali. ERV = FRC-RV; VC = TLC-RV; RV ≅ 25% della TLC; FRC ≅ 40% della TLC; FEV1≥ 75% della FVC. Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06401.html02/09/2004 2.00.48

Manuale Merck - Tabella

Tabella 64–1. ABBREVIAZIONI RELATIVE ALLA FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA A-aDO2

Differenza (gradiente) alveolo-arteriosa di PO2

PaO2

Pressione parziale della O2 arteriosa

DLCO

Capacità di diffusione per il monossido di carbonio (ml/min/mmHg)

PB

Pressione barometrica

ERV

Volume di riserva espiratoria

PCO2

Pressione parziale di CO2

FEF 25-75%

Flusso espiratorio forzato medio tra il 25 e il 75% della FVC

PetCO2 Pressione parziale della CO2 di fine espirazione

FEV1(l)

Volume espiratorio forzato in 1s, in litri

PEF

Picco di flusso espiratorio (l/min)

FEV1 %FVC

Volume espiratorio forzato in 1s espresso in percentuale della FVC

PiO2

Pressione parziale di O2 inspirato

FIO2

Percentuale di O2 inspirato

PO2

Pressione parziale di O2

FRC

Capacità funzionale residua

P

Pressione parziale nel sangue venoso misto (arterioso polmonare)

FVC

Capacità vitale forzata

P

O2

[H+]

Concentrazione idrogenionica (nanomoli/l)

P

CO2 Pressione parziale di CO2 venosa

Pressione parziale di O2 venoso misto mista

IC

Capacità inspiratoria

IRV

Volume di riserva inspiratoria

MEF 50% FVC Flusso espiratorio massimale al 50% della FVC MEP

Massima pressione espiratoria (cmH2O)

Perfusione (l/min) Raw

Resistenza delle vie aeree

RV

Volume residuo

TLC

Capacità polmonare totale

MIF 50% FVC Flusso inspiratorio massimale al50% della FVC MIP

Massima pressione inspiratoria (cmH2O)

MVV

Massima ventilazione volontaria

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Ventilazione (l/min) VC A

Capacità vitale Ventilazione alveolare (l/min)

Manuale Merck - Tabella

PaCO2

Pressione parziale della CO2 alveolare

PaO2

Pressione parziale della O2 alveolare

PaCO2

Pressione parziale della CO2 arteriosa

CO2 Vd

O2

Vt

file:///F|/sito/merck/tabelle/06401.html (2 of 2)02/09/2004 2.00.49

Produzione di CO2 (l/min) Volume dello spazio morto Consumo di O2 (l/min) Volume corrente

Manuale Merck - Figura

FIG. 64-2. Spirometria e volumi polmonari nelle patologie restrittive. I volumi polmonari sono tutti diminuiti, il RV in misura minore della FRC, della FVC, della TLC. Il FEV1% FVC è normale o maggiore del normale. Il respiro corrente è rapido e superficiale. Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06402.html02/09/2004 2.00.49

Manuale Merck - Figura

FIG. 64-3. Spirometria e volumi polmonari nelle patologie ostruttive. Il RV e la FRC sono aumentati. La TLC è an-che aumentata ma in misura minore, cosicché la VC risulta diminuita. L'espirazione è prolungata. Il FEV1 è 75% della FVC. Si noti l'incisura tipica dell'enfisema. Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06403.html02/09/2004 2.00.49

Manuale Merck - Figura

FIG. 64-4. Curva flusso-volume. (A) Normale. La parte inspiratoria della curva è simmetrica e convessa. La parte espiratoria è lineare. Spesso vengono misurati i flussi espiratori a metà della VC. Il MIF 50%FVC è > MEF 50%FVC a causa della compressione dinamica delle vie aeree. A volte il picco di flusso espiratorio è utilizzato per valutare il grado di ostruzione delle vie aeree ma è molto influenzato dallo sforzo del paziente. I flussi espiratori nel 50% inferiore della FVC (cioè, nei pressi del RV) sono indici sensibili dello stato delle piccole vie aeree. (B) Patologie restrittive (p. es., sarcoidosi, cifoscoliosi). L'aspetto della curva è stretto per via dei diminuiti volumi polmonari, ma la forma è sostanzialmente come in (A). I flussi sono normali (in realtà maggiori del normale a parità di volume polmonare, poiché l'aumentato ritorno elastico dei polmoni e/o della gabbia toracica mantiene aperte le vie aeree). (C) COPD, asma. Sebbene tutti i flussi polmonari siano diminuiti, il prolungamento dell'espirazione predomina e il MEF è < MIF. (D) Ostruzione fissa delle vie aeree superiori (p. es., stenosi tracheale, paralisi bilaterale delle file:///F|/sito/merck/figure/06404.html (1 of 2)02/09/2004 2.00.50

Manuale Merck - Figura

corde vocali, gozzo). La parte alta e bassa della curva sono appiattite, cosicché la forma ricorda quella di un rettangolo. L'ostruzione fissa limita i flussi sia durante l'inspirazione che durante l'espirazione e il MEF = MIF.

FIG. 64-4. (E) Ostruzione extratoracica variabile (p. es., paralisi delle corde vocali). Quando una sola corda vocale è paralizzata, essa si muove passivamente secondo il gradiente di pressione attraverso la glottide. Durante l'inspirazione forzata, essa è tirata all'interno, causando un plateau di flusso inspiratorio diminuito. Durante l'espirazione forzata, essa viene passivamente spinta di lato e il flusso espiratorio è mantenuto, cioè, il MIF 50%FVC è (F) Ostruzione intratoracica variabile (p. es., tracheomalacia). Durante l'inspirazione forzata, una pressione pleurica negativa mantiene aperta la trachea mobile. Con l'espirazione forzata, la perdita del supporto strutturale provoca il restringimento della trachea e un plateau di flusso diminuito (un breve periodo di flusso conservato è osservabile prima che si manifesti la compressione della via aerea). Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06404.html (2 of 2)02/09/2004 2.00.50

Manuale Merck - Figura

FIG. 64-5. Equazione per il calcolo della PO2 alveolare (PAO2). Vengono riportate la PO2 e la PCO2 in una persona sana durante un'inspirazione normale nel percorso dalla bocca agli alveoli e alle arterie sistemiche. La PCO2 del gas inspirato è trascurabile (0,3 mm Hg). La PO2 del sangue venoso misto (P O2) è normalmente 35-45 mm Hg ed è un indice molto sensibile dell'adeguatezza del trasporto di O2 ai tessuti. Se la combinazione della gittata cardiaca, dell'Hb e della PaO2 è inadeguata alle richieste tissutali di O2, la P O2 di-minuisce per via dell'aumentata estrazione di O2 dai tessuti. I campioni di sangue arterioso polmonare sono rappresentativi del sangue venoso misto e sono facilmente ottenibili attraverso un catetere in arteria polmonare nei reparti di terapia intensiva, permettendo di valutare l'adeguatezza del trasporto tissutale di O2. Dei cateteri a fibre ottiche in arteria polmonare permettono il monitoraggio continuo della P Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06405.html02/09/2004 2.00.51

O2.

Manuale Merck - Figura

FIG. 64-6. Alterazione dei rapporti / nella broncopneumopatia cronica ostruttiva. La ventilazione dell'alveolo a sinistra è diminuita (p. es., a causa di secrezioni o di broncospasmo); la vasocostrizione riflessa diminuisce il flusso sanguigno nelle aree scarsamente ventilate, ma la è ancora > e l'ossigenazione del sangue venoso misto è incompleta, causando ipossiemia arteriosa. Con un piccolo aumento della PIO2 attraverso l'aumento della FIO2, l'O2 si diffonderà rapidamente all'interno di quelle aree, aumentando la PAO2 e quindi la PaO2. L'alveolo a destra è ben ventilato ma scarsamente perfuso; la broncocostrizione riflessa diminuisce la ventilazione nelle aree di insufficiente perfusione, ma la è ancora > , portando a una ventilazione sprecata o inefficace. Le aree ventilate ma non perfuse sono dette spazio morto. Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB.64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06406.html02/09/2004 2.00.51

Manuale Merck - Figura

FIG. 65-1. La cricotirotomia d'emergenza. Il paziente giace supino con il collo in estensione. Dopo preparazione sterile, il laringe è afferrato con una mano mentre con una lama si procede all'incisione della cute, del tessuto sottocutaneo e della membrana cricotiroidea precisamente sulla linea mediana, guadagnando un accesso alla trachea. Un tubo cavo viene utilizzato per tenere aperta la via aerea.

file:///F|/sito/merck/figure/06501.html02/09/2004 2.00.52

Manuale Merck - Figura

FIG. 67-1. Curva pressione-volume in un paziente affetto dalla sindrome da distress respiratorio dell'adulto. La pendenza della curva è poco ripida sotto il punto di inflessione inferiore e sopra quello di inflessione (deflessione) superiore. L'obiettivo della somministrazione di piccoli volumi correnti è quello di mantenere il paziente sul tratto ripido della curva, con maggiore compliance, senza superare il punto di inflessione superiore. La pressione positiva di fine espirazione deve essere abbastanza elevata da spostare la pressione di fine espirazione al di sopra del punto di inflessione inferiore.

file:///F|/sito/merck/figure/06701.html02/09/2004 2.00.52

Manuale Merck - Figura

FIG. 68-1. Interrelazioni tra broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD), bronchite cronica, enfisema e asma. Le aree delimitate in questo diagramma di Venn non sono proporzionali alle reali dimensioni delle patologie. I tre cerchi sovrapposti rappresentano i pazienti con bronchite cronica, con enfisema e con asma. Le aree più scure rappresentano quelli con COPD. I pazienti asmatici con ostruzione al flusso aereo completamente reversibile (area 9) non sono considerati affetti da COPD. I pazienti con asma la cui ostruzione bronchiale non regredisce completamente sono spesso quasi indistinguibili da quelli affetti da bronchite cronica ed enfisema con ostruzione del flusso aereo parzialmente reversibile e iperreattività bronchiale. Pertanto, i pazienti affetti da asma con ostruzione persistente sono classificati all’interno della COPD (area 6, 7 e 8). La bronchite cronica e l’enfisema con ostruzione bronchiale di solito si manifestano insieme (area 5) e alcuni pazienti sono affetti anche da asma (area 8). I pazienti con asma esposti cronicamente a fattori irritanti, come il fumo di sigaretta, possono sviluppare una tosse produttiva cronica, una caratteristica della bronchite cronica (area 6). Negli USA, tali pazienti sono spesso definiti affetti da bronchite asmatica o da COPD asmatica. I pazienti con bronchite cronica o enfisema senza ostruzione al flusso aereo (aree 1, 2 e 11) non sono considerati affetti da COPD. I pazienti con ostruzione delle vie aeree dovute a patologie a eziologia nota o a patologie specifiche, come la fibrosi cistica o la bronchiolite fibrosa obliterante (area 10), non sono compresi in questa definizione. Modificato da American Thoracic Society: "Linee guida per la diagnosi e il trattamento dei pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva" American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, 1995;152:S77-S120; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 68-2.Abitudine al fumo, FEV1 ed età. Sono rappresentati tre gruppi confrontabili, seguiti dai 45 agli 85 anni di età. I non fumatori (curva superiore) mostrano un declino del FEV1 secondo un tragitto curvilineo; all'età di 85 anni, il FEV1 non è ancora sceso sotto 0,8 l (indicato da una linea orizzontale), livello al quale la dispnea gen-eralmente compare durante le attività quotidiane (ADL). Il FEV1 dei fumatori (curva inferiore) diminuisce con una pendenza più ripida rispetto ai non fumatori, fino a raggiungere 0,8 l prima dei 70 anni. Alla fine del settimo e nell'ottavo decennio di vita, i fumatori diventano dispnoici per sforzi di lieve entità e cominciano ad affollare le cliniche respiratore e le unità di terapia intensiva e a morire a causa della COPD. Negli ex-fumatori (curva di mezzo) che hanno fumato almeno 20 sigarette al giorno per 25 anni e che hanno smesso di fumare all'età di 45 anni, il FEV1 non diminuisce per 5 anni e poi si riduce secondo un percorso parallelo a quello dei non fumatori. Il FEV1 non scende a 0,8 l fino all'età di 85 anni. La cessazione del fumo di sigaretta a 45 anni ritarda la comparsa della dispnea di circa 15 anni. Modificato da Snider GL: "Chronic obstructive pulmonary disease," in Stein JH, editor: In-ternal Medicine, ed. 5, St. Louis, 1998, Mosby-Year Book, Inc.; riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/06802.html02/09/2004 2.00.53

Manuale Merck - Figura

FIG. 82-1. Audiogramma dell'orecchio destro di un paziente normoacusico. La linea tratteggiata orizzontale indica il limite dell'udito normale. L'udito può essere misurato anche alle mezze ottave, indicate dalle linee tratteggiate verticali.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 82-2. Audiogramma in un paziente con otosclerosi prima (sinistra) e dopo (destra) intervento di stapedectomia. L'audiogramma preoperatorio mostra un'ipoacusia di tipo trasmissivo in entrambe le orecchie. È presente un gap via aerea-via ossea di 40-dB. Inoltre, sembra essere presente una perdita uditiva a 2 kHz (tacca di Carhart) che scompare assieme all'ipoacusia di trasmissione dopo la stapedectomia dell'orecchio sinistro.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 82-3. La registrazione elettronistagmografica di risposte normali e il movimento oculare osservato durante la prova calorica. Il movimento oculare si registra dopo stimolazione con acqua calda e fredda. RW (Right eye, Warm water) = occhio destro, acqua calda; RC (Right eye, Cool water) = occhio destro, acqua fredda; LC (Left eye, Cool water) = occhio sinistro, acqua fredda; LW (Left eye, Warm water) = occhio sinistro, acqua calda.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 84-1. (A) Membrana timpanica dell'orecchio destro; (B) cavo del timpano dopo la rimozione della membrana timpanica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 84-2. Perforazioni della membrana timpanica (orecchio Dx).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 86-1. Seni paranasali.

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Manuale Merck - Figura

FIG.90-1. Sezione trasversale dell'occhio. La zonula di Zinn tiene il cristallino sospeso, mentre il muscolo del corpo ciliare ne modifica la curvatura. Il corpo ciliare secerne l'umore acqueo, che riempie la camera posteriore, passa attraverso il forame pupillare nella camera anteriore e viene drenato attraverso il canale di Schlemm. L'iride regola la quantità di luce che entra nell'occhio, modificando l'ampiezza della sua apertura centrale, la pupilla. L'immagine visiva viene focalizzata sulla retina, essendo la fovea (centrale) l'area dell'acuità visiva più fine. La congiuntiva si interrompe bruscamente al livello del limbus. La cornea è coperta da un epitelio che differisce per molti aspetti dall'epitelio congiuntivale.

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Manuale Merck - Figura

FIG.101-1. Siti delle lesioni delle vie ottiche superiori e difetti corrispondenti del campo visivo.

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Manuale Merck - Figura

FIG.102-1.Vizi di rifrazione. (A) Emmetropia; (B) miopia; (C) ipermetropia; (D) astigmatismo.

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Manuale Merck - Figura

FIG.102-2.Cheratotomia radiale.

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Manuale Merck - Figura

FIG.102-3.Cheratotomia astigmatica.

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Manuale Merck - Figura

FIG.106-1.Identificazione dei denti. I denti di ogni quadrante della bocca sono contrassegnati da un simbolo: le lettere per i denti decidui e i numeri per i denti permanenti. Una linea orizzontale, che indica lo spazio tra i mascellari, e una linea verticale, che indica la linea mediana della faccia, vengono utilizzate con i simboli per indicare in quale quadrante si trova il dente. Per esempio, indica il primo molare mascellare destro indica il primo molare mandibolare sinistro deciduo; permanente.

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Manuale Merck - Figura

FIG.106-2. Sezione di un canino.

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Manuale Merck - Figura

FIG.107-1. Bendaggio di Barton.

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Manuale Merck - Figura

FIG.129-1. Gruppi compatibili di GR.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 130-1. Valutazione della eritrocitosi. BM (Bone Marrow) = midollo osseo; COHb = carbossiemoglobina; Dx = diagnosi; 51Cr = cromo radioattivo marcato; 125I = radioiodio marcato; P50 = pressione parziale di O2 per cui l'Hb è satura al 50%. (Da Berk PD, et al: "Therapeutic recommendations in policythemia vera study group protocols." Seminars in Hematology 23(2):132143, 1986; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 131-1. Coagulazione. (In alto a destra) Reazioni iniziate in vitro quando il sangue è esposto a una superficie carica negativamente. (In alto a sinistra) Reazioni generate quando il sangue è esposto al fattore tissutale, una lipoproteina presente sulla superficie della membrana di alcune cellule. (Per semplificare, non è stato illustrato il ruolo degli ioni CA nella formazione di tutti i complessi, nell'attivazione del fattore IXa da parte del fattore XIa e nell'attivazione del fattore XIII). CAPM = chininogeno ad alto peso molecolare; Kal = callicreina; Prek = precallicreina; TF = fattore tissutale. (Modificata da West JB: Physiological Basis of Medical Practice, ed.12. Baltimore, Williams &Wilkins Co.,1989;riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 131-2. Reazioni generali della fibrinolisi. (Modificata da Rapaport SI: "Normal Hemostasis," In Textbook of Internal Medicine, edito da WN Kelley. Philadelphia, Lippincott-Raven Publishers, 1989; riproduzione autorizza-ta).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 142-1. Il ciclo cellulare. G0 = fase di riposo (cellule non proliferanti); G1 = fase variabile che precede la sintesi del DNA (da 12 h ad alcuni giorni); S = sintesi di DNA (di solito 2-4 h); G2 = fase che segue la sintesi del DNA (dura 2-4 h); nelle cellule si ritrova un contenuto tetraploide di DNA; M1 = mitosi (1-2 h).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 146-1. Modello dei due segnali per l'attivazione delle cellule T. La perdita del 2° segnale ha come risultato l'anergia o la tolleranza. MHC = complesso maggiore di istocompatibilità; TCR = recettore della cellula T.

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Fig. 146-2. Risposta all'inoculazione intradermica di antigene. Ag = antigene; CD = cluster di differenziazione; GM-LCR = fattore stimolante le colonie dei granulociti e dei macrofagi; IFN = interferon; IL = interleuchina; MAF = fattore attivante i macrofagi; MIF = fattore di inibizione della migrazione; MPCA = attività procoagulante dei macrofagi; MPIF = fattore inducente la procoagulazione dei macrofagi; Mø = macrofago; T = linfocita T; TCR = recettore della cellula T; TNF = tumor necrosis factor.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 146-3. Schema della molecola immunoglobulinica che mostra le catene pesanti e le catene leggere. CH = regione costante della catena pesante; CL = regione costante della catena leggera; Fab = frammento legante l'antigene; Fc = frammento cristallizzabile; VH = regione variabile della catena pesante; VL = regione variabile della catena leggera.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 146-4. Vie di attivazione del complemento. I componenti sono elencati tra parentesi; le proteine regolatorie sono tra parentesi quadre, in corsivo. MBL = Lectina legante il mannano.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 146-5. Attivazione della via classica.

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FIG. 146-6. Attivazione e regolazione della via alternativa.

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FIG. 146-7. Formazione delle C5-convertasi.

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FIG. 149-1. Illustrazione schematica del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) nell'uomo. I geni allelici presenti in ciascuno dei loci determinano gli antigeni della membrana cellulare. Le cellule di ogni individuo espri-mono due antigeni per ciascun locus. Tuttavia, a causa della possibilità dell'omozigosi in un locus o della presenza di alleli per i quali i sieri tipizzanti non sono disponibili, la tipizzazione tissutale con l'impiego delle tecniche siero-logiche può mancare di identificare tutti gli antigeni HLA posseduti da un individuo. Una persona può avere fino a quattro geni DRB (due su ciascun cromosoma); in questo modo possono esserci fino a quattro antigeni DR differenti sulla superficie di una cellula. (Il numero dei possibili alleli è quello noto fino al 1996.)

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FIG. 165-1. Schema del Mini-Mental Status Examination.

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FIG. 165-2. Dermatomeri delle sensibilità. (Ridisegnato da Keegan JJ, Garrett FD, Anatomical Record 102:409-437, 1948; riproduzione autorizzata del Wistar Institute, Philadelphia, Pennsylvania.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 165-3. Distribuzione cutanea dei nervi: arto superiore. (Ridisegnata da Anatomy, ed. 5, edited by R O'Rahilly. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 165-4. Distribuzione cutanea dei nervi: arto inferiore. (Ridisegnata da Anatomy, ed. 5, edited by R O'Rahilly. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 166-1. Schema della neurotrasmissione. I potenziali d'azione aprono i canali assonali del calcio (non mostra-to). Il Ca++ attiva il rilascio dei neurotrasmettitori (NT) dalle vescicole in cui sono immagazzinati. Le molecole di NT riempiono il solco sinaptico. Alcune si legano ai recettori postsinaptici, iniziando una reazione. Le altre sono pompate indietro nell'assone e immagazzinate o diffuse nei tessuti circostanti.

file:///F|/sito/merck/figure/16601.html02/09/2004 2.01.07

Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 169-1. Aree dell'encefalo.

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FIG. 173-1. Stadi del sonno nell'adulto in una notte. Il sonno a movimenti oculari rapidi (REM) avviene ciclica-mente durante la notte ogni 90-120 min. Lo stadio 1 ammonta al 2-5% del tempo; lo stadio2, al 45-55%; lo stadio 3, al 3-8%; lo stadio 4, al 10-15% e il REM, al 20-25%. Brevi risvegli avvengono normalmente durante la notte, specialmente alla fine di ogni ciclo di sonno.

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Manuale Merck - Figura

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FIG. 174-1. Arterie dell'encefalo.

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FIG. 182-1. Sezione trasversa del midollo spinale.

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FIG. 187-1. Curva di Yerkes-Dodson raffigurante il rapporto tra l'insorgenza di un'emozione (ansia) e la prestazione. Adattata da Yerkes RM, Dodson JD: "The relation of strength of stimulus to rapidity of habit formation". Journal of Comparative Neurology and Psychology 18:459-482, 1908.

file:///F|/sito/merck/figure/18701.html02/09/2004 2.01.08

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FIG. 197-1. Normale profilo del polso venoso giugulare. L'onda c è dovuta all'impulso carotideo trasmesso, ma è di rado osservabile clinicamente.

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FIG. 197-2. Rappresentazione schematica dei rilievi obiettivi in un paziente con stenosi aortica e insufficienza mitralica. Sono rappresentati i soffi, le loro caratteristiche, l'intensità e le irradiazioni. Il tono di chiusura della valvola polmonare segue il tono di chiusura della valvola aortica. Sono individuabili l'itto del ventricolo sinistro, piuttosto prominente, e un impulso ventricolare destro. Sono presenti un quarto tono (S4) e un fremito sistolico (TS); a = tono di chiusura della valvola aortica; p = tono di chiusura della valvola polmonare; S1 = primo tono; S2 = secondo tono; 3/6 = intensità del soffio in crescendo-decrescendo (si irradia ai vasi del collo bilateralmente); 2/6 = intensità del soffio apicale olosistolico in crescendo; 1+ = lieve impulso precordiale da ipertrofia ventricolare destra (la freccia indica la direzione dell'impulso); 2+ = itto ventricolare sinistro, di entità moderata (la freccia indica la direzione dell'impulso).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 198-1. Rappresentazione schematica dei vasi polmonari come evidenziati alla rx del torace in proiezione frontale nell'adulto in posizione eretta (polmone destro). (A) Vasi polmonari normali. Notare che i vasi periferici di maggior calibro si trovano nei campi polmonari inferiori. (B) Aumento generalizzato della prominenza dei vasi polmonari, tipico degli ampi shunt sinistro-destro che si riscontrano nelle cardiopatie congenite e degli stati di alta gittata (p. es., anemia, gravidanza, iperidratazione). (C) Aumento del calibro dei vasi dei campi polmonari superiori con vasi relativamente più piccoli nei campi inferiori (che possono non essere visibili in presenza di edema), tipico dello scompenso cronico del cuore sinistro (p. es., stenosi mitralica grave). (D) Arterie polmonari principali dilatate e tortuose con arterie polmonari periferiche di calibro relativamente piccolo, quadro tipico dell'ipertensione pol-monare acquisita cronica grave dovuta a elevate resistenze periferiche e polmonari. (Modificata da: "Nomenclature and Criteria for Diagnosis of Diseases of the Heart and Great Vessels", ed. 8. New York, New York Heart Association, 1979; riproduzione autorizzata.) .

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FIG. 198-2. Rappresentazione schematica dell'ecocardiografia M-mode del cuore, dall'apice (1) alla base (4) del cuore. PAVD = parete anteriore del ventricolo destro; VD = cavità del ventricolo destro; SD = versante destro del setto interventricolare; SS = versante sinistro del setto interventricolare; VS = cavità ventricolare sinistra; MPP = muscolo papillare posteriore; PPVS = parete posteriore del ventricolo sinistro; EN = endocardio posteriore del ventricolo sinistro; EP = epicardio posteriore del ventricolo sinistro; PER = pericardio; LAVM = lembo anteriore della valvola mitrale; LPVM = lembo posteriore della valvola mitrale; PPAS = parete posteriore dell'atrio sinistro; VA = valvola aortica; Ao = aorta; AS = cavità dell'atrio sinistro. (Da Feigenbaum H: "Clinical applications of echocardiography." Progress in Cardiovascular Diseases 14:531-558, 1972; riproduzione autorizzata da WB .

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FIG. 198-3. Quattro proiezioni comunemente utilizzate nell'ecocardiografia bidimensionale. LX (Long Axis) = asse lungo; SX (Short Axis) = asse corto; 4C = quattro camere; 2C = due camere; VS = ventricolo sinistro; Ao = aorta; AS = atrio sinistro; VD = ventricolo destro; AD = atrio destro. (Da Feigenbaum H: Echocardiography, ed. 5, Lea & Febiger, Malvern, PA, 1994; riproduzione autorizzata.)

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FIG. 198-4. Rappresentazione del flusso transmitralico mediante Doppler spettrale. VD = ventricolo destro; AD = atrio destro; VS = ventricolo sinistro; AS = atrio sinistro; E = flusso protodiastolico; A = flusso diastolico secondario alla contrazione atriale. (Da Feigenbaum H: Echocardiography, ed. 5, Lea & Febiger, Malvern, PA, 1994; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

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FIG. 198-5. Rappresentazione schematica del ciclo cardiaco, che mostra le curve di pressione dei grossi vasi e delle camere cardiache, i toni cardiaci, il polso venoso giugulare e l'ECG. Ao = aorta; AP = arteria polmonare; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinis-tro; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro. A sco-po didattico, gli intervalli di tempo sono stati modificati e il punto z è stato prolungato. (Adattata da The Heart, ed. 5, pubblicato da JW Hurst, et al. New York, Mc-Graw-Hill, Inc., 1982; e A Primer of Cardiology, ed. 4, di GE Burch. Philadelphia, Lea & Febiger, 1971; riproduzione autorizzata.)

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FIG. 202-1. Infarto miocardico acuto in sede anteriore, tracciato resgistrato entro poche ore dall'esordio. Notare l'importante sopraslivellamento del tratto ST in: I, aVL, V4, e V6 e il sottoslivellamento reciproco nelle altre derivazioni.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-2. Infarto miocardico acuto in sede anteriore dopo le prime 24 ore. Notare che il sopraslivellamento del tratto ST è meno accentuato; notare anche la comparsa di onde Q significative e la decurtazione delle onde R in: I, aVL, V4 e V6.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-3. Infarto miocardico acuto in sede anteriore diversi giorni dopo l'esordio. Le onde Q significative e l'amputazione delle onde R persistono. Il tratto ST è ora essenzialmente isoelettrico. L'ECG probabilmente si modificherà molto lentamente nei mesi successivi.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-4. Infarto miocardico acuto infero-posteriore, tracciato registrato entro poche ore dall'esordio dei sintomi. Notare il sopraslivellamento iperacuto del tratto ST in II, III e aVF e il sottoslivellamento reciproco nelle altre derivazioni.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-5. Infarto miocardico acuto infero-posteriore dopo le prime 24 ore. Notare la comparsa di onde Q significative nelle derivazioni II, III e aVF e la riduzione del sopraslivellamento del tratto ST nelle stesse derivazioni.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-6. Infarto miocardico acuto infero-posteriore diversi giorni dopo l'esordio. Il tratto ST adesso è isoelettrico. Sono presenti onde Q patologiche in II, III e aVF, che indicano che la cicatrice miocardica persiste.

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FIG. 203-1. Curve di Frank-Starling. L'ordinata (pressione sistolica, gittata sistolica, gittata cardiaca, lavoro pulsatorio, lavoro cardiaco) rappresenta la capacità del ventricolo di assolvere alla sua funzione di pompa. L'ascissa (lunghezza diastolica del muscolo, pressione telediastolica, volume telediastolico) rappresenta la misura diretta o indiretta della lunghezza o dello stiramento delle fibre miocardiche. Le linee tratteggiate indicano i valori normali a riposo; la curva normale passa attraverso il punto di intersezione delle linee tratteggiate. In condizioni normali, la pressione sistolica del ventricolo sinistro, la gittata sistolica e il lavoro aumentano rapidamente a mano a mano che la fibra miocardica si allunga in telediastole. Esiste una famiglia di curve di funzione ventricolare che illustrano la funzione cardiaca in condizioni normali e patologiche. Nello scompenso cardiaco (Heart Failure, HF) causato da una contrattilità ridotta, la funzione ventricolare si riduce bruscamente (punto A). La riduzione della gittata sistoli-ca aumenta il volume telediastolico con conseguente stiramento del muscolo cardiaco in diastole. La curva di funzione ventricolare si sposta a destra e diviene relativamente piatta, al fine di mantenere una funzione cardiaca relativamente normale a riposo (punto B). Perciò, un'adeguata funzione cardiaca a riposo consegue all'aumento del volume e della pressione diastolica. La terapia con un farmaco inotropo migliora la curva della funzione ventricolare (punto C), che, tuttavia, resta patologica. La riduzione del postcarico può avere effetti simili. Questa figura mostra una relazione diretta fra la lunghezza diastolica del muscolo e la pressione e il volume telediastolici, una relazione che è generalmente vera quando la contrattilità ventricolare è ridotta. Questa relazione non si applica allo scompenso cardiaco dovuto all'aumento della rigidità ("stiffness") diastolica del miocardio: in tal caso, la gittata cardiaca è solitamente normale, la pressione telediastolica è elevata, ancora la lunghezza delle fibre muscolari può essere normale. Il problema delle patologie che provocano un'aumentata rigidità diastolica è la marcata riduzione della distensibilità ("compliance") miocardica e quindi il patologico aumento delle pressioni di riempimento ventricolari e la congestione, pur in presenza di una normale fase eiettiva. (Adattata da Spann JF, Mason DT, Zelis R: "Recent advances in the understanding of congestive heart failure (II)." Modern Concepts of Cardiovascular Dis-ease 39:7984, 1970; riproduzione autorizzata da American Heart Association, Inc.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 203-2. Curva di dissociazione dell'ossiemoglobina. La saturazione arteriosa di ossiemoglobina (ordinata) è messa in relazione con la pressione parziale di O2 (ascissa). P50 (PO2 al 50% di saturazione) è normalmente di 27 mm Hg. La curva di dissociazione è spostata verso destra dall'aumento della concentrazione di idrogenioni (H+) e dall'aumento del contenuto di difosgoglicerato (DPG) nei GR. La curva è spostata verso sinistra dalla riduzione di H+ e da ridotti livelli di difosfoglicerato nei GR. L'Hb caratterizzata dallo spostamento a destra della curva ha una ridotta affinità per l'O2; l'Hb caratterizzata dallo spostamento a sinistra della curva ha un'aumentata affinità per l'O2.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 203-3. Rappresentazione schematica delle cardiomiopatie, in funzione dei meccanismi fisiopatologici di base. (A) Cuore normale; (B) disfunzione sistolica; (C-G) disfunzione diastolica.

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FIG. 205-1. Tracciati di ritmo cardiaco da un ECG ambulatoriale delle 24 ore (Holter). Nota le tipiche modificazioni della frequenza al momento dell'inizio del sonno e al risveglio (frecce).

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FIG. 205-2. Registrazioni da uno studio elettrofisiologico invasivo. I, aVF e V1 sono derivazioni di superficie. Vengono anche mostrati l'elettrogramma dell'atrio destro (EAD), l'elettrogramma del fascio di His (His Bundle Electrogram, HBE) e l'elettrogramma del ventricolo destro (EVD). Durante pacing regolare del ventricolo destro (S1), due extrasistoli (S2 e S3) iniziano una tachicardia ventricolare monomorfa. Notare la dissociazione dell'attiv-ità dell'atrio destro.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-3. Potenziali tardivi. (A) Rappresentazione tempo-voltaggio di due derivazioni elettrocardiografiche. Fra le linee verticali tratteggiate si rileva un'attività elettrica a basso voltaggio che supera il livello del rumore di fondo. L'espressione "potenziali tardivi" si riferisce a questa attività elettrica che, nel caso specifico, è stata rilevata in un paziente con tachicardia ventricolare monomorfa ricorrente dopo un infarto miocardico. È più chiaramente visibile nel tracciato più in basso, che utilizza una derivazione inferiore. (B) Complessi QRS analizzati con il metodo dell'analisi vettoriale e amplificati. Questa tecnica acquisisce informazioni da tre derivazioni ECG ortogonali e ne fa la somma con una metodica digitale. Le linee tratteggiate verticali indicano l'inizio e la fine del file:///F|/sito/merck/figure/20503.html (1 of 2)02/09/2004 2.01.15

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complesso QRS. Sulla base di una definizione arbitraria dell'energia terminale del complesso QRS in relazione al tempo, la parte terminale rappresenta l'attività tardiva ed è patologica.

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FIG. 205-4. Battiti ectopici atriali (BEA). Viene mostrato un tracciato ECG in derivazione II. Dopo il secondo battito di origine sinusale, l'onda T è deformata da un BEA. Dal momento che il BEA si verifica relativamente presto durante il ciclo sinusale, il pacemaker del nodo del seno viene resettato e una pausa meno che compensatoria precede il battito sinusale successivo.

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FIG. 205-5. Insorgenza di flutter atriale. Il tracciato ECG mostrato è in V1. Dopo il secondo battito sinusale normale, un BEA con un intervallo di accoppiamento di 140 ms dà origine a un ritmo atriale sostenuto con una lunghezza del ciclo di 200 ms (frequenza di 300 bpm) e un grado variabile di blocco atrioventricolare.

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FIG. 205-6. Registrazioni durante fibrillazione atriale. Sono registrate le derivazioni: I, II e V1, l'elettrogramma atriale (EA), l'elettrogramma del fascio di His (HBE); i marker per il tempo sono a intervalli di 10 e 100 ms. L'attività elettrica atriale individuata all'elettrogramma atriale non è regolare. All'interno dell'atrio si ha una serie continua e caotica di fronti d'onda: ciò rappresenta una fibrillazione atriale. Ciascun complesso QRS è preceduto da una depolarizzazione del fascio di His: ciò indica l'origine sopraventricolare del QRS.

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FIG. 205-7. Insorgenza di fibrillazione atriale (FA). In II, i primi due battiti di origine sinusale sono seguiti da un singolo battito ectopico atriale. Il ritmo ritorna sinusale, ma solo per poco; è infatti seguito da un altro battito ectopico atriale, che inizia la fibrillazione atriale.

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FIG. 205-8. Tachicardia a QRS stretto. Le onde P non sono visibili perché cadono all'interno dei complessi QRS. Questo paziente ha una tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare. Notare l'alternanza del QRS (alternanza dell'ampiezza del QRS; anche altre caratteristiche, quali la morfologia o il timing, possono essere soggette a fenomeni di alternanza). In passato, si pensava che tale rilievo fosse specifico delle tachicardie che utilizzano una via accessoria (tachicardia reciprocante), ma l'alternanza del QRS può verificarsi in ogni tipo di tachicardia a QRS stretto.

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FIG. 205-9. Inizio di una tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare. Notare l'onda P anomala (P´) e il ritardo della conduzione attraverso il nodo atrioventricolare (P´ R lungo).

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FIG. 205-10. Tachicardia a QRS stretto: Tachicardia reciprocante ortodromica che usa una via accessoria in un paziente con sindrome di Wolff-Parkinson-White. L'attivazione avviene come segue: nodo atrioventricolare, sistema di His-Purkinje, ventricoli, via accessoria, atri. Notare che l'onda P segue da vicino il complesso QRS, cosicché PR > RP.

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FIG. 205-11. Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Le derivazioni ECG sono: I, II e V1, elettrogramma atriale (EA), elettrogramma del fascio di His (HBE); i marker per il tempo sono a intervalli di 10 e 100 ms. La depolarizzazione del fascio di His (HBE) si verifica in corrispondenza dell'inscrizione della caratteristica onda d. La morfologia del QRS rappresenta il risultato dell'attivazione ventricolare attraverso due vie indipendenti.

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FIG. 205-12. Sindrome di Lown-Ganong-Levine. (A) Le derivazioni I, II e III, l'elettrogramma atriale (EA) e l'elettrogramma del fascio di His (HBE), i marker del tempo a intervalli di 10 e 100 ms sono mostrati durante ritmo sinusale regolare. L'accorciamento dell'intervallo PR a 110 ms è funzione del breve tempo di conduzione del nodo atrioventricolare (intervallo AH di 80 ms). (B) Nonostante il breve intervallo PR in ritmo sinusale, il prolungamento della conduzione nodale atrioventricolare (un intervallo AH lungo) è responsabile della tachicardia da rientro sostenuta durante tachicardia a QRS stretto.

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FIG. 205-13. Sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW). Le derivazioni I, II, III, V1 e V6 (in alto a sinistra e al centro) mostrano le caratteristiche tipiche della sindrome di WPW, con un intervallo PR breve e un'onda δ in ritmo sinusale. Durante la registrazione ECG, il paziente sviluppa fibrillazione atriale (derivazioni V2 e V4 in alto a destra) con una risposta ventricolare molto rapida (sono registrati intervalli PR di 160 ms). Subito dopo, si sviluppa fi-brillazione ventricolare (striscia di ritmo in II in basso).

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FIG. 205-14. Tachicardia atriale vera. Questa rara tachicardia a QRS stretto prende origine da un focus automatico patologico o da un circuito localizzato di rientro intra-atriale. Le onde P precedono i complessi QRS; PR < RP.

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FIG. 205-15. Battiti ectopici ventricolari (BEV). La II derivazione mostra un ritmo sinusale regolare con un'onda P positiva (primo ciclo) seguita da una depolarizzazione prematura dei ventricoli. L'onda P prematura invertita (secondo ciclo) che segue questo BEV è il risultato della conduzione ventricoloatriale. Dopo il BEV, si ripristina il ritmo sinusale

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FIG. 205-16. Tachicardia ventricolare. L'elevata frequenza ventricolare con dissociazione atrioventricolare permette di fare diagnosi. Sono registrati simultaneamente l'elettrogramma atriale (EA) e la II derivazione. Sebbene le onde P non siano evidenti all'ECG, l'elettrogramma atriale mostra onde P nette, con una lunghezza del ciclo considerevolmente inferiore rispetto a quella dei complessi QRS: questo indica l'origine ventricolare della tachicardia.

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FIG. 205-17. Tachicardia ventricolare a QRS largo. La durata del QRS è di 160 ms. Un'onda P indipendente può essere individuata in V1 (freccia). C'è una deviazione frontale estrema dell'asse elettrico.

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FIG. 205-18. Torsione di punta. Dopo la somministrazione di procainamide, una singola extrasistole (2) provoca una torsione di punta, che mostra le tipiche modificazioni continue del vettore. HBE = elettrogramma del fascio di His.

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FIG. 205-19. Insorgenza di fibrillazione ventricolare. In questa registrazione continua, i primi battiti ventricolari mostrano una certa organizzazione dell'attività elettrica ventricolare, ma subito la traccia degenera. È mostrata l'ora (AM).

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FIG. 205-20. Blocco del nodo atrioventricolare. (A) Prolungamento della conduzione del nodo atrioventricolare (blocco atrioventricolare di primo grado). Le derivazioni sono: I, II e III; l'elettrogramma atriale (EA); l'elettro-gramma del fascio di His (HBE); i marker per il tempo sono a intervalli di 10 e 100 ms. L'intervallo PR è prolungato perché la conduzione dall'atrio al fascio di His (intervallo AH) è anormalmente lunga (180 ms). Il prolungamento dell'intervallo PR risulta generalmente da un ritardo della conduzione nodale atrioventricolare. (B) Conduzione 2:1 del nodo atrioventricolare. Una depolarizzazione atriale di origine sinusale su due non riesce ad attraversare il nodo atrioventricolare e ad attivare il fascio di His; ne consegue un blocco atrioventricolare 2:1 a livello del nodo atrioventricolare.

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FIG. 205-21. Blocco di branca destra. Sono registrate le derivazioni vettoriali ortogonali X, Y e Z (sistema di Frank), l'elettrogramma del fascio di His (HBE) e i marker temporali sono fissati a intervalli di 100 ms. Viene mostrato il rallentamento della parte terminale del QRS, diretta verso destra e anteriormente, insieme con un intervallo HV normale, che indica che il resto del sistema di conduzione intraventricolare è normale.

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FIG. 205-23. Malattia del nodo del seno sintomatica. Sono mostrate alcune strisce di ritmo di un ECG 24 ore (variante bradicardia-tachicardia). Notare gli episodi di asistolia, di fibrillo-flutter atriale e i battiti ectopici ventricolari. Le ore sono quelle indicate (AM). .

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FIG. 205-22. Blocco di branca sinistra. Sono registrate le derivazioni vettoriali X, Y e Z (sistema di Frank); l'elettrogramma di His (HBE); i marker temporali sono fissati a intervalli di 100 ms. Il tipico rallentamento con asse verso sinistra della porzione media e terminale del QRS è evidenziato nella derivazione X. Il normale asse medio del QRS sul piano frontale (Y) e il prolungamento dell'intervallo HV (110 ms) sono caratteristici di questa forma di blocco di branca sinistra e riflettono una patologia trifascicolare del sistema di conduzione.

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FIG. 206-1. Ventilazione dell'adulto mediante aria espirata. (A) Posizione per aprire le vie aeree. (B) Respirazione di soccorso: corretto posizionamento delle mani e del paziente per ottenere la pervietà delle vie aeree e per la respirazione bocca a bocca. (C) Posizione corretta per la respirazione bocca-naso. (Adattata da "Standards and Guidelines for Cardiopulmonary Resuscitation [CPR] and Emergency Cardiac Care [ECC]," in Journal of the American Medical Association 25:2916 e 2918, 6 giugno 1986. Copyright 1986, American Medical Association.)

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FIG. 206-2. Ventilazione con aria espirata nel bambino. (A) Posizione a testa in giù: rimozione di corpi estranei dalla trachea o dai bronchi. (B) Posizione per la respirazione bocca a bocca. (C) Respirazione combinata bocca e naso. (Adattato da "Standards and Guidelines for Cardiopulmonary Resuscitation [CPR] and Emergency Cardiac Care [ECC]," in Journal of the American Medical Association 25:2956 e 2959, 6 Giugno 1986. Copyright 1986, American Medical Association.)

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FIG. 209-1. Pressioni nella pericardite costrittiva. VS = ventricolo sinistro; VD = ventricolo destro. Modificato da Diagnosis in Color: Physical Signs in Cardiology, di N Fowler et al. St. Louis, Mosby International, in stampa; riproduzione autorizzata.

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FIG. 214-1 Massima osmolarità urinaria dopo test di privazione dell'acqua (colonne ombreggiate) versus osmolarità urinaria dopo somministrazione di vasopressina esogena (colonne aperte). DI = diabete insipidus. (Dati tratti da Miller M, et al: "Recognition of partial defects in antidiuretic hormone secretion." Annals of Internal Medicine 73[5]:721-729, 1970.)

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FIG. 215-1. La normale minzione si verifica quando la contrazione vescicale è coordinata con il rilasciamento dello sfintere uretrale. Il SNC inibisce la diuresi fino al momento opportuno e coordina e facilita gli stimoli vescicali per iniziare e completare la minzione. Il sistema simpatico contrae la muscolatura dello sfintere liscio attraverso le fibre α-adrenergiche del nervo ipogastrico. Il sistema parasimpatico contrae il muscolo detrusore vescicale attraverso le fibre colinergiche del nervo pelvico. Il sistema nervoso somatico contrae lo sfintere muscolare striato attraverso le fibre colinergiche il nervo pudendo. (Adattata dal DuBeau CE, Resnick NM, con the Massachusetts Department of Health EDUCATE project collaborators. Urinary incontinence in the Older Adult: An Annotated Speaker/Teacher Kit, 1993; riproduzione autorizzata)

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FIG. 223-1. Emofiltrazione continua veno-venosa.

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FIG. 224-1. Classificazione sierologica e istopatologica della glomerulonefrite rapidamente progressiva (a semilune). GN = glomerulonefrite; ANCA = antineutrophil cytoplasmic autoantibody (autoanticorpi contro il citoplasma dei neutrofili); MBG = membrana basale glomerulare. (Adattata da MKSAP in the Subspecialty of Nephrology and Hypertension. Book 1 Syllabus and Questions, 1994. American College of Physicians).

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FIG. 224-2. Caratteristiche della microscopia elettronica nella malattie immunologiche glomerulari.

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FIG. 226-1. Citotossicità renale da analgesici. Adattata da Schreiner GE et al: "Clinical analgesic nefropathy." An-nals of Internal Medicine 141:56, 1981.

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FIG. 234-1. L'asse SNC-ipotalamo-ipofisi-gonadi-organi bersaglio. Gli ormoni ovarici hanno effetti diretti e indiretti sugli altri tessuti (p. es., ossa, cute, muscoli). FSH = ormone follicolostimolante; GnRH = ormone per il rilascio delle gonadotropine; LH = ormone luteinizzante.

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FIG. 234-2. Modificazioni dei livelli dell'ormone luteinizzante (LH), dell'ormone follicolostimolante (FSH) e dell'estradiolo (E2) nel sangue periferico. I livelli dell'LH e dell'FSH sono aumentati alla nascita (non mostrato). Il periodo puberale è ampliato. (Modificata da Rebar RW: "Normal physiology of the reproductive system," Endo-crinology and Metabolism Continuing Education Program, American Association of Clinical Chemistry, Novem-ber 1982. Copyright 1982 by the American Association for Clinical Chemistry; riproduzione autorizzata.)

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FIG. 234-3. Pubertà: sviluppo dei caratteri sessuali femminili. Le barre indicano i valori normali.

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FIG. 234-4. Il ciclo ovarico. I follicoli sono racchiusi nella corticale. Il follicolo selezionato (primario) matura e scoppia, rilasciando il cumulo ooforo (l'oocita e alcune cellule della granulosa che lo circondano).

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FIG. 234-5. Le ideali modificazioni cicliche delle gonadotropine ipofisarie, dell'estradiolo (E2), del progesterone (P), dei follicoli ovarici e dell'endometrio uterino durante il normale ciclo mestruale. I giorni del sanguinamento mestruale sono indicati con M. FSH = ormone follicolostimolante; LH = ormone luteinizzante. (Modificata da Rebar RW: "Normal physiology of the reproductive system." Endocrinology and Metabolism Continuing Educa-tion Program, American Association of Clinical Chemistry, November 1982. Copyright 1982 by the American Association for file:///F|/sito/merck/figure/23405.html (1 of 2)02/09/2004 2.01.27

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Clinical Chemistry; riproduzione autorizzata.)

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FIG. 235-1. Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, della maturazione del seno umano. Da Marshall WA, Tanner JM: "Variations in patterns of pubertal changes in girls." Archives of Disease in Childhood 44:291-303, 1969; riproduzione autorizzata. file:///F|/sito/merck/figure/23501.html (1 of 2)02/09/2004 2.01.28

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FIG. 235-2. Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, dello sviluppo dei peli pubici nelle ragazze. Da Marshall WA, Tanner JM: "Variations in patterns of pubertal changes in girls." Archives of Disease in Childhood 44:291-303, 1969; riproduzione autorizzata.

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FIG. 242-1. Posizioni per l'esame della mammella. Paziente seduta o in piedi (A) con le braccia lungo i fianchi; (B) con le braccia sollevate sopra la testa, per sollevare la fascia pettorale e le mammelle; (C) con le mani che spingono con forza contro le anche o (D) con le palme spinte una contro l'altra davanti alla fronte, per contrarre i muscoli pettorali. (E) Palpazione dell'ascella; le braccia sostenute come illustrato, per rilasciare i muscoli pettorali. (F) Paziente supina con un cuscino sotto la spalla e il braccio sollevato al di sopra della testa dal lato che viene esaminato. (G) Palpazione della mammella con movimento circolare dal capezzolo verso l'esterno.

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FIG. 248-1. La placenta e l'embrione.

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FIG.256-1. Valutazione dell’età gestazionale; nuovo punteggio di Ballard. (Modificato da Ballard JL, Khoury JC, Wedig K, et al: "New Ballard score, expande to include extremely premature infants." The Journal of Pediatrics 119 (3):417-423, 1991; Riproduzione autorizzata da CV Mosby

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Company.)

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Ogni bambino e ogni famiglia sono unici; di conseguenza queste Raccomandazioni per la prevenzione in pediatria sono redatte per la cura dei bambini che ricevono cure familiari appropriate, che non presentano manifestazioni di rilevanti problemi di salute, che presentano un accrescimento e uno sviluppo soddisfacenti. Visite supplementari possono divenire necessarie se le condizioni suggeriscono variazioni dalla norma. Queste linee guida rappresentano un consenso da parte della Commissione sulla Medicina Ambulatoriale con la consulenza di commissioni e sezioni nazionali dell'American Academy of Pediatrics (AAP). La Commissione mette in rilievo la grande importanza della continuità delle cure, comprensivamente di una supervisione di salute e la necessità di evitare una frammentazione delle cure. Si raccomanda una visita prenatale in caso di genitori ad alto rischio, genitori alla prima gravidanza e genitori che richiedono un colloquio. La visita prenatale deve includere consigli anticipatori e una accurata anamnesi clinica. Ogni bambino deve essere valutato, dopo la nascita, in epoca neonatale.

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1. Si incoraggia l'allattamento al seno e si forniscono istruzioni e supporto. 2. Per neonati dimessi prima delle 48 ore di vita. 3. Problemi di sviluppo, problemi psicosociali e relativi a malattie croniche in bambini e adolescenti possono richiedere frequenti visite di consulenza e di trattamento, separatamente dalle visite di cura preventiva. 4. Se un bambino viene in cura per la prima volta in un punto qualsiasi del preogramma, o se alcuni esami non vengono effettuati all'età suggerita, egli deve mettersi in pari con il programma nel più breve tempo possibile. 5. Se il paziente non è collaborante, effettuare un nuovo controllo entro sei mesi. 6. Alcuni esperti raccomandano una valutazione oggettiva dell'udito nel periodo neonatale. La Joint Committee sull'Udito nei Bambini ha identificato i pazienti a rischio significativo di ipoacusia. Tutti i bambini che presentano questi requisiti devono essere valutati oggettivamente. 7. Mediante storia ed esame obiettivo adeguato; se vi sono sospetti, mediante test di valutazione dello sviluppo. 8. Ad ogni visita è essenziale un esame obiettivo completo, con neonati completamente svestiti, bambini più grandi svestiti e coperti in modo adeguato. 9. Questi possono essere modificati, a seconda del punto di entrata nel programma e dei bisogni individuali. 10. Gli screening metabolici (p. es., tiroide, emoglobinopatie, PKU, galattosemia) devono essere

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eseguiti in accordo alle leggi nazionali. 11. Programma(i) secondo la Committee on Infectious Diseases, pubblicato periodicamente su Pediatrics. Ogni visita deve rappresentare una opportunità per aggiornare e completare le vaccinazioni di un bambino. 12. Valutazione del tasso ematico di piombo secondo la dichiarazione dell'AAP "Lead Poisoning: From Screening to Primary Prevention" (1993). 13. Devono essere esaminate tutte le adolescenti mestruate. 14. Eseguire esame delle urine mediante stick per la ricerca di leucociti in adolescenti di sesso maschile e femminile. 15. Test della tubercolina secondo la dichiarazione dell'AAP "Screening for Tuberculosis in Infants and Children" (1994). Il test deve essere eseguito in base al riconoscimento di fattori di rischio elevato. Se i risultati sono negativi, ma permane la condizione di rischio elevato, il test deve essere ripetuto annualmente. 16. Valutazione della colesterolemia in pazienti ad alto rischio secondo la dichiarazione dell'AAP "Statement on Cholesterol" (1992). Se la storia familiare non può essere accertata e sono presenti altri fattori di rischio, lo screening deve essere effettuato a discrezione del medico. 17. Tutti i pazienti sessualmente attivi devono essere esaminati per malattie sessualmente trasmesse (Sexually Transmitted Diseases, STDs). 18. In tutte le pazienti di sesso femminile sessulamente attive deve essere effettuato un esame pelvico. Un esame pelvico e uno striscio di routine con il metodo di Papanicolau (Pap) devono essere effettuati come parte della tutela preventiva della salute nell'età compresa tra 18 e 21 anni. 19. Una discussione e consigli appropriati devono essere parte integrante di ciascuna visita. 20. Dall'età di 12 anni, in riferimento al programma di prevenzione dei traumi dell'AAP (TIPPr), come descritto in "A Guide to Safety Counseling in Office Practice" (1994). 21. Una valutazione iniziale precoce dei denti può essere indicata per alcuni bambini. Esami successivi come prescritti dal dentista. Chiavi: • = da eseguire

* = nei pazienti a rischio

obiettiva, in base a test standardizzati fornito, con il punto che indica l'età consigliata

S = soggettiva in base alla storia

O=

= il periodo durante il quale un servizio deve essere

NB: Eseguire i test dopo l'età neonatale (p. es., errori congeniti del metabolismo, anemia falciforme, ecc.) è a discrezione del medico. Queste raccomandazioni non indicano una serie esclusiva di trattamenti o servono come standard di cure mediche. Possono essere appropriate delle variazioni, in base alle circostanze individuali. FIG.256-2. Raccomandazioni per la prevenzione in pediatria. Utilizzata con l'autorizzazione dell'American Academy of Pediatrics, Pediatrics, 96:2, 1995.

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FIG. 256-3. Altezza ed età equivalenti nei ragazzi e nelle ragazze.

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FIG. 256-4. Velocità di crescita lineare (altezza) nei ragazzi e nelle ragazze in cm/anno.

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* Questo schema indica l'età raccomandata per la somministrazione di routine dei vaccini per l'infanzia attualmente autorizzati; i vaccini sono posti sotto le età alle quali sono abitualmente raccomandati. Catch-up della vaccinazione deve essere effettuato ad ogni visita, quando possibile. Sono disponibili alcune associazioni di vaccini e possono essere utilizzate quando è indicata la somministrazione di tutti i componenti del vaccino. Il medico deve leggere il foglietto illustrativo per le raccomandazioni dettagliate. †I bambini nati da madri HBsAg-negative devono ricevere 2.5 mg di vaccino Merck (Recombivax HB) o 10 mg di vaccino SmithKline Beecham (SB) (Engerix-B). La seconda dose deve essere somministrata almeno 1 mese dopo la prima dose. La terza dose deve essere somministrata almeno 2 mesi dopo la seconda, ma non prima dei 6 mesi di vita. I bambini nati da madri HBsAgpositive devono ricevere 0.5 mL di immunoglobuline specifiche per l'epatite B (HBIG) entro 12 h dalla nascita , e 5 mg di vaccino Merck (Recombivax HB) oppure 10 mg di vaccino SB (EngerixB) in sedi differenti. La seconda dose è raccomandata all'età di 1-2 mesi e la terza dose all'età di 6 mesi. I bambini nati da madri la cui condizione sierologica nei confronti dell'HBsAg non è conosciuta devono ricevere 5 mg di vaccino Merck (Recombivax HB) oppure 10 mg di vaccino SB (Engerix-B) entro 12 h dopo la nascita. La seconda dose di vaccino è raccomandata all'età di 1 mese e la terza dose all'età di 6 mesi. Deve essere eseguito un prelievo ematico al momento del parto per determinare la condizione sierologica materna nei confronti dell'HBsAg; se positiva, il bambino deve ricevere le HBIG il più presto possibile (non più tardi di 1 sett di vita). La dose e il momento della somministrazione delle successive dosi di vaccino devono decidersi in base alla condizione sierologica della madre nei confronti dell'HBsAg. §I bambini e gli adolescenti che non sono stati vaccinati nei confronti dell'epatite B durante l'infanzia possono iniziare la serie nell'ambito di qualunque visita. Quelli che precedentemente non hanno ricevuto le tre dosi di vaccino antiepatite B devono iniziare o completare la serie nell'ambito delle visite di routine presso una struttura sanitaria all'età di 11-12 anni e gli adolescenti più grandi non vaccinati devono essere vaccinati appena possibile. La seconda dose deve essere somministrata almeno 1 mese dopo la prima dose e la terza dose deve essere somministrata almeno 4 mesi dopo la prima dose e almeno 2 mesi dopo la seconda dose. ¶ I tossoidi difterico e tetanico e il vaccino antipertosse acellulare (DTaP) rappresentano il vaccino file:///F|/sito/merck/figure/25605.html (1 of 2)02/09/2004 2.01.31

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di scelta per tutte le dosi nelle serie di vaccinazione, compreso il completamento della serie nei bambini che hanno ricevuto una o più dosi di vaccino con tossoidi difterico e tetanico e antipertosse a cellule intere (DTP). Il DTP a cellule intere rappresenta una alternativa accettabile al DTaP. La quarta dose (DTP o DTaP) può essere somministrata già a partire dai 12 mesi di vita, assicurandosi che siano passati 6 mesi dalla terza dose e se è improbabile che il bambino ritorni all'età di 15-18 mesi. I tossoidi tetanico e difterico, adsorbiti, per adulti (Td), sono raccomandati all'età di 11-12 anni se sono passati almeno 5 anni dall'ultima dose di DTP, DTaP o tossoide difterico e tetanico, adsorbiti, per uso pediatrico (DT). Si raccomandano routinariamente richiami successivi di Td ogni 10 anni. **Tre vaccini coniugati antiH. influenzae di tipo b (Hib) sono autorizzati per uso pediatrico. Se il vaccino coniugato antiHaemophilus b (coniugato ad una proteina meningococcica) (PRP-OMP) (PedvaxHIB [Merck]) è somministrato all'età di 2 e 4 mesi, si richiede una dose all'età di 6 mesi. ††Due vaccini antipoliovirus sono attualmente autorizzati e distribuiti negli Stati Uniti: il vaccino antipoliovirus inattivato (IPV) e il vaccino antipolivirus orale (OPV). I programmi vaccinali seguenti sono tutti riconosciuti dalla ACIP, AAP e AAFP. I genitori e il personale sanitario possono scegliere tra queste opzioni: (1) due dosi di IPV seguite da due dosi di OPV; (2) quattro dosi di IPV o (3) quattro dosi di OPV. La ACIP raccomanda due dosi di IPV all'età di 2 e 4 mesi seguite da una dose di OPV all'età di 12-18 mesi e all'età di 4-6 anni. L'IPV è l'unico vaccino antipoliovirus raccomandato nei soggetti immunodepressi e nei conviventi. §§ La seconda dose del vaccino antimorbillo-parotite-rosolia (MMR) è raccomandata di routine all'età di 4-6 anni ma può essere somministrata nell'ambito di qualunque visita, assicurandosi che sia passato almeno 1 mese dalla prima dose e che entrambe le dosi siano somministrate iniziando a 12 mesi o successivamente. Coloro che non hanno ricevuto precedentemente la seconda dose devono completare il programma vaccinale non più tardi della visita di routine presso una struttura sanitaria all'età di 11-12 anni. ¶¶I bambini a rischio di contagio possono ricevere il vaccino antivaricella (Var) nell'ambito di qualunque visita dopo il primo compleanno e coloro che non hanno una affidabile anamnesi positiva per varicella devono essere vaccinati durante la visita di routine presso una struttura sanitaria all'età di 11-12 anni. I bambini a rischio di contagio di età ≥ 13 anni devono ricevere due dosi ad almeno 1 mese di distanza. Approvata dalla Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP), dalla Accademia Americana di Pediatria (AAP) e dalla Academy of Physicians (AAFP). FIG.256-5. Calendario delle vaccinazioni raccomandato per l'infanzia*; Stati Uniti, GennaioDicembre 1998. Da American Academy of Pediatrics, Committee on Infectious Disease: "Recommende Childoo Immunization Schedule-United States, January-December, 1998." Pediatrics 101:155-156, 1998

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FIG. 256-6. Schema del riflesso di rilascio del latte. Quando il bambino succhia dal seno materno, vengono stimolati i meccanorecettori a livello del capezzolo e dell’areola, che inviano uno stimolo lungo le vie nervose all’ipotalamo, che stimola il rilascio di ossitocina da parte della neuroipofisi. L’ossitocina viene trasportata dal torrente circolatorio alla ghiandola mammaria e all’utero. L’ossitocina stimola le cellule mioepiteliali a contrarsi e a rilasciare il latte dall’alveolo. La prolattina, che viene secreta dall’adenoipofisi in risposta alla suzione, è responsabile della produzione di latte a livello alveolare. Lo stress, così come il dolore e l’ansia, possono inibire il riflesso di rilascio del latte. La vista o il pianto di un bambino possono stimolare il rilascio di ossitocina, ma non della prolattina. (Da Breastfeeding: A Guide for the Medical Profession, ed. 4, di RA Lawrence. St. Louis, CV Mosby, 1994, p. 250; riproduzione autorizzata)

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FIG. 258-1.Variazioni della composizione corporea con la crescita e l’invecchiamento. (Da Puig M: "Body composition and growth," in Nutrition in Pediatrics, ed. 2, edito da WA Walker e JB Watkins. Hamilton, Ontario, BC Decker, 1996; riproduzione autorizzata)

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FIG. 258-2. Dosaggi di teofillina e concentrazioni plasmatiche. (Pannello superiore) Dosi di teofillina (in mg/kg/die) stimate come necessarie per mantenere una concentrazione plasmatica di 10 mg/l. (Pannello inferiore ) Concentrazioni plasmatiche di teofillina allo "steady state", con un dosaggio mantenuto a 20 mg/kg/die. Le aeree tratteggiate indicano i livelli terapeutici ipotetici per le attività broncodilatatoria e anti-apnoica. CpSS = Concentrazione plasmatica allo "steady state". (Da Aranda JV: "Maturational changes in theophylline and caffeine metabolism and disposition: Clinical implications," in Proceedings of the Second World Conference on Clinical Pharmacology and Therapeutics, 31 Luglio-5 Agosto, 1983, edito da L Lemberger e MM Reidenberg. Copyright della American Society for Pharmacology and Experimental Therapeutics, Bethesda, 1984, p. 870; riproduzione autorizzata) file:///F|/sito/merck/figure/25802.html (1 of 2)02/09/2004 2.01.32

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FIG.259-1. Nomogramma per il calcolo della superficie corporea dei bambini. (Modificata da Geigy Scientific Ta-bles, ed. 8, vol. 1, edited by C Lentner. Basle, Switzerland, Ciba-Geigy Ltd., 1981, pp. 226-227; riproduzione autorizzata)

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FIG. 259-2. Formula di Holliday-Segar. Stima del dispendio calorico in condizioni basali (curva inferiore), in condizioni di riposo a letto (curva centrale) e in condizioni di completa attività (curva superiore). La curva centrale può essere divisa in 3 segmenti a seconda della pendenza: da 0 a 10 kg = 100 kcal/kg; da 10 a 20 kg = 50 kcal/kg; > 20 kg = 20 kcal/kg. Queste curve possono essere utilizzate per effettuare una stima accettabile del dispendio calorico per la terapia idrica di mantenimento, senza ricorrere ai grafici. Così, il dispendio calorico stimato per un bambino di 23 kg = (100 kcal/kg × per i primi 10 kg) + (50 kcal/kg × per gli altri 10 kg) + (20 kcal/kg × per gli ultimi 3 kg) = 1560 kcal. (Da Holliday MA, Segar WE: "The maintenance need for water in parenteral fluid therapy." Pediatrics 19:823, 1957; per gentile concessione di Pediatrics.)

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FIG. 260-1. Curve di accrescimento intrauterino in base al peso alla nascita e all'età gestazionale in bambini nati vivi, da gravidanza singola, di razza bianca. Il punto A rappresenta un bambino prematuro, mentre il punto B indica un bambino di peso alla nascita simile, a termine, ma piccolo per l'età gestazionale. Le curve di accrescimento rappresentano il 10o e il 90o percentile per tutti i neonati del campione considerato. (Modificata da Sweet AY: "Classification of the low-birth-weight-infant", in Care of the High-Risk Neonate, ed. 3, edited by MH Klaus e AA Fanaroff. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986; riproduzione autorizzata.)

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FIG. 260-2. Livello di crescita intrauterina in base all'età gestazionale, alla lunghezza del corpo (A) e alla circon-ferenza cranica (B) alla nascita. (Modificata da Lubchenco LC, Hansman C, Boyd E: "Intrauterine growth in length and head circumference as estimated from live births at gestational ages from 26 to 42 weeks." Pediatrics 37:403, 1966; per gentile concessione di Pediatrics. )

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FIG. 260-3. Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B (GBS) a esordio precoce mediante colture di screening in epoca prenatale, a 35-37 sett. di gestazione. Modificata da "Group B streptococcal infections," in 1997 Red Book: Report of the Committee on Infectious Diseases, ed. 24, edited by G Peter. Elk Grove Village, IL, American Academy of Pediatrics, 1997, pp. 498-499.

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FIG. 260-4. Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B (GBS) a esordio precoce secondo i fattori di rischio, senza colture di screening prenatali. Modificata da "Group B streptococcal infections," in 1997 Red Book: Report of the Committee on Infectious Diseases, ed. 24, edited by G Peter. Elk Grove Village, IL, American Academy of Pediatrics, 1997, pp. 498-499.

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FIG. 261-1. Circolazione normale con rappresentazi-one delle pressioni del cuore destro e sinistro (in mm Hg). Rappresentazione delle camere cardiache e della saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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FIG. 261-2. Il difetto del setto interatriale è caratterizzato da aumento del flusso ematico polmonare e da aumento del volume dell'AD e del VD. Rappresentazione delle camere cardiache e della saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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FIG. 261-3. Il difetto del canale atrioventricolare è caratterizzato da aumento del flusso ematico, aumento del volume delle camere cardiache e, spesso, da aumento delle resistenze vascolari polmonari. Rappresentazione delle camere cardiache e della saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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FIG. 261-4. Il difetto del setto interventricolare è caratterizzato da aumento del flusso ematico polmonare e da aumento del volume dell'AS e del VS. Rappresentazione delle camere cardiache e della saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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FIG. 261-5. Nella tetralogia di Fallot, il flusso ematico polmonare è diminuito, il VD è ipertrofico, e in Ao entra sangue non ossigenato. Rappresentazione delle camere cardiache e saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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FIG. 261-6. Nella trasposizione dei grossi vasi, in Ao entra sangue non ossigenato, il VD è ipertrofico e il forame ovale è sede di un minimo mescolamento di sangue. Rappresentazione delle camere cardiache e saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore. .

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FIG. 261-7. Il dotto arterioso pervio è caratterizzato da aumento del flusso ematico polmonare, aumento dei volumi dell'atrio sinistro e del VS e aumento di volume dell'Ao ascendente. Rappresentazione delle camere cardiache e saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; AP = arteria polmonare.

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Fig. 261-8. Tipi di fistola tracheo-esofagea. (Da Diseased of the Newborn, ed. 4, edited by AJ Schaffer e ME Av-ery. Philadelphia, WB Saunders Company, 1977, pag. 110; riproduzione autorizzata) .

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FIG. 261-9. Rappresentazione delle diverse bande cromosomiche osservate con i metodi di colorazione Q- G- e R- ; rappresentazione del centrometro solo con il metodo di colorazione Q. Ogni cromosoma appare come una singola catena unita a livello del centromero o con una costrizione centrale. Le 23 paia di cromosomi sono scelte sulla base delle dimensioni, della posizione del centromero e del tipo di bandeggio e gli autosomi sono numerati da 1 a 22. I cromosomi sessuali conservano le classiche designazioni di X e Y. Viene anche mostrato il vecchio modo di raggruppare i cromosomi attribuendo ad ogni gruppo una lettera; questo metodo è stato utilizzato prima dell'introduzione delle tecniche di bandeggio. (Adattata da McKusick VA: Mendelian Inheritance in Man, ed. 8, Appendix B- The Human Gene Map, pp. xlii-xliii. Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1988; riproduzione autorizzata)

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FIG. 263-1. Nomogramma di Rumack-Matthew per l'avvelenamento acuto da paracetamolo. Grafico semi-logaritmico dei livelli plasmatici di paracetamolo vs. tempo. Norme per l'uso di questo grafico: (1) Le coordinate del tempo si riferiscono al momento dell'ingestione. (2) I livelli sierici riscontrati prima di 4 h dall'ingestione possono non indicare il picco ematico. (3) Il grafico deve essere utilizzato solo in riferimento a una ingestione acuta. (4) La linea continua del 25% al di sotto del nomogramma standard è inclusa per comprendere possibili errori nella determinazione plasmatica del paracetamolo e del tempo trascorso dalla ingestione di dosi tossiche. (Adattata da Rumack BH, Matthew H: "Acetaminophen poisoning and toxicity." Pediatrics 55 (6):871-876, 1975; riproduzione autorizzata da Pediatrics.)

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FIG. 263-2. Patogenesi dell'alterazione dell'equilibrio acido-base nell'avvelenamento da salicilato. (Da Done AK: "Drug intoxication." The Pediatriac Clinics of North America 7 (2):235-255, 1960; riproduzione autorizzata della WB Saunders Company.)

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FIG. 263-3. Tecnica di compressione toracica. (A) La compressione toracica a due pollici è preferibile nei neonati e nei lattanti, il cui torace durante il massaggio cardiaco può essere completamente avvolto con le mani (inset ). Se il massaggio è effettuato in neonati molto piccoli, i pollici devono sovrapporsi. (B) Nei lattanti si utilizza il massaggio cardiaco a due dita. Durante il massaggio cardiaco le dita devono essere mantenute nella posizione estesa. Nel neonato, questa tecnica comporterebbe una posizione fin troppo bassa, cioè a livello o al disotto dell'appendice xifoidea dello sterno; la posizione corretta del massaggio è poco al di sotto della linea intermammaria. (C) Posizione delle mani per il massaggio cardiaco nel bambino piccolo. (Adattata da American Heart Association: Standards and Guidelines for CPR. Journal of the American Medical Association 1992; 268:2251-2281. Copyright 1992, American Medical Association.)

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FIG. 263-4. Sequenza del trattamento per la rianimazione neonatale (protocollo da eseguire in sala parto). TET = tubo endotracheale. (Adattata da Kattwinkel J, et al: Perinatal Continuing Education Program, University of Virginia at Charlottesville, e dalle Linee Guida proposte dall'American Heart Association.)

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Fig. 263-5. Sequenza del trattamento per la rianimazione pediatrica.

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FIG. 263-7. Colpo sull'addome nel paziente in piedi o seduto (cosciente).

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FIG. 263-6. Colpo sull'addome nel paziente che giace a terra (cosciente o meno).

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FIG. 269-1. Metabolismo del galattoso: (1) galattochinasi, (2) galattoso-1-fosfato uridiltransferasi, (3) UDPgalat-toso 4-epimerasi, (4) pirofosforilasi.

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FIG. 276-1. (A) Regola del nove e (B) diagramma di Lund-Browder per valutare l'estensione delle ustioni. (Ridisegnato da The Treatment of Burns, ed. 2, by CP Artz and JA Moncrief. Philadelphia, WB Saunders Company, 1969; riproduzione autorizzata).

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FIG. 286-1. Simboli per costruire l'albero genealogico di una famiglia.

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FIG. 286-2. Ereditarietà autosomica dominante.

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FIG. 286-3. Ereditarietà autosomica recessiva.

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FIG. 286-4. Ereditarietà dominante legata al cromo-soma X.

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FIG. 286-5. Ereditarietà recessiva legata al cromosoma X. Un mezzo cerchio ombreggiato indica una femmina portatrice identificabile con il test.

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FIG. 291-1. Sostenere un paziente durante la deambulazione. Se il paziente sta indossando una cintura, la mano sinistra viene utilizzata per afferrarla da dietro.

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FIG. 291-2. Altezza corretta del bastone. Il gomito del paziente deve essere ricurvo un < di 45° quando viene applicata la forza massima.

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FIG. 295-1. Interpretazione di un risultato del test per l'esterasi leucocitaria in una donna con 30% di probabilità a priori di una IVU, simulante una coorte di 100000 donne con le stesse caratteristiche.

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FIG. 295-2. Distribuzione dei risultati di un test. I pazienti con la malattia sono mostrati nella distribuzione superiore; i pazienti senza la malattia sono mostrati nella distribuzione inferiore. La relazione tra le percentuali di veri positivi e di falsi positivi a un test (per i differenti punti di demarcazione o di soglia) può essere rappresentata come una curva ROC (Receiver-Operator Characteristic). L'area al di sotto di tale curva corrisponde al potere discriminante del test.

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FIG. 295-3. Albero decisionale relativo all'opportunità di trattamento quando non è disponibile nessun test. Quando il problema è limitato a una singola malattia e a un singolo trattamento in pazienti che hanno la malattia, l'utilità della somministrazione del trattamento è indicata come Umalattia-trattamento, l'utilità di evitare il trattamento come Umalattia-nessun trattamento, e le differenze di queste utilità come il beneficio del trattamento. Nei pazienti che non hanno la malattia, l'utilità di non somministrare il trattamento è indicata come Unessuna malattia-nessun trattamento, l'utilità della somministrazione del trattamento come Unessuna malattia-trattamento e le differenze di queste utilità come il rischio del trattamento.

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FIG. 295-4. Analisi di sensibilità a una via di un albero di soglia di un test.

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FIG. 296-1. Clearance della creatinina corretta per età in uomini normali. Una linea retta che unisce l'età del paziente con la sua clearance della creatinina interseca il percentile. (Da Aging-Its Chemistry, edito da A Dietz. Washington, DC, American Association for Clinical Chemistry, 1980, p 8; riproduzione autorizzata.)

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FIG. 298-1. Relazione esemplificativa tra concentrazi-one plasmatica e tempo, dopo una singola dose orale di un farmaco ipotetico. L'area al di sotto della curva concentrazione plasmatica-tempo è indicata dall'ombreggiatura.

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FIG. 299-1. Declino della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A dopo la somministrazione EV di una dose singola di 320 mg di aminofillina. Rappresentazione in scala lineare (A) e semilogaritmica (B). Curva osservata = (—); curva prevista in base ai valori dei parametri forniti = (---).

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FIG. 299-2. Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A dopo una singola somministrazione orale di 300 mg di aminofillina.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 299-3. Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A durante l'infusione EV di 45 mg/h di aminofillina a velocità costante, senza e con somministrazione EV di una dose di carico di 530 mg di aminofillina. A = senza dose di carico; B = con dose di carico; C = quantità di farmaco rimanente dopo la dose di carico.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 299-4. Accumulo di teofillina dopo somministrazione orale di 300 mg di aminofillina q 6 h. Curva A = paziente A; curva B = paziente B, la cui clearance è 1/2 di quella del paziente A; curva C = paziente C, la cui clearance è il doppio di quella del paziente A. Le linee tratteggiate rappresentano i limiti terapeutici abituali, che racchiudono la finestra terapeutica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 300-1. Curva dose-risposta ipotetica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 300-2. Confronto tra le curve dose-risposta dei farmaci X, Y e Z. Il farmaco X, che ha una maggiore attività biologica per dosaggio equivalente, è più potente del farmaco Y o di quello Z. I farmaci X e Z hanno la stessa efficacia, indicata dalla loro risposta massima (effetto massimo) raggiungibile. Il farmaco Y è più potente del farmaco Z, ma la sua efficacia massima è minore.

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Manuale Merck - Figura

FIG.301-1. Fattori genetici, ambientali e di sviluppo che possono interagire reciprocamente causando variazioni nella risposta ai farmaci tra i diversi pazienti.

file:///F|/sito/merck/figure/30101.html02/09/2004 2.01.46

Manuale Merck - Figura

FIG. 303-1. Concentrazioni plasmatiche di teofillina nei pazienti A, B e C, aventi rispettivamente una clearance di 20, 40 e 80 ml/min, durante la somministrazione di teofillina per infusione EV a 36 mg/h. La clearance zero è rappresentata dalla linea punteggiata. Il range terapeutico compreso tra 5 e 20 mg/l è indicato dall'area ombreggiata.

file:///F|/sito/merck/figure/30301.html02/09/2004 2.01.47

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Manuale Merck Indice tabelle TABELLA 1-1

Fabbisogno degli aminoacidi essenziali in mg/kg di peso corporeo

TABELLA 1-2

Vitamine, minerali e acidi grassi essenziali

TABELLA 1-3

Apporti dietetici raccomandati,* rivisti nel 1989

TABELLA 1-4

Apporti alimentari giornalieri stimati sicuri e adeguati per alcune vitamine e minerali*

TABELLA 1-5

Range del peso corporeo

TABELLA 1-6

Esami di laboratorio usati per valutare lo stato nutrizionale

TABELLA 1-7

Valori comunemente usati per classificare lo stato nutrizionale

TABELLA 1-8

Alcuni integratori dietetici disponibili in commercio

TABELLA 1-9

Fabbisogni giornalieri basali per la nutrizione parenterale totale

TABELLA 1-10

Emulsioni di lipidi per uso parenterale

TABELLA 1-11

Esempi degli effetti collaterali dei farmaci sullo stato nutrizionale

TABELLA 2-1

Fattori di rischio per la sottonutrizione

TABELLA 2-2

Fattori di rischio per la sopranutrizione

TABELLA 2-3

Classificazione dello stato nutrizionale in base all’indice di massa corporea

TABELLA 2-4

Area muscolare del braccio negli adulti

TABELLA 2-5

Reperti biochimici nei bambini della tailandia del nord in buona salute e affetti da una malnutrizione proteicoenergetica

TABELLA 3-1

Azioni della vitamina D e dei suoi metaboliti

TABELLA 3-2

Cause di rachitismo e di osteomalacia

TABELLA 3-3

Segni clinici della carenza di vitamina E

TABELLA 6-1

Neurormoni ipotalamici

TABELLA 7-1

Cause di ipopituitarismo

TABELLA 7-2

Cause di iperprolattinemia

TABELLA 7-3

Cause frequenti di poliuria

TABELLA 8-1

Classificazione laboratoristica dell'ipertiroidismo

TABELLA 8-2

Valutazione di laboratorio della funzione tiroidea in diverse situazioni cliniche

TABELLA 8-3

Trattamento della crisi tireotossica

TABELLA 8-4

Effetti del propranololo sull'ipertiroidismo

TABELLA 9-1

Reperti di laboratorio suggestivi di morbo di addison

TABELLA 9-2

Diagnosi differenziale dell'iperaldosteronismo

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TABELLA 10-1

Condizioni associate con i tre tipi di neoplasie endocrine multiple (MEN)

TABELLA 11-1

Caratteristiche delle sindromi dadeficit polighiandolare di tipo I e II

TABELLA 12-1

Cause piu' frequenti di aumento del gap osmolare plasmatico

TABELLA 12-2

Cause principali di deplezione di volume del liquido extracellulare

TABELLA 12-3

Cause principali di sovraccarico di volume del liquido extracellulare

TABELLA 12-4

Cause principali di iponatriemia

TABELLA 12-5

Condizioni associate con la sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico

TABELLA 12-6

Cause principali di ipernatriemia

TABELLA 12-7

Cause principali di ipercalcemia

TABELLA 12-8

Modificazioni primitive e conseguenti meccanismi di compenso nei disturbi semplici dell'equilibrio acido-base*

TABELLA 12-9

Cause principali di acidosi e alcalosi metabolica primitiva

TABELLA 13-1

Caratteristiche generali delle principali forme cliniche di diabete mellito

TABELLA 13-2

Criteri diagnostici del national diabetes data group

TABELLA 13-3

Andamento temporale dell'azione delle preparazioni insuliniche*

TABELLA 13-4

Caratteristiche delle sulfaniluree e dei farmaci antiperglicemici

TABELLA 13-5

Cause principali di ipoglicemia clinicamente evidente

TABELLA 14-1

Enzimi della via biosintetica dell'eme e malattie associate con i loro deficit

TABELLA 14-2

Caratteristiche principali delle tre porfirie piu' comuni

TABELLA 14-3

Test di screening per le porfirie

TABELLA 14-4

Alcuni dei farmaci principali considerati poco sicuri e sicuri nelle porfirie acute*

TABELLA 15-1

Caratteristiche delle iperlipoproteinemie primitive

TABELLA 15-2

Farmaci ipolipemizzanti

TABELLA 22-1

Cause comuni di sanguinamento gastrointestinale

TABELLA 25-1

Cause comuni di dolore addominale e approccio al trattamento

TABELLA 25-2

Anamnesi dei pazienti con dolore addominale

TABELLA 27-1

Fattori alimentari che possono peggiorare la diarrea

TABELLA 27-2

Sostanze usate per trattare la stipsi

TABELLA 30-1

Cause di malassorbimento

TABELLA 30-2

Istologia digiunale in alcuni disordini del malassorbimento

TABELLA 31-1

Elementi che differenziano il morbo di crohn e la colite ulcerosa

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TABELLA 37-1

Indicazioni alla biopsia epatica percutanea

TABELLA 38-1

Classificazione e cause principali dell’ipertensione portale

TABELLA 42-1

Alcune malattie od organismi associati con l’infiammazione epatica

TABELLA 42-2

Caratteristiche dei virus dell’epatite

TABELLA 49-1

Caratteristiche differenziali della mano nell’artrite reumatoide e nell’osteoartrosi

TABELLA 49-2

Classificazione delle malattie reumatiche

TABELLA 49-3

Classificazione dei versamenti sinoviali

TABELLA 49-4

Diagnosi differenziale basata sulla classificazione del liquido sinoviale (classificazione parziale)

TABELLA 50-1

Criteri diagnostici rivisti dell’artrite reumatoide (1987)

TABELLA 50-2

Terapia con farmaci antiinfiammatorinon steroidei dell’artrite reumatoide

TABELLA 50-3

Criteri dell’american college of rheumatology per la classificazione del lupus eritematoso sistemico*

TABELLA 50-4

Protocollo per la chemioterapia con ciclofosfamide e mesna per via endovenosa

TABELLA 50-5

Caratteristiche infiammatorie e di presentazione di alcune malattie vasculitiche

TABELLA 52-1

Patologie associate all’artropatia neurogena

TABELLA 53-1

Condizioni associate a necrosi avascolare

TABELLA 54-1

Fattori di rischio per artrite infettiva

TABELLA 55-1

Esame microscopico dei cristalli

TABELLA 60-1

Classificazione e terapia delle distorsioni della caviglia

TABELLA 60-2

Disordini associati a talalgia in base alla localizzazione del dolore

TABELLA 62-1

Sport alternativi dopo una lesione traumatica

TABELLA 62-2

Esercizio del "manico di secchio"

TABELLA 62-3

Sollevamenti sulle dita e rotazioni esterne

TABELLA 62-4

Esercizi per rinforzare il vasto mediale

TABELLA 62-5

Esercizi per rinforzare i muscoli posteriori della coscia

TABELLA 62-6

Esercizi per il rachide lombare

TABELLA 62-7

Esercizi per rinforzare gli estensori del polso

TABELLA 62-8

Esercizi per rinforzare i flessori e pronatori del polso

TABELLA 62-9

Esercizi per rinforzare le spalle

TABELLA 63-1

Cause di emottisi

TABELLA 64-1

Abbreviazioni relative alla funzionalita' respiratoria

TABELLA 64-2

Modificazioni funzionali caratteristiche nelle diverse patologie

TABELLA 64-3

Modificazioni funzionali caratteristiche nelle pneumopatie restrittive ed ostruttive di diversa gravita'

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TABELLA 64-4

Cause fisiopatologiche di ipossiemia

TABELLA 65-1

Applicazioni della broncoscopia a fibre ottiche

TABELLA 65-2

Situazioni che richiedono il controllo della pervieta’ delle vie aeree

TABELLA 67-1

Insufficienza sistemica multiorganica nella sindrome da distress respiratorio dell’adulto

TABELLA 68-1

Alcune cause di ostruzione cronica al flusso aereo in base alla localizzazione

TABELLA 68-2

Complicanze di un attacco acuto di asma

TABELLA 68-3

Classificazione dell’asma in base alla gravita' prima del trattamento

TABELLA 68-4

Livelli del trattamento a lungo termine dell’asma

TABELLA 68-5

Dosaggi di alcuni b2-agonisti nelle riacutizzazioni dell’asma

TABELLA 68-6

Differenze anatomo-patologiche tra asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva

TABELLA 68-7

Espressione dei fenotipi nel deficit di a1 antitripsina

TABELLA 68-8

Stadiazione della gravita’ della broncopneumopatia cronica ostruttiva*

TABELLA 68-9

Indicazioni per l’ossigeno-terapia a lungo termine

TABELLA 72-1

Fattori di rischio per la tromboembolia venosa

TABELLA 72-2

Rischio di embolia polmonare nei pazienti chirurgici

TABELLA 72-3

Regolazione della somministrazione endovenosa dell’eparina

TABELLA 73-1

Diagnosi dei microrganismi patogeni nel paziente defedato

TABELLA 75-1

Fattori che influenzano la tossicita' degli agenti inalati

TABELLA 75-2

Effetto della sede di deposizione sulla risposta respiratoria

TABELLA 76-1

Reazioni da ipersensibilita'

TABELLA 76-2

Esempi di polmoniti da ipersensibilita'

TABELLA 76-3

Caratteristiche delle polmoniti eosinofile

TABELLA 76-4

Criteri diagnostici per l’aspergillosi broncopolmonare*

TABELLA 81-1

Sindromi paraneoplastiche (neoplasie polmonari)

TABELLA 82-1

Diagnosi differenziale tra ipoacusie cocleari e retrococleari

TABELLA 82-2

Cause auricolari di otalgia

TABELLA 82-3

Cause extraauricolari di otalgia

TABELLA 95-1

Diagnosi differenziale delle comuni malattie acute dell’"occhio rosso"

TABELLA 95-2

Diagnosi diffrenziale delle congiuntiviti acute

TABELLA 1001

Classificazione dei glaucomi basata sull’eziologia

TABELLA 1002

Fattori di rischio del glaucoma primario ad angolo aperto

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TABELLA 1003

Farmaci utilizzati nella terapia del glaucoma

TABELLA 1051

Alcune malattie del cavo orale per siti di coinvolgimento predominanti

TABELLA 1061

Cause di malocclusione

TABELLA 1081

Alcune condizioni che mimano le disfunzioni temporomandibolari

TABELLA 1091

Sedi delle lesioni nelle malattie cutanee

TABELLA 1101

Potenza relativa di corticosteroidi topici selezionati

TABELLA 1111

Cause di dermatite allergica da contatto

TABELLA 1112

Principi generali di trattamento della dermatite cronica delle mani e dei piedi

TABELLA 1121

Differenze tra cellulite e trombosi venosa profonda all’esame clinico

TABELLA 1122

Diagnosi differenziale tra ssss e necrolisi epidermica tossica (NET)

TABELLA 1151

Tipi di virus delle verruche e loro correlazioni cliniche

TABELLA 1181

Tipi di reazioni a farmaci ed agenti chimici causali

TABELLA 1191

Tipi di pelle e rispettiva sensibilita’ ai raggi solari

TABELLA 1211

Caratteristiche cliniche e genetiche di alcune ittiosi ereditarie

TABELLA 1221

Stadi di formazione delle piaghe da pressione

TABELLA 1251

Classificazione dei nevi

TABELLA 1252

Caratteristiche cliniche del nevo displastico e dei nevi

TABELLA 1261

Melanoma maligno con sopravvivenza a 5 anni, in funzione dello spessore abbreviazioni utilizzate in questo capitolo

TABELLA 1271

Caratteristiche delle anemie comuni

TABELLA 1272

Classificazione delle anemie in base alla causa

TABELLA 1273

Correzione del volume del campione nei test coagulativi, in base al valore dell’ematocrito

TABELLA 1274

Diagnosi differenziale dell’anemia microcitica

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TABELLA 1275

Cause di deficit di vitamina B12*

TABELLA 1276

Cause di carenza di folato*

TABELLA 1277

Caratteristiche delle talassemie

TABELLA 1281

Classificazione delle emosiderosi e delle emocromatosi

TABELLA 1291

Cause di rinvio per una donazione di sangue

TABELLA 1292

Caratteristiche e reazioni dei gruppi sanguigni del sistema abo

TABELLA 1293

Indicazioni per plasmaferesi e citaferesi secondo l’American Association of Blood Banks

TABELLA 1301

Classificazione delle malattie mieloproliferative

TABELLA 1302

Criteri per la diagnosi di policitemia vera*

TABELLA 1304

Diagnostica di laboratorio in un paziente con eritrocitosi assoluta

TABELLA 1303

Classificazione dell’eritrocitosi

TABELLA 1305

Condizioni associate alla mielofibrosi

TABELLA 1306

Cause di trombocitemia secondaria

TABELLA 1311

Componenti delle reazioni emocoagulative

TABELLA 1312

Esami di laboratorio per lo studio dell’emostasi

TABELLA 1313

Difetti ereditari nei disordini dei fattori della coagulazione del sangue

TABELLA 1331

Classificazione delle trombocitopenie

TABELLA 1332

Rilievi del sangue periferico nelle trombocitopenie

TABELLA 1333

Cause e associazioni della porpora trombotica trombocitopenica-sindrome uremico-emolitica

TABELLA 1351

Classificazione delle neutropenie

TABELLA 1352

Infezioni associate a neutropenia

TABELLA 1353

Regimi antimicrobici disponibili come terapia iniziale ed empirica per infezione in corso di neutropenia acuta

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TABELLA 1354

Cause di linfocitopenia

TABELLA 1361

Cause importanti di eosinofilia

TABELLA 1362

Anomalie presenti nei pazienti con sindrome ipereosinofila idiopatica

TABELLA 1371

Le sindromi istiocitiche

TABELLA 1372

Sistema di raggruppamento per l’istiocitosi

TABELLA 1381

Classificazione franco-americana-britannica delle leucemie acute

TABELLA 1382

Classificazione della leucemia linfoblastica acuta in base all’immunofenotipo

TABELLA 1383

Reperti alla diagnosi nei tipi piu' comuni di leucemia

TABELLA 1384

Fattori clinici importanti nella leucemia acuta*

TABELLA 1385

Stadiazione clinica della leucemia linfocitica cronica

TABELLA 1386

Sindrome mielodisplastica: esami del midollo osseo e sopravvivenza

TABELLA 1391

Sottotipi istopatologici del morbo di Hodgkin

TABELLA 1392

Stadiazione di ann arbor per il morbo di Hodgkin e per i linfomi non Hodgkin

TABELLA 1393

Prognosi in base al gruppo di rischio definito dall’International Prognostic Index

TABELLA 1401

Classificazione delle discrasie plasmacellulari

TABELLA 1411

Cause comuni di ipersplenismo

TABELLA 1412

Indicazioni per la splenectomia o la radioterapia nell’ipersplenismo

TABELLA 1421

Alterazioni cromosomiche associate a neoplasie

TABELLA 1422

Comuni cancerogeni chimici

TABELLA 1423

Disposizioni dell‘american cancer societyriguardo alle procedure di screening

TABELLA 1441

Percentuale di sopravvivenza libera da malattia a 5 anni in relazione al trattamento

TABELLA 1442

Farmaci antineoplastici

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MSD Italia

TABELLA 1461

Citochine principali

TABELLA 1462

Componenti del complemento e proteine di regolazione

TABELLA 1463

Proteine di membrana

TABELLA 1471

Disordini con aumento della suscettibilita' alle infezioni inusuali

TABELLA 1472

Classificazione, ereditarieta' e caratteristiche associate dei disordini da immunodeficienza primaria

TABELLA 1473

Disordini da immunodeficienza secondaria

TABELLA 1474

Quadri clinici caratteristici di alcuni disordini da immunodeficienza primaria

TABELLA 1475

Esami di laboratorio nelle immunodeficienze

TABELLA 1476

Prognosi delle immunodeficienze primarie

TABELLA 1481

Dosaggio, somministrazione e preparazioni di alcuni antagonisti h1

TABELLA 1482

Farmaci antinfiammatori per via inalatoria nasale

TABELLA 1483

Diete di eliminazione: cibi consentiti

TABELLA 1484

Malattie con probabile patogenesi autoimmunitaria

TABELLA 1491

Sopravvivenza del trapianto a un anno, nei trapianti d'organo*

TABELLA 1492

Lista di attesa nazionale UNOS* per trapianti d’organo

TABELLA 1521

Immunoglobuline e antitossine disponibili negli usa

TABELLA 1522

Vaccini in commercio negli USA

TABELLA 1523

Vaccinazioni abituali per gli adulti (negli USA)

TABELLA 1531

Complicazioni della terapia antibiotica

TABELLA 1532

Posologia per gli aminoglicosidi

TABELLA 1533

Profilassi antibiotica in chirurgia

TABELLA 1571

Tipi di tularemia*

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MSD Italia

TABELLA 1572

Condizioni selezionate associate ad infezioni da clostridio

TABELLA 1573

Linee guida per la vaccinazione contro il tetano in pazienti con ferite aperte

TABELLA 1574

Condizioni causate spesso da microrganismi misti anaerobi (spesso con aerobi)

TABELLA 1575

Raccommandazioni per il trattamento antibiotico della malattia di Lyme nell’adulto*

TABELLA 1576

Schemi terapeutici consigliati per la tubercolosi

TABELLA 1581

Farmaci preferiti nel trattamento delle infezioni fungine sistemiche

TABELLA 1591

Infezioni da bartonella

TABELLA 1611

Raccolta e manipolazione dei campioni per la diagnosi di laboratorio delle infestazioni parassitarie

TABELLA 1612

Caratteristiche diagnostiche delle specie di plasmodium nei vetrini

TABELLA 1613

Farmaci usati per il trattamento della malaria acuta

TABELLA 1614

Farmaci usati per la chemioprofilassi della malaria

TABELLA 1621

Virus presenti principalmente nell’uomo*

TABELLA 1622

Virus zoonotici*

TABELLA 1623

Comuni decongestionanti nasali simpaticomimetici*

TABELLA 1624

Sindromi causate da adenovirus

TABELLA 1625

Profilassi antirabbica in seguito a esposizione

TABELLA 1626

Malattie da arbovirus e arenavirus

TABELLA 1631

Patologie attribuibili all’HIV o complicate dall’HIV (categoria b)

TABELLA 1632

Patologie indicative di aids (categoria c)

TABELLA 1633

Farmaci antiretrovirali

TABELLA 1641

Classificazione della sifilide

TABELLA 1651

Distinzione tra compromissione del primo e del secondo motoneurone

file:///F|/sito/merck/tabelle/index.html (9 of 24)02/09/2004 2.01.52

MSD Italia

TABELLA 1652

Distinzione tra ipostenia neurogena e muscolare

TABELLA 1653

Anomalie del lcr in varie patologie

TABELLA 1661

Esempi di patologie associate a difetti nella neurotrasmissione

TABELLA 1662

Esempi di secondi messaggeri nel sistema nervoso

TABELLA 1671

Analgesici non oppioidi

TABELLA 1672

Analgesici oppiacei

TABELLA 1673

Dosi equianalgesiche di analgesici oppioidi per il dolore grave*

TABELLA 1674

Metodi analgesici non farmacologici

TABELLA 1681

Cause di cefalea secondaria

TABELLA 1682

Trattamento dell’emicrania

TABELLA 1701

Cause piu frequenti di stupor e coma

TABELLA 1702

Segni clinici delle cause piu'frequenti dello stato di incoscienza

TABELLA 1703

Linee guida per la determinazione della morte cerebrale (in pazienti >1 anno d'eta')

TABELLA 1711

Diagnosi differenziale tra delirium e demenza*

TABELLA 1712

Cause metaboliche e tossiche del delirium

TABELLA 1713

Criteri diagnostici per il delirium

TABELLA 1714

Cause di demenza

TABELLA 1715

Criteri diagnostici per la demenza

TABELLA 1721

Cause di crisi comiziali

TABELLA 1722

Manifestazioni delle crisi comiziali parziali in base alla localizzazione del focolaio epilettogeno

TABELLA 1723

Farmaci somministrati per il trattamento dell'epilessia

TABELLA 1731

Modi per migliorare il sonno

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MSD Italia

TABELLA 1732

Ipnotici di uso comune

TABELLA 1741

Diagnosi differenziale per lo stroke

TABELLA 1742

Fattori di rischio per lo stroke

TABELLA 1743

Criteri di esclusione per la somministrazione dell'attivatore tissutale del plasminogeno nello stroke*

TABELLA 1751

Glasgow Coma Scale

TABELLA 1761

Terapia antibiotica delle meningiti batteriche acute

TABELLA 1762

Dosaggi antibiotici comuni per le meningiti batteriche

TABELLA 1763

Cause di meningite asettica

TABELLA 1771

Classificazione per sede dei tumori primitivi del snc

TABELLA 1772

Sintomi dei meningiomi a seconda della sede

TABELLA 1781

Disturbi della motilità oculare

TABELLA 1782

Nervi cranici

TABELLA 1791

Sindromi distoniche

TABELLA 1792

Farmaci somministratti nel morbo di parkinson

TABELLA 1793

Segni di malattia cerebellare

TABELLA 1794

Principali caratteristiche cliniche di alcune malattie spinocerebellari

TABELLA 1801

Diagnosi differenziale della sclerosi multipla

TABELLA 1821

Effetti del danno midollare a seconda del livello

TABELLA 1831

Classificazione delle patologie dell'unità motoria

TABELLA 1832

Sintomi delle radicolopatie più comuni a seconda del livello midollare

TABELLA 1833

Diagnosi di neurofibromatosi

TABELLA 1871

Sintomi dell’attacco di panico

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MSD Italia

TABELLA 1872

Benzodiazepine per l’ansia

TABELLA 1891

Cause comuni di depressione e mania sintomatiche

TABELLA 1892

Manifestazioni cliniche degli stati depressivi e maniacali

TABELLA 1893

Caratteristiche dell’ansia e della depressione

TABELLA 1894

Diagnosi differenziale tra pseudodemenza depressiva e demenza primaria (degenerativa)

TABELLA 1895

Diagnosi differenziale fra psicosi affettiva e psicosi schizofrenica

TABELLA 1896

Antidepressivi in commercio negli usa

TABELLA 1901

Fattori di alto rischio per il suicidio

TABELLA 1911

Meccanismi di difesa

TABELLA 1921

Alcune possibili cause mediche di disfunzioni sessuali

TABELLA 1931

Farmaci antipsicotici classici

TABELLA 1932

Farmaci antipsicotici depot

TABELLA 1933

Abnormal Involuntary Movement Scale

TABELLA 1934

Farmaci antipsicotici di nuova generazione

TABELLA 1941

Trattamento farmacologico dei pazienti psichiatrici agitati

TABELLA 1942

Trattamento degli effetti collaterali acuti degli antipsicotici

TABELLA 1951

Potenziale di dipendenza con le sostanze di uso

TABELLA 1952

Dipendenza fisica con alcuni sedativi ed ansiolitici di uso comune

TABELLA 1971

Caratteristiche del polso carotideo e patologie associate

TABELLA 1972

Sede dei fremiti rilevabili alla palpazione del torace e patologie associate

TABELLA 1973

Intensita' dei soffi cardiaci rilevati con l’auscultazione

TABELLA 1981

Agenti di perfusione miocardica a base di 99mtecnezio

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MSD Italia

TABELLA 1982

Usi clinici dell’ecocardiografia

TABELLA 1983

Complicanze associate al cateterismo venoso centrale

TABELLA 1984

Indicazioni alla cateterizzazione dell'arteria polmonare

TABELLA 1985

Normali valori pressori delle camere cardiache e dei grossi vasi

TABELLA 1986

Valori emogasanalitici normali

TABELLA 1987

Valori normali dell’indice cardiaco e dei parametri a esso correlati

TABELLA 1988

Equazioni della gittata cardiaca

TABELLA 1991

Prevalenza delle’ipertensione arteriosa in uomini e donne negli usa

TABELLA 1992

Classificazione della pressione arteriosa negli adulti*

TABELLA 1993

Terapia farmacologica iniziale dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 1994

Associazioni farmacologiche utilizzate nella terapia dell'ipertensione arteriosa

TABELLA 1995

Diuretici orali utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 1996

B-bloccanti utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 1997

Ca-antagonisti utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 1998

Ace-inibitori e antagonisti del recettore per l’angiotensina ii utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 1999

Inibitori adrenergici utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 19910

Farmaci utilizzati per via parenterale nelle emergenze ipertensive

TABELLA 19911

Vasodilatatori utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 2021

Classificazione dei grassi contenuti negli alimenti

TABELLA 2022

Raccomandazioni circa l'esercizio fisico dell'"American College of Sports Medicine"

TABELLA 2023

La mortalita’ nell’infarto miocardico acuto in relazione alla classe killip*

TABELLA 2024

Caratteristiche dei farmaci trombolitici disponibili per uso ev

file:///F|/sito/merck/tabelle/index.html (13 of 24)02/09/2004 2.01.52

MSD Italia

TABELLA 2031

Proprieta’ farmacocinetiche dei diuretici

TABELLA 2032

Eziologia e classificazione fisiopatologica delle cardiomiopatie

TABELLA 2033

Diagnosi e terapia delle cardiomiopatie

TABELLA 2041

Cause di perdita di liquidi nello shock ipovolemico

TABELLA 2042

Meccanismi che causano shock cardiogeno

TABELLA 2043

Catecolamine inotrope

TABELLA 2051

Classificazione di Vaughan Williams dei farmaci antiaritmici

TABELLA 2052

Codici internazionali per i pacemaker e i dispositivi impiantabili

TABELLA 2061

L’abc della rianimazione cardiorespiratoria

TABELLA 2062

Tecniche di rianimazione cardiorespiratoria

TABELLA 2071

Caratteristiche del soffio olosistolico da insufficienza mitralica

TABELLA 2081

Procedure che richiedono la profilassi antibiotica per l‘endocardite

TABELLA 2082

Profilassi per l‘endocardite raccomandata durante procedure a livello del cavo orale, dell'esofago e del tratto respiratorio

TABELLA 2083

Profilassi per l'endocardite raccomandata durante procedure a livello del tratto gastrointestinale e genitourinario

TABELLA 2101

Sintomi e segni dei mixomi cardiaci

TABELLA 2121

Trombosi venosa in relazione alla sede anatomica

TABELLA 2141

Cilindri urinari

TABELLA 2142

Elementi urinari figurati

TABELLA 2143

Criteri clinici e di laboratorio per la diagnosi dell’infezione delle vie urinarie

TABELLA 2144

Localizzazione delle infezioni del tratto urinario

TABELLA 2145

Test di funzionalita’ renale

TABELLA 2151

Farmaci che provocano incontinenza

file:///F|/sito/merck/tabelle/index.html (14 of 24)02/09/2004 2.01.52

MSD Italia

TABELLA 2152

Incontinenza stabilizzata causata da alterazioni del tratto inferiore della via urinaria

TABELLA 2153

Diario minzionale di una persona incontinente

TABELLA 2154

Cause di nicturia

TABELLA 2155

Farmaci per l’iperattivita’ del detrusore

TABELLA 2171

Cause di uropatia ostruttiva

TABELLA 2181

Scala di punteggio sintomatologico dell’iperplasia prostaica benigna dell’ american urological association

TABELLA 2201

Alcuni farmaci che possono causare disfunzione erettile

TABELLA 2221

Principali cause di insufficienza renale acuta

TABELLA 2222

Indici diagnostici nell’insufficienza renale acuta

TABELLA 2223

Principali cause di insufficienza renale cronica

TABELLA 2224

Classificazione dell’insufficienza renale acuta versus cronica

TABELLA 2231

Complicanze della terapia dialitica

TABELLA 2241

Livelli di complemento sierico nelle malattie glomerulari

TABELLA 2242

Malattie associate a sindrome nefritica acuta

TABELLA 2243.

Terapia delle glomerulopatie

TABELLA 2244

Classificazione sierologica della glomerulonefrite rapidamente progressiva

TABELLA 2245

Malattie associate con la sindrome polmonare-renale

TABELLA 2246

Malattie associate a sindrome ematurica-proteinurica asintomatica

TABELLA 2247

Malattie associate a sindrome nefrosica

TABELLA 2251

Cause di nefrite tubulointerstiziali acute

TABELLA 2252

Farmaci associati a nefrite tubulointerstiziale da ipersensibilita’

TABELLA 2261

Comuni agenti nefrotossici

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MSD Italia

TABELLA 2262

Agenti indirettamente nefrotossici

TABELLA 2263

Alcuni farmaci eliminati principalmente per via renale

TABELLA 2264

Domande da porre nella diagnosi della nefropatia tossica

TABELLA 2271

Patogeni della via urinaria

TABELLA 2301

Principali gruppi di nefropatie cistiche

TABELLA 2302

Varianti della malattia cistica midollare

TABELLA 2311

Antigeni associati a malattia renale immunologica

TABELLA 2312

Quadri delle malattie renali immunologicamente mediate

TABELLA 2331

Stadiazione del tumore prostaico

TABELLA 2351

Cause di amenorrea

TABELLA 2352

Cause di insufficienza ovarica prematura

TABELLA 2371

Tipi di dolore pelvico

TABELLA 2381

Tipi di vaginite

TABELLA 2382

Farmaci per la vaginite da candida

TABELLA 2383

Regimi terapeutici per la malattia infiammatoria della pelvi*

TABELLA 2391

Stadi dell’endometriosi

TABELLA 2392

Terapia farmacologica per l’endometriosi

TABELLA 2411

Stadiazione del carcinoma dell’endometrio*

TABELLA 2412

Stadiazione chirurgica del carcinoma dell’ovaio*

TABELLA 2413

Classificazione di bethesda della citologia cervicale

TABELLA 2414

Stadiazione clinica del carcinoma della cervice*

TABELLA 2415

Stadiazione del carcinoma vulvare*

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MSD Italia

TABELLA 2416

Sistema di stadiazione clinica del carcinoma vaginale*

TABELLA 2417

Stadiazione chirurgica e anatomopatologica del carcinoma delle tube di falloppio*

TABELLA 2418

Sistema di punteggio della malattia trofoblastica gestazionale secondo la WHO

TABELLA 2421

Rischio di tumore della mammella

TABELLA 2441

Esame della vittima presunta di violenza carnale

TABELLA 2461

Controindicazioni all’uso dei contraccettivi orali

TABELLA 2471

Rischio della nascita di un bambino con un’anomalia cromosomica

TABELLA 2472

Alcuni disordini mendeliani che possono essere diagnosticati in epoca prenatale*

TABELLA 2491

Categorie di farmaci sicuri in gravidanza secondo la fda

TABELLA 2501

Valutazione del rischio in gravidanza

TABELLA 2511

Trattamento del diabete mellito in gravidanza

TABELLA 2521

Terminologia dell‘aborto

TABELLA 2522

Livelli di bilirubina nel liquido amniotico

TABELLA 2561

Fattori neonatali di rischio elevato per ipoacusia

TABELLA 2562

Funzione uditiva normale nel bambino molto piccolo*

TABELLA 2563

Livelli di pressione arteriosa al 90° e 95° percentile di pa in soggetti di sesso maschile di eta' compresa tra 1 e 17 anni

TABELLA 2564

Livelli di pressione arteriosa al 90° e 95° percentile di pa in soggetti di sesso femminile di eta' compresa tra 1 e 17 anni

TABELLA 2565

Eta' di eruzione dei denti

TABELLA 2566

Tappe di sviluppo

TABELLA 2567

Calendario vaccinale per i bambini non vaccinati durante il primo anno di vita*

TABELLA 2568

Media dei fabbisogni di acqua nei bambini alle differenti eta' in condizioni normali

TABELLA 2569

Fabbisogni calorici alle diverse eta'*

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MSD Italia

TABELLA 2571

Elementi di coordinamento delle cure nel bambino con invalidita' cronica

TABELLA 2581

Effetto della maturita' fetale e dell’eta' sul dosaggo dei farmaci nei neonati

TABELLA 2591

Segni ed esami di laboratorio per valutare lo stato di idratazione

TABELLA 2592

Approccio alle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico

TABELLA 2593

Valutazione clinica dell’entita' della disidratazione

TABELLA 2594

Deficit abituali di elettroliti in corso di disidratazione

TABELLA 2595

Composizione approssimativa dei liquidi costituenti le perdite anomale esterne

TABELLA 2596

Rapporto fra consumo calorico e fabbisogno per il mantenimento

TABELLA 2597

Valori di riferimento per il metabolismo basale

TABELLA 2598

Perdite approssimative e proporzionate di liquidi ed elettroliti

TABELLA 2601

Alterazioni radiologiche nella sindrome del distress respiratorio

TABELLA 2602

Ambiente termoneutrale*

TABELLA 2603

Cause di iperbilirubinemia neonatale

TABELLA 2604

Cause esogene di ipoacusia congenita neurosensoriale

TABELLA 2605

Cause endogene di ipoacusie congenite e ad esordio precoce

TABELLA 2606

Dosaggio raccomandato per gli antibiotici usati nel neonato per via parenterale

TABELLA 2607

Dosi raccomandate nel neonato per alcuni antibiotici da somministrare per via orale

TABELLA 2608

Rapporto (in %) dei livelli nel lcr e dei livelli sierici*

TABELLA 2609

Classificazione diagnostica della sifilide congenita

TABELLA 2611

Eta’ d’insorgenza e cause comuni di scompenso cardiaco in eta' pediatrica

TABELLA 2612

Dosi pediatriche di digossina (orale o ev) rapportate all’eta' del paziente*

TABELLA 2613

Sindromi cranio-facciali comuni

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MSD Italia

TABELLA 2614

Esempi di sindromi geniche contigue

TABELLA 2615

Cause e caratteristiche dello pseudoermafroditismo maschile

TABELLA 2621

Alcune cause di ritardo di accrescimento organico

TABELLA 2622

Dati essenziali nell’anamnesi del ritardo di accrescimento organico

TABELLA 2623

Modello del fuori-gioco

TABELLA 2624

Sottotipi specifici di dislessia

TABELLA 2625

Livelli di sostegno per i ritardati mentali

TABELLA 2626

Cause genetiche e cromosomiche di ritardo mentale*

TABELLA 2627

Test per lo sviluppo specifico e psicologico per bambini con ritardo mentale

TABELLA 2628

Test per alcuni casi di ritardo mentale

TABELLA 2631

Misure di prevenzione dei traumi

TABELLA 2632

Scala del coma secondo Glasgow modificata per lattanti e bambini

TABELLA 2633

Sintomi dell’avvelenamento da paracetamolo

TABELLA 2634

Fonti comuni di piombo

TABELLA 2635

Classificazione dell’avvelenamento da piombo

TABELLA 2636

Domande di screening per valutare l’esposizione al piombo

TABELLA 2637

Scheda dei test diagnostici per un bambino con una PBE elevata durante la valutazione di screening

TABELLA 2638

Schedule di dosaggio dei chelanti

TABELLA 2639

Sintomi dell’avvelenamento da ferro

TABELLA 26310

Livelli ematici di ferro*

TABELLA 26311

Problemi che possono richiedere rianimazione del neonato

TABELLA 26312

Guida alla rianimazione pediatrica – misure dei presidi strumentali e meccanici

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MSD Italia

TABELLA 26313

Punteggio di Apgar

TABELLA 26314

Stadiazione clinica dell’encefalopatia postasfittica

TABELLA 26315

Guida alla rianimazione pediatrica – dosaggi dei farmaci

TABELLA 26316

Scala delle categorie delle capacita’ cerebrali in eta’ pediatrica

TABELLA 26317

Scala delle categorie delle capacita' globali in eta' pediatrica*

TABELLA 2651

Criteri di Rochester per basso rischio di infezioni batteriche gravi nell’infanzia

TABELLA 2652

Dosi dei farmaci antibiotici per le infezioni delle vie urinarie nel bambino

TABELLA 2653

Cause note di gastroenterite*

TABELLA 2654

Sintomi e trattamento della disidratazione

TABELLA 2655

Terapia antibiotica orale per le gastroenteriti acute*

TABELLA 2656

Segni associati alle infezioni orbitali e periorbitali

TABELLA 2657

Diagnosi differenziale tra epiglottite e croup

TABELLA 2658

Diagnosi differenziale dei piu'comuni esantemi

TABELLA 2659

Diagnosi differenziale dell’ingrandimento della parotide o di altre ghiandole salivari

TABELLA 26510

Classificazione degli enterovirus e dei rhinovirus umani

TABELLA 26511

Sindromi provocate da enterovirus

TABELLA 26512

Classificazione dell’ HIV pediatrico per bambini di eta’ < 13 anni

TABELLA 26513

Categorie cliniche per bambini di eta’ < 13 anni con infezione da HIV*

TABELLA 26514

Diagnosi di infezione da HIV in bambini < 13 anni

TABELLA 26515

Protocollo per ridurre la trasmissione perinatale dell’HIV mediante zidovudina*

TABELLA 26516

Raccomandazioni per la profilassi contro pneumocystis carinii nei lattanti e nei bambini esposti all’HIV

TABELLA 26517

Dosaggio e somministrazione di farmaci antiretrovirali nei bambini

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MSD Italia

TABELLA 26518

Stadiazione della sindrome di Reye

TABELLA 26519

Criteri per la diagnosi di sindrome di Kawasaki

TABELLA 2681

Cause organiche dei dolori addominali ricorrenti

TABELLA 2691

Cause di bassa statura

TABELLA 2692

Cause endocrine di bassa statura

TABELLA 2693

Alterazioni enzimatiche nell’iperplasia

TABELLA 2694

Caratteristiche delle glicogenosi

TABELLA 2695

Anomalie del metabolismo degli aminoacidi

TABELLA 2701

Profilassi per l’endocardite raccomandata durante procedure sul tratto oro-dentale, respiratorio ed esofageo nei bambini

TABELLA 2702

Profilassi dell’endocardite raccomandata durante procedure sull’apparato gastrointestinale o genitourinario nei bambini

TABELLA 2703

Tipi di sindrome di Ehlers-Danlos

TABELLA 2704

Mucopolisaccaridosi genetiche

TABELLA 2705

Tipi di nanismo osteocondrodisplasico

TABELLA 2706

Tipi di nanismo letale ad arti corti*

TABELLA 2751

Cause principali di maturazione sessuale ritardata

TABELLA 2781

Tassi annuali di irradiazione (dose-equivalente) negli USA

TABELLA 2791

Differenze fra il colpo di calore e il collasso da calore

TABELLA 2851

Confronto tra l’embolia gassosa e la malattia da decompressione

TABELLA 2871

Criteri diagnostici della sindrome da affaticamento cronico

TABELLA 2901

Benefici della sospensione del fumo sulla salute

TABELLA 2902

Farmaci utilizzati per la sospensione del fumo

TABELLA 2911

Valori normali dei range di movimento delle articolazioni*

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MSD Italia

TABELLA 2912

Gradi di forza muscolare

TABELLA 2913

Indicazioni per il trattamento con ultrasuoni in riabilitazione

TABELLA 2921

Terapia con ossigeno iperbarico per l'osteoradionecrosi a seconda dello stadio

TABELLA 2931

Modificazioni selezionate fisiologiche eta'-correlate della funzione e composizione corporea

TABELLA 2932

Disturbi frequenti negli anziani

TABELLA 2951

Interpretazione di un risultato al test della esterasi leucocitaria in una donna con un'alta probabilità a priori (77%) di una IVU

TABELLA 2952

Livelli di troponina i cardiaca nella cardiopatia ischemica acuta

TABELLA 2953

Interpretazione dei risultati della troponina i cardiaca utilizzando il teorema di Bayes

TABELLA 2954

Confronto per costo-efficacia tra le strategie di trattamento a e b

TABELLA 2955

Calcolo di un rapporto costo-efficacia marginale

TABELLA 2961

Effetti dell'invecchiamento sui valori di laboratorio

TABELLA 2962

Valori normali di laboratorio

TABELLA 2963

Range terapeutici dei farmaci

TABELLA 2964

Test di laboratorio comuni e loro associazioni con le malattie

TABELLA 2965

Modificazioni nelle urine e nel sangue degli elettroliti, del ph e del volume in diverse condizioni

TABELLA 2972

Equivalenze del sistema metrico-non metrico*

TABELLA 2971

Sistema metrico

TABELLA 2973

Equivalenze sistema metrico-non metrico di uso comune*

TABELLA 2974

Pesi atomici di alcuni elementi comuni

TABELLA 2975

Equivalenze centigradi-fahrenheit

TABELLA 2981

Entita’ del legame di alcuni farmaci nel plasma

TABELLA 2982

Esempi di farmaci che possiedono metaboliti di importanza terapeutica

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MSD Italia

TABELLA 2983

Esempi di sostanze che interagiscono con gli enzimi del citocromo p-450

TABELLA 2991

Formule di definizione dei parametri farmacocinetici fondamentali

TABELLA 3001

Alcuni tipi di proteine fisiologiche con funzioni recettoriali per i farmaci

TABELLA 3011

Farmaci che possono provocare interazioni farmacologiche gravi

TABELLA 3012

Esempi di interazioni farmacologiche

TABELLA 3013

Cause di mancanza di compliance

TABELLA 3031

Indicazioni al monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche dei farmaci

TABELLA 3032

Esempi di farmaci comunemente sottoposti a monitoraggio

TABELLA 3033

Esempi di farmaci occasionalmente sottoposti a monitoraggio

TABELLA 3034

Dati attinenti alla valutazione della concentrazione plasmatica dei farmaci

TABELLA 3035

Cause di riscontro di concentrazioni plasmatiche inattese allo stato stazionario

TABELLA 3041

Effetto dell'invecchiamento sul metabolismo* e l'eliminazione dei farmaci

TABELLA 3042

Effetto dell'invecchiamento sulla risposta ai farmaci

TABELLA 3043

Farmaci ad alto rischio nell'anziano

TABELLA 3044

Interazioni farmaco-malattia nell'anziano

TABELLA 3045

Interazioni farmaco-farmaco nell'anziano

TABELLA 3051

Steroidi anabolizzanti comunemente utilizzati dagli atleti

TABELLA 3061

Alcuni nomi commerciali di farmaci di uso comune

TABELLA 3071

Sostanze generalmente non tossiche in caso di ingestione*

TABELLA 3072

Linee guida per la terapia chelante*

TABELLA 3073

Sintomatologia e trattamento di avvelenamenti specifici

TABELLA 3081

Serpenti velenosi

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MSD Italia

TABELLA 3082

Gradazione dell'avvelenamento da crotalidi

TABELLA 3083

Ragni pericolosi presenti negli USA

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 1-2. VITAMINE, MINERALI E ACIDI GRASSI ESSENZIALI Sostanze nutritive

Fonti principali

Funzioni

Effetti della carenza e della tossicità

Abituale posologia terapeutica*

Vitamina A (retinolo)

Come vitamina preformata: olii di fegato di pesce, fegato, tuorlo d’uovo, burro, panna, margarina arricchita con vitamina A

Meccanismo fotorecettore della retina, integrità degli epiteli, stabilità dei lisosomi, sintesi delle glicoproteine

Carenza:

Carenza primaria:

Nictalopia, ipercheratosi perifolli colare, xeroftalmia, cheratoma lacia, aumentate morbilità e mortalità nel bambino piccolo

10000-20000µg/ die (3000060000UI/ die) di retinolo palmitato per alcuni giorni

Tossicità:

10000-25000µg/ die (60000150000UI/die)

Come carotenoidi provitaminici: verdure a foglia verde scuro, frutti gialli, olio di palma rossa

Cefalea, desquamazione della cute, epatosplenomegalia, ispessimento osseo

Malassorbimento:

Vitamina D (colecalciferolo, ergocalciferolo)

Irradiazione ultravioletta della cute (fonte principale); latte arr icchito (fonte alimentare princi pale); olii di fegato di pesce, burro, tuorlo d’uovo, fegato

Assorbimento di calcio e fos foro; riassorbimento, mineral izzazione e maturazione del tessuto osseo; riassorbimento tubulare del calcio

Carenza:

Gruppo vitamina E (atocoferolo e altri tocoferoli)

Olio vegetale, germe di grano, verdure a foglia, tuorlo d’uovo, margarina, legumi

Antiossidante intracellulare, depura le membrane biolog iche dai radicali liberi

Carenza:

Carenza primaria:

emolisi dei GR, danno neurologi co, creatinuria, depositi ceroidi nei muscoli

60-100mg/die per 2sett.

Tossicità:

100-1000mg/die

Carenza primaria:

Rachitismo (talvolta 50-200µg/die associato a tetania), (2000-8000 UI/die) osteomalacia di vitaminaD3 per 3sett. Tossicità: Carenza metabolica: Anoressia, insufficienza renale, 12µg/die di 1,25 calcificazioni (OH)2D3 o di 1ametastatiche OH-D3

Malassorbimento:

Interferenza con gli enzimi Gruppo vitamina K (fillochinone e menachinoni)

Verdure a foglia, carne di maiale, fegato, olii vegetali, flora intes tinale dopo il periodo neonatale

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Formazione della protrombina, degli altri fattori della coag ulazione e delle proteine ossee

Carenza:

Carenza primaria: 1mg/die per 1sett. Emorragia da deficit nei neonati; 10mg/ di protrombi na e di die per 1sett. negli adulti altri fattori, osteoporosi

Manuale Merck - Tabella

Acidi grassi essenziali (acidi linoleico, linolenico, arachidonico, eicosapentenoico e docosaesenoico)

Olii di semi vegetali (mais, gira sole, cartamo), margarine, olii di pesce marino

Precursori delle prostaglandine, dei leucotrieni, delle prostacicline, dei trombossani e degli acidi grasi idrossilati; strutture di membrana

Carenza:

Carenza primaria:

Arresto dell’accrescimento, dermatosi, perdita di liquidi, neuropatia periferica

15-20% delle calorie per 1mese (15g/ die nei bambini; 50g/die negli adulti)

Tiamina (vitaminaB1)

Lievito di birra, cereali integrali, carne (specialmente maiale, fegato), prodotti arricchiti con cereali, noci, legumi, patate

Metabolismo dei carboidrati, funzione delle cellule nervose centrali e periferiche, funzione del miocardio

Carenza:

Carenza primaria:

Beriberi infantile o dell’adulto (neuropatia periferica, insuffi cienza cardiaca, sindrome di WernickeKorsakoff), stati di dipendenza

5-25mg/die per 2sett.

Carenza primaria:

Riboflavina (vitaminaB2)

Niacina (acido nicotinico, niacinamide)

Latte, formaggio, fegato, carne, uova, prodotti arricchiti con ce reali

Molti aspetti del metabolismo energetico e proteico, integrità delle membrane mucose

Carenza:

Lievito di birra, fegato, carne, pesce, legumi, prodotti di grano integrale arricchiti con cereali

Reazioni di ossidazioneriduzi one, metabolismo dei carboid rati

Carenza:

Stati di dipendenza: 25-500mg/die

Cheilosi, stomatite 10-30mg/die per angolare, 2sett. vascolarizzazione della cornea, ambliopia, dermatosi seborroica Carenza primaria:

Pellagra (dermatosi, 300-500mg/die per glossite, disfunzione 4sett. GI e del SNC) Stati di dipendenza: 50-250mg/die

Gruppo vitamina B6 (piridossina, piridossale, piridossammina)

Lievito di birra, fegato, interiora, cereali integrali, pesce, legumi

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Molti aspetti del metabolismo azotato (p.es., transaminazio ni, sintesi delle porfirine e dell’eme, conversione del triptofano a niacina), metabolismo dell’acido linoleico

Carenza:

Carenza primaria:

Convulsioni nell’infanzia, ane mie, neuropatia, lesioni cutanee similseborroiche; stati di dipendenza

50-100mg/die per 4sett. negli adulti; 35mg/die nei lattanti Stati di dipendenza:

Tossicità: Neuropatia periferica

50-250mg/die negli adulti; 5-10mg/die nei lattanti

Manuale Merck - Tabella

Acido folico

Vitamina B12 (cobalamina)

Verdure fresche a foglia verde, frutta, interiora, fegato, lievito secco

Fegato, carne (specialmente bue, maiale, interiora), uova, latte e derivati del latte

Maturazione dei GR, sintesi delle purine, delle pirimidine e della metionina

Maturazione dei GR, funzione nervosa, sintesi del DNA correlata ai coenzimi folati, sintesi della metionina

Carenza:

Carenza primaria:

Pancitopenia, megaloblastosi (specialmente durante la gravi danza, l’infanzia, il malassorbi mento), stati di dipendenza

12mg/die per 4sett.

Carenza:

Carenza primaria o secondaria:

Anemia perniciosa, anemie megaloblastiche da botriocefalo lato e dei vegetariani, malattia multisistemica, stati di dipendenza (v. Cap.127)

Stati di dipendenza: 50-100mg/die

1mg 2/sett. IM per 6sett., seguito da 1mg/mese IM Stati di dipendenza: 1mg/die IM

Carbossilazione e decarbos silazione dell’acido ossaloace tico; metabolismo degli aminoacidi e degli acidi grassi

Carenza:

Carenza primaria:

Dermatite, glossite, acidosi metabolica, stati di dipendenza

150-300µg/die per 2sett.

Vitamina C Agrumi, pomodori, (acido ascorbico) patate, cavoli, peperoni verdi

Essenziale per il tessuto oste oide, la formazione di colla geno, la funzione vascolare, la respirazione tissutale e la guarigione delle ferite

Carenza:

Carenza primaria:

Scorbuto (emorragie, perdita dei denti, gengiviti, malattia delle ossa)

100-500mg/die per 2sett.

Sodio

Equilibrio acidobase, pressione osmotica, pH ematico, con trattilità muscolare, trasmis sione nervosa, pompe del sodio

Carenza:

Carenza:

Iponatremia, confusione, coma

NaCl per via orale ed EV (v. Disordii del Metabolismo dell’Acqua e del Sodio nel Cap.12)

Biotina

Fegato, rene, tuorlo d’uovo, lievi to, cavolfiori, noci, legumi

Ampia distribuzionecarne di bue, maiale, sardine, formaggio, olive verdi, pane di granturco, patate fritte, crauti

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Stati di dipendenza: 5-20mg/die

Tossicità: Ipernatriemia, confusione, coma

Manuale Merck - Tabella

Cloruro

Ampia distribuzioneprincipal mente prodotti animali ma an che alcuni vegetali; simile al sodio

Equilibrio acidobase, pressione osmotica, pH ematico, funzi one renale

Carenza:

Carenza:

NaCl per via orale Alcalosi ipocloremica, ed EV (v. Cap.12) alcalosi ipokaliemica; insufficiente crescita nei lattanti Tossicità: Aumento del volume extracellu lare, ipertensione

Potassio

Calcio

Ampia distribuzionelatte intero e scremato, banane, prugne, uva, carne

Latte e prodotti del latte, carne, pesce, uova, prodotti con cerea li, fagioli, frutta, vegetali

Attività muscolare, trasmissione nervosa, equilibrio acidobase intracellulare e ritenzione di acqua

Carenza:

Carenza:

Formazione delle ossa e dei den ti, coagulazione del sangue, irritabilità neuromuscolare, contrattilità muscolare, conduzione miocardica

Carenza:

Carenza (tetania):

Ipocalcemia e tetania, ipereccitabilità neuromuscolare

10-30ml di calcio gluconato 10% in 1l di soluzione glucosata al5% per 24h fino alla scomparsa dei sintomi

Ipokaliemia, paralisi, KCl per via orale disturbi cardiaci ed EV (v. Disordini del metabolismo del potassio nel Tossicità: Cap.12) Iperkaliemia, paralisi, disturbi cardiaci

Tossicità: Ipercalcemia, atonia GI, insuffi cienza renale, psicosi

Fosforo

Latte, formaggio, carne, pollame, pesce, cereali, noci, legumi

Formazione delle ossa e dei den ti, equilibrio acidobase, componenti degli acidi nuclei ci, produzione di energia

Carenza:

Carenza:

Ipofosfatemia, irritabilità, de bolezza, disordini ematologici, disfunzioni del tratto GI e renali

Monofosfato di potassio per via orale per fornire 1,0g di fosforo/die o, per via parenterale, per fornire 0,5g di fos foro/die

Tossicità: iperfosfatemia nell’insufficienza renale

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Manuale Merck - Tabella

Magnesio

Verdure a foglia verde, noci, cere ali, frutti di mare

Formazione delle ossa e dei den ti, conduzione nervosa, con trazione muscolare, attivazione enzimatica

Carenza:

Carenza:

Ipomagnesemia, irritabilità neuromuscolare

24ml di una soluzione di magnesio solfato al 50%/die IM per parecchi giorni (fino a quando il magnesio plasmatico ritorna normale)

Tossicità: Ipermagnesemia, ipotensione, insufficienza respiratoria, dis turbi cardiaci

Ferro

Ampia distribuzione (eccetto nei prodotti caseari)farina di soia, carne di bue, rene, fegato, fagi oli, molluschi, pesche Ferro-eme nella carne ben assorb ito (1030%); ferro noneme nei vegetali scarsamente assorbito (110%)

Iodio

Frutti di mare, sale iodato, uova, prodotti caseari, acqua da bere in quantità variabili

Formazione dell’emoglobina e della mioglobina, enzimi del sistema dei citocromi, pro teine con ferro e zolfo

Carenza:

Carenza:

Anemia, disfagia, coilonichia, enteropatia, ridotta capacità lavorativa e di apprendimento

Solfato o gluconato di ferro 300mg PO tid per 48sett.

Tossicità: Emocromatosi, cirrosi, diabete mellito, pigmentazione cutanea Formazione della tiroxina (T4) e della triiodotironina (T3), meccanismi di controllo energetico, differenziazione del feto

Carenza:

Carenza primaria:

Gozzo semplice (colloide, endem ico), cretinismo, sordomutismo, alterata crescita fetale e alterato sviluppo cerebrale

1,5mg di iodio/die come potassio io duro per parecchie sett.

Tossicità: Ipertiroidismo o mixedema Fluoro

Frutti di mare, Formazione delle vegetali, cereali, tè, ossa e dei den ti caffè, acqua fluorurata (fluoruro di sodio 1,02,0ppm)

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Carenza:

Carenza:

Predisposizione alle Fluoruro di sodio 1,12,2mg/die PO carie den tarie, per prevenire le osteoporosi carie dentali Tossicità: Non raccomandato Fluorosi, chiazzatura a dosi maggiori per e bucherel lamento il trattamento dell’osteoporosi dei denti permanenti, esostosi della colonna

Manuale Merck - Tabella

vertebrale Zinco

Carne, fegato, uova, ostriche, arachidi, cereali integrali; biodisponibilità variabile nelle fonti vegetali

Componente di enzimi; integrità cutanea, guarigione delle fer ite, crescita

Carenza:

Carenza:

Ritardo di crescita, ipogonadismo e ipogeusia.

Solfato di zinco 30150mg/die PO per 6mesi

La cirrosi e l’acrodermatite enter opatica causano un deficit di zinco (secondario) Rame

Interiora, ostriche, noci, legumi secchi, cereali integrali

Componente di enzimi, emopoi esi, formazione delle ossa

Carenza:

Carenza:

Anemia nei bambini malnutriti, sindrome di Menkes (malattia dei capelli nodosi)

Solfato di rame 1020mg/die PO

Tossicità: Degenerazione epatolenticolare, alcune cirrosi biliari Cromo

Selenio

Lievito di birra, fegato, carni lavorate, cereali integrali, spezie

Favorisce la tolleranza al glu coso

Carenza:

Ampia distribuzionecarni e altri prodotti animali; il contenuto nelle piante è influenzato dalla concentrazione nel suolo

Componente della glutatione perossidasi e della iodinasi dell’ ormone tiroideo

Carenza:

Carenza:

Cardiomiopatia di Keshan, de bolezza muscolare

Selenio sodico 100µg/die PO

Carenza:

Alterata tolleranza al Cloruro di cromo glucoso nei bambini 200µg/die PO per malnutriti, in certi dia 4sett. betici e in alcune persone an ziane

Tossicità: Perdita dei capelli e delle unghie, nausea, dermatite, polineurite

Manganese

Cereali integrali, vegetali a foglia verde, noci, tè

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Componente degli enzimi manganesespecifici: glicosiltransferasi, fosfoe nolpiruvato carbossichinasi, manganesesuperossido dismutasi

Carenza primaria:

Carenza:

Discutibile

Manganese solfato 10mg/die PO per diverse settimane o fino alla scom parsa dei sintomi

Carenza secondaria dovuta all’idralazina: Artralgia, neuralgia, epatosplenomegalia

Manuale Merck - Tabella

Molibdeno

Latte, fagioli, pane, cereali

Componente del coenzima per la solfito ossidasi, la xantina deidrogenasi e di un’aldeide ossidasi

Carenza:

Carenza:

Tachicardia, cefalea, nausea, disorientamento (sindrome da intossicazione di solfito)

Ammonio molibdato 300µg/ die (EV o PO) per 4sett.

*Le dosi necessarie per prevenire la carenza rappresentano l’apporto dietetico raccomandato o RDA (v. Tab.1-3). L’RDA deve essere assunto, come dose di mantenimento, alla fine del regime terapeutico raccomandato.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1-3. Apporti dietetici raccomandati,* rivisti nel 1989 Vitamine liposolubili

Minerali Vitamine idrosolubili

Altezza Proteine

Peso

Categoria

Lattanti

Bambini

Uomini

Donne

Età (aa) o condizione (kg) (lb) (cm) (in)

Vitamina Vitamina A D (µg RE) (µg) ‡ (g)

Vitamina Vitamina Vitamina E Niacina Vitamina Acido Vitamina B12 B6 K folico Calcio C Tiamina Riboflavina (mg (mg α(µg) (mg) (µg) (mg) Fosforo Magnesio Ferro Zinco Iodio Selenio TE) (µg) (mg) (mg) (mg) NE) (mg) (mg) (mg) (mg) (µg) (µg)

0,0-0,5

6

13

60

24

13

375

7,5

3

5

30

0,3

0,4

5

0,3

25

0,3

400

300

40

6

5

40

10

0,5-1,0

9

20

71

28

14

375

10

4

10

35

0,4

0,5

6

0,6

35

0,5

600

500

60

10

5

50

15

1-3

13

29

90

35

16

400

10

6

15

40

0,7

0,8

9

1,0

50

0,7

800

800

80

10

10

70

20

4-6

20

44

112 44

24

500

10

7

20

45

0,9

1,1

12

1,1

75

1,0

800

800

120

10

10

90

20

7-10

28

62

132 52

28

700

10

7

30

45

1,0

1,2

13

1,4

100

1,4

800

800

170

10

10

120

30

11-14

45

99

157 62

45

1000

10

10

45

50

1,3

1,5

17

1,7

150

2,0

1200

1200

270

12

15

150

40

15-18

66

145 176 69

59

1000

10

10

65

60

1,5

1,8

20

2,0

200

2,0

1200

1200

400

12

15

150

50

19-24

72

160 177 70

58

1000

10

10

70

60

1,5

1,7

19

2,0

200

2,0

1200

1200

350

10

15

150

70

25-50

79

174 176 70

63

1000

5

10

80

60

1,5

1,7

19

2,0

200

2,0

800

800

350

10

15

150

70

51 +

77

170 173 68

63

1000

5

10

80

60

1,2

1,4

15

2,0

200

2,0

800

800

350

10

15

150

70

11-14

46

101 157 62

46

800

10

8

45

50

1,1

1,3

15

1,4

150

2,0

1200

1200

280

15

12

150

45

15-18

55

120 163 64

44

800

10

8

55

60

1,1

1,3

15

1,5

180

2,0

1200

1200

300

15

12

150

50

19-24

58

128 164 65

46

800

10

8

60

60

1,1

1,3

15

1,6

180

2,0

1200

1200

280

15

12

150

55

25-50

63

138 163

64

50

800

5

8

65

60

1,1

1,3

15

1,6

180

2,0

800

800

280

15

12

150

55

51+

65

143 160

63

50

800

5

8

65

60

1,0

1,2

13

1,6

180

2,0

800

800

280

10

12

150

55

60

800

10

10

65

70

1,5

1,6

17

2,2

400

2,2

1200

1200

320

30

15

175

65

1° semestre

65

1300

10

12

65

95

1,6

1,8

20

2,1

280

2,6

1200

1200

355

15

19

200

75

2° semestre

62

1200

10

11

65

90

1.6

1,7

20

2,1

2,6

1200

1200

15

16

200

75

Gravidanza

Allattamento

file:///F|/sito/merck/tabelle/00103.html (1 of 2)02/09/2004 2.01.55

260

340

Manuale Merck - Tabella

* Gli apporti, espressi come assunzioni giornaliere medie nel tempo, sono calcolati tenendo conto delle variazioni individuali nella maggior parte delle persone in buona salute che vive negli USA, in usuali condizioni ambientali. La dieta deve essere basata su di una varietà di cibi comuni per fornire le altre sostanze nutritive per le quali sono stati defin iti in modo meno preciso i fabbisogni umani. † Il peso e l'altezza di riferimento degli adulti sono in realtà dei valori mediani della popolazione americana dell'età considerata, come riportato da NHANESII (National Health and Nutrition Examination Survey [1976 1980], National Center for Health Statistics). ‡ Come colecalciferolo (10µg colecalciferolo=400UI di vitaminaD). RE=equivalenti di retinolo (1 equivalente di retinolo=1µg di retinolo o 6µg di b-carotene); α- TE=equivalenti di α-tocoferolo (1mg di d-αtocoferolo=1 α-TE); NE=equivalenti di niacina (1equivalente di niacina=1mg di niacina o 60mg di triptofano nella dieta). Da Recommended Dietary Allowances, © 1989 della National Academy of Sciences, National Academy Press, Washington, DC. Nel 1998, il Food and Nutrition Board ha pubblicato i Dietary Reference Intakes, che includono gli RDA, per alcune sostanze nutritive essenziali. Le principali variazioni hanno riguardato l'RDA dell'acido folico che è raddoppiato in tutti i gruppi di età, della vitaminaD che è aumentato a 10µg per le personeq24,2 Porfiria acuta intermittente

Autosomica dominante

4

Uroporfirinogeno III cosintetasi

10q25,2->q26,3 Porfiria eritropoietica congenita

Autosomica recessiva

5

Uroporfirinogeno decarbossilasi

9q34

1p34

6

Coproporfirinogeno ossidasi

9

7

Protoporfirinogeno ossidasi

1q23

8

Ferrochelatasi

18q21,3 o 22

Porfiria da deficit di acido Autosomica recessiva delta-aminolevulinico deidratasi*

Porfiria cutanea tarda‡

Autosomica dominante

Porfiria epatoeritropoietica

Autosomica recessiva

Coproporfiria ereditaria

Autosomica dominante

Porfiria variegata

Autosomica dominante

Protoporfiria eritropoietica

Autosomica dominante

*Deficit secondari di questo enzima si verificano in seguito all'esposizione a determinate sostanze chimiche (piombo, stirene) e nella tirosinemia ereditaria (inibizione da parte del succinilacetone). †Questo enzima è noto anche come idrossimetilbilano sintetasi e precedentemente come uroporfirinogeno I sintetasi. ‡La porfiria cutanea tarda è dovuta principalmente a un deficit epatico di uroporfirinogeno decarbossilasi che sembra essere acquisito. Un deficit ereditario di questo enzima a livello epatico e di altri tessuti è parzialmente responsabile della forma familiare (tipo II) della porfiria cutanea tarda.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01401.html02/09/2004 2.02.06

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 14-2. CARATTERISTICHE PRINCIPALI DELLE TRE PORFIRIE PIÙ COMUNI Porfiria AIP

Sintomi di presentazione Neuroviscerali (acuta)

PCT Lesioni cutanee vescicolari (cronica)

Fattori esacerbanti

Principali test di screening

Terapia

Farmaci (soprattutto gli induttori del citocromo P-450); progesterone; restrizioni dietetiche

Porfobilinogeno Eme; urinario glucoso

Ferro; alcol; estrogeni; virus dell'epatiteC; idrocarburi alogenati

Porfirine Flebotomia; plasmat iche (o clorochina a basse urinarie) dosi

EPP Cute dolente e Nessuno tumefatta (per lo più acuta)

Porfirine plasmatiche (o eritrocitarie)

Beta carotene

AIP=porfiria acuta intermittente; PCT=porfiria cutanea tarda; EPP=protoporfiria eritropoietica.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01402.html02/09/2004 2.02.07

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 14-3. TEST DI SCREENING PER LE PORFIRIE Sintomatologia suggestiva di porfiria Sintomatologia neuroviscerale acuta

Tipo di test

Fotosensibilità

Primo livello

ALA e PBG nelle urine (quantitativo; su campione o sulle urine delle 24h)

Porfirine totali plasmatiche*

Secondo livello (quando i test di primo livello sono signifi cativamente alterati)

ALA, PBG e porfirine totali nelle urine† (quantitativo; sulle urine delle 24h)

Porfirine eritrocitarie

Porfirine totali nelle feci†

ALA, PBG e porfirine totali nelle urine† (quantitativo; sulle urine delle 24h)

PBG deaminasi eritrocitaria Porfirine totali nelle feci† Porfirine totali plasmatiche* *Il metodo preferito è quello della spettrofotometria in fluorescenza diretta. †Il dosaggio frazionato delle porfirine fecali e urinarie si esegue soltanto se sono aumentati i livelli totali. ALA=acido d-aminolevulinico; PBG=porfobilinogeno.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01403.html02/09/2004 2.02.07

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 14-4. ALCUNI DEI FARMACI PRINCIPALI CONSIDERATI POCO SICURI E SICURI NELLE PORFIRIE ACUTE* Poco sicuri

Sicuri

Barbiturici†

Acido valproico†

Analgesici narcotici

Antibiotici sulfonamidici†

Pirazoloni (aminopirina, antipirina)

Aspirina

Griseofulvina†

Paracetamolo

Alcaloidi della segale cornuta

Fenotiazine

Meprobamato† Carisoprodolo† Glutetimide† Metiprilone

Metoclopramide†

Penicillina e derivati

Etclorvinolo†

Rifampicina†

Streptomicina

Fenitoina†

Pirazinamide†

Glucocorticoidi

Mefenitoina

Diclofenac†

Bromuri

Progesterone e Succinimidi (etosuccimide, metsuccimide) progestinici di sintesi†

Insulina Atropina

Carbamazepina†

Danazol Cimetidina

Clonazepam

Alcol < Ranitidina,† §

Primidone†

Nifedipina e altri calcioantagonisti‡ Felbamato Dioni (trimetadione, parametadione)

file:///F|/sito/merck/tabelle/01404.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.07

? Estrogeni,† ||

Manuale Merck - Tabella

*Non vengono riportati i farmaci che in base alle informazioni disponibili non sono chiaramente classificabili come poco sicuri o sicuri. †La porfiria è compresa tra le controindicazioni, gli avvertimenti, le precauzioni o gli effetti collaterali presenti nei foglietti illustrativi di questi farmaci negli USA. ‡Esistono solide prove sperimentali e alcune evidenze cliniche che questi agenti possano essere dannosi. §Sebbene la porfiria sia compresa tra le precauzioni presenti nel foglietto illustrativo di questo farmaco negli USA, altre fonti lo considerano sicuro. ||Le prove a sostegno della pericolosità degli estrogeni da soli nelle porfirie acute sono modeste. Essi sono stati considerati pericolosi fondamentalmente sulla base dell'esperienza con i preparati estroprogestinici combinati e a causa del fatto che possono esacerbare la porfiria cutanea tarda. Modificata da Anderson KE: "The porphyrias," in Cecil Textbook of Medicine, edito da CJ Bennett and F Plum. Philadel phia, WB Saunders Company, 1996, pp. 11241131; riprodotta con l’autorizzazione.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01404.html (2 of 2)02/09/2004 2.02.07

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 15-1.CARATTERISTICHE DELLE IPERLIPOPROTEINEMIE PRIMITIVE Tipo

Altri nomi

Forma genetica

Specie principali di lipoproteine interessate

Livello plasmatico di colesterolo

Livello plasmatico di trigliceridi

Principali cause secondarie

Rischio di aterosclerosi

Terapia

Pancreatite, xantomi Dieta: basso contenuto di eruttivi, epatosplenomegalia, lipidi, no alcol lipemia retinica

I

Ipertrigliceridemia esogena Ipertrigliceridemia familiare Chilomicronemia familiare Iperlipidemia familiare indotta dal grasso Iperchilomicronemia

Autosomica Chilomicroni: Normale o recessiva; rara notevolmente lievemente aumentati aumentato HDL: diminuite

II

Quattro diverse condizioni genetiche:

Autosomica dominante; comune

LDL: Eccesso di colesterolo Notevolmente Normale notevolmente aumentato (nell'iperlipoproteinemia nella dieta; aumentate ipotiroidismo; nefrosi; di tipo IIa) Lievemente aumentato mieloma multiplo; (nell'iperlipoproteinemia porfiria; epatopatie ostruttive di tipo IIb) (a) Normale (b) Lievemente aumentato

Rischio molto alto, specie per l'aterosclerosi coronarica

Aterosclerosi accelerata, xantelasmi, xantomi tendinei e tuberosi, arco corneale giovanile

Dieta: basso contenuto di colesterolo Farmaci: sequestranti, niacina, statine Possibile chirurgia; aferesi delle LDL

Ereditarietà non chiara; non comune ma neanche rara

IDL: Notevolmente Notevolmente notevolmente aumentato aumentato aumentate

Rischio molto alto, specie nelle arterie periferiche e nelle coronarie

Aterosclerosi accelerata delle coronarie e delle arterie periferiche, xantomi piani, xantomi tuberoeruttivi e tendinei

Dieta: ritorno al peso ideale; mantenimento di bassi livelli di colesterolo, dieta bilanciata Farmaci: niacina, fibrati, ? statine

A.Ipercolesterolemia familiare Iperbetalipoproteinemia familiare Xantomatosi ipercolesterolemica familiare B.Iperlipidemia combinata familiare C.Deficit familiare dell'apolipoproteina B D.Ipercolesterolemia poligenica

III

Disbetalipoproteinemia familiare Malattia della banda beta allargata Floating betalipoproteinemia

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Molto notevolmente aumentato

Rischio non LES; disgammaglobulinemie; aumentato diabete mellito in sulinopenico

Presentazione clinica

Disgamma globuline mie; ipotiroidis mo

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IV

Due diverse condizioni genetiche:

V

Ipertrigliceridemia mista Ipertrigliceridemia combinata esogena ed endogenaIperlipemia mista

Comune, spesso sporadica A. sebbene Iperprebetalipoproteinemia familiare; familiare geneticamente Ipertrigliceridemia eterogenea endogena Iperprobetalipoproteinemia familiare Trigliceridemia indotta dai carboidrati B.Iperlipidemia combinata familiare

Non comune ma neanche rara; geneticamente eterogenea

VLDL: aumentate HDL: diminuite?

Normale o lievemente aumentato

VLDL: Normale o lievemente aumentate Chilomicroni: aumentato aumentati HDL: diminuite

Notevolmente aumentato

Eccessivo consumo di alcol; con traccettivi orali; diabete mellito; glicogenosi; gravidanza; glucocorticoidi; retinoidi; sequestranti degli acidi biliari; sindrome nefrosica; stress

Rischio possibile, specie per l'aterosclerosi coronarica (in particolare nell'iperlipidemia combinata familiare)

Possibile aterosclerosi accelerata, intolleranza al glucoso, iperuricemia

Dieta: riduzione di peso, basso contenuto di carboidrati, no alcol Farmaci: niacina, gemfibrozil

Molto note volmente aumentato

Alcolismo; di abete mellito insulinodipendente; nefrosi; disgammaglobulinemie

Rischio non chiaramente aumentato

Pancreatite,xantomi eruttivi, epatosplenomegalia, neuropatia sensitiva, lipemia retinica, iperuricemia, intolleranza al glucoso

Dieta: riduzione di peso, basso contenuto di grassi, no alcol Farmaci: niacina, gemfibrozil

HDL=lipoproteine ad alta densità; LES=lupus eritematoso sistemico; LDL=lipoproteine a bassa densità; IDL=lipoproteine a densità intermedia; VLDL=lipoproteine a bassissima densità.

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TABELLA. 15-2. FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

Categoria

Effetti collaterali

Indicazioni

Meccanismo

Effetto sul metabolismo delle lipoproteine

Farmaco

Dosaggio

Sequestranti degli acidi biliari (colestiramina e colestipolo)

Costipazione, Aumento dolore delle HDL addominale, nausea, gonfiore, interazioni farmacologiche, aumento dei trigliceridi

Legano gli acidi biliari nell'intestino, interrompendo il loro circolo enteroepatico

Aumentano la clearance delle LDL attraverso l'aumento dell'attività del loro recettore

Colestiramina 8-32 g/die Colestipolo

10-40 g/die

Inibitori della 3idrossi- 3metilglutaril coenzima A reduttasi (statine)

Epatite, miosite, rabdomiolisi, innalzamento degli enzimi epatici

Inibiscono competitivamente la fase precoce della biosintesi del colesterolo

Aumentano la clearance delle LDL attraverso l'aumento dell'attività del loro recettore

Atorvastatina

10-80 mg/die

Cervistatina

0,3 mg/die

Lovastatina e fluvastatina

20-80 mg/die

Aumento delle HDL

20-40 mg/die Pravastatina 5-80 mg/die Sinvastatina Niacina (acido nicotinico)

Epatite, gotta, iperglicemia, ulcerogenesi, acanthosis nigricans, ittiosi

Aumento delle LDL e delle VLDL, diminuzione delle HDL

Probabilmente inibisce la lipolisi negli adipociti e la produzione epatica di trigliceridi

Riduce la sintesi delle VLDL e la clearance delle HDL

Derivati dell'acido fibrico (clofibrato, gemfibrozil e fenofibrato)

Colelitiasi, epatite, aumento delle LDL, riduzione della libido, miosite, aritmie ventricolari, aumento dell'appetito, dolore addominale, nausea

Diminuzione delle HDL, aumento delle VLDL e delle LDL

Probabilmente aumentano l'attività della lipoprotein lipasi

Aumentano il catabolismo non splancnico delle VLDL e probabilmente aumentano la sintesi delle HDL

1-3 g tid

Gemfibrozil

600 mg bid

Clofibrato

1 g bid

Fenofibrato

LDL=lipoproteine a bassa densità; HDL=lipoproteine ad alta densità; VLDL=lipoproteine a bassissima densità.

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TABELLA 22–1. CAUSE COMUNI DI SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE Tratto GI superiore Ulcera duodenale

(20-30%)

Erosioni gastriche o duodenali

(20-30%)

Varici

(15-20%)

Ulcera gastrica

(10-20%)

Sindrome di MalloryWeiss

(510%)

Esofagite erosiva

(510%)

Angioma

(510%)

Malformazione arterovenosa

(75

>75

MVV (% predetto)

>80

>80

>80

60-80

80

>80



↓↓

FEV1 % FVC

>75

60-75

40-60

200

DLCO

N

N

N



↓↓

PaO2

N

↓E





↓↓

PaCO2

N

N

No↑

↑E

↑R

Dispnea (gravità)

0

+

++

+++

++++

N=normale; E=esercizio; R=riposo; ↓=ridotto; ↑=aumentato. Le altre abbreviazioni sono spiegate nella Tab.64-1.

file:///F|/sito/merck/tabelle/06403.html02/09/2004 2.02.19

Manuale Merck - Tabella

Tabella 64–4. CAUSE FISIOPATOLOGICHE DI IPOSSIEMIA Meccanismo

Esempi

A-aDO2

Riduzione della PIO2

Vita ad alta quota, aerei ad alta quota

Normale

Ipoventilazione

Sindrome da ipoventilazione dell’obeso, apnee nel sonno, affezioni neuromuscolari, intossicazione da farmaci

Normale

Alterato rapporto / (corretto con piccoli incrementi della FIO2)

COPD, asma, la maggior parte delle malattie interstiziali polmonari

Aumentato

Shunt destro-sinistro (ipossiemia resistente all’aumento della FIO2)

Edema polmonare, sindrome da distress respiratorio dell‘adulto, atelettasia, polmonite

Molto aumentato

Alterata diffusione

Embolia polmonare; patologie polmonari inter stiziali (probabilmente non significativa a livello del mare)

Aumentato

Le altre abbreviazioni sono spiegate nella Tab.64-1.

file:///F|/sito/merck/tabelle/06404.html02/09/2004 2.02.19

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Tabella 65-1. APPLICAZIONI DELLA BRONCOSCOPIA A FIBRE OTTICHE Diagnosi Diagnosi e stadiazione dei pazienti con segni di neoplasia polmonare Definizione delle cause di tosse, respiro sibilante o stridore ad eziologia ignota

Terapia Rimozione di secrezioni ristagnanti, di pus, di sangue e di corpi estranei dall‘albero tracheobronchiale mediante aspirazione, lavaggio o strumenti per l‘estrazione

Valutazione dell’emottisi ad eziologia ignota

Gestione delle macroatelettasie resistenti alla terapia fisica o farma cologica

Identificazione degli agenti patogeni causa di infezioni respiratorie

Terapia della proteinosi alveolare attraverso il lavaggio

Definizione delle cause di addensamenti polmonari, di febbre o di turbe degli scambi gassosi in pazienti immunocompromessi

Instillazione di farmaci in una specifica zona del polmone

Guida al posizionamento di un tubo nasoRaccolta di biopsie bronchiali transpolmonari e tracheale od orotracheale di campioni di liquido di lavaggio broncoalveolare per la diagnosi di patologie polmonari interstiziali specifiche, per la guida della terapia e per la valutazione della risposta alla terapia Raccolta di campioni di tessuto dai bronchi, dal parenchima polmonare e dai linfonodi mediastinici Valutazione del laringe e delle vie aeree dei pazienti dopo inalazione di fumi, ustioni delle vie respiratorie, aspirazione o trauma Valutazione di una sospetta fistola tracheoesofagea

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Tabella 65-2. SITUAZIONI CHE RICHIEDONO IL CONTROLLO DELLA PERVIETA’ DELLE VIE AEREE Emergenze Arresto cardiaco

Urgenze Insufficienza respiratoria

Arresto respiratorio o apnea (p.es., per malattie del Necessità di supporto ventilatorio (p.es., nella SNC, farmaci o ipossia) sindrome da distress respiratorio dell’adulto, nelle esacerbazioni della COPD o dell’asma, in malattie diffuse del parenchima polmonare, infettive o di Coma profondo, quando la lingua perdendo tono altra natura, in malattie neuromuscolari, nella chiude la glottide depressione dei centri respiratori) Edema laringeo acuto Laringospasmo

Estremo affaticamento dei muscoli respiratori con apnea imminente (p.es., nel respiro alternante o nel movimento paradosso del diaframma)

Corpo estraneo nel laringe (p.es., la sindrome detta Necessità di diminuire il lavoro respiratorio nei "cafè coronary" causata da cibo) pazienti in shock, con bassa gittata cardiaca o con sovraccarico miocardico che deve essere ridotto Annegamento Inalazione di fumo o di sostanze tossiche Ustioni delle vie respiratorie (termiche o chimiche)

Grave avvelenamento da monossido di carbonio Prima del lavaggio gastrico nei pazienti con intossicazione da farmaci assunti per os e stato di coscienza alterato

Aspirazione del contenuto gastrico Trauma delle vie aeree superiori Lesioni craniche o del midollo spinale più craniale

file:///F|/sito/merck/tabelle/06502.html02/09/2004 2.02.19

Altissimo consumo di O2 (p.es. nelle peritoniti, nei casi di limitata riserva respiratoria) Prima della broncoscopia nei pazienti con funzionalità respiratoria ridotta

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Tabella 67-1. INSUFFICIENZA SISTEMICA MULTIORGANICA NELLA SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO DELL’ADULTO Apparato Insufficienza cardiovascolare

Segni Ipotensione che non risponde all’infusione di liquidi EV Bradicardia grave Tachicardia ventricolare o fibrillazione ventricolare Acidosi metabolica (lattica) con pH 3mg/dl AST ed ALT sierici >500UI/l

Insufficienza gastro-intestinale Emorragia che richiede trasfusioni Ileo per >24h Scompenso ematologico

Presenza di coagulazione intravascolare disseminata GB ≤1000cell/µl Piastrine ≤25000cell/µl Ematocrito ≤20%

Scompenso neurologico

Grado del coma ≤6 della scala di Glasgow (senza sedazione)

Scompenso nutrizionale

Albuminemia 6080% predetto

Uso quotidiano di β2-agonisti a breve durata d’azione Variabilità del PEF >30% Esacerbazioni che limitano l’attività Esacerbazioni ≥2 volte alla settimana; possono durare dei giorni Sintomi notturni >1 volta alla settimana Grave persistente

Sintomi continui

FEV1 o PEF ≤60% predetto

Limitazione dell’attività fisica Frequenti esacerbazioni

Variabilità del PEF>30%

Frequenti sintomi notturni PEF=picco di flusso respiratorio; FEV1 =volume espiratorio forzato in 1s. Modificata dal National Asthma Education Program, Expert Panel ReportII, National Heart, Lung & Blood Institute, 1997.

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Tabella 68-4. LIVELLI DEL TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE DELL’ASMA Livello * 1

Gravità

Farmaci che controllano i meccanismi di base

Lieve Non è necessario alcun intermittente farmaco

Farmaci che alleviano la sintomatologia Un broncodilatatore (β2agonista inalatorio), a breve durata d’azione, al bisogno ma meno di 1 volta alla settimana La gravità della riacutizzazione determina l‘aggressività del trattamento Utilizzo di un β2-agonista a breve durata d‘azione, del cromoglicato o del nedocromile prima dell’esercizio o dell’esposizione agli allergeni

2

Lieve per sistente

Farmaci di uso quotidiano: Corticosteroidi inalatori† 200-500µg, cromoglicato†, nedocromile† o una teofillina a lento rilascio Se necessario, il dosaggio dei corticosteroidi inalatori può essere aumentato (p.es. da 500µg a 800mg), o può essere associato un broncodilatatore a lunga durata d’azione (un β2agonista ad azione ritardata inalatorio o per os o una teofillina a lento rilascio), soprattutto in presenza di sintomi notturni

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Un broncodilatatore a breve durata d’azione (β -agonisti 2

inalatori) al bisogno ma non più di 3-4volte al giorno

Manuale Merck - Tabella

3

Moderato Farmaci di uso quotidiano: per sistente Corticosteroidi inalatori† 800-2000µg

Come per la forma lieve persistente

Un broncodilatatore a lunga durata d’azione (un β2-agonista ad azione ritardata inalatorio o per os o una teofillina a lento rilascio), soprattutto in presenza di sintomi notturni 4

Grave per sistente

Farmaci di uso quotidiano: Corticosteroidi inalatori† 800-2000µg o più

Un broncodilatatore (β2agonista inala torio) a breve durata d’azione al bisogno

Un broncodilatatore a lunga durata d’azione (un β2-agonista ad azione ritardata inalatorio e/o uno per os e/o una teofillina a lento rilascio) Corticosteroidi orali a lungo termine *La scelta del trattamento dipende dal livello di gravità dell’asma. Salita di livello: se l’asma non è controllato, il trattamento può essere incrementato al livello superiore dopo aver riesaminato la tecnica di assunzione dei farmaci, la compliance e l’evitamento degli allergeni e degli altri fattori scatenanti da parte del paziente. Discesa di livello: il trattamento deve essere rivisto ogni 36 mesi. Se si è mantenuto un buon controllo per ≥3 mesi, il trattamento può essere gradualmente ridotto di livello. Un trattamento di emergenza con prednisone o prednisolone può rendersi necessario in ogni momento. †Trattamenti di prima scelta.

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Tabella 68-5. DOSAGGI DI ALCUNI β2-AGONISTI NELLE RIACUTIZZAZIONI DELL’ASMA Farmaco

Dosaggio per gli adulti

Dosaggio per i bambini

Commenti

β2agonisti inalatori a breve durata d’azione Salbutamolo Soluzione 2,5-5 mg q 20 min nebulizzata per 3 dosi, poi 2,510 mg q 1-4h al (5mg/ ml) bisogno, o 10-15 mg/h in somministrazione continua

0,15 mg/kg (dose minima 2,5 mg) q 20 min per 3 dosi, poi 0,15-0,3 mg/kg, fino a 10 mg, q 1-4h al bisogno, o 0,5 mg/ kg/h in somministrazione continua (massimo dosaggio 15 mg/ h)

Sono raccomandati solamente i β2-agonisti selettivi; per una somministrazione ottimale diluire fino a un minimo di 4ml ad un flusso di 6-8l/ min

Spray predosato (90µg/ puff)

4-8 puff q 20 min per 3 dosi, poi q 1-4h al bisogno

Efficace quanto la terapia nebulizzata se il paziente sa coordinare la manovra inspiratoria; utilizzare dei distanziatori/ spaziatori

4-8 puff q 20 min fino a 4h, poi q 14h al bisogno

β2-agonisti sistemici (per via iniettiva) Adrenalina 1:1000 0,3-0,5 mg q 20 (1mg/ml) min per 3 dosi SC

0,01mg/kg fino a 0,3-0,5mg Nessun vantaggio provato della terapia q 20 min per 3 dosi SC sistemica rispetto a quella areosolica

Terbutalina (1mg/ 0,25 mg q 20 min ml) per 3 dosi SC

0,01mg/kg q 20 min per 3 dosi, poi q 2-6h al bisogno SC

Nessun vantaggio provato della terapia sistemica rispetto a quella areosolica

Modificata dal National Asthma Education and Prevention Program, Expert Panel Report II, National Heart, Lung & Blood Institute, 1997.

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Tabella 68-6. DIFFERENZE ANATOMO-PATOLOGICHE TRA ASMA E BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA Reperto

Asma

COPD

Eosinofili

Aumentati

Normali

Neutrofili

Normali

Aumentati

Rapporto tra linfociti CD4 e CD8

4:1

1:4

Espressione dei geni IL4 ed IL5

Aumentata

Non aumentata

IL=interleuchina.

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Manuale Merck - Tabella

Tabelle 68-7. ESPRESSIONE DEI FENOTIPI NEL DEFICIT DI α1- ANTITRIPSINA Livello ematico di α1-antitripsina

Fenotipo

Rischio di enfisema

PI*ZZ

2,5-7mmol (me dia, 16% del normale)

Fortemente au mentato soprat tutto nei fumatori

PI*MZ

12-35mmol (me dia, 57% del normale)

Non aumentato

PI*SZ

8-19mmol (me dia, 37% del normale)

Lievemente aumentato

PI*SS

15-33mmol (me dia, 52% del normale)

Non aumentato

PI*nullnull

0

Fortemente aumentato

PI*Z-null

25% del FEV1; i cicli di antibiotici vanno iniziati autonomamente dai pazienti durante le esacerbazioni

Ossigeno-terapia a lungo termine

Non necessaria

Necessaria raramente

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Di solito necessaria

Manuale Merck - Tabella

Programma di riabilitazione

Non necessario

Sono di solito sufficienti l’educazione e la prescrizione di regolare esercizio e gli altri elementi di riabilitazione suggeriti dal medico

Si rende necessario un programma riabilitativo multispecialistico, con fisioterapia respiratoria per aiutare a mobilizzare le secrezioni

Grado di competenza medica

Medico generalista Valutazione da Generalmente uno parte di uno specialista pneumologo specialista pneumologo, poi seguito dal medico generalista con visite al bisogno

Circostanze che richiedono la consultazione di uno specialista pneumologo

Emottisi, pneumotorace spontaneo, polmonite grave o insufficienza respiratoria acuta

*I criteri sono quelli dell’American Thoracic Society. †N.d.t.=è necessaria alla prima valutazione per differenziare la COPD dall’asma. Modificata da Snider GL: "Chronic obstructive pulmonary diseases", in Stein Jh, editor: Internal Medicine, ed. 5, St. Louis, 1998, MosbyYear Book, Inc.; per gentile concessione.

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TABELLA 68-9. INDICAZIONI PER L’OSSIGENO-TERAPIA A LUNGO TERMINE Assolute Nei pazienti sottoposti per almeno 30giorni* a un trattamento farmacologico ottimale con PaO2 ≤55 mm Hg o SaO2≤88%† Nei pazienti affetti da cuore polmonare o da policitemia (ematocrito>55%) con PaO2=55-59 mm Hg o SaO2≤89%† Opzionali Nei pazienti con PaO2 ≤55 mm Hg o SaO2≤88%† durante esercizio fisico o nel sonno respirando aria ma con valori diurni pari a PaO2≥60 mm Hg o SaO2≥90% *I pazienti affetti da una patologia respiratoria acuta in via di risoluzione che soddisfano i criteri sopra elencati devono ricevere l’ossigeno-terapia ed essere rivalutati respirando aria dopo 30giorni. †Livelli arteriosi di O2 misurati a riposo respirando aria. PaO2=pressione parziale arteriosa di ossigeno; SaO2= saturazione arteriosa in O 2. Modificata da Snider GL: "Chronic obstructive pulmonary disease", in Stein JH, editor: Internal Medicine, ed. 5, St. Louis, 1998, Mosby-Year Book, Inc.; per gentile conces sione.

file:///F|/sito/merck/tabelle/06809.html02/09/2004 2.02.22

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 72-1. FATTORI DI RISCHIO PER LA TROMBOEMBOLIA VENOSA Età avanzata Immobilità prolungata Paralisi Neoplasie maligne Precedenti tromboembolie venose Obesità Fibrillazione atriale Scompenso cardiaco Infarto del miocardio Ictus Fratture del bacino, dell’anca o della gamba Chirurgia maggiore Condizioni di ipercoagulabilità, come i deficit di antitrombinaIII, di proteina C o di proteina S; attivazione anomala del plasminogeno; presenza di anticorpi anti-cardiolipina e di anticoagulante lupico; policitemia vera; sindromi da iperviscosità; anomalie del fattore V della coagulazione (mutazione di Leiden); iperomocisteinemia

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 72-2. RISCHIO DI EMBOLIA POLMONARE NEI PAZIENTI CHIRURGICI Rischio

Situazione chirurgica

Misure di prevenzione

Basso

Chirurgia minore senza complicanze in pazienti con40anni senza altri fattori di rischio

Calze elastiche; LDUH (q 12h) o IPC

Alto

Chirurgia maggiore in pazienti con>40anni con altri fattori clinici di rischio o infarto del miocar dio

LDUH (q 8h), LMWH o IPC e calze elastiche

Altissimo

Chirurgia maggiore in pazienti con>40anni con precedenti episodi trombo-embolici o malattie ne oplastiche

IPC in aggiunta a LDUH (q 8h), o a LMWH o a dosi individualizzate di warfarin

LDUH=basse dosi di eparina non frazionata; IPC=compressione pneumatica intermittente; LMWH=eparina a basso peso molecolare.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 72-3. REGOLAZIONE DELLA SOMMINISTRAZIONE ENDOVENOSA DELL’EPARINA

APT T (s)

Cambiamento della velocità di infusione (ml/h)*

Altri interventi†

≤45

+6

46-54

+3

55-85

0

86-110

-3

Eparina sospesa per 1h

>110

-6

Eparina sospesa per 1h

*Concentrazione di eparina=40U/ml, di solito pari a 20000U/500ml. †In generale, l’APTT deve essere controllato 4-6h dopo la correzione. APTT=tempo parziale di tromboplastina attivata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 73–1. DIAGNOSI DEI MICRORGANISMI PATOGENI NEL PAZIENTE DEFEDATO

Malattia del paziente

Esempio della malattia o della terapia associata con l‘alterazione

Probabili microrganismi patogeni

Alterazioni dei polimorfonucleati neutrofili Neutropenia

Leucemia acuta, anemia aplastica, chemioterapia antitumorale

Batteri gram-, Staphylococcus aureus, As pergillus sp, Candida sp

Alterata chemiotassi

Diabete mellito

S. aureus, aerobi gram-

Alterati meccanismi di distruzione intracellulare

Malattia granulomatosa cronica

S. aureus

Deficit della via alternativa

Malattia a cellule falciformi

S. pneumoniae, H. influenzae

Deficit di C5

Malattia congenita

S. pneumoniae, S. aureus, batteri gram-

Alterazione dell‘immunità cellulo-mediata (deficit/ disfunzione delle celluleT)

Morbo di Hodgkin, chemioterapia antitumorale, terapia con corticosteroidi

Micobatteri; virus (herpes simplex, citomeg alovirus), Strongyloides sp, miceti opportunisti (Aspergillus, , Mucor, Cryptococcus sp), Nocardia sp, Toxoplasma sp

AIDS

Pneumocystis carinii, Toxoplasma sp, citomegalovirus, herpes simplex, miceti opportunisti (Aspergillus, Mucor, Cryptococcus sp), micobatteri

Deficit dell‘immunità Mieloma multiplo, umorale (deficit/disfunzione agammaglobulinemia delle celluleB)

S. pneumoniae, H. influenzae, Neisseria meningitidis

Deficit selettivi: IgA, IgG, IgM S. pneumoniae, H. influenzae Ipogammaglobulinemia

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P. carinii, citomegalovirus, S. pneumoniae, H. influenzae

Manuale Merck - Tabella

Tabella 75-1. FATTORI CHE INFLUENZANO LA TOSSICITÀ DEGLI AGENTI INALATI Proprietà fisiche Stato fisico (particelle, nebbia, vapore o gas); solubilità, dimensione, forma, densità, penetrabilità, concentrazione, radioattività Proprietà chimiche

Acidità, alcalinità, fibrogenicità, antigenicità

Sensibilità individuale

Integrità delle difese corporee, stato immunologico (p.es., atopia, istotipo HLA, geometria delle vie aeree)

Modificata da Occupational Lung Diseases, ed. 3, by WKC Morgan and A. Seaton. Philadelphia, WB Saunders Company, 1995; per gentile concessione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 75-2. EFFETTO DELLA SEDE DI DEPOSIZIONE SULLA RISPOSTA RESPIRATORIA Sede Naso

Trachea e bronchi

Risposta respiratoria

Meccanismo o agente

Riniti, febbre da fieno

Reazione antigene-anticorpo

Perforazione del setto

TBC, uso di cocaina

Cancro del naso

Segatura di diversi legni, cromo

Broncocostrizione

Reazione antigene-anticorpo Induzione farmacologica Irritazione come meccanismo riflesso

Parenchima pol monare

Bronchiti

Polveri inerti

Cancro del polmone

Polveri e gas radioattivi

Polmoniti da ipersensibilità

Polveri organiche

Pneumoconiosi

Polveri minerali

Danno polmonare acuto, edema polmonare, bronchioliti

Alcuni gas e vapori irritanti (p. es. Hg, cadmio, biossido di azoto)

Modificata da Occupational Lung Diseases, ed. 3, by WKC Morgan and A. Seaton. Philadelphia, WB Saunders Company, 1995; per gentile concessione.

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Tabella 76-1. REAZIONI DA IPERSENSIBILITÀ Tipo

Descrizione

Meccanismo

Esempio

I

Atopica o anafilattica

Causata dal rilascio di mediatori (p.es., istamina, leucotrieni) da basofili e mastcellule sensibilizzati dalle IgE dopo il contatto con l’antigene

Asma allergico (estrinseco)

II

Citotossica

Coinvolge anticorpi fissanti il complemento con conseg uente lisi cellulare o meccanismi di citotossicità mediata da anticorpi

Sindrome di Goodpasture

III

Mediata da immunocomplessi

Associata a complessi antigene-anticorpo solubili, Lupus componenti attivati del complemento, chemiotassi dei eritematoso leucociti polimorfonucleati, con conseguente vasculite sistemico

IV

Cellulo-mediata o ritardata

Causata dal rilascio di linfochine (che coinvolgono altre cellule causando danno tissutale) da parte di linfociti T sensibilizzati (CD4+Th1) dopo contatto con l’antigene; anche la lesione diretta di cellule bersaglio da parte di linfociti T citotossici (CD8+) può causare danni ai tessuti dell’ospite

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Ipersensibilità alla tubercolina Granulomatosi polmonari

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Tabella 76-2. ESEMPI DI POLMONITI DA IPERSENSIBILITÀ Malattia

Antigene

Fonte delle particelle

Polmone del contadino

Micropolyspora faeni o Thermoactinomyces vulgaris

Fieno ammuffito

Polmone degli allevatori di uccelli, polmone degli allevatori di piccioni, polmone degli addetti ai pollai

Proteine del siero ed escrementi degli uccelli

Pappagalli, piccioni, galline

Polmone da condizionatore M. faeni, T. vulgaris, ecc. (o da umidificatori) d’aria

Condizionatori e umidificatori d’aria

Bagassosi

T. vulgaris o M. faeni

Bagasse (fibra secca della canna da zucchero)

Polmone dei coltivatori di funghi

M. faeni o T. vulgaris

Concime per funghi

Suberosi (polmone dei lavoratori del sughero)

Polvere di sughero ammuffito

Sughero ammuffito

Malattia da corteccia d’acero

Cryptostroma corticale

Corteccia d’acero infetta

Polmone dei lavoratori del malto

Aspergillus fumigatus o A. clavatus

Orzo malto ammuffiti

Sequoiosi

Pullularia pullulans o Graphium sp

Segatura di sequoia ammuffita

Polmone dei lavoratori del formaggio

Penicillium sp

Formaggio ammuffito

Malattia dei mugnai

Sitophilus granarius

Farina di grano infestato

Polmone delle persone che Proteine sieriche bovine o utilizzano estratti ipofisari suine e antigeni ipofisari per insufflazione

Estratti ipofisari eterologhi in polvere

Polmone dei lavoratori del caffè

Polvere dei chicchi di caffè

Chicchi di caffè

Polmone dei lavoratori dei tetti di paglia

Sconosciuto

Paglia, canne, ecc., utilizzate come materiale di copertura

Polmone dei lavoratori chimici

Isocianati (TDI, MDI), anidride ftalica, cloruro di vinile, ecc.

Lavorazioni in poliuretano (schiuma, modellatura, isolanti, gomma sintetica, involucri ed etichette, ecc.)

TDI=toluene diisocianato; MDI=difenilmetano diisocianato.

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Tabella 76-3. CARATTERISTICHE DELLE POLMONITI EOSINOFILE

Malattia

Eziologia

Associazione con asma bronchiale

Grado di eosinofilia periferica

Interessament o sistemico

Prognosi

Polmonite eosinofila acuta

Sconosciuta

Assente

Normale o elevato

Assente

Buona

Aspergillosi broncopolmonare allergica

Aspergillus fumigatus (occasionalmente altre specie)

Quasi costante

Elevato

Assente

Discreta

Granulomatosi Sconosciuta allergica (sindrome di Churg- Strauss) ?Farmaci

Costante

Elevato

Comune

Da discreta ad infausta

Polmonite eosinofila cronica

Usuale

Elevato (può Raro essere minimo o normale)

Buona

Sconosciuta Farmaci Parassiti

Sindrome eosinofilia-mialgia

Ingestione di l- triptofano Assente contaminato

Elevato

Usuale

Buona

Sindrome ipereosinofila

Sconosciuta

Assente

Elevato

Costante

Discreta

Rara

Moderato

Raro

Eccellente

Occasionale

Elevato

Occasionale

Buona

Polmonite Sconosciuta eosinofila semplice (sindrome di Farmaci Löffler) Parassiti Eosinofilia tropicale Parassiti

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Tabella 76–4. CRITERI DIAGNOSTICI PER L’ASPERGILLOSI BRONCOPOLMONARE* Principali Asma bronchiale Infiltrati polmonari transitori o stabili Eosinofilia nel sangue e nell’escreato Reazione eritematopomfoide al test cutaneo con antigene di Aspergillus Precipitine sieriche contro l’antigene di Aspergil lus IgE sieriche elevate Bronchiettasie prossimali

Minori Aspergillus fumigatus nell’escreato Dato anamnestico di escreato con stampi o zaffi brunastri Reattività cutanea a insorgenza ritardata all’anti gene di Aspergillus

*Le micosi broncopolmonari allergiche possono anche essere causate da altri agenti fungini, p. es., Penicillium, Candida, Curvularia o Helminthosporium sp.

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Tabella 81-1. SINDROMI PARANEOPLASTICHE (NEOPLASIE POLMONARI) Sistema interessato

Sindromi

Scheletro/ articolazioni

Osteoartropatia

Endocrino

Ipercalcemia Ipofosfatemia Sindrome di Cushing (da secrezione di ACTH) Sindrome da somatostatinoma (vomito, dolore addominale, diarrea, diabete lieve, litiasi biliare) Sindrome da secrezione inappropriata di ormone antidiuretico (SIADH)

Neuromuscolare

Sindrome di Eaton-Lambert Polimiosite Degenerazione cerebellare subacuta Degenerazione spinocerebellare Neuropatia periferica

Cardiovascolare/ ematologico

Endocardite non batterica (marantica) Tromboflebite migrante (sindrome di Trousseau) Coagulazione intravasale disseminata

ACTH=ormone adrenocorticotropo.

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TABELLA 82-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA IPOACUSIE COCLEARI E RETROCOCLEARI Test

Ipoacusia cocleare

Ipoacusia retrococleare

Discriminazione verbale

Decremento moderato

Decremento marcato

Discriminazione con l'incremento di intensità

Migliora

Peggiora

Recruitment

Presente

Assente

Reflex Decay Test

Assente o lieve

Presente

Tone Decay

Assente o lieve

Marcato

Potenziali evocati uditivi

Morfologia normale, con normali latenze

Assenti o con latenze prolungate in maniera patologica

Otoemissioni acustiche

Assenti

Presenti

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TABELLA 82-2. CAUSE AURICOLARI DI OTALGIA Localizzazione Orecchio esterno

Condizione Miringite bollosa Cerume, occludente Otite esterna diffusa Corpi estranei Foruncoli Herpes zoster oticus Cheratosi occlusiva (colesteatoma del condotto uditivo esterno) Otite esterna maligna Neoplasia Otomicosi Pericondrite Trauma

Orecchio medio o Otite media acuta da barotrauma processo mastoideo Ostruzione acuta della tuba di Eustachio Mastoidite acuta Otite media acuta Otite media cronica Complicanze dell'otite media e della mastoidite Neoplasia

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Manuale Merck - Tabella

Otalgia post-chirurgica Trauma

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TABELLA 82-3. CAUSE EXTRAAURICOLARI DI OTALGIA Nervo cranico interessato V nervo

Localizzazione Rinofaringe

Condizione Adenoidectomia Infezione Neoplasia

Sistema nervoso

Neuralgia sfenopalatina Neuralgia trigeminale

Naso e seni paranasali

Infezioni Neoplasia

Ghiandole salivari

Calcoli Infezione

Denti e articolazione Eruzione di un molare Malocclusione Artrite temporo- mandibolare VII nervo

Sistema nervoso

Neuralgia del ganglio genicolato

IX e X nervo

Base cranio

Processo stiloideo allungato

Base cranio

Neuralgia del glosso-faringeo Neuralgia timpanica

Esofago

Corpo estraneo Reflusso gastro-esofageo Ernia iatale Neoplasia

Laringe

Infiammazione Neoplasia

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Manuale Merck - Tabella

Faringe

Tonsillite acuta Neoplasia Ascesso parafaringeo o retrofaringeo Ascesso peritonsillare Tonsillectomia

Lingua

Infiammazione Neoplasia

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Tabella 95-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE COMUNI MALATTIE ACUTE DELL’"OCCHIO ROSSO" Segni Dolore

Congiuntivite acuta Urente, ma non grave

Irite acuta

Glaucoma acuto

Abbastanza Molto grave, grave, fotofobia associato con nausea e vomito

Episclerite/ Sclerite Episcleriteirritazione Sclerite-forte dolore

Moderatamente Notevolmente ri dotta ridotta

Generalmente nor male

Tono oculare Normale

Generalmente nor male o ridotto

Aumentato

Normale

Lacrimazione Secrezione mucosa o o secrezione mucopurulenta

Lacrimazione

Lacrimazione

Lacrimazione

Pericheratica ed episclerale

Larghe zone di iperemia bulbare (20- 100%)

Visione

Normale

Iperemia

Iperemia superficiale della congiuntiva bulbare e palpebrale

Pericheratica

Cornea

Normale

Trasparente; Torbida sulla su perficie posteriore possono essere pre senti precipitati

Normale

Camera anteriore

Di profondità normale

Di profondità normale

Fortemente ridotta

Di profondità normale

Iride

Normale

Velata e rigonfia

Congesta e protrusa anteriormente

Normale

Pupilla

Normale

Piccola, irregolare

In media midriasi Normale

Riflesso alla luce

Normale

Minimo

Minimo

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Normale

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Tabella 95-2. DIAGNOSI DIFFRENZIALE DELLE CONGIUNTIVITI ACUTE

Eziologia

Secrezione; tipo di cellule

Interessamento linfonodale Edema palpebrale

Prurito

Batterica

Purulenta; leucociti polimorfonucleati

Modesto

No

No

Virale

Chiara; cellule mononucleate

Minimo

Si

No

Allergica

Chiara, mucoide, viscosa; Da modesto a eosinofili grave

No

Intenso

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Tabella 100-1. Classificazione dei glaucomi basata sull’eziologia I.Glaucomi cronici ad angolo aperto (idiopatici) A.Glaucomi ad alta pressione B.Glaucomi a pressione normale (entrambe le categorie includono numerosi tipi di glaucoma) II.Glaucomi da blocco pupillare A.Glaucoma acuto da chiusura d’angolo B.Glaucoma subacuto da chiusura d’angolo C.Glaucoma cronico da chiusura d’angolo D.Glaucoma da meccanismo combinato III.Glaucomi da alterazioni dello sviluppo A.Glaucoma congenito (infantile) B.Glaucoma giovanile C.Sindrome di Axenfeld-Rieger D.Anomalia di Peters E.Aniridia F.Altre anomalie dello sviluppo IV.Glaucomi associati ad altre patologie oculari A.Glaucomi associati a disordini dell’endotelio corneale Sindrome iridocorneale endoteliale Distrofia polimorfa posteriore Distrofia endoteliale di Fuchs

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Manuale Merck - Tabella

B.Glaucomi associati a patologie dell’iride e del corpo ciliare Glaucoma pigmentario Iridoschisi Iride plateau C.Glaucomi associati a patologie del cristallino Sindome esfoliativa Glaucomi ad angolo aperto indotti dalla lente Glaucomi associati a intumescenza e dislocazione della lente D.Glaucomi associati a patologie della retina, della coroide e del vitreo Glaucomi associati a distacco di retina e anomalie vitreoretiniche Glaucoma neovascolare E.Glaucomi associati a tumori intraoculari V.Glaucomi associati a elevata pressione delle vene episclerali A.Patologie sistemiche associate a elevata pressione intraoculare e glaucoma B.Glaucoma indotto da corticosteroidi VI.Glaucomi associati a infiammazione e trauma A.Glaucomi associati a cheratiti, episcleriti e scleriti B.Glaucomi associati a uveiti C.Glaucomi associati a traumi oculari D.Glaucomi associati a emorragie VII.Glaucomi conseguenti a chirurgia intraoculare A.Glaucoma da blocco ciliare (maligno)

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B.Glaucomi nell’afachia e pseudofachia C.Proliferazione epiteliale, fibrosa e endoteliale D.Glaucomi associati a chirurgia corneale E.Glaucomi associati a chirurgia vitreoretinica.

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TABELLA 100-2. FATTORI DI RISCHIO DEL GLAUCOMA PRIMARIO AD ANGOLO APERTO Elevata pressione intraoculare*

Diabete

Età avanzata†

Ipertensione

Storia familiare‡

Miopia

Razza nera§

Uso di corticosteroi di||

*Il 50% dei pazienti ha una pressione iniziale intraoculare inferiore a 22mmHg al momento dello screening. †Sebbene

il glaucoma possa manifestarsi a tutte le età, è una patologia sei volte più frequente nei soggetti che hanno più di 60anni. La prevalenza stimata di glaucoma primario ad angolo aperto e di glaucoma a bassa pressione è dell’1/ 2% nei sessantenni, quasi del 3% nei settantenni e circa del14% negli ottantenni.

‡Questi

pazienti hanno possibilità 15volte superiori di sviluppare il glaucoma.

§Questi

pazienti sviluppano facilmente il glaucoma in forma grave e a un’età inferiore. In essi la possibilità di sviluppare il glaucoma è da tre a quattro volte superiore, mentre quella di andare incontro a cecità lo è da sei a otto volte.

||Circa

il5% della popolazione (ma il 95% dei pazienti affetti da glaucoma primario ad angolo aperto) può andare incontro a un aumento della pressione intraoculare in risposta all’assunzione di corticosteroidi sia per via topica che orale (steroid responder).

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TABELLA 100-3. FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL GLAUCOMA Tipo

Farmaco

Meccanismo d’azione

Miotici, ad azione diretta Pilocarpina (agonisti colinergici; topici) Carbacolo

Inducono miosi, aumento del deflusso dell’umore acqueo e accomodazione

Miotici, ad azione indiretta (inibitori della colinesterasi, topici)

Inducono miosi, aumento del deflusso dell’umore acqueo e accomodazione

Fisostigmina* Neostigmina* Demecarium† Ecotiopato ioduro† Isofluorfato†

Inibitori dell’anidrasi carbonica (orali, EV, topici)

Acetazolamide (orale, EV)

Riducono la produzione di umore acqueo

Diclorfenamide (orale) Metazolamide (orale) Etozolamide (orale) Dorzolamide (topico) Agonisti adrenergici non Adrenalina selettivi (topici) Dipivefrina

Provocano midriasi, aumento del deflusso dell’umore acqueo e riduzione della sua produzione

Agonisti adrenergici α2selettivi (topici)

Provocano riduzione della produzione dell’umore acqueo, aumento del suo deflusso uveo-sclerale e possono causare midriasi

Apraclonidina Brimonidina‡

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β-bloccanti (topici)

Timololo Betaxololo§

Riducono la produzione dell’umore acqueo; non alterano il diametro pupillare

Levobunololo Carteololo Metipranololo Analoghi delle prostaglandine (topici)

Latanoprost (topico)

Aumentano il deflusso dell’umore acqueo tramite la via uveo-sclerale piuttosto che il deflusso convenzionale (via trabecolo-canalicolare)

Diuretici osmotici (orali, EV)

Glicerina (orale)

L’ipertonicità plasmatica favorisce la fuoriuscita di fluido dall’occhio

Mannitolo (EV) Isosorbide (orale) *Reversibile.

†Irreversibile; può essere catarattogeno; rischio aumentato di distacco retinico. ‡Più α-selettiva rispetto all’apraclonidina. §β1-selettivo.

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TABELLA 105-1. Alcune malattie del cavo orale per siti di coinvolgimento predominanti Sito Aspecifico

Malattia

Descrizione

Gengivostomatite erpetica acuta

Vescicole diffuse che si ulcerano

Sindrome di Behçet

Ulcere aftose multiple del cavo orale associate a ulcere del pene e oculari

Pemfigoide cicatriziale

Bolle che si rompono rapidamente, lasciando ulcere; le lesioni oculari compaiono successivamente a quelle orali

Condiloma acuminato

Verruca trasmessa per via venerea che forma delle lesioni a cavolfiore

Discheratosi

È associata all’eritroplachia, alla leucoplachia (area bianca sulla mucosa che non si rimuove sfregando) e alle lesioni miste bianche e rosse; precancerosa

Eritema multiforme Bolle multiple che si rompono rapidamente, lasciando ulcere emorragiche; comprende la sindrome di Stevens- Johnson Emangioma

Lesioni di colore da porpora a rosso scuro, simili al colore del vino porto; benigno

Teleangiectasia emorragica ereditaria

Vasi sanguigni dilatati localizzati

Lichen planus

Le lesioni riproducono un aspetto "merlettato" (strie di Wickham), talvolta erosive; possono diventare maligne

Linfangioma

Tumefazione o alterazione del colore localizzate; benigno

Mucocele (cisti da ritenzi one mucosa)

Nodulo molle; se superficiale, è coperto da epitelio sottile; appare bluastro

Noma

Piccole vescicole o ulcere che rapidamente si allargano e diventano necrotiche

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Pemfigoide

Piccole bolle tese, gialle o emorragiche; possono persistere per vari giorni prima della rottura

Pemfigo

Bolle che si rompono rapidamente, lasciando ulcere

Sindrome di Peutz- Macchie di melanina brune o nere, Jeghers con poliposi GI

Labbra

Mucosa buccale

Stomatite aftosa ricorrente (ulcera aftosa)

Piccole ulcere dolorose oppure grandi ulcere dolorose che guariscono lasciando cicatrici

Sifilide

Sifiloma primario (papule rosse che si trasformano rapida mente in ulcere indolenti con una crosta sieroematica), placca mucosa, gomma; adenopatia presente nelle prime due condizioni

Atrofia attinica

Mucosa atrofica sottile con aree erosive; predispone alla neoplasia

Angioedema

Tumefazione acuta di origine allergica

Cheilite angolare (cheilosi)

Fissurazioni agli angoli della bocca, spesso con macerazione; frequente negli edentuli

Cheilite ghiandolare

Ghiandole labiali nodulari ingrossate con dotti secretori dilatati e infiammati; talvolta labbra ipertrofiche rovesciate

Cheilite granulomatosa

Labbra diffusamente gonfie, soprattutto il labbro inferiore

Cheilite esfoliativa fissurale

Desquamazione cronica delle cellule mucose superficiali

Cheratoacantoma

Un tumore epiteliale benigno localmente destruente che somiglia al carcinoma a cellule squamose; regredisce spontaneamente in circa 6 mesi

Herpes simplex secondario (ulcera fredda)

Vescicola a breve vita seguita da piccola ulcera dolorosa sul bordo vermiglio

Verruca volgare

Superficie con protuberanze

Ustione da aspirina Area bianca dolorosa; se viene rimossa strofinando, espone un’area infiammata Granuli di Fordyce

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Ghiandole sebacee con aspetto simile a macule color crema di circa 1 mm di diametro; benigne

Manuale Merck - Tabella

Palato

Malattia manopiede-bocca

Piccole vescicole ulcerate

Erpangina

Vescicole nella parte posteriore della bocca

Fibroma da irritazione

A superficie liscia, a forma di cupola, sessile

Macchie di Koplik

Macule bianco grigiastre molto piccole con margini rossi vicino all’orifizio del dotto parotideo; prodromo del morbillo

Linea alba

Linea bianca sottile, tipicamente bilaterale, a livello del pi ano occlusale; benigna

Lesione da tabacco non fumato

Corrugata, bianca o grigia; di solito dietro il labbro inferiore; tende alla malignità

Carcinoma verrucoso

A crescita lenta, esofitico, di solito ben differenziato; nel sito di applicazione del tabacco da fiuto; metastasi rara, che si verifica tardivamente

Nevo bianco spongioso

Pieghe bianche spesse sulla maggior parte della mucosa buccale a eccezione delle gengive; benigno

Mononucleosi infettiva

Petecchie alla giunzione tra palato duro e molle

Sarcoma di Kaposi Macchie indolori di colore da rosso a porpora che si trasformano in papule dolorose Scialometaplasia necrotizzante

Estesa, si trasforma rapidamente in ulcera, spesso indolore; appare molto maligna; guarisce spontaneamente in 1-3 mesi

Iperplasia infiammatoria papillare

Tessuto spongioso rosso che viene rimpiazzato da pieghe di tessuto fibroso; benigna

Palato dei fumatori Aree punteggiate di rosso sui dotti di pipa (stomatite delle ghiandole salivari minori, spesso con leucoplachia grave, di solito da nicotina) benigna Herpes simplex secondario

Piccole papule che presto si uniscono in grappoli di ulcere

Toro palatino

Escrescenza di osso sulla linea mediana; benigno

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Granulomatosi di Wegener Lingua e Anchiloglossia pavimento della bocca

Granuloma della linea mediana letale, con distruzione, sequestro e perforazione di osso Incapacità di protrusione della lingua

Cisti linfoepiteliale benigna

Nodulo giallognolo sulla parte ventrale della lingua o su quella anteriore del pavimento della bocca

Glossite migrante benigna (lingua a carta geografica, eritema migrante)

Quadri variabili di ipercheratosi ed eritema sul dorso e sui bordi; papille filiformi desquamate in un quadro circinato irregolare, spesso con un centro infiammato e un bordo bianco o giallo

Cisti dermoide

Gonfiore del pavimento della bocca

Ingrossamento della lingua

Localizzato o generalizzato a seconda della quantità di denti mancanti; i denti adiacenti possono formare insenature sulla lingua

Lingua fissurata (scrotale)

Profonde fessure sulle aree dorsali e laterali

Glossite

Lingua dolente e rossa; spesso secondaria a un’altra malattia allergica o idiopatica

Lingua pelosa (villosa)

Papille filiformi allungate e di colore scuro

Linea alba

Sottile linea bianca sui bordi della lingua, di solito bilaterale

Nodulo tiroideo linguale

Massa nodulare a superficie liscia di follicoli di tessuto tiroideo, sul dorso più posteriore della lingua, di solito sulla linea mediana

Angina di Ludwig

Può compromettere le vie aeree costringendo la lingua superiormente e posteriormente

Glossite romboidale mediana

Area rossa (di solito) sulla linea mediana della lingua, senza papille

Neurilemmoma

Tumefazione persistente, talvolta in corrispondenza di un trauma precedente

Anemia perniciosa

Lingua pallida liscia, spesso con glossodinia o glossopirosi

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Ghiandole salivari

Ranula

Mucocele esteso che infiltra il muscolo miloioideo; può approfondirsi nel collo; gonfiore del pavimento della bocca

Cisti del dotto tireoglosso

Tumefazione della linea mediana che si muove in alto quando la lingua protrude

Tubercolosi

Ulcere sul dorso, adenopatia cervicale

Lesione linfoepiteliale benigna (malattia di Mikulicz)

Ingrossamento mono o bilaterale delle ghiandole salivari; spesso con secchezza della bocca e degli occhi

Scialoadenite

Tumefazione, spesso dolente; benigna

Scialolitiasi

Tumefazione (p. es., del pavimento della bocca) che aumenta al momento dei pasti o dopo aver mangiato cibi in salamoia

Sindrome di Sjögren

V. Cap.50

Xerostomia

Bocca secca

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO SINDROME DI SJÖGREN Malattia infiammatoria sistemica cronica a eziologia sconosciuta, caratterizzata da secchezza delle fauci, degli occhi e di altre mucose, spesso associata a malattie reumatiche che hanno in comune alcune caratteristiche autoimmunitarie (p. es., l'AR, la sclerodermia, il LES) e nella quale è presente l'infiltrazione linfocitaria delle mucose e di altri tessuti.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia, sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La sindrome di Sjögren (SS) è più comune del LES ma meno comune della AR. Una associazione è stata trovata tra gli antigeni HLA-DR3 e la SS primaria nei bianchi. Altri fattori genetici possono essere importanti in altri gruppi etnici.

Fisiopatologia, sintomi e segni La SS può colpire soltanto gli occhi o la bocca (SS primaria, sicca complex, sicca syndrome), oppure può essere associata a una collagenopatia vascolare generalizzata (SS secondaria). L'artrite si verifica in circa il 33% dei pazienti e ha una distribuzione simile a quella dell'AR; in ogni caso, i sintomi articolari della SS primaria tendono a essere più lievi e raramente portano alla distruzione articolare. Alcuni pazienti, affetti da SS non diagnosticata e con sintomi reumatici, possono non lamentare la sicca syndrome; la SS viene in questi casi diagnosticata in base ai dati di laboratorio. Le ghiandole salivari e lacrimali vengono infiltrate da linfociti T CD4+ e da linfociti B. I linfociti T producono citochine flogogene (p. es., interleuchina-2, ginterferon). Anche le cellule dei dotti delle ghiandole salivari producono citochine, che alla fine danneggiano i dotti secretori. L'atrofia dell'epitelio secretorio delle ghiandole lacrimali causa l'essiccamento della cornea e della congiuntiva (cheratocongiuntivite secca, v. Cap. 96). Questo molto spesso produce una sensazione di secchezza o di irritazione. Nei casi più avanzati, la cornea viene gravemente danneggiata, realizzando un quadro di cheratite filamentosa caratterizzata dalla presenza di frange epiteliali che pendono dalla superficie della cornea e la vista può essere alterata. Un terzo dei pazienti affetti da SS presenta un ingrandimento delle ghiandole parotidi che sono generalmente dure, lisce, di grandezza variabile e leggermente dolenti. L'ingrossamento cronico delle ghiandole salivari raramente dà dolore. L'infiltrazione linfocitica e la proliferazione cellulare intraduttale nella ghiandola parotide, causano la stenosi dei lumi e alla fine la formazione di strutture cellulari file:///F|/sito/merck/sez05/0500460.html (1 of 3)02/09/2004 2.02.29

Malattie del tessuto connettivo

compatte, chiamate isole epimioepiteliali. Quando le ghiandole salivari si atrofizzano, la saliva diminuisce e la conseguente estrema secchezza della bocca e delle labbra (xerostomia) rende difficoltosa la masticazione e la deglutizione e promuove la caduta dei denti e la calcolosi dei dotti salivari. Si può avere una diminuzione del senso del gusto e dell'olfatto. Allo stesso modo può comparire secchezza della pelle, delle mucose del naso, della gola, della laringe, dei bronchi, della vulva e della vagina. La secchezza del tratto respiratorio può causare infezioni polmonari e talvolta, polmoniti. Vi può essere alopecia. I danni a carico dell'apparato GI (p. es., disfagia) sono legati all'atrofia delle mucose e delle sottomucose e all'infiltrazione plasmacellulare e linfocitaria diffusa. Si possono verificare malattie epatobiliari croniche e pancreatite (il tessuto esocrino pancreatico è simile a quello delle ghiandole salivari). La pericardite fibrinosa è una complicanza occasionale. La neuropatia sensitiva è comune. Vasculite del SNC può anche verificarsi nella SS. Circa il 20% dei pazienti affetti da SS presenta acidosi renale tubulare; in molti è dimostrabile un diminuito potere di concentrazione renale. La nefrite interstiziale è comune, ma la glomerulonefritie è rara. Nei pazienti che presentano ingrossamento delle parotidi, splenomegalia e linfoadenopatia si può sviluppare uno pseudolinfoma o un linfoma maligno. Il rischio che si manifesti un linfoma nei pazienti affetti da SS è 44 volte maggiore che per il resto della popolazione; questi pazienti sono inoltre più esposti al rischio di insorgenza di una macroglobulinemia di Waldenström.

Diagnosi L'occhio viene esaminato per la secchezza. Il test di Schirmer misura la quantità di lacrime secrete in 5 min in risposta all'irritazione provocata da una striscia di carta da filtro posta sotto ogni palpebra inferiore. Una persona giovane normale imbibisce circa 15 mm di ogni striscia. Poiché l'ipolacrimazione peggiora con l'età, il 33% delle persone anziane sane può bagnare la striscia di soli 10 mm in 5 min. La maggior parte delle persone affette da SS bagna < 5 mm in 5 min, anche se il 15% dei risultati è falso-positivo e un altro 15% falso-negativo. La colorazione della congiuntiva e della cornea mediante una goccia di soluzione di rosa-Bengala è altamente specifica. Infatti nella SS, la parte dell'occhio visibile all'apertura della palpebra assorbe il colore e si creano alcuni triangoli rossi con le basi rivolte verso il limbus. Un'altra indagine utile è l'esame con la lampada a fessura. Le ghiandole salivari possono essere ulteriormente esaminate sulla base del flusso salivare, della scialografia e della scintigrafia salivare. La biopsia delle ghiandole salivari labiali minori, facilmente accessibili, conferma la diagnosi quando vengano evidenziate grandi infiltrazioni focali multiple di linfociti con atrofia del tessuto acinoso. È caratteristica della SS la reattività immunologica rilevata nel siero; la maggior parte dei pazienti ha alti livelli di Ac anti-gammaglobuline (FR), anti-proteine nucleari e contro numerosi costituenti tissutali. Anticorpi precipitanti Ag nucleari (identificati con l'immunodiffusione), denominati anticorpi anti SS-B, sono frequentemente presenti ma non specifici della SS primitiva. IL FR è presente in più del 70% dei casi, la VES è elevata nel 70%, il 33% ha anemia e il 25% ha leucopenia ed eosinofilia. L'analisi delle urine può rilevare una proteinuria, svelando una nefrite interstiziale.

Prognosi e terapia La prognosi della SS è spesso legata a malattie associate del tessuto connettivo, anche se la malattia è cronica e la morte può occasionalmente sopravvenire per un'infezione polmonare e, più raramente, per un'insufficienza renale o un linfoma.

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Malattie del tessuto connettivo

Non vi è terapia specifica per il processo di base. Le manifestazioni locali possono essere trattate in modo sintomatico. Sintomi oculari: v. Cheratocongiuntivite Secca nel Cap. 96. Complicanze orali: il trattamento delle complicanze orali mira a evitare la secchezza delle fauci che promuove la calcolosi del dotto e la carie dentaria: p. es., facendo sorseggiare liquidi nel corso della giornata, masticare gomma senza zucchero e usando un sostituto della saliva contenente carbossimetilcellulosa per gli sciacqui. I farmaci che diminuiscono la secrezione salivare (p. es., gli antiistaminici e altri anticolinergici) dovrebbero essere evitati. Sono essenziali un'accurata igiene orale e regolari controlli dentistici. I calcoli devono essere rimossi immediatamente, mantenendo il tessuto salivare intatto. Il trattamento migliore per il dolore localizzato alle ghiandole salivari ingrossate è quello con i soli analgesici. La pilocarpina può essere usata per stimolare la produzione salivare se le ghiandole non sono gravemente atrofizzate. Interessamento del tessuto connettivo: poiché l'interessamento del tessuto connettivo abitualmente è lieve e cronico, i farmaci steroidei e gli immunosoppressori sono indicati soltanto occasionalmente (p. es., nei pazienti affetti da una forma grave di vasculite o con interessamento viscerale.) L'irradiazione e i farmaci che aumentano il rischio di malattie linfoproliferative e di infezioni vanno evitati.

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Patologie della cornea

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 96.PATOLOGIE DELLA CORNEA Perdita o danneggiamento dell'epitelio dalla superficie corneale di uno o entrambi gli occhi, caratterizzato da piccole erosioni puntiformi e disseminate.

CHERATOCONGIUNTIVITE SECCA (Cheratite secca) Essiccazione cronica, bilaterale della congiuntiva e della cornea dovuta a un inadeguato volume di lacrime (cheratocongiuntivite secca da iposecrezione lacrimale) o perdita eccessiva di lacrime da eccessiva evaporazione a causa di un'alterazione qualitativa (cheratocongiuntivite secca da evaporazione).

Sommario: Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Sintomi e segni I pazienti lamentano prurito, bruciore, fotofobia, sensazione di sabbia nell'occhio, pressione dietro l'occhio o sensazione di corpo estraneo. Alcuni pazienti notano un'ipersecrezione lacrimale dopo un'irritazione grave. I sintomi sono aggravati dagli sforzi visivi prolungati, come la lettura, il lavoro al computer, la guida o guardare la televisione. Particolari ambienti possono anche aggravare i sintomi, come i locali polverosi o fumosi e secchi, p. es., gli aerei, i centri commerciali, le giornate con basso tasso di umidità e le aree dove sono utilizzati i condizionatori d'aria (soprattutto in automobile), i ventilatori o le stufe. Alcuni farmaci sistemici possono aggravare i sintomi, inclusi l'isotretinoina, i calmanti, i diuretici, gli antiipertensivi, i contraccettivi orali e tutti gli anticolinergici (inclusi gli antistaminici e molti farmaci per il sistema gastrointestinale). I sintomi possono aumentare durante giornate fredde, piovose o nebbiose o in altri ambienti con alto tasso di umidità, come le docce. Sebbene la cheratocongiuntivite secca raramente provochi una visione ridotta, a volte i pazienti lamentano una grave irritazione oculare.

Diagnosi In entrambe le forme di cheratocongiuntivite secca, la congiuntiva è iperemica e ci sono spesso perdite sparse, piccole, puntate di epitelio corneale (cheratite puntata superficiale) e/o congiuntivale. Le aree coinvolte sono per lo più tra le palpebre (la zona intrapalpebrale o zona di esposizione) e tali aree si colorano con fluoresceina. I pazienti spesso ammiccano in maniera frequente anche se, in alcuni casi, è proprio la rarità dell'ammiccamento a provocare la secchezza oculare. Nella cheratocongiuntivite secca da insufficiente produzione di lacrime, la congiuntiva può apparire asciutta e senza brillantezza con pieghe ridondanti. Questa forma di cheratocongiuntivite secca si presenta più spesso in maniera isolata e idiopatica e colpisce prevalentemente donne in post-menopausa. Meno file:///F|/sito/merck/sez08/0960775.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.29

Patologie della cornea

frequentemente, essa può essere secondaria ad altre condizioni che provocano cicatrizzazione dei dotti lacrimali, p. es., pemfigoide cicatriziale, sindrome di Stevens-Johnson o tracoma o, come risultato di una ghiandola lacrimale danneggiata o malfunzionante, p. es., reazione graft-versus-host, dopo terapia radiante locale o nella disautonomia familiare. Un test di Schirmer viene effettuato usando striscioline standard di carta bibula collocate, senza anestesia topica, alla giunzione tra il terzo medio e il terzo laterale della palpebra inferiore. Un'area di 5 mm o meno di carta bagnata, dopo 5 min in due misurazioni successive conferma la diagnosi di occhio secco da secrezione insufficiente. Raramente, una essiccazione grave, avanzata, cronica può portare a cheratinizzazione della superficie oculare o perdita dell'epitelio corneale con cicatrizzazione, vascolarizzazione, infezioni, ulcerazione e possibile perforazione. In questi casi gravi, interviene una perdita significativa dell'acuità visiva. Nella cheratocongiuntivite secca da eccessiva evaporazione, può essere presente un'abbondante lacrimazione sotto forma di schiuma sui margini palpebrali. Di solito, vi è un'associazione con blefarite e acne rosacea (v. Cap. 116). Molto raramente, in questa forma di occhio secco l'essiccamento può essere sufficiente a provocare una perdita dell'epitelio corneale o riduzione dell'acuità visiva. I risultati del test di Schirmer sono in genere normali. L'instillazione di una piccola quantità di fluoresceina a elevata concentrazione può rendere visibile il film lacrimale, rivelando una eccessiva perdita di un film intatto (break-up test lacrimale). Pazienti affetti da sindrome di Sjögren (v. Cap. 50) presentano cheratocongiuntivite secca da scarsa secrezione e bocca secca. Questa sindrome può presentarsi come fenomeno isolato (sindrome di Sjögren primaria) o in associazione con patologie sistemiche del tessuto connettivo come l'artrite reumatoide o SLE (sindrome di Sjögren secondaria). Molto utili ai fini della diagnosi sono la sierologia e la biopsia delle ghiandole salivari. Pazienti con forma sia primaria che secondaria di sindrome di Sjögren sviluppano linfomi di Hodgkin 40 volte di più dei soggetti normali e richiedono un follow-up accurato da parte del loro medico.

Terapia L'uso frequente di lacrime artificiali può essere utile in entrambe le forme di cheratocongiuntivite secca. Le lacrime artificiali a viscosità maggiore coprono la superficie oculare più a lungo e sono particolarmente utili nella cheratocongiuntivite secca da evaporazione. Le pomate a base di lacrime artificiali applicate prima del sonno sono particolarmente utili quando i pazienti soffrono di lagoftalmo notturno e/o presentano irritazione al mattino al risveglio. La maggior parte dei casi viene trattata adeguatamente per tutta la vita del paziente con questa terapia sostitutiva. Può spesso essere di aiuto evitare gli ambienti secchi, ventilati e usare gli umidificatori. In casi resistenti è indicata l'occlusione del puntino lacrimale. Nei casi gravi la tarsorrafia parziale può ridurre la perdita di lacrime attraverso l'evaporazione. I pazienti con cheratocongiuntivite secca da evaporazione trovano spesso beneficio dalla cura della blefarite concomitante, che include impacchi caldi, la pulizia dei margini palpebrali o le tetracicline PO (v. Cap. 94).

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE ROSACEA Dermatosi cronica a carattere infiammatorio che colpisce abitualmente gli individui di mezza età od oltre ed è caratterizzata da teleangectasie, eritema, papule e pustole che colpiscono prevalentemente l’area centrale del viso.

Sommario: Introduzione Terapia

Un’ipertrofia dei tessuti è spesso presente, particolarmente a livello del naso (rinofima). Occasionalmente la rosacea può colpire le estremità e il tronco. La causa è sconosciuta; molto spesso la dermatosi insorge in individui con carnagione chiara. Molto probabilmente, la dieta non gioca alcun ruolo nella patogenesi. Spesso la rosacea assume un aspetto acneico, ma in questo caso si nota l’assenza di comedoni; la diagnosi differenziale comprende anche le eruzioni cutanee da farmaci (specialmente da ioduri e bromuri), i granulomi cutanei, la dermatite periorale e il lupus eritematoso.

Terapia Il metronidazolo topico, in gel o in crema, oppure gli antibiotici orali ad ampio spettro sono in genere il trattamento più efficace. La tetraciclina, 1g/die in dose frazionata durante i pasti e la sera, è risultata la più efficace e i suoi effetti collaterali, con impiego a lungo termine, sono minori. Il dosaggio va ridotto una volta raggiunta una risposta terapeutica positiva. Spesso, dosi di appena 250 mg/ die o a giorni alterni, sono capaci di controllarne il decorso. Ma se la tetraciclina risulta inefficace o non viene tollerata, la minociclina, l’eritromicina e la doxiciclina rimangono comunque efficaci alternative. I casi ostinati spesso rispondono all’isotretinoina orale (v. Acne, sopra). I corticosteroidi fluorurati topici possono aggravare il quadro clinico della rosacea e quindi sono assolutamente controindicati. In caso di rinofima occorre ricorrere a interventi di plastica ricostruttiva. In ogni caso, l’uso di schermanti solari è fortemente raccomandato, in quanto la luce solare può esacerbare la rosacea.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE ACNE Comune infiammazione delle ghiandole pilosebacee, caratterizzata da comedoni, papule, pustole, cisti superficiali suppurate, noduli infiammati e, nei casi estremi, fistolizzazioni e raccolte tuberose suppurate, a forma di vere e proprie sacche.

Sommario: Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Patogenesi Un’interazione tra ormoni, cheratina, sebo e batteri determina il decorso e la prognosi della patologia. L’acne ha inizio solitamente in età puberale, quando un aumento degli androgeni causa una ipertrofia funzionale dell’apparato pilosebaceo. Le lesioni dell’acne infiammatoria comprendono papule, pustole e noduli o cisti. Le lesioni di un’acne non infiammatoria comprendono comedoni aperti e chiusi (cioè, punti neri e punti bianchi). All’inizio, l’ipercheratosi intrafollicolare determina l’ostruzione del follicolo pilosebaceo; successivamente, si formano i comedoni, composti da sebo, cheratina e microrganismi, particolarmente il Propionibacterium acnes. Le lipasi del P. acnes scindono i trigliceridi del sebo in acidi grassi liberi (AGL) che sono molto irritanti per le pareti del follicolo pilifero. La ritenzione di sebo e la dilatazione del follicolo possono portare alla formazione di cisti. La rottura del follicolo, con la liberazione nei tessuti di AGL, prodotti batterici e cheratina, induce una reazione infiammatoria che solitamente sfocia nella formazione di un ascesso. Questi ascessi vanno incontro a guarigione, con residui cicatriziali, nei casi più gravi. Di solito, l’acne guarisce spontaneamente, ma il tempo per la remissione non è prevedibile.

Sintomi e segni Spesso l’acne si esacerba in inverno per migliorare in estate, probabilmente a causa del benefico effetto dei raggi solari. La dieta ha un effetto molto limitato; tuttavia, se un cibo è sospetto, va eliminato per diverse settimane e quindi assunto in quantità notevole per determinare se l’acne peggiora. L’acne può subire variazioni durante il ciclo mestruale e può migliorare o peggiorare durante la gravidanza. Sebbene raramente i cosmetici determinino un peggioramento dell’acne, il classico consiglio di evitare i preparati grassi resta il più prudente. Acne superficiale: i punti neri (comedoni aperti) o i punti bianchi (comedoni chiusi), le papule infiammate, le pustole e le cisti superficiali sono lesioni caratteristiche. Occasionalmente possono comparire grosse cisti, il più delle volte determinate da manipolazioni o traumi capaci di scatenare violente reazioni infiammatorie. La prognosi per una guarigione senza formazione di cicatrici è buona per l’acne superficiale, ma i tentativi di far fuoriuscire i punti neri o le cisti superficiali e il grattamento delle lesioni che si sono aperte possono aumentare gli esiti cicatriziali.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Acne profonda: questa forma ha le stesse caratteristiche di base della precedente, ma con la formazione di noduli infiammatori profondi o cisti a contenuto purulento, le quali spesso si rompono e divengono ascessi. Alcuni ascessi fistolizzano sulla superficie cutanea, rilasciandovi i propri contenuti. Le lesioni sono più comuni al volto; ma anche il collo, il torace, il dorso e le spalle possono essere interessati. Gli esiti cicatriziali sono frequenti.

Diagnosi I comedoni sono quasi sempre presenti e le varie lesioni in diverso stadio evolutivo coesistono nello stesso momento. La diagnosi differenziale viene fatta con la rosacea, che però non dà luogo a comedoni e con le lesioni acneiformi indotte da corticosteroidi, che solitamente presentano pustole follicolari nello stesso stadio evolutivo e nessun comedone.

Terapia Sebbene l’acne sia oramai universale, crea imbarazzo negli adolescenti che tendono a isolarsi, usando l’acne come una scusa per evitare la socializzazione. Può essere utile un’assistenza psicologica sia per il paziente che per i suoi genitori. Gli erronei convincimenti di una possibile relazione fra acne e dieta, sport e attività sessuale sono comuni e vanno discussi con il paziente. Il trattamento dipende dalla gravità delle lesioni. Acne superficiale: sebbene i numerosi lavaggi giornalieri abbiano uno scarso effetto sulle lesioni, si può comunque ottenere un miglioramento dell’aspetto lucido del viso, con l’uso costante di un qualsiasi buon detergente. I saponi antibatterici non offrono alcun beneficio, mentre quelli abrasivi determinano un’irritazione che rende difficile l’uso di farmaci topici specifici (v. oltre). Nell’acne pustolosa superficiale, l’applicazione topica di clindamicina o eritromicina usata da sola o associata a uno dei saponi abrasivi in seguito menzionati, è probabilmente il trattamento più efficace. La luce solare è utile perché causa lieve secchezza e fine desquamazione. Comunque, la luce solare non è sempre disponibile e il suo effetto è difficilmente riproducibile con lampade artificiali. Una crema con acido azelaico al 20%, che ha effetto antiproliferativo e antibatterico, può risultare efficace nell’acne comedonica o in fase infiammatoria. La tretinoina (acido retinoico) allo 0,025%, 0,05%, 0,1% in crema, allo 0,1% in lozione oppure allo 0,01% o 0,025% in gel è spesso efficace. Un nuovo retinoide topico, l’adapalene allo 0,1% in gel, è stato recentemente approvato negli USA e risulta essere lievemente meno irritante della tretinoina topica. Questi retinoidi vanno applicati con molta cautela, ricoprendo con un solo strato l’intera area interessata, di sera o a sere alterne, in caso di forte irritazione. Vanno protetti dall’applicazione gli occhi, i solchi nasogenieni e le piccole rugosità labiali. La tretinoina in forma liquida deve essere applicata con l’ausilio di un cotton fioc. L’esposizione alla luce solare e l’uso di altri topici devono essere limitati per evitare gravi fenomeni irritativi. Con l’uso della tretinoina o dell’adapalene, l’acne può inizialmente peggiorare; infatti, per un miglioramento è necessario attendere di solito 3-4 settimane. Altri medicinali ad uso topico comprendono il benzoilperossido al 5-10%, l’ossitetraciclina e varie associazioni di resorcina solforosa; di solito, vanno impiegate due volte al giorno, oppure con un preparato applicato la sera e un altro il mattino successivo. Le tetracicline orali possono essere di aiuto nell’acne pustolosa superficiale. Acne profonda: si richiede un trattamento vigoroso per ridurre al minimo i possibili esiti cicatriziali. In caso di lesioni gravi e profonde, il trattamento topico risulta insoddisfacente; un antibiotico orale ad ampio spettro è generalmente

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

efficace, in quanto riduce la presenza di microrganismi batterici. Le tetracicline risultano avere il migliore rapporto costo-beneficio; vanno somministrate tra i pasti e prima di coricarsi per 4 settimane alle dosi di 250 mg qid o di 500 mg bid e poi ridotte alla dose minima efficace. A volte, occorre aumentare il dosaggio a 500 mg qid. Poiché le ricadute sono frequenti dopo brevi cicli di terapia, la terapia tetraciclinica va continuata per mesi o anni, sebbene il dosaggio con 250 o 500 mg al giorno risulti spesso sufficiente. Molti dermatologi considerano la più costosa minociclina l’antibiotico sistemico di scelta per la sua efficacia, per l’assenza di effetti collaterali GI, per la semplice posologia durante i pasti e per la mancanza di fotosensibilità. Gli effetti collaterali comprendono le vertigini e le discromie della cute e delle mucose. Altri antibiotici sistemici che possono essere usati sono l’eritromicina e la doxiciclina. Entrambi possono causare effetti collaterali GI e, inoltre, la doxiciclina è spesso fotosensibilizzante. Antibiotici sistemici a pieno dosaggio (tetraciclina 500 mg bid, minociclina 100 mg bid, doxiciclina 100 mg bid ed eritromicina 333 mg tid) vanno somministrati per 4 settimane per poi ridurre il dosaggio. Ottimi risultati terapeutici vengono raggiunti nell’arco di 6-12 settimane. Nelle donne, il più noto effetto collaterale dovuto all’utilizzo di prolungate terapie antibiotiche è la candidiasi vaginale. Se la terapia locale e sistemica non riesce a eradicare la Candida, occorrerà sospendere la terapia antibiotica per l’acne. L’uso di antibiotici per lungo tempo può inoltre provocare follicoliti pustolose da gram – al centro del viso o intorno al naso. Questa rara sovrainfezione può essere difficile da eliminare e va preferibilmente trattata con isotretionina orale, dopo la sospensione della terapia antibiotica. L’isotretinoina orale rappresenta il miglior trattamento nei pazienti in cui gli antibiotici non sono efficaci o in quelli con una grave forma di acne profonda. Questo farmaco ha rivoluzionato il trattamento dell’acne, ma va prescritto solamente da medici che ne conoscano gli effetti collaterali. Dato che l’isotretinoina è teratogena, le donne che assumono il farmaco devono usare, per maggior sicurezza, due metodi contraccettivi non solo dal mese precedente e durante tutto il corso della terapia, ma anche un mese dopo l’interruzione della stessa. Sono importanti i test di gravidanza effettuati prima di iniziare la terapia e a intervalli mensili. Il dosaggio dell’isotretinoina solitamente è di 1mg/kg/die per 20 sett.; nei casi ostinati, la dose va aumentata a 2 mg/kg/die; ma se il paziente non riesce a tollerare questi dosaggi per gli effetti collaterali, la dose può essere ridotta a 0,5 mg/kg/ die. Anche alla sospensione della terapia, il miglioramento dell’acne può continuare. La maggior parte dei pazienti non necessita di un secondo ciclo di terapia; quando questo è invece necessario, bisogna attendere almeno 4 mesi dall’interruzione del primo ciclo del farmaco. Molto spesso un nuovo trattamento è necessario in quei casi in cui la dose iniziale è stata bassa (0,5 mg/kg/die). Con questo dosaggio (molto usato in Europa) si verificano infatti meno effetti collaterali, anche se spesso un trattamento prolungato è necessario comunque. Gli effetti collaterali possono manifestarsi potenzialmente in ogni paziente; i più comuni tra questi sono la secchezza delle congiuntive e delle mucose dei genitali e le screpolature labiali. Solitamente, la vaselina migliora la secchezza cutanea e mucosa. Si possono anche verificare sintomi muscolo-scheletrici, dolore o rigidità delle grandi articolazioni o del basso bacino, in circa il 15% dei pazienti. Prima di ciascun trattamento vanno controllati i livelli di colesterolo e di trigliceridi, la funzione epatica e l’esame emocromocitometrico. Ulteriori controlli, escluso l’esame emocromocitometrico, vanno effettuati dopo 4 sett. di terapia e in assenza di valori anomali non vanno ripetuti fino alla fine della terapia stessa. Il livello dei trigliceridi raramente può aumentare sino al punto di dover sospendere il farmaco. La funzionalità epatica viene compromessa soltanto occasionalmente. Per le lesioni nodulari acneiche (cistiche) è utile un’infiltrazione di 0,1 ml di una sospensione di triamcinolone acetonide 2,5 mg/ml (la sospensione da 10 mg/ ml va diluita) all’interno della cisti infiammata o dell’ascesso; l’atrofia locale (dovuta all’azione del corticosteroide o alla distruzione dei tessuti da parte della cisti) solitamente è transitoria. Per le lesioni isolate molto purulente, l’incisione e il drenaggio sono spesso efficaci, ma possono esitare in cicatrici.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Talvolta è utile la dermoabrasione per le piccole cicatrici, ma il suo effetto a lungo termine è controverso. La roentgenterapia è ingiustificata. I corticosteroidei topici, specialmente se fluorurati, possono peggiorare l’acne. Quando le altre misure falliscono e l’acne sembra essere in relazione con i cicli mestruali, possono essere prescritti contraccettivi estroprogestinici; questa terapia necessita di 6 mesi per dare i primi risultati favorevoli.

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Affezioni dermatologiche

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

109. Diagnosi delle malattie cutanee Indagini diagnostiche speciali Lesioni cutanee primitive Lesioni cutanee secondarie Prurito 110. Principi di terapia dermatologica topica 111. Dermatiti Dermatite da contatto Dermatite atopica Dermatite seborroica Dermatite nummulare Dermatite cronica palmo-plantare Dermatite esfoliativa generalizzata Dermatite da stasi Lichen simplex cronico 112. Infezioni batteriche cutanee Cellulite Linfangite acuta Linfoadenite Erisipela Ascessi cutanei Infezioni sottocutanee necrotizzanti Sindrome combustiforme da stafilococco Follicolite Foruncoli file:///F|/sito/merck/sez10/index.html (1 of 4)02/09/2004 2.02.32

Affezioni dermatologiche

Idrosadenite suppurativa Carbonchio Paronichie Eritrasma 113. Micosi cutanee Infezioni da dermatofiti Tinea corporis Tinea pedis Tinea unguium Tinea capitis Tinea cruris Tinea della barba Dermatofitidi o reazioni idiche Infezioni da lieviti Candidiasi Tinea versicolor 114. Infezioni parassitarie della cute Scabbia Pediculosi Larva migrans cutanea 115. Infezioni virali cutanee Verruche Mollusco contagioso 116. Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee Acne Rosacea Dermatite periorale Ipertricosi Alopecia file:///F|/sito/merck/sez10/index.html (2 of 4)02/09/2004 2.02.32

Affezioni dermatologiche

Pseudofollicolite della barba Cisti cheratiniche 117. Malattie da carattere desquamativo Psoriasi Pitiriasi rosea Lichen ruber planus Pityriasis rubra pilaris 118. Reazioni infiammatorie Dermatite da farmaci Necrolisi epidermica tossica Eritema multiforme Eritema nodoso Granuloma anulare 119. Reazioni alla luce solare Ustioni Effetti cronici della luce solare Fotosensibilità 120. Malattie bollose Pemfigo Pemfigoide bolloso Dermatite erpetiforme Dermatosi a iga lineari 121. Disturbi della cheratinizzazione Ittiosi Cheratosi pilare Calli e corni cutanei 122. Ulcere da pressione 123. Disturbi della pigmentazione Ipopigmentazione file:///F|/sito/merck/sez10/index.html (3 of 4)02/09/2004 2.02.32

Affezioni dermatologiche

Iperpigmentazione 124. Disturbi della sudorazione Miliaria Iperidrosi 125. Tumori benigni Nevi Nevi displastici Fibromi penduli Lipomi Angiomi Granuloma piogenico Cheratosi seborroica Dermatofibroma Cheratoacantoma Cheloide 126. Tumori maligni Carcinoma basocellulare Carcinoma squamocellulare Morbo di bowen Melanoma maligno Malattia di Paget della mammella Sarcoma di Kaposi

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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE Molte malattie cutanee possono essere diagnosticate attraverso il solo esame fisico. L’esame obiettivo deve includere l’ispezione delle unghie e delle zone poco accessibili a un autoesame (p. es., mucosa orale, regione anogenitale, cuoio capelluto). È indispensabile avere una buona illuminazione. La diagnosi richiede l’identificazione morfologica delle lesioni cutanee primitive e secondarie (v. oltre). Inoltre, la disposizione delle lesioni può essere significativa. La disposizione a grappolo delle vescicole si riscontra nell’herpes simplex e nello zoster, con una successiva tipica disposizione lineare in quest’ultimo. La tendenza a formare cerchi o anelli è caratteristica nel granuloma anulare, nell’eritema multiforme, nell’eritema fisso da medicamenti, nelle infezioni da dermatofiti, in alcune forme della malattia di Lyme e nella sifilide secondaria. L’ordinamento lineare si verifica nei nevi epidermici, nella sclerodermia lineare e nella dermatite da contatto. Nel fenomeno di Köbner (isomorfismo reattivo) le lesioni della psoriasi, del lichen planus e delle verruche piane mimano l’aspetto di un trauma cutaneo (p. es., da grattamento, sfregamento o altro insulto meccanico). Di solito, la distribuzione delle lesioni ha un aspetto caratteristico (v. Tab. 109-1). L’anamnesi può inoltre fornire preziose indicazioni.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 109-1. SEDI DELLE LESIONI NELLE MALATTIE CUTANEE Patologia

Sede

Acne

Volto, collo, torace, dorso, l’intero tronco può essere coinvolto nell’acne tropicale (acne volgare severa)

Dermatite atopica

Area poplitea e antecubitale, volto, mani; nei bambini può essere limitata al volto o all’area del pannolino

Lupus eritematoso discoide cronico

Volto, cuoio capelluto, orecchie, collo

Eritema multiforme

Sede palmo-plantare, mucose; può essere diffuso

Eritema nodoso

Estremità distale degli arti inferiori, specialmente la superficie pretibiale

Lichen planus

Mucosa orale, polsi (superficie flessoria), tronco, genitali; può essere diffuso

Reazioni di fotosensibilità

Area esposta alla luce naturale o artificiale, inclusa la zonaV del collo, le braccia al disotto delle maniche, il volto (in particolare le guance e il naso a esclusione della zona sottomentoniera); può essere confusa con la dermatite da contatto

Pityriasis rosea

Tronco, estremità prossimali (l’asse maggiore delle lesioni ovalari decorre parallelo alle linee di clivaggio); può interessare esclusivamente le estremità, risparmiando il tronco

Psoriasi

Superficie estensoria di gomiti e ginocchia, cuoio capelluto, dorso, regione anogenitale, unghie; può manifestarsi anche sulle superfici flessorie, l’apice del pene, o a livello palmare

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Manuale Merck - Tabella

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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE INDAGINI DIAGNOSTICHE SPECIALI La biopsia è un esame che risulta essenziale per la diagnosi istologica di dermatiti idiopatiche, specialmente se croniche, e per lesioni con sospetto di malignità. Generalmente per l’esecuzione di una biopsia viene scelta una lesione tipica, ben manifesta, ma in caso di eruzioni vescicolose, bollose o pustolose, è preferibile effettuare il prelievo sulla lesione iniziale. La procedura più semplice è la "punch biopsy" mediante la quale un bisturi circolare (di diametro 2 mm) viene inserito fino al sottocute e il frammento di tessuto viene tagliato alla base con le forbici. Un’adeguata biopsia di lesioni relativamente friabili (p. es., cheratosi seborroiche) si può ottenere raschiando con un’affilata curette oppure mediante "shaving". Per ottenere un campione di tessuto più ampio oppure per eseguire una biopsia su lesioni che interessano gli strati più profondi (derma profondo, ipoderma), viene asportato un cuneo di tessuto e suturata l’area di incisione. Per la maggior parte dei piccoli tumori, diagnosi e terapia si conseguono mediante completa escissione con piccoli bordi di cute sana perilesionale. Tutte le lesioni pigmentate, compresi i nevi, vanno asportate profondamente in modo da poter valutare istologicamente l’invasività della lesione stessa. Le biopsie superficiali sono spesso inadeguate per la diagnosi istologica, specialmente in caso di lesioni pigmentate oppure in caso di sospetta infezione micotica o micobatterica profonda. L’esame microscopico del materiale raschiato aiuta nell’identificazione delle infezioni micotiche superficiali. Le squame vengono prelevate dai bordi della lesione, in fase evolutiva e coperte con idrossido di potassio al 20%. Le matrici deformi di peli spezzati in una lesione del cuoio capelluto devono essere esaminate, in quanto i capelli normali non vengono sempre contagiati (p. es., nella tinea capitis). Nelle dermatofitosi sono presenti ife fungine, fin dall’esordio, mentre nella tinea versicolor e nella candidosi c’è una crescita graduale sia di lieviti che di ife. Terreni di coltura e test di sensibilità antibatterica sono indicati nelle infezioni cutanee acute di origine batterica, ma non devono ritardare la terapia. La scelta di un campione adeguato è essenziale. Per lesioni francamente pustolose è sufficiente disporre di un comune tampone, che deve essere immediatamente posto in opportuno brodo di coltura. Nelle infezioni croniche (p. es., TBC o micosi profonde), nelle quali la flora può essere mista e in parte dispersa, potrebbe essere necessario eseguire prelievi più ampi (compresi campioni di biopsie profonde) da mettere in colture speciali. Le colture per infezioni fungine superficiali hanno talora esito positivo anche quando il materiale cutaneo raschiato risulta negativo. L’esame alla luce di Wood richiede l’ispezione della cute in ambiente buio sotto una luce ultravioletta filtrata attraverso la lampada di Wood ("luce nera"). La tinea versicolor da una lieve fluorescenza dorata, mentre l’eritrasma appare rosso arancio. La Tinea capitis determinata da Microsporum canis e da Microsporum audouinii, ha una fluorescenza color verde chiaro (ma la maggior parte delle infezioni da tinea capitis è determinata dalla specie Trichophyton che molto raramente risulta fluorescente). Il primo indizio di un’infezione da Pseudomonas, in special modo nelle ustioni, può essere una fluorescenza verde, mentre la depigmentazione da vitiligine può essere differenziata dalle lesioni ipopigmentate per la tipica colorazione bianco-avorio alla luce di Wood. Il test di Tzanck è un esame rapido e affidabile (per personale esperto) per determinare la diagnosi di herpes simplex, herpes zoster e pemfigo. Lo striscio di file:///F|/sito/merck/sez10/1090841b.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.34

Diagnosi delle malattie cutanee

materiale cellulare viene prelevato dal fondo e dalle pareti della vescicola e colorato con soluzione di Wright o colorazione di Giemsa. Cellule giganti multinucleate sono presenti nell’herpes simplex, nell’herpes zoster e nella varicella, ma non nella vaccinia. Il pemfigo può essere diagnosticato per la rilevata presenza di cellule acantolitiche, con grandi nuclei e scarso citoplasma e una perduta adesività intercellulare. Le colture per i virus sono più sensibili e facili da interpretare di quanto non lo sia il test di Tzanck e l’identificazione dell’agente patogeno, viene solitamente effettuata nell’arco di 2 o 3 giorni. Se si sospetta un’infezione virale, il liquido proveniente dalle vescicole può essere posto in speciali mezzi di coltura da trasporto nella maggior parte dei centri medici. I test di immunofluorescenza (IF) che utilizzano la microscopia a fluorescenza (v. Disordini da reazioni di ipersensibilità di tipo II, nel Cap. 148) sono di notevole ausilio nella diagnosi e nel controllo di alcune patologie cutanee. I test di immunofluorescenza indiretta (valutazione del siero per anticorpi circolanti) rivelano che il siero dei pazienti con pemfigo o pemfigoide bolloso contiene anticorpi specifici per i diversi strati dell’epidermide. Nel pemfigo il titolo degli anticorpi circolanti è correlato alla gravità della malattia. Nei test di immunofluorescenza diretta (valutazione cutanea del paziente per deposito di anticorpi in vivo), i campioni di biopsie su pazienti affetti da pemfigo, pemfigoide, dermatite erpetiforme, herpes gestationalis, LES e lupus eritematoso discoide (LED), confermano i modelli diagnostici del deposito anticorpale. Pertanto il test di immunofluorescenza diretta, nella maggior parte di queste patologie, risulta di migliore aiuto diagnostico rispetto all’ordinario esame istologico. Altre indagini diagnostiche speciali comprendono i patch-test usati nella dermatite allergica da contatto (v. Diagnosi in Dermatite da contatto nel Cap. 111 e Reazioni da ipersensibilità di tipo IV nel Cap. 148), l’esame in campo oscuro nella sifilide (v. Cap. 164), il materiale cutaneo raschiato nella scabbia e la conta dei capelli nell’alopecia.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO II Sommario: Introduzione Diagnosi

Esempi di danno cellulare in cui un anticorpo reagisce con le componenti antigeniche di una cellula sono le anemie emolitiche Coombs-positive, la porpora trombocitopenica indotta da anticorpi, la leucopenia, il pemfigo, il pemfigoide, la sindrome di Goodpasture e l’anemia perniciosa. Queste reazioni si presentano nei pazienti che ricevono trasfusioni incompatibili, nella malattia emolitica del neonato e nella trombocitopenia neonatale e possono svolgere un ruolo anche nelle malattie da ipersensibilità a carattere sistemico (p. es. il LES). Per una descrizione delle conseguenze sul rene, v. Cap. 231. Il meccanismo del danno cellulare viene esemplificato nel modo migliore dagli effetti sui GR. Nelle anemie emolitiche i GR vengono distrutti per emolisi intravascolare o per fagocitosi macrofagica, soprattutto all’interno della milza. Studi in vitro hanno dimostrato che in presenza del sistema complementare alcuni anticorpi leganti il complemento (p. es. gli anticorpi dei gruppi sanguigni anti-A e anti-B) provocano una rapida emolisi; altri (p. es. gli anticorpi anti-LE) provocano una lisi cellulare lenta; altri ancora non danneggiano le cellule in modo diretto, ma ne causano l’adesione e la distruzione da parte dei fagociti. Al contrario, gli anticorpi anti-Rh sui GR non attivano il complemento e distruggono le cellule soprattutto per fagocitosi extravascolare. Esempi in cui l’antigene è un componente tissutale sono rappresentati dal rigetto acuto precoce (iperacuto) di un rene trapiantato, il quale è dovuto alla presenza di anticorpi contro l’endotelio vascolare e la sindrome di Goodpasture, dovuta alla reazione degli anticorpi con la membrana basale dell’endotelio glomerulare e alveolare. Nella sindrome di Goodpasture sperimentale il complemento è un mediatore importante del danno, ma nel rigetto acuto precoce dei trapianti il suo ruolo non è stato chiaramente determinato. Esempi di reazioni dovute al legame di apteni con cellule o tessuti comprendono molte delle reazioni di ipersensibilità ai farmaci (p. es. l’anemia emolitica indotta dalla penicillina, v. Ipersensibilità ai farmaci, oltre). Le reazioni di ipersensibilità anti-recettore alterano le funzioni cellulari a seguito del legame dell’anticorpo ai recettori di membrana. In molte malattie (p. es. la miastenia gravis, il morbo di Graves, il diabete insulino-resistente) sono stati descritti anticorpi diretti contro recettori delle membrane cellulari. In modelli animali di miastenia gravis, la produzione di anticorpi ottenuta con l’immunizzazione contro il recettore per l’acetilcolina ha provocato la tipica affaticabilità e debolezza muscolare osservata nell’uomo. Questo anticorpo è dimostrabile nel siero e sulle membrane delle cellule muscolari anche nell’uomo. Inoltre, quando il siero o la sua frazione IgG provenienti da pazienti affetti da miastenia gravis vengono trasfusi in primati non umani, si produce una sindrome miastenica autolimitantesi. Questi anticorpi impediscono il legame dell’acetilcolina endogena con il suo recettore, inibendo così l’attivazione muscolare. In alcuni pazienti diabetici con resistenza all’insulina di grado estremo è stata dimostrata la presenza di anticorpi contro i recettori per l’insulina, i quali file:///F|/sito/merck/sez12/1481138.html (1 of 3)02/09/2004 2.02.35

Disordini da ipersensibilità

pertanto impediscono il legame dell’insulina con il suo recettore. Nei pazienti affetti da morbo di Graves è stato identificato un anticorpo contro il recettore per l’ormone tireo-stimolante (Thyroid-Stimulating Hormone, TSH) che simula l’effetto del TSH sul suo recettore, provocando un ipertiroidismo. Le reazioni di citotossicità mediata da anticorpi si verificano quando una cellula ricoperta di anticorpi viene danneggiata dalle cellule killer. Sono disponibili tecniche di laboratorio per la determinazione delle sottopopolazioni di cellule B e T dei linfociti circolanti. Un’altra sottopopolazione non possiede marker cellulari B né T; queste cellule sono chiamate cellule null e comprendono le cellule killer e natural killer. Le cellule killer si legano alle cellule ricoperte da IgG per mezzo dei loro recettori per l’Fc e sono in grado di distruggere la cellula bersaglio. Le cellule natural killer non necessitano del rivestimento anticorpale della cellula per il suo riconoscimento e possono indurre la lisi di cellule tumorali, cellule infettate da virus e cellule fetali. Questi meccanismi sono stati dimostrati in modelli animali e in studi di ipersensibilità in vitro, ma il loro ruolo nella patologia umana non è stato ancora stabilito.

Diagnosi I test per confermare l’esistenza di questo meccanismo di danno immunologico comprendono la ricerca della presenza di anticorpo o complemento su una cellula o un tessuto, oppure la ricerca della presenza nel siero di anticorpi contro un antigene della superficie cellulare, un antigene tissutale, un recettore o un antigene estraneo (esogeno). Nonostante il complemento sia spesso necessario per indurre il danno cellulare di tipo II e la sua presenza possa essere rivelata sulle cellule o sui tessuti, l’attività emolitica complementare totale del siero non è diminuita, come avviene spesso nelle reazioni di ipersensibilità da immunocomplessi (IC) (di tipo III; v. oltre). Il test dell’antiglobulina (di Coombs) diretto e il test diretto delle antiglobuline non-γ rivelano rispettivamente la presenza di anticorpi e di complemento sui GR. Questi test utilizzano antisieri di coniglio, uno contro le immunoglobuline (Ig) e l’altro contro il complemento. Quando questi reagenti vengono miscelati con GR rivestiti da Ig o da complemento, ha luogo l’agglutinazione. Gli anticorpi eluiti da queste cellule mostrano sia specificità per gli antigeni dei gruppi sanguigni dei GR sia la capacità di fissare il complemento, dimostrando così di essere veri e propri autoanticorpi e di essere responsabili della presenza del complemento sui GR nel test diretto non γ−globulinico. Il test dell’antiglobulina indiretto rivela la presenza di un anticorpo circolante contro gli antigeni dei GR. Il siero del paziente viene incubato con GR dello stesso gruppo sanguigno (per evitare risultati falsi positivi dovuti a incompatibilità); su questi GR si esegue poi il test dell’antiglobulina. L’agglutinazione conferma la presenza di anticorpi circolanti contro gli antigeni dei GR. Nell’anemia emolitica indotta dalla penicillina, il paziente ha un test di Coombs diretto positivo durante la somministrazione di penicillina, ma ha un test dell’antiglobulina indiretto negativo se si utilizzano GR dello stesso tipo di quelli del paziente. Il siero del paziente, tuttavia, agglutinerà i GR nel test indiretto se essi vengono ricoperti con penicillina. La microscopia a fluorescenza viene usata per lo più per rivelare la presenza di Ig o di complemento nei tessuti (mediante la tecnica diretta) e può anche essere utilizzata per determinare la specificità di un anticorpo circolante (mediante la tecnica indiretta). Nell’immunofluorescenza diretta, un anticorpo di origine animale specifico per le Ig o il complemento dell’uomo viene marcato con un colorante fluorescente (solitamente fluoresceina) e poi stratificato sul tessuto. Quando si esamina il tessuto al microscopio a fluorescenza, una tipica colorazione fluorescente (verde per la fluoresceina) indica la presenza di Ig o di complemento umani nel tessuto. L’immunofluorescenza diretta può essere usata anche per rivelare la presenza di altre proteine sieriche, di componenti tissutali o

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Disordini da ipersensibilità

di antigeni esogeni, purché sia possibile produrre anticorpi animali specifici diretti contro di essi. La tecnica di per sé non indica la presenza di un antigene citospecifico, a meno che l’anticorpo non possa essere eluito dal tessuto e possa essere determinata la sua specificità per gli antigeni tissutali. Nella sindrome di Goodpasture il pattern dell’immunofluorescenza appare come una fluorescenza lineare lungo la membrana basale renale e polmonare. Quando l’anticorpo viene eluito dal rene di un paziente con sindrome di Goodpasture e stratificato su un rene o un polmone normali, esso si lega alla membrana basale e determina lo stesso pattern di fluorescenza lineare se saggiato con anticorpi contro le γ-globuline umane marcati con fluoresceina (immunofluorescenza indiretta). Nel pemfigo, l’immunofluorescenza diretta rivela la presenza di anticorpi diretti contro un antigene presente nel cemento intercellulare dello strato delle cellule spinose; nel pemfigoide, di anticorpi diretti contro un antigene della membrana basale. In entrambe le malattie, l’anticorpo sierico si può identificare con la tecnica dell’immunofluorescenza indiretta. Questa tecnica di immunofluorescenza viene usata per rivelare la presenza di anticorpi tessuto-specifici circolanti in molte altre malattie; p. es. anticorpi anti-tiroide nelle tiroiditi e anticorpi anti-nucleo e anti-citoplasma nel LES. Esistono in commercio kit per l’esecuzione di test anti-recettoriali per rivelare la presenza di anticorpi diretti contro i recettori per l’acetilcolina, ma i test per i recettori insulinici e quelli tiroidei non sono ancora disponibili. Non esistono situazioni cliniche nelle quali sia necessario eseguire il test di citotossicità anticorpo-dipendente. V. anche Disordini autoimmuni, oltre.

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Disordini genitourinari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI

214. Valutazione clinica dei disordini genitourinari 215. Incontinenza urinaria Incontinenza transitoria Incontinenza stabilizzata 216. Disordini mioneurogeni Vescica neurogena Sindrome della megavescica Disfunzione ureterale 217. Uropatie ostruttive 218. Malattie della prostata Iperplasia prostatica benigna Prostatite 219. Malattie dell’apparato genitale maschile Disordini del pene Priapismo Malattia di Peyronie Disordini dello scroto Epididimite Traumi dell’apparato genitale 220. Disfunzione erettile 221. Calcolosi urinaria 222. Insufficienza renale Insufficienza renale acuta (IRA) Insufficienza renale cronica (IRC)

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Disordini genitourinari

223. Dialisi Emodialisi Dialisi peritoneale Considerazioni sul trattamento non dialitico Aspetti psicosociali del trattamento dialitico cronico 224. Malattie glomerulari Sindrome nefritica Sindrome nefritica acuta Glomerulonefrite rapidamente progressiva Sindrome renale ematurica-proteinurica primitiva Sindrome nefritica-proteinurica cronica Sindrome nefrosica Malattia a lesioni minime Glomerulosclerosi focale segmentaria Glomerulonefrite membranosa Glomerulonefrite membranoproliferativa Glomerulonefrite mesangioproliferativa Sindromi nefrosiche congenite Malattie multisistemiche che si presentano con sindrome nefrosica 225. Malattia tubulo-interstiziale Nefrite tubulo-interstiziale acuta Nefrite tubulo-interstiziale cronica Nefrite tubulo-interstiziale da farmaci Nefrite tubulo-interstiziale metabolica e tossica 226. Nefropatia tossica 227. Infezioni delle vie urinarie Infezioni batteriche Infezioni micotiche Infezioni parassitarie

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Disordini genitourinari

Cistite interstiziale 228. Malattie nefrovascolari Ostruzione dell’arteria renale Ostruzione dell’arteriole e della microvascolarizzazione renale Malattia renale ateroembolica Necrosi corticale renale Nefroangiosclerosi arteriolare benigna Nefroangiosclerosi arteriolare maligna Sclerodermia renale Nefropatia da malattia drepanocitica Trombosi della vena renale 229. Sindromi da anomalie del trasporto renale Acidosi tubulare renale Glicosuria renale Diabete insipido nefrogenico (DIN) Sindrome di Bartter Sindrome di Liddle 230. Disordini renali ereditari e congeniti Nefropatie cistiche Malattie policistiche renali Nefronoftisi e malattia cistica midollare Rene a spugna midollare Nefropatie non cistiche Nefrite ereditaria Malattia della membrana basale sottile Nail-patella syndrome (sindrome unghia-rotula) 231. Malattia renale immunologicamente mediata 232. Traumi della via urinaria Trauma renale

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Disordini genitourinari

Trauma vescicale Trauma ureterale Trauma uretrale 233. Neoplasie genitourinarie Carcinoma renale Neoplasia renale secondaria Neoplasia della pelvi renale e dell’uretere Tumori della vescica Neoplasia della prostata Neoplasia uretrale Neoplasia del pene Neoplasie del testicolo

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 214. VALUTAZIONE CLINICA DEI DISORDINI GENITOURINARI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio

I disordini genitourinari possono presentarsi in modo aspecifico, ma di solito lo fanno con manifestazioni cliniche o anormalità degli esami di laboratorio tali da essere indicative di malattia renale primitiva o di malattia sistemica associata a patologia renale. Normalmente, un adulto urina 4-6 volte/die, per lo più durante il giorno, con una diuresi totale di 700-2000 ml/die.

Sintomi e segni Pazienti asintomatici con malattia renale possono avere ipertensione o reperti ematici o urinari alterati. Possono avere un’anamnesi familiare positiva per patologie renali (p. es., malattia policistica, nefropatia ereditaria). L’ecografia prenatale, eseguita di routine, può scoprire alterazioni renali del feto. In pazienti sintomatici, in caso di neoplasia renale, insufficienza renale in fase avanzata e IVU sono reperti comuni febbre, calo ponderale e malessere. Caratteristicamente, i sintomi renali comprendono alterazioni della minzione, della diuresi o dell’aspetto dell’urina; ematospermia nell’uomo; oppure dolore, edema, sintomi aspecifici e segni correlati all’insufficienza renale. La pollachiuria senza aumento del volume della diuresi è un sintomo di ridotta capacità di riempimento vescicale. Infezioni, corpi estranei, calcoli o neoplasie possono ledere la mucosa vescicale o le sottostanti strutture, causando un’infiltrazione flogistica ed edema. Una moderata distensione della vescica, una ridotta elasticità vescicale, una massa pelvica o un utero gravido provocano una riduzione funzionale della capacità vescicale, provocando dolore e urgenza minzionale (necessità impellente e irresistibile di urinare). Se la minzione non è immediata, si può verificare incontinenza. Il volume urinario è solitamente scarso e il desiderio di urinare può essere quasi costante, finché non si risolve il processo irritativo. La poliuria (diuresi > 2500 ml/die) può essere causata da aumentata assunzione di liquidi (p. es., disturbo compulsivo del bere), da diuresi osmotica (p. es., glicosuria da diabete mellito scompensato), da diminuito rilascio di vasopressina dovuto a patologia dell’ipotalamo o dell’ipofisi posteriore o diminuita risposta all’ADH da parte dei tubuli renali da ipercalcemia, carenza di K o diabete insipido nefrogeno (DIN), congenito o acquisito. L’oliguria (diuresi < 500 ml/die negli adulti o < 24 ml/kg/die nei bambini) tende a essere acuta e a essere causata da diminuzione della perfusione renale (fattori prerenali), da ostruzione ureterale o dello sbocco vescicale (fattori postrenali) o da una malattia renale primitiva. Si può verificare uremia. file:///F|/sito/merck/sez17/2141937.html (1 of 13)02/09/2004 2.02.39

Valutazione clinica dei disordini genitourinari

L’anuria (diuresi < 100 ml/die negli adulti), sebbene rara, può essere il segno di un’insufficienza renale acuta, dello stadio finale di un’insufficienza renale cronica progressiva o, raramente, d’infarto renale o necrosi corticale. Può essere anche dovuta a ostruzione urinaria reversibile. L’anuria prolungata dà luogo inevitabilmente a insufficienza renale. La nicturia (minzione durante la notte) è un sintomo anormale, ma non specifico. Può verificarsi senza che vi sia una malattia; p. es., quale risultato di eccessiva assunzione di liquidi a tarda sera. Può essere conseguenza di una ritenzione urinaria secondaria a ostruzione del collo vescicale (p. es., ipertrofia prostatica). Meno frequentemente può essere un indice precoce di malattia renale e di poliuria dovuta a una diminuzione della capacità di concentrazione delle urine o a insufficienza cardiaca ed epatica, senza evidenza di malattia intrinseca del sistema urinario. L’enuresi (emissione involontaria di urine a letto durante la notte) è fisiologica durante i primi 2 o 3 anni di vita; ma in età successive diventa un problema più serio (v. in Disturbi del comportamento nel Cap. 262). Può essere causata da una ritardata maturazione neuromuscolare della via urinaria inferiore o da un’affezione organica; p. es., infezione o stenosi uretrale distale nelle ragazze, valvole uretrali posteriori nei ragazzi o vescica neurogena in entrambi i sessi. La stranguria (minzione dolorosa) è indice di irritazione o infiammazione del collo vescicale o dell’uretra, dovuta di solito a infezione batterica. Sintomi persistenti senza infezione richiedono un’attenta valutazione della vescica e dell’uretra (v. anche Cap. 215). I sintomi ostruttivi (ritardo o necessità di sforzarsi per iniziare la minzione, diminuzione della forza e del calibro del mitto urinario, sgocciolamento postminzionale) sono di solito dovuti a un’ostruzione distale rispetto alla vescica. Negli uomini, questa è generalmente causata da una stenosi a livello della prostata o, meno frequentemente, da una valvola nell’uretra posteriore (che nei ragazzi può essere congenita). In entrambi i sessi, sintomi simili possono essere indice di stenosi del meato. L’incontinenza urinaria (perdita involontaria di urina) può essere causata da estrofia vescicale, epispadia, fistola vescico-vaginale, orifizi ureterali ectopici, disfunzione vescicale neurogena congenita o acquisita (neuropatia periferica, ictus, demenza), o da lesioni dovute all’intervento chirurgico di prostatectomia o al parto (v. anche Cap. 215). Nelle donne, l’incontinenza determinata da uno sforzo fisico di lieve entità (p. es., tosse, riso, corsa o sollevamento di qualche oggetto) è frequentemente dovuta all’atrofia dell’uretra da mancanza di estrogeni, al cistocele che si forma come conseguenza dell’invecchiamento o dello stiramento dei muscoli del pavimento pelvico durante il parto. La perdita di urina dovuta a ostruzione della regione cervico-uretrale oppure a vescica flaccida può produrre un’incontinenza da sovradistensione, quando la pressione intravescicale supera la resistenza della regione cervico-uretrale. Con l’incontinenza da sovradistensione è sempre presente residuo postminzionale. La pneumaturia (passaggio di gas nelle urine) è rara. Di solito indica la presenza di una fistola tra la via urinaria e l’intestino e può costituire la complicanza di una diverticolite, con formazione di un ascesso, di enterocolite, di un tumore del colon o di una fistola vescico-vaginale. Raramente la pneumaturia può essere dovuta alla formazione di gas in corso d’infezione batterica delle basse vie urinarie. Le alterazioni del colore o dell’aspetto dell’urina riconoscono molte cause. L’urina può essere chiara durante la diuresi da carico idrico oppure di colore giallo intenso quando è molto concentrata per la presenza di pigmenti (p. es., urobilina). Se si può escludere l’escrezione di pigmenti alimentari (di solito urine di colore rosso) o di farmaci (marrone, nero, blu, verde o rosso), colori diversi dal giallo suggeriscono la presenza di ematuria, emoglobinuria, mioglobinuria, piuria, porfiria o di melanoma. Un’urina torbida è solitamente dovuta alla precipitazione di sali di fosfati amorfi in un’urina alcalina; meno frequentemente, è indice di piuria dovuta a IVU. L’urina lattescente può essere prodotta da fosfati precipitati

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in un’urina alcalina. L’urina a polvere di mattone è solitamente prodotta da urati precipitati in un’urina acida. L’esame microscopico e chimico dell’urina ne può, di solito, identificare la causa. L’ematuria (sangue nell’urina) può produrre una variazione del colore che va dal rosso al marrone secondo la quantità di sangue presente e dell’acidità dell’urina. Un’ematuria lieve può non dare variazioni di colore e può essere diagnosticata soltanto con l’analisi microscopica e chimica. L’ematuria senza dolore è solitamente dovuta a un’affezione renale, vescicale o prostatica. In assenza di cilindri ematici (che di solito indicano glomerulonefrite, v. Tab. 214-1), un’ematuria asintomatica può essere causata da neoplasia della vescica o del rene. Di solito, questi tumori sanguinano a intermittenza e il fatto che il sanguinamento si interrompa spontaneamente non deve essere motivo di tranquillità. In corso di nefropatia da IgA, si può anche verificare ematuria intermittente, ricorrente. Altre cause di ematuria asintomatica comprendono calcoli, malattia policistica, cisti renali, malattia drepanocitica (anemia a cellule falciformi), idronefrosi e iperplasia prostatica benigna. Ematuria accompagnata da dolore lancinante (colica renale) indica il passaggio di un calcolo o di un coagulo formatosi in seguito a un sanguinamento renale. L’ematuria con disuria è associata anche a infezioni vescicali o a litiasi. La chiluria (presenza di linfa nell’urina) è provocata dalla rottura di un vaso linfatico, dovuta principalmente ad anomale connessioni tra i linfatici retroperitoneali ostruiti e il sistema collettore renale oppure alla filariasi, al linfoma o a neoplasie occulte. L’ematospermia (sangue nello sperma) ricorre in < 2% delle consulenze urologiciche. La maggior parte dei pazienti ha episodi ricorrenti di ematospermia, anche se qualcuno ne riferisce uno solo. Generalmente è idiopatica. La causa può essere una patologia delle vescicole seminali dovuta a un’infezione non identificata o a congestione vascolare. Può essere associata a una prolungata astinenza sessuale, a coito frequente o interrotto. Il disturbo è di solito benigno e raramente associato a neoplasie o a gravi infezioni. Tuttavia ,questi pazienti dovrebbero essere valutati per infezioni prostatiche o stenosi uretrali. Occasionalmente, l’ematospermia è dovuta a coagulopatia. Il trattamento è empirico, a meno che non venga riconosciuta una causa. Alcuni urologi preferiscono un ciclo di 5-7 giorni di tetraciclina 250 mg qid, seguita da un delicato massaggio prostatico. Il dolore renale è solitamente riferito al fianco o al dorso tra la 12a costa e la cresta iliaca, con occasionale irradiazione all’epigastrio. La distensione della capsula renale, che è sensibile allo stimolo algogeno, ne è la probabile causa. Questa si può verificare in qualsiasi condizione che causi tumefazione del parenchima (p. es., glomerulonefrite acuta, pielonefrite, ostruzione ureterale acuta). Vi è spesso una marcata dolorabilità nella zona al di sopra del rene, nell’angolo costovertebrale formato dalla 12a costa e dalla colonna lombare. Infiammazione e/o distensione acuta della pelvi renale o dell’uretere causano dolore al fianco e all’ipocondrio, con irradiazione nella fossa iliaca ipsilaterale e spesso alla parte superiore della coscia, al testicolo o alle grandi labbra. Il dolore è intermittente, ma non scompare mai del tutto tra una colica e l’altra. L’ostruzione cronica solitamente è asintomatica. Il dolore vescicale è molto frequentemente causato da cistite batterica; è comunemente riscontrabile nell’area sovrapubica e, durante la minzione, viene avvertito nell’uretra distale. La ritenzione acuta d’urina causa dolore molto intenso, mentre la ritenzione urinaria cronica dovuta a ostruzione del collo vescicale o a vescica neurogena solitamente provoca pochi disturbi. Il dolore prostatico dovuto alla prostatite può essere avvertito come un vago fastidio o un senso di pesantezza nell’area perineale o rettale, ma la patologia prostatica è generalmente priva di sintomatologia dolorosa. Il dolore testicolare, dovuto a trauma o infezione, è solitamente intenso. L’edema rappresenta in genere un eccesso di acqua e di Na nello spazio

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extracellulare dovuto a escrezione renale anormale, ma può essere causato anche da una malattia cardiaca o epatica. Inizialmente, l’edema si evidenzia soltanto con un aumento di peso, ma in seguito diventa palese. L’edema associato a patologia renale può essere talora notato per la prima volta come pienezza delle gote piuttosto che come gonfiore nelle parti declivi o inferiori del corpo. Se la ritenzione di liquidi prosegue, si può verificare l’anasarca (edema generalizzato) con trasudati fluidi (versamenti) nelle cavità pleurica e peritoneale; più frequentemente è associato a proteinuria continua e grave (sindrome nefrosica). L’uremia (condizione tossica associata a eccessivo accumulo nel sangue di prodotti del metabolismo proteico) si verifica quando la GFR scende a < 10% della norma, con conseguenti alterazioni di molteplici sistemi d’organo. I sintomi e segni più comuni sono: calo ponderale, debolezza, fatica, dispnea, anoressia, nausea e vomito, prurito, ritardo di crescita, tetania, neuropatia periferica, pericardite e convulsioni. La maggior parte di questi può però essere migliorata o risolta con la dialisi o il trapianto renale, e con un’adeguata dieta. L’ipertensione può essere secondaria a una patologia renale (anomalie od ostruzione vascolare, glomerulonefrite, insufficienza renale progressiva). Tuttavia, il 5% delle ipertensioni negli adulti è dovuto a cause nefrovascolari (con stenosi dell’arteria renale principale o dell’arteria segmentaria e con un aumento dimostrabile di renina dal lato ostruito). Le alterazioni della cute possono comprendere pallore, indizio di anemia, comunemente associata a malattia renale; escoriazioni, probabilmente causate da prurito e infezioni (p. es., lesioni pustolose della cute, cellulite) che possono essere dovute a glomerulonefrite. Lesioni cutanee da vasculite o da endocardite possono indicare una possibile causa di malattia renale. Le alterazioni della retina all’esame oftalmoscopico possono comprendere emorragie, essudati e papilledema, quale segno di edema cerebrale associato a ipertensione maligna, o alterazioni metaboliche. Altre alterazioni, indici di patologia del sistema urinario, comprendono: stomatiti, un alito con odore di ammoniaca e l’ingrandimento dei reni, della vescica o della prostata alla palpazione.

Esami di laboratorio Esami ematologici: una valutazione ematologica può suggerire la presenza di malattia renale. L’anemia (soprattutto quella normocitica-normocromica da carenza di eritropoietina) può essere un indizio di insufficienza renale, ma bisogna escludere molte altre cause (p. es., neoplasie, patologie infiammatorie sistemiche). La policitemia si può riscontrare nel carcinoma renale o nella malattia policistica, ma le cause più frequenti andrebbero considerate per prime . Gli esami ematochimici sono spesso anormali nell’insufficienza renale, ma le alterazioni sono aspecifiche. L’ipernatriemia, per esempio (v. Cap. 12) è per lo più dovuta a mancanza di un’adeguata assunzione di acqua in un paziente obnubilato, ma può essere provocata da una perdita eccessiva di acqua per un difetto di concentrazione renale dovuto a un’affezione tubulo-interstiziale (p. es., diabete insipido nefrogeno [DIN], nefropatia ipercalcemica o da deplezione di potassio). Il HCO3 sierico può diminuire in conseguenza di acidosi metabolica dovuta a malattia renale, di acidosi lattica o di chetoacidosi. In assenza di un danno muscolare acuto, un persistente aumento della creatinina sierica è altamente specifico per patologia renale (v. Misurazione della funzione renale, oltre ). Esame chimico dell’urina: l’esame chimico delle urine è la miglior guida per evidenziare malattie GU intrinseche e comprende l’esame microscopico del sedimento e la valutazione qualitativa di proteine, glucoso, chetoni, sangue, nitriti

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ed esterasi leucocitaria. In condizioni standard, la concentrazione di soluto dell’urina (osmolarità o p. sp.) o il pH urinario possono assumere significato diagnostico. L’esame chimico delle urine di routine in pazienti asintomatici è raramente positivo e altrettanto raramente induce la richiesta di ulteriori indagini o cambiamenti terapeutici. Solo nelle donne gravide vi sono buone ragioni per eseguire lo screening della batteriuria (per prevenire serie complicanze materne e fetali) e della proteinuria (per individuare la preeclampsia). Tuttavia, l’esame chimico delle urine per batteriuria ha il 2% di falsi negativi e quindi si raccomanda un esame colturale con conta delle colonie. La ripetizione del test per nitriti in un campione di urina del primo mattino può essere un metodo utile ed economico per seguire le donne in gravidanza in fase avanzata dopo un esame colturale negativo. Elementi particellari nell’urina, che possono venire separati e concentrati forzando l’urina attraverso un filtro membranoso, richiedono speciali tecniche di colorazione per la microscopia ma forniscono un dato permanente. Generalmente, si centrifugano 10-15 ml di urina emessa da poco, per 5 min e a bassa velocità (1500 giri/ min). Dopo aver scartato il sopranatante, si esamina il residuo in una speciale camera emocitometrica a volume fisso, ma può essere sufficiente anche un comune vetrino da microscopio con coprioggetto. Usando una luce ridotta con un obiettivo a piccolo ingrandimento, vengono esaminati diversi campi. Aumentando la luce, con l’obiettivo a forte ingrandimento, vengono identificati cilindri e cellule specifiche (v. Tab. 214-2). Una stima semiquantitativa della quantità di questi elementi figurati viene fatta tramite un conteggio nei campi a piccolo e forte ingrandimento (p. es., da 10 a 15 GB/campo microscopico ad alto ingrandimento). L’urina normale contiene poche cellule e altri elementi figurati, riversati in essa durante l’intero percorso nel sistema urinario. In presenza di una malattia, queste cellule aumentano e possono aiutare a localizzare la sede e il tipo di lesione. Nelle donne, l’urina emessa contiene anche cellule del tratto genitale. Una malattia del sistema urinario è indicata in un uomo da > 1 GB, GR o cellule epiteliali per campo ad alta risoluzione (400 ⋅), vale a dire > 1000 cellule/ml o in una donna da > 4 GB per campo ad alta risoluzione, cioè, > 4000 cellule/ml nelle urine centrifugate. Leucociti in numero eccessivo possono indicare infezione o altre malattie infiammatorie. In pazienti sintomatici il riscontro di > 10 leucociti/µl è fortemente indicativo di batteriuria significativa. Trovare batteri occasionali in un sedimento urinario centrifugato non indica necessariamente la presenza di IVU. Tuttavia, batteri in un campione non centrifugato di urina appena emessa con urinocolture con una conta di colonie 105 unità formanti colonie (colony-forming unit, CFU)/ml sono indice di un’IVU piuttosto che di contaminazione. Una quantità eccessiva di GR può indicare la presenza di infezione, tumore, calcoli o infiammazione a carico di un qualsiasi punto del sistema urinario. Quando 80% dei GR è dismorfico (ampio intervallo di variazioni morfologiche), l’ematuria è probabilmente di origine glomerulare (v. Cap. 224). In alcune condizioni cliniche, l’analisi della morfologia dei GR può essere irrealizzabile. Per esempio, nella diuresi forzata, nella macroematuria con glomerulonefrite o nell’insufficienza renale può ritrovarsi eritrocituria isomorfa. Un quadro morfologico vario di GR urinari si può verificare nella glomerulonefrite da IgA, una causa frequente di ematuria glomerulare. La recente identificazione di acantociti (GR rotondi con una o più protrusioni di differenti forme e ampiezza) è un marker più specifico di sanguinamento glomerulare. Alcuni studi indicano che se il 5% dei GR urinari totali è composto di acantociti, allora può essere diagnosticata, con un alto indice di sensibilità (71%) e specificità (98%), una sottostante malattia glomerulare. Si possono ritrovare cristalli di vari sali (p. es., ossalati, fosfati, urati) o di farmaci (p. es., sulfamidici) quando le loro concentrazioni e il pH urinario superino i limiti della loro solubilità. Nel sedimento urinario, i cilindri (masse cilindriche di mucoproteine nelle quali possono essere intrappolati elementi cellulari, proteine o goccioline grasse) sono importantissimi per distinguere un’affezione renale primitiva da patologie delle vie urinarie (v. Tab. 214-1).

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La proteinuria è riscontrabile in modo semplice e rapido mediante i test reattivi disponibili in commercio. Questa tecnica è sensibile alla presenza di basse dosi, 5-20 mg/dl, di albumina, la proteina predominante nella maggioranza delle affezioni renali, ma è meno sensibile alle globuline e alle mucoproteine e può essere negativa in presenza di proteina di Bence-Jones. L’elettroforesi, l’immunoelettroforesi e test radioimmunologici sono in grado anche di separare o quantificare varie proteine urinarie. I principali meccanismi che provocano proteinuria sono: alte concentrazioni plasmatiche di proteine normali o anormali (proteinuria da "iperafflusso" p. es., lisozimuria nella leucemia mielomonocitica, proteinuria di Bence-Jones); aumentata secrezione da parte delle cellule dei tubuli (proteinuria di TammHorsfall); minore riassorbimento tubulare di proteine normalmente filtrate e aumento di proteine filtrate causato da un’alterata permeabilità dei capillari glomerulari. Negli adulti, la proteinuria viene riscontrata come reperto occasionale durante una normale visita medica. La proteinuria può essere intermittente, ortostatica (presente soltanto nella posizione eretta) o costante (persistente). La maggior parte dei pazienti con proteinuria intermittente od ortostatica non mostra alcun deterioramento della funzione renale e in circa il 50% di essi la proteinuria scompare dopo diversi anni. La presenza, però, di proteinuria costante è un problema più serio. Sebbene il decorso sia asintomatico senza altri segni di malattia renale (p. es., ematuria microscopica), la maggior parte dei pazienti ha proteinuria per molti anni; molti sviluppano un sedimento urinario anormale e ipertensione, e una minoranza progredisce fino all’insufficienza renale. Le misurazioni dell’escrezione di proteine sono utili per la diagnosi e per seguire il decorso dei pazienti, specialmente se la proteinuria è costante. Si può effettuare la misura dell’escrezione di proteine totali nella 24 ore (valori normali, < 150 mg/die). Alternativamente, viene misurato, in un campione casuale di urine, il rapporto proteine/creatinina (valori normali < 0,2). Una grave proteinuria (> 2 g/m2/die o un rapporto proteina/creatinina > 2) solitamente si riscontra in pazienti con sindrome nefrosica da glomerulonefrite (v. Cap. 224). La proteinuria è di solito minima, intermittente o assente nelle patologie tubulointerstiziali (p. es., pielonefrite, nefropatia da analgesici, nefrosclerosi benigna, nefropatie da ipercalcemia e da deplezione di potassio). La proteinuria da sforzo si verifica a volte in maratoneti, pugili e jogger. È accompagnata da un aumento di catecolamine e può essere associata a emoglobinuria, ematuria o persino mioglobinuria. Per la glicosuria il test con stick reattivi è specifico e sensibile, essendo in grado di dimostrare anche la presenza di una piccola quantità di glucoso, come 100 mg/ dl (5,5 mmol/l). La causa più frequente di glicosuria è l’iperglicemia con normale trasporto renale di glucoso. Tuttavia, se la glicosuria persiste con normali concentrazioni ematiche di glucoso, si dovrebbe prendere in considerazione una disfunzione dei tubuli renali. Per la chetonuria il reagente degli stick è più sensibile all’acido acetoacetico che all’acetone e non reagisce con l’acido β-idrossibutirrico. La chetonuria di solito è aspecifica e l’acido acetoacetico, l’acetone e l’acido β-idrossibutirrico vengono tutti escreti nell’urina. Il riscontro di uno di questi 3 componenti nelle urine è in genere sufficiente per diagnosticare la chetonuria. La chetonuria è un indice dell’eziologia dell’acidosi metabolica. È presente nel digiuno prolungato, nel diabete mellito scompensato e talvolta nell’intossicazione da etanolo. Non è specifica di un’affezione intrinseca del sistema urinario. Per l’ematuria il reagente delle strisce reattive è sensibile alla Hb libera e alla mioglobina. Un test positivo in assenza di GR all’esame microscopico è indice di emoglobinuria o di mioglobinuria ed è un indizio importante dell’eziologia in un paziente con insufficienza renale acuta. Per la nitrituria il test dipende dalla trasformazione di nitrato (derivato da

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metaboliti dietetici) in nitrito tramite l’azione di alcuni batteri nell’urina. Normalmente non si rileva la presenza di nitriti. In presenza di batteriuria importante, il test sarà positivo nell’80% dei casi in cui l’urina è rimasta per almeno 4 h nella vescica. Quindi, un test positivo è un indice affidabile di batteriuria significativa. Comunque un test negativo non la esclude. Le ragioni di un test negativo in presenza di batteriuria comprendono: insufficiente tempo d’incubazione nella vescica per la trasformazione di nitrato in nitrito, scarsa escrezione urinaria di nitrato, assenza in alcuni microrganismi urinari patogeni degli enzimi che trasformano il nitrato in nitrito e riduzione dei nitrati in azoto da parte di enzimi batterici. L’esterasi leucocitaria, si ritrova nei granuli azzurrofili o principali dei neutrofili. Il suo rilevamento, che indica la presenza di GB, è un surrogato per rilevare la presenza di batteriuria, ma in realtà è suggestiva della presenza di un processo flogistico di qualsiasi natura, il più comune dei quali è l’infezione batterica. Si possono verificare falsi negativi in presenza di urine molto concentrate, di glicosuria, di urobilinogeno, di fenazopiridina, di nitrofurantoina, di rifampicina e di grandi quantità di vitamina C. L’osmolarità è la concentrazione totale di soluti nelle urine, espressa come mOsm/kg (mmol/kg) di acqua urinaria. La miglior determinazione si ottiene con un osmometro. La normale osmolarità urinaria varia tra i 50 e i 1200 mOsm/kg secondo il titolo circolante di vasopressina e dell’indice di escrezione di soluti urinari. Sebbene la perdita della capacità di concentrazione urinaria sia un test sensibile di disfunzione renale, la misurazione dell’osmolarità urinaria (o del peso specifico) in un campione di urina raccolta casualmente è di aiuto soltanto quando è maggiore di 700 mOsm/ kg (peso specifico 1020), poiché esclude un’importante patologia tubulo-interstiziale. Valori dell’osmolarità più bassi possono essere normali o anormali a seconda del precedente stato di idratazione. Il peso specifico dell’urina viene misurato per mezzo di un urinometro o mediante l’indice di rifrazione (rifrattometro) o mediante strisce reattive. Sebbene la correlazione con l’osmolarità non sia lineare, essa è sufficiente per le applicazioni cliniche tranne quando siano presenti grandi quantità di glucoso o di soluti ad alto peso molecolare quali sostanze proteiche od organiche iodate (mezzi di contrasto radiografico). Diversamente dall’urinometro e dal rifrattometro che danno valori anormalmente elevati in contrasto con valori bassi di osmolarità, le strisce reattive per la valutazione del peso specifico risentono della presenza di queste sostanze nell’urina. Il pH urinario viene misurato da uno stick reattivo impregnato con vari coloranti che cambiano colore quando il pH varia tra 5 a 9. Sebbene questo esame sia eseguito di routine, non identifica né esclude i pazienti con patologia del sistema urinario. Tuttavia, spesso aiuta a identificare i vari cristalli che possono trovarsi nell’urina all’esame microscopico. L’esame del pH urinario mediante pH-metria è un punto critico nella diagnosi dell’acidosi tubulare renale di tipo distale, che è suggerita da un pH urinario > 5,5 dopo un carico acido. Il pH urinario in pazienti con altri tipi di affezione renale generalmente varia in modo relativamente normale, anche se la capacita di eliminare acido titolabile e ammoniaca può essere ridotta. Urinocoltura quantitativa: si deve ottenere un campione per urinocoltura che rappresenti l’urina della vescica senza contaminazione da altre fonti. Ciò si può ottenere direttamente con un catetere uretrale o con aspirazione sovrapubica con ago dalla vescica. Tecniche non invasive, che utilizzino urine del mitto intermedio raccolte sterilmente e metodi di coltura quantitativa, di solito possono fornire informazioni adeguate senza i rischi di una manovra strumentale. L’interpretazione del numero delle colonie batteriche deve tener conto delle condizioni cliniche del paziente (v. Tab. 214-3). Le indagini per la localizzazione dell’infezione (v. Tab. 214-4) si basano sull’ipotesi che i batteri provenienti dagli ureteri siano indicativi d’infezione renale (v. anche Cap. 227). La maggior parte dei pazienti con IVU ha batteriuria vescicale senza evidenza di invasione tissutale, che risponde prontamente a un trattamento antibiotico adeguato (a meno che non vi sia un’ostruzione urinaria). Indagini per la localizzazione non sono indicate. Tuttavia, nel paziente con file:///F|/sito/merck/sez17/2141937.html (7 of 13)02/09/2004 2.02.39

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frequenti recidive di infezioni, le indagini di localizzazione possono aiutare a scoprirne la causa e portare a un diverso trattamento terapeutico. Il metodo del "washout" vescicale è probabilmente la procedura meno invasiva di localizzazione, poiché evita la cistoscopia e la cateterizzazione ureterale. Misurazione della funzionalità renale: i test di funzionalità renale (v. Tab. 2145) sono utili nel valutare la gravità della patologia renale e nel seguirne l’evoluzione. La creatinina sierica può essere adoperata come un indice della funzionalità renale, poiché la produzione e l’escrezione di creatinina sono ragionevolmente costanti in assenza di malattie muscolari. La concentrazione plasmatica di creatinina varia inversamente alla GFR ed è di conseguenza un utile indice della GFR stessa, se si considerano la sua produzione (in rapporto alla massa muscolare e all’età) e metabolismo (maggiore nell’uremia). Il limite più alto di concentrazione plasmatica di creatinina in uomini con una GFR normale è di 1,2 mg/dl (110 µmol/l); nelle donne, di 1 mg/dl (90 µmol/l). La creatinina clearance negli uomini è di 140-200 l/die (70 ± 14 ml/min/m2) e nelle donne di 120-180 l/die (60 ± 10 ml/min/m2). Negli uomini, si può calcolare la creatinina clearance (Clcreat) dalla concentrazione sierica di creatinina come:

Nelle donne, i valori calcolati vengono moltiplicati per 0,85. La clearance della creatinina non è utile per scoprire lesioni renali precoci a causa dell’ipertrofia dei glomeruli residui. Dopo la perdita dal 50 al 75% della normale superficie di filtrazione glomerulare, si evidenzia chiaramente una diminuzione della clearance della creatinina. Quindi, una clearance della creatinina normale non può escludere la presenza di una patologia renale di modesta entità. Diversamente dalla creatinina sierica, l’azoto ureico (Blood Urea Nitrogen, BUN) non è utilizzabile come unico indice di valutazione della funzionalità renale poiché è influenzato da variazioni del flusso urinario e dalla produzione e metabolismo dell’urea. Il rapporto BUN:creatininemia è spesso usato per differenziare l’iperazotemia prerenale, renale o postrenale (ostruttiva). Un rapporto > 15 è anormale e indica un’iperazotemia prerenale o postrenale. Il rapporto azoto ureico:creatininemia si eleva ogni qual volta la produzione di urea aumenta con la dieta, con la nutrizione parenterale totale o con terapia steroidea, con alcune neoplasie e antibiotici e con l’ipercatabolismo proteico, come si osserva nelle infezioni e nel diabete mellito scompensato. Le cause di iperazotemia prerenale comprendono shock, perdita di liquidi extracellulari, emorragia massiva GI, grave insufficienza epatica e cardiaca e stenosi serrata bilaterale dell’arteria renale. Il rapporto azoto ureico:creatininemia è normale nell’iperazotemia di origine renale. Si riscontra un rapporto basso in gravidanza, in caso d’iperidratazione, nella grave epatopatia e nella malnutrizione. I test per la capacità di concentrazione renale sono semplici e diagnosticamente utili. Una perdita della capacità di concentrazione in presenza di un’adeguata stimolazione da parte della vasopressina è associata a malattia tubulo-interstiziale (edema, infiltrato, fibrosi), tranne quando vi sia un diabete insipido nefrogeno (DIN). La perdita della capacità di concentrazione è frequentemente presente molto prima che sia misurabile una diminuzione della GFR. I test migliori per valutare la capacità di concentrazione del rene sono quello della privazione di acqua per un periodo di 12-14 ore e quello della risposta alla vasopressina esogena. Dopo che il paziente ha digiunato per 1214 ore durante la notte, vengono misurati l’osmolarità della prima urina del mattino e dei successivi campioni raccolti ogni ora. La massima capacità di concentrazione è stata raggiunta con la privazione di acqua quando vi è una differenza di < 30 mOsm/kg o di gr < 0,001 peso specifico nelle misurazioni consecutive di ogni ora. Vengono somministrate 5 U SC di vasopressina acquosa o 10 µg di desmopressina per insufflazione nasale e l’osmolarità urinaria viene file:///F|/sito/merck/sez17/2141937.html (8 of 13)02/09/2004 2.02.39

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misurata dopo un’altra ora. I risultati di questo tipo di esame sono mostrati nella Fig. 214-1. (Attenzione: nei pazienti con insufficienza renale, la privazione di acqua può essere pericolosa e di solito non è utile per la diagnosi; la capacità di concentrazione è sempre anormale quando la GFR è ridotta in modo significativo.) Se non si ha risposta né alla privazione di acqua né alla vasopressina esogena, vi può essere un difetto intrinseco della concentrazione renale che può essere dovuto a una o più delle seguenti cause di danno funzionale tubulare: congenito (p. es., diabete insipido nefrogeno, DIN, sindrome di Fanconi) o acquisito (p. es., diuresi osmotica, alcuni diuretici [furosemide, bumetanide, acido etacrinico], deficit di potassio o ipercalcemia). Altrimenti, si deve prendere in considerazione una malattia tubulo-interstiziale, come si osserva nella malattia drepanocitica, nella nefrite tossica, nella pielonefrite, nella nefrosclerosi o in qualsiasi altra patologia renale tanto grave da produrre iperazotemia. Per altre risposte a questi test e per le loro interpretazioni, v. Terapia in Diabete insipido nel Cap. 7. La misurazione del flusso plasmatico renale non è clinicamente più utile della GFR ma è più difficile e costosa. Test speciali addizionali della funzione tubulare renale richiedono solitamente laboratori di ricerca specializzati e vengono riservati a pazienti con problemi specifici. Tuttavia, i test che misurano fosfati e urati plasmatici, aminoacidi urinari e pH urinario sono facilmente ottenibili e possono dimostrarsi utili nello screening di specifici problemi clinici. Tecniche di diagnostica per immagini: la radiografia diretta dell’addome (rene, uretere, vescica) può rivelare la dimensione e la posizione dei reni ma è stata ormai superata dall’ecografia. Poiché le affezioni GI e GU tendono a confondersi quanto a sintomi, la radiografia può essere utile nella diagnosi differenziale. Tuttavia, il contorno renale può essere nascosto dal contenuto intestinale, dalla mancanza del grasso perirenale o da un ematoma o ascesso perirenale. Questa difficoltà può essere superata dalla TC. Può venire svelata l’assenza congenita di un rene. Se entrambi i reni sono insolitamente grandi, ci si può trovare in presenza di una malattia policistica renale, di un mieloma, di un linfoma, di amiloidosi o d’idronefrosi. Se entrambi i reni sono piccoli, si deve prendere in considerazione lo stadio finale di una displasia renale bilaterale o di una malattia sclerosante (p. es., glomerulonefrite, nefrite tubulo-interstiziale, nefroangiosclerosi). Un ingrandimento monolaterale suggerisce un tumore renale, una cisti o un’idronefrosi, mentre un rene piccolo monolaterale, è compatibile con displasia congenita, con pielonefrite atrofica o con un rene ischemico. Normalmente, il rene sinistro è più lungo di 0,5 cm del destro. Nel 90% dei casi, il rene destro è più basso del sinistro in quanto spostato dal fegato. Gli assi maggiori dei reni sono obliqui rispetto alla colonna vertebrale e tendono a essere paralleli rispetto ai margini dei muscoli psoas. Se entrambi i reni sono paralleli alla colonna vertebrale, bisogna pensare alla possibilità di reni a ferro di cavallo. Se soltanto un rene è dislocato, vi può essere un tumore o una cisti. Poiché la radiografia è bidimensionale, è praticamente impossibile fare diagnosi di calcolosi della via urinaria, a meno che non vi sia un calcolo "a corna di cervo". Tuttavia si possono notare formazioni radiopache sospette nelle regioni surrenalica, renale, ureterale, vescicale o prostatica. Per poter localizzare calcificazioni soprattutto all’interno di queste strutture sono necessarie radiografie oblique e laterali e la visualizzazione della via urinaria con mezzo di contrasto, con l’ecografia e con la TC. L’urografia endovenosa (UE, chiamata comunemente, ma non correttamente PEV, pielografia endovenosa) è effettuata per visualizzare il rene e il tratto inferiore della via urinaria. Viene eseguita con infusione EV di un derivato iodato dell’acido benzoico. La molecola iodata fornisce la radiopacità, mentre l’acido benzoico viene rapidamente filtrato dal rene. Un mezzo di contrasto dopo infusione EV si concentra nei tubuli renali in 5 min, fornendo un nefrogramma. La TC renale viene spesso eseguita per mostrare i contorni renali che possono altrimenti essere nascosti dal gas sovrastante o dal contenuto intestinale. Inoltre, si possono frequentemente differenziare le cisti dalle neoplasie solide. Più tardi il file:///F|/sito/merck/sez17/2141937.html (9 of 13)02/09/2004 2.02.39

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mezzo di contrasto appare nel sistema collettore, tracciando i contorni della pelvi renale, degli ureteri e, in ultimo, della vescica. La visualizzazione dipende dalla concentrazione del mezzo di contrasto nei reni e nel sistema collettore. Quindi, i migliori radiogrammi si ottengono nei pazienti con una GFR normale non diuretizzati al momento della somministrazione del mezzo di contrasto. Uno studio adeguato è generalmente difficile da ottenere in pazienti con BUN > 50 mg/ dl (> 17,8 mmol urea/ l) o con creatininemia > 3 mg/dl (270 µmol/l). Per i pazienti con iperazotemia, sono meno rischiose e vengono quindi preferite altre tecniche di visualizzazione renale (p. es., l’ecografia o, se indicata, la TC). L’urografia endovenosa è indicata per individuare la causa di IVU ricorrenti o quando la sede di un’ostruzione provoca idronefrosi, reflusso vescico-ureterale, ipertensione e urolitiasi. Se si sospetta una lesione renale, l’urografia confermerà che il rene non leso è normale e fornirà informazioni funzionali sul rene colpito. Comunque in caso di trauma del sistema urinario, si preferisce la TC (o talvolta l’angiografia). (Attenzione: in seguito a procedure contrastografiche, occasionalmente, si nota insufficienza renale acuta [incidenza < 0,5%]in pazienti a basso rischio. Il meccanismo è sconosciuto, ma i fattori concomitanti di rischio per nefropatia da mezzo di contrasto comprendono: preesistente insufficienza renale, diabete mellito, età avanzata, disidratazione e mieloma multiplo. Quando vengono eseguiti studi contrastografici in pazienti ad alto rischio, un’idratazione adeguata, un mezzo di contrasto non ionico e una riduzione del dosaggio possono ridurre il rischio.) Nella pielografia retrograda, i mezzi di contrasto radiopachi, simili a quelli impiegati per l’urografia endovenosa, vengono introdotti direttamente nella via urinaria previa cistoscopia e cateterizzazione dell’uretere. La pielografia ascendente fornisce un’opacizzazione più intensa del sistema collettore e minzionale, quando l’urografia ha avuto insuccesso per la modesta funzionalità renale o non ha visualizzato il rene, quando vi è un sanguinamento delle alte vie urinarie con una normale urografia, o quando questa mostra un difetto di riempimento. Inoltre, una valutazione per via retrograda può essere indicata per stabilire il grado di ostruzione ureterale o quando il paziente è allergico ai mezzi di contrasto EV. È anche utile per un esame dettagliato del sistema collettore pelvicaliceale, degli ureteri (compreso il sospetto di fistola ureterovaginale) e della vescica. Gli svantaggi sono: rischio di infezione, distorsione dei calici per iperdistensione; fenomeni di flusso retrogrado ("backflow") che oscurano il dettaglio, edema ureterale acuto, ostruzione per stenosi secondaria e la necessità dell’anestesia. Nella pielografia anterograda, il mezzo di contrasto viene introdotto nella pelvi renale mediante visualizzazione radiografica. Questa indagine può essere indicata quando la pielografia retrograda non può essere effettuata per l’impossibilità di incannulare un uretere, per la presenza di una grave patologia vescicale, per la presenza di un uretere ectopico o reimpiantato o per l’impossibilità di iniettare il mezzo di contrasto al di sopra del punto ostruito nell’uretere. La cistografia, che è una fase dell’urografia endovenosa, può rivelarsi insoddisfacente per una scarsa opacizzazione o per un riempimento incompleto. È allora necessaria una cistografia retrograda (riempimento controllato della vescica tramite catetere) per un’adeguata visualizzazione. La cistografia retrograda è consigliabile per studi sulla vescica neurogena, sulle rotture vescicali o sulle infezioni ricorrenti della via urinaria. Cause quali reflusso vescicoureterale o fistole vescicali possono essere diagnosticate con questa tecnica o con scintigrafia vescicale. I radiogrammi vengono scattati durante e dopo la minzione per essere sicuri di un adeguato svuotamento vescicale. L’uretra maschile può essere esaminata durante la minzione, al termine della cistografia (uretrocistografia minzionale). Se non può essere inserito un catetere uretrale, viene utilizzata l’iniezione retrograda di un mezzo di contrasto per delineare una patologia uretrale (uretrocistografia retrograda). La TC è più costosa dell’ecografia e della urografia. Tuttavia la TC è utilissima file:///F|/sito/merck/sez17/2141937.html (10 of 13)02/09/2004 2.02.39

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nel valutare il carattere e l’estensione delle masse renali o nel determinare l’eziologia di una massa retroperitoneale che deforma il normale profilo del via urinaria (p. es., un linfonodo addominale ingrandito). Le cisti renali hanno una bassa densità alla TC. Dopo iniezione EV di mezzo di contrasto, non vi è alcun immagine di rinforzo; piuttosto, la cisti spicca come una "lucentezza" prominente contro il parenchima contenente il contrasto. Al contrario, il carcinoma renale è generalmente isodenso alla scansione senza contrasto, mentre con il contrasto EV può mostrare una maggiore densità provocata dall’ipervascolarizzazione della lesione. Un rafforzamento del contrasto aiuta spesso a dimostrare aree necrotiche dentro la massa e aree a contenuto grasso che suggeriscono la presenza di un angiomiolipoma. Spesso è possibile determinare l’estensione dell’interessamento extrarenale da parte del tumore. Quando si sospetta o sia nota la presenza di un carcinoma vescicale, la TC, con immissione sequenziale intravescicale di aria e mezzo di contrasto, rappresenta un’altra tecnica efficace. L’angiografia è la tecnica di diagnostica per immagini più invasiva e viene riservata per indicazioni particolari. I mezzi di contrasto possono essere introdotti per via retrograda, in cui un catetere viene inserito in un’arteria periferica (femorale, ascellare) e spinto nel lume aortico fino all’area desiderata, e per via translombare, ora impiegata raramente, in cui si punge l’aorta per via percutanea. La tecnica retrograda è più sicura e più semplice, e fornisce angiogrammi migliori. In molte istituzioni l’arteriografia convenzionale è stata sostituita dalle tecniche digitali, che sono più sicure poiché possono essere usate minori quantità di mezzo di contrasto e cateteri più piccoli. L’angiografia trova la sua indicazione nella diagnosi di: possibili lesioni vascolari (p. es., aneurisma); massa di incerta natura evidenziata alla TC; embolizzazione di un tumore renale; inadeguata visualizzazione alla TC delle vene renali o della vena cava inferiore. A volte, in caso di tumori voluminosi, l’arteriografia è indicata per tracciare una mappa della vascolarizzazione. L’angiografia può anche essere utile in caso di sospetta ipertensione nefrogena; anomalie renali congenite di struttura, posizione o vascolarizzazione; sanguinamento renale monolaterale persistente in presenza di una normale urografia; ridotta funzionalità renale di relativamente recente esordio quando la pielografia retrograda è normale o se la cateterizzazione retrograda ureterale non ha avuto successo e nei casi in cui sia necessaria un’accurata conoscenza della vascolarizzazione prima di un intervento chirurgico (p. es., per una nefrectomia parziale o per un trapianto da donatore vivente). Le complicanze comprendono lesioni dei vasi incannulati e degli organi limitrofi, reazioni al mezzo di contrasto, emorragia. Nella venografia la vena cava inferiore viene visualizzata per motivi diagnostici tramite puntura percutanea della vena femorale. Poche sono state le complicanze registrate con questa procedura, limitate a uno stravaso di sangue e di mezzo di contrasto nell’area dell’iniezione. La cateterizzazione della vena renale consente di prelevare campioni, per la misurazione della renina nella vena renale, per la diagnosi di trombosi della vena renale e per valutare l’estensione di una neoplasia renale maligna, quando l’ecografia o la TC non forniscono risposte attendibili. L’ecografia (ECO), tecnica relativamente innocua e non invasiva, presenta alcuni vantaggi in quanto la visualizzazione non dipende dalla funzionalità. Ciò nondimeno, si possono dedurre alcune informazioni funzionali, specialmente nel feto, in cui i reni possono essere identificati dopo circa 20 sett. di gestazione, permettendo la misurazione della quota di produzione di urina mediante stime seriate del volume della vescica. Per i neonati, l’ECO rappresenta la tecnica di prima scelta per investigare masse addominali, IVU e anomalie sospette del sistema urinario, poiché è atraumatica e ottiene risultati molto accurati. Il rene può essere delineato efficacemente e il quadro ecografico pelvicaliceale può essere esaminato criticamente con scansioni fatte nelle diverse posizioni. L’ECO è particolarmente efficace nel diagnosticare le malattie policistiche del rene, nel differenziare tra cisti renali e tumori, nel rivelare idronefrosi e raccolte di fluido perirenale o emorragia intrarenale, nel valutare la dimensione dei reni e nel localizzare la sede ottimale per la biopsia renale percutanea o per la nefrostomia. L’ECO costituisce il metodo diagnostico migliore in un paziente uremico quando non è consentita la somministrazione di mezzo di contrasto e di radioisotopi.

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L’ECO è efficace nella valutazione del trapianto renale in casi di improvvise modificazioni delle dimensioni dei reni; nel rivelare ostruzione, linfocele o emorragia perirenale; nell’indicare patologie retroperitoneali quali tumore, linfoadenopatia o emorragia. L’eco Doppler può mostrare la pervietà delle arterie e delle vene e la quantità nonché la velocità del flusso sanguigno, utili nella valutazione dei pazienti trapiantati di rene o di pazienti particolari con ipertensione. La vescica ripiena di urina viene delineata velocemente dagli ultrasuoni. Normalmente, le modificazioni del contorno della parete vescicale dipendono dalla quantità di urina presente. L’assenza di modificazioni del normale contorno, la distorsione della posizione della vescica, o un anormale ispessimento della parete indicano una patologia pelvica o della parete vescicale. Anche se l’ecografia può evidenziare tumori della vescica, la TC costituisce una tecnica di valutazione migliore. La RMN fornisce ulteriori informazioni riguardo masse renali che non si riescono a definire con altre indagine radiologiche. Consente di ottenere immagini nei piani trasversale, coronale, sagittale. I dati morfologici sono ottenuti dalla ricostruzione tridimensionale del tessuto. Le lesioni renali solide e cistiche sono diagnosticate altrettanto precocemente con la TC, ma la RMN fornisce informazioni riguardo al liquido della cisti per la diagnosi differenziale tra emorragia e infezione. Inoltre, la RMN definisce le strutture vascolari e perirenali, permettendo la diagnosi di trombosi, di aneurisma, di fistola artero-venosa o di infiltrazione neoplastica. A livello pelvico, la RMN mostra ogni piano tissutale e può evidenziare le vescicole seminali e l’estensione dell’invasione parietale di una neoplasia vescicale. La RMN riconosce i propri limiti nel movimento respiratorio e nella peristalsi. Le calcificazioni intrarenali sono mal definite poiché hanno protoni poco mobili. La RMN, effettuata impiegando come contrasto l’acido penteico gadolinico somministrato in bolo, e la tecnica di immagini a rapida sequenza, viene sempre più adoperata. Questa tecnica fornisce informazioni sulla GFR e sulla funzione tubulare. Studi morfologici: la biopsia renale viene eseguita per stabilire la diagnosi istologica; per aiutare a valutare la prognosi e la potenziale reversibilità o progressione della lesione renale, l’efficacia delle terapie in atto e per determinare la storia naturale delle patologie renali. L’unica controindicazione assoluta alla biopsia è la presenza di un disordine emorragico incontrollabile. La biopsia di un monorene nativo è una controindicazione relativa, da soppesare a fronte della necessità di informazioni. Vengono frequentemente eseguite biopsie di un rene trapiantato funzionante, per diagnosticare i vari tipi di nefropatia (p. es., rigetto, tossicità da farmaci, recidiva della malattia renale primitiva). Le condizioni associate a una maggiore morbosità in seguito a biopsia sono considerate come controindicazioni relative: p. es., tumori renali, voluminose cisti renali, idronefrosi, ascessi perirenali, grave riduzione del volume ematico o plasmatico, ipertensione grave e insufficienza renale avanzata con sintomi di uremia. La biopsia a cielo aperto è raramente necessaria; soltanto quando ha avuto insuccesso il metodo percutaneo o quando il controllo visivo diretto della biopsia è importante. Per la tecnica percutanea, il paziente viene sedato e il rene viene visualizzato con tecniche radiografiche o ecografiche. Il paziente viene messo in posizione prona; dopo aver anestetizzato la cute sovrastante e i muscoli del dorso, viene inserito l’ago da biopsia; il tessuto ottenuto serve per la microscopia ottica, elettronica e a immunofluorescenza. La citologia urinaria è utile nello screening di possibili neoplasie della via urinaria in popolazioni ad alto rischio (p. es., i lavoratori delle industrie petrolchimiche e i pazienti con ematuria senza dolore dovuta a cause non renali) e nel controllo a distanza di pazienti già sottoposti a resezione di tumori vescicali. Si devono esaminare numerosi campioni consecutivi di urina, a partire da quella iniziale, alla ricerca di cellule esfoliative anormali. Si riscontra una citologia anormale nel 70-85% dei pazienti con neoplasia epiteliale della via urinaria già nota, ma lesioni iperplastiche reattive o infiammatorie della via urinaria o farmaci citotossici assunti per neoplasie non urogenitali possono dare falsi positivi. In

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pazienti asintomatici, l’incidenza di cellule neoplastiche nelle urine è di circa lo 0,1%. I reperti falsamente negativi sono solitamente associati a neoplasie con un basso grado istologico. L’accuratezza diagnostica per le neoplasie vescicali può essere aumentata effettuando un vigoroso lavaggio vescicale con soluzione di NaCl allo 0,9% (50 ml immessi e quindi aspirati per mezzo di una siringa, attraverso un catetere). Le cellule raccolte nella soluzione fisiologica sono quindi concentrate ed esaminate.

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Pediatria

Manuale Merck 19. PEDIATRIA

255. Introduzione 256. Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani Fisiologia perinatale Cure iniziali Esame obiettivo I primi giorni di vita Controllo del bambino sano Screening Valutazione dell’udito nel bambino Accrescimento e sviluppo fisico Sviluppo psicomotorio e intellettivo Vaccinazioni nell’infanzia La nutrizione nel lattante Patologia gastrointestinale e comuni errori alimentari Rigurgito Vomito Sottoalimentazione Sovralimentazione Diarrea Stipsi Coliche addominali Farmaci e allattamento materno 257. Trattamento del bambino malato e della sua famiglia Legame genitore-figlio: il neonato malato

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Pediatria

Invalidità permanenti nel bambino 258. Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini Dosaggi dei farmaci Effetti collaterali e tossicità Compliance 259. Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia Deficit Iperidratazione Fabbisogno idrico di mantenimento 260. Patologia del neonato e del lattante Il prematuro Il postmaturo Il neonato piccolo per l’età gestazionale Il neonato grande per l’età gestazionale Traumi da parto Traumi del capo Traumi dei nervi cranici Lesioni del plesso brachiale Traumi di altri nervi periferici Traumi del midollo spinale Emorragie endocraniche Fratture Traumi delle parti molli Patologia respiratoria Uso della ventilazione meccanica Sindrome del distress respiratorio Displasia broncopolmonare Tachipnea transitoria del neonato Apnea della prematurità

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Pediatria

Ipertensione polmonare persistente del neonato Sindrome da aspirazione di meconio Sindrome dell’air-leak polmonare Problemi ematologici Anemia neonatale da sanguinamento Anemia emolitica neonatale Emoglobinopatie Iperviscosità dovuta alla policitemia Patologia metabolica nel neonato Ipotermia Ipoglicemia Iperglicemia Ipocalcemia Ipernatremia Iperbilirubinemia Ittero nucleare Sindrome feto-alcolica Sindrome di astinenza da cocaina Sindrome di astinenza da altri farmaci Convulsioni neonatali Deficit uditivi nei bambini Retinopatia del prematuro Infezioni neonatali Infezioni neonatali nosocomiali Congiuntivite neonatale Diarrea acuta infettiva neonatale Sepsi neonatale Polmonite neonatale Meningite neonatale

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Pediatria

Listeriosi neonatale Rosolia congenita Infezione neonatale da herpes simplex virus Epatite neonatale da virus b Infezione congenita e perinatale da citomegalovirus Toxoplasmosi congenita Sifilide congenita Tubercolosi perinatale Enterocolite necrotizzante Sindrome della morte improvvisa Sindrome dello shock emorragico ed encefalopatia 261. Anomalie congenite Cardiopatie congenite Difetti del setto interatriale Difetti completi del canale atrioventricolare Difetti parziali del canale atrioventricolare Difetti del setto ventricolare Sindrome del ventricolo sinistro ipoplasico Tetralogia di Fallot Trasposizione dei grossi vasi Cardiopatia congenita cianotizzante complessa Stenosi valvolare aortica Stenosi della valvola polmonare Stenosi dei vasi polmonari periferici Pervietà del dotto arterioso Coartazione aortica Persistenza del tronco arterioso Anomalie meno comuni Vasculopatia polmonare

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Pediatria

Scompenso cardiaco Anomalie gastrointestinali Ostruzioni intestinali alte Ostruzioni dell’ileo e del colon Difetti della parete addominale Emergenze chirurgiche varie Atresia biliare ed epatite neonatale Patologie muscolo-scheletriche Anomalie cranio-facciali Anomalie spinali Anomalie dell’anca, delle gambe e dei piedi Miscellanea di anomalie dell’osso e della cartilagine Amputazioni congenite Artrogriposi congenita multipla Anomalie muscolari Anomalie del sistema nervoso Anomalie cerebrali Spina bifida Difetti congeniti degli occhi Glaucoma congenito Cataratta congenita Malformazioni renali e genitourinarie Rene Uretere Vescica Pene e uretra Testicoli e scroto Anomalie nel trasporto renale Cistinuria

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Pediatria

Sindrome di Fanconi Rachitismo ipofosfatemico Malattia di Hartnup Iminoglicinuria familiare Anomalie cromosomiche Anomalie autosomiche Sindrome di Down Trisomia 18 Trisomia 13 Sindromi da delezione Anomalie dei cromosomi sessuali Sindrome di Turner Sindrome della tripla X Rare anomalie del cromosoma X Sindrome di Klinefelter Sindrome 47,XYY Stati intersessuali 262. Problemi di sviluppo Ritardo di crescita Disturbi del comportamento Disturbi di alimentazione Disturbi del sonno Disturbi del controllo sfinterico Ansia di separazione Paure e fobie Iperattività Disturbi di apprendimento Dislessia Disturbi dell’attenzione

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Pediatria

Ritardo mentale 263. Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare Ferite Avvelenamenti Avvelenamento da paracetamolo Avvelenamento da aspirina e da altri salicilati Ingestione di caustici Avvelenamento da piombo Avvelenamento da ferro Avvelenamento da idrocarburi Rianimazione cardiopolmonare 264. Maltrattamento e incuria verso il bambino 265. Infezioni nei bambini Infezioni batteriche Difterite Pertosse Batteriemia occulta Infezione delle vie urinarie Gastroenterite acuta infettiva Cellulite periorbitale e orbitale Epiglottite acuta Tracheite batterica Ipertrofia adenoidea Ascesso retrofaringeo Impetigine ed ectima Infezioni virali Morbillo Panencefalite sclerosante subacuta Parotite

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Rosolia Panencefalite progressiva da rosolia Roseola infantum Eritema infectiosum Varicella Infezione da virus respiratorio sinciziale Croup Bronchiolite Mononucleosi infettiva Malattie da enterovirus Infezione da virus dell’immunodeficienza umana nel bambino Infezioni varie Sindrome di Reye Febbre di origine sconosciuta Sindrome di Kawasaki Infestazione da ossiuri 266. Neoplasie Tumore di Wilms Neuroblastoma Retinoblastoma 267. Fibrosi cistica 268. Patologia gastrointestinale Dolori addominali ricorrenti Malattia ulcerosa Reflusso gastroesofageo Diverticolo di Meckel 269. Malattie endocrine e metaboliche Gozzo congenito Ipotiroidismo file:///F|/sito/merck/sez19/index.html (8 of 11)02/09/2004 2.02.40

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Ipertiroidismo Bassa statura da ipopituitarismo Bassa statura causata da cause eterogenee Iperplasia surrenalica congenita Ipogonadismo maschile Errori congeniti del metabolismo dei carboidrati Galattosemia Malattie da accumulo di glicogeno Alterazioni del metabolismo del fruttoso Pentosuria Difetti del metabolismo del piruvato Alterazioni del metabolismo degli aminoacidi Fenilchetonuria classica Forme varianti di iperfenilalaninemia 270. Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo Febbre reumatica Artrite reumatoide giovanile Disturbi comuni a carico dell’anca, ginocchio e piede Difetti ereditari del tessuto connettivo Sindrome di Ehlers-danlos Sindrome di Marfan Cutis laxa Mucopolisaccaridosi Le osteocondrodisplasie Le osteopetrosi Osteosclerosi Displasia craniotubulare Iperostosi craniotubulare Le osteocondrosi

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Pediatria

Malattia di Legg-Calvé-Perthes Malattia di Osgood-Schlatter Malattia di Scheuermann Morbo di Köhler 271. Malattie neurologiche Corea di Sydenham Paralisi cerebrali 272. Disturbi di naso e gola Corpi estranei Angiofibroma giovanile Papillomi giovanili 273. Strabismo 274. Situazioni d’interesse psichiatrico nell’infanzia e nell’adolescenza Psicosi dell’infanzia Autismo Disturbo pervasivo dello sviluppo a esordio infantile Disturbo disintegrativo dell’infanzia Schizofrenia infantile Depressione infantile Turbe psichiatriche dell’adolescenza Disturbi di adattamento Disturbo da stress post-traumatico Disturbi da sostanze d’abuso Alterazioni del comportamento sociale Disturbi somatoformi Depressione negli adolescenti Disturbo bipolare Suicidio in bambini e adolescenti

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Pediatria

275. Condizioni fisiche dell’adolescenza Accrescimento e sviluppo Maturazione sessuale ritardata Pubertà precoce Scoliosi idiopatica Dislocazione dell’epifisi della testa femorale Gravidanza dell’adolescente Incidenti e atti di violenza Obesità

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Introduzione

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 255. INTRODUZIONE Dalla metà del XX secolo la pediatria ha ampliato il proprio campo d’azione includendo la perinatologia e l’adolescentologia; è stata posta particolare attenzione alla promozione della salute, alla prevenzione e alla diagnosi precoce di malattia, mediante appropriati controlli periodici; è stata riconosciuta l’importanza e l’interdipendenza degli aspetti organici, funzionali, comportamentali, sociologici, economici e politici della cura del bambino. La maggior parte di tali novità è stata indotta dai cambiamenti sociali che hanno prodotto una disgregazione all’interno della famiglia, della scuola e della società. Per molti, questo ha determinato un impoverimento dei processi educativi e delle aspirazioni individuali al successo e alla felicità e un aumento dello stress, dell’autosvalutazione, dell’uso di droghe, della violenza, della depressione e dei comportamenti autodistruttivi. I gruppi di età utilizzati in questa sezione sono definiti come segue: neonato, dalla nascita a 1 mese di vita; lattante, da 1 mese a 1 anno; prima infanzia, da 1 a 4 anni; seconda infanzia, da 5 a 10 anni; adolescenza, da 11 a 17 anni. Il termine "bambino" può essere usato in modo generico dalla nascita in poi, a esempio parlando del numero dei figli in una famiglia. La diagnosi prenatale e la consulenza genetica sono trattate nel Cap. 247. Le malattie e i disturbi che si verificano in età pediatrica, ma che sono più frequenti negli adulti, sono affrontati più dettagliatamente in altre sezioni del Manuale.

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Ginecologia e ostetricia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

234. Endocrinologia della riproduzione 235. Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo Sindrome premestruale Dismenorrea primaria Dismenorrea secondaria Amenorrea Insufficienza ovarica prematura Sanguinamento uterino anomalo Sanguinamento uterino disfunzionale 236. Menopausa 237. Dolore pelvico 238. Infiammazioni e infezioni ginecologiche Malattie del tratto genitale inferiore Infezioni vulvovaginali Infezioni del tratto genitale superiore Malattia infiammatoria della pelvi 239. Endometriosi 240. Fibromi uterini 241. Neoplasie ginecologiche Cancro dell’endometrio Cancro dell’ovaio Cancro della cervice uterina Cancro della vulva Cancro della vagina

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Ginecologia e ostetricia

Cancro delle tube di Falloppio Malattia trofoblastica gestazionale 242. Malattie della mammella Malattie benigne della mammella Mastodinia, cisti, noduli multipli Fibroadenomi Secrezione del capezzolo Infezioni Ginecomastia Cancro della mammella Malattia di Paget Cistosarcoma filloide 243. Disfunzione sessuale nelle donne Disturbi dell’eccitazione sessuale Disordini dell’orgasmo femminile Dispareunia Vaginismo 244. Esame medico della vittima di violenza carnale 245. Infertilità Alterazioni del liquido seminale Disfunzione ovulatoria Disfunzione tubarica Alterazione del muco cervicale Infertilità inspiegata Tecniche di riproduzione assistita 246. Pianificazione familiare Contraccezione Sterilizzazione Aborto provocato

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Ginecologia e ostetricia

247. Valutazione e consulenza genetica prenatali Indicazioni alla diagnosi prenatale Screening prenatale dell’a-fetoproteina Tecniche di diagnosi prenatale Principi della consulenza genetica 248. Concepimento e sviluppo prenatale 249. Gravidanza fisiologica, travaglio e parto Fisiologia Cure prenatali Farmaci in gravidanza Gestione del travaglio fisiologico Gestione del parto fisiologico 250. Gravidanza ad alto rischio Fattori di rischio 251. Gravidanza complicata dalla malattia Malattie cardiache Malattia tromboembolica Ipertensione Malattia renale Infezione delle vie urinarie Diabete mellito Malattie della tiroide Malattie epatiche Malattie infettive Anemia Emoglobinopatie Asma Malattie autoimmuni Tumori maligni

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Ginecologia e ostetricia

Patologie che necessitano di intervento chirurgico 252. Anomalie della gravidanza Aborto spontaneo Gravidanza ectopica Iperemesi gravidica Preeclampsia ed eclampsia Distacco prematuro della placenta Placenta previa Eritroblastosi fetale Herpes gravidico Papule e placche orticarioidi pruriginose della gravidanza 253. Anomalie e complicanze del travaglio e del parto Induzione o stimolazione del travaglio Travaglio pre-termine Rottura prematura delle membrane Prolasso del cordone ombelicale Embolia di liquido amniotico Gravidanza protratta e post-maturità Primo e secondo stadio del travaglio Terzo stadio del travaglio 254. Assistenza nel post-partum Infezioni puerperali Emorragia nel post-partum Inversione uterina

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Endocrinologia della riproduzione

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 234. ENDOCRINOLOGIA DELLA RIPRODUZIONE Sommario: Introduzione Secrezione ormonale: dall’infanzia alla pubertà Pubertà Sviluppo del follicolo ovarico Ciclo mestruale Modificazioni cicliche Regolazione neuroendocrina del ciclo mestruale

La normale funzione riproduttiva dipende da una complessa interazione ormonale tra gli organi endocrini e gli organi bersaglio. Una normale funzione è essenziale per lo sviluppo sessuale nella pubertà e per i processi ciclici dell’ovulazione e della mestruazione. L’ipotalamo secerne un peptide di piccole dimensioni, l’ormone per il rilascio delle gonadotropine (GnRH), conosciuto anche come ormone per il rilascio dell’ormone luteinizzante, che regola la dismissione, da parte dell’ipofisi anteriore, dell’ormone luteinizzante (LH) e dell’ormone follicolo-stimolante (FSH) (v. Fig. 234-1 e Cap. 6 e 7). L’LH e l’FSH promuovono la maturazione dell’ovulo e stimolano la secrezione di estrogeni e progesterone da parte delle ovaie. Gli estrogeni e il progesterone sono dei composti policiclici (con gli atomi di carbonio strutturati in 4 anelli) derivati dal colesterolo. Questi circolano nel torrente ematico quasi interamente legati a delle proteine plasmatiche, anche se solo quelli non legati sembrano essere biologicamente attivi. Stimolano gli organi bersaglio del sistema riproduttivo (cioè, mammelle, utero e vagina) ed esercitano delle azioni di feedback, positivo e negativo, sull’asse SNC-ipotalamo-ipofisi, inibendo o stimolando la secrezione delle gonadotropine. Praticamente tutti gli ormoni sono secreti in maniera pulsatile a intervalli di 13 ore e, quindi, la descrizione dei comportamenti ormonali è una rappresentazione ideale. Questo aspetto deve essere tenuto presente quando si interpretano i singoli valori ormonali.

Secrezione ormonale: dall’infanzia alla pubertà I livelli di LH e di FSH sono elevati alla nascita, ma nel corso di pochi mesi vanno incontro a una notevole riduzione e si mantengono su valori bassi per tutto il periodo prepuberale con l’FSH generalmente di poco più elevato dell’LH (v. Fig. 234-2). I livelli degli androgeni surrenalici, del deidroepiandrosterone (DHEA) e del DHEA solfato cominciano ad aumentare diversi anni prima della pubertà. Questi aumenti possono essere importanti per l’inizio della crescita dei peli pubici e ascellari (cioè, l’adrenarca) e per gli altri eventi della pubertà. Poiché i valori di ACTH e di cortisolo non aumentano in questa fase, l’inizio della secrezione degli androgeni surrenalici potrebbe essere stimolato da un peptide ipofisario non identificato. file:///F|/sito/merck/sez18/2342063.html (1 of 6)02/09/2004 2.02.43

Endocrinologia della riproduzione

I meccanismi responsabili dell’inizio della pubertà sono poco chiari. Influenze centrali potrebbero inibire il rilascio pulsatile del GnRH durante l’infanzia e, poi, stimolare la sua dismissione per indurre la pubertà nella fase precoce dell’adolescenza. All’inizio della pubertà, una ridotta sensibilità dell’ipotalamo agli ormoni sessuali causa un aumento della secrezione dell’LH e dell’FSH, che stimolano la secrezione degli ormoni sessuali (principalmente di estrogeni) e lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari. La secrezione dell’LH e dell’FSH aumenta, inizialmente, solo durante il sonno e successivamente durante tutto l’arco delle 24 h. Le caratteristiche degli aumentati livelli basali di LH e di FSH sono differenti nei ragazzi e nelle ragazze, ma in entrambi, l’LH aumenta più dell’FSH.

Pubertà La sequenza di eventi attraverso la quale un bambino raggiunge lo sviluppo e la maturità sessuale. Le modificazioni fisiche della pubertà si verificano in modo sequenziale durante l’adolescenza. Lo sviluppo iniziale del seno è, in genere, la prima modificazione evidente nelle fanciulle, seguito a breve distanza dalla comparsa dei peli pubici e ascellari (v. Fig. 234-3). Il menarca (il primo ciclo mestruale di una donna) si verifica circa 2 anni dopo l’inizio dello sviluppo delle mammelle. Il rapido accrescimento puberale inizia, solitamente, prima dello sviluppo mammario, ma viene riconosciuto di rado. Le ragazze raggiungono la massima velocità di accrescimento staturale in una fase precoce della pubertà, prima del menarca; dopo il menarca, invece, il potenziale della crescita è limitato. Si modifica l’aspetto fisico e aumenta la percentuale del grasso corporeo. L’età a cui inizia la pubertà è variabile, evidentemente influenzata dallo stato di salute generale, dall’alimentazione, dalle condizioni socio-economiche e da fattori genetici. Nei paesi industrializzati l’età di inizio è notevolmente diminuita; p. es., nell’Europa Occidentale l’età al menarca è diminuita di 4 mesi per ogni decennio tra il 1850 e il 1950, ma non è diminuita negli ultimi 4 decenni. Un’obesità moderata si associa a un menarca più precoce, mentre è facile osservare un ritardo del menarca nelle ragazze molto al di sotto del peso normale e denutrite. Queste osservazioni indicano che per il menarca è necessario un peso corporeo critico. La pubertà si verifica precocemente anche nelle ragazze che vivono nelle aree urbane, nelle non vedenti e in quelle le cui madri avevano avuto uno sviluppo sessuale precoce.

Sviluppo del follicolo ovarico Entro la 6a sett. dello sviluppo fetale, le cellule germinali primordiali (oogoni) migrano con movimenti ameboidi dal loro luogo di origine nel sacco vitellino alle creste genitali (le ovaie primitive). Gli oogoni proliferano vivacemente per mitosi fino al 4o mese, dopo di che la maggior parte di essi va incontro all’atresia. Durante il 3o mese, alcune cellule iniziano a dividersi per meiosi invece che per mitosi ed entro il 7o mese, tutte le cellule vitali si arrestano nello stadio diplotene della profase meiotica; queste cellule rappresentano gli oociti primari. Tra il 7o e il 9o mese, l’ovaio fetale è organizzato e ciascun oocita diventa parte di un follicolo primordiale, che consiste di una membrana basale, di uno strato singolo di cellule epiteliali squamose della granulosa e di un oocita. I follicoli primordiali costituiscono il pool dei follicoli rimanenti e che in parte va incontro a una crescita (da cui si sviluppano tutti i follicoli maturi) e in parte evolve in atresia. I meccanismi che stimolano la crescita del follicolo e dell’oocita sono poco chiari, ma non necessitano delle gonadotropine. La donna nasce con un limitato numero di cellule uovo, il 99,9% delle quali andrà file:///F|/sito/merck/sez18/2342063.html (2 of 6)02/09/2004 2.02.43

Endocrinologia della riproduzione

incontro ad atresia. Poiché ciascun oocita rimane fermo nella profase meiotica fino a quando non si verifica l’ovulazione, queste cellule sono tra quelle che vivono di più nell’organismo umano (dall’embrione a circa 50 anni di età). La lunga sopravvivenza può essere responsabile dell’aumentata incidenza di gravidanze geneticamente anormali tra le madri meno giovani. Durante gli anni riproduttivi di una donna, vari follicoli destinati alla crescita sono reclutati durante ciascun ciclo, ma solo uno viene, di solito, selezionato per l’ovulazione (v. Fig. 234-4). Questo follicolo si trasforma in un follicolo di Graaf (preovulatorio), che può rispondere al picco di LH di metà ciclo. Il meccanismo della selezione è sconosciuto. Il follicolo di Graaf contiene un antro (una cavità piena di liquido) costituito dalla proliferazione delle cellule della granulosa che secernono fluido e mucopolisaccaridi. L’aumento delle dimensioni del follicolo è dovuto principalmente a un accumulo di liquido follicolare, sotto il controllo dell’FSH, che induce anche lo sviluppo di recettori specifici per l’LH sulle cellule della granulosa. I recettori per l’LH sono responsabili della stimolazione della secrezione di progesterone prima dell’ovulazione e della produzione continua di progesterone durante la fase luteinica. Le cellule della granulosa all’interno del follicolo sviluppano anche dei recettori di membrana specifici per la prolattina, che diminuiscono di numero quando il follicolo va incontro a maturazione; il loro ruolo fisiologico è poco chiaro.

Ciclo mestruale La mestruazione rappresenta la ciclica, all’incirca mensile, eliminazione per via vaginale dell’endotelio desquamato che si ripete per tutta la vita riproduttiva di una donna; il flusso ematico viene definito mestruazione o flusso mestruale. Il primo giorno delle mestruazioni è il giorno 1 del ciclo mestruale. La durata media delle mestruazioni è di 5 (± 2) giorni. La lunghezza mediana del ciclo mestruale è di 28 giorni, ma solo il 10-15% dei cicli dura esattamente 28 giorni; la normale variazione della durata di un ciclo ovulatorio è di circa 25-36 giorni. Di solito, la variazione è massima e gli intervalli intermestruali sono più lunghi negli anni che seguono immediatamente il menarca e in quelli prima della menopausa, quando sono più frequenti i cicli anovulatori. La perdita ematica media per ciclo è di 130 ml (intervallo, 13-300 ml) ed è, di solito, maggiore al 2o giorno. Un assorbente o un tampone interno completamente imbevuti assorbono da 20 a 30 ml. In genere, il sangue mestruale non coagula (a meno che il flusso non sia molto abbondante), probabilmente a causa della fibrinolisina e di altri fattori che inibiscono la coagulazione. Il ciclo mestruale può essere diviso in tre fasi sulla base degli eventi endocrini (v. Fig. 234-5). La fase follicolare (preovulatoria) va dal primo giorno delle mestruazioni al giorno precedente il picco preovulatorio di LH; la sua lunghezza è la più variabile tra le diverse fasi. Durante la prima metà di questa fase, la secrezione di FSH è leggermente aumentata, per stimolare la crescita di un gruppo di 3-30 follicoli che sono stati reclutati per una crescita accelerata durante l’ultimo giorno del ciclo precedente. Quando i livelli di FSH diminuiscono, uno dei follicoli reclutati viene selezionato per l’ovulazione; questo va incontro alla maturazione, mentre gli altri vanno incontro all’atresia. I livelli di LH circolante aumentano lentamente, a partire da 1-2 giorni dopo l’aumento dell’FSH. La secrezione di estrogeni e del progesterone da parte delle ovaie è relativamente costante e si mantiene su bassi livelli all’inizio di questa fase. Circa 7-8 giorni prima del picco di LH, la secrezione ovarica di estrogeni, in particolare dell’estradiolo, da parte del follicolo selezionato, aumenta lentamente all’inizio e poi più rapidamente, per raggiungere il massimo, di solito, il giorno del picco di LH. L’aumento del livello di estrogeni è accompagnato da un lento, ma costante incremento di LH e da una riduzione dei livelli di FSH. I livelli di LH e di FSH possono essere divergenti perché la secrezione dell’FSH è preferenzialmente inibita dagli estrogeni (in confronto alla secrezione dell’LH) ed

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Endocrinologia della riproduzione

è specificamente inibita dall’inibina. Anche i livelli di progesterone iniziano ad aumentare in modo significativo subito prima del picco di LH. Nella fase ovulatoria, una serie di complessi eventi endocrini culmina nel picco di LH, il massivo rilascio preovulatorio di LH, da parte dell’ipofisi. Il picco di LH è determinato in parte dal feedback positivo degli estrogeni. Contemporaneamente, si verifica un più modesto aumento della secrezione di FSH, il cui significato non è chiaro. Con l’aumento dei livelli di LH, diminuiscono i livelli di estradiolo, mentre i livelli del progesterone continuano ad aumentare. Il picco di LH dura solitamente 36-48 ore ed è costituito da molteplici liberazioni di ormone in grande quantità, secreto in modo pulsatile. Il picco di LH, che determina la completa maturazione del follicolo, è necessario per l’ovulazione, il rilascio della cellula-uovo da parte del follicolo di Graaf maturo, che, in genere, si verifica da 16 a 32 ore dopo l’inizio del picco. Il meccanismo dell’ovulazione non è chiaro. Durante il picco di LH il follicolo aumenta di volume e sporge sull’epitelio ovarico. Uno stigma, o area avascolare, compare sulla superficie del follicolo. Sullo stigma si forma poi una piccola vescicola che si rompe permettendo l’espulsione del cumulo ooforo (l’oocita e alcune cellule della granulosa che lo circondano). La produzione di prostaglandine da parte del follicolo, forse regolata dall’LH e/o dall’FSH, sembra essenziale per l’ovulazione. Gli enzimi proteolitici presenti nelle cellule della granulosa e nelle cellule epiteliali che ricoprono il follicolo preovulatorio possono giocare un ruolo importante, insieme a fattori di crescita locali e alle citochine. L’oocita rimane nella profase meiotica fino a dopo il picco di LH. Entro 36 ore dal picco di LH, l’oocita completa la prima divisione meiotica, in cui ciascuna cellula riceve 23 dei 46 cromosomi originali e il primo corpuscolo polare viene eliminato. La seconda divisione meiotica, in cui ciascun cromosoma si divide longitudinalmente in due copie identiche, non si completa e il secondo corpuscolo polare non viene eliminato, fino a che l’uovo non viene penetrato dallo spermatozoo. Nella fase luteinica (postovulatoria) le cellule della granulosa e della teca, che formano il follicolo, si riorganizzano per formare il corpo luteo (corpo giallo), da cui la fase prende il nome. La lunghezza di questa fase è la più costante, misurando in media 14 giorni nelle donne non gravide e terminando il primo giorno delle mestruazioni successive. La lunghezza corrisponde al periodo di vita funzionale del corpo luteo, che secerne progesterone ed estradiolo per circa 14 giorni e poi degenera, se non si verifica la gravidanza. Il corpo luteo supporta l’impianto dell’uovo fecondato secernendo quantità crescenti di progesterone, fino a un massimo di circa 25 mg/die, 6-8 giorni dopo il picco di LH. Poiché il progesterone è termogenico, la temperatura corporea basale aumenta di 0,5°C durante la fase luteinica e rimane elevata fino alle mestruazioni. La regolazione della lunghezza della vita del corpo luteo è poco compresa, ma possono essere coinvolti le prostaglandine e il fattore di crescita insulino-simile II. Se avviene la fecondazione, la gonadotropina corionica umana (hCG), prodotta dall’uovo fecondato, supporta il corpo luteo fino a quando l’unità feto-placentare non è in grado di sostenersi da sola, dal punto di vista endocrinologico. L’hCG è strutturalmente e funzionalmente simile all’LH; tuttavia, i test di gravidanza utilizzano solitamente, degli anticorpi che sono specifici per la subunità β dell’hCG e che hanno una reattività crociata con l’LH, minima o nulla. Durante la maggior parte della fase luteinica, i livelli di LH circolante e di FSH diminuiscono e rimangono bassi, per ricominciare ad aumentare con le mestruazioni (ciclo successivo).

Modificazioni cicliche negli altri organi riproduttivi Endometrio: le modificazioni cicliche nell’endometrio culminano nel sanguinamento mestruale. L’endometrio, che consiste di ghiandole e stroma, ha tre strati: lo strato basale, lo strato spongioso intermedio e lo strato superficiale di cellule epiteliali compatte che riveste la cavità uterina. Lo strato basale non viene

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Endocrinologia della riproduzione

eliminato durante le mestruazioni e rigenera gli altri due strati, che vengono invece eliminati. Le modificazioni istologiche durante il ciclo mestruale sono caratteristiche e le biopsie dell’endometrio possono essere usate per stabilire in modo accurato la fase del ciclo e accertare la risposta tissutale agli steroidi gonadici. All’inizio della fase follicolare, l’endometrio è sottile (circa 2 mm), con ghiandole sottili e dritte rivestite di un basso epitelio colonnare. Lo stroma è compatto. Quando aumentano i livelli di estradiolo alla fine della fase follicolare, l’endometrio cresce, rapidamente e progressivamente, con numerose mitosi (cioè, rigenerazione dallo strato basale) fino a uno spessore di 11 mm, la mucosa diventa spessa e le ghiandole tubulari si allungano e diventano spiraliformi. L’endometrio può essere osservato mediante un’ecografia transvaginale; caratteristicamente, in questa fase, ha un aspetto trilaminare, ma dopo l’ovulazione diventa omogeneo. Durante la fase luteinica, le ghiandole tubulari, sotto l’influenza del progesterone, si dilatano, si riempiono di glicogeno e diventano secretorie e aumenta la vascolarizzazione dello stroma. Alla fine della fase luteinica, con la riduzione dei livelli di estradiolo e di progesterone, lo stroma diventa edematoso, si verifica una necrosi dell’endometrio e dei suoi vasi e inizia il sanguinamento mestruale. Cervice: durante la fase follicolare aumentano progressivamente la vascolarizzazione, la congestione, l’edema e la secrezione mucosa. L’orifizio uterino esterno si apre di circa 3 mm al momento dell’ovulazione per poi tornare a 1 mm. L’aumento dei livelli di estrogeni causa un aumento della quantità del muco cervicale di 10-30 volte. Le caratteristiche del muco sono clinicamente utili per valutare lo stadio del ciclo e lo stato ormonale della paziente. L’elasticità del muco (filanza) aumenta, come accade per l’arborizzazione (arborizzazione a foglia di felce del muco essiccato su un vetrino ed esaminato al microscopio), che diventa più evidente subito prima dell’ovulazione. L’arborizzazione indica l’aumentata concentrazione di NaCl nel muco cervicale, un effetto degli estrogeni. Durante la fase luteinica, il progesterone determina un ispessimento del muco cervicale che diventa meno fluido e perde la sua elasticità e la capacità di determinare l’arborizzazione a "foglia di felce". Vagina: la proliferazione e la maturazione dell’epitelio vaginale sono influenzate dagli estrogeni e dal progesterone. Quando, all’inizio della fase follicolare, la secrezione degli estrogeni ovarici è scarsa, l’epitelio vaginale è sottile e pallido. Non appena il livello degli estrogeni aumenta, durante la fase follicolare, le cellule squamose maturano e diventano cheratinizzate e, di conseguenza, l’epitelio si ispessisce. Nel corso della fase luteinica, aumenta il numero delle cellule intermedie non ancora cheratinizzate, così come aumenta il numero dei leucociti e dei detriti, quando le cellule squamose mature desquamano. Le modificazioni dell’epitelio vaginale possono essere quantificate istologicamente e possono essere usate come un indice qualitativo della stimolazione estrogenica.

Regolazione neuroendocrina del ciclo mestruale La secrezione pulsatile dell’LH e dell’FSH è determinata dalla secrezione pulsatile del GnRH. La frequenza e l’ampiezza dei picchi di secrezione di LH e di FSH sono modulate dagli ormoni ovarici e variano nel corso del ciclo mestruale. Non è stato identificato un ormone di rilascio specifico per l’FSH. Vi sono delle evidenze circa il fatto che alcune cellule contengano sia l’LH che l’FSH e che, quindi, la secrezione differenziata di LH e di FSH deve dipendere dall’interazione di vari fattori (p. es., il GnRH, l’estradiolo, l’inibina). Inoltre, le diverse emivite dell’LH (20-30 min) e dell’FSH (2-3 h) influenzano i livelli degli ormoni circolanti. Tra gli ormoni ovarici, il 17β-estradiolo è il più potente inibitore della secrezione delle gonadotropine, agendo sull’ipotalamo e sull’ipofisi. L’inibina, un ormone peptidico prodotto dalle cellule granulose dell’ovaio, inibisce in particolare il rilascio di FSH. L’asportazione chirurgica delle ovaie porta a un rapido

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Endocrinologia della riproduzione

incremento dei livelli circolanti di FSH e di LH; la somministrazione di estradiolo a donne con ipoestrinismo causa una rapida diminuzione di questi livelli. Tuttavia, perché avvenga l’ovulazione, l’estradiolo deve esercitare un’influenza positiva sulla secrezione delle gonadotropine. Gli effetti di feedback dell’estradiolo sembrano essere tempo e dose-dipendenti. All’inizio della fase follicolare, le cellule basofile dell’ipofisi anteriore contengono un quantitativo relativamente ridotto di FSH e di LH disponibile per il rilascio da parte dell’ipofisi anteriore stessa. I livelli di estradiolo (prodotto dai follicoli selezionati) aumentano, stimolando la sintesi di FSH e di LH, ma inibendone la secrezione. Alla metà del ciclo, gli elevati livelli di estradiolo esercitano un effetto di feedback positivo; questi livelli, insieme al GnRH e ai bassi, ma crescenti livelli di progesterone circolante, inducono il picco di LH. Non si sa se la secrezione pulsatile di GnRH sia aumentata a metà del ciclo; il picco di metà ciclo potrebbe essere causato da un rapido aumento del numero dei recettori per il GnRH (stimolato dagli estrogeni) sulle cellule basofile dell’ipofisi. La menopausa, cioè il momento in cui cessa la funzione ciclica dell’ovaio che si manifesta con le mestruazioni, è trattata nel Cap. 236.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

6. Asse ipotalamo-ipofisario Fattori di regolazione ipotalamici Funzione dell'ipofisi anteriore Funzione dell'ipofisi posteriore 7. Malattie dell'ipofisi Malattie dell'ipofisi anteriore Iposecrezione degli ormoni dell'ipofisi anteriore Ipersecrezione degli ormoni dell'ipofisi anteriore Malattie dell'ipofisi posteriore Diabete insipido 8. Malattie della tiroide Gozzo eutiroideo Euthyroid sick syndrome Ipertiroidismo Ipertiroidismo subclinico Ipotiroidismo Ipotiroidismo subclinico Tiroidite Tiroidite linfocitaria silente Tiroidite subacuta Tiroidite di Hashimoto Tumori della tiroide Carcinoma papillare Carcinoma follicolare

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Malattie endocrine e metaboliche

Carcinoma anaplastico Carcinoma midollare Carcinoma indifferenziato della tiroide Carcinoma della tiroide indotto da radiazioni 9. Malattie del surrene Ipofunzione della corteccia surrenale Morbo di Addison Insufficienza corticosurrenalica secondaria Iperfunzione della corteccia surrenale Virilismo surrenalico Sindrome di Cushing Iperaldosteronismo Feocromocitoma Masse surrenaliche non funzionanti 10. Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men) 11. Sindromi da deficit polighiandolare 12. Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base Metabolismo dell'acqua e del sodio Disordini del metabolismo dell'acqua e del sodio Deplezione di volume del liquido extracellulare Espansione di volume del liquido extracellulare Iponatriemia Ipernatriemia Metabolismo del potassio Disordini del metabolismo del potassio Ipokaliemia Iperkaliemia Metabolismo del calcio

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Malattie endocrine e metaboliche

Disordini del metabolismo del calcio Ipocalcemia Ipercalcemia Metabolismo del fosfato Disordini del metabolismo del fosfato Ipofosfatemia Iperfosfatemia Metabolismo del magnesio Disordini del metabolismo del magnesio Ipomagnesiemia Ipermagnesiemia Metabolismo acido-base Disturbi del metabolismo acido-base Acidosi metabolica Alcalosi metabolica Acidosi respiratoria Alcalosi respiratoria 13. Disordini del metabolismo dei carboidrati Diabete mellito Chetoacidosi diabetica Chetoacidosi alcolica Coma iperglicemico-iperosmolare non chetosico Ipoglicemia 14. Le porfirie Porfirie più comuni Porfiria acuta intermittente Porfiria cutanea tarda Protoporfiria eritropoietica Porfirie meno comuni

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Malattie endocrine e metaboliche

Deficit di acido delta-aminolevulinico deidratasi Porfiria eritropoietica congenita Porfiria epato-eritropoietica Coproporfiria ereditaria Porfiria variegata Porfirie doppie 15. Iperlipidemia Iperlipoproteinemia di tipo I Iperlipoproteinemia di tipo II Aumenti primitivi delle LDL Aumenti secondari delle LDL Iperlipoproteinemia di tipo III Iperlipoproteinemia di tipo IV Iperlipoproteinemia di tipo V Ipertrigliceridemia secondaria Deficit familiare di lecitina colesterolo aciltransferasi 16. Ipolipidemia e lipidosi Ipolipidemia Ipoalfalipoproteinemia Ipobetalipoproteinemia Abetalipoproteinemia Malattia di Tangier Lipidosi Malattia di Gaucher Malattia di Niemann-Pick Malattia di Fabry Malattia di Wolman Malattia da accumulo di esteri del colesterolo Xantomatosi cerebrotendinea

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Malattie endocrine e metaboliche

b-sitosterolemia e xantomatosi Malattia di Refsum Altre lipidosi 17. Tumori carcinoidi Sindrome da carcinoide 18. Amiloidosi

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Asse ipotalamo-ipofisario

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 6. ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO La ghiandola pituitaria (ipofisi) non è più considerata la "ghiandola maestra". è l'ipotalamo la via finale comune che riceve informazioni praticamente da tutte le altre aree del SNC e che invia informazioni all'ipofisi. L'ipotalamo modula l'attività dei lobi anteriore e posteriore dell'ipofisi in due modi diversi. I neurormoni da esso sintetizzati raggiungono l'ipofisi anteriore (adenoipofisi) direttamente attraverso un sistema vascolare portale specializzato e regolano la sintesi e la secrezione dei sei principali ormoni peptidici dell'ipofisi anteriore. Gli ormoni ipofisari, a loro volta, regolano la funzione delle ghiandole endocrine periferiche (tiroide, surreni e gonadi), oltre all'accrescimento e alla lattazione. Non esistono connessioni neurali dirette tra l'ipotalamo e l'ipofisi anteriore. Al contrario, l'ipofisi posteriore (neuroipofisi) è costituita da assoni che originano dai corpi cellulari di neuroni localizzati nell'ipotalamo. Questi assoni servono come siti di deposito per due ormoni peptidici sintetizzati nell'ipotalamo, i quali a livello periferico hanno la funzione di regolare il bilancio idrico, l'emissione del latte e la contrazione della muscolatura uterina. In alcune specie animali e nel corso dello sviluppo fetale dell'uomo è presente un lobo intermedio localizzato tra il lobo anteriore e quello posteriore, ma nell'uomo adulto, nel quale non è riconoscibile alcuna ghiandola intermedia, le sue cellule sono disperse nel contesto dei lobi anteriore e posteriore. Praticamente tutti gli ormoni prodotti dall'ipotalamo e dall'ipofisi vengono secreti in maniera pulsatile o a poussée, in cui si alternano brevi periodi di inattività e di attività secretoria. Inoltre alcuni ormoni (p. es., l'ormone adrenocorticotropo [AdrenoCorticoTropic Hormone, ACTH], l'ormone della crescita [Growth Hormone, GH] e la prolattina) hanno un preciso ritmo circadiano o giornaliero, con aumento della secrezione durante determinate ore del giorno; altri ormoni (p. es., l'ormone luteinizzante [Luteinizing Hormone, LH] e l'ormone follicolostimolante [Follicle-Stimulating Hormone, FSH] durante il ciclo mestruale) hanno ritmi mensili con ritmi circadiani sovrapposti.

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Asse ipotalamo-ipofisario

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 6. ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO FATTORI DI REGOLAZIONE IPOTALAMICI Quando gli ormoni ipotalamici di rilascio e di inibizione raggiungono l'ipofisi anteriore attraverso il sistema vascolare portale, si legano a specifici recettori delle membrane cellulari e danno inizio a sequenze di eventi metabolici che stimolano o inibiscono il rilascio degli ormoni ipofisari nella circolazione generale. Fino a ora sono stati identificati sei neurormoni ipotalamici importanti dal punto di vista fisiologico (v. Tab. 6-1). Con l'eccezione dell'amina biogena dopamina, sono tutti peptidi di piccole dimensioni. Diversi di essi vengono prodotti a livello periferico, oltre che nell'ipotalamo, ed esplicano la loro funzione anche nel contesto di sistemi paracrini locali, specialmente nel tratto GI. Questi neurormoni possono modulare il rilascio di più di un ormone ipofisario, ma sono specifici nei loro effetti. La regolazione della maggior parte degli ormoni dell'ipofisi anteriore dipende da segnali ipotalamici di tipo stimolatorio positivo; solo la prolattina è sottoposta principalmente a un controllo inibitorio (v. oltre). L'ormone di rilascio della tireotropina (Thyrotropin-Releasing Hormone, TRH) induce la sintesi e la secrezione sia dell'ormone tireo-stimolante (ThyroidStimulating Hormone, TSH) sia della prolattina. Non è noto se l'induzione del rilascio della prolattina da parte del TRH sia fisiologica. In condizioni patologiche, il TRH può stimolare anche la produzione e il rilascio del GH. L'ormone di rilascio delle gonadotropine (Gonadotropin-Releasing Hormone, GnRH), conosciuto anche come ormone di rilascio dell'ormone luteinizzante (Luteinizing Hormone-Releasing Hormone, LHRH), stimola la secrezione dell'LH e dell'FSH, sia in condizioni fisiologiche sia quando viene somministrato dall'esterno in maniera pulsatile. Quando viene somministrato GnRH esogeno per infusione continua, il rilascio di FSH e LH viene inizialmente stimolato, ma poco dopo viene inibito a causa dell'inibizione dell'espressione dei recettori ipofisari per il GnRH da parte del GnRH stesso. Questa osservazione ha portato allo sviluppo farmacologico di agonisti del GnRH a lunga durata d'azione, i quali trovano impiego clinico nei casi in cui può essere indicata una castrazione medica. Gli analoghi del GnRH vengono utilizzati con successo per sopprimere la secrezione androgenica negli uomini affetti da carcinoma prostatico, per sopprimere la secrezione steroidea ovarica nelle donne affette da endometriosi (v. Cap. 239) e leiomiomi uterini e per sopprimere la secrezione steroidea gonadica nei bambini affetti da pubertà precoce vera (v. Pubertà precoce nel Cap. 275). In alcune situazioni il GnRH pulsatile può stimolare anche la secrezione di prolattina. La somatostatina esercita un controllo inibitorio sulla sintesi e sulla secrezione sia del GH sia del TSH. Il rilascio del GH è stimolato dall'ormone di rilascio dell'ormone della crescita (Growth Hormone-Releasing Hormone, GHRH) e inibito dalla somatostatina; il tasso di produzione del GH dipende dalla forza relativa di questi due stimoli. La somatostatina è inoltre in grado di inibire la secrezione di insulina. L'ormone di rilascio della corticotropina (Corticotropin-Releasing Hormone, CRH) stimola il rilascio di ACTH dall'ipofisi (v. oltre). La dopamina è il principale fattore di regolazione della prolattina e ne inibisce la sintesi e il rilascio. Quando il peduncolo ipofisario (che connette l'ipofisi all'ipotalamo) viene sezionato, la secrezione di prolattina aumenta, mentre il rilascio di tutti gli altri ormoni anteroipofisari diminuisce. In alcune circostanze, la

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Asse ipotalamo-ipofisario

dopamina può inibire anche il rilascio di LH, FSH e TSH. Il peptide intestinale vasoattivo (Vasoactive Intestinal Peptide, VIP) è anch'esso presente nei neuroni dell'ipotalamo e stimola il rilascio della prolattina sia in vivo sia in vitro. Come per il TRH, non è noto se il VIP sia un fattore importante per il rilascio della prolattina in condizioni fisiologiche. Molte patologie dell'ipotalamo, tra le quali neoplasie, encefaliti e altre lesioni infiammatorie, possono alterare la secrezione dei neurormoni ipotalamici e quindi modificare la funzione ipofisaria. Le sindromi cliniche che conseguono a tali lesioni si presentano come aberrazioni della funzione ormonale ipofisaria e vengono trattate in dettaglio nei Cap. 7 e 229. Poiché i vari neurormoni vengono sintetizzati in nuclei diversi all'interno dell'ipotalamo, in alcuni disordini possono essere interessati soltanto uno o pochi neuropeptidi. Nella sindrome di Kallmann, per esempio, un deficit di GnRH ipotalamico causa ipogonadismo (v. Ipogonadismi maschili nel Cap. 269). Tuttavia, le lesioni ipotalamiche possono ridurre la secrezione di tutti i neurormoni, determinando un panipopituitarismo secondario con iperprolattinemia e galattorrea (dovuta alla riduzione del rilascio di dopamina). Le lesioni ipotalamiche possono portare anche a ipersecrezione di neurormoni e possono essere responsabili di alcuni casi di pubertà precoce e di sindrome di Cushing.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA ACCRESCIMENTO E SVILUPPO PUBERTA' PRECOCE Si parla di pubertà precoce quando la maturazione sessuale inizia prima degli 8 anni nella femmina e dei 9 nel maschio.

Sommario: Introduzione Eziologia e incidenza Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La pubertà precoce vera è dovuta all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisario con conseguente sviluppo e maturazione delle gonadi, comparsa dei caratteri sessuali secondari, della spermatogenesi o dell’oogenesi. La pseudopubertà precoce, invece, è lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie a causa di livelli elevati in circolo di estrogeni e androgeni, che possono essere secreti da un tumore gonadico o surrenalico, ma senza attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisario. Nei ragazzi, le cause di pseudopubertà precoce sono tumori secernenti gonadotropine, come gli epatoblastomi e i rari tumori della ghiandola pineale, tumori testicolari, difetti enzimatici e testotossicosi. Nelle ragazze, le cause comprendono le cisti follicolari dell’ovaio, tumori a cellule della granulosa e/o della teca, difetti degli enzimi surrenalici e, raramente, tumori surrenalici femminilizzanti. La testotossicosi è un disordine raro dei ragazzi che comporta una pubertà precoce gonadotropino-indipendente familiare. In questa sindrome, sono stimolate sia la gametogenesi che la steroidogenesi senza un aumento delle gonadotropine. La sindrome di McCune-Albright è costituita dalla classica triade: pseudopubertà precoce con displasia fibrosa poliostotica e pigmentazione caffèlatte. L’asse ipotalamo-ipofisario generalmente ha caratteristiche prepuberali ed è associato a cisti ovariche responsabili della maturazione sessuale. Si parla di pubarca precoce quando si ha soltanto la comparsa di peli pubici prima degli 8 anni nella femmina e di 9 anni nel maschio, di adrenarca precoce se si ha solo la comparsa di peli ascellari e pubici prima degli 8 anni nella femmina e di 9 nel maschio, di telarca prematuro, se si ha lo sviluppo della ghiandola mammaria prima degli 8 anni nel soggetto di sesso femminile. Queste manifestazioni possono annunciare l’inizio della pubertà, ma il telarca, il pubarca e l’adrenarca prematuri si verificano indipendentemente da ogni ulteriore sviluppo. Quando queste condizioni si verificano senza nessun segno di maturazione puberale, sono generalmente benigne. Un controllo attento di tutte queste condizioni è necessario, specialmente per verificare la progressione dello sviluppo puberale.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Eziologia e incidenza Nella maggior parte dei casi di pubertà precoce vera nelle femmine >4 anni, può non essere rilevata nessuna causa specifica, anche se le lesioni del SNC si riscontrano frequentemente nelle bambine con età < 4 anni con pubertà precoce vera. Invece, il 60% dei maschi ha alla base una patologia identificabile. Le cause organiche in entrambi i sessi sono rappresentate da tumori intracranici, in particolare affezioni ipotalamiche (amartomi, raramente craniofaringiomi) o della regione pineale (teratoma, pinealoma), neurofibromatosi e alcune malattie rare. L’incidenza della pubertà precoce vera è 2-5 volte più alta nelle femmine.

Sintomi, segni e diagnosi Nella pubertà precoce, sia vera che falsa, i maschi possono presentare sviluppo di peli ascellari, pubici e del viso, accrescimento del pene, aspetto maschile. I soggetti di sesso femminile mostrano sviluppo del seno e comparsa dei peli pubici e ascellari. Nella pubertà precoce vera, nella donna, si avrà molto più comunemente la comparsa del ciclo mestruale, ma la mestruazione può presentarsi ugualmente nella pseudopubertà precoce (come nella sindrome di McCune-Albright). Un tipico odore corporeo e l’acne, così come le modificazioni del comportamento, possono essere presenti in entrambi i sessi. L’accrescimento staturale è in un primo tempo rapido in ambedue i sessi, ma la statura definitiva sarà compromessa per la precoce saldatura delle epifisi. L’aumento di volume dei testicoli e delle ovaie generalmente manca nella pseudopubertà precoce. Tuttavia, si possono evidenziare delle cisti ovariche in alcuni casi di sindrome di McCune-Albright o in associazione a sporadiche mestruazioni. Le indagini di laboratorio dipendono dalla valutazione clinica iniziale dopo un’anamnesi accurata e un attento esame obiettivo. Possono essere dosati i livelli dei seguenti ormoni: β-gonatropina corionica umana, estradiolo sierico, testosterone, deidroepiandrosterone solfato, 17-idrossiprogesterone, ormone luteinizzante (LH), ormone follicolo-stimolante (FSH) e prolattina. Gli studi radiologici comprendono la radiografia della mano e del polso di sinistra per stabilire l’età ossea, così come l’ecografia pelvica e surrenalica e la RMN o TAC del cranio. La pubertà precoce indipendente dalle gonadotropine può essere diagnosticata quando si hanno valori prepuberali di gonadotropine in risposta al releasing hormone ipotalamico esogeno (GnRH, anche conosciuto come luteinizing hormone-releasing hormone) nei maschi o nelle femmine in assenza di tumori o altre cause di pubertà precoce. Una risposta puberale al test di stimolazione con GnRH richiede ulteriori indagini per escludere lesioni del SNC prima di far diagnosi di pubertà precoce idiopatica.

Terapia Si può effettuare la seguente terapia per la pubertà precoce vera al fine di sopprimere la secrezione delle gonadotropine ipofisarie (LH e FSH) fino all’inizio della normale pubertà: un agonista del GnRH (un analogo del GnRH), come l’istrelin acetato alla dose di 10 µg/kg/die SC; o il nafarelin acetato 1600 µg/die per via intranasale in due dosi q 12 h; o il leuprolide acetato 0,2-0,3 mg/kg/ dose (minimo, 7,5 mg) IM q 4 sett. Si devono controllare le risposte dei pazienti al trattamento modificando in modo corrispondente i dosaggi dei farmaci. Nel caso della pubertà precoce non dipendente dalle gonadotropine (testotossicosi nei maschi e sindrome di McCune-Albright), gli antagonisti degli androgeni (p. es., spironolattone o ciproterone acetato) riducono gli effetti dell’eccesso di androgeni. Il farmaco antimicotico ketoconazolo riduce il testosterone nei maschi affetti da testotossicosi. Il testolattone, un inibitore dell’aromatasi, riduce l’estradiolo sierico ed è efficace nel trattamento delle ragazze affette da sindrome di McCune-Albright.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Nella maggior parte dei casi, si devono asportare i tumori ormono-producenti, in modo specifico, nelle ragazze, i tumori delle cellule della granulosa. Tuttavia, è necessaria una sorveglianza prolungata per la possibilità di recidive nell’altro ovaio. L’escissione è ugualmente una possibilità per le numerose neoplasie che causano la pseudopubertà nei maschi. Tuttavia, alcuni di questi tumori sono in genere violentemente maligni e associati a elevata mortalità.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE IPOGONADISMO MASCHILE Si tratta di una diminuita funzionalità dei testicoli (di origine endocrinologica, gametogenica o di entrambi), che provoca un ritardo della pubertà e/o un’insufficienza della riproduzione. (Per le sindromi da resistenza agli androgeni, v. Stati intersessuali nel Cap. 261; per le alterazioni congenite dei testicoli e dello scroto v. Malformazioni renali e genitourinarie sempre nel Cap. 261.)

Sommario: Classificazione Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

Classificazione Gli ipogonadismi possono essere distinti in tre forme: (1) Nell’ipogonadismo primitivo (ipergonadotropo) il danno delle cellule di Leydig compromette la produzione di androgeni (testosterone) e/o altera i tubuli seminiferi, con conseguente oligospermia o azoospermia e aumento delle gonadotropine. (2) Nell’ipogonadismo secondario (ipogonadotropo) le alterazioni della ghiandola ipofisi o dell’ipotalamo compromettono la secrezione delle gonadotropine e questo può determinare impotenza e/o sterilità. (3) Nel caso della resistenza all’azione degli androgeni, la risposta agli androgeni disponibili è inadeguata (v. anche Stati intersessuali nel Cap. 261). Ipogonadismo primitivo: la sindrome di Klinefelter, che è la causa più frequente di ipogonadismo primitivo, è una disgenesia dei tubuli seminiferi associata al cariotipo 47,XXY, in cui un cromosoma X supplementare è acquisito attraverso una non-disgiunzione meiotica materna (e in minor grado paterna). Gli aspetti clinici sono descritti sotto la voce Anomalie dei cromosomi sessuali nel Cap. 261. La diagnosi resta incompiuta nella maggior parte dei pazienti fino alla pubertà, quando si riscontra uno sviluppo sessuale inadeguato, oppure successivamente quando si compiono indagini sulla sterilità. Le gonadotropine sono elevate non appena si raggiunge l’epoca normale della pubertà, mentre il testosterone presenta livelli ematici ai limiti inferiori della norma o al di sotto della norma. Nella anorchia bilaterale (sindrome dei testicoli scomparsi), i testicoli erano presumibilmente presenti ma si sono riassorbiti prima della nascita o subito dopo. Questi pazienti presentano genitali esterni normali e normali strutture derivanti dal dotto di Wolff ma sono privi di strutture derivanti dal dotto di Muller. Pertanto, il tessuto testicolare deve essere stato presente durante le prime 12 sett. di embriogenesi poiché la differenziazione testicolare si è realizzata e sono stati prodotti sia il testosterone che il fattore inibitorio mulleriano. Questi pazienti presentano un quadro clinico simile a quello del criptorchidismo bilaterale, a eccezione del fatto che non c’è incremento del testosterone ematico dopo somministrazione parenterale di gonadotropina corionica umana (hCG).

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Malattie endocrine e metaboliche

È indicata la correzione precoce del criptorchidismo per cercare di prevenire neoplasie maligne o la torsione testicolare. (V. anche i testicoli ritenuti sotto Malformazioni renali e genitourinarie nel Cap. 261.) Nella aplasia delle cellule di Leydig, l’assenza congenita delle cellule di Leydig è una causa di pseudoermafroditismo maschile associato ad ambiguità dei genitali esterni. Nonostante ci sia un certo sviluppo del dotto di Wolff, si ha una produzione di testosterone non sufficiente a indurre la differenziazione normale in senso maschile dei genitali esterni. Le strutture mulleriane sono assenti a causa della produzione normale da parte delle cellule del Sertoli dell’ormone inibitore delle strutture mulleriane. Si riscontrano concentrazioni elevate di gonadotropine e basse di testosterone e non c’è l’aumento del testosterone circolante dopo iniezioni di hCG. La sindrome di Noonan (sindrome di Turner maschile) si può manifestare sporadicamente o come una malattia autosomica dominante. Le anomalie somatiche comprendono l’iperelasticità della pelle, l’ipertelorismo, la ptosi, l’impianto basso delle orecchie, bassa statura, 4o osso metacarpale corto, palato ogivale e anomalie cardiovascolari principalmente del settore destro come la stenosi valvolare polmonare e la pervietà interatriale. I testicoli sono spesso piccoli o criptorchidi. Il testosterone ematico può essere basso con elevati livelli di gonadotropine. Circa l’80% dei maschi affetti da distrofia miotonica ha un’insufficienza testicolare primitiva, con delle biopsie testicolari che mostrano disturbi della spermatogenesi, ialinizzazione e fibrosi. Insieme alla debolezza e all’atrofia muscolare, si possono riscontrare calvizie frontale, ritardo mentale, cataratta, diabete mellito, ipoparatiroidismo primitivo e iperostosi cranica. Come per le altre cause di ipogonadismo primitivo, le gonadotropine sono elevate e i livelli di testosterone sono bassi o al limite inferiore della normalità. Patologie dei tubuli seminiferi negli adulti: l’oligospermia o l’azoospermia associati a sterilità possono essere riscontrate in uomini che presentano una insufficienza idiopatica dei tubuli seminiferi o secondaria a infezioni testicolari (p. es. parotite o gonorrea), criptorchidismo, uremia, agenti antineoplastici, alcolismo, irradiazione, lesioni vascolari o traumi. Oltre all’analisi dello sperma alterata, possono essere elevati i livelli sierici dell’ormone follicolo-stimolante (FSH), anche se è possibile che siano normali nel caso di oligospermia lieve. Le concentrazioni sieriche di testosterone e dell’ormone luteinizzante (LH) sono di solito normali, sebbene ci possa essere un eccessivo incremento dell’LH in seguito alla stimolazione con l’ormone che favorisce il rilascio delle gonadotropine (GnRH), che suggerisce una lieve insufficienza di androgeni. Negli adolescenti o negli adulti, un campione di sperma raccolto mediante masturbazione dopo 2 giorni di astinenza dall’eiaculazione fornisce un eccellente indice della funzione dei tubuli seminiferi. Lo sperma normale ha un volume che va da 1 a 6 ml, > 20 106 spermatozoi/ml, dei quali il 60% presenta una morfologia normale ed è mobile (v. anche Alterazioni del liquido seminale nel Cap. 245). Difetti enzimatici: sono stati descritti dei difetti di tutti i processi enzimatici necessari alla produzione di diidrotestosterone. Questi difetti congeniti possono associarsi a iperplasia surrenalica congenita e possono determinare gradi differenti di ambiguità dei genitali esterni, cioè lo pseudoermafroditismo maschile. Ipogonadismo secondario: il panipopituitarismo si può verificare per un substrato anatomico o congenito, così come nella displasia setto-ottica o nella malformazione di Dandy-Walker, determinando deficit dei fattori di liberazione ipotalamici o degli ormoni ipofisari. L’ipopituitarismo acquisito può conseguire a tumori benigni e maligni o al trattamento di questi, a malattie vascolari, a processi infiltrativi come la sarcoidosi o l’istiocitosi a cellule di Langerhans, a infezioni come encefalite o meningite e a trauma. L’ipopituitarismo nell’infanzia può causare ritardo di accrescimento, ipotiroidismo, diabete insipido, iposurrenalismo e assenza di sviluppo sessuale al momento fisiologico della pubertà. L’ipopituitarismo acquisito negli adulti può causare ipotiroidismo, diabete insipido, iposurrenalismo, impotenza, riduzione della libido e atrofia testicolare. Questi disturbi possono essere rilevati mediante lo studio di immagini del SNC. I deficit

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Malattie endocrine e metaboliche

ormonali possono essere differenti e multipli, a seconda che dipendano dall’ipofisi anteriore o dalla posteriore. La sindrome di Kallmann è caratterizzata da anosmia dovuta ad agenesia dei lobi olfattori e ipogonadismo secondario al deficit del GnRH ipotalamico. La causa è l’assenza di migrazione dei neuroni fetali che secernono GnRH dal placode olfattivo all’ipotalamo. L’eredità è generalmente legata al sesso. Le altre manifestazioni comprendono micropene e criptorchidismo associati a difetti della linea mediana e ad agenesia renale unilaterale. Il ritardo costituzionale della pubertà consiste nell’assenza dello sviluppo puberale in un ragazzo di almeno 14 anni (v. Bassa statura da ipopituitarismo). Spesso c’è una storia familiare di ritardo dello sviluppo sessuale in un genitore o un fratello. La maggior parte dei ragazzi presenta qualche evidenza di maturità sessuale verso i 18 anni o quando l’età scheletrica raggiunge i 12 anni, età media in cui si inizia a rilevare l’ingrossamento testicolare. Questi ragazzi generalmente presentano bassa statura durante l’infanzia e/o l’adolescenza ma alla fine raggiungono l’altezza geneticamente stabilita. La diagnosi di ritardo costituzionale è di esclusione; cioè, bisogna escludere il deficit di GH, l’ipotiroidismo, l’ipogonadismo, sia primitivo che da deficit di gonadotropine. Tipicamente, i bambini con ritardo costituzionale hanno una velocità di crescita in altezza quasi normale con un andamento della curva parallelo a quello dei percentili inferiori. Quando l’età ossea è riportata sulla curva di crescita, essa è essenzialmente sovrapponibile al percentile dell’altezza genetica. Nel deficit isolato di LH (sindrome dell’eunuco fertile), i pazienti hanno una perdita isolata della secrezione di LH mentre la secrezione di FSH rimane normale. Alla pubertà questi ragazzi presentano un crescita dei testicoli, poiché la maggior parte del volume testicolare è rappresentata dai tubuli seminiferi che sono sensibili all’FSH. Si può avere la spermatogenesi man mano che lo sviluppo tubulare prosegue. Tuttavia, l’assenza dell’LH determina l’atrofia delle cellule di Leydig e il deficit di testosterone. Perciò, questi pazienti non sviluppano i caratteri sessuali secondari normali e continuano a crescere, raggiungendo delle proporzioni eunucoidi per la mancata saldatura epifisaria. La sindrome di Prader-Willi è caratterizzata da riduzione dei movimenti fetali, obesità, ipotonia muscolare, ritardo mentale e ipogonadismo ipogonadotropo. La sindrome è causata dalla delezione o alterazione di un gene o di geni del braccio lungo prossimale del cromosoma paterno 15 o dalla disomia materna del cromosoma 15. Le alterazioni dello sviluppo durante la prima infanzia comprendono difficoltà di accrescimento per ipotonia e problemi alimentari, che generalmente migliorano dopo i 6-12 mesi di vita. Dal dodicesimo-diciottesimo mese in poi, una iperfagia incontrollabile determina incremento ponderale ingravescente e problemi psicologici, così che una fame insaziabile con obesità pletorica diventano l’aspetto clinico più evidente. Il rapido aumento ponderale continua ma si associa a bassa statura finale nel paziente adulto. Gli aspetti comportamentali comprendono labilità emotiva, scarsa e grossolana abilità motoria, alterazioni cognitive e fame insaziabile. Tra le alterazioni facciali si riscontra una distanza bitemporale ridotta, occhi a mandorla e una bocca con il labbro superiore sottile e le commissure rivolte in basso. Sono presenti ipogonadismo ipogonadotropo, criptorchidismo e pene e scroto ipoplasici nei maschi o labbra vulvari ipoplasiche nelle femmine. Le alterazioni scheletriche comprendono scoliosi, cifosi e osteopenia. Tra le anomalie degli arti si riscontrano mani e piedi piccoli. Sia malattie acute che disturbi sistemici cronici, come l’insufficienza renale o l’anoressia nervosa, possono essere associati a ipogonadismo ipogonadotropo, che migliora dopo la guarigione dal disturbo sottostante.

Sintomi e segni L’età d’esordio dei deficit degli steroidi sessuali condiziona la presentazione clinica.

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Malattie endocrine e metaboliche

Il deficit di androgeni o della funzione di questi nel primo trimestre (< 12 sett. intrauterine) causa una differenziazione inadeguata dei dotti di Wolff interni e dei genitali esterni. Le manifestazioni cliniche possono andare dalla ambiguità dei genitali esterni o pseudoermafroditismo maschile alla femminilizzazione totale dei genitali esterni. Il deficit di androgeni nel secondo e terzo trimestre può causare micropene e discesa testicolare incompleta o assente. Nell’infanzia, il deficit di androgeni comporta poche conseguenze, ma se si verifica al momento in cui è attesa la pubertà, lo sviluppo sessuale secondario viene compromesso. I pazienti con ipogonadismo hanno uno scarso sviluppo muscolare, un timbro di voce alto, crescita inadeguata del pene e dei testicoli, scroto piccolo, peli pubici e ascellari radi e assenza di peli sul corpo. Essi possono sviluppare ginecomastia e raggiungere proporzioni scheletriche eunucoidi (apertura delle braccia > altezza di 5 cm; distanza pube-suolo > distanza pube-vertice di 5 cm) dovuto alla saldatura ritardata delle epifisi e alla crescita continua delle ossa lunghe. Negli adulti, la carenza di androgeni si manifesta variamente a seconda del grado e della sua durata. Sono comuni la diminuzione della libido, della potenza sessuale e in generale della forza. In un ipogonadismo di lunga durata si possono verificare atrofia testicolare, comparsa di piccole rughe attorno agli occhi e alle labbra e una rada villosità. Si possono sviluppare, inoltre, osteopenia e ginecomastia.

Esami di laboratorio Determinazione del testosterone sierico: le concentrazioni di testosterone aumentano durante tutta la pubertà da < 20 ng/dl (< 0,7 nmol/l) a valori compresi tra 300 e 1200 ng/dl (10,5 e 41,5 nmol/l) nell’età adulta. La secrezione del testosterone sierico è pulsatile e circadiana. Nella seconda parte della pubertà, i livelli sono più elevati di notte che di giorno. Un singolo prelievo ematico è sufficiente per stabilire se i livelli di testosterone circolante sono normali. Poichè il 98% del testosterone è legato a proteine di trasporto nel sangue (testosteronebinding globulin), le alterazioni dei livelli di queste proteine inficiano la concentrazione del testosterone ematico totale. Determinazione dei livelli sierici dell’ormone luteinizzante (LH) e del follicolo-stimolante (FSH): l’LH e l’FSH devono essere determinati in tre campioni di sangue prelevati a distanza di 20 minuti poiché le secrezioni pulsatili si verificano a intervalli di 90-120 minuti e si deve documentare la loro presenza o assenza. Le concentrazioni sieriche di LH e FSH sono in genere < 5 mUI/ml prima della pubertà, presentano un incremento notturno nell’ultima parte della pubertà e fluttuano in modo pulsatile tra valori di 5 e 20 mUI/ml negli adulti. Nei maschi adulti con livelli ematici bassi di testosterone e alti di gonadotropine, si deve sospettare un’insufficienza testicolare primitiva, mentre livelli di gonadotropine bassi o normali e bassi di testosterone indicano un disturbo ipotalamico o ipofisario. Nei bambini con bassa statura e sviluppo puberale ritardato, i livelli bassi di testosterone e gonadotropine possono anche essere compatibili di ritardo costituzionale. Test di stimolazione con la gonadotropina corionica umana (hCG): l’hCG stimola le cellule di Leydig, così come fa l’LH, con cui condivide una subunità della sua struttura, e la produzione testicolare di testosterone. Il test di stimolazione con hCG serve a valutare l’integrità della funzione testicolare e consiste nel somministrare 500 UI/ 1,7 m2 negli adulti o 100 UI/kg nei bambini di hCG. I livelli di testosterone dovrebbero almeno raddoppiare dopo 3-4 giorni. Test con citrato di clomifene: il clomifene citrato è un estrogeno debole che inibisce il legame dell’estradiolo ai recettori degli estrogeni e quindi l’attivazione recettoriale. Poichè l’estradiolo è un inibitore importante della secrezione delle

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Malattie endocrine e metaboliche

gonadotropine plasmatiche, il blocco recettoriale da parte del clomifene determina una riduzione del feedback negativo sulla secrezione delle gonadotropine da parte degli estrogeni circolanti. La risposta normale di tipo adulto al clomifene citrato, 100 mg PO bid, consiste in un incremento del 50%250% dell’LH, del 30-200% dell’FSH e del 30-200% del testosterone. Questi incrementi sono ridotti o assenti nel caso di disturbi ipotalamici o ipofisari. Test di stimolazione con ormone stimolante le gonadotropine (GnRH): la somministrazione di 100 µg (2,5 µg/kg nei bambini) di GnRH mediante iniezione EV rapida stimola in modo diretto l’ipofisi a secernere LH e FSH, che vengono determinati ogni 20-30 minuti per 2 ore. La risposta al GnRH negli adulti consiste soprattutto nell’aumento dell’FSH con uno scarso o assente incremento dell’LH. Durante la pubertà, l’LH e l’FSH aumentano più o meno allo stesso modo di due o tre volte. Nell’età adulta, l’LH aumenta di due-cinque volte rispetto al valore di base, mentre l’FSH aumenta di due volte. Nei pazienti con ipopituitarismo questo test determina un aumento inadeguato o assente di gonadotropine, mentre i pazienti con malattie ipotalamiche possono presentare un aumento normale o insufficiente, dovuto quest’ultimo all’atrofia gonadotropica da stimolazione endogena di GnRH insufficiente. Nei pazienti con malattie ipotalamiche, come la sindrome di Kallmann (v. sopra), la somministrazione di boli ripetuti di GnRH può riportare la secrezione gonadotropica ai livelli normali. Biopsia testicolare: è raramente necessaria per la diagnosi di un ipogonadismo. È generalmente riservata agli uomini che presentano azoospermia pur avendo testicoli di grandezza normale per distinguere tra l’ostruzione duttale e la carenza di spermatogenesi.

Terapia La terapia dei pazienti con ipogonadismo ipogonadotropo deve essere indirizzata a correggere la disfunzione ipotalamo-ipofisaria sottostante, se non si è trovato altro. I bambini con pubertà ritardata costituzionale, che raggiungono i 15 anni senza nessun’evidenza di sviluppo puberale, possono essere trattati con testosterone enantato alla dose di 50 mg IM 1 volta/mese per 4-8 mesi. Queste dosi basse determineranno un certo grado di virilizzazione e stimoleranno la pubertà senza compromettere la potenziale altezza definitiva. Gli adolescenti con deficit di androgeni devono essere trattati con testosterone enantato o cipionato iniettabile a lunga durata d’azione in una dose da incrementare in un periodo di 18-24 mesi da 50 fino a 200 mg q 2-4 sett. Gli adulti con deficit androgenico devono essere trattati fino al periodo della normale andropausa con una dose di 200 mg di testosterone iniettabile q 24 sett. oppure con testosterone per via transdermica mediante cerotto, due cerotti al giorno a meno che non ci sia una controindicazione maggiore. Gli effetti collaterali potenziali sono la ritenzione idrica, l’acne e occasionalmente la ginecomastia transitoria. La terapia previene o riduce il rischio di osteopenia e instabilità vasomotoria, aumenta la libido e previene l’impotenza. Gli androgeni per via orale non devono essere utilizzati perché comportano il rischio di insufficienza epatocellulare o di oncogenesi. Gli uomini con ipogonadismo ipogonadotropo che vogliono stimolare la spermatogenesi possono essere trattati con gonadotropine menopausali che contengono 75 UI di FSH e LH alla dose di 1-2 fiale IM 3 volte/sett. insieme a 2000 UI di hCG IM 3 volte/sett. Questo trattamento deve essere effettuato per almeno 3 mesi per attivare la spermatogenesi. In alternativa, può essere sperimentata la somministrazione sottocutanea di GnRH mediante una pompa da infusione portatile, se è presente una riserva gonadotropa sufficiente, come nella sindrome di Kallmann. La terapia della sindrome di Kallmann con gonadotropina corionica (hCG) può correggere il criptorchidismo e ristabilire la fertilità, anche in maschi adulti. La terapia pulsatile con GnRH erogato per via sottocutanea in pompa portatile

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Malattie endocrine e metaboliche

stimola la secrezione endogena di steroidi sessuali, la progressiva virilizzazione e anche la fertilità. Nel deficit isolato di FSH, la saldatura delle epifisi viene indotta normalmente dal testosterone attraverso la sua conversione a estrogeno mediata dall’aromatasi.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE STATI INTERSESSUALI Condizioni nelle quali l’aspetto dei genitali esterni è ambiguo o in disaccordo con il sesso cromosomico o gonadico della persona. (V. anche Iperplasia surrenalica congenita nel Cap. 269)

Sommario: Eziologia e classificazione Diagnosi Terapia

Eziologia e classificazione I genitali si formano durante i primi tre mesi di gestazione attraverso una serie di eventi determinati dal cariotipo fetale e mediati in gran parte dagli steroidi sessuali. Le alterazioni di questa sequenza di eventi sono responsabili delle ambiguità genitali, con conseguente sviluppo di stati intersessuali. La classificazione si basa per maggior praticità sulla istologia delle gonadi. Gli pseudoermafroditi femminili hanno ovaie e genitali interni femminili normali, ma genitali esterni ambigui; sono geneticamente femmine normali con un cariotipo 46,XX. I genitali esterni ambigui dipendono dalla esposizione a eccessive quantità di androgeni in utero. Gli androgeni responsabili possono essere esogeni (p. es., progesterone somministrato alla madre per impedire l’aborto) ma più comunemente sono endogeni, p. es., derivanti da un blocco enzimatico della steroidogenesi, determinato da aberrazioni genetiche del cromosoma 6 (v. anche virilismo surrenalico o sindrome adreno-genitale, Virilismo surrenalico nel Cap. 9). Gli pseudoermafroditi maschili presentano tessuto gonadico di tipo solo testicolare e di solito hanno un cariotipo 46,XY. I genitali esterni sono di solito ambigui, ma questa caratteristica è variabile e nella forma completa di sindrome da femminilizzazione testicolare (sindrome da insensibilità agli androgeni) il fenotipo è femminile. L’eziologia è complessa, ma in termini generali il disordine deriva da una inadeguata produzione di androgeni, inadeguata risposta agli androgeni o persistenza di elementi mulleriani, come mostrato nella Tab. 261-5. Nell’ermafroditismo vero coesistono tessuto ovarico e testicolare e genitali con strutture di tipo maschile e femminile, in base al tipo di tessuto, ovarico o testicolare, predominante. Negli USA, la maggior parte degli ermafroditi veri ha un cariotipo 46,XX, ma il quadro può essere variabile. Di rado, nell’ermafroditismo vero i genitali esterni sono completamente mascolinizzati. I soggetti con la disgenesia gonadica mista hanno sia tessuto testicolare sia tessuto gonadico primitivo detto "streak". Questi pazienti presentano di solito

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Anomalie congenite

mosaicismo 46,XY/45,X0 del cariotipo, genitali ambigui e da adulti tendono a essere di bassa statura. Quando gli streak sono bilaterali, il disordine si definisce disgenesia gonadica pura. Tali pazienti fenotipicamente appaiono come donne.

Diagnosi I soggetti con ambiguità dei genitali, i fenotipi femminili con gonadi palpabili e i fenotipi maschili con gonadi non palpabili devono essere studiati per sospetto di ermafroditismo. I maschi con gradi minori di ipospadia non richiedono esami particolari, se presentano ambedue i testicoli in sede e palpatorialmente normali. La valutazione dei neonati affetti è urgente non solo per l’attribuzione del sesso (specialmente a causa di implicazioni sociali), ma anche per individuare i pazienti affetti da sindrome adrenogenitale congenita con perdite di sali (v. anche Cap. 9), prima che si instauri un’iponatremia pericolosa per la vita. Si deve effettuare immediatamente un prelievo ematico per individuare il cariotipo, i cui risultati possono richiedere diversi giorni. Nel frattempo, un’ecografia pelvica o una genitografia possono documentare la presenza di elementi mulleriani. Se si sospetta una sindrome adrenogenitale nella forma virilizzante (SAG), a causa di gonadi non palpabili e della persistenza di strutture mulleriane, si devono monitorizzare attentamente gli elettroliti sierici, e deve essere determinato il 17idrossiprogesterone sierico per documentare il blocco enzimatico. Nei casi dubbi di intersesso, per stabilire una diagnosi definitiva, possono rendersi necessarie la laparoscopia o l’esplorazione chirurgica con biopsia gonadica,. Se possibile l’assegnazione del sesso non deve essere ritardata oltre i primi giorni di vita.

Terapia L’appropriata attribuzione del sesso è fondamentale. Di solito al soggetto con pseudoermafroditismo femminile è attribuito il sesso femminile, mentre allo pseudoermafrodita con fenotipo maschile, il sesso è attribuito in base allo sviluppo dei genitali e all’attività ormonale. Anche agli ermafroditi veri il sesso viene correttamente assegnato in base allo sviluppo dei genitali, tuttavia in molti casi è stata effettuata una ricostruzione chirurgica di tipo maschile, che rappresenta una valida opzione terapeutica per quei bambini con testicoli normali in sede, che possono provvedere alla funzione ormonale nel periodo puberale. Gli pseudoermafroditi maschi affetti da sindrome da femminilizzazione testicolare completa sono considerati di sesso femminile, ma per molti altri è più appropriata l’attribuzione al sesso maschile. Nei casi limite può essere utile effettuare 1 o 2 cicli di testosterone propionato (25 mg IM in solvente oleoso) per valutare la capacità dei genitali a rispondere agli androgeni, requisito essenziale per l’attribuzione al sesso maschile. I pazienti con disgenesia gonadica mista sono più correttamente considerati di sesso femminile, non soltanto per la bassa statura, ma anche per la tendenza delle loro gonadi a sviluppare tumori (gonadoblastoma). In genere viene raccomandata la ricostruzione precoce dei genitali esterni con gonadectomia. Pazienti affetti da disgenesia gonadica pura sono fenotipicamente femmine e devono essere educate come tali. Il momento migliore per la ricostruzione chirurgica dei genitali è variabile. I soggetti assegnati al sesso femminile, a parte quelli con virilizzazione, devono subire, quanto prima possibile, la resezione del clitoride iperplasico, per essere accettate come femmine dai familiari. Nelle pazienti affette da SAG, l’intervento dovrà essere differito di alcuni mesi, finché non si raggiunga una situazione endocrinologica stabile con la terapia steroidea. La ricostruzione vaginale viene preferibilmente differita fino alla pubertà, a causa della alta incidenza di stenosi se effettuata troppo precocemente. La correzione dell’ipospadia nei maschi in genere viene effettuata tra 1 e 2 anni di età (v. Pene e Uretra, sopra).

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Anomalie congenite

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE IPERPLASIA SURRENALICA CONGENITA (Sindrome adrenogenitale; virilizzazione surrenalica) Consiste nella modificazione istologica risultante dalla aumentata increzione cronica di ACTH e nelle alterazioni sistemiche dovute al deficit di produzione di cortisolo. (V. anche Amenorrea nel Cap. 235.) L’incremento di ACTH è causato da livelli bassi di cortisolo, la cui sintesi è compromessa dall’assenza o dalla riduzione di uno dei cinque enzimi necessari per la sua produzione dal colesterolo. Ciascun blocco enzimatico determina un deficit caratteristico e l’accumulo di precursori specifici degli ormoni surrenalici (v. la Tab. 269-3). Nelle forme più comuni di iperplasia surrenalica congenita (SAG), i precursori prossimali al blocco enzimatico si accumulano e sono convogliati verso la sintesi di androgeni surrenalici. Quando il blocco enzimatico (p. es., il deficit di 21-idrossilasi) causa accumulo di androgeni, il disturbo che ne consegue è una forma virilizzante di SAG, causando gradi differenti di virilizzazione di un feto femmina affetto. Se il blocco enzimatico compromette la sintesi di androgeni, si ha una forma ipovirilizzante, per la virilizzazione inadeguata di un feto maschio affetto. Diverse alterazioni autosomiche recessive possono essere causa di SAG. Un lattante affetto si può presentare con ambiguità dei genitali esterni, fornendo, quindi, pochi indizi diagnostici iniziali, perché un maschio ipovirilizzato e una femmina ipervirilizzata non possono essere distinti sulla base dell’esame obiettivo. L’esame dei genitali esterni rivela tipicamente una struttura simil-fallica, che sembra più lunga e più larga di un clitoride ma più piccola di un pene, un’apertura singola alla base di questo fallo, che è il seno urogenitale, e gradi diversi di fusione incompleta delle pieghe labio-scrotali. Livelli basali di 17idrossiprogesterone > 8 ng/ml sono praticamente diagnostici di SAG dovuta a deficit di 21-idrossilasi. È necessario il test di stimolazione con ACTH per distinguere le varie cause di SAG. Le concentrazioni dei precursori degli ormoni surrenalici sono determinate prima e 30 minuti dopo la somministrazione EV di 250 µg di ACTH sintetico. L’incremento e il rapporto dei vari precursori sono diagnostici di ciascun difetto enzimatico. In alcuni dei deficit enzimatici meno gravi (p. es., deficit della 21-idrossilasi a esordio tardivo o della 11-β-idrossilasi), la virilizzazione può non diventare evidente che nella tarda infanzia, nell’adolescenza o durante l’età adulta. I sintomi possono comprendere ingrossamento del pene o del clitoride, irsutismo, seborrea, abbassamento del tono della voce, accelerazione dell’accrescimento con chiusura precoce delle epifisi (cartilagini di accrescimento delle ossa lunghe) che comporta bassa statura, aumento delle masse muscolari, calvizie in sede temporale, amenorrea e oligomenorrea durante l’età adulta. Deficit di 21-idrossilasi: questo deficit causa il 90% di tutti i casi di SAG. L’incidenza oscilla da 1/10000 a 1/15000 nati vivi. C’è aumentata produzione di progesterone, 17-OH-progesterone, deidroepiandrosterone (DHEA), che è un androgeno debole responsabile di mascolinizzazione dei lattanti di sesso femminile affetti, e androstendione, con cortisolo e aldosterone plasmatici in basse concentrazioni o assenti. I metaboliti urinari di questi precursori (17ketosteroidi e pregnantriolo) sono presenti in quantità superiori alla norma. La

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Malattie endocrine e metaboliche

ridotta secrezione di aldosterone determina perdita di sale con iponatremia e iperkaliemia; l’attività reninica plasmatica è, pertanto, elevata. Nei difetti enzimatici parziali, il deficit di aldosterone non viene espresso e i pazienti sono normonatriemici e normokaliemici. Si è riscontrata un’associazione non casuale con alcuni aplotipi HLA. È possibile effettuare sia la diagnosi che il trattamento prenatali. Si può anche rilevare lo stato di portatore (eterozigote) nei bambini e negli adulti. La terapia del deficit di 21-idrossilasi si effettua con la somministrazione sostitutiva di glucocorticoidi (idrocortisone, cortisone acetato o prednisone) e, quando necessario, con il ripristino della omeostasi normale di sodio e potassio con i mineralcorticoidi. La somministrazione orale di idrocortisone (da 15 a 25 mg/ m2 /die in 3 dosi) o prednisone (3-4 mg/m2 /die in 2 dosi) viene adeguata per mantenere i precursori degli androgeni entro l’intervallo appropriato per l’età. Il cortisone acetato IM da 18 a 36 mg/m2 ogni 3 giorni può anche essere utilizzato nei lattanti quando la terapia orale non è affidabile. La terapia è finalizzata alla normalizzazione sia dell’androstendione, del 17-OH-progesterone e della attività reninica plasmatici che dei metaboliti urinari (17-ketosteroidi e pregnantriolo). Il fludrocortisone per via orale (0,1 mg/die) va somministrato se c’è perdita di sale. I lattanti spesso richiedono un supplemento di sale per os. È difficile il monitoraggio stretto durante la terapia. L’ipertrattamento con glucocorticoidi determina la malattia di Cushing iatrogena, che si manifesta nell’infanzia con obesità, crescita ridotta e ritardo dell’età ossea. L’ipo-trattamento con glucocorticoidi non riesce a sopprimere la secrezione di ACTH con conseguente iperandrogenismo, che si manifesta nell’infanzia con virilizzazione e velocità di crescita superiore alla norma e infine interruzione precoce dell’accrescimento con bassa statura finale. Bisogna assicurare la compliance al trattamento, l’accrescimento deve essere rigorosamente monitorizzato e l’età ossea valutata ogni anno. I lattanti femmine affetti possono richiedere una ricostruzione chirurgica con clitoroplastica riduttiva e creazione di un’apertura vaginale. Spesso, un ulteriore intervento chirurgico è necessario da adulti, ma con una cura e un’attenzione particolare per le problematiche psico-sessuali, è possibile ottenere una vita sessuale normale e la fertilità. Deficit di 11b-idrossilasi: questo deficit è responsabile del 3-5% di tutti i casi di SAG. Il profilo steroideo è caratterizzato dal l’incremento dell’11-deossicortisolo (e dei 17-idrossicorticosteroidi urinari) e del deossicorticosterone. A causa dell’attività mineralcorticoide del deossicorticosterone, i pazienti presentano ritenzione salina e ipertensione arteriosa con alkalosi ipokaliemica. L’attività reninica plasmatica è bassa. Si realizza anche virilizzazione. Il trattamento consiste nella terapia sostitutiva con cortisolo; può anche essere necessaria quella con mineralcorticoidi. Deficit di 3b-idrossisteroidodeidrogenasi: questo disturbo molto raro comporta l’accumulo di DHEA, che viene convertito in testosterone perifericamente nel tessuto extrasurrenalico. Il trattamento consiste anche qui di glucocorticoidi con mineralcorticoidi quando necessario. Deficit di colesterolo-desmolasi e di 17a-idrossilasi: questi disturbi provocano la virilizzazione dei lattanti femmine affetti e l’ipovirilizzazione di quelli maschi. Deficit di corticosterone 18-metilossidasi di tipo II: la manifestazione è quella tipica della carenza di aldosterone: iperkaliemia cronica e bassa aldosteronemia. Non sono presenti alterazioni della differenziazione sessuale.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO AMENORREA Assenza di mestruazioni, o perché mai verificatesi o perché cessate successivamente.

Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi Esami di laboratorio Terapia

L’amenorrea è tradizionalmente divisa in primaria (il menarca non si è verificato entro i 16 anni) o secondaria (le mestruazioni non si sono verificate per 3 mesi in donne che in precedenza le avevano avute), anche se spesso questa distinzione non ha alcuna utilità clinica. È più utile un approccio funzionale.

Eziologia L’amenorrea è sempre patologica, a eccezione di quella che si verifica prima della pubertà, durante la gravidanza o all’inizio dell’allattamento e dopo la menopausa. L’amenorrea indica il fallimento dell’interazione ipotalamo-ipofisigonadi-utero nella produzione delle modificazioni cicliche dell’endometrio, che causano le mestruazioni. L’amenorrea può essere causata da anomalie anatomiche; da disfunzioni endocrine, ipotalamiche, ipofisarie o di altro tipo; da un’insufficienza ovarica o da difetti genetici (v. Tab. 235-1). In funzione della causa, l’amenorrea può essere associata ad altre alterazioni, quali l’irsutismo, l’obesità e la galattorrea. L’anovulazione cronica rappresenta la più frequente forma di amenorrea tra le donne in età riproduttiva che non sono gravide. Nessuna anomalia anatomica degli organi bersaglio impedisce la mestruazione. L’anovulazione cronica può essere vista come una situazione stabile in cui non è più operante il ritmo mensile che provoca le mestruazioni. Il termine anovulazione cronica implica l’esistenza di follicoli ovarici in grado di funzionare e la possibilità di indurre o di ripristinare l’ovulazione con un opportuno trattamento. L’unità ipotalamo-ipofisaria sembra intatta, ma esiste un’alterazione funzionale che causa un’anomala secrezione gonadotropinica. L’anovulazione cronica può essere dovuta a una disfunzione ipotalamica, ipofisaria o di altro tipo o a un inappropriato feedback ormonale (v. Tab. 235-1). Ci sono delle evidenze che indicano come la forma ipotalamica rappresenti un gruppo eterogeneo di disturbi che determinano delle manifestazioni simili e a cui contribuiscono in varia misura gli stress emozionali e fisici, la dieta, la struttura corporea, l’attività fisica, i fattori ambientali e altri fattori sconosciuti. Un inappropriato feedback può essere dovuto a un anomalo tamponamento che coinvolge la globulina che lega gli ormoni sessuali (p. es., nelle epatopatie), a un’eccessiva produzione extraghiandolare di estrogeni (p. es., nell’obesità), a un eccesso funzionale di androgeni (ovarici o surrenalici) o

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

a disturbi quali la sindrome dell’ovaio policistico. L’anovulazione cronica è caratterizzata da livelli bassi o normali di gonadotropine, da un ipoestrogenismo relativo e dall’amenorrea; tuttavia, un irregolare e profuso sanguinamento uterino può verificarsi a causa di una stimolazione estrogenica non controbilanciata (v. Sanguinamento uterino disfunzionale, oltre). La sindrome dell’ovaio policistico (talvolta detta anovulazione cronica iperandrogenica) è un disturbo benigno. Può causare amenorrea ma, di solito, è caratterizzata da irregolarità mestruali, obesità di grado moderato e irsutismo, che compaiono, solitamente, nel periodo puberale e si aggravano col tempo. La maggior parte delle pazienti presenta un’abbondante quantità di muco cervicale all’esame obiettivo ed elevati livelli di estrogeno libero. I valori della maggior parte degli androgeni circolanti tendono a essere leggermente aumentati. Le ovaie possono essere aumentate di volume, con capsula liscia e ispessita, o possono avere un volume normale. Solitamente, le ovaie contengono un gran numero di cisti follicolari, di diametro compreso tra i 2 e i 6 mm, ed è presente un’iperplasia della teca che circonda le cellule della granulosa. Possono, inoltre, essere presenti grosse cisti che contengono cellule atrofiche. Deve essere valutata la presenza di un irsutismo. Lo scopo della valutazione diagnostica è quello di identificare una causa (p. es., un tumore) che possa essere trattata in maniera definitiva.

Diagnosi Un ritardo del primo ciclo mestruale deve essere studiato se una ragazza non mostra i segni della pubertà entro i 13 anni, se il menarca non si è verificato entro i 16 anni, o se 5 anni sono trascorsi senza il menarca dall’inizio della pubertà. Le donne in età riproduttiva che hanno avuto le mestruazioni devono essere studiate se sono amenorroiche per 3 mesi, se hanno meno di 9 mestruazioni all’anno, o se sono preoccupate per una modificazione del ritmo mestruale. L’anamnesi e l’esame obiettivo possono spesso accertare la causa dell’amenorrea. Per prima cosa si deve escludere una gravidanza. L’anamnesi deve includere le notizie su eventuali anomalie della crescita e dello sviluppo e anomalie genetiche familiari, sulle abitudini alimentari e sportive, sullo stile di vita e sugli stress ambientali. Deve essere ricercata anche l’evidenza di disturbi psicologici. Per la diagnosi è fondamentale annotare le alterazioni ormonali del processo puberale e delle caratteristiche sessuali secondarie. Si possono manifestare i segni della virilizzazione (mascolinizzazione) dovuti a un’aumentata secrezione androgena (iperandrogenismo) e in particolare l’irsutismo (un aumento dei peli stimolato dagli androgeni). Gli altri segni di iperandrogenismo includono la stempiatura, l’abbassamento del timbro della voce, l’aumento della massa muscolare, la clitoridomegalia, l’aumento della libido e una riduzione delle caratteristiche sessuali secondarie femminili (defemminilizzazione), come la riduzione di volume del seno e l’atrofia vaginale. Si può verificare anche la galattorrea (secrezione non puerperale di latte). Si deve esaminare il seno, annotandone lo sviluppo con il metodo di Tanner (v. Fig. 235-1). Con la paziente in posizione seduta, si devono evidenziare le secrezioni mammarie esercitando una pressione su ogni porzione della mammella, partendo dalla base e procedendo fino al capezzolo. Le secrezioni devono essere esaminate al microscopio per la presenza di globuli di grasso, a parete spessa, perfettamente rotondi e di varia grandezza, che provano la natura lattea della secrezione. La quantità e la distribuzione dei peli devono essere considerate alla luce dell’anamnesi familiare. L’ipertricosi (crescita eccessiva dei peli sugli arti, sulla testa e sul dorso) non deve essere confusa con l’irsutismo vero e proprio o con la virilizzazione. Deve essere annotato lo stadio di sviluppo dei peli pubici (v. Fig. 235-2).

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

La presenza di anomalie genitali indica i disturbi della differenziazione sessuale, come lo pseudoermafroditismo femminile o maschile e le anomalie dei dotti mülleriani. Le anomalie interne possono ostruire il flusso mestruale, causando un ematocolpo (accumulo di sangue mestruale nella vagina) e un’ematometra (sovradistensione dell’utero). Durante l’esame dell’addome e l’esplorazione rettale (che può anche identificare altre patologie pelviche, come i tumori) si può notare la tipica presenza di una vagina sporgente e di una massa pelvica, ma può essere difficile stabilire se la causa è un’agenesia vaginale, un setto vaginale o un imene imperforato. In questi disturbi, i genitali esterni e le altre caratteristiche sessuali secondarie si sviluppano normalmente (perché la funzione ovarica è normale); comunque, nel 15-40% delle pazienti con un’agenesia vaginale o un setto vaginale sono presenti anche delle alterazioni delle vie urinarie e scheletriche. Nella sindrome da insensibilità agli androgeni (femminilizzazione testicolare), i genitali esterni possono sembrare normali, ma i peli pubici e ascellari sono diminuiti, lo sviluppo delle mammelle è incompleto e la vagina ha una lunghezza variabile in assenza della cervice o dell’utero. Se si sospetta un disturbo intersessuale si deve studiare il cariotipo (v. Stati intersessuali nel Cap. 261). La fusione delle labbra e l’ingrandimento del clitoride (con o senza la formazione di un’uretra peniena) si verificano nelle donne esposte agli androgeni durante i primi 3 mesi di sviluppo fetale e nelle pazienti con iperplasia surrenalica congenita, ermafroditismo vero o virilizzazione indotta dai farmaci (v. Iperfunzione della corteccia surrenalle nel Cap. 9 e Iperplasia surrenalica congenita nel Cap. 269). Lo sviluppo di un’importante clitoridomegalia dopo la nascita è dovuto a una marcata stimolazione ormonale o, se l’anamnesi per l’uso di steroidi esogeni è negativa, è fortemente suggestivo della presenza di un tumore androgeno-secernente. L’ispezione visiva della mucosa vaginale e del muco cervicale è importante perché entrambi sono molto sensibili agli estrogeni. Influenzata dagli estrogeni, la mucosa vaginale si trasforma, durante la maturazione sessuale, da un tessuto rosso brillante con scarse secrezioni acquose a un’opaca superficie rugosa grigiorosa con copiose secrezioni dense. Un carico di progesterone può aiutare a valutare la pervietà dell’ultimo tratto genitale e il livello degli estrogeni endogeni. Viene somministrato medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 5 giorni, o progesterone, 100200 mg IM in soluzione oleosa. Il sanguinamento conferma la presenza di un normale endometrio e di una quantità di estrogeni sufficiente a stimolare la crescita endometriale e aiuta a fare la diagnosi (p. es., le donne con un’anovulazione cronica sanguinano, mentre quelle con un’insufficienza ovarica prematura no). Se non si verifica il sanguinamento, la somministrazione per via orale di estrogeni attivi (p. es., 2,5 mg/die di estrogeni coniugati per 21 giorni, più 5-10 mg di medrossiprogesterone acetato, PO, per gli ultimi 5 giorni del ciclo) causa un’emorragia da deprivazione, se non ci sono alterazioni a carico dell’utero. Le donne con la sindrome di Asherman o con un’infezione tubercolare dell’endometrio possono non avere il sanguinamento.

Esami di laboratorio I livelli sierici basali dell’ormone follicolo-stimolante (FSH), della prolattina e dell’ormone stimolante la tiroide (TSH) devono essere misurati in tutte le donne con amenorrea, per confermare l’impressione clinica. La prolattina è aumentata in > 30% delle donne con amenorrea. Se la prolattina è aumentata (di solito, > 20 ng/ml [> 888 pmol/l]), deve essere titolata una seconda volta perché l’aumento può essere dovuto a stimoli aspecifici, inclusi lo stress, il sonno e l’ingestione del cibo. Se la funzione tiroidea è normale e la prolattina è aumentata, è necessaria un’ulteriore valutazione per escludere la presenza dell’ormone ipofisario secernente prolattina e di altri disturbi. Un aumento del file:///F|/sito/merck/sez18/2352072b.html (3 of 6)02/09/2004 2.02.51

Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

TSH (> 5 mU/l) senza un aumento della prolattina indica un ipotiroidismo primitivo. Tuttavia, in quest’ultima condizione, l’aumentata secrezione dell’ormone per il rilascio della tireotropina stimola, in alcune donne, la produzione di prolattina e di TSH. L’aumento dell’FSH (> 30 IU/l) indica un’insufficienza ovarica. Se i livelli di prolattina, TSH e FSH sono normali o bassi, l’ulteriore valutazione si basa sulla presentazione clinica. I livelli dell’ormone tiroideo devono essere misurati se è sospettata una disfunzione tiroidea. Il testosterone sierico totale e il deidroepiandrosterone solfato (DHEAS) devono essere misurati nelle donne con irsutismo. I livelli di testosterone > 200 ng/dl indicano un tumore che produce androgeni, più frequentemente di origine ovarica. Se i livelli del DHEAS sono aumentati a valori pari ad almeno il doppio del valore massimo normale, deve essere ricercata la presenza di una neoplasia surrenalica. Se il testosterone e il DHEAS sono molto elevati, non è necessaria una ricerca estesa perché le cause gravi sono state già eliminate. Livelli di testosterone e/ o di DHEAS lievemente aumentati indicano una sindrome dell’ovaio policistico, ma, nelle donne con irsutismo affette da questa sindrome, i livelli di questi ormoni sono a volte normali, perché la clearance metabolica degli androgeni e i livelli delle proteine che legano gli androgeni sono alterati. Le forme di iperplasia surrenalica congenita che iniziano nell’età adulta devono essere prese in considerazione se una donna ha un irsutismo importante che inizia alla pubertà, un’anamnesi familiare fortemente positiva per l’irsutismo, una statura più bassa di quella attesa in confronto agli altri membri della famiglia o dei livelli sierici di DHEAS 500 µg/dl. I livelli di 17-idrossiprogesterone sono aumentati nelle donne con iperplasia surrenalica congenita. Se si sospetta una sindrome di Cushing, la paziente deve essere studiata per un eccesso di cortisolo (v. Cap. 9). La misurazione dei livelli sierici basali di ormone luteinizzante (LH) può aiutare a differenziare la sindrome dell’ovaio policistico da una disfunzione ipotalamica o ipofisaria. Nella sindrome dell’ovaio policistico, i livelli circolanti di LH sono spesso aumentati, come è aumentato il rapporto LH/FSH. Nelle disfunzioni ipotalamiche o ipofisarie i livelli di LH e di FSH sono, invece, normali o diminuiti. Le rx della sella turcica sono indicate nelle donne eutiroidee con iperprolattinemia e nelle donne con bassi livelli di gonadotropine (solitamente < 7 UI/l per l’LH e l’FSH), indipendentemente dal livello di prolattina, per escludere una neoplasia ipofisaria (v. Cap. 7). Le rx della sella non devono essere eseguite nelle donne ipotiroidee con un’iperprolattinemia lieve e un’amenorrea-galattorrea perché la sella turcica ritorna a un normale volume dopo la somministrazione dell’ormone tiroideo. La TC o la RMN della sella possono accertare se la paziente ha un’estensione soprasellare di una neoplasia ipofisaria o la sindrome della sella vuota (in cui la sella turcica è ingrossata, ma contiene principalmente LCR). Un test formale del campo visivo è indicato quando una neoplasia ipofisaria ha un diametro 10 mm alle rx o c’è un’evidente estensione soprasellare. I test ipofisari, specialmente della funzione surrenalica e tiroidea, sono necessari quando è presente un grosso tumore o è sospettato un panipopituitarismo. L’ecografia e la TC, di solito, possono localizzare una neoplasia che produce androgeni prima dell’asportazione chirurgica. La flebografia selettiva delle vene surrenalica e ovarica, raramente indicata, deve essere eseguita solo in centri specializzati. Durante l’intervento devono essere eseguiti dei prelievi bioptici delle neoplasie per definirne il potenziale di malignità.

Terapia Il trattamento dipende dalla causa. Non esiste una terapia ideale per la sindrome dell’ovaio policistico. Le pazienti possono aver bisogno di una terapia per indurre l’ovulazione se è desiderata una gravidanza (v. Disfunzione ovulatoria nel Cap. 245), per prevenire un’iperplasia endometriale indotta dagli estrogeni o per minimizzare l’irsutismo e gli effetti a lungo termine dell’iperandrogenismo (p. es., la malattia cardiovascolare, l’ipertensione). file:///F|/sito/merck/sez18/2352072b.html (4 of 6)02/09/2004 2.02.51

Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Per le donne che hanno una sindrome dell’ovaio policistico e desiderano una gravidanza, il clomifene citrato, 50-100 mg/die per 5 gg è il farmaco di prima scelta per indurre l’ovulazione a causa della sua semplicità e dell’elevata percentuale di successo (75% di ovulazioni, 35-40% di gravidanze). Gli altri metodi per indurre l’ovulazione includono le gonadotropine esogene, l’FSH umano purificato, la somministrazione pulsatile di ormone per il rilascio delle gonadotropine (GnRH), la resezione cuneiforme dell’ovaio e la perforazione delle formazioni cistiche (ovarian drilling). La resezione cuneiforme e l’ovarian drilling sono impiegate solo quando tutti gli altri metodi sono falliti, specialmente se vi è un problema di fertilità, perché si possono formare delle aderenze pelviche dopo l’intervento chirurgico. Alle donne affette da anovulazione che hanno una sindrome dell’ovaio policistico, non sono irsute e non desiderano una gravidanza, deve essere somministrata una terapia intermittente con progestinici (p. es., medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 10-14 gg q 1-2 mesi) o con contraccettivi orali, per ridurre l’aumentato rischio di un’iperplasia endometriale e di un cancro e per ridurre al minimo i livelli di androgeni circolanti. I contraccettivi orali devono essere somministrati solo alle donne che sono in pre-menopausa, non fumano e non hanno altri fattori di rischio significativi (v. Contraccettivi orali nel Cap. 246). Le donne che assumono progestinici in modo intermittente devono essere avvertite circa la necessità di una contraccezione a causa della possibile (sebbene non provata) associazione di difetti alla nascita con l’uso di questi ormoni nella fase precoce della gravidanza. Per le donne con anovulazione che hanno una sindrome dell’ovaio policistico, un irsutismo e non desiderano una gravidanza, devono essere incoraggiati i trattamenti fisici (p. es., decolorazione, elettrolisi, epilazione, epilazione con cera, depilazione). Non esiste una terapia farmacologica ideale o completamente efficace. I contraccettivi orali sono la terapia di prima scelta per l’irsutismo lieve. Sopprimono la secrezione delle gonadotropine degli ormoni sessuali e aumentano la produzione delle proteine che legano gli ormoni sessuali, riducendo, quindi, i livelli di testosterone libero, biologicamente attivo. I risultati, spesso scarsi, non sono evidenti per vari mesi. Tutte le formulazioni sembrano egualmente efficaci, ma si preferiscono contraccettivi orali con minimi effetti androgenici collaterali. Quando i contraccettivi orali sono sgraditi o controindicati, può essere impiegato un progestinico orale (medrossiprogesterone acetato, 5-20 mg/die). Gli effetti collaterali dei progestinici includono la mastodinia, il meteorismo intestinale e la depressione. Altri farmaci utilizzati per trattare l’irsutismo includono il ciproterone acetato, un potente progestinico e antiandrogeno, che sembra controllare l’irsutismo nel 5075% delle donne affette. È usato per trattare le donne con irsutismo in tutto il mondo, ma non è stato approvato negli USA perché causa il tumore della mammella nei bracchi inglesi e delle anomalie fetali quando somministrato alle ratte gravide. Lo spironolattone è un blando diuretico che inibisce la biosintesi degli androgeni e compete con essi per i loro recettori nei tessuti bersaglio. Dosi di 100-200 mg/die PO sono efficaci. Gli effetti collaterali comprendono l’aumento della diuresi, le alterazioni pressorie posturali (p. es., la sincope e l’ipotensione), la mastodinia e le perdite ematiche irregolari. I suoi effetti a lungo termine sono sconosciuti, come lo sono i suoi effetti sul feto in via di sviluppo e quindi, deve essere somministrata in associazione una terapia contraccettiva. I glucocorticoidi non sono indicati nella maggior parte delle donne irsute perché non è stato dimostrato alcun vantaggio con la soppressione surrenalica rispetto a quella ovarica e perché l’origine dell’eccesso di androgeni nella maggioranza delle donne irsute è, in massima parte, ovarica. I glucocorticoidi devono essere usati solo per una documentata iperfunzione surrenalica o per un difetto enzimatico nella catena della steroidogenesi. Gli agonisti e gli antagonisti del GnRH possono essere utili nel trattamento dell’irsutismo. Questi farmaci inibiscono le gonadotropine e, di conseguenza, la secrezione degli ormoni sessuali, causando un’ovariectomia medica. Si stanno cercando degli antiandrogeni efficaci per via topica. Per le donne con una disfunzione ipotalamica, il supporto psicologico o un

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

cambiamento nello stile di vita spesso inducono l’ovulazione, mentre il clomifene citrato raramente la induce. Se queste misure sono inefficaci, può essere necessario il trattamento con gonadotropine esogene o con una terapia pulsatile di GnRH. Per la prevenzione dell’osteoporosi, alle donne che hanno un’anovulazione cronica di tipo ipotalamico o ipofisario e bassi livelli di estrogeni circolanti e non desiderano una gravidanza possono essere somministrati degli estrogeni coniugati orali, 0,625-1,25 mg/die, estrogeni esterificati, 0,625-1,25 mg/ die, 17β-estradiolo micronizzato, 0,5-1,0 mg/die o 17β-estradiolo transdermico, 0,05-0,1 mg due volte la settimana più medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg, giornalmente nei primi 12-14 giorni di ciascun mese o medrossiprogesterone acetato, 2,5 mg/die per tutto il mese. Le donne sessualmente attive possono usare, come terapia sostitutiva, dei contraccettivi orali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 235-1. CAUSE DI AMENORREA Causa Anomalie anatomiche

Esempi Sindrome di Asherman Stenosi cervicale (rara) Imene imperforato Pseudoermafroditismo maschile Setto vaginale trasverso Aplasia vaginale e uterina

Disfunzione ipotalamica

Anoressia nervosa* Esercizio fisico eccessivo Anovulazione ipotalamica cronica* Sindrome di Kallmann Sindrome di Prader-Willi Fattori psicogeni, grave stress Tumori (p.es., amartomi, craniofaringiomi, gliomi) Calo ponderale (acuto), malnutrizione (cronica)

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Manuale Merck - Tabella

Disfunzione ipofisaria

Amenorrea-galattorrea (iperprolattinemia)* Adenoma ipofisiario maligno Ipopituitarismo* (p.es., dovuto a sindrome di Sheehan. a trauma cranico o a neoplasia) Deficit isolato di gonadotropina* Panipopituitarismo* Tumori ipofisari* (p.es., sindrome di Forbes-Albright) Farmaci psicomimetici

Insufficienza ovarica

Disordini autoimmuni Chemioterapia e irradiazione pelvica Aplasia timica congenita Galattosemia Disgenesia gonadica

Altre disfunzioni endocrine

Iperplasia surrenalica congenita* Sindrome di Cushing* Farmaci (antipsicotici, antidepressivi) Ipertiroidismo* Ipotiroidismo* Neoplasie secernenti androgeni, estrogeni o gonadotropine corioniche umane* Obesità*

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Manuale Merck - Tabella

Difetti genetici

Sindrome dell’ovaio policistico* Sindrome da insensibilità androgenica Sindrome di Turner (v.Cap.261)

*Questi disordini causano anovulazione cronica.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI SINDROME DI TURNER (Sindrome di Turner; sindrome di Bonnevie-Ullrich) Anomalia dei cromosomi sessuali in cui vi è una completa o parziale assenza di uno dei due cromosomi sessuali, con produzione di un fenotipo femminile. La sindrome di Turner si riscontra in circa 1/ 4000 femmine nate vive. Il 99% dei concepimenti 45,X esitano in aborti. L’80% delle nate vive con monosomia X ha perso il cromosoma X paterno. Le anomalie cromosomiche nelle femmine affette sono variabili. Circa il 50% ha un cariotipo 45,X. Molte pazienti presentano mosaicismi (p. es., 45,X/46,XX oppure 45,X/47,XXX). Il fenotipo varia da quello tipico della sindrome di Turner a quello normale. In alcuni casi le donne colpite presentano un cromosoma X normale e un X che ha formato un cromosoma ad anello. Affinché ciò si verifichi, deve essere perso un segmento da entrambe le braccia (p e q) del cromosoma X anomalo. In altri casi, invece, si riscontra un cromosoma X normale e un isocromosoma delle braccia lunghe, costituito da due braccia lunghe del cromosoma X per perdita delle braccia corte. Questi soggetti tendono ad avere molte delle caratteristiche fenotipiche della sindrome di Turner. In questo modo la delezione del braccio corto del cromosoma X sembra giocare un ruolo fondamentale nella determinazione del fenotipo della sindrome. Le neonate colpite si possono presentare con marcato linfedema del dorso delle mani e dei piedi e con linfedema o pterigio della regione posteriore del collo. Comunque, molte femmine con sindrome di Turner sono colpite in maniera molto lieve. L’aspetto tipico è caratterizzato da bassa statura, pterigio del collo, bassa attaccatura dei capelli sulla nuca, ptosi palpebrale, torace largo con capezzoli molto distanziati, nevi pigmentati multipli, accorciamento del 4o metacarpo e metatarso, falangi distali prominenti con spirali nei dermatoglifi delle estremità delle dita, ipoplasia delle unghie, coartazione aortica, bicuspidia della valvola aortica e valgismo del gomito. Sono comuni malformazioni renali ed emangiomi. In alcuni casi possono comparire teleangectasie nel tratto gastrointestinale con conseguente emorragia digestiva. Raro è il ritardo mentale. Tuttavia in molti casi si riscontra una certa compromissione di una specifica abilità percettiva e di conseguenza un basso punteggio nei test attitudinali e matematici, anche se si riscontrano punteggi nella media e oltre nei test verbali relativi al calcolo del quoziente intellettivo. Nel 90% delle persone affette si riscontrano disgenesia gonadica con mancato sviluppo puberale, scarso sviluppo di tessuto mammario o assenza del menarca. La terapia sostitutiva con ormoni sessuali femminili consente lo sviluppo puberale. Le ovaie sono sostituite da banderelle di tessuto fibroso (streak), di solito prive di oocellule in via di sviluppo. Tuttavia, il 5-10% delle ragazze affette raggiunge il menarca spontaneamente, ma, molto raramente, sono risultate fertili e hanno avuto dei bambini. Si deve effettuare un’analisi citogenetica e uno studio con sonde specifiche per il cromosoma Y in tutti i pazienti con disgenesia gonadica, per escludere casi di file:///F|/sito/merck/sez19/2612399.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.52

Anomalie congenite

mosaicismo con una linea cellulare in cui è presente il cromosoma Y; p. es., 45, X/ 46,XY. Di solito questi soggetti presentano un fenotipo femminile con caratteristiche variabili di sindrome di Turner. Essi sono esposti ad alto rischio di tumori maligni delle gonadi, soprattutto gonadoblastoma e devono essere sottoposti ad asportazione profilattica delle gonadi, non appena effettuata la diagnosi.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO SANGUINAMENTO UTERINO DISFUNZIONALE (Sanguinamento uterino funzionale) Sanguinamento uterino atipico non associato a neoplasie, infiammazioni o gravidanze.

Sommario: Introduzione Terapia

La diagnosi di un sanguinamento uterino disfunzionale, la causa più comune di sanguinamento uterino atipico, è una diagnosi di esclusione. Il sanguinamento si verifica più frequentemente agli estremi dell’età feconda; più del 50% dei casi si verifica in donne di età > 45 anni e il 20% nelle adolescenti. Si può verificare durante cicli sia anovulatori (> 70% degli episodi) che ovulatori. Il sanguinamento che si verifica nelle donne che non ovulano è, in genere, dovuto alla stimolazione non bilanciata dell’endometrio da parte degli estrogeni (p. es., nelle donne che assumono estrogeni esogeni o con un’anovulazione normogonadotropica) che può causare un’iperplasia endometriale. L’endometrio, ispessito ad opera degli estrogeni, desquama in modo incompleto e irregolare e il sanguinamento risulta irregolare, prolungato e a volte profuso. Nei cicli ovulatori, il sanguinamento atipico è, generalmente, dovuto ad alterazioni della fase luteinica. Il sanguinamento uterino disfunzionale è comune nelle donne affette da una sindrome dell’ovaio policistico. Circa il 20% delle donne con un’endometriosi (v. Cap. 239) ha un sanguinamento uterino disfunzionale dovuto a meccanismi sconosciuti. L’anamnesi e l’esame obiettivo non sono in grado di stabilire se è presente un’iperplasia endometriale. La misurazione dello spessore endometriale durante l’ecografia transvaginale può aiutare ad accertare l’iperplasia. Nelle donne con anovularietà, uno spessore di 4 mm è raramente associato all’iperplasia; uno spessore > 4 mm può essere normale o indicare un’iperplasia o un cancro. Le donne di età > 35 anni, quelle con una sindrome dell’ovaio policistico e/o con una lunga storia di sanguinamenti con cicli anovulatori e le donne obese devono essere sottoposte a una biopsia dell’endometrio prima di iniziare una qualsiasi terapia medica, perché sono ad alto rischio per lo sviluppo di un carcinoma dell’endometrio (v. Cap. 241). Devono essere misurati l’Htc e l’Hb per valutare la cronicità e la gravità del sanguinamento.

Terapia La terapia varia in relazione all’età della paziente, all’entità del sanguinamento, al quadro istologico endometriale e ai desideri della paziente. Anche gli episodi acuti di sanguinamento profuso in donne con anovularietà possono essere, in genere, trattati con la somministrazione di contraccettivi orali combinati, q 6 h, file:///F|/sito/merck/sez18/2352080.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.52

Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

per 5-7 gg. Il sanguinamento deve cessare nell’arco di 12-24 h, ma può ricominciare, spesso accompagnato da dolori crampiformi, 2-4 giorni dopo la sospensione della terapia. Le recidive si prevengono somministrando dei contraccettivi combinati PO, ciclicamente, per almeno 3 mesi. Se non ricominciano dei cicli normali e se non si desidera avere una gravidanza o se l’uso dei contraccettivi orali è controindicato, la paziente può essere trattata con un progestinico (medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 10-14 gg ogni mese). Un sanguinamento acuto durante un ciclo anovulatorio può essere trattato anche con gli estrogeni coniugati, 25 mg EV q 4 h fino alla scomparsa delle perdite. Contemporaneamente o dopo 2-3 gg dall’inizio della terapia estrogenica, va somministrato un progestinico (medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 10 gg). Alla sospensione del trattamento, si ha un’emorragia da deprivazione. La paziente è poi trattata con dei contraccettivi orali per almeno tre cicli. La revisione della cavità uterina è indicata se la paziente non risponde alla terapia ormonale (come indicato da una successiva biopsia) o se persiste il sanguinamento atipico. Le donne con sanguinamenti anovulatori non profusi che non desiderano avere una gravidanza, possono essere trattate ciclicamente con contraccettivi orali o con progestinici. In quelle che desiderano una gravidanza si può indurre l’ovulazione con il clomifene citrato. Il clomifene citrato può essere usato per trattare delle disfunzioni luteiniche, così come può essere utilizzata la gonadotropina corionica umana, 1500-2500 UI IM q secondo o terzo giorno, iniziando il secondo giorno dopo l’ovulazione e il progesterone, 50 mg/die IM in soluzione oleosa o 50 mg bid sotto forma di ovuli vaginali. Poiché le donne con un’iperplasia adenomatosa atipica (identificata alla biopsia) sono a rischio di sviluppare un adenocarcinoma dell’endometrio, devono essere eseguiti una dilatazione progressiva e una revisione della cavità uterina nonché un’isteroscopia, per escludere un coesistente carcinoma prima che sia iniziata una qualunque terapia. È raccomandato il medrossiprogesterone acetato, 2040 mg/die PO, per 3-6 mesi. Se una biopsia endometriale ripetuta mostra la scomparsa dell’iperplasia, la donna può essere trattata con la somministrazione ciclica di medrossiprogesterone acetato (5-10 mg/die PO per 10-14 gg al mese) o, se è desiderata una gravidanza, con il citrato di clomifene per indurre l’ovulazione. L’isterectomia è eseguita solo se la terapia farmacologica è inefficace. Le donne con un’iperplasia cistica benigna o con un’iperplasia adenomatosa possono, di solito, essere trattate ciclicamente con il medrossiprogesterone acetato, ma una biopsia deve essere ripetuta dopo circa 3 mesi.

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Endometriosi

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 239. ENDOMETRIOSI Patologia benigna caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale funzionante al di fuori della cavità uterina..

Sommario: Introduzione Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L’endometriosi è generalmente limitata alle superfici peritoneali o sierose degli organi addominali, comunemente le ovaie, i legamenti larghi, il cavo del Douglas e i legamenti uterosacrali. Meno comunemente interessa la superficie sierosa dell’intestino, tenue o crasso, gli ureteri, la vescica, la vagina, le cicatrici chirurgiche, le pleure e il pericardio.

Eziologia ed epidemiologia L’ipotesi più diffusamente accettata è che alcune cellule endometriali migrino dalla cavità uterina e si impiantino in sedi ectopiche. Il flusso retrogrado di tessuto mestruale attraverso le tube di Falloppio potrebbe essere la causa dell’endometriosi intra-addominale; i sistemi linfatico o circolatorio potrebbero trasportare le cellule endometriali in sedi lontane (p. es., la cavità pleurica). Un’altra ipotesi è la trasformazione dell’epitelio celomatico in ghiandole similendometriali (cioè, la metaplasia celomatica). L’incidenza dell’endometriosi è maggiore (del 6%) nelle parenti di primo grado di donne affette da endometriosi rispetto alla popolazione generale, suggerendo che l’ereditarietà possa essere un fattore causale. L’incidenza è anche maggiore nelle donne che ritardano la gravidanza, che sono di discendenza asiatica o che hanno delle anomalie del dotto mülleriano. Sebbene le incidenze riportate siano molto variabili, l’endometriosi viene riscontrata comunemente nel 10-15% delle donne che hanno le mestruazioni e sono tra i 25 e i 44 anni di età. Si verifica anche tra le adolescenti. È stato stimato che il 25-50% delle donne infertili abbia un’endometriosi. Nelle pazienti con una grave endometriosi e con un’anatomia pelvica alterata, l’incidenza di infertilità è elevata perché sono alterati i meccanismi di raccolta e di trasporto tubarico dell’oocita. Tuttavia, sono infertili anche alcune pazienti con un’endometriosi di minima entità e una normale anatomia pelvica. In queste pazienti, possono essere responsabili della diminuita fertilità un’aumentata incidenza dell’insufficienza del corpo luteo, una sindrome del follicolo ovarico luteinizzato non rotto (oocita intrappolato), un aumento della produzione peritoneale di prostaglandine, un aumento dell’attività macrofagica peritoneale o un endometrio non recettivo.

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Endometriosi

Sintomi e segni Le manifestazioni cliniche sono rappresentate dal dolore pelvico, dalla presenza di una massa in sede pelvica, da un’alterazione del ciclo e dall’infertilità. Alcune donne con endometriosi estesa possono essere asintomatiche, mentre altre con lesioni minime possono avere un dolore invalidante. Possono verificarsi una dispareunia e un dolore pelvico mediano, prima o durante le mestruazioni, in particolare con esordio improvviso dopo vari anni di cicli senza dolore. Una dismenorrea di questo tipo è un’importante prova diagnostica. Le lesioni sull’intestino crasso o sulla vescica possono provocare dolore durante la defecazione, distensione addominale, rettorragia durante le mestruazioni o dolore sovrapubico durante la minzione. Il tessuto endometriosico impiantato sull’ovaio o sulle strutture annessiali può formare un endometrioma (una massa cistica > 2-3 cm, localizzata su di un ovaio) o delle aderenze annessiali che determinano la formazione di una massa pelvica. Talora, la rottura o la fissurazione di un endometrioma causa un dolore addominale acuto. L’esame obiettivo della pelvi può essere normale, o rivelare, raramente, delle lesioni visibili sulla vulva o sulla cervice, nella vagina, sull’ombelico o in sede di cicatrici chirurgiche. Può essere presente un utero retroverso e fisso, un aumento di volume delle ovaie o una nodularità dei legamenti utero-sacrali.

Diagnosi La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi o sui reperti clinici, ma può essere confermata solo visualizzando le lesioni, di solito con l’endoscopia pelvica e con la loro biopsia. La diagnosi può anche essere fatta con la biopsia durante una laparotomia, una sigmoidoscopia o una cistoscopia. Istologicamente, gli impianti endometriosici sono costituiti da ghiandole e da stroma, strutturalmente identiche all’endometrio uterino (la maggior parte delle lesioni può sanguinare durante le mestruazioni). Per definizione, per porre diagnosi di endometriosi devono essere presenti sia le ghiandole che lo stroma. Questi tessuti contengono recettori per gli estrogeni e per il progesterone, che permettono loro di crescere e differenziarsi in risposta alle variazioni dei livelli ormonali durante il ciclo mestruale. Per questo motivo, l’aspetto macroscopico (p. es., chiaro, rosso, bruno, nero) e le dimensioni degli impianti sono variabili. Il sanguinamento da parte degli impianti peritoneali è ritenuto responsabile dell’inizio del processo infiammatorio, seguito dalla deposizione di fibrina, dalla formazione di aderenze e dalla cicatrizzazione finale che causa la distorsione delle superfici peritoneali e della normale anatomia della pelvi. Altre procedure diagnostiche (p. es., l’ecografia, il clisma opaco, l’urografia EV, la TC e la RMN) possono essere utili per dimostrare l’estensione della malattia e per seguirne il decorso, ma non sono specifiche né sufficienti per porre diagnosi. I dosaggi dei marker sierici dell’endometriosi (p. es., i livelli dell’antigene neoplastico sierico 125 e degli anticorpi anti-endometrio) possono aiutare il medico a monitorare l’andamento della malattia, ma richiedono ulteriori studi. Può essere indicata la valutazione dell’infertilità (v. Cap. 245). La stadiazione della malattia aiuta il medico nel decidere il piano terapeutico e valutare la risposta alla terapia. I nuovi criteri di stadiazione dell’American Society for Reproductive Medicine si basano sulla sede degli impianti, sulla presenza di endometriosi superficiale o profonda e di aderenze sottili o spesse. L’endometriosi può essere classificata di grado I (minima), II (lieve), III (moderata) o IV (grave, v. Tab. 239-1). Un altro sistema di classificazione è basato principalmente sul dolore pelvico. Tuttavia, nella valutazione dell’endometriosi la variabilità nell’osservatore e tra gli osservatori è alta nella valutazione dell’endometriosi e si sta cercando un metodo più utile per la stadiazione della malattia.

Terapia

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Endometriosi

Il trattamento deve essere individualizzato sulla base dell’età della paziente, dei sintomi, del desiderio di una gravidanza e dell’estensione della patologia. Le opzioni includono la soppressione farmacologica della funzione ovarica per arrestare la crescita e l’attività degli impianti endometriali, la resezione chirurgica conservativa di quanto più tessuto endometriosico possibile, una combinazione delle due terapie e l’isterectomia totale per via addominale, di solito con salpingoannessiectomia. I farmaci che sopprimono la funzione ovarica e la crescita del tessuto endometriale sono elencati nella Tab. 239-2. I contraccettivi orali continui sono usati frequentemente. Sono ora disponibili altri farmaci (p. es., gli agonisti dell’ormone per il rilascio della gonadotropina [GnRH]) che producono un’ipoestrogenemia relativa e reversibile. Tuttavia, il trattamento con gli agonisti del GnRH è limitato a 6 mesi perché l’uso a lungo termine è associato a una perdita di tessuto osseo. Il danazolo, un’antigonadotropina, inibisce l’ovulazione, ma ha dei significativi effetti collaterali androgenici, che ne limitano l’utilità. I contraccettivi orali somministrati ciclicamente o in modo continuo, dopo il trattamento con danazolo o con gli agonisti dell’GnRH, possono rallentare la progressione della malattia e sono raccomandati nelle donne che vogliono ritardare la gravidanza. Il tasso di gravidanza con la terapia medica oscilla tra il 40 e il 60%. Non è chiaro se i tassi di fertilità sono migliorati dal trattamento dell’endometriosi lieve o minima. La terapia medica o quella chirurgica conservativa in realtà non curano l’endometriosi, in quanto questa recidiva nella maggior parte delle pazienti, una volta interrotto il trattamento. Solo la completa ablazione della funzione ovarica previene la recidiva dell’endometriosi. I casi moderati e gravi sono trattati al meglio con l’asportazione o l’escissione di quanti più impianti possibile preservando il potenziale riproduttivo. Le indicazioni alla terapia chirurgica sono rappresentate dalla presenza di endometriomi, di aderenze pelviche significative, di un’ostruzione tubarica e di dolore pelvico invalidante e resistente alla terapia medica. Nel corso degli interventi devono essere usate delle tecniche microchirurgiche per prevenire la formazione di aderenze. Durante la laparoscopia, è talvolta possibile un’elettrocoagulazione delle lesioni ovariche o peritoneali o la loro vaporizzazione o asportazione con un laser a CO2, ad argon o al neodimio:ittrio-alluminio-garnet (Nd:YAG laser). Dopo questo trattamento le percentuali di gravidanza sono del 40-70%, inversamente proporzionali alla gravità dell’endometriosi. Se l’asportazione delle lesioni è incompleta, una terapia soppressiva aggiuntiva con contraccettivi orali o con gli agonisti del GnRH può migliorare la percentuale di fertilità. Per le pazienti con dolore pelvico mediano, la resezione laparoscopica dei legamenti uterosacrali, con l’elettrocauterio o con il laser, può ridurre il dolore. L’isterectomia dovrebbe essere riservata alle pazienti con dolore pelvico intrattabile che non vogliono più avere gravidanze. Dopo l’asportazione dell’utero e delle ovaie, la terapia estrogenica sostitutiva può essere cominciata già nel postoperatorio o, se è stata lasciata in situ una quantità significativa di tessuto endometriale, può essere differita di 4-6 mesi; durante questo periodo può rendersi necessaria l’associazione di una terapia medica soppressiva. La terapia progestinica continua (p. es., il medrossiprogesterone acetato, 2,5 mg PO al giorno) deve essere somministrata con la terapia estrogenica perché il tessuto residuo può crescere e si possono sviluppare iperplasia o neoplasie maligne se gli estrogeni sono somministrati da soli. Nelle pazienti più giovani bisogna cercare di preservare la funzione ovarica, anche se sono state riportate delle recidive di endometriosi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 239-1. STADI DELL’ENDOMETRIOSI Stadio

Grado di malattia

Descrizione

I

Minima

Pochi impianti superficiali

II

Lieve

Più impianti, leggermente più profondi

III

Moderata

Molti impianti profondi, piccoli endometriomi su una o entrambe le ovaie e alcune tenui aderenze

IV

Grave

Molti impianti profondi, endometriomi voluminosi su una o entrambe le ovaie e alcune aderenze strette, talvolta con il retto che aderisce alla faccia posteriore dell’utero

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 239-2. TERAPIA FARMACOLOGICA PER L’ENDOMETRIOSI Classe

Farmaco

Contraccettivi Etinil estradiolo 30orali 35 µg più un combinati progestinico estroprogestinici

Dosaggio

Effetti collaterali

1 cp/die per 46 mesi

Distensione addominale, mastodinia, aumento dell’appetito, edema, nausea, sanguinamento da sospensione, trombosi venosa profonda

Progestinici

Medrossiprogesterone 20-30 mg/die PO per 6 mesi, acetato seguiti da 100 mg IM q 2 sett. per 2 mesi, poi 200 mg IM al mese per 4 mesi

Sanguinamento da sospensione, labilità emotiva, depressione, vaginite atrofica

Androgeni

Danazolo

400-800 mg/die Aumento di peso, PO per 4-6 mesi acne, abbassamento della voce, irsutismo, vampate, vaginite atrofica, edema, crampi muscolari, sanguinamento da sospensione, riduzione di volume delle mammelle, labilità emotiva, disfunzione epatica, sindrome del tunnel carpale, effetto sfavorevole sui lipidi

Agonisti del GnRH

Nafarelin Leuprolide

400-800 mg/die per via intranasale

Leuprolide depot

1mg/die SC 3,75mg IM q 28gg

GnRH=ormone per il rilascio delle gonadotropine.

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Vampate, secchezza vaginale, demineralizzazione ossea, labilità emotiva

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE CANCRO DELL’ENDOMETRIO Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Stadiazione, prognosi e trattamento

Negli USA, il cancro dell’endometrio è la più frequente neoplasia maligna ginecologica e la quarta più frequente neoplasia maligna, nelle donne, dopo quelle della mammella, del colon-retto e del polmone. Circa 34000 nuovi casi di cancro endometriale sono stati diagnosticati nel 1996. Interessa principalmente le donne in post-menopausa, con un picco di incidenza tra i 50 e i 60 anni; < 5% dei casi si verifica tra le donne < 40 anni.

Eziologia e anatomia patologica Il cancro endometriale è più frequente nei paesi industrializzati dove è elevata l’assunzione di grassi con la dieta. Il fattore di rischio più significativo è l’obesità, che aumenta il rischio da 3 a 10 volte. Il cancro endometriale è più frequente nelle donne in cui esistono condizioni che tendono a creare una predominanza estrogenica (elevati livelli circolanti di estrogeni senza o con bassi livelli di progesterone), quali una terapia sostitutiva estrogenica non bilanciata, l’obesità, la sindrome dell’ovaio policistico, la nulliparità, la menopausa tardiva, i tumori che producono estrogeni, l’anovulazione o l’oligo-ovulazione. Le donne con una storia di radioterapia della pelvi o con una storia personale o familiare di cancro della mammella o dell’ovaio sono a maggior rischio. Una piccola percentuale di casi può essere ereditaria. L’iperplasia endometriale di solito precede il cancro dell’endometrio ed è classificata in base al grado di atipia citologica. Il suo trattamento consiste nella terapia con progestinici o nella terapia chirurgica, in base alla complessità della lesione e al desiderio della paziente di evitare l’isterectomia. Questo tumore si può diffondere dalla superficie della cavità uterina all’interno del canale cervicale; attraverso il miometrio alla sierosa e alla cavità peritoneale; attraverso il lume delle tube di Falloppio, alle ovaie, al legamento largo e alla superficie del peritoneo; attraverso il circolo ematico, dando luogo a metastasi a distanza, o attraverso i vasi linfatici. Più alto (meno differenziato) è il grado del tumore, maggiore è la probabilità di un’invasione del miometrio, di metastasi ai linfonodi pelvici para-aortici o di una diffusione extrauterina. Un adenocarcinoma è responsabile di > 80% dei casi di cancro endometriale. I sarcomi sono responsabili di circa il 5% di tutte le neoplasie maligne dell’utero e includono i tumori misti del mesoderma, i leiomiosarcomi e i sarcomi dello stroma endometriale. I sarcomi tendono a essere più aggressivi, causano con maggiori probabilità delle metastasi locali, regionali e a distanza e hanno una prognosi peggiore.

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Neoplasie ginecologiche

Sintomi, segni e diagnosi Più del 90% delle pazienti affette da un cancro dell’endometrio ha un sanguinamento uterino anomalo (p. es., un sanguinamento postmenopausale, una ricorrente metrorragia premenopausale). Circa 1/3 delle donne con un sanguinamento postmenopausale ha un carcinoma dell’endometrio. Nelle donne in post-menopausa delle perdite vaginali possono precedere il sanguinamento di varie settimane o mesi. Se un test di Papanicolaou (Pap test) mostra delle cellule endometriali in una donna in post-menopausa o delle cellule endometriali anormali in una donna di qualunque età, è indicata un’ulteriore valutazione. Tuttavia, il Pap test non identifica in maniera accurata le neoplasie maligne dell’utero. Un prelievo tissutale dell’endometrio, di solito eseguito nello studio del medico, è la procedura diagnostica definitiva. Questa procedura ha un’accuratezza > 90%, in confronto alla dilatazione frazionata con curettage in isteroscopia, eseguita in sala operatoria. Quest’ultima viene impiegata quando il prelievo ambulatoriale non è diagnostico. Può essere utile anche un’ecografia transvaginale. Una volta che è stata fatta la diagnosi istologica di cancro dell’endometrio, la valutazione pre-trattamento include le analisi di laboratorio sul siero, i test di funzionalità epatica, un emocromo, una rx del torace e un ECG. Studi addizionali endoscopici e radiologici non sono necessari di routine. Una TC pelvica e addominale può essere d’aiuto se si sospetta una malattia extrauterina o metastatica.

Stadiazione, prognosi e trattamento La stadiazione è basata sulla differenziazione istologica (grado) del tumore e sui reperti intraoperatori, inclusi la profondità dell’invasione, l’interessamento cervicale (interessamento ghiandolare versus invasione stromale) e le metastasi extrauterine, quali quelle annessiali, linfonodali e della cavità peritoneale (v. Tab. 241-1). Viene eseguita un’adeguata incisione addominale, per il prelievo del liquido peritoneale da valutare con esame citologico e l’esplorazione dell’addome e della pelvi, con la biopsia o l’escissione delle lesioni extrauterine sospette. Nelle situazioni ad alto rischio i linfonodi pelvici e para-aortici devono essere bioptizzati e, se sospetti, rimossi. Un’isterectomia radicale con la dissezione dei linfonodi pelvici e para-aortici è indicata se si sospetta un interessamento cervicale. La prognosi è influenzata dall’aspetto istologico del tumore e dal grading, dall’età della paziente (le donne anziane hanno una prognosi peggiore) e dalla diffusione metastatica. Complessivamente, il 63% delle pazienti è libero dal tumore 5 anni dopo il trattamento. Per le pazienti affette da una malattia in stadio I, la percentuale di sopravvivenza riportata a 5 anni è del 70-95%; la percentuale di sopravvivenza a 5 anni per quelle affette da una malattia in stadio III o IV è del 10-60%. Nello stadio I, il cancro endometriale di grado 1 è, di solito, localizzato, senza invasione profonda del miometrio; la probabilità di metastasi linfonodali è < 2%. L’intervento chirurgico può generalmente essere limitato a un’isterectomia totale, con una ovarosalpingectomia bilaterale e l’esame citologico del liquido peritoneale. Per i gradi 2 e 3 e per il grado 1 con invasione profonda del miometrio, può essere aggiunta una linfadenectomia pelvica e para-aortica. Ben poche pazienti con un cancro limitato all’utero hanno una recidiva. Un’accurata stadiazione chirurgica permette nel 50-75% delle pazienti con una malattia in stadio I di eseguire una radioterapia postoperatoria. Il cancro extrapelvico è trattato, sulla base della sede e dell’estensione, con un file:///F|/sito/merck/sez18/2412101.html (2 of 3)02/09/2004 2.02.55

Neoplasie ginecologiche

ampliamento del campo di irradiazione, con la chemioterapia sistemica o con la terapia ormonale. La maggior parte delle pazienti affette da una malattia allo stadio IV è trattata al meglio con la chemioterapia sistemica. La terapia progestinica, utilizzata nei casi di malattia avanzata o ricorrente, determina una regressione nel 35-40% delle pazienti. Il progesterone può indurre la regressione delle metastasi polmonari, vaginali e mediastiniche. Il trattamento è continuato indefinitamente se la risposta è favorevole. La durata della remissione varia, ma può durare anche 2-3 anni. Diversi farmaci citotossici (specialmente la doxorubicina e il cisplatino) sono attivi contro il cancro endometriale metastatico e recidivante. I regimi mensili, che combinano la doxorubicina, 60 mg/m2 e il cisplatino, 75 mg/m2 EV possono avere una percentuale globale di risposta 50%. Il paclitaxel è attivo contro questo cancro.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-1. STADIAZIONE DEL CARCINOMA DELL’ENDOMETRIO* Stadio†

Definizione

IA

Tumore limitato all’endometrio

IB

Invasione1/2 miometrio

IIA

Tumore che interessa solo le ghiandole endocervicali

IIB

Invasione dello stroma cervicale

IIIA

Invasione della sierosa e/o degli annessi e/o risultati citologici peritoneali positivi

IIIB

Metastasi vaginali

IIIC

Metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraaortici

IVA

Invasione della mucosa della vescica o dell‘intestino

IVB

Metastasi a distanza, inclusi i linfonodi intraaddominali e/o inguinali

*Come descritta dall’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO), 1988. Il cancro dell’endometrio è ora stadiato chirurgicamente e quindi i precedenti sistemi di stadiazione non vengono più utilizzati. Tuttavia, la stadi azione clinica adottata dalla FIGO nel 1971 è ancora utilizzata per quelle poche pazienti che sono trattate primariamente con la radioterapia, ma deve essere specificata. Idealmente, nella stadiazione attuale si deve confrontare lo spessore del miometrio con la profondità dell’invasione tumorale. †In tutti gli stadi a eccezione del IVB, la percentuale del tumore con uno sviluppo solido non squamoso o non morulare è indicata da G1 (5%), G2 (650%) o G3 (>50%). La presenza di una notevole atipia nucleare, inappropriata per il grado di differenziazione, aumenta il grado di 1livello. Negli adenocarcinomi sierosi, a cellule chiare e a cellule squamose, l’atipia nucleare ha un valore prevalente. Gli adenocarcinomi con una differenziazione squamosa sono classificati in base al grado di atipia nucleare della componente ghiandolare.

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ DISFUNZIONE OVULATORIA Sommario: Introduzione Monitoraggio dell'ovulazione Terapia

Le donne con mestruazioni regolari (da 26 a 35 gg) accompagnate da una sindrome premestruale (turgore mammario, dolore ai quadranti inferiori dell’addome, cambiamento dell’umore) sono generalmente ovulatorie. Per quelle con cicli irregolari o amenorrea, la causa dovrebbe essere stabilita prima di iniziare il trattamento ovulatorio. Il ciclo mestruale è descritto nel Cap. 234; la valutazione dell’amenorrea, nel Cap. 235.

Monitoraggio dell'ovulazione La misurazione giornaliera della temperatura corporea basale (TCB) è stata usata per controllare l’ovulazione. Un picco minimo della TCB suggerisce l’imminente ovulazione; un aumento di 0,5°C ( 0,9°F) caratterizza il periodo postovulatorio. Tuttavia, questo metodo non è attendibile né accurato; al meglio, può predire l’ovulazione solo in un intervallo di 2 giorni. Molto più accurati sono i monitoraggi con l’ecografia pelvica del diametro dei follicoli ovarici e i kit di predizione dell’ovulazione che evidenziano un aumento nell’escrezione urinaria dell’ormone luteinizzante (LH) nelle 24-36 ore precedenti l’ovulazione. Diversi altri parametri biochimici possono essere usati per accertare se è avvenuta l’ovulazione, p. es., un aumento del progesterone sierico ( 4 ng/ml [ 13 nmol/l]) o di uno dei suoi metaboliti urinari, il pregnandiolo-glucuronide. L’aspetto qualitativo dell’ovulazione può essere valutato con una biopsia endometriale eseguita tardivamente nella fase luteinica (10-12 gg dopo l’ovulazione). Un ritardo nella maturazione endometriale > 2 giorni (in confronto con l’inizio del ciclo mestruale successivo) indica un’inadeguata fase luteinica (insufficienza luteinica, difetto della fase luteinica) in cui la produzione o l’azione del progesterone sono inadeguate. Per fare questa diagnosi si deve verificare un ritardo in 2 cicli mestruali.

Terapia La scelta di farmaci che inducono l’ovulazione dipende dal problema specifico. La bromocriptina è il farmaco di scelta nelle pazienti con cicli anovulatori od oligo-ovulatori a causa di un’iperprolattinemia. Sindrome dell’ovaio policistico o anovulazione cronica: il clomifene file:///F|/sito/merck/sez18/2452136.html (1 of 3)02/09/2004 2.02.56

Infertilità

citrato (un anti-estrogeno orale derivato dal dietilstilbestrolo) è il farmaco più appropriato. Prima, deve essere indotto il sanguinamento uterino con il medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg, 1 volta/die per 5-10 gg. Il clomifene è iniziato al 5o giorno di sanguinamento, spontaneo o indotto, e somministrato per 5 gg. L’ovulazione generalmente si verifica 5-10 gg (media, 7 gg.) dopo l’ultimo giorno di somministrazione del clomifene; nei cicli ovulatori, le mestruazioni si verificano entro 35 gg. Se l’amenorrea persiste dopo questo trattamento, devono essere eseguiti un test di gravidanza e un’ecografia pelvica o un esame obiettivo della pelvi. Se le ovaie non sono aumentate di volume in maniera significativa, viene indotto il sanguinamento da deprivazione e il clomifene, 50 mg, viene somministrato di nuovo come descritto sopra. Se dopo 2 cicli non si verifica l’ovulazione, il dosaggio viene aumentato a 100 mg/ die per 5 gg e successivamente di altri 50 mg ogni 2 cicli fino a un massimo di 200 mg/die per 5 gg (sebbene il clomifene 100 mg/die sia approvato, numerosi studi hanno documentato l’efficacia e la sicurezza dei dosaggi più elevati). Una volta determinata la dose soglia per l’ovulazione, il trattamento deve essere continuato per almeno 3-4 cicli. Il tasso di concepimento è massimo intorno al 4o ciclo ovulatorio. Gli effetti collaterali del clomifene citrato includono le vampate vasomotorie (10%), la distensione addominale (6%), la mastodinia (2%), la nausea (3%), i sintomi visivi (1-2%) e la cefalea (1-2%). L’incidenza di gravidanze multiple (principalmente gemellari) e di iperstimolazione ovarica (v. oltre) è di circa il 5% ciascuna. L’assunzione di clomifene citrato per più di 12 cicli può aumentare il rischio di insorgenza di neoplasie dell’ovaio. I meccanismi di questa potenziale causalità sono sconosciuti e l’associazione del clomifene e di altri farmaci per la fertilità con il cancro dell’ovaio richiede ulteriori studi. Le gonadotropine menopausali umane (Human Menopausal Gonadotropins, HMG), estratte dalle urine delle donne in post-menopausa, possono essere utilizzate se l’ovulazione o il concepimento non si verificano durante il trattamento con il clomifene. Sono disponibili due forme. Le menotropine sono disponibili sotto forma di fiale di 2 ml pari a un’attività di 75 UI di LH e di 75 UI di ormone follicolo-stimolante (FSH) o di 150 UI per ciascun ormone. L’urofollitropina è pari a un’attività di 75 UI di FSH per fiala, con una modesta attività per quanto riguarda l’LH. Sono disponibili anche le gonadotropine per somministrazione sottocutanea e le gonadotropine umane ricombinanti. Le preparazioni vengono usate in maniera simile. Le gonadotropine iniettabili sono piuttosto costose e possono avere effetti collaterali significativi; pertanto, i anomalie dello sperma e le disfunzioni tubariche devono essere valutati adeguatamente prima di iniziare un trattamento e i cicli di trattamento devono essere attentamente controllati da un medico esperto nell’uso di questi farmaci. Le HMG sono somministrate IM ogni giorno, iniziando tra il 3o e il 5o dopo il sanguinamento spontaneo o da sospensione, per stimolare la maturazione di 2-4 follicoli in 7-14 gg, come indicato dai livelli sierici di estradiolo e dall’ecografia transvaginale. Una volta che i follicoli sono maturati, viene somministrata gonadotropina umana corionica (hCG) IM per indurre l’ovulazione. I maggior rischi della terapia con HMG sono rappresentati dalle gravidanze multiple (10-30%) e dalla sindrome da iperstimolazione ovarica (1020%). In questa sindrome, potenzialmente fatale, le ovaie sono molto aumentate di volume e c’è un passaggio di liquidi intravascolari nello spazio peritoneale, che causa ipovolemia, oliguria, emoconcentrazione e ascite massiva. La sindrome può, di solito, essere evitata con uno stretto

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Infertilità

monitoraggio della paziente e sospendendo le hCG se la risposta ovarica diventa eccessiva. Gli agonisti dell’ormone per il rilascio delle gonadotropine (GnRH) (v. oltre) sono usati sempre più frequentemente nei disturbi ovulatori (p. es., la sindrome dell’ovaio policistico) per abolire la secrezione endogena di gonadotropine e aumentare l’efficacia del successivo trattamento con HMG e GnRH pulsato. Questo approccio non è stato convalidato. Amenorrea ipotalamica: la gonadorelina acetata, un GnRH di sintesi per infusione EV pulsatile, può essere usata per indurre l’ovulazione. Questo farmaco stimola l’ipofisi a rilasciare LH e FSH in maniera fisiologica; dunque, di solito, solo un follicolo dominante è stimolato a ovulare in un periodo di 14 gg di trattamento. Dato che il rischio di iperstimolazione ovarica è basso, non è necessario uno stretto monitoraggio. Dopo l’ovulazione, l’GnRH può essere continuato durante la fase luteinica o possono essere somministrate le hCG in un’unica dose di 1500 U IM q 3 gg per 4 volte. Deficit della fase luteinica: possono essere usati il clomifene citrato, 50100 mg/die per 5 gg, cominciando dal 3o-5o giorno del ciclo mestruale, o il progesterone sotto forma di ovuli vaginali, 50 mg bid per 14 gg, cominciando 2 gg dopo l’ovulazione. Se si verifica il concepimento durante un ciclo di trattamento, la terapia con progesterone viene proseguita ininterrottamente fino alla 10a sett. di gravidanza.

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Pianificazione familiare

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 246. PIANIFICAZIONE FAMILIARE CONTRACCEZIONE Sommario: Introduzione Contraccettivi di barriera Astinenza periodica Contraccettivi orali Iniezioni di progestinici Impianti sottocutanei Contraccezione d'emergenza Dispositivi intrauterini

I metodi contraccettivi più comunemente usati negli USA sono (in ordine di popolarità) i contraccettivi orali (ormoni), il profilattico, il coito interrotto, l’astinenza periodica dai rapporti, le iniezioni di progestinici, gli spermicidi, il diaframma, gli impianti sottocutanei di progestinici e i dispositivi intrauterini (Intrauterine Devices, IUD). Ciascun metodo ha dei vantaggi e degli svantaggi e ciascun metodo, al di là dell’astinenza completa, può fallire. Il diaframma, i profilattici, gli spermicidi e il coito interrotto falliscono con maggiori probabilità, specialmente se chi li usa è inesperto, rispetto ai metodi che non sono correlati al coito (p. es., i contraccettivi orali, i IUD). Nel corso di diversi anni, le percentuali di gravidanza sono < 1%/anno con i contraccettivi orali, i IUD, le iniezioni di progestinici e l’impianto sottocutaneo di progestinici e del 5%/anno, circa, con i metodi correlati al coito. Tuttavia, i profilattici hanno l’ulteriore vantaggio di proteggere contro le malattie trasmesse sessualmente. La contraccezione di emergenza, assunta dopo che si è verificata la fecondazione, non deve essere usata come un regolare metodo di contraccezione.

Contraccettivi di barriera L’uso del profilattico è l’unico metodo maschile, efficace e reversibile al di là del coito interrotto. Se usato in modo appropriato, il profilattico fornisce una considerevole protezione contro le malattie trasmesse sessualmente (solo i profilattici in lattice possono proteggere contro il HIV) e può prevenire le modificazioni premaligne nella cervice. Il profilattico deve essere applicato prima della penetrazione e non deve essere troppo stretto (la parte distale deve eccedere di circa 1/2 cm il pene per raccogliere l’eiaculato); deve essere rimosso con cautela in modo che nulla del contenuto fuoriesca. La percentuale di gravidanza con un uso accorto è del 3-4%/anno. L’associazione di uno spermicida, incluso nel lubrificante del profilattico o inserito in vagina, può ridurre questa percentuale. Il diaframma, costituito da un cappuccio di gomma a forma di cupola, con margine flessibile, che si fissa sopra la cervice, agisce come una barriera per gli spermatozoi. Il diaframma è di diverse dimensioni e deve essere adattato con cautela da un operatore sanitario, che dovrà mostrare alla donna come inserirlo in modo che la cervice ne sia ricoperta. Gli spermicidi file:///F|/sito/merck/sez18/2462139b.html (1 of 11)02/09/2004 2.02.58

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devono essere sempre associati al diaframma per aumentare l’efficacia contraccettiva nel caso il dispositivo si dovesse spostare durante il coito. Il diaframma non causa fastidi a nessuno dei due partner. Deve essere inserito prima del coito e deve rimanere al suo posto per almeno 8 h dopo l’ultimo rapporto. Per aumentare l’efficacia, si deve usare anche uno spermicida prima di ogni rapporto. Quando il diaframma è usato in maniera appropriata, l’incidenza di gravidanze è pari al 3%/anno, ma con l’uso comune l’incidenza è di circa il 14%/anno. Il cappuccio cervicale è simile al diaframma, è disponibile in diverse misure e deve essere applicato da un operatore sanitario. Può rimanere in sede per 48 h. L’incidenza di gravidanze è simile a quella osservata con il diaframma. La schiuma, la crema e gli ovuli vaginali devono essere applicati in vagina prima di ogni rapporto. Questi agenti contengono uno spermicida, in genere il nonoxinolo 9, che immobilizza o uccide lo spermatozoo al contatto; creano, inoltre, una barriera fisica alla sua penetrazione. Nessun tipo di schiuma o di ovuli si è dimostrato più valido degli altri. L’efficacia di tutte queste preparazioni aumenta costantemente mano a mano che la donna invecchia, sia perché diviene più esperta nel loro uso e sia perché la sua fertilità diminuisce. Il tampone contraccettivo non è più in commercio.

Astinenza periodica Questo metodo (chiamato anche pianificazione familiare naturale) richiede l’astensione dai rapporti durante il periodo fertile. L’ovulazione, di solito, si verifica circa 14 giorni prima della successiva mestruazione. Anche se l’oocita umano può, probabilmente, essere fecondato soltanto durante un periodo di poche ore dopo l’ovulazione, lo sperma può fecondare l’oocita anche diversi giorni dopo essere entrato nel canale cervicale; quindi, la fecondazione può essere causata da un rapporto che si è verificato fino a 5 giorni prima dell’ovulazione. Il metodo del calendario è la tecnica di pianificazione familiare naturale meno efficace, anche in quelle donne che hanno dei cicli mestruali molto regolari. Il periodo di astensione è calcolato sottraendo 18 giorni dalla durata del più breve e 11 giorni dalla durata del più lungo dei 12 cicli precedenti. Quindi, se i cicli della donna variano da 26 a 29 giorni, la coppia deve astenersi dal rapporto dall’8o al 18o giorno di ogni ciclo. Con variazioni più ampie nella lunghezza dei cicli, sono necessari periodi di astensione maggiori. Altri metodi più efficaci richiedono un alto grado di motivazione e di addestramento. Una donna può misurare la temperatura corporea basale tutte le mattine prima di alzarsi. La temperatura basale aumenta di circa 0,5°C (0,9°F), in genere al di sopra dei 37°C, dopo l’ovulazione. La coppia si deve astenere dai rapporti per almeno 48-72 h dopo l’aumento della temperatura. Un’aumentata quantità di muco cervicale (che si ha, in genere, in prossimità del momento dell’ovulazione) indica, in maniera più accurata, il periodo fertile. I rapporti sono possibili, a giorni alterni (in modo da non confondere il muco con lo sperma) dalla fine delle mestruazioni fino a quando non viene osservato un aumento della secrezione del muco. È necessario poi astenersi fino a 4 giorni dopo il picco di massima secrezione. Il metodo sintotermico, che è il metodo più efficace per stabilire la durata del periodo di astinenza, combina l’osservazione dei cambiamenti del muco cervicale con quelli della temperatura e di altri sintomi associati all’ovulazione. Tuttavia, anche con un addestramento file:///F|/sito/merck/sez18/2462139b.html (2 of 11)02/09/2004 2.02.58

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attento, l’incidenza di gravidanze è di circa il 10%/anno.

Contraccettivi orali I contraccettivi orali (CO) esercitano un feed-back negativo sull’ipotalamo, inibendo l’ormone per il rilascio delle gonadotropine, cosicché l’ipofisi non produce gonadotropine a metà ciclo per stimolare l’ovulazione. L’endometrio diventa sottile e il muco cervicale si ispessisce e diventa impermeabile allo sperma. I contraccettivi orali (CO) principali sono quelli combinati (un estrogeno di sintesi più un progestinico di sintesi) e quelli costituiti da soli progestinici. Le preparazioni combinate sono assunte ogni giorno per 3 sett. e poi sospese durante la 4a sett. per permettere il sanguinamento da deprivazione. Il solo progestinico è somministrato ogni giorno in piccole dosi; questo regime è associato a un’incidenza relativamente alta di sanguinamenti irregolari e a un tasso di gravidanze del 2-8%/anno ed è raccomandato soltanto quando la somministrazione di estrogeni è controindicata, p. es., durante l’allattamento. Non c’è una differenza significativa nell’efficacia delle diverse preparazioni combinate: se non si dimentica di prendere qualche pillola, l’incidenza di gravidanze è inferiore allo 0,2% dopo 1 anno. Alle donne che ne iniziano ora l’assunzione devono essere prescritte le formulazioni a basso dosaggio, con 20-35 µg di etinilestradiolo, mentre alle donne che assumono le formulazioni con 50 µg di estrogeni deve essere consigliato di passare alle formulazioni a basso dosaggio. Queste ultime sono efficaci quanto quelle a dosaggio più elevato, ma l’incidenza del sanguinamento intermestruale può essere maggiore nel corso dei primi mesi di assunzione. Le preparazioni con più di 50 µg di estrogeni comportano una più alta incidenza di effetti collaterali e, quindi, non devono essere più prescritte. Le donne sane che non fumano possono assumere continuativamente dei CO a basso dosaggio sino alla menopausa, come accertato da un elevato livello di FSH. Non sono stati documentati benefici derivanti dall’interruzione intermittente della terapia. Per le donne di età superiore ai 35 anni che fumano sigarette o che presentano altri fattori di rischio cardiovascolare (p. es., l’ipertensione non controllata) e che usano dei CO con 50 µg di estrogeno, è stato riportato un rischio maggiore di morte per malattie cardiovascolari compresi l’ictus cerebrale e l’infarto del miocardio. Le attuali raccomandazioni prevedono che le donne > 35 anni che fumano sigarette non assumano CO combinati. Altre controindicazioni sono elencate nella Tab. 246-1. Effetti collaterali e controindicazioni: se il sanguinamento intermestruale persiste, la donna deve assumere una combinazione con una dose maggiore di estrogeni (cioè, una formulazione più estrogenica). Se si sviluppa l’amenorrea, la componente progestinica deve essere ridotta. Molti effetti collaterali (p. es., nausea, mastodinia, ritenzione di liquidi, PA elevata) sono correlati alla dose di estrogeni. I progestinici possono causare in alcune pazienti degli effetti androgenici, quali aumento di peso, acne e sensazione di nervosismo. Il norgestimato e il desogestrel hanno una ridotta attività androgenica rispetto ad altri progestinici usati nei CO, come levonorgestrel, noretindrone, noretindrone acetato ed etinodiolo diacetato. In un piccolo gruppo di donne, l’inibizione dell’ovulazione persiste per alcuni mesi dopo la sospensione dei CO, ma questi non provocano una file:///F|/sito/merck/sez18/2462139b.html (3 of 11)02/09/2004 2.02.58

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sterilità permanente e non pregiudicano l’esito di una gravidanza concepita dopo la loro sospensione. I CO assunti accidentalmente nel primo periodo della gravidanza non sono teratogeni. Le attività metaboliche delle componenti ormonali sintetiche dei CO influenzano, praticamente, ogni sistema dell’organismo. Tuttavia, con le formulazioni a basso dosaggio, le gravi complicanze sono rare. La maggior parte delle modificazioni delle proteine plasmatiche che si verifica durante l’uso dei CO non è pericolosa, ma i risultati di alcuni test clinici di laboratorio sono alterati. Alcuni test di funzionalità tiroidea sono alterati nella stessa misura in cui lo sono durante la gravidanza; p. es., la capacità della thyroxine-binding globulin aumenta, mentre la tiroxina libera rimane normale. I CO non modificano i livelli dell’ormone stimolante la tiroide e non alterano la funzione tiroidea. L’incidenza di tromboflebiti venose profonde e di tromboembolie nelle giovani donne sane che assumono delle formulazioni contenenti 30-35 µg di estrogeni è stimata essere 3-4 volte maggiore rispetto a quella nelle donne che non ne fanno uso. L’incidenza dei disturbi tromboembolici è regolarmente diminuita mano a mano che è stato ridotto il quantitativo di estrogeni nei CO. La formazione di trombi sembra essere collegata all’aumento dei fattori della coagulazione (e, forse, all’aumentata adesività piastrinica) prodotto dalla componente estrogenica. Gli aumentati livelli delle globuline coinvolte nel processo della coagulazione, in particolare i fattori VII e X, provocano uno stato di ipercoagulabilità. Non ci sono prove che l’aumentato rischio di tromboembolia sia ulteriormente aumentato nelle donne con varici degli arti inferiori. Se una donna mostra segni di tromboflebite venosa profonda o di embolia polmonare mentre sta assumendo dei CO, deve interrompere l’assunzione e si deve sottoporre ad accertamenti diagnostici (v. Cap. 72). A causa dell’aumentato rischio di disturbi tromboembolici, i CO devono essere interrotti un mese prima di qualsiasi intervento chirurgico maggiore elettivo e non ricominciati prima che sia passato almeno un mese. Gli effetti sul SNC dei CO comprendono la nausea, il vomito, la cefalea e la depressione. Prima si pensava che il rischio di un accidente cerebrovascolare fosse più elevato nei soggetti che assumono CO, ma studi epidemiologici recenti, nei quali sono state usate formulazioni a più basso dosaggio di estrogeni, non hanno mostrato differenze nell’incidenza tra i soggetti sani che usavano CO e quelli sani della stessa età che non li usavano. Le donne che lamentano più frequentemente cefalea o che sviluppano sintomi neurologici periferici, lipotimie o afasia durante l’assunzione di CO, ne devono interrompere l’assunzione, perché questi sintomi possono essere i prodromi di un ictus. La depressione e i disturbi del sonno si verificano nell’1-2% delle donne che assumono i CO. Un aumento della PA si verifica in alcune donne perché gli estrogeni determinano un aumento della produzione di angiotensina; con le formulazioni a basso dosaggio di estrogeni l’incidenza è minore. La PA deve essere controllata in tutte le donne prima e durante il trattamento con i CO. Se la PA aumenta, la somministrazione dei CO deve essere interrotta; di solito, la PA torna a valori normali. Le alterazioni del metabolismo del glucoso, sia la diminuzione della tolleranza ai glucidi che l’aumento dei livelli di insulina circolante dovuto alla resistenza periferica all’insulina, sono state associate alla componente progestinica. Queste variazioni sono in genere reversibili e si verificano raramente con le attuali formulazioni che hanno un basso contenuto di progestinici. I CO possono essere prescritti alle donne che hanno un’iperglicemia, ma che non sono correntemente diabetiche. Una

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misurazione della glicemia dopo 2 ore dalla fine del pasto deve essere eseguita ogni anno in tutte le donne che usano i CO e che sono a rischio di sviluppare un diabete mellito, p. es., quelle che hanno una storia familiare o che hanno avuto dei figli macrosomi alla nascita o che hanno una storia di morti fetali inspiegate. Se la glicemia risulta alterata, si deve eseguire una curva da carico e, se anche questa è anormale, deve essere iniziato l’opportuno trattamento. I CO sono sconsigliati nelle donne diabetiche insulino-dipendenti con alterazioni vascolari, dato che il loro uso può aumentare il rischio di eventi tromboembolici. Gli estrogeni possono causare una ritenzione di sodio; alcune donne presentano anche degli edemi e possono aumentare di peso in ragione di 1,5-2,5 kg. I progestinici sono anabolizzanti e quindi alcune donne aumentano di peso perché aumenta l’appetito. Allora, se una donna aumenta più di 4,5 kg (> 10 libbre)/anno, si deve usare un CO con un progestinico meno potente o, se la donna ha tentato senza successo di perdere peso, può essere necessaria la sospensione del CO. I livelli sierici di alcuni vitamine, minerali e lipidi possono risultare alterati durante l’assunzione dei CO. I livelli della piridossina, dell’acido folico e della maggior parte delle altre vitamine del gruppo B, dell’acido ascorbico, del calcio, del manganese e dello zinco diminuiscono; i livelli della vitamina A aumentano. Il significato clinico di queste modificazioni è sconosciuto e le donne che assumono dei CO non hanno bisogno di un supplemento di vitamine. I livelli sierici delle lipoproteine ad alta densità (HDL) sono ridotti dalle formulazioni con alte dosi di progestinici, ma sono, di solito, aumentati da quelle a basse dosi. Questo effetto rappresenta un’altra ragione per ridurre la dose dei progestinici quando possibile. L’incidenza di colelitiasi nelle donne che usano i CO aumenta durante i primi anni di assunzione e poi diminuisce. Quindi, i CO accelerano la formazione di calcoli della colecisti, ma non inducono la formazione di nuovi. Le donne che sviluppano l’ittero idiopatico ricorrente della gravidanza (colestasi della gravidanza) possono anche diventare itteriche in corso di trattamento con i CO e quindi non li devono usare. Sebbene una malattia epatica in fase attiva rappresenti un’altra controindicazione all’uso dei CO, un’epatite seguita da una guarigione completa non costituisce una controindicazione assoluta. Se una donna ha un’anamnesi di malattia epatica, i test di funzionalità epatica devono risultare nella norma, prima di prescrivere i CO. Raramente insorgono adenomi epatici benigni che possono andare incontro a rottura spontanea. L’incidenza, che è in relazione alla durata e al dosaggio del trattamento, è stimata essere di circa 1 caso ogni 30000-500000 persone che usano i CO. Gli adenomi, in genere, regrediscono spontaneamente dopo la sospensione della terapia. La trombosi delle vene epatiche con la sindrome di Budd-Chiari, si può verificare nelle donne che fanno uso dei CO, ma non è stata stabilita una relazione causale. Il cloasma, simile a quello che si ha durante la gravidanza, si verifica in alcune donne che fanno uso di CO. È accentuato dall’esposizione al sole e scompare lentamente dopo la sospensione dei CO. Il trattamento è difficile (v. Iperpigmentazione nel Cap. 123) e quindi i CO devono essere sospesi non appena compare il cloasma. Il rischio di sviluppare un cancro della mammella è leggermente aumentato durante l’assunzione dei CO, ma diminuisce dopo la sospensione e non risulta aumentato tra le donne che usavano i CO e che ne hanno interrotto l’assunzione da 10 anni. Inoltre, nelle donne che assumono o che hanno assunto dei CO, il rischio di sviluppare un cancro della mammella avanzato è inferiore a quello delle donne di uguale età che non li assumono. Il rischio di cancro della mammella non è ulteriormente

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aumentato nei sottogruppi delle pazienti ad alto rischio, come quelle con malattie benigne del seno o con una familiarità per cancro del seno. Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’incidenza del cancro della cervice, in particolare dell’adenocarcinoma della cervice, è aumentata nelle donne che usano i CO, particolarmente in quelle che li hanno usati per più di 5 anni. Una relazione causale non è stata stabilita, ma le donne che usano i CO devono eseguire un test di Papanicolaou almeno una volta l’anno. Benefici: numerosi studi hanno dimostrato che l’uso dei CO riduce il rischio dei tumori letali dell’endometrio e dell’ovaio di circa il 50%; questa riduzione del rischio persiste per almeno 10-15 anni dopo l’interruzione. Altri benefici documentati derivanti dall’uso dei CO comprendono la minore incidenza di sanguinamenti uterini anormali (inclusa la menorragia), di dismenorrea, di tensione premestruale, di anemia sideropenica, di patologia mammaria benigna e di cisti ovariche funzionali; la ridotta incidenza di gravidanze ectopiche e di salpingiti associata all’uso dei CO dovrebbe migliorare l’infertilità. Questi vantaggi comportano una riduzione delle ospedalizzazioni, stimata intorno a 50000 l’anno negli USA. Interazioni farmacologiche: anche se gli ormoni sessuali sintetici possono ritardare la biotrasformazione di alcuni farmaci (p. es., la meperidina) a causa della competizione del substrato, tale interferenza non è clinicamente importante. Alcune sostanze (p. es., i barbiturici, la ciclofosfamide, la rifampicina) possono interferire clinicamente con l’azione dei CO, inducendo la produzione di enzimi epatici che accelerano la loro biotrasformazione, convertendo gli ormoni in metaboliti dotati di una maggiore polarità e di una minore attività biologica. È stata riportata un’incidenza relativamente elevata di insuccesso dei CO nelle donne che assumono la rifampicina e quindi questi 2 farmaci non vanno somministrati contemporaneamente. I dati clinici riguardanti il fallimento dei CO nelle donne che assumono altri antibiotici (p. es., la penicillina, l’ampicillina, i sulfamidici) e altri farmaci (p. es., la fenitoina, il fenobarbitale) sono basati su riscontri aneddotici e sono quindi meno chiari. Comunque, quando vengono prescritte dosi terapeutiche di antibiotici, può essere consigliabile l’uso di un metodo di barriera in aggiunta ai CO. Le donne affette da epilessia e che assumono anticonvulsivanti, devono usare formulazioni con 50 µg di estrogeni, poiché presentano un’aumentata incidenza di sanguinamenti anomali con le formulazioni contenenti dosi minori di estrogeni. Inizio del trattamento con i CO: tutte le donne devono essere visitate prima di iniziare la terapia con i CO, dopo 3 mesi (per vedere se la PA si è modificata) e, successivamente, almeno una volta all’anno. Quando l’anamnesi personale o familiare suggerisce un aumentato rischio di diabete mellito o di malattie cardiovascolari su base arteriosclerotica, si devono eseguire una glicemia a distanza di 2 ore dal pasto e un profilo lipidico completo. Se la glicemia o la lipemia sono anormali, si possono utilizzare CO a basso dosaggio, ma questi parametri metabolici devono essere controllati ad ogni visita per essere sicuri che non divengano alterati. Ad ogni controllo si devono eseguire una visita ginecologica e un esame delle mammelle e il fegato deve essere palpato. Si devono, inoltre, controllare la PA e il peso ed eseguire annualmente un test di Papanicolaou. Uso dei CO dopo la gravidanza: dopo un aborto, l’ovulazione, di solito, si verifica tra la 2a e la 4a sett. e, generalmente, precede la prima mestruazione. La prima mestruazione dopo un parto a termine, in una madre che non allatta, è, di solito, anovulatoria, ma a volte si può verificare l’ovulazione dopo 4 o 5 sett. dal parto. Le mamme che allattano, in genere,

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non ovulano prima della 10a-12a sett. dopo il parto, ma possono ovulare prima della prima mestruazione. Dopo l’aborto, spontaneo o indotto, di un feto di meno di 12 sett. di gestazione, la somministrazione di CO può essere iniziata immediatamente. Dopo l’interruzione di una gravidanza, tra la 12a e la 28a sett., la somministrazione di CO va procrastinata di una sett. Poiché il rischio di tromboembolie è normalmente aumentato dopo il parto e può essere aumentato dall’uso dei CO, le donne che hanno partorito dopo la 28a sett. di gestazione e che non stanno allattando, dovrebbero aspettare 2 sett. prima di iniziare l’assunzione dei CO. Durante l’allattamento i CO, che contengono estrogeni, riducono la quantità di latte prodotto e la sua concentrazione di proteine e di grassi. Pertanto, i CO combinati non sono indicati per le madri che allattano; si devono usare preparati con i soli progestinici.

Iniezioni di progestinici Il medrossiprogesterone acetato depot (DMPA), la formulazione del medrossiprogesterone acetato iniettabile e a lunga azione (MPA), è una sospensione cristallina di questo ormone. La dose efficace di contraccettivo è di 150 mg q 3 mesi, somministrata per iniezione profonda nei muscoli gluteo o deltoide, da cui il progestinico viene rilasciato lentamente nella circolazione sistemica. L’area non deve essere massaggiata, in modo che il farmaco sia rilasciato lentamente e mantenga la sua efficacia contraccettiva per almeno 4 mesi. Il DMPA è estremamente efficace; la percentuale di gravidanze a 1 anno è solo dello 0,1% e a 2 anni la percentuale cumulativa di gravidanze è dello 0,4%. I livelli sierici di MPA variano tra le donne, ma dopo l’iniezione risalgono stabilmente ai livelli ematici efficaci per la contraccezione (> 0,5 ng/ml) in 24 h e, dopo un plateau di 3 mesi, gradualmente si riducono. La prima iniezione deve essere eseguita durante i primi 5 gg del ciclo mestruale per prevenire l’ovulazione. Se l’intervallo tra le iniezione è > 13 sett., il medico deve sincerarsi che la paziente non sia gravida prima della somministrazione del farmaco. A causa dell’intervallo di tempo necessario a eliminare il DMPA dalla circolazione, la ripresa dell’ovulazione è ritardata di un periodo variabile, fino a 1 anno dopo l’ultima iniezione. Dopo questo iniziale ritardo, la fertilità ritorna a livelli simili a quelli che si hanno dopo la sospensione di un contraccettivo di barriera. Alle donne che stanno prendendo in considerazione questo metodo di contraccezione bisogna dire che può avere una durata d’azione molto lunga. Il principale effetto collaterale del DMPA è la completa alterazione del ciclo mestruale. Nei 3 mesi dopo la prima iniezione, circa il 30% delle donne è amenorroico e un altro 30% ha un sanguinamento irregolare e delle perdite ematiche per > 11 gg ogni mese. Il sanguinamento è, di solito, modesto e non causa un’anemia. Con la terapia continua, l’incidenza del sanguinamento diminuisce progressivamente, mentre l’incidenza dell’amenorrea aumenta costantemente, cosicché alla fine dei 2 anni, circa il 70% delle donne in trattamento con il DMPA è amenorroico. Solitamente, le donne aumentano di peso, da 1,5 a 4 kg durante il primo anno di terapia con il DMPA e continuano ad aumentare di peso anche in seguito; ma, l’aumento di peso può non essere correlato all’uso del DMPA. Alle donne che usano il DMPA e che aumentano di peso deve essere consigliato di ridurre l’apporto calorico e di aumentare il dispendio energetico.

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Sebbene lo sviluppo di cefalee sia il più frequente problema medico riportato da coloro che usano il DMPA e una frequente ragione per la sua sospensione, nessuno studio comparativo suggerisce che l’uso del DMPA aumenta l’incidenza o la gravità della cefalea da tensione o dell’emicrania. Poiché il DMPA non contiene estrogeni, nessuna alterazione dei fattori ematici della coagulazione, o dei livelli di angiotensina, è associata al suo uso. A differenza dei CO, il DMPA non è stato associato con un’aumentata incidenza di ipertensione o di tromboembolia. Il leggero peggioramento nella tolleranza al glucoso tra le donne che usano il DMPA, non ha probabilmente alcun significato clinico e la tolleranza al glucoso ritorna a valori normali dopo l’interruzione del DMPA. Sebbene le modificazioni a carico dei lipidi con l’uso del DMPA non siano benefiche, non ci sono prove che esse accelerino l’aterosclerosi. Si sta valutando l’effetto riportato del DMPA sulla ridotta densità ossea in studi longitudinali a lungo termine. Il DMPA, come gli altri ormoni contraccettivi, non sembra accrescere il rischio globale di sviluppare un cancro della mammella. Tra le donne che usano il DMPA, il rischio di sviluppare un cancro dell’endometrio è significativamente ridotto, ma il rischio di sviluppare un cancro dell’ovaio o un cancro invasivo della cervice non è modificato. L’uso del DMPA riduce il rischio di sviluppare un’anemia sideropenica e una malattia infiammatoria della pelvi. Nelle donne affette da una malattia delle cellule falciformi, il DMPA migliora i parametri ematologici e riduce l’incidenza dei problemi clinici.

Impianti sottocutanei Le capsule di polisiloxano contenenti il levonorgestrel vengono posizionate nel sottocute del braccio attraverso una piccola incisione; questa procedura ambulatoriale richiede solo un’anestesia locale. Sei capsule vengono inserite con un trocar da 10, disponendole a ventaglio, per ottenere livelli di levonorgestrel circolante sufficientemente alti da raggiungere l’efficacia contraccettiva. L’incisione guarisce senza sutura. Il farmaco inibisce l’ovulazione e determina un ispessimento del muco cervicale, prevenendo la penetrazione dello sperma. Le capsule rimangono in sede e sono efficaci per 5 anni, con un’incidenza globale di gravidanze di circa l’1% a 5 anni. I principali effetti collaterali sono costituiti da un sanguinamento uterino irregolare e dall’amenorrea, che possono richiedere la rimozione delle capsule, così come la cefalea e l’aumento ponderale. Con una consulenza appropriata, molte donne scelgono di continuare a usare questo metodo contraccettivo dopo 5 anni ma, poiché le capsule non sono biodegradabili, debbono essere rimosse e sostituite. La tecnica della rimozione è simile al posizionamento, ma più difficoltosa a causa della fibrosi che si sviluppa intorno alle capsule. Con la rimozione si ha l’immediato ripristino della normale funzione ovarica e della fertilità.

Contraccezione d'emergenza La contraccezione d’emergenza si riferisce all’uso di ormoni entro 72 h da un singolo coito non protetto, a metà del ciclo. All’inizio, venivano

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somministrate delle elevate dosi di estrogeni per 5 gg. Questo trattamento era efficace, ma gli effetti collaterali erano frequenti. Due compresse di un CO contenente etinilestradiolo 50 µg e norgestrel, 0,5 mg, seguite da altre due compresse 12 h più tardi sono efficaci quanto gli estrogeni ad alte dosi e hanno minori effetti collaterali. Questo regime è il metodo di contraccezione di emergenza più frequentemente usato. La percentuale di gravidanza è di circa l’1,5%, ma il 50% delle donne lamenta nausea e il 20% vomito. Due dosi di levonorgestrel da 0,75 mg, prese a 12 h di distanza (senza estrogeni) o una dose di mifepristone da 600 mg (RU 486) sono riportate essere efficaci quanto il trattamento con CO e con una minore incidenza di effetti collaterali. È efficace anche l’inserimento di un dispositivo intrauterino (IUD) entro 5 o 10 gg da un singolo rapporto sessuale a metà del ciclo, con una percentuale di gravidanze dello 0,1%, ma l’elevato costo del IUD limita il suo uso per la contraccezione di emergenza.

Dispositivi intrauterini Solo un milione circa di donne, negli USA, usano dei IUD per la contraccezione, anche se sono molto efficaci. Il IUD presenta alcuni vantaggi rispetto ai CO: il suo effetto è limitato all’apparato genitale della donna e l’inserimento richiede soltanto una decisione contraccettiva da parte della paziente. Solo 2 tipi di IUD sono attualmente in commercio negli USA: il IUD a rilascio di progesterone, che deve essere inserito annualmente, e il T380A, che contiene rame e che è efficace per almeno 10 anni. Con il IUD al rame, la percentuale cumulativa di gravidanze a 10 anni è < 2%, simile a quella della sterilizzazione femminile. Le percentuali di interruzione dell’uso del IUD al rame sono più alte nel primo anno (ma pari al 10-15% delle pazienti che ricevono una consulenza adeguata) rispetto agli anni successivi. Di solito viene raccomandato di inserire il IUD durante le mestruazioni, ma può essere inserito in qualsiasi momento del ciclo, purché la donna non sia gravida. Deve essere inserito in alto, sul fondo della cavità uterina per essere efficace. L’inserimento del IUD causa una contaminazione batterica della cavità endometriale, che determina una reazione infiammatoria da corpo estraneo e attrae i neutrofili. La cavità endometriale, di solito, ritorna sterile in 24 h, ma l’infiammazione persiste. I prodotti del catabolismo dei neutrofili sono tossici per lo sperma e questa azione spermicida previene la fecondazione. La reazione infiammatoria cessa quando il IUD viene rimosso. L’incidenza mensile del concepimento, nel primo anno dopo la rimozione di un IUD, è la stessa di quando si interrompe l’uso del profilattico o del diaframma; dopo un anno il 90% delle donne che desiderano iniziare una gravidanza vi riesce. Effetti collaterali e complicanze: i sanguinamenti e il dolore sono le principali ragioni mediche che inducono alla rimozione di un IUD, essendo responsabili di oltre il 50% delle interruzioni; questi problemi si verificano all’incirca nel 15% delle donne durante il primo anno e nel 7% durante il secondo anno di uso. La percentuale delle espulsioni per la maggior parte dei dispositivi è maggiore durante il primo anno (circa il 10%) e si verifica, in massima parte, nei primi mesi dopo l’inserimento. La percentuale di espulsione è più file:///F|/sito/merck/sez18/2462139b.html (9 of 11)02/09/2004 2.02.58

Pianificazione familiare

alta nelle donne giovani e nelle nulligravide. Se si inserisce un nuovo IUD ci sono buone possibilità che esso venga trattenuto. Circa il 20% delle espulsioni avviene senza che la paziente se ne renda conto e può essere seguito da una gravidanza indesiderata; quindi, deve essere attaccato un filo di plastica al IUD, in modo che la donna possa controllarne periodicamente la posizione. La perforazione dell’utero è un problema potenzialmente grave, ma poco comune, che si verifica durante il posizionamento (1 ogni 1000 posizionamenti coi dispositivi attualmente in uso). A volte soltanto la porzione distale del IUD penetra nella muscolatura dell’utero durante l’inserimento; nei mesi successivi, le contrazioni uterine lo spingono nella cavità peritoneale. Si deve sempre sospettare una perforazione quando la donna non riesce a sentire il filo, ma non ha notato l’espulsione del IUD. Se non si riesce a visualizzare il dispositivo o il filo durante la visita ginecologica, si deve sondare la cavità uterina (a meno che non si sospetti una gravidanza). Se il IUD non viene localizzato con l’isterometro o con uno strumento da biopsia, si deve eseguire un’ecografia. Se il IUD non si vede, una rx dell’addome deve essere eseguita per essere certi che il IUD non sia nella cavità peritoneale. Tutti i dispositivi che si trovano all’interno della cavità peritoneale devono essere rimossi perché possono causare aderenze intestinali (specialmente il IUD in rame). La laparoscopia è il metodo preferito per la rimozione. La contaminazione batterica della cavità uterina che si verifica al momento dell’inserimento, si risolve di solito dopo 24 h. I fili del IUD non rappresentano un tramite per l’ingresso di batteri all’interno dell’utero. Tuttavia, non si deve applicare un IUD in una donna che abbia i segni clinici di una cervicite, perché il posizionamento causerebbe l’introduzione di batteri patogeni addizionali. Le infezioni pelviche che si verificano dopo che un IUD è stato inserito da 30 giorni o più, sono trasmesse sessualmente e non sono causate dal IUD; possono essere trattate senza rimuovere il dispositivo a meno che l’infezione non sia grave o che la donna non sia gravida. Anche se le portatrici di un IUD hanno un’incidenza di salpingite clinica 3 volte maggiore rispetto alle donne che non lo usano, un aumentato rischio con il IUD al rame si ha soltanto durante i primi 4 mesi dopo l’inserimento ed è dovuto alla contaminazione batterica avvenuta durante l’applicazione. Poiché il rischio di infezione dopo l’inserimento di un IUD è basso, la profilassi antibiotica sistemica al momento dell’inserimento non è vantaggiosa dal punto di vista economico. L’incidenza di difetti congeniti nei bambini nati da madri con un IUD in sede, al rame o al progesterone, non è superiore a quella della popolazione generale; l’incidenza di morte fetale non è aumentata, mentre lo è significativamente quella dell’aborto spontaneo (circa il 55%). Se una donna diventa gravida con un IUD in sede e desidera portare avanti la gravidanza e il filo è visibile, si deve rimuovere il dispositivo poiché la percentuale degli aborti si riduce di circa il 20% una volta asportato il IUD. Il IUD non si trova all’interno del sacco amniotico, poiché l’impianto non si verifica vicino al dispositivo. Se il filo non è visibile, la localizzazione del IUD può essere determinata con un’ecografia. L’incidenza delle gravidanze settiche non è aumentata tra le donne che concepiscono con qualcuno dei IUD correntemente in commercio (tutti costituiti da un monofilamento) in sede. Se il IUD rimane nell’utero e la gravidanza va avanti con un feto vitale, il rischio di un parto pre-termine è aumentato di 3-4 volte. Entrambe le gravidanze intrauterina ed extrauterina (ectopica) sono efficacemente prevenute da un IUD al rame, perché le possibilità di un concepimento sono basse. La percentuale di gravidanze ectopiche con un IUD al rame è di circa lo 0,1% nel primo anno di uso e diminuisce negli anni successivi. Tuttavia, tra le donne che diventano gravide con un IUD al rame in sede, l’incidenza di gravidanze ectopiche è di circa il 5%. Il IUD file:///F|/sito/merck/sez18/2462139b.html (10 of 11)02/09/2004 2.02.58

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che rilascia progesterone previene le gravidanze intrauterine, ma non quelle ectopiche. Dopo un aborto indotto per il fallimento con un tipo o l’altro di IUD, il contenuto dell’utero deve essere esaminato istologicamente per accertare se la gestazione era intrauterina. Vari studi epidemiologici hanno dimostrato che non c’è un aumento del rischio di adenocarcinoma dell’endometrio o di carcinoma cervicale con l’uso di un IUD.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 246-1. CONTROINDICAZIONI ALL’USO DEI CONTRACCETTIVI ORALI Assoluta

Relativa

Fumo dopo i 35 anni

Depressione

Gravidanza

Emicrania

Epatopatia acuta

Amenorrea da causa non diagnosticata

Ipertensione incontrollata Diabete mellito con alterazioni vascolari Immobilizzazione prolungata di un arto inferiore Storia di eventi tromboembolici, tromboflebite, coronaropatia, ictus, neoplasie estrogenodipendenti, adenoma epatico o ittero colestatico della gravidanza

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Tabagismo importante nelle donne 25 mm Hg) si osserva di solito in un polmone, precedentemente sano, solo quando viene occluso più del 30-50% dell'albero arterioso polmonare. Si può avere un ulteriore aumento dell'ipertensione polmonare in presenza di preesistenti affezioni cardiorespiratorie (p. es., stenosi mitralica o COPD). La pressione sistolica arteriosa polmonare può innalzarsi fino a 100 mm Hg durante l'embolia acuta, ma può raggiungere solo i 70-80 mm Hg se si sviluppa un'insufficienza tricuspidale rilevante. Pressioni più alte sono riscontrabili più frequentemente nei pazienti con affezioni cardiorespiratorie preesistenti rispetto a quelli con storia clinica negativa. Il meccanismo primario dell'aumentata resistenza è l'ostruzione dell'arterie polmonari da parte dei trombi, cioè una riduzione dell'area totale della sezione trasversa del letto vascolare polmonare. La vasocostrizione polmonare sembra giocare un ruolo significativo ma secondario. La vasocostrizione è parzialmente mediata dall'ipossiemia, dal rilascio di serotonina dalle piastrine aggregate nei trombi e forse da altre sostanze umorali, comprese le prostaglandine. Se le resistenze vascolari polmonari aumentano acutamente fino al punto in cui il ventricolo destro non è in grado di generare una pressione sufficiente a mantenere la gittata cardiaca, si sviluppa ipotensione e aumento della pressione media venosa centrale e atriale destra. Lo shock cardiogeno si manifesta in persone senza preesistenti malattie polmonari solo dopo EP massiva che coinvolge almeno il 50% e solitamente il 75% o più del letto vascolare polmonare. Con l'ipotensione grave e lo shock, la pressione venosa centrale media tende a cadere. La tachipnea, spesso con dispnea, compare quasi sempre dopo EP. Essa sembra essere dovuta a stimolazione dei recettori iuxtacapillari delle membrane alveolocapillari per effetto del rigonfiamento dello spazio interstiziale interalveolare. Tale stimolazione incrementa l'attività vagale afferente riflessa, che a sua volta stimola i neuroni respiratori bulbari. La conseguente iperventilazione alveolare si manifesta con un abbassamento della PaCO2. Dopo l'occlusione dell'arteria polmonare, si hanno aree polmonari ventilate ma non perfuse, con conseguente ventilazione "sprecata", la caratteristica fisiopatologica dell'EP, che contribuisce ulteriormente allo stato iperventilatorio. La deplezione del surfattante alveolare entro alcune ore dall'evento embolico causa una riduzione del volume e della compliance del polmone. La riduzione del volume polmonare secondaria all'atelettasia o all'infarto dopo EP può essere evidenziata alla rx del torace dal sollevamento del diaframma. I volumi polmonari diminuiti e forse la ridotta Pco2 delle vie aeree possono causare broncocostrizione e provocare sibili espiratori. L'eparina sembra ridurre file:///F|/sito/merck/sez06/0720642.html (2 of 10)02/09/2004 2.03.00

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l'entità della broncocostrizione, come dimostra il miglioramento della velocità dei flussi espiratori massimali. Le alterazioni della meccanica polmonare sono di solito transitorie, di scarsa entità e pertanto di scarsa importanza nella genesi della dispnea prolungata. Tuttavia, esse probabilmente contribuiscono allo sviluppo dell'ipossiemia arteriosa. L'ipossiemia arteriosa si manifesta tipicamente con una diminuzione della saturazione arteriosa (SaO2 _ 94-85%), ma la SaO2 può essere normale. L'ipossiemia è dovuta allo shunt destro-sinistro nelle aree di atelettasia parziale o completa non interessate dall'embolia. Caratteristicamente, l'atelettasia può essere corretta parzialmente con atti respiratori profondi volontari o indotti da respiratori a pressione positiva. Anche un alterato rapporto ventilazione/perfusione (/) contribuisce probabilmente all'ipossiemia. I meccanismi responsabili dell'alterato rapporto / e dell'atelettasia non sono ben definiti. Nell'EP massiva, una grave ipossiemia può risultare dall'ipertensione atriale destra che comporta uno shunt destro-sinistro di sangue attraverso un foramen ovale pervio. Una bassa tensione venosa di O2 può anche contribuire allo sviluppo di una ipossiemia arteriosa. L'infarto polmonare (IP) è un consolidamento emorragico (spesso seguito da necrosi) del parenchima polmonare. Esso non si verifica nella maggior parte delle embolie polmonari. Quando la circolazione bronchiale è integra e normale, raramente si sviluppa un IP (10% dei casi). Un circolo arterioso bronchiale collaterale mantiene probabilmente adeguata la vitalità del tessuto polmonare nonostante l'assenza del flusso arterioso polmonare. Tuttavia, i pazienti con alterata circolazione polmonare sono predisposti all'IP. L'IP è talvolta una conseguenza della trombosi in situ delle arterie polmonari, come può accadere nelle cardiopatie congenite associate a grave ipertensione polmonare o in disordini ematologici (p. es., anemia falciforme). Gli infarti possono risolversi con il riassorbimento e la fibrosi, residuandone una cicatrice lineare, o possono riassorbirsi completamente, lasciando un normale tessuto polmonare (infarto incompleto)

Sintomi e segni Le manifestazioni cliniche dell'EP non sono specifiche e variano per frequenza e intensità, a seconda dell'entità dell'occlusione vascolare polmonare, della funzione cardiopolmonare preembolica e dello sviluppo di IP. Piccole tromboembolie possono essere asintomatiche. Le manifestazioni dell'EP di solito si sviluppano repentinamente nel giro di minuti; quelle dell'IP nel giro di ore. Spesso durano parecchi giorni, in rapporto alla velocità di lisi del coagulo e ad altri fattori, ma di solito si riducono di intensità giorno dopo giorno. Nei pazienti con microembolia polmonare cronica ricorrente, i sintomi e i segni di cuore polmonare cronico tendono a svilupparsi insidiosamente nel giro di settimane, mesi o anni. L'embolia senza infarto causa dispnea. La tachipnea è un aspetto regolarmente presente, spesso di notevole entità. L'ansia e l'irrequietezza possono essere rilevanti. L'ipertensione polmonare, se di grave entità, può causare una sofferenza toracica retrosternale sorda dovuta alla distensione dell'arteria polmonare o all'eventuale ischemia miocardica. Si può accentuare la componente polmonare del secondo tono sui focolai della base o si possono sdoppiare le componenti aortica e polmonare del 2° tono, ma con minore sdoppiamento durante l'inspirazione. Se l'EP è massiva, può comparire una disfunzione acuta del ventricolo destro, con distensione delle vene del collo e fremito del VD, galoppo presistolico (S4) o protodiastolico (S3), talora con ipotensione arteriosa e segni di vasocostrizione periferica. Un numero significativo di pazienti si può presentare con sensazione di mancamento, sincope, convulsioni e deficit neurologici, di

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solito come manifestazione di una caduta transitoria della gittata cardiaca con ischemia cerebrale secondaria. La cianosi di solito si manifesta solo nei pazienti con EP massiva. Un piccolo embolo nella periferia di un polmone può causare infarto senza ipertensione polmonare. I reperti obiettivi del polmone risultano di solito normali in assenza di IP. Talvolta si possono auscultare sibili, specialmente in presenza di patologia broncopolmonare o cardiaca. I segni che possono indicare IP comprendono tosse, emottisi, dolore toracico di tipo pleuritico, febbre, segni di addensamento polmonare o di versamento pleurico e, talora, sfregamenti pleurici.

Diagnosi e diagnosi differenziale La diagnosi di EP con o senza IP è spesso difficile da stabilire senza l'uso di metodiche speciali; le più importanti sono la scintigrafia polmonare perfusionale con radioisotopi e l'arteriografia polmonare. Nei pazienti con embolia polmonare massiva, la diagnosi differenziale si pone nei confronti dello shock settico, dell'IMA e del tamponamento cardiaco. In assenza di infarto, i sintomi e i segni clinici del paziente possono essere attribuiti a uno stato di ansia con iperventilazione, a causa della scarsità dei reperti obiettivi polmonari. In caso di IP, la diagnosi differenziale si pone nei confronti della polmonite, dell'atelettasia, dello scompenso cardiaco e della pericardite. Di seguito viene indicato un approccio sistematico per porre una diagnosi definitiva. In assenza di infarto, la rx del torace può essere normale o possono essere notati segni di diminuita vascolarizzazione polmonare nelle aree sede di embolia. In caso di infarto, la rx mostra frequentemente un addensamento periferico, che spesso coinvolge l'angolo costofrenico, con sollevamento del diaframma e versamento pleurico dal lato interessato. La dilatazione delle arterie polmonari nella zona ilare, della vena cava superiore o della vena azygos sono segni di ipertensione polmonare e di sovraccarico ventricolare destro. Poiché le modificazioni dell'ECG sono tipicamente transitorie, tracciati ripetuti sono spesso di aiuto per diagnosticare o escludere l'IMA. Le alterazioni osservate più spesso nell'EP sono rappresentate dall'onda P polmonare, dal blocco di branca destra, dalla deviazione assiale destra e dalle aritmie sopraventricolari. Le determinazioni degli enzimi sierici mancano di sensibilità e specificità e raramente sono utili per la diagnosi. La triade costituita dall'aumento dei livelli sierici di LDH e di bilirubina con normale AST si ha in < 15% dei pazienti con EP e IP acuti. Un aumento dell'LDH può verificarsi nell'85% dei pazienti con IP, ma manca di specificità, osservandosi anche nello scompenso cardiaco, nello shock, nella gravidanza, in affezioni renali ed epatiche, nell'anemia, nella polmonite e nel carcinoma, oltre che dopo interventi chirurgici. I livelli ematici dei prodotti di degradazione della fibrina, come il d-dimero, possono aumentare dopo EP, sia che si verifichi o meno l'IP. Comunque, la specificità è bassa perché i falsi positivi sono frequenti e i livelli sono alti in altre condizioni, come nel periodo postoperatorio. Estrema attenzione è stata raccomandata nell'uso del dosaggio del d-dimero perché gli studi sono limitati. Alcuni gruppi scientifici suggeriscono che quando il sospetto clinico è basso, un normale d-dimero aumenta la probabilità che una tromboembolia non sia presente. La scintigrafia polmonare perfusionale utilizza l'iniezione EV di particelle di albumina biodegradabile marcata con tecnezio 99m con diametro di 20-50 mm. Tali particelle si vanno a localizzare nelle piccole arteriole precapillari di entrambi i polmoni. Circa il 100% delle particelle rimane nei polmoni a meno che non sia presente uno shunt destro-sinistro a livello cardiaco o polmonare. La distribuzione regionale di tali particelle è relativamente omogenea nelle persone sane, ma dipende dalla posizione del paziente e dalla distribuzione del flusso ematico polmonare al momento dell'iniezione. La radioattività rilevabile è massima alla base e si riduce gradualmente fino all'apice, riflettendo gli effetti gravitazionali sulla perfusione quando il paziente è seduto. Deficit di perfusione,

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con radioattività ridotta o assente, possono verificarsi in caso di ostruzione vascolare, di spostamento di un polmone da versamento pleurico, di masse del torace e di ogni condizione che causa ipertensione polmonare arteriosa o venosa o perdita di parenchima polmonare come nell'enfisema polmonare. Deficit di perfusione basali, nei quali la radioattività non è concentrata alle basi polmonari, possono svilupparsi in assenza di EP; questi possono essere causati da qualunque processo che comporti un aumento della pressione venosa polmonare (p. es., uno scompenso cardiaco, una patologia mitralica o una patologia occlusiva venosa), che può ridistribuire il flusso ematico polmonare. Una scintigrafia normale esclude un'EP potenzialmente letale con un alto grado di accuratezza. Viceversa, difetti marginali di aspetto cuneiforme singoli o multipli, specialmente se a distribuzione segmentale o lobare, sono altamente suggestivi di un'ostruzione vascolare. Le patologie acute delle vie aeree, compresi l'asma o la COPD possono produrre un quadro di deficit perfusionali localizzati, ma questi deficit sono tipicamente accompagnati da un corrispondente difetto della ventilazione polmonare che non si riscontra abitualmente nella PE. Quando la diagnosi differenziale tra EP e COPD è difficile, può essere di aiuto la scintigrafia polmonare ventilatoria con xenon 133. Il gas radioattivo inalato si distribuisce con l'aria respirata. In caso di EP acuta con ampi difetti di perfusione, la scintigrafia mostra di solito una ventilazione relativamente normale delle aree coinvolte, con squilibri del rapporto /. Le aree interessate da un'affezione parenchimale (p. es., la polmonite lobare) di solito mostrano alterazioni sia della perfusione che della ventilazione (un difetto equilibrato) con una ventilazione ritardata e un intrappolamento del gas radioattivo. Difetti equilibrati di / possono verificarsi anche nell'edema polmonare. A volte, difetti equilibrati di / si manifestano anche nell'EP, specialmente se la scintigrafia viene eseguita > 24 h dopo l'evento. I risultati della scintigrafia sono comunemente espressi in termini di gradi crescenti di probabilità di EP e devono essere interpretati con prudenza. Se la scintigrafia polmonare è completamente normale, si può praticamente escludere la diagnosi di EP; se questa è classificata come altamente probabile, il valore predittivo positivo si avvicina al 90%. Tuttavia, sebbene praticamente tutti i pazienti con EP hanno delle scintigrafie anormali, < 50% rientra nella categoria di alta probabilità. La valutazione clinica aiuta a stabilire se è indicata l'arteriografia polmonare. L'arteriografia polmonare dimostra gli emboli ed è il test diagnostico definitivo. Deve essere eseguita se la diagnosi è dubbia e la necessità di una diagnosi certa è urgente. I due criteri diagnostici principali per l'EP sono i difetti di riempimento intra-arteriosi e la completa ostruzione (interruzione improvvisa) dei rami arteriosi polmonari. Altri reperti, frequenti ma meno diagnostici, sono rappresentati dall'ostruzione parziale di rami arteriosi polmonari, con aumento del calibro prossimale e riduzione del calibro distale al restringimento, dalle zone poco irrorate e dalla persistenza del mezzo di contrasto nella porzione prossimale dell'arteria durante la fase tardiva (venosa) dell'arteriogramma. Nei segmenti polmonari con ostruzione arteriosa, il riempimento venoso col mezzo di contrasto è ritardato o assente. Possono essere utili indagini diagnostiche ulteriori per stabilire la presenza o l'assenza della malattia trombotica venosa ileofemorale, in particolare quando i segni di embolizzazione ricorrente, nonostante la terapia anticoagulante o le controindicazioni alla terapia anticoagulante, fanno prendere in seria considerazione l'interruzione della vena cava inferiore (v. oltre). Per la trattazione dell'ecografia bidimensionale, della pletismografia e della venografia con contrasto, v. Diagnosi in Trombosi venosa nel Cap. 212.

Prognosi La mortalità dopo il primo evento tromboembolico varia in rapporto all'estensione

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dell'EP e alle condizioni cardiorespiratorie preesistenti del paziente. La probabilità che un paziente con una marcata compromissione della funzione cardiorespiratoria muoia dopo un'EP rilevante è alta (probabilità > 25%). Tuttavia, è improbabile che un paziente in normali condizioni cardiorespiratorie giunga a morte, a meno che l'occlusione non interessi più del 50% del letto vascolare polmonare. Quando l'evento embolico iniziale è fatale, la morte è spesso improvvisa e sopraggiunge entro 1 o 2 h. La probabilità di un'embolia recidivante in un paziente non trattato è di circa il 50% e quasi la metà di queste recidive sono fatali. La terapia anticoagulante riduce la frequenza delle recidive al 5% circa; solo il 20% circa di esse avrà esito fatale.

Profilassi In vista delle limitazioni del trattamento, la profilassi è molto importante. La scelta e l'intensità delle misure preventive sono determinate dai fattori clinici che favoriscono la stasi venosa e le tromboembolie (v. Tab. 72-1). La somministrazione di eparina a basse dosi (LDUH, LMWH) è efficace nel ridurre l'incidenza delle trombosi venose profonde (TVP) (del polpaccio) e dell'EP in pazienti che si sottopongono a interventi di chirurgia maggiore in elezione. A un livello ematico di circa 1/5 di quello richiesto per prevenire della estensione del trombo, l'eparina attiva l'antitrombina III in modo sufficiente a inibire il fattore Xa, necessario per la conversione della protrombina in trombina nelle prime fasi del processo coagulativo. Questa azione previene l'avvio della formazione del coagulo, ma è inefficace una volta che il fattore Xa sia stato attivato e sia già avviato il processo coagulativo. Sia l'LDUH che l'LMWH sono somministrate SC e il monitoraggio di laboratorio non è necessario. Sebbene gli studi randomizzati controllati con placebo non dimostrino un significativo aumento dei sanguinamenti importanti, l'incidenza degli ematomi delle ferite è aumentata con entrambi. Di solito si somministra LDUH preoperatoriamente (5000 U SC) 2 h prima e poi q 8-12 h per 7-10 gg o finché il paziente non sia normalmente deambulante. Tra i preparati di LMWH, la dalteparina (anti-fattore Xa IU) può essere somministrata alla dose di 2500 U una volta la giorno e l'enoxiparina è solitamente prescritta alla dose di 30 mg bid. Dosi individualizzate di warfarin sono efficaci nella prevenzione della TVP. Il warfarin può essere somministrato a una dose fissa di 2 mg/die o a una dose individualizzata per prolungare di poco il tempo di protrombina (INR tra 1,5 e 2,0). I dispositivi di IPC realizzano una compressione esterna solo alle gambe o alle gambe e alle cosce. La loro efficacia è approssimativamente equivalente a quella dell'LDUH nel ridurre l'incidenza di TVP in chirurgia generale ma è inadeguata nella chirurgia dell'anca o del ginocchio. Le calze elastiche graduate riducono l'incidenza della TVP, ma l'effetto protettivo sulla TVP prossimale e sull'EP è incerto. Comunque, l'associazione delle calze elastiche con le altre misure di prevenzione può offrire una migliore protezione contro le tromboembolie venose che ciascun presidio da solo. Particolari considerazioni riguardanti la profilassi assumono importanza in alcune condizioni con alta incidenza di tromboembolie venose, come la frattura dell'anca e la chirurgia ortopedica degli arti inferiori (v. Tab. 72-2). Sia l'LDUH che l'aspirina sono inadeguate per la chirurgia della frattura dell'anca o di sostituzione protesica dell'anca; sono raccomandate l'LMWH o dosi individualizzate di warfarin. Per la sostituzione protesica completa del ginocchio, la riduzione del rischio apportata dall'LMWH e dalla IPC sono confrontabili e l'associazione deve essere presa in considerazione per i pazienti con altri fattori di rischio. Gli schemi preventivi per la chirurgia ortopedica possono essere iniziati preoperatoriamente e devono essere continuati per almeno 7-10 giorni nel postoperatorio. In pazienti selezionati a rischio molto elevato sia per tromboembolia che per il file:///F|/sito/merck/sez06/0720642.html (6 of 10)02/09/2004 2.03.00

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sanguinamento, una misura preventiva alternativa è l'interruzione della vena cava inferiore con il posizionamento di un filtro. Un'alta incidenza di tromboembolie è anche associata con gli interventi neurochirurgici di elezione, con le lesioni acute del midollo spinale e con i traumi multipli. Anche se i metodi fisici (IPC, calze elastiche) sono stati usati nei pazienti neurochirurgici per il timore del sanguinamento intracranico, l'LMWH sembra essere un'alternativa valida. L'associazione della IPC con l'LMWH può essere più efficace di ciascun singolo presidio nei pazienti ad alto rischio. Sono limitati i dati che sostengono l'associazione della IPC, delle calze elastiche e dell'LMWH nelle lesioni del midollo spinale o nei traumi multipli. Per i pazienti ad altissimo rischio, può essere necessaria l'interruzione della vena cava inferiore. Le più comuni condizioni internistiche, nelle quali è indicata la profilassi, sono l'IMA e l'ictus ischemico. Per i pazienti affetti da IMA, l'LDUH è efficace e la IPC e/ o le calze elastiche possono essere utilizzate quando gli anticoagulanti sono controindicati. L'LDUH o l'LMWH possono essere utilizzate in pazienti con ictus; la IPC e/o le calze elastiche possono essere di beneficio. Altre indicazioni internistiche comprendono l'LDUH per i pazienti con scompenso cardiaco; dosaggi individualizzati di warfarin (INR 1,3-1,9) per le pazienti con metastasi da cancro della mammella e warfarin 1 mg/die per i pazienti neoplastici portatori di catetere venoso centrale.

Terapia Evento tromboembolico iniziale: la terapia è di supporto. Vanno somministrati analgesici se il dolore pleurico è notevole. Sebbene l'ansia costituisca spesso un aspetto preminente, la sedazione, specialmente con barbiturici, deve essere eseguita con cautela. La terapia con O2 è indicata quando è presente un'ipossiemia arteriosa rilevabile (PaO2 < 60-65 mm Hg), in particolare se la gittata cardiaca è ridotta. L'O2 va somministrato continuativamente, di solito attraverso maschera o cannule nasali, in concentrazione sufficiente a far salire la PaO2 e la SaO2 a livelli normali (da 85 a 95 mm Hg e dal 95 al 98% rispettivamente) o il più vicino possibile alla norma (PaO2 _ 60 mm Hg, SaO2 > 90%). Nei pazienti con segni clinici indicativi di ipertensione polmonare e di cuore polmonare acuto, specialmente in attesa delle procedure diagnostiche (p. es., la scintigrafia o l'arteriografia polmonare), una stimolazione b-adrenergica può aiutare a mantenere la perfusione tissutale, in virtù dell'effetto vasodilatatore polmonare e cardiotonico. L'isoproterenolo a 2-4 mg/l in soluzione glucosata al 5% può essere infuso a velocità sufficiente a mantenere la PA sistolica da 90 a 100 mm Hg sotto monitoraggio con ECG continuo. Anche la dopamina e la noradrenalina sono state usate con successo nel trattamento dell'ipotensione che complica l'EP; la norepinefrina va preferita quando la gittata cardiaca è molto bassa. Farmaci appropriati possono essere utili nel bloccare e prevenire tachiaritmie sopraventricolari (v. Tachicardie regolre QRS stretto nel Cap. 205). La digitale va evitata in fase di ipossiemia acuta, a meno che non sia assolutamente necessaria (p. es., per gravi aritmie o per scompenso cardiaco). In caso di somministrazione di digitale EV, di solito è consigliabile una dose iniziale modesta (da 0,25 a 0,5 mg di digossina). Nei casi nei quali si sospetta una compromissione emodinamica con cuore polmonare acuto, la risposta alla terapia può essere controllata con ripetute determinazioni dell'emogasanalisi arteriosa e dei parametri emodinamici. Un catetere con palloncino (Swan-Ganz) per la misurazione delle pressioni può essere utilizzato per determinare la pressione polmonare arteriosa e di incuneamento, la saturazione e/o il contenuto in O2 del sangue venoso misto e la gittata cardiaca con la tecnica della termodiluizione. Dopo EP massiva: il trattamento dopo EP massiva, specialmente se con ipotensione o dopo EP submassiva in pazienti con preesistente patologia file:///F|/sito/merck/sez06/0720642.html (7 of 10)02/09/2004 2.03.00

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cardiorespiratoria, può comprendere la terapia trombolitica o l'endoarteriectomia polmonare. La terapia trombolitica è attualmente un'alternativa all'embolectomia, in caso di EP massiva non complicata da ipotensione o quando si riesce a mantenere la PA sistolica intorno a 90-100 mm Hg con dosi moderate di farmaci vasopressori. La streptochinasi, l'urochinasi e l'attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) aumentano la conversione del plasminogeno a plasmina, l'enzima fibrinolitico attivo. Le controindicazioni alla terapia trombolitica sono rappresentate da: patologia intracranica, ictus nei due mesi precedenti, emorragia in atto di qualunque origine, diatesi emorragica preesistente (come in caso di disturbi della funzione epatica o renale), gravidanza, ipertensione grave o accelerata (pressione diastolica > 110 mm Hg) e intervento chirurgico nei 10 giorni precedenti, un importante limite della terapia trombolitica. Se il paziente è in trattamento con eparina, si deve far scendere il tempo di tromboplastina parziale a < 2 volte rispetto al controllo prima di iniziare la terapia fibrinolitica. Una premedicazione con idrocortisone succinato sodico alla dose di 100 mg EV ripetuta q 12 h minimizza le reazioni allergiche e pirogene alla streptochinasi. Dopo la determinazione basale dei livelli di fibrinogeno o del tempo di trombina, si somministrano 250000 U di streptochinasi EV in 30 min, seguite dalla infusione continua di 100000 U/h per 24 h. Dopo 3-4 h, i livelli di fibrinogeno devono essere nella norma e il tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT), il tempo di trombina o il tempo di lisi dell'euglobulina devono essere prolungati, dimostrando la fibrinolisi. Se non vi sono cambiamenti, il paziente è resistente alla streptochinasi e gli può essere somministrata una terapia trombolitica alternativa. Si somministra una dose di attacco di urochinasi EV a 4400 U/kg in un periodo di 10 min, seguita da 4400 U/kg/h per 12 h. La maggior parte dei dati più recenti riguarda il tPA. Il tPA può essere somministrato EV a 50 mg/h per 2 h. Se gli angiogrammi polmonari ripetuti non mostrano segni di lisi del coagulo e nessuna complicanza emorragica preclude l'ulteriore terapia, si possono somministrare altri 40 mg nel giro delle successive 4 h (10 mg/h). Dopo l'infusione di un farmaco trombolitico, si deve lasciare che il APTT scenda a 1,5-2,5 volte rispetto al valore basale prima di iniziare un'infusione prolungata di eparina, senza bolo d'attacco. Tutti i pazienti sottoposti a terapia trombolitica presentano un aumentato rischio di sanguinamento, specialmente dalle recenti ferite operatorie, dai siti delle punture, dai siti delle procedure invasive e dal tratto GI. Pertanto le procedure invasive devono essere evitate. Per bloccare il sanguinamento si rendono di solito necessari bendaggi sotto pressione; i sanguinamenti gravi o catastrofici richiedono l'interruzione della terapia trombolitica e la somministrazione di plasma crioprecipitato o fresco congelato. Inoltre, l'acido aminocaproico 5 g EV e successivamente 1 g/h per 6-8 h o fino a che il sanguinamento non cessi, può indurre la regressione dello stato fibrinolitico. L'embolectomia polmonare deve essere presa in considerazione quando la PA sistolica è _ 90 mm Hg, la diuresi è _ 20 ml/h e la PaO2 è _ 60 mm Hg fino a 1 h dopo l'EP massiva. Prima della embolectomia è fortemente consigliata la conferma angiografica dell'EP; l'interruzione della vena cava inferiore e la terapia eparinica EV generalmente seguono l'embolectomia. Nel caso di un arresto cardiaco dopo EP massiva, le consuete misure di rianimazione risultano inefficaci perché il flusso sanguigno attraverso i polmoni è ostruito. In tali circostanze, un bypass parziale d'emergenza (venoarterioso femorale), in attesa dell'embolectomia polmonare, può salvare la vita. L'interruzione parziale della vena cava inferiore con un filtro va presa in considerazione in particolari situazioni: quando gli anticoagulanti sono controindicati, quando le embolie recidivano nonostante un'adeguata terapia anticoagulante, per le tromboflebiti settiche della pelvi con emboli solo se gli antibiotici e l'eparina non hanno successo e quando si esegue l'embolectomia polmonare. Il filtro viene posizionato attraverso la cateterizzazione della giugulare interna o attraverso le vene femorali. La posizione migliore per il filtro è appena al di sotto dell'immissione delle vene renali. I pazienti che siano stati sottoposti a posizionamento di un filtro cavale possono richiedere un trattamento anticoagulante almeno per i 6 mesi seguenti al fine di trattare la TVP sottostante.

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Prevenzione dell'ulteriore formazione ed embolizzazione dei trombi: dopo il trattamento iniziale, la prevenzione diventa il punto focale del trattamento. Può essere somministrata eparina EV q 4-6 h o per infusione continua EV con pompa. Tuttavia, un disordine della coagulazione o un punto di sanguinamento attivo sono delle controindicazioni assolute alla terapia eparinica; l'embolizzazione settica è anch'essa solitamente una controindicazione. Le complicanze emorragiche si riducono con l'infusione continua, che evita i picchi e le cadute dei livelli ematici che si verificano con l'iniezione intermittente. Dopo una dose di eparina di attacco EV rapida di 100 U/kg, l'eparina è somministrata a un dosaggio tale da mantenere il APTT di 1,5-2 volte il valore di controllo. Raggiungere un APTT terapeutico nelle prime 24 h è critico, perché il non riuscirvi si associa con un'alta frequenza di tromboembolie ricorrenti. Il APTT può essere controllato q 4 h dopo che il trattamento è cominciato e dosi aggiuntive in bolo possono essere usate per raggiungere un adeguato APTT, seguite dall'aggiustamento della frequenza di infusione (v. Tab. 72-3). La dose di mantenimento per infusione continua è di solito di 10-50 U/kg/h. Una volta stabilito il livello terapeutico, il APTT deve essere controllato solo 1 o 2 volte/die. Il warfarin sodico per via orale può essere iniziato dal primo giorno della terapia con eparina. Il warfarin e l'eparina vanno dati in associazione per 5-7 gg, permettendo al warfarin di diventare efficace, finché l'INR non sia nel range terapeutico per due giorni consecutivi. Il primo giorno si possono somministrare 10 mg di warfarin sodico, modificando il dosaggio quotidiano in seguito per mantenere l'INR tra 2,0 e 3,0. Gli anziani tendono a essere particolarmente sensibili al warfarin. La durata della terapia anticoagulante si stabilisce individualmente. In quelli con una causa definita e reversibile (p. es., il decorso postoperatorio), gli anticoagulanti possono essere interrotti dopo 2-3 mesi. Altrimenti, possono essere continuati empiricamente per 3-6 mesi. I pazienti con una malattia cronica associata a un'alta incidenza di tromboembolie possono richiedere una terapia anticoagulante a lungo termine o per tutta la vita. Complicanze della terapia anticoagulante: I pazienti trattati con anticoagulanti sono inclini ai sanguinamenti, alcuni dei quali possono essere gravi. Si raccomandano una conta periodica delle piastrine (nei pazienti sotto eparina, v. Trombocitopenia indotta dall'eparina nel Cap. 133), insieme con l'ematocrito e con i test per il sangue occulto nelle feci. Ai pazienti in terapia anticoagulante non si deve somministrare nessun farmaco contenente aspirina o altri FANS, potendo esso deprimere ulteriormente i meccanismi emostatici. Molti altri farmaci, con vari meccanismi, possono causare delle interazioni farmacologiche clinicamente significative con gli anticoagulanti orali, aumentando o diminuendo il loro effetto. Per esempio, i farmaci che riducono la sintesi intestinale di vitamina K o che interferiscono con altri componenti dell'emostasi normale, quelli che interferiscono con l'assorbimento o con il legame proteico e quelli che aumentano o riducono il metabolismo epatico, possono modificare la farmacocinetica e la farmacodinamica del warfarin. La direzione e l'entità degli effetti di queste interazioni non sono completamente prevedibili, ma sono indicate la vigilanza e la determinazione più frequente del tempo di protrombina quando qualsiasi farmaco viene aggiunto o cancellato dallo schema terapeutico di un paziente stabilizzato in terapia con anticoagulanti orali. Inoltre, i pazienti devono essere messi in guardia dal non prendere farmaci da banco o farmaci prescritti da altri medici senza informare preventivamente il loro medico generico. Le altre complicanze della terapia anticoagulante comprendono sanguinamenti di minor entità (ecchimosi al sito dell'iniezione, ematuria microscopica, sanguinamenti delle gengive) che di solito possono essere controllati sospendendo la somministrazione successiva prevista di eparina e riducendo le dosi successive. Se si verificano sanguinamenti di maggior entità, per neutralizzare l'effetto anticoagulante dell'eparina va usata la protamina solfato, una proteina che si lega all'eparina formando un complesso inattivo. Una soluzione di cinquanta milligrammi (5 ml) diluita in 20 ml di soluzione di cloruro di sodio allo 0,9% e iniettata EV in 10 min (Precauzioni: l'iniezione rapida può causare ipotensione, dispnea e bradicardia) neutralizza circa 5000 U di eparina e di solito è sufficiente a fronteggiare il sovradosaggio eparinico. Dare > 100 mg di file:///F|/sito/merck/sez06/0720642.html (9 of 10)02/09/2004 2.03.00

Embolia polmonare

protamina in un tempo breve non è consigliabile a causa dei suoi effetti anticoagulanti. L'effetto terapeutico della protamina può essere determinato dal APTT. Per grosse perdite ematiche le emotrasfusioni si possono rendere necessarie ma esse non riducono l'effetto anticoagulante del sovradosaggio eparinico. La terapia con eparina a lungo termine porta a osteoporosi e a ipoaldosteronismo, che causa ritenzione di potassio. Effetti collaterali non frequenti comprendono la trombocitopenia, occasionalmente con grave shock tromboembolico (v. Trombocitopenia indotta dall'eparina nel Cap. 133); l'orticaria e lo shock anafilattico. Come con l'eparina, la maggiore complicanza della terapia con il warfarin è il sanguinamento. I sanguinamenti minori solitamente si controllano sospendendo il farmaco o modificandone il dosaggio. Per le emorragie più gravi, possono essere somministrati 5-25 mg (raramente, fino a 50 mg) di vitamina K per via parenterale. Nelle emergenze con grave emorragia, i fattori della coagulazione possono essere normalizzati infondendo 200-500 ml di sangue intero fresco o di plasma fresco congelato o somministrando il complesso del fattore IX per via parenterale. I preparati a base del fattore IX purificato non devono essere usati perché non aumentano i livelli di protrombina, del fattore VII o del fattore X.

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Malattie dell'apparato respiratorio

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

63. Approccio al paziente con patologia respiratoria Tosse Dispnea Dolore toracico Respiro sibilante Stridore Emottisi Cianosi Ippocratismo digitale 64. Prove di funzionalità respiratoria 65. Indagini speciali Diagnostica per immagini del torace Toracentesi Agobiopsia pleurica percutanea Toracoscopia Toracostomia con tubo di drenaggio Broncoscopia Agoaspirato toracico percutaneo Mediastinoscopia Mediastinotomia Toracotomia Aspirazione tracheale Ripristino e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie Drenaggio posturale Riabilitazione polmonare file:///F|/sito/merck/sez06/index.html (1 of 4)02/09/2004 2.03.01

Malattie dell'apparato respiratorio

Respirazione a labbra socchiuse 66. Insufficienza respiratoria 67. Sindrome da distress respiratorio dell’adulto 68. Malattie ostruttive croniche delle vie aeree Asma Broncopneumopatia cronica ostruttiva Bolle giganti 69. Bronchite acuta 70. Bronchiettasie 71. Atelettasia 72. Embolia polmonare 73. Polmonite Polmonite pneumococcica Polmonite stafilococcica Polmonite streptococcica Polmoniti causate da bacilli gram – Polmonite causata da Haemophilus influenzae Polmonite della malattia dei legionari Polmonite da micoplasma Polmonite da clamidia Psittacosi Polmonite virale Polmonite da Pneumocystis carinii Polmoniti micotiche Polmonite nel paziente defedato Polmonite postoperatoria e post-traumatica Polmonite da inalazione 74. Ascesso polmonare 75. Malattie respiratorie occupazionali

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Malattie dell'apparato respiratorio

Malattie da polveri inorganiche Silicosi Pneumoconiosi dei lavoratori del carbone Asbestosi e malattie correlate Berilliosi Malattie da polveri organiche Asma occupazionale Bissinosi Malattie da gas irritanti e altre sostanze chimiche Sindrome dell’edificio malato 76. Malattie polmonari da ipersensibilità Polmonite da ipersensibilità Polmoniti eosinofile Aspergillosi broncopolmonare allergica 77. Sindrome di Goodpasture 78. Malattie interstiziali idiopatiche del polmone Fibrosi polmonare idiopatica Polmonite interstiziale desquamativa Polmonite interstiziale acuta Bronchiolite respiratoria associata a pneumopatia interstiziale Bronchiolite obliterante con polmonite produttiva idiopatica Polmonite interstiziale linfocitica Granulomatosi da cellule di Langerhans Granuloma eosinofilo Emosiderosi polmonare idiopatica 79. Proteinosi alveolare polmonare 80. Malattie della pleura Pleurite Versamento pleurico

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Malattie dell'apparato respiratorio

Fibrosi e calcificazioni della pleura Pneumotorace 81. Tumori del polmone Carcinoma broncogeno

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 63. APPROCCIO AL PAZIENTE CON PATOLOGIA RESPIRATORIA La diagnosi e il trattamento delle malattie respiratorie richiedono l'anamnesi, l'esame obiettivo e, di solito, la radiografia del torace. Possono essere necessarie le prove di funzionalità respiratoria, l'emogasanalisi arteriosa, gli esami chimici e microbiologici o speciali procedure diagnostiche (p. es., l'endoscopia, il lavaggio broncoalveolare, la biopsia o la scintigrafia); tali indagini e procedure particolari vengono trattate altrove nel Manuale. La raccolta dell'anamnesi fornisce informazioni essenziali e avvia alla comprensione del paziente come persona, del suo ambiente, delle sue aspettative e delle sue paure; rappresenta la via migliore per creare un rapporto di fiducia e collaborazione. Le informazioni da richiedere comprendono quelle relative alle esposizioni professionali o di altra natura; l'anamnesi familiare, i viaggi e i contatti; il resoconto sulle pregresse malattie e sull'assunzione di farmaci; i risultati di indagini (p. es., i test cutanei alla tubercolina o la rx torace). Le cose più importanti, tuttavia, sono le seguenti: una chiara definizione della patologia in atto; la presenza di sintomi sistemici (p. es., astenia, calo ponderale o febbre) e i principali sintomi respiratori quali tosse, espettorato, dispnea, dolore toracico, sibili ed emottisi. Un genitore o un tutore può rispondere al posto di un lattante o di un bambino; se una persona anziana soffre di demenza senile, si devono raccogliere ulteriori informazioni da parenti o da amici. L'esame obiettivo segue per importanza l'anamnesi. Alcune informazioni (le condizioni generali, il comportamento, il disagio, l'ansia, la dispnea da sforzo) vengono percepite in modo quasi subcosciente nel momento in cui il paziente cammina dalla sala d'attesa all'ambulatorio, mentre altri aspetti obiettivi generali e respiratori devono essere indagati attivamente. Durante l'esame obiettivo toracico deve essere rispettata la sequenza di ispezione, palpazione, percussione e auscultazione. In alcuni pazienti, l'esame del torace può non dare informazioni, anche in presenza di una grave patologia; in altri casi, esso fornisce informazioni molto importanti (p. es., incoordinazione di gruppi di muscoli respiratori, sfregamenti pleurici o sibili monofonici localizzati.)

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 63. APPROCCIO AL PAZIENTE CON PATOLOGIA RESPIRATORIA TOSSE Improvvisa manovra espiratoria esplosiva finalizzata a liberare le vie aeree da materiale (espettorato).

Sommario: Introduzione Terapia

La tosse protegge i polmoni dall'aspirazione. Le differenze tra i vari siti, da cui possono prendere origine gli stimoli della tosse, possono riflettersi in variazioni della sonorità e del tipo di tosse. La stimolazione del laringe produce un tipo di tosse soffocante non preceduta da inspirazione. Il paziente con inadeguati meccanismi di clearance mucociliare (come nelle bronchiettasie o nella fibrosi cistica) può manifestare un tipo di tosse con accelerazione d'aria meno violenta e con una serie di espirazioni interrotte, non intervallate da atti inspiratori. La consapevolezza della tosse varia notevolmente. Una tosse può essere mal sopportata quando compare bruscamente, specialmente se accompagnata da dolore toracico, da dispnea o da abbondanti secrezioni. Una tosse che si sviluppa nel giro di decenni (p. es., in un fumatore con bronchite cronica di lieve entità) può essere difficilmente notata o può essere considerata normale dal paziente. L'anamnesi dovrebbe determinare da quanto tempo la tosse è presente, se è comparsa all'improvviso, se il paziente ha notato una modificazione del suo carattere, quali fattori la modificano (p. es., l'aria fredda, la postura, parlare, mangiare o bere, le diverse ore della giornata) e se si associa a produzione di escreato, a dolore toracico, retrosternale o alla gola, a dispnea, a raucedine, a vertigini o ad altri sintomi. Va chiesto al paziente quale sia a suo parere la causa della tosse; egli può dire "qualcosa nei miei polmoni che deve essere espettorato", oppure "qualcosa che mi solletica dietro la gola". Il tipo di tosse o i fattori precipitanti possono guidare verso le cause della tosse; p. es., il paziente può aver notato un'associazione con il lavoro o lo sforzo fisico. Una tosse indotta da modificazioni della postura può suggerire un ascesso polmonare cronico, una TBC cavitaria, delle bronchiettasie o un tumore peduncolato, mentre una tosse associata all'ingestione di cibo suggerisce un disturbo del meccanismo della deglutizione o, eventualmente, una fistola tracheo-esofagea. Una tosse che compare in occasione di esposizione ad aria fredda o sotto sforzo è suggestiva di asma. Una tosse mattutina, che persiste fino all'espettorazione, caratterizza la bronchite cronica. Una tosse associata a rinite, a respiro sibilante o con ricorrenza stagionale può essere di natura allergica. Durante la raccolta dell'anamnesi, il medico accorto nota la tosse spontanea, perché la sua sonorità può fornire utili informazioni (p. es., un rumore udibile di secrezioni; la tosse irritante, secca e abbaiante associata a tracheite acuta; o la tosse a bassa tonalità, soffiante, "bovina" senza un inizio esplosivo che si ascolta nel paziente con paralisi di un nervo ricorrente). Se il paziente non tossisce spontaneamente, gli si deve domandare di farlo dopo l'esame obiettivo del torace. È raccomandabile aspettare il completamento dell'esame obiettivo, dal momento che i rumori o i crepitii delle secrezioni a livello delle basi possono essere eliminati dai colpi di tosse prima di essere rilevati. È utile effettuare

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

l'auscultazione dei polmoni invitando il paziente a tenere la bocca aperta, sia prima che dopo la tosse, poiché gli spostamenti delle secrezioni possono modificare drasticamente i rilievi obiettivi. D'altra parte, dopo i colpi di tosse possono comparire dei crepitii, in particolare nelle lesioni tubercolari dei lobi superiori. La principale funzione del riflesso della tosse è quella di aiutare a liberare le vie aeree dalle secrezioni e, in particolare, di aiutare a espellerle attraverso il laringe. La produzione di escreato deve essere indagata durante la raccolta dell'anamnesi; le domande sulla tosse e sull'escreato sono di solito associate, ma, occasionalmente, una persona che afferma di non tossire, può ammettere di produrre escreato. Le domande possono determinare l'aspetto dell'escreato e quanto facilmente venga espettorato. Le modificazioni dell'aspetto (p. es., da muco perfettamente bianco a materiale purulento giallastro, verde o marrone) rappresentano importanti segni di infezione. Le striature di sangue o un'emottisi franca sono segni importanti e di solito vengono notati dal paziente. Materiale sabbioso nell'escreato, caratteristico della broncolitiasi, può essere notato meno facilmente e il paziente può negarne la presenza la prima volta che gli venga richiesto, ma può notarlo e riferirlo successivamente. Se possibile, il paziente deve espettorare un campione di escreato durante la visita. È necessario osservare l'aspetto macroscopico dell'espettorato. L'esame al microscopio di una piccola goccia prelevata dalla porzione più densa dell'escreato raccolto di fresco (posto su vetrino porta-oggetti senza essere colorato, coperto con vetrino coprioggetti ed esaminato a basso ingrandimento) può fornire utili informazioni. La presenza di cellule epidermoidali suggerisce che il materiale proviene da sopra il laringe; l'espettorato vero proveniente dalle vie aeree è caratterizzato dalla presenza di macrofagi alveolari. La colorazione di Wright mostra la percentuale di eosinofili; l'eosinofilia è suggestiva di allergia. I neutrofili predominano più spesso nell'escreato purulento, indicando un processo infiammatorio, di solito infettivo. La colorazione di Gram documenta la presenza di batteri e rappresenta il primo passo verso la loro caratterizzazione.

Terapia Il trattamento della tosse consiste essenzialmente nel trattare le cause che la provocano. Quando la tosse è produttiva non deve essere soppressa, a eccezione di alcune circostanze speciali (p. es., quando la tosse debilita fortemente il paziente o ne impedisce il riposo e il sonno), e in generale fin quando non ne sia stata individuata la causa. Sopprimere una tosse produttiva è meno consigliabile perché le secrezioni bronchiali devono essere espettorate. Le medicine per la tosse sono raggruppate nelle categorie degli antitussigeni ed espettoranti. A volte vengono utilizzati dei mucolitici, degli enzimi proteolitici, degli antiistaminici e dei broncodilatatori. Antitussigeni: questi farmaci possono agire a livello centrale o periferico. I farmaci antitussigeni ad azione centrale inibiscono o sopprimono il riflesso tussigeno deprimendo il centro bulbare della tosse o centri superiori a esso correlati. I farmaci di questo gruppo più comunemente usati sono il destrometorfano e la codeina. Il destrometorfano, un farmaco del gruppo dell'analgesico narcotico levorfanolo, non ha significative proprietà analgesiche e sedative, non deprime l'attività respiratoria al dosaggio usuale e non dà dipendenza. Non è stata documentata assuefazione nell'uso a lungo termine. Le dosi medie sono per l'adulto 15-30 mg 1-4 volte/die, in compresse o sciroppo; per i bambini, 1 mg/kg/ die, in dosi frazionate. Dosaggi molto alti possono causare depressione respiratoria. La codeina, dotata di un effetto antitussigeno, analgesico e leggermente sedativo, è particolarmente utile nel trattamento della tosse dolorosa. Possiede anche un'azione disidratante sulla mucosa delle vie respiratorie; ciò può essere utile (p. es., nella broncorrea) o dannoso (p. es., quando le secrezioni bronchiali sono già vischiose). La dose media richiesta per l'adulto è 10-20 mg PO q 4-6 h a

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

seconda dei casi; ma possono essere necessarie dosi fino a 60 mg. La dose orale complessiva giornaliera che normalmente viene impiegata nei bambini è 11,5 mg/kg/die in dosi frazionate q 4-6 h. A queste dosi, la codeina ha minimi effetti deprimenti sul centro del respiro. Possono verificarsi nausea, vomito, stipsi, tolleranza agli effetti antitussigeni e analgesici e dipendenza fisica, ma il rischio di assuefazione è basso. Altri farmaci antitussigeni ad azione centrale sono, tra i farmaci non stupefacenti, il clofedianolo, il levopropossifene e la noscapina, mentre tra gli stupefacenti vi sono l'idrocodone, l'idromorfone, il metadone e la morfina. I farmaci antitussigeni ad azione periferica possono agire sia sulla via afferente che su quella efferente del riflesso della tosse. Sulla via afferente, l'antitussigeno può ridurre lo stimolo alla tosse agendo come blando analgesico o anestetico sulla mucosa delle vie aeree, modificando la viscosità delle secrezioni o rilasciando la muscolatura liscia dei bronchi in presenza di broncospasmo. Sulla via efferente, un antitussigeno può rendere le secrezioni più facilmente espettorabili e migliora quindi l'efficacia del meccanismo della tosse. I farmaci ad azione periferica sono classificati in demulcenti, anestetici locali, aerosol fluidificanti e inalazioni di vapori. I demulcenti sono utili nel trattamento della tosse che si genera dalle prime vie aeree, al di sopra del laringe. Essi formano uno strato protettivo che riveste la mucosa faringea irritata. Vengono di solito somministrati in sciroppi o pastiglie e comprendono l'acacia, la liquirizia, la glicerina, il miele e gli sciroppi di ciliege selvatiche. Gli anestetici locali (p. es., la lidocaina, la benzocaina, la exilcaina cloruro e la tetracaina), vengono usati per inibire il riflesso della tosse in particolari circostanze (p. es., prima della broncoscopia o della broncografia). Il benzonatato (100 mg PO tid), farmaco simile alla tetracaina, è un anestetico locale; il suo effetto antitussigeno può essere dovuto alla combinazione dell'anestesia locale, alla depressione dei recettori di stiramento polmonari e a una depressione centrale aspecifica. Gli aerosol fluidificanti e le inalazioni di vapore esercitano un effetto antitussigeno agendo come demulcenti e riducendo la viscosità delle secrezioni bronchiali. L'inalazione di acqua in forma di aerosol o di vapore, con l'aggiunta o meno di medicamenti (cloruro di sodio, tintura di composti del benzoino, eucaliptolo), è il sistema più diffuso di umidificazione. L'efficacia dei medicamenti aggiunti non è stata ancora chiaramente provata. Espettoranti: questi farmaci si usano per aiutare a espellere le secrezioni bronchiali dalle vie aeree riducendone la viscosità e facilitandone così la rimozione; aumentano la quantità di fluido nelle vie aeree, esercitando un'azione demulcente sul rivestimento mucoso. La maggior parte degli espettoranti aumenta le secrezioni bronchiali tramite un'irritazione riflessa della mucosa bronchiale. Alcuni, come gli ioduri, agiscono anche direttamente sulle cellule secretorie dei bronchi e vengono secreti nell'albero bronchiale. L'uso degli espettoranti è molto controverso. Nessun dato sperimentale obiettivo dimostra che gli espettoranti, attualmente disponibili, riducono la viscosità delle secrezioni e migliorano l'espettorazione. La mancanza di dati sperimentali può essere messa in relazione con l'inadeguatezza dei mezzi diagnostici in grado di dimostrarne la reale efficacia. Pertanto, l'uso e la scelta degli espettoranti si basa spesso sulla tradizione e sull'impressione diffusa che questi farmaci siano efficaci in alcune situazioni cliniche. Una corretta idratazione è l'accorgimento singolo più importante che può essere adottato per favorire l'espettorazione. Se ciò non è sufficiente, con l'aggiunta di un farmaco espettorante si può raggiungere l'effetto desiderato. Gli ioduri sono usati come fluidificanti per le secrezioni bronchiali vischiose (p. es., nella bronchite in stadio avanzato, nelle bronchiettasie e nell'asma). Una soluzione satura di ioduro di potassio è il preparato meno costoso e più comunemente adoperato. La dose iniziale è 0,5 ml PO qid, in un bicchiere di file:///F|/sito/merck/sez06/0630555b.html (3 of 5)02/09/2004 2.03.03

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acqua, di succo di frutta o di latte, dopo i pasti e prima di coricarsi; la dose viene aumentata gradatamente a 1-4 ml qid. Per essere efficace, la dose di ioduro da usare è vicina alla soglia di intolleranza. L'utilità di queste sostanze è limitata dalla scarsa disponibilità del paziente ad assumerle perché hanno un sapore sgradevole e sono frequenti le reazioni collaterali (p. es., eruzioni cutanee acneiformi, corizza, eritema del volto e del torace, edema doloroso delle ghiandole salivari). Tutte le reazioni collaterali sono reversibili e regrediscono con la sospensione del farmaco. La glicerina iodata ha una migliore tollerabilità, ma è probabilmente meno efficace. La dose orale consigliata è 60 mg in compresse o sotto forma di elisir qid; non deve essere somministrata ai pazienti con intolleranza allo iodio. L'uso prolungato di ioduri o di glicerina iodata può causare ipotiroidismo. Lo sciroppo di ipecacuana 0,5 ml PO qid (Nota: questa dose è molto inferiore a quella usata per stimolare il vomito) può essere utilizzato nei pazienti con intolleranza allo iodio. Esso riduce lo spasmo laringeo nei bambini affetti da crup e facilita la rimozione di muco denso e vischioso dai bronchi. La guaifenesina (100-200 mg PO q 2-4 h) è l'espettorante più comunemente presente nei prodotti da banco per la tosse. Non dà reazioni collaterali importanti, anche se non esistono chiare prove della sua efficacia. Molti altri espettoranti tradizionali (p. es., cloruro di ammonio, terpina idrato, creosoto e squilla) si ritrovano in numerosi prodotti antitussigeni da banco. La loro efficacia è dubbia, in particolare ai dosaggi della maggior parte delle preparazioni. Farmaci di uso meno frequente: gli agenti mucolitici (p. es., l'acetilcisteina) possiedono gruppi sulfidrilici liberi che rompono i legami disolfuro delle mucoproteine, riducendo così la viscosità del muco. In genere, l'utilità dei farmaci è limitata a poche situazioni cliniche, come la fluidificazione delle secrezioni mucopurulente dense e vischiose (p. es., nella bronchite cronica e nella fibrosi cistica). L'acetilcisteina viene somministrata come soluzione al 10-20% per nebulizzazione o per instillazione. In alcuni pazienti, i mucolitici possono aggravare l'ostruzione delle vie aeree provocando broncospasmo. Se ciò avviene, questi pazienti possono inalare prima del mucolitico un broncodilatatore simpaticomimetico o assumere un preparato contenente acetilcisteina al 10% e isoproterenolo allo 0,05%, prima di prendere il mucolitico. Gli enzimi proteolitici (p. es., la dornasi pancreatica), sono utili soltanto quando l'espettorato francamente purulento è un problema importante. Non sembrano offrire alcun vantaggio rispetto ai mucolitici. L'irritazione locale della mucosa buccale e faringea e le reazioni allergiche si sviluppano comunemente dopo ripetute dosi. L'alfa- dornasi, il nuovo ricombinante umano altamente purificato della deossiribonucleasi I (rhDNasi), diverrà probabilmente importante nel trattamento della fibrosi cistica, sebbene il suo ruolo non sia ancora ben definito. Gli antistaminici trovano indicazioni scarse o nulle nella terapia della tosse. La loro azione disidratante sulla mucosa delle vie respiratorie può essere utile nella fase congestizia precoce della corizza acuta, mentre può essere dannosa nei pazienti con tosse non produttiva per ristagno di secrezioni vischiose nelle vie aeree. Essi possono anche essere efficaci nella tosse cronica dovuta a scolo retronasale associato alle sinusiti allergiche. I broncodilatatori come l'efedrina e la teofillina possono essere utili se la tosse è complicata da broncospasmo. L'atropina è un farmaco da evitare perché aumenta la densità delle secrezioni bronchiali. Il farmaco anticolinergico ipratropio bromuro spesso può migliorare una tosse di tipo irritativo e non interferisce con le secrezioni mucose. I corticosteroidi inalatori rappresentano il cardine del trattamento della tosse nell'asma. Associazioni farmacologiche: molte preparazioni antitosse, sia prescrivibili che da banco, sono costituite da due o più farmaci, di solito sotto forma di sciroppo. Queste possono contenere un sedativo della tosse ad azione centrale, un antistaminico, un espettorante e un decongestionante. Sono spesso presenti anche broncodilatatori e antipiretici. Tali associazioni hanno lo scopo di alleviare file:///F|/sito/merck/sez06/0630555b.html (4 of 5)02/09/2004 2.03.03

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molti dei sintomi di un'infezione acuta delle prime vie respiratorie e non devono essere utilizzati solamente per gestire la tosse. Alcune associazioni di farmaci antitussigeni sono indicate per la tosse (p. es., l'associazione di un farmaco antitussigeno ad azione centrale, come il destrometorfano, con uno sciroppo demulcente ad azione periferica per la tosse che ha origine al di sopra del laringe). Tuttavia, gli ingredienti di alcune associazioni hanno effetti opposti sulle secrezioni delle vie respiratorie (p. es., gli espettoranti e gli antistaminici), mentre molti altri preparati contengono sostanze potenzialmente utili ma a dosaggi subottimali o inefficaci. Scelta della terapia farmacologica: di norma, quando la tosse è di per sé un problema importante, è preferibile agire su una specifica componente del riflesso della tosse con un solo farmaco a dosi piene. Per sedare semplicemente una tosse non produttiva, il destrometorfano è il farmaco preferito, anche se la codeina può essere utile. I più potenti antitussigeni stupefacenti devono essere impiegati quando è necessaria un'azione analgesica e sedativa e quando la causa sembra essere temporanea. Per aumentare la secrezione bronchiale e fluidificare il muco è consigliabile un'idratazione adeguata (bevendo acqua o inalando vapori); se ciò non è sufficiente, si può aggiungere una soluzione satura di ioduro di potassio PO o uno sciroppo di ipecacuana. Per calmare la tosse che origina dal faringe, si usa uno sciroppo emolliente o pastiglie, associandoli se necessario al destrometorfano. Per la tosse complicata da broncocostrizione, è consigliabile un broncodilatatore, eventualmente associato a un espettorante. I corticosteroidi inalatori possono essere efficaci in alcuni

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 63. APPROCCIO AL PAZIENTE CON PATOLOGIA RESPIRATORIA DISPNEA Spiacevole sensazione di difficoltà nella respirazione.

Sommario: Introduzione Varianti cliniche

La dispnea è un sintomo, non un segno, ed è una delle molteplici sensazioni che possono essere descritte da un paziente. Una persona sana nota l'incremento della ventilazione richiesto durante un esercizio fisico, ma non lo interpreta come particolarmente spiacevole, a meno che non raggiunga livelli estremi. La consapevolezza spiacevole o preoccupante che un esercizio fisico di lieve entità porta a un incremento della ventilazione sproporzionatamente intenso rappresenta un tipo comune di dispnea, abitualmente descritto come affanno o respiro corto da sforzo. Un soggetto sano a grande altitudine nota un simile incremento della ventilazione da sforzo sproporzionatamente ampio e lo trova limitante, ma di solito non altrimenti spiacevole. Altre sensazioni sono rappresentate dalla consapevolezza di un aumentato sforzo muscolare richiesto per espandere il torace durante l'inspirazione o per espellere l'aria dai polmoni; da sensazioni di affaticamento dei muscoli respiratori; dal notare la fuoriuscita ritardata dell'aria dai polmoni durante l'espirazione; dalla spiacevole sensazione di un bisogno urgente di inspirare prima che l'espirazione sia completata e da varie sensazioni il più delle volte descritte come una costrizione toracica. Quest'ultima può probabilmente riferirsi alla sensazione di collasso o di iperdistensione di unità polmonari, di ostruzione delle vie aeree, di distorsione o dislocamento dei polmoni, del mediastino, del diaframma o della parete toracica. Gli impulsi afferenti al cervello che generano la sensazione di dispnea originano da svariati siti, tra i quali i polmoni, le articolazioni della gabbia toracica e i muscoli respiratori, compreso il diaframma. I chemocettori centrali e periferici inviano parte degli impulsi sensoriali che sembrano essere coinvolti nella dispnea, sia direttamente che indirettamente; anche altri stimoli viscerali, nervosi ed emotivi possono entrare in gioco.

Varianti cliniche Cause fisiologiche: il tipo più comune di dispnea si verifica durante lo sforzo fisico; la ventilazione viene incrementata e mantenuta attraverso un aumento dello stimolo respiratorio, generato da fattori metabolici e da altri fattori non definiti. La dispnea è comune anche durante l'ipossia acuta, come avviene in alta quota dove l'aumentato stimolo respiratorio è, in parte, dovuto all'effetto dell'ipossiemia arteriosa sui seni carotidei. Si induce la dispnea anche respirando alte concentrazioni di CO2 in ambienti chiusi o respirando in un sistema chiuso privo di dispositivi che assorbono la CO2. La dispnea provocata dall'aumento della CO2 è simile a quella dello sforzo fisico e consiste essenzialmente file:///F|/sito/merck/sez06/0630559.html (1 of 3)02/09/2004 2.03.04

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nell'avvertire l'incremento della ventilazione. Comunque, l'aumento della CO2 nel gas inspirato produce sensazioni diverse da quelle causate dalla riduzione dell'O2. Per la maggior parte delle persone, l'ipossiemia rappresenta uno stimolo per l'incremento della ventilazione notevolmente più debole rispetto all'ipercapnia; l'ipossiemia può però produrre altri effetti, quali stato confusionale, una vaga sensazione spiacevole o anche la perdita di coscienza. Una persona che entra in uno spazio chiuso privo di O2 (p. es., contenente N al 100%), può perdere la coscienza in circa 30 s, prima che la dispnea l'avverta del pericolo. I nuotatori subacquei che iperventilano prima di tuffarsi per espellere CO2 il più possibile, ritardando così il bisogno di riemergere, a volte perdono coscienza e annegano a causa dell'ipossiemia (v. Cap. 285). La dispnea può essere minima in caso di avvelenamento da monossido di carbonio. Cause polmonari: le due principali cause di dispnea polmonare sono rappresentate da un'alterazione restrittiva con bassa compliance dei polmoni o della cassa toracica e da un'alterazione ostruttiva con aumentata resistenza al flusso aereo. I pazienti con dispnea restrittiva (p. es., per fibrosi polmonare o deformità toraciche) di solito non avvertono disagio nella respirazione a riposo, ma sono intensamente dispnoici quando per l'attività fisica la ventilazione polmonare si avvicina alla massima capacità respiratoria, notevolmente limitata. Nella dispnea ostruttiva (p. es., nell'enfisema ostruttivo o nell'asma), l'aumentato sforzo respiratorio comporta dispnea anche a riposo e la respirazione è faticosa e prolungata, specialmente durante l'espirazione; questo tipo di dispnea peggiora sempre durante lo sforzo e l'esercizio. I dati obiettivi possono essere di aiuto nell'individuazione delle cause (p. es., in caso di versamento pleurico, di pneumotorace e in certi casi di patologia interstiziale polmonare). I segni dell'enfisema, della bronchite e dell'asma spesso contribuiscono a definire la natura e la gravità della patologia polmonare ostruttiva di base. I test di funzionalità respiratoria possono esprimere quantitativamente ogni alterazione restrittiva o di ostruzione al flusso aereo (v. Cap. 64). Una patologia polmonare diffusa, con o senza ipossiemia, è spesso accompagnata da iperventilazione con riduzione della PaCO2. Così un paziente con dispnea può avere un'alta PaO2 e una bassa PaCO2, presumibilmente per un aumento degli stimoli a partenza dai recettori di stiramento dei polmoni ammalati. Cause cardiache: negli stadi precoci dello scompenso cardiaco (v. Cap. 203), la gittata cardiaca non riesce a tenere il passo con l'aumentata richiesta metabolica durante l'esercizio fisico. Lo stimolo respiratorio aumenta notevolmente a causa dell'acidosi tissutale e cerebrale, causando talvolta un'iperventilazione. Diversi fattori riflessi, tra cui i recettori di stiramento polmonare, possono anche contribuire all'iperventilazione. Il respiro corto è spesso accompagnato da astenia o da una sensazione di soffocamento o di oppressione sternale. Nelle fasi più avanzate dello scompenso cardiaco, i polmoni sono congesti ed edematosi, la capacità ventilatoria dei polmoni divenuti più rigidi si riduce e lo sforzo respiratorio aumenta. Meccanismi riflessi, in particolare dai recettori iuxtacapillari (J) dei setti alveolocapillari, contribuiscono all'incremento eccessivo della ventilazione polmonare. L'edema polmonare non cardiogeno o la sindrome da distress respiratorio dell'adulto producono un quadro clinico simile attraverso meccanismi simili, ma più acutamente. L'asma cardiaco è uno stato di insufficienza respiratoria acuta con broncospasmo, sibili e iperventilazione. Esso può essere indistinguibile da altri tipi di asma, ma la causa è lo scompenso ventricolare sinistro. Il respiro periodico o di Cheyne-Stokes è caratterizzato da periodi di apnea e di iperpnea alternati regolarmente. Spesso è indotto da un'alterazione del centro respiratorio bulbare, da causa neurologica o farmacologica, e da disfunzioni cardiologiche. Nello scompenso cardiaco, la causa principale è rappresentata dal rallentamento della circolazione; l'acidosi e l'ipossia dei centri respiratori forniscono un importante contributo. L'ortopnea è la difficoltà respiratoria che insorge quando il paziente è supino, file:///F|/sito/merck/sez06/0630559.html (2 of 3)02/09/2004 2.03.04

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costringendolo a mettersi seduto. Essa viene scatenata da un aumento del ritorno venoso del sangue al ventricolo sinistro, che non riesce a far fronte all'incremento del precarico. Di minore importanza è l'aumento dello sforzo respiratorio in posizione supina. Talvolta l'ortopnea si presenta in altre patologie cardiovascolari (p. es., nel versamento pericardico). Nella dispnea parossistica notturna, il paziente si sveglia ansimando e deve mettersi a sedere o alzarsi in piedi per riprendere fiato; la sensazione può essere terribile e angosciante. Gli stessi fattori in causa nell'ortopnea determinano questa forma di difficoltà respiratoria che richiede un intervento clinico più immediato. La dispnea parossistica notturna può insorgere nella stenosi mitralica, nell'insufficienza aortica, nell'ipertensione o in altre condizioni che compromettono il ventricolo sinistro. Cause circolatorie: la "fame d'aria" (dispnea acuta che insorge negli stadi terminali del dissanguamento da emorragia) è un segno grave che richiede un'immediata terapia trasfusionale. La dispnea compare anche nell'anemia cronica, ma solo durante esercizio fisico, a meno che l'anemia non sia di estrema gravità. Cause chimiche: l'acidosi diabetica (pH ematico da 7,2 a 6,95) induce un respiro caratteristico, lento e profondo (respiro di Kussmaul). Tuttavia, dal momento che la capacità respiratoria è ben conservata, il paziente raramente lamenta dispnea. Di contro, nell'uremia il paziente può lamentare dispnea a causa della grave tachipnea indotta dalla combinazione di acidosi, scompenso cardiaco, edema polmonare e anemia. Cause centrali: le lesioni cerebrali (p. es., l'emorragia) possono causare intensa iperventilazione, talora rumorosa e stertorosa. Occasionalmente, periodi di apnea irregolari si alternano con periodi in cui vengono eseguiti quattro o cinque respiri di uguale profondità (respiro di Biot). L'iperventilazione si osserva frequentemente dopo trauma cranico. La diminuita PaCO2 causa una vasocostrizione riflessa del SNC con perfusione cerebrale ridotta, portando a una benefica diminuzione secondaria della pressione intracranica. Cause psicogene: in certe forme di ansia, il paziente sente come se il respiro fosse insufficiente e reagisce a questa sensazione iperventilando. L'iperventilazione può essere continua e manifesta, causando un'alcalosi acuta da rimozione della CO2 (v. anche Alcalosi respiratoria nel Cap. 12). Tali pazienti sono manifestamente ansiosi e lamentano parestesie periorali e periferiche e alterazioni dello stato di coscienza (spesso descritte come se i rumori fossero lontani); essi possono sviluppare una positivizzazione dei segni di Trousseau e Chvostek, probabilmente come risultato dell'abbassamento dei livelli sierici di ioni Ca. A volte, l'iperventilazione è meno evidente e caratterizzata da respiri profondi e sospirosi finché lo stimolo all'iperventilazione non cessa. Questo quadro si ripete spesso e può anche essere causa di alcalosi respiratoria e delle sue complicanze.

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Malattie dovute ad agenti fisici

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

276. Ustioni 277. Danni da elettricità 278. Reazioni e lesioni causate da radiazioni 279. Disturbi causati dal calore Colpo di calore Collasso da calore Crampi da calore 280. Lesioni da freddo Sub-congelamento Congelamento Ipotermia Piede da immersione Geloni 281. Malattia da alte quote 282. Malattie da movimento 283. Aspetti medici dei viaggi in aereo e all’estero 284. Sindrome da annegamento 285. Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa Patologia da decompressione Embolia gassosa arteriosa Malattia da decompressione Ricompressione

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Malattie dovute ad agenti fisici

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Ustioni

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 276. USTIONI L’esposizione a radiazioni, agenti termici, chimici o elettrici provoca danni tissutali che si manifestano con denaturazione delle proteine, edema a livello dell’ustione e riduzione del volume intravascolare, conseguente all’aumento della permeabilità dei vasi.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Complicanze Valutazione Prognosi Terapia

Le ustioni da calore possono essere provocate da qualsiasi fonte di calore esterna, in grado di innalzare la temperatura cutanea e quella dei tessuti profondi fino a determinare la morte cellulare, la coagulazione o la carbonizzazione delle proteine. Le cause più comuni sono rappresentate dal fuoco, da liquidi bollenti e da oggetti o gas surriscaldati che vengano a contatto con la cute. L’estensione e la profondità della lesione sono in funzione della quantità di energia ceduta dalla fonte di calore. Le ustioni da agenti radianti nella maggior parte dei casi conseguono a esposizioni prolungate alle radiazioni solari ultraviolette (eritema solare), ma possono essere provocate anche da esposizioni prolungate o intense ad altre fonti di radiazione ultravioletta (p. es., lettini solari), a sorgenti di raggi x o ad altre radiazioni. Le ustioni da agenti chimici possono essere provocate da acidi o basi forti, fenoli, cresoli, ipriti o fosforo. Ognuno di questi agenti possiede un effetto necrotizzante, che può estendersi lentamente nell’arco di molte ore. Le ustioni da agenti elettrici sono imputabili al calore prodotto dall’elettricità, che può raggiungere i 5000°C (9032°F). Poiché gran parte della resistenza alle correnti elettriche si concentra nel punto in cui il conduttore viene a contatto con la cute, osserveremo la maggior parte delle ustioni a livello della cute e dei tessuti sottostanti; tali lesioni possono essere di qualsiasi dimensione e profondità (v. Cap. 277). La necrosi e le escare sono spesso più ampie e più profonde di quanto si possa rilevare a una prima osservazione delle lesioni. Il danno da elettricità, soprattutto se dovuto a correnti alternate, può provocare paralisi respiratoria immediata, fibrillazione ventricolare o entrambe queste condizioni (v. Cap. 206).

Sintomi e segni In rapporto alla profondità della lesione, le ustioni vengono classificate di primo, di secondo o di terzo grado. Le ustioni di primo grado si presentano con arrossamento della cute e iperestesia con la superficie che si schiarisce notevolmente se viene esercitata una lieve pressione e non si sviluppano

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Ustioni

vescicole. Le ustioni di secondo grado possono presentare vescicole, con impianto da eritematoso a biancastro, con un essudato fibrinoso; sono anch’esse iperestesiche e possono schiarirsi alla digitopressione. Le ustioni di terzo grado in genere non presentano vescicole. La superficie dell’ustione può essere biancastra e formare delle pieghe, possono presentarsi come aree nere, carbonizzate e simili al cuoio, o di colorito rosso vivo, per la presenza di Hb fissata nella regione sottodermica. Le ustioni di terzo grado che appaiono di colore chiaro possono essere scambiate per cute normale ma, in questo caso, i vasi sottocutanei non si schiariscono alla digitopressione. Nelle ustioni di terzo grado vi è di solito anestesia o ipoestesia, i peli dell’area interessata possono essere estirpati con facilità dai loro follicoli. Spesso, è possibile distinguere le ustioni di secondo grado profonde da quelle di terzo grado soltanto dopo che siano trascorsi 3-5 gg di osservazione.

Complicanze Le complicanze a livello sistemico (come lo shock ipovolemico e le infezioni) e i danni al tratto ventilatorio rappresentano un rischio di gran lunga maggiore rispetto agli effetti locali. Le infezioni, anche in presenza di ustioni di piccole dimensioni, costituiscono la causa principale di morte e la più importante causa di impotenza funzionale e di danno estetico, in particolare a livello delle mani e del viso. La vasocostrizione, provocando un’ipoperfusione periferica, specialmente nelle aree colpite dall’ustione, determina un abbassamento delle difese locali dell’ospite e favorisce l’invasione batterica. La presenza di tessuto necrotico, il calore, l’ipoperfusione periferica e l’umidità creano le condizioni ideali per la proliferazione batterica. Streptococchi e stafilococchi sono i germi che più spesso si riscontrano in prima istanza nelle ustioni, mentre i batteri gram - divengono prevalenti dopo 5-7 gg; inoltre, è sempre presente una flora batterica mista. L’esatta dinamica degli eventi nel corso dell’incidente, inclusi i materiali utilizzati per domare le fiamme, fornisce indizi importanti riguardanti l’estensione della contaminazione batterica e la probabilità di sviluppo di un’infezione a livello dell’ustione. Il danno termico a carico delle basse vie respiratorie è causato comunemente dalla sola inalazione di vapori nei soggetti vigili ma, se lo stato di veglia è ridotto, può essere provocato anche dall’inalazione di gas a elevate temperature, che determinano un’immediata ostruzione delle vie aeree superiori. L’edema bronchiale può provocare un’ostruzione delle vie aeree superiori a insorgenza più lenta; il danno di natura chimica sui capillari alveolari delle piccole vie aeree, può portare a insufficienza respiratoria progressiva ritardata. L’inalazione di prodotti tossici (p. es., cianuro, aldeidi tossiche, monossido di carbonio) derivati dai materiali incendiati (p. es., legno, plastica) può provocare danni termici a livello del faringe e delle vie aeree superiori e, allo stesso modo, al tratto ventilatorio. Inoltre, il monossido di carbonio inalato si lega all’Hb, riducendo notevolmente il trasporto di O2. La maggior parte delle aritmie cardiache negli ustionati viene provocata da ipovolemia, ipossia, acidosi o iperkaliemia, quindi prima di somministrare farmaci cardioattivi bisognerà correggere tali alterazioni metaboliche. Tachicardia e fibrillazione ventricolari rappresentano eccezioni che andranno trattate immediatamente, valutando nel contempo le eventuali anomalie metaboliche che possono averle causate. Per individuare tali anomalie andranno monitorati il ritmo cardiaco, la PA, la temperatura, l’ECG, l’emogasanalisi e l’HTC, in particolare negli anziani. L’ipokaliemia è frequente nelle prime fasi del trattamento, come conseguenza di condizioni diverse:generalmente il K non viene generalmente somministrato nella fase iniziale di reintegrazione dei liquidi; le riserve di K nei pazienti che assumono diuretici possono essere deplete; una parte del K viene chelato dal nitrato d’argento presente nelle medicazioni in soluzione ipotonica allo 0,5%. Di

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conseguenza, il K sierico deve essere mantenuto > 4 mEq/l. Inoltre, il nitrato d’argento presente nella medicazione ha un’azione chelante anche nei riguardi del Na e del Cl, determinando talvolta iponatremia, ipocloremia e alcalosi ipocloremica gravi. L’ipoalbuminemia è dovuta alla combinazione degli effetti di diluizione della terapia idrosalina e della perdita di proteine nel liquido edematoso al di sotto delle escare. Le infusioni di colloidi vanno protratte durante tutto il periodo del trattamento iniziale alla velocità che consenta di mantenere i livelli di albumina a circa 2,5 g/dl e le proteine totali > 5 g/dl. Poiché la maggior parte del Ca sierico è legato reversibilmente all’albumina, la comparsa di ipocalcemia potrà essere conseguenza dell’ipoalbuminemia. La frazione ionizzata del Ca sierico è di solito normale, ma la sua misurazione va comunque ripetuta periodicamente. Ogni giorno dovrebbero essere somministrate integrazioni di Ca, fosfati e Mg. L’acidosi metabolica può derivare da una minore perfusione tissutale conseguenza dell’ipovolemia o dell’insufficienza cardiaca. La caduta del pH ematico a livelli < 7,2 va trattata con bicarbonato di sodio EV (v. Acidosi metabolica nel Cap. 12). La vasocostrizione periferica, responsabile dell’ipoperfusione locale, è determinata da un’insufficiente reintegrazione di liquidi nelle prime fasi del trattamento. Un’escara o la presenza di una sindrome compartimentale possono provocare una ipoperfusione locale, che si potrà risolvere con l’escarotomia o la fasciotomia (v. oltre). La mioglobinuria può essere conseguenza di ischemia muscolare, di lesioni da schiacciamento o di profonde ustioni termiche o elettriche del muscolo. Inizialmente, l’escrezione urinaria deve essere mantenuta a 100 ml/h negli adulti e > 1 ml/ kg/h nei bambini; si deve ottenere una diuresi osmotica, somministrando negli adulti mannitolo alla dose di 12,5 g EV q 4-8 h o anche più frequentemente, se necessario, fino a osservare la scomparsa della mioglobinuria. Negli adulti con mioglobinuria grave, è indicata l’alcalinizzazione dell’urina con 50 mEq di bicarbonato di sodio EV q 4-8 h secondo necessità, con monitoraggio frequente del pH sierico e urinario. L’obiettivo è raggiungere un pH urinario > 8. Il trattamento dell’emoglobinuria, che può conseguire a un’emolisi post-ustione, è identico a quello della mioglobinuria. In assenza di un trattamento accurato e sollecito, la mioglobinuria o l’emoglobinuria possono provocare necrosi dei tubuli renali. L’ipotermia (v. Cap. 280) è piuttosto frequente nei grandi ustionati. I soggetti con temperatura rettale < 36°C vengono trattati col riscaldamento dei liquidi da trasfondere. Se la temperatura è < 33°C, il riscaldamento può favorire l’instaurarsi di aritmie fatali. Questo tipo di pazienti deve essere riportato a una temperatura adeguata molto lentamente e si devono monitorare in maniera continuativa l’ECG, la temperatura interna, gli elettroliti, i parametri vitali e le condizioni mentali.

Valutazione Anamnesi: le informazioni riguardanti l’evento ustionante si possono ottenere dal paziente, dal conducente dell’ambulanza, da un familiare che accompagna il paziente, da un suo collega di lavoro o dai poliziotti e dai pompieri che lo hanno soccorso. L’anamnesi deve comprendere la terapia farmacologica abituale; la presenza di patologie (p. es., allergie, malattie cardiache, polmonari o renali, diabete) o di disordini psichici (la lesione può essere il risultato di una violenza o di un tentativo di suicidio); nonché le abitudini voluttuarie (fumo, alcol e droghe). L’insieme costituito da tutti questi fattori interferisce con la capacità di risposta del paziente alla lesione. Esame clinico: un esame fisico completo andrà eseguito prima dell’evoluzione delle ustioni (momento in cui sarebbe più difficile effettuare un corretto esame). L’area della superficie corporea (ASC) interessata dall’ustione deve essere file:///F|/sito/merck/sez20/2762601.html (3 of 10)02/09/2004 2.03.06

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calcolata in tutti i pazienti. Spesso l’altezza si può misurare immediatamente, mentre il peso, prima dell’incidente, può essere riferito da un familiare. Le aree interessate vengono evidenziate su un diagramma per il calcolo della percentuale di superficie corporea ustionata (regola del nove). L’area della superficie ustionata (ASC %) si valuta nell’adulto applicando la regola del nove delle ustioni (v. Fig. 276-1A). Nei bambini, si può ottenere una valutazione più precisa della percentuale di ASC usando il diagramma di Lund-Browder (v. Fig. 276-1B). Si riporta inoltre sul diagramma anche la profondità della lesione (primo, secondo o terzo grado).

Prognosi Nelle ustioni superficiali, anche se non trattate, l’epidermide va incontro a una pronta rigenerazione a partire da elementi cellulari non lesionati, da follicoli piliferi e ghiandole sudoripare, con formazione di piccole cicatrici, tranne nel caso in cui si sviluppi un’infezione. Nelle ustioni profonde, in cui l’epidermide e buona parte del derma sono distrutti, la riepitelizzazione inizia dai margini della ferita, dai residui sparsi nei tegumenti o dalle rimanenti appendici dermiche. Il processo riparativo è lento e comprende la formazione di abbondante tessuto di granulazione, prima che l’epitelio ricopra l’area ustionata. Queste lesioni di solito si retraggono, producendo cicatrici sfiguranti e inabilitanti, a meno che non si provveda prontamente con interventi di chirurgia plastica. In alcuni individui si formano cicatrici di tipo cheloide, in particolare nei soggetti di razza nera. Nelle ustioni profonde, in cui si osserva la distruzione di tutto il derma e dell’epidermide e in cui l’area interessata è troppo ampia per essere ricoperta dal tessuto riparativo (poiché il derma non è in grado di rigenerare), non si verifica una guarigione spontanea. Se non si effettua un’escissione, le escare si distaccano e cadono, in tempi variabili e al di sotto di queste residua una lesione sottostante irregolare. I fattori di rischio per la sopravvivenza del paziente sono i seguenti: ustioni > 40% dell’ASC, età > 60 anni e presenza di lesioni da inalazione di vapori. Il tasso di mortalità è dello 0,3% in assenza di fattori di rischio, del 3% in presenza di uno, del 33% in presenza di due e circa dell’87% se si associano tutti i tre fattori di rischio sopraelencati.

Terapia Come indicazioni generali, si deve detergere accuratamente la ferita, asportando i detriti estranei e provvedere a una terapia antibiotica locale e/ o sistemica, in rapporto alla gravità dell’ustione. Può inoltre essere necessario immobilizzare e posizionare correttamente gli arti interessati dalla lesione, così come provvedere a un’adeguata terapia riabilitativa. Viene quindi stabilita una terapia domiciliare e il successivo follow-up ambulatoriale. Circa l’85% dei pazienti presenta ustioni di piccola estensione, che richiedono soltanto terapia ambulatoriale. I criteri generali che identificano i pazienti da trattare ambulatorialmente sono i seguenti: ustioni di primo e di secondo grado superficiali con ASC < 10%; ustioni di secondo grado da lievi a profonde con ASC < 5%; ustioni di terzo grado con ASC < 1%, sempre che non vi siano danni da inalazione di vapori. Devono essere invece sottoposti a ricovero quei pazienti che presentino ustioni più estese o ustioni molto piccole ma profonde, delle mani, del viso, dei piedi e della regione perineale, perché in tali sedi un’infezione anche di lieve entità può determinare una grave menomazione estetica e funzionale. Un paziente, che venga inizialmente trattato ambulatorialmente, dovrà essere ricoverato nel caso in cui la lesione non guarisse spontaneamente nel giro di 3 sett. Il ricovero potrebbe inoltre essere necessario qualora si abbia il sospetto che il paziente non osservi con cura le prescrizioni, non rinnovi le medicazioni o

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non segua le indicazioni del medico, oppure se ha meno di 2 o più di 60 anni. Trattamento dell’emergenza: il primo intervento da eseguire sul luogo dell’incidente su una vittima di una lesione termica, chimica o elettrica deve essere l’allontanamento immediato dall’agente ustionante e la rimozione di tutti gli indumenti, in particolare in presenza di materiale carbonizzato (p. es., vestiti sintetici con segni di bruciatura o tessuti impregnati di catrame fuso). Si dovranno inoltre rimuovere dalla cute gli agenti chimici, gli acidi, le basi o i composti organici (p. es., fenoli o cresoli), causa delle ustioni, per mezzo di abbondanti, prolungate e ininterrotte abluzioni con acqua. Le parti ustionate da fosforo vanno immerse immediatamente in acqua, per evitare il contatto con l’aria. Le particelle di fosforo devono essere rimosse delicatamente facendo scorrere l’acqua; la ferita verrà poi lavata con una soluzione di solfato di rame all’1%, perché in questo modo gli eventuali residui di fosforo verranno ricoperti da una pellicola protettiva di fosfuro di rame (queste sostanze, essendo fluorescenti, si potranno facilmente asportare in una camera buia). Tuttavia, deve essere evitato l’eccessivo assorbimento di rame. In un reparto per grandi ustionati, il trattamento d’urgenza deve essere improntato a ristabilire un’adeguata ventilazione, arginare il progredire delle lesioni ustionanti, reintegrare i liquidi perduti (plasma), riconoscere e trattare i principali traumi associati, che possono mettere a repentaglio la vita del paziente, diagnosticare le anomalie metaboliche, valutare l’eventuale esistenza di un’infezione batterica da contaminazione, avvenuta precedentemente il ricovero e prevenire successive contaminazioni batteriche. Terapia topica dell’ustione: le piccole ustioni devono essere immerse immediatamente in acqua fredda, se possibile. La ferita deve essere pulita con acqua e sapone rimuovendo accuratamente tutti i detriti. Per rimuovere i frammenti di materiale estraneo adesi in profondità, si può eseguire un’infiltrazione locale di lidocaina all’1 o al 2% e raschiare la lesione con uno spazzolino a setole rigide e sapone. Le vescicole, se rotte o in procinto di rompersi, devono essere immediatamente rimosse. Se non è nota la profondità dell’ustione, si procederà alla rimozione delle vescicole e all’esame della base della lesione, per determinare se questa è a pieno spessore. La superficie ustionata, dopo detersione e rispettando le condizioni di asepsi, viene trattata con idonei preparati per uso locale e infine con bendaggi sterili. I preparati topici antibatterici comunemente impiegati contengono una soluzione di nitrato d’argento allo 0,5%, acetato di mafenide e sulfadiazina argentica all’1%. Dopo aver ricoperto le lesioni anche con otto strati di benda cotonata, si versa la soluzione di nitrato d’argento sulla benda q 2 h. Questa procedura permette al bendaggio di rimanere umido e di mantenere la concentrazione di nitrato d’argento sulla pelle a circa lo 0,5%. Probabilmente una concentrazione inferiore non esplica azione battericida, mentre una concentrazione più alta, quale può realizzarsi in caso di evaporazione, può ustionare ulteriormente la pelle. Se il nitrato d’argento viene applicato su una lesione molto ampia può esplicare un’azione fortemente chelante sul Na, sul Cl e sul K a livello del bendaggio, favorendo l’instaurarsi di ipokaliemia, ipocloremia, alcalosi o metaemoglobinuria. Sia il mafenide acetato che la sulfadiazina argentica in forma di pomata vengono applicati direttamente sulla lesione in un unico strato e possono essere successivamente ricoperti da alcuni strati di benda cotonata; prima di applicare un nuovo bendaggio, si devono rimuovere i residui della pomata applicata precedentemente. La pomata all’acetato di mafenide inibisce l’attività dell’anidrasi carbonica e può produrre acidosi metabolica compensata nonché, talora, acidosi renale tubulare prossimale. La sulfadiazina argentica va usata con cautela in pazienti con sensibilità ai sulfamidici, può inoltre essere causa di alterazioni del quadro ematologico. Farmaci: in caso di ustioni di lieve entità, l’analgesia può essere indotta con l’uso di narcotici orali (p. es., codeina), associando o meno un FANS o aspirina. Nel caso di ustioni gravi, è necessario di solito ricorrere alla somministrazione di narcotici EV (p. es., morfina, meperidina). Una dose di richiamo di anatossina tetanica, 0,5-1,0 ml SC o IM, verrà somministrata agli individui vaccinati negli

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ultimi 4-5 anni, mentre a tutti gli altri si somministreranno immunoglobuline antitetaniche 250 UI IM (da ripetersi se necessario q 6 sett.), avviando anche il protocollo di vaccinazione antitetanica attiva. Trattamento respiratorio: in presenza di lesioni termiche molto importanti, il trattamento prevede la somministrazione di O2 supplementare, per innalzarne la percentuale nel sangue e per spiazzare le molecole di monossido di carbonio dal loro legame con l’Hb. Una ventilazione inadeguata viene trattata con l’intubazione (di preferenza per via nasotracheale) e con la ventilazione meccanica. Le indicazioni assolute all’intubazione sono le seguenti: respirazione frequente e superficiale con tachipnea a 30-40 atti respiratori/min; bradipnea < 8-10 atti respiratori/min; ostruzione meccanica delle vie aeree dovuta a edema, traumi o laringospasmo; segni di insufficienza respiratoria con pH arterioso < 7,2, PO2 < 60 mm Hg o Pco2 > 50 mm Hg. Le indicazioni relative all’intubazione includono: esplosioni o incendi in ambienti chiusi; presenza di peli nasali bruciati o di mucose buccali ustionate; eritema del palato; presenza di fuliggine nella bocca, nella laringe o nell’escreato; edema con ustioni del volto o del collo; presenza di segni di sofferenza respiratoria (p. es., ostruzione nasale, rumori respiratori aspri o stridenti, ansia, agitazione, atteggiamento aggressivo da parte del paziente). Iniziale reintegrazione dei liquidi: è vitale un intervento terapeutico immediato, la pronta reintegrazione dei liquidi previene la vasocostrizione e l’ipoperfusione periferica, mantenendo efficaci le difese locali dell’ospite. Prima di iniziare il trattamento medico, si può somministrare una soluzione colloidale, p. es., plasma fresco congelato (che contiene sostanze ad azione antibatterica, compresi gli anticorpi), che impedisce a livello dell’ustione l’invasione da parte di microrganismi contaminanti. Quando si sospetta la comparsa di uno shock (come potrebbe avvenire in tutte le ustioni di terzo e in quelle di secondo grado > 10% ASC) o quando l’HTC presenta dei valori superiori alla norma, la reintegrazione dei liquidi dovrebbe essere iniziata immediatamente, introducendo un’agocannula di calibro 1416 gauge in una o due vene periferiche (v. Procedure invasive nel Cap. 198). Anche se inizialmente potrebbe non essere necessario inserire un catetere venoso centrale, si tenga presente che il successivo edema lesionale e perilesionale potrebbe rendere la manovra difficoltosa, quindi l’ideale sarebbe eseguire il più precocemente possibile tale manovra. Se necessario, si potranno introdurre cateteri centrali o periferici attraverso le escare. Bisogna evitare l’effetto di laccio emostatico multiplo, che può distruggere la vena e comportare un grave rischio di infezione, sarà inoltre opportuno eseguire un prelievo di sangue per determinare i valori dell’Hb e dell’HTC, oltre alla tipizzazione sanguigna e alle prove crociate. La terapia infusionale d’emergenza consiste nella somministrazione della soluzione contenente sodio più prontamente disponibile, iniettata EV, cui segue di solito la somministrazione di una soluzione colloidale (p. es., plasma fresco congelato, albumina), quando disponibile. Tale infusione di colloidi dipende dall’estensione, profondità e sede delle ustioni, dall’età del paziente e dalle patologie concomitanti. È necessaria una pronta somministrazione di soluzioni colloidali in quei pazienti che presentino ustioni di media o ampia estensione, che siano molto giovani o anziani, che presentino ustioni profonde delle mani, del viso o della regione perineale, che soffrano di patologie cardiache o in quei pazienti il cui HTC sia aumentato, essendo quest’ultimo parametro indicativo di un’imminente ipovolemia post-ustione. Nel caso in cui la reintegrazione dei liquidi venga ritardata > 2 h dopo l’evento ustionante, si dovrà eseguire l’infusione di colloidi non appena questi siano disponibili. Il volume di liquido che è necessario reintegrare è direttamente correlato all’estensione e alla profondità delle ustioni. Inizialmente, si può calcolare la velocità di infusione, utilizzando la regola del nove o lo schema di Lund-Browder, dopo aver eseguito un breve esame obiettivo e una valutazione dell’estensione dell’ustione. Solitamente, sono necessari da 2 a 4 ml/kg/% ASC di soluzione idrosalina EV nelle 24 h successive alla lesione. L’aggiunta di colloidi, di solito, riduce il volume di soluzione idrosalina necessaria.

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Correzione della terapia infusionale: dal momento che il volume e la velocità di infusione corretti dei liquidi dipenderanno dalla risposta dei singoli pazienti alla terapia idrosalina, l’aggiustamento della reintegrazione idrica sarà basato su un accurato monitoraggio del paziente. L’obiettivo è quello di mantenere la PA e l’HTC a livelli adeguati e l’escrezione urinaria maggiore di 50-100 ml/h (0,5-1 ml/ kg/h) nell’adulto o di 1 ml/kg/h nel bambino, senza sovraccaricare il circolo. Nelle prime 72 h, l’Hb va misurata q 3-4 h e la terapia verrà regolata per mantenerla tra valori compresi tra 11 e 16 g/dl, mentre l’ematocrito dovrà essere mantenuto tra il 30 e il 45%. I pazienti che, malgrado l’abbondante somministrazione di soluzioni idrosaline, presentino un’escrezione urinaria insufficiente, spesso rispondono positivamente a un aumento della somministrazione di liquidi cui sono aggiunti colloidi. Raramente i protocolli prestabiliti si dimostrano efficaci per l’intero periodo di trattamento intensivo, le formule devono quindi essere usate soltanto come riferimento. Una formula generale per le prime 24 h è: 0,5 ml/kg/% ASC di colloide e 1,5 ml/kg/% ASC di Ringer lattato, cui si associa una soluzione di 100 ml/h di Ringer lattato come mantenimento. Un quarto della terapia infusionale viene somministrato nelle prime 4 h, 1/ 4 nelle seconde 4 h, 1/4 nelle successive 8 h e l’ultimo 1/4 nelle 8 h finali, iniziando la somministrazione dal momento dell’incidente e non dal momento dell’arrivo nel reparto di terapia intensiva, questo perché può verificarsi lo stravaso di notevoli quantità di liquidi verso i tessuti, con conseguente instaurarsi di shock immediatamente dopo l’incidente. Per esempio, nel caso di un uomo di 70 kg di peso, che presenta il 40% dell’ASC ustionata, si somministrano, nel corso delle prime 24 h, 1400 ml di colloidi, 4200 ml di soluzione di Ringer lattato e 2400 ml di ulteriore soluzione di Ringer lattato di mantenimento, per un totale di 8000 ml di liquidi. Un quarto della quantità totale (350 ml di colloidi, 1050 ml di Ringer lattato e 100 ml/h di Ringer lattato di mantenimento) viene somministrato nelle prime 4 h, il secondo quarto nelle successive 4 h, il terzo quarto nelle successive 8 h e l’ultimo nelle ulteriori 8 h finali. Se il paziente viene ricoverato immediatamente dopo l’incidente, i risultati degli esami ematochimici (con una stima approssimata) permetteranno di stabilire il tipo e la quantità di soluzioni da somministrare EV: nelle prime 8 h, plasma fresco congelato a 87,5 ml/h e Ringer lattato a 360 ml/h, nelle 16 h successive, plasma fresco congelato a 45 ml/h e Ringer lattato a 220 ml/h. Allo scopo di individuare se la reintegrazione dei liquidi è insufficiente o eccessiva e quindi prevenire eventuali complicanze, è necessario monitorare accuratamente molti parametri ed è di notevole utilità l’uso di un diagramma di flusso, che permette di evidenziare le variazioni dei parametri trattati precedentemente. Se la reintegrazione è insufficiente, si noteranno una diminuzione dell’escrezione urinaria, un aumento dell’HTC e i sintomi dello shock. Per monitorare l’escrezione urinaria si dovrà applicare un catetere di Foley a permanenza. Se la reintegrazione è eccessiva (potendo causare edema polmonare e insufficienza cardiaca) si noteranno un aumento della frequenza cardiaca, degli atti respiratori e della PA, turgore delle vene del collo e un aumento della pressione venosa centrale. Le basi polmonari andranno auscultate di frequente per rilevare eventuali rantoli. Nei pazienti con pregresse patologie cardiovascolari-renali, si dovrà limitare la somministrazione dei liquidi, degli elettroliti e dei colloidi alle quantità strettamente necessarie al raggiungimento di un’escrezione urinaria minima (25 ml/h) e il paziente dovrà essere posto sotto osservazione per rilevare eventuali segni di sovraccarico circolatorio. Prevenzione delle infezioni delle ustioni: immediatamente dopo l’incidente si deve iniziare una terapia preventiva efficace e continuarla rigorosamente fino alla guarigione della lesione. Gli antibatterici per uso topico vengono utilizzati per mantenere la normale omeostasi e per prevenire la successiva colonizzazione batterica della ferita. Nei pazienti con ustioni di secondo o terzo grado viene spesso somministrata penicillina V, da 1 a 2 g/die PO in 4 dosi frazionate nell’arco dei primissimi giorni, come profilassi nei confronti della cellulite streptococcica, una rara infezione

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potenzialmente letale (dovuta allo β-streptococco emolitico). Nei pazienti allergici alla penicillina si può somministrare eritromicina da 1 a 2 g/ die PO in 4 dosi frazionate. In caso di ustioni estese, come profilassi contro la cellulite streptococcica, si somministrano 5 milioni UI/die di penicillina G IM o EV per 3 gg. La somministrazione di altri antibiotici, utilizzati di routine, per evitare lo sviluppo di una resistenza batterica non è generalmente raccomandata. Nutrizione: nei pazienti con ustioni > 20% della ASC, con malnutrizione precedente l’evento ustionante, con complicanze quali sepsi o traumi associati (p. es., fratture) o con perdita di peso > 10%, è opportuno praticare un sostegno nutrizionale aggressivo. Le ultime tre condizioni sono associate a un’aumentata mortalità. Il sostegno nutrizionale (v. Cap. 1) viene iniziato 1-2 gg dopo la fase di reintegrazione idrosalina. Viene preferita la somministrazione di alimenti per via orale perché presenta minori complicanze e costi inferiori, tuttavia, l’anoressia, le ustioni del volto o la disfagia possono renderla difficile o impossibile. Se l’alimentazione per via orale è insufficiente, ma la motilità e l’assorbimento gastrointestinale sono normali, si ricorrerà alla via enterale con l’uso di un sondino, per assicurare un’alimentazione supplementare o esclusiva. La nutrizione parenterale è indicata, invece, nei pazienti con occlusione gastrica o colica prolungate, correlate alle ustioni, a interventi chirurgici ripetuti o a sepsi. Le complicanze sono più probabili con la nutrizione parenterale che con quella enterale. Trattamento chirurgico: le escare, nelle ustioni di terzo grado che interessino l’intera circonferenza di un arto, possono rendere necessaria l’escarotomia, p. es., nel caso in cui un polso precedentemente palpabile non venga più percepito o quando vi sia la mancanza del polso in un solo arto mentre gli altri sono normosfigmici. Quando un arto è più freddo degli altri e presenta un lungo tempo di riempimento capillare si pone il sospetto di ischemia periferica; l’esame Doppler confermerà l’eventuale diagnosi di ischemia. Bisogna considerare che, qualora si sospetti un’ischemia periferica, può comunque essere presente un’escara con azione comprimente, anche quando all’esame Doppler i polsi risultino presenti. Nelle lesioni cutanee che non interessino i tessuti profondi, l’incisione escarotomica riguarderà soltanto lo spessore del derma, escludendo l’ipoderma e il tessuto sottocutaneo. Per assicurare una liberazione completa, l’incisione coinvolgerà uno spessore ben superiore a quello della sola escara tesa. In alcune escare, apparentemente a tutto spessore, resta presente la sensazione dolorifica, cosicché anche l’incisione per arrecare sollievo alla regione interessata risulterà dolorosa e in questi casi è efficace un’anestesia con lidocaina all’1%. Le ustioni di secondo grado profonde e tutte quelle di terzo grado devono essere trattate in maniera sollecita, con l’escissione chirurgica o con la rimozione dell’escara, meglio se eseguite entro i primi 4 gg dall’ustione. L’escissione permette di rimuovere il tessuto devitalizzato, di evitare la sepsi al di sotto dell’escara e di ottenere una chiusura precoce della ferita, riducendo la durata del ricovero e migliorando il risultato funzionale. Le aree che non sono andate incontro a guarigione entro le 3 sett. richiedono l’escissione completa. L’ordine da seguire nel trattare le lesioni è funzione di alcune condizioni: se il danno è molto esteso e la sopravvivenza del paziente è a rischio, si devono rimuovere per prime le aree colpite più ampie, in modo da ridurre rapidamente il numero di ustioni aperte; le regioni corporee da trattare per prime e che rispondono bene agli innesti cutanei sono la schiena, il torace e l’addome; non si deve asportare, in una sola seduta, più del 30% dell’ASC, comprendendo anche le sedi di prelievo; quando invece l’escissione non è praticata in funzione della sopravvivenza del paziente ma a scopo estetico o di ottimizzazione del risultato funzionale, le escare vanno escisse secondo uno specifico ordine, dapprima a livello delle mani, successivamente degli arti superiori e infine a livello dei piedi e degli arti inferiori. Generalmente, le escare sul volto vanno operate in maniera conservativa, risparmiando quanto più tessuto molle è possibile; si raccomanda una rapida escissione delle escare presenti sul volto. Dopo l’escissione, il letto lesionale richiede la copertura per mezzo di un innesto. Gli innesti possono essere rappresentati da autotrapianti (cute dello stesso

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paziente); allotrapianti (cute vitale prelevata solitamente da cadaveri); o xenotrapianti (cute di origine suina). Gli autotrapianti, che sono di tipo permanente, si possono trapiantare sotto forma di lembo continuo (un lembo cutaneo intero) o di innesti a scacchiera (uno strato di cute del donatore in cui vengono praticate piccole incisioni a intervalli regolari con un apposito strumento, permettendo quindi al trapianto di ricoprire un’area più ampia). Gli innesti a scacchiera si impiegano quando c’è scarsità di cute disponibile, ma non per ustioni con superficie < 20% dell’ASC. Tali innesti rimarginano con una superficie irregolare simile a un reticolo, a volte con una eccessiva reazione ipertrofica fibrosa. Di solito, nelle ustioni profonde, che interessano più del 40% della ASC, non è reperibile sufficiente materiale per eseguire autotrapianti, tuttavia, la cute può essere prelevata a più riprese dalla stessa sede, a intervalli di circa 14 gg, aumentando così le possibilità supplementari di autotrapianto. Gli allotrapianti e gli xenotrapianti sono invece temporanei e possono essere rigettati precocemente nell’arco di 10-14 gg, e devono quindi essere sostituiti con autoinnesti. Sono comunque indispensabili in quei pazienti che presentino ustioni massive, perché possono salvare loro la vita. Una valida alternativa è rappresentata dal sistema di reintegro cutaneo che utilizza uno stampo di rigenerazione artificiale del derma, lo stampo viene biodegradato nel momento in cui determina la formazione di un tessuto cutaneo completamente nuovo (definito neoderma), generato dagli elementi cellulari del paziente; il neoderma è un tessuto permanente. Terapia fisica: è importante ricorrere precocemente alla fisioterapia. L’assunzione di posture corrette, le fasciature immobilizzanti, l’esercizio e gli indumenti compressivi possono aiutare a conservare la funzionalità della parte e a migliorarne l’aspetto estetico. Le superfici cutanee soggette ai movimenti e alle tensioni maggiori (p. es., viso, mani, articolazioni, cosce, torace) sono quelle che più spesso vanno incontro alla formazione di cicatrici e di contratture. La manovra terapeutica più importante è l’elevazione degli arti, specialmente nei pazienti con ustioni delle gambe o delle mani, l’arto deve essere sempre mantenuto al di sopra del livello del cuore, tranne che per brevi periodi 20 min nell’arco dell’intera giornata. In caso di ustioni a carico degli arti inferiori è frequentemente necessaria l’ospedalizzazione, perché i pazienti non ricoverati hanno difficoltà a mantenere il riposo a letto con l’arto in posizione antideclive. In presenza di ustioni di secondo o terzo grado che colpiscano un’articolazione è necessario eseguire la fasciatura della parte. Ogni singolo dito viene fasciato con garza cotonata, che viene incrociata a forma di 8 sulla mano e sul polso. Si porrà inoltre un’ulteriore imbottitura sul palmo, per mantenere in leggera flessione le articolazioni metacarpofalangee e interfalangee. Polso e gomito possono essere fasciati utilizzando un bendaggio a braccio sospeso. Nei pazienti ambulatoriali, al contrario, gli arti inferiori non vengono solitamente sottoposti a bendaggio immobilizzante. Nelle ustioni estese, le fasciature immobilizzanti, confezionate allo scopo di mantenere le articolazioni in posizioni funzionali, devono essere applicate il più presto possibile in modo corretto, e controllate spesso nei primi periodi del trattamento, per evitare un’eccessiva costrizione delle estremità che potrebbe aggravare l’edema. Quando l’edema si riduce, è necessario stringere le fasciature per renderle più aderenti; queste dovranno essere mantenute fino al momento in cui la zona non venga ricoperta da innesti cutanei e non mostri segni di evidente guarigione. Durante tutto il periodo di convalescenza, le articolazioni vengono mantenute in posizioni funzionali, utilizzando fasciature e sostegni. Prima di eseguire il trapianto cutaneo, bisogna sottoporre le articolazioni a cinesiterapia attiva e passiva, una o due volte al giorno, per mantenerne la funzionalità. Gli esercizi e la corretta postura divengono più agevoli quando l’edema regredisce. Dopo aver trapiantato i lembi cutanei, la parte interessata va tenuta immobile per 5-10 gg, cosicché la cute trapiantata possa stabilizzarsi, prima dell’inizio degli esercizi postoperatori. Follow-up: al paziente si dovrà raccomandare di mantenere la ferita pulita e asciutta, di tenere la parte lesa sollevata, di cambiare la medicazione 2 volte/die secondo le istruzioni, di detergere completamente la ferita con acqua, per

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Ustioni

rimuovere tutti i residui dei farmaci precedentemente applicati, prima di applicarne un nuovo strato, di seguire la terapia antibiotica prescritta e di presentarsi alle successive visite di controllo. Le visite di controllo devono essere effettuate particolarmente nei pazienti ambulatoriali allo scopo di: verificare l’efficacia delle medicazioni locali; pulire le parti necrotiche della ferita; prevenire la cellulite; accertare la profondità dell’ustione; valutare la necessità di terapia ambulatoriale, occupazionale e fisica ed eventualmente organizzarla, nonché stabilire l’eventuale necessità di una terapia escissionale. Nelle ustioni meno gravi, la prima visita di controllo si esegue di solito 24-48 h dopo l’evento ustionante, le visite successive vengono fissate q 24-72 h, a seconda della gravità e della profondità delle lesioni e della capacità del paziente nel prestare a esse le cure dovute.

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Danni da elettricita'

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 277. DANNI DA ELETTRICITA' Danni provocati dal passaggio di corrente elettrica attraverso il corpo.

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi e segni Prevenzione Terapia

La corrente elettrica può essere di natura atmosferica (fulmine) o artificiale, generata dall’uomo (p. es., linee ad alto o a basso voltaggio).

Patogenesi Il tipo di corrente determina la gravità del danno. In generale, la corrente continua (CC), con frequenza zero (ma può essere intermittente o pulsante), è meno pericolosa della corrente alternata (CA), comunemente usata negli USA. Gli effetti della CA sull’organismo dipendono in larga misura dalla frequenza. Le correnti a bassa frequenza, cioè quelle a 50-60 Hz (cicli/s), che sono anche le più utilizzate, sono di solito più pericolose delle correnti ad alta frequenza e presentano una pericolosità da 3 a 5 volte maggiore rispetto a una CC dello stesso voltaggio e amperaggio. La CC tende a provocare una contrazione convulsiva, che spesso determina il distacco spontaneo del soggetto dalla fonte della corrente. Al contrario, una CA a 60 Hz (corrente per uso domestico) determina tetania muscolare, immobilizzando le mani sulla fonte di corrente, quindi un’esposizione prolungata può essere causa di gravi ustioni se il voltaggio è elevato. In genere, più alti sono il voltaggio e l’amperaggio, maggiore sarà il danno determinato da entrambi i tipi di corrente. Le correnti ad alto voltaggio (> 5001000 V) provocano ustioni profonde, mentre quelle a basso voltaggio immobilizzano il soggetto al circuito elettrico. La soglia di percezione di una corrente a 60 Hz, che entra nella mano, è di circa 5-10 milliampere (mA) per la CC e di circa 1-10 mA per la CA. L’amperaggio massimo che può causare la contrazione dei muscoli flessori del braccio, ma che ancora permette al soggetto di liberare la mano dalla fonte di corrente, è definito corrente "let-go". Per la CC il valore della corrente "let-go" è di circa 75 mA per un uomo di 70 kg di peso, mentre per la CA è di circa 15 mA e varia con la massa muscolare. Una CA a 60 Hz a basso voltaggio (da 110 a 220 V), che passi attraverso il torace per una frazione di secondo, può provocare una fibrillazione ventricolare, ad amperaggi di appena 60-100 mA; con una CC sono invece necessari 300-500 mA. Se la corrente arriva al cuore per via diretta (p. es., tramite un catetere cardiaco o gli elettrodi di un pacemaker), può produrre fibrillazione anche avendo un’intensità molto più bassa (< 1 mA per la CA o la CC). La resistenza del corpo (misurata in ohm/cm2) è concentrata innanzitutto sulla pelle e varia direttamente con le condizioni della stessa. La resistenza della cute secca, ben cheratinizzata e integra, presenta valori compresi tra 2000030000 ohm/ cm2; per una mano callosa e ispessita o per la pianta del piede può file:///F|/sito/merck/sez20/2772610.html (1 of 4)02/09/2004 2.03.07

Danni da elettricita'

essere di 2-3 milioni di ohm/ cm2. La resistenza della cute umida e sottile corrisponde circa a 500 ohm/cm2. Se la pelle è ferita (p. es., taglio, abrasione o puntura) o se la corrente è applicata a mucose umide (p. es., bocca, retto, vagina) la resistenza può essere di appena 200-300 ohm/cm2. Se la resistenza cutanea è bassa, si potranno osservare ustioni superficiali di lieve entità, mentre a livello cardiaco potrebbe comunque verificarsi un arresto, nel caso in cui la corrente raggiunga il cuore. Se la resistenza della cute è elevata, al momento del passaggio della corrente attraverso la pelle si può osservare la dispersione in superficie di molta energia, che produrrà ampie ustioni superficiali nei punti di ingresso e di uscita, con carbonizzazione dei tessuti interposti ⋅

(calore = amperaggio2 resistenza). I tessuti interni vengono colpiti in rapporto alla loro resistenza: nervi, vasi sanguigni e muscoli conducono l’elettricità molto meglio dei tessuti a maggior densità (p. es., grasso, tendini e ossa) e vengono quindi danneggiati in maniera preferenziale. Il percorso della corrente attraverso il corpo determina la natura del danno. Il passaggio della corrente da un braccio all’altro o da un braccio a un piede è come se attraversasse il cuore, cosicché è molto più pericoloso del passaggio tra una gamba e la terra. I danni elettrici alla testa possono provocare attacchi epilettici, emorragie intraventricolari, arresto respiratorio, fibrillazione ventricolare o asistolia e, come effetto ritardato, cataratte. I punti di ingresso più frequenti della corrente sono la mano seguita dal capo, mentre il punto di uscita più frequente è il piede. Nel caso della CA, l’uscita e l’entrata sono termini inappropriati, perché non è possibile determinare quali siano le sedi di entrata e di uscita. Termini più appropriati sono "sorgente" e "terra". In genere, la durata del flusso di corrente attraverso il corpo è direttamente proporzionale all’estensione del danno, perché un’esposizione prolungata, consentendo il passaggio di corrente in profondità, provoca la distruzione dei tessuti. Il passaggio della corrente produce calore, provocando la lesione dei tessuti interni.

Sintomi e segni Le manifestazioni cliniche dei danni elettrici dipendono dalle complesse interazioni dei fattori sopra illustrati. Si possono verificare gravi alterazioni delle funzioni fisiologiche, come contrazioni muscolari involontarie, attacchi epilettici, fibrillazione ventricolare o arresto respiratorio (apnea), conseguente a lesioni del SNC o a paralisi muscolare. Possono inoltre verificarsi danni termici, elettrochimici o di altro tipo (p. es., emolisi, coagulazione proteica, trombosi vascolare, disidratazione, avulsione muscolare e tendinea). Spesso si verifica una combinazione di questi effetti. Le ustioni possono essere nettamente demarcate sulla cute ed estendersi notevolmente in profondità ai tessuti sottostanti. I voltaggi elevati possono produrre necrosi coagulativa dei muscoli o di altri tessuti interni compresi tra il punto di ingresso e quello di uscita della corrente. A seguito della coagulazione venosa e del rigonfiamento dei muscoli può manifestarsi un edema cospicuo, con conseguente sviluppo di sindromi compartimentali. Alterazioni idro-elettrolitiche, ipotensione e mioglobinuria grave possono causare insufficienza renale acuta, si possono inoltre verificare lussazioni, fratture vertebrali o di altri segmenti scheletrici, lesioni interne e perdita di coscienza, a seguito di contrazioni muscolari molto intense o di cadute, secondarie alla scossa elettrica (p. es., l’elettricità può far sobbalzare una persona, causandone la caduta). Negli "incidenti da vasca da bagno" (generalmente, nel caso in cui un soggetto bagnato, con i piedi a diretto contatto con il pavimento, venga a contatto con apparecchiature elettriche a 110 V [in Italia, 220 V], p. es., un asciugacapelli o una radio) può verificarsi un arresto cardiaco senza la comparsa di ustioni esterne. Il fulmine lascia segni cutanei di ingresso e di uscita e provoca soltanto di rado file:///F|/sito/merck/sez20/2772610.html (2 of 4)02/09/2004 2.03.07

Danni da elettricita'

danni muscolari o mioglobinuria, questo perché la durata del passaggio di corrente è troppo breve per determinare la distruzione della cute e dei tessuti. Il fulmine avvolge il soggetto, provocando danni interni limitati ma determinando un cortocircuito elettrico dei sistemi (p. es., asistolia cardiaca, confusione mentale, perdita di coscienza, sequele neuropsicologiche). In genere, nei sopravvissuti permangono delle forme di amnesia. Le complicanze a lungo termine più comuni sono rappresentate da: danni neuropsichici, sindrome da dolore e danno del sistema nervoso simpatico, la più comune causa di morte è rappresentata dall’arresto cardiopolmonare. Può accadere che i bambini, nei primissimi anni di vita, succhino i cavi di alimentazione e riportino ustioni della bocca e delle labbra, tali ustioni non causano solo problemi estetici, ma anche problemi di crescita dei denti, della mandibola e della mascella. Un ulteriore problema è rappresentato dall’emorragia dell’arteria labiale, che si verifica al momento del distacco dell’escara, 7-10 gg dopo la lesione, evenienza che può avvenire in circa il 10% dei casi.

Prevenzione Sono requisiti essenziali, oltre che il buon senso, la conoscenza e il rispetto per l’elettricità. Qualsiasi apparecchiatura elettrica, potenzialmente pericolosa, che entri in contatto con il corpo umano, deve essere provvista di un buon sistema di messa a terra ed essere collegata a impianti elettrici dotati di interruttori salvavita. Questi interruttori, che scattano automaticamente se viene rilevata una dispersione di corrente anche di soli 5 mA, sono eccellenti e di facile reperibilità. La prevenzione dei danni da fulmine implica l’uso del buon senso, di appropriati sistemi protettivi, la conoscenza delle previsioni metereologiche e la prontezza nel trovare un riparo adatto durante i temporali.

Terapia È necessario interrompere il contatto tra il corpo della vittima e la sorgente della corrente elettrica. Il metodo migliore, se attuabile rapidamente, è quello di staccare la corrente (p. es., agendo sull’interruttore generale, o staccando la spina di alimentazione dell’apparecchio elettrico); altrimenti, si deve staccare la vittima dalla fonte di corrente. Per correnti a basso voltaggio (110-220 V), il soccorritore dovrà innanzitutto isolarsi adeguatamente dal terreno e quindi utilizzare strumenti di materiale isolante (p. es., tessuti, legno asciutto, gomma, cinte di cuoio) per trarre in salvo la vittima. Se le linee sono ad alto voltaggio non si deve tentare in alcun modo di staccare la vittima dalla fonte di corrente, almeno fino a quando quest’ultima non sia stata interrotta. Non è sempre facile distinguere le linee ad alto voltaggio da quelle a basso voltaggio, soprattutto all’aperto. Una volta che sia possibile toccare la vittima senza correre alcun rischio, si devono rapidamente valutare le funzioni vitali (p. es., i polsi radiale, femorale o carotideo, la funzione respiratoria e lo stato di coscienza). Il primo provvedimento sarà rivolto ad assicurare la pervietà delle vie aeree. Se sono assenti movimenti respiratori spontanei o se è in atto un arresto cardiaco, è necessario provvedere immediatamente alla rianimazione cardiopolmonare (v. Cap. 206). La terapia dello shock e delle altre manifestazioni delle ustioni gravi è illustrata nel Cap. 276. Una volta ristabilite le funzioni vitali, si dovranno valutare complessivamente la natura e l’entità dei danni riportati dal soggetto e si dovrà procedere a trattarli. Si dovranno anche ricercare eventuali lussazioni, fratture, lesioni cervicospinali e interne. Se è presente mioglobinuria, è essenziale reintegrare i liquidi e procedere a terapia alcalinizzante per ridurre il rischio di precipitazione di mioglobina a livello dei tubuli renali (v. Cap. 276). Per aumentare il flusso renale possono essere indicati il mannitolo o la furosemide, è inoltre necessario attuare la profilassi antitetanica per qualsiasi tipo di ustione.

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Danni da elettricita'

La valutazione di base per tutti i danni da elettricità comprende un ECG, gli enzimi cardiaci, un emocromo completo e l’analisi delle urine, ponendo particolare attenzione alla mioglobina. Inoltre, se esiste il sospetto di un danno cardiaco, di aritmie o è presente dolore toracico, è indicato un monitoraggio cardiaco per 12 h. Qualsiasi deterioramento dello stato di coscienza rende imperativa l’esecuzione di una TC o di una RMN, per escludere eventuali emorragie intracraniche. Nelle vittime di folgorazioni da fulmine possono essere necessari la rianimazione cardiopolmonare, controlli e terapie di supporto. Di regola si limita la somministrazione di liquidi per la possibile insorgenza di edema cerebrale. I bambini con ustioni delle labbra vanno inviati a uno specialista in ortodonzia pediatrica o a un chirurgo maxillo-facciale, esperti nella valutazione e nel trattamento a lungo termine di queste lesioni.

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 206. ARRESTO CARDIO-RESPIRATORIO E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE (Per la rianimazione pediatrica, v. Cap. 263.)

Sommario: Introduzione CPR PRIMARIA TECNICHE PER ASSICURARE LA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE RIPRISTINO DELL’ATTIVITÀ RESPIRATORIA RIPRISTINO DELLA CIRCOLAZIONE Complicanze DEFIBRILLAZIONE CIRCOSTANZE PARTICOLARI CPR SECONDARIA TERAPIA FARMACOLOGICA DISPOSITIVI MECCANICI PER LA RIANIMAZIONE TERAPIA POST-RIANIMAZIONE

In una persona priva di coscienza o collassata, va immediatamente determinato lo stato della ventilazione e della circolazione. La velocità, l’efficienza e una corretta applicazione della rianimazione cardiorespiratoria sono direttamente correlate a un buon recupero delle funzioni del SNC. Un approccio sistematico e rapido deve fare in modo che trascorrano solo pochi secondi tra il riconoscimento dell’arresto cardiaco e l’intervento. L’anossia tissutale che perduri per > 4-6 min può comportare un danno cerebrale irreversibile o il decesso; la prognosi, tuttavia, è molto variabile e dipende dall’età, dalla causa dell’arresto e dalle circostanze cliniche. Il successo della rianimazione cardiorespiratoria (CardioPulmonary Resuscitation, CPR) dipende da un precoce supporto di base delle funzioni vitali (Basic Life Support, BLS), dal rapido riconoscimento e trattamento della FV, se presente, e dal controllo delle vie aeree e del ritmo con metodi di rianimazione avanzata, se necessario. La CPR deve essere proseguita finché la funzione cardiorespiratoria non è stabilizzata, o il paziente è dichiarato morto, oppure non si è in grado di proseguire (esaurimento dell’operatore). Dopo ipotermia profonda o prolungata immersione in acqua fredda, la CPR va continuata sino al ristabilimento della normale temperatura corporea interna, visto che pazienti sottoposti a manovre rianimatorie per periodi prolungati (fino a tre ore) hanno successivamente recuperato. Le linee guida stabilite dell’American Heart Association distinguono la CPR in primaria e secondaria.

CPR PRIMARIA

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

Dopo aver stabilito che la vittima non risponde (toccandola, scuotendola o chiamandola ad alta voce), il soccorritore chiede aiuto, annota l’esatto momento dell’arresto (se conosciuto) e sistema la vittima in posizione orizzontale su una superficie rigida. A questo punto, va rapidamente eseguito l’algoritmo del BLS ricordando la sequenza ABC (v. Tab. 206-1). Il passo successivo è la defibrillazione (D), utilizzata per arrestare la FV o la TV senza polso, se è immediatamente disponibile l’equipaggiamento appropriato (defibrillatore convenzionale o automatico). Quando l’esatta durata dell’arresto cardiaco non è certa, alla vittima, a meno che non sia nella fase terminale di una patologia incurabile, va comunque garantito il beneficio del dubbio. Una volta che si incomincia il BLS, il medico deve decidere quando fermarsi. Si interrompe la rianimazione per decretare la morte della vittima quando lo stato di coma profondo o l’assenza di respiro spontaneo, di attività circolatoria e di riflessi bulbari indicano che la rianimazione è impossibile. Ciò significa che il paziente è risultato refrattario al BLS standard e alle misure di supporto cardiorespiratoro avanzato (Advanced Cardiac Life Support, ACLS). Sebbene la presenza di attività neurologica durante la rianimazione sia in favore di un recupero delle funzioni cerebrali, la sua assenza non rappresenta un indicatore affidabile di un’incapacità di recupero dell’attività cerebrale.

TECNICHE PER ASSICURARE LA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE Rendere pervie le vie aeree (A) è la prima cosa da fare nel BLS in caso di insufficienza respiratoria (respiro difficoltoso e rumoroso) e di arresto cardiaco o respiratorio. A volte si tratta dell’unico intervento necessario per ristabilire una respirazione (B-"Breathing") e un’attività circolatoria (C) spontanee; in questi casi non risulta necessario il massaggio cardiaco. L’ostruzione delle vie aeree provocata dal ridotto tono muscolare della lingua e dei muscoli del collo in una persona in stato di incoscienza è accentuata dalla flessione del collo. L’iperestensione del capo stira le strutture anteriori del collo, provocando il sollevamento della lingua dalla parete faringea posteriore. Siccome tale manovra da sola spesso non è sufficiente per garantire la pervietà delle vie aeree, sono necessarie misure aggiuntive. Iperestensione della testa e sollevamento del mento: si spinge indietro la testa, si mette un dito della mano libera sotto la rima mandibolare e si solleva il mento in avanti (verticalmente verso l’alto) finché la rima dentale sia quasi chiusa, facendo però attenzione a non chiudere completamente la bocca (v. Fig. 206-1A); se quest’approccio non ha successo, si deve usare la manovra di iperestensione della testa e innalzamento del collo. Questa si esegue ponendo una mano sulla fronte della vittima e sollevando in alto il collo mentre si reclina indietro il capo. Entrambe queste tecniche possono assicurare la pervietà delle vie aeree in tempi rapidi. Va aggiunta la sublussazione della mandibola se nessuna delle due manovre descritte in precedenza ha successo o se il paziente respira spontaneamente ma in maniera rumorosa a causa di un’ostruzione parziale delle vie aeree. Questa triplice manovra (iperestensione della testa, innalzamento del collo, sublussazione della mandibola) produce un ulteriore spostamento in avanti della lingua e delle strutture del collo. Il soccorritore si pone in ginocchio alla testa del paziente, mettendo le sue mani ai lati del volto del paziente e usando le dita per spingere in avanti la mandibola. Di solito, il soccorritore riesce a eseguire meglio questa manovra appoggiando i gomiti a terra, sullo stesso piano su cui giace la vittima. La sublussazione della mandibola senza iper-estensione del capo è il metodo migliore per assicurare la pervietà delle vie aeree nei pazienti che hanno un sospetto trauma della colonna cervicale (p. es., vittime di un trauma) e una compromissione respiratoria. Questa tecnica consente di mantenere la colonna cervicale in una posizione neutrale, assicurando nel contempo la pervietà delle vie aeree. Può essere associata con il solo sollevamento del mento se necessario. file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (2 of 13)02/09/2004 2.03.10

Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

A meno che i primi tentativi di assicurare la pervietà delle vie aeree non abbiano successo, le protesi dentarie vanno lasciate in sede, perché la loro rimozione può rendere più difficile la perfetta adesione della bocca del soccorritore a quella della vittima durante la respirazione artificiale. Una volta assicurata la pervietà delle vie aeree, si verificherà il ripristino della ventilazione spontanea osservando i movimenti del torace della vittima mentre si ausculta il fruscio provocato dal passaggio dell’aria e si fa attenzione a percepire l’aria espirata sulla propria guancia. In caso di mancato ripristino della funzione respiratoria spontanea in presenza di pervietà delle vie aeree, occorre iniziare immediatamente la respirazione artificiale.

RIPRISTINO DELL’ATTIVITÀ RESPIRATORIA (V. anche Dispositivi meccanici per la rianimazione, più avanti) Respirazione artificiale: la respirazione artificiale mediante la tecnica bocca a bocca si esegue ponendo il palmo di una mano contro la fronte del paziente allo scopo di mantenere il capo iperesteso e usando il pollice e l’indice della stessa mano per chiudere le narici al fine di prevenire la fuoriuscita dell’aria (Fig. 2061B). Il soccorritore deve aprire bene la bocca, inspirare profondamente, porre la propria bocca su quella del paziente assicurandosi che ci sia una perfetta adesione, e insufflare due respiri profondi (di 1-1,5 secondi ciascuno), evitando di insufflare aria nello stomaco. L’efficacia di queste manovre ventilatorie va verificata osservando che la gabbia toracica della vittima si sollevi e si abbassi e avvertendo (mediante l’udito e la percezione del fruscio dell’aria sulla propria guancia) l’espirazione passiva del paziente. Fra un’insufflazione e l’altra, bisogna lasciare alla vittima il tempo di espirare (1-2 s per ogni ventilazione). La respirazione bocca-naso è indicata quando non è possibile assicurare una perfetta aderenza fra la propria bocca e quella della vittima o quando non si riesce ad aprire la bocca della vittima a causa di uno spasmo muscolare, di una deformità o di una grave infiammazione. Lo spostamento del capo all’indietro in questo caso è simile a quello eseguito nella respirazione bocca a bocca, ma la mano libera del soccorritore va utilizzata per spingere in avanti la mandibola, in modo da chiudere la bocca. Si poggia quindi la bocca accuratamente intorno al naso della vittima e si somministrano profonde insufflazioni. Si rilascerà infine la spinta sulla mandibola per permettere l’apertura della bocca durante l’espirazione passiva. La respirazione combinata bocca e naso si utilizza nei lattanti e nei bambini piccoli allorquando risulti difficile mantenere un contatto efficiente della propria bocca intorno a quella della vittima. In tal caso il soccorritore pone la propria bocca sulla bocca e sul naso della vittima, insufflando aria nei polmoni in misura variabile a seconda delle dimensioni del bambino (v. Fig. 206-2C). In genere, nei bambini ≥8 anni di corporatura normale si utilizzano le tecniche di CPR dell’adulto. La pressione sulla cricoide, se è disponibile personale esperto, va applicata in maniera continuativa finché non si ottiene il controllo delle vie aeree mediante intubazione orotracheale. Questa tecnica fa sì che i rigidi anelli cartilaginei della trachea occludano l’esofago. Per questo, si riduce notevolmente l’insufflazione gastrica durante la ventilazione artificiale minimizzando il rischio di aspirazione in caso di rigurgito di contenuto gastrico. Le tecniche usate nella CPR a uno e a due soccorritori sono mostrate nella Tab. 206-2. Mentre l’aria inalata contiene circa il 21% di O2 e tracce di CO2, l’aria espirata contiene il 16-18% di O2 e il 4-5% di CO2, una percentuale sufficiente a

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

mantenere i livelli ematici di O2 e di CO2 intorno ai valori normali, se le insufflazioni vengono effettuate con la frequenza e i volumi raccomandati. Se il soccorritore va incontro ad alcalosi da iperventilazione (che si manifesta con capogiri, obnubilamento del sensorio, acufeni e parestesie), la frequenza respiratoria e l’ampiezza di ciascuna ventilazione vanno ridotte. Inoltre, l’introduzione di volumi di aria maggiori rispetto al necessario è associata a un’eccessiva distensione gastrica con il rischio di inalazione del contenuto gastrico rigurgitato. Manovra di Heimlich: negli adulti, se il soccorritore non sente espandersi i polmoni o non vede il torace sollevarsi dopo aver assicurato la pervietà delle vie aeree e aver eseguito la respirazione artificiale, si deve assumere che le vie aeree sono ancora ostruite. Il soccorritore deve riposizionare il capo provando un metodo alternativo di iperestensione della testa, assicurarsi che ci sia un fermo contatto della propria bocca con quella della vittima e ripetere la respirazione artificiale. Se l’ostruzione delle vie aeree persiste, si porta la vittima in posizione supina e si ricorre alla manovra di Heimlich (spinte manuali sull’addome superiore o, in caso di gravidanza od obesità estrema, colpi sul torace). La manovra di Heimlich va effettuata mettendosi seduti a cavalcioni al disopra delle ginocchia della vittima e ponendo il palmo della propria mano sull’addome superiore sotto il processo xifoideo (per evitare di danneggiare le strutture toraciche e il fegato, la mano non va mai appoggiata sul processo xifoideo né sulla gabbia toracica); l’altra mano va appoggiata sulla prima e quindi si dà una ferma spinta verso l’alto. (Nota: una spinta verso il basso può danneggiare l’aorta.) Per la tecnica della compressione toracica, la vittima va messa in posizione supina; la mano va posizionata in corrispondenza dello sterno similmente a quanto si fa nel massaggio cardiaco (v. oltre, Ripristino della circolazione). Con entrambe le tecniche, possono essere necessarie da 6 a 10 compressioni per sbloccare un corpo estraneo. In caso di ostruzione delle vie aeree nei bambini, va eseguita la manovra di Heimlich; in bambini piccoli, va eseguita più delicatamente inginocchiandosi di lato anziché assumere la posizione a cavalcioni. I lattanti < 1 anno di età vanno tenuti a testa in basso mentre il soccorritore somministra quattro colpi sul dorso (v. Fig. 206-2A). Si possono somministrare fino a quattro colpi sul torace, mettendo il bambino con il dorso sulle ginocchia del soccorritore e con la testa in basso. Il soccorritore può anche sorreggere il bambino con una mano dietro il collo e l’altra dietro la schiena. Rimozione di corpi estranei, ricercandoli con le dita alla cieca: Nell’adulto, un corpo estraneo può anche essere rimosso facendo scivolare il dito indice lungo la guancia attraverso la bocca e il faringe della vittima dopo avere spostato in avanti la lingua e la mandibola. Bisogna fare attenzione a non spingere ulteriormente il corpo estraneo all’interno delle vie aeree. Un ulteriore scivolamento del dito associato a compressione manuale dell’addome può essere necessario per spostare completamente il corpo estraneo o per liberare la via aerea bloccata. La rimozione alla cieca con le dita non è raccomandata nei bambini e nei neonati. Tuttavia, se il corpo estraneo è visualizzabile, va rimosso con cautela. L’ipossiemia progressiva può causare il rilasciamento dei muscoli della gola; la manovra di rimozione dei corpi estranei con le dita può frequentemente dislocare un corpo estraneo situato a livello sopralaringeo, anche dopo che un iniziale tentativo non ha avuto successo. Una volta liberate le vie aeree: bisogna cominciare rapidamente la CPR. Se l’ostruzione persiste, occorre procedere alla cricotirotomia; può anche essere necessario procedere alla tracheostomia, in presenza di gravi lesioni orofacciali o di flogosi massiva di collo e faringe (v. Ripristino e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie nel Cap. 65). Gli errori più comuni nella pratica della respirazione artificiale sono: il ritardo nella diagnosi di arresto respiratorio o cardiaco; l’insuccesso del tentativo di

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

rendere pervie le vie aeree, il ritardo con cui si inizia il BLS; l’inadeguata ventilazione (p. es., insufficiente apposizione della bocca intorno a quella della vittima, insuccesso nella somministrazione delle prime due ventilazioni o inadeguata pressione dell’aria espirata).

RIPRISTINO DELLA CIRCOLAZIONE Il soccorritore, mentre cerca di ristabilire la pervietà delle vie aeree sospingendo indietro il capo della vittima, deve utilizzare la mano libera per palpare con delicatezza il polso carotideo per 5-10 s (il polso può essere irregolare, debole o rapido). Se non rileva alcuna pulsazione, il soccorritore deve immediatamente iniziare il massaggio cardiaco esterno (a torace chiuso), insieme con la respirazione artificiale. Perché il massaggio sia efficace, la vittima deve essere distesa orizzontalmente su una superficie dura (p. es. sul pavimento, sul tavolo operatorio, sulla rete del letto). Il soccorritore pone il dito medio di una mano sulla giunzione xifosternale e l’indice della stessa mano sull’estremità inferiore dello sterno, quindi pone la zona carpale dell’altra mano sullo sterno subito al di sopra dell’indice della prima mano. Il palmo della mano utilizzata per individuare la giunzione xifosternale va posto sull’altra mano già appoggiata sulla sterno (non sul processo xifoideo) per iniziare le compressioni. Il soccorritore deve mettersi perpendicolarmente al di sopra della vittima e, tenendo le braccia distese, deve esercitare una spinta dall’alto verso il basso sullo sterno (per evitare fratture costali) inducendo una depressione dello sterno di 4-5 cm nell’adulto. Le dita possono essere tenute estese o intrecciate, ma non devono stare a contatto con la parete toracica. La compressione e il rilasciamento devono avere la medesima durata. Le mani del soccorritore vanno mantenute sullo sterno durante la fase di rilasciamento. Tali manovre vanno ripetute in modo dolce; scossoni, spinte o compressioni irregolari aumentano la probabilità di causare lesioni. Nei bambini di età compresa fra 1 e 8 anni, la compressione cardiaca va effettuata con una sola mano posta sulla regione inferiore dello sterno (non così in basso come nell’adulto); bisogna ottenere una depressione toracica di 2,53,8 cm alla frequenza di 80-100/min. In età infantile il cuore ha una posizione più alta nel torace e la parete toracica è più flessibile. La compressione in tal caso va eseguita con la punta dell’indice e del medio sulla regione centrale dello sterno causando una depressione di 1,32,5 cm alla frequenza di 100/min. L’efficacia della CPR va verificata a intervalli di tempo costanti. Il polso carotideo va palpato 1 min dopo aver messo in pratica i presidi di emergenza, dopo l’arrivo del secondo soccorritore e quindi q 4-5 min onde verificare l’eventuale ripristino della circolazione spontanea. In linea teorica, il massaggio cardiaco esterno produce un polso palpabile a ogni compressione; nonostante la gittata cardiaca sia solo il 30-40% del normale, la PA sistolica deve essere > 80 mm Hg. La ricomparsa della reattività pupillare indica la presenza di un’adeguata circolazione e ossigenazione del cervello. Pupille dilatate, che tuttavia rispondono alla luce, possono indicare che non si è verificato un danno cerebrale, ma che l’ossigenazione cerebrale è inadeguata. Tuttavia, la persistenza della dilatazione pupillare non indica danno o morte cerebrale, in quanto l’uso di farmaci cardioattivi ad alte dosi o di altri farmaci, come pure la cataratta in un anziano, possono modificare le dimensioni e la reattività pupillare. Il massaggio cardiaco interno può risultare efficace dopo trauma toracico penetrante, tamponamento cardiaco, arresto cardiaco in sala operatoria, quando il torace del paziente è già aperto e in caso di trauma da schiacciamento toracico. Tuttavia, questa procedura richiede un’adeguata specializzazione ed esperienza per la corretta esecuzione della toracotomia, e va riservata solo a circostanze estreme.

Complicanze file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (5 of 13)02/09/2004 2.03.10

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La lacerazione epatica è la complicanza più seria (anche fatale) ed è di solito provocata da una compressione esercitata troppo in basso sullo sterno. Non comprimere sul processo xifoideo! È stata anche descritta la rottura della milza dopo CPR e si può anche avere la rottura dello stomaco (soprattutto in caso di distensione gastrica) dopo compressione addominale. Una complicanza grave è il rigurgito con successiva aspirazione del contenuto gastrico, che può causare una polmonite ab ingestis anche fatale. Si può evitare un’eccessiva distensione gastrica durante la ventilazione artificiale insufflando aria in misura appropriata, verificando la pervietà completa delle vie aeree prima di praticare la respirazione artificiale e intubando la vittima il prima possibile. Se si sviluppa una marcata distensione gastrica, occorre riverificare la pervietà delle vie aeree ed evitare una ventilazione forzata. Vanno eseguiti tentativi per risolvere l’iperdistensione gastrica soltanto se si ha a disposizione l’occorrente per il sondaggio nasogastrico, perché può verificarsi un rigurgito con inalazione di contenuto gastrico. Se l’eccessiva distensione gastrica interferisce con le manovre di ventilazione e non può essere corretta nel modo descritto, occorre porre la vittima sul fianco, comprimere l’epigastrio e mantenere pulita e pervia la via aerea. La dislocazione dell’articolazione costocondrale e le fratture costali sono talvolta inevitabili se si comprime con una forza tale da produrre un polso palpabile. Dopo massaggio cardiaco esterno, è stata raramente riportata embolia polmonare a partenza dal midollo osseo, ma manca una chiara evidenza che questa contribuisca alla mortalità. La compressione toracica causa raramente importanti danni al miocardio, a meno che non preesista un aneurisma ventricolare. Rari sono anche i traumi polmonari, sebbene possa verificarsi un pneumotorace secondario a frattura costale. Il timore di tali complicanze non deve comunque modificare o impedire una corretta esecuzione della CPR.

DEFIBRILLAZIONE Un forte pugno precordiale può convertire la FV o la TV in un ritmo cardiaco efficace o, al contrario, può convertire un ritmo cardiaco organizzato in FV, TV o asistolia. Si raccomanda l’uso del pugno precordiale solo quando non si ha a disposizione un defibrillatore. L’iniziale richiesta di aiuto dovrebbe avere come risultato il rapido arrivo di soccorritori forniti di defibrillatore. Il successo della defibrillazione è funzione del tempo, con una riduzione della percentuale di successi del 2-10% per ogni minuto che trascorre dal momento dell’arresto cardiaco. Una rapida cardioversione mediante shock elettrico sembra essere più efficace nella rianimazione rispetto ad altre terapie (p. es., farmaci antiaritmici). Defibrillatori automatici esterni assicurano un rapido trattamento della TV o della FV senza l’intervento di un medico. Le piastre del defibrillatore (ricoperte con pasta conduttrice o piastre morbide monouso impregnate di soluzione salina) vanno posizionate sul secondo spazio intercostale lungo il margine sternale destro e sul quinto o sesto spazio intercostale alla punta del cuore. Se un primo shock a 200 J non è risolutivo, va somministrato un secondo shock a 200-300 J. Si utilizza un terzo shock a 360 J se la FV persiste. I tre shock vanno somministrati consecutivamente, senza interrompere la CPR o la terapia farmacologica. Le piastre del defibrillatore devono essere ricaricate immediatamente dopo ciascuno shock, senza spostarle dalla parete toracica se si utilizzano piastre convenzionali. Se si rileva FV al monitor dopo lo shock iniziale, bisogna immediatamente somministrare il secondo shock. Se si rileva un ritmo diverso dalla FV, le piastre vanno allontanate dalla parete toracica, il defibrillatore va scaricato e bisogna cercare un polso valido. Se la defibrillazione non ha successo, si riprende il BLS e si pratica una terapia farmacologica basata sulla CPR secondaria (v. più avanti).

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CIRCOSTANZE PARTICOLARI In caso di shock elettrico, occorre accertarsi che la vittima non sia più in contatto con la fonte di energia per evitare che il soccorritore stesso riceva una scarica. L’uso di strumenti non metallici e il contatto a terra del soccorritore permettono di sistemare la vittima in maniera sicura per poi iniziare le manovre rianimatorie. Nell’annegamento, si può iniziare la respirazione artificiale in acqua, se poco profonda, ma la compressione del torace non può essere fatta in maniera efficace quando la vittima non è in posizione orizzontale. Può essere utile in tali casi porre la vittima su una tavola da surf o comunque su una tavola galleggiante. Nel trauma, la CPR può presentare diversi problemi. Una lesione della colonna cervicale richiede la modificazione delle tecniche descritte in precedenza per rendere pervie le vie aeree. Lesioni del viso associate a sanguinamento orofaringeo possono richiedere la pulizia delle vie aeree prima di iniziare la respirazione. Danni gravi al viso possono rendere impossibile la respirazione bocca a bocca senza dispositivi aggiuntivi e procedure avanzate (p. es. l’intubazione endotracheale). Anche i traumi del torace, incluse le lesioni penetranti cardiache o polmonari, rappresentano un ostacolo alla respirazione artificiale. In tali circostanze, è necessario l’intervento sul posto di personale specializzato e l’immediato trasporto in ospedale.

CPR SECONDARIA La CPR secondaria comprende le misure di supporto cardiorespiratoro avanzato (Advanced Cardiac Life Support, ACLS) con il BLS. L’ACLS comprende la terapia farmacologica, il monitoraggio cardiaco (diagnosi ECG), l’equipaggiamento aggiuntivo e le tecniche speciali per stabilizzare e mantenere un’ossigenazione e una circolazione efficaci. La CPR secondaria prevede una sequenza simile a quella della CPR primaria (ABCD, v. Tab. 206-1). Il ricorso alla CPR secondaria implica che il paziente non ha risposto agli iniziali tentativi di rianimazione. Il soccorritore deve perciò prendere in considerazione la diagnosi differenziale dell’arresto cardiaco e valutare la necessità di una terapia di base per le aritmie e il ricorso a interventi specifici. Cause quali gli squilibri elettrolitici (ipokaliemia o iperkaliemia), i disturbi dell’equilibrio acido-base (acidosi metabolica), l’ipovolemia, l’embolia polmonare massiva o il pneumotorace comporteranno diversi approcci terapeutici nella CPR secondaria. L’individuazione del tipo di aritmia e le condizioni cliniche del paziente determinano la terapia da mettere in atto. La FV, la bradicardia e la dissociazione elettromeccanica (DEM) richiedono il pronto riconoscimento e un rapido intervento. Pertanto, è necessario instaurare un monitoraggio ECG il più rapidamente possibile in tutte le persone in stato di incoscienza o prive di sensi. Va resa disponibile una via venosa; due vie minimizzano la probabilità di perdita dell’accesso venoso in un momento critico. Attraverso tale accesso si possono somministrare rilevanti quantità di liquidi tramite aghi larghi e corti. Le vene antecubitali del braccio rappresentano il sito preferito per l’accesso iniziale. Lunghe vie venose femorali consentono di non interrompere la rianimazione e presentano un minor rischio di complicanze fatali. Personale specializzato può predisporre una via centrale attraverso la succlavia o la giugulare interna qualora il trattamento iniziale non risulti efficace nel ripristinare la circolazione (v. Tecniche Invasive nel Cap. 198). L’attuazione dell’ACLS non deve interrompere il BLS (ventilazioni e compressioni cardiache) per > 15-30 s. Nei pazienti privi di accesso venoso, lidocaina, adrenalina e atropina possono essere somministrate per via endotracheale, a dosi 2-2,5 volte maggiori della dose EV. Il tipo e la quantità di liquidi o di farmaci somministrati dipendono dalle circostanze cliniche; file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (7 of 13)02/09/2004 2.03.10

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nell’arresto cardiaco che complica un’ischemia miocardica, vengono somministrati liquidi EV (p. es. soluzione fisiologica) solo per mantenere pervia la via di accesso EV, mentre nel collasso circolatorio da perdita di liquid, possono essere necessarie grandi quantità di liquidi (cristalloidi, soluzioni colloidali, sangue) per espandere il volume plasmatico.

TERAPIA FARMACOLOGICA L’adrenalina (1 mg somministrato in 10 ml di soluzione 0,1 mg/ml q 3-5 min) è il farmaco di prima scelta per la fibrillazione ventricolare, quando una defibrillazione sia stata inefficace. Il ritmo va ricontrollato dopo circa 30-60 s dalla somministrazione. Se la FV o la tachicardia ventricolare (TV) persistono, possono essere praticate fino a tre cardioversioni elettriche consecutive prima dell’ulteriore somministrazione di farmaci. Questa sequenza può essere ripetuta per la FV o la TV persistenti. Non è stato dimostrato che l’ulteriore somministrazione di farmaci dia alcun vantaggio mentre si continuano le defibrillazioni elettriche intervallate dalla somministrazione di adrenalina. La lidocaina (1,0-1,5 mg/kg EV) va somministrata EV rapidamente e può essere ripetuta dopo 3-5 min fino a una dose totale di 3 mg/kg. L’inizio dell’azione è immediato dopo somministrazione rapida EV, ma è necessaria un’infusione costante per mantenere livelli ematici terapeutici. L’età avanzata e una ridotta funzione epatica possono alterare il metabolismo della lidocaina e, in questi casi, vanno somministrate dosi di carico ridotte. La cardioversione in 30-60 secondi può essere utilizzata. La FV o la TV resistenti all’adrenalina, alla defibrillazione e alla lidocaina, o che recidivano sotto lidocaina, devono essere trattate con tosilato di bretilio mediante infusione endovenosa rapida (con una dose di carico di 5 mg/kg q 15 min seguita dalla cardioversione elettrica). Una seconda dose di 10 mg/kg può essere somministrata mediante infusione EV rapida in 5 min (massima dose totale di carico di 30 mg/kg). Nella FV o TV refrattarie, può essere somministrata procainamide alla dose di 30 mg/min fino a un totale di 17 mg/kg. Possono essere desiderabili velocità di infusione più rapide, che non sono state valutate clinicamente. Si può utilizzare la fenitoina per trattare la FV o la TV dovute a intossicazione digitalica refrattaria ad altri farmaci. Una dose di 100 mg, fino a una dose totale di 1 g, va somministrata lentamente ( 50 mg/min) in soluzione fisiologica. Il solfato di magnesio non si è dimostrato utile in studi clinici randomizzati. Si ritiene che la somministrazione EV rapida di 1-2 g di Mg possa essere d’aiuto in pazienti con un deficit di Mg noto o sospetto (cioè, in caso di alcolismo). Il bicarbonato di sodio non è più raccomandato come presidio terapeutico iniziale e obbligatorio per l’arresto cardiaco, perché può indurre acidosi paradossa a livello cerebrale e cardiaco, iperosmolarità, ipersodiemia o alcalemia e può inibire il rilascio di O2 dal sangue ai tessuti. Bisogna provare prima altri presidi (p. es., defibrillazione, ventilazione, massaggio cardiaco, farmaci), a meno che la causa dell’arresto non sia un’acidosi sensibile ai bicarbonati, un’iperpotassiemia o un sovradosaggio di antidepressivi triciclici con aritmie ventricolari complesse. Quando si usa il bicarbonato di sodio, la somministrazione deve essere regolata monitorando il pH (q 5 min). Il cloruro di calcio non è più raccomandato in assenza di iperpotassiemia, ipocalcemia o intossicazione da calcioantagonisti, in quanto elevati livelli circolanti di Ca++ possono avere effetti dannosi. Quando necessario, si possono somministrare EV 2 ml di una soluzione al 10% di cloruro di calcio (100 mg/ ml = 1,36 mEq/ml) a 1 ml/min. Si possono usare altri preparati a base di Ca (Ca gluceptato 3 ml [0,9 mEq/ml], Ca gluconato 6 ml [0,45 mEq/ml]). È necessaria particolare cautela quando l’intossicazione digitalica rappresenta la causa potenziale dell’arresto cardiaco. file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (8 of 13)02/09/2004 2.03.10

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L’asistolia va trattata con boli EV di adrenalina di 0,5-1 mg q 5 min. L’adrenalina ha sia proprietà di α-agonista che di β-agonista. Gli effetti di tipo α possono aumentare la pressione diastolica periferica e coronarica, migliorando pertanto la perfusione a livello delle regioni subendocardiche durante il massaggio cardiaco. Ciò può generare attività elettrica e aumentare la contrattilità cardiaca e quindi la gittata cardiaca. Siccome si ha un buon assorbimento di adrenalina per via polmonare, non bisogna ritardare la somministrazione endotracheale, se risulta difficile instaurare una via venosa. È sconsigliabile la somministrazione intracardiaca di adrenalina, a meno che la via venosa e quella aerea siano inaccessibili, a causa di complicanze quali pneumotorace, lacerazioni coronariche, tamponamento cardiaco e interruzioni prolungate della CPR. Una linea completamente piatta all’ECG è comunemente dovuta a un errore dell’operatore (falsa asistolia), p. es., derivazioni mancanti o non connesse al paziente o all’apparecchio di monitoraggio, mancanza di potenza o ridotto guadagno del segnale. È appropriato il monitoraggio di un’altra derivazione o la risistemazione delle piastre del defibrillatore. Si può anche somministrare solfato di atropina 0,5-1 mg q 5 min (fino a un massimo di 0,03-0,04 mg/kg) se l’asistolia persiste. L’atropina è un farmaco parasimpaticolitico che aumenta la frequenza cardiaca e la conduzione attraverso il nodo atrioventricolare. Può risultare utile per le bradiaritmie che si verificano in corso di ischemia miocardica (specialmente della parete inferiore) o per il blocco di grado elevato del nodo atrioventricolare. Se né l’adrenalina, né l’atropina ripristinano complessi ECG regolari, bisogna immediatamente instaurare un pacing temporaneo trans-cutaneo. Se la stimolazione transcutanea non è disponibile o non ha successo, può essere sostituita da un pacemaker temporaneo transvenoso (nel ventricolo destro) o da elettrodi stimolanti percutanei transtoracici a livello sottocostale. Tuttavia, la probabilità che il pacing abbia successo è tanto minore quanto maggiore è stata la durata dell’arresto cardiaco. Subito dopo l’impianto degli elettrodi, occorre determinare le soglie di sensing e di stimolazione; 1-2 milliampere è generalmente la soglia di un efficace sistema di pacing temporaneo. L’output elettrico di mantenimento deve essere pari a due-tre volte il valore soglia e il pacemaker deve essere regolato in modo da mantenere la frequenza cardiaca a 70-80 battiti/min. Se la stimolazione è inefficace, bisogna provare l’adrenalina, l’atropina o il riposizionamento dell’elettrodo. La defibrillazione di routine nell’asistolia non dà risultati incoraggianti, perché può provocare un’importante scarica parasimpatica. L’attività elettrica senza polso è un collasso circolatorio che si verifica nonostante la presenza di una soddisfacente attività elettrica all’ECG. Può essere causata da: insufficienza di pompa per un’estesa disfunzione miocardica, significativa perdita del tono vasomotorio periferico, massiva perdita di liquidi, tamponamento cardiaco, tumore intracardiaco, trombo intracavitario occludente o embolia polmonare massiva. Attività elettrica senza polso non è necessariamente sinonimo di dissociazione elettromeccanica (DEM) perché il miocardio può ancora contrarsi, ma in maniera insufficiente, così da non consentire il rilievo della PA mediante i metodi consueti. Nell’attività elettrica senza polso, il BLS va praticato in combinazione con l’infusione di liquidi e di adrenalina (0,5-1 mg EV) e con altre misure di rianimazione avanzata. Per la bradicardia può essere somministrata atropina. Una causa frequente di attività elettrica senza polso è la deplezione relativa o assoluta di liquidi. Vanno somministrate soluzioni di cristalloidi o di colloidi (5001000 ml); volumi maggiori di liquidi possono essere necessari in caso di perdite massive di liquidi o di anafilassi. Per aumentare il ritorno venoso sistemico, si può infondere dopamina o adrenalina in dosi crescenti. Il tamponamento cardiaco rappresenta un’importante causa di attività elettrica senza polso e va rapidamente trattato mediante pericardiocentesi a letto del paziente (v. Cap. 209). Un’altra causa importante è il pneumotorace iperteso, che può essere risolto mediante l’inserimento di un ago o una sonda toracica. Un’altra causa possibile è il sovradosaggio di farmaci (antidepressivi, digitale, β-bloccanti o file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (9 of 13)02/09/2004 2.03.10

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calcioantagonisti). Nell’attività elettrica senza polso, è indicato l’attento monitoraggio del flusso ematico non rilevabile con la palpazione delle arterie; a tal fine, si può utilizzare l’ecografia Doppler o il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa. I pazienti con una contrattilità cardiaca rilevabile devono essere trattati in maniera aggressiva. Nello shock circolatorio, se non c’è evidenza di insufficienza ventricolare sinistra, la terapia iniziale è costituita dall’infusione di liquidi. In caso di ipotensione arteriosa grave che non risponde alla reintegrazione dei liquidi, risultano utili i seguenti farmaci, somministrati in infusione continua a dosi crescenti per ripristinare una pressione arteriosa valida: la dopamina, farmaco inotropo (400 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5% [1,6 mg/ml], iniziando a 3-5 µg/kg/min); l’adrenalina, inotropo e vasocostrittore (8 mg in 250 ml di glucosata al 5% [32 µg /ml] a 2-10 µg/min); la noradrenalina (8 mg in 250 ml di glucosata al 5% o NaCl allo 0,9% [32 µg/ml] a 2-16 µg/min) o la fenilefrina (50 mg in 250 ml di glucosata al 5% [200 µg/ml] a 0,1-1,5 µg/kg/min), entrambi vasocostrittori periferici. I farmaci vasoattivi vanno utilizzati alle minime dosi necessarie per ottenere una PA soddisfacente, perché possono indurre un aumento delle resistenze vascolari e ridurre la perfusione tissutale, soprattutto nella regione mesenterica. A volte è necessario continuare le manovre rianimatorie anche dopo l’iniziale ripresa della vittima e bisogna proseguire finché una ventilazione e un polso adeguati e una PA accettabile indicano la stabilizzazione della funzione cardiorespiratoria.

DISPOSITIVI MECCANICI PER LA RIANIMAZIONE I dispositivi meccanici costituiscono mezzi aggiuntivi e non sostituiscono la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco manuale esterno durante il BLS. Vanno utilizzati solo se disponibili entro pochi secondi, o in sostituzione dei mezzi manuali in caso di rianimazione prolungata o quando occorra spostare la vittima. Sono dispositivi specialistici che vanno utilizzati soltanto da personale adeguatamente addestrato. Negli ambienti clinici e ospedalieri, dove è prevedibile la necessità di mettere in atto manovre di rianimazione e dove il rischio di infezione da HIV, epatite o altro è elevato (p. es., in UTIC, in pronto soccorso, in sala operatoria), questi dispositivi devono essere disponibili rapidamente, eliminando così la necessità della respirazione bocca a bocca. Dispositivi di supporto delle vie aeree: lo scopo principale dei dispositivi di supporto delle vie aeree è fornire O2 supplementare al paziente e assicurare la ventilazione durante le manovre rianimatorie. La maschera facciale con valvola comprende un palloncino autogonfiabile e un meccanismo a valvola che impedisce il ricircolo dell’aria espirata (pallone da rianimazione, pallone di Ambu). Questi dispositivi vanno utilizzati con fonti supplementari di O2 e possono fornire O2 al 60-100%, a patto che si utilizzi il più alto flusso di O2 accettabile, il maggior tempo possibile di riempimento del pallone e un reservoir per l’O2 per impedire l’ingresso di aria ambiente (ogni volta che sia possibile). Il pallone di Ambu si utilizza al meglio con dispositivi artificiali di controllo delle vie aeree, che vanno tuttavia utilizzati solo quando il paziente è completamente privo di coscienza. Se si prova a inserire un tale dispositivo in un paziente cosciente o in stato soporoso, si può verificare un’ostruzione delle vie aeree con conseguente ipossia, vomito e aspirazione. Tubi endotracheali a tenuta sono utilizzati per mantenere pervia una via aerea compromessa, per prevenire l’inalazione nelle vie respiratorie, per iniziare la ventilazione meccanica e per aspirare le basse vie respiratorie. Sono indicati nei pazienti in coma e nei casi in cui sia richiesta la ventilazione artificiale. Prima di ricorrere all’intubazione tracheale, sono sempre indicati il controllo manuale delle file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (10 of 13)02/09/2004 2.03.10

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vie aeree, la ventilazione e l’ossigenazione durante BLS e l’erogazione di O2 in corso di ACLS. Nelle situazioni d’emergenza, bisogna ricordare che l’intubazione orotracheale si esegue più velocemente rispetto a quella nasotracheale; devono essere sempre pronti dispositivi per l’aspirazione e tutto il necessario per le emergenze. Il pallone di Ambu può essere collegato al tubo endotracheale mediante speciali adattatori e ciò permette la ventilazione manuale del paziente finché non viene ripristinata la funzione cardiocircolatoria. Qualora anomalie scheletriche o spasmi muscolari impediscano l’intubazione orotracheale, si può tentare l’intubazione nasotracheale alla cieca. Se questo è impossibile, possono essere necessarie speciali tecniche di accesso alla via aerea, quali la ventilazione mediante catetere transtracheale e la cricotiroidotomia (v. Ripristino e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie nel Cap. 65). La doppia sonda orofaringea è stata utilizzata in alternativa alla respirazione bocca a bocca durante BLS, ma è più difficile da utilizzare poiché le dita del rianimatore devono serrare le labbra del paziente attorno al tubo mentre i pollici tengono chiuse le narici. Aprire la bocca e mantenere la pervietà della via aerea può essere difficile e la stimolazione dell’ipofaringe può indurre vomito non appena il paziente riacquista lo stato di coscienza. Sonde ostruttrici esofagee sono state utilizzate come dispositivi aggiuntivi in caso di arresto cardiaco, ma vanno inserite da personale specificatamente addestrato al loro uso che non sia in grado di eseguire l’intubazione endotracheale. Le complicanze comprendono la perforazione esofagea e l’eccessiva distensione gastrica, che può causare rigurgito. Prima di rimuovere la sonda ostruttrice esofagea, il paziente va intubato e girato su un fianco; devono essere disponibili dispositivi per l’aspirazione. Per i pazienti che respirano spontaneamente, sono disponibili diversi tipi di maschere facciali in diverse misure (per bambini e adulti). Devono essere ben posizionate, trasparenti e devono erogare O2 alla concentrazione del 50% con un flusso di O2 pari a 10 l/min. Le maschere sono efficaci soprattutto quando il soccorritore si mette a livello del capo della vittima e serra fermamente la maschera sul suo viso mentre mantiene pervia la via aerea mediante iperestensione del capo e sublussazione della mandibola. Mediante la semplice maschera, l’O2 viene erogato attraverso un tubo conico e inalato dal paziente (con l’aggiunta di quantità variabili di aria ambiente attraverso i fori di espirazione della maschera), che poi espira attraverso un’apposita via di espirazione. I flussi di O2 comunemente utilizzati (6-10 l/min) permettono di erogare concentrazioni di O2 del 35-55%. Poiché le diverse modalità di ventilazione possono modificare la quantità di O2 fornita da queste maschere, si possono, in alternativa, utilizzare le maschere di Venturi, soprattutto nel caso di pazienti che hanno ritenzione di CO2 e malattie polmonari croniche. Tali dispositivi possono fornire O2 alla concentrazione di 24, 28, 31, 35, 40 e 50%. Una maschera che impedisce il ricircolo dell’aria espirata, simile a una semplice maschera ma fornita di un resevoir di O2 e di valvole di espirazione a una via, può fornire O2 a concentrazioni fino al 90%. Il flusso deve essere di 6-10 l/ min per impedire il collasso del reservoir in coincidenza di ciascun atto respiratorio. L’ossigeno può anche essere erogato mediante cateteri nasali, con un flusso sino a 5 l/min. Supporto circolatorio artificiale: siccome molte forme di arresto cardiaco si accompagnano a ipovolemia, risulterà utile ricorrere a pantaloni antishock militari o medici (Military [or medical] Antishock Trousers, MAST) per aumentare il volume ematico centrale, soprattutto in pazienti con shock ipovolemico secondario a trauma ed emorragia. Tali dispositivi, inoltre, aumentano le resistenze periferiche e incrementano di conseguenza il flusso coronarico. Sono forniti di compartimenti separati per l’addome e per gli arti inferiori, che permettono una compressione indipendente dei vari compartimenti, diversa a seconda delle necessità; quando sono in sede, vanno sgonfiati in maniera sequenziale (il compartimento addominale per primo) come indicato. I MAST possono causare congestione polmonare e insufficienza cardiaca, se il volume intravascolare è normale e la funzione miocardica è ridotta. La contropulsazione aortica può sostenere la circolazione in condizioni di

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

bassa gittata dovuta a un’insufficienza di pompa del ventricolo sinistro grave e refrattaria. Si introduce un catetere, di solito attraverso l’arteria femorale per via transcutanea o mediante arteriotomia, e lo si fa avanzare per via retrograda fino all’aorta toracica, fermandosi quando è appena distale rispetto all’arteria succlavia sinistra. Il gonfiaggio pulsato del contropulsatore migliora la perfusione arteriosa coronarica durante la diastole e riduce il postcarico durante la sistole. Il beneficio massimo di questa tecnica si ha nei casi di rapido deterioramento emodinamico, quando l’intervento cardiochirurgico è imminente e altre misure terapeutiche sono inefficaci. I pazienti con shock cardiogeno dopo la rianimazione, che hanno patologie potenzialmente correggibili mediante intervento chirurgico (p. es., IMA con insufficienza mitralica acuta o difetto interventricolare, grave insufficienza aortica da lesione vascolare acuta), sono candidati alla contropulsazione aortica. È necessaria comunque particolare esperienza nell’inserimento e nel monitoraggio della funzione del contropulsatore.

TERAPIA POST-RIANIMAZIONE Nella fase precoce del periodo post-rianimazione, la terapia ha come obiettivi la correzione dei fattori che mettono a rischio la funzione cardiovascolare e le misure standard atte ad assicurare un’ossigenazione e circolazione cerebrale ottimali. La volemia va normalizzata e la pressione arteriosa media deve essere normale o poco al di sopra dei valori normali. L’ematocrito, la glicemia e gli elettroliti vanno tenuti sotto controllo e la temperatura corporea deve essere mantenuta su valori normali, al fine di ridurre al minimo le richieste metaboliche. La PaO2 arteriosa va mantenuta a livelli normali (80-100 mm Hg). Dopo un arresto cardiaco, le dinamiche del flusso ematico sistemico e del volume intravascolare possono non essere chiare; in tal caso, può essere necessario il monitoraggio della pressione venosa centrale. Dopo un IMA, può essere necessaria l’inserzione di un catetere in arteria polmonare, per misurare la gittata cardiaca, la pressione capillare polmonare ("wedge") e la saturazione di O2 del sangue venoso misto, parametri necessari per stabilire il dosaggio ottimale dei farmaci. La FV o la TV senza polso possono recidivare nel periodo post-rianimazione. La lidocaina (1-1,5 mg/kg EV in infusione rapida) deve essere somministrata di routine dopo la cardioversione di una TV o di una FV, anche quando non è stata utilizzata nelle prime fasi della rianimazione. Se sono stati usati la procainamide o il bretilio, tali farmaci possono essere somministrati mediante infusione continua. Eventuali tachicardie sopraventricolari rapide nel periodo post-rianimazione vanno monitorate ma non trattate, se il paziente è per altri versi stabile (normoteso). Le aritmie sono frequentemente dovute agli elevati livelli di catecolamine (sia endogene che esogene) associate con l’arresto cardiaco e le manovre rianimatorie. In presenza di una bassa gittata dopo ischemia miocardica, può essere indicata la somministrazione di farmaci vasoattivi; gli inotropi aumentano direttamente la contrattilità miocardica. La terapia con dobutamina (500 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5%; 2 mg/ml) si incomincia alla velocità di 2-5 µg/kg/min. In alternativa, vengono somministrati l’amrinone o il milrinone (dose iniziale: 0,75 mg/kg nell’arco di 2-3 min, utilizzando una soluzione di 500 mg in 250 ml di soluzione fisiologica, cioè 2 mg/ml); al bolo iniziale si fa seguire un’infusione continua alla velocità di 5-10 µg/kg/min. Il nitroprussiato di sodio (50 mg in 100 ml di soluzione glucosata al 5%, cioè 500 µg/ml), in sistemi per infusioni endovenose avvolti da fogli di alluminio per proteggerlo dall’esposizione alla luce, va inizialmente somministrato alla velocità di 0,25-0,3 µg/kg/min fino a una velocità massima di 10 µg/kg/min, a seconda delle condizione cliniche ed emodinamiche; è un vasodilatatore venoso e arterioso, che agisce dunque sul precarico e sul postcarico e può ridurre la congestione polmonare e aumentare la gittata cardiaca. La somministrazione di file:///F|/sito/merck/sez16/2061869b.html (12 of 13)02/09/2004 2.03.10

Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

nitroglicerina EV (100 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5%, cioè 400 µg/ml) può risultare utile per ridurre il precarico, soprattutto nell’angina instabile in presenza di insufficienza cardiaca. L’uso ottimale di questi due farmaci implica un completo monitoraggio emodinamico a causa dei loro effetti emodinamici rapidi e significativi.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE Sommario: Introduzione Principali differenze tra la CPR pediatrica e degli adulti MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI; ASSISTENZA DI BASE Valutazione e stabilizzazione del neonato CPR dopo il periodo neonatale MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI CON MEZZI INTENSIVI Tubi respiratori Accessi vascolari Farmaci per il trattamento di urgenza Defibrillazione e cardioversione Valutazione successiva all’arresto cardiaco e trattamento

La rianimazione cardiopolmonare (CardioPulmonary Resuscitation, CPR) presenta grandi difficoltà in età pediatrica. Nonostante l’adozione della CPR, i tassi di mortalità per arresto cardiaco variano dal 70 al 90% per i prematuri e per i neonati a termine e dal 90 al 97% per i lattanti e i bambini. Il tasso di mortalità è quasi del 50% per il solo arresto respiratorio e gli esiti neurologici sono spesso gravemente invalidanti. Il 50-65% circa dei bambini che richiede CPR ha meno di 1 anno e di questi la maggior parte ha meno di 6 mesi. Circa il 6% dei neonati richiede rianimazione cardiopolmonare alla nascita (v. Tab. 263-11) e questa percentuale aumenta significativamente se il peso alla nascita è < 1500 g.

Principali differenze tra la CPR pediatrica e degli adulti Le cause di arresto cardiaco nei neonati e nei bambini sono estremamente varie; le più comuni sono incidenti con veicoli a motore, annegamento, ustioni, ferite da arma da fuoco, avvelenamento, inalazione di vapori, ostruzione delle vie aeree e aspirazione di corpi estranei, infezioni respiratorie o sistemiche, e cardiopatie congenite. Negli adulti, la causa di arresto cardiaco è quasi sempre dipendente da una sofferenza grave e diffusa delle arterie coronariche, più comunemente aggravata dalla sovrapposizione di una tachiaritmia ventricolare maligna. Nei bambini, l’ipossiemia e i problemi relativi alle vie respiratorie sono i maggiori fattori scatenanti, che producono bradicardia e asistolia, mentre solo il 10% delle aritmie cardiache è rappresentato da tachicardie ventricolari. Pertanto, nei bambini, non è generalmente richiesta una sistematica e rapida defibrillazione, perché diversamente dagli adulti, le aritmie ventricolari maligne sono improbabili. Il peso corporeo deve essere misurato o stimato in maniera accurata per permettere il calcolo delle dosi dei farmaci, in milligrammi in base alla file:///F|/sito/merck/sez19/2632445.html (1 of 7)02/09/2004 2.03.11

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

concentrazione del farmaco stesso. Questo tipo di approccio spesso ritarda il momento dell’intervento e può determinare gravi errori. L’anatomia delle alte vie respiratorie è differente nel bambino. Il capo è grande ma il viso, le mascelle e le narici sono piccole e il collo in proporzione è corto. La lingua è grande rispetto alla bocca e il laringe è posto più in alto all’interno del collo ed è più angolato in avanti. L’epiglottide è allungata e la sezione più stretta è posizionata sotto le corde vocali, all’altezza della cartilagine cricoide, quindi nel bambino (a differenza dell’adulto) è possibile usare tubi endotracheali non cuffiati, in tal modo riducendo al minimo il trauma a carico della estremamente sensibile mucosa delle vie aeree. La suscettibilità alla perdita di calore è maggiore nei neonati e nei bambini rispetto agli adulti, a causa della maggiore estensione della superficie corporea in relazione alla massa corporea e alla minore rappresentazione del tessuto sottocutaneo. Un "ambiente esterno termicamente neutro" è fondamentale durante una CPR, in quanto la temperatura corporea può oscillare in un bambino dai 36,5°C (97,7°F) fino ai 35°C (95°F). L’ipotermia, con una temperatura centrale < 35°C, diminuisce il consumo di O2 e la gittata cardiaca e aumenta la morbilità globale. A una brusca discesa di temperatura, segue il brivido, meccanismo protettivo atto alla produzione di calore per aumentare la temperatura corporea. Se l’ipotermia persiste il consumo di ossigeno diminuisce e si può verificare grave bradiaritmia, con comparsa di asistolia entro 1015 minuti di profonda ipotermia (< 28°C [< 48°F]). La compressione cardiaca viene effettuata usando due mani, di cui una posta sullo sterno, o due dita, con una frequenza che varia da 80 a 100 min, in base alle dimensioni del bambino (v. Fig. 263-3). La frequenza di ventilazione, sebbene identica alla frequenza ventilazione/ compressione 1:5 utilizzata per la CPR dell’adulto effettuata da due persone, varia come la compressione cardiaca in base all’età (in termini di frequenza ed entità della spinta) (v. Tab. 263-12). La stabilizzazione delle vie aeree è difficile e tuttavia vitale. Per l’età pediatrica sono disponibili cinque set per l’assistenza respiratoria, sei misure di maschere (cuffiate e non), tre misure di palloni per la ventilazione, quattro misure di lame per laringoscopio, nove misure di tubi endotracheali e sei misure di cateteri di aspirazione. La causa scatenante deve essere trattata, se possibile, immediatamente dopo gli accertamenti iniziali; p. es., il naloxone deve essere dato ai neonati le cui madri hanno ricevuto narcotici intrapartum; nei pazienti con meningococcemia è necessario trattare aggressivamente lo shock settico; nei pazienti politraumatizzati è necessario ripristinare rapidamente le perdite ematiche e, infine, nei pazienti con sospetta ostruzione delle vie aeree, è necessario procedere rapidamente alla rimozione del corpi estranei. Gruppi di personale specializzato nella CPR devono essere prontamente disponibili per i neonati al momento del parto e per tutti gli altri bambini con arresto cardiopolmonare, sia dentro che fuori dal presidio ospedaliero. L’equipe medica deve accertare la necessità dell’intervento di altri esperti o di un trasferimento in un centro di terzo livello.

MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI; ASSISTENZA DI BASE Valutazione e stabilizzazione del neonato Il punteggio di Apgar (v. Tab. 263-13) a 1 e 5 minuti è utilizzato per valutare le condizioni e l’adattamento del neonato immediatamente dopo la nascita. Le componenti del punteggio (p. es., il colorito, il tono muscolare, la risposta riflessa al catetere nasale) dipendono in parte dalla maturità fisiologica. Tuttavia il punteggio è influenzato in maniera significativa dalla terapia materna e dalle

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condizioni cardiorespiratorie e neurologiche del neonato. Un punteggio da 7 a 10 a 5 minuti è considerato normale, da 4 a 6, intermedio, e da 0 a 3, basso. Un basso punteggio di Apgar non è di per se un segnale di asfissia perinatale (v. oltre), ma si associa con un rischio di sequele neurologiche a distanza. I lattanti con un punteggio di Apgar persistentemente basso (> 10 min) hanno una mortalità progressivamente aumentata nel primo anno di vita, mentre quelli che sopravvivono possono presentare paralisi cerebrale infantile. A causa dell’asfissia, il colorito, il respiro, il tono muscolare, la risposta riflessa e il battito cardiaco, vengono compromessi in maniera sequenziale (un’efficiente rianimazione porta a un immediato miglioramento nel battito cardiaco, seguito dal ripristino della risposta riflessa, del colorito, del respiro e del tono muscolare). L’evidenza di distress fetale intrapartum, la persistenza di un punteggio di Apgar tra 0 e 3 per più di 5 minuti, un pH < 7 all’emogasanalisi su sangue cordonale, una sindrome neurologica neonatale persistente con ipotonia, coma e convulsioni e l’evidenza di una disfunzione multiorgano, denotano una grave asfissia perinatale. La gravità e gli esiti dell’encefalopatia ipossico-ischemica sono meglio misurati dalla classificazione di Sarnat (v. Tab. 263-14) in associazione all’EEG, alle immagini neuroradiologiche e ai potenziali evocati uditivi e corticali. La stabilizzazione iniziale del neonato richiede un lettino di assistenza neonatale, l’aspirazione delle vie aeree, la stimolazione tattile e la somministrazione di O2 (v. anche Fig. 263-4). Per assistere il neonato nelle migliori condizioni è necessario un lettino di assistenza neonatale, preriscaldato dall’alto e posizionato nella sala parto, su cui viene posto il neonato, dopo averlo rapidamente asciugato e dopo aver rimosso la biancheria bagnata. Il lattante deve essere posto supino, con il collo mantenuto in posizione neutra, mediante un asciugamano arrotolato sotto le spalle. L’aspirazione dalla bocca, dal naso e dal faringe deve essere effettuata prima dell’auscultazione del torace, specie nei neonati con liquido amniotico tinto di meconio. L’aspirazione si effettua meglio con cateteri di calibro appropriato (v. Tab. 263-12), usando un sistema meccanico di aspirazione con limite di pressione a 100 mm Hg (136 cm H2O). L’aspirazione deve essere effettuata in maniera intermittente, in modo da eseguire un’aspirazione orofaringea profonda. La stimolazione tattile del neonato (p. es., colpendo le piante dei piedi, strofinando il dorso) può essere necessaria per favorire un respiro spontaneo e regolare. La somministrazione di O2, se necessaria, deve essere effettuata con un flusso di 10 l/min, con maschera facciale attaccata a un pallone autogonfiabile o da anestesia, o di 5 l/min direttamente da un fonte di O2.

CPR dopo il periodo neonatale L’assistenza prevede valutazioni e interventi sequenziali. Le vie aeree devono essere rapidamente esaminate e stabilizzate, per eliminare le ostruzioni e consentirne l’aspirazione, la ventilazione e l’ossigenazione (v. Fig. 263-5). In caso di ostruzione da corpo estraneo certa o fortemente sospetta, si può assistere il bambino, che respira in maniera adeguata, incoraggiandolo inizialmente a tossire. È necessario intervenire solo se il bambino presenta stridore e difficoltà respiratoria o compare perdita di coscienza. Nel lattante, si devono effettuare cinque colpi tra le spalle, usando il palmo della mano, seguiti da cinque spinte applicate anteriormente sul torace, allo stesso modo delle compressioni toraciche (v. Fig. 263-3). La manovra di Heimlich è riservata ai bambini più grandi, ma la tecnica varia in base alla dimensioni del paziente. Nelle

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vittime coscienti, devono essere effettuate cinque spinte sulla parte superiore dell’addome, sulla linea mediana proprio sopra l’ombelico, utilizzando il pugno chiuso con il bambino in piedi, seduto o disteso. La posizione distesa è riservata alle vittime che hanno perso conoscenza (v. Fig. 263-6 e 263-7). Se non è presente alcun tentativo di respirazione, si deve procedere alla respirazione a pressione positiva, con insufflazioni della durata di 1-1,5 s, assicurando una ventilazione efficace con la minima pressione di insufflazione, che altrimenti può determinare distensione gastrica. L’assistenza respiratoria in urgenza (manuale) non è consigliata nei neonati ospedalizzati, per la facilità con cui si possono reperire palloni e maschere per la ventilazione. Se non si apprezza il battito alla base del cordone (neonato), il polso brachiale (< 1 aa) o il polso carotideo ( 1 aa) si deve procedere al massaggio cardiaco esterno. Una tecnica appropriata di CPR prevede l’effettuazione del massaggio cardiaco esterno sopra lo sterno (v. Tab. 263-12) e si continua ininterrottamente, eccetto per le pause di ventilazione in un bambino non intubato, fino a che il paziente si riprenda o si decida di sospendere i tentativi di CPR. Le posizioni per la compressione toracica sono mostrate nella Fig. 263-3. Per evitare traumi epatici, il terzo inferiore dello sterno deve essere utilizzato come punto di repere per la compressione nei prematuri e nei neonati a termine, e nei bambini < 8 anni. Le compressioni toraciche devono essere accompagnate da insufflazioni e da un’attenta osservazione dell’escursione toracica, del polso, della reazione pupillare alla luce, e dell’assenza di distensione gastrica. Se si verifica distensione gastrica, si deve inserire un sondino nasogastrico. Se non si ottiene risposta con l’assistenza di base, si deve passare rapidamente all’assistenza intensiva.

MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI CON MEZZI INTENSIVI Tubi respiratori I tubi respiratori e le maschere devono essere di misura appropriata (v. Tab. 26312). La ventilazione con maschera a palloncino richiede una chiusura ermetica tra maschera e viso. I criteri per la ventilazione con maschera a palloncino nei neonati includono inadeguata attività respiratoria o apnea, battito cardiaco < 100 batt/min e cianosi centrale nonostante l’uso del 100% di O2. Il tubo orofaringeo (che deve essere utilizzato nel paziente cosciente) deve essere inserito con l’aiuto di un abbassalingua, per mantenere la lingua sul pavimento del cavo orale. Se non è disponibile un abbassalingua, il tubo deve essere girato dentro la bocca (usando la parte posteriore del corpo ricurvo come abbassalingua) e ruotato nella giusta posizione, una volta raggiunta la parte posteriore dell’orofaringe. Raramente è necessaria l’intubazione orale nei neonati, eccetto in presenza di anomalie strutturali, come l’atresia bilaterale delle coane o la sequenza di Pierre-Robin (mandibola piccola con varie anomalie facciali). Per i bambini > 5 anni sono consigliate le maschere con palloncino. L’intubazione endotracheale immediata è la tecnica di scelta per migliorare l’ossigenazione, controllare le vie respiratorie e prevenire l’inalazione. L’aspirazione endotracheale, mediante un aspiratore speciale posizionato nel tubo endotracheale, è il trattamento di scelta per neonati depressi in seguito ad inalazione di liquido amniotico tinto. Una lama laringoscopica di dimensione appropriata riduce il rischio di trauma orofaringeo. Nei bambini più piccoli, una lama diritta è generalmente più semplice da utilizzare rispetto a una ricurva, sebbene in alcuni centri siano utilizzate entrambe. Il tubo endotracheale (che nella misura più grande, per adolescenti, deve essere provvisto di palloncino, per garantire un buon ancoraggio tracheale) e il catetere d’aspirazione devono essere della misura giusta, per consentire l’aspirazione orofaringea diretta e l’aspirazione tracheo-bronchiale, dopo inserimento del catetere di aspirazione

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all’interno del tubo endotracheale (devono essere disponibili tutte le diverse misure per l’età pediatrica).

Accessi vascolari I medici devono essere esperti nel posizionare gli accessi vascolari in varie sedi, in quanto talvolta possono rendersi necessari accessi inusuali (p. es., dopo un’ustione o un trauma). L’incannulazione di vasi centrali è teoricamente preferibile in tutti i gruppi di età, sebbene si tratti di una pratica difficoltosa per un operatore inesperto; un’alternativa accettabile è l’uso di due cateteri periferici di grosso calibro. In alternativa sono raccomandati accessi venosi percutanei della vena femorale, giugulare o vena succlavia e la messa a nudo della vena safena (venolisi n.d.t.). Il posizionamento di un ago nell’osso tibiale, nei bambini < 6 anni, consente una sicura ed efficace infusione di sangue, di sostanze colloidi, di soluzioni cristalloidi e di tutti i farmaci della CPR, anche in infusione continua. Nei neonati l’incannulazione della vena ombelicale come accesso vascolare d’emergenza è relativamente semplice.

Farmaci per il trattamento di urgenza Dopo che il paziente è stato intubato, ventilato e ossigenato, si deve misurare la frequenza cardiaca. La terapia farmacologica delle aritmie viene delineata nel Cap. 205. La posologia consigliata per la rianimazione pediatrica è elencata nella Tab. 263-15. Adrenalina, atropina e naloxone restano i farmaci principali nella CPR (quando l’accesso vascolare è inadatto, questi farmaci possono essere somministrati attraverso il tubo endotracheale). Il bretilio è un farmaco di seconda scelta dopo la lidocaina per le aritmie ventricolari ad alto rischio, benché i dati sull’efficacia riscontrata in età pediatrica siano ancora insufficienti. L’utilità del bicarbonato di sodio e del cloruro di Ca è stata messa in discussione, tranne che in circostanze ben definite, p. es., in presenza di iperpotassiemia, ipocalcemia, ipermagnesiemia, sovradosaggio di calcioantagonisti, acidosi metabolica persistente e grave, nonostante una sufficiente ventilazione. È di primaria importanza indagare e curare i disturbi di base che hanno scatenato l’arresto cardiopolmonare nel bambino. Il trattamento prevede la correzione della volemia con soluzione fisiologica, colloidi, cristalloidi, o sangue (p. es. in seguito a traumi o ustioni). La fluidoterapia, comunque, è difficile da gestire per chi non è abituato alla CPR pediatrica, in quanto i bambini possiedono un volume ematico ridotto e pertanto l’infusione di quantità opportune di liquidi deve essere effettuata con cautela per evitare un sovraccarico di volume.

Defibrillazione e cardioversione La defibrillazione è raramente necessaria, poiché in età pediatrica è infrequente una fibrillazione ventricolare primaria, che deve essere ben valutata prima di procedere alla cardioversione elettrica. Quando si ricorre alla defibrillazione, si deve controllare che le placche elettriche siano della misura adeguata; i neonati e i lattanti (da 0 a 12 mesi) necessitano di placche pediatriche; per i bambini in età prescolare e per gli adolescenti si dovrà ricorrere a placche per adulti. Inoltre si deve utilizzare una dose appropriata. Comunque, molti defibrillatori, tra quelli comunemente utilizzati nella CPR pediatrica, prevedono incrementi standardizzati della carica elettrica, di conseguenza è impossibile regolare precisamente la scossa in rapporto al peso corporeo. Perciò, prima dell’uso, i defibrillatori devono essere attentamente esaminati riguardo alla impostazione del numero e del range della carica elettrica e la regolazione della strumentazione deve essere attuata secondo le necessità specifiche del caso. La cardioversione, praticata nel trattamento delle tachiaritmie sopraventricolari ad file:///F|/sito/merck/sez19/2632445.html (5 of 7)02/09/2004 2.03.11

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alta frequenza e ventricolari, è molto difficile nel neonato e nel bambino piccolo, poiché la dose di energia varia solitamente da 1/2 a 1/10 della dose abituale per adulti (v. Tab. 263-12). Probabilmente è meglio cominciare dal dosaggio più basso consigliato, con aumenti progressivi fino a raggiungere il risultato desiderato.

Valutazione successiva all’arresto cardiaco e trattamento Dopo una CPR effettuata con successo, il trattamento è complesso e spesso rivolto alla fisiopatologia della disfunzione multiorgano. È importante controllare la temperatura corporea, mantenendo termicamente neutro l’ambiente circostante, controllare la diuresi attraverso un catetere urinario e posizionare un tubo nasogastrico (soprattutto se il paziente è già stato sottoposto a intubazione). Prima di tutto è necessario valutare le funzioni neurologiche secondo la Scala di Glasgow per il Coma modificata (v. Tab. 263-2), mantenere l’omeostasi metabolica, controllare la stabilità della situazione cardiovascolare e proseguire nel trattamento dei fattori scatenanti. Tutti questi problemi vengono affrontati in maniera più sicura e appropriata in un centro di terapia di terzo livello. La valutazione della frequenza cardiaca è fondamentale. La bradicardia in un bambino in condizioni critiche è un segnale di imminente arresto cardiaco. I neonati, i lattanti e i bambini piccoli tendono a sviluppare bradicardia conseguentemente all’ipossemia, mentre i bambini più grandi tendono inizialmente a presentare segni di tachicardia. Nei neonati con un battito cardiaco < 80 min, che non tende ad aumentare, si consiglia il massaggio cardiaco (v. Fig. 263-5): ciò costituisce una sostanziale differenza rispetto alla rianimazione dell’adulto. Le tachiaritmie possono richiedere un simile intervento, soprattutto se vengono riscontrati segni di ipoperfusione, insufficienza cardiaca, o disturbi a carico del SNC. La cardioversione sincronizzata o la terapia farmacologica possono essere necessarie per stabilizzare le condizioni del paziente. La valutazione della PA in bambini gravemente compromessi varia significativamente. La PA deve essere misurata con un bracciale di grandezza appropriata (v. Screening nel Cap. 256), tuttavia la valutazione invasiva diretta della PA è d’obbligo nei bambini in gravi condizioni. Per i bambini con più di 2 anni, il livello più basso della PA sistolica normale può essere valutato uguale a 70 mm Hg più il doppio dell’età espressa in anni; p. es. a 6 anni la PA sistolica deve essere > 82 mm Hg. Una PA sistolica normale al 50o percentile è pari a 90 più 2 volte l’età in anni; p. es. a 6 anni deve essere di 102 mm Hg. Una caduta della PA sistolica di 10 mm Hg, in un bambino di qualsiasi età o una PA sistolica < 50 mm Hg nei bambini con meno di 12 aa o < 80 mm Hg nei bambini con 1216 aa, è un segno affidabile di ipotensione, che richiede un supporto terapeutico specifico. Anche una PA più alta può essere pericolosa, se sono presenti sintomi e segni di shock. Riguardo alla PA è difficile stabilire un limite inferiore per ciascun gruppo d’età in maniera assoluta; è importantissimo valutare i segni di ipoperfusione (cioè, la presenza dei polsi periferici, la diuresi, il grado di coscienza, la temperatura corporea). Nei bambini instabili o traumatizzati, un deficit di riempimento capillare > 3 s è di limitato aiuto nello stabilire la disfunzione circolatoria. Si raccomanda la valutazione dell’ipoperfusione. L’ipoperfusione può essere determinata da aritmie cardiache (bradiaritmia o tachiaritmia) o da instabilità della PA. L’ipoperfusione è suggerita da una contrazione della diuresi (< 1 ml/kg/h): in assenza di malattie renali la diuresi deve essere da 1 a 2 ml/kg/h. L’ipoperfusione può essere trattata con farmaci che aumentano la volemia o con l’infusione continua di farmaci pressori (p. es., adrenalina, dopamina, dobutamina). I protocolli standardizzati esposti dettagliatamente nelle Tab. 263-12 e 263-15 coprono tutte le età, dal neonato prematuro al ragazzo di 16 aa. Per i pazienti con più di 16 aa vanno utilizzati i protocolli di assistenza degli adulti. I protocolli vengono redatti per standardizzare l’equipaggiamento e le linee principali delle manovre di rianimazione durante un emergenza e per standardizzare l’equipaggiamento delle unità portatili per la CPR. Nell’approccio alla gestione file:///F|/sito/merck/sez19/2632445.html (6 of 7)02/09/2004 2.03.11

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delle vie aeree, per esempio, in un bambino di 5 anni, la procedura raccomandata prevede una frequenza di ventilazioni di 20 respiri/min (25 respiri/ min nel caso di un trauma cranico); una frequenza di massaggio cardiaco di 100/ min (mediante la tecnica a 1 mano); una frequenza di ventilazione di 5:1; un tubo di respirazione di grandezza 7; una maschera con cuffia a cupola (Laerdal) per bambini, di grandezza 3, munita di un pallone Laerdal da 500 ml, per la ventilazione con maschera a palloncino; una lama per laringoscopio ricurva o dritta di grandezza 2; un tubo tracheale di 5 mm; un sistema d’aspirazione per adulti, per un’aspirazione diretta orofaringea; e un catetere di grandezza 10 French, introdotto nel tubo endotracheale per l’aspirazione delle basse vie respiratorie. In ogni caso è necessario usare buon senso; p. es., un tubo endotracheale di taglia appropriata deve essere sostituito con uno più grande (una volta che il paziente sia stabilizzato), se si evidenzia una perdita di aria al livello della glottide. Dopo la stabilizzazione delle vie aeree, è fondamentale la somministrazione di cardiofarmaci di emergenza. La Tab. 263-15 mostra i volumi effettivi per ogni farmaco d’emergenza, in accordo con criteri di età e peso, per facilitare una somministrazione rapida senza la necessità di alcun calcolo. I dosaggi devono essere arrotondati per difetto; p. es. per un bambino di 2 anni e mezzo, la dose deve essere la stessa di un bambino di 2 anni, con incrementi graduali, se necessari, ma non superiori alla dose per un bambino di 3 anni. Dopo la stabilizzazione del paziente la dose di farmaco deve essere individualizzata in base alle specifiche necessità. La conservazione dell’omeostasi dei fluidi può essere cruciale in un paziente con edema cerebrale. Possono essere necessari farmaci più concentrati, il cui dosaggio deve essere ricalcolato a emergenza finita. Nel riportare gli esiti della CPR nei bambini devono essere seguite linee guida standardizzate specifiche p. es., La Scala di Categorie di Esiti modificata di Pittsburgh rispecchia le capacità cerebrali e le capacità complessive residue dopo la CPR (v. Tab. 263-16 e 263-17).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-11. PROBLEMI CHE POSSONO RICHIEDERE RIANIMAZIONE DEL NEONATO Impossibilità a respirare Impossibilità a espandere i polmoni Meccanismi antepartum Ostruzione delle vie aeree Tossiemia materna

Meconio

Ipertensione nefrovascolare

Muco

Diabete Ritardo di crescita intrauterino

Asfissia intrapartum Compressione del cordone Trasfusione fetale Prolasso del cordone Parto precipitoso Placenta previa Spasmi uterini Ipotensione materna

Depressione SNC Emorragia endocranica Anomalie cerebrali file:///F|/sito/merck/tabelle/26311.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.11

Sangue Prematurità (sindrome da distress respiratorio)

Malformazioni che coinvolgono il tratto respiratorio Agenesia Ipoplasia Stenosi o atresia Ernia diaframmatica

Manuale Merck - Tabella

congenite Traumi spinali

Farmaci Narcotici, farmaci d’abuso materno Magnesio Anestetici Analgesici o ipnotici

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-12. GUIDA ALLA RIANIMAZIONE PEDIATRICA MISURE DEI PRESIDI STRUMENTALI E MECCANICI Età (anni)

Prematuro

A termine

6-12 mesi

Peso (kg)

≤2

3,5

40

Frequenza respiratoria atti/ min (V)

Compressioni al min (C)

Tecnica di compressione

Dimensione delle vie aeree in cm (Portex)

Dimensioni delle maschere di Laerdale o equivalenti

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

7

10 12 14 16 18

20

22

25

28

30

35

40

45

50

55

60

40

20

20 20 20 20 20

20

20

20

16

16

16

16

16

16

16

16

60*

60*

25*

25* 25* 25* 25* 25* 25*

25*

25*

20*

20*

20*

20*

20*

20*

20*

20*

30 (V) †

30 (V) †

100

100 100 100 100 100 100

100

100

80

80

80

80

80

80

80

80

90 C

90 C

8

8

8

8

Usare due dita o il pollice, mani intorno al torace (preferibilmente)

1

2

3

Usare due dita

Una mano

000

000

00

00

0

0

3,5

3,5

5

5

6

6

Circolare

00

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0/1

4

RendellBaker tipo #1

7

RendellBaker tipo # 2

7

Due mani

7

7

7

Dome cuff mask #3

7

7

7

7

Dome cuff mask #4

Manuale Merck - Tabella

Maschera con reservoir per la somministrazi one di 02 puro

Laerdal lattanti 240 ml

Dimensione della lama del laringoscopio

Lama dritta miller 0 o equivalente

Laerdal bambini 500 ml

1

1

1

1

2

2

Laerdal adulti 1600 ml

2

2

3

3

3

Lama dritta (preferibilmente) o curva Dimensione del TET in mm (Portex) Catetere da aspirazione

2,5

3

Orofaringeo

10 F

10 F

Attraverso TET

6F

Defibrillazione (ws)

Dose (2 ws/ kg)

Piastre pediatriche (basato sul defibrillatore HP43100A)

Frequenza Dose max. (4 ws/kg)

Cardioversione Shock (ws) sincronizzato (0,5 ws/kg) Piastre pediatriche Frequenza (basato sul defibrillatore HP43100A)

3

3,5

4

4,5 4,5

5

5

5,5

5,5

Aspirazione faringea pediatrica

10

3

3

3

3

3

6,5

6,5

7

Lama dritta o curva 6

6

6

6

6,5

6,5

Aspirazione faringea adulti

8

7

3

10 F

20‡ 20‡ 30‡ 30‡ 30‡ 50‡

50‡

50‡

50‡

70‡

70‡

70‡ 100‡ 100‡ 200‡ 200‡

Se non vi è risposta, dare dose massima x 2 10

20

30

50‡ 50‡ 50‡ 70‡ 70‡ 100‡ 100‡ 100‡ 100‡ 100‡ 150‡ 150‡ 200‡ 200‡ 300‡ 300‡

2

2

3

5‡ 5‡ 7‡ 7‡ 10‡ 10‡

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10‡

10‡

10‡

20‡

20‡

20‡

Aumentare lentamente la dose, a ogni tentativo fino al massimo

20‡

30‡

30‡

30‡

Manuale Merck - Tabella

Dose max. (1 ws/kg)

2

5

5

10‡ 10‡ 10‡ 20‡ 20‡ 20‡

20‡

20‡

30‡

30‡

30‡

50‡

50‡

50‡

50‡

*Rappresenta un aumento della frequenza respiratoria del 25% (del 50% per i prematuri e a termine) per traumi cranici e asfissia. † Pausa per la ventilazione. ‡ Usare attrezzatura per adulti. TET= tubo endotracheale; F = French; ws = watt al secondo. Per gentile concessione del Dr. B. Paes e del Dr. Sullivan, Department of Pediatrics Medicine, St. Joseph’s Hospital, The Children’s Hospital Hamilton Health Science Corporation, McMaster Uni versity, Hamilton, Ontario, Canada.

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70‡

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-13. PUNTEGGIO DI APGAR Criteri

Punteggio* 0

1

2

Colorito

Cianosi diffusa, pallore

Corpo roseo, estremità cianotiche

Roseo su tutto il corpo, estremità comprese

Frequenza cardiaca

Assente

< 100 batt/min

> 100 batt/min

Respiro

Assente

Irregolare, lento

Buono, pianto valido

Risposta al cateterismo Nessuna nasale e alla stimolazione tattile

Smorfia

Starnutisce, tossisce

Tono muscolare

Flessione delle estremità

Attivo

Ipotonico

*Si considera normale un punteggio totale compreso tra 7 e 10 a 5min; intermedio tra 4 e 6 e basso tra 0 e 3 .

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-14. STADIAZIONE CLINICA DELL'ENCEFALOPATIA POSTASFITTICA Fattori

Durata

Stadio I (lieve)

< 24h

Stadio II (moderato)

Stadio III (grave)

2-14giorni

Da ore a settimane

Livello di coscienza Irritabilità e iperreattività

Letargia

Stupor o coma

Tono muscolare

Normale

Ipotonia o debolezza della muscolatura prossimale

Flaccidità

Riflessi osteotendinei

Aumentati

Aumentati

Ridotti o assenti

Mioclonie

Presenti

Presenti

Assenti

Suzione

Valida

Debole

Assente

Riflesso di Moro

Iperevocabile

Incompleto

Assente

Prensione palmoplantare

Normale o eccessiva

Eccessiva

Assente

Oculocefalico (occhi di bambola)

Normale

Iperevocabile

Ridotto o assente

Riflessi complessi:

Funzioni autonomiche: Pupille

Midriatiche

Miotiche

Variabili o fisse

Respiro

Regolare

Di frequenza e profondità variabile, periodico

Apnee irregolari

Bassa a riposo, < 120 b/ m

Bradicardia

Frequenza cardiaca Normale o tachicardia

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Manuale Merck - Tabella

Convulsioni

Assenti

Comuni (70%)

Non comuni

EEG

Normale

Bassi voltaggi, attività epilettiforme periodica o parossistica

Periodico o isoelettrico

Rischio di morte

< 1%

5%

> 60%

20%

> 70%

Rischio di esiti gravi < 1%

Modificata da Sarnat HB, Sarnat MS: Neonatal encephalopathy following fetal distress. Archives of Neurology 33:696- 705, 1975

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

197. Approccio al paziente cardiopatico Anamnesi Esame obiettivo 198. Tecniche diagnostiche cardiovascolari Tecniche diagnostiche non invasive Tecniche radiografiche convenzionali Scintigrafia Studi di perfusione miocardica Tecniche scintigrafiche da stress Studi di diagnostica per immagini delle aree necrotiche Ventricolografia Tomografia a emissione di positroni Risonanza magnetica nucleare Ecocardiografia Tecniche invasive Cannulazione di vene periferiche Inserimento di cateteri venosi centrali Cateterismo arterioso Cateterismo dell’arteria polmonare Cateterismo cardiaco Angiocardiografia Angioplastica coronarica percutanea transluminale 199. Ipertensione arteriosa

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Ipertensione nefrovascolare Encefalopatia ipertensiva 200. Ipotensione ortostatica e sincope Ipotensione ortostatica Sincope 201. Arteriosclerosi Aterosclerosi Arteriosclerosi non ateromatosa 202. Coronaropatia Prevenzione della malattia coronarica Angina pectoris Infarto miocardico 203. Scompenso cardiaco Cardiomiopatie Cardiomiopatia dilatativa congestizia Cardiomiopatia ipertrofica Cardiomiopatia restrittiva Cuore polmonare Ipertensione polmonare primitiva 204. Shock 205. Aritmie Battiti ectopici atriali Flutter atriale Fibrillazione atriale cronica Fibrillazione atriale parossistica Tachicardia atriale caotica e multifocale Tachicardie regolari a QRS stretto Tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare (intranodale e paranodale) Tachicardie reciprocanti

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Fibrillazione atriale e sindrome di Wolff-Parkinson-White Tachicardia atriale vera Aritmie a QRS largo Battiti ectopici ventricolari Tachicardia ventricolare Torsione di punta Fibrillazione ventricolare Aritmie hissiane Blocco atrioventricolare Blocco di branca Emiblocco Difetti non specifici della conduzione intraventricolare Malattia del nodo del seno 206. Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare Arresto cardiaco Arresto respiratorio Rianimazione cardiopolmonare 207. Valvulopatie Patologie della valvola mitrale Prolasso valvolare mitralico Insufficienza mitralica Stenosi mitralica Patologie delle valvole aortica e polmonare Insufficienza aortica Insufficienza della valvola polmonare Stenosi aortica Stenosi della valvola polmonare Patologie della valvola tricuspide

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Insufficienza tricuspidale Stenosi tricuspidale 208. Endocardite Endocardite infettiva Endocardite non infettiva 209. Malattie del pericardio 210. Neoplasie cardiache Tumori cardiaci benigni Tumori cardiaci maligni 211. Malattie dell’aorta e dei suoi rami Aneurismi Aneurismi aortici Aneurismi poplitei, iliaci e femorali Aneurismi degli arti superiori Aneurismi delle arterie splancniche Aneurismi endocranici Dissezione aortica Patologie infiammatorie dell’aorta Arterite di Takayasu Occlusione dell’aorta addominale e dei suoi rami 212. Malattie vascolari periferiche Occlusione arteriosa periferica Tromboangioite obliterante Fenomeno e malattia di Raynaud Acrocianosi Eritromelalgia Trombosi venosa Vene varicose Fistola arterovenosa

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Linfedema Lipedema 213. Sindrome del cuore d’atleta

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Approccio al paziente cardiopatico

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 197. APPROCCIO AL PAZIENTE CARDIOPATICO Di solito, una patologia cardiovascolare può essere diagnosticata mediante un’anamnesi e un esame clinico approfonditi. Vengono poi solitamente effettuati test quantitativi selezionati, non invasivi e invasivi, a scopo di conferma (v. Cap. 198).

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Approccio al paziente cardiopatico

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 197. APPROCCIO AL PAZIENTE CARDIOPATICO ANAMNESI Sommario: Introduzione DOLORE DISPNEA CARDIACA ASTENIA E AFFATICABILITÀ PALPITAZIONI LIPOTIMIA, PRESINCOPE E SINCOPE ALTRI SINTOMI

Un’anamnesi approfondita è fondamentale per la diagnosi delle malattie cardiovascolari e non può essere sostituita da una serie di test non invasivi e invasivi di routine o scelti a caso, che sono costosi e inefficaci. L’anamnesi familiare va raccolta in maniera accurata, poiché molte cardiopatie (p. es., la malattia coronarica, l’ipertensione sistemica, la valvola aortica bicuspide, la cardiomiopatia ipertrofica, il prolasso mitralico) hanno una base ereditaria. La manifestazione clinica delle principali malattie cardiovascolari comprende relativamente pochi sintomi: dolore, dispnea, astenia e facile affaticabilità, palpitazioni, lipotimia, presincope, sincope e altri sintomi, che possono essere dovuti alla cardiopatia o possono accompagnarla. Anche piccole variazioni di questi sintomi meritano la dovuta attenzione.

DOLORE Il dolore cardiaco può essere arbitrariamente classificato come ischemico, pericardico o atipico. Sebbene a volte il dolore cardiaco sia caratteristico per una data cardiopatia, esiste spesso una significativa sovrapposizione con altre patologie in termini di caratteristiche, qualità, localizzazione, tipo di irradiazione, gravità e durata. Il dolore cardiaco viene trasmesso alla corteccia cerebrale lungo le fibre nervose del sistema neurovegetativo e ha un’area di proiezione variabile che può estendersi dall’orecchio fino all’ombelico. Il dolore toracico extracardiaco di origine cardiovascolare comprende il dolore che origina dai grossi vasi e il dolore dovuto a embolia polmonare. Il dolore da ischemia miocardica viene solitamente descritto come una sensazione di oppressione, costrizione o peso. In genere è più intenso a livello precordiale e il paziente può indicarlo mettendo il proprio pugno al centro dello sterno. Si irradia spesso nel territorio dei nervi cervicali inferiori e può quindi essere percepito a livello del collo, della mandibola, di una spalla o di un braccio (più comunemente la spalla e il braccio di sinistra). Se sono coinvolti il braccio e la mano, il dolore interessa in genere il versante ulnare. Il dolore da ischemia miocardica induce spesso una risposta neurovegetativa (p. es., nausea o vomito, sudorazione). Può essere presente una sensazione di morte imminente. Il dolore da ischemia miocardica dovuto all’aterosclerosi coronarica è solitamente correlato agli sforzi fisici, almeno all’inizio. Il dolore dell’IMA, tuttavia, può file:///F|/sito/merck/sez16/1971719b.html (1 of 4)02/09/2004 2.03.16

Approccio al paziente cardiopatico

manifestarsi all’improvviso, quando il paziente è a riposo. Il dolore dovuto al restringimento dinamico delle coronarie da spasmo arterioso, sebbene di natura ischemica, si verifica soprattutto a riposo o di notte. La durata del dolore ischemico è dell’ordine di minuti. Il dolore pericardico, che è dovuto all’infiammazione del pericardio parietale, è lancinante, urente o tagliente ed è peggiorato dalla tosse, dalla deglutizione, dalla respirazione profonda o dal clinostatismo. È meno variabile per carattere, sede e irradiazione rispetto al dolore ischemico. È alleviato dall’inclinazione in avanti del torace. Il dolore pericardico può persistere per ore o giorni. Non è sensibile alla nitroglicerina. Il dolore toracico atipico tende a essere lancinante o urente ed è spesso piuttosto variabile per localizzazione e intensità da un episodio all’altro. Solitamente, non è correlato allo sforzo fisico e non risponde alla nitroglicerina. La sua durata può essere estremamente breve (dell’ordine di secondi) o piuttosto prolungata (molte ore o giorni). Alcune persone con dolore toracico atipico hanno segni obiettivi o evidenza ecocardiografica di prolasso della valvola mitrale. Se il dolore sia correlato al prolasso mitralico o se sia solo un epifenomeno è controverso, dal momento che è comune in assenza di un prolasso evidente. Un vago fastidio toracico atipico è comune anche nei soggetti con tachiaritmie atriali isolate in assenza di una significativa cardiopatia di base. Sebbene il dolore toracico atipico possa essere debilitante, non c’è alcuna evidenza che questo indichi una cardiopatia grave, eccetto nel caso in cui sia dovuto a una malattia dei grossi vasi o a embolia polmonare. Il dolore provocato dalla dissezione dell’aorta (o raramente dell’arteria polmonare) è abitualmente molto intenso, con carattere di rottura o lacerazione. Di solito il dolore insorge con l’inizio della dissezione, è seguito da un periodo silente di ore o giorni e riprende poi con il progredire della dissezione. È localizzato al centro del torace, si irradia al collo o al dorso e non è influenzato dalla posizione, a meno che la rottura del vaso nel pericardio con emopericardio non provochi una pericardite acuta. Se sono coinvolti gli osti coronarici, al dolore della dissezione può sovrapporsi un dolore ischemico. Il dolore dell’embolia polmonare può avere le caratteristiche del dolore pleurico, se l’infarto del polmone comporta pleurite, o può essere di tipo anginoso, se si ha un’ischemia del ventricolo destro secondaria all’improvvisa comparsa di ipertensione polmonare. Se si sospetta un’embolia polmonare, bisogna chiedere al paziente se ha notato un edema unilaterale o ha accusato dolore alle gambe, se è stato sottoposto a un intervento chirurgico recente o è convalescente da una malattia che abbia richiesto un prolungato periodo di allettamento. Se si sospetta una pericardite, nell’anamnesi sarà necessario considerare l’eventuale esposizione ad agenti infettivi, una storia di malattie del tessuto connettivo o del sistema immunitario o una precedente diagnosi di neoplasia.

DISPNEA CARDIACA La dispnea è la percezione di un respiro fastidioso, difficoltoso o affannoso. La dispnea cardiaca è la conseguenza dell’edema delle pareti bronchiolari e della rigidità del polmone per l’edema parenchimale o alveolare, fattori questi che interferiscono con il flusso dell’aria. La dispnea può risultare anche dall’inadeguatezza della gittata cardiaca rispetto alle richieste metaboliche dell’organismo e può verificarsi senza edema polmonare. La dispnea cardiaca è sempre peggiorata dallo sforzo e si risolve parzialmente o completamente con il riposo. La dispnea dovuta all’elevata pressione venosa polmonare e all’edema polmonare è più intensa in clinostatismo e diminuisce nella posizione seduta o in piedi (ortopnea). Se l’ortopnea causa il risveglio durante la notte ed è migliorata dall’assunzione della posizione seduta, viene definita dispnea parossistica notturna. La dispnea che si ha in presenza di edema bronchiolare è associata a sibili espiratori dovuti all’ostruzione al flusso d’aria; si

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Approccio al paziente cardiopatico

ha un espettorato schiumoso e, a volte, striato di sangue. Una comune manifestazione clinica di edema bronchiolare e di rigidità polmonare da insufficienza cardiaca è una tosse secca, che deve essere differenziata da quella che si verifica nel 5% dei pazienti trattati con ACE-inibitori. La dispnea dovuta esclusivamente a un’inadeguata gittata cardiaca non è influenzata dal decubito, ma varia con lo sforzo fisico e può essere associata ad astenia e affaticabilità. In molte cardiopatie, la dispnea dovuta all’incapacità di aumentare la gittata cardiaca con lo sforzo e la dispnea dovuta alla congestione polmonare si verificano simultaneamente (p. es., nella stenosi mitralica). La comparsa di dispnea in una malattia cardiaca indica di solito una prognosi sfavorevole. La dispnea dovuta alla coronaropatia può coesistere con quella dovuta a un’altra malattia cardiaca. L’ortopnea e la dispnea parossistica notturna sono inconsuete nelle malattie respiratorie, eccetto che in una fase molto avanzata, quando diviene evidente l’aumento dell’efficienza della respirazione in ortostatismo.

ASTENIA E AFFATICABILITÀ L’astenia e l’affaticabilità sono le conseguenze di una gittata cardiaca inadeguata rispetto alle richieste metaboliche dell’organismo, inizialmente durante sforzo e poi anche a riposo. Si verificano nelle patologie che riducono la gittata cardiaca e non migliorano con il riposo e il sonno. I pazienti affetti da cardiopatie congenite spesso negano astenia e affaticabilità, poiché considerano normali le loro limitazioni e riconoscono i sintomi solo retrospettivamente, dopo la correzione chirurgica del difetto cardiaco.

PALPITAZIONI Le palpitazioni sono la percezione dell’attività cardiaca da parte del paziente. Un’ accurata valutazione della frequenza e del ritmo delle palpitazioni aiuta a differenziare le palpitazioni patologiche da quelle fisiologiche. Le palpitazioni dovute a un’aritmia possono essere accompagnate da astenia, dispnea o lipotimia. Le extrasistoli atriali o ventricolari sono spesso descritte come battiti mancanti, mentre la fibrillazione atriale è percepita come un’irregolarità del battito cardiaco. La tachicardia sopraventricolare o ventricolare è più spesso percepita come rapida e regolare e con un inizio e una fine improvvisi. L’insorgenza di una tachicardia atriale è spesso seguita dal bisogno di urinare a causa dell’aumentata produzione di fattore natriuretico atriale. L’attività cardiaca è controllata dal sistema neurovegetativo ed è perciò normalmente avvertita solo dalle persone che hanno una percezione anormalmente intensa delle proprie funzioni corporee, p. es., negli stati ansiosi. Può anche essere percepita da soggetti sani durante l’esercizio fisico, quando aumentanola gittata sistolica e la frequenza cardiaca. Possono verificarsi palpitazioni in patologie come l’insufficienza aortica e la tireotossicosi: la causa più comune è un’anomalia del ritmo cardiaco. Palpitazioni associate a dolore toracico di tipo ischemico possono indicare la presenza di una coronaropatia; in questo caso, la tachicardia provoca una riduzione del flusso coronarico diastolico con conseguente ischemia.

LIPOTIMIA, PRESINCOPE E SINCOPE (V. anche Cap. 200) Cardiopatie o aritmie gravi che riducono la gittata cardiaca in maniera significativa possono causare lipotimia, presincope o sincope (improvvisa perdita di coscienza di breve durata, con perdita del tono posturale). Se associato a file:///F|/sito/merck/sez16/1971719b.html (3 of 4)02/09/2004 2.03.16

Approccio al paziente cardiopatico

palpitazioni (v. sopra), ciascuno di questi sintomi indica una brusca riduzione della gittata cardiaca e suggerisce una grave aritmia o una grave cardiopatia organica di base. La sincope da sforzo si verifica nella stenosi aortica e nella cardiomiopatia ipertrofica, in quanto ambedue limitano il fisiologico aumento della gittata cardiaca che si ha durante sforzo. Questi sintomi possono essere causati da una tachicardia ventricolare o da una fibrillazione ventricolare, da gravi bradicardie o asistolia (sincope di Stokes-Adams). La comparsa di sincope implica una cattiva prognosi nei pazienti con malattia coronarica, miocardite, cardiomiopatia o aritmie ventricolari note. Tumori intracardiaci o trombi a palla possono ostruire in maniera intermittente il flusso sanguigno all’interno del cuore e provocare presincope o sincope sono l’ipotensione ortostatica e la sincope vasovagale. Le principali cause benigne di sincope. La sincope deve essere distinta da una crisi epilettica, sebbene durante un episodio sincopale si possa verificare un attacco epilettico, a causa dell’ipossia cerebrale.

ALTRI SINTOMI Un’anamnesi positiva per infezioni (p. es., streptococciche con o senza febbre reumatica, virali, sifilitiche o protozoarie) può far sospettare una cardiopatia dovuta ad agenti infettivi attivi o pregressi. L’endocardite deve essere presa in considerazione in ogni paziente con febbre inspiegata e soffio cardiaco. In caso di embolia periferica o cerebrale e in ogni ictus va ricercata una possibile causa cardiaca: tali episodi possono essere causati da emboli dovuti a un IMA recente, a una valvulopatia (specialmente stenosi mitralica con fibrillazione atriale) o a una cardiomiopatia. Una storia di vasculopatia cerebrale o periferica aumenta la probabilità di una coronaropatia concomitante. Una cianosi centrale rende altamente probabile una cardiopatia congenita.

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Approccio al paziente cardiopatico

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 197. APPROCCIO AL PAZIENTE CARDIOPATICO ESAME OBIETTIVO Sommario: Introduzione DATI OBIETTIVI GENERALE POLSI LE VENE DEL COLLO POLSO PARADOSSO ISPEZIONE E PALPITAZIONE DEL TORACE PERCUSSIONE E AUSCULTAZIONE DEL TORACE AUSCULTAZIONE CARDIACA Rumori cardiaci Soffi Sfregamenti pericardici

L’esame obiettivo comincia durante la raccolta dell’anamnesi, osservando il comportamento e l’umore del paziente e l’enfasi data a certi sintomi. È essenziale un esame completo di tutti gli apparati per determinare gli effetti sistemici e periferici della cardiopatia ed evidenziare patologie extracardiache che possono danneggiare il cuore.

DATI OBIETTIVI GENERALE La PA va misurata in ambedue gli arti superiori e, nelle cardiopatie congenite o nelle vasculopatie periferiche, in ambedue gli arti inferiori. La larghezza del bracciale deve essere > 20% del diametro dell’arto. Il primo tono udito mentre la colonna di Hg scende indica la pressione sistolica e il momento in cui l’ultimo tono scompare rappresenta la pressione diastolica (quinta fase di Korotkoff). È normale avere una differenza di pressione fino a 15 mm Hg tra braccio destro e sinistro. La pressione arteriosa a livello degli arti inferiori è generalmente più alta che a livello degli arti superiori di 20 mm Hg. Se si sospetta ipotensione ortostatica, la PA e la frequenza cardiaca vanno misurate con il paziente supino, seduto e in piedi. Se viene riscontrata ipertensione, bisogna eseguire un attento esame obiettivo per escludere una coartazione dell’aorta (suggerita da polsi deboli o assenti a livello degli arti inferiori, ritardo tra il polso radiale e quello femorale, PA agli arti inferiori più bassa rispetto agli arti superiori; pulsazione anomala palpabile a livello del plesso arterioso periscapolare [a volte]; soffio sistolico dorsale o in regione precordiale alta [non sempre]). Nella tireotossicosi e negli stati ipermetabolici il polso è rapido e ampio; nel mixedema è lento e debole. La frequenza respiratoria può riflettere la presenza di scompenso cardiaco o di una patologia polmonare primitiva. Aumenta nel paziente ansioso e diminuisce nel paziente in fin di vita. Atti respiratori rapidi e superficiali possono indicare un dolore pleurico.

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Approccio al paziente cardiopatico

L’aumento della temperatura può suggerire una febbre reumatica acuta o un’infezione cardiaca, come per esempio l’endocardite. È molto comune dopo un IMA; in tale contesto, non è necessario ricercare cause diverse per la febbre, a meno che essa non persista > 72 h.

POLSI È necessario eseguire un attento esame dei principali polsi periferici degli arti superiori e inferiori, per evidenziare arteriopatie congenite o acquisite o embolie sistemiche di origine cardiaca. Quando si palpano i polsi periferici, bisogna fare attenzione alla loro simmetria e all’elasticità della parete arteriosa sottostante. Nelle patologie che comportano un’elevata velocità di circolo del sangue arterioso (p. es., shunt arterovenosi, insufficienza aortica), il polso presenta una rapida fase ascendente e quindi una discesa rapida (collassa). Se si riscontra un’asimmetria dei polsi, l’auscultazione a livello dei vasi periferici può rivelare un soffio dovuto alla turbolenza di flusso causata da una stenosi. L’ispezione, la palpazione e l’auscultazione di entrambi i polsi carotidei spesso danno molte più informazioni sulla funzione cardiaca che l’esame di un polso più periferico (v. Tab. 197-1). Bisogna fare molta attenzione nel valutare il polso carotideo nell’anziano, particolarmente quando è presente ipertensione. L’arteriosclerosi comporta una rigidità dei vasi che, con l’invecchiamento delle pareti vasali, tende a mascherare i rilievi obiettivi caratteristici. In molti casi, l’esame delle carotidi può essere difficile o impossibile da interpretare. Similmente, nel bambino molto piccolo il polso carotideo può essere normale anche in presenza di una stenosi aortica grave. All’auscultazione delle carotidi, vanno distinti i soffi di origine cardiaca dai soffi vascolari. I soffi cardiaci vengono trasmessi dal cuore o dai grossi vasi, sono generalmente più intensi in corrispondenza della regione precordiale superiore e si riducono di intensità verso il collo. I soffi vascolari hanno più alta frequenza, si rilevano solo in corrispondenza delle arterie e sembrano più superficiali. Un soffio arterioso deve essere distinto da un ronzio venoso ("hum"). A differenza del soffio arterioso, quello venoso è in genere continuo, viene percepito meglio col paziente seduto o in piedi e scompare se si comprime la vena giugulare interna omolaterale. L’esame clinico delle vene periferiche può rilevare anomalie quali varici, malformazioni arterovenose (MAV) e shunt, o tromboflebite (infiammazione e dolorabilità dei tessuti sovrastanti). In corrispondenza di una sospetta MAV o di uno shunt, l’auscultazione rivela un soffio continuo ed è spesso palpabile un fremito: la resistenza al flusso, infatti, è sempre minore a livello della vena rispetto all’arteria, sia in sistole che in diastole.

LE VENE DEL COLLO Un attento esame delle vene del collo è molto importante. Mentre la vena giugulare esterna offre un’idea generale dell’ampiezza delle onde venose, la vena giugulare interna viene usata per l’analisi della pressione venosa e della forma delle onde venose, perché si comporta come un condotto venoso in diretta connessione con l’atrio destro (eccetto che in caso di ostruzione della vena cava superiore). Le vene giugulari vengono generalmente esaminate con il paziente inclinato a 45°, posizione in cui la colonna venosa nella persona normale è giusto al di sopra della clavicola. Esercitando con la propria mano una pressione sull’addome del paziente, si può ottenere un innalzamento della colonna venosa al di sopra della clavicola (reflusso epato-giugulare); nelle persone normali, la colonna venosa file:///F|/sito/merck/sez16/1971722.html (2 of 9)02/09/2004 2.03.18

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ricade al di sotto della clavicola dopo pochi secondi, nonostante si continui a esercitare pressione sull’addome, perché il ventricolo destro, normalmente distensibile, aumenta la propria gittata sistolica per il meccanismo di FrankStarling. Nell’ostruzione della vena cava superiore, nella pericardite costrittiva, nella miocardiopatia restrittiva e nell’insufficienza cardiaca grave, la pressione venosa giugulare può essere tanto elevata da rendere impossibile il rilievo del picco della colonna venosa. In tal caso, il paziente va esaminato in posizione seduta o in piedi. La modificazione dell’altezza delle onde venose in risposta alla compressione addominale fornisce informazioni preziose circa la funzione del cuore destro. La colonna venosa sale e rimane elevata per tutto il tempo in cui si mantiene la compressione addominale in presenza di: ventricolo destro dilatato e con ridotta distensibilità ("compliance"); pericardite costrittiva e tamponamento cardiaco; patologie che comportano un ostacolato riempimento del ventricolo destro (stenosi tricuspidale e tumori dell’atrio destro). Bisogna inoltre ricercare anche il segno di Kussmaul: nelle stesse condizioni morbose che producono un reflusso epato-giugulare patologico, la colonna venosa aumenta con l’inspirazione anzichè di diminuire. In condizioni normali, la riduzione della pressione intratoracica che si ha durante l’inspirazione richiama sangue dalla periferia verso la vena cava. Il ventricolo destro, se ha una normale distensibilità, si adatta all’aumentato volume di sangue che riceve e manda in circolo questo sangue grazie al meccanismo di Frank-Starling. Il segno di Kussmaul è presente anche nelle malattie ostruttive delle vie aeree. Infine, si possono analizzare il tipo e l’ampiezza delle onde venose. Il normale profilo del polso venoso giugulare è mostrato nelle Figg. 197-1 e 198-5. Le onde a e v sono aumentate nell’ipertensione polmonare. Onde a giganti (a colpo di cannone) si osservano nella dissociazione atrioventricolare. L’onda a scompare nella fibrillazione atriale ed è accentuata negli stati di ridotta distensibilità del ventricolo destro (p. es., ipertensione polmonare, stenosi valvolare polmonare). L’onda v diventa prominente se è presente insufficienza tricuspidale. Spesso l’insufficienza tricuspidale causa anche una significativa epatomegalia, con una pulsazione sistolica del fegato facilmente palpabile, dovuta all’onda v di rigurgito che provoca una dilatazione edematosa del fegato durante la sistole ventricolare destra. L’importante ipertensione venosa che si ha in queste condizioni potra, a volte, alla cirrosi cardiaca e all’ascite. Nel tamponamento cardiaco la pendenza della x è ripida. Nelle condizioni di ridotta distensibilità del ventricolo destro, la pendenza della y (che segue la sistole ventricolare) è molto ripida, in quanto la colonna di sangue venoso di entità aumentata passa velocemente nel ventricolo destro al momento dell’apertura della tricuspide, per fermarsi bruscamente solo quando la parete ventricolare destra rigida (nella cardiomiopatia restrittiva) o il pericardio (nella pericardite costrittiva) arrestano l’afflusso.

POLSO PARADOSSO Se l’anamnesi e l’esame obiettivo suggeriscono una pericardite costrittiva, un tamponamento cardiaco o una cardiomiopatia restrittiva, va ricercato un polso paradosso. Nei soggetti sani, durante un’inspirazione normale, la PA sistolica può diminuire fino a 10 mm Hg. Nelle patologie che riducono la normale distensibilità del ventricolo destro (p. es., nel tamponamento cardiaco), la caduta della pressione sistolica in inspirazione è maggiore del normale, poiché il setto interventricolare sporge all’interno del ventricolo sinistro a causa dell’elevata pressione ventricolare destra. Simultaneamente, la pressione venosa polmonare si riduce più del normale, a causa della pressione intratoracica negativa che non è bilanciata da un aumento della pressione sistolica del ventricolo destro secondo il meccanismo di Frank-Starling. Entrambi questi eventi riducono più del normale il volume di riempimento del ventricolo sinistro in inspirazione provocando, quindi, una riduzione della PA sistolica > 10 mm Hg. Il polso paradosso è raro nella cardiomiopatia restrittiva e nella pericardite costrittiva, ma è caratteristico, sebbene non patognomonico, del tamponamento. Si verifica anche nelle malattie ostruttive delle vie aeree, che vanno escluse prima di file:///F|/sito/merck/sez16/1971722.html (3 of 9)02/09/2004 2.03.18

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ricercare una causa cardiaca del polso paradosso.

ISPEZIONE E PALPITAZIONE DEL TORACE L’ipertrofia ventricolare destra (IVD) grave dà luogo a un impulso precordiale, che può essere rilevato ispettivamente e palpatoriamente come un impulso al di sotto dello sterno e della parete anteriore del torace, lungo il margine sinistro dello sterno. Occasionalmente, nelle malattie congenite che producono una IVD grave, si rileva una deformità ossea in sede precordiale, pulsante e asimmetrica, a sinistra dello sterno. L’ipertrofia del ventricolo sinistro (IVS) produce un itto della punta di durata più prolungata che si differenzia facilmente dal sollevamento precordiale dell’IVD. Nei pazienti con aneurismi ventricolari discinetici si possono talvolta riscontrare alla palpazione anormali pulsazioni sistoliche localizzate. Nei pazienti con insufficienza mitralica grave, il precordio viene sollevato da un’anormale pulsazione sistolica diffusa dovuta all’espansione dell’atrio sinistro, che provoca uno spostamento anteriore del cuore. Nei casi in cui il ventricolo sinistro è ipertrofico e dilatato, p. es., nell’insufficienza mitralica, si riscontra un itto apicale diffuso e spostato inferolateralmente. Il "pectus excavatum" e il torace carenato, un ridotto diametro toracico anteroposteriore e la rettilinearizzazione della normale curvatura della colonna toracica possono associarsi a degenerazione mixomatosa delle valvole o delle corde tendinee, soprattutto della mitrale. Le masse pulsanti da aneurismi sifilitici dell’aorta, localizzate nella regione superiore del torace, sono oggi rare. Nei difetti ereditari, associati a cardiopatie congenite, come p. es., la sindrome di Turner, sono più comuni le deformità toraciche. La palpazione del torace deve comprendere la ricerca di eventuali fremiti (v. Tab. 197-2). Nell’ipertensione polmonare, la chiusura della valvola polmonare può essere palpata come un brusco impulso nel 2o spazio intercostale a sinistra dello sterno. La chiusura di una valvola mitralica stenotica può produrre un simile impulso all’inizio della sistole, a livello dell’apice cardiaco; alla fine della sistole si può percepire l’apertura della valvola stenotica.

PERCUSSIONE E AUSCULTAZIONE DEL TORACE Sebbene l’uso della rx toracica abbia ridotto l’esercizio della semeiotica clinica di molti medici, una percussione e un’auscultazione del torace accurate consentono quasi sempre di differenziare un versamento pleurico (fremito vocale tattile diminuito) da un addensamento polmonare (fremito aumentato). Inoltre, rantoli e ronchi, segni rispettivamente di congestione polmonare e di broncospasmo, possono essere indice sia di insufficienza cardiaca con ipertensione venosa polmonare che di una malattia primitivamente polmonare. Uno sfregamento pleurico suggerisce un infarto polmonare o una polmonite con pleurite.

AUSCULTAZIONE CARDIACA L’auscultazione cardiaca richiede un eccellente orecchio e la capacità di discriminare sottili differenze di tonalità e durata. Molti ottimi medici non possiedono una buona capacità di percezione acustica o perdono la capacità di discriminare le tonalità di toni e soffi a causa di una pratica inadeguata. Inoltre, molti possiedono fonendoscopi progettati tenendo conto di ogni particolare eccetto che della fisica acustica.

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All’auscultazione, i toni cardiaci devono essere chiaramente distinti l’uno dall’altro. In diastole si possono auscultare soffi diastolici, toni aggiunti che hanno origine dal miocardio ventricolare e toni aggiunti dovuti alla valvola mitrale. In sistole, invece, si possono rilevare soffi sistolici e toni aggiunti extravalvolari. Nei casi complessi, per individuare correttamente i diversi rumori cardiaci bisogna concentrarsi di seguito su ciascuna fase del ciclo cardiaco e su ciascun suono. Una volta che i rumori cardiaci sono stati distinti, vanno rilevati l’intensità, la frequenza, la durata, il momento preciso in cui cadono e gli intervalli di tempo che li separano dai toni cardiaci: una tale analisi dell’auscultazione risulta molto spesso accurata dal punto di vista diagnostico. I rumori a bassa frequenza si sentono meglio con la campana del fonendoscopio, mentre quelli ad alta frequenza si sentono meglio con il diaframma. Quando si usa la campana, va esercitata una pressione molto modesta sul torace. Una pressione eccessiva fa sì che la campana funzioni come un diaframma, eliminando i rumori a frequenza molto bassa. I dati principali rilevati alla palpazione e all’auscultazione del precordio devono essere registrati nella cartella del paziente ogni volta che viene esaminato il sistema cardiovascolare (v. Fig. 197-2). Ciò permette il confronto fra i diversi controlli eseguiti dal paziente e fornisce un prospetto qualitativo e quantitativo dei dati rilevati.

Rumori cardiaci Toni sistolici: il primo tono(S1) è dovuto soprattutto alla chiusura della mitrale, ma può anche comprendere alcune componenti legate alla chiusura della tricuspide. È spesso sdoppiato (e ciò rientra nella normalità) e ad alta frequenza. S1 è accentuato nella stenosi mitralica. È debole o assente nell’insufficienza mitralica dovuta a sclerosi e rigidità dei lembi valvolari, ma è spesso ben udibile nell’insufficienza mitralica dovuta a degenerazione mixomatosa dell’apparato mitralico o ad anomalie del miocardio ventricolare (p. es., disfunzione dei muscoli papillari, dilatazione ventricolare). Il secondo tono (S2) è dovuto alla chiusura della valvola aortica e della valvola polmonare. La chiusura della valvola aortica normalmente precede quella della valvola polmonare, a meno che la prima non sia ritardata o la seconda anticipata. Un ritardo di chiusura della valvola aortica si verifica nel blocco di branca sinistro o nella stenosi aortica, mentre l’anticipazione della chiusura della valvola polmonare si ha in alcune forme di preeccitazione. Un ritardo della chiusura della valvola polmonare si verifica quando il volume del flusso ematico attraverso il ventricolo destro è aumentato (p. es., nel difetto del setto interatriale di tipo ostium secundum) o nel blocco di branca destra completo. L’aumento del flusso elimina anche il normale ritardo di chiusura della valvola polmonare dovuto all’aumento del volume ventricolare destro durante l’inspirazione, momento in cui il volume ventricolare sinistro diminuisce (sdoppiamento fisso di S2). Gli shunt sinistro-destro con normale volume di flusso del ventricolo destro non sono associati a sdoppiamento fisso. Un S2 unico, non sdoppiato, può aversi quando la valvola aortica è insufficiente, gravemente stenotica o atresica (nel tronco arterioso, quando c’è una valvola comune). I click si verificano solo in sistole e si distinguono da S1 e S2 per la loro frequenza più elevata, per la durata minore e per il fatto che possono essere rilevati in momenti diversi durante la sistole a seconda delle condizioni emodinamiche. I click possono essere singoli o multipli. I click si verificano nelle stenosi valvolari aortica e polmonare congenite, in cui si suppone derivino da un’anormale tensione della parete ventricolare. In queste patologie, i click sono protosistolici, molto vicini a S1 e il loro rapporto temporale con S1 non varia in seguito a modificazioni emodinamiche. Anche nell’ipertensione polmonare grave si hanno click protosistolici fissi. Si ritiene che i

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click da prolasso valvolare mitralico o tricuspidale siano dovuti a un’anormale tensione delle corde tendinee ridondanti e allungate o dei lembi valvolari. I click dovuti a degenerazione mixomatosa delle valvole possono verificarsi in qualunque momento della sistole, ma tendono ad avvicinarsi a S1 con tutte le manovre che diminuiscono il volume ventricolare (p. es., passaggio dal clinostatismo all’ortostatismo o manovra di Valsalva). Se il volume di riempimento ventricolare è aumentato, come p. es., nella posizione supina, il click si sposta verso S2, soprattutto nel prolasso della mitrale. Per ragioni sconosciute, le caratteristiche dei click possono variare enormemente da un esame clinico a l’altro e possono scomparire o ricomparire. Toni diastolici: contrariamente ai toni sistolici, quelli diastolici hanno una bassa frequenza, una minore intensità e una più lunga durata. Questi toni sono sempre patologici negli adulti. Il terzo tono (S3) è protodiastolico e si ha quando il ventricolo è dilatato e ha una ridotta distensibilità. Si verifica durante la fase di riempimento ventricolare diastolico passivo e indica una disfunzione ventricolare grave, tranne che nei giovani, nei quali può essere normale. Il S3 del ventricolo destro si ausculta meglio durante l’inspirazione (a causa dell’aumento del volume di riempimento del ventricolo destro) con il paziente supino. L’S3 del ventricolo sinistro si ausculta meglio durante l’espirazione (a causa della maggiore vicinanza del cuore alla parete toracica) con il paziente in decubito laterale sinistro. Il quarto tono (S4) è prodotto dall’aumento del riempimento ventricolare in telediastole, causato dalla contrazione atriale. Similmente a S3, è un tono a bassa frequenza, che si ausculta solo, o comunque meglio, con la campana del fonendoscopio. L’S4 del ventricolo destro aumenta con l’inspirazione, mentre quello del ventricolo sinistro diminuisce. S4 è molto più frequente di S3 e indica una disfunzione ventricolare meno grave. È assente nella fibrillazione atriale, ma è quasi sempre presente nell’ischemia miocardica in fase attiva o subito dopo un IMA. Un S3, con o senza un S4, è comune nel caso di una significativa disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, mentre un S4 senza un S3 è comune nella disfunzione diastolica del ventricolo sinistro. Quando S3 e S4 sono entrambi presenti in un paziente con tachicardia, si ha un galoppo di sommazione; la diastole è accorciata cosicché i due toni si sovrappongono. S3 e S4, se intensi, possono essere palpati all’apice con il paziente in decubito laterale sinistro. Lo "knock" diastolico si verifica nello stesso momento della protodiastole in cui si ha S3. Esso non è accompagnato da un S4 ed è un suono sordo e soffocato, che indica un brusco arresto del riempimento ventricolare a causa della costrizione del pericardio, privo della sua normale distensibilità. L’unico altro tono diastolico è lo schiocco d’apertura della stenosi mitralica o, raramente, della stenosi tricuspidale. Lo schiocco d’apertura della mitrale è un rumore a frequenza molto alta, breve e si ausculta meglio col diaframma del fonendoscopio. La sua vicinanza alla componente polmonare di S2 è direttamente proporzionale alla gravità della stenosi mitralica (cioè, maggiore è la pressione atriale sinistra, più lo schiocco d’apertura è vicino a S2). La sua intensità è correlata all’elasticità dei lembi valvolari, elevata finché sono ancora elastici, gradualmente minore fino alla sua totale scomparsa quando si instaurano stenosi, fibrosi e calcificazione della valvola. Lo schiocco d’apertura della mitrale, sebbene sia talvolta rilevabile all’apice, si può spesso auscultare meglio, o esclusivamente, a livello del margine sternale inferiore sinistro.

Soffi

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I soffi cardiaci possono essere sistolici, diastolici o continui. I soffi vanno analizzati per frequenza, intensità, momento in cui si verificano e durata. I soffi a frequenza molto alta si auscultano meglio (a volte esclusivamente) con il diaframma del fonendoscopio, mentre quelli a frequenza molto bassa si auscultano meglio (a volte esclusivamente) con la campana. I soffi vengono classificati in base alla loro intensità (v. Tab. 197-3). Soffi sistolici: i soffi sistolici si dividono in soffi da eiezione (dovuti alla turbolenza di flusso attraverso una valvola ristretta o irregolare o attraverso i tratti di efflusso) e soffi da rigurgito o shunt (flusso verso distretti che, durante tutta la sistole, sono a minore resistenza). I soffi da eiezione diventano di solito più intensi e durano più a lungo con l’aggravarsi dell’ostruzione al flusso. Al contrario, i soffi olosistolici tendono a essere più intensi con flussi di rigurgito o di shunt a velocità elevata e di volume ridotto, mentre sono più deboli con flussi di rigurgito o di shunt di ampio volume. I soffi da eiezione hanno una configurazione caratteristica, in crescendodecrescendo. Con l’accentuarsi della stenosi e della turbolenza, la fase in crescendo diviene più lunga a spese di quella in decrescendo. Il soffio da eiezione della stenosi aortica è solitamente percepito meglio nel IIo spazio intercostale a destra dello sterno. Esso si irradia alla clavicola destra e ad ambedue i lati del collo e può essere associato a un fremito sistolico. Nell’anziano, il soffio della stenosi aortica viene talvolta percepito solo all’apice cardiaco e al collo, mentre diventa debole o non udibile sul focolaio aortico (il meccanismo di questo fenomeno non è noto). Il soffio da eiezione della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è in genere meglio udibile nella parte media e inferiore del margine sternale sinistro e aumenta d’intensità con la manovra di Valsalva e con la stazione eretta. Ciò è dovuto alla diminuzione del volume di riempimento del ventricolo sinistro e al conseguente aumento del grado di apposizione del lembo anteriore mitralico al setto ipertrofico. Al contrario del soffio della stenosi aortica, questo soffio abitualmente non si irradia al collo. Il soffio da eiezione della stenosi polmonare è meglio auscultabile sul margine sternale sinistro all’altezza del secondo spazio intercostale e non si irradia tanto quanto il soffio aortico. Soffi sistolici da eiezione possono verificarsi anche in assenza di un’ostruzione emodinamicamente significativa del tratto di efflusso. Spesso nei bambini normali, di ogni età, si ha una certa turbolenza di flusso che provoca soffi eiettivi a carattere dolce. L’anziano presenta spesso soffi da eiezione dovuti a sclerosi valvolare o vascolare. Nelle persone anziane con soffi eiettivi intensi, arterie carotidi rigide e ipertensione (che provoca IVS), vanno utilizzate tecniche non invasive (quali l’ecocardiografia-Doppler) per escludere una stenosi aortica calcifica. Lo stesso discorso va fatto per i bambini molto piccoli, in cui i tipici rilievi clinici della stenosi aortica possono essere assenti, con l’unica eccezione del soffio sistolico. Anche in questo caso, l’ecocardiografia-Doppler è molto utile per differenziare le ostruzioni all’efflusso gravi da quelle lievi. Durante la gravidanza, molte donne sviluppano soffi eiettivi a carattere dolce a livello del IIo spazio intercostale a sinistra o a destra dello sterno, dovuti all’aumento della velocità di flusso attraverso strutture anatomicamente normali, come risultato del fisiologico incremento del volume ematico circolante e della gittata cardiaca. I soffi possono essere particolarmente intensi se la gravidanza è complicata da un’anemia grave. Il soffio dell’insufficienza mitralica si ausculta meglio all’apice del cuore, con il paziente in decubito laterale sinistro. Si irradia verso l’ascella sinistra e, se varia in intensità, tende ad aumentare durante la sistole fino a raggiungere la massima intensità in corrispondenza di S2. Se i lembi valvolari non chiudono durante tutta la sistole a causa di fibrosi o distruzione di tessuto, il soffio incomincia in corrispondenza di S1; se invece il rigurgito si verifica più tardi nella sistole (p. es., in certi casi di dilatazione ventricolare sinistra, con conseguenti alterazioni della geometria valvolare, o in casi di modificazioni emodinamiche dovute a ischemia o fibrosi del miocardio) il soffio insorge dopo l’inizio della sistole, ben distinto da S1. file:///F|/sito/merck/sez16/1971722.html (7 of 9)02/09/2004 2.03.18

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Il soffio dell’insufficienza tricuspidale si ausculta meglio sul margine sternale inferiore sinistro, sullo xifoide e talvolta in corrispondenza del lobo epatico medio. È olosistolico, più lieve di quello dell’insufficienza mitralica e, al contrario di quest’ultimo, aumenta durante l’inspirazione (per l’aumento del volume di riempimento del ventricolo destro). Si associa a onde v di rigurgito a livello delle vene del collo e talvolta a una pulsazione sistolica del fegato. Il difetto del setto interventricolare dà origine a un soffio olosistolico a livello del IVo spazio intercostale lungo il margine sternale sinistro, che è tanto più intenso quanto maggiore è il gradiente. Con l’aggravarsi dell’ipertensione polmonare, il gradiente pressorio fra il ventricolo sinistro e quello destro diminuisce e il soffio si riduce d’intensità. Soffi diastolici: i soffi diastolici sono dovuti alla stenosi della valvola mitralica o tricuspidale o all’insufficienza della valvola aortica o polmonare. La stenosi mitralica produce un soffio protodiastolico o protomesodiastolico apicale a bassa frequenza che si ausculta meglio dopo esercizio fisico moderato, con il paziente in decubito laterale sinistro. Ha una durata maggiore rispetto a S3. Se il paziente è in ritmo sinusale, in telediastole la contrazione atriale aumenta il gradiente, provocando un’accentuazione del soffio in questa fase. Il soffio è spesso confinato all’itto della punta. La stenosi tricuspidale dà luogo a un soffio simile ma meno intenso, localizzato a livello del 4o e 5o spazio intercostale a sinistra dello sterno; la durata e l’intensità del soffio sono aumentate dall’esercizio fisico, dall’inspirazione e dalla posizione seduta col busto piegato in avanti, che avvicina la parte anteriore del cuore alla parete toracica. Se il soffio mitralico (o tricuspidale) è dovuto a un tumore o a un trombo atriale, può essere evanescente e può variare con il decubito e tra un esame e l’altro, in relazione alle diverse posizioni assunte della massa cardiaca. L’insufficienza aortica dà origine a un soffio dolce, ad alta frequenza, in decrescendo, udibile lungo il margine sternale sinistro verso l’apice. Tipicamente, lo si rileva a livello del 4o spazio intercostale a sinistra dello sterno, con il paziente piegato in avanti e in fine espirazione. Il soffio è più breve se la pressione diastolica ventricolare sinistra è molto alta, poiché la pressione diastolica aortica e ventricolare sinistra raggiungono lo stesso valore più precocemente durante la diastole. Se il jet di rigurgito dell’insufficienza aortica provoca una vibrazione del lembo anteriore mitralico, può anche dar luogo al soffio di Austin Flint, un soffio diastolico debole a bassa frequenza auscultabile all’apice. Questo soffio è solitamente mesodiastolico e deve essere differenziato dal soffio diastolico della stenosi mitralica, più lungo e con rinforzo presistolico. L’insufficienza della valvola polmonare dà luogo a un soffio diastolico che sembra avere un’origine superficiale, ad alta frequenza, in decrescendo; tale soffio si irradia verso la parte media della linea marginosternale destra ed è più intenso a livello del 2o spazio intercostale lungo il margine sinistro dello sterno. Tale soffio è generalmente più localizzato rispetto a quello dell’insufficienza aortica. Quando è prodotto da un’insufficienza polmonare funzionale dovuta allo stiramento dell’anello della valvola polmonare in seguito a ipertensione polmonare grave (in assenza di distorsione anatomica della valvola) viene definito soffio di Graham Steell. Soffi continui: i soffi continui occupano l’intero ciclo cardiaco. Negli shunt, l’intensità della componente diastolica del soffio si riduce gradualmente con l’aumento delle resistenze dell’arteria polmonare. Quando le resistenze polmonari raggiungono lo stesso livello di quelle sistemiche, il soffio può scomparire completamente sia in sistole che in diastole. I soffi da dotto arterioso sono più intensi a livello del 2o spazio intercostale appena al di sotto del terzo mediale della clavicola sinistra, mentre i soffi da finestra aorto-polmonare sono rilevabili a livello del 3o spazio intercostale, più al centro. I soffi continui da comunicazione arterovenosa sistemica si auscultano meglio direttamente al di sopra della fistola, mentre quelli da comunicazione arterovenosa polmonare e da stenosi di un ramo dell’arteria polmonare sono più diffusi su tutta la parete toracica.

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I soffi continui indicano uno shunt costante durante la sistole e la diastole e possono essere dovuti a dotto arterioso pervio, coartazione dell’aorta o dell’arteria polmonare, finestra aorto-polmonare, stenosi di un ramo dell’arteria polmonare, fistola arterovenosa sistemica o polmonare o malformazione congenita, fistole coronaro-ventricolari, o fistole aorta-ventricolo destro o aortaatrio destro. Alcune di queste situazioni provocano un fremito e molte sono associate a segni di IVD e IVS.

Sfregamenti pericardici Lo sfregamento pericardico è un rumore superficiale, ad alta frequenza o raspante, che può essere diastolico e sistolico o trifasico (per un’accentuazione della componente diastolica durante la telediastole come risultato della contrazione atriale). Ha le caratteristiche del suono prodotto da due pezzi di cuoio strofinati tra di loro. Gli sfregamenti si auscultano meglio con il paziente seduto col busto piegato in avanti o carponi in apnea post-espiratoria.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 197-1. CARATTERISTICHE DEL POLSO CAROTIDEO E PATOLOGIE ASSOCIATE Caratteristiche del polso carotideo Ampio e schioccante

Patologie associate Ipertensione, stati ipermetabolici, patologie accompagnate da una rapida salita e da una brusca discesa dell‘onda sfigmica, come il dotto arterioso pervio o l‘insufficienza aortica (polso di Corrigan o polso a martello pneumatico)

Di volume e ampiezza Ostruzione del tratto di efflusso ridotti, con un picco ritardato del ventricolo sinistro Bifido, con una rapida fase ascendente

Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva

Bifido

Stenosi e insufficienza aortica combinate

Di ampiezza ridotta monolateralmente o bilateralmente

Stenosi carotidea dovuta ad aterosclerosi; si rileva frequentemente un soffio sistolico

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 197-2. SEDE DEI FREMITI RILEVABILI ALLA PALPAZIONE DEL TORACE E PATOLOGIE ASSOCIATE Sede del fremito

Patologia associata

Fremito sistolico alla base Stenosi valvolare del cuore, a livello del aortica IIspazio intercostale a destra dello sterno Fremito sistolico all’apice

Insufficienza mitralica

A livello del IIspazio intercostale a sinistra dello sterno

Stenosi valvolare polmonare

A livello del IVspazio intercostale

Piccolo difetto del tratto muscolare del setto interventricolare (malattia di Roger)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 197-3. INTENSITÀ DEI SOFFI CARDIACI RILEVATI CON L’AUSCULTAZIONE Grado

Descrizione

1

Appena udibile

2

Lieve, ma facilmente udibile

3

Intenso, senza fremito

4

Intenso, con fremito

5

Intenso già al minimo contatto del fonendoscopio con la parete toracica

6

Intenso anche in assenza di un contatto del fonendoscopio con la parete toracica

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI La diagnostica delle patologie del sistema cardiovascolare comprende un ampia gamma di procedure. L’auscultazione è descritta nel Cap. 197 e l’ECG viene trattato nei capitoli relativi alle singole malattie cardiovascolari. Le altre tecniche diagnostiche non invasive e invasive sono descritte qui di seguito.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE Importanti tecniche diagnostiche non invasive sono la radiografia tradizionale, la scintigrafia, la tomografia a emissione di positroni (PET) e la RMN.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE TECNICHE RADIOGRAFICHE CONVENZIONALI La classica radiografia del torace in proiezione frontale e laterale serve a valutare le dimensioni cardiache, la forma del cuore, le diverse camere cardiache e i campi polmonari, soprattutto per quanto riguarda la loro vascolarizzazione. Le dimensioni cardiache sono spesso inequivocabilmente normali nonostante una grave cardiopatia, soprattutto nel caso della malattia coronarica e delle patologie che comportano un aumento del postcarico (p. es., stenosi aortica). Per questo, misurare le dimensioni del cuore è utile soprattutto per studi statistici o per seguire un paziente nel tempo. Rispetto alle dimensioni del torace, il cuore è più grande nei bambini e nei ragazzi giovani che negli adulti. Anomalie della forma del cuore possono essere di difficile interpretazione. Tumori mediastinici e tumori o altre patologie del pericardio possono essere occasionalmente confusi con dilatazioni patologiche delle camere cardiache. Le dimensioni endocavitarie sono difficili da valutare alla rx del torace, poiché le camere si sovrappongono e sono coperte da altre strutture (p. es., il pericardio, il grasso mediastinico e il diaframma). I segni convenzionali di ingrandimento di una singola camera sono spesso difficili da applicare nella pratica clinica e talvolta sono causa d’errore. Malgrado questi limiti, può valere la pena eseguire una valutazione delle dimensioni endocavitarie. Il profilo dei grossi vasi e le variazioni della distribuzione della vascolarizzazione dei campi polmonari hanno un’importanza estrema nella valutazione della funzione cardiaca (v. Fig. 198-1). Nella diagnostica cardiaca, l’osservazione dei campi polmonari è spesso più utile di quella del cuore.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE SCINTIGRAFIA La scintigrafia cardiaca è ben tollerata dal paziente, è relativamente facile da eseguire, richiede apparecchiature solo moderatamente costose ed espone il paziente a una minore quantità di radiazioni rispetto agli studi eseguiti utilizzando raggi X. Può essere utilizzata nella diagnostica della cardiopatia ischemica, delle cardiopatie congenite o valvolari, delle cardiomiopatie e di altre malattie cardiache. Le metodiche utilizzate possono essere classificate come segue: tecniche che visualizzano il miocardio o le aree di necrosi (studi di perfusione miocardica e studi di diagnostica per immagini delle aree necrotiche) e tecniche che permettono la valutazione della funzione ventricolare e della cinetica regionale (ventricolografia).

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE SCINTIGRAFIA STUDI DI PERFUSIONE MIOCARDICA Gli studi di perfusione miocardica possono essere utilizzati per la valutazione iniziale di alcuni pazienti con dolore toracico (vale a dire quelli con dolore di origine incerta), per determinare il significato funzionale di una stenosi coronarica o di vasi collaterali visualizzati angiograficamente e per il follow-up di procedure quali interventi di bypass aorto-coronarico, angioplastiche transluminali o trombolisi. Questa metodica può anche essere utilizzata per valutare la prognosi dopo un IMA, perché può mostrare l’entità del difetto di perfusione associato all’IMA e l’entità di eventuali aree cicatriziali dovute a infarti pregressi. Gli studi di perfusione miocardica solitamente utilizzano il tallio radioattivo (201Tl), che si comporta come un analogo del potassio. Dopo somministrazione EV, il 201Tl lascia rapidamente il compartimento vascolare e passa all’interno delle cellule in maniera direttamente proporzionale al flusso ematico. Circa il 4% della dose si localizza temporaneamente a livello del miocardio e mostra il cuore in contrasto con il background circostante dato dalla ridotta attività polmonare. In una fase successiva, si raggiunge l’equilibrio fra il 201Tl miocardico e quello contenuto nel sangue e in altre strutture (p. es., muscoli scheletrici, fegato, reni); durante tale fase, la concentrazione di 201Tl nel miocardio vitale si modifica e riflette il flusso ematico distrettuale all’equilibrio. Perciò, in un paziente che sta eseguendo esercizio fisico, si avranno difetti di captazione miocardica di 201Tl in aree non vitali (p. es., aree infartuate e/o cicatrici) e in segmenti vitali con un ridotto apporto ematico (p. es., aree ischemiche distali a una stenosi coronarica, emodinamicamente significativa). Dopo che il paziente è rimasto a riposo per diverse ore, la distribuzione di 201Tl si modifica. Un difetto di captazione causato da una cicatrice non vitale apparirà immodificato. Tuttavia, se è vero che uno studio con 201Tl eseguito tardivamente in un’area ischemica probabilmente dimostrerà la scomparsa o la riduzione del difetto di captazione iniziale, è anche vero che il 30-40% dei difetti che persistono su immagini eseguite 3-4 h dopo l’esercizio si verificano in regioni ischemiche anziché in aree cicatriziali. La vitalità della maggior parte di queste regioni può essere evidenziata su immagini eseguite dopo la somministrazione di un’ulteriore piccola dose di 201Tl a riposo. Immagini eseguite il giorno successivo alla somministrazione della prima dose daranno risultati simili. Aree di miocardio stordito o ibernato possono continuare ad apparire come difetti di captazione nonostante gli accorgimenti suddetti. Le complesse caratteristiche dell’imaging realizzato con il 201Tl hanno portato allo sviluppo di diverse classi di agenti di perfusione miocardica a base di tecnezio (99mTc); sono in commercio sestamibi, tetrofosmina e teboroxima (v. Tab. 198-1), che hanno tutti una simile sensibilità per la diagnosi della malattia coronarica. Il sestamibi, in particolare, è utilizzato in molti laboratori. L’utilizzo di alte dosi di 99mTc (> 30 mCi) può consentire l’esecuzione di studi di primo passaggio (v. Ventricolografia, più avanti), in combinazione con studi di perfusione. In alcuni laboratori, per ridurre il tempo totale dell’esame, uno studio file:///F|/sito/merck/sez16/1981731.html (1 of 3)02/09/2004 2.03.21

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iniziale a riposo con 201Tl è immediatamente seguito da uno studio sotto sforzo con 99mTc sestamibi. I laboratori che eseguono studi con sestamibi sotto sforzo e a riposo in giorni separati possono evitare lo studio a riposo, se l’imaging iniziale dopo sforzo non mostra evidenza di anomalie della perfusione. Gli studi di perfusione miocardica possono essere soggetti ad artefatti, alcuni dei quali sono dovuti all’attenuazione dell’attività miocardica da parte dei tessuti molli sovrastanti. Nelle donne, l’attenuazione dovuta al parenchima mammario è particolarmente problematica, a causa della grande variabilità interindividuale della quantità di tessuto mammario rappresentato nelle differenti sezioni del campo visualizzato. Gli artefatti da attenuazione legati al parenchima mammario sono più evidenti su immagini planari e influenzano le immagini realizzate mediante SPECT (Single Photon Emission Computer Tomography). L’attenuazione dovuta al diaframma e agli organi addominali può dar luogo a falsi difetti della parete inferiore, evidenti soprattutto quando le immagini sono acquisite a 360°. I fotoni emessi dal 99mTc (140 KeV) sono meno soggetti al fenomeno dell’attenuazione rispetto ai fotoni a minore energia (68-80 KeV) emessi dal 201Tl. Un aumento del tempo di transito polmonare del 201Tl provoca un maggiore accumulo di questo tracciante nei polmoni. Il rilievo di captazione polmonare negli studi con 201Tl suggerisce una ridotta gittata cardiaca. La causa può essere l’ischemia, ma questo rilievo non è specifico. Tale fenomeno è inconsueto con gli agenti di perfusione marcati con 99mTc. L’utilizzo di acidi grassi marcati con iodio-123 (123I) permette di rilevare l’ischemia miocardica. Il muscolo cardiaco normale utilizza il metabolismo degli acidi grassi come principale fonte di energia; il miocardio ischemico si converte al metabolismo glucidico. La distribuzione a riposo degli acidi grassi marcati radioattivamente, messa a confronto con quella di un agente di perfusione, può avvicinarsi al gold standard rappresentato dal 18-fluoro-deossiglucoso (v. in Tomografia a Emissione di Positroni, più avanti) come indicatore di miocardio vitale suscettibile di ripresa dopo rivascolarizzazione. Questi agenti non sono ancora disponibili per l’utilizzo clinico di routine. Altri radioisotopi vengono usati più raramente. Il citrato di gallio (67Ga), per la sua proprietà di accumularsi in sede di flogosi, è stato utilizzato per rilevare la presenza e la gravità di cardiomiopatie infiammatorie. L’accumulo che si verifica durante la fase attiva di una miocardite diminuisce con il ridursi della flogosi. Tuttavia, il 67Ga può non essere un accurato rilevatore in presenza di terapia steroidea e risulta meno efficace dell’ecocardiografia bidimensionale nella diagnosi della endocardite batterica. La 123I metaiodobenzilguanidina, un analogo di alcuni neurotrasmettitori, è captata e immagazzinata dai neuroni del sistema nervoso simpatico. Studi di imaging cardiaco con questo agente possono risultare utili nella valutazione di pazienti affetti da cardiomiopatia o per il rilievo precoce di tossicità cardiaca da chemioterapici (p. es., doxorubicina). La SPECT, la tecnica più comunemente usata per visualizzare la distribuzione dei radionuclidi a livello cardiaco, si basa sul principio della ricostruzione tomografica delle immagini dopo acquisizione mediante una camera rotante. L’attività miocardica viene visualizzata su piani paralleli agli assi corto e lungo del ventricolo sinistro. Sofisticate apparecchiature per SPECT dotate di diverse camere consentono di completare uno studio in 10 min. Il confronto visivo fra le immagini eseguite dopo sforzo e quelle acquisite tardivamente può essere arricchito da diagrammi quantitativi. La SPECT migliora la visualizzazione dei difetti di captazione in sede inferiore e posteriore e delle piccole aree di necrosi che non possono essere identificate come difetti di perfusione persistenti su immagini planari. La SPECT risulta superiore anche nell’identificazione dei vasi responsabili dei difetti di captazione. Inoltre, può essere quantificata la massa di miocardio vitale e di miocardio infartuato, dati utili nel determinare la prognosi. La scintigrafia miocardica con tecnica SPECT ha una sensibilità del 90-95% per la diagnosi di una coronaropatia significativa.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-1. AGENTI DI PERFUSIONE MIOCARDICA A BASE DI 99mTECNEZIO Agente

Descrizione

Caratteristiche

99m

Tc sestamibi

Catione Ha una captazione miocardica più lenta rispetto al inositrile; tallio, ma ha una ridotta eliminazione miocardica, il l’agente a base che consente una maggiore flessibilità sui tempi: i 99m pazienti in fase acuta possono ricevere di Tc più immediatamente l’iniezione di sestamibi e le usato immagini possono essere realizzate diverse ore dopo. La captazione dipende più dal flusso ematico che dal miocardio vitale; le regioni vitali con un flusso ridotto possono essere classificate come cicatrice. Possono essere eseguiti due studi di perfusione, nella stessa giornata o in giorni diversi, il primo con una bassa dose durante stress e il secondo con una dose molto più alta a riposo. Le immagini sincronizzate sull’ECG (ECG-gated) permettono la valutazione della cinetica regionale, dell’ispessimento parietale e della frazione d’eiezione

99m

Tc tetrofosmin

Catione diossifosfine

Simile al sestamibi

99m

Agente neutro lipofilo del gruppo BATO (Boronic Acid Technetium Oxime)

Viene estratto in maniera significativa dal miocardio al primo passaggio e viene rapidamente eliminato; la metà dell’attività miocardica di picco viene persa in 10minuti. Per questo motivo, è difficile utilizzarlo durante test ergometrico. Studi preliminari suggeriscono che si può completare uno studio stress-redistribuzione in 15 minuti utilizzando uno stress farmacologico. La malattia coronarica può anche essere rilevabile mediante l’analisi dell’eliminazione del tracciante dal miocardio dopo un’iniezione a riposo, senza la necessità di un test provocativo

Tc teboroxime

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE SCINTIGRAFIA VENTRICOLOGRAFIA È possibile effettuare una valutazione radionuclidica della performance cardiaca, basata sulla funzione del ventricolo destro (VD) e del ventricolo sinistro (VS), mediante studi di primo passaggio (un tipo di valutazione battito per battito) o studi ECG-gated (cioè sincronizzati con l’ECG) eseguiti nell’arco di diversi minuti. Sebbene gli studi di primo passaggio siano rapidi e relativamente semplici, soprattutto per la valutazione della funzione ventricolare a riposo e da sforzo, quelli ECG-gated riescono a distinguere meglio il "blood pool" cardiaco e il movimento della parete ventricolare e sono più ampiamente utilizzati. Dal momento che lo studio ECG-gated eseguito a riposo non comporta praticamente alcun rischio, viene largamente utilizzato per valutazioni seriate della funzione ventricolare destra e sinistra (p. es., nelle valvulopatie); per il monitoraggio di pazienti che assumono farmaci potenzialmente cardiotossici (p. es., doxorubicina) e per la valutazione del risultato di angioplastiche, interventi di bypass aortocoronarico, trombolisi e di altre procedure in pazienti con malattia coronarica o IMA. Tale tecnica si basa sulla sincronizzazione delle immagini date dalla captazione eritrocitaria di 99mTc con l’onda R dell’ECG del paziente. Immagini multiple (di solito da 14 a 28) di brevi intervalli sequenziali di ciascun ciclo cardiaco vengono acquisite nell’arco di 5-10 min e archiviate in un computer. Il computer poi elabora una somma delle immagini e produce una configurazione media del contenuto ematico per ciascuna parte del ciclo cardiaco esaminato. Il computer riproduce le immagini in maniera sequenziale simulando un cuore in movimento e ciò consente di valutare con notevole accuratezza il movimento regionale delle pareti cardiache. Numerosi indici quantitativi di funzione ventricolare possono essere ricavati dalle metodiche ECG-gated, inclusi frazione di eiezione (FE, rapporto fra gittata sistolica e volume telediastolico), velocità di eiezione e di riempimento, volume del VS e indici di sovraccarico di volume relativo, quali il rapporto tra la gittata sistolica del VS e del VD. La FE è l’indice più frequentemente usato. I valori normali della FE variano a seconda della tecnica usata, ma il range normale a riposo è solitamente 50-75%. La FE e il movimento di parete vengono valutati a riposo; si possono poi esaminare i cambiamenti durante stress acquisendo immagini ECG-gated mentre il paziente pedala al cicloergometro. Di norma, il valore di FE sotto sforzo è almeno del 5% maggiore rispetto a quello a riposo (p. es., > 60% durante esercizio contro 55% a riposo). Una disfunzione ventricolare da varie cause (p. es., cardiopatia valvolare, cardiomiopatia, coronaropatia) può ridurre la FE sotto sforzo. La riproducibilità di questi e altri indici di funzione ventricolare migliora con l’uso di tecniche di elaborazione computerizzata semiautomatica. La FE sotto sforzo è il migliore indicatore prognostico nei pazienti con malattia coronarica. Anomalie del VD: la determinazione della funzione del VD è importante nei pazienti affetti da malattie polmonari o con infarto inferiore del VS, che possono file:///F|/sito/merck/sez16/1981734.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.22

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avere un concomitante coinvolgimento delle sezioni destre. I programmi semiautomatici utilizzati nella valutazione del VS non sono applicabili all’analisi del VD; per questo motivo, le regioni di interesse sono selezionate manualmente. La normale FE del VD è inferiore alla FE del VS, variando dal 40% al 55% con la maggior parte delle tecniche. La FE del VD è ridotta in molti pazienti con ipertensione polmonare e nei pazienti con infarto del VD o con una cardiomiopatia che coinvolga il VD. La cardiomiopatia idiopatica è solitamente caratterizzata da una disfunzione biventricolare, a differenza della cardiopatia ischemica tipica, che invece mostra un maggiore coinvolgimento del VS rispetto al VD. Anomalie del VS: gli studi scintigrafici ECG-gated sono utili per la diagnosi di aneurismi del VS, con una sensibilità e una specificità > 90% per aneurismi tipici anteriori o antero-apicali. Gli aneurismi infero-posteriori del VS si visualizzano meno bene con le convenzionali metodiche di imaging rispetto a quelli anteriori e laterali. Per questo, se si sospetta un aneurisma inferiore o posteriore, vanno realizzate immagini ECG-gated oblique, laterali od oblique posteriori del VS. La maggior parte degli esperti in questo campo raccomanda almeno una di queste proiezioni addizionali durante uno studio di imaging ECG-gated. Le immagini ECG-gated realizzate con tecnica SPECT richiedono più tempo (circa 20-25 min con una camera multipla) rispetto a una singola immagine planare (5-10 min), ma permettono la visualizzazione di tutte le pareti dei ventricoli. Anomalie valvolari: il confronto fra studi eseguiti a riposo e sotto sforzo è utile nelle valvulopatie che provocano un sovraccarico di volume del VS. Nell’insufficienza aortica, una riduzione della FE a riposo (rilevabile con metodiche di imaging ECG-gated, v. sopra) o l’impossibilità di ottenere un adeguato aumento della FE con l’esercizio costituiscono un segno di progressivo deterioramento della funzione cardiaca e possono costituire un’indicazione alla riparazione valvolare. Le tecniche radioisotopiche ECG-gated del "blood pool" possono anche essere usate per misurare la frazione di rigurgito nelle insufficienze valvolari. Normalmente la gittata sistolica dei due ventricoli è uguale. Tuttavia, in pazienti affetti da insufficienza valvolare mitralica o aortica, la gittata sistolica del VS supera quella del VD in misura proporzionale alla frazione di rigurgito. Pertanto, se il VD è normale, la frazione di rigurgito del VS può essere calcolata dal rapporto fra la gittata sistolica del VS e quella del VD. L’entità di uno shunt congenito può essere quantificata misurando il rapporto fra le gittate sistoliche dei due ventricoli o misurando, durante il primo passaggio del radioisotopo, il rapporto tra l’entità del ricircolo anomalo polmonare precoce della radioattività e la radioattività polmonare totale, grazie ai programmi computerizzati disponibili in commercio.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE TOMOGRAFIA A EMISSIONE DI POSITRONI La tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography, PET) utilizza nuclei che decadono emettendo un positrone (β +), che equivale a un elettrone, ma con carica positiva. I positroni interagiscono rapidamente con gli elettroni circostanti e ciò provoca la loro trasformazione in due fotoni-γ le cui traiettorie divergono di 180°. Un sistema di rilevamento ad anello che circonda la fonte di positroni rileva contemporaneamente i due fotoni e riesce così a localizzare la fonte. Questi sistemi sono molto più sensibili delle camere utilizzate convenzionalmente in medicina nucleare, hanno una maggiore risoluzione spaziale e possono fornire dati quantitativi piuttosto che qualitativi circa la distribuzione del radiofarmaco nell’organismo. I radionuclidi comunemente utilizzati comprendono gli isotopi del carbonio (11C), l’ossigeno (15O) e l’azoto (13N), che possono marcare la maggior parte delle sostanze organiche. Questi vantaggi sono controbilanciati dall’elevato costo del sistema di rilevazione e dall’emivita molto breve ( 20 min) di questi radionuclidi, che rende necessario un ciclotrone (molto costoso) in sede. Gli agenti positronici utilizzati in cardiologia sono classificati come agenti di perfusione o metabolici. Gli agenti di perfusione miocardica comprendono 11C anidride carbonica, 15O acqua e 13N ammoniaca. Un altro agente di perfusione, il rubidio 82 (82Rb), è prodotto mediante un sistema commerciale e non richiede un ciclotrone in sede. Gli agenti metabolici miocardici forniscono un’informazione sostanzialmente diversa rispetto agli agenti convenzionali a fotone singolo (p. es., 201Tl). Il deossiglucoso marcato con fluoro 18 (FDG), l’agente metabolico più diffusamente utilizzato, può rilevare l’aumento del metabolismo glucidico durante ischemia. Se associato a studi di perfusione, l’imaging con FDG può individuare il miocardio ischemico ma ancora vitale e suscettibile di recupero dopo rivascolarizzazione con maggiore sensibilità rispetto a studi da sforzo o da redistribuzione con 201Tl. È risultato utile nel selezionare i pazienti che traggono beneficio da interventi di rivascolarizzazione (p. es., angioplastica, bypass aortocoronarico) e nell’evitare tali procedure quando è presente solo tessuto cicatriziale; ciò può giustificare il maggior costo degli studi eseguiti con FDG rispetto alla SPECT convenzionale. Il 18F ha un’emivita sufficientemente lunga (110 min); per questo motivo, è spesso possibile produrre il FDG fuori sede e trasportarlo successivamente. Il recente sviluppo di metodiche che consentono l’imaging con FDG mediante camere per SPECT convenzionali possono rendere ampiamente disponibile questa eccellente tecnica. Un altro tracciante metabolico utilizzato per la PET è il 11C acetato, il cui uptake sembra riflettere il metabolismo miocardico totale di O2, qualunque sia il substrato utilizzato. L’uptake di questo tracciante non dipende da fattori potenzialmente variabili come i livelli ematici di glucoso, che possono invece influire sulla distribuzione del FDG. L’imaging con 11C acetato ha un maggiore potere predittivo positivo circa il recupero della funzione contrattile miocardica post-rivascolarizzazione rispetto alle metodiche che utilizzano il FDG. Tuttavia, la breve emivita (20 minuti) del 11C rende necessario un ciclotrone in sede per produrre tale radionuclide.

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Il 11C palmitato è stato inizialmente utilizzato nella PET per studiare il metabolismo miocardico degli acidi grassi. La clearance dell’attività radioattiva dal miocardio è correlata al tasso di ossidazione degli acidi grassi, cosicché le aree ischemiche vengono visualizzate come punti "caldi", cioè di accumulo del radiofarmaco. Tuttavia, alterazioni nella cinetica del tracciante dovute ad altre variabili difficili da controllare nella pratica clinica rendono difficile l’interpretazione dell’immagine. Il 11C palmitato è stato soppiantato dal FDG e dal 11C acetato.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE SCINTIGRAFIA TECNICHE SCINTIGRAFICHE DA STRESS Il test da sforzo viene solitamente eseguito su un treadmill convenzionale secondo il protocollo di Bruce o un simile programma di esercizio, con il paziente monitorizzato. Se non ci sono controindicazioni, il paziente prosegue l’esercizio fino a che supera l’85% della frequenza cardiaca teorica massima per l’età; il radionuclide viene iniettato quando il paziente è all’acme dello sforzo. Il paziente va incoraggiato a continuare l’esercizio allo stesso carico per altri 30-60 s, affinché la distribuzione della radioattività rispecchi il pattern di flusso ematico legato allo sforzo. Lo studio della reiniezione va eseguito dopo la somministrazione di un’ulteriore dose di 201Tl; la reiniezione può essere eseguita di routine appena prima (in tutti i pazienti) o appena dopo (nei pazienti con difetti fissi) l’immagine tardiva. Lo studio scintigrafico sforzo-redistribuzione con 201Tl è più sensibile e specifico rispetto al test ergometrico con solo monitoraggio ECG nel rilevare un’ischemia miocardica significativa; quando i risultati dello studio eseguito con 201Tl e i dati forniti dall’ECG durante sforzo sono considerati insieme, la sensibilità per il rilievo di coronaropatia aumenta. Risultati simili si ottengono con agenti marcati con 99mTc. I test provocativi farmacologici mediante tecniche scintigrafiche risultano particolarmente utili quando non si può eseguire l’analisi del tratto ST mediante test da sforzo, p. es., in pazienti che assumono digitale, in pazienti con blocco di branca sinistro o nelle donne (il test da sforzo massimale in donne normali dà circa il 50% di risultati falsi-positivi per ragioni sconosciute). I test provocativi farmacologici con radionuclidi risultano utili anche in pazienti che non sono in grado di eseguire uno sforzo fisico (p. es., a causa di obesità, patologie osteoarticolari o per l’età). Si può utilizzare un vasodilatatore coronarico come il dipiridamolo, che aumenta l’adenosina endogena. Il dipiridamolo, che viene somministrato EV, aumenta il flusso di sangue nelle coronarie normali ma non nelle arterie situate a valle di una stenosi, con un conseguente aumento della captazione di 201Tl nelle regioni normalmente vascolarizzate e una relativa diminuzione di attività nei segmenti che dipendono dal vaso stenotico. Per questo, l’immagine apparirà simile a quella realizzata dopo esercizio fisico. Lo studio eseguito mediante iniezione di 201Tl 3-5 min dopo il dipiridamolo ha una sensibilità per la diagnosi di malattia coronarica pari a quella del test da sforzo. L’ischemia indotta dal dipiridamolo o altri effetti avversi (p. es., nausea e vomito, cefalea, broncospasmo) possono essere antagonizzati mediante somministrazione EV di aminofillina. In alternativa al dipiridamolo, si può somministrare l’adenosina che è rapidamente catabolizzata a livello plasmatico; per questo motivo, i suoi effetti cessano semplicemente interrompendone l’infusione. L’aminofillina e le altre xantine possono provocare dei falsi-negativi in test eseguiti con dipiridamolo o adenosina; per questo, nelle 24 ore che precedono l’esame, vanno evitati broncodilatatori contenenti teofillina e caffè. Per test provocativi farmacologici, si

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può anche utilizzare la dobutamina, un β1-agonista.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE SCINTIGRAFIA STUDI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLE AREE NECROTICHE L’immagine positiva di aree infartuali si basa sull’accumulo di traccianti marcati in aree di miocardio danneggiato. Gli agenti utilizzati per visualizzare il tessuto osseo (p. es., 99mTc pirofosfato) si accumulano in queste aree, probabilmente a causa di lesioni di membrana e di microcalcificazioni. Le immagini in genere diventano positive circa 12-24 h dopo l’IMA e rimangono positive per circa 1 sett.; possono restare persistentemente positive in caso di estensione dell’area di necrosi e in pazienti che sviluppano aneurismi postinfartuali. È molto più probabile che le immagini siano positive negli infarti transmurali piuttosto che in quelli subendocardici. Con la tecnica planare, immagini miocardiche multiple vengono registrate circa 1 h dopo la somministrazione EV di 99mTc pirofosfato. Sono spesso necessarie immagini tardive (2-4 ore) per differenziare l’attività miocardica da quella del sangue circolante. La SPECT in genere migliora la risoluzione spaziale. Un’immagine di accumulo focale e intenso di 99mTc pirofosfato (cioè più intenso o uguale rispetto all’accumulo costale) ha un significato diagnostico nettamente superiore rispetto a immagini di anomalie di fissazione meno intense o più diffuse. Nell’imaging dell’IMA, il 99mTc pirofosfato è molto meno utilizzato del 201Tl, ma è utile per diagnosticare IMA con presentazione clinica atipica e per evidenziare un IMA perioperatorio dopo bypass aorto-coronarico o altri interventi di cardiochirurgia. La sua utilità nella determinazione dell’estensione dell’infarto non è ancora ben definita. Per la diagnosi di IMA, si può anche utilizzare l’antimiosina (anticorpi diretti contro la miosina cardiaca marcati con 111In). Le immagini vengono realizzate 2448 h dopo l’iniezione per permettere la completa eliminazione dell’attività legata al sangue circolante. L’antimiosina è più specifica per la diagnosi di IMA rispetto agli agenti ossei a base di 99mTc e non ha captazione sternale o costale che mascheri la regione cardiaca. Studi combinati con antimiosina e 201Tl possono aiutare a distinguere il tessuto infartuato da quello gravemente ischemico. L’antimiosina può anche essere d’aiuto nella valutazione dei cuori trapiantati, perché evidenzia le aree di necrosi parcellare associate al rigetto.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE La RMN può fornire diverse informazioni riguardo al cuore con un solo esame e può quindi avere un rapporto costi-benefici migliore rispetto a diverse altre metodiche. La RMN è utile per valutare le regioni intorno al cuore, particolarmente il mediastino e i grossi vasi (p. es., per studiare aneurismi, dissezioni e stenosi). L’acquisizione dei dati temporizzati sull’ECG ("ECG-gated") produce immagini in "cine-loop" del cuore battente. La risoluzione delle immagini può raggiungere quella della TC o dell’ecocardiografia, consentendo una buona definizione dello spessore e del movimento della parete miocardica, del volume delle camere, di masse o trombi endocavitari e dei piani valvolari. La RMN sequenziale dopo somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico produce immagini con una risoluzione del pattern di perfusione migliore rispetto alle metodiche scintigrafiche. Si può misurare la velocità del flusso ematico nelle camere cardiache. L’angio-RMN può mostrare il flusso ematico nei rami maggiori delle coronarie. La spettroscopia mediante risonanza magnetica può identificare il miocardio infartuato.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE ECOCARDIOGRAFIA L’ecocardiografia è una tecnica a ultrasuoni per la diagnosi delle malattie cardiovascolari (v. Tab. 198-2). Comprende: M-mode, bidimensionale, Doppler spettrale, color-Doppler, ecocardiografia con mezzo di contrasto e da stress. L’esame ecocardiografico viene solitamente eseguito con un trasduttore sulla parete toracica, lungo i margini destro e sinistro dello sterno, all’apice cardiaco, nella fossetta soprasternale o nella regione sottocostale. Nell’ecocardiografia transesofagea, tuttavia, il trasduttore è situato alla estremità di un endoscopio e il cuore viene visualizzato attraverso l’esofago. Trasduttori ancora più piccoli possono essere posizionati su cateteri intravascolari, consentendo la valutazione dell’anatomia e del flusso ematico all’interno dei vasi. L’ecocardiografia M-mode si esegue dirigendo un fascio ultrasonoro collimato ed emesso in maniera pulsata verso una parte del cuore. La Fig. 198-2 mostra un ecocardiogramma M-mode in cui il fascio di ultrasuoni viene spostato gradualmente dall’apice del cuore (posizione 1) verso la base (posizione 4). A mano a mano che il fascio passa attraverso il cuore, si possono vedere i ventricoli destro e sinistro, le valvole mitralica e aortica, l’aorta e l’atrio sinistro. Cambiamenti di direzione del fascio di ultrasuoni consentono di registrare echi provenienti dalle valvole tricuspide e polmonare. L’ecocardiografia 2-D (o a sezione traversa) è divenuta la tecnica ecocardiografica più comunemente usata. Essa utilizza l’emissione pulsata di ultrasuoni e la loro riflessione per fornire immagini cardiache spazialmente corrette in tempo reale; tali immagini vengono registrate su videocassetta, ottenendo un effetto simile alla cineangiografia. Nella Fig. 198-3 vengono mostrate quattro proiezioni ecocardiografiche 2D comunemente usate. L’ecocardiografia bidimensionale può fornire molteplici tagli tomografici del cuore e dei grossi vasi. L’ecocardiografia Doppler spettrale utilizza gli ultrasuoni per rilevare la velocità, la direzione e il tipo di flusso nel sistema cardiovascolare. Il segnale Doppler spettrale può essere registrato su carta o in video. La Fig. 198-4 mostra la registrazione del flusso transmitralico ottenuta mediante ecocardiografia Doppler spettrale e 2D. L’ecocardiografia color-Doppler è essenzialmente un Doppler 2D in cui il flusso è codificato a colori per indicarne la direzione (il rosso indica il flusso che si avvicina alla sonda; il blu indica il flusso in allontanamento). L’ecocardiografia con mezzo di contrasto consiste in un esame ecocardiografico M-mode o 2-DE durante il quale si inietta mezzo di contrasto nel sistema cardiovascolare. Quasi tutti i mezzi di contrasto liquidi, se iniettati rapidamente nel torrente circolatorio, si trasformano in una sospensione di microbolle che produce una nube di echi all’interno delle camere cardiache. Le microbolle abitualmente non attraversano il letto capillare; tuttavia, è attualmente in commercio un agente in grado di farlo (Albunex) e altri ancora sono in via di sviluppo. L’ecocardiografia da stress viene eseguita durante o dopo stress fisico o

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farmacologico.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-2. USI CLINICI DELL’ECOCARDIOGRAFIA Indicazione Valvulopatie

Anomalie delle camere cardiache

Metodo ecocardiografico M-mode e bidimensionale

Visualizzano direttamente le valvole patologiche (l’ecocardiografia bidimensionale permette la misurazione diretta dell’orifizio di una valvola mitrale stenotica)

Doppler (spettrale e color- Doppler))

Consente la valutazione delle insufficienze valvolari e dei gradienti pressori attraverso valvole stenotiche, particolarmente nella stenosi aortica

Transesofageo

Permette la visualizzazione delle protesi valvolari, specialmente in sede mitralica, e rileva eventuali vegetazioni dovute a endocardite batterica e trombi all’interno dell’atrio sinistro

M-mode e bidimensionale

Doppler Cardiopatie congenite

Scopo

Bidimensionale

Consentono di misurare gli spessori parietali, le dimensioni endocavitarie, la massa e i volumi ventricolari e la funzione sistolica globale e segmentaria; permettono anche di valutare le dimensioni delle altre camere cardiache Fornisce informazioni emodinamiche (p. es., gittata cardiaca, pressioni endocavitarie, funzione diastolica del ventricolo sinistro) Fornisce un’eccellente definizione delle anomalie anatomiche

Doppler Contrasto

Fornisce informazioni circa shunt intracardiaci ed emodinamica È molto sensibile per gli shunt destro-sinistro

Coronaropatia

Bidimensionale, ecostress, M-mode e Doppler

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Permettono di stabilire la cinesi regionale dei ventricoli sinistro e destro e la presenza e gravità della coronaropatia; possono essere associati con vari tipi di stress per identificare una coronaropatia latente; valutano l’evoluzione dell’IMA e qualunque sua complicanza

Manuale Merck - Tabella

Cardiomiopatie

Bidimensionale, M-mode Permettono di stabilire la presenza e la gravità della e Doppler cardiomiopatia dilatativa congestizia e delle miopatie infiltrative M-mode o bidimensionale Rilevano la presenza di una cardiomiopatia ipertrofica, con o senza ostruzione Doppler e M-mode Permettono di stabilire le caratteristiche anatomiche ed emodinamiche dell’ostruzione del tratto d’efflusso della cardiomiopatia ipertrofica

Masse cardiache

Bidimensionale (transtoracico e transesofageo)

Malattie pericardiche

M-mode, bidimensionale Rilevano la presenza di versamento pericardico e l’eventuale presenza di tamponamento cardiaco; e Doppler sono utili, ma meno affidabili, per il rilievo di pericardite costrittiva

Malattie dell’aorta

Bidimensionale

Può esaminare l’aorta per intero e permette di rilevare diverse patologie (p. es. dissezione aortica, aneurismi dei seni di Valsalva, coartazione)

Color-Doppler e transesofageo

Migliorano moltissimo la visualizzazione dell’aorta

Bidimensionale con contrasto

Permette di individuare la posizione dell’ago e rende più sicura tale procedura

Pericardiocentesi

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È la procedura migliore per la valutazione delle masse cardiache (infiammatorie, neoplastiche o di natura trombotica), la maggior parte delle quali è endocavitaria; può rilevare masse extracardiache

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE Per diagnosticare, monitorizzare e trattare condizioni quali infezioni, disidratazione, trauma, chirurgia, aritmie cardiache e neoplasie, è spesso necessario un accesso vascolare. La scelta della cannula dipende dagli scopi della terapia e dalle caratteristiche del catetere. Il metodo più efficace per somministrare ampi volumi di liquidi (p. es., dopo un trauma, durante chirurgia) è l’inserimento di due o più cannule periferiche corte ( 16 G), di ampio calibro. Al contrario, nei pazienti che hanno bisogno di un accesso vascolare sicuro o continuato (p. es., per la somministrazione di antibiotici, di chemioterapici o per l’alimentazione parenterale) è meglio utilizzare lunghi cateteri venosi centrali (vie venose centraliVVC).

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE CANNULAZIONE DI VENE PERIFERICHE

Sommario: Introduzione Complicanze

Per l’inserzione di una cannula percutanea, bisogna applicare un laccio emostatico, più spesso a livello dell’arto superiore. Un’unità costituita da una cannula e un ago viene introdotta delicatamente attraverso la cute pulita all’interno della vena. Una volta che la cannula è in sede, l’ago viene ritirato ed eliminato. La preparazione chirurgica della vena, usata quando l’inserzione di una cannula percutanea non è possibile, richiede una piccola incisione della cute, il successivo isolamento della vena e la venotomia; un catetere di plastica viene inserito nella vena e fermato con delle suture. Le sedi d’inserzione caratteristiche sono le vene cefaliche del braccio a livello del polso e le vene safene a livello della caviglia.

Complicanze L’incidenza di complicanze comuni (p. es., infezioni, trombosi venose, tromboflebiti) può essere ridotta rimuovendo la cannula il più presto possibile o cambiandola di frequente.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE INSERIMENTO DI CATETERI VENOSI CENTRALI

Sommario: Introduzione Procedura Complicanze

I cateteri centrali consentono l’infusione di soluzioni con una minore incidenza di complicanze (p. es., trombosi venosa, necrosi tissutale locale); consentono il monitoraggio emodinamico della pressione venosa centrale, della pressione in arteria polmonare e della pressione di incuneamento ("wedge pressure") dei capillari polmonari (v. oltre) e la valutazione della gittata cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche e polmonari. La determinazione della pressione venosa centrale (PVC) è anche d’aiuto nel monitoraggio della volemia. Una VVC può anche fornire importanti dati emodinamici nel tamponamento cardiaco e nell’embolia polmonare. La PVC è una misura della pressione media della vena cava superiore (VCS) e riflette la pressione telediastolica del ventricolo destro, ossia il precarico. I dati ricavati dalla PVC devono essere interpretati con cautela, particolarmente quando è presente una cardiopatia. Una PVC < 5 mm Hg in un paziente ipoteso indica generalmente una deplezione di volume e può essere trattata somministrando fluidi. I liquidi vanno invece somministrati con particolare cautela se la PVC è > 15 mm Hg. Le variazioni della PVC durante la somministrazione di liquidi in un paziente ipovolemico che viene rianimato sono più importanti del suo valore assoluto. Dal momento che la PVC può non essere affidabile nella valutazione della volemia e della funzione ventricolare sinistra, se non c’è un miglioramento delle condizioni cardiovascolari dopo un’iniziale somministrazione di liquidi, occorre prendere in considerazione la cateterizzazione dell’arteria polmonare (v. più avanti).

Procedura Si può accedere alla VCS per via transcutanea o mediante isolamento chirurgico della vena cefalica, succlavia e giugulare, interna o esterna. Si può accedere alla vena cava inferiore per via transcutanea attraverso la vena femorale comune o con preparazione chirurgica della vena safena; possono essere usate anche le vene antecubitali del braccio. Dopo che il catetere è stato inserito, va eseguita una radiografia del torace, per localizzare l’estremità del catetere e per escludere un pneumotorace. Per prevenire aritmie cardiache, i cateteri situati in atrio o in ventricolo destro vanno ritirati affinché la punta si trovi all’interno della VCS. VVC flessibili, a lungo termine, di Silastic vengono solitamente inserite sotto controllo fluoroscopico per assicurarne il corretto posizionamento.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Se possibile, l’assetto della coagulazione e la conta piastrinica devono essere normalizzate prima di inserire una VVC. Le vie venose femorali transcutanee vanno inserite al di sotto del legamento inguinale, particolarmente nei pazienti affetti da patologie della coagulazione o in terapia anticoagulante. In caso contrario, la lacerazione della vena iliaca esterna o dell’arteria al di sopra del legamento inguinale può provocare un’emorragia retroperitoneale e la compressione di questi vasi è quasi impossibile. La preparazione chirurgica riduce il rischio di complicanze dovute al sanguinamento, particolarmente se è presente una patologia della coagulazione. La vena succlavia non è comprimibile mediante pressione esterna e per questo un’emorragia può costituire un evento grave. Tutte le VVC vanno rimosse quando non sono più necessarie, per ridurre il rischio di trombosi venosa e di sepsi da catetere; i cateteri di piccolo calibro devono essere sostituiti con cateteri più grandi, quando possibile. Se è necessario un uso prolungato, il punto d’ingresso a livello della cute deve essere controllato quotidianamente per l’eventuale insorgenza di un’infezione locale; il catetere va sostituito se si verifica un’infezione locale o sistemica. Quando viene utilizzato per somministrare antibiotici nella terapia della sepsi, il catetere va sostituito almeno una volta alla settimana finché il paziente continua ad avere la febbre, per ridurre il rischio di una colonizzazione batterica. La via sostitutiva va inserita in una diversa sede anatomica, se possibile.

Complicanze Le VVC sono associate a numerose complicanze (v. Tab. 198-3). Dopo l’inserzione di una VVC, si rileva un pneumotorace nell’1% dei pazienti. Subito dopo l’inserzione del catetere, va eseguito una rx del torace in ortostatismo in espirazione per escludere un pneumotorace. Durante l’inserzione del catetere, si verificano frequentemente aritmie atriali o ventricolari che in genere si autolimitano e regrediscono quando la guida o il catetere vengono ritirati dalle camere cardiache. L’incidenza di colonizzazione del catetere da parte di infezioni sistemiche può raggiungere il 35%, mentre l’incidenza di una vera sepsi è del 28%. L’accidentale cateterizzazione di un’arteria può rendere necessaria la rimozione chirurgica del catetere e la riparazione dell’arteria. Si possono verificare idrotorace e idromediastino quando i cateteri vengono erroneamente posizionati al di fuori del sistema vascolare. Il danno da catetere alla valvola tricuspide, l’endocardite batterica e l’embolia gassosa o da catetere si verificano raramente.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-3. COMPLICANZE ASSOCIATE AL CATETERISMO VENOSO CENTRALE Complicanza

Conseguenze possibili

Puntura della pleura o del Pneumotorace polmone Danno all'arteria succlavia Sanguinamento, ischemia dell'arto superiore, emotorace, compromissione emodinamica Puntura della vena

Sanguinamento, stravaso di liquidi, compromissione emodinamica

Danno alla carotide

Sanguinamento, compromissione respiratoria, danno neurologico

Erosione del catetere

Sanguinamento, stravaso di liquidi, compromissione emodinamica

Danno ai vasi linfatici

Chilotorace

Danno alla clavicola, alla costa o alle vertebre

Osteomielite

Danno al plesso brachiale Compromissione di un arto Embolia gassosa

Arresto cardiaco

Aritmie

Arresto cardiaco

Infezione

Sepsi

Danno alle valvole

Endocardite

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE CATETERISMO ARTERIOSO

Sommario: Introduzione Procedura Interpretazione dei dati Complicanze

Il cateterismo arterioso permette il monitoraggio continuo della PA e il prelievo di sangue arterioso per l’emogasanalisi. Le indicazioni comprendono l’ipertensione maligna, l’IMA complicato, i politraumi, la chirurgia cardiovascolare, l’edema polmonare, la polmonite e le patologie che richiedono terapia parenterale con farmaci inotropi o vasoattivi (p. es., shock cardiogeno o settico).

Procedura Abitualmente, i cateteri arteriosi sono inseriti per via transcutanea nelle arterie radiale, femorale, ascellare, brachiale, dorsale del piede e (nei bambini) temporale. L’arteria radiale è quella più frequentemente utilizzata; il cateterismo dell’arteria femorale è gravato da minori complicanze, ma va evitato dopo un intervento di bypass vascolare (a causa del potenziale danno al graft) o se è presente un’insufficienza vascolare dei distretti a valle (c’è il rischio di provocare ischemia). Quando non si riesce a inserire il catetere per via transcutanea, si deve eseguire una preparazione chirurgica. Prima di procedere al cateterismo dell’arteria radiale, il test di Allen (la simultanea compressione digitale delle arterie ulnare e radiale provoca pallore del palmo della mano seguito da iperemia quando una delle due arterie viene decompressa) può stabilire se il circolo collaterale che origina dall’arteria ulnare fornisce un flusso sufficiente a perfondere la mano in caso di occlusione dell’arteria radiale. Se non si ha riperfusione entro 8 s. dal momento in cui si rimuove la compressione esercitata sull’arteria ulnare, l’arteria radiale non deve essere cateterizzata (V. anche la trattazione sul test di Allen sotto Malattia e fenomeno di Raynaud al Cap. 212).

Interpretazione dei dati La PA è spesso maggiore quando misurata mediante catetere arterioso che con lo sfigmomanometro. La velocità della fase ascendente dell’onda sfigmica, la pressione sistolica e la pressione differenziale aumentano tanto più quanto più distale è il punto dove vengono misurate, mentre la pressione diastolica e quella media diminuiscono. L’analisi dei gas arteriosi è trattata sotto Cateterismo

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Cardiaco, più avanti e nel Cap. 64.

Complicanze Cateterismo dell’arteria radiale: la complicanza più significativa è la necrosi ischemica della mano e del braccio dovuta a trombosi o embolia, dissezione intimale o spasmo nel punto di inserzione del catetere. Il rischio di trombosi arteriosa è inversamente proporzionale al diametro interno dell’arteria (ciò spiega la maggiore incidenza nelle donne rispetto agli uomini) ed è direttamente proporzionale alla durata della cateterizzazione. Cateterismo dell’arteria femorale: durante l’inserzione della guida, si verificano frequentemente sanguinamento nel punto di inserzione ed embolia. L’incidenza di trombosi e di ischemia distale è di molto inferiore rispetto al cateterismo dell’arteria radiale. Cateterismo dell’arteria ascellare: è rara la formazione di ematomi, che tuttavia possono richiedere provvedimenti d’urgenza perché la compressione del plesso brachiale può provocare una neuropatia periferica permanente. Il lavaggio di un catetere posizionato in arteria ascellare può provocare l’ingresso di aria o di un trombo. Per evitare che ci siano danni cerebrali permanenti in conseguenza di questi emboli, è meglio utilizzare l’arteria ascellare sinistra per la cateterizzazione (l’arteria ascellare sinistra dà luogo ai vasi carotidei più distalmente rispetto alla destra). I cateteri vanno rimossi se sono presenti segni di infezione locale o sistemica.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

FENOMENO E MALATTIA DI RAYNAUD Spasmo delle arteriole, di solito a livello delle dita e occasionalmente di altre regioni con circolo terminale (p. es., naso, lingua), con pallore o cianosi intermittente.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La malattia di Raynaud, comune soprattutto nelle giovani donne (60-90% dei casi riportati), è idiopatica. Il fenomeno di Raynaud è secondario ad altre condizioni, quali patologie del connettivo (sclerodermia, AR, LES), arteriopatie ostruttive (arteriosclerosi obliterante, tromboangioite obliterante, sindrome dell’outlet toracico), lesioni neurologiche, intossicazione da farmaci (ergotamina, metisergide), disproteinemie, mixedema, ipertensione polmonare primitiva e traumi.

Anatomia patologica e fisiopatologia Nonostante la patogenesi della malattia di Raynaud resti incerta, ricerche sul metabolismo delle prostaglandine, sul microcircolo e sul ruolo delle cellule endoteliali stanno dando risultati promettenti. Il fenomeno di Raynaud si associa con la cefalea emicranica, l’angina variante e l’ipertensione polmonare; ciò suggerisce che queste patologie possono avere in comune un meccanismo di vasospasmo. Nella malattia di Raynaud, la soglia per la risposta vasospastica si abbassa per il contatto con il freddo o per qualunque fattore in grado di attivare il sistema simpatico o liberare catecolamine (p. es., l’emozione). I vasi sono istologicamente normali all’inizio della malattia, mentre in stadi avanzati si possono avere ispessimento dell’intima e trombosi a carico delle piccole arterie.

Sintomi e segni L’esposizione al freddo e gli stress emotivi provocano pallore o cianosi intermittenti delle dita. Le variazioni di colore possono essere trifasiche (pallore, cianosi, rossore-iperemia reattiva) o bifasiche (cianosi, rossore). Non si verificano al di sopra delle articolazioni metacarpofalangee e raramente coinvolgono il file:///F|/sito/merck/sez16/2121922.html (1 of 3)02/09/2004 2.03.30

Malattie vascolari periferiche

pollice. Il dolore è poco comune durante l’attacco, mentre sono frequenti le parestesie. Il vasospasmo delle arterie e delle arteriole digitali può persistere per minuti o per ore, ma raramente è grave abbastanza da causare una rilevante perdita tissutale. Riscaldando le mani, si ripristina il normale colorito cutaneo e la sensibilità.

Diagnosi La malattia di Raynaud si differenzia dal fenomeno di Raynaud perché è bilaterale e non ha una causa sottostante. Nella malattia di Raynaud, le modificazioni trofiche della cute e la gangrena sono assenti o interessano zone circoscritte e i sintomi non peggiorano nonostante persistano per molti anni. Nel fenomeno di Raynaud è individuabile una causa sottostante. Per esempio, in presenza di sclerodermia, possono aversi: cute ispessita e poco mobile e teleangiectasie sulle mani, sulle braccia o sul volto; difficoltà di deglutizione; ulcere trofiche dolenti localizzate alla punta delle dita; sintomi riferibili all’interessamento di altri sistemi. I polsi radiali sono di solito presenti, sebbene il test di Allen, che solitamente è negativo nella malattia di Raynaud, evidenzi spesso l’occlusione di rami dell’arteria radiale o ulnare distali al polso. In questo test, l’esaminatore si pone di fronte al paziente e mette i propri pollici al di sopra dei polsi radiale e ulnare di una mano. Dopo che il paziente ha stretto il pugno per allontanare il sangue dalla mano, l’esaminatore comprime le arterie. Quando il paziente apre il pugno, la mano è bianca. A questo punto, l’esaminatore rilascia la compressione sull’arteria radiale, ma non sull’ulnare. Se l’arteria radiale distalmente al polso è pervia, la mano ritorna rapidamente rosa. Se è occlusa, la mano resta pallida. Questa manovra va quindi ripetuta rilasciando la compressione sull’arteria ulnare, ma non sulla radiale. La pletismografia delle dita affette prima e dopo esposizione al freddo può differenziare la malattia occlusiva da quella vasospastica.

Terapia La malattia di Raynaud, se lieve, può essere controllata proteggendo il corpo e le estremità dal freddo. Il paziente deve smettere di fumare perché la nicotina è un vasocostrittore. In alcuni pazienti, le tecniche di rilassamento possono ridurre gli episodi di vasospasmo. Possono risultare utili la prazosina (1-2 mg PO prima di andare a letto, ripetibile al mattino se necessario) e la nifedipina (10-30 mg PO tid). È stato riportato che la pentossifillina (400 mg bid o tid ai pasti) è efficace. La fenossibenzamina (10 mg PO da una a tre volte al giorno) e la guanetidina (10 mg PO da una a tre volte al giorno) hanno dato occasionalmente risultati positivi. La terapia del fenomeno di Raynaud dipende dall’individuazione e dal trattamento della malattia di base. Può risultare utile la fenossibenzamina (10 mg PO una o due volte al giorno). Antibiotici, analgesici e, occasionalmente, la rimozione chirurgica dei tessuti danneggiati sono essenziali per i pazienti con ulcere delle dita estremamente dolenti e infette, specialmente in presenza di sclerodermia. La ricerca sull’uso delle prostaglandine (trombossano) sta dando risultati incoraggianti. La simpatectomia regionale va riservata ai pazienti con una patologia progressivamente disabilitante; spesso elimina i sintomi, ma l’effetto può durare solo 1-2 anni. I risultati di tale approccio sono in genere migliori nei pazienti con la malattia di Raynaud rispetto ai pazienti con il fenomeno di Raynaud. Nella malattia di Raynaud e nel fenomeno di Raynaud, i β-bloccanti, la clonidina e i preparati a base di ergotamina sono controindicati, perché provocano vasocostrizione e possono indurre o peggiorare i sintomi.

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Malattie vascolari periferiche

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE CATETERISMO CARDIACO

Sommario: Introduzione Procedura Interpretazione dei dati Controindicazioni e Complicanze

Il cateterismo cardiaco è solitamente utilizzato per decidere se è tecnicamente realizzabile un intervento chirurgico in pazienti con coronaropatia, cardiopatie congenite, scompenso cardiaco, IMA o disturbi di conduzione. Fornisce informazioni anatomiche sulle camere cardiache, le arterie coronarie, le valvole, il miocardio e i grossi vasi. Usando il catetere per l’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco, si possono realizzare angiogrammi. Si registra il flusso di sangue attraverso il cuore e le valvole e si calcolano i gradienti valvolari, la gittata cardiaca e le resistenze vascolari. Si possono anche eseguire la biopsia endomiocardica e la valutazione dell’attività elettrica endocavitaria. La misurazione del livello dei gas respiratori nel sangue permette la localizzazione di shunt cardiaci.

Procedura Cateterismo destro: negli adulti il sito d’accesso può essere la vena femorale, succlavia, giugulare interna o una vena della fossa antecubitale. Il catetere viene spinto in atrio destro, poi attraverso la tricuspide, quindi all’interno del ventricolo destro e, attraverso la valvola polmonare, in arteria polmonare (v. sopra, Cateterismo dell’arteria polmonare). Si può eseguire il cateterismo selettivo del seno coronarico. Cateterismo sinistro: i metodi per ottenere informazioni circa la parte sinistra del sistema circolatorio comprendono: (1) cateterismo arterioso retrogrado mediante puntura transcutanea dell’arteria femorale o mediante puntura transcutanea o arteriotomia dell’arteria brachiale destra o sinistra; (2) tecniche trans-settali, non usate di frequente. Nella tecnica retrograda, il catetere raggiunge senza difficoltà il ventricolo sinistro attraverso la valvola aortica, anche se questa è stenotica. Il cateterismo trans-settale comporta il passaggio del catetere dalla vena femorale destra all’atrio destro e poi, attraverso il setto interatriale, all’atrio sinistro e quindi, attraverso la valvola mitrale, al ventricolo sinistro. Raramente il ventricolo sinistro non può essere raggiunto per via retrograda o trans-settale, per cui è indicata una puntura diretta transcutanea.

Interpretazione dei dati

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Pressioni intracardiache e pressione arteriosa: la pressione può essere misurata a livello degli atri, dei ventricoli, delle arterie polmonari e delle arterie periferiche, a mano a mano che il catetere passa attraverso tali strutture (per i valori normali, v. Tab. 198-5). I gradienti pressori transvalvolari costituiscono il metodo migliore per valutare la funzione valvolare. Nella Fig. 198-5 vengono mostrate le curve pressorie registrate in condizioni normali. La pressione atriale normale viene trattata nel Cap. 197 e mostrata nella Fig. 197-1. La stenosi mitralica e quella tricuspidale determinano un aumento della pressione atriale, che si riduce lentamente in protodiastole. Nell’insufficienza mitralica o tricuspidale, la sistole ventricolare produce un’onda sistolica v atriale molto ampia. Nei tracciati della pressione arteriosa, è possibile distinguere sia il polso anacroto della stenosi aortica, a lenta salita, sia il polso collassante dell’insufficienza aortica. Uno dei dati più precoci rilevabili in caso di insufficienza cardiaca può essere l’innalzamento della pressione telediastolica ventricolare fino a valori > 12 mm Hg nel ventricolo sinistro o > 8 mm Hg nel ventricolo destro. Quando le pressioni telediastoliche ventricolari sono persistentemente elevate, sono spesso accompagnate da dilatazione delle cavità ventricolari. Quando la distensibilità ventricolare si riduce (p. es., in caso di endocardio o miocardio "stiffened", rigidi), le curve di pressione atriali mostrano una configurazione a W: si osserva una depressione protodiastolica (effetto "snap-open"), seguita da una seconda rapida depressione e poi da un plateau. Quando il riempimento ventricolare ha caratteristiche restrittive (p. es., nella pericardite costrittiva, nel tamponamento cardiaco, nelle miocardiopatie infiltrative e talvolta nello scompenso biventricolare), la componente protodiastolica del tracciato di pressione ventricolare mostra una brusca depressione, seguita da un plateau (andamento simile al segno della radice quadrata). Normalmente, la pressione sistolica è minore nell’atrio destro rispetto al ventricolo destro, mentre le pressioni diastoliche sono simili; tuttavia, nell’insufficienza tricuspidale la pressione atriale sistolica è elevata e il tracciato della pressione è simile a quello del ventricolo. In condizioni normali, durante la sistole non c’è alcun gradiente tra il ventricolo sinistro e l’aorta; tuttavia, esiste un’evidente differenza tra i tracciati pressori aortici e quelli delle arterie sistemiche. Rispetto all’aorta, le arterie distali presentano una pressione differenziale più alta del 30-40% (v. anche Cateterismo Arterioso, sopra). Le pressioni diastoliche del ventricolo sinistro, insieme a dati accurati circa il volume ventricolare sinistro, possono aiutare a valutare la distensibilità del ventricolo sinistro. Determinazioni ossimetriche: la determinazione del contenuto di O2 del sangue prelevato a diversi livelli all’interno del cuore e dei grossi vasi è utile per rilevare la presenza, la direzione e l’entità di shunt centrali. I valori normali sono mostrati nella Tab. 198-6. La massima differenza ritenuta normale nel contenuto di O2 tra l’arteria polmonare e il ventricolo destro è di 0,5 ml/dl; tra il ventricolo destro e l’atrio destro è di 0,9 ml/dl; tra l’atrio destro e la VCS è di 1,9 ml/dl. Se il contenuto ematico di O2 di una delle cavità è maggiore di quello della cavità più prossimale di un valore superiore rispetto ai suddetti, è probabile che ci sia uno shunt sinistro-destro a quel livello. Uno shunt destro-sinistro va fortemente sospettato se la SaO2 è al di sotto del normale in assenza di pneumopatie, congestione polmonare o ipoventilazione alveolare. La desaturazione arteriosa associata a un aumento del contenuto di O2 nei campioni di sangue prelevati al di là della sede dello shunt nella parte destra del sistema circolatorio suggerisce uno shunt bidirezionale. L’equazione per calcolare uno shunt è: (QS /QT) (%) = [(Cc- Ca)/ (Cc- Cv)]⋅ 100 dove QS e QT sono, rispettivamente, lo shunt e i flussi ematici totali; Cc è il contenuto di O2 del sangue capillare e Ca e Cv sono il contenuto di O2, rispettivamente, del sangue arterioso e misto. Gittata cardiaca e flusso: la gittata cardiaca (GC) è il volume di sangue messo in circolo dal cuore per minuto (valori normali a riposo, 4-8 l/ min). Generalmente, la GC viene espressa in rapporto all’area di superficie corporea (ASC), come file:///F|/sito/merck/sez16/1981744.html (2 of 3)02/09/2004 2.03.31

Tecniche diagnostiche cardiovascolari

indice cardiaco (IC): questo si esprime in l/min/ m2 di superficie corporea (cioè, IC = GC/ASC). L’ASC si calcola dall’equazione altezza-peso di DuBois (v. Tab. 198-7 per i valori normali di IC e misure correlate):

(wt in

kg)0,425

ASC in m2 = ⋅(ht in cm)0,725 ⋅ 0,007184

Per il calcolo della GC vengono impiegati vari metodi. Le tecniche più comunemente utilizzate sono il metodo di Fick, la diluizione di un indicatore e la termodiluizione (vedi Tab. 198-8). Metabolismo energetico del miocardio: una ridotta disponibilità di O2 per il metabolismo miocardico (ipossia miocardica), con il conseguente instaurarsi di un metabolismo anaerobio, può essere rilevata dall’aumento del rapporto fra le concentrazioni di lattato e di piruvato nel sangue del seno coronarico. Nella coronaropatia l’estrazione miocardica di citrato risulta significativamente ridotta. Tuttavia, la maggior parte delle patologie dovute ad anomalie del flusso coronarico riguarda aree ben precise del miocardio in cui il flusso ematico è ridotto e che sono meglio individuate mediante angiografia.

Controindicazioni e Complicanze Controindicazioni relative comprendono l’insufficienza renale, le patologie della coagulazione, la febbre o le infezioni sistemiche, la suscettibilità del ventricolo ad aritmie, l’insufficienza cardiaca in fase di scompenso acuto e l’allergia al mezzo di contrasto in assenza di un’adeguata premedicazione. La complicanza più grave del cateterismo cardiaco è la morte (0,1-0,2%). L’IMA (0,1%) e gli accidenti cerebrovascolari (0,1%) possono essere causa di un’importante morbilità. Altre complicanze comprendono aritmie, reazioni vasovagali e reazioni allergiche al mezzo di contrasto. Il danno vascolare locale nel punto di inserzione del catetere può provocare pseudoaneurismi, fistole artero-venose ed emorragie.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE CATETERISMO ARTERIOSO CATETERISMO DELL’ARTERIA POLMONARE

Sommario: Introduzione Procedura Interpretazione dei dati Complicanze e precauzioni

Nonostante l’ampio uso, non è stato dimostrato che i cateteri per l’arteria polmonare (cateteri con un palloncino terminale diretti dal flusso) riducano la morbilità e la mortalità. Diversi studi hanno riportato che l’utilizzo di questi cateteri modifica l’approccio terapeutico in solo il 50% dei pazienti. Nonostante questo, i dati ottenuti mediante cateterismo dell’arteria polmonare possono essere d’aiuto nella gestione di pazienti critici, se combinati con altri dati obiettivi e clinici. Possibili indicazioni per il cateterismo dell’arteria polmonare sono elencate nella Tab. 198-4.

Procedura Una volta che l’estremità del catetere ha raggiunto la VCS, la parziale insufflazione del palloncino di solito fa sì che il flusso ematico spinga ulteriormente avanti il catetere. La posizione della punta del catetere si determina di solito monitorando la pressione oppure, occasionalmente, tramite fluoroscopia. Un improvviso incremento della pressione sistolica fino a circa 30 mm Hg indica che si è entrati nel ventricolo destro; la pressione diastolica è simile a quella dell’atrio destro o della vena cava. Quando il catetere imbocca l’arteria polmonare, la pressione sistolica è simile a quella del ventricolo destro, ma la pressione diastolica è maggiore della pressione telediastolica del ventricolo destro o della pressione venosa centrale, vale a dire che la pressione differenziale è ridotta. Un ulteriore movimento del catetere spinge e blocca ("wedge") il palloncino in un’arteria polmonare distale. Una rx del torace conferma il corretto posizionamento del catetere.

Interpretazione dei dati Si possono studiare i valori pressori e la morfologia delle curve di pressione dell’atrio e del ventricolo destro e si può ricavare la gittata cardiaca prima di raggiungere l’arteria polmonare (v. Cateterismo Cardiaco, oltre). Pressione dell’arteria polmonare: prima di gonfiare il palloncino, si misurano la file:///F|/sito/merck/sez16/1981742.html (1 of 3)02/09/2004 2.03.32

Tecniche diagnostiche cardiovascolari

pressione sistolica (normale, 15-30 mm Hg) e la pressione diastolica (normale, 513 mm Hg). C’è una buona corrispondenza fra la pressione diastolica e la pressione di incuneamento ("wedge"). La pressione diastolica può superare la pressione "wedge" quando le resistenze vascolari polmonari sono elevate a causa di patologia primitivamente polmonare (p. es., fibrosi polmonare, ipertensione polmonare). Pressione di incuneamento dei capillari polmonari (pressione "wedge"): con il palloncino insufflato, la punta del catetere registra la pressione trasmessa dai capillari polmonari. La pressione di incuneamento ("wedge") dei capillari polmonari (PWAP) (valori normali 1-15 mm Hg) è equivalente alla pressione telediastolica del ventricolo sinistro (PTDVS) tranne che in presenza di stenosi mitralica; quando vengono utilizzate elevate pressioni positive tele-espiratorie (> 10 cm H20); quando si gonfia in modo eccessivo il palloncino nell’arteria polmonare; quando il catetere non viene posizionato correttamente; quando la pressione alveolare supera la pressione venosa polmonare o è presente una grave ipertensione polmonare che rende impossibile bloccare il palloncino. Alterazioni della distensibilità del ventricolo sinistro (dovute p. es., a IMA, versamento pericardico o aumento del postcarico) modificano la relazione tra la PTDVS e il volume telediastolico del ventricolo sinistro (VTDVS). In questa situazione, né la PTDVS, né la PWAP riflettono in maniera affidabile il VTDVS (maggiore è la modificazione della distensibilità ventricolare sinistra, meno affidabile è la PWAP nel predire la funzione ventricolare sinistra). Il VTDVS può allora essere misurato direttamente a letto del paziente mediante tecniche radioisotopiche. Ossigenazione del sangue venoso misto: il sangue venoso misto comprende il sangue refluo dalle vene cave superiore e inferiore che ha attraversato il cuore destro fino all’arteria polmonare. Tale sangue può essere campionato dalla parte distale del catetere posizionato in arteria polmonare, quando il palloncino è sgonfio. Cause di un ridotto contenuto di O2 nel sangue venoso misto comprendono l’anemia, le patologie polmonari, la carbossiemoglobinemia, la ridotta gittata cardiaca e l’aumento del fabbisogno metabolico dei tessuti. Il rapporto fra la SaO2 e la SaO2 meno la SmvO2 è un indice dell’adeguatezza del trasporto di O2. Il valore ideale di tale rapporto è di 4:1, mentre 2:1 è il valore minimo accettabile per mantenere il metabolismo aerobio. Sono disponibili cateteri a fibre ottiche per le arterie polmonari per il monitoraggio continuo del PmvO2. Altre variabili: mediante cateterismo della arteria polmonare possono anche essere calcolate le resistenze vascolari polmonari e sistemiche e il lavoro d’eiezione del ventricolo sinistro (LEVS) e destro (LEVD). Dai valori di LEVS e di PWAP, rilevati durante e dopo infusione rapida di fluidi, sono state costruite curve di funzione miocardica tipo Starling. Tali curve possono riflettere la funzione cardiaca a diversi livelli di pressione di riempimento, sebbene la loro interpretazione sia spesso resa difficile da modificazioni non note della distensibilità cardiaca.

Complicanze e Precauzioni Complicanze specifiche o più comuni del cateterismo dell’arteria polmonare comprendono l’intrappolamento del catetere dovuto al suo attorcigliamento con formazione di un nodo all’interno del ventricolo destro (soprattutto in pazienti con insufficienza cardiaca, cardiomiopatie o elevate pressioni del piccolo circolo); le aritmie cardiache; l’infarto polmonare dovuto a un palloncino iperinsufflato o permanentemente bloccato; la perforazione dell’arteria polmonare; la perforazione intracardiaca; il danno valvolare e l’endocardite. Le aritmie possono essere individuate mediante monitoraggio ECG durante e dopo l’inserzione. Il catetere deve essere mantenuto in posizione di cuneo per 30 s ogni insufflazione, per prevenire l’infarto e la perforazione dell’arteria

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polmonare e, eccetto che in situazioni d’emergenza, il profilo della coagulazione (tempo di protrombina [PT], tempo di tromboplastina parziale [PTT]) deve essere normale.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-4. INDICAZIONI ALLA CATETERIZZAZIONE DELL'ARTERIA POLMONARE Monitoraggio emodinamico Cardiochirurgia Chirurgia in pazienti affetti da una cardiopatia significativa Periodo postoperatorio in pazienti affetti da una cardiopatia significativa Periodo postoperatorio in pazienti critici

Instabilità emodinamica Shock Cardiogeno Ipovolemico Settico Neurogeno Valutazione della volemia In concomitanza di terapia con farmaci inotropi

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Cardiopatie Insufficienza cardiaca complicata IMA complicato Tamponamento cardiaco Aritmie complicate Rottura del setto interventricolare Insufficienza valvolare acuta Aortica Tricuspidale Mitralica

Patologie polmonari Ipertensione polmonare Embolia polmonare complicata Congestione polmonare complicata

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Tabella 198-5. NORMALI VALORI PRESSORI DELLE CAMERE CARDIACHE E DEI GROSSI VASI Valore medio (mmHg)

Intervallo di normalità (mmHg)

3

0-8

Picco sistolico

25

15-30

Telediastolica

4

0-8

Media

15

9-16

Picco sistolico

25

15-30

Telediastolica

9

4-14

9

2-12

Media

8

2-12

Onda A

10

4-16

Onda V

13

6-12

Picco sistolico

130

90-140

Telediastolica

9

5-12

Tipo di pressione

Atrio Dx Ventricolo Dx

Arteria polmonare

Pressione arteria polmonare a catetere bloccato (wedge) Media Atrio Sx

Ventricolo Sx

Arteria brachiale

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Manuale Merck - Tabella

85

70-105

Media

130

90-140

Picco sistolico

70

60-90

Telediastolica Adattata da Fowler NO: Cardiac Diagnosis and Treat ment, ed.3 Philadelphia, JB Lippincott, 1980, p.11; riproduzione autorizzata.

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Tabella 198-6. VALORI EMOGASANALITICI NORMALI Parametri

Valori normali

Contenuto di O2

(Hb13,6[saturazione %/100]) + (PO2 0,0031)

Saturazione arteriosa di O2

95%

Saturazione di O2 del sangue dell’arteria polmonare

75-80%

Capacità di O2 del sangue intero

17-21ml di O2/dl di sangue

Contenuto di O2 del sangue arterioso

16,520,0ml/dl di sangue

Contenuto di O2 del sangue venosomisto

10-16ml/dl di sangue

pH (plasma arterioso)

7,39-7,41

Capacità di combinazione con CO2 (plasma venoso)

21-30mEq/l

Contenuto di CO2 del sangue arterioso (sangue intero)

20-25mEq/l

Pressione arteriosa e alveolare di CO2 (PaCO2 )

37-41mm Hg

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Tabella 198-7. VALORI NORMALI DELL’INDICE CARDIACO E DEI PARAMETRI A ESSO CORRELATI Parametri

Valori

DS

Captazione di O2

143ml/min/m2

14,3

Differenza arterovenosa di O2

4,1dl

0,6

Indice cardiaco

3,5l/min/m2

0,7

Indice sistolico

46ml/battito/m

8,1

Resistenza sistemica totale

1130dine-s-cm- 178 5

Resistenza 205dine-s-cm-5 polmonare totale

51

Resistenza arteriolare polmonare

23

67dine-s-cm-5

DS: deviazione standard. Da Barrat-Boyes BG, Wood EH: "Cardiac output and related measurements and pressure values in the right heart and associated vessels, together with an analysis of the hemodynamic response to the inhalation of high oxygen mixtures in healty subjects." Journal of Laboratory and Clinical Medicine 51:72-90, 1958; riproduzione autorizzata.

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Tabella198-8. EQUAZIONI DELLA GITTATA CARDIACA Metodo di Fick O2 assorbito dai polmoni (ml/min) CO =  (1,36 x Hb) x (SaO2 - SvO2 )

Tecnica di diluizione di un indicatore Quantità iniettata (mg) CO =  ƒ ∞ C(t)dt

Il denominatore rappresenta la somma delle concentrazioni del mezzo di contrasto (C) a ogni intervallo di tempo (t) Metodo della termodiluizione

(TB - TI) x Volume iniettato (ml) x 53,5 CO =  ƒ ∞TB (t)dt

TBTI è la differenza fra la temperatura corporea e quella dell’indicatore iniettato: il denominatore rappresenta la somma delle variazioni della temperatura a ogni intervallo di tempo (t)

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Prove di funzionalità respiratoria

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 64. PROVE DI FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA Sommario: Introduzione Fisiologia Volumi e capacità polmonari statici Volumi e flussi polmonari dinamici Curva flusso-volume Meccanica polmonare Capacità di diffusione Indagini diagnostiche sulle piccole vie aeree Monitoraggio della respirazione durante il sonno Prescrizione delle prove di funzionalità respiratoria Emogasanalisi arteriosa Scintigrafia ventilatoria perfusionale con valutazione funzionale differenziale dei due polmoni Determinazione della pressione transdiaframmatica Test da sforzo

Le prove di funzionalità respiratoria comprendono la semplice spirometria come anche sofisticate indagini fisiologiche. Le abbreviazioni in uso per la funzionalità respiratoria sono spiegate nella Tab. 64-1.

Fisiologia Normalmente il volume e il modello della ventilazione sono impostati da impulsi nervosi provenienti dal centro respiratorio del tronco encefalico. Questi impulsi efferenti sono influenzati da stimoli afferenti provenienti dai chemocettori carotidei (PaO2) e centrali (PaCO2, [H+]); dai recettori propriocettivi dei muscoli, dei tendini e delle articolazioni e da impulsi derivanti dalla corteccia cerebrale. Gli impulsi nervosi partono dal centro respiratorio e, attraverso il midollo spinale e i nervi periferici, arrivano ai muscoli intercostali e al diaframma. Il normale scambio dei gas avviene se l'aria inspirata viene trasferita, attraverso vie aeree sane e pervie, ad alveoli pervi e adeguatamente perfusi. Normalmente la ventilazione (a) e la perfusione() alveolari sono ben accoppiate e proporzionali al ritmo metabolico e le tensioni dei gas nel sangue arterioso sono mantenute entro un ambito molto ristretto (v. anche Emogasanalisi arteriosa, oltre).

Volumi e capacità polmonari statici La capacità vitale forzata (Forced Vital Capacity, FVC), simile alla VC, è il volume d'aria espirato con la massima forza possibile. Di solito viene misurata insieme ai flussi espiratori durante la spirometria semplice (v. Volumi e flussi polmonari dinamici, oltre). La VC può essere notevolmente maggiore della FVC in pazienti con ostruzione delle vie aeree. Durante la misura della FVC, le vie aeree terminali possono chiudersi prematuramente (cioè prima che sia raggiunto file:///F|/sito/merck/sez06/0640566.html (1 of 8)02/09/2004 2.03.35

Prove di funzionalità respiratoria

il vero volume residuo), intrappolando il gas distalmente e impedendone la misura spirometrica. La capacità polmonare totale (Total Lung Capacity, TLC) è il volume totale di aria nel polmone dopo una massima inspirazione. La capacità funzionale residua (Functional Residual Capacity, FRC) è il volume di aria nei polmoni alla fine di una normale espirazione quando tutti i muscoli respiratori sono rilasciati. Fisiologicamente rappresenta il più importante volume polmonare, perché si approssima al livello della normale respirazione a volume corrente. Le forze del ritorno elastico della parete toracica, dirette verso l'esterno, tendono a incrementare il volume polmonare, ma sono bilanciate dalle forze del ritorno elastico dei polmoni, dirette verso l'interno, che tendono a ridurlo. Tali forze sono normalmente uguali e contrarie a un volume polmonare pari a circa il 40% della TLC. La perdita del ritorno elastico del polmone nell'enfisema aumenta la FRC. Viceversa, un'aumentata rigidità dei polmoni, quale si realizza nell'edema polmonare, nella fibrosi interstiziale e in altri processi restrittivi polmonari, determina una riduzione della FRC. La cifoscoliosi porta a una riduzione della FRC e di altri volumi polmonari, poiché una gabbia toracica rigida e con scarsa compliance limita l'espansione polmonare. La capacità inspiratoria è la differenza tra la TLC e la FRC. La FRC ha due componenti: il volume residuo (Residual Volume, RV), cioè il volume di aria che rimane nei polmoni alla fine di un'espirazione massima, e il volume di riserva espiratoria (Expiratory Reserve Volume, ERV); ERV = FRCRV. Normalmente il RV è uguale a circa il 25% della TLC (v. Fig. 64-1). Esso si modifica parallelamente alla FRC, con due eccezioni: nelle patologie polmonari restrittive e in quelle delle gabbia toracica, il RV si riduce meno della FRC e della TLC (v. Fig. 64-2) e nelle patologie delle piccole vie aeree, la chiusura precoce durante l'espirazione porta a intrappolamento di aria, cosicché il RV è aumentato mentre la FRC e il FEV1 rimangono quasi normali. Nella COPD e nell'asma, il RV aumenta più di quanto non faccia la TLC, producendo una certa diminuzione della VC (v. Fig. 64-3). L'anomalia caratteristica dell'obesità è un ridotto ERV, a causa di una marcata riduzione della FRC con un RV relativamente ben conservato.

Volumi e flussi polmonari dinamici I volumi polmonari dinamici riflettono il diametro e l'integrità delle vie aeree. Lo spirometria (v. Fig. 64-1) registra il volume polmonare in funzione del tempo durante una manovra di espirazione forzata (FVC). Il volume espiratorio forzato in 1 s (Forced Expiratory Volume, FEV1) è il volume di aria espirata con forza durante il primo secondo dopo un respiro a pieni polmoni e normalmente rappresenta > 75% della FVC. Questo valore viene spesso espresso sia come valore assoluto sia come percentuale della FVC (FEV1%FVC). Il flusso espiratorio massimo medio durante la metà centrale della FVC (Forced Expiratory Flow, FEF25-75%) è rappresentato dalla pendenza della linea che interseca il tracciato spirografico al 25% e al 75% della FVC. Poiché il FEF25-75%, è meno dipendente dallo sforzo rispetto al FEV1, esso costituisce un indice più sensibile di iniziale ostruzione delle vie aeree. La riduzione dei flussi espiratori è aumentata dal broncospasmo (nell'asma), dalla ritenzione di secrezioni (nella bronchite) e dalla perdita del ritorno elastico del polmone (nell'enfisema). Nell'ostruzione fissa delle alte vie respiratorie, il flusso è limitato dal calibro del segmento ristretto piuttosto che dalla compressione dinamica, provocando una pari riduzione della velocità dei flussi inspiratori ed espiratori (v. Fig. 64-4D). Nelle patologie restrittive polmonari, l'aumento del ritorno elastico dei tessuti tende a preservare il calibro delle principali vie aeree in modo che, a parità di volume polmonare, i flussi espiratori risultano spesso più elevati del normale. (Le prove di funzionalità delle piccole vie aeree, tuttavia, possono risultare alterate.) file:///F|/sito/merck/sez06/0640566.html (2 of 8)02/09/2004 2.03.35

Prove di funzionalità respiratoria

La ripetizione delle prove di funzionalità polmonare dopo l'inalazione di un aerosol broncodilatatore (p. es., salbutamolo, ipratropio) dà informazioni sulla reversibilità del processo ostruttivo (cioè sulla componente asmatica). Il miglioramento della FVC o del FEV1(l) > 15-20% è di regola considerato una risposta positiva. Nei pazienti con ostruzione delle vie aeree, la mancata risposta dopo una singola dose di broncodilatatore, tuttavia, non esclude una risposta positiva a una terapia di mantenimento. Nei test di broncoprovocazione, una significativa riduzione dei flussi espiratori dopo inalazione di metacolina (un agonista colinergico) può essere indice di asma. La ventilazione volontaria massima (Maximal Voluntary Ventilation, MVV) si misura inducendo il paziente a respirare con la massima profondità e frequenza possibili per 12 s; il volume di aria espirata viene espressa in l/min. La MVV di regola si comporta in modo parallelo al FEV1 e può essere usata come test interno di concordanza e per valutare la cooperazione del paziente. La MVV predetta può essere ricavata dallo spirogramma moltiplicando il FEV1(l) o 40. Quando la MVV è sproporzionatamente bassa in un paziente apparentemente cooperante, si deve sospettare una debolezza neuromuscolare. A eccezione dei casi di patologia neuromuscolare avanzata, la maggior parte dei pazienti è in grado di produrre sforzi respiratori singoli pressoché normali (p. es., la FVC). Dal momento che la MVV è molto più impegnativa, essa può documentare la ridotta riserva dei muscoli respiratori indeboliti. La MVV diminuisce progressivamente con l'aumentare della debolezza dei muscoli respiratori e, insieme alle pressioni massime inspiratoria ed espiratoria (v. oltre), può rappresentare la sola alterazione funzionale respiratoria dimostrabile in pazienti con patologia neuromuscolare moderatamente grave. La MVV è un importante parametro preoperatorio in quanto riflette, oltre alla gravità dell'ostruzione delle vie aeree, la riserva respiratoria, la forza muscolare e la motivazione del paziente.

Curva flusso-volume La curva flusso-volume è generata dalla registrazione continua del flusso e del volume con uno spirometro elettronico durante una manovra di inspirazione ed espirazione forzate con misura della VC. La forma della curva riflette lo stato dei volumi polmonari e delle vie aeree durante il ciclo respiratorio. Modificazioni caratteristiche si vedono nelle affezioni restrittive e in quelle ostruttive. Tale relazione grafica è particolarmente utile per evidenziare alterazioni laringee e tracheali. Essa può permettere di distinguere tra ostruzione fissa (p. es., da stenosi tracheale) e dinamica (p. es., da tracheomalacia, paralisi delle corde vocali) delle vie aeree superiori. La Fig. 64-4 illustra alcune alterazioni caratteristiche della curva flusso-volume.

Meccanica polmonare La resistenza delle vie aeree (Raw) può essere direttamente misurata con un pletismografo corporeo che determina la pressione richiesta per produrre un dato flusso. Più comunemente, tuttavia, la Raw si ricava dai volumi polmonari dinamici e dalla velocità dei flussi espiratori, rilevabili più facilmente. La pressione massima inspiratoria (Maximal Inspiratory Pressure, MIP) e la pressione massima espiratoria (Maximal Expiratory Pressure, MEP) misurano la forza dei muscoli respiratori quando il paziente forzatamente inspira ed espira, rispettivamente, attraverso un boccaglio occluso collegato con un misuratore di pressione. Come la MVV (v. sopra), le pressioni massime si riducono nelle affezioni neuromuscolari (p. es., miastenia gravis, distrofia muscolare, sindrome di Guillain-Barré). Queste pressioni, insieme alla VC, si misurano spesso al letto file:///F|/sito/merck/sez06/0640566.html (3 of 8)02/09/2004 2.03.35

Prove di funzionalità respiratoria

del paziente intubato per prevedere il successo dello svezzamento dal supporto ventilatorio.

Capacità di diffusione La capacità di diffusione per il monossido di carbonio (DLCO) può essere misurata durante un singolo respiro (DLCOSB). Il paziente inspira una piccola concentrazione nota di monossido di carbonio (CO), trattiene il respiro per 10 s e poi espira. Un campione di gas alveolare (cioè di fine espirazione) viene analizzato per il CO e se ne calcola la quantità assorbita durante il respiro, esprimendola come ml/min/mm Hg. Una DLCO bassa riflette, forse, gli alterati rapporti ventilazione/perfusione (/) dei polmoni malati, piuttosto che un ispessimento fisico della membrana alveolocapillare. Comunque, questo test si basa sull'avidità dell'Hb per il CO e pertanto è influenzato dal volume di sangue e dalla quantità di Hb desaturata che i polmoni contengono al momento del test. La DLCO è bassa nei processi che distruggono le membrane alveolocapillari (p. es., l'enfisema e i processi infiammatori interstiziali o fibrotici) e nell'anemia grave, in cui vi è meno Hb disponibile a legare il CO inalato. La DLCO risulta bassa per artefatto se l'Hb del paziente è già occupata dal CO, p. es., se questi ha fumato durante le ore precedenti il test. La DLCO aumenta con la policitemia e con l'aumento del flusso sanguigno polmonare, come può verificarsi nelle fasi precoci dello scompenso cardiaco.

Indagini diagnostiche sulle piccole vie aeree Nel polmone normale, i bronchi di diametro 2 mm costituiscono < 10% delle resistenze totali delle vie aeree, anche se la loro superficie complessiva è ampia. Le affezioni che interessano principalmente le vie aeree piccole (periferiche) possono essere anche molto estese, senza influire sulle Raw né sui test che da esse dipendono (p. es., il FEV1). Ciò è vero per le malattie polmonari ostruttive in fase precoce e per le affezioni interstiziali granulomatose, fibrotiche o infiammatorie. Lo stato delle vie aeree di piccolo calibro si riflette nel FEF25-75% e nei flussi espiratori nell'ultimo 25-50% della FVC, come viene meglio evidenziato dalla curva flusso-volume (v. Fig. 64-4A). Sono stati ideati test di funzione delle piccole vie aeree più elaborati, come le variazioni della compliance polmonare dipendenti dalla frequenza (compliance dinamica), il volume di chiusura e la capacità di chiusura. In generale, questi test aggiungono poco a quelli più facilmente disponibili e trovano poche applicazioni nel laboratorio clinico.

Monitoraggio della respirazione durante il sonno Le apnee centrali e ostruttive durante il sonno possono essere distinte monitorando il respiro nel sonno (v. anche Sindrome da apnea nel sonno nel Cap. 173). Un ossimetro sull'orecchio o sul dito monitora la saturazione in O2. Un catetere posto in una narice misura la PCO2 di fine espirazione (PetCO2) e monitorizza il flusso aereo. Il movimento della gabbia toracica è monitorato con sensori di trazione o con elettrodi a impedenza. Nell'apnea ostruttiva durante il sonno, il flusso d'aria attraverso il naso cessa nonostante il persistere delle

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Prove di funzionalità respiratoria

escursioni della gabbia toracica, la saturazione in O2 cade bruscamente e la PetCO2 aumenta. Nell'apnea centrale, il movimento della gabbia toracica e il flusso d'aria cessano contemporaneamente.

Prescrizione delle prove di funzionalità respiratoria Come screening generale preoperatorio, la determinazione della FVC, del FEV1, del FEV1%FVC e della MVV solitamente sono sufficienti. I test devono essere eseguiti prima degli interventi chirurgici toracici o addominali in fumatori con > 40 anni e nei pazienti con sintomi respiratori. Una curva flusso-volume deve essere richiesta nei pazienti con sospette patologie laringee o tracheali. Se si sospetta un deficit funzionale dei muscoli respiratori, la MVV, la MIP, la MEP e la VC rappresentano le prove più appropriate. Delle prove di funzionalità respiratoria complete dovrebbero essere richieste quando il quadro clinico non concorda con i dati ottenuti dalla semplice spirometria o quando si desideri una più completa valutazione di una patologia polmonare anomala. Una serie completa di prove comprende la determinazione dei volumi polmonari statici e dinamici, la DLCO, la curva flusso-volume, la MVV, la MIP e la MEP. Comunque, l'esecuzione sistematica di tutte queste prove è faticosa, lunga, costosa e non indispensabile per un'adeguata valutazione clinica della maggior parte dei pazienti. Misurazioni periodiche della VC e della DLCO bastano di solito a seguire nel tempo i pazienti con patologie polmonari interstiziali. Le Tab. 64-2 e 64-3 hanno lo scopo di fornire direttive generali per l'interpretazione delle prove di funzionalità polmonare.

Emogasanalisi arteriosa La PaO2 e la PaCO2 riflettono l'adeguatezza e l'efficienza degli scambi gassosi fra i polmoni e il sangue venoso. La PaCO2 di norma si mantiene nello stretto intervallo compreso tra 35 e 45 mm Hg. Un aumento di produzione della CO2 (co2) comporta normalmente un incremento appropriato dello stimolo ventilatorio e della ventilazione alveolare (a), prevenendo ogni incremento della PaCO2. La a e la PaCO2 sono inversamente proporzionali ad ogni dato livello di co2 (cioè, a o PaCO2 = k o co2). La PaO2 è considerevolmente più bassa della Po2 inspirata (PiO2) e poco più bassa della PaO2. La Fig. 64-5 mostra le modificazioni della Po2 mentre il gas inspirato viene trasportato agli alveoli. La Po2 del gas inalato viene calcolata dalla percentuale della frazione di O2 inspirato (FiO2) moltiplicata per la pressione barometrica (Pb). Per l'aria a livello del mare, PiO2 = 0,21 o 760 mm Hg @ 160 mm Hg. Non appena entra nelle vie aeree superiori, il gas inspirato viene saturato dal vapore acqueo. Al livello del mare e, a normale temperatura corporea, (37°C ), l'acqua esercita una pressione parziale di 47 mm Hg. Dopo saturazione con vapore acqueo, la Po2 è lievemente diluita. Po2 = 0,21(760-47)@149mm Hg. Ai fini pratici, la Po2 del gas inalato che entra negli alveoli può essere approssimata moltiplicando la FiO2 o 7 (p. es., per l'aria ambiente, 21 o 7 = 147 mm Hg; per l'ossigeno al 40%, 40 o 7 = 280 mm Hg). Poiché la pressione gassosa totale negli alveoli deve rimanere costante, maggiore è la quantità di CO2 che entra negli alveoli, minore deve essere la PaO2. In un paziente che assume una dieta alimentare normale, il quoziente respiratorio (cioè, il rapporto co2/o2) è pari non a 1 ma a circa 0,8, quindi ogni mm PaCO2 allontana in effetti 1,25 mm PaO2. (Il quoziente respiratorio è file:///F|/sito/merck/sez06/0640566.html (5 of 8)02/09/2004 2.03.35

Prove di funzionalità respiratoria

influenzato dalla quantità relativa di grassi e di carboidrati contenuti nella dieta, aumentando fino a quasi 1 con un'alimentazione ricca di carboidrati e scendendo fino a quasi 0,7 con un'alimentazione ricca di grassi.) A scopo clinico, la PaCO2 può essere assunta come uguale alla PaCO2. Perciò, la PaO2 può essere calcolata dall'equazione PaO2 = FiO2 (Pb-Ph2o) -1,25 PaCO2 (vedi la Fig. 64-5). Per l'aria ambiente, con una PaCO2 di 40 mm Hg, la PaO2 = 147-50 = 97 mm Hg. Il normale valore di a è circa 5 l/min, come lo è anche per la perfusione (). Se a e fossero perfettamente uguali (cioè / = 1), PaO2 e PaO2 sarebbero uguali. Il rapporto medio / di un polmone normale è, tuttavia, circa 0,8. Questo livello di squilibrio / è causa di una PaO2 che è 5-15 mm Hg più bassa della PaO2, come se il 2% del sangue arterioso polmonare (venoso misto) fosse immesso direttamente nella circolazione polmonare venosa senza partecipare allo scambio gassoso (shunt). La differenza tra PaO2 e PaO2 (A-aDO2) riflette direttamente il grado di disaccoppiamento del e , cioè, la gravità del danno polmonare intrinseco. La PaO2 per un ventenne sano, che respiri aria in ambiente chiuso, è circa 90 mm Hg. La PaO2 normale all'età di 70 anni è circa 75 mm Hg. Questa riduzione fisiologica della PaO2 con l'età è il risultato di una diminuzione del ritorno elastico polmonare (enfisema senile) che porta a una chiusura delle più piccole vie aeree nel range del volume corrente, con una ulteriore riduzione del rapporto medio / dei polmoni. Le cause fisiopatologiche di ipossiemia vengono elencate nella Tab. 64-4. Una PiO2 più bassa del normale necessariamente porta all'ipossiemia, senza alcuna alterazione della relazione / e senza un aumento della A-aDO2. Le cabine passeggeri degli aerei commerciali sono pressurizzate all'equivalente di un'altitudine di 1500-2400 m, che equivale a respirare O2 al 17% al livello del mare. L'ipossiemia può essere compensata in qualche misura dall'iperventilazione, ma abbassamenti della PaO2 fino a 30 mm Hg sono stati riportati in pazienti con COPD durante voli di linea (v. anche Cap. 283). L'ipoventilazione può portare da sola all'ipossiemia, anche senza una patologia polmonare intrinseca. Se la PaCO2 aumenta da 40 a 80 mm Hg, come può verificarsi in un'overdose di sedativi, la PaO2 deve scendere di 50 mm Hg (cioè, 40 o 1,25), da 90 a 40 mm Hg. Quando l'ipoventilazione viene identificata come la causa principale dell'ipossiemia (cioè, ipossiemia con una normale A-aDO2), devono essere prese in considerazione le diagnosi elencate nella Tab. 64-4. La causa di gran lunga più comune di ipossiemia è l’alterato rapporto / (v. Fig. 646). Nei pazienti con COPD, la perdita delle proprietà elastiche tissutali, il broncospasmo e le secrezioni vischiose concorrono nel peggiorare il rapporto / nei polmoni. Le aree con basso rapporto / determinano ipossiemia; le aree con un alto rapporto portano a una ventilazione sprecata (spazio morto), aumentando il lavoro respiratorio e contribuendo all’ipercapnia. A meno che le vie aeree siano totalmente occluse, l’ipossiemia viene rapidamente corretta con piccoli incrementi della FiO2, in quanto vi è un forte gradiente di diffusione verso le aree di ipossia alveolare. Tipicamente, una FiO2 tra il 24 e il 28% è sufficiente a correggere l’ipossiemia dovuta all’alterato rapporto V/Q. Le aree che sono completamente non ventilate (per collasso o inondamento completo degli alveoli), ma sono ancora perfuse, determinano uno shunt di sangue destro-sinistro. Lo shunt comporta un'ipossiemia che è più refrattaria agli aumenti della FiO2 poiché l'O2 non può raggiungere la superficie di scambio dei gas. Questi casi richiedono spesso la ventilazione meccanica e la pressione positiva teleespiratoria (PEEP) per incrementare la FRC e aprire le vie aeree occluse (v. Cap. 66). La ridotta diffusione dell'O2 attraverso la membrana alveolocapillare probabilmente non è la causa principale di ipossiemia a riposo, a eccezione che ad alta quota.

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Prove di funzionalità respiratoria

Scintigrafia ventilatoria perfusionale con valutazione funzionale differenziale dei due polmoni Una scintigrafia polmonare ventilatoria/perfusionale preoperatoria (scintigrafia funzionale differenziale) è una tecnica non invasiva utile per prevedere la funzione polmonare dopo pneumonectomia. Questa è soprattutto utile nei pazienti con cancro del polmone, che spesso hanno una funzione sbilanciata tra i due polmoni. Un isotopo radioattivo è iniettato (perfusione) o inalato (ventilazione) come per una normale scintigrafia del torace. Raggiunto l'equilibrio, viene misurata la percentuale dell'isotopo in ogni polmone, solitamente in proiezione posteriore con il paziente supino. Il FEV1 predetto dopo pneumonectomia corrisponde alla percentuale di radioisotopo captata dal polmone sano moltiplicata per il FEV1 preoperatorio (in litri). Un valore < 0,8 l (o < 40% del predetto per quel paziente) indica una grave inabilità polmonare e una probabilità di morbilità e di mortalità perioperatoria inaccettabilmente alta.

Determinazione della pressione transdiaframmatica La misurazione della pressione transdiaframmatica permette una valutazione quantitativa della debolezza diaframmatica. Questa procedura può essere utilizzata per diagnosticare una paralisi diaframmatica bilaterale. Dei manometri a palloncino vengono posizionati nella parte distale dell'esofago e nello stomaco, quindi viene misurata la pressione attraverso il diaframma. Questa manovra misura indirettamente la tensione diaframmatica durante uno sforzo inspiratorio. Normalmente, il gradiente attraverso il diaframma a capacità polmonare totale è > 25 cm di acqua. La diagnosi di paralisi unilaterale, suggerita da un'elevazione asimmetrica dell'emidiaframma interessato alla rx, può essere confermata dalla fluoroscopia. Durante una manovra inspiratoria forzata (manovra di "annusamento" o "sniff test"), l'emidiaframma sano scende energicamente, aumentando la pressione intra-addominale e spingendo l'emidiaframma paralizzato in direzione craniale (movimento paradosso). Tuttavia, la fluoroscopia non è accurata per la diagnosi di paralisi bilaterale.

Test da sforzo La ripetizione delle misurazioni funzionali durante o dopo esercizio fisico aiuta a determinare il ruolo specifico delle patologie cardiache e polmonari nell'eziologia della dispnea, a valutare la limitazione funzionale e a monitorare l'efficacia di un programma di riabilitazione. Un paziente con sospetto asma bronchiale, ma con obiettività e spirometria normali a riposo, può presentare respiro sibilante durante lo sforzo, soprattutto se inala aria fredda. Una riduzione della VC o del FEV1 > 15% è considerata patologica, indice di iperreattività delle vie aeree. Una diminuzione della DLCO o dell'ossigenazione durante esercizio indica anormalità negli scambi gassosi e possono essere i primi indici funzionali di danno vascolare o interstiziale del polmone. Nei pazienti con patologie cardiache, il volume sistolico può non aumentare proporzionalmente con l'esercizio. Conseguentemente, la frequenza cardiaca aumenta in maniera sproporzionata al o2, come risultato dell'aumento del rapporto Vd/Vt (ventilazione dello spazio morto), dell'ipossiemia o dell'affaticamento dei muscoli respiratori.

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Prove di funzionalità respiratoria

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Disturbi del sonno

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 173. DISTURBI DEL SONNO SINDROMI DA APNEA NEL SONNO Gruppo di disordini nei quali il respiro durante il sonno si arresta per ≥ 10 s, generalmente > 20 volte/h, provocando notevole deossigenazione ematica.

Sommario: Introduzione Eziologia e clinica Diagnosi e terapia

Il russare (respiro parzialmente ostruito durante il sonno) è molto comune e solo raramente è da riferire all’apnea nel sonno di tipo ostruttivo (sleep apnea). Il russare è tre volte più comune nelle persone obese; varia dall’essere solo un disturbo all’essere un indice di apnea ostruttiva nel sonno. Il russare può essere peggiorato dagli alcolici, da tranquillanti, ipnotici e antistaminici. Coloro che russano molto devono sottoporsi a un accurato esame del naso, della bocca, del palato, della gola e del collo.

Eziologia e clinica L’apnea nel sonno può essere ostruttiva (ostruzione delle vie aeree superiori malgrado il passaggio dell’aria), centrale (diminuzione dell’attività del centro del respiro) o mista. La causa più comune è l’ostruzione delle vie aeree. Raramente, l’apnea nel sonno è dovuta a insufficienza primitiva della midollare del tronco encefalico dovuta a depressione neurologica della midollare, come avviene nel caso di poliomielite, tumori della fossa posteriore o insufficienza idiopatica del controllo centrale (tronco encefalico) del respiro (maledizione di Ondine); in quest’ultima condizione il paziente non respira in modo adeguato se non quando è completamente sveglio. L’apnea mista inizia come l’apnea centrale, ma viene subito seguita da movimenti toracoaddominali e ostruzione delle vie aeree superiori. Essa recidiva più spesso di quella di tipo centrale, ma meno rispetto all’apnea ostruttiva. Essa deve essere trattata come un’apnea di tipo ostruttivo. L’apnea ostruttiva da sonno varia in gravità da lieve a potenzialmente letale. Si osserva soprattutto nei pazienti moderatamente o gravemente obesi, la maggior parte dei quali tenta di dormire supino. Gli uomini risultano più spesso colpiti rispetto alle donne (4% degli uomini e 2% delle donne intorno ai 40-50 anni). Il restringimento delle vie aeree superiori porta alla loro ostruzione durante il sonno. Nelle persone affette da obesità grave, la combinazione di ipossia e ipercapnia può anche indurre un’apnea di tipo centrale. I periodi di apnea durano almeno 10 s (alcuni per 2 min). Le ripetute ostruzioni respiratorie notturne possono causare un ciclo continuo di episodi di sonno, tosse ostruttiva e risveglio con affanno. Ne consegue sonnolenza diurna. Una simile condizione, ma meno pronunciata, si osserva talvolta in soggetti non obesi ed è presumibilmente dovuta ad alterazioni dello sviluppo o ad anomalie congenite delle vie aeree superiori. Le complicanze comprendono anomalie cardiache (p. es., aritmie sinusali, bradicardia grave, flutter atriale, tachicardia ventricolare, insufficienza cardiaca), ipertensione arteriosa, eccessiva sonnolenza diurna, cefalea mattutina, ideazione rallentata. La mortalità da ictus e infarti del miocardio è

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Disturbi del sonno

significativamente più elevata nelle persone affette da apnea ostruttiva da sonno rispetto alla popolazione generale.

Diagnosi e terapia La polisonnografia nel corso della notte può confermare la diagnosi di apnea ostruttiva del sonno e stabilire la gravità e la frequenza della desaturazione dell’ossiemoglobina. Il periodo e la lunghezza del test devono riflettere quelli del normale periodo di sonno del paziente. Siccome il disturbo è cronico e ricorrente, possono essere tentati approcci terapeutici multipli. Nessun trattamento può essere considerato una panacea. Per l’apnea da sonno correlata all’obesità, la riduzione ponderale riduce gli episodi ostruttivi, normalizza i gas ematici e riduce la sonnolenza diurna. Potrà essere utilizzata la pressione positiva continua nelle vie aeree (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP) durante il calo ponderale. Per il trattamento dell’apnea ostruttiva da sonno, la CPAP può essere introdotta come rimedio iniziale, per la rapidità e facilità della sua applicazione. La pressione deve essere regolata per eliminare le apnee ostruttive, in ogni posizione e stadio del sonno. I pazienti affetti da apnea grave e ipoventilazione possono essere in pericolo per la ritenzione di CO2 e l’ipossia grave, che compare talvolta quando la CPAP è inizialmente applicata. La CPAP deve essere applicata e controllata da personale tecnico addestrato in CPR. La CPAP può provocare ritmi ectopici nei pazienti con aritmie cardiache. Alcuni pazienti, come quelli affetti da patologia ostruttiva polmonare cronica o ipoventilazione, possono necessitare anche di due livelli di pressione delle vie aeree (pressione intermittente positiva delle vie aeree o una più bassa pressione espiratoria positiva delle vie aeree). La CPAP deve essere adoperata durante la polisonnografia, specialmente nei pazienti molto malati, affetti da patologia polmonare. Può inoltre essere necessario ossigeno supplementare; se lo fosse, devono essere controllati i gas arteriosi del sangue. I benefici della CPAP sono evidenti in 1 o 2 notti. La CPAP generalmente deve essere applicata per 1-3 settimane, per valutare la tolleranza del paziente. Per una prova iniziale, l’unità CPAP può essere noleggiata a costo relativamente contenuto. L’adattamento può essere migliorato trattando la scomodità, l’inadeguata misura della maschera, l’irritazione del volto e la secchezza del nasofaringe nelle prime 2 settimane. L’adattamento a lungo termine rappresenta il problema maggiore del CPAP nasale. Circa il 70% dei pazienti utilizza il CPAP per più di 2 anni. I pazienti con claustrofobia non sono inclini a usare la CPAP ma possono imparare a tollerarla con la pratica. Apparecchi dentali indossati durante il sonno possono essere di beneficio per le persone affette da apnea ostruttiva da sonno. Alcuni sono progettati per mantenere elevato il palato molle; altri mantengono protrusa la lingua. Altri ancora separano la mandibola e la mascella, posizionando anteriormente la mandibola in modo che la lingua non possa spostarsi indietro e ostruire la faringe. Le applicazioni sono in genere ben tollerate e possono ovviare alla necessità di un trattamento chirurgico. L’efficacia, la scomodità e altre possibili complicanze e l’adattamento a lungo termine dovranno essere frequentemente valutati. Il trattamento chirurgico è raramente necessario. Alcuni pazienti (p. es., coloro i quali presentano insufficienza cardiaca grave o grave patologia polmonare, che non sono in grado di tollerare la CPAP e per i quali le altre misure hanno fallito), richiedono la tracheostomia. Si è tentata l’uvulo-palato-faringo-plastica per allargare lo spazio d’aria della faringe, ma si è ottenuto un miglioramento della sintomatologia solo in circa la metà dei casi operati. In genere, il miglioramento della ostruzione favorisce la risoluzione dell’ipertensione polmonare e sistemica file:///F|/sito/merck/sez14/1731520.html (2 of 3)02/09/2004 2.03.36

Disturbi del sonno

(che sono solitamente associate), delle aritmie cardiache e delle difficoltà cognitive. Per il russare può essere utile evitare le bevande alcoliche, i tranquillanti, le pillole per dormire e gli antiistaminici; i pazienti noteranno un miglioramento dormendo proni o su un solo lato e sollevando in alto la testiera del letto. Speciali pillole anti-russamento non risultano più efficaci delle normali pillole o dell’elevazione della testa a letto. I vari dispositivi pubblicizzati per ridurre il russamento funzionano in genere nei casi lievi, non migliorando l’apnea da sonno. Devono essere trattate le infezioni nasali e le allergie. Per i forti russatori, la correzione chirurgica di condizioni nel naso, faringe o ugola (p. es., mediante ugulopalatoplastica laser-assistita) può rappresentare l’unica soluzione.

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Malattie del sistema nervoso

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

165. Approccio al paziente neurologico Anamnesi Esame neurologico Procedure diagnostiche in neurologia 166. Neurotrasmissione 167. Dolore Dolore acuto postoperatorio Dolore neoplastico Dolore neuropatico Sindromi dolorose psicogene 168. Cefalea Emicrania Cefalea a grappolo Cefalea muscolotensiva 169. Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate Afasia Aprassia Agnosia Amnesie Encefalopatia di Wernicke Sindrome di Korsakoff Amnesia globale transitoria Amnesia fattizia (psicogena) 170. Stupor e coma 171. Delirium e demenza file:///F|/sito/merck/sez14/index.html (1 of 5)02/09/2004 2.03.37

Malattie del sistema nervoso

172. Malattie caratterizzate da crisi epilettiche 173. Disturbi del sonno Insonnia Ipersonnia Narcolessia Sindromi da apnea nel sonno Parasonnie 174. Malattie cerebrovascolari Sindromi ischemiche Attacchi ischemici transitori Ictus ischemico Sindromi emorragiche Emorragia intracerebrale Emorragia subaracnoidea Malformazioni artero-venose 175. Traumi del cranio 176. Infezioni del SNC Meningiti batteriche acute Encefaliti virali acute e meningiti asettiche Meningite subacuta e cronica Ascesso cerebrale Empiema subdurale Infezioni da elminti 177. Neoplasie del SNC Neoplasie intracraniche Ipertensione endocranica benigna Neoplasie del midollo spinale Sindromi paraneoplastiche del SNC Danni da radiazioni sul sistema nervoso

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Malattie del sistema nervoso

178. Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici Malattie neuro-oftalmologiche Sindrome di Horner Oftalmoplegia internucleare Paralisi dello sguardo Malattie dei nervi cranici Paralisi del terzo nervo cranico Paralisi del quarto nervo cranico Paralisi del sesto nervo cranico Nevralgia del trigemino Malattie del nervo facciale Paralisi di Bell Nevralgia del glossofaringeo 179. Disturbi del movimento Tremore Discinesie Mioclono Tic Sindrome di Tourette Corea e atetosi Morbo di Huntington Distonia Disturbi del movimento indotti da farmaci Morbo di Parkinson Paralisi progressiva sopranucleare Disturbi cerebellari e spino-cerebellari Ipotensione ortostatica idiopatica e sindrome di Shy-Drager 180. Malattie demielinizzanti Sclerosi multipla

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Malattie del sistema nervoso

181. Anomalie della giunzione craniocervicale 182. Malattie del midollo spinale Compressioni midollari Ascesso ed ematoma subdurale o epidurale Siringomielia Malattie vascolari Paraparesi spastica ereditaria Mielite acuta trasversa Lesioni del midollo spinale 183. Malattie del sistema nervoso periferico Malattie del motoneurone superiore e inferiore Atrofie muscolari spinali Malattie delle radici Ernia del nucleo polposo Spondilosi cervicale Patologie dei plessi Sindromi da compressione dell’egresso toracico Neuropatie periferiche Sindrome di Guillain-Barré Neuropatie ereditarie Neurofibromatosi La sindrome di Proteo Disturbi della trasmissione neuromuscolare Myasthenia gravis 184. Patologie muscolari Distrofie muscolari Miopatie Patologie dei canali ionici Disturbi miotonici

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Malattie del sistema nervoso

Paralisi periodica familiare

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Approccio al paziente neurologico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO Il mal di testa, l’insonnia, le vertigini, il mal di schiena, la debolezza, la facile affaticabilità sono di frequente riscontro nella pratica medica. È necessario pertanto distinguere i sintomi potenzialmente gravi da quelli di scarso rilievo. Alcuni problemi neurologici necessitano di provvedimenti urgenti, ancor prima che si possa consultare il neurologo. Indipendentemente dalla complessità del caso, l’applicazione dei seguenti principi potrà essere utile durante l’esame neurologico: si dovrà definire la localizzazione anatomica della lesione (per circoscrivere le possibilità diagnostiche); determinarne la fisiopatologia. L’esaminatore, deve essere preparato ad adottare i trattamenti d’urgenza per le emergenze neurologiche. Le manifestazioni correlate a patologie specifiche saranno analizzate in altri capitoli di questa sezione. La valutazione del paziente con disturbo dello stato di coscienza è riportata nel Cap. 170.

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Approccio al paziente neurologico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO ANAMNESI Durante la valutazione del paziente neurologico, la raccolta dell’anamnesi rappresenta spesso il momento che fornisce la maggior quantità di informazioni. La modalità di svolgimento delle attività quotidiane fornisce spesso molte indicazioni sulle funzioni neurologiche del paziente nonché circa la loro compromissione; si dovranno accertare i deficit non riconosciuti dal paziente, distinguendo le sue percezioni da quelle che le persone intorno a lui (familiari o personale medico), ritengono importanti. Per prima cosa, l’esaminatore tenta di stabilire se il sistema nervoso sia colpito da una reale patologia. Un paziente spaventato o compromesso dal punto di vista psichiatrico potrà accusare sintomi neurologici. Tali sintomi non devono essere subito considerati funzionali (p. es., isterici o non fisiologici), in quanto molti pazienti presentano veramente deficit neurologici. Se è stata diagnosticata una malattia del sistema nervoso, il passo successivo consiste nel definire se il difetto è localizzato a livello muscolare, nervoso, del midollo spinale o dell’encefalo. Andranno rivisitati i vari apparati del corpo, in quanto le disfunzioni neurologiche sono frequenti nelle malattie sistemiche (p. es., alcolismo, cancro, malattie vascolari, malattie autoimmuni). L’anamnesi familiare aiuta a individuare malattie degenerative e metaboliche familiari. Un’anamnesi sulle abitudini sociali e sui viaggi effettuati fornisce informazioni su eventuali esposizioni a sostanze tossiche ambientali, al HIV o ad altri agenti infettivi.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO ESAME NEUROLOGICO L’esame neurologico inizia con un’attenta osservazione del paziente durante la raccolta dell’anamnesi. Sono valutate la velocità, la simmetria e la coordinazione richieste per il semplice atto dell’alzarsi dalla sedia e salire sul lettino, insieme alla postura e all’andatura. Il comportamento, l’abbigliamento e le reazioni del paziente forniscono notizie sulla sua personalità e sull’adattamento sociale. La necessità del paziente di affidarsi ad altri per rispondere alla domande può indicare un deficit mnestico. Gli errori nel linguaggio, nel discorso, nella prassia, il disorientamento, le posture inusuali e altri disturbi del movimento possono essere evidenti ancor prima dell’inizio dell’esame clinico. Guidato dall’iniziale definizione della sede anatomica e dalla fisiopatologia della lesione, l’esaminatore amplierà alcuni aspetti della valutazione, non considerandone altri. Per un osservatore meno esperto, l’esame neurologico completo può essere d’aiuto nell’identificazione di un’anomalia insospettata o per confermare uno status normale. Esame dello stato mentale (v. anche Cap. 185): la capacità di attenzione del paziente dovrà essere la prima a essere valutata; un paziente con disturbi dell’attenzione non potrà essere valutato accuratamente. Ogni segno di declino cognitivo comporta la somministrazione dell’esame completo del Mini-Mental status (v. Fig. 165-1), che valuta vari aspetti della funzione cognitiva. Questi includono l’orientamento nel tempo, nello spazio e circa le persone; la memoria; le capacità verbali e quelle di calcolo, di critica e ragionamento. La perdita completa dell’orientamento compare solo in soggetti gravemente obnubilati, deliranti o dementi; come sintomo isolato, è indicativa di simulazione. Vengono inoltre valutati la coscienza di malattia e il livello culturale, anche se alcune risposte possono essere influenzate dal grado di istruzione. Vengono analizzati l’affettività e l’umore (v. Cap. 189). Normalmente, una persona deve essere in grado di eseguire un comando complesso coinvolgente tre parti del corpo e saper distinguere la destra dalla sinistra (p. es., "Metti il dito pollice destro sull’orecchio sinistro e tira fuori la lingua"). È necessario valutare anche la capacità di dire, leggere e scrivere i nomi di oggetti d’uso comune o di parti del corpo; se tale funzione è compromessa, sarà necessario eseguire altri test, per la valutazione dell’afasia (v. Cap. 169). La percezione spaziale può essere esaminata chiedendo al paziente di imitare costruzioni semplici o complesse fatte con le dita e di disegnare un orologio, un cubo o dei pentagoni che si intersecano (v. Fig. 165-1). La valutazione dello sforzo richiesto durante l’esecuzione di tali esami è una fonte di informazioni altrettanto importanti di quelle date dal risultato finale, potendo evidenziare impersistenza, perseverazione, micrografia ed emi-inattenzione spaziale. La prassia si valuta chiedendo al paziente di mostrare come si usa uno spazzolino da denti, un pettine o un cerino dopo averlo tirato fuori dalla scatola. Esame dei nervi cranici: l’ampiezza e la completezza dell’esame dei nervi cranici dipendono dalla sede della lesione sospettata. L’olfatto (1o nervo cranico [olfattorio]) generalmente non viene esaminato nei pazienti che presentano malattie muscolari, ma dovrà essere sempre valutato in caso di sospette lesioni della fossa cranica anteriore o dopo un trauma cranico. Si chiede al paziente di identificare odori (sapone, caffè, chiodi di garofano, aglio) applicandoli separatamente a ciascuna narice. L’alcol, l’ammoniaca e altre sostanze irritanti servono per stimolare i recettori nocicettivi del 5o nervo (trigemino) e non

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vengono quindi adoperati, tranne che per scoprire eventuali simulazioni. Il 2o (ottico), il 3o (oculomotore), il 4o (trocleare) e il 6o (abducente) vengono valutati come parti dell’apparato della vista (v. Cap. 101 e 178). Sono esaminati l’acuità visiva (corretta in caso di difetti di rifrazione), il campo visivo e il fundus. È necessario controllare inoltre la forma, la grandezza delle pupille, la loro reattività alla luce e all’accomodazione, nonché la motilità dei globi oculari. Per valutare le tre branche sensitive del 5o nervo (trigemino) (oftalmica, mascellare e mandibolare), l’esaminatore adopera una puntina per controllare la sensibilità del volto e sfiora con un batuffolo di cotone la porzione inferiore della cornea per analizzarne il riflesso. Se la sensibilità cutanea del volto è compromessa, si dovrà esaminare l’angolo mandibolare. Quest’area, innervata dalla radice spinale C 2, sarà risparmiata qualora il problema consista in un deficit trigeminale isolato. Un riflesso dell’ammiccamento indebolito (p. es., da paralisi del 7o nervo cranico) dovrà essere distinto dal deficit del riflesso corneale. Spesso i portatori di lenti a contatto hanno riflessi corneali ridotti o assenti. L’iposensibilità sopranucleare della cornea (associata a ipoalgesia del corpo e del volto) deve essere distinta dalle lesioni periferiche. La funzione motoria del trigemino viene esaminata palpando i masseteri a denti serrati e invitando il paziente ad aprire la mandibola contro resistenza. La mandibola devia verso il lato del muscolo pterigoideo indebolito. Il 7o nervo cranico (facciale) (v. anche malattie del nervo facciale nel Cap. 178) viene valutato cercando l’eventuale deficit di forza di un emivolto. L’asimmetria dei movimenti facciali è spesso più evidente durante la conversazione spontanea, specialmente quando il paziente sorride o, nel caso di un’alterazione dello stato di coscienza, mediante le smorfie provocate in seguito a stimoli dolorosi. L’esaminatore ricerca l’eventuale spianamento del solco naso-labiale e l’allargamento della rima palpebrale dal lato della lesione. Se sono conservate le capacità di corrugare la fronte e di chiudere gli occhi, la causa del deficit di forza inferiore del volto è probabilmente di tipo centrale piuttosto che periferica. Si può esaminare la capacità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua applicando su entrambi i lati di essa, una per volta, sostanze dolci, amare, salate o piccanti. L’iperacusia può essere individuata applicando vicino all’orecchio un diapason. L’ottavo nervo cranico (vestibolococleare, acustico) conduce gli stimoli uditivi e vestibolari e viene valutato mediante l’esame dell’udito e dell’equilibrio (v. Cap. 82 e Neurinoma dell’acustico nel Cap. 85). I nervi 9o (glossofaringeo) e 10o (vago) sono in genere analizzati contemporaneamente. Il palato molle deve elevarsi simmetricamente, il riflesso faringeo si stimola toccando entrambi i lati della faringe posteriore con un abbassalingua. Tuttavia, l’assenza bilaterale del riflesso faringeo è frequente e può non essere significativa. In un paziente in stato di incoscienza o intubato, si provoca la tosse aspirando dal tubo endotracheale. Le corde vocali si esaminano nel caso si rilevi un abbassamento di voce. Raucedine isolata (con normale elevazione del palato e del velo palatino) deve indurre a ricercare eventuali lesioni compressive sul nervo laringeo ricorrente (p. es., linfoma mediastinico, aneurisma aortico). L’undicesimo nervo cranico (spinale accessorio) innerva lo sternocleidomastoideo e il trapezio superiore. La funzione del primo muscolo viene valutata chiedendo al paziente di ruotare il capo contro la resistenza imposta dalla mano dell’esaminatore, mentre questi palpa il muscolo attivo (opposto al lato della rotazione). Il trapezio si valuta alzando le spalle contro la resistenza applicata dall’esaminatore. Il 12o nervo cranico (ipoglosso) innerva la lingua, che si ispezionerà per individuare eventuali atrofia, fascicolazioni o deficit di forza (deviazione dal lato della lesione). Il deficit di un nervo cranico richiede la meticolosa valutazione dei nervi adiacenti. Tale esame può essere urgente, per esempio, quando sia necessario distinguere un’ischemia del tronco encefalico da un aneurisma in rapida espansione che causa la paralisi dei nervi cranici.

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Esame del sistema motorio: gli arti e il cingolo della spalla devono essere scoperti e quindi ispezionati e palpati per individuare eventuali atrofia, ipertrofia, fascicolazioni, movimenti involontari (p. es., corea, atetosi, mioclonia, tremore) nonché asimmetrie di sviluppo. La flessione e l’estensione passive degli arti a paziente rilassato danno informazioni circa il tono muscolare. La diminuita massa di un muscolo indica atrofia, ma possono non essere evidenti (fino a che non raggiungono uno stato avanzato) le atrofie bilaterali o quelle dei muscoli grandi o profondi. Negli anziani è comune la perdita del trofismo di alcuni muscoli (sarcopenia). L’ipertrofia insorge quando un muscolo è costretto a lavorare molto per compensarne uno lesionato; si parlerà di pseudo-ipertrofia quando il tessuto muscolare è sostituito da eccessivo tessuto fibroso o da materiale di deposito. Le fascicolazioni rappresentano la più frequente anomalia motoria e consistono in contrazioni brevi, fini e irregolari, visibili sotto la cute. Indicano in genere una lesione del secondo motoneurone (degenerazione nervosa o rigenerazione successiva a una lesione nervosa traumatica), ma talvolta sono presenti fisiologicamente, soprattutto nelle persone anziane, a livello dei polpacci. La miotonia consiste nel ridotto rilasciamento di un muscolo dopo contrazione o dopo una percussione su di esso; si rileva nella distrofia miotonica e può causare invalidità (p. es., incapacità ad aprire velocemente la mano chiusa). Il progressivo aumento di resistenza con rilasciamento improvviso (fenomeno del coltello a serramanico) è presente nelle lesioni del motoneurone superiore. Alterazioni a livello dei gangli della base producono la rigidità a ruota dentata. Valutazione della forza muscolare: per i pazienti, il termine debolezza ha vari significati, come fatica, impaccio o appesantimento. Una lamentata debolezza muscolare dovrà essere definita più precisamente mediante la descrizione dell’esatta sede, del momento di comparsa, dei fattori scatenanti o di miglioramento e dei sintomi e segni associati. Per l’ispezione del deficit di forza, dei tremori o di altri movimenti involontari, il paziente estende dapprima le braccia e poi le gambe (un arto indebolito tende ad abbassarsi rapidamente). La forza degli specifici gruppi muscolari viene esaminata contro resistenza. Il dolore muscolare o la compromissione di un’articolazione possono impedire la contrazione attiva. Nella debolezza isterica, la resistenza opposta alla mobilizzazione può essere normale ed è seguita da cedimento improvviso. Un lieve deficit di forza può causare una diminuita oscillazione del braccio durante la marcia, tendenza alla pronazione dell’arto superiore esteso, riduzione dell’uso spontaneo dello stesso o l’extrarotazione di un arto inferiore. I movimenti alternati rapidi possono risultare rallentati e i movimenti che richiedono destrezza (p. es., capacità di chiudere un bottone, aprire una spilla da balia, togliere un fiammifero dalla scatola) risultare compromessi. Quando è presente un deficit di forza parziale, è spesso difficile graduare la forza di contrazione del muscolo. Una scala di valutazione assegna 0 all’assenza di movimento, 1 a tracce di movimento, 2 a movimenti effettuabili con l’aiuto della forza di gravità, 3 a movimenti contro gravità ma non contro resistenza, 4 a movimenti contro resistenza opposta dall’esaminatore e 5 alla forza normale. L’ampia variazione di forza tra i gradi 4 e 5 rappresenta una limitazione della validità di queste scale. La forza distale può essere misurata in modo semiquantitativo mediante un ergometro a manubrio, oppure facendo stringere al paziente il bracciale gonfiato di uno sfigmomanometro. Il test funzionale spesso fornisce un miglior quadro dell’invalidità. Quando il paziente effettua le varie manovre, i deficit vengono il più possibile annotati e quantificati (p. es., il numero di flessioni sulle cosce o di scalini saliti). L’alzarsi dalla posizione accovacciata o il salire su di una sedia permettono la valutazione della forza a livello prossimale degli arti inferiori; camminare sui talloni e sulla punta dei piedi permette la valutazione della forza distale. Un paziente con deficit di forza dei quadricipiti è obbligato a spingere sulle braccia per alzarsi dalla sedia. Un paziente con debolezza del cingolo scapolare per poter muovere le braccia deve ondeggiare con il corpo. Un paziente con debolezza del cingolo pelvico si alza dalla posizione supina mettendosi prono, inginocchiandosi e alzandosi lentamente in posizione eretta usando le mani per aggrapparsi e arrampicarsi lungo le cosce (segno di Gower).

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Esame della coordinazione, della postura e dell’andatura (v. anche Disturbi cerebellari e spino-cerebellari al Cap. 179). La normalità di tali funzioni richiede l’integrità delle vie motorie, vestibolari e propiocettive. Una lesione in ognuna di queste vie produce deficit caratteristici. Nell’atassia cerebellare è necessaria un’andatura a base allargata per il mantenimento della stabilità, un piede cadente provoca l’andatura steppante (nella quale la gamba viene alzata più in alto del normale nel tentativo di evitare che inciampi contro irregolarità della superficie); il deficit di forza della muscolatura pelvica causa l’andatura anserina, mentre la spasticità di un arto inferiore comporta l’andatura falciante. Un paziente con sensibilità propiocettiva compromessa deve osservare costantemente i propri piedi per evitare di inciampare o cadere. La coordinazione può essere valutata mediante manovre che aiutino a individuare i movimenti atassici, come quella indice-naso o tallone-ginocchio. Esame delle sensibilità: l’esame completo delle sensibilità può non essere necessario, specialmente quando sono assenti sintomi importanti quali dolore, parestesia o intorpidimento. Per un rapido esame si passa uno spillo sulla faccia, sul dorso, sul corpo e sui 4 arti; al paziente viene chiesto se sente la stessa intensità di puntura sui due lati e se la sensazione è di tipo smusso o di tipo puntorio. La funzione sensoriale corticale viene valutata chiedendo al paziente di riconoscere una moneta, una chiave o un altro oggetto posto nella mano (stereognosi), i numeri scritti sul palmo della mano (grafestesia) e di distinguere se sul palmo e sulle dita si applicano stimoli su due punti o su uno solo. La sensibilità termica può essere valutata strofinando un diapason freddo con un rebbio riscaldato oppure mediante fiale contenenti acqua calda o fredda. Il senso della posizione delle articolazioni si valuta muovendo verso l’alto o verso il basso le falangi distali delle dita della mano e quindi degli alluci. Se il paziente ha difficoltà a riconoscere questi movimenti a occhi chiusi si dovranno esaminare le altre articolazioni più prossimali (p. es., le caviglie qualora il paziente non percepisca i movimenti dell’alluce). Un importante deficit propiocettivo produce movimenti pseudoatetosici dell’arto a riposo e l’impossibilità di localizzare a occhi chiusi un arto nello spazio. Qualora vi sia un’alterazione della percezione posturale, il paziente non sarà in grado di mantenere la stazione eretta a piedi uniti e a occhi chiusi (Test di Romberg). Per valutare la percezione delle vibrazioni, l’esaminatore applica un dito sotto l’articolazione interfalangea distale del paziente e vi poggia un diapason a 128 cicli colpito delicatamente. L’esaminatore percepisce la vibrazione attraverso l’articolazione del paziente e normalmente sentirà la cessazione della vibrazione nello stesso momento del paziente. La sensibilità tattile epicritica viene valutata mediante un batuffolo di cotone.Se la sensibilità risulta alterata, si deve stabilire se la distribuzione anatomica interessa i nervi periferici (a guanto), alcuni particolari nervi (mononeurite multipla), le radici nervose (radiculopatia), il midollo spinale (un metamero inferiore a quello dell’ipoestesia), il tronco encefalico (alterazioni crociate volto-corpo della sensibilità) o dell’encefalo (emianestesia) (v. Fig. 165-2, 165-3 e 165-4). La localizzazione della lesione viene confermata determinando se la debolezza motoria e le alterazioni dei riflessi seguono una distribuzione simile. Le lesioni dei plessi brachiale e pelvico (p. es., neoplasie) spesso causano deficit delle sensibilità, della motilità e dei riflessi a distribuzione irregolare. Prova dei riflessi: l’elicitazione dei riflessi osteotendinei (da stiramento muscolare) valuta i nervi afferenti, le connessioni sinaptiche all’interno del midollo spinale, i nervi motori e le rispettive vie motorie discendenti. Il riflesso bicipitale è innervato principalmente da C5; quello radiale da C6; il tricipitale da C7; il riflesso quadricipitale da L4 e l’achilleo da S1. È necessario notare l’eventuale asimmetria, assenza o riduzione della risposta. La risposta dei riflessi ipoelicitabili può essere aumentata mediante la manovra di Jendrassik, nella quale si percuote il tendine nell’arto inferiore mentre il paziente divarica con forza le mani avvinghiate. Le lesioni del motoneurone inferiore (p. es., quelle compromettenti le cellule delle corna anteriori, le radici spinali, i nervi periferici, la placca muscolare o il muscolo) provocano la diminuzione dei riflessi, mentre quelle del motoneurone superiore (cioè dei nuclei, eccetto quelli della base, localizzati in ogni parte al di sopra delle cellule delle corna anteriori) la aumentano (v. Tab. 165-1 e 165-2). Il riflesso superficiale addominale si evidenzia strofinando leggermente con uno spillo i quattro quadranti. La maggior parte delle lesioni centrali, l’obesità e la lassità file:///F|/sito/merck/sez14/1651446.html (4 of 5)02/09/2004 2.03.39

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muscolare (p. es., dopo la gravidanza) deprimono questo riflesso. L’assenza di questo riflesso può indicare la lesione del midollo spinale.Il riflesso plantare assume aspetti diversi. L’allontanamento volontario veloce da uno stimolo deve essere distinto dal segno di Babinski (estensione lenta dell’alluce con apertura a ventaglio delle altre dita del piede, spesso in associazione con la flessione del ginocchio e dell’anca). Soltanto quest’ultimo è di origine spinale e indica una lesione del primo motoneurone. Bisogna stimolare la regione laterale della pianta, dal momento che uno stimolo mediale può evocare inavvertitamente un riflesso primitivo di prensione. Il clono è la rapida e ritmica alternanza di contrazione e rilassamento del muscolo provocata da uno stiramento tendineo improvviso e passivo. La sua presenza è in genere valutata mediante la rapida dorsiflessione del piede e della caviglia. Un clono particolarmente evidente suggerisce un danno del motoneurone superiore. Le patologie interessanti in modo diffuso la corteccia cerebrale si evidenziano con il riflesso di succhiamento e il riflesso della prensione. I riflessi sfinterici si elicitano durante l’esame rettale; per indurre la contrazione anale, la regione perianale va stimolata leggermente. Esame del sistema nervoso autonomo: l’esaminatore ricerca l’eventuale presenza di ipotensione posturale, di assenza della bradi-tachicardia dopo la manovra di Valsalva, la diminuzione o l’assenza della sudorazione e la sindrome di Horner. Bisogna inoltre prendere nota di eventuali disturbi intestinali, vescicali, della funzione sessuale e di quell’ipotalamica (ognuna trattata in altre parti del manuale). Esame cerebrovascolare: il rischio di accidente cerebrovascolare risulta aumentato negli anziani o nei pazienti affetti da ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, malattie vascolari periferiche o malattie cardiache. La pressione arteriosa deve essere misurata in entrambe le braccia per individuare, come eventuale causa di ictus, la dissecazione indolore dell’aorta. Si devono ispezionare la cute, le sclere, il fundus oculare, il letto ungueale, la mucosa della bocca, per evidenziare emorragie, emboli settici o di colesterolo; si ausculta il cuore per rilevare soffi a insorgenza recente e disritmie. I soffi vascolari percepiti sul cranio possono indicare una malformazione artero-venosa, una fistola o, talvolta, un’inversione di flusso nel poligono di Willis secondaria a un’occlusione carotidea. Si ausculteranno le carotidi per la rilevazione di soffi nella regione della biforcazione. La palpazione vigorosa va evitata. Spostando lo stetoscopio lungo il collo verso il cuore è possibile differenziare un soffio vascolare da un soffio sistolico cardiaco; quest’ultimo durante lo spostamento può presentare cambiamenti in alcune sue caratteristiche. L’attività del polso carotideo può fornire ulteriori dati circa la probabilità di lesioni stenotiche. I polsi periferici devono essere palpati per individuare malattie vascolari periferiche o la dissecazione aortica. Per escludere l’arterite temporale, si palpano le arterie temporali, notando eventuali allargamenti o rigonfiamenti.

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Disturbi psichiatrici

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI

185. Psichiatria e medicina Invio psichiatrico Medicina psicosomatica Sindrome di Münchausen 186. Disturbi somatoformi Disturbo di somatizzazione Disturbo di conversione Ipocondria Disturbo algico Disturbo da dismorfismo corporeo 187. Disturbi d’ansia Attacchi di panico e disturbo da attacchi di panico Disturbi fobici Disturbo ossessivo-compulsivo Disturbo post-traumatico da stress Disturbo acuto da stress Disturbo d’ansia generalizzata Ansia dovuta a un disturbo fisico o a una sostanza 188. Disturbi dissociativi Amnesia dissociativa Fuga dissociativa Disturbo dissociativo dell’identità Disturbo di depersonalizzazione 189. Disturbi dell’umore Depressione file:///F|/sito/merck/sez15/index.html (1 of 3)02/09/2004 2.03.40

Disturbi psichiatrici

Disturbo distimico Disturbi bipolari Disturbo ciclotimico 190. Comportamento suicida 191. Disturbi di personalità 192. Disturbi psicosessuali Disfunzioni sessuali Disturbo da desiderio sessuale ipoattivo Disturbo da avversione sessuale Disfunzione sessuale dovuta a un disturbo fisico Disfunzione sessuale indotta da sostanze Disturbi dell’orgasmo maschile Disturbi dell’identità di genere Transessualismo Parafilie Feticismo Pedofilia Esibizionismo Voyeurismo Masochismo sessuale Sadismo sessuale 193. Schizofrenia e disturbi correlati Schizofrenia Disturbo psicotico breve Disturbo schizofreniforme Disturbo schizoaffettivo Disturbo delirante 194. Emergenze psichiatriche 195. Uso e dipendenza da sostanze

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Disturbi psichiatrici

Alcolismo Dipendenza da oppiacei Dipendenza da ansiolitici e ipnotici Dipendenza da cannabis (marijuana) Dipendenza da cocaina Dipendenza da amfetamina Dipendenza da allucinogeni Uso di fenciclidina Dipendenza da solventi volatili Nitriti volatili 196. Disturbi del comportamento alimentare Anoressia nervosa Bulimia nervosa Disturbo da alimentazione incontrollata

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Psichiatria e medicina

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 185. PSICHIATRIA E MEDICINA Un approccio alla diagnosi e alla terapia di tipo organo- e malattia-specifico spesso non ha buon esito, se viene ignorata la persona che ha quegli organi e quella malattia. Correlare i disturbi e le disabilità riferite dal paziente alla sua personalità e alle sue condizioni sociali, aiuta a stabilirne la natura e le cause. Per valutare la personalità del paziente, il medico deve prima di tutto ascoltarlo con attenzione e mostrargli interesse in quanto persona. Un colloquio condotto frettolosamente e con indifferenza, attraverso domande a risposta chiusa (seguendo un algoritmo rigido di esame d’apparato), probabilmente indurrà il paziente a nascondere le informazioni attinenti, piuttosto che aiutarlo a comunicarle. La ricostruzione della storia di malattia con domande aperte, che permettano al paziente di raccontarsi con parole sue, non porta via più tempo, ma gli consente di descrivere le circostanze sociali associate al disturbo e di manifestare le sue reazioni emotive. Al paziente devono essere richieste informazioni sul suo retroterra sociale, sulla sua anamnesi medica e psichiatrica, e sul suo adattamento alle diverse fasi del ciclo vitale. Le caratteristiche dei suoi genitori e l’atmosfera familiare durante l’infanzia sono elementi importanti, perché i tratti di personalità che influenzano il modo in cui vengono fronteggiate le malattie e le avversità si formano in parte nei primi stadi della vita. Le informazioni sul suo comportamento scolastico, sulle modalità con cui ha affrontato la pubertà, l’adolescenza e i diversi ruoli familiari e sociali, sulla stabilità e il rendimento lavorativi, sull’adattamento sessuale, sul tipo di vita sociale e sulla qualità e stabilità del matrimonio, aiutano a valutare la personalità del paziente. Il medico deve informarsi con tatto sull’uso o abuso di alcol, sostanze stupefacenti e tabacco, sul comportamento alla guida e su qualsiasi tendenza a comportamenti antisociali. È importante altresì valutare le reazioni del paziente alle vicende ordinarie della vita, come fallimenti, contrattempi, perdite, malattie precedenti. Il profilo di personalità che emerge da queste domande può contenere tratti come egocentrismo, immaturità, eccessiva dipendenza, ansia, tendenza alla negazione della malattia, comportamento istrionico e scarsa tolleranza della frustrazione; oppure coraggio, elasticità mentale, coscienziosità, modestia, adattabilità. L’anamnesi può rivelare schemi ripetitivi di comportamento sotto stress, sia che il disagio venga espresso attraverso sintomi fisici (p. es., cefalea, dolori addominali) o psicologici (p. es., comportamenti fobici, depressione), sia attraverso il comportamento sociale (p. es., ritiro, tendenze ribelli). Bisogna prendere nota degli atteggiamenti, p. es., gli atteggiamenti verso l’assunzione di farmaci in generale o di tipo particolare (steroidi, sedativi) e verso i medici o gli ospedali. Con queste informazioni il medico può interpretare meglio i disturbi del paziente, anticipare le sue reazioni alla malattia e impostare una terapia adeguata. L’osservazione durante il colloquio fornisce ulteriori dati importanti. Il paziente può essere depresso e pessimista oppure allegro, compiacente, incline a negare la malattia; può mostrarsi amichevole e aperto oppure riservato, freddo e sospettoso. La comunicazione non verbale può evidenziare atteggiamenti e stati d’animo smentiti dalle sue parole. Per esempio, un paziente che ammutolisce o inizia a piangere quando si parla della morte di un genitore, rivela che questa è stata una perdita importante e lascia intendere di avere un lutto irrisolto. Una lacrima, un pianto aperto o altre manifestazioni emotive devono essere riportati come segni somatici nella cartella del paziente. Analogamente, se un paziente nega di essere arrabbiato, ansioso o depresso mentre invece la sua postura, i suoi gesti e l’espressione del viso rivelano il contrario, ulteriori domande possono

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Psichiatria e medicina

portare alla luce fattori stressanti e circostanze generatrici di depressione, probabilmente correlate all’evoluzione della malattia attuale. Tuttavia, queste indagini possono anche condurre a conclusioni erronee. Una valutazione perspicace e basata sull’esperienza aiuta a stabilire se i conflitti psicologici siano significativi, di importanza limitata, o semplicemente concomitanti rispetto al disturbo fisico del paziente.

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Psichiatria e medicina

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 185. PSICHIATRIA E MEDICINA INVIO PSICHIATRICO Circa il 10% dei pazienti ricoverati in ospedale viene inviato a consulenza psichiatrica. Molti di questi pazienti hanno compiuto un tentativo di suicidio e molti altri presentano disturbi psicologici evidenti, che richiedono una valutazione e un trattamento. Molti pazienti con delirium, demenza (v. Cap. 171) e sindromi psichiatriche funzionali dovute a disturbi cerebrali organici o metabolici hanno problemi complessi, difficili o resistenti che richiedono l’invio allo psichiatra. Discutere la situazione con un collega psichiatra prima di effettuare un invio può evitarne la necessità, o comunque può aiutare il medico di base a eseguire l’invio nella maniera più appropriata. Una volta predisposto l’invio, se ne dovrà parlare apertamente e con tatto insieme al paziente.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 185. PSICHIATRIA E MEDICINA MEDICINA PSICOSOMATICA (Medicina biopsicosociale)

Sommario: Introduzione Sintomi fisici che riflettono stati psichici Reazioni psicologiche a un disturbo fisico

In alcuni disturbi fisici, i fattori psicologici contribuiscono direttamente o indirettamente all’eziologia; in altri, i sintomi psicologici sono il risultato diretto di una lesione a carico del sistema nervoso o endocrino. I sintomi di tipo psicologico possono anche rappresentare la reazione a un disturbo fisico. I sintomi fisici possono essere dovuti a stress psicologico. Il termine "psicosomatico" può racchiudere largamente queste possibilità, mettendo in rilievo come i disturbi emotivi e i fattori psicologici siano sempre correlati alle malattie e alle disabilità di tipo fisico. In alternativa, il termine "psicosomatico" può essere riservato a quei disturbi in cui i fattori psicologici hanno un’importanza eziologica; tuttavia, anche questi disturbi hanno una eziologia complessa e multifattoriale. In alcuni disturbi, una necessaria componente biologica (p. es., la tendenza genetica al diabete mellito non insulino-dipendente), quando si associa a reazioni psicologiche (p. es., la depressione) e a uno stress di tipo sociale (p. es., la perdita di una persona cara), crea le condizioni sufficienti a produrre un disturbo; di qui, il termine "biopsicosociale". Gli eventi stressanti e le reazioni psicologiche possono essere considerati fattori scatenanti. Le reazioni psicologiche sono aspecifiche e possono associarsi a una grande varietà di disturbi come il diabete mellito, il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), la leucemia e la sclerosi multipla. L’importanza dei fattori psicologici é molto variabile in pazienti diversi affetti dallo stesso disturbo (p. es., l’asma, in cui fattori genetici, allergie, infezioni ed emozioni interagiscono in vario grado). Lo stress psicologico può anche affrettare o alterare il decorso di disturbi fisici gravi. Le emozioni possono ovviamente coinvolgere il sistema nervoso autonomo e quindi, secondariamente, la frequenza cardiaca, la sudorazione o la peristalsi intestinale. La psiconeuroimmunologia ha dimostrato un’interrelazione tra reazioni coinvolgenti la mente (il cervello) e alterazioni nelle risposte immunitarie mediate dai linfociti e dalle linfochine. Per esempio, la risposta immunitaria nei topi viene ridotta da stimoli condizionati; nell’uomo, vengono ridotte la risposta di ipersensibilità cutanea ritardata e la stimolazione linfocitaria in vivo da parte del virus varicella-zoster. Le vie e i meccanismi attraverso cui il cervello e il sistema immunitario interagiscono restano oscuri, ma una connessione é suggerita dai terminali neurali trovati nella milza e nel timo vicino ai linfociti e ai macrofagi, che hanno dei recettori per i neurotrasmettitori. I fattori psicologici possono influenzare indirettamente il decorso di diversi disturbi. Solitamente, il bisogno di un paziente di negare la malattia o la sua gravità può condurre alla non- compliance alla terapia, oppure all’uso della medicina alternativa o complementare. Nel diabete, per esempio, un paziente può deprimersi a causa della dipendenza continua dalle iniezioni di insulina e delle restrizioni dietetiche e può quindi negarne la necessità, trascurando le file:///F|/sito/merck/sez15/1851617b.html (1 of 3)02/09/2004 2.03.42

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terapie. Il risultato è un diabete pseudoinstabile, che non può essere gestito in maniera adeguata sino a che non vengano risolti i conflitti del paziente circa la dipendenza. Allo stesso modo, il meccanismo della negazione può condurre i pazienti con ipertensione o epilessia a non assumere i farmaci e altri pazienti a rifiutare procedure diagnostiche o interventi chirurgici. Sempre più spesso, i medici si trovano a trattare disturbi che tendono a recidivare o a produrre invalidità cronica (p. es., l’infarto del miocardio, l’ipertensione, le affezioni cerebrovascolari, il diabete mellito, i tumori, l’artrite reumatoide, i disturbi respiratori cronici). Lo stress di tipo psicologico e sociale è strettamente collegato con tali disturbi ed è difficilmente separabile da essi. Tale stress può alterare il decorso clinico, di solito interagendo con la predisposizione ereditaria del paziente, con le sue caratteristiche di personalità e con le risposte vegetative ed endocrine alle vicende della vita.

Sintomi fisici che riflettono stati psichici Uno stress psicosociale che produce conflittualità e richiede una risposta di adattamento può mascherarsi sotto forma di sintomi di un disturbo fisico. I disturbi emotivi sono spesso sottovalutati o negati dal paziente e a volte anche dal medico. La causa e il meccanismo di formazione del sintomo possono essere del tutto evidenti (p. es., l’ansia e i fenomeni su base adrenergica, come la tachicardia e la sudorazione). Tuttavia, i meccanismi sono spesso oscuri, sebbene in genere si ipotizzi che agiscano generando tensione direttamente (p. es., aumentando la tensione muscolare) oppure attraverso un meccanismo di conversione. La conversione, il meccanismo inconscio di trasformazione di un conflitto psichico e dell’ansia in un sintomo somatico, é per tradizione associata al comportamento isterico (istrionico) (v. Cap. 186 e 191); nella medicina di base va tuttavia considerata a parte, poiché si manifesta in ambo i sessi e in pazienti con ogni tipo di personalità. La conversione si verifica praticamente ogni giorno in un ambulatorio di medicina di base molto frequentato, ma é scarsamente compresa e raramente riconosciuta. Pertanto, i pazienti possono andare incontro a indagini diagnostiche ripetute, noiose, costose e a volte pericolose, alla ricerca di un disturbo organico introvabile. Praticamente ogni sintomo può diventare un sintomo di conversione. Il più comune é il dolore (p. es., il dolore facciale atipico, le cefalee vaghe, i fastidi addominali mal localizzati, le coliche, il mal di schiena, il dolore cervicale, la disuria, la dispareunia, la dismenorrea). I pazienti possono scegliere in maniera inconscia un sintomo perché é una metafora della propria condizione psicosociale; p. es., un paziente può avere un dolore toracico dopo il rifiuto da parte della persona amata ("cuore infranto"); un altro può esperire sotto forma di mal di schiena il fatto che i suoi "fardelli" sono troppo difficili da portare. In alternativa, i pazienti possono "prendere a prestito" un sintomo da un’altra persona; p. es., uno studente in medicina può immaginare di avere i linfonodi gonfi mentre assiste un paziente con un linfoma; oppure, una persona può presentare un dolore toracico dopo che un parente o un conoscente ha avuto un infarto del miocardio. Un terzo gruppo di pazienti ha già avuto il sintomo su una base organica (p. es., una frattura dolorosa, un’angina pectoris, una discopatia lombare). In occasione di fattori stressanti psicosociali il sintomo riappare, oppure persiste anche dopo un trattamento adeguato come sintomo psicogeno (di conversione). Nell’isteria di massa (isteria epidemica), una variante della conversione, un gruppo di persone improvvisamente entra in allarme per un problema (p. es., avvelenamento da cibi o sostanze tossiche nell’aria) e sviluppa dei sintomi che imitano quelli di chi per primo ha immaginato il problema. Nella maggior parte dei casi l’isteria di massa si manifesta nei preadolescenti e negli adolescenti, che se ne ammalano a scuola, ma può verificarsi anche in altre situazioni. Sebbene inizialmente possa essere drammatica e di diagnosi difficile, di solito si rende evidente e ha un esito favorevole.

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L’ansia e la depressione sono comunemente provocate da stress psichici e possono manifestarsi come sintomi a carico di qualunque apparato. La diagnosi non é difficile, se sono coinvolti numerosi distretti corporei, e il paziente descrive le sue angosce e preoccupazioni personali. Ma se è coinvolto un unico apparato e il paziente non evidenzia un disagio emotivo, la diagnosi può essere difficile. Tali casi vengono descritti spesso con il termine di depressione mascherata, sebbene in alcuni casi sia più appropriato parlare di ansia mascherata. Sono frequenti sintomi come disforia e depressione, insonnia, autosvalutazione, ritardo psicomotorio e prospezione pessimistica. Il paziente può negare la depressione o può anche riconoscere la presenza di depressione o ansia, ma insiste sul fatto che esse sono secondarie a un disturbo fisico che sfugge alla diagnosi.

Reazioni psicologiche a un disturbo fisico I pazienti reagiscono in maniera diversa alla condizione di malattia per numerose ragioni. Per esempio, è diversa la comprensione (o mancanza di comprensione) della diagnosi e sono diverse le reazioni agli atteggiamenti e alle comunicazioni del medico. Inoltre, disturbi cronici differenti hanno effetti psicologici altrettanto differenti. Anche le risposte agli effetti collaterali dei farmaci sono molto variabili. Molti pazienti con disturbi fisici cronici o ricorrenti sviluppano una depressione che aggrava l’invalidità, instaurando in questo modo un circolo vizioso. Per esempio, il graduale declino dello stato di salute dovuto alle alterazioni fisiche nel morbo di Parkinson, nell’insufficienza cardiaca o nell’artrite reumatoide, può portare a una reazione depressiva che riduce ulteriormente il senso di benessere. In tali casi, un trattamento antidepressivo spesso migliora il quadro. I pazienti con compromissioni funzionali gravi o con perdita di parti del corpo (p. es., come esito di un infarto, di amputazioni di o traumi del midollo spinale) presentano particolari difficoltà di valutazione. Vi è una distinzione sottile tra una depressione clinica reattiva che richiede un trattamento psichiatrico tradizionale e delle reazioni emozionali disforiche che possono anche essere estreme, ma sono adeguate a un disturbo fisico dagli effetti devastanti. Queste ultime possono comportare dei disturbi dell’umore oppure una costellazione di lutto, demoralizzazione, ritiro e atteggiamenti regressivi; tendono a non avere una risposta favorevole alla psicoterapia o agli antidepressivi, ma fluttuano a seconda dello stato clinico del paziente e si riducono con il tempo se la riabilitazione é efficace o se il paziente si adatta alla sua nuova condizione. Nei reparti di riabilitazione, spesso il personale medico può diagnosticare una depressione quando non é questo il problema, oppure può omettere la diagnosi quando invece lo é. In tali situazioni la diagnosi differenziale è molto difficile ed è quindi utile una consulenza da parte di uno psichiatra esperto nel trattamento dei pazienti con disturbi fisici.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 185. PSICHIATRIA E MEDICINA Sindrome di Münchausen Invenzione ripetitiva di una malattia fisica (in genere acuta, teatrale e persuasiva), da parte di una persona che vaga da un ospedale all’altro per farsi curare.

Sommario: Introduzione Terapia

I pazienti con sindrome di Münchausen possono simulare molti disturbi fisici (p. es., infarto del miocardio, ematemesi, emottisi, addome acuto, febbre criptogenetica). La parete addominale di questi pazienti può essere piena di cicatrici, oppure si può riscontrare l’amputazione di un dito o di un arto. Le febbri spesso sono dovute ad ascessi autoprovocati; l’esame colturale, rivelando la presenza di Escherichia coli, rivela la fonte dell’organismo infettante. All’inizio, e a volte per lungo tempo, questi pazienti vengono trattati in cliniche mediche o chirurgiche. Tuttavia il disturbo è soprattutto di competenza psichiatrica, dal momento che è qualcosa di più complesso di una semplice simulazione disonesta di sintomi e si associa a gravi difficoltà della sfera emotiva. I pazienti possono presentare caratteristiche di personalità fortemente istrioniche, ma di solito sono intelligenti e pieni di risorse. Sanno come si finge una malattia e conoscono nei minimi dettagli le procedure mediche. Sono diversi dai simulatori perché, sebbene questo genere di inganni e simulazioni siano intenzionali, le motivazioni per l’invenzione delle malattie e per la richiesta di aiuto sono in gran parte inconsce. In genere c’è una storia precoce di violenze fisiche e psicologiche. Questi pazienti sembrano avere dei problemi con la propria identità, un’intensa emotività, un inadeguato controllo degli impulsi, uno scarso senso della realtà, degli episodi psicotici brevi e delle relazioni interpersonali caratterizzate da instabilità. Il loro bisogno di essere assistiti entra in conflitto con l’incapacità di fidarsi delle figure di autorità, che manipolano, provocano o mettono alla prova continuamente. Sono evidenti anche sensi di colpa, con associati desideri di punizione e di espiazione. La sindrome di Münchausen per procura é una variante bizzarra in cui un bambino viene di solito usato come sostituto del paziente. I genitori falsificano l’anamnesi e possono fare del male al bambino con farmaci, o aggiungere sangue e contaminanti batterici ai campioni urinari, al fine di simulare una malattia. Il genitore richiede cure mediche per il bambino e sembra sempre profondamente preoccupato e protettivo. Il bambino spesso è gravemente ammalato, richiede ricoveri frequenti e può anche morire. Svariati disturbi fittizi possono somigliare alla sindrome di Münchausen. I pazienti possono produrre consapevolmente le manifestazioni di una malattia, p. es., ferendosi alla cute, iniettandosi insulina o esponendosi a un allergene al quale sanno di essere sensibili. Successivamente si recano dal medico, sabotando però la terapia facendo in modo di provocarsi delle malattie o di protrarle. Sono diversi dai pazienti con sindrome di Münchausen, in quanto tendono a simulare una sola malattia, lo fanno solo in concomitanza di uno stress file:///F|/sito/merck/sez15/1851619.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.43

Psichiatria e medicina

psicosociale importante, non tendono a vagabondare da un ospedale o medico all’altro e di solito possono essere trattati efficacemente.

Terapia La terapia dei pazienti con sindrome di Münchausen e psicopatologia di tipo psicotico, nel contesto di un disturbo del carattere, ha successo raramente. Acconsentire alle manipolazioni allevia loro la tensione, ma le provocazioni si intensificheranno fino a superare la volontà e le capacità dei medici. La messa a confronto o il rifiuto di esaudire le richieste di trattamento provocano reazioni di rabbia e i pazienti in genere si trasferiscono in un altro ospedale. In genere il trattamento psichiatrico è rifiutato o aggirato, ma possono accettare un consulto e una cura successiva, sia pure soltanto per risolvere una crisi. Comunque, il trattamento é generalmente limitato al riconoscimento precoce del disturbo e all’evitamento di procedure rischiose e di un uso eccessivo o improprio di farmaci. I pazienti con disturbo fittizio vanno messi di fronte alla diagnosi senza insinuare in essi sensi di colpa o di biasimo. Il medico deve preservare lo status di malattia legittima, pur indicando come la collaborazione tra medico e paziente possa risolvere il problema di base. Spesso la risoluzione del quadro coinvolge un familiare, con il quale il problema può essere descritto più adeguatamente come un disturbo e non come un inganno; alla famiglia non va cioè comunicato il meccanismo preciso del disturbo.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 186. DISTURBI SOMATOFORMI Gruppo di disturbi psichiatrici caratterizzati da sintomi fisici che suggeriscono un disturbo fisico, ma non sono completamente spiegati da esso e che causano una sofferenza significativa o interferiscono con il funzionamento nell’ambito sociale, lavorativo, o in altri ambiti. "Disturbo somatoforme" è un termine relativamente nuovo per ciò che molti chiamano disturbo psicosomatico. Nei disturbi somatoformi, né i sintomi fisici né la loro gravità e durata possono essere spiegati da una condizione fisica soggiacente. I disturbi somatoformi comprendono il disturbo di somatizzazione, il disturbo somatoforme indifferenziato, il disturbo di conversione, l’ipocondria, il disturbo algico, il disturbo da dismorfismo corporeo e il disturbo somatoforme non altrimenti specificato.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 186. DISTURBI SOMATOFORMI DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE Disturbo psichiatrico cronico e grave caratterizzato da numerosi fastidi fisici ricorrenti, clinicamente significativi (tra cui il dolore e sintomi gastrointestinali, sessuali e neurologici), che non possono essere spiegati pienamente da un disturbo fisico.

Sommario: Introduzione Sintomi Diagnosi Prognosi e terapia

Il disturbo è spesso familiare e l’eziologia è sconosciuta. Avere una personalità narcisistica (cioè con marcata dipendenza e intolleranza alla frustrazione) contribuisce ai fastidi fisici, che sembrano rappresentare una richiesta inconscia e somatizzata di attenzione e cura. Il disturbo si manifesta prevalentemente nel sesso femminile. I familiari maschi delle donne con questo disturbo tendono ad avere un’incidenza elevata di personalità antisociale e di disturbi correlati ad uso di sostanze.

Sintomi I sintomi esordiscono nell’adolescenza o nella prima età adulta con numerosi e vaghi fastidi fisici. Può esserne colpita qualsiasi parte del corpo; i sintomi specifici e la loro frequenza sono variabili tra le diverse culture. Negli USA, i sintomi tipici comprendono cefalee, nausea e vomito, gonfiore, dolore addominale, diarrea o stipsi, dismenorrea, stanchezza, mancamenti, dispareunia, perdita del desiderio sessuale e disuria. Gli uomini spesso lamentano disfunzioni erettili o eiaculatorie. È comune una grande varietà di sintomi neurologici. Sebbene i sintomi siano in primo luogo fisici, si manifestano anche ansia e depressione. Tipicamente, i pazienti hanno un atteggiamento teatrale ed emotivo quando raccontano i propri sintomi, definendoli spesso come "intollerabili", "indescrivibili", oppure "inimmaginabili". I pazienti diventano estremamente dipendenti nei rapporti personali. Chiedono sempre maggiore aiuto e supporto emotivo e possono infuriarsi quando sentono che i propri bisogni non vengono soddisfatti. Spesso vengono descritti come esibizionisti e seduttivi. Nel tentativo di manipolare gli altri, possono minacciare o tentare il suicidio. Essendo spesso insoddisfatti delle cure mediche che ricevono, passano da un medico all’altro. L’intensità e la persistenza dei sintomi riflettono il forte desiderio del paziente di essere assistito in ogni aspetto della vita. I sintomi possono aiutare il paziente a evitare le responsabilità della vita adulta, ma possono anche impedirne i piaceri e fungere da punizione, il che suggerisce la presenza di sentimenti soggiacenti di indegnità e di colpa.

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Disturbi somatoformi

Diagnosi I pazienti non hanno la consapevolezza che il proprio problema di base è psicologico e quindi fanno pressione sui medici per ottenere indagini cliniche e terapie. I medici di solito eseguono numerosi esami obiettivi e analisi cliniche, per stabilire se il paziente abbia o meno disturbi fisici che possano spiegare adeguatamente i sintomi. Poiché anche questi pazienti possono sviluppare dei disturbi fisici concomitanti, se i sintomi cambiano significativamente vanno eseguiti l’esame obiettivo e gli esami di laboratorio del caso. Gli invii a consulenze specialistiche sono frequenti, anche se il paziente ha instaurato una relazione ragionevolmente soddisfacente con un solo medico. I criteri diagnostici specifici comprendono l’esordio dei fastidi fisici prima dei 30 anni, un’anamnesi di dolore a carico di almeno quattro diversi distretti corporei, due o più sintomi gastrointestinali, almeno un sintomo a carico della funzione sessuale o riproduttiva e almeno un sintomo neurologico (escluso il dolore). La diagnosi é suffragata dalla natura teatrale dei disturbi e dal comportamento esibizionistico, dipendente, manipolativo e a volte suicida del paziente. I disturbi di personalità, in particolare l’istrionico, il borderline e l’antisociale (v. Cap. 191), sono spesso associati al disturbo di somatizzazione. Se i pazienti con problemi somatoformi persistenti e ricorrenti non soddisfano pienamente i precedenti criteri diagnostici specifici, la loro condizione viene definita disturbo somatoforme indifferenziato. Il disturbo di somatizzazione si distingue dal disturbo d’ansia generalizzata, dal disturbo di conversione e dalla depressione maggiore per la predominanza, la molteplicità e la persistenza dei fastidi fisici; per l’assenza dei segni e sintomi biologici che caratterizzano la depressione endogena; per la natura superficiale e manipolativa del comportamento suicida.

Prognosi e terapia Il disturbo di somatizzazione ha un decorso di gravità variabile, ma dura tutta la vita. La remissione completa e durevole dei sintomi è rara. Alcuni soggetti si deprimono in maniera più manifesta dopo molti anni e i loro riferimenti al suicidio (un rischio reale) divengono più minacciosi. Il trattamento è estremamente difficile. I pazienti tendono a manifestare frustrazione e rabbia ogni qualvolta si suggerisca loro che i sintomi sono di tipo psicologico. I farmaci sono per lo più inefficaci e anche se un paziente accetta una consulenza psichiatrica, raramente trae benefici da una psicoterapia. Di solito, il miglior trattamento è una tranquilla e sicura relazione di sostegno con un medico, che offra sollievo sintomatologico e protegga il paziente da procedure diagnostiche o terapeutiche non necessarie.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 186. DISTURBI SOMATOFORMI DISTURBO DI CONVERSIONE Sintomi fisici causati da un conflitto psichico, convertiti inconsciamente in sintomi simili a quelli di un disturbo neurologico.

Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Terapia

Il disturbo di conversione tende a insorgere nell’adolescenza o nella prima età adulta ma può manifestarsi a qualsiasi età. Sembra abbastanza più comune nel sesso femminile. Sintomi isolati di conversione che non soddisfano pienamente i criteri per il disturbo di conversione o per un disturbo di somatizzazione sono di riscontro comune nella pratica clinica non psichiatrica (v. Sintomi fisici che riflettono stati psichici, nel Cap. 185).

Sintomi e diagnosi Per definizione, i sintomi si manifestano in maniera inconscia e sono limitati a quelli che suggeriscono un disturbo neurologico (di solito, compromissione della coordinazione o dell’equilibrio, debolezza, oppure paralisi di un braccio o di una gamba, o ancora perdita della sensibilità in un parte del corpo). Gli altri sintomi comprendono le pseudoconvulsioni; la perdita di uno dei sensi specifici, come la vista (cecità, visione doppia) o l’udito (sordità); l’afonia; le difficoltà nella deglutizione; la sensazione di groppo in gola; e infine la ritenzione urinaria. Generalmente, l’esordio dei sintomi è collegato a eventi stressanti di tipo sociale o psicologico. Il sintomo deve essere clinicamente significativo; cioè, deve creare abbastanza sofferenza da disturbare il funzionamento del paziente nell’area sociale, in quella lavorativa o in un’altra area importante. Un paziente può avere un episodio singolo o episodi sporadici; di solito, gli episodi sono brevi. Quando vengono ricoverati, i pazienti con sintomi di conversione in genere migliorano entro 2 sett.; tuttavia, dal 20 al 25% recidiva entro un anno e in alcuni i sintomi si cronicizzano. La diagnosi può essere inizialmente difficile, perché il paziente ritiene che i sintomi derivino da un disturbo fisico. Inoltre, ai medici viene insegnato quasi esclusivamente a considerare (ed escludere) disturbi fisici come causa di sintomi fisici. Di solito, la diagnosi viene presa in considerazione solo dopo che approfonditi esami fisici e analisi di laboratorio non riescono a rivelare un disturbo che possa spiegare pienamente il sintomo e i suoi effetti. Sebbene l’esclusione di un possibile disturbo fisico soggiacente sia di importanza cruciale, prendere subito in considerazione la conversione può evitare l’esecuzione di analisi che aumentano i costi e i rischi per il paziente e che possono ritardare eccessivamente la diagnosi. Il miglior indizio è che i sintomi di conversione di rado si conformano pienamente ai meccanismi anatomici e fisiologici noti.

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Disturbi somatoformi

Terapia Una relazione di fiducia tra medico e paziente è essenziale. Allorché il medico abbia escluso un disturbo fisico e abbia rassicurato il paziente che i sintomi non indicano un grave disturbo soggiacente, il paziente di solito inizia a star meglio e i sintomi si attenuano. Se l’esordio dei sintomi è stato preceduto da una situazione psicologicamente stressante, la psicoterapia può essere efficace. Sono stati sperimentati svariati trattamenti, ma nessuno è uniformemente efficace. Nell’ipnoterapia il paziente viene ipnotizzato e vengono identificate ed esplorate le tematiche psicologiche con potenziale valore eziologico. Il colloquio continua dopo l’ipnosi, quando il paziente è completamente vigile. La narcoanalisi è simile all’ipnosi, tranne per il fatto che al paziente viene somministrato un sedativo per indurre uno stato di semi-sonno. La terapia comportamentale, ivi incluso l’addestramento al rilassamento, è efficace in alcuni pazienti.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 186. DISTURBI SOMATOFORMI IPOCONDRIA Preoccupazione per le funzioni corporee e paura di contrarre o di avere una malattia grave, basata sull’erronea intepretazione di sintomi fisici.

Sommario: Sintomi e diagnosi Prognosi e terapia

Sintomi e diagnosi Tra i sintomi fisici che possono essere intepretati erroneamente vi sono i borborigmi, il gonfiore e i dolori crampiformi addominali, la percezione dell’attività cardiaca e la sudorazione. La localizzazione, la qualità e la durata di tali sintomi sono spesso descritte nei minimi dettagli, ma i sintomi di solito non seguono uno schema riconoscibile di disfunzione organica e in genere non sono associati a reperti somatici anormali. La visita e la rassicurazione del medico non alleviano le preoccupazioni del paziente, che tende a credere che il medico non sia riuscito a trovare la vera causa. I sintomi influenzano negativamente il funzionamento sociale e lavorativo e causano una sofferenza significativa. La diagnosi è suggerita dall’anamnesi e dalla visita ed è confermata se i sintomi persistono per ≥6 mesi e non possono essere attribuiti a una depressione o a un altro disturbo psichiatrico.

Prognosi e terapia Il decorso è cronico, fluttuante in alcuni casi, stabile in altri. Circa il 5% dei pazienti guarisce completamente. L’associazione di depressione e lamentele ipocondriache comporta una prognosi sfavorevole. Il trattamento è difficile perché il paziente è convinto che in esso vi sia qualcosa di gravemente sbagliato. Tuttavia, è utile una relazione di fiducia con un medico curante, specialmente se le visite regolari in ambulatorio infondono rassicurazione. Se i sintomi non vengono sufficientemente alleviati, il paziente può trarre beneficio da un invio psichiatrico per una valutazione e un trattamento ulteriori, pur restando in cura presso il medico di base.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 186. DISTURBI SOMATOFORMI DISTURBO ALGICO (Dolore psicogeno) Disturbo in cui un dolore in una o più sedi anatomiche è causato esclusivamente o principalmente da fattori psichici, è il principale fulcro di attenzione del paziente e causa una sofferenza e delle disfunzioni significative.

Sommario: Introduzione Sintomi segni e diagnosi Terapia

Il disturbo algico è relativamente comune. L’incidenza esatta è sconosciuta, ma negli USA il mal di schiena psicogeno da solo causa alcuni tipi di invalidità lavorativa, in una percentuale stimata dal 10 al 15% della popolazione adulta ogni anno.

Sintomi segni e diagnosi Il dolore associato a fattori psicologici è comune in numerose condizioni psichiatriche, specialmente i disturbi d’ansia e dell’umore, ma nel disturbo algico il dolore è il disturbo principale. Ogni parte del corpo può essere interessata, ma la schiena, la testa, l’addome e il collo sono probabilmente le più comuni. Il dolore può essere acuto o cronico (> 6 mesi). Vi può essere un disturbo fisico di base che spiega il dolore, ma non la sua gravità e durata, né il grado dell’invalidità che ne risulta. Quando è presente un disturbo di questo tipo, si pone diagnosi di disturbo algico associato sia a fattori psicologici che a una condizione fisica. Quando il disturbo fisico è assente, va posta diagnosi di disturbo algico associato a fattori psicologici. La diagnosi, in genere, viene posta per esclusione di un disturbo fisico che spiegherebbe adeguatamente il dolore. Il riscontro di agenti stressanti psicosociali può aiutare a spiegare il disturbo. Come per i sintomi di conversione (v. Sintomi fisici che riflettono stati psichici, nel Cap. 185), la diagnosi a volte è suffragata dal riscontro di un senso metaforico nel sintomo; p. es., il paziente con mal di schiena associa il dolore all’essere stato "pugnalato alla schiena" o al "portare un fardello insopportabile".

Terapia Una valutazione clinica accurata da parte di un medico che abbia una buona relazione con il paziente, seguita da una valida rassicurazione, può essere sufficiente. A volte, è efficace evidenziare in maniera empatica il rapporto con un evidente agente stressante psicosociale. Tuttavia, molti pazienti vanno incontro a problemi cronici il cui trattamento è molto problematico. I pazienti sono simili a file:///F|/sito/merck/sez15/1861623b.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.46

Disturbi somatoformi

quelli con disturbo di conversione (v. sopra). Essi sono riluttanti ad associare il proprio problema agli agenti stressanti psicosociali e rifiutano qualsiasi forma di psicoterapia. Tendono inoltre a richiedere una relazione di dipendenza, che di solito comporta un’invalidità a lungo termine e il bisogno di una cura continuativa. Si fanno visitare da molti medici con il manifesto desiderio di trovare un cura, ma richiedono un trattamento fisico per un disturbo che non é fisico. Rivalutazioni accurate e regolari da parte di un medico motivato, dotato di empatia, che si mantenga attento alla possibilità che si sviluppi un disturbo fisico significativo pur proteggendo il paziente da procedure non necessarie e potenzialmente costose o pericolose, offrono la migliore speranza di una palliazione a lungo termine.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 186. DISTURBI SOMATOFORMI DISTURBO DA DISMORFISMO CORPOREO Preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico, che causa una sofferenza significativa o interferisce con il funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Sommario: Introduzione Sintomi Diagnosi e terapia

Il paziente può immaginarsi il difetto oppure preoccuparsi esageratamente per un difetto lieve. Il disturbo di solito esordisce nell’adolescenza e sembra avere la stessa incidenza nei due sessi.

Sintomi I sintomi possono svilupparsi in modo graduale o acuto. Sebbene l’intensità dei sintomi possa variare, il decorso è caratterizzato dalla scarsità di intervalli asintomatici. Le preoccupazioni di solito interessano il volto o la testa, ma possono interessare ogni parte del corpo o più parti di esso e possono spostarsi da una parte all’altra. Il paziente può essere turbato da una perdita di capelli, da acne, rughe, cicatrici, macchie vascolari, dal colorito corporeo o da una peluria facciale eccessiva; oppure, può focalizzare la propria attenzione sulla forma o le dimensioni di una parte del corpo, come il naso, gli occhi, le orecchie, la bocca, il seno o infine i glutei. Le lamentele fisiche spesso sono specifiche ma possono anche essere vaghe. Alcuni giovani con un fisico atletico pensano di essere gracili e cercano ossessivamente di aumentare di peso e di muscolatura. La maggior parte dei pazienti controlla con difficoltà la propria preoccupazione e può trascorrere ore intere a pensare al proprio difetto percepito. Alcuni pazienti si controllano spesso allo specchio, altri evitano gli specchi e altri ancora alternano i due comportamenti. Alcuni cercano di mascherare il proprio difetto immaginario (p. es., facendosi crescere la barba per nascondere delle cicatrici, oppure portando un cappello per coprire il diradamento dei capelli). Per correggere il proprio difetto molti intraprendono trattamenti medici, odontoiatrici o chirurgici, il che può intensificare la loro preoccupazione. Poiché i pazienti si sentono in imbarazzo, possono evitare di presentarsi in pubblico, anche per andare al lavoro e partecipare ad attività sociali. Alcuni escono di casa soltanto la notte; altri non escono per niente. Questo comportamento può causare isolamento sociale. La sofferenza e la disfunzionalità associate al disturbo possono portare a ricoveri ripetuti e a comportamento suicida.

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Disturbi somatoformi

Diagnosi e terapia Dato che i soggetti affetti da questo disturbo sono riluttanti a rivelarne i sintomi, esso può passare inosservato per anni. È distinguibile dalle normali preoccupazioni per l’aspetto fisico perché fa perdere tempo, causa una sofferenza significativa e compromette il funzionamento. Si pone diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo solo quando le preoccupazioni non sono meglio spiegate da un altro disturbo psichiatrico. Se l’unica preoccupazione è la forma e il peso corporeo, è probabile un’anoressia nervosa; se l’unica preoccupazione riguarda le caratteristiche sessuali, può essere preso in considerazione un disturbo dell’identità di genere. Rimuginazioni sull’aspetto fisico congrue all’umore si verificano soltanto nel corso di un episodio depressivo maggiore. I dati sugli esiti dei trattamenti sono molto limitati. Alcune evidenze preliminari indicano che possono essere di giovamento gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, come la clomipramina e la fluoxetina.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e diagnosi

Tutti gli uomini provano paura e ansia. La paura è una risposta emozionale, fisiologica e comportamentale alla percezione di una minaccia esterna (p. es., un intruso, un’automobile che sfugge al controllo). L’ansia è uno stato emotivo spiacevole; le sue cause sono meno chiare. L’ansia è spesso accompagnata da alterazioni fisiologiche e da comportamenti simili a quelli causati dalla paura. L’ansia adattativa aiuta le persone a prepararsi, allenarsi e provare, così da migliorare il proprio funzionamento aiutandole ad essere adeguatamente prudenti in situazioni potenzialmente pericolose. L’ansia disadattativa causa sofferenza e disfunzionalità. La curva di Yerkes-Dodson (v. Fig. 187-1) mostra la relazione tra lo stato emozionale di allarme (ansia) e la prestazione. Con l’aumento dell’ansia l’efficienza della prestazione aumenta proporzionalmente, ma soltanto fino a un livello ottimale oltre il quale l’efficienza prestazionale diminuisce, con ulteriore aumento dell’ansia. I disturbi d’ansia sono più comuni di ogni altro tipo di disturbo psichiatrico. Tuttavia, spesso non vengono riconosciuti e di conseguenza non vengono curati.

Eziologia Le cause dei disturbi d’ansia non sono completamente note, ma sono implicati fattori fisiologici e psicologici. Dal punto di vista fisiologico, tutti i pensieri e i sentimenti possono essere concepiti come risultanti da processi elettrochimici cerebrali; tuttavia ciò dice poco sulle complesse interazioni tra i più di 200 neurotrasmettitori e neuromodulatori del cervello, nonché sull’ansia e sullo stato di allarme normale e patologico. Dal punto di vista psicologico, l’ansia è considerata una risposta ad agenti stressanti ambientali, come l’interruzione di una relazione significativa o l’esposizione a un disastro potenzialmente letale. Il sistema d’ansia di una persona di solito compie passaggi adeguati e impercettibili dal sonno, attraverso lo stato di allarme, sino all’ansia e alla paura. I disturbi d’ansia si manifestano quando il sistema d’ansia funziona in modo inadeguato oppure, a volte, quando è sopraffatto dagli eventi. I disturbi d’ansia possono essere dovuti a un disturbo fisico oppure all’uso di una sostanza legale o illecita (v. oltre). Per esempio, l’ipertiroidismo oppure l’uso di corticosteroidi o cocaina possono produrre segni e sintomi identici a quelli di alcuni disturbi d’ansia primari.

Sintomi e diagnosi

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Disturbi d'ansia

L’ansia può presentarsi all’improvviso, come nel panico, oppure gradualmente nel corso di molti minuti, ore o anche giorni. Può durare da pochi secondi a interi anni; spesso i disturbi d’ansia sono caratterizzati da una durata maggiore. L’intensità dell’ansia varia da malesseri a malapena avvertibili al panico totale, la sua forma più estrema. La passione di una persona può essere la fonte d’ansia di un’altra (p. es., alcune sono rallegrati dal parlare in pubblico, mentre altre lo temono) e la capacità di sopportare l’ansia varia da persona a persona. I disturbi d’ansia possono essere talmente gravi e dirompenti da provocare depressione. In altri casi, il disturbo d’ansia e la depressione possono coesistere, oppure la depressione può insorgere per prima e i segni e sintomi di un disturbo d’ansia possono manifestarsi successivamente. Stabilire se l’ansia sia talmente grave da configurarsi come disturbo è una decisione che dipende da numerose variabili e i medici divergono nel porre la diagnosi. Se l’ansia causa molta sofferenza, interferisce con il funzionamento e non cessa spontaneamente entro pochi giorni, è presente un disturbo d’ansia che merita una terapia. La diagnosi di uno specifico disturbo d’ansia si basa in larga parte sui suoi segni e sintomi caratteristici. Un’anamnesi familiare di disturbi d’ansia (eccetto il disturbo post-traumatico da stress) è d’aiuto, poiché molti pazienti sembrano ereditare una predisposizione agli stessi disturbi d’ansia da cui sono affetti i propri familiari, così come una vulnerabilità generale ad altri disturbi d’ansia. I disturbi d’ansia vanno distinti dall’ansia che si manifesta in molti altri disturbi psichiatrici, poiché essi rispondono a trattamenti specifici differenti.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA ATTACCHI DI PANICO E DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Gli attacchi di panico sono frequenti, dato che colpiscono ogni anno più di un terzo della popolazione. La maggior parte della persone guarisce senza terapia; una minoranza sviluppa un disturbo da attacchi di panico. Questo disturbo è raro, poiché colpisce meno dell’1% della popolazione secondo stime di prevalenza a 6 mesi. Di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta e ha un’incidenza da due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

Sintomi, segni e diagnosi L’attacco di panico comporta l’insorgenza improvvisa di almeno 4 dei 13 sintomi elencati nella Tab. 187-1. I sintomi devono raggiungere il culmine in 10 minuti e di solito scompaiono nell’arco di alcuni minuti, lasciando scarsi elementi all’osservazione del medico, tranne la paura del soggetto di avere un altro terrificante attacco di panico. Sebbene spiacevoli (a volte in grado estremo), gli attacchi di panico non sono pericolosi. Possono manifestarsi in qualsiasi disturbo d’ansia, di solito in situazioni collegate alle caratteristiche centrali del disturbo (p. es., una persona con la fobia dei serpenti può andare in panico alla vista di un serpente). Una caratteristica distintiva del disturbo da attacchi di panico è che alcuni degli attacchi sono inaspettati o spontanei, almeno all’inizio. I soggetti con disturbo da attacchi di panico spesso si aspettano e hanno paura di avere un altro attacco (ansia anticipatoria) ed evitano i posti dove hanno avuto in precedenza il panico (agorafobia, v. oltre). Spesso temono di avere un pericoloso disturbo cardiaco, polmonare o cerebrale e si rivolgono al proprio medico di famiglia, allo specialista o al pronto soccorso per cercare aiuto. Tuttavia, in queste strutture spesso non viene posta la diagnosi corretta. Alcuni soggetti con attacchi di panico ricorrenti, ansia anticipatoria ed evitamento guariscono senza trattamento, particolarmente se continuano a esporsi alle situazioni in cui si sono verificati gli attacchi di panico. Per altri, specialmente senza trattamento, il disturbo da attacchi di panico segue un decorso cronico oscillante.

Terapia Ai pazienti va detto che il disturbo deriva da una disfunzione che è al tempo stesso biologica e psicologica, e che la terapia farmacologica e quella comportamentale di solito aiutano a controllare i sintomi. Oltre alle informazioni file:///F|/sito/merck/sez15/1871626.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.48

Disturbi d'ansia

circa il disturbo e il relativo trattamento, il medico può fornire una realistica speranza di miglioramento e un sostegno basato su un rapporto di fiducia con il paziente. La psicoterapia di sostegno è parte integrante del trattamento di tutti i disturbi d’ansia. La terapia individuale, di gruppo e familiare può aiutare a risolvere i problemi associati a un disturbo di lunga data. I farmaci, come gli antidepressivi e le benzodiazepine, possono prevenire o ridurre grandemente l’ansia anticipatoria, l’evitamento fobico e la frequenza e intensità degli attacchi di panico. Numerose classi di antidepressivi (i triciclici, gli inibitori delle monoaminossidasi e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) sono efficaci. Gli antidepressivi più recenti, come la mirtazapina, il nefazodone e la venlafaxina, fanno ben sperare per il trattamento del disturbo da attacchi di panico. Le benzodiazepine (v. Tab. 187-2) hanno un effetto più rapido degli antidepressivi ma hanno maggiore probabilità di indurre dipendenza fisica ed effetti collaterali, come sonnolenza, atassia e problemi di memoria. Il trattamento farmacologico deve essere a lungo termine, perché quando i farmaci vengono sospesi, spesso gli attacchi di panico recidivano. La terapia di esposizione, un tipo di terapia comportamentale in cui il paziente viene messo a confronto con ciò di cui ha paura, spesso aiuta a ridurre tale paura. Per esempio, ai pazienti che hanno paura di svenire viene chiesto di roteare su una sedia o di iperventilare fino a sentirsi svenire, per apprendere così che non perderanno i sensi quando avranno questo sintomo nel corso di un attacco di panico. Una respirazione lenta e superficiale (controllo respiratorio) aiuta a padroneggiare l’iperventilazione. Anche la psicoterapia cognitiva, in cui vengono trattati i pensieri distorti e le convinzioni erronee, può essere efficace.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 187-1. Sintomi dell’attacco di panico Dolore o fastidio al petto

Vampate o brividi

Sensazione di soffocamento

Nausea o disturbi addominali

Sensazioni di sbandamento, di instabilità, di sveni mento

Sensazioni di torpore o di formicolio

Paura di morire

Palpitazioni o tachicardia

Paura di impazzire o di perdere il controllo

Respiro corto o sensazione di asfissia

Sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall’ambiente

Sudorazione Tremori fini o a grandi scosse

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 187-2. BENZODIAZEPINE PER L’ANSIA

Farmaco Alprazolam

Dose iniziale ordinaria (mg)* 0,25-0,5tid

Clordiazepossido 5-25tid

Emivita, metaboliti compresi (h)† 6-27 24-48

Clonazepam

0,51volta/die o bid

18-50

Clorazepato

15-30 1volta/die

40-100

Diazepam

2-5tid

20-100

Lorazepam

0,5-1bid o tid

10-20

Oxazepam

10-15tid

6-11

*Le dosi sono approssimative e possono necessitare di correzioni a causa di fattori quali età, malattie associate, ed altri farmaci †Le emivite sono molto variabili da paziente a paziente e da studio a studio e, per i farmaci a lunga durata, aumentano nell’anziano

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA DISTURBI FOBICI Disturbi comportanti un’ansia persistente, irrealistica eppure intensa, collegata a situazioni o stimoli esterni, a differenza dell’ansia liberamente fluttuante del disturbo da attacchi di panico.

Sommario: Introduzione AGORAFOBIA Sintomi e segni Prognosi e terapia FOBIE SPECIFICHE Sintomi e segni Terapia FOBIA SOCIALE Sintomi e segni Terapia

I soggetti con una fobia evitano tali situazioni o stimoli, oppure li sopportano solo con grande disagio. Tuttavia conservano l’autoconsapevolezza e riconoscono il carattere eccessivo della propria ansia.

AGORAFOBIA L’agorafobia è più frequente del disturbo da attacchi di panico. Colpisce il 3,8% delle donne e l’1,8% degli uomini secondo stime di prevalenza a 6 mesi. Il picco di esordio è intorno ai primi 20 anni; la comparsa dopo i 40 anni è rara.

Sintomi e segni "Agorafobia", alla lettera, significa paura della piazza (agorà) o degli spazi aperti. Più specificamente l’agorafobia comporta un’ansia anticipatoria verso le situazioni in cui una persona può essere intrappolata senza una via d’uscita in caso di insorgenza dell’ansia, e il desiderio di evitare tali situazioni. Per le persone con agorafobia, quindi, risulta difficile fare la fila in banca o alle casse dei supermercati, sedere in mezzo a una lunga fila di posti a teatro o a scuola e usare i trasporti pubblici come l’autobus o l’aereo. Alcuni soggetti sviluppano l’agorafobia in seguito a un attacco di panico verificatosi in una tipica situazione agorafobica. Altri si sentono semplicemente a disagio in tale situazione, nella quale possono non manifestare mai attacchi di panico, o averli solo successivamente. L’agorafobia interferisce spesso con il funzionamento e se è abbastanza grave si può arrivare a restare confinati in casa.

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Disturbi d'ansia

Prognosi e terapia Se non viene trattata, l’agorafobia di solito ha un decorso di gravità fluttuante e può scomparire senza un trattamento vero e proprio, probabilmente perché alcuni soggetti affetti dal disturbo mettono in atto la propria personale forma di terapia comportamentale. Se l’agorafobia interferisce con il funzionamento, il trattamento di solito può alleviare in maniera sostanziale la sofferenza e la disfunzionalità. Dato che la fobia comporta l’evitamento, il trattamento di scelta è la terapia di esposizione, un tipo di terapia comportamentale. Con la guida e il sostegno di un medico, i pazienti affrontano ciò che temono ed evitano; vi si confrontano e vi restano in contatto, finché l’ansia non viene gradualmente ridotta, attraverso un meccanismo chiamato "adattamento progressivo". La terapia di esposizione giova a più del 90% di coloro che la intraprendono con motivazione. I pazienti con una depressione marcata possono aver bisogno di un antidepressivo. Le sostanze con azione inibitoria sul SNC, come l’alcol o le benzodiazepine ad alti dosaggi, possono interferire con la terapia comportamentale; vanno quindi scalate gradualmente e a volte sospese, prima che tale terapia possa avere efficacia. Per i soggetti che hanno anche un disturbo da attacchi di panico grave, gli antidepressivi sono probabilmente da preferire alle benzodiazepine, poiché hanno minori probabilità di interferire con la terapia comportamentale. FOBIE SPECIFICHE Ansia clinicamente significativa indotta dall’esposizione a una situazione o un oggetto specifici, che spesso causa evitamento. Le fobie specifiche sono i più frequenti disturbi d’ansia ma spesso sono meno importanti degli altri. Ne é affetto il 7% delle donne e il 4,3% degli uomini secondo stime di prevalenza a 6 mesi.

Sintomi e segni Alcune fobie specifiche causano inconvenienti lievi (p. es., la paura dei serpenti in una persona che abita in città, fino a che non viene invitata a un’escursione in un’area dove vivono serpenti). Tuttavia, alcune fobie interferiscono gravemente con il funzionamento (p. es., la paura dei luoghi chiusi come gli ascensori, in un soggetto che deve lavorare al piano più alto di un grattacielo). Alcune fobie specifiche (p. es., degli animali, del buio, o degli estranei) insorgono nell’infanzia e molte scompaiono successivamente senza trattamento. Altre (p. es., la fobia dei temporali, dell’acqua, dell’altezza, del volo, o dei posti chiusi) si manifestano tipicamente in età successiva. La fobia del sangue, delle iniezioni o delle ferite si manifesta in grado variabile in almeno il 5% della popolazione. I soggetti con questa fobia, a differenza di quelli con altre fobie o disturbi d’ansia, possono svenire davvero, perché un riflesso vasovagale eccessivo produce bradicardia e ipotensione ortostatica. Molte persone con disturbi d’ansia iperventilano e si sentono svenire a causa di alterazioni dei livelli di gas ematici, ma non svengono praticamente mai.

Terapia Poiché la situazione che scatena l’ansia è ben determinata, l’evitamento della situazione spesso è sufficiente. Quando è indicato un trattamento, la terapia di

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Disturbi d'ansia

esposizione è il trattamento di elezione. L’esposizione graduale all’agente ansiogeno è di giovamento a quasi tutti quelli che la intraprendono. La presenza di un terapeuta non è necessaria, ma può aiutare ad avere la garanzia che il trattamento venga svolto correttamente. Anche le persone con la fobia del sangue, delle iniezioni o delle ferite rispondono bene all’esposizione graduale. Per esempio, si accosta un ago alla vena di un soggetto che sviene durante i prelievi ematici, per poi allontanarlo quando la sua frequenza cardiaca si abbassa. La procedura viene eseguita dapprima con il paziente sdraiato, per prevenire una sincope da bradicardia marcata. Ripetendo questo procedimento, il riflesso vasovagale eccessivo torna alla normalità e al soggetto può essere prelevato il sangue senza che svenga, anche da seduto o in piedi. I farmaci non sembrano giovare al superamento delle fobie semplici, ma le benzodiazepine, caratterizzate da un effetto ansiolitico, possono essere utili nella gestione a breve termine di alcune fobie, come la fobia del volo, quando il soggetto non vuole intraprendere una terapia comportamentale o deve viaggiare a breve scadenza.

FOBIA SOCIALE Ansia clinicamente significativa indotta dall’esposizione ad alcune situazioni sociali o prestazionali, che spesso causa evitamento. L’uomo è un animale sociale e la sua capacità di relazionarsi adeguatamente nelle situazioni sociali influenza molti aspetti importanti della sua vita, come la famiglia, la scuola, il lavoro, il tempo libero, gli incontri amorosi e la scelta di coppia. Le fobie sociali colpiscono l’1,7% delle donne e l’1,3% degli uomini secondo stime di prevalenza a 6 mesi. Tuttavia, studi epidemiologici più recenti suggeriscono una prevalenza sostanzialmente maggiore nel corso della vita, di circa il 13%. Gli uomini hanno maggiori probabilità delle donne di essere affetti dalla forma più grave di ansia sociale, ovvero il disturbo di evitamento di personalità (v. Cap. 191).

Sintomi e segni Un certo grado di ansia nelle situazioni sociali è normale, ma i soggetti con fobia sociale sono così ansiosi che evitano le situazioni sociali in cui la fobia si manifesta, oppure le sopportano con grande disagio. Quasi sempre sono consapevoli della propria ansia rispetto all’imbarazzo o all’umiliazione, evidenti nel momento in cui l’interazione o la prestazione sociale non soddisfi le loro aspettative. Alcune fobie sociali sono specifiche, e causano ansia solo quando la persona deve svolgere un’attività in pubblico. La stessa attività, se svolta da soli, non produce ansia. Le situazioni in cui la fobia sociale è comune comprendono: parlare in pubblico, recitare in una rappresentazione teatrale, suonare uno strumento musicale. Anche mangiare in compagnia, firmare come testimoni o usare i bagni pubblici possono essere considerate come prestazioni pubbliche. I soggetti con fobia sociale hanno paura che la propria prestazione sembri eccessiva o inadeguata. Spesso tale preoccupazione coincide con la paura che l’ansia diventi visibile sotto forma di sudorazione, rossore, vomito o tremori (a volte sotto forma di voce tremula), oppure che si possa perdere il filo dei propri pensieri o non essere in grado di trovare le giuste parole per esprimersi. Il tipo più generalizzato di fobia sociale produce ansia in molte situazioni sociali. Alcune persone sono timide per natura e la loro timidezza infantile diviene più tardi fobia sociale. Altri sperimentano per la prima volta un’ansia sociale significativa intorno al periodo della pubertà. Una volta manifestatasi, la fobia

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Disturbi d'ansia

sociale senza trattamento spesso si cronicizza e molte persone evitano del tutto le attività sociali desiderate.

Terapia La terapia di esposizione è efficace, ma organizzare un’esposizione di durata sufficiente a permettere l’adattamento progressivo può essere difficile. Per esempio, se il principale fattore scatenante dell’ansia sociale per un soggetto è parlare al cospetto del suo supervisore, egli può avere difficoltà a predisporre con quel supervisore un numero di sessioni sufficiente a permettere l’adattamento progressivo (ognuna di durata superiore a 1 h). Situazioni sostitutive come l’iscrizione ai "Toastmaster" (un’organizzazione in cui le persone possono esercitarsi a parlare in pubblico) oppure la lettura di un libro ai degenti di una casa di cura, possono a volte ridurre l’ansia nel colloquio con il supervisore. Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (p. es., la sertralina), gli inibitori delle monoaminossidasi (p. es., la fenelzina) e le benzodiazepine (il clonazepam è quello maggiormente studiato) sono efficaci. Molte persone usano l’alcol come lubrificante sociale e una minoranza di essi ne diviene così dipendente che l’abuso e la dipendenza da questa sostanza si fanno problematici.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO Disturbo caratterizzato da idee, immagini o impulsi ricorrenti, involontari e intrusivi che appaiono stupidi, strani, cattivi od orribili (ossessioni), nonché dall’impulso di fare qualcosa che riduca la sofferenza causata dalle ossessioni (compulsioni)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Il disturbo ossessivo-compulsivo si manifesta quasi nella stessa misura nel sesso maschile e in quello femminile e colpisce l’1,6% della popolazione secondo stime di prevalenza a 6 mesi.

Sintomi e segni Il tema ossessivo dominante è il male, il rischio o il pericolo e le ossessioni più comuni sono la contaminazione, il dubbio, la perdita e l’aggressività. Tipicamente, i soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo si sentono spinti a eseguire comportamenti intenzionali ripetitivi e afinalistici, chiamati rituali, per controbilanciare le proprie ossessioni: i lavaggi controbilanciano la contaminazione; i controlli, il dubbio; l’accumulo, la perdita. Essi possono evitare le persone contro cui temono di potersi comportare in maniera aggressiva. Possono sviluppare ossessioni per qualsiasi cosa e i rituali possono non essere connessi in modo logico al disagio ossessivo che alleviano. Per esempio, il disagio può svanire spontaneamente quando una persona che ha preoccupazioni di contaminazione si mette le mani in tasca. Successivamente, egli metterà ripetutamente le mani in tasca ogni volta che insorgono ossessioni di contaminazione. La maggior parte dei rituali, come il lavaggio delle mani o il controllo delle serrature, è osservabile, ma alcuni, come i conteggi ripetuti o le frasi bisbigliate dirette a ridurre il pericolo, non lo sono. La maggior parte dei soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo è consapevole che le proprie ossessioni non riflettono rischi reali, e che i comportamenti reali e immaginari che mette in atto per alleviare le proprie preoccupazioni sono irrealistici ed eccessivi sino alla bizzarria. La conservazione della consapevolezza, sebbene a volte scarsa, differenzia il disturbo ossessivocompulsivo dai disturbi psicotici, in cui il contatto con la realtà viene perso. Poiché le persone con questo disturbo provano imbarazzo o subiscono una stigmatizzazione, spesso nascondono le proprie ossessioni e rituali, sui quali possono trascorrere numerose ore al giorno. La depressione è una caratteristica secondaria frequente, presente in circa 1/3 dei pazienti al momento della diagnosi e in 2/3 in un dato momento della vita.

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Disturbi d'ansia

Terapia La terapia di esposizione è efficace; il suo elemento essenziale è l’esposizione a situazioni o persone che scatenano le ossessioni, i rituali, o il disagio. Dopo l’esposizione, i rituali vengono ritardati o impediti, consentendo all’ansia scatenata dall’esposizione di diminuire attraverso l’adattamento progressivo. Il paziente apprende così che i rituali non sono necessari a diminuire il disagio. Il miglioramento di solito persiste per anni, probabilmente perché i pazienti che hanno imparato a gestire questo approccio di auto-aiuto continuano a usarlo senza molto sforzo, come uno stile di vita, al termine del trattamento vero e proprio. Molti specialisti ritengono che l’associazione di terapia comportamentale e farmacologica sia il trattamento migliore. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (Serotonin Reuptake Inhibitors, SRI) ad alta potenza, quelli selettivi (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI, p. es., la fluoxetina, la fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina) e la clomipramina (un antidepressivo triciclico) sono efficaci. Per la maggior parte degli SSRI, le dosi basse (p. es., fluoxetina 20 mg/ die, fluvoxamina 100 mg/die, sertralina 50 mg) sono efficaci quanto quelle alte. La dose minima efficace di paroxetina è di 40 mg. Alcuni dati sono a sostegno dell’uso degli inibitori delle monoaminossidasi, che però sono raramente indicati o necessari, perché la maggior parte dei pazienti risponde agli SRI. L’uso dell’aloperidolo per aumentare l’effetto degli SRI è efficace in molti pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi da tic (p. es., la sindrome di Tourette). Anche il potenziamento con antipsicotici atipici può essere d’aiuto ai pazienti con comorbilità per tic.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS Disturbo in cui un evento traumatico opprimente viene rivissuto, causando paura intensa, senso di impotenza e di orrore ed evitamento degli stimoli associati al trauma.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Gli eventi stressanti comprendono lesioni fisiche gravi o eventi potenzialmente letali per il soggetto o per altre persone, oppure la morte reale di altre persone; nel corso dell’evento il soggetto prova paura intensa, impotenza oppure orrore. La prevalenza nel corso della vita è almeno dell’1% e nelle popolazioni ad alto rischio, come i reduci di guerra o le vittime di violenza criminale, è riportata una prevalenza tra il 3 e il 58%.

Sintomi e segni Quando accadono cose terribili, alcune persone ne restano colpite per lungo tempo. In seguito, l’evento traumatico è rivissuto più volte, di solito nel corso di incubi o "flashback" (scene retrospettive). Il soggetto evita costantemente gli stimoli associati al trauma e ha un ottundimento della responsività generale agli stimoli, come meccanismo per controllare i sintomi di una reazione d’allarme crescente. I sintomi depressivi sono frequenti. A volte l’esordio dei sintomi è ritardato, verificandosi dopo molti mesi o anche anni dall’evento traumatico. Se il disturbo post-traumatico da stress è presente per più di 3 mesi, viene considerato cronico. Anche se non viene trattato, il disturbo spesso migliora senza scomparire; tuttavia alcuni soggetti restano gravemente invalidati.

Terapia Il trattamento prevede la terapia comportamentale, quella farmacologica e la psicoterapia. La terapia comportamentale prevede l’esposizione alle situazioni innocue che il soggetto evita perché possono scatenare la reviviscenza del trauma. La ripetuta esposizione di proiezioni immaginarie relative all’esperienza traumatica generalmente riduce la sofferenza, dopo un iniziale aumento della stessa. Può essere d’aiuto anche prevenire alcuni comportamenti ritualistici, come i lavaggi eccessivi per sentirsi puliti dopo una aggressione sessuale. Gli antidepressivi e gli ansiolitici sembrano di qualche beneficio, ma in genere sono meno efficaci che negli altri disturbi d’ansia. Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (p. es., la fluoxetina, la fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina) e gli inibitori delle monoaminossidasi sembrano più efficaci.

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Disturbi d'ansia

Poiché l’ansia associata ai ricordi traumatici è spesso estremamente intensa, la psicoterapia di sostegno riveste un ruolo importante. In particolare, i terapeuti devono avere un atteggiamento apertamente empatico e comprensivo nel riconoscimento del dolore psicologico dei pazienti e devono avvalorare la realtà dell’esperienza traumatica. Allo stesso tempo, i terapeuti devono incoraggiare i pazienti a fronteggiare i ricordi man mano che intraprendono la desensibilizzazione comportamentale e apprendono le tecniche di controllo dell’ansia, nel tentativo di modulare e integrare i ricordi nell’organizzazione globale della personalità. Oltre ad avere l’ansia trauma-specifica, i pazienti possono sentirsi in colpa per aver avuto comportamenti aggressivi e distruttivi in un conflitto armato, o per essere sopravvissuti a esperienze traumatiche in cui sono morti dei familiari o degli amici stretti (il cosiddetto senso di colpa del sopravvissuto). In tali casi, può essere utile una psicoterapia psicodinamica od orientata all’insight (autoconsapevolezza), con lo scopo di aiutare i pazienti a comprendere e modificare i propri atteggiamenti psicologici autocritici e punitivi.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA DISTURBO ACUTO DA STRESS Il disturbo acuto da stress è simile al disturbo post-traumatico da stress per il fatto che il soggetto ha subito un trauma, lo rivive, evita gli stimoli che glielo ricordano e ha un’accentuazione della reazione d’allarme. Tuttavia, per definizione, il disturbo acuto da stress inizia entro 4 sett. dall’evento traumatico e dura un minimo di 2 sett. ma non più di 4. Un soggetto con questo disturbo ha tre o più dei seguenti sintomi dissociativi: senso di ottundimento, di distacco o di assenza di reattività emozionale; riduzione della consapevolezza dell’ambiente (p. es., stupore); sensazione che le cose siano irreali; sensazione di essere egli stesso irreale; amnesia per una parte importante del trauma. La prevalenza del disturbo acuto da stress è sconosciuta, ma è presumibilmente proporzionale alla gravità del trauma e all’entità dell’esposizione ad esso. Molti soggetti guariscono se allontanati dalla situazione traumatica, se viene fornito loro un sostegno adeguato sotto forma di comprensione ed empatia verso la propria sofferenza e se viene loro offerta l’opportunità di descrivere ciò che è successo e le proprie reazioni al trauma. Molti traggono beneficio dal descrivere numerose volte la propria esperienza. I farmaci ipnoinducenti possono essere di giovamento, mentre non sono probabilmente indicati altri farmaci, poiché potrebbero interferire con il processo di guarigione spontanea.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA DISTURBO D'ANSIA GENERALIZZATA Ansia e preoccupazione eccessive, pressoché quotidiane per 6 mesi, nei confronti di numerose attività o eventi.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Il disturbo da ansia generalizzata è frequente, poiché interessa dal 3 al 5% della popolazione in un anno. Le donne hanno una probabilità due volte maggiore degli uomini di esserne colpite. Questo disturbo spesso esordisce nell’infanzia o nell’adolescenza, ma può esordire a qualsiasi età.

Sintomi e segni L’ansia e la preoccupazione sono così marcate da divenire difficilmente controllabili. La gravità, la frequenza o la durata della preoccupazione sono molto esagerate rispetto a quanto richiederebbe la situazione se si verificasse. Il fulcro delle preoccupazioni non è circoscritto, come in altri disturbi psichiatrici (p. es., preoccupazione di poter avere un attacco di panico, di provare imbarazzo in pubblico, o di essere contaminato). Le preoccupazioni più comuni comprendono le responsabilità lavorative, il denaro, la salute, la sicurezza, le riparazioni della macchina e le faccende domestiche. Un soggetto con questo disturbo deve inoltre avere tre o più dei sintomi seguenti: irrequietezza, faticabilità insolita, difficoltà di concentrazione, irritabilità, tensione muscolare e disturbi del sonno. Il decorso è di solito fluttuante e cronico, con peggioramenti sotto stress.

Terapia Le benzodiazepine (v. Tab. 187-2), a dosi da basse a moderate, sono spesso efficaci, sebbene un uso prolungato possa causare dipendenza fisica. Di conseguenza e se occorre, la benzodiazepina va quindi ridotta lentamente e non sospesa bruscamente. I benefici che si ottengono di solito compensano qualsiasi lieve effetto collaterale, così come la possibilità di una dipendenza farmacologica. Anche il buspirone è efficace per alcuni pazienti, sebbene i suoi effetti abbiano inizio dopo almeno 2 sett., laddove le benzodiazepine fanno effetto in pochi minuti. Il buspirone non produce dipendenza. Anche alcuni antidepressivi sono efficaci. I benefici della terapia comportamentale sono limitati, perché è difficile specificare i fattori scatenanti ansia ai quali il soggetto può venire esposto. Il rilassamento e il biofeedback possono essere di qualche aiuto, sebbene gli studi che ne hanno documentato l’efficacia siano scarsi. La psicoterapia orientata file:///F|/sito/merck/sez15/1871631b.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.52

Disturbi d'ansia

all’insight non è stata studiata sistematicamente in questo disturbo.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 187. DISTURBI D'ANSIA ANSIA DOVUTA A UN DISTURBO FISICO O A UNA SOSTANZA L’ansia può essere secondaria a disturbi fisici, come disturbi neurologici (p. es., traumi cerebrali, infezioni, disturbi dell’orecchio interno), disturbi cardiovascolari (p. es., insufficienza cardiaca, aritmie), disturbi endocrini (p. es., iperattività delle ghiandole surrenali o della tiroide) e disturbi respiratori (p. es., asma, malattie polmonari croniche ostruttive). Può essere causata anche dall’uso di sostanze come alcol, stimolanti, caffeina, cocaina, svariati farmaci prescrivibili. Inoltre, l’astinenza da sostanze si associa di solito ad ansia. Il trattamento deve essere diretto alle cause primitive piuttosto che ai sintomi ansiosi secondari. Se l’ansia persiste dopo che il disturbo fisico è stato trattato nella maniera più efficace possibile, oppure dopo che la sostanza che la provocava è stata sospesa da un tempo sufficiente perché i sintomi di astinenza siano scomparsi, vi è l’indicazione per il trattamento dell’ansia con i farmaci adeguati, con la terapia comportamentale o con la psicoterapia.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 188. DISTURBI DISSOCIATIVI Perdita dell’integrazione normale dei propri ricordi, percezioni, identità o coscienza. Chiunque può sperimentare occasionalmente la dissociazione, senza che questa abbia effetti dirompenti. Per esempio, una persona può guidare per un certo tragitto e poi accorgersi di non ricordarne molti particolari, perché era assorto in preoccupazioni personali, nell’ascolto di un programma radiofonico, o era intento nella conversazione con un passeggero. La percezione del dolore può dissociarsi sotto ipnosi. Tuttavia, altre forme di dissociazione destrutturano il senso di sé e la ricostruzione degli eventi di vita. Quando un ricordo è scarsamente integrato, si manifesta l’amnesia dissociativa. Quando l’identità è frammentata insieme alla memoria, si manifesta la fuga dissociativa o il disturbo dissociativo dell’identità. Quando sono destrutturate l’esperienza e la percezione di sé, si manifesta il disturbo di depersonalizzazione. I disturbi dissociativi di solito sono associati a uno stress insopportabile, che può essere causato da eventi di vita traumatici, da incidenti o da disastri vissuti in prima persona o di cui si è stati testimoni, oppure da un conflitto interiore intollerabile che costringe la mente a separarsi da informazioni e sentimenti incompatibili o inaccettabili.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 188. DISTURBI DISSOCIATIVI AMNESIA DISSOCIATIVA Incapacità di ricordare importanti informazioni personali, solitamente di natura traumatica o stressante, che risulta troppo estesa per essere spiegata dal normale oblio.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e diagnosi Prognosi e terapia

L’informazione perduta sarebbe normalmente parte di quella consapevolezza conscia che potrebbe definirsi memoria autobiografica (p. es., chi siamo, cosa abbiamo fatto, da dove veniamo, con chi abbiamo parlato, cosa è stato detto, pensato, vissuto e provato). Le informazioni perdute a volte influenzano il comportamento da "dietro le quinte". Sono caratteristici uno o più episodi di vuoti di memoria, che coprono da pochi minuti a poche ore o giorni. Qualcuno dimentica alcuni, ma non tutti, gli eventi di un certo periodo; altri non riescono a ricordare anni interi o tutta la propria vita, o dimenticano le cose man mano che si verificano. Di solito il periodo di tempo dimenticato ha confini netti. La maggior parte dei pazienti è consapevole di aver "perso del tempo", ma alcuni hanno un’"amnesia per l’amnesia" e si rendono conto del tempo perduto solo quando trovano le prove di aver fatto cose che non ricordano, o se vengono costretti a prenderne atto. L’incidenza dell’amnesia dissociativa è sconosciuta, ma è più frequente tra i giovani adulti ed è comunemente associata a esperienze traumatiche. Sono stati riferiti numerosi casi di amnesia per episodi di abuso sessuale nell’infanzia, il ricordo dei quali viene recuperato nell’età adulta. Sebbene l’amnesia per il trauma, una volta manifestatasi, possa in seguito essere annullata con il trattamento, grazie a un evento o attraverso l’esposizione a determinate informazioni, vi sono controversie considerevoli circa tali ricostruzioni e la loro attendibilità è spesso impossibile da stabilire.

Eziologia L’amnesia dissociativa sembra causata dallo stress associato a esperienze traumatiche subite direttamente o di cui si è stati testimoni (p. es., abusi fisici o sessuali, stupro, combattimenti, disastri naturali); a grossi problemi esistenziali (p. es., abbandono, morte di una persona amata, problemi finanziari); oppure a conflitti interiori gravi (p. es., il turbamento per impulsi generanti senso di colpa, per difficoltà interpersonali apparentemente irrisolvibili, per atti criminali). Oltre a ciò, si ritiene che alcuni soggetti siano più predisposti all’amnesia, p. es., quelli facilmente ipnotizzabili.

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Disturbi dissociativi

Sintomi e diagnosi Il più comune sintomo di amnesia dissociativa è una perdita di memoria riferita a un dato periodo di tempo. I soggetti osservati subito dopo l’inizio dell’amnesia possono apparire confusi. Alcuni sono molto disturbati dalla propria amnesia, altri meno. Gli altri sintomi e preoccupazioni dipendono dall’importanza di ciò che si è dimenticato, dalla relazione tra la dimenticanza e i problemi e conflitti del soggetto o dalle conseguenze del comportamento dimenticato. Quando l’amnesia dissociativa è un sintomo di un altro disturbo psichiatrico, non viene diagnosticata come disturbo a sé stante. La diagnosi si basa sull’esame fisico e psichiatrico, con analisi delle urine e del sangue per escludere cause tossiche delle amnesie, come l’uso di sostanze illecite. Un EEG può aiutare a escludere dalle cause un disturbo convulsivo. I test psicologici possono essere utili per caratterizzare la natura dell’esperienza dissociativa.

Prognosi e terapia La maggior parte dei pazienti recupera i ricordi che sembravano perduti e l’amnesia si risolve. Tuttavia, alcuni non riescono più a rompere le barriere per ricostruire il passato mancante. La prognosi è determinata principalmente dalle circostanze di vita del paziente, in particolare dagli eventi stressanti e dai conflitti associati all’amnesia e dall’adattamento psicologico globale del paziente. Il trattamento inizia con la creazione di un ambiente di supporto che stabilisce un senso di sicurezza. Questo provvedimento da solo spesso conduce a un graduale recupero spontaneo dei ricordi perduti. Quando ciò non avviene, oppure quando il bisogno di recuperare i ricordi è urgente, spesso hanno successo alcune tecniche di recupero della memoria, come interrogare il paziente sotto ipnosi o in uno stato di semi-ipnosi indotto da farmaci. Queste tecniche vanno messe in atto con molta delicatezza, perché le circostanze che hanno favorito la perdita di memoria verranno probabilmente rievocate e provocheranno un grave turbamento. L’attendibilità dei ricordi recuperati con tali strategie può essere determinata soltanto attraverso conferme esterne. Comunque, riempire i vuoti quanto più possibile è spesso terapeuticamente utile a ricostituire la continuità dell’identità e del senso di sé del paziente. Cessata l’amnesia, il trattamento aiuta il paziente a chiarire il trauma o i conflitti e a risolvere i problemi associati all’episodio amnestico.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 188. DISTURBI DISSOCIATIVI FUGA DISSOCIATIVA Uno o più episodi di amnesia in cui si manifesta un’incapacità di ricordare una parte o la totalità del proprio passato, nonché la perdita della propria identità o la formazione di un’identità nuova, insieme a un’improvvisa, inaspettata e afinalistica fuga da casa.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e diagnosi Prognosi e terapia

La fuga può durare da alcune ore a sett. o mesi, occasionalmente più a lungo. Durante la fuga, il soggetto può sembrare normale e non attrarre l’attenzione. Può assumere un nome, un’identità e un domicilio nuovi e può intraprendere interazioni sociali complesse. Tuttavia, a un certo punto, i dubbi sulla propria identità o il ritorno all’identità originale possono dare al soggetto la consapevolezza dell’amnesia o provocargli disagio. La prevalenza della fuga dissociativa è stata stimata allo 0,2%, ma è molto più frequente in concomitanza di guerre, incidenti e disastri naturali. I soggetti con disturbo dissociativo dell’identità (v. oltre) spesso manifestano comportamenti di fuga.

Eziologia Le cause sono simili a quelle dell’amnesia dissociativa (v. sopra), con alcuni fattori addizionali. La fuga viene spesso ritenuta una simulazione, perché può sottrarre il soggetto alla responsabilità delle proprie azioni, può liberarlo da determinate responsabilità, oppure può ridurre la sua esposizione a un rischio (come l’assegnazione a un lavoro pericoloso). Molte fughe rappresentano la soddisfazione di un desiderio nascosto. Per esempio, un dirigente con problemi finanziari può abbandonare la sua vita frenetica e andare a vivere come contadino in campagna. La fuga può sottrarre il paziente a una situazione imbarazzante o a uno stress intollerabile, oppure può essere legata a problemi di rifiuto o separazione. Per esempio, la fuga può in realtà voler dire: "Non sono io quello che ha scoperto che la propria moglie è infedele". Alcune fughe sembrano proteggere il soggetto da impulsi di suicidio o di omicidio.

Sintomi e diagnosi Il soggetto spesso non ha sintomi, oppure è solo lievemente confuso durante la fuga. Tuttavia, al termine della fuga possono comparire depressione, sconforto, afflizione, vergogna, conflittualità intensa e impulsi di suicidio o aggressivi (il soggetto, cioè, deve affrontare ciò da cui è fuggito. L’impossibilità di ricordare gli file:///F|/sito/merck/sez15/1881634.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.55

Disturbi dissociativi

eventi della fuga può causare confusione, disagio o persino terrore. Una fuga viene riconosciuta di rado mentre è in corso. Viene sospettata quando un soggetto appare confuso circa la propria identità o perplesso sul proprio passato, oppure polemizza quando gli viene contestata la sua nuova identità o l’assenza di un’identità. A volte la fuga non può essere diagnosticata fino a quando il soggetto non torna improvvisamente alla sua identità pre-fuga e si sente a disagio ritrovandosi in circostanze non familiari. La diagnosi viene di solito posta retrospettivamente, basandosi sull’anamnesi documentata delle circostanze precedenti il viaggio, sul viaggio stesso e sulla creazione di una vita parallela. Sebbene la fuga dissociativa possa recidivare, i pazienti con fughe frequenti ed evidenti di solito hanno un disturbo dissociativo dell’identità (v. oltre).

Prognosi e terapia La maggior parte delle fughe è breve e autolimitante. A meno che prima o durante la fuga non si sia verificato un comportamento che abbia le sue specifiche complicanze, la compromissione è di solito lieve e passeggera. Se la fuga è stata prolungata e vi sono complicanze rilevanti dovute al comportamento prima o dopo di essa, il soggetto può avere notevoli difficoltà (p. es., un soldato può essere accusato di diserzione e un soggetto che si sposa può diventare bigamo senza volerlo. Nei rari casi in cui il soggetto è ancora in stato di fuga, è importante recuperare informazioni sulla sua vera identità (possibilmente con l’aiuto delle forze dell’ordine e del personale dei servizi sociali), ricostruire il motivo per cui tale identità è stata abbandonata e facilitarne la riacquisizione. Il trattamento prevede i metodi usati per l’amnesia dissociativa (v. sopra), come l’ipnosi o il colloquio con induzione farmacologica. Tuttavia, gli sforzi per recuperare i ricordi del periodo di fuga spesso non hanno successo. Lo psichiatra può aiutare la persona a esplorare gli schemi interiori e interpersonali attraverso cui vengono gestiti i tipi di situazioni, di conflitti e di stati d’animo che hanno scatenato la fuga, per prevenire un ulteriore comportamento di questo tipo.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 188. DISTURBI DISSOCIATIVI DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITA' (Disturbo di personalità multipla) Disturbo caratterizzato da due o più identità o personalità, che alternativamente prendono il sopravvento nel comportamento del soggetto.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

È presente un’amnesia che comporta l’incapacità di ricordare importanti informazioni personali correlate ad alcune delle identità. L’amnesia non è uniforme in tutte le personalità; ciò che è sconosciuto a una personalità può essere noto a un’altra. Alcune personalità sembrano conoscere le altre e interagire con esse in un elaborato mondo interiore. Per esempio, alcune personalità di cui la personalità A è inconsapevole possono essere a conoscenza della personalità A e sapere ciò che fa, come se osservassero il suo comportamento. Altre possono essere inconsapevoli della personalità A oppure esserne a conoscenza, ma non avere contemporaneità di coscienza (la consapevolezza simultanea degli eventi da parte di più di una personalità) con essa. Il disturbo dissociativo dell’identità è grave e cronico e può condurre a disabilità e invalidità. È associato a un’elevata incidenza di tentativi di suicidio ed è ritenuto il disturbo mentale con maggiori probabilità di esito in suicidio. Numerosi studi mostrano che un disturbo dissociativo dell’identità precedentemente non diagnosticato è presente nel 3-4% dei pazienti psichiatrici acuti ospedalizzati e in una minoranza ragguardevole dei pazienti nelle strutture per il trattamento dell’abuso di sostanze psicoattive. Sembra sia abbastanza comune, essendo stato diagnosticato in maniera crescente negli ultimi anni in ragione della sua aumentata conoscenza, del miglioramento dei metodi diagnostici e della migliore conoscenza del maltrattamento infantile e delle sue conseguenze. Sebbene alcuni esperti ritengano che l’aumento del riscontro di questo disturbo rifletta l’influenza dei medici su pazienti suggestionabili, nessuna evidenza certa avvalora questa opinione.

Eziologia Il disturbo dissociativo dell’identità viene attribuito all’interazione di numerosi fattori, tra cui: gli stress insostenibili; la funzione dissociativa (comportante la capacità di dissociare i propri ricordi e percezioni, o la propria identità, dalla consapevolezza conscia); la fissazione difensiva alle normali tappe evolutive;

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Disturbi dissociativi

nell’infanzia, la mancanza di sufficiente accudimento e compassione in risposta alle esperienze dolorose, oppure la mancanza di protezione contro nuove esperienze insopportabili. I bambini non nascono con il senso dell’unità dell’Io, che si sviluppa successivamente da molte fonti ed esperienze. Lo sviluppo dei bambini con gravi maltrattamenti viene ostacolato e molte parti di ciò che sarebbe confluito in un’identità relativamente unificata restano separate. Studi effettuati nell’America settentrionale mostrano che il 97-98% degli adulti con disturbo dissociativo dell’identità riferisce abusi infantili, che possono essere documentati per l’85% degli adulti e per il 95% dei bambini e degli adolescenti con disturbo dissociativo dell’identità e con altre forme di disturbi dissociativi strettamente correlate. Sebbene questi dati confermino che l’abuso infantile è la causa principale tra i pazienti nordamericani (in alcune culture, le conseguenze di guerre e di catastrofi rivestono un ruolo maggiore), non stanno a significare che tutti questi pazienti abbiano subito abusi, o che tutti gli abusi riferiti dai pazienti con disturbo dissociativo dell’identità siano accaduti davvero. Determinati aspetti di alcune esperienze di abuso riferite possono rivelarsi inesatti. Inoltre, alcuni pazienti non hanno subito abusi, ma hanno subito una perdita precoce importante (come la morte di un genitore), una malattia grave, o altri eventi molto stressanti. Per esempio, un paziente che abbia avuto necessità di numerosi ricoveri e interventi chirurgici nell’infanzia può avere avuto esperienze molto difficili da sostenere, ma non aver subito abusi. Lo sviluppo individuale richiede che i bambini siano in grado di integrare efficacemente diversi e complessi tipi di informazioni. Quando i bambini conseguono appercezioni coesive e complesse di se stessi e degli altri, attraversano delle fasi in cui percezioni ed emozioni differenti vengono tenute separate. Ogni fase evolutiva può essere usata per produrre dei sé differenti. Non tutti i bambini che subiscono abusi, oppure gravi perdite e traumi, hanno la capacità di sviluppare personalità multiple. I pazienti con disturbo dissociativo dell’identità sono facilmente ipnotizzabili. Questa capacità, strettamente correlata alla capacità di dissociarsi, è ritenuta un fattore predisponente alla manifestazione del disturbo. Tuttavia, la maggior parte dei bambini che presenta queste capacità ha anche meccanismi di adattamento normali ed è protetta e tranquillizzata dagli adulti in modo sufficiente a prevenire lo sviluppo di un disturbo dissociativo dell’identità.

Sintomi e segni I pazienti spesso presentano un corteo sintomatologico che può somigliare ad altri disturbi neurologici e psichiatrici, come disturbi d’ansia, disturbi di personalità, disturbi schizofrenici e affettivi e disturbi convulsivi. La maggior parte ha sintomi di depressione, manifestazioni d’ansia (sudorazione, tachicardia, palpitazioni), fobie, attacchi di panico, sintomi fisici, disfunzioni sessuali, disturbi del comportamento alimentare e disturbi post-traumatici da stress. I pensieri e i tentativi di suicidio sono comuni, così come gli episodi di automutilazione. Molti soggetti hanno fatto abuso di sostanze psicoattive per un certo periodo. L’alternarsi delle personalità e le barriere amnestiche esistenti tra esse spesso determinano un caos esistenziale. Poiché le personalità spesso interagiscono tra loro, i pazienti con disturbo dissociativo dell’identità spesso riferiscono di sentire delle conversazioni interne e le voci delle altre personalità, che spesso fanno commenti sul paziente o gli si rivolgono direttamente. Le voci sono vissute come allucinazioni. Diversi sintomi sono caratteristici del disturbo dissociativo dell’identità: quadri sintomatologici fluttuanti; livelli di funzionamento altrettanto fluttuanti, da quello elevato all’invalidità; cefalee gravi o altri dolori somatici; distorsioni e lacune temporali, amnesie; depersonalizzazione e derealizzazione. Il termine depersonalizzazione si riferisce alla sensazione di irrealtà, di estraniazione dal proprio sé e di distacco dai propri processi fisici e mentali. Il paziente ha la sensazione di osservare dal di fuori la propria esistenza e può realmente vedere se stesso come se stesse guardando un film. Il termine derealizzazione si riferisce all’esperienza di percepire le persone e l’ambiente circostante, altrimenti familiari, come se fossero sconosciuti, strani o irreali. file:///F|/sito/merck/sez15/1881635.html (2 of 4)02/09/2004 2.03.56

Disturbi dissociativi

I soggetti con disturbo dissociativo dell’identità vengono spesso a conoscenza delle cose che hanno fatto, ma non ricordano dei notevoli cambiamenti nel loro comportamento. Possono scoprire oggetti, produzioni o scritti che non possono spiegare o riconoscere; possono riferirsi a se stessi in prima persona plurale (noi) o in terza persona (lui, lei, loro); possono avere amnesia per gli eventi accaduti tra i 6 e gli 11 anni. L’amnesia per gli eventi precoci è normale e diffusa. Poiché il disturbo dissociativo dell’identità tende a somigliare ad altri disturbi psichiatrici, i pazienti di solito raccontano di avere ricevuto tre o più diverse diagnosi psichiatriche e di fallimenti terapeutici precedenti. Complessivamente, sono molto preoccupati per problemi di controllo, sia di autocontrollo che di controllo degli altri.

Diagnosi La diagnosi richiede una valutazione medica e psichiatrica, che comprende domande specifiche sui fenomeni dissociativi. In alcune circostanze, lo psichiatra può usare interviste prolungate, l’ipnosi o interviste con farmaco-induzione e può chiedere al paziente di tenere un diario tra le visite. Tutti questi provvedimenti favoriscono il cambiamento degli stati di personalità durante la valutazione. Vi sono delle interviste formulate ad hoc che possono aiutare l’identificazione dei pazienti con disturbo dissociativo dell’identità. Lo psichiatra può tentare di contattare ed elicitare le altre personalità, chiedendo di parlare alla parte della mente coinvolta nei comportamenti per i quali il paziente è amnestico, o che sono stati vissuti in modo depersonalizzato o derealizzato.

Prognosi I pazienti possono essere divisi in tre gruppi rispetto alla prognosi. Quelli del primo gruppo hanno sintomi prevalentemente dissociativi e caratteristiche posttraumatiche, hanno un funzionamento generalmente buono e di solito guariscono completamente con un trattamento specifico. Quelli del secondo gruppo hanno sintomi di altri disturbi psichiatrici gravi, come disturbi di personalità, dell’umore, del comportamento alimentare e da abuso di sostanze. Questi ultimi migliorano più lentamente e il trattamento può essere meno efficace oppure più lungo e più problematico. I pazienti del terzo gruppo non solo hanno una psicopatologia grave concomitante, ma restano anche strettamente legati alle persone da cui avrebbero subito abuso. Il trattamento è spesso lungo e confuso e ha lo scopo di ridurre e alleviare i sintomi, piuttosto che di conseguire l’integrazione delle personalità. A volte la terapia aiuta anche i pazienti con la prognosi più sfavorevole a fare rapidi progressi verso la guarigione.

Terapia I sintomi vanno e vengono spontaneamente, ma il disturbo dissociativo dell’identità non guarisce altrettanto spontaneamente. I farmaci aiutano a gestire sintomi specifici, ma non incidono sul disturbo di per sé. Tutti i trattamenti di provata efficacia che mirano a conseguire l’integrazione, comportano una psicoterapia indirizzata specificamente al disturbo dissociativo dell’identità. Alcuni pazienti sono incapaci di perseguire l’integrazione, o restii a farlo. Per loro, il trattamento deve mirare a facilitare la cooperazione e la collaborazione tra le personalità, e a ridurre i sintomi. Questo trattamento è spesso difficile e doloroso; inoltre tendono a presentarsi numerose crisi, come conseguenza degli atti delle diverse personalità e della disperazione del paziente, quando affronta i ricordi traumatici. Uno o più ricoveri psichiatrici possono essere necessari ad aiutare file:///F|/sito/merck/sez15/1881635.html (3 of 4)02/09/2004 2.03.56

Disturbi dissociativi

alcuni pazienti in periodi particolarmente difficili, e durante l’elaborazione di ricordi particolarmente dolorosi. L’ipnosi viene spesso usata per facilitare l’accesso alle personalità e la comunicazione tra di esse, nonché per stabilizzarle e interpretarle. Viene usata anche per discutere i ricordi traumatici e per diluire il loro impatto. La desensibilizzazione e il ricondizionamento dei movimenti oculari, (Eye Movement Desensitization and reprocessing, EMDR), applicati con cautela, sono un ausilio utile. La EMDR cerca di elaborare i ricordi traumatici, e di sostituire con pensieri positivi i pensieri negativi su se stessi, associati a questi ricordi. Generalmente sono necessarie due o più sedute psicoterapiche a sett. per un periodo da 3 a 6 anni, per integrare le personalità o per ottenere una armoniosa interazione tra esse, che consenta un funzionamento normale in assenza di sintomi. L’integrazione delle personalità è l’esito più desiderabile. La psicoterapia ha tre fasi principali. Nella prima fase, la priorità è la sicurezza, la stabilizzazione e il rafforzamento del paziente, in vista del difficile lavoro di elaborazione del materiale traumatico e di gestione delle personalità problematiche. Il sistema di personalità viene esaminato e descritto allo scopo di pianificare il resto del trattamento. Nella seconda fase il paziente viene aiutato a elaborare gli episodi dolorosi del suo passato, e a sostenere il dolore per le perdite e le altre conseguenze negative del trauma. Quando vengono individuati i motivi delle restanti dissociazioni del paziente, la terapia può entrare nella fase finale, in cui i sé del paziente, le sue relazioni e il suo funzionamento sociale possono essere ricollegati, integrati, e riabilitati. Un certo grado di integrazione si verifica spontaneamente, ma la gran parte deve essere incoraggiata parlando con le diverse personalità e organizzandone l’unificazione, oppure deve essere facilitata attraverso l’immaginazione e la suggestione ipnotica. Acquisita l’integrazione, i pazienti continuano il trattamento per far fronte ad alcune questioni che possono non essere state risolte. Allorché il trattamento postintegrazione appare completo, le visite presso il terapeuta vengono diminuite, ma di rado vengono completamente sospese. I pazienti arrivano a considerare lo psichiatra come una persona che può aiutarli a gestire i propri problemi psicologici, allo stesso modo in cui hanno bisogno periodicamente dell’assistenza del medico di base.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 188. DISTURBI DISSOCIATIVI DISTURBO DI DEPERSONALIZZAZIONE Sensazioni persistenti o ricorrenti di essere distaccati dal proprio corpo o dai propri processi mentali, di solito con la sensazione di osservare dall’esterno la propria esistenza.

Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Prognosi e terapia

La depersonalizzazione è il terzo sintomo psichiatrico più frequente, e si verifica spesso nel corso di una situazione di rischio potenzialmente letale, come incidenti, aggressioni, malattie e lesioni gravi; può verificarsi come sintomo in molti altri disturbi psichiatrici e nei disturbi convulsivi. Come disturbo a sé stante, la depersonalizzazione non è stata studiata approfonditamente e l’incidenza e l’eziologia sono sconosciute.

Sintomi e diagnosi I pazienti hanno una percezione distorta di loro stessi, del proprio corpo e della propria vita, che li fa sentire a disagio. Il soggetto può sentirsi come un automa o come in un sogno. Spesso i sintomi sono transitori e si manifestano insieme all’ansia, al panico o a sintomi fobici. Tuttavia, i sintomi possono essere cronici e perdurare o recidivare per molti anni. I pazienti spesso descrivono con grande difficoltà i loro sintomi e possono temere o credere che i sintomi significhino che stanno impazzendo. Il paziente spesso si sente irreale e può sentire anche il mondo come irreale e simile a un sogno. Alcuni pazienti hanno una menomazione minima; altri sviluppano menomazioni gravi o persino invalidità. Sebbene alcuni soggetti possano adattarsi al disturbo di depersonalizzazione o persino bloccarne gli effetti, altri sono in costante stato d’ansia per il proprio stato mentale, hanno paura di impazzire, oppure rimuginano sulle implicazioni delle proprie percezioni corporee distorte e sul senso di estraniazione da se stessi e dal mondo. La diagnosi viene posta sulla base dei sintomi. Il medico deve escludere disturbi fisici, abuso di sostanze e altri disturbi dissociativi. È utile eseguire i test psicologici e le interviste specifiche.

Prognosi e terapia Una guarigione completa è possibile per molti pazienti, specialmente per quelli i cui sintomi si manifestano in occasione di fattori stressanti che possono essere affrontati nel trattamento. Altri pazienti non rispondono in modo soddisfacente al trattamento, ma possono migliorare gradualmente in modo spontaneo. file:///F|/sito/merck/sez15/1881637.html (1 of 2)02/09/2004 2.03.57

Disturbi dissociativi

La sensazione di depersonalizzazione è spesso passeggera e recede spontaneamente. Il trattamento è giustificato solo se il disturbo è persistente, recidivante, oppure genera sofferenza. Diverse psicoterapie (p. es., la psicoterapia psicodinamica, la terapia cognitivo-comportamentale, l’ipnosi) sono efficaci per alcuni pazienti, ma nessun trattamento si è rivelato efficace per tutti. Gli ansiolitici e gli antidepressivi hanno giovato ad alcuni pazienti. È necessario curare anche gli altri disturbi psichiatrici, spesso associati o scatenati dalla depersonalizzazione. Il trattamento deve individuare tutti i fattori stressanti associati all’esordio del disturbo.

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Disturbi dell'umore

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 189. DISTURBI DELL'UMORE (Disturbi affettivi) Gruppo di malattie eterogenee, tipicamente ricorrenti, che comprende i disturbi monopolari (depressivi) e quelli bipolari (maniaco-depressivi), caratterizzati da alterazioni pervasive dell’umore, disfunzioni psicomotorie e sintomi vegetativi. (Per i disturbi dell’umore nell’infanzia, v. il Cap. 274)

Sommario: Introduzione Epidemiologia Eziologia Rischio di suicidio Diagnosi

La pratica diagnostica attuale pone l’accento sulla depressione e sull’euforia come i componenti affettivi fondamentali dei disturbi dell’umore. Tuttavia, l’ansia e l’irritabilità sono altrettanto comuni, il che spiega la persistente popolarità del termine più generico "disturbo affettivo", la precedente denominazione ufficiale. La tristezza e la gioia fanno parte della vita quotidiana e vanno distinte dalla depressione clinica e dall’euforia patologica. La tristezza, o depressione normale, è una risposta universale dell’uomo alle sconfitte, alle delusioni e ad altre avversità; tale risposta può essere di tipo adattativo, permettendo un ritiro che preservi le risorse interiori. La depressione passeggera ("blues") si può avere come reazione ad alcune festività o anniversari significativi, durante la fase premestruale e nelle prime 2 sett. dopo un parto. Tali reazioni non sono anormali, ma le persone predisposte alla depressione possono scompensarsi proprio in questi periodi. Il cordoglio (lutto normale), prototipo della depressione reattiva, si presenta in risposta a separazioni e perdite significative (p. es., morte, separazione coniugale, delusioni amorose, abbandono dell’ambiente familiare, emigrazione forzata, catastrofi civili). Il cordoglio può manifestarsi con sintomi d’ansia come insonnia, agitazione, iperattività del sistema nervoso autonomo. Analogamente ad altre avversità, in genere le separazioni e le perdite non causano una depressione clinica, eccetto che nelle persone predisposte a un disturbo dell’umore. L’euforia, di solito legata al successo e al raggiungimento di obiettivi, è a volte considerata come una difesa contro la depressione o come negazione del dolore di una perdita (p. es., una rara forma di reazione al lutto in cui un’iperattività euforica può sostituire completamente il più prevedibile cordoglio). Nei soggetti predisposti, tali reazioni possono condurre alla mania. Una depressione paradossa può far seguito a eventi positivi, probabilmente perché le maggiori responsabilità a essi associate spesso vanno affrontate da soli. Si pone diagnosi di depressione o di mania quando la tristezza o l’euforia sono eccessivamente intense e permangono oltre l’impatto prevedibile di un evento vitale stressante oppure insorgono in assenza di un fattore stressante. I sintomi e i segni spesso si raggruppano in sindromi distinte che di solito recidivano o, più file:///F|/sito/merck/sez15/1891638.html (1 of 6)02/09/2004 2.03.58

Disturbi dell'umore

raramente, perdurano senza remissione. La depressione e la mania cliniche, a differenza delle reazioni emotive normali, causano una marcata compromissione delle funzioni fisiche, sociali e della capacità lavorativa.

Epidemiologia Una determinata forma di disturbo dell’umore che può richiedere attenzione clinica colpisce il 20% delle donne e il 12% degli uomini. Queste percentuali corrispondono in gran parte al disturbo depressivo maggiore monopolare e alle sue varianti. Sebbene l’incidenza del disturbo bipolare nella popolazione generale sia stata stimata inferiore al 2%, le nuove stime sono vicine al 4-5%. La depressione colpisce con un’incidenza doppia le donne rispetto agli uomini; il disturbo bipolare ha incidenza uguale nei due sessi, ma le forme depressive prevalgono nelle donne e quelle maniacali negli uomini. Il disturbo bipolare di solito esordisce nell’adolescenza, tra i 20 e i 30 anni, o tra i 30 e i 40; i disturbi monopolari esordiscono, in media, tra i 20 e i 30 anni, tra i 30 e i 40, o tra i 40 e i 50. Le persone nate nei 20 anni successivi alla seconda guerra mondiale hanno tassi più elevati di depressione e suicidio, spesso associati a tassi maggiori di abuso di sostanze, rispetto a quelle nate prima. Il sesso femminile è il maggior fattore di rischio demografico di depressione; la classe sociale, la cultura e la razza non hanno mostrato un’associazione significativa con la depressione. Tuttavia, il disturbo bipolare è leggermente più comune nelle classi socioeconomiche elevate. Le manifestazioni cliniche dei disturbi dell’umore sembrano modificate da fattori culturali. Per esempio, le lamentele fisiche, la preoccupazione, la tensione e l’irritabilità sono manifestazioni comuni nelle classi socioeconomiche più basse; le rimuginazioni su temi di colpa e l’auto-rimprovero sono più caratteristici della depressione nelle culture anglosassoni; la mania tende a manifestarsi in maniera più florida in alcune regioni mediterranee e africane e tra i neri americani. Fattori economici, come la disoccupazione e i tracolli finanziari improvvisi, sono stati associati a più alti tassi di suicidio tra gli uomini. I disturbi dell’umore sono i disturbi psichiatrici a più alta prevalenza, poiché contribuiscono al 5% dei pazienti nei servizi pubblici di salute mentale, al 65% dei pazienti psichiatrici ambulatoriali, e al 10% di tutti i pazienti visitati in strutture mediche non psichiatriche.

Eziologia Disturbi dell’umore primari: l’interazione di numerosi fattori contribuisce all’insorgenza di questi disturbi. L’eredità; è il fattore predisponente più importante. La modalità ereditaria precisa è incerta, ma in alcune forme di disturbo bipolare possono essere implicati geni dominanti (legati al cromosoma X o autosomici). L’ereditarietà poligenica, come substrato genetico comune per il disturbo bipolare e per quello monopolare ricorrente, è l’ipotesi più diffusa. Ciò che si eredita non è noto. Tuttavia si ritiene che la via finale comune dei disturbi dell’umore sia una compromissione della funzionalità limbico-diencefalica; studi recenti di neuroimmagine coinvolgono inoltre le strutture extrapiramidali sottocorticali e le loro connessioni prefrontali. La neurotrasmissione colinergica, catecolaminergica (noradrenergica o dopaminergica) e serotonergica (5-HT) appare soggetta a disregolazione. L’eredità può anche accrescere la probabilità di una depressione attraverso l’esposizione dei bambini agli effetti negativi dei disturbi dell’umore dei loro genitori (p. es., rottura di legami affettivi). La perdita di un genitore nell’infanzia non accresce il rischio di sviluppare un disturbo dell’umore da parte di una data persona. Tuttavia, se tale persona sviluppa un disturbo dell’umore, la depressione tende a insorgere in età più precoce e segue un decorso cronico intermittente, che porta a un marcato disturbo della personalità e a tentativi di suicidio. Gli eventi stressanti che scatenano gli episodi di un disturbo affettivo possono file:///F|/sito/merck/sez15/1891638.html (2 of 6)02/09/2004 2.03.58

Disturbi dell'umore

essere di tipo biologico o psicologico. Eventi vitali traumatici, specialmente separazioni, spesso precedono gli episodi depressivi e maniacali; tuttavia, tali eventi possono rappresentare le manifestazioni prodromiche di un disturbo dell’umore, piuttosto che la sua causa (p. es., i soggetti con disturbi affettivi spesso si estraniano dalle persone a loro care). Il viraggio dalla depressione alla mania è spesso annunciato da una riduzione del sonno che dura da 1 a 3 gg, e può essere indotto sperimentalmente con la deprivazione del sonno, particolarmente della fase a movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement, REM). Tale viraggio spesso fa seguito a una terapia con antidepressivi. Anche l’uso di stimolanti, la sospensione di sedativi-ipnotici, i viaggi intercontinentali e i cambiamenti di luce stagionali possono indurre la mania. Sebbene possano essere affetti da una depressione clinica i soggetti con ogni tipo di personalità, questa é più comune nelle persone con temperamento predisposto alla distimia e alla ciclotimia. La depressione monopolare é di insorgenza più probabile nelle persone con introversione e tendenze ansiose. Tali persone spesso non hanno le abilità sociali necessarie per adattarsi a richieste vitali significative e guariscono con difficoltà da un episodio depressivo. Le persone con disturbo bipolare tendono a essere estroverse e competitive; utilizzano spesso l’attività come mezzo per combattere la depressione. Il fatto che il sesso femminile sia un fattore di rischio per depressione viene solitamente spiegato con la presunta natura maggiormente affiliativa delle donne, con i loro tratti di dipendenza e con l’impossibilità di controllare il loro destino nelle società maschiliste. Tuttavia, anche fattori di vulnerabilità biologica risultano rilevanti. Avere due cromosomi X è un fattore importante nei disturbi bipolari, se in essi è implicato un linkage-X dominante. In confronto agli uomini, le donne hanno livelli più elevati di monoaminossidasi (l’enzima che degrada i neurotrasmettitori considerati importanti per l’umore). La funzionalità tiroidea è più spesso alterata nelle donne. Le donne possono usare contraccettivi orali contenenti progesterone, ritenuto una sostanza depressogena, e subire alterazioni endocrine premestruali e post-partum. Le donne depresse manifestano con maggiore probabilità lo stile di personalità introverso, rimuginante-inibito tipico dei disturbi monopolari, mentre gli uomini depressi hanno con più probabilità lo stile estroverso, orientato all’azione, tipico dei disturbi bipolari. Disturbi dell’umore secondari: spesso, un disturbo dell’umore insorge in associazione a un disturbo non affettivo attraverso un meccanismo che può essere fisiologico, psicologico o di ambedue i tipi (v. Tab. 189-1). Alcuni disturbi, come la depressione mixedematosa, sono causati da fattori fisio-chimici e sono considerati depressioni sintomatiche. Altri, come la depressione che accompagna disturbi cardiopolmonari debilitanti, vengono intepretati di solito come reazioni depressive al disturbo di base. Spesso sono in gioco ambedue i meccanismi (p. es., nei pazienti con AIDS che hanno una disfunzione cerebrale e una profonda tristezza). Il disturbo bipolare è raramente la complicanza di un altro disturbo psichiatrico; se è preceduto da abuso di alcol o di sostanze, ciò rappresenta più probabilmente un tentativo di curare da sé le manifestazioni prodromiche del disturbo. I riscontri emergenti sui disturbi non affettivi e sui farmaci che producono depressione suggeriscono che la patogenesi di tutti i disturbi dell’umore forma un continuum, e che la distinzione tra disturbi dell’umore primari e secondari è arbitraria. Tutti i pazienti che soddisfano i criteri per un disturbo dell’umore devono essere trattati a prescindere da quali altri disturbi siano presenti e a prescindere da quanto la depressione appaia comprensibile alla luce del disturbo di base.

Rischio di suiicidio Il suicidio, la complicanza più grave nei pazienti con disturbi dell’umore, è la causa di morte nel 15-25% dei pazienti con tali disturbi senza trattamento; la depressione non diagnosticata o trattata in modo inadeguato contribuisce al 50-

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Disturbi dell'umore

70% dei suicidi. Il suicidio, che ha la maggiore incidenza nei giovani e negli anziani che non hanno un buon supporto sociale, tende a verificarsi entro 45 anni dal primo episodio clinico. I periodi maggiormente a rischio sono la fase precoce di remissione della depressione (quando l’attività psicomotoria sta tornando normale, ma l’umore è ancora flesso), gli stati misti bipolari, la fase premestruale e gli anniversari personali significativi (v. anche Cap. 190). Anche l’abuso concomitante di alcol e di sostanze accresce il rischio di suicidio. Una disfunzionalità serotoninergica sembra essere uno dei fattori biochimici implicati nel suicidio; la profilassi con litio (che stabilizza il sistema serotoninergico) è efficace per la sua prevenzione. Tra tutti i farmaci prescritti per i disturbi dell’umore, l’overdose con un antidepressivo eterociclico o con il litio (v. anche Tab. 307-3) ha maggiori probabilità di essere letale; spesso l’alcol é un fattore di complicanza. L’overdose da antidepressivi eterociclici causa un coma iperattivo con effetti atropinici; la causa di morte è di solito una aritmia cardiaca o uno stato di male convulsivo. A causa del legame proteico, la diuresi forzata e l’emodialisi sono inutili, e il trattamento va focalizzato sulla stabilizzazione delle funzioni cardiache e cerebrali. Per l’overdose da litio, la diuresi forzata con cloruro di sodio o mannitolo, l’alcalinizzazione delle urine e l’emodialisi possono essere misure salvavita. Gli inibitori delle monoaminossidasi, attualmente prescritti meno spesso, causano raramente overdose. Gli antidepressivi più recenti (p. es., gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, la venlafaxina, il nefazodone, la mirtazapina, il bupropione) in genere non sembrano fatali nell’overdose a scopo di suicidio (uno dei loro maggiori vantaggi).

Diagnosi La diagnosi si basa sul quadro sintomatologico (v. Tab. 189-2), sul decorso, sull’anamnesi familiare e sulla risposta a volte inequivocabile ai trattamenti somatici. Devono essere escluse cause mediche o neurologiche secondarie, soprattutto dopo i 40 anni. Non vi sono esami di laboratorio patognomonici per i disturbi dell’umore. A volte, in strutture di ricerca, vengono utilizzati alcuni test di funzionalità limbicodiencefalica, come il test di stimolazione con l’ormone stimolante del rilascio della tireotropina (TRH), il test di soppressione con desametasone (DST) e l’EEG da sonno per la latenza dei movimenti oculari rapidi (REM). Non vi è accordo sulla sensibilità e specificità diagnostica di questi test, e non servono allo screening. Un risultato negativo al test non esclude un disturbo depressivo; sul piano clinico, un risultato positivo è più significativo. Quando i sintomi d’ansia sono predominanti, la diagnosi di depressione può essere difficile (v. Tab. 189-3). Nei disturbi depressivi primari sono comuni preoccupazioni eccessive, attacchi di panico e sintomi ossessivi, che scompaiono quando l’episodio depressivo va incontro a remissione. Di converso, nei disturbi d’ansia primari, questi sintomi di solito fluttuano in modo irregolare, e la remissione dei sintomi depressivi generalmente non li elimina. Predominanti sintomi d’ansia che compaiono per la prima volta dopo i 40 anni sono molto probabilmente ascrivibili a un disturbo primario dell’umore. Con stato misto ansioso-depressivo (depressione ansiosa) si intendono quegli stati in cui sono presenti sintomi lievi comuni all’ansia e ai disturbi dell’umore. Di solito tali stati seguono un decorso cronico intermittente. In ragione della maggiore gravità dei disturbi depressivi e del rischio di suicidio, i pazienti con stato misto ansioso-depressivo vanno trattati per la depressione. Ossessioni, panico e fobie sociali con depressione ipersonnica suggeriscono un disturbo bipolare di tipo II. Negli anziani, la pseudodemenza depressiva si associa a ritardo psicomotorio, diminuzione della concentrazione e compromissione della memoria, e quindi può essere confusa con la demenza in fase precoce, che spesso esordisce con alterazioni affettive (v. Demenza nel Cap. 171). In generale, quando la diagnosi è file:///F|/sito/merck/sez15/1891638.html (4 of 6)02/09/2004 2.03.58

Disturbi dell'umore

incerta, va tentato il trattamento del disturbo depressivo, in ragione della sua migliore prognosi. Numerose caratteristiche (v. Tab. 189-4) possono essere d’aiuto nella diagnosi differenziale.I termini depressione mascherata e equivalenti affettivi vengono spesso usati per spiegare sintomi fisici prevalenti (p. es., cefalea, faticabilità, insonnia) o disturbi del comportamento quando le alterazioni dell’umore sono minime o assenti. Gli equivalenti affettivi comprendono i passaggi all’atto di tipo antisociale (specialmente nei bambini e negli adolescenti), le condotte impulsive di rischio, il gioco d’azzardo, il dolore cronico, l’ipocondria, gli stati d’ansia e i cosiddetti disturbi psicosomatici. In mancanza di sintomi affettivi di base, la diagnosi di disturbo dell’umore non è esatta, a meno che nel passato non si siano verificati episodi di tipo affettivo, che la condizione recidivi periodicamente e che l’anamnesi familiare includa disturbi dell’umore. Poiché la diagnosi può essere difficile, vengono spesso condotti dei tentativi terapeutici con antidepressivi e/o stabilizzanti dell’umore. La diagnosi differenziale tra i disturbi dell’umore cronici intermittenti, come la ciclotimia e la distimia, e i disturbi da uso di sostanze è difficile. La depressione monopolare è una causa meno comune di alcolismo e di abuso di sostanze di quanto si pensasse un tempo (v. Cap. 195). I pazienti depressi e maniacali possono usare alcol o sostanze nel tentativo di trattare i propri disturbi del sonno, e i pazienti maniacali possono ricercare le sostanze (p. es., la cocaina) per aumentare l’eccitamento, di solito con effetti catastrofici sulla loro malattia. I disturbi da uso di sostanze possono essere accompagnati dagli effetti tossici delle sostanze stesse, da astinenza o da complicanze di tipo sociale, causando così una depressione transitoria o intermittente. Un abuso di sostanze episodico, specialmente di alcol (dipsomania), o un esordio dopo i 30 anni suggeriscono la diagnosi di disturbo dell’umore primario con abuso di sostanze secondario. Quando la diagnosi è in dubbio, un tentativo terapeutico con un antidepressivo o con farmaci stabilizzanti dell’umore può avere spesso una validità clinica.La distinzione tra una psicosi affettiva e la schizofrenia o il disturbo schizoaffettivo (v. Cap. 193) può essere difficile, perché nei disturbi dell’umore si manifestano anche molte caratteristiche schizofreniche (p. es., deliri o allucinazioni non congrue all’umore). È importante porre la diagnosi corretta, perché il litio può causare neurotossicità nella schizofrenia e i neurolettici possono causare discinesia tardiva nei disturbi dell’umore. La diagnosi deve basarsi sul quadro clinico globale, sull’anamnesi familiare, sul decorso e sulle caratteristiche associate (v. Tab. 189-5). Anche l’allucinosi alcolica, la sospensione di farmaci sedativo-ipnotici, la psicosi da sostanze psichedeliche e altri disturbi sistemici o cerebrali possono produrre sintomi psicotici. La diagnosi di disturbo schizoaffettivo non va posta sino a che non siano stati esclusi tali fattori complicanti. Quando la diagnosi è dubbia, vi è l’indicazione per un tentativo terapeutico con un antidepressivo, con uno stabilizzante dell’umore oppure con la terapia elettroconvulsiva, in ragione della miglior prognosi dei disturbi dell’umore. Anche la distinzione tra disturbi dell’umore e disturbi di personalità gravi (p. es., personalità borderline) può essere difficile, specialmente quando il disturbo dell’umore ha un decorso cronico o intermittente (come p. es., la distimia, la ciclotimia o il disturbo bipolare di tipo II). Un decorso precedente con manifestazioni affettive, specialmente se bifasiche, e un’anamnesi familiare di disturbi dell’umore vanno a supporto della diagnosi. Alcuni esami di laboratorio (soprattutto la latenza REM e la stimolazione con TRH) sono simili nei pazienti con disturbo di personalità borderline e in quelli con disturbi dell’umore; questa analogia può voler dire che i due disturbi sono correlati o che questi test non sono utili alla diagnosi differenziale. Alcuni esperti ritengono che almeno alcune forme di disturbo borderline di personalità rappresentino una variante di un disturbo dell’umore, ma questa teoria è controversa. Per i pazienti giovani che hanno un decorso tempestoso e impulsivo che potrebbe culminare in gravi tentativi di suicidio, si raccomanda un tentativo con farmaci timolettici e stabilizzanti dell’umore, condotto da personale esperto in un setting controllato (un ospedale o una clinica per disturbi dell’umore).

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189–1. CAUSE COMUNI DI DEPRESSIONE E MANIA SINTOMATICHE Tipo di causa Collagenovascolari

Depressione LES

Mania LES Corea reumatica

Endocrinologiche

Ipertiroidismo ed ipotiroidismo

Ipertiroidismo

Morbo di Addison Morbo di Cushing Diabete mellito Iperparatiroidismo Ipopituitarismo Mediche generali

Malattia ostruttiva coronarica Fibromialgia Insufficienza epatica o renale

Infettive

AIDS

AIDS

Paresi generalizzata (sifilide terziaria)

Paresi generalizzata (sifilide terziaria)

Influenza Influenza Mononucleosi infettiva Encefalite di St. Louis TBC Epatite virale Polmonite virale Neoplastiche

Cancro della testa del pancreas Carcinomatosi disseminata

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Manuale Merck - Tabella

Neurologiche

Crisi parziali complesse (del lobo temporale)

Crisi parziali complesse (del lobo temporale)

Trauma cranico

Trauma cranico

Sclerosi multipla

Sclerosi multipla

Ictus (frontale sinistro)

Ictus

Tumori cerebrali

Tumori diencefalici

Morbo di Parkinson

Corea di Huntington

Pause respiratorie del sonno Nutrizionali

Pellagra Anemia perniciosa

Farmacologiche

Astinenza da amfetamina

Amfetamine, metilfenidato

Steroidi

Steroidi

Insetticidi anticolinesterasici

Antidepressivi (la maggior parte)

Barbiturici

Cocaina

Cicloserina, amfotericinaB

Levodopa, bromocriptina

Indometacina, cimetidina

Farmaci simpaticomimetici

Metoclopramide

Inibitori della monoaminossidasi (IMAO)

Fenotiazine Reserpina Tallio, mercurio Vincristina, vinblastina Psichiatriche

Alcolismo e altri disturbi da uso di sostanze Personalità antisociale Disturbi demenziali in fase precoce Disturbi schizofrenici

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 307-3. SINTOMATOLOGIA E TRATTAMENTO DI AVVELENAMENTI SPECIFICI Veleno ACE-inibitori

Sintomatologia

Trattamento

Vomito, ipotensione, convulsioni Emesi, carbone attivo, terapia di supporto

Acefato: v. Organofosfati Acetaminofene: v. Paracetamolo Acetanilide Inchiostri anilinici (indelebili) Olio di anilina Cloroanilina

Cianosi dovuta alla formazione di metaemoglobina e sulfaemoglobina, dispnea, astenia, vertigini, dolore anginoso, eruzioni cutanee e orticaria, vomito, delirio, depressione, insufficienza respiratoria e circolatoria

Fenacetina (acetofenetidina)

Ingestione: emesi con ipecacuana; se non ha effetto, lavanda gastrica e/o carbone attivo; poi, come per l'inalazione Contatto cutaneo: togliere i vestiti e lavare la zona con abbondante acqua e sapone; poi, come per l'inalazione Inalazione: O2; assistenza respiratoria; emotrasfusione; blu di metilene 1-2mg/kg EV in caso di cianosi grave

Acetilene, gas: v. Monossido di carbonio Acetofenetidina: v. Acetanilide Acetone

Ingestione: come sotto, salvo per l'effetto polmonare diretto

Chetoni Inalazione: irritazione Collanti per aeromodellismo, bronchiale, congestione ed edema polmonare, mastici ipoventilazione, dispnea, ebbrezza, stupor, chetosi Solvente per smalto per unghie Acetonitrile

Convertito in cianuro, con i sin tomi e i segni relativi

Allontanare dall'origine del veleno; svuotare lo stomaco, tranne per piccole quantità; assistenza respiratoria; O2 e liquidi; correggere l'acidosi metabolica

V. Cianuri

Adesivo cosmetico per unghie Acidi e alcali (v. anche i singoli acidi e alcali e Ingestione di caustici nel Cap.263)

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Manuale Merck - Tabella

Acidi Acetico Cloridrico

Causticazioni per ingestione, contatto cutaneo e oculare e inalazione; dolore locale; in generale, lesioni GI più gravi con gli alcali; possibili lesioni laringee

Fosforico Nitrico

Ingestione: acqua o latte per diluire; non indurre vomito; eventuale la vanda gastrica in caso di ingestione di grandi quantità di alcali in forma granulare Contatto cutaneo od oculare: sciacquare abbondantemente con acqua per 15min

Solforico (alcuni sgorganti per scarichi o sanitari, al cuni detersivi per lavastoviglie) Alcali Alcuni sgorganti per scarichi o sanitari, alcuni detersivi per lavastoviglie Ammoniaca in soluzione acquosa (idrossido di ammonio)

Ricovero in ospedale; oppiacei per il dolore; eventuale trattamento dello shock; eventuale tracheostomia; antibiotici e desametasone 1mg/ m2 ASC q 6h o equivalente per 23sett per le causticazioni esofagee dimostrate, solitamente con esofagoscopia non in urgenza

Carbonati di ammonio, potassio e sodio Idrossido di sodio (soda caustica, liscivia)

(Nota: anche in assenza di lesioni orali, gli alcali forti [pH>10,511,0] possono causticare l'esofago; è raccomandata l'esofagoscopia)

Polveri detergenti Idrossido di potassio (potassa) Acido acetico: v. Acidi e alcali Acido acetilsalicilico: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Acido borico: v. Borati Acido cianidrico: v. Cianuri Acido cloridrico: v. Acidi e alcali

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Manuale Merck - Tabella

Acido cromico Bicromati Cromati

Effetti corrosivi dovuti all'ossidazione; ulcere e perforazioni del setto nasale; gastroenterite grave; shock, vertigini, coma; nefrite

Latte o acqua per diluire; dimercaprolo (o penicillamina) in caso di sintomatologia grave; somministrare con cautela liquidi ed elettroliti per sostenere la funzione renale

Confusione mentale, allucinazioni, ipereccitabilità, coma, flashback

Terapia di supporto; diazepam; clorpromazina (adulti: 50-100mg IM)

Dolore urente alla gola, vomito, dolore intenso; ipotensione, tetania, shock; danno della glottide e renale; ossaluria

Latte o lattato di calcio; eseguire lavanda gastrica con cautela o non eseguirla; calcio gluconato al 10% 10-20ml EV; controllare il dolore; soluzione salina EV per lo shock; emollienti per bocca; osservazione per l'edema e la stenosi della glottide

Triossido di cromo Acido fenico: v. Fenoli Acido fluoridrico: v. Fluoruri Acido fosforico: v. Acidi e alcali Acido lisergico, dietilamide (LSD)

Acido nitrico: v. Acidi e alcali Acido ossalico Glicol etilenico Ossalati

Acido prussico: v. Cianuri Acido salicilico: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Acido solforico: v. Acidi e alcali Acido valproico

Depressione progressiva del SNC

Misure di supporto; utile il naloxone

Sete, diarrea, vomito, capogiri, bruciore alle estremità inferiori; convulsioni, ipotensione, coma, aborto; gangrena dei piedi; cataratta

Emesi con ipecacuana; lavanda gastrica; assistenza cardiorespiratoria; benzodiazepine o barbiturici a breve durata d'azione per le convulsioni; papaverina 60mg EV (1- 2mg/kg EV per i bambini)

Instabilità emotiva, incoordinazione, arrossamenti, nausea e vomito, stupor fino al coma, depressione respiratoria

Emesi; lavanda gastrica; assistenza respiratoria; glucoso EV per prevenire l'ipoglicemia, dialisi in caso di livelli ematici >300-350mg/dl (>65-76 mmol/l); generosa somministrazione di liquidi, perché l'alcol aumenta l'osmolarità del siero

Acqua di Javelle: v. Ipocloriti Alcali: v. Acidi e alcali Alcaloidi della segale cornuta

Alcol di legno: v. Alcol metilico Alcol etilico (etanolo) Brandy Whiskey Altri liquori

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Alcol isopropilico Alcol per frizioni Alcol metilico (metanolo, alcol di legno) Anticongelanti Combustibili solidi in scatola Solvente per vernici

Vertigini, incoordinazione, stupor Emesi; lavanda gastrica; glucoso fino al coma, gastroenterite, EV; correggere la disidratazione e ipotensione gli squilibri elettrolitici; dialisi Elevata tossicità con 60-250ml (2-8 oz) negli adulti, 8-10ml (2 cucchiaini) nei bambini; periodo di latenza 12-18h; cefalea, astenia, crampi agli arti inferiori, vertigini, convulsioni, abbassamento della vista, ipoventilazione

Bicarbonato di sodio EV per combattere l'acidosi; etanolo al 10% in soluzione glucosata al 5% EV; dose di carico iniziale di etanolo di 0,7g/kg infusa in 1h per inibire il metabolismo dell'etanolo, seguita da 0,1-0,2g/kg/h per mantenere un livello ematico di etanolo di 100mg/dl (22 mmol/l); eventuale impiego di fomepizolo (v. Glicol etilenico); emodialisi

Iperattività, euforia, loquacità, insonnia, irritabilità, iperreflessia, anoressia, xerostomia, aritmie, dolore toracico angi noso, blocco cardiaco, stati similpsicotici, incapacità a concentrarsi o a rimanere seduti

Emesi, lavanda gastrica o carbone attivo possono essere efficaci molto tempo dopo l'ingestione a causa del ricircolo attraverso la mucosa gastrica; sedazione con clorpromazina 0,51mg/kg IM o PO q 30min al bisogno; ridurre gli stimoli esterni; ipotermia; prevenzione dell'edema cerebrale; emodialisi; eventuale utilità dei β- bloccanti nei non asmatici

Insonnia, agitazione, anoressia, vomito, disidratazione, convulsioni; in caso di ipersensibilità, possibile collasso vasomotorio immediato; suscettibilità maggiore negli adulti, specialmente dopo sovradosaggio acuto durante somministrazione cronica massimale

Ingestione: emesi (evitare se le convulsioni sono imminenti) o carbone attivo; sospendere la somministrazione; dosaggio del livello ematico di teofillina; fenobarbital o diazepam per le convulsioni; liquidi parenterali; sostenere la PA; eventuale dialisi in caso di livello sierico >50100mg/l (>278-555µmol/l); eventuali β-bloccanti (p.es. esmololo) se il paziente non è asmatico

Vernici Alcol per frizioni: v. Alcol isopropinico Aldrin: v. Idrocarburi clorurati Amfetamine Amfetamina solfato, fosfato Destroamfetamina Fenmetrazina Metamfetamina

Amile, nitrito: v. Nitriti Aminofillina Caffeina Teofillina

Amitriptilina: v. Antidepressivi triciclici

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Ammoniaca gassosa

Irritazione degli occhi e del tratto respiratorio; tosse, senso di soffocamento; dolore addominale

Sciacquare gli occhi per 15min con acqua corrente o soluzione salina; non eseguire lavanda gastrica né indurre emesi; in caso di tossicità grave, O2 a pressione positiva per trattare l'edema polmonare; assistenza respiratoria

Ammoniaca in soluzione acquosa (idrossido di ammonio): v. Acidi e alcali Ammonio carbonato: v. Acidi e alcali Ammonio fluoruro: v. Fluoruri Amobarbital: v. Barbiturici Anilide: v. Acetanilide Anticoagulanti

Prolungamento del tempo di protrombina dopo dosi ripetute

Dicumarolo Warfarin

Osservazione in caso di ingestione singola nei bambini; negli adulti, misurazione del tempo di protrombina per eventuale terapia con vitaminaK

Warfarinici Anticongelanti: v. Alcol metilico; Glicol etilenico Antidepressivi triciclici Amitriptilina Desipramina Doxepina Imipramina Nortriptilina Protriptilina

Effetti anticolinergici (p.es. offuscamento della vista minzione esitante); effetti sul SNC (p.es. sonnolenza, stupor, coma, atassia, irrequietezza, agitazione, iperreflessia, rigidità muscolare, convulsioni); effetti cardiovascolari (tachicardia e altre aritmie, blocchi di branca, difetti di conduzione, scompenso cardiaco congestizio); depressione respiratoria, ipotensione, shock, vomito, iperpiressia, midriasi e sudorazione sono anch'essi possibili

Antimonio: v. Arsenico e antimonio

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Terapia sintomatica e di supporto; emesi (evitare se le convulsioni sono imminenti), carbone attivo, lavanda gastrica; tenere sotto controllo i parametri vitali e l'ECG; mantenere la pervietà delle vie aeree e l'apporto di liquidi; bicarbonato di sodio con iniezione EV rapida (0,5-2mEq/kg), da ripetere periodicamente per mantenere il pH ematico >7,45 e prevenire le aritmie; diazepam per controllare la maggior parte dei problemi a carico del SNC; fisostigmina salicilato (EV lentamente) esclusivamente per far regredire le manifestazioni centrali e cardiache del sovradosaggio (adulti: 2mg più dosi ripetute di 1-4mg al bisogno q 20-60min; bambini: 0,5mg ripetuti al bisogno q 5min fino a un massimo di 2mg)

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Antineoplastici Metotrexato

Effetti sull'ematopoiesi, nausea, vomito; effetti acuti e cronici specifici dipendenti dai singoli farmaci

L'emesi è migliore della lavanda gastrica; terapia di supporto; "salvataggio" con leucovorina; osservazione per eventuali problemi postacuti (>24-48h)

Ampio spettro di sintomi (p.es. eccitazione, coma, ipotensione)

Benzodiazepine e terapia di supporto

Eccitazione o depressione, sonnolenza, nervosismo, disorientamento, allucinazioni, tachicardia, aritmie, ipotensione, iperpiressia, delirio, convulsioni

Emesi con ipecacuana (evitare se le convulsioni sono imminenti), lavanda gastrica, carbone attivo; assistenza respiratoria; sostenere la PA; diazepam per controllare le convulsioni; fisostigmina 0,52,0mg (adulti) o 0,02mg/kg (bambini) IM o EV (lentamente) solo in caso di fallimento delle precedenti (Attenzione: v. Fisostigmina per il rischio di convulsioni.)

Mercaptopurina Vincristina >50 altri Antipsicotici Aloperidolo Clozapina Risperidone Antistaminici

Antitarme (palline, cristalli e tavolette repellenti): v. Naftalene; Paradiclorobenzene Argento, nitrato: v. Argento, sali Argento, sali Nitrato di argento Arsenico e antimonio Arsenico Erbicidi

Colorazione delle labbra (biancastre, brunastre, poi nerastre); gastroenterite, shock, vertigini, convulsioni

Lavanda gastrica con soluzione fisiologica; controllare il dolore; diazepam per controllare le convulsioni

Faringospasmo, disfagia; dolore GI urente, vomito, diarrea, disidratazione; edema polmonare; insufficienza renale; insufficienza epatica

Emesi; lavanda gastrica, poi un emolliente; chelazione con penicillamina; dimercaprolo se il paziente non può assumere terapia orale; idratazione; trattamento dello shock e del dolore; sorbitolo o catartico salino (solfato di sodio 15-30g in acqua)

Pesticidi Soluzione di Donovan Soluzione di Fowler

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Verde di Parigi Composti dell'antimonio Stibofene Tartaro emetico

Arsina: v. Gas arsina Asfalto: v. Distillati del petrolio Aspirina: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Atropina: v. Belladonna Azoto, ossidi: v. Ossidi di azoto Barbiturici Amobarbital

Cefalea, confusione mentale, ptosi, eccitazione, delirio, perdita del riflesso corneale, insufficienza respiratoria, coma

Fino a 24h dopo l'ingestione, svuotare lo stomaco; se immediatamente dopo, emesi con ipecacuana; se il paziente è sedato, lavanda gastrica e carbone attivo mediante tubo endotrache ale cuffiato; offrire una buona assistenza infermieristica; assistenza respiratoria, O2; correggere la disidratazione; dialisi (raramente), specie per i barbiturici a lunga durata d'azione quando l'alcalinizzazione accelera l'escrezione

Vomito, dolore addominale, di arrea, tremori, convulsioni, coliche, ipertensione, arresto cardiaco, dispnea e cianosi, fibrillazione ventricolare, ipokaliemia

Solfato di sodio o di magnesio 60g PO per far precipitare il bario nello stomaco, poi emesi o lavanda gastrica; diazepam per controllare le convulsioni; atropina SC, IM o EV 0,5-1,0mg (adulti) o 0,01mg/kg (bambini) per le coliche; nitroglicerina sublinguale 1/100-1/50 per l'ipertensione; O2 per la dispnea e la cianosi; chinidina solfato 100300mg PO (adulti) o 6mg/kg PO (bambini) per prevenire la fibrillazione ventricolare; correggere l'ipokaliemia

Fenobarbital Meprobamato Pentobarbital Secobarbital

Bario, composti solubili Acetato di bario Carbonato di bario Cloruro di bario Idrossido di bario Nitrato di bario Solfuro di bario Fuochi d'artificio Sostanze depilatorie Veleno per topi

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Belladonna Atropina Iosciamina

Secchezza della cute e delle mucose; midriasi; arrossamenti, iperpiressia; tachicardia, agitazione; coma; insufficienza respiratoria; convulsioni

Emesi o carbone attivo; assistenza respiratoria; eventuale cateterizzazione vescicale; fisostigmina 0,5-2,0mg (adulti) o 0,02mg/kg (bambini) IM o EV (lentamente) per cercare di far regredire gli effetti periferici e sul SNC, ma usare esclusivamente in caso di problemi gravi (Attenzione: v. Fisostigmina per il rischio di convulsioni)

Vertigini, astenia, cefalea, euforia, nausea, vomito, aritmie ventricolari, paralisi, convulsioni; in caso di avvelenamento cronico, anemia aplastica, leucemia

Ingestione di >0,5-1ml/kg: emesi o cauta lavanda gastrica; O2; assistenza respiratoria; monitoraggio ECG (la fibrillazione ventricolare può essere precoce); diazepam per controllare le convulsioni; emotrasfusione in caso di anemia grave; non somministrare adrenalina

Irritabilità, stimolazione del SNC, spasmi muscolari, atonia, convulsioni toniche e cloniche, insufficienza respiratoria, edema polmonare

Emesi immediatamente dopo l'ingestione; lavanda gastrica; diazepam per le convulsioni; evitare l'ingestione di oli, che facilitano l'assorbimento; emoperfusione con carbone attivo secondo necessità

Sedazione fino al coma, specialmente se associate ad alcol

Emesi; lavanda gastrica; terapia di supporto; precauzioni nei confronti del suicidio; antidodi a base di flumazenil per il sovradosaggio. (Attenzione: in caso di utilizzo contemporaneo di triciclici, esiste il rischio di convulsioni.)

Iosciamo Scopolamina (ioscina) Stramonio Benzene Benzolo Colla per aeromodellismo Idrocarburi Toluene Toluolo Xilene γ-Benzene esacloruro Benzene esacloruro Esaclorocicloesano Lindano Benzina: v. Distillati del petrolio Benzodiazepine Clordiazepossido Diazepam Flurazepam Benzolo: v. Benzene Bicloruro di mercurio: v. Mercurio

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Bicromati: v. Acido cromico Bidrin: v. Organofosfati Bifentrin: v. Piretroidi Biscumacetato di etile: v. Warfarin Bisidrossicumarina: v. Warfarin Bismuto, composti

Assorbimento scarso; stomatite ulcerativa, anoressia, cefalea, eruzione cutanea, danno tubulare renale

Emesi con ipecacuana; lavanda gas trica; assistenza respiratoria; dimercaprolo (v. Tab.307-2)

Bisolfuro di carbonio: v. Disolfuro di carbonio b-Bloccanti

Ipotensione, bradicardia, convulsioni, aritmie cardiache; diversi di essi sono anche agonisti α1 o α2

Monitorare attentamente, svuotare lo stomaco; in presenza di sintomi, glucagone 3-5mg EV o in soluzione salina; eventuale uso di pacemaker

Borati

Nausea, vomito, diarrea, gastroenterite emorragica, astenia, letargia, depressione del SNC, convulsioni, eruzione cutanea ad "aragosta bollita", shock

Emesi con ipecacuana; lavanda gastrica; allontanare il veleno dalla pelle; prevenire o trattare gli squilibri elettrolitici e lo shock; tenere sotto controllo le convulsioni; dialisi in caso di avvelenamento grave

Nausea, vomito, eruzione cutanea (talora acneiforme), difficoltà dell'eloquio, atassia, confusione mentale, comportamento psicotico, coma, paralisi

Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica in caso di ingestione acuta; sospendere la somministrazione; idratazione e NaCl EV per promuovere una moderata diuresi; acido etacrinico (di utilità specifica); emodialisi solo in caso di avvelenamento grave

Problemi respiratori, atassia, convulsioni

Carbone attivo, benzodiazepine, misure di supporto

Contrazioni gastriche gravi, vomito, diarrea; secchezza della gola, tosse, dispnea; cefalea; shock, coma; urine brune, insufficienza renale

Emesi con ipecacuana; lavanda gastrica con latte o albumina; assistenza respiratoria; idratazione; ventilazione assistita a pressione positiva intermittente per l'edema polmonare; edetato calcico disodico (v. Tab.307-2); non somministrare dimercaprolo

Acido borico

Brandy: v. Alcol etilico Bromati: v. Clorati Bromo: v. Cloro Bromuri

Bulan: v. Idrocarburi clorurati Bupropione HCl Butile, nitrito: v. Nitriti Cadmio Solder

Caffeina: v. Aminofillina Calce clorurata: v. Cloro file:///F|/sito/merck/tabelle/30703.html (9 of 32)02/09/2004 2.04.03

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Calcio-antagonisti Diltiazem

Nausea, vomito, confusione mentale, bradicardia, ipotensione, collasso completo

Emesi o carbone attivo appena possibile; atropina per la bradicardia; cloruro di calcio (meglio del calcio gluconato) 1-2g EV subito (nei bambini, 100mg/kg EV), ripetibile al bisogno; sostenere la PA; considerare la possibilità di un pacemaker

Alito con odore di canfora, cefalea, confusione mentale, delirio, allucinazioni, convulsioni, coma

Emesi con ipecacuana (evitare se le convulsioni sono imminenti), carbone attivo o lavanda gastrica; di azepam per prevenire e trattare le convulsioni; assistenza respiratoria; è in via di sperimentazione la dialisi lipidica

Irritazione della cute e delle membrane mucose, vescicole; nausea, vomito, diarrea ematica; dolore urente al dorso e in sede uretrale; depressione respiratoria; convulsioni, coma; aborto, menorragia

Evitare l'ingestione di oli; emesi con ipecacuana; assistenza respiratoria; trattare le convulsioni; mantenere il bilancio idrico; non esiste un antitodo specifico

Effetti tossici da lievi a gravi; simili a quelli degli organofosfati

V. Organofosfati, tranne per la pralidossima

Nifedipina Verapamil Calomelano: v. Mercurio Candeggina: v. Ipocloriti Canfora Oli canforati

Cantaridi Cantaridina Mosca spagnola

Captano: v. Idrocarburi clorurati Carbamati Aldicarb Bendiocarb Benomyl Carbarile Carbofuran Fenothiocarb Methiocarb Methomyl Oxamyl Propoxur

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Carbamazepina

Depressione progressiva del SNC, talvolta convulsioni; raramente aritmie cardiache

Misure di supporto dopo la decontaminazione; tenere sotto controllo la frequenza cardiaca

Carbonati (di ammonio, potassio, sodio): v. Acidi e alcali Carbonio, bisolfuro: v. Disolfuro di carbonio Carbonio, diossido: v. Diossido di carbonio Carbonio, disolfuro: v. Disolfuro di carbonio Catrame: v. Distillati del petrolio Cherosene: v. Distillati del petrolio Chetoni: v. Acetone Chlorethoxyfos: v. Organofosfati Chlorothalonil: v. Idrocarburi clorurati Chlorothion: v. Organofosfati Chlorpyrifos: v. Organofosfati Cianuri Acido cianidrico Acido prussico

Tachicardia, cefalea, sonnolenza, ipotensione, coma, acidosi grave a rapido sviluppo, convulsioni; sangue venoso color rosso brillante; assai rapidamente letale (1-15min)

Cianuro di potassio Cianuro di sodio Nitroprussiato Olio di mandorle amare

La rapidità di intervento è essenziale. Allontanare il paziente dall'origine del veleno, se inalato; emesi o lavanda gastrica immediata, inalazione di nitrito di amile 0,2ml (1 capsula) per 30 s al min, O2 al 100%, assistenza respiratoria; 10ml di nitrito di sodio al 3% EV a 2,5-5ml/ min (nei bambini: 10mg/kg), poi 25-50ml di tiosolfato di sodio al 25% EV a 2,5-5ml/ min; ripetere il trattamento se la sintomatologia recidiva; kit Lilly per cianuri

Sciroppo di ciliege selvatiche Ciliege selvatiche, sciroppo: v. Cianuri Cimetidina; ranitidina

Lieve secchezza delle mucose e Nessun antidoto specifico sonnolenza; possibile disponibile; tenere sotto controllo interferenza con il metabolismo il metabolismo degli altri farmaci di altri farmaci somministrati contemporaneamente

Clonidina

Sedazione; apnea periodica; ipotensione

Emesi; lavanda gastrica; terapia di supporto; tolazolina EV e infusione di dopamina; naloxone 5µg/ kg fino a un massimo di 220mg, ripetibile al bisogno

Cloralio idrato

Sonnolenza, confusione mentale, shock, coma; depressione respiratoria; danno renale, danno epatico

Emesi con ipecacuana; lavanda gastrica; assistenza respiratoria; valutare l'ingestione contemporanea di altri tossici

Cloralio amide

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Clorati Bromati Nitrati

Vomito, nausea, diarrea, cianosi (metaemoglobina), nefrite tossica, shock, convulsioni, depressione del SNC, coma, ittero

Emesi con ipecacuana; lavanda gastrica; trasfusione in caso di cianosi grave; evitare il blu di metilene per i clorati o i bromati; acido ascorbico; terapia dello shock; O2; eventuale dialisi per i casi complessi

Ingestione: irritazione, corrosione della cavità orale e del tratto GI, possibile ulcerazione o perforazione; dolore addominale, tachicardia, prostrazione, collasso circolatorio

Ingestione: emesi con ipecacuana; lavanda gastrica; terapia dello shock

Neutralizzatori delle permanenti per capelli Clordano: v. Idrocarburi clorurati Cloro (v. anche Ipocloriti) Bromo Acqua clorata Calce clorurata Gas lacrimogeno

Inalazione: grave irritazione oculare e respiratoria, spasmo della glottide, tosse, senso di soffocamento, vomito; edema polmonare; cianosi

Inalazione: O2; assistenza respiratoria; osservazione per l'edema polmonare e suo eventuale trattamento

Cloroanilina: v. Acetanilide Cloroformio

Sonnolenza, coma; con l'ossido nitroso, delirio

Etere

Ingestione: emesi con ipecacuana; lavanda gastrica; osservazione per il danno epatico e renale

Ossido nitroso Triclorometano Clorpromazina: v. Fenotiazina Clorpropamide: v. Ipoglicemizzanti orali Cloruro di cobalto: v. Ossidi di azoto Cloruro di idrogeno: v. Ossidi di azoto Cloruro di mercurio: v. Mercurio Cobalto: v. Tab.307-2 Cobalto, cloruro: v. Ossidi di azoto

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Inalazione: supporto alla funzione respiratoria, cardiaca e circolatoria

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Cocaina

Stimolazione, poi depressione; nausea e vomito; perdita dell'autocontrollo, ansia, allucinazioni; sudorazione; difficoltà respiratoria progressiva, fino all'insufficienza respiratoria; cianosi; insufficienza circolatoria; convulsioni; IMA (raro); attenzione agli "stuffer" e ai "packer" (cioè coloro che contrabbandano cocaina in in volucri di plastica nascosti nel tratto GI o nella vagina)

Emesi precoce; carbone attivo o lavanda gastrica; diazepam per l'eccitazione (trattamento primario); O2, assistenza respiratoria e circolatoria; se necessario, esmololo EV, con estrema cautela, per le aritmie; osservazione per problemi miocardici o polmonari (solitamente prima dell'arrivo in pronto soccorso)

Codeina: v. Narcotici Collanti per aeromodellismo, mastici (per modellismo): v. Acetone; Benzene; Distillati del petrolio Combustibile, olio: v. Distillati del petrolio Combustibili solidi in scatola: v. Alcol metilico Contaminanti atmosferici: v. Ossidi di azoto Coumaphos: v. Organofosfati Creosoto; cresoli: v. Fenoli Cromati: v. Acido cromico Cromo: v. Tab.307-2 Cyfluthrin: v. Piretroidi Cypermethrin: v. Piretroidi DDD (2-dicloroetano): v. Idrocarburi clorurati DDT (clorofenotano): v. Idrocarburi clorurati Deodoranti domestici: v. Naftalene; Paradiclorobenzene Depilatorie, sostanze: v. Bario, composti Desipramina: v. Antidepressivi triciclici Destroamfetamina: v. Amfetamine Detergenti, polveri: v. Acidi e alcali Detersivi per lavastoviglie: v. Acidi e alcali Diazinon: v. Organofosfati Diclorvos: v. Organofosfati Dicofol: v. Idrocarburi clorurati Dicumarolo: v. Warfarin Dieldrin: v. Idrocarburi clorurati Dietilamide dell'acido lisergico (LSD): v. Acido lisergico, dietilamide Difenossilato con atropina

Letargia, nistagmo, pupille puntiformi, tachicardia, coma, de pressione respiratoria (Nota: la tossicità può essere ritardata fino a 12h.

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Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; carbone attivo; naloxone; tutti i bambini devono essere tenuti sotto controllo per 12-18h, se l'ingestione è accertata

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Digitale, digitossina, digossina: v. la trattazione della digitale sotto Terapia farmacologica della disfunzione sistolica nel Cap.203 Diidrossicumarina: v. Warfarin Dilan: v. Idrocarburi clorurati Dimethoate: v. Organofosfati Dinitrobenzene: v. Nitrobenzene Dinitro-o-cresolo

Stanchezza, sete, arrossamenti cutanei; nausea, vomito, dolore addominale; iperpiressia, tachicardia, perdita di coscienza; dispnea, arresto respiratorio; assorbimento attraverso la cute

Emesi; lavanda gastrica, terapia infusionale; O2; prevedere la tossicità epatica e renale; non esiste un antidoto specifico; sciacquare la cute con detergenti

Diossido di carbonio

Dispnea, astenia, tinnito, palpitazioni

Assistenza respiratoria; O2

Disossido di zolfo

Irritazione delle vie respiratorie; starnutazione, tosse, dispnea, edema polmonare

Allontanare il paziente dall'area con taminata; O2; respirazione a pressione positiva, assistenza respiratoria

Alito con odore di aglio, irritabilità, astenia, depressione maniacale, narcosi, delirio, midriasi, cecità, parkinsonismo, convulsioni, coma, paralisi, insufficienza respiratoria

Lavare la cute; emesi; lavanda gastrica; O2; sedare con diazepam; supporto respiratorio e circolatorio

Ingestione: bruciore alla gola e allo stomaco, vomito, diarrea; polmonite, solo se c'è stata aspirazione

I problemi principali sono conseguenti all'aspirazione (non all'assorbimento GI), pertanto lo svuotamento gastrico non è indicato; lavanda gastrica solo in caso di depressione a rapida insorgenza in seguito all'ingestione di grandi quantità; eseguire emogasanalisi per controllare il trattamento; terapia di supporto per l'edema polmonare; O2, assistenza respiratoria

Erbicidi Pesticidi

Smog Disolfuro di carbonio Bisolfuro di carbonio

Distillati del petrolio (v. anche Avvelenamento da idrocarburi nel Cap.263) Asfalto Benzina Catrame Cherosene

Inalazione di vapori: euforia; bruciore toracico; cefalea, nausea, astenia; depressione del SNC, confusione mentale; dispnea, tachipnea, rantoli Aspirazione: alterazioni polmonari acute precoci

Colla per aeromodellismo Etere di petrolio Nafta Oli lubrificanti Olio combustibile Spiritiminerali file:///F|/sito/merck/tabelle/30703.html (14 of 32)02/09/2004 2.04.03

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Disulfoton: v. Organofosfati Diuretici mercuriali: v. Mercurio Doxepina: v. Antidepressivi triciclici Endosulfan: v. Idrocarburi clorurati Endrin: v. Idrocarburi clorurati Erbicidi: v. Arsenico e antimonio; Dinitro-o-cresolo Eroina: v. Narcotici Esaclorocicloesano: v. g-Benzene esacloruro Esaetiltetrafosfato: v. Organofosfati Eserina: v. Fisostigmina Esfenvalerato: v. Piretroidi Esplosivi: v. Bario, composti (fuochi d'artificio); Ossidi di azoto Etanolo: v. Alcol etilico Etere: v. Cloroformio Etere di petrolio: v. Distillati del petrolio Ethion: v. Organofosfati Etilico, alcol: v. Alcol etilico Famphur: v. Organofosfati FANS Ibuprofene

Nausea, vomito (in caso di sovradosaggi notevoli, v. la trattazione dell'acidosi sotto Disturbi dell'equilibrio acido-base nel Cap.12)

Emesi, lavanda gastrica o carbone attivo nei casi gravi; osservazione clinica e misure di supporto

Fave (favismo): v. Avvelenamento da sostanze chimiche alimentari nel Cap.28 Fenciclidina (PCP)

"Assenza", incoscienza; ipertensione

Trasferire in ambiente tranquillo; la vanda gastrica prolungata; propranololo e diazepam

Nervosismo, irritabilità, ipertensione e altri effetti simpaticomimetici

Terapia di supporto; diazepam; fentolamina (5mg) o nitroprussiati per l'ipertensione

Fenacetina: v. Acetanilide Fenilpropanolamina

Fenmetrazina: v. Amfetamine Fenobarbital: v. Barbiturici

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Fenoli Acido carbolico Creosoto

Effetti corrosivi; causticazioni delle mucose; pallore, astenia, shock; convulsioni nei bambini; edema polmonare; urine color fumo; insufficienza respiratoria, cardiaca e circolatoria

Togliere i vestiti, lavare le lesioni esterne con acqua; carbone attivo. Non utilizzare alcol od oliominerale. Emollienti; alleviare il dolore; O2; assistenza cardio respiratoria; correggere lo squilibrio idrico; osservazione per eventuale stenosi esofagea (rara)

Sintomatologia extrapiramidale (atassia, spasmi muscolari e carpopedali, torcicollo), di solito idiosincrasica; in caso di sovradosaggio: xerostomia, sonnolenza, coma, ipotermia, collasso respiratorio; leucopenia, ittero, deficit della coagulazione, eruzioni cutanee

Emesi con ipecacuana, carbone attivo o lavanda gastrica; difenidramina 2-3mg/kg EV o IM per la sintomatologia extrapiramidale; diazepam per le convulsioni; riscaldare il paziente; devono essere evitati il levarterenolo e l'adrenalina; la dialisi non è di alcun beneficio (bicarbonato di sodio per le tachiaritmie)

Vomito, dolore ai quadranti ad dominali superiori, pallore, cianosi, diarrea, sonnolenza, shock; è preoccupante l'ingestione di >40-70mg/kg di ferro elementare

Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; se la sideremia è >400500mmg/dl (>72-90gmmol/l) a 36h dall'ingestione (e sono presenti sintomi GI), deferoxamina 1g EV (velocità massima

Cresoli Guaiacolo Naftoli Fenotiazina Clorpromazina Proclorperazina Promazina Trifluoperazina Fenthion: v. Organofosfati Ferrici, sali: v. Ferro Ferro Ferro carbonile (v. Monossido di carbonio) Sali ferrici Sali ferrosi Gluconato ferroso Solfato ferroso Vitamine contenenti ferro (Nota: le forme masticabili contenenti ferro per bambini sono notevolmente sicure)

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15mg/kg/h) o 1-2g IM q 3-12h (le urine diventano rosse entro 2h); per lo shock, deferoxamina 1g EV (velocità massima 15mg/ kg/h); limitare la terapia chelante a 24h; exsanguino-trasfusione

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Fisostigmina Eserina

Vertigini, astenia, vomito, dolore Atropina solfato 0,6-1mg (adulti), crampiforme; midriasi, poi miosi; 0,01mg/kg (bambini) SC o EV, convulsioni ripetibile al bisogno (Attenzione: l'impiego della fisostigmina per neutralizzare gli anticolinergici è associato a un'incidenza di attacchi convulsivi del 15%); benzodiazepine

Neostigmina Pilocarpina Pilocarpus Fluoro: v. Ossidi di azoto Fluoruri Acido fluoridrico Floururi solubili in generale Fuoruro di ammonio Fluoruro di sodio Veleno per scarafaggi Veleno per topi

Ingestione: sapore salato o simile a sapone; con dosi notevoli: tremori, convulsioni, depressione del SNC; shock; insufficienza renale Contatto cutaneo e mucoso: ustioni superficiali o profonde Inalazione: intensa irritazione oculare e nasale; cefalea; dispnea, senso di soffocamento, edema della glottide, edema polmonare, bronchite, polmonite; enfisema mediastinico e sottocutaneo da rottura di bolle polmonari

Ingestione: emesi con ipecacuana; lavanda gastrica (lasciare nello stomaco idrossido di alluminio in gel oppure idrossido o cloruro di calcio o di magnesio); soluzione glucosata e salina EV; calcio gluconato al 10%, 10ml EV (1ml/kg nei bambini); tenere sotto controllo l'ipereccitabilità miocardica; trattare lo shock e la disidratazione Contatto cutaneo e mucoso: sciacquare abbondantemente con acqua fredda; asportare il tessuto divenuto biancastro; talvolta, calcio gluconato al 10% per iniezione locale o, più spesso, intrarteriosa con applicazione di pasta all'ossido di magnesio Inalazione: O2, assistenza respiratoria; prednisone per la polmonite chimica (adulti: 3080mg/die in dosi frazionate); trattare l'edema polmonare

Fluoruro di idrogeno: v. Ossidi di azoto Fluoxetina: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina Fluvalinato: v. Piretroidi

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Formaldeide Formalina (Nota: può contenere alcol metilico)

Ingestione: dolore orale e gastrico, nausea, vomito, ematemesi, shock, ematuria, anuria, coma, insufficienza respiratoria Contatto cutaneo: irritazione, necrosi coagulativa; dermatite, ipersensibilità

Ingestione: acqua o latte per diluire; trattare lo shock; bicarbonato di sodio per correggere l'acidosi; assistenza respiratoria; tenere in osservazione per eventuali perforazioni Contatto cutaneo: lavare abbondantemente con acqua e sapone

Inalazione: irritazione oculare, nasale e respiratoria; spasmo ed edema laringeo; disfagia; Inalazione: sciacquare gli occhi bronchite, polmonite con soluzione salina; O2; assistenza respiratoria Formalina: v. Formaldeide Fosfina (idrogeno fosforato): v. Solfuro di idrogeno Fosforico, acido: v. Acidi e alcali Fosforo (giallo o bianco) Veleno per scarafaggi Veleno per topi (Nota: il fosforo rosso è non assorbibile e non tossico)

1° stadio: sapore simile all'aglio; alito con odore di aglio; irritazione locale, causticazioni cutanee e faringee, nausea, vomito, diarrea 2° stadio: assenza di sintomi da 8h a diversi giorni 3° stadio: nausea, vomito, diarrea, epatomegalia, ittero, emorragie, danno renale, convulsioni, coma Tossicità potenziata dall'alcol, dai grassi e dagli oli digeribili

Proteggere il paziente e il personale dal vomito, dal liquido della lavanda gastrica e dalle feci; se il fosforo è penetrato nella cute, immergere il corpo del paziente in acqua; lavanda gastrica abbondante: alcuni raccomandano permanganato di potassio (1:5000) o solfato di rame (250mg in 250ml d'acqua); oliominerale 100ml (per prevenire l'assorbimento), da ripetere nelle successive 2h; prevenire lo shock; vitamina K1 EV; trasfusione con sangue fresco

Fowler, soluzione: v. Arsenico e antimonio Funghi velenosi: v. Avvelenamento da sostanze chimiche alimentari nel Cap.28 Fuochi d'artificio: v. Bario, composti Gas: v. Ammoniaca gassosa; Cloro (gas lacrimogeno); Monossido di carbonio (gas acetilene, gas di carbon fossile, gas di palude, gas di scarico automobilistici, gas illuminante, gas per caldaie); Organofosfati (gas nervini); Solfuro di idrogeno (gas mefitico, idruri volatili) Gas acetilene: v. Monossido di carbonio Gas arsina

Anemia emolitica acuta

Gas di carbon fossile: v. Monossido di carbonio Gas di scarico automobilistici: v. Monossido di carbonio Gas illuminante: v. Monossido di carbonio Gas lacrimogeno: v. Cloro Gas mefitico: v. Solfuro di idrogeno

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Trasfusioni; diuresi

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Gas nervini: v. Organofosfati Gas per caldaie: v. Monossido di carbonio Gaulteria, olio: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Glicol dietilenico: v. Glicol etilenico Glicol etilenico Glicol dietilenico Anticongelanti permanenti

Ingestione: ebbrezza, ma senza odore di alcol all'alito; nausea, vomito; più tardi, spasmo carpopedale, dolore lombare; cristalluria da ossalati; oliguria con progressione fino all'anuria e all'insufficienza renale acuta; difficoltà respiratoria, convulsioni, coma Contatto oculare: iridociclite

Ingestione: emesi; lavanda gastrica, assistenza respiratoria, correggere lo squilibrio elettrolitico (gap anionico); etanolo (v. la terapia dell'avvelenamento da alcol metilico); fomepizolo 15mg/kg EV subito, 10mg/kg q 12h per 4 volte più dialisi in caso di livelli ematici >50mg/dl (per inibire la conversione del glicol etilenico in metaboliti tossici da parte dell'alcol deidrogenasi) Contatto oculare: sciacquare gli occhi

Glipizide: v. Ipoglicemizzanti orali Gluconato ferroso: v. Ferro Glutetimide

Sonnolenza, areflessia, midriasi, Emesi con ipecacuana; lavanda ipotensione, depressione gas trica, carbone attivo; respiratoria, coma assistenza respiratoria, mantenere l'equilibrio idroelettrolitico; l'emodialisi può essere di aiuto; trattare lo shock

Guaiacolo: v. Fenoli H2 antagonisti

Problemi GI minori; possibili alterazioni della concentrazione di altri farmaci

Misure di supporto non specifiche

Heptachlor: v. Idrocarburi clorurati Idrocarburi: v. Benzene Idrocarburi alogenati: v. Idrocarburi clorurati Idrocarburi clorurati Aldrin Benzene esacloruro Bulan

Effetti tossici da lievi (p.es. metossicloro) a gravi (p.es. dieldrin); vomito (immediato o tardivo); parestesie; malessere generale; tremori grossolani, convulsioni; edema polmonare, fibrillazione ventricolare, insufficienza respiratoria

Captan Chlorothalonil Clordano file:///F|/sito/merck/tabelle/30703.html (19 of 32)02/09/2004 2.04.03

Emesi; lavanda gastrica, in assenza di convulsioni, o carbone attivo; diazepam o fenobarbital per prevenire e controllare i tremori e le convulsioni; evitare l'adrenalina e gli stimoli improvvisi; liquidi parenterali; tenere sotto controllo la funzionalità epatica e renale; assistenza cardiorespiratoria

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DDD (2-dicloroetano) DDT (clorofenotano) Dicofol Dieldrin Dienochlor Dilan Endosulfan Endrin Heptachlor Lindano Metossicloro Perclordecone Prolan Toxafene Altri insetticidi organici e composti industriali clorurati Idrogeno, cloruro e fluoruro: v. Ossidi di azoto Idrogeno, solfuro: v. Solfuro di idrogeno Idrogeno fosforato (fosfina): v. Solfuro di idrogeno Idrossido di sodio (soda caustica): v. Acidi e alcali Idruri volatili: v. Solfuro di idrogeno Imipramina: v. Antidepressivi triciclici Inibitori selettivi del reuptake della serotonina Fluoxetina

Sonnolenza; interazione con l'alcol, gli inibitori della monoamino ossidasi e altri farmaci

Paroxetina Sertralina

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Emesi, lavanda gastrica o carbone attivo nei casi gravi; misure di supporto

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Insetticidi: v. Idrocarburi clorurati; Organofosfati; Paradiclorobenzene; Piretroidi Iodio

Dolore urente alla bocca e all'esofago; colorazione brunastra delle mucose; edema laringeo; vomito; dolore addominale, diarrea; shock, nefrite, collasso circolatorio

Latte, amido o farina PO; lavanda gastrica; liquidi ed elettroliti; trattare lo shock; tracheostomia per l'edema laringeo

Iodioformo

Dermatite; vomito; depressione del SNC, eccitazione; coma; difficoltà respiratoria

Ingestione: emesi o lavanda gastrica; assistenza respiratoria

Triiodometano

Contatto cutaneo: lavare con bicarbonato di sodio o alcol Iosciamina, iosciamo, ioscina (scopolamina): v. Belladonna Ipocloriti Candeggina, cloro Acqua di Javelle Ipoglicemizzanti orali Clorpropamide

Di solito, lieve dolore e infiammazione della mucosa orale e GI; tosse, dispnea, vomito; eruzione cutanea vescicolare

Diluire con latte (gli abituali preparati domestici al 6% non richiedono molto di più); trattare lo shock; esofagoscopia in caso di ingestione di preparati concentrati

La maggior parte dei pazienti rimane asintomatica; in alcuni compare ipoglicemia, più negli adulti che nei bambini

Emesi, lavanda gastrica o carbone attivo nei casi gravi; alimentazione frequente (non esclusivamente zucchero) e stretta osservazione del comportamento; in caso di sovradosaggi notevoli, misurazione della glicemia

Stimolazione del SNC, convulsioni, ottundimento del sensorio, coma

Emesi; lavanda gastrica; sedare con diazepam; piridossina (1mg ognimg di isoniazide ingerito) fino a 200mg EV lentamente per le convulsioni, ripetibile al bisogno; bicarbonato di sodio per l'acidosi (di rado necessario)

Glipizide

Isofenfos: v. Organofosfati Isoniazide

Isopropilico, alcol: v. Alcol isopropilico Javelle, acqua: v. Ipocloriti Lacrimogeno, gas: v. Cloro Lambda-cyhalothrin: v. Piretroidi Lindano: v.γ-Benzene esacloruro; Idrocarburi cloridrati Liquore: v. Alcol etilico Liscivia: v. Acidi e alcali (idrossido di sodio) Litio, sali

Nausea, vomito, diarrea, tremori, Acuto: emesi; diazepam; sonnolenza, insufficienza renale, eventuale dialisi diabete insipido Cronico: ridurre la dose; terapia di supporto

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LSD (dietilamide dell'acido lisergico): v. Acido lisergico, dietilamide Malathion: v. Organofosfati Manganese: v. Tab.307-2 Mefitico, gas: v. Solfuro di idrogeno Meperidina: v. Narcotici Meprobamato: v. Barbiturici Mercurio Bicloruro di mercurio Calomelano Cloruro di mercurio Diuretici mercuriali Mercurio ammoniacato

Acuto: gastroenterite grave, dolore urente alla bocca, scialorrea, dolore addominale, vomito; colite, nefrosi, anuria, uremia; causticazioni cutanee da mercuriali alchilici e fenilici

Lavanda gastrica, carbone attivo; penicillamina (o succimero), v. Tab.307-2; mantenere l'equilibrio idroelettrolitico; emodialisi per l'insufficienza renale; osservazi one per eventuali perforazioni GI

Cronico: gengivite, disturbi mentali, deficit neurologici

Contatto cutaneo: lavare con acqua e sapone

Vapori di mercurio: polmonite grave

Polmoni: terapia di supporto

Mertiolato Sublimato corrosivo Tutti i composti mercuriali Vapori di mercurio Mercurio ammoniacato: v. Mercurio Mertiolato: v. Mercurio. Di solito non dà problemi Metadone: v. Narcotici Metaldeide Veleno per lumache Metalli

Nausea, vomito e conati di vomito, dolore addominale, rigidità muscolare, iperventi lazione, convulsioni, coma

Emesi, nel caso in cui non avvenga spontaneamente; terapia di supporto; diazepam

V. i singoli metalli

V. Tab.307-2

Metamfetamina: v. Amfetamine Metanolo: v. Alcol metilico Methidathion: v. Organofosfati Metil parathion: v. Organofosfati Metossicloro: v. Idrocarburi clorurati Metilico, alcol: v. Alcol metilico Metilsalicilato: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilatinel Cap.263

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Monossido di carbonio Ferro carbonile Gas acetilene Gas di carbon fossile Gas di palude

La tossicità varia con la durata dell'esposizione, la concentrazione inalata, la frequenza cardiaca e respiratoria; la sintomatologia varia con la % di carbossiemoglobina nel sangue; cefalea, vertigini, dispnea, confusione mentale, midriasi, convulsioni, coma

O2 al 100% in maschera; assistenza respiratoria se necessario; determinare immediatamente il livello di carbossiemoglobina; evitare tutti gli stimolanti; l'O2 iperbarico (v. Cap.292) è probabilmente efficace se la carbossiemoglobina è >25% circa; valore principale probabilmente a livello del citocromo

Ingestione: crampi addominali, nausea, vomito; cefalea, confusione mentale; disuria; emolisi intravascolare; convulsioni; anemia emolitica nei soggetti con deficit di G6PD

Ingestione: emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; emotrasfusione in caso di emolisi grave; alcalinizzare le urine per l'emoglobinuria; controllare le convulsioni

Contatto cutaneo: dermatite, ulcerazioni corneali

Contatto cutaneo: togliere i vestiti se sono stati tenuti in naftalina; sciacquare la cute e gli occhi

Gas di scarico automobilistici Gas illuminante Gas per caldaie Morfina: v. Narcotici Nafta: v. Distillati del petrolio Naftalene (v. anche Paradiclo robenzene) Antitarme Naftalina Tavolette deodoranti

Inalazione: cefalea, confusione mentale, vomito, dispnea Naftalina: v. Naftalene Naftoli: v. Fenoli Naled: v. Organofosfati Narcotici (v. anche Dipendenza da Oppioidi nel Cap.195)

Pupille puntiformi, sonnolenza, respiro superficiale, spasticità, insufficienza respiratoria

Alfaprodina Codeina Eroina Meperidina Metadone Morfina

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Non somministrare emetici. Lavanda gastrica, carbone attivo, assistenza respiratoria; naloxone 5µg/ kg EV per risvegliare il paziente e migliorare la respirazione; se il paziente non risponde, naloxone 2- 20mg (eventualmente ripetibile fino a 1020volte); liquidi EV per sostenere la circolazione

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Oppio Propossifene Neostigmina: v. Fisostigmina Nichel: v. Tab.307-2 Nicotina: v. Tabacco Nitrati: v. Clorati Nitrato di argento: v. Argento, sali Nitrico, acido: v. Acidi e alcali Nitriti Nitrito di amile

Metaemoglobinemia, cianosi, anossia, disturbi GI, vomito, cefalea, vertigini, ipotensione, insufficienza respiratoria, coma

Nitrito di butile Nitrito di potassio

Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; O2; per la metaemoglobinemia, blu di metilene all'1% 1- 2mg/kg EV lentamente; in caso di metaemoglobina >40%, trasfusione con sangue intero

Nitrito di sodio Nitroglicerina Nitrito di amile: v. Nitriti Nitrito di butile: v. Nitriti Nitrito di potassio: v. Nitriti Nitrito di sodio: v. Nitriti Nitrobenzene Dinitrobenzene Olio di mandorle amare artificiale

Odore di mandorle amare (simile V. Acetanilide a quello dei cianuri), sonnolenza, cefalea, vomito, atassia, nistagmo, urine marroni, movimenti convulsivi, delirio, cianosi, coma, arresto respiratorio

Nitroglicerina: v. Nitriti Nitroso, ossido: v. Cloroformio Nortriptilina: v. Antidepressivi triciclici Octametil pirofosforamide: v. Organofosfati Oli: v. Acetalinide (olio di anilina); Distillati del petrolio (olio combustibile, oli lubrificanti) Oli lubrificanti: v. Distillati del petrolio Olio combustibile: v. Distillati del petrolio Olio di Gaulteria: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Olio di mandorle amare artificiale: v. Nitrobenzene Oppio: v. Narcotici

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Organofosfati Acefato Bidrin Chlorethoxyfos Chlorothion

Nausea, vomito, crampi addominali, scialorrea; aumento delle secrezioni polmonari, cefalea, rinorrea, offuscamento della vista, miosi; difficoltà dell'eloquio, confusione mentale; difficoltà respiratoria, schiuma alla bocca; coma; assorbimento per contatto cutaneo, inalazione o ingestione

Chlorpyrifos Coumaphos Demeton Diazinon Diclorvos Dimetoato Disulfoton Ethion Famphur Fenthion Forato Fosdrin Fosmet Gas nervini Esaetiltetrafosfato Isofenfos Malathion Methidathion Metil parathion

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Togliere i vestiti, lavare e sciacquare la cute; svuotare lo stomaco; atropina 2mg (adulti), 0,01-0,05mg/ kg (bambini) EV o IM q 15-60min (in assenza di segni di tossicità da atropina, ripetere al bisogno); pralidossima cloruro 1-2g (adulti), 20-40mg/kg (bambini) EV in 15-30min, ripetibile in 1h se necessario; O2; assistenza respiratoria; correggere la disidratazione. Non usare morfina o aminofillina. Il personale deve evitare l'autocontaminazione

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Naled Octametil pirofosforamide Ossidemeton-metile Parathion Pirimifos-metile Temefos Terbufos Tetraclorvinfos Triclorfon Oro, sali: v. oro nella Tab.307-2 e composti dell'oro nella Terapia dell'artrite reumatoide nel Cap.50 Ossalati:v. Acido ossalico Ossalico, acido: v. Acido ossalico Ossidi di azoto (v. anche Cloro, Diossido di zolfo, Solfuro di idrogeno e Cap.75) Cloruro di cobalto Cloruro di idrogeno

Sintomatologia ad esordio ritardato, salvo in caso di concentrazioni elevate; altri gas irritanti danno sintomi di avvertimento (bruciore locale a livello delle mucose oculari, nasali e faringee; astenia, tosse, dispnea, edema polmonare; più tardi, bronchite, polmonite)

Contaminanti dell'aria che formano ossidanti atmosferici; liberati dai combustibili dei missili, dagli esplosivi e dai rifiuti agricoli Fluoro Fluoruro di idrogeno Ossido nitroso: v. Cloroformio Oxydemeton-methyl: v. Organofosfati Palude, gas: v. Monossido di carbonio

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Riposo a letto: O2 appena com paiono i sintomi; in caso di eccessiva secrezione schiumosa polmonare: aspirazione, drenaggio posturale, tracheostomia; prednisone 3080mg/die (adulti) o desametasone 1mg/m2 ASC (bambini) per prevenire la fibrosi polmonare

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Paracetamolo (v. anche Avvelenamento da paracetamolo nel Cap.263)

Iniziale: spesso asintomatico; lieve nausea, vomito, sudorazione, pallore; segni iniziali di epatotossicità; oliguria

Paradiclorobenzene

Dolore addominale, nausea, vomito, diarrea, convulsioni, tetania

Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; reintegrare i liquidi; diazepam per controllare le convulsioni

Paraldeide

Alito con odore di paraldeide, incoerenza, miosi, ipoventilazione, coma

Ingestione: emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; O2, assistenza respiratoria

Paraquat

Immediata: dolore GI e vomito

Emesi, terra di Fuller più solfato di sodio; O2 in quantità limitate; consultare un centro antiveleni o il fabbricante del prodotto

Antitarme

Emesi; lavanda gastrica e/o carbone attivo; dosaggio dei livelli plas matici del farmaco a 4h a fini prognostici: danno epatico possi bile se >160-200µg/ml (>1060Successiva (dopo 24-48h): nau 1320 µmol/l) e quasi certo se sea e vomito protratto, dolore in >300µmg/ml (1980µmol/l); entro ipocondrio destro, ittero, difetti 18-48h dall'avvelenamento, della coagulazione, ip oglicemia, acetilcisteina (Solmucol) 140mg/ encefalopatia, in sufficienza kg PO all'inizio, poi 70mg/kg PO q epatica, insufficienza renale, 4h per 4-18dosi per prevenire possibile miocardiopatia un'epatotossicità significativa

Deodoranti per sanitari Insetticidi

Entro 24h: insufficienza respiratoria (il diquat non provoca alterazioni respiratorie) Parathion: v. Organofosfati Paroxetina: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina Pentobarbital: v. Barbiturici Perclordecone: v. Idrocarburi clorurati Permanente per capelli, neutralizzanti: v. Clorati Permanganato di potassio

Discromia bruna e causticazioni Lavanda gastrica, emollienti; della mucosa orale, edema della mantenere l'equilibrio idrico glottide; ipotensione; interessamento renale

Permethrin: v. Piretroidi Pesticidi: v. Arsenico e antimonio; Bario, composti; Dinitro-o-cresolo; Fluoruri; Fosforo; Idrocarburi clorurati; Organofosfati; Paradiclorobenzene; Piretroidi; Tallio, sali; Warfarin Phorate: v. Organofosfati Phosdrin: v. Organofosfati Phosmet: v. Organofosfati Pilocarpina, Pilocarpus: v. Fisostigmina

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Piombo Sali di piombo Solder Alcune vernici e superfici verniciate

Ingestione acuta: sete, dolore addominale urente, vomito, diarrea, sintomatologia a carico del SNC come per l'inalazione acuta

V. Avvelenamento da piombo nel Cap.263

Inalazione acuta: insonnia, cefalea, atassia, mania, convulsioni Encefalopatia da piombo: v. Avvelenamento da piombo nel Cap.263

Piombo tetraetile

Inalazione di vapori, assorbimento cutaneo e ingestione: sintomatologia a carico del SNC (insonnia, agitazione, atassia, ideazione monotematica, mania, convulsioni)

Terapia di supporto, p.es. diazepam, clorpromazina, liquidi ed elettroliti; eliminare l'origine del veleno

Risposta allergica (comprese reazioni anafilattiche e ipersensibilità cutanea) nelle persone ipersensibili; altrimenti, bassa tossicità, a meno che il veicolo non sia un distillato del petrolio

In caso di ingestione di quantità considerevoli, emesi se il paziente è vigile; altrimenti, intubazione endotracheale e lavanda gastrica; lavare accuratamente la cute

Piretrina: v. Piretroidi Piretroidi Bifenthrin Cyfluthrin Cypermethrin Esfenvalerato Fluvalinato Lambda-cyhalothrin Permethrin Pyrethrin Resmethrin Sumithrin Tefluthrin Tetramethrin Pirimifos-metile: v. Organofosfati

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Potassa: v. Acidi e alcali (idrossido di potassio) Potassio, carbonato: v. Acidi e alcali Potassio, cianuro: v. Cianuri Potassio, idrossido: v. Acidi e alcali Potassio, nitrito: v. Nitriti Potassio, permanganato: v. Permanganato di potassio Proclorperazina: v. Fenotiazina Prolan: v. Idrocarburi clorurati Promazina: v. Fenotiazina Propossifene: v. Narcotici Propranololo

Confusione mentale e convulsioni

Emesi; lavanda gastrica; terapia di supporto; sedare con diazepam; pacemaker e glucagone (0,05mg/ kg subito più 2-5mg/h)

Protriptilina: v. Antidepressivi triciclici Prussico, acido: v. Cianuri Radio: v. Tab.307-2 Rame: v. Tab.307-2 Rame, sali

Vomito, sensazione di bruciore, Emesi; lavanda gastrica; sapore metallico, diarrea, dolore, penicillamina o dimercaprolo (v. Acetato, subacetato e solfato shock, ittero, anuria, convulsioni Tab.307- 2); mantenere l'equilibrio idroelettrolitico; rameico assistenza respiratoria; controllare il tratto GI; terapia Cloruro e ossido rameoso dello shock, controllare le convulsioni; tenere sotto controllo Sali di zinco la funzionalità epatica e renale

Resmethrin: v. Piretroidi Resorcinolo (resorcina)

Vomito, vertgini, tinniti, brividi, tremore, delirio, convulsioni, depressione respiratoria, coma

Emesi o lavanda gastrica; assistenza respiratoria

Sali d'oro: v. oro nella Tab.307-2 e composti dell'oro nella Terapia dell'artrite reumatoide nel Cap.50 Sali di litio: v. Litio, sali Sali di piombo: v. Piombo Sali di rame: v. Rame, sali Sali di tallio: v. Tallio, sali Sali ferrici: v. Ferro Salicilati: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Salicilico, acido: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Sciroppo di ciliege selvatiche: v. Cianuri Scopolamina (ioscina): v. Belladonna Secobarbital: v. Barbiturici file:///F|/sito/merck/tabelle/30703.html (29 of 32)02/09/2004 2.04.03

Manuale Merck - Tabella

Segale cornuta, alcaloidi: v. Alcaloidi della segale cornuta Selenio: v. Tab.307-2 Serotonina, inibitori selettivi del reuptake: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina Sertralina: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina Sgorganti per scarichi domestici e sanitari: v. Acidi e alcali Smog: v. Diossido di zolfo Soda caustica: v. Acidi e alcali (idrossido di sodio) Sodio, carbonato: v. Acidi e alcali Sodio, cianuro: v. Cianuri Sodio, fluoruro: v. Fluoruri Sodio, idrossido: v. Acidi e alcali Sodio, nitrito: v. Nitriti Sodio, salicilato: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263 Solder: v. Cadmio; Piombo Solfato ferroso: v. Ferro Solforico, acido: v. Acidi e alcali Solfuri di alcali: v. Solfuro di idrogeno Solfuro di idrogeno Fosfina Gas mefitico Idruri volatili Solfuri di alcali

"Occhio da gas" (cheratocongiuntivite subacuta), lacrimazione e bruciore; tosse, dispnea, edema polmonare; causticazioni cutanee, eritema, dolore; salivazione profusa, nausea, vomito, diarrea; confusione mentale, vertigini; collasso e perdita di coscienza improvvisi

O2, assistenza respiratoria; nitrito di amile e nitrito di sodio come per i cianuri (non somministrare tiosolfato)

Soluzione di Fowler: v. Arsenico e antimonio Solvente per smalto per unghie: v. Acetone Solventi per collanti per aeromodellismo: v. Acetone; Benzene; Distillati del petrolio Solventi per vernici: v. Distillati del petrolio (spiriti minerali); Trementina Spiritiminerali: v. Distillati del petrolio Stibofene: v. Arsenico e antimonio Stramonio: v. Belladonna Stricnina

Agitazione, iperacuità uditiva e visiva, altri problemi; convulsioni scatenate da stimoli minimi, completo rilassamento muscolare tra un attacco convulsivo e l'altro; sudorazione; arresto respiratorio

Sublimato corrosivo: v. Mercurio file:///F|/sito/merck/tabelle/30703.html (30 of 32)02/09/2004 2.04.03

Isolare il paziente e limitare gli stimoli per prevenire le convulsioni; carbone attivo PO; diazepam e curarici EV per controllare le convulsioni; assistenza respiratoria; diuresi acida con cloruro di ammonio o acido ascorbico; lavanda gastrica dopo il controllo delle convulsioni

Manuale Merck - Tabella

Sumithrin: v. Piretroidi Superwarfarin: v. Warfarin Tabacco Nicotina

Tallio, sali (usati un tempo nei veleni per formiche, topi e sca rafaggi)

Eccitazione, confusione mentale, contrazioni muscolari, astenia, crampi addominali, convulsioni cloniche, depressione, tachipnea, palpitazioni, collasso, coma, paralisi del SNC, insufficienza respiratoria

Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; carbone attivo; assistenza respiratoria; O2; diazepam per le convulsioni; lavare accuratamente la cute, se contaminata

Dolore addominale (colico), vomito (talvolta ematico), diarrea (talvolta ematica), stomatite, scialorrea; tremori, dolori agli arti inferiori, parestesie, polineuriti, paralisi oculare e facciale; delirio, convulsioni, insufficienza respiratoria; perdita dei capelli circa 3sett dopo l'avvelenamento

Emesi con ipecacuana, lavanda gastrica; trattare lo shock; diazepam per controllare le convulsioni; la terapia chelante è allo stadio sperimentale; consultare un centro antiveleni per le informazioni più recenti

Tartaro emetico: v. Arsenico e antimonio Tefluthrin: v. Piretroidi Temefos: v. Organofosfati Terbufos: v. Organofosfati Teofillina: v. Aminofillina Tetraclorvinfos: v. Organofosfati Tetracloruro di carbonio Liquidi detergenti (non infiammabili)

Nausea, vomito, dolore addominale, cefalea, confusione mentale, disturbi visivi, depressione del SNC, fibril lazione ventricolare, danno renale, danno epatico

Lavare la cute; emesi o lavanda gastrica; O2; assistenza cardiorespiratoria; monitorare la funzionalità epatica e renale e trattare ade guatamente; evitare alcol, adrenalina, efedrina e cimetidina

La maggior parte dei pazienti è asintomatica; raramente, irritabilità ingravescente che progredisce verso la crisi tireotossica in 5-7gg

Emesi; osservazione a casa; diazepam; eventuali preparati antitiroidei e propranololo, esclusivamente se compare sintomatologia

Odore di trementina; dolore orale e addominale urente, tosse, senso di soffocamento, insufficienza respiratoria; nefrite

Emesi (nel paziente vigile) in caso di ingestione di >1-4 oz; lavanda gastrica; assistenza respiratoria; O2; controllare il dolore; tenere sotto controllo la funzionalità renale

Tetramethrin: v. Piretroidi Tiroxina

Toluene, toluolo: v. Benzene Toxafene: v. Idrocarburi clorurati Trementina Solvente per vernici Vernici Triclorometano: v. Cloroformio

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Manuale Merck - Tabella

Trifluoperazina: v. Fenotiazina Triiodometano: v. Iodoformio Triossido di cromo: v. Acido cromico Tungsteno: v. Tab.307-2 Valproico, acido: v. Acido valproico Vanadio: v. Tab.307-2 Vapori di mercurio: v. Mercurio Veleno per formiche: v. Idrocarburi clorurati (DDT); Sali di tallio Veleno per lumache: v. Metaldeide Veleno per scarafaggi: v. Fluoruri; Fosforo; Tallio, sali Veleno per topi: v. Bario, composti; Fluoruri; Fosforo; Tallio, sali; Warfarin Verde di Parigi: v. Arsenico e antimonio Vernici: v. Alcol metilico; Piombo; Trementina Warfarin Biscumacetato di etile Bisidrossicumarina

L'ingestione singola non è peri colosa; i sovradosaggi multipli provocano coagulopatia, ma la maggior parte dei sovradosaggi non ha conseguenze, anche con i super-warfarin

Dicumarolo Superwarfarin Whiskey: v. Alcol etilico Xilene: v. Benzene Zinco: v. Tab.307-2 Zinco, sali: v. Rame, sali Zolfo, diossido: v. Diossido di zolfo

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Vitamina K1 (v. Cap.3) per le manifestazioni emorragiche, fino a che il tempo di protrombina non si normalizza; trasfusioni con sangue fresco, se necessario

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI INGESTIONE DI CAUSTICI

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e prognosi Terapia

Non è rara l’ingestione di acidi o alcali forti che causano ustione e danno tissutale diretto. I caustici comuni sono i detergenti per il bagno e per i tubi di scarico, disponibili in preparazioni liquida o solida. I segni dell’avvelenamento possono essere diversi in base alla forma ingerita. La sensazione di bruciore, derivante dalla adesione su una superficie umida delle particelle constituenti il prodotto solido, fa desistere il bambino dall’ingerirne grandi quantità. Poiché le preparazioni liquide non si attaccano, sono ingerite più facilmente con conseguenti lesioni esofagee e gastriche. L’ingestione di un caustico liquido si può presentare senza danni o con danni limitati alle labbra, lingua o ipofaringe.

Sintomi, segni e prognosi Il dolore è immediato nei casi gravi. Inizialmente i bambini possono presentare scialorrea e pianto persistente e non essere in grado di deglutire fluidi o solidi somministrati per bocca. Le aree ustionate diventano edematose e tumefatte; ne deriva disfagia e accumulo di secrezioni. L’edema può addirittura ostruire le vie aeree. Spesso il polso è frequente e debole, il respiro diventa superficiale e frequentemente si instaura lo shock. Il paziente che sopravvive alla prima fase, può morire in un secondo momento per infezione o per perforazione dell’esofago e dello stomaco che può verificarsi dopo 1 sett. o più. La perforazione nel mediastino è un evento improvviso che provoca un dolore toracico acuto. Anche se il decorso iniziale è benigno, dopo qualche settimana può instaurarsi una stenosi. La morte può essere determinata da molte complicanze come shock cardiocircolatorio, asfissia per edema faringeo, perforazione dell’esofago o irritazione polmonare.

Terapia Tutti i soggetti devono essere visitati dal medico e in molti casi è necessaria l’ospedalizzazione. L’agente chimico deve essere immediatamente diluito con ingestione di piccole quantità di acqua o latte. Il latte è preferibile nei bambini perché ha il vantaggio di ricoprire e lenire le mucose, come pure di rimpiazzare le proteine tissutali andate distrutte con l’ustione. Si deve rimuovere il vestiario contaminato e lavare la cute file:///F|/sito/merck/sez19/2632438.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.04

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

venuta a contatto con l’agente chimico. È controindicato eseguire la lavanda gastrica o provocare il vomito. Anche il carbone attivo è controindicato, in quanto può infiltrarsi nel tessuto colpito e interferire con la valutazione endoscopica. L’assenza o la presenza di ustioni nella bocca non consente di stabilire in maniera affidabile se l’esofago e lo stomaco hanno subito lesioni, mentre mediante l’endoscopia si può documentare la loro integrità. L’endoscopia è importante per prevedere la possibile formazione di stenosi e della eventuale necessità di un bypass esofageo. In presenza di lesioni esofagee, non si ritiene più indicata la terapia corticosteroidea, che può persino essere pericolosa nei casi di ustioni di III grado. Se c’è febbre o segni di mediastinite sono necessari anche antibiotici a largo spettro. Nei casi lievi, la somministrazione di liquidi PO deve essere iniziata subito. Se ciò non fosse possibile, si provvede alla somministrazione EV finché non si riprende la via orale. Si può rendere necessaria una tracheostomia per assicurare il passaggio di aria. Se non si previene la formazione di stenosi, successivamente saranno necessari ripetute dilatazioni nel corso di mesi o anni.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI AVVELENAMENTO DA ASPIRINA E DA ALTRI SALICILATI (Salicilismo)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Trattamento

Nonostante le norme di sicurezza per l’impacchettamento, che limitano il numero di compresse per ogni confezione pediatrica a 36 cp da 80 mg (USA) e l’obbligo legislativo alla confezione di sicurezza per tutti i farmaci contenenti aspirina, l’avvelenamento di aspirina continua a verificarsi a tutte le età. Comunque, con l’aumento dell’uso di altri FANS e di paracetamolo senza necessità di ricetta medica, l’incidenza di avvelenamento acuto da aspirina è diminuita. Di solito non si ha una grave tossicità per ingestione di aspirina < 200-300 mg/kg. La tossicità cronica, conseguente a diversi giorni di trattamento a dosi elevate, è più frequente e più difficile da trattare, rispetto alla tossicità acuta. La forma di salicilato più tossica è l’olio di Gaultheria (metilsalicilato); è stato riferito il decesso di un bambino per ingestione di meno di un cucchiaino. Ogni esposizione al metil salicilato (contenuto nei linimenti e nelle soluzioni usate per vaporizzatori a caldo) è potenzialmente letale.

Sintomi e segni I segni precoci sono nausea, vomito, tinniti, seguiti da tachipnea, ipereccitazione, ipertermia e convulsioni. La stimolazione del SNC rapidamente si trasforma in depressione con letargia, insufficienza respiratoria e collasso. L’avvelenamento da salicilato spesso si presenta con disturbi metabolici complessi. L’iperpnea, con conseguente ipocapnia per perdita di CO2 attraverso l’aria espirata, determina alcalosi respiratoria. Si può anche verificare acidosi metabolica con ampio gap anionico. All’emogasanalisi, il paziente con avvelenamento classico presenterà gas arteriosi indicativi di una forma mista di alcalosi respiratoria e acidosi metabolica. Per quanto il pH ematico può apparire normale o lievemente ridotto, la PCO2 e la concentrazione di bicarbonato sono diminuite in maniera significativa. Per il sovrapporsi dell’alcalosi respiratoria e dell’acidosi metabolica, il bambino può presentare disturbi dovuti ad ambedue le alterazioni con un pH quasi normale o decisamente basso (v. Fig. 263-2). La PCO2 è più bassa del previsto. I

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

bambini piccoli, che non hanno lo stesso controllo respiratorio dei bambini più grandi o degli adulti, sviluppano rapidamente acidosi metabolica. L’effetto tossico del salicilato e la perdita di basi tampone interferiscono con i processi metabolici tanto che si sviluppa chetosi. In contrasto, i bambini piccoli sviluppano rapidamente acidosi metabolica (diminuizione del pH ematico), dovuto all’interferenza del salicilato con il metabolismo glucidico. La disidratazione può essere grave a causa della perspiratio insensibilis e per l’aumentato flusso urinario (a causa del maggior carico di soluti). Spesso si verificano perdite importanti di Na e K.

Esami di laboratorio e diagnosi La salicilemia può essere dosata in ogni laboratorio ospedaliero. La valutazione seriata delle concentrazioni ematiche di salicilato può individuare le seguenti condizioni: continuo assorbimento (livelli in aumento), esposizione cronica (livelli stazionari) o efficacia della terapia (livelli in decremento). Altri test di laboratorio includono l’emogasanalisi su sangue arterioso, sodiemia, kaliemia, bicarbonatemia, azotemia, glicemia, e pH urinario. Questi parametri, come pure la salicilemia, devono essere monitorati durante il trattamento. Il paziente può presentare ipoglicemia, iperglicemia o glicemia normale con bassi livelli di glucoso nel SNC. Il gap anionico (AG) può essere calcolato come segue: (Na +) - (Cl-+HCO3-). La sintomatologia da avvelenamento da salicilati dipende più dal picco della salicilemia e dal grado di distribuzione tissutale del salicilato che dal valore della salicilemia, ottenuto in un dato momento. L’avvelenamento cronico comporta una più ampia distribuzione tissutale del farmaco con una tossicità più grave. Il nomogramma di Done non è più utile nella clinica in quanto può sottostimare o soprastimare l’avvelenamento acuto da salicilato e non è utile nei casi di tossicità cronica.

Trattamento È fondamentale lo svuotamento gastrico precoce, preferibilmente associato alla somministrazione di sciroppo di ipequana entro 30 min dall’ingestione (v. Cap. 307), a meno che il paziente presenti modificazioni dello stato mentale. Se il paziente si presenta troppo tardi per la somministrazione di sciroppo di ipequana o ha determinate controindicazioni al suo utilizzo, si deve somministrare carbone attivo. Il carbone attivo (15 g in 120 cc di acqua), somministrato attraverso sondino oro-gastrico o naso-gastrico, è efficace nell’assorbire i salicilati e può prevenire il loro assorbimento diverse ore dopo l’ingestione. Può essere richiesta una somministrazione tardiva di carbone attivo, in quanto i salicilati possono formare concrezioni nello stomaco e ridurre lo svuotamento pilorico. Sono fondamentali inoltre un’idratazione adeguata e il mantenimento della funzione renale. Inizialmente, può essere somministrato destroso al 5% in soluzione fisiologica normale. Questa somministrazione deve essere interrotta quando si aggiunge il bicarbonato. Il bicarbonato di sodio deve essere mescolato a SG 5% in acqua e ha due ruoli: controlla l’acidosi metabolica e alcalinizza le urine, aumentando in tal modo l’eliminazione urinaria di salicilato (a un pH 8). Il bicarbonato di sodio viene somministrato a una dose iniziale compresa tra 1 e 2 mEq/kg seguito da 132 mEq/l in SG 5% in acqua in dose pari a 1,5-2 volte il mantenimento. Si devono monitorizzare spesso l’emogasanalisi arteriosa e il pH urinario. Anche il K sierico deve essere attentamente monitorizzato, a causa del rischio di ipokaliemia conseguente alla somministrazione di bicarbonato di sodio. Si devono evitare sostanze che aumentano l’escrezione di bicarbonati, come l’acetazolamide, dal momento che possono peggiorare l’acidosi metabolica e in file:///F|/sito/merck/sez19/2632436.html (2 of 3)02/09/2004 2.04.04

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

tal modo aumentare la ritenzione di salicilati e il loro assorbimento tissutale. Nei pazienti che necessitano di ventilazione meccanica, può essere necessaria l’iperventilazione al fine di aumentare la rimozione della CO2 fino a correzione del distrubo acido-base. I pazienti con ipertermia, iperattività e convulsioni sono a rischio di rabdomiolisi, suggerita da un aumento della creatinchinasi sierica e dai livelli urinari di mioglobina. L’ipertermia può essere trattata con paracetamolo o ibuprofene e raffreddando l’ambiente esterno. Le convulsioni devono essere trattate inizialmente con benzodiazepine, come lorazepam o diazepam. Se queste non sono efficaci, si devono prendere in considerazione i barbiturici. La ventilazione meccanica deve accompagnare la loro sommnistrazione, in quanto questi farmaci possono deprimere lo stimolo respiratorio. D’altra parte, va evitato, ogni farmaco che deprima lo stimolo respiratorio, in quanto questa condizione può aumentare la ritenzione di CO2 e peggiorare l’acidosi metabolica, con aumento dell’assorbimento tissutale di salicilato. Se compare rabdomiolisi, può essere utile la somministrazione di bicarbonato di sodio. Può essere richiesta l’emodialisi per aumentare l’eliminazione dei salicilati nei pazienti acidotici resistenti al bicarbonato, con gravi disturbi neurologici, e/o compromissione della funzione renale. Questi pazienti hanno salicilemie estremamente alte sia in forma acuta (> 100 mg/dl [> 7,25 mmol/l]) che cronica (> 60 mg/dl [> 4,35 mmol/l]).

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Avvelenamenti

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI

307. Avvelenamenti Eliminazione dei veleni Veleni specifici 308. Morsi e punture Serpenti velenosi Lucertole velenose Ragni Api, vespe, gialloni, calabroni, formiche Altri morsi da artropodi Zecche Acari Centopiedi, millepiedi Scorpioni Animali marini

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Avvelenamenti

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 307. AVVELENAMENTI (Per l'avvelenamento dovuto alla presenza di tossine batteriche o di altra natura negli alimenti, v. Cap. 28. Per gli avvelenamenti nei bambini, v. AVVELENAMENTI nel Cap. 263.)

Sommario: Introduzione Prevenzione Terapia Terapia delle complicanze

In tutto il mondo, sono state identificate più di 13 milioni di sostanze chimiche naturali e sintetiche; meno di 3000 di esse sono responsabili di più del 95% degli avvelenamenti accidentali e intenzionali. Il sospetto e l'identificazione dei casi di avvelenamento e l'accurata valutazione della potenziale tossicità di un veleno sono essenziali per poter instaurare una terapia efficace, dal momento che, finché non viene diagnosticata una sindrome tossicologica specifica, il trattamento è semplicemente di supporto. Un avvelenamento deve essere preso in considerazione nella diagnosi differenziale di qualunque sintomo o segno inspiegabile, specialmente nei bambini al di sotto dei 5 anni e nei giovani. L'avvelenamento può costituire un tentativo di suicidio nelle persone depresse. Altri gruppi ad alto rischio comprendono gli anziani (miscugli di medicamenti), i pazienti ospedalizzati (errori farmacologici), i lavoratori esposti a sostanze chimiche occupazionali e le persone esposte alla contaminazione ambientale. Deve essere raccolta un'anamnesi pertinente. Sia il paziente, particolarmente se privo di sensi, sia il locale in cui si trova, devono essere ispezionati alla ricerca di farmaci (p. es., preparazioni solide con stampigliature di identificazione) o tracce dell'uso di farmaci (p. es., fori di ingresso di aghi), e di alcol o di segni della sua assunzione. (L'alcolismo, la tossicodipendenza e l'uso di altre sostanze illecite sono trattati nel Cap. 195.) Spesso, il tipo e la velocità dell'esordio della sintomatologia confermano o escludono un sospetto di avvelenamento. Appena possibile, devono essere raccolti campioni di sangue e di urina.

Prevenzione Negli USA, la diffusione dei contenitori a prova di bambino dotati di chiusure di sicurezza ha diminuito le morti da avvelenamento nei bambini al di sotto di 5 anni da circa 500 nel 1959 a circa 50 nel 1996. Altri provvedimenti per la prevenzione degli avvelenamenti comprendono l'etichettatura dei prodotti domestici e delle sostanze soggette a prescrizione, l'uso di stampigliature di identificazione sulle preparazioni farmaceutiche solide, l'eliminazione del piombo dalla benzina, l'impiego di sensori di rilevamento per il monossido di carbonio e il miglioramento della sorveglianza sull'esposizione alle sostanze tossiche nell'industria e nell'ambiente in generale.

Terapia file:///F|/sito/merck/sez23/3072803.html (1 of 4)02/09/2004 2.04.06

Avvelenamenti

Bisogna stabilire l’adeguatezza della funzione cardiaca e respiratoria, e se necessario bisogna avviare le manovre di rianimazione (v. Cap. 206 e 263). Ai pazienti con alterazione dello stato mentale devono essere somministrati immediatamente glucoso, naloxone e tiamina EV, dopo aver prelevato il sangue per le opportune analisi. Se possibile, devono essere identificate rapidamente la sostanza assunta, la sua via di ingresso nell’organismo e la sua tossicità potenziale. Bisogna accertare l’effettiva necessità di un intervento medico, tenendo presente che molte sostanze non sono tossiche (v. Tab. 307-1). L’eccesso di trattamento può essere rischioso ed è sicuramente costoso. Veleni ingeriti: l’emesi precoce rimuove di solito una quantità di veleno superiore rispetto alla lavanda gastrica o al carbone attivo impiegati più tardivamente. (Attenzione: non provocare il vomito se il paziente è comatoso, se sta avendo o è probabile che stia per avere un attacco convulsivo, oppure se ha ingerito sostanze corrosive. L’emesi dei distillati del petrolio è indicata di rado, a meno che essi non contengano in soluzione un composto che richiede lo svuotamento gastrico [p. es., il parathion].) Lo sciroppo di ipecacuana, da 15 a 30 ml (da 1 a 2 cucchiai da tavola), assunto con acqua o bevande analcoliche (15 ml/kg per i bambini piccoli o 1 l per gli adulti) induce immediatamente il vomito; la dose può essere ripetuta nei successivi 30 min, se necessario. Se l’ipecacuana non è disponibile e il paziente è lontano da una struttura medica, il vomito può essere provocato somministrando acqua saponata (con un detergente semplice). Devono essere conservati tutti i contenitori del prodotto ingerito e campioni adeguati del prodotto stesso, oltre a qualunque materiale espulso con il vomito. La lavanda gastrica, se necessaria (evitare in presenza di convulsioni o se la sostanza ingerita è corrosiva), deve essere effettuata con il tubo di sezione più larga tra quelli idonei per il paziente. Nei pazienti sedati o comatosi di età superiore a 2 anni, per evitare l’aspirazione si utilizza un tubo endotracheale cuffiato. Nei pazienti con meno di 2 anni, la cuffia non è necessaria perché il tubo endotracheale aderisce alle pareti facendovi tenuta. Il paziente deve essere posto con la testa verso il basso e bisogna somministrargli NaCl (per gli adulti, soluzione fisiologica di NaCl allo 0,9% o acqua corrente; per i bambini, soluzione allo 0,45%). I liquidi di lavaggio devono essere introdotti in aliquote di 20-30 ml, ognuna delle quali viene seguita dalla rimozione del contenuto gastrico tramite sifone o siringa, fino a quando i lavaggi non appaiono privi della tossina (in genere, tra 500 e 3000 ml di soluzione di lavaggio). Viene quindi somministrato un antidoto specifico (v. oltre), se disponibile; altrimenti, si somministra un impasto di carbone attivo. Il carbone attivo, a causa della sua configurazione molecolare e della sua ampia superficie di scambio, adsorbe quantità significative di molti veleni, impedendone l’assorbimento da parte dell’intestino. Esso è particolarmente efficace quando il paziente è sintomatico e quando il composto viene riescreto nell’intestino (p. es., fenobarbital, teofillina). Il carbone attivo viene utilizzato sempre più spesso come la principale tecnica di trattamento degli avvelenamenti nei dipartimenti di emergenza. Quanto più presto viene somministrato, tanto più esso risulta efficace. Ne deve essere impiegata una quantità da 5 a 10 volte superiore a quella del veleno che si sospetta sia stato ingerito. Se la quantità di veleno è sconosciuta, la dose abituale di carbone attivo va da 10 a 25 g per i bambini con meno di 5 anni o da 50 a 100 g per i bambini più grandi e per gli adulti. Il carbone attivo viene somministrato sotto forma di impasto (da 20 a 200 g in acqua), preferibilmente mediante sondino gastrico. Può essere utile la somministrazione di una dose prima di eseguire la lavanda gastrica. Esso non deve essere somministrato prima o immediatamente dopo lo sciroppo di ipecacuana. Circa il 30% dei pazienti vomita dopo la somministrazione del solo carbone. L’impiego dei catartici è molto controverso; essi possono in realtà aumentare l’assorbimento, più che promuovere l’escrezione. Se vengono utilizzati, è meglio limitarsi a 30 g di solfato di sodio disciolti in 250 ml di acqua (riducendo

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Avvelenamenti

proporzionalmente la quantità nei bambini) oppure in soluzioni di sorbitolo/ carbone attivo (massimo 2 dosi). Anche se non sono numerosi, gli antidoti specifici hanno una notevole efficacia; ne sono esempi il naloxone nelle overdosi di oppioidi, l’atropina negli avvelenamenti da organofosfati, il blu di metilene nella metaemoglobinemia, l’acetilcisteina nell’intossicazione da aminofeni (v. Avvelenamento da acetaminofene nel Cap. 263), i frammenti Fab anti-digitale (Digibind) nell’intossicazione da digossina (v. anche Cap. 302). Contaminazione della cute e degli occhi: dopo la rimozione degli indumenti contaminati (comprese le scarpe e le calze), la cute deve essere accuratamente lavata e gli occhi sciacquati con grandi quantità di acqua o soluzione salina (v. anche Ustioni nel Cap. 91 e Trattamento d’emergenza iniziale nel Cap. 276). I soccorritori devono proteggersi a loro volta dalla contaminazione. Veleni inalati: il paziente deve essere allontanato dall’ambiente contaminato e il resto del personale deve essere protetto dalla contaminazione. Può essere necessaria l’assistenza respiratoria. Morsi e punture: il trattamento immediato delle punture e dei morsi velenosi è trattato nel Cap. 308.

Terapia delle complicanze La stimolazione del SNC può richiedere la sedazione, solitamente con una benzodiazepina o un barbiturico. Nell’avvelenamento da amfetamina pura, possono essere utilizzate la clorpromazina o una benzodiazepina. Per porre fine alle convulsioni o prevenire la loro ricomparsa, viene somministrata una benzodiazepina lentamente EV (p. es., diazepam da 5 a 10 mg per gli adulti, da 0,1 a 0,2 mg/kg per i bambini) oppure fenobarbital (da 100 a 200 mg EV o IM per gli adulti, da 4 a 7 mg/kg per i bambini). Idealmente, la fenitoina non dovrebbe essere utilizzata. La saturazione di O2 deve essere tenuta strettamente sotto controllo. Le convulsioni refrattarie necessitano molto raramente, se non mai, di anestesia generale. La depressione grave del SNC richiede l’assistenza circolatoria e respiratoria (v. Cap. 66). Può essere necessaria l’intubazione endotracheale e, raramente, la tracheostomia. Nell’avvelenamento sospetto o accertato da narcotici, deve essere impiegato il naloxone in dosi ripetute (v. Dipendenza da oppioidi nel Cap. 195). Gli stimolanti risultano inefficaci e sono generalmente controindicati. L’edema cerebrale è comune nell’avvelenamento da sedativi, da monossido di carbonio, da piombo e da altri depressori del SNC. Si somministra lentamente EV in 30-60 min una soluzione di mannitolo al 20% (da 5 a 10 ml/kg). Vengono impiegati anche i corticosteroidi (desametasone 1 mg/m2 di ASC q 6 h per infusione EV). Meno frequentemente, per cercare di modificare il grado di edema cerebrale viene utilizzato il monitoraggio della pressione intracranica associato a iperventilazione. Il coma da barbiturici, nell’edema cerebrale dovuto a episodi ipossici, non è più raccomandato. L’insufficienza renale, se presente, può richiedere il trattamento dialitico. L’insufficienza epatica può rendere indicato il trapianto di fegato.

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Avvelenamenti

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

Sommario: Introduzione Eziologia ed epidemiologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Principi generali di terapia

La perdita di liquidi e di elettroliti associata alla gastroenterite può essere poco più di un semplice inconveniente per un adulto in buona salute, ma può essere molto grave per una persona che non è in grado di sopportarne lo stress (p. es., i soggetti anziani o molto giovani, i soggetti debilitati o quelli con certe malattie concomitanti).

Eziologia ed epidemiologia La gastroenterite può avere un'eziologia aspecifica, incerta o sconosciuta o batterica, virale, parassitaria o tossica. Quando può essere identificata una causa specifica, si può utilizzare il nome specifico della sindrome, evitando il termine meno specifico di "gastroenterite." L'infezione da Campylobacter è la causa batterica più frequente della malattia diarroica negli USA (v. Infezioni da Campylobacter e Infezioni da Vibrioni non colerici nel Cap. 157.) La trasmissione da persona a persona è particolarmente comune con le gastroenteriti causate da Shigella, Escherichia coli O157:H7, Giardia, virus di Norwalk e rotavirus. L'infezione da Salmonella può essere acquisita attraverso il contatto con i rettili (p. es., iguana, tartarughe). Le cause virali della gastroenterite includono il virus di Norwalk e i virus Norwalksimili, i rotavirus, gli adenovirus, gli astrovirus e i calicivirus. Le epidemie di diarrea virale nei lattanti, nei bambini e negli adulti solitamente si diffondo attraverso l'acqua, i cibi contaminati o la via orofecale. Le infezioni da virus di Norwalk si verificano tutto l'anno e causano il 40% circa delle epidemie di gastroenterite nei bambini e negli adulti. Durante l'inverno, nelle regioni a clima temperato, i rotavirus rappresentano la causa principale delle gravi affezioni diarroiche che provocano l'ospedalizzazione dei bambini al di sotto dei 2 anni di età. Gli adulti, che hanno delle infezioni di solito più lievi, probabilmente hanno una qualche immunità.

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Gastroenterite

Alcuni parassiti intestinali, in particolare la Giardia lamblia (v. Giardiasi in Protozoi intestinali nel Cap. 161), aderiscono o invadono la mucosa intestinale e causano nausea, vomito, diarrea e malessere generale. La giardiasi è endemica in molte regioni a clima freddo (p. es., gli stati delle montagne rocciose, il nord degli USA e l'Europa). La malattia può diventare cronica e causare una sindrome da malassorbimento (v. Cap. 30). Di solito è acquisita con una trasmissione da persona a persona (p. es., nei day-hospital) o bevendo acqua contaminata (p. es., dei fiumi). Un altro parassita intestinale, il Cryptosporidium parvum, causa una diarrea acquosa che è a volte accompagnata da dolori addominali crampiformi, nausea e vomito. Nelle persone sane la malattia è, di solito, lieve e autolimitantesi, ma nei pazienti immunocompromessi l'infezione può essere grave, causando una sostanziale perdita di elettroliti e di liquidi. L'infezione da Cryptosporidium è probabilmente contratta più frequentemente bevendo dell'acqua contaminata. Sebbene le uova di Cryptosporidium siano più comunemente trovate nelle riserve municipali di acqua, non si sa quale percentuale di rifornimenti idrici contenga uova vitali e infettive. La gastroenterite virale o influenza e alcuni tipi di diarrea del viaggiatore possono essere causati da enterotossine batteriche o da infezioni virali.

Fisiopatologia Alcune specie batteriche producono delle enterotossine che ostacolano l'assorbimento intestinale e possono causare la secrezione di acqua e di elettroliti. In certi casi, è stata caratterizzata una tossina chimicamente pura (p. es., l'enterotossina del Vibrio cholerae); la sola tossina è in grado di produrre la voluminosa secrezione acquosa da parte del tenue, osservata clinicamente, dimostrando, quindi, un adeguato meccanismo patogenetico per la diarrea. Le enterotossine rappresentano, probabilmente, il meccanismo responsabile di altre sindromi diarroiche (p. es., l'enterotossina dell'E. coli può causare alcuni episodi di "diarrea pediatrica" e di diarrea del viaggiatore). Alcune specie di Shigella, Salmonella e di E. coli penetrano nella mucosa del piccolo intestino o del colon e producono ulcerazioni microscopiche, sanguinamento, essudazione di liquido ricco di proteine e secrezione di acqua e di elettroliti. Il processo invasivo e le sue conseguenze si possono verificare indipendentemente dal fatto che il microrganismo elabori o meno l'enterotossina. Una gastroenterite può far seguito all'ingestione di tossine chimiche contenute in alcune piante (p. es., funghi, patate e flora da giardino), in prodotti ittici (pesci, vongole e cozze) o in cibi contaminati. L'ingestione di metalli pesanti (arsenico, piombo, Hg e cadmio) può causare, acutamente, nausea, vomito e diarrea. Molti farmaci, compresi gli antibiotici a largo spettro, hanno notevoli effetti collaterali sull'apparato GI. Diversi meccanismi svolgono un ruolo, inclusa l'alterazione della normale flora intestinale.

Sintomi e segni Il carattere e la gravità dei sintomi dipendono dalla natura dell'agente causale, dalla durata della sua azione, dalla resistenza del paziente e dall'estensione dell'interessamento GI. L'inizio è spesso improvviso e talvolta drammatico, con anoressia, nausea, vomito, borborigmi, crampi addominali e diarrea (con o senza sangue e muco). Si possono associare un malessere generalizzato, dolori muscolari e un senso di prostrazione. Se il vomito causa un'eccessiva perdita di liquidi, si verifica un'alcalosi metabolica con ipocloremia; se è più importante la diarrea, è più probabile che si verifichi un'acidosi. Il vomito o la diarrea eccessivi possono causare ipokaliemia. Si può sviluppare un'iponatriemia, specialmente se nella terapia di reintegrazione sono file:///F|/sito/merck/sez03/0280304.html (2 of 4)02/09/2004 2.04.07

Gastroenterite

usati liquidi ipotonici. La grave disidratazione e lo squilibrio acido-base possono produrre cefalea e sintomi di irritabilità muscolare e nervosa. Il vomito persistente e la diarrea possono causare una grave disidratazione e uno shock, con collasso circolatorio e insufficienza renale oligurica. L'addome può essere disteso e dolorabile; nei casi gravi può essere presente una contrattura muscolare di difesa. Possono essere visibili e palpabili delle anse intestinali distese dai gas. Con lo stetoscopio sono auscultabili i borgorigmi, anche senza diarrea (un'importante caratteristica differenziale con l'ileo paralitico). Possono essere presenti i segni di una deplezione extracellulare di liquidi (p. es., ipotensione, tachicardia) (v. Disordini del metabolismo dell'acqua e del sodio nel Cap. 12).

Diagnosi Può essere importante, un'anamnesi positiva per l'ingestione di cibo potenzialmente contaminato, di acqua di superficie non trattata o di una sostanza nota come irritante per il tratto GI; di viaggi effettuati di recente; e del contatto con persone affette dagli stessi disturbi. Se i sintomi non regrediscono entro 48 h sono indicati l'esame colturale e la ricerca dei GB nelle feci. La sigmoidoscopia è utile per la diagnosi di colite ulcerosa o di dissenteria amebica, sebbene la shighellosi e l'E. coli O157:H7 possano produrre lesioni a carico del colon, indistinguibili da quelle della colite ulcerosa. Per fare la diagnosi può essere necessario anche l'esame colturale del vomito, del cibo e del sangue. Un'eosinofilia può indicare un'infezione parassitaria. L'addome acuto chirurgico non si associa, di solito, a una storia di frequenti evacuazioni, a una normale conta di GB o a una leucopenia e all'assenza di spasmo muscolare e di dolorabilità localizzata. Comunque, a volte si può avere diarrea nell'appendicite acuta, nell'ostruzione incompleta del piccolo intestino, in altre emergenze acute intra-addominali e nelle neoplasie del colon.

Principi generali di terapia La terapia di supporto è la più importante. È auspicabile il riposo a letto con la disponibilità di un bagno, di una comoda o di un vaso da letto. Quando la nausea o il vomito sono lievi o sono cessati, la somministrazione orale di soluzioni elettrolitiche con glucoso (v. Diarrea nel Cap. 27) o di brodo leggero o bollito con l'aggiunta di sale, può prevenire la disidratazione o trattare una lieve disidratazione. Anche se vomita, il paziente deve assumere frequenti ma piccole sorsate di questi liquidi, perché il vomito si può risolvere con la reintegrazione del volume. I bambini si possono disidratare più rapidamente e devono ricevere un'appropriata soluzione reidratante (ne esistono in commercio diversi tipi). I liquidi comunemente usati, come le bevande gassate o le bevande per sportivi, hanno un anomalo rapporto tra glucoso e Na e quindi non sono adatte per i bambini < 5 anni di età. Se il vomito persiste o se è prominente una grave disidratazione, è necessaria l'infusione EV di un'appropriata terapia reintegrativa degli elettroliti (v. Colera nel Cap. 157). Se il vomito è grave ed è stata esclusa una condizione chirurgica, può essere utile la somministrazione di un antiemetico (p. es., dimenidrinato, 50 mg IM q 4 h o clorpromazina ≥ 25-100 mg / die IM) o di proclorperazina, 10 mg PO tid (supposte da 25 mg bid). Per il trattamento dei gravi dolori addominali crampiformi può essere somministrata della meperidina, alla dose di 50 mg IM q 3 o 4 h. Deve essere evitata la morfina perché aumenta il tono della muscolatura intestinale e può aggravare il vomito. Quando il paziente riesce a tollerare i liquidi senza vomitare, un'alimentazione leggera (cereali, gelatina, banane e toast) può essere aggiunta, gradualmente, alla dieta. Se dopo 12-24 h persiste una diarrea moderata in assenza di gravi file:///F|/sito/merck/sez03/0280304.html (3 of 4)02/09/2004 2.04.07

Gastroenterite

sintomi sistemici o di sangue nelle feci, può essere somministrato il difenossilato, 2,5-5 mg in cp o sotto forma di sciroppo tid o qid, la loperamide, 2 mg PO qid o il bismuto subsalicilato, 524 mg (due cp o 30 ml) PO 6-8 volte al giorno. Il ruolo degli antibiotici è controverso, anche per le specifiche diarree infettive, ma la maggior parte degli esperti li consiglia nella terapia sintomatica della shighellosi (v. Shighellosi nel Cap. 157). Quando è presente un'infezione sistemica devono essere somministrati gli antibiotici appropriati, sulla base dell'antibiogramma. Comunque, gli antibiotici non servono per un rapido miglioramento né per i pazienti con una semplice gastroenterite né per i pazienti portatori asintomatici. Anzi, gli antibiotici possono favorire e prolungare lo stato di portatore della salmonellosi. L'uso indiscriminato degli antibiotici favorisce la selezione di organismi resistenti al farmaco ed è scoraggiato.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE GASTROENTERITE ACUTA INFETTIVA Sindrome caratterizzata da diarrea e vomito, a eziologia infettiva, che può determinare disidratazione e squilibrio elettrolitico. (v. anche Cap. 28 e Diarrea Neonatale Infettiva Acuta in Infezioni Neonatali al Cap. 260)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Viene stimato che in tutto il mondo se ne verifichino circa 1 miliardo di episodi/ anno, più frequentemente nei paesi in via di sviluppo in bambini di età < 5 anni. La morte dovuta a disidratazione si verifica in circa 5 milioni di casi. La maggior parte dei decessi può essere prevenuta con una tempestiva reidratazione. In molti paesi in via di sviluppo, è probabile che i bambini di età inferiore a 2 anni, che presentano 6-10 episodi di diarrea e vomito ogni anno e che non vengono trattati, vadano incontro a una grave malnutrizione. Molti agenti batterici, virali, e parassiti possono causare una gastroenterite acuta (v. Tab. 265-3). Appropriate tecniche di laboratorio identificano un agente eziologico responsabile nel 60-80% dei casi.

Sintomi, segni e diagnosi L’epidemiologia, la durata, il carattere e la frequenza del vomito e della diarrea in rapporto all’età del bambino possono suggerire la causa e la gravità della malattia. Solitamente, almeno un membro della famiglia del paziente o qualche persona a stretto contatto ha presentato sintomi riferibili a gastroenterite o a una infezione respiratoria nel periodo immediatamente precedente. I lattanti di età < 6 mesi possono andare incontro a disidratazione e squilibri elettrolitici dopo sole 24 h dall’esordio; tuttavia, a qualsiasi età, una grave disidratazione con acidosi metabolica può instaurarsi entro 24 h dall’esordio se il vomito è incoercibile, la diarrea è esplosiva, o l’apporto idrico è drasticamente ridotto. L’esame obiettivo è diretto a escludere ogni causa extraintestinale e a valutare lo stato di idratazione: letargia, oliguria e un’accertata perdita di peso sono segni di disidratazione (v. Tab. 265-4). Nei bambini più grandi, in quelli piccoli in sovrappeso, e in quelli con ipernatremia, alcuni segni possono non essere presenti finché la disidratazione non sia grave. Nei pazienti con disidratazione ipernatremica, possono essere presenti irritabilità e febbre; la cute può apparire di consistenza pastosa, che rappresenta una caratteristica peculiare. Una cute secca con scarso turgore tissutale, solitamente associata con la più comune disidratazione isotonica, può file:///F|/sito/merck/sez19/2652477.html (1 of 3)02/09/2004 2.04.08

Infezioni nei bambini

non essere presente. Comuni segni di disidratazione includono depressione della fontanella anteriore, occhi infossati con assenza di lacrimazione, secchezza delle mucose orali, riflesso della suzione debole o assente e letargia (v. Tab. 265-4). L’ematocrito e i livelli degli elettroliti riflettono lo stato di idratazione e il bilancio elettrolitico. Anche il peso specifico urinario aiuta a valutare lo stato di idratazione, e l’esame microscopico delle urine alla ricerca di batteri aiuta a determinare se può essere presente una IVU (una comune causa di sintomi simili a quelli della gastroenterite). L’esame colturale delle feci può essere utile per differenziare le gastroenteriti virali da quelle batteriche, e per eseguire valutazioni della sensibilità che guidano la terapia antibiotica specifica. Una colorazione di Wright, Gram, o con blu di metilene di un campione di feci acquose solitamente mostra numerosi leucociti polimorfonucleati quando è presente un’infezione batterica.

Terapia Il caposaldo della terapia della diarrea e del vomito di qualsiasi origine è di somministrare liquidi ed elettroliti in modo appropriato. Prima di iniziare la terapia, deve essere valutato clinicamente il grado di disidratazione. Il grado di disidratazione indica la necessità di reidratazione, mantenimento, e rimpiazzo delle perdite fecali in corso (v. Tab. 265-4). Reidratazione: i lattanti che non presentano segni di disidratazione non necessitano di reidratazione. Nonostante ciò, devono ricevere le stesse quantità di liquidi consigliati ai pazienti con disidratazione per la fase di mantenimento e per le perdite fecali in corso. Devono inoltre essere incoraggiati a bere liquidi (p. es., zuppe, acqua di riso, liquidi di cottura di cereali). La soluzione reidratante orale, raccomandata dall’OMS, viene usata in tutto il mondo da più di 20 anni. Questa soluzione contiene 90 mmol/l di sodio, 20 mmol/l di potassio, 80 mmol/l di cloruro, 30 mmol/l di bicarbonato e 111 mmol/l di glucoso; può essere preparata aggiungendo a 1 l di acqua 3,5 g di cloruro di sodio, 2,5 g di bicarbonato di sodio, 1,5 g di cloruro di potassio e 20 g di glucoso. Questa soluzione è efficace nei pazienti che presentano diarrea acuta indipendentemente dall’età, dalla causa o dal tipo di squilibrio elettrolitico (iponatremia, ipernatremia o isonatremia). Dopo la reidratazione, la soluzione reidratante orale deve essere supplementata offrendo acqua semplice o un liquido a basso contenuto di Na. Se la soluzione reidratante orale non è disponibile, una soluzione zucchero/ sale di composizione simile può essere usata sia durante la fase di reidratazione sia durante la fase di mantenimento. Si prepara aggiungendo 1 L di acqua a 15 ml (1 cucchiaio da tavola) di zucchero e 2 ml di sale (1/2 cucchiaino da tè). Benché la soluzione zucchero/sale sia meno efficace della soluzione reidratante orale, essa è solitamente adeguata per la terapia della diarrea. Liquidi EV (Ringer lattato o soluzioni simili) possono essere necessarie per i bambini che non tollerano fluidi per via orale. Alla fine del periodo di reidratazione (circa 4 h), il paziente deve essere rivalutato. Se persistono segni di disidratazione, la terapia reidratante deve essere ripetuta fino a quando la disidratazione non sia regredita. Mantenimento: le perdite fecali in corso devono essere reintegrate in rapporto 1:1 con la soluzione reidratante orale. Se la quantità di feci emesse è sconosciuta, si devono somministrare circa 10 ml/ kg o 1/2 tazza (120-240 ml o circa 120-240 g) di soluzione reidratante orale per ogni evacuazione diarroica. I bambini con diarrea che non sono disidratati devono continuare ad assumere una dieta appropriata per l’età. I bambini che sono disidratati devono assumere una dieta appropriata per l’età non appena sono stati reidratati. I lattanti con

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Infezioni nei bambini

diarrea allattati al seno devono continuare l’allattamento materno. Per i lattanti non allattati al seno, un latte animale intero o formulato è solitamente ben tollerato se la diarrea è lieve e autolimitantesi. I bambini che sviluppano segni o sintomi di malassorbimento devono ricevere una formula priva di lattoso. Se una formula priva di lattoso non è disponibile o non ne è sostenibile il costo, il latte normalmente consumato dal lattante può essere diluito 1:1. I bambini più grandi e gli adulti possono continuare ad assumere i liquidi normalmente consumati come desiderano. Antibiotici: Gli antibiotici dovrebbero essere usati solo in casi specifici, come mostrato nella Tab. 265-5. Gli antibiotici non modificano il decorso della gastroenterite da Salmonella; quando vengono impiegati, l’eliminazione fecale dell’agente infettivo è prolungata, ed è aumentata l’insorgenza di ceppi antibioticoresistenti. Comunque, in caso di batteriemia da Salmonella o di localizzazione extraintestinale, è consigliata la somministrazione EV di ampicillina, ceftriaxone, cefotaxime, o cloramfenicolo, secondo le indicazioni dell’antibiogramma, soprattutto nei lattanti di età inferiore ai 6 mesi e nei bambini immunodepressi, inclusi quelli con anemia falciforme. La gastroenterite da Yersinia di solito migliora anche senza terapia antibiotica. La gastroenterite da Vibrio cholerae dovrebbe essere trattata con tetracicline o con trimethoprim-sulfametoxazolo. L’enterocolite da Campylobacter jejuni abbastanza grave da richiedere l’ospedalizzazione deve essere trattata con eritromicina. In caso di shigellosi ampicillino-resistente si può usare il trimethoprim/sulfametoxazolo.

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Malattie gastrointestinali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

19. Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia 20. Patologie esofagee Disfagia Disfagia pre-esofagea Disfagia esofagea Dolore toracico di origine esofagea Incoordinazione cricofaringea Disordini ostruttivi Anello esofageo inferiore Diaframma esofageo Disfagia lusoria Disordini motori Acalasia Spasmo esofageo diffuso sintomatico Varianti dell’acalasia e dello spasmo diffuso Malattia da reflusso gastroesofageo Stenosi ed esofagite corrosiva Diverticoli esofagei Ernia iatale Lacerazioni e rotture esofagee Sindrome di Mallory-Weiss Rottura esofagea Malattie esofagee infettive 21. Disturbi funzionali dell’apparato gastrointestinale superiore

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Malattie gastrointestinali

Dolore toracico funzionale di presunta origine esofagea Dispepsia funzionale Vomito funzionale Bolo isterico Ruminazione dell’adulto Alitosi Alitosi psicogena Singhiozzo 22. Emorragia gastrointestinale Malformazioni arterovenose 23. Gastrite e malattia ulcerosa peptica Gastrite Gastrite acuta erosiva Gastrite cronica erosiva Gastrite non erosiva Gastrite post-gastrectomia Anemia perniciosa Sindromi gastritiche non frequenti Malattia peptica ulcerosa 24. Bezoari e corpi estranei Bezoari Corpi estranei 25. Addome acuto e chirurgia gastroenterologica Dolore addominale Ostruzione intestinale meccanica Ileo Colite ischemica Appendicite Peritonite acuta

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Malattie gastrointestinali

Peritonite cronica Peritoniti postoperatorie 26. Pancreatite Pancreatite acuta Pancreatite cronica 27. Diarrea e costipazione Diarrea Stipsi Inerzia colica Dischesia 28. Gastroenterite Infezione da Escherichia coli O157:H7 Intossicazione alimentare da stafilococco Botulismo Intossicazione alimentare da Clostridium perfringens Gastroenterite virale Diarrea del viaggiatore Avvelenamento chimico alimentare Gastroenterite da farmaci 29. Colite da antibiotici 30. Sindromi da malassorbimento Intolleranza ai carboidrati Malattia celiaca Sprue tropicale Malattia di Whipple Linfangectasia intestinale Sindrome dell’intestino corto Infezioni e infestazioni 31. Malattie intestinali infiammatorie

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Malattie gastrointestinali

Morbo di Crohn Colite ulcerosa 32. Disordini funzionali dell’intestino Sindrome del colon irritabile Gas 33. Malattia diverticolare Diverticolosi Diverticolite Malattia diverticolare dello stomaco e del duodeno Malattia diverticolare del piccolo intestino 34. Tumori del tratto gastrointestinale Tumori dell’esofago Cancro dell’esofago Cancro dello stomaco Tumori del piccolo intestino Tumori benigni Tumori maligni Tumori del grosso intestino Polipi del colon e del retto Cancro colorettale Cancro anorettale Tumori del pancreas Tumori esocrini Adenocarcinoma duttale Cistoadenocarcinoma Tumore intraduttale papillaremucinoso Tumori endocrini Insulinoma

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Malattie gastrointestinali

Sindrome di Zollinger-Ellison Vipoma Glucagonoma 35. Malattie anorettali Emorroidi Ragade anale Ascessi anorettali Fistola anorettale Sindrome dei muscoli elevatori Proctite Malattia pilonidale Prolasso e procidenza rettale Incontinenza fecale Prurito anale Corpi estranei nel retto

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 19. PROCEDURE DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE IN GASTROENTEROLOGIA (V. anche la trattazione della CPRE, della colangiografia transepatica percutanea e della biopsia epatica nel Cap. 37 e il test alla secretina in Pancreatite cronica nel Cap. 26).

Sommario: Introduzione STUDI RADIOLOGICI DELL'ESOFAGO ESOFAGOSCOPIA MANOMETRIA ESOFAGEA MONITORAGGIO DEL PH ESOFAGEO TEST DI BERNSTEIN (PERFUSIONE ACIDA) POSIZIONAMENTO DI UN SONDINO NASOGASTRICO O INTESTINALE ANALISI DEL CONTENUTO GASTRICO BIOPSIA DEL PICCOLO INTESTINO E ASPIRAZIONE DEL DUODENO ENDOSCOPIA DEL TRATTO GASTROINTESTINALE SUPERIORE ANOSCOPIA E SIGMOIDOSCOPIA RIGIDA O FLESSIBILE COLONSCOPIA PARACENTESI ADDOMINALE PERITONEOSCOPIA DIAGNOSTICA (LAPAROSCOPIA)

La diagnosi e il trattamento dei pazienti con disturbi GI richiedono un approccio ponderato, individualizzato e completo. Le valutazioni possibili con l'endoscopia, la scintigrafia, l'angiografia, la TC e la RMN assicurano una notevole precisione e accuratezza, ma a costi elevati e con un certo rischio di morbilità. Inoltre, nonostante i numerosi accertamenti, in una percentuale di pazienti con disturbi GI, che può raggiungere anche il 50%, viene diagnosticato un disturbo funzionale (v. Cap. 21 e 32) in assenza di alterazioni anatomiche. Quindi, un'anamnesi e un esame obiettivo accurati, con particolare attenzione alle caratteristiche biologiche e psicosociali, possono aiutare a ridurre gli esami diagnostici inutili e a sviluppare efficaci strategie di trattamento. L'anamnesi e l'esame obiettivo rappresentano quindi una parte fondamentale della valutazione. Le informazioni devono essere ottenute usando uno stile di intervista che inizialmente incoraggi il paziente a riferire i sintomi attraverso un'associazione spontanea, piuttosto che in risposta a domande dirette (v. anche Approccio al paziente nel Cap. 21). Le domande atte ad agevolare il paziente (p. es., "Mi può descrivere meglio i suoi sintomi?") devono precedere quelle mirate a ottenere informazioni dettagliate (p. es., "Quando è iniziato il dolore?" "Che cosa lo allevia?"). Da tutte queste informazioni il medico sviluppa delle ipotesi diagnostiche che dovranno essere poi corrette in base a quesiti più specifici (p. es., "Il dolore viene attenuato dagli antiacidi?" "Ha vomitato sangue?"). Le domande che provocano una risposta del tipo sì o no, devono essere fatte solamente quando si prendono in esame specifiche scelte diagnostiche. Un esame obiettivo mirato può facilitare la diagnosi differenziale; p. es., il reperto di un fegato aumentato di volume in un paziente che riferisce l'emissione di feci scure, picee, può allargare una precedente ipotesi di gastrite o di malattia peptica

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

ulcerosa per comprendere la cirrosi con varici esofagee o un carcinoma GI con metastasi al fegato. Un'ulteriore indagine diagnostica sul consumo di alcol da parte del paziente, su di un'eventuale perdita di peso o un esame della cute alla ricerca di angiomi stellari, permetteranno una valutazione diagnostica ancor più orientata. Diverse procedure sono disponibili per facilitare ulteriormente la diagnosi dei disturbi GI. La scelta della procedura deve essere basata sui reperti ottenuti all'anamnesi e all'esame obiettivo.

STUDI RADIOLOGICI DELL'ESOFAGO In aggiunta al tradizionale pasto baritato, la video- e la cinefluoroscopia sono utili per accertare delle condizioni anatomiche particolari (p. es., setti esofagei) e per la valutazione dei disturbi motori (p. es., spasmo cricofaringeo, acalasia).

ESOFAGOSCOPIA L'esofagoscopia può essere eseguita a scopo diagnostico per valutare il dolore o la disfagia, per identificare anomalie organiche o fonti di sanguinamento o per ottenere dei campioni bioptici. Le procedure terapeutiche che si possono eseguire in corso di esofagoscopia includono la rimozione dei corpi estranei, l'emostasi tramite la coagulazione o la legatura delle varici esofagee, la distruzione del tessuto tumorale tramite il laser o l'elettrocoagulazione bipolare e la dilatazione dei setti o delle stenosi. Non esistono controindicazioni assolute all'esame che può essere facilmente eseguito in regime ambulatoriale; richiede un'anestesia locale della gola e, generalmente, una sedazione EV. Le complicanze sono rare e sono di solito correlate all'uso di farmaci (p. es., la depressione respiratoria); il sanguinamento in occasione di una perforazione è meno frequente.

MANOMETRIA ESOFAGEA La manometria esofagea viene usata per valutare i pazienti con disfagia, pirosi gastrica o dolore toracico. Misura la pressione a livello degli sfinteri esofagei superiore e inferiore nonché l'efficacia e la coordinazione dei movimenti propulsivi e mette in evidenza le contrazioni anomale. Viene usata per la diagnosi di acalasia, spasmo diffuso, sclerodermia, ipo e ipertensione dello sfintere esofageo inferiore e per valutare la funzione esofagea dopo determinati procedimenti terapeutici (p. es., chirurgia antireflusso, dilatazione pneumatica per acalasia). Un piccolo tubo viene inserito attraverso la gola nell'esofago. Le complicanze sono estremamente rare, ma possono includere un trauma al passaggio del tubo nel naso.

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

MONITORAGGIO DEL PH ESOFAGEO Il monitoraggio del pH esofageo viene eseguito in corso di manometria esofagea o come studio prolungato nei pazienti ambulatoriali (v. Diagnosi in Malattia da reflusso gastroesofageo nel Cap. 20).

TEST DI BERNSTEIN (PERFUSIONE ACIDA) Il test di Bernstein è un esame molto sensibile che permette di accertare se il reflusso acido è la causa del dolore, ma può essere falsamente negativo nei pazienti già in trattamento. Questo test viene eseguito mediante la perfusione dell'esofago con una soluzione salina isotonica alternata a una soluzione di acido cloridrico 0,1 N attraverso il sondino nasogastrico, a una velocità di 6 ml/min.

POSIZIONAMENTO DI UN SONDINO NASOGASTRICO O INTESTINALE Il sondino nasogastrico o intestinale viene usato per decomprimere lo stomaco nel trattamento dell'atonia gastrica, dell'ileo paralitico o di un'ostruzione; per rimuovere delle sostanze tossiche ingerite; per ottenere un campione del contenuto gastrico da analizzare (volume, acidità, sangue); per l'apporto di sostanze nutritive con l'alimentazione artificiale. Le controindicazioni includono l'ostruzione nasofaringea o esofagea, i traumi maxillofacciali, le alterazioni incontrollabili della coagulazione e, probabilmente, la presenza di voluminose varici esofagee. Sono disponibili diversi tipi di sonde. La sonda di Levin o di Salem viene usata per la decompressione gastrica o per il prelievo di campioni da analizzare, oppure, raramente, per l'alimentazione enterale a breve termine. Le sonde con un palloncino pesante all'estremità, contenente del mercurio (p. es., la sonda di Miller-Abbott, di Cantor), superano lo stomaco per ottenere una decompressione intestinale o per l'alimentazione enterale. Le sonde molto flessibili con l'estremità di mercurio o di tungsteno (p. es., Corpak, Dobbhoff ed Entriflex) vengono usate principalmente per l'alimentazione enterale di lunga durata. Per il posizionamento del sondino, si fa sedere il paziente in posizione eretta o lo si fa giacere in decubito laterale sx. Con il capo parzialmente flesso, la sonda, ben lubrificata, viene inserita attraverso la narice, diretta posteriormente e poi inferiormente per assecondare la conformazione del nasofaringe. Appena l'estremità raggiunge la parete posteriore della faringe, il paziente deve aspirare dell'acqua attraverso una cannuccia (violenti colpi di tosse con il passaggio di aria attraverso il sondino durante gli atti respiratori, indicano che la sonda è stata erroneamente posizionata in trachea). L'aspirazione di succo gastrico conferma il posizionamento della sonda nello stomaco. Con le sonde più grandi la corretta posizione può essere confermata insufflando da 20 a 30 ml di aria e auscultando il passaggio dell'aria stessa con lo stetoscopio a livello della regione sottocostale sx. Con le sonde da alimentazione enterale più piccole e più morbide, spesso è necessario usare dei mandrini o delle guide metalliche. Per il passaggio di queste sonde attraverso il piloro è, di solito, necessaria l'assistenza fluoroscopica o endoscopica. Le complicanze sono rare e includono i traumi nasofaringei con o senza emorragia, l'inalazione polmonare, l'emorragia o la perforazione traumatica dell'esofago o dello stomaco e la penetrazione intracranica o mediastinica (molto rara). file:///F|/sito/merck/sez03/0190239.html (3 of 8)02/09/2004 2.04.11

Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

ANALISI DEL CONTENUTO GASTRICO L'analisi del contenuto gastrico viene eseguita per valutare gli stati di ipercloridria (p. es., la sindrome di Zollinger-Ellison) o di ipocloridria (p. es., l'anemia perniciosa, la gastrite atrofica, la sindrome di Ménétrier); nell'ambito della valutazione pre e postoperatoria per un'ipergastrinemia inspiegabile, nei pazienti in cui è stato programmato un intervento chirurgico per la riduzione dell'acidità e per valutare la possibile incompletezza della vagotomia nei pazienti con recidiva di malattia ulcerosa peptica, dopo una vagotomia chirurgica. Le controindicazioni includono un recente sanguinamento o il dolore dovuti a una malattia ulcerosa attiva. Si introduce una sonda nasogastrica di Levin (per la tecnica, v. sopra, Posizionamento di una sonda nasogastrica o intestinale). Il contenuto gastrico viene aspirato ed eliminato. Con un'aspirazione manuale continua si raccolgono poi quattro campioni di succo gastrico prodottosi in 15 min (secrezione acida basale [Basal Acid Output, BAO]). In seguito, viene somministrata la pentagastrina (6 mg/kg) SC e quindi si ripete il prelievo di altri quattro campioni di succo gastrico in 15 min (secrezione acida massima o di picco [Maximal Acid Output, MAO o Peak Acid Output, PAO]). I campioni vengono titolati con idrossido di sodio per calcolare la BAO e le variazioni secretorie della MAO dopo la stimolazione.

BIOPSIA DEL PICCOLO INTESTINO E ASPIRAZIONE DEL DUODENO La biopsia del piccolo intestino e l'aspirazione duodenale sono eseguite per sostenere, confermare o escludere i disordini infiammatori e organici del piccolo intestino (p. es., sprue celiaca, morbo di Whipple, infezione da Giardia lamblia). I disordini incontrollabili della coagulazione rappresentano una controindicazione all'esame. Una sonda ben lubrificata, con una capsula di Carey alla sua estremità, viene introdotta nell'orofaringe e il paziente viene invitato a deglutire. Quando la sonda entra nello stomaco, viene guidata, sotto controllo fluoroscopico, attraverso il piloro sino alla terza o alla quarta porzione del duodeno. La biopsia viene eseguita esercitando una pressione negativa con una siringa mentre la finestra di aspirazione resta aperta. La mucosa viene aspirata attraverso la finestra della sonda o della capsula ed è quindi sezionata da una lama che viene attivata dall'operatore mediante un filo metallico. I campioni di liquido per la diagnosi di infezione da Giardia si ottengono aspirando il contenuto duodenale. Raramente si verificano un'emorragia, un intrappolamento della sonda nel duodeno, una batteriemia e l'inalazione di liquido o di mercurio durante il passaggio della sonda. Questa tecnica è stata soppiantata dalla biopsia endoscopica, che permette di ottenere più facilmente dei campioni di tessuto soddisfacenti.

ENDOSCOPIA DEL TRATTO GASTROINTESTINALE SUPERIORE L'endoscopia del tratto GI superiore viene eseguita per localizzare la sede di un sanguinamento; per identificare visivamente ed effettuare la biopsia di alterazioni file:///F|/sito/merck/sez03/0190239.html (4 of 8)02/09/2004 2.04.11

Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

osservate alle rx dell'apparato digerente (ulcere gastriche, difetti di riempimento, masse); per il follow-up nel trattamento delle ulcere gastriche; per valutare una disfagia, una dispepsia, un dolore addominale o un'ostruzione gastrica dovute a un'infezione (Helicobacter pylori, G. lamblia, sindrome da crescita batterica). Le indicazioni terapeutiche includono l'asportazione dei corpi estranei o dei polipi gastrici o esofagei, la terapia sclerosante o la legatura con elastici delle varici esofagee e l'emostasi di una fonte emorragica. Le controindicazioni assolute comprendono lo shock acuto, l'infarto acuto del miocardio, le convulsioni, l'ulcera perforata in fase acuta e la sublussazione dell'atlante. Le controindicazioni relative comprendono la mancata cooperazione del paziente, il coma (a meno che il paziente non sia intubato), una coagulopatia (tempo di protrombina > 3 s rispetto a quello di controllo, una piastrinemia < 100000 ml, un tempo di emorragia > 10 min), la presenza di un diverticolo di Zenker, un'ischemia miocardica e un aneurisma dell'aorta toracica. Il paziente deve essere a digiuno da almeno 4 h. Un anestetico topico viene spruzzato nella faringe o viene usato per eseguire dei gargarismi e, di solito, si somministra EV un narcotico con il midazolam per sedare il paziente. Questi viene messo nella posizione opportuna e l'estremità dell'endoscopio viene posta nell'ipofaringe. Appena il paziente deglutisce, l'endoscopio viene delicatamente guidato attraverso il muscolo cricofaringeo (lo sfintere esofageo superiore) e quindi fatto avanzare sotto visione diretta attraverso lo stomaco nel duodeno. L'esame di tutte le strutture può essere arricchito da fotografie, dal prelievo di campioni per esame citologico e dal prelievo di campioni bioptici. Le procedure terapeutiche sono utilizzate in base all'indicazione; p. es., il trattamento sclerosante viene effettuato facendo passare un catetere, fornito di un ago all'estremità, attraverso un apposito canale dell'endoscopio e iniettando l'agente sclerosante nella varice. La percentuale globale di complicanze varia dallo 0,1 allo 0,2%; la mortalità è circa dello 0,03%; le complicanze correlate all'uso dei farmaci sono le più comuni e includono la flebite e la depressione respiratoria. Le più frequenti complicanze della procedura sono l'inalazione, il sanguinamento dalla sede della biopsia e la perforazione. Spesso si verifica una batteriemia transitoria (8%) che non si associa allo sviluppo di una endocardite. La profilassi antibiotica può essere indicata nei pazienti con patologie valvolari. I pazienti con disturbi della coagulazione vanno più facilmente incontro alla formazione di un ematoma retrofaringeo o ad altre complicanze emorragiche. Le procedure terapeutiche (p. es., la sclerosi delle varici, la dilatazione di una stenosi, la polipectomia) sono associate a percentuali di complicanze più elevate.

ANOSCOPIA E SIGMOIDOSCOPIA RIGIDA O FLESSIBILE La sigmoidoscopia viene utilizzata per studiare il paziente che presenta sintomi riferibili al retto o all'ano (p. es., sanguinamento rettale rosso vivo, secrezioni, protrusioni, dolore), per valutare una lesione raggiungibile con lo strumento o per esaminare il retto e il sigma prima di un intervento chirurgico sull'ano e sul retto. Non ci sono controindicazioni assolute. Nei pazienti affetti da un'aritmia cardiaca o che presentano una recente ischemia miocardica, l'esame deve essere rinviato fino a quando le condizioni non migliorano o deve essere eseguito sotto monitoraggio cardiologico. I pazienti portatori di protesi valvolari possono aver bisogno di una profilassi antibiotica per prevenire l'endocardite. L'esame dell'area perianale e del tratto distale del retto può essere eseguito con un anoscopio di 7 cm; il retto può essere esplorato sia con lo strumento rigido da 25 cm che con quello flessibile da 60 cm; il colon sigmoideo viene studiato con il sigmoidoscopio flessibile. La sigmoidoscopia flessibile è circa due volte più costosa rispetto all'esame eseguito con lo strumento rigido, ma è molto più confortevole per il paziente e permette di eseguire più facilmente delle fotografie, delle biopsie o dei prelievi per esame citologico.

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

La sigmoidoscopia flessibile viene eseguita con la stessa tecnica descritta oltre per la colonscopia, a eccezione del fatto che, di solito, non è necessaria la somministrazione EV di farmaci. Inoltre, la preparazione è più facile: il retto può essere pulito con un clistere a base di fosfati. La sigmoidoscopia rigida solitamente viene effettuata con il paziente in posizione genupettorale. Dopo l'esplorazione rettale, si esamina l'area perianale e lo strumento, ben lubrificato, viene delicatamente inserito per 3-4 cm al di là dello sfintere anale. Si rimuove l'otturatore e si fa proseguire lo strumento sotto visione diretta. È necessaria una considerevole abilità per oltrepassare la giunzione rettosigmoidea (15 cm) senza causare dolore al paziente. Lo strumento viene inserito per tutta la sua lunghezza, così come precedentemente descritto per la sigmoidoscopia rigida, di solito, con il paziente in decubito laterale sinistro. Le complicanze sono estremamente rare quando l'esame viene eseguito nel modo corretto.

COLONSCOPIA La colonscopia è usata a fini diagnostici per lo screening dei polipi colici o dei carcinomi negli individui ad alto rischio (p. es., quelli con una storia familiare di carcinoma del colon); per valutare meglio un'alterazione osservata al clisma opaco; per determinare l'origine di un sanguinamento GI occulto o attivo o di un'anemia (microcitica) inspiegabile; per valutare nei pazienti affetti da un carcinoma del colon, la presenza di altre lesioni durante lo studio pre- o postoperatorio e per determinare l'estensione di un'affezione infiammatoria intestinale. Le indicazioni terapeutiche comprendono la rimozione dei polipi, la coagulazione delle fonti di sanguinamento, la riduzione dei volvoli o delle invaginazioni e la decompressione delle dilatazioni coliche acute e subacute. Le controindicazioni assolute comprendono lo shock acuto, l'infarto acuto del miocardio, la peritonite, la perforazione intestinale e la colite fulminante. Le controindicazioni relative includono una preparazione intestinale insufficiente oppure una emorragia intestinale massiva, una scarsa cooperazione da parte del paziente, una diverticolite, un recente intervento chirurgico addominale, una storia di molteplici interventi sulla pelvi oppure una voluminosa ernia. Nei pazienti portatori di protesi cardiache o articolari sarà necessaria una profilassi antibiotica per prevenire l'endocardite. La preparazione del paziente comprende l'assunzione di catartici e l'esecuzione di clisteri di pulizia oppure l'assunzione di una soluzione di lavaggio intestinale (p. es., elettrolitica di glicole polietilenico). Per la sedazione vengono somministrati EV un narcotico e una benzodiazepina a breve azione (p. es., midazolam). Dopo l'esplorazione rettale, con il paziente in decubito laterale sinistro, il colonscopio viene delicatamente inserito, attraverso lo sfintere anale, nel retto. Sotto visione diretta, viene insufflata aria e lo strumento viene fatto avanzare nel colon fino al ceco e all'ileo terminale. Raramente è necessaria un'assistenza fluoroscopica. Il paziente può avvertire dei dolori crampiformi che possono essere alleviati con l'aspirazione dell'aria, con la rotazione o con la retrazione dello strumento o con l'ulteriore somministrazione di farmaci, di solito analgesici. La valutazione diagnostica viene eseguita visualizzando le strutture, fotografandole ed eseguendo i prelievi con il brushing o le biopsie delle strutture anormali. La polipectomia viene eseguita usando un'ansa metallica flessibile, a cappio, collegata a un elettrobisturi opportunamente collegato alla terra. Dopo aver catturato il polipo e posizionato il cappio a livello del colletto, si stringe l'ansa metallica e si applica la corrente in modo da sezionare il polipo alla base. Le lesioni emorragiche vengono coagulate con l'elettrocauterio usando una sonda bipolare, con un termocauterio o con la terapia iniettiva. Le complicanze sono simili e leggermente più frequenti di quelle dell'endoscopia del tratto GI superiore. L'asportazione dei polipi è associata a una percentuale di emorragia dell'1,7% e di perforazione dello 0,3%.

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

PARACENTESI ADDOMINALE La paracentesi addominale viene usata per valutare l'origine del liquido ascitico (p. es., l'ascite dovuto alla presenza di ipertensione portale, di metastasi, della TBC o l'ascite pancreatico) e per fare la diagnosi di una perforazione intestinale in un paziente con una storia di trauma chiuso dell'addome. Questo procedimento può essere usato anche a fini terapeutici per rimuovere il liquido ascitico dovuto all'ipertensione portale, soprattutto per ridurre la tensione prodotta dall'ascite stesso che provoca difficoltà respiratorie, dolore od oliguria. Le controindicazioni assolute includono i gravi disturbi non correggibili della coagulazione, l'ostruzione intestinale e l'infezione della parete addominale. Le controindicazioni relative comprendono la scarsa collaborazione da parte del paziente, la presenza di cicatrici chirurgiche in corrispondenza dell'area da pungere e una grave ipertensione portale con circoli collaterali addominali. Prima della paracentesi devono essere eseguiti un emocromo, una conta piastrinica e uno studio della coagulazione. Dopo aver vuotato la vescica, il paziente siede a letto con il capo sollevato da 45 a 90°. Si localizza un punto lungo la linea mediana, a metà strada tra l'ombelico e il pube e lo si disinfetta accuratamente con una soluzione antisettica e con alcol. Con metodica sterile, l'area viene anestetizzata sino al peritoneo con lidocaina all'1%. Per la paracentesi diagnostica, si inserisce attraverso il peritoneo (generalmente si sente un "pop") un ago da 18 gauge attaccato a una siringa da 50 ml. Il liquido viene aspirato delicatamente e un campione viene inviato per la conta delle cellule, per la valutazione del contenuto delle proteine o dell'amilasi, per l'esame citologico o per un esame colturale, se necessario. Per la paracentesi terapeutica (grande quantità), una cannula 14-gauge attaccata a un sistema di aspirazione sotto vuoto viene usata per raccogliere fino a un massimo di 8 l di liquido ascitico. L'ipotensione che può seguire la procedura e che è causata dalla ridistribuzione dei liquidi, è rara finché è presente un edema interstiziale (gambe). L'emorragia è la complicanza più frequente. Occasionalmente, nel caso di ascite sotto tensione, vi può essere una prolungata fuoriuscita di liquido ascitico in corrispondenza del punto di inserzione dell'ago.

PERITONEOSCOPIA DIAGNOSTICA (LAPAROSCOPIA) La peritoneoscopia diagnostica viene usata per valutare una patologia intraaddominale o pelvica (p. es., un tumore, l'endometriosi), l'operabilità dei pazienti con un cancro e i pazienti con dolore addominale acuto o cronico, per guidare una biopsia epatica sotto visione diretta e per la stadiazione dei linfomi. Le controindicazioni assolute includono i disturbi della coagulazione o i sanguinamenti, la scarsa cooperazione da parte del paziente, lo stato peritonitico, l'occlusione intestinale e l'infezione della parete intestinale. Controindicazioni relative sono rappresentate dalle gravi malattie cardiache o polmonari, le voluminose ernie addominali, le operazioni addominali multiple o l'ascite sotto tensione. Prima della procedura devono essere eseguiti un emocromo, lo studio della coagulazione, lo studio rx del torace e dei reni, degli ureteri e della vescica e la tipizzazione con le prove crociate per 2 U di sangue intero. La laparoscopia viene eseguita con tecnica sterile in una sala endoscopica ben equipaggiata o in sala operatoria. Un narcotico e una benzodiazepina a breve azione (p. es., midazolam) vengono somministrati EV, mentre l'addome viene disinfettato con una soluzione antisettica. Si inietta lidocaina all'1% sino al peritoneo in

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

corrispondenza del punto da pungere. Si pratica un'incisione chirurgica di 5 mm e si inserisce un ago di Verres per fare il pneumoperitoneo. Si insuffla quindi l'ossido di azoto nella cavità addominale. Si estende l'incisione per altri 10-15 mm e si introduce la cannula con il mandrino nella cavità peritoneale. Si rimuove il mandrino e si inserisce il peritoneoscopio attraverso la cannula. Si esamina il contenuto addominale e si effettuano le procedure necessarie, quali l'aspirazione del liquido ascitico e i prelievi bioptici. Quando il procedimento è terminato, l'ossido di azoto viene espulso dal paziente con una manovra di Valsalva e la cannula viene rimossa. L'incisione viene suturata. Un'infusione EV viene mantenuta per 24 h e il paziente viene controllato dopo 6 e dopo 24 h per eventuali segni di sanguinamento o di infezione. Le complicanze includono il sanguinamento, la peritonite batterica e la perforazione di un viscere.

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Pancreatite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 26. PANCREATITE Infiammazione del pancreas.

PANCREATITE CRONICA Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia e fisiopatologia Negli USA, la pancreatite cronica è dovuta più frequentemente all'alcolismo e a cause idiopatiche. Come per la pancreatite acuta, in alcuni casi è stata implicata la microlitiasi. Cause meno frequenti sono la pancreatite ereditaria, l'iperparatiroidismo e l'ostruzione del dotto pancreatico principale provocata da una stenosi, da un calcolo o da un carcinoma. Raramente, un grave episodio di pancreatite acuta causa una stenosi del dotto pancreatico tale da danneggiare il drenaggio pancreatico e provocare una pancreatite cronica. In India, Indonesia e Nigeria, la pancreatite calcifica idiopatica si verifica nei bambini e nei giovani adulti.

Sintomi e segni I sintomi e i segni possono essere identici a quelli di una pancreatite acuta. Sebbene a volte non sia presente, un importante dolore epigastrico può durare per varie ore o per diversi gg. Le possibili cause includono l'infiammazione acuta non riconosciuta dagli esami convenzionali, la distensione dei dotti pancreatici provocata da stenosi o da calcoli, una pseudocisti, un'infiammazione perineurale o un'ostruzione del duodeno o del coledoco causata da una fibrosi della testa del pancreas. Il dolore addominale può scomparire mano a mano che le cellule acinari che secernono gli enzimi digestivi pancreatici vengono distrutte. Quando la secrezione delle lipasi e delle proteasi sono ridotte a < 10% della norma, il paziente sviluppa una steatorrea, con feci grasse o addirittura contenenti gocce di olio e una creatorrea. La distruzione delle cellule insulari riduce la secrezione di insulina e provoca un'intolleranza al glucoso.

Diagnosi Gli esami di laboratorio, incluse l'amilasi e la lipasi, sono frequentemente normali, probabilmente a causa di una significativa riduzione della funzione pancreatica. I marker dell'infiammazione (p. es., la conta dei GB) sono generalmente poco aumentati. Le alterazioni strutturali possono essere visualizzate con una rx diretta dell'addome (che mostra le calcificazioni pancreatiche dovute alla presenza di file:///F|/sito/merck/sez03/0260294.html (1 of 3)02/09/2004 2.04.12

Pancreatite

calcoli intraduttali), con un'ecografia o con una TC (che mostrano le alterazioni delle dimensioni e della consistenza del pancreas, la presenza di una pseudocisti o di dotti pancreatici dilatati) e con una CPRE (che mostra le alterazioni del dotto pancreatico principale e dei rami secondari). Questi esami per immagini possono, comunque, essere normali nei primi anni della malattia. I test della funzione pancreatica indagano le funzioni endocrina ed esocrina. Il diabete mellito è presente se la glicemia a 2 ore di distanza dal pasto è > 200 mg/ dl (> 11,1 mmol/l) o se due misurazioni a digiuno della glicemia sono > 120 mg/dl (> 6,66 mmol/l). Il test più sensibile della funzione pancreatica esocrina, il test alla secretina, non è disponibile nella maggior parte degli ospedali. Si effettua posizionando una sonda nel duodeno e raccogliendo le secrezioni pancreatiche stimolate dalla somministrazione EV di secretina, da sola o con la colecistochininapancreozimina o con la ceruleina. Le secrezioni duodenali vengono raccolte per misurarne il volume, la concentrazione di bicarbonati e quella di enzimi. Una raccolta di volume normale (> 2 ml/kg), ma con una ridotta concentrazione di HCO3 (< 80 mEq/l) indica una pancreatite cronica; un volume ridotto (< 2 ml/kg), una normale concentrazione di HCO3 (> 80 mEq/ l) e una normale concentrazione di enzimi indicano un'ostruzione del dotto pancreatico, forse secondaria a una neoplasia, e richiedono l'esecuzione di una CPRE. Un esame dei grassi fecali a 72 h non è sensibile per la determinazione di una disfunzione pancreatica esocrina, perché la steatorrea non si verifica fino a quando la produzione delle lipasi non è pari al 10% del valore normale. Altri test più sensibili includono la misurazione del tripsinogeno sierico, della chimotripsina fecale e dell'acido p-amminobenzoico urinario (test della bentiromide).

Terapia La recidiva di una pancreatite cronica può richiedere un trattamento simile a quello di una pancreatite acuta. Il paziente deve abolire completamente l'assunzione di alcol. A volte, la somministrazione di liquidi EV e il digiuno si dimostrano efficaci. Le misure dietetiche di incerto beneficio, includono pasti piccoli poveri di grassi e proteine (per ridurre la secrezione degli enzimi pancreatici) e la somministrazione di antiacidi o di farmaci H2-antagonisti (per ridurre il rilascio di secretina stimolato dagli acidi, che aumenta il flusso del succo pancreatico). Troppo spesso queste misure non riducono il dolore e sono necessarie importanti quantità di narcotici con il rischio di una tossicodipendenza. Il trattamento medico del dolore pancreatico cronico, infatti, spesso, non è soddisfacente. Recentemente, c'è stato un interesse nell'uso di potenti enzimi pancreatici nel trattamento del dolore cronico, dal momento che gli enzimi somministrati in elevate quantità inibiscono il rilascio da parte della mucosa duodenale della colecistochinina-pancreozimina e riducono quindi la secrezione pancreatica degli enzimi. Il dosaggio raccomandato degli enzimi pancreatici orali è di 30000 U di lipasi ad ogni pasto (p. es., 6 compresse di pancreolipasi). L'uso degli estratti pancreatici sembra aver maggior successo nel migliorare il dolore pancreatico cronico nei casi di pancreatite idiopatica lieve piuttosto che in quelli di pancreatite alcolica. Poiché il duodeno richiede elevate dosi di enzimi, le preparazioni a rilascio prolungato non sono efficaci per eliminare il dolore. Per mettere a riposo il pancreas è stato provato anche l'octreotide, un'analogo a lunga azione della somatostatina. Tuttavia, la riduzione del dolore sembra minima. Una pseudocisti pancreatica, che può causare un dolore cronico, può essere drenata in una struttura vicina a cui aderisce fermamente (p. es., lo stomaco) o in un'ansa digiunale defunzionalizzata (attraverso una cistodigiunostomia secondo Roux-en-Y). Se il dolore è refrattario e il dotto pancreatico principale è dilatato (diametro > 8 mm), una pancreaticodigiunostomia laterale (procedura di file:///F|/sito/merck/sez03/0260294.html (2 of 3)02/09/2004 2.04.12

Pancreatite

Puestow) elimina il dolore in circa il 70-80% dei pazienti. Se il dotto non è dilatato, può essere presa in considerazione una resezione, p. es., la pancreasectomia distale (nel caso di una malattia molto estesa a livello della coda del pancreas) o l'operazione di Whipple (se la malattia è molto estesa a livello della testa del pancreas). Questi approcci chirurgici possono risolvere il dolore nel 60-80% dei pazienti e devono essere riservati ai pazienti che non presentano una dilatazione del dotto pancreatico, che hanno interrotto l'assunzione di alcol e riescono a controllare il diabete che può, peraltro, peggiorare con la resezione pancreatica. In generale, le resezioni pancreatiche più estese (p. es., la pancreasectomia distale subtotale del 95%) sono state abbandonate. Come alternativa alla chirurgia, la denervazione percutanea del plesso celiaco con alcol o con una combinazione di lidocaina e corticosteroidi, può permettere una riduzione temporanea del dolore. La steatorrea può essere migliorata, ma raramente eliminata, con l'assunzione di 4-6 compresse di potenti estratti pancreatici (ciascuna compressa contiene _ 5000 U di lipasi) ai pasti. Sebbene gli estratti pancreatici a rilascio non prolungato possano essere potenziati dagli H2-antagonisti per ridurre l'acidità intragastrica e quindi proteggere gli enzimi che vengono denaturati in un ambiente acido, le preparazioni a rilascio prolungato (da una a tre capsule con i pasti) sono di solito efficaci da sole. Una risposta clinica favorevole include un aumento di peso, la riduzione del numero di evacuazioni intestinali giornaliere, l'eliminazione delle gocce oleose nelle feci e un miglioramento dello stato generale. La risposta clinica può essere quantificata confrontando i risultati della misurazione dei grassi fecali prima e dopo la terapia enzimatica. Se la steatorrea è particolarmente grave e refrattaria a queste misure terapeutiche, possono essere somministrati dei trigliceridi a catena media come fonte di grassi (sono assorbiti senza gli enzimi pancreatici), riducendo così proporzionalmente i grassi assunti con l'alimentazione. A volte è necessaria una somministrazione aggiuntiva di vitamine liposolubili (A, D e K). Gli ipoglicemizzanti orali raramente sono utili nel trattamento del diabete mellito causato dalla pancreatite cronica. L'insulina deve essere somministrata con cautela, poiché il coesistente deficit di secrezione di glucagone da parte delle cellule a fa sì che gli effetti ipoglicemizzanti dell'insulina non siano controbilanciati e si possa verificare quindi un'ipoglicemia prolungata. Nella pancreatite cronica, raramente si verifica una chetoacidosi diabetica. Nella maggior parte dei pazienti, una glicemia di 200-250 mg è accettabile e non richiede alcun trattamento; è meglio mantenere il paziente in una condizione leggermente iperglicemica piuttosto che rischiare l'ipoglicemia dovuta a una troppo zelante somministrazione di insulina. I pazienti affetti da una pancreatite cronica hanno un aumentato rischio di cancro del pancreas. Un peggioramento dei sintomi, specialmente con la comparsa di una stenosi del dotto pancreatico, richiede un pronto esame per accertare la presenza di una neoplasia maligna. Questo può includere lo striscio del tessuto stenotico per l'esame citologico o la misurazione dei marker sierici (p. es., il CA 19-9 e l'antigene carcinoembrionario).

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

MALATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO Reflusso del contenuto gastrico nell'esofago.

Sommario: Eziologia Sintomi segni e complicanze Diagnosi Terapia

Eziologia La presenza di una malattia da reflusso gastroesofageo (RGE) indica l'incompetenza dello sfintere esofageo inferiore. I fattori che contribuiscono alla competenza della giunzione gastroesofagea includono la pressione intrinseca dello sfintere, l'angolo della giunzione cardioesofagea, l'azione del diaframma e la forza di gravità (quando il paziente è in posizione eretta). Il RGE può causare un'esofagite. I fattori che contribuiscono al suo sviluppo includono la natura caustica del materiale che refluisce, l'incapacità a eliminare rapidamente dall'esofago il materiale refluito, il volume del contenuto gastrico e le funzioni protettive locali della mucosa.

Sintomi, segni e complicanze Il sintomo principale è rappresentato dalla pirosi retrosternale con o senza rigurgito del contenuto gastrico nella cavità orale. Le complicanze del RGE sono costituite dall'esofagite, dalla stenosi esofagea, dall'ulcera esofagea e dalla metaplasia di Barrett. L'esofagite può causare odinofagia e talvolta un'emorragia che può essere massiva. La stenosi peptica causa una disfagia gradualmente progressiva per i cibi solidi. Le ulcere peptiche dell'esofago provocano lo stesso tipo di dolore delle ulcere gastriche o duodenali, ma di solito il dolore è localizzato nella regione xifoidea o retrosternale alta. Tendono a guarire molto lentamente, a recidivare e, di solito, dopo la guarigione residua una stenosi.

Diagnosi Un'accurata anamnesi indirizza verso la diagnosi. Gli studi rx, l'esofagoscopia, la manometria esofagea, il monitoraggio del pH e il test di perfusione acida di Bernstein, sono di aiuto per confermare la diagnosi e dimostrare le possibili complicanze (p. es., l'esofago di Barrett). Le rx eseguite con il paziente in posizione di Trendelenburg possono mostrare il reflusso del bario dallo stomaco nell'esofago. Si può eseguire una compressione addominale, ma normalmente le

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Patologie esofagee

manovre radiologiche non sono indicatori sensibili di un RGE. Le rx eseguite subito dopo la deglutizione del bario sono in grado di mostrare le ulcere esofagee e le stenosi peptiche, ma sono raramente diagnostiche nei pazienti con un'emorragia causata da un'esofagite. L'esofagoscopia fornisce una diagnosi accurata di esofagite, con o senza emorragia. Permette, inoltre, di eseguire il lavaggio per l'esame citologico e la biopsia sotto visione diretta, essenziali per distinguere una stenosi peptica benigna da un carcinoma dell'esofago. La manometria esofagea, determina la pressione a livello dello sfintere esofageo inferiore. Il monitoraggio del pH esofageo fornisce un'evidenza diretta del RGE. Nel test di Bernstein, i sintomi sono prontamente riprodotti dalla perfusione acida dell'esofago ed eliminati dalla perfusione con soluzione fisiologica. Le biopsie dell'esofago possono mostrare un assottigliamento dello strato squamoso della mucosa e un'iperplasia delle cellule basali, anche senza alcuna evidenza endoscopica di esofagite. Una biopsia positiva o un test di Bernstein positivo sono strettamente correlati ai sintomi esofagei di reflusso anche con reperti endoscopici e rx negativi. La biopsia endoscopica rappresenta inoltre l'unico modo per evidenziare in modo consistente le alterazioni colonnari mucose della metaplasia di Barrett.

Terapia Il trattamento del RGE non complicato consiste nel (1) sollevare la testata del letto del paziente di circa 20 cm; (2) astenersi dai cibi che stimolano in modo importante la secrezione acida (p. es., caffè, alcol); (3) evitare alcuni farmaci (p. es., gli anticolinergici), alcuni cibi specifici (grassi, cioccolato) e il fumo, che riducono tutti la competenza dello sfintere esofageo inferiore; (4) somministrare 30 ml di antiacido 1 h dopo i pasti e al momento di coricarsi per neutralizzare l'acidità gastrica e possibilmente aumentare la competenza dello sfintere esofageo inferiore; (5) usare gli H2-antagonisti per ridurre l'acidità gastrica (talvolta, anche con altri farmaci); (6) usare degli agonisti colinergici (p. es., betanecol, 25 mg PO tid, metoclopramide, 10 mg PO 30 min prima dei pasti e al momento di coricarsi o cisapride, 10 mg qid; Attenzione: rischio di una grave interazione farmacologica con la cisapride) per aumentare la pressione dello sfintere. Gli inibitori dell'ATPasi idrogeno-potassio, come l'omeprazolo, alla dose di 20 mg/die per 4-8 sett., o il lansoprazolo, alla dose di 30 mg/die per 4-8 sett., sono gli agenti più efficaci per una rapida guarigione dell'esofagite peptica. L'omeprazolo è stato approvato per l'uso a lungo termine nella prevenzione della recidiva dell'esofagite erosiva. Terapia delle complicanze: un'emorragia da esofagite, a meno che non sia massiva, non richiede un intervento chirurgico d'urgenza, anche se può comunque recidivare. Le stenosi esofagee necessitano di un trattamento medico intensivo e di ripetute dilatazioni (p. es., con cateteri a palloncino per via endoscopica o con dilatatori) per ottenere e conservare la pervietà esofagea. Se la dilatazione viene effettuata correttamente, le stenosi non costituiscono una seria limitazione al tipo di cibi che il paziente può mangiare. L'omeprazolo o il lansoprazolo o gli interventi antireflusso (p. es., Belsey, Hill, Nissen) vengono utilizzati nei pazienti con esofagiti gravi, con emorragie, stenosi, ulcere o con sintomi intrattabili, indipendentemente dalla presenza di un'ernia iatale. L'intervento chirurgico può, oggi, essere eseguito anche con tecniche laparoscopiche videoassistite. La metaplasia di Barrett risponde in modo incostante alle terapie chirurgica o medica. Spesso viene consigliato il controllo endoscopico, ogni 1 o 2 anni, per la prevenzione delle trasformazioni maligne, ma l'efficacia dal punto di vista dei costi è dubbia.

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Patologie esofagee

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE GASTROINTESTINALI I neonati con ostruzione intestinale congenita presentano distensione addominale e vomito alla nascita o entro 1-2 giorni di vita. Deve essere immediatamente posizionato un SNG in aspirazione continua, per decomprimere l’intestino e prevenire il vomito, che può determinare polmonite ab ingestis o ulteriore distensione addominale con peggioramento della funzione respiratoria e necessità di trasferimento in un centro di chirurgia neonatale. È inoltre fondamentale mantenere una temperatura corporea adeguata, prevenire l’ipoglicemia, somministrando destroso al 10% ed elettroliti EV e prevenire e trattare rapidamente l’acidosi e le infezioni, affinché il bambino affronti l’intervento in condizioni ottimali. Nel neonato con una malformazione intestinale congenita devono inoltre essere ricercate malformazioni associate a carico di altri organi, soprattutto del SNC, del cuore e dei reni.

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO SCLEROSI SISTEMICA Malattia cronica a eziologia sconosciuta, caratterizzata da fibrosi diffusa, alterazioni degenerative e anomalie vascolari della cute (sclerodermia), delle strutture articolari e degli organi interni (particolarmente esofago, tratto gastroenterico, polmone, cuore e rene).

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Esami di laboratorio Prognosi Terapia

La sclerosi sistemica si verifica con una frequenza circa 4 volte maggiore nelle donne ed è relativamente rara nei bambini. Le forme localizzate di sclerodermia si manifestano come chiazze circoscritte (morfea) o come sclerosi lineare dei tegumenti e dei tessuti immediatamente sottostanti, senza interessamento sistemico. La malattia mista del tessuto connettivo (Mixed Connective Tissue Disease, MMTC, v. oltre) riunisce caratteristiche della sclerodermia (p. es., il fenomeno di Raynaud e la disfunzione esofagea), con tratti clinici e sierologici del LES, della polimiosite o dell'AR. I pazienti con MMTC hanno titoli altissimi di Ac sierici che reagiscono con la ribonucleoproteina nucleare.

Sintomi, segni e diagnosi La Sclerosi sistemica varia per gravità ed evoluzione; le sue manifestazioni vanno dall'ispessimento cutaneo generalizzato (sclerosi sistemica con sclerodermia diffusa) che può causare interessamento viscerale rapidamente progressivo e spesso fatale, a una forma contraddistinta da interessamento cutaneo ridotto (spesso limitato al viso e alle dita) e lenta progressione, di solito di svariati decenni, prima che si manifesti un quadro clinico completo di caratteristico coinvolgimento viscerale. La seconda forma viene chiamata sclerodermia cutanea limitata o sindrome CREST (C alcinosi, R aynaud's fenomeno, E sofagite, S clerodattilia, T eleangectasie). Esistono inoltre sindromi sovrapposte; p. es., la sclerodermatomiosite (cute ispessita e debolezza muscolare non distinguibile dalla polimiosite); MMTC; e una sindrome muscoloscheletrica indotta chimicamente da alcuni veleni sistemici, come accaduto nella sindrome da olio tossico ingerito che si è verificata nella città di Madrid nel 1981 e che ha colpito circa 20000 persone. Una sindrome caratterizzata da mialgia invalidante ed eosinofilia è stata associata all'ingestione di L-triptofano, sebbene l'esatta eziologia non sia nota e la tossicità probabilmente era dovuta a un contaminante. Le manifestazioni iniziali più frequenti nella sclerosi sistemica sono il fenomeno di file:///F|/sito/merck/sez05/0500469.html (1 of 4)02/09/2004 2.04.14

Malattie del tessuto connettivo

Raynaud e il rigonfiamento insidioso delle parti distali degli arti, con ispessimento graduale della cute delle dita. La poliartralgia è anche predominante. Fra le prime manifestazioni della malattia si annoverano, occasionalmente, anche disturbi GI (p. es., pirosi gastrica, disfagia) e respiratori (dispnea). Cute: l'ispessimento è simmetrico e può essere limitato alle dita (sclerodattilia) e ai segmenti distali degli arti superiori o può colpire la maggior parte o tutto il corpo. Col progredire della malattia la cute diventa tesa, lucida e iperpigmentata; il viso diventa una maschera; e appaiono teleangectasie sulle dita della mano, sul petto, sul viso, sulle labbra e sulla lingua. Si sviluppano calcificazioni sottocutanee (calcinosi circoscritta), abitualmente sulla punta delle dita (polpastrelli) e sulle prominenze ossee. La microscopia capillare del letto ungueale evidenzia anse capillari dilatate con aree di perdita del letto microvascolare normalmente visibile a quel livello. La biopsia della cute ispessita dimostra un aumento delle fibre compatte del collageno dermico, l'assottigliamento dell'epidermide e l'atrofia delle appendici dermiche. Vi possono essere accumuli di linfociti T di grandezza variabile nel derma e nel sottocute, che può essere anche sede di estesa fibrosi. Apparato muscolo-scheletrico: rumori di crepitazione si possono sviluppare sulle articolazioni (particolarmente nel ginocchio), nelle guaine tendinee (tendiniti) e nelle grandi borse sierose, dovuti alla deposizione di fibrina sulle superfici sinoviali. Le contratture in flessione delle dita, dei polsi e dei gomiti sono dovute alla fibrosi della membrana sinoviale, delle strutture molli periarticolari e della pelle. Ulcere trofiche sono frequenti, specialmente sulla punta delle dita, nelle zone soprastanti le articolazioni delle dita o sui noduli calcifici. Tratto GI: la disfunzione esofagea è il disturbo GI più frequente e si manifesta, prima o poi, nella maggior parte dei casi. La disfagia (manifestata da svariati tipi di sensazioni anormali durante la deglutizione) è inizialmente causata da alterazione della motilità esofagea, ma più tardi può essere dovuta a reflusso gastroesofageo e a formazione secondaria di stenosi. Sono comuni il riflusso di acido, dovuto all'incontinenza dello sfintere esofageo inferiore e l'esofagite peptica con possibile ulcerazione e stenosi. L'esofago di Barrett si manifesta in 1/3 dei pazienti con sclerodermia; questi pazienti hanno un aumentato rischio di complicanze (p. es., stenosi, adenocarcinoma). L'ipomotilità del piccolo intestino può essere associata a malassorbimento dovuto all'eccessivo sviluppo di batteri anaerobi intestinali. Si possono avere cisti intestinali (pneumatosi cistoide intestinale) in seguito a degenerazione della muscularis mucosae e alla penetrazione d'aria nella sottomucosa della parete intestinale. Dilatazioni caratteristiche a forma di sacculi possono svilupparsi nel colon e nell'ileo a causa dell'atrofia della muscolatura liscia di questi segmenti. La cirrosi biliare può essere associata con sindrome CREST. Apparato cardiorespiratorio: la fibrosi polmonare causa una precoce alterazione nello scambio dei gas che conduce a dispnea da sforzo. Possono verificarsi pleuriti e pericarditi. Il coinvolgimento polmonare generalmente progredisce in modo subdolo, molto variabile da individuo a individuo. Si può sviluppare un'ipertensione polmonare a causa della fibrosi interstiziale e peribronchiale o per l'iperplasia dell'intima delle piccole arterie polmonari; quest'ultimo reperto è associato alla sindrome CREST. Le aritmie cardiache, i disturbi di conduzione e altre anomalie dell'ECG sono frequenti. ECG ambulatoriali in pazienti con interessamento polmonare o cardiaco, rivelano battiti ectopici ventricolari nel 67% dei casi; tale reperto è stato fortemente correlato a morte improvvisa. L'insufficienza cardiaca può essere in rapporto all'ipertensione polmonare e al cuore polmonare secondario oppure alla sostituzione fibrosa del muscolo cardiaco. L'insufficienza cardiaca tende a cronicizzarsi e a rispondere male al trattamento. Apparato renale: malattie renali gravi possono svilupparsi come conseguenza dell'iperplasia dell'intima delle arterie interlobulari e arcuate e si manifestano abitualmente con l'insorgenza improvvisa di un'ipertensione grave o maligna che, se non trattata, è rapidamente seguita da insufficienza renale progressiva e irreversibile, in alcuni mesi letale. Tuttavia, la moderna aggressiva terapia antiipertensiva ha ottenuto sopravvivenza Š 2 anni per la maggior parte dei pazienti, sebbene non tutti rispondano a questa terapia e alcuni vadano incontro

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Malattie del tessuto connettivo

a insufficienza renale nonostante il buon controllo della PA sistemica (v. Terapia, oltre).

Esami di laboratorio La sclerosi sistemica conclamata è facilmente diagnosticata su base clinica. Gli anticorpi non specifici e la tipizzazione HLA sono di grande interesse per la ricerca. Il test per il FR è positivo nel 33% dei pazienti affetti da sclerosi sistemica e gli ANA nel 90%; gli ANA spesso mostrano un pattern antinucleolare. Un Ac che reagisce con la proteina centromerica (Ac anticentromero) è presente nel siero di un'alta percentuale di pazienti affetti da sindrome CREST. L'Ag anti-SCL70 (topoisomerasi I) è una proteina legante il DNA sensibile alla nucleasi. I pazienti con sclerodermia diffusa hanno con maggiori probabilità anticorpi antiSCL-70. Gli anticorpi anti-SCL-70 sono stati associati alla presenza di patologia vascolare periferica e di fibrosi interstiziale polmonare, ma non hanno valore predittivo rispetto al coinvolgimento cardiaco, renale o alla sopravvivenza. L'analisi dei vari aplotipi HLA nella sclerodermia ha evidenziato una significativa correlazione solo tra Sclerosi sistemica e l'HLA-DR5 e un'aumentata frequenza di HLA-DR1 in pazienti con sindrome CREST.

Prognosi Il decorso è variabile e imprevedibile, ma abitualmente lento. La maggior parte dei pazienti mostra alla fine segni di interessamento viscerale. La prognosi è infausta se sono presenti precoci complicanze cardiache, polmonari o renali. In ogni caso la malattia può rimanere circoscritta e non progredire per lunghi periodi di tempo, nei pazienti affetti da sindrome CREST; si sviluppano alla fine sempre altre alterazioni viscerali (p. es., l'ipertensione polmonare, dovuta all'alterazione vascolare del polmone, una forma particolare di cirrosi biliare), ma il decorso di questa forma di Sclerosi sistemica è spesso benigno.

Terapia Non esistono farmaci capaci di influenzare in modo significativo la storia naturale della sclerosi sistemica, benché diversi preparati possano essere utilizzati nel trattamento di sintomi specifici o di patologie d'organo. I corticosteroidi possono essere utili nei pazienti affetti da una miosite invalidante, da sinovite o da MMTC. La somministrazione prolungata (> 1,5 anni) di penicillamina (0,5-1 g/die) può portare alla riduzione dell'ispessimento cutaneo e della quota di nuove complicanze viscerali. Il farmaco è abitualmente iniziato alla dose di 250 mg/die e aumentato per migliorare la tolleranza a intervalli di vari mesi. Vari farmaci immunosoppressori, incluso il metotrexato, sono stati utili in saltuari casi di sclerosi sistemica; uno studio a doppio cieco condotto su 65 pazienti ha evidenziato che dopo 3 anni di terapia immunosoppressiva con clorambucil non erano emersi benefici. La nifedipina alla dose di 20 mg tid o come tollerata può migliorare il fenomeno di Raynaud. L'esofagite da riflusso migliora con pasti frequenti e piccoli, con gli antiacidi e gli H2 antagonisti (p. es., con la cimetidina 300 mg qid, 30 min prima dei pasti e prima di coricarsi), con gli inibitori della pompa protonica e facendo dormire il paziente con la testa del letto sollevata. Le stenosi esofagee possono richiedere una dilatazione periodica; si è avuto successo nella correzione del riflusso gastroesofageo con interventi di gastroplastica. La tetraciclina a dosi di 1 g/die PO e/o altri antibiotici a largo spettro sopprimono l'aumentata proliferazione della flora intestinale e possono migliorare i sintomi di malassorbimento, causati dalla colonizzazione batterica delle anse intestinali dilatate. La fisioterapia può essere utile per conservare il tono muscolare, ma è inefficace nella prevenzione delle contratture. Per la patologia renale, i farmaci di scelta sono gli ACE inibitori. Sono stati usati file:///F|/sito/merck/sez05/0500469.html (3 of 4)02/09/2004 2.04.14

Malattie del tessuto connettivo

con un certo successo altri vasodilatatori (p. es., il minoxidil). Tutti questi farmaci sono efficaci nel controllare l'ipertensione e aiutano a salvaguardare la funzione renale. Quando il trattamento non è in grado di prevenire una malattia renale all'ultimo stadio, si può ricorrere a un trapianto e alla dialisi, anche se la mortalità rimane alta

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO

49. Approccio al paziente artropatico 50. Malattie del tessuto connettivo Artrite reumatoide Sindrome di Sjögren Sindrome di Behçet Policondrite recidivante Lupus eritematoso sistemico Lupus eritematoso discoide Sclerosi sistemica Fascite eosinofila Polimiosite e dermatomiosite Polimialgia reumatica Vasculite Arterite temporale Poliarterite nodosa Granulomatosi di Wegener Malattia mista del tessuto connettivo 51. Artrite associata a spondilite Spondilite anchilosante Sindrome di Reiter Artrite psoriasica 52. Osteoartrosi e artropatia neurogena Osteoartrosi Artropatia neurogena

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

53. Necrosi avascolare 54. Infezioni delle ossa e delle articolazioni Artriti infettive Osteomielite 55. Malattie indotte da cristalli Gotta Iperuricemia idiopatica Malattia da deposizione di pirofosfato calcico diidrato Disordini da cristalli di fosfato di alcio basico e di altra natura 56. Tumori ossei e articolari Tumori benigni dell’osso Tumori maligni dell’osso 57. Osteoporosi 58. Morbo di Paget dell’osso 59. Reumatismi non articolari Torcicollo spasmodico Lombalgia Borsite Tendinite e tenosinovite Fibromialgia 60. Disordini comuni del piede e della caviglia Distorsioni della caviglia Disordini associati a talalgia Sindrome dello sperone calcaneare Epifisite del calcagno Borsite posteriore del tendine di Achille Frattura del tubercolo postero-laterale dell’astragalo Borsite anteriore del tendine di Achille

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

Nevralgia del nervo tibiale posteriore Malattie associate a metatarsalgia Dolore dei nervi interdigitali Dolore dell’articolazione metatarsofalangea Alluce rigido 61. Disordini comuni della mano Deformazioni Dito di Mallet Deformazione a collo di cigno Deformazione en boutonnière Osteoartrosi erosiva (infiammatoria) Contrattura di Dupuytren Sindromi neurovascolari Sindrome del tunnel carpale Sindrome del tunnel cubitale Sindrome del tunnel radiale Malattia di Kienböck Gangli Distrofia riflessa simpatica Traumi Infezioni Deformazioni congenite Problemi tendinei 62. Traumi comuni da sport Frattura metatarsale da stress Sindromi delle logge della gamba Tendinite poplitea Tendinite Achillea Dolore femororotuleo

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

Lesione della muscolatura femorale posteriore Sindrome piriforme Strappi lombari Epicondilite laterale Epitrocleite Tendinite della cuffia dei rotatori

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Approccio al paziente artropatico

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 49. APPROCCIO AL PAZIENTE ARTROPATICO Sommario: Introduzione Esame obbiettivo Diagnosi Diagnosi differenziale delle malattie articolari infiammatorie e non infiammatorie

Un'anamnesi completa e un esame fisico sono importanti in un paziente con sintomi articolari, che possono far parte di una malattia sistemica o localizzata. Gli esami di laboratorio e i dati radiologici sono generalmente solo complementari.

Esame obiettivo Ciascuna articolazione coinvolta deve essere osservata e palpata e ne deve essere misurato il grado di movimento. Questo abitualmente consente di evidenziare la malattia e di stabilire se sono interessate le articolazioni, le strutture adiacenti o entrambe. Le articolazioni coinvolte vanno confrontate con le controlaterali sane o con quelle dell'esaminatore. I risultati raccolti vanno registrati obiettivamente e quantitativamente, p. es., facendo ricorso a un sistema numerico di gradazione e misurando in gradi la motilità articolare. Il movimento articolare, generalmente causa di dolore nelle artropatie, può non esserlo nelle malattie periarticolari, ossee e nelle patologie dei tessuti molli. La tumefazione rappresenta un elemento importante. La palpazione di una articolazione tumefatta aiuta (1) ad accertare la presenza di versamento intrarticolare; (2) a differenziare un semplice versamento da un ispessimento sinoviale e da un rigonfiamento osseo o della capsula; (3) a determinare se la tumefazione è limitata alla sola articolazione o se è periarticolare. La dolorabilità o la tumefazione localizzati in una sola zona dell'articolazione, possono in realtà essere legate all'interessamento dei legamenti, dei tendini o delle borse sierose adiacenti; la positività o meno dei dati semeiologici è indice del grado di interessamento articolare. Una monoartrite suggerisce sempre la presenza di un'infezione, di un'artrite da cristalli, di un trauma o raramente di un tumore. L'aumento di temperatura della cute sovrastante l'articolazione va attentamente localizzato. Molte articolazioni normali sono in realtà più fredde della cute adiacente. Crepitii possono essere provocati dalle strutture intrarticolari o dai tendini; le cause che producono i crepitii devono essere determinate (nel ginocchio, p. es., il crepitio può dipendere dal grattamento femoro-rotuleo o dal movimento femoro-tibiale). Le piccole articolazioni (p. es., l'acromio-clavicolare nella spalla, l'articolazione tibiofibulare nella parte laterale del ginocchio, l'articolazione radioulnare nel gomito) possono essere fonte di un dolore inizialmente riferito all'articolazione più grande. Mano: le principali caratteristiche differenziali della mano nell'osteoartrosi e

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Approccio al paziente artropatico

nell'artrite reumatoide sono riportate in Tab. 49-1. Nell'AR cronica si verificano sublussazioni articolari che provocano deformazioni a "collo di cigno" o "en boutonnière"(v. Cap. 61) Nell'artrite psoriasica vengono generalmente colpite le articolazioni interfalangee distali (IFD); le lesioni psoriasiche spesso si manifestano intorno all'unghia adiacente e l'interessamento articolare è più asimmetrico rispetto a quello dell'AR. Nella sindrome di Reiter le alterazioni sinoviali periarticolari e periostali sono presenti in alcune IFD o nelle articolazioni interfalangee prossimali o metacarpofalangee e vi è un interessamento asimmetrico delle articolazioni delle dita. L'interessamento asimmetrico delle IFD è anche presente nella gotta cronica, nella quale si formano depositi tofacei irregolari articolari o extrarticolari, alcuni dei quali si presentano sotto la cute come aggregati color crema. Le alterazioni a carico della mano sono generalizzate nella sindrome spalla-mano (distrofia riflessa simpatica), con edema diffuso, pelle chiazzata e lievemente cianotica. Nella sclerosi sistemica progressiva, ci può essere un iniziale diffuso gonfiore, ma col tempo la cute si ispessisce e spesso si sviluppano contratture in flessione; si può osservare il fenomeno di Raynaud. Caratteristici dell'osteoartropatia ipertrofica polmonare sono l'ingrossamento a bacchetta di tamburo della punta delle dita della mano e il dolore riferito alla porzione distale del radio e dell'ulna, causato dalla sottostante periostite. Nel LES, e meno frequentemente nella dermatomiosite, si può osservare una sinovite articolare simile a quella dell'AR, anche se le artralgie e i dolori localizzati alle mani, senza una obiettiva tumefazione articolare, sono più caratteristici di entrambe queste patologie. Sempre nel LES possono osservarsi deformazioni delle dita simili a quelle dell'AR, che sono causate, però, da interessamento dei tessuti molli e non da un'artrite erosiva avanzata. Il fenomeno di Raynaud è spesso presente nel LES, mentre nella dermatomiosite si può riscontrare un eritema desquamante sulla superficie estensoria delle articolazioni. Gomito: la tumefazione e l'ipertrofia della membrana sinoviale, causata dall'artropatia, si verificano nella zona laterale del gomito tra il capitello radiale e l'olecrano, producendo una protuberanza; è importante, inoltre, evidenziare l'eventuale versamento o l'ispessimento della borsa dell'olecrano e i noduli reumatoidi ed epitrocleari. Si ricercherà un'estensione articolare completa di 180°. Sebbene l'estensione completa è possibile nelle forme non artritiche ed extrarticolari, la sua perdita rappresenta una delle prime fasi dell'artrite. Nel gomito del tennista, un dolore acuto ben localizzato viene evocato esercitando una decisa pressione sull'epicondilo laterale. Spalla: la limitazione del movimento, l'astenia, il dolore e un disturbo della motilità si evidenziano invitando il paziente a cercare di sollevare entrambe le braccia sulla testa. Vanno inoltre ricercate l'atrofia muscolare e alterazioni neurologiche. Sebbene una tumefazione non sia comune, un rigonfiamento nella parte anteriore della spalla è talvolta presente nell'AR, dovuto alla dissezione in avanti di una sinovite gleno-omerale. L'attenta palpazione della spalla rilassata può consentire di identificare una dolenzia causata dall'infiammazione delle borse sierose o dei tendini, manifestazione che si verifica prevalentemente a carico dell'area subacromiale e del tendine del capo lungo del bicipite. La localizzazione del processo infiammatorio permette l'aspirazione del liquido sinoviale e l'iniezione di una soluzione di lidocaina e corticosteroidi per favorire la risoluzione della tendinite acuta e confermare la diagnosi. Piede e caviglia: poiché il carico può evidenziare certe anormalità, il paziente deve stare in piedi per parte dell'esame. L'escursione articolare di una caviglia normale è di 15° in flessione dorsale e 40° in flessione plantare. Una tumefazione localizzata al di sotto e appena al davanti dei malleoli è caratteristica di una patologia sinoviale o intrarticolare. La palpazione di tale tumefazione di consistenza soffice con dolorabilità del piede ai movimenti di estensione e flessione, è indice di sinovite della caviglia. Dolore alla flessione plantare o dorsale suggerisce malattia subtalare o del legamento. Un edema della caviglia, spesso associato a una motilità normale, può essere distinto da una vera tumefazione articolare, in quanto si presenta diffuso, superficiale, con permanenza della fovea e non dolente. Nell'AR le articolazioni metatarsofalangee sono generalmente tumefatte e dolenti. Una sinovite delle articolazioni interfalangee dei piedi, che di solito non si manifesta nei casi di AR, può indicare

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Approccio al paziente artropatico

la sindrome di Reiter, altre artriti reattive, l'artrite psoriasica o la gotta. Nella gotta l'articolazione più frequentemente colpita è la prima metatarsofalangea (MTF); ma anche l'arco plantare e la caviglia possono essere coinvolti. Inoltre è molto evidente, nell'attacco acuto, l'eritema diffuso. Dolore al movimento con crepitii sulla prima articolazione metatarsofalangea suggeriscono l'osteoartrosi. Ginocchio: alterazioni grossolane come tumefazione (p. es., le cisti poplitee), atrofia muscolare dei quadricipiti e instabilità articolare sono più evidenziabili a paziente in piedi e nella deambulazione. L'attenta palpazione del ginocchio, a paziente supino, cercando di localizzare il dolore, di rilevare la presenza di liquido articolare e l'ipertrofia della membrana sinoviale, aiuta a evidenziare la presenza di artrite. È importante differenziare la dolorabilità delle borse sierose extrarticolari dai veri disturbi intrarticolari. Il riconoscimento di piccoli versamenti articolari è un problema frequente che è possibile risolvere facendo ricorso al "bulge sign" (segno del rigonfiamento). A paziente supino e con i muscoli rilassati, il ginocchio viene esteso e la gamba extraruotata. La parte mediale del ginocchio viene premuta per allontanare, da questa zona, l'eventuale liquido presente. La palpazione della borsa soprarotulea e la lieve pressione e frizione della zona laterale del ginocchio, può creare un'onda di liquido o un rigonfiamento visibile medialmente quando è presente un versamento. Per rilevare eventuali contratture in flessione del ginocchio, è importante tentare un'estensione completa di 180°. In caso di rottura di menisco o di lesione traumatica dei legamenti collaterali, le sollecitazioni forzate in valgo o in varo, a gamba estesa, producono dolore, comprimendo il menisco e stirando contemporaneamente il legamento collaterale opposto. La rima articolare può essere localizzata con la palpazione digitale mediale e laterale, mentre il ginocchio viene lentamente esteso e flesso. Un menisco lussato è dolente alla pressione decisa; la lesione di un legamento collaterale causa dolore nelle sollecitazioni dirette in senso longitudinale. Per saggiare l'integrità dei legamenti crociati, si afferra tirando e spingendo la gamba a ginocchio flesso a 90° (meglio se il paziente è seduto sul lettino con le gambe ciondolanti) e si valuta il movimento in avanti e indietro (che deve essere minimo) della tibia rispetto al femore. La rotula deve essere libera in ogni movimento e risultare non dolente. Per individuare una motilità articolare abnorme, e in particolar modo l'instabilità laterale, si dovrà immobilizzare la coscia, sollecitando il ginocchio, rilassato e quasi esteso, da un lato e dall'altro. Anca: i pazienti affetti da artrite dell'anca di discreta entità spesso hanno un'andatura zoppicante, che può essere causata dal dolore, dall'accorciamento della gamba, da una contrattura in flessione o dall'indebolimento muscolare. In genere, un attento esame può evidenziare una perdita dell'intrarotazione (spesso la prima alterazione) della flessione, dell'estensione o dell'abduzione dell'anca. La palpazione della cresta iliaca del paziente consente di rilevare il movimento pelvico che potrebbe essere confuso con il movimento dell'anca. Una contrattura in flessione può essere identificata cercando di estendere la gamba del paziente, mantenendo l'anca opposta in posizione di massima flessione, per stabilizzare la pelvi. Una dolorabilità localizzata sul gran trocantere del femore indica più una borsite locale che un'artrite. Colonna vertebrale: va scrupolosamente misurata la motilità del rachide cervicale e lombare. Nell'artrite degenerativa è impossibile invertire, alla flessione, la fisiologica lordosi lombare. Nella spondilite anchilosante è caratteristica anche la limitazione della flessione lombare. L'osteoartrosi o la spondilite anchilosante limitano anche il movimento del collo. Sia le malattie dei tessuti molli che l'artrite possono causare dolore e limitazione del movimento. L'effetto del movimento sul dolore va sempre attentamente valutato. La palpazione e la decisa percussione di ogni vertebra e delle articolazioni sacroiliache, possono suscitare un dolore osseo superficiale o profondo, che va distinto da quello secondario alla contrattura dei muscoli laterali della colonna. Un dolore osseo localizzato suggerisce la presenza di osteomielite, leucemia, tumore primitivo o metastatico, frattura da compressione o ernia del disco. Le reazioni psicogene ("non mi toccare") devono essere notate, così come la presenza di punti muscolari dolenti tipici della fibromialgia. Si deve misurare

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anche l'espansibilità toracica, poiché essa è tipicamente ridotta nella spondilite anchilosante.

Diagnosi Non di rado patologie quali flebiti, arteriosclerosi obliterante, cellulite, edemi, neuropatie, sindromi da compressione vascolare, rigidità del morbo di Parkinson, fratture periarticolari da stress, stenosi del canale vertebrale, miosite e fibromiosite, polimialgia reumatica, vengono erroneamente interpretate dai pazienti come artriti. Queste malattie possono essere distinte ciascuna dalle proprie tipiche caratteristiche (descritte altrove nel Manuale) e dall'assenza o scarsità dei reperti articolari. Le cisti poplitee, dovute ad artrite del ginocchio, possono causare dolore popliteo locale e compressione venosa o rottura nel polpaccio che può essere confusa con una flebite. Segni extrarticolari possono essere utili nell'identificazione del tipo di artrite (p. es., i tofi nella gotta, i noduli nell'AR, l'eruzione pustolosa nella gonococcemia). Anche una coesistente malattia periarticolare, può facilitare la diagnosi. Per esempio, una tendinite spesso coesiste con l'artrite gonococcica, l'AR e altre malattie sistemiche; un'importante dolorabilità delle ossa adiacenti alle articolazioni e versamenti intrarticolari si verificano nell'anemia a cellule falciformi e nell'osteoartropatia ipertrofica polmonare, e l'entesite con dolorabilità e tumefazione a livello delle inserzioni tendinee suggerisce un'artrite reattiva. Spesso l'artrite è transitoria e si risolve senza una diagnosi specifica. Un'artrite può non soddisfare i criteri per una definita malattia reumatica (v. Tab. 49-2). Per poter iniziare il trattamento di queste malattie, è necessario ipotizzare una diagnosi, tenendo però sempre presente le altre possibilità. In tutte le condizioni atipiche e non diagnosticate non è da escludere l'esistenza di una malattia sistemica. La malattia di Lyme e altre patologie infettive devono sempre essere prese in considerazione precocemente, dal momento che queste rispondono alla terapia specifica. Alcuni problemi richiedono un trattamento immediato. La monoartrite acuta è un esempio e l'esame del liquido sinoviale è essenziale (v. oltre). La presenza di un versamento emorragico può essere indice di frattura, di diatesi emorragica o di patologia maligna. I versamenti intensamente infiammatori depongono per un'infezione da piogeni che richiede un'immediata terapia antibiotica e l'aspirazione o il drenaggio del liquido sinoviale, per stabilire la diagnosi e prevenire la distruzione articolare. Gli esami ematochimici sono utili nel diagnosticare alcuni tipi specifici di artrite (per i test specifici, v. i capitoli dedicati alle singole malattie). Una VES o una proteina C-reattiva elevata, sono indicativi di malattia infiammatoria. I livelli sierici dell'acido urico vengono innalzati dalla somministrazione di diuretici, di aspirina a basse dosi, da altri farmaci, dalla dieta o dall'alcol e sono elevati nella gotta. I test al lattice, utilizzati per la ricerca del fattore reumatoide (FR), sono spesso positivi nell'AR, ma possono esserlo anche nella epatite, nella cirrosi, nella sarcoidosi, nell'endocardite batterica subacuta, nella tubercolosi e in altre infezioni e malattie del collagene. I fattori antinucleari (FAN) possono essere presenti nell'AR, nella sindrome di Sjögren, nella sclerosi sistemica progressiva, nel LES, nell'epatite e in altre malattie. Se viene sospettato un LES, può essere utile dosare gli Ac antiDNA a doppia elica, anti-Sm e i livelli del complemento. La CPK e la AST sieriche sono elevate nelle miopatie, comprese alcune forme di distrofia muscolare, nei traumi da schiacciamento, nella polimiosite e dermatomiosite. La CPK può essere elevata anche nell'ipotiroidismo. Gli esami radiologici sono importanti nella valutazione iniziale delle forme articolari relativamente localizzate e non chiare, per rilevare la possibile presenza di tumori metastatici o primitivi, di osteomielite, di infarti ossei, di calcificazioni periarticolari o di alterazioni di altre strutture, site in profondità, che possono sfuggire all'esame clinico. Nei casi di gotta, di AR cronica e di osteoartrosi, si possono evidenziare erosioni, cisti e assottigliamento a carico degli spazi

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articolari. Gli esami radiologici sono inoltre particolarmente utili nell'esame della colonna vertebrale, ma generalmente non sono necessari se il problema sembra essere secondario a un semplice stiramento acuto dei muscoli paravertebrali lombari. La TC e la RMN, possono aiutare nella diagnosi di lesioni poco ovvie persistenti. Altri esami utili sono la biopsia sinoviale con ago o chirurgica, l'ecografia, l'artroscopia, l'artrografia, la TC dell'osso, l'elettromiografia, i tempi di conduzione nervosa, la termografia e la biopsia muscolare od ossea. Le caratteristiche del liquido sinoviale verranno trattate più avanti.

Diagnosi differenziale delle malattie articolari infiammatorie e non infiammatorie Una volta realizzato il coinvolgimento articolare, il processo infiammatorio deve essere differenziato da quello non infiammatorio. Fra i segni locali più tipici di infiammazione, l'aumento del termotatto e l'eritema sono i più utili per tale differenziazione. Nell'AR non vi è in genere eritema a carico delle articolazioni cronicamente infiammate. La VES e la proteina C-reattiva tendono a salire e spesso vi è anche febbre nelle forme gravi di artrite infiammatoria, ma ciò può anche essere causato da altri processi infiammatori localizzati altrove nell'organismo. Una tumefazione dei tessuti molli depone a favore di un processo artritico, ma soltanto l'aspirazione del versamento ci consente di determinarne con esattezza la natura. L'osteoartrosi del ginocchio, sebbene primariamente degenerativa, spesso causa versamento. La preparazione per lo studio del liquido sinoviale risulta molto delicata. Non è necessario effettuare tutti gli esami su ogni liquido. Lo studio del liquido sinoviale permette di classificare la maggior parte dei versamenti sinoviali come normali, non infiammatori, infiammatori e settici (v. Tab. 49-3). Possono esserci anche versamenti di tipo emorragico. Ciascun tipo di versamento è indice di una precisa malattia articolare (v. Tab. 49-4). I versamenti sinoviali cosiddetti non infiammatori, sono in realtà moderatamente infiammatori, suggerendo un meccanismo infiammatorio meno intenso. Se si sospetta un'infezione, una parte del campione di liquido sinoviale deve essere inviata al laboratorio per la diagnosi batteriologica. Per la diagnosi definitiva di gotta, pseudogotta e altre artropatie indotte da cristalli, è essenziale l'esame microscopico di uno striscio a fresco del liquido sinoviale per la ricerca dei cristalli utilizzando la luce polarizzata (bastano solo poche gocce di liquido sinoviale) (v. Cap. 55). L'uso di un polarizzatore a basso costo sulla fonte luminosa e di un altro fra il vetrino e l'occhio dell'esaminatore, consentirà di visualizzare i cristalli con una birifrangenza bianca e luminosa. Inserendo una piastra rossa di primo ordine si ottiene una luce polarizzata compensata, come nel caso dei microscopi in commercio. Si possono inoltre riprodurre gli effetti di un compensatore, sistemando due strisce di nastro adesivo trasparente sul vetrino e ponendolo sul polarizzatore più basso. Ogni sistema rudimentale di questo genere dovrebbe essere testato contro un microscopio commerciale a polarizzazione prima dell'utilizzazione per la diagnosi. Se i cristalli evidenziati non sono tipici, devono essere considerati molti cristalli meno comuni (di colesterolo, cristalli lipidici liquidi, di crioglobuline) o artefatti (p. es., cristalli di corticosteroidi depot). Altri reperti del liquido sinoviale che possono occasionalmente far porre o suggerire una specifica diagnosi, includono organismi specifici (identificabili con colorazione di Gram o acida); cellule LE sviluppate spontaneamente in vivo; spine di midollo (causate da fratture); cellule di Reiter (monociti che hanno fagocitato PMN), osservate per lo più nelle artriti reattive; frammenti di amiloide (identificabili con la colorazione al rosso Congo); globuli rossi "sickled" (causati dalle emoglobinopatie drepanocitiche); ferro in grandi cellule sinoviali mononucleari (identificabili con la colorazione blu di Prussia e presenti specialmente nella emocromatosi o nella sinovite villonodulare pigmentosa). file:///F|/sito/merck/sez05/0490445.html (5 of 6)02/09/2004 2.04.16

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Nella valutazione del liquido sinoviale di tipo infiammatorio, può risultare utile soltanto occasionalmente confrontare i livelli del complemento sierico e quelli del liquido sinoviale. Nell'AR i livelli del complemento del liquido sinoviale tendono a essere < 30% di quello sierico, ma sono spesso più alti nella gotta, nella sindrome di Reiter e nell'artrite infettiva. I livelli del complemento sono bassi (quindi normali) nei liquidi sinoviali non infiammatori, in cui è scarsa la componente proteica. Nel LES è possibile rilevare bassi livelli di complemento, sia nel siero che nel liquido sinoviale. La ricerca del fattore reumatoide nel liquido sinoviale può dare risultati falsi-positivi e falsi-negativi, e pertanto non dovrebbe essere effettuata. Livelli estremamente bassi di glucoso in campioni di liquido sinoviale maneggiato con cura e posto in provette fluorate, possono confermare la presenza di infezione.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO ARTRITE REUMATOIDE Sindrome a decorso cronico, caratterizzata da un'infiammazione non specifica e generalmente simmetrica delle articolazioni periferiche, che può evolvere in una distruzione progressiva delle strutture articolari e periarticolari, con o senza manifestazioni generalizzate. (v. anche Artrite reumatoide giovanile nel Cap. 270.)

Sommario: Eziologia e anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Terapia

Eziologia e anatomia patologica La causa è sconosciuta. Una predisposizione genetica è stata identificata e, nelle popolazioni bianche, localizzata a carico di un pentapeptide nel locus HLA-DR b1 dei geni di istocompatibilità di classe II. Fattori ambientali possono inoltre giocare un ruolo. Alterazioni immunologiche possono essere innescate da molteplici fattori (v. anche Disordini autoimmuni sotto Disordini con reazioni di ipersensibilità di Tipo III nel Cap. 148). Circa l'1% di tutta la popolazione ne è affetto; le donne vengono colpite con rapporto di 2-3:1 rispetto agli uomini. Può esordire a tutte le età, ma la massima incidenza è fra i 25 e i 50 anni. Le principali anormalità immunologiche, che possono essere importanti nella patogenesi, includono gli immunocomplessi trovati nelle cellule del liquido articolare e nella vasculite. Le plasmacellule producono anticorpi (p. es., fattore reumatoide [FR]) che contribuiscono alla formazione di questi complessi. I linfociti che infiltrano il tessuto sinoviale sono principalmente cellule T helper, che possono produrre citochine flogogene. I macrofagi e le loro citochine (p. es., il tumor necrosis factor, il fattore stimolante la formazione di colonie di granulocitimacrofagi) sono anche abbondanti nella membrana sinoviale patologica. L'aumento delle molecole di adesione contribuisce alla migrazione di cellule infiammatorie e al loro deposito nel tessuto sinoviale. L'aumento delle cellule di rivestimento di derivazione macrofagica è predominante, insieme a quello dei linfociti e ai cambiamenti vascolari nelle fasi precoci della malattia. Nelle articolazioni colpite cronicamente la membrana sinoviale, sottile nei casi normali, sviluppa numerose pieghe villose e si ispessisce per l'ipertrofia e l'iperplasia delle cellule di rivestimento e per la proliferazione dei linfociti e delle plasmacellule. Le cellule di rivestimento producono una serie di sostanze diverse, tra le quali la collagenasi e la stromelisina che possono contribuire alla distruzione della cartilagine; l'interleuchina-1, che stimola la proliferazione dei linfociti e le prostaglandine. Le cellule infiltranti, disposte inizialmente in sede perivenulare e più tardi a costituire veri e propri follicoli linfatici provvisti di centro file:///F|/sito/merck/sez05/0500452.html (1 of 9)02/09/2004 2.04.19

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germinativo, sintetizzano interleuchina-2, altre citochine, il fattore reumatoide (FR) e altre immunoglobuline. Sono anche presenti depositi di fibrina, fibrosi e necrosi. La membrana sinoviale iperplastica (panno) può erodere la cartilagine, l'osso subcondrale, la capsula articolare e i legamenti. I leucociti polimorfonucleati (PMN) non sono cospicui nella membrana sinoviale, ma spesso predominano nel liquido sinoviale. Il nodulo reumatoide, presente in più del 30% dei pazienti, si presenta generalmente a livello sottocutaneo nei punti sottoposti a irritazione cronica (p. es., la superficie estensoria dell'avambraccio). Sono granulomi non specifici caratterizzati, all'esame anatomopatologico, da una zona necrotica centrale circondata da cellule mononucleate disposte a palizzata, con il loro maggior asse che si irradia dal centro; il tutto è circondato da una zona esterna di linfociti e plasmacellule. Si possono trovare segni di vasculite nella pelle, nei nervi o in numerosi organi viscerali, nei casi gravi di AR, ma questi sono clinicamente significativi soltanto in alcuni casi.

Sintomi e segni L'esordio è abitualmente insidioso, con progressivo coinvolgimento articolare, ma può essere acuto, con simultaneo interessamento flogistico di più articolazioni. Il segno più indicativo è una particolare dolorabilità di tutte le articolazioni infiammate. L'ispessimento sinoviale, il segno più specifico, finisce sempre col manifestarsi nella maggior parte delle articolazioni colpite. È tipico il coinvolgimento simmetrico delle piccole articolazioni delle mani (in particolar modo le interfalangee prossimali e le metacarpofalangee), delle articolazioni dei piedi (metatarsofalangee), dei polsi, dei gomiti e delle caviglie, ma le manifestazioni iniziali possono verificarsi a carico di qualsiasi articolazione. Di solito si riscontra rigidità mattutina, di durata > 30 min o dopo prolungata inattività; possono essere presenti segni di malessere pomeridiano e di affaticamento. Si possono sviluppare rapidamente alcune deformazioni, in modo particolare contratture in flessione. È tipica, come esito finale, la deviazione ulnare delle dita con una lussazione mediale dei tendini estensori delle articolazioni metacarpofalangee. La sindrome del tunnel carpale può originarsi da una sinovite del polso. La rottura di cisti poplitee può simulare una trombosi venosa profonda. I noduli reumatoidi sottocutanei non sono abitualmente una manifestazione precoce. Altre manifestazioni extrarticolari sono i noduli viscerali, la vasculite che può causare ulcere agli arti inferiori, le mononeuriti multiple, i versamenti pleurici o pericardici, linfoadenopatia, la sindrome di Felty, la sindrome di Sjögren o la episclerite. Può essere presente febbre, ma essa è generalmente modesta, tranne che nella malattia di Still dell'adulto, una poliartrite siero-negativa, molto simile all'AR, ma con importanti caratteristiche sistemiche.

Esami di laboratorio Gli esami ematochimici sono utili. L'anemia normocitica, normocromica (o lievemente ipocromica), tipica di altre affezioni croniche, si verifica nell'80% dei casi; l'Hb è generalmente > 10 g/dl, ma può raramente abbassarsi sino a 8 g/dl. Se l'Hb scende < 10 g/dl va esclusa la contemporanea presenza di un'anemia sideropenica o di altro tipo. La neutropenia si verifica nel 1-2% dei casi ed è spesso associata a splenomegalia (sindrome di Felty). Possono essere presenti lievi forme di ipergammaglobulinemia policlonale e di trombocitosi. La VES è elevata nel 90% dei casi. In circa il 70% dei casi sono presenti i cosiddetti fattori reumatoidi (FR), Ac che reagiscono con gammaglobuline alterate e che vengono evidenziati dai test di agglutinazione (p. es., il test di agglutinazione al lattice utilizza IgG umane adsorbite a particelle di lattice) che

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evidenziano IgM FR. Anche se i FR non sono specifici per l'AR e possono essere presenti in numerose altre malattie (p. es., le affezioni granulomatose, le infezioni croniche, l'epatite, la sarcoidosi, l'endocardite batterica subacuta), un alto titolo di FR aiuta a confermare la diagnosi. Nella maggior parte dei laboratori, un titolo pari a 1:160 per il test al lattice è considerato il valore più basso per la diagnosi dell'AR. Il titolo di FR è anche spesso misurato con la nefelometria (< 20 UI/ml è considerato negativo). La presenza di FR ad alto titolo indica una prognosi negativa ed è spesso associata a una malattia ad andamento progressivo, a noduli, a vasculite e a interessamento polmonare. Il titolo può essere influenzato dal trattamento e spesso si riduce con la diminuzione dell'attività infiammatoria. Il liquido sinoviale, sempre alterato nel corso delle fasi acute dell'infiammazione, risulta opaco ma sterile, con una ridotta viscosità e contiene in genere da 3000 a 50000 leucociti/ml. Tra queste cellule tipicamente predominano i polimorfonucleati, ma meno del 50% di esse può essere costituito da linfociti e altre cellule mononucleate. Possono essere rilevate, per mezzo di uno striscio a fresco, le inclusioni citoplasmatiche dei leucociti presenti anche in altri versamenti infiammatori. Il complemento del liquido sinoviale è spesso < 30% di quello sierico. I cristalli sono assenti. All'esame radiografico, nel corso dei primi mesi di malattia, si rileva soltanto un rigonfiamento dei tessuti molli. Successivamente, possono essere presenti osteoporosi periarticolare, una diminuzione degli spazi articolari (della cartilagine articolare) ed erosioni marginali. La velocità di deterioramento è estremamente variabile, sia dal punto di vista radiologico che clinico, ma le erosioni, come segno di danno osseo, si verificano nell'arco del primo anno.

Diagnosi L'American College of Rheumatology ha stilato dei criteri semplificati per la classificazione dell'AR (v. Tab. 50-1). Anche se intesi in un primo momento come aiuto alla ricerca clinica, tali criteri possono risultare utili come guida alla diagnosi clinica. Quasi tutte le altre malattie che causano artrite devono comunque essere considerate. Alcuni pazienti con artrite da cristalli soddisfano questi nuovi criteri; l'esame del liquido sinoviale spesso aiuta a escludere questi casi. Comunque, due malattie che causino artrite possono coesistere molto raramente. Quando la diagnosi è dubbia, i noduli sottocutanei di incerta origine possono essere aspirati o bioptizzati per differenziare tofi gottosi, amiloide e noduli di altra natura. Il LES può mimare l'AR. Il LES può essere generalmente differenziato per le caratteristiche lesioni cutanee delle zone esposte alla luce, per la perdita dei capelli nella zona temporo-frontale, per le lesioni delle mucose orale e nasale, per l'artrite non erosiva, per il liquido sinoviale con un numero di GB spesso < 2000/µl (prevalentemente cellule mononucleate), per la presenza di Ac antiDNA, per l'interessamento renale e per il basso livello del complemento sierico (v. oltre, Lupus eritematoso sistemico). Anticorpi antinucleari positivi e alcune caratteristiche del LES si possono verificare in casi di AR per altri versi tipici, dando origine alla cosiddetta "overlap syndrome" (sindrome da sovrapposizione). Alcuni di questi pazienti possono avere AR grave; altri possono avere malattie associate al LES o altre malattie del collagene. La poliarterite, la sclerosi sistemica progressiva, la dermatomiosite e la polimiosite possono presentare caratteristiche simili a quelle dell'AR. Altre malattie sistemiche possono causare sintomi simili a quelli dell'AR. Anche la sarcoidosi, l'amiloidosi, la malattia di Whipple e altre malattie sistemiche possono coinvolgere le articolazioni; la biopsia tissutale talora aiuta a differenziare queste condizioni. La febbre reumatica acuta può essere differenziata per l'interessamento articolare migrante e per il riscontro di una pregressa infezione streptococcica (esame colturale o titolo antistreptolisinico-O che si modifica nel tempo); soffi cardiaci mutevoli, corea ed eritema marginato sono molto meno frequenti nell'adulto che nel bambino. L'artrite infettiva è

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generalmente monoarticolare o asimmetrica (v. Cap. 54). La diagnosi è basata sull'identificazione dell'agente eziologico. Un processo infettivo può sovrapporsi in un'articolazione affetta da AR. L'artrite gonococcica abitualmente esordisce come un'artrite migrante che coinvolge i tendini del polso e della caviglia e infine si localizza in una o due articolazioni. La malattia di Lyme può verificarsi senza il dato anamnestico della puntura di zecca o dell'eruzione cutanea; si possono utilizzare test sierologici (v. Cap. 157). Le ginocchia sono in genere le più colpite. La sindrome di Reiter (artrite reattiva) è caratterizzata da evidenza di una uretrite pregressa o diarrea, da un interessamento asimmetrico del calcagno, delle articolazioni sacroiliache, delle grandi articolazioni degli arti inferiori e dalla presenza di uretrite, congiuntivite, irite, ulcere orali non dolenti, balanite circinata o cheratodermia blenorragica della pianta del piede o di altri distretti (v. Cap. 51). I livelli di complemento sono spesso elevati, sia nel siero che nel liquido sinoviale. L'artrite psoriasica tende a essere asimmetrica e non è abitualmente associata a FR, ma la diagnosi differenziale può risultare difficile in assenza delle caratteristiche lesioni ungueali o cutanee (v. Cap. 51). Sono suggestivi un coinvolgimento delle articolazioni interfalangee distali e un'artrite mutilante. La spondilite anchilosante può essere riconosciuta per la predilezione per il sesso maschile, l'interessamento articolare del rachide, l'assenza dei noduli sottocutanei e del FR (v. Cap. 51). La gotta può essere mono- o poliarticolare e, nelle prime fasi della malattia, presenta una remissione completa della sintomatologia negli intervalli fra gli attacchi acuti. La gotta cronica può simulare l'AR (v. Cap. 55). Tipico è il riscontro nel liquido sinoviale di cristalli di urato di sodio birifrangenti simili ad aghi o bacchette, con allungamento negativo che meglio si osservano alla luce polarizzata (v. anche Cap. 49). La malattia da deposizione di pirofosfato diidrato di calcio può causare artrite acuta mono articolare o poliarticolare o artrite cronica (v. Cap. 55). Comunque la presenza nel liquido sinoviale di cristalli di pirofosfato diidrato di Ca, debolmente birifrangenti come bacchette o rombi con allungamento positivo e le calcificazioni delle cartilagini articolari (condrocalcinosi), radiologicamente accertate, differenziano questa affezione. L'osteoartrosi coinvolge le articolazioni interfalangee prossimali e distali, le prime articolazioni carpometacarpali e metatarsofalangee, le ginocchia e il rachide (v. Cap. 52). La simmetria dell'interessamento articolare, la tumefazione notevole delle articolazioni (causata per la gran parte da un ingrandimento osseo), con alcuni segni d'infiammazione, l'instabilità articolare e le cisti subcondrali, visibili alla rx, possono essere fuorvianti; l'assenza di livelli significativi di FR, dei noduli reumatoidi e di interessamento sistemico, in associazione a un quadro articolare tipico dell'osteoartrosi, con un versamento sinoviale con GB < 1000-2000 µl, permettono tuttavia di differenziare questa malattia dall'AR.

Terapia Il 75% dei soggetti sottoposti a terapia conservativa migliora la sintomatologia nel primo anno di malattia. Comunque, il 10% dei pazienti va incontro a gravi disabilità nonostante la terapia a pieno regime. La malattia condiziona pesantemente la vita della maggior parte dei pazienti con AR. Riposo e dieta: talvolta è indicato un completo riposo a letto per un breve periodo nel corso della fase più acuta e dolorosa delle forme gravi. Nei casi meno gravi dovrebbero essere prescritti cicli regolari di riposo. Docce di posizione (splint) mettono a riposo le articolazioni. Il movimento articolare e l'esercizio, se tollerato, devono essere continuati (v. oltre). Una normale dieta equilibrata è sufficiente; raramente i pazienti hanno esacerbazioni in rapporto con i pasti. Si deve scoraggiare l'uso di cibi e diete "miracolose". Comunque, supplementi di olio di pesce o vegetale possono parzialmente alleviare i sintomi attraverso la riduzione della produzione di prostaglandine.

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Malattie del tessuto connettivo

Farmaci antiinfiammatori non steroidei e salicilati: i FANS garantiscono un importante sollievo sintomatico e possono essere adeguati come terapia semplice per l'AR lieve, ma non sembrano alterare il decorso a lungo termine della malattia. I salicilati, prodotti relativamente sicuri, economici, caratterizzati da effetti analgesici e antiinfiammatori rilevanti, rappresentano la pietra miliare della terapia farmacologica. L'aspirina (acido acetilsalicilico) è somministrata con la posologia iniziale di 0,6-1 g (da due a tre compresse da 300 mg) qid ai pasti e dopo un piccolo spuntino, prima di coricarsi. La dose sarà, quindi, progressivamente aumentata finché si otterrà il massimo dell'efficacia con il minimo degli effetti tossici (p. es., acufeni o ipoacusia). La posologia finale può variare dai 3 ai 6,5 g al dì (circa da 10 a 22 compresse da 300 mg). La dose media giornaliera richiesta nell'AR attiva è di 4,5 g/die (15 compresse). Nell'intervallo tra i pasti possono essere somministrati antiacidi o sucralfato o H2 antagonisti per attenuare i disturbi gastrointestinali, senza interrompere l'aspirina. Confetti gastro-resistenti possono essere vantaggiosamente usati nei pazienti affetti da una concomitante ulcera peptica o da un'ernia iatale, perché sono meno irritanti a livello locale. Comunque, l'assorbimento può non essere del tutto sicuro e gli effetti sistemici comunque si ripercuotono anche sulla mucosa gastrica. Il misoprostolo a dosi di 100 o 200 mg da bid a qid, impiegato in associazione ad aspirina (e ai FANS descritti oltre), può diminuire la probabilità di erosione e sanguinamento da ulcera gastrica in pazienti ad alto rischio, ma può provocare crampi addominali e diarrea, e non attenua la nausea o l'epigastralgia. Anche gli inibitori della pompa protonica sembrano diminuire il rischio di ulcere. Le compresse cronodosate di aspirina offrono, in alcuni pazienti, un sollievo più duraturo e possono essere utili se somministrate prima di coricarsi, sebbene i pazienti che si svegliano la notte per il dolore possano richiedere una seconda dose. I salicilati non acetilati quali il salicilato di magnesio di colina e il salsalato, sembrano meglio tollerati a livello gastrointestinale rispetto all'aspirina e non alterano l'adesività piastrinica, ma possono non essere altrettanto efficaci come antiinfiammatori. Esistono altri FANS per i pazienti che non tollerano l'aspirina a dosi sufficienti per ottenere un buon effetto o per i quali assunzioni meno frequenti rappresentano un vantaggio importante (v. Tab. 50-2). Questi farmaci sono largamente usati. Di solito, un solo FANS dovrebbe essere somministrato di volta in volta. Le dosi di tutti i farmaci con dosaggi flessibili possono essere aumentate ogni 2 sett., fino a quando non si ottenga una risposta massimale o non si raggiunga la dose massima consentita. I farmaci devono essere assunti almeno per 2-3 sett., prima di dichiararne l'inefficacia. Pur essendo ritenuti meno lesivi dell'aspirina ad alte dosi, questi prodotti non steroidei possono causare anche sintomi gastrici ed emorragie GI. La loro assunzione va evitata durante la fase attiva della malattia ulcerosa. Altri possibili effetti collaterali comprendono cefalea e altri sintomi a carico del SNC, peggioramento dell'ipertensione arteriosa, edema e diminuzione dell'aggregazione piastrinica. Come l'aspirina, questi farmaci possono determinare un moderato aumento degli enzimi epatici, come pure della creatinina, per inibizione delle prostaglandine renali. Meno di frequente si verifica una nefrite interstiziale. I pazienti con orticaria, rinite o asma dovuti all'aspirina, possono presentare gli stessi problemi con questi altri FANS. È stata descritta anche la comparsa di agranulocitosi. I FANS agiscono inibendo l'enzima cicloossigenasi, inibendo così l'azione delle prostaglandine. Alcune prostaglandine cicloossigenasi-1 (COX-1) dipendenti hanno importanti effetti in molte parti dell'organismo (p. es., esse hanno un ruolo protettivo sul flusso ematico renale e sulla mucosa gastrica). Altre prostaglandine vengono liberate nel corso di processi infiammatori e prodotte dall'enzima COX2. Farmaci che possono inibire soltanto o principalmente il COX-2, non hanno molti degli effetti collaterali tipici dei farmaci che inibiscono anche l'enzima COX-1. Farmaci a lenta azione: il momento ottimale per aggiungere alla terapia i farmaci a lenta azione (di fondo) è stato rivalutato, e vi è un sempre maggiore consenso che l'uso precoce sia indicato nella malattia persistente. Generalmente, se il dolore e la tumefazione persistono dopo 2-4 mesi di malattia nonostante il

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Malattie del tessuto connettivo

trattamento con l'aspirina o altri FANS, dovrebbe essere presa in considerazione l'aggiunta di un farmaco a lenta azione o di un farmaco potenzialmente "diseasemodifying" (p. es., oro, idrossiclorochina, sulfasalazina, penicillamina). Il metotrexato, un farmaco immunosoppressivo (v. oltre), è attualmente utilizzato sempre più spesso nelle fasi precoci come uno dei farmaci di seconda scelta potenzialmente "disease-modifying". I sali d'oro vengono generalmente somministrati in aggiunta ai salicilati o ad altri FANS, se questi ultimi non sono sufficienti ad alleviare il dolore o a sopprimere l'infiammazione acuta articolare. In alcuni pazienti possono dare una remissione della sintomatologia e possono ridurre la formazione di nuove erosioni ossee. Le preparazioni per uso parenterale comprendono l'aurotiomalato di sodio o l'aurotioglucoso IM a intervalli settimanali: 10 mg la prima settimana, 25 mg la seconda e poi 50 mg/sett., sino a ottenere una dose totale di 1 g o finché non si ottenga un miglioramento significativo. Ottenuto il massimo miglioramento, la posologia viene gradualmente ridotta a 50 mg ogni 2-4 sett. Generalmente, entro 3-6 mesi si verificano recidive, qualora non venga somministrato altro oro dopo la remissione. I miglioramenti ottenuti con una dose di attacco possono essere spesso mantenuti per diversi anni con una prolungata terapia di mantenimento. I sali d'oro sono controindicati nei pazienti affetti da importanti malattie renali o epatiche o da discrasia ematica. Prima di iniziare la terapia, è importante eseguire l'esame delle urine, il dosaggio dell'Hb, la conta dei GB con formula e la conta piastrinica. Questi test vanno ripetuti prima di ogni iniezione durante il primo mese di trattamento e, successivamente, prima di ogni 1 o 2 iniezioni. La presenza di HLA-DR3 o HLA-B8 può predire un aumentato rischio di tossicità renale o di altro organo e/o apparato, sia con l'uso dell'oro che della penicillamina. Possibili reazioni tossiche ai sali d'oro comprendono prurito, dermatiti, stomatiti, albuminuria con o senza sindrome nefrosica, agranulocitosi, porpora trombocitopenica e anemia aplastica. Rari effetti collaterali sono diarrea, epatite, polmonite e neuropatie. L'eosinofilia > 5% e il prurito possono precedere la comparsa di un eritema e sono segnali di pericolo. La dermatite è generalmente pruriginosa e può manifestarsi o come una singola macchia eczematosa o come una dermatite esfoliativa generalizzata e molto raramente fatale. I sali d'oro vanno sospesi quando compare qualcuna di queste manifestazioni. Manifestazioni tossiche minori (p. es., lieve prurito o rash limitato) possono essere eliminate con una sospensione temporanea della terapia, che sarà ripresa successivamente con cautela dopo almeno 2 sett. dalla scomparsa dei sintomi. Tuttavia, se i sintomi da intossicazione progrediscono, l'oro va sospeso e si somministra un corticosteroide. Un cortisonico per uso topico o prednisone PO 15-20 mg/die in dosi frazionate, è indicato nelle dermatiti lievi da oro; dosi maggiori sono necessarie per le complicanze ematologiche. Un chelante dell'oro come il dimercaprolo 2,5 mg/kg IM fino a 4-6 volte/die per i primi 2 gg, poi bid per 5-7 gg, può essere somministrato dopo una grave reazione all'oro. L'inoculazione di aurotiomalato di sodio può essere seguita, dopo vari minuti, da una reazione nitritoide temporanea, caratterizzata da vampate di calore, tachicardia e astenia, in particolar modo se il farmaco non è conservato al riparo dalla luce diretta. Se tali reazioni si ripetono, si può utilizzare l'aurotioglucoso che sembra non causare reazioni nitritoidi. L'auranofin (oro somministrabile PO), può essere utilizzato per almeno 6 mesi con dosaggi di 3 mg bid o di 6 mg 1 volta/die; se necessario e se il farmaco è ben tollerato, la posologia può essere aumentata a 3 mg tid per i 3 mesi successivi. Se la risposta terapeutica è insufficiente, l'auranofin va sospeso. Diversamente dall'oro iniettabile, la diarrea e altri disturbi GI sono notevoli; gli effetti renali e sulle strutture mucocutanee sono più limitati rispetto all'oro IM, ma l'auranofin non sembra essere così efficace come l'oro somministrato per via parenterale. Almeno una 1 volta al mese vanno eseguiti un esame delle urine, il dosaggio dell'Hb, la conta dei GB con formula e quella delle piastrine. L'idrossiclorochina può risultare talvolta efficace nel controllare i sintomi di un'AR di lieve o moderata intensità. Gli effetti tossici sono generalmente lievi e comprendono dermatiti, miopatie e un'opacità corneale, di solito reversibile.

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Malattie del tessuto connettivo

Tuttavia, è stata descritta una degenerazione retinica irreversibile. È raccomandabile eseguire un controllo oculistico con esame del campo visivo prima di iniziare la terapia e ogni 6 mesi durante il trattamento. La dose iniziale di 200 mg bid PO dopo la prima colazione e dopo cena può essere continuata per 69 mesi; il farmaco va interrotto se non si nota alcun miglioramento dopo 6-9 mesi. Ottenuto un miglioramento evidente, si può talvolta ridurre la dose a 200 mg/die e continuarla fino a quando risulta efficace. È necessario eseguire controlli oculari frequenti. La sulfasalazina (salazopirina) a lungo utilizzata per la rettocolite ulcerosa, è impiegata con sempre maggior frequenza nell'AR (malattia per la quale è stata originariamente sintetizzata). Di solito viene somministrata sotto forma di compresse gastro-resistenti e si inizia con 500 mg/die per aumentare di 500 mg/ sett. fino a 2-3 g/die. Una risposta si deve verificare entro 3 mesi. Gli effetti tossici comprendono sintomi gastrici, neutropenia, emolisi, epatite e rush cutanei. Il monitoraggio con l'emocromo e gli esami ematochimici è importante quando si aumentano le dosi e occasionalmente durante l'uso. La penicillamina orale può essere efficace come la crisoterapia e può essere utilizzata quando l'oro è risultato inefficace o ha prodotto reazioni tossiche in pazienti affetti da AR in fase attiva. Gli effetti collaterali sono minimizzati se si inizia con un basso dosaggio. Vengono somministrate dosi di 250 mg/ die per 3090 gg; il dosaggio è aumentato a 500 mg/die per altri 30-90 gg. In caso di mancato miglioramento significativo, la dose può essere ulteriormente aumentata a 750 mg/die per 60 gg. La posologia va mantenuta ai livelli minimi efficaci. Prima di iniziare e ogni 2-4 sett. durante il trattamento, vanno eseguiti la conta delle piastrine, un esame emocromocitometrico completo e l'esame delle urine. Effetti collaterali che richiedono la sospensione della terapia sono più comuni che con l'oro e comprendono depressione midollare, proteinuria, nefrosi, rash cutaneo, disturbi del senso del gusto e altri effetti tossici gravi (p. es., miastenia gravis, pemfigo, sindrome di Goodpasture, polimiosite e una sindrome simil-lupus) che ne impongono la sospensione. Questo farmaco va somministrato soltanto da chi o sotto la guida di chi ne ha grande esperienza e i suoi effetti devono essere strettamente monitorati. La combinazione di farmaci a lenta azione può essere più efficace di un singolo farmaco. In un recente trial, l'idrossiclorochina, la sulfasalazina e il metotrexato utilizzati insieme si sono dimostrati più efficaci che il metotrexato da solo o gli altri due farmaci insieme. Corticosteroidi: i corticosteroidi sono i farmaci antiinfiammatori ad azione a breve termine più efficaci; comunque, i loro benefici clinici nell'AR spesso diminuiscono con il tempo. I corticosteroidi non impediscono preventivamente la progressione della distruzione articolare, sebbene un recente studio suggerisce che essi possano rallentare la comparsa di erosioni. Inoltre, gravi riacutizzazioni seguono la sospensione dei corticosteroidi nella malattia attiva. A causa degli effetti indesiderati a lungo termine, molti raccomandano che i corticosteroidi vadano somministrati soltanto dopo un'attenta e prolungata prova di farmaci meno pericolosi. Controindicazioni relative all'uso dei corticosteroidi comprendono l'ulcera peptica, l'ipertensione, le infezioni non trattate, il diabete mellito e il glaucoma. Prima di iniziare un trattamento con corticosteroidi va esclusa con appropriate indagini la TBC. In molti pazienti i corticosteroidi risolvono immediatamente le manifestazioni cliniche e possono essere utilizzati per le riacutizzazioni della malattia, per mantenere una buona funzionalità articolare e consentire l'adempimento regolare delle mansioni abituali, ma si deve mettere in guardia il paziente circa le complicanze che possono intervenire con una terapia a lungo termine. Il dosaggio del prednisone non deve superare i 7,5 mg/die, fatta eccezione per quei pazienti affetti da gravi manifestazioni sistemiche di AR (p. es. vasculiti, pleuriti o pericarditi). Sono in genere controindicate, sebbene siano state usate, alte dosi d'attacco seguite da una rapida riduzione della posologia, come lo è il trattamento a giorni alterni poiché i sintomi dell'AR sono troppo intensi nei giorni di mancata assunzione del farmaco.

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Malattie del tessuto connettivo

Le iniezioni intrarticolari di cortisonici possono aiutare temporaneamente a controllare la sinovite locale in una o due articolazioni particolarmente dolenti. Il triamcinolone può sopprimere l'infiammazione per un periodo più lungo; altri cortisonici retard, come il prednisolone e il tributilacetato sono altrettanto efficaci. I preparati solubili a base di prednisolone 21-fosfato o di desametasone non sono consigliabili a causa della rapida clearance articolare e della loro brevissima durata d'azione. L'uso eccessivo di un'articolazione precedentemente infiltrata e meno dolente può accelerare la distruzione articolare. Poiché gli esteri dei corticosteroidi sono cristallini, la flogosi locale aumenta transitoriamente in poche ore, in circa il 2% delle infiltrazioni. Farmaci citotossici o immunosoppressivi: questi farmaci (p. es., il metotrexato, l'azatioprina e la ciclosporina) vengono impiegati sempre più di frequente per il trattamento di pazienti con AR attiva in forma grave. Possono sopprimere l'infiammazione e consentono di ridurre le dosi dei corticosteroidi. Comunque, importanti effetti collaterali possono verificarsi, comprendenti depressione del midollo osseo, malattie epatiche, polmoniti e neoplasie, con l'uso prolungato di azatioprina. I pazienti vanno informati di tali effetti collaterali e generalmente è consigliato un controllo periodico da parte di uno specialista. Nel corso di malattia attiva grave, il metotrexato può essere usato ragionevolmente presto (i benefici spesso si verificano in 3-4 sett.). È somministrato in singola dose una volta alla settimana compresa fra 2,5 e 20 mg, iniziando con 7,5 mg/sett. e aumentando gradualmente secondo le necessità. Va evitato nei forti bevitori e nei diabetici. Con l'uso di questo farmaco va monitorata la funzionalità epatica e può essere necessaria una biopsia epatica, se i test di funzionalità epatica sono alterati e se il paziente ha bisogno di continuare la terapia. Una fibrosi epatica clinicamente importante è rara. Un emocromo completo va eseguito regolarmente. Una rara complicanza fatale è la polmonite. Dopo la sua sospensione si può verificare una grave recidiva dell'artrite. L'azatioprina va iniziata a dosi di circa 1 mg/ kg/die (50-100 mg) come dose orale singola o bid; la dose può essere aumentata di 0,5 mg/kg/die dopo 6-8 sett. a intervalli di 4 sett. fino a una dose massima di 2,5 mg/ kg/die. La dose di mantenimento deve essere la più bassa possibile. La ciclosporina è efficace nel trattamento dell'AR e può essere utile soprattutto in combinazione con altri farmaci a lenta azione. I dosaggi generalmente non dovrebbero superare i 5 mg/ kg/die per minimizzare gli effetti tossici sulla pressione arteriosa e sulla funzione renale. Sebbene non sia approvata negli USA per il trattamento dell'AR, anche la ciclofosfamide è efficace, ma viene impiegata di meno per i maggiori rischi di tossicità. L'etanercept è un'antagonista del tissue necrosis factor che può essere somministrato due volte a settimana (25 mg SC) a pazienti che hanno presentato una risposta inadeguata a uno o più farmaci "disease-modifying". Terapie sperimentali (p. es., antagonisti dei recettori dell'interleukina-1) sono oggetto di studio e sono promettenti ma non ancora disponibili. Fisiochinesiterapia e terapia chirurgica: le contratture in flessione possono essere prevenute e il tono muscolare ristabilito con maggior successo, dopo l'inizio della regressione del processo infiammatorio. Le docce di posizione (splint) riducono l'infiammazione locale e possono migliorare i gravi sintomi locali. Prima che un processo infiammatorio acuto sia risolto, si fanno eseguire, finché non venga avvertito dolore, cauti esercizi passivi per prevenire le contratture. L'esercizio attivo è importante (incluse le passeggiate e gli esercizi specifici per le articolazioni coinvolte) per recuperare la massa muscolare e mantenere una normale motilità articolare, man mano che l'infiammazione regredisce, senza affaticare il paziente. Le contratture in flessione consolidate possono richiedere esercizi intensivi, docce di posizione e mezzi ortopedici. Le scarpe ortopediche o da ginnastica, con un buon tallone e arco di supporto, possono essere utilizzate con solette per renderle adatte alle necessità individuali e risultano spesso utili; le barre di scarico metatarsale, applicate posteriormente alle articolazioni metatarsofalangee dolenti, diminuiscono il dolore in fase di deambulazione. Anche se provvede soltanto temporaneamente al miglioramento del processo infiammatorio, la sinovialectomia artroscopica o chirurgica può aiutare a preservare la funzionalità articolare, nel caso in cui i farmaci non abbiano avuto file:///F|/sito/merck/sez05/0500452.html (8 of 9)02/09/2004 2.04.19

Malattie del tessuto connettivo

successo. L'artroplastica con l'inserimento di protesi articolari è indicata in quelle forme in cui il danno articolare compromette gravemente la funzione dell'arto. La sostituzione totale di anca e di ginocchio è la procedura ortopedica di maggior successo. Ovviamente, gli interventi di impianto di protesi di anca e di ginocchio non possono assicurare un ritorno a prestazioni elevate (come quelle richieste a un atleta). L'asportazione delle articolazioni metatarsofalangee sublussate, dolenti, può essere di grande aiuto per la deambulazione. Le artrodesi dei pollici possono dare stabilità alla presa. La artrodesi del collo può essere necessaria in caso di sublussazione C1-2 con compressione del midollo o forte dolore. L'indicazione all'intervento chirurgico va sempre considerata in base alla valutazione complessiva della malattia. Le deformazioni delle mani e delle braccia limitano l'uso delle stampelle durante la riabilitazione; le ginocchia e i piedi gravemente malati non consentono di giovarsi completamente del beneficio legato all'intervento sull'anca. Bisogna individuare gli obiettivi ragionevolmente raggiungibili per ciascun paziente e mirare al miglioramento funzionale, prima di prendere in considerazione il lato estetico. L'intervento può essere effettuato nella fase attiva della malattia. Alcuni ausili specifici consentono a molti pazienti affetti da AR grave e invalidante di svolgere attività connesse col vivere quotidiano.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO ARTRITE REUMATOIDE GIOVANILE Si tratta di artrite con esordio all’età ≤ 16 anni.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Prognosi e terapia

L’artrite reumatoide giovanile (ARG) è simile all’AR adulta (v. Cap. 50). La malattia tende a colpire le grandi e piccole articolazioni e può interferire con la crescita e lo sviluppo. Si può verificare micrognazia (mento sfuggente) da crescita mandibolare alterata.

Sintomi e segni La malattia a esordio sistemico (morbo di Still) si verifica in circa il 20% dei pazienti. Spesso compaiono febbre elevata, rash, splenomegalia, adenopatia diffusa, sierosite, marcata leucocitosi neutrofila e trombocitosi. Queste manifestazioni precedono a volte la comparsa dell’artrite. Il fattore reumatoide e gli anticorpi anti-nucleo sono assenti. La forma pauciarticolare interessa circa il 40% dei pazienti, in genere giovani ragazze. Gli anticorpi anti-nucleo sono presenti in una percentuale che può raggiungere il 75% dei bambini affetti. L’iridociclite cronica si verifica in circa il 20% di questi pazienti; essa è spesso asintomatica e viene rilevata soltanto con periodici esami alla lampada a fessura. Un sottogruppo di ragazzi più grandi affetti presenta l’antigene HLA-B27. La maggior parte di questi ragazzi sviluppa in seguito le classiche manifestazioni cliniche di una delle spondiloartropatie sieronegative: spondilite anchilosante, malattia infiammatoria intestinale, artropatia psoriasica o sindrome di Reiter. La forma poliarticolare interessa il restante 40% dei pazienti ed è spesso simile all’AR degli adulti. Il fattore reumatoide è di solito negativo, ma può essere positivo soprattutto in alcuni pazienti, per lo più ragazze adolescenti.

Prognosi e terapia La prognosi è generalmente migliore rispetto a quella dell’AR degli adulti; le remissioni complete si verificano nel 50%-75% dei pazienti. I pazienti con la forma a esordio poliarticolare e con fattore reumatoide hanno una prognosi meno favorevole. La terapia è piuttosto simile a quella per gli adulti, a eccezione della aspirina che

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

è raramente utilizzata negli USA per il timore della sindrome di Reye (v. Cap. 265) e l’efficacia di altri FANS. Naprossene, ibuprofene e indometacina sono tra i FANS più usati. Le dosi di naprossene e indometacina sono le stesse di quelle fornite prima per la febbre reumatica. L’ibuprofene può essere somministrato da 20 a 40 mg/kg/die in 4 dosi. Se si utilizza l’aspirina, essa è efficace in dosi elevate antiinfiammatorie (80130 mg/kg/die); con i dosaggi maggiori di salicilati si deve controllare la salicilemia per mantenere livelli terapeutici non tossici (20-30 mg/dl (1,452,15 mmol/l)). I livelli sierici di AST possono essere elevati, ma ritornano normali una volta interrotta la terapia con aspirina. Ad eccezione del trattamento della malattia sistemica grave, i corticosteroidi per via sistemica in genere si possono evitare. I rischi principali dell’uso prolungato di corticosteroidi nei bambini sono il ritardo dell’accrescimento, l’osteoporosi e l’osteonecrosi. I corticosteroidi si possono somministrare per via intra-articolare a un dosaggio adeguato alle dimensioni delle articolazioni del bambino colpite. Il metotrexato e l’idrossiclorochina sono farmaci utili di seconda scelta nella gestione della forma poliarticolare. Il monitoraggio laboratoristico degli effetti collaterali del metotrexato di mielodepressione ed epatotossicità comprende la determinazione di EECC, AST, ALT e albumina. Sono necessari dei controlli del campo visivo se si usa l’idrossiclorochina. Occasionalmente si utilizza la sulfasalazina, specialmente nei casi di sospetta spondiloartropatia. Si utilizzano raramente i sali d’oro IM e la penicillamina. (L’uso dei sali d’oro nell’AR è descritto sotto la voce Artrite reumatoide nel Cap. 50.) Esercizi, docce di posizione e altre misure di supporto aiutano a prevenire le contratture in flessione. Possono essere d’aiuto degli apparecchi correttivi. Si devono effettuare esami oftalmologici per rilevare l’iridociclite asintomatica, di cui esiste il rischio (v. Cap. 98). Il paziente in cui è stata diagnosticata di recente la forma a esordio pauciarticolare deve essere controllato ogni 3-4 mesi e quello con la forma poliarticolare ogni 6 mesi, in tal modo favorendo il trattamento precoce, compreso l’uso di gocce oculari a base di corticosteroide e midriatici.

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Patologie oftalmologiche

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

90. Approccio al paziente con malattie oculari Sintomi e segni oculari 91. Lesioni traumatiche dell’occhio Corpi estranei Contusioni e lacerazioni Ustioni 92. Patologie dell’orbita Cellulite orbitaria Trombosi del seno cavernoso Esoftalmo 93. Patologie dell’apparato lacrimale Dacriostenosi Dacriocistite 94. Patologie delle palpebre Edema palpebrale Blefarite Orzaiolo Calazio Entropion ed ectropion Tumori 95. Patologie della congiuntiva Congiuntivite acuta Congiuntivite virale Congiuntivite batterica non-gonococcica

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Patologie oftalmologiche

Congiuntivite gonococcica degli adulti Congiuntivite da inclusi Congiuntivite allergica stagionale Congiuntivite cronica Tracoma Congiuntivite allergica perenne Cheratocongiuntivite primaverile Episclerite Sclerite Pemfigoide cicatriziale 96. Patologie della cornea Cheratite puntata superficiale Ulcera corneale Cheratite da herpes simplex Herpes zoster oftalmico Cheratocongiuntivite secca Cheratocongiuntivite flittenulare Cheratite interstiziale Cheratite ulcerativa periferica Cheratomalacia Cheratocono Cheratopatia bollosa Trapianto di cornea 97. Cataratta 98. Uveite Sindromi uveitiche frequenti Sindromi mascherate 99. Patologia della retina Retinopatie vascolari

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Patologie oftalmologiche

Retinopatia ipertensiva Retinopatia diabetica Occlusione dell’arteria retinica centrale Occlusione della vena retinica centrale Degenerazione maculare legata all’età Distacco di retina Retinite pigmentosa 100. Glaucoma Glaucoma primario ad angolo aperto Glaucoma ad angolo chiuso 101. Nervo ottico e patologie delle vie ottiche Papilledema Papillite Neurite retrobulbare Ambliopia tossica Atrofia ottica Lesioni delle vie ottiche superiori 102. Vizi di rifrazione Lenti a contatto Chirurgia rifrattiva

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Approccio al paziente con malattie oculari

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 90. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE OCULARI Sommario: Introduzione ACUITÀ VISIVA ED ESAME DEL CAMPO VISIVO ESAME CLINICO DELLE PALPEBRE ESAME CLINICO DELLA CORNEA ESAME CLINICO DELLA PUPILLA TONOMETRIA OFTALMOSCOPIA E TEST CORRELATI ECOGRAFIA

Poiché alcune malattie dell'occhio sono aspecifiche, sono necessari l'anamnesi completa e l'esame di tutte le parti dell'occhio e dei suoi annessi (v. Fig. 90-1) per identificare l'origine della malattia. È importante chiedere al paziente informazioni circa la localizzazione e la durata dei sintomi, la presenza e la natura del dolore, l'eventuale lacrimazione, arrossamento o alterazioni dell'acuità visiva.

ACUITÀ VISIVA ED ESAME DEL CAMPO VISIVO A meno che alcune sostanze chimiche non siano venute a contatto con l'occhio, per cui si rende necessaria l'immediata irrigazione, la prima fase dell'esame oculare è la misurazione dell'acutezza visiva. La vista viene esaminata facendo leggere al paziente una tabella visiva posta a 3 o 5 m; l'esame deve essere fatto con gli occhiali nei pazienti che normalmente li portano. Coprendo alternativamente ciascun occhio, si determina l'acuità visiva nell'occhio controlaterale. Un valore della frazione di Snellen pari a 5/ 10, indica che la più piccola lettera che può essere letta da un soggetto con acuità visiva normale alla distanza di 10 m, deve essere portata alla distanza di 2,5 m per poter essere riconosciuta dal paziente. Un sommario esame degli occhiali permette di stabilire in maniera approssimativo il grado di ametropia (p. es., miopia, ipermetropia, astigmatismo). È possibile anche valutare il campo visivo e la motilità oculare. Il campo visivo può essere studiato con l'esame comparativo, come descritto nel Cap. 178.

ESAME CLINICO DELLE PALPEBRE L'esame sistematico dell'occhio deve essere eseguito con una luce focalizzata e con ingrandimento (p. es., con un occhiale telescopico ingrandente o una lampada a fessura). Le palpebre vengono esaminate alla ricerca di eventuali lesioni dei margini e dei tessuti sottocutanei. Viene palpata l'area dei sacchi lacrimali e viene fatto un tentativo di far fuoriuscire il contenuto attraverso i canalicoli e i puntini lacrimali. Le palpebre vengono quindi rovesciate per ricercare nella congiuntiva palpebrale e bulbare e nei fornici l'eventuale presenza di corpi estranei, di segni di infiammazione (p. es., ipertrofia follicolare, essudato, iperemia o edema) o di altre anomalie.

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Approccio al paziente con malattie oculari

ESAME CLINICO DELLA CORNEA La cornea deve essere esaminata molto attentamente. Se dolore e fotofobia impediscono al paziente di aprire l'occhio, si può praticare anestesia locale prima dell'esame instillando 1 goccia di oxibuprocaina allo 0,4%. La colorazione con fluoresceina, mediante striscioline di carta da filtro impregnate di fluoresceina a un'estremità, rende più evidenti abrasioni o ulcere della cornea. La strisciolina viene inumidita con una goccia di soluzione fisiologica sterile e, con l'occhio del paziente rivolto verso l'alto, viene tenuta all'interno della palpebra inferiore per qualche secondo. Viene chiesto al paziente di ammiccare varie volte allo scopo di distribuire il colorante nel film lacrimale, quindi l'occhio viene esaminato con un buon ingrandimento e con luce blu cobalto. Le zone in cui l'epitelio corneale o congiuntivale risulta assente, assumeranno una colorazione verde.

ESAME CLINICO DELLA PUPILLA È importante notare la dimensione, la forma delle pupille e la loro reazione alla luce e all'accomodazione. Prima della dilatazione devono essere valutate la pressione intraoculare e la profondità della camera anteriore, poiché la midriasi può provocare un attacco di glaucoma acuto da chiusura d'angolo se la camera anteriore è poco profonda.

TONOMETRIA La misurazione della pressione intraoculare può essere eseguita mediante uno dei diversi strumenti disponibili. Prima di effettuare una tonometria, l'occhio deve essere anestetizzato (p. es., con oxibuprocaina 0,4%). L'utilizzo del tonometro di Schiøtz è di facile apprendimento; è portatile, ma richiede una pulizia accurata tra una misurazione e la successiva. L'occhio del paziente deve essere in posizione verticale e le palpebre allontanate dal bulbo. L'utilizzo del tonometro ad applanazione di Goldmann richiede maggiore esercizio, ma è preferibile come metodo di esame.

OFTALMOSCOPIA E TEST CORRELATI L'oftalmoscopia è resa più agevole dalla dilatazione della pupilla con una goccia di tropicamide 1% e/o fenilefrina 10% (ripetuta dopo 5-10 min, se necessario); per un'azione più lunga o una dilatazione più ampia, possono essere usati ciclopentolato 1% e/o fenilefrina 10%. Comunque, le pupille non devono essere dilatate, se il paziente ha subito un trauma cranico o se si sospetta una malattia acuta del SNC, e la fenilefrina non deve essere usata in pazienti ipertesi o che assumono b-bloccanti PO. L'atropina e la scopolamina non sono indicate, a causa della loro azione prolungata. L'oftalmoscopia rivelerà opacità della cornea, del cristallino e del vitreo, così come lesioni della retina e del nervo ottico. Il potere della lente oftalmoscopica necessaria per mettere a fuoco la retina dà una misura approssimativa del difetto di rifrazione. Il fondo può presentare alterazioni dovute a malattie sistemiche (p. es., diabete mellito, ipertensione). Altri strumenti (p. es., il gonioscopio, il campimetro, il perimetro) possono essere necessari per una diagnosi precisa; il loro uso richiede una preparazione specifica. L'esame con la lampada a fessura è particolarmente utile per diagnosticare le lesioni della cornea. Sebbene anche altri medici possano curare molte malattie dell'occhio, è bene consultare un oftalmologo qualora ci siano dubbi sulla diagnosi o sul trattamento, specialmente quando la causa del dolore o della diminuzione della vista non appare chiara o quando i sintomi persistono.

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Approccio al paziente con malattie oculari

ECOGRAFIA L'ecografia B-scan rileva la presenza di tumori, distacchi retinici ed emorragie del vitreo, anche in concomitanza di opacità della cornea e del cristallino. La sonda a scansione manuale B-mode ha semplificato enormemente l'esame ecografico dell'occhio e ha reso possibile la sua esecuzione nell'ambulatorio oftalmologico. La definizione dei tessuti orbitari viene migliorata con le frequenze elevate (710 MHz). L'ecografia in B-mode si è resa anche utile nella localizzazione di corpi metallici e non. L'ecografia in A-mode può essere utilizzata nella determinazione della lunghezza assiale (una misurazione necessaria per calcolare il potere della lente intraoculare prima dell'impianto). L'applicazione della caratterizzazione tissutale ultrasonica coronata da maggior successo è stata la capacità di differenziazione tra il melanoma coroideale e il nevo coroideale, il carcinoma metastatico e le emorragie sottoretiniche.

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Approccio al paziente con malattie oculari

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 90. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE OCULARI SINTOMI E SEGNI OCULARI Sommario: Introduzione EMORRAGIE CORPI MOBILI FOTOFOBIA DOLORE SCOTOMI VIZI DI RIFRAZIONE

Alcuni dei sintomi e dei segni oculari più comuni vengono trattati in questo capitolo, mentre i restanti vengono trattati altrove nel Manuale: l'esoftalmo viene trattato nel Cap. 92, lo strabismo nel Cap. 273; il nistagmo e i movimenti dei muscoli extraoculari in Patologie neuroftalmologiche nel Cap. 178 e in Valutazione clinica dell'apparato vestibolare nel Cap. 82.

EMORRAGIE Emorragie sottocongiuntivali si possono verificare a ogni età, generalmente in seguito a piccoli traumi, sforzi, starnuti o colpi di tosse; di rado compaiono spontaneamente. Tali emorragie allarmano il paziente ma non hanno significato patologico, tranne nel caso in cui siano associate a discrasie ematiche, evento comunque raro. Esse appaiono come semplici stravasi di sangue al di sotto della congiuntiva e vengono riassorbite spontaneamente, in genere entro 2 sett. I corticosteroidi topici, gli antibiotici, i vasocostrittori e gli impacchi non accelerano il riassorbimento del sangue; rassicurare il paziente rappresenta la terapia più efficace. Le emorragie vitreali, stravasi di sangue nel vitreo, causano un riflesso scuro all'esame oftalmoscopico. Possono verificarsi in condizioni quali l'occlusione venosa retinica, la retinopatia diabetica o il distacco posteriore del vitreo, la neovascolarizzazione e la rottura retiniche o i traumi oculari. Nelle ultime cinque condizioni si può verificare un distacco di retina. Le emorragie vitreali tendono a riassorbirsi lentamente. Piccole emorragie da vasi retinici in genere possono essere controllate mediante la fotocoagulazione. È importante il controllo periodico delle retinopatie vascolari da parte di un oftalmologo, specialmente in caso di diabete mellito. Le emorragie retiniche sono a forma di fiamma nello strato superficiale delle fibre nervose, come avviene in caso di ipertensione o di occlusione venosa, oppure possono essere rotonde (a punto e a macchia), negli strati retinici più profondi, come nel diabete mellito o negli infarti settici. Le emorragie retiniche sono sempre importanti e indicative di una malattia vascolare generalmente sistemica.

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Approccio al paziente con malattie oculari

CORPI MOBILI La percezione visiva di corpi mobili (macchie) davanti a uno o a entrambi gli occhi è un disturbo frequente negli adulti. I corpi mobili solitamente sono evidenziati meglio osservando un fondo bianco omogeneo e sembrano muoversi lentamente quando l'occhio è fermo. I corpi mobili mantengono la loro posizione nel campo visivo durante i movimenti oculari. La loro comparsa è provocata dalla contrazione del gel vitreale e dalla sua separazione dalla superficie retinica (distacco posteriore del vitreo). Ciò provoca aggregati opachi macroscopici di fibre vitreali che possono essere visti fluttuare nel vitreo. Poiché il gel vitreale è più denso in prossimità della sua inserzione sul nervo ottico, i corpi mobili generalmente sono più evidenti in questa zona. Sebbene i corpi mobili siano privi di significato patologico, in alcuni pazienti possono tuttavia indicare la presenza di un foro retinico. Sono più frequenti nei soggetti fortemente miopi e negli anziani e tendono a diventare meno evidenti con il tempo. Anche una piccola emorragia vitreale o una vitreite (infiammazione vitreale) possono provocare la comparsa di corpi mobili. I distacchi di retina possono essere preceduti da una pioggia di "scintille" o di lampi luminosi (fotopsie) e possono essere anche accompagnati da una pioggia di corpi mobili. Solamente quando la retina si separa definitivamente dalle strutture sottostanti (l'epitelio pigmentato retinico), compare la sensazione di una tenda che limita progressivamente il campo visivo. Sebbene i corpi mobili non siano associati frequentemente a patologie pericolose, essi richiedono un attento esame dell'intera retina e dei mezzi diottrici dopo dilatazione con un midriatico o con un farmaco cicloplegico a breve durata di azione (p. es., ciclopentolato all'1%, una goccia, ripetuta dopo 5-10 min, o se occorre una dilatazione più ampia, il paziente non è iperteso e non assume bbloccanti, o una goccia di fenilefrina 10%, ripetuta dopo 5-10 min). L'esame viene eseguito meglio con oftalmoscopia indiretta, una tecnica usata dagli oftalmologi. I corpi mobili nel vitreo possono essere osservati con una lente positiva di alto potere guardando il riflesso rosso a una distanza di 15-30 cm. Sono necessari ripetuti controlli se il fastidio continua, se si ha una riduzione della vista o se persiste l'apprensione del paziente. I corpi mobili di recente comparsa o quelli accompagnati da lampi di luce devono essere valutati da un oftalmologo. Un disturbo della visione richiede sempre una spiegazione.

FOTOFOBIA La fotofobia (anomala intolleranza visiva alla luce) è comune nelle persone scarsamente pigmentate. Solitamente la fotofobia non è di alcun significato e può essere ridotta portando occhiali scuri. È un sintomo importante, ma non diagnostico, nella cheratite, nelle uveiti, nel glaucoma acuto e nelle abrasioni ed erosioni traumatiche dell'epitelio corneale.

DOLORE Il dolore oculare è importante e, a meno che non sia dovuto a una causa locale ovvia quale un corpo estraneo, un'infezione acuta della palpebra o una ferita, richiede degli approfondimenti. Occasionalmente la sinusite causa un dolore riferito agli occhi. La sensazione di corpo estraneo (cioè che ci sia qualcosa nell'occhio) è dovuta a una irritazione o a un trauma dell'epitelio corneale o congiuntivale (p. es., una abrasione traumatica, corpo estraneo, occhio secco, ulcera corneale, cheratite). Il dolore oculare (un dolore profondo, sordo, dentro o dietro l'occhio) nella maggior parte dei casi è provocato da patologie intraoculari od orbitarie (p. es., uveite, glaucoma, sclerite, endoftalmite, pseudotumor orbitale). Anche l'occhio file:///F|/sito/merck/sez08/0900756.html (2 of 4)02/09/2004 2.04.22

Approccio al paziente con malattie oculari

secco può causare dolore oculare.

SCOTOMI Una zona di non visione nel campo visivo è uno scotoma negativo. Frequentemente non viene notato dal paziente, a meno che esso non influenzi la visione centrale o non interferisca in modo significativo con l'acuità visiva. Gli scotomi negativi avvertiti dal paziente sono generalmente causati da emorragie, edema o distacco retinici. Gli scotomi negativi possono anche derivare da una patologia del nervo ottico (p. es., glaucoma con difetto centrale del campo visivo, neurite ottica o neuropatia ottica ischemica). Uno scotoma presente nella stessa zona del campo visivo di entrambi gli occhi è di solito un difetto quadrantico o emianoptico, dovuto a una lesione delle vie ottiche. Uno scotoma positivo, percepito come una macchia luminosa o come lampi scintillanti, rappresenta una risposta alla stimolazione anomala di qualche porzione del sistema visivo, come avviene nella sindrome emicranica. L'esame degli occhi, compreso quello del campo visivo, è sempre obbligatorio per determinare la causa di qualsiasi scotoma. Uno scotoma bilaterale, se non è causato da lesioni retiniche bilaterali, richiede l'esame perimetrico (esame dettagliato del campo visivo)e la valutazione neurologica.

VIZI DI RIFRAZIONE Nella emmetropia non sono presenti difetti ottici; i raggi di luce paralleli infatti (p. es., originati da un oggetto posto a distanza), entrando nell'occhio, vengono messi perfettamente a fuoco sulla retina. Nell'ametropia esiste un difetto ottico consistente in una delle seguenti forme o in una loro combinazione: Nell'ipermetropia (visione buona da lontano), l'errore di rifrazione più comune, l'immagine di un oggetto distante viene messa a fuoco dietro la retina o perché l'asse ottico è troppo corto o perché il potere di rifrazione dell'occhio è troppo debole. Negli occhiali di correzione si usa una lente convessa (positiva). Nella miopia (visione buona da vicino) l'immagine di un oggetto distante viene messa a fuoco davanti alla retina, perché l'asse ottico è troppo lungo oppure perché il potere di rifrazione dell'occhio è troppo forte; si utilizza in questo caso una lente correttiva concava (negativa). Nell'astigmatismo la rifrazione è diversa nei vari meridiani del bulbo oculare. Si usa una lente correttiva cilindrica (un segmento tagliato da un cilindro) in modo che lungo un asse non abbia potere rifrattivo e sia concava o convessa lungo l'altro asse. L'anisometropia, una significativa differenza fra gli errori rifrattivi dei due occhi (in genere superiore a 2 diottrie), si osserva soltanto occasionalmente. Quando l'anisometropia è corretta con occhiali, si verificano differenze nella grandezza delle immagini (aniseiconia) che possono portare a difficoltà nella fusione e spesso a soppressione di una delle due. La presbiopia, una ipermetropia per la visione da vicino che si verifica con l'avanzare dell'età, è dovuta alla diminuzione fisiologica del meccanismo accomodativo grazie al quale il fuoco dell'occhio viene variato a seconda delle diverse distanze degli oggetti. A partire dall'adolescenza il cristallino diventa gradualmente meno flessibile e alla fine non può variare di forma (accomodazione) in risposta all'azione dei muscoli ciliari. La persona, di conseguenza, non è più in grado di mettere bene a fuoco da vicino (oggetti più

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Approccio al paziente con malattie oculari

vicini di 30-60 cm), ma generalmente non necessita di lenti correttive prima dei 40-45 anni.

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Patologie dell'orbita

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 92. PATOLOGIE DELL'ORBITA ESOFTALMO (Proptosi) Protrusione di uno o entrambi i bulbi oculari, conseguenza di infiammazione orbitaria, edema, neoplasie o traumi, trombosi del seno cavernoso, ingrandimento del bulbo oculare (come nel glaucoma congenito e nella forte miopia unilaterale).

Sommario: Eziologia, sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia, sintomi e segni Nell'ipertiroidismo, l'edema e l'infiltrazione linfoide dei tessuti orbitari possono causare esoftalmo unilaterale o bilaterale. Una insorgenza unilaterale improvvisa è generalmente dovuta a emorragia o infiammazione dell'orbita o dei seni paranasali. Un'insorgenza nel corso di 2-3 sett. indica un'infiammazione cronica o uno pseudotumor orbitario (infiltrazione e proliferazione di cellule non neoplastiche); un'insorgenza più lenta suggerisce una neoplasia. Un aneurisma arterovenoso che coinvolge l'arteria carotide interna e il seno cavernoso può provocare un esoftalmo pulsante, con soffio orbitario. L'insorgenza post-traumatica è probabilmente dovuta a fistola carotidocavernosa, confermata dall'auscultazione dell'orbita. Un trauma o un'infezione (specialmente facciale) possono causare trombosi del seno cavernoso con esoftalmo unilaterale e febbre. Una forte miopia unilaterale o un meningioma possono causare esoftalmo unilaterale.

Diagnosi I test per la tiroide devono essere eseguiti quando la causa di un esoftalmo persistente non è chiara; se tali esami sono nella norma e quando la comparsa dell'esoftalmo è improvvisa, la causa deve essere ricercata mediante TC o RMN dell'orbita (v. Cap. 8). Il grado dell'esoftalmo può essere misurato con l'esoftalmometro; se esso è progressivo, l'esposizione del bulbo può portare a secchezza, infezione e ulcerazione della cornea.

Terapia La terapia viene stabilita in base all'eziologia. In caso di aneurisma arterovenoso può essere necessario legare la carotide comune coinvolta o sottoporla a embolizzazione selettiva. L'esoftalmo nell'ipertiroidismo può diminuire quando

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Patologie dell'orbita

quest'ultimo viene controllato, ma in alcuni casi il decorso può essere progressivo e richiedere la decompressione chirurgica dell'orbita. Quando è presente un esoftalmo la cornea deve essere protetta dall'esposizione. La cheratite da esposizione da esoftalmo tiroideo è comune. I corticosteroidi sistemici sono spesso efficaci nel controllare l'edema e lo pseudotumor (p. es., 1 mg/kg di prednisone PO somministrato giornalmente per 1 sett., quindi a giorni alterni per 5 sett. fino a ridurre gradualmente la dose alla minima quantità necessaria per controllare l'esoftalmo). Le neoplasie devono essere rimosse.

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Strabismo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 273. STRABISMO (Eterotropia) Deviazione di un occhio dal parallelismo con l’altro. (Le patologie dell’occhio sono trattate anche nella sezione 8; nel Cap. 178; e come Malformazioni congenite dell’occhio nel Cap. 261.)

Sommario: Eziologia e sintomi Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e sintomi Lo strabismo paralitico (non concomitante) è causato dalla paralisi di uno o più muscoli oculari; può essere causato da una lesione specifica del nervo oculomotore. Il movimento oculare è limitato e la diplopia aumenta nei campi d’azione dei muscoli paralizzati (v. anche il Cap. 178). La diplopia non è presente se la paralisi è congenita, poiché si verifica soppressione della visione nell’occhio deviato. Lo strabismo non paralitico (concomitante) in genere è la conseguenza di una diversità nel tono dei muscoli dei 2 occhi per un’anomalia a livello sopranucleare nel SNC. Può essere convergente (esotropia), divergente (exotropia) o verticale (ipertropia o ipotropia). La deviazione dal parallelismo non varia con i movimenti oculari e la funzione dei singoli muscoli è generalmente intatta, a meno che non si verifichi un’iperfunzione secondaria. La foria (strabismo latente) non è paralitica; lo squilibrio muscolare è mascherato dalla tendenza del SNC a fondere le immagini percepite da ciascun occhio. Può presentarsi come esoforia, exoforia, ipoforia o iperforia. La foria, a meno che non sia grave, raramente causa sintomi e si evidenzia soltanto quando il SNC non può mantenere costantemente la fusione. Il mancato uso di un occhio, come nel caso di un grave vizio di refrazione o di riduzione patologica della vista, può provocare uno strabismo. L’ambliopia (ridotta acuità visiva dovuta a una deprivazione visiva in età infantile) può verificarsi in caso di strabismo, in genere causata dalla soppressione corticale dell’immagine percepita dall’occhio deviato, per evitare la confusione e la diplopia.

Diagnosi Poiché lo strabismo può conseguire a una grave malattia oculare o neurologica, si devono esaminare gli occhi (compresi le cornee, i cristallini, le retine e i nervi ottici) e lo stato neurologico del paziente, indipendentemente dall’età. La deviazione oculare, se costante, deve essere studiata fin dalla nascita, se file:///F|/sito/merck/sez19/2732586.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.24

Strabismo

intermittente dall’età di 6 mesi. Lo strabismo non deve essere ignorato sulla base dell’ipotesi che esso migliorerà con la crescita, dato che una grave alterazione può essere misconosciuta. Si chiede al paziente di fissare una matita o una torcia elettrica collocata sulla fronte dell’esaminatore. Scoprendo e coprendo alternativamente un occhio, l’esaminatore può osservare una deviazione della posizione dell’occhio che viene scoperto quando lo sguardo di quest’occhio fissa l’oggetto. Nella exotropia, l’occhio che era coperto devia verso l’interno per fissare; nell’esotropia, l’occhio devia verso l’esterno per fissare. La tropia può essere quantificata usando una lente prismatica posizionata in modo che l’occhio deviato non debba effettuare movimenti per fissare. Il potere della lente (in diottrie) usata per compensare la deviazione misura la tropia.

Terapia Se lo strabismo e la conseguente ambliopia non vengono trattati prima dei 46 anni di età la perdita della vista può essere permanente. Deve essere trattata la causa che è alla base dello strabismo, se è possibile. Se il responsabile è lo squilibrio muscolare, lo strabismo deve essere trattato precocemente con occhiali correttivi o lenti a contatto, miotici (p. es. ecotiofato ioduro 0,03% bid), educazione ortottica (p. es. esercizi dell’occhio), tossina botulinica oppure ripristinando chirurgicamente l’equilibrio muscolare. Il trattamento precoce dell’ambliopia con l’occlusione dell’occhio normale è la base del trattamento di tutte le cause e può comportare un miglioramento della vista, conducendo a una migliore prognosi per lo sviluppo della visione binoculare e una maggiore stabilità se viene praticato un intervento chirurgico. Alcuni strumenti che modificano la visione (p. es., occhiali, lenti a contatto) possono essere utilizzati in aggiunta all’occlusione per condizioni come la cataratta congenita (v. Cap. 261).

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Malattie dell'orecchio, del naso e della gola

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA

82. Approccio al paziente con malattie dell’orecchio Ipoacusia Acufeni Vertigine Otalgia 83. Orecchio esterno Ostruzioni Otite esterna Pericondrite Dermatite eczematosa dell’orecchio esterno Otite esterna maligna Traumi Tumori 84. Membrana timpanica e orecchio medio Traumi Otite media barotraumatica Miringite infettiva Otite media acuta Otite media secretiva Mastoidite acuta Otite media cronica Otosclerosi Neoplasie 85. Orecchio interno

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Malattie dell'orecchio, del naso e della gola

Malattia di Ménière Neuronite vestibolare Vertigine posizionale parossistica benigna Herpes zoster oticus Labirintite purulenta Ipoacusia improvvisa Ipoacusia da rumore Presbiacusia Ototossicità indotta da farmaci Fratture dell’osso temporale Neurinoma dell’acustico 86. Naso e seni paranasali Fratture del naso Deviazione e perforazione del setto Epistassi Vestibolite nasale Rinite Polipi Granulomatosi di Wegener Disturbi dell’olfatto e del gusto Sinusite Neoplasie 87. Faringe Cisti di Tornwaldt Faringite Tonsillite Cellulite e ascesso peritonsillare Ascesso parafaringeo Insufficienza velofaringea

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Malattie dell'orecchio, del naso e della gola

Carcinoma a cellule squamose del rinofaringe Carcinoma a cellule squamose della tonsilla 88. Laringe Polipi delle corde vocali Noduli delle corde vocali Ulcere da contatto Laringite Paralisi delle corde vocali Laringocele Neoplasie benigne Neoplasie maligne 89. Neoplasie della testa e del collo Metastasi cervicali

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE DELL'ORECCHIO I principali sintomi delle malattie dell'orecchio sono l'ipoacusia, gli acufeni, le vertigini, l'otalgia e l'otorrea. Qualora un paziente presenti disturbi auricolari si deve raccogliere un'anamnesi completa e deve essere eseguito un accurato esame obiettivo con particolare attenzione all'orecchio, al naso, al rinofaringe e ai seni paranasali. Devono inoltre essere esaminati i denti, la lingua, le tonsille, l'ipofaringe, il laringe, le ghiandole salivari e le articolazioni temporomandibolari, poiché il dolore e il fastidio, a partenza da tali sedi, possono essere avvertiti a livello dell'orecchio. Una rx o una TC delle rocche petrose sono spesso indicate nei traumi dell'orecchio, nelle sospette fratture della base cranica, nella perforazione della membrana timpanica, nelle ipoacusie, nelle vertigini, nella paralisi facciale e nelle otalgie di origine sconosciuta. La valutazione delle funzioni uditiva e vestibolare è molto importante per la diagnosi delle affezioni auricolari.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE DELL'ORECCHIO Sommario: Introduzione IPOACUSIA VALUTAZIONE CLINICA DELL'UDITO DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA IPOACUSIA COCLEARE E RETROCOCLEARE ESAMI CHE VALUTANO IL DIFETTO DI PERCEZIONE UDITIVA CENTRALE PROTESI ACUSTICHE IMPIANTI COCLEARI

I principali sintomi delle malattie dell'orecchio sono l'ipoacusia, gli acufeni, le vertigini, l'otalgia e l'otorrea. Qualora un paziente presenti disturbi auricolari si deve raccogliere un'anamnesi completa e deve essere eseguito un accurato esame obiettivo con particolare attenzione all'orecchio, al naso, al rinofaringe e ai seni paranasali. Devono inoltre essere esaminati i denti, la lingua, le tonsille, l'ipofaringe, il laringe, le ghiandole salivari e le articolazioni temporomandibolari, poiché il dolore e il fastidio, a partenza da tali sedi, possono essere avvertiti a livello dell'orecchio. Una rx o una TC delle rocche petrose sono spesso indicate nei traumi dell'orecchio, nelle sospette fratture della base cranica, nella perforazione della membrana timpanica, nelle ipoacusie, nelle vertigini, nella paralisi facciale e nelle otalgie di origine sconosciuta. La valutazione delle funzioni uditiva e vestibolare è molto importante per la diagnosi delle affezioni auricolari.

Ipoacusia (V. anche Ipoacusia improvvisa, Ipoacusia da rumore e Presbiacusia nel Cap. 85 e Deficit uditivi nei bambini nel Cap. 260.) L'ipoacusia dovuta a una patologia del condotto uditivo esterno o dell'orecchio medio è di tipo trasmissivo; mentre quella dovuta a una lesione dell'orecchio interno o dell'VIII nervo è di tipo neurosensoriale. La diagnosi differenziale tra ipoacusia di tipo trasmissivo e quella di tipo neuro sensoriale si può effettuare sulla base della differenza di soglia uditiva alla stimolazione per via aerea e per via ossea. L'ipoacusia neurosensoriale può essere ulteriormente differenziata in sensoriale (cocleare) o nervosa o retrococleare (VIII nervo). Tale distinzione è importante in quanto l'ipoacusia retrococleare è spesso causata da tumori potenzialmente curabili (v. Diagnosi differenziale tra ipoacusie cocleari e retrococleari oltre).

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Valutazione clinica dell'udito La valutazione audiologica di base comprende la misurazione della soglia uditiva per i toni puri per via aerea e per via ossea, la soglia di percezione e di discriminazione verbale, la timpanometria e lo studio del riflesso cocleostapediale e il tempo del suo esaurimento (Reflex Decay Test). Le informazioni ottenute da queste procedure diagnostiche permettono di stabilire se sono indicati ulteriori esami per una più fine discriminazione tra ipoacusia cocleare e retrococleare. L'udito per via aerea si esamina inviando all'orecchio uno stimolo acustico, tramite cuffia o altoparlante. Una perdita uditiva o un innalzamento della soglia uditiva evidenziato in questo modo può essere causato da un difetto localizzato in qualsiasi parte dell'apparato uditivo-condotto uditivo esterno, orecchio medio, orecchio interno, VIII nervo o vie uditive centrali. L'udito per via ossea si esamina ponendo una fonte sonora (p. es., l'oscillatore di un audiometro o lo stelo di un diapason) a contatto con la testa del paziente (generalmente sulla mastoide). Il suono causa vibrazioni in tutto il cranio, comprese le pareti della coclea ossea e stimola direttamente l'orecchio interno. L'udito per via ossea non utilizza l'orecchio esterno e l'orecchio medio e permette di esaminare l'integrità dell'orecchio interno, dell'VIII nervo e delle vie uditive centrali. Qualora la soglia uditiva per via aerea fosse elevata, mentre quella per via ossea normale, l'ipoacusia è di tipo trasmissivo. Quando sia la soglia per via aerea che quella per via ossea risultano egualmente elevate, l'ipoacusia è di tipo neurosensoriale. Occasionalmente l'ipoacusia è mista, con componente sia trasmissiva che neurosensoriale. In questi casi, sia la soglia per via ossea che quella per via aerea sono innalzate, con soglia per via aerea più alta rispetto a quella ossea. Le prove di Weber e di Rinne consentono una diagnosi differenziale tra ipoacusia di tipo trasmissivo e neurosensoriale. Per questi test sono utilizzati diapason con frequenza di 256, 512, 1024 e 2048 Hz. Nel test di Weber si pone lo stelo di un diapason sulla linea mediana della testa del paziente, il quale deve indicare l'orecchio in cui il tono viene avvertito meglio. Un paziente con ipoacusia trasmissiva unilaterale lateralizza il tono nell'orecchio affetto, per ragioni ancora non chiare. Al contrario, un paziente con un'ipoacusia neurosensoriale unilaterale lateralizza il tono nell'orecchio normale, perché il diapason stimola in egual misura entrambi gli orecchi interni e il paziente percepisce lo stimolo con l'organo e il nervo più sensibili, cioè del lato sano. Il test di Rinne confronta l'udito per via aerea con quello per via ossea. Lo stelo del diapason vibrante viene appoggiato sul processo mastoideo (conduzione ossea), in seguito i rebbi del diapason ancora vibrante vengono avvicinati al padiglione auricolare (conduzione aerea) e al paziente viene chiesto di indicare quale stimolazione è stata percepita in maniera più forte. Normalmente lo stimolo risulta più intenso per conduzione aerea (CA) che ossea (CO), quindi la relazione è CA > CO. Nel caso di un'ipoacusia trasmissiva, questa relazione si inverte; lo stimolo per via ossea sarà percepito più forte rispetto allo stimolo per via aerea (CO > CA). Nel caso di un'ipoacusia neurosensoriale sia la percezione per via ossea che quella per via aerea sono ridotte, ma la relazione rimane la stessa come nell'udito normale (CA > CO). In audiometria, la perdita uditiva è quantificata. Un audiometro invia stimoli acustici di determinate frequenze (toni puri) a determinate intensità in modo tale da ottenere la soglia uditiva del paziente per le singole frequenze. L'udito per ciascun orecchio viene testato da 125 o 250 a 8000 Hz per via aerea (tramite cuffie) e per via ossea (tramite vibratore a contatto con il processo mastoideo o la fronte). La perdita uditiva si misura in decibel (dB). Un decibel è una unità logaritmica che rappresenta il rapporto tra un valore di riferimento e un valore misurato. Poiché vengono utilizzati diversi valori di riferimento, quest'ultimo deve essere specificato qualora la perdita uditiva venga espressa in decibel. La quantità di energia sonora aumenta 10 volte ogni 20 dB. I valori ottenuti sono

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riportati in un grafico chiamato audiogramma (v. Fig. 82-1 e 82-2). L'audiogramma è una rappresentazione logaritmica dell'energia sonora necessaria a raggiungere la soglia uditiva. Qualora l'udito sia differente tra un orecchio e l'altro o tra la via aerea e la via ossea, toni intensi presentati a un orecchio possono essere uditi (lateralizzati) nell'altro. In questi casi, si invia un suono mascherante, generalmente il cosiddetto rumore bianco, all'orecchio non testato, in modo che le risposte ottenute riflettano in modo più preciso l'udito dell'orecchio in esame. L'audiometria vocale comprende la soglia della percezione verbale (SPV) e quella della discriminazione verbale. La SPV, l'intensità alla quale il linguaggio viene riconosciuto come simbolo dotato di significato, viene determinata inviando al paziente una lista di parole, di solito parole bisillabiche ugualmente accentate (spondei), come p. es., "pacco", "seppia" o "piano", a determinate intensità e registrando l'intensità alla quale il paziente ripete correttamente il 50% delle parole. La SPV, dovrebbe avvicinarsi alla soglia uditiva media per le frequenze verbali di 500, 1000 e 2000 Hz. La discriminazione verbale, la capacità di discriminare i vari stimoli verbali o fonemi si determina inviando al paziente una lista di 50 parole monosillabiche foneticamente equilibrate, contenenti i fonemi nella stessa frequenza relativa della lingua italiana corrente, con un'intensità di 25-40 dB al di sopra della SPV. La percentuale delle parole correttamente ripetute dal paziente corrisponde alla soglia della discriminazione verbale, che va normalmente dal 90 al 100%, ed è un buon indice della capacità di comprensione del parlato in condizioni ideali di ascolto. Questa percentuale rimane nel range dei valori normali nelle ipoacusie trasmissive, mentre si abbassa nelle ipoacusie neurosensoriali poiché l'analisi dei suoni verbali da parte dell'orecchio interno e del nervo acustico è imperfetta. La discriminazione tende a essere peggiore nelle ipoacusie retrococleari rispetto a quella osservata nelle ipoacusie di origine cocleare (v. oltre). La timpanometria misura l'impedenza dell'orecchio medio all'energia acustica. Dopo aver invitato il paziente a rilassarsi, una sonda contenente una fonte sonora e un microfono viene posta nel condotto uditivo esterno per misurare quanta energia acustica viene assorbita (attraversa) o riflessa dall'orecchio medio. Normalmente, la massima compliance dell'orecchio medio si ottiene quando la pressione nel condotto uditivo esterno è uguale alla pressione atmosferica. Aumentando o diminuendo la pressione nel condotto si hanno diversi modelli di compliance. Quando la pressione nell'orecchio medio è relativamente negativa, come nell'ostruzione della tuba di Eustachio e nel versamento nell'orecchio medio, la massima compliance si ottiene con una pressione negativa nel condotto uditivo e un piccolissimo movimento della membrana timpanica. Il riflesso stapediale può individuare le variazioni della compliance prodotte dalla contrazione riflessa del muscolo stapedio; il riflesso stapediale viene evocato dalla presentazione di un tono di intensità variabile all'orecchio in esame o al controlaterale. La presenza o l'assenza del riflesso stapediale è importante nella diagnosi topografica della funzionalità dell'orecchio medio e della paralisi del nervo facciale. Il riflesso stapediale si adatta o decresce nelle ipoacusie retrococleari e determinare l'adattamento o il decremento, specialmente al di sotto dei 2000 Hz, può essere d'aiuto nella diagnosi differenziale tra ipoacusie cocleari e retrococleari. Questo test può confermare la soglia audiometrica soggettiva e può indicare se un paziente simula. Il paziente che non può o non vuole rispondere volontariamente agli stimoli acustici può essere valutato misurando: il potenziale microfonico cocleare e il potenziale d'azione dell'VIII nervo con l'elettrococleografia; i potenziali evocati del tronco encefalico e della corteccia uditiva (potenziali uditivi del tronco encefalico) da stimoli acustici e le otoemissioni acustiche spontanee o evocate, suoni prodotti dalle cellule ciliate esterne della coclea in risposta alla stimolazione sonora (v. oltre). Queste metodiche sono risultate utili nello studio di lattanti e bambini con sospetta ipoacusia profonda (v. anche Valutazione dell'udito nei bambini Cap. 256), di soggetti sospettati di simulare o esagerare una perdita uditiva (ipoacusia psicogena) e di pazienti con ipoacusia neurosensoriale a eziologia sconosciuta. Un'altra applicazione è la valutazione dell'integrità delle vie file:///F|/sito/merck/sez07/0820710b.html (3 of 7)02/09/2004 2.04.27

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uditive centrali. Sono state identificate 7 onde sequenziali che rappresentano l'attivazione del nervo acustico e successivamente delle vie uditive centrali in risposta agli stimoli acustici. Le lesioni dell'VIII nervo e delle vie uditive del tronco encefalico provocano variazioni nella configurazione e nella latenza delle onde; le variazioni della latenza spesso hanno un valore diagnostico. La rilevazione dei potenziali evocati uditivi è usata nel coma per determinare l'integrità funzionale del tronco encefalico e negli interventi intracranici per monitorizzare l'integrità del nervo acustico e delle vie uditive centrali. Lo studio dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico non può essere eseguito in pazienti con ipoacusia grave.

Diagnosi differenziale tra ipoacusia cocleare e retrococleare Il termine neurosensoriale indica che l'ipoacusia sia dovuta a una lesione dell'orecchio interno (coclea) o dell'VIII nervo cranico. La diagnosi differenziale fra ipoacusia sensoriale (cocleare) e retrococleare (VIII nervo cranico) è clinicamente importante. L'ipoacusia cocleare è dovuta a lesioni dell'organo più periferico (trauma acustico, labirintite virale, farmaci ototossici, malattia di Ménière) che in genere non rappresentano una minaccia per la vita. Invece l'ipoacusia retrococleare è frequentemente dovuta a tumori potenzialmente fatali dell'angolo ponto-cerebellare (v. Cap. 177) e a una grande varietà di altre malattie neurologiche. L'ipoacusia cocleare può essere differenziata da quella retrococleare in base ai test di discriminazione verbale, alla funzione qualità-intensità per parole foneticamente equilibrate, al "recruitment", al Reflex Decay Test, all'adattamento patologico, alle otoemissioni acustiche e allo studio dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico (v. Tab. 82-1). Nei test della discriminazione verbale di parole foneticamente bilanciate (v. sopra), il decremento della discriminazione verbale è moderato quando l'ipoacusia è cocleare, mentre è grave quando è retrococleare. La funzione qualità-intensità per parole foneticamente bilanciate si valuta per incrementi di 5 o 10 dB partendo da 20-30 dB al di sopra della soglia della percezione verbale. Nell'ipoacusia cocleare, la discriminazione in genere migliora alle alte intensità. Nell'ipoacusia retrococleare la discriminazione peggiora in modo caratteristico alle alte intensità. La curva ottenuta con l'audiometria vocale, intesa come funzione di intensità, viene definita funzione di articolazione. Il "rollover," che si riferisce a un decremento della discriminazione con l'aumentare dell'intensità, è caratteristico per le lesioni dell'VIII nervo cranico, quali lo schwannoma vestibolare. Il recruitment (anomalo aumento di percezione dell'intensità dei suoni o capacità di udire suoni forti normalmente malgrado una perdita uditiva) può essere dimostrato facendo confrontare al paziente l'intensità degli stessi suoni nell'orecchio lesionato e in quello normale. Nell'ipoacusia cocleare la sensazione di intensità nell'orecchio colpito aumenta ad ogni incremento di intensità in maniera maggiore rispetto a quello che si verifica nell'orecchio normale. Nell'ipoacusia retrococleare, la sensazione di intensità nell'orecchio colpito o non aumenta in maniera maggiore rispetto a quello che si verifica nell'orecchio normale (assenza di recruitment) o addirittura l'incremento della sensazione di intensità è inferiore rispetto all'orecchio sano (decruitment). Il riflesso stapediale (v. sopra), si adatta o decresce nel tempo quando si presenta un tono continuo (in particolare sotto i 2000 Hz). Il decremento è assente o lieve nell'ipoacusia cocleare e grave nell'ipoacusia retrococleare. L'adattamento patologico (tone decay) si manifesta quando un paziente non può continuare a percepire un tono costante al di sopra della soglia uditiva. Il tone decay è assente o lieve nelle lesioni cocleari e grave in quelle retrococleari.

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L'elettrococleografia misura i potenziali elettrofisiologici stimolo-dipendenti della porzione più periferica del sistema uditivo; essi comprendono il potenziale microfonico cocleare, il potenziale di sommazione e il potenziale d'azione. Gli elettrodi di superficie, come quelli impiegati per lo studio dei potenziali evocati del tronco encefalico, non possono registrare questi potenziali; gli elettrodi devono essere posizionati sopra o attraverso la membrana timpanica. L'elettrococleografia può essere di grande aiuto nella valutazione e nel monitoraggio dei pazienti con vertigini, nel monitoraggio intraoperatorio e nel miglioramento dell'onda I per i pazienti affetti da ipoacusia profonda. Il microfonico cocleare, probabilmente generato dalle cellule ciliate esterne del giro basale della coclea, è una risposta a corrente alternata che rispecchia l'onda dei suoni di intensità da bassa a moderata. Si ritiene che essa rifletta lo spostamento nel tempo della partizione cocleare. Lo spostamento viene registrato tramite un elettrodo ad ago posizionato attraverso o sulla membrana timpanica. L'ampiezza del microfonico cocleare dipende dall'attività delle cellule ciliate. La sua utilità è stata messa in dubbio a causa della difficoltà di interpretazione delle risposte. Lo studio dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico è una metodica potente per differenziare l'ipoacusia cocleare da quella retrococleare. Vengono esaminate cinque differenti onde elettriche, generate dal nervo acustico, il tronco encefalico e altre regioni encefaliche in risposta a stimolazione acustica. Esse possono essere registrate da un computer in maniera tale da ottenere una media delle risposte a più stimoli. Ciascuna onda probabilmente origina da una distinta struttura delle vie uditive, quale il nervo acustico, i nuclei cocleari, il complesso olivare superiore, il lemnisco laterale e il collicolo inferiore. Nelle lesioni del nervo acustico possono andare perse una o più onde, può aumentare la latenza delle onde e si può prolungare la latenza tra le onde. Nelle lesioni cocleari le onde sono facilmente riconoscibili e i rapporti di latenza rimangono nella norma. Le otoemissioni acustiche sono dei suoni generati dalle cellule ciliate esterne in una coclea sana. Esse possono essere misurate posizionando nel condotto uditivo esterno una fonte sonora per presentare uno stimolo e un microfono per registrare la risposta. Le informazioni ottenute sono specifiche per la frequenza e possono essere associate a quelle ottenute con altri esami per individuare il tipo di perdita uditiva. L'assenza di otoemissioni acustiche indica un danno cocleare. Se le otoemissioni acustiche sono presenti, la coclea è integra. Se la perdita è neurosensoriale e le otoemissioni acustiche sono presenti, il danno è nell'VIII nervo. Le malattie dell'orecchio medio, come l'otite media, eliminano le otoemissioni acustiche. Comunemente le otoemissioni acustiche vengono studiate per lo screening uditivo nei lattanti e nei bambini piccoli. I pazienti con sintomi riferibili a interessamento di un nervo cranico, quale l'VIII, meritano una valutazione neurologica accurata. Un'ulteriore valutazione deve comprendere gli esami vestibolari (v. oltre) e la RMN del capo con contrasto al gadolinio per individuare lesioni del VII o dell'VIII nervo cranico.

Esami che valutano il difetto di percezione uditiva centrale Lesioni delle vie uditive centrali possono verificarsi a livello dei nuclei cocleari, dei fasci nervosi del tronco dell'encefalo che si incrociano sulla linea mediana, del complesso olivare superiore, del lemnisco laterale, del collicolo inferiore, del corpo genicolato mediale, della radiazione acustica o, infine, della corteccia uditiva. Tipicamente, tali lesioni non provocano l'innalzamento della soglia uditiva per i toni puri e per gli spondei o la diminuzione della discriminazione di singole parole. Per poter valutare il deficit della funzione uditiva causata da queste lesioni occorrono esami speciali. Questi test valutano la discriminazione di parole presentate in maniera degenerata o distorta e la discriminazione in presenza di messaggi competitivi all'orecchio controlaterale e studiano la capacità di fondere i messaggi incompleti o parziali presentati ad ogni orecchio in un messaggio carico di significato e la capacità di localizzare suoni nello spazio (localizzazione sul piano mediale), quando stimoli acustici arrivano simultaneamente a entrambe

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

le orecchie. Il messaggio verbale può essere degradato o distorto mediante filtri di bassa o di alta frequenza, interruzioni periodiche o compressione temporale. Nell'orecchio controlaterale a una lesione corticale si ha una perdita della capacità di discriminazione di parole degenerate o distorte, come anche la discriminazione in presenza di un messaggio competitivo nell'orecchio ipsilaterale. Le lesioni del tronco encefalico determinano una perdita della capacità di fusione del messaggio incompleto presentato ad ogni orecchio in un messaggio significativo e inoltre compromettono la capacità di localizzare esattamente nello spazio il suono.

Protesi acustiche L'amplificazione del suono dalle protesi acustiche è di grande aiuto in quasi tutti i pazienti con ipoacusia trasmissiva o neurosensoriale, da lieve a profonda, compreso quelli con ipoacusia neurosensoriale prevalentemente per le frequenze alte e in quelli con ipoacusia monolaterale. Tutte le protesi acustiche hanno un microfono, un amplificatore, un altoparlante, un auricolare e il controllo di volume. In molti modelli, si può spegnere il microfono e utilizzare una bobina magnetica per migliorare la chiarezza quando si parla al telefono. I modelli migliori si regolano a seconda del particolare tipo di perdita uditiva, amplificando selettivamente le frequenze più difficilmente udibili. Quando un paziente si valuta per una protesizzazione è necessario un parere specialistico, generalmente di un audiologo. La scelta della protesi acustica appropriata richiede di avvicinare le caratteristiche elettroacustiche dell'apparecchio al tipo di ipoacusia, in base al guadagno (amplificazione) acustico, al livello di saturazione, alla risposta in frequenza e alle necessità di ascolto. Il guadagno acustico, si riferisce alla differenza fra la potenza di entrata e di uscita dell'apparecchio. Più è grave l'ipoacusia, maggiore è in genere il guadagno richiesto. Il livello di saturazione, cioè il massimo di uscita indipendentemente dall'entrata, è una considerazione importante per i pazienti che hanno una ridotta tolleranza ai suoni (come nel "recruitment"). Nei gravi problemi di tolleranza sono disponibili speciali circuiti (controllo automatico del guadagno) che mantengono l'uscita acustica dell'apparecchio a livelli tollerabili. La risposta in frequenza si riferisce al guadagno dell'apparecchio in funzione della frequenza. Come regola generale, la risposta in frequenza dev'essere scelta per ottenere un guadagno in relazione con la configurazione audiometrica del paziente. Un miglioramento alle alte frequenze si ottiene praticando un foro nel calco auricolare ed è molto utile nei casi di ipoacusia neurosensoriale, maggiore per le frequenze alte rispetto alle basse. Le protesi acustiche a conduzione aerea, abitualmente accoppiate al condotto uditivo esterno mediante un tubo aperto o a tenuta ermetica, sono in genere più efficaci rispetto a quelle a conduzione ossea e sono quindi le più utilizzate, eccetto i casi in cui sono controindicate. La protesi a scatola, adatta per l'ipoacusia profonda, è la più potente. Essa si porta nella tasca della camicia o con un supporto ed è connessa mediante un filo all'auricolare (il ricevitore), che è accoppiato al condotto uditivo esterno per mezzo di un inserto di plastica (detto chiocciola). Per le forme di ipoacusia da media a grave è adatta la protesi retroauricolare (livello orecchio) che si fissa dietro il padiglione e viene collegata alla chiocciola mediante un tubo flessibile. Una protesi endoauricolare è contenuta interamente nella chiocciola e si adatta meno vistosamente all'interno della conca e del condotto uditivo; essa è indicata nell'ipoacusia di grado da lieve a medio. Le protesi endocanalari sono interamente contenute nel condotto uditivo e accettate esteticamente da molti pazienti i quali altrimenti rifiuterebbero di utilizzare una protesi acustica, ma per alcuni pazienti (in particolare i più anziani) sono difficili da manipolare. La protesi di tipo CROS (Controlateral Routing Of Signals) viene utilizzata dai pazienti con ipoacusia grave monolaterale; il microfono dell'apparecchiatura è collocato nell'orecchio non funzionante e il suono viene convogliato verso l'orecchio migliore mediante un filo elettrico o un micro radiotrasmettitore. Questo apparecchio fa in modo che il portatore senta i suoni provenienti dal lato dell'orecchio malato e che sviluppi una seppur limitata file:///F|/sito/merck/sez07/0820710b.html (6 of 7)02/09/2004 2.04.27

Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

capacità alla localizzazione spaziale degli stessi. Qualora anche l'orecchio migliore abbia una certa perdita uditiva, il suono proveniente da entrambi i lati può essere amplificato per mezzo di una protesi denominata BICROS. La protesi a conduzione ossea può essere impiegata nei casi in cui non sono utilizzabili chiocciola o raccordi in plastica, come nel caso di atresia del condotto o di otorrea persistente. Un vibratore è posto a contatto con il capo, di solito in corrispondenza della mastoide, mediante una fascia elastica e il suono viene condotto, attraverso le ossa craniche, fino alla coclea. Rispetto alle protesi a conduzione aerea, le protesi a conduzione ossea richiedono maggiore energia elettrica, introducono maggior distorsione e sono meno confortevoli da portare. Alcune di queste protesi possono essere impiantate nel processo mastoideo, evitando così il fastidio della fascia elastica.

Impianti cocleari I pazienti affetti da ipoacusia profonda che non traggono beneficio dagli apparecchi acustici tradizionali per la lettura labiale oppure per sentire i suoni ambientali (p. es., campanello della porta, squillo del telefono e allarmi) possono trarre beneficio da un impianto cocleare. Tali apparecchi elettronici consistono in un processore a batteria che converte il suono in modulazioni di corrente elettrica, in un sistema di bobine di induzione esterna e interna che trasmette impulsi elettrici attraverso la cute e un insieme di elettrodi connessi alla bobina di induzione interna che stimola le fibre residue della componente cocleare dell'VIII nervo cranico. Previa mastoidectomia si inserisce l'elettrodo nella rampa timpanica nel giro basale della chiocciola. La bobina di induzione interna è impiantata nell'osso cranico retroauricolare; la bobina di induzione esterna si mantiene in situ sulla cute al di sopra della bobina di induzione interna dalle calamite nelle due bobine. Gli impianti multicanali sono generalmente più efficaci di quelli monocanali. Gli impianti cocleari aiutano la lettura labiale fornendo informazione sull'intonazione delle parole, il ritmo dell'eloquio e altre caratteristiche del fraseggio verbale. Alcuni pazienti portatori di impianto cocleare possono discriminare le parole in assenza di suggerimenti visivi e possono parlare al telefono. Gli impianti cocleari permettono alle persone affette da ipoacusia profonda di distinguere i suoni ambientali e i vari segnali di avvertimento. Permettono anche ai pazienti di modulare bene la propria voce favorendone l'intelligibilità.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO IPOACUSIA IMPROVVISA Grave ipoacusia neurosensoriale, generalmente monolaterale, che si sviluppa nel corso di alcune ore o anche meno.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

L'ipoacusia improvvisa colpisce circa 1/ 5000 persone ogni anno (v. anche Ipoacusia nel Cap. 82). Sebbene l'esordio improvviso suggerisca un'eziologia vascolare (embolia, trombosi o emorragia), per analogia con gli accidenti vascolari nel SNC, nella maggior parte dei casi appare evidente un'eziologia virale. L'ipoacusia improvvisa tende a verificarsi nei bambini e nei giovani o negli adulti di mezza età che non presentano disturbi vascolari. Il riscontro istopatologico nell'osso temporale di soggetti colpiti da ipoacusia improvvisa è diverso da quello osservato nell'orecchio interno di animali con embolia od occlusione vascolare sperimentale, ma è simile a quello osservato in caso di infezioni virali che interessano l'orecchio interno nell'uomo (labirintite endolinfatica virale) e che esitano in ipoacusia improvvisa, p. es., parotite epidemica e morbillo. I virus responsabili dell'influenza, della varicella e della mononucleosi; gli adenovirus e altri possono provocare ipoacusia improvvisa. I quadri anatomopatologici nei soggetti con ipoacusia persistente dovuta a una labirintite endolinfatica virale sono simili, indipendentemente dal virus responsabile. L'organo di Corti è assente e le popolazioni cellulari gangliari sono ridotte nel giro basale della coclea; le cellule ciliate tendono a essere assenti. La stria vascolare si atrofizza. La membrana tectoria spesso si ispessisce e si organizza in sincizio. La membrana di Reissner (vestibolare) può collassarsi e aderire alla membrana basilare. Occasionalmente, per ampie variazioni della pressione ambientale o in caso di sforzi intensi come il sollevamento di pesi, si possono creare fistole perilinfatiche fra l'orecchio medio e quello interno. La formazione di fistole nella finestra rotonda e in quella ovale ha come conseguenza l'ipoacusia cocleare improvvisa o fluttuante e vertigini. Il paziente, quando si forma la fistola, può avvertire un suono simile a un'esplosione nell'orecchio affetto. La fistola può essere evidenziata combinando le variazioni di pressione nell'orecchio esterno, utilizzate nella timpanometria con elettronistagmografia. Il nistagmo che risulta da un cambiamento della pressione nel condotto uditivo esterno può essere individuato con l'elettronistagmografia ed è suggestivo della presenza di una fistola perilinfatica.

Sintomi e segni L'ipoacusia abitualmente è profonda, ma la funzione uditiva ritorna nella norma

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Orecchio interno

nella maggior parte dei pazienti, mentre si ripristina solo parzialmente in altri. Se la funzione uditiva rientra nella norma, in genere ciò avviene in 10-14 gg. Inizialmente possono essere presenti acufeni e vertigini sebbene le vertigini generalmente regrediscono nel giro di alcuni giorni.

Terapia Anche se molti sostengono l'efficacia di terapie a base di vasodilatatori, anticoagulanti, destrano a basso peso molecolare, corticosteroidi e vitamine, nessuno di questi trattamenti ha valore accertato. Poiché micropetecchie e fuoriuscite di sangue sono caratteristiche delle reazioni infiammatorie indotte da virus, la vasodilatazione e l'anticoagulazione possono non essere indicate. Inoltre, in una reazione infiammatoria il flusso sanguigno cocleare è già aumentato sufficientemente. L'uso dei corticosteroidi sembra razionale, p. es., prednisone, 60 mg/die PO per 2 gg, quindi 40 mg/die PO per 5-7 gg, seguito da una progressiva riduzione della dose. È raccomandato anche il riposo a letto. In caso di sospetta fistola perilinfatica, generalmente è necessario eseguire l'esplorazione chirurgica dell'orecchio medio e la fistola deve essere riparata mediante trapianto autologo di fascia muscolare.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO IPOACUSIA DA RUMORE L'esposizione a rumori di intensità elevata, come attrezzature da falegnameria, seghe a nastro, motori a combustione interna, macchinari pesanti, spari o rombo di aerei, può danneggiare l'orecchio interno. Attività quali sparare, andare in motoslitta, volare in aereo e assistere ai concerti rock, sono associate a ipoacusia da rumore. Il trauma acustico cronico determina la progressiva distruzione delle cellule ciliate dell'organo di Corti. Sebbene la predisposizione all'ipoacusia da rumore vari fortemente a seconda dei soggetti, praticamente tutti andranno incontro alla perdita della funzione uditiva se esposti a un rumore sufficientemente intenso e per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Ogni rumore > 85 dB danneggia l'orecchio. Un acufene ad alta frequenza generalmente accompagna l'ipoacusia. La perdita si verifica inizialmente intorno alla frequenza di 4 kHz e gradualmente alle frequenze minori e maggiori se l'esposizione al rumore continua. A differenza della maggior parte delle ipoacusie neuro-sensoriali, il danno acustico è minore a 8 kHz che a 4 kHz. Il danno da scoppio (trauma acustico acuto), produce lo stesso tipo di ipoacusia cocleare. La prevenzione si basa sulla limitazione della durata dell'esposizione, sulla riduzione del rumore all'origine e sull'allontanamento della persona dalla fonte rumorosa. Se aumenta l'intensità del rumore, va contemporaneamente ridotto il tempo di esposizione per prevenire danni dell'orecchio interno. Il rumore può essere attenuato con protezioni auricolari, p. es., tappi di plastica o di cera oppure con cuffie paraorecchi di vario tipo. Quando l'ipoacusia da rumore compromette la comunicazione, una protesi acustica è generalmente utile (v. Protesi acustiche nel Cap. 82).

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE DEFICIT UDITIVI NEI BAMBINI Scariche elettriche anomale provenienti dal SNC nei neonati, che si manifestano solitamente con attività muscolare stereotipata o modificazioni vegetative.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Diagnosi Terapia

L’ipoacusia può verificarsi a qualunque età. Circa 1 neonato su 800-1000 presenta una grave ipoacusia alla nascita. Con una frequenza doppia o tripla si riscontrano ipoacusie minori, comprese ipoacusie da lievi a moderate e unilaterali o bilaterali. Durante l’infanzia, altri 2-3/1000 bambini acquisiscono una ipoacusia da moderata a grave, progressiva o permanente. Molti adolescenti sono a rischio di ipoacusia neurosensoriale da eccessiva esposizione a rumore e da trauma cranico. I deficit uditivi nell’infanzia possono determinare difetti permanenti del linguaggio recettivo ed espressivo. La gravità dell’handicap è determinata da vari fattori: l’età alla quale si è verificata l’ipoacusia; la natura dell’ipoacusia, la sua durata, le frequenze colpite, il grado di ipoacusia e la suscettibilità del singolo bambino (p. es., deficit visivo coesistente, ritardo mentale, deficit primitivi del linguaggio). Un’accurata valutazione delle frequenze uditive interessate e del deficit della conduzione per via aerea e per via ossea può essere effettuata a prescindere dall’età o dal grado di inabilità (v. valutazione dell’udito nel bambino nel Cap. 256). Per un bambino con una ipoacusia neurosensoriale, il problema addizionale di una ipoacusia di conduzione può gravemente compromettere la comprensione del linguaggio. I bambini che presentano altri deficit sensitivi, del linguaggio o cognitivi sono colpiti più gravemente da una ipoacusia rispetto a un bambino per il resto sano.

Eziologia e patogenesi Ipoacusia di conduzione: i più comuni difetti uditivi sono deficit di conduzione acquisiti, associati a un’otite media e alle sue sequele. Quasi tutti i bambini presentano una ipoacusia lieve- moderata, intermittente o continua a causa di un’otite media. Infezioni ripetute o gravi possono determinare un deficit permanente. I bambini più soggetti all’otite media sono quelli che presentano anomalie cranio-facciali (p. es., palatoschisi), immunodeficienze (p. es., ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia) ed esposizione a fattori di rischio ambientali (p. es., fumo di tabacco, day hospital). I ragazzi sono più spesso affetti da otite media rispetto alle ragazze. Nell’infanzia una patologia a carico di un qualunque tratto dell’apparato uditivo

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Patologia del neonato e del lattante

può produrre una ipoacusia. Le malformazioni del canale uditivo esterno e dell’orecchio medio, che si verificano isolatamente o facenti parte di una sindrome (p. es. sindrome di Treacher Collins), esitano in un deficit di conduzione. I deficit congeniti neurosensoriali si verificano anche in bambini che hanno anomalie isolate dell’orecchio medio. Il colesteatoma, un tumore benigno, origina più comunemente da una otite media non trattata, ma può essere congenito. I colesteatomi acquisiti colpiscono generalmente la porzione cefalica dorsale del cavo del timpano, mentre i colesteatomi congeniti originano fondamentalmente nella porzione cefalica ventrale. Il colesteatoma può causare l’erosone della catena ossicolare e una ipoacusia di conduzione. La distruzione degli ossicini si verifica anche come risultato di un’infezione e di un’atelettasia del cavo del timpano; il processo lungo dell’incudine è colpito più comunemente, determinando una significativa ipoacusia di conduzione. Ipoacusia neurosensoriale: quando si verificano, in epoca prenatale, deficit sensoriali (cellule capellute) e nervosi (cellule ganglionari spirali), tale condizione è denominata ipoacusia congenita neurosensoriale. Quando le ipoacusie si verificano durante i primi 1-2 anni di vita, la condizione è denominata ipoacusia progressiva precoce neurosensoriale. Quando le ipoacusie si verificano più tardivamente, la condizione è denominata ipoacusia progressiva neurosensoriale dell’infanzia. L’ipoacusia neurosensoriale congenita può derivare da cause esogene o endogene (v. Tabb. 260-4 e 260-5). Le ipoacusie neurosensoriali acquisite possono essere causate da patologie autoimmuni; sostanze ototossiche come aminoglicosidi, cisplatino, e aspirina (il cui effetto è reversibile); meningite batterica; infezioni virali congenite e acquisite, come rosolia congenita, citomegalovirus e parotite; endotossine ed esotossine batteriche; traumi acustici, che possono derivare dall’esposizione a musica ad alti volumi, armi da fuoco, motori o giocattoli rumorosi oppure trauma cranico, che porta a una commozione o a una frattura dell’osso temporale (le fratture possono essere responsabili di una componente conduttiva dell’ipoacusia a causa della rottura traumatica dell’orecchio medio). Diverse condizioni patologiche interessano l’orecchio interno. La più comune è rappresentata dalla perdita delle cellule capellute della coclea, che spesso colpisce quelle del sistema vestibolare. Le cellule nervose della coclea, le cellule ganglionari spirali, rimangono spesso intatte per un periodo di tempo, ma alla fine degenerano a causa dell’assenza di fattori trofici, come il fattore neurotrofico cerebrale prodotto dalle cellule capellute. Inoltre, la perdita delle cellule spirali ganglionari può verificarsi, senza o con minima perdita di cellule capellute. Anche le malformazioni del labirinto osseo possono causare ipoacusia neurosensoriale. Queste condizioni vengono diagnosticate mediante TC. L’ipoacusia associata a malformazioni labirintiche varia da assente a totale e può essere stazionaria, variabile o progressiva. L’ipoacusia, inoltre, può avere una componente di conduzione. Un gruppo di malformazioni labirintiche x-linked determina una lesione della finestra ovale; i pazienti si presentano con un deficit di conduzione congenito. L’intervento chirurgico di apertura della finestra ovale può causare una perdita massiva di LCR, spesso abolendo per sempre la funzione uditiva in quell’orecchio. Le fistole perilinfatiche possono causare un progressivo deficit neurosensoriale e sono spesso associate a malformazioni labirintiche. Le fistole perilinfatiche traumatiche si ritrovano in bambini con traumi cranici. Occasionalmente, traumi cranici minori in un neonato o lattante portano a fistole bilaterali, determinando rapidamente un deficit neurosensoriale progressivo. Queste devono essere identificate prontamente poiché l’intervento chirurgico può prevenire un ulteriore ipoacusia, così come una possibile meningite. Malattie primitive del nervo statoacustico (VIII) nell’infanzia sono rare. Le più comuni sono gli schwannomi ritrovati in pazienti con neurofibromatosi di tipo II. Altre rare cause sono meningiomi e tumori metastatici. Occasionalmente, un bambino con kernittero grave sviluppa una ipoacusia neurosensoriale moderata e altri segni di danno del tronco dell’encefalo, come la compromissione dell’attività file:///F|/sito/merck/sez19/2602317.html (2 of 4)02/09/2004 2.04.29

Patologia del neonato e del lattante

motoria. Possono verificarsi ipoacusie unilaterali a causa di qualunque condizione sopra menzionata, essendo la parotite una causa frequentemente riscontrata. L’effetto di una ipoacusia unilaterale è spesso sottostimato. Un bambino può avere un deficit significativo del linguaggio a causa della difficoltà nell’identificare le parole in ambienti moderatamente rumorosi.

Diagnosi La diagnosi è di solito significativamente ritardata perché i sintomi non sono riconosciuti o vengono ignorati. Deficit gravi vengono solitamente diagnosticati entro i 2 anni di età, mentre deficit lievi-moderati e quelli unilaterali non sono tipicamente riconosciuti fino all’età scolare. In presenza di una grave ipoacusia neurosensoriale bilaterale, i genitori possono notare che fin dalla prima settimana di vita circa il neonato non reagisce alle loro voci e ad altri suoni. Tutti i lattanti e i bambini devono eseguire un test di screening per le ipoacusie (v. Valutazione dell’udito nel bambino nel Cap. 256). La diagnosi del danno uditivo deve essere fatta il più presto possibile in modo che adeguati input linguistici possano permettere uno sviluppo ottimale del linguaggio. Il più grande ostacolo per una diagnosi precoce è il ritardo nel rivolgersi a uno specialista, nonostante la consapevolezza o il sospetto di danno uditivo, solitamente dovuti a un ritardo dello sviluppo del linguaggio. Quando un bambino presenta un’alterazione del linguaggio, bisogna effettuare una diagnosi differenziale fra la sordità, il ritardo mentale, l’afasia e l’autismo. Molti bambini con ipoacusie neurosensoriali hanno deficit vestibolari manifestati da un ritardato sviluppo motorio o da uno sviluppo in regressione. Inoltre, lattanti e bambini ai primi passi con otite media possono avere disturbi vestibolari che si manifestano come alterazione dell’attività motoria. Uno sviluppo motorio anomalo viene a volte erroneamente correlato con un più generale ritardo dello sviluppo, come ritardo mentale, che può determinare un’inappropriatezza delle cure.

Terapia L’obiettivo è quello di favorire uno sviluppo del linguaggio ottimale. Il linguaggio deve essere valutato in tutti i bambini con ipoacusia e i deficit del linguaggio devono essere corretti con una terapia appropriata. Il primo anno di vita è un periodo critico per lo sviluppo del linguaggio. Poiché i bambini devono ascoltare il linguaggio per impararlo spontaneamente, i bambini sordi svilupperanno il linguaggio solamente attraverso uno speciale allenamento, che idealmente dovrebbe iniziare appena l’ipoacusia viene identificata. Ai bambini sordi deve essere fornita un’altra forma di linguaggio. Per esempio, un linguaggio visivo con segni può costituire una base per il successivo sviluppo del linguaggio orale. I deficit di conduzione dovuti a una otite media possono essere migliorati mediante un apparecchio acustico o chirurgicamente (miringotomia con o senza adenoidectomia a seconda delle caratteristiche del bambino; p. es., una schisi sottomucosa del palato rappresenta una controindicazione relativa all’adenoidectomia). Decongestionanti e antibiotici non migliorano le ipoacusie di questi bambini. I deficit neurosensoriali possono essere migliorati mediante diversi tipi di apparecchi acustici. L’amplificazione con un apparecchio acustico deve essere iniziata appena possibile dopo la diagnosi (anche intorno ai 6 mesi di età). Nella ipoacusia neurosensoriale bilaterale, un’amplificazione binaurale utilizzando apparecchi retroauricolari o endoauricolari incrementa al massimo l’udito e permette lo sviluppo della capacità di localizzare i suoni. Bambini di età 2 anni con ipoacusia bilaterale importante, che non traggono completamente beneficio file:///F|/sito/merck/sez19/2602317.html (3 of 4)02/09/2004 2.04.29

Patologia del neonato e del lattante

dall’amplificazione possono essere candidati all’impianto cocleare. Gli impianti cocleari permettono una comunicazione uditiva in molti bambini profondamente sordi, se la sordità è congenita o acquisita, ma sembra essere più efficace in quelli che già hanno sviluppato il linguaggio. I bambini che hanno una sordità postmeningite sviluppano una ossificazione dell’orecchio interno; essi devono ricevere precocemente gli impianti cocleari per ottimizzarne l’efficacia. I bambini i cui nervi acustici sono stati danneggiati da un tumore possono essere aiutati dall’impianto di elettrodi che stimolano il tronco dell’encefalo. La chiusura di fistole perilinfatiche, congenite o acquisite, può far riacquisire parte dell’udito e prevenire ulteriori ipoacusie. I corticosteroidi e altri farmaci immunosoppressori possono essere utili in alcuni bambini con patologie dell’orecchio interno causate da malattie autoimmuni. Bambini con sordità monolaterale devono essere aiutati con un sistema a scuola che permette all’insegnante di parlare in un microfono che manda segnali a un apparecchio acustico nell’orecchio sano del bambino, migliorando la capacità di sentire i discorsi nonostante si trovi in un ambiente rumoroso.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI CONTROLLO DEL BAMBINO SANO VALUTAZIONE DELL’UDITO NEL BAMBINO (V. anche Valutazione clinica dell’udito nel Cap. 82 e Deficit uditivi nei bambini nel Cap. 260) La diagnosi precoce e la correzione di un danno uditivo sono essenziali per lo sviluppo normale delle capacità di comunicazione. Una profonda ipoacusia può essere sospettata dai genitori se il loro bambino non risponde alle voci o ai comuni suoni. Tali osservazioni dei genitori sono molto importanti e devono essere chiarite. I fattori di rischio e i test più semplici per valutare l’udito sono descritti sopra in Screening. Se mediante l’anamnesi vengono identificati dei fattori di rischio, l’audiometria può essere eseguita intorno ai 3 mesi. La capacità uditiva può essere valutata sin dalla nascita utilizzando speciali tecniche audiometriche eseguite di solito da un audiologo. Questi test valutano risposte fisiologiche, comportamentali e riflesse a stimoli di intensità nota. Nel lattante, dalla nascita fino a 6 mesi di vita, lo studio audiometrico comprende test elettrofisiologici e comportamentali. I test elettrofisiologici (inclusi i potenziali evocati uditivi del tronco dell’encefalo e il test delle otoemissioni acustiche) valutano in modo attendibile la funzione uditiva nei neonati entro 1-2 giorni di vita. Quando si sospetta una ipoacusia percettiva, i test comportamentali forniscono le informazioni necessarie per l’adattamento degli apparecchi acustici. Il tipo di tecniche audiometriche comportamentali adottate dipende dall’età del bambino. Nel bambino di età compresa fra 6 mesi e 2 anni vengono valutate le risposte di percezione ai toni e alle parole. Nell’audiometria della risposta di orientamento condizionata, a volte chiamata audiometria della risposta visiva, un giocattolo luminoso collegato a un altoparlante lampeggia dopo la presentazione del suono-test. Dopo essersi sottoposto a un breve periodo di condizionamento, il bambino localizza il suono, se udibile, prima del lampeggiare del giocattolo. Le soglie così registrate in questo modo sono chiamate livelli minimi di risposta, poiché le vere soglie possono essere leggermente più basse dei livelli richiesti per provocare queste risposte comportamentali. Nel bambino di ≥ 1 anno di età, la Soglia di Ricezione Vocale (SRV) può essere determinata facendo indicare al bambino parti del corpo o identificare oggetti comuni in risposta a parole di intensità controllata. Sebbene questa tecnica quantifichi il livello uditivo del bambino nei confronti del linguaggio vocale, essa non consente la diagnosi di ipoacusia di trasmissione a bassa frequenza o di ipoacusia di percezione ad alta frequenza, che non incidono sulle frequenze vocali. Quando si rileva una bassa SRV per via aerea, il confronto con la SRV per via ossea permette di distinguere se l’ipoacusia è percettiva o conduttiva. Nel bambino di età superiore ai 3 anni si esegue la ludoaudiometria, nell’ambito della quale il bambino viene condizionato a eseguire un esercizio (p. es., disporre un oggetto in una scatola) in risposta a un tono. La ludoaudiometria è generalmente usata fino all’età di 4-5 anni, quando il bambino è in grado di rispondere alzando la mano.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

La timpanometria e la misurazione del riflesso acustico possono essere utilizzati in bambini di tutte le età e sono utili per determinare una funzione anormale dell’orecchio medio. Un timpanogramma non regolare spesso indica una disfunzione della tromba di Eustachio e/o la presenza di liquido all’interno dell’orecchio medio che l’esame otoscopico non può visualizzare.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-4. CAUSE ESOGENE DI IPOACUSIA CONGENITA NEUROSENSORIALE Anossia durante il parto Rosolia congenita Malattia congenita delle inclusioni citomegaliche Toxoplasmosi congenita Sifilide congenita Infezione neonatale da Herpes Simplex Incompatibilità Rh Assunzione materna di farmaci ototossici

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-5. CAUSE ENDOGENE DI IPOACUSIE CONGENITE E A ESORDIO PRECOCE Tipo

Lateralità

Entità

Eziologia

Esordio

Malformazioni dell'orecchio interno osseo

Unilaterale e/ o bilaterale

Lievesevera

Genetica, teratogenica, associata a malformazioni del SNC

Principalmente congenita ma può essere progressiva e a insorgenza acuta

Morte cellulare precoce delle cellule sensoriali e nervose dell'orecchio interno

Unilaterale o bilaterale

Lievesevera

Genetica; dominante, recessiva, Xlinked, mitocondriale

Congenita e/o progressiva

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE DELL'ORECCHIO ACUFENI Percezione del suono in assenza di uno stimolo acustico. L'acufene, un'esperienza soggettiva del paziente, si distingue dall'acufene oggettivo (soffio), rumore che può essere udito dall'esaminatore e spesso anche dal paziente. L'acufene si può avvertire sotto forma di ronzio, tintinnio, scroscio, fischio o sibilo oppure può presentarsi come un suono più complesso che varia nel tempo. L'acufene può essere intermittente, continuo o pulsatile (sincrono con il battito cardiaco). Generalmente è presente anche una perdita uditiva. Il meccanismo che causa l'acufene rimane sconosciuto. Gli acufeni possono comparire come un sintomo che accompagna quasi tutte le malattie dell'orecchio: l'ostruzione del condotto uditivo esterno dovuta a cerume o a corpi estranei, a infezioni (otite esterna, miringite, otite media, labirintite, petrosite, sifilide e meningite), l'ostruzione della tuba di Eustachio, l'otosclerosi, le neoplasie dell'orecchio medio (p. es., i tumori del glomo timpanico e del glomo giugulare), la malattia di Ménière, l'aracnoidite, i tumori dell'angolo pontocerebellare, l'ototossicità (p. es., da salicilati, chinino e suoi analoghi sintetici, antibiotici aminoglicosidici, alcuni diuretici, monossido di carbonio, metalli pesanti e alcol), le malattie cardiovascolari (p. es., ipertensione e arteriosclerosi), l'anemia, l'ipotiroidismo, l'ipoacusia neurosensoriale ereditaria, l'ipoacusia indotta da rumori, i traumi acustici (danno da esplosione) e i traumi cranici. La valutazione di un paziente con acufene richiede oltre all'esecuzione dei test audiologici di base (v. sopra) una TC delle rocche petrose e una RMN del cranio. Il riscontro di un'ipoacusia neurosensoriale pone l'indicazione all'esecuzione di esami per differenziare le ipoacusie di origine cocleare da quelle retrococleare (v. sopra). Nel caso di un acufene pulsante occorre effettuare una valutazione del sistema vascolare con l'esecuzione di un'arteriografia carotidea e vertebrale per escludere la presenza di stenosi, aneurismi o neoplasie vascolari. Terapia La capacità di tollerare gli acufeni varia da paziente a paziente. Il trattamento deve essere diretto verso la malattia soggiacente, poiché un miglioramento di questa comporta un miglioramento dell'acufene. La correzione di un'ipoacusia concomitante determina in genere una diminuzione dell'acufene; l'uso di un apparecchio acustico spesso provoca la soppressione dell'acufene. Sebbene non esista una terapia medica o chirurgica specifica, molti pazienti trovano sollievo ascoltando un sottofondo musicale per mascherare l'acufene e possono addormentarsi con la radio accesa. Alcuni pazienti traggono beneficio dall'uso di un dispositivo simile a una protesi acustica il cui scopo è quello di mascherare l'acufene inviando un rumore più piacevole. La stimolazione elettrica dell'orecchio interno, come nell'impianto cocleare, occasionalmente riduce l'acufene, ma è un trattamento da riservare solo ai pazienti affetti da ipoacusia profonda.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE DELL'ORECCHIO VERTIGINE Erronea sensazione di movimento rotatorio associata a difficoltà a mantenere l'equilibrio, difficoltà di deambulazione e di spostamento dell'ambiente.

Sommario: Introduzione VALUTAZIONE CLINICA DELL'APPARATO VESTIBOLARE

Tale sensazione può essere soggettiva, il paziente avverte se stesso in movimento rispetto all'ambiente, oppure obiettiva, il paziente avverte l'ambiente in movimento rispetto a sé. Le cause della vertigine possono essere le lesioni o le affezioni dell'orecchio interno, del nervo acustico, dei nuclei vestibolari o delle loro vie nel tronco encefalico e nel cervelletto.

Valutazione clinica dell'apparato vestibolare La funzione vestibolare deve essere valutata qualora un paziente presenti vertigine, difficoltà al mantenimento dell'equilibrio oppure un'ipoacusia neurosensoriale a eziologia sconosciuta. La valutazione è incentrata su un'accurata anamnesi e specifici test che comprendono: esecuzione di movimenti rapidi alternanti, prova indice-naso e calcagno-ginocchio; test di Romberg; prova della marcia; ed elettronistagmografia con stimolazione calorica (v. Fig. 82-3). Nelle prove caloriche i risultati di ciascun orecchio si possono confrontare, quindi queste prove sono clinicamente più utili della stimolazione con accelerazione o decelerazione rotatoria, laterale e in torsione e in movimento pendolare. La stimolazione artificiale dell'apparato vestibolare provoca nistagmo, deviazione delle braccia protese in avanti a occhi chiusi, caduta e reazioni neurovegetative quali sudorazione, vomito, ipotensione e bradicardia. Il nistagmo, la risposta più significativa, può essere monitorizzato con osservazione o meglio con l'elettronistagmografia che registra le variazioni del potenziale corneoretinico. Il nistagmo vestibolare è un movimento ritmico degli occhi. È caratterizzato da una fase lenta e una fase rapida e può essere rotatorio, verticale od orizzontale. La direzione del nistagmo viene determinata da quella della fase rapida, in quanto questa è più facilmente osservabile. Tuttavia, la risposta più importante alla stimolazione vestibolare è la fase lenta; la fase rapida è compensatoria. La fase lenta si muove nella direzione del movimento dell'endolinfa; anche la deviazione delle braccia protese in avanti e la caduta avvengono in questa direzione. L'allucinazione di movimento dell'ambiente è nella direzione del flusso endolinfatico, mentre l'allucinazione di movimento del soggetto è nella direzione opposta. L'elettronistagmografia è in grado di rilevare il nistagmo spontaneo, quello evocato dallo sguardo e quello di posizione, che potrebbero non essere rilevabili

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

a occhio nudo. Tipicamente, esso registra le risposte a una serie di stimoli. È opportuno registrare elettronicamente il movimento oculare di inseguimento e la risposta alla stimolazione otticocinetica con tamburo rotante a strisce contemporaneamente all'effettuazione del test calorico. I vari componenti del sistema vestibolare possono essere esaminati cambiando la posizione del capo e del corpo o lo stimolo visivo. La stimolazione calorica si ottiene irrigando l'orecchio con acqua calda e fredda, la quale provoca correnti di convezione nell'endolinfa. Le correnti causano un movimento della cupola nell'ampolla del canale semicircolare orizzontale, il movimento ha una determinata direzione durante il raffreddamento e direzione opposta durante il riscaldamento. La prova calorica bitermica, un'accurata e riproducibile misura della sensibilità vestibolare, viene eseguita con il paziente supino, con il capo sollevato di 30°, posizione in cui il canale semicircolare orizzontale è in posizione verticale. Ciascun orecchio viene irrigato con 240 ml di acqua iniettati in 40 s, prima a 30°C (86°F) e poi a 44°C (111°F). Il nistagmo risultante viene monitorato tenendo il paziente con lo sguardo fisso in avanti. L'irrigazione di un orecchio con acqua fredda provoca nistagmo con fase rapida diretta verso il lato opposto, l'acqua calda provoca nistagmo con fase rapida diretta verso lo stesso lato. Un sistema per ricordare questo concetto è tenere a mente la parola inglese COWS (Cold to the Opposite and Warm to the Same). Possono essere misurate la durata e la frequenza del nistagmo e la velocità della fase lenta. Possono essere individuate la paresi del canale, una ipo o areflessia e una preponderanza direzionale, cioè una relativa esagerazione della risposta nistagmica in una direzione. Possono coesistere varie combinazioni di iporeflessia e di preponderanza direzionale. La presenza di iporeflessia, di preponderanza direzionale o della combinazione delle due indicano una lesione organica (a livello dell'organo terminale, dell'VIII nervo, del tronco encefalico o del cervelletto) ma non necessariamente indicano il lato della lesione. In alcuni casi, un importante elemento differenziale è fornito dalla prova calorica. I neurinomi dell'acustico provocano frequentemente iporeflessia o areflessia nel lato colpito dal tumore. I pazienti affetti da vertigini vanno studiati eseguendo anche una valutazione audiologica di base e una RMN del capo con contrasto al gadolinio per la ricerca di una lesione dell'VIII nervo cranico.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE DELL'ORECCHIO OTALGIA Il dolore auricolare (otalgia) si avverte in corso di infezioni e neoplasie dell'orecchio esterno o dell'orecchio medio (v. Tab. 82-2) oppure viene riferito all'orecchio anche se è dovuto a processi patologici distanti (v. Tab. 82-3). Anche una leggera infiammazione del condotto uditivo provoca un forte dolore, la pericondrite del padiglione auricolare provoca forte dolore e dolorabilità. L'ostruzione della tuba di Eustachio determina brusche variazioni della pressione nell'orecchio medio rispetto alla pressione atmosferica, che può comportare la retrazione dolorosa della membrana timpanica. Le infezioni dell'orecchio medio producono un'infiammazione dolorosa della sua mucosa e dolore determinato dall'incremento della pressione nell'orecchio medio con estroflessione della membrana timpanica. La causa più comune di otalgia nei bambini, l'otite media acuta, richiede un'immediata visita medica e un'adeguata terapia antibiotica per prevenire delle sequele gravi. In assenza di malattie dell'orecchio, l'origine dell'otalgia va ricercata nelle aree che ricevono fibre sensitive dai nervi cranici che provvedono alla sensibilità dell'orecchio esterno e dell'orecchio medio, cioè il V (trigemino), il IX (glossofaringeo) e il X (vago) nervo cranico. In particolare, la causa dell'otalgia va ricercata nel naso, nei seni paranasali, nel rinofaringe, nei denti, nelle gengive, nell'articolazione temporomandibolare, nella mandibola, nelle ghiandole parotidi, nella lingua, nelle tonsille palatine, nel faringe, nel laringe, nella trachea e nell'esofago. Neoplasie occulte in tali sedi (più spesso il carcinoma del rinofaringe) si manifestano qualche volta inizialmente con dolore all'orecchio. È comune la comparsa di otalgia dopo una tonsillectomia. La terapia implica l'identificazione della causa del dolore e l'impiego di una terapia appropriata (v. Cap. 83 e 84).

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO OSTRUZIONI Il cerume può ostruire il condotto e causare prurito, dolore e una temporanea ipoacusia di trasmissione. Esso può essere rimosso mediante lavaggio, ma la rimozione del cerume dal condotto uditivo con un uncino smusso o con un aspiratore auricolare è più rapida, generalmente meno indaginosa e più comoda per il paziente. Il lavaggio è controindicato in caso di anamnesi positiva per otorrea o perforazione della membrana timpanica. L'acqua entrando nell'orecchio medio attraverso un'eventuale perforazione della membrana timpanica può riacutizzare un'otite media cronica. I solventi del cerume non sono consigliati poiché non sciolgono il tappo e frequentemente causano macerazioni della cute del condotto e reazioni allergiche. I bambini introducono ogni tipo di oggetto nel condotto, soprattutto perle, chicchi di riso o fagioli. Un corpo estraneo nel condotto uditivo esterno viene rimosso più facilmente utilizzando un uncino con punta smussa. Le pinze tendono a spingere più in profondità nel condotto gli oggetti a superficie liscia. Un corpo estraneo localizzato medialmente all'istmo del condotto uditivo esterno, difficilmente può essere rimosso senza danneggiare la membrana timpanica e la catena degli ossicini. Le perle metalliche e di vetro possono in alcuni casi essere rimosse con il lavaggio, mentre un corpo estraneo igroscopico (p. es., un fagiolo) si rigonfia con l'aggiunta di acqua complicando ulteriormente la sua rimozione. L'anestesia generale va riservata al caso di bambini non collaboranti o quando un problema meccanico potrebbe rendere difficile la rimozione e causare un danno alla membrana timpanica o alla catena degli ossicini. La penetrazione di insetti nel condotto uditivo esterno è più fastidiosa se questi sono vivi. Il riempimento del condotto con olio minerale uccide l'insetto dando un immediato sollievo e facilita la sua rimozione con le pinze.

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO OTITE ESTERNA Infezione del condotto uditivo esterno.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Terapia

L'otite esterna può essere localizzata (foruncolo) o diffusa interessando l'intero condotto (otite esterna diffusa o generalizzata). Essa è più comune durante la stagione estiva balneare perciò spesso viene usato il termine di orecchio del nuotatore.

Eziologia L'otite esterna generalizzata può essere causata da batteri gram - quali Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa o Proteus vulgaris, dallo Staphylococcus aureus oppure, raramente, dai funghi. I foruncoli sono generalmente dovuti a S. aureus. Alcune persone (p. es., quelle con allergie, psoriasi, eczema o dermatite seborroica) sono particolarmente predisposte a otiti esterne. I fattori predisponenti sono: introduzione di acqua o varie sostanze irritanti nel condotto uditivo (p. es., spray o tinture per capelli) e traumi provocati durante la pulizia del condotto. Il condotto uditivo si ripulisce autonomamente attraverso un movimento migratorio verso l'esterno dell'epitelio desquamato, simile a un nastro trasportatore, che va dalla membrana timpanica all'esterno. I tentativi del paziente di pulire il condotto con il cotton fioc impediscono i naturali meccanismi di pulizia, favorendo l'accumulo di detriti spingendoli in direzione opposta al movimento di desquamazione dell'epitelio. Detriti e cerume tendono a trattenere l'acqua penetrata nel condotto; la risultante macerazione della cute favorisce l'invasione dai batteri patogeni.

Sintomi e segni I pazienti con otite esterna diffusa avvertono prurito, dolore e presentano una secrezione fetida associata a ipoacusia se il condotto è gonfio o pieno di detriti purulenti. L'otite esterna si differenzia dall'otite media per la dolorabilità alla trazione del padiglione e alla pressione sul trago. La cute del condotto uditivo esterno è arrossata, tumefatta e ricoperta da detriti purulenti. I foruncoli causano forte dolore e, quando si drenano spontaneamente, si ha una breve otorrea purulenta mista a sangue.

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Orecchio esterno

Terapia L'orecchio del nuotatore può essere spesso prevenuto irrigando le orecchie con una mistura al 1:1 di alcol rubefacente o acido acetico immediatamente dopo il bagno. L'alcol aiuta a rimuovere l'acqua mentre l'acido acetico altera il pH del condotto. Raramente è necessaria una terapia antibiotica sistemica, a meno che non si verifichi una cellulite diffusa o altri segni di infezione che si propagano oltre la cute del condotto. Nell'otite esterna diffusa, sono efficaci antibiotici e corticosteroidi per uso topico. Dapprima devono essere delicatamente rimossi dal condotto uditivo i detriti infetti mediante aspirazione o stuello. Una soluzione contenente neomicina solfato (0,5%) e polimixina B solfato 10000 U/ml è efficace contro i comuni batteri gram -. L'aggiunta di un corticosteroide topico, quale l'idrocortisone all'1%, riduce l'edema e permette all'antibiotico di penetrare in profondità nel condotto; vengono instillate 5 gocce tid per 7 gg. L'otite esterna risponde anche all'alterazione del pH del condotto uditivo esterno mediante applicazione locale di acido acetico 2%, 5 gocce tid per 7 gg; l'aggiunta di idrocortisone all'1% riduce l'edema e aumenta l'efficacia dell'acido acetico. Un analgesico, quale la codeina 30 mg PO q 4 h, è generalmente necessario durante le prime 24-48 h. Se è presente una cellulite che si estende oltre il condotto, è indicato l'uso di penicillina V 500 mg PO q 6 h per 7 gg. Se il paziente è allergico alla penicillina, può essere impiegata l'eritromicina alle stesse dosi. I foruncoli devono essere lasciati drenare spontaneamente, poiché l'incisione può causare una pericondrite diffusa del padiglione. Sono impiegati anche gli antibiotici antistafilococcici orali. Gli antibiotici per uso topico sono inefficaci. Gli analgesici quali la codeina 30 mg PO q 4 h sono necessari per alleviare il dolore. Anche il calore secco è utile nell'alleviare il dolore e accelera la risoluzione.

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO PERICONDRITE Infezione del pericondrio del padiglione.

Sommario: Introduzione Terapia

Lesioni traumatiche, punture di insetti e incisione di infezioni superficiali del padiglione possono dare inizio a una pericondrite, nel quale il pus si accumula fra la cartilagine e il pericondrio. L'apporto sanguigno alla cartilagine è fornito dal pericondrio, quindi se il pericondrio è separato da entrambi i lati dalla cartilagine, la necrosi avascolare che ne risulta provoca una deformazione del padiglione. Anche la necrosi settica gioca un ruolo importante. La pericondrite tende a essere torpida, duratura e destruente. Essa è in genere causata da un batterio gram -.

Terapia Si usa eseguire un'incisione ampia con drenaggio in aspirazione per facilitare l'apporto di sangue alla cartilagine. È indicata una terapia antibiotica sistemica che deve essere guidata dalle colture e dagli antibiogrammi; spesso è necessaria la terapia EV con un antibiotico aminoglicosidico e una penicillina sintetica.

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO DERMATITE ECZEMATOSA DELL'ORECCHIO ESTERNO Infiammazione della cute del padiglione o del condotto.

Sommario: Introduzione Terapia

L'eczema, caratterizzato da prurito, arrossamento, secrezione, desquamazione e spesso fissurazione, che provoca infezione secondaria, interessa frequentemente il padiglione e il condotto uditivo esterno. Le recidive sono frequenti.

Terapia Si applica al bisogno una soluzione diluita di acetato di alluminio (soluzione di Burow). Prurito e infiammazione possono essere diminuiti con corticosteroidi topici. Raramente è necessario ricorrere a una terapia antibiotica topica, come precedentemente descritto per le otiti esterne diffuse. Un'infezione sottostante dell'orecchio medio, se presente, deve essere controllata con la medicazione e l'uso di antibiotici appropriati per via topica e sistemica.

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO OTITE ESTERNA MALIGNA Osteomielite dell'osso temporale da Pseudomonas.

Sommario: Introduzione Terapia

L'otite esterna maligna si osserva soprattutto nei pazienti diabetici anziani, iniziando come un'otite esterna da Pseudomonas aeruginosa, ma si riscontra anche in pazienti affetti da AIDS. È caratterizzata da intensa e persistente otalgia, otorrea purulenta nauseabonda e comparsa di tessuto di granulazione nel condotto uditivo esterno. Possono risultare gradi diversi di ipoacusia di trasmissione. Spesso, nei casi gravi si verifica la paralisi del nervo facciale. Una TC dell'osso temporale potrebbe evidenziare un aumento della radioopacità del sistema delle cellule aeree e della radiotrasparenza dell'orecchio medio (demineralizzazione) in alcune zone. La biopsia del condotto uditivo esterno è necessaria per differenziare il tessuto di granulazione, tipico per questa condizione, da una neoplasia maligna. L'osteomielite si diffonde verso la base del cranio e potrebbe oltrepassare la linea mediana.

Terapia La terapia chirurgica di solito non è né necessaria né indispensabile. Un buon controllo del diabete e una terapia prolungata EV (6 sett.) con un fluorochinolone o con un'associazione di un aminoglicoside con una penicillina semisintetica porta alla completa risoluzione della maggior parte dei casi. Una terapia più prolungata è necessaria per un interessamento osseo esteso.

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO TRAUMI Ematoma: un ematoma sub-pericondrale può derivare da un trauma violento del padiglione. Quando si forma una raccolta ematica fra il pericondrio e la cartilagine, l'orecchio esterno diventa una massa deforme di colorito rosso porpora. Poiché il pericondrio fornisce il sangue alla cartilagine si può verificare necrosi avascolare di quest'ultima. L'"orecchio a cavolfiore" caratteristico dei lottatori e dei pugili è la conseguenza di un ematoma organizzato e calcificato. La terapia consiste nell'asportazione del coagulo mediante un'incisione e riavvicinando la cute e il pericondrio alla cartilagine mediante drenaggio in aspirazione per tenere la cartilagine stretta al pericondrio che le assicura l'apporto di sangue. Lacerazioni: in caso di lacerazioni del padiglione che penetrano nella cartilagine e nella cute di entrambi i lati è necessario suturare i margini cutanei, sorreggere la cartilagine esternamente con cotone impregnato di benzoino e applicare un bendaggio protettivo. Le suture non devono estendersi alla cartilagine. Si somministra la penicillina orale V 250 mg qid, in particolare se ci sono segni di contaminazione. Fratture: un colpo violento alla mandibola può essere trasmesso alla parete anteriore del condotto uditivo esterno (parete posteriore della fossa glenoidea). I frammenti lussati della frattura della parete anteriore del condotto possono causare stenosi di quest'ultimo e vanno ridotti o asportati in anestesia generale.

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Orecchio esterno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 83. ORECCHIO ESTERNO TUMORI Cisti sebacee, osteomi e cheloidi possono formarsi e occludere il condotto uditivo esterno, provocando ritenzione di cerume e una ipoacusia trasmissiva. L'escissione è il trattamento di scelta. I ceruminomi si originano nel terzo esterno del condotto uditivo. Sebbene appaiano benigni all'esame istologico, si comportano come forme maligne; è quindi necessaria un'exeresi ampia. Frequentemente, nel padiglione, in seguito a ripetute esposizioni al sole, si sviluppano carcinomi a cellule basali e carcinomi epidermoidali. Le lesioni iniziali possono essere trattate con successo mediante cauterizzazione e curettage o con radioterapia. Lesioni in stadio più avanzato che colpiscono la cartilagine richiedono un'exeresi chirurgica cuneiforme oppure più ampia dell'orecchio esterno. L'invasione della cartilagine rende meno efficace la radioterapia e la terapia chirurgica l'intervento di scelta. Anche i carcinomi basocellulari e epidermoidali possono insorgere nel condotto uditivo esterno o invaderlo secondariamente. La persistente infiammazione nell'otite media cronica può predisporre all'insorgere del carcinoma a cellule squamose. In questo caso è indicata un'estesa resezione seguita da radioterapia. La resezione in blocco del condotto uditivo esterno, con preservazione del nervo facciale, è indicata qualora le lesioni siano limitate al condotto uditivo esterno e non abbiano invaso l'orecchio medio.

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO Un paziente affetto da una malattia dell'orecchio medio può accusare uno o più dei seguenti disturbi: un senso di pienezza o di pressione nell'orecchio; dolore costante o intermittente, lieve o lancinante; otorrea; ipoacusia; acufene e vertigine. Nell'otite media acuta, sono comuni anche sintomi sistemici (p. es., febbre). I sintomi possono iniziare con una sensazione di pienezza e poi progredire in maniera diversa. I lattanti e i bambini in particolare, possono essere febbrili e presentare altre manifestazioni sistemiche rilevanti (p. es., anoressia, vomito, diarrea e letargia.). I sintomi possono essere provocati da infezioni, traumi e alterazioni dei valori di pressione secondari a ostruzione della tromba di Eustachio. Per determinare la causa il medico deve chiedere informazioni su altri sintomi associati comparsi precedentemente (p. es., rinorrea, ostruzione nasale, mal di gola, IRS, manifestazioni allergiche, mal di testa e sintomi sistemici). L'aspetto del condotto uditivo esterno e della membrana timpanica (v. Fig. 84-1) spesso suggeriscono la diagnosi. Il naso, il rinofaringe e l'orofaringe devono essere esaminati per rilevare eventuali segni di infezione e allergia e per rilevare una patologia sottostante (p. es., una massa nel rinofaringe). La funzionalità dell'orecchio medio deve essere valutata con l'otoscopia pneumatica, con i test di Weber e Rinne, con la timpanometria e con gli altri esami audiologici (v. Cap. 82).

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO TRAUMI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

La membrana timpanica può essere perforata e penetrata da oggetti introdotti nel condotto uditivo esterno volontariamente (p. es., cotton fioc) o entrati in esso accidentalmente (p. es., ramoscelli, matite e scorie metalliche roventi). Un improvviso aumento della pressione (come nel caso di un'esplosione, di uno schiaffo o nel caso di un incidente di nuoto o di tuffo) o un'improvvisa pressione negativa (come nel caso di una forte suzione applicata al condotto uditivo esterno) possono perforare la membrana timpanica. La penetrazione di oggetti attraverso la membrana timpanica può causare una lussazione della catena degli ossicini, la frattura della platina della staffa, spostamenti di frammenti degli ossicini, la formazione di una fistola perilinfatica dalla finestra ovale o da quella rotonda o una lesione del nervo facciale.

Sintomi e segni La perforazione traumatica della membrana timpanica da trauma provoca un improvviso dolore acuto seguito da otorragia. Possono esserci ipoacusia e acufene. L'ipoacusia è più grave se la catena degli ossicini si interrompe o se si danneggia l'orecchio interno. La vertigine suggerisce una lesione dell'orecchio interno. L'otorrea purulenta può iniziare dopo 24-48 h, in particolare se penetra dell'acqua nell'orecchio medio.

Terapia Molte perforazioni possono essere monitorate senza che si renda necessaria una terapia medica. Qualora sia presente l'infezione o si ritiene probabile che lo sia, la penicillina V orale 250 mg q 6 h deve essere somministrata per 7 giorni. Per esaminare l'orecchio occorre una tecnica asettica. Se possibile, in anestesia locale e controllo microscopico, i lembi lussati della membrana timpanica possono essere riportati in sede per facilitare la guarigione. L'orecchio va tenuto asciutto. In caso di infezione, può essere impiegata una medicazione topica con acido acetico al 2% (5 gocce tid), tale farmaco comunque non va mai utilizzato a scopo profilattico. È abituale la chiusura spontanea della perforazione, ma qualora non si verifichi entro 2 mesi è indicata una miringoplastica. Qualora persista una ipoacusia trasmissiva, il che suggerisce una discontinuità della catena ossiculare, l'orecchio medio deve essere sottoposto a esplorazione chirurgica e ricostruito. Una ipoacusia neurosensoriale o una vertigine che persiste per alcune ore o più dopo un trauma, può essere causata da una commozione dell'orecchio interno, ma può anche indicare la penetrazione di un

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Membrana timpanica e orecchio medio

corpo estraneo nell'orecchio interno e richiede una timpanotomia esplorativa per valutare e riparare il danno il più precocemente possibile.

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO OTITE MEDIA BAROTRAUMATICA (Aerotite media) Lesione dell'orecchio medio dovuta a variazioni della pressione atmosferica. Durante un improvviso aumento della pressione atmosferica, come nel caso di un'immersione subacquea o durante le fasi di atterraggio di un aeroplano (v. Cap. 283 e 285), l'aria deve passare nell'orecchio medio attraverso il rinofaringe e la tromba di Eustachio per mantenere la stessa pressione in entrambi i lati della membrana timpanica. Se l'apertura della tuba di Eustachio non si verifica, come nel caso di IRS o di una rinofaringite allergica, la pressione nell'orecchio medio sarà minore della pressione atmosferica provocando una retrazione della membrana timpanica. La trasudazione dai vasi della lamina propria della mucosa dell'orecchio medio, determina la formazione di un versamento nell'orecchio medio stesso. Se il gradiente di pressione aumenta, si possono formare, nella mucosa dell'orecchio medio e nella membrana timpanica, un'ecchimosi e ematomi subepiteliali. Gradienti pressori molto ampi possono provocare emorragie nell'orecchio medio e rotture della membrana timpanica. Può anche verificarsi la formazione di una fistola perilinfatica attraverso la finestra ovale o quella rotonda. Una differenza pressoria generalmente provoca forte dolore e ipoacusia di trasmissione. Un'ipoacusia neurosensoriale o la comparsa di vertigini durante un atterraggio, suggeriscono la possibilità di una fistola perilinfatica; gli stessi sintomi durante la fase di risalita da un'immersione subacquea suggeriscono la formazione di bolle nell'orecchio interno. Agli individui con infezioni acute delle vie aeree superiori o con reazioni allergiche delle prime vie respiratorie in corso si deve consigliare di evitare voli in aereo o immersioni subacquee. Tuttavia, se queste attività vengono intraprese è bene applicare a scopo profilattico per via topica un vasocostrittore nasale, quale la fenilefrina da 0,25% a 1,0%, da 30 a 60 min prima della discesa.

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO MIRINGITE INFETTIVA (Miringite bollosa) Processo infiammatorio a carico della membrana timpanica, secondario a infezioni batteriche o virali.

Sommario: Introduzione Terapia

Flitteni emorragiche compaiono sulla membrana timpanica durante le infezioni virali o durante le infezioni batteriche acute (in particolare da Streptococcus [Diplococcus] pneumoniae) oppure otiti medie da micoplasmi. Il dolore compare improvvisamente e persiste per 24-48 h. L'ipoacusia e la febbre indicano un'otite media acuta.

Terapia Poiché è difficile distinguere una forma di otite virale da una batterica o micoplasmica, la terapia consiste nella somministrazione di antibiotici come nel caso dell'otite media acuta. Può ottenersi sollievo del dolore con la rottura delle bolle mediante miringotomia oppure somministrando antidolorifici, come la codeina da 30 a 60 mg PO q 4 h, al bisogno.

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO OTITE MEDIA ACUTA Infezione batterica o virale a carico dell'orecchio medio, generalmente secondaria a IRS.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni e complicanze Diagnosi e terapia

Sebbene l'otite media acuta può verificarsi a qualunque età, è più frequente nei bambini piccoli, in particolare di età tra i 3 mesi e i 3 anni. I microrganismi possono migrare dal rinofaringe all'orecchio medio attraverso la mucosa della tuba di Eustachio o propagandosi attraverso la lamina propria, sotto forma di fenomeni cellulitici e tromboflebitici diffusi. L'esposizione a fumo passivo è considerata un fattore di rischio.

Eziologia Nei neonati, i bacilli enterici gram -, in particolare Escherichia coli e Staphylococcus aureus sono causa di otite media suppurata. Dopo il periodo neonatale, l'E. coli raramente causa otite media acuta. Nei lattanti più grandi e nei bambini di età inferiore ai 14 anni, i microrganismi responsabili di tali infezioni sono: Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Streptococchi bemolitici del gruppo A, Moraxella (Branhamella) catarrhalis e S. aureus. Le otiti virali sono in genere complicate dalla sovrapposizione secondaria di uno di questi batteri. Nei soggetti con meno di 14 anni, i microrganismi in causa sono lo S. pneumoniae, gli streptococchi b-emolitici del gruppo A e lo S. aureus. H. influenzae è meno comune. La frequenza relativa dei microrganismi identificati quali responsabili dell'otite media acuta varia a seconda del tipo di batterio che in quel momento è soggetto a diffusione epidemica nella comunità. La frequenza dell'otite media causata dallo S. pneumoniae che presenta resistenza a più farmaci è aumentata in molte comunità. La Klebsiella pneumoniae e Bacteroides causano raramente otite media acuta.

Sintomi, segni e complicanze Il primo disturbo generalmente è una persistente e forte otalgia. Può essere presente ipoacusia. Nei bambini si possono osservare febbre (fino a 40,5°C [105° F]), nausea, vomito e diarrea. La membrana timpanica si presenta iperemica ed estroflessa; i reperi timpanici diventano indistinguibili. Il triangolo luminoso diviene frammentato o scompare del tutto. La perforazione spontanea della membrana timpanica può essere accompagnata da otorrea, inizialmente ematica, quindi siero-ematica e infine purulenta. file:///F|/sito/merck/sez07/0840726b.html (1 of 3)02/09/2004 2.04.40

Membrana timpanica e orecchio medio

Le complicanze gravi comprendono: mastoidite acuta, petrosite, labirintite, paralisi del facciale, ipoacusia trasmissiva e neurosensoriale, ascesso epidurale, meningite (la complicanza intracranica più comune), ascesso encefalico, trombosi del seno laterale, empiema sottodurale e idrocefalo otitico. I sintomi che precedono la comparsa di un'imminente complicanza sono: la cefalea, l'ipoacusia improvvisa e grave, vertigini, brividi e febbre.

Diagnosi e terapia La diagnosi generalmente viene posta sulla base dei rilievi clinici. L'essudato ottenuto in seguito a miringotomia e quello di un'otorrea spontanea devono essere sottoposti a esame batteriologico. Anche le colture delle secrezioni rinofaringee possono essere utili, ma non sempre danno indicazioni sul vero agente responsabile. La terapia antibiotica è generalmente indicata per alleviare i sintomi, affrettare la risoluzione dell'infezione e ridurre tanto il rischio di complicanze infettive labirintiche e intracraniche quanto il danno della funzione uditiva dell'orecchio medio. La penicillina V 250 mg PO q 6 h per 12 gg è il farmaco di scelta in pazienti di età > 14 anni. L'amoxicillina, 35-70 mg/kg/die PO in tre dosi uguali q 8 h per 7-12 gg, è preferibile per i pazienti < 14 anni a causa della frequenza delle infezioni da H. influenzae. Il trattamento deve continuare per 12-14 gg, per assicurare la risoluzione e prevenire le sequele. La terapia successiva dipende dai risultati delle colture, dalla sensibilità alla terapia e dal decorso clinico. In caso di allergia alla penicillina si può somministrare eritromicina 250 mg PO q 6 h per bambini più grandi e gli adulti; in caso di bambini < 14 anni si possono somministrare associazioni di eritromicina 30-50 mg/kg/die PO e sulfisossazolo 150 mg/kg/ die PO entrambi in dosi uguali refratte q 6 h per 12-14 gg. I sulfamidici sono controindicati in bambini < 2 mesi di età. In alternativa si può utilizzare l'associazione di trimetoprim e sulfametossazolo (TMP/SMX): nei lattanti > 2 mesi e nei bambini: 8 mg/kg/die di TMP e 40 mg/kg/die di SMX frazionate in 2 dosi q 12 h per 10 gg e negli adulti di 160 mg di TMP e 800 mg di SMX q 12 h per 12 gg. Nei bambini un'alternativa è la somministrazione di una singola dose IM di ceftriaxone (massimo 50 mg/kg). Nei casi resistenti, può essere utilizzata una cefalosporina per 12 gg, quale il cefaclor (nei bambini 40 mg/kg/die somministrate q 8 h, negli adulti 250 mg q 8 h), cefuroxime (bambini < 2 anni: 125 mg q 12 h; nei bambini tra i 2 e i 12 anni: 250 mg q 12 h; negli adulti, 500 mg q 12 h), amoxicillina-clavulanato (nei bambini, 40 mg/kg/die divisi in tre dosi), claritromicina (nei bambini, 15 mg/kg/die frazionati in due dosi) o cefixime (nei bambini: 8 mg/kg/die di solito frazionati in 2 dosi; negli adulti 200 mg q 12 h). Per migliorare la funzionalità della tuba di Eustachio, vasocostrittori per uso topico, come la fenilefrina 0,25% 3 gocce q 3 h, possono essere instillati in ciascuna cavità nasale con il paziente supino e con il collo esteso. Tale terapia non deve durare più di 3-4 gg. Possono essere utili anche amine simpaticomimetiche sistemiche, quali efedrina solfato, pseudoefedrina o fenilpropanolamina 30 mg PO (negli adulti) q 4-6 h per 7-10 gg, ma in genere non si raccomandano per i bambini. Qualora l'allergia fosse considerata un fattore importante, gli antiistaminici, quali la clorfeniramina 4 mg (negli adulti) PO q 4-6 h per 7-10 gg, possono migliorare la funzionalità della tuba di Eustachio, ma non sono indicati nei soggetti non allergici. Una miringotomia deve essere considerata se la membrana timpanica è rigonfia oppure se dolore, febbre, vomito e diarrea sono gravi e persistenti. L'udito del paziente, la timpanometria, l'aspetto e il movimento della membrana timpanica devono essere controllati fino alla completa risoluzione.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO OTITE MEDIA SECRETIVA (Otite media sierosa) Versamento nell'orecchio medio che compare di norma in seguito a un'otite media acuta non completamente risolta o all'ostruzione della tuba di Eustachio.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

L'otite media secretiva è comune nei bambini. Il versamento può essere sterile, ma generalmente contiene batteri patogeni. L'ostruzione della tuba di Eustachio può essere dovuta a processi infiammatori del rinofaringe, a manifestazioni allergiche, a ipertrofia delle adenoidi oppure a tumori benigni o maligni. L'orecchio medio normalmente è ventilato 3-4 volte/min, poiché la tuba di Eustachio si apre durante la deglutizione e l'O2 viene assorbito dal sangue dei vasi della mucosa dell'orecchio medio. Se si riduce l'apertura della tuba di Eustachio, all'interno dell'orecchio medio si sviluppa una pressione relativa negativa.

Sintomi e segni Inizialmente, la membrana timpanica si retrae lievemente, con alterazioni del triangolo luminoso e accentuazione dei punti di repere. In seguito, nell'orecchio medio si forma un trasudato a partenza dai vasi sanguigni della mucosa, riconoscibile per il colore ambra o grigio che assume la membrana timpanica e per l'immobilità della stessa. Attraverso la membrana timpanica è possibile osservare un livello idroaereo o bolle d'aria. È presente un'ipoacusia trasmissiva. Mediante la timpanometria si può dimostrare la massima compliance dell'orecchio medio applicando pressioni negative nel condotto uditivo esterno.

Terapia Considerato il ruolo dei batteri patogeni nel versamento endotimpanico, una terapia antibiotica come nell'otite media acuta (v. sopra), ha in genere effetti favorevoli ed è il primo passo nella terapia. La terapia antibiotica riduce l'ostruzione della tuba di Eustachio dovuta all'infezione batterica e sterilizza l'orecchio medio. Le amine simpaticomimetiche sistemiche quali l'efedrina solfato, la pseudoefedrina o la fenilpropanolamina, 30 mg PO tid (negli adulti), possono file:///F|/sito/merck/sez07/0840727.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.41

Membrana timpanica e orecchio medio

favorire l'apertura della tuba di Eustachio, grazie al loro effetto vasocostrittore. Gli antiistaminici, quali la loratadina 10 mg/die (negli adulti e nei bambini ≥ 12 anni) PO, possono ridurre l'ostruzione della tuba di Eustachio negli individui allergici. Una miringotomia può essere necessaria per aspirare il liquido trasudato e inserire un tubo per timpanostomia che permetta la ventilazione dell'orecchio medio e migliori temporaneamente l'ostruzione della tuba di Eustachio, indipendentemente dalla causa che l'ha determinata. In qualche caso l'orecchio medio può essere temporaneamente ventilato mediante la manovra di Valsalva o la metodica di Politzer. È necessaria la correzione di ogni condizione predisponente nel rinofaringe. Nei bambini possono essere necessarie l'adenoidectomia, la rimozione di aggregati linfoidi dall'ostio rinofaringeo della tuba di Eustachio e dalla fossa di Rosenmüller, così come la rimozione della massa di tessuto adenoideo centrale, per evitare le otiti medie secretive ricorrenti persistenti. Devono essere somministrati antibiotici per curare le riniti, le sinusiti e le rinofaringiti batteriche. In alcuni casi è utile una ricerca immunologica. Ogni allergene evidenziato va allontanato dall'ambiente del paziente oppure si deve tentare un'immunoterapia specifica.

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Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO MASTOIDITE ACUTA Infezione batterica del processo mastoideo che determina la coalescenza delle cellule mastoidee.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Nell'otite media acuta purulenta, l'infezione si estende all'antro e alle cellule mastoidee, ma la sua progressione e la distruzione della porzione ossea del processo mastoideo possono essere interrotte con un'appropriata terapia antibiotica. I batteri responsabili sono gli stessi che causano l'otite media acuta (v. sopra). La mastoidite streptococcica è caratteristicamente preceduta dalla perforazione della membrana timpanica e da otorrea abbondante. La mastoidite pneumococcica è probabilmente meno sintomatica ma ugualmente destruente; l'avanzata coalescenza delle cellule mastoidee può precedere la perforazione della membrana timpanica.

Sintomi e segni La mastoidite acuta diventa clinicamente evidente da pochi giorni a ≥ 2 sett. dopo l'insorgenza di un'iniziale otite media acuta non trattata, al momento in cui si verifica la distruzione della corticale del processo mastoideo. Dopo la distruzione della corticale laterale si può formare un ascesso sottoperiosteo retroauricolare. Sul processo mastoideo compaiono iperemia, tumefazione, dolorabilità e fluttuazione; il padiglione è spostato lateralmente e inferiormente. Generalmente si verifica la riacutizzazione del dolore auricolare, della febbre e dell'otorrea. Il dolore tende a essere lancinante e persistente; è comune una secrezione abbondante e cremosa. Nell'otite media acuta, le cellule mastoidee sono ripiene di liquido e le scansioni TC possono mostrare una densità simile ai tessuti molli, dovuta alla presenza di pus, all'edema della mucosa e al tessuto di granulazione nelle cellule stesse. Nella mastoidite coalescente, i gruppi di cellule diventano indistinguibili. Possono non essere più visibili i singoli setti poiché le cellule sono riempite da liquido e tessuto reattivo.

Terapia L'antibiotico iniziale somministrato deve fornire una copertura per i comuni agenti patogeni ed essere resistente alle b-lattamasi. Il passaggio dell'antibiotico nel SNC è auspicabile qualora si prospetti il rischio di una complicanza. Si preleva un campione di essudato per la coltura e l'antibiogramma. La terapia EV successiva file:///F|/sito/merck/sez07/0840728a.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.41

Membrana timpanica e orecchio medio

dipende dalle colture, dalla sensibilità e dal decorso clinico. La terapia antibiotica va continuata per almeno 2 sett. Un ascesso sottoperiosteo richiede l'apertura e lo svuotamento delle cellule mastoidee (mastoidectomia).

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Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO OTITE MEDIA CRONICA Perforazione permanente della membrana timpanica con o senza alterazioni permanenti dell'orecchio medio.

Sommario: Introduzione Terapia

L'otite media cronica può derivare da un'otite media acuta, dall'ostruzione della tuba di Eustachio, da un trauma meccanico, da ustioni termiche o chimiche o da lesioni da esplosioni. Essa può essere suddivisa in due grandi categorie, a seconda del tipo di perforazione: (1) quelle causate dalle perforazioni centrali della pars tensa e (2) quelle causate dalle più pericolose perforazioni atticali della pars flaccida o dalle perforazioni marginali della pars tensa. Nelle perforazioni centrali, rimane qualche frammento della membrana timpanica fra il margine della perforazione e l'anulus timpanico (v. Fig. 84-2). Queste perforazioni hanno come conseguenza una perdita uditiva di tipo trasmissivo. Esacerbazioni dell'otite media cronica possono verificarsi in seguito a una IRS o all'entrata di acqua nell'orecchio medio durante il bagno o il nuoto. Esse sono spesso causate da bacilli gram - o dallo Staphylococcus aureus e si manifestano, in assenza di dolore, con otorrea purulenta, che può essere di odore fetido. Esacerbazioni persistenti possono dare origine a polipi auricolari (tessuto di granulazione che si esteriorizza dall'orecchio medio attraverso la perforazione nel condotto) e modificazioni distruttive dell'orecchio medio quale la necrosi del processo lungo dell'incudine. I polipi auricolari sono un segno grave, quasi invariabilmente associati a colesteatoma, un tumore benigno. Le perforazioni atticali della pars flaccida espongono l'epitimpano (v. Fig. 84-2). Le perforazioni marginali generalmente si verificano nella porzione posterosuperiore della pars tensa e in questo caso non vi è residuo timpanico tra i margini della perforazione e il solco osseo timpanico (v. Fig. 84-2). Le perforazioni marginali originano da un'otite media acuta necrotizzante, che distrugge vaste aree della membrana timpanica, compreso l'anulus timpanico e la mucosa dell'orecchio medio. Queste perforazioni, così come avviene nelle perforazioni centrali, possono causare un'ipoacusia trasmissiva ed esacerbazione dell'otorrea. Complicanze quali labirintite, paralisi del nervo facciale e ascesso intracranico sono più frequenti in questi tipi di perforazioni rispetto a quelle centrali. Le perforazioni atticali e marginali sono frequentemente associate a colesteatomi. Durante la guarigione dell'otite media acuta necrotizzante, l'epitelio mucoso residuo e l'epitelio cheratinizzato stratificato del condotto uditivo esterno migrano per coprire le aree scoperte. Una volta che l'epitelio cheratinizzato stratificato si stabilisce nell'orecchio medio, comincia a desquamarsi e ad accumularsi strato su strato con la conseguente formazione di un colesteatoma. I colesteatomi possono anche derivare da iperplasia dello strato basale dell'epitelio cheratinizzato stratificato della pars flaccida, dalla progressiva retrazione della pars flaccida o della pars tensa e dalla metaplasia

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Membrana timpanica e orecchio medio

squamosa dell'orecchio medio dovuta a un'infezione di vecchia data. L'epitelio desquamato si accumula in strati concentrici sempre più larghi e le collagenasi dell'epitelio erodono l'osso adiacente. I colesteatomi possono essere riconosciuti all'esame otoscopico per i detriti bianchi presenti nell'orecchio medio e per la distruzione della parte ossea del condotto adiacente alla perforazione. Una distruzione dell'osso dovuta a un colesteatoma non sospetto può essere dimostrata con la TC. I colesteatomi sono abitualmente associati a poliposi auricolare. Un colesteatoma, specialmente con una perforazione atticale, aumenta notevolmente la probabilità di una grave complicanza (p. es., labirintite purulenta, paralisi del nervo facciale e ascessi intracranici).

Terapia Nelle esacerbazioni di entrambi i tipi di otite media cronica, il condotto uditivo e l'orecchio medio devono essere completamente puliti con aspirazione e con batuffoli asciutti di cotone; quindi si deve instillare nell'orecchio una soluzione di acido acetico 2% con idrocortisone 1%, 5-10 gocce tid per 7-10 gg. Esacerbazioni gravi richiedono terapia sistemica con antibiotici a largo spettro quale l'amoxicillina 250-500 mg PO q 8 h per 10 gg. Il trattamento successivo dipende dalla coltura e dalla sensibilità dei microrganismi isolati e dalla risposta clinica del paziente Le lesioni dell'orecchio medio possono essere generalmente riparate. Un intervento di timpanoplastica ripristina le due maggiori funzioni della membrana timpanica: la protezione dal suono della finestra rotonda e il trasferimento della pressione sonora attraverso la catena ossiculare alla finestra ovale e l'orecchio interno. Se la catena degli ossicini è interrotta anche questa può essere corretta durante la timpanoplastica. I pazienti che presentano perforazioni marginali o dell'attico e colesteatomi devono essere sottoposti all'asportazione chirurgica del colesteatoma. In presenza di colesteatoma la conservazione e la ricostruzione della funzione dell'orecchio medio sono meno probabili.

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Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO Otosclerosi Malattia dell'osso della capsula otica e una causa comune di ipoacusia progressiva di tipo trasmissivo in un adulto con una membrana timpanica normale. Istologicamente i focolai di otosclerosi sono irregolarmente distribuiti, cosparsi di tessuto osseo immaturo neoformato e con numerosi canali vascolari. Questi focolai si allargano e causano anchilosi della platina della staffa con conseguente perdita uditiva di tipo trasmissivo. L'otosclerosi può anche produrre un'ipoacusia sensoriale, particolarmente quando i focolai di otosclerosi sono adiacenti alla scala media. L'otosclerosi tende a essere ereditaria (verosimilmente autosomica dominante). Circa il 10% degli adulti bianchi presenta focolai di otosclerosi, ma soltanto il 10% circa delle persone colpite sviluppa una ipoacusia di trasmissione. L'otosclerosi diviene clinicamente evidente in tarda gioventù o nei primi anni dell'età adulta con perdita uditiva lentamente progressiva, asimmetrica. La fissazione della staffa può progredire rapidamente durante la gravidanza. Il trattamento comprende un tentativo con una protesi acustica o tecniche microchirurgiche. Le seconde consistono nell'asportazione della staffa o di una sua porzione e nella sua sostituzione con una protesi; nella maggior parte dei casi, l'ipoacusia viene corretta.

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Membrana timpanica e orecchio medio

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO NEOPLASIE Raramente, il carcinoma a cellule squamose origina dall'orecchio medio. La persistente otorrea dell'otite media cronica può essere un fattore predisponente. Sono necessarie la terapia radiante e la resezione dell'osso temporale. I paragangliomi non cromaffini (chemodectomi), si originano nell'osso timpanico dai corpi glomici nel bulbo della giugulare (tumori del glomo giugulare) o dalla parete mediale dell'orecchio medio (tumori del glomo timpanico). Questi tumori provocano la formazione di una massa rossa pulsante nell'orecchio medio. Il primo sintomo è spesso l'acufene sincrono con il polso. Si verifica ipoacusia, seguita da vertigine. L'exeresi è il trattamento di scelta. Per tumori troppo grandi per essere asportati, si procede alla palliazione con radioterapia.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO (V. anche Ipoacusia e Vertigine nel Cap. 82 e Deficit uditivi nei bambini nel Cap. 260) L'orecchio interno è costituito dalla porzione uditiva (coclea e nervo acustico) e dalla porzione vestibolare (canali semicircolari, sacculo, utricolo, nervi vestibolari superiori e inferiori).

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO MALATTIA DI MÉNIÈRE Malattia caratterizzata da ricorrenti e intense vertigini, da ipoacusia neurosensoriale fluttuante, da acufeni, sensazione di pienezza auricolare associati a dilatazione generalizzata del labirinto membranoso (idrope endolinfatica).

Sommario: Terapia

La causa della malattia di Ménière è sconosciuta e la fisiopatologia non è ben chiara. Gli attacchi di vertigine compaiono improvvisamente, durano da poche ore fino a 24 h e scompaiono gradualmente. Gli attacchi sono associati a nausea e vomito. Il paziente può avere spesso una sensazione di pienezza o di pressione nell'orecchio affetto. Nell'orecchio affetto l'udito tende a fluttuare ma peggiora progressivamente con gli anni. L'acufene può essere costante o intermittente e può essere più intenso prima, dopo o durante un attacco di vertigine. Anche se generalmente la malattia di Ménière colpisce un solo orecchio, nel 10-15% dei pazienti può essere bilaterale. Nella sindrome di Lermoyez (una variante della malattia di Ménière) l'ipoacusia e l'acufene precedono di mesi o di anni il primo attacco di vertigine e l'udito può migliorare con la prima crisi vertiginosa.

Terapia Il trattamento è empirico. Nei pazienti resi invalidi per i frequenti attacchi vertiginosi, vengono effettuati differenti interventi chirurgici. La neurectomia vestibolare migliora le vertigini e generalmente preserva l'udito. Una labirintectomia può essere eseguita quando la vertigine sia sufficientemente grave e l'udito gravemente scaduto. Un sollievo sintomatico della vertigine può essere ottenuto con farmaci anticolinergici (p. es., scopolamina orale e atropina tra i prodotti da banco, scopolamina transdermica, glicopirrolato 1 o 2 mg PO bid o tid, proclorperazina 25 mg per via rettale q 12 h o 10 mg PO tid o qid) per minimizzare i sintomi GI vago-mediati; gli antiistaminici (p. es., diphenhydramina, meclizina o cyclizina 50 mg PO o IM q 6 h) per sedare il sistema vestibolare; oppure barbiturici (p. es., pentobarbital 100 mg PO o IM q 8 h) per assicurare una sedazione generale. Il diazepam 2-5 mg PO q 6-8 h è particolarmente efficace nell'alleviare lo stress causato dalle intense vertigini, sedando il sistema vestibolare. La gentamicina intratimpanica (labirintectomia chimica) con una serie di applicazioni si riserva a pazienti selezionati. La dose tipica è > 1 ml (concentrazione 30 mg/ml, ottenuta diluendo la preparazione disponibile in commercio di 40 mg/ml) introdotta nell'orecchio medio mediante una miringotomia.

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Orecchio interno

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO NEURONITE VESTIBOLARE Malattia benigna caratterizzata da comparsa improvvisa di gravi vertigini, persistenti all'inizio e parossistiche in seguito.

Sommario: Terapia

La malattia è causata da una neuronite che interessa la branca vestibolare dell'VIII nervo e che può essere di origine virale a causa della sua frequente comparsa in forma epidemica, in particolare negli adolescenti e nei giovani adulti. Il primo attacco di vertigine è grave, associato a nausea e vomito e dura per 710 gg. Vi è nistagmo persistente dal lato del nervo affetto. Tale condizione è autolimitante. Essa può verificarsi come episodio unico o sotto forma di diversi attacchi per un periodo di 12-18 mesi, in cui essi diventano progressivamente meno gravi e più brevi. Non si associano ipoacusia o acufene. La valutazione diagnostica deve comprendere una valutazione audiologica, un'elettronistagmografia con prova calorica e una RMN del capo con gadolinio, ponendo particolare attenzione al condotto uditivo interno per escludere altre possibilità diagnostiche come un tumore dell'angolo pontocerebellare e emorragie o infarti del tronco encefalico.

Terapia L'attacco acuto di vertigine può essere soppresso sintomatologicamente come nella malattia di Ménière (v. sopra). In presenza di vomito prolungato possono essere necessari la reintegrazione e il mantenimento dei liquidi e degli elettroliti EV.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO VERTIGINE POSIZIONALE PAROSSISTICA BENIGNA (Vertigine posizionale o posturale benigna) Violenta vertigine della durata < 30 s indotta da alcune posizioni del capo.

Sommario: Eziologia e sintomi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia e sintomi Sono state osservate masse granulari basofile nella cupola del canale semicircolare posteriore. I depositi nella cupola (cupulolitiasi) possono essere costituiti da carbonato di Ca proveniente dagli otoliti che sono cristalli di carbonato di calcio normalmente immersi nel sacculo e nell'utricolo, parti differenti dell'orecchio interno. I fattori eziologici responsabili sembrano essere degenerazioni spontanee delle membrane otolitiche utricolari, traumi labirintici, otiti medie, interventi chirurgici sull'orecchio e occlusione dell'arteria vestibolare anteriore. La vertigine posizionale parossistica benigna si verifica quando il paziente giace su un orecchio o sull'altro o quando estende la testa all'indietro per guardare in alto. È presente anche nistagmo, ma non vi sono associati ipoacusia o acufeni. La vertigine posizionale parossistica benigna generalmente recede in diverse settimane o mesi, ma può anche ripresentarsi dopo mesi o anni.

Diagnosi Può essere eseguito un test provocativo del nistagmo posizionale. Il paziente inizialmente si siede su un lettino da visita; quindi assume la posizione supina su un fianco, rapidamente si mette in posizione supina con la testa pendente da un'estremità del lettino. Dopo un periodo di latenza di diversi secondi, compare un'intensa vertigine che generalmente dura 15-20 s ed è accompagnata da nistagmo orizzontale-rotatorio. Se l'orecchio colpito è quello Sx, il nistagmo avrà senso orario quando la testa si gira verso Sx; se l'orecchio colpito è il Dx, il nistagmo sarà antiorario. Quando il paziente torna in ortostatismo, la risposta si ripresenta, ma il nistagmo è rotatorio nella direzione opposta ed è più lieve. A causa del fenomeno dell'abitudine, se il test viene ripetuto nell'immediato, la risposta si riduce Il nistagmo posizionale si può anche verificare nelle lesioni degli organi terminali o del SNC. La latenza della risposta, il fenomeno dell'abitudine, la forte sensazione soggettiva, la durata limitata e la direzione del nistagmo rotatorio distinguono la vertigine posizionale parossistica benigna da una lesione del SNC. file:///F|/sito/merck/sez07/0850732a.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.46

Orecchio interno

Nelle lesioni del SNC il nistagmo posizionale non ha un periodo di latenza, non tende a ridursi, non provoca la forte sensazione soggettiva e può continuare fino a che la posizione viene mantenuta. Il nistagmo dovuto a lesione del SNC può essere verticale o variare di direzione e, se rotatorio, probabilmente risulta invertito (cioè non nella direzione prevista). La valutazione diagnostica comprende una valutazione audiologica, l'elettronistagmografia con prova calorica e la RMN del capo con gadolinio, con attenzione particolare per i condotti uditivi interni, per escludere altre condizioni patologiche quali il neurinoma dell'acustico.

Terapia Il paziente viene istruito in modo da evitare le posizioni che provocano la vertigine. Se la vertigine parossistica posizionale benigna dura da un anno, può in genere essere trattata mediante sezione del nervo del canale semicircolare posteriore dell'orecchio affetto attraverso una timpanotomia. In alcuni casi tale procedura può provocare una perdita uditiva.

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Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO HERPES ZOSTER OTICUS (Sindrome di Ramsay-Hunt, neuronite virale e ganglionite, herpes genicolato) Invasione dei gangli del nervo acustico e del ganglio genicolato del nervo facciale da parte del virus herpes zoster, con conseguente intensa otalgia, ipoacusia, vertigine e paralisi del nervo facciale.

Sommario: Introduzione Terapia

Si possono osservare vescicole sul padiglione e nel condotto uditivo esterno lungo il territorio di distribuzione della branca sensitiva del nervo facciale. Spesso sono coinvolti altri nervi cranici ed è comune un certo grado di infiammazione meningea. Possono essere presenti linfociti nel LCR, con frequente aumento del contenuto proteico di quest'ultimo. In molti pazienti può essere riscontrata una lieve encefalite generalizzata. Può esserci una perdita uditiva permanente oppure un recupero parziale o completo. La vertigine dura da qualche giorno a diverse settimane. La paralisi facciale può essere transitoria o permanente.

Terapia Sebbene non ci sia una dimostrazione attendibile che i corticosteroidi, i farmaci antivirali o la decompressione cambino la prognosi, essi sono gli unici trattamenti possibili. La terapia con corticosteroidi è il trattamento di scelta e deve essere iniziata prontamente: p. es., prednisone 40 mg/ die PO per 2 gg, quindi 30 mg/die PO per 7-10 gg, seguito da una progressiva diminuzione della dose. L'acyclovir 1 g/die PO in 5 dosi frazionate per 10 gg può contribuire ad abbreviare il decorso clinico. Il dolore può essere alleviato con codeina 30-60 mg PO q 3-4 h al bisogno; la vertigine scompare con diazepam 2-5 mg PO q 4-6 h. La decompressione del canale di Falloppio, indicata quando l'eccitabilità del nervo diminuisce oppure quando l'elettroneurografia dimostra una riduzione del 90%, occasionalmente migliora la paralisi facciale.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO LABIRINTITE PURULENTA Invasione dell'orecchio interno da parte dei batteri.

Sommario: Introduzione Terapia

La labirintite purulenta (suppurativa) può far seguito a un'otite media acuta o a una meningite purulenta. Nell'otite media acuta i microrganismi possono penetrare nell'orecchio interno attraverso le finestre ovale e rotonda; nella meningite purulenta, possono propagarsi attraverso l'acquedotto della coclea. Una labirintite purulenta è spesso seguita da una meningite potendo i microrganismi propagarsi allo spazio subaracnoideo attraverso l'acquedotto cocleare. La labirintite purulenta è caratterizzata da intensa vertigine e nistagmo. Essa comporta sempre la perdita totale dell'udito e, nell'otite media cronica e nel colesteatoma, è spesso seguita da paralisi del facciale.

Terapia La terapia con antibiotici EV appropriati per la meningite è generalmente sufficiente. Raramente è necessaria la labirintectomia o la mastoidectomia radicale per drenare l'orecchio interno.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO PRESBIACUSIA Ipoacusia neurosensoriale che si verifica in età avanzata e che può essere influenzata da fattori genetici o acquisiti. (V. anche Ipoacusia nel Cap. 82.) La presbiacusia insorge dopo i 20 anni ma è generalmente significativa solo dopo i 65. Gli uomini sono colpiti più frequentemente e più gravemente delle donne. L'irrigidimento della membrana basilare e il deterioramento delle cellule ciliate della stria vascolare, delle cellule gangliari e dei nuclei cocleari, possono avere un ruolo importante nella patogenesi; la presbiacusia sembra inoltre essere causata in parte dall'esposizione a rumori. Esso all'inizio interessa le frequenze più alte (18-20 kHz) e gradualmente si estende alle frequenze inferiori; generalmente comincia a interessare le frequenze da 4 a 8 kHz tra i 55 e i 65 anni, anche se può esserci una notevole variabilità. Alcuni soggetti, infatti, sono gravemente deficitari all'età di 60 anni, mentre altri all'età di 90 anni sono ancora essenzialmente sani. L'ipoacusia per le alte frequenze rende particolarmente difficoltosa la discriminazione delle parole. Così, molte delle persone affette da questo tipo di ipoacusia, presentano difficoltà di comprensione durante la conversazione, specialmente in presenza di rumori di sottofondo e si lamentano che i propri interlocutori bisbiglino. L'apprendimento della lettura labiale, la rieducazione uditiva volta a ottenere il massimo uso di ausili non uditivi e l'amplificazione con una protesi acustica sono tutti elementi utili.

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Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO OTOTOSSICITÀ INDOTTA DA FARMACI Sommario: Introduzione Precauzioni

Gli antibiotici aminoglicosidici, i salicilati, il chinino e i suoi sostituti sintetici e i diuretici, quali l'acido etacrinico e la furosemide, possono essere ototossici. Sebbene questi farmaci possano colpire sia la porzione uditiva che quella vestibolare dell'orecchio interno, essi sono particolarmente tossici per l'organo del Corti (cocleotossici). Quasi tutti i farmaci ototossici vengono eliminati attraverso i reni, per cui l'insufficienza renale predispone al raggiungimento dei livelli tossici. I farmaci ototossici non devono essere prescritti nelle medicazioni topiche dell'orecchio in caso di perforazione della membrana timpanica, poiché gli agenti ototossici possono essere assorbiti nei liquidi dell'orecchio interno, attraverso la membrana timpanica secondaria della finestra rotonda. La streptomicina colpisce la porzione vestibolare dell'orecchio interno più facilmente della porzione uditiva. Sebbene vertigini e difficoltà a mantenere l'equilibrio tendono a essere temporanee e nel tempo compensate totalmente, può persistere una grave perdita della sensibilità vestibolare, a volte permanente, che può causare difficoltà nel camminare, soprattutto al buio e la sindrome di Dandy (movimento dell'ambiente ad ogni passo). In circa il 4-15% dei pazienti trattati con 1 g/die per > 1 sett., si verifica una notevole perdita dell'udito che generalmente compare dopo un breve periodo di latenza (7-10 gg) e gradualmente peggiora se si continua il trattamento. Può verificarsi sordità completa e permanente (anacusia o cofosi). La neomicina è l'antibiotico con il maggior effetto cocleotossico. Con forti dosi somministrate PO o mediante irrigazione del colon per la sterilizzazione intestinale, una buona parte del farmaco può essere assorbita e può ledere l'udito, in particolare se sono presenti ulcere GI o altre lesioni della mucosa. La neomicina non deve essere usata per l'irrigazione di ferite o per l'irrigazione intrapleurica o intraperitoneale, poiché grandi quantità di essa possono essere trattenute e assorbite con conseguente sordità. La kanamicina e l'amikacina sono simili alla neomicina per quanto riguarda gli effetti cocleotossici. La viomicina presenta una tossicità sia cocleare che vestibolare. La vancomicina causa ipoacusia, specialmente in presenza di insufficienza renale. La gentamicina e la tobramicina presentano tossicità vestibolare e cocleare. L'acido etacrinico EV ha causato una profonda e permanente ipoacusia in pazienti affetti da grave insufficienza renale a cui erano stati contemporaneamente somministrati antibiotici aminoglicosidi. Similmente, la somministrazione EV di furosemide ha causato un'ipoacusia temporanea o permanente in pazienti con insufficienza renale o che avevano ricevuto contemporaneamente antibiotici aminoglicosidi. A dosi molto elevate, i salicilati provocano ipoacusia e acufeni che sono generalmente reversibili. Il chinino e i suoi sostituiti sintetici possono provocare

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Orecchio interno

una perdita uditiva permanente.

Precauzioni Gli antibiotici ototossici devono essere evitati in gravidanza. Le persone anziane e i soggetti con ipoacusia preesistente non vanno trattate con farmaci ototossici se sono disponibili altri farmaci efficaci. Se possibile, prima che venga iniziato il trattamento con un farmaco ototossico (in particolare un antibiotico ototossico), deve essere valutato l'udito per documentare un'eventuale ipoacusia preesistente. L'udito va controllato con l'audiometria per tutto il tempo del trattamento. Generalmente sono coinvolte prima le frequenze più alte e possono manifestarsi acufeni acuti o vertigini; sebbene non rappresentino attendibili segnali di preallarme. Se la funzione renale è alterata, le dosi dei farmaci ototossici eliminati per via renale devono essere aggiustate in modo che i livelli ematici non superino quelli terapeuticamente necessari. I livelli sierici del farmaco (tanto quelli di picco che quelli minimi) devono essere controllati per assicurare che adeguati livelli terapeutici vengano raggiunti, ma non superati. Infatti, nonostante vi sia una certa variabilità soggettiva nella sensibilità al farmaco, l'udito viene generalmente conservato se non si supera il livello ematico consigliato.

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Orecchio interno

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO FRATTURE DELL'OSSO TEMPORALE Sommario: Introduzione Terapia

L'ecchimosi della cute della regione retroauricolare (segno di Battle) suggerisce una frattura dell'osso temporale. La comparsa di otorragia, in seguito a trauma cranico, è fortemente suggestiva per una tale frattura. L'emorragia può essere mediale rispetto a una membrana timpanica integra, oppure può originarsi dall'orecchio medio attraverso una membrana timpanica lacerata oppure da una linea di frattura nel condotto uditivo esterno. Un emotimpano rende la membrana timpanica di colore blu-nero. L'otoliquorrea indica una comunicazione tra orecchio medio e spazio subaracnoideo. Le fratture longitudinali, parallele alla rocca petrosa nell'80% dei casi, si estendono attraverso l'orecchio medio e provocano la rottura della membrana timpanica; tali fratture causano paralisi del facciale nel 15% dei casi e un'ipoacusia neurosensoriale profonda nel 35% dei casi. Il danno all'orecchio medio può comprendere anche la dislocazione della catena degli ossicini. Le fratture trasverse (20% dei casi) attraversano il canale di Falloppio e la coclea e quasi sempre provocano paralisi del facciale e perdita uditiva permanente. Quest'ultimo può essere valutato inizialmente con i test di Weber e Rinne e in seguito con l'audiometria (v. Valutazione clinica dell'udito nel Cap. 82). La frattura generalmente può essere evidenziata con una TC cranio ponendo particolare attenzione all'osso temporale.

Terapia Nel tentativo di prevenire la meningite deve essere somministrata la penicillina G 1,6 milioni di U EV q 6 h per 7-10 gg. Comunque, questa terapia aumenta il rischio che i microrganismi diventino resistenti. Una paralisi persistente del facciale richiede la decompressione del nervo. La timpanoplastica e la riparazione della catena degli ossicini vengono eseguite dopo alcune sett. o mesi. La timpanotomia esplorativa volta all'individuazione di una fistola perilinfatica può essere indicata nei pazienti che presentino ipoacusia fluttuante o altri segni clinici che suggeriscano la presenza di una fistola.

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Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 85. ORECCHIO INTERNO NEURINOMA DELL'ACUSTICO (Schwannomi dell'acustico, neuromi dell'acustico, tumori dell'VIII nervo)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I neurinomi dell'acustico derivano dalle cellule di Schwann (v. anche Neurofibromatosi nel Cap. 183). Si originano 2 volte più spesso dalla porzione vestibolare che dalla porzione uditiva del nervo acustico e rappresentano circa il 7% dei tumori intracranici. Aumentando di volume, il tumore si estende dal meato uditivo interno, nell'angolo pontocerebellare, comprimendo il cervelletto e il midollo allungato. Viene coinvolto anche il V nervo cranico e più tardi il VII.

Sintomi, segni e diagnosi Ipoacusia e acufeni sono i primi sintomi. Sebbene il paziente soffra di capogiri e perdita dell'equilibrio, in genere non è presente una vera vertigine. L'ipoacusia neurosensoriale (v. Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare nel Cap. 82) è caratterizzata da una riduzione della discriminazione della parola maggiore rispetto a quella che si verifica in caso di lesione cocleare. Il fenomeno del "recruitment" è assente e il tone decay test è marcatamente positivo. Il Reflex Decay Test positivo e la presenza della sola onda V con latenza notevolmente allungata all'ABR, sono un'ulteriore prova di una lesione neurale. In genere, la prova termica evidenzia una marcata ipo o areflettività vestibolare (paresi del canale). La diagnosi precoce si basa sui risultati ottenuti con gli esami audiologici, soprattutto i potenziali evocati uditivi del tronco encefalico e la RMN con gadolinio

Terapia Piccoli tumori possono essere rimossi con tecniche microchirurgiche che permettono la conservazione del nervo facciale utilizzando la via della fossa cranica media se si vuol preservare l'udito residuo oppure la via translabirintica se l'udito residuo è già nullo. I tumori di grandi dimensioni vengono rimossi utilizzando una via d'accesso combinata occipitale e translabirintica. In alternativa, si può ricorrere alla radioterapia o alla radiochirurgia gamma knife.

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Orecchio interno

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO NEUROPATIE PERIFERICHE NEUROFIBROMATOSI Alterazioni autosomiche dominanti definite di tipo I (neurofibromatosi periferica, malattia di von Recklinghausen) e il più raro tipo II (neurofibromatosi centrale), caratterizzata da neurinomi bilaterali dell’acustico.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il tipo 1 è situato sul cromosoma 17 e il tipo 2 sul cromosoma 22. Nel tipo 1, le proprietà onco-soppressive della neurofibromina possono essere compromesse o perdute.

Sintomi, segni e diagnosi Circa un terzo dei pazienti affetti da neurofibromatosi di tipo 1 è asintomatico e viene scoperto durante esami di routine; 1/3 dei pazienti si presenta con problemi di natura estetica e 1/3, con problemi neurologici. Le caratteristiche lesioni cutanee consistono in macule color marrone (caffè e latte) distribuite di solito sul tronco, sulla pelvi e nelle pieghe dei gomiti e delle ginocchia; sono manifeste alla nascita o nella prima infanzia in > 90% di tutti i pazienti. I noduli cutanei multipli, color carne, di dimensioni e forma differenti, compaiono nella tarda infanzia e possono essere da pochi a migliaia. Raramente, i noduli sottocutanei e la crescita eccessiva delle cellule di Schwann in formazioni irregolari e ispessite (neuromi plessiformi) e di tessuto osseo possono produrre deformità grottesche. Le anomalie scheletriche comprendono la displasia fibrosa, cisti ossee sub-periostali, alterazioni dei profili vertebrali, scoliosi, pseudoartrosi e aplasia della grande ala dello sfenoide (parete orbitale posteriore), con conseguente esoftalmo pulsante. I neurofibromi (tumori formati dalle cellule di Schwann e dei fibroblasti dei nervi), che raramente compaiono prima della pubertà, possono essere palpati nel sottocutaneo lungo il decorso dei nervi periferici; i neurofibromi possono interessare le radici dei nervi spinali crescendo in modo caratteristico attraverso un forame intervertebrale e producendo masse intra- ed extraspinali (tumori "a clessidra"); la componente intraspinale può comprimere il midollo. I neuromi plessiformi possono interessare i nervi periferici causando deficit distali alla lesione. I tumori dei nervi cranici comprendono i gliomi dell’ottico, i quali possono causare cecità progressiva e i neurinomi dell’acustico (schwannoma vestibolare), che possono causare vertigini, atassia, sordità e tinnito. La patologia è in genere progressiva. Nel tipo 2 si sviluppano i neuromi acustici bilaterali, che diventano sintomatici quando il paziente è all’incirca ventenne. I membri familiari possono essere affetti file:///F|/sito/merck/sez14/1831606b.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.50

Malattie del sistema nervoso periferico

da gliomi o meningiomi e alcuni presentano cataratte giovanili. I tipi 1 e 2 possono essere diagnosticati sulla base dei criteri della Tab. 183-3.

Terapia I neurofibromi che causano sintomi gravi sono rimossi chirurgicamente o irradiati. La terapia chirurgica può produrre deficit del nervo interessato. Non esiste terapia generale. È consigliabile inoltre la consulenza di un genetista.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 183-3. DIAGNOSI DI NEUROFIBROMATOSI Tipo 1

Criteri Devono essere presenti due o più dei seguenti segni: ³6 macchie caffelatte, con diametro massimo>5mm nei soggetti prepuberi e >15mm in quelli in età postpuberale ³2 neurofibromi di qualsiaisi tipo oppure 1 neurofibroma plessiforme Efelidi nella regione ascellare o inguinale Glioma ottico ³2 noduli di Lisch (amartomi iris) Una distinta lesione ossea (p.es., displasia dello sfenoide o assottigliamento della corticale di ossa lunghe), con o senza pseudoartrosi Un genitore, consaguineo o figlio con neurofibromatosi tipo 1

2

Deve essere presente uno dei seguenti segni: Masse bilaterali a carico dell'8° nervo evidenziate alla TAC o all'RMN Un parente, un consanguineo o un bambino con neurofibromatosi tipo 2 e una massa unilaterale a carico dell'8° o uno qualsiasi dei seguenti reperti: neurofibroma, meningioma, glioma, schwannoma o opacità subcapsulare posteriore giovanile

Modificata da Martuza RL, Eldredge R: "Neurofibromatosi 2", riproduzione autorizzata di The New England Jour nal of Medicine 318: 684-688, 1988.

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Naso e seni paranasali

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 86. NASO E SENI PARANASALI (V. anche Corpi Estranei nel Cap. 272) Il naso, compreso il setto nasale che divide la cavità nasale in due fosse, è costituito di osso e cartilagine. I seni paranasali, mascellare, frontale, etmoidale e sfenoidale si aprono nella cavità nasale.

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Disturbi di naso e gola

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 272. DISTURBI DI NASO E GOLA (V. anche §7; i problemi del setto nasale sono trattati nel Cap. 86, le tonsilliti nel Cap. 87 e le stomatiti e altri problemi orali nel Cap. 105.)

CORPI ESTRANEI I corpi estranei nasali sono comuni nei bambini piccoli e determinano la comparsa di secrezioni maleodoranti, ematiche e unilaterali. I sali minerali si depositano su un corpo estraneo ritenuto da tempo, formando un rinolita. I corpi estranei nasali possono talora essere rimossi in ambulatorio utilizzando un rinoscopio e le pinze nasali di Hartmann, ma spesso è necessaria l’anestesia generale. I rinoliti si asportano con difficoltà perché la loro forma tende ad adattarsi al contorno del passaggio nasale.

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Malattie dei denti e del cavo orale

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE

103. Odontoiatria in medicina 104. Esame obiettivo del cavo orale 105. Malattie del cavo orale Infiammazione della mucosa orale Infezioni da Herpes virus Stomatite aftosa ricorrente Eritema orale multiforme Neoplasie Carcinoma a cellule squamose Neoplasie delle ghiandole salivari Neoplasie dei mascellari 106. Denti e parodonto Carie Pulpite Malocclusione Alterazioni gengivali Gengivite Gengivite ulcero-necrotica acuta Stomatite da protesi Parodontite 107. Emergenze dentarie Mal di denti/infezione Complicanze a seguito di estrazione Denti fratturati e avulsi Fratture dei mascellari e delle strutture contigue file:///F|/sito/merck/sez09/index.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.52

Malattie dei denti e del cavo orale

Lussazione della mandibola 108. Disfunzioni temporomandibolari Spostamento interno del menisco Sindrome del dolore miofasciale Agenesia della mandibola Ipoplasia condilare Iperplasia condilare Anchilosi Artrite

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Odontoiatria in medicina

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE 103. ODONTOIATRIA IN MEDICINA Sommario: Introduzione Terapia odontoiatrica in pazienti affetti da malattie sistemiche Reperti orali nelle malattie sistemiche Modificazioni del cavo orale nell'anziano

Un dentista deve consultare un medico quando sospetta una malattia sistemica, quando deve valutare se una persona può essere sottoposta ad anestesia generale o a grossi interventi chirurgici del cavo orale, oppure quando deve fronteggiare un’emergenza in uno studio dentistico. Un medico deve consultare un dentista quando un bambino presenta una crescita anomala che si manifesta con una facies caratteristica, un ritardo dell’eruzione dentaria, oppure evidenti malformazioni o disallineamento dei denti, ma anche quando un paziente presenta una labioschisi o una palatoschisi, una frattura dei mascellari, una neoplasia del cavo orale oppure una tumefazione del collo di recente scoperta. Uno specialista esperto in protesi maxillofacciali può aiutare a migliorare o compensare alterazioni congenite o acquisite del viso o del cavo orale. Altre situazioni che richiedono un consulto con un dentista comprendono il dolore facciale a eziologia ignota, il rigonfiamento inspiegato o la cellulite del collo, che può aver origine da un dente infetto e l’infezione dello spazio parafaringeo, che può aver origine da un ascesso di un dente posteriore dell’arcata inferiore. Nella febbre di origine sconosciuta (Fever of Undetermined Origin, FUO) o in un’infezione sistemica a eziologia non ovvia, si deve prendere in considerazione un focus di batteriemia a partenza dalla cavità orale. Un consulto medico-dentistico può essere necessario per identificare cause ignote di dolore al viso, alla testa e al collo, p. es., malocclusione, protesi dentarie poco stabili, disfunzioni temporomandibolari (dette anche dell’articolazione temporomandibolare), arterite a cellule giganti (temporale), masticazione unilaterale, spasmo dei muscoli masticatori (v. Sindrome del dolore miofasciale nel Cap. 108), presenza di cavità non diagnosticate nei mascellari e nevralgia del trigemino. Il dolore riferito all’orecchio può trarre origine da un lembo gengivale infiammato intorno a un terzo molare mandibolare parzialmente erotto o dalla parte posteriore della lingua nella nevralgia del glossofaringeo. Viceversa, il dolore alla percussione di vari denti mascellari può originare da malattie del naso o dei seni paranasali adiacenti agli apici radicolari. Il torpore o le parestesie del viso possono essere dovute a una neoplasia dei seni paranasali o del nasofaringe, a un accidente vascolare, a metastasi al troncoencefalo o a sclerosi multipla. Tuttavia, la parestesia colpisce più comunemente il labbro inferiore, di solito quando l’avulsione di un molare mandibolare determina un danno al nervo alveolare inferiore. Raramente, essa è indice di una neoplasia del cavo orale. Un’alterazione del cavo orale o dei denti, così come le malattie sistemiche, possono determinare una perdita di peso involontaria. Per esempio, una persona può non essere in grado di masticare bene il cibo a causa del numero esiguo, della perdita o del dolore dei denti, di protesi dentarie poco stabili, di stomatite (v. Cap. 105), di una disfunzione temporomandibolare(v. Cap. 108) o dell’affaticamento dei muscoli masticatori. Quest’ultimo può essere causato, nelle persone giovani, da una malattia muscolare o neuromuscolare congenita o da una cattiva circolazione nella muscolatura masticatoria (claudicatio della mascella) o, nelle persone anziane, da protesi dentarie che presentano file:///F|/sito/merck/sez09/1030804.html (1 of 7)02/09/2004 2.04.54

Odontoiatria in medicina

un’occlusione non corretta.

Terapia odontoiatrica in pazienti affetti da malattie sistemiche Tutti dovrebbero effettuare una corretta igiene orale come misura preventiva della carie e della gengivite e sottoporsi a ricostruzione dei denti, in caso di carie. Le infezioni possono manifestarsi dopo cure odontoiatriche, quali avulsioni dentarie, in particolare di denti interessati da un ascesso o dalla malattia parodontale. La batteriemia può insorgere anche successivamente alla preparazione delle superfici dentarie per una corona protesica. I batteri causano la carie, che può determinare la morte della polpa dentaria e la formazione di un ascesso. Se un dente interessato da un ascesso non viene estratto (per permettere il drenaggio), l’infezione si diffonde (v. Pulpite nel Cap. 106) e può causare la morte. Ai pazienti più soggetti alle infezioni a causa delle loro condizioni di salute, deve essere somministrata una terapia antibiotica mirata prima di un trattamento parodontale, compresa la profilassi sistematica e l’ablazione del tartaro (rimozione del calcolo dentario), prima della chirurgia orale e della terapia del canale radicolare. Farmaci: diversi farmaci, come i corticosteroidi, i farmaci immunosoppressori e antineoplastici, inibiscono la normale infiammazione necessaria per la guarigione. Quindi, in seguito a cure odontoiatriche, possono verificarsi emorragia, ritardo della guarigione, infezione locale e anche setticemia. Se è possibile, tali cure devono essere effettuate prima della somministrazione di questi farmaci, tenendo conto del tempo necessario per la guarigione. Malattie ematologiche: nelle persone con alterazioni della coagulazione, si dovrà procedere a ricostruire i denti cariati per evitare successive estrazioni. La preparazione della cavità prima dell’otturazione di un dente è quasi sempre una tecnica che non comporta perdita di sangue, ma un sanguinamento minimo da una qualsiasi lacerazione gengivale viene ben controllato con la sola pressione. Tuttavia, negli emofiliaci e nelle persone affette da malattie correlate, il fattore VIII o qualsiasi altro fattore mancante deve essere somministrato prima, durante e dopo un’avulsione per evitare un sanguinamento postestrattivo massivo. È preferibile effettuare questa chirurgia orale in ambito ospedaliero in consulenza con un ematologo. Le persone con alterazioni congenite della coagulazione devono essere frequentemente controllate da un dentista, nel corso di tutta la vita, e ricorrere a misure preventive, quali fluoro per via topica e sigillanti plastici, per evitare le estrazioni. Nei pazienti affetti da forme acute di leucemia, trombocitopenia o epatite è necessario rinviare le avulsioni fino al miglioramento e alla stabilizzazione della malattia. In pazienti affetti da policitemia vera o macroglobulinemia, alterazioni delle piastrine, gravi malattie epatiche con diminuzione dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti o con aumento dell’attività fibrinolitica, si può verificare un sanguinamento spontaneo dalla gengiva o un’emorragia prolungata dopo un’estrazione o dopo cure parodontali. I pazienti che assumono aspirina devono interrompere il farmaco 1 settimana prima di questo tipo di intervento odontoiatrico e non devono assumere di nuovo il farmaco fino alla completa guarigione. Il dosaggio di un farmaco anticoagulante può dover essere ridotto prima dell’estrazione di un dente. Nei pazienti affetti da leucemia o da agranulocitosi, si può verificare un’infezione dopo l’avulsione, nonostante la terapia antibiotica. Nelle persone in emodialisi, le cure odontoiatriche devono essere effettuate, se possibile, il giorno dopo la dialisi quando è scomparso l’effetto della somministrazione dell’eparina. L’uso di farmaci che possono essere nefrotossici deve essere ridotto al minimo. Malattie cardiovascolari: se possibile, dopo un infarto del miocardio è necessario rinviare ogni trattamento odontoiatrico per 3 mesi. I pazienti affetti da malattie polmonari o cardiache che necessitino di cure odontoiatriche in anestesia inalatoria devono essere trattati in ambiente ospedaliero. I pazienti con

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un prolasso mitralico, una malattia cardiaca reumatica o congenita oppure con una protesi valvolare cardiaca sono maggiormente predisposti alle endocarditi batteriche, come anche quelli con malattie cardiache congenite o dei grossi vasi, devono assumere tutti amoxicillina per via orale alla dose di 2,0 g o di 50 mg/ kg se bambini, 1 ora prima di effettuare l’avulsione di un dente, l’ablazione del tartaro, l’implantologia orale, l’apicectomia, la chirurgia parodontale e la levigatura radicolare, che possono tutte determinare batteriemia. Tali pazienti devono anche assumere antibiotici prima di iniziare a posizionare le bande ortodontiche, quando devono effettuare una seduta di igiene orale profilattica con probabile sanguinamento e prima di iniezioni intralegamentose di anestetico locale. La clindamicina deve essere presa in considerazione per i pazienti allergici alla penicillina. In alcuni pazienti affetti da malattie cardiovascolari, l’adrenalina, usata come vasocostrittore per aumentare la durata dell’effetto degli anestetici locali, può determinare aritmie o ischemia oppure aggravare l’ipertensione. Spesso, il suo uso può essere evitato. Gli apparecchi elettrici, come il cauterio, il tester della polpa o il trapano, possono interferire con i pacemaker. I pazienti affetti da insufficienza cardiaca possono non essere in grado di tollerare la posizione orizzontale di una poltrona odontoiatrica e quelli che assumono farmaci antiipertensivi possono manifestare ipotensione ortostatica quando si alzano. Cancro: alcuni farmaci antineoplastici (p. es., doxorubicina, 5-fluorouracile, bleomicina, dactinomicina, citosina arabinoside, metotrexate) causano stomatite, la cui gravità dipende in genere dal grado della malattia parodontale presente. Prima di iniziare la terapia con questi farmaci, un paziente affetto da cancro deve effettuare un’ablazione del tartaro (calcolo dentario). Migliorare la salute del tessuto parodontale (p. es., con un corretto spazzolamento dei denti e con un corretto utilizzo del filo interdentale) può ridurre il sanguinamento gengivale, la desquamazione tissutale, il dolore del cavo orale, la conseguente scarsa assunzione di cibo e la probabilità di stomatite. Prima di iniziare la radioterapia della regione orale, i pazienti devono sottoporsi a qualsiasi intervento di chirurgia orale, al trattamento parodontale e alle ricostruzioni dentarie, ritenute indispensabili, tenendo conto del tempo necessario per la guarigione. È opportuno applicare sigillanti e fluoro per via topica, poiché la xerostomia secondaria all’irradiazione e alla distruzione delle ghiandole salivari favorisce la carie. L’estrazione di denti da tessuti irradiati è generalmente seguita da osteoradionecrosi dei mascellari, una complicanza catastrofica (v. Cap. 292). Perciò conviene evitare, se possibile, l’avulsione eseguendo ricostruzioni dei denti, legature dentali o terapia del canale radicolare. Tali pazienti devono effettuare per tutta la vita un’accurata igiene orale. Essi devono utilizzare un gel e colluttori al fluoro, ogni giorno, (dopo aver rimosso le protesi parziali) ed essere visitati dal dentista regolarmente, poiché la carie si sviluppa rapidamente nei pazienti irradiati. La lidocaina può permettere al paziente con tessuti orali sensibili di spazzolare i denti e passare il filo interdentale. È probabile che i tessuti irradiati sotto le protesi si alterino, così queste devono essere controllate e adattate ogni volta che si avverte qualche fastidio. I pazienti irradiati possono sviluppare mucosite e ipogeusia, ma anche trisma dovuto alla fibrosi dei muscoli masticatori. Il trisma può essere ridotto al minimo con gli esercizi, quali aprire e chiudere completamente la bocca per 20 volte tre o quattro volte al giorno. L’estrazione di un dente adiacente a un carcinoma della gengiva, del palato o dei seni paranasali facilita l’invasione dell’alveolo dentario da parte della neoplasia. Perciò, l’avulsione deve essere eseguita soltanto nel corso di un trattamento definitivo. Immunosoppressione: le persone con sistema immunitario compromesso per malattie congenite o per AIDS, per farmaci immunosoppressori o per chemioterapia, sono soggette a gravi infezioni mucose e parodontali da Candida sp, Herpesvirus o batteri. Le infezioni possono essere accompagnate da emorragia, ritardo nella guarigione e setticemia. Dopo diversi anni di immunosoppressione, possono svilupparsi leucoplachia orale, displasia mucosa o una neoplasia, spesso localizzate nel cavo orale. L’ingrossamento bilaterale della ghiandola parotide può essere un segno di esordio di AIDS (v. Cap. 163). Le persone affette da AIDS possono sviluppare il sarcoma di Kaposi, la

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leucoplachia villosa, la candidosi, le ulcere aftose, la malattia parodontale progressiva e il linfoma non-Hodgkin. Si pensa che l’AIDS possa essere trasmesso dal bacio profondo tra due partner, che presentano entrambi sanguinamento gengivale, determinando l’infezione per contaminazione della saliva da parte del sangue e per penetrazione del sangue infettato nella gengiva infiammata. Malattie endocrine: di solito, le cure odontoiatriche devono essere rinviate fino a quando la malattia è ben controllata; per esempio, le persone affette da ipertiroidismo possono presentare tachicardia e ansia eccessiva. Un’eccezione è rappresentata dai pazienti affetti da diabete poco controllato, per i quali il miglioramento dell’igiene orale è vitale. Tali pazienti sono soggetti alla malattia parodontale e alla xerostomia. Anche nei diabetici ben controllati, le infezioni orali devono essere trattate con sollecitudine. Quando l’assunzione di cibo è limitata a causa del dolore dopo la chirurgia orale, nei diabetici può essere necessario modificare il dosaggio dell’insulina e la dieta o effettuare una terapia con fluidi EV. Le estrazioni, le ricostruzioni dentarie e la chirurgia parodontale non devono essere effettuate in entrambi i lati della bocca nella stessa seduta, per evitare interferenze con l’assunzione di cibo. Nei pazienti affetti da insufficienza adrenocorticale può essere necessario somministrare i corticosteroidi durante cure odontoiatriche importanti e le persone che assumono terapia con corticosteroidi a basse dosi possono aver bisogno di raddoppiare la dose il giorno dell’appuntamento con il dentista. Le persone affette dalla sindrome di Cushing o che assumono corticosteroidi possono presentare perdita di osso alveolare, ritardo nella guarigione delle ferite e aumento della fragilità capillare. Malattie neurologiche: le persone con paralisi di Bell mancano della naturale azione detergente delle labbra e delle guance sulle superfici dei denti del lato interessato, che determina carie unilaterali a meno che l’igiene orale non sia scrupolosa e il trattamento con il fluoro e con i sigillanti non venga ripetuto. Le persone con malattie convulsive devono avere piccoli apparecchi dentari non rimovibili che non possano essere ingoiati o inalati. Le persone con indebolimento o tremore apprezzabile degli arti superiori e alcuni pazienti affetti da artrite degli arti superiori non riescono a mantenere un’igiene orale ottimale, a meno che chi si prende cura di loro non sia molto scrupoloso. Di conseguenza, una febbre inspiegata può riconoscere un’eziologia orale. Le persone affette da apnea ostruttiva nel sonno possono spesso trarre beneficio da un apparecchio dentario rimovibile, che posizioni la mandibola in avanti in modo tale che la lingua non possa bloccare le vie aeree (v. Cap. 173). Allergie: le persone allergiche possono, nonostante l’anamnesi, assumere un antibiotico, un anestetico locale o altri farmaci dannosi durante il trattamento odontoiatrico. Malattie gastrointestinali: poiché le varietà di Helicobacter pylori isolate nella saliva e nella placca dentaria sono di solito uguali a quelle isolate nello stomaco, il cavo orale può essere una fonte di reinfezione. Malattie ortopediche: le persone portatrici di protesi articolari, in particolare durante i primi 2 anni successivi all’intervento, possono essere a rischio di infezione dell’articolazione dopo avulsioni o terapia del canale radicolare. È consigliabile effettuare una profilassi con antibiotici. Ostetricia: le donne in gravidanza affette da malattia parodontale grave hanno maggiore probabilità di partorire pre-termine neonati di basso peso alla nascita. Non è noto se sia possibile prevenire ciò trattando le malattie orali durante la gravidanza.

Reperti orali nelle malattie sistemiche

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Sebbene le alterazioni del gusto possano avere origine psichiatrica, devono essere sempre ricercate cause locali. Un sapore amaro può essere indice di pus che origina da un ascesso parodontale o alveolare; un sapore salato può derivare da un sanguinamento o dal gemizio di liquido tissutale al di sotto di protesi dentarie poco stabili oppure da tessuti parodontali infiammati all’interno del cavo orale, che normalmente è assai povero di Na. Un sapore acido può essere causato da una reazione elettrolitica tra otturazioni adiacenti eseguite con metalli diversi. I sintomi scompaiono quando vengono eliminati questi disturbi dentari. Le persone che assumono composti a base di oro come terapia dell’AR possono riferire un sapore metallico, che può essere un sintomo di esordio della stomatite. Uno spiacevole sapore dolce può essere indice del carcinoma a piccole cellule del polmone. La più grave xerostomia (secchezza della bocca) si verifica nella sindrome di Sjögren (v. Cap. 50) e può anche essere causata da certi farmaci, in particolare i diuretici e gli anticolinergici, dalle malattie delle ghiandole salivari, dalla disidratazione o dalla respirazione orale. Se possibile, la somministrazione di un farmaco che determina xerostomia prima di andare a letto può alleviare i sintomi durante il giorno, poiché il paziente non si accorge della secchezza durante il sonno. Poiché la xerostomia può ostacolare il necessario scioglimento delle compresse sublinguali di nitroglicerina, alcune gocce di acqua devono essere sorseggiate prima di assumere il farmaco. La secchezza orale si verifica anche nella sindrome di Eaton-Lambert (una malattia rara dovuta al cancro), nella quale il rilascio di acetilcolina è diminuito nelle terminazioni nervose dei muscoli scheletrici e delle ghiandole salivari. Una carie apprezzabile dei denti è frequente tra le persone affette da xerostomia, quali i pazienti con diabete poco controllato, a causa del ridotto flusso della saliva. Poiché la saliva aiuta la ritenzione della protesi, lamentarsi di protesi dentarie poco stabili può essere indice di xerostomia, ma anche di anomalie dell’osso che si verificano nell’acromegalia, nel morbo di Paget o in un tumore dei mascellari. La xerostomia interferisce con il linguaggio e la deglutizione, causa alito fetido e, dal momento che la riduzione del flusso salivare non porta via per lungo tempo i batteri, rende difficile mantenere l’igiene orale. I pazienti affetti da xerostomia devono evitare i decongestionanti e gli antiistaminici e prestare maggiore attenzione all’igiene orale. Può essere utile sorseggiare spesso liquidi senza zucchero, masticare gomme che contengono xilitolo e utilizzare un sostituto della saliva che contenga carbossimetilcellulosa come un colluttorio ma anche le compresse di pilocarpina da 5- mg tid (dopo aver escluso controindicazioni oftalmiche e cardiorespiratorie). Le asimmetrie del volto lievi sono comuni a tutti i pazienti e possono derivare dalla masticazione prevalente da un lato, che produce un ingrossamento unilaterale dei muscoli masticatori, da differenze nel profilo delle arcate dentarie o nell’angolazione dei denti di un lato rispetto a quelli dell’altro lato, oppure da tutti questi elementi. Le asimmetrie del volto gravi si verificano in soggetti con lipodistrofia, emiatrofia o emiipertrofia del volto o con assenza congenita dei condili della mandibola. Il trauma psicologico legato a una grave malformazione del volto deve indurre lo specialista a informare il paziente riguardo un eventuale intervento chirurgico facciale. I bambini con deformità craniofacciali congenite spesso presentano difetti del setto del cuore o trasposizione dei grossi vasi. Anomalie occlusali spesso si sviluppano nelle persone che presentano alterazioni scheletriche craniofacciali. Le persone affette da discinesia orofacciale, talvolta associata a discinesia tardiva, possono trarre beneficio dalla correzione delle relazioni dei mascellari, anche se la malocclusione è dovuta a protesi totali poco stabili. In questi casi, si deve prendere in considerazione il rifacimento delle protesi. I denti, una volta formati, non vengono mai rimodellati da forze sistemiche, ma soltanto da quelle locali. Pertanto l’esaminatore può osservare alterazioni nella forma, nella calcificazione o nel colore dei denti (v. Cap. 106), in seguito a esantemi infantili, alterazioni dello sviluppo o endocrinopatie. L’ipopituitarismo o l’ipotiroidismo possono ritardare l’eruzione dei denti. Le carie molto destruenti dei denti decidui sono spesso indice del contatto file:///F|/sito/merck/sez09/1030804.html (5 of 7)02/09/2004 2.04.54

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prolungato dei denti con preparati alimentari zuccherati per neonati, probabilmente durante il sonno ("carie da biberon"). Un eccipiente metabolizzabile a base di zuccheri non deve essere utilizzato per i farmaci orali somministrati regolarmente ai bambini, per ridurre al minimo l’incidenza di carie. Lo sviluppo di carie molto destruenti dopo l’infanzia può essere indice dell’uso regolare di marijuana, che è spesso accompagnato da un insaziabile desiderio di dolci e da una scarsa igiene orale. I bambini autistici sono golosi di dolci e hanno una scarsa igiene orale; presentano quindi carie molto destruenti. Le carie del colletto, in particolare quando l’area è di colore marrone scuro, fanno sospettare l’uso del tabacco da fiuto (tabacco non fumato). Raramente, l’assenza della carie o una piccola carie dei denti indica intolleranza ereditaria al fruttosio, caratterizzata da un’avversione per i dolci. I denti decidui caduti possono essere analizzati per valutare il contenuto di piombo negli studi epidemiologici sull’avvelenamento da piombo. Il colore dei tessuti molli può indicare la presenza di anemia, policitemia, cianosi o ittero. Un esaminatore ricerca sia un’infiammazione generalizzata (stomatite) sia aree localizzate di infiammazione e di ulcerazione, di petecchie o di ispessimenti. Le aree pigmentate di colore scuro possono essere una caratteristica razziale o semplicemente dei nevi pigmentati oppure possono essere indice del morbo di Addison o, assai di rado, del melanoma, in particolare se localizzate sulla gengiva o sul palato. Le lesioni violacee del sarcoma di Kaposi sono un comune reperto nel cavo orale nei pazienti affetti da AIDS. Lo sviluppo di aree lichenoidi cheratinizzate nella mucosa orale di chi riceve un trapianto di organo può essere il primo segno della malattia del trapianto-control’ospite. Le petecchie palatali possono derivare dalla mononucleosi infettiva, dall’endocardite, dalla discrasia ematica o dal sesso orale. L’infiammazione acuta dell’ugola può verificarsi nell’epiglottite acuta, una condizione potenzialmente mortale. Le malattie neurologiche possono presentare segni orali. Per esempio, se il palato molle non si solleva quando una persona dice "ah", il paziente può essere un suonatore di strumenti a fiato che presenta la "perdita della tenuta" (cioè, una paralisi temporanea del palato molle) o può presentare una patologia che colpisce il nervo glossofaringeo, spesso nel tratto in cui esce dalla base del cranio. Le fascicolazioni della lingua si verificano nella paralisi bulbare progressiva. Le infezioni locali e sistemiche possono avere un’origine orale. Per esempio, l’inalazione di frammenti di denti o di otturazioni può determinare un ascesso polmonare, mentre le persone che utilizzano la saliva per sciogliere droghe prima di iniettarsele EV possono disseminare nel circolo sistemico una batteriemia orale.

Modificazioni del cavo orale nell'anziano Con l’avanzare dell’età, si verificano delle modificazioni dei tessuti orali. A riposo la secrezione salivare diminuisce, talvolta esacerbata dai farmaci, sebbene il flusso salivare stimolato dal pasto sia di solito sufficiente per formare un bolo. Le cuspidi appiattite dei denti consumati e l’indebolimento dei muscoli masticatori possono rendere faticosa la masticazione, a danno dell’assunzione di cibo. La perdita di osso dei mascellari (in particolare della porzione alveolare), la secchezza della bocca, l’assottigliamento della mucosa orale e l’alterato coordinamento delle labbra, delle guance e dei movimenti della lingua possono rendere progressivamente più difficoltosa la ritenzione della protesi. Inoltre, le papille gustative diventano meno sensibili, così che gli anziani tendono ad abbondare con i condimenti, in particolare con il sale (che è deleterio per molti di essi) oppure tendono ad assumere cibi molto caldi per aumentare il gusto, talvolta scottando la mucosa orale spesso atrofica. Nell’anziano, la recessione gengivale espone la radice dentaria adiacente alla corona, rendendo frequente la carie della radice.

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Disfunzioni temporomandibolari

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE 108. DISFUNZIONI TEMPOROMANDIBOLARI Dolenzia dei mascellari e della faccia, spesso in corrispondenza dell’articolazione temporomandibolare, che comprende i muscoli masticatori e gli altri muscoli, le fascie o una serie di aree.

SINDROME DEL DOLORE MIOFASCIALE Spasmo dei muscoli masticatori (pterigoidei interno ed esterno, temporale e massetere) nonostante una normale ATM. (V. anche Fibromialgia nel Cap. 59.)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Questa sindrome è la malattia più comune che colpisce la regione temporomandibolare, più frequente nelle donne rispetto agli uomini. La distribuzione dell’età è bimodale: i primi 20 anni e la perimenopausa. La causa è di solito il bruxismo notturno (serramento o digrignamento dei denti). È controverso se il bruxismo sia determinato da contatti irregolari dei denti o da stress psicologico. Probabilmente, nella maggior parte dei casi, sono coinvolti entrambi.

Sintomi e segni I sintomi includono dolore alla palpazione dei muscoli masticatori e spesso dolore e limitazione nell’apertura della bocca. Il bruxismo notturno può determinare cefalea, più forte al risveglio e che migliora gradualmente durante il giorno. I sintomi e la cefalea possono peggiorare durante il giorno se il bruxismo continua anche durante il giorno. La mandibola devia quando il paziente apre la bocca ma, di solito, non improvvisamente o sempre nello stesso punto di apertura, come si verifica nello spostamento interno del menisco. Con una lieve pressione, l’esaminatore può aprire la bocca ancora per 1-3 mm oltre l’apertura massima normale per il paziente. Le radiografie di solito aiutano solo a escludere l’artrite.

Terapia Una placca occlusale in resina o una placca di protezione della bocca possono mantenere i denti non a contatto gli uni con gli altri. Basse dosi di una benzodiazepina prima di coricarsi sono spesso efficaci per le riacutizzazioni e per alleviare i sintomi fino a quando non si riesce ad applicare una placca di protezione per la bocca. Sono indicati analgesici leggeri, p. es., FANS o paracetamolo. Poiché la condizione è cronica, non devono essere utilizzati gli oppioidi, se non per brevi riacutizzazioni. Il paziente deve essere invitato a smettere di serrare la mandibola e di digrignare i denti. Si devono evitare i cibi file:///F|/sito/merck/sez09/1080835a.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.55

Disfunzioni temporomandibolari

duri e le gomme da masticare. La terapia fisica (usando spray ed esercizi di allungamento, in cui la mandibola viene mantenuta in apertura sotto tensione dopo aver cosparso la pelle sovrastante l’area dolente con uno spray refrigerante della cute o viene raffreddata con ghiaccio, oppure utilizzando la stimolazione elettrica transcutanea dei nervi), il biofeedback per favorire il rilassamento e la consulenza psicologica aiutano diversi pazienti. La maggior parte dei pazienti, anche se non trattata, non presenta più sintomi significativi entro 2-3 anni.

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Reumatismi non articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 59. REUMATISMI NON ARTICOLARI FIBROMIALGIA Gruppo di patologie non articolari e piuttosto comuni, caratterizzate da dolore puntorio, dolorabilità alla palpazione e rigidità a carico dei muscoli, delle zone di inserzione tendinea e delle strutture molli adiacenti.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

(V. anche Sindrome del dolore miofasciale nel Cap. 108.) Il termine mialgia indica dolore muscolare. Al contrario, la miosite è dovuta all'infiammazione dei tessuti muscolari; questo termine viene usato in modo inappropriato al posto di fibromialgia, nella quale manca il processo infiammatorio. La fibromialgia indica dolore a livello del tessuto fibroso, dei muscoli, dei tendini, dei legamenti e di altre sedi. Può essere coinvolto ogni tessuto fibromuscolare, sebbene siano colpiti in modo particolare quelli dell'occipite, del collo (dolore o spasmo), della spalla, del torace (pleurodinia) della colonna lombare (lombalgia) e della coscia (la cosiddetta "charley horses" degli anglosassoni, una grave contrattura del muscolo quadricipite femorale, generalmente da eccessi atletici).

Eziologia Non vi sono alterazioni istologiche specifiche e l'assenza di cellule di tipo infiammatorio giustifica la preferenza del termine fibromialgia, al posto delle vecchie denominazioni di fibrosite e fibromiosite. La condizione diffusa o sindrome fibromialgica si verifica per lo più nel sesso femminile e può essere indotta o peggiorata dallo stress fisico o mentale, dalla riduzione del sonno, dai traumi o dall'esposizione all'umidità o al freddo e, occasionalmente, da una patologia sistemica, generalmente di tipo reumatico. Un'infezione virale o un'altra infezione sistemica (p. es., la malattia di Lyme), possono precipitare la sindrome. La fibromialgia può essere generalizzata (talora associata con una condizione concomitante) o localizzata (p. es., la sindrome dolorosa miofasciale, spesso correlata al superuso o a microtraumi). La sindrome fibromialgica primitiva (SFP) è una forma generalizzata, idiopatica, particolarmente frequente in donne sane giovani o di media età, con tendenza alla depressione, all'ansia, ma può anche verificarsi nei bambini o negli adolescenti (soprattutto femmine) o negli adulti ed è spesso associata a minori modificazioni asintomatiche di tipo osteoartrosico vertebrali. I maschi hanno una maggiore tendenza a sviluppare una fibromialgia localizzata, in associazione a particolari sforzi lavorativi o sportivi (p. es., sindrome dolorosa miofasciale). In una minoranza di casi, esiste l'associazione con anormalità psicofisiologiche. I sintomi possono essere

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Reumatismi non articolari

esacerbati da stress emotivi o ambientali, come pure da un atteggiamento di scetticismo e noncuranza da parte del medico, che fa capire al paziente di ritenere che si tratti di un problema "tutto nella testa".

Sintomi, segni e diagnosi L'esordio con rigidità e dolore nella SFP è graduale, diffuso e fastidioso. Nella SFP localizzata, l'esordio è più spesso improvviso e acuto. Il dolore peggiora con lo sforzo o l'esercizio eccessivo. Può essere presente dolorabilità, abitualmente localizzata a piccole aree specifiche (i cosiddetti "tender point"). Può essere presente rigidità o spasmo muscolare localizzato, sebbene una contrazione attiva non possa essere dimostrabile con l'elettromiografia. L'infiammazione si verifica soltanto quando è presente una condizione sistemica associata. La SFP viene riconosciuta dal tipico quadro fibromialgico diffuso, associato a sintomi non reumatici (p. es., riduzione del sonno, ansia, stanchezza, sintomi di colon irritabile) e dall'esclusione di patologie sottostanti o concomitanti (p. es., osteoartrosi generalizzata, AR, polimiosite, polimialgia reumatica e altre malattie del tessuto connettivo) e dall'esclusione di dolore o spasmo muscolare psicogeno. La fibromialgia associata a queste malattie (cioè, fibromialgia secondaria o concomitante) mostra sintomi e segni muscolo-scheletrici simili a quelli della SFP (a eccezione del reumatismo psicogeno), ma va differenziata dalla SFP per permettere l'identificazione e il trattamento sia della malattia concomitante o sottostante che della stessa fibromialgia. Nelle femmine in età media, deve essere esclusa la presenza di una malattia reumatica occulta e dell'ipotiroidismo. Lesioni istopatologiche non-specifiche lievi possono essere presenti nei muscoli, ma alterazioni simili si trovano anche in soggetti di controllo normali.

Prognosi e terapia La fibromialgia può regredire spontaneamente con la riduzione dello stress, ma può diventare cronica o recidivare a intervalli regolari. I sintomi possono attenuarsi rassicurando il paziente sulla natura benigna della sindrome, come pure con gli esercizi di potenziamento muscolare, con gli esercizi aerobici, con il miglioramento del sonno, con l'applicazione locale di calore e massaggi leggeri. Antidepressivi triciclici a basse dosi (p. es., ciclobenzaprina HCl 10 mg o la dose minima efficace tollerata) al momento di addormentarsi, possono favorire un sonno più profondo e avere effetti di modulazione del dolore. L'aspirina a dosi di 650 mg PO q 3-4 h o altri FANS a pieno dosaggio non hanno generalmente dimostrato efficacia in trial clinici, ma possono essere d'aiuto in singoli pazienti. Le zone di dolorabilità focale che limitano le capacità funzionali possono essere infiltrate con 1-2 ml di lidocaina all'1%, da sola o associata a 20-40 mg di idrocortisone acetato (utilizzando la tecnica descritta sopra per l'infiltrazione dei tessuti molli per la terapia della lombalgia cronica). Se si verifica sonnolenza con un preparato, può essere prescritto un farmaco alternativo, sempre a basse dosi. Una dose al mattino di un inibitore specifico del reuptake di serotonina (p. es., paroxetina HCl 10 o 20 mg) può alleviare la depressione e aiutare a controllare i sintomi. Attenzione deve essere posta a non aggravare i problemi del sonno con farmaci che possono indurre insonnia. La prognosi funzionale è di solito favorevole se viene seguito un programma di sostegno comprendente diversi approcci terapeutici, sebbene la sintomatologia, attenuata, tenda a persistere. Il trattamento dell'ansia associata o della depressione, può richiedere più attivi e specifici approcci o il riferimento a risorse specialistiche per un supporto al paziente più completo. Infine, il miglior trattamento della SFP è un programma personalizzato, estensivo, ambulatoriale, che motivi e coinvolga il paziente.

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Reumatismi non articolari

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Malattie del cavo orale

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE 105. MALATTIE DEL CAVO ORALE La cute e la mucosa delle labbra sono separate dal bordo vermiglio. La mucosa che si osserva sul viso è asciutta e cheratinizzata, mentre la mucosa della superficie interna delle labbra è umida e non cheratinizzata. La mucosa buccale, che comprende il vestibolo e la mucosa alveolare non cheratinizzata, è di solito liscia, umida e rosa. In questa regione possono essere osservati reperti fisiologici, quali la linea alba (una sottile linea bianca, tipicamente bilaterale, a livello del piano occlusale, quando la guancia viene morsa), i granuli di Fordyce (che possono essere presenti anche sulle labbra) e il nevo spongioso bianco (spesse pieghe bianche site su gran parte della mucosa buccale, ma non sulle gengive). Riconoscere questi reperti evita biopsie e apprensioni inutili. Gli orifizi dei dotti parotidei sono localizzati in corrispondenza del primo molare mascellare su ciascun lato. Una distribuzione anomala della mucosa orale cheratinizzata e non cheratinizzata richiede una maggiore attenzione. A un paziente che utilizza protesi totali o parziali, si chiede di rimuoverle per poter osservare i tessuti molli sottostanti. Normalmente, l’epitelio cheratinizzato è presente sulla superficie esterna delle labbra, sul dorso della lingua, sul palato duro e sulla gengiva che circonda la base delle corone dei denti e che si trova al di sopra dell’osso alveolare che copre parte delle radici dei denti. La mucosa non cheratinizzata è presente sull’osso alveolare nella porzione più distante rispetto alle corone dei denti, sulla superficie interna delle labbra, sulle guance, sui lati e sulla superficie inferiore della lingua, sul palato molle e sul pavimento della bocca. Il tessuto cheratinizzato, presente nelle aree normalmente non cheratinizzate appare bianco. Questa condizione anomala, detta leucoplachia, richiede una biopsia, poiché può essere un’alterazione precancerosa. Il palato è coinvolto nella normale risonanza della voce e nell’articolazione delle parole. La porzione anteriore del palato duro è sede della papilla incisiva che si trova dietro gli incisivi centrali. Dietro di essa ci sono le rughe palatine, creste fisse che impediscono al cibo di scivolare mentre la lingua lo schiaccia contro di esse. Il palato molle, privo di ossa, deve innalzarsi in maniera simmetrica quando il paziente dice "ah". L’ugola pende sulla linea mediana nella parte finale del palato molle. Essa varia molto in lunghezza. Un’ugola lunga o un tessuto velofaringeo eccessivo sono associati al russamento e in alcune persone possono predisporre all’apnea ostruttiva durante il sonno (v. Sindromi da apnea nel sonno nel Cap. 173). La superficie dorsale della lingua è ricoperta da molte escrescenze biancastre, le papille filiformi. Sparse tra esse sono presenti isolate sporgenze rossastre, le papille fungiformi, che si concentrano soprattutto sulla parte anteriore della lingua. Le papille circumvallate, che sono notevolmente più grandi, si localizzano posteriormente e non sporgono dalla superficie della lingua, ma sono circondate da un avvallamento. Le papille foliate appaiono come una serie di pieghe parallele simili a fessure sui bordi laterali della lingua, vicino ai pilastri anteriori delle fauci. Esse variano in lunghezza e possono facilmente essere confuse con delle lesioni. Le tonsille linguali possono essere considerate parte dell’anello di Waldeyer e vengono osservate posteriormente in corrispondenza della base della lingua. Il nervo linguale (branca del 5° nervo cranico) fornisce l’innervazione sensitiva generale e le fibre della corda del timpano (del 7° nervo cranico) innervano le papille gustative dei 2/3 anteriori della lingua. Dietro le papille circumvallate, il file:///F|/sito/merck/sez09/1050810.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.56

Malattie del cavo orale

nervo glossofaringeo (9° nervo cranico) fornisce le sensazioni del tatto e del gusto. L’integrità del nervo può essere determinata testando il gusto su entrambi i lati del dorso della lingua con lo zucchero, il sale, l’aceto e il chinino. I recettori per il dolce e per il salato sono localizzati in prossimità della punta della lingua, quelli per l’acido sui lati e quelli per l’amaro sulla parte più posteriore della lingua. Il nervo ipoglosso (12° nervo cranico) controlla i movimenti della lingua. Su ciascun lato, il pavimento della bocca è delimitato anteriormente vicino alla linea mediana dagli orifizi del dotto di Wharton, che drena le ghiandole sottomandibolare e sottolinguale dello stesso lato. Le ghiandole salivari maggiori sono le parotidi, le ghiandole sottomandibolari e sottolinguali, una per ogni lato. La maggior parte delle superfici mucose orali contiene numerose ghiandole salivari minori che secernono muco. Le alterazioni delle ghiandole sottolinguali e sottomandibolari possono essere apprezzate quando il pavimento della lingua viene palpato con entrambe le mani. Un aumento di volume della parotide si manifesta nella zona preauricolare o inferiormente al ramo della mandibola. Molte malattie possono colpire la regione orale (v. Tab. 105-1 e altrove nel Manuale). Le lesioni benigne del cavo orale sono spesso bilaterali, mentre il cancro bilaterale del cavo orale è raro. La labioschisi e la palatoschisi vengono trattate nel Cap. 261.

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Denti e parodonto

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE 106. DENTI E PARODONTO PULPITE Infiammazione della polpa dentaria.

Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Terapia

L’infiammazione della polpa (pulpite) e le sue successive sequele locali, quali la necrosi, la parodontite apicale, l’ascesso periapicale, la cellulite e l’osteomielite dei mascellari, possono verificarsi quando la carie si approfonda nella dentina, quando un dente richiede molte procedure invasive o quando un trauma interrompe l’apporto linfatico e vascolare alla polpa. L’infiammazione che facilmente guarisce in altre parti del corpo porta alla necrosi della polpa costretta in una cavità chiusa (dalla dentina), poiché l’edema non si può sviluppare in quella sede senza compromettere la circolazione. Se l’infezione dei denti mascellari si diffonde, può determinare sinusite purulenta, meningite, ascesso cerebrale, cellulite orbitale e trombosi del seno cavernoso. L’infezione dei denti mandibolari può determinare angina di Ludwig, ascesso parafaringeo, mediastinite, pericardite, empiema e tromboflebite giugulare.

Sintomi e diagnosi Nella pulpite reversibile, il dolore viene avvertito quando uno stimolo (di solito il freddo o i dolci) viene applicato sul dente. Quando lo stimolo viene allontanato, il dolore cessa nel giro di alcuni secondi. La pulpite irreversibile produce dolore che dura per diversi minuti dopo l’allontanamento dello stimolo o che si verifica spontaneamente. Un paziente può avere difficoltà a localizzare il dente che è fonte del dolore, confondendo anche tra l’arcata mascellare e quella mandibolare (ma non tra il lato sinistro o il lato destro della bocca), poiché la polpa non presenta fibre propriocettive. Il dolore può quindi cessare per vari giorni a causa della necrosi pulpare. Quando i batteri o i loro metaboliti escono dal forame apicale, determinando l’infiammazione dell’adiacente legamento parodontale, il dente diventa molto sensibile alla pressione e alla percussione. Quando si forma un ascesso periapicale (dentoalveolare), il dente si solleva dal suo alveolo e si percepisce come "alto" quando si chiude la bocca.

Terapia Nella pulpite reversibile, la vitalità della polpa può essere mantenuta se il dente viene curato, di solito rimuovendo la carie e ricostruendo poi il dente.

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Denti e parodonto

La pulpite irreversibile e le sue complicanze richiedono il trattamento endodontico (del canale radicolare) o l’estrazione del dente. Le complicanze a distanza impongono l’avulsione per permettere il drenaggio. Dopo una terapia del canale radicolare, la guarigione viene evidenziata clinicamente dalla scomparsa dei sintomi e radiologicamente da nuova apposizione di osso nell’area radiotrasparente a livello dell’apice radicolare. Se il paziente presenta segni sistemici di infezione, è necessario somministrare un antibiotico (penicillina VK 500 mg q 6 h; per i pazienti allergici alla penicillina, è efficace la clindamicina alla dose di 150 mg o 300 mg q 6 h oppure il metronidazolo alla dose di 500 mg q 8 h). Se i sintomi persistono o peggiorano, è consigliabile consultare un medico e può rendersi necessaria l’estrazione del dente. Raramente, l’enfisema mediastinico o sottocutaneo può essere secondario all’uso del trapano a turbina ad alta velocità azionato ad aria o del trapano ad aria compressa, durante interventi sul canale radicolare o durante un’estrazione, poiché l’aria viene forzata nei tessuti che circondano l’alveolo del dente e attraversa i piani fasciali. L’insorgenza acuta di gonfiore cervicale e mascellare, con caratteristico crepitio alla palpazione della cute rigonfia, è un segno diagnostico. Di solito non è necessario alcun trattamento, sebbene diversi medici prescrivano antibiotici per profilassi.

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Argomenti speciali

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI

286. Principi generali di genetica medica Ereditarietà dei difetti di un singolo gene Ereditarietà multifattoriale Ereditarietà non tradizionale Disordini cromosomici Anomalie del DNA mitocondriale Genetica del carcinoma Immunogenetica Genetica forense Terapia genetica 287. Sindromi di origine incerta Sindrome della guerra del golfo Sindrome da sensibilità chimica multipla Sindrome da affaticamento cronico 288. Sarcoidosi 289. Febbre familiare mediterranea 290. Sospensione del fumo Dipendenza da tabacco Problemi associati alla sospensione del fumo 291. Riabilitazione Terapia fisica Strumenti terapeutici e di assistenza Terapia del dolore e dell’infiammazione Riabilitazione per alcuni problemi specifici 292. Terapia con ossigeno iperbarico file:///F|/sito/merck/sez21/index.html (1 of 2)02/09/2004 2.04.58

Argomenti speciali

293. Medicina geriatrica Erogazione di assistenza sanitaria Patologie frequenti solo tra gli anziani Malattie che si presentano in modo insolito negli anziani. Uso di farmaci Direttive mediche di avanzamento 294. Assistenza del paziente terminale Controllo dei sintomi Interventi psicologici Problemi sociali Gestione della morte 295. Processo decisionale nella pratica clinica Regole di comportamento clinico Ragionare con le probabilità Test di laboratorio Revisione delle probabilità con il teorema di Bayes Operare delle scelte Determinare una soglia per il trattamento Determinare una soglia per l’esecuzione di un test Analisi economiche 296. Valori di laboratorio normali 297. Guida rapida di riferimento

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA Sommario: Introduzione SCREENING GENETICO COSTRUZIONE DELL’ALBERO GENEALOGICO DI UNA FAMIGLIA CONSULENZA GENETICA

Lo sviluppo dell’uomo dipende da fattori genetici e ambientali. La componente genetica di un soggetto, o genoma, è stabilita al concepimento. Le informazioni genetiche sono trasportate nel DNA dei cromosomi e dei mitocondri. La maggior parte delle malattie probabilmente presenta una qualche componente genetica, la cui entità è variabile. I fattori ambientali possono alterare le informazioni genetiche attraverso una mutazione o un’altra alterazione strutturale e possono influenzare i classici disordini genetici (p. es., la gestione della dieta nella fenilchetonuria, i farmaci per l’ipercolesterolemia). La capacità del DNA di replicarsi costituisce la base della trasmissione ereditaria. Il DNA fornisce anche il codice genetico, che determina lo sviluppo e il metabolismo cellulare attraverso il controllo della sintesi dell’RNA. La sequenza degli elementi (nucleotidi) che costituiscono il DNA e l’RNA determina la composizione della proteina e quindi la sua funzione. I geni (tra 60000 e 100000 nell’uomo) si trovano sui cromosomi (strutture simili a bastoncini che si trovano nei nuclei cellulari) e sui mitocondri (strutture circolari presenti in molteplici copie nel citoplasma cellulare). Nell’uomo, le cellule somatiche (non germinali) contengono normalmente 46 cromosomi, disposti in 23 paia. Ciascun paio è costituito da un cromosoma della madre e uno del padre. Un paio di cromosomi, i cromosomi sessuali, determina il sesso dell’individuo. Le donne hanno 2 cromosomi X in ogni nucleo cellulare somatico, mentre gli uomini hanno un cromosoma X e uno Y (cioè, cromosomi eterologhi). Il cromosoma X porta i geni responsabili di molti tratti ereditari, mentre il cromosoma Y, piccolo e di forma differente, porta i geni che determinano la differenziazione del sesso maschile. Le rimanenti 22 coppie di cromosomi, gli autosomi, sono solitamente omologhi (cioè, identici per dimensioni, forma, posizione e numero di geni). Le cellule germinali (ovulo e spermatozoo) vanno incontro alla meiosi, che riduce il numero di cromosomi a 23, la metà rispetto alle cellule somatiche (46), cosicché quando un ovulo viene fecondato da uno spermatozoo al momento del concepimento, viene ricostituito il numero normale di cromosomi. Nella meiosi, le informazioni genetiche ereditate dalla madre e dal padre di un soggetto vengono ricombinate attraverso il crossing over, o scambio, tra i cromosomi omologhi. I geni, le unità di base dell’eredità, sono disposti linearmente all’interno del DNA lungo i cromosomi; ciascun gene ha una collocazione (locus) o una posizione specifica nei cromosomi. Il numero e la disposizione dei loci sui cromosomi omologhi sono solitamente identici. Tuttavia, la struttura di un gene specifico può presentare variazioni minori (polimorfismi) senza dar luogo alla malattia. Le sequenze nucleotidiche specifiche dei geni che occupano i due loci omologhi lungo i due cromosomi appaiati vengono definite alleli. I due alleli (vale a dire, uno ereditato dalla madre e uno ereditato dal padre) possono presentare sequenze nucleotidiche leggermente differenti o possono essere identici. Un soggetto con 2 alleli identici per un particolare gene è un omozigote; un soggetto con 2 alleli diversi è un eterozigote.

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Se un carattere o un disordine si determinano quando è anomalo solo un allele, il disordine è definito dominante. Un disordine è definito recessivo se si verifica solo quando entrambi gli alleli nei loci di entrambi i cromosomi sono anomali. Una piccola quantità di geni è localizzata nel DNA mitocondriale (v. oltre). Molte copie di DNA mitocondriale sono presenti nel citoplasma e possono avere la stessa struttura (omoplasmia) o strutture differenti (eteroplasmia) di DNA. Ci sono tre tipi di disordini genetici: le mutazioni mendeliane, o di un singolo gene, che sono ereditate con modelli riconoscibili; le condizioni multifattoriali, che coinvolgono più di 1 gene e fattori ambientali, i quali interagiscono con modalità che non sempre sono chiaramente riconoscibili ma che vengono descritte dall’osservazione (empiricamente) e le alterazioni cromosomiche, che includono i difetti strutturali e le modificazioni del numero normale (v. Cap. 247). Recentemente, sono stati identificati modelli di ereditarietà mitocondriali e non tradizionali. Gli esseri umani variano per fenotipo e per genotipo. L’eterogeneità deriva dagli alleli e dalle mutazioni differenti dei molteplici geni, che partecipano a quasi tutti i processi biochimici. Mutazioni in parti differenti di un gene possono provocare disordini differenti. Per esempio, le mutazioni in siti differenti del gene per un tipo di collageno possono determinare alta statura, artrite e sordità oppure nanismo letale. Sono state identificate più di 60 cause specifiche di sordità congenita; alcune sono genetiche (per coinvolgimento di geni nucleari e mitocondriali), mentre altre sono di natura virale (virus della rosolia) o legate ad altri agenti di tipo ambientale. Sta crescendo l’interesse verso gli effetti teratogeni di farmaci assunti durante la gravidanza. Per esempio, le donne che assumono alcol durante la gravidanza sono a maggior rischio di dare alla luce un figlio con ritardo mentale e disturbi comportamentali, ritardo di crescita intrauterina e malformazioni congenite (v. Sindrome alcolica fetale alla voce Problemi metabolici nel neonato al Cap. 260). Così, manifestazioni fenotipiche simili possono essere dovute a diverse mutazioni in differenti geni, a fattori non genetici o a entrambi. Per stabilire la causa del problema del soggetto e per meglio determinare il rischio che corrono i discendenti, il medico deve raccogliere una minuziosa anamnesi familiare e indagare sui possibili fattori ambientali, tenendo a mente l’eterogeneità. Non sempre è possibile identificare l’agente causale specifico. Le potenti tecniche di genetica molecolare hanno reso possibile lo studio della struttura del DNA e l’osservazione delle modificazioni durante lo sviluppo e nei differenti tessuti. La struttura di un gene è complessa e comprende elementi di controllo (p. es., promotori, di accrescimento), elementi espressi (esoni), elementi intermedi che non sono espressi (introni) e un segnale terminale. La configurazione del DNA di un gene in un tessuto che non esprime il gene è probabilmente differente (p. es., metilato, condensato) da quella di un gene che si esprime attivamente. Il Progetto Genoma Umano è un vasto progetto internazionale di collaborazione iniziato nel 1991. L’obiettivo è tracciare una mappa di geni specifici per siti specifici sui cromosomi e determinare la loro esatta sequenza nucleotidica (il genoma di un essere umano) per il 2005. Il mappaggio può essere effettuato attraverso studi di famiglia, utilizzando i siti noti dei marcatori del DNA, e comprende l’isolamento di piccoli tratti di DNA e il sequenziamento dei geni e del restante DNA in quell’area.

SCREENING GENETICO Lo screening genetico può essere utilizzato nelle popolazioni a rischio di un particolare disordine genetico. Lo screening genetico è appropriato solo quando si conosce la storia naturale della malattia, i test di screening sono validi e attendibili, la sensibilità, la specificità e le percentuali di falsi negativi e falsi positivi sono accettabili ed è disponibile una terapia efficace. Si deve ottenere un vantaggio certo da un programma di screening che giustifichi i suoi costi. file:///F|/sito/merck/sez21/2862644.html (2 of 4)02/09/2004 2.04.59

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Screening dell’eterozigote: lo screening di una popolazione suscettibile (p. es., la malattia di Tay-Sachs negli Ebrei ashkenaziti, l’anemia falciforme nei neri, la talassemia in vari gruppi etnici) può essere appropriato a causa dell’elevata frequenza di eterozigoti. Lo screening dell’eterozigote può stabilire se una persona è portatrice di un disordine specifico. Se il partner è anche un eterozigote, la coppia è a rischio di generare un figlio affetto. Lo screening consente alla coppia di compiere scelte riproduttive informate. Screening genetico pre-sintomatico: lo screening genetico pre-sintomatico può essere adatto a persone con storia familiare di un disordine ereditato con modalità dominante (p. es., la malattia di Huntington, il carcinoma mammario). L’identificazione di un definito portatore del disordine genetico può consentire al paziente di prendere decisioni informate (p. es., monitoraggio nel caso del carcinoma mammario, scelte sulla riproduzione nel caso della malattia di Huntington o della malattia del rene policistico dell’adulto). Diagnosi prenatale: l’amniocentesi, il campionamento dei villi corioidei, il campionamento del sangue del cordone ombelicale, il campionamento del sangue materno, lo screening del siero materno e la visualizzazione del feto con ecografia e radiografia sono utili nella diagnosi prenatale (v. Cap. 247). Motivazioni frequenti per lo screening prenatale includono l’età della madre > 35 anni, familiarità per una condizione che può essere diagnosticata dalle metodiche prenatali, risultati anomali allo screening del siero materno e alcune complicanze della gravidanza. Screening del neonato: lo screening per fenilchetonuria, galattosemia e ipotiroidismo nel neonato consente di iniziare precocemente la profilassi (cioè, una dieta particolare o una terapia sostitutiva) in modo tale da prevenire gravi complicanze.

COSTRUZIONE DELL’ALBERO GENEALOGICO DI UNA FAMIGLIA L’anamnesi familiare è spesso la chiave per determinare il rischio genetico. Essa è più facilmente registrabile mediante l’albero genealogico di una famiglia (albero familiare), che utilizza simboli convenzionali (v. Fig. 286-1). L’albero genealogico fornisce un’immediata visione dei problemi o delle patologie nell’ambito della famiglia e facilita l’analisi dei modelli di ereditarietà, compresi il range e il grado di affezione e la variazione tra persone e generazioni. Alcune malattie familiari con fenotipi identici presentano modelli differenti di ereditarietà. Per esempio, la palatoschisi può avere un modello di ereditarietà autosomico dominante, autosomico recessivo, recessivo legato al cromosoma X o può essere multifattoriale (cioè, familiare, ma che non segue precisamente le leggi dell’ereditarietà). Nell’albero genealogico le generazioni sono numerate con i numeri romani (v. Fig. 286-2 , 286-3 , 286-4 , 286-5), con le generazioni più anziane in alto e le più recenti in basso. Nell’ambito di ciascuna generazione, le persone sono numerate da sinistra a destra con numeri arabi. I fratelli sono elencati di solito a seconda dell’età con il maggiore a sinistra. Così, ogni membro dell’albero genealogico può essere identificato da due numeri (p. es., II, 4). Anche al coniuge viene attribuito un numero di identificazione (p. es., II, 6 nella Fig. 286-2). Lo studio di un carattere o di una malattia comincia con il soggetto affetto (il probando, il proposito [maschile], la proposita [femminile]o caso indice). Quando si raccoglie una anamnesi familiare, il medico solitamente costruisce l’albero genealogico in base a quanto riferito dai parenti. Si comincia col chiedere informazioni sui fratelli del probando quindi sui genitori; sui parenti dei genitori, compresi fratelli, sorelle e nipoti; sui nonni e così via. Il numero dei parenti inclusi nell’albero dipende dal modello di trasmissione della patologia e dal ricordo e dalla consapevolezza che ha il soggetto intervistato. Solitamente sono incluse almeno 3 generazioni. Vengono registrate le malattie, le ospedalizzazioni, le file:///F|/sito/merck/sez21/2862644.html (3 of 4)02/09/2004 2.04.59

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cause di decesso, gli aborti spontanei, gli aborti volontari, le anomalie congenite e ogni altro aspetto inconsueto.

CONSULENZA GENETICA La consulenza genetica consiste nel raccogliere una accurata anamnesi familiare e nel prestare attenzione alle preoccupazioni e alle domande della famiglia mediante la raccolta di informazioni appropriate dalla letteratura e dagli specialisti di genetica; è spesso importante la consultazione di un esperto che si occupa della condizione specifica. Le informazioni fornite devono comprendere la diagnosi e i metodi diagnostici, compresa l’identificazione dei portatori; la storia naturale del disordine e delle sue complicanze; il rischio di recidive per il paziente e per i vari membri della famiglia; le potenziali terapie e le scelte sulla riproduzione. Comunicare i rischi e le opzioni genetiche è un processo complicato che spesso richiede visite di follow-up e relazioni scritte. Esistono molti gruppi di supporto alle famiglie per specifiche malattie genetiche. La maggior parte di essi organizza incontri periodici attraverso associazioni in numerose sedi e divulga informazioni utili. Esistono centri di consulenza genetica presso scuole mediche negli USA e in Canada. I pazienti e le famiglie possono essere indirizzati per la diagnosi, le consulenze, la gestione e le informazioni. Un rapporto di collaborazione tra il centro di genetica e il medico di famiglia è essenziale per il miglior interesse della famiglia e per il follow-up.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 247. VALUTAZIONE E CONSULENZA GENETICA PRENATALI (V. anche Cap. 286) Lo screening genetico identifica le persone che hanno un rischio aumentato di sviluppare o di concepire una prole con malattie genetiche. Lo screening genetico è una procedura di routine nell’ambito delle cure prenatali. Si deve eseguire un’accurata anamnesi familiare che va poi esemplificata sotto forma di un albero genealogico (i simboli comunemente usati sono descritti nella Fig. 286-1). Le informazioni minime da ottenere riguardano tre generazioni: tutti i parenti di primo grado (genitori, fratelli e sorelle, figli) e di secondo grado (zii, nonni) del soggetto esaminato e il loro stato di salute. Per storie familiari complicate sono necessari alberi genealogici più estesi. Si deve valutare di routine l’origine etnica, così come qualsiasi matrimonio tra consanguinei. Se si sospettano delle malattie genetiche, è necessario rivedere le relative cartelle cliniche. La diagnosi di molte malattie genetiche è basata sui segni clinici (fenotipo) piuttosto che sulla sintomatologia. È quindi fondamentale una descrizione dettagliata dei reperti obiettivi, in particolare nei nati morti e nei neonati deceduti subito dopo la nascita. Vanno effettuate delle fotografie e delle radiografie totalbody, che devono essere poi allegate alla documentazione clinica; possono essere di grosso valore per le future consulenze. È consigliabile anche la crioconservazione dei tessuti fetali (fegato, tessuti contenenti fibroblasti) per permettere futuri studi enzimatici o sul DNA, se la causa della morte è poco chiara. Lo screening dei portatori si riferisce generalmente all’identificazione degli eterozigoti (portatori) di patologie autosomiche recessive o legate al cromosoma X. In ostetricia, lo screening fornisce ai futuri genitori delle informazioni circa la possibilità che i loro bambini ereditino un disordine genetico, cosicché possano prendere in considerazione delle alternative riproduttive (p. es., la diagnosi prenatale con una possibile interruzione della gravidanza o il trattamento dei feti affetti, l’inseminazione artificiale se il portatore è l’uomo, la donazione di oociti se il portatore è la donna, l’evitare la gravidanza). Eseguire uno screening di tutta la popolazione è impossibile, anche per le sole patologie più comuni. I criteri generali per lo screening includono la disponibilità di un test per l’identificazione della patologia sospetta che sia semplice, accurato e poco costoso; la provenienza etnica, razziale e geografica; l’aumentato rischio per uno specifico disordine genetico; la disponibilità di una terapia o di alternative riproduttive per i portatori identificati. Negli USA, 3 patologie rispondono a questi requisiti: la malattia di Tay-Sachs, l’anemia falciforme e le talassemie. Per le altre patologie (p. es., l’emofilia, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare di Duchenne), può essere possibile uno screening basato sull’anamnesi familiare. In un convegno del National Institutes of Health è stato recentemente raccomandato lo screening di tutte le donne gravide e di tutte le persone in età riproduttiva, per la fibrosi cistica. Le linee guida per rispettare questa raccomandazione sono in preparazione. Le tecniche molecolari (v. Cap. 286) possono spesso modificare in maniera sostanziale il rischio teorico, evitando a volte la necessità di una diagnosi invasiva prenatale. Per esempio, una donna gravida il cui fratello ha l’emofilia, teoricamente ha un rischio del 50% di essere portatrice del gene della emofilia; se lo screening dimostra che lei non è una portatrice, il suo rischio di avere un bambino con l’emofilia è quasi nullo. Per una valutazione più accurata

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

possibile del rischio, a volte devono partecipare diversi parenti (inclusi quelli affetti). L’anemia falciforme (v. anche Cap. 127), la patologia mendeliana più frequente tra i neri americani (circa 1 ogni 400), è un disordine autosomico recessivo. Le persone affette da un’anemia falciforme sono omozigoti per il gene mutante; quelle con il tratto della malattia sono eterozigoti (cioè esprimono sia il gene normale che quello alterato). La sostituzione di un singolo nucleotide (da GAG a GTG) nel 6o codone del gene della β-globulina provoca la trascrizione dell’aminoacido valina (al posto dell’acido glutammico) con la formazione di una molecola di Hb anomala. Sono disponibili diversi test di screening per il portatore; l’elettroforesi dell’Hb deve essere usata per confermare i risultati dei test di screening. La diagnosi prenatale può essere effettuata con l’analisi diretta del DNA ottenuto dai villi coriali o dalle cellule del liquido amniotico. Lo screening dei neonati per l’anemia falciforme è raccomandato perché la profilassi antibiotica, somministrata alle persone affette, può ridurre l’incidenza delle infezioni che spesso rappresentano l’evento scatenante della crisi falciforme. La malattia di Tay-Sachs (una GM2 gangliosidosi, v. anche in Altre lipidosi nel Cap. 16) è un disordine autosomico recessivo che interessa circa 1 ogni 3600 bambini ebrei Ashkenazi e abitanti della Louisiana di origine francese. L’esosaminidasi A, che è coinvolta nel metabolismo dei gangliosidi (una classe di lipidi del sistema nervoso), è assente. I portatori possono essere individuati evidenziando una riduzione intermedia dell’attività dell’esosaminidasi A nel siero. Tuttavia, durante la gravidanza e durante l’uso di contraccettivi per via orale, l’attività dell’esosaminidasi A nel siero normale diminuisce in rapporto all’esosaminidasi totale, producendo risultati falsi positivi. Sono, invece, raccomandate le misurazioni dell’esosamininidasi dei leucociti, che non sono coinvolti in queste situazioni. La diagnosi prenatale può essere effettuata titolando l’attività dell’esosaminidasi A nelle cellule in coltura dei villi coriali o del liquido amniotico; l’attività può essere misurata anche, direttamente nei villi coriali. A volte è possibile la diagnosi per mezzo dell’analisi del DNA. Le talassemie (v. anche Talassemie nel Cap. 127) sono un gruppo eterogeneo di anemie ereditarie in cui è ridotta la sintesi di Hb. Nell’α-talassemia è assente uno dei 4 geni (in due differenti loci) che codificano le due catene α della molecola dell’Hb; l’α-talassemia è più comune tra le persone del Sud-Est asiatico. La β-talassemia major (la malattia) si distingue in 2 grandi gruppi con alterata sintesi delle catene β. Nel gruppo βo, l’mRNA per le catene β è assente o non funzionante. Nel gruppo β+, il gene β è soppresso in modo incompleto, con una riduzione della quantità di mRNA. La β-talassemia è presente in tutte le popolazioni, ma è più comune nelle regioni del Mediterraneo, nel Medio Oriente e in parte dell’India e del Pakistan. Lo screening dei portatori per l’α-talassemia e la β-talassemia minor asintomatiche (lo stato di portatore) può essere eseguito valutando i parametri dei GR. Nelle persone che non hanno un deficit di ferro, un valore corpuscolare medio di Hb di 20-22 pg e volumi globulari medi di 50-70 fl sono suggestivi del loro stato di portatori. Lo stato di portatore della β-talassemia è confermato dalla dimostrazione di livelli elevati di Hb A2 all’elettroforesi. I livelli dell’Hb A2 sono normali nei portatori di α-talassemia. La diagnosi prenatale sia della α- che della β-talassemia può essere fatta con tecniche di analisi molecolare. È essenziale una caratterizzazione accurata dell’alterazione molecolare.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. MALATTIA A CELLULE FALCIFORMI (Malattia da emoglobina S; drepanocitosi; meniscocitosi) Anemia emolitica cronica che si manifesta quasi esclusivamente nella razza nera ed è caratterizzata da GR con forma a falce, alterazione dovuta alla presenza di Hb S nell’individuo omozigote.

Sommario: Eziologia, incidenza e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia, incidenza e patogenesi Gli omozigoti presentano un’anemia a cellule falciformi (circa lo 0,3% dei neri americani); gli eterozigoti non sono anemici, ma il trait falciforme (falcemia) può essere dimostrata in vitro (8-13% della popolazione nera). Nell’Hb S il sesto aminoacido della catena β, l’acido glutamico, è sostituito dalla valina. Ciò determina una diminuzione della carica elettrica della proteina e fa sì che, all’elettroforesi, essa si muova verso l’anodo più lentamente dell’Hb A. La deossi-Hb S è notevolmente meno solubile della deossi-Hb A e forma un gel semisolido (polimerizzazione) di tactoidi bastoncelliformi, determinando così la falcizzazione dei GR nelle aree in cui la PO2 è bassa. Deformati, i GR non flessibili aderiscono all’endotelio vascolare e ostruiscono le piccole arteriole e i capillari, provocando occlusione e infarto. I GR falciformi, essendo più fragili di quelli normali e incapaci di resistere al trauma meccanico che la circolazione stessa comporta, vanno incontro a emolisi dopo che essi entrano nella circolazione.

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Sintomi e segni Negli omozigoti le manifestazioni cliniche sono causate dall’anemia e da eventi vaso-occlusivi che portano alla trombosi e all’infarto tissutale. La crescita e lo sviluppo sono carenti e aumenta la suscettibilità alle infezioni. L’anemia di solito è grave, sebbene di grado estremamente variabile tra i pazienti; la maggior parte presenta un modico ittero (livelli di bilirubina compresi tra 2 e 4 mg/dl [34-68 µmol/ l]). Nel bambino a volte l’anemia è esacerbata dall’improvviso sequestro delle cellule falciformi nella milza. I pazienti possono avere una scarsa crescita corporea e spesso presentano un tronco relativamente corto con arti lunghi e turricefalia. La iperattività midollare cronica determina modificazioni ossee tipiche che si rendono visibili all’esame radiologico: caratteristici sono a livello del cranio l’ampliamento degli spazi diploici e l’aspetto a raggi di sole delle trabecole diploici. Le ossa lunghe mostrano frequentemente ispessimento corticale, struttura disomogenea e neoformazione ossea all’interno del canale midollare. Nel bambino è comune un’epatosplenomegalia; nell’adulto, invece, la milza è normalmente di dimensioni molto piccole, a causa di questa "autosplenectomia". Quindi, una milza palpabile in tali pazienti suggerisce un’Hb S-C o S-A. È presente di solito cardiomegalia con prominenza del cono polmonare. I soffi cardiaci possono simulare una cardiopatia congenita o di natura reumatica. È frequente la colelitiasi. La crisi aplastica si manifesta quando l’eritropoiesi midollare rallenta durante le infezioni acute (specialmente virali). Gli infarti ossei generano crisi dolorose, il più comune sintomo nell’Hb S-S, S-A e S-C. Il dolore alle ossa lunghe (p. es., pretibiale) è il segno clinico più frequente; nei bambini un forte dolore alle mani e ai piedi (p. es., sindrome mani-piedi) è frequente e caratteristico. Si può avere artralgia accompagnata da febbre, mentre è frequente la necrosi avascolare della testa del femore. Le ulcere a stampo della regione perimalleolare costituiscono un problema comune. Forte dolore addominale e vomito possono simulare gravi disordini addominali e queste crisi dolorose sono abitualmente accompagnate da dolore lombare e articolare. Le trombosi dei vasi cerebrali di maggior calibro possono portare a emiplegia, paralisi dei nervi cranici e altri disturbi neurologici. Particolarmente durante la prima infanzia sono frequenti le infezioni di solito pneumococciche, spesso fatali. La sindrome toracica acuta è la maggiore causa di morte nei pazienti con età > 5 anni. Si verifica in tutti i gruppi di età, ma la sua frequenza si riduce nell’età adulta. È caratterizzata da comparsa repentina di febbre, dolore toracico, leucocitosi e infiltrati parenchimali polmonari rilevabili radiograficamente. Gli infiltrati iniziano nei lobi inferiori, possono essere bilaterali in 1/3 dei casi e possono essere associati a effusione pleurica. La sindrome mima la polmonite batterica e può far seguito a tale infezione. Le lesioni sono quelle di un’occlusione microvascolare e si può instaurare una rapida ipossiemia. La terapia ventilatoria di supporto e la presa in considerazione di un’exanguinotrasfusione (per PO2 < 70 mm Hg in corso di somministrazione di O2) è importante. Nei pazienti più anziani si ha un progressivo decadimento delle funzioni renali e polmonari. Il priapismo, una seria complicanza con possibilità di impotenza, è molto comune nei maschi giovani. Nella condizione di eterozigosi (Hb AS) i pazienti sono normali e non presentano emolisi, crisi dolorose o complicanze trombotiche. Può esser presente un’aumentata incidenza della rabdomiolisi e di morte improvvisa nei pazienti portatori di Hb AS che sostengono sforzi fisici molto intensi. È frequente un’ipostenuria. A volte si ha ematuria monolaterale (mediante un meccanismo sconosciuto e di solito dal rene sinistro), ma di solito è autolimitata; il riconoscimento della condizione di eterozigosi per il carattere falciforme permette di capire la causa dell’emorragia unilaterale e quindi di evitare un’inutile nefrectomia. Nella malattia a cellule falciformi è più frequente la tipica necrosi papillare renale.

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Esami di laboratorio e diagnosi La conta dei GR è abitualmente compresa tra 2 e 3 milioni/µl con una riduzione proporzionale dell’Hb. Le cellule sono normocitiche. Un basso valore di MCV fornisce evidenza di una concomitante α-talassemia. Lo striscio periferico essiccato e colorato può mostrare soltanto alcune cellule di aspetto falciforme. Il dato di laboratorio patognomonico è rappresentato dalla falcizzazione, fenomeno che si verifica o quando una goccia di sangue non colorato viene sottoposta all’azione di agenti riducenti (p. es., il metabisolfito di sodio) o se ne viene impedito l’essiccamento. La falcizzazione può anche essere generata da bassa tensione di O2. Ponendo una goccia di sangue tra due vetrini i cui bordi vengono sigillati con vaselina è possibile osservare al microscopio la falcizzazione. Un metodo di screening ampiamente usato è un esame in provetta, molto rapido, che si basa sulle caratteristiche di solubilità dell’Hb S. È comune una reticolocitosi del 10-20%, con presenza di GR nucleati nel sangue periferico. Può esserci una leucocitosi fino a 35000/µl con spostamento verso le forme più giovani, durante le crisi falciformi o infezioni batteriche. Le piastrine sono di solito aumentate. Il midollo osseo mostra un’iperplasia eritroblastica; durante le falcizzazione o le infezioni gravi, invece, esso può diventare aplastico. La bilirubina sierica e l’urobilinogeno fecale e urinario sono di solito aumentati, mentre la VES è bassa. La condizione di omozigosi viene diagnosticata attraverso l’elettroforesi dell’Hb che mette in evidenza soltanto la presenza di Hb S con una quantità variabile di Hb F. L’eterozigosi è riconosciuta per la presenza di maggiore quantità di Hb A che di HbS all’elettroforesi. L’Hb S può essere riconosciuta dalle altre Hb che hanno una migrazione elettroforetica simile. Si ricorre alla prova della falcizzazione, naturalmente negativa in queste ultime. Questa distinzione è molto importante nel campo del consultorio genetico. La sensibilità della diagnosi prenatale è molto aumentata dalla disponibilità della tecnica della polymerase chain reaction (PCR).

Prognosi e terapia La durata di vita dei pazienti omozigoti è costantemente aumentata fino a oltre 50 anni di età. Le cause frequenti di morte sono le infezioni intercorrenti, l’embolia polmonare diffusa, la trombosi di arterie di importanza vitale e l’insufficienza renale. La terapia è sintomatica, poiché non esiste in vivo alcun farmaco antifalcizzazione. La splenectomia e i medicamenti antianemici non hanno alcun valore. Le emotrasfusioni devono essere effettuate soltanto nelle anemie gravi (p. es., durante le crisi aplastiche che accompagnano le infezioni) e sono di scarso uso per le crisi dolorose. In linea generale, il trattamento delle crisi deve comprendere la somministrazione di abbondanti liquidi PO o EV e di analgesici, compresi i narcotici (somministrati regolarmente, non al bisogno e spesso richiesti ad alto dosaggio), per il dolore. Le crisi possono persistere per 5 giorni. Le indicazioni accettate per le trasfusioni comprendono la presenza di sintomi cardiopolmonari (in particolare quando l’Hb è < 5 g/dl) o di segni (p. es., insufficienza cardiaca ad alta gittata o ipossiemia con PO2 < 65 mm Hg) oppure di altre situazioni che mettono in pericolo la vita del paziente e che potrebbero giovarsi di un aumentato rilascio di O2 (p. es., sepsi, infezioni gravi, accidenti cerebrovascolari e insufficienza d’organo). Le trasfusioni e il cambio dei GR sono anche indicate prima dell’anestesia generale e della chirurgia. L’obiettivo terapeutico è di mantenere il contenuto di Hb A a un valore > 50%; tuttavia, la validità di questo approccio non è stata provata. Infine, un programma di trasfusioni croniche riduce le emorragie cerebrali ricorrenti ed è raccomandato nei pazienti con età < 18 anni e che hanno avuto un accidente vascolare. La terapia è praticata per 3 anni e le trasfusioni sono eseguite al bisogno (normalmente ogni 3-4 settimane) al fine di mantenere l’Hb A a un valore > 50% (50-70%) dell’Hb totale. Inoltre è raccomandato per i pazienti con ulcere recidivanti degli arti inferiori e, probabilmente, durante la gravidanza. file:///F|/sito/merck/sez11/1270948.html (3 of 4)02/09/2004 2.05.01

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Una sostituzione parziale del sangue risulta, di solito, la procedura migliore, dal momento che lo scopo di tali programmi terapeutici deve essere quello di ottenere una concentrazione di GR falciformi < 30%, con un Htc 46%. Una sostituzione parziale del sangue o l’ipertrasfusione possono interrompere una serie di crisi dolorose subentranti. L’exanguinotrasfusione parziale è eseguita con un separatore cellulare extracorporeo, che rimuove selettivamente i GR dal sangue del paziente. I GR normali (con Hb A) sono infusi continuamente per raggiungere la concentrazione desiderata di Hb A (> 50%), che è misurata tramite elettroforesi. Particolare cura deve essere tenuta per mantenere l’Htc < 46% in modo tale che l’iperviscosità non vada ulteriormente a complicare il flusso sanguigno. L’ipertrasfusione è la somministrazione di GR normali, usando obiettivi simili. Questo approccio si applica a pazienti il cui Htc sia < 2224%. Le cellule normali sopprimeranno la produzione endogena (cellule falciformi) di GR; poiché i GR normali hanno una più lunga sopravvivenza, la percentuale di cellule S si ridurrà con l’aumento delle cellule normali. La profilassi antibiotica, i vaccini pneumococcici (v. Infezioni pneumococciche al Cap. 157), l’identificazione e il trattamento precoci di gravi infezioni batteriche e la profilassi penicillinica con terapia orale continua (iniziando dall’età di 4 mesi) hanno ridotto la mortalità, specialmente nell’età infantile. Poiché i pazienti con la sindrome da cellula falciforme che hanno elevati livelli di Hb fetale sembrano essere protetti da alcune sequele avverse, l’idrossiurea (un inibitore della ribotide-reduttasi) è stata studiata per la sua capacità di aumentare i livelli di Hb fetale. L’idrossiurea riduce le crisi dolorose (del 50%) e riduce la sindrome toracica acuta così come la necessità delle trasfusioni. Inoltre, il trapianto di midollo osseo ha avuto successo in un piccolo numero di pazienti, sebbene l’incidenza di sequele neurologiche appare aumentato. La terapia genetica attualmente offre la migliore speranza di cura.

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Ematologia e oncologia

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. Anemie Anemie causate da emorragia Anemia acuta postemorragica Anemia da emorragia cronica Anemia causata da insufficiente eritropoiesi Anemie microcitiche Anemia sideropenica Anemia da deficit di trasporto del ferro Anemie da cattiva utilizzazione del ferro Anemia in corso di malattia cronica Anemie normocitiche normocromiche Anemie ipoproliferative Anemia aplastica Anemia mieloftisica Mielodisplasia Anemia macrocitica non megaloblastica Anemie megaloblastiche Anemia da carenza di vitamina B12 Anemia da carenza di acido folico Anemia da carenza di vitamina C Anemie causate da iperemolisi Emolisi causata da difetti estrinseci al globulo rosso Anemie causate da iperattività reticoloendoteliale file:///F|/sito/merck/sez11/index.html (1 of 4)02/09/2004 2.05.02

Ematologia e oncologia

Anemie causate da anomalie immunologiche Anemie causate da danno meccanico Emolisi da difetti intrinseci del globulo rosso Anemie causate da alterazioni del globulo rosso Anemie causate da alterazioni del metabolismo eritrocitario Anemie causate da difettosa sintesi emoglobinica Malattia a cellule falciformi Malattia da emoglobina C Malattia da emoglobina S-C Malattia da emoglobina E Talassemia Malattia da emoglobina S-b-talassemia 128. Sovraccarico di ferro 129. Medicina trasfusionale La raccolta del sangue Test pretrasfusionali Prodotti ematici Tecnica Complicanze Emaferesi terapeutica 130. Malattie mieloproliferative Policitemia vera Eritrocitosi secondaria Mielofibrosi

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Ematologia e oncologia

Trombocitemia primitiva Trombocitemia secondaria 131. Disordini dell’emostasi e della coagulazione Disordini della coagulazione ereditari Emofilia Malattie coagulative ereditarie rare Coagulopatie acquisite Disordini della coagulazione correlati a malattie epatiche Coagulazione intravascolare disseminata (CID) Disordini della coagulazione da anticoagulanti circolanti Anticoagulanti circolanti 132. Disordini trombotici 133. Disordini piastrinici Trombocitopenia Disfunzioni piastriniche 134. Disordini emorragici vascolari Porpora semplice Porpora senile Teleangiectasia emorragica ereditaria Porpora di Henoch-Schönlein Porpora vascolare causata da disprotidemie Vasculite leucocitoclastica Sensibilizzazione autoeritrocitaria 135. Leucopenia e linfocitopenia 136. Disordini degli eosinofili 137. Sindromi istiocitiche 138. Le leucemie Leucemia acuta

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Ematologia e oncologia

Leucemia cronica Sindrome mielodisplastica 139. Linfomi Morbo di Hodgkin Linfomi non Hodgkin Linfoma di Burkitt Micosi fungoide 140. Discrasie plasmacellulari Gammopatie monoclonali di incerto significato Macroglobulinemia Mieloma multiplo Malattie da catena pesante 141. Disordini della milza Ipersplenismo Sindromi splenomegaliche Rottura della milza 142. Generalità sui tumori 143. Immunologia dei tumori Antigeni tumorali Risposta dell’ospite ai tumori Immunodiagnosi dei tumori Immunoterapia 144. Principi di terapia dei tumori 145. Malattie ematologiche e neoplasie associate ad aids

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

Sommario: Introduzione Esame di laboratorio

Il termine anemia è stato usato in modo erroneo per definire una diagnosi; più propriamente, esso denota un complesso di segni e sintomi. Il tipo di anemia definisce il suo meccanismo fisiopatologico e la sua natura essenziale, permettendo l’attuazione di una appropriata terapia. Non effettuare accertamenti in caso di lieve anemia è un grave errore; la sua presenza indica una malattia sottostante, anche se la sua gravità rivela poco circa la genesi o il vero significato clinico. I sintomi e i segni di anemia rappresentano le risposte compensatorie degli apparati cardiovascolare e polmonare alla gravità dell’ipossia tissutale. L’anemia grave (p. es., Hb < 7 g/dl) può essere accompagnata da debolezza, vertigini, cefalea, ronzii, scotomi, affaticabilità, sonnolenza, irritabilità e anche da un comportamento bizzarro. Possono anche manifestarsi amenorrea, perdita della libido, disturbi gastrointestinali e, a volte, ittero e splenomegalia. Infine, si possono avere insufficienza cardiaca congestizia o shock. Alcuni algoritmi diagnostici possono facilitare la diagnosi differenziale (v. Tab. 127-1). L’anemia deriva da uno o più di tre meccanismi di base: emorragia, insufficiente eritropoiesi (produzione di GR) o eccessiva emolisi (distruzione di GR). Prima di tutto è necessario prendere in considerazione l’eventualità di un’emorragia; una volta che questa venga esclusa, devono essere presi in considerazione solo gli altri due meccanismi. Poiché la sopravvivenza media dei GR è di 120 gg, il mantenimento di una popolazione stazionaria di GR richiede ogni giorno il rinnovo di 1/120 delle cellule. L’arresto completo dell’eritropoiesi dà luogo a una diminuzione di circa il 10%/sett. (1%/die) dei GR. Un deficit eritropoietico determina una reticolocitopenia relativa o assoluta. Quando il numero diminuisce più del 10%/sett. (cioè 500000 GR/µl) in assenza di perdita ematica, l’emolisi è un fattore causale. Un utile approccio diagnostico nella maggior parte dei casi di anemia da eritropoiesi insufficiente è quello di esaminare le modificazioni delle dimensioni e della forma dei GR. Quindi, le anemie microcitiche (v. Esami di laboratorio, oltre) suggeriscono un’alterata sintesi dell’eme o della globina (p. es., deficienza marziale, talassemia e difetti correlati alla sintesi dell’Hb, anemia associata a malattia cronica). Al contrario, le anemie normocitiche normocromiche suggeriscono l’esistenza di un meccanismo ipoproliferativo o ipoplastico. Alcune anemie sono caratterizzate da macrociti (GR di grandi dimensioni), che suggeriscono un difetto nella sintesi del DNA. Tali anemie dipendono di solito da alterazioni del metabolismo della vitamina B12 o dell’acido folico oppure dall’interferenza nella sintesi del DNA operata da farmaci chemioterapici citotossici. La reticolocitosi o la policromatofilia sono i segni di un’adeguata risposta midollare all’anemia. Similmente, pochi meccanismi comuni di aumentata distruzione (p. es., il file:///F|/sito/merck/sez11/1270917.html (1 of 5)02/09/2004 2.05.03

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sequestro splenico, l’emolisi anticorpo-mediata, il difettoso funzionamento della membrana del GR, Hb anomala) aiutano molto nella diagnosi differenziale delle anemie emolitiche. Uno dei più cruciali concetti clinici nella cura delle anemie è che la terapia deve essere specifica, il che implica la necessità di una diagnosi specifica. La risposta al trattamento conferma la diagnosi. Sebbene un trattamento multifarmacologico (detto "a doppietta") possa determinare un transitorio miglioramento dell’anemia, tale terapia non è giustificabile, poiché essa rischia di provocare gravi conseguenze. La trasfusione di GR fornisce un rimedio istantaneo che deve essere riservato a pazienti con sintomi cardiopolmonari, con segni di emorragia irrefrenabile in atto o con alcune forme di insufficienza ipossiemica di organi critici. Le tecniche trasfusionali e i componenti ematici verranno trattati nel Cap. 129. La Tab. 127-2 classifica le anemie in base alle cause.

Esame di laboratorio I test di laboratorio quantificano la gravità dell’anemia e forniscono dati per la diagnosi. Raccolta del campione di sangue: il sangue viene preferibilmente prelevato mediante puntura venosa, sebbene in qualche caso possa essere sufficiente la puntura del polpastrello, eseguita con una lancetta sterile. Il tipo di test determina l’eventuale anticoagulante che deve essere contenuto nelle provette di raccolta. Sono disponibili provette sotto vuoto provviste di un ago con due punte per facilitare il prelievo; esse contengono l’anticoagulante per effettuare la maggior parte degli esami di routine. Tuttavia, la maggior parte delle provette sotto vuoto disponibili in commercio non è sterile; il riflusso di sangue dalla provetta alla vena può permettere l’ingresso di batteri nell’organismo. Per evitare tali infezioni, la pinza emostatica deve essere rimossa prima che il flusso di sangue dentro la provetta si interrompa; il braccio del paziente non deve muoversi durante il prelievo (anche l’elevazione del braccio di alcuni centimetri dopo il completo riempimento della provetta può determinare una riduzione della pressione venosa sufficiente a provocare un flusso retrogrado di sangue); e non va esercitata pressione sull’estremità del pistone della provetta. Se possibile, è bene utilizzare provette sterili o dispositivi contenenti una valvola di sicurezza tra l’ago e la provetta. L’acido etilendiaminotetracetico (EDTA) è l’anticoagulante da preferire per la raccolta del sangue, dal momento che la morfologia risulta meno alterata e le piastrine meglio conservate. Esso può essere aggiunto a provette pulite o possono essere reperite in commercio apposite provette sotto vuoto, contenenti EDTA. I vetrini devono essere allestiti entro 3-4 h dalla raccolta del sangue o entro 1-2 h per effettuare la conta delle piastrine. Per le piccole quantità di sangue o quando non sia possibile la puntura endovenosa, si punge rapidamente con una lancetta sterile monouso il dito, il lobo dell’orecchio o, nei lattanti, la superficie plantare del tallone; la puntura deve essere effettuata abbastanza profondamente per ottenere la fuoriuscita spontanea del sangue. Si deve evitare di esercitare, durante la raccolta, una pressione eccessiva, che potrebbe causare una diluizione del sangue da parte dei liquidi tissutali. In alcune circostanze, le provette con EDTA sono utilizzate per test coagulativi. Qualunque sia l’anticoagulante utilizzato, poiché un’anemia (Htc < 20%) o una policitemia (Htc > 50%) significative possono influenzare i risultati coagulativi, il volume del campione deve essere corretto dopo che sia nota la conta emocromocitometrica completa. Per le anemie significative, alle quantità fisse di anticoagulante può essere aggiunta una minore quantità di sangue, aspirandolo con una siringa; per la policitemia, il quantitativo di anticoagulante deve essere ridotto (v. Tab. 127-3). file:///F|/sito/merck/sez11/1270917.html (2 of 5)02/09/2004 2.05.03

Anemie

Esame emocromocitometrico completo: l’esame emocromocitometrico completo (EECC) è una valutazione di base che comprende l’Hb, l’Htc, la conta dei GB, la conta differenziale dei GB, la conta delle piastrine, una descrizione dello striscio di sangue periferico relativa alla morfologia e al grado di policromatofilia dei GR e la distribuzione della popolazione e l’architettura delle piastrine. Spesso viene eseguita anche la conta dei GR, in particolare quando si desideri il calcolo degli indici dei GR. Le indicazioni per l’EECC comprendono il sospetto di malattie ematologiche, infiammatorie, neoplastiche o infettive, lo screening dei lattanti con meno di 1 anno di vita, le donne in gravidanza, gli anziani ricoverati e i pazienti con anomalie nutrizionali. Il valore nella valutazione sistematica di routine all’accettazione del paziente in ospedale è controverso. Con questo esame è possibile determinare la presenza di anemia, eritrocitosi, leucemia, insufficienza midollare, infezione, infiammazione e reazioni avverse ai farmaci. L’esame di uno striscio di sangue periferico può essere utile per rilevare altre patologie (p. es., una trombocitopenia, la presenza di parassiti della malaria e di altri parassiti, la formazione di "rouleaux", di GR nucleati o di granulociti immaturi, inclusioni eritrocitarie e granulocitarie) che possono essere presenti nonostante conte normali. L’esame dello striscio di sangue risulta importante per stabilire la morfologia dei GR e la presenza di GB anomali. Con la tecnologia automatizzata, il conteggio dei GR, dell’Hb, dell’Htc e delle piastrine è disponibile in circa 30 sec. In rari casi, le conte cellulari ematiche possono essere ottenute tramite una camera idonea sotto il microscopio, previo mescolamento di una quantità nota di sangue con un diluente specifico o un agente lisante. L’Hb può essere misurata con metodo colorimetrico dopo trattamento con acido cloridrico, che permette rispettivamente un raffronto colorimetrico o spettrofotometrico con ematina o cianmetaemoglobina standard. L’Htc può essere misurato centrifugando un volume noto di sangue e determinando la percentuale di GR relativa al volume ematico totale. La conta differenziale dei GB si effettua colorando una goccia di sangue su un vetrino con colorante metacromatico (p. es., di Wright) e esaminandola al microscopio con olio da immersione. Vengono conteggiati un minimo di 100 GB; ciascun tipo cellulare viene riportato in percentuale. Anche alcuni strumenti automatici effettuano la conta differenziale, mediante il riconoscimento della forma. La conta delle piastrine può essere effettuata sullo striscio di sangue (20000/µl per ciascuna piastrina in un determinato campo d’immersione in olio[90 ⋅]. I valori normali della conta totale dei GB sono compresi tra 4300 e 10800/µl; i valori normali della conta differenziale dei GB sono i seguenti: neutrofili segmentati dal 34 al 75%; neutrofili a banda 8%; linfociti dal 12 al 50%; monociti dal 3 al 15%; eosinofili 5% e basofili 3%. Conta eritrocitaria: la concentrazione media di GR in un individuo normale a livello del mare è di 5,4 ± 0,8 milioni/µl per gli uomini e 4,8 ± 0,6 milioni/µl per le donne. Alla nascita la conta dei GR è leggermente più alta; intorno al 3° mese scende a circa 4,5 ± 0,7 milioni/µl e dopo i 4 anni aumenta progressivamente fino alla pubertà. Il livello normale di Hb è di 16 ± 2 g/dl per gli uomini e di 14 ± 2 g/dl per le donne. L’Htc (cioè il volume dei GR impaccati) è 47 ± 5% per gli uomini e 42 ± 5% per le donne. I criteri diagnostici per l’anemia nell’uomo sono un numero di GR < 4,5 milioni/µl, Hb < 14 g/dl o un Htc < 42%; per la donna abbiamo invece GR < 4 milioni/µl, Hb < 12 g/dl o un Htc < 37%. Conta reticolocitaria: la sostituzione giornaliera dei GR (dai 40000 ai 50000/µl) rappresenta lo 0,5-1,5% della conta totale dei GR. Queste cellule possono essere identificate come policromatofile nelle colorazioni di routine (p. es., colorante di Wright o Giemsa, che evidenziano i residui di RNA) o come reticolociti allorché vengano usate tecniche di colorazione sopravitale che permettono il riconoscimento del reticolo endoplasmatico presente nelle cellule. La conta reticolocitaria viene effettuata prendendo alcune gocce di sangue inizialmente colorate con blu di metilene fresco, poi contrastate con colorante di file:///F|/sito/merck/sez11/1270917.html (3 of 5)02/09/2004 2.05.03

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Wright. In immersione, vengono contati 1000 GR consecutivi e quelli che presentano un reticolo di colore blu sono contati ed espressi in percentuale (normalmente lo 0,5-1,5%). I reticolociti possono anche essere contati mediante contatori differenziali automatici. Dal momento che i reticolociti rappresentano una popolazione cellulare giovane, la conta reticolocitaria costituisce un importante criterio di attività midollare, che può essere considerata una risposta al necessario rinnovamento dei GR. Una conta reticolocitaria aumentata (reticolocitosi) suggerisce una risposta di recupero dopo una perdita di sangue acuta o una risposta a una terapia specifica effettuata per un’anemia da eritropoiesi insufficiente (p es., anemie da carenza di vitamina B12, acido folico e ferro [Fe]). La reticolocitosi è particolarmente evidente nelle anemie emolitiche e nelle gravi emorragie acute. Una conta reticolocitaria normale nel corso di un’anemia indica l’incapacità del midollo osseo a rispondere in modo adeguato. Tale reticolocitopenia è di solito causata da deficienze nutrizionali o ormonali che comportano un’insufficiente eritropoiesi; un meccanismo drammatico è la presenza di infezioni virali (soprattutto da parvovirus umano B19), come causa, di una grave, ma transitoria, riduzione della produzione di GR. Indici eritrocitari: il tipo di anemia può essere indicato dagli indici eritrocitari: il volume corpuscolare medio (MCV), l’Hb corpuscolare media (MCH) e la concentrazione di Hb corpuscolare media (MCHC). Le popolazioni eritrocitarie sono definite microcitiche (MCV < 80 fl) o macrocitiche (MCV > 95 fl). Il termine ipocromia si riferisce a popolazioni di cellule con MCH < 27 pg/GR o MCHC < 30%. Queste relazioni quantitative normalmente possono essere desunte dall’osservazione dello striscio di sangue periferico e, insieme con gli indici, permettono una classificazione delle anemie che si correla con quella eziologica (v. Tab. 127-1) ed è di grande aiuto per la diagnosi. Tecniche elettroniche automatizzate misurano direttamente l’Hb, la conta dei GR e il MCV, mentre l’Htc, la MCH e la MCHC sono derivati da questi dati. Così il MCV è diventato attualmente l’indice più importante nella diagnosi differenziale delle anemie mentre si è ridotta la fiducia nei parametri derivati (specialmente l’Htc). La citometria a flusso automatizzato fornisce un nuovo parametro nella diagnosi dfferenziale: un istogramma di anisocitosi (variazione delle dimensioni cellulari) può essere automaticamente espresso come coefficiente di variazione dell’ampiezza della distribuzione volumetrica dei GR (RDW). Può manifestarsi anche poichilocitosi (variazione della forma). Lesioni dei GR possono essere identificate tramite reperimento di frammenti di GR, parti di cellule rotte (schistociti) o alterazioni significative di membrana evidenziate dalla presenza di cellule di forma ovalare (ovalociti) o cellule sferocitiche. Le cellule a bersaglio (sottili GR con un puntino centrale di Hb), sono GR con un quantitativo di Hb insufficiente oppure con un eccesso di membrana. Aspirazione e biopsia del midollo osseo: questi studi permettono l’osservazione diretta dell’attività eritropoietica, dello stato e delle caratteristiche maturative dei precursori dei GR; di anomalie maturative cellulari (dispoiesi); e la valutazione semiquantitativa della quantità, distribuzione ed espressione cellulare del Fe. Sono di ausilio nelle anemie e in altre citopenie, nelle leucocitosi inspiegabili, nella trombocitosi e qualora si sospetti una leucemia o una mieloftisi. La contemporanea coltura dell’aspirato midollare è un eccellente strumento diagnostico nei pazienti con diagnosi di febbre di origine sconosciuta (Fever of Undetermined Origin, FUO). L’analisi citogenetica e molecolare può essere effettuata sul materiale aspirato nelle neoplasie ematologiche o non o nel sospetto di patologie congenite. La citometria a flusso può essere eseguita nel sospetto di stati linfoproliferativi o mieloproliferativi per stabilire l’immunofenotipo. Poiché l’aspirazione e la biopsia osteomidollare non sono di difficile esecuzione né pongono significativi rischi invasivi, esse dovrebbero essere effettuate precocemente nel sospetto di una patologia di tipo ematologico. In linea generale, è possibile effettuarle entrambe con un’unica procedura. Dal momento che la biopsia richiede uno spessore osseo adeguato, di solito viene effettuata sulla cresta iliaca posteriore (o, meno frequentemente, su quella anteriore). Dopo aver inserito un ago da biopsia, è possibile aspirare una piccola quantità di file:///F|/sito/merck/sez11/1270917.html (4 of 5)02/09/2004 2.05.03

Anemie

midollo (meglio se < 0,5 ml) con una siringa. Alcune goccie di aspirato vengono strisciate direttamente su un vetrino per l’allestimento di colorazione metacromatica (p. es., May-Grünwald, Giemsa, Wright) e si procede quindi all’osservazione microscopica del preparato. Il residuo materiale aspirato può essere mescolato a eparina per studi successivi o per l’analisi citogenetica; una parte può essere lasciata coagulare ed è trattata successivamente come un tessuto chirurgico. Se si desidera avere una coltura di midollo osseo, dopo che è stato ottenuto il materiale istologico si può aspirare 1 ml attraverso lo stesso ago impiantato. La parte profonda della biopsia si ricava dallo stesso ago mediante un avanzamento di 1 cm e un movimento di taglio rotatorio. La parte profonda deve essere decalcificata e trattata come un tessuto chirurgico. Se si desidera soltanto effettuare l’aspirazione midollare si utilizza lo sterno o il processo spinoso di una vertebra lombare. Si deve evitare di prelevare > 2 ml di midollo, poiché la diluizione con il sangue periferico può rendere difficile la valutazione del preparato. Fragilità dei GR (fragilità osmotica): si allestiscono dodici provette contenenti una soluzione di cloruro di sodio (NaCl) a concentrazioni variabili dallo 0,28 allo 0,5%, in modo da avere incrementi successivi dello 0,02%. In ciascuna provetta si aggiunge una goccia di sangue del paziente, mentre si allestisce un’altra serie di provette contenenti sangue di un paziente di controllo. Si annotano la concentrazione di NaCl alla quale inizia l’emolisi (normalmente 0,44 ± 0,04%) e la prima percentuale alla quale la provetta mostra emolisi completa (di solito circa 0,32 ± 0,04%). Se nel sangue del paziente sono presenti molti sferociti (p. es., sferocitosi congenita), allora l’emolisi compare a concentrazioni maggiori a motivo dell’aumentata fragilità. Se la cellula predominante è abnormemente sottile, come nella β-talassemia major, l’emolisi compare a concentrazioni più basse e può anche non essere mai completa. Altri test sono trattati oltre nei capitoli relativi ai disordini anemici ed emorragici specifici. Per i test dell’emostasi (p. es., il tempo di sanguinamento, la retrazione e osservazione del coagulo, i prodotti di degradazione del fibrinogeno/fibrina e i tempi di tromboplastina parziale e di protrombina), v. Tab. 131-2.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127-1. Caratteristiche delle anemie comuni Eziologia o tipo

Modificazioni morfologiche

Aspetti particolari

Emorragia acuta

Normocromica-normocitica, con policromatofilia; midollo iperplastico

Nell’emorragia grave si ritrovano GR nucleati e spostamento a sinistra dei GB; anche leucocitosi e trombocitosi

Emorragia cronica

Stessi caratteri della deficienza marziale; può mostrare caratteristiche di un’emorragia acuta se si sovrappone un’emorragia grave recente

Carenza di ferro

Microcitica, aniso e poichilocitosi; reticolocitopenia; midollo iperplastico, con ritardo della comparsa dell’Hb

Possibile acloridria, atrofia delle papille linguali, coilonichia; assenza di Fe midollare alla colorazione specifica; sideremia bassa; capacità totale di legare il Fe aumentata; ferritina eritrocitaria bassa; ferritina sierica bassa; bassa ferritina eritrocitaria

Carenza di vitamina B12

Macrociti ovali; anisocitosi; reticolocitopenia; leucociti ipersegmentati; midollo megaloblastico

Livello sierico di B12 110 mm Hg) si fa uso della noradrenalina o della dopamina. Poiché aumenta notevolmente la richiesta di O2, l’isoproterenolo è controindicato nei pazienti in stato di shock dopo un IMA, a meno che non sia temporaneamente necessario a causa di un blocco cardiaco completo. Quando lo shock si complica con una bradicardia o un blocco atrioventricolare di grado avanzato, l’aumento della PA mediante noradrenalina o dopamina (v.

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Shock

sopra) e la correzione dell’acidosi comportano di solito il ripristino di una frequenza ventricolare adeguata. Nei pazienti con blocco atrioventricolare di alto grado persistente o grave disfunzione del nodo del seno, può essere necessaria l’applicazione di un pacemaker transvenoso temporaneo. Può essere occasionalmente necessaria la somministrazione per breve tempo di isoproterenolo (2 mg/500 ml di glucosata al 5%, 1-4 µg/min [0,25-1 ml/min]) prima di applicare un pacemaker nei pazienti con prolungati periodi di asistolia o tachicardia ventricolare ricorrente o fibrillazione ventricolare associate a bradicardia grave. La digitale non viene utilizzata di routine nello shock, ma può essere utile nei pazienti con tachicardia sopraventricolare. Se non vi è ipotensione sistemica grave, si può praticare l’infusione di dobutamina o amrinone (0,75 mg/kg EV in 2-3 min seguiti da infusione di 5-10 µg/kg/min) per migliorare la gittata cardiaca e ridurre la pressione di riempimento del ventricolo sinistro. Durante la somministrazione di dobutamina, specie se ad alte dosi, si possono occasionalmente verificare tachicardia e aritmie. L’amrinone è un agente inotropo e un vasodilatatore, per cui si possono verificare aritmie e ipotensione durante la sua somministrazione. L’amrinone può anche causare trombocitopenia: si deve per questo monitorare la conta piastrinica. I vasodilatatori (p. es. nitroprussiato, nitroglicerina) che aumentano la capacitanza venosa o riducono le resistenze vascolari sistemiche riducono il carico di lavoro imposto al miocardio compromesso e possono risultare efficaci nei pazienti che non hanno un’ipotensione arteriosa grave. Può essere particolarmente utile la terapia d’associazione (p. es., dopamina o dobutamina più nitroprussiato o nitroglicerina), che tuttavia richiede un attento monitoraggio ECG ed emodinamico (sia del circolo polmonare che di quello sistemico). L’impiego precoce della contropulsazione aortica sembra essere molto utile per la remissione temporanea dello stato di shock nei pazienti con IMA e deve essere preso in considerazione nei pazienti che richiedono un supporto vasopressorio (noradrenalina o dopamina) per > 30 min e nei pazienti con IMA complicato da difetto del setto interventricolare o grave insufficienza mitralica acuta. Lo sviluppo di tecniche transcutanee utilizzabili al letto del paziente ha reso disponibile la contropulsazione aortica anche a ospedali periferici. Può anche essere necessaria la correzione chirurgica d’emergenza di difetti meccanici (p. es., rottura del setto interventricolare, pseudoaneurismi, insufficienza mitralica grave, ampie discinesie). L’angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA) eseguita d’urgenza al fine di dilatare una coronaria occlusa, se messa in atto entro poche ore dall’inizio dell’IMA, può risolvere una condizione di shock cardiogeno. L’uso di trombolitici EV prima della PTCA d’emergenza è controverso. Tuttavia, se non vengono effettuate una PTCA o un intervento cardiochirurgico d’emergenza, la terapia trombolitica deve essere presa in considerazione il prima possibile, salvo controindicazioni. Altre considerazioni: il tamponamento cardiaco richiede la pericardiocentesi e, nelle situazioni che mettono a rischio la sopravvivenza, può rendersi necessario aspirare il liquido pericardico a letto del paziente. In situazioni di minore urgenza può essere consigliabile la creazione di una finestra pericardica o la pericardiectomia, allo scopo di evitare le recidive. L’embolia polmonare massiva che causa shock viene trattata con misure terapeutiche di supporto, incluso O2, intubazione orotracheale con ventilazione assistita, supporto vasopressorio (noradrenalina, dopamina) ed eparina EV per prevenire la recidiva della trombosi. Quando non è possibile ottenere una stabilizzazione con tali misure, deve essere presa in considerazione l’angiografia polmonare d’urgenza. L’impiego dell’urochinasi o della streptochinasi per lisare i trombi è certamente valido ed è preferibile al tentativo di embolectomia, a meno che non sia controindicato (p. es., a causa di recenti interventi chirurgici maggiori, soprattutto di neurochirurgia). Se lo shock si complica con un edema polmonare, questo può essere spesso risolto trattando l’insufficienza cardiaca coesistente con diuretici mentre si somministra O2 e si sottopone il paziente a ventilazione a pressione positiva. L’edema polmonare che si sviluppa a partire da uno shock settico va trattato in maniera simile, con O2 e ventilazione a pressione positiva (v. anche Cap. 67). file:///F|/sito/merck/sez16/2041829.html (7 of 8)02/09/2004 2.05.07

Shock

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 204-1. CAUSE DI PERDITA DI LIQUIDI NELLO SHOCK IPOVOLEMICO Natura della perdita

Meccanismo della perdita

Liquidi persi attraverso la superficie corporea

Danno termico o chimico

Liquidi sequestrati nella cavità peritoneale

Nella peritonite generalizzata che segue a una perforazione a carico dell'apparato gastrointestinale o a una pancreatite

Liquidi sequestrati all'interno o persi attraverso l'apparato gastrointestinale

Vomito o diarrea in conseguenza di un'ostruzione dell'intestino tenue o del colon, ileo paralitico o gastroenterite

Eccessiva perdita di liquidi con le urine

Nel diabete mellito o insipido, nell'insufficienza surrenalica, nelle nefriti con perdita di sali, nella fase poliurica dopo un danno tubulare acuto e nella terapia con diuretici potenti

Perdita di volume intravascolare nello spazio extravascolare

Aumento della permeabilità capillare secondaria ad anossia, arresto cardiaco o reazione da ipersensibilità (anafilassi); in questi casi, lo shock è dovuto anche alla vasodilatazione arteriolare

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Batteriemia e shock settico

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 156. BATTERIEMIA E SHOCK SETTICO (V. anche Sepsi neonatale e Meningite neonatale in Infezioni neonatali nel Cap. 260)

Sommario: Introduzione BATTERIEMIA Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia SHOCK SETTICO Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La batteriemia e lo shock settico sono condizioni strettamente collegate. La batteriemia denota la presenza di batteri nel torrente sanguigno. Lo shock settico è una sepsi con ipoperfusione e ipotensione refrattaria alla terapia basata sul ripristino dei liquidi. Per sepsi si intende una grave infezione, localizzata o batteriemica, accompagnata da manifestazioni sistemiche di infiammazione. La sepsi causata da una batteriemia è spesso definita setticemia; l’uso di questo termine spesso utilizzato in modo impreciso ora viene scoraggiato. La definizione generale, sindrome della risposta sistemica infiammatoria, riconosce che diverse gravi condizioni (p. es., infezioni, pancreatiti, ustioni, traumi) possono far scattare una reazione infiammatoria, le cui manifestazioni sistemiche sono associate al rilascio nel torrente ematico di un gran numero di mediatori endogeni di infiammazione.

BATTERIEMIA Una batteriemia transitoria può essere causata da manipolazione chirurgica dei tessuti orali infetti o anche da manipolazioni dentarie di routine, da caterizzazione di un tratto urinario inferiore infetto, dall’incisione e dal drenaggio di un ascesso, dalla colonizzazione di presidi invasivi, in particolare cateteri EV e intracardiaci, cateteri uretrali, e presidi per stomie e linee vascolari. La batteriemia da germi gram – ha un andamento tipicamente a carattere intermittente e opportunistico; sebbene essa possa non avere effetti su un soggetto sano, può essere estremamente importante in un paziente immuno compromesso con malattie sottostanti debilitanti, dopo chemioterapia e in situazioni caratterizzate da quadri di malnutrizione. Il sito primitivo di infezione è di solito rappresentato dai polmoni, dai tratti GU o GI o dai tessuti molli inclusa la cute nei pazienti con ulcere da decubito. Essa può fare seguito a una procedura odontoiatrica nei pazienti a rischio e specialmente nei pazienti con patologia cardiaca valvolare, con protesi valvolari o con altre protesi intravascolari. Nei pazienti affetti da patologie croniche e nei pazienti immuno compromessi si

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Batteriemia e shock settico

verificano comunemente batteriemie da gram –. Inoltre, questi pazienti possono sviluppare infezioni del torrente ematico causate da bacilli aerobi, anaerobi e da miceti. Bacteroides può complicare le infezioni addominali e pelviche, specialmente quando il tratto genitale femminile sia infetto. Le infezioni metastatiche delle meningi o delle cavità sierose, come il pericardio o le grandi articolazioni, possono provocare batteriemie transitorie o protratte. Si può verificare endocardite (v. Cap. 208) specialmente se il patogeno è un enterococco, uno stafilococco o un fungo, ma tale quadro è meno comune nel caso di batteriemie da gram –. Le batteriemie stafilococciche sono comuni tra i tossicodipendenti e in tali casi lo stafilococco è il principale responsabile delle endocarditi batteriche da gram +, incluse quelle che interessano la valvola tricuspide.

Sintomi e segni Una batteriemia transitoria a bassa carica microbica, decorre tipicamente in forma asintomatica con l’eccezione dei pazienti a particolare rischio che presentino batteriemie protratte o ad alta carica microbica. Il quadro tipico è caratterizzato dai segni sistemici di infezione, inclusi tachipnea, brividi scuotenti, un picco febbrile e sintomi GI (dolore addominale, nausea, vomito e diarrea). Tali pazienti presentano spesso all’inizio una cute calda e uno stato di vigilanza mentale diminuito. A meno che non venga misurata la PA lo stato ipotensivo può non essere apparente. In alcuni pazienti la diminuzione marcata della PA avviene successivamente. Alcune caratteristiche possono essere di ausilio nella diagnosi differenziale e nell’identificazione dell’agente eziologico(i). Le infezioni al di sopra del diaframma hanno una maggiore probabilità di essere causate da organismi gram +. Le infezioni dell’addome, incluso il tratto biliare e il tratto urinario, hanno una maggiore probabilità di essere causate da batteri gram –. Non ci sono tuttavia altri metodi oltre quelli basati sulla diagnosi di laboratorio per differenziare le cause di batteriemie e di shock settico sostenuti da germi gram + da quelle sostenuti da batteri gram –. Gli ascessi metastatici possono instaurarsi quasi dappertutto e, quando sono estesi, producono i sintomi e i segni caratteristici dell’infezione dell’organo interessato. La formazione di ascessi multipli è frequente specialmente a seguito di batteriemia stafilococcica. Il 25 e il 40% dei pazienti con batteriemia persistente sviluppa un’instabilità emodinamica e rappresentano perciò casi di shock settico.

Diagnosi Si deve provvedere a effettuare colorazioni di Gram e colture da pus e da liquidi raccolti da tutti i potenziali siti di infezione, incluse le cavità corporee infette, gli spazi articolari, i tessuti molli e le lesioni cutanee. Si devono eseguire emocolture per i microrganismi aerobi e anaerobi. Due emocolture, effettuate a distanza di 1 h da due differenti accessi venosi, sono sufficienti per porre una diagnosi iniziale di batteriemia. Tuttavia, una colorazione di Gram o un’emocoltura negativa non escludono la batteriemia, specialmente nei pazienti che abbiano precedentemente ricevuto una terapia antibiotica. Questo numero minimo di due emocolture va ottenuto da due accessi venosi preparati in maniera adeguata. Si devono inoltre ottenere delle colture dall’escreato e dalle sostanze prelevate dai siti di inserzione del catetere e dalle ferite. In precedenza definita come sindrome settica, la sindrome della risposta infiammatoria sistemica è definita da due o più dei seguenti parametri obiettivi: temperatura > 38°C o < 36°C; frequenza cardiaca > 90 battiti/m; frequenza respiratoria > 20 atti/m o PaCO2 < 32 mm Hg; GB > 12000 o < 4000 cell µl, o

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> 10% di forme immature. Nel quadro tipico, il numero dei GB inizialmente risulta diminuito < 4000 µl e quindi risale a > 15000 µl con un marcato aumento delle forme immature nel corso di un intervallo compreso tra 2 e 6 h.

Prognosi e terapia La batteriemia transitoria conseguente a pratiche chirurgiche o a inserimento di cateteri endovenosi o di cateteri urinari è spesso non evidente clinicamente e non richiede terapia a eccezione dei pazienti con malattia cardio-valvolari, protesi intravascolari o dei pazienti immunosoppressi. In tali pazienti è consigliato un regime di profilassi antibiotica, in particolar modo per la prevenzione dell’endocardite. L’effetto delle forme più gravi di batteriemia dipende da due fattori predominanti. Il primo è legato a quanto velocemente e completamente la fonte dell’infezione può essere eliminata. La seconda è condizionata alla prognosi della malattia sottostante e da quanto questa provoca in termini disfunzioni sistemiche. I presidi invasivi, in particolare quelli EV e i cateteri urinari, vanno rimossi appena possibile. La terapia antibiotica deve essere iniziata su base empirica dopo avere ottenuto le colorazioni di Gram e le colture batteriche. In alcuni casi (p. es., una rottura di un viscere, una miometrite con ascessi e una gangrena dell’intestino o della cistifellea) l’intervento chirurgico è dovuto. Gli ascessi più grandi devono essere incisi e drenati e il tessuto necrotico deve essere rimosso. Quando una batteriemia persistente è dovuta a infezione dei polmoni, del tratto biliare o urinario in assenza di un’ostruzione o della formazione di un ascesso, un’appropriata terapia antibiotica ha di solito buone probabilità di successo. Quando vengono isolati più volte e in quantità elevata più di un microrganismo (batteriemia polimicrobica) nell’ambito di un quadro di insufficienza multiorgano è verosimile che si abbia ha una prognosi infausta. Un ritardo nel trattamento antibiotico o chirurgico aumenta considerevolmente il rischio di mortalità.

SHOCK SETTICO Quando la batteriemia produce modificazioni nella circolazione così che la perfusione tissutale si riduce marcatamente, si instaura lo shock settico. Lo shock settico è comune soprattutto con infezioni sostenute da organismi gram –, stafilococchi o meningococchi. Lo shock settico è caratterizzato da un’insufficienza circolatoria acuta, di solito con o seguita da ipotensione e da insufficienza multiorgano. La cute all’inizio può essere calda anche in presenza di ipotensione, la diuresi è ridotta, diminuisce lo stato di vigilanza e aumenta lo stato confusionale e si verifica l’insufficienza acuta di più organi, inclusi polmoni, reni e fegato.

Eziologia e patogenesi Lo shock settico è più spesso causato da bacilli gram – acquisiti in ospedale e si verifica comunemente nei pazienti immunocompromessi e in quelli con patologie croniche. In circa 1/3 dei pazienti, tuttavia, è causato da cocchi gram + e dalla Candida. Lo shock causato da tossine stafilococciche è denominato shock tossico, una condizione incontrata più frequentemente nelle ragazze (v. in Infezioni stafilococciche Cap. 157). I fattori predisponenti per lo shock settico comprendono diabete mellito, cirrosi, stati leucopenici, specialmente quelli associati a neoplasie sottostanti o al trattamento con agenti citotossici, infezioni antecedenti nel tratto urinario, biliare o GI, presidi invasivi, inclusi i cateteri, i tubi di drenaggio e altri corpi estranei. Inoltre costituiscono fattori predisponenti una precedente terapia con antibiotici, corticosteroidi o interventi strumentali per la ventilazione. Lo shock settico si file:///F|/sito/merck/sez13/1561231.html (3 of 6)02/09/2004 2.05.09

Batteriemia e shock settico

verifica più spesso nei neonati, nei pazienti con più di 35 anni, nelle donne in gravidanza e nelle persone con un grave grado di immuno-compromessione indotto da patologie di base o nei casi di complicanze iatrogene. La patogenesi dello shock settico non è stata completamente spiegata. Le tossine batteriche generate dagli organismi infettanti attivano complesse reazioni immunologiche. Sono stati implicati un gran numero di mediatori, compreso il fattore di necrosi tumorale, i leucotrieni, la lipossigenasi, l’istamina, la bradichinina, la serotonina e l’interleukina-2, in aggiunta all’endotossina (scissione lipidica dei lipopolisaccaridi rilasciati dalle pareti cellulari dei bacilli enterici gram –). Inizialmente si verifica la vasodilatazione delle arterie e delle arteriole che fanno diminuire la resistenza arteriosa periferica con una gettata cardiaca normale o aumentata, anche se la frazione di eiezione può risultare diminuita all’aumentare del battito cardiaco. Successivamente la gittata cardiaca diminuisce e le resistenze periferiche possono aumentare. Malgrado una gittata cardiaca aumentata, il flusso sanguigno verso i vasi capillari di scambio risulta diminuito, come diminuito è il rilascio dei substrati vitali, in particolare O2 e la rimozione della CO2 e dei prodotti del catabolismo. Questa condizione di diminuita perfusione dell’organo colpisce particolarmente i reni e il cervello con conseguente danneggiamento di uno o più organi viscerali. Alla fine, la gettata cardiaca diminuisce e compare il quadro tipico dello shock.

Sintomi e segni Le manifestazioni della batteriemia (v. sopra) appaiono di solito per prime. Quando si sovrappone uno shock settico, il primo sintomo è spesso lo stato di vigilanza alterato. La pressione è verosimilmente ridotta anche se la cute è tiepida (il paradossso delle estremità calde). Sono presenti tachicardia, tachipnea e oliguria. Sintomi tardivi sono estremità fredde, pallide, con cianosi periferica e marmorizzazione. Col progredire dello shock, si ha insufficienza di molti organi, compresi i reni, i polmoni e il fegato; si possono inoltre verificare coagulazione disseminata intravascolare (CID) e insufficienza cardiaca.

Diagnosi Lo shock settico deve essere distinto dallo shock ipovolemico, cardiogeno e ostruttivo (v. anche Cap. 204). È utile la determinazione del peso specifico e dell’osmolalità delle urine e lo shock ipovolemico tende a rispondere prontamente al riequilibrio del volume intravascolare. Lo shock cardiogeno è tipicamente associato all’infarto del miocardio. Lo shock ostruttivo è una complicanza dell’ostruzione dell’arteria polmonare o di un altro grosso vaso causata da un’embolia polmonare o da un aneurisma che provoca la dissezione dell’aorta. Nello shock settico si nota un difetto di distribuzione. Il modello iniziale emodinamico dello stato iperdinamico è peculiare della sepsi: una gittata cardiaca normale o aumentata con diminuzione delle resistenze periferiche arteriose e pelle calda e secca. La diminuzione cardiaca accompagnata dall’aumento delle resistenze periferiche rappresenta lo stato ipodinamico, che di solito è una fase tardiva dello shock settico. Le misurazioni emodinamiche con un catetere nell’arteria polmonare sono utili per escludere cause non settiche dello shock. A differenza dello shock ipovolemico, durante lo shock settico si verifica più spesso che la gittata cardiaca sia normale o aumentata e le resistenze periferiche diminuite. Non sono di solito ridotte né la pressione venosa centrale (PVC) né la pressione occlusiva dell’arteria polmonare. L’ECG può mostrare anomalie non specifiche delle onde ST-T e delle aritmie sopraventricolari e ventricolari, in parte connesse con l’ipotensione.

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All’inizio dello shock settico, il numero dei leucociti può essere significativamente ridotto e i leucociti polimorfonucleati (PMN) possono essere ridotti al 20%. Ciò è associato a una brusca diminuzione del numero delle piastrine a 50000 µl. Tuttavia, la situazione s’inverte rapidamente entro 1-4 h e di solito si ha un incremento significativo nel numero complessivo dei GB e dei PMN (fino a > 80% con la prevalenza delle forme giovanili). L’analisi delle urine può mostrare come il tratto urinario sia la fonte dell’infezione, particolarmente nei pazienti che hanno cateteri urinari. In fase precoce è presente un’alcalosi respiratoria, con bassa Pco2 e aumentato pH arterioso, il che compensa l’acidemia lattica. I bicarbonati sierici sono di solito diminuiti mentre il lattato sierico ematico sono aumentati. Col progredire dello shock sopravviene un’acidosi metabolica. L’insufficienza respiratoria precoce conduce a ipossiemia con Po2 < 70 mm Hg. L’ECG può mostrare segmenti ST depressi con onde T invertite e occasionalmente aritmie atriali e ventricolari. Di solito le concentrazioni di azotemia e creatinina aumentano progressivamente come conseguenza di un’insufficienza renale con diminuzione della clearance della creatinina.

Prognosi e terapia La mortalità generale per i pazienti con shock settico oscilla tra il 25 e il 90%. Spesso i risultati peggiori si verificano quando la terapia non sia stata avviata abbastanza presto. Una volta stabilitasi l’acidosi metabolica scompensata grave, specialmente in associazione a insufficienza multiorgano, è verosimile che lo shock settico abbia carattere di irreversibilità nonostante la terapia. I pazienti con shock settico devono essere curati in unità di terapia intensiva (UTI). I seguenti parametri devono essere controllati di frequente: pressione sistemica, pH del sangue arterioso e venoso, livelli dei gas arteriosi, livello del lattato ematico, funzionalità renale, livelli degli elettroliti e possibilmente la PCO2 tissutale. L’utilizzo di un catetere nell’arteria polmonare è controverso ma tende a essere preferito quando la diagnosi differenziale di shock è in dubbio. La vasocostrizione cutanea fornisce un indizio circa le resistenze vascolari periferiche ma non riflette accuratamente il flusso ematico del rene, del cervello o dell’intestino. Pertanto, deve essere misurata la quantità di urine emesse di solito avvalendosi di un catetere urinario come indicazione del flusso ematico splancnico e della perfusione viscerale. La PVC o la pressione dell’arteria polmonare vanno misurate, in modo che la terapia sostitutiva con liquidi sia protratta finché la PVC non raggiunga i 10-12 cm H2O o finché la pressione polmonare di punta non raggiunga i 12-15 mm Hg. L’oliguria con l’ipotensione non costituiscono una controindicazione a una terapia liquida vigorosa. La quantità di liquidi necessaria supera spesso di molto il volume ematico normale e può raggiungere i 10 l in poche ore. La pressione occlusiva dell’arteria polmonare può essere la miglior guida disponibile per anticipare le limitazioni nella funzionalità ventricolare di sinistra e un edema polmonare incipiente, dovuto a sovraccarico di liquidi (v. anche la trattazione della terapia nel Cap. 67). La respirazione deve essere sostenuta con O2 nasale, intubazione tracheale o tracheotomia, e ventilazione meccanica se necessario. Gli antibiotici per via parenterale vanno somministrati solo dopo aver effettuato prelievi di sangue, di liquidi organici e tamponi delle ferite cutanee, da sottoporre a colorazione di Gram e a colture. È essenziale la rapida instaurazione di una terapia empirica; la scelta di un antibiotico richiede la valutazione dei risultati di colture precedenti ottenute da focolai dell’infezione primaria o del tipo di ambiente clinico in cui l’infezione primaria si è manifestata. La precoce somministrazione di antibiotici può permettere di salvare la vita al paziente un regime empirico nel caso di shock settico da cause ignote è costituito file:///F|/sito/merck/sez13/1561231.html (5 of 6)02/09/2004 2.05.09

Batteriemia e shock settico

dalla gentamicina o dalla tobramicina più una cefalosporina di terza generazione (cefotaxime o ceftriazone o, in caso di sospetto di infezione da Pseudomonas, ceftazidime). Nel caso in cui sia probabile la presenza di organismi gram + (sepsi da catetere) allora va aggiunta la vancomicina. Se c’è una fonte di infezione addominale, va utilizzato un farmaco anti-anaerobi (p. es., metronidazolo). Può essere efficace anche se non è raccomandata una monoterapia con dosi terapeutiche massimali di ceftazidime (2 g q 8 h EV) o di imipenem (500 mg q 6 h EV). La vancomicina deve essere utilizzata se si sospettano stafilococchi resistenti oppure enterococchi. Appena si rendano disponibili i risultati delle colture e siano disponibili gli antibiogrammi, il regime antibiotico andrà modificato di conseguenza. Gli antibiotici vanno continuati per diversi gg dopo la risoluzione dello shock e dopo che il focolaio primario di infezione sia stato adeguatamente bonificato. Se un paziente con uno shock settico rimane ipoteso malgrado l’elevazione della pressione arteriosa polmonare a 15-18 mm Hg ottenuta tramite idratazione, allora si può somministrare la dopamina per portare la PA media ad almeno 60 mm Hg. Se la dose di dopamina eccede i 20 µg/kg/min, si può somministrare un altro vasopressore, generalmente la norepinefrina, con la dose regolata per mantenere una PA media di 60 mm Hg. Tuttavia, i farmaci vasopressori, inclusa la dopamina ad alte dosi e la norepinefrina presentano rischi legati alla vasocostrizione da essi indotta e non è stata ancora provata la loro capacità di migliorare la sopravvivenza. Il pus deve essere drenato; corpi estranei e tessuto necrotico vanno rimossi; se non si fa ciò, spesso si va incontro a una prognosi sfavorevole, malgrado la terapia antibiotica. Per drenare l’ascesso o per rimuovere i tessuti infetti come intestino infartuato, colecisti infiammata, utero infetto o pionefrosi, spesso si deve procedere con urgenza a un intervento chirurgico. Le condizioni del paziente, per quanto gravi, possono continuare a peggiorare, sebbene il focolaio settico sia stato escisso o drenato. A seconda delle condizioni cliniche del paziente sono state utilizzate altre terapie inclusi mannitolo o furosemide, per indurre la diuresi in pazienti con oliguria, un preparato di digitale a rapida azione, nei pazienti con insufficienza cardiaca e, occasionalmente, eparina nei pazienti con CID (v. in Cap. 131). Ad ogni modo, tali interventi non sono di provata efficacia. Studi sperimentali di terapia con anticorpi monoclonali verso la frazione lipidica A dell’endotossina, antileucotrieni e gli anticorpi contro i fattori di necrosi tumorale non hanno dato risultati positivi. I glucocorticoidi non sono considerati di ausilio nelle situazioni ordinarie, per quanto possano essere utilizzati in tipi di infezione particolari come la meningite e nei pazienti con iposurrenalismo.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI Terapia antibatterica (V. anche Cap.258) Le rapide modificazioni fisiologiche durante il periodo neonatale alterano in modo significativo la farmacocinetica e le proprietà tossiche degli antibiotici, determinando la necessità di complessi calcoli per stabilire le dosi (v. Tabb. 2606 e 260-7). Si inizia spesso, in attesa dei risultati delle colture e degli antibiogrammi, una terapia empirica, costituita di solito dall’associazione dell’ampicillina e un aminoglicoside o, se opportuno, ampicillina e una cefalosporina a largo spettro che posside un buon passaggio attraverso la BEE (v. anche più avanti in Sepsi neonatale,). I dati riguardanti la prevalenza dei germi resistenti agli antibiotici in un Nido sono utili nella scelta del trattamento. Se sono presenti lesioni cutanee o se si sospettano infezioni nosocomiali, è consigliabile una copertura con farmaci attivi sugli stafilococchi. Tuttavia, i potenti antibiotici a largo spettro, come le cefalosporine più recenti, possono indurre drastiche variazione della flora batterica intestinale, alterazioni della coagulazione, l’emergere di ceppi resistenti, e superinfezioni da enterococchi o da lieviti. Le dosi dei farmaci in tutto questo capitolo si riferiscono a neonati a termine e lattanti. Assorbimento degli antibiotici: l’instabilità vasomotoria dei neonati con infezioni batteriche gravi determina un’imprevedibilità nell’assorbimento, quando i farmaci sono somministrati per via sottocutanea o intramuscolare. Quindi, se possibile, gli antibiotici per infezioni gravi devono essere somministrati EV. Gli antibiotici possono essere utilizzati per via orale nei pazienti che non sono gravemente malati (v. Tab. 260-7). Distribuzione degli antibiotici: nei neonati il LEC costituisce fino al 45% del peso corporeo totale e si richiedono quindi dosi maggiori, in rapporto al peso, di determinati farmaci (p. es., gli aminoglicosidi), rispetto a quelle utilizzate negli adulti. Nel bambino prematuro le concentrazioni più basse di albumina sierica possono condizionare la distribuzione, attraverso la riduzione del legame degli antibiotici con le proteine. I farmaci che competono con la bilirubina per il legame con l’albumina (p. es., sulfamidici, ceftriaxone) possono aumentare il rischio di ittero nucleare. Metabolismo ed escrezione degli antibiotici: l’assenza o il deficit di alcuni enzimi nei neonati possono prolungare l’emivita di determinati farmaci e aumentarne il rischio di tossicità. Per esempio, l’immaturità dell’attività della glicuroniltransferasi epatica diminuisce la coniugazione del cloramfenicolo e ciò può condurre a livelli ematici elevati che possono determinare collasso cardiocircolatorio (sindrome del bambino grigio). Il cloramfenicolo deve essere evitato, se possibile; altrimenti, i livelli ematici del farmaco devono essere monitorati, specialmente se utilizzato in associazione con rifampicina, fenobarbital o acetaminofene, a causa dell’interferenza con il metabolismo epatico. La diminuita VFG e la diminuita secrezione tubulare renale aumentano l’emivita delle penicilline e degli aminoglicosidi. Le dosi di questi antibiotici devono quindi essere ricalcolate mentre la funzionalità renale va modificandosi, durante il primo mese di vita. file:///F|/sito/merck/sez19/2602320b.html (1 of 2)02/09/2004 2.05.10

Patologia del neonato e del lattante

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-6. DOSAGGIO RACCOMANDATO PER GLI ANTIBIOTICI USATI NEL NEONATO PER VIA PARENTERALE Intervallo fra le somministrazioni Peso Corporeo < 1200 g

Peso Peso Corporeo 1200- Corporeo < 2000 g 2000 g

Età

Antibiotico

Via di somminis Dose trazione individuale

0-28 gg

Età 0-7gg

Età 8 gg

07 gg

Penicillina G acquosa eV

50000 U/kg

q 12 h

q 12 h

EV, IM

25000 U/kg

q 12 h

q 12 h

Meningite Altre malattie

q8h q8 h q8h q8 h

8 gg Commenti Massimo per meningiti da streptococco di gruppo B, 250000 U/ q 6 h kg/die q6h

Penicillina G Procaina

Attenzione: ascesso sterile ed intossicazione da procaina IM

50000 U/kg non q 24 h raccomandata

q 24 h q q 24 h 24 h

Ampicillina

Infusione EV in 1530 min

Meningite

eV

50 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

Altre malattie

EV, IM

25 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

Ticarcillina

EV, IM

75 mg/kg

q 12 h

Mezlocillina

EV, IM

75 mg/kg

q 12 h

q8 h

q6h q6h

q8 h

q 12 h

q8h

q8 h

q6h

q8h

q q8h 12 h

Meticillina, nafcillina, oxacillina

Non di prima scelta. Si consiglia l’uso in associazione con un aminoglicoside contro lo Pseudomonas Aeruginosa. Potenziale emorragia con insufficienza renale Dati limitati

Monitorare la funzionalità renale quando si utilizza la meticillina

Meningite

eV

50 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

Altre malattie

EV, IM

25 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

q8 h

q6h q8 h

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q6h

Controllare l’emocromo, la funzionalità epatica quando si utilizza la nafcillina

Manuale Merck - Tabella

Cefazolina*

EV, IM

20 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q 12 h q q8h 12 h

Cefotaxime

EV, IM

50 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

q q8h 12 h

Ceftazidime

EV, IM

50 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

q8 h

Dati limitati. Può provocare pseudolitiasi biliare. Può aumentare il rischio di encefalopatia bilirubinica nei neonati prematuri itterici

Ceftriaxone

Non di prima scelta. Dati limitati. Non usare per la terapia iniziale di sepsi o meningiti

q8h

Meningite

EV, IM

5075 mg/ kg

q 24 h

q 12 h

Altre malattie

EV, IM

50 mg/kg

q 24 h

q 24 h

q 12 h q 12q 12 h 24 h q q 24 h 24 h q 24 h

Aztreonam

EV, IM

30 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

q8 h

q6h

Dati limitati. Efficace soltanto per i bacilli gram-negativi

Clindamicina

EV, IM

5 mg/kg

q 12 h

q 12 h

q8h

q8 h

q6h

Efficace contro i germi anaerobi ed i cocchi gram-positivi (non enterococchi)

Kanamicina**, Amikacina**, Gentamicina**, Tobramicina**, Netilmicina**

EV, IM

7,5-10 mg/ q 18-24 h kg q 18-24 h 2,5 mg/kg

q 12-18 h

q 812 h

q 12-18 h

q 812 h

q q8h 12 h q8h q 12 h

Cloramfenicolo EV

25 mg/kg

q 24 h

q 24 h

q 24 h q q 12 h Modificare le dosi secondo i livelli 24 h ematici (picco = 1525 mg/ml [4677mmol/l]) e i parametri ematologici

Vancomicina

EV

15 mg/kg dose carico, poi 10-15 mg/ kg

q 24 h

q 12-18 h

q 812 h

Metronidazolo

EV

7,5 mg/kg

q 48 h

q 24 h

q 12 h q q 12 h Dati limitati. Somministrare la dose 12 h carico di 15 mg/kg, seguita da un’altra dose dopo 48 h nei prematuri e dopo 24 h nei neonati a termine, quindi somministrare q 12 h

EV, IM

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q q8h 12 h

Monitorare i picchi ematici dei farmaci (kanamicina o amikacina = 2030 mg/ ml [31-52 mmol/l o 34-43mmol/l, rispettivamente]); gentamicina o tobramicina = 510 mg/ml [10,4-20,9 mmol/l o 11-21 mmol/l, rispettivamente]). Il minimo della curva deve essere < 10 mg/ml per amikacina e kanamicina e < 2 mg/ml per gentamicina e tobramicina. Se presente insufficienza renale ridurre le dosi. Ridurre la frequenza nei prematuri molto piccoli (q 1824 h)

Dati limitati. Da somministrare lentamente per infusione EV, in non meno di 60 min. Monitorare i livelli ematici di vancomicina è controverso (picco = 25 40 mg/ml [7-12,1mmol/l]; minimo della curva < 15 mg/ml [< 3mmol/l]), modificare il dosaggio in caso d’insufficienza renale. Per i neonati prematuri < 1000 g, somministrare 15 mg/kg q 2436 h

Manuale Merck - Tabella

Imipenem

EV

20 mg

q 18-24 h

Amfotericina B

EV

0,251 mg/ kg

Diluire in soluzione glucosata al 5% o al 10% (non usare soluzione fisiologica). Somministrare una dose test di 0,1 mg/kg (max 1 mg) infusa in 1 h per determinare la risposta febbrile ed emodinamica del paziente. Se non si osservano importanti effetti collaterali, si può somministrare,nello stesso giorno della dose test, una dose terapeutica di 0,4 mg/kg. Infondere la dose in 2-4 h. La dose può essere aumentata fino a un massimo di 1 mg/ kg/die. In determinate situazioni possono essere necessarie dosi fino a 1,5 mg/kg/die. Dopo che il paziente migliora, si può somministrare una dose a giorni alterni fino a che il trattamento non viene terminato. Monitorare i livelli di potassio e i parametri ematologici e renali.

q 12 h

q 12 h q q8h 12 h

Dati limitati

*Non oltrepassa la barriera ematoencefalica. ** Il campione deve essere preso dopo la fine dell’infusione EV o dopo 60 minuti dall’iniezione IM. *** La necessità di somministrare una dose test di amfotericina B è controversa.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-7. DOSI RACCOMANDATE NEL NEONATO PER ALCUNI ANTIBIOTICI DA SOMMINISTRARE PER VIA ORALE Antibiotico

Dose (mg/ kg/ dose)

Intervallo

Osservazioni

Amoxicillina

15

q8h

Dati limitati

Eritromicina estolato

10

q8h

Per infezioni da clamidia o pertosse

Eritromicina etilsuccinato

10

q6h

Neomicina

30-35

q8h

Colistina

3-5

q8h

Per le gastroenteriti da Escherichia coli, enteropatogeno e per la profilassi nei neonati ad alto rischio per enterocolite necrotizzante, per 5 gg. Può essere assorbito a livello sistemico in presenza di diarrea importante. Non provate l’efficacia e l’innocuità

Rifampicina*

10

q 24 h

Per la tubercolosi

5

q 12 h

Per la profilassi del meningococco per 2 gg

10

q 24 h

Per la profilassi dell’Haemophilus influenzae per 4 gg

Flucitosina

12,5-37,5

q6h

Dati limitati. Da usare soltanto in associazione con l’amfotericina B per ritardare l’insorgere delle resistenze

Clindamicina**

5

q 6-8 h

Dati limitati

*I livelli sierici nei neonati prematuri devono essere monitorati. ** La dose per i neonati di età < 7 giorni che hanno un peso < 2000 g è di 5 mg/kg q 12 h.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI SEPSI NEONATALE (Sepsis neonatorum) Infezione diffusa batterica che si ha nelle prime 4 settimane di vita.

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia

La sepsi neonatale si verifica con un’incidenza che varia da 0,5-8,0/1000 nati vivi; la più elevata incidenza si ha nei neonati di basso peso alla nascita (SGA), in quelli con funzionalità respiratoria depressa alla nascita e in quelli con fattori di rischio materno perinatale. Il rischio è maggiore nei maschi (2:1) e nei neonati con malformazioni congenite, particolarmente del tratto GU. Le complicanze ostetriche, p. es., rottura prematura delle membrane (PROM) 12- 24 h prima della nascita, emorragia materna (placenta previa, distacco placentare), tossiemia, parto precipitoso o infezione materna (in particolare delle vie urinarie o dell’endometrio, la maggior parte delle quali si manifesta comunemente come febbre materna poco prima o durante il parto) possono predisporre un neonato alla sepsi neonatale.

Eziologia Lo streptococco di gruppo B (GBS) e i microrganismi intestinali gram - sono i più comuni agenti eziologici delle infezioni neonatali nei primi giorni di vita, determinando il 70% delle sepsi a esordio precoce. Le colture vaginali e rettali della donna al momento del parto possono mostrare una colonizzazione con GBS anche fino al 30%; allora almeno il 50% dei loro neonati risulterà colonizzato. La densità di colonizzazione del bambino rappresenta un rischio per malattie sistemiche (il rischio è 40 volte più elevato con forti colonizzazioni). Sebbene soltanto 1 su 100 di questi neonati colonizzati svilupperà la malattia sistemica da GBS, > 50% di questi neonati presenterà la malattia entro le prime 6 h di vita. La sepsi da Haemophilus influenzae non tipizzabile è stata sempre più frequentemente diagnosticata nei prematuri. Altri batteri intestinali gram - (p. es. Klebsiella sp) e microrganismi gram +, Listeria monocytogenes, streptococchi di gruppo D (enterococchi, p. es. Enterococcus faecalis e E. faecium e non enterococchi, p. es. S. bovis e S. mitis) file:///F|/sito/merck/sez19/2602330.html (1 of 8)02/09/2004 2.05.13

Patologia del neonato e del lattante

e streptococchi α-emolitici, sono responsabili delle altre infezioni batteriche più invasive che portano alla sepsi. Sono stati isolati S. pneumoniae, H. influenzae di tipo b, e meno comunemente, Neisseria meningitidis. Poiché la gonorrea asintomatica si verifica nel 5-10% delle gravidanze, la N. gonorrhoeae è un patogeno importante nei neonati. L’E. coli è il più comune germe intestinale gram negativo in grado di provocare la sepsi neonatale a esordio precoce. Il 40% degli E. coli che provocano la setticemia e l’80% di quelli che causano la meningite possiedono un fattore di virulenza, l’antigene capsulare K1. Lo Stafilococco sp è responsabile del 30-50% dei casi a esordio tardivo ed è molto spesso associato alla presenza di dispositivi intravascolari di plastica (p. es., cateteri ombelicali arteriosi o venosi, catetere di Broviac). Generalmente, le infezioni ospedaliere sono sporadiche, ma le epidemie si verificano e possono essere dovute a germi multipli resistenti (p. es., K. pneumoniae, Enterobacter cloacae, S. aureus). L’isolamento del E. cloacae o del E. sakazakii dal sangue o dal LCR deve far pensare a cibi contaminati. Nelle epidemie di polmoniti o sepsi ospedaliere da P. aeruginosa si deve sospettare una contaminazione delle apparecchiature respiratorie. Il ruolo degli anaerobi (in particolare del Bacteroides fragilis) rimane non chiaro nelle sepsi neonatali, sebbene alcuni decessi in epoca neonatale siano stati attribuiti a batteriemie da Bacteroides. Gli anaerobi sono responsabili di alcuni casi di negatività delle colture, in cui i reperti autoptici hanno evidenziato sepsi. La Candida sp è diventata sempre più importante come agente responsabile delle sepsi a insorgenza tardiva, che si verificano nel 3-4% dei bambini di basso peso neonatale (fino al 10% o più in alcuni Nidi ad alto rischio). In altre regioni del mondo, possono essere molto più frequenti patogeni differenti (L. monocytogenes in Spagna e Salmonella sp in America Latina).

Patogenesi Il più importante fattore di rischio per le sepsi di origine nosocomiale è rappresentato dall’uso di cateteri intravascolari di plastica. Altri fattori di rischio sono rappresentati da patologie associate (che possono essere solamente un fattore responsabile dell’aumentato utilizzo di procedure invasive), il trattamento antibiotico (che "seleziona" i ceppi batterici resistenti), la prolungata ospedalizzazione, gli strumenti laboratoristici di supporto contaminati e le soluzioni enterali o EV. I germi gram + (p. es., S. epidermidis e S. aureus) possono derivare dall’ambiente o dalla cute del paziente. I germi gram intestinali derivano quasi sempre dalla flora endogena del paziente, che può aver subito modificazioni per un precedente trattamento antibiotico o può aver proliferato grazie a germi resistenti trasferiti dalle mani del personale (la maggiore fonte di contagio) o da attrezzatura non sterilizzata. Perciò, le condizioni che innalzano il rischio per il neonato di contrarre questi germi (p. es., l’affollamento, un rapporto infermiere/neonato >1:1, scarsa pulizia delle mani) determinano una più alta incidenza di infezioni nosocomiali nei reparti di neonatologia. I fattori di rischio per una sepsi da Candida sp comprendono il posizionamento prolungato (> a 10 giorni) dei cateteri centrali EV permanenti, l’iperalimentazione, l’uso antecedente di antibiotici, le enterocoliti necrotizzanti e un precedente intervento chirurgico. La maggiore incidenza di infezioni batteriche in epoca perinatale suggerisce che gli agenti patogeni siano di solito acquisiti in utero, durante il travaglio o durante il parto. La diffusione per via ematogena e transplacentare di infezioni materne si ha in caso di trasmissione di determinati agenti virali (p. es., rosolia, citomegalovirus), protozoari (p. es. Toxoplasma gondii) e treponemici (Treponema pallidum). Alcuni batteri patogeni possono arrivare al feto per via transplacentare (p. es. L. monocytogenes, Mycobacterium tuberculosis), ma la maggior parte viene acquisita per via ascendente in utero oppure mentre il feto file:///F|/sito/merck/sez19/2602330.html (2 of 8)02/09/2004 2.05.13

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passa attraverso il canale del parto contaminato. L’intensità della colonizzazione materna è direttamente correlata al rischio di malattia nel neonato. Tuttavia, molte madri con colonizzazione di bassa densità partoriscono bambini con colonizzazione ad alta densità, che sono quindi a rischio. Il liquido amniotico contaminato con meconio o vernice caseosa favorisce la crescita di GBS e E. coli. Dunque, il piccolo numero di germi del canale vaginale è in grado di riprodursi rapidamente dopo una PROM, contribuendo forse a questo paradosso. I germi possono invadere il circolo fetale dopo aver infettato i vasi corionici superficiali ma, più comunemente, raggiungono il distretto ematico attraverso l’aspirazione o deglutizione del liquido amniotico infetto da parte del feto, con conseguente batteriemia. L’infezione che si realizza per via ascendente spiega alcuni fenomeni, come l’alta incidenza di PROM nelle infezioni neonatali, spiega l’importanza delle infezioni annessiali (l’amniotite è più comunemente associata a sepsi neonatale che non la placentite centrale), l’aumentato rischio di infezione nel gemello più vicino al canale da parto e le caratteristiche batteriologiche della sepsi neonatale, che riflettono la flora del canale vaginale. I foci di infezione che si stabiliscono a livello dei seni paranasali, dell’orecchio medio, dei polmoni o del tratto GI possono diffondersi alle meningi, ai reni, alle ossa, alle articolazioni, al peritoneo e alla cute. La polmonite è la più comune infezione batterica invasiva nel neonato. I neonati (soprattutto quelli di basso peso neonatale) sono immunologicamente immaturi e quindi non hanno difese efficienti per contrastare la flora polimicrobica a cui sono esposti durante e dopo il parto. Il ruolo protettivo per il feto degli anticorpi di tipo IgG, acquisiti passivamente, è dimostrato dalle infezioni da GBS. Praticamente ogni bambino con infezione da GBS ha un tasso basso di Ac tipospecifici IgG, acquisiti per via transplacentare poiché la madre è priva di tali Ac. Alcuni fattori di virulenza batterica (p. es., il polisaccaride del GBS sierotipo III e l’antigene K1 di E. coli) sembra che giochino un ruolo, specialmente nel provocare la meningite. I più importanti forse sono alcuni deficit delle difese neonatali, legati al peso alla nascita e correlati alle opsonine sia termostabili (anticorpi tipo-specifici) che termolabili (complemento), che provocano un difetto nella opsonizzazione. Inoltre, i PMN neonatali mostrano una riduzione di chemiotassi, opsonizzazione, fagocitosi, deformabilità, uccisione batterica intracellulare, così come una diminuita risposta ossidativa; i monociti neonatali presentano una diminuzione della funzione chemiotattica e citotossica. (V. anche Situazione immunologica del feto e del neonato nel Cap. 256).

Sintomi e segni La sepsi neonatale a esordio precoce compare clinicamente entro 6 h dalla nascita in > 50% dei casi; la grande maggioranza si manifesta entro le 72 h di vita; la sepsi neonatale a esordio tardivo generalmente si presenta dopo 4 giorni dalla nascita e comprende le infezioni acquisite in ospedale. I segni precoci sono spesso non specifici e poco evidenti. Una diminuzione dell’attività spontanea o una suzione meno valida, apnea, bradicardia e termolabilità (ipo- o ipertermia) sono particolarmente comuni. Altri sintomi e segni comprendono disturbi respiratori, segni neurologici (p. es. convulsioni, instabilità), ittero (specialmente quello che compare nelle prime 24 h di vita senza incompatibilità Rh o ABO e con una concentrazione di bilirubina più elevata di quella prevista), vomito, diarrea e distensione addominale. L’infezione da anaerobi è spesso associata a liquido amniotico maleodorante alla nascita. I segni specifici di infezione d’organo permettono di individuare la sede primitiva o metastatica. La maggior parte dei bambini con infezione da GBS a esordio precoce manifesta disturbi respiratori che è difficile distinguere dalla malattia delle membrane ialine. L’eritema periombelicale, l’emissione di materiale purulento o il sanguinamento in un bambino senza diatesi emorragica (l’infezione impedisce la chiusura dei vasi ombelicali) suggeriscono l’onfalite. Il coma, le

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convulsioni, l’opistotono o la fontanella pulsante fanno pensare alla meningite o all’ascesso cerebrale. La diminuzione dei movimenti spontanei di un arto e la tumefazione, il calore, il rossore o la dolorabilità alla pressione di un’articolazione indicano una osteomielite o un’artrite piogenica. Una inspiegabile distensione addominale può essere indice di una peritonite o di enterocolite necrotizzante (specialmente se accompagnata da diarrea ematica e leucociti fecali). Vesciche cutanee, ulcere a livello della bocca ed epatosplenomegalia (in particolare con coagulazione intravascolare disseminata- CID) possono far identificare un herpes simplex disseminato. L’infezione da GBS a esordio precoce può presentarsi in forma fulminante, in primo luogo batteriemica e polmonare, causata da sierotipi Ia, Ib, Ic, II o III. Spesso sono associate complicanze ostetriche (in particolare prematurità, rottura prolungata delle membrane e corioamnionite). Nel 50% o più dei bambini, l’infezione da GBS si manifesta entro le 6 h dalla nascita; il 45% dei bambini ha un indice di Apgar < 5. La meningite è spesso assente. Una infezione da GBS a esordio tardivo si verifica dopo 1-12 sett. (a volte più tardi) ed è generalmente causata dal sierotipo III. È comunemente associata a meningite. Questa forma non è generalmente associata a fattori di rischio perinatale o a una dimostrabile colonizzazione cervicale materna; anche quando la madre è colonizzata, può non risultare lo stesso sierotipo che ha colpito il bambino. Dunque, l’acquisizione postnatale del microorganismo può essere responsabile in molti di questi casi. L’infezione a esordio precoce da L. monocytogenes si può presentare con distress respiratorio e shock, con un decorso fulminante entro i primi giorni di vita. Questa forma in primo luogo coinvolge i polmoni ma può diffondersi con formazione granulomatosa a livello del fegato (granulomatosis infantiseptica). La forma a esordio tardivo, come quella dell’infezione da GBS, è frequentemente associata alla meningite. Alcune infezioni virali (p. es., herpes simplex disseminato, enterovirus, adenovirus e virus respiratorio sinciziale) possono manifestarsi sia come sepsi neonatali a esordio precoce che a esordio tardivo, con sintomi e segni indistinguibili da quelli presenti nelle sepsi di origine batterica.

Diagnosi Per la diagnosi precoce è importante ed è necessaria la conoscenza dei fattori di rischio (particolarmente nel bambino di BPN) e un atteggiamento di forte dubbio di fronte a qualunque neonato che si discosti dalla norma nelle prime settimane di vita. La segnalazione dai genitori o dalle infermiere che il bambino "non sta bene" e la presenza di alcuni segni chiari o subdoli di sepsi richiedono un’immediata indagine. I test di laboratorio possono fornire informazioni diagnostiche. Conta dei GB, formula leucocitaria e striscio: il numero normale dei GB varia nel neonato, ma sono considerati anormali valori < 4000 o > 25000/µλ. La conta assoluta di forme a banda non è abbastanza sensibile da essere un utile rivelatore della sepsi neonatale. Un rapporto PMN immaturi: totali < 0,2 rivela precisamente l’assenza di sepsi batterica. Una caduta improvvisa della conta assoluta di eosinofili, come anche i cambiamenti morfologici dei neutrofili (granulazione tossica, corpi di Döhle e vacuolizzazione intracitoplasmatica nel sangue non citrato o nell’acido etilendiaminotetracetico), possono far pensare alla sepsi. Conta delle piastrine: La conta delle piastrine può ridursi qualche ora o qualche giorno prima dell’inizio di una sepsi clinica, ma molto spesso resta elevata per almeno un giorno dopo che il neonato ha manifestato la malattia. Questa è talvolta accompagnata da altre manifestazioni di CID (p. es., aumento dei prodotti di degradazione della fibrina, diminuzione del fibrinogeno, allungamento del tempo di protrombina). Esame del "sovranatante dopo centrifugazione del sangue (buffy coat)": a file:///F|/sito/merck/sez19/2602330.html (4 of 8)02/09/2004 2.05.13

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causa del grande numero di batteri circolanti nel neonato settico, i germi possono essere frequentemente individuati all’interno o in associazione ai PMN mediante la colorazione di Gram, la colorazione del "sovranatante dopo centrifugazione del sangue (buffy coat)"con blu di metilene o con acridina arancione. Puntura lombare: in un bambino già ipossiemico durante una puntura lombare c’è il rischio di aggravare l’ipossia . Perciò, le punture lombari di routine nei bambini in cui si ha un sospetto molto debole di sepsi devono essere evitate. Tuttavia, in un bambino con sospetta sepsi deve essere eseguita una puntura lombare appena egli si è stabilizzato abbastanza da tollerare la procedura (v. più avanti Meningite neonatale). Poiché una polmonite da GBS nei primi giorni di vita può essere confusa con una malattia delle membrane ialine, le punture lombari vengono spesso praticate sistematicamente nei neonati in cui si sospettano tali malattie. Emocolture: i vasi ombelicali sono frequentemente contaminati dai germi presenti sul tralcio ombelicale, specialmente dopo molte ore, così l’uso di un accesso ombelicale per i prelievi ematici non fornisce colture attendibili. Perciò il sangue per l’emocoltura si deve prelevare dalla vena, preferibilmente da due vene periferiche, ciascuna accuratamente disinfettata, dapprima con liquido contenente iodio e poi con alcol al 95%, e alla fine asciugata. L’emocoltura deve essere effettuata per germi aerobi e anaerobi (Bacteroides fragilis richiede per l’identificazione speciali condizioni colturali). Se si sospetta una sepsi dovuta al catetere deve essere fatta una coltura attraverso il catetere con le stesse modalità con le quali viene eseguita perifericamente. In > 90% delle emocolture positive, lo sviluppo batterico è riscontrabile entro le 48 h di incubazione; il 50% delle emocolture positive contiene > 50 unità formanti colonie (CFU)/ml, ma solo quelle contenenti > 1 000 CFU/ml indicano il rischio di sviluppo di una meningite. A causa di questa alta densità batterica, è di solito sufficiente per individuare i germi una piccola quantità di sangue (p. es., 1 ml). I dati sulle colture di sangue capillare sono insufficienti per raccomandarne l’uso. La Candida sp crescerà in emocolture e in colture di agar-sangue; tuttavia se sono sospettate infezioni da altri funghi, si deve ricorrere a un terreno di coltura particolare. Le emocolture per la ricerca dei miceti possono richiedere da 4 a 5 giorni di incubazione prima di diventare positive e possono risultare negative anche in malattie manifestamente disseminate. Prima di avere i risultati delle colture, possono essere utili le prove di colonizzazione (su bocca o feci o cute). Se si sospetta una candidosi disseminata, deve essere eseguita l’oftalmoscopia indiretta con dilatazione della pupilla per evidenziare lesioni retiniche tipiche della candidosi disseminata. Deve essere eseguita un’ecografia renale per evidenziare un micetoma renale. Analisi delle urine e urinocoltura: le urine devono essere ottenute per puntura sovrapubica e non raccolte con sacchetto. Un reperto, in urine centrifugate, di > 5 GB/campo a forte ingrandimento o il reperto di qualunque germe in un campione Gram-colorato di urine fresche non centrifugate è un indice di presunta IVU, che nel neonato suggerisce una precedente batteriemia (sepsi neonatale). L’assenza di piuria non esclude l’infezione delle vie urinarie. La contro-immunoelettroforesi e il test di agglutinazione sul latex: questi test permettono di evidenziare l’antigene nei liquidi biologici (p. es., LCR, urine concentrate). Possono inoltre evidenziare l’antigene polisaccaridico capsulare del GBS, il K1 di E. coli (N. meningitidis tipo B), S. pneumoniae, e H. influenzae tipo b. I reagenti della fase acuta: queste proteine sono prodotte dal fegato sotto la stimolazione dell’interleuchina-1 quando è presente un’infiammazione di qualsiasi natura. Il più affidabile fra questi è il dosaggio quantitativo della proteina Creattiva. Una concentrazione di 1 mg/dl (misurata mediante nefelometria) ha nello stesso tempo una percentuale di falso-positivo e falso-negativo di circa il10%. Nel corso di una giornata si verificano livelli elevati, con picchi a 2 o 3 giorni e cadute ai valori normali entro 5 o 10 giorni nei neonati che guariscono clinicamente. Altri test di flogosi: la micro-VES è ben correlata con il metodo standard di file:///F|/sito/merck/sez19/2602330.html (5 of 8)02/09/2004 2.05.13

Patologia del neonato e del lattante

Wintrobe, ma ha un alta percentuale di falso-negativo (specialmente se associata alla CID e nella sua prima evoluzione) e un lento ritorno alla normalità, ben oltre il tempo di cura clinica. Si stanno studiando, come marker di sepsi, l’interleuchina-6 e altre citochine dell’infiammazione. Lista delle indagini cliniche: diversi ricercatori raccomandano l’utilizzo di una combinazione di alcuni dei suddetti test. In generale, il rapporto PMN immaturi: PMN totali (anormale se > 0,2) insieme a emocoltura, coltura liquorale e urinocoltura è utile quanto altre combinazioni multiple; i risultati negativi identificano accuratamente un 97% di neonati non infetti. Test su bambini nati da madri che hanno effettuato la profilassi intrapartum (v. Profilassi): la valutazione richiede una completa indagine diagnostica, inclusi un emocromo completo con formula leucocitaria, un’emocoltura, una radiografia del torace (se sono presenti sintomi o segni respiratori) e una puntura lombare (a discrezione del medico), iniziando una terapia empirica se sono presenti l’evidenza o il sospetto di sepsi. Una valutazione diagnostica ristretta (emocromo e emocoltura con un’osservazione di almeno 48 ore) è raccomandata dall’American Academy of Pediatrics se il bambino non presenta alcun segno di sepsi ma ha un’età gestazionale < 35 sett., o se la madre ha ricevuto meno di 2 dosi di antibiotici intrapartum prima del parto.

Prognosi Il tasso di mortalità delle sepsi neonatali è 2-4 volte superiore nei neonati di BPN rispetto ai neonati a termine. Il tasso globale di mortalità delle sepsi a esordio precoce è del 15-50% (quello delle infezioni a esordio precoce da GBS è 5085%) e delle sepsi a esordio tardivo è del 10-20% (quello delle infezioni a esordio tardivo da GBS è circa 20%). I neonati che sono sia settici che granulocitopenici hanno meno possibilità di sopravvivenza, soprattutto se la loro riserva midollare di neutrofili (NSP) è ridotta a < 7% del totale delle cellule nucleate (tasso di mortalità del 90%). Poiché i livelli di NSP possono non essere immediatamente disponibili, il rapporto dei neutrofili immaturi:totali (I:T) può essere usato per calcolare approssimativamente il livello di NSP nel midollo osseo. Un rapporto I:T > 0,80 si associa all’esaurimento dei NSP e a morte. Perciò, questo rapporto può aiutare a identificare i pazienti che potrebbero trarre beneficio da una trasfusione di granulociti (v. più avanti, Terapia).

Profilassi Poiché la malattia invasiva da GBS si presenterà spesso entro le prime 6 ore di vita, qualunque strategia per combatterla deve tenere in considerazione il suo esordio molto precoce. La terapia antibiotica somministrata in epoca prenatale non elimina la colonizzazione materna e non riduce l’incidenza di colonizzazione neonatale o di malattia sistemica. I risultati delle colture postnatali del neonato e la diagnosi rapida possono essere comunque troppo tardivi per rendere efficace la terapia. È stato dimostrato che la penicillina intrapartum riduce l’incidenza di malattia da GBS a esordio precoce quando somministrata alle madri colonizzate con GBS o che stanno partorendo bambini con fattori di rischio per malattia da GBS. Quindi, sono state ideate due strategie preventive: una si basa solamente sulla identificazione dei fattori di rischio per malattia da GBS; l’altra sulle colture prenatali di screening a 35-37 sett. di gestazione come anche sull’identificazione dei fattori di rischio. In ciascuno dei casi, le donne che hanno partorito in precedenza un bambino con malattia da GBS, devono ricevere antibiotici intrapartum, e le donne in cui si è riscontrata una batteriuria sintomatica o asintomatica da GBS durante la gravidanza, devono ricevere antibiotici sia al

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momento della diagnosi che intrapartum (v. Figg. 260-3 e 260-4).

Terapia Poiché la sepsi neonatale può presentarsi con sintomi clinici non specifici e i suoi effetti possono essere devastanti, si raccomanda un pronto accertamento diagnostico e un’immediata istituzione della terapia. Il valore di questi interventi si riflette nel rapporto trattato:dimostrato di 15:1 e 8:1, rispettivamente, negli ospedali di comunità e del centro. Gli antibiotici devono essere somministrati con scrupolo poiché essi danneggiano la flora intestinale del bambino e sono pericolosi per il reparto. Pressoché tutte le colture batteriche sono positive entro 72 h, a seconda dei laboratori, delle metodiche e della rapidità dei referti. Se le colture negative dei liquidi corporei sono conformi al decorso clinico, la terapia antibiotica può essere interrotta dopo 72 h. Nella sepsi a esordio precoce, la terapia iniziale prevede ampicillina o penicillina G in associazione a un aminoglicoside. In caso di resistenza, il cefotaxime può essere inserito al posto degli aminoglicosidi. Si adegua in seguito la terapia antibiotica in base alla sensibilità del germe e alla sede di infezione. Se alla nascita è presente liquido amniotico fetido, deve essere considerata nella copertura antibiotica iniziale una terapia per germi anaerobi (p. es., clindamicina, metronidazolo). Nella sepsi a esordio tardivo, il trattamento iniziale deve comprendere nafcillina più un aminoglicoside. Se lo P. aeruginosa è prevalente in un Nido, può essere impiegata al posto dell’aminoglicoside la ceftazidima. I neonati precedentemente trattati per 7-14 giorni con un aminoglicoside, se devono essere trattati nuovamente, devono assumere un altro aminoglicoside o una cefalosporina di 3a generazione. Se si sospetta uno stafilococco coagulasi-negativo (p. es., se un catetere intravascolare è stato in sede per 72 h o più) o se si isola dal sangue o da altri fluidi di solito sterili e lo si considera patogeno, la terapia iniziale per sepsi a insorgenza tardiva deve comprendere vancomicina al posto della nafcillina poiché fino all’80% degli stafilococchi coagulasi-negativi isolati dai pazienti ospedalizzati risulta essere resistente alle penicilline semisintetiche. Tuttavia, se il germe risulta essere sensibile alla nafcillina allora questo farmaco deve sostituire la vancomicina. La rimozione della presunta fonte di germi dell’organismo (solitamente un catetere intravascolare permanente) può essere necessaria per curare l’infezione, poiché lo stafilococco coagulasi-negativo può essere protetto da una sostanza ricoprente (glycocalix) che favorisce l’aderenza dei germi al catetere di plastica. Poiché la Candida può impiegare dai 2 ai 5 giorni per svilupparsi in emocoltura, l’inizio della terapia con anfotericina B e la rimozione del catetere infetto, senza la positività dell’emocoltura o della liquorcoltura, possono essere indispensabili per salvare la vita del bambino. È stata usata per neonati malati un’exsanguinotrasfusione (in particolare nei neonati con ipotensione e acidosi metabolica); lo scopo che ci si propone è di aumentare il livello delle immunoglobuline in circolo, di diminuire le endotossine, di aumentare la concentrazione di Hb (con livelli più alti di 2,3-difosfoglicerato) e di migliorare la perfusione. Tuttavia, non sono stati condotti studi controllati prospettici per l’attuazione di ciò. La somministrazione di plasma fresco congelato può essere utile per ristabilire le carenze di opsonine termostabili e termolabili riscontrate nei bambini di basso peso alla nascita, ma non sono ancora disponibili studi controllati sul suo utilizzo e bisogna considerare i rischi associati alla trasfusione.

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Le immunoglobuline EV somministrate alla nascita possono essere utili nel prevenire la sepsi neonatale in alcuni bambini di BPN ad alto rischio. Tuttavia, non è stata evidenziata nessuna riduzione dell’incidenza o della gravità delle infezioni a esordio tardivo, nelle infezioni accertate. Nei neonati settici e granulocitopenici possono essere indicate trasfusioni di granulociti (v. sopra Prognosi). I granulociti sono in genere raccolti attraverso una centrifuga leucoaferetica a flusso intermittente, con l’uso di amido idrossietilico, e sono ottenuti dagli adulti che risultano negativi per gli anticorpi anti HBsAg, anti CMV e anti HIV, e i cui Ag dei GR sono compatibili con il neonato ricevente. Per prevenire la reazione GVH, ogni sacca di granulociti, prima della trasfusione, viene irradiata con 15 Gy. Bisogna attuare una trasfusione con 15 ml/kg di una sospensione contenente 0,2-1,0 ts 109 granulociti/15 ml di sospensione con < 10% di linfociti. Si consiglia di eseguire 12 trasfusioni/die per un periodo che va fino a 5 giorni. I fattori ricombinanti stimolanti le colonie di granulociti sono stati usati per aumentare il numero di neutrofili e la loro funzionalità nei bambini con presunta sepsi; il loro effettivo beneficio richiede ulteriori conferme.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI MENINGITE NEONATALE Infiammazione delle meningi dovuta all’invasione batterica del LCR nelle prime 4 settimane di vita.

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

La meningite neonatale si verifica in 2/10000 nati a termine e 2/1000 neonati di basso peso alla nascita (BPN); c’è una prevalenza nei maschi. Si verifica in circa il 25% dei neonati con sepsi neonatale (v. sopra).

Eziologia Lo streptococco di Gruppo B (GBS, soprattutto tipo III), l’Escherichia coli (in particolare quei ceppi che contengono il polisaccaride K1) e la Listeria monocytogenes provocano il 75% delle meningiti neonatali. Anche gli enterococchi, gli streptococchi non- enterici di Gruppo D, gli streptococchi α-emolitici e altri germi enterici gram - (p. es., Klebsiella sp, Enterobacter sp, Citrobacter diversus) sono patogeni importanti. L’Haemophilus influenzae tipo b, la Neisseria meningitis, e lo Streptococcus pneumoniae sono stati riportati sempre più frequentemente come cause di meningite neonatale.

Patogenesi La meningite neonatale nella maggior parte dei casi deriva da una precedente batteriemia associata a sepsi neonatale. Le emocolture risultano positive nel 70% dei bambini; più alto è il numero dei batteri (densità batterica) nella emocoltura, più alto è il rischio di meningite. La meningite può anche derivare da lesioni cutanee del cuoio capelluto (p. es., da una tromboflebite diploica), che, con uno sviluppo anomalo, portano a un’apertura tra la superficie cutanea e l’area subaracnoidea. Raramente può verificarsi una propagazione diretta al SNC attraverso un vicino focolaio auricolare (p. es., otite media). La profilassi intrapartum per il GBS non previene l’infezione a esordio tardivo da GBS.

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Sintomi e segni I neonati frequentemente manifestano soltanto i segni associati alla sepsi neonatale (p. es., instabilità della temperatura, distress respiratorio, ittero, apnea). Segni a carico del SNC (p. es., letargia, convulsioni [in particolare focali] irritabilità) sono indicatori più specifici di una meningite. Una tumefazione della fontanella si verifica in circa il 25% dei casi e una rigidità nucale in solo il 15% dei casi. Si possono ugualmente riscontrare anomalie dei nervi cranici (in particolare quelle a carico del 3o, 6o e 7o). Un precoce segno clinico di ascesso cerebrale è rappresentato dall’aumento della pressione intracranica, che si manifesta comunemente attraverso vomito, rigonfiamento della fontanella e un aumento della circonferenza cranica. Il peggioramento delle condizioni in un neonato altrimenti stabile con meningite, fa pensare a un idrocefalo progressivo o a una rottura di un ascesso all’interno del sistema ventricolare. La meningite dovuta al GBS può verificarsi nelle prime settimane di vita, accompagnandosi a una sepsi neonatale a esordio precoce e frequentemente manifestandosi sotto forma di malattia polmonare. In genere, tuttavia, essa si verifica dopo tale periodo (più comunemente nei primi 3 mesi di vita) come malattia isolata caratterizzata dall’assenza di precedenti complicanze ostetriche o perinatali e dalla presenza di segni più specifici di meningite (p. es., febbre, letargia, convulsioni). La ventricolite accompagna frequentemente la meningite neonatale, in particolare se causata da batteri intestinali gram -. I germi che causano una meningite insieme a una grave vasculite, in particolare C. diversus e Enterobacter sakazakii, facilmente determinano cisti e ascessi. Anche Pseudomonas aeruginosa, E. coli K1 e Serratia possono causare ascessi cerebrali nei neonati.

Diagnosi La diagnosi definitiva di meningite viene posta attraverso esame del liquor ottenuto mediante puntura lombare (PL) che deve essere praticata in ogni neonato con un sospetto di sepsi. Tuttavia può essere difficile eseguire in un neonato la PL che lo espone inoltre al rischio di ipossia. Cattive condizioni cliniche (p. es., distress respiratorio, shock, trombocitopenia) rendono eccessivamente rischiosa la PL. Se la PL viene rinviata, bisogna trattare il bambino come se fosse affetto da meningite. Anche quando le condizioni cliniche migliorano, la presenza di cellule infiammatorie nel LCR e la permanenza di alterati parametri chimici nei giorni successivi all’inizio della malattia possono fornire ulteriori informazioni sulla presenza di una meningite. Un ago con mandrino deve essere usato per la PL per evitare l’introduzione di particelle epiteliali e il conseguente sviluppo di epiteliomi. Bisogna sottoporre a coltura il LCR, anche se presenta tracce di sangue o se è acellulare. Circa il 15% dei bambini con emocolture negative hanno colture liquorali positive. La PL deve essere ripetuta dopo 72 h in caso di germi gram -, per assicurarsi della sterilizzazione. Alcuni esperti credono che ripetere una PL dopo 24 ore in pazienti con meningite da GBS abbia un valore prognostico. Un nuovo prelievo deve essere eseguito in ogni paziente con risposte cliniche dubbie. Non deve essere ripetuta sistematicamente alla fine del trattamento in un bambino che sta bene. I parametri liquorali normali nel neonato sono controversi e in relazione all’età. In generale, per neonati di basso peso alla nascita fino a 4 sett. di vita, 20 GB/µl (1/2 dei quali possono essere PMN), un livello proteico di 160 mg/dl e un livello di glucoso di 50mg/dl (2,8 mmol/l) possono essere considerati ai limiti superiori della norma. Per bambini a termine, questi limiti sono di 10 GB/µl (con 1/2 di PMN), un livello proteico di 80 mg/dl e un livello di glucoso di 50 mg/dl (2,8 mmol/ l). Dal momento che le concentrazioni di glucoso nel LCR dipendono largamente dalla glicemia e possono raggiungere valori fino a 20-30 mg/dl (1,1-1,7 mmol/l), file:///F|/sito/merck/sez19/2602338.html (2 of 4)02/09/2004 2.05.14

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bisogna calcolare la glicemia prima di praticare la PL in modo da determinare il rapporto tra glicorrachia e glicemia (è alterato se < al 50%). La ventricolite va sospettata in ogni neonato che non risponde in modo appropriato alla terapia antibiotica. La diagnosi viene effettuata quando una puntura ventricolare evidenzia un numero di GB > 100/µl, la colorazione Gram o la coltura sono positive, la pressione ventricolare è aumentata e i ventricoli sono dilatati. Quando il bambino non risponde alla terapia e si sospetta una ventricolite o un ascesso cerebrale, può essere utile per diagnosi l’esecuzione di una RMN o di una TC con contrasto.

Prognosi La prognosi viene determinata in base al peso alla nascita e allo stato clinico. Senza trattamento, il tasso di mortalità della meningite neonatale si avvicina al 100%. Anche con la terapia, il tasso di mortalità della meningite neonatale da gram - è del 20-30% per i gram + (p. es., GBS), del 10- 20%. Per i germi che provocano una meningite necrotizzante e un ascesso cerebrale, il tasso di mortalità si può avvicinare al 75%. Nel 20-50% dei bambini che sopravvivono a una meningite neonatalesi sviluppano sequele neurologiche (p. es., idrocefalo, perdita dell’udito, ritardo mentale), con una prognosi peggiore quando gli agenti patogeni sono germi enterici gram -. La prognosi dipende in parte dal numero dei microrganismi presenti nel LCR al momento della diagnosi, determinato dalla conta colonie. La durata della positività delle colture del LCR è direttamente correlata alla incidenza delle complicanze. In generale, le colture del LCR in bambini con GBS sono di solito sterili entro le prime 24 h di terapia antibiotica; quelle in bambini con meningite da germi gram - rimangono positive per 3- 1/2 giorni in media. La meningite da GBS ha un tasso di mortalità significativamente più basso rispetto alla sepsi a esordio precoce da GBS.

Terapia L’obiettivo più importante è quello di ottenere una rapida sterilizzazione del LCR. La velocità di scomparsa dei germi è correlata ai poteri battericidi degli antibiotici nel LCR contro i microorganismi infettanti; è necessaria una concentrazione di 10 volte superiore alla concentrazione minima battericida (CBM) per raggiungere la sterilizzazione. Il rapporto tra concentrazione nel LCR e concentrazione sierica degli antibiotici comunemente usati nel trattamento della meningite neonatale è rappresentato nella Tab. 260-8. La terapia della meningite da GBS è ancora in qualche modo controversa. Molti casi di ricaduta e di recidive sono stati riportati sia per le infezioni da GBS a esordio precoce che tardivo; nella maggior parte dei casi ciò è stato attribuito a dosi relativamente basse di penicillina o ampicillina. In aggiunta, circa il 4% di GBS isolati mostra insensibilità alla penicillina (MBC > a 32 MIC) ma il significato clinico di ciò non è stato chiaramente dimostrato. Studi su animali condotti in vitro e in vivo hanno dimostrato un’attività battericida sinergica quando vengono usate in combinazione l’ampicillina e la gentamicina, ma la validità di tali risultati nell’uomo rimane non provata. Il trattamento iniziale consigliato nel nel sospetto di meningite da GBS è la penicillina G 200 000 U/ kg/die EV o l’ampicillina 300400 mg/kg/die EV con aggiunta di gentamicina 7,5 mg/kg/die EV. Se si verifica un miglioramento clinico o si documenta la sterilizzazione del LCR, la gentamicina può essere sospesa. Nella meningite da enterococchi o L. monocytogenes sia a esordio precoce che tardivo, il trattamento consiste generalmente in ampicillina più gentamicina.

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Nella meningite batterica da gram -, il trattamento è difficile. Il trattamento tipico con ampicillina più un aminoglicoside determina, per coloro che sopravvivono, un tasso di mortalità del 20-30% e una prognosi infausta. Il trattamento della meningite e della ventricolite, che frequentemente è associata, con immissione di aminoglicosidi all’interno dello spazio lombare subaracnoideo o con aminoglicosidi EV, non hanno mostrato significativi vantaggi rispetto alla terapia sistemica esclusiva. L’ottima azione delle cefalosporine di 3a generazione contro la maggior parte dei germi gram - (bassa MBC) e la loro sostanziale penetrazione nel LCR (determinando un decisivo picco del valore battericida nel LCR) e la bassa tossicità non hanno mostrato un vantaggio nella velocità di sterilizzazione o nel risultato finale, ma hanno dimostrato che il moxalactam (non utilizzato a lungo termine nel neonato a causa di sanguinamenti) è efficace almeno quanto ampicillina e aminoglicosidi. Perciò, nei neonati con meningite (o sepsi) accertata da gram - o in quelli che molto probabilmente sono settici deve essere sicuramente presa in considerazione una cefalosporina di 3a generazione (p. es., cefotaxime). Se l’antibioticoresistenza è un problema, un aminoglicoside e una cefalosporina di 3a generazione possono essere usati finche la sensibilità del microrganismo non è conosciuta. Tuttavia, questi non devono essere usati sistematicamente perché alcuni germi gram - inducono la produzione di βlattamasi con le cefalosporine di 3a generazione, provocando la rapida comparsa di resistenze. Il trattamento può necessitare di modifiche. Per esempio, in un neonato in cui è stato effettuato un intero ciclo di terapia con ampicillina e gentamicina per sospetta sepsi neonatale nelle prime settimane di vita, che parecchie settimane dopo sviluppa sepsi e meningite, si deve presumere che il germe infettante sia o un batterio multi-resistente gram negativo, lo Staphylococcus aureus, o uno stafilococco coagulasi-negativo. Può anche essere considerata una malattia fungina. Tale neonato deve essere trattato inizialmente con una combinazione di vancomicina e un aminoglicoside differente da quello usato in precedenza o una cefalosporina di 3a generazione (p. es., cefotaxime). I regimi terapeutici antibiotici sono in seguito adattati alla sensibilità in vitro. La terapia parenterale per una meningite da gram + viene somministrata per un minimo di 14 giorni e, per una meningite da gram + complicata o una da gram -, per un minimo di 21 giorni. Poiché la meningite può essere considerata parte di una sepsi neonatale, le misure aggiuntive usate nel curare la sepsi neonatale (v. sopra Sepsi neonatale,) devono essere usate anche nella meningite. Durante i primi 2 anni di vita bisogna eseguire un accurato follow-up per le sequele neurologiche.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-8. RAPPORTO (IN %) DEI LIVELLI NEL LCR E DEI LIVELLI SIERICI* Antibiotico

Rapporto LCR-siero

PenicillinaG

2-5%

Ampicillina

15-20%

Cefotaxime

27-63%

Naficillina

10-15%

Vancomicina

10-15%

*I dati per tobramicina e amikacina sono insufficienti.

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Malattie infettive

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE

150. Biologia delle malattie infettive Meccanismi di difesa dell’ospite Patogenesi dell’infezione Manifestazioni di infezione 151. Infezioni nell’ospite compromesso 152. Immunizzazione negli adulti 153. Farmaci antibatterici Antibiotici b-lattamici Penicilline Cefalosporine Altri antibiotici b-lattamici Aminoglicosidi Macrolidi, lincomicina e clindamicina Tetracicline Farmaci antibiotici vari Cloramfenicolo Vancomicina Quinupristin/dalfopristin Metronidazolo Rifampicina Spectinomicina Nitrofurantoina Chinoloni Fluorochinoloni

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Malattie infettive

Antibiotici polipeptidici Sulfamidici Trimetoprim-sulfametossazolo Chemioprofilassi antimicrobica 154. Farmaci antivirali Farmaci antivirali per l’infezione da HIV 155. Ascessi Ascessi intra-addominali Ascessi prostatici Ascessi del capo e del collo Piomiosite 156. Batteriemia e shock settico 157. Malattie batteriche Causate da cocchi gram + Infezioni stafilococciche Sindrome dello shock tossico Infezioni streptococciche Infezioni pneumococciche Malattie provocate da cocchi aerobi gram – Malattie provocate da bacilli gram + Erisipelotricosi Listeriosi Carbonchio Nocardiosi Malattie provocate da bacilli gram – Infezioni da enterobacteriacee Infezioni da salmonella Febbre tifoide Infezioni da Salmonella non tifoide file:///F|/sito/merck/sez13/index.html (2 of 7)02/09/2004 2.05.15

Malattie infettive

Shighellosi Infezioni da Haemophilus Brucellosi Tularemia Colera Peste Melioidosi Infezioni da pseudomonas Infezioni da campylobacter Infezioni da vibrioni non colerici Malattie provocate da bacilli anaerobi Infezioni da clostridii Tetano Infezioni uterine da clostridi Infezioni da clostridi delle ferite Enterite necrotizzante Diarrea indotta da C. difficile Actinomicosi Infezioni da germi anaerobi misti Malattie provocate da spirochete Treponematosi endemiche Febbre ricorrente Leptospirosi Malattia di Lyme Febbre da morso di ratto Causate da micobatteri Tubercolosi Altre infezioni da micobatteri simili alla tubercolosi Lebbra

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Malattie infettive

158. Malattie sistemiche da funghi Istoplasmosi Coccidioidomicosi Blastomicosi Paracoccidioidomicosi Sporotricosi Criptococcosi Candidiasi sistemica Aspergillosi Mucormicosi Micetoma Cromomicosi e feoifomicosi Altri funghi opportunisti 159. Malattie da rickettsie Tifo epidemico Malattia di Brill-Zinsser Tifo murino o endemico Tsutsugamushi Febbre maculosa delle montagne rocciose Ehrlichiosi Rickettsiosi dell’est causate da zecche Rickettsiosi vescicolare Febbre Q Bartonellosi 160. Malattie da clamidie 161. Infezioni parassitarie Protozoi extraintestinali Malaria Babesiosi

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Malattie infettive

Tripanosomiasi africana Tripanosomiasi americana Leishmaniosi Toxoplasmosi Infezioni da amebe a vita libera Protozoi intestinali Amebiasi Giardiasi Criptosporidiosi Isosporiasi e ciclosporiasi Microsporidiosi Infezioni da nematodi (vermi ad anello) Ascariasi Trichiuriasi Anchilostomiasi Strongiloidiasi Toxocariasi Trichinosi Dracunculosi Infezioni da filarie Infezioni da trematodi (da vermi piatti) Schistosomiasi Dermatiti causate da schistosomi animali Paragonimiasi Clonorchiasi Fascioliasi Opistorchiasi Fasciolopsiasi Cestodi (vermi a nastro)

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Malattie infettive

Infezione da verme a nastro del pesce Infezione da verme a nastro dei bovini Infestazioni da vermi a nastro suini Malattia idatidea Malattia alveolare idatidea 162. Malattie virali Malattie virali respiratorie Raffreddore comune Influenza Virus parainfluenzali Adenovirus Infezioni da herpesvirus Herpes simplex Herpes zoster Infezione da citomegalovirus Malattie virali del sistema nervoso centrale Rabbia Infezioni da virus lenti Leucoencefalopatia multifocale progressiva Paraparesi tropicale spastica/ mielopatia associata al HTLV-I Malattie da prioni Malattia di Creutzfeldt-Jakob Kuru Malattia di Gerstmann-SträusslerScheinker Insonnia fatale familiare Malattie da arbovirus e da arenavirus Encefalite da arbovirus Febbre gialla

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Malattie infettive

Dengue Linfocoriomeningite Febbre di lassa Infezioni da Hantavirus Infezioni da virus di Marburg ed Ebola 163. Infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) 164. Malattie a trasmissione sessuale (STD) Gonorrea Infezioni a trasmissione sessuale da clamidia, da micoplasma e da ureaplasma Sifilide Tricomoniasi Candidiasi genitale Balanopostite Cancroide Linfogranuloma venereo Granuloma inguinale Herpes genitale Verruche genitali Infezioni enteriche a trasmissione sessuale

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Biologia delle malattie infettive

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 150. BIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE Un individuo sano vive in armonia con la flora microbica che lo aiuta a proteggersi dall’invasione degli agenti patogeni, microrganismi che di solito hanno la capacità di causare malattie. I microrganismi colonizzano siti corporei secondo un fenomeno noto come tropismo tissutale in cui alcuni tessuti sono colonizzati altri no. La flora microbica comprende la normale flora residente che si trova regolarmente e si ricostituisce prontamente se attaccata e la flora transitoria che può colonizzare l’ospite per ore o per settimane ma che non si stabilisce in maniera permanente. I batteri e i funghi rappresentano la maggior parte della flora commensale e simbiotica. Le specie che costituiscono la flora normale sono influenzate da molti fattori (p. es., dieta, igiene, condizioni sanitarie, inquinamento dell’aria). Per esempio, i lattobacilli sono dei comuni organismi intestinali commensali frequenti nei soggetti con un alto consumo di latticini; l’Haemophilus influenzae colonizza l’albero tracheobronchiale nei pazienti che presentano malattia polmonare cronica ostruttiva (Chronic Obstructive Pulmonary Disease, COPD). I microrganismi patogeni possono a volte far parte della flora normale. I microrganismi che fanno parte della flora normale possono essere causa di malattia specialmente nei pazienti le cui barriere difensive siano alterate.

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Biologia delle malattie infettive

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 150. BIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE MECCANISMI DI DIFESA DELL'OSPITE Sommario: Introduzione BARRIERE NATURALI RISPOSTE IMMUNITARIE ASPECIFICHE RISPOSTE IMMUNITARIE SPECIFICHE

Le difese dell’ospite sono importanti nel determinare l’eventuale attecchimento dell’infezione. I meccanismi di difesa includono le barriere naturali (p. es., la cute e le mucose) le risposte immuni aspecifiche (p. es., cellule fagocitarie [neutrofili, macrofagi]e i loro prodotti); e le risposte immuni specifiche (p. es., anticorpi).

BARRIERE NATURALI La cute è in grado di impedire in modo efficace l’invasione da parte di microrganismi a meno che non presenti soluzioni di continuità (p. es., lesioni, traumi, cateteri EV, incisioni chirurgiche o morsi di insetti). Tuttavia ci sono delle eccezioni, come nel caso del papilloma virus umano, l’agente causale della condilomatosi, che può invadere la cute sana. Alcuni parassiti possono penetrare la cute sana (p. es., Schistosoma mansoni, Strongyloides stercoralis); non ci sono batteri noti per essere in grado di fare ciò. Le mucose che sono bagnate da secrezioni con proprietà antimicrobiche, p. es., il muco cervicale, il liquido prostatico e le lacrime, contengono il lisozima che divide il legame β-[1,4]N-acetilglucosaminico dell’acido muramico nelle pareti delle cellule batteriche, specialmente nei microrganismi gram +, fornendo barriere efficaci. Anche le secrezioni locali contengono immunoglobuline, principalmente di tipo IgG e di tipo secretorio IgA, che agiscono principalmente bloccando l’adesione dei microrganismi alle cellule ospiti. Nell’apparato respiratorio, i microrganismi inalati devono superare il sistema filtrante delle vie respiratorie superiori e dell’albero tracheobronchiale. Se il microrganismo invasore raggiunge l’albero tracheobronchiale, l’epitelio mucociliare lo trasporta via dal polmone. Anche la tosse contribuisce a rimuovere il microrganismo. Se il microrganismo raggiunge gli alveoli, viene inglobato dai macrofagi alveolari e dagli istiociti tissutali; con l’infiammazione del polmone essi ricevono il supporto dei neutrofili e dei monociti, con ancora maggiore efficienza una volta che i meccanismi immunitari (p. es., le opsonine) si rendano palesi. Tuttavia, questi meccanismi difensivi possono essere neutralizzati in presenza di una gran quantità di microrganismi o se la loro efficienza è compromessa a causa degli agenti inquinanti dell’aria (p. es., il fumo di sigaretta), di supporti ventilatori meccanici o della tracheostomia. Nel tratto GI il pH acido dello stomaco e l’attività antibatterica degli enzimi pancreatici, della bile e delle secrezioni intestinali, agiscono da barriere naturali. La peristalsi e la desquamazione fisiologica delle cellule epiteliali contribuiscono a rimuovere i microrganismi pericolosi dal tratto gastro-intestinale. Il rallentamento farmacologico della peristalsi tramite la belladonna o gli alcaloidi file:///F|/sito/merck/sez13/1501172b.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.17

Biologia delle malattie infettive

dell’oppio rallenta la rimozione di alcuni patogeni e prolunga alcune patologie, come nel caso della shighellosi sintomatica. I pazienti con meccanismi di difesa alterati possono essere predisposti a particolari infezioni; p. es., i pazienti con acloridria sono particolarmente sensibili alla salmonellosi o alla TBC. La competizione tra i batteri della flora intestinale normale svolge un ruolo importante di protezione; l’alterazione di questa flora da parte degli antibiotici può portare a una crescita eccessiva di microrganismi intrinsecamente patogeni (p. es., Salmonella typhimurium) o alla sovrainfezione con microrganismi di solito commensali (p. es., Candida albicans). Nell’apparato GU, gli uomini sono protetti dalla lunghezza dell’uretra (20 cm in un adulto); è raro che la maggior parte dei batteri guadagni l’entrata, a meno che essi non vengano introdotti con uno strumento. Le donne sono protette dal pH acido della vagina. Lo stato ipertonico della midollare renale rappresenta un fattore sfavorevole per la crescita della maggior parte dei microrganismi. La proteina di Tamm-Horsfall è una glicoproteina prodotta dal rene ed escreta in grandi quantità nelle urine; alcuni batteri si legano avidamente ad essa e ciò fa sì che sia prevenuto il loro ingresso nel tratto urinario.

RISPOSTE IMMUNITARIE ASPECIFICHE La produzione di citochine, principalmente ad opera dei macrofagi e dei linfociti attivati, serve da preludio alle risposte immunitarie specifiche. Queste citochine infiammatorie (interleuchina-1, interleuchina-6, fattore di necrosi tumorale, interferon-γ) mediano una fase acuta della risposta dell’ospite che non è specifica dell’Ag ma notevolmente consistente, sviluppandosi indipendentemente dalla natura locale e sistemica del microrganismo scatenante. La febbre è il segnale più ovvio della fase acuta della risposta; inoltre, il numero totale dei neutrofili e il numero totale dei neutrofili immaturi in circolazione aumentano come risultato degli effetti delle citochine sul midollo osseo. La replicazione e la differenziazione del midollo osseo verso le forme mature di neutrofili sono aumentati dal fattore stimolante i macrofagi e dal fattore stimolante i granulociti. Le cellule endoteliali producono quote elevate di interleuchina-8, un importante mediatore di localizzazione dei neutrofili. La risposta infiammatoria dirige le componenti del sistema immunitario verso i siti delle lesioni o delle infezioni e si manifesta con un aumento dell’irrorazione sanguigna e della permeabilità vascolare, consentendo ai peptidi chemiotattici e alle cellule neutrofile e mononucleari di lasciare il compartimento intravascolare. I microrganismi sono inglobati dalle cellule fagocitarie (p. es., neutrofili o macrofagi) nel tentativo di contenere l’infezione in un piccolo spazio tessutale. La risposta comprende l’attrazione dei fagociti in un gradiente chemiotattico di prodotti microbici, il movimento del fagocita verso il sito infiammatorio e il contatto con il microrganismo, la fagocitosi (ingestione) del microrganismo, lo sviluppo di una reazione ossidativa diretta verso il microrganismo, la fusione del fagosoma e del lisosoma con degranulazione lisosomiale e conseguente morte e degradazione del microrganismo. Quando i difetti di tipo quantitativo o qualitativo della funzionalità dei neutrofili danno come risultato un’infezione, questa è di solito prolungata e tendente alla recidiva e risponde lentamente agli antibiotici. Gli stafilococchi, i germi gram – e i funghi costituiscono i patogeni usualmente responsabili di questo tipo di infezioni. L’immunità aspecifica è trattata con maggior dettaglio nel Cap. 146.

RISPOSTE IMMUNITARIE SPECIFICHE Una volta infettato, l’ospite può produrre una varietà di Ac in risposta a specifici Ag microbici. Gli anticorpi, glicoproteine complesse note come immunoglobuline, si legano a specifici determinanti antigenici e suscitano una reazione biologica nell’ospite. Dopo essersi legati agli Ag, gli Ac arruolano le cellule effettrici dell’ospite, attivano il sistema del complemento o fanno entrambe le cose per contribuire a eliminare il microrganismo infettante. Il sistema del complemento file:///F|/sito/merck/sez13/1501172b.html (2 of 3)02/09/2004 2.05.17

Biologia delle malattie infettive

provoca la lisi delle cellule microbiche distruggendo le pareti delle cellule, di solito attraverso la via classica congiuntamente all’immunità specifica. Il complemento può anche essere attivato sulla superficie di alcuni microrganismi attraverso la via alternativa. Inoltre, gli Ac specifici possono promuovere il rilascio di sostanze note come opsonine (p. es., la proteina complementare C3b) sulla superficie dei microrganismi, le quali contribuiranno alla loro distruzione dopo la fagocitosi. L’opsonizzazione è importante per l’eliminazione dei microrganismi capsulati, quali gli pneumococchi e i meningococchi; il suo fallimento può condurre a un aumento dell’incidenza o a un’aumentata gravità dell’infezione causata da questi microrganismi. Questi fenomeni sono descritti più dettagliatamente nel Cap. 146.

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Immunologia e malattie allergiche

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. Biologia del sistema immunitario Cellule T e immunità cellulare Reti immunitarie Cellule B e immunità umorale Regolazione delle risposte immunitarie umorali Il sistema del complemento Risoluzione di una risposta immunitaria 147. Malattie da immunodeficienza Immunodeficienze primarie e secondarie Immunodeficienze specifiche 148. Disordini da ipersensibilità Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I Malattie atopiche Rinite allergica Congiuntivite allergica Altre malattie allergiche oculari Allergia e intolleranza agli alimenti Malattia polmonare allergica Anafilassi Disordini dei mediatori vasoattivi Orticaria e angioedema Edema angioneurotico ereditario Mastocitosi Allergia ad agenti fisici

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Immunologia e malattie allergiche

Disordini con reazioni di ipersensiblità di tipo II Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo III Disordini autoimmuni Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo IV Ipersensibilità ai farmaci 149. Trapianto Immunobiologia del rigetto Il sistema HLA Compatibilità tissutale Immunosoppressione Trapianto di rene Trapianto di fegato Trapianto di cuore Trapianto di polmone e cuore-polmoni Trapianto di pancreas Trapianto di midollo osseo Trapianto di altri organi e tessuti

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO Sommario: Introduzione Immunità specifica (innata) Immunità specifica (adattiva) Complesso maggiore di istocompatibilità Citochine

Il sistema immunitario è costituito da una rete di componenti cellulari e solubili interagenti tra loro. La sua funzione è quella di distinguere le entità presenti all’interno dell’organismo come "self" o come "non-self" e di eliminare quelle che appartengono al non-self. Le principali entità non-self sono i microrganismi, ma sono importanti anche le neoplasie, i trapianti e alcune sostanze estranee (p. es., alcune tossine). Per svolgere i suoi compiti, il sistema immunitario ha evoluto due meccanismi: l’immunità aspecifica e l’immunità specifica, le quali sono legate una all’altra e si influenzano reciprocamente.

Immunità aspecifica (innata) Questo tipo di immunità è filogeneticamente più antico, è presente fin dalla nascita, non necessita di un precedente contatto con la sostanza lesiva e non dà luogo a memoria immunitaria. L’immunità innata comprende le barriere meccaniche, come la cute, e le barriere chimiche, come il succo acido gastrico. Esistono due componenti cellulari: (1) il sistema fagocitario, la cui funzione è quella di ingerire e digerire i microrganismi invasori e (2) le cellule natural killer (NK), la cui funzione è quella di eliminare alcuni tipi di tumori, di microrganismi e di cellule infettate da virus (v. oltre). Le componenti solubili sono costituite dalle proteine del complemento, dai reattanti di fase acuta e dalle citochine. I fagociti includono i neutrofili e i monociti (nel sangue) e i macrofagi (nei tessuti). Ampiamente distribuiti, i macrofagi sono localizzati in maniera strategica nei punti in cui i tessuti sono a contatto con il sangue o con gli spazi cavitari; ne sono esempi i macrofagi alveolari (nei polmoni), le cellule di Kupffer (nei sinusoidi epatici), le cellule sinoviali (nelle cavità articolari), le cellule microgliali perivascolari (a protezione del SNC), i fagociti mesangiali (nei reni). Le citochine sono polipeptidi non immunoglobulinici secreti dai monociti e dai linfociti in risposta alla loro interazione con un antigene (Ag) specifico, con un Ag aspecifico, oppure in risposta a uno stimolo aspecifico solubile (p. es. endotossine, altre citochine). Le citochine modulano l’ampiezza delle risposte infiammatorie o immunitarie. Sebbene la loro secrezione possa essere indotta dall’interazione di un linfocita con il suo Ag specifico, le citochine non sono Agspecifiche; pertanto esse costituiscono un tramite tra l’immunità innata e quella adattativa.

Immunità specifica (adattativa)

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Biologia del sistema immunitario

Le caratteristiche distintive dell’immunità specifica sono la capacità di apprendimento, l’adattabilità e la memoria. La sua componente cellulare è costituita dai linfociti, mentre le immunoglobuline (Ig) ne rappresentano la componente solubile. I linfociti sono divisi in due sottopopolazioni: quelli derivati dal timo (cellule T) e quelli derivati dal midollo osseo (cellule B). I linfociti sono ripartiti in cloni e ogni clone si specializza nel riconoscimento di un Ag specifico per mezzo del suo recettore per l’Ag. Poiché il numero degli Ag è potenzialmente illimitato, questa specializzazione sembrerebbe gravare il sistema immunitario di un carico eccessivo, ma il complesso problema di dover provvedere a un numero infinito di cloni altamente specifici viene risolto grazie alla capacità dei geni per il recettore antigenico dei linfociti di riarrangiarsi in una serie di combinazioni pressoché illimitate. La funzione di recettore per l’Ag sulla membrana delle cellule B è svolta dalle immunoglobuline di superficie (sIg). Dopo che le cellule B hanno legato un Ag solubile per mezzo delle loro sIg, una serie di eventi cellulari (p. es. proliferazione, differenziazione) porta alla secrezione di una Ig che costituisce l’anticorpo (Ac) specifico per quell’Ag. L’opinione attuale è che il corredo anticorpale che un organismo possiede prima di venire in contatto con gli Ag sia costituito da Ac prodotti durante la maturazione delle cellule B attraverso riarrangiamenti dei geni per le Ig. Per capire la natura dell’organizzazione dei geni per le Ig è necessario comprendere la struttura delle Ig (v. anche Struttura degli anticorpi, più avanti). Le Ig sono composte di due catene pesanti e due catene leggere, ognuna con regioni costanti (C)e regioni variabili (V). L’Ag viene legato in corrispondenza della regione variabile. A livello genico, la regione C viene codificata dai geni per la regione C e la regione V viene codificata dai geni per le regioni V e J (per le catene leggere) e dai geni per le regioni V, D e J (per le catene pesanti). Questi segmenti genici non sono disposti in modo continuo sul cromosoma, ma hanno piuttosto una disposizione discontinua e devono essere giustapposti durante la maturazione delle cellule B. Così, per sintetizzare una catena pesante, uno dei diversi segmenti D (ne sono stati identificati almeno 12) si congiunge con uno dei 6 segmenti J. Questo cluster genico si congiunge poi con uno delle diverse centinaia (probabilmente migliaia) di segmenti genici per la regione V, per dare luogo a un’unità trascrizionale completa per una catena immunoglobulinica pesante. A seconda di quale particolare segmento di ciascuna regione genica viene utilizzato, è possibile ottenere un ampissimo numero di molecole Ig con differenti specificità. Le potenzialità della diversità anticorpale vengono ulteriormente incrementate dall’aggiunta di nucleotidi in sequenza casuale in corrispondenza dei siti di giunzione (tra le regioni V, D e J), dovuta a mutazioni puntiformi somatiche e a imprecisioni nell’assemblaggio dei diversi segmenti. Il corredo anticorpale di un organismo prima dell’esposizione agli Ag si ritiene sia costituito da Ac prodotti durante la maturazione delle cellule B attraverso riarrangiamenti dei geni per le Ig. Le cellule T non possiedono sIg, ma riconoscono gli Ag attraverso il loro strumento di riconoscimento principale, il recettore delle cellule T (T-Cell Receptor, TCR) e altre molecole di adesione accessorie. I geni che codificano per il TCR appartengono alla superfamiglia dei geni delle Ig; analogamente ai geni per le Ig, essi vanno incontro a ricombinazione, dando luogo così a un gran numero di cloni di cellule T, ciascuno dotato di una responsività antigenica specifica. La porzione del TCR che lega l’Ag è formata da due catene (αβ o γδ), ciascuna delle quali possiede una regione costante e una regione variabile. Diversamente dalla molecola Ig, che si trova isolata sulla superficie della cellula B, il TCR è associato con la molecola del CD3; l’intera unità è chiamata complesso TCR/ CD3. Sebbene le catene del TCR siano soggette al riarrangiamento genico e possiedano una loro variabilità, le catene del CD3 (formato da almeno cinque subunità) sono invariabili e non sono Ag-specifiche. Alcuni Ac anti-CD3 attivano le cellule T in maniera diretta, senza la necessità della presenza dell’Ag. Il CD3 file:///F|/sito/merck/sez12/1461078.html (2 of 4)02/09/2004 2.05.19

Biologia del sistema immunitario

svolge quindi un ruolo importante nella trasduzione del segnale di attivazione attraverso la membrana linfocitaria. I linfociti possono essere ulteriormente suddivisi in sottopopolazioni a seconda della funzione che svolgono o dei loro marker di superficie. Le sottopopolazioni linfocitarie sono state identificate grazie alle diverse combinazioni di determinate molecole presenti sulla loro membrana: questi marker di superficie sono stati denominati cluster di differenziazione (CD). Fino a oggi, sono stati identificati 166 CD. Informazioni aggiornate sugli antigeni CD sono reperibili sul world wide web (http://www.ncbi. nlm.nih.gov/prow).

Complesso maggiore di istocompatibilità La capacità del sistema immunitario di differenziare il self dal non-self è in larga parte determinata dai prodotti del complesso maggiore di istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex, MHC), i cui geni si trovano sul cromosoma 6, appartengono alla superfamiglia dei geni delle Ig e sono soggetti a ricombinazione genica. I prodotti del MHC di classe I sono costituiti dagli HLA-A, B e-C; essi sono ampiamente distribuiti nell’organismo e sono presenti sulla superficie di tutte le cellule nucleate e sulle piastrine. I prodotti del MHC di Classe II sono costituiti dagli HLA-D, -DR, -DP e-DQ; essi hanno una distribuzione più limitata sulle cellule B, sui macrofagi, sulle cellule dendritiche, sulle cellule di Langerhans e sulle cellule T attivate (ma non su quelle quiescenti). Le cellule B sono in grado di rispondere agli Ag solubili, ma le cellule T lo fanno raramente e riconoscono l’Ag solamente quando è associato al MHC; esse riconoscono quindi il complesso MHC/Ag. Il meccanismo attraverso il quale l’Ag viene processato e associato al MHC prima di essere presentato alle cellule T viene realizzato dalle cellule di presentazione dell’antigene (AntigenPresenting Cells, APC), p. es. le cellule di Langerhans, i monociti, i macrofagi, le cellule dendritiche follicolari e le cellule B. Sebbene i particolari non siano pienamente compresi, sembra che per essere processato l’Ag debba essere esposto, degradato e frammentato. Nel caso della presentazione esogena, l’Ag viene sottoposto a endocitosi e degradazione all’interno dei lisosomi, viene associato ai prodotti del MHC di classe II e viene trasportato fino alla superficie cellulare. Nel caso della presentazione endogena, l’Ag viene prodotto intracellularmente (p. es. da un’infezione virale) e viene sottoposto a degradazione al di fuori dei lisosomi, all’interno di organuli chiamati proteosomi. I peptidi che ne risultano vengono trasferiti al reticolo endoplasmatico rugoso (RER) per mezzo di proteine di trasporto. Una volta all’interno del RER, questi peptidi vengono associati con i prodotti del MHC di classe I per poi essere trasportati fino alla superficie cellulare. È importante sapere se l’Ag viene associato con il MHC di classe I o di classe II, perché le molecole CD4 e CD8 agiscono come molecole di adesione accessorie legandosi rispettivamente agli Ag di classe II o di classe I. L’interazione del TCR con il complesso MHC/Ag può non essere sufficiente per indurre l’attivazione delle cellule T. È necessaria la presenza di un segnale di coattivazione; questo secondo segnale è mediato dall’interazione del CD28 presente sulla superficie delle cellule T con il CD80 o il CD86 presente sulle APC. L’assenza dell’interazione CD28/CD80-CD86 può rendere la cellula T anergica o tollerante (v. Fig. 146-1).

Citochine Sebbene sia necessario un intimo contatto cellulare perché le risposte T-cellulari siano ottimali, le cellule T e i monociti secernono citochine, le quali sono in grado di influenzare eventi biologici che avvengono localmente o a distanza. Esse interagiscono con specifici recettori della superficie cellulare e possono agire in maniera autocrina o paracrina. Le citochine possono essere divise in diversi gruppi, i quali comprendono gli

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Biologia del sistema immunitario

interferoni (IFN-α, β e γ), il tumor necrosis factor (TNF-α e β), le interleuchine (dall’IL-1 all’IL-18), i transforming growth factor e i colony stimulating factor (CSF) emopoietici. Per le principali citochine, le loro origini cellulari e i loro effetti fondamentali, v. Tab. 146-1. Anche se le diverse citochine e i loro effetti vengono di solito elencati separatamente, è importante ricordare che in una determinata risposta immunitaria le citochine agiscono di concerto, in coppia, oppure in conflitto tra loro. Per esempio l’IL-1 induce la secrezione di IL-2; l’IL-2, l’IL-4 e l’IL-6 possono agire sinergicamente nella generazione dei linfociti T citotossici; l’IL-4 e l’IFN-γ possono neutralizzare l’uno gli effetti dell’altro nell’induzione dell’espressione degli Ag di classe II sulle cellule B e nell’induzione della secrezione di IgE. L’orchestrazione contemporanea di diverse risposte e la ridondanza del sistema immunitario sono forse illustrate al meglio dalla struttura di alcuni dei recettori per le interleuchine. Il recettore per l’IL-2 è costituito da tre catene: α, β e γ. L’espressione di tutte e tre le catene dà luogo al recettore per l’IL-2 ad alta affinità; l’espressione delle catene βe γ dà luogo solo a un recettore per l’IL-2 ad affinità intermedia, mentre la catena α rappresenta soltanto un recettore a bassa affinità. È stato dimostrato recentemente che mutazioni o una delezione a carico della catena γ del recettore per l’IL-2 costituiscono le basi molecolari dell’immunodeficienza combinata grave (Severe Combined ImmunoDeficiency, SCID) legata al cromosoma X. È interessante notare che mutazioni a carico delle catene α o β del recettore per l’IL-2 non provocano SCID (almeno nei modelli animali). Questa apparente discrepanza si verifica perché la catena γ del recettore per l’IL-2 entra anche nella costituzione del complesso recettoriale per l’IL-4, l’IL-7, l’IL-9 e l’IL-15; questa catena viene adesso denominata catena γ comune (γc). Il recettore per l’IL-15 condivide le catene β e γc con il recettore per l’IL-2. La catena α del recettore per l’IL-13 è identica alla catena α del recettore per l’IL-4. I recettori per l’IL-3, l’IL-5 e il GM-LCR possiedono tutti una catena β identica. Una nuova famiglia di citochine è quella che è stata appropriatamente denominata delle chemiochine; esse inducono la chemiotassi e la migrazione delle sottopopolazioni dei leucociti. Esistono quattro sottotipi di chemiochine, i quali sono definiti in base al numero di aminoacidi interposti tra i primi due residui di cisteina della molecola. Alcuni dei recettori per le chemiochine potrebbero servire come corecettori per l’ingresso del HIV all’interno dei monociti/macrofagi.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO CELLULE B E IMMUNITA' UMORALE Sommario: Introduzione Antigeni e anticorpi Metodi di dosaggio delle immunoglobuline Anticorpi monoclonali

Le cellule B costituiscono dal 5 al 15% dei linfociti del sangue e sono morfologicamente indistinguibili dalle cellule T. Tuttavia, esse possono essere riconosciute fenotipicamente per la presenza di sIg (sIgM sulle cellule B immature; sIgM e sIgD sulle cellule B mature antigenicamente vergini; sIgG, sIgA o sIgE sulle cellule B che hanno subìto lo switch isotipico) e per la presenza del CD19, CD20, CD21 (CR2), CD49c, CD72 e CD80. Inoltre le cellule B possono esprimere il MHC di classe II e una varietà di altri CD che non sono loro specifici. All’interno dei linfonodi, le cellule B si trovano nella zona corticale sottocapsulare esterna nel contesto dei follicoli primari e secondari e nei cordoni midollari; nella milza, esse sono contenute nella zona marginale e nei follicoli. Le cellule B sembrano svilupparsi secondo una serie di fasi programmate. Queste tappe hanno inizio nel midollo osseo con la cellula staminale orientata, proseguono attraverso gli stadi di cellula pro-B precoce e tardiva (con riarrangiamento dei geni D-J per le catene pesanti) e lo stadio di cellula pre-B (con riarrangiamento definitivo dei geni V-DJ per le catene pesanti e comparsa di catene µ nel citoplasma e sulla superficie cellulare), e si concludono con la cellula B immatura (con riarrangiamento V-J per le catene leggere e comparsa di IgM di membrana). Non sembra che l’Ag abbia un ruolo nell’indirizzare questa sequenza, ma l’interazione delle cellule B immature con l’Ag può condurre all’inattivazione clonale o alla tolleranza. Le cellule B immature che non vengono inattivate possono continuare a svilupparsi fino a diventare cellule B mature antigenicamente vergini e lasciare il midollo per colonizzare gli organi linfoidi periferici. In essi, l’interazione tra sIgG e antigeni estranei le trasforma in linfoblasti. Giunte al termine della loro differenziazione, queste cellule B diventano plasmacellule, le quali secernono Ig di una sola classe. Le cellule B presenti nei tessuti periferici sono preorientate a rispondere a un limitato numero di Ag. La prima interazione tra la cellula B e l’Ag è conosciuta come risposta immunitaria primaria e le cellule B orientate a rispondere a questo Ag vanno incontro a differenziazione e proliferazione clonale. Alcune divengono cellule di memoria; altre si differenziano in plasmacellule mature sintetizzanti Ac. Le caratteristiche principali della risposta immunitaria primaria sono la presenza di un periodo di latenza prima della comparsa degli Ac, la produzione soltanto di una piccola quantità di Ac, inizialmente IgM e successivamente uno switch dell’isotipo delle Ig (con la collaborazione delle cellule T) verso le IgG, le IgA o le IgE. Ciò porta alla generazione di un gran numero di cellule di memoria in grado di rispondere in futuro al medesimo Ag. La risposta immunitaria secondaria (anamnestica o amplificata) ha luogo in occasione dei successivi contatti con lo stesso Ag. Le sue caratteristiche principali sono la rapida proliferazione delle cellule B, la rapida differenziazione in plasmacellule mature e la sollecita produzione di grandi quantità di Ac, soprattutto IgG, che vengono liberati nel sangue e in altri tessuti dell’organismo file:///F|/sito/merck/sez12/1461088.html (1 of 5)02/09/2004 2.05.20

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dove possono venire a contatto con l’Ag in condizioni ottimali e reagire efficacemente con esso. In risposta al medesimo Ag possono essere prodotte IgM, IgG e IgA. Così le cellule B derivate da una singola cellula B matura antigenicamente vergine possono differenziarsi in una famiglia di cellule B geneticamente programmate per sintetizzare Ac aventi una singola specificità antigenica, con cloni rappresentativi orientati alla produzione di ciascuna delle classi delle Ig (p. es. IgM, IgG, IgA). Le cellule B possono rispondere all’Ag in maniera T-dipendente oppure Tindipendente. Gli Ag T-indipendenti (p. es. i polisaccaridi dello pneumococco, i lipopolisaccaridi dell’Escherichia coli e le polivinilpirrolidine) sono sostanze ad alto peso molecolare con determinanti antigenici ripetitivi disposti in sequenza lineare e sono molto resistenti alla degradazione da parte degli enzimi dell’organismo. Essi evocano essenzialmente una risposta di tipo IgM. La maggior parte degli Ag naturali è T-dipendente e necessita della processazione da parte delle cellule presentanti l’Ag (APC). Queste APC presentano l’Ag sia alle cellule T sia a quelle B. Le cellule T liberano citochine che inducono le cellule B a rispondere all’Ag producendo Ac. Durante la stimolazione antigenica delle cellule B, si verifica uno switch dalla produzione di IgM a quella di IgG. Questo switch isotipico è dipendente dalle cellule T helper (TH) e può richiedere l’intervento di differenti sottopopolazioni di cellule TH e di citochine specifiche. Per esempio, l’IL-4 o l’IL-13 sono necessarie per lo switch isotipico da IgM a IgE.

Antigeni e anticorpi Struttura degli antigeni e antigenicità: un Ag è una sostanza in grado di evocare risposte immunitarie specifiche. Una volta prodotti, gli Ac sono quindi in grado di combinarsi con Ag specifici, più o meno come i pezzi di un puzzle. Gli Ac riconoscono i siti di combinazione degli Ag, i quali consistono in configurazioni steriche specifiche (epitopi o determinanti antigenici) sulle superfici di grandi molecole ad alto peso molecolare (p. es. proteine, polisaccaridi e acidi nucleici). La presenza di un epitopo di questo genere rende una molecola un Ag. I siti di combinazione dell’Ac e dell’Ag si incastrano saldamente tra loro con una potente forza attrattiva, perché le aree di appaiamento sulla superficie di ciascuna molecola sono relativamente ampie. La stessa molecola anticorpale può inoltre reagire in maniera crociata con Ag tra loro correlati, se i determinanti sulla loro superficie sono sufficientemente simili a quelli presenti sull’Ag originale. Le sostanze sono immunogene (antigeniche) se il sistema immunitario è in grado di riconoscerne i determinanti antigenici come estranei (non-self) e se il peso molecolare della sostanza è sufficientemente elevato. Un aptene è una sostanza con peso molecolare inferiore a quello di un Ag, la quale è capace di reagire in maniera specifica con un Ac, ma che non è in grado di indurre la formazione di Ac a meno che non sia legata a un’altra molecola, solitamente una proteina (la proteina carrier); p. es. la penicillina è un aptene che può legarsi all’albumina. Struttura degli anticorpi (v. Fig. 146-3): le molecole anticorpali sono Ig che possiedono sequenza aminoacidica e una struttura terziaria particolari, che conferiscono loro la capacità di legarsi a una struttura complementare situata sull’Ag. Nonostante tutte le Ig siano probabilmente Ac, non è sempre possibile conoscere l’Ag contro il quale ciascuna Ig è diretta. La reazione Ag-Ac può svolgere un ruolo specifico nella protezione dell’ospite contro virus, batteri e altri patogeni. Le Ig sono responsabili della maggior parte della frazione γ-globulinica delle proteine plasmatiche. Le molecole anticorpali sono estremamente eterogenee e nel loro complesso sono in grado di combinarsi con un numero di Ag praticamente illimitato, tuttavia condividono alcune caratteristiche comuni. Nell’ambito di ciascuna classe, le Ig file:///F|/sito/merck/sez12/1461088.html (2 of 5)02/09/2004 2.05.20

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monomeriche possiedono una struttura analoga. Ciascuna molecola è composta da quattro catene polipeptidiche, due catene pesanti identiche e due catene leggere identiche. Le catene pesanti hanno ciascuna un peso molecolare variabile da 50000 a 70000 dalton e ogni catena leggera ha un peso molecolare di circa 23000 dalton. Ponti disolfuro uniscono le catene tra loro e conferiscono alla molecola la configurazione a Y comunemente conosciuta. La molecola Ig a forma di Y si compone di una regione variabile (V) e di una regione costante (C). La regione V è situata alle estremità distali delle braccia della Y ed è chiamata così a causa dell’alta variabilità degli aminoacidi che vi si trovano, i quali determinano di volta in volta la capacità dell’Ig di combinarsi con l’Ag. La regione C, prossimale al sito di combinazione con l’Ag, contiene una sequenza aminoacidica relativamente costante la quale è caratteristica di ciascuna classe di Ig (v. anche Immunità specifica [adattativa], sopra). Le regioni ipervariabili situate all’interno delle regioni V contengono i determinanti idiotipici, ai quali possono legarsi gli Ac naturali (chiamati Ac antiidiotipo). Il legame dell’Ac anti-idiotipo con il suo determinante idiotipico è importante per la regolazione delle risposte B-cellulari. Al contrario, i determinanti allotipici presenti nella regione C danno origine ad Ac anti-allotipo, i quali possiedono specificità di classe. Quindi, ciascun clone di cellule B produce la sua Ig specifica, avente una specifica sequenza aminoacidica, la quale si combina con una particolare configurazione antigenica. Ciò nonostante, i membri di ogni clone possono modificare la classe della molecola Ig che producono, mantenendo tuttavia invariate le catene leggere e le regioni V. Per studiare la relazione esistente fra struttura e funzione, le molecole degli Ac sono state frammentante con l’impiego di enzimi proteolitici (v. Fig. 146-3). La papaina scinde le Ig in due frammenti monovalenti, i Fab (che contengono il sito di legame per l’Ag) e un frammento singolo, l’Fc (cristallizzabile). Il frammento Fab è formato da una catena leggera e da una parte di una catena pesante e contiene le regioni V della molecola Ig (i siti di combinazione). Il frammento Fc contiene la maggior parte della regione C; questo frammento è responsabile dell’attivazione del complemento e si lega ai recettori per l’Fc presenti sui fagociti. La pepsina produce un frammento chiamato F(ab’)2, il quale è formato dai due Fab e da una porzione delle catene pesanti che contiene i ponti disolfuro. Nell’uomo, ogni classe principale di Ig possiede una catena pesante corrispondente; le catene pesanti µ, γ,α, ε e δ si trovano rispettivamente nelle IgM, nelle IgG, nelle IgA, nelle IgE e nelle IgD. Nelle cinque classi di Ig dell’uomo esistono solo due tipi di catene leggere, l e κ. In questo modo, esistono 10 tipi differenti di molecole Ig (p. es. IgG-λ, IgG-κ). Tre classi (le IgG, le IgD e le IgE) esistono solo in forma monomerica. Le IgM circolano nel sangue in forma pentamerica o monomerica. Come pentamero, le IgM contengono cinque molecole a forma di Y (10 catene pesanti e 10 catene leggere). Le IgA esistono come monomeri, dimeri e trimeri. Le IgG possiedono quattro sottoclassi (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4); le IgA possiedono due sottoclassi (IgA1 e IgA2). Si comincia oggi ad associare specifiche funzioni biologiche alle varie sottoclassi (p. es. le IgG4 non fissano il complemento né si legano ai monociti e le IgG3 hanno un’emivita significativamente più breve rispetto alle altre tre sottoclassi di IgG). Sono state identificate anche strutture addizionali. Le catene di giunzione (Joining, J) tengono unite le cinque subunità delle IgM, come anche le subunità delle IgA. Le IgA secretorie possiedono una catena polipeptidica aggiuntiva, la componente secretoria (Secretory Component, SeC), prodotta dalle cellule epiteliali e aggiunta alla molecola IgA dopo la sua sintesi. Per contrassegnare ciascuna classe di Ig sono stati tradizionalmente impiegati i coefficienti di sedimentazione, determinati con la tecnica dell’ultracentrifugazione. Le IgM hanno il più alto coefficiente di sedimentazione a 19S e le IgG hanno un coefficiente di circa 7S. Proprietà biologiche degli anticorpi: la struttura aminoacidica della regione C

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della catena pesante determina l’isotipo della classe di Ig cui appartiene. Ogni classe svolge funzioni differenti. Le IgM, i primi Ac che vengono sintetizzati in seguito a immunizzazione primaria (esposizione a un nuovo Ag), proteggono dalle aggressioni il compartimento intravascolare. Le molecole pentameriche delle IgM attivano prontamente il complemento e svolgono funzioni di opsonizzazione e di agglutinazione per collaborare con il sistema fagocitario nell’eliminazione di molti tipi di microrganismi. Le isoemoagglutinine e molti Ac diretti contro i microrganismi gram – sono IgM. Le IgM monomeriche svolgono la funzione di recettori per l’Ag sulla membrana delle cellule B. Le IgG, la classe di Ac sierici di gran lunga predominante, si possono trovare anche nei compartimenti extravascolari; vengono prodotte quando il titolo delle IgM comincia a decrescere dopo l’immunizzazione primaria. Le IgG sono le principali Ig prodotte in seguito a reimmunizzazione (risposta immunitaria di memoria o secondaria). Esse proteggono i tessuti dai batteri, dai virus e dalle tossine. Le IgG sono le uniche Ig in grado di attraversare la barriera placentare. Sottoclassi differenti di IgG neutralizzano le tossine batteriche, attivano il complemento e potenziano la fagocitosi grazie all’opsonizzazione. Le γ-globuline disponibili in commercio sono costituite quasi interamente da IgG, con piccole quote di altre Ig. Le IgA si trovano nelle secrezioni mucose (saliva, lacrime, secrezioni respiratorie, GU e GI, oltre al colostro), dove provvedono a una difesa antibatterica e antivirale di primo livello. Le IgA secretorie vengono sintetizzate nelle regioni subepiteliali dell’apparato GI e di quello respiratorio e sono combinate con una componente secretoria (SeC) prodotta localmente. Alcune cellule produttrici di IgA si trovano nei linfonodi e nella milza. Le IgA sieriche non possiedono la SeC; esse conferiscono protezione nei confronti della Brucella, della difterite e della poliomielite. Le IgD sono presenti nel siero in concentrazioni estremamente basse, ma compaiono anche sulla superficie delle cellule B in via di maturazione e potrebbero svolgere un ruolo importante nella loro crescita e nel loro sviluppo. Le IgE (Ac reaginici, sensibilizzanti cutanei o anafilattici), come le IgA, si trovano principalmente nelle secrezioni mucose respiratorie e GI. Nel siero, sono presenti in concentrazioni molto basse. Le IgE interagiscono con le mast-cellule; il legame simultaneo di due molecole di IgE da parte di un allergene può provocare la degranulazione delle cellule, con il rilascio di mediatori chimici che causano una risposta di tipo allergico. I livelli sierici delle IgE sono elevati nelle malattie atopiche (p. es. asma allergico o estrinseco, febbre da fieno e dermatite atopica), nelle malattie parassitarie, nel morbo di Hodgkin in fase molto avanzata e nel mieloma monoclonale a IgE. Le IgE possono svolgere un ruolo positivo nella difesa contro i parassiti.

Metodi di dosaggio delle immunoglobuline Le IgG, le IgM e le IgA sono presenti nel siero in concentrazioni sufficientemente elevate da poter essere misurate con diverse tecniche che rilevano la presenza di qualsiasi Ag. Una metodica ormai datata è quella dell’immunodiffusione radiale (tecnica di Mancini), nella quale il siero contenente l’Ag viene posto in un pozzetto ricavato in una piastra di agar contenente l’Ac; la dimensione degli anelli di precipitazione che si formano nell’agar è proporzionale alla concentrazione dell’Ag nel siero. Per determinare le concentrazioni specifiche di numerose proteine sieriche, comprese le Ig, molti laboratori impiegano adesso la nefelometria, una metodica rapida e altamente riproducibile basata sul principio della dispersione della luce da parte delle molecole. Anche l’immunoelettroforesi viene utilizzata occasionalmente per identificare le Ig, particolarmente le Ig monoclonali (v. Mieloma multiplo nel Cap. 140). Le IgE sono presenti nel siero in quantità talmente piccole che devono essere misurate con metodi radioimmunologici o con il test di immunoassorbimento enzimatico (Enzyme-

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Linked ImmunoSorbent Assay, ELISA). Le IgE dirette contro Ag specifici vengono misurate utilizzando il test di radioallergoassorbimento (RadioAllergoSorbent Test, RAST, v. Cap. 148). Le sottoclassi delle Ig possono essere misurate utilizzando metodi radioimmunologici o l’ELISA.

Anticorpi monoclonali Gli Ac presenti in vivo sono quasi sempre policlonali (cioè prodotti da più di un clone), tranne nel caso di una gammopatia monoclonale. Analogamente, fino a non molto tempo fa erano policlonali anche gli Ac indotti negli animali per essere utilizzati nei test diagnostici. La tecnica dell’ibridoma consente la produzione di grandi quantità di Ac monoclonali negli animali. Per prima cosa, un topo viene immunizzato con l’Ag desiderato. Quando il topo ha cominciato a produrre Ac, la sua milza viene prelevata per preparare una sospensione di cellule, alcune delle quali producono l’Ac corrispondente. Successivamente, queste cellule produttrici di Ac vengono ibridate con una linea cellulare di mieloma che è stata mantenuta in coltura tissutale e che non produce Ac. Le singole cellule ibridate che producono l’Ac monoclonale desiderato vengono isolate, coltivate in colture tissutali per aumentarne il numero e reinoculate in peritoneo di topo. In questo modo si può facilmente produrre e raccogliere liquido ascitico contenente l’Ac monoclonale per ottenere alte concentrazioni dell’Ac stesso. I laboratori di fermentazione producono preparazioni commerciali di Ac monoclonali. Attualmente, gli Ac monoclonali vengono diffusamente impiegati per (1) dosare proteine e farmaci nel siero; (2) tipizzare i tessuti e il sangue; (3) identificare agenti infettivi; (4) identificare cluster di differenziazione (CD) per la classificazione e il follow-up delle leucemie e dei linfomi; (5) identificare Ag tumorali; (6) identificare autoanticorpi in molte patologie diverse. L’uso degli Ac monoclonali ha favorito l’identificazione della miriade di cellule coinvolte nella risposta immunitaria.

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Discrasie plasmacellulari

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 140. DISCRASIE PLASMACELLULARI Gruppo di disordini clinicamente e biochimicamente diversi di eziologia sconosciuta, caratterizzati da una sproporzionata proliferazione di un clone di cellule B e dalle presenza di un’immunoglobulina strutturalmente ed elettroforeticamente omogenea (monoclonale) o da una subunità polipeptidica nel siero o nelle urine.

MIELOMA MULTIPLO (Mieloma plasmacellulare; mielomatosi) Malattia neoplastica progressiva caratterizzata da plasmocitosi midollare (tumore plasmacellulare) e iperproduzione di una immunoglobulina monoclonale intatta (IgG, IgA, IgD o IgE) o della proteina di Bence Jones (catene leggere monoclonali κ o λ).

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Il mieloma multiplo è spesso associato a lesioni osteolitiche multiple, ipercalcemia, anemia, danno renale e aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche; la produzione di immunoglobuline normali è difettosa. L’incidenza è stimata 2-3/ 100000 persone, il rapporto maschio-femmina è 1,6:1 e la maggior parte dei pazienti è > 40 anni. La prevalenza nella popolazione di colore è doppia che nella popolazione bianca.

Eziologia e patogenesi L’eziologia è sconosciuta. Una relazione è suggerita dal reperto del virus erpeticoassociato al sarcoma di Kaposi nelle cellule dendritiche in coltura provenienti dai pazienti con mieloma. Questo virus codifica per un omologo dell’interleuchina-6; l’interleuchina-6 umana promuove la crescita del mieloma e stimola il riassorbimento dell’osso. La specifica cellula di origine è sconosciuta. L’analisi delle sequenze geniche immunoglobuliniche e i marker cellulari di superficie suggeriscono una trasformazione maligna di un centro cellulare post-germinativo.

Anatomia patologica Si sviluppano una diffusa osteoporosi o discrete lesioni osteolitiche, di solito nella file:///F|/sito/merck/sez11/1401039.html (1 of 4)02/09/2004 2.05.21

Discrasie plasmacellulari

pelvi, alla colonna vertebrale, alle coste e al cranio. Le lesioni sono dovute alla sostituzione del normale tessuto osseo da parte di tessuto neoplastico plasmacellulare oppure a un fattore secreto dalle plasmacellule maligne (fattore di attivazione degli osteoclasti). Le lesioni osteolitiche sono di solito multiple, ma occasionalmente sono rappresentate da masse solitarie intramidollari. I plasmocitomi extraossei sono molto rari, ma si possono presentare in tutti gli organi, soprattutto nel primo tratto dell’apparato respiratorio. I plasmocitomi producono IgG nel 55% dei pazienti mielomatosi e IgA in circa il 20%; il 40% dei portatori di mieloma IgG o IgA ha anche proteinuria di Bence Jones. Le catene leggere del mieloma sono state riscontrate nel 15-20% dei pazienti; in questi casi le plasmacellule secernono soltanto catene leggere monoclonali libere (proteine di Bence Jones κ o λ) e all’elettroforesi solitamente non si evidenzia la proteina M nel siero. I pazienti con la forma micromolecolare tendono ad avere una maggiore incidenza di lesioni osteolitiche, ipercalcemia, insufficienza renale e amiloidosi rispetto alle altre varietà di mieloma. Il mieloma IgD rappresenta circa l’1% dei casi: i livelli sierici della paraproteina sono spesso relativamente bassi ed è tipica una marcata proteinuria di Bence Jones (di tipo λ nell’80-90% dei casi). Sono stati descritti solo pochi casi di mieloma IgE. Il mieloma non secernente (nessuna componente M identificabile nel siero o nelle urine) è molto raro (< 1% dei casi). Nel 10% dei pazienti, specialmente in quelli con proteinuria di Bence Jones, sono presenti depositi di amiloide (v. nel Cap. 18).

Sintomi e segni I sintomi più frequenti all’esordio sono: dolore osseo persistente (spesso al torace o in regione lombare), che non ha alcuna altra causa apparente, insufficienza renale e infezioni batteriche ricorrenti. Sono frequenti le fratture patologiche e lo schiacciamento vertebrale, che può determinare compressione midollare e paraplegia. L’insufficienza renale (rene mielomatoso) può essere causata dall’estesa formazione di cilindri all’interno dei tubuli renali, dall’atrofia delle cellule epiteliali tubulari e dalla fibrosi interstiziale. In alcuni pazienti predomina l’anemia accompagnata talvolta da debolezza e facile stancabilità, mentre in alcuni casi spiccano i sintomi da iperviscosità (v. Macroglobulinemia,sopra). La linfoadenomegalia e l’epatosplenomegalia sono rare.

Diagnosi Nel paziente con proteina M nel siero, uno dei tre criteri che seguono permette di porre diagnosi di mieloma: strati o agglomerati di plasmacellule nel midollo, lesioni osteolitiche (senza la presenza di carcinoma metastatico o malattia granulomatosa) o proteinuria di Bence Jones > 300 mg/ 24 ore Gli esami ematologici mostrano un’anemia normocromica-normocitica con formazione di "rouleaux". La conta dei GB e delle piastrine è normale. La VES è spesso notevolmente aumentata con valori talora > 100 mm/h, così pure l’azotemia, la creatininemia e l’uricemia. In alcuni pazienti è presente talora un basso "gap anionico". In circa il 10% dei pazienti si rivela ipercalcemia. Il livello sierico della β2-microglobulina è frequentemente elevato ed è correlato con la massa cellulare mielomatosa. La proteinuria è frequente a causa dell’eccessiva sintesi e secrezione di catene leggere monoclonali libere. La determinazione della Bence Jones nelle urine con le cartine reagenti non è attendibile; il test di solubilità al calore, d’altra parte, può trarre in inganno; per uno "screening" di base sono invece utili i test con l’acido solfosalicilico e con l’acido toluensulfonico. Nel mieloma raramente c’è albuminuria significativa; tale reperto suggerisce l’esistenza di amiloidosi concomitante o malattia da deposito di catene leggere.

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Discrasie plasmacellulari

Nell’80% circa dei casi l’elettroforesi mostra un’omogenea banda M stretta; la mobilità del picco M può riscontrarsi dalla regione α2 fino a quella γ lenta. Il restante 20% dei pazienti sintetizza soltanto catene leggere monoclonali libere (proteine di Bence Jones) e l’elettroforesi proteica mette in evidenza soltanto un’ipogammaglobulinemia senza picco M. In quasi tutti i pazienti con mieloma a catene leggere è comunque possibile dimostrare all’elettroforesi proteica delle urine concentrate la presenza di un picco M omogeneo. Attraverso l’immunoelettroforesi o immunofissazione, che utilizza antisieri monospecifici, è possibile identificare, nel siero o nelle urine, la classe immunoglobulinica di appartenenza del picco M. La rx dello scheletro può mostrare le tipiche immagini osteolitiche a stampo oppure un’osteoporosi diffusa. Dal momento che lesioni di tipo osteoblastico sono rare, la scintigrafia ossea con radionuclidi solitamente non è utile per la diagnosi. La RMN può essere utile, particolarmente nel predire l’esito nei pazienti con malattia in stadio iniziale. L’aspirato midollare e la biopsia ossea generalmente mostrano un alto numero di plasmacellule in diversi stadi di maturazione, ma, raramente, il numero di cellule normali è normale. La morfologia delle plasmacellule non ha alcun rapporto con la classe delle immunoglobuline sintetizzate. Il mieloma è una malattia le cui cellule si riuniscono a focolaio, per cui, anche se in alcuni casi il reperto di plasmacellule a strati o ad ammassi permette di fare diagnosi, molto spesso inizialmente c’è soltanto una modesta plasmocitosi aspecifica.

Prognosi e terapia Anche se la malattia ha un andamento evolutivo, con un trattamento ottimale è possibile migliorare la qualità e la durata della vita. Circa il 60% dei pazienti trattati mostra segni oggettivi di miglioramento; la sopravvivenza media è di circa 2,5-3 anni, ma questo varia proporzionalmente all’estensione della malattia al momento della diagnosi, alla disponibilità di adeguati mezzi di supporto e alla risposta ai farmaci. Sono segni prognostici sfavorevoli gli alti livelli di proteina M nel siero o nelle urine, valori sierici elevati di β2-microglobulina, lesioni ossee diffuse, l’ipercalcemia, l’anemia e l’insufficienza renale. Il mantenimento della deambulazione è vitale per la protezione dall’ipercalcemia e la qualità dell’osso. Il dolore è alleviato abbastanza dagli analgesici e dall’irradiazione a dosi palliative (18-24 Gy) dei segmenti scheletrici interessati dalla malattia. Tuttavia, la radioterapia può alterare la capacità del paziente di poter ricevere dosi citotossiche di chemioterapia sistemica. Tutti i pazienti devono ricevere il pamidronato (90 mg/ mese EV), che riduce le complicanze scheletriche e riduce il dolore osseo e la necessità di assumere analgesici. Questo trattamento può anche migliorare la sopravvivenza. È estremamente importante idratare il paziente: la disidratazione, in un paziente con proteinuria di Bence Jones, prima dell’infusione endovenosa del tracciante, può scatenare una insufficienza renale acuta con oliguria. Con una buona idratazione (diuresi > 2000 ml/die), è possibile prevenire una compromissione grave della funzione renale anche in pazienti che hanno una proteinuria di Bence Jones prolungata e massiva (10-30 g/die). Il prednisone PO alle dosi di 60-80 mg/die è utile per il controllo dell’ipercalcemia; nei casi refrattari, il pamidronato può essere utile (v. sopra). Sebbene la maggior parte dei pazienti non richieda allopurinolo, una dose di 300 mg/die PO controlla l’iperuricemia. Gli antibiotici sono indicati nelle infezioni batteriche in atto, mentre ne è sconsigliabile l’uso profilattico. La maggior parte dei pazienti presenta infezioni solo durante la neutropenia indotta dalla chemioterapia. In alcuni studi è stato dimostrato che la somministrazione, profilattica, EV delle immunoglobuline possa ridurre il rischio di infezioni. Tuttavia, deve essere riservata a pazienti selezionati con infezioni ricorrenti. Nell’anemia sintomatica sono indicate le trasfusioni di concentrati di GR. L’eritropoietina ricombinante è molto efficace nel

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Discrasie plasmacellulari

far regredire l’anemia, specialmente nei pazienti con disfunzione renale; tuttavia il suo uso deve essere limitato ai pazienti per i quali la chemioterapia riduce l’Hb. Chemioterapia: la risposta alla chemioterapia è indicata dalla riduzione nel siero o nelle urine della proteina M. La chemioterapia convenzionale raramente elimina la proteina M; tuttavia, un miglioramento obiettivo (una riduzione 50% nel siero o nelle urine della proteina M) spesso segue l’uso do alchilanti orali (melfalan o ciclofosfamide). La sopravvivenza media può aumentare anche di 3-7 volte. Il prednisone (1 mg/kg/die per 4 giorni q 4-6 settimana) o un altro glucocorticoide deve essere utilizzato unitamente al melfalan o alla ciclofosfamide. I glucocorticoidi possono essere usati da soli per trattare pazienti con mieloma diagnosticato de novo. Il melfalan può essere somministrato in modo intermittente (0,25 mg/kg/die per 4 gg q 4-6 sett.). Circa 2 sett. dopo la somministrazione, una conta di GB deve essere effettuata al nadir; se la conta dei GB è > 3000/µl, la dose può essere inadeguata. La risposta al melfalan può migliorare se a esso si associa il prednisone (1 mg/kg/die per 4 gg q 6 sett.). La ciclofosfamide (200 mg/die per 57 gg, poi 50-100 mg/die per il mantenimento) è ugualmente efficace. Poiché questi farmaci provocano leucopenia e piastrinopenia, la conta dei GB e delle piastrine deve essere strettamente monitorizzata. In una minoranza dei pazienti rispondenti si può sviluppare una leucemia acuta non linfoblastica o una mielodisplasia che possono essere correlate al periodo di esposizione ad agenti mutageni (alchilanti o radiazioni). Quindi, bisogna avere cura che i pazienti ricevano la terapia per il minor tempo necessario. La continuazione della terapia oltre questo punto non ha dimostrato migliorare la sopravvivenza. La terapia ad alte dosi, cioè, l’uso di regimi polichemioterapici più aggressivi che necessitano di supporto ematopoietico, appare promettente, sebbene è stato difficile dimostrare il miglioramento della sopravvivenza globale. Poiché i farmaci alchilanti devono essere evitati nella terapia ad alte dosi (danneggiano le cellule staminali ematopoietiche), devono essere prese in considerazione prima del trapianto la vincristina per infusione e la doxorubicina con desametasone orale. In uno studio, è stato dimostrato che la terapia ad alte dosi, seguita da trapianto autologo, in pazienti che hanno ricevuto previamente diversi cicli di chemioterapia convenzionale, migliori i tassi di remissione e la sopravvivenza. Il supporto di cellule staminali periferiche autologhe ha largamente sostituito il trapianto di midollo per i pazienti con mieloma sottoposti a chemioterapia mieloablativa. Questa procedura deve essere considerata in pazienti < 70 anni con malattia stabile o responsiva dopo trattamento con diversi cicli di chemioterapia convenzionale. Tuttavia, la mortalità correlata al trattamento è elevata. La terapia di mantenimento è stata tentata con farmaci non chemioterapici, incluso l’interferone, che prolunga la remissione ma ha un piccolo effetto sulla sopravvivenza globale. I glucocorticoidi sono in corso di valutazione.

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Amiloidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 18. AMILOIDOSI Accumulo nei tessuti di diverse proteine fibrillari insolubili (amiloide) in quantità sufficienti a comprometterne la funzione normale.

Sommario: Eziologia, fisiopatologia e classificazione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Eziologia, fisiopatologia e classificazione La causa della produzione di amiloide e del suo deposito nei tessuti non è conosciuta. Il meccanismo eziologico può variare a seconda dei differenti tipi biochimici di amiloidosi. Per esempio, nell'amiloidosi secondaria (v. oltre) può essere presente un deficit del metabolismo della proteina precursore (l'amiloide sierica A, un reattante di fase acuta), mentre nell'amiloidosi ereditaria sembra essere presente una proteina geneticamente alterata. Nell'amiloidosi primitiva, una popolazione monoclonale di cellule midollari produce frammenti di catene leggere o catene leggere intere che possono essere processati in maniera anormale così da formare amiloide. Alla microscopia ottica l'amiloide appare come una sostanza omogenea, altamente rifrangente, con affinità per il colorante rosso Congo sia nei tessuti fissati sia in vivo. Alla microscopia elettronica l'amiloide è costituita da fibrille lineari non ramificate di 100 Å (10 nm); alla diffrazione dei raggi x presenta un quadro cross-beta. Dal punto di vista biochimico sono stati definiti tre tipi principali di amiloide e numerose forme meno comuni. Il primo tipo, che ha una sequenza N-terminale omologa a una porzione della regione variabile delle catene leggere delle immunoglobuline, è denominata AL e si riscontra nell'amiloidosi primitiva e nell'amiloidosi associata al mieloma multiplo. Il secondo tipo ha una sequenza Nterminale caratteristica di una proteina non immunoglobulinica denominata AA, e si riscontra nei pazienti con amiloidosi secondaria. Il terzo tipo, associato alla polineuropatia amiloide familiare, è di solito una molecola transtiretinica (prealbuminica) con sostituzione di un singolo aminoacido. Sono state riscontrate altre amiloidi ereditarie costituite da gelsolina mutante in alcune famiglie, apolipoproteina A-I mutante in diverse altre famiglie e altre proteine mutanti nell'amiloide ereditaria dell'arteria cerebrale. Nell'amiloide associata con l'emodialisi cronica, il costituente della proteina amiloide è una b2-microglobulina. La struttura chimica dell'amiloide associata all'invecchiamento della cute o presente negli organi endocrini può essere quella di altre forme biochimiche di amiloidosi. L'amiloide trovata nelle lesioni istopatologiche della malattia di Alzheimer è formata da proteine b. L'analisi chimica relativa alle varie forme di amiloide ha portato a una classificazione più raffinata. Un'unica proteina (una pentrassina) denominata AP (o AP sierica) è universalmente associata con tutte le forme di amiloide e rappresenta la base di un test diagnostico specifico. Attualmente vengono riconosciute tre forme cliniche sistemiche principali. L'amiloidosi viene classificata come primitiva o idiopatica (forma AL), quando non è associata ad alcuna malattia, e secondaria, acquisita o reattiva (forma AA), quando è associata a malattie croniche, sia infettive (tubercolosi, bronchiettasie,

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Amiloidosi

osteomielite, lebbra) sia infiammatorie (artrite reumatoide, ileite granulomatosa). L'amiloide è anche associata al mieloma multiplo (AL), al morbo di Hodgkin (AA), ad altre neoplasie e alla febbre mediterranea familiare (AA). L'amiloidosi può accompagnare i processi di invecchiamento. Il terzo tipo principale di amiloidosi si presenta nelle forme familiari non associate ad altre patologie, spesso con quadri caratteristici di neuropatia, nefropatia e cardiopatia. Nell'amiloidosi primitiva (AL) possono essere interessati il cuore, i polmoni, la cute, la lingua, la tiroide e il tratto intestinale. Si possono trovare nel tratto respiratorio o in altre sedi "tumori" amiloidi localizzati. Sono frequentemente coinvolti gli organi parenchimali (fegato, milza, rene) e l'apparato vascolare, specialmente il cuore. L'amiloidosi secondaria (AA) mostra una predilezione per la milza, il fegato, i reni, i surreni e i linfonodi. Tuttavia, nessun apparato viene risparmiato e l'interessamento vascolare può essere ampiamente diffuso, anche se un coinvolgimento cardiaco clinicamente significativo è raro. Il fegato e la milza sono spesso aumentati di volume, duri e di consistenza elastica. I reni sono di solito ingranditi. Sezioni della milza mostrano ampie aree traslucide, ceree, nel contesto delle quali i normali corpi di Malpighi sono sostituiti da amiloide pallida, determinando il caratteristico quadro della milza a "sagù". L'amiloidosi ereditaria è caratterizzata da una neuropatia periferica sensitiva e motoria, spesso da una neuropatia autonomica e dalla deposizione di amiloide cardiovascolare e renale. Si possono osservare la sindrome del tunnel carpale e anomalie del corpo vitreo. L'amiloide associata ad alcune neoplasie maligne (p. es., il mieloma multiplo) ha la stessa distribuzione dell'amiloide idiopatica (AL); con altri tumori maligni (p. es., il carcinoma midollare della tiroide) essa può presentarsi solo localmente in associazione con il tumore o nel contesto delle metastasi. L'amiloide viene frequentemente riscontrata nel pancreas di individui con diabete mellito di tipo adulto.

Sintomi e segni I segni e sintomi non sono specifici, dipendono dall'organo o dal sistema interessato e spesso vengono celati dalla malattia di base, che può portare a morte prima che venga sospettata la presenza di amiloidosi. La sindrome nefrosica è la manifestazione precoce più importante. Negli stadi iniziali può essere notata soltanto una lieve proteinuria; più tardi si sviluppa un caratteristico complesso sintomatologico con stato anasarcatico, ipoprotidemia e proteinuria massiva. L'amiloidosi del fegato determina epatomegalia, ma raramente ittero. È stata riportata un'epatomegalia massiva (peso del fegato > 7 kg). I risultati dei test di funzionalità epatica sono generalmente normali, sebbene si possano osservare un'alterazione dell'escrezione di bromosulftaleina sodica (esame raramente eseguito) o un'elevazione della fosfatasi alcalina. Occasionalmente, si può instaurare ipertensione portale con varici esofagee e ascite. Le lesioni cutanee possono essere ceree o traslucide; può essere presente una porpora dovuta all'interessamento dei vasi cutanei di piccolo calibro. Il coinvolgimento cardiaco è un'evenienza comune e può manifestarsi con cardiomegalia, scompenso cardiaco intrattabile o una qualunque delle aritmie più frequenti. In diverse famiglie è stato osservato arresto sinusale. L'amiloide GI può determinare alterazioni della motilità esofagea, atonia gastrica, anomalie della motilità dell'intestino tenue e del colon, malassorbimento, sanguinamenti o pseudo-ostruzioni. La macroglossia è comune nell'amiloidosi primitiva e in quella associata al mieloma. L'amiloidosi della tiroide può dar luogo a un gozzo duro, simmetrico, non file:///F|/sito/merck/sez02/0180234.html (2 of 4)02/09/2004 2.05.22

Amiloidosi

dolorabile, somigliante allo struma di Hashimoto o di Riedel. In alcuni rari casi di mieloma multiplo, l'artropatia amiloide può simulare un'artrite reumatoide. La neuropatia periferica, che è una manifestazione d'esordio non infrequente, è comune in alcune amiloidosi familiari e si osserva anche in alcuni casi di amiloidosi primitiva o associata al mieloma. L'interessamento polmonare (soprattutto nell'amiloidosi AL) può essere caratterizzato da noduli polmonari focali, lesioni tracheobronchiali o depositi diffusi alveolari. In molti familiari di pazienti con amiloide ereditaria si riscontrano opacità amiloidee del corpo vitreo e indentazione bilaterale dei margini pupillari.

Diagnosi L'amiloidosi può essere sospettata sulla base dei sintomi e dei segni descritti precedentemente, ma la certezza diagnostica si ottiene soltanto con la biopsia. I migliori test di primo livello sono l'aspirazione dei cuscinetti adiposi sottocutanei addominali o la biopsia della mucosa rettale. Altre sedi utili per la biopsia sono le gengive, la cute, i nervi, i reni e il fegato. Le sezioni tissutali devono essere colorate con rosso Congo e osservate con un microscopio a luce polarizzata per notare la caratteristica birifrangenza verde dell'amiloide. La AP sierica marcata con isotopi è stata utilizzata in un test scintigrafico per confermare la diagnosi di amiloidosi.

Prognosi Nell'amiloidosi secondaria, la prognosi dipende dal successo del trattamento della malattia di base. Tutte le forme di amiloidosi renale hanno una prognosi sfavorevole, ma i pazienti possono rimanere stabili o anche migliorare con la terapia di supporto (p. es., eradicazione della pielonefrite). La dialisi e il trapianto di rene hanno ulteriormente migliorato la prognosi. L'amiloidosi associata al mieloma multiplo ha la prognosi peggiore; la morte entro 1 anno è un evento comune. I tumori amiloidi localizzati possono essere asportati senza rischio di recidive. L'amiloidosi cardiaca è la più comune causa di morte, dovuta soprattutto ad aritmie o scompenso cardiaco refrattario. La prognosi nelle amiloidosi familiari varia tra i diversi membri della famiglia.

Terapia La terapia è diretta innanzitutto alla causa sottostante; tale trattamento può arrestare l'evoluzione della malattia. Il trattamento dell'amiloidosi di per sé è generalmente sintomatico. Nei pazienti con amiloidosi renale è stato praticato il trapianto di rene; la sopravvivenza a lungo termine è paragonabile a quella di altre malattie renali, ma la mortalità nei primi anni è superiore. L'amiloide può alla fine ricomparire nel rene trapiantato, ma numerosi soggetti sottoposti a trapianto sono andati molto bene e hanno vissuto fino a 10 anni. L'attuale terapia dell'amiloidosi primitiva prevede un protocollo con prednisone/melfalan o prednisone/melfalan/colchicina. Sono in corso trial clinici per mettere a confronto questi diversi schemi terapeutici. Recentemente i programmi terapeutici sono stati arricchiti, con notevole successo, con il trapianto di cellule staminali. La digitale va usata con prudenza nell'amiloidosi cardiaca, poiché può scatenare aritmie. Il trapianto di cuore ha avuto successo in pazienti accuratamente selezionati. Per prevenire gli attacchi acuti di febbre mediterranea familiare è stata utilizzata la colchicina ed è stato dimostrato che i pazienti trattati in questo modo non sviluppano nuova amiloide, e che l'amiloide presente regredisce. È stato dimostrato che nell'amiloidosi ereditaria dovuta a mutazioni della transtiretina il trapianto di fegato, che rimuove la sede della sintesi della proteina mutante, è molto efficace.

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Amiloidosi

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 146-1. CITOCHINE PRINCIPALI Citochine

Massa molecolare

Produzione

Effetti principali

Interleuchine (IL) IL-1α, IL-1β

15-17

Monociti, macrofagi

Febbre (pirogeno endogeno), sonno, anoressia, infiammazione, espressione del CD4 e rilascio di fattore tissutale da parte delle cellule endoteliali, attivazione dei linfociti, produzione di IL-6 e CSF

IL-2

14-15

cellule T

Induzione della crescita delle cellule T, costimolazione della crescita e della differenziazione delle cellule B, aumento delle NK e delle LAK

IL-3

14-28

cellule T, mastcellule

Induzione della crescita delle mast-cellule, crescita delle cellule emopoietiche pluripotenti

IL-4

20

cellule T, mastcellule

Induzione della crescita delle cellule T e della generazione dei CTL, costimolazione della crescita delle cellule B, sinergismo con l'IL-3 nella crescita delle mast-cellule, ↑ della produzione di IgE e IgG4, induzione dell'espressione e del rilascio del CD23, ↑ del MHC di classe II sulle cellule B, switch da TH a TH2

IL-5

45

cellule T, mastcellule

Induzione della differenziazione degli eosinofili, ↑ della produzione di IgA, costimolazione della crescita delle cellule B nei topi

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Manuale Merck - Tabella

IL-6

23-30

Monociti, fibroblasti, cellule T (topo)

Pirogeno, induzione della crescita dei plasmocitomi e degli ibridomi, amplificazione della produzione di Ig, ↑ del MHC di classe I sui fibroblasti, sinergismo con l'IL-2 nella produzione delle proteine di fase acuta da parte degli epatociti, sinergismo con l'IL-3 nella crescita delle celluleemopoietiche, induzione della differenziazione dei CTL

IL-7

25

Cellule stromali del midollo osseo e del timo

Induzione della proliferazione delle cellule pro-B e pre- B e dei timociti immaturi

IL-8 6,5 (chemiochina)

Monociti, cellule endoteliali, macrofagi alveolari, fibroblasti

Induzione della chemiotassi e dell'attivazione dei neutrofili e delle cellule T

IL-9

30-40

cellule T

Induzione della proliferazione di alcune cellule T, potenziamento della crescita delle mast-cellule indotta dall'IL-3

IL-10

17-21

cellule T, cellule B attivate, monociti

↓ del MHC di classe II, inibizione dell'attivazione del MAC, ↓ della presentazione dell'antigene, stimolazione della proliferazione delle cellule B e della produzione di Ac, stimolazione delle mast-cellule, switch da TH a T H2

IL-11

24

Cellule del microambiente emopoietico

Stimolazione della produzione di Ac, sinergismo con l'IL-3 nella proliferazione dei megacariociti, stimolazione dei precursori dei macrofagi

IL-12

75

Monociti, macrofagi, Attivazione della secrezione di alcune cellule B, IFN-g da parte delle NK, switch alcune mast- cellule da TH a TH1, inibizione della secrezione di IgE indotta dall'IL4

IL-13

10

cellule B, macrofagi

Induzione della secrezione di IgE

IL-14

?

cellule T

Induzione del fattore di crescita delle cellule B

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Manuale Merck - Tabella

IL-15

14-15

Cellule non linfoidi, muscolo

Induzione della crescita e della citotossicità delle cellule NK, differenziazione delle cellule NK

IL-16

56

cellule T (preformata Chemiotassi dei CD4, induzione nei CD8) del CD25, ↑ del MHC di classe II, repressione della trascrizione dell’HIV

IL-17

20-30

CelluleCD4 di memoria

Costimolazione della proliferazione delle cellule T, in duzione della secrezione di IL-6, IL-8 e G-CSF da parte delle cellule epiteliali, endoteliali e fibroblastiche

IL-18 (nome non ufficiale)

?

?

Induzione del fattore inducente l'IFN-γ, simile all'IL-1

IFN-α

18-20

Leucociti

Inibizione della replicazione virale e della crescita tumorale, ↑ dell'espressione del MHC di classe I e di classe II, ↑ dell'attività NK, modulazione della risposta Ac

IFN-β

20

Fibroblasti

Stesse attività dell'IFN-α

IFN-γ

20-25

cellule T, NK

↑ del MHC di classe I e di

Interferoni (IFN)

classe II, attivazione dei macrofagi, ↑ dell'attività NK, ↓ della secrezione di CD23 e di IgE indotta dall'IL-4, costimolazione della crescita e della differenziazione delle cellule B Tumor necrosis factor (TNF) TNF-α (cachessina)

17

Monociti, macrofagi

Induzione dell'IL-1, ↑ delle molecole di adesione e del MHC di classe I sulle cellule endoteliali, pirogeno, in duzione del GM-CSF, effetto citotossico/ citostatico, induzione della secrezione di IFN-γ

TNF-β

25

cellule T

Fattore citotossico

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Manuale Merck - Tabella

Colony- stimulating factor (CSF) GM-CSF

14-35

cellule T, macrofagi, Induzione della crescita dei monociti, cellule precursori dei granulociti e dei monociti, attivazione dei endoteliali macrofagi, ↑ della produzione di leucotrieni da parte degli eosinofili, ↑ dell'attività tumoricida dei monociti

G-CSF

18-22

Monociti, fibroblasti, cellule endoteliali

Induzione della crescita dei granulociti

M-CSF

70-90

Monociti, fibroblasti, cellule endoteliali

Induzione della crescita dei monociti

TGF-α

5-20

Tumori solidi (carcinomi >sarcomi), monociti

Induzione dell'angiogenesi, proliferazione dei cheratinociti, riassorbimento osseo, crescita tumorale

TGF-β

25

Piastrine, placenta, Induzione della proliferazione rene, osso, cellule T dei fibroblasti; sintesi del collagene e della fibronectina; eB inibizione dei CTL, delle NK e delle LAK; inibizione della proliferazione delle cellule T e B; potenziamento della guarigione delle ferite e dell'angiogenesi

15

CD8 attivati, NK, mast-cellule?

Transforming growth factor (TGF)

Chemiochine C (mancante del primo e del terzo residuo di cisteina conservato). Esempio: linfotassina (LPTN)

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Induzione della chemiotassi delle cellule T e delle cellule NK

Manuale Merck - Tabella

C-C Diversi Variabile esem pi: MIP1α, RANTES, MIP-1β, eotassine, MCP-1, MCP3

Variabile

Induzione della chemiotassi delle cellule T, delle cellule NK, dei basofili e degli eosinofili

C-X-C Diversi Variabile esempi: IL-8, IP- 10, SDF-1

Variabile

Induzione della chemiotassi delle cellule T, delle mastcellule, dei monociti e degli eosinofili

C-X3-C Frattalchine descritte di recente

Variabile

Ancora non ben caratterizzati

Variabile

↑=aumento; ↓=diminuzione; Ac=anticorpi; CSF=colony-stimulating factor; CTL=linfociti T citotossici; G=granulociti; GM=granulociti/macrofagi; LAK=cellule killer attivate dalle linfochine; MAC=complesso di attacco alla membrana; MHC=complesso maggiore di istocompatibilità; NK=cellule natural killer; TH=T helper.

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO CELLULE T E IMMUNITA' CELLULARE Sommario: Introduzione Cellule T helper Cellule T suppressor/citotossiche Cellule killer Citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente Cellule T killer senza restrizione MHC Cellule killer attivate da linfochine Test per l'immunità cellulare

Le cellule T maturano, acquistano capacità funzionali e apprendono il concetto di self all’interno del timo. Il timo svolge il duplice compito della selezione positiva (i cloni che riconoscono il complesso MHC/Ag vengono posti in condizione di proliferare, maturare e migrare in periferia) e della selezione negativa (i cloni che reagiscono al self, riconoscendolo come estraneo, vengono eliminati). Gli esatti meccanismi cellulari e molecolari di questa selezione non sono del tutto conosciuti. Durante lo sviluppo fetale la cellula staminale T, derivata dal midollo osseo, si sposta nel timo, dove matura e apprende il concetto di self. Si svolge quindi il processo della selezione timica e ai linfociti maturi viene consentito di lasciare la ghiandola; essi si ritrovano nel sangue periferico e all’interno dei tessuti linfoidi. Tutte le cellule T mature esprimono il CD4 o il CD8 in maniera mutuamente esclusiva.

Cellule T helper Le cellule T che esprimono il CD4 vengono genericamente denominate linfociti T helper (TH). Queste cellule possono essere suddivise in due categorie principali, a seconda della loro funzione, della risposta a diverse citochine e della capacità di secernere citochine. L’opinione attuale è che le cellule TH siano in origine precursori cellulari sintetizzanti IL-2. In seguito alla stimolazione iniziale, queste cellule si trasformano in cellule TH0, le quali hanno la capacità di secernere diverse citochine, compresi l’IFN-γ, l’IL-2, l’IL-4, l’IL-5 e l’IL-10. A seconda della citochina disponibile, le cellule TH0 possono trasformarsi in cellule TH1 oppure in cellule TH2; l’IFN-γ e l’IL-12 promuovono lo sviluppo delle TH 1 e l’IL-4 e l’IL-10 quello delle TH2. I linfociti TH1 e TH2 differiscono tra loro per il profilo delle citochine che secernono: le cellule TH1 secernono IFN-γ, mentre le cellule TH2 secernono IL-4, anche se entrambe producono diverse altre citochine (p. es. IL-3, GM-LCR, TNF-α) in maniera equivalente. In generale, i linfociti TH1 favoriscono l’attivazione dell’immunità cellulare, mentre i linfociti TH2 favoriscono quella dell’immunità umorale. L’identificazione delle risposte TH1 e TH2 ha modificato il modo di considerare le

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Biologia del sistema immunitario

relazioni tra il sistema immunitario e le malattie. Una risposta immunitaria deve essere non solo energica, ma anche appropriata all’infezione o alla malattia. Forse il miglior esempio di questa strategia è rappresentato dalla lebbra, nella quale si ritiene attualmente che una risposta TH1 dia luogo alla lebbra tubercoloide e una risposta TH2 dia luogo alla lebbra lepromatosa. In aggiunta, una risposta TH1 può aggravare le patologie autoimmuni, mentre una risposta TH2 favorisce la secrezione di IgE e lo sviluppo di atopia.

Cellule T suppressor/citotossiche Le cellule T che esprimono il CD8 sono meno ben caratterizzate rispetto ai sottotipi TH, nonostante sembri che anch’esse possano essere suddivise in due sottotipi sulla base delle citochine che secernono, con criterio identico a quello dei sottotipi dei CD4. È stato suggerito che i sottotipi linfocitari vengano chiamati tipo 1 e tipo 2 (T1 e T2) piuttosto che TH1 e TH2, perché la medesima suddivisione si può osservare nelle cellule CD8. Le cellule T citotossiche (TC) sono linfociti T citotossici (Cytotoxic T Lymphocytes, CTL, v. oltre) Ag-specifici con restrizione MHC. Sia le cellule CD4 sia le cellule CD8 possono fungere da CTL, a seconda del rispettivo riconoscimento del MHC di classe II o di classe I. Si conoscono diversi altri tipi di cellule citotossiche o killer, ma solo alcune di esse esprimono i marker CD8 o CD4.

Cellule killer L’identificazione di ciascun tipo di cellula killer (tra i diversi possibili) dipende dalla restrizione MHC, dalla necessità di sensibilizzazione, dal tipo di bersaglio e dalla risposta alle citochine. Sebbene i macrofagi possano essere citotossici, tale tossicità è aspecifica ed è il risultato della loro attivazione da parte di alcune citochine. I vari tipi di cellule killer possono essere fondamentalmente divisi in cellule con restrizione MHC (p. es. i CTL) e cellule senza restrizione MHC (p. es. le cellule NK). Nessuno dei due tipi richiede Ac, complemento o fagocitosi per eliminare le cellule bersaglio; al contrario, esse trasmettono il segnale litico attraverso la membrana della cellula bersaglio dopo aver stabilito con essa un intimo contatto intercellulare. Cellule killer con restrizione MHC: i linfociti T citotossici (CTL) sono cellule killer generate unicamente in seguito a sensibilizzazione specifica nei confronti di cellule che esprimono prodotti MHC estranei (CTL allogenici) oppure nei confronti di cellule autologhe che siano state modificate da un’infezione virale o da un aptene chimico (CTL singenici). La vita di un CTL attraversa 3 fasi: una cellula precursore può divenire citotossica in seguito a uno stimolo appropriato; questa cellula effettrice è una cellula differenziata che può indurre la lisi del suo bersaglio specifico; una cellula di memoria, quiescente e non ulteriormente stimolata, è pronta a divenire effettrice in seguito a una nuova stimolazione con le cellule originali. Le cellule intatte costituiscono gli stimoli più potenti per la generazione dei CTL; gli Ag solubili sono inefficaci, eccetto in determinate condizioni. Come è stato descritto in precedenza, l’Ag viene processato e un suo frammento viene incorporato all’interno del sito per la presentazione dell’Ag del MHC. Oggi è possibile identificare i peptidi che possiedono una configurazione sterica perfettamente complementare a quella di diversi aplotipi MHC. Se per la stimolazione vengono utilizzati questi peptidi, essi possono essere incorporati all’interno del MHC e stimolare in tal modo una risposta T-cellulare. I CTL allogenici possono essere facilmente prodotti in vitro coltivando linfociti normali in presenza di cellule stimolatrici allogeniche irradiate che presentano modificazioni a carico di una parte o di tutta la barriera MHC. I CTL allogenici possono inoltre essere prodotti in vivo in seguito al trapianto di un organo proveniente da un donatore i cui prodotti MHC sono diversi da quelli del ricevente

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Biologia del sistema immunitario

e probabilmente svolgono un ruolo importante nel rigetto dei trapianti. Perché la produzione di CTL abbia successo sono necessari due segnali: il segnale antigenico (cellule stimolatrici) e il segnale di amplificazione (citochine). Un’azione efficace di questi due segnali richiede la presenza delle APC, dei TH e dei precursori dei TC. Il segnale di amplificazione è mediato da citochine che agiscono in tandem; le più importanti sono l’IL-1, l’IL-2 e l’IL-4, ma si ritiene che altre citochine (comprese l’IL-6, l’IL-7, l’IL-10 e l’IL-12) siano coinvolte nella generazione dei CTL, almeno in vitro. Un altro tipo di CTL che è importante per l’eliminazione di taluni patogeni intracellulari (specialmente le cellule infettate da virus) è costituito dai cosiddetti CTL Ag-specifici (CTL singenici). I CTL singenici riconoscono esclusivamente le cellule bersaglio che esprimono l’Ag utilizzato per la sensibilizzazione in associazione con il MHC. Tali CTL vengono generati contro cellule autologhe che siano state "modificate" da infezioni virali o apteni chimici. L’espressione di prodotti virali o di apteni, sulla superficie cellulare in associazione con il MHC innesca una cascata di eventi differenziativi cellulari e di rilascio e risposta citochinica analoghi a quelli dei CTL allogenici. Sia i CTL allogenici sia quelli singenici adoperano il complesso TCR/CD3 per il riconoscimento della cellula bersaglio. Cellule killer senza restrizione MHC: al contrario dei CTL, le cellule natural killer (NK) non hanno bisogno di sensibilizzazione per esprimere la loro funzione killer. Le cellule NK costituiscono dal 5 al 30% dei linfociti del sangue periferico normale. Esse sono linfociti, ma non appartengono alle linee cellulari T o B: di conseguenza, le cellule NK non esprimono sIg o TCR/CD3 sulla loro superficie. Il pattern dei marker di superficie che caratterizza meglio queste cellule è CD2+, CD3–, CD4– e CD56+, con una sottopopolazione che risulta CD8+. Il compito delle cellule NK è l’eliminazione di determinate cellule tumorali autologhe, allogeniche e anche xenogeniche, indipendentemente dal fatto se questi bersagli esprimano il MHC; in effetti, è possibile che esse eliminino preferenzialmente le cellule bersaglio che esprimono poco o nulla il MHC di classe I. La suscettibilità alla lisi da parte delle cellule NK può essere ridotta se la cellula bersaglio viene stimolata a incrementare l’espressione del suo MHC (p. es. tramite transfezione o IFN). Questa apparente inibizione dell’attività litica NK indotta dall’espressione del MHC di classe I ha portato all’identificazione di diversi recettori per questa classe sulla superficie delle cellule NK. Questi recettori sono strutturalmente differenti dal TCR e vengono generalmente denominati recettori inibitori delle cellule killer (Killer cell Inhibitory Receptors, KIR). Mentre l’interazione del MHC con il TCR presente sulla membrana delle cellule T conduce all’attivazione della cellula T, l’interazione del MHC con la maggior parte dei KIR porta all’inibizione dell’attività NK, nonostante esistano alcuni KIR in grado di indurne l’attivazione. I KIR sono stati identificati anche sulle cellule T. Ciò pone un problema interessante: le cellule T possiedono recettori differenti (TCR/CD3 e KIR) per la stessa molecola (il MHC di classe I), ma con effetti opposti. Cosa sia a decidere se una cellula T verrà attivata o inibita non si sa con precisione e il risultato finale può variare a seconda del clone T-cellulare. Da molto tempo si ritiene che le cellule NK siano importanti nella sorveglianza antitumorale, poiché esse sono in grado di eliminare alcune cellule bersaglio neoplastiche e perché la maggior parte dei tumori non esprime il MHC. Le cellule NK eliminano inoltre alcune cellule infettate da virus e alcuni batteri (p. es. la Salmonella typhi). La struttura di riconoscimento dell’Ag delle cellule NK non è stata ancora identificata. In aggiunta alla loro capacità di killing, le cellule NK possono secernere diverse citochine, in particolare IFN-γ e GM-LCR (fattore stimolante le colonie dei granulociti e dei macrofagi). Le cellule NK potrebbero costituire la fonte più potente di IFN-γ: mediante la sua secrezione, queste cellule possono esercitare la loro influenza sul sistema immunitario adattativo favorendo la differenziazione dei linfociti TH1 e inibendo quella dei TH2.

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Biologia del sistema immunitario

Citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente Le cellule NK esprimono il CD16, un recettore per la regione Fc delle IgG (v. Struttura degli anticorpi, più avanti), e possono utilizzare questo recettore per mediare un altro tipo di lisi cellulare che non presenta restrizione MHC. La citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente (Ab-Dependent Cell-mediated Cytotoxicity, ADCC) dipende dalla presenza di Ac che riconoscono una cellula bersaglio (la sua specificità è pertanto dovuta alla specificità dell’Ac). In seguito al legame con il suo Ag, la regione Fc dell’Ac viene esposta e si lega poi al suo recettore sulla cellula NK per formare un ponte molecolare. Una volta formato il ponte, alla cellula bersaglio viene trasmesso un segnale litico ancora non del tutto compreso, il quale ne determina la morte. Un forma interessante di ADCC è la cosiddetta ADCC inversa. Alcune cellule killer, compresi i CTL con restrizione MHC, che esprimono il CD3 sulla loro superficie, possono perdere la loro specificità in presenza di Ac anti-CD3. L’antiCD3 si unisce al suo ligando sulla superficie della cellula killer, lasciando la sua porzione Fc libera di legarsi a sua volta con le cellule bersaglio che esprimono i recettori per la Fc. Anche in questo caso, una volta che si è formato un ponte, il segnale litico viene trasmesso alla cellula bersaglio che porta la Fc. Alcune forme di ADCC potrebbero rivelarsi utili per colpire le cellule tumorali in vivo, come forma di terapia immunitaria.

Cellule T killer senza restrizione MHC In aggiunta alle cellule NK CD3– TCR– CD56– , una diversa sottopopolazione è CD3+ CD56+ e può esprimere il CD2, il CD5 e il CD8. La maggior parte di tali elementi è TCR-γδ, sebbene siano stati identificati alcuni cloni TCR-αβ. Questa sottopopolazione può mediare una certa attività simil-NK spontanea e può incrementare tale attività dopo stimolazione con IL-2. Un’altra sottopopolazione di cellule T (CD3+ TCR-γδ CD4– CD8– CD56– CD16–) può avere azione citotossica, sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di cloni o linee cellulari. Rimane da chiarire se i linfociti isolati di recente che possiedono questo fenotipo siano dotati di attività citotossica spontanea.

Cellule killer attivate da linfochine Alcuni linfociti coltivati in presenza di IL-2 si trasformano in potenti cellule killer attivate da linfochine (Lymphokine-Activated Killers, LAK) capaci di eliminare un ampio spettro di cellule bersaglio tumorali, come pure linfociti autologhi che siano stati modificati dalla coltura, da alcuni virus o da apteni. Le cellule LAK vengono considerate un fenomeno funzionale, più che una sottopopolazione linfocitaria specifica. I precursori delle LAK sono eterogenei, ma possono essere divisi in due categorie principali: simil-NK e simil-T. Si ritiene generalmente che le cellule NK classiche costituiscano i principali precursori delle LAK nel sangue periferico, ma ciò potrebbe non essere vero nei tessuti extravascolari.

Test per l'immunità cellulare La valutazione quantitativa di base dell’immunità cellulare deve comprendere la conta linfocitaria, la conta differenziale delle sottopopolazioni T-cellulari (CD3, CD4, CD8) e la conta delle cellule NK con tecniche di fluorescenza. La valutazione qualitativa comprende i test cutanei di ipersensibilità ritardata (Delayed-Type Hypersensitivity, DTH) e i seguenti test in vitro: (1) proliferazione in risposta ad Ag solubili, ad Ac anti-CD3 e ad allo-Ag; (2) attività litica delle cellule NK sia spontanea sia dopo stimolazione con IL-2 o IFN; (3) capacità di elaborazione delle citochine, con particolare riferimento all’IFN-γ, al TNF-α, all’ILfile:///F|/sito/merck/sez12/1461083.html (4 of 5)02/09/2004 2.05.24

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2 e all’IL-4; (4) capacità di generazione di CTL con restrizione MHC. L’esecuzione di indagini ulteriori dipenderà dai risultati di questi test. La valutazione esaustiva dell’immunità cellulare viene effettuata soltanto nei laboratori di ricerca. I test cutanei di DTH forniscono indicazioni sulla normalità di alcuni aspetti del sistema immunitario cellulare. Tuttavia, essi non valutano lo stato delle cellule CD8, delle cellule CD4 vergini, delle cellule NK e delle APC diverse dalle cellule di Langerhans. Per esempio, un paziente può avere un’assenza completa di cellule NK e presentare ancora una normale DTH. Così, mentre la negatività di un test cutaneo di DTH indica la presenza di un’immunità cellulare anormale, non è vero il contrario (v. Reti immunitarie, più avanti). I test cutanei di DTH devono essere letti a 48 h. Una risposta più precoce potrebbe essere dovuta a una reazione di Arthus (che comincia da 4 a 6 h dopo l’esecuzione del test e può essere presente fino a 24 h dopo). Questa reazione è dovuta alla presenza di un Ac che si lega all’Ag iniettato dando origine alla formazione di immunocomplessi, all’attivazione del complemento e alla chemiotassi dei neutrofili. L’infiltrato cellulare di una reazione di Arthus consiste soprattutto di neutrofili, mentre l’infiltrato della DTH è costituito da cellule mononucleate. La risposta di DTH comincia a risolversi dopo 48 h e se si legge il test cutaneo a 72 h una reazione ai limiti inferiori della positività (indurimento > 5 mm) può sembrare falsamente negativa.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO CELLULE T E IMMUNITA' CELLULARE RETI IMMUNITARIE Il sistema immunitario si comporta come un’unità indivisibile e nessuna delle sue componenti agisce in maniera autonoma. In ogni risposta immunitaria, le varie componenti agiscono di concerto, in tandem o in conflitto tra loro, come è esemplificato dalla capacità del sistema immunitario di eliminare i microrganismi. I microrganismi extracellulari (la maggior parte dei batteri capsulati) per essere digeriti devono solo essere fagocitati; al contrario i microrganismi intracellulari (p. es. i micobatteri) vengono facilmente ingeriti, ma non possono essere digeriti a meno che il macrofago non riceva un segnale di attivazione. La strategia per eliminare i microrganismi extracellulari è pertanto orientata alla fagocitosi, la quale viene facilitata dall’opsonizzazione (rivestimento di un microrganismo con Ac e/o con prodotti del complemento). Poiché la maggior parte dei fagociti possiede recettori per la porzione Fc degli Ac e per i prodotti del C3, la presenza di queste molecole su un batterio facilita la sua adesione e la sua ingestione. Questa risposta immunitaria "semplice" dipende dal buon esito della sintesi di Ac, dall’attivazione della cascata complementare e dall’integrità del sistema fagocitario. Gli Ac vengono prodotti dalle cellule B, tuttavia queste cellule sono soggette all’azione di induzione o di soppressione da parte delle cellule T. In aggiunta, i fagociti vengono richiamati da fattori chemiotattici, alcuni dei quali sono sintetizzati dalle cellule T. La strategia per eliminare alcuni microrganismi intracellulari che infettano i fagociti prevede l’attivazione delle cellule ospiti, le quali successivamente divengono "armate" e capaci di uccidere questi organismi in maniera aspecifica. La capacità di attivare i macrofagi costituisce il nucleo fondamentale della tipica reazione di ipersensibilità ritardata (DTH) e il test cutaneo di DTH è un esempio eccellente delle diverse cascate di eventi coinvolte in una determinata risposta immunitaria. Il presupposto di un test cutaneo di DTH è che l’iniezione intradermica di un Ag con il quale il paziente sia venuto a contatto in precedenza conduca all’indurimento cutaneo locale entro 48 h. La complessa rete di interazioni implicata in una risposta di questo tipo è illustrata nella Fig. 146-2. In seguito all’iniezione, le cellule di Langerhans della cute captano l’Ag, lo processano e lo presentano (complessato con il MHC di classe II) a una cellula CD4+ che era già stata esposta all’Ag in precedenza (cioè una cellula di memoria a lunga sopravvivenza). Appena la cellula CD4+ lega il complesso Ag/ MHC, essa esprime i recettori per l’IL-2 e rilascia diverse citochine (p. es. IFN-γ, IL-2 e fattori chemiotattici per i linfociti e i macrofagi). L’IFN-γ stimola le cellule endoteliali ad aumentare la loro espressione delle molecole di adesione, facilitando così la fuoriuscita dei linfociti e dei macrofagi attraverso la barriera endoteliale. L’IL-2 e l’IFN-γ agiscono inoltre come segnali di proliferazione/ differenziazione, consentendo l’espansione dei cloni delle cellule T di memoria e delle cellule T appena reclutate. Dopo che i macrofagi hanno raggiunto la sede di inoculazione, i fattori di inibizione della migrazione (Migration-Inhibiting Factors, MIF) secreti dalle cellule T attivate impediscono loro di allontanarsi. L’IFN-γ e il GM-LCR, entrambi secreti dalle cellule T, agiscono successivamente come fattori di attivazione dei macrofagi (Macrophage Activating Factors, MAF). I macrofagi attivati sono ora "armati" e sono in grado di eliminare gli organismi intracellulari e ogni cellula tumorale eventualmente presente. I macrofagi attivati secernono IL-1 e TNF-α, i quali potenziano la secrezione di IFN-γ e di GM-LCR, aumentano l’espressione delle molecole di adesione sulle file:///F|/sito/merck/sez12/1461087.html (1 of 2)02/09/2004 2.05.25

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cellule endoteliali e permettono a queste cellule di secernere un fattore tissutale che innesca la cascata coagulativa, la quale si conclude con la deposizione di fibrina. Contemporaneamente, i linfociti attivati secernono il fattore inducente la procoagulazione dei macrofagi (Macrophage Procoagulant-Inducing Factor, MPIF), il quale consente l’espressione dell’attività procoagulativa macrofagica (Macrophage ProCoagulant Activity, MPCA). La MPCA attiva inoltre la cascata della coagulazione dando luogo alla deposizione di fibrina. Quest’ultima è responsabile dell’indurimento che si osserva nei test cutanei di DTH. La via della DTH è importante per l’eliminazione dei microrganismi che infettano i fagociti. Alcuni microrganismi (p. es. i virus) possono infettare cellule che non possiedono un apparato litico e che quindi non possono essere attivate per mediare il killing intracellulare. Tali patogeni vengono eliminati dai CTL. In caso di infezione da parte di un virus, le cellule esprimono gli Ag virali sulla loro superficie in associazione con il MHC. Questo complesso virus/MHC stimola la formazione di CTL singenici che in seguito distruggono le cellule che lo esprimono. A seconda dell’associazione del prodotto virale con il MHC di classe I o di classe II, i CTL appartengono rispettivamente alle sottopopolazioni dei CD8 e dei CD4. Come è stato descritto in precedenza, l’associazione con l’una o l’altra classe del MHC dipende dalla via che è stata utilizzata per processare l’Ag; p. es., la maggior parte dei CTL prodotti contro il virus del morbillo e quello dell’herpes simplex appartiene alla sottopopolazione dei CD4. Durante l’infezione da virus influenzale, i CTL diretti contro l’Ag nucleoproteico sono CD8, mentre quelli diretti contro l’Ag emoagglutininico sono CD4.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO CELLULE B E IMMUNITA' UMORALE REGOLAZIONE DELLE RISPOSTE IMMUNITARIE UMORALI La capacità di allestire una risposta immunitaria umorale è in gran parte determinata geneticamente. Il riconoscimento dell’Ag da parte delle cellule T è regolato dai geni del MHC. Sono inoltre importanti la capacità delle APC di presentare l’Ag e la potenzialità delle cellule B di produrre Ac. Il controllo della risposta immunitaria è di importanza cruciale. In caso contrario, una produzione illimitata di Ac (particolarmente contro Ag self) potrebbe portare all’autodistruzione. La risposta immunitaria umorale viene modulata in primo luogo dalla scomparsa naturale della sostanza estranea che l’ha indotta (p. es., batteri) non appena essa viene eliminata dall’organismo. Una regolazione ulteriore è quella operata dagli Ac e dalle cellule T, dalla rete idiotipica degli Ac e dalle citochine. Gli Ag possono unire con un legame crociato lo specifico recettore per l’Ag presente sulle cellule B con qualche recettore per l’Fcγ e in questo modo sopprimere l’attivazione delle cellule B antigenicamente vergini. Gli Ac anti-idiotipo reagiscono con i determinanti idiotipici situati nella regione V della molecola Ig. Ciò avviene perché la regione V di ciascuna molecola anticorpale è esclusiva dell’Ac prodotto da quel determinato clone. A sua volta, ciascun Ac antiidiotipo può possedere idiotipi che vengono riconosciuti da altri Ac anti-idiotipo e il processo di reazione di una Ig contro un’altra Ig può continuare. In questo modo, gli Ac anti-idiotipo possono sopprimere la produzione degli Ac idiotipici bloccando i recettori presenti sulle cellule B e T. Questo fenomeno spiega perché nel neonato la malattia da incompatibilità Rh può essere prevenuta mediante la somministrazione passiva di Ac IgG anti-Rh (anti-D) alla madre.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO Sistema costituito da più di 34 proteine che interagiscono tra loro in una cascata (simile a quella del sistema della coagulazione) che ha come effetto finale un gran numero di processi biologici diversi.

Sommario: Introduzione La via classica La via alternativa La via della lectina legante il mannano Clivaggio del C3 e sue conseguenze Complesso di attacco alla membrana: la via terminale Attività biologiche associate all'attivazione del complemento

Molte proteine del complemento sono enzimi che si trovano nel siero sotto forma di precursori inattivi (zimogeni); molte altre si trovano sulla superficie delle cellule. Le proteine del complemento costituiscono circa il 10% delle proteine sieriche e il terzo componente (C3) è presente alla concentrazione più elevata (circa 1,5 mg/ ml). Per i componenti del sistema complementare, v. Tab. 146-2 e 146-3. Le tre vie di attivazione del complemento sono denominate via classica, via alternativa e via della lectina legante il mannano (Mannan Binding Lectin, MBL) (v. Fig. 146-4). Esse sono tutte dirette verso la più importante tra le singole tappe di attivazione, il clivaggio del C3. La via finale comune è denominata via terminale o complesso di attacco alla membrana (Membrane Attack Complex, MAC). Nomenclatura: i componenti della via classica sono designati con una C seguita da un numero (p. es. C1, C3). A causa dell’ordine con il quale sono stati via via identificati, i primi quattro componenti sono numerati come C1, C4, C2 e C3. I componenti della via alternativa sono designati con una lettera (p. es. B, P, D). Alcuni componenti vengono denominati fattori (p. es. fattore B, fattore D). I componenti o i complessi attivati hanno una linea al di sopra del nome, che indica l’attivazione (p. es. C1, C1r, C3b,Bb). I frammenti di clivaggio sono designati con una lettera minuscola dopo il nome del componente da cui derivano (p. es. C3a e C3b sono frammenti del C3). Il C3b inattivo è designato come iC3b. Le catene polipeptidiche delle proteine del complemento sono designate con una lettera greca dopo il nome del componente (p. es. C3α e C3β sono le catene α e β del C3). I recettori della membrana cellulare per il C3 sono abbreviati come CR1, CR2, CR3 e CR4.

La via classica Attivazione: la via classica (v. Fig. 146-5) viene normalmente attivata da Ac fissanti il complemento (Ac che si legano al complemento) i quali si trovano in complessi Ag-Ac oppure nei quali l’Ac (IgG o IgM) è presente in forma di aggregato. Di conseguenza, la via classica svolge il suo compito nell’ambito file:///F|/sito/merck/sez12/1461093.html (1 of 6)02/09/2004 2.05.27

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dell’immunità specifica, dal momento che soltanto Ac di classi specifiche, prodotti in risposta a una stimolazione antigenica, sono in grado di attivare questa via. La macromolecola del C1 è un complesso Ca++-dipendente formato da una molecola di C1q, due molecole di C1r e due di C1s. La macromolecola del C1 si mantiene integra esclusivamente in presenza di Ca++; in caso contrario, le singole subunità si dissociano l’una dall’altra. L’attivazione si verifica quando due dei sei monomeri del C1q si legano alle regioni Fc di due molecole di IgG o a una molecola pentamerica di IgM. Per innescare l’attivazione, due molecole di IgG devono trovarsi a una distanza adeguata, mentre una singola molecola pentamerica di IgM possiede questa vicinanza sterica insita nella sua struttura. Pertanto, le IgM sono molto più efficaci delle IgG nell’attivazione del complemento. L’attività delle IgG è, nell’ordine, IgG3 > IgG1 > IgG2. Le IgG4 non fissano il complemento. Una volta che l’Ig si è legata al C1q, la molecola di quest’ultimo va incontro a una modificazione della sua struttura terziaria, causando l’attivazione autocatalitica del C1r in C1r. Il C1r scinde poi un legame all’interno del C1s per formare C1s. Quando vengono clivati il C1r o il C1s, non viene liberato alcun frammento di clivaggio. Il C1s viene chiamato anche C1 esterasi. Esso può clivare il C4 in C4a e C4b. Se ciò avviene in presenza di una membrana il C4b, il frammento di clivaggio principale, vi si lega. Il C1s può quindi clivare il C2 libero per formare C2a e C2b, che è un processo scarsamente efficiente, oppure clivare il C2 contenuto in un complesso C4b,C2 per formare C4b,C2a e C2b libero, che è un processo ad alta efficienza. Il C2a è il frammento di clivaggio principale del C2. Se è stato clivato il C2 libero, il C2a deve legarsi al C4b per formare un complesso C4b,C2a, altrimenti il C2a si degraderà e diverrà inattivo. Il C4b, C2a è la C3 convertasi della via classica, la quale può clivare il C3 in C3a e C3b. Il sito enzimatico per il clivaggio del C3 è contenuto nel C2a. Il C4b, C2a richiede la presenza di magnesio e alle temperature fisiologiche si degrada spontaneamente nel tempo. La via classica può essere attivata anche da meccanismi indipendenti dagli Ac. L’eparina (un anticoagulante polianionico) e la protamina (un policatione che viene utilizzato per neutralizzare l’eparina), quando sono presenti in concentrazioni equimolari, possono attivare la via classica. Si ritiene che diversi altri polianioni (p. es. il DNA e l’RNA) siano in grado di reagire direttamente con il C1q per attivare la via classica. La proteina C-reattiva ha la proprietà di provocare l’attivazione della via classica in assenza di Ac. Sono state anche descritte vie di attivazione che aggirano il C1, le quali non utilizzano i componenti della via classica ma portano ugualmente al clivaggio del C3. Una di esse è stata caratterizzata come la via della MBL. Regolazione: la via classica viene regolata dall’inibitore della C1 esterasi (C1 esterase INHibitor, C1INH), il quale si lega stechiometricamente (1:1) al C1r e al C1s, come pure al C1r e al C1s, per inattivare in maniera stabile queste proteine. Il C1INH si lega stechiometricamente anche alla plasmina, alla callicreina, al fattore di Hageman attivato e al fattore XIa della coagulazione. La sua assenza è responsabile dell’edema angioneurotico ereditario (v. Cap. 148). Il fattore J è una glicoproteina cationica che inibisce anch’essa l’attività del C1. La proteina legante il C4 (C4 Binding Protein, C4BP) disassembla il complesso C4b,C2a, consentendo al fattore I di inattivare il C4b.

La via alternativa Attivazione: la via alternativa (v. Fig. 146-6) viene attivata da sostanze presenti in natura (p. es. pareti cellulari dei lieviti, fattore del veleno di cobra, fattore nefritico, pareti cellulari batteriche [endotossine], GR di coniglio [in vitro]) e dalle IgA disposte in aggregati, rappresentando una forma di risposta immunitaria aspecifica (innata), cioè una risposta che non necessita di una precedente sensibilizzazione. La via alternativa non coinvolge il C1, il C4 e il C2, ma porta ugualmente al clivaggio del C3. Questa via è subordinata al clivaggio basale costante di piccole quantità di C3 in C3a e C3b. Questo clivaggio naturale del C3 file:///F|/sito/merck/sez12/1461093.html (2 of 6)02/09/2004 2.05.27

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è ancora scarsamente compreso e si pensa che avvenga attraverso un’azione enzimatica aspecifica sul C3 oppure grazie a un’attività a basso livello delle altre due vie di attivazione. Il C3b serve poi come substrato del fattore B per formare il complesso C3b,B. Il fattore D (un enzima attivato presente nel plasma) cliva il fattore B per formare C3b,Bb. La properdina (P) stabilizza questo complesso C3b, Bb per ritardarne la degradazione. Il C3b,Bb e il C3b,Bb,P sono le C3 convertasi della via alternativa, gli enzimi che clivano il C3 in C3a e C3b. Il sito enzimatico per il clivaggio del C3 è contenuto nel Bb. Il C3b,Bb richiede la presenza di magnesio e si degrada spontaneamente nel tempo. La via alternativa è considerata come una via di amplificazione, dal momento che un unico complesso C3b,Bb può clivare molte molecole di C3. Tuttavia, l’amplificazione si verifica anche quando viene prodotto C1s e quando viene formato il C4b,C2a. Ognuno di questi enzimi può clivare centinaia di molecole, conducendo a una rapida attivazione del complemento. Regolazione: il complesso C3b,Bb della via alternativa viene regolato da diversi fattori. La properdina ne ritarda la degradazione, prolungandone l’emivita da circa 4 min a 40 min. Le sostanze acceleratrici della degradazione (p. es. il fattore H o fattore di accelerazione della degradazione [Decay Accelerating Factor, DAF]) competono con il fattore B per il legame con il C3b (p. es. per formare C3b,H), accorciando l’emivita del complesso C3b,Bb e causando la sua dissociazione in C3b e Bb. Il fattore I agisce sul C3b,H per degradare il C3b (portando alla formazione di iC3b, C3c, C3d, C3f e C3dg). L’attivazione o la non attivazione della via alternativa sono determinate dalle circostanze nelle quali il complesso C3b,Bb viene a formarsi. Le superfici alle quali il complesso C3b,Bb può aderire sono di due tipi: attivanti (p. es. pareti cellulari dei lieviti, GR di coniglio) oppure non attivanti (p. es. GR di pecora). Le superfici attivanti impediscono al fattore H di legarsi al C3b, mentre le superfici non attivanti consentono al fattore H di legarvisi e dissociare il C3b,Bb. Di conseguenza, il complesso C3b,Bb rimane attivo più a lungo su una superficie attivante che su una superficie non attivante. Il meccanismo appena descritto spiega come la via alternativa venga attivata in vivo. Il fattore del veleno di cobra (Cobra Venom Factor, CoVF) è simile al C3b di cobra; il complesso CoVF,Bb è molto stabile e non è sensibile all’azione di degradazione del fattore H. Di conseguenza, il CoVF,Bb può condurre a un rapido e pressoché totale clivaggio del C3. Il fattore nefritico del C3 (C3 Nefphritic Factor, C3NeF) si trova nel siero del 10% circa dei pazienti con glomerulonefrite membranoproliferativa ed è una Ig diretta contro il complesso C3b,Bb. Il C3NeF agisce in maniera analoga alla properdina, tranne per il fatto che il complesso C3b,Bb,C3NeF è relativamente resistente all’azione di degradazione del fattore H. Le pareti dei lieviti (zymosan) e alcune membrane (p. es. i GR di coniglio) sono superfici attivanti sulle quali il complesso C3b,Bb è protetto dall’azione di degradazione del fattore H.

La via della lectina legante il mannano La via della lectina legante il mannano (MBL) dipende per la sua attivazione dal riconoscimento innato di sostanze estranee (cioè, carboidrati). Questa via presenta analogie strutturali e funzionali con la via classica. La MBL è simile al C1q e la MASP-1 e la MASP-2 sembrano essere simili rispettivamente al C1r e al C1s della via classica. Pertanto, la MASP-2 potrebbe clivare il C4 e portare alla formazione di una C3 convertasi derivata dalla via della MBL.

Clivaggio del C3 e sue conseguenze Le C3 convertasi clivano il C3 in C3a e C3b, processo che provoca la formazione all’interno del C3b di un sito di legame metastabile per le membrane. Se è

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disponibile una superficie o una membrana immediatamente dopo che il C3 ha subito l’azione della C3 convertasi, il C3b le si può legare in maniera covalente. Se non è disponibile una membrana o una superficie, il C3b diviene C3b in fase fluida e perde la capacità di legarsi covalentemente alle superfici cellulari. Il C3 può inoltre divenire simil-C3b se viene trattato con metilamina. Una volta che il C3b si è legato alla membrana tramite il sito di legame metastabile labile, esso può prendere parte alle attività biologiche legandosi a diversi recettori per il C3, può servire come efficace sito di legame per il fattore B per provocare un incremento del clivaggio del C3 attraverso la via alternativa, può partecipare alla formazione di una C5 convertasi, oppure subire l’azione del fattore I e di un cofattore per formare iC3b. Quindi, il C3b può legarsi in modo covalente alle membrane mediante il suo sito di legame tiolestere metastabile e, una volta legatovisi, può interagire con diversi recettori a seconda della disponibilità di recettori per il C3 sulle cellule e dello stato di degradazione del C3 stesso. Il legame alle membrane mediante il sito di legame metastabile covalente non deve essere confuso con il legame non covalente che si stabilisce con i recettori.

Cellule T killer senza restrizione MHC In aggiunta alle cellule NK CD3– TCR– CD56– , una diversa sottopopolazione è CD3+ CD56+ e può esprimere il CD2, il CD5 e il CD8. La maggior parte di tali elementi è TCR-γδ, sebbene siano stati identificati alcuni cloni TCR-αβ. Questa sottopopolazione può mediare una certa attività simil-NK spontanea e può incrementare tale attività dopo stimolazione con IL-2. Un’altra sottopopolazione di cellule T (CD3+ TCR-γδ CD4– CD8– CD56– CD16–) può avere azione citotossica, sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di cloni o linee cellulari. Rimane da chiarire se i linfociti isolati di recente che possiedono questo fenotipo siano dotati di attività citotossica spontanea.

Complesso di attacco alla membrana: la via terminale La C3 convertasi (p. es. il C3b,Bb) può divenire C5 convertasi (p. es. C3b,Bb, C3b) attraverso l’aggiunta di un C3b al complesso (v. Fig. 146-7). La C5 convertasi cliva il C5 in C5a e C5b, dando inizio alla formazione del complesso di attacco alla membrana (MAC). Successivamente il C6 può legarsi al C5b per formare C5b,C6. In seguito, può legarvisi il C7 per formare C5b,C6,C7, il quale è in grado di legarsi alle membrane e ai doppi strati lipidici. Quando ciò si verifica su una cellula sulla cui superficie non è presente alcun prodotto del complemento oltre al complesso appena descritto, si parla di fenomeno dello spettatore innocente (il quale può portare all’emolisi della cellula incolpevole). Al complesso C5b,C6,C7 può quindi legarsi il C8 per formare C5b,C6,C7,C8, il quale è in grado di provocare una lisi cellulare lenta e poco efficace. In ultimo, al complesso si lega il C9 per dare luogo al C5b,C6,C7,C8,C9, che dà inizio alla lisi effettiva della cellula. Quando ulteriori molecole di C9 si aggiungono al complesso C5b-C9, la lisi si amplifica. Il MAC viene modulato dalla proteina S, chiamata anche vitronectina (la quale controlla l’attività del C5b-C7), dal fattore di restrizione omologo (Homologous Restriction Factor, HRF), dalla SP40,40 e dal CD59 (che regola l’attività del C8,C9).

Attività biologiche associate all’attivazione del complemento La lisi cellulare è soltanto una delle molte attività biologiche associate all’attivazione del complemento e potrebbe non essere la più importante. In ambito clinico, la lisi si osserva nei pazienti affetti da emoglobinuria parossistica notturna, una rara malattia nella quale sono coinvolti deficit a carico del DAF (fattore accelerante la degradazione) delle proteine di membrana, del HRF file:///F|/sito/merck/sez12/1461093.html (4 of 6)02/09/2004 2.05.27

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(fattore di restrizione omologo) e del CD59. I recettori per il complemento sono presenti su un gran numero di cellule diverse. Il CR1, la proteina cofattore di membrana (Membrane Cofactor Protein, MCP, CD46) e il DAF (CD55) regolano la degradazione del C3b. Il HRF e il CD59 impediscono la formazione del complesso di attacco alla membrana sulle cellule omologhe. Il CR1 (CD35) svolge inoltre un ruolo nella clearance degli immunocomplessi. Il CR2 (CD21) regola le funzioni delle cellule B (produzione di Ac) ed è il recettore per il virus di Epstein-Barr. Il CR3 (CD11b/CD18) interviene nella fagocitosi, mediando l’adesione delle particelle rivestite di iC3b destinate a essere fagocitate. Il CR4 è presente sulle piastrine ed è stato studiato meno bene degli altri recettori per il C3. La gp 150,95 svolge un ruolo nella migrazione dei monociti. I recettori per il C3a e il C4a legano rispettivamente il C3a e il C4a. Il recettore per il C5a lega il C5a e il C5adesarg (C5a privo del residuo di arginina terminale) ed è presente su un’ampia varietà di cellule. Il recettore per il C1q lega la porzione collagena del C1q, consentendo il legame degli immunocomplessi ai fagociti. Il C3a e il C5a hanno attività anafilotossinica, mentre il C4a si comporta come anafilotossina debole. Le anafilotossine causano aumento della permeabilità vascolare, contrazione della muscolatura liscia e degranulazione delle mastcellule. Esse sono regolate dall’inattivatore delle anafilotossine (carbossipeptidasi N), il quale nel volgere di pochi secondi rimuove il residuo di arginina carbossiterminale. La chemiotassi consiste nel richiamo di cellule all’interno di un’area infiammatoria. Il C5a possiede attività sia anafilotossinica sia chemiotattica, ma il C3a e il C4a non sono fattori chemiotattici. L’attività chemiotattica è stata descritta anche per l’iC5b-C7. Il C5a e il C5adesarg regolano le attività dei neutrofili e dei monociti. Il C5a può causare l’aumento dell’adesione cellulare, la degranulazione e il rilascio di enzimi intracellulari da parte dei granulociti, la produzione di radicali tossici dell’O2 e l’avvio di altri eventi metabolici cellulari. La clearance degli immunocomplessi è una funzione importante del complemento. La via classica può impedire la formazione di immunocomplessi di grandi dimensioni e la via alternativa può aumentare la solubilità degli immunocomplessi. Le proteine complementari possono inoltre avere numerose altre attività biologiche. Alcuni frammenti del C3 (C3d o C3dg) possono contribuire alla regolazione della produzione di Ac attraverso il CR2 presente sulle cellule. L’edema angioneurotico ereditario, il quale è causato da un deficit di C1-inibitore, potrebbe essere mediato da una sostanza chinino-simile ancora poco definita. Un frammento poco caratterizzato del C3 (C3e, fattore di mobilizzazione dei leucociti) può provocare la mobilizzazione dei GB dal midollo osseo. Il frammento Bb del fattore B aumenta la diffusione e l’adesività dei macrofagi. L’attivazione del complemento può inoltre neutralizzare i virus e indurre leucocitosi.

Metodi di valutazione dell’attività funzionale del complemento Il test di attività emolitica totale del complemento (CH50) misura la capacità della via classica e del MAC di indurre la lisi di GR di pecora ai quali siano stati adsorbiti Ac. Il CH50 per la via alternativa (Alternative Pathway CH50, APCH50 o CH50 su coniglio) misura la capacità della via alternativa e del MAC di indurre la lisi di GR di coniglio. I test emolitici possono essere utilizzati per misurare l’attività funzionale di componenti specifici di entrambe le vie. Le proteine del complemento possono inoltre essere dosate impiegando tecniche antigeniche (p. es. la nefelometria, la diffusione in gel di agar, l’immunodiffusione radiale).

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Il complemento può anche essere utilizzato come reagente a fini diagnostici. Nel test di fissazione del complemento, il siero del paziente viene riscaldato per denaturare gli enzimi complementari. Al siero vengono quindi aggiunti l’Ag (p. es. particelle virali) e nuovo complemento e la miscela viene incubata. In ultimo si aggiungono GR di pecora e si continua l’incubazione. Se il sistema del complemento è stato attivato dalla presenza di Ac nel siero del paziente, l’attività emolitica del complemento sarà esaurita e non vi sarà lisi dei GR. Se nel siero del paziente non è presente alcun Ac, i GR andranno incontro alla lisi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 146-2. Componenti del complemento e proteine di regolazione N. di Concentrazione Peso catene plasmatica o molecolare (in nella sierica (inmg/ Nome del Frammenti dalton, molecola ml, componente nativa approssimativo) approssimativa) di clivaggio Cromosoma Via classica precoce

C1q

18

410000

70-300

1

C1r

1

83000

34-100

12

C1s

1

85000

30-80

12

C4

3

204000

350-600

C4a, C4b,

6

C4c, C4d C2

1

102000

15-30

C2a, C2b

6

Terzo componente

C3

2

190000

1200-1500

C3a, C3b, C3c, C3d, C3f, C3g, C3dg, C3dK, iC3b

19

Complesso di attacco alla membrana (complesso terminale del complemento)

C5

2

196000

70-85

C5a, C5b

9

C6

1

125000

60-70

5

C7

1

120000

55-70

5

C8

3

150000

55-80

1,9

C9

1

66000

50-160

5

Fattore B

1

100000

140-240

P

4

224000

20-30

X

Fattore D

1

24000

1-2

?

Lectina legante il mannano

18

540000

1

10

MASP-1

1

94000

?

MASP-2

1

76000

?

Via alternativa

Via della lectina legante il mannano

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Ba, Bb

6

Manuale Merck - Tabella

Regolazione della via classica

C1INH

1

105000

180-275

11

C4BP

7

550000

250

1

Regolazione della via alternativa

Fattore H

1

150000

300-560

1

FattoreI

2

100000

34-50

4

Regolazione miscellanea

AI

310000

35

?

Proteina S (vitronectina)

83000

150-500

17

20000

2,6-8,2

?

80000

50

8

FattoreJ

1

SP40,40

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA. 146-3. PROTEINE DI MEMBRANA

Nome del N. di catene nella componente molecola nativa

Peso molecolare (in dalton, approssimativo)

Specificità

CR1 (CD35)

1

160000-250000

C3b, C4b

CR2 (CD21)

1

140000

C3d, C3dg, B iC3b

1

CR3 (CD11b) 2

265000

iC3b

21, 16

Cellule M, GR, B, G

G, M, Mac

Cromosoma 1

α-165000

16

β-95000

21

CR4

1

?

C3dg

Pias

?

DAF (CD55)

1

70000

C4b, C2a, C3b, Bb

GR, Pias

1

MCP (CD46)

1

45000-70000

C3b, C4b

B, T, Neut, M

1

gp150,95

2

245000

iC3b

G, M, Mac

21, 16

α-150000

16

β-95000

21

C3aR

?

?

C3a, C4a

G, Mast, Pias

C5aR

1

45000

C5a, C5a desarg

G, Mast, M, 19 Mac, Pias

HRF

1

65000

C8, C9

GR

?

CD59

1

20000

C8, C9

M, GR, T, Neut

11

C1qR

1

65000

C1q

B, M, Mac, Pias, Endo

12?

?

B=cellule B; Endo=cellule endoteliali; G=granulociti; M=monociti; Mac=macrofagi; Mast=mast-cellule; Neut=neutrofili; Pias=piastrine; T=cellule T

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO RISOLUZIONE DI UNA RISPOSTA IMMUNITARIA Una risposta immunitaria può essere associata alla proliferazione e alla differenziazione massiva dei linfociti (come accade p. es. nell’ipertrofia tonsillare in corso di faringite streptococcica). Cosa accade ai linfociti una volta che l’infezione è stata controllata? Come è stato detto in precedenza, una risposta immunitaria è associata con la secrezione di numerose citochine. Quando l’infezione viene controllata e gli Ag vengono eliminati, la secrezione di citochine si interrompe e, a causa della sua cessazione, i linfociti vanno incontro ad apoptosi. Esistono due modi nei quali una cellula può morire. 1. La necrosi consiste nelle modificazioni morfologiche che si verificano quando una cellula muore in seguito a un danno acuto e grave (p. es. la lisi osmotica, l’ischemia, l’ipertermia, i traumi chimici). Il danno per lo più è a carico della membrana plasmatica e conduce alla perdita della capacità della cellula di regolare la pressione osmotica, esitando nella rottura della cellula e nel riversamento del suo contenuto nei tessuti circostanti. Questi eventi innescano una risposta infiammatoria. 2. L’apoptosi (chiamata anche morte cellulare programmata) è molto comune negli invertebrati. Per esempio, dopo che una farfalla è fuoriuscita dal suo bozzolo, essa non ha più bisogno dei muscoli che ha utilizzato per tale processo; questi muscoli vanno incontro alla morte cellulare programmata. Nei mammiferi l’apoptosi si riferisce al processo mediante il quale una cellula "si uccide" ed è caratterizzata da una serie di modificazioni morfologiche. L’apoptosi comincia con l’addensamento della cromatina (secondario all’attivazione dell’endonucleasi endogena, che degrada il DNA) e la rottura del nucleo collassato in frammenti di piccole dimensioni. Contemporaneamente si verifica la zeiosi (rigonfiamento a bolle della membrana plasmatica), che può fungere da segnale per la fagocitosi da parte dei macrofagi circostanti. Diversamente da quanto avviene nella necrosi, questa fagocitosi immediata non consente la fuoriuscita del contenuto cellulare e previene lo sviluppo dell’infiammazione. L’apoptosi è un processo attivo e comporta l’induzione di diverse molecole e vie metaboliche. Due vie metaboliche coinvolte nell’apoptosi illustrano le possibili patologie che possono derivare da un’apoptosi anormale. Un enzima chiamato Bcl-2 è in grado di inibire l’apoptosi. Di conseguenza, se un linfocita viene indotto a esprimere il Bcl-2, esso non morirà e rimarrà vitale; questo è ciò che accade in alcuni linfomi (la sigla Bcl sta per B-cell lymphoma, cioè linfoma a cellule B, che è la malattia nella quale il Bcl-2 è stato identificato per la prima volta). Nell’apoptosi è coinvolta anche un’interazione molecola-ligando che avviene sulla superficie cellulare. Molte cellule esprimono il Fas (CD95) sulla loro membrana. Il legame crociato del Fas attiva la via dell’apoptosi. Questo è uno dei meccanismi principali attraverso i quali i CTL uccidono le loro cellule bersaglio, poiché i CTL acquisiscono il ligando del Fas; esso si lega al Fas sulla cellula bersaglio, conducendo all’attivazione dell’apoptosi di quest’ultima. L’assenza del Fas o del ligando del Fas può teoricamente portare alla persistenza dei linfociti e alla linfoadenopatia massiva. È quanto si verifica nei modelli sperimentali animali, nei quali il deficit di Fas (topi lpr) o di ligando del Fas (topi gld) porta alla linfoadenopatia massiva e all’autoimmunità. Alterazioni a carico del Fas sono state descritte anche nell’uomo e sono alla base della sindrome di Canale-Smith. Determinati organi (p. es. la retina, i testicoli) sono "sedi privilegiate" che vengono ignorate o tollerate dal sistema immunitario. Allo stato attuale, sembra che questi organi esprimano un’alta densità di ligando del Fas sulle loro superfici file:///F|/sito/merck/sez12/1461099.html (1 of 2)02/09/2004 2.05.28

Biologia del sistema immunitario

cellulari. Qualunque linfocita tenti di attaccare questi organi andrà incontro al legame crociato del suo Fas e a subire l’apoptosi sarà il linfocita stesso. Questa strategia di sottrazione all’azione del sistema immunitario viene utilizzata anche da molti tumori; alcuni di essi esprimono il ligando del Fas sulla loro superficie e inducono così l’apoptosi in qualunque linfocita provi ad attaccarli.

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Malattie da immunodeficienza

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA Gruppo di condizioni eterogenee causate da uno o più difetti a carico del sistema immunitario e caratterizzate clinicamente da un aumento della suscettibilità alle infezioni con conseguente stato di malattia grave, acuta, ricorrente o cronica. Una patologia da immunodeficienza va sospettata in ogni individuo che contragga infezioni insolitamente frequenti, gravi e resistenti alla terapia; prive di un intervallo asintomatico; sostenute da microrganismi inusuali; oppure che presentino complicanze gravi o inaspettate. Dal momento che i disordini da immunodeficienza sono relativamente poco comuni, in prima istanza vanno prese in considerazione altre condizioni che predispongono alle infezioni ricorrenti (v. Tab. 147-1). Se queste patologie possono essere escluse, si deve sospettare un difetto delle difese immunitarie.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-1. Disordini con aumento della suscettibilità alle infezioni inusuali Tipo di disordine

Condizioni

Disordini circolatori e sistemici

Anemia falciforme, diabete mellito, nefrosi, vene varicose, cardiopatie congenite

Disordini ostruttivi

Stenosi ureterale o uretrale, asma bronchiale, bronchiettasie, rinite allergica, ostruzione delle tube di Eustachio, fibrosi cistica

Alterazioni dei tegumenti

Eczema, ustioni, fratture craniche, anomalie del seno mediano, alterazioni ciliari

Immunodeficienze secondarie

Malnutrizione, prematurità, linfomi, splenectomia, uremia, terapia immunosoppressiva, enteropatia protido-disperdente, malattie virali croniche

Immunodeficienze primarie

Agammaglobulinemia legata al cromosoma X, sindrome di Di George, malattia granulomato sa cronica, deficit di C3

Fattori microbiologici inusuali

Crescita eccessiva da antibiotici, infezioni croniche da micror ganismi resistenti, reinfezioni continue (contaminazione dell’acqua, contagio, contaminazione di apparecchi da inalazione)

Corpi estranei

Shunt ventricolari, cateteri venosi centrali, valvole cardiache artificiali, cateteri urinari, aspirazione di corpi estranei

Modificata da Stiehm ER: Immunologic Disorders in Infants and Children, ed.4. Philadelphia, WB Saunders Company, 1996, p 202; riprodotta con autorizzazione.

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Malattie da immunodeficienza

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA IMMUNODEFICIENZE PRIMARIE E SECONDARIE Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Indagini di laboratorio Prevenzione Prognosi Terapia

Le immunodeficienze possono essere primarie o secondarie. Le immunodeficienze primarie vengono classificate in quattro gruppi principali sulla base della componente del sistema immunitario che risulta compromessa: cellule B, cellule T, cellule fagocitarie o complemento. (Nel Cap. 146 vengono passate in rassegna le componenti del sistema immunitario.) Sono state descritte più di 70 immunodeficienze primitive e nell’ambito di ciascuna di esse può essere presente una notevole eterogeneità. Nella Tab. 147-2 è riportata una classificazione delle immunodeficienze primarie (escluse le varianti più rare). I difetti delle cellule T comprendono diversi disordini con alterazioni concomitanti anche a carico delle cellule B (della produzione di anticorpi), fenomeno comprensibile dal momento che sia le cellule B sia quelle T originano da una cellula staminale primitiva comune e che le cellule T influenzano la funzione delle cellule B. Le malattie dei fagociti comprendono le condizioni in cui l’alterazione primitiva è a carico della motilità cellulare (chemiotassi) e quelle in cui tale alterazione è a carico dell’attività microbicida. Tra le immunodeficienze primarie, predominano i difetti delle cellule B o della produzione anticorpale; il deficit selettivo di IgA (solitamente asintomatico) può essere presente in un individuo su 400. Escludendo il deficit asintomatico di IgA, i difetti delle cellule B costituiscono il 50% delle immunodeficienze primarie; i deficit delle cellule T, circa il 30%; i deficit della fagocitosi, il 18%; e i difetti del complemento, il 2%. Si calcola che l’incidenza cumulativa delle immunodeficienze primarie sintomatiche sia di 1/10000; negli USA, si verificano circa 400 nuovi casi l’anno. Dal momento che molte immunodeficienze primarie sono ereditarie o congenite, esse esordiscono nei lattanti e nei bambini; circa l’80% degli individui affetti ha meno di 20 anni e, poiché molte sindromi presentano un’ereditarietà legata al cromosoma X, il 70% di esse colpisce i maschi. Le immunodeficienze secondarie consistono in un deterioramento del sistema immunitario dovuto all’insorgenza di una patologia in un individuo precedentemente sano. Il danno è spesso reversibile se la condizione o la malattia sottostante si risolve. Le immunodeficienze secondarie sono di gran lunga più frequenti di quelle primarie e si manifestano in molti pazienti ospedalizzati. Praticamente tutte le malattie gravi di lunga durata interferiscono in qualche misura con il sistema immunitario. Nella Tab. 147-3 è riportata una classificazione delle immunodeficienze secondarie.

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Malattie da immunodeficienza

Eziologia Le immunodeficienze non hanno una causa univoca, sebbene spesso vi sia implicato un difetto a carico di un singolo gene. Il difetto può portare alla mancanza di un enzima (p. es. deficit di adenosina deaminasi), alla mancanza di una proteina (p. es. deficit di componenti del complemento) o a un arresto di sviluppo in un particolare stadio differenziativo (p. es. arresto allo stadio di cellula pre-B nell’agammaglobulinemia legata al cromosoma X). In molte delle immunodeficienze primitive è stata identificata la localizzazione cromosomica dei geni difettosi. In talune patologie possono essere coinvolti fattori che agiscono durante la vita intrauterina (p. es. l’alcolismo materno in alcuni casi di sindrome di Di George); in altre, può avere un ruolo l’assunzione di farmaci (p. es. la fenitoina nel deficit di IgA). Nella maggior parte delle affezioni, l’esatta alterazione biologica è sconosciuta.

Sintomi e segni La maggior parte delle manifestazioni cliniche delle immunodeficienze è dovuta alle frequenti infezioni, che solitamente esordiscono come infezioni respiratorie ricorrenti. (Tuttavia, molti lattanti immunologicamente normali contraggono da sei a otto infezioni respiratorie l’anno, soprattutto se esposti al contagio da parte di fratelli maggiori o di altri bambini.) In seguito, la maggior parte dei pazienti con immunodeficienza finisce con il contrarre una o più infezioni batteriche gravi che persistono, recidivano o portano a complicanze; p. es. la sinusite, l’otite cronica e la bronchite fanno spesso seguito a episodi ripetuti di faringite o di infezione delle vie respiratorie superiori. La bronchite può progredire fino alla polmonite, alle bronchiettasie e all’insufficienza respiratoria, che rappresenta la causa di morte più frequente. Possono verificarsi infezioni sostenute da germi opportunisti (p. es. Pneumocystis carinii o cytomegalovirus), soprattutto nei pazienti affetti da deficit delle cellule T. Frequenti sono anche le infezioni della cute e delle mucose. Una candidosi orale refrattaria può essere il primo segno di un’immunodeficienza a carico delle cellule T. Si osservano anche ulcere orali e periodontiti, soprattutto nei deficit granulocitari. In molti adulti affetti da deficit anticorpali si manifesta una congiuntivite. Il pioderma, le verruche gravi, l’alopecia, gli eczemi e le teleangectasie sono di riscontro comune. Sintomi frequenti comprendono la diarrea, il malassorbimento e i difetti di crescita. La diarrea di solito è di tipo non infettivo, ma può essere dovuta a Giardia lamblia, rotavirus, cytomegalovirus o Cryptosporidium. In alcuni pazienti la diarrea può essere di tipo essudativo, con perdita di proteine sieriche e di linfociti. Manifestazioni meno comuni di immunodeficienza comprendono alterazioni ematologiche (anemia emolitica autoimmune, leucopenia, trombocitopenia), fenomeni autoimmunitari (vasculite, artrite, endocrinopatie) e alterazioni a carico del SNC (encefalite cronica, rallentamento dello sviluppo, convulsioni).

Diagnosi È importante che venga raccolta l’anamnesi familiare. Se vi è una storia di decessi precoci, malattie analoghe a quella del paziente, patologie autoimmuni, allergie, neoplasie maligne troppo precoci o consanguineità, la stesura di un albero genealogico potrà essere d’aiuto nell’identificazione di una trasmissione ereditaria. Si dovrà rilevare la presenza di una storia di reazioni avverse alle immunizzazioni o alle infezioni virali, così come di pregressi interventi chirurgici (p. es. splenectomia, tonsillectomia, adenoidectomia), di terapie radianti sul timo file:///F|/sito/merck/sez12/1471100b.html (2 of 10)02/09/2004 2.05.31

Malattie da immunodeficienza

o sul rinofaringe, e di precedenti terapie antibiotiche e immunoglobuliniche (IG) e della loro apparente efficacia clinica. Il tipo di infezione può dare indicazioni sulla natura dell’immunodeficienza. Nelle immunodeficienze anticorpali (B-cellulari) si osservano infezioni sostenute dai principali germi gram + (pneumococchi, streptococchi). Infezioni gravi sostenute da virus, funghi e altri microrganismi opportunisti sono di riscontro comune nelle immunodeficienze cellulari (T-cellulari). Nelle immunodeficienze a carico dei fagociti sono frequenti le infezioni ricorrenti da stafilococchi e da germi gram-. Le infezioni ricorrenti da Neisseria sono caratteristiche dei pazienti con diversi deficit a carico dei componenti del complemento. Talune infezioni opportunistiche (p. es. da P. carinii, Cryptosporidium o Toxoplasma) possono verificarsi in diverse forme di immunodeficienza. Anche l’età di esordio può essere d’aiuto per la diagnosi; i lattanti con meno di 6 mesi solitamente sono affetti da deficit delle cellule T. Tuttavia, un esordio di malattia intorno ai 6 mesi di età, quando gli anticorpi materni ricevuti per via transplacentare sono scomparsi, è indicativo di un deficit congenito della secrezione anticorpale. All’esame obiettivo, i pazienti affetti da immunodeficienza hanno spesso l’aspetto di malati cronici, con pallore, malessere generale, malnutrizione e distensione addominale. Sulla cute possono comparire eruzioni maculari, vescicole, pioderma, eczemi, petecchie, alopecia o teleangectasie. La congiuntivite è frequente, specialmente negli adulti. I linfonodi cervicali e il tessuto adenoideo e tonsillare sono caratteristicamente assenti nelle immunodeficienze a carico delle cellule B o T, nonostante un’anamnesi positiva per infezioni faringee ricorrenti. Questo reperto può essere confermato con una rx laterale del faringe, che può mostrare l’assenza del tessuto adenoideo. Occasionalmente, i linfonodi sono ingranditi e suppurati. Le membrane timpaniche presentano spesso cicatrici o perforazioni. Le narici possono essere escoriate e ricoperte di croste, indizi suggestivi di secrezione nasale purulenta. Può essere presente stillicidio nasale posteriore e diminuzione del riflesso faringeo. Spesso è presente tosse cronica. È frequente il reperto di rantoli, specialmente negli adulti con immunodeficienza. Il fegato e la milza sono frequentemente ingranditi. La massa muscolare e i depositi adiposi delle natiche sono diminuiti. Nei lattanti, possono essere presenti escoriazioni perianali conseguenti alla diarrea cronica. L’esame neurologico può mettere in evidenza un ritardo nelle fasi dell’accrescimento oppure atassia. In un certo numero di sindromi da immunodeficienza, la presenza di una caratteristica costellazione di reperti obiettivi consente di porre una diagnosi clinica presuntiva: neonati affetti da sindrome di Di George che presentano infezioni, tetania, facies caratteristica e cardiopatie congenite; ragazzi con sindrome di Wiskott-Aldrich che presentano infezioni da piogeni, eczemi e manifestazioni emorragiche; bambini con atassia-teleangectasia che presentano infezioni senopolmonari ricorrenti, atassia e teleangectasie; ragazze con i capelli rossi affette dalla variante di Job della sindrome da iper-IgE che presentano pelle chiara, eczemi e infezioni stafilococciche ricorrenti. Questi disordini sono illustrati in maggior dettaglio più avanti e nella Tab. 147-4.

Indagini di laboratorio In tutti i casi di immunodeficienza, è necessario eseguire indagini selezionate per confermare o stabilire la diagnosi; spesso sono necessari test avanzati per sottoclassificare la malattia, condizione indispensabile per impostare una terapia razionale (v. Tab. 147-5). Le indagini di screening possono essere eseguite nella maggior parte dei laboratori e degli ospedali e i test avanzati possono essere svolti nella maggioranza dei grandi ospedali, mentre i test specialistici sono disponibili soltanto nei laboratori o negli ospedali dotati di sofisticate attrezzature immunologiche. Quando si sospetta un’immunodeficienza, le analisi di screening raccomandate

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Malattie da immunodeficienza

comprendono un emocromo completo con formula leucocitaria e conta piastrinica; la determinazione dei livelli plasmatici di IgG, IgM e IgA; la valutazione della funzione anticorpale; la ricerca clinica e laboratoristica dell’eventuale stato infettivo. L’emocromo stabilisce se è presente anemia, trombocitopenia, neutropenia o leucocitosi. Va considerato con attenzione il numero totale dei linfociti; una linfopenia (< 1500/µl) è indicativa di un’immunodeficienza T-cellulare. Lo striscio di sangue periferico va esaminato alla ricerca dei corpi di Howell-Jolly e di altre forme eritrocitarie inusuali indicative di asplenia o di iposplenismo. I granulociti possono presentare anomalie morfologiche (p. es. i granuli della sindrome di Chédiak-Higashi). Nonostante nella valutazione iniziale sia compresa anche la determinazione dei livelli delle immunoglobuline (Ig), in un primo momento i livelli di IgD e di IgE non vengono misurati. I livelli delle Ig vanno interpretati con cautela, a causa delle notevoli variazioni che si osservano con l’età; tutti i lattanti tra i 2 e i 6 mesi sono ipogammaglobulinemici rispetto ai valori di riferimento dell’adulto. Di conseguenza, i livelli vanno confrontati con quelli degli individui normali di pari età. In generale, si considerano normali i livelli di Ig compresi entro 2 deviazioni standard dalla media per ciascuna età. Un livello di Ig totali (IgG + IgM + IgA) > 600 mg/dl o un livello di IgG > 400 mg/dl, in presenza di normalità dei test funzionali anticorpali di screening, esclude la presenza di un deficit della produzione anticorpale. Un livello di Ig totali < 200 mg/dl è solitamente indice di un deficit anticorpale significativo. Livelli intermedi (cioè livelli di IgG compresi tra 200 e 400 mg/dl o livelli di Ig totali compresi tra 400 e 600 mg/dl) non sono dirimenti e devono essere messi in relazione con i test anticorpali funzionali. Per la valutazione iniziale è raccomandata anche l’esecuzione dei test anticorpali di screening. La funzione delle IgM viene valutata per mezzo dei titoli delle isoagglutinine (anti-A e/o anti-B). Tutti i pazienti, tranne i lattanti più piccoli di 6 mesi e i soggetti di gruppo sanguigno AB, possiedono anticorpi naturali a un titolo di 1:8 (anti-A) o 1:4 (anti-B) o superiore. Gli anticorpi diretti contro questi antigeni e contro taluni polisaccaridi batterici sono selettivamente diminuiti in determinati disordini (p. es. la sindrome di Wiskott-Aldrich, il deficit di IgG2). Nei pazienti immunizzati, i titoli degli anticorpi diretti contro gli antigeni dell’Haemophilus influenzae di tipo B, dell’epatite B, del virus del morbillo, del tetano o della difterite possono essere utilizzati per valutare la funzione delle IgG. Un’adeguata risposta anticorpale a uno o più di questi antigeni depone contro la presenza di un deficit della secrezione degli anticorpi. In ultimo, la valutazione iniziale deve comprendere la ricerca di uno stato infettivo cronico. LaVES è spesso elevata, solitamente in maniera proporzionale al grado dell’infezione. Vanno eseguiti appropriati esami radiologici (torace, seni paranasali) e colturali. Se i risultati di tutte queste indagini di primo livello sono normali, solitamente si può escludere la presenza di un’immunodeficienza (e particolarmente di un deficit anticorpale). Tuttavia, se si documenta la presenza di un’infezione cronica, se l’anamnesi appare insolitamente sospetta o se i risultati dei test di screening sono positivi, si deve procedere all’esecuzione dei test avanzati. Test per i deficit delle cellule B (anticorpali): se i livelli delle Ig sono molto bassi (livelli totali < 200 mg/dl), la diagnosi di deficit della produzione anticorpale è certa e procedure ulteriori divengono indicate soltanto per definire con precisione la patologia e identificare la presenza di altri difetti immunologici. Se i livelli delle Ig e i titoli anticorpali preesistenti sono bassi ma non nulli, bisogna procedere alla valutazione delle risposte anticorpali nei confronti di uno o più antigeni standardizzati. I titoli anticorpali vengono misurati prima e da 3 a 4 settimane dopo l’immunizzazione con vaccini costituiti da tossoide tetanico o H. influenzae di tipo B (per valutare la responsività agli antigeni proteici), oppure dopo immunizzazione con vaccino pneumococcico o meningococcico (per valutare la responsività agli antigeni polisaccaridici). Una risposta inadeguata (aumento del titolo inferiore a quattro volte il valore di base) è indicativa di un deficit anticorpale, indipendentemente dai livelli delle Ig. Se i livelli delle Ig sono bassi, si esegue la conta delle cellule B valutando con la citometria a flusso la percentuale di linfociti che reagisce con anticorpi marcati

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Malattie da immunodeficienza

con fluoresceina diretti contro antigeni specifici delle cellule B (p. es. CD19, CD20). Normalmente, risulta positivo per la presenza di Ig di membrana il 1020% dei linfociti del sangue periferico (cellule B). In seguito, va eseguito il dosaggio dei livelli sierici delle sottoclassi delle IgG e dei livelli di IgD e IgE. I livelli della sottoclasse IgG1 (come quelli delle IgG) dipendono strettamente dall’età. In generale, dopo i 2 anni di età, per porre la diagnosi di deficit di una delle sottoclassi delle IgG devono essere presenti livelli di IgG1 < 250 mg/dl, di IgG2 < 50 mg/dl, di IgG3 < 25 mg/dl o livelli indosabili di IgG4. Livelli di IgD e IgE sia elevati sia bassi sono comuni nelle sindromi da deficit anticorpali parziali. I livelli delle IgE sono elevati nei disordini della chemiotassi, nelle immunodeficienze T-cellulari parziali, nelle malattie allergiche e nelle parassitosi. I deficit isolati di IgG4, IgD e IgE sono privi di importanza clinica. Altre indagini di laboratorio per i deficit delle cellule B divengono indicate in circostanze particolari (v. Tab. 147-5). Di fronte a una linfoadenopatia, è indicata l’esecuzione di una biopsia linfonodale (talvolta preceduta da immunizzazione nell’estremità adiacente) per escludere la presenza di un tumore maligno o di un’infezione. La determinazione delle sottoclassi delle IgG è indicata se i livelli di IgG sono normali o quasi normali ma la funzione anticorpale risulta ridotta. Possono essere presenti deficit selettivi a carico di una delle quattro sottoclassi. Se esiste il sospetto di un rapido catabolismo delle IgG o di una loro perdita attraverso la cute o il tratto GI, può essere indicato uno studio della sopravvivenza delle IgG. Se il paziente presenta livelli di IgG bassi, viene somministrata un’alta dose di immunoglobuline EV e vengono misurati quotidianamente i livelli delle IgG per determinarne l’emivita. Se le eventuali infezioni locali sono gravi, si possono misurare i livelli delle Ig nelle secrezioni (p. es. lacrime o saliva). Per individuare la posizione esatta del blocco sintetico, vengono valutate la sintesi di IgG in vitro e la risposta anticorpale nei confronti di antigeni particolari (p. es. l’antigene del fago φX o l’emocianina del mollusco Megathura crenulata). Nelle malattie in cui il difetto genetico è stato identificato, il gene mutante o il prodotto del gene mutante può essere individuato (p. es. il gene Btk [della tirosin chinasi di Bruton] nell’agammaglobulinemia legata al cromosoma X) mediante test di laboratorio particolari. Test per i deficit delle cellule T: una linfopenia marcata e persistente suggerisce la presenza di un’immunodeficienza a carico delle cellule T; tuttavia, la linfopenia non è sempre presente. Una rx del torace è un utile test di screening nei lattanti; l’assenza dell’ombra timica nel periodo neonatale è un elemento indicativo di un deficit T-cellulare, specialmente se la rx viene eseguita prima che abbiano luogo infezioni o altri insulti che possono provocare la riduzione di volume del timo. I test cutanei di ipersensibilità ritardata sono indagini di screening preziose dopo i due anni di età. Vengono utilizzati i seguenti antigeni: parotite, Candida (1:100), tossoide tetanico fluido (1:10) e Trichophyton. Praticamente tutti gli adulti e la maggior parte dei lattanti e dei bambini immunizzati reagisce a uno o più di questi antigeni con la comparsa di eritema e indurimento (> 5 mm) a 48 h. La presenza di positività a uno o più dei test cutanei ritardati è generalmente indicativa di un sistema T-cellulare integro. Il più utile fra i test avanzati per la valutazione dell’immunodeficienza cellulare è la conta delle cellule T e delle sottopopolazioni T-linfocitarie (helper/inducer e suppressor/citotossiche), eseguito di solito mediante citometria a flusso con l’impiego di anticorpi monoclonali di topo specifici per le cellule T. Il numero totale delle cellule T viene determinato utilizzando un anticorpo diretto contro un antigene comune a tutte le cellule T (p. es. anti-CD3, anti-CD2); le cellule T helper/inducer vengono misurate impiegando un anticorpo anti-CD4 e le cellule suppressor/citotossiche vengono misurate per mezzo di un anticorpo anti-CD8. (In generale questi test hanno soppiantato le tecniche di rosettamento su GR di pecora per la conta delle cellule T.) Un numero di cellule T helper (CD4) < 500 cellule/µl è fortemente indicativo di un’immunodeficienza T-cellulare e un numero di CD4 < 200 cellule/µl indica una grave immunodeficienza a carico delle cellule T. Il rapporto tra cellule CD4/CD8 (helper/suppressor) deve essere > 1,0; l’inversione di questo rapporto suggerisce anch’essa la presenza di

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un’immunodeficienza T-cellulare (p. es. nella AIDS la diminuzione del rapporto CD4/CD8 è segno di una compromissione immunologica progressiva). Sono disponibili anche anticorpi monoclonali per l’identificazione delle cellule attivate (CD25), delle cellule natural killer (CD16 e CD56) e degli antigeni (CD1) delle cellule T immature (timociti). Un altro utile test avanzato misura la capacità dei linfociti del paziente di proliferare e di ingrandirsi (trasformarsi) quando vengono coltivati in presenza di mitogeni (p. es. fitoemoagglutinina, concanavalina A), di GB allogenici irradiati (nella reazione leucocitaria mista) o di antigeni con i quali il paziente sia venuto a contatto in precedenza. Sotto l’effetto di questi stimoli, i linfociti normali vanno incontro a una rapida divisione cellulare, che può essere rilevata con metodi morfologici o mediante la captazione di timidina radioattiva all’interno delle cellule in divisione. La proliferazione viene di solito espressa come un indice, costituito dal rapporto tra la conta/min delle cellule stimolate e la conta/min di un numero equivalente di cellule non stimolate. I pazienti affetti da immunodeficienza Tcellulare presentano risposte proliferative ridotte o nulle in proporzione al grado di deficit immunitario. Le risposte proliferative ai mitogeni (i quali attivano tutte le cellule) sono molto più elevate (indice di stimolazione fra 50 e 100) rispetto alla risposta agli antigeni o alle cellule allogeniche (indice di stimolazione fra 3 e 30). Test speciali offrono la possibilità di valutare anche la produzione di linfochine dopo stimolazione con mitogeni o antigeni. Nonostante esistano più di 30 linfochine, vengono valutati per lo più l’interferon γ, l’interleuchina 2, l’interleuchina 4 e il tumor necrosis factor α. Determinati pazienti presentano risposte proliferative adeguate ma una produzione di linfochine insufficiente (p. es. deficit del fattore di inibizione della migrazione nella candidosi mucocutanea cronica). Altri test valutano la funzione citotossica. Le diverse forme di citotossicità (natural killer, anticorpo-dipendente o delle cellule T citotossiche) vengono misurate utilizzando diverse cellule tumorali o cellule bersaglio infettate da virus. I deficit della citotossicità sono presenti in vario grado nelle immunodeficienze cellulari. In alcune forme di immunodeficienza combinata sono carenti gli enzimi della via metabolica delle purine (adenosina deaminasi, nucleoside fosforilasi), che possono essere determinati con l’impiego dei GR. È possibile misurare i livelli di diversi ormoni timici (timosina, fattore timico sierico); essi risultano bassi in alcune forme di immunodeficienza cellulare. La tipizzazione HLA può essere di valido aiuto per valutare la presenza di due popolazioni diverse di cellule (chimerismo) e per escludere deficit a carico degli antigeni HLA (sindrome del linfocita nudo). La determinazione dell’integrità del recettore delle cellule T e della via di trasduzione del segnale ha consentito l’identificazione di alcuni difetti dell’attivazione delle cellule T e permette la loro valutazione. Test per i deficit delle cellule fagocitarie: un approfondimento in questo senso è indicato quando un paziente con una storia clinica indicativa di immunodeficienza possiede un’immunità umorale e cellulare normale. La mancata formazione di pus nella sede di un’infiammazione e un ritardo nel distacco del cordone ombelicale accompagnato da leucocitosi marcata sono indizi che suggeriscono un difetto della chemiotassi. Oltre all’emocromo, la valutazione iniziale deve comprendere una determinazione dei livelli di IgE, che risultano elevati in molti disordini della chemiotassi, e un test di riduzione del colorante nitroblu di tetrazolio (NBT) per la malattia granulomatosa cronica, la più comune fra le alterazioni della fagocitosi. Il test al NBT è basato sull’aumento dell’attività metabolica dei granulociti durante la fagocitosi e il killing, che provoca la riduzione del NBT incolore con formazione di formazan blu. Questo cambiamento di colore, assente nella malattia granulomatosa cronica, può essere valutato visivamente, microscopicamente o con la spettrofotometria. Il primo test specifico è costituito dalla colorazione dei granulociti per la mieloperossidasi, la fosfatasi alcalina o l’esterasi. La negatività della colorazione per questi enzimi va approfondita con l’esecuzione di indagini quantitative. In seguito, si può valutare la motilità cellulare con la tecnica della finestra cutanea di Rebuck, nella quale si esegue con un bisturi un’abrasione superficiale della cute

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che viene quindi ricoperta con un vetrino coprioggetti; esso viene rimosso e sostituito a intervalli regolari e colorato per l’osservazione delle cellule in migrazione. Un afflusso iniziale di PMN deve essere rilevabile entro le prime 2 h ed essere poi sostituito dall’arrivo di monociti entro 24 h. L’esistenza di un’alterazione della chemiotassi può essere confermata mediante un test in vitro nel quale viene misurata la migrazione dei granulociti o dei monociti con l’impiego di una speciale camera chemiotattica (di Boyden) o di una piastra di agaroso; viene valutato il movimento cellulare in direzione di una sostanza chemioattraente (p. es. lo zymosan opsonizzato). Successivamente viene valutata la funzione fagocitaria misurando la captazione di particelle di lattice o di batteri da parte di granulociti o di monociti isolati. Viene poi indagata l’attività microbicida mescolando in siero fresco i granulociti del paziente con un numero conosciuto di batteri vivi, ed eseguendo poi determinazioni batteriche quantitative seriate in un arco di tempo di 2 h. Altri test specializzati definiscono meglio i difetti della fagocitosi: test di mobilizzazione granulocitaria dopo somministrazione di corticosteroidi, adrenalina o endotossine; determinazioni quantitative degli enzimi granulocitari (mieloperossidasi, G6PD, ecc.); ricerca dei prodotti ossidanti granulocitari (perossido di idrogeno, ione superossido); test per la determinazione di proteine granulocitarie specifiche (glicoproteine di adesione al CR3 [CD11], componenti della nicotinamide adenin dinucleotide fosfato ossidasi). Questi ultimi consentono di distinguere le quattro forme genetiche della malattia granulomatosa cronica. Test per i deficit del complemento: la presenza di un’alterazione a carico del complemento viene valutata inizialmente misurando l’attività complementare totale del siero (CH50) e i livelli sierici di C3 e C4. Il riscontro di bassi livelli di uno qualunque di questi parametri deve essere seguito dalla titolazione della via classica e della via alternativa del complemento e dal dosaggio dei singoli componenti complementari. Il deficit di componenti della via classica è associato anche con la patologia renale immunitaria, con le reazioni tipo malattia da siero o con le infezioni acute. Per misurare i componenti complementari si utilizzano antisieri mono-specifici o GR sensibilizzati e soluzioni che contengono tutti i componenti tranne quello da determinare. Sono disponibili antisieri anche per la determinazione delle proteine regolatrici del complemento. Il deficit di C1-inibitore è alla base dell’edema angioneurotico ereditario e il deficit di fattore I (C3-inibitore) è associato al deficit di C3 con ipercatabolismo del C3. Per valutare la funzione del complemento in modo indiretto si possono impiegare i test di attività opsoninica, chemiotattica o battericida del siero. Per una trattazione dettagliata del sistema del complemento, v. Cap. 146.

Prevenzione La prevenzione delle immunodeficienze primarie è limitata alla consulenza genetica, quando sia nota la presenza di forme a trasmissione ereditaria conosciuta. La diagnosi prenatale su cellule amniotiche in coltura o su sangue fetale è possibile soltanto per alcuni di questi disordini, tra i quali l’agammaglobulinemia legata al cromosoma X, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la maggior parte delle forme di immunodeficienza combinata grave, il deficit di adenosina deaminasi e la malattia granulomatosa cronica. Per escludere la presenza di malattie legate al cromosoma X si può ricorrere anche alla determinazione del sesso fetale. In un certo numero di questi disordini si può identificare un’ereditarietà di tipo eterozigote.

Prognosi La maggior parte delle immunodeficienze primitive ha un’origine genetica e dura

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per tutta la vita. La prognosi è quanto mai variabile (v. Tab. 147-6), ma alcune immunodeficienze possono essere curate con il trapianto di cellule staminali. La maggioranza dei pazienti affetti da immunodeficienze anticorpali o da un deficit del complemento ha una prognosi favorevole con un’aspettativa di vita pressoché normale, a patto che venga identificata precocemente, sia trattata con regolarità e non sia affetta da malattie croniche concomitanti (p. es. una patologia polmonare). Altri pazienti con immunodeficienza, p. es. quelli con disordini della fagocitosi, con disordini combinati o con alterazioni della produzione anticorpale affetti da infezioni croniche, hanno una prognosi meno buona riguardo all’aspettativa di vita; la maggior parte è cronicamente malata e necessita di un trattamento intensivo (p. es. IGEV, antibiotici, drenaggio posturale, interventi chirurgici, ecc.). Alcuni pazienti con immunodeficienza hanno una prognosi quoad vitam decisamente sfavorevole (quelli affetti da atassia-teleangectasia, quelli con immunodeficienza combinata grave che non sono stati sottoposti a trapianto). Due istituzioni che si occupano di immunodeficienze per il sostegno e l’informazione dei pazienti e per la ricerca, sono la Jeffrey Modell Foundation (001-800-JEFF-844) e la Immune Deficiency Foundation (001-800-296-4433).

Terapia La gestione complessiva dei pazienti affetti da immunodeficienza richiede una quantità di cure straordinaria per mantenere uno stato di salute e di nutrizione ottimali, trattare le infezioni (v. Cap. 151), prevenire i problemi psicologici legati alla malattia e sostenere i costi. I pazienti devono essere protetti dalle occasioni evitabili di esposizione alle infezioni, devono dormire nel loro letto personale e avere preferibilmente camere riservate. Se vi è evidenza di qualche attività anticorpale, si devono somministrare loro regolarmente vaccini preparati con microrganismi uccisi. L’apparato dentario deve essere sempre mantenuto in buone condizioni. Gli antibiotici sono farmaci salvavita per il trattamento delle infezioni; la scelta e il dosaggio sono identici a quelli impiegati normalmente. Tuttavia, poiché i pazienti con immunodeficienza possono soccombere rapidamente alle infezioni, la febbre o altri segni di infezione vanno sempre interpretati come secondari a infezione batterica e la terapia antibiotica va intrapresa senza esitazioni. Prima di iniziare la terapia a pieno regime, vanno eseguiti un tampone faringeo, una emocoltura o eventuali altri esami colturali; essi risultano particolarmente utili in seguito, qualora l’infezione non dovesse rispondere all’antibiotico iniziale e qualora il microrganismo infettante appartenga a una specie non comune. La somministrazione continua di antibiotici a scopo profilattico è spesso di giovamento, in particolare quando esiste il rischio di infezioni improvvise a decorso rapidamente progressivo (p. es. nella sindrome di Wiskott-Aldrich o nelle sindromi aspleniche), quando altre forme di terapia immunitaria non sono disponibili (p. es. nei deficit della fagocitosi) o non sono sufficienti (p. es. nelle infezioni ricorrenti in corso di agammaglobulinemia nonostante la terapia immunoglobulinica) e quando esiste un rischio elevato di contrarre un’infezione specifica (p. es. P. carinii nei deficit dell’immunità cellulare). Gli antivirali, comprese l’amantadina o la rimantadina per l’influenza, l’acyclovir per le infezioni erpetiche (incluse quelle da virus della varicella-zoster) e la ribavirina per il virus respiratorio sinciziale, possono risultare farmaci salvavita nei pazienti con immunodeficienza affetti da infezioni virali. Le immunoglobuline (IG) costituiscono una terapia sostitutiva efficace nella maggior parte delle forme di deficit anticorpale. Si tratta di una soluzione di IgG al 16,5%, con quantità minime di IgM e di IgA, per uso IM o SC, oppure di una soluzione dal 3 al 12% per infusione EV (IGEV). La dose d’attacco abituale è di 200 mg/kg (1,4 ml/kg della preparazione al 16,5% o 400 mg/ kg [8 ml/kg]di una preparazione al 5%) somministrati in 2 o 3 dosi nell’arco di 2-5 giorni, seguita da una dose mensile di 100 mg/kg (0,7 ml/kg della soluzione al 16,5% o 200 mg/kg

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[4 ml/kg]della soluzione al 5%). Dosi inferiori non sono efficaci. Poiché una dose di IgG di 100 mg/kg innalza i livelli sierici depressi di IgG soltanto di circa 100 mg/ dl, alcuni pazienti necessitano di dosi maggiori o più frequenti. La massima dose IM somministrabile in una singola sede è di 10 ml negli adulti e di 5 ml nei bambini; pertanto possono essere necessarie più iniezioni in sedi differenti. Alte dosi di IGEV (da 400 a 800 mg/kg al mese) possono essere somministrate e sono di effettivo giovamento in alcuni pazienti con deficit anticorpale che non rispondono bene alle dosi convenzionali, specialmente quelli affetti da pneumopatie croniche. Lo scopo della somministrazione di IGEV ad alte dosi è quello di mantenere i livelli delle IgG entro i valori normali (cioè > 500 mg/dl). Per la terapia con IG ad alte dosi (cioè > 400 mg/kg al mese) sono state impiegate anche le infusioni SC lente di IG o le IGEV al 10% somministrate a intervalli settimanali. Come alternativa alle IG è stato utilizzato il plasma, ma a causa del rischio di trasmissione di malattie, esso raramente trova indicazione. Il plasma contiene numerosi fattori oltre alle Ig ed è risultato prezioso nei pazienti affetti da enteropatia protido-disperdente, deficit del complemento e diarrea refrattaria. Plasma privo di IgA è stato impiegato con successo nei pazienti con fenomeni di ipersensibilità acuta alle IgA contenute nelle preparazioni di IG. Altre terapie, comprendenti i farmaci immunostimolanti (levamisolo, isoprinosina), le terapie biologiche (transfer factor, interleuchine, interferoni) e gli ormoni (ormoni timici), si sono dimostrate di valore limitato nel trattamento delle immunodeficienze cellulari o fagocitarie. Alcuni pazienti con deficit di adenosina deaminasi hanno tratto beneficio dalla terapia sostitutiva enzimatica con adenosina deaminasi bovina coniugata con glicole polietilenico (PolyEthylene Glycol-Adenosine DeAminase, PEG-ADA). Il trapianto di cellule staminali, solitamente ottenuto con un trapianto di midollo osseo, è spesso in grado di ottenere la correzione completa dell’immunodeficienza (v. anche Cap. 149). Nell’immunodeficienza combinata grave e nelle sue varianti, il trapianto di midollo osseo da un fratello donatore HLA-identico appaiato con coltura leucocitaria mista ha consentito il ripristino delle funzioni immunitarie in più di 300 casi. Nei pazienti con immunità cellulare integra o solo parzialmente compromessa (p. es. nella sindrome di WiskottAldrich) si deve praticare un’immunosoppressione preventiva per garantire l’attecchimento del trapianto. Quando non è disponibile un fratello donatore HLAidentico, si può utilizzare il midollo osseo aploidentico (emiappaiato) prelevato da uno dei genitori. In tali circostanze, prima dell’impianto bisogna eliminare dal midollo del genitore le cellule T mature, che provocherebbero una malattia del trapianto contro l’ospite. Ciò si può ottenere mediante la rimozione con agglutinazione in lecitina di soia o con l’impiego di anticorpi monoclonali diretti contro le cellule T. In alternativa, può essere utilizzato midollo osseo proveniente da un individuo compatibile ma non imparentato identificato attraverso l’International Bone Marrow Transplant Registry. Come fonte di cellule staminali può essere utilizzato anche il sangue del cordone ombelicale di un fratello HLAappaiato oppure sangue di cordone HLA-compatibile proveniente da una banca ematologica. Queste procedure specialistiche sono disponibili soltanto in un ristretto numero di centri. Occasionalmente hanno avuto successo i trapianti di timo fetale, di timo neonatale in coltura, di cellule epiteliali timiche e di fegato fetale e particolarmente i trapianti di timo fetale nella sindrome di Di George. Precauzioni: ai pazienti con immunodeficienze a carico delle cellule B o T non devono essere somministrati vaccini preparati con microrganismi vivi (p. es. poliovirus, morbillo, parotite, rosolia, BCG) a causa del rischio di sviluppare una malattia indotta dal vaccino e i membri della famiglia non devono essere sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica con virus vivo. I pazienti con deficit dell’immunità cellulare non devono ricevere emoderivati freschi che possono contenere linfociti integri, a causa del rischio di una reazione del trapianto contro l’ospite; di conseguenza, il sangue intero o le sue frazioni (p. es. GR, piastrine, granulociti e plasma) devono essere irradiati (dai 15 ai 30 Gy) prima di essere infusi. I pazienti devono inoltre ricevere emoderivati provenienti da donatori sieronegativi per cytomegalovirus. Nei pazienti affetti da deficit selettivo di IgA va

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solitamente evitata la somministrazione di IG o di plasma, perché anticorpi antiIgA possono svilupparsi o provocare reazioni avverse. I pazienti con splenomegalia devono evitare di praticare sport di contatto fisico. I pazienti trombocitopenici devono evitare le iniezioni IM (p. es. di IG). È opportuno somministrare antibiotici in concomitanza con interventi chirurgici o procedure odontoiatriche.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-5. Esami di laboratorio nelle immunodeficienze Test di screening

Test avanzati

Test di ricerca/speciali

Deficit delle celluleB Dosaggio delle IgG, IgM, IgA Titolo delle isoagglutinine Risposta anticorpale agli anti geni dei vaccini: p. es. tetano, difterite, rosolia, Haemo philus influenzae

Conta delle cellule B (CD19 o CD20)

Fenotipizzazione avanzata delle cellule B

Dosaggio delle sottoclassi delle IgG

Biopsie: p.es. linfonodali

Dosaggio delle IgD e delle IgE

Risposte anticorpali ad antigeni speciali: p.es. φX, KLH

Titolo degli Ac naturali: Sopravvivenza delle Ig in p.es. anti-streptolisina vivo O, Escherichia coli Dosaggio delle Ig secretorie Sintesi delle Ig in vitro Risposta anticorpale a nuovi vaccini: p.es. febbre tifoide, vaccini pneumococcici

Analisi dell’attivazione cellulare Analisi delle mutazioni

Rx laterale del faringe per il tessuto adenoideo Deficit delle cellule T Conta ed esame morfologico dei linfociti

Conta delle sottopopolazioni delle cellule T (CD3, CD4, CD8)

Rx del torace per lo studio delle dimensioni timiche*

Risposte proliferative ai mitogeni, agli antigeni e alle cellule allogeniche Tipizzazione HLA

Test cutanei ritardati: p.es. Trichophyton, parotite,

Fenotipizzazione avanzata delle cellule T Test per le citochine e i recettori: p.es. IL-2, IFNγ, TNF-α Test di citotossicità: p.es. NK, ADCC, CTL Test enzimatici: p.es. ADA, PNP

Analisi cromosomica

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Biopsie: p.es. cutanee, epatiche, timiche

Manuale Merck - Tabella

Candida, tossoide tetanico, serie dei multitest

Test ormonali timici Analisi dell’attivazione cellulare Analisi delle mutazioni

Deficit delle cellule fagocitarie Conta ed esame morfologico dei GB Test al NBT Dosaggio delle IgE

Chemioluminescenza Turnover dei GB Esami morfologici speciali

Test per le molecole di adesione: p.es. CD11b/ CD18, ligando della selectina Test della finestra cutanea di Rebuck

Chemiotassi e mobilità Deformabilità, adesività casuale e aggregazione Test per la fagocitosi Metabolismo ossidativo Test per l’attività battericida

Test enzimatici: p.es. MPO, G6PD, NADPH ossidasi Analisi delle mutazioni

Deficit del complemento Attività CH50 Dosaggio del C3 Dosaggio del C4

Test di opsonizzazione Attività della via alternativa Test per specifici componenti Test funzionali: p.es. fattore chemiotattico, Test di attivazione: p. adesività immunitaria es. C3a, C4a, C4d, Sopravvivenza dei C5a componenti in vivo Analisi degli allotipi del C

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*Solo nei lattanti. Ig=immunoglobuline; Ac=anticorpi; fX=antigene fagico; KLH=antigene dell’emocianina di Megathura crenulata; IL=interleuchina; IFN=interferon; TNF=tumor necrosis factor; NK=natural killer; ADCC=citotossicità cellulomediata anticorpo-dipendente; CTL=linfociti T citotossici; ADA=adenosina deaminasi; PNP=fosforilasi dei nucleosidi purinici; NBT=nitroblu di tetrazolio; MPO=mieloperossidasi; NADPH=nicotinamide adenin dinucleotide fosfato; CH50=attività emolitica del complemento; C=complemento. Da Stiehm ER: Immunologic Disorders in Infants and Children, ed.4. Philadelphia, WB Saunders Company, 1996, p 213; riprodotta con autorizzazione.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-6. Prognosi delle immunodeficienze primarie Prognosi intermedia†

Prognosi cattiva* Immunodeficienza combinata grave§

Immunodeficienza variabile comune

Prognosi buona‡ Ipogammaglobulinemia transitoria

Altre immunodeficienze Sindrome da iper-IgM§ Agammaglobulinemia combi nate legata al cromosomaX Malattia Sindrome di Wiskottgranulomatosa Deficit selettivo di IgA Aldrich§ cronica§ Candidosi Atassia-teleangectasia Sindrome di Di mucocutanea cronica George§ Deficit di adesività dei Deficit di sottoclassi leucociti§ Sindrome da iper-IgE delle IgG Sindrome linfoproliferativa legata al cromosomaX§

Deficit del complemento

*Durata della vita marcatamente ridotta. †Durata della vita spesso ridotta. ‡Durata della vita normale con una terapia ottimale. §Curabile con il trapianto.

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Malattie da immunodeficienza

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA IMMUNODEFICIENZE SPECIFICHE Sommario: IPOGAMMAGLOBULINEMIA TRANSITORIA DELL'INFANZIA Terapia DEFICIT SELLETTIVO DI IgA Terapia AGAMMAGLOBULINEMIA LEGATA AL CROMOSOMA X Terapia IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE IMMUNODEFICIENZA CON IPER-IgM Terapia DEFICIT DI SOTTOCLASSI DELLE IgG Terapia SINDROME DI GEORGE Terapia CANDIDOSI MUCOCUTANEA CRONICA Terapia IMMUNODEFICIENZA COMBINATA Terapia SINDROME DI WISKOTT-ALDRICH Prognosi e terapia ATASSIA-TELEANGECTASIA Terapia SINDROME LINFOPROLIFERATIVA LEGATA AL CROMOSOMA X SINDROME DA IPER-IgE MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA Sintomi, segni e diagnosi Terapia DEFICIT DI ADESIVITA' LEUCOCITARIA Terapia SINDROMI DA DEFICIT SPLENICO IMMUNODEFICIENZE DA PROTIDO-DISPERSIONE IMMUNODEFICIENZA DOVUTA A MALNUTRIZIONE

IPOGAMMAGLOBULINEMIA TRANSITORIA DELL'INFANZIA file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (1 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

Deficit anticorpale autolimitantesi che colpisce entrambi i sessi, con esordio dai 3 ai 6 mesi di età, che solitamente persiste da 6 a 18 mesi. Talvolta vi si associa un aumento della frequenza di infezioni. Questo disordine deriva da un ritardo nell’inizio della sintesi anticorpale, nonostante la presenza di un numero normale di cellule B. Le cellule T helper possono essere diminuite. I lattanti prematuri sono particolarmente a rischio, a causa dei più bassi livelli di IgG transplacentari di cui sono dotati alla nascita. La malattia non ha carattere familiare.

Terapia Nonostante i bassi livelli di IgG (livelli totali < 400 mg/dl), molti di questi lattanti non necessitano di IG, in particolare se esiste qualche evidenza di funzione anticorpale, se i livelli di IgG sono in aumento e se le infezioni sono assenti o banali. I pazienti che necessitano di IG devono ricevere dosi terapeutiche piene per 3-6 mesi, con controlli frequenti dei livelli di IgG. In occasione di ogni episodio infettivo è indicata la terapia antibiotica. La prognosi ai fini del recupero completo è eccellente. I neonati con meno di 32 settimane di età gestazionale e/o un peso alla nascita < 1500 g hanno livelli di IgG così prevedibilmente bassi che sono state impiegate le IGEV per il trattamento delle sospette sepsi batteriche e per la prevenzione delle infezioni batteriche nei primi mesi di vita (v. Stato immunologico del feto e del neonato nel Cap. 256).

DEFICIT SELETTIVO DI IgA Assenza o marcata riduzione (< 5 mg/dl) delle IgA sieriche, con livelli normali delle altre Ig e immunità cellulare integra. Il deficit selettivo di IgA è la più comune (e la più lieve) delle immunodeficienze, manifestandosi con una frequenza di 1/400 persone. Esso è di solito sporadico, ma occasionalmente si presenta in forma familiare. Può presentarsi in seguito a terapia con fenitoina e in individui con alterazioni a carico del cromosoma 18. Può presentarsi inoltre nei parenti dei pazienti affetti da immunodeficienza comune variabile (v. oltre). La maggior parte dei pazienti è asintomatica e il difetto viene scoperto casualmente. Altri presentano infezioni respiratorie ricorrenti, diarrea cronica, allergie o malattie autoimmuni. I pazienti con deficit di IgA non hanno IgA nelle loro secrezioni, ma possono compensare con la secrezione di altre Ig. Questi pazienti possono sviluppare anticorpi anti-IgA in conseguenza dell’esposizione alle IgA contenute nei preparati di plasma o di IG; questi anticorpi possono provocare reazioni anafilattiche in occasione di somministrazioni successive di IG o di sangue. Alcuni pazienti con deficit di IgA presentano un deficit associato della sottoclasse IgG2; molti di tali pazienti contraggono infezioni ricorrenti.

Terapia Nella maggior parte dei casi la terapia non è necessaria. È raccomandabile che i pazienti abbiano indosso un braccialetto con una targhetta informativa in modo da prevenire la somministrazione involontaria di plasma o di IG con conseguente sensibilizzazione o reazione. Nei soggetti con infezioni respiratorie persistenti è necessaria la somministrazione continua di antibiotici. La terapia sostitutiva con IgA non è attualmente disponibile. Le iniezioni di IG o le infusioni di IGEV sono in genere controindicate, anche se ad alcuni pazienti con deficit di IgA associato a deficit di sottoclassi delle IgG sono state somministrate IG con buoni risultati. Alcuni pazienti affetti da deficit di IgA vanno incontro a remissione spontanea. file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (2 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

AGAMMAGLOBULINEMIA LEGATA AL CROMOSOMA X (Agammaglobulinemia di Bruton; agammaglobulinemia congenita) Panipogammaglobulinemia dei lattanti maschi caratterizzata da livelli di IgG < 100 mg/dl e livelli delle altre Ig bassi o nulli, cellule B scarse o assenti, immunità cellulare integra ed esordio delle infezioni qualche tempo dopo il sesto mese di vita, epoca in cui scompaiono gli anticorpi di origine materna. Questi lattanti contraggono infezioni piogeniche ricorrenti a carico dei polmoni, dei seni paranasali e delle ossa, sostenute da microrganismi come lo pneumococco, l’haemophilus e lo streptococco. Essi sono anche predisposti all’infezione da poliovirus indotta dal vaccino e all’encefalite cronica da echovirus. Alcuni lattanti hanno un’artrite che scompare con la terapia con IG. L’ereditarietà legata al cromosoma X viene dimostrata nel 20% circa dei casi. Un difetto a carico del gene per la Btk (tirosin chinasi di Bruton) localizzato nella regione Xq22 impedisce la differenziazione delle cellule pre-B in cellule B. In ciascun membro della famiglia si osservano diverse varianti del gene difettoso.

Terapia È essenziale la somministrazione per tutta la vita di IG IM o EV alle più basse dosi in grado di prevenire le infezioni ricorrenti. In occasione di ogni episodio infettivo è di vitale importanza l’immediata e idonea istituzione di una terapia antibiotica; talvolta è indicata la somministrazione continua di antibiotici. Nonostante queste misure, molti pazienti sviluppano sinusiti persistenti, bronchiti e bronchiettasie. Vi è un aumento della suscettibilità allo sviluppo di neoplasie maligne.

IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE (Agammaglobulinemia acquisita) Disordine eterogeneo che colpisce in uguale misura entrambi i sessi, caratterizzato dalla comparsa di infezioni batteriche ricorrenti, solitamente nel corso del 2o o 3o decennio di vita, conseguenti a una marcata riduzione dei livelli anticorpali. Il carattere distintivo tra l’immunodeficienza comune variabile e l’agammaglobulinemia legata al cromosoma X è costituito dalla presenza di un numero normale di cellule B. L’immunità cellulare è solitamente integra, ma in alcuni pazienti può essere compromessa; in altri, sono descritte alterazioni immunoregolatorie a carico delle cellule T. In questi pazienti e nei loro familiari sono comuni i disordini autoimmunitari, compresi il morbo di Addison, la tiroidite e l’AR. Talvolta sono presenti diarrea, malassorbimento e iperplasia linfoide nodulare del tratto GI. Spesso si sviluppano bronchiettasie. Carcinomi e linfomi si manifestano nel 10% dei pazienti. I meccanismi immunologici sono diversi; p. es. un’eccessiva attività T suppressor, una scarsa attività T helper, difetti intrinseci della funzione delle cellule B e la presenza di autoanticorpi diretti contro le cellule B o T. Come avviene nella agammaglobulinemia legata al cromosoma X, è indispensabile la terapia con IG per tutta la vita e devono essere impiegati gli antibiotici per trattare ogni episodio infettivo.

IMMUNODEFICIENZA CON IPER-IgM file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (3 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

Immunodeficienza congenita, solitamente legata al cromosoma X, caratterizzata da livelli elevati di IgM, livelli diminuiti di IgG e di IgA, neutropenia intermittente, numero normale di cellule B e suscettibilità alle infezioni. Possono essere presenti linfoadenopatie e fenomeni autoimmunitari (p. es. anemia emolitica Coombs-positiva). La suscettibilità ai principali patogeni gram + e alle infezioni opportunistiche (compresi Pneumocystis carinii e Cryptosporidium) è aumentata. La maggior parte dei pazienti (> 70%) sviluppa un’epatopatia cronica entro i 30 anni. Il difetto immunologico alla base della forma legata al cromosoma X è un deficit della gp39 delle cellule T, il ligando del CD40 presente sulle cellule B che induce lo switch isotipico da IgM a IgA, IgG e IgE. Il gene mutato è stato identificato nella regione Xq27.

Terapia Il trattamento è analogo a quello per l’agammaglobulinemia legata al cromosoma X. Per la neutropenia può essere impiegato il fattore stimolante le colonie dei granulociti. In alcuni casi ha avuto successo il trapianto di cellule staminali.

DEFICIT DELLE SOTTOCLASSI DELLE IgG Deficit anticorpale associato a un’aumentata suscettibilità alle infezioni e a livelli assenti o marcatamente ridotti (maggiore di 2 deviazioni standard al disotto della media per l’età) di una o due sottoclassi delle IgG, ma con livelli normali o aumentati delle altre sottoclassi. La maggior parte dei pazienti ha livelli totali di IgG e degli altri anticorpi normali o quasi normali, ma presenta una diminuita responsività anticorpale a determinati antigeni. Sono state descritte infezioni respiratorie croniche o ricorrenti, otite media, pneumopatie croniche e meningiti ricorrenti. Dal momento che le IgG1 costituiscono il 70% delle IgG totali, un deficit isolato di IgG1 si associa a panipogammaglobulinemia e non viene considerato come un deficit di una sottoclasse. Il deficit combinato o selettivo di IgG2 o di IgG3, con o senza deficit di IgG4, è il più comune deficit a carico delle sottoclassi. I pazienti con deficit di IgG2 (selettivo o combinato con deficit di un’altra sottoclasse) presentano spesso risposte anticorpali deboli nei confronti degli antigeni polisaccaridici e/o un deficit associato di IgA (< 5mg/dl). Il deficit isolato di IgG4 asintomatico è presente in un gran numero di individui. Nei bambini piccoli i deficit delle sottoclassi possono essere transitori e scomparire con la crescita. Sono stati descritti alcuni pazienti con alterata capacità di risposta ai polisaccaridi ma con livelli normali delle sottoclassi di IgG.

Terapia I pazienti con deficit accertati di sottoclassi delle IgG si possono giovare delle IG (v. Terapia, sotto Agammaglobulinemia legata al cromosoma X, sopra).

SINDROME DI GEORGE (Ipoplasia timica; sindrome della terza e quarta tasca faringea) Immunodeficienza congenita caratterizzata anatomopatologicamente dall’assenza o dall’ipoplasia del timo e delle ghiandole paratiroidi e immunologicamente da un’immunodeficienza parziale o completa a carico delle file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (4 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

cellule T, ma con immunità B-cellulare normale o quasi normale. I lattanti colpiti presentano impianto basso delle orecchie, schisi facciali della linea mediana, ipoplasia e retrazione della mandibola, ipertelorismo, accorciamento del filtro nasale e cardiopatie congenite. Entro le prime 24 o 48 h di vita compare tetania. Entrambi i sessi vengono colpiti in uguale misura e i casi familiari sono rari. Nel 90% dei casi possono essere dimostrate anomalie a carico del cromosoma 22q (p. es. delezione o monosomia). Sembra che si verifichi un’interruzione dello sviluppo normale delle strutture della tasca faringea intorno all’8a settimana di gestazione. Le infezioni ricorrenti cominciano a presentarsi poco dopo la nascita. Il grado di immunodeficienza varia notevolmente da un paziente all’altro e talvolta la funzione delle cellule T migliora spontaneamente, specie nei pazienti con cellule CD4 > 400/µl.

Terapia è stato eseguito con buoni risultati il trapianto di midollo osseo e sono stati ottenuti alcuni successi con il trapianto di timo fetale. La prognosi finale è spesso determinata dalla gravità delle malformazioni cardiache. Un deficit parziale è compatibile con una sopravvivenza prolungata.

CANDIDOSI MUCOCUTANEA CRONICA Immunodeficienza di tipo cellulare caratterizzata da infezioni persistenti da Candida a carico delle mucose, del cuoio capelluto, della cute e delle unghie e spesso associata a un’endocrinopatia, specialmente all’ipoparatiroidismo e all’iposurrenalismo. L’esordio può avvenire nel periodo neonatale con la comparsa di un mughetto persistente, oppure può essere differito fino all’età adulta avanzata. Questo disordine è leggermente più frequente nel sesso femminile. La malattia ha gravità molto variabile, dal coinvolgimento di un solo elemento ungueale fino all’interessamento generalizzato delle mucose, della cute e dei capelli e alla presenza di lesioni granulari sfiguranti del volto e del cuoio capelluto. Non si manifesta candidosi sistemica né aumentata suscettibilità ad altre infezioni. Ne esistono diverse forme cliniche, compresa una forma autosomica recessiva associata a ipoparatiroidismo e morbo di Addison (sindrome Candidaendocrinopatia). I reperti immunologici caratteristici sono l’anergia cutanea alla Candida, l’assenza di risposte proliferative nei confronti degli antigeni della Candida (ma con normali risposte proliferative ai mitogeni) e buone risposte anticorpali nei confronti della Candida e di altri antigeni. In alcuni casi si osservano reperti associati come alopecia, bronchiettasie, displasie dentarie, epatite e deficit di biotina con deficit enzimatico di carbossilasi.

Terapia La terapia consiste nell’impiego di farmaci antifungini per via topica (nistatina, clotrimazolo) o sistemica (ketoconazolo, fluconazolo, amfotericina B; v. Principi generali di terapia nel Cap. 158). Talora le unghie colpite devono essere rimosse chirurgicamente. L’immunoterapia con transfer factor, epitelio timico, ormoni timici o linfociti immuni non dà benefici permanenti. Il trapianto di midollo osseo ha avuto successo in un solo caso.

IMMUNODEFICIENZA COMBINATA

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Malattie da immunodeficienza

Gruppo di disordini caratterizzati da un deficit congenito e solitamente ereditario a carico sia del sistema cellulare B sia di quello T, da aplasia linfoide e da displasia timica. Le immunodeficienze combinate comprendono l’immunodeficienza combinata grave, l’agammaglobulinemia di tipo svizzero, l’immunodeficienza combinata con deficit di adenosina deaminasi o di nucleoside fosforilasi e l’immunodeficienza combinata con immunoglobuline (sindrome di Nezelof). La maggior parte dei pazienti presenta un esordio precoce delle infezioni (entro il 3o mese di vita), con candidosi orale, polmonite e diarrea. In assenza di terapia, la maggioranza muore prima dei 2 anni di età. La maggior parte dei pazienti presenta un marcato deficit delle cellule B e delle Ig. I seguenti reperti sono caratteristici: linfopenia, numero di cellule T ridotto o nullo, scarsa risposta proliferativa ai mitogeni, anergia cutanea, assenza dell’ombra timica e diminuzione del tessuto linfoide. Sono comuni le polmoniti da P. carinii e altre infezioni opportunistiche. Esistono diverse varianti di questa patologia. Nel 67% dei casi può essere dimostrata una trasmissione ereditaria legata al cromosoma X o di tipo autosomico recessivo. La maggior parte dei pazienti con ereditarietà legata al cromosoma X ha un’immunodeficienza combinata grave legata al cromosoma X, dovuta a mutazioni a carico della catena γ del recettore per l’IL-2. Questa catena è un componente dei recettori per altre citochine (IL-4, IL-7, IL-9, IL-13, IL-15), il che probabilmente spiega la gravità della malattia. Circa la metà dei pazienti con ereditarietà autosomica recessiva è affetta da un deficit di adenosina deaminasi (ADA), un enzima della via di "salvataggio" delle purine che converte l’adenosina e la deossiadenosina rispettivamente in inosina e deossiinosina. Il deficit di ADA provoca l’accumulo di elevate quantità di deossiadenosina trifosfato (dATP), il quale inibisce la sintesi del DNA. I pazienti affetti da deficit di ADA possono essere normali alla nascita, ma sviluppano un deficit immunologico progressivo man mano che il dATP si accumula. Nella sindrome di Nezelof (immunodeficienza combinata con Ig) esiste un marcato deficit dell’immunità cellulare, con livelli di Ig normali, quasi normali o elevati ma con una scarsa funzionalità anticorpale. Altri lattanti presentano lesioni cutanee simili a quelle della malattia di LettererSiwe, linfoadenopatia ed epatosplenomegalia, e alcuni possono avere una malattia da trapianto contro l’ospite dovuta ai linfociti materni o a precedenti trasfusioni di sangue. Altre varianti comprendono i deficit di citochine (deficit di IL1, deficit di IL-2, deficit citochinici multipli), i difetti strutturali del recettore delle cellule T, i difetti di trasduzione del segnale, l’assenza degli antigeni HLA di classe I e/o di classe II (sindrome del linfocita nudo), il nanismo ad arti corti, l’ipoplasia della cartilagine e dei capelli con immunodeficienza e l’immunodeficienza combinata con eosinofilia (sindrome di Omenn).

Terapia La terapia con IG e antibiotici (compresa la profilassi per P. carinii) trova indicazione ma non è curativa. Il trattamento di elezione per tutte le varianti è costituito dal trapianto di cellule staminali. I pazienti con deficit di ADA sono stati trattati con successo con glicole polietilenico coniugato con ADA bovina (PEGADA). I pazienti con deficit di IL-2 sono stati trattati con IL-2 umana ricombinante. Nel deficit di ADA è stata utilizzata con qualche buon risultato la terapia genica.

SINDROME DI WISCKOTT-ALDRICH Disordine recessivo legato al cromosoma X che colpisce i lattanti di sesso maschile, caratterizzato da eczema, trombocitopenia e infezioni ricorrenti.

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Malattie da immunodeficienza

Le prime manifestazioni sono spesso di tipo emorragico (di solito diarrea ematica), seguite poi da infezioni respiratorie ricorrenti. Nei pazienti più grandi di 10 anni che sopravvivono, sono frequenti (10%) i tumori maligni (in particolare il linfoma e la leucemia linfoblastica acuta). I deficit immunologici caratteristici comprendono scarse risposte anticorpali agli antigeni polisaccaridici, anergia cutanea, deficit parziale delle cellule T, alti livelli di IgE e IgA, bassi livelli di IgM e ipercatabolismo delle IgG ma livelli di IgG normali. A causa del deficit combinato sia a carico della funzione B sia di quella T, si manifestano infezioni sostenute da batteri piogeni, virus, funghi e P. carinii. Dal punto di vista ematologico, questi pazienti hanno piastrine piccole e un aumento della distruzione splenica delle piastrine stesse; di conseguenza, la splenectomia può ridurre la trombocitopenia. Il difetto genico è stato localizzato nella regione Xp11.

Prognosi e terapia In assenza di trapianto, la maggior parte dei pazienti muore entro i 15 anni di età; tuttavia, i pazienti con le forme incomplete della malattia possono sopravvivere fino all’età adulta. La terapia prevede la splenectomia, la somministrazione continua di antibiotici, la somministrazione di IGEV (non IM, per il rischio di emorragie) e il trapianto di midollo osseo.

ATASSIA-TELEANGECTASIA Disordine multisistemico progressivo a trasmissione autosomica recessiva caratterizzato da atassia cerebellare, teleangectasia congiuntivale e cutanea, infezioni senopolmonari ricorrenti e deficit immunitario di vario grado. Sia i sintomi neurologici sia i segni di immunodeficienza hanno un esordio variabile. L’atassia si manifesta abitualmente nel periodo in cui i bambini cominciano a camminare, ma può ritardare la sua comparsa fino ai 4 anni. La sua progressione conduce a una grave invalidità. L’eloquio diviene impastato, compaiono movimenti coreoatetoidi e oftalmoplegia e la debolezza muscolare progredisce di solito fino all’atrofia. Può manifestarsi un ritardo mentale progressivo. Le teleangectasie si manifestano tra 1 e 6 anni di età, in modo più evidente sulla congiuntiva bulbare, sulle orecchie, sulle fosse antecubitali e poplitee e ai lati del naso. Le infezioni senopolmonari ricorrenti, conseguenza dei deficit immunologici, portano allo sviluppo di polmoniti ricorrenti, bronchiettasie e pneumopatie croniche di tipo ostruttivo e restrittivo. Possono verificarsi alterazioni endocrine, comprendenti la disgenesia gonadica, l’atrofia testicolare e una rara forma di diabete mellito caratterizzata da iperglicemia marcata, resistenza alla chetosi e notevole risposta insulinica plasmatica al glucoso o alla tolbutamide. La malattia è associata a un’alta incidenza di neoplasie maligne (specialmente leucemie e tumori cerebrali e gastrici) e a un incremento delle rotture cromosomiche, probabilmente indizio di un difetto di riparazione del DNA. Sono state identificate anomalie genetiche. I pazienti sono spesso privi di IgA e di IgE e presentano anergia cutanea e deficit progressivo dell’immunità cellulare. L’α2fetoproteina sierica è generalmente elevata.

Terapia La terapia dell’immunodeficienza con antibiotici o IG è di una certa utilità, ma non esiste un trattamento efficace per le alterazioni a carico del SNC. Il decorso è conseguentemente caratterizzato da un progressivo deterioramento neurologico con coreoatetosi, astenia muscolare, demenza e morte, solitamente entro i file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (7 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

30 anni.

SINDROME LINFOPROLIFERATIVA LEGATA AL CROMOSOMA X Immunodeficienza primitiva caratterizzata dalla suscettibilità selettiva alle infezioni da virus di Epstein-Barr (EBV). Nonostante alcuni pazienti (il 10%) abbiano un’ipogammaglobulinemia congenita, la maggioranza è del tutto normale fino a quando non si verifica un’infezione da EBV. L’infezione da EBV può sfociare in una grave mononucleosi infettiva progressiva con insufficienza epatica, una sindrome linfoproliferativa della linea cellulare B, un’anemia aplastica e un’ipogammaglobulinemia. Circa il 75% dei pazienti muore entro i 10 anni di età. I pazienti affetti hanno ipogammaglobulinemia, diminuzione delle risposte anticorpali (specialmente agli antigeni nucleari del EBV), scarse risposte proliferative ai mitogeni, diminuzione della funzione delle cellule natural killer e diminuzione delle cellule T con inversione del rapporto CD4:CD8. Può essere eseguita la diagnosi genetica per mezzo della lunghezza dei frammenti di restrizione del DNA, con la dimostrazione di un polimorfismo genico nel locus XLP (Xq25-26) identico a quello di un membro della famiglia affetto o portatore. In alcuni casi il trapianto di midollo osseo è risolutivo. L’acyclovir e le IGEV per la prevenzione dell’infezione da EBV sono inefficaci.

SINDROME DA IPER-IgE (Sindrome di Job-Buckley) Sindrome da immunodeficienza caratterizzata da infezioni stafilococciche ricorrenti, soprattutto della cute, e da livelli di IgE marcatamente elevati. Alcuni pazienti mostrano un’ereditarietà di tipo autosomico dominante. Le infezioni stafilococciche possono riguardare la cute, i polmoni, le articolazioni e altre sedi. Alcuni pazienti hanno tratti somatici grossolani; altri hanno carnagione chiara e capelli rossi. Sono comuni l’osteopenia e le fratture ricorrenti. Molti soggetti presentano difetti della chemiotassi dei neutrofili. Tutti hanno livelli di IgE notevolmente elevati (> 1000 UI/ml [> 2400 µg/l]). Talvolta sono presenti manifestazioni allergiche (p. es. eczema, rinite e asma). Altre caratteristiche comprendono lievi difetti dell’immunità B- e T-cellulare ed eosinofilia ematica e tissutale. Il difetto di base potrebbe risiedere in un’anomalia immunoregolatoria a carico delle cellule T. Il trattamento consiste nella somministrazione intermittente o continua di antibiotici. Il trimetoprim-sulfametossazolo è particolarmente efficace per la profilassi.

MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA Disordine ereditario della funzione battericida dei GB caratterizzato da lesioni granulomatose diffuse della cute, dei polmoni e dei linfonodi, ipergammaglobulinemia, anemia, leucocitosi e difetto dell’eliminazione di alcuni batteri e funghi. I pazienti sono per lo più maschi con ereditarietà di tipo recessivo legata al cromosoma X; alcuni pazienti di entrambi i sessi presentano un’ereditarietà autosomica recessiva. I GB non producono perossido di idrogeno, ione file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (8 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

superossido e altre specie attivate dell’O2 a causa di un difetto di attività della nicotinamide adenin dinucleotide fosfato (NADPH) ossidasi. Le quattro componenti strutturali della NADPH ossidasi sono due subunità di membrana (la gp91 phox e la p22 phox) del citocromo b558 e due subunità proteiche citosoliche (la p47 phox e la p67 phox). Nella variante legata al cromosoma X (57% dei casi), il gene mutato riguarda la gp91 phox e nelle tre forme autosomiche recessive il gene mutato riguarda la p47 phox (33% dei casi), la p22 phox (5%) o la p67 phox (5%).

Sintomi, segni e diagnosi La malattia esordisce di solito nella prima infanzia, ma in alcuni pazienti può tardare fino alla pubertà. Il quadro clinico è caratterizzato da infezioni ricorrenti sostenute da microrganismi produttori di catalasi, p. es. Staphylococcus aureus, Serratia, Escherichia coli e Pseudomonas, i quali normalmente non provocano granulomi, ma che a causa del difetto dei meccanismi battericidi riescono a sopravvivere all’interno delle cellule. Le caratteristiche cliniche comprendono linfoadeniti suppurative, epatosplenomegalia, polmonite e segni ematologici di infezione cronica. Si possono manifestare anche rinite persistente, dermatite, diarrea, ascessi perianali, stomatite, osteomielite, ascessi cerebrali, lesioni ostruttive del tratto GI e GU (per formazione di granulomi) e ritardo di crescita. La diagnosi di laboratorio si pone in base alla ridotta capacità di riduzione del colorante nitroblu di tetrazolio (NBT) da parte dei granulociti, oppure con l’identificazione di un deficit della funzione battericida.

Terapia La terapia consiste nella somministrazione continua o intermittente di antibiotici. Anche il trapianto di midollo osseo è stato efficace. È in via di sperimentazione la terapia con interferone.

DEFICIT DI ADESIVITA' LEUCOCITARIA (Deficit di MAC-1/LFA-1/CR3) Disordine autosomico recessivo della funzione leucocitaria caratterizzato da infezioni necrotiche ricorrenti o progressive dei tessuti molli, periodontiti, scarsa capacità di cicatrizzazione delle ferite, leucocitosi e ritardato distacco (più di 3 settimane) del cordone ombelicale. I lattanti gravemente colpiti presentano infezioni multiple a decorso rapidamente e progressivamente ingravescente, con exitus entro i 5 anni. I pazienti affetti da una forma clinica più moderata presentano un decorso meno grave e sopravvivono fino all’età giovanile; la gravità è correlata con il grado di deficit delle glicoproteine di adesione situate sulla superficie dei GB, le quali facilitano le interazioni cellulari, la motilità cellulare e le interazioni con i componenti del complemento. Di conseguenza, i loro granulociti (e linfociti) non mostrano una buona attività chemiotattica, un buono svolgimento delle reazioni citotossiche, né una valida fagocitosi nei confronti dei batteri. La diagnosi si pone mettendo in evidenza l’assenza o la notevole diminuzione di questi antigeni sulla superficie dei GB, grazie all’impiego di anticorpi monoclonali (p. es. anti-CD11 o anti-CD18 per la LFA-1) e della citometria a flusso.

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Malattie da immunodeficienza

Terapia La terapia consiste nell’energica (spesso continua) somministrazione di antibiotici. La terapia con interferonγ riduce la gravità e la frequenza delle infezioni, probabilmente incrementando l’attività antimicrobica non ossidativa. La dose usuale è di 50 µg/m2 somministrati SC per 3 volte alla settimana. In diversi pazienti è risultato efficace il trapianto di cellule staminali.

SINDROMI DA DEFICIT SPLENICO Suscettibilità alle infezioni dovuta a splenectomia, ad assenza congenita della milza o ad asplenia funzionale provocata dalla trombosi dei vasi splenici (anemia a cellule falciformi) o da malattie infiltrative (tesaurismosi). La milza è uno degli organi principali per la funzione fagocitaria, appartenente al sistema reticolo-endoteliale (sistema dei fagociti mononucleati) il quale è deputato alla cattura dei microrganismi circolanti. La milza è anche una delle sedi principali della sintesi degli anticorpi (v. Cap. 141). I pazienti asplenici, e in particolare i bambini piccoli, sono suscettibili allo sviluppo di infezioni batteriche a decorso rapidamente progressivo sostenute da Haemophilus influenzae, Escherichia coli, pneumococchi e streptococchi, nonché, più di rado, ad altre infezioni. A questi pazienti deve essere somministrata a scopo profilattico una copertura antibiotica continua almeno durante i primi 2 o 3 anni di vita e in seguito essi devono assumere antibiotici fin dall’esordio di ogni episodio febbrile e in occasione di ogni intervento chirurgico. Essi devono inoltre essere vaccinati contro lo pneumococco, il meningococcico e l’Haemophilus. Con tale terapia, la prognosi è buona.

IMMUNODEFICIENZE DA PROTIDO-DISPERSIONE Perdita di proteine sieriche che conduce a un deficit anticorpale secondario con ipogammaglobulinemia di notevole entità. L’ipogammaglobulinemia può essere dovuta alla perdita di proteine sieriche attraverso il rene (sindrome nefrosica), la cute (ustioni o dermatiti gravi) o il tratto GI (enteropatia protido-disperdente, linfangectasia intestinale). Contemporaneamente si ha perdita di albumina e di altre proteine sieriche. Nei disordini protido-disperdenti GI può verificarsi anche perdita di linfociti, che porta a linfopenia e deficit dell’immunità cellulare. Questi pazienti sono suscettibili alle infezioni sostenute dai principali microrganismi gram +, ma poiché si verifica un aumento compensatorio della produzione di anticorpi le infezioni possono essere relativamente poco frequenti, nonostante la gravità della ipogammaglobulinemia. La correzione della patologia di base risolve l’immunodeficienza. Quando ciò non è possibile, si può ottenere un parziale beneficio con la somministrazione di trigliceridi a catena intermedia, che in questi disordini riducono la perdita di Ig e di linfociti dal tratto GI.

IMMUNODEFICIENZA DOVUTA A MALNUTRIZIONE La malnutrizione con deficit immunitario e infezioni costituisce la principale causa di morte neonatale e infantile nel mondo. Quando la malnutrizione è abbastanza grave da ridurre il peso corporeo a < 80% del peso ideale medio, si cominciano a notare i primi deterioramenti della funzione immunitaria; quando la crescita file:///F|/sito/merck/sez12/1471112.html (10 of 11)02/09/2004 2.05.34

Malattie da immunodeficienza

è < 70% della media attesa, di solito si verifica una grave compromissione della funzione immunitaria. La maggior parte di questi pazienti (eccetto quelli affetti da anoressia nervosa) risulta straordinariamente suscettibile alle infezioni respiratorie, alle malattie virali e alle gastroenteriti. Queste infezioni aumentano le richieste metaboliche e riducono l’appetito, portando a una malnutrizione e a un’immunodeficienza sempre più gravi. Il difetto immunologico è costituito principalmente da un deficit dell’immunità cellulare con anergia cutanea, ridotto numero di cellule T, scarse risposte proliferative ai mitogeni e agli antigeni e deficit della produzione di linfochine (interferone) e dell’attività citotossica. I livelli di anticorpi secretori possono essere diminuiti, ma le Ig sieriche sono solitamente normali o aumentate, soprattutto le IgE. Il grado della compromissione immunitaria dipende dalla gravità e dalla durata della malnutrizione e dalle patologie sottostanti (p. es. infezioni e altri deficit nutrizionali). Con il ripristino di uno stato nutrizionale adeguato, il deficit immunologico regredisce rapidamente (v. anche Cap. 2).

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI FISIOLOGIA PERINATALE Sommario: Introduzione Ventilazione e funzione polmonare Circolazione Escrezione della bilirubina Emoglobina fetale Situazione immunologica del feto LA FAGOCITOSI IMMUNITÀ CELLULARE (CELLULE T) IMMUNITÀ ANTICORPALE

Il normale passaggio da un feto a termine, immerso nel liquido amniotico e totalmente dipendente dalla placenta per gli scambi gassosi, per le funzioni nutritive ed escretrici, a un neonato che emette il primo vagito e piange è fonte di meraviglia. I disordini neonatali rappresentano l’insuccesso di tale passaggio. Nelle pagine successive verranno esaminate diverse aree di fisiologia perinatale.

Ventilazione e funzione polmonare Durante il periodo fetale, la placenta provvede agli scambi di O2 e CO2. Lo sviluppo dei polmoni fetali si realizza durante tutta la gestazione e, a partire dalla 25a sett., sono presenti alveoli quasi completamente maturi. I polmoni fetali producono continuamente un liquido, costituito in parte da trasudato dei capillari polmonari e in parte dal surfactante polmonare secreto dagli pneumociti di tipo II. I movimenti respiratori fetali si verificano intermittentemente, di solito in circa 1/3 del tempo, durante la fase di sonno con movimenti oculari rapidi (REM). Il liquido polmonare si muove lungo l’albero tracheobronchiale e contribuisce a formare il liquido amniotico. I movimenti respiratori fetali sembrano essere essenziali per lo sviluppo polmonare e per il controllo neuromuscolare del respiro di cui il neonato ha bisogno per sopravvivere. Affinché alla nascita si verifichi un normale scambio gassoso, è necessaria una pronta rimozione del liquido interstiziale polmonare e del liquido alveolare. Ciò si può verificare attraverso due meccanismi. (1) Al momento del parto vaginale, la compressione del torace fetale provoca l’eliminazione di una parte di liquido polmonare. Nel momento in cui il torace viene espulso si verifica un rimbalzo elastico delle costole che richiama aria nell’albero respiratorio. Il primo forte sforzo inspiratorio riempie ulteriormente gli alveoli di aria. (2) I livelli fetali di adrenalina e noradrenalina aumentano durante il travaglio e incrementano l’assorbimento attivo di sodio e acqua, attraverso l’epitelio respiratorio, mediante i canali epiteliali del sodio. La sindrome del polmone umido neonatale (tachipnea transitoria del neonato, v. Patologia respiratoria nel Cap. 260) è probabilmente causata da un ritardato riassorbimento attivo di sodio e liquido polmonare fetali

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attraverso i canali epiteliali del sodio. Poiché gli alveoli polmonari fetali sono ripieni di liquido, la tensione superficiale non rappresenta un problema per i movimenti respiratori fetali. A seguito del primo respiro, dopo la nascita, gli alveoli contengono aria e si formano allora interfacce aria/liquido, poiché uno strato di liquido riveste la superficie alveolare. Al momento del primo respiro, il surfactante polmonare viene normalmente secreto in questo strato di liquido; in caso contrario, un’eccessiva tensione superficiale determinerebbe un collasso alveolare (atelettasia) e incrementerebbe notevolmente il lavoro respiratorio. Il surfactante polmonare (una complessa miscela costituita da fosfolipidi, inclusi fosfatidilcolina, fosfatidilglicerolo, fosfatidilinositolo, grassi neutri e tre proteine attive di superficie) è in gran parte contenuto in inclusioni lamellari negli pneumociti di tipo II ed è rilasciato in grandi quantità al momento del primo atto respiratorio. Entro le 34-35 sett. di gestazione, viene solitamente prodotta una sufficiente quantità di surfactante per prevenire diffuse atelettasie, che rappresentano il principale problema nella sindrome del distress respiratorio (v. nel Cap. 260).

Circolazione Durante la circolazione fetale le resistenze arteriolari polmonari sono così elevate che il flusso ematico polmonare è ridotto (soltanto il 5-10% della gittata cardiaca). Al contrario, nella circolazione sistemica la resistenza al flusso ematico è bassa, specialmente a causa della bassa resistenza al flusso ematico attraverso la placenta. La bassa PaO2 sistemica fetale (circa 25 mm Hg) insieme con la produzione locale di prostaglandine mantiene pervio il dotto arterioso fetale. A causa delle elevate resistenze polmonari, il sangue proveniente dal ventricolo destro scorre da destra a sinistra, dall’arteria polmonare attraverso il dotto arterioso nell’aorta. Un altro shunt destro-sinistro si verifica attraverso il forame ovale pervio. Nel feto la pressione atriale sinistra è bassa a causa del ridotto ritorno ematico polmonare, mentre la pressione atriale destra è relativamente alta per il notevole ritorno ematico dalla placenta. La differenza di pressione esistente fra i due atri mantiene pervio il forame ovale e permette al sangue di passare dall’atrio destro al sinistro. Dopo i primi atti respiratori, che determinano l’aumento del flusso ematico polmonare e la chiusura del forame ovale, si verifica una profonda modificazione a livello della circolazione. Le resistenze arteriolari polmonari cadono improvvisamente come risultato della vasodilatazione derivante dall’espansione polmonare, dall’aumentata PaO2 e dalla ridotta PaCO2. Inoltre l’introduzione di aria determina, a livello alveolare, un’interfaccia aria-liquido che favorisce il collasso alveolare (v. sopra); queste forze sono contrastate dalle forze elastiche delle costole e della parete toracica. Di conseguenza, cade la pressione interstiziale polmonare, determinando un ulteriore aumento del flusso ematico attraverso i capillari polmonari. Quando il flusso ematico polmonare si stabilizza, il ritorno venoso polmonare aumenta e la pressione in atrio sinistro si innalza. L’introduzione d’aria fa aumentare la PaO2, determinando la costrizione delle arterie ombelicali. Il flusso ematico placentare si riduce o cessa del tutto e si riduce il ritorno ematico all’atrio destro. In questo modo, la pressione atriale destra diminuisce mentre la pressione atriale sinistra aumenta; il risultato è la chiusura del forame ovale. Subito dopo la nascita le resistenze sistemiche superano quelle polmonari e si ha un’inversione dalla situazione fetale. Quindi, la direzione del flusso ematico attraverso il dotto arterioso pervio si inverte, creando uno shunt ematico sinistrodestro (denominato circolazione di transizione). Questa situazione persiste da subito dopo la nascita (quando aumenta il flusso ematico polmonare e si verifica la chiusura funzionale del forame ovale) fino a circa 24 h di vita, quando si ha la chiusura del dotto arterioso. Il sangue proveniente dall’aorta che entra nel dotto arterioso e nei suoi vasa vasorum ha un’alta PO2 che, insieme alle variazioni nel metabolismo delle prostaglandine, determina una vasocostrizione e la chiusura file:///F|/sito/merck/sez19/2562227.html (2 of 7)02/09/2004 2.05.36

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del dotto arterioso. Al momento della chiusura del dotto arterioso si instaura la circolazione di tipo adulto. I due ventricoli adesso pompano in serie e non esistono shunt maggiori tra le circolazioni polmonare e sistemica. Durante i primi giorni di vita, in caso di distress neonatale, si può avere il ritorno a una circolazione di tipo fetale. L’asfissia, con ipossia e ipercapnia, causa la vasocostrizione delle arteriole polmonari e la dilatazione del dotto arterioso, con inversione dei processi sopra descritti e con la realizzazione di uno shunt destrosinistro attraverso il dotto arterioso nuovamente pervio e/o il forame ovale riaperto. Di conseguenza, il neonato presenta una grave ipossiemia, condizione, questa, denominata ipertensione polmonare persistente o circolazione fetale persistente (naturalmente non c’è la circolazione placentare). Il trattamento si propone di rimuovere le condizioni che determinano la vasocostrizione polmonare.

Escrezione della bilirubina Questo processo inizia durante la vita fetale. Le emazie vecchie o danneggiate vengono rimosse dal circolo tramite le cellule reticoloendoteliali, che, in seguito, convertono l’eme in bilirubina (1 g di Hb produce 34 mg di bilirubina). Questa bilirubina non coniugata, che è legata all’albumina sierica, viene quindi trasportata mediante la circolazione al fegato. Gli epatociti fetali, contenenti proteine leganti, captano dal sangue la bilirubina libera nei sinusoidi epatici. In seguito l’enzima glicuronil-transferasi coniuga la bilirubina con l’acido uridindifosfoglicuronico (UDPGA), formando bilirubina diglicuronide (bilirubina coniugata) che è secreta attivamente nei canalicoli biliari. La bilirubina diglicuronide raggiunge il meconio nel tratto GI, ma non può essere eliminata dall’organismo, perché il feto normalmente non elimina le feci. L’enzima βglicuronidasi, presente nell’orletto a spazzola della mucosa dell’intestino tenue fetale, viene rilasciato nel lume intestinale, dove rimuove il legame bilirubinaglicuronide; la bilirubina libera (non coniugata) viene poi riassorbita a livello intestinale e rientra nella circolazione fetale. La bilirubina fetale viene allontanata dal circolo mediante il passaggio transplacentare nel plasma materno secondo gradiente di concentrazione. Il fegato materno poi coniuga ed elimina la bilirubina fetale. Alla nascita viene a mancare la placenta per cui il fegato del neonato deve efficacemente captare, coniugare e secernere la bilirubina nella bile, in modo che possa essere eliminata con le feci. Tuttavia, nel neonato mancano i batteri intestinali in grado di ossidare nell’intestino la bilirubina in urobilinogeno; di conseguenza, la bilirubina, escreta come tale nelle feci, conferisce loro un caratteristico colore giallo vivo. L’apparato GI del neonato (come quello fetale) contiene β-glicuronidasi che deconiuga parte della bilirubina, che può così essere riassorbita e ritornare in circolo dal lume intestinale come bilirubina non coniugata (circolo enteroepatico della bilirubina), contribuendo alla determinazione dell’iperbilirubinemia fisiologica e dell’ittero fisiologico (v. anche Cap. 260). L’alimentazione produce il riflesso gastro-colico e la bilirubina viene dunque eliminata con le feci prima che la gran parte di essa venga deconiugata e riassorbita.

Emoglobina fetale A causa dell’elevata affinità dell’Hb fetale per l’O2, viene mantenuto attraverso la placenta un elevato gradiente di concentrazione dell’O2, determinando un abbondante passaggio di O2 dalla circolazione materna a quella fetale. Questa aumentata affinità per l’O2 è meno utile dopo la nascita, poiché l’Hb fetale rilascia meno facilmente O2 ai tessuti; ciò può essere molto dannoso se coesiste una grave affezione respiratoria o cardiaca. Il passaggio dall’Hb fetale a quella adulta inizia prima della nascita.

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Il brusco aumento della PaO2, da circa 25-30 mm Hg nel feto a 90-95 mm Hg nel neonato normale, determina una caduta dei livelli sierici di eritropoietina, che spiega la ridotta produzione di GR che si verifica normalmente alla nascita e persiste per 6-8 sett. Questa ridotta attività del midollo osseo determina un’anemia fisiologica, soprattutto nei neonati prematuri in cui la massa corporea e il volume ematico sono in rapido aumento. Tuttavia, la diminuzione dell’Hb induce, alla fine, una ridotta tensione di O2 tissutale e quindi un’aumentata increzione di eritropoietina, che stimola il midollo osseo a produrre nuovi GR. L’eritropoietina può rivelarsi efficace nel trattamento dell’anemia del prematuro (da non confondere con l’anemia da carenza di ferro, che di solito non si verifica prima dei 4-6 mesi di vita).

Situazione immunologica del feto Alla nascita la maggior parte dei meccanismi immunitari presenta una funzionalità direttamente proporzionale all’età gestazionale, ma anche nel nato a termine, essa è minore rispetto agli adulti. Ne deriva che, il neonato e il lattante (specialmente nel periodo di età compreso fra 3 e 12 mesi) presentano una immunodeficienza transitoria significativa, che coinvolge tutte le componenti del sistema immunitario, esponendo il neonato al rischio di gravi infezioni. Tale rischio può essere incrementato dalla prematurità, da un parto distocico, dalla presenza di malattie materne, da sofferenza neonatale e da farmaci (p. es., immunosoppressori e anticonvulsivanti). La ridotta risposta infiammatoria del neonato contribuisce all’aumento della suscettibilità alle infezioni e può spiegare la mancanza di segni clinici di localizzazione (p. es., febbre o meningismo), diversamente da ciò che succede nei bambini più grandi durante un processo infettivo. (Le vaccinazioni vengono trattate più avanti in Vaccinazioni nell’infanzia.)

LA FAGOCITOSI Nel feto, le cellule deputate alla fagocitosi, già presenti nello stadio di sviluppo del sacco vitellino, sono importanti per la risposta infiammatoria nei confronti di infezioni batteriche e micotiche. I granulociti e i monociti compaiono rispettivamente durante il 2o e 4o mese di gestazione. La loro attività funzionale aumenta con l’aumentare dell’età gestazionale, ma è ancora bassa nel nato a termine. Il monocita circolante è il precursore del macrofago fisso tissutale, che è in grado di effettuare la fagocitosi in utero e ha una bassa o normale attività microbicida nel nato a termine. I macrofagi degli alveoli polmonari raggiungono la loro sede al momento della nascita e aiutano a liberare gli alveoli dai detriti del liquido amniotico e dai microrganismi. Questi e altri macrofagi tissutali, come quelli della milza, hanno una ridotta attività fagocitica. Alla nascita, l’ultrastruttura dei neutrofili è normale, ma sono ridotte la deformabilità di membrana e l’adesività, il che può condizionare funzioni cellulari quali la chemiotassi e la fagocitosi. L’attività fagocitica e microbicida dei neutrofili e dei monociti è di solito normale nel neonato sano dopo 12 h di vita; è ridotta, invece, nel neonato di basso peso alla nascita o nel nato a termine asfittico. Nella maggior parte dei neonati, la chemiotassi dei neutrofili e dei monociti è ridotta a causa di un’anomalia intrinseca della locomozione cellulare e dell’adesività alle superfici. Quest’ultima può essere attribuita all’incapacità di aumentare l’espressione di superficie delle glicoproteine di adesione e alla riduzione della fibronectina. Il siero neonatale possiede inoltre una ridotta capacità di produrre fattori chemiotattici (sostanze che attraggono i fagociti nei luoghi di invasione microbica). La ridotta chemiotassi dei monociti neonatali può contribuire all’instaurarsi dell’anergia cutanea, tipica del neonato. La chemiotassi raggiunge i livelli dell’adulto dopo diversi anni dalla nascita.

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L’opsonizzazione è necessaria per un’efficiente fagocitosi di molti microrganismi. I fattori opsonizzanti del siero comprendono gli anticorpi di classe IgG e IgM (termostabili) e il complemento (termolabile). A differenza delle IgG, le IgM e le frazioni del complemento non attraversano la placenta. Le IgM opsonizzano i batteri gram - più efficacemente di quanto non facciano le IgG, ma, per un’attività opsonizzante sierica ottimale, è necessario il complemento. La sintesi dei fattori del complemento inizia fin dalle 5 sett. di gestazione, ma i livelli della maggior parte dei componenti della via classica e della via alternativa raggiunge, entro il termine della gestazione, solamente il 50-75% dei livelli dell’adulto. I leucociti del neonato hanno recettori Fc e C3 normali per entrambi i gruppi di opsonine, ma i recettori C3 subiscono lentamente, dopo stimolazione, un aumento di espressione sulla superficie cellulare. L’attività opsonizzante del siero varia con l’età gestazionale, essendo ridotta nei lattanti di basso peso alla nascita nei confronti di tutti i microrganismi testati e nei neonati a termine è solitamente ridotta nei confronti di alcuni germi, in particolare i batteri gram -. La diminuita attività opsonizzante sierica è responsabile, almeno in parte, della ridotta efficienza alla nascita del sistema reticoloendoteliale.

IMMUNITÀ CELLULARE (CELLULE T) Alla 6a sett. circa di gestazione, il timo inizia a svilupparsi dall’epitelio della 3a e 4a tasca faringea. A 8 sett., il timo si sviluppa rapidamente; entro le 12 sett., si sono sviluppate le aree corticale e midollare. Entro le 14 sett., sono presenti nel timo le maggiori sottoclassi timocitiche (timociti a tripla marcatura: CD3-, CD4-, CD8-; timociti a doppia marcatura: CD4+, CD8+; timociti a marcatura singola: CD4 + o CD8+). Già a 14 sett., sono presenti nel fegato e nella milza fetali cellule T CD4+ e CD8+, il che indica che, a questa età gestazionale, sono presenti negli organi linfatici periferici cellule T mature. Il timo è particolarmente attivo durante lo sviluppo fetale e nel primo periodo di vita postnatale. Esso cresce rapidamente in utero e si può facilmente evidenziare, nel neonato normale, in una radiografia del torace; raggiunge le massime dimensioni a 10 anni di vita e regredisce poi, gradualmente, nel corso di molti anni. Si ritiene che il timo, durante il periodo fetale e quello perinatale, sia il mediatore della tolleranza verso gli antigeni "self" e che sia essenziale per lo sviluppo e la maturazione del tessuto linfoide periferico. Gli elementi epiteliali del timo producono sostanze, come le citochine, che sono importanti per la differenziazione e la maturazione delle cellule T. Il numero di cellule T nella circolazione fetale aumenta gradualmente durante il secondo trimestre di gestazione e raggiunge valori quasi normali entro le 30-32 sett. di gestazione. Alla nascita, il neonato, rispetto all’adulto, presenta una linfocitosi relativa, con un aumentato rapporto CD4+/CD8+, che riflette una percentuale di cellule T CD8+ relativamente bassa. Dopo la nascita, nel compartimento T-cellulare periferico avvengono variazioni nelle sottoclassi linfocitiche. Tuttavia, a differenza di quanto accade negli adulti, il compartimento T-cellulare del neonato contiene soprattutto cellule T CD4+ immature, che esprimono il CD45RA e bassi livelli di CD29. Invece, i linfociti del sangue periferico dell’adulto sono soprattutto cellule T CD4+ di memoria che esprimono il CD45RO e livelli relativamente elevati di CD29. Il significato di tale differenza nei marker di membrana delle cellule T può essere correlato alle differenze nella capacità di rispondere ad antigeni e di produrre citochine delle diverse sottopopolazioni T-cellulari. Per esempio, le cellule T neonatali sono di scarso aiuto per le cellule B nella sintesi delle immunoglobuline. Mentre sembra essere adeguata la secrezione di interleuchina (IL)-2 da parte delle cellule T neonatali, la produzione di molte altre citochine, come, interferone-γ, IL-4, IL-5 e IL-3 è deficitaria, se comparata a quella delle cellule T dell’adulto in risposta a vari stimoli. Alla nascita, l’attività citotossica, includendo la natural-killer, quella anticorpodipendente e quella delle cellule T killer è considerevolmente ridotta rispetto a quella dei linfociti degli adulti. Inoltre, l’attività delle cellule T suppressor è notevolmente aumentata, a seconda dello stimolo, il che può essere messo in file:///F|/sito/merck/sez19/2562227.html (5 of 7)02/09/2004 2.05.36

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relazione al fenotipo poco elaborato delle cellule T CD4+ del neonato. Il risultato finale è una parziale immunodeficienza T-cellulare che può determinare un’aumentata suscettibilità alle infezioni e, in rare circostanze, l’attecchimento di linfociti materni o trasfusi. Numerosi fattori, come infezioni virali, iperbilirubinemia e assunzione materna di farmaci verso la fine della gravidanza, possono deprimere la funzionalità dei linfociti T del neonato. Le risposte ai test cutanei che valutano l’ipersensibilità ritardata, sono ridotte fino a circa 1 anno di vita. La persistenza di linfociti materni e la malattia del trapianto contro l’ospite sono rare nei nati a termine e ciò indica che la funzionalità Tcellulare è adeguata nei neonati a termine.

IMMUNITÀ ANTICORPALE I linfociti B sono presenti nel midollo osseo, nel sangue, nel fegato e nella milza del feto entro la 12a sett. di gestazione. Tracce di IgM e IgG sono sintetizzate entro la 20a sett. e tracce di IgA entro la 30a sett. Tuttavia, poiché il feto normalmente si trova in un ambiente privo di antigeni, vengono prodotte in utero soltanto piccole quantità di immunoglobuline (specialmente IgM). Livelli elevati di IgM nel sangue cordonale (> 20 mg/dl) indicano un’esposizione in utero ad antigeni, di solito per una infezione congenita. Quasi tutte le IgG sono di derivazione materna, per passaggio transplacentare. Dopo 22 settimane di gestazione, il passaggio transplacentare di IgG aumenta per raggiungere, al termine della gestazione, i valori materni o valori maggiori. Le IgG2 passano attraverso la placenta in minor quantità rispetto alle altre sottoclassi di IgG (IgG1 > IgG3 > IgG4 > IgG2). Nei prematuri i livelli di IgG alla nascita sono ridotti proporzionalmente all’età gestazionale. Dopo la nascita, il catabolismo delle IgG di origine materna, che hanno un’emivita di circa 25 giorni, determina, nel periodo di vita tra i 2 e i 6 mesi, una ipogammaglobulinemia fisiologica, che inizia a migliorare dopo il 6o mese, quando il tasso di IgG prodotte dal bambino supera la quota di anticorpi di derivazione materna distrutti. Il prematuro, in particolare, può diventare profondamente ipogammaglobulinemico durante i primi 6 mesi di vita. Entro 1 anno di vita i livelli di IgG sono circa il 70% dei livelli medi dell’adulto. Le IgA, IgM, IgD e IgE non attraversano la placenta. I loro livelli aumentano lentamente; da valori molto bassi raggiungono circa il 30% di quelli dell’adulto entro 1 anno di vita. Le immunoglobuline raggiungono i livelli dell’adulto approssimativamente come segue: a 1 anno le IgM, a 8 anni le IgG e a 11 anni le IgA. Le IgA secretorie sono scarse o assenti nelle secrezioni salivari e gastrointestinali del neonato a termine fino a circa 1 mese dopo la nascita. Il neonato presenta una risposta anticorpale insufficiente nei confronti di molti antigeni, inclusi quelli vaccinali. Le risposte anticorpali agli antigeni polisaccaridici come quelli dell’Haemophilus e dello pneumococco sono ridotte nei primi 2 anni di vita, a meno che non siano coniugate all’anatossina difterica. Quando si verifica una risposta nei confronti di questi batteri, durante un’infezione, di solito è caratterizzata da una risposta prolungata di tipo IgM e ridotta di tipo IgG. I nati a termine sono protetti, grazie agli anticorpi materni acquisiti passivamente, nei confronti della maggior parte dei potenziali patogeni. I neonati di peso molto basso alla nascita non sono così protetti poiché le più basse quantità di anticorpi materni scompaiono entro 2-4 mesi di vita. Tuttavia, nei prematuri si può avere una risposta ai vaccini, p. es., difterite-pertosse-tetano e polio, sebbene non efficace come nei neonati a termine. Il trasferimento passivo dell’immunità materna, tramite anticorpi di tipo IgG transplacentari e fattori immunitari contenuti nel latte materno, aiuta a compensare l’immaturità del sistema immunitario del neonato e determina una immunocompetenza nei confronti di molte infezioni batteriche gravi (p. es., da pneumococco, Haemophilus, meningococco) e virali (p. es., morbillo, varicella). D’altra parte, le IgG acquisite passivamente possono, a volte, inibire la risposta del neonato nei confronti della vaccinazione contro virus come il morbillo o la rosolia. Il latte materno contiene molti fattori antibatterici (p. es., IgG, IgA

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secretorie, GB, frazioni del complemento, lisozima e lattoferrina) che vanno a rivestire il tubo digerente e le vie respiratorie superiori, prevenendo la colonizzazione delle mucose da parte di germi patogeni per il tratto respiratorio o enterico. L’allattamento al seno è particolarmente importante nei casi in cui l’acqua può essere inquinata. Nonostante l’uso di antibiotici e i tentativi fatti per potenziare l’immaturo sistema immunitario del neonato, la morbilità e la mortalità legate alle infezioni neonatali rimangono significative. Studi recenti hanno suggerito il possibile impiego di gammaglobuline immuni o iperimmuni nel trattamento di alcune infezioni neonatali (p. es., infezioni da streptococco di gruppo B e da virus respiratorio sinciziale). Sebbene i dati sulla loro efficacia siano controversi, trasfusioni di leucociti a dosi adeguate possono essere utili nel trattamento della sepsi neonatale. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire le indicazioni all’utilizzo di tali trasfusioni.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA Le patologie respiratorie descritte più avanti rappresentano comunemente una minaccia per la vita e richiedono cure intensive e speciali procedure. Per questo motivo, la ventilazione meccanica, l’ossigenazione extracorporea e la paralisi muscolare vengono trattate per prime, seguite dalla trattazione delle specifiche patologie respiratorie.

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Malattie sistemiche da funghi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 158. MALATTIE SISTEMICHE DA FUNGHI (Micosi sistemiche)

Sommario: Introduzione Principi diagnostici generali Principi generali di terapia

In questo capitolo vengono trattate le principali micosi sistemiche. Le dermatofitosi e le altre infezioni cutanee vengono trattate nel Cap. 113; le malattie polmonari provocate da ipersensibilità ai funghi sono trattate nel Cap. 76 e quelle con interessamento pleurico nel Cap. 80; le malattie fungine che interessano il sistema GU sono trattate nel Cap. 227.

Principi diagnostici generali Molti dei funghi responsabili sono opportunisti e risultano patogeni soltanto se infettano un soggetto defedato (v. anche Cap. 151). Le infezioni da funghi opportunisti sono particolarmente frequenti in pazienti sottoposti a terapie con corticosteroidi, con immunosoppressivi o con antimetaboliti: tali infezioni tendono anche a presentarsi in pazienti con AIDS, insufficienza renale, diabete mellito, bronchiettasie, enfisema, TBC, linfomi, leucemie e ustioni. Tipiche infezioni opportunistiche sono: candidiasi, aspergillosi, mucormicosi (ficomicosi), nocardiosi e criptococcosi. (La nocardiosi è trattata nel Cap. 157.) Nei pazienti immunocompetenti le micosi disseminate con polmonite e setticemia sono rare. In tali pazienti le lesioni polmonari si possono sviluppare lentamente. Le micosi sistemiche che colpiscono soggetti gravemente immunocompromessi hanno spesso una presentazione acuta o subacuta, con polmonite rapidamente progressiva, fungemia o manifestazioni di disseminazione extrapolmonare. Le malattie fungine che si presentano come infezioni primarie possono avere una distribuzione geografica particolare. Per esempio negli USA la coccidioidomicosi è praticamente confinata nel Sud-Ovest; l’istoplasmosi si verifica soprattutto negli stati orientali e centro-occidentali; la blastomicosi è limitata al Nord America e all’Africa; mentre la paracoccidioidomicosi, a volte denominata blastomicosi del Sud America, è confinata a tale continente. I viaggiatori, tuttavia, possono manifestare la malattia qualche tempo dopo essere divenuti infetti e dopo il ritorno a casa da viaggi nelle aree endemiche. Nei soggetti immunocompetenti le micosi sistemiche hanno tipicamente un decorso cronico. Possono trascorrere mesi o addirittura anni prima che venga consultato un medico o che venga effettuata la diagnosi. I sintomi, raramente intensi, in tali micosi croniche, possono essere febbre, brivido, sudori notturni, anoressia, perdita di peso, malessere generale e depressione. Quando un fungo si diffonde a partire da un focolaio primario nel polmone, le manifestazioni possono essere caratteristiche. Per esempio la criptococcosi si manifesta abitualmente come meningite cronica, l’istoplasmosi progressiva disseminata come un interessamento generalizzato del sistema

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Malattie sistemiche da funghi

reticoloendoteliale (fegato, milza, midollo) e la blastomicosi come lesione cutanea singola o multipla. Test immunosierologici sono disponibili per molte micosi sistemiche, ma pochi permettono di giungere a una diagnosi definitiva. Tra i test più utili vi sono quelli che misurano i prodotti antigenici specifici dei microrganismi, in particolare quello per il Cryptococcus neoformans e, più recentemente, per l’Histoplasma capsulatum. Alcuni test, quali la fissazione del complemento per anticorpi anticoccidio, sono specifici e non richiedono una conferma con l’incremento del titolo: essi possono pertanto fornire la conferma diagnostica così come un’indicazione sul rischio relativo di disseminazione extrapolmonare. Nella meningite cronica la positività della fissazione del complemento per gli anticorpi anti-coccidio nel LCR rappresenta spesso l’unica indicazione diagnostica sulla necessità di effettuare una terapia antimicotica aggressiva. La maggior parte dei test di determinazione degli anticorpi antifungini è tuttavia di limitata utilità. Molti possiedono una bassa sensibilità e/o specificità e, poiché la determinazione di titoli anticorpali elevati o di un loro incremento richiede molto tempo, non sono utili nell’indirizzare la terapia iniziale. Le diagnosi vengono abitualmente confermate mediante l’isolamento del fungo responsabile dall’espettorato, dalle urine, dal sangue, dal midollo osseo o da campioni provenienti dal tessuto infetto. Il significato clinico di un esame colturale positivo dall’espettorato può essere difficile da interpretare per i microrganismi commensali (p. es., Candida albicans) o per quelli che sono diffusi nell’ambiente (p. es., Aspergillus sp). Pertanto il ruolo eziologico può essere stabilito con certezza solo dalla conferma di un’invasione tissutale. Al contrario delle malattie virali e batteriche, le infezioni fungine possono spesso essere diagnosticate mediante esame istopatologico, con un alto grado di attendibilità sulla base delle caratteristiche morfologiche peculiari dell’invasione micotica piuttosto che sulla base dell’identificazione di anticorpi specifici. Tuttavia, l’identificazione definitiva può essere difficile, soprattutto quando sono visibili pochi microrganismi; pertanto la diagnosi istopatologica quando possibile deve essere confermata dall’esame colturale. La valutazione dell’attività dell’infezione si basa sulle colture ottenute da molti siti differenti, sulla presenza di febbre, sulla conta dei leucociti, sui dati clinici, sui parametri di laboratorio correlati a uno specifico coinvolgimento d’organo (p. es., test di funzionalità epatica) e, in alcune micosi, sui test immunosierologici.

Principi generali di terapia I farmaci per la terapia antimicotica sistemica comprendono l’amfotericina B, differenti derivati azolici e la flucitosina. In aggiunta alla chemioterapia antimicotica e alla terapia medica generica, per eliminare alcune infezioni localizzate può essere necessaria la chirurgia. I farmaci di scelta per le specifiche infezioni micotiche sistemiche sono riportati nella Tab. 158-1. Amfotericina B: nonostante la sua elevata tossicità, l’amfotericina B rimane la terapia standard per la maggior parte delle micosi sistemiche potenzialmente letali. Per le micosi croniche la terapia viene generalmente iniziata con 0,3 mg EV, con un graduale incremento giornaliero 0,1 mg/kg finquando non sia raggiunta la dose massima desiderata (abitualmente da 0,4 a 1,0 mg/kg in unica somministrazione, ma di solito senza superare i 50 mg/die). Se i pazienti tollerano gli effetti tossici acuti delle infusioni più concentrate, la dose EV quotidiana può essere gradualmente modificata in una schedula più conveniente a giorni alterni utilizzando il doppio della dose massima giornaliera. Trattamenti prolungati possono anche essere modificati in modo da diminuirne la frequenza e utilizzando schedule di somministrazione più convenienti (p. es., 3 volte a settimana). Per le micosi acute potenzialmente letali, l’amfotericina B, se tollerata, viene iniziata utilizzando la dose massima richiesta (0,6-1,0 mg/kg/die). Per alcune micosi opportunistiche rapidamente progressive (p. es., aspergillosi invasiva) a volte sono state utilizzate dosi picco fino a 1,5 mg/kg/die, generalmente suddivise in due o tre infusioni EV separate.

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La formulazione standard di amfotericina B colloidale deossicolato, deve sempre essere somministrata in soluzione glucosata al 5%, in quanto i sali (compresa la soluzione fisiologica e il KCl) possono far precipitare il farmaco. Viene generalmente somministrata in 2-3 ore, anche se infusioni più rapide comprese tra 20 e 60 minuti nella maggior parte dei pazienti risultano sicure. Le reazioni sono solitamente lievi, ma alcuni pazienti possono presentare brivido, febbre, nausea, vomito, anoressia, cefalea e a volte ipotensione. Viene spesso utilizzata una premedicazione con acetaminofene o aspirina. La minoranza dei pazienti che sviluppa febbre elevata, nausea, vomito o ipotensione possono ottenere un vantaggio dalla somministrazione EV di 25-50 mg di idrocortisone; questo può quindi essere aggiunto alle successive infusioni EV per prevenire o ridurre le reazioni. In molti casi di trattamento prolungato l’idrocortisone può essere ridotto e quindi sospeso. Tremori e brividi intensi possono essere alleviati o prevenuti dalla meperidina, 50-75 mg EV. Può anche verificarsi una tromboflebite chimica. La somministrazione intratecale di amfotericina B viene talora utilizzata nel trattamento della meningite cronica, in genere attraverso iniezione diretta intracisternale o mediante un serbatoio sottocutaneo del tipo Ommaya connesso a un catetere intraventricolare. Possono verificarsi cefalea, nausea e vomito, ma questi possono essere ridotti aggiungendo desametasone ad ogni somministrazione intratecale. Talvolta vengono utilizzate somministrazioni intratecali lombari a causa della penetrazione irregolare nelle aree cerebrali coinvolte e degli effetti infiammatori locali potenzialmente gravi che possono portare ad aracnoidite adesiva. Al momento dell’infusione in una siringa contenente l’amfotericina B diluita in soluzione glucosata al 5% alla concentrazione di 0,2 mg/ml vengono prelevati 10 ml o più di LCR. Dosi di 0,050,5 mg vengono quindi iniettate lentamente, in 2 min o più. Molto spesso, se tollerate, le dosi vengono gradualmente incrementate al massimo fino a uno schema di 0,5 mg 3 volte a settimana. Il principale rischio di tossicità della terapia con amfotericina B è la compromissione della funzione renale. Prima e durante il trattamento devono essere attentamente monitorizzate la creatinina sierica e l’azotemia. L’amfotericina B è l’unico tra i farmaci antimicrobici nefrotossici a non essere eliminato in maniera significativa attraverso il rene. Con il peggioramento della funzionalità renale l’amfotericina B non si accumula in dosi crescenti; pertanto, in presenza di anomalie moderate della funzione renale, la dose non deve essere ridotta. Tuttavia, nei pazienti che iniziano la terapia con una normale funzionalità renale, la dose di amfotericina B deve essere ridotta quando la creatinina sierica aumenta oltre 3,0-3,5 mg/dl (265-309 µmol/l) o l’azotemia oltre 50 mg/dl (18 mmol Urea/l). La nefrotossicità acuta può essere ridotta mediante un’idratazione endovena con soluzione fisiologica prima dell’infusione dell’amfotericina B. Le alterazioni lievi o moderate della funzionalità renale indotte dall’amfotericina B in genere si risolvono gradualmente dopo il termine del trattamento. Un danno permanente si verifica principalmente in quei pazienti che vengono sottoposti a terapie prolungate nel tempo (per es., il 75% di quelli che ricevono una dose totale di amfotericina B > 4 g sviluppa un deficit irreversibile della funzionalità renale). In ogni paziente nel quale la funzionalità renale risulti gravemente compromessa prima o durante la terapia con amfotericina B, la decisione definitiva sul dosaggio dell’amfotericina B EV deve tener conto, rispetto al rischio di insufficienza renale, della gravità della micosi sistemica e della potenziale efficacia di farmaci antimicotici alternativi. Accanto alla tossicità renale l’amfotericina B determina spesso una soppressione della funzione del midollo osseo che si manifesta principalmente come anemia. L’epatotossicità o altri effetti collaterali sono poco frequenti. Recentemente sono stati valutati numerosi veicoli lipidici allo scopo di ridurre le manifestazioni tossiche dell’amfotericina B pur mantenendone l’efficacia terapeutica. Anche se tali preparazioni differiscono nella composizione, nella tossicità acuta e nell’eliminazione sierica, esse concentrano la deposizione di amfotericina B nel fegato, nella milza e nei polmoni e determinano una minor tossicità rispetto alla tradizionale amfotericina B deossicolato. Con le preparazioni lipidiche possono quindi essere somministrate con sicurezza più alte dosi di farmaco. In Europa sono disponibili tre preparazioni ma solo una è stata autorizzata negli USA. Quest’ultima, complesso lipidico di amfotericina B, ha un utilizzo limitato solo all’aspergillosi invasiva che non risponda all’amfotericina B colloidale o non possa essere trattata in maniera sicura con adeguate dosi della file:///F|/sito/merck/sez13/1581303.html (3 of 5)02/09/2004 2.05.37

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preparazione standard per un’alterazione della funzionalità renale. In pazienti con differenti tipi di micosi sono in corso studi clinici per definire la sicurezza relativa e l’efficacia di queste preparazioni di complessi lipidici così come della dispersione colloidale dell’amfotericina B, della preparazione liposomiale di amfotericina B e della nistatina incapsulata in liposomi (altro antimicotico polienico correlato all’amfotericina B). Alcuni medici hanno addirittura utilizzato misture di amfotericina B con Intralipid, ma queste sembrano meno efficaci. Le preparazioni non sono state standardizzate, pertanto possono variare e la nefrotossicità non è stata sensibilmente o consistentemente ridotta. Azoli antifungini: questi farmaci non sono nefrotossici e possono essere somministrati per via orale. Essi rendono possibile la terapia delle micosi croniche in un regime ambulatoriale più semplice. Il primo di questi farmaci orali, il ketoconazolo, è stato superato dai più recenti, più efficaci e meno tossici derivati triazolici quali il fluconazolo e l’itraconazolo. Il fluconazolo è idrosolubile e dopo somministrazione orale viene assorbito quasi completamente. Viene principalmente eliminato immodificato nelle urine e possiede un’emivita > 24 h, elemento che ne permette l’uso in unica somministrazione quotidiana. È dotato di un’elevata penetrazione nel LCR ( 70% dei livelli sierici) ed è diventato utile soprattutto nel trattamento della meningite criptococcica e da coccidioide (v. oltre). Esso inoltre offre un’efficace alternativa meno tossica rispetto all’amfotericina B nel trattamento della candidemia nei pazienti non neutropenici. Anche se originariamente è stato approvato per il trattamento delle micosi sistemiche al dosaggio di 200-400 mg al giorno, per alcuni pazienti gravemente malati da alcuni tipi di micosi possono essere necessarie dosi più elevate, quali 800 mg/die (v. oltre) e in alcuni trial limitati sono state utilizzate persino dosi quotidiane 1000 mg senza un’apparente eccessiva tossicità. La Candida cruzii è tipicamente fluconazolo-resistente, mentre la Candida (Torulopsis) glabrata è generalmente meno sensibile rispetto alla C. albicans. Recentemente stanno aumentando in maniera progressiva altri tipi di Candida sp fluconazolo-resistenti, anche in relazione al ripetuto e diffuso utilizzo del farmaco per il trattamento e la prevenzione della candidosi e di altre micosi. Finora la maggior parte degli isolati resistenti di Candida sembra comunque sensibile all’itraconazolo anche se alcuni non lo sono. Di particolare interesse sono le segnalazioni di Candida fluconazolo-resistente in pazienti senza AIDS e mai sottoposti in precendenza a terapia con azoli. Per evitare l’utilizzo indiscriminato del fluconazolo è fortemente raccomandata una limitazione, almeno finquando non si dimostrino inefficaci altre terapie per le candidosi mucocutanee. Malessere GI e rash cutaneo sono i più comuni effetti collaterali. Una tossicità più grave è rara, ma l’uso del fluconazolo è stato associato a necrosi epatica, alla sindrome di Stevens-Johnson, ad anafilassi, ad alopecia e ad anomalie congenite successive all’uso del farmaco oltre il primo trimestre di gravidanza. Le interazioni con altri farmaci si verificano meno frequentemente con il fluconazolo che con il ketoconazolo o l’itraconazolo. Tuttavia il fluconazolo talora determina un incremento dei livelli sierici di ciclosporina, rifabutina, fenitoina, anticoagulanti orali tipo warfarin, farmaci alla sulfonilurea quali la tolbutamide o zidovudina. La rifampicina può ridurre i livelli ematici di fluconazolo. L’itraconazolo è diventato il trattamento standard della sporotricosi linfocutanea così come dell’istoplasmosi lieve o moderatamente grave, della blastomicosi e della paracoccidioidomicosi. Inoltre si è dimostrato efficace in casi lievi di aspergillosi invasiva, in alcuni casi di coccidioidomicosi e in alcuni tipi di cromomicosi. Per l’elevata solubilità nei lipidi e legame proteico, i livelli ematici di itraconazolo tendono a essere bassi ma i livelli tissutali sono generalmente elevati. I livelli del farmaco nelle urine o nel LCR sono trascurabili. L’itraconazolo, nonostante non sia il farmaco di scelta, è stato utilizzato con successo per risolvere alcuni tipi di meningite micotica. L’itraconazolo, come il ketoconazolo, per l’assorbimento richiede un pH acido, pertanto i livelli ematici dopo somministrazione orale possono variare. Le bevande acide (p. es., coca-cola, succhi di frutta acidi) o il cibo possono migliorarne l’assorbimento. Tuttavia l’assorbimento può essere ridotto quando

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l’itraconazolo viene assunto con qualunque prescrizione o farmaco utilizzato per ridurre l’acidità gastrica. Numerose sostanze possono ridurre le concentrazioni sieriche dell’itraconazolo, tra queste la rifampicina, la rifabutina, la didanosina, la fenitoina e la carbamazepina. Inoltre l’itraconazolo inibisce la degradazione metabolica di altri farmaci determinandone un incremento dei livelli ematici con conseguenze potenzialmente gravi. Aritmie cardiache gravi e talora fatali si possono verificare se l’itraconazolo viene utilizzato con la cisapride o con alcuni antiistaminici quali la terfenadina, l’astemizolo e forse la loratadina. Rabdomiolisi è stata associata con l’incremento dei livelli ematici di ciclosporina o di farmaci ipocolesterolemizzanti quali lovastatina o la simvastatina indotto dall’itraconazolo. Si può anche verificare un incremento dei livelli ematici di digossina, di tacrolimus, di anticoagulanti orali o di ipoglicemizzanti orali quando tali sostanze vengano utilizzate con l’itraconazolo. Con dosi superiori a 400 mg/die i principali effetti collaterali sono di tipo GI ma alcuni uomini hanno riportato impotenza mentre dosi più elevate possono determinare ipokaliemia, ipertensione ed edema. Altri effetti collaterali descritti comprendono rash allergico, epatite e allucinazioni. Flucitosina: la flucitosina, analogo di un acido nucleico, è idrosolubile e ben assorbita dopo somministrazione orale. Sono comuni resistenze al farmaco sia preesistenti sia emergenti, tanto che viene quasi sempre utilizzata insieme a un altro farmaco antifungino, generalmente l’amfotericina B. La flucitosina in combinazione con l’amfotericina B viene principalmente utilizzata per il trattamento della criptococcosi ma si è anche dimostrata utile in alcuni casi di candidosi disseminata, di altre infezioni micotiche e di gravi aspergillosi invasive. Occasionalmente la flucitosina da sola ha migliorato (ma probabilmente non completamente curato) alcuni casi di cromomicosi. La flucitosina in recenti trial è stata anche utilizzata in combinazione con antimicotici azolici. Quest’ultima combinazione ha fornito promettenti risultati preliminari nella criptococcosi e in alcuni casi di altre micosi ma rimane comunque sperimentale. La dose abituale (150 mg/kg/die PO in 4 dosi frazionate) fornisce elevati livelli di farmaco nel siero, nelle urine e nel LCR. Poiché la flucitosina viene principalmente eliminata dal rene, le concentrazioni ematiche, non appena si sviluppa nefrotossicità in corso di uso contemporaneo di amfotericina B, soprattutto quando quest’ultima viene utilizzata a dosi > 0,4 mg/kg/die, tendono a raggiungere livelli di tossicità. Si può anche verificare un’alterazione epatica reversibile. Le concentrazioni sieriche di flucitosina devono essere monitorizzate e il dosaggio corretto per mantenere concentrazioni sieriche entro un range di circa 40-60 µg/ml per ridurre il rischio di piastrinopenia e leucopenia. Le concentrazioni della flucitosina diventano spesso elevate durante le fasi precoci della nefrotossicità da amfotericina B, quando la creatinina clearance aumenta in maniera significativa senza un importante incremento dei livelli sierici di creatinina. Pertanto, soprattutto se non possono essere misurati in tempi rapidi i livelli ematici tempestivi, è prudente iniziare la terapia con la dosa più bassa (100 mg/kg/die) e quindi modificare le dosi verso il basso utilizzando il nomogramma accluso nella confezione in accordo con ogni ulteriore riduzione della funzionalità renale.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ Sommario: Introduzione La classificazione di Gell e Coombs

L’ipersensibilità si riferisce a processi patologici che derivano da interazioni immunologicamente specifiche tra antigeni (esogeni o endogeni) e anticorpi umorali o linfociti sensibilizzati. Questa definizione esclude le patologie per le quali la dimostrata presenza di anticorpi non riveste alcun significato fisiopatologico conosciuto (p. es. gli anticorpi contro il tessuto cardiaco che si riscontrano dopo interventi di cardiochirurgia o infarto del miocardio), anche se la loro presenza può avere valore diagnostico. Ogni classificazione dell’ipersensibilità sarà sempre una semplificazione. Alcune sono basate sul tempo necessario afinché i sintomi o la positività dei test cutanei facciano la loro comparsa dopo l’esposizione a un antigene (p. es. ipersensibilità immediata e ritardata), sul tipo di antigene coinvolto (p. es. reazioni da farmaci) o sulla natura del coinvolgimento d’organo. In aggiunta, le classificazioni non tengono in considerazione il fatto che possono avere luogo simultaneamente più tipi di risposta immunitaria o che più di un tipo di esse può essere necessario per produrre un danno immunologico.

La classificazione di Gell e Coombs Questa classificazione delle reazioni di ipersensibilità, che ne prevede quattro tipi, viene impiegata diffusamente nonostante le sue limitazioni, perché è tuttora la più soddisfacente. Le reazioni di tipo I sono reazioni in cui gli antigeni (allergeni) si combinano con anticorpi specifici della classe IgE che si trovano legati a recettori di membrana sulle mast-cellule tissutali e sui basofili ematici. La reazione antigene-anticorpo provoca il rapido rilascio di potenti mediatori vasoattivi e infiammatori, i quali possono essere preformati (p. es. istamina, triptasi) o sintetizzati de novo a partire dai lipidi di membrana (p. es. leucotrieni e prostaglandine). Nel volgere di alcune ore, le mast-cellule e i basofili rilasciano anche citochine proinfiammatorie (p. es. interleuchina 4 e interleuchina 13). Questi mediatori provocano vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, ipersecrezione ghiandolare, contrazione della muscolatura liscia e infiltrazione tissutale da parte di eosinofili e altre cellule infiammatorie. Le reazioni di tipo II sono reazioni citotossiche che avvengono quando un anticorpo reagisce con le componenti antigeniche di una cellula o di elementi tissutali, oppure con un antigene o un aptene che si trovi legato a una cellula o un tessuto. La reazione antigene-anticorpo può attivare alcune cellule citotossiche (cellule T killer o macrofagi) per dare luogo alla citotossicità cellulo-mediata anticorpodipendente. Essa comprende solitamente l’attivazione del complemento e può provocare l’adesione opsoninica mediante il rivestimento della cellula con l’anticorpo; la reazione procede con l’attivazione dei componenti del

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Disordini da ipersensibilità

complemento per mezzo del C3 (con conseguente fagocitosi della cellula) o con l’attivazione di tutto il sistema complementare con conseguente citolisi o danno tissutale. Le reazioni di tipo III sono reazioni da immunocomplessi (IC) dovute al deposito a livello dei vasi o dei tessuti di IC antigene-anticorpo solubili circolanti. Gli IC attivano il complemento e innescano così una sequenza di eventi che conduce alla migrazione di cellule polimorfonucleate e al rilascio di enzimi proteolitici lisosomiali e di fattori di permeabilità nei tessuti, producendo in questo modo una reazione infiammatoria acuta. Le conseguenze della formazione di IC dipendono in parte dalla proporzione relativa di antigene e di anticorpo nell’IC. In presenza di un eccesso di anticorpo, gli IC precipitano rapidamente nel punto in cui è localizzato l’antigene (p. es. all’interno delle articolazioni nell’AR) oppure vengono fagocitati dai macrofagi evitando così di produrre danno. In presenza di un lieve eccesso di antigene, gli IC tendono a essere più solubili e possono causare reazioni sistemiche in seguito alla deposizione in diversi tessuti. Le reazioni di tipo IV sono reazioni di ipersensibilità cellulare, cellulo-mediata, ritardata o di tipo tubercolinico prodotte da linfociti T sensibilizzati in seguito al contatto con un antigene specifico. Gli anticorpi circolanti non vi sono implicati, né sono necessari perché si sviluppi il danno tissutale. La trasmissione dell’ipersensibilità ritardata dagli individui sensibilizzati a quelli non sensibilizzati può avvenire attraverso i linfociti del sangue periferico, ma non attraverso il siero. I linfociti T sensibilizzati che sono stati innescati o attivati dal contatto con un antigene specifico possono provocare il danno immunologico mediante un effetto tossico diretto o attraverso la liberazione di sostanze solubili (linfochine). Nelle colture tissutali, dopo la sensibilizzazione i linfociti T attivati distruggono le cellule bersaglio per contatto diretto. Le citochine liberate dai linfociti T attivati comprendono diversi fattori che influenzano l’attività dei macrofagi, dei neutrofili e delle cellule killer linfoidi (v. Tab. 146-1).

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

I disordini compresi nell’ambito delle reazioni di ipersensibilità di tipo I sono le malattie atopiche (rinite allergica, congiuntivite allergica, dermatite atopica e asma allergico [estrinseco][v. Cap. 68]) e alcuni casi di orticaria e di reazioni GI ad alimenti e di anafilassi sistemica. L’incidenza dell’asma è aumentata in modo considerevole, nonostante le cause siano in gran parte sconosciute. Recentemente è stato osservato un notevole aumento delle reazioni di tipo I in relazione all’esposizione a proteine idrosolubili contenute nei prodotti in lattice (p. es. guanti di gomma, paradenti, preservativi, cannule per l’assistenza respiratoria, cateteri ed estremità di clisteri con cuffie in lattice gonfiabili), particolarmente tra il personale medico e i pazienti esposti al lattice e tra i bambini con spina bifida e difetti di sviluppo dell’apparato urogenitale. Reazioni comuni al lattice sono l’orticaria, l’angioedema, la congiuntivite, la rinite, il broncospasmo e l’anafilassi. Di norma, i pazienti con malattie atopiche (compresa la dermatite atopica) hanno una predisposizione ereditaria a sviluppare ipersensibilità mediata da anticorpi IgE nei confronti di sostanze inalate e ingerite (allergeni) che risultano innocue nelle persone non atopiche. Tranne nel caso della dermatite atopica, l’ipersensibilità è solitamente mediata da anticorpi della classe IgE. Nonostante le allergie alimentari mediate da IgE possano essere corresponsabili della sintomatologia della dermatite atopica nei lattanti e nei bambini piccoli, questa affezione è largamente indipendente da fattori allergici nei bambini più grandi e negli adulti, anche se la maggior parte dei pazienti continua a presentare allergie specifiche.

Diagnosi Anamnesi: un esame retrospettivo dei sintomi, delle loro relazioni con l’ambiente e con le variazioni di stagione e di circostanze, del loro decorso clinico e dell’eventuale familiarità per problemi analoghi dovrebbe fornire informazioni sufficienti per classificare la malattia come una forma atopica. L’anamnesi ha maggior valore dei test di laboratorio per determinare se un paziente è allergico e il paziente non deve essere sottoposto in maniera estensiva all’esecuzione di test cutanei a meno che non esista una ragionevole evidenza clinica di atopia. L’età di esordio può essere un indizio importante (p. es. l’asma infantile è più probabilmente legato ad allergia di quanto non sia l’asma che insorge dopo i 30 anni). Indicativi sono anche i sintomi stagionali (p. es. correlati con specifiche stagioni di impollinazione) o quelli che compaiono dopo il contatto con animali, fieno o polveri, o che si manifestano in ambienti particolari (p. es. a casa). Vanno presi in considerazione gli effetti di fattori contribuenti (p. es. il fumo di tabacco e altri agenti inquinanti, l’aria fredda, l’attività fisica, l’alcol, taluni farmaci e le situazioni stressanti).

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Disordini da ipersensibilità

Test non specifici: un aumento del numero degli eosinofili nel sangue e nelle secrezioni è spesso associato con le malattie atopiche, specialmente l’asma e la dermatite atopica. Nella dermatite atopica, i livelli sierici di IgE sono elevati e aumentano ulteriormente nel corso delle esacerbazioni e diminuiscono durante i periodi di remissione. Nonostante siano solitamente elevate, le concentrazioni sieriche di IgE non sono utili dal punto di vista diagnostico nell’asma atopico e nella rinite allergica. Occasionalmente, livelli di IgE molto elevati possono aiutare a confermare la diagnosi di aspergillosi polmonare allergica (v. Cap. 76) o di sindrome da iper-IgE (v. Cap. 147). Test specifici: i test specifici vengono impiegati per confermare l’esistenza di ipersensibilità a un particolare allergene o gruppo di allergeni. I test cutanei sono il metodo più conveniente per confermare la presenza di un’ipersensibilità specifica. Essi devono essere selettivi e il loro impiego deve essere basato sugli indizi forniti dall’anamnesi. Le soluzioni impiegate per i test sono ottenute da estratti di materiali inalati, ingeriti o iniettati (p. es. pollini di alberi, graminacee ed erbe trasportati dal vento; acari della polvere; forfore e secrezioni di animali; veleni di insetti; cibi; e penicillina e suoi derivati). Fino a non molto tempo fa, pochi estratti allergenici erano standardizzati e la loro potenza era assai variabile. Molti estratti di impiego comune sono adesso standardizzati. Per l’esecuzione del prick test (test della puntura), che si effettua di solito per primo, viene posta sulla cute una goccia di un estratto allergenico diluito; la cute viene poi punteggiata o forata passando attraverso l’estratto, solitamente premendo su di essa con l’estremità di uno specillo o di un ago 27 tenuta inclinata con un angolo di 20°, finché la punta non vi penetra liberamente. Per l’esecuzione del test intradermico viene iniettata (usando una siringa da 0,5 o 1 ml e un ago corto 27) la quantità di estratto sterile diluito sufficiente per produrre una vescicola di 1-2 mm. Ogni serie di test cutanei deve comprendere l’impiego del solo diluente come controllo negativo e dell’istamina (10 mg/ml della soluzione base per il prick test o 0,1 mg/ml per il test intradermico) come controllo positivo. Un test cutaneo viene considerato positivo se provoca entro 15 min una reazione eritemato-pomfoide con presenza di un pomfo di diametro almeno 5 mm più grande del controllo. Il prick test cutaneo è solitamente sufficiente per individuare un’ipersensibilità nei confronti della maggior parte degli allergeni. Il test intradermico, più sensibile, può essere quindi adoperato per saggiare allergeni inalatori sospetti che hanno prodotto un prick test negativo o di dubbia interpretazione. Per le allergie agli alimenti, il prick test da solo è diagnostico. I test intradermici per gli alimenti hanno un’alta probabilità di provocare reazioni positive senza significato clinico, come è stato dimostrato dai test di provocazione in doppio cieco per via orale. Quando è impossibile eseguire i test cutanei diretti per la presenza di una dermatite generalizzata, di un dermografismo estremo o dell’incapacità del paziente a collaborare o a interrompere il test assumendo antiistaminici, si può eseguire un test di radioallergoassorbimento (RadioAllergoSorbent Test, RAST). Il RAST rileva la presenza di IgE sieriche specifiche per l’allergene saggiato. Un allergene noto, sotto forma di un coniugato insolubile polimeroallergene, viene miscelato con il siero da saggiare. Tutte le IgE specifiche per l’allergene presenti nel siero si legheranno al coniugato. La quantità di IgE specifiche per l’allergene presenti nel sangue del paziente viene determinata aggiungendo alla miscela un anticorpo anti-IgE marcato con 125I e misurando la quota di radioattività captata dal coniugato. Il rilascio leucocitario di istamina, un test in vitro, rivela la presenza di IgE specifiche per l’allergene sui basofili sensibilizzati misurando la liberazione di istamina indotta dall’allergene da parte dei GB del paziente. Questo prezioso strumento di indagine ha consentito di comprendere i meccanismi della risposta allergica; come il RAST, esso non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive e in ambito clinico viene utilizzato raramente, se non mai. Quando un test cutaneo positivo solleva un dubbio sul ruolo svolto da un particolare allergene nell’insorgenza della sintomatologia, si può eseguire un test file:///F|/sito/merck/sez12/1481121.html (2 of 6)02/09/2004 2.05.39

Disordini da ipersensibilità

di provocazione. L’allergene può essere instillato negli occhi, applicato nelle cavità nasali o fatto inalare per farlo giungere ai polmoni. Il test oftalmico non offre alcun vantaggio rispetto ai test cutanei e viene impiegato raramente. Il test di provocazione nasale, eseguito solo occasionalmente, è principalmente uno strumento di ricerca. Il test di provocazione bronchiale, anch’esso fondamentalmente uno strumento di ricerca, viene impiegato talvolta quando il significato clinico di un test cutaneo positivo è poco chiaro o quando non sono disponibili i reagenti per i test cutanei atti a dimostrare che i sintomi sono dovuti a sostanze cui un paziente è esposto (p. es. nell’asma occupazionale). I test di provocazione orale devono essere impiegati quando si sospetta che una sintomatologia che si presenta con regolarità sia correlata all’alimentazione, perché la positività dei test cutanei non è necessariamente significativa dal punto di vista clinico. La negatività di un test cutaneo eseguito con una preparazione antigenica affidabile, tuttavia, esclude la possibilità che la sintomatologia clinica sia dovuta a quell’alimento. I test di provocazione rappresentano l’unica maniera per saggiare gli additivi alimentari. (v. oltre per le diete di eliminazione e i test di provocazione.) Test con efficacia non provata: non esiste alcuna prova a sostegno dell’impiego dei test di provocazione cutanei o sublinguali o dei test di tossicità leucocitaria per la diagnosi delle allergie.

Terapia Allontanamento: la terapia migliore consiste nell’eliminare l’allergene. Ciò può richiedere un cambiamento di alimentazione, di occupazione o di residenza; la sospensione di un farmaco; o l’allontanamento di un animale domestico. Alcuni locali, privi di allergeni (p. es., ragweed), sono una sorta di rifugio per le persone affette dalla malattia. Quando non è possibile evitare completamente il contatto con l’allergene (come nel caso della polvere domestica), si può ridurre l’esposizione rimuovendo gli arredi che raccolgono la polvere, i tappeti e i tendaggi; utilizzando coperture di plastica sui materassi e i cuscini; lavando e spolverando spesso; riducendo il livello di umidità degli ambienti; installando un impianto di filtrazione dell’aria ad alta efficienza. Gli acaricidi non si sono dimostrati clinicamente utili. Immunoterapia allergenica: quando non è possibile evitare del tutto o controllare a sufficienza il contatto con un allergene e la terapia medica non è in grado di alleviare i sintomi della malattia atopica, si può tentare l’immunoterapia allergenica (chiamata anche iposensibilizzazione o desensibilizzazione) mediante l’iniezione sottocutanea di un estratto dell’allergene in dosi progressivamente crescenti. Possono verificarsi diversi effetti, anche se nessun test è correlato in maniera assoluta con il miglioramento clinico. Il titolo degli anticorpi bloccanti (neutralizzanti) IgG aumenta proporzionalmente alla dose somministrata. Talvolta, specialmente quando possono essere tollerate alte dosi di un estratto di polline, il livello sierico degli anticorpi IgE specifici diminuisce significativamente. Può essere diminuita anche la capacità di risposta dei linfociti (proliferazione) all’antigene. I risultati più soddisfacenti si ottengono quando le iniezioni vengono proseguite per tutto l’anno. A seconda del grado di sensibilità, la dose di partenza è compresa tra 0,1 e 1,0 unità biologicamente attive (Biologically Active Units, BAU) per gli allergeni standardizzati dalla FDA. La dose viene aumentata una o due volte a settimana a una quantità al doppio della dose precedente fino a raggiungere la massima concentrazione tollerata (p. es., per gli estratti di polline standardizzati, la dose di mantenimento va da 1000 a 4000 BAU). Una volta raggiunta, la dose massima può essere mantenuta con somministrazioni ogni 46 settimane per tutto l’anno; anche nelle allergie stagionali il trattamento continuativo è più efficace rispetto ai metodi prestagionali o costagionali. I principali allergeni usati per la desensibilizzazione sono quelli che in genere non possono essere allontanati completamente: pollini, acari della polvere, muffe e veleno di imenotteri. I veleni di insetto sono standardizzati in base al peso; una

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dose iniziale tipica è 0,01 µg; la dose di mantenimento abituale varia da 100 a 200 µg. La desensibilizzazione alla forfora degli animali viene solitamente riservata ai soggetti che non possono evitare l’esposizione (p. es. veterinari e addetti ai laboratori), ma ci sono scarse prove che essa sia utile. La desensibilizzazione agli alimenti non è necessaria. I metodi di desensibilizzazione alla penicillina e al siero eterologo sono descritti nella Ipersensibilità ai farmaci, oltre. Reazioni avverse: i pazienti sono spesso estremamente sensibili, specialmente agli allergeni dei pollini e se si somministra loro una dose eccessiva possono verificarsi reazioni variabili da una leggera tosse o starnutazione fino all’orticaria generalizzata, all’asma grave, allo shock anafilattico e, molto raramente, alla morte. Per prevenire tali reazioni bisogna osservare le seguenti precauzioni: aumentare la dose per piccoli incrementi, ripetere la stessa dose (o anche diminuirla) se la reazione locale indotta dall’iniezione precedente è ampia ( 2,5 cm di diametro) e ridurre la dose quando si usa un estratto nuovo. Spesso è buona norma ridurre la dose degli estratti di polline durante la stagione dell’impollinazione. L’iniezione IM ed EV deve essere evitata. Nonostante tutte le precauzioni, talvolta si verificano ugualmente reazioni sfavorevoli. Dal momento che le reazioni gravi, pericolose per la vita (anafilassi) si sviluppano di solito entro 30 min, i pazienti devono restare in osservazione per questo lasso di tempo. I segni di una reazione imminente possono essere gli starnuti, la tosse, un senso di costrizione toracica o un rossore generalizzato, i formicolii e il prurito. Maggiori dettagli sulla sintomatologia e il trattamento sono esposti sotto Anafilassi, oltre. Antiistaminici: l’alleviamento dei sintomi con la terapia farmacologica non va trascurato, finché il paziente è in via di valutazione e sono in via di elaborazione strategie di controllo o di trattamento più specifiche. L’uso di antiistaminici, simpaticomimetici, cromoglicato e glucocorticoidi per le singole malattie è descritto oltre. In generale, l’impiego precoce dei glucocorticoidi è giustificato nelle condizioni potenzialmente invalidanti autolimitantisi e di durata relativamente breve (attacchi stagionali di asma; pneumopatia infiltrativa; dermatite da contatto grave), mentre un impiego prudente dei glucocorticoidi può essere necessario qualora altre misure terapeutiche si rivelino insufficienti a mantenere sotto controllo una condizione cronica. Le differenze farmacologiche tra i vari antiistaminici si manifestano per lo più nei loro effetti sedativi e antiemetici e in altri effetti a livello del SNC, come pure nelle loro proprietà anticolinergiche, antiserotoniniche e anestetiche locali. Gli antiistaminici con effetti anticolinergici costituiscono un problema specialmente nell’anziano. Gli antiistaminici sono utili nel trattamento dei sintomi delle allergie, comprendenti la febbre da fieno stagionale, la rinite allergica e la congiuntivite. Sono moderatamente efficaci nella rinite vasomotoria. L’orticaria acuta e cronica e alcune dermatosi allergiche pruriginose rispondono bene. Essi sono utili anche nel trattamento delle reazioni da incompatibilità trasfusionale di minore gravità e delle reazioni sistemiche ai mezzi di contrasto radiografici iniettati EV. Essi sono di limitata utilità nella terapia del raffreddore comune, ma grazie ai loro effetti anticolinergici (v. oltre) possono ridurre la rinorrea. L’istamina è distribuita ampiamente nei tessuti dei mammiferi. Nell’uomo le concentrazioni più elevate si osservano nella cute, nei polmoni e nella mucosa GI. Essa è presente principalmente nei granuli intracellulari delle mast-cellule, ma ne esiste anche un’importante quota extramastocitaria nella mucosa gastrica, e quantità più piccole nel cervello, nel cuore e in altri organi. La liberazione di istamina dai granuli di deposito delle mast-cellule può essere innescata da un insulto tissutale di tipo fisico, da diverse sostanze chimiche (compresi gli irritanti tissutali, gli oppiacei e gli agenti tensioattivi) e, meccanismo di gran lunga predominante, dalle interazioni antigene-anticorpo. La funzione omeostatica specifica dell’istamina non è ancora stata chiarita. Le sue azioni, che nell’uomo si esplicano soprattutto a livello del sistema cardiovascolare, della muscolatura liscia extravascolare e delle ghiandole file:///F|/sito/merck/sez12/1481121.html (4 of 6)02/09/2004 2.05.39

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esocrine, sembrano essere mediate da due recettori diversi: H1 e H2. Questo capitolo tratterà dei recettori H1 e dei loro antagonisti (anti-H1). Per i recettori e gli antagonisti H2, v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23. A livello del sistema cardiovascolare, l’istamina è un potente vasodilatatore arteriolare che può provocare un esteso sequestro ematico periferico e ipotensione. Essa aumenta inoltre la permeabilità capillare deformando il rivestimento endoteliale delle venule postcapillari, con dilatazione degli spazi intercellulari endoteliali ed esposizione della superficie della membrana basale. Questa azione accelera la fuoriuscita di plasma e di proteine plasmatiche dal letto vascolare e, insieme alla dilatazione arteriolare e capillare, può causare uno shock circolatorio. L’istamina dilata anche i vasi cerebrali, fenomeno che può avere un ruolo nella cefalea vasomotoria. La risposta tripla è mediata dalla liberazione locale intracutanea di istamina, che causa eritema locale da vasodilatazione, formazione di un pomfo dovuto a edema locale per aumento della permeabilità capillare e arrossamento secondario a un meccanismo neuronale riflesso che produce un’area circostante di vasodilatazione arteriolare. In altri distretti muscolari lisci, l’istamina può indurre una grave broncocostrizione e stimola la motilità GI. A livello delle ghiandole esocrine, essa aumenta la secrezione delle ghiandole salivari e bronchiali; a livello delle ghiandole endocrine, stimola il rilascio di catecolamine dalle cellule cromaffini del surrene, effetto che sembra essere mediato anch’esso dai recettori H1. A livello delle terminazioni nervose sensitive, l’instillazione locale di istamina può provocare intenso prurito. Antagonisti H1: gli antiistaminici convenzionali possiedono una catena laterale etilaminica sostituita (simile a quella dell’istamina) legata a uno o più gruppi ciclici. La somiglianza tra la porzione etilaminica della istamina e la struttura etilaminica sostituita degli anti-H1 suggerisce che questa configurazione molecolare sia importante per le interazioni con il recettore. Gli anti-H1 sembrano agire per inibizione competitiva; essi non alterano in maniera significativa la produzione o il metabolismo dell’istamina. Gli anti-H1, somministrati per via orale o rettale, sono generalmente ben assorbiti dal tratto GI. L’azione ha inizio di solito entro 15-30 min e raggiunge l’effetto massimo in 1 h; la durata d’azione è solitamente di 3-6 h, ma alcuni antagonisti agiscono considerevolmente più a lungo. Gli effetti antiistaminici degli anti-H1 si evidenziano soltanto in presenza di un aumento di attività dell’istamina. Essi contrastano gli effetti dell’istamina sulla muscolatura liscia GI, ma nell’uomo la reazione allergica a livello della muscolatura liscia bronchiale non dipende principalmente dal rilascio di istamina e non risponde in maniera efficace ai soli antiistaminici. Gli anti-H1 bloccano efficacemente l’aumento della permeabilità capillare e la stimolazione nervosa sensitiva indotti dall’istamina, inibendo così la formazione dell’edema, l’arrossamento, il prurito, la starnutazione e la secrezione mucosa. Tuttavia, questi farmaci sono soltanto parzialmente efficaci nel far regredire la vasodilatazione e l’ipotensione indotte dall’istamina. Altri effetti clinici diversi dall’azione antagonista sull’istamina vengono discussi più avanti. La Tab. 148-1 illustra sinteticamente il dosaggio, la via e la frequenza di somministrazione di alcuni anti-H1 di comune impiego. È possibile che la somministrazione nei bambini debba essere più frequente rispetto a quella negli adulti, a causa dell’emivita più breve degli antiistaminici (con le eccezioni riportate in tabella). Questi farmaci sono tutti antagonisti dei recettori H1; le loro differenze farmacologiche risiedono principalmente nel tipo e nell’intensità dei loro effetti secondari. Poiché molti anti-H1 causano depressione del SNC e sonnolenza, essi talvolta vengono utilizzati come sedativi e ipnotici. Tuttavia, le alchilamine e i nuovi farmaci privi di effetto sedativo (astemizolo, cetirizina e loratadina) sono utili quando non si desidera indurre sedazione. D’altro canto, essi sono notevolmente più costosi e alcuni sono responsabili di interazioni farmacologiche pericolose (v. file:///F|/sito/merck/sez12/1481121.html (5 of 6)02/09/2004 2.05.39

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oltre). Le etanolamine deprimono in modo significativo il SNC; sebbene siano meno potenti e affidabili dei barbiturici e di altri sedativi a effetto centrale, esse sono utili come sedativi e ipnotici ma possiedono spiccate proprietà anticolinergiche, pertanto possono risultare scarsamente tollerati dagli anziani. Le etilendiamine inducono una depressione del SNC di grado minore, ma hanno maggiori effetti collaterali GI, rispetto alle etanolamine. Il derivato etanolaminico difenidramina e il suo sale cloroteofillinico dimenidrinato, l’analogo fenotiazinico prometazina e le piperazine (ciclizina e meclizina) vengono tutti utilizzati per prevenire o trattare le chinetosi e per alleviare la nausea e le vertigini legate alla labirintite. La ciclizina, l’idrossizina e la meclizina sono state sospettate di essere teratogene negli animali e probabilmente non devono essere somministrate durante la gravidanza. Gli anti-H1 fenotiazinici e la prometazina in particolare, sono utili come sedativi e risultano efficaci per la terapia sintomatica della nausea legata alla radioterapia e ad alcuni farmaci antitumorali; per quest’ultimo impiego essi sono meno efficaci della proclorperazina e della clorpromazina. La maggior parte degli anti-H1 possiede una certa azione anticolinergica che può rendere conto della modesta attività antiparkinsoniana esplicata a livello centrale e dell’alleviamento sintomatico della rinorrea in corso di infezioni delle vie aeree superiori esercitata a livello periferico. In associazione con gli anestetici locali, alcuni anti-H1 sono stati impiegati per applicazioni topiche sulla cute sotto forma di creme e lozioni per ridurre il prurito. Tuttavia l’applicazione topica degli antiistaminici etilendiaminici comporta un rischio considerevole di sensibilizzazione farmacologica; essi non sono più approvati per questo tipo di impiego. Gli effetti collaterali indesiderabili e la tossicità degli anti-H1 sono molto rari; essi comprendono: anoressia, nausea, vomito, stipsi, diarrea, dolenzia epigastrica, riduzione dell’attenzione, riduzione della capacità di concentrazione, sonnolenza e debolezza muscolare. Alterazioni della crasi ematica (p. es. leucopenia, agranulocitosi, trombocitopenia e anemia emolitica) si manifestano raramente. Il sovradosaggio è accompagnato dalla comparsa di effetti anticolinergici: secchezza delle fauci, palpitazioni, senso di costrizione toracica, ritenzione urinaria, disturbi visivi, convulsioni, allucinazioni e, in seguito, depressione respiratoria, febbre, ipotensione e midriasi. Essi sono spesso un problema soprattutto negli anziani. Gli antiistaminici non sedativi astemizolo e cetirizina non devono essere somministrati insieme agli antibiotici della classe dei macrolidi, perché inibiscono il loro metabolismo. Alcuni di questi farmaci sono aritmogeni (non la loratadina e la fexofenadina). Infine, tutti tranne la loratadina presentano un rischio di categoria C durante la gravidanza. Gli inibitori dei leucotrieni hanno un effetto antagonista a livello dei recettori per i leucotrieni D oppure inibiscono la sintesi dei leucotrieni, impedendo il broncospasmo. Essi hanno effetti clinici favorevoli, ma il loro ruolo nella terapia dell’asma non è ancora stabilito.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA MALATTIA PEPTICA ULCEROSA Escoriazione di un tratto della mucosa GI, generalmente nello stomaco (ulcera gastrica) o nei primi centimetri del duodeno (ulcera duodenale), che penetra attraverso la muscularis mucosae.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Complicanze Terapia

L'ulcera può avere un diametro variabile da diversi millimetri a diversi centimetri. Le ulcere sono distinte dalle erosioni sulla base della profondità della penetrazione; le erosioni sono, infatti, più superficiali e non coinvolgono la muscularis mucosae. Poiché è sempre più evidente il ruolo centrale dell'H. pylori nella patogenesi della malattia acido-peptica, la diagnosi e la terapia dell'ulcera peptica sono profondamente cambiate.

Eziologia e patogenesi Sebbene le teorie tradizionali sulla patogenesi delle ulcere peptiche si basino sull'ipersecrezione acida, questo reperto non è sempre presente e attualmente si sa che l'ipersecrezione non è il principale meccanismo con cui si forma la maggior parte delle ulcerazioni. Sembra che alcuni fattori, in particolare l'H. pylori e i FANS, distruggano le normali difesa e capacità riparativa della mucosa, rendendola più sensibile all'attacco dell'acido. I meccanismi attraverso cui l'H. pylori causa le lesioni mucose non sono completamente chiari, ma sono state proposte molteplici teorie. L'ureasi prodotta dagli organismi trasforma l'urea in ammonio. L'ammonio, mentre consente all'organismo di sopravvivere nell'ambiente acido dello stomaco, può corrodere la barriera mucosa, causando un danno epiteliale. Anche le citotossine prodotte dall'H. pylori sono state implicate nel danno epiteliale dell'ospite. Gli enzimi mucolitici (p. es., le proteasi batteriche, le lipasi) sembrano parimenti coinvolti nella degradazione dello strato mucoso, rendendo l'epitelio più sensibile alla lesione dell'acido. In ultimo, le citochine prodotte in risposta all'infiammazione possono giocare un ruolo nel danno mucoso e nella conseguente ulcerogenesi. I FANS probabilmente promuovono l'infiammazione mucosa e la formazione dell'ulcera attraverso effetti sia topici che sistemici. Poiché i FANS sono degli acidi deboli e non ionizzati al pH gastrico, si diffondono liberamente attraverso la barriera mucosa nelle cellule gastriche epiteliali, dove vengono liberati gli ioni H+, che causano il danno cellulare. Gli effetti sistemici sembrano essere mediati dalla file:///F|/sito/merck/sez03/0230269.html (1 of 9)02/09/2004 2.05.41

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loro capacità di inibire l'attività della ciclo-ossigenasi e, quindi, la produzione di prostaglandine. Attraverso l'inibizione della produzione di prostaglandine, i FANS inducono diversi cambiamenti nel microambiente gastrico (p. es., una riduzione del flusso ematico, una ridotta secrezione di muco e di HCO3, una riduzione delle riparazioni cellulari e della loro replicazione), portando a un'interruzione dei meccanismi di difesa.

Sintomi e segni I sintomi dipendono dalla localizzazione dell'ulcera e dall'età del paziente; molti pazienti, particolarmente quelli anziani, hanno una sintomatologia scarsa o nulla. Il dolore è il sintomo più frequente; spesso è localizzato all'epigastrio e viene alleviato dal cibo o dagli antiacidi. Il dolore viene descritto come un bruciore, un dolore lacerante o una sensazione di fame. L'andamento è di solito cronico e ricorrente. Solo la metà circa dei pazienti presenta il caratteristico corteo dei sintomi. I sintomi dell'ulcera gastrica, spesso, non seguono lo schema classico (p. es., l'assunzione del cibo, a volte, esacerba il dolore piuttosto che alleviarlo). Ciò è vero in particolare per le ulcere piloriche che sono spesso associate a sintomi ostruttivi (p. es., distensione epigastrica, nausea, vomito) causati dall'edema e dalla cicatrizzazione. Nei pazienti con ulcera duodenale, il dolore tende a seguire uno schema costante. È assente quando il paziente si risveglia al mattino, ma compare a metà mattinata; alleviato dall'assunzione di cibo, recidiva 2 o 3 h dopo il pasto. Il dolore che risveglia il paziente di notte è frequente e altamente suggestivo di ulcera duodenale.

Diagnosi La diagnosi di ulcera peptica è suggerita dall'anamnesi e confermata dagli studi descritti oltre. Il cancro dello stomaco si può presentare con manifestazioni simili e deve essere escluso, specialmente nei pazienti più anziani, che hanno perso peso o che riferiscono dei sintomi gravi o refrattari. L'endoscopia, la citologia e le biopsie multiple sono strumenti affidabili per distinguere le ulcere gastriche maligne da quelle benigne. L'incidenza di ulcere duodenali maligne è estremamente bassa, quindi le biopsie non sono di solito giustificate. Le neoplasie maligne che secernono gastrina e la sindrome di Zollinger-Ellison (v. Tumori del pancreas nel Cap. 34) devono essere prese in considerazione in un paziente che presenta una grave diatesi ulcerosa, specialmente quando le ulcere sono multiple e rilevate in sedi atipiche (p. es., postbulbare). L'endoscopia a fibre ottiche è un efficace strumento per la diagnosi e per il trattamento della malattia peptica ulcerosa. Un esame diagnostico alternativo è rappresentato dalla rx a doppio contrasto. Sebbene l'endoscopia e la radiologia abbiano una sensibilità simile nell'individuazione dell'ulcera, l'endoscopia sta diventando la modalità diagnostica di scelta. Questa accerta con maggiore affidabilità la presenza di un'esofagite e delle ulcere esofagee così come le ulcere localizzate sulla parete posteriore dello stomaco e sull'anastomosi chirurgica. Viceversa, circa il 10% delle ulcere duodenali bulbari e postbulbari possono non essere individuate endoscopicamente, a volte motivando un followup con studio contrastografico se il sospetto clinico è elevato. L'endoscopia permette anche la biopsia o l'esame citologico con brushing delle lesioni gastriche ed esofagee per distinguere tra le semplici ulcerazioni e il cancro ulcerato dello stomaco. L'endoscopia può essere usata anche per diagnosticare in modo definitivo l'infezione da H. pylori.

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Complicanze Emorragia: l'emorragia (v. anche Cap. 22) è la più frequente complicanza della malattia peptica ulcerosa. I sintomi includono l'ematemesi (vomito di sangue fresco o di materiale "a posa di caffè"); l'emissione di feci ematiche o picee (rispettivamente ematochezia e melena); e astenia, ipotensione ortostatica, sete e sudorazione dovute alla perdita di sangue. Se il sanguinamento da un'ulcera persiste o recidiva, esistono diverse possibilità di trattamento. Può essere eseguita un'endoscopia e la sede del sanguinamento può essere coagulata con l'elettrocauterio, con le sonde termiche o con il laser o con l'iniezione di alcol, soluzioni sclerosanti o adrenalina. Il sanguinamento può, comunque, recidivare anche dopo la coagulazione. L'embolizzazione per via arteriografica del vaso che rifornisce la sede del sanguinamento può arrestare il sanguinamento. Dopo che l'ulcera è stata diagnosticata e il sanguinamento è stato controllato endoscopicamente, al paziente, tenuto a digiuno, deve essere somministrata una terapia acidosoppressiva EV con H2-antagonisti. Appena le condizioni del paziente si sono stabilizzate senza evidenze di risanguinamento, può essere ricominciata l'alimentazione per os, la terapia antisecretoria (H2-antagonisti o inibitori della pompa protonica) può essere somministrata per via orale e, se necessario, può essere iniziata la terapia per l'eradicazione dell'H. pylori. Un intervento chirurgico d'emergenza è indicato quando la frequenza cardiaca, la PA e l'ematocrito mostrano il continuo deterioramento delle condizioni del paziente, nonostante il trattamento e le trasfusioni; quando sono state necessarie > 6 trasfusioni nelle 24 h per mantenere stabili la PA e il polso; o quando il sanguinamento si arresta, ma riprende in maniera tale da rendere necessarie più trasfusioni. Penetrazione (perforazione coperta): un'ulcera peptica può penetrare nella parete dello stomaco o del duodeno ed entrare in uno spazio chiuso adiacente (piccolo epiplon) o in un organo (p. es., pancreas, fegato). La formazione di aderenze impedisce lo spandimento del succo gastrico nella cavità peritoneale. Il dolore può essere intenso, persistente, riferito in sedi extra-addominali (solitamente al dorso quando dovuto alla penetrazione nel pancreas di un'ulcera duodenale posteriore) e modificato dalla posizione assunta dal paziente. Per confermare la diagnosi sono di solito necessari lo studio radiologico con mezzo di contrasto o la TC. Quando la terapia medica non esita nella guarigione è necessaria la terapia chirurgica. Perforazione libera: di solito, una perforazione libera si presenta con un quadro di addome acuto. Le ulcere che si perforano in cavità peritoneale sono solitamente localizzate nella parete anteriore del duodeno o, meno frequentemente, dello stomaco. Il paziente avverte un dolore improvviso, intenso e costante all'epigastrio che si irradia rapidamente a tutto l'addome, spesso divenendo preminente nel quadrante inferiore destro e a volte riferito a una o a entrambe le spalle. Solitamente il paziente giace immobile, poiché anche un respiro profondo può aggravare il dolore. La palpazione dell'addome evoca dolore, la reazione di difesa è importante, i muscoli addominali sono contratti (come una tavola) e la peristalsi è ridotta o assente. Nel paziente anziano i sintomi possono essere meno eclatanti, così come nel paziente terminale e in quelli in trattamento con corticosteroidi o farmaci immunosoppressori. La diagnosi viene confermata se una rx dell'addome eseguita in stazione eretta o in decubito laterale, mostra la presenza di aria al di sotto del diaframma o nella cavità peritoneale, ma non può essere esclusa se l'aria non viene visualizzata. Il dolore e la contrattura addominale possono in parte diminuire e le condizioni del paziente sembrano migliorate diverse ore dopo l'inizio della sintomatologia. Tuttavia, in seguito, si può sviluppare una peritonite con aumento della temperatura e un importante deterioramento delle condizioni del paziente. Si può manifestare un quadro di shock, preannunciato da un aumento della frequenza cardiaca e da una diminuzione della PA e della diuresi.

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Ostruzione gastrica: può essere causata dalla cicatrizzazione, da uno spasmo o dall'infiammazione associati all'ulcera. I sintomi includono un vomito cospicuo e ricorrente, che si verifica più frequentemente alla fine del giorno e spesso a distanza di 6 h dall'ultimo pasto. Suggeriscono l'ostruzione gastrica anche un senso persistente di distensione addominale e di ripienezza dopo i pasti e la perdita di appetito. Un vomito di lunga durata può causare calo ponderale, disidratazione e un'alcalosi. Se la storia del paziente fa pensare a un'ostruzione, l'esame obiettivo, l'aspirazione gastrica o gli studi rx possono fornire l'evidenza della ritenzione. Se alla succussione si ascolta un rumore di liquido a più di 6 h dal pasto o se il drenaggio nasogastrico dopo una notte di digiuno dà esito a > 200 ml di liquidi o di residui alimentari, si deve pensare alla ritenzione gastrica. Se l'aspirazione gastrica mostra una ritenzione marcata, lo stomaco deve essere svuotato e devono essere eseguiti degli studi endoscopici o rx per stabilire la sede, la causa e il grado dell'ostruzione. L'edema o lo spasmo, dovuti a un'ulcera attiva del canale pilorico, sono trattati con la decompressione gastrica e la soppressione acida (p. es., H2-antagonisti EV). La disidratazione e lo squilibrio elettrolitico, dovuti al vomito protratto e all'aspirazione nasogastrica, devono essere attentamente ricercati e corretti. I farmaci procinetici non sono indicati. Generalmente, l'ostruzione si risolve in 25 giorni di trattamento. L'ostruzione prolungata può essere causata da una stenosi cicatriziale peptica e può rispondere alla dilatazione con palloncino del piloro eseguita per via endoscopica. L'intervento chirurgico è necessario per risolvere l'ostruzione in casi selezionati. Cancro dello stomaco (v. anche Cap. 34): l'H. pylori è associato all'adenocarcinoma di tipo intestinale del corpo gastrico e dell'antro, ma non al cancro del cardias. Le persone infette hanno da tre a sei volte più probabilità di sviluppare un cancro dello stomaco. Anche i linfomi gastrici e i linfomi del tessuto linfoide associati alla mucosa (Mucosa-Associated Lymphoid Tissue, MALT) sono stati correlati a questa infezione. I linfomi MALT sono costituiti da popolazioni monoclonali di cellule linfoidi B, maligne, causate dall'H. pylori. Questa condizione è frequentemente associata a un'ulcera gastrica superficiale e scoperta incidentalmente alle biopsie dei margini dell'ulcera e della mucosa circostante. L'eradicazione dell'H. pylori può curare alcuni casi di linfoma MALT. Perciò, è appropriato trattare un linfoma MALT localizzato con la terapia anti-H. pylori, documentare l'eradicazione batterica e monitorare strettamente la progressione del tumore prima di procedere con la chemioterapia o con l'intervento radicale. Viceversa non ci sono dati che indichino che l'eradicazione dell'H. pylori previene la progressione della gastrite ai cancri più frequenti o ai linfomi dello stomaco. Quindi, non ci sono indicazioni scientifiche alla diagnosi e al trattamento dell'H. pylori per la prevenzione delle complicanze maligne, anche perché il cancro dello stomaco è relativamente poco frequente negli USA. Recidiva: l'incidenza di recidiva a 1 anno delle ulcere gastriche e duodenali è > 60% dopo la sospensione della tradizionale terapia antiulcerosa. Il trattamento a lungo termine con gli H2-antagonisti o con gli inibitori della pompa protonica riduce il rischio di recidiva proporzionalmente all'entità della soppressione acida ottenuta. L'incidenza della recidiva dell'ulcera è considerevolmente inferiore dopo la terapia anti-H. pylori (< 10%). La più frequente causa dell'ulcera peptica recidiva è il fallimento dell'eradicazione dell'H. pylori. In un paziente che presenta una recidiva di malattia, deve essere ricercata la possibile persistenza dell'infezione. Se l'infezione viene documentata, è giustificato un secondo ciclo di terapia anti-H. pylori. Altri fattori che possono influenzare la recidiva includono l'uso dei FANS e il fumo. I pazienti che assumono dei FANS e che hanno avuto un'ulcera peptica sono candidati a una terapia a lungo termine con il misoprostolo o con un farmaco antisecretorio (p. es., gli H2-antagonisti, gli inibitori della pompa protonica). Meno frequentemente, un gastrinoma (sindrome di Zollinger-Ellison) file:///F|/sito/merck/sez03/0230269.html (4 of 9)02/09/2004 2.05.41

Gastrite e malattia ulcerosa peptica

può essere la causa di una malattia peptica refrattaria alla terapia o recidiva.

Terapia Il trattamento delle ulcere gastriche e duodenali era mirato, in passato, alla neutralizzazione o alla riduzione dell'acidità gastrica. Tuttavia, ora, l'attenzione si è spostata verso l'eradicazione dell'H. pylori. Il trattamento antibiotico deve perciò essere considerato in tutti i pazienti affetti dall'H. pylori con un'ulcera acuta e in quelli che hanno avuto un'ulcera gastrica o duodenale diagnosticata in passato dall'endoscopia o dalle rx con bario, anche se sono asintomatici o sotto terapia acido-soppressiva a lungo termine. Ciò è particolarmente importante nei pazienti con una storia di complicanze (p. es., il sanguinamento, la perforazione), perché l'eradicazione dell'H. pylori può prevenire ulteriori complicanze. La terapia antibiotica per l'H. pylori è in continua evoluzione. Non devono essere usati farmaci singoli, perché nessun antibiotico da solo può curare in modo radicale la maggior parte delle infezioni da H. pylori. Inizialmente era raccomandata la terapia tripla basata sul bismuto. Questo approccio è oggi messo in discussione a favore di un regime combinato, più semplice, che impiega due farmaci, tra cui i farmaci acidoinibitori. Indipendentemente da quale terapia viene usata, la resistenza antibiotica, il consiglio del medico e la compliance del paziente determinano il suo successo. Gli H2-antagonisti hanno un ruolo nel trattamento della malattia peptica ulcerosa, ma non sono più la terapia di prima scelta quando usati da soli; sono frequentemente impiegati come farmaci antisecretori in un regime anti-H. pylori. Con differente potenza ed emivita, ciascun farmaco (cimetidina, ranitidina, famotidina e nizatidina) è un inibitore competitivo dall'istamina a livello dei recettori H2. L'istamina svolge un importante ruolo nella secrezione acida stimolata dal vago e dalla gastrina, rendendo quindi gli H2-antagonisti degli efficaci inibitori della secrezione acida gastrica basale e della secrezione acida stimolata dal cibo, dal nervo vago e dalla gastrina. Il volume del succo gastrico è proporzionalmente ridotto. Anche la secrezione della pepsina mediata dall'istamina è ugualmente ridotta. Gli H2-antagonisti sono ben assorbiti dal tratto GI con una biodisponibilità del 3790%. L'inizio dell'azione si ha dopo circa 30-60 min dall'ingestione, con il picco dopo 1-2 h. La somministrazione EV produce un più rapido inizio dell'azione. La durata dell'azione è proporzionale al dosaggio e varia da 6 a 20 h. Vengono prodotti diversi metaboliti epatici, inattivi o meno attivi dei composti principali, ma buona parte del farmaco è eliminata immodificata per via renale, richiedendo un aggiustamento del dosaggio in base alla funzione renale. L'emodialisi rimuove gli H2-antagonisti per cui è necessaria una nuova somministrazione del farmaco dopo la dialisi. Le dosi spesso devono essere ridotte negli anziani. La cimetidina ha degli effetti antiadrenergici minori che causano una ginecomastia reversibile e, meno frequentemente, un'impotenza in alcuni pazienti trattati con alti dosaggi per un periodo molto lungo (p. es., ipersecretori). Le alterazioni dello stato mentale, la diarrea, il rash cutaneo, la febbre da farmaci, le mialgie, la trombocitopenia, la bradicardia sinusale e l'ipotensione dopo la somministrazione EV rapida sono stati riportati con tutti gli H2-antagonisti, generalmente in < 1% dei pazienti trattati, ma più comunemente negli anziani. La cimetidina e, in grado minore, gli altri H2-antagonisti interagiscono con il sistema degli enzimi microsomiali P-450 e possono ritardare il metabolismo degli altri farmaci eliminati attraverso questo sistema (p. es., fenitoina, warfarin, teofillina, diazepam, lidocaina). Gli inibitori della pompa protonica sono dei potenti inibitori della pompa protonica (acida) (cioè, l'enzima H+, K+-ATPasi), localizzata nella membrana secretoria apicale delle cellule parietali. Gli inibitori della pompa protonica possono inibire completamente la secrezione acida e hanno una lunga durata file:///F|/sito/merck/sez03/0230269.html (5 of 9)02/09/2004 2.05.41

Gastrite e malattia ulcerosa peptica

d'azione. Sono i componenti fondamentali di molti trattamenti contro l'H. pylori. Nelle ulcere attive gastriche o duodenali, l'omeprazolo, 20 mg/die PO o il lansoprazolo, 30 mg/ die PO sono di solito continuati per 2 sett. dopo la fine della terapia antibiotica per ottenere la completa guarigione dell'ulcera. Gli inibitori della pompa protonica sono più efficaci degli H2-antagonisti nella guarigione delle ulcere gastriche o duodenali associate all'uso di FANS, quando i FANS devono essere continuati. Sebbene all'inizio si pensasse che la terapia con gli inibitori della pompa protonica potesse predisporre allo sviluppo del cancro dello stomaco, questo non sembra essere vero. Nello stesso modo, anche se i pazienti infetti con l'H. pylori sviluppano un'atrofia gastrica in seguito all'assunzione degli inibitori della pompa protonica, ciò non sembra causare una metaplasia o un aumentato rischio di adenocarcinoma gastrico. La prolungata soppressione dell'acidità gastrica aumenta le teoriche, ma non provate, preoccupazioni circa un'aumentata proliferazione batterica, una suscettibilità alle infezioni intestinali e al malassorbimento della vitamina B12. Alcune prostaglandine (specialmente il misoprostolo) possono inibire la secrezione acida e aumentare la difesa mucosa. I derivati sintetici delle prostaglandine hanno un ruolo nel trattamento della malattia peptica ulcerosa, soprattutto per quanto riguarda le lesioni mucose indotte dai FANS. I pazienti ad alto rischio per un'ulcera indotta dai FANS (cioè, gli anziani, quelli con un'anamnesi positiva per un'ulcera o per le sue complicanze, quelli che assumono anche dei corticosteroidi) sono candidati al misoprostolo, 200 mg PO qid insieme ai FANS. I frequenti effetti collaterali del misoprostolo sono i dolori addominali crampiformi e la diarrea, che si verificano nel 30% dei pazienti. Il misoprostolo è un potente abortivo ed è assolutamente controindicato nelle donne in età fertile che non usano metodiche contraccettive. Il sucralfato è un complesso di sucroso e alluminio che promuove la guarigione dell'ulcera. Non ha effetto sulla secrezione gastrica né sulla secrezione di gastrina. I suoi ipotizzati meccanismi d'azione includono l'inibizione dell'interazione pepsina-substrato, la stimolazione della produzione mucosa delle prostaglandine e il legame dei sali biliari. Il sucralfato sembra anche avere degli effetti trofici sulla mucosa ulcerata, probabilmente legandosi a dei fattori di crescita e concentrandoli a livello dell'ulcera. Nel mezzo acido dello stomaco, il sucralfato si dissocia e forma una barriera sopra la base dell'ulcera, proteggendola dall'acido, dalla pepsina e dai sali biliari. L'assorbimento sistemico del sucralfato è minimo. Una stipsi si verifica nel 3-5% dei pazienti. Il sucralfato si può legare ad altri farmaci, interferendo con il loro assorbimento. Gli antiacidi forniscono un sollievo sintomatico, promuovono la guarigione dell'ulcera e riducono le recidive. Sono relativamente poco costosi, ma devono essere assunti da 5 a 7 volte al giorno. Il dosaggio ottimale di antiacido per la guarigione dell'ulcera sembra essere compreso tra i 15 e i 30 ml di liquido o tra le 2 e le 4 cp, 1 h e 3 h dopo ciascun pasto e al momento di coricarsi. Il dosaggio totale giornaliero di antiacidi deve fornire 200-400 mEq di capacità neutralizzante. In genere sono di 2 tipi: (1) gli antiacidi assorbibili (p. es., il sodio bicarbonato) che forniscono una neutralizzazione rapida e completa e possono, occasionalmente, essere assunti a brevi intervalli per ottenere una remissione intermittente della sintomatologia. Tuttavia, poiché vengono assorbiti, l'uso continuato può causare un'alcalosi o la milk-alcali syndrome. (2) Gli antiacidi non assorbibili (sali relativamente insolubili di basi deboli) sono preferiti a causa dei loro minori effetti collaterali sistemici. Essi interagiscono con l'acido cloridrico formando sali scarsamente assorbiti e, quindi, aumentando il pH gastrico. L'attività della pepsina diminuisce appena il pH sale al di sopra di 4 e inoltre, la pepsina stessa può essere legata da alcuni antiacidi. Gli antiacidi possono interferire con l'assorbimento di altri farmaci (p. es., tetraciclina, digossina e ferro). L'idrossido di alluminio è un antiacido sicuro, usato frequentemente. Con l'uso

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cronico, si può raramente sviluppare una deplezione di fosfato quale risultato del legame del fosfato con l'alluminio nel tratto GI. Il rischio di una deplezione di fosfato aumenta negli alcolisti, nei pazienti malnutriti e in quelli con malattie renali, compresi quelli emodializzati. L'idrossido di alluminio può causare stipsi. L'idrossido di magnesio è un antiacido più efficace dell'idrossido di alluminio, ma può causare diarrea. Per limitare la diarrea, molti antiacidi in commercio contengono sia l'idrossido di magnesio che quello di alluminio; alcuni contengono idrossido di alluminio e trisilicato di magnesio. Quest'ultimo tende ad avere un minor potere neutralizzante. Poiché delle piccole quantità di magnesio vengono comunque assorbite, le preparazioni contenenti magnesio devono essere usate con cautela nei pazienti affetti da nefropatie. Terapia anti-H. pylori: la combinazione di bismuto, metronidazolo e tetracicline è stato il primo ed è ancora uno dei trattamenti più diffusamente impiegati per l'H. pylori. Nei pazienti che assumono > 60% del trattamento prescritto, il PeptoBismol (2 compresse PO qid), le tetracicline (500 mg PO tid) e il metronidazolo (250 mg PO tid o qid) per 2 sett. possono curare l'80% delle infezioni. Per ottenere la guarigione dell'ulcera è generalmente raccomandato che i farmaci antisecretori siano somministrati simultaneamente e continuati per 4 sett. Gli effetti collaterali, di solito minori, si possono verificare fin nel 30% dei pazienti e la complessità di questo regime a 16 cp/die può limitare la compliance. La ranitidina citrato bismuto (400 mg PO bid) più la claritromicina (500 mg PO tid), somministrate per 2 sett., rappresentano un nuovo trattamento, egualmente efficace. Gli inibitori della pompa protonica sopprimono l'H. pylori e inducono una rapida riparazione dell'ulcera. L'aumento del pH gastrico che accompagna il loro uso può incrementare la concentrazione tissutale e l'efficacia degli antimicrobici, creando un ambiente ostile all'H. pylori. La duplice terapia con amoxicillina e omeprazolo non è raccomandabile. Quella con omeprazolo (40 mg bid) e claritromicina (500 mg tid) per due sett. può portare all'eradicazione in circa l'80% dei casi. La duplice terapia con inibitori della pompa protonica è più semplice e meglio tollerata, ma più costosa, rispetto alla triplice terapia basata sul bismuto. I risultati suggeriscono che le terapie con tre farmaci in combinazione con l'omeprazolo o il lansoprazolo e due antibiotici sono molto efficaci quando somministrati per 7-14 giorni. Per esempio, l'omeprazolo (20 mg bid) o il lansoprazolo (30 mg bid), con la claritromicina (500 mg bid), e il metronidazolo (500 mg bid) o l'amoxicillina (1 g bid) per 1 sett., possono curare l'infezione in circa il 90% dei casi. Le terapie triplici con inibitori della pompa protonica non sono state approvate, ma i loro maggiori vantaggi sono rappresentati da una durata più breve della terapia, una doppia somministrazione al giorno, una tollerabilità eccellente e una percentuale di eradicazione molto alta. Terapie aggiuntive: non ci sono prove che un cambiamento della dieta porti a una più rapida guarigione dell'ulcera o prevenga le recidive. Quindi, molti medici raccomandano di eliminare solo il cibo che causa acidità (p. es., succo di frutta, cibi speziati e grassi). Il latte, che è stato sempre un punto fondamentale della terapia, non aiuta la guarigione dell'ulcera e, in realtà, promuove la secrezione acida. Sebbene non vi siano dati definitivi che correlino l'assunzione di quantità moderate di alcol e la ritardata guarigione dell'ulcera, l'alcol è un forte stimolatore della secrezione acida, tanto che i pazienti ulcerosi vengono di solito avvertiti di ridurne il consumo, con piccole quantità diluite. Il fumo è un fattore di rischio per lo sviluppo delle ulcere e delle loro complicanze e sembra ostacolare la guarigione dell'ulcera, oltre che aumentare l'incidenza delle recidive. Il rischio di recidive e il grado di inibizione della guarigione è correlato al numero delle sigarette fumate ogni giorno. Chirurgia: con l'attuale terapia farmacologica, il numero di pazienti che necessita di un trattamento chirurgico è diminuito in maniera significativa. Le indicazioni (v. Complicanze, sopra) includono la perforazione, l'ostruzione che non risponde alla terapia medica, il sanguinamento incontrollabile o che recidiva, l'ulcera gastrica maligna sospetta e i sintomi che non rispondono alla terapia medica. La perforazione acuta solitamente necessita di un intervento immediato. Più file:///F|/sito/merck/sez03/0230269.html (7 of 9)02/09/2004 2.05.41

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lunga è l'attesa, peggiore è la prognosi. Quando l'intervento è chiaramente controindicato, l'alternativa è costituita dall'aspirazione nasogastrica continua (preferibilmente in un'unità di terapia intensiva) e dagli antibiotici ad ampio spettro. L'incidenza e il tipo di sintomi postchirurgici variano con il tipo di intervento. Le procedure chirurgiche resettive includono l'antrectomia, l'emigastrectomia, la gastrectomia parziale e la gastrectomia subtotale (cioè, la resezione dal 30 al 90% dello stomaco distale con una gastroduodenostomia, sec Billroth I, o con una gastrodigiunostomia, sec Billroth II) con o senza vagotomia. Dopo la chirurgia resettiva, fino al 30% dei pazienti ha dei sintomi significativi, comprendenti la perdita di peso, i disturbi digestivi, l'anemia, la dumping syndrome, l'ipoglicemia reattiva, il vomito biliare, i problemi meccanici e le recidive dell'ulcera. Il calo ponderale è frequente dopo una gastrectomia subtotale; il paziente deve limitare la quantità di cibo assunta a causa dell'insorgenza precoce di un senso di sazietà (poiché la tasca gastrica residua è piccola) o per prevenire la dumping syndrome e gli altri sintomi postprandiali. Con una tasca gastrica piccola, la distensione e la pesantezza possono seguire anche a un pasto di ridotta entità; il paziente deve essere incoraggiato, quindi, a fare pasti piccoli e frequenti. La maldigestione e la steatorrea causate dal bypass pancreatobiliare, specialmente con l'anastomosi di tipo Billroth II, possono contribuire al calo ponderale. L'anemia è frequente (solitamente da carenza di ferro, ma occasionalmente da carenza della vitamina B12 per la mancanza del fattore intrinseco o per la crescita batterica) e si può verificare un'ostemalacia. Si consiglia la somministrazione IM di vitamina B12 in tutti i pazienti con gastrectomia totale e in quelli sottoposti a gastrectomia subtotale, in caso si sospetti una carenza. Una dumping syndrome può seguire le procedure di chirurgia gastrica, particolarmente dopo una resezione. Subito dopo l'assunzione del cibo, specialmente se si tratta di alimenti ipertonici, si manifestano debolezza, vertigini, sudorazione, nausea, vomito e palpitazioni. Questo fenomeno viene riferito come una dumping precoce, la cui causa rimane oscura, ma probabilmente coinvolge i riflessi autonomi, la contrazione del volume intravascolare e il rilascio di peptidi vasoattivi dal piccolo intestino. Le modificazioni dietetiche, con pasti più piccoli e più frequenti e una diminuita assunzione di carboidrati, di solito, sono benefici. Un'altra forma della sindrome, l'ipoglicemia reattiva o la dumping tardiva, derivano dal rapido passaggio dei carboidrati nell'intestino. Il precoce picco glicemico stimola la liberazione di insulina, che porta a un'ipoglicemia sintomatica diverse ore dopo il pasto. Si consiglia, quindi, una dieta ad alto contenuto proteico, a basso contenuto di carboidrati e con un adeguato apporto calorico (sotto forma di pasti piccoli e frequenti). I problemi meccanici, comprendenti la gastroparesi e la formazione di bezoari, possono verificarsi secondariamente a una diminuzione delle contrazioni motorie gastriche in fase III, che sono alterate dopo l'antrectomia e la vagotomia. La diarrea è comune specialmente dopo una vagotomia, anche senza la resezione gastrica (piloroplastica). Più di recente, è stato raccomandato come intervento per l'ulcera duodenale, la vagotomia superselettiva o vagotomia delle cellule parietali (che è limitata alle fibre dirette al corpo e risparmia l'innervazione antrale, ovviando alla necessità di un drenaggio gastrico) che presenta una mortalità molto bassa ed evita la morbilità associata alla resezione gastrica e alla tradizionale vagotomia. La percentuale di recidive dell'ulcera dopo trattamento chirurgico, è del 5-12% dopo una vagotomia superselettiva e del 2-5% dopo una resezione gastrica. Le ulcere recidive vengono diagnosticate tramite l'endoscopia e di solito rispondono alla terapia medica sia con inibitori della pompa protonica che con H2-antagonisti. In caso di ulcere recidive, va controllata la completezza della vagotomia con l'analisi gastrica, va eradicato l'H. pylori se presente e va esclusa la sindrome di Zollinger-Ellison con la misurazione della gastrina sierica.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS I tumori esocrini del pancreas originano dalle cellule duttali e da quelle acinari. I tumori endocrini originano dalle cellule insulari e da quelle che producono gastrina e, spesso, producono diversi ormoni.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE CANCRO DELLO STOMACO Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L'adenocarcinoma gastrico rappresenta il 95% dei tumori maligni dello stomaco; i linfomi (che possono essere primitivi) e i leiomiosarcomi sono meno frequenti. L'incidenza del cancro dello stomaco varia nelle diverse parti del mondo; per esempio, è estremamente elevata in Giappone, in Cile e in Islanda. Negli USA il cancro dello stomaco è più frequente nel nord, tra i poveri e nelle persone di colore, ma la sua incidenza è diminuita a circa 8/100000, scendendo al 7o posto tra le cause più comuni di morte per cancro. In Giappone, nonostante l'incidenza sia diminuita, il cancro gastrico rappresenta ancora la più frequente causa di morte per tumore. La sua incidenza aumenta con l'età e > 75% dei pazienti ha > 50 anni.

Eziologia e fisiopatologia La causa è sconosciuta. È spesso osservata la presenza di gastrite e di metaplasia intestinale della mucosa gastrica, ma si pensa che queste siano generalmente la conseguenza del cancro gastrico, piuttosto che delle lesioni precancerose. È stato detto che l'ulcera gastrica può trasformarsi in un cancro, ma, anche se ciò fosse vero, è un evento che si verifica in pochi pazienti, la maggior parte dei quali probabilmente aveva un cancro gastrico non diagnosticato fin dall'inizio. Nel 1994, l'WHO ha dichiarato che l'Helicobacter pylori è un carcinogeno di grado I per l'adenocarcinoma gastrico e per i tumori del tessuto linfoide associati alla mucosa dello stomaco. I polipi gastrici, anch'essi citati come precursori del cancro, sono rari, ma qualunque tipo di polipo deve essere considerato come sospetto e deve essere rimosso, solitamente per via endoscopica. La malignità è molto probabile se i polipi adenomatosi hanno un diametro > 2 cm o hanno una componente villosa all'istologia e se sono presenti polipi multipli. L'incidenza del cancro dello stomaco è generalmente diminuita nei pazienti con ulcera duodenale (v. Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23).

Anatomia patologica Gli adenocarcinomi gastrici possono essere classificati a seconda del loro aspetto macroscopico. (1) Vegetanti: il tumore è polipoide o vegetante. (2) Infiltranti: il tumore presenta margini netti, ben circoscritti e può essere ulcerato. file:///F|/sito/merck/sez03/0340349.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.43

Tumori del tratto gastrointestinale

(3) Diffusi: il tumore presenta una diffusione superficiale nella mucosa o l'infiltrazione della parete. Se è presente un'ulcera, i suoi bordi tendono a essere mal definiti o rilevati. Un'infiltrazione della parete gastrica associata a una reazione fibrosa può produrre uno stomaco "a borraccia" (linite plastica). (4) Misti: i tumori presentano le caratteristiche di due degli altri tipi. Questa è la classificazione più ampia. I tumori vegetanti hanno una migliore prognosi rispetto a quelli infiltranti. Le dimensioni del tumore non predicono il rischio della presenza di coesistenti metastasi. Anche il tumore più piccolo, infatti, può avere metastatizzato a distanza al momento della diagnosi. La classificazione istologica è basata sul grado con cui le cellule si dispongono a formare ghiandole tubulari di aspetto normale e sul grado di differenziazione delle cellule stesse. La classificazione istologica è solo moderatamente correlata con l'aspetto macroscopico e con la prognosi. La Japanese Society for Gastroenterological Endoscopy (1962) ha definito una classificazione per il cancro gastrico in fase precoce (early gastric cancer), cioè limitato alla mucosa e alla sottomucosa. L'identificazione si basa su criteri morfologici macroscopici: tipo I, vegetante; tipo II, superficiale (sollevato, piatto o infossato); tipo III, escavato.

Sintomi e segni In fase precoce, il cancro gastrico non provoca alcun sintomo specifico. I pazienti e i medici spesso tendono a trascurare i sintomi, che a volte sono presenti da molti mesi o ancora da più tempo. Un'attenta ricerca può, però, evidenziare molti indizi. La sazietà (senso di ripienezza o di distensione) dopo un pasto abbondante è un segno molto indicativo se il cancro è localizzato, come avviene frequentemente, nella regione pilorica. Il dolore può far pensare a un'ulcera peptica, specialmente se il cancro interessa la piccola curva. Un cancro nella regione cardiale dello stomaco può ostruire lo iato esofageo e causare disfagia. La linite plastica può essere indicata dal senso di ripienezza, da una forma dello stomaco che non si modifica mai alla rx con bario o da una parete gastrica ispessita alla TC. Questo cancro può essere confuso con quello dell'esofago o con l'acalasia, anche dopo studi accurati. Gli adenocarcinomi o i tumori della parte inferiore dell'esofago indicano un'origine gastrica. Recenti studi hanno dimostrato che questo tumore può derivare da una metaplasia colonnare del tratto terminale dell'esofago (esofago di Barrett). La perdita di peso o l'astenia, che di solito derivano da una restrizione alimentare, sono spesso la causa del ricorso alle cure mediche. L'ematemesi massiva o la melena sono rare, ma si può avere un'anemia secondaria a seguito di perdite ematiche occulte. Occasionalmente, i primi sintomi e segni sono dovuti alle metastasi, mentre il tumore primitivo è asintomatico. In seguito, nel decorso naturale del cancro gastrico, si può avere una perdita di peso o la comparsa di una massa palpabile. Alla fine, la diffusione del tumore o le metastasi possono causare epatomegalia, ittero, ascite, noduli cutanei e fratture patologiche.

Diagnosi La diagnosi differenziale include, comunemente, l'ulcera peptica e le sue complicanze. L'endoscopia consente un'ispezione diretta e una biopsia delle aree sospette. Un'ulcera gastrica deve essere sottoposta a biopsie multiple dei margini e all'esame citologico dopo brushing della base e della parte sottominata dei margini. Occasionalmente una biopsia limitata alla mucosa non include il tessuto tumorale, presente nella sottomucosa. Nelle popolazioni ad alto rischio (p. es.,

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giapponese), l'endoscopia viene usata per lo screening. L'esame citologico del liquido di lavaggio gastrico è utile in certi centri; l'impiego di alcune tecniche speciali (p. es., spruzzare sulla superficie del tumore un getto d'acqua in corso di endoscopia, utilizzando dei dispositivi che raschiano la superficie del tumore) può aumentare il numero dei lavaggi positivi. In mani esperte, l'uso del brushing, insieme alla biopsia, aumenta l'attendibilità dei risultati. Gli studi radiologici generalmente sono poco affidabili nell'evidenziare le lesioni precoci, di piccole dimensioni. Comunque, usando tecniche a doppio contrasto, che consistono nel verniciare la mucosa con un sottile strato di bario e nell'insufflare poi lo stomaco con aria, per evidenziare i dettagli della mucosa, i radiologi giapponesi hanno rilevato carcinomi più piccoli di 1 cm di diametro, tanto che le rx con bario a doppio contrasto sono state adottate come procedura di screening in Giappone. Lo studio della secrezione gastrica è di limitato valore.

Terapia L'asportazione del tumore, quando possibile, offre la sola speranza di cura. La prognosi è buona se il tumore è limitato alla mucosa e alla sottomucosa. Negli USA i risultati della chirurgia sono scadenti poiché la maggior parte dei pazienti presenta neoplasie più estese. I risultati della chirurgia sono migliori in Giappone, dove il cancro viene evidenziato in fase precoce grazie allo screening di massa. I risultati dei linfomi primitivi dello stomaco sono migliori rispetto a quelli degli adenocarcinomi. Vi può essere una lunga sopravvivenza e anche una guarigione, particolarmente nel caso dei linfomi maligni. Anche la combinazione di chemioterapia e radioterapia può essere curativa nel linfoma gastrico. Nel caso degli adenocarcinomi gastrici i pazienti con ulcere maligne hanno i migliori risultati, presumibilmente perché i sintomi li portano all'osservazione del medico più precocemente. La chemioterapia può avere un valore palliativo per il paziente con metastasi; la radioterapia associata alla chemioterapia può essere indicata nei pazienti con tumori localmente non resecabili, ma i risultati sono di solito deludenti. La chemioterapia adiuvante, da sola o combinata con la radioterapia, è ancora un protocollo sperimentale utilizzato dopo la resezione dello stomaco. L'intervento per cancro consiste nella rimozione della maggior parte o di tutto lo stomaco e dei linfonodi adiacenti. Le metastasi o l'estensione del tumore precludono la guarigione. La decisione di effettuare un intervento palliativo (p. es., una gastroenterostomia per superare un'ostruzione pilorica) si basa sul possibile miglioramento della qualità della vita.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I MALATTIE ATOPICHE Rinite allergica Rinite mediata da IgE, caratterizzata da starnutazione, rinorrea, congestione nasale, prurito e spesso congiuntivite e faringite a carattere stagionale o continuo.

Sommario: FEBBRE DA FIENO Sintomi e segni Diagnosi Terapia RINITE PERENNE Sintomi, segni e diagnosi Terapia

FEBBRE DA FIENO (Pollinosi) Forma stagionale acuta della rinite allergica. La febbre da fieno è generalmente provocata dai pollini portati dal vento. Il tipo primaverile è dovuto a pollini di alberi (p. es. quercia, olmo, acero, ontano, betulla, ginepro, olivo); il tipo estivo a pollini di graminacee (p. es. gramigna capriola, codolina, erba dolce primaverile, erba Johnson) e a pollini di erbe selvatiche (p. es. cardo russo, piantaggine inglese); il tipo autunnale a pollini di erbe selvatiche (p. es. ambrosia). Talvolta, la febbre da fieno è causata soprattutto da spore fungine trasportate dall’aria. Esistono importanti differenze geografiche regionali.

Sintomi e segni Il naso, il palato, la faringe e gli occhi cominciano a dare prurito gradualmente o improvvisamente dopo l’inizio della stagione dei pollini. Lacrimazione, starnutazione e secrezione nasale acquosa limpida accompagnano o seguono presto il prurito. Possono verificarsi cefalee frontali e irritabilità. Più raramente, possono presentarsi anoressia, depressione e insonnia. La congiuntiva appare congesta e le mucose nasali sono edematose e rosso-bluastre. Possono manifestarsi tosse e respiro asmatico man mano che la stagione avanza.

Diagnosi file:///F|/sito/merck/sez12/1481125.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.44

Disordini da ipersensibilità

L’anamnesi rivela la natura allergica della patologia e spesso anche i pollini responsabili. Elementi diagnostici di supporto sono l’esame obiettivo e la presenza di eosinofili nelle secrezioni nasali. I test cutanei sono utili per identificare i pollini responsabili o confermarne il coinvolgimento.

Terapia I sintomi possono essere controllati evitando l’allergene (v. sopra). Gli antiistaminici orali spesso alleviano la sintomatologia; se quelli abituali dovessero indurre una sedazione eccessiva, se ne può usare uno privo di effetti sedativi (v. Antiistaminici, sopra). È possibile l’impiego della terapia topica (v. oltre). Spesso insieme agli antiistaminici si somministrano simpaticomimetici. In molte preparazioni di antiistaminici-decongestionanti sono presenti fenilpropanolamina, fenilefrina o pseudoefedrina. Poiché i simpaticomimetici orali possono provocare un rialzo della pressione arteriosa, è bene che i pazienti con tendenza all’ipertensione non ne facciano uso senza sottoporsi a controlli periodici. Se gli antiistaminici orali non danno buoni risultati, si può somministrare cromoglicato al 4% per spray nasale (applicato con un diffusore manuale). Il dosaggio abituale è di una nebulizzazione (5,2 mg) tid o qid. Esso può essere più efficace nella prevenzione dell’insorgenza dei sintomi piuttosto che nella risoluzione della sintomatologia acuta. Dal momento che il cromoglicato è più costoso e allevia soltanto la sintomatologia nasale, altri farmaci vengono solitamente provati prima di esso. L’azelastina, uno spray nasale antiistaminico, ha una buona efficacia e provoca meno effetti collaterali rispetto agli antiistaminici orali. Quando la sintomatologia nasale non viene risolta dagli antiistaminici, sono solitamente efficaci i glucocorticoidi per spray nasale. La dose iniziale è di due nebulizzazioni da bid a qid (v. Tab. 148-2). Quando i sintomi sono stati controllati, il dosaggio viene ridotto al minimo necessario per il mantenimento. Se vengono impiegati come indicato, questi farmaci hanno pochi effetti collaterali. Sintomi gravi di difficile trattamento possono richiedere un breve ciclo di terapia corticosteroidea sistemica (prednisone 30 mg/die PO, con riduzione graduale delle dosi nell’arco di una settimana fino a 0 mg o a 10 mg a giorni alterni). L’immunoterapia allergenica (desensibilizzazione, v. sopra) è consigliata se il contatto con l’allergene non può essere evitato, se la terapia farmacologica è scarsamente tollerata o se nel corso della stagione si deve ricorrere ai glucocorticoidi. Se il paziente è allergico ai pollini, la terapia deve essere iniziata appena finisce la stagione dell’impollinazione, per prepararsi alla stagione successiva.

RINITE PERENNE Rinite non stagionale, che può essere di tipo allergico o non allergico, talora complicata da sinusite, polipi nasali o ipersensibilità all’aspirina e ad altri FANS.

Sintomi, segni e diagnosi Contrariamente a quanto avviene nella febbre da fieno, i sintomi della rinite perenne variano di gravità (spesso in modo imprevedibile) nell’arco dell’anno. I sintomi extranasali (p. es. la congiuntivite) sono poco comuni, ma l’ostruzione nasale cronica è spesso considerevole e può estendersi alle tube di Eustachio. La compromissione uditiva che ne consegue è particolarmente frequente nei bambini. La diagnosi è confortata da una anamnesi positiva per malattia atopica, dalla mucosa caratteristicamente rosso-bluastra, dalla presenza di numerosi eosinofili nelle secrezioni nasali e dalla positività dei test cutanei (in particolare agli acari della polvere, alle blatte, alle forfore animali o ai funghi). Alcuni pazienti file:///F|/sito/merck/sez12/1481125.html (2 of 3)02/09/2004 2.05.44

Disordini da ipersensibilità

hanno un quadro complicato da infezioni dei seni paranasali e polipi nasali. Diagnosi differenziale: alcuni pazienti con test cutanei negativi e presenza di numerosi eosinofili nelle secrezioni nasali soffrono di rinite cronica, sinusite e polipi, condizione chiamata rinite eosinofila non allergica o rinite non allergica con eosinofilia. Questi pazienti non sono atopici, ma hanno spesso ipersensibilità all’aspirina e ad altri FANS; un sottogruppo di pazienti soffre unicamente di rinite cronica. Alcuni pazienti soffrono di rinite vasomotoria, la quale è caratterizzata da ostruzione nasale continua o rinorrea lieve ma fastidiosa e assenza di allergie, polipi, infezioni, eosinofilia o ipersensibilità a farmaci (v. Cap. 86). Un ulteriore gruppo di pazienti è affetto da rinite derivante da un utilizzo eccessivo di decongestionanti (α-adrenergici) per uso topico (rinite medicamentosa).

Terapia Il trattamento è simile a quello per la febbre da fieno se vengono identificati allergeni specifici, tranne per il fatto che i glucocorticoidi per via sistemica, anche se efficaci, devono essere evitati a causa della necessità di un uso prolungato. Dopo che le allergie sono state controllate o escluse, talvolta viene fatto un tentativo con la chirurgia (antrotomia e irrigazione dei seni paranasali, polipectomia, resezione sottomucosa) o con la crioterapia. Non esistono dati convincenti a sostegno del fatto che la chirurgia sia efficace per la rinite perenne in quanto tale. I pazienti con rinite eosinofila non allergica solitamente rispondono meglio a un glucocorticoide per uso topico. Per i pazienti con rinite vasomotoria, l’unica terapia è costituita dalla rassicurazione da parte del medico, dagli antiistaminici e dai vasocostrittori orali e dall’esortazione a evitare i decongestionanti topici, i quali provocano congestione di rimbalzo e, se usati continuativamente per una settimana o più, possono aggravare o perpetuare la rinite cronica (rinite medicamentosa). Alcuni pazienti possono trarre beneficio da irrigazioni frequenti con soluzione salina, dalla somministrazione topica di bromuro di ipratropio o dagli spray nasali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 148-2. FARMACI ANTINFIAMMATORI PER VIA INALATORIA NASALE Farmaco

Forma

Dose per nebulizzazione

Dose iniziale (in nebulizzazioni per narice)

Dosi per nebulizzatore

Corticosteroidi topici con minimi effetti sistemici Beclometasone dipropionato

Pressurizzata 42µg

>12anni, 1 da bid a qid

200

6-12anni, 1 tid Acquosa

42µg

6anni, 1-2 bid

200

Flunisolide

Acquosa

25µg

>6anni, 2 bid

125

Triamcinolone acetonide*

Pressurizzata 55µg

2 al giorno

100

Fluticasone*

Acquosa

1-2 al giorno

120

Budesonide

Pressurizzata 32µg

6anni, 2 bid o 4 200 al gior no

Acquosa

6anni, 1 tid o qid

200

>12anni, 2 bid o tid

170

Cromoglicato e nedocromil†

50µg

5,2µg

Corticosteroidi con effetti sistemici Desametasone

Pressurizzata 84µg

6-12anni, 1-2 bid *Non approvato per l’uso nei bambini al di sotto di 12anni. †La forma nasale del nedocromil non è ancora disponibile negli USA. Per gentile concessione di Platts-Mills TE, Wheatley LM: "Chronic rhinitis caused by dust mite and other indoor allergens" in Current Therapy in Allergy, Immunology, and Rheumatology, edito da L Lichtenstein e A Fauci, Philadelphia, Mosby, 1996, p19.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I MALATTIE ATOPICHE Congiuntivite allergica Infiammazione di natura allergica della congiuntiva.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La congiuntivite allergica in forma catarrale acuta o cronica fa abitualmente parte di una sindrome allergica più ampia (p. es. la febbre da fieno), ma può presentarsi da sola per contatto diretto con sostanze veicolate dall’aria (p. es. pollini, spore fungine, polveri o forfore di animali). (V. anche Cheratocongiuntivite primaverile nel Cap. 95.)

Sintomi, segni e diagnosi Un prurito notevole può accompagnarsi a lacrimazione eccessiva. La congiuntiva appare edematosa e iperemica. La causa viene spesso suggerita dall’anamnesi e può essere confermata con i test cutanei.

Terapia Deve essere evitato il contatto con un allergene causale identificato o sospetto. L’uso frequente di un collirio ad azione blanda (p. es. soluzione salina tamponata allo 0,65%) può ridurre l’irritazione. Bisogna evitare di portare lenti a contatto. Gli antiistaminici orali sono solitamente utili. Sono disponibili antiistaminici per uso topico (antazolina 0,5% o feniramina 0,3%), ma soltanto in associazione con i vasocostrittori nafazolina 0,025-0,05% o fenilefrina 0,125% in soluzioni oftalmiche. L’uso prolungato di vasocostrittori può provocare nell’occhio gli stessi fenomeni di rimbalzo che si osservano nel naso. L’antiistaminico topico o il conservante presenti nella preparazione possono dare sensibilizzazione e la maggior parte dei pazienti risponde ugualmente bene, o anche meglio, a un antiistaminico orale aggiunto a un vasocostrittore locale da solo, piuttosto che alla loro associazione per uso topico (v. anche Congiuntivite allergica stagionale nel Cap. 95). Il cromoglicato (soluzione oftalmica al 4%) può risultare utile, in modo particolare per prevenire l’insorgenza dei sintomi quando è prevedibile l’esposizione all’allergene (v. Rinite allergica, sopra). Nei casi gravi, come ultima risorsa e dietro parere di un oculista, si può ricorrere a una sospensione oftalmica corticosteroidea (p. es. medrisone 1% o fluorometolone 0,1%, applicati qid). La pressione intraoculare va controllata prima di cominciare tale trattamento e a

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Disordini da ipersensibilità

intervalli regolari durante il periodo di somministrazione; la terapia steroidea va interrotta il prima possibile.

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Patologie della congiuntiva

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 95. PATOLOGIE DELLA CONGIUNTIVA CHERATOCONGIUNTIVITE PRIMAVERILE Congiuntivite bilaterale recidivante con concomitanti alterazioni dell'epitelio corneale, probabilmente di origine allergica, che recidiva in primavera e in autunno.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

La cheratocongiuntivite primaverile è più comune nei maschi dai 5 ai 20 anni di età (V. anche Congiuntivite allergica nel Cap. 148).

Sintomi e segni Sono sintomi caratteristici il prurito intenso, la lacrimazione, la fotofobia, l'iperemia congiuntivale e una densa secrezione mucosa contenente numerosi eosinofili. Di solito è colpita la congiuntiva tarsale della palpebra superiore e talvolta la congiuntiva bulbare. Nella forma palpebrale, soprattutto nella congiuntiva tarsale superiore, sono presenti escrescenze papillari a forma di "acciottolato", di colore variabile dal rosa pallido al grigiastro, squadrate, dure e appiattite. La congiuntiva tarsale non colpita è di colore lattescente. Nella forma bulbare (limbare), la congiuntiva che circonda la cornea diventa ipertrofica e grigiastra. Occasionalmente si verifica una perdita piccola e circoscritta di epitelio corneale, che causa dolore e accentua la fotofobia. In genere i sintomi scompaiono durante i mesi freddi e diventano più lievi con il passare degli anni.

Terapia La terapia è la stessa della congiuntivite allergica stagionale (v. Congiuntivite allergica stagionale, sopra), eccetto il fatto che nei pazienti con cheratocongiuntivite stagionale frequentemente sono necessari inibitori topici delle mastcellule (p. es., lodoxamide) o corticosteroidi topici somministrati a cicli.

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Patologie della congiuntiva

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 95. PATOLOGIE DELLA CONGIUNTIVA CONGIUNTIVITE ALLERGICA STAGIONALE (Congiuntivite secondaria a febbre da fieno) Infiammazione acuta stagionale della congiuntiva causata da un'allergia, in genere a pollini volatili.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La congiuntivite è provocata da una reazione di ipersensibilità di I tipo ad antigeni specifici, generalmente pollini volatili di alberi, erbe o piante selvatiche (v. Cap. 148).

Sintomi, segni e diagnosi I pazienti lamentano iperemia congiuntivale bilaterale, secrezione acquosa e prurito oculare. La maggior parte dei pazienti presenta una concomitante rinite. Molti pazienti soffrono di altre patologie allergiche come l'eczema e l'asma. Il prurito oculare spesso causa strofinamento delle palpebre ed edema (v. Cap. 94). La congiuntivite è ricorrente e stagionale, con sintomi evidenti in primavera, tarda estate e inizio dell'autunno. La congiuntiva bulbare e tarsale è iperemica, ma l'aspetto predominante è l'edema. La congiuntiva bulbare appare traslucida, bluastra e ispessita. Le papille presenti sulla congiuntiva tarsale le conferiscono un aspetto vellutato. La chemosi non è frequente. La diagnosi è in genere basata sull'evidenza clinica. Gli eosinofili sono presenti negli strisci congiuntivali, che si ottengono dalla congiuntiva inferiore o tarsale superiore.

Terapia La non esposizione può attenuare i sintomi e a volte è utile la desensibilizzazione all'antigene. Medicamenti topici antiistaminici/vasocostrittori (p. es., nafazolina cloridrato/feniramina maleato) sono utili nei casi lievi. Gli antistaminici topici (p. es., levocabastina), i FANS (p. es., ketorolac) o gli inibitori topici delle mastcellule (p. es., lodoxamide) possono essere usati isolatamente o in combinazione se le preparazioni da banco non portano grande sollievo. I corticosteroidi topici (p. es., fluorometolone allo 0,1% o il prednisolone acetato 0,12-1,0% collirio tid) possono essere utili nei casi resistenti. Dal momento che i corticosteroidi topici possono esacerbare un'infezione da herpes virus simplex, portando anche a ulcerazione corneale e perforazione o, se usati a lungo termine provocare glaucoma e cataratta, essi devono essere iniziati e monitorizzati da un oftalmologo. file:///F|/sito/merck/sez08/0950769a.html (1 of 2)02/09/2004 2.05.46

Patologie della congiuntiva

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Patologie delle palpebre

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 94. PATOLOGIE DELLE PALPEBRE EDEMA PALPEBRALE Sommario: Eziologia Terapia

Eziologia Di solito le allergie provocano un edema palpebrale rugoso con iperemia e desquamazione di uno o entrambi gli occhi. La forma acuta, edema palpebrale allergico stagionale, è causata da una ipersensibilità ai pollini volatili o direttamente posti a contatto degli occhi tramite le mani (p. es., dopo aver lavorato in giardino). Le reazioni allergiche croniche si manifestano per sensibilità da contatto dovuta a farmaci topici (p. es., atropina, neomicina) o cosmetici o metalli (nickel) ed edema allergico palpebrale non stagionale, che si ritiene essere dovuto a ipersensibilità a funghi o animali o piccole particelle di polvere (v. Altre patologie allergiche oculari nel Cap. 148). La trichinosi provoca edema palpebrale cronico che è di norma bilaterale e molto simile al tipo allergico; la febbre associata e gli altri sintomi sistemici possono essere inizialmente assenti. È caratteristica un'eosinofilia > 10%. L'angioedema ereditario dovuto a carenza dell'inibitore della C1 esterasi (v. Angioedema ereditario nel Cap. 148) può essere causa di edema palpebrale acuto.

Terapia Nell'edema palpebrale allergico, la rimozione della causa scatenante è quasi sempre l'unico trattamento necessario. L'applicazione di compresse fredde sulle palpebre chiuse può accelerare la risoluzione del processo; l'applicazione topica di pomate a base di corticosteroidi (p. es., fluormetolone 0,1% tid per non più di 7 gg) può essere necessaria se il gonfiore persiste per più di 24 h. Le terapie dell'angioedema ereditario e della trichinosi sono trattate rispettivamente nei Cap. 148 e 161.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I MALATTIE ATOPICHE Altre malattie allergiche oculari Le palpebre possono essere interessate da angioedema o da orticaria, dermatite da contatto o dermatite atopica. La dermatite da contatto delle palpebre, una reazione di ipersensibilità cellulare (ritardata, di tipo IV), può essere provocata da diversi farmaci oftalmici o da altri farmaci portati all’occhio con le dita (p. es. gli antibiotici nel personale addetto alla lavorazione dei farmaci), oppure dalla cipria, dallo smalto per le unghie o dai coloranti per capelli. La cornea può essere interessata dall’estensione di una congiuntivite allergica o da una variante della cheratite puntata superficiale, la quale raramente porta a cicatrizzazione. Dolore, fotofobia, lacrimazione e flogosi ciliare pericorneale indicano la probabile presenza di un’uveite anteriore. La causa di solito rimane sconosciuta. L’oftalmia simpatica viene ritenuta una reazione di ipersensibilità al pigmento uveale. L’endoftalmite facoanafilattica è un’allergia alla proteina nativa del cristallino. Questa grave reazione al materiale residuo del cristallino si presenta tipicamente qualche ora dopo l’estrazione non complicata di una cataratta, sebbene possa conseguire a un trauma o a un’infiammazione che si estenda alla capsula del cristallino. In queste situazioni gravi sono necessari la valutazione e il trattamento solleciti da parte di un oculista (v. anche Cap. 98).

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI Orticaria e angioedema (Orticaria; orticaria gigante; edema angioneurotico) L’orticaria consiste in un’eruzione pomfoide ed eritematosa locale a carico del derma superficiale. L’angioedema è un gonfiore localizzato più profondamente, dovuto alla presenza di aree edematose nel derma profondo e nel tessuto sottocutaneo e può interessare anche le mucose.

Sommario: L’orticaria consiste in un’eruzione pomfoide ed eritematosa locale a carico del derma superficiale. L’angioedema è un gonfiore localizzato più profondamente, dovuto alla presenza di aree edematose nel derma profondo e nel tessuto sottocutaneo e può interessare anche le mucose.

Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia L’orticaria e l’angioedema acuti sono essenzialmente fenomeni di anafilassi limitati alla cute e ai tessuti sottocutanei e possono essere dovuti ad allergia a farmaci, punture o morsi di insetti, iniezioni desensibilizzanti o ingestione di taluni alimenti (specialmente uova, crostacei o noci). Alcune reazioni si verificano in modo esplosivo dopo l’ingestione di quantità minime della sostanza responsabile. Altre (p. es. le reazioni alle fragole) possono verificarsi soltanto dopo un eccesso alimentare e probabilmente sono il risultato di una liberazione diretta (tossica) del mediatore. L’orticaria può accompagnare o addirittura essere il sintomo di esordio di diverse infezioni virali, comprese l’epatite, la mononucleosi infettiva e la rosolia. Alcune reazioni acute sono inspiegabili, anche quando hanno carattere ricorrente. Se l’angioedema acuto è ricorrente, progressivo, doloroso più che pruriginoso e non associato a orticaria, va preso in considerazione un deficit enzimatico ereditario (v. Edema angioneurotico ereditario, oltre). L’orticaria e l’angioedema cronici che durano più di 6 settimane sono più difficili da spiegare e soltanto in casi eccezionali è possibile individuare una causa specifica. Le reazioni sono raramente mediate da IgE. Occasionalmente ne è responsabile l’ingestione cronica di un farmaco o di una sostanza chimica insospettata; p. es. la penicillina contenuta nel latte; l’uso di farmaci da banco; i conservanti o altri additivi alimentari. Bisogna escludere la presenza di una malattia cronica sottostante (LES, policitemia vera, linfomi o infezioni). Sebbene ne sia spesso sospettato il coinvolgimento, fattori psicogeni verificabili vengono identificati raramente. L’orticaria provocata da agenti fisici viene trattata sotto la voce Allergia ad agenti fisici, oltre. Alcuni pazienti con orticaria intrattabile risultano affetti da malattie tiroidee. A volte l’orticaria può essere il primo segno o file:///F|/sito/merck/sez12/1481135b.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.48

Disordini da ipersensibilità

il solo segno visibile di una vasculite cutanea.

Sintomi e segni Nell’orticaria il prurito (generalmente il sintomo di esordio) è seguito dopo breve tempo dalla comparsa di pomfi che possono rimanere di piccole dimensioni (da 1 a 5 mm) o ingrandirsi. Quelli più grandi tendono a schiarirsi al centro e si possono notare all’inizio come grossi anelli (> 20 cm di diametro) di eritema ed edema. Di solito, gruppi di lesioni urticarioidi compaiono e poi si risolvono; un tipo di lesione può rimanere in un punto per diverse ore e poi scomparire per riapparire altrove. Se una lesione persiste per almeno 24 h, bisogna pensare alla possibilità di una vasculite. L’angioedema è caratterizzato da un gonfiore più diffuso e dolente a carico del tessuto sottocutaneo lasso, del dorso delle mani o dei piedi, delle palpebre, delle labbra, dei genitali e delle mucose. L’edema delle vie aeree superiori può provocare difficoltà respiratoria e lo stridore può essere confuso con l’asma.

Diagnosi La causa dell’orticaria acuta o dell’angioedema acuto è di solito evidente. Anche in caso contrario, l’esecuzione di test diagnostici è di rado necessaria, a causa della natura autolimitantesi e non ricorrente di queste reazioni. Nell’orticaria cronica va esclusa la presenza di una malattia cronica sottostante, conducendo scrupolosamente l’anamnesi e l’esame obiettivo ed eseguendo i test di screening di routine. L’eosinofilia è rara nell’orticaria. Altre indagini (p. es. la ricerca di uova e parassiti nelle feci, il dosaggio del complemento sierico e degli anticorpi antinucleari e le radiografie dei seni paranasali e delle arcate dentarie) non sono di alcuna utilità se non vengono suggeriti da indicazioni cliniche supplementari.

Terapia Dal momento che l’orticaria acuta generalmente regredisce entro 1-7 giorni, la terapia è soprattutto sintomatica. Se la causa non è evidente, tutti i farmaci non necessari devono essere sospesi finché la reazione non sia scomparsa. I sintomi possono essere solitamente alleviati da un antiistaminico orale, come la difenidramina 50-100 mg q 4 h, l’idrossizina 25-100 mg bid o la ciproeptadina 48 mg q 4 h. Se essi dovessero causare sonnolenza (che compare in una minoranza di pazienti), deve essere impiegato uno degli antiistaminici non sedativi (v. sopra). In caso di reazioni più gravi, specialmente se associate ad angioedema, può essere necessario un glucocorticoide (p. es. prednisone 3040 mg/die PO). I glucocorticoidi per uso topico sono privi di efficacia. Per l’angioedema faringeo o laringeo acuto il farmaco di primo impiego deve essere l’adrenalina 1:1000, 0,3 ml SC. A essa si può aggiungere una terapia locale; p. es. un agente α-adrenergico nebulizzato e un antiistaminico EV (p. es. difenidramina 50-100 mg). Questa terapia previene abitualmente l’ostruzione delle vie aeree, ma è possibile che si renda necessaria l’intubazione o l’esecuzione di una tracheostomia con somministrazione di O2. Nell’orticaria cronica in circa la metà dei casi si osserva la remissione spontanea nell’arco di due anni. Il controllo dello stress aiuta spesso a ridurre la frequenza e la gravità degli episodi. Taluni farmaci (p. es. l’aspirina) possono aggravare la sintomatologia, così come l’alcol, il caffè e il fumo di tabacco; in questo caso, tali sostanze devono essere evitate. Quando l’orticaria è provocata dall’aspirina, bisogna ricercare la presenza di ipersensibilità ai FANS e alla tartrazina (un additivo colorante per alimenti e farmaci) (v. anche Rinite perenne, sopra). Gli antiistaminici orali con effetto sedativo sono solitamente efficaci

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Disordini da ipersensibilità

(p. es., per gli adulti, idrossizina 25-50 mg bid o ciproeptadina 4-8 mg q 4-8 h; per i bambini, idrossizina 2 mg/kg/die frazionati q 6-8 h e ciproeptadina 0,25-0,5 mg/ kg/die frazionati q 8-12 h). Per alcuni pazienti adulti, la doxepina 25-50 mg bid può risultare il farmaco più efficace. Spesso vengono aggiunti antagonisti H2 (come la ranitidina 150 mg bid). Prima di ricorrere ai glucocorticoidi, i quali rischiano di dover essere somministrati indefinitamente, bisogna fare un tentativo con tutte le misure terapeutiche ragionevoli.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI Edema angioneurotico ereditario Forma di angioedema trasmessa come carattere autosomico dominante e associata a un deficit di inibitore sierico del primo componente del complemento attivato.

Sommario: Eziologia, sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia Nell’85% dei casi il deficit è dovuto alla mancanza dell’inibitore della C1 esterasi; nel 15% è dovuto alla presenza di inibitore della C1 esterasi non funzionante. Un’anamnesi familiare positiva è la regola, ma esistono alcune eccezioni. L’edema è tipicamente unifocale, indurito, doloroso più che pruriginoso e non è accompagnato da orticaria. Gli attacchi vengono spesso precipitati da traumi o malattie virali e vengono aggravati dagli stress emotivi. È frequente il coinvolgimento GI, con nausea, vomito, coliche e perfino segni di ostruzione intestinale. La malattia può provocare un’ostruzione fatale delle vie aeree superiori.

Diagnosi La diagnosi può essere posta misurando il C4, che risulta basso anche tra un attacco e l’altro, oppure più specificamente dimostrando il deficit del C1-inibitore mediante l’immunodiffusione e, se essa risultasse inaspettatamente normale, con un test funzionale. Una forma acquisita di deficit di C1-inibitore secondaria a malattie neoplastiche, come i linfomi, viene distinta in base ai bassi livelli di C1 e ai livelli di C4 diminuiti.

Profilassi Per la profilassi a breve termine dei pazienti mai trattati in precedenza (come prima di una procedura odontoiatrica, di un’endoscopia o di un intervento chirurgico) si possono somministrare 2 U di plasma fresco congelato. Sebbene in linea teorica la presenza nel plasma di un substrato del complemento possa provocare un attacco, ciò non si è osservato nei pazienti asintomatici. Di recente,

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Disordini da ipersensibilità

una frazione parzialmente purificata di inibitore della C1 esterasi ottenuta da campioni multipli di plasma si è dimostrata sicura ed efficace per la profilassi, ma non è ancora disponibile per l’impiego su vasta scala. Se c’è il tempo necessario, il paziente deve essere trattato per 3-5 gg con un androgeno (v. oltre). Per la profilassi a lungo termine sono efficaci gli androgeni. Si deve impiegare uno degli androgeni cosiddetti attenuati. Il trattamento viene cominciato con stanozololo 2 mg PO tid o danazolo 200 mg PO tid. Lo stanozololo è più economico. Una volta raggiunto il controllo della sintomatologia, il dosaggio deve essere ridotto il più possibile, allo scopo di limitare i costi e, nelle donne, di ridurre al minimo gli effetti collaterali virilizzanti. Questi farmaci, oltre a essere efficaci, si sono anche dimostrati in grado di incrementare i bassi livelli di inibitore della C1 esterasi e di C4 verso valori normali.

Terapia L’edema progredisce finché i componenti complementari non sono stati consumati. Gli attacchi acuti che minacciano di provocare ostruzione respiratoria devono quindi essere trattati prontamente ripristinando la pervietà delle vie aeree. L’uso di plasma fresco congelato è controverso. Bisogna somministrare adrenalina, un antiistaminico e un glucocorticoide, ma non esiste la dimostrazione che questi farmaci siano efficaci.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) TRICHINOSI Infezione con Trichinella spiralis, che può causare sintomi gastrointestinali moderati seguiti da edema periorbitario, dolori muscolari, febbre ed eosinofilia.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi La trichinosi si verifica ovunque. Il ciclo vitale è sostenuto dagli animali che vengono nutriti (p. es., i maiali) o che vengono cacciati (p. es., orsi, cinghiali) e altri animali i cui muscoli striati contengono larve incistate infettive (p. es., i roditori). Gli uomini si infettano mangiando carne di carnivori infetti poco cotta o mal lavorata. Le larve vanno incontro a excistazione nel piccolo intestino, penetrano la mucosa e diventano adulte in 6-8 giorni. Le femmine mature rilasciano larve viventi per 4-6 sett. e quindi muoiono o vengono espulse. Le larve appena nate migrano ma sopravvivono soltanto nelle cellule dei muscoli striati scheletrici. Le larve si incistano completamente in 1-3 mesi e rimangono vitali per molti anni come parassiti intracellulari. Il ciclo continua solo se le larve incistate vengono ingerite da un altro carnivoro.

Sintomi e segni I sintomi gastrointestinali sono assenti o moderati in molte persone infette. Durante la prima sett., possono verificarsi nausea, crampi addominali e diarrea; 12 sett. dopo l’infezione, inizia il caratteristico gruppo di segni e sintomi: edema facciale o periorbitale o cheilosi, mialgia, febbre persistente, cefalea, emorragia sub-congiuntivale e petecchie. Il dolore oculare e la fotofobia spesso precedono la mialgia. Le cellule muscolari invase dalle larve causano sintomi che mimano la polimiosite. La dolorabilità muscolare può colpire i muscoli respiratori e della parola, della masticazione e della deglutizione. Nelle infezioni massicce può verificarsi dispnea grave. La febbre è generalmente remittente, arrivando a 39°C e oltre, rimanendo elevata per vari gg per scendere poi gradualmente. L’eosinofilia di solito comincia quando le larve neonate invadono i tessuti, raggiungendo il massimo da 2 a 4 sett. dopo l’infezione e riducendosi gradualmente quando le larve si incistano. Nelle infezioni gravi, l’infiammazione può causare complicanze cardiache (miocardite, insufficienza cardiaca, aritmie), neurologiche (encefalite, meningite, file:///F|/sito/merck/sez13/1611361.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.50

Infezioni parassitarie

disturbi visivi o uditivi, convulsioni) o polmonari (polmonite, pleurite). I decessi di solito sono causati dalla miocardite. I segni e i sintomi migliorano gradualmente e, nella maggior parte dei casi, scompaiono intorno al 3o mese, quando le larve si sono del tutto incistate nelle cellule muscolari ed eliminate dagli altri organi e tessuti. Vaghi dolori muscolari e stanchezza possono persistere per mesi.

Diagnosi Non sono disponibili esami specifici che diagnosticano la fase intestinale della trichinosi . Dopo la seconda sett. di infezione, una biopsia muscolare può scoprire le larve e le cisti. L’infiammazione diffusa dei tessuti muscolari indica un’infezione recente; le larve morte infine vengono riassorbite o calcificate. Gli esami sierologici includono un test ELISA e un test di flocculazione alla bentonite; ognuno di essi può dare risultati falsi-negativi, specialmente se l’esame viene effettuato nella 2a-3a sett. di infezione. Poiché gli anticorpi possono persistere per anni, hanno un maggior valore se risultano inizialmente negativi e poi si positivizzano. La sierologia e la biopsia muscolare sono esami complementari, ognuno dei quali può essere negativo in un dato paziente. Un test cutaneo con antigeni larvali non è disponibile. Gli enzimi muscolari (creatina fosfochinasi e LDH) sono elevati nel 50% dei pazienti e sono correlati ad anomalie elettromiografiche. La trichinosi deve essere distinta dalla febbre reumatica acuta, dall’artrite acuta, dall’angioedema e dalla miosite; gli stati febbrili vanno distinti da TBC, febbre tifoide, sepsi e febbre ondulante; le manifestazioni polmonari dalla polmonite; le manifestazioni neurologiche da meningite, encefalite o poliomielite e infine l’eosinofilia da morbo di Hodgkin, leucemia eosinofila, poliarterite nodosa e malattie causate da altri nematodi migranti.

Profilassi e terapia La trichinosi viene prevenuta cuocendo accuratamente la carne (55°C). Le larve possono solitamente essere uccise congelando la carne a-15°C per 3 sett. oppure a-18°C per 1 giorno. Affumicare o salare la carne può non uccidere le larve. L’infezione è auto-limitata e richiede spesso solo terapia sintomatica e di supporto rapportata alla gravità della malattia. Per i dolori muscolari possono essere necessari analgesici (p. es., aspirina o narcotici). Ai pazienti con gravi manifestazioni allergiche o coinvolgimenti miocardico o del SNC, viene somministrato prednisone 20-60 mg/die PO in dosi refratte per 3 o 4 gg; il dosaggio viene gradualmente ridotto e interrotto dopo 10-14 gg. A volte sono indicati i farmaci antielmintici. Il mebendazolo (200-400 mg tid PO per 3 gg, quindi 400-500 mg tid per 10 gg), il tiabendazolo (25 mg/kg bid PO per 5-10 gg) o il pirantel (11 mg/kg PO per 5 giorni) eliminano i vermi adulti dal tratto GI, ma non hanno effetto sulle larve incistate.

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Infezioni parassitarie

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I MALATTIE ATOPICHE Allergia e intolleranza agli alimenti L’allergia alimentare è caratterizzata da una sintomatologia riproducibile che si manifesta dopo l’ingestione di un alimento specifico e per la quale si dimostra una base immunologica (anticorpi IgE contro antigeni degli alimenti). L’intolleranza alimentare coinvolge reazioni cliniche GI il cui meccanismo è di tipo non immunologico oppure è sconosciuto.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Molte comuni reazioni indesiderate agli alimenti (probabilmente di tipo psicosomatico) vengono attribuite ad allergie alimentari anche quando non esiste l’evidenza convincente di un nesso di causa ed effetto, almeno per il tipo di allergia che può essere valutato con i test cutanei ed è associato alla presenza di anticorpi IgE specificamente diretti contro gli alimenti. Alcune diffuse convinzioni sono discutibili e quasi sicuramente false; p. es. il fatto che l’intolleranza (o l’allergia) verso gli alimenti o gli additivi alimentari possa essere responsabile della sindrome del bambino iperattivo, della sindrome tensione-affaticamento e dell’enuresi. False convinzioni chiamano in causa le allergie alimentari per l’artrite, l’obesità, lo scarso rendimento atletico e la depressione, oltre ad altre condizioni. Occasionalmente sono stati imputati ad allergie o intolleranze alimentari la cheilite, le afte, il pilorospasmo, la stipsi spastica, il prurito anale e l’eczema perianale, ma tali associazioni sono difficili da provare. Recentemente, si è dimostrato che l’intolleranza agli alimenti è responsabile della sintomatologia di alcuni pazienti con sindrome dell’intestino irritabile, evenienza confermata da un test di provocazione alimentare in doppio cieco. In concomitanza con il verificarsi di una reazione è stato osservato un incremento delle prostaglandine rettali. Alcuni dati preliminari indicano che lo stesso fenomeno può verificarsi occasionalmente in pazienti affetti da colite ulcerosa cronica. L’enteropatia eosinofila, che può essere correlata con specifiche allergie alimentari, è una rara malattia caratterizzata da dolore, crampi e diarrea associati a eosinofilia ematica, infiltrati eosinofili intestinali, enteropatia protido-disperdente e una storia di malattia atopica. Raramente si osserva disfagia, segno di interessamento esofageo. La vera allergia alimentare mediata da IgE si sviluppa abitualmente durante la prima infanzia, il più spesso nei soggetti con un’anamnesi familiare spiccatamente positiva per atopia.

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Disordini da ipersensibilità

Sintomi e segni La prima manifestazione può essere un eczema (dermatite atopica), da solo o in associazione con sintomi GI. Entro la fine del primo anno, la dermatite solitamente è diminuita di intensità e può insorgere una sintomatologia allergica respiratoria. L’asma e la rinite allergica possono essere aggravati da allergie ad alimenti che possono essere identificati con i test cutanei. Man mano che il bambino cresce, tuttavia, gli alimenti diventano meno importanti ed egli reagisce in modo progressivamente crescente agli allergeni inalati. All’età di 10 anni, è raro che il bambino con asma e febbre da fieno abbia sintomi respiratori provocati dagli alimenti, anche se persiste la positività dei test cutanei. Se la dermatite atopica persiste o compare nel bambino più grande o nell’adulto, la sua attività sembra essere ampiamente indipendente dall’allergia mediata da IgE, anche se i pazienti atopici con dermatite estesa hanno titoli sierici di IgE molto più elevati rispetto a quelli senza dermatite. La maggior parte dei pazienti giovani con allergie agli alimenti è ipersensibile ad allergeni potenti (p. es. gli allergeni contenuti nelle uova, nel latte, nelle arachidi e nella soia). Le persone più grandi possono reagire in modo violento all’ingestione anche di sole tracce di questi e di altri alimenti (specialmente crostacei), sviluppando un’orticaria a decorso esplosivo, angioedema e perfino anafilassi. Nei pazienti con livelli di ipersensibilità inferiori, l’anafilassi può verificarsi soltanto se essi compiono un esercizio fisico dopo l’ingestione dell’alimento responsabile. L’intolleranza al latte è provocata talvolta da un deficit intestinale di disaccaridasi e si manifesta con sintomi GI (v. anche Intolleranza ai carboidrati nel Cap. 30). In altri pazienti, il latte provoca sintomi GI e perfino respiratori per una ragione sconosciuta. Gli additivi alimentari possono provocare l’insorgenza di sintomi sistemici (glutammato monosodico); di asma (metabisolfito, tartrazina [un colorante giallo]); e probabilmente orticaria (tartrazina). Queste reazioni non sono mediate da anticorpi di classe IgE. Alcuni pazienti soffrono di emicrania provocata o aggravata dagli alimenti, come è stato confermato da test di provocazione per via orale eseguiti in cieco. La digestione previene in modo efficace l’insorgenza dei sintomi da allergia alimentare nella maggioranza degli adulti. Ciò è dimostrato dai pazienti allergici che presentano una reazione dopo inalazione o contatto con un allergene, ma non dopo la sua ingestione (p. es., nell’asma dei fornai, i lavoratori colpiti presentano dispnea quando si espongono alla polvere di farina e hanno test cutanei positivi per il grano e/o altri cereali, ma non hanno alcuna difficoltà a mangiare prodotti a base di cereali).

Diagnosi L’allergia alimentare grave è solitamente ben evidente negli adulti. In caso contrario, o nella maggior parte dei bambini, la diagnosi può essere difficile e la malattia va differenziata dai problemi GI di natura funzionale. Negli individui che si sospetta abbiano reazioni agli alimenti dopo la loro ingestione, il rapporto causale tra la sintomatologia e gli alimenti viene saggiato innanzitutto mediante test cutanei appropriati. Un test positivo non dimostra la presenza di un’allergia clinicamente rilevante, ma un test negativo la esclude. In presenza di un test cutaneo positivo, un’ipersensibilità clinicamente rilevante può essere stabilita con una dieta di eliminazione e, se i sintomi migliorano, con una nuova esposizione all’alimento per definire se esso è in grado di indurre la comparsa della sintomatologia. Tutti i test di provocazione che risultano positivi devono essere seguiti da un test di provocazione in doppio cieco per essere considerati definitivi. La dieta di base viene stabilita eliminando gli alimenti che il paziente sospetta siano responsabili dei sintomi, oppure prescrivendo una dieta composta da alimenti relativamente non allergenici (v. Tab. 148-3).

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Disordini da ipersensibilità

Gli alimenti che comunemente causano allergia sono il latte, le uova, i crostacei, le noci, il grano, le arachidi, i semi di soia e tutti i prodotti che contengono uno o più di questi ingredienti. È necessario eliminare dalla dieta di partenza la maggior parte degli allergeni più comuni e tutti gli alimenti sospetti. Non è consentita l’assunzione di altri cibi solidi o di liquidi diversi da quelli previsti dalla dieta di partenza. Non è consigliabile mangiare nei ristoranti, perché il paziente (e il medico) devono essere a conoscenza della composizione esatta di tutti i pasti. Si devono usare sempre prodotti puri; p. es. il comune pane di segale contiene una certa quantità di farina di grano. Se non si assiste a un miglioramento nell’arco di una settimana, si deve provare una dieta diversa. Se i sintomi migliorano, alla dieta viene aggiunto un nuovo alimento e se ne consuma un quantitativo superiore a quello abituale per più di 24 h oppure finché i sintomi non ricompaiono. In alternativa, vengono consumate in presenza del medico piccole quantità dell’alimento da saggiare e vengono osservate le reazioni del paziente. L’aggravamento o la recrudescenza della sintomatologia dopo l’aggiunta di un nuovo alimento alla dieta costituisce la prova migliore dell’esistenza di allergia. Tale prova andrà confermata osservando l’effetto dell’eliminazione dell’alimento dalla dieta per alcuni giorni e quindi reintroducendolo.

Terapia L’unica terapia possibile consiste nell’eliminazione dell’alimento responsabile. Le diete di eliminazione possono essere impiegate sia per la diagnosi sia per la terapia. Quando sono interessati soltanto pochi cibi, si preferisce l’astinenza. L’ipersensibilità a uno o più alimenti può scomparire spontaneamente. Né la desensibilizzazione orale (eseguita eliminando prima l’alimento responsabile per un certo periodo e poi reintroducendolo in piccole quantità con incremento quotidiano) né l’impiego di gocce sublinguali di estratti alimentari sono risultati efficaci. Gli antiistaminici hanno scarso valore, tranne nelle reazioni acute sistemiche con orticaria e angioedema. Il cromoglicato per via orale è stato usato con apparente successo in altri paesi, ma la sua formulazione orale è approvata negli USA esclusivamente per l’impiego nella mastocitosi (v. oltre). La terapia corticosteroidea prolungata non è indicata, salvo per l’enteropatia eosinofila sintomatica. Per il trattamento degli attacchi acuti gravi, potenzialmente fatali, v. Anafilassi, oltre.

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Sindromi da malassorbimento

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

INTOLLERANZA AI CARBOIDRATI Diarrea e distensione addominale causate dall'incapacità di digerire i carboidrati per la mancanza di uno o più enzimi intestinali.

Sommario: Fisiopatologia Incidenza Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Fisiopatologia I disaccaridi vengono normalmente scissi nel piccolo intestino in monosaccaridi dalle lattasi, maltasi, isomaltasi o sucrasi (invertasi). I disaccaridi non scissi restano nel lume e trattengono osmoticamente i liquidi, provocando diarrea e distensione addominale. La fermentazione batterica dello zucchero nel colon causa la formazione di feci gassose e acide. Poiché gli enzimi sono localizzati nell'orletto a spazzola delle cellule mucose, i deficit secondari si verificano nelle malattie che si associano ad alterazioni morfologiche della mucosa digiunale (p. es., la malattia celiaca, la sprue tropicale, le infezioni intestinali acute, l'intossicazione con neomicina). Nei lattanti, un deficit secondario temporaneo di disaccaridasi può complicare le infezioni enteriche o un intervento chirurgico addominale. I monosaccaridi, glucoso e galattoso, sono assorbiti con un processo di trasporto attivo nel piccolo intestino (il fruttoso viene assorbito passivamente). Nel malassorbimento di glucoso-galattoso, è deficitario il sistema di trasporto per questi monosaccaridi nel piccolo intestino e i sintomi si sviluppano dopo l'ingestione della maggior parte dei tipi di zuccheri.

Incidenza Il deficit di lattasi si verifica normalmente, con una diversa intensità, in circa il 75% degli adulti, eccetto quelli di origine europea nord-occidentale per i quali l'incidenza è < 20%. Anche se le statistiche non sono affidabili, la maggior parte dei nord-americani non bianchi gradualmente diventa lattasi-deficiente tra i 10 e i 20 anni. L'incidenza è del 100% tra i cinesi, del 75% tra gli americani di colore e comunque elevata nelle persone di origine mediterranea. L'intolleranza al glucoso-galattoso è una malattia congenita estremamente rara, come lo sono i deficit di altri enzimi della mucosa (p. es., saccaroso, isomaltasi).

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Sindromi da malassorbimento

Sintomi e segni I sintomi e i segni sono simili a quelli dei deficit enzimatici. Un bambino che non può tollerare il lattoso avrà diarrea dopo l'ingestione di latte e non aumenterà di peso. Un adulto può avere borborigmi, distensione, flatulenze, nausea, diarrea e crampi addominali, dopo aver mangiato del cibo contenente lattoso. La diarrea associata all'intolleranza del lattoso (causata dal deficit di lattasi) può essere abbastanza grave da far eliminare anche le altre sostanze nutritive prima che queste vengano assorbite. Un'anamnesi positiva per l'intolleranza ai prodotti caseari è frequente in questi pazienti, che se ne sono accorti precocemente nel corso della loro vita e hanno evitato di mangiare questo tipo di cibi. I sintomi possono simulare la sindrome dell'intestino irritabile.

Diagnosi La diagnosi può essere sospettata quando la diarrea, cronica o intermittente, è acida (pH < 6). Il test di tolleranza al lattoso è specifico: una dose PO di 50 g di lattoso provoca diarrea con meteorismo addominale e vivo fastidio entro 2030 min e un aumento della glicemia < 20 mg/ dl. Quantità equivalenti di glucoso e di galattoso producono un normale aumento della glicemia senza diarrea. Il breath test all'idrogeno comporta la somministrazione per via orale di 10 g di lattoso in soluzione e la misurazione intermittente dell'idrogeno nell'aria espirata con la spettrometria di massa o con i misuratori commerciali dell'idrogeno nel respiro. Sono raccomandati il test della tolleranza al lattoso e le biopsie intestinali, perché poco costosi, sicuri e relativamente sensibili. La diagnosi è confermata dal reperto di una bassa attività della lattasi in un campione di biopsia digiunale. Il malassorbimento del glucoso-galattoso è diagnosticato da un test di tolleranza piatto quando viene ingerito il glucoso.

Terapia Il malassorbimento dei carboidrati è prontamente controllato evitando di assumere gli zuccheri che non possono essere assorbiti (p. es., seguendo una dieta priva di lattoso nei casi di deficit delle lattasi). Nel caso dell'intolleranza al glucoso-galattoso, un bambino che manca dell'enzima di trasporto può assorbire il fruttoso. Se viene seguita una dieta priva di lattoso, si deve somministrare un supplemento orale di Ca. Il lattoso nel latte può essere predigerito mediante l'aggiunta di una lattasi commercialmente preparata o di un latte pretrattato, oggi disponibile in commercio. Il trattamento dei lattanti richiede una severa dieta priva di glucoso-galattoso e contenente il fruttoso come carboidrato principale. Con il passaggio ai cibi solidi, la dieta può essere ampliata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 148-3. DIETE DI ELIMINAZIONE: CIBI CONSENTITI

Generi alimentari

Dieta n. 1* (senza carne bovina e suina, pollame, latte, segale, grano)

Dieta n. 2* (senza carne bovina e ovina, latte, riso)

Dieta n. 3* (senza carne ovina, pollame, segale, riso, grano, latte) ---

Cereali

Prodotti del riso

Prodotti del grano

Vegetali

Lattuga, spinaci, carote, barbabietole, carciofi

Grano, pomodori, piselli, as paragi, melone, fagiolini

Fagioli di Lima, barbabietole, patate (bianche e dolci), fagiolini, pomodori

Carne

Agnello

Pollo, bacon

Manzo, bacon

Farina (pane Riso o biscotti)

Grano, 100% segale (il pane di segale comune contiene grano)

Fagioli di Lima, soia, patate

Frutta

Limone, pera, pompelmo

Pesca, albicocca, prugna, ananas

Pompelmo, limone, pesca, albicocca

Grassi

Olio di semi, olio d’oliva

Olio di frumento, olio di semi

Olio di semi, olio d’oliva

Bevande

Tè, caffè (nero), limonata

Tè, caffè (nero), limonata

Tè, caffè (nero), limonata, succhi dei frutti consentiti

Miscellanea

Budino di tapioca, gelatina, Zucchero di canna, gelatina, zucchero di canna, zucchero sciroppo di grano, sale d’acero, sale, olive

Budino di tapioca, gelatina, zucchero di canna, zucchero d’acero, sale, olive

*Dieta n.4: Nel caso in cui i sintomi persistano osservando una delle tre diete di eliminazione suddette e siano ancora sospettati fattori dietetici, la dieta giornaliera può essere limitata a una dieta elementare, come il Vivonex.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I ANAFILASSI Reazione sistemica acuta, spesso a decorso esplosivo, mediata da IgE, che si verifica in un individuo precedentemente sensibilizzato il quale venga a contatto con l’antigene sensibilizzante.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Profilassi Terapia

L’anafilassi ha luogo quando l’antigene (proteine, polisaccaridi o apteni coniugati con proteine carrier) raggiunge il torrente circolatorio. Gli antigeni più comunemente responsabili sono gli enzimi introdotti per via parenterale, gli emoderivati, gli antibiotici β-lattamici e molti altri farmaci, gli allergeni usati per l’immunoterapia allergenica (desensibilizzazione) e il veleno degli insetti. I βbloccanti, anche sotto forma di collirio, possono aggravare le reazioni anafilattiche. L’anafilassi può essere aggravata o anche provocata de novo dall’esercizio fisico e alcuni pazienti accusano sintomi ricorrenti senza una ragione identificabile. Quando l’antigene reagisce con le IgE presenti sulla superficie dei basofili e delle mast-cellule, vengono sintetizzati o rilasciati istamina, leucotrieni e altri mediatori. Questi mediatori provocano la contrazione della muscolatura liscia (responsabile della dispnea e della sintomatologia GI) e la vasodilatazione che caratterizzano l’anafilassi. La vasodilatazione e la fuoriuscita di plasma nei tessuti sono responsabili dell’orticaria e dell’angioedema e provocano una riduzione del volume plasmatico efficace, che rappresenta la causa principale dello shock. Il liquido penetra anche negli alveoli polmonari e può provocare edema polmonare. Può anche verificarsi un angioedema ostruttivo delle vie aeree superiori. Se la reazione è prolungata, possono svilupparsi aritmie e shock cardiogeno. Le reazioni anafilattoidi sono clinicamente simili all’anafilassi, ma possono verificarsi già dopo la prima iniezione di taluni farmaci (polimixina, pentamidina, oppioidi) e mezzi di contrasto. Esse hanno alla base un meccanismo tossicoidiosincrasico dose-dipendente, più che un meccanismo mediato immunologicamente. L’aspirina e altri FANS possono provocare reazioni nei pazienti suscettibili.

Sintomi e segni La sintomatologia è variabile e raramente un singolo paziente sviluppa il quadro clinico completo. Tipicamente, nel volgere di 1-15 min (ma raramente anche dopo 2 h) il paziente comincia a sentirsi irrequieto, diventa agitato e arrossato e lamenta palpitazioni, parestesie, prurito, pulsazioni auricolari, tosse, starnutazione, orticaria e angioedema, oltre a difficoltà di respirazione dovuta a edema laringeo o a broncospasmo. Nausea, vomito, dolore addominale e diarrea file:///F|/sito/merck/sez12/1481133b.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.53

Disordini da ipersensibilità

sono meno comuni. Entro i successivi 1-2 min può manifestarsi uno shock e il paziente può avere convulsioni, perdere il controllo degli sfinteri, divenire areattivo e morire. Può verificarsi un collasso cardiocircolatorio primitivo in assenza di sintomatologia respiratoria. Gli episodi ricorrenti di anafilassi che si presentano nello stesso individuo sono solitamente caratterizzati dai medesimi sintomi.

Profilassi I pazienti con il più alto rischio di anafilassi da farmaci sono coloro che in precedenza hanno già avuto reazioni al medesimo farmaco, ma la morte per anafilassi può aver luogo anche senza questi precedenti. Poiché il rischio di una reazione a un antisiero eterologo è elevato, è tassativo eseguire di routine un test cutaneo prima di somministrare il siero e può essere necessario adottare misure profilattiche. L’esecuzione sistematica di un test cutaneo prima di intraprendere altri tipi di terapie farmacologiche non è praticabile né attendibile, con l’eccezione forse della terapia penicillinica (i test sono trattati sotto la voce Meccanismi dell’ipersensibilità ai farmaci, oltre). L’immunoterapia (desensibilizzazione) a lungo termine è efficace e adeguata a prevenire l’anafilassi dovuta a punture di insetti, ma è stata tentata raramente nei pazienti con una storia di anafilassi da farmaci o da siero. Al contrario, se la terapia con un farmaco o con un siero è indispensabile, si deve eseguire la desensibilizzazione rapida in condizioni controllate (v. Ipersensibilità ai farmaci, oltre). A un paziente che ha avuto in precedenza una reazione anafilattoide a un mezzo di contrasto radiografico, si può somministrare nuovamente il mezzo con ragionevole sicurezza (se il suo impiego è essenziale) dopo un pretrattamento costituito da 50 mg di prednisone PO q 6 h per 3 dosi, 50 mg di difenidramina PO 1 h prima e 25 mg di efedrina (se non è controindicata) PO 1 h prima dell’esecuzione dell’esame, negli adulti. L’impiego di mezzi di contrasto isosmotici è da preferire come misura precauzionale aggiuntiva.

Terapia È imperativo trattare immediatamente il paziente con adrenalina. L’adrenalina è un antagonista degli effetti dei mediatori chimici a livello della muscolatura liscia, dei vasi sanguigni e di altri tessuti. Per le reazioni lievi (p. es. prurito generalizzato, orticaria, angioedema, lieve difficoltà di respirazione, nausea e vomito) si devono somministrare SC 0,01 ml/ kg di adrenalina in soluzione acquosa 1:1000 (la dose usuale per gli adulti è compresa tra 0,3 e 0,5 ml). Se la reazione anafilattica è stata provocata da un antigene iniettato in un arto, bisogna applicare un laccio emostatico a monte della sede di iniezione e iniettare inoltre la metà della suddetta dose di adrenalina nella stessa sede, in modo da ridurre l’assorbimento sistemico dell’antigene. Può rendersi necessaria una seconda iniezione sottocutanea di adrenalina. Dopo la risoluzione della sintomatologia, va somministrato un antiistaminico orale per 24 h. Per le reazioni di maggiore gravità, con angioedema massivo ma senza segni di interessamento cardiovascolare, ai pazienti adulti bisogna somministrare 50100 mg di difenidramina EV in aggiunta alla terapia suddetta, per prevenire l’edema laringeo e bloccare l’effetto dell’ulteriore rilascio di istamina. Quando l’edema risponde alla terapia, si possono somministrare 0,005 ml/ kg SC di adrenalina ad azione prolungata in sospensione acquosa 1:200 (dose massima, 0,15 ml) per il suo effetto perdurante 6-8 h; per le successive 24 h deve essere somministrato un antiistaminico orale.

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Disordini da ipersensibilità

Per le reazioni asmatiche che non rispondono all’adrenalina, bisogna avviare l’infusione di liquidi EV e (se il paziente non è già sotto teofillina) si possono somministrare 5 mg/kg di teofillina EV nell’arco di 10-30 min, seguiti da 0,5 mg/ kg/ h, più o meno, per mantenere un livello ematico di teofillina di 10-20 µg/ml (tra 55 e 110 µmol/l). Può diventare necessaria l’intubazione endotracheale o la tracheostomia, con somministrazione di O2 a 4-6 l/min. Le reazioni più gravi solitamente coinvolgono il sistema cardiovascolare, provocando ipotensione grave e collasso vasomotorio. Si devono infondere rapidamente liquidi EV e porre il paziente in posizione supina con le gambe sollevate. Va somministrata adrenalina (1:100000) per infusione EV lenta (510 µg/min) sotto stretta osservazione per rilevare la comparsa di effetti collaterali, come cefalea, tremori, nausea e aritmie. La grave ipotensione di base può essere dovuta a vasodilatazione, ipovolemia da perdita di liquidi, insufficienza miocardica (raramente) oppure a una combinazione di tali cause. Ogni tipo di reazione prevede un trattamento specifico e spesso la terapia di una di esse aggrava le altre. La terapia adeguata può essere scelta opportunamente se si possono misurare la pressione venosa centrale (Central Venous Pressure, CVP) e la pressione atriale sinistra (v. anche nel Cap. 198). Una CVP bassa e una pressione atriale sinistra normale indicano una vasodilatazione periferica e/o un’ipovolemia. La vasodilatazione dovrebbe rispondere all’adrenalina (che inoltre ritarderà la perdita dei liquidi intravascolari). L’ipovolemia è di solito la causa principale dell’ipotensione. La CVP e la pressione atriale sinistra sono entrambe basse e bisogna somministrare grandi volumi di soluzione fisiologica, controllando la PA finché la CVP non ritorna normale. Raramente sono necessari i plasma-expander colloidali (p. es. il destrano). Soltanto se la reintegrazione dei liquidi non ripristina una PA normale, bisogna avviare con cautela una terapia con farmaci vasopressori (p. es. dopamina, noradrenalina). Si può verificare un arresto cardiaco, che richiede la rianimazione immediata (v. Cap. 206). Ulteriori terapie dipendono dal quadro ECG. Quando tutte le misure suddette sono state istituite, si può somministrare difenidramina (50-75 mg EV in infusione lenta in 3 min) per il trattamento dell’orticaria, dell’asma, dell’edema laringeo o dell’ipotensione a esordio ritardato. Le eventuali complicanze (p. es. infarto miocardico, edema cerebrale) vanno sempre ricercate e trattate nella maniera opportuna. I pazienti con reazioni gravi devono rimanere sotto osservazione in ospedale per 24 h dopo la risoluzione del quadro, nel caso si verificassero ricadute. I soggetti che hanno avuto una reazione anafilattica alla puntura di un insetto devono portare sempre con sé una siringa preriempita di adrenalina pronta per l’uso, in modo da potersi trattare rapidamente da soli in caso di reazioni future. Essi vanno indirizzati all’esecuzione dell’immunoterapia (desensibilizzazione) con il veleno dell’insetto.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO IV IPERSENSIBILITA' AI FARMACI

Sommario: Introduzione Meccanismi dell'ipersensibilità ai farmaci Diagnosi Terapia

Le eruzioni cutanee da farmaci sono trattate nel Cap. 118. In questa sede vengono esposte altre reazioni di ipersensibilità che possono far seguito alla somministrazione orale o parenterale di farmaci. La dermatite da contatto, che è una reazione di ipersensibilità cellulare (ritardata, di tipo IV) che consegue a un’applicazione locale, viene trattata nel Cap. 111; le reazioni a farmaci che sono la conseguenza di meccanismi non immunologici sono trattate nel Cap. 302. Per le reazioni allergiche agli emoderivati, v. Reazioni allergiche nel Cap. 129. Prima di attribuire una determinata reazione a un farmaco, si deve ricordare che anche i placebo possono provocare un’ampia varietà di sintomi e perfino di segni obiettivi, come le eruzioni cutanee. Ciò nonostante, le reazioni da farmaci vere e proprie costituiscono un problema medico di rilievo. Bisogna consultare la letteratura sui singoli farmaci per identificare le reazioni avverse più probabili. Con un sovradosaggio farmacologico, compaiono effetti tossici in relazione diretta con la quantità totale di farmaco presente nell’organismo e tali effetti possono verificarsi in qualunque paziente se la dose è sufficientemente elevata. Un sovradosaggio assoluto deriva da un errore nel dosaggio o nella frequenza delle singole dosi. Un sovradosaggio relativo si può osservare nei pazienti che, a causa di malattie epatiche o renali, non metabolizzano o non eliminano normalmente il farmaco. Nell’intolleranza farmacologica la reazione indesiderata si manifesta alla prima assunzione del farmaco. Essa può consistere nella stessa reazione tossica ordinariamente attesa con dosi più elevate o può essere un’esagerazione di un comune effetto collaterale di lieve entità (p. es. la sedazione da antiistaminici). L’idiosincrasia è una condizione nella quale la reazione indesiderata che si verifica alla prima assunzione del farmaco è del tutto inattesa e singolare dal punto di vista farmacologico. Si sta identificando un numero sempre maggiore di reazioni dovute a deficit enzimatici geneticamente determinati (p. es. l’anemia emolitica che si sviluppa nei pazienti con deficit di G6PD durante la terapia con svariati farmaci; l’apnea da succinilcolina; la neuropatia periferica da isoniazide: v. anche Reazioni indesiderate ai farmaci nel Cap. 302). La maggior parte delle reazioni tossiche e idiosincrasiche è abbastanza differente dalle reazioni allergiche, con alcune eccezioni. Le reazioni tossiche o idiosincrasiche dovute a farmaci aventi un’azione diretta di rilascio dell’istamina (p. es. mezzi di contrasto radiografici, oppiacei, pentamidina, polimixina B) possono presentarsi sotto forma di orticaria o addirittura di una reazione anafilattoide. L’anemia emolitica può essere allergica (p. es. da penicillina) o dovuta a deficit di G6PD. La febbre da farmaci può essere di origine allergica, file:///F|/sito/merck/sez12/1481145b.html (1 of 5)02/09/2004 2.05.54

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tossica (p. es. da amfetamina e tranilcipromina) o anche farmacologica (p. es. da etiocolanolone). Caratteristiche delle reazioni allergiche ai farmaci: una reazione mediata da IgE si verifica soltanto dopo che il paziente è stato esposto al farmaco (non necessariamente a scopo terapeutico) una o più volte senza incidenti. Una volta che l’ipersensibilità si è sviluppata, la reazione può essere provocata da dosi molto inferiori ai dosaggi terapeutici e solitamente inferiori anche ai livelli che provocano reazioni idiosincrasiche. Le caratteristiche cliniche sono piuttosto limitate nelle loro manifestazioni. Le eruzioni cutanee (specialmente l’orticaria), la sindrome simil-malattia da siero, la febbre inattesa, l’anafilassi e gli infiltrati polmonari eosinofili che compaiono durante una terapia farmacologica sono solitamente dovuti a ipersensibilità; possono esserlo anche alcuni casi di anemia, di trombocitopenia o di agranulocitosi. Raramente, dopo esposizioni ripetute a un farmaco (p. es. sulfamidici, ioduri, penicillina) si manifesta una vasculite, e sono stati descritti una nefrite interstiziale (p. es. da meticillina) e un danno epatico (p. es. da alotano) in circostanze compatibili con lo sviluppo di un’ipersensibilità specifica. L’esempio più grave di ipersensibilità ai farmaci è costituito dall’anafilassi. Tuttavia, la più comune reazione a farmaci è di gran lunga un’eruzione morbilliforme, ancora una volta a eziologia sconosciuta. Anche la febbre e le reazioni urticarioidi sono conseguenze relativamente comuni dell’allergia ai farmaci. Quando in terapia venivano usati i sieri di origine animale, la malattia da siero era una complicanza possibile, ma i sieri animali vengono usati raramente al giorno d’oggi. Può manifestarsi una grave sindrome tipo malattia da siero, a patogenesi sconosciuta, senza livelli elevati di anticorpi IgG circolanti ma solitamente associata con la presenza di anticorpi IgE, particolarmente con farmaci come la penicillina.

Meccanismi dell'ipersensibilità ai farmaci I farmaci costituiti da proteine e da polipeptidi di grandi dimensioni possono stimolare la produzione di anticorpi specifici mediante un meccanismo schiettamente immunologico. Forse la più piccola molecola con potenzialità antigeniche è il glucagone, che ha un peso molecolare di circa 3500. La maggior parte delle molecole dei farmaci è molto più piccola e non possono comportarsi da antigeni da sole. Tuttavia, come apteni, alcune di esse possono legarsi covalentemente alle proteine e i coniugati che ne risultano possono stimolare la produzione di anticorpi specifici diretti contro il farmaco. Il farmaco, o uno dei suoi metaboliti, deve essere chimicamente reattivo con la proteina. Il legame con le proteine sieriche comune a molti farmaci è molto più debole e non possiede forza sufficiente per l’antigenicità. La reazione immunologica specifica è stata definita soltanto per la benzilpenicillina. Questo farmaco non si lega con i tessuti o le proteine sieriche in modo sufficientemente energico da formare un complesso antigenico, ma il suo principale prodotto di degradazione, l’acido benzilpenicillanico, può combinarsi con le proteine tissutali per formare il benzilpenicilloile (BPO), il determinante antigenico principale della penicillina. Diversi determinanti antigenici minori vengono formati in quantitativi relativamente piccoli con meccanismi meno ben definiti. Le reazioni di ipersensibilità (di tipo I, II, III, IV) il più delle volte coinvolgono il determinante BPO. Anticorpi IgE diretti contro i determinanti minori possono essere responsabili, in alcuni pazienti, di anafilassi e orticaria. Sono stati individuati anticorpi IgG contro il determinante principale, ma non contro i determinati minori. Essi possono agire come "anticorpi bloccanti" per il BPO, modificando o anche impedendo una reazione contro il BPO stesso, mentre la mancanza di anticorpi IgG bloccanti diretti contro i determinanti minori può spiegare la capacità di questi determinanti di provocare anafilassi. Tutte le penicilline semisintetiche (p. es. l’amoxicillina, la carbenicillina, la ticarcillina) potenzialmente reagiscono in maniera crociata con la penicillina, cosicché i pazienti ipersensibili alla penicillina spesso reagiscono anche contro di esse. Reazioni crociate si verificano in grado minore con le cefalosporine. La file:///F|/sito/merck/sez12/1481145b.html (2 of 5)02/09/2004 2.05.54

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terapia con una cefalosporina va cominciata con grande cautela se il paziente ha una storia di reazioni gravi (p. es. anafilassi) alla penicillina. Le reazioni ematologiche ai farmaci mediate da anticorpi (citotossiche, di tipo II) possono svilupparsi con tre meccanismi diversi: nell’anemia indotta dalla penicillina, l’anticorpo reagisce con l’aptene, che è saldamente legato alla membrana dei GR, provocando agglutinazione e aumento della distruzione dei GR stessi. Nella trombocitopenia indotta dallo stibofene e dalla chinidina (v. anche Trombocitopenia nel Cap. 133) il farmaco forma un complesso solubile con il suo anticorpo specifico. Il complesso reagisce poi con le piastrine circostanti (le cellule bersaglio "spettatrici innocenti") e attiva il complemento, che resta poi da solo sulla membrana piastrinica e provoca la lisi cellulare. In altre anemie emolitiche, il farmaco (p. es. la metildopa) sembra alterare chimicamente la superficie del GR, esponendo così un antigene che induce la formazione di un autoanticorpo, solitamente con specificità Rh, per poi reagire con esso.

Diagnosi Le reazioni tossico-idiosincrasiche e quelle anafilattiche sono sufficientemente caratteristiche nelle loro manifestazioni e nei tempi di presentazione, tanto che di solito il farmaco responsabile viene facilmente identificato. Le reazioni tipo malattia da siero sono dovute il più delle volte alle penicilline, ma occasionalmente ne sono responsabili i sulfamidici, l’idralazina, le sulfaniluree o le tiazidi. La fotosensibilizzazione è caratteristica della clorpromazina, di taluni antisettici contenuti nei saponi, dei sulfamidici, degli psoralenici, della demeclociclina e della griseofulvina. Tutti i farmaci tranne quelli ritenuti assolutamente essenziali devono essere sospesi. Quando si sospetta la febbre da farmaci, si sospende il farmaco più probabilmente responsabile (p. es. l’allopurinolo, la penicillina, l’isoniazide, i sulfamidici, i barbiturici, la chinidina). La riduzione della febbre entro 48 h è un forte indizio a carico del farmaco in questione. Se la febbre è accompagnata da granulocitopenia, la tossicità del farmaco è più probabile dell’allergia a esso e molto più grave (v. Cap. 135). Le reazioni allergiche polmonari ai farmaci sono solitamente di tipo infiltrativo, con eosinofilia e possono essere provocate tra gli altri dai sali d’oro, dalla penicillina e dai sulfamidici. La più comune responsabile di una reazione polmonare infiltrativa acuta è la nitrofurantoina. La reazione è probabilmente allergica, ma di solito non si accompagna a ipereosinofilia. Le reazioni epatiche possono essere principalmente colestatiche (fenotiazine ed eritromicina estolato ne sono i maggiori responsabili) oppure epatocellulari (allopurinolo, idantoina, sali d’oro, isoniazide, sulfamidici, acido valproico e molti altri). La reazione allergica renale abituale è la nefrite interstiziale, il più delle volte dovuta alla meticillina; sono stati chiamati in causa anche altri antibiotici e la cimetidina. Una sindrome simile al LES può essere provocata da diversi farmaci, più comunemente da idralazina e procainamide. La sindrome è associata alla positività del test per gli anticorpi anti-nucleo ed è relativamente benigna, risparmiando i reni e il SNC. La penicillamina può provocare il LES e altre malattie autoimmuni e in particolar modo la miastenia gravis. La diagnosi di qualunque reazione di ipersensibilità ai farmaci può essere confermata da un test di provocazione, cioè dalla nuova somministrazione del farmaco; tuttavia riprodurre una reazione allergica per confermarne il nesso causale può essere rischioso e raramente è giustificato. I test di laboratorio per l’ipersensibilità a farmaci specifici (p. es. il RAST, il rilascio di istamina, la degranulazione dei basofili o delle mast-cellule, la trasformazione linfocitaria) sono poco affidabili o ancora allo stato sperimentale. Un’eccezione è costituita dai test per le reazioni ematologiche ai farmaci (v. Diagnosi sotto Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo II, sopra). Per

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quanto riguarda la terapia desensibilizzante, v. oltre. I test cutanei per l’ipersensibilità immediata (mediata da IgE) sono molto utili per la diagnosi delle reazioni alla penicillina, agli enzimi, al siero eterologo e ad alcuni vaccini e ormoni polipeptidici, ma per la maggior parte dei farmaci sono poco affidabili. Per l’esecuzione dei test cutanei è disponibile un coniugato BPOpolilisina. I determinanti minori non sono stati approvati dalla FDA come reagenti per i test cutanei per l’allergia alla penicillina. Fortunatamente, la maggior parte dei pazienti ipersensibili a una miscela di determinanti minori reagisce con uno dei reagenti, la penicillina G, che può essere impiegata per i test cutanei alla concentrazione di 1000 U/ml. Le prove cutanee prevedono in primo luogo l’esecuzione del prick test. Se il paziente ha avuto in passato una reazione grave a carattere esplosivo, i reagenti per il test iniziale devono essere diluiti 100 volte. Un prick test negativo può consentire l’esecuzione successiva di un test intradermico. Se i test cutanei sono positivi, il paziente rischia una reazione anafilattica nel caso venga trattato con penicillina. La negatività dei test cutanei riduce al minimo, ma non esclude, il rischio di una reazione grave. Sebbene non esista nell’uomo la dimostrazione che i test cutanei alla penicillina abbiano mai indotto una sensibilizzazione de novo, nella maggior parte dei casi è buona norma saggiare il paziente per escludere un’allergia alla penicillina soltanto immediatamente prima che venga intrapresa una terapia penicillinica indispensabile. Poiché rivelano soltanto le reazioni mediate da IgE, i test cutanei non possono prevedere il verificarsi di eventuali eruzioni morbilliformi o di anemia emolitica. Per quanto riguarda il siero eterologo, un paziente che non sia atopico e al quale in precedenza non sia stato somministrato siero di cavallo, dapprima deve essere sottoposto a un prick test con una diluizione di 1:10; se esso risulta negativo, si iniettano per via intradermica 0,02 ml di una diluizione 1:1000. Se il paziente è ipersensibile, si formerà nell’arco di 15 min un pomfo con diametro > 0,5 cm. Tutti i pazienti ai quali in precedenza può essere stato somministrato del siero (a prescindere dal fatto se abbiano reagito o meno nei suoi confronti) e quelli con una storia di sospetta allergia devono essere sottoposti a un test preliminare con una diluizione di 1:1000. La negatività dei test cutanei esclude la possibilità dell’anafilassi (reazione mediata da IgE) ma non è in grado di prevedere l’incidenza di una successiva malattia da siero.

Terapia Solitamente è necessario sospendere la terapia con il farmaco responsabile se la reazione appare di natura allergica, contrariamente a quanto avviene con le reazioni tossiche, nelle quali la dose può spesso essere ridotta e mantenere ancora la sua efficacia senza provocare una reazione. La maggior parte delle reazioni allergiche scompare alcuni giorni dopo la sospensione del farmaco. La terapia può abitualmente essere limitata al controllo del dolore o del prurito. Le artralgie presenti nella malattia da siero di solito possono essere controllate con aspirina o con un altro FANS. Condizioni come la febbre da farmaci, un’eruzione cutanea non pruriginosa o lievi reazioni a carico di un sistema organico non richiedono alcun trattamento. Tuttavia, se un paziente presenta manifestazioni acute e mostra segni di interessamento multisistemico o dermatite esfoliativa, è necessario ricorrere alla terapia corticosteroidea intensiva (p. es. prednisone 4080 mg/die PO). Maggiori informazioni sul trattamento delle reazioni cliniche specifiche si possono trovare nei relativi capitoli del Manuale. A volte la somministrazione di un farmaco salvavita deve essere proseguita nonostante la presenza di manifestazioni allergiche; p. es. la terapia dell’endocardite batterica con penicillina può essere continuata nonostante la comparsa di un’eruzione morbilliforme, di orticaria o di febbre da farmaci. L’orticaria viene trattata nel modo descritto sopra, compreso l’impiego di un glucocorticoide, se necessario. La desensibilizzazione rapida nei confronti di un farmaco può essere necessaria se l’ipersensibilità è stata accertata mediante l’anamnesi o la positività di un test di provocazione oppure (per la penicillina, l’insulina e gli antisieri) la positività di un test cutaneo, se il trattamento è indispensabile e non esiste alternativa al farmaco in questione. A titolo di esempio, si descrive la file:///F|/sito/merck/sez12/1481145b.html (4 of 5)02/09/2004 2.05.54

Disordini da ipersensibilità

desensibilizzazione alla penicillina e al siero eterologo. Desensibilizzazione alla penicillina: la desensibilizzazione alla penicillina il più delle volte si rende necessaria per preparare un individuo allergico alla terapia di un’endocardite batterica. Quando è possibile, la desensibilizzazione deve essere eseguita con la collaborazione di uno specialista. Se è positivo soltanto il test cutaneo intradermico, la prima dose si somministra EV: 100 U (o µg)/ml in un flacone da 50 ml, somministrate al principio molto lentamente. Se non compaiono sintomi, la velocità del flusso può essere gradualmente aumentata, fino a far svuotare il flacone dopo 20-30 min. Questo procedimento viene ripetuto con concentrazioni di 1000 e di 10000 U/ ml, seguite dalla dose terapeutica piena. Se si manifesta qualche sintomo allergico, si deve diminuire la velocità di infusione e somministrare al paziente la terapia farmacologica appropriata (v. Anafilassi, sopra). La desensibilizzazione EV è più sicura di quella SC o IM, perché è possibile controllare sia la quantità sia la velocità della somministrazione del farmaco. Anche la desensibilizzazione orale è spesso efficace. La prima dose è di 100 U (o µg); le dosi successive vengono raddoppiate ogni 15 min e, se si presentano sintomi, essi vengono risolti con gli opportuni farmaci antianafilattici. Qualunque via di somministrazione venga impiegata, nella rara eventualità di una positività del prick test per la penicillina la dose di partenza deve essere 1000 volte più bassa. Desensibilizzazione al siero eterologo: se un test cutaneo a un siero eterologo è positivo, il rischio di anafilassi è elevato. Se la sieroterapia è indispensabile, è necessario procedere prima alla desensibilizzazione. Per stabilire la dose iniziale idonea per la desensibilizzazione, che è quella corrispondente alla concentrazione che ha provocato una reazione debole o negativa, vengono eseguiti i test cutanei, utilizzando concentrazioni più basse ottenute con il metodo della diluizione seriata. Viene iniettato un decimo di ml SC o per via endovenosa lenta; sebbene non sia il metodo standard, la via endovenosa, come nel caso della desensibilizzazione alla penicillina, permette al medico di controllare sia la concentrazione sia la velocità di somministrazione. Se non si osserva alcuna reazione entro 15 min, la dose viene raddoppiata ogni 15 min finché non è stato somministrato 1 ml di siero non diluito. Questa dose viene ripetuta IM e se non si hanno reazioni entro 15 min, si potrà somministrare la dose intera. Se un paziente sviluppa una reazione, c’è ancora la possibilità di procedere con cautela riducendo la dose, somministrando antiistaminici come per l’orticaria acuta e quindi riprendendo ad aumentare con incrementi minori. Ogni volta che si esegue una desensibilizzazione, devono essere disponibili O2, adrenalina e l’attrezzatura per la rianimazione, in modo da poter fronteggiare prontamente una reazione anafilattica.

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Farmacologia clinica

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. Introduzione e disposizione dei farmaci Assorbimento Biodisponibilità Distribuzione Eliminazione Metabolismo Escrezione 299. Farmacocinetica Parametri farmacocinetici di base Somministrazione dei farmaci Variabilità dei valori dei parametri 300. Farmacodinamica Interazioni farmaco-recettore Relazione dose-risposta 301. Fattori che influenzano la risposta ai farmaci Farmacogenetica Interazioni farmacologiche Placebo Compliance del paziente 302. Tossicità dei farmaci Valutazione della tossicità dei farmaci Reazioni avverse ai farmaci Cancerogenesi Rapporto rischi-benefici

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Farmacologia clinica

303. Monitoraggio del trattamento farmacologico Finestra terapeutica Valutazione di una concentrazione osservata 304. Terapia farmacologica nell’anziano Farmacocinetica Farmacodinamica Reazioni avverse ai farmaci Considerazioni per una farmacoterapia efficace 305. Uso degli steroidi anabolizzanti 306. Nomi commerciali di alcuni farmaci di uso comune

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI I farmaci sono quasi sempre composti estranei all’organismo. Come tali, a differenza delle sostanze endogene, essi non vengono prodotti ed eliminati in modo continuo. L’assorbimento, la biodisponibilità, la distribuzione e l’eliminazione di un farmaco sono quindi fattori determinanti per l’inizio, la durata e l’intensità della sua azione.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI ASSORBIMENTO Processo di trasferimento dei farmaci dalla sede di somministrazione alla circolazione sistemica.

Sommario: Introduzione Trasporto attraverso le membrane cellulari Somministrazione orale Somministrazione parentale Forme a rilascio controllato

L’assorbimento dei farmaci è determinato dalle loro proprietà fisico-chimiche, dalle loro formulazioni e dalle vie di somministrazione. I prodotti farmaceutici, cioè le effettive preparazioni (p. es., compresse, capsule, soluzioni) costituite dal farmaco e dagli eccipienti, sono formulate per essere somministrate per varie vie, tra le quali l’orale, la buccale, la sub-linguale, la rettale, la parenterale, la topica e l’inalatoria. Un requisito essenziale per l’assorbimento è la dissoluzione del farmaco. I prodotti farmaceutici solidi (p. es., le compresse) si disintegrano e si disgregano, ma l’assorbimento può avvenire solo dopo che i farmaci sono entrati in soluzione.

Trasporto attraverso le membrane cellulari La maggior parte delle vie di somministrazione (esclusa quella EV) implica la necessità che i farmaci attraversino diverse membrane cellulari semipermeabili prima di raggiungere la circolazione sistemica. Queste membrane sono barriere biologiche che impediscono in maniera selettiva il passaggio delle molecole dei farmaci e sono composte principalmente da una matrice molecolare lipidica bistratificata, contenente soprattutto colesterolo e fosfolipidi. I lipidi conferiscono stabilità alla membrana e sono responsabili delle sue caratteristiche di permeabilità. Nello spessore della matrice lipidica sono inserite proteine globulari di diverse dimensioni e composizione, le quali sono coinvolte nei processi di trasporto e funzionano come recettori per la regolazione delle attività cellulari. I farmaci possono attraversare una barriera biologica mediante i meccanismi della diffusione passiva, della diffusione passiva facilitata, del trasporto attivo o della pinocitosi. Diffusione passiva: in questo processo, il trasporto di un soluto attraverso una membrana cellulare dipende dal suo gradiente di concentrazione. La maggior parte delle molecole dei farmaci attraversa le membrane per diffusione semplice da una regione ad alta concentrazione (p. es., i fluidi GI) a una regione a bassa concentrazione (p. es., il sangue). Poiché le molecole dei farmaci vengono rapidamente rimosse per opera del torrente circolatorio e distribuite in un ampio volume di liquidi e tessuti dell’organismo, la loro concentrazione nel sangue è inizialmente bassa rispetto a quella presente nella sede di somministrazione, dando luogo a un gradiente elevato. La velocità di diffusione è direttamente proporzionale al gradiente, ma dipende anche dalla liposolubilità, dal grado di ionizzazione e dalle dimensioni della molecola, nonché dall’area della superficie file:///F|/sito/merck/sez22/2982734b.html (1 of 5)02/09/2004 2.05.57

Introduzione e disposizione dei farmaci

di assorbimento. Dal momento che la membrana cellulare è di natura lipidica, i farmaci liposolubili diffondono più velocemente di quelli relativamente non liposolubili. Le molecole di piccole dimensioni tendono a passare attraverso le membrane più rapidamente di quelle voluminose. La maggior parte dei farmaci è rappresentata da basi o acidi organici deboli che in ambiente acquoso si trovano in forma ionizzata e in forma non ionizzata. La forma non ionizzata di solito è liposolubile e diffonde facilmente attraverso le membrane cellulari; la forma ionizzata non è in grado di attraversare con facilità la membrana cellulare a causa della sua bassa liposolubilità e della sua alta resistenza elettrica, derivante dalla carica della molecola e dai gruppi polari presenti sulla superficie della membrana stessa. Di conseguenza, la penetrazione dei farmaci nei compartimenti biologici può essere attribuita per lo più alla loro forma non ionizzata. In condizioni di equilibrio, la distribuzione di un farmaco ionizzabile sui due versanti di una membrana è determinata dal pKa del farmaco (il pH al quale le concentrazioni della sua forma non ionizzata e di quella ionizzata sono uguali) e dal gradiente di pH, qualora sia presente. Per un acido debole, più elevato è il pH, più basso è il rapporto tra la forma non ionizzata e quella ionizzata. Nel plasma (pH 7,4), il rapporto tra la forma non ionizzata e quella ionizzata di un acido debole (p. es., con pKa di 4,4) è di 1:1000; nel succo gastrico (pH 1,4) il rapporto è invertito (1000:1). Quando l’acido debole viene somministrato per via orale, il gradiente di concentrazione del farmaco non ionizzato tra lo stomaco e il plasma tende a essere elevato, favorendone la diffusione attraverso la mucosa gastrica. In condizioni di equilibrio, le concentrazioni del farmaco non ionizzato nello stomaco e nel plasma sono uguali, perché solo il farmaco non ionizzato può passare attraverso le membrane; la concentrazione del farmaco ionizzato nel plasma sarebbe quindi circa 1000 volte superiore a quella presente nello stomaco. Per una base debole con un pKa di 4,4 il risultato è opposto. Di conseguenza, in linea teorica, i farmaci debolmente acidi (p. es., l’aspirina) vengono assorbiti da un ambiente acido (lo stomaco) più facilmente di quanto non facciano le basi deboli (p. es., la chinidina). Tuttavia, indipendentemente dal fatto che un farmaco sia acido o basico, la maggior parte del suo assorbimento si verifica comunque nell’intestino tenue (v. Somministrazione orale, più avanti). Diffusione passiva facilitata: per determinate molecole (p. es., il glucoso), la velocità di attraversamento delle membrane è superiore a quella prevedibile sulla base della loro bassa liposolubilità. Una delle ipotesi è che un componente di trasporto (carrier) si combini reversibilmente con la molecola del substrato sulla superficie esterna della membrana cellulare e che il complesso carrier-substrato diffonda rapidamente attraverso la membrana liberando il substrato sul versante interno. La diffusione mediata da carrier è caratterizzata dalla selettività e dalla saturabilità: il carrier trasporta soltanto i substrati con una configurazione molecolare relativamente specifica e il processo è limitato dalla disponibilità dei carrier. Questo meccanismo non richiede dispendio di energia e non consente il trasporto contro un gradiente di concentrazione. Trasporto attivo: questo processo è caratterizzato da selettività e saturabilità e richiede dispendio di energia da parte della cellula. I substrati possono accumularsi nel compartimento intracellulare contro un gradiente di concentrazione. Il trasporto attivo sembra essere limitato ai farmaci strutturalmente simili a sostanze endogene; questi farmaci vengono solitamente assorbiti in tratti specifici dell’intestino tenue. Processi di trasporto attivo sono stati identificati per diversi ioni, vitamine, zuccheri e aminoacidi. Pinocitosi: è il meccanismo con il quale le cellule incorporano materiale liquido o particelle solide. La membrana cellulare si invagina, circonda il fluido o le particelle e quindi si fonde di nuovo formando una vescicola che in seguito si distacca e si muove verso l’interno della cellula. Anche questo meccanismo richiede dispendio di energia. La pinocitosi riveste probabilmente un ruolo marginale nel trasporto dei farmaci, se si eccettuano quelli di natura proteica.

Somministrazione orale

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Nel caso della somministrazione orale, che è la via di somministrazione più comune, l’assorbimento si riferisce al trasporto dei farmaci attraverso le membrane delle cellule epiteliali dell’apparato GI. L’assorbimento dopo la somministrazione orale è reso incostante da differenze a carico del pH intraluminale lungo il tratto GI, dell’area della superficie di assorbimento per unità di volume luminale e della perfusione ematica, oltre che dalla presenza di bile e muco e dalla natura delle membrane epiteliali. Gli acidi vengono assorbiti più rapidamente nell’intestino che nello stomaco, contraddicendo in apparenza l’ipotesi che un farmaco non ionizzato attraversa le membrane con maggior facilità. In realtà, l’apparente contraddizione è spiegata dalla più ampia superficie di assorbimento e dalla maggiore permeabilità delle membrane dell’intestino tenue. La mucosa orale possiede un epitelio sottile e una ricca vascolarizzazione che favoriscono l’assorbimento, ma il contatto è solitamente troppo breve, anche per i farmaci in soluzione, perché abbia luogo un assorbimento apprezzabile. Un farmaco posto tra le gengive e la guancia (somministrazione buccale) o sotto la lingua (somministrazione sublinguale) viene trattenuto in situ più a lungo, consentendo un assorbimento più completo. Lo stomaco ha una superficie epiteliale relativamente estesa, ma poiché possiede uno strato mucoso piuttosto spesso e il tempo in cui il farmaco vi staziona è di solito relativamente breve, l’assorbimento è limitato. Praticamente tutti i farmaci vengono assorbiti più velocemente dall’intestino tenue che dallo stomaco. Di conseguenza, lo svuotamento gastrico è il passaggio limitante la velocità di assorbimento. Il cibo, specialmente gli alimenti grassi, rallenta lo svuotamento gastrico (e la velocità di assorbimento dei farmaci), spiegando perché alcuni farmaci debbano essere assunti a stomaco vuoto quando si desidera un rapido inizio d’azione. Il cibo può aumentare l’entità dell’assorbimento dei farmaci scarsamente solubili (p. es., la griseofulvina), può ridurre quella dei farmaci che vengono degradati nello stomaco (p. es., la penicillina G), oppure avere effetti minimi o nulli. I farmaci che influenzano lo svuotamento gastrico (p. es., i parasimpaticolitici) modificano la velocità di assorbimento di altri farmaci. Fra tutti i segmenti dell’apparato GI, l’intestino tenue possiede la più ampia superficie per l’assorbimento dei farmaci. Il pH intraluminale varia da 4 a 5 nel duodeno, ma diviene via via progressivamente più alcalino, avvicinandosi a 8 nell’ileo distale. La microflora GI può inattivare taluni farmaci, riducendone l’assorbimento. La riduzione del flusso ematico (p. es., nello shock) può diminuire il gradiente di concentrazione tra i due versanti della mucosa intestinale e ridurre l’assorbimento che avviene per diffusione passiva. (Anche la diminuzione del flusso ematico periferico altera la distribuzione e il metabolismo dei farmaci.) Il tempo di transito intestinale può influenzare l’assorbimento, particolarmente dei farmaci che vengono assorbiti mediante trasporto attivo (p. es., le vitamine del gruppo B), di quelli che si disciolgono lentamente (p. es., la griseofulvina) o di quelli che sono troppo polari (cioè scarsamente liposolubili) per attraversare facilmente le membrane (p. es., molti antibiotici). Per tali farmaci, il transito può risultare troppo rapido perché l’assorbimento sia completo. L’assorbimento delle preparazioni a rilascio controllato può avvenire principalmente nell’intestino crasso, particolarmente quando il rilascio del farmaco si protrae per più di 6 h, il tempo necessario perché il contenuto intestinale giunga nel colon. Assorbimento dei farmaci in soluzione: un farmaco somministrato per via orale in soluzione viene a contatto con numerose secrezioni GI e, per essere assorbito, deve superare indenne l’esposizione a bassi valori di pH e a enzimi potenzialmente degradanti. Di solito, anche se un farmaco è stabile nell’ambiente intestinale, ben poco di esso rimane nel lume fino a giungere nell’intestino crasso. I farmaci poco lipofilici (cioè con scarsa capacità di attraversare le membrane), come gli aminoglicosidi, quando si trovano in soluzione vengono assorbiti lentamente nello stomaco e nell’intestino tenue; per tali farmaci, l’assorbimento a livello dell’intestino crasso è prevedibilmente ancora più lento, perché l’area della superficie di assorbimento è minore. Di conseguenza, questi file:///F|/sito/merck/sez22/2982734b.html (3 of 5)02/09/2004 2.05.57

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farmaci non sono buoni candidati per le preparazioni a rilascio controllato. Assorbimento dei farmaci in forma solida: la maggior parte dei farmaci viene somministrata per via orale sotto forma di compresse o capsule, principalmente per ragioni di praticità, di economia, di stabilità e di accettazione da parte del paziente. Questi prodotti devono disgregarsi e disciogliersi prima che possa avvenirne l’assorbimento. La disgregazione aumenta notevolmente la quantità di molecole di farmaco che vengono a contatto con i succhi GI, favorendo in questo modo la dissoluzione e l’assorbimento del farmaco stesso. Agenti disgreganti e altri eccipienti (p. es., diluenti, lubrificanti, surfattanti, leganti, disperdenti) vengono spesso aggiunti al farmaco durante la fabbricazione per facilitare questi processi. I surfattanti aumentano la velocità di dissoluzione incrementando la permeabilità all’acqua, la solubilità e la capacità di dispersione del farmaco. La disgregazione delle preparazioni solide può essere ritardata dall’applicazione di una pressione eccessiva durante il confezionamento delle compresse oppure da speciali rivestimenti applicati per proteggere le compresse dai processi digestivi intestinali. I lubrificanti idrofobi (p. es., lo stearato di magnesio) possono legarsi al farmaco attivo e ridurre la sua biodisponibilità. La velocità di dissoluzione determina la maggiore o minore disponibilità del farmaco per l’assorbimento. Nel caso in cui la dissoluzione sia più lenta dell’assorbimento, essa diventa la tappa limitante la velocità del processo. L’assorbimento complessivo può essere regolato tramite modificazioni della formulazione del farmaco. Per esempio, la riduzione delle dimensioni delle particelle aumenta la superficie di contatto della sostanza, aumentando in questo modo la velocità e il grado dell’assorbimento GI di un farmaco il cui assorbimento è normalmente limitato da una lenta dissoluzione. La velocità di dissoluzione è diversa a seconda che il farmaco sia in forma salina, cristallina o idrata. I sali di Na degli acidi deboli (p. es., barbiturici, salicilati) si dissolvono più rapidamente dei loro corrispondenti acidi liberi, indipendentemente dal pH del mezzo. Alcuni farmaci sono polimorfici, esistendo in forme amorfe o in forme cristalline di vario tipo. Il cloramfenicolo palmitato esiste in due forme, ma soltanto una di esse si dissolve e viene assorbita in grado sufficiente per essere clinicamente utile. Un idrato si forma quando una o più molecole di acqua si combinano con una molecola di un farmaco in forma cristallina. La solubilità di tale solvato può essere molto differente da quella della forma non solvata; p. es., l’ampicillina anidra ha una velocità di dissoluzione e di assorbimento più elevata rispetto alla sua corrispondente forma triidrata.

Somministrazione parenterale L’introduzione diretta di un farmaco nel torrente circolatorio (solitamente EV) assicura l’arrivo nella circolazione sistemica dell’intera dose somministrata. Il trasferimento di tutta la dose non è però garantito se una via di somministrazione richiede il passaggio attraverso una o più membrane biologiche per raggiungere la circolazione sistemica (iniezione IM o SC). Per i farmaci proteici con una massa molecolare > 20000 g/mol, il passaggio attraverso le membrane capillari è così lento, che dopo una somministrazione IM o SC la maggior parte dell’assorbimento avviene per sottrazione attraverso il sistema linfatico. In questi casi, la velocità di trasporto nella circolazione sistemica è bassa e spesso incompleta a causa del metabolismo di primo passaggio per opera degli enzimi proteolitici presenti nei vasi linfatici. Poiché i capillari tendono a essere altamente permeabili, la perfusione (flusso ematico/grammo di tessuto) influenza notevolmente la velocità di assorbimento delle molecole di piccole dimensioni. Quindi, la sede di iniezione può avere un effetto considerevole sulla velocità di assorbimento di un farmaco; p. es., la velocità di assorbimento del diazepam iniettato IM in una sede con scarso flusso ematico può essere molto inferiore a quella che si osserva dopo somministrazione orale. L’assorbimento può essere ritardato o irregolare quando vengono iniettati IM i sali di acidi e di basi scarsamente solubili. La forma parenterale della fenitoina è

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una soluzione al 40% del suo sale sodico in glicole propilenico, con un pH di circa 12. Quando la soluzione viene iniettata IM, il glicole propilenico viene assorbito e i liquidi tissutali, agendo come un tampone, riducono il pH, provocando uno spostamento dell’equilibrio tra la forma ionizzata e la forma acida libera del farmaco. Quindi l’acido libero, scarsamente solubile, precipita. Il risultato è che la dissoluzione e l’assorbimento impiegano da 1 a 2 settimane per completarsi.

Forme a rilascio controllato Le preparazioni a rilascio controllato hanno lo scopo di ridurre la frequenza delle somministrazioni e di diminuire le fluttuazioni della concentrazione plasmatica dei farmaci, in modo da garantire un effetto terapeutico più uniforme. Una somministrazione meno frequente è più pratica e può migliorare la compliance del paziente. Queste preparazioni trovano un impiego ideale per i farmaci che altrimenti richiederebbero somministrazioni frequenti a causa della brevità della loro emivita di eliminazione e della durata del loro effetto. Le forme a rilascio controllato destinate alla somministrazione orale sono spesso formulate in modo da mantenere le concentrazioni terapeutiche del farmaco per un periodo pari o superiore a 12 h. La velocità di assorbimento può essere controllata rivestendo le particelle del farmaco con sostanze cerose o con altri materiali non idrosolubili, includendo il farmaco in una matrice dalla quale viene liberato lentamente durante il transito attraverso il tratto GI, oppure complessando il farmaco con resine a scambio ionico. Le preparazioni a rilascio controllato per uso transdermico hanno lo scopo di garantire il rilascio del farmaco per periodi prolungati; p. es., la diffusione della clonidina attraverso una membrana assicura la cessione controllata del farmaco per una settimana, e un polimero impregnato di nitroglicerina adsorbito su un cerotto adesivo consente la cessione controllata del farmaco per 24 h. I farmaci a rilascio transdermico devono possedere appropriate capacità di penetrazione cutanea e notevole potenza, perché il tasso di penetrazione e l’area di applicazione sono limitati. Molte preparazioni parenterali non endovenose sono formulate in modo da mantenere elevati nel tempo i livelli ematici. Per gli antibiotici, i sali relativamente insolubili (p. es., la penicillina G benzatina) iniettati IM garantiscono il mantenimento di concentrazioni terapeutiche per periodi prolungati. Per altri farmaci, vengono formulate sospensioni o soluzioni in veicoli non acquosi (p. es., le iniezioni di insulina in sospensioni cristalline). L’insulina amorfa, dotata di un’elevata superficie di contatto per la dissoluzione, ha un rapido inizio e una breve durata di azione.

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Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI BIODISPONIBILITA' Grado (e talvolta velocità) nel quale la forma attiva di un farmaco (cioè il farmaco stesso o un suo metabolita) raggiunge la circolazione sistemica, acquisendo così la capacità di accedere al suo sito di azione.

Sommario: Introduzione Cause di bassa biodisponibilità Valutazione della biodisponibilità

Le proprietà fisico-chimiche di un farmaco sono responsabili del suo potenziale di assorbimento, ma le proprietà della forma farmaceutica (che in parte dipendono dalla sua progettazione e fabbricazione) possono determinare in larga misura la sua biodisponibilità. Le differenze di biodisponibilità tra le formulazioni di un determinato farmaco possono avere un’importanza clinica non trascurabile. Di conseguenza, il concetto di equivalenza tra le varie preparazioni farmaceutiche è determinante per poter prendere decisioni cliniche avvedute. L’equivalenza chimica si riferisce alle preparazioni farmaceutiche che contengono lo stesso composto nella medesima quantità e che soddisfano gli standard ufficiali vigenti; tuttavia, i componenti farmacologicamente inattivi presenti nelle preparazioni possono essere diversi. La bioequivalenza si riferisce agli equivalenti chimici che, quando vengono somministrati alla stessa persona con il medesimo regime di dosaggio, danno luogo a concentrazioni equivalenti del farmaco nel sangue e nei tessuti. L’equivalenza terapeutica si riferisce alle preparazioni farmaceutiche che, quando vengono somministrate alla stessa persona con il medesimo regime di dosaggio, danno origine essenzialmente allo stesso effetto terapeutico o alla stessa tossicità. È logico attendersi che le preparazioni bioequivalenti siano anche terapeuticamente equivalenti. I problemi terapeutici (p. es., tossicità, mancanza di efficacia) si incontrano più frequentemente nel corso dei trattamenti di lunga durata quando a un paziente ormai stabilizzato con l’impiego di una certa formulazione viene somministrato un farmaco non equivalente in sostituzione del primo (come avviene per la digossina o la fenitoina). Talvolta l’equivalenza terapeutica può essere ottenuta nonostante le differenze di biodisponibilità. Per esempio, l’indice terapeutico (rapporto tra la massima dose tollerata e la minima dose efficace) della penicillina è talmente ampio che discrete differenze di concentrazione ematica dovute alle differenze di biodisponibilità tra le varie preparazioni penicilliniche possono non influenzare l’efficacia o la sicurezza terapeutica. Al contrario, le differenze di biodisponibilità sono importanti per un farmaco con un indice terapeutico relativamente ristretto. La biodisponibilità è influenzata anche dalle caratteristiche fisiologiche del paziente e dalla presenza di patologie concomitanti. La velocità di assorbimento è importante, perché anche quando un farmaco viene assorbito completamente, esso può essere assorbito troppo lentamente per produrre con sufficiente rapidità una concentrazione terapeutica nel sangue, oppure così velocemente da causare tossicità per le elevate concentrazioni raggiunte dopo ogni dose. file:///F|/sito/merck/sez22/2982738.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.58

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Cause di bassa biodisponibilità Quando un farmaco si dissolve rapidamente e attraversa facilmente le membrane, l’assorbimento tende a essere completo, ma l’assorbimento dei farmaci somministrati per via orale non è sempre completo. Prima di raggiungere la vena cava, un farmaco deve percorrere il canale GI e passare attraverso la parete intestinale e il fegato, sedi comuni di metabolizzazione dei farmaci (v. Cap. 43); pertanto, un farmaco può essere metabolizzato (metabolismo di primo passaggio) prima ancora di poter essere dosato nella circolazione sistemica. Molti farmaci hanno una bassa biodisponibilità per via orale a causa del cospicuo metabolismo di primo passaggio. Per tali farmaci (p. es., l’isoproterenolo, la noradrenalina, il testosterone), l’estrazione a livello di questi tessuti è così ampia che la biodisponibilità è praticamente nulla. Per i farmaci che possiedono un metabolita attivo, le conseguenze terapeutiche del metabolismo di primo passaggio dipendono dal contributo relativo del farmaco e del metabolita agli effetti desiderati e indesiderati. Una bassa biodisponibilità si osserva più comunemente con le preparazioni orali dei farmaci poco idrosolubili che vengono assorbiti lentamente. Quando l’assorbimento è lento o incompleto, la biodisponibilità può essere influenzata da un maggior numero di fattori rispetto a quanto avviene con un assorbimento rapido e completo; in questo modo, un assorbimento incompleto o lento conduce spesso a risposte terapeutiche variabili. La permanenza nel tratto GI per un tempo insufficiente è una causa frequente di bassa biodisponibilità. I farmaci assunti per via orale rimangono a contatto con la parete dell’intero tratto GI per non più di 1 o 2 gg e con quella dell’intestino tenue solamente per 2-4 h. Se il farmaco non si dissolve facilmente o non è in grado di attraversare efficacemente la membrana epiteliale (p. es., se è altamente ionizzato e polare), il tempo di permanenza a livello della sede di assorbimento può non essere sufficiente. In queste circostanze la biodisponibilità, oltre a essere bassa, tende a subire variazioni considerevoli. L’età, il sesso, l’attività fisica, il fenotipo genetico, lo stress, le malattie (p. es., l’acloridria, le sindromi da malassorbimento) o precedenti interventi chirurgici sull’apparato GI possono influenzare la biodisponibilità dei farmaci. Essa inoltre può essere ridotta dalle reazioni chimiche che entrano in competizione con l’assorbimento. Queste reazioni includono la formazione di complessi (p. es., fra la tetraciclina e gli ioni metallici polivalenti), l’idrolisi per opera del succo gastrico acido o degli enzimi digestivi (p. es., l’idrolisi della penicillina e del cloramfenicolo palmitato), la coniugazione a livello della parete intestinale (p. es., la coniugazione con zolfo dell’isoproterenolo), l’adsorbimento ad altri farmaci (p. es., la digossina e la colestiramina) e il metabolismo da parte della microflora intestinale.

Valutazione della biodisponibilità La valutazione della biodisponibilità effettuata mediante le misurazioni seriate della concentrazione plasmatica comporta solitamente la determinazione della concentrazione plasmatica massima (di picco) del farmaco, quella del tempo necessar io per raggiungere la concentrazione plasmatica massima (tempo di picco) e il calcolo dell’area al di sotto della curva concentrazione plasmatica-tempo (Area Under plasma concentration-time Curve, AUC, v. Fig. 298-1). La concentrazione plasmatica dei farmaci aumenta con l’entità dell’assorbimento; il picco viene raggiunto quando la velocità di eliminazione del farmaco diviene uguale alla velocità di assorbimento. Le determinazioni della biodisponibilità basate sulla sola concentrazione plasmatica di picco possono essere ingannevoli, perché file:///F|/sito/merck/sez22/2982738.html (2 of 3)02/09/2004 2.05.58

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l’eliminazione dei farmaci ha inizio appena essi entrano in circolo. L’indice generico della velocità di assorbimento utilizzato più diffusamente è il tempo di picco; più è lento l’assorbimento, più il tempo di picco è tardivo. Tuttavia spesso il tempo di picco non rappresenta una buona misura statistica, perché è un parametro di tipo discreto che dipende dalla frequenza con cui vengono prelevati i campioni di sangue e, nel caso di curve di concentrazione relativamente piatte in prossimità del picco, dalla riproducibilità dell’analisi. L’AUC è la misura più attendibile della biodisponibilità. Essa è direttamente proporzionale alla quantità totale di farmaco immodificato che raggiunge la circolazione sistemica. Per una determinazione accurata, il sangue deve essere prelevato frequentemente per un periodo di tempo abbastanza lungo da osservare l’eliminazione pressoché completa del farmaco. Le preparazioni farmaceutiche possono essere considerate bioequivalenti per grado e velocità di assorbimento se le loro curve di concentrazione plasmatica sono sostanzialmente sovrapponibili. Le preparazioni che possiedono AUC simili ma le cui curve di concentrazione plasmatica hanno un andamento differente sono equivalenti per il grado di assorbimento, ma differiscono quanto al profilo velocitàtempo di assorbimento. Dose singola o dosi multiple: la biodisponibilità può essere valutata dopo una dose singola oppure dopo dosi ripetute (multiple). Dopo una dose singola si ottengono più informazioni sulla velocità di assorbimento di quanto non avvenga dopo somministrazioni multiple. Tuttavia, queste ultime rappresentano più da vicino le circostanze cliniche abituali e inoltre le concentrazioni plasmatiche sono solitamente più elevate rispetto a quelle che si osservano dopo una dose singola, facilitando l’analisi dei dati. Dopo più somministrazioni separate da un intervallo di tempo prefissato per un periodo pari a quattro o cinque volte l’emivita di eliminazione, la concentrazione ematica del farmaco dovrebbe trovarsi allo stato di equilibrio (cioè la quantità assorbita equivale alla quantità eliminata in ogni intervallo di somministrazione). L’entità dell’assorbimento può quindi essere analizzata misurando l’AUC in corrispondenza di un intervallo di somministrazione. La misurazione dell’AUC nelle 24 h è probabilmente da preferire, a causa delle variazioni circadiane delle funzioni fisiologiche e delle possibili variazioni degli intervalli di somministrazione e delle velocità di assorbimento durante la giornata. Per i farmaci escreti principalmente immodificati con le urine, la biodisponibilità può essere stimata misurando la quantità totale del farmaco escreta dopo una singola somministrazione. Idealmente, le urine vengono raccolte per un periodo pari a 7-10 volte l’emivita di eliminazione, in modo da ritrovarvi tutto il farmaco assorbito. La biodisponibilità può essere determinata anche dopo somministrazioni multiple mediante la determinazione del farmaco immodificato presente nelle urine delle 24 h in condizioni stazionarie.

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Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI DISTRIBUZIONE Sommario: Introduzione Volume apparente di distribuzione Legame Barriera emato-encefalica

Dopo che un farmaco è entrato in circolo, esso viene distribuito ai tessuti dell’organismo. La distribuzione di solito non è uniforme, a causa delle differenze di perfusione ematica, legame tissutale, pH distrettuale e permeabilità delle membrane cellulari. La velocità di ingresso di un farmaco in un tessuto dipende dall’entità del flusso ematico tissutale, dalla massa del tessuto e dalle caratteristiche di ripartizione tra sangue e tessuto. L’equilibrio di distribuzione (situazione in cui la velocità di ingresso e quella di uscita sono uguali) fra il sangue e i tessuti viene raggiunto più rapidamente nelle aree riccamente vascolarizzate rispetto alle aree scarsamente perfuse, a meno che la diffusione attraverso le barriere di membrana non costituisca la tappa limitante la velocità del processo. Una volta raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni del farmaco (legato e libero, v. oltre) nei tessuti e nei liquidi extracellulari seguono di pari passo la concentrazione plasmatica. Contemporaneamente alla distribuzione avvengono anche il metabolismo e l’escrezione, rendendo il processo dinamico e complesso (v. anche Cap. 299).

Volume apparente di distribuzione Il volume di liquido nel quale un farmaco sembra essere distribuito o diluito viene definito volume apparente di distribuzione (volume di liquido necessario per contenere tutto il farmaco presente nell’organismo alla stessa concentrazione alla quale esso è presente nel plasma). Questo parametro fornisce un termine di riferimento per la concentrazione plasmatica attesa dopo una determinata dose e per la dose richiesta per ottenere una determinata concentrazione. Tuttavia, esso fornisce scarse informazioni sul pattern specifico di distribuzione. Ogni farmaco viene infatti distribuito nell’organismo in modo caratteristico; alcuni farmaci si localizzano nel grasso, altri rimangono nel ECF e altri ancora vengono legati avidamente a tessuti specifici, solitamente il fegato o il rene. Molti farmaci acidi (p. es., il warfarin, l’acido salicilico) vengono legati in misura notevole alle proteine e pertanto hanno un piccolo volume apparente di distribuzione. Molti farmaci basici (p. es., l’amfetamina, la meperidina) vengono captati avidamente dai tessuti e pertanto hanno un volume apparente di distribuzione superiore al volume dell’intero organismo.

Legame file:///F|/sito/merck/sez22/2982740.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.59

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L’entità della distribuzione dei farmaci nei tessuti dipende dall’entità del legame con le proteine plasmatiche e con i tessuti stessi. Legame con le proteine plasmatiche: i farmaci vengono trasportati nel torrente circolatorio in parte in soluzione come farmaci liberi (non legati) e in parte legati a componenti del sangue (p. es., le proteine plasmatiche e le cellule ematiche). Il rapporto tra la quota di farmaco legato e quella di farmaco libero nel plasma è determinato principalmente dall’interazione reversibile tra il farmaco e la proteina plasmatica alla quale esso si lega, interazione regolata dalla legge dell’azione di massa. Molte proteine plasmatiche sono in grado di interagire con i farmaci. Le più importanti sono l’albumina, l’α glicoproteina acida e le lipoproteine. I farmaci 1-

acidi in genere vengono legati prevalentemente all’albumina e i farmaci basici all’α glicoproteina acida e/o alle lipoproteine (v. Tab. 298-1). Si pensa che solo il 1-

farmaco libero sia disponibile per la diffusione passiva verso i siti extravascolari o tissutali all’interno dei quali si esplicano gli effetti farmacologici. Perciò, la concentrazione del farmaco libero può essere più strettamente correlata alla concentrazione del farmaco a livello del sito di azione e agli effetti farmacologici, rendendo spesso la frazione libera (rapporto tra la concentrazione del farmaco libero e quella del farmaco totale) un parametro più utile di quanto non sia la frazione legata. Il legame alle proteine plasmatiche influenza la distribuzione e il rapporto apparente tra l’attività farmacologica e la concentrazione plasmatica totale dei farmaci. Alle alte concentrazioni, la quantità di farmaco legato si avvicina a un limite superiore dipendente dal numero di siti di legame disponibili, la cui conseguenza è la saturabilità. La saturabilità è alla base delle interazioni competitive tra i farmaci (v. Interazioni farmacologiche nel Cap. 301). Legame con i tessuti: i farmaci si legano a molte sostanze diverse dalle proteine. Il legame può essere altamente specifico, come nel caso della clorochina e degli acidi nucleici. Esso avviene solitamente quando un farmaco si unisce a una macromolecola in ambiente acquoso, ma può avvenire anche quando un farmaco è ripartito nel grasso dell’organismo. Poiché il tessuto adiposo è scarsamente perfuso, il tempo necessario per raggiungere l’equilibrio è lungo, specialmente se il farmaco ha un’alta affinità per il grasso. Accumulo dei farmaci in siti di deposito: l’accumulo dei farmaci nei tessuti o nei compartimenti corporei può prolungare la permanenza del farmaco nel plasma e la durata della sua azione, in quanto i tessuti rilasciano il farmaco depositato man mano che la concentrazione plasmatica diminuisce. Anche la localizzazione del sito di azione e le differenze relative di distribuzione tissutale possono essere importanti. Per l’anestetico tiopentale, l’accumulo in siti di deposito tissutali abbrevia inizialmente l’effetto del farmaco, ma dopo somministrazioni ripetute lo prolunga. Il tiopentale è altamente liposolubile e dopo una singola somministrazione EV si distribuisce rapidamente al cervello. Dopo una dose singola, la concentrazione di tiopentale nel cervello aumenta per pochi minuti, poi diminuisce parallelamente alla concentrazione plasmatica. L’anestesia termina rapidamente non appena il farmaco si ridistribuisce in tessuti perfusi più lentamente. Tuttavia, se la concentrazione plasmatica viene seguita sufficientemente a lungo, si può distinguere una terza fase di distribuzione durante la quale il farmaco viene rilasciato lentamente dal tessuto adiposo. Con la somministrazione continua di tiopentale, grandi quantità di farmaco si possono accumulare nel tessuto adiposo, con il risultato di un prolungamento delle concentrazioni plasmatiche dell’anestetico. Alcuni farmaci si accumulano, producendo concentrazioni intracellulari superiori a quelle del ECF, il più delle volte perché si legano con le proteine, i fosfolipidi o gli acidi nucleici. I farmaci antimalarici (p. es., la clorochina) producono concentrazioni nei GB e nelle cellule epatiche migliaia di volte superiori a quelle plasmatiche. Il farmaco accumulato è in equilibrio con il farmaco presente nel plasma e si sposta nel compartimento intravascolare man mano che procede la sua eliminazione dall’organismo.

Barriera emato-encefalica file:///F|/sito/merck/sez22/2982740.html (2 of 3)02/09/2004 2.05.59

Introduzione e disposizione dei farmaci

I farmaci raggiungono il SNC attraverso i capillari cerebrali e il LCR. Nonostante il cervello riceva circa 1/6 della gittata cardiaca, la distribuzione dei farmaci al tessuto cerebrale è limitata. Alcuni farmaci liposolubili (p. es., il tiopentale) penetrano nel cervello e vi esercitano i loro effetti farmacologici rapidamente, ma molti farmaci, particolarmente quelli più idrosolubili, vi penetrano lentamente. Le cellule endoteliali dei capillari cerebrali, le quali sembrano essere più strettamente congiunte le une alle altre di quanto non siano quelle di altri distretti capillari, contribuiscono a rallentare la diffusione dei farmaci idrosolubili. Un’altra barriera nei confronti dei farmaci idrosolubili è rappresentata dalle cellule del tessuto connettivo gliale (astrociti), che formano uno strato di rivestimento in stretto contatto con la membrana basale dell’endotelio capillare. L’endotelio capillare e il rivestimento astrocitario costituiscono la barriera emato-encefalica. Poiché la barriera è costituita dalla parete capillare, più che dalle cellule parenchimali, le caratteristiche della permeabilità cerebrale sono diverse da quelle degli altri tessuti. Così, i composti polari non sono in grado di penetrare nel cervello, nonostante possano entrare nei liquidi interstiziali della maggior parte degli altri tessuti. È stata proprio l’osservazione che i coloranti polari sono in grado di penetrare nella maggior parte dei tessuti ma non nel SNC, a portare all’elaborazione del concetto di barriera emato-encefalica. I farmaci possono entrare nel LCR ventricolare direttamente attraverso i plessi corioidei, raggiungendo poi il tessuto cerebrale per diffusione passiva. Anche nei plessi corioidei, gli acidi organici (p. es., la penicillina) vengono trasportati attivamente dal LCR al sangue. La velocità di ingresso di un farmaco nel LCR o nelle cellule di altri tessuti è determinata principalmente dall’entità del legame con le proteine, dal grado di ionizzazione e dal coefficiente di ripartizione lipidi/acqua del farmaco. La velocità di penetrazione nel cervello è bassa per i farmaci altamente legati alle proteine e può essere talmente bassa per le forme ionizzate degli acidi e delle basi deboli da risultare praticamente nulla. Dal momento che il SNC ha un’irrorazione di entità considerevole, la permeabilità rappresenta generalmente il principale determinante della velocità di distribuzione dei farmaci. Tuttavia, per i liquidi interstiziali della maggior parte dei tessuti, uno dei fattori principali è la perfusione. Per i tessuti scarsamente perfusi (p. es., il tessuto muscolare o quello adiposo) la distribuzione è molto lenta, specialmente se il tessuto ha un’alta affinità per il farmaco.

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Farmacocinetica

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 299. FARMACOCINETICA Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso qualunque via di somministrazione. Perché si abbia una risposta appropriata a un farmaco, è necessario che esso sia presente in concentrazione adeguata a livello del sito di azione. Il regime di dosaggio richiesto per raggiungere e mantenere tale concentrazione dipende dalla farmacocinetica. La concentrazione appropriata e il regime posologico dipendono dalle condizioni cliniche del paziente, dalla gravità della patologia, dalla presenza di malattie concomitanti, dall’uso di altri farmaci e da altri fattori ancora. A causa delle differenze individuali, la somministrazione dei farmaci deve essere basata sulle esigenze di ogni singolo paziente, il che viene da sempre ottenuto modificando empiricamente il dosaggio finché non si raggiunge l’obiettivo terapeutico desiderato. Questo approccio è spesso inadeguato, perché la risposta ottimale può essere ritardata o possono verificarsi reazioni tossiche gravi. In alternativa, un farmaco può essere somministrato sulla base dell’assorbimento e della disposizione (distribuzione ed eliminazione, v. anche Cap. 298) che si prevede esso abbia in un pazziente, e la posologia può essere regolata controllando la concentrazione plasmatica del farmaco e i suoi effetti farmacologici. Questo approccio richiede la conoscenza della farmacocinetica del composto in funzione dell’età e del peso corporeo del paziente, oltre che delle conseguenze farmacocinetiche delle eventuali malattie concomitanti (p. es., malattie renali, epatiche o cardiovascolari o una combinazione di più patologie).

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Manuale Merck - Tabella

Tab. 298-1. Entità del legame di alcuni farmaci nel plasma Farmaco

Frazione legata (%)

Frazione libera (%)

Warfarin

99,5

0,5

Diazepam

99

1

Furosemide

96

4

Dicloxacilli na

94

6

Propranololo*

93

7

Fenitoina

89

11

Chinidina*

71

29

Lidocaina*

51

49

Digossina

25

75

Gentamicina

3

97

Atenololo

~0

~100

*Legame significativo all’α1- glicoproteina acida e/o alle lipoproteine.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI FARMACI FARMACOGENETICA Sommario: Introduzione Variabilità farmacocinetica Variabilità farmacodinamica

La farmacogenetica si occupa delle variazioni genetiche della risposta ai farmaci. Fra i soggetti normali, i parametri cinetici (p. es., la costante di Michaelis [Km], la velocità massima di reazione [V max]) degli enzimi che metabolizzano i farmaci spesso variano notevolmente e le velocità di eliminazione dei farmaci misurate in vivo variano da quattro a più di quaranta volte, a seconda del farmaco e della popolazione studiati. Numerosi studi condotti su gemelli e gruppi familiari hanno dimostrato che i fattori genetici sono i principali responsabili di queste ampie variazioni osservabili tra un individuo e l’altro. La farmacogenetica ha conseguenze cliniche e rilevanza biologica. Quando prescrivono i farmaci, i medici devono tenere presente che la capacità intrinseca di eliminare un farmaco può essere differente fra un paziente e l’altro. Un paziente con un metabolismo rapido può richiedere dosi più elevate e più frequenti per raggiungere le concentrazioni terapeutiche; un paziente con un metabolismo lento può avere bisogno di dosi più basse e meno frequenti per evitare la tossicità, specialmente nel caso di farmaci con un ristretto margine di sicurezza. Numerosi fattori legati all’ambiente e allo sviluppo possono interagire fra loro e con fattori genetici per influenzare la risposta ai farmaci (v. Fig. 301-1). Per esempio, l’avanzare dell’età influisce su altri fattori, rendendo quindi più complessa la disposizione dei farmaci.

Variabilità farmacocinetica Acetilazione: in circa il 50% della popolazione degli USA, l’inattivazione dei farmaci da parte della N-acetiltransferasi epatica avviene lentamente. Tali individui (acetilatori lenti) richiedono un tempo più lungo per metabolizzare i farmaci eliminati per acetilazione e sono quindi più suscettibili agli effetti indesiderati di questi farmaci (p. es., neuriti periferiche da isoniazide, lupus eritematoso da idralazina o procainamide, sedazione e nausea da fenelzina). Nel resto della popolazione, l’acetilazione avviene rapidamente. Rispetto agli acetilatori lenti, tali individui richiedono dosi più elevate o più frequenti dei farmaci che vengono acetilati (p. es., l’isoniazide) per ottenere la risposta terapeutica desiderata. Essi hanno inoltre una maggiore probabilità di sviluppare epatotossicità dovuta all’accumulo di acetilidrazina. Idrolisi: circa 1 individuo su 1500 ha un deficit di pseudocolinesterasi, che riduce l’inattivazione della succinilcolina. Quando a queste persone vengono

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

somministrate dosi convenzionali di succinilcolina, si verifica una paralisi prolungata dei muscoli respiratori. L’apnea persistente può richiedere la ventilazione meccanica finché il farmaco non può essere eliminato attraverso vie alternative. Ossidazione: in circa il 5-10% della popolazione bianca nordamericana ed europea, la biotrasformazione ossidativa della debrisochina è ridotta; se queste persone assumono debrisochina per l’ipertensione, vanno soggette a un aumento del rischio di tossicità (p. es., ipotensione ortostatica). La riduzione dell’idrossilazione può provocare una risposta terapeutica insolitamente intensa nei confronti del blocco dei recettori β con metoprololo o timololo, oppure un aumento della tossicità da nortriptilina o fenitoina (p. es., una depressione eccessiva del SNC). Altri farmaci apparentemente influenzati dalla riduzione dell’idrossilazione comprendono alcuni antiaritmici (p. es., l’encainide, la flecainide), gli antidepressivi triciclici (p. es., l’amitriptilina, la desipramina) e il destrometorfano, un farmaco antitussigeno. Circa il 4% dei bianchi del Nord America metabolizza lentamente la mefenitoina, andando incontro a un aumento del rischio del suo principale effetto indesiderato, la sedazione transitoria. In tali individui, può essere aumentata l’attività di altri farmaci che in qualche misura vengono biotrasformati dallo stesso enzima che metabolizza la mefenitoina; questi farmaci includono il mefobarbitale (un anticonvulsivante), il proguanil (un antimalarico) e probabilmente il diazepam (un ansiolitico). Circa il 50% dei giapponesi, dei cinesi e degli individui di altre popolazioni asiatiche ha un deficit di aldeide deidrogenasi 2, un enzima coinvolto nel metabolismo dell’etanolo. In queste persone, l’ingestione di alcol provoca un aumento notevole dell’acetaldeide ematica e la comparsa di effetti indesiderati (p. es., arrossamento del volto, aumento della frequenza cardiaca, sudorazione, astenia muscolare); le elevate concentrazioni di acetaldeide possono provocare una vasodilatazione mediata dalle catecolamine con sintomatologia euforica e distrofica. In circa l’85% degli individui giapponesi, cinesi e di altre popolazioni asiatiche, nel 5-10% degli inglesi, nel 9-14% dei tedeschi e nel 20% degli svizzeri, l’alcol deidrogenasi (un altro enzima coinvolto nel metabolismo dell’etanolo) agisce circa 5 volte più velocemente del normale. Quando queste persone assumono alcol, l’acetaldeide si accumula, con conseguente vasodilatazione estesa, arrossamento del volto e tachicardia compensatoria. Deficit di glucoso-6-fosfato deidrogenasi (G6PD): la G6PD è fondamentale per le reazioni di riduzione che avvengono all’interno dei GR, destinate al mantenimento dell’integrità del citoscheletro. I pazienti con deficit di G6PD, che si osserva nel 10% circa dei maschi di razza nera, presentano un aumento del rischio di sviluppare anemia emolitica quando vengono trattati con farmaci ossidanti, come gli antimalarici (p. es., la clorochina, la pamachina, la primachina), l’aspirina, il probenecid e la vitamina K. Deficit di glutatione sintetasi: nei pazienti con deficit di glutatione sintetasi eritrocitaria (un difetto simile al deficit di G6PD, ma più raro), i farmaci ossidanti causano anemia emolitica. I pazienti con bassi livelli di glutatione sintetasi eritrocitaria negli epatociti hanno un aumento del rischio di danno epatico in seguito a somministrazione di farmaci come il paracetamolo e la nitrofurantoina.

Variabilità farmacodinamica Riduzione dell’attività del warfarin: in determinati soggetti, l’attività anticoagulante dopo la somministrazione di dosi terapeutiche abituali di warfarin è marcatamente ridotta; per ottenere l’effetto desiderato può essere necessaria una dose fino a 20 volte superiore rispetto al consueto. La biotrasformazione del warfarin in tali soggetti non è alterata; la diminuzione dell’attività potrebbe essere dovuta a una riduzione geneticamente determinata dell’affinità di legame del file:///F|/sito/merck/sez22/3012755.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.01

Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

recettore per il warfarin. Ipertermia maligna: questa patologia causa un aumento della temperatura corporea potenzialmente fatale; essa è il risultato di una risposta ipermetabolica all’associazione di un miorilassante depolarizzante (di solito la succinilcolina) e di un potente anestetico generale inalatorio volatile (p. es., l’alotano [più comunemente], l’isoflurano, il sevoflurano). Questa stessa associazione provoca una reazione simile in alcuni pazienti affetti da distrofia muscolare e miotonia. L’ipertermia maligna colpisce circa 1 paziente su 20000. La suscettibilità a questa patologia viene ereditata come carattere autosomico dominante. Essa può essere provocata da mutazioni a carico del gene che codifica per il recettore della rianodina (il canale per il rilascio del calcio). Il meccanismo sembra essere correlato al potenziamento, indotto dall’alotano, dell’azione del Ca a livello del reticolo sarcoplasmatico della muscolatura scheletrica; nei pazienti predisposti, tale tessuto è iperreattivo al Ca. Come risultato, le reazioni biochimiche indotte dal Ca vengono accelerate, producendo contrazioni muscolari sostenute e un elevato tasso metabolico. L’ipertermia maligna può svilupparsi durante l’anestesia o durante il periodo immediatamente postoperatorio. Il quadro clinico è variabile, a seconda del farmaco usato e della suscettibilità del paziente. La rigidità muscolare è spesso il primo segno della malattia, seguita da tachicardia, aritmie di altra natura, acidosi, shock e ipertermia. Possono svilupparsi iperkaliemia, acidosi respiratoria e metabolica, ipocalcemia, elevazione della CK, mioglobinemia e alterazioni della coagulazione (particolarmente la coagulazione intravascolare disseminata). Nei paesi sviluppati, il tasso di mortalità è circa del 7%. Per ridurre la morbilità e la mortalità sono necessari una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo. Il test di contrazione in vitro con caffeina e alotano è specifico per la diagnosi di ipertermia maligna, ma è disponibile in pochi centri nel Nord America. Per identificare i membri suscettibili della famiglia del paziente si possono utilizzare la biopsia muscolare e la determinazione dei livelli di creatinina chinasi, che risultano elevati. Il trattamento con dantrolene sodico (cominciando con 2,5 mg/ kg EV) deve essere intrapreso immediatamente dopo l’insorgenza della sintomatologia. L’intervento chirurgico e l’anestesia devono essere interrotti il più presto possibile. La terapia correttiva comprende anche il trattamento dell’acidosi metabolica, il raffreddamento profondo e superficiale e l’iperventilazione.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI ELIMINAZIONE Insieme dei processi di rimozione (metabolismo ed escrezione) dei farmaci dall’organismo. METABOLISMO

Sommario: Introduzione Vie biochimiche del metabolismo Variazioni legate all’età Variazioni individuali Limite di capacità

Il fegato è la sede principale del metabolismo (modificazione chimica) dei farmaci nell’organismo. Alcuni metaboliti sono farmacologicamente attivi (v. Tab. 298-2). Una sostanza inattiva che possiede un metabolita attivo è chiamata profarmaco, particolarmente se è stata studiata per distribuire la sua forma attiva in maniera più efficace.

Vie biochimiche del metabolismo Il metabolismo dei farmaci coinvolge una vasta gamma di reazioni chimiche, che comprendono l’ossidazione, la riduzione, l’idrolisi, l’idratazione, la coniugazione, la condensazione e l’isomerizzazione. Gli enzimi che vi intervengono sono presenti in molti tessuti, ma generalmente sono più concentrati nel fegato. Per molti farmaci, il metabolismo avviene in due fasi distinte. Le reazioni di fase I comportano la formazione di un gruppo funzionale nuovo o modificato oppure una scissione (ossidazione, riduzione, idrolisi); esse sono reazioni di tipo non sintetico. Le reazioni di fase II prevedono la coniugazione con un composto endogeno (p. es., l’acido glucuronico, il solfato, la glicina) e pertanto sono reazioni di tipo sintetico. I metaboliti che si formano durante le reazioni sintetiche sono più polari e vengono escreti più facilmente dai reni (con le urine) e dal fegato (con la bile) rispetto a quelli che si formano nelle reazioni non sintetiche. Alcuni farmaci vengono sottoposti in maniera alternativa alle reazioni di fase I oppure a quelle di fase II; la numerazione delle fasi ha quindi un carattere funzionale piuttosto che sequenziale. Citocromo P-450: il più importante sistema enzimatico del metabolismo di fase I è il citocromo P-450, una superfamiglia di isoenzimi microsomiali che trasferiscono elettroni e di conseguenza catalizzano l’ossidazione di molti farmaci. Gli elettroni vengono forniti dalla NADPH-citocromo P-450 reduttasi, una flavoproteina che trasferisce elettroni dal NADPH (la forma ridotta del nicotinamide adenin dinucleotide fosfato) al citocromo P-450. Gli enzimi del citocromo P-450 sono raggruppati in 14 famiglie di geni, caratteristiche dei mammiferi, che hanno in comune l’identità della sequenza del DNA e la presenza di 17 sottofamiglie. Essi vengono contrassegnati dalla sigla comune CYP, seguita da un numero arabo che indica la famiglia, da una lettera che indica la

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Introduzione e disposizione dei farmaci

sottofamiglia e da un altro numero arabo che indica il gene specifico. Gli enzimi delle sottofamiglie 1A, 2B, 2C, 2D e 3A sono fondamentali per il metabolismo dei mammiferi; il CYP1A2, il CYP2C9, il CYP2C19, il CYP2D6 e il CYP3A4 sono importanti per il metabolismo dell’uomo. La specificità degli enzimi contribuisce a spiegare molte delle interazioni tra i farmaci; esempi di farmaci che interagiscono con enzimi specifici del citocromo P-450 sono elencati nella Tab. 298-3 (v. anche Interazioni farmacologiche nel Cap. 301). Differenze genetiche fra un paziente e l’altro possono modificare queste interazioni. Coniugazione: la glucuronazione, la più comune reazione di fase II, è la sola che avviene nel sistema enzimatico microsomiale del fegato. I glucuronidi vengono secreti nella bile ed eliminati con le urine. Il cloramfenicolo, il meprobamato e la morfina vengono metabolizzati in questo modo. La coniugazione aminoacidica con glutamina o glicina produce composti (p. es., l’acido salicilurico formato da acido salicilico e glicina) che vengono rapidamente escreti con le urine ma che non vengono estesamente secreti nella bile. L’acetilazione è la via metabolica principale per i sulfamidici. Anche l’idralazina, l’isoniazide e la procainamide vengono acetilate. La sulfoconiugazione è la reazione che avviene tra un gruppo fenolico o alcolico e il solfato inorganico, il quale in parte deriva dagli aminoacidi solforati (p. es., la cisteina). Gli esteri solfati così formati sono composti polari e vengono facilmente escreti con le urine. I farmaci che formano coniugati solfati includono il paracetamolo, l’estradiolo, la metildopa, il minoxidil e la tiroxina. La metilazione è una delle vie metaboliche più importanti per l’inattivazione di alcune catecolamine. Vengono metilati anche la niacinamide e il tiouracile.

Variazioni legate all’età Poiché i neonati possiedono sistemi enzimatici microsomiali epatici ancora non completamente sviluppati, essi hanno difficoltà a metabolizzare molti farmaci (p. es., l’esobarbitale, la fenacetina, l’amfetamina, la clorpromazina). Nei neonati, la maggiore lentezza della conversione in glucuronidi può avere effetti gravi. Per esempio, dosi equivalenti in mg/kg di cloramfenicolo che vengono ben tollerate dai pazienti più grandi possono portare alla sindrome del neonato grigio e a concentrazioni ematiche di cloramfenicolo persistentemente elevate. I pazienti anziani hanno spesso una ridotta capacità di metabolizzazione dei farmaci. La riduzione varia a seconda del farmaco e non è mai grave come quella che si osserva nei neonati (v. Cap. 304).

Variazioni individuali A causa della variabilità individuale (v. anche Variabilità dei valori dei parametri nel Cap. 299), è difficile prevedere quale sarà la risposta clinica a una determinata dose di un farmaco. Alcuni pazienti metabolizzano un farmaco così rapidamente che le concentrazioni ematiche e tissutali terapeuticamente efficaci non vengono mai raggiunte; in altri, il metabolismo può essere così lento che le dosi abituali producono effetti tossici. Per esempio, le concentrazioni plasmatiche di fenitoina allo stato stazionario variano da 2,5 a più di 40 mg/l (da 10 a più di 160 µmol/l) in pazienti diversi che ne abbiano assunta una dose giornaliera di 300 mg. Una certa variabilità è dovuta alle differenze nella quantità dell’enzima chiave disponibile nel fegato, il CYP2C9, e alle differenze nell’affinità dell’enzima per il farmaco. I fattori genetici svolgono un ruolo di primo piano nel determinare queste differenze, ma possono contribuirvi anche le malattie concomitanti (particolarmente le epatopatie croniche) e le interazioni farmacologiche (specialmente quelle che provocano l’induzione o l’inibizione del metabolismo).

Limite di capacità file:///F|/sito/merck/sez22/2982742.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.02

Introduzione e disposizione dei farmaci

Per quasi tutti i farmaci, la velocità di metabolizzazione di ciascun enzima di ogni determinata via metabolica possiede un limite superiore (limite di capacità). Alle concentrazioni terapeutiche, di solito viene occupata soltanto una piccola frazione dei siti enzimatici e la velocità di metabolizzazione aumenta con la concentrazione del farmaco. Occasionalmente, quando la maggior parte dei siti enzimatici è stata occupata, la velocità di metabolizzazione non aumenta in maniera proporzionale alla concentrazione del farmaco. La conseguenza è un metabolismo limitato dalla capacità. La fenitoina e l’alcol possiedono questo tipo di metabolismo, il quale fornisce una spiegazione della variabilità delle concentrazioni di fenitoina tra un paziente e l’altro dopo una dose giornaliera fissa di 300 mg.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 298-2. ESEMPI DI FARMACI CHE POSSIEDONO METABOLITI DI IMPORTANZA TERAPEUTICA Farmaco

Metabolita

Acetoesamide

Idrossiesamide

Amitriptilina

Nortriptilina

Aspirina*

Acido salicilico

Cloralio idrato*

Tricloroetanolo

Clordiazepossido Demetilclordiazepossido Codeina

Morfina

Diazepam

Demetildiazepam

Fenacetina*

Acetaminofene (paracetamo lo)

Fenilbutazone

Ossifenbutazone

Glutetimide

4-Idrossiglutetimide

Imipramina

Desipramina

Lidocaina

Dealchillidocaina

Meperidina

Normeperidina

Prednisone*

Prednisolone

Primidone*

Fenobarbital

Procainamide

N-acetilprocainamide

Propranololo

4-Idrossipropranololo

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Manuale Merck - Tabella

*Profarmaci; i metaboliti sono i principali responsabili dei loro effetti terapeutici.

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Manuale Merck - Tabella

TAB. 298-3. ESEMPI DI SOSTANZE CHE INTERAGISCONO CON GLI ENZIMI DEL CITOCROMO P-450 Enzima

Substrati

CYP1A2 Paracetamolo Estradiolo Teofillina Verapamil Warfarin

Inibitori

Induttori

Furafillina

Carne alla brace Fumo di sigaretta

CYP2C9 Diclofenac Fenitoina Sulfafenazolo Piroxicam Sulfinpirazone Tetraidrocannabinolo Tolbutamide

Rifampicina

CYP2C19 Diazepam Esobarbital Omeprazolo Pentamidina Propranololo

Tranilcipromina Rifampicina

CYP2D6 Debrisochina Desipramina Encainide Mexiletina Nortriptilina

Chinidina Fluoxetina

CYP3A4 Amiodarone Lovastatina Nifedipina Tamoxifene Terfenadina

Ketoconazolo Carbamazepina Troleandomicina Fenobarbital

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Non conosciuti

Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI FARMACI INTERAZIONI FARMACOLOGICHE Modificazioni degli effetti dei farmaci dovute all’assunzione precedente o contemporanea di altri farmaci (interazioni farmaco-farmaco) o di alimenti (interazioni farmaco-alimenti, v. Interazioni tra Nutrienti e Farmaci nel Cap. 1).

Sommario: Introduzione INTERAZIONI FARMACODINAMICHE Interazioni a livello dei siti recettoriali INTERAZIONI FARMACOCINETICHE Alterazioni dell’assorbimento gastrointestinale Alterazioni della distribuzione Alterazioni del metabolismo Alterazioni dell’escrezione urinaria PRINCIPI DI TRATTAMENTO

Un’interazione tra farmaci determina un aumento o una diminuzione degli effetti di uno dei farmaci o di entrambi. Le interazioni farmacologiche possono essere un fenomeno ricercato deliberatamente, come nelle terapie di associazione (p. es., per l’ipertensione, l’asma, alcune infezioni o le neoplasie), nelle quali vengono impiegati due o più farmaci per aumentare gli effetti terapeutici o ridurre la tossicità, oppure possono essere involontarie, provocando effetti farmacologici indesiderati o l’insuccesso della terapia (v. Tab. 301-1 e 301-2). L’importanza clinica delle interazioni farmacologiche potenziali è difficile da prevedere. Nelle situazioni in cui è probabile che avvenga un’interazione farmacofarmaco, vanno prese in considerazione le possibili alternative terapeutiche, ma un paziente non deve mai essere privato di una terapia necessaria sulla sola base del fatto che può avvenire un’interazione (v. Principi di trattamento, più avanti).

Interazioni farmacodinamiche Le interazioni farmaco-farmaco di tipo farmacodinamico si manifestano quando un farmaco modifica la sensibilità o la responsività dei tessuti a un altro farmaco. I farmaci possono avere effetti farmacologici opposti (antagonisti) oppure additivi. L’antagonismo tra due farmaci può essere difficile da individuare. Per esempio, l’azione iperglicemizzante di un diuretico tiazidico può contrastare l’azione ipoglicemizzante dell’insulina o di un farmaco antidiabetico orale, rendendo necessaria una modificazione del dosaggio. Effetti additivi possono derivare dall’uso contemporaneo di due farmaci

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

depressori del SNC (p. es., bevande alcoliche; ansiolitici, antipsicotici o alcuni antiistaminici), che provocano una sedazione e una stanchezza eccessive. Vi sono particolarmente predisposti i pazienti più anziani, con conseguente rischio di cadute e di traumi, sebbene molte persone assumano tali associazioni di farmaci senza problemi particolari. L’uso contemporaneo di due o più farmaci con attività anticolinergica (come un antipsicotico [p. es., la clorpromazina], un antiparkinsoniano [p. es., il triesifenidile] e/o un antidepressivo triciclico [p. es., l’amitriptilina]) produce comunemente effetti anticolinergici esagerati, compresa la xerostomia e le conseguenti complicanze dentarie, l’annebbiamento della vista e, nei pazienti esposti alle alte temperature e all’umidità, l’iperpiressia. Particolarmente nei pazienti anziani, gli effetti additivi possono esitare in un delirio atropino-simile, che può essere confuso con un peggioramento della sintomatologia psichiatrica o con la demenza e può accelerare la compromissione delle capacità mnemoniche e diminuire la capacità di autosufficienza (v. Classi di farmaci di maggiore interesse nel Cap. 304). La distinzione tra gli effetti additivi dei farmaci e il peggioramento della sintomatologia legata alla malattia sottostante può essere difficile, ma è fondamentale. Accade comunemente che i pazienti assumano senza saperlo diverse specialità farmaceutiche che contengono lo stesso FANS (come l’ibuprofene soggetto a prescrizione medica e quello da banco), aumentando così il rischio di effetti indesiderati.

Interazioni a livello dei siti recettoriali Le catecolamine (p. es., la noradrenalina) vengono metabolizzate dall’enzima monoaminossidasi (MAO). Gli inibitori della MAO (p. es., la fenelzina, la tranilcipromina) causano l’accumulo di noradrenalina all’interno dei neuroni adrenergici. I farmaci che inducono il rilascio della noradrenalina immagazzinata (p. es., le amine simpatico-mimetiche ad azione indiretta) possono provocare risposte esagerate, comprendenti cefalea intensa, ipertensione (con possibilità di una crisi ipertensiva) e aritmie cardiache. Sebbene la maggior parte delle amine simpatico-mimetiche (p. es., l’amfetamina) sia soggetta a prescrizione medica, altre (p. es., la fenilpropanolamina), le quali è noto che interagiscono con gli inibitori della MAO, sono contenute in molti diffusi prodotti da banco usati per il raffreddore, le allergie e le diete. I pazienti che assumono inibitori della MAO devono evitare l’uso di tali prodotti. Nei pazienti in terapia con inibitori della MAO si sono manifestate crisi ipertensive in seguito all’ingestione di alimenti e bevande ad alto contenuto di tiramina (p. es., alcuni formaggi, bevande alcoliche, estratti di lievito concentrati, gusci di fava, aringhe in salamoia). Questo effetto è stato denominato "reazione al formaggio" (v. trattazione sugli inibitori della MAO nel Cap. 189). La tiramina viene normalmente metabolizzata dalla MAO presente nella parete intestinale e nel fegato. Quando la MAO è inibita, la tiramina non metabolizzata può accumularsi, inducendo il rilascio di noradrenalina dai neuroni adrenergici. Anche il farmaco antineoplastico procarbazina e l’antinfettivo furazolidone (o forse il suo metabolita) possono inibire la MAO, provocando interazioni simili. Tuttavia il furazolidone in genere non inibisce la MAO entro i primi 5 gg di terapia e il ciclo di trattamento viene spesso completato entro questi termini di tempo. Il farmaco antiparkinsoniano selegilina inibisce selettivamente la MAO di tipo B. Quando viene impiegata alle dosi raccomandate (non eccedendo i 10 mg/die), la selegilina ha minori probabilità di interagire con altri farmaci e con i cibi ricchi di tiramina rispetto agli antidepressivi inibitori della MAO. Tuttavia, essa può interagire con gli antidepressivi triciclici, con gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (p. es., la fluoxetina) e con la meperidina e non deve essere impiegata insieme a questi farmaci. Se la dose di selegilina è > 10 mg/die, la sua selettività diminuisce e il rischio di interazioni aumenta.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

INTERAZIONI FARMACOCINETICHE Le interazioni farmacocinetiche possono essere complesse e difficili da prevedere. Esse sono dovute prevalentemente ad alterazioni dell’assorbimento, della distribuzione, del metabolismo e dell’escrezione dei farmaci e quindi modificano la quantità e la permanenza del farmaco disponibile a livello dei siti recettoriali. La modificazione è a carico dell’entità e della durata dell’azione farmacologica, non del tipo di effetto. Le interazioni farmacocinetiche vengono spesso previste sulla base della conoscenza dei singoli farmaci interessati o vengono individuate tenendo sotto controllo le manifestazioni cliniche del paziente e le variazioni delle concentrazioni sieriche dei farmaci (v. Cap. 303).

Alterazioni dell’assorbimento gastrointestinale L’assorbimento GI di un farmaco può essere ridotto, compromettendo così l’efficacia terapeutica, oppure ritardato, il che non è desiderabile nei casi in cui è necessario un effetto rapido per risolvere una sintomatologia acuta, come quella dolorosa. Alterazioni del pH: il ketoconazolo somministrato per via orale richiede un ambiente acido per dissolversi in maniera adeguata e quindi non deve essere somministrato insieme ai farmaci antiacidi, agli anticolinergici, agli anti-H2 o agli inibitori della pompa acida (protonica) (p. es., l’omeprazolo). Se sono indispensabili, tali farmaci devono essere somministrati almeno 2 h dopo il ketoconazolo. Formazione di complessi e assorbimento: nel tubo digerente le tetracicline possono combinarsi con ioni metallici (p. es., calcio, magnesio, alluminio, ferro) per formare complessi che vengono scarsamente assorbiti. Di conseguenza determinati alimenti (p. es., il latte) o farmaci (p. es., gli antiacidi; i preparati contenenti sali di magnesio, alluminio e calcio; i preparati contenenti ferro) possono ridurre in maniera significativa l’assorbimento delle tetracicline. L’assorbimento della doxiciclina e della minociclina viene alterato in misura minore dal latte o da altri cibi ma viene ridotto in maniera analoga dagli antiacidi contenenti alluminio. L’antiacido innalza il pH del contenuto GI, contribuendo probabilmente alla riduzione dell’assorbimento della tetraciclina. Gli antiacidi riducono notevolmente l’assorbimento dei composti fluorochinolonici (p. es., la ciprofloxacina) perché gli ioni metallici formano complessi con il farmaco. L’intervallo di tempo tra l’assunzione di un antiacido e quella di un fluorochinolone deve essere il più lungo possibile: almeno 2 h, ma preferibilmente superiore. Oltre a legarsi agli acidi biliari e a impedirne il riassorbimento, nel tubo digerente la colestiramina e il colestipolo possono legarsi con altri farmaci, specialmente con quelli acidi (p. es., il warfarin). Perciò l’intervallo tra l’assunzione di colestiramina o di colestipolo e quella di un altro farmaco deve essere quanto più lungo possibile (preferibilmente ≥4 h). Alcuni farmaci antidiarroici (p. es., quelli contenenti attapulgite) adsorbono altri farmaci, riducendone l’assorbimento. Nonostante non siano state condotte indagini approfondite, l’intervallo tra l’assunzione di questi preparati e quella di un altro farmaco deve essere il più lungo possibile. Alterazioni della motilità: dal momento che causano un incremento della motilità GI, la metoclopramide, la cisapride o i catartici possono accelerare il transito dei farmaci lungo il canale digerente provocando una riduzione dell’assorbimento, soprattutto dei farmaci che necessitano di un contatto prolungato con la superficie assorbente e di quelli che vengono assorbiti soltanto in una determinata porzione del tratto GI. L’aumento della motilità GI può inoltre ridurre l’assorbimento delle preparazioni farmaceutiche a rilascio controllato o di

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

quelle entero-protette. Gli anticolinergici deprimono la motilità GI e possono ridurre l’assorbimento rallentando la dissoluzione dei farmaci e lo svuotamento gastrico, oppure aumentarlo prolungando il contatto dei farmaci con la sede elettiva di assorbimento. Effetto del cibo: il cibo può ritardare o ridurre l’assorbimento di molti farmaci. Spesso il cibo rallenta lo svuotamento gastrico o può legarsi ai farmaci, diminuire il loro accesso ai siti di assorbimento o alterare la loro velocità di dissoluzione o il pH del contenuto GI. La presenza di cibo nel tratto GI riduce l’assorbimento di molti antibiotici. Con alcune eccezioni (p. es., la penicillina V, l’amoxicillina, la doxiciclina, la minociclina), le penicilline e le tetracicline e diversi altri antibiotici (p. es., alcune preparazioni di eritromicina) devono essere somministrati almeno 1 h prima o 2 h dopo i pasti perché l’assorbimento sia ottimale. Il cibo riduce l’assorbimento dell’alendronato, dell’astemizolo, del captopril, della didanosina e della penicillamina; questi farmaci devono essere assunti a distanza dai pasti. Il succo d’arancia, il caffè e l’acqua minerale possono ridurre sensibilmente l’assorbimento e l’efficacia dell’alendronato, il quale deve essere assunto accompagnato da acqua semplice, con almeno 1/2 h di anticipo sull’ingestione dei primi cibi, bevande o farmaci della giornata. Il cibo può alterare significativamente l’attività della teofillina presente nelle preparazioni a rilascio controllato, ma non in quelle a rilascio immediato. L’assunzione di un preparato a rilascio controllato meno di 1 h prima di un pasto ricco di grassi aumenta l’assorbimento e la concentrazione sierica massima della teofillina rispetto alla sua assunzione a digiuno.

Alterazioni della distribuzione I farmaci possono essere spiazzati dai siti di legame con le proteine quando vengono somministrati contemporaneamente due composti con legame proteico, specialmente se essi hanno la capacità di legarsi ai medesimi siti della molecola proteica (spiazzamento competitivo). La frazione legata (inattiva) e quella libera (attiva) dei farmaci si trovano all’equilibrio. Man mano che il farmaco libero viene metabolizzato ed escreto, il farmaco legato viene liberato gradualmente, mantenendo costanti l’equilibrio e la risposta farmacologica. Il rischio di interazioni derivanti dallo spiazzamento dalle proteine è significativo soprattutto per i farmaci che hanno un alto legame proteico (> 90%) e un piccolo volume apparente di distribuzione; le interazioni tendono a verificarsi durante i primissimi giorni della somministrazione contemporanea. È stato segnalato che l’acido valproico spiazza la fenitoina dai siti di legame con le proteine e può inoltre inibirne il metabolismo. In alcuni pazienti che assumono i due farmaci, le concentrazioni della fenitoina libera aumentano significativamente, provocando un maggior numero di reazioni avverse, anche quando le concentrazioni sieriche totali di fenitoina si mantengono entro il range terapeutico abituale. Al contrario, la fenitoina può ridurre le concentrazioni sieriche di acido valproico. La terapia di associazione con questi farmaci deve essere tenuta sotto controllo molto attentamente, regolando il dosaggio in caso di necessità. I farmaci acidi generalmente si legano all’albumina sierica e quelli basici all’α

1-

glicoproteina acida (v. Legame nel Cap. 298).

Alterazioni del metabolismo

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

(V. anche Tab. 301-1 e Vie biochimiche del metabolismo nel Cap. 298.) Stimolazione del metabolismo: un farmaco può aumentare l’attività degli enzimi epatici coinvolti nel metabolismo di un altro farmaco (fenomeno dell’induzione enzimatica); p. es., il fenobarbital aumenta il metabolismo del warfarin, riducendo la sua azione anticoagulante. Il dosaggio del warfarin deve essere aumentato per compensare il fenomeno, ma se il fenobarbital viene sospeso la dose di warfarin deve essere ridotta per evitare una tossicità potenzialmente pericolosa. L’uso di un sedativo non barbiturico (p. es., una benzodiazepina) elimina il problema. Il fenobarbital accelera anche il metabolismo di altri farmaci (p. es., gli ormoni steroidei). Anche altri barbiturici e farmaci come la carbamazepina, la fenitoina, la rifabutina e la rifampicina causano induzione enzimatica. Il fumo in grandi quantità può ridurre l’efficacia di farmaci come la clorpromazina, il diazepam, il propoxifene e la teofillina, perché gli idrocarburi policiclici presenti nel fumo di sigaretta aumentano la velocità del loro metabolismo epatico attraverso il meccanismo dell’induzione enzimatica. La piridossina accelera la decarbossilazione della levodopa che dà origine al suo metabolita attivo, la dopamina, nei tessuti periferici. Al contrario della levodopa, la dopamina non è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica per esplicare un effetto antiparkinsoniano. La somministrazione di carbidopa (un inibitore della decarbossilasi) in associazione con la levodopa impedisce alla piridossina di interferire con l’azione della levodopa stessa. Inibizione del metabolismo: un farmaco può inibire il metabolismo di un altro farmaco, eventualmente prolungandone e intensificandone l’azione. Per esempio, l’allopurinolo riduce la produzione di acido urico inibendo l’enzima xantina ossidasi, che metabolizza farmaci potenzialmente tossici come la mercaptopurina e l’azatioprina. L’inibizione della xantina ossidasi può aumentare sensibilmente l’effetto di questi farmaci. Pertanto, quando si somministra allopurinolo contemporaneamente alla mercaptopurina o all’azatioprina, la dose di queste ultime deve essere ridotta a circa 1/3-1/4 della dose abituale. La cimetidina inibisce le vie metaboliche ossidative e può incrementare l’azione dei farmaci metabolizzati attraverso di esse (p. es., la carbamazepina, la fenitoina, la teofillina, il warfarin e la maggior parte delle benzodiazepine [compreso il diazepam]). La cimetidina non ha influenza sull’azione delle benzodiazepine lorazepam, oxazepam e temazepam, che vengono sottoposte a coniugazione con acido glucuronico. La ranitidina ha un’affinità minore per gli enzimi ossidativi epatici rispetto alla cimetidina, rendendo meno probabile il verificarsi di interazioni clinicamente significative. La famotidina e la nizatidina non hanno la tendenza a inibire le vie metaboliche ossidative ed è poco probabile che interagiscano con altri farmaci attraverso questo meccanismo. Elevate concentrazioni sieriche di astemizolo o cisapride possono essere responsabili di gravi reazioni cardiovascolari (p. es., torsione di punta e altre aritmie ventricolari). Poiché questi farmaci vengono ampiamente metabolizzati dagli enzimi epatici del citocromo P-450, le loro concentrazioni sieriche possono aumentare quando questi enzimi vengono inibiti da farmaci come taluni antidepressivi (p. es., il nefazodone), la claritromicina, l’eritromicina, l’itraconazolo, il ketoconazolo e la troleadomicina, aumentando il rischio di tossicità. Di conseguenza, l’impiego contemporaneo di astemizolo o di cisapride con i suddetti e con determinati altri farmaci è controindicato. Bisogna usare cautela quando l’astemizolo o la cisapride vengono utilizzati in concomitanza con qualunque farmaco che inibisce gli enzimi epatici. Gli antiistaminici non sedativi loratadina e fexofenadina non sono stati messi in relazione con reazioni cardiovascolari gravi. Il ritonavir, un potente inibitore di alcuni enzimi del citocromo P-450 epatico, può aumentare notevolmente le concentrazioni sieriche dei farmaci metabolizzati da questi enzimi (p. es., gli antiaritmici, l’astemizolo, la maggior parte delle benzodiazepine, la cisapride). Tali farmaci non devono essere impiegati insieme al ritonavir. Il ritonavir interagisce anche con molti altri farmaci e il loro uso contemporaneo deve essere attentamente controllato, regolando i dosaggi in caso di necessità.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

È stato segnalato che l’eritromicina inibisce il metabolismo epatico di farmaci come la carbamazepina e la teofillina, aumentando pertanto i loro effetti. I fluorochinoloni ciprofloxacina, enoxacina e grepafloxacina possono aumentare notevolmente l’attività della teofillina, presumibilmente con lo stesso meccanismo. Il succo di pompelmo inibisce il CYP3A4, un enzima del citocromo P-450, e di conseguenza aumenta la biodisponibilità di alcuni farmaci (p. es., la felodipina) e potenzia il loro effetto.

Alterazioni dell’escrezione urinaria Alterazioni del pH urinario: il pH urinario influenza l’ionizzazione degli acidi e delle basi deboli, modificando in tal modo il loro riassorbimento e la loro escrezione. Un farmaco non ionizzato diffonde più facilmente in via retrograda dal filtrato glomerulare al sangue. La quota non ionizzata di un farmaco acido è maggiore in presenza di urine acide che di urine alcaline, nelle quali viceversa un farmaco acido si trova principalmente sotto forma di sale ionizzato. Pertanto, in presenza di urine acide, un farmaco acido (p. es., un salicilato) diffonde in via retrograda nel sangue in quantità superiori, con conseguente prolungamento e probabilmente intensificazione della sua azione. È più probabile che quest’effetto si verifichi nei pazienti che assumono alte dosi di salicilati (p. es., per l’artrite). Gli effetti sono opposti per un farmaco basico (p. es., la destroamfetamina). In uno studio, il 54,5% di una dose di destroamfetamina risultava escreto entro 16 h quando il pH urinario veniva mantenuto intorno a 5, mentre questa quota era pari al 2,9% quando il pH veniva mantenuto intorno a 8. Alterazioni del trasporto attivo: il probenecid innalza la concentrazione sierica e prolunga l’attività delle penicilline, principalmente bloccandone la secrezione tubulare. Tali associazioni sono state impiegate a fini terapeutici. Quando la digossina viene somministrata insieme con la chinidina, le sue concentrazioni sieriche sono significativamente più elevate rispetto a quando essa viene somministrata da sola. La chinidina sembra ridurre la clearance renale della digossina, sebbene nel fenomeno siano probabilmente coinvolti anche meccanismi non renali. È stato osservato che diversi FANS aumentano l’attività e la tossicità del metotrexato. Una tossicità fatale da metotrexato è stata osservata in pazienti che assumevano ketoprofene. Il ketoprofene può inibire la secrezione tubulare renale attiva del metotrexato, ma ad aumentare le concentrazioni sieriche del farmaco contribuiscono probabilmente anche altri meccanismi. La maggior parte dei pazienti deceduti stava assumendo alte dosi di metotrexato a causa di malattie neoplastiche; tuttavia, è necessario usare cautela anche quando ai pazienti vengono somministrate dosi inferiori, soprattutto considerando che basse dosi di metotraxato vengono usate sempre più spesso nei pazienti con artrite reumatoide che stanno assumendo anche un FANS.

PRINCIPI DI TRATTAMENTO È importante tenere in considerazione i seguenti principi generali. ●



È più probabile che si verifichino interazioni clinicamente significative tra farmaci che possiedono effetti potenti, un ristretto margine di sicurezza e una curva dose-risposta con pendenza notevole (p. es., i farmaci citotossici, antiipertensivi e ipoglicemizzanti; la digossina; il warfarin). Può essere difficile distinguere un’interazione farmacologica dai fattori fisiopatologici che influenzano la risposta alla terapia.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci ●





Esiste la possibilità che interazioni del tutto prevedibili in realtà non si verifichino; fattori individuali, come la dose e il metabolismo del paziente, sono importanti fattori determinanti delle interazioni. Quando gli effetti dei farmaci vengono seguiti con attenzione, un’interazione di solito non si traduce nella comparsa di effetti indesiderati significativi, ma spesso è necessaria una modificazione della posologia o l’uso di farmaci alternativi. Lo spiazzamento di un farmaco dai suoi siti di legame con le proteine altera il rapporto tra il farmaco totale e la sua quota libera, complicando l’interpretazione clinica delle concentrazioni totali del farmaco nel sangue. Quando un farmaco altamente legato e spiazzabile viene assunto insieme con un farmaco che è in grado di spiazzarlo, le concentrazioni sieriche totali dei farmaci non rivestono lo stesso significato che hanno quando essi vengono assunti separatamente. Questa considerazione è importante, perché le concentrazioni sieriche vengono spesso utilizzate come riferimento per indirizzare il trattamento dei pazienti che assumono più farmaci contemporaneamente.

L’incidenza e le conseguenze cliniche delle interazioni farmacologiche possono essere ridotte al minimo in diversi modi. Il medico che redige la prescrizione deve conoscere tutti i farmaci che il paziente assume, compresi quelli prescritti da altri medici e quelli da banco. Deve essere prescritto il minor numero possibile di farmaci, alle dosi più basse e per il tempo più breve, compatibilmente con le necessità terapeutiche. Vanno stabiliti gli effetti, voluti e indesiderati, di tutti i farmaci utilizzati, perché di solito tra questi effetti sono comprese le diverse interazioni farmacologiche. Se è possibile, devono essere utilizzati farmaci con un range di dosaggio che permetta un considerevole margine di errore. Il paziente deve essere tenuto sotto osservazione e controllato per seguire gli effetti dei farmaci, specialmente dopo aver introdotto una variazione nella terapia; alcune interazioni (p. es., gli effetti metabolici dipendenti dall’induzione enzimatica) impiegano ≥ 1 sett per comparire. Le interazioni farmacologiche devono essere considerate come una delle possibili cause di qualunque problema non previsto. Quando si verificano risposte cliniche inattese, si devono determinare, se possibile, le concentrazioni sieriche dei farmaci che si stanno impiegando, si deve consultare la letteratura esistente sull’argomento o un esperto di interazioni farmacologiche e si deve calibrare il dosaggio fino a che non si ottiene l’effetto desiderato. Qualora l’adattamento della posologia non dovesse dare risultati, il farmaco deve essere sostituito con un farmaco diverso che non interagisce con gli altri farmaci assunti dal paziente.

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Considerazioni generali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI INTERAZIONI TRA SOSTANZE NUTRITIVE E FARMACI Le importanti interazioni tra le sostanze nutritive e i farmaci comprendono gli effetti della dieta sulla distribuzione dei farmaci, l'alterata farmacocinetica nelle carenze nutrizionali, le modificazioni dell'appetito e la malnutrizione farmacoindotta (v. Cap. 301). I singoli componenti degli alimenti possono aumentare, ritardare o diminuire l'assorbimento dei farmaci. Per esempio, la tiramina, un componente del formaggio e un potente vasocostrittore, può causare una crisi ipertensiva in alcuni pazienti che assumono gli inibitori delle monoammino ossidasi e mangiano formaggio. Le diete ad alto contenuto proteico possono aumentare la velocità del metabolismo dei farmaci, in parte attraverso la stimolazione dell'induzione del citocromo P-450. Le diete che alterano la flora batterica possono condizionare notevolmente il metabolismo complessivo di alcuni farmaci. Anche la carenza di alcuni nutrienti come il calcio, il magnesio o lo zinco può alterare il metabolismo dei farmaci. Le carenze energetiche e proteiche riducono i livelli tissutali degli enzimi e possono alterare la risposta ai farmaci sia riducendone l'assorbimento che causando una disfunzione epatica. La risposta ai farmaci può essere condizionata da un alterato assorbimento dovuto anche a delle modificazioni nel tratto GI. La carenza di vitamina C è associata a una ridotta attività degli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci. La maggiore frequenza degli effetti collaterali dei farmaci nei pazienti anziani, può essere, quindi, correlata al basso livello di vitamina C. Molti farmaci compromettono l'appetito, l'assorbimento e il metabolismo tissutale (v. Tab. 1-11). Alcuni farmaci alterano il metabolismo dei minerali. I diuretici, specialmente i tiazidici e i corticosteroidi, possono causare una deplezione di potassio, che aumenta il rischio di aritmie cardiache indotte dalla digitale. Essa può derivare anche dall'uso continuo di lassativi. Il cortisolo, il deossicorticosterone e l'aldosterone causano una marcata ritenzione di sodio e di acqua, almeno temporaneamente; la ritenzione è notevolmente inferiore con il prednisone, il prednisolone e i più recenti analoghi corticosteroidei. La ritenzione di sodio e di acqua si verifica anche con i contraccettivi orali estro-progestinici e con il fenilbutazone. Le sulfoniluree, il fenilbutazone, il cobalto e il litio possono alterare la captazione o il rilascio di iodio dalla tiroide; i contraccettivi orali possono ridurre la concentrazione plasmatica dello zinco e aumentare quella del rame; e il prolungato uso dei corticosteroidi può causare l'osteoporosi. Il metabolismo delle vitamine è influenzato da alcuni farmaci. L'etanolo riduce l'assorbimento della tiamina mentre l'isoniazide è un antagonista della niacina e della piridossina. L'etanolo e i contraccettivi orali inibiscono l'assorbimento dell'acido folico. La maggior parte dei pazienti che assume fenitoina, fenobarbitale, primidone o fenotiazine per terapie anticonvulsivanti a lungo termine, presenta dei bassi livelli sierici ed eritrocitari di folati e occasionalmente un'anemia megaloblastica, probabilmente a causa dell'alterazione degli enzimi epatici microsomiali che metabolizzano i farmaci. La somministrazione di acido folico supplementare può interferire con l'azione dei farmaci anticonvulsivanti, mentre una terapia con compresse di lievito sembra aumentare i livelli di folati

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Considerazioni generali

senza un tale effetto collaterale. È ben conosciuta la carenza di vitamina D indotta dagli anticonvulsivanti. È stato riportato un malassorbimento di vitamina B12 con l'acido amminosalicilico, lo ioduro di potassio a lento rilascio, la colchicina, la trifluoperazina, l'etanolo e i contraccettivi orali. Nelle donne che assumono dei contraccettivi orali, di solito ad alto contenuto di progesterone, si può verificare uno stato depressivo. Si pensa che il meccanismo sia dovuto all'induzione della triptofano-pirrolasi, che causa l'utilizzazione della piridossina per la sintesi della niacina, a scapito della formazione del neurotrasmettitore 5-idrossitriptamina. Queste pazienti di solito rispondono a dosi di 25 mg tid di piridossina. Il metabolismo delle sostanze nutritive può essere influenzato anche dalle altre sostanze nutritive. Per esempio, l'assorbimento del ferro non-eme può essere aumentato o ridotto da numerose sostanze alimentari (v. Anemia causata da insufficiente eritropoiesi nel Cap. 127).

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MICROCITICHE

Sommario: Introduzione Alterazioni del metabolismo del ferro Esami di laboratorio

Una difettosa o insufficiente sintesi dell’eme o della globina provoca la comparsa di una popolazione di GR microcitici. Tuttavia, le alterazioni iniziali possono essere minime. La diagnosi differenziale (v. Tab. 127-4) include l’anemia da deficienza di ferro, da deficienza di trasporto del ferro e da difettosa utilizzazione del ferro, l’anemia delle malattie croniche e le talassemie (v. oltre, Anemie causate da difettosa sintesi emoglobinica). Il termine anemia microcitica ha sostituito il termine anemia ipocromica-microcitica, poiché il grado dell’ipocromia è variabile.

Alterazioni del metabolismo del ferro Il Fe è suddiviso in quello attivamente utilizzato nel metabolismo e quello di riserva. Il Fe corporeo totale è, nei soggetti adulti sani, pari a 3,5 g nei maschi e a 2,5 g nelle femmine. La differenza dipende dalla diversa taglia corporea e dalla comune assenza di un importante deposito nelle donne. Il contenuto approssimativo del settore attivo è negli uomini di 2100 mg nell’Hb, 200 mg nella mioglobina, 150 mg negli enzimi tissutali (eme e non eme) e 3 mg nel compartimento del trasporto del Fe. Il Fe è depositato nelle cellule come ferritina (700 mg) ed emosiderina (300 mg). Assorbimento del ferro: la dieta media americana che contiene 6 mg di Fe/kcal di cibo, è adeguata per l’omeostasi del Fe. Tuttavia, variazioni significative nella biodisponibilità di Fe alimentare inducono un’alterazione marcata dell’assorbimento. Il miglior assorbimento del Fe si ha quando il cibo contiene del Fe emico (carne). Una varietà di altri cibi (p. es., i fitati delle fibre vegetali e i polifenoli; i tannati del tè, comprese le fosfoproteine, la crusca) riducono l’assorbimento del Fe non emico. Così, molte interazioni fra alimenti ne riducono la biodisponibilità. L’acido ascorbico è l’unico elemento alimentare conosciuto capace di aumentare la biodisponibilità del Fe non emico. Di circa 10 mg/die di Fe dietetico, gli adulti assorbono solo 1 mg, che essenzialmente compensa la perdita cellulare quotidiana della desquamazione della cute e dell’intestino. Nella deplezione di Fe l’assorbimento aumenta, ma raramente raggiunge una quantità > 6 mg a meno che non vi sia un apporto supplementare di Fe. I bambini hanno un maggiore fabbisogno di Fe e il bilancio marziale sembra essere positivo per coprire tale esigenza. file:///F|/sito/merck/sez11/1270924b.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.06

Anemie

Sebbene l’assorbimento del Fe avvenga nel duodeno e nella prima parte del digiuno, esso viene influenzato da altre attività gastrointestinali. Il Fe non emico degli alimenti è ridotto a stato ferroso e liberato dal legame alimentare mediante la secrezione gastrica. Il reale meccanismo di assorbimento del Fe non è chiaro. Ciò nonostante, la regolazione dell’assorbimento è in alcuni casi mediata dalle cellule della mucosa intestinale. Il segnale iniziale per le cellule della mucosa intestinale sembra essere legato alla quantità totale del Fe corporeo. La concentrazione della ferritina sierica è inversamente proporzionale alla quantità di Fe assorbito; la ferritina (o transferrina) può fornire questo segnale. L’aumentata eritropoiesi (p. es., anemia emolitica congenita) può influenzare anche il meccanismo di controllo dell’apporto e della ritenzione di Fe da parte delle cellule della mucosa intestinale. Metabolismo del Fe: il Fe dalle cellule della mucosa intestinale viene trasferito alla transferrina, la quale è una proteina di trasporto del Fe con due siti di legame per il Fe ed è sintetizzata dal fegato; questo sistema può prendere il Fe dalle cellule (intestinali, macrofagi) e rilasciarlo sui recettori specifici degli eritroblasti, delle cellule della placenta e delle cellule epatiche. La transferrina si lega ai recettori specifici della membrana degli eritroblasti, il complesso transferrina-Fe entra nel precursore dei GR mediante endocitosi e il Fe viene trasferito ai mitocondri, che inseriscono il Fe nella protoferrina per trasformarlo in eme. La transferrina (emivita plasmatica, 8 giorni) viene espulsa per essere riutilizzata. Il Fe non utilizzato per l’eritropoiesi è trasferito dalla transferrina al settore di deposito, che presenta due forme. La più importante è la ferritina (una famiglia eterogenea di proteine formata intorno a un nucleo di Fe) che rappresenta una frazione di riserva solubile e attiva riscontrata nel fegato (epatociti), midollo osseo e milza (nei macrofagi); nei GR; e nel siero. La riserva di ferritina tissutale è molto labile e prontamente disponibile per tutte le richieste di Fe dell’organismo. La ferritina circolante (siero) sembra avere la sua origine nel sistema dei fagociti mononucleati ("reticoloendoteliale") e la sua concentrazione circolante è correlata al volume di riserva dell’organismo (1 ng/ml equivale a 8 mg di Fe nel pool di riserva). La seconda forma di riserva del Fe è data dall’emosiderina, che è relativamente insolubile e immagazzinata principalmente nel fegato (cellule del Kupffer) e nel midollo (macrofagi). Poiché l’assorbimento del Fe è così limitato, l’organismo possiede un sistema adeguato di conservazione per regolarne il fabbisogno quotidiano. I GR vecchi sono fagogitati da fagociti mononucleati. La pronta digestione permette la disponibilità del Fe che è catturato dalla transferrina al fine di essere riutilizzato. Questo sistema di riutilizzazione del Fe è così efficiente che circa il 97% del fabbisogno quotidiano di Fe (circa 25 mg di Fe) può essere reperito da questo sistema di riserva; un altro mg proviene dall’assorbimento intestinale.

Esami di laboratorio Il Fe e la capacità Fe-legante devono essere entrambi testati poiché il rapporto tra essi è importante. Esistono vari test; l’intervallo dei valori normali dipende dal test utilizzato. In generale, il valore normale del Fe sierico è compreso fra 75 e 150 µg/dl (da 13 a 27 µmol/l) per gli uomini e fra 60 e 140 µg/dl (da 11 a 25 µmol/ l) per le donne; la capacità ferro-legante totale è compresa fra 250 e 450 µg/dl (45-81 µmol/l). La concentrazione di Fe sierico è bassa nelle deficienze di ferro e nelle malattie croniche ed elevata negli stati emolitici e nelle sindromi da sovraccarico di Fe (v. Cap. 128). I pazienti in terapia sostitutiva con Fe PO possono avere una sideremia normale, nonostante l’esistenza di una carenza marziale; in queste circostanze, è necessario sospendere la terapia per 24-48 h per ottenere un valore attendibile della sideremia. La capacità Fe-legante (o transferrina) aumenta in condizioni di carenza marziale ma si riduce, al contrario, nell’anemia associata a malattie croniche. La ferritina sierica, che viene misurata con test radioimmunologico, è una

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Anemie

glicoproteina di riserva del Fe, esistente come isoferritina tessuto-specifica. I valori normali di questa proteina oscillano, per la maggior parte dei laboratori, tra 30 e 300 ng/ml e la media geometrica è 88 per l’uomo e 49 per la donna. Le concentrazioni della ferritina sierica risultano strettamente correlate ai depositi di Fe di tutto l’organismo; pertanto, basse concentrazioni (< 12 ng/ml) si manifestano soltanto nella deficienza di Fe, mentre concentrazioni elevate nel sovraccarico marziale. Alte concentrazioni di ferritina sono presenti anche in caso di danno epatico (cioè epatiti) o in particolari neoplasie (in particolare la leucemia acuta, il morbo di Hodgkin o i tumori dell’apparato GI) in cui la ferritina può essere una proteina reattiva di fase acuta. Quindi, basse concentrazioni di ferritina sierica identificano sempre una deficienza marziale, ma possono anche essere falsamente elevate a causa di una lesione epatocellulare o della presenza di una risposta di fase acuta. Il recettore della transferrina sierica può essere misurato mediante un esame enzimatico immunoassorbente (ELISA) che utilizza un Ac monoclonale contro il recettore solubile. Poiché il test ELISA calcola la massa totale corporea dei recettori tissutali, esso rappresenta una misura relativa della parte attivamente proliferativa dell’eritrone. Il range normale è di 3,0-8,5 µg/l. I livelli aumentano nelle fasi iniziali della deficienza marziale e in circostanze di aumentata eritropoiesi. I livelli sono normali nell’anemia associata a malattie croniche. La ferritina dei GR può essere misurata mediante un prelievo di sangue posto a contatto con l’eparina e separando i GR dai GB e dalle piastrine (che contengono anche ferritina) con la centrifugazione con Hypaque. Dopo l’emolisi, l’esame RIA della ferritina eritrocitaria indica lo stato di deposito nei 3 mesi precedenti (cioè la vita media dei GR). Il livello della ferritina eritrocitaria normale varia a seconda del test impiegato, ma generalmente è compreso tra 5 e 48 attogrammi (ag)/GR. Questo valore è < 5 ag/GR nelle anemie da carenza di Fe e marcatamente elevato (spesso > 100 ag/GR) negli stati di sovraccarico di Fe (v. Cap. 128). Il livello non è influenzato dalla funzione epatica o da altre malattie acute. La protoporfirina libera eritrocitaria aumenta significativamente in situazioni di alterata sintesi dell’eme (p. es., carenza di Fe o intossicazione da piombo). Tuttavia, tale test non differenzia la carenza marziale dalle anemie legate a malattie croniche ed è stato quindi largamente sostituito dalla misurazione della ferritina sierica.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127–4. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELL’ANEMIA MICROCITICA Carenza di ferro

Sangue periferico

Deficit Utilizzazione Riutilizzazione del del ferro del ferro trasporto del ferro

M>I

M>I

M>I

M10

400

30-400

50

5-45

Microcitosi (M) versus ipocromia (I) Cellule policromatofile a bersagl io Emazie punteggiate Ampiezza di distribuzione dei volumi dei GR

% saturazione della transferrina Ferritina sierica (normale 30-300ng/ ml) Ferritina di GR (normale 5-48 attogrammi/GR)

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Manuale Merck - Tabella

Midollo osseo

1:1-1:2

1:1-1:2

1:1-5:1

1:1-1:2

Ferro midollare

Assente

Presente



Presente

Sideroblasti "ad anello"

Assenti

Assenti

Presenti

Assenti

Rapporto eritrociti: granulociti (normale da 1:3 a 1:5)

↑=aumentato; ↓=ridotto

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Sovraccarico di ferro

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 128. SOVRACCARICO DI FERRO (Emosiderosi; emocromatosi) (Per avvelenamento acuto da ferro, v. Tab. 307-3).

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia SOVRACCARICO GENETICO DI FERRO ACCUMULO MARZIALE NON GENETICO ACCUMULO DI FERRO DI ORIGINE SCONOSCIUTA

Il sovraccarico cronico di ferro (Fe) è caratterizzato da aumentata deposizione focale o generalizzata all’interno dei tessuti. Sulla base dell’esame tissutale, questa è stata definita emosiderosi. Quando la deposizione in eccesso di ferro è associata a una lesione tissutale o il ferro totale dell’organismo è stimato essere > 5 g, è stato applicato il termine emocromatosi (v. Tab. 128-1). L’emocromatosi, un disordine genetico da accumulo marziale, deve essere differenziata da altri disordini congeniti accompagnati da aumento delle riserve di Fe (p. es., aceruloplasminemia, ipotransferrinemia/atransferrinemia) e da accumulo marziale non genetico e dal sovraccarico marziale di eziologia indeterminata. L’emocromatosi nella sua forma primaria è un disordine genetico con una frequenza omozigote di 1:200 e una frequenza eterozigote di 1:8. Il gene dell’emocromatosi (HLA-H) è stato recentemente identificato sul braccio corto del cromosoma 6 come una singola mutazione puntiforme nella quale l’aminoacido cisteina in posizione 282 si modifica in tirosina (nt 845A, 845A; Cys 282 Tyr). Dei pazienti con emocromatosi clinica, l’83% è omozigote per questa mutazione., la quale codifica per una molecola simile all’HLA-A. È stata anche identificata una mutazione al nt 187C (His 63 Asp) correlata al complesso maggiore di istocompatibilità; queste modificazioni sono state definite mutazioni associate all’emocromatosi). L’aver scoperto queste mutazioni non ha fornito la spiegazione fisiopatologica del meccanismo dell’aumentato assorbimento di Fe. L’aumentato assorbimento di Fe dal tratto GI sembra causarne l’accumulo. Poiché i meccanismi fisiologici dell’escrezione del Fe sono limitati, il Fe si accumula nell’organismo. Il contenuto totale di Fe dell’organismo può raggiungere valori anche di 50 g, paragonati ai livelli normali di circa 2,5 g nelle donne e 3,5 gr negli uomini.

Sintomi e segni L’emosiderosi focale si ha principalmente nei polmoni e nei reni e rappresenta il risultato di altri ovvi processi patologici. L’emosiderosi polmonare, dovuta a ripetute emorragie polmonari, si verifica come entità idiopatica, come parte della sindrome di Goodpasture o nella stenosi mitralica grave. Occasionalmente, la file:///F|/sito/merck/sez11/1280953.html (1 of 4)02/09/2004 2.06.07

Sovraccarico di ferro

perdita di Fe, da questi episodi di emorragia polmonare, causa un’anemia sideropenica poiché il ferro non può essere riutilizzato. L’emosiderosi renale può derivare da un’estesa emolisi intravasale dovuta a trauma dei GR (p. es., nella coagulazione intravascolare disseminata, insufficienza o stenosi valvolare cardiaca, protesi valvolare meccanica) o a emoglobinuria parossistica notturna. L’Hb libera viene filtrata a livello glomerulare e la deposizione di Fe nel rene si ha quando si verifica la saturazione dell’aptoglobina. Non si verifica danno parenchimale renale, ma in casi rari un’emosiderinuria grave può determinare deficit di Fe. L’emocromatosi genetica è raramente sintomatica prima della mezza età. Degli uomini colpiti, l’80-90% ha i depositi di Fe dell’organismo > 10 g prima che i sintomi si sviluppino. Nelle donne, i sintomi si sviluppano più comunemente dopo la menopausa poiché la perdita di Fe durante le mestruazioni e la gravidanza determinano una qualche protezione. Quindi, il contenuto epatico di Fe è più alto nelle donne la cui menopausa si verifica al di sotto dei 50 anni. Nonostante la perdita di sangue durante la gravidanza e le mestruazioni, le donne hanno la piena espressione clinica fenotipica dell’emocromatosi. L’evento clinico che porta alla diagnosi è di solito incidentale, poiché le sequele cliniche dell’accumulo di Fe rappresentano le manifestazioni tardive; la precoce valutazione clinico-laboratoristica nell’accumulo di Fe rappresenta il miglior approccio. Nelle donne, la fatica e sintomi costituzionali non specifici rappresentano i primi reperti; negli uomini, la cirrosi o il diabete rappresentano la manifestazione iniziale. I reperti clinici di un avanzato stato di deposizione di Fe possono includere disfunzione epatocellulare anche con cirrosi, pigmentazione bronzina della cute, diabete mellito (franco nel 50-60% dei pazienti) e cardiomiopatia che si manifesta con cardiomegalia, insufficienza cardiaca e aritmie o disturbi della conduzione. L’insufficienza ipofisaria è frequente e può essere alla base dell’atrofia testicolare con perdita della libido, che si manifestano frequentemente. Meno frequentemente si hanno dolore addominale, artrite e condrocalcinosi. Queste alterazioni sono dovute a deposito di Fe nei parenchimi, sebbene un’aumentata incidenza familiare di diabete mellito suggerisca che possano giocare un ruolo importante fattori diversi dalla siderosi del pancreas. Il carcinoma epatocellulare si manifesta più frequentemente nelle emocromatosi di lunga data che in ogni altra forma di cirrosi; l’incidenza approssimata è del 14%.

Diagnosi L’emocromatosi è spesso diagnosticata tardi nel corso della malattia dopo un significativo insulto tissutale, poiché i sintomi clinici sono insidiosi e l’entità del coinvolgimento dell’organo è varia; quindi, l’intero quadro clinico evolve lentamente. Altri meccanismi non genetici di accumulo di Fe, come gli stati emolitici congeniti (p. es., l’anemia falciforme, la talassemia), devono essere esclusi in modo appropriato. Nell’emocromatosi genetica il Fe sierico è elevato (> 300 mg/dl). La saturazione sierica della transferrina è un parametro sensibile di aumento di Fe e merita una valutazione quando è > 50%. La ferritina sierica è aumentata e la ferritina dei GR è aumentata a valori > 200 atg/GR. L’escrezione urinaria del Fe è notevolmente aumentata (> 2 mg/24 ore) dal chelante desferoxamina (5001000 mg IM sulla base della massa corporea del paziente) e questa procedura è stata utilizzata come test diagnostico in alcune circostanze, quando la diagnosi è incerta. Inoltre, quando il contenuto di Fe nel fegato è significativamente aumentato, una RMN può riflettere questa modificazione. La biopsia epatica è stata il "gold standard" della diagnosi; oggi essa serve solo per fornire evidenza di fibrosi (cirrosi). L’esame genetico rappresenta il test diagnostico di scelta. La dimostrazione di siderosi epatica, e un aumento quantitativo nel contenuto epatico (indice medio del Fe epatico, > 2; la concentrazione media epatica di Fe, > 250 µmol/g), conferma la diagnosi. La diagnosi clinica genotipica e l’appropriato screening dei parenti di primo grado sono stati semplificati dal test per C282Y, la mutazione più frequente è per H63D, mutazione più rara che rende ragione di > 95% dei casi di emocromatosi. file:///F|/sito/merck/sez11/1280953.html (2 of 4)02/09/2004 2.06.07

Sovraccarico di ferro

Terapia Il salasso è il più semplice metodo per rimuovere il Fe in eccesso nei pazienti con emocromatosi e migliora la sopravvivenza, senza alterare l’incidenza di epatocarcinoma. Non appena è stata posta diagnosi, è bene iniziare il salasso. Si rimuovono circa 500 ml di sangue (circa 250 mg di Fe) ogni settimana, fino a che la sideremia non diventa normale e la saturazione transferrinica è ben sotto il 50%. Normalmente, il salasso può essere eseguito settimanalmente. Quando i depositi di Fe sono normali, può essere eseguito un ulteriore salasso per mantenere la saturazione della transferrina < 10%. Il livello della ferritina sierica è un parametro meno valido durante la deplezione marziale. Il diabete mellito, le alterazioni cardiache, l’impotenza e le altre manifestazioni secondarie vengono trattate come di norma.

SOVRACCARICO GENETICO DI FERRO Due forme rarissime congenite, l’ipotransferrinemia/atransferrinemia e l’aceruloplasminemia, sono accompagnate da aumento dei depositi di Fe. Nella deficienza transferrinica, il ferro assorbito entra nel circolo portale come Felegato non transferrinico ed è depositato nel fegato. Il susseguente trasporto verso l’eritrone per le necessità fisiologiche è ridotto poiché il sistema di trasporto è carente. Nella deficienza di ceruloplasmina, la mancanza di ferroxidasi determina una difettosa conversione di Fe2+ in Fe3+, che è necessario per il legame alla transferrina. Il difettoso processo riduce i movimenti del ferro dai depositi intracellulari al trasporto plasmatico con accumulo di Fe nei tessuti. Questi difetti di trasporto sono diagnosticati dalla misura della transferrina sierica (cioè, la capacità Fe-legante) e della ceruloplasmina (v. Morbo di Wilson al Cap. 4). Sebbene la terapia sostitutiva con la transferrina o con la ceruloplasmina (dipendendo dalla diagnosi) sarebbe ideale, questi prodotti non sono disponibili per la terapia.

ACCUMULO MARZIALE NON GENETICO L’accumulo marziale trasfusionale e l’accumulo che avviene per aumentato assorbimento a causa di eritropoiesi carente (p. es., nelle anemie emolitiche congenite o nelle emoglobinopatie) possono essere generalmente identificate sulla base della storia clinica. Poiché tali circostanze (talora definite emocromatosi secondarie) sono associate ad anemia, il salasso può non essere possibile. La desferoxamina 20-40 mg/kg/24 h in infusione lenta SC o EV, somministrata durante la notte da una piccola pompa portatile, riduce con successo i depositi di Fe. Poiché la tachifilassi si verifica con la terapia con desferroxamina, la sua continua efficacia deve essere valutata (di solito con la misura del Fe urinario). In alternativa, urine di colore salmone confermano un valore > 50 mg/die.

ACCUMULO DI FERRO DI ORIGINE SCONOSCIUTA Malattie parenchimali epatiche, specialmente l’epatopatia alcolica, la steatoepatosi non alcolica e l’infezione epatitica da virus C, possono essere associate ad aumentato deposito di Fe. I meccanismi per questa forma sono sconosciuti, sebbene l’emocromatosi genetica deve sempre essere considerata

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Sovraccarico di ferro

un potenziale determinante fattore eziologico e valutata. La deplezione di Fe non sembra migliorare la disfunzione epatica in questi pazienti che non presentano un’emocromatosi genetica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 307-2. LINEE GUIDA PER LA TERAPIA CHELANTE* Farmaco chelante†

Indicazioni

Dosaggio

Edetato calcico disodico (sale calcico disodico dell'acido etilendiaminotetracetico)

Cadmio, cromo, cobalto, manganese, nichel, piombo, radio, rame‡ e sali di rame, selenio, tungsteno, uranio, vanadio, zinco e sali di zinco

Diluire a ≤3% e somministrare 25-35mg/ kg EV lentamente (in 1h) q 12h per 5-7gg; interrompere per 7gg, poi ripetere

Dimercaprolo

Acido cromico‡, antimonio, arsenico, bicromati‡, bismuto, cromati‡, mercurio, nichel, oro, sali di rame, sali di zinco, triossido di cromo‡, tungsteno

Usare al 10% in olio e somministrare come segue: giorno 1: 3-4mg/ kg IM q 4h; giorno 2: 2mg/ kg IM q 4h; giorno 3: 3mg/ kg IM q 6h; poi 3mg/kg IM q 12h ogni 10gg fino alla guarigione

Penicillamina

Acido cromico, bicromati, cadmio, cobalto, cromati, mercurio‡, nichel, piombo, sali di rame, sali di zinco, triossido di cromo

Somministrare 15-20mg/ kg PO bid

Succimero

Intossicazioni da piombo nei bambini, con piombemia >45µg/dl (>2,15µmol/l); usa to sempre più spesso per le intossicazioni occupazionali da piombo, arsenico e mercurio negli adulti

Somministrare 10mg/kg PO q 8h per 5gg, poi 10mg/kg PO q 12h per 14gg

*I dosaggi dipendono dal tipo e dalla gravità dell'avvelenamento. †I

sali di ferro e di tallio non vengono chelati efficacemente da questi farmaci; ogni sale ha il suo chelante specifico (v. alla voce Ferro e alla voce Sali di tallio nella Tab. 307-3).

‡Farmaco

chelante di scelta.

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO (Scompenso cardiaco congestizio) Disfunzione miocardica sintomatica che provoca un caratteristico pattern di risposte compensatorie emodinamiche, renali e neuro-ormonali. (Per lo scompenso cardiaco nei bambini, v. Cap. 261.)

Sommario: Introduzione Fisiologia Classificazione ed eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Nessuna definizione di scompenso cardiaco (SC) è del tutto soddisfacente. Lo scompenso cardiaco congestizio (SCC) si sviluppa quando il volume plasmatico aumenta e liquidi si accumulano nei polmoni, negli organi addominali (specialmente fegato) e a livello dei tessuti periferici.

Fisiologia A riposo e durante sforzo fisico, la gittata cardiaca (GC), il ritorno venoso e la distribuzione del flusso di sangue contenente O2 ai tessuti sono regolati da meccanismi complessi, controllati in parte da fattori intrinseci al cuore, in parte da sostanze ad azione neuro-ormonale. Il precarico, la contrattilità, il postcarico, la frequenza delle contrazioni, la disponibilità di substrati e l’entità del danno miocardico determinano la funzione del ventricolo sinistro (VS) e il fabbisogno miocardico di O2. Hanno un ruolo il principio di Frank-Starling, la riserva cardiaca e la curva di dissociazione dell’ossiemoglobina. Il precarico (ossia il grado di tensione della fibra muscolare in telediastole) riflette il volume telediastolico, che è influenzato dalla pressione diastolica e dalla composizione della parete miocardica. Per gli scopi clinici, la pressione telediastolica, soprattutto se maggiore del normale, è una misura affidabile del precarico in molte condizioni. La dilatazione e l’ipertrofia del VS e le modificazioni della distensibilità del miocardio modificano il precarico. La contrattilità del muscolo cardiaco isolato è caratterizzata dalla forza e dalla velocità di contrazione, parametri difficili da misurare nel cuore integro. Dal punto di vista clinico, la contrattilità viene spesso espressa come frazione di eiezione (rapporto fra gittata sistolica e volume telediastolico del VS). Il postcarico (la forza che si oppone all’accorciamento della fibra miocardica dopo stimolazione dalla condizione di rilassamento) è determinato dallo spessore file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (1 of 13)02/09/2004 2.06.10

Scompenso cardiaco

della parete e dalla pressione e dal volume delle cavità al momento dell’apertura della valvola aortica. Clinicamente, il postcarico è approssimativamente equivalente alla PA sistemica al momento dell’apertura della valvola aortica, o poco dopo, e rappresenta il picco sistolico dello stress di parete. Anche la frequenza e il ritmo influenzano la funzione cardiaca. La ridotta disponibilità di substrati (p. es., acidi grassi e glucoso), soprattutto se la disponibilità di O2 è ridotta, può ridurre la forza di contrazione cardiaca e la funzione miocardica. Il danno tissutale (acuto nell’IMA o cronico nella fibrosi dovuta a diverse patologie) danneggia la funzione miocardica localmente e impone un carico di lavoro addizionale al miocardio vitale. Il principio di Frank-Starling asserisce che l’entità dello stiramento telediastolico della fibra miocardica (precarico) nell’ambito di un range fisiologico è proporzionale alla performance sistolica che consegue alla contrazione ventricolare (Fig. 203-1). Questo meccanismo è attivo nello SC, ma, dal momento che la funzione ventricolare non è normale, la risposta non è adeguata. Se la curva di Frank-Starling è depressa, la ritenzione di liquidi, la vasocostrizione e una serie di meccanismi neuro-ormonali portano alla sindrome dello SCC. Con il passare del tempo, il rimodellamento del VS (cambiamento della normale forma ovoidale) con dilatazione e ipertrofia compromette ulteriormente la funzione cardiaca, soprattutto durante lo sforzo fisico. La dilatazione e l’ipertrofia possono essere accompagnate da un aumento della rigidità diastolica. La riserva cardiaca (capacità del cuore, non utilizzata in condizioni basali, di trasportare O2 ai tessuti) è un’importante componente della funzione cardiaca durante stress psicologico o fisico. I suoi meccanismi comprendono incrementi della frequenza cardiaca, dei volumi sistolico e diastolico, della gittata sistolica e dell’estrazione tissutale di O2. Per esempio, in giovani allenati, durante esercizio massimale, la frequenza cardiaca può aumentare dai 55-70 bpm di base fino a 180 bpm; la GC (gittata sistolica ⋅ frequenza cardiaca) può aumentare dal suo valore basale di 6 fino a 25 l/min; il consumo di O2 può aumentare da 250 a 1500 ml/min. Nel giovane normale a riposo, il sangue arterioso contiene circa 18 ml di O2/dl di sangue, e il sangue venoso misto e quello dell’arteria polmonare ne contengono circa 14 ml/dl. La differenza arterovenosa di O2 (A-Vo2) è di circa 4,0 ± 0,4 ml/dl. Perfino una gittata cardiaca massimale durante esercizio non è sufficiente per soddisfare le richieste metaboliche dei tessuti; perciò, i tessuti estraggono più O2 e il contenuto di O2 del sangue venoso misto si riduce in maniera considerevole. A-Vo2 può aumentare fino a circa 12-14 ml/dl. Un aumento della A-Vo2 dovuto alla riduzione del contenuto di O2 è un meccanismo di adattamento comune nello SC. La curva di dissociazione dell’ossiemoglobina (v. Fig. 203-2) influenza la disponibilità di O2 ai tessuti e può costituire un altro meccanismo di riserva nello SC. La posizione di questa curva viene frequentemente espressa mediante la P50 (pressione parziale di O2 nel sangue in corrispondenza di una saturazione dell’ossiemoglobina del 50%). Un aumento della P50 (27 ± 2 mm Hg) indica uno spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina (ridotta affinità dell’Hb per l’O2). Per una data Po2, meno O2 si lega alla Hb e la saturazione è minore; di conseguenza, a livello dei capillari, più O2 viene rilasciato e reso disponibile per i tessuti. Un aumento della concentrazione di idrogenioni (un pH ridotto) sposta la curva a destra (effetto Bohr), così come fa anche un aumento della concentrazione di 2,3-difosfoglicerato nei globuli rossi, che altera la conformazione spaziale della molecola di Hb.

Classificazione ed eziologia

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Scompenso cardiaco

In molte forme di cardiopatia, le manifestazioni cliniche dello SC possono riflettere una compromissione del ventricolo sinistro o del ventricolo destro. L’insufficienza del ventricolo sinistro (VS) si sviluppa caratteristicamente nella malattia coronarica, nell’ipertensione, nella maggior parte delle cardiomiopatie e nei difetti congeniti (p. es., il difetto del setto interventricolare o il dotto arterioso pervio, in caso di shunt ampi). L’insufficienza del ventricolo destro (VD) è più comunemente causata da una precedente insufficienza del VS (che aumenta la pressione venosa e comporta l’insorgenza di ipertensione arteriosa polmonare) e dall’insufficienza tricuspidale. Altre cause possibili sono la stenosi mitralica, l’ipertensione polmonare primitiva, l’embolia polmonare ripetuta, la stenosi dell’arteria o della valvola polmonare e l’infarto del VD. Il sovraccarico di volume e l’aumento della pressione venosa sistemica possono anche svilupparsi nella policitemia o nel caso di trasfusioni ripetute, nell’insufficienza renale acuta con iperidratazione o nell’ostruzione di una delle vene cave che simula uno SC. In queste condizioni, la funzione miocardica può essere normale. Lo SC si manifesta con una disfunzione sistolica o diastolica o entrambe. Sono comuni anomalie sistoliche e diastoliche associate. Nella disfunzione sistolica (primariamente un problema di disfunzione contrattile del ventricolo), il cuore non riesce ad assicurare ai tessuti una gittata circolatoria adeguata. Si ha una grande varietà di difetti nell’utilizzo delle riserve di energia, nell’apporto dei substrati energetici, nelle funzioni elettrofisiologiche e nell’interazione fra gli elementi contrattili: queste alterazioni sembrano riflettere anomalie nella modulazione intracellulare del Ca++ e nella produzione di AMP ciclico. La disfunzione sistolica ha diverse cause: le più comuni sono la coronaropatia, l’ipertensione e la cardiomiopatia dilatativa congestizia. Esistono molte cause note e probabilmente molte cause sconosciute della miocardiopatia dilatativa. Sono stati identificati più di 20 tipi di virus come agenti causali. Sostanze tossiche che danneggiano il cuore comprendono l’alcol, vari solventi organici, alcuni chemioterapici (p. es., la doxorubicina), i β-bloccanti, i calcioantagonisti e i farmaci antiaritmici. La disfunzione diastolica (resistenza al riempimento ventricolare non facilmente quantificabile al letto del paziente) è responsabile del 20-40% del casi di SC. È generalmente associata a un aumento del tempo di rilasciamento del ventricolo, misurato durante la fase di rilasciamento isovolumetrico (tempo fra la chiusura della valvola aortica e l’apertura della valvola mitrale, momento in cui la pressione ventricolare si riduce rapidamente). La resistenza al riempimento (rigidità o "stiffness" del ventricolo) è direttamente proporzionale alla pressione diastolica del ventricolo; questa resistenza aumenta con l’età e probabilmente riflette la perdita di miociti e l’aumento della quota di collagene interstiziale. Si presume che la disfunzione diastolica sia predominante nella cardiomiopatia ipertrofica, in tutti i casi di ipertrofia ventricolare sinistra significativa (p. es., ipertensione, fase avanzata della stenosi aortica) e nell’infiltrazione del miocardio da parte di sostanza amiloide. Lo scompenso ad alta gittata è una forma di SC associato a una GC persistentemente elevata e può alla fine provocare una disfunzione ventricolare. Condizioni associate con una GC elevata comprendono l’anemia, il beriberi, la tireotossicosi, la gravidanza, la malattia di Paget in fase avanzata e le fistole arterovenose. Nelle condizioni caratterizzate da un’elevata GC può svilupparsi uno SCC, che è spesso reversibile se si tratta la malattia di base. La GC è elevata in diverse forme di cirrosi, ma la comparsa di congestione riflette meccanismi epatici e cardiaci di ritenzione dei liquidi.

Fisiopatologia Nell’insufficienza del VS, la GC diminuisce e la pressione venosa polmonare aumenta. L’aumento della pressione capillare polmonare a livelli superiori rispetto file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (3 of 13)02/09/2004 2.06.10

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alla pressione oncotica delle proteine plasmatiche (circa 24 mm Hg) comporta un aumento della quota liquida del parenchima polmonare, una ridotta elasticità del parenchima polmonare e un aumentato consumo di O2 da parte dei muscoli respiratori. L’ipertensione venosa polmonare e l’edema provocati dall’insufficienza del VS alterano significativamente la meccanica polmonare e di conseguenza il rapporto ventilazione/perfusione. La dispnea è correlata all’elevata pressione venosa polmonare e al conseguente aumento del lavoro respiratorio, sebbene la causa precisa sia dibattuta. Quando la pressione idrostatica venosa polmonare supera la pressione oncotica delle proteine plasmatiche, si verifica uno stravaso di fluidi nei capillari, negli spazi interstiziali e negli alveoli. Caratteristicamente, il versamento pleurico si forma dapprima nell’emitorace destro e, solo in un secondo tempo, diventa bilaterale. Il drenaggio linfatico è aumentato di molto, ma non riesce a far fronte all’aumento della quota liquida polmonare. Il sangue arterioso polmonare non ossigenato perfonde alveoli non aerati, per cui diminuisce la Po2 del sangue capillare misto polmonare. Una combinazione di iperventilazione alveolare, dovuta all’aumentata rigidità polmonare, e di ridotta PaO2 è caratteristica dell’insufficienza del VS. Di conseguenza, l’emogasanalisi mostra un pH aumentato e una PaO2 ridotta (alcalosi respiratoria) con una riduzione della saturazione che riflette un aumento dello spazio morto intrapolmonare. Di solito, anche la PaCO2 è ridotta. Una PaCO2 superiore rispetto al normale indica uno stato di ipoventilazione alveolare probabilmente dovuto a insufficienza dei muscoli respiratori e richiede un supporto ventilatorio urgente. Nello scompenso del VD, si hanno sintomi di congestione venosa sistemica. Una disfunzione epatica di grado moderato si verifica comunemente nello SC secondario a insufficienza del VD, con modesti incrementi dei valori di bilirubina coniugata e non coniugata, del tempo di protrombina e degli enzimi epatici (p. es., fosfatasi alcalina, AST, ALT). Tuttavia, nelle situazioni di grave compromissione circolatoria con marcata riduzione del flusso ematico splancnico e ipotensione, questi indici di funzione epatica sono alterati per lo svilupparsi di necrosi centrolobulare nelle zone circostanti le vene epatiche e possono aumentare a tal punto da far pensare a un’epatite con insufficienza epatica acuta. La riduzione del catabolismo dell’aldosterone da parte del fegato danneggiato contribuisce ulteriormente alla ritenzione idrica. Nella disfunzione sistolica, un inadeguato svuotamento del ventricolo provoca un aumento del precarico, del volume e della pressione diastolici. L’improvvisa (come nell’IMA) o la progressiva (come nella cardiomiopatia dilatativa) perdita di miociti provoca il rimodellamento del ventricolo, che causa un aumento dello stress di parete accompagnato da apoptosi (morte accelerata delle cellule miocardiche) e da un’inappropriata ipertrofia del ventricolo. In una fase successiva, la frazione d’eiezione si riduce fino a una progressiva insufficienza della funzione di pompa. Lo SC sistolico può danneggiare primariamente il VS o il VD (v. sopra), sebbene l’insufficienza di un ventricolo tenda alla fine a provocare l’insufficienza anche dell’altro. Nella disfunzione diastolica, l’aumento della resistenza al riempimento del VS, conseguenza della ridotta distensibilità o "compliance" ventricolare (aumentata "stiffness") provoca un aumento della durata della fase di rilasciamento del ventricolo (fase attiva che segue la contrazione) e altera il normale pattern di riempimento del ventricolo. La frazione d’eiezione può essere normale o aumentata. Di norma, circa l’80% della gittata sistolica passa dall’atrio al ventricolo passivamente in protodiastole e ciò si riflette in un’onda E ampia e un’onda A più piccola al Doppler pulsato. Generalmente, nella disfunzione diastolica del VS, questo pattern è invertito, con un aumento della pressione di riempimento del ventricolo e dell’ampiezza dell’onda A. Sia che si tratti di scompenso primariamente sistolico o primariamente diastolico, e qualunque sia il ventricolo coinvolto, si possono avere diversi adattamenti emodinamici, renali e neuro-ormonali. Adattamenti emodinamici: in presenza di una GC ridotta, il trasporto di O2 ai tessuti è assicurato dall’aumento della A-Vo2. La misurazione della A-Vo2 mediante campioni di sangue arterioso sistemico e di sangue dell’arteria

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polmonare è un indice sensibile della funzione cardiaca e permette di calcolare, per mezzo dell’equazione di Fick (Vo2 = CO ⋅ A-Vo2), la GC (correlazione inversa) e il consumo di O2 dell’organismo (Vo2-correlazione diretta). L’aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità miocardica, la costrizione arteriolare in alcuni distretti, la venocostrizione e la ritenzione di Na e acqua costituiscono inizialmente meccanismi compensatori per la ridotta funzione ventricolare. Effetti negativi di questi meccanismi compensatori comprendono l’aumento del lavoro cardiaco, la riduzione del flusso coronarico, l’aumento del precarico e del postcarico, la ritenzione di liquidi che provoca congestione, la perdita di miociti, l’aumento dell’escrezione di K e le aritmie cardiache. Adattamenti renali: i meccanismi attraverso cui un paziente asintomatico con una disfunzione cardiaca sviluppa uno SCC progressivo non sono noti, ma tutto comincia dalla ritenzione renale di Na e acqua secondaria alla ridotta perfusione renale. Così, a mano a mano che la funzione cardiaca peggiora, il flusso ematico renale diminuisce in maniera direttamente proporzionale alla riduzione della GC, la VFG si riduce notevolmente e il flusso ematico all’interno dei reni viene redistribuito. La frazione di filtrazione e il Na filtrato si riducono, ma il riassorbimento tubulare aumenta. Adattamenti neuro-ormonali: l’aumentata attività del sistema reninaangiotensina-aldosterone influisce sugli adattamenti renali e vascolari periferici nello SC. L’intensa attivazione simpatica che accompagna lo SC stimola il rilascio di renina da parte dell’apparato iuxtaglomerulare situato vicino alla parte discendente dell’ansa di Henle. Probabilmente, anche la riduzione dello stiramento ("stretching") sistolico dell’arteria, secondario alla ridotta funzione ventricolare, stimola la secrezione renina. La stimolazione del sistema reninaangiotensina-aldosterone (conseguente ai meccanismi ora descritti, ma anche secondaria alla stimolazione adrenergica) provoca una cascata di effetti potenzialmente dannosi: l’aumento dei livelli di aldosterone aumenta il riassorbimento di Na a livello del nefrone distale, contribuendo alla ritenzione di liquidi. La renina prodotta dal rene interagisce con l’angiotensinogeno, dando luogo all’angiotensina I, a partire dalla quale ha origine l’octapeptide angiotensina II per intervento dell’enzima convertente l’angiotensina (Angiotensin Converting Enzyme, ACE). L’angiotensina II ha diversi effetti che si ritiene peggiorino la sindrome dello SCC, compresi: la stimolazione del rilascio di arginina-vasopressina (AVP), ossia l’ormone antidiuretico (AntiDiuretic Hormone, ADH); la vasocostrizione; l’aumento del rilascio di aldosterone; la vasocostrizione dell’arteriola efferente del glomerulo; la ritenzione renale di Na; l’aumento del rilascio di noradrenalina. Si ritiene anche che l’angiotensina II sia coinvolta nell’ipertrofia delle pareti dei vasi sanguigni e del miocardio, così da contribuire al rimodellamento del cuore e dei vasi periferici, che aggrava la sindrome dello SC in diverse patologie miocardiche e anche in altre cardiopatie. I livelli di noradrenalina plasmatica sono aumentati in maniera significativa e riflettono in ampia misura l’intensa stimolazione nervosa simpatica, dal momento che i livelli di adrenalina plasmatica non sono aumentati. Elevati livelli plasmatici di noradrenalina nei pazienti con SCC sono associati con una prognosi infausta. A livello cardiaco, esistono molti recettori per sostanze ad azione neuro-ormonale (α , β , β , β adrenergici, muscarinici, per l’endotelina, la serotonina, 1 1 2 3l’adenosina, l’angiotensina II). Nei pazienti con SC, i β recettori (che 1costituiscono il 70% dei β-recettori cardiaci), ma non gli altri recettori adrenergici, sono soggetti al fenomeno della "down-regulation", che può influire negativamente sulla funzione miocardica. Questa "down-regulation", che è probabilmente una risposta all’intenso "overdrive" simpatico, è stata rilevata perfino in pazienti asintomatici nelle prime fasi dello SC. Alterazioni delle sostanze che stimolano il miocardio o della funzione dei recettori per diversi altri fattori neuro-ormonali possono influire negativamente sulla funzione dei miociti nello SC. I livelli sierici del peptide natriuretico atriale (secreto in risposta a un aumento del volume e della pressione dagli atri) e del peptide natriuretico cerebrale (secreto dal ventricolo in risposta allo stiramento delle fibre ventricolari) sono aumentati in file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (5 of 13)02/09/2004 2.06.10

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maniera significativa nei pazienti con SCC. Questi peptidi aumentano la secrezione renale di Na, ma, nei pazienti con SCC, tale effetto è annullato dalla ridotta pressione di perfusione renale, dalla "down-regulation" dei recettori e forse dall’aumentata degradazione enzimatica di tali molecole. I livelli sierici del peptide natriuretico atriale sembrano essere importanti per la diagnosi e la prognosi dello SCC e sono correlati con il grado di danno funzionale. L’AVP è secreta in risposta a una riduzione della PA o dei fluidi extracellulari e per effetto di diversi stimoli neuro-ormonali. Un aumento dell’AVP plasmatica riduce l’escrezione di acqua libera da parte del rene e può contribuire all’iponatriemia dello SC. I livelli di AVP nello SCC variano, ma antagonisti sperimentali dell’AVP hanno provocato un aumento dell’escrezione di acqua e un incremento dei livelli di Na. Altre conseguenze: l’ipertensione venosa cronica può causare un’enteropatia protido-disperdente con ipoalbuminemia significativa, infarti intestinali ischemici, emorragie GI acute e croniche e malassorbimento. La gangrena periferica in assenza di occlusione dei grossi vasi o l’irritabilità cronica e una ridotta capacità di concentrazione possono risultare da una Po2 cronicamente e significativamente ridotta, in seguito alla grave riduzione del flusso ematico cerebrale e all’ipossiemia. La cachessia cardiaca (perdita di massa magra 10%) può accompagnare uno SC gravemente sintomatico. Il cuore scompensato produce il "tumor necrosis factor-α", una citochina che stimola il catabolismo cardiaco e ha probabilmente un ruolo importante nella cachessia cardiaca. Tipica della sindrome dello SCC è un’anoressia significativa. Il ripristino di una normale funzione cardiaca può provocare la regressione della cachessia cardiaca.

Sintomi e segni Lo SC può essere principalmente destro o sinistro e può svilupparsi lentamente o all’improvviso (come nell’edema polmonare acuto). Può verificarsi cianosi in ogni forma di SC. La causa può essere centrale e può riflettere un’ipossemia. Può anche essere presente una componente periferica dovuta a stasi capillare con un’aumentata A-Vo2 e quindi una marcata desaturazione dell’ossiemoglobina del sangue venoso. Il miglioramento del colorito del letto ungueale dopo un massaggio vigoroso suggerisce un quadro di cianosi periferica. Al contrario, la cianosi centrale non è suscettibile di modificazioni mediante aumento del flusso ematico locale. Insufficienza del VS: l’ipertensione venosa polmonare può manifestarsi con tachicardia, ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea per sforzi moderati e intolleranza al freddo. La dispnea parossistica notturna e la tosse notturna riflettono la redistribuzione dell’eccesso di liquidi all’interno dei polmoni in clinostatismo. Occasionalmente, l’ipertensione venosa polmonare e l’accumulo di liquido nei polmoni si manifestano con broncospasmo e sibili. La tosse può essere intensa con espettorato striato di rosa o di colorito marrone per la presenza di sangue e di "cellule dell’insufficienza cardiaca". L’emottisi franca, dovuta a rottura di varici polmonari con massiva perdita di sangue, non è frequente, ma può verificarsi occasionalmente. I segni di insufficienza cronica del VS comprendono un itto puntale diffuso e spostato lateralmente, un galoppo ventricolare (S3) e atriale (S4) rilevabile alla palpazione e all’auscultazione, un secondo tono polmonare rinforzato e rantoli inspiratori alle basi. È comune un versamento pleurico destro. L’edema polmonare acuto è una manifestazione di insufficienza acuta del VS che mette a rischio la sopravvivenza ed è secondario all’improvvisa comparsa di ipertensione venosa polmonare. Un brusco aumento della pressione di riempimento del VS comporta il rapido stravaso di liquidi dal letto capillare dei polmoni agli spazi interstiziali e agli alveoli. Il paziente si presenta con dispnea

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gravissima, cianosi marcata, tachipnea, iperpnea, agitazione e ansia con sensazione di soffocamento. Sono comuni pallore e sudorazione. Il polso può essere filiforme e la PA può essere difficile da rilevare. L’inspirazione è faticosa e sono rilevabili rantoli diffusi su entrambi i campi polmonari, anteriormente e posteriormente. In alcuni pazienti si osserva un marcato broncospasmo con sibili (asma cardiaco). L’attività respiratoria faticosa e rumorosa spesso rende difficile l’auscultazione cardiaca, ma in diastole si può rilevare un galoppo di sommazione, dato dalla fusione di S3 e S4. Si ha un’ipossiemia di grado severo. La ritenzione di CO2 è una manifestazione tardiva e infausta di ipoventilazione secondaria e richiede immediata attenzione. Insufficienza del VD: i sintomi principali includono affaticabilità; senso di tensione o di turgore a livello del collo; pesantezza a livello addominale, con occasionale dolorabilità al quadrante superiore destro (a livello del fegato); edemi alle caviglie e, nelle fasi avanzate, gonfiore addominale dovuto all’ascite. Nei pazienti in posizione supina, è frequente il riscontro di edema nella regione sacrale. I segni clinici includono l’ipertensione venosa sistemica, la presenza di onde a o v anormalmente ampie al polso venoso giugulare, l’epatomegalia dolente alla palpazione, il soffio da insufficienza tricuspidale lungo il margine sternale sinistro, il S3 e il S4 del VD e l’edema molle della parte inferiore del corpo.

Diagnosi Nonostante i sintomi e i segni (p. es., la dispnea da sforzo, l’ortopnea, l’edema, la tachicardia, i rantoli polmonari, un terzo tono, il turgore giugulare) abbiano una specificità per la diagnosi del 70-90%, la sensibilità e il valore predittivo sono bassi. Gli esami di laboratorio raccomandati comprendono l’emocromo completo, la creatininemia, l’azotemia, gli elettroliti (p. es., Mg, Ca), la glicemia, l’albuminemia e i test di funzionalità epatica. Il dosaggio degli ormoni tiroidei va eseguito nei pazienti in fibrillazione atriale e in soggetti selezionati, soprattutto anziani. Nei pazienti con sospetta coronaropatia, possono essere indicati un test provocativo associato a imaging scintigrafico o ecocardiografico o un’angiografia coronarica. La biopsia endomiocardica ha un’utilità limitata. L’ECG va eseguito in tutti i pazienti con SC, sebbene i rilievi che si ottengono non siano specifici; il monitoraggio ambulatoriale dell’ECG non è in genere utile. Diverse alterazioni (p. es., ipertrofia ventricolare, IMA o blocco di branca) possono fornire elementi diagnostici utili per individuare l’eziologia della cardiopatia. Una fibrillazione atriale ad alta risposta ventricolare di recente insorgenza può provocare un’insufficienza acuta del VS o del VD. Extrasistoli ventricolari frequenti possono essere secondarie e possono regredire con la terapia dello SC. La rx del torace va eseguita in tutti i pazienti. La congestione venosa polmonare e l’edema interstiziale o alveolare sono caratteristici dell’edema polmonare. Le strie B di Kerley riflettono un aumento cronico della pressione atriale sinistra e sono espressione dell’ispessimento cronico dei setti intralobulari dovuto all’edema. Il microcircolo è meglio rappresentato soprattutto nelle zone declivi, vale a dire a livello delle basi in ortostatismo. L’esame attento dell’ombra cardiaca, la valutazione della dilatazione delle camere e la ricerca di calcificazioni cardiache possono rivelare elementi importanti per individuare l’eziologia dello SC. L’ecocardiografia può essere d’aiuto nel valutare le dimensioni endocavitarie, la funzione degli apparati valvolari, la frazione d’eiezione, le anomalie della cinetica regionale e l’ipertrofia del VS. L’ecocardiografia Doppler o color Doppler rileva con accuratezza un versamento pericardico o trombi e tumori endocavitari e individua calcificazioni a livello delle valvole cardiache, dell’anulus mitralico e delle pareti dell’aorta. Anomalie della cinetica segmentaria suggeriscono fortemente una coronaropatia di base. Sono spesso utili studi Doppler del flusso file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (7 of 13)02/09/2004 2.06.10

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transmitralico e del flusso delle vene polmonari per identificare e quantificare la disfunzione diastolica del VS.

Terapia Anche nelle situazioni di massima urgenza, è necessario individuare la causa dello SC. Eventuali condizioni correggibili richiedono l’immediato trattamento, che di solito comincia prima che sia completata la valutazione eziologica. Per i pazienti che necessitano di ricovero ospedaliero, un trattamento iniziale non specifico comprende il riposo a letto con la testa sollevata o il riposo in poltrona con i piedi in basso, la somministrazione di O2 per via nasale (spesso a 3 l/min per 24-36 ore) e la sedazione, se necessaria. Terapia farmacologica della disfunzione sistolica: la terapia farmacologica della disfunzione sistolica comprende primariamente i diuretici, gli ACE-inibitori, la digitale e i β-bloccanti; la maggior parte dei pazienti viene trattata con almeno due di queste classi farmacologiche. I diuretici (v. Tab. 203-1) possono migliorare la funzione ventricolare perfino nei pazienti asintomatici. Vanno preferiti i diuretici dell’ansa; la furosemide EV o PO è il diuretico utilizzato più comunemente. Quando si inizia la terapia, si utilizza la somministrazione EV (di solito 20-40 mg, aumentabili fino a 320 mg se necessario), a causa del rapido inizio dell’azione e della rapidità con cui si raggiunge l’effetto massimo (circa 30 min). Nei casi resistenti, possono avere un effetto additivo la clorotiazide (250 mg EV), la bumetanide (0,5-2 mg PO o 0,51,0 mg EV) oppure il metolazone PO (le dosi variano a seconda delle formulazioni). Il sovradosaggio di diuretici dell’ansa può causare ipovolemia, iponatriemia, ipomagnesiemia e ipokaliemia grave: per questo, è essenziale un attento monitoraggio degli elettroliti. I diuretici possono anche causare insufficienza renale e aumentare l’intensa stimolazione simpatica caratteristica dello SC. Possono essere usati risparmiatori di K per controbilanciare la perdita di K dovuta ai diuretici dell’ansa, ma il loro utilizzo può complicarsi con un’iperkaliemia. I diuretici tiazidici di solito non sono efficaci nei pazienti con uno SC in fase avanzata. L’efficacia clinica dei diuretici dipende dalla restrizione dietetica di Na, che va praticata con un approccio a gradini: a tutti i pazienti con SC va raccomandato di eliminare il sale a tavola e di evitare i cibi molto salati; nei casi un po’ più seri, bisogna evitare il sale durante la preparazione dei cibi e limitare a circa 1,2-1,8 g l’assunzione quotidiana di Na+; nei casi gravi, l’apporto di Na non deve superare 1 g/die e ciò si ottiene ricorrendo a cibi a basso contenuto di Na. Il paziente deve tenere un diario quotidiano del proprio peso corporeo per guidare la terapia domiciliare dello SC e per aiutare a prevenire ricoveri frequenti, dal momento che tale provvedimento permette di evidenziare precocemente l’accumulo di Na+ e acqua. Gli ACE-inibitori causano vasodilatazione periferica arteriosa e venosa, una riduzione sostenuta delle pressioni di riempimento del VS a riposo e durante sforzo per il loro effetto venodilatatore, una riduzione delle resistenze vascolari sistemiche, effetti positivi sul rimodellamento, un probabile miglioramento della funzione diastolica, una probabile riduzione della perdita di cellule miocardiche e un effetto inotropo negativo sul cuore scompensato. Diversi ACE-inibitori aumentano la sopravvivenza nello SC e riducono l’incidenza di recidive d’angina e di IMA nella malattia coronarica. L’espansione di volume e l’insufficienza renale riducono i loro effetti benefici. Gli effetti collaterali comprendono una riduzione della PA (talvolta grave) in quasi tutti i pazienti, specialmente in quelli iponatriemici. La vasodilatazione dell’arteriola efferente del glomerulo può provocare un’insufficienza renale di entità moderata. Per la riduzione dei livelli di aldosterone, può verificarsi un’iperkaliemia, soprattutto nei pazienti che assumono supplementi di K. Nel 5-20% dei pazienti si verifica tosse, probabilmente per l’accumulo di bradichinine conseguente alla loro ridotta degradazione a metaboliti inattivi. Occasionalmente, si hanno un rash cutaneo o una disgeusia. L’edema angioneurotico è raro, ma può essere potenzialmente file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (8 of 13)02/09/2004 2.06.10

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letale. La terapia con ACE-inibitori va incominciata con dosi basse, che vengono poi aumentate gradualmente e continuate in seguito indefinitamente; il dosaggio va aumentato progressivamente fino al massimo tollerato dal paziente. Le dosi usuali sono: captopril 25-50 mg/die, enalapril e lisinopril 2,5-5 mg/die e quinapril 10 mg/die. L’aggiunta di spironolattone migliora la funzione cardiaca e sistemica. Sebbene possa essere osservato un effetto precoce, il pieno effetto del farmaco non è solitamente rilevabile per le prime 2-4 settimane di terapia o anche per periodi molto più lunghi. Alte dosi di ACE-inibitori comportano una frequenza di effetti collaterali simile a quella che si ha con basse dosi, ma sono più efficaci (gli studi che hanno evidenziato i vari effetti positivi di questi farmaci, compresa la riduzione della mortalità, hanno in genere utilizzato alte dosi). La dose del diuretico associato può essere ridotta, soprattutto se si verifica un’insufficienza renale indotta dall’ACE-inibitore. L’aspirina può ridurre l’efficacia degli ACE-inibitori nello SC, probabilmente perché inibisce gli effetti delle chinine. Il losartan, un antagonista recettoriale dell’angiotensina II, alla dose di 2550 mg/die, ha effetti simili agli ACE-inibitori, sebbene non siano stati realizzati trial clinici di confronto. Teoricamente, non si dovrebbe verificare la tosse, perché il losartan non influisce sul metabolismo delle chinine. Le preparazioni digitaliche hanno diversi meccanismi d’azione, compresi un debole effetto inotropo positivo; il blocco del nodo atrioventricolare, che rallenta la frequenza ventricolare nella fibrillazione atriale o prolunga l’intervallo PR in ritmo sinusale; una vasocostrizione blanda; il miglioramento del flusso ematico a livello renale. La digitale è ampiamente prescritta, nonostante il suo ruolo continui a essere dibattuto e la sua utilità nello SC in assenza di fibrillazione atriale sia controversa. La digossina è la preparazione digitalica più comunemente prescritta. Viene eliminata dal rene con un’emivita di 36-48 h nei pazienti con funzione renale normale. I pazienti con una funzione renale ridotta vanno trattati con dosi ridotte. La biodisponibilità delle formulazioni orali di digossina è intorno al 65-75%. La digitossina, un’alternativa nei pazienti con nefropatia nota o sospetta, è ampiamente eliminata con la bile e quindi la sua escrezione non è modificata da una funzione renale anomala. La digossina migliora moderatamente la funzione del VS, permette di ridurre il dosaggio dei diuretici e riduce la necessità di ricoveri ospedalieri. A differenza degli ACE-inibitori, la digossina non migliora la tolleranza allo sforzo. Se si sospende la digossina nei pazienti con SC, la frequenza di ospedalizzazione e i sintomi aumentano, ma tutto ciò non influisce sulla mortalità. Per questo, la digossina è utile nello SC sintomatico, se usata in associazione con i diuretici e gli ACE-inibitori. La digossina è massimamente efficace nei pazienti con un elevato volume telediastolico del VS e un terzo tono. In pazienti con una funzione renale normale, la digossina (0,25-0,50 mg/die a seconda del peso corporeo) raggiungerà lo "steady state" dopo circa una sett. (5 emivite). La somministrazione di 1 mg di digossina EV (0,5 mg inizialmente, poi 0,25 mg a 8 e 16 h) o di 1,25 mg PO (0,5 mg inizialmente, poi 0,25 mg a 8, 16 e 24 h) permette il raggiungimento di adeguati livelli tissutali e plasmatici in assenza di tossicità. Queste dosi sono poi seguite da 0,125-0,375 mg/die a seconda del peso corporeo; gli anziani raramente hanno bisogno di dosi > 0,125 mg/die. I pazienti con una ridotta funzione renale necessitano di dosi ridotte. La digossina (e tutti i glicosidi digitalici) hanno un ridotto intervallo fra dosi terapeutiche e dosi tossiche. Circa l’80% dell’effetto terapeutico può essere ottenuto con livelli sierici di 1,0-1,5 ng/ml, generalmente ben al disotto della soglia tossica di 2 ng/ml. Nel trattamento della fibrillazione atriale, dosi relativamente basse di digossina possono essere associate a β-bloccanti o a calcioantagonisti (p. es., verapamil, diltiazem), che hanno un significativo effetto di blocco sul nodo atrioventricolare e riescono a controllare la frequenza ventricolare a riposo e durante sforzo. file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (9 of 13)02/09/2004 2.06.10

Scompenso cardiaco

La digossina prolunga il tempo di conduzione del nodo atrioventricolare. Il blocco AV di primo grado è comune e, se non è progressivo, il dosaggio della digossina non va ridotto. Può verificarsi il fenomeno di Wenckebach. Gli effetti tossici più importanti della digitale sono aritmie potenzialmente letali dovute a blocco AV completo o aritmie ventricolari. La digitale aumenta l’automatismo delle fibre di Purkinje e può favorire fenomeni di rientro, con conseguenti coppie di extrasistoli, fibrillazione ventricolare o tachicardia ventricolare. La tachicardia ventricolare bidirezionale è un segno patognomonico di tossicità digitalica. La tachicardia giunzionale non parossistica in presenza di fibrillazione atriale è un segno grave di tossicità digitalica, ma viene frequentemente trascurato. L’ipokaliemia e l’ipomagnesiemia (spesso causate dai diuretici) aumentano la probabilità che la digossina provochi aritmie ventricolari maligne o blocco AV. Il rilievo e il trattamento di ridotti livelli di elettroliti sono prioritari nei pazienti in terapia con diuretici e digossina, eccetto che in presenza di blocco atrioventricolare, caso in cui deve essere in funzione un pacemaker temporaneo prima che gli squilibri elettrolitici vengano corretti. Altre manifestazioni di tossicità digitalica sono nausea, vomito, anoressia, diarrea, confusione, diplopia e, raramente, xeroftalmia. La prima cosa da fare nell’intossicazione digitalica è sospendere il farmaco. Occorre monitorare attentamente l’ECG e, se la kaliemia è bassa, vanno somministrati 80 mEq di cloruro di potassio EV in 1 litro di soluzione glucosata al 5% alla velocità di 6 ml/min (0,5 mEq/min). L’ipomagnesiemia va trattata con solfato di magnesio 1 g q 6 h per un totale di quattro dosi IM o EV, se lieve, oppure con infusione di 5 g/h di solfato di magnesio in soluzione glucosata al 5% per 3 ore (28 mg/min). È meglio somministrare Ab specifici anti-digossina (se disponibili) piuttosto che un altro farmaco antiaritmico. Le aritmie ventricolari vanno trattate con lidocaina o fenitoina. Il miglior trattamento del blocco cardiaco con bassa frequenza ventricolare consiste nell’applicazione di un pacemaker transvenoso temporaneo. L’isoprotenerolo è controindicato perché aumenta la suscettibilità ad aritmie ventricolari. Diversi farmaci inotropi sono stati valutati nel trattamento dello SC ma, eccetto che per la digossina, tutte le preparazioni hanno provocato un aumento della mortalità. Con l’attenta somministrazione di β-bloccanti, alcuni pazienti, soprattutto quelli affetti da cardiomiopatia dilatativa idiopatica, migliorano dal punto di vista clinico e si può riscontrare una riduzione della mortalità. Tale terapia va iniziata con cautela, usando dosi pari a 1/4-1/10 della dose standard quotidiana, con incrementi molto graduali del dosaggio nell’arco di diverse settimane. Dopo l’instaurazione della terapia β-bloccante nello SC, la frequenza cardiaca diminuisce, la gittata sistolica e la pressione di riempimento restano invariate e il consumo miocardico di O2 si riduce. Con la riduzione della frequenza cardiaca, la funzione diastolica migliora. Il pattern di riempimento ventricolare assume una morfologia più vicina alla normalità (aumenta in protodiastole) ed è meno restrittivo. Un miglioramento della funzione miocardica è oggettivo dopo 612 mesi, con aumento della frazione d’eiezione, riduzione della pressione di riempimento del VS e incremento della GC. Dal punto di vista funzionale, la capacità di esercizio appare migliorata. Il carvedilolo, un β-bloccante non selettivo di terza generazione, è anche un vasodilatatore con azione α-bloccante e un antiossidante. Trial randomizzati controllati hanno mostrato una riduzione significativa della mortalità globale e degli eventi cardiaci nei pazienti con SCC moderatamente sintomatico e con frazione d’eiezione 35%. La funzione ventricolare migliora in modo significativo. In un paziente che assume dosi costanti di diuretici, ACE-inibitori e digossina, la dose iniziale raccomandata di carvedilolo è di 3,125 mg bid per 2 settimane con successivi graduali incrementi del dosaggio (si raddoppia la dose ogni 2 settimane fino al livello massimo tollerato, con un tetto di 25 mg bid per soggetti di peso < 85 kg e 50 mg bid per soggetti di peso 85 kg).

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Scompenso cardiaco

I vasodilatatori migliorano la funzione ventricolare perché diminuiscono lo stress sistolico di parete, l’impedenza aortica, le dimensioni ventricolari e riducono il flusso di rigurgito nelle insufficienze valvolari. Ne consegue un miglioramento del bilancio fra l’apporto e il consumo miocardico di O2. I pazienti con insufficienza cardiaca acuta, con congestione polmonare grave e progressivo peggioramento della funzione ventricolare possono rispondere alla nitroglicerina o al nitroprussiato EV. L’aggiunta di idralazina e isosorbide dinitrato alla triplice terapia dello SC può migliorare le condizioni emodinamiche e la tolleranza allo sforzo e ridurre la mortalità nei pazienti refrattari. La terapia con idralazina va iniziata con 25 mg 4 volte/die e aumentata poi ogni tre giorni fino a un massimo di 300 mg/die, anche se la maggior parte di pazienti con scompenso refrattario non riesce a tollerare dosi > 200 mg/die senza sviluppare ipotensione. L’isosorbide dinitrato viene somministrato alla dose di 20 mg 3 o 4 volte/die e può essere aumentato fino a un massimo di 160 mg/die. I pazienti vanno attentamente monitorati per l’eventuale comparsa di ipotensione a mano a mano che il dosaggio viene aumentato; può essere necessario il ricovero ospedaliero. Il beneficio può non rendersi evidente per diverse settimane. Eccetto che nel caso di insufficienza acuta o refrattaria, i vasodilatatori sono stati sostituiti dagli ACE-inibtori, che sono più semplici da usare e sono solitamente meglio tollerati. L’uso dei calcioantagonisti nei pazienti con una ridotta funzione del VS e SC clinicamente evidente non ha dato risultati positivi. Per diversi calcioantagonisti è stato dimostrato un effetto negativo (nifedipina, diltiazem, verapamil) e per altri manca l’evidenza di un miglioramento clinico ed emodinamico (nisoldipina, nicardipina, felodipina). L’amlodipina è ben tollerata nello SCC. Riduce in maniera significativa la mortalità nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa idiopatica. L’amlodipina (o un altro calcioantagonista vasoselettivo a lunga durata d’azione come la felodipina) può essere utile nei pazienti con cardiomiopatia in cui lo SC non sia ben controllato con diuretici, ACE-inibitori, digitale e β-bloccanti. L’amlodipina può anche essere utile per trattare l’angina o l’ipertensione eventualmente associate allo SC. Terapia farmacologica della disfunzione diastolica: i pazienti affetti da disfunzione diastolica potrebbero non tollerare la riduzione della PA o della volemia. Sono solitamente controindicati i diuretici, gli ACE-inibitori e i vasodilatatori, ma essi possono ridurre la massa e la rigidità del VS risultando comunque di valore. La terapia dello SC nella cardiomiopatia ipertrofica (v. più avanti) con un β-bloccante, il verapamil o la disopiramide ha come scopo la riduzione della contrattilità cardiaca; perciò, anche la digossina è controindicata. Un’efficace terapia antiipertensiva o la sostituzione valvolare nella stenosi aortica ridurrà l’ipertrofia del VS e la rigidità ("stiffness") miocardica. Generalmente, la terapia della disfunzione sistolica, che è predominante, migliora anche la funzione diastolica. La terapia dei pazienti con un’importante infiltrazione ventricolare (p. es., amiloidosi) rimane ancora insoddisfacente. La riduzione della frequenza cardiaca mediante β-bloccanti prolunga la diastole, il che probabilmente migliora il rilasciamento ventricolare e rende il riempimento ventricolare più fisiologico. Terapia farmacologica delle aritmie: la tachicardia sinusale è comune nello SC, ma generalmente scompare trattando in maniera efficace lo SC. Se la tachicardia persiste, vanno considerate cause associate (p. es., ipertiroidismo, embolia polmonare, febbre, anemia) e può essere presa in considerazione una terapia con β-bloccanti. La fibrillazione atriale non controllata può contribuire in maniera determinante alla disfunzione del VS. Alcuni pazienti hanno una frequenza ventricolare a riposo ben controllata, che aumenta di molto per minimi stress fisici o emotivi. Una terapia equilibrata con digossina, β-bloccanti o calcioantagonisti (p. es., verapamil, diltiazem), da soli o in associazione, è spesso efficace. Occasionalmente, il dosaggio necessario a controllare la tachicardia può provocare fasi di asistolia. Possono rendersi necessari l’impianto di un pacemaker e la prosecuzione di terapia con alte dosi di farmaci che bloccano la conduzione atrioventricolare, oppure l’ablazione totale o parziale del file:///F|/sito/merck/sez16/2031805.html (11 of 13)02/09/2004 2.06.10

Scompenso cardiaco

nodo atrioventricolare. Nello SC, sono comuni extrasistoli ventricolari. In assenza di tachicardia ventricolare sostenuta, vengono solitamente ignorate perché la maggior parte scompaiono con un’efficace terapia dello SC. L’amiodarone ha un effetto antiaritmico, inotropo negativo e anti-ischemico. Tuttavia, nello SC l’amiodarone (alla dose di 200-300 mg/die) migliora la funzione del VS, forse perché il suo effetto vasodilatatore supera l’effetto inotropo negativo. Alcuni studi suggeriscono un aumento della sopravvivenza, soprattutto nella cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o nella forma dilatativa post-ischemica. Paradossalmente, nello SC la terapia delle aritmie ventricolari con altri farmaci antiaritmici (tranne i β-bloccanti) non ha ridotto la mortalità. Il trattamento delle aritmie nello SC può essere difficile perché, in presenza di disfunzione ventricolare sinistra, farmaci antiaritmici diversi dall’amiodarone e dai β-bloccanti hanno un effetto proaritmico. Se una fibrillazione atriale con elevata risposta ventricolare non risponde alla terapia con digossina, vanno presi in considerazione β-bloccanti o calcioantagonisti, una terapia non farmacologica con impianto di un pacemaker permanente e ablazione totale o parziale del nodo AV. La terapia dell’edema polmonare acuto comprende la somministrazione di O2 mediante maschera facciale, l’assunzione della posizione ortostatica se tollerata, la somministrazione di morfina EV (1-5 mg una o due volte) e furosemide EV (0,51,0 mg/kg). Se l’ipossia è grave (come evidenziato dall’ossimetro digitale) o la ritenzione di CO2 è evidente (come evidenziato dall’emogasanalisi), possono essere necessarie l’intubazione tracheale e la ventilazione assistita. Va eseguita una rapida valutazione della causa dello SC mediante anamnesi, esame obiettivo, ECG e, se indicato, ecocardiogramma. La terapia specifica dipende dall’eziologia: un vasodilatatore per l’ipertensione grave; un antiaritmico EV o la cardioversione per le tachicardie sopraventricolari o ventricolari; un calcioantagonista EV, un β-bloccante EV, digossina EV o la cardioversione per rallentare la frequenza ventricolare nella fibrillazione atriale parossistica. L’IMA è la causa più comune di insufficienza acuta del VS. Se la PA è mantenuta, la terapia è quella sopra indicata, con nitroglicerina sl alla dose di 0,4 mg, ripetibile dopo 5 min e seguita da nitroglicerina EV alla dose di 10-100 µg/ min. Va somministrato un trombolitico, se indicato. Dal momento che la distribuzione dei liquidi corporei prima dell’esordio dell’insufficienza cardiaca acuta è solitamente normale nei pazienti con IMA, i diuretici risultano meno utili e possono provocare ipotensione. Se la PA si riduce o si sviluppa uno stato di shock, possono essere necessari dobutamina EV e contropulsazione aortica. In pazienti che non migliorano, si può eseguire l’angiografia coronarica d’emergenza per valutare l’opportunità di una PTCA o di un intervento di bypass aorto-coronarico. Terapia dello SC refrattario: vari fattori possono causare una risposta inadeguata a una terapia appropriata o una graduale riduzione della risposta positiva dopo un risultato inizialmente favorevole. Tali fattori comprendono una terapia subottimale, un deterioramento della funzione renale, una patologia tiroidea misconosciuta, l’anemia, l’ipotensione indotta dalla terapia, aritmie subentranti (p. es., fibrillazione atriale con rapida risposta ventricolare), consumo di alcol, effetti collaterali della contemporanea somministrazione di altri farmaci (soprattutto FANS). Se non vengono individuate cause trattabili, possono essere prese in considerazione una terapia medica addizionale o l’indicazione chirurgica. Chirurgia: il trapianto cardiaco è il solo trattamento che può cambiare la storia naturale dello SC a lungo termine. Attualmente, la sopravvivenza a 1 anno e 3 anni è, rispettivamente, di circa 82 e 75%; tuttavia, la mortalità dei pazienti in attesa di trapianto è del 12-15%. Per potenziare la funzione ventricolare, è stata utilizzata sperimentalmente la cardiomioplastica: il muscolo latissimus dorsi viene posizionato intorno al cuore e stimolato in maniera ripetitiva. È stato riportato che lo stato funzionale migliora in circa l’80% dei pazienti. Un’altra procedura sperimentale cerca di ridurre la tensione parietale rimuovendo alcuni segmenti del ventricolo in modo da ridurre il volume del VS, ma i dati prognostici sono

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Scompenso cardiaco

limitati. Sono in corso di studio diversi dispositivi impiantabili di sostegno alla funzione ventricolare. In pazienti selezionati, con SC refrattario, sono risultati efficaci dispositivi meccanici con una fonte esterna di energia. Sono in corso di valutazione nuovi apparecchi in cui la fonte di energia è interamente inserita all’interno dell’organismo, in modo da ridurre la complicanza più importante costituita dalle infezioni. Assistenza al malato terminale: la morte è inevitabile nei pazienti con malattia progressiva, non candidati al trapianto, e in cui non si riesca a controllare i sintomi. In tali casi, bisogna cercare di alleviare i sintomi e la sofferenza.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

SCOMPENSO CARDIACO Sindrome clinica che si verifica quando il cuore non riesce ad assicurare una gittata cardiaca sufficiente a garantire le richieste metaboliche dell’organismo, comprese quelle necessarie per l’accrescimento.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia

Le cause di scompenso cardiaco (SC) sono elencate nella Tab. 261-1. Le cause non cardiache di SC comprendono l’anemia cronica, l’ostruzione delle alte vie respiratorie, le carenze nutritive, l’asfissia, la tossicità da farmaci (p. es., daunorubicina) e alcune malattie sistemiche (p. es., malattie da accumulo, l’atassia di Friedreich, emodiluizione iatrogena). La sindrome del ventricolo sinistro ipoplasico in genere si manifesta entro 48-72 h con SC acuto e con acidosi metabolica secondaria alla scarsa perfusione sistemica.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio L’esordio dello SC nel lattante può essere graduale, ma in genere è rapido, alcune volte estremamente precipitoso. In genere è presente una tachicardia con frequenza cardiaca superiore a 120-140 battiti/min, fino a 200 battiti/min. Nei lattanti i segni di scompenso cardiaco sia sinistro che destro di solito si presentano contemporaneamente. Lo scompenso ventricolare sinistro si manifesta con difficoltà respiratoria. La tachipnea e la dispnea, con frequenza respiratoria superiore ai 60-100 atti respiratori/min, in assenza di lesioni primitive del polmone, sono, frequentemente, conseguenti alla congestione venosa polmonare, all’aumentata pressione capillare polmonare, al passaggio di liquido negli spazi alveolari, interstiziali e bronchiolari. Le infezioni sovrapposte possono aggravare questi problemi. Sono frequenti la tosse e il respiro sibilante. I ronchi e i rantoli sono variabili ma non infrequenti, mentre è raro l’edema polmonare franco con escreato schiumoso e mucoematico. La polipnea causa affaticamento e aumento delle richieste metaboliche, determinando una scarsa alimentazione, un’inadeguata assunzione di cibo e un ritardo di accrescimento, sebbene la circonferenza cranica e la crescita in lunghezza di solito non vengano compromesse. Il ritardo di accrescimento può essere parzialmente mascherato dalla ritenzione di liquidi e dalla contrazione della diuresi, che determina un inappropriato aumento di peso. Altri sintomi sono rappresentati dall’agitazione, dall’irritabilità e dalla eccessiva sudorazione. Si riscontra cardiomegalia, tranne nel caso in cui si abbia una pericardite costrittiva e una grave ostruzione venosa polmonare. L’alterazione della funzione file:///F|/sito/merck/sez19/2612367.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.11

Anomalie congenite

miocardica è evidenziata dai toni cardiaci deboli, dal ritmo di galoppo, dai segni della scarsa perfusione periferica con estremità fredde e con diminuzione dell’ampiezza dei polsi e del riempimento capillare, e da un colorito grigiastro, piuttosto che bluastro. La cianosi, che indica lo shunt intracardiaco destrosinistro, può rivelare un inadeguato scambio gassoso alveolare secondario alla congestione venosa polmonare o alla bassa gittata cardiaca, con un aumento della differenza arterovenosa di O2. In età infantile, l’epatomegalia è un segno comune e affidabile di scompenso ventricolare destro e un parametro sensibile dell’efficacia della terapia. L’epatomegalia da ingorgo epatico e l’anomalia del flusso giugulare (reflusso epato-giugulare n.d.t.), sebbene segni utili nei bambini più grandi, non sono rilevabili nei lattanti. L’edema periferico si verifica occasionalmente, in particolar modo localizzato al dorso delle mani e dei piedi e nella zona periorbitale. Pochi esami di laboratorio sono specifici nello SC. Si possono riscontrare anemia da diluizione e iponatriemia. Possono essere presenti contrazione della diuresi e albuminuria. Di frequente riscontro, in particolar modo nei neonati, è l’ipoglicemia da consumo, da inadeguati depositi di glicogeno e da aumentato metabolismo. Con la conta dei globuli bianchi si possono individuare infezioni associate allo SC, mentre una prolungata desaturazione arteriosa sistemica determina in genere policitemia e più tardivamente, anemia sideropenica.

Diagnosi Lo SC si diagnostica grazie ai sintomi e segni che riflettono la congestione polmonare o sistemica acuta e cronica e ai segni dell’anomalia cardiaca di base; p. es., una stenosi polmonare può determinare SC senza congestione polmonare. Una diagnosi anatomica specifica viene effettuata con l’aiuto della anamnesi, dell’esame obiettivo, dei dati di laboratorio e dei reperti radiologici. Il precordio deve essere attentamente palpato per rilevare fremiti, bozze e localizzare l’itto. I toni cardiaci vanno valutati rilevandone qualità, intensità, tempi di chiusura delle due valvole semilunari e rumori accessori. I soffi cardiaci devono essere definiti per sede, tempo di comparsa rispetto alla fase del ciclo cardiaco, durata, intensità e qualità. I polmoni devono essere esaminati per evidenziare infezioni o congestione polmonare. Le caratteristiche dei polsi periferici e la PA devono essere rilevate a tutti gli arti. Il grado di desaturazione periferica di O2 e di anemia può essere determinato esaminando le congiuntive, le mucose, le labbra e il letto ungueale. Vanno rilevate le dimensioni e la consistenza del fegato e la presenza di edemi periferici. La ritenzione di liquidi può essere evidenziata nel modo migliore effettuando misurazioni periodiche e accurate del peso corporeo e registrandone gli eventuali incrementi. Frequenti controlli di questi parametri forniscono valide indicazioni sull’efficacia della terapia e contribuiscono a porre una diagnosi corretta. L’ECG è di scarso aiuto nella diagnosi di SC, tuttavia è uno strumento prezioso nel porre una specifica diagnosi anatomica. L’ecocardiografia con studio di flusso e Doppler, il cateterismo cardiaco e l’angiocardiografia non sono necessari nella diagnosi di SC ma sono talvolta richiesti per completare la diagnosi anatomica. Questi esami vengono effettuati raramente prima di avere sotto controllo lo SC e gli altri problemi acuti (p. es., alterazioni idroelettrolitiche, infezioni).

Prognosi e terapia La prognosi dipende fondamentalmente dalla malattia di base e dal suo trattamento. Alcuni casi di SC insorti in utero possono essere trattati agendo sul problema di base; p. es., la digitalizzazione materna e l’aumento della diuresi possono essere file:///F|/sito/merck/sez19/2612367.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.11

Anomalie congenite

efficaci nel trattamento di una tachicardia fetale. La terapia iniziale della SC prevede la somministrazione di O2 umidificato usando tendine, mascherine o cannule nasali, con una concentrazione dell’O2 inspirato adeguata (< 40% per evitare danno all’epitelio polmonare), per prevenire la cianosi e alleviare il distress respiratorio. Quando necessario si può usare morfina solfato alla dose di 0,2 mg/kg SC q 4-6 h per sedare il bambino, mantenendo il capo sollevato. I bambini più grandi possono trarre vantaggio da una certa posizione (semiseduti con le gambe sollevate), mentre i neonati presentano più facilmente compromissione respiratoria importante, in quanto gli organi addominali sono spinti in alto verso il torace. La riduzione dell’apporto di Na e, entro certi limiti, quello dei liquidi ai livelli di mantenimento giornaliero consente una buona risposta al trattamento, sebbene si debba evitare di far scendere la natremia al di sotto dei 130 mEq/l. Meno necessari sono l’applicazione di bracciali o lacci alle radici degli arti, la flebotomia e la ventilazione meccanica. Di valido aiuto sono altre misure collaterali (p. es., uso di alimenti ad alta densità calorica, rigoroso controllo della febbre, trattamento dell’anemia). La digossina è ancora largamente usata per lo SC (v. Tab. 261-2). La dose iniziale di digitalizzazione può essere somministrata a seconda dell’urgenza EV o PO, frazionata in 3 dosi, con una dose di attacco più elevata, oppure q 4, 6 o 8 h. Raramente è indicata la somministrazione IM. Il mantenimento effettuato con 2 somministrazioni giornaliere di solito fornisce risultati migliori rispetto alla monosomministrazione giornaliera. Nella prescrizione della digossina si raccomanda la massima attenzione. La concentrazione di digossina è di 50 µg/ml (0,05 mg/ml) nello sciroppo per uso orale e di 250 µg/ml (0,25 mg/ml) nella preparazione per uso EV. La digossinemia nei neonati e nei lattanti non è utile né affidabile. La furosemide o l’acido etacrinico (1 mg/ kg EV o 2 mg/kg PO) producono effetti immediati sulla diuresi. Entrambi i farmaci possono essere somministrati ogni 46 h e la dose può essere raddoppiata se il risultato non è soddisfacente. Per la terapia diuretica a lungo termine nel lattante e nel bambino si può utilizzare la clorotiazide, 20-40 mg/kg/die PO in 2 dosi frazionate. L’interruzione della terapia (p. es. 3 o 4 giorni/ sett) aiuta a prevenire gli squilibri elettrolitici, sebbene possa essere necessario l’apporto di potassio. Particolare cautela è necessaria nella prescrizione dei diuretici, specialmente se è presente una malattia renale acuta o cronica. Nello SC grave, nel quale la gittata cardiaca non può essere migliorata con altri mezzi, possono essere di aiuto la dopamina o la dobutamina alla dose di 5 µg/kg/ min (aumentando a 15 µg/kg/min se necessario). Dosi superiori vanno evitate per l’effetto negativo sul flusso ematico renale. La riduzione del sovraccarico cardiaco può essere ottenuta con nitroprussiato al dosaggio di 0,5-3,0 µg/kg/ min EV, idralazina 0,5-5,0 mg/kg/die PO (frazionata in 2 o 4 somministrazioni, con un massimo di 7,5 mg/kg/die nei bambini e 5 mg/kg/die nei lattanti) e captopril 0,5-6,0 mg/kg/die PO (in 2 o 4 somministrazioni), ma l’uso di questi farmaci richiede prudenza. Farmaci tipo l’amrinone devono essere riservati a casi di grave SC grave e somministrati solo nell’attuazione di una cura intensiva.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 261-2. DOSI PEDIATRICHE DI DIGOSSINA (ORALE O EV) RAPPORTATE ALL'ETÀ DEL PAZIENTE* Età

Digitalizzazione (µg/kg)

Dose di mantenimento (µg/kg/die)

Orale

EV

Oral e

EV

Prematuro

20-30

15-25

5-7.5

4-6

A termine, 01 settiman a

25-35

20-30

6-10

5-8

1 mese 2 anni

35-60

30-50

10-15

7,5-12

25 anni

30-40

25-35

7,5-10

6-9

5-10 anni

20-35

15-30

5-10

4-8

> 10 anni

10-15

8-12

2,5-5

2-3

*V. testo per i dettagli sulla somministrazione di digossi na.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 203-1. PROPRIETÀ FARMACOCINETICHE DEI DIURETICI Farmaco

Dose* e via di Inizio Picco Durata somministrazione dell’azione dell’effetto dell’azione

Diuretici dell’ansa Furosemide

20-100 mg EV 20-60 mg po/die o bid

5 min 30 min

30 min 1-2 h

2h 6-8 h

Bumetamide

0,5-1 mg EV 0,5-2 mg/die PO

5 min 0,5-1 h

30-45 min 1-2 h

2h 4-6 h

Torsemide

20-100 mg EV 20-100 mg/die PO

5 min 30 min

15-30 min 1h

12-16 h 12-16 h

250-500 mg EV q12 h

15 min

30 min

2h

250-500 mg po bid 1h

4h

6-12 h

Clortalidone

50-100 mg/die PO

2h

2-6 h

24-72 h

idroclorotiazide

25-50 mg/die PO

2h

4-6 h

6-12 h

Indapamide

2,5-5 mg/die PO

1-2 h

2h

36 h

Metolazone

5-10 mg7die PO

1h

2h

12-24 h

Tiazidici Clorotiazide

Diuretici risparmiatori di potassio Spironolattone

25200mg/die PO

3giorni

12h

23 giorni

Triamterene

100mg bid PO

24giorni

24h

79h

Amiloride

510mg/die PO

2h

34h

24h

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Manuale Merck - Tabella

*Le dosi e gli intervalli fra le somministrazioni che si utilizzano nello scompenso cardiaco non sono così strettamente deter minati dalla farmacocinetica. †Sebbene sia rilevabile a livello plasmatico dopo circa 2h, il massimo effetto diuretico siha in 3giorni. Adattato da Cody RJ: "Diuretic therapy", in Heart Failure, pubblicato da Poole-Wilson PA, Colucci WS, Massie BM, et al. New York, Churchill Livingston, 1997.

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO CARDIOMIOPATIE CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA Gruppo di patologie congenite o acquisite caratterizzate da una marcata ipertrofia ventricolare con disfunzione diastolica, in assenza di patologie capaci di provocare un aumento del postcarico (p. es., stenosi valvolare aortica, coartazione aortica, ipertensione sistemica). Le cause identificabili sono elencate nella Tab. 203-2.

Sommario: Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Dati di laboratorio Prognosi Terapia

Fisiopatologia Il muscolo cardiaco è patologico, con disorganizzazione ("disarray") delle cellule e delle miofibrille, sebbene si tratti di un rilievo non specifico di cardiomiopatia ipertrofica. Di solito, il setto interventricolare è ipertrofico in misura maggiore rispetto alla parete posteriore (ipertrofia settale asimmetrica). Nella forma più comune di ipertrofia asimmetrica del VS, si rilevano una significativa ipertrofia e un importante ispessimento della parte superiore del setto interventricolare subito al di sotto della valvola aortica. In sistole, il setto si ispessisce e il lembo anteriore della valvola mitrale, già disposto in maniera anomala a causa dell’alterata geometria ventricolare, è spinto verso il setto, provocando l’ostruzione del tratto di efflusso. In tal caso, si parla di cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o stenosi da ipertrofia settale asimmetrica. Tutto ciò riduce ulteriormente la gittata cardiaca, che è già anormalmente bassa a causa della disfunzione diastolica causata dall’ipertrofia e dalla ridotta distensibilità ("compliance") del ventricolo. L’ipertrofia congenita si trasmette come carattere autosomico dominante nei casi di ipertrofia settale asimmetrica, ma non nelle altre varianti. L’anomalia genetica più comune è una mutazione nonsenso ("missense") nell’esone 13 del gene per la catena pesante della β-miosina cardiaca (cromosoma 14). Più raro è il riscontro di un gene patologico ibrido delle catene pesanti di miosina α e β. Questa patologia può anche essere causata da altri difetti genetici. La conseguenza più rilevante dell’ipertrofia consiste nel fatto che la camera rigida, priva di distensibilità (generalmente il ventricolo sinistro) oppone resistenza al riempimento diastolico e ciò comporta un’elevata pressione telediastolica che induce un incremento della pressione venosa polmonare. L’angina pectoris risulta da uno squilibrio tra la richiesta di O2 da parte del miocardio ipertrofico e il suo apporto attraverso le arterie coronarie; il flusso coronarico, infatti, può essere compromesso a causa della ridotta distensibilità del miocardio. L’inadeguata densità dei capillari rispetto alle dimensioni dei file:///F|/sito/merck/sez16/2031822.html (1 of 5)02/09/2004 2.06.13

Scompenso cardiaco

miociti, così come l’iperplasia e l’ipertrofia dell’intima e della media delle arterie coronarie intramiocardiche che riducono il lume vasale, contribuiscono alla genesi dell’ischemia nella cardiomiopatia ipertrofica, in assenza di malattia delle arterie coronarie epicardiche. La lipotimia e la sincope da sforzo sono provocate da un’inadeguata gittata cardiaca, talvolta peggiorata da un gradiente del tratto di efflusso nei pazienti con ipertrofia settale asimmetrica. La gittata cardiaca si riduce notevolmente perché, in seguito alla tachicardia sinusale indotta dallo sforzo fisico, il tempo di riempimento diastolico è ridotto. La riduzione del tempo di riempimento diastolico del ventricolo ipertrofico e non distensibile riduce il precarico e comporta un aumento del grado di apposizione del lembo anteriore della valvola mitrale al setto interventricolare ipertrofico. Lo sforzo fisico, inoltre, riduce le resistenze vascolari periferiche e quindi la pressione diastolica, a livello della radice aortica. Questo può provocare un’ischemia, che può a sua volta causare aritmie atriali o ventricolari non sostenute con sincope. Nella cardiomiopatia ipertrofica la sincope indica un aumento del rischio di morte improvvisa, che si ritiene sia dovuta a tachicardia o a fibrillazione ventricolare. L’endocardite infettiva può complicare la cardiomiopatia ipertrofica, a causa delle alterazioni della valvola mitrale che sembrano essere la conseguenza dell’alterata geometria ventricolare: i muscoli papillari e l’apparato valvolare mitralico sono spostati anteriormente e il rapido flusso protosistolico attraverso il tratto di efflusso produce un effetto Venturi. Una complicanza tardiva è talvolta costituita dal blocco cardiaco. L’ipertrofia della regione medioventricolare comporta la presenza di un gradiente endocavitario a livello del muscolo papillare. La parte distale del ventricolo sinistro può alla fine assottigliarsi e dilatarsi, in maniera simile a un aneurisma.

Sintomi, segni e diagnosi Le manifestazioni cliniche possono verificarsi isolatamente o in varia associazione. Solitamente, il dolore toracico consiste in un’angina tipica correlata allo sforzo. Anche la sincope è di solito secondaria allo sforzo ed è dovuta alla combinazione di ischemia, aritmie, ostruzione del tratto di efflusso e scarso riempimento diastolico ventricolare. La dispnea da sforzo è il risultato della scarsa distensibilità diastolica del ventricolo sinistro, che porta a un rapido aumento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro a mano a mano che il flusso aumenta. L’ostruzione del tratto di efflusso riduce la gittata cardiaca e perciò contribuisce alla dispnea. La funzione sistolica è conservata e l’affaticabilità raramente è un problema. Le palpitazioni sono il risultato di aritmie ventricolari o atriali. I sintomi della cardiomiopatia ipertrofica possono pertanto simulare quelli della stenosi aortica o della coronaropatia. L’esame obiettivo di solito chiarisce la diagnosi differenziale. I segni di un’aumentata pressione venosa (p. es., turgore giugulare, ascite, edema pretibiale, versamento pleurico) sono rari prima della fase terminale. La PA e la frequenza cardiaca risultano in genere normali. Il polso carotideo, nel caso di ipertrofia asimmetrica del setto e ostruzione del tratto di efflusso, presenta una fase ascendente brusca, un picco bifido dovuto all’ostruzione dinamica nella parte terminale della sistole e un rapido tratto discendente. Alla palpazione precordiale, l’itto apicale è nella sua normale posizione, caratterizzato da una spinta sostenuta dovuta all’ipertrofia del ventricolo sinistro. Si apprezza a volte un impulso apicale bifasico, soprattutto nel caso di una grave ostruzione del tratto di efflusso. Sono solitamente presenti soffi sistolici, ma i pazienti con cardiomiopatia ipertrofica apicale e simmetrica possono non avere soffi. Il rilievo più comune è un soffio d’eiezione in crescendo-decrescendo non irradiato al collo; si ausculta meglio lungo la linea margino-sternale sinistra, a livello del 3o o 4o spazio intercostale. Questo soffio è causato dall’ostacolo all’efflusso del ventricolo sinistro che si verifica in sistole quando il setto interventricolare ipertrofico e il lembo anteriore della valvola mitrale si avvicinano l’uno all’altro. In alcuni pazienti, in seguito alla distorsione dell’apparato valvolare mitralico, si può file:///F|/sito/merck/sez16/2031822.html (2 of 5)02/09/2004 2.06.13

Scompenso cardiaco

rilevare un soffio da insufficienza mitralica. Esso è dolce e aspirato e si ausculta meglio all’apice con irradiazione verso la regione ascellare sinistra. Raramente, si hanno anche click protosistolici o mesosistolici. In alcuni pazienti con restringimento del tratto di efflusso del ventricolo destro, si rileva un soffio sistolico eiettivo a livello del secondo spazio intercostale lungo il margine sternale sinistro. Un S4, quasi sempre presente, indica una contrazione atriale forzata contro un ventricolo sinistro con una ridotta distensibilità in telediastole. Il soffio eiettivo della cardiomiopatia ipertrofica può essere alterato da manovre che riducono il ritorno venoso e, di conseguenza, riducono il volume diastolico del ventricolo sinistro, aumentando così il grado di apposizione del lembo anteriore mitralico al setto interventricolare ipertrofico. Per questo, la manovra di Valsalva aumenta l’intensità del soffio, così come fanno anche manovre atte a ridurre la pressione aortica (p. es., inalazione di nitrito d’amile) o come avviene in corrispondenza di un battito postextrasistolico, sempre per l’aumento del gradiente pressorio del tratto di efflusso. La chiusura a pugno della mano ("handgrip") provoca un aumento della pressione aortica, causando una diminuzione dell’intensità del soffio.

Dati di laboratorio Test non invasivi capaci di confermare la diagnosi hanno generalmente sostituito il cateterismo cardiaco. L’ECG di solito soddisfa i criteri di voltaggio dell’ipertrofia ventricolare sinistra. L’ipertrofia settale asimmetrica viene spesso suggerita da onde Q settali molto profonde in I, aVL, V5 e V6; si osserva a volte un complesso QS in V1 e V2, che simula un pregresso infarto settale. Le onde T sono patologiche nella maggior parte dei casi; il rilievo più comune sono onde T invertite, profonde e simmetriche in I, aVL, V5 e V6. È comune un sottoslivellamento del tratto ST in queste stesse derivazioni. L’onda P è spesso ampia e bifida in II, III e aVF e bifasica in V1 e V2 e indica un’ipertrofia atriale sinistra. Una preeccitazione ventricolare (sindrome di Wolff-Parkinson-White) si verifica più spesso di quanto dovrebbe avvenire se si trattasse di un’associazione casuale ed è uno dei meccanismi che sono alla base delle aritmie sintomatiche di questi pazienti. L’esame radiologico del torace è spesso ingannevolmente normale, in quanto l’ipertrofia si sviluppa a scapito delle cavità ventricolari; un ventricolo sinistro globoso con un’ombra cardiaca di normali dimensioni può costituire l’unica anomalia rilevabile. La fluoroscopia cardiaca escluderà la presenza di calcificazioni della valvola aortica. L’ecocardiografia M-mode e bidimensionale con studio Doppler rappresenta la migliore tecnica diagnostica non invasiva. Si può misurare lo spessore delle pareti ventricolari, per differenziare le diverse forme di cardiomiopatia ipertrofica (v. Fig. 203-3). È consueto uno spostamento in avanti del muscolo papillare e dell’apparato valvolare mitralico. L’ostruzione del tratto di efflusso può essere spesso quantificata osservando l’entità del movimento sistolico anteriore del lembo anteriore mitralico e la durata della sua apposizione al setto interventricolare ipertrofico. L’analisi Doppler delle velocità di flusso a livello del tratto di efflusso del ventricolo sinistro può consentire la quantificazione del gradiente e dell’area del segmento stenotico ed è particolarmente utile per monitorare l’effetto della terapia medica o chirurgica. L’analisi Doppler della velocità del flusso diastolico transmitralico consente il rilievo della disfunzione diastolica del ventricolo sinistro; l’accorciamento frazionario del ventricolo sinistro e la frazione d’eiezione (FE) sono normali o aumentati. Nei pazienti che hanno un’ostruzione del tratto di efflusso di grado elevato si osserva, talvolta, una chiusura mesosistolica della valvola aortica. L’angiografia radioisotopica mostra una cavità ventricolare di piccole dimensioni con una FE normale o elevata. Va eseguito il cateterismo cardiaco solo quando viene presa in considerazione la terapia chirurgica. Nel ventricolo sinistro e, meno comunemente, in quello destro si possono rilevare gradienti pressori intracavitari. Il gradiente aumenta in

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Scompenso cardiaco

coincidenza di un battito postextrasistolico, durante la manovra di Valsalva e dopo inalazione di nitrito di amile. La pressione telediastolica è spesso elevata a causa della ridotta distensibilità ventricolare. La FE è normale o elevata. La ventricolografia mostra una caratteristica deformità della camera a seconda del tipo di cardiomiopatia ipertrofica e talvolta conferma la presenza di insufficienza mitralica. Le arterie coronarie risultano ampiamente pervie con un flusso molto aumentato, ma sofisticati studi metabolici possono rilevare la presenza di ischemia miocardica a causa della riduzione del lume delle arterie intramiocardiche, dello squilibrio capillari/ miociti e dell’aumentato stress di parete. Nei pazienti anziani, può aversi una coronaropatia associata. In alcuni casi, si può avere una graduale perdita di elementi contrattili, probabilmente a causa dell’ischemia cronica diffusa dovuta allo squilibrio capillari/ miociti. A mano a mano che i miociti vanno incontro a morte cellulare, vengono rimpiazzati da una fibrosi diffusa e il ventricolo ipertrofico e con disfunzione diastolica si dilata gradualmente, con comparsa di disfunzione sistolica: inizia così la fase della cardiomiopatia congestizia terminale.

Prognosi La prognosi è riservata; la mortalità è del 4% per anno. (La mortalità è inversamente proporzionale all’età in cui compaiono i sintomi ed è massima nei pazienti con frequenti tachicardie ventricolari non sostenute, sincope o morte improvvisa abortita). Una storia familiare di morte improvvisa in pazienti giovani e la comparsa di angina o dispnea da sforzo in pazienti > 45 anni implicano una prognosi infausta. La morte improvvisa costituisce la causa di morte più comune, mentre si verifica meno frequentemente uno scompenso cardiaco cronico. La consulenza genetica è appropriata nei casi di ipertrofia settale asimmetrica, che sembra avere una progressione accelerata durante la pubertà.

Terapia La terapia è diretta principalmente contro l’anomala distensibilità diastolica. I βbloccanti e i calcioantagonisti da soli o in associazione costituiscono i capisaldi della terapia. Entrambi diminuiscono la contrattilità miocardica, il che favorisce un aumento delle dimensioni della cavità ventricolare sinistra e diminuisce l’ostruzione all’efflusso, migliorando la funzione diastolica ventricolare. I βbloccanti e i calcioantagonisti con effetto cronotropo negativo rallentano anche la frequenza cardiaca, prolungando il tempo di riempimento diastolico e riducendo così l’entità dell’ostruzione del tratto di efflusso. È meglio evitare i β-bloccanti con attività simpatico-mimetica intrinseca (p. es., pindololo, oxprenololo, acebutololo). I calcioantagonisti variano per il loro effetto inotropo negativo e per la potenza del loro effetto vasodilatatore arterioso. È importante scegliere un vasodilatatore blando che abbia un significativo effetto di depressione della contrattilità. Il verapamil è il calcioantagonista di scelta per la cardiomiopatia ipertrofica. I farmaci che riducono il precarico (p. es., nitrati, diuretici, ACE-inibitori, antagonisti dell’angiotensina) causano una riduzione delle dimensioni del ventricolo e provocano un peggioramento dei sintomi e dei segni clinici. I farmaci inotropi (p. es., glicosidi digitalici, catecolamine) peggiorano l’ostruzione del tratto di efflusso, non riducono l’elevata pressione telediastolica e possono indurre aritmie. I vasodilatatori aumentano il gradiente del tratto di efflusso e producono una tachicardia riflessa che peggiora ulteriormente la funzione diastolica ventricolare. Sebbene farmaci antiaritmici possano essere prescritti nel caso di aritmie dimostrate mediante ECG o monitoraggio ambulatoriale delle 24 h, non c’è alcuna evidenza che essi modifichino il rischio di morte improvvisa. Tuttavia, studi retrospettivi non controllati con amiodarone suggeriscono che tale farmaco può ridurre la mortalità in pazienti con tachiaritmie ventricolari non sostenute o sincope. L’azione antifibrillatoria dei β-bloccanti può aiutare a prevenire la morte improvvisa, sebbene ciò non sia mai stato dimostrato. La disopiramide ha un effetto inotropo negativo ed è stata usata come antiaritmico e come farmaco file:///F|/sito/merck/sez16/2031822.html (4 of 5)02/09/2004 2.06.13

Scompenso cardiaco

inotropo negativo. In soggetti rianimati da una morte improvvisa, sono stati impiantati defibrillatori. Sebbene tale trattamento sia ragionevole, non è stato provato che esso riduca la mortalità totale nella cardiomiopatia ipertrofica. Per l’endocardite infettiva, è raccomandata la profilassi antibiotica (v. Cap. 208). Occorre evitare sport competitivi, perché molti episodi di morte improvvisa si verificano in coincidenza di un aumento dell’attività fisica. I pazienti che progrediscono verso la fase dilatativa congestizia della malattia vanno trattati nella stessa maniera di quelli con cardiomiopatia dilatativa a predominante disfunzione sistolica. La miotomia o miectomia settale è riservata ai pazienti che riferiscono sintomi disabilitanti nonostante terapia medica, nei quali l’ostruzione del tratto di efflusso sia stata dimostrata mediante ecocardiografia e cateterismo cardiaco. Essa allevia i sintomi nella maggior parte di casi attentamente selezionati, ma non modifica la mortalità. L’infarto settale mediante iniezione di etanolo attraverso cateteri inseriti nei rami settali dell’arteria discendente anteriore si è rivelato promettente e può costituire una valida alternativa alla miectomia settale. In alcuni casi, si è proceduto alla riparazione o alla sostituzione della valvola mitrale, a causa di una grave disfunzione valvolare; questo provoca una concomitante riduzione del gradiente del tratto di efflusso. In alcuni pazienti con ostruzione del tratto di efflusso sono stati utilizzati pacemaker bicamerali per modificare il pattern di depolarizzazione del ventricolo. Nella maggior parte dei casi, si è ridotta la gravità dell’ostruzione e la sintomatologia è migliorata. L’effetto a lungo termine di questo trattamento e l’impatto sulla mortalità richiedono ulteriori studi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 203-2. EZIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE FISIOPATOLOGICA DELLE CARDIOMIOPATIE Eziologia Cardiomiopatia dilatativa congestizia (acuta o cronica) Ischemia miocardica cronica diffusa (malattia delle arterie coronariche) Infezioni (acute o croniche): batteri, spirochete, rickettsie, virus (anche HIV), funghi, protozoi, elminti

Fisiopatologia Diffusa (tutte le camere sono interessate) Non diffusa (una o più camere sono risparmiate)

Processi granulomatosi: sarcoidosi, miocardite granulomatosa o a cellule giganti, granulomatosi di Wegener Patologie metaboliche: malattie legate a deficit alimentari (beriberi, deficit di selenio, deficit di carnitina, kwashiorkor), tesaurismosi familiari, uremia, ipokaliemia e ipomagnesiemia, ipofosfatemia, endocrinopatie (diabete mellito, iper o ipotiroidismo, feocromocitoma, acromegalia), obesità patologica Farmaci e tossine: etanolo, cocaina, antracicline, cobalto, psicofarmaci (triciclici, quadriciclici e fenotiazine), catecolamine, ciclofosfamide, radiazioni Neoplasie Malattie del collagene Patologie ereditarie neuromuscolari e neurologiche (atassia di Friedreich) Gravidanza (periodo periparto) Cardiomiopatia ipertrofica Ereditarietà autosomica dominante, feocromocitoma, acromegalia, neurofibromatosi

Asimmetrica (ostruttiva [subaortica o medioventricolare], non ostruttiva e apicale) Simmetrica

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Manuale Merck - Tabella

Cardiomiopatia restrittiva Amiloidosi; sclerosi sistemica progressiva; emocromatosi; fibrosi endocardica, fibroelastosi e malattia di Löffler; neoplasie; malattia di Gaucher

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Diffusa (obliterativa e non obliterativa) Non diffusa

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI AVVELENAMENTO DA IDROCARBURI

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

Ogni anno l’ingestione dei distillati del petrolio (p. es. benzina, kerosene, tinte ecc.) e di idrocarburi alogenati (p. es. tetracloruro di carbonio, dicloruro di etilene) è responsabile di oltre 25000 casi di avvelenamento nei bambini < 5 anni. La morte è più spesso dovuta a una grave polmonite da ingestione accidentale. L’abuso di idrocarburi alogenati inalanti, che si verifica tipicamente negli adolescenti, può determinare arresto cardiaco. Le più importanti proprietà fisiche dei derivati degli idrocarburi sono la viscosità e la tensione superficiale, che determinano un alto rischio di aspirazione; piccole quantità possono infatti diffondersi rapidamente in un’ampia superficie polmonare. Più bassa è la viscosità, più alto è il rischio di aspirazione, in associazione con certi additivi che determinano altri effetti tossici. L’olio minerale sigillante (che si trova nei prodotti per lucidare i mobili) è il più dannoso tra gli idrocaburi liquidi più viscosi per la sua capacità potenziale di produrre una polmonite da aspirazione. Nell’animale da esperimento, gli idrocarburi risultano essere almeno 140 volte più tossici per l’apparato respiratorio che per l’apparato digerente. Se l’esperimento fosse ripetuto nel bambino si verificherebbe il decesso per la presenza nello stomaco di 350 ml di queste sostanze ma soltanto di 2,5 ml nel polmone.

Sintomi e segni I sintomi sono principalmente a carico dell’apparato respiratorio, del digerente e del SNC. All’inizio, anche per un piccolo sorso, il soggetto tossisce, accusa senso di soffocamento e possibilmente vomita. Poi presenta cianosi, dispnea e tosse persistente. I bambini più grandi lamentano bruciore allo stomaco e vomito. I sintomi a carico del SNC sono letargia, coma e convulsioni. La sintomatologia è di solito dose-dipendente ed è più grave per l’ingestione di liquidi infiammabili e di olii minerali sigillanti. Nei casi più gravi possono comparire insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale e fibrillazione ventricolare letale. Sono stati descritti danni a carico del rene e del midollo osseo. Il decesso per polmonite di solito si verifica entro 24 h dall’aspirazione. La guarigione clinica di una polmonite non complicata si ha in 1 sett, a meno che non sia dovuta all’aspirazione di olii minerali sigillanti, che generalmente richiede 5-6 sett.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Esami di laboratorio La radiografia del torace è il test diagnostico più importante e conviene praticarlo entro 1 e 1/ 2-2 h dopo l’aspirazione, a meno che non siano presenti sintomi gravi. Nei casi gravi, la rx mette in evidenza la polmonite da aspirazione di idrocarburi entro 2 h; nel 90% dei pazienti con polmonite la lastra è positiva entro 6-18 h. Tuttavia è difficile la comparsa di polmoniti dopo le 24 h dall’ingestione. La conta dei GB, con formula leucocitaria, e l’esame delle urine aiutano a diagnosticare una infezione secondaria e un interessamento renale. Il dosaggio ematico degli idrocarburi non ha valore pratico. Nei casi di interessamento polmonare, l’esecuzione dell’emogasanalisi è di grande aiuto per la diagnosi e il trattamento.

Terapia Se non compaiono segni o sintomi di distress respiratorio (tachipnea, tachicardia, tosse o rantoli), il bambino di solito può essere trattato a domicilio. Lo stesso vale per l’adolescente o l’adulto che non presentano fibrillazione atriale o ventricolare. A domicilio, una volta valutato lo stato respiratorio, bisogna togliere al bambino i vestiti contaminati e lavare bene la cute. Si può somministrare un bicchiere di latte per diluire il materiale ingerito e per ridurre l’irritazione gastrica. I pazienti più gravi devono essere ospedalizzati. È necessario effettuare terapia di supporto con liquidi EV e O2. All’inizio la polmonite è di natura chimica, per cui non risponde all’antibioticoterapia. I cortisonici di solito non sono efficaci, e si suppone che possano influenzare negativamente la risposta immunologica del paziente. Se insieme agli idrocarburi è stata ingerite qualche altra sostanza velenosa, il trattamento deve essere specifico per i 2 veleni e diretto allo svuotamento dello stomaco attraverso il vomito o la lavanda gastrica.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO ACIDO-BASE DISTURBI DEL METABOLISMO ACIDO-BASE ACIDOSI METABOLICA Condizione caratterizzata da pH arterioso al di sotto della norma, riduzione della concentrazione plasmatica di HCO3- e solitamente iperventilazione alveolare compensatoria cui consegue diminuzione della Pco2.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Esami di laboratorio Terapia

Eziologia e patogenesi L'acidosi metabolica si determina quando è presente un processo che conduce all'accumulo di equivalenti acidi nell'organismo. Se il carico acido supera la capacità respiratoria (pH arterioso < 7,35), ne risulta acidosi. L'acidosi metabolica può essere dovuta all'aumento della produzione di acidi o alla somministrazione esogena di acidi. Gap anionico: il calcolo del gap anionico è spesso utile nella diagnosi differenziale dell'acidosi metabolica (v. Tab. 12-9). Il gap anionico viene calcolato sottraendo la somma delle concentrazioni del Cl e del HCO3- alla concentrazione plasmatica del Na. Le proteine plasmatiche cariche negativamente sono responsabili della maggior parte del gap anionico; le cariche degli altri cationi (K, Ca e Mg) e anioni (PO4, solfato e anioni organici) plasmatici tendono a bilanciarsi. Il range di normalità del gap anionico è di 12 ± 4 mEq/l. Tuttavia, questo intervallo è basato sui range normali delle concentrazioni degli elettroliti misurate con le metodiche utilizzate negli anni '70. La maggior parte dei laboratori clinici utilizza adesso tecniche differenti; pertanto, il range di normalità del gap anionico è diminuito e può variare da 5 a 11 mEq/l. Al momento della valutazione del gap anionico, i medici devono tenere in considerazione i valori di riferimento del proprio specifico laboratorio. Quando un acido viene aggiunto al ECF, esso viene rapidamente tamponato dal HCO3 secondo la seguente reazione: HA + HCO3- H2CO3 + A- CO2 + H2O + AQuando l'acidosi metabolica è dovuta all'accumulo di anioni non misurati, come il solfato nell'insufficienza renale, i corpi chetonici nei diabetici o nella chetoacidosi alcolica oppure il lattato o gli agenti tossici esogeni come il glicole etilenico o i file:///F|/sito/merck/sez02/0120169.html (1 of 5)02/09/2004 2.06.15

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

salicilati, il gap anionico è elevato. Se l'anione acido è il cloro, ne deriva un'acidosi metabolica ipercloremica. Poiché il cloro fa parte della formula per il calcolo del gap anionico, l'acidosi metabolica ipercloremica non dà luogo a un aumento del gap anionico. Le perdite renali o extrarenali di HCO3- producono un'acidosi metabolica ipercloremica (senza gap anionico), poiché i meccanismi renali conservano il cloro nel tentativo di mantenere il volume del ECF. Quando si verifica un aumento del gap anionico, si può dedurre la presenza di una o più sostanze che determinano comunemente acidosi. Le cause più comunemente riscontrate di acidosi metabolica con aumento del gap anionico sono elencate nella Tab. 12-9. Nella chetoacidosi diabetica, l'assenza di insulina (e l'eccesso di glucagone) determina la produzione metabolica di chetoacidi (acido aceto-acetico, acido b-idrossibutirrico e acido acetico) da parte del fegato. Questi chetoacidi sono responsabili dell'acidosi, ma anche della carica anionica non titolabile. Una chetoacidosi si verifica inoltre comunemente nell'ingestione cronica di alcol e in condizioni di scarso apporto dietetico dovuto alla ridotta assunzione di carboidrati e all'inibizione della gluconeogenesi da parte dell'alcol. La diagnosi di chetoacidosi viene confermata in base alla presenza di chetoacidi nel plasma. I chetoacidi vengono generalmente identificati mediante la reazione con nitroprussiato. Esso reagisce con l'acido acetoacetico e con l'acido acetico, ma non con l'acido b-idrossibutirrico. Nell'alcolismo, la chetoacidosi è causata principalmente dall'acido b-idrossibutirrico. Talvolta, i pazienti con chetoacidosi diabetica hanno anche un aumento della proporzione di acido b-idrossibutirrico dovuto all'aumento del rapporto tra la forma ridotta e quella ossidata del nicotinamide adenin dinucleotide (NADH/NAD). Poiché i metodi convenzionali per la determinazione dei corpi chetonici non misurano l'acido b-idrossibutirrico, il test standard al nitroprussiato può sottostimare il grado di chetosi in tali pazienti. Un'altra causa comunemente osservata di acidosi metabolica con aumento del gap anionico è rappresentata dall'acido lattico, che viene prodotto dal metabolismo anaerobico dell'acido piruvico. Bassi livelli di acido lattico vengono normalmente prodotti a partire dal glucoso attraverso la via glicolitica normale; tuttavia, se si verifica un aumento della produzione di lattato o una riduzione del suo utilizzo, il lattato può accumularsi. L'ipoperfusione tissutale, come quella che si verifica nello shock, conduce sia a un aumento della produzione di lattato sia a una riduzione del suo utilizzo e costituisce la causa più comune di acidosi lattica. Un'alterazione della funzionalità epatica secondaria alla scarsa perfusione epatica o a un danno epatocellulare può anch'essa determinare acidosi lattica a causa della riduzione della riconversione del lattato in glucoso. Anche l'alcolismo può causare l'accumulo di lattato attraverso un meccanismo simile. L'acidosi lattica si sviluppa in alcune forme di neoplasie maligne, nel diabete mellito e nell'AIDS, oltre che idiopaticamente. L'insufficienza renale è anch'essa una causa di acidosi metabolica con aumento del gap anionico. In presenza di una ridotta funzionalità renale si accumulano nel plasma diverse sostanze, tra cui il PO4, i solfati, l'urato e l'ippurato. Dal momento che gradi variabili di uremia sono occasionalmente presenti in altre forme di acidosi metabolica con aumento del gap anionico, un incremento del gap anionico deve essere ascritto all'insufficienza renale solo dopo una scrupolosa ricerca di altre possibili cause. Anche il sovradosaggio di varie sostanze causa acidosi metabolica con aumento del gap anionico. Nell'avvelenamento da salicilati, metanolo o glicol etilenico, l'interferenza con il metabolismo intermedio normale e l'accumulo di anioni organici esogeni determinano l'insorgenza di acidosi metabolica. Un pronto riconoscimento è fondamentale per ridurre al minimo il danno d'organo in questi pazienti. Quando è presente un'acidosi con gap anionico normale, si deve sospettare un'alterazione dell'escrezione renale dello ione H+. La compromissione dell'escrezione renale degli acidi può essere dovuta a una patologia renale intrinseca, come l'acidosi tubulare renale (Renal Tubular Acidosis, RTA) o la nefropatia interstiziale, oppure alle perdite extrarenali di volume e di HCO3-. Nella RTA, si verifica uno dei diversi difetti tubulari renali specifici a carico del riassorbimento del HCO3 o della secrezione dello ione H+, o di entrambi. La GFR solitamente non viene compromessa. La RTA prossimale (RTA di tipo 2, bicarbonato-disperdente) è secondaria a un difetto del riassorbimento del HCO3- a livello del tubulo prossimale. L'RTA prossimale si file:///F|/sito/merck/sez02/0120169.html (2 of 5)02/09/2004 2.06.15

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verifica in associazione con glicosuria, fosfaturia e aminoaciduria nei bambini affetti dalla sindrome di Fanconi. La sindrome di Fanconi si verifica inoltre raramente negli adulti con mieloma multiplo e in seguito all'uso di tetracicline scadute. Grandi dosi di HCO3- sono necessarie in questi pazienti per correggere l'acidosi, ma, poiché il tubulo distale funziona adeguatamente, i pazienti affetti da RTA prossimale sono in grado di acidificare le loro urine. La RTA distale (di tipo 1, classica) deriva da un difetto del meccanismo di acidificazione del nefrone distale. Ne esistono forme primitive, ma le forme acquisite sono più comuni. L'RTA distale può verificarsi secondariamente all'anemia falciforme, all'ipercalcemia, all'intossicazione da amfotericina B, all'intossicazione da toluene (inalazione di colla o vernice) o all'intossicazione da litio. Una forma di RTA molto più comune che si verifica negli adulti è l'ipoaldosteronismo iporeninemico (RTA di tipo 4). L'RTA di tipo 4 si accompagna spesso a diabete mellito e a nefropatia interstiziale. Una RTA può verificarsi anche a causa di un danno tubulointerstiziale causato da nefropatia da analgesici, pielonefrite cronica e uropatia ostruttiva. Un'alterazione dell'escrezione renale di acidi può verificarsi anche nell'insufficienza renale acuta o in quella cronica di grado avanzato, perciò l'acidosi con gap anionico normale può anche insorgere occasionalmente in seguito alla sola insufficienza renale. Le perdite extrarenali di HCO3- e di volume si verificano principalmente attraverso il tratto GI. Le perdite eccessive di liquidi attraverso il tratto GI dovute a diarrea protratta, adenoma villoso del colon o a drenaggio del secreto biliare, pancreatico o intestinale possono condurre ad acidosi metabolica, in particolare in presenza di insufficienza renale. Nelle diversioni del tratto urinario, come l'ureterosigmoidostomia, il Cl nelle urine viene scambiato con il HCO3- per mezzo del colon, e viene anche assorbito l'ammonio urinario. A causa dei problemi associati alle infezioni dell'apparato urinario e ai tumori dell'ansa sigmoidea, l'ureterosigmoidostomia viene eseguita di rado. I pazienti portatori di ureteroileostomia (condotti ileali) o sottoposti a ricostruzione di vescica ortotopica hanno molti meno problemi legati all'acidosi metabolica, in particolare se la funzionalità renale non è compromessa. Tuttavia, se una disfunzione dell'ansa o della vescica determina ritenzione urinaria, si può verificare acidosi metabolica.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi e i segni principali dell'acidosi sono spesso mascherati e difficili da distinguere da quelli della malattia di base. L'acidosi lieve può essere asintomatica o può essere accompagnata da vaga astenia, nausea e vomito. Il reperto più caratteristico dell'acidosi metabolica grave (pH < 7,20, HCO3- < 10 mEq/l) è l'iperventilazione, che si manifesta come uno degli aspetti del compenso respiratorio. Inizialmente, si verificano modesti aumenti della profondità del respiro. In seguito, si può osservare una maggiore frequenza respiratoria con respiro a labbra contratte (respiro di Kussmaul). Possono essere inoltre presenti segni di deplezione di volume del ECF, specialmente nei pazienti con chetoacidosi diabetica o perdite GI di liquidi. L'acidosi grave può determinare shock cardiocircolatorio dovuto a compromissione della contrattilità miocardica e della risposta vascolare periferica alle catecolamine; si verifica anche frequentemente un progressivo ottundimento del sensorio.

Esami di laboratorio Nell'acidosi metabolica, il pH arterioso è < 7,35 e il HCO3- è < 21 mEq/l. In assenza di patologia polmonare, la Pco2 è < 40 mm Hg a causa del compenso respiratorio. Nell'acidosi metabolica semplice, ci si deve aspettare che la Pco2 scenda di circa 11-13 mm Hg per ogni 10 mEq/l di riduzione del HCO3plasmatico. Una riduzione della Pco2 maggiore o minore rispetto a quanto atteso suggerisce la coesistenza rispettivamente di un'alcalosi respiratoria o di un'acidosi respiratoria primitive oppure di altri disturbi metabolici primitivi.

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Quando la funzionalità renale è normale e la deplezione di volume è assente, il pH urinario può cadere al di sotto di 5,5 in caso di acidosi grave. Un pH urinario ridotto di meno rispetto al valore massimo implica la presenza di una disfunzione renale secondaria a insufficienza renale acuta o cronica, malattia tubulointerstiziale o acidosi tubulare renale. Nella chetoacidosi diabetica, l'iperglicemia è quasi sempre presente; la chetonemia può essere documentata nella maggior parte dei casi con il test al nitroprussiato. È necessario usare cautela nell'interpretazione dei risultati del test al nitroprussiato nei casi in cui i livelli di acido b-idrossibutirrico possono essere elevati, perché l'acido idrossibutirrico non viene identificato dal composto. Deve essere sospettata un'intossicazione da glicol etilenico nei pazienti con acidosi inspiegata e cristalli di ossalato nelle urine. Gap anionici particolarmente elevati (da 20 a 40 mEq/l) sono solitamente presenti nell'intossicazione da glicol etilenico e da metanolo. I livelli di entrambe le sostanze possono essere misurati nel plasma e sono talvolta utili quando la diagnosi non appare evidente sulla base della storia clinica o di altri reperti. L'avvelenamento da salicilati è caratterizzato da alcalosi respiratoria insorgente poco dopo l'ingestione e da acidosi metabolica che si sviluppa più tardi nel decorso. I livelli di salicilato sono disponibili per aiutare a porre la diagnosi. La tossicità è indicata da concentrazioni plasmatiche > 30 mg/dl (> 2,17 mmol/l). Poiché una deplezione di liquidi spesso accompagna l'acidosi, è comune una lieve iper-azotemia (BUN da 30 a 60 mg/dl (da 10,7 a 21,4 mmol di urea/l). Maggiori aumenti dell'azotemia, specie in associazione con ipocalcemia e iperfosfatemia, suggeriscono che la causa dell'acidosi sia un'insufficienza renale. L'ipocalcemia può verificarsi anche in associazione con lo shock settico. Le modificazioni del K plasmatico in corso di acidosi sono trattate altrove (v. Metabolismo del potassio, sopra). L'iperkaliemia è relativamente rara nell'acidosi lattica a meno che non sia accompagnata da un'insufficienza renale e/o da un aumento del catabolismo tissutale.

Terapia Il trattamento diretto dell'acidosi con HCO3- è forse intuitivo, ma la terapia con bicarbonato di sodio è la sola chiaramente indicata in alcune circostanze. Quando l'acidosi metabolica è causata da acidi inorganici (cioè è un'acidosi ipercloremica o con gap anionico normale), per correggere il disturbo dell'equilibrio acido-base è necessario il HCO3. Tuttavia, quando l'acidosi è conseguente all'accumulo di acidi organici (cioè è un'acidosi con gap anionico aumentato), come nell'acidosi lattica, nella chetoacidosi o nelle sindromi da intossicazione tratteggiate nella Tab. 12-9, il ruolo del NaHCO3 è controverso. Coloro che sono contrari alla terapia con NaHCO3 sottolineano che la mortalità di ognuna di queste condizioni è più strettamente correlata alla gravità della malattia di base che al grado dell'acidosi. Altri argomenti contro l'uso della terapia con alcali sono la possibilità di un sovraccarico di Na e di volume, l'ipokaliemia, l'acidosi del SNC, l'ipercapnia e l'alcalosi da ipercorrezione. Di converso, l'acidosi è noto che è associata con un'ampia varietà di effetti nocivi cardiovascolari, compresa la diminuita responsività agli agenti pressori. I pazienti acidotici sono particolarmente vulnerabili alle ulteriori riduzioni nel pH conseguenti a modificazioni anche molto minori della concentrazione plasmatica di HCO3-. I sostenitori della terapia con NaHCO3 sottolineano che l'acidosi con gap anionico aumentato si verifica frequentemente anche in concomitanza con l'insufficienza renale e l'acidosi tubulare renale, condizioni nelle quali il trattamento con NaHCO3 non è controverso. Indipendentemente dal fatto che il NaHCO3 venga somministrato o meno, la causa di fondo dell'acidosi deve essere identificata e trattata ogni volta che sia possibile. Nonostante queste e altre controversie, la maggior parte degli esperti raccomanda ancora un uso giudizioso del bicarbonato di sodio EV nel trattamento dell'acidosi metabolica grave (pH < 7,20). Tale terapia può essere file:///F|/sito/merck/sez02/0120169.html (4 of 5)02/09/2004 2.06.15

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somministrata aggiungendo quantità variabili di bicarbonato di sodio (da 44 a 88 mEq) a una soluzione glucosata al 5% o a una soluzione salina ipotonica (allo 0,45%), a seconda della situazione clinica e dei concomitanti disturbi del bilancio dell'acqua e del volume. L'obiettivo della terapia con HCO3- è quello di innalzare il pH ematico a 7,20 e la concentrazione plasmatica di HCO3- a un valore compreso fra 8 e 10 mEq/l. La quantità di NaHCO3 necessaria può essere calcolata approssimativamente dalla formula NaHCO3 richiesto [mEq] = [(HCO3-) desiderato - (HCO3-) misurato] × 0,4 × peso corporeo [kg] Quando è presente insufficienza renale e anche modeste quantità di NaHCO3 rischiano di determinare un sovraccarico di volume, può essere indicata l'emofiltrazione (combinata con la somministrazione di bicarbonato EV) o l'emodialisi con dializzato ricco di HCO3. Il dicloroacetato incrementa l'ossidazione del lattato ed è stato proposto come alternativa al NaHCO3 nel trattamento dell'acidosi lattica. Tuttavia, trial controllati hanno mostrato uno scarso beneficio in seguito al suo utilizzo. Un trattamento dell'acidosi metabolica di tipo più specifico dipende dalla causa di fondo. Il trattamento dell'acidosi lattica è prevalentemente di sostegno. Qualora sia possibile, deve essere ricercata ed eliminata la causa dell'aumento della produzione di lattato (o della riduzione della clearance del lattato). Il trattamento della chetoacidosi diabetica è descritto altrove (v. Diabete mellito nel Cap. 13). L'intossicazione da metanolo o glicol etilenico costituisce un'emergenza medica a causa della tossicità dei metaboliti di questi composti. La terapia specifica comprende la somministrazione di etanolo EV per inibire il loro metabolismo e concedere tempo per la loro eliminazione a livello renale. Se è presente una disfunzione renale, oppure nelle gravi intossicazioni, è necessaria l'emodialisi. La terapia dell'acidosi tubulare renale e dell'acidosi secondaria a malattia renale cronica richiede l'uso del NaHCO3. La terapia di queste condizioni è ulteriormente trattata nel Cap. 229.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL POTASSIO Sommario: Introduzione Bilancio interno del potassio Bilancio esterno del potassio Determinazione di laboratorio

Il potassio (K) è il catione intracellulare più abbondante. Solamente circa il 2% del K totale corporeo è extracellulare. Poiché la maggior parte del K intracellulare è contenuto all'interno delle fibrocellule muscolari, il K totale corporeo è approssimativamente proporzionale alla massa corporea magra. Un adulto medio di 70 kg possiede circa 3500 mEq di K. Il K è uno dei principali determinanti dell'osmolalità intracellulare. Il rapporto fra le concentrazioni di K nel liquido intracellulare e in quello extracellulare influenza fortemente la polarizzazione della membrana cellulare, la quale a sua volta influenza importanti processi cellulari, come la conduzione dell'impulso nervoso e la contrazione delle cellule muscolari (comprese quelle miocardiche). Perciò, alterazioni relativamente piccole della concentrazione plasmatica del K possono essere associate con manifestazioni cliniche significative. In assenza di disturbi metabolici seri, il livello plasmatico del K fornisce una buona stima clinica del contenuto totale corporeo di K. Ammettendo che il pH plasmatico sia costante, una riduzione della concentrazione plasmatica di K da 4 a 3 mEq/l indica un deficit totale di K da 100 a 200 mEq. Una caduta della concentrazione plasmatica di K a < 3 mEq/l indica un deficit totale di K variabile circa da 200 a 400 mEq. In molte condizioni patologiche, la concentrazione plasmatica del K diviene un indicatore inattendibile del contenuto totale corporeo di K a causa dei processi che determinano spostamenti del K all'interno o all'esterno delle cellule.

Bilancio interno del potassio Numerosi fattori influenzano il movimento del K fra il compartimento intracellulare e quello extracellulare. Fra i più importanti c'è il livello di insulina circolante. In presenza di insulina, il K si sposta all'interno delle cellule, riducendo così la concentrazione plasmatica dello ione. Quando l'insulina circolante è carente come nella chetoacidosi diabetica, il K fuoriesce dalle cellule, aumentando così il K plasmatico anche in presenza di un deficit totale corporeo di K. Anche la stimolazione del sistema nervoso simpatico influenza il movimento transcellulare del K. I b-agonisti, specialmente i b2-agonisti selettivi, promuovono la captazione cellulare del K, mentre i b-bloccanti o la stimolazione da parte degli a-agonisti sembrano promuovere lo spostamento del K al di fuori delle cellule. Il K plasmatico può essere inoltre significativamente influenzato dal pH del plasma. L'acidosi metabolica acuta promuove lo spostamento del K fuori dalle cellule verso il ECF. L'alcalosi metabolica acuta promuove lo spostamento del K nella direzione opposta. Tuttavia, a questo riguardo, le modificazioni della file:///F|/sito/merck/sez02/0120143.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.16

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

concentrazione plasmatica di HCO3 possono essere più importanti delle modificazioni del pH. Di conseguenza, l'acidosi causata dall'accumulo di acidi inorganici (acidosi ipercloremica con gap anionico invariato) è più probabile che manifesti un'elevazione del K plasmatico dovuta agli spostamenti transcellulari. Al contrario, l'acidosi metabolica dovuta all'accumulo di acidi organici (acidosi con gap anionico aumentato) non causa iperkaliemia. Così, l'iperkaliemia che spesso accompagna la chetoacidosi diabetica è dovuta al deficit di insulina e all'ipertonicità del ECF piuttosto che all'acidosi di per sé. L'acidosi e l'alcalosi respiratoria acuta sembrano avere un effetto minore sulla concentrazione plasmatica di K di quanto non facciano i disturbi metabolici. Ciò nonostante, la concentrazione plasmatica del K deve sempre essere interpretata alla luce del pH plasmatico (e della concentrazione di HCO3).

Bilancio esterno del potassio L'introduzione alimentare di K varia normalmente tra 40 e 150 mEq/die. Allo stato stazionario, le perdite fecali sono relativamente costanti e scarse (approssimativamente il 10% della quantità introdotta). L'escrezione urinaria è regolata in maniera da avvicinarsi alla quantità di K introdotta, in modo che sia mantenuto l'equilibrio. Tuttavia, quando un carico di K viene ingerito molto rapidamente, soltanto circa il 50% compare nelle urine durante le ore successive. L'aumento del K plasmatico viene ridotto al minimo dal trasferimento della maggior parte del carico di K residuo all'interno del compartimento intracellulare. Se l'assunzione elevata prosegue, aumenta l'escrezione renale di K, probabilmente a causa della secrezione di aldosterone indotta dal K stesso. In aggiunta, il riassorbimento di K dalle feci sembra essere sottoposto a un certo grado di regolazione e può ridursi del 50% nell'eccesso cronico di K. Quando l'apporto di K con la dieta diminuisce, il K intracellulare serve nuovamente per tamponare le ampie oscillazioni della concentrazione plasmatica dello ione. La conservazione renale del K si stabilisce in maniera relativamente lenta in risposta alle riduzioni dell'apporto alimentare di K ed è molto meno efficiente rispetto alla capacità del rene di conservare il Na. Un'escrezione urinaria di K di 10 mEq/24 h rappresenta una conservazione renale di K pressoché massimale e, quindi, implica una deplezione significativa di K. Il K plasmatico viene filtrato liberamente a livello del glomerulo. La maggior parte del K filtrato viene riassorbita nel tubulo prossimale e nell'ansa di Henle. Normalmente, il K viene secreto nel filtrato a livello del tubulo distale e del dotto collettore. L'escrezione renale netta di K è regolata principalmente dalle modificazioni della secrezione di K a livello del nefrone distale. La secrezione distale di K è regolata dall'aldosterone, dall'equilibrio acido-base, dall'entità del flusso urinario nel nefrone distale e dalla polarità di membrana. Alti livelli circolanti di aldosterone conducono all'aumento della secrezione di K e alla kaliuresi. Il deficit o la soppressione dell'aldosterone diminuiscono la secrezione di K nel nefrone distale e inducono la conservazione renale di K. L'acidosi acuta riduce l'escrezione del K, mentre l'acidosi cronica e l'alcalosi acuta possono determinare kaliuresi (v. Disturbi del metabolismo acido-base, più avanti). L'aumento dell'apporto di Na e l'elevato flusso urinario in corrispondenza del nefrone distale favoriscono la secrezione di K. Il riassorbimento del Na nel nefrone distale aumenta la negatività elettrica endoluminale, un fattore che facilita ulteriormente la secrezione di K. Così, un aumento dell'apporto di Na al nefrone distale, come avviene nel caso di un'elevata assunzione di Na o della terapia con diuretici dell'ansa, è associato a un aumento dell'escrezione di K.

Determinazione di laboratorio Il dosaggio laboratoristico della concentrazione plasmatica di K è di solito accurato. I metodi meno recenti che impiegavano la fotometria a fiamma sono stati ampiamente sostituiti dalle misurazioni effettuate mediante elettrodi ionespecifici. Test colorimetrici più recenti sono adesso disponibili per la file:///F|/sito/merck/sez02/0120143.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.16

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

determinazione rapida del K plasmatico al letto del paziente. Essi sono ragionevolmente accurati e, sebbene non possano sostituire le determinazioni cliniche di laboratorio, sono utili particolarmente nelle unità di terapia intensiva grazie alla rapida disponibilità dei risultati. Diverse condizioni portano a valori falsati della concentrazione di K. Un K sierico falsamente basso (pseudoipokaliemia) si osserva occasionalmente nei pazienti affetti da leucemia mieloide con una conta leucocitaria estremamente elevata (> 105/ml), a causa della captazione del K plasmatico da parte dei leucociti anomali presenti nel campione che avviene se esso viene lasciato a temperatura ambiente prima di essere saggiato. La pseudoipokaliemia può essere evitata con una rapida separazione del plasma o del siero dei campioni di sangue destinati alla determinazione degli elettroliti. Si può osservare anche un K sierico falsamente elevato (pseudoiperkaliemia), più comunemente a causa dell'emolisi e del rilascio di K intracellulare dai GR presenti nel campione. Per questo motivo, il personale addetto ai prelievi deve aver cura di non aspirare il sangue troppo rapidamente attraverso un ago di misura sottile o di non scuotere eccessivamente i campioni di sangue. La pseudoiperkaliemia può essere conseguenza di una trombocitosi (conta piastrinica > 106/ml) a causa del rilascio di K dalle piastrine durante la coagulazione. Nei casi di pseudoiperkaliemia, il K plasmatico (su sangue non coagulato), al contrario del K sierico, risulta normale.

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI DIABETE MELLITO Sindrome caratterizzata da iperglicemia conseguente alla diminuzione assoluta o relativa della secrezione e/o dell'azione dell'insulina. (Per il diabete gestazionale, v. Diabete mellito nel Cap. 251.)

Sommario: Introduzione Classificazione e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

I pazienti con diabete mellito (DM) di tipo I, conosciuto anche come DM insulinodipendente (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM) o diabete giovanile, possono andare incontro a chetoacidosi diabetica (Diabetic KetoAcidosis, DKA). I pazienti con DM di tipo II, conosciuto anche come DM non insulino-dipendente (Non-Insulin-Dependent DM, NIDDM), possono andare incontro a coma iperglicemico-iperosmolare non chetosico (NonKetotic HyperglycemicHyperosmolar Coma, NKHHC). Le complicanze microvascolari tardive di comune riscontro comprendono la retinopatia, la nefropatia e la neuropatia periferica e autonomica. Le complicanze macrovascolari comprendono l'arteriopatia aterosclerotica coronarica e periferica.

Classificazione e patogenesi Le caratteristiche generali delle forme principali di DM sono elencate nella Tab. 13-1. DM di tipo I: sebbene possa insorgere a qualunque età, il DM di tipo I si sviluppa più comunemente durante l'infanzia o l'adolescenza ed è la forma predominante di DM diagnosticato prima dei 30 anni. Questo tipo di diabete costituisce il 1015% di tutti i casi di DM ed è caratterizzato clinicamente da iperglicemia e tendenza alla DKA. Il pancreas produce insulina in quantità molto scarsa o nulla. Circa l'80% dei pazienti con DM di tipo I è portatore di specifici fenotipi HLA associati con la presenza nel siero di anticorpi diretti contro componenti citoplasmatiche e componenti di superficie delle cellule insulari (anticorpi contro la decarbossilasi dell'acido glutammico e contro l'insulina vengono ritrovati più o meno nella stessa percentuale di casi). In questi pazienti, il DM di tipo I è la conseguenza di una distruzione selettiva immuno-mediata di più del 90% delle cellule b insulino-secernenti, alla quale essi sono geneticamente predisposti. Le loro insule pancreatiche mostrano la presenza di insulite, che è caratterizzata da infiltrazione di linfociti T accompagnati da macrofagi e linfociti B e dalla perdita della maggior parte delle cellule b, senza coinvolgimento delle cellule a secernenti glucagone. Si ritiene file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (1 of 14)02/09/2004 2.06.19

Disordini del metabolismo dei carboidrati

che nella distruzione delle cellule b il ruolo principale sia svolto da meccanismi immunitari cellulo-mediati. Gli anticorpi presenti al momento della diagnosi solitamente diventano indosabili a distanza di alcuni anni. Essi potrebbero costituire soprattutto una risposta al danno delle cellule b, ma alcuni sono citotossici per queste cellule e possono contribuire alla loro distruzione. In alcuni pazienti l'esordio clinico del DM di tipo I può avvenire a distanza di anni dall'inizio inapparente del processo autoimmunitario sottostante. La ricerca di questi anticorpi è stata inclusa in numerosi studi di prevenzione attualmente in corso. Nelle popolazioni di razza bianca esiste una forte associazione tra il DM di tipo I diagnosticato prima dei 30 anni di età e specifici fenotipi HLA-D (HLA-DR3, HLADR4 e HLA-DR3/ HLA-DR4). Si ritiene che uno o più geni responsabili della suscettibilità al DM di tipo I siano localizzati in prossimità o in corrispondenza del locus HLA-D sul cromosoma 6. Specifici alleli HLA-DQ sembrano essere più strettamente correlati, rispetto agli antigeni HLA-D, al rischio di sviluppare un DM di tipo I o alla possibilità di risultare protetti nei suoi confronti e i dati suggeriscono che la suscettibilità genetica al DM di tipo I è probabilmente poligenica. Solo dal 10 al 12% dei bambini con diagnosi recente di DM di tipo I ha un parente di primo grado affetto dalla malattia e il tasso di concordanza per questa forma di diabete nei gemelli monozigoti è _ 50%. Pertanto, in aggiunta alla predisposizione genetica, fattori ambientali condizionano lo sviluppo del DM di tipo I. Tali fattori potrebbero essere virus (rosolia congenita, parotite e virus coxsackie B possono promuovere la distruzione autoimmunitaria delle cellule b) e l'allattamento con latte vaccino invece che con latte materno durante l'infanzia (una specifica sequenza dell'albumina presente nel latte vaccino può reagire in maniera crociata con le proteine insulari). Nell'esposizione a essi potrebbero avere un ruolo alcuni fattori geografici, dal momento che l'incidenza del DM di tipo I è particolarmente elevata in Finlandia e in Sardegna. DM di tipo II: il DM di tipo II è la forma di diabete diagnosticata abitualmente nei pazienti di età superiore a 30 anni, ma può comparire anche nei bambini e negli adolescenti. Esso è caratterizzato clinicamente da iperglicemia e resistenza all'insulina; la DKA è rara. Sebbene la maggior parte dei pazienti venga trattata con la dieta, l'esercizio fisico e gli antidiabetici orali, alcuni necessitano in modo saltuario o permanente dell'insulina per controllare l'iperglicemia sintomatica e prevenire il NKHHC. Il tasso di concordanza per il DM di tipo II nei gemelli monozigoti è > 90%. Esso è generalmente associato all'obesità, specialmente della parte superiore del corpo (viscero-addominale), e spesso compare dopo un periodo di incremento ponderale. L'alterazione della tolleranza al glucoso associata all'invecchiamento è strettamente correlata al tipico incremento ponderale. I pazienti affetti da DM di tipo II con obesità viscero-addominale possono tornare a livelli di glicemia normali dopo aver perso peso. Il DM di tipo II è in realtà un gruppo eterogeneo di disordini nei quali l'iperglicemia è il risultato sia di un'alterazione della risposta secretoria insulinica al glucoso sia di una riduzione della capacità dell'insulina di stimolare la captazione del glucoso da parte del muscolo scheletrico e di inibire la produzione di epatica glucoso (resistenza all'insulina). Tuttavia, il fenomeno della resistenza all'insulina è molto diffuso e la maggior parte dei pazienti con insulino-resistenza non sviluppa il diabete, poiché l'organismo vi si adatta aumentando opportunamente la secrezione dell'ormone. La resistenza all'insulina che si osserva nella forma comune del DM di tipo II non è il risultato di alterazioni genetiche del recettore insulinico o del meccanismo di trasporto del glucoso. Ciò nonostante, è probabile che vi svolgano un ruolo alterazioni post-recettoriali intracellulari determinate geneticamente. L'iperinsulinemia che ne deriva può portare alla comparsa di altre frequenti condizioni, come l'obesità (addominale), l'ipertensione, l'iperlipidemia e la malattia coronarica (sindrome da insulino-resistenza). I fattori genetici sembrano essere i principali determinanti per lo sviluppo del DM di tipo II, anche se non è stata dimostrata alcuna associazione tra questa forma della malattia e specifici fenotipi HLA o anticorpi citoplasmatici contro le cellule insulari. (Un'eccezione è rappresentata da un sottogruppo di adulti non obesi con presenza di anticorpi citoplasmatici contro le cellule insulari, i quali sono portatori di uno dei fenotipi HLA e possono alla fine sviluppare un DM di tipo I.) Nel DM di tipo II le insule pancreatiche mantengono una proporzione tra cellule b

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e cellule a pressoché normale e una massa b-cellulare normale sembra essere conservata nella maggior parte dei pazienti. In un'elevata percentuale di pazienti con DM di tipo II si dimostra all'esame autoptico la presenza di amiloide nelle insule pancreatiche, derivante dalla deposizione di amilina, ma la sua relazione con la patogenesi della malattia non è stata chiaramente stabilita. Prima che il diabete si sviluppi, i pazienti generalmente perdono la risposta secretoria insulinica precoce al glucoso e possono secernere quantità relativamente elevate di proinsulina. Nel diabete ormai stabilitosi, sebbene i livelli plasmatici di insulina a digiuno possano essere normali o anche aumentati nei pazienti con DM di tipo II, la secrezione insulinica indotta dal glucoso è chiaramente diminuita. I bassi livelli insulinici riducono la captazione del glucoso mediata dall'insulina e sono insufficienti a contenere la produzione epatica di glucoso. L'iperglicemia può essere non solo una conseguenza,ma anche una causa di ulteriore diminuzione della tolleranza al glucoso nel paziente diabetico (tossicità da glucoso), perché essa diminuisce la sensibilità all'insulina e aumenta la produzione epatica di glucoso. Appena il controllo metabolico del paziente migliora, la dose di insulina o di ipoglicemizzanti viene solitamente diminuita. Alcuni casi di DM di tipo II si verificano in giovani adolescenti non obesi (diabete giovanile di tipo adulto [Maturity-Onset Diabetes of the Young, MODY]) con ereditarietà autosomica dominante. Molte famiglie con MODY hanno una mutazione a livello del gene per la glucochinasi. In questi pazienti è stata dimostrata la presenza di alterazioni della secrezione insulinica e della regolazione del glucoso epatico. Insulinopatie: alcuni rari casi di DM con le caratteristiche cliniche del DM di tipo II derivano dalla trasmissione ereditaria eterozigote di un gene difettivo, responsabile della secrezione di un'insulina che non si lega normalmente al suo recettore. Questi pazienti hanno livelli plasmatici estremamente elevati di insulina immunoreattiva associati con risposte glicemiche normali all'insulina esogena. Diabete dovuto a malattie pancreatiche: la pancreatite cronica, in particolare negli alcolisti, è frequentemente associata al diabete. Tali pazienti perdono sia le insule che secernono insulina sia quelle che secernono glucagone. Pertanto, essi possono essere lievemente iperglicemici e sensibili a basse dosi di insulina. Data l'assenza di una controregolazione efficace (l'insulina esogena non viene contrastata dal glucagone), essi vanno spesso incontro a ipoglicemia a rapida insorgenza. In Asia, in Africa e nei Caraibi, il DM è di comune riscontro in pazienti giovani marcatamente denutriti affetti da grave malnutrizione proteica e malattia pancreatica; questi pazienti non hanno tendenza alla DKA, ma possono necessitare di terapia insulinica. Diabete associato ad altre patologie endocrine: il DM di tipo II può essere secondario alla sindrome di Cushing, all'acromegalia, al feocromocitoma, al glucagonoma, all'iper-aldosteronismo primitivo o al somatostatinoma. La maggior parte di questi disordini è associata a una resistenza periferica epatica all'insulina e molti pazienti diventano diabetici non appena viene compromessa anche la secrezione dell'ormone. La prevalenza del DM di tipo I è aumentata nei pazienti affetti da alcune malattie endocrine su base autoimmunitaria, p. es., il morbo di Graves, la tiroidite di Hashimoto e la forma idiopatica del morbo di Addison. Diabete insulino-resistente associato ad acanthosis nigricans (sindromi da resistenza insulinica di tipo A e di tipo B): due rare sindromi sono dovute alla marcata insulino-resistenza a livello del recettore per l'insulina che si osserva nell'acanthosis nigricans. Questa malattia consiste in un'iperpigmentazione di consistenza vellutata localizzata al collo, alle ascelle e all'inguine ed è probabilmente la manifestazione cutanea di una grave iperinsulinemia cronica. Il tipo A è la conseguenza di alterazioni genetiche a carico del recettore per l'insulina. Il tipo B è dovuto ad anticorpi circolanti diretti contro questo recettore e può essere associato con la presenza di altre patologie autoimmunitarie. Diabete lipoatrofico: questa è una sindrome rara nella quale il DM insulinoresistente è associato a un'estesa scomparsa simmetrica o pressoché completa file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (3 of 14)02/09/2004 2.06.19

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del tessuto adiposo sottocutaneo. Essa è stata messa in relazione con alterazioni genetiche del recettore insulinico. Diabete indotto da sostanze tossiche per le cellule b: il vacor, un topicida comunemente utilizzato in Corea nei tentativi di suicidio, è citotossico per le insule pancreatiche umane ed è in grado di provocare l'insorgenza di DM di tipo I nei sopravvissuti. La streptozocina può indurre la comparsa di un diabete sperimentale nei ratti, ma raramente è causa di diabete nell'uomo.

Sintomi e segni Il DM ha diverse modalità di esordio. Il tipo I esordisce solitamente con un'iperglicemia sintomatica o una DKA. Il tipo II può presentarsi con un'iperglicemia sintomatica o un NKHHC, ma viene frequentemente diagnosticato in soggetti asintomatici durante un controllo medico di routine, oppure quando i pazienti si presentano con le manifestazioni cliniche di una complicanza tardiva. Spesso, dopo l'esordio acuto del DM di tipo I, si osserva una secrezione di insulina ancora consistente. I pazienti con questa forma di diabete possono andare incontro a un periodo, chiamato di "luna di miele", caratterizzato da una lunga fase durante la quale la glicemia rimane pressoché normale anche in assenza di qualunque terapia. Iperglicemia sintomatica: quando l'innalzamento dei livelli di glucoso plasmatico causa glicosuria marcata e diuresi osmotica, con conseguente disidratazione, compare poliuria seguita da polidipsia e perdita di peso. L'iperglicemia può inoltre provocare annebbiamenti della vista, astenia e nausea e favorire la comparsa di varie infezioni fungine e batteriche. Nel DM di tipo II l'iperglicemia sintomatica può persistere per giorni o settimane prima che venga richiamata l'attenzione del medico; nelle donne, il DM di tipo II con iperglicemia sintomatica è frequentemente associato a prurito dovuto a candidosi vaginale. Complicanze tardive: le complicanze tardive compaiono diversi anni dopo che si è stabilita un'iperglicemia scarsamente controllata. I livelli di glucoso sono aumentati in tutte le cellule, tranne in quelle in cui la sua captazione è mediata dall'insulina (principalmente il tessuto muscolare), con conseguente aumento della glicosilazione e dell'attività di altre vie metaboliche, che può essere causato dalle complicanze. La maggior parte delle complicanze microvascolari può essere ritardata, prevenuta o anche fatta regredire mediante uno stretto controllo della glicemia, cioè ottenendo livelli di glucoso a digiuno e postprandiali pressoché normali, cui conseguono concentrazioni praticamente normali di emoglobina glicosilata (Hb A1c). La patologia macrovascolare come l'aterosclerosi può condurre a coronaropatia sintomatica, claudicatio, necrosi cutanee e infezioni. Sebbene l'iperglicemia possa accelerare l'aterosclerosi, molti anni di iperinsulinemia prima della comparsa del diabete (con insulino-resistenza) possono svolgere un ruolo fondamentale come iniziatori. La necessità dell'amputazione di un arto inferiore a causa di una grave vasculopatia periferica con claudicatio intermittens e gangrena rimane un'evenienza comune. La retinopatia di fondo (le modificazioni iniziali della retina osservate all'esame oftalmoscopico o con le fotografie retiniche) non altera la capacità visiva in maniera significativa, ma può evolvere verso l'edema maculare o la retinopatia proliferativa con distacco o emorragia retinica, che può provocare cecità. Circa l'85% di tutti i diabetici sviluppa alla fine un certo grado di retinopatia (v. Retinopatia diabetica nel Cap. 99). La nefropatia diabetica si sviluppa in circa un terzo dei pazienti con DM di tipo I e in una percentuale minore di quelli con DM di tipo II. Nei pazienti con DM di tipo I, la GFR inizialmente può essere aumentata con l'iperglicemia. Dopo circa 5 anni di malattia, può comparire un'albuminuria clinicamente evidente (_ 300 mg/l) che non trova spiegazione in altre patologie dell'apparato urinario. L'albuminuria è il segnale di una progressiva riduzione della GFR, con un'elevata probabilità di sviluppo di un'insufficienza renale allo stadio terminale entro un periodo di tempo file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (4 of 14)02/09/2004 2.06.19

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variabile fra i 3 e i 20 anni (mediana, 10 anni). L'albuminuria è quasi 2,5 volte più elevata nei pazienti con DM di tipo I con PA diastolica > 90 mm Hg che in quelli con PA diastolica < 70 mm Hg. Quindi, sia l'iperglicemia sia l'ipertensione accelerano la progressione verso la nefropatia allo stadio terminale. La nefropatia diabetica è solitamente asintomatica fino al momento in cui si sviluppa un'insufficienza renale terminale, ma può essere causa di sindrome nefrosica. L'albuminuria e la malattia renale possono essere prevenute o ritardate con il captopril, un ACE-inibitore. Se il trattamento aggressivo dell'ipertensione previene il deterioramento della funzione renale, gli ACE-inibitori hanno mostrato di possedere vantaggi aggiuntivi rispetto alle altre classi di antiipertensivi. Essi infatti prevengono la comparsa di proteinuria sia nei diabetici ipertesi sia nei non ipertesi. Dati recenti suggeriscono che gli ACE-inibitori contribuiscano anche a prevenire la retinopatia. La neuropatia diabetica si presenta abitualmente come una polineuropatia prevalentemente sensitiva, simmetrica, distale, la quale provoca deficit di sensibilità che cominciano e sono di solito prevalentemente caratterizzati da una distribuzione a calza e a guanto. Essa può causare intorpidimento, formicolii e parestesie agli arti e, meno frequentemente, un dolore profondo intenso e debilitante e iperestesie. I riflessi achillei sono di solito diminuiti o assenti. Devono essere escluse altre cause di polineuropatia (v. Cap. 183). Le mononeuropatie acute dolorose che colpiscono il III, il IV o il VI nervo cranico e altri nervi come quello femorale, possono migliorare spontaneamente nel volgere di settimane o mesi, insorgono con maggiore frequenza nei diabetici più anziani e vengono attribuite a infarti dei nervi. La neuropatia autonomica insorge principalmente nei diabetici con polineuropatia e può causare ipotensione posturale, disturbi della sudorazione, impotenza ed eiaculazione retrograda negli uomini, compromissione della funzione vescicale, ritardo dello svuotamento gastrico (talvolta con dumping syndrome), disfunzioni esofagee, stipsi o diarrea e diarrea notturna. Nei diabetici, una riduzione della risposta della frequenza cardiaca alla manovra del Valsalva o all'ortostatismo e una mancanza di variazione della frequenza cardiaca durante la respirazione profonda sono un segno di neuropatia autonomica. Le ulcere dei piedi e i problemi articolari sono cause importanti di morbilità nel DM. La causa predisponente più importante è la polineuropatia diabetica: la denervazione sensoriale compromette infatti la percezione dei traumi minori provocati da cause banali come le scarpe che calzano male o i sassolini. Le alterazioni della sensibilità propriocettiva conducono ad anomalie di distribuzione del carico corporeo e talvolta allo sviluppo di un'artropatia di Charcot. Il rischio di infezioni da funghi e batteri è aumentato a causa della depressione dell'immunità cellulare provocata dall'iperglicemia acuta e dai deficit circolatori indotti dall'iperglicemia cronica. Le infezioni cutanee periferiche e il mughetto orale e vaginale sono le forme più frequenti. Un'infezione micotica può essere il processo iniziale che porta alla formazione di lesioni interdigitali umide, rotture, fissurazioni e ulcerazioni che favoriscono l'invasione batterica secondaria. I pazienti con ulcere dei piedi infette spesso non sentono dolore a causa della neuropatia e non hanno sintomi sistemici fino alle fasi avanzate di un decorso che viene in genere trascurato. Le ulcere profonde, e particolarmente le ulcere associate a una cellulite identificabile, richiedono il ricovero ospedaliero immediato a causa del rischio di sviluppo di una tossicità sistemica e di un'invalidità permanente. La presenza di un'osteomielite deve essere esclusa mediante indagini radiografiche dell'osso. La pulizia chirurgica precoce è una parte essenziale del trattamento, ma talvolta è necessaria l'amputazione.

Diagnosi Nei pazienti asintomatici, la presenza di DM viene stabilita quando risulta soddisfatto il criterio diagnostico per l'iperglicemia a digiuno raccomandato dal National Diabetes Data Group (NDDG): un livello plasmatico (o sierico) di glucoso _ 140 mg/dl (_ 7,77 mmol/l) dopo un digiuno di una notte, riscontrato in due occasioni diverse, nell'adulto o nel bambino. Recentemente, l'American Diabetes Association ha raccomandato che venga considerato diagnostico di DM file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (5 of 14)02/09/2004 2.06.19

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un livello plasmatico di glucoso > 126 mg/dl (> 6,99 mmol/l). Un test di tolleranza al carico orale di glucoso (Oral Glucose Tolerance Test, OGTT) può essere di aiuto per la diagnosi di DM di tipo II nei pazienti la cui glicemia a digiuno è compresa tra 115 e 140 mg/dl (tra 6,38 e 7,77 mmol/l) e in quelli con una condizione clinica che potrebbe essere correlata a un DM non ancora diagnosticato (p. es., una polineuropatia, una retinopatia). Comunque, varie condizioni diverse dal DM, come gli effetti di alcuni farmaci, e il normale processo di invecchiamento possono provocare alterazioni del OGTT. Il NDDG raccomanda anche i criteri per la diagnosi di ridotta tolleranza al glucoso nei pazienti che non soddisfano i criteri diagnostici per il DM al OGTT. I pazienti con ridotta tolleranza al glucoso possono avere un aumento del rischio di sviluppare iperglicemia a digiuno o sintomatica, ma in molti pazienti tale condizione non progredisce o si risolve. I criteri diagnostici del NDDG sono illustrati nella Tab. 13-2.

Terapia Considerazioni generali: il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) sul IDDM ha dimostrato che l'iperglicemia è responsabile della maggior parte delle complicanze microvascolari a lungo termine del diabete. Esso ha dimostrato l'esistenza di una relazione lineare tra i livelli di Hb A1c (v. più avanti) e la frequenza con la quale si erano sviluppate le complicanze. Altri studi hanno suggerito che una Hb A1c < 8% costituisce una soglia al di sotto della quale la maggior parte delle complicanze può essere prevenuta. Di conseguenza, la terapia del DM di tipo I dovrebbe essere volta all'intensificazione del controllo metabolico allo scopo di diminuire la Hb A1c evitando al contempo gli episodi ipoglicemici. Tuttavia, il trattamento deve essere individualizzato e va modificato quando le circostanze rendono inaccettabile il rischio di ipoglicemia (p. es., nei pazienti con una ridotta aspettativa di vita e in quelli con malattie cerebrovascolari o cardiache) oppure quando il rischio di ipoglicemia è aumentato (p. es., nei pazienti instabili o con neuropatia autonomica). Il trattamento dietetico volto alla riduzione del peso corporeo è particolarmente importante nei pazienti sovrappeso con DM di tipo II. Se non si ottiene un miglioramento dell'iperglicemia con i provvedimenti dietetici, bisogna avviare un tentativo terapeutico con un farmaco ipoglicemizzante orale. L'educazione del paziente, insieme alla dieta e all'esercizio fisico, è essenziale per assicurare l'efficacia della terapia prescritta, per riconoscere le indicazioni alla necessità di rivolgersi immediatamente a un medico e per garantire una cura appropriata delle estremità inferiori. In occasione di ogni visita medica, il paziente deve essere esaminato alla ricerca di sintomi o segni di complicanze, compresi un controllo delle estremità inferiori, dello stato dei polsi arteriosi e della sensibilità dei piedi e delle gambe e un dosaggio dell'albumina nelle urine. I controlli periodici di laboratorio comprendono l'assetto lipidico, l'azotemia e la creatininemia, l'ECG e una visita oculistica completa annuale (v. Retinopatia diabetica nel Cap. 99). Poiché i diabetici hanno un aumento del rischio di insufficienza renale acuta, gli esami radiologici che richiedono l'iniezione EV di mezzi di contrasto devono essere eseguiti soltanto in caso di assoluta necessità e solo quando il paziente è ben idratato. L'ipercolesterolemia o l'ipertensione aumentano il rischio di complicanze specifiche tardive e richiedono un'attenzione particolare e un trattamento adeguato (v. Cap. 15 e 199). Sebbene i b-bloccanti (p. es., il propranololo) possano essere utilizzati con tranquillità nella maggior parte dei diabetici, essi possono mascherare la sintomatologia b-adrenergica dell'ipoglicemia indotta file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (6 of 14)02/09/2004 2.06.19

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dall'insulina e possono alterare la normale risposta controregolatoria. Di conseguenza, i farmaci di elezione sono spesso gli ACE-inibitori e i calcioantagonisti. Controllo della glicemia: tutti i pazienti devono imparare a controllare da soli la glicemia e i pazienti in trattamento insulinico devono essere istruiti a regolare le dosi di insulina in base ai valori riscontrati. La glicemia può essere misurata con gli analizzatori domestici di impiego immediato utilizzando una goccia di sangue prelevata per puntura dal polpastrello. Per ottenere il campione si consiglia di usare una lancetta a molla. La frequenza dei prelievi viene stabilita caso per caso. Idealmente, i pazienti diabetici in trattamento insulinico dovrebbero dosare il loro glucoso plasmatico ogni giorno prima dei pasti, da 1 a 2 ore dopo i pasti e prima del riposo notturno. Tuttavia, in pratica, si possono effettuare ogni giorno in orari differenti da 2 a 4 misurazioni, in modo che dopo circa una settimana di trattamento sia possibile una valutazione complessiva. La maggior parte dei medici esegue periodicamente il dosaggio dell'emoglobina glicosilata (Hb A1c) per avere un'idea del controllo della glicemia nei precedenti 1-3 mesi. La Hb A1c è il prodotto stabile della glicosilazione non enzimatica della catena J dell'Hb da parte del glucoso plasmatico e viene prodotta in quote proporzionalmente maggiori con il crescere della glicemia. Nella maggior parte dei laboratori, il valore normale della Hb A1c è intorno al 6%; nei diabetici scarsamente compensati i livelli oscillano fra il 9 e il 12%. La determinazione della Hb A1c non è un test specifico per la diagnosi di diabete; tuttavia, un'elevata Hb A1c indica spesso la presenza di diabete. Un altro test è quello del dosaggio dei livelli di fruttosamina. La fruttosamina si forma grazie a una reazione chimica tra il glucoso e le proteine plasmatiche ed è un indice del controllo glicemico nelle precedenti 1-3 settimane. Quindi, questo test può mettere in evidenza una modificazione del controllo glicemico prima di quanto faccia l'Hb A1c ed è spesso utile quando è in corso una terapia intensiva e nei trial clinici a breve termine. I pazienti affetti da DM di tipo I devono essere istruiti sull'esecuzione dei test per i corpi chetonici urinari con le striscie reattive disponibili in commercio e si deve raccomandare loro di determinare i corpi chetonici urinari ogni volta che manifestano sintomi di raffreddore, influenza o altre malattie intercorrenti, nausea, vomito, dolori addominali o poliuria, oppure se riscontrano un livello di glicemia inaspettatamente alto durante una delle autodeterminazioni. Il dosaggio dei corpi chetonici in tutti i campioni di urina è raccomandato nei pazienti con DM di tipo I che mostrano fluttuazioni notevoli, repentine e durature del loro grado di iperglicemia. Insulina: quando si comincia una terapia insulinica si preferisce spesso l'insulina umana, perché è meno antigenica di quelle di origine animale (v. anche la trattazione sulla resistenza all'insulina, più avanti). Tuttavia livelli misurabili di anticorpi anti-insulina, solitamente molto bassi, si sviluppano nella maggior parte dei pazienti in trattamento, compresi quelli che fanno uso di preparazioni a base di insulina umana. L'insulina viene comunemente fornita in preparazioni contenenti 100 U/ml (insulina U-100)(In Italia anche 40 U/ml, fino al 1 Marzo 2000)e viene iniettata per via sottocutanea con apposite siringhe monouso. Le siringhe da 1/2 ml vengono in genere preferite dai pazienti che di regola assumono dosi _ 50 U, perché sono più facili da leggere e semplificano la misurazione accurata delle dosi più piccole. Un dispositivo per l'iniezione di dosi multiple di insulina ( ad es. Novopen), comunemente noto come penna a insulina, è predisposto per utilizzare una cartuccia contenente le dosi relative a diversi giorni di terapia. L'insulina deve essere mantenuta in frigorifero ma mai congelata; in ogni caso, la maggior parte delle preparazioni insuliniche è stabile a temperatura ambiente per diversi mesi, il che ne facilita l'impiego sul luogo di lavoro e durante i viaggi. Le preparazioni di insulina sono classificate ad azione breve (azione rapida), ad azione intermedia o ad azione prolungata. I valori abituali dell'inizio dell'azione, del tempo di picco e della durata d'azione delle preparazioni più comunemente file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (7 of 14)02/09/2004 2.06.19

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impiegate sono elencati nella Tab. 13-3; questi dati vanno utilizzati solo come riferimento approssimativo, poiché esiste una considerevole variabilità tra un individuo e l'altro e anche con dosi differenti della stessa preparazione nello stesso paziente. Il fattore decisivo che determina l'inizio e la durata di azione di una preparazione insulinica è il tasso di assorbimento dell'insulina dalla sede di iniezione. L'insulina ad azione rapida comprende l'insulina regolare, che è una preparazione di cristalli di zinco-insulina in sospensione; l'insulina regolare è la sola preparazione insulinica che può essere somministrata EV. La Lispro, una forma di insulina regolare ottenuta con tecniche di ingegneria genetica per sostituzione di un aminoacido, assicura un assorbimento più rapido dell'ormone e quindi può essere somministrata con il cibo. L'insulina semilenta è un'insulina ad azione rapida leggermente più rallentata, contenente microcristalli di zincoinsulina in un tampone acetato. L'insulina ad azione intermedia comprende la protamina neutra di Hagedorn, che contiene una miscela stechiometrica di insulina regolare e di insulina zinco-ptotamina, e la lenta, che contiene il 30% di insulina semilenta e il 70% di insulina ultralenta in tampone acetato. L'insulina zinco-protamina ad azione prolungata contiene insulina caricata negativamente, combinata con un eccesso di protamina di sperma di pesce caricato positivamente. L'insulina ultralenta contiene grandi cristalli di zinco-insulina in tampone acetato. Miscele di preparazioni insuliniche con differente inizio e durata d'azione vengono frequentemente somministrate in un'unica iniezione, aspirando con la stessa siringa dosi calibrate di due preparazioni diverse immediatamente prima dell'uso. Le ditte produttrici raccomandano che la semilenta venga mescolata esclusivamente con la lenta o l'ultralenta, in modo da mantenere la stessa soluzione tampone. Tuttavia, dosi singole di insulina regolare e di insulina protamina neutra di Hagedorn o insulina lenta vengono comunemente aspirate nella stessa siringa per combinare in un'unica iniezione l'insulina ad azione rapida e quella ad azione intermedia. è anche disponibile una preparazione contenente una miscela del 70% di insulina protamina neutra di Hagedorn e del 30% di insulina regolare umana semisintetica (Actraphane 30/70 o Humulin 30/70), ma la sua proporzione fissa tra insulina ad azione rapida e ad azione intermedia potrebbe renderne l'uso piuttosto limitato (in Italia sono disponibili anche altre preparazioni premiscelate: 10/90, 20/80, 40/60 e 50/50, n.d.t.). L'insulina zinco-protamina deve sempre essere iniettata separatamente, poiché contiene un eccesso di protamina. Inizio della terapia insulinica negli adulti: nel DCCT, ai pazienti con DM di tipo I è stata somministrata una dose totale media di circa 40 U di insulina al giorno. Poiché i pazienti con DM di tipo II sono insulino-resistenti, essi necessitano di una dose di insulina superiore. Quindi, coloro che sono gravemente iperglicemici e obesi devono partire da una dose di circa 40 U di insulina al giorno. La dose giornaliera totale iniziale può essere frazionata in modo che la metà venga somministrata prima di colazione, 1/4 prima di cena e 1/4 prima di coricarsi. A causa della marcata resistenza all'insulina, i pazienti con DM di tipo II possono richiedere dosi due volte maggiori e spesso anche superiori. Dopo che è stata scelta la dose iniziale, vengono regolati le quantità, i tipi di insulina e i tempi di somministrazione sulla base delle determinazioni della glicemia. La dose viene regolata in modo da mantenere il glucoso plasmatico preprandiale tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra le 4,44 e le 8,33 mmol/l). Gli aumenti del dosaggio dell'insulina vengono in genere contenuti entro il 10% per volta e prima di stabilire qualunque aumento ulteriore ne vengono valutati gli effetti per circa 3 gg. Modificazioni più rapide dell'insulina regolare sono indicate qualora esista il rischio incombente di un'ipoglicemia. Inizio della terapia insulinica nei bambini: i bambini che si presentano in uno stadio precoce di DM di tipo I con iperglicemia moderata ma senza chetonuria o acidosi possono cominciare con una singola iniezione sottocutanea giornaliera di 0,3-0,5 U/kg di sola insulina ad azione intermedia. Nei bambini che si presentano con iperglicemia e chetonuria ma che non sono acidotici o disidratati si può cominciare con 0,5-0,7 U/kg di insulina ad azione intermedia e aggiungere in seguito iniezioni sottocutanee di 0,1 U/kg di insulina regolare a intervalli di 4-6 h. Le dosi di insulina sono regolate di solito in modo da mantenere i livelli plasmatici preprandiali di glucoso tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra le 4,44 e le 8,33 mmol/l) o file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (8 of 14)02/09/2004 2.06.19

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talvolta tra gli 80 e i 120 mg/dl (tra le 4,44 e le 6,66 mmol/l). Regimi posologici insulinici: l'obiettivo della terapia insulinica è quello di controllare i picchi iperglicemici postprandiali e di assicurare livelli glicemici basali in grado di mantenere un metabolismo glucidico normale. I regimi posologici devono essere sempre individualizzati e alcuni pazienti diabetici otterranno uno stretto controllo metabolico solo con regimi altamente personalizzati. In ogni caso, l'approccio deve comprendere: 1. Insulina ad azione intermedia al momento di coricarsi. Ciò facilita il controllo della produzione epatica notturna di glucoso. Cominciare la giornata con livelli mattutini di glucoso più bassi migliora la tolleranza al glucoso per tutto il giorno. La somministrazione di insulina al momento di coricarsi è associata a un minor aumento ponderale rispetto alla sola somministrazione insulinica diurna. L'insulina prima di coricarsi costituisce inoltre un modo razionale di cominciare la terapia insulinica nei pazienti con DM di tipo II che non ottengono un buon controllo con i soli antidiabetici orali. 2. Insulina miscelata prima di colazione. Essa viene spesso realizzata con una miscela costituita da circa il 30% di insulina ad azione rapida e il 70% di insulina ad azione intermedia. La maggior parte dei diabetici necessita di circa la metà della dose insulinica giornaliera prima di colazione. 3. Insulina regolare prima di pranzo e prima di cena. Per un controllo stretto, prima dei pasti devono essere assunte dosi supplementari di insulina ad azione rapida. La dose deve essere assunta da 15 a 30 minuti prima del pasto per l'insulina regolare o la semilenta e durante il pasto per la Lispro. Iniezioni sottocutanee multiple di insulina: esse hanno lo scopo di mantenere livelli plasmatici di glucoso normali o quasi normali durante l'intera giornata nei pazienti con DM di tipo I. Tale trattamento può aumentare il rischio di gravi e frequenti episodi di ipoglicemia. I pazienti devono essere altamente motivati, ben istruiti sulla malattia, informati dei rischi e degli incerti benefici, esperti nell'autodeterminazione della glicemia e sotto la supervisione di un medico con buona esperienza sull'uso del metodo. In un regime insulinico tipico con iniezioni sottocutanee multiple, circa il 25% della dose totale giornaliera viene somministrato come insulina ad azione intermedia al momento di coricarsi, con dosi aggiuntive di insulina ad azione rapida prima di ogni pasto (regime a quattro dosi). I pazienti con DM di tipo I possono avere bisogno di insulina ad azione intermedia o prolungata al mattino per ottenere la copertura di tutta la giornata. Il paziente regola il dosaggio giornaliero sulla base dell'autodeterminazione della glicemia prima di ogni pasto e al momento del riposo notturno; almeno una volta/ sett. viene controllato il livello del glucoso plasmatico tra le 2 e le 4 del mattino. Infusione sottocutanea continua di insulina: questa modalità di trattamento insulinico intensivo nei pazienti affetti da DM di tipo I implica l'uso di una piccola pompa di infusione a batterie che consente un'infusione sottocutanea continua di insulina ad azione rapida attraverso un piccolo ago, solitamente inserito nella parete addominale. La pompa è programmata per infondere una determinata quota basale di insulina, integrata prima di ogni pasto da quote aggiuntive predeterminate o stimolate manualmente. Il paziente misura la glicemia diverse volte al giorno per regolare il dosaggio. Il controllo metabolico che si può ottenere con questo metodo è superiore a quello ottenuto con le iniezioni multiple. Gli episodi ipoglicemici sono frequenti con la terapia mediante pompa di infusione continua, specialmente durante la stabilizzazione del controllo metabolico. Tuttavia, una volta che il controllo è stato ottenuto, l'impiego delle pompe non è associato con l'ipoglicemia più di quanto lo siano le iniezioni multiple. Gli impianti sperimentali di pompe da infusione e di dispositivi intraperitoneali di rilascio dell'insulina nel sistema portale potrebbero dimostrarsi ancora più efficaci. Tuttavia, la presenza dell'ago a dimora aumenta il rischio di infezioni nelle sedi di inserzione. Trattamento insulinico del diabete instabile: i diabetici instabili sono pazienti con DM di tipo I che mostrano frequenti e improvvise oscillazioni dei livelli glicemici senza una causa evidente.

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Il diabete instabile è comune soprattutto nei pazienti che non possiedono capacità secretoria insulinica residua. I processi metabolici attraverso i quali l'insulina influenza i livelli plasmatici del glucoso, degli acidi grassi liberi legati all'albumina e dei corpi chetonici sono normalmente regolati da spostamenti dell'equilibrio tra gli effetti dell'insulina e gli effetti opposti del glucagone (nel fegato) e del sistema nervoso autonomo adrenergico. Questi meccanismi controregolatori sono modulati in maniera indipendente e di norma la loro attività aumenta durante il digiuno, l'esercizio fisico e altre condizioni che richiedono una protezione contro l'ipoglicemia. Le dosi di insulina devono essere adeguate a fare fronte a un aumento improvviso dell'attività dei meccanismi controregolatori e a prevenire il rapido sviluppo di iperglicemia sintomatica e iperchetonemia, ma ciò produce di frequente un eccesso transitorio di insulina plasmatica. Molti di questi pazienti migliorano quando il loro trattamento viene convertito in un regime insulinico sottocutaneo multiplo modificato, che fornisce la maggior parte dell'insulina giornaliera come insulina ad azione rapida prima di ogni pasto in dosaggi regolati quotidianamente, con piccole dosi di insulina ad azione intermedia al mattino, prima del pasto serale o al momento di coricarsi. Lo scopo non è quello di mantenere la glicemia diurna entro un ambito quasi normale, bensì di stabilizzarne le fluttuazioni in un intervallo che prevenga l'iperglicemia e l'ipoglicemia sintomatiche. Complicanze del trattamento insulinico: l'ipoglicemia (v. più avanti) può verificarsi a causa di un errore nel dosaggio dell'insulina, a causa di un pasto scarso o saltato, o di un'attività fisica non programmata (i pazienti vengono di solito istruiti a ridurre la dose di insulina o aumentare l'introito di carboidrati prima di un esercizio fisico programmato) oppure senza un motivo evidente. Ai pazienti viene insegnato a riconoscere i sintomi dell'ipoglicemia, la quale di solito risponde prontamente all'ingestione di zucchero. Tutti i diabetici devono portare con sé caramelle, zollette di zucchero o tavolette di glucoso. Un cartellino di identificazione, un braccialetto o una collana recanti l'indicazione che il paziente è un diabetico in trattamento insulinico aiutano nel riconoscimento di un'ipoglicemia in condizioni di emergenza. Ai membri più stretti della famiglia deve essere insegnato a somministrare glucagone mediante un dispositivo per iniezioni di facile utilizzo. Il personale medico di emergenza, dopo aver confermato la presenza di ipoglicemia mediante uno stick glucometrico, deve iniziare il trattamento con l'iniezione rapida in bolo di 25 ml di soluzione glucosata al 50%, seguita dall'infusione EV continua di glucoso. L'effetto alba si riferisce alla normale tendenza del glucoso plasmatico ad aumentare nelle prime ore del mattino prima della colazione, fenomeno che è spesso esagerato nei pazienti con DM di tipo I e in alcuni pazienti con DM di tipo II. I livelli di glucoso a digiuno aumentano a causa di un incremento della produzione epatica di glucoso, che può essere secondario al picco notturno dell'ormone della crescita. In alcuni pazienti con DM di tipo I, l'ipoglicemia notturna può essere seguita da un notevole aumento dei livelli plasmatici di glucoso a digiuno con aumento dei chetoni plasmatici (effetto Somogyi). Quindi, sia l'effetto alba sia l'effetto Somogyi sono caratterizzati da iperglicemia mattutina, ma il secondo è dovuto a un'iperglicemia di rimbalzo (controregolatoria). La frequenza con la quale l'effetto Somogyi si verifica effettivamente è controversa. Quando se ne sospetta l'esistenza, il paziente deve svegliarsi tra le 2 e le 4 del mattino per controllare la glicemia. Se al momento di coricarsi viene somministrata insulina ad azione intermedia, l'effetto alba e l'effetto Somogyi possono spesso essere evitati. Le reazioni allergiche locali nella sede delle iniezioni di insulina sono meno frequenti con le insuline purificate suine e umane. Queste reazioni possono produrre dolore e bruciore immediati, seguiti dopo qualche ora da eritema, prurito e indurimento locale, quest'ultimo talvolta perdurante per giorni. La maggior parte delle reazioni regredisce spontaneamente dopo alcune settimane di iniezioni continuate di insulina e non richiede un trattamento specifico, sebbene qualche volta vengano usati gli antiistaminici. L'allergia generalizzata all'insulina (di solito alla molecola dell'insulina) è rara, ma può insorgere quando il trattamento viene sospeso e poi ripreso dopo un periodo di tempo di mesi o anni. Reazioni del genere possono aver luogo con

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qualunque tipo di insulina, compresa l'insulina biosintetica umana. I sintomi di solito insorgono poco dopo un'iniezione e possono comprendere orticaria, angioedema, prurito, broncospasmo e, in alcuni casi, collasso circolatorio. Il trattamento antiistaminico può essere sufficiente, ma può rendersi necessaria la somministrazione di glucocorticocoidi EV e di adrenalina. Qualora dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche sia necessario istituire una terapia insulinica continuativa, un medico esperto di questi problemi deve eseguire i test cutanei con una serie di preparazioni insuliniche purificate e portare a termine un programma di desensibilizzazione. La resistenza all'insulina consiste in un aumento delle richieste di insulina a livelli _ 200 U/die ed è associata a notevoli incrementi della capacità insulinolegante del plasma. La maggior parte dei pazienti trattati con insulina per un periodo _ 6 mesi sviluppa anticorpi contro l'insulina. L'antigenicità relativa delle preparazioni di insulina purificata è, nell'ordine, bovina > suina > umana, ma la risposta individuale viene influenzata anche da fattori genetici. Gli anticorpi leganti l'insulina presenti in circolo possono modificare la farmacocinetica dell'insulina libera, ma il trattamento non ne viene di solito influenzato negativamente. Nei pazienti con insulino-resistenza, il passaggio all'insulina purificata suina o umana può ridurre il fabbisogno dell'ormone. La remissione può essere spontanea oppure indotta in alcuni pazienti con DM di tipo II che possono sospendere la terapia insulinica per un periodo di 1-3 mesi. Il prednisone può far diminuire il fabbisogno di insulina entro 2 sett.; il trattamento di solito viene cominciato con circa 30 mg bid e il dosaggio viene ridotto parallelamente alla diminuzione delle richieste. L'atrofia o l'ipertrofia locale del tessuto adiposo in corrispondenza delle sedi di iniezione sono fenomeni relativamente rari e di solito migliorano con il passaggio all'insulina umana ed evitando la sua iniezione direttamente nell'area colpita. Per l'ipertrofia locale del tessuto adiposo non è necessario alcun trattamento specifico, ma le sedi di iniezione devono essere alternate. Farmaci antidiabetici orali: questi farmaci vengono utilizzati per il DM di tipo II ma non per quello di tipo I, poiché non sono in grado di prevenire l'iperglicemia sintomatica o la DKA nei pazienti affetti da quest'ultimo. Gli ipoglicemizzanti orali sono rappresentati dalle sulfaniluree. Gli ipoglicemizzanti orali sono le biguanidi, gli inibitori dell'a-glucosidasi e i sensibilizzanti all'insulina (tiazolidindioni ["glitazoni"]). Le caratteristiche dei farmaci antidiabetici orali sono mostrate nella Tab. 13-4. Sulfaniluree: le sulfaniluree abbassano i livelli glicemici principalmente stimolando la secrezione di insulina. Effetti secondari sul miglioramento della sensibilità all'insulina a livello periferico ed epatico possono essere dovuti alla diminuzione sia della tossicità del glucoso sia della clearance dell'insulina. Le sulfaniluree differiscono tra loro quanto a potenza e durata d'azione (v. Tab. 134). Tutte le sulfaniluree vengono metabolizzate nel fegato, ma solo la tolbutamide e la tolazamide sono inattivate esclusivamente a questo livello. Circa il 30% della clorpropamide viene normalmente escreto con le urine e il principale metabolita epatico dell'acetoesamide è altamente attivo e viene escreto con le urine; entrambi i farmaci comportano un aumento del rischio di ipoglicemia prolungata nei pazienti con compromissione della funzione renale e nei soggetti anziani. Le sulfaniluree di seconda generazione (come la glipizide e la gliburide) sono circa 100 volte più potenti di quelle di prima generazione, vengono assorbite rapidamente e sono metabolizzate principalmente nel fegato. Dal punto di vista clinico, esse possiedono un'efficacia sovrapponibile. Reazioni allergiche e altri effetti collaterali (p. es., l'ittero colestatico) sono relativamente rari. L'acetoesamide può essere utilizzata nei pazienti che sono allergici alle altre sulfaniluree. La clorpropamide e l'acetoesamide non devono essere utilizzate nei pazienti con compromissione della funzione renale. In aggiunta, la clorpropamide non va utilizzata nei pazienti anziani, perché può potenziare l'azione dell'ormone antidiuretico causando spesso iponatriemia e deterioramento dello stato mentale, che in un anziano frequentemente può non essere riconosciuto come un effetto farmaco-indotto. Per il trattamento iniziale, molti esperti preferiscono le sulfaniluree a più breve file:///F|/sito/merck/sez02/0130177.html (11 of 14)02/09/2004 2.06.19

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durata d'azione e la maggior parte non raccomanda l'uso di un'associazione di differenti sulfaniluree. Il trattamento viene cominciato con una dose bassa, che viene regolata dopo qualche giorno finché non si ottiene una risposta soddisfacente o viene raggiunto il dosaggio massimo raccomandato. Circa il 1020% dei pazienti non risponde al tentativo terapeutico (insuccessi primari) e i pazienti che non rispondono a una sulfanilurea spesso non rispondono neanche alle altre. Dei pazienti che inizialmente rispondono, il 5-10% ogni anno va incontro a insuccessi secondari. In tali casi, al trattamento con sulfaniluree può essere aggiunta l'insulina. L'ipoglicemia è la complicanza più importante del trattamento con sulfaniluree. Essa può insorgere nei pazienti trattati con qualunque sulfanilurea, ma si verifica il più delle volte con quelle ad azione prolungata (gliburide, clorpropamide). L'ipoglicemia indotta dalle sulfaniluree può essere grave e può persistere o ripresentarsi per giorni dopo la sospensione del trattamento, anche quando insorge nei pazienti trattati con tolbutamide, la cui durata d'azione abituale varia tra 6 e 12 h. Nei pazienti ospedalizzati con ipoglicemia indotta da sulfaniluree è stato riportato di recente un tasso di mortalità del 4,3%. Perciò, tutti i soggetti trattati con sulfaniluree che sviluppano ipoglicemia devono essere ricoverati in ospedale, poiché, anche se rispondono rapidamente al trattamento iniziale dell'ipoglicemia, essi devono essere tenuti sotto stretto controllo per 2 o 3 gg. La maggior parte di questi pazienti può non aver bisogno di un ulteriore trattamento con sulfaniluree. Farmaci ipoglicemizzanti: la metformina (una biguanide) è stata utilizzata come terapia primaria nei pazienti con DM di tipo II per oltre 30 anni in quasi tutto il mondo ed è stata recentemente approvata per l'uso negli Stati Uniti. Essa agisce diminuendo la produzione epatica di glucoso e può migliorare la sensibilità all'insulina nei soggetti che riducono il loro peso corporeo. Come monoterapia, è efficace quanto una sulfanilurea (quando viene utilizzata da sola raramente provoca ipoglicemia) e in combinazione con un trattamento con sulfaniluree ha un'azione sinergica. La metformina favorisce inoltre la diminuzione del peso corporeo e riduce i livelli dei lipidi plasmatici. A differenza della fenformina, la metformina provoca raramente una grave acidosi lattica. Gli effetti collaterali GI sono comuni ma spesso transitori e possono essere prevenuti se il farmaco viene assunto con i pasti e se il dosaggio viene aumentato gradualmente (di 500 mg/ sett. fino a 2,5 g). La metformina è controindicata nei pazienti affetti da malattie renali ed epatiche o da alcolismo. Essa è inoltre controindicata nei pazienti con acidosi lattica e nella maggior parte dei pazienti la sua somministrazione deve essere interrotta durante il ricovero in ospedale in fase acuta. L'acarbosio è un inibitore dell'a-glucosidasi che inibisce in maniera competitiva l'idrolisi degli oligosaccaridi e dei monosaccaridi. Ciò ritarda la digestione dei carboidarati nell'intestino tenue e il loro successivo assorbimento, causando una minore elevazione post-prandiale dei livelli ematici di glucoso. Dato che il suo meccanismo d'azione è diverso da quello degli altri ipoglicemizzanti orali, esso può essere utilizzato nella terapia di associazione con altri antidiabetici orali. Gli effetti collaterali GI sono molto frequenti, ma spesso transitori. Il farmaco deve essere assunto durante i pasti e il dosaggio va aumentato gradualmente da 25 mg a 50-100 mg con ogni pasto. I tiazolidindioni sono farmaci insulino-sensibilizzanti che migliorano la sensibilità all'insulina nel muscolo scheletrico e sopprimono la produzione epatica di glucoso. L'unico farmaco di questa categoria disponibile negli Stati Uniti è il troglitazone. Recentemente esso è stato approvato per l'uso nel trattamento dei pazienti con DM di tipo II che necessitano di insulina e possiede effetti moderati sulla diminuzione dei livelli plasmatici di glucoso e di trigliceridi. Questo farmaco viene somministrato una volta al giorno e presenta un'epatotossicità potenzialmente idiosincrasica. Con l'inizio della terapia, i pazienti dovrebbero essere istruiti a ridurre il loro dosaggio insulinico giornaliero. Trattamento dietetico: nei diabetici in terapia insulinica, il trattamento dietetico ha lo scopo di limitare le variazioni di orario, quantità o composizione dei pasti, che potrebbero rendere inadeguato il regime insulinico prescritto e causare un'ipoglicemia o una marcata iperglicemia post- prandiale. Tutti i soggetti in terapia insulinica richiedono una dettagliata terapia dietetica, comprendente una

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prescrizione dell'introito calorico totale giornaliero, indicazioni per le corrette proporzioni fra carboidrati, grassi e proteine nella dieta e istruzioni sulla distribuzione delle calorie tra i singoli pasti e spuntini della giornata. Un dietologo professionista può adattare il programma dietetico e la strategia educativa in base alle necessità individuali del paziente. La flessibilità, d'altronde, aiuta a mantenere vive le motivazioni del paziente. Sono disponibili pubblicazioni dell'American Diabetes Association e di altre fonti sulla pianificazione del regime dietetico e l'educazione del paziente. Tabelle di conversione che forniscono informazioni sul contenuto in carboidrati, proteine, grassi e calorie dei singoli alimenti vengono utilizzate per tradurre le prescrizioni dietetiche in un piano di alimentazione che dovrebbe prevedere cibi che riescono graditi al paziente, purché non vi siano ragioni specifiche per escludere un particolare alimento. Cibi con valori di conversione simili (cioè simili calorie e simile contenuto di carboidrati, proteine e grassi) possono avere effetti differenti sull'iperglicemia post-prandiale in ogni singolo diabetico. Tuttavia, le tabelle di conversione sono utili nel ridurre le variazioni di quantità e composizione delle abituali colazioni, pranzi, cene e spuntini del paziente. Nei pazienti obesi con DM di tipo II, gli obiettivi del trattamento dietetico sono la riduzione del peso corporeo e il controllo dell'iperglicemia. La dieta deve soddisfare il fabbisogno proteico minimo quotidiano del paziente (0,9 g/kg) ed essere concepita in modo da indurre una perdita di peso graduale e costante (circa 1 kg/sett.) finché non venga raggiunto e mantenuto il peso ideale. Un dietologo può aiutare a sviluppare un programma di alimentazione che il paziente poi seguirà autonomamente. L'aumento dell'attività fisica nel soggetto obeso sedentario affetto da DM di tipo II è di grande valore e con il tempo può ridurre il grado di resistenza all'insulina. I diabetici ipertesi devono essere trattati con ACEinibitori, i quali si sono dimostrati più protettivi contro la malattia coronarica rispetto ai calcioantagonisti. Trattamento dei diabetici durante l'ospedalizzazione: i pazienti diabetici ricoverati in ospedale frequentemente presentano patologie concomitanti che aggravano l'iperglicemia, come un'infezione o una coronaropatia. L'immobilità a letto e una dieta non specifica possono anch'esse aggravare l'iperglicemia. Al contrario, se il paziente è anoressico o vomita, o se è ridotto l'apporto alimentare, la continuazione del trattamento farmacologico può provocare ipoglicemia. La popolare copertura insulinica con una scala variabile per la somministrazione dell'ormone non deve costituire l'unico intervento, perché è reattiva più che preventiva per la correzione dell'iperglicemia. Il suo impiego può inoltre rivelarsi inappropriato se l'iperglicemia è la conseguenza di un aumento della gluconeogenesi epatica in risposta a un'ipoglicemia precedentemente non corretta. I pazienti ospedalizzati con DM di tipo II vanno spesso bene senza alcuna modificazione del trattamento farmacologico. I farmaci ipoglicemizzanti possono essere sospesi nel corso di una patologia acuta associata con una riduzione dell'apporto alimentare o nel corso di qualunque condizione che abbia la tendenza a provocare ipoglicemia. Se i livelli plasmatici di glucoso rimangono elevati, si può aggiungere insulina. Nei pazienti con DM di tipo I, la somministrazione di insulina intermedia (NPH o lenta) deve essere proseguita al 50-70% della dose giornaliera frazionata bid o tid. Dosi supplementari di insulina regolare possono essere somministrate sulla base di una scala variabile. Nei pazienti in nutrizione parenterale totale o parziale, l'iperglicemia può essere corretta con un'infusione EV continua di insulina o con dosi frazionate di insulina ad azione intermedia. La glicemia deve essere misurata quattro volte al giorno prima dei pasti. Gestione dei pazienti diabetici in occasione di interventi chirurgici: le procedure chirurgiche (compresi lo stress emotivo precedente, gli effetti dell'anestesia generale e il trauma dell'intervento) possono provocare un marcato aumento della glicemia nei diabetici e causare DKA nei pazienti affetti da DM di tipo I. Nei pazienti che normalmente praticano una o due iniezioni di insulina al giorno, al mattino prima dell'intervento si può somministrare da 1/3 a 1/2 della dose mattutina abituale e cominciare poi un'infusione EV di glucoso al 5% in

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

soluzione fisiologica o acqua alla velocità di 1 l (50 g di glucoso) ogni 6-8 h. Dopo l'intervento, vengono misurate la glicemia e la chetonemia. A meno che non sia indicata una modificazione del dosaggio, la dose preoperatoria di insulina viene ripetuta quando il paziente si è risvegliato dall'anestesia e si prosegue l'infusione di glucoso. La glicemia e i corpi chetonici plasmatici vengono controllati a intervalli di 2-4 h e q 4-6 h viene somministrata insulina regolare in quantità sufficiente a mantenere i livelli plasmatici di glucoso tra 100 e 250 mg/dl (tra 5,55 e 13,88 mmol/l). Questo trattamento viene proseguito finché il paziente può passare all'alimentazione orale e a uno schema posologico insulinico a 1 o 2 dosi. Alcuni medici preferiscono sospendere la somministrazione sottocutanea di insulina il giorno dell'intervento e aggiungere da 6 a 10 U di insulina regolare a 1 l di glucoso al 5% in soluzione fisiologica o acqua infuso inizialmente alla velocità di 150 ml/h la mattina stessa, basandosi sui valori glicemici. Questa procedura viene continuata nel corso del risveglio postoperatorio, regolando la dose di insulina sulla base dei livelli glicemici misurati in sala di risveglio e poi a intervalli di 2-4 h. L'insulina non è necessaria per i pazienti diabetici che hanno mantenuto una glicemia soddisfacente con la sola dieta o con l'aggiunta di una sulfanilurea prima dell'intervento. Le sulfaniluree devono essere sospese da 2 a 4 giorni prima dell'intervento e i livelli plasmatici di glucoso devono essere misurati prima e dopo l'operazione e q 6 h nel corso della successiva terapia infusionale EV.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA DIABETE MELLITO (V. anche Diabete mellito nel Cap. 13)

Sommario: Introduzione Trattamento Complicanze Travaglio e parto Cura post-partum

Nei centri di assistenza perinatale e neonatale che forniscono un servizio di consulenza pre-concepimento e di assistenza prenatale precoce, i rischi per le madri diabetiche e per i loro neonati non superano quelli delle donne non diabetiche. Per le donne diabetiche, il buon esito della gravidanza richiede una visita prima del concepimento e un controllo ottimale del diabete prima, durante e dopo la gravidanza; un trattamento meticoloso da parte di un team diabetologico, che include medici, infermieri, nutrizionisti e assistenti sociali, e da parte di un pediatra; una pronta diagnosi e un pronto trattamento delle complicanze della gravidanza, siano esse lievi o gravi; una scelta accurata del momento e delle modalità del parto; la presenza, al momento del parto, di un pediatra esperto nella valutazione e nel trattamento dei neonati di madri diabetiche; la vicinanza di un’unità di terapia intensiva neonatale. La classificazione è basata su quella adottata dal National Diabetes Data Group e dall’OMS. In precedenza, essa era basata sull’età di comparsa, sulla durata e sulle complicanze della malattia. Il diabete gestazionale è un’intolleranza ai carboidrati, di grado variabile, a esordio, o prima osservazione, nel corso della gravidanza corrente. La gravidanza è un test di stress metabolico per il diabete; le donne che falliscono il test e sviluppano un diabete gestazionale possono essere obese, iperinsulinemiche e insulino-resistenti o magre e relativamente carenti di insulina. Pertanto, questo disordine rappresenta una sindrome eterogenea. Tutte le donne gravide devono essere studiate alla ricerca di un diabete gestazionale poiché tale affezione, se non riconosciuta e curata, è associata a un’aumentata mortalità fetale e neonatale e a una maggiore morbilità materna e fetale (v. anche Cure prenatali nel Cap. 249). Il diabete gestazionale si verifica nell’1-3% di tutte le gravidanze, ma la percentuale può essere molto più elevata in popolazioni selezionate (p. es., Messicani-Americani, Indiani d’America, Asiatici, Indiani, abitanti delle Isole del Pacifico).

Trattamento Un buon controllo del diabete, al momento del concepimento e nel corso della gravidanza, è molto importante per evitare problemi alla madre e al feto. La maggior parte dei centri antidiabetici adotta un approccio di équipe che combina le competenze di medici, infermieri, nutrizionisti e assistenti sociali. I centri

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Gravidanza complicata dalla malattia

regionali di perinatologia dispongono di specialisti, prontamente disponibili, in oftalmologia, nefrologia, neurologia, cardiologia, anestesiologia, perinatologia e neonatologia. Una consulenza prima del concepimento, associata a un controllo del diabete, è importante perché le malformazioni congenite che si hanno in corso di gravidanze complicate dal diabete, possono essere legate ad alterazioni del metabolismo materno verificatesi durante l’embriogenesi; l’organogenesi è completata entro la 10a-12a sett. di gestazione. Tutte le pazienti devono controllare la glicemia a casa. La Tab. 251-1 è una semplice guida per il trattamento delle donne gravide affette da diabete di tipo I (diabete mellito insulino-dipendente), di tipo II (diabete mellito non insulino-dipendente) e da diabete gestazionale. Durante la gravidanza, l’insulina è sempre necessaria per la paziente affetta da un diabete di tipo II. I dettagli della terapia variano tra i centri e il trattamento delle pazienti va individualizzato. Per le pazienti con un diabete di tipo I, il sovradosaggio insulinico è un rischio del controllo metabolico stretto, indipendentemente dalla via di somministrazione. In alcune di queste pazienti, l’ipoglicemia non stimola la normale secrezione degli ormoni antagonisti (catecolamine, glucagone, cortisolo e ormone della crescita) e il coma ipoglicemico si può verificare senza alcun sintomo premonitore. Tutte queste pazienti devono avere a disposizione dei preparati di glucagone e devono essere istruite (così come i loro familiari), a effettuare iniezioni sottocutanee di glucagone in caso di grave ipoglicemia (stato di incoscienza, confusione o livelli glicemici < 40 mg/dl [< 2,2 mmol/l]). In corso di gravidanza, un buon controllo del diabete consiste nell’assenza di ampie fluttuazioni del tasso glicemico, una concentrazione di Hb A1c < 8% e una glicosuria < 1 g/die (< 5,5 mmol/die). Durante la gravidanza, i normali livelli glicemici a digiuno sono pari a circa 76 mg/ dl (4,2 mmol/l) mentre quelli due ore dopo il pasto sono 120 mg/dl (6,6 mmol/l). È raccomandata, inoltre, la somministrazione di insulina umana per ridurre al minimo la formazione di anticorpi. Gli anticorpi anti-insulina attraversano la placenta, ma il loro effetto sul feto (se esiste) è sconosciuto.

Complicanze Le complicanze mediche e ostetriche, come le infezioni, il travaglio pre-termine e l’ipertensione indotta dalla gravidanza, sono trattate come descritto altrove in questo capitolo e nel Cap. 253. Non è stata riscontrata alcuna differenza nella prevalenza o nella gravità della retinopatia, della nefropatia o della neuropatia tra le donne diabetiche che hanno avuto o meno delle gravidanze. La retinopatia e la nefropatia diabetiche non costituiscono una controindicazione al concepimento né sono una ragione per interrompere la gravidanza, ma richiedono una valutazione prima del concepimento e un accurato controllo prima e durante la gravidanza. Si raccomanda di eseguire un controllo oftalmologico all’inizio e poi ogni mese. Se viene riscontrata una retinopatia proliferativa nel corso della prima visita prenatale, la paziente deve essere sottoposta a fotocoagulazione quanto prima possibile, per prevenire un progressivo deterioramento. Non ci sono dati che indichino che la nefropatia peggiori a causa della gravidanza e le complicanze renali in tale periodo sono rare. Le donne affette da insufficienza renale cronica e che si sottopongono a emodialisi, raramente hanno gravidanze che si concludono con successo, ma alcuni neonati sono sopravvissuti. Una donna su 50 sottoposte a trapianto renale rimane gravida. L’ipertensione indotta dalla gravidanza si verifica nel 25% di queste gravidanze, così come sono di comune riscontro anche altre complicanze. L’incidenza dei parti pre-termine è correlata alla funzionalità renale della madre e al tempo trascorso dal trapianto; i neonati di peso normale alla nascita, partoriti a termine, hanno la migliore prognosi, quando l’intervallo è 2 anni dal trapianto. Le malformazioni congenite degli organi maggiori sono state positivamente correlate con elevate concentrazioni di Hb A1c al momento del concepimento e file:///F|/sito/merck/sez18/2512189b.html (2 of 4)02/09/2004 2.06.20

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durante l’embriogenesi (le prime 8 sett.). Per le donne con un diabete di tipo II, l’uso di farmaci ipoglicemizzanti orali nel 1o trimestre è stato associato a malformazioni cardiache, delle orecchie e all’anomalia VATER (Vertebrale, Anale, TracheoEsofagea, Renale). Nelle gravidanze complicate da un diabete di tipo I o II, la causa principale di mortalità neonatale è data dalle malformazioni congenite incompatibili con la vita. Quindi, deve essere misurata la concentrazione sierica materna di α-fetoproteine tra la 16a e la 18a sett. di gestazione e deve essere eseguita una valutazione ecografica completa tra la 18a e la 22a sett.; se il livello sierico materno è anormale, deve essere misurato il livello delle α-fetoproteine nel liquido amniotico. Le alterazioni dei livelli sierici materni o del liquido amniotico, come le alterazioni dell’esame ecografico, sono suggestive di anomalie del tubo neurale o di altri difetti di sviluppo. Un’ecocardiografia fetale deve essere eseguita se il valore dell’Hb A1c è anormalmente elevato alla prima visita prenatale o durante il 1o trimestre.

Travaglio e parto Durante il 3o trimestre, la cura della donna diabetica consiste principalmente nel controllo della glicemia materna, nella valutazione del benessere fetale e nella determinazione del grado di maturazione polmonare del feto. Per la maggior parte delle donne con diabete gestazionale, il travaglio inizia spontaneamente a termine e il parto avviene per via vaginale. Se queste gravidanze continuano oltre il termine (42a sett.), il feto è a rischio di morte intrauterina e, quindi, deve essere indotto il travaglio. Molti ostetrici suggeriscono l’induzione alla 40a sett. Anche quando i livelli di glicemia materni sono stati più o meno normali durante la gravidanza, c’è il rischio di una macrosomia. Quindi, il parto cesareo può essere necessario nei casi di complicanze del travaglio o di sproporzione cefalopelvica o per evitare la distocia di spalla e i traumi al neonato e al canale del parto. L’ostetrico deve valutare lo stato di benessere fetale alla 32a sett. monitorando la frequenza cardiaca fetale (con il non stress test) e il profilo biofisico. La paziente inoltre, deve essere istruita a contare i movimenti fetali per 30 minuti consecutivi, ogni giorno; una riduzione improvvisa deve essere riferita immediatamente all’ostetrico. Il non stress test può essere iniziato in un’epoca gestazionale più precoce nelle donne affette da complicanze quali l’ipertensione, l’idramnios, la rottura prematura delle membrane, il ritardo di crescita intrauterino, il travaglio prematuro, l’infezione o i difetti di sviluppo. La maggior parte dei diabetologi e dei perinatologi non misura i livelli materni, sierici o urinari, di estriolo, perché questi costosi test non sono i più utili né i più pratici per la valutazione del benessere fetale. L’amniocentesi non è eseguita di routine per accertare la maturità polmonare fetale nelle donne il cui il diabete è ben controllato e che abbiano dei criteri di datazione ben documentati; tuttavia, è spesso necessaria nelle donne con complicanze ostetriche, cure prenatali inadeguate o scarso controllo del diabete. Il controllo della glicemia, durante il travaglio e il parto, è più facile quando l’insulina è somministrata sotto infusione continua a basse dosi alle donne affette da un diabete di tipo I o di tipo II. La paziente è ricoverata 1 giorno prima dell’induzione del travaglio e riceve la sua dieta e la sua dose di insulina usuali. La colazione e la dose di insulina della mattina successiva sono sospese, viene misurata la glicemia basale a digiuno e viene iniziata un’infusione EV di destroso al 5% in soluzione di cloruro di sodio allo 0,5% alla velocità di 125 ml/h, usando una pompa infusionale. Generalmente, se la glicemia capillare è < 80 mg/ dl (< 4,4 mmol/l), la dose iniziale di insulina è 0; se la glicemia è 80-100 mg/dl (4,45,5 mmol/l), la dose è di 0,5 U/h. In seguito, la dose è aumentata di 0,5 U/h per ogni aumento di 40-mg/dl della glicemia fino a 2,5 U/h per livelli > 220 mg/dl (> 12,2 mmol/l). Delle correzioni devono essere apportate per ciascuna paziente, come necessario. Durante il travaglio, la glicemia è controllata ogni ora con un apparecchio, a letto della paziente, e la dose di insulina è aggiustata ogni ora, se necessario, raddoppiando o dimezzando la sua concentrazione in modo che una normale glicemia (70-120 mg/dl [3,8-6,6 mmol/l]) sia mantenuta. Se la glicemia è file:///F|/sito/merck/sez18/2512189b.html (3 of 4)02/09/2004 2.06.20

Gravidanza complicata dalla malattia

> 110 mg/dl (> 6,1 mmol/l), 10 U di insulina amorfa sono aggiunte ai 1000 ml della infusione EV; la velocità di infusione è mantenuta costante. Per il travaglio spontaneo, viene seguita la stessa procedura. La richiesta di insulina è inferiore se la paziente ha assunto insulina ad azione intermedia nelle precedenti 12 h. Le pazienti con febbre, infezioni o altre complicanze richiedono dosi maggiori, così come le pazienti obese affette da un diabete di tipo II che hanno avuto bisogno di > 100 U di insulina/die prima del parto.

Cura post-partum Dopo il parto, l’immediata riduzione del fabbisogno insulinico è dovuta all’improvvisa perdita della placenta che è fonte, durante la gravidanza, di una grande quantità di peptidi e steroidi. Nell’immediato periodo post-partum, le donne affette da un diabete gestazionale, e molte di quelle con un diabete di tipo II, non hanno bisogno di insulina. Nelle donne con un diabete di tipo I, il fabbisogno di insulina diminuisce notevolmente, ma poi riaumenta gradualmente dopo circa 72 h. Durante le prime 6 sett. dopo il parto, la terapia insulinica deve essere attentamente riaggiustata nelle donne affette da un diabete di tipo I o di tipo II per ottenere un adeguato controllo della glicemia. Queste donne devono controllare la glicemia prima dei pasti e al momento di andare a letto. L’allattamento al seno non è controindicato, ma può essere associato a ipoglicemia nelle donne con un diabete di tipo I. Nelle donne con un diabete di tipo II si raccomanda di continuare la terapia con l’insulina durante l’allattamento, piuttosto che con gli ipoglicemizzanti orali. Le donne che hanno avuto un diabete gestazionale devono sottoporsi a un test da carico di glucoso orale con 75 g e alla misurazione della glicemia dopo 2 ore, tra la 6a e la 12a sett. dopo il parto, per vedere se sono normali, francamente diabetiche o hanno una diminuita tolleranza al glucoso (secondo i criteri OMS). I neonati di madri diabetiche devono essere attentamente valutati. Sono a rischio di distress respiratorio, ipoglicemia, ipocalcemia, iperbilirubinemia, policitemia e iperviscosità.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO CURE PRENATALI Idealmente, la prima visita prenatale deve essere fatta prima del concepimento, per permettere al medico di identificare eventuali malattie; di mettere in guardia la paziente contro l’uso di tabacco, droghe, alcolici e altre sostanze; di verificare le sue buone condizioni fisiche. Devono essere chiarite le misure igieniche di vita come la dieta corretta, l’esercizio fisico e l’intervallo adeguato tra una gravidanza e l’altra e, se necessario, la paziente deve essere indirizzata in strutture specialistiche adeguate. I rischi dell’esposizione agli escrementi del gatto (che può causare la toxoplasmosi), ai bagni caldi, alla rosolia, al fumo passivo e ai vapori delle vernici devono essere considerati. Ogni problema sociale o medico che viene evidenziato deve essere specificatamente trattato. Tutte le donne gravide devono essere visitate tra la 6a e l’8a sett. di gravidanza (cioè, quando la mestruazione è in ritardo di 2-4 sett.), in modo da determinare precocemente l’epoca gestazionale e da definire con maggiore accuratezza la data del parto. La prima visita deve includere un esame obiettivo completo, incluse le determinazioni del peso, dell’altezza e della PA; la palpazione del collo e della tiroide; l’auscultazione del cuore e dei polmoni; l’esame delle mammelle, dell’addome e degli arti; e un esame del fondo dell’occhio. Deve essere, poi, eseguita una visita pelvica completa. La visita bimanuale del retto e della vagina accerta la grandezza e la conformazione dell’utero e la normale condizione degli annessi. La capacità della pelvi può essere determinata provando a toccare il promontorio del sacro con il dito medio, per via vaginale; se la distanza tra il promontorio e la base della sinfisi pubica è > 11,5 cm, lo stretto superiore della pelvi è quasi certamente adeguato. Si deve calcolare anche la distanza tra le spine ischiatiche; 9 cm è considerato normale. Per valutare la profondità della pelvi si deve calcolare la lunghezza dei legamenti sacro-spinosi; una misura pari o superiore ai 4-5 cm è considerata normale. L’angolo sottopubico in una donna normale è di 90°. Gli esami di laboratorio devono includere un emocromo, un STS, un test su siero per il virus dell’epatite B, un esame colturale per la gonorrea e la chlamydia, la tipizzazione del gruppo sanguigno e del fattore Rh e lo screening per gli anticorpi, il livello degli anticorpi contro la rosolia (a meno che un precedente esame fosse positivo), un esame completo delle urine, un esame colturale di screening delle urine e un test di Papanicolaou della cervice. Le donne di colore devono essere esaminate per la costituzione genetica eterozigote o per la malattia falciforme. Si devono raccomandare gli studi genetici alle donne che sono comprese nelle categorie a più alto rischio (v. Cap. 247). Le donne che provengono dall’Asia o dall’America Latina, le donne senza fissa dimora e le altre donne suscettibili, devono eseguire l’intradermoreazione per la TBC. Una rx del torace è necessaria solo se la paziente ha un’anamnesi positiva per una malattia cardiaca o polmonare; in caso contrario, l’esposizione ai raggi X deve essere evitata in corso di gravidanza, specialmente durante i primi 3 mesi. In ogni caso, se è richiesto un esame radiologico, il feto deve essere schermato. L’ecografia è la metodica per immagini di scelta in ostetricia. Infatti molti ostetrici ritengono che, in ogni gravidanza, si debba eseguire almeno un esame ecografico per assicurarsi che l’andamento sia soddisfacente. Poiché l’attrezzatura è portatile, la si può adoperare in studio o in sala travaglio. L’utero ripieno di liquido facilita la visualizzazione ecografica del feto e della placenta e il profilo arrotondato dell’addome gravido rende la scansione più efficace. Prima dell’esame, specialmente nella prima fase della gravidanza, la paziente deve bere acqua perché la vescica piena spinge l’utero al di fuori della pelvi e aumenta file:///F|/sito/merck/sez18/2492165.html (1 of 5)02/09/2004 2.06.21

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

la visualizzazione del suo contenuto durante l’ecografia addominale. La gravidanza (sacco gestazionale e polo fetale) può essere evidenziata già alla 4a5a sett. e lo sviluppo fetale può essere seguito fino al parto. L’ecografia eseguita per via transvaginale elimina la necessità di avere la vescica piena e spesso individua la cavità gestazionale prima di quanto non faccia l’ecografia addominale. Eseguendo un nomogramma sulla base delle misurazioni ecografiche del diametro biparietale o del diametro trasverso del torace o di entrambi, la crescita fetale può essere valutata in termini di peso. Questa tecnica permette al medico di rilevare i cambiamenti improvvisi nella crescita fetale, di confrontare lo sviluppo fetale effettivo con la data presunta del parto e valutare la maturità del feto, nel caso si debba procedere all’espletamento di un parto prematuro per ragioni di salute materna. L’ecografia è usata per la datazione di una gravidanza se la data del parto è dubbia a causa di mestruazioni irregolari o per un’anamnesi mestruale non ottenibile. La definizione dell’età gestazionale è più precisa entro la 12a sett. La precisione della datazione ha un variabilità di ± 4 gg all’8a sett. e ± 10 gg alla 13a. Più tardi nel corso della gravidanza, ma prima della 32a sett., osservazioni ecografiche seriate con il rilevamento del diametro biparietale della testa fetale possono aiutare a confermare la datazione. Dopo la 32a sett. la stima dell’ecografia ha uno scarto di ± 3 sett. Se l’utero non cresce normalmente, si può usare l’ecografia per valutare la crescita fetale sin dalla 18a sett., ma i risultati sono più accurati tra la 28a e la 32a sett. L’ecografia è utilizzata anche per accertare la presenza di una gravidanza multipla, di una mola idatidiforme, di un polidramnios (idramnios), di una placenta previa, la posizione della placenta e la presenza di una gravidanza ectopica; per stabilire la posizione e le dimensioni fetali o per appurare perché un utero è più grande o più piccolo rispetto all’epoca gestazionale e, di solito, nella maggior parte degli ospedali, per guidare l’ago in corso di amniocentesi e di trasfusione fetale. È stato approntato un profilo biofisico per il sospetto di sofferenza fetale; esso include la misurazione del liquido amniotico e le caratteristiche del tono muscolare, dei movimenti del corpo e di quelli respiratori del feto. Per identificare una gravidanza ad alto rischio è stato proposto il monitoraggio con il Doppler del battito cardiaco e dei movimenti respiratori. Le metodiche per la diagnosi intrauterina delle anomalie fetali strutturali (p. es., anencefalia, idrocefalia, spina bifida, mielomenigocele, difetti cardiaci congeniti, ostruzioni intestinali e dell’apparato urinario, policistosi renale) stanno rapidamente migliorando (v. Cap. 247). L’ecografia in tempo reale permette l’osservazione diretta dei movimenti fetali e cardiaci. Una pelvimetria radiologica è raramente indicata. La combinazione di una visita ginecologica adeguata per la determinazione della grandezza e della configurazione dell’utero, di un esame ecografico per la determinazione della posizione e di eventuali anomalie fetali e un travaglio di prova per valutare la dilatazione e la progressione è, in genere, sufficiente per garantire la buona riuscita in caso di presentazioni di vertice o podalica. Le visite di controllo devono essere eseguite a intervalli di 4 sett. fino alla 32a, ogni 2 sett. fino alla 36a e quindi ogni settimana fino al momento del parto. Ad ogni visita sono misurati il peso e la PA della paziente e la grandezza e il profilo dell’utero, per vedere se l’accrescimento corrisponde all’epoca gestazionale. Il battito cardiaco fetale può essere ascoltato già dalla 10a-12a sett. con il Doppler. A partire dalla 18a sett. lo si può ascoltare con uno stetoscopio appositamente progettato (DeLee-Hillis) e registrarlo nel corso di ogni controllo. Le caviglie della paziente devono essere esaminate per rilevare eventuali edemi. Le urine sono esaminate per la presenza di albumina e di glucoso ad ogni visita e l’Htc è misurato ogni trimestre. Le gestanti ad alto rischio di gonorrea o di infezioni da chlamydia devono ripetere uno striscio per esame colturale alla 36a sett. I controlli possono essere eseguiti dal medico generico o da un’infermiera e non richiedono uno specialista, a meno che non si rilevino anormalità. Ad ogni visita file:///F|/sito/merck/sez18/2492165.html (2 of 5)02/09/2004 2.06.21

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

si deve dedicare del tempo a rispondere alle eventuali domande e a preparare la donna ad affrontare il travaglio e il parto; deve essere incoraggiata a frequentare i corsi per la psicoprofilassi al parto insieme al marito o a un’altra persona di sostegno. Un’accurata datazione del parto deve essere stabilita il prima possibile nel corso della gravidanza. Nelle gravidanze normali, la datazione può essere accuratamente determinata dalla combinazione dell’esame pelvico eseguito precocemente nel 1o trimestre, l’ecografia eseguita nel 1o o all’inizio del 2o trimestre e l’auscultazione settimanale del battito cardiaco fino alla 18a sett.; questi esami devono essere eseguiti in tutte le gravidanze. Nelle fasi finali della gravidanza, tutte le decisioni riguardanti la ripetizione di un taglio cesareo, la rottura prematura delle membrane o il travaglio pre-termine, possono essere prese con sicurezza sulla base di questi dati. Alla 15a-16a sett. si deve proporre un test per la misurazione dell’α-fetoproteina (AFP) (v. anche Cap. 247). Un livello elevato di AFP può indicare un difetto del tubo neurale, una gravidanza multipla o un errore nel calcolo dell’epoca gestazionale. Un valore anormalmente basso può indicare delle anomalie cromosomiche. Le donne con una storia di neonati di peso elevato o di aborti inspiegati, di una persistente glicosuria o con un’importante storia familiare di diabete devono essere valutate per la presenza di un anormale metabolismo dei carboidrati nel 1o trimestre o all’inizio del 2o trimestre. Tutte le pazienti devono essere state studiate entro la 28a sett. La paziente assume 50 g di glucoso disciolto in acqua naturale o effervescente a un orario qualunque (senza digiuno) e la glicemia viene determinata un’ora più tardi. Le pazienti che hanno una glicemia 135 mg/dl (7,5 mmol/l), devono eseguire un test da carico standard con una dose di glucoso di 100 g e la misurazione dei livelli glicemici nelle 3 h successive. Se la paziente è Rh negativa, il titolo degli anticorpi Rh deve essere misurato nuovamente alla 26a-27a sett., e se il padre del bambino è sicuramente Rh positivo, alla paziente devono essere somministrati 300 µg di immunoglobuline Rh0(D) alla 28a sett. (v. anche Test di compatibilità nel Cap. 129). Un’analoga dose va somministrata anche se si esegue un’amniocentesi o un prelievo di villi coriali, o qualora si verifichi un sanguinamento significativo. Successivamente non vanno eseguite ulteriori titolazioni degli anticorpi. Il sangue prelevato dal cordone ombelicale può risultare debolmente positivo a un test di Coombs diretto, ma un tale risultato non è significativo. Se il neonato è Rh0(D) positivo, alla madre si deve somministrare un’altra dose di immunoglobuline Rh0(D). L’aumento del peso nel corso della gravidanza deve essere, per una donna di taglia media, di circa 11,2-13,5 kg o di 0,9-1,4 kg per mese di gravidanza. Un aumento > 13,5-15,8 kg è eccessivo e indica un accumulo di grasso nella madre e nel feto. La paziente deve essere messa in guardia circa il fatto che controllare il peso nelle fasi più avanzate della gravidanza è più difficile e che non si deve aumentare della maggior parte del peso consentito durante i primi mesi. Comunque, il mancato accrescimento ponderale costituisce un segno negativo, specialmente se è < 4,5 kg. Infatti, un certo aumento ponderale è essenziale per un corretto sviluppo fetale e il mantenimento di un regime dietetico durante la gravidanza non è raccomandato, neanche per le pazienti molto obese, perché riduce l’apporto nutrizionale al feto. La ritenzione di liquidi, dovuta alla stasi a livello degli arti inferiori causa, occasionalmente, un aumento ponderale, ma può venire eliminata facendo giacere la paziente su di un fianco (preferibilmente quello sinistro) per 30-45 minuti tid o qid, favorendo la diuresi. Si devono aggiungere circa 250 kcal al giorno alla dieta giornaliera della paziente, per provvedere adeguatamente alla nutrizione del feto. La maggior parte di queste calorie deve essere fornita dalle proteine, ma il valore di una dieta nutriente e ben bilanciata (che includa frutta e verdure fresche) deve essere enfatizzato durante tutta la gravidanza. Sebbene il feto abbia fisiologicamente la precedenza nella scelta delle sostanze nutritive, la scelta deve interessare le sostanze che vale la pena di assumere. Si deve incoraggiare il consumo di cereali ad alto contenuto di fibre e poveri di zuccheri. Il sale (preferibilmente file:///F|/sito/merck/sez18/2492165.html (3 of 5)02/09/2004 2.06.21

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

iodato) può essere usato con moderazione, ma i cibi eccessivamente salati o che siano addizionati con conservanti devono essere evitati. L’uso dei farmaci, incluse le vitamine e l’aspirina, deve essere scoraggiato. Nessun farmaco deve essere prescritto senza una specifica indicazione (v. Farmaci in gravidanza, oltre). La maggior parte delle donne ha bisogno di un supplemento di ferro; devono essere usati i sali di ferro che forniscono 30 mg di ferro/die o, se la donna è anemica, 60 mg/die. Il solfato di ferro, 300 mg PO bid, è di solito sufficiente, ma il gluconato di ferro, 450 mg PO bid, può essere tollerato meglio. Dosi maggiori irritano il tratto GI della madre, con un modesto aumento nella quantità di ferro assorbita. Deve essere somministrato anche un supplemento di acido folico perché le tipiche diete non ne contengono a sufficienza. Bassi livelli di acido folico possono causare dei difetti del tubo neurale. L’acido folico, 1 mg/die PO (4 mg/die per le donne che hanno avuto un bambino affetto) viene somministrato, di solito, sotto forma di preparato vitaminico, che contiene anche il ferro, da assumere durante la gravidanza. Se la dieta è adeguata, non è necessario somministrare altri supplementi nutrizionali. Per la nausea e il vomito, il trattamento dietetico deve precedere quello farmacologico. La paziente deve essere istruita a bere e mangiare in piccole quantità e di frequente (per evitare la fame) e assumere solo cibi leggeri quali le minestre, i consommè, il riso e la pasta. Dei cracker e una bevanda analcolica alleviano spesso il senso di nausea. Mangiare prima di alzarsi può essere di aiuto. Nessun farmaco contro il malessere mattutino è stato finora approvato. Se la nausea e il vomito sono così intensi e persistenti da far sì che la paziente si disidrati, sviluppi una chetosi o perda eccessivamente peso, può rendersi necessaria la sua ospedalizzazione e la somministrazione di liquidi EV (v. Iperemesi gravidica nel Cap. 252). I problemi frequenti includono l’edema (specialmente delle gambe), le varicosità degli arti inferiori e della vulva, le emorroidi, il dolore alla schiena di varia entità, l’affaticamento (specialmente nel 1o trimestre e nelle fasi tardive della gravidanza) e la pirosi. L’edema in genere diminuisce se la paziente indossa delle calze elastiche o riposa spesso con le gambe sollevate o preferibilmente giacendo su di un fianco. Le varicosità possono causare disturbi; può essere di aiuto indossare degli abiti che non stringano a livello della vita e delle gambe. Le emorroidi sintomatiche devono essere trattate con lassativi, anestetici locali e impacchi tiepidi. Per eliminare il mal di schiena può essere d’aiuto evitare gli sforzi eccessivi e indossare una panciera leggera per gestanti. Il trattamento della pirosi include l’assunzione di piccoli pasti, evitare di inchinarsi o stare distesa per diverse ore dopo aver mangiato e usare delle preparazioni antiacide (eccetto il bicarbonato di sodio). Le secrezioni vaginali spesso aumentano, ma, di solito, si tratta di secrezioni fisiologiche. La tricomoniasi vaginale e la candidiasi sono piuttosto frequenti e devono essere trattate. La vaginosi batterica deve essere trattata perché può causare un travaglio prematuro. Si possono verificare le cosiddette "voglie", che consistono in un curioso desiderio per cibi strani o a volte, per cose non commestibili (p. es., amido o argilla) e che possono essere un indizio della carenza di ferro. A volte, la salivazione profusa (ptialismo) è fastidiosa e la paziente lamenta dolore in corrispondenza della sinfisi pubica. Le normali attività e gli abituali esercizi fisici possono essere continuati nel corso di tutta la gravidanza. Il nuoto e gli altri sport non molto faticosi sono consentiti. Una donna gravida può cavalcare o praticare altre attività simili, se è abituata e cauta. Il desiderio sessuale può aumentare o diminuire durante la gravidanza. I rapporti sessuali sono consentiti durante tutta la gravidanza, ma devono essere proibiti se la donna presenta dei sanguinamenti vaginali, dolore o una perdita di liquido amniotico o, in particolare, se si verificano delle contrazioni uterine. Diverse donne gravide sono decedute per embolia gassosa provocata dall’insufflazione di aria all’interno della vagina, in corso di cunnilinguo. Le pazienti devono essere istruite a riportare prontamente qualunque dei seguenti sintomi: cefalea persistente, nausea e vomito persistenti, senso di file:///F|/sito/merck/sez18/2492165.html (4 of 5)02/09/2004 2.06.21

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

vertigine, disturbi del visus, dolore o crampi ai quadranti bassi dell’addome, contrazioni, sanguinamenti vaginali, rottura delle membrane, gonfiore delle mani o della faccia, contrazione della diuresi e qualsiasi malattia o infezione. La paziente deve essere incoraggiata a consultare il proprio medico per qualsiasi problema la preoccupi. Infine, i segni dell’inizio del travaglio devono essere passati in rassegna con la paziente. Il segno principale è l’insorgenza di dolori lombari o di contrazioni ai quadranti inferiori dell’addome, che si ripetono a intervalli regolari. Una multipara con una storia di travagli rapidi deve avvertire il medico appena pensa che stia iniziando il travaglio. Dopo la 36a sett. di gravidanza, molti medici preferiscono visitare la paziente per via vaginale per cercare di fare previsioni sull’inizio del travaglio. Tuttavia, la visita vaginale eseguita alla fine della gravidanza è stata associata alle infezioni intrauterine e alla rottura prematura delle membrane.

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 129. MEDICINA TRASFUSIONALE TEST PRETRASFUSIONALI Sommario: Introduzione TEST DI COMPATIBILITÀ TEST ABBREVIATI

Il donatore di sangue viene testato per determinare la sua idoneità alla trasfusione e la compatibilità con il ricevente. I test comprendono la determinazione del gruppo ABO e Rh(D), lo screening per gli anticorpi e i test per la presenza di marker di malattie infettive e che comprendono la sifilide, l’antigene di superficie per l’epatite B, l’ALT, l’antigene HIV-1 p24 e gli anticorpi contro il core dell’epatite B, i virus linfotropi per i linfociti T (HTLV-I e HTLV-II), il virus dell’epatite C, così come l’HIV-1 e l’HIV-2 (v. anche trasmissione di malattie virali, più avanti).

TEST DI COMPATIBILITÀ La caratterizzazione ABO del sangue del donatore e del ricevente è eseguita per prevenire la trasfusione di GR incompatibili (v. Fig. 129-1 e Tab. 129-2). Di regola, il sangue per la trasfusione deve essere dello stesso tipo ABO del ricevente. Nelle situazioni urgenti o quando il corretto tipo ABO è in dubbio, GR di tipo O (non sangue intero, v. Reazione acuta emolitica trasfusionale, oltre) possono essere usati per pazienti di qualsiasi gruppo ABO. La determinazione del fattore Rh determina la presenza (Rh-positivo) o meno (Rh-negativo) del fattore Rh0 (D) sui GR. I pazienti Rh-negativi devono ricevere sempre sangue Rh negativo a esclusione delle situazioni di emergenza, in cui il paziente corre pericolo di vita e non si dispone di sangue Rh-negativo. I pazienti Rh-positivi possono ricevere sangue Rh positivo o negativo. Occasionalmente, GR di alcune persone Rh-positive reagiscono più debolmente alla determinazione Rh standard (D debole o Du, positivo), ma queste persone sono ancora considerate Rh-positive. Lo screening per gli anticorpi irregolari contro i GR è eseguito sistematicamente su campioni pretrasfusionali del potenziale ricevente e in periodo prenatale su campioni materni. Gli anticorpi irregolari sono specifici per gli antigeni eritrocitari diversi dal sistema ABO, p. es., Rh0 (D), Kell (K) o Duffy (Fya). La scoperta precoce è importante poiché questi anticorpi possono causare l’insorgenza della malattia emolitica del neonato (MEN, v. anche il Cap. 260) e gravi reazioni trasfusionali; essi possono complicare e ostacolare inoltre le prove crociate, ritardando così il reperimento di sangue compatibile. Il test antiglobulinico indiretto (il test di Coombs indiretto) è il metodo usato per lo screening di anticorpi irregolari anti GR. I GR del test sono aggiunti al siero del paziente, incubati, lavati, testati con globulina antiumana e osservati al fine di rilevare agglutinazione. Questo esame può essere positivo in presenza di un anticorpo di gruppo sanguigno irregolare o quando l’anticorpo libero (non legato

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Medicina trasfusionale

ai GR) è presente nelle anemie emolitiche autoimmuni (v. Cap. 127). Una volta che un anticorpo è stato rivelato, viene determinata la sua specificità. La conoscenza della specificità dell’anticorpo aiuta a determinare il significato clinico, a scegliere il sangue compatibile e a trattare la MEN. Il test dell’antiglobulina (o test di Coombs diretto) rivela la presenza di anticorpi adesi alla membrana cellulare dei GR del paziente I GR lavati vengono trattati con globina antiumana e osservati per l’agglutinazione Non si effettua incubazione in vitro con siero. Un test positivo, se correlato con i reperti clinici, suggerisce un’anemia emolitica autoimmune o una MEN. La titolazione anticorpale è eseguita quando un anticorpo irregolare anti-GR clinicamente significativo è identificato nel siero di una donna in gravidanza o in un paziente con anemia emolitica da crio-autoanticorpo. Sebbene il titolo anticorpale materno in realtà correli poco con la gravità della malattia emolitica nel feto incompatibile, è tuttavia usato spesso come parte dell’algoritmo di trattamento della MEN. L’aggiunta di un cross-match alla determinazione di gruppo ABO/Rh e lo screening degli anticorpi aumenta la rivelazione di incompatibilità solo dello 0,01%. In un ricevente con un anticorpo clinicamente significativo anti-GR, le unità di GR negative per il corrispondente antigene sono selezionate e ulteriormente testate per la compatibilità con un cross-match antiglobulinico utilizzando il siero del ricevente, i GR del donatore e globulina antiumana. Nei riceventi senza anticorpi anti-GR clinicamente significativi, un immediato spin cross-match, che omette la fase con antiglobulina, conferma la compatibilità ABO.

TEST ABBREVIATI La trasfusione urgente può precludere un approfondito esame di compatibilità. Quando il tempo lo permette (occorrono circa 10 min), può essere fornita la determinazione specifica di gruppo ABO/Rh. In circostanze più urgenti, GR di gruppo O sono trasfusi se il tipo ABO è incerto, mentre sangue Rh-negativo si trasfonde se il gruppo Rh è incerto. La procedura "type and screen" può essere richiesta in circostanze in cui non è richiesta verosimilmente una trasfusione, come nella chirurgia elettiva. Si procede alla determinazione del gruppo sanguigno ABO/Rh e alla ricerca degli anticorpi. Se questa seconda determinazione risulta negativa e il paziente necessita di sangue, si può procedere alla trasfusione dei GR ABO/Rh specifici senza la fase delle prove crociate; se è presente un anticorpo irregolare, è necessario selezionare il sangue ed eseguire le prove crociate appropriate.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 129-2. CARATTERISTICHE E REAZIONI DEI GRUPPI SANGUIGNI DEL SISTEMA ABO Globuli rossi

Siero

Reazioni con reagenti

Gruppo Antigeni ABO presenti

Anti-A

O

Nessuno

Negativo Negativo Negativo

A

A

Positivo

B

B

Negativo Positivo

AB

AeB

Positivo

Anti-B

Anti-A,B

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Reazioni con reagenti Cellule A

Cellule B

Anti-A e Anti-B

Positivo

Positivo

Anti-B

Negativo

Positivo

Positivo

Anti-A

Positivo

Negativo

Positivo

Nessuno

Negativo

Negativo

Negativo Positivo Positivo

Anticorpo presente

Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE I neonati vengono classificati come pretermine, a termine e post-termine. L’età gestazionale, che rappresenta il determinante principale della maturità degli organi, può essere rapidamente e accuratamente determinata nei primi giorni dopo la nascita utilizzando il nuovo punteggio di Ballard (v. Fig. 256-1). Tracciando un diagramma nel quale il peso viene posto in relazione all’età gestazionale (v. Fig. 260-1), ogni bambino viene dunque classificato come piccolo, appropriato o grande per l’età gestazionale. Anche la circonferenza cranica e la lunghezza vengono poste in un diagramma insieme all’età gestazionale (v. Fig. 260-2). Questi parametri possono essere modificati da fattori genetici e da condizioni intrauterine anomale, che possono predisporre a problemi perinatali. Esse aiutano anche a prevedere il successivo accrescimento e lo sviluppo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 256-1. FATTORI NEONATALI DI RISCHIO ELEVATO PER IPOACUSIA Peso alla nascita < 1500 g Indice di Apgar 5 a 5 min Bilirubinemia > 22 mg/dL (> 376 mmol/ l) in un neonato il cui peso alla nascita è > 2000 g, oppure > 17 mg/dl (> 290 µmol/l) in un neonato < 2000 g Anossia Sepsi o meningite neonatale Iperbilirubinemia neonatale Convulsioni o crisi di apnea Infezione intrauterina congenita, come rosolia, in fezione da citomegalovirus o toxoplasmosi Trattamento con aminoglicosidi Storia di ipoacusia precoce in uno dei genitori o in un familiare

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO FARMACI IN GRAVIDANZA In uno studio, il 90% delle donne gravide assumeva preparazioni, prescritte o da banco, appartenenti a 48 classi di farmaci. Quelli più frequentemente assunti includono gli antiemetici, gli antiacidi, gli antiistaminici, gli analgesici, gli antimicrobici, i tranquillanti, gli ipnotici, i diuretici, i farmaci sociali e le sostanze illecite (v. anche Cap. 250). Tuttavia, i farmaci sono responsabili solo del 2-3% di tutte le malformazioni congenite; la maggior parte è dovuta a cause genetiche, ambientali o sconosciute. L’uso di farmaci durante la gravidanza è complicato dalla dinamica delle variazioni biochimiche della madre e del feto. I farmaci passano dalla madre al feto seguendo la stessa strada che assicura al feto le sostanze per il nutrimento e lo sviluppo e che permette la rimozione dei prodotti catabolici del feto. Lo scambio si verifica principalmente a livello della placenta, dove i villi che contengono i capillari fetali protrudono nei seni (spazi intervillosi). Il sangue arterioso materno giunge in questi spazi e poi drena nelle vene uterine per ritornare nella circolazione sistemica materna (v. Cap. 248). Il sangue materno e quello fetale non si mescolano. I soluti del sangue materno devono attraversare le cellule epiteliali e il tessuto connettivo dei villi e l’endotelio dei capillari fetali; da qui vengono poi trasportati al feto attraverso le vene placentari, che, a loro volta, convergono nella vena ombelicale. I farmaci somministrati in gravidanza possono nuocere al feto producendo un effetto letale, tossico o teratogeno sull’embrione o sul feto; causando una vasocostrizione dei vasi placentari e influenzando così lo scambio di gas e di elementi nutritivi tra il feto e la madre; causando un grave ipertono uterino che provoca danni fetali da anossia o, indirettamente, alterando l’equilibrio biochimico della madre. L’effetto di un farmaco sul feto è determinato in gran parte dall’età del feto, dalla potenza e dal dosaggio del farmaco. Le sostanze somministrate prima del 20o giorno dal concepimento possono agire secondo la legge del tutto o nulla, cioè o provocando la morte dell’embrione o non danneggiandolo affatto. La teratogenesi è improbabile durante questa fase. Il periodo dell’organogenesi (tra la 3a e l’8a sett.) è critico per gli effetti teratogeni. In questa fase, i farmaci che raggiungono l’embrione possono non determinare effetti rilevabili, possono provocare l’aborto, un importante difetto anatomico subletale (vero effetto teratogenico) o un difetto permanente di natura metabolica o funzionale che si può evidenziare in un’epoca successiva (embriopatia latente). I farmaci somministrati dopo la fase dell’organogenesi (cioè nel secondo e terzo trimestre) difficilmente hanno un effetto teratogeno, ma possono alterare lo sviluppo e le funzioni degli organi e dei tessuti fetali normalmente formati. Le modalità di diffusione dei farmaci attraverso la placenta sono simili a quelle con cui diffondono attraverso altre barriere epiteliali (v. Assorbimento nel Cap. 298). Dopo che un farmaco è stato somministrato a una donna gravida, la sua concentrazione plasmatica è maggiore nella vena ombelicale che nell’arteria ombelicale. L’equilibrio tra il circolo materno e i tessuti fetali si raggiunge dopo almeno 40 minuti. Nell’ora prima del parto, i farmaci che passano attraverso la placenta (p. es., gli anestetici locali e i narcotici, che sono comunemente usati durante il travaglio) devono essere somministrati con cautela per evitare una tossicità nel neonato, perché dopo che il cordone è stato tagliato, il neonato (i cui processi metabolici ed escretori sono ancora immaturi) elimina i farmaci trasferiti

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

molto più lentamente, attraverso il metabolismo epatico o l’escrezione urinaria. La FDA classifica i farmaci in 5 categorie di sicurezza per l’uso in gravidanza (v. Tab. 249-1). Queste categorie sono universalmente accettate e sono spesso utili per determinare il rapporto rischio/beneficio quando si prescrivono dei farmaci in gravidanza. Le classi dei farmaci o dei farmaci specifici possono avere degli effetti avversi sul feto. Farmaci antineoplastici: poiché i tessuti embrionali sono caratterizzati da una crescita rapida e da un elevato turnover del DNA, essi somigliano ai tessuti neoplastici e sono, quindi, molto vulnerabili ai farmaci antineoplastici. L’aminopterina è stato il primo farmaco di cui sia stata dimostrata la teratogenicità nell’uomo. Molti antimetaboliti e agenti alchilanti (compreso il metotrexato, la 6-mercaptopurina, la ciclofosfamide, il clorambucile e il busulfano), possono provocare anomalie fetali come il ritardo di accrescimento intrauterino, l’ipoplasia mandibolare, la palatoschisi, la disostosi cranica, i difetti a carico dell’orecchio e il piede torto. La colchicina, la vinblastina, la vincristina e l’actinomicina D sono teratogene negli animali, ma non è stato dimostrato che lo siano anche nell’uomo. La colchicina aumenta il numero dei cromosomi anomali nelle colture di linfociti, sollevando il sospetto che possa aumentare il rischio di sviluppare una sindrome di Down nella prole. Retinoidi sintetici: l’isotretinoide assunto precocemente nella gravidanza ha causato dei difetti alla nascita e aborti spontanei. Le anomalie più significative includono i difetti cardiaci, la microotia (orecchie piccole) e l’idrocefalia. Il rischio di anomalie è valutato essere del 25%. Un altro 25% dei bambini esposti in utero ha un ritardo mentale isolato. L’etretinato è teratogeno negli animali e nell’uomo. Dopo la somministrazione orale, viene accumulato nel tessuto adiposo sottocutaneo e quindi rilasciato lentamente; il suo metabolita, l’etetrina, produce degli effetti teratogeni fino a 2 anni dopo la sospensione della terapia. Ormoni sessuali: gli androgeni e i progestinici sintetici, somministrati durante le prime 12 sett. di gestazione, possono provocare la mascolinizzazione dei genitali esterni nei feti di sesso femminile. Raramente, un adenocarcinoma a cellule chiare della vagina si sviluppa in adolescenti le cui madri avevano fatto uso, durante la gravidanza, di dietilstilbestrolo (DES), un estrogeno sintetico non steroideo. L’effetto dell’esposizione al DES rappresenta la prima implicazione della carcinogenesi per via transplacentare nell’uomo. Nelle donne esposte in utero al DES, sono state osservate le seguenti alterazioni: anormalità del muco cervicale preovulatorio, cavità uterina a forma di T, disfunzioni mestruali, aborto spontaneo, incompetenza cervicale e aumentata incidenza di gravidanze ectopiche e parto pre-termine. La mortalità perinatale può essere aumentata nei loro bambini. Nei maschi esposti al DES sono state invece osservate la stenosi del meato uretrale e l’ipospadia. Anticonvulsivanti: la palatoschisi; le anomalie cardiache, craniofacciali o viscerali; l’ipoplasia delle unghie e delle dita e il ritardo mentale sono stati più frequentemente osservati nei bambini di donne epilettiche che assumono anticonvulsivanti. I fattori di rischio per la teratogenesi in queste donne possono includere la frequenza e la gravità degli attacchi epilettici, l’uso di un’elevata dose giornaliera di anticonvulsivanti e l’uso contemporaneo di più di tre anticonvulsivanti. Il trimetadione è molto teratogeno ed è quasi sempre controindicato. L’associazione, precedentemente presunta, della sindrome fetale da idantoina (anomalie craniofacciali, deficit di crescita, ritardo mentale difetti degli arti) con la fenitoina è stata messa in discussione perché degli studi mostrano difetti simili nei bambini di madri epilettiche non trattate. Tuttavia, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che il rischio è evidente quando la fenitoina viene usata precocemente in gravidanza. Il fenobarbitale e la carbamazepina sono stati considerati teratogeni, in quanto causano un quadro dismorfico di anomalie minori simili a quelle associate con l’uso della fenitoina. Durante il primo giorno di vita, i neonati esposti in utero alla fenitoina, alla carbamazepina o al fenobarbitale hanno un aumentato rischio di sanguinamento dovuto al deficit di vitamina K indotto dai farmaci. Questa complicanza può essere prevenuta con la somministrazione giornaliera di vitamina K alla donna file:///F|/sito/merck/sez18/2492168.html (2 of 6)02/09/2004 2.06.24

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

gravida, PO, 1 mese prima del parto o IM al neonato dopo la nascita. Tuttavia, poiché si possono verificare delle complicanze dovute alle convulsioni frequenti durante la gravidanza, la donna gravida affetta da epilessia deve essere trattata con fenitoina, carbamazepina o fenobarbitale, usando la più bassa dose efficace e controllandola strettamente. Assunto durante la gravidanza, il fenobarbitale può ridurre l’ittero fisiologico del neonato, forse a causa dell’induzione degli enzimi di coniugazione nel fegato neonatale. Vaccini: i vaccini con virus vivi devono essere evitati nelle donne che sono, o si pensa, siano gravide. La somministrazione del vaccino per la rosolia può causare un’infezione placentare e fetale. Le vaccinazioni per il colera, l’epatite A e B, il morbillo, la parotite, l’influenza, la peste, la poliomielite, la rabbia, il tetanodifterite, il tifo, la varicella e la febbre gialla possono essere effettuate in gravidanza, se esiste un ragionevole rischio di infezione. Farmaci per la tiroide: lo iodio radioattivo (131I), somministrato per trattare una patologia tiroidea, può attraversare la placenta e distruggere la tiroide fetale o provocare un ipotiroidismo grave. Anche la triiodotironina, il propiltiouracile e il metimazolo attraversano la placenta e possono causare un gozzo fetale. La soluzione saturata di ioduro di potassio, spesso usata per prevenire il rilascio di ormone tiroideo dalla ghiandola tiroide, quando l’ipertiroidismo è clinicamente grave, deve essere utilizzata con grande cautela. È stato visto che attraversa la placenta e causa un grosso gozzo nel feto, che determina un’ostruzione respiratoria nel neonato. Il metimazolo può causare dei difetti dello scalpo (aplasia della cute) nei neonati. Pertanto, il farmaco di scelta nel trattamento dell’ipertiroidismo in gravidanza è il propiltiouracile. Narcotici e analgesici (v. anche Dipendenza da oppioidi nel Cap. 195): i narcotici e i salicilati attraversano la placenta e raggiungono livelli significativi nel feto. I bambini nati da madri con dipendenza da narcotici possono avere dei sintomi da privazione da 6 h a 8 gg dopo la nascita. I salicilati competono con la bilirubina per i siti di legame dell’albumina e possono provocare nel feto un ittero nucleare. L’aspirina in dosi massive può ritardare l’inizio del travaglio e causare la chiusura prematura del dotto arterioso fetale, una diatesi emorragica della madre durante o dopo il parto o un sanguinamento nel neonato. Antipsicotici (neurolettici) e ansiolitici: le fenotiazine sono state impiegate in gravidanza come antiemetici e come farmaci psicoattivi. Attraversano agevolmente la placenta e, come gruppo di farmaci, sembra pongano un rischio insignificante per il feto. Il diazepam è l’ansiolitico più frequentemente somministrato. Anche se molti studi epidemiologici hanno osservato un’aumentata incidenza di anomalie con il suo uso, la maggior parte degli studi ha concluso che questa associazione non esiste. Quando il diazepam è somministrato alla fine della gravidanza sono stati osservati nei neonati depressione, irritabilità, tremori e iperreflessia. Studi sull’esposizione del feto al meprobamato e al clordiazepossido, non mostrano alcuna prova di un’aumentata incidenza di malformazioni o di morte fetale. Test di sviluppo intellettivo e motorio eseguiti su questi bambini a 8 mesi di età e test di intelligenza eseguiti all’età di 4 anni, non hanno mostrato evidenza di un danno cerebrale. Altri farmaci psicoattivi: non ci sono dati conclusivi sull’associazione tra l’uso degli antidepressivi triciclici e le malformazioni congenite. Vi sono osservazioni isolate secondo le quali i bambini nati da madri che hanno ricevuto dei triciclici poco prima del parto, possono avere tachicardia, insufficienza respiratoria e ritenzione urinaria. Anche il carbonato di litio, somministrato nel 1o trimestre, è stato associato a malformazioni congenite fino al 19% dei feti. Le più comuni erano le malformazioni cardiovascolari, compresa l’anomalia di Ebstein. Sono stati riportati anche gli effetti perinatali del litio; essi includono la letargia, l’ipotonia, le difficoltà di alimentazione, l’ipotiroidismo, il gozzo e il diabete insipido nefrogeno nel neonato. Antibatterici: le tetracicline attraversano la placenta, si concentrano e si depositano nell’osso e nei denti fetali, dove si combinano con il calcio; il periodo a rischio va dalla metà alla fine della gravidanza. Nei bambini esposti alle file:///F|/sito/merck/sez18/2492168.html (3 of 6)02/09/2004 2.06.24

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

tetracicline in utero, i denti possono essere perennemente gialli e meno resistenti alle carie, si può verificare un’ipoplasia dello smalto e la crescita delle ossa può essere ritardata. Poiché sono disponibili diversi farmaci alternativi più sicuri, le tetracicline andrebbero evitate in gravidanza. La streptomicina, la gentamicina, la kanamicina e gli altri farmaci ototossici devono essere evitati in gravidanza, perché attraversano la placenta e possono danneggiare il labirinto del feto. Tuttavia, i vantaggi nel trattare le malattie potenzialmente letali dovute a organismi penicillino o cefalosporino-resistenti, possono essere maggiori dei rischi. Il cloramfenicolo, anche se somministrato ad alte dosi alla madre, non è dannoso per il feto; il neonato, tuttavia, non è in grado di metabolizzare adeguatamente il cloramfenicolo e gli elevati livelli ematici che ne risultano possono provocare un collasso cardiocircolatorio (sindrome del bambino grigio). Le penicilline sembrano essere sicure. I sulfamidici ad azione prolungata attraversano la placenta; poiché hanno una grande affinità di legame per le proteine, possono spostare la bilirubina dai suoi siti di legame. Se i sulfamidici sono somministrati prima della 34a sett., la placenta elimina efficacemente la bilirubina, riducendo al minimo i rischi per il feto. Quando sono somministrati in prossimità del parto, il neonato può avere un ittero grave e, se non trattato, un ittero nucleare. La sulfasalazina rappresenta un’eccezione, in quanto il suo metabolita attivo nel feto, la sulfapiridina, ha una capacità molto debole di spostare la bilirubina e presenta perciò dei rischi minimi per il feto. Le cefalosporine sono spesso prese in considerazione durante la gravidanza, ma poiché gli studi nell’uomo non sono riusciti a escludere la possibilità di un danno, le cefalosporine devono essere usate solo se chiaramente necessarie. L’uso degli antibiotici chinolonici durante la gravidanza è stato recentemente messo in discussione a causa degli studi che mostrano come la ciprofloxacina e la norfloxacina abbiano un’elevata affinità per l’osso e la cartilagine, causando potenzialmente un’artralgia nei bambini esposti. Tuttavia, uno studio recente sui lattanti esposti in utero agli antibiotici chinolonici non ha rilevato malformazioni o difetti muscolo-scheletrici associati. Anticoagulanti: le cumarine possono attraversare la placenta e arrivare al feto, che è molto sensibile alla loro azione. La sindrome fetale da warfarin si può verificare fino nel 25% dei feti esposti alla warfarina durante il 1o trimestre; le anomalie includono l’ipoplasia del naso, la granulia miliariforme delle ossa (evidenziabile alle radiografie), l’atrofia ottica bilaterale e i vari gradi di ritardo mentale. L’esposizione alla warfarin durante il 2o o il 3o trimestre è stata correlata all’atrofia ottica, alle cataratte, al ritardo mentale, alla microcefalia e alla microftalmia. Si possono inoltre verificare delle emorragie fetali e materne. L’eparina, una grande molecola a elevata carica con un passaggio transplacentare minimo, è l’anticoagulante di scelta durante la gravidanza. Tuttavia, il prolungato ( 6 mesi) uso in gravidanza può causare, nella madre, osteoporosi o trombocitopenia. Per le pazienti che non sono gravide, l’eparina a basso peso molecolare rappresenta un’alternativa più sicura. Tuttavia, la sua efficacia come anticoagulante durante la gravidanza non è dimostrata, anche se è stato riportato che non è dannosa per il feto perché il passaggio attraverso la placenta è minimo o nullo. Farmaci cardiovascolari: i glicosidi digitalici attraversano la placenta, ma i neonati (e i bambini) sono relativamente resistenti alla loro tossicità. Solo l’1% di una dose di digitossina iniettata alla madre, compare nel feto sotto forma di digitossina immodificata e il 3% compare sotto forma dei suoi metaboliti, ma si possono osservare delle concentrazioni maggiori di digitossina, soprattutto durante il primo trimestre. I neonati di madri che fanno uso di digitossina, presentano una concentrazione plasmatica paragonabile a quella della madre, senza segni di effetti dannosi. Anche i farmaci antiipertensivi, comunemente assunti dalle madri con disturbi ipertensivi della gravidanza, attraversano la placenta e possono danneggiare il neonato. I bloccanti gangliari possono dare effetti autonomici come l’ipotensione e l’ileo paralitico. Il propranololo attraversa la placenta e può causare bradicardia, file:///F|/sito/merck/sez18/2492168.html (4 of 6)02/09/2004 2.06.24

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

ipoglicemia e potenzialmente vari gradi di ritardo di crescita intrauterina. I diuretici tiazidici devono essere evitati perché riducono la volemia materna e possono compromettere l’ossigenazione e la nutrizione fetale. Essi possono, inoltre, causare iponatremia, ipokaliemia e trombocitopenia nel neonato. Gli ACE-inibitori, come l’enalapril e il captopril, possono causare un’insufficienza renale fetale nel 2o e nel 3o trimestre di gravidanza, da cui deriva la sequenza dell’oligoidramnios (oligoidramnios, deformità craniofacciali, contratture degli arti e sviluppo ipoplasico del polmone fetale). Usati durante il 1o trimestre, tuttavia, questi farmaci non sembrano essere teratogeni. Farmaci impiegati comunemente in corso di travaglio e di parto: il passaggio transplacentare degli anestetici locali (mepivacaina, lidocaina, prilocaina) dalle varie sedi di somministrazione (pudenda, paracervicale) può causare, nel feto, depressione del SNC e bradicardia. La terapia ossitocica EV per aumentare o indurre il travaglio è sicura, ma la somministrazione non controllata può causare delle contrazioni uterine ipertoniche, che possono mettere in pericolo il feto. I narcotici, la scopolamina, i barbiturici, la ketamina e gli analgesici attraversano tutti la placenta. Il tiopentale, un ipnotico comunemente usato durante il parto cesareo, si concentra nel fegato del feto, proteggendo il SNC dalle alte concentrazioni del farmaco. Le dosi elevate di diazepam, somministrato EV alle madri prima del parto, può produrre nei neonati ipotonia, ipotermia, un basso punteggio di Apgar, un’insufficiente risposta metabolica allo stress da freddo e depressione neurologica. Il solfato di magnesio somministrato EV, spesso usato per bloccare un travaglio prematuro o per prevenire delle convulsioni eclamptiche, può causare letargia, ipotonia e una depressione respiratoria temporanea nei neonati. Tuttavia, le gravi complicanze neonatali sono rare e i benefici di questo farmaco, quando usato con giudizio, superano i rischi. Altri farmaci prescritti: la talidomide, introdotta nel 1956 come un farmaco per l’influenza e come un sedativo, è attualmente usato per trattare la lebbra. Nel 1962, fu scoperto che la talidomide, assunta dalle donne gravide durante l’organogenesi, era responsabile di embriopatie, incluse la riduzione bilaterale degli arti (p. es., l’amelia, la focomelia, l’ipoplasia) e le malformazioni GI e cardiovascolari. Assunta durante la gravidanza, la quantità di vitamina A contenuta nei preparati vitaminici prenatali (5000 UI/die) non è stata associata a rischi teratogeni, ma dosi > 10000 UI/die aumentano il rischio. La meclizina, un farmaco prescritto spesso contro le cinetosi ("mal d’auto"), la nausea e il vomito, è teratogeno nei roditori, ma questo effetto non è stato documentato nell’uomo. Gli ipoglicemizzanti orali non sempre riescono a controllare adeguatamente il diabete nelle donne gravide e possono causare una grave ipoglicemia nei neonati. Poiché l’insulina non può attraversare la placenta e permette un controllo più prevedibile del diabete, è il farmaco di scelta per il trattamento del diabete mellito durante la gravidanza. L’uso per via orale e per via topica dell’acyclovir durante la gravidanza sembra essere sicuro. I farmaci ossidanti come la primachina, la nitrofurantoina, il naftalene, la vitamina K, i sulfamidici e il cloramfenicolo possono provocare emolisi nelle madri e nei feti affetti da deficit genetico di G6PD (v. Difetti dello shunt degli esosomonofosfati nel Cap. 127). Droghe di uso comune e illegali: gli effetti del fumo di sigaretta e dell’uso dell’alcol, della cocaina e della marijuana durante la gravidanza sono trattati nel Cap. 250 (v. anche Cap. 195 e 260). L’incidenza dell’uso dell’amfetamina è elevata nelle madri di bambini con difetti cardiaci congeniti, indicando una possibile associazione teratogena. file:///F|/sito/merck/sez18/2492168.html (5 of 6)02/09/2004 2.06.24

Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Caffeina: vari studi indicano che bere più di 7-8 caffé al giorno si associa a un’aumentata incidenza di morte intrauterina, di parti pre-termine, di neonati con basso peso alla nascita e di aborti spontanei. Questi studi, tuttavia, non hanno tenuto conto dell’uso del tabacco e dell’alcol. Uno studio controllato su donne gravide che assumevano piccole quantità di caffeina (circa 1 tazza di caffè) non ha evidenziato un effetto teratogeno. Non è chiaro, quindi, se l’assunzione di forti dosi di caffeina si associ o meno a un’aumentata incidenza di complicanze perinatali. Le bevande decaffeinate presentano, teoricamente, un modesto rischio per il feto. Aspartame: l’uso dell’aspartame, un sostituto dietetico dello zucchero, in gravidanza è spesso messo in discussione. Il metabolita principale dell’aspartame, la fenilalanina, si concentra nel feto con un meccanismo di trasporto transplacentare attivo e dei livelli tossici possono causare un ritardo mentale. Tuttavia, quando l’assunzione è mantenuta nei limiti usuali, i livelli di fenilalanina fetale sono di molto al di sotto dei livelli tossici. L’assunzione moderata di aspartame durante la gravidanza sembra porre un modesto rischio di tossicità per il feto. Comunque, se la madre è affetta dalla fenilchetonuria (v. Cap. 269), l’assunzione della fenilalanina, e quindi dell’aspartame, è proibita.

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Concepimento e sviluppo prenatale

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 248.CONCEPIMENTO E SVILUPPO PRENATALE Sommario: Introduzione Impianto Placentazione Embriologia

Il concepimento (fecondazione) avviene circa 14 gg prima delle mestruazioni e subito dopo l’ovulazione. Se i cicli sono irregolari, la data del concepimento e quindi la durata della gravidanza e l’epoca del parto possono essere difficili da determinare. Al momento dell’ovulazione il muco cervicale diventa meno viscoso, facilitando il rapido transito degli spermatozoi dalla vagina nella cavità uterina. Lo sperma può sopravvivere nella vagina fino a 3 giorni prima dell’ovulazione. In condizioni sperimentali, si è visto che gli spermatozoi transitano dalla vagina all’estremità fimbriata della tuba in 5 minuti. Il concepimento avviene nella tuba, in genere proprio in prossimità dell’estremità fimbriata. L’epitelio tubarico deve funzionare in maniera appropriata per consentire che lo spermatozoo e l’ovulo si uniscano e che lo zigote che ne risulta continui a dividersi e a svilupparsi durante il suo transito lungo la tuba fino alla cavità endometriale. Lo zigote impiega, per questo spostamento, 3-5 gg e raggiunge la zona di impianto in altri 1 o 2 gg. Durante questo periodo il prodotto del concepimento si divide; al momento dell’impianto ha formato una blastocisti (un singolo strato di cellule che circondano una cavità centrale). Una parte della parete della blastocisti è più spessa, formata da 3-4 strati di cellule. Quet’area rappresenta il polo embrionale, che diventerà presto riconoscibile come un embrione.

Impianto La zona dell’impianto, che vede il polo embrionale penetrare per primo, è, in genere, sulla parete anteriore o su quella posteriore della cavità endometriale, in prossimità del fondo. Le cellule trofoblastiche proliferano dalla superficie della blastocisti invadendo e penetrando nell’endometrio, cosicché la blastocisti si annida nel suo strato centrale. Questo processo inizia tra il 5o e l’8o giorno e si completa entro il 9o o il 10o. Dal 10o giorno si possono identificare le cellule sinciziali (sinciziotrofoblasto) e quelle citotrofoblastiche. A partire da questo momento, una colorazione fluorescente mostra la presenza della gonadotropina corionica nelle cellule sinciziali. Presumibilmente, tutti gli altri ormoni trofici prodotti dalla placenta compaiono nelle cellule sinciziali poco tempo dopo. La parete della blastocisti si trasforma nel corion (lo strato esterno delle membrane che racchiudono il feto e il liquido amniotico). Uno strato più interno (amnios) si sviluppa intorno al 10o-12o giorno come una fessura nel foglietto ectodermico embrionale e forma il sacco amniotico; il sacco si riempie di liquido e si espande fino ad file:///F|/sito/merck/sez18/2482159.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.25

Concepimento e sviluppo prenatale

avvolgere l’embrione e ad aderire alla superficie più interna del corion (parete blastocistica). La cavità della blastocisti scompare. L’embrione continua a svilupparsi, ma è confinato nell’ambito di una parete della cavità endometriale fino alla 12a sett. A questo punto, l’endometrio (decidua) che ricopre l’embrione entra in stretto contatto con la decidua della parete opposta, in modo da fondersi e obliterare la cavità. L’unica cavità che rimane nell’utero è ora la cavità amniotica che contiene il liquido amniotico e il feto.

Placentazione La formazione della placenta inizia con lo sviluppo delle cellule trofoblastiche al 10o giorno. L’invasione di queste cellule all’interno dei vasi materni fa sì che il sangue penetri negli spazi fra le cellule, formando delle lacune (laghi) che diventeranno gli spazi intervillosi. Il feto trae il suo nutrimento dalle lacune. Inizialmente, la placenta circonda la blastocisti, trasferendo le sostanze nutritive ed eliminando quelle di scarto direttamente attraverso le membrane cellulari. I villi si cominciano a formare sulla superficie del corion precocemente, all’11o o 12o gg; essi si suddividono più volte dando luogo a una complicata struttura ramificata su tutta la superficie corionica. Il trasferimento delle sostanze dal sangue materno a quello fetale, ad opera dei villi, inizia quando i vasi fetali compaiono nella placenta, al 19o giorno. A partire dalla 12a sett. circa, influenzata, apparentemente dalla posizione della principale sorgente di sangue materno, la placenta vera (discoide) inizia a demarcarsi in corrispondenza del vecchio polo embrionale; la placenta è attaccata, tramite i villi, alla decidua, che ricopre direttamente le arteriole spirali materne (v. Fig. 248-1). Gli altri villi si atrofizzano e scompaiono del tutto tra la 16a e la 18a sett. Le arteriole spirali drenano nello spazio intervilloso, cosicché il sangue materno circola intorno e attraverso l’intreccio dei villi, drenando in 2 o 3 seni venosi connessi con ciascuna arteriola spirale. I villi sono suddivisi in gruppi, detti cotiledoni, ognuno servito da 1 o 2 arteriole spirali. Una placenta a termine contiene da 10 a 20 cotiledoni. Le sostanze nutritive sono trasferite dal sangue materno allo spazio intervilloso, attraverso le cellule trofoblastiche, il nucleo fibroso del villo e le cellule endoteliali dei capillari fetali, fino al sangue fetale. Le scorie metaboliche compiono il cammino inverso. Questa struttura viene detta una placenta emocoriale, perché il sangue materno è in contatto con il tessuto corionico o trofoblastico fetale. La placenta discoide raggiunge la sua struttura definitiva tra la 18a e la 20a sett. di gestazione. Continua a crescere durante tutta la gravidanza, fino a raggiungere il peso di circa 500 g al momento del parto.

Embriologia Il prodotto del concepimento diventa riconoscibile come un embrione circa 10 gg dopo la fecondazione, quando l’ectoderma si divide per formare il sacco amniotico. I tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoderma) sono presenti e, di solito, possono essere distinti. Allora inizia a svilupparsi la stria primitiva, che diventa poi il tubo neurale. Intorno al 16o17o giorno il mesoderma si ispessisce in prossimità dell’estremità cefalica, formando un canale centrale che darà luogo, alla fine, al cuore e ai grossi vasi. Il cuore inizia a pompare plasma attraverso i vasi, a partire dal 20o file:///F|/sito/merck/sez18/2482159.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.25

Concepimento e sviluppo prenatale

giorno e al 21o compaiono i GR fetali. Questi GR nucleati e molto immaturi sono presto sostituiti dalle forme mature. I GR nucleati compaiono di nuovo solo nei casi di eritroblastosi fetale (v. Cap. 252) e nell’ipossia fetale progressiva. Poco tempo dopo, i vasi fetali si sviluppano in tutto il corpo. Alcuni originano nel mesoderma extraembrionario; questo connette il sacco allantoideo all’addome fetale a livello dell’ombelico e contiene i vasi sanguigni e il prolungamento dell’uraco che drena le urine dalla vescica nel sacco allantoideo. Questa struttura si atrofizza rapidamente e il mesoderma extraembrionario diventa il cordone ombelicale connesso ai vasi placentari. I vasi ombelicali trasportano il sangue da e verso la placenta. L’organogenesi è completa alla 12a sett. di gestazione (70 giorni dopo il concepimento), tranne che per il SNC che continua a svilupparsi durante tutta la gravidanza. La maggior parte delle malformazioni si verifica durante le prime 12 sett., quando le influenze teratogene esterne, come il virus della rosolia, sono massimamente nocive. Tutti i farmaci e le vaccinazioni devono essere evitati fino a dopo la 12a sett. di gestazione a meno che non siano essenziali per proteggere la salute della madre; i farmaci teratogeni devono essere evitati del tutto (v. Cap. 249).

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252. ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA ERITROBLASTOSI FETALE Anemia emolitica del feto o del neonato, causata dalla trasmissione transplacentare di anticorpi materni e provocata, in genere, dall’incompatibilità materno-fetale del gruppo sanguigno.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Prevenzione e terapia

Eziologia e fisiopatologia L’incompatibilità da fattore Rh si può sviluppare quando una donna con sangue Rh negativo viene fecondata da un uomo con sangue Rh positivo e viene concepito un feto con sangue Rh positivo (v. anche Cap. 260). I GR fetali attraversano la placenta e passano nel circolo materno durante tutta la gravidanza (il passaggio maggiore avviene al momento del parto) stimolando la produzione di anticorpi materni contro il fattore Rh (isoimmunizzazione). Nelle successive gravidanze, gli anticorpi raggiungono il feto attraverso la placenta e provocano la lisi dei GR fetali. L’anemia che ne deriva può essere così grave da provocare la morte in utero del feto. Per cercare di correggere l’anemia, il midollo osseo fetale mette in circolazione forme immature di GR dette eritroblasti, causando l’eritroblastosi fetale. Dopo la nascita, i neonati affetti possono sviluppare un ittero nucleare (v. Cap. 260). Le incompatibilità materno-fetali dei gruppi sanguigni ABO, che causano l’eritroblastosi fetale, sono meno gravi e meno frequenti rispetto a quelle del fattore Rh (v. Cap. 260)

Prevenzione e terapia Dato che in una madre, non precedentemente sensibilizzata, la produzione di anticorpi non comincia, in genere, se non dopo il parto, l’eritroblastosi si può prevenire nei figli successivi iniettando nella madre un preparato a base di alti titoli di immunoglobuline Rh0(D) entro 72 h dal parto. Questo preparato deve essere somministrato dopo ogni gravidanza, sia che esiti in un parto, in una gravidanza ectopica o in un aborto. Gli anticorpi anti-Rh del preparato distruggono le emazie fetali nel sangue materno prima che esse possano sensibilizzare il sistema immunitario materno. Se si è verificata un’emorragia massiva feto-materna, possono essere necessarie altre somministrazioni del preparato. Questo trattamento ha una percentuale di fallimento pari all’1-2% circa, apparentemente a causa di una sensibilizzazione materna avvenuta in corso di gravidanza, piuttosto che al momento del parto. Pertanto, tutte le madri che hanno un sangue Rh negativo senza un’evidenza clinica di sensibilizzazione (come indicato dai titoli anticorpali) devono essere trattate con una dose standard di 300 µg di immunoglobuline Rh0(D) all’incirca alla 28a sett. di gestazione. file:///F|/sito/merck/sez18/2522209.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.26

Anomalie della gravidanza

Questi anticorpi esogeni vengono gradualmente distrutti durante i 3-6 mesi successivi e la madre non si sensibilizza. Le immunoglobuline Rh0(D) devono essere somministrate anche dopo ogni episodio di sanguinamento e dopo un’amniocentesi o un prelievo dei villi coriali. Al momento della prima visita prenatale, tutte le pazienti devono eseguire la ricerca del gruppo sanguigno e del fattore Rh (v. anche Test di compatibilità nel Cap. 129). Se la paziente è Rh negativa si devono accertare anche il gruppo e i sottogruppi del padre del bambino. Se questi è Rh positivo e il titolo degli anticorpi anti-Rh della donna è negativo, si dovrà ripetere il titolo degli anticorpi anti-Rh materni alla 18a-20a sett. e di nuovo alla 26a-27a sett. di gravidanza. Sebbene queste determinazioni abbiano un valore limitato nelle pazienti già sensibilizzate, sono molto utili in quelle a rischio, ma non ancora affette. Se i titoli sono > 1:32, si devono eseguire un’amniocentesi e la determinazione spettrofotometrica della concentrazione della bilirubina nel liquido amniotico ogni 2 sett. a cominciare dalla 28a. Le pazienti già sensibilizzate al fattore Rh sono candidate all’amniocentesi alla 26a-30a sett., in base alla gravità stimata della malattia. La spettrofotometria ad alta risoluzione è utile nella valutazione antepartum dell’eritroblastosi fetale (v. Tab. 252-2). Se i livelli di bilirubina nel liquido amniotico sono normali, si può permettere che la gravidanza arrivi al termine con un parto spontaneo. Se invece sono alti, indicando il pericolo di una morte intrauterina, il feto può essere sottoposto a delle trasfusioni intrauterine, a intervalli di 10 gg-2 sett., generalmente fino alla 32a-34a sett. di gestazione, momento in cui si deve espletare il parto. Le trasfusioni intrauterine si eseguono inserendo un ago attraverso la parete dell’addome materno e dell’utero e la parete addominale del feto, all’interno della cavità addominale fetale. I GR contenuti nel sangue trasfuso nella cavità addominale del feto sono assorbiti nella circolazione fetale. Spesso, sono utili il prelievo di sangue o la trasfusione per puntura percutanea del cordone ombelicale. Queste procedure devono essere eseguite in una struttura attrezzata per seguire le gravidanze ad alto rischio. Il parto deve essere il meno traumatico possibile. La placenta non deve essere rimossa manualmente per evitare l’immissione forzata di cellule fetali nella circolazione materna. Un neonato affetto da eritroblastosi deve essere immediatamente affidato a un pediatra preparato a eseguire un’exsanguinotrasfusione immediata, se questa è necessaria (v. Anemia emolitica del neonato nel Cap. 260).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 252-2. LIVELLI DI BILIRUBINA NEL LIQUIDO AMNIOTICO Bilirubina totale (mg/dl [µmol/l])

Assorbi mento spettrofotometrico

Interpretazione clinica

< 0,28 (< 5)

< 0,20

Normale o probabilmente affetto

0,28-0,46 (5-8)

0,20-0,34

Affetto, ma non in pericolo

0,47-0,95 (8-16)

0,35-0,70

Sofferente e probabilmente in pericolo di vita

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PROBLEMI EMATOLOGICI ANEMIA EMOLITICA NEONATALE Anemia causata dalla rottura dei GR.

Sommario: Incompatibilità Rhesus Sintomi e segni Diagnosi e profilassi Terapia Incompatibilità di gruppo ABO Incompatibilità da gruppo raro Anemie dovute a sferocitosi congenita Anemie emolitiche non sferocitiche Anemie emolitiche dovute a infezioni

Incompatibilità Rhesus L’incompatibilità Rhesus (Rh) può verificarsi quando la madre è Rh negativa e il feto è Rh positivo. L’isoimmunizzazione materna si verifica dopo che alcuni GR fetali(incompatibili) attraversano la placenta e inducono una risposta immunologica con anticorpi materni specifici anti-Rh, alcuni dei quali successivamente attraversano la placenta verso il feto e determinano emolisi. La prima isoimmunizzazione può esitare in aborto o in una gravidanza con feto Rh positivo. La gravità dell’isoimmunizzazione di solito aumenta in ogni gravidanza successiva ed è probabile che ogni figlio successivo sia colpito più gravemente. L’incompatibilità Rh indica di solito che sono presenti anticorpi contro l’antigene di superficie del GR di gruppo D, sebbene possano esserci altri fattori di incompatibilità del sistema Rh come il C e l’E. (V. anche Cap. 252.)

Sintomi e segni I feti più gravemente colpiti sviluppano in utero una profonda anemia (eritroblastosi fetale-v. nel Cap. 252) con morte fetale intrauterina oppure nascono con idrope fetale. Quest’ultima condizione può essere diagnosticata prima del parto mediante ecografia, che evidenzia edema del cuoio capelluto, cardiomegalia, epatomegalia, versamento pleurico e ascite. Può essere presente polidramnios. Questi neonati sono estremamente pallidi, hanno importanti edemi generalizzati, versamenti pleurici e peritoneali. A causa della eritropoiesi extramidollare, il fegato e la milza sono aumentati di dimensioni. Si può avere insufficienza cardiaca congestizia. A causa dell’anemia e della prematurità spesso si ha un’asfissia durante il travaglio e il parto, per cui, solitamente, è indicato il taglio cesareo. La prematurità e l’asfissia, insieme all’ipoproteinemia, predispongono questi bambini alla sindrome del distress respiratorio (RDS), i cui

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Patologia del neonato e del lattante

segni clinici possono essere difficili da distinguere da quelli dello scompenso cardiaco. I neonati con eritroblastosi meno grave possono essere anemici, ma non presentano edemi o altri segni di idrope; i bambini colpiti in maniera lieve possono essere leggermente o affatto anemici alla nascita. I neonati colpiti vanno solitamente incontro, subito dopo la nascita, a iperbilirubinemia, a causa del continuo effetto emolitico degli anticorpi anti-Rh(D) che hanno superato il filtro placentare.

Diagnosi e profilassi La gravità del processo emolitico in utero può essere valutata misurando la bilirubina nel liquido amniotico (misurata come densità ottica a 450 nm [OD 450] e corretta per l’età gestazionale) mediante amniocentesi sequenziali (v. Tab. 2522). Per la profilassi della madre Rh negativa, v. Cap. 252.

Terapia Prima della nascita: è possibile, nei feti gravemente colpiti, estrarre mediante cordocentesi in utero un campione di sangue fetale (per l’analisi dell’Htc, del gruppo sanguigno e per un test di Coombs diretto) e praticare trasfusioni di GR concentrati. Questi possono inoltre essere somministrati mediante trasfusione intraperitoneale di GR di gruppo O Rh negativo, che devono essere prima irradiati per eliminare i linfociti che, in caso contrario, potrebbero provocare una graft- versus-host disease (reazione del trapianto contro l’ospite). Queste pratiche vengono effettuate sotto controllo ecografico nelle Unità di Terapia Intensiva perinatale. Durante il travaglio: bisogna monitorare la frequenza cardiaca fetale; è necessario programmare il taglio cesareo se subentra il distress fetale o se il feto sembra gravemente colpito. Un neonato con idrope fetale o con grave eritroblastosi senza idrope è a forte rischio e deve nascere in un’Unità di Terapia Intensiva perinatale. Dopo la nascita: in presenza di idrope fetale, la grave anemia deve essere prontamente trattata con un’exsanguinotrasfusione parziale, utilizzando GR concentrati Rh-negativi. Dopo che le condizioni del bambino si stabilizzano, deve essere eseguita, con sangue Rh negativo, un’exsanguinotrasfusione con un volume doppio (cioè utilizzando il doppio della volemia calcolata del bambino, che così rimuove l’85% del sangue del bambino, inclusi anticorpi, GR sensibilizzati e bilirubina accumulata). Possono essere necessari digossina e diuretici per lo scompenso cardiaco, terapia alcalinizzante per l’acidosi metabolica e un supporto ventilatorio per la sindrome del distress respiratorio. Il sangue cordonale di tutti i neonati di madre Rh-negativa deve essere immediatamente esaminato per determinare il gruppo sanguigno del bambino e deve essere eseguito un test di Coombs diretto. Se il neonato è Rh-positivo e il test di Coombs diretto è positivo, bisogna determinare l’Htc, eseguire la conta dei reticolociti e uno striscio di sangue per valutare la presenza di reticolociti e di GR immaturi. Sul sangue cordonale deve essere determinata la bilirubinemia. Un Htc su sangue cordonale < 40% o un valore di bilirubinemia > 5 mg/dl (86 µmol/l) indicano un’emolisi grave. Se le condizioni del bambino sono stabili, una precoce exsanguinotrasfusione rimuoverà i GR sensibilizzati e gli anticorpi prima che l’emolisi produca alti livelli di bilirubina e può prevenire l’eventuale necessità di exsanguino-trasfusioni multiple. Se l’emolisi è particolarmente grave, sarà quasi certamente richiesta un’exsanguinotrasfusione a causa dell’iperbilirubinemia. I criteri alla nascita che stabiliscono la possibile necessità di una pronta, ma non urgente, exsanguinotrasfusione sono un’Htc < 40%, una reticolocitosi > 15% e una bilirubinemia su sangue cordonale > 5 mg/dl (86 µmol/l); la maggior parte delle

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informazioni utili si ottiene seguendo il tasso di incremento che la bilirubinemia subisce in diverse ore. Se il tasso aumenta di 1 mg/dl/h ( 17 µmol/l/h), il bambino facilmente avrà bisogno di un’exsanguinotrasfusione, sebbene il trattamento fototerapico possa rallentare l’aumento della bilirubina ed evitare così il ricorso all’exsanguinotrasfusione. Se non c’è indicazione immediata alla exsanguinotrasfusione, il bambino può essere seguito con determinazioni seriate della bilirubinemia e dell’Htc. L’exsanguinotrasfusione è indicata se i livelli di bilirubina diventano spiccatamente elevati (v. sopra Iperbilirubinemia in Il prematuro, e più avanti in Patologia metabolica nel neonato) o se si sviluppa una grave anemia. Molti neonati Rh positivi sensibilizzati non richiederanno l’exsanguinotrasfusione; tuttavia, l’Htc deve essere controllato ripetutamente per parecchi mesi, in quanto una grave anemia può svilupparsi per il sopraggiungere di una lenta emolisi. Questi bambini possono richiedere una semplice trasfusione di GR concentrati, tipo-specifici Rh-negativi.

Incompatibilità di gruppo ABO In quasi tutti i casi di incompatibilità ABO, il gruppo sanguigno della madre è O e quello del figlio è A o B. È più comune la sensibilizzazione anti-A, ma la sensibilizzazione anti-B, determina con più probabilità una malattia emolitica più grave. Sebbene il bambino possa sviluppare anemia in utero, essa è raramente tanto grave da determinare idrope o morte intrauterina. Il più importante problema clinico è lo sviluppo di una significativa iperbilirubinemia dopo la nascita, come risultato di un’emolisi in corso. Gli esami di laboratorio sono simili a quelli richiesti per l’incompatibilità Rh. Il test di Coombs diretto è di solito debolmente positivo, ma può a volte essere negativo, cosa che non esclude una incompatibilità ABO se sono presenti gli altri criteri diagnostici. Di solito gli anticorpi anti-A o anti-B possono essere identificati nel sangue del bambino (mediante test di Coombs indiretto positivo) o dopo eluzione anticorpale dai GR del bambino. Inoltre, la presenza di molti microsferociti e una reticolocitosi nel sangue del bambino suggeriscono l’incompatibilità ABO. La sorveglianza e il trattamento sono uguali a quelli attuati in caso di incompatibilità Rh.

Incompatibilità da gruppo raro È stato documentato un elevato numero di incompatibilità da gruppi rari (p. es., Kell, Duffy). Sebbene non comuni, esse possono essere gravi e dal momento che è presente emolisi, producono anemia e iperbilirubinemia sul modello dell’incompatibilità Rh e ABO. Poiché la diagnosi di tali incompatibilità può portare via tempo, molti consigliano di eseguire di routine uno screening sul sangue materno per la ricerca di anticorpi rari o atipici. Il trattamento è identico a quello che si attua nell’incompatibilità Rh; il sangue utilizzato per la exsanguinotrasfusione non deve possedere l’Ag sensibilizzante.

Anemie dovute a sferocitosi congenita (V. anche Anemie da iperemolisi nel Cap. 127) Nei bambini nati con sferocitosi congenita l’emolisi spesso causa una significativa iperbilirubinemia e a volte anemia. Nei neonati, di solito, non si ritrova una splenomegalia importante. Gli sferociti si mettono in evidenza con lo striscio ematico e si ha un’aumentata fragilità dei GR. Questa alterazione può essere

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Patologia del neonato e del lattante

trasmessa con carattere dominante. In molti casi, tuttavia, l’anamnesi familiare è negativa per sferocitosi. Una precoce iperbilirubinemia, se grave, viene trattata con exsanguinotrasfusione. La splenectomia può essere richiesta successivamente per controllare l’anemia emolitica cronica.

Anemie emolitiche non sferocitiche A volte, i neonati sviluppano un’anemia emolitica secondaria a deficit enzimatico dei GR, come nel deficit di piruvato chinasi o di G6PD (v. Anemie causate da alterazioni di membrana del globulo rosso nel Cap. 127). La presenza di corpi di Heinz negli eritrociti di un bambino con anemia emolitica suggerisce questi difetti e possono essere eseguiti dei test specifici per valutare l’attività enzimatica. Nel neonato può essere difficile porre una diagnosi definitiva. Quindi, è necessario osservare nel tempo il decorso dell’anemia emolitica; quando il bambino è più grande sarà più facile ottenere una quantità di sangue sufficiente per diagnosticare gli specifici deficit enzimatici dei GR.

Anemie emolitiche dovute a infezioni Si verifica emolisi in molte infezioni congenite (p. es., toxoplasmosi, rosolia, malattia citomegalica, herpes simplex e sifilide) e in corso di infezioni da batteri emolitici (p. es., Escherichia coli o β streptococchi emolitici). Le sepsi o le IVU possono causare iperbilirubinemia precoce o grave.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO (Gli errori congeniti del metabolismo, come ipotiroidismo congenito, galattosemia, sindrome adrenogenitale, emoglobinopatie e fenilchetonuria sono trattati altrove nel Manuale.)

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Terapia

Alla fine della vita media normale dei GR (circa 120 gg), i GR vengono rimossi dalle cellule del sistema di fagocitosi mononucleare, soprattutto nella milza, dove avviene il catabolismo dell’Hb. La caratteristica fondamentale dell’emolisi è la riduzione della vita media del GR; si ha anemia emolitica quando la produzione midollare non riesce più a compensare la ridotta sopravvivenza dei GR.

Patogenesi La maggior parte dell’emolisi è extravascolare, cioè avviene nelle cellule macrofagiche della milza, del fegato e del midollo osseo. L’emolisi può essere dovuta a: (1) alterazioni dei componenti intraeritrocitari (Hb o enzimi) o alterazioni della membrana del GR (permeabilità, struttura o contenuto lipidico); o (2) alterazioni estrinseche al GR (anticorpi sierici, traumi intravascolari o agenti infettivi). La milza è di solito coinvolta; riduce la sopravvivenza dei GR in seguito alla distruzione splenica di GR che sono soltanto moderatamente alterati o di GR ricoperti da Ac caldi. Se la milza è ingrandita, ci può essere intrappolamento (sequestro) di GR anche se normali. I GR gravemente danneggiati o quelli rivestiti da anticorpi freddi o da complemento (C3) vengono distrutti in circolo o nel fegato, che (per il suo notevole flusso ematico) è molto efficiente nel rimuovere le cellule danneggiate. L’emolisi intravascolare è rara; si ha emoglobinuria quando l’Hb rilasciata nel plasma supera la capacità legante l’Hb delle proteine di legame plasmatiche (p. es., l’aptoglobina). L’Hb viene riassorbita dalle cellule tubulari renali dove il Fe è convertito in emosiderina, che in parte viene riutilizzata e in parte giunge nelle urine con lo sfaldamento delle cellule tubulari. L’identificazione dell’emosiderinuria nel prelievo delle urine fresche permette di evidenziare un’emolisi intravascolare.

Sintomi e segni

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Anemie

Le manifestazioni sistemiche delle anemie emolitiche ricordano quelle delle altre anemie. L’emolisi può essere acuta, cronica o episodica. Una crisi emolitica (emolisi acuta grave) è rara; può essere accompagnata da brividi, febbre, dolore alla regione lombare e all’addome, prostrazione e shock. Nei casi gravi, l’emolisi aumenta (ittero, splenomegalia e, in alcuni tipi di emolisi, emoglobinuria e emosiderinuria) e l’eritropoiesi aumenta (reticolocitosi e iperattività midollare). Nelle condizioni emolitiche croniche l’anemia può essere esacerbata da una crisi aplastica (transitoria insufficienza dell’eritropoiesi); essa è di solito correlata a un episodio infettivo, spesso da parvovirus.

Esami di laboratorio Si ha ittero quando la conversione dell’Hb a bilirubina supera la capacità del fegato di produrre glucuronato di bilirubina e di eliminarlo con la bile (v. anche Cap. 38). In questo modo si accumula bilirubina non coniugata (indiretta). L’aumentato catabolismo del pigmento si manifesta anche con aumento della stercobilina nelle feci e dell’urobilinogeno nelle urine. I calcoli di bilirubina complicano spesso l’emolisi cronica. Sebbene l’emolisi venga abitualmente riconosciuta attraverso i semplici criteri descritti, il criterio decisivo consiste nella misura del tempo di sopravvivenza dei GR, effettuata, preferibilmente, con un tracciante non riutilizzabile, come il radiocromo (51Cr). La misurata sopravvivenza dei GR radiomarcati non è soltanto utile a diagnosticare l’emolisi ma, con il conteggio della superficie corporea, consente anche di identificare eventuali aree di sequestro dei GR, con opzioni diagnostiche e terapeutiche. In genere, un’emivita (per GR marcati con 51Cr) 18 giorni (di norma da 28 a 32 giorni) indica un’emolisi talmente lieve che un midollo con capacità di risposta normale è in grado di mantenere i GR nell’intervallo dei valori normali. Il termine anemia emolitica compensata si riferisce a un midollo che risponde in maniera adeguata, con indici eritrocitari quasi nella norma. Quando la conta di superficie permette di apprezzare un rapporto milza/ fegato > 3:1 (di norma 1:1), è possibile prevedere un selettivo sequestro splenico e aspettarsi una guarigione dopo splenectomia. Altri test (p. es., aumento dell’iperbilirubinemia indiretta, aumentata produzione dell’urobilinogeno fecale o del monossido di carbonio) o l’evidenza di recupero (reticolocitosi) sono suggestivi ma non diagnostici di emolisi. Di solito nell’emolisi si ha un aumento della LDH. L’esame morfologico del sangue periferico può mettere in evidenza emolisi (p. es., frammentazione, sferociti) o un’eritrofagocitosi, che aiuta a stabilire la diagnosi e il meccanismo (p. es., emolisi intravascolare). Altri test tesi a indagare le cause dell’emolisi comprendono l’elettroforesi dell’Hb, il dosaggio degli enzimi eritrocitari, la fragilità osmotica, il test diretto per antiglobuline (di Coombs), le crioagglutinine, i test dell’emolisi acida e della lisi con saccaroso.

Diagnosi La comune classificazione delle anemie emolitiche da cause intrinseche ed estrinseche è a volte difficile da utilizzare nella pratica medica poiché la sovrapposizione è comune. Un approccio sequenziale alla diagnosi differenziale è quello di considerare la popolazione a rischio (p. es., geografico, genetico, per particolari malattie di base) e quindi ricercare i probabili meccanismi potenziali: (1) sequestro di GR da modificazioni nel complesso vascolare (cioè, ipersplenismo o alcuni circuiti extracorporei, quali la dialisi renale), (2) insulto immunologico (mediato sia da anticorpi caldi che freddi), (3) insulto meccanico alla membrana eritrocitaria (frammentazione dei GR), (4) modificazioni della struttura dei GR (membrane anomale), (5) anomalie metaboliche (enzimopatie) o (6) emoglobinopatie.

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Anemie

Sebbene i caratteri morfologici risultino importanti nella diagnosi della maggior parte delle anemie, essi hanno un valore limitato nelle anemie emolitiche. La presenza di sferociti è il segno che meglio permette di evidenziare un’attiva emolisi dal momento che essi sono sferoidali perché hanno già perso la membrana cellulare. Gli sferociti si ritrovano comunemente dopo una trasfusione di sangue o nelle anemie emolitiche da Ac caldi, come pure, meno frequentemente, nella sferocitosi congenita. Un elevato valore di MCHC può rappresentare l’indizio della presenza di sferociti. Il valore della MCHC (e del MCV) è pure elevato in corso di anemia emolitica da anticorpo freddo e si normalizza quando il sangue è riscaldato (anche tenendo in mano la provetta, seppur brevemente, immediatamente prima della conta emocromocitometrica automatizzata).

Terapia Il trattamento è diretto allo specifico meccanismo emolitico. In caso di emoglobinuria ed emosiderinuria può rendersi necessaria la terapia con Fe. La splenectomia è utile quando il difetto eritrocitario è accompagnato da un selettivo sequestro splenico.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL GLOBULO ROSSO

Sommario: ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL GLOBULO ROSSO ANOMALIE CONGENITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Prognosi e terapia MALATTIE ACQUISITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA

ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL GLOBULO ROSSO L’analisi del citoscheletro della membrana dei GR mostra che la maggior parte delle alterazioni strutturali ereditarie o acquisite, deriva da modificazioni derivanti dalle proteine di membrana. Gli studi di queste proteine del citoscheletro (α- e βspectrina, proteina 4,1, F-actina, ankirina) hanno evidenziato in queste anemie emolitiche anomalie quantitative e funzionali. I casi congeniti spesso presentano una familiarità. Tuttavia il meccanismo per il quale queste alterazioni delle proteine strutturali determinano l’emolisi è sconosciuto.

ANOMALIE CONGENITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA (V. anche Porfiria eritropoietica congenita nel Cap. 14) La sferocitosi ereditaria (ittero cronico familiare; ittero emolitico congenito; ittero cronico acolurico; sferocitosi familiare; anemia sferocitica) è una malattia cronica trasmessa come carattere dominante e caratterizzata da emolisi di GR sferoidali, anemia, ittero e splenomegalia. Sebbene di solito uno o più membri di una stessa famiglia presentino ittero, anemia o splenomegalia, è possibile che si verifichi il salto di una o più generazioni, in rapporto alle modificazioni del grado di penetranza del gene interessato. L’ellissocitosi ereditaria (ovalocitosi) è una rara malattia autosomica dominante nella quale i GR sono ovali o di forma ellittica o ovalare; l’emolisi è di solito assente o minima, con anemia modesta o assente; spesso è presente splenomegalia. L’anomalia dei GR consegue ad alterazione delle proteine di membrana.

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Anemie

Eziologia e patogenesi Nella sferocitosi ereditaria la superficie occupata dalla membrana cellulare è ridotta in misura sproporzionata rispetto al contenuto intracellulare. Diverse anomalie a carico delle proteine di membrana sono responsabili delle modificazioni in senso sferocitico. La riduzione dell’area di superficie della cellula si ripercuote negativamente sulla flessibilità necessaria alla cellula per passare attraverso il microcircolo splenico. Come risultato, si verifica emolisi nella milza.

Sintomi e segni Sintomi e segni nella sferocitosi ereditaria sono generalmente modesti e l’anemia può essere così ben compensata che non è riconosciuta fino a quando una malattia intercorrente sopprime l’eritropoiesi. Nei casi gravi sono presenti un modesto ittero e i sintomi dell’anemia. Le crisi aplastiche derivanti da infezioni intercorrenti possono aggravare l’anemia. La splenomegalia è quasi sempre presente, ma raramente causa disturbi addominali. L’epatomegalia può essere presente. La colelitiasi (calcoli pigmentari) è comune e può rappresentare il sintomo principale all’esordio. Occasionalmente sono state evidenziate alterazioni scheletriche congenite (p. es., turricefalia e polidattilia). Gli aspetti clinici nell’ellissocitosi ereditaria sono simili a quelli presenti nella sferocitosi ereditaria ma tendono a essere più modesti.

Esami di laboratorio L’entità dell’anemia è estremamente variabile. Durante una crisi aplastica, la conta eritrocitaria (normalmente 3-4 milioni/µl) può scendere a valori < 1 milione/ µl e il livello dell’Hb diminuisce in modo proporzionale alla conta. Poiché i GR sono sferoidali e il MCV è normale, il diametro corpuscolare medio è inferiore ai valori normali e i GR sembrano microsferociti. La MCHC è aumentata. Sono frequenti una reticolocitosi del 15-30% e una leucocitosi. La fragilità dei GR, misurata dal test di fragilità osmotica, è caratteristicamente aumentata, ma nei casi lievi essa può essere normale a meno che il sangue, sterile e defibrinato, non venga prima incubato a 37°C per 24 ore. Il test di Coombs diretto è negativo. L’autoemolisi dei GR è aumentata e può essere corretta dall’aggiunta di glucoso.

Prognosi e terapia La splenectomia è il solo trattamento specifico per la sferocitosi o l’ellissocitosi ereditaria. Essa trova indicazione nei pazienti di età < 45 anni con significativa anemia persistente (Hb< 10 g), ittero o colica biliare o crisi aplastica (eritroblastopenia). Prima della splenectomia, il paziente deve essere immunizzato con il vaccino pneumococcico e con quello per Haemophilus influenzae. Nel corso della splenectomia una colecisti con calcoli o con segni di malattia deve essere rimossa. Dopo la splenectomia i sintomi scompaiono, la conta dei GR aumenta e quella reticolocitaria torna alla norma; poiché la sferocitosi persiste, la fragilità eritrocitaria del sangue è ulteriormente aumentata, ma il paziente indubbiamente sta meglio poiché il filtro (milza) contro queste cellule alterate è assente e le cellule sopravvivono più a lungo in circolo.

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Anemie

MALATTIE ACQUISITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA La stomatocitosi è una condizione in cui la normale area pallida centrale del GR acquista una forma di tipo a bocca o a fessura. Queste cellule accompagnano anemie emolitiche congenite e acquisite. I sintomi sono direttamente correlati al grado dell’anemia. La rara forma congenita, che presenta una trasmissione autosomica, è ben caratterizzata. La membrana del GR è iperpermeabile ai cationi monovalenti; gli spostamenti degli anioni e cationi divalenti sono invece normali. I GR circolanti (20-30%) sono stomatociti; la fragilità dei GR è aumentata e così anche l’autoemolisi che non sempre viene corretta dal glucoso. Con la splenectomia si ha un miglioramento dell’anemia in alcuni casi La stomatocitosi acquisita, con anemia emolitica, si manifesta soprattutto subito dopo un’ingestione eccessiva di alcolici. Entro 2 sett. dalla sospensione dell’uso di alcol si assiste alla scomparsa degli stomatociti nel sangue periferico e dell’aumentata emolisi. Anemia causata da ipofosfatemia: la flessibilità del GR dipende dai livelli intracellulari di ATP, Ca e Mg. Poiché il contenuto di ATP del GR è correlato alla concentrazione del P sierico, l’ipofosfatemia (livelli sierici < 0,5 mg/dl [< 0,16 mmol/l]) porta alla deplezione dell’ATP del GR; la sequela del complesso metabolico della ipofosfatasemia comprende anche il deficit di acido 2,3difosfoglicerico, una deviazione verso sinistra della curva di dissociazione dell’O2, una riduzione dell’utilizzazione del glucoso e la produzione di lattato. I GR, divenuti rigidi, sono suscettibili alla lisi nei capillari, si ha quindi un’anemia emolitica con lesioni della membrana e microsferocitosi. Un’ipofosfatemia grave si ha nell’astinenza dall’alcol, nel diabete mellito, nella fase della guarigione (poliurica) dopo ustioni gravi, nell’iperalimentazione, nell’alcalosi respiratoria grave o nei pazienti uremici dializzati che vengono trattati con antiacidi. Poiché queste alterazioni possono essere o prevenute o reversibili se i livelli di ATP cellulare vengono preservati attraverso la somministrazione di fosfati, la terapia deve essere diretta alla prevenzione dell’ipofosfatemia e alla pronta somministrazione di fosfati allorché venga riconosciuta una condizione di deplezione.

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Le porfirie

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE PIÙ COMUNI PROTOPORFIRIA ERITROPOIETICA (Protoporfiria; protoporfiria eritroepatica) Malattia autosomica dominante, è la forma più comune di porfiria eritropoietica e probabilmente la terza porfiria in ordine di frequenza ed è la conseguenza di un deficit di ferrochelatasi.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia e prognosi

Nella protoporfiria eritropoietica (Erythropoietic ProtoPorphyria, EPP), un deficit di ferrochelatasi (v. Fig. 14-1, enzima 8) determina un aumento della protoporfirina nel midollo osseo e negli eritrociti. Questo aumento ne causa l'ingresso nel plasma e l'escrezione nella bile e nelle feci da parte del fegato. La malattia è caratterizzata dalla comparsa di fotosensibilità cutanea in età infantile, che si manifesta principalmente con dolore, arrossamento e gonfiore che fanno immediatamente seguito all'esposizione alla luce solare. La prevalenza della EPP non è stata calcolata definitivamente. Non esistono predisposizioni di razza o di sesso. Una forma bovina di EPP viene trasmessa come carattere autosomico recessivo. In famiglie diverse affette da EPP sono state identificate molte mutazioni differenti a carico del gene per la ferrochelatasi. La gravità della malattia varia notevolmente tra i diversi pazienti; questa variabilità si osserva anche nell'ambito della stessa famiglia, nella quale più individui hanno ereditato la medesima mutazione ma alcuni hanno un aumento minimo o nullo della protoporfirina eritrocitaria. Pertanto, la variabilità della gravità della EPP non viene spiegata del tutto dalla natura delle differenti mutazioni. Piuttosto, essa può essere dovuta a un tratto genetico che determina una sottoespressione del gene normale per la ferrochelatasi ereditato dall'altro genitore. Come conseguenza, i pazienti con manifestazioni cliniche di EPP possono avere un'attività della ferrochelatasi inferiore a quella che ci si aspetterebbe da una semplice ereditarietà di tipo autosomico dominante (pari alla metà dell'attività normale).

Sintomi e segni I sintomi generalmente hanno un esordio precoce nel corso della vita. Subito dopo l'esposizione alla luce solare (talvolta dopo pochi minuti) si sviluppano dolore urente, prurito, eritema e un gonfiore che può somigliare all'angioedema. Questa sintomatologia non è caratteristica di altre porfirie. Con l'esposizione frequente al sole, possono verificarsi indurimento e ispessimento della cute del dorso delle mani, lievi cicatrici e alterazioni delle unghie, ma vesciche e cicatrici

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Le porfirie

profonde non sono usuali. Poiché i disturbi soggettivi sono maggiori del danno cutaneo obiettivo, la malattia può non essere riconosciuta anche in pazienti con sintomi gravi. I pazienti possono sviluppare calcoli della colecisti contenenti protoporfirina, conseguenza dell'elevata concentrazione di protoporfirina nella bile. La malattia può presentarsi anche con un'inspiegata, lieve alterazione delle prove di funzionalità epatica. L'epatopatia cronica, sebbene infrequente, può essere grave. L'insufficienza epatica si verifica di rado, ma può progredire rapidamente. La disfunzione epatica progressiva nella EPP è associata con l'aumento della concentrazione di protoporfirina nel fegato, nel plasma e negli eritrociti, e con il peggioramento della fotosensibilità. Il danno epatico può essere in parte dovuto agli effetti tossici e colestatici dei grandi quantitativi di protoporfirina presenti nel fegato. Se è presente anche una patologia epatica concomitante, l'insufficienza epatica può essere reversibile. Altrimenti, il trattamento è generalmente inefficace e può divenire necessario il trapianto di fegato. Nelle forme avanzate dell'epatopatia da protoporfiria sono state osservate lesioni gravi da fotosensibilità simili a ustioni (specialmente dopo esposizione alle luci delle sale operatorie) e perfino una neuropatia motoria.

Diagnosi La EPP deve essere sospettata nei pazienti che lamentano fotosensibilità cutanea iniziata precocemente nel corso della vita, ma che non riferiscono la comparsa di vesciche o cicatrici. Un'anamnesi familiare negativa è di riscontro comune. La concentrazione di protoporfirina negli eritrociti e nel plasma è marcatamente aumentata, mentre le porfirine urinarie non lo sono. L'aumento della protoporfirina eritrocitaria non è specifico; esso può comparire nei deficit di ferro, nell'avvelenamento da piombo, in diversi disordini degli eritrociti, in ogni porfiria autosomica recessiva e talvolta nelle porfirie autosomiche dominanti acute. Un aumento dei livelli plasmatici delle porfirine, tuttavia, si verifica raramente in condizioni diverse dalle porfirie che provocano fotosensibilità cutanea. In tutte le condizioni diverse dalla EPP nelle quali la protoporfirina eritrocitaria è aumentata, comprese alcune altre porfirie, la protoporfirina in eccesso presente nei globuli rossi è complessata con lo zinco, mentre nella EPP essa non lo è. Le protoporfirine eritrocitarie complessate con lo zinco e non complessate con esso non vengono dosate separatamente nella maggior parte dei laboratori. Poiché si ritiene talvolta (non correttamente) che l'avvelenamento da piombo sia associato con un aumento della protoporfirina libera eritrocitaria, può risultare poco chiaro se il valore di una concentrazione di protoporfirina libera eritrocitaria si riferisca a quella complessata con lo zinco o a quella non legata al metallo. Nella EPP possono verificarsi aumenti notevoli della protoporfirina nelle feci. Il dosaggio delle porfirine negli eritrociti, nel plasma e nelle feci può essere utile per identificare la malattia nei familiari del paziente. La ricerca di una mutazione ereditaria della ferrochelatasi nei familiari è realizzabile se è stata identificata la mutazione esatta nel caso indice.

Terapia e prognosi La fotosensibilità viene trattata evitando l'esposizione alla luce solare. Il beta carotene, quando assunto in quantità tali da causare un lieve ingiallimento della cute, è particolarmente efficace per il trattamento di questa porfiria; 120-180 mg/ die PO migliorano la tolleranza alla luce solare in molti pazienti. Il livello sierico terapeutico raccomandato di beta carotene va da 600 a 800 mg/dl; gli effetti positivi si manifestano solitamente da 1 a 3 mesi dopo l'inizio della terapia. La protoporfirina escreta nella bile può essere parzialmente riassorbita dall'intestino e ritornare per via ematica al fegato. Al fine di interrompere questo circolo enteroepatico sono stati somministrati, con qualche successo, resine e altri agenti leganti. I farmaci dannosi per le porfirie epatiche non sembrano file:///F|/sito/merck/sez02/0140210.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.30

Le porfirie

esacerbare le porfirie eritropoietiche, ma vengono comunque evitati per precauzione. Il deficit di ferro può contribuire alla compromissione dell'attività della ferrochelatasi e deve essere trattato adeguatamente. Diversamente dalle porfirie epatiche, il decorso della EPP è costante nel tempo e si osservano scarse variazioni dei livelli di protoporfirina nel plasma e negli eritrociti, salvo quando si sviluppano complicanze epatiche. Il trattamento dell'insufficienza epatica da protoporfirina è complesso e può richiedere il trapianto di fegato.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 249-1. CATEGORIE DI FARMACI SICURI IN GRAVIDANZA SECONDO LA FDA Categoria

Descrizione

A

Studi controllati nell’uomo hanno dimostrato che non ci sono rischi; questi farmaci sono i più sicuri

B

Studi su animali dimostrano che non ci sono rischi per il feto, ma non ci sono studi controllati nell’uomo, o gli studi su animali hanno dimostrato un rischio per il feto, ma studi ben controllati nell’uomo non lo hanno confermato

C

Esiste l’evidenza nell’uomo di un rischio per il feto, ma i benefici possono essere superiori al rischio in certe situazioni (p.es., condizioni pericolose per la vita o malattie gravi per le quali non possono essere usati farmaci più sicuri o altrettanto efficaci)

D

Non sono stati eseguiti degli studi adeguati negli animali o nell’uomo, o sono stati dimostrati degli effetti collaterali sul feto negli animali, ma non sono disponibili dei dati nell’uomo

X

I rischi per il feto superano qualunque possibile beneficio

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Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA OPPIACEI Marcata dipendenza psichica che si manifesta con una compulsione irresistibile all’assunzione continua degli oppiacei, con lo sviluppo di una tolleranza che porta a un aumento del dosaggio per ottenere gli effetti iniziali e con una dipendenza fisica che cresce di intensità con l’aumentare delle dosi e della durata d’uso.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Complicanze Terapia

La dipendenza fisica porta alla necessità di un uso continuativo dello stesso oppiaceo o di una sostanza simile per prevenire l’astinenza. La sospensione del farmaco o la somministrazione di un antagonista porta alla comparsa di una caratteristica sindrome da astinenza autolimitante. La tolleranza e la dipendenza fisica dagli oppiacei (naturali o di sintesi) si sviluppano rapidamente; dosi terapeutiche assunte regolarmente per 2-3 giorni possono portare a un certo grado di tolleranza e dipendenza e alla sospensione della sostanza; il consumatore può presentare sintomi da astinenza lieve, che passano quasi inavvertiti o sono descritti come casi di influenza. I pazienti con dolore cronico che necessitano di un uso a lungo termine non vanno etichettati come tossicomani, sebbene anche essi possano avere problemi di tolleranza e dipendenza fisica (v. nel Cap. 167). Gli oppiacei inducono tolleranza crociata, quindi i tossicodipendenti possono sostituirne uno con un altro. Le persone che hanno sviluppato una tolleranza possono presentare scarsi segni dell’uso di droga, e possono avere un funzionamento normale nelle proprie attività usuali, ma il problema di procurarsi la droga é sempre presente. La tolleranza ai vari effetti spesso si sviluppa in modo irregolare. Gli eroinomani possono diventare largamente tolleranti agli effetti euforizzanti o letali della droga, ma continuare ad avere miosi pupillare e stipsi.

Sintomi e segni L’intossicazione acuta (overdose) da oppiacei è caratterizzata da euforia, rossore, prurito cutaneo (in particolare con la morfina), miosi, sonnolenza, diminuzione della frequenza e dell’ampiezza del respiro, ipotensione, bradicardia, diminuzione della temperatura corporea. La sindrome da astinenza da oppiacei in genere include segni e sintomi di ipereccitabilità del SNC. La gravità della sindrome cresce con l’aumentare della dose di oppiaceo e con la durata della dipendenza. I sintomi compaiono già 4-6 h dopo la sospensione e, per l’eroina, raggiungono il massimo tra 36 e 72 h.. Uno stato d’ansia e un desiderio impellente (craving) per la droga vengono seguiti da

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Uso e dipendenza da sostanze

un aumento della frequenza respiratoria a riposo (> 16 atti respiratori al minuto), in genere con sbadigli, sudorazione, lacrimazione e rinorrea. Altri sintomi sono la midriasi, la piloerezione ("pelle d’oca"), i tremori, le contrazioni muscolari, gli accessi di caldo e di freddo, i dolori muscolari e l’anoressia. La sindrome da astinenza in persone che assumevano metadone (che ha un’emivita lunga), si sviluppa più lentamente ed è chiaramente meno grave di quella da eroina, sebbene i tossicomani possano descriverla come peggiore.

Complicanze Molte complicanze della dipendenza da eroina sono correlate a una somministrazione della sostanza in condizioni non igieniche. Altre sono dovute alle proprietà intrinseche della droga, a overdose oppure al comportamento durante lo stato di intossicazione concomitante al consumo della droga. Complicanze frequenti sono i problemi polmonari, le epatiti, i disturbi di tipo artritico, le alterazioni immunologiche e i disturbi neurologici. Polmonari: possono verificarsi polmoniti da aspirazione e di origine infettiva, ascessi polmonari, emboli settici del polmone e atelettasie. Quando vengono iniettate compresse preparate per uso orale, può insorgere una fibrosi polmonare sulla base di una granulomatosi da talco. L’abuso cronico di eroina porta a una diminuzione della capacità vitale e a una diminuzione da lieve a moderata della capacità di diffusione. Tali effetti si differenziano dall’edema polmonare, che può essere associato acutamente a un’iniezione di eroina. Molti tossicodipendenti da oppiacei fumano uno o più pacchetti di sigarette al giorno, il che li rende particolarmente suscettibili a una serie di infezioni polmonari. Epatiche: può insorgere un’epatite virale di tipo A, B e C. L’associazione tra l’epatite virale e il frequente abuso alcolico può spiegare l’alta incidenza di disfunzioni epatiche. Muscolo-scheletriche: la complicanza muscolo-scheletrica più comune è l’osteomielite (in particolar modo delle vertebre lombari), dovuta probabilmente a infezioni ematogene secondarie all’uso di siringhe non sterili. Possono aversi spondiliti e sacroileiti infettive. Nella miosite ossificante (gomito del tossicodipendente), il muscolo brachiale è danneggiato da un uso maldestro dell’ago, seguito da sostituzione della massa muscolare con una massa calcifica (metaplasia extraossea). Immunologiche: in oltre il 90% dei tossicodipendenti si verifica un’ipergammaglobulinemia sia per le IgG che per le IgM. La ragione di tali alterazioni immunologiche è sconosciuta, ma essa può essere il riflesso di una stimolazione antigenica continua da parte delle infezioni o delle iniezioni parenterali quotidiane di sostanze estranee. Con il mantenimento a base di metadone, l’ipergammaglobulinemia si riduce. Gli eroinomani e gli altri consumatori di droghe EV hanno un rischio estremamente elevato di contrarre l’infezione da HIV e l’AIDS. Nelle comunità dove aghi e siringhe sono stati spesso condivisi, la diffusione dell’AIDS ha assunto proporzioni devastanti (v. Cap. 163). Neurologiche: negli eroinomani, i disturbi neurologici sono in genere rappresentati da complicanze non infettive quali coma e anossia cerebrale. Può manifestarsi un’ambliopia (dovuta presumibilmente alla contaminazione dell’eroina con chinino), una mielite trasversa e un certo numero di mono- e polineuropatie, così come una sindrome di Guillain-Barré. Le complicanze cerebrali includono quelle secondarie a endocardite batterica (meningite batterica, aneurisma micotico, ascesso cerebrale, ascessi subdurali ed epidurali), quelle dovute a epatite virale o tetano e la malaria cerebrale acuta da plasmodium falciparum. Alcune complicanze neurologiche possono essere dovute a risposte allergiche alle sostanze da taglio dell’eroina. Altre: possono insorgere ascessi cutanei superficiali, cellulite, linfangite, linfoadenite, flebite secondaria all’uso di aghi infetti. Molti eroinomani cominciano con iniezioni sottocutanee (skin popping) e possono ritornare a questa modalità file:///F|/sito/merck/sez15/1951701.html (2 of 5)02/09/2004 2.06.32

Uso e dipendenza da sostanze

di assunzione quando l’eccessiva scarificazione rende le loro vene inaccessibili. Nei casi più disperati si possono trovare ulcere cutanee nei luoghi più inverosimili. L’uso degli aghi infetti e le continue iniezioni possono portare a un’endocardite batterica, a un’epatite, e all’infezione da HIV. Queste complicanze fanno seguito a iniezioni frequenti. Poiché di recente la potenza dell’eroina è aumentata, un maggior numero di consumatori la inalano e la fumano, quindi i problemi infettivi potrebbero diminuire. Gravidanza e abuso di oppiacei: alcuni problemi della madre eroinomane vengono trasmessi al feto. Poiché l’eroina e il metadone passano liberamente la barriera placentare, il feto sviluppa subito una dipendenza fisica. Una madre con infezione da virus HIV o da virus dell’epatite B può trasmettere il virus al proprio neonato. Le tossicodipendenti incinte visitate in tempo devono essere incoraggiate a intraprendere un programma di mantenimento con metadone. L’astinenza é la cosa migliore per il feto, ma le madri astinenti spesso tornano all’uso di eroina e trascurano le cure prenatali. La sospensione dell’eroina o del metadone nelle donne incinte alla fine del 3o trimestre può precipitare un travaglio precoce; quindi, le donne incinte che giungono all’osservazione a fine gravidanza possono essere stabilizzate meglio con il metadone, piuttosto che essere disturbate da tentativi di sospendere gli oppiacei. La madre in mantenimento con metadone può accudire il proprio neonato senza causargli alcun problema clinico manifesto; la concentrazione del farmaco nel latte materno è minima. I neonati di madri dipendenti da oppiacei possono presentare tremori, pianto stridulo, reazioni di paura, convulsioni (raramente) e tachipnea. I problemi del neonato, comprese l’astinenza da sostanze e la sindrome alcolica fetale, sono trattati alla voce Patologia Metabolica nel Neonato nel Cap. 260 e alla voce Droghe e Allattamento nel Cap. 256 (v. anche Cap. 250).

Terapia Il trattamento clinico dei tossicodipendenti da oppiacei è molto difficoltoso. I medici che trattano la dipendenza pertanto dovrebbero conoscere bene le leggi statali e locali. Pochi medici hanno una formazione specifica o l’esperienza per gestire i tossicomani, i loro amici e le loro famiglie, o per gestire gli atteggiamenti della società (compresi quelli dei rappresentanti della legge, degli altri medici e del personale sanitario ausiliario) verso il loro trattamento. Di solito, il medico deve inviare i tossicomani da oppiacei nei centri di trattamento specializzati, piuttosto che tentare di curarli da solo. Per usare in maniera legale un farmaco di tipo oppiaceo nel trattamento di un tossicodipendente, il medico deve stabilire l’esistenza di una dipendenza fisica da oppiacei. Tuttavia, molti dei tossicomani che richiedono un trattamento hanno una dipendenza fisica minima, perché usano eroina di bassa qualità, che può anche non causare alcuna dipendenza fisica. Molti consumatori di eroina sono dipendenti fisicamente solo a tratti: quando l’eroina è disponibile, viene usata subito; quando è scarsa, molti restano astinenti e aspettano. La dipendenza fisica é suggerita da un’anamnesi di tre o più iniezioni di narcotico al giorno, dalla presenza di segni da ago recenti, dall’osservazione dei segni e sintomi dell’astinenza o dalla presenza di morfina in un campione urinario. L’eroina è metabolizzata in morfina, coniugata con acido glucuronico ed escreta. Trattamento di un’overdose: l’antagonista degli oppiacei naloxone (0,4-0,8 mg EV) è il farmaco di scelta, perché non induce depressione respiratoria (v. anche alla voce "Narcotici" nella Tab. 307-3). Elimina rapidamente lo stato di incoscienza dovuto a un oppiaceo. Siccome alcuni pazienti diventano agitati, confusi e aggressivi appena escono da uno stato comatoso, può essere necessario applicare dei mezzi sicuri di contenzione prima della somministrazione dell’antagonista. Tutti i pazienti trattati per un’overdose dovrebbero essere ricoverati e tenuti in osservazione almeno per 24 ore, dato che l’azione del naloxone è relativamente breve e la depressione respiratoria si può ripresentare per diverse ore, soprattutto con il metadone. L’edema file:///F|/sito/merck/sez15/1951701.html (3 of 5)02/09/2004 2.06.32

Uso e dipendenza da sostanze

polmonare grave, che può causare la morte per ipossia, abitualmente non risponde al naloxone e non é chiara la sua relazione con l’overdose. Astinenza: la sindrome da astinenza è autolimitante e, sebbene molto drammatica, non è pericolosa per la vita. Il paziente va informato che proverà sintomi sgradevoli, ai quali non sarà consentito di raggiungere livelli intollerabili, e che i farmaci usati per alleviarli saranno somministrati in base ai segni fisici obiettivi di astinenza. Il comportamento di ricerca di droga del paziente inizia in genere con i primi sintomi di astinenza, e il personale ospedaliero deve essere sempre attento alla possibilità che egli cerchi di procurarsi la droga. I visitatori vanno limitati. Molti pazienti in sindrome da astinenza hanno altri problemi medici che devono essere diagnosticati e trattati. I tossicodipendenti da oppiacei possono presentare dipendenze multiple e, sebbene sia teoricamente possibile fornire adeguati trattamenti di svezzamento per ciascuna sostanza, ciò non è necessario. Attualmente la terapia sostitutiva con metadone è il metodo preferito per lo svezzamento dagli oppiacei, in ragione della sua emivita lunga e delle sue proprietà sedative meno marcate. Il metadone viene somministrato per via orale nella quantità minima (in genere, 30 mg/die) sufficiente a prevenire i segni gravi di astinenza, ma non necessariamente tutti i segni. Dosi più alte vanno somministrate soltanto quando si osservano segni fisici di astinenza. Dosi comprese tra 25 e 45 mg possono produrre perdita di coscienza se il soggetto non ha sviluppato tolleranza. Una volta stabilita la dose adeguata, essa va ridotta progressivamente di non più del 20% al giorno. A questo punto i pazienti in genere si arrabbiano e spesso chiedono altri farmaci. Le manifestazioni acute di astinenza scompaiono di solito entro 7-10 gg, ma i pazienti lamentano spesso debolezza, insonnia e una grave ansia pervasiva per diversi mesi. Il cloralio idrato, da 500 a 1000 mg/die PO, può migliorare il sonno. Per un periodo fino a 6 mesi possono persistere effetti metabolici e psicologici minori dell’astinenza. Non è chiaro se questa sindrome di astinenza protratta contribuisca alle recidive. La dipendenza da oppiacei lieve (quale può insorgere in soggetti che abbiano usato analgesici oppioidi per lungo tempo) può essere trattata riducendo la dose di narcotico gradualmente, sostituendolo con un oppiaceo debole (p. es., il propossifene napsilato) oppure usando le benzodiazepine (che non hanno tolleranza crociata con gli oppiacei) a dosi scalari. Il farmaco adrenergico centrale clonidina è in grado di bloccare quasi tutti i segni dell’astinenza da oppiacei. Probabilmente riduce la dismissione adrenergica centrale secondaria alla stimolazione dei recettori centrali (lo stesso meccanismo con il quale la clonidina abbassa la PA). Tuttavia la clonidina causa ipotensione e sonnolenza e la sua sospensione può portare rapidamente all’insorgenza di agitazione, insonnia, irritabilità, tachicardia e cefalea. La clonidina può essere utile alla sospensione dell’eroina o del metadone prima dell’inizio di un trattamento orale con naltrexone (v. oltre). Anche l’agonista-antagonista degli oppiacei buprenorfina è stato usato con successo nella sospensione. Astinenza da metadone: la sindrome da astinenza indotta dal metadone è simile a quella da eroina, ma il suo inizio è più graduale e ritardato e inizia da 36 a 72 h dopo la sospensione della sostanza. Spesso si lamentano dolori muscolari profondi ("dolori alle ossa"). Lo svezzamento dal metadone per i tossicodipendenti che hanno seguito un programma di mantenimento con tale sostanza può risultare particolarmente difficile, poiché la dose di metadone raggiunta può essere maggiore di 100 mg/die. Generalmente la disintossicazione va iniziata riducendo la dose a 60 mg/die per diverse settimane prima di tentare una disintossicazione completa. La clonidina può essere particolarmente utile come adiuvante nello svezzamento da metadone. Dipendenza cronica da oppiacei: non vi é consenso sul trattamento a lungo termine dei tossicodipendenti da oppiacei. Migliaia di tossicodipendenti da oppiacei statunitensi sono inclusi in programmi di mantenimento con metadone, miranti a soddisfare i problemi di rifornimento dei tossicodipendenti attraverso l’erogazione di dosi adeguate di metadone orale, mettendoli così in condizione di essere socialmente produttivi. Il metadone blocca gli effetti dell’eroina iniettata e allevia la "fame di droga" del consumatore. Per molti soggetti il programma ha

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Uso e dipendenza da sostanze

funzionato. La larga diffusione dell’uso del metadone ha tuttavia provocato irritazione a livello sociale e politico, e molte persone non hanno fiducia nella sua utilità come trattamento. Il levo-acetilmetadolo (LAAM), un oppiaceo a lunga emivita affine al metadone, può essere usato 3 volte a settimana, diminuendo la spesa e il problema delle visite quotidiane o dell’assunzione domiciliare. Una dose di 80 mg 3 volte a settimana è comparabile al metadone da 30 a 100 mg/die. Il naltrexone, un antagonista degli oppiacei con biodisponibilità orale, blocca gli effetti dell’eroina. Possiede un lieve effetto agonista e molti tossicomani da oppiacei non lo prendono volontariamente. La dose abituale è di 50 mg/die o 350 mg/sett. frazionata in 2 o 3 somministrazioni. Alcuni dati suggeriscono di sperimentare l’agonista-antagonista buprenorfina per il trattamento di mantenimento dei tossicomani da oppiacei. Tale farmaco blocca i recettori, interferisce con l’uso dell’eroina e fornisce un lieve effetto oppioide che può motivarne l’uso continuativo. Può essere venduta come compressa sublinguale. L’idea della comunità terapeutica, introdotta dal Daytop Village e dalla Phoenix House, implica un trattamento non farmacologico attuato in centri residenziali pubblici, ove i consumatori di droga ricevono un addestramento, un’educazione e un reindirizzo che li aiuta a ricostruirsi una vita. La permanenza è relativamente lunga (di solito 15 mesi). Queste comunità hanno aiutato e persino trasformato alcune persone. Tuttavia, i tassi iniziali di abbandono sono estremamente alti. Sono ancora senza risposta le domande su quanto funzionino queste comunità, su quanto largamente possano essere utilizzate e su quanti fondi la società dovrà investirvi. L’epidemia di AIDS ha fatto nascere il movimento per la riduzione del danno, che cerca di offrire dei servizi che riducano i danni dell’uso di sostanze senza richiederne la sospensione. Per esempio, fornire aghi e siringhe pulite ai consumatori EV riduce la diffusione dell’HIV. Nonostante queste evidenze, i fondi federali degli Stati Uniti non possono essere usati per istituire una fornitura di aghi o siringhe ai consumatori EV. Altri tipi di approcci alla riduzione del danno, tra cui l’accesso facilitato al metadone, le strategie di mantenimento alternative e l’attenuazione delle restrizioni alle prescrizioni di sostanze psicoattive sono più diffuse in Europa che negli USA, dove i programmi considerati come un appoggio al comportamento di consumo di sostanze trovano delle resistenze.

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252.ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA IPEREMESI GRAVIDICA Nausea e vomito incontrollabili durante la gravidanza che causano disidratazione e acidosi.

Sommario: Introduzione Terapia

L’iperemesi gravidica è diversa dal solito malessere mattutino con nausea e vomito. Molte donne affette da malessere mattutino ritengono di vomitare tutto quello che ingeriscono, ma se continuano ad aumentare di peso e non sono disidratate, non sono affette da un’iperemesi gravidica. La perdita di peso, la disidratazione e la chetosi confermano la notevole entità del vomito. I fattori psicologici hanno, nell’iperemesi gravidica, un’importanza preminente, ma ciò non ne diminuisce il pericolo. L’iperemesi gravidica persistente è rara, ma può essere associata a un grave danno epatico. I rilievi autoptici mostrano solitamente in questi casi una grave necrosi centrolobulare o delle estese zone di degenerazione grassa simili a quelle osservate nella denutrizione. Le pazienti devono essere studiate per evidenziare insospettate epatopatie, infezioni renali, pancreatiti, occlusioni intestinali, lesioni dell’apparato GI e lesioni intracraniche, tutte condizioni che possono provocare il vomito.

Terapia L’acidosi e la disidratazione sono corrette con infusioni EV di acqua, glucoso ed elettroliti. La paziente deve essere ospedalizzata, mantenuta a letto e non deve assumere nulla per bocca per 24 ore. Se necessario, devono essere somministrati antiemetici e sedativi. A volte, è necessaria una terapia vitaminica EV. Dopo la correzione della disidratazione e del vomito acuto, si può iniziare un’alimentazione orale leggera, in piccole quantità e a frequenti intervalli e la si può gradualmente aumentare, se ben tollerata. In genere, il vomito cessa dopo pochi giorni ma, a volte, il regime rappresentato dal digiuno, dalle infusioni EV e dai piccoli pasti deve essere ripetuto una o due volte. È obbligatorio eseguire esami oftalmoscopici ripetuti e, se compare una retinite emorragica, la gravidanza va subito interrotta. L’interruzione della gravidanza deve essere presa in considerazione anche se non si sviluppa la retinite, nei rari casi che non rispondono alla terapia (come evidenziato dalla continua perdita di peso, dall’ittero e dall’aumento della frequenza cardiaca).

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Anomalie della gravidanza

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 251-1.TRATTAMENTO DEL DIABETE MELLITO IN GRAVIDANZA Tipo I*

Assistenza prima del concepimento Il diabete deve essere controllato. La concentrazione di Hb A1c deve essere ≤8% al concepimento.† Ricercare le complicanze renali, retiniche e cardiache.

Assistenza prenatale

Travaglio e parto

Il trattamento deve iniziare dopo Un parto a termine per via la prima mestruazione mancata. vaginale è possibile se la paziente ha dei documentati criteri di datazione e un buon Raccomandare delle visite controllo del diabete; prenatali settimanali. l‘amniocentesi può non essere necessaria. Il parto La dieta deve essere cesareo deve essere individualizzata secondo le linee eseguito se sono presenti guida dell‘ADA e coordinata con delle complicanze perinatali, la somministrazione di insulina. se i criteri di datazione o il controllo del diabete non Raccomandare tre pasti e tre sono soddisfacenti, o se le spuntini al giorno, sottolineando cure prenatali sono state la corretta distribuzione nella inadeguate; l‘amniocentesi giornata. viene eseguita per stabilire la maturità fetale, come indicato Individualizzare il tipo e la dose da un rapporto lecitina/ di insulina. Si somministrano i sfingomielina ≥ 2 e da un 2/3 della dose totale al mattino fosfatidilglicerolo ≥ 3%. Il (60% NPH, 40% regolare) e 1/3 parto deve essere eseguito (50% NPH, 50% regolare) alla alla 40a sett. o prima. sera.‡ Durante il parto, può essere somministrata un‘infusione continua di insulina a basso dosaggio, o l‘usuale dose di insulina NPH della sera; la Controllare i livelli dell‘Hb A1c q dose di insulina del mattino è sospesa il giorno del 4-6 sett. travaglio. Somministrare insulina regolare SC al Avvertire le pazienti del rischio di ipoglicemia durante l‘esercizio bisogno durante il travaglio e il parto. fisico e la notte. Insegnare alle pazienti come eseguire a casa il monitoraggio della glicemia.

Istruire la paziente e i familiari sulla somministrazione del glucagone. Monitorare il feto con i non stress test, i profili biofisici e la conta dei movimenti fetali dalla 35a sett. fino al termine (o prima file:///F|/sito/merck/tabelle/25101.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.33

Organizzare il controllo del diabete nel periodo di transizione e nel post-partum.

Manuale Merck - Tabella

se necessario). II*

La paziente deve essere incoraggiata a perdere peso, se obesa (BMI>27).

Individualizzare la dose e il tipo Il trattamento è lo stesso del di insulina. Nelle pazienti obese, tipo I. prescrivere insulina regolare prima di ogni pasto. Nelle pazienti di peso normale, somministrare i 2/3 della dose L‘iperglicemia deve totale (60% NPH, 40% regolare) essere controllata.§ al mattino e 1/3 (50% NPH, 50% regolare) alla sera. Usare La concentrazione di Hb insulina suina altamente A1c deve essere ≤8% al purificata o umana. concepimento.† Raccomandare una dieta povera di grassi, relativamente ricca di carboidrati complessi e ricca di fibre alimentari. Incoraggiare l‘esercizio fisico.

Individualizzare l‘apporto calorico giornaliero per evitare un eccessivo aumento del peso (>9kg [>20lb]) per le pazienti obese. Per le pazienti obese, scoraggiare gli spuntini. Raccomandare un moderato esercizio fisico dopo i pasti. Insegnare alle pazienti come eseguire a casa il monitoraggio della glicemia. Monitorare la glicemia 2h dopo la colazione durante la visita di controllo settimanale. Controllare i livelli dell‘Hb A1c q 46sett.

Gestazio- Nessuna assistenza nale particolare eccetto il caso in cui la paziente abbia una storia di DMG; le pazienti devono provare a raggiungere un peso normale ed eseguire un moderato esercizio fisico.

Modificare la dieta: eliminare i dolci e monitorare l‘apporto calorico per prevenire un eccessivo aumento di peso (>9kg [>20lb]). Scoraggiare gli spuntini nelle pazienti obese.

Raccomandare un esercizio Controllare la glicemia a fisico moderato dopo i pasti. digiuno e i livelli di Hb A1c. Prescrivere piccole dosi di

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È indicato il parto a termine; evitare le gestazioni prolungate (>42sett.).

Manuale Merck - Tabella

insulina purificata suina o umana ad azione rapida prima dei pasti se i livelli postprandiali della glicemia sono >120mg/dl (>6,6mmol/l). Monitorare la glicemia 2h dopo la colazione durante la visita di controllo settimanale. *Linee guida solo suggerite; le accentuate variazioni individuali necessitano degli appropriati aggiustamenti. †I valori normali possono variare a seconda dei metodi di laboratorio utilizzati. ‡Alcuni programmi ospedalieri raccomandano fino a 4 somministrazioni di insulina al giorno. L‘infusione SC continua di insulina, eseguita nell‘ambito di ricerche mediche, potrebbe essere un‘alternativa. È un trattamento laborioso e può essere uti lizzato solo in situazioni particolari e nei centri diabetologici. §Le donne che seguono una terapia con ipoglicemizzanti orali devono sospendere il trattamento e utilizzare l‘insulina per controllare la glicemia. Non si possono escludere, infatti, effetti sfavorevoli sullo sviluppo fetale dovuti a questi farmaci assunti per via orale. ADA=American Diabetes Association; NPH=(Neutral Protamine Hagedorn) Insulina protamina neutra di Hagedorn; BMI=(Body Mass Index) indice di massa corporea; GDM=(Gestational Diabetes Mellitus) Diabete mellito gestazionale.

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Patologie della retina

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 99. PATOLOGIE DELLA RETINA RETINOPATIE VASCOLARI RETINOPATIA DIABETICA Varietà di modificazioni retiniche patologiche caratteristiche del diabete mellito.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Questa importante causa di cecità può essere particolarmente grave nei pazienti affetti da diabete mellito insulino-dipendente (DID) (diabete mellito tipo I); si verifica frequentemente anche nel diabete mellito cronico non insulinodipendente (DNID) (diabete mellito tipo II). Il grado della retinopatia sembra altamente correlato con la durata del diabete.

Sintomi, segni e diagnosi La retinopatia non proliferante (già nota come retinopatia "background") è caratterizzata da un aumento della permeabilità capillare, microaneurismi, emorragie, essudati ed edema. I sintomi visivi generalmente non compaiono negli stadi precoci di retinopatia non proliferante. Comunque, in un piccolo numero di pazienti possono comparire modificazioni visive precoci significative, specialmente in pazienti affetti da DNID. Perciò, le linee guida della valutazione comprendono un immediato esame annuale nei pazienti con DNID ed esami annuali che cominciano dopo 5 anni dalla diagnosi in quelli con DID. Gli esami clinici delle donne affette da diabete andrebbero eseguiti ogni tre mesi durante la gravidanza. I primi segni della retinopatia diabetica spesso sono rappresentati dalle dilatazioni venose e da piccole macchie rosse che si osservano oftalmoscopicamente nel polo retinico posteriore. Le macchie sono causate da microaneurismi capillari, che possono essere dimostrati con l'angiografia a fluorescenza. Le emorragie retiniche puntiformi e a macchia, l'edema profondo e gli essudati lipidici possono alterare la funzione maculare. I sintomi tardivi si riferiscono a una diminuzione generalizzata del visus provocata da una ridotta perfusione ed edema maculare. L'edema maculare è una causa comune di alterazione visiva nei diabetici e può essere evidenziato meglio o essere confermato con l'angiografia a fluorescenza. Compaiono i cotton-wool spot (essudati molli) che sono microinfarti causati da ridotta perfusione retinica. Essi sono bianchi e nascondono i vasi sottostanti. Gli essudati duri sono provocati da un edema cronico. Essi sono gialli e generalmente profondi rispetto ai vasi retinici. La retinopatia proliferante è caratterizzata da un'anomala neoformazione vascolare (neovascolarizzazione) che cresce sulla superficie vitreale e si estende nella cavità vitreale. In casi avanzati, possono formarsi membrane neovascolari provocando un distacco di retina trazionale. Dalle neovascolarizzazioni possono originare emorragie vitreali. I sintomi visivi sono variabili, in relazione agli eventi file:///F|/sito/merck/sez08/0990785.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.34

Patologie della retina

patologici. Per esempio, una grave e improvvisa perdita del visus può verificarsi quando è presente un'emorragia intravitreale. La prognosi visiva nella retinopatia proliferante è più limitata se associata a grave ischemia retinica, neovascolarizzazione estesa o formazione estesa di tessuto fibroso.

Terapia Il controllo del diabete e della pressione sanguigna è importante. Il Diabetes Control and Complications Trial ha dimostrato che la terapia intensiva con insulina può ritardare l'insorgenza e rallentare la progressione della retinopatia diabetica, della nefropatia e della neuropatia nei pazienti con DID. I sintomi visivi, comprendenti una visione offuscata, un'improvvisa perdita della vista in uno o ambedue gli occhi e la comparsa di macchie nere, di ragnatele o di lampi luminosi nel campo visivo, rappresentano sempre indicazioni per una consulenza oftalmologica immediata. La fotocoagulazione panretinica può diminuire o eliminare la retinopatia proliferante e la neovascolarizzazione iridea. La fotocoagulazione precoce riduce il rischio di sviluppo del glaucoma neovascolare. In molti casi di emorragie vitreali può essere utile la vitrectomia.

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

AVVELENAMENTO CHIMICO ALIMENTARE Avvelenamento causato dall'ingestione di verdure o prodotti animali che contengono un veleno presente naturalmente

Sommario: Eziologia, sintomi e segni Terapia

Eziologia, sintomi e segni Funghi (funghi velenosi): l'avvelenamento muscarinico può essere causato da molte specie di Inocybe e da alcune specie di Clitocybe. I sintomi, che iniziano da pochi minuti a 2 ore dall'ingestione, includono la lacrimazione, la miosi, la salivazione, la sudorazione, il vomito, i crampi addominali, la diarrea, le vertigini, la confusione, il coma e occasionalmente le convulsioni. Sebbene i pazienti possano morire in alcune ore, la guarigione completa in 24 h è comune con l'appropriata terapia. I sintomi dell'avvelenamento da falloidina (amanitina), dovuto all'ingestione dell'Amanita phalloides e delle specie correlate, si manifestano dopo un intervallo di 6-24 h e sono simili a quelli dell'avvelenamento da muscarina, anche se si possono manifestare oliguria e anuria; è frequente un ittero, dovuto a un danno epatico, che si sviluppa in 2-3 gg. Si possono avere remissioni, ma la mortalità può arrivare al 50%, con il decesso che si verifica in 5-8 gg. La cottura del fungo non distrugge la tossina. Altre piante velenose: molte piante selvatiche e domestiche contengono delle sostanze velenose nelle foglie e nei frutti. Esempi comuni sono rappresentati dal tasso, dal vilucchio (Ipomea purpurea), dalla morella (Solanum nigrum), dai semi di ricino, dalla dieffenbachia, dal fagiolo indiano, dai semi di tung, dai frutti dell'ippocastano e dai fiori della paradisea (semi o baccelli). I frutti dell'albero di Koenig provocano "la malattia da vomito" della Giamaica. I tuberi acerbi o i loro germogli contengono la solanina e possono causare acutamente nausea, vomito, diarrea e prostrazione generale, solitamente di grado lieve. Le fave possono causare un'emolisi acuta (favismo) nelle persone affette da un deficit di G6PD. L'avvelenamento da segale cornuta fa seguito all'ingestione di cereali contaminati con la Claviceps purpurea, un fungo delle piante. Testi specializzati forniscono una lista completa delle piante riconosciute come velenose. Avvelenamento da pesci: la maggior parte degli avvelenamenti da pesce è causata da tre diverse tossine: l'avvelenamento da Ciguatera si può verificare file:///F|/sito/merck/sez03/0280313.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.35

Gastroenterite

dopo l'ingestione di una delle oltre 400 specie di pesci provenienti dalle scogliere tropicali della Florida, delle Indie Occidentali o del Pacifico, dove un dinoflagellato produce una tossina che si accumula nella carne del pesce; più i pesci sono grandi e vecchi e più sono tossici. Non si conoscono dei procedimenti di preparazione protettivi e il sapore non è alterato. I sintomi possono iniziare 2-8 h dopo l'ingestione del pesce. Dopo i crampi addominali, la nausea, il vomito e la diarrea che dura da 6 a 17 h, si possono manifestare prurito, parestesie, cefalea, mialgia, una sensazione invertita di caldo e di freddo e dolori al viso. Anche dopo mesi, questi fenomeni sensitivi insoliti possono essere gravemente debilitanti. L'avvelenamento da tetrodotossina, dal pesce palla, causa sintomi e segni simili; il decesso può essere causato da una paralisi respiratoria. L'avvelenamento da sgombroidi è causato dalla decomposizione batterica dopo la cattura del pesce, che produce in esso elevati livelli di istamina. Il pesce può avere un sapore piccante o amaro. Le specie comunemente implicate includono il tonno, lo sgombro, il bonito, il pesce blu e il mahimahi. L'istamina causa una reazione immediata con un caratteristico arrossamento del volto. Può anche provocare nausea, vomito, dolore epigastrico e orticaria entro alcuni minuti dall'ingestione del pesce infetto. I sintomi solitamente durano < 24 h. Avvelenamento da crostacei: da giugno a ottobre, specialmente sulle coste del Pacifico e del New England le cozze, i frutti di mare, le ostriche e i pettini possono ingerire un dinoflagellato velenoso (marea rossa)che produce una neurotossina resistente alla cottura. Dopo 5-30 minuti dall'ingestione si manifestano delle parestesie periorali. Poi si sviluppano nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, cui seguono debolezza muscolare e paralisi periferica. La guarigione è di solito completa, ma l'insufficienza respiratoria può causare la morte. Contaminanti: un avvelenamento chimico può far seguito all'ingestione di frutta e verdure non lavate, trattate con arsenico, piombo o insetticidi organici; di liquidi acidi serviti in contenitori di vetro piombato; di cibi conservati in contenitori rivestiti di cadmio. I sintomi sono descritti nel Cap. 307 in base alla sostanza chimica coinvolta.

Terapia Generale: a meno che non si siano verificati vomito o diarrea violenti o se i sintomi sono comparsi diverse ore dopo l'ingestione del cibo, si deve fare un tentativo di rimuovere il veleno con la lavanda gastrica. Può essere usato un emetico: l'apomorfina, 5 mg SC (per i bambini, 0,06-0,1 mg/kg), viene somministrata una sola volta. In via alternativa, si possono somministrare fino a 45 ml di sciroppo di ipecacuana PO (per i bambini, 15 ml), ripetuti una sola volta entro 15 min se necessario, seguiti da circa 200 ml di acqua. Può essere utile il carbone attivo, 60-100 g PO o somministrato attraverso un sondino gastrico. Può essere somministrato insieme a un catartico come il sorbitolo, alla dose di 1-2 ml/ kg. Se la nausea e il vomito persistono, devono essere somministrati per via parenterale dei liquidi contenenti sali e glucoso, per combattere la disidratazione e lo squilibrio acido-base. Se c'è il rischio di uno shock, è indicato l'uso del destrano, dell'albumina umana o del sangue. Può essere necessaria la ventilazione meccanica e una terapia intensiva respiratoria. Specifica: in un paziente che ha mangiato un fungo non identificato, deve essere indotto immediatamente il vomito; l'identificazione della specie di fungo sarà utile per il trattamento successivo. L'atropina (1 mg SC o EV q 1-2 h sino a che i sintomi non sono sotto controllo), è un antagonista specifico della sovrastimolazione parasimpatica causata dall'avvelenamento muscarinico. Nell'avvelenamento da falloidina, il trattamento di supporto intensivo per l'insufficienza epatica e renale è il punto chiave del trattamento. Nel trattamento dell'ergotismo, lo spasmo arterioso può essere combattuto con il nitrito di amile, 0,3 ml per inalazione, con la nitroglicerina, 0,4 mg per via sublinguale o con la papaverina, 30-60 mg IM o EV. Quando indicato, deve essere usato un agente anticonvulsivante (p. es., il diazepam, 5-10 mg o più se necessario, lentamente EV o la fentoina, 10-15 mg/kg EV a ≤ 50 mg/min). Il mannitolo ≤ 1 g/kg EV in 30 min è stato indicato come il trattamento dell'avvelenamento grave da file:///F|/sito/merck/sez03/0280313.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.35

Gastroenterite

ciguatera. Gli H1 e gli H2-antagonisti possono essere usati per l'avvelenamento da pesce degli sgombroidi. Per l'avvelenamento causato dalla contaminazione alimentare con l'arsenico, il piombo, il cadmio o gli insetticidi organici, v. il Cap. 307.

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Terapia con ossigeno iperbarico

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 292. TERAPIA CON OSSIGENO IPERBARICO Un trattamento medico nel quale il paziente è interamente chiuso in una camera pressoria mentre respira O2 al 100% a una pressione > 1,4 volte superiore alla pressione atmosferica.

Sommario: Introduzione INDICAZIONI AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO EMBOLIA GASSOSA ARTERIOSA E PATOLOGIA DA DECOMPRESSIONE GANGRENA GASSOSA LESIONI DA SCHIACCIAMENTO E SINDROME COMPARTIMENTALE COMPROMISSIONE DEGLI INNESTI E DEI LEMBI CUTANEI INFEZIONI MISTE DA AEROBI/ANAEROBI DEI TESSUTI MOLLI LESIONI ISCHEMICHE NON CICATRIZZANTI USTIONI DANNO DA INALAZIONE DI FUMO NECROSI DA RADIAZIONI DEI TESSUTI MOLLI OSTEORADIONECROSI OSTEOMIELITE CRONICA REFRATTARIA CASI PARTICOLARI DI ANEMIA EMORRAGICA ACTINOMICOSI ASCESSO INTRACRANICO CONTROINDICAZIONI EFFETTI AVVERSI

La terapia con ossigeno iperbarico (Hyperbaric Oxygen, HBO) utilizza una camera monoposto (per persona singola) pressurizzata con O2 puro o una camera a più posti pressurizzata con aria compressa nella quale il paziente riceve O2 puro attraverso una maschera, una tenda sul capo o un tubo endotracheale. Le indicazioni, le controindicazioni e gli effetti collaterali dell’HBO sono stati stabiliti dal Comitato per la Ossigenazione Iperbarica della Undersea and Hyperbaric Medical Society (UHMS) e sono trattati oltre. Per individuare le possibilità di HBO in USA, Canada e nei Caraibi in condizioni di emergenza, chiamare il Divers Alert Network presso la Duke University, 919-6848111.

AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO Le fonti più comuni di questa sostanza sono i gas di scarico delle automobili, il riscaldamento domestico e gli scarichi industriali. Le esalazioni degli sverniciatori contenenti cloruro di metilene vengono metabolizzate dall’organismo a monossido di carbonio (CO) e possono quindi causare grave intossicazione. Sintomi simil-influenzali possono verificarsi in un soggetto apirettico o in un gruppo familiare. La cefalea, la nausea, il vomito, l’astenia e il collasso sono file:///F|/sito/merck/sez21/2922672.html (1 of 9)02/09/2004 2.06.36

Terapia con ossigeno iperbarico

spesso seguiti dal coma e dalla morte. La diagnosi non può essere fatta a meno che non ci sia il sospetto di un’esposizione a questo gas. La cute è rosso ciliegia postmortem; tuttavia, ciò non si osserva nei casi clinici. La percentuale di carbossiemoglobina presente nel sangue non può essere correlata con la prognosi e spesso non corrisponde alle condizioni cliniche, che sono determinate dalla tossicità tissutale derivante dal sovvertimento del metabolismo dei citocromi cellulari e dall’inizio della perossidazione lipidica; quest’ultima viene limitata dall’HBO a 3 atmosfere assolute. La terapia con HBO è indicata in presenza di una storia di ottundimento, di stato di incoscienza (anche se il paziente appare in buona salute al ricovero), sintomi e segni neurologici, un sottoslivellamento del segmento ST all’ECG o un livello di carbossiemoglobina > 40%. Prima della terapia con HBO, una maschera a perfetta tenuta (p. es., una maschera da aviatori, una maschera da anestesia) o un tubo endotracheale sono utilizzati per somministrare O2 al 100%. Le maschere di plastica per la respirazione in circuito chiuso, frequentemente utilizzate nei reparti di pronto soccorso, raramente liberano O2 a concentrazioni > 50% e devono essere evitate nel trattamento dell’avvelenamento da CO. L’acidosi e il pH arterioso vengono corretti a 7,15 e, se necessario, viene fornito un apporto supplementare di K. In una camera monoposto, il paziente viene trattato a 3 atmosfere assolute per 30 min, poi a 2,4 atmosfere assolute per 1 h ulteriore. Se i sintomi residui persistono, il trattamento può essere ripetuto ogni 2-8 h. Se la camera monoposto è dotata di una maschera che rifornisce aria compressa, il paziente (se capace) può indossare la maschera per gli intervalli di aria, nei quali il paziente respira temporaneamente aria invece di O2 puro. Nella camera multiposto, il paziente è tenuto a 3 atmosfere assolute e trattato per due-tre periodi di 23 min con O2 al 100% mediante una maschera, una tenda in capo o un tubo endotracheale, separati da intervalli di aria di 5 min (cioè, si rimuove la maschera, la tenda in capo o il tubo). I pazienti con un sensorio marcatamente compromesso devono essere trattenuti poiché essi possono risvegliarsi aggressivi. Il diazepam può essere somministrato per l’aggressività. La terapia con HBO va iniziata il più rapidamente possibile. Il tasso di mortalità nei casi gravi è del 13,5% quando l’HBO viene iniziato entro 6 h e del 30,1% quando viene iniziato 6 h dopo il soccorso.

EMBOLIA GASSOSA ARTERIOSA E PATOLOGIA DA DECOMPRESSIONE L’embolia di aria si verifica nei tuffatori o è secondaria all’entrata di aria durante la chirurgia vascolare, la terapia EV, la biopsia polmonare, l’iperinsufflazione polmonare durante la ventilazione meccanica (solitamente nei bambini), nella dialisi renale e nell’angiografia. Raramente, essa si verifica nelle donne in gravidanza dopo enfiagione orale della vagina con aria (come atto sessuale) e nelle vittime che fuggono dai veicoli sommersi. La malattia da decompressione deriva dalla riduzione della pressione circostante con eccesso di N2 disciolto nei tessuti, come accade alla risalita da un tuffo, all’uscita da un cassone pneumatico o da una camera iperbarica o durante salita ad alta quota. Il trattamento di ciascuna condizione è la ricompressione in una camera di HBO (v. Cap. 285).

GANGRENA GASSOSA Il clostridium perfringens è la più frequente causa di gangrena gassosa, sebbene siano solitamente presenti uno o più degli altri organismi anaerobi (v. anche Infezioni da clostridi al Cap. 157). La sindrome è principalmente mediata da una α-tossina, una lecitinasi, che lisa i GR (producendo emolisi ed ematuria) e danneggia gravemente i muscoli, le membrane cellulari e i tubuli renali. Può

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Terapia con ossigeno iperbarico

verificarsi uno shock profondo che risponde solo al sangue intero o ai GR concentrati. La morte può sopraggiungere entro 6 h dalla diagnosi se non viene instaurato immediatamente il trattamento. La prognosi risulta particolarmente infausta in un soggetto anziano defedato che abbia gangrena dell’addome o del tronco. L’utilità dell’HBO nella gangrena gassosa è stata dimostrata in validi studi su animali e in ampie sequele cliniche. Se utilizzata, la terapia con HBO deve essere effettuata negli stadi precoci della malattia, prima dell’amputazione chirurgica. La fasciotomia, se richiesta, deve essere eseguita utilizzando un blocco regionale locale. Se la sindrome progredisce nonostante la terapia nella camera iperbarica, allora è necessaria l’amputazione o un intervento ancor più mutilante. L’HBO a 3 atmosfere assolute per 90 min inibisce la produzione di α-tossina quando i livelli tissutali di Po2 sono alti. La α-tossina circolante viene fissata e disattivata nei tessuti nel giro di 30 min circa. Di solito si effettuano 3 trattamenti nel corso delle prime 24 h, seguiti da 2 trattamenti effettuati in ciascuno dei due successivi periodi di 24 h, per un totale di 7 trattamenti. Se i segni di tossicità scompaiono, possono bastare pochi cicli di trattamento, sebbene talvolta ne occorrano più di 10. Nei pazienti gravi con febbre, si può diminuire il rischio di convulsioni inserendo un intervallo libero di 5 min a metà dei 90 min di trattamento. Non appena il paziente emerge dallo stato tossico, si deve procedere alla rimozione chirurgica di tutto il materiale necrotico. La chirurgia, che richiede l’anestesia generale, deve generalmente essere rimandata a dopo i primi 2 o 3 trattamenti con HBO, poiché l’intervento impone un ritardo della terapia con HBO e potrebbe causare un’ulteriore estensione dell’infezione e della tossicità sistemica. Per di più, la demarcazione tra tessuto vitale e necrotico risulta più evidente dopo 2 trattamenti con HBO, rendendo spesso possibile una chirurgia meno demolitiva e permettendo di salvare l’intero arto. Inoltre, dopo l’intervento chirurgico, la presenza di ampie aree macerate che trasudano sangue e siero rende più complicato l’equilibrio dei liquidi e il trattamento nella camera iperbarica. Il rischio di morte, per un paziente con gangrena del tronco, è del 75% se l’HBO viene iniziata > 24 h dopo la diagnosi e < 18% se viene iniziata entro 24 h. In caso di interessamento di un arto, il tasso di mortalità supera il 9% se il trattamento con HBO viene ritardato per un tempo > 24 h, avvicinandosi a zero se si instaura entro 24 h, indipendentemente dal tipo o dal momento dell’intervento chirurgico. La gangrena gassosa provocata da C. septicum è particolarmente virulenta, spesso compare spontaneamente e frequentemente si associa al carcinoma dell’intestino.

LESIONI DA SCHIACCIAMENTO E SINDROME COMPARTIMENTALE Le lesioni da schiacciamento o da strappo (perdita di brandelli di cute e dei tessuti sottostanti alle ossa, di solito delle mani e dei piedi, come si verifica nei traumi industriali da rullo o da torchio) sono di solito caratterizzate dall’interruzione dei vasi sanguigni di grosso calibro e della continuità del letto capillare. L’edema che ben presto si forma fa aumentare la distanza che l’O2 deve percorrere per diffondere dai capillari funzionanti. Questo determina spesso l’instaurarsi di un circolo vizioso, provocando complicanze quali la sindrome compartimentale (una condizione in cui la compressione di una zona delimitata esita in ischemia e conseguente disfunzione tissutale) e il completo distacco dei tessuti compromessi. I vasi di grosso calibro devono essere riparati chirurgicamente, ma l’anossia ischemica derivante dalla riduzione del flusso capillare può giovarsi del trattamento con HBO, che preserva i livelli intracellulari di ATP, riduce l’edema e previene il danno da riperfusione. L’HBO riduce anche la tendenza dei GB ad aderire all’endotelio del tessuto leso (ritenuta importante nell’ischemia secondaria). In un paziente con un arto completamente ipossico il trattamento file:///F|/sito/merck/sez21/2922672.html (3 of 9)02/09/2004 2.06.36

Terapia con ossigeno iperbarico

con HBO può ridurre la formazione dell’edema del 50% se viene iniziato entro 8 h, sempre che non siano stati lesi i vasi di grosso calibro. L’HBO a 2,42,5 atmosfere assolute viene somministrata bid per 6 giorni. Il trattamento con HBO riduce il flusso sanguigno nel muscolo normale (ma non nel muscolo postischemico) di circa il 20%, riduce l’edema e incrementa la quantità di O2 disciolto nel plasma. I tessuti ricevono una grande quantità di O2, anche se i capillari funzionanti possono essere scarsi, ottenendosi così una riduzione della necrosi tissutale di circa il 50% nei compartimenti gravemente danneggiati. Si comprende come l’HBO sia estremamente prezioso in senso profilattico nell’impedire la sindrome compartimentale, sebbene esso rimanga soltanto una terapia di supporto alla fasciotomia quando la sindrome si è già instaurata. Uno studio prospettico, randomizzato, controllato da placebo, ha messo in evidenza un decremento statisticamente significativo della necessità di ripetere l’intervento chirurgico o di effettuare l’amputazione con l’uso di HBO.

COMPROMISSIONE DEGLI INNESTI E DEI LEMBI CUTANEI La maggior parte degli innesti e dei lembi cutanei attecchisce senza l’ausilio della terapia con HBO, sebbene nel tessuto ischemico l’HBO incrementi la probabilità di attecchimento dell’innesto. Il trattamento del rigetto a tutto spessore dei lembi cutanei deve essere iniziato alla comparsa dei primi segni di cianosi o del rigetto stesso e deve essere continuato bid a 2,0-2,4 atmosfere assolute per 90 min, per 3-7 gg, a seconda di come si presenta l’innesto. Nei pazienti compromessi con un precedente rigetto a tutto spessore di un innesto, spesso quest’ultimo può essere fatto attecchire usando l’HBO a 2,0 o 2,4 atmosfere assolute per 90 min una o due volte al giorno, allo scopo di produrre un tessuto di granulazione adatto all’innesto e continuando il trattamento bid nei 3 gg seguenti l’intervento.

INFEZIONI MISTE DA AEROBI/ANAEROBI DEI TESSUTI MOLLI La maggior parte dei processi infettivi risponde bene a un’adeguata detersione e alla somministrazione di antibiotici, ma nei pazienti con ischemia periferica (Po2 tissutale < 30 mm Hg) l’azione battericida dei GB è compromessa e può essere utile l’HBO. Da sette a 10 trattamenti a 2,4 atmosfere assolute per 90 min si sono dimostrati in grado di ridurre la mortalità associata a queste infezioni. La terapia iniziale con HBO deve seguire un protocollo simile a quello della gangrena gassosa (v. sopra). In uno studio comparativo, nel quale l’HBO è stato usato come adiuvante nella fascite necrotizzante (v. Infezioni sottocutanee necrotizzanti al Cap. 112), si è avuta una significativa riduzione del tasso di mortalità dal 66 al 23% e del numero dei drenaggi chirurgici necessari per il controllo dell’infezione da 3,3 a 1,2.

LESIONI ISCHEMICHE NON CICATRIZZANTI Se la Po2 transcutanea (TcPo2) è > 40 mm Hg, la cicatrizzazione, in assenza di infezioni con chiusura della ferita, può probabilmente essere ottenuta senza HBO. Se una TcPo2 < 40 mm Hg aumenta fino a 200 mm Hg con HBO a 2,4 atmosfere assolute, allora la guarigione con più probabilità si avrà dopo trattamenti seriali. Se la TcPo2 non cresce significativamente entro 14 trattamenti (misurata mentre il paziente sta respirando aria), l’HBO deve essere interrotto. Quando la TcPo2 è > 40 mm Hg con il paziente che respira aria, l’HBO può essere sospeso anche se la ferita non è completamente cicatrizzata. Se la TcPo2 non raggiunge mai 40 mm Hg e la rivascolarizzazione chirurgica è impossibile, l’amputazione è maggiormente indicata.

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USTIONI (v. anche il Cap. 276) Le ustioni profonde di secondo grado possono comportare perdite tissutali a tutto spessore e, in questi casi, può essere presa in considerazione la terapia con HBO per ridurre l’ipossia e la formazione di edemi mediante la preservazione dell’ATP e della glicolisi aerobia. Questo approccio terapeutico, se effettuato entro le prime 24 h, riduce anche la richiesta di liquidi per il 35%. Perché risulti più efficace, l’HBO deve essere iniziato entro le 24 h dall’ustione, preferibilmente il più presto possibile. L’HBO aiuta a trattare un concomitante danno da inalazione di fumo (v. oltre) con avvelenamento da CO o da cianuro. Inoltre, si riduce l’incidenza di cicatrici ipertrofiche e di contratture. L’infusione di liquidi deve essere continuata senza interruzione mentre il paziente è nella camera. Il paziente deve anche essere protetto dalla perdita di calore. Il trattamento delle ustioni mediante HBO deve essere effettuato soltanto in centri specializzati per le ustioni e secondo rigidi protocolli. Quando è utilizzato l’HBO, la mafenide topica incrementa la Pco2 intracellulare poiché inibisce l’anidrasi carbonica, causando vasodilatazione periferica. Questi risultati, quando associati alla vasocostrizione centrale determinata dall’HBO, sono peggiori di quelli che possono essere ottenuti utilizzando le due terapie separatamente. La sulfadiazina argento topica è un’alternativa che non blocca l’anidrasi carbonica. L’HBO viene erogato a 2 atmosfere assolute per 90 min ogni 8 h durante le prime 24 h e, successivamente, bid fino a quando tutte le aree ustionate non siano state ricoperte da epitelio o non si sia ottenuto l’attecchimento dei lembi cutanei. I protocolli per i bambini prevedono HBO per 45 min; dovrebbero essere consultati testi appropriati. Gli altri approcci terapeutici delle ustioni vengono descritti nel Cap. 276. Durante la terapia con HBO può essere effettuata un’escissione perilesionale, ma questa può essere ritardata di 3-4 giorni, per determinare l’esatta estensione del danno a tutto spessore. L’innesto viene eseguito non appena sia presente tessuto di granulazione uniformemente sano.

DANNO DA INALAZIONE DI FUMO La tossicità derivante dall’inalazione di fumo consiste, di solito, in un avvelenamento da CO o da cianuro, associato a una grave forma di polmonite chimica. Poiché il broncospasmo e l’edema polmonare peggiorano tipicamente dopo le prime 24-36 h, i pazienti devono essere tenuti in osservazione, monitorando i gas ematici per almeno 24 h prima di permettere la loro dimissione. Il trattamento con HBO nell’inalazione da fumo è un coadiuvante della terapia respiratoria. L’HBO allontana rapidamente la carbossiemoglobina dal sangue e fornisce O2 disciolto nel plasma, controbilanciando così gli effetti tossici tissutali del CO e del cianuro. Esso riduce il contenuto di acqua nel polmone. La terapia d’attacco deve seguire il protocollo per l’avvelenamento da CO (v. sopra). Talvolta può rendersi necessario un supporto ventilatorio, sebbene il trattamento precoce con HBO riduca la necessità dell’intubazione.

NECROSI DA RADIAZIONI DEI TESSUTI MOLLI Entro 6-18 mesi dall’applicazione locale di radiazioni su un tessuto, i vasi sanguigni di medio calibro della zona irradiata vanno incontro a una progressiva sclerotizzazione, alla quale fa seguito una netta riduzione dell’apporto ematico, che può pertanto essere inadeguato a rifornire il tessuto che si sta riparando in caso di danno, infezione o intervento chirurgico. Quando la Po2 tissutale scende a meno di 30 mm Hg, si riduce la capacità dei GB di distruggere i batteri e le file:///F|/sito/merck/sez21/2922672.html (5 of 9)02/09/2004 2.06.36

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ulcere tendono tipicamente a estendersi. La radionecrosi è molto frequente dopo irradiazione di tumori della testa e del collo, ma possono anche verificarsi dopo irradiazione di altri tumori, p. es., dell’addome o della pelvi. La necrosi vaginale e la cistite emorragica da irradiazione sono complicanze dei tumori della cervice e della prostata. Prima dell’avvento della terapia con HBO, l’unico approccio terapeutico possibile era quello chirurgico. Di solito si ottengono buoni risultati con l’asportazione dell’area irradiata e con innesti di tessuto molle vascolarizzato con apporto ematico proprio, ma questi possono non essere praticabili a causa della presenza di strutture critiche (p. es., l’arteria carotide). In assenza di un tumore recidivante che richieda immediata estirpazione, l’approccio chirurgico non deve essere tentato fino a quando non sia stato effettuato un adeguato pretrattamento con HBO, capace di stimolare la formazione del tessuto di granulazione necessario a sostenere il trapianto. Il trattamento con HBO della radionecrosi dei tessuti molli e dell’osso e della osteoradionecrosi è di 2,4 atmosfere assolute per 90 min al giorno, per 5 giorni/ sett. La Po2 tissutale può aumentare di circa l’80% rispetto alla norma (con il paziente che respira aria) dopo 18-30 trattamenti, mentre viene stimolata la neovascolarizzazione del tessuto irradiato. Possono allora essere eseguiti l’intervento chirurgico con lembo muscolocutaneo e anche l’innesto di osso. Se è assente un’ulcerazione franca, ma l’area in cui l’intervento deve essere effettuato ha ricevuto 50 Gy, prima dell’intervento vengono eseguiti 20 trattamenti. Se è presente un’ulcerazione franca, vengono eseguiti 30 trattamenti. Dopo l’intervento chirurgico vengono solitamente somministrati 10 trattamenti aggiuntivi. Con questo pre-trattamento si sono ottenute chiusure spontanee di fistole orocutanee ed è possibile ottenere la risoluzione di infezioni sovrapposte se la Po2 aumenta in modo sufficiente. Quando viene assicurata un’adeguata terapia con HBO, le ulcere da radiazione cicatrizzate tendono a stabilizzarsi e a non mostrare il caratteristico deterioramento a lungo termine. L’HBO non stimola la crescita di alcun tumore residuo.

OSTEORADIONECROSI L’osteoradionecrosi interessa in genere la mandibola a seguito dell’irradiazione di tumori della testa e del collo. La terapia radiante ad alto voltaggio provoca una necrosi asettica per distruzione degli osteoclasti e degli osteoblasti. La maggior parte delle osteoradionecrosi mandibolari origina dall’estrazione dei denti, in seguito allo sviluppo di carie da irradiazione. Il trauma legato all’estrazione del dente provoca la distruzione del tessuto gengivale e la conseguente necrosi ossea progressiva. È spesso visibile l’osso esposto. Se si evidenzia l’infezione con formazione di pus, non può trattarsi di una forma di osteomielite. Questa infezione ha sempre un’origine periossea e, nell’osso, il processo è rappresentato da una necrosi asettica. Il tessuto di granulazione non riesce a formare un ponte sull’osso necrotico e il processo infettivo progredisce nonostante vengano praticate un’accurata detersione della ferita e la somministrazione di antibiotici; la guarigione, senza l’uso dell’HBO, si ottiene soltanto nell’8% circa dei casi. Nel caso si renda necessaria l’estrazione di un dente in un’area che sia stata precedentemente irradiata, il paziente va sottoposto a trattamento con HBO 1 volta/die per 5-6 giorni/sett., per un totale di 20 trattamenti. Dopo l’intervento, vanno effettuate fino a 10 ulteriori sedute, una al giorno. È opportuna la somministrazione perioperatoria di antibiotici. Anche in pazienti che hanno ricevuto un’irradiazione dell’area mascellare > 60 Gy l’osteoradionecrosi può essere prevenuta nel 92% circa dei casi. Il trattamento è elencato nella Tab. 292-1. Circa il 94% dei pazienti non presenterà più dolore. L’escissione chirurgica dell’osso necrotico, possibilmente con trapianto di osso, permetterà il ripristino di una mucosa intatta e di una forma e una dimensione della mandibola normali con un peso alveolare sufficiente a file:///F|/sito/merck/sez21/2922672.html (6 of 9)02/09/2004 2.06.36

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sostenere le dentiere. Gli impianti osteointegrati possono essere collocati nella mandibola irradiata trattata con HBO (percentuale di successo, circa 84%).

OSTEOMIELITE CRONICA REFRATTARIA La compromissione generalizzata dell’ospite dovuta a un altro disordine sottostante o a una compromissione locale ischemica della ferita spesso è la causa dell’osteomielite che non si risolve con l’intervento chirurgico e con gli antibiotici. Nelle aree centrali delle lesioni osteomielitiche, la Po2 spesso è < 20 mm Hg, il che previene l’attività antibatterica dei GB e previene l’attività dei fibroblasti di produzione di fibre collagene e di formazione della cicatrice. Il trattamento con HBO ha lo scopo di produrre nell’area infetta livelli di O2 30 mm Hg. Normalmente, viene considerata per la terapia con HBO solo l’osteomielite refrattaria, ma l’osteomielite del cranio rappresenta un’eccezione data la vicinanza del cervello (con possibile diffusione del processo infettivo), ma anche perché la chirurgia demolitiva del cranio, nel caso fosse necessaria, è fortemente deturpante. Il trattamento precoce con HBO deve essere anche considerato per l’osteomielite dello sterno (una complicanza dell’approccio con distacco dello sterno utilizzato in cardiochirurgia); se disponibile sul posto, l’HBO viene spesso somministrato al primo indizio di infezione, poiché il movimento dello sterno causato dalla respirazione e dalla ipovascolarizzazione della ferita può complicare l’eradicazione delle infezioni persistenti. Il trattamento con HBO rappresenta una terapia di supporto per la detersione delle cavità osteomielitiche, per la sequestrectomia e per la terapia antibiotica EV. Esso viene effettuato una o due volte al giorno a 2-2,4 atmosfere assolute per 90-120 min e continuato per 10 giorni dopo la chiusura di tutti i tragitti fistolosi e la scomparsa dei segni d’infezione. Se la ferita continua a drenare dopo 30 sedute, è necessario ripetere una rx per evidenziare l’eventuale presenza di un sequestro. Talvolta sono necessari anche 40-60 cicli di trattamento. Nel caso di lesione refrattaria da 2 atmosfere assolute. Alcuni pazienti presentano un’idiosincrasia ad alte Po2. Le convulsioni da O2 cessano non appena si sospende il trattamento; non ci sono sequele riconosciute. La tossicità dell’O2 sul polmone (dolore toracico retrosternale, tosse e atelettasia a chiazze) può verificarsi a seguito di continue esposizioni all’HBO a 2 atmosfere per un tempo superiore alle 6 h, ma non si manifesta se si seguono i protocolli terapeutici stabiliti. Dopo 20-30 trattamenti nella camera, alcuni pazienti lamentano parestesie al 4o e 5o dito della mano (distribuzione ulnare); queste sensazioni scompaiono entro 4-6 sett. di terapia. La causa è sconosciuta. Dalla terapia giornaliera con HBO può derivare un’otite sierosa, ma si tratta, di solito, di un problema secondario, risolvibile con l’uso di decongestionanti. Uno degli effetti collaterali che si verifica comunemente è una modificazione del potere di rifrazione del cristallino. La miopia tende a peggiorare, specialmente negli anziani, ma i pazienti con presbiopia riferiscono un miglioramento dell’acuità visiva, in particolare durante la lettura. Il potere di rifrazione solitamente ritorna ai livelli precedenti al trattamento entro 4-6 sett. dalla sospensione; tuttavia, l’acuità visiva può non ritornare al livello pre-trattamento nei pazienti con preesistente cataratta.

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 285. LESIONI DA IMMERSIONE O DA LAVORO IN ARIA COMPRESSA Sommario: Introduzione Fisiopatologia dell’aumento di pressione Altre complicanze Valutazione dell’idoneità per attività subacquee

I subacquei di profondità e quelli che utilizzano respiratori subacquei possono andare incontro a problemi di natura medica conseguenti alle alte pressioni cui vengono sottoposti, così come i lavoratori edili che lavorano nei tunnel o in aree di lavoro pressurizzate. Un paziente che accusi un qualsivoglia disturbo, durante e soprattutto dopo essere stato esposto ad alte pressioni, deve far sospettare i sintomi di una patologia da decompressione (embolia gassosa arteriosa o malattia da decompressione) e quindi necessita urgentemente di ricompressione. I medici che visitano pazienti di questo tipo devono stare molto in guardia e possono chiedere consulenza al Divers Alert Network (DAN) (Rete di Allarme per Subacquei), coordinato dal Duke University Medical Center, a qualsiasi ora (tel. 001-919-684-8111). (Il numero telefonico del DAN Europe Alarm Center è +039 6898552 e, solo dall’Italia, il numero verde 1678-24080, a qualsiasi ora. La sede amministrativa di DAN Europe è in Via Basilicata, 12, Roseto (TE); tel. +085 8930333, fax +085 8930050 nei giorni feriali e in orario di ufficio, n.d.t.) L’elevata pressione in profondità deriva dal peso dell’acqua sovrastante, per lo stesso principio per cui la pressione barometrica al suolo deriva dal peso dell’aria sovrastante. Le pressioni in profondità vengono spesso espresse in unità di profondità o atmosfere assolute (Atm Ass, ATA). Un subacqueo alla profondità di 10 m in acqua di mare è sottoposto a una pressione di 760 mm Hg, cioè 1 atm superiore alla pressione barometrica vigente in superficie. La pressione totale a 10 m di profondità è pari a 2 ATA ed è determinata dal peso della colonna d’acqua sovrastante sommato al valore della pressione barometrica in superficie. Per ogni 10 metri in più di profondità la pressione aumenta di 1 atm. La pressione interna in un tunnel subacqueo o in un cassone di immersione (in cui viene immessa aria compressa per espellere l’acqua dal luogo di lavoro) sarà pari al peso della colonna d’acqua sovrastante. La pressione espressa in ATA è inferiore a quote elevate, fattore importante da tenere in considerazione quando ci si immerge in laghi montani.

Fisiopatologia dell’aumento di pressione Differenze locali di pressione ("barotraumi"): all’aumentare della pressione esterna sul corpo, per profondità maggiori, si osserva un incremento parallelo della pressione dei gas nei polmoni e nelle vie aeree. Se le trombe di Eustachio sono normalmente pervie (p. es., sbadigliando o deglutendo), la pressione nell’orecchio medio può essere mantenuta uguale all’aumentata pressione esterna, se invece sono presenti anomalie anatomiche, riniti allergiche o vasomotorie, oppure IRS, è impedita la compensazione e l’eccessiva pressione esterna viene esercitata direttamente sul timpano e viene trasmessa anche a tutti i vasi sanguigni del corpo. Se la pressione nell’orecchio medio rimane inferiore alla pressione esterna, i capillari della mucosa possono dilatarsi, divenire

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

permeabili e andare incontro a rottura. Se il liquido edematoso e il sangue stravasato non occupano abbastanza spazio da compensare la differenza pressoria, è possibile che il timpano vada incontro a rottura (v. anche Otite media barotraumatica nel Cap. 84), a cui consegue spesso un’infezione dell’orecchio medio. La compressione può inoltre determinare una lesione a livello dei seni paranasali, che si manifesta con dolori locali, o di quelli sfenoidali, con dolore riferito all’occipite, al vertice o all’area frontale. La congestione mucosa, che impedisce il riequilibrio della pressione nell’orecchio o nei seni paranasali, risponde al trattamento con decongestionanti locali o sistemici. In genere, si possono verificare danni gravi se la pressione non viene adeguatamente compensata durante l’immersione. Si può anche verificare una compressione locale quando uno spazio rigido o semirigido, in cui vi sia aria, rimanga adeso al corpo. Mentre la pressione delle maschere subacquee si riequilibra facendo fuoriuscire aria dal naso, quella negli occhiali subacquei e in alcune tute da immersione non è equilibrabile e provoca talvolta disagio, emorragie locali e danni tissutali. I tappi per le orecchie realizzano una raccolta gassosa chiusa nel canale uditivo esterno, impediscono il riequilibrio della pressione e pertanto non devono essere usati. Le vertigini possono conseguire a variazioni della pressione e del volume gassoso nell’orecchio medio, attraverso almeno tre diversi meccanismi. (1) Rottura della membrana timpanica di un sommozzatore a capo scoperto nell’acqua fredda, con conseguenze paragonabili a quelle del test calorico (v. Valutazione clinica dell’apparato vestibolare nel Cap. 82): vertigini gravi e potenzialmente disastrose, disorientamento, nausea e vomito. (2) Pressioni non compensate nell’orecchio medio possono interessare l’orecchio interno, attraverso la finestra rotonda, causando una vertigine alternobarica, che può provocare perdita dell’equilibrio, sperimentata qualche volta dai sommozzatori quando iniziano a risalire. (3) Presenza di una fistola perilinfatica, con perdita della perilinfa dalla finestra ovale o dalla finestra rotonda, forma rara, che causa gravi vertigini e richiede intervento chirurgico d’urgenza. La vertigine può essere confusa con la malattia da decompressione vestibolare, quando si manifesti dopo un’immersione. Compressione ed espansione dei gas: la legge di Boyle-Mariotte afferma che il volume di una determinata massa di gas varia in maniera inversamente proporzionale alla pressione assoluta; p. es., 1 l di aria alla superficie del mare (1 ATA) risulta compressa a 1/2 l a 10 m di profondità (2 ATA). Si deve quindi equilibrare la pressione negli spazi gassosi interni del corpo, durante la discesa, per compensare tale compressione, mentre respirando con l’aiuto di caschi da immersione o di autorespiratori viene compensata la compressione del gas nel sistema respiratorio. La densità di un gas aumenta in maniera proporzionale alla pressione in ATA, ma la frequenza degli atti del respiro e il volume respiratorio di un sommozzatore di profondità sono circa gli stessi presenti in superficie (alle stesse condizioni di lavoro). Quindi, il numero di molecole di gas respirate nell’unità di tempo in profondità aumenta proporzionalmente alla pressione, p. es., il numero di molecole di gas respirate a 2 ATA sarà doppio di quello in superficie, di conseguenza, diminuisce proporzionalmente la durata della scorta di aria presente nelle bombole del sub e, a profondità maggiori, la respirazione diventa progressivamente difficoltosa, a causa dell’aumento delle resistenze nelle vie aeree e nell’apparato respiratorio del sub, che si oppongono al flusso dell’aria inspirata. Tali cambiamenti possono rendere difficoltoso l’esercizio fisico e aggravare la fatica respiratoria e l’affaticamento generale, rappresentando problemi notevoli durante l’immersione, anche in condizioni normali. L’espansione dei gas polmonari durante l’emersione può essere causa di complicanze che mettono a rischio la vita del sub. Se un sommozzatore inspira anche una sola boccata d’aria o di altro gas in profondità e non la espira liberamente durante l’emersione, il gas espandendosi può sovradistendere i polmoni. Le conseguenze possono essere il pneumotorace, l’enfisema sottocutaneo e mediastinico e l’embolia gassosa a livello arterioso; quest’ultima rappresenta una situazione di estrema emergenza ed è la causa principale di morte fra i sommozzatori (v. oltre e Tab. 285-1).

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Effetti della pressione parziale: la pressione parziale (P) di un gas è determinata dalla concentrazione del gas e dalla pressione ambientale; p. es., la concentrazione di O2 nell’aria è di circa il 21%, quindi la pressione parziale di O2 (Po2) nell’aria al livello del mare (1 ATA) sarà di circa 0,21 atm. La concentrazione di O2 nell’aria rimane la stessa al variare della profondità, ma la Po2 aumenta, riflettendo l’aumento della pressione e della compressione dei gas. A 2 ATA, il numero di molecole di O2 per unità di volume (densità) e la Po2 sono il doppio di quello che si riscontra in superficie. I gas inerti (p. es., N2 ed elio) vengono assorbiti a livello ematico e tissutale, quando vi sia un aumento della loro pressione parziale. Durante la risalita, quando la pressione diminuisce, possono formarsi bolle gassose, responsabili di diverse affezioni (v. malattia da decompressione, oltre). Gli effetti dei gas sono correlati alle rispettive pressioni parziali e si modificano al variare della profondità. Una prolungata esposizione a una Po2 > 0,5 atm (equivalente al 50% di O2 in superficie o al 25% di O2 a 10 m) può comportare una tossicità polmonare da ossigeno. La tossicità dell’ossigeno verso il SNC, che si verifica sostanzialmente nel corso di lavori in immersione, può causare convulsioni nel caso in cui la Po2 si avvicini o superi le 2 atm (p. es., il 100% di O2 a 10 m o il 50% di O2 a 30 m [4 ATA]) o perfino quando sia inferiore a 1,6 atm (p. es., il 100% di O2 a 6 m). La narcosi da azoto, che presenta caratteri simili all’intossicazione alcolica, si verifica quando aumenta la pressione parziale di N2, nei subacquei che inspirano aria compressa; può divenire evidente a 30 m (100 piedi) o meno e diviene di solito inabilitante a circa 90 m (300 piedi) o a 10 ATA, a questa profondità infatti il suo effetto anestetico è paragonabile a quello del protossido d’azoto al 30% in superficie. Dal momento che l’elio non possiede questo effetto anestetico, per immersioni a grandi profondità viene utilizzato al posto dell’N2 per diluire l’O2. Nelle immersioni in apnea e mentre si nuota sott’acqua, senza far uso di un autorespiratore, si osserva un cambiamento nei gas alveolari sia della Po2 che della Pco2. Lo stimolo a riemergere per riprendere a respirare dipende in gran parte dall’accumulo di CO2 nell’organismo, piuttosto che dalla carenza di O2. L’iperventilazione prima di un’immersione in apnea può aumentare il tempo di permanenza sott’acqua, perché riduce la CO2 favorendo un lieve incremento delle riserve di O2, quindi, la perdita di coscienza dovuta all’ipossia, può avvenire in assenza di sintomi premonitori, prima che la Pco2 arteriosa raggiunga valori sufficienti a stimolare il centro del respiro. Le immersioni in apnea a profondità notevoli elevano la Po2 alveolare, consentendo un’aumentata captazione di O2 in profondità, quindi, un subacqueo che si spinga oltre i limiti può perdere coscienza durante l’emersione, quando la Po2 alveolare scende a valori sempre più bassi. Questo fenomeno è probabilmente alla base di molti annegamenti inspiegabili tra subacquei in gare di pesca subacquea e tra quelli che praticano spesso l’immersione in apnea. Talvolta si usa la definizione di sindrome delle acque poco profonde, che tuttavia andrebbe riservato al suo significato originario: perdita di coscienza da eccesso di CO2, che si verifica con alcuni tipi di autorespiratori, che eliminano la CO2 in rapporto all’assorbimento chimico attivo. Pressione idrostatica: la sindrome neurologica da alta pressione viene attribuita alla pressione idrostatica, indipendentemente dalla compressione dei gas o dalle loro pressioni parziali ed è caratterizzata da anomalie neuromuscolari e cerebrali, che possono verificarsi a circa 180 m (600 piedi) durante la discesa. Non ha rilevanza medica alle basse profondità.

Altre complicanze

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

Se l’O2 nelle unità con respirazione in circuito chiuso è spiazzato da un eccesso di N2 o di un altro gas, può verificarsi ipossia, per tale ragione sono necessarie precauzioni eccezionali nella preparazione delle miscele di gas da respirare (p. es., combinazioni di N2-O2, piuttosto che di aria). Avvelenamento da anidride carbonica (CO2): in superficie, l’iperpnea o la mancanza di respiro rappresentano normalmente segnali d’allarme dell’aumento della CO2 nell’aria inspirata, una reazione simile, invece, non avviene necessariamente sott’acqua, in particolare quando coesistano esercizio fisico ed elevata Po2 arteriosa. Alcuni individui trattengono spontaneamente CO2 durante l’esercizio, perché la ventilazione polmonare non aumenta in maniera adeguata. Una Pco2 arteriosa molto elevata, qualunque ne sia la causa, può provocare perdita od obnubilamento dello stato di coscienza (sindrome delle acque poco profonde), può aumentare il rischio di convulsioni da O2 e aggravare la narcosi da azoto. Si deve sospettare la tendenza alla ritenzione di CO2 in quei subacquei che lamentano frequenti cefalee post-immersione o che si vantano di aver consumato poca aria dai loro autorespiratori. Avvelenamento da monossido di carbonio (CO): se l’aria presente nell’autorespiratore è contaminata da CO, può verificarsi la possibilità che i subacquei vadano incontro a perdita di coscienza o a morte (v. anche Cap. 292). Si deve sospettare un avvelenamento da CO se un sub lamenta nausea o cefalea o presenta debolezza, lentezza nei movimenti o alterazioni mentali, mentre la cute color rosso ciliegia non è un segno affidabile. Tipiche cause della contaminazione da CO nell’aria dei sub sono le prese d’aria di un compressore posizionate troppo vicine ai gas di scarico del motore e la combustione dell’olio lubrificante in un compressore difettoso. A scopo preventivo bisogna quindi controllare periodicamente le bombole dei sub per rilevare la presenza di CO e altri contaminanti. Complicanze: la scarsa visibilità, lo sforzo eccessivo per resistere alle correnti marine e il freddo possono aggravare o essere causa di alcune patologie durante l’immersione. L’ipotermia si può sviluppare molto rapidamente in acqua, gli effetti immediati possono consistere nella perdita di attenzione e di destrezza fisica. Nei soggetti predisposti l’acqua fredda può innescare aritmie cardiache fatali. L’ipoglicemia è un pericolo per i sub con diabete insulino-dipendente e probabilmente per coloro che assumono eccessive quantità di alcolici, trascurando un adeguato apporto calorico. I farmaci, le droghe e l’alcol possono avere effetti imprevedibili o inattesi in profondità.

Valutazione dell’idoneità per attività subacquee Ai medici viene spesso richiesto di stabilire l’idoneità alla pratica dell’immersione o ad attività correlate. Si consiglia, quando possibile, di rivolgersi a personale qualificato. I medici, di solito non possono impedire alle persone di praticare le immersioni e si dovranno quindi limitare a dare dei consigli e informare delle possibili complicanze e delle loro implicazioni. È prudente, elencando tali possibili sintomi, riportarli per iscritto, facendo firmare per presa di conoscenza la persona interessata. La valutazione clinica di subacquei professionisti e di subacquei dilettanti con anamnesi positiva per patologie specifiche richiede esami particolari (p. es., le prove di funzionalità respiratoria, l’ECG da sforzo, l’audiometria e le radiografie ossee). I dati attuali sostengono che donne in buona salute fisica, salvo alcune eccezioni, possono praticare l’immersione in modo sicuro tanto quanto gli uomini. Comunque, alcuni studi evidenziano che le donne sono più suscettibili alla malattia da decompressione, perciò dovrebbero essere ancor più prudenti degli uomini. Alcune ricerche suggeriscono che le immersioni provocano un aumento dell’incidenza di difetti congeniti e di morte fetale. Poiché i limiti di esposizione sicuri non possono essere indicati con precisione, si consiglia alle donne in gravidanza o che potrebbero esserlo di evitare le immersioni. file:///F|/sito/merck/sez20/2852633.html (4 of 5)02/09/2004 2.06.38

Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

I requisiti fisici e psichici per le immersioni, riportati nei testi e nei manuali per le immersioni, presentano alcune caratteristiche di base: I sub devono essere in grado di far fronte da soli a molte situazioni; le immersioni possono comportare un esercizio fisico pesante, anche quando non ci si attenda alcuna attività subacquea impegnativa, le bombole di aria sono pesanti e la corrente può costringere a un’attività di nuoto estenuante, i subacquei, quindi, devono essere esenti da malattie cardiache o polmonari significative e devono possedere una capacità aerobica superiore alla media. L’anamnesi familiare e i fattori di rischio coronarico sono importanti. Alcune aritmie cardiache, comprese quelle che non impediscono lo svolgimento di altre attività, rendono impossibili le immersioni subacquee. La pervietà del forame ovale potrebbe consentire alle bolle di decompressione di eludere il filtro polmonare e potrebbe spiegare alcuni casi di malattia cerebrale da decompressione o di apparenti embolie gassose, tale patologia dovrebbe essere esclusa prima che il soggetto si immerga nuovamente. L’obesità marcata si associa spesso a una scarsa tolleranza all’esercizio fisico e a una maggiore predisposizione alla malattia da decompressione. Limiti d’età rigidi sono irragionevoli, ma i subacquei più anziani vanno controllati con maggior rigore, in particolare per la funzionalità cardiopolmonare. Le limitazioni fisiche andranno valutate nei termini della capacità individuale di soccorrere un compagno di immersione o di essere autosufficiente. I subacquei devono essere in grado di equilibrare le pressioni gassose rapidamente in tutti gli spazi aerei del corpo. Le affezioni polmonari che provocano intrappolamento d’aria possono essere causa di embolia gassosa durante la fase di riemersione. Le controindicazioni assolute all’immersione comprendono: cisti polmonari, enfisema, asma in fase conclamata e una storia anamnestica di pneumotorace. Un’anamnesi positiva per l’asma rappresenta un pericolo perché potrebbe insorgere una nuova crisi sott’acqua. Costituiscono, inoltre, controindicazioni la congestione nasale cronica, la perforazione della membrana timpanica e alcuni interventi chirurgici otologici. Nel corso di infezioni respiratorie e di riesacerbazioni di rinite allergica o vasomotoria sarà bene evitare le immersioni. Gli individui che abitualmente inghiottono aria o hanno la tendenza al rigurgito, possono presentare problemi durante l’immersione. I subacquei non devono essere soggetti a perdite di coscienza, di attenzione o di giudizio; tali inconvenienti, anche se soltanto momentanei, possono far commettere errori sott’acqua, mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei compagni d’immersione. Epilessia, sincopi, alcolismo e abuso di droghe sono incompatibili con la pratica dell’immersione. Il diabete insulino-dipendente rappresenta un pericolo perché l’esercizio fisico può determinare ipoglicemia. I subacquei non devono assumere farmaci che provocano sonnolenza o riducono lo stato di attenzione; tali farmaci, inoltre, possono aggravare la narcosi da azoto. La mancanza di stabilità emotiva è pericolosa per i subacquei e per i loro compagni. Un allenamento adeguato è il requisito essenziale per immersioni sicure e a tale scopo sono disponibili corsi offerti da organizzazioni nazionali di immersione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 285-1. CONFRONTO TRA L'EMBOLIA GASSOSA E LA MALATTIA DA DECOMPRESSIONE Caratteristiche Sintomi e segni

Embolia gassosa Comuni: perdita della coscienza, frequent emente con convulsioni (qualunque sub acqueo che abbia perso conoscenza deve essere considerato affetto da embolia gassosa e deve essere sottoposto rapida mente a ricompressione) Meno comuni: manifestazioni cerebrali lievi, enfisema mediastinico o sottocuta neo e pneumotorace

Malattia da decompressione Estremamente variabile; include il dolore lo cale (dolore più frequentemente localizzato a livello o nei pressi di una articolazione), manifestazioni neurologiche di qualsiasi tipo e grado e asfissia (difficoltà respirato ria seguita da collasso circolatorio, estrema emergenza) che possono verificarsi singo larmente o in combinazione

Insorgenza

Insorgenza graduale o improvvisa durante o subito dopo l’evento causale

Insorgenza graduale o improvvisa durante la decompressione o fino a 24h dopo un’immersione*>9m o esposizioni iper bariche oltre le 2ATA (10m di profondità)

Causa immediata

Di solito: ritenzione del respiro od ostruzi one delle vie respiratorie durante la riem ersione anche a pochi metri di profondità o decompressione da esposizioni iperbar iche

Di solito: immersioni o esposizioni iperbar iche oltre i limiti di non-decompressione e senza appropriate soste di decompressione

Talvolta: ingresso di gas libero nel sistema cardiovascolare in operazioni a cuore ap erto o altre procedure medico/chirurgiche o in seguito a incidenti

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Talvolta: immersioni o esposizioni iperbar iche entro i limiti di non decompressione o con adeguata sosta di decompressione; es posizione a bassa pressione (p.es., perdita di pressione della cabina negli aerei ad alte quote)

Manuale Merck - Tabella

Meccanismo

Di solito: la sovradistensione polmonare causa l’ingresso di gas libero nei vasi polmonari con conseguente embolia dei vasi cerebrali

Formazione di bolle per eccesso di gas dis ciolto nel sangue o nei tessuti quando viene a ridursi la pressione esterna.

Talvolta: un’ostruzione polmonare, cardia ca o della circolazione sistemica, causata da gas libero proveniente da qualsiasi fonte Terapia d’emergenza

Terapia d’emergenza classica a secondo del caso (p.es., vie respiratorie, emostasi, RCP) Trasporto alla camera di ricompressione più vicina Posizione orizzontale O2 al 100% mediante maschera a tenuta Liquidi PO, se il paziente è vigile, altrimenti EV

*I subacquei abituali o professionali sono colpiti frequentemente. ATA=atmosfere assolute.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII I clostridii sono bacilli anaerobi gram + e sporigeni ampiamente presenti nella polvere, nel terreno, nella vegetazione e nei tratti GI dell’uomo e degli animali. Sebbene siano state identificate circa 100 specie di Clostridium, soltanto 25-30 inducono comunemente malattia nell’uomo o negli animali. I segni più frequenti di colonizzazione da clostridi nell’uomo sono le intossicazioni alimentari benigne e autolimitantisi (v. Intossicazione Alimentare da Clostridium Perfringens nel Cap. 28) e le contaminazioni accidentali di ferite. Le malattie gravi da clostridi comprendono la gangrena gassosa (mionecrosi), il tetano (v. oltre) e il botulismo (v. Cap. 28) e sono relativamente rare, ma possono essere letali. Esse si possono verificare dopo un trauma, l’iniezione di droghe da strada o l’ingestione di cibo inscatolato a domicilio. Le specie patogene, in forma vegetativa, provocano varie esotossine neurotrope o distruttrici dei tessuti che sono state identificate biochimicamente e sierologicamente. Le sp di Clostridium si rinvengono nella normale flora batterica, particolarmente nel colon. I clostridi diventano patogeni quando i tessuti possiedono un potenziale di ossido-riduzione ridotto, un’alta concentrazione di lattato e un pH basso. Un tale ambiente anormalmente anaerobico può svilupparsi a causa di insufficienza arteriosa primaria, a seguito di lesioni gravi penetranti o di lesioni da schiacciamento. Più la ferita è profonda e grave più il paziente è soggetto a infezioni anaerobiche, specialmente se c’è stata una contaminazione anche minima con particelle estranee. Le infezioni da clostridi sono riconosciute sempre più come un problema nosocomiale, in particolare per i pazienti che hanno appena subito un intervento chirurgico e per quelli immunocompromessi. Una grave sepsi da clostridi può rappresentare una complicanza della perforazione e dell’ostruzione intestinale. Condizioni particolari associate alle infezioni da Clostridium sp sono elencate nella Tab. 157-2.

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

INTOSSICAZIONE ALIMENTARE DA CLOSTRIDIUM PERFRINGENS Gastroenterite acuta dovuta all'ingestione di cibo contaminato dal C. perfringens.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia Il C. perfringens è diffusamente presente nelle feci, nella polvere, nell'aria e nell'acqua. La carne contaminata ha causato diverse epidemie. Quando la carne contaminata con il C. perfringens viene lasciata a temperatura ambiente, l'organismo si moltiplica. Una volta all'interno del tratto GI, il C. perfringens produce un'enterotossina che agisce sul piccolo intestino. Solo il C. perfringens di tipo A è stato definitivamente collegato alla sindrome da avvelenamento da cibo. L'enterotossina prodotta è sensibile al calore (75°C).

Sintomi, segni e diagnosi È più frequente una gastroenterite lieve, con l'inizio dei sintomi da 6 a 24 h dopo l'ingestione del cibo contaminato. I più frequenti sintomi sono la diarrea acquosa e i crampi addominali. Il vomito è inusuale. I sintomi si risolvono tipicamente in 24 h; raramente si possono verificare dei casi gravi o fatali. La diagnosi si basa sull'evidenza epidemiologica e sull'isolamento del microrganismo in grosse quantità dal cibo contaminato o dalle feci delle persone affette.

Prevenzione e terapia Per prevenire la malattia, la carne cotta avanzata deve essere subito refrigerata e poi riscaldata completamente (temperatura interna, 75°C) prima di servirla. La terapia viene descritta in Principi generali di trattamento, sopra.

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Gastroenterite

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

INFEZIONI SOTTOCUTANEE NECROTIZZANTI (Fascite necrotizzante; cellulite necrotizzante sinergica) Infezioni gravi, generalmente dovute a una miscela di microrganismi aerobi e anaerobi che provocano la necrosi del tessuto sottocutaneo, di solito con interessamento della fascia.

Sommario: Eziologia, patogenesi e istopatologia Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia, patogenesi e istopatologia Sebbene lo S. pyogenes (streptococco gruppo A) da solo può provocare una grave cellulite necrotizzante o una fascite, queste infezioni sono, in genere, determinate da batteri aerobi e anaerobi, molto comunemente streptococchi aerobi gruppo non-A, bacilli aerobi gram –, cocchi anaerobi gram + e la specie Bacteroides (v. anche Infezioni da germi anaerobi misti nel Cap. 157). Tali microrganismi raggiungono il tessuto sottocutaneo per progressione da un’infezione contigua o per un trauma. Il trauma, spesso lieve, può essere di natura termica, chimica o meccanica, incluse le procedure chirurgiche. L’interessamento di un’estremità, sede più frequente, può aversi per ulcere cutanee infette o per complicanze infettive di lesioni precedenti. L’interessamento del perineo, la seconda sede per frequenza, è di solito una complicanza di interventi chirurgici precedenti, di ascessi perirettali, di infezioni delle ghiandole periuretrali o di infezioni retroperitoneali da visceri addominali perforati. Quando sono coinvolti i genitali maschili, questa infezione viene chiamata malattia di Fournier. I reperti patologici principali sono l’edema e la necrosi dei tessuti sottocutanei, compresa la fascia adiacente; il tessuto circostante è diffusamente sottominato; i piccoli vasi sottocutanei sono occlusi e determinano una gangrena dermica; il coinvolgimento muscolare è minimo o assente. Le alterazioni microscopiche sono caratterizzate da marcata infiltrazione leucocitaria, formazione di microascessi e necrosi del tessuto sottocutaneo e della fascia adiacente. C’è spesso una completa occlusione delle arteriole e delle venule sottocutanee. La combinazione di ischemia, edema e infiammazione del tessuto sottocutaneo provoca una diminuzione della Po2, consentendo la crescita di anaerobi obbligati (p. es, Bacteroides) e promuovendo il metabolismo anaerobico in microrganismi facoltativi (p. es., E. coli). Questo metabolismo anaerobico produce spesso idrogeno e azoto, gas relativamente insolubili, che possono accumularsi nei tessuti sottocutanei e provocare crepitio o sacche di gas nel sottocute (evidenti in radiografia).

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Infezioni batteriche cutanee

I pazienti con diabete mellito sembrano predisposti a questo tipo di infezioni. Le possibili spiegazioni di questo fenomeno comprendono: la microangiopatia, che provoca ipossia tissutale e pertanto promuove il metabolismo batterico anaerobico; una insufficiente funzione leucocitaria e un elevato livello del glucoso tissutale, che fornisce nutrimento abbondante per la crescita batterica.Sebbene lo S. pyogenes (streptococco gruppo A) da solo può provocare una grave cellulite necrotizzante o una fascite, queste infezioni sono, in genere, determinate da batteri aerobi e anaerobi, molto comunemente streptococchi aerobi gruppo nonA, bacilli aerobi gram –, cocchi anaerobi gram + e la specie Bacteroides (v. anche Infezioni da germi anaerobi misti nel Cap. 157). Tali microrganismi raggiungono il tessuto sottocutaneo per progressione da un’infezione contigua o per un trauma. Il trauma, spesso lieve, può essere di natura termica, chimica o meccanica, incluse le procedure chirurgiche. L’interessamento di un’estremità, sede più frequente, può aversi per ulcere cutanee infette o per complicanze infettive di lesioni precedenti. L’interessamento del perineo, la seconda sede per frequenza, è di solito una complicanza di interventi chirurgici precedenti, di ascessi perirettali, di infezioni delle ghiandole periuretrali o di infezioni retroperitoneali da visceri addominali perforati. Quando sono coinvolti i genitali maschili, questa infezione viene chiamata malattia di Fournier. I reperti patologici principali sono l’edema e la necrosi dei tessuti sottocutanei, compresa la fascia adiacente; il tessuto circostante è diffusamente sottominato; i piccoli vasi sottocutanei sono occlusi e determinano una gangrena dermica; il coinvolgimento muscolare è minimo o assente. Le alterazioni microscopiche sono caratterizzate da marcata infiltrazione leucocitaria, formazione di microascessi e necrosi del tessuto sottocutaneo e della fascia adiacente. C’è spesso una completa occlusione delle arteriole e delle venule sottocutanee. La combinazione di ischemia, edema e infiammazione del tessuto sottocutaneo provoca una diminuzione della Po2, consentendo la crescita di anaerobi obbligati (p. es, Bacteroides) e promuovendo il metabolismo anaerobico in microrganismi facoltativi (p. es., E. coli). Questo metabolismo anaerobico produce spesso idrogeno e azoto, gas relativamente insolubili, che possono accumularsi nei tessuti sottocutanei e provocare crepitio o sacche di gas nel sottocute (evidenti in radiografia). I pazienti con diabete mellito sembrano predisposti a questo tipo di infezioni. Le possibili spiegazioni di questo fenomeno comprendono: la microangiopatia, che provoca ipossia tissutale e pertanto promuove il metabolismo batterico anaerobico; una insufficiente funzione leucocitaria e un elevato livello del glucoso tissutale, che fornisce nutrimento abbondante per la crescita batterica.

Sintomi e segni La zona interessata è di solito molto dolente e la cute sovrastante è arrossata, calda e tumefatta. Progressivamente si può osservare un colorito violaceo, bolle, crepitii e gangrena dermica. La febbre, quasi sempre presente, è generalmente accompagnata da stato tossico sistemico, con tachicardia e confusione mentale che può raggiungere l’ottundimento dei sensi. È pure frequente una deplezione del volume intravascolare che si manifesta con ipotensione.

Esami di laboratorio e diagnosi È presente di regola una leucocitosi con prevalenza di polimorfonucleati. Nei diabetici, il livello di glicemia è aumentato e può esserci chetoacidosi. La diminuzione del volume intravascolare può provocare una concentrazione dell’urina e un aumento dei livelli di azotemia e creatininemia. Le rx dell’area interessata mostrano spesso lieve presenza di gas tissutale. file:///F|/sito/merck/sez10/1120860.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.40

Infezioni batteriche cutanee

Una cute edematosa, molle, arrossata e calda, fa pensare a un’infezione sottocutanea necrotizzante, rappresentando un’emergenza dermatologica. L’incisione è, generalmente, il trattamento indicato. La differenziazione dalla gangrena gassosa provocata dai clostridi, in cui si verificano miosite e mionecrosi, è fondamentale per un approccio terapeutico corretto (v. Infezioni da clostridi delle ferite nel Cap. 157). La progressione rapida o lo sviluppo di bolle, ecchimosi, gangrena dermica, fluttuabilità, crepitio o la presenza di gas radiologicamente evidenti nei tessuti molli, richiede un’esplorazione chirurgica. È necessario eseguire alcune emocolture: il pus aspirato in una siringa per via percutanea o durante un intervento chirurgico è il materiale ideale per una colorazione di Gram e per colture aerobiche e anaerobiche.

Prognosi e terapia È necessario consultare un chirurgo. La mortalità per queste infezioni è di circa il 30%. Un peggioramento della prognosi può essere dovuto all’età avanzata, alla presenza di altri problemi medici, a diagnosi e terapia tardive e a un intervento chirurgico non sufficientemente ampio. La scelta dell’antibiotico da somministrare va fatta in seguito a una colorazione di Gram del materiale purulento. Poiché in genere sono presenti gli aerobi e gli anaerobi, nell’attesa dei risultati delle colture è opportuno somministrare gentamicina combinata con clindamicina o cefoxitina o imipenem in monoterapia. Per rimpiazzare le perdite di liquidi dai tessuti può essere necessario introdurre grosse quantità di liquidi EV. L’incisione e l’accurato sbrigliamento circostante costituiscono il primo approccio terapeutico. La terapia con O2 iperbarico può ridurre il numero degli sbrigliamenti necessari e il tasso di mortalità (v. Cap. 292). L’area coinvolta risulta generalmente maggiore di quanto sia apparsa inizialmente, pertanto l’incisione deve essere estesa fino al punto in cui uno strumento o il polpastrello non possano più separare la cute e il tessuto sottocutaneo dalla fascia profonda. L’errore più comune è un intervento chirurgico insufficiente; per questo ripetere l’operazione dopo 1-2 giorni assicura una incisione adeguata e uno sbrigliamento di tutte le aree coinvolte. In casi gravi può rendersi necessaria l’amputazione di un arto.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAM+ ERISIPELOTRICOSI Infezione causata da Erysipelothrix rhusiopathiae che nella maggior parte dei casi assume l’aspetto di un erisipeloide, un’affezione cutanea acuta ma a lenta evoluzione.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia ed epidemiologia L’E. rhusiopathiae (prima denominata E. insidiosa), un bacillo gram +, capsulato, non sporigeno, immobile e microaerofilo, presente in tutte le regioni del mondo, è principalmente un saprofita. Esso può infettare una varietà di animali viventi, inclusi gli insetti, i crostacei, i pesci, gli uccelli e i mammiferi (specialmente i suini). L’infezione negli esseri umani è soprattutto di tipo occupazionale e tipicamente consegue a una ferita penetrante in persone che manipolano sostanze animali, sia commestibili (carne, pollame, pesce, crostacei) che non commestibili (prodotti di scarto, ossi, gusci). L’infezione non cutanea è rara e di solito si manifesta come artrite o endocardite.

Sintomi e segni A distanza di 1 sett. dalla ferita, appaiono alcune maculo-papule indurite e sollevate in modo tipico, di color rosso-violaceo e non vescicolate, accompagnate da prurito e bruciore. Il rigonfiamento locale, sebbene nettamente delimitato, può impedire l’uso della mano, il sito comune dell’infezione. Il bordo della lesione si può estendere lentamente verso l’esterno, causando malessere e inabilità che si protrae per 3 sett. La malattia ha solitamente un decorso limitato e in genere i vasi linfatici regionali non sono interessati; raramente si diffonde come patologia cutanea generalizzata. La batteriemia è rara ma può provocare artrite settica o un’endocardite infettiva (anche in soggetti senza malattia valvolare cardiaca nota).

Diagnosi Per l’isolamento dell’E. rhusiopathiae l’esame colturale di una biopsia a tutto spessore della cute è superiore rispetto all’agoaspirato del margine superiore della lesione; la coltura dell’essudato ottenuto dall’abrasione di una papula florida può essere diagnostica. Per la diagnosi di artrite erisipelotricale o dell’endocardite è necessario l’isolamento a partire dal fluido sinoviale o dal sangue. Per una diagnosi precoce può essere d’aiuto l’amplificazione, mediante file:///F|/sito/merck/sez13/1571245b.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.41

Malattie batteriche

PCR, delle sequenze di DNA dell’E. rhusiopathiae che codificano per l’RNA 16S.

Terapia La somministrazione di 1,2 milioni U di benzatina penicillina G IM (una singola dose da 600000 U in ciascuna natica) o di 0,5 g di eritromicina qid PO per 7 giorni permettono di ottenere la guarigione. L’endocardite viene trattata con penicillina G 25000-30000 U/kg EV q 4 ore per 4 sett. o con cefazolina 15-20 mg/ kg EV q 6 ore. Anche se gli stessi farmaci e dosi sono adeguati anche per l’artrite (somministrati almeno per una sett. dopo la riduzione o la scomparsa dell’effusione), è necessario un agoaspirato ripetuto dell’articolazione infetta.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 292-1. TERAPIA CON OSSIGENO IPERBARICO PER L'OSTEORADIONECROSI A SECONDA DELLO STADIO Stadio

Descrizione

Trattamento iniziale

Trattamento successivo

I

Un piccolo segmento esposto di osso; all'rx, coinvolgimento limitato della mandibola

30 trattamenti giornalieri con HBO con cura meticolosa della ferita; se la mucosa si chiude sopra l'osso entro i 30 trattamenti, 10 ulteriori trattamenti

Non applicabile

II

Una lesione in stadio I che non si è cicatrizzata entro 30 trattamenti con HBO

Dopo il fallimento del trattamento con HBO in stadio I, sequestrectomia alveolare con chiusura a stagno della mucosa

10 trattamenti giornalieri con HBO

III

All'rx, totale coinvolgimento della mandibola, una fistola oro-cutanea, un'area estesa di osso esposto, una frattura patologica o una deiscenza di una lesione in stadio II

30 trattamenti giornalieri con HBO seguiti da resezione della mandibola dietro l'osso sanguinante; preservazione del nervo mandibolare e chiusura di tutte le fistole oro-cutanee

Fissazione interna o esterna per mantenere la posizione della mandibola; dopo 10sett., successivamente all’inserzione transcutanea di un trapianto di osso, ≥10 trattamenti giornalieri con HBO per assicurare l'attecchimento del trapianto

HBO=Hyperbaric oxygen, ossigeno iperbarico

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI Malattie respiratorie direttamente correlate a sostanze inalate nell'ambiente lavorativo. Gli effetti di un agente inalato dipendono da molti fattori: le sue proprietà fisiche e chimiche, la suscettibilità; della persona esposta, la sede di deposizione all'interno dell'albero bronchiale e la sua quantità (v. Tab. 75-1). Le proprietà fisiche comprendono lo stato fisico dell'agente inalato. Un agente può essere una particella (particolato solido), una nebbia (particolato liquido), un vapore (fase gassosa di una sostanza normalmente liquida) e un gas (sostanza senza un volume determinato). Una particella inalata può essere depositata e trattenuta nei polmoni. Se solubile, è assorbita nel torrente circolatorio. Di solito le difese corporee rimuovono infine le particelle e le nebbie insolubili. La suscettibilità varia da persona a persona. Per esempio, il movimento mucociliare verso l'alto rimuove le particelle dallo spazio morto delle vie respiratorie più rapidamente in alcune persone che in altre; la velocità di "clearance" è geneticamente determinata. Anche lo stato immunologico influenza la suscettibilità. La sede di deposizione delle particelle determina in larga misura la risposta del polmone (v. Tab. 75-2). Le particelle si depositano lungo il tratto respiratorio, principalmente come risultato di tre processi fisici: l'impatto, la sedimentazione e la diffusione. Le particelle grandi (tra 6 e 25 mm), si depositano per impatto e sedimentazione solitamente nel naso e talvolta nelle vie aeree di conduzione. Le particelle comprese tra 0,5 e 6 mm tendono più a depositarsi per sedimentazione nella porzione del polmone deputata agli scambi gassosi. Le particelle di 1-3 mm sono più frequentemente coinvolte nello sviluppo delle pneumoconiosi. Le particelle < 0,1 mm si depositano prevalentemente nel parenchima polmonare per diffusione, ma molte vengono espirate. Le fibre di asbesto più piccole hanno le maggiori possibilità di penetrare e di migrare nella pleura e di causare placche benigne o mesoteliomi maligni. La deposizione di particelle nel naso può causare la rinite, la febbre da fieno (che può essere considerata una malattia professionale negli agricoltori), la perforazione del setto nei lavoratori del cromo e cancri nasali nei lavoratori dei mobilifici. La deposizione delle particelle nella trachea e nei bronchi può indurre tre risposte. (1) La broncocostrizione può essere causata da una reazione Ag-Ac, p. es., in alcune forme di asma professionale; da meccanismi farmacologici (nella bissinosi), in cui la deposizione di particelle causa la produzione di broncocostrittori come l'istamina e le sostanze dell'anafilassi a lenta reazione (leucotrieni C4, D4 ed E4) da parte delle mastcellule; o dall'irritazione mediante meccanismo riflesso (p. es., nella risposta ai sulfiti). (2) La bronchite o l'ipertrofia delle ghiandole mucose può essere causata dalla prolungata deposizione di particelle, che possono portare a una lieve ostruzione cronica delle vie aeree. (3) Un tumore del polmone può derivare dalla deposizione di fibre di asbesto o di polveri contaminate con radon. La deposizione di particelle antigeniche organiche nel parenchima polmonare può indurre lo sviluppo di una polmonite da ipersensibilità (alveolite allergica estrinseca), un processo acuto granulomatoso che coinvolge gli alveoli e i bronchioli respiratori (v. Cap. 76). Le particelle inorganiche possono causare una

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Malattie respiratorie occupazionali

reazione fibrotica di tipo focale e nodulare, come nella silicosi tipica, o diffusa e generalizzata, come nell'asbestosi e nella berilliosi. Con le particelle inerti (p. es., ossido di stagno), si sviluppa una pneumoconiosi benigna, senza fibrosi. L'inalazione di certi gas e vapori (p. es., Hg, cadmio, biossido d'azoto) può causare edema polmonare acuto, alveolite acuta e bronchiolite fibrosa obliterante.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI AVVELENAMENTO DA PARACETAMOLO

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il paracetamolo è contenuto in più di 100 prodotti da banco, incluse numerose preparazioni pediatriche in forma liquida, in tavolette, capsule e in molti sciroppi per la tosse/raffreddore. Anche molti farmaci comunemente prescritti contengono paracetamolo. Alle dosi terapeutiche, un metabolita del paracetamolo potenzialmente tossico, l’N-acetil-p- benzochinonimina, viene prodotto nel fegato dal sistema enzimatico citocromo P-450 dipendente e successivamente detossificato dal deposito di glutatione epatico. In caso di sovradosaggio acuto, livelli eccessivi di questo metabolita riducono gli accumuli epatici di glutatione e ne deriva necrosi epatocellulare (v. Cap. 43). Nel bambino è considerata tossica una dose orale di paracetamolo 150 mg/kg. Negli adulti è considerata tossica una dose di paracetamolo 150 mg/kg di paracetamolo o una dose totale di 7,5 g, senza considerare il dosaggio in mg/kg,. L’emivita plasmatica, quando il dosaggio è normale, è di 2 h e mezza. Un’emivita > 4 h è correlata con un grave danno epatico.

Sintomi, segni e diagnosi Il decorso clinico e il trattamento (v. oltre) sono molto differenti rispetto all’avvelenamento da aspirina. I sintomi sono di solito lievi fino a 48 h dopo l’ingestione e vengono suddivisi in 4 stadi, come mostrato nella Tab. 263-3. Nei bambini in età prepuberale una dose eccessiva di paracetamolo è raramente mortale, anche quando i livelli di AST raggiungono le 20000 UI/ l, mentre i bambini di età > 12 aa rispondono come gli adulti al carico epatico di paracetamolo. La ragione di questa differenza legata all’età è ancora da chiarire. Negli adolescenti sono stati osservati un numero maggiore di sintomi e una prolungata alterazione dei test di funzionalità epatica. In bambini precedentemente sani, dopo la guarigione dall’intossicazione acuta da paracetamolo, di solito non sembrano residuare danni epatici strutturali o funzionali. Gli effetti di una terapia cronica o di ripetute intossicazioni sono ancora in fase di studio.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Terapia La decontaminazione gastrica può includere il vomito indotto da sciroppo di ipequana, la lavanda gastrica e la somministrazione di carbone attivo. Se il paziente ha ingerito più di 150 mg/kg di paracetamolo si rende necessaria l’acetilcisteina, ma la somministrazione precoce di carbone attivo non interferisce con quella di acetilcisteina. La somministrazione contemporanea dei due farmaci può aumentare il rischio di vomito. A 4 ore dall’ingestione va eseguito un prelievo ematico per dosare il paracetamolo e comparare il risultato con il nomogramma di Rumack-Matthew (v. Fig. 263-1). Se la concentrazione sierica cade al di sotto della zona di possibile rischio e non si hanno sintomi clinici non è necessario un ulteriore trattamento. Se la concentrazione sierica è al di sopra della zona di possibile rischio ( 150 µg/ ml [ 990 µmol/l]a 4 ore), bisogna somministrare una dose di carico di acetilcisteina di 140 mg/kg PO o mediante sondino gastrico, seguita da 17 ulteriori somministrazioni alla dose di 70 mg/kg a intervalli di 4 ore; ogni dose vomitata entro 1 h dalla somministrazione va ripetuta (alcuni centri usano un dosaggio minore del totale). Questo nomogramma non è utile nell’avvelenamento cronico da paracetamolo, che è spesso trattato empiricamente con acetilcisteina. L’acetilcisteina è disponibile come soluzione al 20% (200 mg/ml) in fiale da 4, 10, 30 e 100 ml (in Italia disponibile in fiale da 3 ml IM, EV e aerosol n.d.t.) e va diluita di 1:4 in bevanda di bicarbonato o in succo di frutta prima dell’uso. Un bambino di 20 kg necessita di un bolo di 140 mg/ kg (2800 mg) o di 14 ml di soluzione al 20% cioè 56 ml di soluzione diluita di 1:4. A causa dello spiacevole odore del farmaco, la dose deve essere somministrata in soluzione fredda in una tazza coperta attraverso una cannuccia. Si raccomanda la somministrazione del farmaco anche oltre le 8 ore dall’ingestione, sebbene in questi casi è stata notata una diminuzione dell’effetto terapeutico. Studi recenti hanno dimostrato che l’acetilcisteina endovenosa, non disponibile in commercio negli USA, può avere alcuni benefici anche se somministrata dopo che i segni di tossicità epatica sono comparsi. Se il tempo di protrombina è aumentato di 3 volte il valore normale, si somministra vitamina K1 (fitonadione) 2,5-10 mg EV o SC. A volte sono necessari plasma fresco o fattori della coagulazione. Per mantenere l’idratazione si somministra EV una soluzione di glucoso. La diuresi forzata può essere dannosa. La dialisi peritoneale, l’emodialisi e l’emoperfusione con il charcoal (carbone attivo) sono inefficaci. I pazienti con insufficienza epatica fulminante sono spesso candidati al trapianto di fegato. Poiché gli antiistaminici, gli steroidi, il fenobarbital e l’acido etacrinico stimolano tutti il sistema del citocromo P450, devono essere evitati durante il trattamento dell’avvelenamento da paracetamolo.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI AVVELENAMENTO DA PIOMBO (Saturnismo)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e prognosi Terapia

Fonti di elevate e basse quantità di piombo sono mostrate nella Tab. 263-4. Le fonti di basse quantità di piombo sono state associate con incrementi asintomatici dell’assorbimento di piombo nei bambini (v. Tab. 263-5 per una classificazione degli avvelenamenti da piombo e Tab. 263-6 e 263-7 per gli esami di screening). L’avvelenamento da piombo può anche determinare pica persistente.

Sintomi, segni e prognosi L’avvelenamento da piombo è un disturbo cronico, talvolta caratterizzato da episodi acuti sintomatici ricorrenti, che possono determinare effetti cronici irreversibili (p. es., deficit cognitivi ed encefalopatia nei bambini e malattia renale progressiva negli adulti). Il rischio di avvelenamento da piombo aumenta quando la concentrazione del piombo nel sangue intero (PbE) è > 50-100 µg/dl (> 2,40-4,85 µmol/ l). Quando la piombemia è > 100 µg/dl il rischio di encefalopatia è maggiore ma imprevedibile. Il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie definisce l’avvelenamento da piombo in età pediatrica come il riscontro di una PbE ≥10 µg/ dl ( 0,48 µmol/l), livello al quale possono comparire deficit cognitivi. Nei bambini piccoli l’inizio della sintomatologia è improvviso con la comparsa in 1-5 giorni di vomito persistente e incoercibile, andatura atassica, convulsioni, alterazioni dello stato di coscienza e infine convulsioni subentranti e coma. Tutti questi segni di encefalopatia acuta sono dovuti principalmente a edema cerebrale e spesso sono preceduti, per diverse settimane, da irritabilità e ridotta voglia di giocare. La diagnosi differenziale va fatta con ascessi e tumori cerebrali, con encefaliti acute e meningiti. Nei bambini l’avvelenamento cronico da piombo può causare ritardo mentale, con disordini convulsivi, disturbi comportamentali con aggressività e regressione dello sviluppo. La sintomatologia può regredire spontaneamente se s’interrompe l’esposizione al metallo, mentre ricompare se riprende l’esposizione. Sia nei bambini che negli adulti si può avere un’anemia ipocromica, microcitica legata al piombo con o senza una sovrapposta carenza di ferro. L’inalazione di piombo tetraetile o tetrametile comporta quadri sintomatologici differenti con manifestazioni prevalenti di una psicosi tossica. file:///F|/sito/merck/sez19/2632439.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.44

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Negli adulti una caratteristica sequenza sintomatologica può instaurarsi in diverse settimane o più: cambiamento della personalità, cefalea, gusto metallico, anoressia, vago fastidio addominale, che culmina nel vomito, costipazione e coliche addominali. L’encefalopatia è rara. Una diagnosi presuntiva si fa sulla base dell’aspirato midollare, che mostra una punteggiatura basofila in oltre il 60% dei normoblasti, sui dosaggi urinari di coproporfirina e acido δ-aminolevulinico e, nel bambino, con una rx dell’addome e delle ossa lunghe. È indicativa anche la presenza di una moderata glicosuria. Per la diagnosi definitiva si richiede la misurazione dei livelli ematici di piombo. I livelli eritrocitari di protoporfirina possono essere aumentati a causa della capacità del piombo di interferire con la sintesi dell’eme. Nell’avvelenamento cronico da piombo la misurazione della protoporfirina eritrocitaria è un indice più efficace della piombemia per calcolare il piombo corporeo totale. Al contrario la protoporfirina eritrocitaria non rappresenta un indice sensibile quando la PbE è < 35 µg/dl (< 1,70 µmol/l) o nell’avvelenamento acuto da piombo. È anche molto utile la misura dell’escrezione totale di Pb nelle urine durante il primo giorno di terapia chelante (75-100 mg/kg). La diagnosi è confermata se il rapporto (µg Pb escreto/mg EDTA sodico-calcico [CaNa2EDTA]somministrato) è maggiore di 1. I campioni di sangue e di urine devono essere prelevati in contenitori non contenenti piombo. Per avere risultati attendibili i dosaggi devono essere effettuati da laboratori con esperienza specifica in questo campo.

Terapia La terapia chelante deve essere iniziata solo dopo l’eliminazione della fonte di piombo. Nei casi sintomatici acuti, la terapia chelante deve iniziare prima che si abbiano i risultati degli esami di laboratorio su sangue e urine. Le controindicazioni all’uso di qualsiasi agente chelante, nel soggetto asintomatico, comprendono la presenza concomitante di un interessamento epatico o renale. Nei casi con grave sintomatologia deve essere accuratamente valutato il rischio di effettuare la terapia chelante. Nell’avvelenamento da piombo sintomatico di grado IV e in tutti i casi di grado V si raccomanda una terapia combinata con dimercaprolo (BAL) e CaNa2EDTA, secondo il dosaggio riportato nella Tab. 263-8, che deve essere iniziata appena ristabilita la diuresi. Il dosaggio massimo non deve essere continuato per più di 5 giorni, per evitare all’organismo una deplezione di metalli essenziali come lo zinco. Nei casi asintomatici di classe IV, il CaNa2 EDTA da solo non è sufficiente (v. Tab. 263-8). Nei pazienti sottoposti a terapia con BAL bisogna assicurare l’apporto idrico giornaliero, se possibile PO o per via parenterale, per evitare l’ulteriore stimolo al vomito provocato spesso da questo farmaco. Una terapia chelante breve spesso è seguita da un rebound della PbE, forse per una ridistribuzione del metallo. Dopo almeno 5-7 giorni dal termine del primo ciclo di CaNa EDTA, un secondo ciclo può essere necessario per impedire un rebound. Come profilassi bisogna somministrare Fe, Zn e Cu, per minimizzare la loro deplezione dovuta a un trattamento prolungato. Le gravi reazioni al CaNa2EDTA includono iperazotemia, proteinuria, ematuria microscopica, presenza di cellule epiteliali tubulari nelle urine, ipercalcemia, febbre e diarrea. L’azione tossica sul rene, di solito dose-dipendente è reversibile. Gli effetti avversi del CaNa2 EDTA sono probabilmente determinati dalla deplezione di zinco. La terapia con BAL non è attuabile in pazienti con danno epatico grave, mentre è indicata precocemente (sempre con le dovute cautele) nel paziente oligurico con encefalopatia. Il BAL, nei pazienti con deficit di G6PD, può causare moderata o grave emolisi intravascolare acuta. Contrariamente al CaNa2EDTA, il BAL può file:///F|/sito/merck/sez19/2632439.html (2 of 3)02/09/2004 2.06.44

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

non essere somministrato in concomitanza con farmaci contenenti ferro. Nessuno di questi farmaci deve essere consigliato, a scopo profilattico, nei lavoratori del piombo o in ogni soggetto esposto al piombo, poiché possono causare un aumentato assorbimento di piombo presente nel tubo digerente. Il trattamento a lungo termine richiede la riduzione dell’esposizione al piombo. Il Succimer (acido meso-2,3-dimercaptosuccinico) è un agente chelante del piombo somministrabile per via orale, che dà luogo a chelati idrosolubili e, di conseguenza, aumenta l’eliminazione di piombo con l’urina. Nel trattamento di bambini con avvelenamento di classe IV è indicato il succimer. Comunque, questo farmaco può essere efficace nel ridurre la PbE anche nei bambini con avvelenamento di classe III. Le linee guida per il dosaggio e la somministrazione sono riportate nella Tab. 263-8. Il periodo di terapia raccomandato è di 19 giorni dal momento che la sicurezza di una terapia ininterrotta per più di 3 sett. non è stata ancora stabilita, un simile trattamento non è raccomandato. Gli effetti nocivi più comuni comprendono eruzioni cutanee, sintomi GI (nausea, vomito, diarrea, perdita dell’appetito, sapore di metallo in bocca) e incrementi delle transaminasi sieriche. Sono anche state descritte eruzioni cutanee, che hanno richiesto l’interruzione della terapia. L’encefalopatia acuta da piombo è trattata con combinazioni di BAL-CaNa2 EDTA. Deve essere prontamente richiesta una valutazione neurologica e il paziente deve essere trattato in un reparto di terapia intensiva. L’EDTA non è metabolizzato ed è escreto, come tale, tramite la filtrazione glomerulare renale, per cui deve essere evitato nei soggetti anurici. IL CaNa2EDTA deve essere sospeso se il paziente è anurico. Nella terapia combinata BAL-CaNa2EDTA, quest’ultimo non deve essere somministrato per più di 5 giorni consecutivi ai dosaggi consigliati nella Tab. 263-8; d’altra parte, nei casi gravissimi di encefalopatia, in cui la risposta è lenta, può essere dato, con estrema cautela, per altri 2 giorni. Il CaNa2EDTA a dosaggio più basso (25 mg/kg/ die), consigliato per i casi con lievi sintomi o del tutto asintomatici, è più sicuro, ma la terapia non deve essere continuata per più di 5 giorni consecutivi con un intervallo di 1 sett. o più fra i cicli. Sebbene il test diagnostico con CaNa2EDTA (alla dose di 75100 mg/kg in un solo giorno) è sicuro nei pazienti asintomatici, il CaNa2EDTA non deve essere somministrato ai consueti dosaggi terapeutici nei casi in cui non c’è pericolo di vita per il paziente e nei casi di insufficienza renale acuta.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-5. CLASSIFICAZIONE DELL'AVVELENAMENTO DA PIOMBO Classe Livelli di PbE I

< 10µg/dl (< 0,5µmol/l)

IIA

10-14µg/dl

Approccio Rivalutare o effettuare un nuovo screening entro 1anno. Non è necessario effettuare altro, tranne la rimozione della fonte di piombo

Dare istruzioni alla famiglia sul piombo e sui test da effettuare nel follow-up

(0,5-0,7µmol/l) Informare i servizi sociali, se necessario IIB

15-19µg/dl

Dare istruzioni alla famiglia sul piombo e sui test da effettuare nel follow-up

(0,7-0,9µmol/l) Informare i servizi sociali, se necessario Se i livelli di PbE sono stazionari (cioè, riscontro di livelli di PbE che rientrano in un certo range in 2 prelievi venosi effettuati a distanza di 3mesi) o peggiorano, procedere in accordo con le indicazioni per la classe III La fonte di piombo deve essere individuata ed eliminata, quando la PbE è elevata. I soggetti con PbE elevata, inclusi quelli che hanno effettuato terapia chelante, non devono essere ricondotti in un ambiente nel quale continua l’esposizione al piombo III

22-44µg/dl

Fornire un programma coordinato di cura (gestione del caso) e trattamento (v. testo)

(0,95-2,1µmol/ l) IV

45-69µg/dl (2,153,35µmol/ l)

Entro 48h iniziare la gestione del caso, il trattamento (v. testo), le indagini ambientali e il controllo del rischio ambientale legato al piombo. La fonte di piombo deve essere individuata ed eliminata quando la PbE è elevata. I soggetti con PbE elevata, inclusi quelli che hanno effettuato terapia chelante, non devono essere ricondotti in un ambiente nel quale continua l’esposizione al piombo

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V

≥ 70µg/dl (≥ 3,4µmol/l)

Ricoverare il bambino e iniziare immediatamente il trattamento (v. testo). Iniziare immediatamente la gestione del caso, le indagini ambientali e il controllo del rischio ambientale legato al piombo.

PbE=concentrazione ematica del piombo. Da Centers from Disease Control and Prevention: Screening Young Children for Lead Poisoning: Guidance for State and Local Public Health Officials. Atlanta, Centers from Disease Control and Prevention, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-6. DOMANDE DI SCREENING PER VALUTARE L'ESPOSIZIONE AL PIOMBO Il vostro bambino

1. Vive o si trova regolarmente in un edificio costruito prima del 1960 con vernice rovinata o scheggiata? In questo ambito sono compresi i centri di assistenza giornaliera, le scuole materne o la casa della babysitter

2. Vive o si trova regolarmente in un edificio costruito prima del 1960 che è stato di recente, che viene attualmente o che in previsione verrà ristrutturato?

3. È a contatto con un fratello o una sorella, una domestica, un compagno di gioco seguito o trattato per avvelenamento da piombo (cioè, PbE ≥ 15µg/dl [ ≥ 0,72µmol/l])?

4. Vive con un adulto che per lavoro o hobby è esposto al piombo?

5. Vive vicino a una fonderia di piombo in attività, uno stabilimento di riciclo delle batterie o a un’altra industria che probabilmente rilascia piombo?

PbE = concentrazione ematica del piombo. Adattata da Medical Toxicology, edited by MJ Ellenhorn. Baltimora, Williams & Wilkins, 1997, p.1568.

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TABELLA 263-8. SCHEDE DI DOSAGGIO DEI CHELANTI Livelli di PbE/ manifestazioni cliniche

Approccio

Somministrazione

< 45µg/dl (< 2,15µmoll) Succimer 10mg/kg PO 45-70µg/dl (2,15-3,4µmoll); q8h per 5giorni, poi 10mg/ nessun sintomo kg q12 per 14giorni di encefalopatia oppure

Per il succimer la durata raccomandata del trattamento è di 19giorni; l’aumento dell’intervallo di tempo tra le dosi, dopo i primi giorni di terapia, impedisce il rebound dei livelli ematici di piombo durante il trattamento e CaNa2EDTA 25mg/kg/die riduce il rischio di rebound alla per 5giorni sospensione della terapia. I livelli di piombo ematici dovrebbero essere monitorizzati almeno una volta alla settimana dopo la fine della terapia, per valutare l’indicazione a ulteriori cicli di terapia. Si raccomanda un’interruzione minima di almeno 2settimane tra un ciclo e l’altro. Per il CaNa2EDTA, nei bambini è più semplice la somministrazione IM, ma se si preferisce la somministrazione EV, come negli adulti, è necessario infondere ogni dose in un periodo di almeno 6 h; far passare da 2 a 3 settimane tra ogni ciclo di terapia di 3-5 giorni e il successivo

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Manuale Merck - Tabella

≥ 70µg/dl (≥ 3,4µmoll) o con sintomi di encefalopatia

BAL 25mg/kg/die IM suddivisi q4h. La prima dose deve essere somministrata da sola; la seconda dose deve essere somministrata 4 ore dopo la prima contemporaneamente al CaNa2EDTA 50mg/kg/die in unica dose, in infusione lenta di diverse ore o in infusione continua. Questa terapia combinata è continuata per almeno 72h. Il trattamento è poi continuato per un totale di 5giorni con entrambi i farmaci o solo con il CaNa2EDTA per 5giorni*

Dopo la prima dose di BAL, per la terapia combinata, somministrare BAL e CaNa2EDTA contemporaneamente IM in sedi profonde e separate; ruotare le sedi di somministrazione

*I pazienti con encefalopatia da piombo devono ricevere entrambi i farmaci fino al raggiungimento della stabilità clinica, prima di modificare il trattamento. PbE=concentrazione ematica del piombo; CaNa2EDTA = calcio disodico edetato; BAL = dimercaprolo.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 128-1. CLASSIFICAZIONE DELLE EMOSIDEROSI E DELLE EMOCROMATOSI I. Emosiderosi focale A. Polmonare (idiopatica) B. Renale C. Epatica (porfiria cutanea tarda) II. Emocromatosi primaria (genetica) III. Emosiderosi o emocromatosi secondaria A. Anemie emolitiche congenite B. Difettosa sintesi emoglobinica (talassemia) C. Aumentato assorbimento parenterale di Fe, trasfusioni ripetute D. Fe-dextrano IM E. Aumento dell’assorbimento del Fe 1. Aumento dell’ingestione di ferro a. Africani Bantu (bevande alcoliche) b. Emosiderosi con emocromatosi degli Eti opi (cereali teff) c. Terapia marziale PO con emosiderosi o emocromatosi d. Malattia di Kashin-Bek con emosiderosi

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Carenza e tossicità dei minerali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI RAME TOSSICOSI DA RAME MALATTIA DI WILSON (Tossicosi da rame ereditaria)

Sommario: Introduzione Patogenesi e storia naturale Diagnosi terapia

Il morbo di Wilson è una malattia progressiva e costantemente fatale del metabolismo del rame che colpisce 1 persona ogni 30000 a causa di una coppia di mutanti del gene ATP7B localizzato sul cromosoma 13. I sintomi non si verificano mai nei portatori eterozigoti, che hanno un solo gene mutante e che sembrano essere circa l'1,1% di ogni popolazione etnica e geografica studiata.

Patogenesi e storia naturale La tossicosi da rame del morbo di Wilson è caratterizzata, fin dalla nascita, da una concentrazione epatica media di rame 20 volte superiore al normale e dalla carenza della proteina plasmatica del rame, la ceruloplasmina, che è in media il 30% del normale. Questi valori, sebbene diagnostici della malattia, sono presenti in tutti i neonati nei primi 2-3 mesi di vita, rendendo inaffidabile la diagnosi prima dei 6 mesi di età. Tuttavia, poiché le manifestazioni cliniche non sono mai state osservate prima dei 5 anni di età, gli studi per confermare o escludere la diagnosi, nei bambini a rischio significativo, possono essere tranquillamente rimandati al secondo anno di vita. In circa il 40-50% dei pazienti, le prime manifestazioni cliniche della malattia coinvolgono il fegato. Inizialmente, la malattia si può presentare con un episodio di epatite acuta, a volte erroneamente diagnosticata come mononucleosi infettiva. Anche se il paziente può essere asintomatico per anni, un'epatite acuta, cronica attiva o fulminante, si può verificare in qualunque momento. Comunque, che si verifichi o meno l'epatite, l'epatopatia progredisce verso la fibrosi e poi verso la cirrosi. La diagnosi di morbo di Wilson è praticamente certa in tutti i pazienti che presentano un'epatite fulminante, un'anemia emolitica Coombsnegativa, un deficit di ceruloplasmina e un'ipercupriuria. Nel 40-50% dei pazienti, l'organo interessato per primo dalla malattia è il SNC. Anche se il rame passa dal fegato nel sangue e quindi negli altri tessuti, ha degli effetti disastrosi solo sul cervello. A questo livello può causare una malattia neurologica motoria, caratterizzata da una qualche combinazione casuale di

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Carenza e tossicità dei minerali

tremori, distonia, disartria, disfagia, corea, scialorrea, mandibola cadente e incoordinazione. Alcune volte, la tossicità cerebrale da rame si manifesta inizialmente come un comportamento grossolanamente inappropriato, un improvviso peggioramento della resa scolastica o, raramente, come una forma di psicosi indistinguibile dalla schizofrenia o dalla malattia maniaco depressiva. Durante il passaggio dal fegato al cervello, una parte del rame si deposita sempre nella membrana di Descemet della cornea, producendo dei semicerchi o anelli di Kayser-Fleischer di colore verde-oro o dorati. A eccezione della cefalea, non si riscontrano disturbi sensoriali. Nel 5-10% dei pazienti la malattia di Wilson si manifesta con gli anelli di KayserFleischer osservati durante un esame rifrattivo oculare; con un'amenorrea o aborti multipli; o con un'ematuria franca o microscopica dovuta ai depositi renali di rame o con dei livelli sierici anormalmente bassi di acido urico, dovuti all'anomala ed eccessiva escrezione urinaria. Indipendentemente da come evolve, il morbo di Wilson è sempre mortale dopo anni di sofferenza, di solito prima dei 30 anni di età, a meno che non venga precocemente attuato un trattamento specifico, continuato per tutta la vita.

Diagnosi La diagnosi del morbo di Wilson, spesso non viene fatta a causa della sua rarità. Dovrebbe essere sospettata in ogni individuo < 40 anni di età con uno dei seguenti sintomi: ●





Un'inspiegabile patologia epatica, neurologica o psichiatrica Un persistente aumento delle transaminasi, asintomatico e non altrimenti giustificato Un germano, genitore o cugino affetto dal morbo di Wilson

Quando viene sospettato il morbo di Wilson, la diagnosi può di solito essere inequivocabilmente confermata se il paziente presenta una delle seguenti coppie di anomalie: ●









Un deficit plasmatico di ceruloplasmina ossidasi-attiva (< 20 mg/dl) e un eccesso di rame epatico (> 250 mg/g [3,9mmol/g]di fegato essiccato) accompagnati da alterazioni istopatologiche compatibili con il morbo di Wilson Un deficit di ceruloplasmina e la presenza degli anelli di Kayser-Fleischer confermata da un oculista con l'uso di una lampada a fessura La presenza confermata degli anelli di Kayser-Fleischer e delle anomalie neurologiche motorie del tipo elencato prima Un eccesso epatico di rame e un'incorporazione anormalmente bassa di 64Cu nella ceruloplasmina, nonostante una normale concentrazione di ceruloplasmina (20-30 mg/dl) Un deficit di ceruloplasmina e un'escrezione urinaria > 100 mg di rame nelle 24 h (> 1,6 mmol), senza la somministrazione di penicillamina

Nota: la diagnosi non può essere basata sul solo deficit di ceruloplasmina poiché circa il 20% dei portatori eterozigoti del morbo di Wilson ha un deficit di ceruloplasmina, anche se non presenta mai i sintomi o i segni della malattia. Gli eterozigoti non devono essere sottoposti ad alcuna terapia. La diagnosi non può essere basata nemmeno sul solo eccesso epatico di rame, poiché concentrazioni altrettanto elevate di rame si riscontrano anche nella cirrosi biliare primitiva e in altre sindromi colestatiche. file:///F|/sito/merck/sez01/0040059e.html (2 of 4)02/09/2004 2.06.46

Carenza e tossicità dei minerali

Terapia Ogni paziente affetto con sicurezza dal morbo di Wilson, sintomatico o meno, deve essere sottoposto alla terapia per tutta la vita. Altrimenti la morte è certa, causata dalle alterazioni epatiche e del SNC. È quindi essenziale un monitoraggio periodico per essere certi della compliance con il regime terapeutico. La penicillamina, la trientina e l'acetato di zinco sono i farmaci approvati per la terapia del morbo di Wilson. Penicillamina: il farmaco di scelta è la penicillamina. Le dosi raccomandate per i pazienti con più di 5 anni sono di 1 g/die PO, somministrato in due o quattro dosi frazionate, a stomaco vuoto. (I bambini più piccoli devono assumere 0,5 g/die.) Il paziente deve assumere anche 25 mg/die di piridossina PO, in singola dose, e ridurre al minimo l'assunzione di cibi ricchi in rame (p. es., crostacei, cioccolata, fegato, funghi e noci), sebbene non sia necessaria una dieta stretta, povera di rame. Circa il 20% dei pazienti presenta una reazione allergica alla penicillamina nelle prime 2 o 3 sett. di trattamento (p. es., febbre, eruzioni cutanee, linfoadenopatia, granulocitopenia e trombocitopenia). Durante il primo mese si devono controllare 2 volte/sett. la temperatura, la cute, i linfonodi e l'emocromo del paziente. Se si verifica una reazione allergica, la penicillamina deve essere sospesa fino a quando la reazione non scompare e quindi ripresa gradualmente con dosi di 250 mg/ die per 1 sett., poi aumentate di 250 mg/die alla settimana fino a raggiungere la dose di 1 g/die. Se la reazione si ripete, la successiva desensibilizzazione deve essere accompagnata dalla contemporanea somministrazione di 20 mg/die di prednisone. Tuttavia, se si presenta una granulocitopenia, la penicillamina deve essere sospesa e il prednisone non deve essere somministrato. Quando il numero dei leucociti è tornato quasi alla norma, si deve somministrare la trientina al posto della penicillamina. Le altre reazioni allergiche generalmente possono essere controllate e raramente richiedono la sospensione della terapia con penicillamina. Durante le prime settimane di trattamento con penicillamina possono comparire o peggiorare i sintomi neurologici. Il paziente deve essere informato di questa possibilità prima di iniziare la terapia, anche se i sintomi quasi sempre migliorano con il proseguo della terapia. Se persiste il peggioramento, si deve sostituire la penicillamina con la trientina. Il morbo di Wilson è compatibile con una gravidanza normale, purché il danno epatico sia minimo e la dose di penicillamina sia ridotta a 0,75 g/die. Se è programmato un parto cesareo, la dose deve essere ulteriormente ridotta a 0,5 g/ die per minimizzare l'interferenza con la guarigione della ferita. Qualunque sia il dosaggio indicato, la penicillamina deve essere proseguita durante la gravidanza. Trientina cloridrato: in circa il 5% dei pazienti la penicillamina provoca delle gravi reazioni, in genere nella prima settimana o nel primo mese di trattamento; la più frequente è la sindrome nefrosica o la proteinuria di 1-2 g/die. Se si sospende la penicillamina, si deve iniziare subito il trattamento con la trientina. La dose è di solito di 1 g/die (non è necessario ridurla durante la gravidanza), somministrata in 2-4 dosi frazionate, a stomaco vuoto. L'anemia sideroblastica è il solo effetto collaterale riportato per la trientina. In due pazienti affetti dal morbo di Wilson, che stavano assumendo la trientina alla dose di 2 e di 2,25 g/die rispettivamente, l'anemia, i siderociti circolanti e l'aumentata distribuzione dei globuli rossi sono scomparsi quando la dose è stata ridotta a 1 g/die. Dimercaprolo (BAL): nei pazienti con sintomi neurologici che sono peggiorati o che non sono migliorati in modo apprezzabile dopo mesi di trattamento con la penicillamina o con la trientina, nonostante la riduzione del rame plasmatico libero (cioè, rame non ceruloplasminico) a < 20 mg/dl (< 3,14 mmol/l), la terapia con dimercaprolo può esitare in un significativo (a volte straordinario) miglioramento neurologico. Un ciclo di terapia consiste in 300 mg di dimercaprolo

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Carenza e tossicità dei minerali

iniettato nei muscoli glutei 5 giorni alla settimana, per 4 sett. La prima iniezione deve essere fatta nel quadrante superiore esterno, per esempio, del gluteo sinistro; la seconda, nel gluteo destro; la terza, 2 cm sotto la prima; la quarta, 2 cm sotto la seconda e così via, per poi iniziare una nuova serie, 2 cm lateralmente o medialmente alla serie iniziale, al fine di evitare il nervo sciatico. Ogni ciclo di 4 sett. deve essere seguito da un'interruzione di 2 sett. e poi da un altro ciclo se il precedente era stato efficace. Possono essere necessari anche più di 6 cicli per ottenere il massimo effetto terapeutico. Sali di zinco: alcuni lavori clinici suggeriscono che l'uso PO dello zinco solfato, acetato o gluconato, alla dose di 100-150 mg/die di zinco elementare, possono mantenere i pazienti nella condizione raggiunta con il precedente trattamento con penicillamina o trientina. Inoltre, in alcuni pazienti non trattati precedentemente, la terapia con lo zinco può migliorare le manifestazioni epatiche e neurologiche. La penicillamina o la trientina non devono mai essere somministrate insieme allo zinco poiché entrambi i farmaci possono legare lo zinco, formando così un composto senza effetti terapeutici. Trapianto di fegato: un trapianto di fegato è indicato (e può salvare la vita) nei pazienti affetti dal morbo di Wilson che hanno un'epatite fulminante come presentazione iniziale o come conseguenza del mancato rispetto della terapia. I pazienti che hanno una grave insufficienza epatica, che non risponde alle terapie combinate con la chelazione e i diuretici, possono anche essere candidati al trapianto.

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TABELLA 301-1. FARMACI CHE POSSONO PROVOCARE INTERAZIONI FARMACOLOGICHE GRAVI Meccanismo

Esempi

Margine di sicurezza ristretto

Antiaritmici (p.es. chinidina) Antineoplastici (p.es. metotrexa to) DigossinaLitioTeofillinaWarfarin

Ampio metabolismo da parte di determinati enzimi epatici

Alprazolam Amitriptilina Astemizolo Carbamazepina Cisapride

Clozapina Corticosteroidi Ciclosporina Desipramina Diazepam Fenitoina

Imipramina Teofillina Triazolam Warfarin

Inibizione di determinati enzimi epatici

Cimetidina Ciprofloxacina Claritromicina Diltiazem

Enoxacina Eritromicina Fluoxetina Fluvoxamina Itraconazolo

Ketoconazolo Nefazodone Paroxetina Ritonavir

Induzione di determinati enzimi epatici

Barbiturici (p.es. fenobarbital) Carbamazepina Fenitoina Rifabutina Rifampicina

*Qualunque farmaco destinato a essere impiegato contemporaneamente a uno di questi farmaci deve essere valutato sotto ogni aspetto per la possibilità di interazioni farmacologiche. Farmaci di questo genere possono provocare effetti indeiderati gravi anche quando vengono impiegati da soli. La somministrazione contemporanea di un altro farmaco che potenzia l'effetto di questi farmaci aumenta ulteriormente il rischio di reazioni avverse.

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Tabella 301-2. Esempi di interazioni farmacologiche Farmaco interessato

Agenti che causano interazione

Commenti

Alendronato

Cibo

Il cibo (p.es., succo d'arancia, caffè, acqua minerale) può ridurre notevolmente l'assorbimento e l'efficacia dell'alendronato, il quale deve essere assunto con acqua semplice almeno 1/2ora prima dell'ingestione dei primi alimenti, bevande o farmaci della giornata.

Antiaritmici (la maggior parte) Astemizolo Benzodiazepine (la maggior parte) Cisapride

Ritonavir

Il ritonavir inibisce alcuni enzimi epatici del citocromo P- 450 e può provocare un aumento delle concentrazioni sieriche dei farmaci metabolizzati da questi enzimi. Tali farmaci non devono essere utilizzati insieme al ritonavir. La som ministrazione contemporanea di ritonavir e di qualunque altro farmaco deve essere tenuta stretta mente sotto controllo.

Astemizolo

Cibo

Il cibo può ridurre l'assorbimento dell'astemizolo anche del 60%. L'astemizolo deve essere assunto a stomaco vuoto (p.es.,2ore dopo un pasto), senza ingerire altro cibo per almeno un'ora dopo la somministrazione.

Astemizolo Cisapride

Claritromicina Eritromicina Fluvoxamina Itraconazolo Ketoconazolo Nefazodone Troleandomicina

Elevate concentrazioni sieriche di astemizolo e cisapride possono provocare reazioni cardiovascolari gravi (p.es., aritmie ventricolari). I farmaci che interagiscono con essi ne inibiscono il metabolismo epatico, aumentando le loro concentrazioni e di conseguenza il rischio di tossicità. Deve essere evitato l'uso contemporaneo. Gli antiista minici non sedativi loratadina e fexofenadina non sono stati associati con l'insorgenza di reazioni cardiovascolari gravi e possono essere impiegati insieme con l'astemizolo.

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Azatioprina Mercaptopurina

Allopurinolo

L'allopurinolo inibisce la xantinaossidasi, che metabolizza l'azatioprina e la mercaptopurina, tanto che l'effetto di questi farmaci ne risulta marcatamente aumentato. In caso di somministrazione contemporanea di allopurinolo, la dose di azatioprina o di mercaptopurina deve essere ridotta a 1/3-1/4 della dose abituale.

Benzodiazepine (p.es., alprazolam, diazepam, triazolam)

Fluvoxamina Nefazodone

La fluvoxamina, il nefazodone e altri farmaci che inibiscono gli enzimi epatici possono aumentare l'effetto della maggior parte delle benzodiazepine. Bisogna considerare le possibili alternative; p. es., alcune benzodiazepine che vengono sottoposte a glucuronidazione (lorazepam, oxazepam e temazepam) verosimilmente non interagiscono con i farmaci che inibiscono gli enzimi epatici. L'uso contemporaneo di fluvoxamina e diazepam non è consigliato. Se viene somministrata fluvoxamina con l'alprazolam, la dose di quest'ultimo deve essere almeno dimezzata, e successivamente attestata sulla dose minima efficace. Se viene somministrato nefazodone con l'alprazolam o il triazepam, la dose iniziale di alprazolam deve essere ridotta del 50%, e quella di triazolam del75%.

Benzodiazepine (p.es., diazepam) Carbamazepina Fenitoina Warfarin

Cimetidina

La cimetidina inibisce le vie metaboliche ossidative e può potenziare l'effetto dei farmaci metabolizzati in questo modo; essa non modifica l'effetto del lorazepam, dell'oxazepam o del temazepam.

Alcune benzodiazepine (p. Succo di pompelmo es., triazolam) Ciclosporina Felodipina Nifedipina Nisoldipina

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Il succo di pompelmo inibisce il CYP3A4, un enzima del citocromo P-450, e di conseguenza aumenta la biodisponibilità di alcuni farmaci e potenzia il loro effetto.

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Depressori del SNC (p. Altri depressori del SNC, es., benzodiazepine, comprese le bevande alcoliche antipsicotici, antidepressivi triciclici, la maggior parte degli antiistaminici, alcuni analgesici)

Se viene somministrato più di un depressore del SNC, la risposta può essere eccessiva, e richiedere la riduzione della dose di uno o di entrambi i farmaci. I pazienti devono essere informati che questi farmaci possono indurre sonnolenza e sedazione, e che il rischio aumenta quando essi vengono usati contemporaneamente.

Digossina

Diuretici che inducono deplezione di potassio (p.es., idroclorotiazide, furosemide)

Se si verifica una deplezione di potassio che non viene corretta, il cuore può diventare più sensibile agli effetti della digossina, e ne possono derivare reazioni avverse (p.es., aritmie). Le concentrazioni sieriche di K devono essere tenute sotto controllo. La supplementazione di K va stabilita su base individuale. Non tutti i pazienti necessitano di supplementazione; in alcuni, essa può causare iperkaliemia

Fluorochinoloni (p.es., ciprofloxacina) Tetracicline

Prodotti contenenti metalli (p. es., sali di ferro, antiacidi contenenti alluminio, magnesio o calcio)

I metalli possono legarsi con le tetracicline e i fluorochinoloni nel tratto GI, riducendo il loro assorbimento e il loro effetto. L'intervallo tra l'assunzione di una tetraciclina e quella di un prodotto contenente metalli deve essere il più lungo possibile (2h). Se si può, i prodotti contenenti metalli non devono essere usati con un fluorochinolone. Se il loro impiego contemporaneo è inevitabile, l'intervallo tra le loro assunzioni deve essere il più lungo possibile (2h), e il fluorochinolone deve essere somministrato per primo.

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Levodopa

Piridossina

Litio

Diuretici (p.es., idroclorotiazide) I diuretici causano deplezione di sodio, la quale riduce la clearance renale del litio e ne aumenta l'attività. L'uso contemporaneo andrebbe evitato. Se è considerata indispensabile, la terapia in associazione deve essere condotta sotto stretto controllo.

Inibitori della MAO (fenelzina, tranil cipromina)

Amine simpaticomimetiche ad azione indiretta (p.es., amfetamina, efedrina, fenilpropanolamina)

L'uso contemporaneo può provocare reazioni gravi (p.es., cefalea intensa, crisi ipertensive, aritmie cardiache) e deve essere evitato.

Antidepressivi triciclici (p.es., amitriptilina, imipramina)

L'uso contemporaneo può provocare reazioni gravi (p.es., tremori, convulsioni, ipertermia) e, nella maggior parte dei pazienti, deve essere evitato. In generale, la terapia con un farmaco appartenente a una di queste classi non deve essere cominciata prima che siano trascorsi 14 giorni dalla sospensione della terapia con un farmaco dell'altra classe. Alcuni pazienti che non rispondono a un solo antidepressivo vengono trattati con entrambe le classi di farmaci; tale terapia necessita di un monitoraggio molto attento.

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La piridossina accelera la decarbossilazione della levodopa che dà origine al suo metabolita attivo, la dopamina, nei tessuti periferici. Contrariamente alla levodopa, la dopamina non è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica per esplicare un effetto antiparkinsoniano. La somministrazione di carbidopa insieme alla levodopa previene l'interferenza da parte della piridossina.

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Contraccettivi orali

Inibitori selettivi del reuptake della serotonina (p.es., fluoxetina, luvoxamina, paroxetina,sertralina)

L'uso contemporaneo può provocare reazioni gravi (p.es., rigidità, delirio, ipertermia) e deve essere evitato. La terapia con un farmaco appartenente a una di queste classi non deve essere cominciata prima che siano trascorsi 14 giorni dalla sospensione della terapia con un farmaco dell'altra classe. Poiché la fluoxetina e il suo metabolita principale hanno una lunga emivita di elimi nazione, tra la sospensione della fluoxetina e l'inizio della somministrazione di un inibitore della MAO de vono trascorrere5settimane.

Cibi ad alto contenuto di tiramina (p.es., alcuni formaggi, specialmente le varietà molto saporite o stagionate; alcune bevande alcoliche)

Se i pazienti che assumono un inibitore della MAO ingeriscono questi cibi, possono verificarsi reazioni gravi (p.es., crisi ipertensive). Essi devono quindi essere evitati.

Barbiturici Carbamazepina Fenitoina Rifabutina Rifampicina

I farmaci interagenti provocano l'induzione degli enzimi epatici, aumentando la velocità di metabolizzazione dei contraccettivi orali e probabilmente riducendo la loro efficacia; ne può conseguire una gravidanza indesiderata. Nel corso della terapia con tali farmaci devono essere prese misure anticoncezionali aggiuntive.

Antibiotici

Alcune segnalazioni hanno suggerito che gli antibiotici riducono l'efficacia dei contraccettivi orali (presumibilmente diminuendo le concentrazioni sieriche degli estrogeni), dando luogo a gravidanze indesiderate. Anche se questo rischio sembra essere molto basso, nel corso delle terapie antibiotiche devono essere prese misure anticoncezionali aggiuntive.

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Teofillina

Cimetidina Ciprofloxacina Enoxacina Eritromicina Grepafloxacina

L'uso contemporaneo può innalzare le concentrazioni sieriche di teofillina e causare intossicazione da teofillina. I farmaci che inibiscono gli enzimi epatici (p.es., quelli elencati) possono inibire il metabolismo della teofillina e aumentare le sue concentrazioni sieriche. Devono essere prese in considerazione alternative terapeutiche probabilmente prive di interazioni (p.es., famotidina, nizatidina e ranitidina al posto della cimetidina, e azitromicina al posto dell'eritromicina). Nel caso debbano essere impiegate associazioni con potenziale interazione, la terapia deve essere condotta sotto stretto controllo.

Warfarin

Farmaci che inibiscono (p.es., cimetidina) o inducono (p.es., barbiturici) gli enzimi epatici

I farmaci che inibiscono gli enzimi epatici possono aumentare l'attività del warfarin e il rischio di sanguinamento, e quelli che inducono gli enzimi epatici possono ridurre l'effetto del warfarin. Devono essere prese in considerazione alternative terapeutiche probabilmente prive di interazioni. Nel caso debbano essere impiegate associazioni con potenziale interazione, la terapia deve essere condotta sotto stretto controllo, e se necessario deve essere modificato il dosaggio.

Aspirina

L'aspirina può aumentare l'attività del warfarin e il rischio di sanguinamento; in generale, l'uso contemporaneo deve essere evitato. Tuttavia, in alcune patologie cardiovascolari, esso ha un effetto favorevole.

MAO=monoamino ossidasi.

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Terapia farmacologica nell’anziano

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO Una terapia farmacologica sicura ed efficace rimane una delle maggiori sfide della geriatria clinica. Gli anziani sono affetti da molti disordini cronici e di conseguenza utilizzano più farmaci rispetto a qualsiasi altra fascia di età. Le loro già diminuite riserve fisiologiche possono essere ulteriormente ridotte dagli effetti dei farmaci e da quelli di patologie acute o croniche. L’invecchiamento modifica la farmacodinamica e la farmacocinetica, influenzando la scelta, il dosaggio e la frequenza di somministrazione di molti farmaci. In aggiunta, la terapia farmacologica può essere complicata dall’incapacità di un paziente anziano ad acquistare o procurarsi i farmaci o ad attenersi ai regimi terapeutici prescritti. Negli USA, circa 2/3 delle persone di età 65 anni assumono farmaci soggetti a ricettazione e non soggetti ad essa (da banco). Le donne assumono più farmaci rispetto agli uomini perché sono mediamente più anziane e perché utilizzano una maggior quantità di farmaci psicoattivi e antiartritici. In ogni momento, un anziano medio utilizza da quattro a cinque farmaci soggetti a prescrizione e due farmaci da banco e richiede da 12 a 17 prescrizioni l’anno. Gli anziani più cagionevoli sono quelli che utilizzano la maggior quantità di farmaci. L’impiego dei farmaci è maggiore negli ospedali e nelle RSA che nella comunità; tipicamente, un residente in una RSA assume sette o otto farmaci diversi. Il tipo di farmaco utilizzato più frequentemente dagli anziani varia a seconda della situazione. Coloro che vivono nella comunità generale utilizzano più frequentemente analgesici, diuretici, farmaci cardiovascolari e sedativi; i residenti nelle RSA utilizzano più comunemente antipsicotici e sedativi-ipnotici, seguiti dai diuretici, dagli antiipertensivi, dagli analgesici, dai farmaci cardiologici e dagli antibiotici. I farmaci psicoattivi vengono prescritti al 65% dei pazienti delle RSA e al 55% dei pazienti delle residenze protette; il 7% dei pazienti delle RSA riceve tre o più farmaci psicoattivi contemporaneamente. Molti farmaci sono di reale utilità negli anziani. Alcuni possono salvare la vita, p. es., gli antibiotici e le terapie trombolitiche nelle patologie acute. I farmaci ipoglicemizzanti orali possono migliorare l’autosufficienza e la qualità della vita perché tengono sotto controllo una malattia cronica. I farmaci antiipertensivi e i vaccini antinfluenzali possono aiutare a prevenire o a ridurre la morbilità. Gli analgesici e gli antidepressivi possono controllare una sintomatologia debilitante. Perciò è l’appropriatezza, cioè un’adeguata superiorità dei potenziali benefici rispetto ai potenziali rischi, che deve guidare le scelte terapeutiche. La polifarmacia (uso contemporaneo di molti farmaci) in quanto tale non è una buona misura dell’appropriatezza della terapia, perché le persone più anziane spesso sono affette da molte patologie che richiedono tutte un trattamento; tuttavia, essa può essere un indice di una prescrizione inappropriata. Molti tra i pazienti più anziani ricoverati negli ospedali e nelle RSA ricevono regolarmente farmaci (comprendenti ipnotici, analgesici, antagonisti H2, antibiotici e lassativi) che non sono essenziali e che possono recare danno, in maniera diretta o tramite interazioni. Un accurato riesame della terapia consente spesso di ridurre il numero dei farmaci utilizzati e, secondo alcuni dati ancora limitati, può migliorare la prognosi del paziente. Anche il sottoutilizzo di alcuni farmaci è un problema significativo tra i pazienti anziani. Per esempio, l’impiego degli antidepressivi nelle RSA è molto inferiore a quanto richiederebbe l’elevata prevalenza della depressione. Vengono sottoutilizzati anche i farmaci per l’incontinenza e i trattamenti preventivi (p. es., i farmaci per il glaucoma e per l’influenza e i vaccini antipneumococcici).

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Terapia farmacologica nell’anziano

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Farmacocinetica

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 299. FARMACOCINETICA Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso qualunque via di somministrazione.

VARIABILITA' DEI VALORI DEI PARAMETRI Al momento di adattare la somministrazione di un farmaco alle esigenze di un determinato paziente, devono essere tenuti in considerazione molti fattori in grado di modificare i parametri farmacocinetici. Tuttavia, anche con l’adattamento della posologia, di solito rimane comunque un discreto grado di variabilità; di conseguenza la risposta ai farmaci e, in alcuni casi, la loro concentrazione plasmatica, devono essere tenute sotto controllo con grande attenzione. Età e peso: per alcuni farmaci, gli effetti dell’età e del peso sulla farmacocinetica sono ben documentati. Per gli individui di età compresa fra i 6 mesi e i 20 anni, la funzione renale appare ben correlata con l’ASC. Pertanto, per i farmaci eliminati prevalentemente per via renale in forma immodificata, la clearance nei bambini si modifica con l’età parallelamente al variare dell’ASC. Negli individui di età > 20 anni, la funzionalità renale diminuisce circa dell’1% ogni anno. Quindi, il dosaggio di questi farmaci può essere modificato in base all’età. L’ASC nei bambini è correlata anche alla clearance metabolica, sebbene le eccezioni siano frequenti. Nei neonati e nei lattanti, la funzione renale e quella epatica non sono ancora pienamente sviluppate e le generalizzazioni, al di fuori dell’evenienza di una modificazione repentina, sono meno accurate. Compromissione della funzionalità renale: la clearance renale della maggior parte dei farmaci sembra variare in funzione diretta della clearance della creatinina, indipendentemente dal tipo di patologia renale presente. La modificazione della clearance totale dipende dal contributo dei reni all’eliminazione totale del farmaco. Di conseguenza, la clearance totale dovrebbe essere proporzionale alla funzionalità renale (clearance della creatinina) per i farmaci che vengono escreti immodificati e non dovrebbe risultare alterata per i farmaci che vengono eliminati per metabolizzazione. L’insufficienza renale può alterare il volume apparente di distribuzione, che nel caso della digossina diminuisce a causa della diminuzione del legame tissutale e nel caso della fenitoina, dell’acido salicilico e di molti altri farmaci aumenta a causa della diminuzione del legame alle proteine plasmatiche. Stress fisiologico: la concentrazione della proteina di fase acuta α

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glicoproteina acida aumenta durante lo stress fisiologico (p. es., IMA, interventi chirurgici, colite ulcerosa, morbo di Crohn). Conseguentemente, aumenta il legame di diversi farmaci (p. es., il propranololo, la chinidina, la disopiramide) a questa proteina, e il loro volume apparente di distribuzione diminuisce di pari passo. Malattie epatiche: una disfunzione epatica può alterare la clearance metabolica, ma finora non è stato possibile individuare fattori ben correlati o predittivi di queste modificazioni. La cirrosi epatica può ridurre criticamente il metabolismo dei farmaci e spesso provoca la riduzione del legame alle proteine plasmatiche a causa della diminuzione della albumina nel plasma. L’epatite acuta, caratterizzata dall’innalzamento degli enzimi sierici, solitamente non modifica il metabolismo dei farmaci.

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Farmacocinetica

Altre patologie: lo scompenso cardiaco, la polmonite, l’ipertiroidismo e molte altre condizioni patologiche possono modificare la cinetica dei farmaci. Interazioni farmacologiche: i valori dei parametri farmacocinetici e, di conseguenza, le risposte ai farmaci possono essere influenzati dalle interazioni farmacologiche. La maggior parte delle interazioni è graduata e la loro entità dipende dalle concentrazioni di entrambi i farmaci. Pertanto, stabilire e adattare il dosaggio dei farmaci è difficile (v. Interazioni farmacologiche nel Cap. 301). Dosaggio: in alcune circostanze, le modificazioni della dose, della frequenza di somministrazione o della durata della terapia alterano la cinetica di un farmaco. Per esempio, all’aumentare della dose, la biodisponibilità della griseofulvina diminuisce a causa della bassa solubilità del farmaco nei fluidi del tratto GI superiore. Per la fenitoina, la concentrazione plasmatica allo stato stazionario aumenta in maniera sproporzionata quando viene aumentata la velocità di somministrazione, dal momento che l’enzima deputato al suo metabolismo ha una limitata capacità di eliminazione del farmaco e che la velocità di somministrazione abituale si avvicina alla velocità massima di metabolizzazione. La concentrazione plasmatica della carbamazepina diminuisce durante la somministrazione prolungata, perché la carbamazepina è un induttore del suo stesso metabolismo. Altre cause di modificazioni farmacocinetiche dipendenti dal dosaggio sono la saturabilità del legame alle proteine plasmatiche e ai tessuti (p. es., per il fenilbutazone), la saturabilità della secrezione a livello renale (p. es., per la penicillina ad alte dosi) e la saturabilità del metabolismo di primo passaggio attraverso il fegato (p. es., per il propranololo).

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI ELIMINAZIONE Insieme dei processi di rimozione (metabolismo ed escrezione) dei farmaci dall’organismo. ESCREZIONE Processo mediante il quale un farmaco o un suo metabolita viene eliminato dall’organismo senza subire ulteriori trasformazioni chimiche.

Sommario: Introduzione Escrezione renale Escrezione biliare

I reni, che eliminano le sostanze idrosolubili, sono i principali organi deputati all’escrezione dei farmaci. Il sistema biliare contribuisce all’escrezione nella misura in cui il farmaco non viene riassorbito dal tratto GI. Generalmente, il contributo escretorio dell’intestino, della saliva, del sudore, del latte materno e dei polmoni è piccolo, se si eccettua l’eliminazione respiratoria degli anestetici volatili. Nonostante l’escrezione attraverso il latte materno possa essere di scarsa importanza per la madre, essa può averne per il lattante (v. Farmaci nelle madri che allattano nel Cap. 256).

Escrezione renale Filtrazione glomerulare e riassorbimento tubulare: circa 1/5 del plasma che raggiunge il glomerulo viene filtrato attraverso i pori dell’endotelio glomerulare; il rimanente passa attraverso le arteriole efferenti che circondano i tubuli renali. I farmaci legati alle proteine plasmatiche non vengono filtrati; nel filtrato è contenuto soltanto farmaco in forma libera. Il riassorbimento tubulare renale dei farmaci è regolato dai principi del passaggio attraverso le membrane. I composti polari e gli ioni non possono diffondere in direzione retrograda nella circolazione sanguigna e vengono quindi escreti, a meno che non esista un meccanismo di trasporto specifico per il loro riassorbimento (come avviene p. es., per il glucoso, l’acido ascorbico e le vitamine del gruppo B). Effetti del pH urinario: il filtrato glomerulare che giunge nel tubulo prossimale ha lo stesso pH del plasma, ma il pH delle urine finali varia da 4,5 a 8,0. Questa variabilità del pH può influenzare notevolmente la velocità di escrezione dei farmaci. Dal momento che le forme non ionizzate degli acidi deboli e delle basi deboli non polari tendono a essere riassorbite rapidamente dai liquidi tubulari, l’acidificazione delle urine aumenta il riassorbimento (cioè riduce l’escrezione) degli acidi deboli e riduce il riassorbimento (cioè aumenta l’escrezione) delle basi deboli. L’alcalinizzazione delle urine produce l’effetto opposto. In alcuni casi di sovradosaggio, questi principi possono essere applicati per aumentare l’escrezione degli acidi o delle basi deboli. Per esempio,

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Introduzione e disposizione dei farmaci

l’alcalinizzazione delle urine aumenta l’escrezione degli acidi deboli fenobarbital e aspirina, e l’acidificazione può accelerare l’escrezione delle basi, come la metamfetamina. La misura in cui le variazioni del pH urinario modificano la velocità di eliminazione dei farmaci dipende dal contributo dell’escrezione renale all’eliminazione complessiva, nonché dalla polarità delle forme non ionizzate e dal grado di ionizzazione della molecola. Secrezione tubulare: i meccanismi di secrezione tubulare attiva a livello del tubulo prossimale sono importanti per l’eliminazione di molti farmaci (p. es., la penicillina, la mecamilamina, l’acido salicilico). Questo processo, che richiede energia, può essere bloccato da inibitori metabolici. Quando la concentrazione di un farmaco è elevata, si può raggiungere un limite superiore per il trasporto secretorio; ogni sostanza possiede una sua caratteristica velocità massima di secrezione (trasporto massimo). Gli anioni e i cationi vengono gestiti da meccanismi di trasporto separati. Normalmente, il sistema di secrezione degli anioni elimina i metaboliti coniugati con glicina, solfato o acido glucuronico e i composti anionici competono tra loro per la secrezione. Questa competizione può essere utilizzata a scopo terapeutico; p. es., il probenecid blocca la secrezione tubulare normalmente rapida della penicillina, causando un innalzamento delle concentrazioni plasmatiche dell’antibiotico che persiste per un tempo più lungo. I cationi organici competono tra loro, ma di solito non competono con gli anioni. Variazioni legate all’età: con l’invecchiamento, l’escrezione renale dei farmaci diminuisce (v. Farmacocinetica nel Cap. 304 e Tab. 304-1).

Escrezione biliare I farmaci e i loro metaboliti che vengono ampiamente escreti con la bile devono essere trasportati attraverso l’epitelio biliare contro un gradiente di concentrazione, richiedendo un trasporto secretorio attivo. Alle alte concentrazioni plasmatiche di un farmaco, il trasporto secretorio può raggiungere un limite superiore (trasporto massimo) e sostanze che possiedono proprietà fisico-chimiche simili possono competere tra loro per lo stesso sistema di escrezione. I farmaci con un peso molecolare > 300 g/mol (molecole più piccole vengono generalmente escrete soltanto in quantità trascurabili) e con presenza contemporanea sia di gruppi polari sia di gruppi lipofilici hanno una maggiore probabilità di essere escreti con la bile. Anche la coniugazione, specialmente con acido glucuronico, conduce all’escrezione biliare. Nel circolo entero-epatico, un farmaco secreto con la bile viene riassorbito dall’intestino. Anche i farmaci coniugati secreti nel lume intestinale vanno incontro al circolo entero-epatico quando vengono idrolizzati e il farmaco viene riassorbito. L’escrezione biliare elimina le sostanze dall’organismo soltanto nella misura in cui il circolo entero-epatico è incompleto, cioè quando una parte del farmaco secreto non viene riassorbita dall’intestino.

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Terapia farmacologica nell’anziano

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO FARMACOCINETICA Assorbimento: nonostante l’invecchiamento comporti una riduzione della superficie assorbente dell’intestino tenue e un innalzamento del pH gastrico, le modificazioni dell’assorbimento dei farmaci tendono a essere poco importanti e clinicamente prive di conseguenze. Distribuzione: con l’invecchiamento, l’acqua totale corporea e la massa magra dell’organismo si riducono e il grasso corporeo aumenta. La riduzione relativa dell’acqua totale corporea e quindi dello spazio del sodio porta all’innalzamento delle concentrazioni ematiche (e spesso tissutali) di alcuni farmaci idrosolubili. L’aumento del grasso incrementa il volume di distribuzione dei farmaci lipofilici e può aumentare la loro emivita di eliminazione. L’albumina sierica si riduce e l’α1-glicoproteina acida aumenta, ma l’effetto clinico di tali modificazioni sul legame sierico dei farmaci non è chiaro. In un paziente malnutrito o affetto da una malattia acuta, le rapide riduzioni dell’albumina sierica possono potenziare gli effetti dei farmaci perché aumentano le concentrazioni sieriche di farmaco libero. Metabolismo epatico: con l’invecchiamento, la massa epatica e il flusso ematico al fegato si riducono. Una riduzione del flusso ematico influenza significativamente l’eliminazione epatica dei farmaci in situazioni rare, p. es., quando un farmaco con una clearance elevata (come la lidocaina) viene somministrato EV. Sebbene l’espressione degli enzimi che metabolizzano i farmaci nei sistemi del citocromo P-450 non sembri ridursi con l’età, il metabolismo epatico complessivo di molti farmaci operato da tali enzimi è ridotto. Per i farmaci con un ridotto metabolismo epatico (v. Tab. 304-1), la clearance si riduce tipicamente del 3040%. In linea teorica, le dosi di mantenimento dei farmaci dovrebbero essere ridotte in tale misura; tuttavia la velocità del metabolismo dei farmaci può variare notevolmente da un individuo all’altro ed è necessaria una titolazione individuale. Negli individui più anziani, il metabolismo presistemico (di primo passaggio) di alcuni farmaci somministrati per via orale (p. es., il labetalolo, il propranololo, il verapamil) è ridotto, aumentando così le loro concentrazioni sieriche e la loro biodisponibilità. Di conseguenza, le dosi iniziali di questi farmaci devono essere ridotte del 30% circa. Tuttavia, il metabolismo presistemico di altri farmaci eliminati per metabolizzazione (p. es., l’imipramina, l’amitriptilina, la morfina, la meperidina) non è ridotto. Nelle persone anziane è più probabile che sia prolungata la clearance epatica dei farmaci con metabolismo sequenziale (reazioni sintetiche e reazioni non sintetiche), come il diazepam, l’amitriptilina e il clordiazepossido (v. anche Metabolismo nel Cap. 298). L’invecchiamento influenza meno frequentemente la clearance dei farmaci con metabolismo relativamente semplice di coniugazione (reazione sintetica), tipicamente con acido glucuronico (p. es., il lorazepam, la desipramina, l’oxazepam). Molti farmaci danno origine a metaboliti attivi in concentrazioni clinicamente rilevanti. Ne sono un esempio alcune delle benzodiazepine (p. es., il diazepam, il clordiazepossido), degli antidepressivi del gruppo delle amine terziarie (p. es., l’amitriptilina, l’imipramina), degli antipsicotici (p. es., la clorpromazina e la file:///F|/sito/merck/sez22/3042783.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.50

Terapia farmacologica nell’anziano

tioridazina; non l’aloperidolo) e degli analgesici oppioidi (p. es., la morfina, la meperidina, il propoxifene). L’accumulo di metaboliti attivi (p. es., la Nacetilprocainamide, la morfina-6-glucuronide) può causare negli anziani una tossicità legata alla riduzione della clearance renale dovuta all’età; è probabile che la tossicità sia grave negli individui con patologie renali. Eliminazione renale: la massa renale e il flusso ematico renale (soprattutto a livello della corticale dell’organo) si riducono significativamente con l’invecchiamento. Dopo i 30 anni, la clearance della creatinina si riduce mediamente di 8 ml/min/1,73 m2/decennio, nonostante essa non si riduca in circa 1/3 delle persone anziane. I livelli sierici di creatinina rimangono entro limiti normali perché le persone anziane hanno una minore massa magra corporea e producono meno creatinina. La diminuzione della funzionalità tubulare procede di pari passo con quella della funzionalità glomerulare. Queste modificazioni fisiologiche riducono l’eliminazione renale dei farmaci (v. Tab. 304-1). Le implicazioni cliniche dipendono dal contributo dell’eliminazione renale all’eliminazione sistemica complessiva e dall’indice terapeutico del farmaco (rapporto tra dose massima tollerata e dose minima efficace). La clearance della creatinina (misurata o calcolata mediante programmi computerizzati o la formula di Cockcroft-Gault, v. Cap. 214) viene utilizzata come riferimento per il dosaggio dei farmaci. Dal momento che la funzione renale è dinamica, le dosi di mantenimento dei farmaci devono essere modificate quando un paziente si ammala o si disidrata acutamente o quando si è ripreso di recente da una disidratazione. Inoltre, poiché la funzione renale continua a ridursi, le dosi dei farmaci somministrati per periodi prolungati devono essere riesaminate periodicamente.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 304-1. EFFETTO DELL'INVECCHIAMENTO SUL METABOLISMO* E L'ELIMINAZIONE DEI FARMACI

Classe Analgesici e antinfiammatori

Riduzione del metabolismo epatico

Riduzione dell'escrezione renale

Destropropoxifene

_

Ibuprofene Meperidina Morfina Naproxene Antibiotici

_

Amikacina Ciprofloxacina Gentamicina Nitrofurantoina Streptomicina Tobramicina

Cardiovascolari

Amlodipina

N-acetilprocainamide

Chinidina

Captopril

Diltiazem†

Digossina

Lidocaina

Enalapril

Nifedipina

Lisinopril

Propranololo

Procainamide

Teofillina

Quinapril

Verapamil

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Manuale Merck - Tabella

Diuretici

_

Amiloride Furosemide Idroclorotiazide Triamterene

Psicoattivi

Alprazolam

Risperidone

Clordiazepossido Desipramina Diazepam Imipramina Nortriptilina Trazodone Triazolam Altri

Levodopa

Amantadina Cimetidina Clorpropamide Litio Ranitidina

*Nei casi in cui l'effetto dell'invecchiamento sul metabolismo epatico è controverso, sono riportati gli effetti descritti nella maggior parte degli studi. †Nell'uomo

ma non nella donna.

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Farmacocinetica

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 299. FARMACOCINETICA Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso qualunque via di somministrazione.

PARAMETRI FARMACOCINETICI DI BASE Il comportamento farmacocinetico della maggior parte dei farmaci può essere riassunto dai parametri seguenti, le cui formule sono elencate nella Tab. 299-1. I parametri sono costanti, sebbene i loro valori possano differire da un paziente all’altro e anche nello stesso paziente in condizioni diverse. La biodisponibilità esprime l’entità dell’assorbimento dei farmaci nella circolazione sistemica (v. Cap. 298). La costante della velocità di assorbimento esprime la velocità con cui avviene l’assorbimento. Questi parametri influenzano la concentrazione massima (di picco), il tempo necessario per raggiungere la concentrazione massima (tempo di picco) e l’area al di sotto della curva concentrazione-tempo (AUC) dopo una dose orale singola. Durante la terapia farmacologica a lungo termine, la misura più importante è l’entità dell’assorbimento, perché da essa dipende la concentrazione media; il grado di fluttuazione della concentrazione è legato alla costante della velocità di assorbimento. Il volume apparente di distribuzione è la quantità di liquido che sarebbe necessaria per contenere il farmaco presente nell’organismo alla stessa concentrazione alla quale esso si trova nel sangue o nel plasma. Esso può essere utilizzato per calcolare la dose necessaria per ottenere una determinata concentrazione, come pure la concentrazione attesa dopo la somministrazione di una determinata dose. La concentrazione del farmaco non legato è strettamente correlata agli effetti farmacologici, quindi la frazione libera è una misura utile, particolarmente quando il legame alle proteine plasmatiche è alterato, p. es., dall’ipoalbuminemia, da malattie renali o epatiche oppure dalla presenza di interazioni competitive. Il volume apparente di distribuzione e la frazione libera plasmatica sono i parametri più diffusamente utilizzati per la valutazione della distribuzione dei farmaci (v. Cap. 298). La velocità di eliminazione di un farmaco dall’organismo varia parallelamente alla concentrazione plasmatica. Il parametro che lega la velocità di eliminazione e la concentrazione plasmatica è la clearance totale, che equivale alla somma della clearance renale e di quella extrarenale (metabolica) (v. anche Calcolo dei valori dei parametri, nel Cap. 303). La frazione escreta immodificata è utile per la valutazione degli effetti potenziali delle patologie renali ed epatiche sull’eliminazione dei farmaci. Una frazione bassa indica che il probabile meccanismo di eliminazione è il metabolismo epatico e che una patologia epatica può quindi alterare l’eliminazione del farmaco. Le patologie renali provocano effetti più consistenti sulla cinetica dei farmaci che possiedono un’alta frazione escreta immodificata. La velocità di estrazione di un farmaco dal sangue da parte di un organo emuntore, come il fegato, non può essere superiore alla velocità di cessione del farmaco all’organo stesso. Di conseguenza, la clearance ha un limite superiore, dipendente dalla cessione del farmaco e quindi dal flusso ematico all’organo in questione. Inoltre, quando l’organo preposto all’eliminazione è il fegato o la parete intestinale e il farmaco viene somministrato per via orale, una parte della file:///F|/sito/merck/sez22/2992746b.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.51

Farmacocinetica

dose può essere metabolizzata durante il passaggio attraverso i tessuti verso la circolazione sistemica; questo processo è chiamato effetto di primo passaggio. Pertanto, se l’estrazione (clearance) di un farmaco è elevata nel fegato o nella parete intestinale, la sua biodisponibilità per via orale è bassa, il che talvolta preclude l’impiego della somministrazione orale o richiede una dose orale molto più elevata rispetto a una dose parenterale equivalente. Tra i farmaci con notevole metabolismo di primo passaggio vi sono l’alprenololo, l’idralazina, l’isoproterenolo, la lidocaina, la meperidina, la morfina, la nifedipina, la nitroglicerina, il propranololo, il testosterone e il verapamil. La costante della velocità di eliminazione è una funzione del modo in cui un farmaco viene estratto dal sangue per opera degli organi emuntori e del modo in cui il farmaco si distribuisce nell’organismo. L’emivita (di eliminazione) è il tempo necessario perché la concentrazione plasmatica di un farmaco o la quantità di farmaco presente nell’organismo si riduca del 50%. Per la maggior parte dei farmaci, l’emivita rimane costante indipendentemente dalla quantità di farmaco presente nell’organismo. Le eccezioni comprendono la fenitoina, la teofillina e l’eparina. Il tempo medio di permanenza (Mean Residence Time, MRT), un’altra misura dell’eliminazione dei farmaci, è il tempo medio per il quale la molecola di un farmaco permane nell’organismo dopo la sua iniezione EV rapida. Analogamente alla clearance, il suo valore è indipendente dalla dose. Dopo un bolo EV,

dove AUMC (Area Under the first Moment of the Curve) è l’area al di sotto della prima fase della curva concentrazione plasmatica-tempo. Per un farmaco con caratteristiche di distribuzione monocompartimentali, il MRT è uguale al reciproco della costante della velocità di eliminazione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 299-1. FORMULE DI DEFINIZIONE DEI PARAMETRI FARMACOCINETICI FONDAMENTALI Categoria

Parametro

Assorbimento Costante della velocità di assorbimento Biodisponibilità Distribuzione Volume apparente di distribuzione Frazione libera

Eliminazione Velocità di eliminazione

Formula Velocità di assorbimento del = farmaco÷Quantità di farmaco ancora da assorbire =

Quantità di farmaco assorbito÷Dose del farmaco

Quantità di farmaco = nell'organismo÷Concentrazione plasmatica del farmaco Concentrazione plasmatica di = farmaco libero÷Concentrazione plasmatica del farmaco =

Escrezione renale+Eliminazione extrarenale (solitamente metabolica)

Clearance

Velocità di eliminazione del = farmaco÷Concentrazione plasmatica del farma co

Clearance renale

Velocità di escrezione renale del = farmaco÷Concentrazione plasmatica del farma co

Clearance metabolica

Velocità di metabolizzazione del = farmaco÷Concentrazione plasmatica del farma co

Frazione escreta Velocità di escrezione renale del immodificata = farmaco÷Velocità di eliminazione del farmaco Costante della velocità di eliminazione

Velocità di eliminazione del = farmaco÷Quantità di farmaco nell'organismo = Clearance÷Volume di distribuzione

Emivita biologica

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=

0,693÷Costante della velocità di eliminazione

Monitoraggio del trattamento farmacologico

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 303. MONITORAGGIO DEL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO Non sempre è possibile effettuare una misurazione diretta dell’effetto terapeutico desiderato. Per molti farmaci, vengono impiegati end-point sostitutivi; essi comprendono marker biochimici o, talvolta, segni di tossicità (p. es., il tinnito per i salicilati, il nistagmo per la fenitoina). Rispetto alla sola osservazione degli effetti farmacologici, il monitoraggio della concentrazione plasmatica dei farmaci è un modo più semplice e più rapido per calcolare il dosaggio necessario. Il monitoraggio è in grado di stabilire il momento in cui viene raggiunto un range di concentrazione desiderato e aiuta ad assicurarsi che esso venga mantenuto. Una strategia per la somministrazione dei farmaci può talvolta essere guidata principalmente dalle concentrazioni plasmatiche dei farmaci stessi (v. Tab. 3031). L’impiego del monitoraggio della concentrazione plasmatica dei farmaci può dipendere dal farmaco (v. Tab. 303-2) o dalla situazione clinica (v. Tab. 303-3). La frequenza del monitoraggio dipende dal farmaco, dall’accuratezza dei dosaggi precedenti e dalle presunte modificazioni dei fattori che influenzano la risposta al farmaco. Per esempio, nel caso di un paziente con scompenso cardiaco, i livelli di digossina devono essere misurati solo occasionalmente se la salute del paziente è stabile e se la terapia farmacologica non viene modificata, ma essi devono essere misurati con maggior frequenza se le condizioni di salute peggiorano o se vengono aggiunti farmaci che notoriamente interagiscono con la digossina (p. es., l’amiodarone, la chinidina). Le concentrazioni sieriche di teofillina devono probabilmente essere controllate quotidianamente nei pazienti delle unità di terapia intensiva, specialmente se essi hanno uno scompenso cardiaco, un edema polmonare o una grave patologia restrittiva delle vie aeree. In queste circostanze, il metabolismo del farmaco è ridotto e nello stesso paziente varia ampiamente nel tempo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-1. INDICAZIONI AL MONITORAGGIO DELLE CONCENTRAZIONI PLASMATICHE DEI FARMACI Legate al farmaco Quando la concentrazione plasmatica del farmaco è correlata con l'intensità e la probabilità degli effetti terapeutici e tossici e deve essere mantenuta entro limiti ristretti* Quando il farmaco possiede un ridotto indice terapeutico (rapporto tra dose massima tollerata e dose minima efficace) Quando la concentrazione plasmatica del farmaco è il miglior indicatore sostitutivo della sua efficacia (p.es., per gli anticonvulsivanti, il cui obiettivo terapeutico è l'assenza di convulsioni) Quando sono noti i parametri farmacocinetici e le concentrazioni terapeutiche del farmaco e le condizioni che probabilmente li modificano Quando esiste un test sensibile, specifico e accurato per il farmaco, i cui risultati siano disponibili in un tempo sufficientemente breve da consentire di prendere decisioni cliniche consequenziali† Quando esistono differenze farmacocinetiche interindividuali e probabilmente intraindividuali (p. es., per i farmaci con assorbimento scarso o variabile e per quelli che vengono metabolizzati più che escreti immodificati); più è ampia la variabilità dell'assorbimento e della disposizione del farmaco, maggiore è la necessità del monitoraggio file:///F|/sito/merck/tabelle/30301.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.52

Legate al contesto clinico Quando il rischio di inefficacia terapeutica è alto a causa della presenza di patologie concomitanti, come malattie GI, renali, epatiche, tiroidee o cardio vascolari (p.es., quando un farmaco con bassa biodisponibilità viene somministrato per via orale a un paziente con una resezione gastrica o un altro problema GI; quando un farmaco escreto prevalente mente immodificato viene somministrato a un paziente con malattia renale) Quando dosi abituali o elevate non producono una risposta terapeutica o quando dosi abituali o basse producono una reazione tossica, per stabilire se la causa sia la mancanza di compliance (v. Compliance del paziente nel Cap.301), la scarsità dell'assorbimento, un'alterazione del metabolismo, oppure un'insolita resistenza o sensibilità farmacodinamica al farmaco Quando vengono somministrati contemporaneamente diversi farmaci, particolarmente se provocano interazioni farmacocinetiche conosciute (v. Interazioni farmacologiche nel Cap.301)

Manuale Merck - Tabella

*In questi casi, la tolleranza farmacodinamica riduce l'utilità del monitoraggio. Non sono compresi i farmaci somministrati per ottenere esclusivamente effetti acuti o intermittenti. †L'emivita

è un indice del tempo di ricambio necessario, riflettendo il tempo di accumulo dopo somministrazioni multiple e il tempo di eliminazione dopo la sospensione del farmaco.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI FARMACI COMPLIANCE DEL PAZIENTE Grado di adesione di un paziente a un regime terapeutico.

Sommario: Introduzione Conseguenze della mancanza di compliance Metodi per migliorare la compliance

Secondo alcuni studi sul comportamento del paziente, soltanto circa la metà dei pazienti che escono da uno studio medico con una prescrizione assume il farmaco secondo le direttive indicate. La spiegazione più comune addotta per la mancata adesione alle prescrizioni è la dimenticanza, la quale può essere più appropriatamente definita come rifiuto della malattia; la necessità di assumere un farmaco è infatti un costante richiamo al fatto di essere malati. Altre ragioni sono elencate nella Tab. 301-3. I bambini sono meno portati degli adulti a seguire un piano terapeutico. In uno studio condotto su bambini con infezioni streptococciche per le quali era stato prescritto un ciclo di terapia penicillinica di 10 giorni, il 56% di essi ha interrotto l’assunzione del farmaco entro il terzo giorno, il 71% entro il sesto giorno e l’82% entro il nono giorno. La compliance è peggiore nel caso di malattie croniche che richiedono trattamenti complessi e prolungati (p. es., il diabete giovanile, l’asma). È possibile che i genitori non comprendano chiaramente le istruzioni contenute nella prescrizione e, secondo alcuni studi, 15 minuti dopo la visita dimenticano circa la metà delle informazioni fornite loro dal medico (v. Compliance nel Cap. 258). Le persone più anziane possono assumere diversi farmaci contemporaneamente; il regime terapeutico può essere complesso e difficile sia da ricordare sia da seguire, aumentando quindi la probabilità di un’interazione farmacologica indesiderata (v. Cap. 304).

Conseguenze della mancanza di compliance Senza la collaborazione del paziente, anche il miglior piano terapeutico è destinato a fallire. La conseguenza più ovvia della mancanza di compliance è che la malattia non può essere migliorata o curata. Secondo una stima effettuata dall’Office of the U.S. Inspector General, la mancanza di compliance è responsabile di 125000 decessi per malattia cardiovascolare ogni anno. Se i pazienti assumessero i loro farmaci secondo le prescrizioni, potrebbe essere evitato fino al 23% dei ricoveri nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali, le quali, a differenza delle "nursing home" statunitensi, possono necessitare della costante presenza di un medico), il 10% dei ricoveri ospedalieri, molte visite mediche, numerose indagini di laboratorio e un gran numero di trattamenti non necessari.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

La mancanza di compliance può peggiorare la qualità della vita, oltre ad aumentare il costo dell’assistenza sanitaria. Per esempio, la mancata assunzione di un farmaco per il glaucoma può condurre alla compromissione del nervo ottico e alla cecità; la mancata assunzione di un farmaco cardiologico può provocare aritmie e arresto cardiaco; la mancata assunzione di un antiipertensivo può causare un ictus; e il trascurare di assumere le dosi prescritte di un antibiotico può causare la riaccensione di un’infezione e può portare alla selezione di batteri resistenti al farmaco.

Metodi per migliorare la compliance È più probabile che i pazienti si attengano alle prescrizioni se hanno un buon rapporto con il loro medico, che li coinvolga nelle decisioni da prendere e che mostri interesse riguardo al fatto che essi seguano le sue indicazioni. La chiarezza della prescrizione e le spiegazioni sui motivi per cui il trattamento è necessario e su cosa ci si possa attendere da esso (p. es., un ritardo nella comparsa del beneficio clinico o l’insorgenza di effetti collaterali sistemici) aiutano anch’esse ad assicurare la compliance. La fiducia nel medico è di importanza fondamentale. Incoraggiare i pazienti a porre domande e a esprimere le loro preoccupazioni può aiutarli ad adattarsi alla gravità della loro malattia e a soppesare in modo consapevole i vantaggi e gli svantaggi di un regime terapeutico. Sviscerare il meccanismo inconscio del rifiuto della malattia e come esso conduca a "dimenticare" o a non assumere il farmaco secondo le prescrizioni può aiutare i pazienti a evitare questa insidia. Essi devono essere esortati a riferire al loro medico qualunque effetto indesiderato o inaspettato prima di modificare o interrompere il trattamento da soli. I pazienti spesso hanno delle buone ragioni per non seguire un regime terapeutico e il loro medico può mettere in atto le correzioni più opportune solo dopo aver affrontato con franchezza il problema. I farmacisti e gli infermieri possono individuare e aiutare a risolvere i problemi di compliance. Per esempio, il farmacista può notare che il paziente non si procura i farmaci necessari per proseguire la terapia o che una prescrizione è illogica o scorretta. Riguardando le istruzioni contenute nella prescrizione insieme con il paziente, un farmacista o un infermiere può accorgersi di un errore di comprensione o di qualche timore da parte del paziente e così risolverli. è importante che fra tutti gli operatori sanitari coinvolti nella cura di un paziente ci sia un processo di comunicazione continuo. I gruppi di sostegno per i pazienti affetti da determinate patologie possono spesso rinforzare i programmi terapeutici e fornire suggerimenti per affrontare i problemi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 301-3. CAUSE DI MANCANZA DI COMPLIANCE Legate al paziente Incomprensione delle istruzioni della prescrizione Dimenticanza Negazione della malattia o del suo significato

Legate al farmaco Effetti indesiderati (reali o supposti) Complessità del regime terapeutico (p.es., somministrazioni frequenti, molti farmaci di versi) Farmaci con aspetto simile

Mancanza di fiducia nell'efficacia del farmaco Riduzione, variabilità o scomparsa della sintomatologia Timori sull'assunzione dei farmaci (p. es., effetti inde siderati, dipendenza) Preoccupazioni di natura economica Apatia Difficoltà materiali (p.es., a deglutire compresse o cap sule, ad aprire flaconi, a seguire in ogni punto la pre scrizione)

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Odore o sapore sgradevole Precauzioni poco gradite o troppo restrittive (p.es., eliminazione dell'alcol o dei formaggi)

Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 258. TERAPIA FARMACOLOGICA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI (V. anche sezione 22 e Farmaci e allattamento materno nel Cap. 256).

COMPLIANCE (V. anche Cap. 301) Una mancata osservanza dei trattamenti farmacologici pediatrici è straordinariamente frequente (50-75%); p. es., si è evidenziato che, in bambini in terapia penicillinica per 10 giorni a causa di una infezione streptococcica, il 56% non riceveva più il farmaco al 3o giorno; il 71% al 6o giorno e l’82% al 9o giorno. Gradi ancora più elevati di non-compliance si verificano in caso di malattie croniche (p. es., diabete giovanile, asma) che richiedono trattamenti complessi, a lungo termine e che alterano il normale ritmo di vita. Una scarsa compliance deve sempre essere considerata come possibile causa di insuccesso terapeutico. I provvedimenti generali per migliorare la compliance includono contatti telefonici da parte del medico o dello staff per ricordare la terapia o una visita di follow-up; il controllo della confezione dei farmaci a ogni visita ambulatoriale per valutare la quantità rimanente; una indagine sulle urine in particolare per valutare la compliance in caso di assunzione di antibiotici e per quanto riguarda i pazienti o i genitori la registrazione giornaliera della terapia (quanto e quando). Fattori legati alla terapia in caso di non-compliance: la compliance diminuisce quando lo schema terapeutico è complesso, scomodo, dispendioso, di lunga durata, quando è sgradevole la somministrazione, quando sono presenti effetti collaterali o quando sono richiesti cambiamenti nello stile di vita. Gli schemi terapeutici devono essere semplificati (p. es., sincronizzare la somministrazione di farmaci diversi) e devono essere adattati in base agli orari dei pazienti e dei genitori, quando possibile. Devono essere sottolineati gli aspetti fondamentali del trattamento (p. es., effettuare un intero ciclo di antibioticoterapia). Visite di followup precoci o contatti telefonici (p. es., entro 3-4 giorni) valutano i progressi e permettono una pronta correzione dei problemi. Se è necessario modificare lo stile di vita (p. es., la dieta o l’attività fisica) i cambiamenti devono essere apportati uno alla volta, nell’ambito di diverse visite. Bisogna prefissarsi obiettivi realistici (p. es., perdere 2 kg su 15 entro la visita di follow-up effettuata dopo 2 sett.). Il raggiungimento di un obiettivo deve essere lodato e solo allora bisogna aggiungerne uno nuovo. Si può ridurre il costo mediante la prescrizione di farmaci generici, evitando di prescrivere farmaci non necessari e "da banco". Fattori legati ai genitori in caso di non-compliance: alcuni genitori non capiscono esattamente il loro ruolo nell’ambito del trattamento, in parte a causa dello scarsa memoria: 15 min dopo la discussione, circa la metà delle informazioni viene dimenticata. Inoltre, i genitori ricordano meglio ciò che succede durante il primo 1/3 del colloquio e gli argomenti che riguardano la diagnosi anziché la terapia. Il medico deve descrivere lo schema terapeutico, scriverlo e riesaminarlo nuovamente, sottolineando la sua importanza ed evitando complesse informazioni tecniche riguardo alla malattia e all’azione del farmaco. Convinzioni e opinioni personali possono interferire con la compliance p. es., "mio figlio non può avere l’influenza perché l’ha già avuta e non si prende due volte, sembra morbillo"). Tali convinzioni hanno varie origini, compresi standard culturali, credenze familiari tramandate, precedenti esperienze di malattia, file:///F|/sito/merck/sez19/2582271b.html (1 of 2)02/09/2004 2.06.54

Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

scorretta interpretazione dei fatti e scorretta informazione da parte di fonti non mediche. Il medico deve correggere affermazioni sbagliate e accertarsi che il genitore sia d’accordo con la diagnosi, la percepisca come qualcosa di serio e se crede che il trattamento funzionerà o crede che presenterà effetti collaterali o sarà difficile da seguire. Altri fattori responsabili di una non-compliance sono l’insoddisfazione riguardo alla quantità di informazioni date e al supporto emotivo da parte del medico, per l’incapacità a esprimere dubbi, la difficoltà nel comprendere le risposte alle domande poste e le aspettative non soddisfatte nei confronti della visita. Il medico deve incoraggiare i genitori a esporre i propri dubbi o fraintendimenti circa la diagnosi o il trattamento, le proprie aspettative e qualunque lamentela. Fattori legati al paziente in caso di non-compliance: questi comprendono il rifiuto della malattia o delle conseguenze negative dovute all’assenza di compliance. I bambini e gli adolescenti, soprattutto quelli affetti da malattie croniche, possono aver bisogno di sentire di controllare la loro malattia e il trattamento. Essi devono essere incoraggiati a comunicare liberamente e ad assumersi la responsabilità (con la supervisione della famiglia) della compliance.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI FARMACI E ALLATTAMENTO MATERNO La quantità di farmaco che passa nel latte materno dipende principalmente dal gradiente di concentrazione tra il plasma e il latte, ma anche dalla sua liposolubilità, dal suo pKa (logaritmo negativo della costante di dissociazione dell’acido), dalla sua capacità di legarsi alle proteine e dal pH del latte. Poiché il pH del latte è lievemente più basso di quello plasmatico, le basi deboli tendono ad avere un elevato rapporto di concentrazione latte/plasma e gli acidi deboli il contrario. Quindi, la concentrazione nel latte di lincomicina, eritromicina, antiistaminici, alcaloidi, isoniazide, antipsicotici, antidepressivi, litio, chinino, tiouracile e metronidazolo, tutti basi deboli, hanno nel latte concentrazioni uguali o più alte di quelle del plasma. Le concentrazioni nel latte di barbiturici, fenitoina, sulfamidici, diuretici e penicilline, tutti acidi deboli, hanno nel latte una concentrazione uguale o più bassa che nel plasma. Il significato clinico della presenza di un farmaco nel latte materno dipende dalla sua concentrazione, dalla quantità di latte che viene ingerita dal bambino in un dato periodo di tempo, dalla quantità di farmaco che viene o meno assorbita dal lattante e dall’eventuale patologia provocata dal farmaco stesso. La determinazione di quali farmaci debbano essere controindicati nelle madri che allattano si basa generalmente su studi molto limitati effettuati sull’uomo, inclusi descrizioni aneddotiche o case report e studi molto esigui. I dati sugli animali sono spesso inappropriatamente riportati agli uomini. Il rapporto latte/plasma confronta simultaneamente la concentrazione del farmaco nel latte materno con quella plasmatica. Tuttavia, il significato clinico dei rapporti latte/plasma è spesso misconosciuto; p. es., un rapporto latte/plasma ≥ 1 può suggerire un falso alto rischio di effetti collaterali nel bambino allattato, ma se i livelli plasmatici sono bassi, possono esserlo anche i livelli nel latte. Per esempio, se l’isoniazide viene somministrata alla madre a dosi terapeutiche, la concentrazione plasmatica è tipicamente 6 µg/ml. Se il rapporto latte/plasma è pari a 1, un bambino che assume 240 ml di latte assumerà solamente 1,4 mg per pasto, valore molto più basso della dose pediatrica di isoniazide, che è 10-20 mg/ kg. Quindi, i problemi sono rari, a meno che le concentrazioni nel latte non siano elevate o un farmaco non sia molto potente o tossico anche a basse concentrazioni o non abbia effetti cumulativi a causa dell’immaturità del metabolismo e dell’escrezione dei farmaci nel bambino. I farmaci che non sono solitamente pericolosi per il bambino includono insulina e adrenalina, che non passano nel latte materno. Caffeina e teofillina non vengono eliminate totalmente dal bambino e possono accumularsi, causando irritabilità. L’assunzione di alcol deve essere limitata a non più di 0,5 g/kg di peso corporeo materno/die. Le madri non devono fumare in presenza del bambino indipendentemente dall’alimentazione e non devono allattare per 2 ore dopo aver fumato. Tra i farmaci controindicati sono inclusi i farmaci antineoplastici, dosi terapeutiche di radiofarmaci, ergotamina e i suoi derivati (p. es., metisergide), litio, cloramfenicolo, atropina, tiouracile, ioduri e mercuriali. Questi farmaci non devono essere assunti dalle donne che allattano oppure l’allattamento deve file:///F|/sito/merck/sez19/2562262.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.55

Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

essere interrotto se uno qualunque di questi farmaci è essenziale. Altri farmaci da evitare, in assenza di studi che ne dimostrino i meccanismi di escrezione nel latte, sono quelli con un’emivita prolungata; quelli che risultano tossici per il midollo osseo; e quelli che devono essere somministrati ad alte dosi a lungo termine. Tuttavia, i farmaci che sono scarsamente assorbiti per via orale, che vengono somministrati (alla madre) per via parenterale non rappresentano una minaccia per il bambino, che riceve il farmaco per via orale ma non lo assorbe. I farmaci che sopprimono o inibiscono la lattazione comprendono bromocriptina, estradiolo, dosi elevate di contraccettivi orali, levodopa e l’antidepressivo trazodone. I farmaci che devono essere utilizzati con cautela vengono elencati più avanti. I prodotti da banco sono generalmente sicuri nelle madri che allattano; nei foglietti illustrativi devono essere ricercate le controindicazioni e le speciali linee guida per la somministrazione nelle donne che allattano. Il propiltiouracile e il fenilbutazone possono essere somministrati alle madri che allattano senza determinare problemi nei loro bambini, ma il metimazolo è controindicato. I neurolettici e gli antidepressivi, i sedativi e i tranquillanti vengono utilizzati con cautela e controllandone la dose. I contraccettivi a basse dosi, contenenti un solo ormone possono essere usati; alte dosi di contraccettivi inibiscono la produzione di latte. L’utilizzo del metronidazolo dipende dall’età del bambino e dalla dose materna. I bambini allattati devono essere strettamente sorvegliati in caso di uso prolungato da parte delle loro madri di qualunque farmaco, per essere sicuri che non ci siano variazioni nell’alimentazione o nel sonno. I vaccini non sono controindicati durante l’allattamento. Analgesici: i salicilati passano nel latte materno in moderata quantità. In caso di alte dosi materne e trattamenti a lungo termine, nel lattante di età inferiore a 1 mese, si possono raggiungere livelli tali da aumentare il rischio di iperbilirubinemia (i salicilati competono con siti leganti l’albumina), di emolisi nei soggetti con carenza di G6PD. Il paracetamolo e l’ibuprofen sembrano farmaci sicuri per i lattanti, se assunti dalla madre a dosi terapeutiche. Gli analgesici narcotici (p. es., codeina, morfina, meperidina, metadone) a dosi terapeutiche possono essere escreti nel latte materno a bassissime concentrazioni, che in singole dosi hanno un effetto trascurabile sul lattante. Spesso, nelle madri che assumono dosi ripetute, soprattutto se tossicodipendenti che assumono alte dosi, sono secrete nel latte quantità rilevanti, che danneggiano il bambino allattato al seno, causando una sindrome da astinenza quando non viene allattato (v. anche in Patologia metabolica nel neonato nel Cap. 260). Le donne che assumono cronicamente narcotici non devono allattare. Antibiotici: gli antibiotici di solito possono essere assunti dalle madri che allattano senza importanti effetti collaterali nei loro bambini. Tuttavia, poiché quasi tutti gli antibiotici passano nel latte, il lattante può raramente presentare ipersensibilità al farmaco, diarrea o candidosi. La penicillina può essere dosata nel latte materno già un’ora dopo e fino a 9 h dopo una somministrazione IM alla madre. Le tetracicline sono escrete nel latte materno in quantità significative, ma, poiché si legano al calcio, l’assorbimento nel bambino allattato è generalmente troppo basso per provocare effetti collaterali. Tuttavia, la minociclina, che viene assorbita per via orale al 100% e il cui assorbimento non è condizionato dal cibo deve essere evitata nella madre che allatta. Essa può causare una colorazione dei denti nel bambino, se assunta per sia di 10 giorni. Il metronidazolo viene secreto nel latte materno in quantità significative e, a dosi elevate, risulta essere carcinogenetico nei roditori e mutageno nei batteri. Nel caso in cui la somministrazione di metronidazolo è necessaria nei primi 3 mesi dopo il parto, deve essere fornito alla madre un regime a dosi singole di 2 g e l’allattamento deve essere sospeso per 24 h; durante tale intervallo di tempo il latte deve essere tirato ed eliminato. Tuttavia, dopo che il bambino ha compiuto i 6 mesi di vita, l’uso del metronidazolo da parte di una donna che allatta è accettabile. L’acido nalidixico, i sulfamidici e altri agenti ossidanti possono indurre emolisi in lattanti con deficit di G6PD, sia se allattati al seno sia se allattati artificialmente. Gli antibiotici non assorbibili a livello intestinale, come la streptomicina, la kanamicina e la gentamicina, non danno problemi sistemici nel lattante. Farmaci per l’apparato cardiovascolare: i farmaci antiipertensivi, i diuretici, la

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

digossina e i β-bloccanti possono essere assunti per lungo tempo dalla madre che allatta al seno senza che si abbiano effetti collaterali nel bambino. Nondimeno, è prudente scegliere quei farmaci presenti nel latte a livelli minimi. Propanololo, digitale, metoprololo, captopril e diuretici, che sono acidi deboli (così come clorotiazide e idroclorotiazide), sono contenuti nel latte in basse concentrazioni. Ormoni steroidei: gli ormoni, quando somministrati ad alte dosi a una madre che allatta, possono raggiungere concentrazioni elevate nel latte e ciò costituisce un rischio nel caso di ormoni che possono essere assorbiti per via orale dal lattante. I contraccettivi orali spesso vengono prescritti dopo il parto per prevenire un’altra gravidanza. L’etinilestradiolo e il mestranolo sono escreti nel latte materno; essi possono ridurre la produzione di latte e la concentrazione di piridossina (vitamina B6) nel latte. Nelle donne che allattano sono da preferire i contraccettivi di più recente generazione a basse dosi e quelli con un singolo ormone che non sono stati associati a problemi nei bambini. I corticosteroidi, se somministrati alla madre ad alte dosi per settimane o mesi, possono raggiungere livelli elevati nel latte e rischiare di bloccare l’accrescimento del bambino e interferire con la sua produzione endogena di corticosteroidi. Pochi giorni di terapia, comunque, sono apparentemente sicuri e il bambino viene automaticamente divezzato da essi nel momento in cui la madre diminuisce la sua dose. Antiepilettici: i barbiturici e la fenitoina assunti da madri che allattano possono determinare nel lattante l’induzione degli enzimi microsomiali ossidanti, con conseguente aumento del catabolismo degli steroidi endogeni, ma se somministrati alla madre a basse dosi sono di solito sicuri. Farmaci psicoattivi: il diazepam viene escreto nel latte materno e, con dosi materne multiple, può causare, nei bambini allattati al seno, letargia, sonnolenza e perdita di peso. Il metabolismo del diazepam nei lattanti è lento. Poiché il diazepam, dopo il metabolismo iniziale, è coniugato all’acido glicuronico, la competizione con la bilirubina per l’acido glicuronico può predisporre il lattante sotto il primo mese d’età all’iperbilirubinemia. Gli antipsicotici e gli antidepressivi triciclici passano nel latte ma sembra che non determinino alcun effetto collaterale nel bambino, poiché la loro concentrazione plasmatica è bassa a causa dello scarso assorbimento per via orale. Anticoagulanti: Warfarin e dicumarolo possono essere somministrati con cautela alle madri che allattano, ma possono provocare, a dosi molto elevate, emorragie; nei bambini molto piccoli, il dicumarolo può causare iperbilirubinemia, che può condurre al kernittero. L’eparina non passa nel latte. Farmaci illeciti: il tetraidrocannabinolo, il più psicoattivo dei componenti della marijuana, stabilisce un forte legame con le lipoproteine e negli animali il passaggio nel latte risulta molto esiguo. Tuttavia, le donne che allattano devono evitare la marjuana poiché l’emivita plasmatica negli uomini può arrivare fino a 2 giorni. La cocaina permane nel latte fino a 24 h. Pertanto, madri che fanno uso di entrambi devono tirarsi il latte ed eliminarlo per 24 ore. L’uso dei narcotici è trattato sopra in Analgesici. Inquinanti ambientali: l’esposizione materna a insetticidi o altri inquinanti chimici rappresenta raramente una controindicazione all’allattamento a meno che l’esposizione non sia eccessiva.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-2. ESEMPI DI FARMACI COMUNEMENTE SOTTOPOSTI A MONITORAGGIO

Farmaco

Concentrazione plasmatica ottimale abituale, inmg/l (µmol/l)

Farmaco

Concentrazione plasmatica ottimale abituale, inmg/l (µmol/ l)

Amikacina*

12-25 (21-43); 40 anni. L’età media di insorgenza è di circa 57 anni. Può esordire nell’infanzia o nell’adolescenza (parkinsonismo giovanile).

Eziologia e fisiopatologia Nel morbo di Parkinson primitivo, si rileva uno spopolamento dei neuroni pigmentati della sostanza nera, del locus ceruleus e delle altre cellule dopaminergiche del tronco encefalico; la causa è sconosciuta. La perdita di neuroni della sostanza nera che proiettano sul nucleo caudato e sul putamen esita in una deplezione del neurotrasmettitore dopamina in tali aree. La malattia inizia generalmente dopo i 40 anni, aumentando nei gruppi di popolazione più anziani. Il parkinsonismo secondario è la conseguenza della compromissione o dell’interferenza con l’azione della dopamina all’interno dei gangli della base, dovuta a malattie degenerative idiopatiche, farmaci, tossine esogene. La causa più comune di parkinsonismo è rappresentata dall’assunzione di anti-psicotici o reserpina, che causano il parkinsonismo mediante il blocco dei recettori per la dopamina. La contemporanea somministrazione di un farmaco anticolinergico (p. es., la benzatropina alla dose di 0,2-2 mg PO tid) o di amantadina (100 mg bid) può migliorare la condizione. Meno frequentemente, la causa è rappresentata da avvelenamento da monossido di carbonio o manganese, da idrocefalo, da lesioni strutturali (tumori, infarti del mesencefalo o dei gangli della base), da ematomi subdurali, da malattie degenerative, come la degenerazione nigrostriatale e olivopontocerebellare o l’atrofia multisistemica (v. Degenerazioni Spino-cerebellari, più avanti). L’N-MPTP (n-metil-1,2,3,4-tetraidropiridina), una droga illegale sintetizzata dalla meperidina, può provocare grave, improvviso e irreversibile parkinsonismo nelle persone che ne abusano per EV. Nel parkinsonismo postencefalitico, attualmente raro (è insorto dopo l’encefalite epidemica di von Economo nel 1918-1924), un processo infiammatorio distrugge la regione del mesencefalo che contiene la sostanza nera.

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Disturbi del movimento

Sintomi e segni Nel 50-80% dei pazienti, la malattia esordisce in modo insidioso, con tremore a riposo di una mano, a 4-8 Hz (movimento del confezionatore di pillole). Tale tremore è massimo a riposo, diminuisce durante il movimento e scompare col sonno; aumenta inoltre con le emozioni e la fatica. Generalmente, sono maggiormente colpite le mani, le braccia e le gambe, secondo tale ordine. Possono anche essere interessate la mandibola, la lingua, la fronte e le palpebre, mentre la voce non viene coinvolta; molti pazienti accusano soltanto rigidità; il tremore è assente. La rigidità è evolutiva e i movimenti rallentano (bradicinesia), diminuiscono (ipocinesia) e sono difficili da iniziare (acinesia). Tali fenomeni possono causare dolore muscolare e sensazione di affaticamento. La faccia diventa amimica come una maschera, con bocca aperta, rarità dell’ammiccamento e fissità dello sguardo. Tale quadro potrebbe essere confuso con uno stato depressivo. L’andatura è incurvata in modo caratteristico (camptocormia). Il paziente inizia a camminare con difficoltà, muovendosi prima con passi piccoli ed esitanti, con le braccia flesse, addotte e non ondeggianti e il tronco lievemente piegato in avanti; i passi possono diventare improvvisamente più veloci e il paziente comincia improvvisamente a correre per evitare la caduta in avanti (festinazione). La perdita dei riflessi posturali, provoca la tendenza a cadere in avanti (propulsione) e all’indietro (retropulsione), quando viene spostato il centro di gravità. La voce diventa ipofonica e spesso si accompagna a una caratteristica disartria monotona, balbettante. L’ipocinesia e la diminuzione del controllo della muscolatura distale esitano nella micrografia e in una crescente difficoltà nelle attività quotidiane. La demenza può manifestarsi in circa 50% dei pazienti e anche la depressione è frequente. All’esame obiettivo, la mobilizzazione passiva degli arti evidenzia una resistenza uniforme, con rigidità a tubo di piombo, in particolare a livello del gomito e del polso. Il tremore sovrapposto ha un aspetto definito fenomeno della ruota dentata. L’esame della sensibilità è solitamente normale. Si possono osservare segni di disfunzione del sistema nervoso autonomo (p. es., seborrea, costipazione, ritenzione urinaria e ipotensione ortostatica). La forza muscolare è generalmente conservata, anche se può essere diminuita la capacità di eseguire rapidamente i movimenti. I riflessi sono normali ma difficili da evidenziare in presenza di rigidità o tremore. Nel parkinsonismo post-encefalitico, sono comuni le crisi oculogire (deviazione forzata della testa e degli occhi), altre distonie, alterazioni neurovegetative e della personalità.

Diagnosi I segni precoci, rappresentati dalla rarità dell’ammiccamento, dalla perdita dell’espressione mimica, dalla ridotta iniziativa motoria, dalla diminuzione dei riflessi posturali e dalla caratteristica andatura, sono suggestivi della patologia. Il tremore è presente inizialmente in circa il 70% dei pazienti, ma spesso diventa meno evidente durante il decorso della malattia. Sebbene la rigidità sia talvolta minima o assente, il tremore privo delle suddette caratteristiche associate indica una diagnosi alternativa o la necessità di una valutazione successiva, poiché in fase tardiva, se il paziente è affetto da Parkinson, si possono sviluppare gli altri segni. I pazienti con tremore essenziale (v. sopra Tremore), che rappresenta la patologia più frequentemente confusa col il morbo di Parkinson, hanno una mimica valida, movimenti normali e non presentano disturbi dell’andatura. In più, il tremore essenziale si presenterà in fase d’azione piuttosto che a riposo, come quello del morbo di Parkinson. Nel caso di persone anziane che presentino una spontanea riduzione del movimento, andatura a piccoli passi (reumatica), una lieve depressione o una demenza, può essere più difficile una diagnosi differenziale con il morbo di Parkinson. Le cause del morbo possono essere chiarite mediante l’anamnesi.

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Disturbi del movimento

Terapia Terapia farmacologica: (v. Tab. 179-2): la levodopa, il precursore metabolico della dopamina, attraversa la barriera ematoencefalica per arrivare ai gangli della base, dove viene decarbossilata a formare la dopamina, rimpiazzando il neuromediatore carente. La bradicinesia e la rigidità risentono di più del miglioramento, sebbene anche il tremore venga spesso sostanzialmente ridotto. I pazienti meno gravi possono anche ritornare alle condizioni normali, mentre quelli allettati si possono seguire ambulatorialmente. La somministrazione contemporanea dell’inibitore periferico della decarbossilasi carbidopa permette una diminuzione delle dosi, prevenendo il catabolismo della levodopa, diminuendo così gli effetti collaterali (nausea, palpitazioni, rossori cutanei) e favorendo una maggiore disponibilità di farmaco a livello cerebrale. Il carbidopa/ levodopa è disponibile in preparazioni con rapporto 10/100, 25/ 100, 25/250 mg e in compresse a rilascio controllato da 50/200 mg. La dose iniziale di trattamento è con una compressa da 25/100 mg tid. La dose viene aumentata gradualmente ogni 4-7 gg, in base alla tolleranza del paziente, fino al raggiungimento dell’effetto terapeutico; gli effetti collaterali si possono ridurre gradualmente al minimo aumentando cautamente le dosi e facendo assumere il farmaco durante o dopo i pasti (sebbene grandi quantità di proteine possano interferire con l’assorbimento della levodopa). La maggior parte dei pazienti richiede una dose di 400-1000 mg/die di levodopa in dosi frazionate q 25 h, con almeno 100 mg/die di carbidopa per diminuire gli effetti collaterali periferici. Alcuni pazienti possono necessitare fino a 2000 mg/die di levodopa, con 200 mg di carbidopa. I movimenti involontari (discinesie) a carico dei muscoli oro-facciali e delle estremità o la distonia, effetti collaterali della levodopa, ne limitano il dosaggio. Essi tendono a insorgere a dosi più basse con il progredire del trattamento. In alcuni pazienti non è però possibile raggiungere l’effetto terapeutico, senza arrivare a un certo grado di discinesia. Dopo 2-5 anni di trattamento > 50% dei pazienti inizia a presentare fluttuazioni nella risposta alla levodopa ("effetto onoff"). Diminuisce la durata del miglioramento conseguente all’assunzione di ogni dose di farmaco; i movimenti discinetici provocano bruschi passaggi dall’acinesia all’iperattività incontrollata. Tradizionalmente, tali effetti alternati sono corretti mediante la riduzione, quanto più possibile, delle dosi individuali, frammentandole in somministrazioni q 1-2 h. I farmaci agonisti dopaminergici, la levodopa/carbidopa a rilascio controllato o la selegilina (v. oltre) possono rappresentare delle utili aggiunte. Gli altri effetti collaterali della levodopa sono rappresentati dall’ipotensione ortostatica, da incubi, dalle allucinazioni e talvolta da stati confusionali da intossicazione; le allucinazioni e lo stato confusionale acuto sono più comuni negli anziani colpiti da demenza. Alcuni autori ritengono che la terapia precoce con levodopa acceleri l’insorgenza dei problemi (p. es., discinesie, l’effetto on-off) e preferiscono procrastinare la levodopa il più possibile, affidandosi agli anticolinergici o all’amantadina. Altri ritengono questi fenomeni come parte del decorso della malattia e somministrano precocemente la levodopa con la carbidopa, per ottenere il massimo miglioramento della qualità di vita. L’amantadina alla dose di 100-300 mg/die PO è utile nel 50% dei casi per il trattamento del parkinsonismo lieve e precoce e per aumentare gli effetti della levodopa nelle fasi tardive della malattia. Non se ne conosce il meccanismo d’azione, si pensa che provochi aumento dell’attività dopaminergica o che abbia effetti anticolinergici, oppure che presenti entrambi gli effetti. L’amantadina spesso perde la sua efficacia se viene usata singolarmente per diversi mesi. Gli effetti collaterali sono rappresentati da edemi agli arti inferiori, da livedo reticularis e da stati confusionali. La bromocriptina e la pergolide sono alcaloidi derivati dall’ergotamina, che attivano direttamente i recettori dopaminergici dei gangli della base. Sia la bromocriptina alla dose di 5-60 mg/ die che la pergolide alla dose di 0,1-5,0 mg/

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Disturbi del movimento

die PO, si sono rivelate utili in tutti gli stadi della malattia, quando la risposta alla levodopa diminuisce o si instaura l’effetto on-off. L’utilità viene spesso limitata dall’alta incidenza di effetti collaterali quali nausea, ipotensione ortostatica, disorientamento, stato confusionale e psicosi franca. Tali effetti collaterali possono essere controllati riducendo le dosi di levodopa. L’uso di bromocriptina o di pergolide nelle fasi precoci di malattia, in associazione con piccole dosi di levodopa, può ritardare l’emergenza dei movimenti involontari farmaco-indotti e degli effetti on-off; tuttavia tale beneficio non è comprovato ed è probabilmente dovuto alla lunga emivita dei due farmaci. La stimolazione prolungata dei recettori dopaminergici è più vicina a quella fisiologica rispetto a quella provocata dalla levodopa (che ha un’emivita plasmatica breve). L’integrità dei recettori postsinaptici per la dopamina è pertanto conservata e la risposta al farmaco risulta più fisiologica. Tuttavia, la bromocriptina o il pergolide possono raramente essere adoperati come farmaci antiparkinsoniani unici. I nuovi agonisti della dopamina più specifici per il recettore D2 comprendono il pramipexolo e il ropinirolo. La selegilina, un inibitore della monoamino ossidasi tipo B (MAO-B), inibisce uno dei due enzimi principali che provocano la deplezione della dopamina nell’encefalo, prolungando pertanto l’azione delle dosi individuali di levodopa. Alle dosi di 5-10 mg/die PO, non causa crisi ipertensive (cheese effect), frequenti con gli inibitori MAO non selettivi, i quali bloccano gli isoenzimi A e B. In alcuni pazienti con lievi fenomeni on-off, la selegilina favorisce la riduzione dell’effetto di deterioramento di fine dose della levodopa. Sebbene praticamente priva di effetti collaterali propri, la selegilina può potenziare la discinesia, gli effetti collaterali psichici e la nausea prodotta dalla levodopa, per cui può essere necessario ridurre le dosi di quest’ultima. La selegilina, adoperata come trattamento iniziale, può ritardare la somministrazione di levodopa di circa 1 anno. La selegilina può potenziare la dopamina residua nell’encefalo dei pazienti con morbo di Parkinson incipiente o ridurre il metabolismo ossidativo cerebrale della dopamina, rallentando il processo degenerativo. I farmaci anticolinergici sono adoperati da soli negli stadi precoci del trattamento e successivamente come supplemento alla levodopa. I più comuni sono la benzatropina alla dose di 0,5-2 mg tid PO e il triexifenidile 2-5 mg PO tid. Gli antiistaminici dotati di azione anticolinergica (p. es., la difenidramina alla dose di 25-200 mg/ die PO e l’orfenadrina 50-200 mg/die PO) sono utili nella riduzione del tremore. Gli antidepressivi triciclici (p. es., l’amitriptilina, usata a basse dosi di 10-150 mg PO al momento di coricarsi) possono essere spesso utili come coadiuvanti della levodopa, oltre che come antidepressivi veri e propri. Inizialmente, la dose deve essere bassa e quindi aumentata fino a che il paziente la tollera. Gli effetti collaterali sono la secchezza delle fauci, la ritenzione urinaria, la costipazione e i disturbi visivi. Soprattutto per le persone anziane, sono particolarmente fastidiosi la confusione e i disturbi della termoregolazione dovuti alla diminuzione della sudorazione. Gli inibitori della catecol O-metiltransferasi (COMT), quali il tolcapone e l’entacapone, inibiscono il calo della dopamina e pertanto sembrano essere utili quali aggiuntivi della levodopa. Il propranololo, a una dose di 10 mg bid fino a 40 mg PO qid, è talvolta efficace nel tremore accentuato dall’attività. Trattamento chirurgico: la distruzione stereotassica del globo pallido posteroventrale (pallidotomia) determina miglioramento sensibile della bradicinesia nello stadio "off" e delle discinesie indotte dalla levodopa. In alcuni pazienti, il miglioramento si mantiene fino a 4 anni dal trattamento chirurgico. Sono promettenti i risultati della stimolazione elettrica ad alta frequenza del globo pallido o del nucleo subtalamico. La stimolazione cerebrale profonda, a livello del nucleo intermedio ventrale del talamo, può essere efficace per il trattamento del tremore nel morbo di Parkinson o nel tremore essenziale. Queste procedure sono ancora oggetto di studio. Il trapianto di neuroni dopaminergici fetali può far regredire le anomalie chimiche nel morbo di Parkinson. La procedura è stata eseguita sperimentalmente in vari file:///F|/sito/merck/sez14/1791575.html (4 of 5)02/09/2004 2.07.14

Disturbi del movimento

centri e rimane oggetto di studio. L’impianto di tessuto dalla midollare del surrene è stato abbandonato. Rimedi fisici: è importante rimanere il più attivi possibile. Nelle fasi iniziali, il paziente dovrà effettuare le attività quotidiane il più autonomamente possibile. Quando più è compromessa la funzionalità motoria, un programma di esercizio regolare o una terapia fisica possono aiutare a mantenere o ristabilire le condizioni fisiche e insegnare strategie d’adattamento. Per il trattamento della stipsi, che può insorgere in seguito all’assunzione dei farmaci antiparkinsoniani e all’inattività, il paziente dovrà adottare una dieta ad alto contenuto di fibre. Può essere utile l’impiego di integratori alimentari (p. es., psyllium) e di emollienti fecali (p. es., il docusato sodio).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 179-2. FARMACI SOMMINISTRATTI NEL MORBO DI PARKINSON Classe

Farmaco

Range del dosaggio (mg/die PO)

Difenidramina

25-200

Anticolinergici Antiistaminici

Orfenadrina Antidepressivi

Amitriptilina

10-150

Doxepina

10-150

Imipramina

10-150

Nortriptilina Miscellanea

50-200

10-150

Benztropina

0,5-6

Biperidina

2-6

Etopropazina

40-400

Prociclidina

5-40

Triesifenidile

2-15

Dopaminergici Carbidopa/ levodopa

75/300250/2500

Precursore della dopamina (con inibitore della decarbossilasi) Agonisti della dopamina

Inibitori delle MAO-B Meccanismo d'azione sconosciuto

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Bromocriptina

5-60

Pergolide

0,1-7

Selegilina

5-10

Amantadina

100-300

Manuale Merck - Tabella

MAO-B 1=Monoamino ossidasi tipoB. Tratto da Mc Dowell FA, Cedarbaum JM:" The extrapyramidal system and disorders of movement", in Clinical Neurology (looseleaf publication), ed. RJ Joynt. Philadelphia, JB Lippincott Company.

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Delirium e demenza

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 171. DELIRIUM E DEMENZA Sommario: Introduzione STATO CONFUSIONALE ACUTO Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia DEMENZA Prognosi e terapia MORBO DI ALZHEIMER Epidemiologia Eziologia Patogenesi Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prognosi e terapia DEMENZE NON ALZHEIMER DEMENZA VASCOLARE Altre cause

Circa 4-5 milioni di americani (circa il 2% di tutte le età e 15% di quelli > 65 anni) presentano qualche forma e grado di insufficienza cognitiva. L’insufficienza cognitiva (disfunzione o perdita delle funzioni cognitive, i processi mediante i quali la conoscenza viene acquisita, ritenuta e utilizzata) è nella maggior parte dei casi conseguente a stato confusionale acuto (delirium) o a demenza. Essa può insorgere anche in associazione ad alterazioni dell’affettività, come la depressione (v. Cap. 189). Sebbene lo stato confusionale acuto e la demenza presentino caratteristiche distinte, inizialmente può risultare difficile distinguerli tra loro (v. Tab. 171-1). Dal momento che nessun test di laboratorio può stabilire in modo affidabile una sicura causa di compromissione cognitiva, la valutazione è in genere basata sull’anamnesi e sull’esame obiettivo. La conoscenza del livello cognitivo di base è essenziale per determinare l’estensione e la misura della sua alterazione. Nel paziente anziano è di massima importanza evitare il comune errore clinico di scambiare lo stato confusionale acuto per demenza. La valutazione della demenza può essere condotta in modo lento e prolungato, in quanto la causa raramente presenta rischi immediati di vita. Lo stato confusionale acuto è generalmente causato da una malattia acuta o da un’intossicazione farmacologica, pertanto i pazienti che ne soffrono possono peggiorare rapidamente, con rischi per la vita, se non immediatamente sottoposti a procedure diagnostiche e a trattamento.

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Delirium e demenza

STATO CONFUSIONALE ACUTO (Delirium) Stato clinico caratterizzato da alterazioni oscillanti delle funzioni cognitive, dell’umore, dell’attenzione, della vigilanza e della coscienza di sé, che insorge acutamente, sia in assenza di compromissione intellettiva precedente sia come sovrapposta a una compromissione intellettiva cronica. Alcuni medici (negli Stati Uniti n.d.t.) usano i termini "delirium" e stato confusionale acuto come sinonimi; altri adoperano il termine delirium per riferirsi a un sottogruppo di pazienti che presentano confusione e iperattività, mentre altri ancora definiscono come delirium lo stato conclamato di confusione mentale e come stato confusionale il disorientamento di grado lieve. Una persona meno vigile (con obnubilamento della coscienza) e che presenta difficoltà di attenzione avrà anche difficoltà nel percepire in modo preciso e interpretare i dati che provengono dall’ambiente, nonché ad acquisire o ricordare una nuova informazione; può interpretare in modo sbagliato le informazioni o avere delle illusioni. Come conseguenza, la persona non ragiona in modo logico, ha difficoltà a gestire i dati simbolici (p. es., effettuare calcoli aritmetici o spiegare i proverbi), diventa ansiosa e agitata o si isola e potrà pensare in modo paranoide e maniacale.

Eziologia Lo stato confusionale acuto può insorgere in persone con un’attività cerebrale normale, ma è più comune in quelle con una patologia cerebrale di base, come la demenza. È più comune nell’anziano, probabilmente a causa di alterazioni a carico dei neurotrasmettitori, della diminuzione senile delle cellule cerebrali e di malattie concomitanti. Lo stato confusionale acuto può essere conseguente a patologie cerebrali primitive o a patologie a carico di altri sistemi con interessamento successivo dell’encefalo; le cause sono in genere metaboliche, tossiche, organiche o infettive. Indipendentemente dalla causa, sono compromessi dal punto di vista fisiopatologico gli emisferi cerebrali o i meccanismi di vigilanza del talamo e il sistema reticolare del tronco encefalico. Le alterazioni del sonno e lo stress estremo, che si sovrappongono a una patologia acuta, possono peggiorare i sintomi dello stato confusionale acuto (come la psicosi da terapia intensiva). Cause metaboliche o tossiche: praticamente, ogni alterazione metabolica può causare stato confusionale acuto. Alcune cause metaboliche e tossiche di stato confusionale acuto sono riportate nella Tab. 171-2. Negli anziani, gli effetti collaterali dei farmaci ne rappresentano la causa più comune. Cause organiche: le lesioni organiche che possono scatenare lo stato confusionale acuto comprendono le occlusioni vascolari e l’infarto cerebrale, l’emorragia subaracnoidea, l’emorragia cerebrale, i tumori primitivi o metastatici, gli ematomi subdurali e gli ascessi cerebrali. La maggior parte delle lesioni organiche può essere individuata mediante TAC o RMN e molte causano segni neurologici focali osservabili all’esame obiettivo. Cause infettive: lo stato confusionale acuto può essere causato da meningite acuta, da encefalite o da infezioni esterne all’encefalo, forse per il metabolismo di tossine o per il rialzo termico. La polmonite (anche senza compromissione dell’ossigenazione), le infezioni del tratto urinario, la sepsi o la febbre da infezione virale, possono causare uno stato confusionale in pazienti con particolare vulnerabilità encefalica. Gli ascessi embolici, a sviluppo lento o le infezioni opportunistiche, sono difficili da diagnosticare e, in alcuni casi, richiedono biopsie cerebrali.

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Delirium e demenza

Sintomi e segni I sintomi dello stato confusionale acuto spesso fluttuano rapidamente, anche nel giro di minuti e tendono a essere peggiori in tarda giornata (crepuscolarità). Il sintomo più evidente è rappresentato dall’obnubilamento della coscienza, accompagnato da disorientamento temporale, spaziale o per le persone. La capacità di attenzione è labile. È frequente unaconfusione per gli eventi quotidiani e la routine giornaliera. Le alterazioni della personalità e dell’affettività sono comuni. I sintomi comprendono irritabilità, comportamento inadeguato, timore, attività eccessiva o anche caratteri francamente psicotici, come le illusioni, le allucinazioni (comunemente visive) o la paranoia. Alcune persone sono calme, ritirate o apatiche, mentre altre sono agitate o iperattive; l’agitazione fisica è spesso espressa mediante la marcia. Si possono manifestare in pochi istanti emozioni contraddittorie. Il pensiero diventa disorganizzato e l’eloquio è spesso disordinato, con espressioni sbagliate, rapidità, neologismi, errori afasici e modalità espressive caotiche. I normali ritmi del sonno e dell’alimentazione sono generalmente alterati in modo evidente. Alcuni presentano uno stato di stordimento.

Diagnosi È necessaria una rapida valutazione medica, in quanto lo stato confusionale acuto può avere una prognosi grave mentre la condizione di base può essere spesso trattabile. Secondo alcune stime, il 18% degli anziani deliranti ricoverati muore e il periodo di ricovero è raddoppiato per coloro che sviluppano uno stato confusionale rispetto a quelli che non lo sviluppano. La diagnosi è quasi interamente clinica. I criteri diagnostici sono riportati nella Tab. 171-3. I test di laboratorio devono comprendere una chimica completa, l’emocromo con formula, un test per la lue come il test del VDRL (Venereal Disease Research Laboratories), esame delle urine con coltura, coltura ematica, test di funzionalità tiroidea, valutazione del livello di vitamina B12 e uno screening tossicologico. A meno che si sospetti uno stato di male epilettico (un reperto estremamente raro negli anziani) o un’encefalite, non risultano utili indagini quali EEG, le punture lombari, la tomografia a emissione di fotoni singoli e la tomografia a emissione di positroni. Una TAC con contrasto può rilevare vecchi o nuovi infarti o ematomi subdurali. Sebbene i due stati possano essere coesistenti, lo stato confusionale acuto associato ad apatia deve essere differenziato dalla depressione, specialmente nel paziente anziano. Analogamente, l’agitazione e le allucinazioni associate a stato confusionale acuto dovranno essere distinte da quelle causate da psicosi funzionale, un disturbo psichiatrico che è quasi sempre privo di disorientamento, amnesia e compromissione cognitiva, che invece si riscontrano nei pazienti deliranti (o intossicati). Una storia di mania o di alterazioni schizofreniformi depone per una patologia psichiatrica. Le patologie sistemiche possono scatenare lo stato confusionale acuto e dovranno essere ricercate ai fini del trattamento; un esempio è la sindrome di Wernicke-Korsakoff, caratterizzata da confusione, disorientamento e perdita di memoria. L’ipotermia, la tachicardia, l’ipotensione, il tremore e l’oftalmoplegia indicano chiaramente una patologia alcolistica. Lo stato epilettico, che consiste in assenze o crisi parziali complesse, può provocare uno stato confusionale, difficile da differenziare dallo stato confusionale acuto. Gli stati comiziali, tuttavia, provocano, rispetto allo stato confusionale acuto, un tipo più stabile e meno intenso di confusione, con minore stordimento. Nonostante l’aspetto confuso, il paziente epilettico generalmente presenta un buon senso dell’orientamento, rispetto alla maggior parte dei pazienti in stato confusionale. Lo stato epilettico non convulsivo può essere individuato mediante EEG. Sono diagnostici i tracciati EEG con punte e onde o con scariche a onda aguzza. Lo stato confusionale acuto da solo raramente scatena uno stato epilettico, ma una crisi generalizzata file:///F|/sito/merck/sez14/1711494.html (3 of 13)02/09/2004 2.07.16

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tonico-clonica spesso esita in uno stato confusionale acuto che può persistere per uno o più giorni. Nell’encefalopatia, l’EEG mostra in entrambi gli emisferi un ritmo più lento di quello alfa. Nell’encefalopatie epatica o renale possono comparire onde trifasiche.

Terapia I sintomi sono generalmente reversibili qualora la causa sottostante venga rapidamente identificata e trattata in modo adeguato, specialmente se essa è rappresentata dall’ipoglicemia, da un’infezione, da un fattore iatrogeno, da tossicità farmacologica o da uno squilibrio elettrolitico. Comunque, il processo di guarigione può essere lento (giorni o addirittura settimane o mesi), soprattutto negli anziani. Si deve interrompere la somministrazione di tutti i farmaci non necessari. La malattia identificabile deve essere trattata e devono essere somministrati liquidi e fattori nutrizionali. Se si sospetta che il paziente abusi dell’alcol o che sia in astinenza, si dovrà sottoporlo a somministrazione di tiamina, 100 mg IM al giorno per almeno 5 giorni, per assicurarne l’assorbimento. Durante il ricovero, questi pazienti dovranno essere sottoposti a controllo per l’insorgenza di astinenza, che può manifestarsi mediante disturbi neurovegetativi e peggioramento della confusione. L’ambiente dovrà essere il più tranquillo e calmo possibile, preferibilmente con illuminazione soffusa ma senza il buio completo. Lo staff medico e i familiari devono rassicurare il paziente, rafforzarne l’orientamento e spiegare in ogni occasione i vari procedimenti a cui intendono sottoporlo. Ulteriori farmaci, se non necessari per far regredire la condizione di base, devono essere evitati. Comunque, l’agitazione talvolta necessita di trattamento sintomatico, particolarmente quando compromette il benessere del paziente o delle persone che l’assistono. La contenzione, se usata con giudizio, può prevenire che il paziente si strappi le vie venose e le altre connessioni. Gli agenti di contenzione devono essere applicati da persone esperte, devono essere allentati ogni due ore per prevenire lesioni e devono essere interrotti appena possibile. Sono disponibili pochi dati in grado di indirizzare la scelta dei farmaci per il trattamento dello stato confusionale acuto. Basse dosi di aloperidolo (0,25 mg PO, IM o EV) o tiorazidina (5 mg PO) possono risultare utili nel trattamento del paziente delirante. Talvolta sono necessarie dosi più massicce (aloperidolo 25 mg o tioridazina 10-20 mg). Farmaci più recenti, come il risperidone, possono essere somministrati in sostituzione dell’aloperidolo per la terapia orale, ma non sono disponibili IM o EV. Le benzodiazepine ad azione breve o intermedia (p. es., l’alprazolam, il triazolam) possono controllare l’agitazione; le benzodiazepine possono peggiorare la confusione ma, se necessarie, dovranno essere somministrate alla dose minima efficace. Tutti i farmaci psicoattivi devono essere ridotti e quindi eliminati, appena possibile in modo da poter valutare il grado di guarigione.

DEMENZA Deterioramento cronico della funzione intellettiva e delle altre capacità cognitive, grave abbastanza da interferire con la possibilità di essere autosufficienti. La Tab. 171-4 riporta molte delle cause conosciute. La demenza può insorgere in ogni età e può colpire soggetti giovani in seguito a lesioni o ipossia. Tuttavia, essa è per lo più una malattia dell’anziano, colpendo più del 15% delle persone > 65 anni di età e il 40% delle persone > 80 anni di età. Comporta più della metà del numero di assistenze domiciliari ed è la condizione più temuta dagli anziani.

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Sebbene con l’età diminuisca la memoria recente, le altre funzioni cognitive rimangono relativamente immutate. Pertanto, la demenza rappresenta una marcata deviazione dalla normale funzionalità. Tradizionalmente, la demenza è stata classificata come Alzheimer o non-Alzheimer. La demenza viene talvolta classificata come reversibile o irreversibile, a seconda dell’eziologia, sebbene tale classificazione complichi la distinzione tra demenza e stato confusionale acuto. Nei pazienti anziani, il medico dovrà differenziare il deficit cognitivo incipiente dalla compromissione senile della memoria. Le persone che presentano una compromissione della memoria, dovuta all’invecchiamento, hanno difficoltà a ricordare, rispetto alle altre persone della stessa età. Esse tendono ad apprendere lentamente le nuove informazioni; se viene concesso loro più tempo per effettuare i compiti assegnati, il loro rendimento intellettuale risulta in genere adeguato. La demenza da depressione (in precedenza definita come pseudodemenza) descrive generalmente i pazienti che possono inizialmente sembrare dementi, ma che sono affetti da depressione piuttosto che da un’alterazione neuropatologica. Questi pazienti riacquistano la capacità mentale, qualora venga trattata la depressione. Più frequentemente, depressione e demenza coesistono; in tali casi, il trattamento della depressione è comunque importante, ma non ripristina completamente la cognitività. La diagnosi si basa sull’anamnesi e sulla valutazione dello stato mentale. I criteri diagnostici sono riportati nella Tab. 171-5. Può essere necessario l’aiuto dei familiari per identificare i farmaci o gli altri fattori tossici. I pazienti depressi si distinguono perché inappetenti, costipati e perché dormono meno del normale e si sentono meglio la sera; rispondono lentamente alle domande, ma spesso in modo accurato; possono essere quasi muti, ma rari sono gli afasici. Raramente dimenticano gli eventi quotidiani importanti o gli argomenti di maggiore interesse; i pazienti gravemente depressi tendono a lamentarsi dei deficit della memoria, in modo esagerato rispetto a quelli riscontrati mediante la valutazione clinica. Al contrario, i dementi si lamentano raramente di problemi legati alla memoria. Contrariamente ai pazienti dementi, i pazienti depressi non presentano segni neurologici degni di nota.

Prognosi e terapia La velocità di progressione della demenza è molto variabile e dipende dalla causa che l’ha indotta. La demenza può essere stabile, qualora consegua a un trauma cerebrale grave o a una transitoria asistolia. L’astensione dall’alcol, da parte dei pazienti che presentano demenza alcolica, può condurre a un sostanziale miglioramento a lungo termine. Il controllo dell’ipertensione o del diabete può rallentare o arrestare l’evoluzione della demenza vascolare (multinfartuale), comportando un miglioramento per alcuni pazienti. Anche se la funzione intellettiva non può essere ripristinata o il suo declino arrestato, semplici provvedimenti di sostegno (p. es., il frequente rinforzo dell’orientamento; un ambiente familiare brillante, favorevole; un minimo di nuove stimolazioni; attività regolari poco stressanti) possono essere di notevole aiuto. L’orientamento temporale è favorito dall’impiego di grandi calendari e orologi e dal rendere routinarie le attività quotidiane; l’uso di targhette di identificazione del personale sanitario, il quale si presenterà ripetutamente al paziente, migliora l’orientamento verso le persone. In ogni caso, il paziente necessi ta di molto tempo per riadeguarsi all’ambiente, alle attività quotidiane, alla gente. Le informazioni date al paziente devono essere semplici, omettendo le frasi non essenziali. Si dovranno evitare stanze troppo silenziose, scure o isolate. La camera deve essere luminosa e contenere stimoli sensoriali, come radio o televisione o una luce accesa di notte per aiutare il paziente a rimanere orientato. L’ambiente file:///F|/sito/merck/sez14/1711494.html (5 of 13)02/09/2004 2.07.16

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dovrà inoltre essere sicuro e protetto; per esempio, potranno essere installati sistemi di segnalazione per controllare coloro che tendono a girovagare. Si dovranno evitare sia l’iperstimolazione che l’ipostimolazione. La socialità del paziente sarà mantenuta dalle frequenti visite dei familiari e dello staff medico; l’isolamento deve essere evitato. I componenti dello staff medico dovranno evitare di contrastare o intimidire il paziente. Il paziente dovrà rimanere attivo quanto più possibile; le famiglie devono coinvolgerlo nelle attività, evitando però le attività che provocano ansia o confusione. Deve essere praticato quotidianamente dell’esercizio, che diminuirà l’inquietudine, migliorerà l’equilibrio e manterrà il tono cardiovascolare. La terapia occupazionale e la meloterapia aiutano al mantenimento del controllo motorio e consentono la stimolazione non verbale. La terapia di gruppo (terapia di reminiscenza e pratiche di socializzazione) possono coadiuvare le capacità di conversazione e di relazioni interpersonali e i consulti familiari possono insegnare ai parenti come evitare che il paziente cada accidentalmente e come evitare di essere colpiti da lui durante i periodi di agitazione. Ci sarà effettivamente qualche miglioramento se si semplificheranno le attività quotidiane e sarà pertanto ridotta la necessità di assistenza, senza che il paziente subisca la totale perdita dell’autocontrollo o della dignità personale. La funzionalità può spesso essere ulteriormente migliorata, eliminando o limitando al massimo i farmaci agenti sul SNC. È controverso l’impiego di farmaci psicoattivi nell’anziano, per il controllo di comportamenti indesiderati. Tuttavia, gli antidepressivi possono migliorare temporaneamente la funzionalità in pazienti che sviluppino una depressione clinica. La depressione deve essere trattata mediante antidepressivi non anticolinergici e l’ansia e i disturbi del sonno possono essere trattati con dosi adeguate di benzodiazepine a breve o a media azione. Il trattamento di altri comportamenti è più problematico. Sono frequentemente somministrati farmaci antipsicotici, ma la loro efficacia non è stata accertata tranne che per i pazienti psicotici. La tossicità è frequente e può essere grave. Se adoperati, non dovranno essere usati per lunghi periodi e le dosi devono essere mantenute molto basse. Per i pazienti affetti da demenze non Alzheimer, non esiste alcuna prova che siano di beneficio i farmaci a effetto colinergico aumentato. Dopo aver completato la valutazione medica e stabilito il periodo di trattamento, le maggiori responsabilità saranno a carico della famiglia. Sebbene una cura efficace sia raramente disponibile, il medico può comunque aiutare la famiglia, cercando p. es., di far comprendere che, sebbene la malattia sia evolutiva, molti fattori alla base di complicanze possono essere controllati. Lo stress derivante dall’assistenza a una persona affetta da demenza è tremendo e può influire negativamente sulla salute fisica e psichica dei parenti. Il medico è in grado di riconoscere i sintomi precoci del burnout dell’assistente e indirizzare le famiglie a centri sociali appropriati, migliorando così la terapia generale del paziente. I componenti del team (assistente sociale, dietologo, infermiere, assistente domiciliare e altri) consiglieranno e sosterranno i pazienti e i loro curanti. L’inabilità può diventare talmente grave da rendere inutile la terapia di altre patologie coesistenti (v. Cap. 294) e il paziente decede in seguito a polmonite o altre affezioni acute. I desideri del paziente circa l’assistenza dovranno essere chiariti prima che esso diventi inabile. Le pratiche finanziarie e legali (p. es., procura legale durevole, procura legale durevole per la propria assistenza sanitaria) dovranno essere effettuate nei primi stadi della malattia.

MORBO DI ALZHEIMER Progressiva, inesorabile perdita della funzione cognitiva, associata all’eccessivo numero di placche senili nella corteccia cerebrale e nella sostanza grigia sottocorticale, che presenta inoltre zone di degenerazione a vortice costituite da βamiloide [fy3,2] e neurofibrille composte dalla proteina tau.

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Delirium e demenza

Epidemiologia Le forme a insorgenza precoce ammontano solo al 2-7% dei casi e sono generalmente dovute a una mutazione genetica ereditaria. La forma comune colpisce persone > 60 anni d’età; la sua incidenza aumenta con l’età. Quattro milioni di statunitensi soffrono di morbo di Alzheimer, con un costo annuo di circa 90 miliardi $, comprensivi di cure mediche e di assistenza domiciliare, servizi sociali, perdita di produttività e morti premature. La malattia è circa il doppio più frequente nelle donne rispetto agli uomini (forse perché le donne vivono più a lungo, ma il sesso femminile può rappresentare di per sé un fattore di rischio). Costituisce più del 65% delle demenze dell’anziano. La demenza vascolare e il morbo di Alzheimer coesistono in circa il 15% dei casi.

Eziologia La causa del morbo di Alzheimer è sconosciuta. La malattia è familiare in circa il 15-20% dei casi. I rimanenti casi, cosiddetti sporadici presentano alcuni determinanti genetici. Almeno quattro diversi geni, localizzati sui cromosomi 1, 14, 19 e 21, influenzano l’insorgenza e l’evoluzione della patologia. Il cromosoma 21 codifica il precursore proteico dell’amiloide, che si accumula nell’encefalo dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer (come anche in altri tipi di patologie). Il cromosoma 19 codifica gli alleli 1 fino a 4 dell’apolipoproteina (apo) E (ε1-ε4). La presenza dell’allele ε4 aumenta il rischio d’insorgenza del morbo di Alzheimer nei soggetti bianchi; gli alleli ε2 e ε4 aumentano il rischio d’insorgenza nei soggetti di colore. La trisomia 21 causa morbo di Alzheimer a insorgenza precoce nelle persone affette da sindrome di Down. Questi reperti confortano l’osservazione epidemiologica che la malattia abbia una modalità genetica autosomica dominante, nella maggior parte delle insorgenze precoci e in alcune forme più tardive, ma con variabilità di penetranza. I fattori ambientali sono oggetto di attive ricerche. Ipotesi non comprovate comprendono bassi livelli ormonali e l’esposizione ai metalli.

Patogenesi Si riscontra spopolamento neuronale nella corteccia cerebrale, nell’ippocampo e nelle strutture sottocorticali (compresa una selettiva perdita cellulare nel nucleo basale di Meynert), nel locus caeruleus e nel nucleo del rafe dorsale. Come individuato dalla tomografia a emissione di positroni, in alcune aree dell’encefalo, il consumo di glucoso e la perfusione cerebrale sono ridotti (corteccia del lobo parietale e temporale nelle fasi iniziali della malattia, corteccia prefrontale nelle fasi tardive della malattia); si ignora se tale riduzione preceda o segua la morte cellulare. Può inoltre essere colpito il sistema microvascolare, come nell’angiopatia congofilica. Svolgono un ruolo nella patogenesi del morbo di Alzheimer le placche neuritiche o senili (composte da neuriti, astrociti e cellule gliali disposte intorno a un nucleo amiloideo) e aggregazioni neurofibrillari a vortice (composte da filamenti elicoidali accoppiati). Le placche senili e le aggregazioni neurofibrillari sono normalmente presenti nell’invecchiamento, ma sono molto più prevalenti nelle persone affette da morbo di Alzheimer. Nel morbo di Alzheimer sono presenti specifiche anomalie proteiche. Si ritiene che la proteina β-amiloide contribuisca alla patogenesi della malattia. La ricerca attuale sta tentando di determinare se l’amiloide rappresenti una causa tossica del declino cognitivo o se essa costituisca una reazione biologica o un fenomeno secondario. Le apoproteine E, prodotte nell’encefalo e nel fegato, influiscono su molti processi cerebrali, come il deposito di amiloide, l’integrità del citoscheletro e l’efficacia della riparazione neuronale. Il ruolo dell’apoproteina E nel morbo di Alzheimer è sempre più certo. La proteina presenta tre forme alleliche file:///F|/sito/merck/sez14/1711494.html (7 of 13)02/09/2004 2.07.16

Delirium e demenza

denominate ε2, ε3 e ε4, con conseguenti sei genotipi: ε2/ε2, ε2/ε3, ε2/ε4, ε3/ε3, ε3/ ε4 e ε4/ε4. Il rischio per il morbo di Alzheimer è sostanzialmente aumentato nelle persone con due alleli ε4, che svilupperanno più probabilmente la malattia tra i 60 e i 75 anni d’età. L’incidenza può essere diminuita in coloro i quali presentano l’allele ε2. Dal momento che circa il 40% delle persone che raggiungono gli 85 anni d’età sviluppa alcune forme diagnosticabili di demenza, indipendentemente dallo stato delle apo E, questo test genetico non risulta molto utile nel predire se una persona svilupperà nel corso della propria vita il morbo di Alzheimer. Il test è disponibile in commercio. La sua utilità come test diagnostico aggiuntivo (piuttosto che come test predittivo) per il morbo di Alzheimer è oggetto di studio. Molte proteine risultano aumentate in modo anomalo nell’encefalo e compaiono nel liquor. Non è certo se esse siano agenti causali o se siano i marker della malattia. La proteina tau (di origine neurofibrillare) ha un’alta specificità ma una bassa sensibilità nell’identificare una demenza come morbo di Alzheimer; un tipo diverso di proteina tau si accumula inoltre nei pazienti affetti da paralisi progressiva sopranucleare (v. Cap. 179). La colina acetiltransferasi è notevolmente ridotta, con conseguente ridotta disponibilità di acetilcolina. Sono ridotti in modo significativo la somatostatina, il fattore di rilascio corticotropo e altri neurotrasmettitori.

Sintomi e segni Il morbo di Alzheimer può essere diviso in vari stadi clinici. Tuttavia, i pazienti presentano grande variabilità e l’evoluzione della malattia non è così regolare come indicato nella seguente descrizione. La malattia evolve gradualmente, sebbene talvolta i sintomi sembrino raggiungere, per un certo periodo, un plateau. La fase iniziale è caratterizzata da perdita della memoria a breve termine, incapacità ad apprendere e ricordare le nuove informazioni, problemi di linguaggio (specialmente nel reperire le parole), cambiamenti dell’umore e alterazioni della personalità. I pazienti possono presentare una difficoltà progressiva nell’effettuare le attività quotidiane (p. es., trovare la strada o ricordare dove hanno messo le cose). Il pensiero astratto e la critica sono ridotti. I pazienti possono reagire alla perdita del controllo e della memoria con irritabilità, ostilità e agitazione. Alcuni pazienti presentano afasia isolata o problemi visuospaziali. Sebbene lo stadio iniziale può non compromettere la socialità, i parenti si accorgono di strani comportamenti (p. es., il paziente si perde mentre si reca al supermercato o dimentica il nome di un ospite recente), associati a comparsa di labilità emotiva. Nello stadio intermedio, i pazienti diventano incapaci di apprendere e di ricordare nuove informazioni. La memoria per gli avvenimenti remoti risulta compromessa, ma non del tutto perduta. I pazienti necessitano di aiuto per lavarsi, mangiare e vestirsi. La disorganizzazione comportamentale può manifestarsi con il girovagare, l’agitazione, l’ostilità, il negativismo o l’aggressività fisica. Da questo stadio in poi, i pazienti perdono del tutto il senso del tempo e dello spazio, perché i normali riferimenti ambientali e sociali sono gestiti in modo inefficace. I pazienti spesso si perdono, talvolta al punto di non essere in grado di trovare la propria camera da letto o il bagno. Sebbene conservino la capacità di camminare, rischiano di cadere o di subire incidenti conseguenti allo stato confusionale. Nello stadio grave, i pazienti sono incapaci di camminare o di effettuare ogni tipo di attività quotidiana e, generalmente, sono completamente incontinenti. La memoria a breve e a lungo termine è completamente perduta. I pazienti possono non essere in grado di inghiottire e di mangiare, rischiando malnutrizione, polmoniti (specialmente da inalazione) e piaghe da decubito. Il ricovero presso strutture a lunga degenza diventa spesso necessario, in quanto i pazienti sono completamente dipendenti dagli altri. Successivamente, perdono l’uso della parola. Dal momento che questi pazienti non sono in grado di riferire alcun

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Delirium e demenza

sintomo, il medico dovrà basarsi sull’esperienza e sull’intuito nella diagnosi delle patologie sovrapposte, specie per gli anziani che presentano reazioni afebbrili o non leucocitosiche alle infezioni. Le alterazioni motorie o altre alterazioni neurologiche focali si presentano tardivamente durante la malattia, sebbene l’incidenza di crisi comiziali risulti in qualche modo aumentata durante tutti gli stadi. Lo stadio finale del morbo di Alzheimer è il coma e la morte, in genere a seguito a infezioni.

Complicanze Le complicanze che si manifestano mediante le alterazioni del comportamento comprendono l’aggressività, l’agitazione, il girovagare e il negativismo. Le complicanze psichiatriche comprendono l’ansia e le reazioni paranoidi. Le psicosi vere (paranoia, illusioni e allucinazioni) sono presenti in circa il 10% dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Inoltre, quasi l’80% dei parenti o degli assistenti, con il passare del tempo, sviluppa depressione. I problemi metabolici (p. es., disidratazione, infezioni, tossicità farmacologica) possono peggiorare le condizioni generali e rendere difficile il trattamento del paziente. Altre complicanze comprendono le cadute, l’incontinenza e lo stato confusionale serotino (sundowning). I farmaci comunemente adoperati per il trattamento del morbo di Alzheimer (specialmente gli antipsicotici per i disturbi comportamentali) possono provocare alterazioni motorie di tipo parkinsoniano e ipotensione ortostatica. I farmaci triciclici, con effetti collaterali di tipo anticolinergico, possono essere causa di stipsi, ritenzione urinaria, glaucoma e crisi comiziali. Gli antistaminici da banco possono peggiorare lo stato confusionale. Queste complicanze comportano il rischio di ricovero precoce; dovranno essere pertanto evitate o trattate rapidamente, in quanto molte possono essere controllate o risolte.

Diagnosi La diagnosi si basa in genere sull’anamnesi, sull’esame obiettivo, su test di laboratorio e sull’esclusione di altre cause di demenza. È necessario eseguire una valutazione codificata dello stato mentale; il Folstein Mini-Mental Status Examination (v. Fig. 165-1) è il test usato più comunemente. Per valutare le attività quotidiane, può essere utilizzata la scala di Barthel. Per circa l’85% dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer, una diagnosi corretta può essere posta sulla base di un’anamnesi esauriente e sui risultati di un esame obiettivo neurologico standard. La biopsia di tessuto cerebrale viene raramente ritenuta utile. Le caratteristiche essenziali della demenza sono rappresentate dalla compromissione della memoria a breve e a lungo termine, del pensiero astratto e della critica. Sono inoltre presenti alterazioni delle altre funzioni corticali superiori e cambiamenti di personalità. L’evolutività della compromissione cognitiva conferma la diagnosi; il quadro clinico dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer non tende a miglioramenti. I seguenti criteri aiutano a stabilire la probabile diagnosi del morbo di Alzheimer: demenza, stabilità mediante l’esame clinico e documentata da un test codificato dello stato mentale, deficit in due o più aree cognitive, progressivo peggioramento della memoria e delle altre funzioni cognitive, nessun’alterazione della vigilanza, insorgenza tra i 40 e i 90 anni, più spesso dopo i 65 anni di età e assenza di alterazioni sistemiche o cerebrali che possano spiegare il deficit progressivo della memoria e della cognitività. Strumenti di valutazione, quali l’Hachinski Ischemic Score, sono utili nel differenziare la demenza vascolare (v. oltre) dal morbo di Alzheimer. La valutazione di base dovrà comprendere un esame emocromocitometrico. Per alcuni pazienti può essere necessario eseguire un ECG e una radiografia del torace, nonché un dosaggio degli elettroliti, uno SMA-12/60 (Sequential Multiple Analyzer), un test di funzionalità tiroidea, il dosaggio dei folati e della file:///F|/sito/merck/sez14/1711494.html (9 of 13)02/09/2004 2.07.16

Delirium e demenza

vitamina B12, la VDRL e l’esame delle urine; Se l’anamnesi indica la presenza di una lesione espansiva cerebrale, se vi sono segni neurologici focali o se la demenza è a insorgenza recente, dovranno essere effettuate la TAC o la RMN per escludere la presenza di tumori, infarti, ematomi subdurali e dell’idrocefalo normoteso. La tomografia a emissione di positroni rappresenta la principale tecnica di indagine; comunque, la semplice tomografia a emissione di fotoni fornisce informazioni simili circa la perfusione cerebrale e, in alcuni casi, può contribuire alla diagnosi differenziale. La puntura lombare è raramente necessaria, ma dovrà essere presa in considerazione se si sospetta che la causa della compromissione cognitiva sia rappresentata da un’infezione cronica o dalla neurolue. La depressione, il problema psichiatrico più comune dell’anziano, può simulare un morbo di Alzheimer allo stadio iniziale e coesiste con esso in circa il 20% dei casi; pertanto, dovrà essere trattata nei pazienti che presentano una compromissione cognitiva.

Prognosi e terapia Il declino cognitivo è inevitabile, ma l’entità dell’evoluzione non è pronosticabile. La sopravvivenza varia dai 2 ai 20 anni, con una media di 7 anni. I principi generali del trattamento sono gli stessi delle altre forme di demenza (v. Trattamento sotto Demenza, sopra). Durante le prime fasi del morbo di Alzheimer, alcuni farmaci che incrementano la neurotrasmissione colinergica, come il donepezil, possono migliorare, almeno provvisoriamente, le alterazioni della memoria. Tuttavia, essi non modificano il costante peggioramento della patologia di base. La tacrina presenta la maggior parte degli effetti collaterali. Potrà essere preso in considerazione un trattamento di prova con donezepil, iniziato alla dose di 5 mg alla sera e, dopo 4-6 settimane, aumentato a 10 mg; questo farmaco dovrà essere protratto per diversi mesi, per stabilirne l’efficacia. Gli effetti degli antiossidanti (p. es., la vitamina E), della terapia estrogenica e dei FANS sono ancora oggetto di studio. Molti farmaci hanno un effetto negativo sul SNC perché aumentano lo stato confusionale e il sopore. I sedativi, quali le benzodiazepine, dovranno essere evitati quanto possibile. Dovranno essere evitati i farmaci anticolinergici, come alcuni antidepressivi triciclici, antistaminici, antipsicotici e le benzotropine. Nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer o da demenza vascolare, un estratto di Ginkgo biloba, denominato EGb, può rallentare o far lievemente regredire la perdita di memoria e migliorare gli altri sintomi. L’estratto può agire come scavenger dei radicali liberi. Le complicanze sembrano minime, ma sono necessari ulteriori studi di conferma.

DEMENZE NON ALZHEIMER La demenza a corpi di Lewy rappresenta la seconda demenza più comune dopo il morbo di Alzheimer. I corpi di Lewy sono le tipiche lesioni dei neuroni in degenerazione nel morbo di Parkinson e si rilevano nella demenza, con o senza le caratteristiche del morbo di Parkinson. Nella demenza a corpi di Lewy, i corpi di Lewy possono essere predominanti o essere interposti alle classiche alterazioni patologiche del morbo di Alzheimer. I sintomi, i segni e il decorso della demenza a corpi di Lewy sono simili a quelli del morbo di Alzheimer, eccetto che per la presenza di allucinazioni (principalmente visive) e per la spiccata sensibilità che i pazienti sembrano avere per gli effetti indesiderati di tipo extrapiramidale degli antipsicotici. La successiva causa più frequente di demenza dell’anziano è la demenza file:///F|/sito/merck/sez14/1711494.html (10 of 13)02/09/2004 2.07.16

Delirium e demenza

vascolare, che può coesistere con il morbo di Alzheimer. Altre cause sono riportate nella Tab. 171-4. Un paziente affetto da demenza non Alzheimer presenta talora un quadro simile al morbo di Alzheimer. Talvolta, risultano compromesse in modo specifico le aree di funzione superiore, come l’eloquio (afasia), l’attività motoria (aprassia), l’interpretazione dello stimolo sensoriale (agnosia), il giudizio, la memoria a breve termine, la personalità e il comportamento. Contrariamente alle alterazioni cognitive e comportamentali del morbo di Alzheimer, le alterazioni delle altre forme di demenza possono insorgere improvvisamente e non sono necessariamente di tipo evolutivo. I sintomi neurologici focali (p. es., le anomalie dell’andatura, le crisi comiziali), l’incontinenza e le anomalie muscolari possono far parte della sindrome di demenza non Alzheimer e possono insorgere precocemente.

Demenza vascolare La malattia cerebrovascolare può distruggere il tessuto cerebrale tanto da comprometterne la funzione. La demenza vascolare, con compromissione funzionale legata a singoli infarti in zone critiche o a piccoli infarti multipli, per alterazioni a carico di piccoli o medi vasi, è più comune negli uomini e insorge generalmente dopo i 70 anni. È presente più spesso nelle persone affette da ipertensione arteriosa e/o diabete mellito o che abusano di tabacco. La demenza vascolare progressiva può generalmente essere rallentata mediante il controllo della pressione arteriosa, la regolazione della glicemia (90-150 mg/dl) e la sospensione del fumo. Nel 20% delle autopsie dei pazienti affetti da demenza, si rileva un danno vascolare di grado variabile. Dal momento che il processo patologico è di tipo infartuale, la demenza vascolare tende a evolvere per episodi; ne conseguono il declino intellettivo e i frequenti deficit neurologici successivi ad ogni episodio. Il deficit cognitivo può essere in qualche modo focale. Negli stadi precoci, la personalità e l’insight tendono a essere più conservati rispetto al morbo di Alzheimer. Con il progredire della malattia, possono insorgere segni neurologici, specialmente emiplegie, paralisi pseudobulbare con riso e pianto patologici e altri segni di disfunzione extrapiramidale. I sintomi della demenza vascolare sono talvolta simili a quelli del morbo di Alzheimer; le due malattie possono essere difficili da distinguere. A tal fine, può essere utile, come strumento di valutazione, l’Hachinski Ischemic Score. Possono contribuire a differenziare la demenza vascolare dal morbo di Alzheimer l’insorgenza precoce (età < 75 anni), il sesso maschile, l’abuso di sigarette, ictus precedenti, il diabete, patologie cardiache o ipertensione arteriosa, la presenza di deficit neurologici focali o il decorso evolutivo intermittente. I risultati delle indagini di laboratorio, comprese la TAC o la RMN, possono coadiuvare ma non stabilire la diagnosi di demenza vascolare. Nessuno strumento diagnostico risulta tuttavia inutile. Anche all’autopsia, la diagnosi definitiva risulta talora impossibile, in quanto le due malattie condividono alcune caratteristiche anatomopatologiche. La demenza di Binswanger (encefalopatia arteriosclerotica sottocorticale) è infrequente ed è costituita da infarti multipli nella sostanza bianca profonda degli emisferi, associati a ipertensione e malattia vascolare sistemica. Sebbene clinicamente simile alla demenza vascolare, la demenza di Binswanger può essere caratterizzata da sintomi neurologici più focali, associati a ictus, nonché da un più rapido deterioramento. La RMN e la TAC mostrano aree di leucoencefalopatia nel centro semiovale adiacente alla corteccia.

Altre cause

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Delirium e demenza

Più del 25% dei pazienti con morbo di Parkinson è demente; alcune stime ammontano all’80% (v. Cap. 179). All’autopsia, i pazienti affetti da morbo di Parkinson possono presentare alcuni dei reperti neuropatologici e molte delle alterazioni biochimiche rilevate nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Una demenza sottocorticale meno grave è inoltre associata al morbo di Parkinson. La demenza associata a paralisi progressiva sopranucleare è comunemente preceduta da altri sintomi neurologici, p. es., cadute ricorrenti, rigidità assiale distonica, torcicollo posteriore, oftalmoplegia sopranucleare, disfagia e disartria. Anche i pazienti affetti da morbo di Huntington (corea) possono presentare sintomi di demenza, ma la diagnosi è in genere chiarita dall’anamnesi familiare, dall’età più giovanile e dalle caratteristiche alterazioni motorie del morbo (v. Cap. 179). In caso di dubbio, sarà diagnostica l’analisi genetica. Il morbo di Pick è una forma di demenza meno comune, che colpisce le regioni frontale e temporale della corteccia. I pazienti presentano notevole apatia e alterazioni della memoria; mostrano incuria, carente igiene personale e diminuzione dell’attenzione. Sebbene il quadro clinico e i reperti TAC del morbo di Pick possano essere molto caratteristici, la diagnosi definitiva è possibile solo all’autopsia. Può insorgere precocemente, durante il decorso del morbo di Pick, la sindrome di Klüver-Bucy, con ottundimento emozionale, attività ipersessuale, iperoralità (bulimia e movimenti di suzione e schioccamento delle labbra) e agnosie visive. Le sindromi di demenza del lobo frontale possono essere conseguenti a patologia intrinseche, come tumori primitivi o metastatici, manipolazioni chirurgiche pregresse, terapia radiante dell’encefalo o a trauma cranico grave. Il trauma cranico ripetuto nella demenza pugilistica, presente negli sportivi professionisti, sembra essere geneticamente legato all’allele ε4 dell’apo E. L’idrocefalo normoteso è caratterizzato dalla triade di demenza progressiva, incontinenza e andatura instabile, lenta e a base allargata. L’insorgenza è in genere insidiosa e si presenta per lo più nella tarda età media e in quella avanzata. La malattia è più comune negli uomini ed è talvolta correlata a meningite pregressa, emorragia subaracnoidea, trauma cranico o interventi neurochirurgici. Nella maggior parte dei casi, mancano le prove di un trauma precedente. L’idrocefalo normoteso può essere conseguente a un danno dei villi aracnoidei della convessità dell’encefalo, che può provocare un rallentato riassorbimento del liquor, dilatazione ventricolare e anomalie motorie del lobo frontale. La diagnosi viene posta in base al rilievo di una pressione liquorale normale o elevata (150-200 mm Hg) e al reperto TAC di dilatazione ventricolare e restringimento dei solchi cerebrali al vertice dell’encefalo, senza ampliamento dello spazio subaracnoideo. I risultati del trattamento di derivazione del liquor sono inconsistenti. La demenza è talvolta reversibile; alcuni esperti consigliano una puntura lombare terapeutica con sottrazione di circa 30 ml di liquor. Il miglioramento della marcia e della cognitività per alcune ore o giorni indicherà la validità dell’impianto di una derivazione. L’ematoma subdurale può causare alterazioni dello stato mentale, provocando coma, stato confusionale acuto o una sindrome demenziale. Le alterazioni cognitive possono presentarsi in ogni momento, dopo che il sangue comincia ad accumularsi e possono evolvere rapidamente o lentamente, a seconda delle dimensioni e della localizzazione dell’ematoma. Questa sindrome cronica può assomigliare alla demenza vascolare, con deficit neurologici focali e alterazioni cognitive. Drenando l’ematoma, si riacquista la funzionalità o si previene un’ulteriore perdita della funzione intellettiva. Tuttavia, alcuni autori ritengono che, se gli ematomi hanno esercitato per molto tempo pressione sull’encefalo (forse per un anno o più), la loro evacuazione non migliorerà in modo consistente la funzione cognitiva. La causa di trasmissione più conosciuta di demenza è la malattia di CreutzfeldtJakob, nella quale predominano i deficit di memoria, le alterazioni elettroencefalografiche, il mioclono e talvolta l’atassia (v. Cap. 162). L’agente infettivo è legato a una proteina alterata chiamata prione, che può essere

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Delirium e demenza

geneticamente acquisita o introdotta mediante trapianto di tessuti (dura madre o cornea n.d.t.), il cannibalismo o apparentemente mangiando prodotti di bestiame infetto (da qualche autore è stata ipotizzata una relazione con l’alimentazione a base di prodotti di origine bovina provenienti da animali colpiti da encefalopatia spongiosa n.d.t.). La maggior parte dei casi si presenta sporadicamente. Produce un’encefalopatia spongiforme caratteristica, neuropatologicamente molto diversa dalle alterazioni del morbo di Alzheimer. Il decorso è più rapido rispetto a quello del morbo di Alzheimer e dura in genere per 6-12 mesi. I pazienti affetti da malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker, altra demenza correlata alla trasmissione di prioni, presentano generalmente atassia, seguita tardivamente da declino della cognitività (v. Cap. 162). La sindrome colpisce persone più giovani e ha un decorso più lungo rispetto al morbo di Creutzfeldt-Jakob. La paresi generale, una forma di neurolue, ha rappresentato una volta, nel mondo occidentale, una causa comune di demenza. Essa è ancora prevalente nei paesi in via di sviluppo. Oltre al deterioramento intellettivo, possono essere presenti tremori e alterazioni pupillari. Il liquor deve essere posto in reazione con l’anticorpo fluorescente treponemico (FTA), in quanto il test VRDL non è specifico. Un test FTA positivo per la lue stabilisce la diagnosi. La demenza da AIDS può complicare gli ultimi stadi di infezione da HIV. Demenza può essere provocata dal HIV, dal virus JC, che causa una leucoencefalopatia multifocale progressiva o da una varietà di altri agenti infettivi opportunistici, compresi funghi, batteri, virus o protozoi, che possono essere identificati durante l’autopsia. Le manifestazioni più precoci comprendono rallentamento del pensiero e dell’eloquio, difficoltà di concentrazione e apatia, con capacità di insight conservata e con poche manifestazioni depressive. I movimenti motori sono rallentati; può evidenziarsi atassia o debolezza. I riflessi, compresi quelli estensori e plantari, diventano anomali. Il trattamento con zidovudina spesso induce un miglioramento, talvolta notevole.

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TABELLA 171-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA DELIRIUM E DEMENZA* Delirium

Demenza

Insorge rapidamente

Insorge lentamente

Decorso oscillante

Decorso lentamente progressivo

Potenzialmente reversibile

Non reversibile

Colpisce in modo notevole l’attenzione

Colpisce in modo notevole la memoria

Deficit cognitivi focali

Deficit cognitivi globali

In genere provocata da malattie sistemiche o da farmaci

In genere causata dal morbo di Alzheimer o da una malattia cerebrovascolare (demenza multiinfartuale)

Richiede una valutazione medica e trattamento immediati

Non richiede valutazione e trattamento immediati

*Tali differenze sono in genere reali e utili per la diagnosi, ma non sono rare le eccezioni. Per esempio, il danno da trauma cranico insorge improvvisamente e può provocare una demenza grave permanente; l’ipotiroidismo può provocare un quadro lentamente progressivo di demenza ma può essere completamente reversibile dopo terapia.

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TABELLA 171-2. CAUSE METABOLICHE E TOSSICHE DEL DELIRIUM Patologia

Farmaci con proprietà anticolinergiche

Altri farmaci

Anossia

Antiemetici

Alcol

Iperpotassiemia

Antistaminici (p.es., difenidramina)

Antiipertensivi Benzodiazepine

Iperparatiroidismo Farmaci antiparkinsoniani

Cimetidina

Ipertiroidismo Antipsicotici

Digossina

Ipoglicemia Antispastici

Narcotici

Ipopotassiemia Miorilassanti Ipotiroidismo Antidepressivi triciclici Acidosi metabolica Stato postcommotivo Stato post-ictale Ischemia transitoria

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Altri farmaci con effetto depressivo sul SNC

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TABELLA 171-3. CRITERI DIAGNOSTICI PER IL DELIRIUM Disturbo della coscienza (cioè ridotta consapevolezza dell'ambiente circostante) con diminuita capacità a focalizzare, mantenere o spostare l'attenzione. Alterazione della cognitività (p.es., deficit della memoria, disorientamento, disturbi del linguaggio) o sviluppo del disturbo della percezione, non meglio riferibile a demenza preesistente, stabile o evolutiva. Il disturbo evolve in un breve periodo di tempo (in genere ore o giorni) e tende a oscillare durante la giornata. Per il delirium causato da patologie sistemiche: Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio indicanti che il disturbo è in relazione diretta alle conseguenze fisiopatologiche di una patologia sistemica. Per il delirium causato da intossicazione: Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio indicanti che: 1. i sintomi riportati ai precedenti due punti sono insorti durante l'intossicazione da parte della sostanza tossica; 2. l'uso del farmaco è correlato dal punto di vis ta eziologico al disturbo. Per il delirium da astinenza da sostanze: Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio indicanti che i sintomi suddetti si sono sviluppati durante o subito dopo l'insorgeza di una sindrome di astinenza. Per il delirium dovuto a eziologie multiple: Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio indicanti che il delirium presenta più di un’eziologia (p.es., più di una patologia sis temica o una patologia sistemica associata a intossicazione da sostanze, oppure a effetti collaterali di farmaci.

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Modificata da: American Psychiatric Association: Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, IV ed., Washington DC, American Psychiatric Association, 1994, pp 129, 131-133; riproduzione autorizzata. Copyright, 1994 American Psychiatric Association.

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TABELLA 171-4. CAUSE DI DEMENZA Metaboliche-Tossiche

Organiche

Infettive

Anossia

Morbo di Alzheimer

Endocardite batterica

Deficit vit.B12

Sclerosi laterale amiotrofica

Tumori cerebrali (selettivi)

Abuso cronico di farmaci e alcol

Trauma cranico (acuto grave)

Morbo di Creuzfeldt-Jakob

Deficit acido folico (?)

Ipotiroidismo

Ematoma subdurale cronico Morbo di GerstmannSträussler-Scheinker Demenza pugilistica Patologie da HIV Tumore cerebrale Neurolue Degenerazione cerebellare Meningite tubercolare e micotica Idrocefalo comunicante

Deficit d'organo

Corea di Huntington

Ipercalcemia associata a iperparatiroidismo Ipoglicemia

Encefalopatia epatica

Irradiazione dei lobi frontali

Encefalopatia respiratoria

Sclerosi multipla

Encefalopatia uremica

Idrocefalo normoteso

Pellagra

Morbo di Parkinson Morbo di Pick Leucoencefalopatia multifocale progressiva Paralisi progressiva sopranucleare Interventi chirurgici Patologia vascolare Demenza multinfartuale Morbo di Wilson

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Encefalite virale

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(?)= incerto

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TABELLA 171-5. CRITERI DIAGNOSTICI PER LA DEMENZA Sviluppo di deficit cognitivi multipli che si manifestano con: 1.Compromissione della memoria (alterata capacità ad apprendere le nuove informazioni e a ricordare le informazioni precedentemente apprese) 2. Uno (o più) dei seguenti disturbi cognitivi: a. Afasia (disturbo del linguaggio) b. Aprassia (incapacità di effettuare attività motoria nonostante l'integrità della funzione motoria) c. Agnosia (impossibilità di riconoscere o identif care gli oggetti nonostante l'integrità della funzione sensitiva) d. Disturbi della funzione esecutiva (cioè progettare, organizzare, continuare, astrarre). Ognuno dei deficit cognitivi suddetti provoca una significativa compromissione delle attività sociali o occupazionali e rappresenta un declino significativo del livello delle attività precedenti. Il decorso è caratterizzato dall'insorgenza graduale e continua del deterioramento cognitivo. I deficit non sono esclusivamente presenti durante l'insorgenza del delirium. Per il morbo di Alzheimer: I deficit cognitivi riportati nel primo criterio (parti 1 e 2) non sono in relazione ad alcuno dei seguenti ele menti: 1. Altre patologie del SNC che provocano deficit progressivi della memoria e della cognitività (p.es.,malattia cerebrovascolare, morbo di Parkinson, morbo di Huntington, ematoma subdurale, idrocefalo normoteso, tumore cerebrale). 2.Alterazioni sistemiche note come causa di demenza (p.es., ipoparatiroidismo, deficit di vit.B12 o di acido folico, deficit di niacina, ipercalcemia, neurolue, infezione da HIV)

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3. Condizioni indotte da sostanze. Per la demenza vascolare: Segni e sintomi neurologici focali (p es., iperreflessia, risposta estensoria plantare, paralisi pseudobulbare, alterazioni della marcia, ipostenia di un arto) o evidenza strumentale di malattia cerebrovascolare (p.es., infarti multipli della corteccia e della sottostante sostanza bianca) ritenuta eziologicamente correlata al disturbo. Per la demenza conseguente ad altre condizioni patologiche: I dati anamnestici, dell'esame obiettivo e delle indagini diagnostiche indicano che l'alterazione è in relazione diretta con patologie quali il m. di Parkinson, il m. di Huntington, il m. di Pick, la malattia di CreutzfeldtJakob, il trauma cranico, l'infezione da HIV, l'idrocefalo normoteso, l'ipotiroidismo, il tumore cerebrale, il deficit di vit.B12, o irradiazione del cranio. Modificata da: American Psychiatric Association: Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, IV ed., Washing ton DC, American Psychiatric Association, 1994, pp 142-143, 146, 152; riproduzione autorizzata. Copyright, 1994 American Psychiatric Association.

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Disturbi disturbi dell'umore

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 189. DISTURBI DISTURBI DELL'UMORE DEPRESSIONE (Disturbo monopolare)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Nella sua piena espressione sindromica, la depressione clinica si manifesta come disturbo depressivo maggiore, con decorso episodico e gradi variabili di manifestazioni residuali tra gli episodi.

Sintomi, segni e diagnosi L’umore è tipicamente depresso, irritabile e/o ansioso. Il paziente può apparire infelice, con la fronte corrugata, gli angoli della bocca rivolti in giù, la postura curva, il contatto visivo scarso e l’eloquio monosillabico (o assente). L’umore patologico può essere accompagnato da rimuginazioni di colpa, idee di autodeprezzamento, diminuzione della capacità di concentrazione, indecisione, diminuzione dell’interesse per le attività abituali, ritiro, senso di impotenza e disperazione e idee ricorrenti di morte e di suicidio. I disturbi del sonno sono frequenti. In alcuni casi, il disturbo dell’umore è così profondo da non consentire il pianto; il paziente lamenta l’incapacità di provare le normali emozioni (come il dolore, la gioia e il piacere) e la sensazione che il mondo sia diventato senza colore, senza vitalità, come morto. In questi pazienti, il ritorno della capacità di piangere è di solito un segno di miglioramento. La melancolia (precedentemente detta depressione endogena) ha un quadro clinico qualitativamente distinto, caratterizzato da marcato rallentamento psicomotorio (del pensiero e dell’attività) o agitazione (p. es., i pazienti sono irrequieti, si torcono le mani, hanno urgenza dell’eloquio), perdita di peso, sensi di colpa irrazionali e perdita della capacità di provare piacere. L’umore e l’attività hanno variazioni diurne, con nadir al mattino. La maggior parte dei pazienti con manifestazioni melancoliche lamenta difficoltà nell’addormentamento, risvegli frequenti e insonnia a metà notte e al primo mattino. Il desiderio sessuale è spesso diminuito o perso. Può aversi amenorrea. L’anoressia e la perdita di peso possono portare a deperimento e ad anomalie secondarie del bilancio elettrolitico. Alcuni esperti considerano le manifestazioni psicotiche, che si verificano nel 15% di tutti i pazienti con manifestazioni melancoliche, il contrassegno di un sottotipo depressivo delirante o psicotico. I pazienti hanno la convinzione delirante di avere commesso colpe o crimini imperdonabili; voci allucinatorie li incolpano di vari misfatti e li condannano a morte. Si possono manifestare allucinazioni visive (p. es., di bare o di familiari deceduti), che tuttavia sono infrequenti. I sentimenti di insicurezza e di indegnità possono condurre alcuni pazienti a credere di essere osservati o perseguitati. Altri credono di avere malattie incurabili o vergognose (p. es., il cancro o una malattia a trasmissione sessuale) e di poter contaminare altre persone. Molto raramente, una persona con depressione psicotica può file:///F|/sito/merck/sez15/1891645.html (1 of 8)02/09/2004 2.07.19

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uccidere dei familiari, figli compresi, per "salvarli" da future disgrazie e poi suicidarsi. I risultati del test di soppressione al desametasone nei pazienti con depressione psicotica sono costantemente positivi. Nella depressione atipica, caratteristiche vegetative inverse dominano la presentazione clinica; esse includono sintomi ansioso-fobici, peggioramento serale, insonnia iniziale, ipersonnia spesso anche diurna e iperfagia con aumento di peso. A differenza dei pazienti con manifestazioni melancoliche, quelli con depressione atipica mostrano miglioramento dell’umore grazie a eventi potenzialmente positivi, ma spesso cadono in una depressione paralizzante per la più lieve avversità. La depressione atipica e i disturbi bipolari di tipo II si sovrappongono largamente. La diagnosi di depressione clinica è di solito agevole, ma il riconoscimento dei sintomi più lievi può essere difficile. Per esempio, nel disturbo depressivo maggiore con remissione incompleta, i sintomi depressivi classici scompaiono e vengono sostituiti da preoccupazioni ipocondriache subacute o croniche, da malumore con irritabilità e da problemi coniugali secondari. In altri pazienti, considerati depressi mascherati, la depressione può non essere vissuta in maniera consapevole. Piuttosto, i pazienti si lamentano di essere malati fisicamente e possono indossare una maschera difensiva di apparente allegria (depressione sorridente). Altri lamentano stanchezza, algie e dolori vari, paura di calamità e paura di impazzire. In questi pazienti la latenza REM è abbreviata, a supporto della natura affettiva della presentazione clinica. La diagnosi si basa sull’insieme di segni e sintomi descritti sopra e va presa in considerazione per tutti i pazienti, particolarmente quelli che dicono di non aver bisogno di trattamento, oppure rifiutano di cooperare con le procedure mediche o i trattamenti necessari.

Terapia Principi generali: la maggior parte dei soggetti con depressione viene trattata ambulatorialmente. La farmacoterapia, applicata nel contesto di una terapia di sostegno e di un intervento psicoeducazionale (v. oltre), è il trattamento di scelta per la depressione da moderata a grave; la depressione più lieve può essere trattata con la psicoterapia. Tutti i pazienti con depressione devono essere interrogati con tatto ma direttamente circa l’ideazione, i piani o i gesti di suicidio. Tutte le comunicazioni a contenuto autodistruttivo vanno prese sul serio. All’inizio, il medico deve visitare i pazienti con depressione una o due volte a sett. per fornire sostegno e informazioni sul disturbo, nonché per monitorare i progressi. Durante le fasi precoci del trattamento, può essere d’aiuto tenersi in contatto con il paziente e la sua famiglia con qualche telefonata. Poiché molte persone provano imbarazzo e demoralizzazione per il fatto di avere un disturbo mentale, il paziente, la sua famiglia e il suo datore di lavoro (quando sia utile e con il consenso informato del paziente) vanno informati del fatto che molto spesso la depressione è un disturbo medico autolimitante con prognosi favorevole. Alcuni pazienti possono trovare inaccettabile la diagnosi di depressione, e il medico deve rassicurarli che la depressione non riflette un difetto caratteriale, fornendo qualche spiegazione sulle alterazioni biologiche della depressione. I pazienti preoccupati dal "prendere farmaci" possono essere rassicurati che gli antidepressivi non creano un’abitudine. Dire ai pazienti che il percorso verso la guarigione spesso è oscillante aiuta a ridurre la demoralizzazione e assicura la compliance. Il trattamento degli episodi depressivi con i farmaci va proseguito per un periodo pari almeno alla durata naturale di un episodio (cioè, 6 mesi). Spesso dei consigli specifici sono di giovamento ai pazienti, come dire loro di essere quanto più attivi possibile, ma senza intraprendere impegni insormontabili, di provare a stare in compagnia, di non darsi la colpa per la propria depressione e di ricordare che i cattivi pensieri sono parte della malattia e passeranno. Alle persone significative per il paziente va detto che la depressione è una malattia

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grave che richiede un trattamento specifico; che i pazienti con depressione non sono pigri; che la perdita della persona amata o del lavoro è spesso il risultato, non la causa della depressione; che la religione può dare conforto ma non cura; che l’attività fisica non è un trattamento specifico per la depressione e che le vacanze possono causare un peggioramento. Antidepressivi: gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) comprendono la fluoxetina, la sertralina, la paroxetina e la fluvoxamina (v. Tab. 189-6). I principi seguenti sono utili alla comprensione di come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI) e gli altri antidepressivi di nuova generazione influenzano il sistema serotoninergico (5-idrossitriptamina, 5-HT). Il blocco presinaptico della 5-HT produce una maggiore quantità di 5-HT che va a stimolare i numerosi recettori 5-HT postsinaptici. La stimolazione dei recettori 5-HT 1 è associata a effetti antidepressivi e ansiolitici. La stimolazione dei recettori 5-HT2 produce nervosismo, insonnia e disfunzione sessuale e il loro blocco è associato a miglioramento della depressione. La stimolazione dei recettori 5-HT3 si associa a nausea e cefalea e il loro blocco elimina la nausea. Impedendo la ricaptazione presinaptica della 5-HT, gli SSRI come effetto finale portano a una funzione serotoninergica centrale più efficiente. Non hanno effetti anticolinergici e antiadrenergici, né effetti sulla conduzione cardiaca. Sebbene siano selettivi per il sistema serotoninergico, gli SSRI non hanno specificità di azione sui diversi recettori della 5-HT. Così, mentre la stimolazione dei 5-HT 1 causa effetti antidepressivi e ansiolitici, la stimolazione dei 5-HT 2 e dei 5-HT 3 provoca i comuni effetti collaterali dei SSRI: nausea, ansia, insonnia, cefalea, irrequietezza e disfunzione sessuale. Così, paradossalmente, gli SSRI possono sia eliminare che provocare l’ansia. Nei primissimi mesi può manifestarsi anoressia, specialmente con la fluoxetina; la perdita di peso può essere utile per i pazienti sovrappeso e nei bulimici. La sedazione è minima o inesistente, ma alcuni pazienti tendono alla sonnolenza diurna nelle prime sett. di trattamento. L’agitazione può rendere necessaria la sospensione nel 3-4% dei pazienti. Raramente, si verifica acatisia (dovuta a debole attività dopaminergica). I più comuni effetti collaterali sono quelli di tipo sessuale (p. es., diminuzione della libido, difficoltà orgasmiche) che interessano sino a 1/3 dei pazienti. Alcuni pazienti accettano questi effetti come il prezzo per il miglioramento della depressione, ma un paziente su dieci chiede il passaggio a un’altra classe di antidepressivi o ne ha necessità. Altri effetti collaterali sono la diarrea e la cefalea. Le interazioni farmacologiche sono rare. Gli SSRI in caso di sovradosaggio sono sicuri, hanno un ampio margine terapeutico e sono relativamente facili da somministrare, con scarsa necessità di aggiustamenti posologici (eccetto che per la fluvoxamina). Il successo di questi farmaci ha contribuito alla diffusa accettabilità del trattamento della depressione con gli antidepressivi da parte dei pazienti. Gli SSRI sono indicati anche nei disturbi correlati alla depressione in cui gli antidepressivi eterociclici non sono efficaci, tra cui il disturbo distimico, la depressione atipica, quella stagionale, il disturbo ossessivo-compulsivo, la fobia sociale, la bulimia, la sindrome premestruale e probabilmente il disturbo borderline di personalità. Il nefazodone, che blocca in primo luogo i recettori 5-HT2, inibisce anche la ricaptazione della 5-HT e della noradrenalina. Il risultato è un’azione antidepressiva e ansiolitica senza disfunzioni sessuali; inoltre non vi è il problema della nausea poiché il nefazodone blocca anche i recettori 5-HT3. A differenza della maggior parte degli antidepressivi, il nefazodone non sopprime il sonno REM e produce un sonno riposante. Tuttavia, possono insorgere gravi aritmie cardiache con l’uso contemporaneo di terfenadina o astemizolo. Il trazodone, un antidepressivo simile al nefazodone, è un bloccante del recettore 5-HT2, ma non inibisce la ricaptazione presinaptica della 5-HT. Può causare priapismo (in 1 soggetto su 1000), che non è stato rilevato con il nefazodone. A differenza del nefazodone, il trazodone è un α1-bloccante file:///F|/sito/merck/sez15/1891645.html (3 of 8)02/09/2004 2.07.19

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noradrenergico e si associa a ipotensione posturale. È estremamente sedativo, quindi il suo uso in dosi antidepressive (> 400 mg/die) è limitato. Viene per lo più usato in dosi basse (da 50 a 100 mg prima del sonno) per eliminare l’insonnia dovuta agli SSRI. La mirtazapina blocca gli autorecettori α2-adrenergici così come i recettori 5-HT2 e 5-HT3. Il risultato è una funzione serotoninergica più efficiente senza disfuzione sessuale e nausea. Non ha effetti avversi sulla funzione cardiaca, ha un’interazione minima con gli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci ed è generalmente ben tollerata, fatta eccezione per la sedazione e l’aumento di peso mediato dal blocco dell’H1 (istamina). Gli antidepressivi eterociclici, il trattamento standard per la depressione prima degli anni ‘90, comprendono i triciclici (le amine terziarie amitriptilina e imipramina e i loro metaboliti aminici secondari nortriptilina e desipramina), i triciclici modificati e gli antidepressivi tetraciclici. In acuto, questi farmaci aumentano principalmente la disponibilità di noradrenalina e in certo grado di serotonina, bloccando la loro ricaptazione nel vallo sinaptico. La somministrazione cronica desensibilizza i recettori β1-adrenergici sulla membrana postsinaptica (la possibile via comune finale della loro attività antidepressiva). Come gli SSRI, gli antidepressivi eterociclici sono efficaci nel 65% di tutti i pazienti clinicamente depressi. Sebbene i dati disponibili siano incerti, molti medici ritengono che questi farmaci abbiano un margine di superiorità rispetto agli SSRI nel trattamento dei pazienti con manifestazioni melancoliche e di quelli con depressione in regime di ricovero. I più comuni effetti collaterali degli antidepressivi eterociclici derivano dal loro effetto di blocco muscarinico e dalle loro azioniα1-antiadrenergiche. La maggior parte di questi antidepressivi è quindi inutilizzabile per i pazienti con malattie cardiache. Anche bassi dosaggi possono provocare tachicardia ed effetti chinidino-simili sulla conduzione cardiaca. La desipramina può indurre aritme gravi nei bambini. Poché gli antidepressivi eterociclici possono provocare ipotensione posturale, sono controindicati nei pazienti con osteoporosi, arteriosclerosi cerebrale o cardiopatia ischemica. Altri effetti collaterali frequenti comprendono visione offuscata, xerostomia, tachicardia, stipsi e ritardo minzionale (almeno con gli antidepressivi triciclici a struttura aminica secondaria). La sedazione può essere considerata o meno un effetto collaterale, a seconda del bisogno di indurre e mantenere il sonno, ed è causata principalmente dal blocco dei recettori 5-HT2 e H1. In alcuni pazienti si verifica un eccessivo aumento di peso. Gli antidepressivi eterociclici, eccetto l’amoxapina, non bloccano in misura apprezzabile i recettori D2 (dopaminergici). Una tossicità sul piano comportamentale (eccitamento, confusione, allucinazioni o sedazione eccessiva) è particolarmente probabile nei pazienti anziani con cerebropatia organica. Tutti gli antidepressivi eterociclici, in particolare la maprotilina e la clomipramina, abbassano la soglia convulsiva. La venlafaxina ha un doppio meccanismo d’azione serotoninergico e adrenergico, come gli antidepressivi triciclici, ma il suo profilo di effetti collaterali è più lieve, più o meno come quello degli SSRI; il problema maggiore durante le prime 2 sett. è la nausea. Se la dose viene aumentata gradualmente (iniziando con aumenti di 37,5 mg/ die) la venlafaxina è ben tollerata, specialmente quando viene usata la forma a rilascio prolungato. Questo farmaco può essere occasionalmente più rapido (in < 1 sett.) degli altri antidepressivi. Si consiglia il monitoraggio della PA, in quanto la PA diastolica si innalza nel 3-5% dei pazienti con dosi > 225 mg/die. La venlafaxina ha alcuni vantaggi rispetto agli SSRI: sembra più efficace nei pazienti con depressione grave o resistente e dal momento che non ha un elevato legame proteico e non ha praticamente alcuna interazione con gli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci, pone scarsi rischi se viene somministrata insieme ad altri farmaci. Il buproprione non ha effetti sul sistema serotoninergico. Attraverso meccanismi non chiari, migliora la funzionalità catecolaminergica, dopaminergica e noradrenergica. È relativamente libero da effetti sul ciclo della depressione bipolare. Può giovare ai pazienti depressi con un disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività in associazione, a quelli con dipendenza da file:///F|/sito/merck/sez15/1891645.html (4 of 8)02/09/2004 2.07.19

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cocaina e infine a quelli che tentano di smettere di fumare. Il bupropione non ha effetti sul sistema cardiovascolare, ma può causare convulsioni (nello 0,4% dei pazienti con dosi > 450 mg/die); il rischio è maggiore nei pazienti con bulimia. Non produce effetti collaterali sulla sfera sessuale e ha scarse interazioni con farmaci concomitanti. Un effetto collaterale comune è l’agitazione, molto attenuata con la forma a rilascio prolungato, che lo rende più tollerabile. Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) inibiscono la deaminazione ossidativa delle tre classi di amine biogene (noradrenalina, dopamina e 5-HT) e di altre feniletilamine. Hanno effetti scarsi o nulli sull’umore normale e, sebbene la tranilcipromina abbia alcune azioni dirette amfetamino-simili, in genere non hanno rischio di abuso. Il loro principale valore è rappresentato dall’efficacia laddove altri antidepressivi hanno fallito. Sono indicati anche per la depressione atipica. Gli IMAO attualmente sul mercato come antidepressivi negli USA (p. es., la fenelzina e la tranilcipromina) sono irreversibili e non selettivi (inibiscono le MAOA e le MAO-B). Possono causare crisi ipertensive se assunti contemporaneamente a un farmaco simpaticomimetico oppure a cibo contenente tiramina o dopamina. Questo effetto viene chiamato "effetto formaggio", perché il formaggio stagionato ha un contenuto elevato di tiramina. Sono scarsamente usati per paura di questa reazione. Gli IMAO più selettivi e reversibili (p. es., la moclobemide e il befloxatone, che inibiscono le MAO-A) non sono ancora disponibili negli USA e sono relativamente privi di queste interazioni. Per prevenire le crisi ipertensive da IMAO, il paziente deve evitare i farmaci simpaticomimetici (tra cui la fenilpropanolamina e il dextrometorfano, componenti di molti decongestionanti nasali da banco e dei sedativi della tosse), la reserpina e la meperidina, così come le birre di malto, il Chianti, lo sherry, i liquori e i cibi troppo maturi e invecchiati che contengono tiramina o dopamina (p. es., banane, fave o baggiane, estratti di lievito, fichi secchi, uva passa, yogurt, formaggio, panna acida, salsa di soia, aringhe sott’olio, caviale, fegato e cibi eccessivamente elaborati). La crisi ipertensiva si manifesta con cefalea grave pulsante; la PA può raggiungere 240/ 140 mm Hg. I pazienti devono portare con sé delle compresse da 25 mg di clorpromazina, assumerne 1 o 2 compresse non appena insorgono i segni di tale reazione e andare al pronto soccorso più vicino. Sebbene per le crisi ipertensive talvolta si prescriva la nifedipina sublinguale in dosi da 10 a 20 mg, la clorpromazina é più sicura e tranquillizza il paziente. Spesso riesce a ridurre la PA finché il paziente non arriva al pronto soccorso. Per quanto temibile, la crisi ipertensiva è relativamente rara. I problemi più comuni sono l’ipotensione posturale e il senso di stordimento. Un paziente depresso che ha un’ipertensione lieve ed é candidato a un IMAO, può giovarsi dei suoi effetti sia sulla depressione che sulla PA. Gli IMAO possono essere utili nei pazienti che assumono litio, per i quali i diuretici sono generalmente controindicati. Effetti collaterali frequenti degli IMAO sono difficoltà nell’erezione (meno comune con la tranilcipromina), ansia, nausea, vertigini, insonnia, edemi declivi e aumento di peso. Il potenziale cardiotossico e gli effetti collaterali anticolinergici sono minimi. L’epatotossicità (la ragione per cui il primo IMAO, l’iproniazide, é stato abbandonato) é rara con gli IMAO di uso attuale. Gli IMAO non vanno usati con altri tipi di antidepressivi, e devono passare almeno 2 sett. (5 con la fluoxetina, che ha un’emivita lunga) tra l’uso dei due tipi di farmaci. Gli IMAO, usati con gli antidepressivi che hanno effetto sul sistema serotoninergico (p. es., SSRI, nefazodone) possono produrre una sindrome caratterizzata da ipertermia maligna, grave danno muscolare, insufficienza renale, convulsioni e infine la morte. I pazienti che assumono IMAO e che hanno bisogno anche di antiasmatici, antiallergici e anestetici locali o generali, vanno trattati dallo psichiatra insieme a un internista, un dentista o un anestesista che abbiano competenza in campo neuropsicofarmacologico. Il metilfenidato, alla dose di 5 mg 1 volta/die o bid può essere di giovamento ai pazienti anziani con depressione cronica lieve e anergia in seguito a malattie infettive protratte o a interventi chirurgici. file:///F|/sito/merck/sez15/1891645.html (5 of 8)02/09/2004 2.07.19

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Linee guida per la terapia farmacologica antidepressiva nei diversi tipi di depressione: la precedente risposta a un antidepressivo specifico (sia da parte del paziente che di un familiare) guida la scelta del farmaco. Altrimenti, la cosa migliore è iniziare con un SSRI per la sua sicurezza e facilità di somministrazione. Sebbene i diversi SSRI abbiano la stessa efficacia per la media dei casi di depressione, molti medici usano la fluoxetina per i pazienti letargici e la fluvoxamina e la paroxetina per quelli più ansiosi; la sertralina è efficace per entrambi i tipi. L’insonnia, un effetto collaterale frequente degli SSRI, va trattata riducendo la dose o aggiungendo una dose bassa di un antidepressivo eterociclico sedativo. Per la nausea e la diarrea che si verificano nella fase precoce della terapia con SSRI si sviluppa una tolleranza; le cefalee pulsanti tuttavia non sempre scompaiono, rendendo necessaria la sospensione del SSRI. Se causa agitazione, un SSRI va sospeso (più spesso ciò avviene con la fluoxetina). Se nel corso di una terapia con SSRI insorgono diminuzione della libido, impotenza o anorgasmia, si raccomanda la riduzione del dosaggio, oppure può essere utile una sospensione del SSRI per un fine settimana; in molti casi, è necessario passare a un antidepressivo di altra classe. Il nefazodone è particolarmente efficace per i pazienti con ansia e insonnia, e non provoca effetti collaterali sulla sfera sessuale. Il buproprione e la mirtazapina sono inoltre privi di effetti collaterali sulla funzione sessuale. La fluoxetina e il bupropione sono i farmaci di elezione per i pazienti che aumentano di peso durante la depressione; quelli con una perdita di peso significativa possono trarre beneficio dalla mirtazapina. La somministrazione dell’intera dose di antidepressivo eterociclico prima del sonno rende di solito inutile l’uso di ipnotici, riduce al minimo gli effetti collaterali durante il giorno e aumenta la compliance (v. Tab. 189-6). Gli SSRI, che tendono ad avere un effetto stimolante in molti pazienti con depressione, vanno somministrati al mattino. Gli IMAO e il bupropione di solito vengono somministrati bid (al mattino e nel primo pomeriggio) per evitare un’eccessiva stimolazione. A causa della loro breve emivita, il nefazodone e la venlafaxina si somministrano preferibilmente bid (al mattino e prima del sonno), ma in molti pazienti è possibile la monosomministrazione. La risposta terapeutica alla maggior parte delle varie classi di AD di solito si ottiene in circa 2-3 sett. (a volte precocemente in 4 giorni o tardivamente in 58 sett.). Da quattro a sei mesi dopo la risposta clinica, la dose viene abbassata a circa 2/3 della dose terapeutica efficace, quindi ridotta gradualmente in 2-3 mesi e poi sospesa. Evitare sospensioni brusche degli antidepressivi serve a prevenire un rimbalzo colinergico (con incubi, nausea e coliche) con gli antidepressivi eterociclici e sintomi di astinenza (p. es., stordimento, parestesie, sogni vividi) con gli SSRI; tali sintomi sono meno comuni con la fluoxetina. Per la depressione altamente recidivante, grave o cronica, la dose di antidepressivo usata in fase acuta va usata anche per il mantenimento. Le nuove classi di antidepressivi sono generalmente da preferire per la maggior parte dei pazienti anziani, perché gli antidepressivi eterociclici possono essere cardiotossici, possono aggravare il glaucoma ad angolo chiuso e l’ipertrofia prostatica e possono scatenare uno stato confusionale. Tuttavia, gli effetti anticolinergici di piccole dosi di antidepressivi eterociclici a volte possono giovare ai pazienti depressi con sintomi di colon irritabile, con sintomi dolorosi importanti (anche il dolore emicranico) o con il dolore neuropatico dovuto al diabete. Tale utilizzo può rendere superflui gli analgesici o consentirne una riduzione del dosaggio. Tuttavia, la maggior parte degli antidepressivi anticolinergici (amitriptilina e dotiepina) è preferibilmente da evitare negli anziani. Tra gli antidepressivi recenti, la venlafaxina non ha interazioni avverse con la maggior parte degli altri farmaci, e può essere usata per il dolore. I pazienti depressi con ansia generalizzata (cioè, preoccupazione, tensione, fastidi gastrointestinali) rispondono bene ma tipicamente in modo lento (possono occorrere 3 mesi) agli eterociclici sedativi (amitriptilina, imipramina, dotiepina) e agli antidepressivi di nuova generazione (nefazodone, paroxetina, mirtazapina); il buspirone da 10 a 30 mg bid sembra funzionare solo nei pazienti che non hanno mai usato benzodiazepine.

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Disturbi disturbi dell'umore

Quando è prevalente un’ansia di tipo panico, la risposta a un antidepressivo eterociclico può non essere ottimale; si potrà dunque aggiungere una benzodiazepina (p. es., lorazepam da 1 a 2 mg PO bid o tid) per 1-3 sett. Alcuni esperti ritengono che l’alprazolam, una benzodiazepina con struttura ad anello triciclico, in dosi da 0,5 a 4 mg PO bid possa essere efficace anche in monoterapia, per controllare sia l’ansia che la depressione. A causa del potenziale di dipendenza delle benzodiazepine, gli SSRI con le proprietà meno stimolanti (p. es., paroxetina, fluvoxamina, sertralina) sono da preferire per i pazienti con panico e depressione. L’IMAO fenelzina (fino a 75 mg/die), quando somministrata con le necessarie precauzioni dietetiche e farmacologiche, è probabilmente il farmaco più affidabile per i pazienti con sintomi ansioso-fobici o di panico e segni vegetativi inversi. I pazienti con marcate caratteristiche ossessivo-compulsive possono trarre beneficio da un SSRI o dalla clomipramina. Depressione resistente: se un SSRI è inefficace può essere sostituito con un altro, ma un antidepressivo di altra classe ha maggiori probabilità di efficacia (p. es., la venlafaxina o il bupropione). La tranilcipromina (da 20 a 30 mg PO bid) è spesso efficace per la depressione resistente a tentativi consecutivi con altri antidepressivi; va somministrata da medici esperti nell’uso degli IMAO. La terapia elettroconvulsiva è il trattamento più efficace per la depressione grave resistente ai farmaci. Il sostegno psicologico al paziente e alle sue figure significative è particolarmente importante nei casi resistenti. Vengono comunenente usate strategie di potenziamento (di combinazione). La tiroxina da 25 a 50 µg/die può potenziare la risposta ai triciclici nelle donne con indici tiroidei ai limiti fisiologici (p. es., elevato livello basale di TSH, una risposta eccessiva del TSH al TRH), ma questo metodo può non funzionare se il disturbo è monopolare puro. Per i pazienti depressi con temperamento ipertimico (energico, ambizioso, competitivo) o con anamesi familiare di disturbo bipolare, è più sicura l’associazione di litio e antidepressivo. Altre strategie comprendono l’associazione di un farmaco serotoninergico (p. es., un SSRI a dosi medie) e un antidepressivo con proprietà noradrenergiche (p. es., desipramina da 50 a 75 mg/ die); l’uso di alte dosi di venlafaxina, che unisce le due proprietà; l’associazione di un antidepressivo ticiclico sedativo (p. es., amitriptilina da 75 a 100 mg prima del sonno) e un IMAO (p. es., fenelzina da 30 a 45 mg al mattino); l’associazione di un IMAO con uno stimolante (p. es., destroamfetamina, metilfenidato). Le due ultime strategie vanno usate solo da uno specialista dei disturbi dell’umore, poiché la loro sicurezza ed efficacia sono problematiche in mani inesperte. Il pindololo, un bloccante β-adrenergico, è ritenuto un potenziatore dell’azione degli SSRI e del nefazodone attraverso una azione 5-HT1A; questo paradigma sperimentale non ha avuto risultati consistentemente positivi. Ricovero: idee di suicidio persistenti (soprattutto quando è carente il supporto familiare), stupor, depressione agitata o delirante, debilitazione e gravi malattie cardiovascolari concomitanti sono tutte indicazioni per il ricovero e, spesso, per la terapia elettroconvulsivante. Una grave depressione in gravidanza, con rischio di suicidio, con agitazione o con ritardo psicomotorio, è trattabile nel modo migliore con la terapia elettroconvulsiva. La risposta a un numero di trattamenti elettroconvulsivanti variabile da 6 a 10 è di solito eclatante e può salvare la vita. Per la depressione psicotica che non costituisca un’emergenza, possono essere somministrate per 3-6 sett. dosi massimali di venlafaxina o di un antidepressivo eterociclico (p. es., nortriptilina); se necessario, può essere aggiunto un antipsicotico (p. es., tiotixene fino a 20 mg/die PO o IM in 2 o 3 somministrazioni). Per ridurre il rischio di discinesia tardiva, il medico deve somministrare l’antipsicotico alla dose minima efficace e sospenderlo appena possibile. Gli antipsicotici atipici (p. es., il risperidone da 4 a 8 mg/die, l’olanzapina fino a 10 mg/ die) sembrano relativamente privi di tale rischio, e il loro uso è in aumento. Di solito, per prevenire le ricadute nei pazienti ricoverati trattati con antidepressivi e terapia elettroconvulsivante, è necessaria una terapia ambulatoriale continuativa con un antidepressivo per un periodo di 6-12 mesi (fino a 2 anni in pazienti con più di 50 anni di età). Terapia di mantenimento: il trattamento della depressione ricorrente sporadica è analogo a quello dell’episodio singolo. Tuttavia, la depressione recidiva nell’80% dei pazienti, che devono perciò ricevere una terapia antidepressiva a file:///F|/sito/merck/sez15/1891645.html (7 of 8)02/09/2004 2.07.19

Disturbi disturbi dell'umore

lungo termine (e forse per tutta la vita). Il dosaggio spesso viene calibrato sulla base del livello dell’umore e degli effetti collaterali; tuttavia, nella maggior parte dei pazienti le recidive si prevengono nella maniera più efficace mantenendo il dosaggio terapeutico pieno. Non vi sono evidenze conclusive che gli antidepressivi abbiano effetti teratogeni. Se una donna incinta ha una depressione grave che richiede una terapia di mantenimento, può assumere un antidepressivo, ma va monitorata accuratamente da un ostetrico. I pazienti con anamnesi familiare di disturbo bipolare devono essere sorvegliati per l’eventualità di sviluppare ipomania; in questi pazienti, la terapia di mantenimento con carbonato di litio da solo è probabilmente di pari efficacia. Le ricadute possono verificarsi anche con la terapia di mantenimento più rigorosa, e i pazienti devono essere visitati almeno ogni 2-3 mesi. Psicoterapia: la terapia di sostegno e gli interventi psicoeducazionali, ufficializzati come psicoterapie specifiche per la depressione, sono di solito sufficienti a potenziare il trattamento farmacologico. La psicoterapia individuale breve (con focus interpersonale) o la terapia di tipo cognitivo-comportamentale (individuale o di gruppo) da sole sono efficaci nelle forme più lievi di depressione. Se usate in associazione agli antidepressivi, queste terapie hanno la massima utilità dopo che gli antidepressivi abbiano controllato i segni melancolici. Fornendo sostegno e guida, eliminando le distorsioni cognitive che impediscono le azioni adattative e incoraggiando il paziente a riprendere gradualmente i suoi ruoli lavorativi o sociali, queste terapie possono migliorare le abilità di coping e rinforzare i progressi fatti con la terapia farmacologica. La terapia di coppia può aiutare a diminuire le tensioni e la disarmonia coniugale. La psicoterapia a lungo termine non è necessaria, tranne per i pazienti che abbiano conflitti interpersonali di lunga data in molte aree di funzionamento o che non rispondano alla terapia breve.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189-6. Antidepressivi in commercio negli USA Dosaggio medio (mg/die) Classe

Farmaco

Precauzioni

Antidepressivi eterociclici

Come classe, controindicata nei pazienti con problemi cardiaci, glaucoma ad angolo chiuso, ipertrofia prostatica o ernia iatale; cadute dovute a ipotensione posturale possono provocare fratture negli anziani; potenziano gli effetti dell’alcol; aumentano i livelli ematici degli antipsicotici Amitriptilina

50-300

Causa aumento di peso

Nortriptilina

25-100

Efficace all’interno della finestra terapeutica

Imipramina

50-300

Può causare sudorazione eccessiva e incubi

Desipramina

50-300

Non può essere usata in pazienti sotto i 12anni

Doxepina

25-300

Causa aumento di peso

Trimipramina

50-300

Causa aumento di peso

Clomipramina

25-225

Abbassa la soglia convulsiva a dosi >250mg/die

Protriptilina

15-60

Difficile da dosare per la sua farmacocinetica complessa

Amoxapina

150-400

Può causare effetti collaterali extrapiramidali

Maprotilina

75-225

Può provocare comportamento suicidiario Possibile sindrome serotoninergica quando assunti con SSRI o nefazodone; crisi ipertensive possibili se assunte con altri farmaci antidepressivi, simpaticomimetici o altri farmaci selettivi, o con determinati cibi o bevande

IMAO

Fenelzina

SSRI

Serotoninergicinoradrenergici

45-90

Causa ipotensione posturale

Tranilcipromin 20-60 a

Ha effetti stimolanti di tipo simil-amfetaminico e un modesto potenziale di abuso

Fluoxetina

10-60

Anche dopo la sospensione, a causa della sua lunga emivita, ha un elevato potenziale di interazione tra i suoi metaboliti attivi e gli antidepressivi eterociclici, la carbamazepina, gli antipsicotici o gli antiaritmici rispetto agli altri SSRI

Sertralina

50-200

Tra gli SSRI, ha la più alta incidenza di diarrea

Paroxetina

20-50

Sintomi di astinenza se sospesa bruscamente

Fluvoxamina

100-300

Può causare elevazione clinicamente significativa dei livelli di teofillina, warfarin e clozapina

Venlafaxina

75-375

Modesto aumento dose-dipendente della pressione diastolica

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Manuale Merck - Tabella

Antagonisti 5-HT2

Trazodone

150-600

Può causare priapismo

Nefazodone

200-600

Può causare aritmie cardiache gravi con l’uso concomitante di terfenadina o astemizole

Mirtazapina

15-45

Causa aumento di peso

150-450

Controindicato nei pazienti con bulimia o predisposti alle crisi convulsive

Catecolaminergiche Bupropione

IMAO=Inibitori delle monoaminossidasi; SSRI=inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina; 5HT2=5-idrossi triptamina (serotonina)

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI IPOGLICEMIA Livelli di glucoso plasmatico abnormemente bassi che portano alla comparsa di una sintomatologia da attivazione del sistema nervoso simpatico o da disfunzione del SNC. Per le cause principali di ipoglicemia clinicamente evidente, v. Tab. 13-5.

Sommario: Fisiopatologia Classificazione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Fisiopatologia Il cervello dipende dal glucoso plasmatico come principale carburante metabolico nella maggior parte delle situazioni. La barriera ematoencefalica impedisce il passaggio degli acidi grassi liberi (FFA) legati all'albumina plasmatica e la velocità di trasporto dei chetoni al cervello è troppo bassa per soddisfare il suo fabbisogno energetico, a meno che i normali livelli plasmatici a digiuno dei corpi chetonici non siano marcatamente aumentati. Il glucoso plasmatico viene normalmente regolato in modo da mantenere un livello che ne assicuri il trasporto all'encefalo in quantità adeguate. A livello cerebrale non è l'insulina che regola l'utilizzazione del glucoso. Specifici centri situati all'interno del SNC controllano i livelli di glucoso plasmatico e reagiscono a una potenziale carenza aumentando rapidamente l'attività del sistema nervoso adrenergico, cui consegue il rilascio di adrenalina. Risposte neuroendocrine addizionali comprendono l'aumento della secrezione di ormone della crescita e di cortisolo e la riduzione della secrezione di insulina. La produzione epatica di glucoso aumenta e la sua utilizzazione da parte dei tessuti non nervosi diminuisce. La stimolazione adrenergica e il glucagone (v. oltre) svolgono ruoli cruciali nella risposta acuta all'ipoglicemia, mentre la secrezione di ormone della crescita e di cortisolo è tardiva e meno importante, anche se i deficit cronici di questi ormoni possono compromettere la normale risposta controregolatoria all'ipoglicemia. Se si instaura un grave deficit di glucoso a livello del SNC, l'attività dei centri cerebrali superiori si riduce in modo da ridurre al minimo il fabbisogno energetico del cervello. Qualora l'ipoglicemia in un paziente incosciente non venga trattata rapidamente, ne possono conseguire convulsioni e deficit neurologici irreversibili, o anche la morte. Il glucagone è un ormone polipeptidico secreto dalle cellule a del pancreas, presente nell'uomo quasi esclusivamente all'interno delle insule pancreatiche. Ai livelli plasmatici fisiologici, gli effetti del glucagone sono limitati al fegato, dove l'ormone determina un incremento acuto della glicogenolisi e del rilascio di glucoso nel plasma; esso stimola inoltre la gluconeogenesi e attiva il sistema di trasporto degli FFA a catena lunga all'interno dei mitocondri epatici per l'ossidazione e la chetogenesi. Rari, isolati casi di ipoglicemia neonatale persistente sono stati attribuiti a un deficit relativo di glucagone associato a file:///F|/sito/merck/sez02/0130194.html (1 of 6)02/09/2004 2.07.22

Disordini del metabolismo dei carboidrati

iperinsulinemia relativa.

Classificazione L'ipoglicemia può essere dovuta a farmaci (la causa più comune) o ad altre cause. Ipoglicemia dovuta a farmaci: l'insulina, l'alcol e le sulfaniluree sono responsabili della maggior parte dei casi di ricovero ospedaliero per ipoglicemia (v. sopra alla voce Complicanze della terapia insulinica e alla voce Farmaci ipoglicemizzanti orali). L'ipoglicemia alcolica è caratterizzata da compromissione dello stato di coscienza, stupor o coma in un paziente con un'alcolemia significativamente elevata, e il quadro clinico è ascrivibile principalmente all'ipoglicemia. L'ossidazione dell'alcol nel fegato aumenta il rapporto tra la forma ridotta e quella ossidata del nicotinamide adenin dinucleotide nel citosol, e inibisce il rilascio di glucoso da parte del fegato tramite l'inibizione dell'utilizzo dei principali substrati gluconeogenetici del plasma (lattato, alanina) per la sintesi di glucoso, con il risultato di una caduta della glicemia che stimola l'aumento degli FFA e dei chetoni plasmatici. Essa è frequentemente associata all'aumento dei livelli plasmatici di lattato e chetoni e ad acidosi metabolica. La sindrome insorge in individui che assumono alcol dopo un digiuno sufficientemente prolungato da rendere dipendente dalla gluconeogenesi il rilascio di glucoso da parte del fegato. L'ipoglicemia alcolica richiede un trattamento tempestivo. Essa può essere indotta da livelli ematici di alcol ben al di sotto dei comuni limiti di legge per la guida, pari a 100 mg/dl (22 nmol/l). Dopo un'infusione EV rapida di 50 ml di soluzione glucosata al 50% seguita da soluzione glucosata al 5% EV (abitualmente con l'aggiunta di tiamina), si osservano di solito un rapido miglioramento del livello di coscienza e la successiva risoluzione dell'acidosi metabolica. Altri farmaci che meno comunemente provocano ipoglicemia comprendono i salicilati (più spesso nei bambini), il propranololo, la pentamidina, la disopiramide e l'ipoglicina A, che si trova nel frutto akee acerbo (la quale è la causa di una condizione patologica nota come malattia del vomito giamaicana). Il chinino è probabilmente una causa di ipoglicemia nei pazienti con malaria da plasmodium falciparum. Ipoglicemia dovute ad altre cause: vi sono incluse l'ipoglicemia a digiuno, caratterizzata da manifestazioni a carico del SNC, di solito durante il digiuno o l'attività fisica e l'ipoglicemia reattiva, caratterizzata da sintomatologia adrenergica che insorge esclusivamente quando stimolata da un pasto. L'ipoglicemia reattiva è di solito associata a diminuzioni del glucoso plasmatico meno marcate e meno durature rispetto all'ipoglicemia a digiuno. Alcuni disordini che provocano ipoglicemia sintomatica si presentano solitamente durante la prima o la seconda infanzia, mentre altri si presentano più comunemente in età adulta. Le cause di ipoglicemia a digiuno di solito diagnosticate durante la prima o la seconda infanzia comprendono i deficit ereditari degli enzimi epatici che limitano il rilascio di glucoso da parte del fegato (deficit di glucoso-6-fosfatasi, fruttoso-1,6difosfatasi, fosforilasi, piruvato carbossilasi, fosfoenolpiruvato carbossichinasi o glicogeno sintetasi). Difetti ereditari dell'ossidazione degli acidi grassi, compresi quelli che originano dal deficit sistemico di carnitina, e difetti ereditari della chetogenesi (deficit di 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA-liasi) provocano ipoglicemia a digiuno limitando l'ambito entro il quale i tessuti non nervosi possono soddisfare il loro fabbisogno energetico con gli FFA e i chetoni plasmatici durante il digiuno o l'esercizio fisico. In tali circostanze, questa situazione dà origine a un aumento spropositato del tasso di estrazione del glucoso da parte dei tessuti non nervosi. L'ipoglicemia chetosica nei lattanti e nei bambini è caratterizzata da episodi ricorrenti di ipoglicemia a digiuno con elevati livelli di FFA e corpi chetonici nel plasma, livelli di lattato solitamente nella norma e bassi livelli plasmatici di alanina. Nei lattanti e nei bambini normali, la durata del periodo di digiuno

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

occorrente per causare una glicemia abnormemente bassa è molto minore che negli adulti; nei pazienti con ipoglicemia chetosica questo periodo è ulteriormente ridotto e la sua riduzione è attribuibile a un difetto quantitativo della capacità di mobilizzare i substrati per la gluconeogenesi epatica. La nesidioblastosi è caratterizzata da una diffusa proliferazione di cellule insulino-secernenti derivate dall'epitelio dei dotti pancreatici e da microadenomi pancreatici costituiti da tali cellule; essa è una causa rara di ipoglicemia a digiuno nei bambini e lo è ancora di più negli adulti. Gli adenomi o i carcinomi delle cellule insulari (insulinomi) sono una causa rara e solitamente curabile di ipoglicemia a digiuno e vengono diagnosticati più frequentemente negli adulti. Possono insorgere come patologie isolate o nel contesto di una sindrome da neoplasie endocrine multiple (MEN) di tipo I (v. Cap. 10 e Tumori endocrini nel Cap. 34). I carcinomi costituiscono appena il 10% dei tumori delle cellule insulino-secernenti delle insule pancreatiche. L'ipoglicemia nei pazienti con adenomi insulari è il risultato della secrezione incontrollata di insulina, che può essere individuata clinicamente durante il digiuno e l'attività fisica. Sebbene i livelli plasmatici assoluti di insulina possano non essere eccessivamente elevati, essi possono risultare elevati in modo inappropriato per la situazione di ipoglicemia e digiuno prolungato. Un'ipoglicemia può essere causata anche da voluminosi tumori non insulinosecernenti, più comunemente tumori maligni di origine mesenchimale a sede retroperitoneale o toracica. Il tumore secerne un fattore di crescita insulino-simile anomalo (un IGF-II di grandi dimensioni), il quale non si lega alle proteine plasmatiche cui normalmente dovrebbe legarsi. L'aumento di IGF-II libero che ne deriva determina ipoglicemia tramite l'IGF-I o i recettori insulinici. L'ipoglicemia si risolve quando il tumore viene rimosso completamente o parzialmente e di solito si ripresenta quando esso recidiva. Un'epatopatia diffusa può causare ipoglicemia a digiuno. (Forme di cirrosi diverse da quella cardiaca causano raramente ipoglicemia.) L'ipoglicemia autoimmune si verifica raramente nei soggetti non diabetici e il meccanismo con cui essa si instaura in tale patologia non è stato ancora compreso. I pazienti affetti da diabete insulino-resistente dovuto ad anticorpi diretti contro il recettore insulinico e acantosis nigricans sviluppano a volte anticorpi anti-recettoriali che mimano gli effetti dell'insulina e provocano ipoglicemia a digiuno. L'ipoglicemia a digiuno si manifesta occasionalmente nei pazienti con insufficienza renale cronica; di solito non si riesce a identificare una causa specifica. Lo sviluppo della nefropatia nei diabetici in trattamento insulinico può provocare ipoglicemia diminuendo la degradazione renale dell'insulina e il suo fabbisogno. La cachessia e lo shock endotossinico possono provocare ipoglicemia a digiuno in qualunque fascia d'età. L'ipopituitarismo associato a deficit di cortisolo e ormone della crescita può provocare ipoglicemia a digiuno. Il morbo di Addison (insufficienza corticosurrenalica primitiva) causa raramente ipoglicemia nei non diabetici, a meno che non siano defedati, ma insorge con frequenza crescente nei pazienti con DM di tipo I, nei quali causa spesso ipoglicemia e diminuzione del fabbisogno di insulina. Nei pazienti affetti da intolleranza ereditaria al fruttoso, galattosemia e ipersensibilità alla leucina dell'infanzia, specifici componenti alimentari provocano un'ipoglicemia reattiva. Nell'intolleranza ereditaria al fruttoso e nella galattosemia, il deficit ereditario di un enzima epatico causa l'inibizione acuta della produzione epatica di glucoso quando vengono ingeriti fruttoso o galattoso. Nei pazienti con ipersensibilità alla leucina dell'infanzia, l'aminoacido provoca un'eccessiva risposta secretoria insulinica al pasto e ipoglicemia reattiva. L'ipoglicemia reattiva associata al DM di tipo II nella fase precoce di esordio è caratterizzata da sintomatologia adrenergica che insorge da 4 a 5 h dopo i pasti ed è associata a un livello glicemico abnormemente basso che fa seguito a una fase iniziale di iperglicemia post-prandiale. Ciò viene attribuito al fatto che l'insulina plasmatica aumenta in ritardo e in maniera eccessiva. Alcuni medici ne mettono in dubbio la reale esistenza. L'ipoglicemia alimentare è un'altra forma di ipoglicemia reattiva che insorge nei file:///F|/sito/merck/sez02/0130194.html (3 of 6)02/09/2004 2.07.22

Disordini del metabolismo dei carboidrati

pazienti che hanno subito in precedenza un intervento chirurgico a carico del tratto GI superiore (gastrectomia, gastrodigiunostomia, vagotomia, piloroplastica), il quale fa sì che l'ingresso e l'assorbimento del glucoso a livello intestinale avvengano troppo rapidamente, provocando un'eccessiva risposta insulinica ai pasti. Essa può verificarsi da 1 a 3 ore dopo il pasto. Casi molto rari di ipoglicemia alimentare idiopatica si verificano anche in pazienti che non hanno subito interventi chirurgici sul tratto GI.

Sintomi e segni L'ipoglicemia si presenta con due categorie di manifestazioni cliniche: (1) la sintomatologia adrenergica comprende sudorazione, irritabilità, tremori, debolezza, palpitazioni e senso di fame attribuiti all'aumento dell'attività simpatica e del rilascio di adrenalina (tali disturbi possono verificarsi anche nei pazienti surrenectomizzati). (2) Le manifestazioni a carico del SNC comprendono stato confusionale, comportamento inappropriato (che può essere confuso con uno stato di ebrezza), disturbi visivi, stupor, coma e convulsioni. Il coma ipoglicemico causa frequentemente ipotermia. La sintomatologia adrenergica compare di solito in seguito a riduzioni della glicemia acute e meno marcate di quelle che causano l'insorgenza di manifestazioni a carico del SNC, ma i livelli plasmatici ai quali i sintomi di entrambi i tipi fanno la loro comparsa variano molto tra i diversi soggetti.

Diagnosi Sia che il paziente si presenti con manifestazioni a carico del SNC sia con sintomatologia adrenergica, entrambe diversamente inspiegabili, per la diagnosi è necessaria la dimostrazione che i sintomi si verificano in associazione con valori glicemici abnormemente bassi e che regrediscono con l'innalzamento dei livelli plasmatici di glucoso. Viene definito come livello di glicemia abnormemente basso quello < 50 mg/dl (< 2,78 mmol/l) nell'uomo o < 45 mg/dl (< 2,5 mmol/l) nella donna (al di sotto dei limiti inferiori osservati in uomini e donne normali dopo un digiuno di 72 h) e < 40 mg/dl (< 2,22 mmol/l) nei bambini. (v. anche Ipoglicemia nel Cap. 260.) La maggior parte dei casi di ipoglicemia insorge in pazienti trattati con insulina o sulfaniluree o che abbiano assunto recentemente alcol e la diagnosi in questo tipo di pazienti costituisce raramente un problema. Le indagini iniziali comprendono un test glicemico rapido in tutti i pazienti con alterazione inspiegata dello stato di coscienza (o convulsioni). Se si riscontra una glicemia abnormemente bassa, viene somministrato glucoso in infusione rapida (v. Terapia, più avanti); il rapido miglioramento delle manifestazioni a carico del SNC in seguito all'aumento della glicemia (cosa che avviene nella maggior parte dei pazienti) conferma la diagnosi di ipoglicemia a digiuno o da farmaci. Una parte del campione di sangue prelevato all'inizio deve essere conservata come plasma congelato per determinare i livelli iniziali di insulina, proinsulina e peptide C o per eseguire gli esami tossicologici quando necessario. È opportuno eseguire la determinazione della lattacidemia e del pH ematico e la ricerca dei corpi chetonici nel plasma. Le altre cause possono essere identificate con le indagini di laboratorio. I pazienti con tumori pancreatici insulino-secernenti (insulinomi, carcinomi a cellule insulari) di solito presentano un aumento dei livelli di proinsulina e peptide C consensuale al livello di insulina. I pazienti che assumono una sulfanilurea potrebbero avere un livello di peptide C aumentato, ma deve essere dimostrabile l'elevato livello ematico del farmaco. I soggetti con ipoglicemia indotta da iniezioni di insulina esogena (comunemente operatori sanitari o familiari di diabetici) hanno livelli normali di proinsulina e un peptide C soppresso. Nei rari casi di ipoglicemia autoimmune, l'insulina libera plasmatica nel corso dell'episodio ipoglicemico è di solito marcatamente elevata, il peptide C soppresso e gli anticorpi plasmatici anti-insulina facilmente determinabili. La distinzione tra ipoglicemia autoimmune e somministrazione surrettizia di insulina richiede file:///F|/sito/merck/sez02/0130194.html (4 of 6)02/09/2004 2.07.22

Disordini del metabolismo dei carboidrati

l'esecuzione di indagini particolari. I pazienti con insulinoma differiscono da quelli con altre cause di ipoglicemia a digiuno perché essi spesso si rivolgono al medico per episodi isolati di improvvisa confusione mentale o perdita di coscienza che si sono verificati per anni e possono essere diventati più frequenti nell'ultimo periodo. Gli episodi si verificano solitamente a distanza di oltre 6 h dall'ultimo pasto o dopo un digiuno notturno e vengono talvolta precipitati dall'attività fisica (p. es., una passeggiata a ritmo sostenuto prima di colazione). Essi possono risolversi spontaneamente, ma con l'anamnesi si riesce spesso a far emergere una storia di rapido miglioramento in coincidenza con l'assunzione di liquidi o carboidrati. La presenza di un elevato livello plasmatico di insulina (> 6 mU/ml [> 42 pmol/l]) in associazione con l'ipoglicemia è fortemente suggestiva della presenza di un tumore insulinosecernente, se si può escludere l'uso surrettizio di insulina o sulfaniluree. Se non sono evidenti altre cause di comparsa occasionale di sintomatologia a carico del SNC, il paziente viene ricoverato e tenuto a digiuno. Vengono tenuti sotto controllo i livelli plasmatici di glucoso, insulina, proinsulina e peptide C. Entro 48 h il 79% dei pazienti con insulinoma sviluppa la sintomatologia e il 98% la sviluppa entro 72 h. Il digiuno viene sospeso dopo 72 h o al momento dell'insorgenza dei sintomi. Se il digiuno è in grado di riprodurre la sintomatologia del paziente e se essa risponde rapidamente alla somministrazione di glucoso ed è associata a una glicemia abnormemente bassa e a un livello plasmatico di insulina inappropriatamente alto, si può porre una diagnosi presuntiva di tumore insulino-secernente. Ulteriori procedure diagnostiche (p. es., l'infusione EV di tolbutamide) sono raramente necessarie e devono essere utilizzate solo in centri di riferimento con vasta esperienza al riguardo. Gli insulinomi sono in genere troppo piccoli per poter essere identificati con gli esami radiologici standard o la TC. I pazienti nei quali sia stata posta una diagnosi presuntiva devono essere inviati a un centro di riferimento per essere valutati da personale esperto prima di essere sottoposti a qualunque intervento. L'ipoglicemia alimentare deve essere presa in considerazione soltanto nei pazienti precedentemente sottoposti a interventi chirurgici sull'apparato GI superiore e che manifestano sintomatologia adrenergica post-prandiale selettivamente corretta dall'ingestione di carboidrati. Il rapporto tra la sintomatologia e i livelli plasmatici di glucoso viene valutato mediante il controllo domiciliare della glicemia (p. es., 1 e 2 h dopo i pasti e ogni volta che si presentano i sintomi). Il test di tolleranza al carico orale di glucoso (OGTT) non ha validità per la diagnosi di ipoglicemia alimentare.

Terapia L'ingestione orale di glucoso o saccaroso è solitamente sufficiente ad attenuare la sintomatologia adrenergica acuta e i sintomi precoci a carico del SNC. Ai pazienti trattati con insulina o sulfaniluree si consiglia di bere un bicchiere di succo di frutta o di acqua con 3 cucchiai di zucchero e di insegnare ai familiari a somministrare loro tale trattamento qualora mostrassero improvvisamente uno stato confusionale o un comportamento insolito. Anche un bicchiere di latte ottiene bene lo stesso scopo. Ai pazienti trattati con insulina si consiglia di portare sempre con sé zollette di zucchero, caramelle o compresse di glucoso. Nei pazienti trattati con una solfanilurea, particolarmente se a lunga durata d'azione come la clorpropamide, l'ipoglicemia può recidivare periodicamente per molte ore o anche giorni, nel caso in cui l'ingestione di carboidrati sia inadeguata. Quando il glucoso per via orale non è disponibile o non è sufficiente, si possono utilizzare il glucoso o il glucagone EV (v. oltre). L'iniezione EV di 50 o 100 ml di soluzione glucosata al 50% seguita dall'infusione continua di soluzione glucosata al 10% (è possibile dover usare glucosata al 20% o al 30%) può rendersi necessaria in presenza di sintomi gravi o qualora il paziente non possa assumere glucoso per via orale. I livelli ematici di glucoso vengono controllati entro alcuni minuti dall'inizio dell'infusione di soluzione glucosata al 10% e in seguito con una certa frequenza con un glucometer e la velocità di infusione viene di volta in volta regolata in modo da mantenere una file:///F|/sito/merck/sez02/0130194.html (5 of 6)02/09/2004 2.07.22

Disordini del metabolismo dei carboidrati

glicemia normale. Nei bambini con manifestazioni a carico del SNC, il trattamento viene iniziato infondendo soluzione glucosata al 10% a una velocità di 3-5 mg/kg/ min, velocità che viene regolata in modo da ripristinare rapidamente e mantenere un normale livello plasmatico di glucoso. In linea generale, i pediatri non raccomandano l'uso di un bolo EV di soluzione glucosata al 50% o l'impiego di liquidi EV contenenti > 10% di glucoso nella prima e nella seconda infanzia, perché essi possono avere notevoli effetti osmotici e, in alcuni pazienti, possono indurre marcata iperglicemia e spiccata stimolazione della secrezione insulinica. (V. Ipoglicemia nel Cap. 260 per il trattamento dell'ipoglicemia nei neonati e nei bambini piccoli.) Un tumore mesenchimale non insulino-secernente spesso risponde all'escissione chirurgica. Comunque, il paziente può evitare gli episodi di ipoglicemia sintomatica per periodi di tempo relativamente lunghi (talvolta per anni) con l'ingestione frequente di carboidrati al momento di coricarsi e durante la notte. Qualora l'asportazione chirurgica della maggior parte del tumore non sia possibile o qualora il tumore recidivi fino a dimensioni cospicue facendo ricomparire il quadro di ipoglicemia a digiuno, può essere necessario ricorrere alla gastrostomia per la somministrazione continua delle grandi quantità di carboidrati necessarie durante il giorno e la notte. Il glucagone viene utilizzato per trattare le reazioni ipoglicemiche gravi quando la somministrazione orale di glucoso è insufficiente e il glucoso EV non è disponibile. Esso è utile principalmente nelle situazioni di emergenza che si verificano quando non è facilmente raggiungibile una struttura di assistenza sanitaria. Il glucagone viene fornito in una confezione contenente il farmaco in polvere che deve essere ricostituito con un diluente. La dose abituale di glucagone negli adulti va da 0,5 a 1 U somministrata per via sottocutanea, intramuscolare o EV; nei bambini, essa varia fra 0,025 e 0,1 mg/kg (dose massima, 1 mg). Quando il glucagone è efficace, le manifestazioni dell'ipoglicemia regrediscono di solito nel volgere di 10-25 min. Se il paziente non risponde a 1 U di glucagone entro 25 min, è improbabile che ulteriori somministrazioni siano efficaci, quindi esse non sono raccomandate. Gli effetti collaterali principali sono la nausea e il vomito. L'efficacia del glucagone dipende in maniera critica dall'entità delle riserve di glicogeno epatico; il glucagone ha scarso effetto sulla glicemia nei pazienti che siano stati a digiuno o in stato ipoglicemico per un lungo periodo di tempo. Un tumore insulino-secernente delle cellule insulari richiede il trattamento chirurgico. Più frequentemente si tratta di un insulinoma singolo, la cui enucleazione risulta curativa, ma il tumore (o tutti i tumori nel 14% dei casi con insulinomi multipli) può non essere identificato, con il risultato di dover eseguire un nuovo intervento o una pancreasectomia parziale alla cieca. Prima dell'intervento, per inibire la secrezione di insulina si possono utilizzare il diazossido e l'octreotide (un analogo a lunga durata d'azione della somatostatina, costituito da otto aminoacidi). I pazienti con un carcinoma insulino-secernente delle cellule insulari hanno in genere una prognosi sfavorevole. L'ipoglicemia provocata dall'ingestione di fruttoso, galattoso o leucina viene trattata evitando o limitando l'assunzione della sostanza scatenante. L'ipoglicemia alimentare, idiopatica o che insorge dopo un intervento chirurgico sul tratto GI, viene trattata con un'alimentazione costituita da piccoli pasti frequenti ad alto contenuto proteico e basso contenuto glucidico.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS TUMORI ENDOCRINI I tumori endocrini del pancreas si presentano generalmente sotto 2 forme. I tumori non funzionanti possono causare sintomi ostruttivi delle vie biliari o del duodeno, sanguinamenti nel tratto GI o masse addominali. I tumori funzionanti secernono in quantità aumentate un particolare ormone, causando diverse sindromi, inclusa l'ipoglicemia (l'insulinoma ipersecerne l'insulina); la sindrome di Zollinger-Ellison (il gastrinoma ipersecerne la gastrina); il vipoma (iperscrezione del peptide intestinale vasoattivo o delle prostaglandine E ed E2); la sindrome da carcinoide (causata dai tumori carcinoidi, v. Cap. 17); il diabete (il glucagonoma ipersecerne glucagone); la sindrome di Cushing (ipersecrezione di ACTH) e l'iperglicemia lieve con colelitiasi (somatostatinoma). Queste sindromi cliniche si possono presentare, a volte, anche nel contesto delle neoplasie multiendocrine (v. Cap. 10), in cui i tumori o l'iperplasia interessano 2 o più ghiandole endocrine che solitamente sono le paratiroidi, l'ipofisi, la tiroide o le ghiandole surrenali.

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Tumori carcinoidi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 17. TUMORI CARCINOIDI I tumori carcinoidi originano dalle cellule neuroendocrine, particolarmente nel tratto gastrointestinale (90%), nel pancreas e nei bronchi polmonari (v. anche Cap. 34 e 81). Le più comuni localizzazioni gastrointestinali sono lo stomaco, l'ileo e l'appendice, dove essi possono causare dolore, sanguinamento endoluminale e ostruzioni. Nonostante nel complesso siano spesso benigni o solo localmente invasivi, i tumori carcinoidi dell'ileo e dei bronchi sono spesso maligni. I carcinoidi possono essere endocrinologicamente inerti o possono produrre una molteplicità di ormoni diversi. La più comune sindrome endocrinologica è la sindrome da carcinoide, descritta di seguito.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO IPOGLICEMIA Una glicemia < 40 mg/dl (< 2,2 mmol/l) nel neonato a termine, o < 30 mg/dl (< 1,7 mmol/l) nel neonato pretermine. (V. anche Cap. 13)

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e fisiopatologia L’ipoglicemia è dovuta alle scarse riserve di glicogeno presenti alla nascita o a una condizione di iperinsulinismo. Poiché le riserve di glicogeno possono essere ridotte nei neonati prematuri di peso molto basso (Very Low Birth Weight, VLBW), essi possono sviluppare ipoglicemia se non ricevono un prolungato apporto di glucoso dall’esterno. Le riserve di glicogeno sono ridotte anche nei neonati che hanno presentato malnutrizione intrauterina a causa di insufficienza placentare (neonati SGA). Se poi questi neonati hanno presentato anche asfissia perinatale con ipossia, ogni riserva di glicogeno verrà rapidamente consumata durante la glicolisi anaerobia. I neonati che presentano deficit di glicogeno possono diventare ipoglicemici in qualunque momento nei primissimi giorni di vita, specialmente se c’è stato un prolungato intervallo tra i pasti o se l’apporto nutritivo è scarso. L’iperinsulinismo si verifica nel figlio di madre diabetica (in relazione inversa al grado di controllo del diabete), nell’eritroblastosi fetale grave e nella sindrome di Beckwith-Wiedemann (caratterizzata da macroglossia, ernia ombelicale e ipoglicemia). L’iperinsulinismo neonatale determina caratteristicamente una rapida ipoglicemia nelle prime 1-2 h dopo la nascita, quando si è interrotto il continuo passaggio di glucoso dalla placenta. L’ipoglicemia si può anche verificare per una brusca sospensione di una infusione EV di soluzione glucosata.

Sintomi, segni e diagnosi Sebbene molti neonati rimangano asintomatici, possono verificarsi adinamia, scarsa alimentazione, ipotonia, irritabilità, crisi di apnea, tachipnea o convulsioni. Questi segni non sono specifici e possono anche manifestarsi in neonati che sono stati asfittici, che hanno una sepsi o ipocalcemia o hanno presentato una crisi di astinenza da farmaci (p. es., astinenza da narcotici). Le correlazioni tra sintomi, ipoglicemia e conseguente danno neurologico sono inesatte.

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Patologia del neonato e del lattante

Profilassi e terapia Poiché l’ipoglicemia neonatale può determinare un danno neurologico, essa deve essere prevenuta o prontamente trattata. Poiché i neonati di madre con diabete insulino- dipendente spesso sviluppano una ipoglicemia precoce e spesso si alimentano poco, si effettua spesso una infusione EV di SG al 10% alla nascita, così come nei neonati patologici, quelli estremamente pretermine o quelli che presentano un distress respiratorio. Altri neonati non patologici, ma a rischio, devono essere sottoposti a un’alimentazione precoce e frequente con formule che fungono da fonti di carboidrati e di altri nutrienti. Inoltre, in tutti questi bambini bisogna monitorare la glicemia. I test possono essere eseguiti al letto del paziente, utilizzando strisce reattive (p. es., es., Dextrostix, n.d.t.). Comunque, è inesatta nei neonati la determinazione della glicemia capillare utilizzando il metodo enzimatico della glucoso ossidasi. La vera glicemia deve essere determinata in tutti i neonati che presentano livelli leggermente bassi o che presentano sintomi suggestivi di ipoglicemia. Il neonato che sviluppa ipoglicemia sintomatica o la cui glicemia non aumenta rapidamente dopo nutrizione enterale, deve essere trattato immediatamente con infusione EV di soluzione glucosata al 10%, 5 ml/kg in 10 min. L’infusione deve essere poi continuata a una velocità che mantiene 4-8 mg/kg/min di glucoso (p. es., soluzione glucosata al 10%, al dosaggio di circa 60- 120 ml/kg/die). Bisogna sempre monitorare la glicemia per apportare delle modifiche alla velocità dell’infusione. Quando le condizioni cliniche del neonato sono migliorate, si può sostituire gradualmente la terapia infusionale EV con l’alimentazione enterale, monitorando continuamente la glicemia. La terapia infusionale con soluzione glucosata EV va diminuita gradualmente, poiché una brusca interruzione può determinare un’ipoglicemia. Se risulta difficile instaurare rapidamente una infusione di glucoso EV in un neonato con ipoglicemia, il glucagone 100-300 µg/kg IM (dose max 1 mg), in genere, innalzerà rapidamente la glicemia e il suo effetto permarrà per 2-3 h, eccetto che nei neonati con scarse riserve di glicogeno. L’ipoglicemia refrattaria alla infusione di grandi quantitativi di glucoso può essere trattata con idrocortisone 5 mg/kg/die IM suddivisi in 2 somministrazioni. Se l’ipoglicemia è refrattaria al trattamento, bisogna considerare altre cause (p. es., la sepsi) ed effettuare possibilmente uno studio endocrinologico.

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Uso degli steroidi anabolizzanti

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 305. USO DEGLI STEROIDI ANABOLIZZANTI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e prevenzione

Gli steroidi anabolizzanti sono derivati sintetici del testosterone (v. Tab. 305-1). Il testosterone ha effetti androgenici (mascolinizzanti; p. es., modificazioni dei peli o della libido, aggressività) ed effetti anabolizzanti (crescita tissutale; p. es., aumento dell’utilizzo delle proteine, modificazioni della massa muscolare). L’effetto androgenico non può essere disgiunto da quello anabolizzante, ma sono stati sintetizzati steroidi anabolizzanti che riducono al minimo gli effetti androgenici. Evidenze scientifiche e aneddotiche significative indicano che con un allenamento di resistenza e una dieta adeguata, la massa muscolare magra e la forza aumentano maggiormente negli individui che utilizzano steroidi anabolizzanti. Tuttavia, non esiste una prova diretta che l’impiego degli steroidi anabolizzanti aumenti la resistenza o la velocità. Solide evidenze aneddotiche suggeriscono che gli atleti che assumono steroidi anabolizzanti possono sottoporsi ad allenamenti di elevata intensità con una frequenza maggiore, anche se nessuno studio conferma questo effetto e non è conosciuto alcun meccanismo che ne sia alla base. Il miglioramento delle prestazioni atletiche potrebbe essere soltanto una sensazione soggettiva. Negli USA, viene riportata una frequenza di utilizzo di steroidi anabolizzanti del 611% tra i liceali maschi (questa percentuale comprende anche un numero inaspettato di non atleti) e del 2,5% tra le liceali femmine. In un sondaggio nazionale, la motivazione più comune addotta per l’utilizzo di steroidi anabolizzanti è stata il miglioramento della prestazione atletica; la seconda è stata il miglioramento dell’aspetto fisico. L’utilizzatore tipico è un maschio (95%), atleta (65%), solitamente un giocatore di football, un lottatore peso massimo o un sollevatore di pesi. È più probabile che frequenti una scuola metropolitana con più di 700 studenti, che faccia parte di una minoranza studentesca e che si sia procurato gli steroidi rivolgendosi al mercato clandestino (60%). È meno probabile che abbia un genitore che ha completato gli studi superiori. Gli atleti possono assumere steroidi per un certo periodo di tempo, sospenderli e poi riprenderne l’assunzione (assunzione ciclica) diverse volte l’anno. Si ritiene che la sospensione intermittente permetta ai livelli del testosterone endogeno, alla conta spermatica e all’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi di tornare alla normalità. Evidenze aneddotiche suggeriscono che l’assunzione ciclica possa ridurre gli effetti dannosi dei farmaci e la necessità di aumentare le dosi per ottenere l’effetto desiderato. Gli atleti utilizzano di frequente più farmaci contemporaneamente (una pratica chiamata stacking) e alternano le vie di somministrazione (orale, IM o transdermica). L’incremento della dose nel corso di un ciclo (piramidalizzazione) può portare a dosi da 5 a 100 volte superiori a quella fisiologica. Lo stacking e la piramidalizzazione hanno lo scopo di aumentare il legame ai recettori e di ridurre file:///F|/sito/merck/sez22/3052793.html (1 of 3)02/09/2004 2.07.25

Uso degli steroidi anabolizzanti

al minimo gli effetti sfavorevoli, ma questi benefici non sono stati dimostrati. Gli steroidi anabolizzanti hanno anche un impiego medicinale. Poiché sono anticatabolici e migliorano l’utilizzo delle proteine, vengono somministrati ai pazienti ustionati, costretti a letto o altrimenti debilitati per prevenire l’atrofia muscolare.

Sintomi e segni Il segno più caratteristico è un drastico e rapido incremento della massa corporea. Se l’utilizzatore si allena con i pesi e mantiene una dieta ad alto contenuto calorico e proteico durante l’assunzione degli steroidi anabolizzanti, la forza e la massa muscolare di solito aumentano. Negli uomini si verifica anche un aumento delle energie e della libido, ma essi sono più difficili da dimostrare. La sicurezza complessiva degli steroidi anabolizzanti è controversa. Il metiltestosterone 200 mg/sett non produce effetti sfavorevoli (nemmeno sulla personalità), a eccezione di un lieve incremento dell’acne. La maggior parte degli effetti sfavorevoli si verifica soltanto con dosi superiori a 200 mg equivalenti di metiltestosterone alla settimana. Gli effetti dell’impiego a lungo termine non sono stati ancora studiati e non lo sono state neanche le dosi straordinariamente elevate utilizzate da alcuni atleti, specialmente culturisti, che talvolta assumono l’equivalente di diversi grammi di metiltestosterone ogni settimana. Gli effetti psicologici (in genere presenti solo con dosi molto elevate) vengono spesso notati dai familiari; tali effetti comprendono cambiamenti di umore notevoli e irregolari, comportamento irrazionale, aumento dell’aggressività ("rabbia steroidea"), irritabilità, depressione e dipendenza. L’esacerbazione dell’acne, un disturbo comune, è uno dei pochi effetti sfavorevoli per i quali un adolescente può rivolgersi a un medico. Può comparire ittero, indicativo di una disfunzione epatica, ma di solito esclusivamente con gli steroidi anabolizzanti assunti per via orale. Possono verificarsi lesioni muscolotendinee e disfunzione epatica o tumori (benigni e maligni). Negli utilizzatori in età prepubere e pubere, le epifisi ossee possono saldarsi prematuramente, probabilmente riducendo la statura finale. L’ipertensione, l’aumento del colesterolo delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e la riduzione del colesterolo delle lipoproteine ad alta densità (HDL) possono aumentare il rischio cardiovascolare. I maschi possono sviluppare ginecomastia, atrofia testicolare e azoospermia. Alcuni effetti virilizzanti che compaiono nelle femmine possono essere irreversibili, p. es., l’alopecia, l’ipertrofia del clitoride, l’irsutismo e l’abbassamento del timbro della voce. Le dimensioni del seno si possono ridurre, la mucosa vaginale si può atrofizzare, le mestruazioni possono divenire irregolari o cessare, la libido può aumentare o, più raramente, ridursi e possono aumentare l’aggressività e l’appetito.

Diagnosi e prevenzione Un esame delle urine solitamente è in grado di individuare gli utilizzatori di steroidi anabolizzanti. I metaboliti di questi farmaci possono essere identificati nelle urine fino a 6 mesi dopo la loro sospensione (o anche più a lungo per alcuni tipi di steroidi). L’educazione sugli steroidi anabolizzanti dovrebbe cominciare con l’inizio delle scuole medie inferiori. Anche i presidi delle scuole, gli allenatori delle squadre sportive (specialmente di football, di lotta libera, di pallacanestro e di atletica leggera) e i medici scolastici dovrebbero essere istruiti come gli adolescenti e i loro genitori.

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Uso degli steroidi anabolizzanti

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 305-1. STEROIDI ANABOLIZZANTI COMUNEMENTE UTILIZZATI DAGLI ATLETI Orali

Iniettabili (IM)

Etilestrenolo (Maxibolin)*

Boldenone (veterinario) (Equipoise)*

Mesterolone (Proviron)

Esossimestrolo (Enoltestovis)*

Metandrostenolone (Dianabol)*

Metandrostenolone (Dianabol)*

Metenolone (Primobolan)*

Metenolone enantato (Primobolan)

Metiltestosterone (Testovis)

Nandrolone decanoato (DecaDurabolin)

Oxandrolone (Oxandrolone) Oximetolone (Anadrol)*

Nandrolone fenpropionato (Durabolin) *

Stanozololo (Winstrol)*

Stanozolol (veterinario) (Winstrol V)* Stenbolone (Anatrofin)* Testosterone cipionato (DepoTestosterone)* Testosterone enantato (Testo Enant) Testosterone: esteri in associazione (Sustanon) Testosterone nicotinato (Bolfortan)* Therobolin* Trenbolone (Finajet)* Trofobolene*

*Non disponibile in Italia

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Nomi commerciali di alcuni farmaci di uso comune

Manuale Merck 22. FARMACOLOGIA CLINICA 306. NOMI COMMERCIALI DI ALCUNI FARMACI DI USO COMUNE All’interno del Manuale vengono utilizzati ogni volta che è possibile i nomi generici dei farmaci (non quelli delle specialità medicinali). La maggior parte dei farmaci soggetti a prescrizione ha un nome commerciale (detto anche di proprietà, di marca o di specialità) per distinguere il fatto che sono stati prodotti e commercializzati da una determinata ditta. Negli USA, questi nomi sono solitamente registrati come marchio di fabbrica presso il Patent Office, che garantisce determinati diritti legali per la loro utilizzazione. Un nome commerciale può essere registrato per un prodotto contenente un singolo principio attivo (con o senza eccipienti) o due o più principi attivi (farmaci di associazione). Una sostanza chimica registrata da diversi produttori può avere diversi nomi commerciali. Un farmaco può essere messo in commercio con diversi nomi commerciali in paesi diversi. I nomi commerciali sono reperibili in numerose pubblicazioni e vengono usati estensivamente nella medicina clinica. Per praticità, la Tab. 306-1 elenca i nomi commerciali della maggior parte dei farmaci nominati nel Manuale, soprattutto quelli commercializzati negli USA. La tabella non è onnicomprensiva e non elenca tutti i nomi commerciali di ciascun farmaco. Alcuni dei farmaci inclusi nella tabella sono sperimentali e potrebbero essere approvati dalla FDA nei prossimi anni. L’inclusione di un farmaco non indica l’approvazione del suo impiego per qualsiasi indicazione, né implica l’efficacia o la sicurezza della sua azione. L’inserimento di un nome commerciale nella Tab. 306-1 non è indice di una sponsorizzazione né di una preferenza da parte del Manuale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 306-1. ALCUNI NOMI COMMERCIALI DI FARMACI DI USO COMUNE Principio attivo

Nomi commerciali

Acarboso

GLUCOBAY

Acebutololo

SECTRAL

Acetaminofene

V. Paracetamolo

Acetazolamide

DIAMOX

Acetilcisteina

FLUIMUCIL

Acetoesamide (USA)

DYMELOR

Acetofenazina (USA)

TINDAL

Aciclovir

ZOVIRAX

Acido acetoidrossamico (USA)

LITHOSTAT

Acido aminocaproico

CAPROLISIN

Acido cromoglicico

GASTROFRENAL, GLICACIL, LOMUDAL

Acido etacrinico

EDECRIN

Acido etidronico

ETIDRON

Acido meclofenamico

LENIDOLOR

Acido mefenamico

LYSALGO

Acido nalidixico

NEG-GRAM

Acido salicil salicilico (USA)

DISALCID, SALFLEX

Acido valproico

DEPAKIN

ACTH

V. Corticotropina

Adenosina

ADENOSCAN, KRENOSIN

Alazepam

PAXIPAM

Albuterolo

V. Salbutamolo

Allopurinolo

ZYLORIC

Aloperidolo

HALDOL, SERENASE

Aloprogina

HALOTEX

Alprazolam

XANAX

Amantadina

MANTADAN

Amfotericina B

FUNGIZONE

Amifostina

ETHYOL

Amikacina

BB-K8

Amiloride* (USA)

MIDAMOR

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Manuale Merck - Tabella

Aminofillina

AMINOMAL, TEFAMIN

Amiodarone

CORDARONE

Amitriptilina

LAROXYL, TRIPTIZOL

Amlodipina

NORVASC

Amoxapina (USA)

ASENDIN

Amoxicillina

VELAMOX, ZIMOX

Amoxicillina/ ac. clavulanico

AUGMENTIN

Ampicillina

AMPIPLUS, AMPLITAL, PENTREXIL

Amrinone

INOCOR

Anisotropina (USA)

VALPIN 50

Anthralin (USA)

ANTHRADERM

Asparaginasi (USA)

ELSPAR

Astemizolo

HISMANAL

Atenololo

TENORMIN

Atorvastatina

LIPITOR

Atovaquone

WELLVONE

Auranofin

RIDAURA

Azatioprina

AZATIOPRINA

Azitromicina

ZITROMAX

Azlocillina (USA)

AZLIN

Aztreonam

AZACTAM

Baclofene

LIORESAL

Beclometasone

CLENIL, TUR BINAL

Benazepril

TENSANIL

Benzilpenicillina

DIAMINOCILLINA, PENICILLINA G

Benzilpenicilloilpolilisina (USA)

PRE-PEN

Benzonatato (USA)

TESSALON

Benzquina mide (USA)

EMETE-CON

Benztropina (USA)

COGENTIN

Bepridil (USA)

VASCOR

Beractant (USA)

SURVANTA

Beta-carotene* (USA)

SOLATENE

Betametasone

BENTELAN, CELESTONE, ECOVAL

Betanecolo

URECHOLINE

Betaxololo

BETOPTIC, KERLON

Bisacodil

DULCOLAX

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Manuale Merck - Tabella

Bisoprololo

CONCOR

Bitolterolo

ASMALENE

Bleomicina

BLEOMICINA

Bretilio (USA)

BRETYLOL

Bromfeniramina (USA)

DIMETANE

Bromocriptina

PARLODEL

Budesonide

BIDIEN

Bumetanide

FONTEGO

Bupropion (USA)

WELLBUTRIN

Buspirone

BUSPAR

Busulfano

MYLERAN

Butorfanolo† (USA)

STADOL

Calcifediolo

DIDROGYL

Calcitonina di salmone

OSTEOTONINA

Calcitonina umana

CIBACALCIN

Calcitriolo

ROCALTROL

Capreomicina (USA)

CAPASTAT

Capsaicina (USA)

ZOSTRIX

Captopril

CAPOTEN

Carbamazepina

TEGRETOL

Carbenicillina‡ (USA)

GEOCILLIN

Carbidopa- levodopa

SINEMET

Carbinoxamina* (USA)

CLISTIN

Carboprost (USA)

HEMABATE

Carmustina (USA)

BCNU

Carteololo

CARTEOL

Carvedilolo

CARVIPRESS

Cefacloro

PANACEF

Cefadroxil

CEFADRIL, CEPHOS

Cefalexina

CEPOREX, KEFORAL

Cefamandolo

MANDOKEF

Cefapirina (USA)

CEFADYL

Cefazolina

CEFAMEZIN, TOTACEF, ZOLIN

Cefixima

SUPRAX

Cefonicid

MONOCID

Cefoperazone

CEFOPER

Ceforanide (USA)

PRECEF

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (3 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Cefotaxima

CLAFORAN

Cefotetan

APATEF

Cefoxitina

MEFOXIN

Cefprozil

CRONOCEF, PROCEF

Cefradina

CITICEF, LISACEF

Ceftazidima

CEFTIM, GLAZIDIM, SPECTRUM

Ceftizoxima

EPOSERIN

Ceftriaxone

ROCEFIN

Cefuroxima

CUROXIM, DELTACEF, LIFUROX

Chenodiol (USA)

CHENIX

Chinidina

NATICARDINA, RITMOCOR

Ciclandelato

CICLOSPASMOL

Ciclizina (USA)

MAREZINE

Ciclobenzapri na

FLEXIBAN

Ciclofosfamide

ENDOXAN

Ciclopentolato

CICLOLUX

Cicloserina

CICLOSERINA (Formulario Nazionale)

Ciclosporina

SANDIMMUN

Cidofovir

VISTIDE

Cimetidina

TAGAMET

Ciproeptadina

PERIACTIN

Ciprofloxacina

CIPROXIN, FLOCIPRIN

Cisapride

PREPULSID

Cisplatino

CITOPLATINO

Citarabina

ARACYTIN

Claritromicina

KLACID

Clemastina

TAVEGIL

Clindamicina

DALACIN

Clofazimina (USA)

LAMPRENE

Clofibrato‡ (USA)

ATROMID-S

Clomifene

CLOMID

Clomipramina

ANAFRANIL

Clonazepam

RIVOTRIL

Clonidina

CATAPRESAN

Cloralio idrato§

CLORALIO IDRATO (Tariffario Nazionale)

Clorambucil

LEUKERAN

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (4 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Cloramfenicolo

CHEMICETINA

Clorazepato

TRANSENE

Clordiazepossi do

LIBRIUM

Clorexidina

HIBISCRUB

Clorfenamina

TRIMETON

Clorfeniramina

V. Clorfenamina

Clormezanone (USA)

TRANCOPAL

Clorotrianisene (USA)

TACE

Clorpromazina

LARGACTIL

Clorpropamide

DIABEMIDE

Clortalidone

IGROTON

Clotrimazolo

CANESTEN

Cloxacillina

CLOXACILLINA SODICA

Clozapina

LEPONEX

Colestipolo (USA)

COLESTID

Colestiramina

QUESTRAN

Corticotropina (ACTH)‡ (USA)

ACTHAR

Cortisolo

V. Idrocortisone

Cosintropina

V. Tetracosactide

Cotrimoxazolo

V. Trimetoprim- sulfametoxazolo

Dacarbazina

DETICENE

Dactinomicina

COSMEGEN

Danazolo

DANATROL

Dantrolene

DANTRIUM

Daunorubicina

DAUNOBLASTINA

Deferoxamina

DESFERAL

Delavirdina (USA)

RESCRIPTOR

Demeclociclina

LEDERMICINA

Desametasone

DECADRON, VISUMETAZONE

Desclorfeni ramina

POLARAMIN

Desipramina

NORTIMIL

Desmopressina

EMOSINT, MINIRIN

Destrometorfano

FORMITROL

Destropro poxifene

LIBEREN

Diazepam

VALIUM

Diazossido

HYPERSTAT, PROGLICEM

Diciclomina (USA)

BENTYL

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (5 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Diclofenac

NOVAPIRINA, VOLTAREN

Dicloxacillina

DICLÓ

Didanosina

VIDEX

Dietilpropione (USA)

TENUATE, TEPANIL

Difenidolo (USA)

VONTROL

Difenidramina

DIFENIDRAMINA CLORIDRATO

Difenoxilato- atropina

REASEC

Diflunisal

DOLOBID

Digitossina

DIGITOSSINA

Digossina

LANOXIN

Diidrotachisterolo

AT

Diltiazem

ALTIAZEM, TILDIEM

Dimercaprolo

BAL BOOTS

Dinoprost (USA)

PROSTIN F2 ALPHA

Dinoprostone

PROSTIN E2

Dipiridamolo

PERSANTIN

Dipivefrina

PROPINE

Disopiramide

RITMODAN

Disulfiram

ANTABUSE

Divalproex (USA)

DEPAKOTE

Dobutamina

DOBUTREX

Docusato* (USA)

COLACE

Dopamina

REVIVAN

Dornase alfa

PULMOZYME

Dorzolamide

TRUSOPT

Doxazosin

CARDURA

Doxepina (USA)

SINEQUAN, ZONALON

Doxiciclina

BASSADO

Doxorubicina

ADRIBLASTI NA

Dronabinolo (USA)

MARINOL

Droperidolo

SINTODIAN

Ecotiofato (USA)

PHOSPHOLINE

Edrofonio (USA)

TENSILON

Enalapril

ENAPREN

Encainide (USA)

ENKAID

Enoxacina

ENOXEN

Enoxaparina

CLEXANE

Epoetina alfa

EPREX, GLOBUREN

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (6 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Ergocalciferolo

OSTELIN

Eritromicina

ERITROCINA, LAUROMICINA, ZALIG

Esmololo (USA)

BREVIBLOC

Estazolam

ESILGAN

Estrogeni coniugati

PREMARIN

Etambutolo

MIAMBUTOL

Etidronato

V. Acido etidronico

Etodolac

LODINE

Etoposide

VEPESID

Etretinato

TIGASON

Famciclovir (USA)

FAMVIR

Famotidina

FAMODIL

Fattore IX concentrato

AIMAFIX, BEBULIN

Felodipina

PLENDIL

Fenacemide (USA)

PHENURONE

Fenazopiridina (USA)

PYRIDIUM

Fenelzina (USA)

NARDIL

Fenfluramina (USA)

PONDIMIN

Fenilbutazone

FENILBUTAZONE, KADOL

Fenilefrina

NEOSYNEPHRINE

Fenitoina

AURANTIN

Fenmetrazina (USA)

PRELUDIN

Fenobarbital

LUMINALE

Fenoprofene

FEPRON

Fenossibenzamina (USA)

DIBENZYLINE

Fenossimetil penicillina

FENOSPEN

Fensuccimide (USA)

MILONTIN

Fentanil

DUROGESIC

Fentermina (USA)

IONAMIN

Fentolamina (USA)

REGITINE

Ferro maltoso

INTRAFER

Fexofenadina

TELFAST

Filgrastim

NEUPOGEN

Finasteride

PROSCAR

Fitomenadione

KONAKION

Fitonadione

V. Fitomenadione

Flecainide

ALMARYTM

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (7 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Flucitosina

ANCOTIL

Fluconazolo

DIFLUCAN

Fludrocortisone‡ (USA)

FLORINEF

Flufenazina

ANATENSOL, MODITEN

Flunisolide

SYNTARIS

Fluocinolone

LOCALYN

Fluocinonide

TOPSYN

Fluoxetina

PROZAC

Fluoximesterone

HALOTESTIN

Flurandrenolide (USA)

CORDRAN

Flurazepam

DALMADORM

Flurbiprofene

FROBEN, OCUFEN

Fluvastatina

LESCOL

Foscarnet

FOSCAVIR

Fosinopril

FOSIPRES

Furosemide

LASIX

Gabapentin

NEURONTIN

Gammabenzene esacloride

V. Lindano

Ganciclovir

CITOVIRAX

Gemfibrozil

LOPID

Gentamicina

GENTALYN

Glibenclamide

DAONIL, EUGLUCON

Gliburide (USA)

DIABETA, MICRONASE

Glipizide

MINIDIAB

Granisetrone

KYTRIL

Griseofulvina

FULCIN, GRISEOFULVINA, GRISOVINA

Guaifenesina

RESYL

Guanabenz (USA)

WYTENSIN

Guanadrel (USA)

HYLOREL

Guanetidina

VISUTENSIL

Guanfacina (USA)

TENEX

Ibuprofene

ANTALGIL, BRUFEN, MOMENT

Idoxuridina

IDUSTATIN

Idralazina‡ (USA)

APRESOLINE

Idrochinone (USA)

ELDOQUIN

Idroclorotiazide

ESIDREX, IDROCLOROTIAZIDE

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (8 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Idrocortisone

FLEBOCORTID, FOILLE, SOLUCORTEF

Idromorfone (USA)

DILAUDID

Idrossiprogest erone

PROLUTON

Idrossiurea (USA)

HYDREA

Idroxiclorochi na

PLAQUENIL

Idroxizina

ATARAX

Ifosfamide

HOLOXAN

Imipenem-cil astatina

IMIPEM

Imipramina

TOFRANIL

Immunoglobulina umana tetanica

IMMUNOTETAN, TETUMAN

Indapamide

NATRILIX

Indinavir

CRIXIVAV

Indometacina

INDOCID

Insulina

HUMALOG, HUMULIN, PROTAPHANE

Ipratropio

ATEM, ATROVENT

Isoetarina (USA)

BRONKOSOL

Isoniazide

NICIZINA, NICOZID

Isoprenalina

ISOPRENALINA

Isopropamide* (USA)

DARBID

Isoproterenolo

V. Isoprenalina

Isosorbide

CARVASIN, DINIKET, MONOCINQUE

Isotretinoina

ROACCUTAN

Isradipina

LOMIR

Itraconazolo

SPORANOX

Kanamicina

KANAMICINA

Ketoconazolo

NIZORAL

Ketoprofene

FASTUM, ORUDIS

Ketorolac

LIXIDOL, TORADOL

Labetalolo

AMIPRESS, TRANDATE

Lamivudina

EPIVIR

Lamotrigina

LAMICTAL

Lansoprazolo

LANSOX

Latanoprost

XALATAN

Lattuloso

DUPHALAC, LAEVOLAC

Levallorfano (USA)

LORFAN

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (9 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Levamisolo (USA)

ERGAMISOL

Levarterenolo

V. Noradrenalina

Levodopa- benserazide

MADOPAR

Levotiroxina (T4)

EUTIROX

Lidocaina

XYLOCAINA

Lincomicina

LINCOCIN

Lindano (USA)

KWELL

Liotironina (T3)

TITRE

Liotrix (USA)

EUTHROID, THYROLAR

Lipressina (USA)

DIAPID

Lisinopril

PRINIVIL, ZESTRIL

Litio

CARBOLITHIUM

Lomefloxacina

MAXAQUIN

Lomustina

BELUSTINE

Loperamide

IMODIUM

Loratadina

CLARITYN

Lorazepam

TAVOR

Losartan

LORTAAN

Lovastatina (USA)

MEVACOR

Loxapina (USA)

LOXITANE

Mafenide (USA)

SULFAMYLON

Maprotilina

LUDIOMIL

Mazindolo (USA)

MAZANOR, SANOREX

Mebendazolo

VERMOX

Mecloretamina (USA)

MUSTARGEN

Meclozina‡ (USA)

ANTIVERT, BONINE

Medros siprogesterone

PROVERA

Mefenitoina (USA)

MESANTOIN

Megestrolo

MEGACE

Melfalan

ALKERAN

Menadiolo

VITAMINA K

Menotropina

PERGOGREEN

Meperidina

V. Petidina

Meprobamato

QUANIL

Mercaptopurina

PURINETHOL

Mesalazina

ASACOL, CLAVERSAL

Mesoridazina (USA)

SERENTIL

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (10 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Metamfetami na (USA)

DESOXYN

Metandros tenolone (USA)

DIANABOL

Metaprotereno lo

V. Orciprenalina

Metaraminolo (USA)

ARAMINE

Metdilazina (USA)

TACARYL

Metenamina (USA)

HIPREX, MANDELAMINA

Metformina

GLUCOPHAGE

Meticillina

STAFICYN

Metildopa

ALDOMET

Metilfenidato (USA)

RITALIN

Metilpredniso lone

MEDROL

Metiltestoster one

TESTOVIS

Metimazolo

V. Tiamazolo

Metirapone (USA)

METOPIRONE

Metisergide

DESERRIL

Metocarbamo lo (USA)

ROBAXIN

Metoclopra mide

PLASIL

Metolazone

ZAROXOLYN

Metoprololo

LOPRESOR

Metotrexato

METHOTREXATE

Metotrime prazina (USA)

LEVOPROME

Metoxsalene

OXSORALEN

Metronidazolo

FLAGYL

Metsuccimide (USA)

CELONTIN

Mexiletina

MEXITIL

Mezlocillina

BAYPEN

Mibefradil (USA)

POSICOR

Miconazolo

DAKTARIN, MICOTEF

Milrinone (USA)

PRIMACOR

Minociclina

MINOCIN

Minoxidil

LONITEN, REGAINE

Misoprostolo

CYTOTEC

Mitomicina

MITOMYCIN

Mitotano (USA)

LYSODREN

Mitramicina (USA)

MITHRACIN

Molindone (USA)

MOBAN

Morfina

MS CONTIN

Moxalactam (USA)

MOXAM

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (11 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Nabumetone

NABUSER

Nadololo

CORGARD

Nafcillina (USA)

UNIPEN

Nalbufina (USA)

NUBAIN

Naloxone

NARCAN

Naltrexone

NALOREX

Nandrolone

DECA-DURABOLIN

Naproxene

NAPROSYN, XENAR

Nedocromil

TILADE

Nefazodone

RESERIL

Nelfinavir

VIRACEPT

Neostigmina

PROSTIGMINA

Nevirapina

VIRAMUNE

Nicardipina

NICARDAL

Niclosamide

YOMESAN

Nicotina

NICORETTE, NICOTINELL

Nifedipina

ADALAT, NIFEDICOR

Nimodipina

NIMOTOP

Nistatina

MYCOSTATIN, NISTATINA

Nitrofurantoina

FURADANTIN, MACRODANTIN

Nitroprussiato (USA)

NIPRIDE

Nizatidina

NIZAX, CRONIZAT

Noradrenalina

NORADRENALINA

Norepinefrina

V. Noradrenalina

Norfloxacina

NOROXIN

Nortriptilina

VIVIDYL

Octreotide

LONGASTATINA, SANDOSTATINA

Ofloxacina

OFLOCIN

Olanzapina

ZYPREXA

Olsalazina

DIPENTUM

Omeprazolo

ANTRA, LOSEC, MEPRAL, OMEPRAZEN

Ondansetrone

ZOFRAN

Orciprenalina

ALUPENT

Oro

AUROSULFO

Oxacillina

PENSTAPHO

Oxamnichina (USA)

VANSIL

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (12 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Oxandrolone

OXANDROLONE

Oxaprozina (USA)

DAYPRO

Oxazepam

SERPAX

Oxibutinina

DITROPAN

Oximetazolina

ACTIFED, NASIVIN

Oxitocina

SYNTOCINON

Paclitaxel

TAXOL

Pamidronato

AREDIA

Pancrelipasi

PANCREASE, PANCREX

Pancuronio

PAVULON

Papaverina

PAPAVERINA

Paracetamolo

TACHIPIRINA

Parametadione (USA)

PARADIONE

Parametasone (USA)

HALDRONE

Pargilina (USA)

EUTONYL

Paromomicina

HUMATIN

Paroxetina

SEREUPIN

Penbutololo (USA)

LEVATOL

Penciclovir

VECTAVIR

Penicillamina

PEMINE

Penicillina G

V. Benzilpenicillina

Penicillina V

V. Fenossimetil penicillina

Penicilloil polilisina

V. Benzilpenicilloil polilisina

Pentamidina

PENTACARINAT, PNEUMOPENT

Pentazocina

TALWIN

Pentobarbital‡ (USA)

NEMBUTAL

Pentoxifillina

TRENTAL

Perfenazina

TRILAFON

Pergolide

NOPAR

Petidina

PETIDINA

Pindololo

VISKEN

Piperacillina

AVOCIN

Pipobromano

VERCITE

Pirantel

COMBANTRIN

Piridostigmina

MESTINON

Pirimetamina* (USA)

DARAPRIM

Piroxicam

FELDENE, RIACEN

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (13 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Pirvinio

VANQUIN

Plicamicina (USA)

V. Mitramicina

Pralidossima

CONTRATHION

Pravastatina

PRAVASELECT

Prazepam

PRAZENE

Praziquantel (USA)

BILTRICIDE

Prazosin‡ (USA)

MINIPRESS

Prednisolone

METICORTELONE, SOLUDACORTIN

Prednisone

DELTA CORTENE

Primidone

MYSOLINE

Probenecid

PROBENECID

Probucolo (USA)

LORELCO

Procaina

LENIDENT

Procainamide

PROCAINAMIDE, PROCAMIDE

Procarbazina

NATULAN

Prociclidina

KEMADRIN

Proclorperazina

STEMETIL

Promazina

TALOFEN

Prometazina

FARGAN

Propafenone

RYTMONORM

Propantelina* (USA)

PRO-BANTHINE

Proparacaina (USA)

OPHTHAINE, OPHTHETIC

Propiomazina (USA)

LARGON

Propoxifene

V. Destropropoxifene

Propranololo

INDERAL

Protriptilina (USA)

VIVACTIL

Pseudoefedrina

NARIXAN, SUDAFED

Quazepam

QUAZIUM

Quetiapina (USA)

SEROQUEL

Quinacrina (USA)

ATABRINE

Quinapril

ACCUPRIN

Quinetazone (USA)

HYDROMOX

Raloxifene (USA)

EVISTA

Ramipril

TRIATEC

Ranitidina

RANIDIL, ZANTAC

Reteplase

RAPILYSIN

Ribavirina

VIRAMID

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (14 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Rifabutina

MYCOBUTIN

Rifampicina

RIFADIN, RIFAPIAM

Rimantadina (USA)

FLUMADINE

Risperidone

RISPERIDAL

Ritodrina

MIOLENE

Ritonavir

NORVIR

Salazopirina

V. Sulfasalazina

Salbutamolo

VENTOLIN, VOLMAX

Salmeterolo

SEREVENT

Salsalato (USA)

V. Acido salicilsalicilico

Saquinavir

INVIRASE

Sargramostim (USA)

LEUKINE

Secobarbital‡ (USA)

SECONAL

Selegilina

EGIBREN

Selenio

SELSUN

Sertralina

ZOLOFT

Sibutramina (USA)

MERIDIA

Siero immune antitetanico

V. Immunoglobulina umana tetanica

Sildenafil

VIAGRA

Simeticone

MYLICON

Simvastatina

SINVACOR, ZOCOR

Somatrem (USA)

PROTROPIN

Somatropina

HUMATROPE

Sotalolo

SOTALEX

Spectinomicina

TROBICIN

Spironolattone

ALDACTONE

Stanozololo (USA)

WINSTROL

Stavudina

ZERIT

Streptochinasi

STREPTASE

Streptozocina (USA)

ZANOSAR

Sucralfato

SUCRAMAL

Sulfadiazina argentica

SOFARGEN

Sulfametoxazolo* (USA)

GANTANOL

Sulfasalazina

SALAZOPYRIN

Sulfinpirazone

ENTUREN

Sulfisoxazolo (USA)

GANTRISIN

Sulindac

CLINORIL

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (15 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Sumatriptan

IMIGRAN

Suprofene (USA)

PROFENAL

Tacrine (USA)

COGNEX

Tacrolimus

PROGRAF

Tamoxifene

NOLVADEX

Tamsulosina

OMNIC

Temazepam

NORMISON

Teofillina

AMINOMAL, THEO-DUR

Terazosina

ITRIN, URODIE

Terbutalina

BRICANYL

Testolattone (USA)

TESLAC

Testosterone

ANDRIOL, TESTOVIRON

Tetraciclina

AMBRACICLINA, TETRACICLINA

Tetracosactide

CORTROSYN, SYNACTHEN

Tiabendazolo

TIABENDAZO LO

Tiamazolo

TAPAZOLE

Ticarcillina* (USA)

TICAR

Ticlopidina

TIKLID

Tietilperazina

TORECAN

Timololo

BLOCADREN, TIMOPTOL

Tioridazina

MELLERIL

Tiotixene (USA)

NAVANE

Tirotropina (USA)

THYTROPAR

Tobramicina

NEBICINA, TOBREX

Tocainide (USA)

TONOCARD

Tolazamide (USA)

TOLINASE

Tolazolina (USA)

PRISCOLINE

Tolbutamide* (USA)

ORINASE

Tolmetina (USA)

TOLECTIN

Tolnaftato

TINADERM

Torsemide (USA)

DEMADEX

Tramadolo

CONTRAMAL

Trandolapril

ZEDDAN

Tranilcipromina* (USA)

PARNATE

Trazodone

TRITTICO

Tretinoina

RETIN-A

Triacetina (USA)

ENZACTIN

file:///F|/sito/merck/tabelle/30601.html (16 of 18)02/09/2004 2.07.29

Manuale Merck - Tabella

Triamcinolone

IPERCORTIS, LEDERCORT, KENACORT- A

Triamterene* (USA)

DYRENIUM

Triazolam

HALCION

Triclofos (USA)

TRICLOS

Trientine (USA)

SYPRINE

Triesifenidile

ARTANE

Trifluoperazina

MODALINA

Triflupromazina (USA)

VESPRIN

Trifluridina

TRIHERPINE

Trimeprazina (USA)

TEMARIL

Trimetadione (USA)

TRIDIONE

Trimetafano (USA)

ARFONAD

Trimetobenza mide (USA)

TIGAN

Trimetoprim

ABAPRIM

Trimetoprim-sulfametoxazolo

BACTRIM, CHEMITRIM

Trimipramina

SURMONTIL

Tripelennamina* (USA)

PBZ

Troglitazone (USA)

REZULIN

Trometamina (USA)

THAM

Tropicamide

VISUMIDRIATIC

Valaciclovir

TALAVIR, ZELITREX

Valsartan

TAREG

Vancomicina

VANCOCINA

Vasopressina (USA)

PITRESSIN

Venlafaxina

EFEXOR

Verapamil

ISOPTIN, QUASAR

Vidarabina (USA)

VIRA-A

Vinblastina

VELBE

Vincristina

VINCRISTINA

Warfarin

COUMADIN

Zafirlukast

ACCOLEIT

Zalcitabina

HIVID

Zidovudina

RETROVIR

Zileuton (USA)

ZYFLO

Zolmitriptan

ZOMIG

Zolpidem

STILNOX

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Manuale Merck - Tabella

*Disponibile in Italia solo in associazione. † Sostanza medicinale "stupefacente" non presente nei medicinali in commercio pubblicati nell'Informatore Farmaceutico italiano. ‡ Sostanza medicinale non presente nei medicinali in commercio pubblicati nell'Informatore Farmaceutico italiano, ma contemplata nella Farmacopea Europea. § Sostanza iscritta nella Tabella 3 della Farmacopea Italiana (sostanze da tenere in armadio chiuso a chiave).

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 129. MEDICINA TRASFUSIONALE COMPLICANZE Sommario: Introduzione REAZIONI EMOLITICHE REAZIONE ACUTA EMOLITICA TRASFUSIONALE Sintomi e segni Profilassi e terapia REAZIONE EMOLITICA TRASFUSIONALE TARDIVA REAZIONI FEBBRILI REAZIONI ALLERGICHE SOVRACCARICO CIRCOLATORIO LESIONE ACUTA POLMONARE EMBOLIA GASSOSA TOSSICITÁ DA CITRATO E K+ MALATTIA DEL TRAPIANTO VERSO L'OSPITE COMPLICANZE DELLA TRASFUSIONE MASSIVA CONTAMINAZIONE BATTERICA TRASMISSIONE DI MALATTIE VIRALI INFEZIONI DI PARASSITI AFFINITÀ PER L’OSSIGENO

Se compare un evento indesiderato (diverso dall’orticaria localizzata) che sembra essere in rapporto con la trasfusione, questa deve essere interrotta immediatamente, la via venosa dovrebbe essere mantenuta aperta con soluzione salina normale e si deve provvedere a notificare l’accaduto al centro trasfusionale per iniziare un’indagine. L’unità in questione non deve essere riutilizzata e la trasfusione di qualsiasi unità fornita in passato non deve essere iniziata. A meno che la necessità sia urgente, ogni altra trasfusione deve essere ritardata fino a che la causa della reazione non sia stata conosciuta. GR O-negativi devono essere utilizzati se una trasfusione immediata è necessaria prima del completamento delle indagini.

REAZIONI EMOLITICHE L’emolisi dei GR del donatore o del ricevente (di solito del primo) durante o dopo una trasfusione può derivare da una incompatibilità ABO/ Rh, da incompatibilità plasmatica, da GR emolizzati o fragili (p. es., per sovrariscaldamento del sangue conservato o per contatto con inappropriate soluzioni EV) o iniezioni di soluzioni non isotoniche. La reazione è gravissima quando i GR di donatore incompatibile sono emolizzati da un anticorpo nel plasma del ricevente.

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Medicina trasfusionale

REAZIONE ACUTA EMOLITICA TRASFUSIONALE L’incompatibilità ABO è la più frequente causa di reazione acuta emolitica trasfusionale (RAET). Anticorpi contro antigeni di gruppo diversi da quelli ABO possono anche causare la RAET. Un’errata etichettatura del campione pretrasfusionale al momento della raccolta o la mancata identificazione del corretto ricevente immediatamente prima della trasfusione sono le cause usuali, non un errore del laboratorio. Quindi, per indagare una sospetta RAET, uno dei primi test da eseguire è il ricontrollo degli identificativi del campione e del paziente. Se c’è qualsiasi confusione concernente il tipo ABO di un paziente, dovrebbero essere trasfusi concentrati di GR di tipo O, fino a quando la discrepanza non sia stata risolta.

Sintomi e segni La gravità della RAET dipende dal grado di incompatibilità, dalla quantità di sangue somministrato, dalla velocità di somministrazione e dallo stato funzionale dei reni, del fegato e del cuore. Una fase acuta di solito si sviluppa in 1 ora dall’inizio della trasfusione, ma può verificarsi tardivamente, durante o immediatamente dopo la trasfusione. L’esordio è in genere acuto; il paziente può lamentare malessere e ansietà oppure può non avvertire alcun disturbo. Può accusare difficoltà respiratoria, febbre e brividi, arrossamento al volto e forte dolore soprattutto nella regione lombare. Possono comparire i segni dello shock, con polso debole e frequente, cute fredda e sudata, dispnea, caduta della PA, nausea e vomito. Può comparire Hb libera nel plasma e nelle urine; in maniera corrispondente, i livelli di aptoglobina sono molto bassi o non misurabili. Seguono innalzamento della bilirubina sierica e ittero clinico. Le RAET possono anche manifestarsi nel corso di anestesia generale; in tal caso la quasi totalità dei sintomi è mascherata. L’unico segno può essere rappresentato da un’emorragia irrefrenabile dalla sede dell’incisione chirurgica o dalle mucose, causata da una concomitante sindrome da coagulazione intravascolare disseminata. Dopo la fase acuta si possono avere diversi sviluppi: nessun disturbo ulteriore; oliguria transitoria con lieve iperazotemia, seguita da un completo recupero della funzione renale; oppure oliguria più persistente e quindi, talora, anuria e uremia, con morte in 5-14 giorni, se il paziente non viene precocemente trattato. La prognosi dipende soprattutto dalla gravità della reazione. La guarigione è in genere segnata dal ripristino della diuresi con eliminazione delle scorie azotate trattenute. È raro un danno renale consistente e irreversibile. Una prolungata oliguria e lo shock sono cattivi segni prognostici.

Profilassi e terapia La RAET è prevenuta nel migliore dei modi attraverso un attento controllo della compatibilità e della correttezza del componente ematico così come dell’identificazione del ricevente. Se è sospettata una RAET, la trasfusione deve essere sospesa e iniziata immediatamente una terapia di supporto. L’obiettivo della terapia iniziale è quello di raggiungere e mantenere una adeguata PA e un buon flusso renale. Una fluidoterapia iniziale consiste nella somministrazione EV di soluzione fisiologica. Un nefrologo deve essere consultato il più tempestivamente possibile, particolarmente se non si verifica alcuna risposta ai diuretici nelle 2-3 ore successive all’inizio della terapia. Questo può indicare una necrosi tubulare acuta e un’ulteriore terapia con liquidi e diuretici può essere controindicata. L’iniziale terapia diuretica consiste nella furosemide, 40-80 mg (da 1 a 2 mg/kg file:///F|/sito/merck/sez11/1290960.html (2 of 7)02/09/2004 2.07.32

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nei bambini), poi modificata in base alla risposta. Nel primo giorno deve essere mantenuto un flusso urinario > 100 ml/h. Il mannitolo, un diuretico osmotico, può essere somministrato in bolo EV alla dose di 20 g (p. es., 100 ml/min di una soluzione al 20%) e continuato a 10-15 ml/min fino a che 1000 ml (200 g) non siano stati infusi. Farmaci antiipertensivi devono essere somministrati con cautela e farmaci pressori che riducono il flusso ematico renale sono controindicati. Tipicamente va somministrata dopamina a una dose di 2-5 µg/kg/min.

REAZIONE EMOLITICA TRASFUSIONALE TARDIVA Occasionalmente, un paziente che si è sensibilizzato a un antigene eritrocitario ha livelli anticorpali molto bassi e test pretrasfusionali negativi. Dopo aver ricevuto una trasfusione con GR che esprimono questo antigene, una risposta anamnestica può manifestarsi (di solito in 1-2 settimane) in grado di provocare una reazione emolitica trasfusionale tardiva (RETT). La RETT è caratterizzata da una caduta dell’Htc, febbre e modesto aumento della bilirubina. La RETT manifesta raramente la notevole e clinicamente rilevante emolisi presente nella RAET; spesso decorre misconosciuta e generalmente si autolimita. In genere, c’è distruzione delle sole cellule trasfuse (con l’antigene); quindi, la caratteristica clinica può essere rappresentata da un’inspiegabile caduta dell’Hb ai livelli pretrasfusionali e che si manifesta 1-2 settimane dopo la trasfusione.

REAZIONI FEBBRILI Reazioni febbrili sono caratterizzate da brividi, febbre con aumento della temperatura corporea di 1°C, brividi e talora cefalea e dolore lombare. Poiché la febbre e i brividi sono anche segni prodromici di una grave reazione emolitica trasfusionale, tutte le reazioni febbrili debbono essere investigate. Anticorpi diretti contro l’HLA leucocitario può comparire in individui politrasfusi o in multipare. Questi Ac, nelle trasfusioni successive, possono reagire con i GB con provocazione di disturbi durante o poco dopo la trasfusione. Quando recidivano i disturbi in seguito alla somministrazione di sangue che per il resto è perfettamente compatibile, nelle trasfusioni successive bisogna usare GR particolarmente filtrati per rimuovere i GB. Talora, reazioni febbrili possono essere generate da citochine rilasciate dai GB durante la conservazione, particolarmente nei concentrati piastrinici. La rimozione dei GB prima della conservazione previene questa complicanza. Risposte con modesta febbre di solito non necessitano di nient’altro che di un antipiretico (p. es., acetaminofene) prima della futura trasfusione. Circa un ricevente su otto avrà esperienza di una seconda reazione febbrile. I riceventi che sperimentano più di una reazione febbrile devono essere trattati con prodotti ematici depleti di GB.

REAZIONI ALLERGICHE Sono frequenti le reazioni allergiche del paziente verso un componente ignoto del sangue del donatore, di solito dovute ad allergeni presenti nel plasma del donatore o, meno spesso, ad anticorpi provenienti da un donatore allergico. Queste reazioni si manifestano in genere con una modesta sintomatologia caratterizzata da orticaria, edema, talora vertigine e cefalea, durante o subito dopo la trasfusione. Sintomi meno frequenti sono la dispnea, i rumori respiratori da broncospasmo e l’incontinenza secondaria a uno spasmo generalizzato della muscolatura liscia. Talora si può avere anafilassi.

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In un paziente con una storia di allergie o con un precedente episodio di reazione trasfusionale allergica è opportuno somministrare un antistaminico come profilassi appena prima o all’inizio della trasfusione (p. es., difenidramina 50 mg PO oppure EV). I farmaci non devono mai essere diluiti con il sangue. Se si manifesta una reazione allergica, bisogna sospendere immediatamente la trasfusione. Un antistaminico (p. es, difenidramina, 50 mg EV) controlla di norma i casi di moderata gravità e può essere ripresa la trasfusione Nei casi più gravi (p. es., anafilassi in un paziente con deficit di IgA) è necessario ricorrere alla adrenalina 0,5-1 ml di una soluzione 1:1000 SC (o, in situazioni di estrema gravità, 0,05-0,2 ml di una soluzione 1:1000 diluiti a 1:10000 e iniettati lentamente EV). A volte è occasionalmente necessario somministrare un cortisonico (p. es., desametazone fosfato sodico 4-20 mg EV) e, iniziata un’indagine per le reazioni trasfusionali, non deve essere somministrata un’ulteriore trasfusione prima che l’indagine sia completata.

SOVRACCARICO CIRCOLATORIO Quando la riserva cardiaca è carente, p. es., nelle malattie cardiache accompagnate da anemia, le trasfusioni possono aumentare la pressione venosa e quindi provocare insorgenza di un’insufficienza cardiaca acuta. Il sangue intero è controindicato. Un aumento della pressione venosa può essere evitato tramite infusione di GR a bassa velocità. Bisogna tenere sotto controllo il paziente per rilevare immediatamente i segni dell’aumento della pressione venosa e della congestione polmonare. Se si manifesta un’insufficienza cardiaca acuta, bisogna interrompere la trasfusione e iniziare immediatamente il trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta (v. la descrizione del trattamento dell’edema polmonare acuto nel Cap. 203).

LESIONE ACUTA POLMONARE Una lesione acuta polmonare legata alla trasfusione (LAPT) rappresenta un’insolita complicanza causata da anticorpi anti-GB nel plasma del donatore che agglutinano e degranulano i GB del ricevente nel polmone. Si sviluppano sintomi respiratori acuti e un rx del torace presenta un caratteristico aspetto di edema polmonare non cardiogeno. Una terapia di supporto generale porta, di solito, alla ripresa senza sequele permanenti.

EMBOLIA GASSOSA La trasfusione di una grande quantità di aria nelle vene è potenzialmente pericolosa e può provocare la formazione di bolle nel sangue e anche nelle cavità cardiache, con conseguente deficit di pompa e, quindi, insufficienza cardiaca. L’embolia gassosa complica soprattutto le infusioni di sangue sotto pressione, ma può verificarsi anche quando vengono cambiati i set EV o a seguito di erronea apertura di fori nelle sacche di plastica che contengono il sangue. La terapia consiste nel far voltare il paziente sul lato sinistro, con la testa abbassata, per permettere all’aria di uscire lentamente dall’atrio destro.

TOSSICITÁ DA CITRATO E K+ Sia la tossicità da citrato che da K+ non sono generalmente preoccupanti anche in caso di trasfusioni massive; tuttavia, la tossicità può essere amplificata in presenza di ipotermia. Pazienti con insufficienza epatica possono avere

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un’alterata capacità di metabolizzare il citrato. Pazienti con malattia renale cronica possono avere elevati livelli di K+ se trasfusi con sangue conservato > 1 settimana (l’accumulo di K+ è generalmente insignificante nel sangue conservato < 1 settimana). L’emolisi meccanica durante la trasfusione può far elevare i valori di K+.

MALATTIA DEL TRAPIANTO VERSO L'OSPITE La malattia del trapianto verso l’ospite (Graft Versus Host Disease, GVHD) è causata di solito dall’innesto di linfociti immunocompetenti provenienti da un midollo osseo trapiantato in un paziente immunodepresso (v. Cap. 149). Tuttavia, anche un piccolo numero di linfociti vitali presenti nel sangue o in componenti del sangue da trasfondere può dividersi spontaneamente e causare la GVHD nei pazienti immunodepressi. Una prevenzione efficace per questi pazienti a rischio consiste nell’irradiare tutte le componenti ematiche che si intendono trasfondere. La GVHD può verificarsi occasionalmente in pazienti immunocompetenti se essi hanno ricevuto sangue da un donatore omozigote per l’aplotipo HLA (di solito un parente stretto) per il quale il paziente è eterozigote. L’irradiazione preventiva è quindi necessaria se il sangue da trasfondere si ottiene da un parente di primo grado. È anche richiesta quando si trasfondono componenti HLA-correlati, escluse le cellule staminali.

COMPLICANZE DELLA TRASFUSIONE MASSIVA La trasfusione massiva può essere definita la trasfusione di 1 volume di sangue nelle 24 ore (p. es., 10 U di sangue intero in un uomo adulto di 70 kg). Quando un paziente riceve sangue conservato in così grande volume, il sangue proprio del paziente può in pratica subire una diluizione tale, da determinare la permanenza di solo 1/3 del sangue originale. Si può quindi verificare emodiluizione. In casi non complicati da prolungata ipotensione o da CID, una trombocitopenia da diluizione è la più probabile complicanza. Il sangue conservato non contiene piastrine pienamente funzionali. Possono manifestarsi sanguinamenti microvascolari (stillicidio anomalo e sanguinamenti continui da superfici di tagli profondi). Da sei a otto concentrati piastrinici sono in genere sufficienti per correggere tali sanguinamenti in un adulto. Poiché i fattori coagulativi non sono significativamente ridotti, il PFC non è necessario. Una complicanza simile causata da piastrine disfunzionali piuttosto che da trombocitopenia può manifestarsi nei pazienti mantenuti in circolazione extracorporea per > 2 ore; se si manifesta sanguinamento microvascolare, le piastrine non devono essere infuse fino a quando la pompa non venga fermata. L’ipotermia dovuta alla rapida trasfusione di notevoli quantità di sangue freddo può causare aritmia o arresto cardiaco. L’ipotermia è evitata usando un dispositivo termico EV specificamente ideato per riscaldare delicatamente il sangue. Altri mezzi per riscaldare il sangue sono controindicati a causa del possibile danneggiamento dei GR e della possibile emolisi.

CONTAMINAZIONE BATTERICA La contaminazione batterica può verificarsi per una, possibile, mancanza di sterilità durante la raccolta o per una transitoria batteriemia del donatore. La refrigerazione dei GR di solito limita la crescita batterica tranne quella degli organismi criofili quali la Yersinia sp, che può produrre livelli dannosi di endotossina. Tutte le unità di GR sono ispezionate quotidianamente e prima della

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seduta al fine di identificare una crescita batterica, evidenziata da una cambiamento cromatico. Poiché i concentrati piastrinici sono conservati a temperatura ambiente, essi presentano un aumentato rischio potenziale di crescita batterica e produzione di endotossina, se contaminati. Per minimizzare la crescita, la conservazione è limitata a 5 giorni. Raramente, la sifilide è trasmessa nel sangue fresco. La conservazione del sangue per 96 ore a 4-10 °C elimina la spirocheta. Sebbene le regole americane richiedano una reazione sierologica per la lue sul sangue del donatore, i donatori infettivi sono spesso sieronegativi poiché il test non rivela lo stato di presenza della spirocheta nel sangue. Riceventi di unità infette possono sviluppare il caratteristico rash secondario.

TRASMISSIONE DI MALATTIE VIRALI L’epatite può manifestarsi dopo trasfusione di qualsiasi emoderivato. Il rischio è stato significativamente ridotto dai test diagnostici per malattie virali, dal processo di inattivazione virale e dall’uso di concentrati di fattore ricombinante. L’albumina sierica e le frazioni di proteine plasmatiche che sono state trattate con il calore durante la loro preparazione sono, con rare eccezioni, non infettive. I test di laboratorio per l’epatite che sono richiesti per tutti i donatori includono l’antigene di superficie dell’epatite B, l’anticorpo per il "core" dell’epatite B, l’anticorpo per l’epatite C e il livello dell’ALT sierica. I rischi stimati di risultati falsi negativi nei test del sangue del donatore sono 1:63000 per l’epatite B e 1:103000 per l’epatite C. Poiché la sua fase viremica transitoria e la concomitante malattia clinica precludono con buona probabilità la donazione di sangue, l’epatite A (epatite infettiva) non è una significativa causa di epatite associata alle trasfusioni. L’infezione da HIV negli USA è quasi interamente HIV-1, sebbene sia interessato anche il HIV-2. Sono richiesti i test per la rivelazione degli anticorpi contro entrambe le linee. È anche richiesto per tutti i donatori il test per l’antigene p24 dell’HIV. Inoltre, ai donatori si richiedono informazioni circa comportamenti ad alto rischio per l’infezione HIV. L’HIV-0 non è stato identificato tra i donatori di sangue; test per la ricerca di anticorpi anti HIV sono stati messi a punto per rivelare questa linea. Il rischio stimato di un risultato falso negativo nel testare il sangue di un donatore è uguale a 1:676000. Si sono verificati pochi casi in cui i pazienti sono stati infettati da sangue di donatori nella fase precoce dell’infezione, fase sieronegativa. Il citomegalovirus (CMV) può essere trasmesso attraverso i GB del sangue trasfuso. Poiché è senza conseguenze o con effetti modesti, il test per la presenza di anticorpi anti-CMV non è richiesto per il donatore. Tuttavia, il CMV può essere responsabile di una malattia grave e mortale nei pazienti immunodepressi, che devono possibilmente ricevere prodotti ematici CMVnegativi, forniti da donatori negativi per anticorpi anti-CMV, oppure prodotti depleti di GB tramite filtrazione (nei quali un numero al 99,9% dei GB sono stati rimossi). Il PFC, che non contiene praticamente alcun GB intatto, non è considerato un rischio per la trasmissione del CMV. Il virus linfotropo umano tipo I (HTLV-I), che può causare nell’adulto il linfoma/ leucemia a cellule T, la mielopatia HTLV-I-associata e la paraparesi spastica tropicale, causa una sieroconversione post-trasfusionale in alcuni riceventi. Tutto il sangue dei donatori è testato per anticorpi contro l’HTLV-I e l’HTLV-II. Il rischio stimato di risultati falsi negativi nel testare il sangue dei donatori è uguale a 1:641000. Né la malattia di Creutzfeldt-Jakob né l’encefalite spongiforme bovina sono mai state riportate essere trasmesse tramite trasfusione, ma la pratica corrente preclude la donazione a una persona che ha ricevuto l’ormone della crescita di origine umana o un trapianto di dura madre o che ha un membro della famiglia con la malattia di Creutzfeldt-Jacob.

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Medicina trasfusionale

INFEZIONI DI PARASSITI La malaria viene facilmente trasmessa attraverso GR infetti. Molti donatori sono inconsapevoli di avere la malaria: alcune varietà di questa malattia possono infatti rimanere latenti ed essere trasmesse anche a distanza di 10-15 anni. La conservazione non rende affatto più sicuro il sangue. Bisogna chiedere a tutti i candidati alla donazione del sangue se hanno mai sofferto di malaria o se sono vissuti in zone dove l’affezione è endemica. Vengono sospesi per 3 anni tutti i donatori che hanno avuto la malaria o che sono immigrati o cittadini provenienti da paesi nei quali la malaria è considerata endemica; viaggiatori verso zone endemiche sono rinviati di un anno. La Babesia, si è resa responsabile di alcuni casi di infezione post-trasfusionale.

AFFINITÀ PER L’OSSIGENO Il sangue più a lungo conservato presenta una riduzione del 2,3-difosfoglicerato (DPG), che determina un aumento di affinità per l’O2 e un minor rilascio di O2 ai tessuti. C’è scarsa evidenza che la carenza di DPG sia clinicamente significativa, eccetto che nelle exanguinotrasfusioni nei neonati eritroblastotici e in alcuni pazienti con grave scompenso cardiaco.

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Trapianto

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO Negli ultimi due decenni, il trapianto di midollo osseo (Bone Marrow Transplantation, BMT) allogenico si è trasformato da procedura sperimentale riservata ai pazienti con leucemia refrattaria a un campo di ricerca clinica in rapida espansione che offre una cura potenziale ai pazienti con anemia aplastica, leucemia acuta e cronica, carcinoma della mammella e alcuni tipi selezionati di linfoma. L’obiettivo del BMT è quello di fornire al ricevente una popolazione di cellule staminali sane che si differenzino in cellule ematiche per rimpiazzare gli elementi cellulari scarsi o patologici dell’ospite. I regimi preparatori intensivi, la profilassi efficace della malattia del trapianto contro l’ospite (GVHD), il trattamento con regimi terapeutici basati sulla ciclosporina e il miglioramento delle terapie di supporto (p. es. antibiotici, profilassi contro l’herpes virus e il cytomegalovirus) hanno condotto a miglioramenti significativi nella sopravvivenza a lungo termine libera da malattia dei pazienti sottoposti a BMT. È in via di sperimentazione il trattamento con citochine dopo BMT (p. es. con fattore stimolante le colonie) per verificare se l’attecchimento del trapianto può essere migliorato o accelerato. Indicazioni: i pazienti affetti da leucemia acuta mieloide o linfoblastica possono beneficiare del BMT. I pazienti con leucemia mieloide acuta trapiantati durante la prima remissione possono ora attendersi una probabilità di sopravvivenza a lungo termine in assenza di recidive della malattia compresa tra il 50 e il 60%. Probabilità analoghe sono ottenibili dopo il trapianto anche negli adulti con leucemia linfoblastica acuta in prima remissione. La probabilità di recidiva è correlata con lo stato di remissione al momento del trapianto, variando dal 20% durante la prima remissione al 60% durante stadi più avanzati della malattia. La sopravvivenza a lungo termine per i pazienti con leucemia mieloide cronica sottoposti a BMT durante la fase di remissione varia dal 60 al 70%. Il BMT in età pediatrica si è molto sviluppato a causa della sua potenzialità di curare i bambini affetti da malattie genetiche (p. es. talassemia, anemia a cellule falciformi, immunodeficienze, errori congeniti del metabolismo). Limitazioni legate al donatore: il fattore chiave che limita l’impiego del BMT è la mancanza di donatori. Poiché solo il 25-30% dei pazienti ha un fratello HLAidentico, sono spesso necessari donatori alternativi. Esistono due possibilità: (1) il midollo può essere prelevato da un donatore vivente non imparentato; la donazione di midollo è una procedura semplice e sicura. I registri nazionali e internazionali dei potenziali donatori volontari sono in espansione per aumentare la probabilità di trovare un esatto appaiamento HLA per ogni ricevente. (2) Donatori parenti non HLA-identici sono stati impiegati con sempre maggiore frequenza. I risultati ottenuti con entrambe le procedure indicano una probabilità di sopravvivenza a lungo termine libera da malattia fra il 30 e il 50% nei pazienti con leucemia acuta e cronica o anemia aplastica; ciò significa che nella maggior parte delle situazioni i risultati sono di poco inferiori a quelli ottenuti con il midollo osseo prelevato da un fratello HLA-identico. Un’altra opzione per il BMT è il trapianto autologo (prelievo del midollo del paziente dopo aver indotto una remissione completa della malattia, seguito dal trattamento ablativo del paziente con la speranza di distruggere ogni residuo tumorale e guarigione con reimpianto del midollo osseo del paziente stesso). Dal momento che si esegue un autotrapianto non è necessaria alcuna immunosoppressione, se si eccettua la chemioterapia ad alte dosi impiegata a breve termine per eradicare il tumore e per l’ablazione del midollo osseo; i file:///F|/sito/merck/sez12/1491163.html (1 of 3)02/09/2004 2.07.33

Trapianto

problemi post-trapianto con la GVHD sono minimi. Le indicazioni al BMT autologo sono il linfoma chemiosensibile recidivato, nel quale è stato raggiunto un tasso di successo compreso fra il 30 e il 40% e la leucemia acuta in remissione, nella quale sono stati osservati tassi di successo variabili dal 20 al 50%. I tassi di successo sono inferiori nel caso di una malattia più avanzata e dei tumori solidi responsivi (p. es. tumori della mammella o delle cellule germinali). Perché il BMT autologo possa essere applicato con ampie possibilità di successo, rimangono due ostacoli principali: la possibilità di contaminazione dell’inoculo midollare con cellule tumorali e l’assenza di attività antitumorale del trapianto (contrariamente a quanto osservato nel BMT allogenico); entrambi questi fattori contribuiscono alle alte percentuali di recidive tumorali osservate. Pertanto, lo sviluppo di protocolli per la bonifica ex vivo del midollo e per la modulazione della risposta immunitaria del ricevente dopo il trapianto costituisce un’area di ricerca molto attiva. Preparazione dei riceventi: lo sviluppo di regimi di preparazione aggressivi ha migliorato la prognosi riducendo l’incidenza del rigetto e delle recidive. Questi regimi hanno aumentato le potenzialità antitumorali o antileucemiche, così come hanno consentito una migliore mieloablazione, necessaria per distruggere il midollo dell’ospite e creare spazio per il midollo del donatore senza compromettere gli elementi stromali midollari essenziali per l’attecchimento del trapianto. I regimi di preparazione inoltre sopprimono il sistema immunitario del paziente per permettere l’accettazione del trapianto. Nei regimi standard di preparazione i pazienti vengono sottoposti ad alte dosi di ciclofosfamide e/o a irradiazione corporea totale. Il tasso di rigetto è < 5% nei trapianti da donatori HLA-identici eseguiti nei pazienti leucemici. Per i pazienti con anemia aplastica sottoposti a trasfusioni multiple, il tasso di rigetto è risultato inoltre significativamente diminuito in seguito all’aumento dell’immunosoppressione durante la fase di induzione del trapianto. I due regimi di preparazione più comuni sono la ciclofosfamide ad alte dosi (p. es. 60 mg/kg/ die per 2 giorni) e l’irradiazione corporea totale, oppure un regime a base di busulfan (p. es. 4 mg/kg/die per 4 giorni) e ciclofosfamide senza irradiazione corporea totale. Altri farmaci (p. es. etoposide e citarabina) vengono talvolta aggiunti a questi regimi pre-trapianto per aumentare al massimo le proprietà antitumorali, la mieloablazione e l’immunosoppressione. Procedura del trapianto: la procedura del trapianto è relativamente semplice. I pazienti vengono sottoposti a chemioterapia ad alte dosi e/o irradiazione corporea totale. Il midollo viene quindi aspirato dalla cresta iliaca di un donatore HLA-compatibile e iniettato EV nel paziente. I pazienti rimangono gravemente pancitopenici fino all’attecchimento del trapianto, che solitamente avviene entro 2 o 3 settimane dalla reinfusione del midollo. Complicanze: le complicanze precoci comprendono il rigetto del midollo trapiantato da parte dell’ospite, la GVHD acuta e le infezioni. Le complicanze tardive comprendono la GVHD cronica, l’immunodeficienza prolungata e le recidive della malattia di base. Malattia del trapianto contro l’ospite: la GVHD è una patologia nella quale le cellule T immunologicamente competenti del donatore reagiscono contro gli antigeni di un ricevente immunologicamente depresso. Un problema fondamentale nei trapianti allogenici è costituito proprio dalla prevenzione e dal controllo della GVHD. I sintomi e i segni della GVHD acuta sono la febbre; la dermatite esfoliativa; l’epatite con iperbilirubinemia; il vomito; la diarrea e il dolore addominale, il quale può progredire fino all’occlusione; la perdita di peso. Sebbene la migliore conoscenza del complesso maggiore di istocompatibilità abbia facilitato la comprensione dell’eziologia della GVHD, i pazienti con buona compatibilità per i loci A, B, C e DR hanno ancora un’incidenza di GVHD che oscilla dal 30 al 60%. Sorprendentemente, una sindrome GVHD è stata descritta perfino in pazienti sottoposti a trapianto singenico (tra gemelli identici) o a trapianto autologo (con il loro stesso midollo). Nonostante l’introduzione della ciclosporina nei primi anni ‘80 abbia enormemente ridotto sia l’incidenza sia la gravità della GVHD, essa continua a essere la principale causa di mortalità e di morbilità grave dopo BMT allogenico.

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Trapianto

Da 1/3 a 1/2 circa dei riceventi di BMT sviluppa una forma di GVHD cronica a decorso più lento. Nonostante la cute, il fegato e l’intestino rimangano gli organi principalmente colpiti, è stato notato anche il coinvolgimento di altri distretti (p. es. articolazioni, polmone). È interessante notare che può verificarsi una bronchiolite obliterante simile a quella osservata dopo trapianto di polmone. Alla fine, dal 20 al 40% dei pazienti muore per le complicanze associate con la GVHD e l’incidenza è più alta quando il midollo da trapiantare non proviene da un fratello HLA-identico. Nei pazienti che non presentano sequele croniche di una GVHD, tutti i farmaci immunosoppressori possono essere sospesi 6 mesi dopo il BMT, rendendo infrequenti le complicanze tardive in questi pazienti, in contrasto con la necessità continua di immunosoppressori e le conseguenti complicanze che si osservano nei riceventi di trapianti di organi solidi. Un campo di intensa ricerca clinica volta a ridurre l’incidenza della GVHD è stato quello della rimozione delle cellule T dal midollo del donatore per mezzo di anticorpi monoclonali, utilizzando la tecnica del rosettamento, oppure mediante separazione meccanica prima della reinfusione del midollo. La deplezione delle cellule T è risultata molto efficace nel diminuire sia l’incidenza sia la severità della GVHD; tuttavia, l’incidenza del mancato attecchimento del trapianto e quella delle recidive sono aumentate. Una possibile spiegazione è data dal fatto che le citochine prodotte nella GVHD promuovono la moltiplicazione e la maturazione delle cellule staminali, necessarie per l’attecchimento del trapianto. I pazienti che sviluppano la GVHD hanno tassi di recidiva della malattia di base significativamente più bassi, suggerendo che le cellule T responsabili della GVHD sono probabilmente coinvolte in un effetto antileucemico del trapianto. Altri agenti impiegati per prevenire o trattare la GVHD includono il metotrexate, i corticosteroidi, la ATG e gli anticorpi monoclonali contro antigeni espressi sulle cellule T mature. In casi eccezionali la GVHD può far seguito anche a emotrasfusioni, dal momento che anche un piccolo numero di cellule T di un donatore può indurre questa reazione. Tali situazioni comprendono le emotrasfusioni fetali intrauterine e le trasfusioni nei pazienti immunodepressi (p. es. riceventi di BMT, pazienti con leucemia, linfoma, neuroblastoma, morbo di Hodgkin e linfomi non-Hodgkin). Gli emoderivati che vanno somministrati ai pazienti a rischio devono essere irradiati per prevenire lo sviluppo della GVHD (v. nel Cap. 129). Infezione: dopo la somministrazione del regime di preparazione per il BMT, la conta dei GB può impiegare da 2 a 3 settimane per tornare ai valori normali. Durante questo periodo, i pazienti sono molto suscettibili alle infezioni. La profilassi con aciclovir ha diminuito drasticamente il rischio di infezioni da herpes simplex durante questo periodo. Anche dopo l’attecchimento del trapianto, i pazienti continuano a essere immunocompromessi e a rischio di infezioni, a causa dei farmaci impiegati per trattare la GVHD. Un’infezione tardiva preoccupante è la polmonite interstiziale da cytomegalovirus, che generalmente si verifica da 40 a 60 giorni dopo il trapianto. I pazienti presentano tachipnea, dispnea, ipossiemia e, alla rx del torace, infiltrati polmonari bilaterali. Il tasso di mortalità della polmonite interstiziale da cytomegalovirus era in passato dell’8090%, ma la terapia con ganciclovir e l’immunizzazione passiva con immunoglobuline hanno ridotto il tasso a valori oscillanti fra il 25 e il 40% circa. I pazienti presentano inoltre il rischio di sviluppare una polmonite da pneumocystis, ma l’uso profilattico del trimetoprim-sulfametossazolo ha ridotto drammaticamente l’incidenza di questa infezione.

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Disordini piastrinici

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 133. DISORDINI PIASTRINICI TROMBOCITOPENIA Una quantità di piastrine sotto il normale range di 140000-440000/µl.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia PORPORA TROMBOCITOPENICA IDIOPATICA (IMMUNOLOGICA) Diagnosi Terapia ALTRE TROMBOCITOPENIE IMMUNOLOGICHE TROMBOCITOPENIA INDOTTA DA EPARINA TROMBOCITOPENIA NON IMMUNOLOGICA PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA-SINDROME UREMICO-EMOLITICA Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Una trombocitopenia può essere espressione di una ridotta produzione piastrinica, di sequestro splenico, di aumentata distruzione, utilizzazione o diluizione piastrinica (v. Tab. 133-1). Indipendentemente dalla causa, una grave trombocitopenia provoca un quadro emorragico tipico: petecchie multiple cutanee, evidenziabili in particolare verso l’estremità inferiore delle gambe e di piccole ecchimosi sparse in seguito a traumi di lieve entità: sanguinamenti delle mucose (epistassi, emorragie del tratto GI, GU, sanguinamento vaginale); e sanguinamento eccessivo dopo interventi chirurgici. Gravi sanguinamenti del tratto GI e sanguinamenti nel SNC possono essere letali. Tuttavia, la trombocitopenia non causa sanguinamenti massivi nei tessuti (p. es., ematomi viscerali profondi o emartri), che sono caratteristici di emorragie secondarie a deficit di fattori della coagulazione (p. es., nell’emofilia-v. Cap. 131).

Diagnosi Deve essere raccolta un’accurata anamnesi farmacologica per escludere un’esposizione a farmaci noti per causare un’aumentata distruzione piastrinica in individui sensibili, p. es., fino al 5% dei pazienti che ricevono eparina possono sviluppare una trombocitopenia (v. Trombocitopenia indotta da eparina, oltre) che può manifestarsi anche in corso di bassissimi dosaggi di eparina (p. es., per tenere pervie vie venose o arteriose). Chinidina, chinina, preparazioni sulfamidiche, antidiabetici orali, sali d’oro e, meno comunemente, rifampicina, inducono trombocitopenia nei pazienti sensibilizzati.

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Disordini piastrinici

La storia può presentare sintomi che suggeriscono la presenza di malattie immunologiche sottostanti (p. es., artralgie, fenomeno di Raynaud, febbre inspiegabile); segni e sintomi suggestivi di porpora trombotica trombocitopenica, sindrome uremico-emolitica (TTP-HUS, v. oltre); una trasfusione di sangue nei 10 gg precedenti, che può suggerire una porpora post-trasfusionale e un significativo consumo di alcol, che può suggerire una trombocitopenia indotta dall’alcol. La trombocitopenia, in genere modesta, si verifica in circa il 5% delle donne gravide a termine. Pazienti con HIV hanno trombocitopenia, che può essere clinicamente indistinguibile da una porpora idiopatica trombocitopenica (ITP, v. oltre); quindi, bisogna far emergere fattori di rischio e una storia di altri sintomi di HIV. Anche i reperti all’esame obiettivo sono importanti per la diagnosi: (1) la febbre può essere presente nella trombocitopenia secondaria a infezione o a LES in fase attiva e nella TTP-HUS, mentre è assente nella ITP e nelle trombocitopenie da farmaci. (2) La milza non risulta ingrossata alla palpazione nelle trombocitopenie causate da un aumento della distruzione piastrinica (p. es., ITP, trombocitopenie immunitarie, TTP-HUS), mentre risulta aumentata alla palpazione nella maggior parte delle trombocitopenie secondarie a sequestro splenico delle piastrine o secondarie a linfoma o a malattie mieloproliferative. (3) Altri segni fisici di malattia cronica del fegato sono importanti da documentare: p. es., angioma a forma di ragno, ittero ed eritema palmare. (4) Una gravidanza quasi a termine è una causa comune di trombocitopenia. La conta delle cellule nel sangue periferico rappresenta un’indagine chiave per stabilire la presenza e la gravità della trombocitopenia e l’esame dello striscio fornisce elementi eziologici (v. Tab. 133-2). I test di screening dell’emostasi (v. Cap. 131) risulteranno normali, a meno che la trombocitopenia non sia associata a un’altra condizione i cui effetti si ripercuotano sull’emostasi (p. es., un’epatopatia o una coagulazione intravascolare disseminata). L’aspirato midollare può essere indicato se anomalie diverse dalla trombocitopenia vengono notate allo striscio di sangue periferico. Esso permette di valutare il numero e l’aspetto dei megacariociti e conferma la presenza o l’assenza di patologia che causi insufficienza midollare (p. es., mielodisplasia). La misura degli anticorpi antipiastrina non è clinicamente utile. I test per gli anticorpi HIV devono essere eseguiti nei pazienti la cui storia o il cui esame fornisce evidenza di rischio di infezione HIV.

Terapia La terapia della trombocitopenia varia con la causa e la gravità. La causa deve essere rapidamente ricercata e identificata e corretta quando possibile (p. es., sospendendo l’eparina nella trambocitopenia indotta da eparina, v. oltre). Le trasfusioni piastriniche devono essere usate a scopo profilattico con discrezione, poiché possono perdere efficacia, con l’uso ripetuto, per lo sviluppo di alloanticorpi contro le piastrine. Se la trombocitopenia è causata da un aumentato consumo piastrinico, le trasfusioni piastriniche devono essere riservate per il trattamento di sanguinamenti a rischio di vita o del SNC. Se la trombocitopenia è causata da insufficienza midollare, le trasfusioni piastriniche sono riservate per il trattamento di un sanguinamento in atto o per una grave trombocitopenia (p. es., presenza di una conta piastrinica < 10000/µl).

PORPORA TROMBOCITOPENICA IDIOPATICA (IMMUNOLOGICA) Un disordine emorragico non associato a una malattia sistemica, che è tipicamente cronica negli adulti ma è di solito acuta e autolimitante nei bambini. La porpora trombocitopenica idiopatica negli adulti (ITP) in genere deriva dallo sviluppo di un anticorpo diretto contro un antigene strutturale piastrinico (un autoanticorpo). Nella ITP dei bambini, si pensa che un antigene virale scateni la file:///F|/sito/merck/sez11/1330993b.html (2 of 6)02/09/2004 2.07.34

Disordini piastrinici

sintesi di un anticorpo che può reagire con un antigene virale associato con la superficie piastrinica.

Diagnosi L’esame obiettivo è normale eccetto per le petecchie, la porpora e il sanguinamento mucoso, che può essere minimo o esteso. Il sangue periferico è normale eccetto che per un ridotto numero di piastrine. L’esame del midollo osseo mostra un numero normale o eventualmente aumentato di megacariociti in un midollo per il resto normale.

Terapia La terapia nell’adulto viene iniziata di solito con un corticosteroide PO (p. es., prednisone 1 mg/kg/die). Nei pazienti che rispondono, il numero di piastrine ritornerà alla norma entro 2-6 sett. La dose dei corticosteroidi viene gradualmente ridotta. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti non risponde adeguatamente fin dall’inizio o presenta una ricaduta con la sospensione della terapia steroidea; la splenectomia può portare a una remissione nel 50-60% di questi pazienti. L’efficacia di altri farmaci usati nei pazienti refrattari ai corticosteroidi e alla splenectomia non è provata. Poiché il decorso clinico a lungo termine della ITP cronica è sconosciuto, e poiché molti pazienti hanno una minima morbilità, a dispetto della ITP cronica, i benefici relativi e i rischi del trattamento devono essere adeguatamente pesati. In un paziente con ITP, con sanguinamenti che minacciano la vita, bisogna tentare di sopprimere la fagocitosi delle piastrine, ricoperte di anticorpo, da parte delle cellule mononucleate, mediante la somministrazione di immunoglobuline EV (1 g/kg per 1 giorno o 2 giorni successivi). Ciò causa di solito un aumento rapido del numero delle piastrine, entro 2-4 gg ma soltanto per 2-4 settimane. Alte dosi di metilprednisolone (1 g/die EV per 3 gg), sono un trattamento meno costoso, delle Ig EV, ma ugualmente efficace nell’indurre un rapido aumento nel numero delle piastrine. Come già affermato, al paziente, con ITP in pericolo di vita, devono essere somministrati concentrati piastrinici. Le trasfusioni piastriniche non sono usate a scopo profilattico in pazienti con ITP, poiché una risposta al trattamento con glucocorticoidi o Ig EV può essere anticipata in termini di giorni. Il trattamento dei bambini è controverso. Le conte piastriniche riprendono a salire più rapidamente con i corticosteroidi o con Ig EV, ma il trattamento può non sortire effetto clinico. Poiché la maggior parte dei bambini recupera spontaneamente da una trombocitopenia grave in un lasso di tempo che può andare da vari giorni a diverse settimane, talora è raccomandata solo terapia di supporto. Per i bambini con ITP cronica che non rispondono ai corticosteroidi o alle Ig EV, la splenectomia è rinviata per almeno 6-12 mesi poiché il rischio di infezioni gravi aumenta nei bambini asplenici. Anche dopo mesi o anni di trombocitopenia, la maggior parte dei bambini presenta remissioni spontanee.

ALTRE TROMBOCITOPENIE IMMUNOLOGICHE Pazienti affetti da HIV possono presentare segni clinici identici a quelli della ITP che differiscono dalla ITP soltanto per la positività al test per il HIV. Questi pazienti possono rispondere ai glicocorticoidi, al danazolo, o a entrambi, che spesso non vengono somministrati a meno che le piastrine non raggiungano un valore inferiore a 30000 µl poiché possono ulteriormente deprimere la funzione immunitaria. Nella maggior parte dei pazienti con HIV, la trombocitopenia risponde al trattamento con farmaci antivirali. Altre affezioni che sostengono una trombocitopenia simile a quella della ITP sono file:///F|/sito/merck/sez11/1330993b.html (3 of 6)02/09/2004 2.07.34

Disordini piastrinici

rappresentate da trombocitopenie secondarie a malattie vascolari del collagene (p. es., LES) o a malattie linfoproliferative. Gli steroidi e la splenectomia sono spesso efficaci in questa forme di trombocitopenia. Anche i rilievi clinici nella porpora post-trasfusionale ricordano strettamente quelli della ITP se si eccettua il dato anamnestico di un’emotrasfusione recente (nei 710 giorni precedenti). Il paziente, in genere di sesso femminile, manca di un antigene piastrinico (PLA-1), presente nella maggior parte delle persone. Le piastrine PLA-1-positive presenti nel sangue trasfuso stimolano la formazione di anticorpi anti-PLA-1, che (per ragioni ancora sconosciute) possono reagire anche con le piastrine PLA-1-negative. Si sviluppa una grave trombocitopenia che impiega da 2 a 6 sett. per regredire. Alcune trombocitopenie immunologiche da farmaci (p. es., trombocitopenie indotte da chinidina e chinino) hanno anche reperti clinici identici a quelli della ITP, se si fa eccezione per l’assunzione di farmaci. Quando il farmaco viene sospeso, il numero delle piastrine comincia ad aumentare entro 1-7 gg. Tuttavia, la trombocitopenia indotta da sali d’oro rappresenta un’eccezione, poiché i sali d’oro somministrati possono persistere nell’organismo per molte settimane.

TROMBOCITOPENIA INDOTTA DA EPARINA La trombocitopenia indotta dall’eparina, la più importante trombocitopenia derivante da anticorpi iatrogeni, si verifica in una proporzione che va fino al 5% dei pazienti trattati con eparina bovina e al’1% dei pazienti trattati con eparina porcina. Raramente, i pazienti con trombocitopenia indotta da eparina sviluppano trombosi arteriosa minacciosa per la vita (p. es., occlusione tromboembolica delle arterie degli arti, ictus, IMA). La trombocitopenia deriva dal legame dei complessi eparina-anticorpo ai recettori Fc sulla superficie della membrana piastrinica. Il fattore piastrinico 4, una proteina cationica che lega tenacemente l’eparina, secreta dagli alfa granuli piastrinici, può localizzare l’eparina sulla superficie delle piastrine e delle cellule endoteliali. Inoltre, i complessi fattore piastrinico 4-eparina sono i principali antigeni. Si possono formare aggregati piastrinici, che causano l’ostruzione dei vasi. L’eparina deve essere sospesa in ogni paziente che diventa trombocipenico. Poiché trial clinici hanno dimostrato che 5 gg di terapia eparinica sono sufficienti per trattare una trombosi venosa e poiché la maggior parte dei pazienti comincia gli anticoagulanti orali assieme all’eparina, quest’ultima può essere sospesa con sicurezza. I test di laboratorio non aiutano queste decisioni cliniche.

TROMBOCITOPENIA NON IMMUNOLOGICA La trombocitopenia secondaria a sequestro piastrinico può verificarsi in una varietà di affezioni che inducono splenomegalia (p. es., ipersplenismo, v. Cap. 141). Essa rappresenta un rilievo che può verificarsi in pazienti con splenomegalia congestizia causata da cirrosi avanzata. Diversamente da quanto accade con le trombocitopenie immunologiche, la conta piastrinica di solito non scende al di sotto circa delle 30000/µl, a meno che l’affezione che causa la splenomegalia non comprometta anche la produzione midollare di piastrine (p. es., nella mielofibrosi con metaplasia mieloide). Quindi, la trombocitopenia causata da sequestro splenico non è di solito di alcuna importanza clinica. Inoltre, piastrine funzionali sono rilasciate dalla milza da un’infusione di epinefrina e quindi possono essere disponibili nel corso di uno stress. La splenectomia corregge la trombocitopenia, ma non è indicata a meno che non siano necessarie ripetute trasfusioni piastriniche. I pazienti con sepsi da gram - spesso sviluppano una trombocitopenia, la cui gravità è spesso in relazione a quella dell’infezione. La trombocitopenia riconosce molteplici cause: la coagulazione intravascolare disseminata,

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Disordini piastrinici

formazione di immunocomplessi che possono associarsi alle piastrine, attivazione del complemento e deposizione di piastrine sulle superfici endoteliali danneggiate. Anche i pazienti con sindrome da distress respiratorio dell’adulto (v. Cap. 67) possono diventare trombocitopenici, probabilmente per la deposizione di piastrine a livello del letto capillare polmonare.

PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA-SINDROME UREMICO-EMOLITICA Affezioni acute e gravi in cui reticoli di fibrina si depositano diffusamente nei piccoli vasi, che danneggiano piastrine e GR in transito, determinando trombocitopenia e anemia emolitica microangiopatica. Il consumo di piastrine in piccoli trombi multipli contribuisce pure alla trombocitopenia. Sebbene la porpora trombotica trombocitopenica (TTP) e la sindrome uremico-emolitica (HUS) siano spesso considerate come entità distinte, la differenza è solo nel grado dell’insufficienza renale. Diagnosi e trattamento sono gli stessi.

Sintomi, segni e diagnosi La TTP-HUS è tipicamente un’affezione acuta, potenzialmente letale, caratterizzata da (1) grave trombocitopenia, (2) GR frammentati allo striscio periferico (cellule a elmetto, GR a forma triangolare, GR con aspetto distorto), con evidenza di emolisi (caduta del tasso emoglobinico, policromasia, aumento dei reticolociti, alto tasso di LDH sierico), (3) insufficienza renale acuta, (4) febbre e (5) manifestazioni variabili di ischemia in molti organi. Queste manifestazioni includono segni a carico del SNC, quali la confusione e il coma; ittero fluttuante (la bilirubina diretta e indiretta sono elevate a causa della combinazione di emolisi e danno epatocellulare); proteinuria, ematuria e insufficienza renale acuta. I pazienti possono lamentare dolori addominali e aritmie da danno miocardico. Questi reperti si associano con caratteristiche lesioni patologiche che coinvolgono i vasi di organi multipli e soffici trombi costituiti da piastrine e fibrina (senza infiltrati di granulociti dentro e attorno alle pareti vasali caratteristici di vasculite) localizzati primariamente alle giunzioni arteriocapillari, descritti come microangiopatia trombotica. Le varie sindromi cliniche di TTP-HUS sono indistinguibili, con l’eccezione che la malattia epidemica dei bambini (tipicamente definita HUS) associata con l’Escherichia Coli enteroemorragico 0157 e con batteri, che producono la correlata tossina Shiga, è più spesso associata con remissioni spontanee e non richiede plasmaferesi. Sebbene le cause (p. es., sensibilità alla chinina) o le associazioni (p. es., gravidanza) siano chiare in alcuni pazienti (v. Tab. 133-3), nella maggior parte dei pazienti la TTP-HUS compare improvvisamente e spontaneamente senza cause apparenti. L’incapacità di distinguere la TTP-HUS da sindromi correlate (p. es., preeclampsia) è enfatizzata da una identica microangiopatia trombotica dimostrata alla biopsia renale in questi e altri disordini (p. es., scleroderma, ipertensione accelerata, reazione di rigetto ad allotrapianto renale).

Prognosi e terapia Non trattata, la TTP-HUS è quasi sempre fatale, eccetto nella malattia epidemica dei bambini. L’introduzione della plasmaferesi negli anni 70 ha sensibilmente cambiato la prognosi; ora circa l’85% dei pazienti guarisce completamente. La

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Disordini piastrinici

plasmaferesi viene continuata quotidianamente fino a che l’evidenza di attività della malattia non sia diminuita, processo che può durare da vari giorni a molte settimane. I corticosteroidi sono stati anche utilizzati e ad alcuni pazienti sono stati somministrati farmaci antipiastrinici (p. es., aspirina), sebbene il beneficio di questi farmaci sia incerto. I pazienti devono essere tenuti sotto stretto controllo per molti anni; la maggior parte dei pazienti sperimenta solo un singolo episodio di TTP-HUS, ma possono verificarsi ricadute multiple che richiedono plasmaferesi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 133–1. CLASSIFICAZIONE DELLE TROMBOCITOPENIE Causa

Condizioni

Difetto di produzione piastrinica Megacariociti midollari diminuiti o assenti

Leucemia, anemia aplastica, emoglobinuria parossistica notturna (in alcuni pazienti)

Ridotta produzione piastrinica nonostante la presenza di megacariociti midollari

Trombocitopenia alcolica, trombocitopenia nelle anemie megaloblastiche, trombocitopenia associata al HIV, porpora trombocitopenica idiopatica (alcuni pazienti), alcune sindromi mielodisplastiche

Sequestro piastrinico nella splenomegalia

Cirrosi con splenomegalia congestizia, mielofibrosi con metaplasia mieloide, malattia di Gaucher

Aumentata distruzione o utilizzazione piastrinica Rimozione delle piastrine con anticorpi adesi da parte di fagociti mononucleati

Porpora trombocitopenica idiopatica, trombocitopenia legata al HIV, porpora post-trasfusionale, trombocitopenia da farmaci, trombocitopenia neonatale, alloimmune

Danno piastrinico indotto dalla trombina

Condizioni con coagulazione intravascolare; complicanze in ostetricia, metastasi neoplastiche, setticemie, danni cerebrali traumatici

Rimozione da anomalie vascolari acute

Porpora trombotica trombocitopenica, sindrome emoliticauremica, trombocitopenia nella sindrome da distress respiratorio dell’adulto, gravi infezioni con setticemia

Diluizione

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Emotrasfusione massiva di sostituzione o di scambio (le piastrine perdono la vitalità nel sangue conservato), bypass chirurgico cardiopolmonare

Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 131. DISORDINI DELL’EMOSTASI E DELLA COAGULAZIONE Malattie caratterizzate da una tendenza al sanguinamento.

DISORDINI DELLA COAGULAZIONE EREDITARI EMOFILIA Forme comuni di disordini emorragici ereditari causate da deficit di fattore VIII, IX o XI della coagulazione.

Sommario: Introduzione Genetica Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

L’emofilia A (deficienza del fattore VIII), che colpisce circa l’80% degli emofilci e l’emofilia B (deficienza del fattore IX) hanno identiche manifestazioni cliniche, anomalie dei test di screening, così come identica trasmissione genetica, legata al cromosoma X. Il dosaggio degli specifici fattori è necessario per distinguere le due forme.

Genetica L’emofilia può derivare da mutazioni genetiche: mutazioni puntiformi che coinvolgono un singolo nucleotide, delezioni di tutto o di parti del gene e mutazioni che interessano la regolazione genica. Circa il 50% dei casi di emofilia grave deriva da un’inversione maggiore di una sezione dell’estremità del braccio lungo del cromosoma X. Poiché i geni dei fattori VIII e IX sono localizzati sul cromosoma X, l’emofilia colpisce pressocché esclusivamente i maschi. Le figlie degli emofilici saranno portatrici obbligate, mentre tutti i figli maschi saranno normali. Ciascun figlio maschio di una portatrice avrà il 50% delle possibilità di essere emofilico e ciascuna figlia ha il 50% delle possibilità di essere portatrice (v. anche Cap. 286). Raramente, l’inattivazione casuale di uno o due cromosomi X precocemente nella vita embrionale comporta che i livelli del fattore VIII o IX siano così bassi da causare un’anomala tendenza al sanguinamento.

Sintomi e segni Il paziente con un livello di fattore VIII o IX < 1% del normale presenta gravi episodi emorragici durante la vita. Il primo episodio di regola si verifica prima dei 18 mesi di vita. Traumi di lieve entità possono causare estese emorragie tissutali ed emartri, che, se non trattati prontamente, possono portare a deformità muscoloscheletriche invalidanti. Sanguinamenti alla base della lingua, causando compressione delle vie aeree possono essere pericolosi per la vita e richiedono

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

una pronta terapia sostitutiva. Anche un banale colpo alla testa richiede un trattamento sostitutivo per prevenire un sanguinamento intracranico. I pazienti con livelli del fattore VIII o IX compresi circa nel 5% del range normale presentano un’emofilia lieve. Raramente vanno incontro a emorragie "spontanee"; tuttavia, se non trattati correttamente presenteranno sanguinamenti gravi (anche fatali) a seguito di interventi chirurgici. Ci sono anche forme occasionali di emofilia ancora meno grave in relazione a un livello del fattore VIII o IX compreso tra il 10 e il 30% del range normale. Tali pazienti possono anch’essi sanguinare profusamente dopo interventi chirurgici o estrazioni dentarie.

Esami di laboratorio Dosando il fattore VIII e confrontandolo con il livello del fattore VW antigene, di solito è possibile stabilire se è vero che una donna sia portatrice vera dell’emofilia A. Similmente, dosando il fattore IX spesso si riesce a identificare la condizione di portatrice dell’emofilia B. L’analisi del DNA mediante analisi con PCR del gene del fattore VIII dei linfociti è praticabile in pochi centri specializzati. Questa tecnica permette l’identificazione dei portatori dell’emofilia A, sia direttamente mediante il riconoscimento diretto di un conosciuto e specifico difetto genomico negli antecedenti ereditari o indirettamente per lo studio del polimorfismo legato al gene del fattore VIII. Queste tecniche sono state anche impiegate per la diagnosi di emofilia A attraverso i villi coriali (v. anche Prelievo dei villi coriali nel Cap. 247). Tipici rilievi di laboratorio nell’emofilia sono rappresentati da un PTT prolungato, da un PT e tempo di sanguinamento normali. Il dosaggio specifico dei fattori VIII e IX indicherà il tipo e la gravità dell’emofilia. Poiché i livelli del fattore VIII possono trovarsi ridotti anche nella malattia di VW, va misurato anche il FVW antigene nei pazienti con emofilia A di recente diagnosi, specialmente in caso di forme moderate e se non si può ottenere una storia familiare. Alcuni pazienti hanno un anomalo VWF che si lega abnormemente al fattore VIII, che a sua volta viene catabolizzato più rapidamente (malattia di WW, tipo 2N). Dopo terapia trasfusionale circa il 15% dei pazienti con emofilia A sviluppa anticorpi che inibiscono l’attività coagulante del fattore VIII somministrato al paziente. Nei pazienti si deve indagare sull’attività anticoagulante anti fattore VIII (p. es., determinando l’entità dell’accorciamento del PTT subito dopo aver mescolato il plasma del paziente con un egual volume di un plasma normale e dopo incubazione per 1 ora a temperatura ambiente) specialmente in previsione di un intervento chirurgico che richieda una terapia sostitutiva.

Terapia Gli emofilici devono evitare l’uso di aspirina; in alcuni pazienti il dolore inabilitante provocato da complicanze muscoloscheletriche può richiedere un impiego oculato di altri FANS, che presentano, rispetto all’aspirina, un effetto più lieve e più transitorio sulla funzione piastrinica. Una regolare igiene dentaria è essenziale per evitare estrazioni dentarie e altre procedure chirurgiche dentarie. Tutti i farmaci devono essere somministrati PO o EV; iniezioni IM possono causare estesi ematomi. I nuovi casi di emofilia devono essere vaccinati contro l’epatite B. Come descritto per la malattia di VW (v. Malattia di von Willebrand in Disordini ereditari della funzione piastrinica al Cap. 133), la desmopressina può temporaneamente far aumentare i livelli di fattore VIII in un paziente con un’emofilia A moderata (livelli basali di fattore VIII, 5-10%); deve essere testata la risposta del paziente. L’uso della desmopressina in un paziente responsivo dopo traumi di lieve entità o prima di una procedura chirurgica dentaria può ovviare

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

all’uso della terapia sostitutiva. La desmopressina è inefficace nei pazienti con emofilia A grave e nella maggior parte dei pazienti con malattia di VW, di tipo 2N. Terapia sostitutiva: il plasma fresco congelato contiene il fattore VIII e quello IX. Tuttavia, a meno che non si proceda a una sostituzione di plasma, non si può somministrare a un paziente con emofilia grave una quantità di plasma intero tale da essere sufficiente a far innalzare la concentrazione del fattore VIII o IX a livelli che possano efficacemente prevenire il sanguinamento. Per l’emofilia A, il trattamento di scelta è il concentrato con inattivazione virale del fattore VIII o il fattore VIII ricombinante; per l’emofilia B, il trattamento di scelta è un concentrato disattivato per virus di fattore IX purificato. Nell’emofilia A il livello del fattore VIII deve salire transitoriamente a circa 0,3 U (30%) per prevenire un sanguinamento da estrazione dentaria o per bloccare un’emorragia incipiente intraarticolare; a 0,5 U (50%) se siano evidenti sanguinamenti IM o a livello di una delle grandi articolazioni; a 1,0 U (100%) se l’emorragia è pericolosa per la vita o prima di interventi chirurgici. Ripetute infusioni al 50% della dose iniziale calcolata devono essere eseguite q 8-12 h per mantenere i livelli al di sopra di 0,5 u (50%) per vari giorni se il sanguinamento è pericoloso per la vita e per 10 gg dopo un intervento chirurgico maggiore. La dose viene calcolata moltiplicando il peso del paziente in kg per 44 (o per 20 se si considerano i pounds) e per il numero di unità del livello plasmatico desiderato. Così, per far aumentare il livello del fattore VIII di un individuo che pesa 68 kg (150 lb) da 0 a 1 U/ml, la dose richiesta dovrebbe essere 68 ⋅ 44 ⋅ 1 (150 ⋅ 20 ⋅ 1) ovvero sarebbero necessarie 3000 U del fattore VIII. Nell’emofilia B, quando la dose del fattore IX per la terapia sostitutiva sono calcolate come descritto sopra e somministrate sotto forma di fattore IX purificato, il tasso di fattore IX plasmatico non aumenterà che di metà di quello atteso in funzione delle unità di fattore IX annotate sul flacone. Ciò può essere la conseguenza del legame del fattore IX all’endotelio vascolare. Un antifibrinolitico (AF) (acido ε-aminocaproico alla dose di 2,5-4 g PO qid per 1 sett. o l’acido tranexamico 1-1,5 g PO tid o qid per 1 sett.) deve essere somministrato per prevenire sanguinamenti tardivi, dopo estrazione dentaria, o altre cause di traumi della mucosa orofaringea (p. es., una lacerazione della lingua). Il trattamento del sanguinamento negli emofilici che sviluppano un inibitore del fattore VIII è difficile e deve essere consultato uno specialista. Ai pazienti con un basso titolo iniziale di anticorpo, si può somministrare una grossa dose di fattore VIII, per superare l’inibitore e far aumentare temporaneamente la concentrazione plasmatica del fattore VIII. Se non si riesce a controllare il sanguinamento, un’ulteriore infusione di fattore VIII di solito sarà inutile a causa del rapido aumento del titolo di anticorpale. Gli anticorpi antifattore VIII responsabili dell’attività inibitoria sono eterogenei e in alcuni pazienti non inibiscono, o soltanto minimamente, il fattore VIII suino. Quindi in questi pazienti una preparazione di fattore VIII suino altamente purificata controlla l’emorragia. I concentrati di complesso protrombinico, che contengono fattore IX e una quantità variabile di attività che salta il ruolo del fattore VIII nella coagulazione; sono stati anche usati per trattare sanguinamenti gravi in pazienti con alto titolo di inibitore, ma essi possono indurre un’ipercoagulabilità e un evento trombotico paradosso. Il fattore principale che permette il "by-pass" dell’inibitore del fattore VIII nel concentrato di complesso protrombinico, può essere il fattore IXa. Si è dimostrato che il fattore VIIa ricombinante somministrato ad alte dosi ripetute (p. es., 90 µg/ kg) può controllare l’emorragia in alcuni pazienti con inibitore di fattore VIII, senza indurre uno stato d’ipercoagulabilità; il controllo a lungo termine nella emofilia A si raggiunge nella maggior parte dei pazienti inducendo l’immunotolleranza attraverso la continua esposizione al fattore VIII. Infezioni da HIV negli emofilici: la maggior parte degli emofilici trattati con concentrati plasmatici nei primi anni ‘80 è stata infettata dall’HIV (v. Cap. 163). Vi è una maggiore difficoltà nel trattare episodi emorragici nei pazienti che sviluppano una trombocitopenia immunologica in conseguenza di un’infezione da HIV. file:///F|/sito/merck/sez11/1310983.html (3 of 4)02/09/2004 2.07.35

Disordini dell’emostasi e della coagulazione

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Disordini piastrinici

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 133. DISORDINI PIASTRINICI Patologie piastriniche possono causare una difettosa formazione dei coaguli emostatici e sanguinamenti o per una riduzione del numero delle piastrine (trombocitopenia) o per una ridotta funzione piastrinica nonostante un numero normale (disfunzione piastrinica).

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Infezione da virus dell'immunodeficienza umana (hiv)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 163. INFEZIONE DA VIRUS DELL'IMMUNODEFICIENZA UMANA (HIV) Infezione causata da uno di due retrovirus imparentati (HIV-1 e HIV-2) che provocano una grande varietà di manifestazioni cliniche, che vanno dallo stato di portatore asintomatico fino a malattie gravemente debilitanti e mortali collegate allo stato di immunodeficienza.

Sommario: Introduzione Trasmissione Patogenesi Epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi di laboratorio Prognosi Prevenzione della trasmissionedel HIV Prevenzione delle infezioni opportunistiche Terapia

Alcuni retrovirus sono oncogeni e altri hanno effetti patologici che alterano le normali funzioni cellulari o provocano la morte cellulare. Dei retrovirus di cui è nota la capacità di infettare l’uomo, i tipi I e II del human T-cell lymphotrophic virus (HTLV) sono associati a neoplasie linfoidi e a malattie neurologiche e, con minor frequenza, a gravi immuno depressioni, mentre invece il HIV causa immuno- soppressione ma non sembra causare direttamente delle neoplasie. Il HTLV-I e il HTLV-II sono entrambi linfotropici e oncogeni, del tipo retrovirus C e causano leucemie/linfomi delle cellule T degli adulti in < 5% dei soggetti infettati. L’espansione dei linfociti CD4+ T (helper) nei tessuti e nel torrente ematico porta a leucemia, linfoadenopatia diffusa, epatosplenomegalia e a lesioni cutanee. Molti pazienti appaiono immunosoppressi e alcuni sono soggetti alle stesse infezioni opportunistiche cui vanno incontro i pazienti con infezione avanzata da HIV. Il HTLV-I è anche neurotropico e causa una mielopatia progressiva (paraparesi spastica tropicale o la mielopatia HTLV associata [MHA]) in < 1% dei portatori. Nei portatori di HTLV-II sono stati descritti alcuni casi di mielopatia. Dal punto di vista clinico, la MHA è una paraparesi spastica progressiva con astenia, rigidità, ottundimento, parestesie degli arti inferiori, poliuria e incontinenza. Tali sintomi si presentano entro i primi dieci anni dall’infezione. (V. anche Paraparesi spastica tropicale/ Mielopatia HTLV I-associata nel Cap. 162.) Il HTLV-I si trasmette per via sessuale e attraverso il sangue, anche se sembra che la maggior parte delle infezioni venga trasmessa verticalmente dalla madre al bambino durante l’allattamento. Lo spettro di malattia e la sieroprevalenza del HTLV-I fanno pensare che l’infezione sia distribuita in modo amplio, ancorché non omogeneo. Per esempio, livelli alti di HTLV-I sono presenti nel Giappone meridionale e nei Caraibi e tra i consumatori di droghe EV e le prostitute in alcune città degli USA (sono state descritte alcune piccole aree di endemia anche in Puglia, n.d.t.). Il retrovirus umano che ha avuto il più grande impatto sociale e medico è il HIV-1, che è stato identificato nel 1984 quale causa di una diffusa epidemia di una grave

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Infezione da virus dell'immunodeficienza umana (hiv)

immunodepressione denominata sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). La AIDS è un disordine dell’immunità cellulo- mediata caratterizzata da infezioni opportunistiche, tumori, disturbi neurologici e da una varietà di altre sindromi. La AIDS è la manifestazione più grave dello spettro di condizioni correlate al HIV (v. Sintomi e segni, oltre). Il rischio che una persona con HIV, non trattata, sviluppi la AIDS è stimato del 1-2%/anno nei primi anni dopo l’infezione e del 5%/anno in seguito. Il rischio cumulativo è di circa il 50% nei primi 10 anni. Praticamente tutte le persone con infezioni da HIV non trattate sono infine destinate a sviluppare la AIDS. Alcune conseguenze a lungo termine dell’infezione da HIV (p. es., altre neoplasie o malattie neurologiche croniche) possono non essere ancora state delucidate. La AIDS veniva inizialmente definito dallo sviluppo di gravi infezioni opportunistiche e/o di alcuni tumori secondari, come il sarcoma di Kaposi e il linfoma non-Hodgkin, noto per essere associato a un’immunità cellulo-mediata difettiva. La definizione formulata dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli USA (CDC) nel 1993 (adottata successivamente dall’OMS e dall’Italia-ndt) categorizzava come (A) gli adulti e gli adolescenti asintomatici, come (B) quelli sintomatici con condizioni attribuibili al HIV e come (C) la AIDS conclamata; v. Tab. 163-1 e 163-2. I pazienti con infezione da HIV sono categorizzati inoltre per il numero dei linfociti CD4+ > 500 cellule/µl (1), 200499 cellule/µl (2), < 200 cellule/µl (3). All’inizio dell’epidemia molti pazienti divennero consapevoli della loro infezione da HIV quando ricevettero una diagnosi di un’infezione opportunistica potenzialmente letale oppure di un tumore senza aver presentato in precedenza sintomi di una condizione patologica cronica.

Trasmissione La trasmissione del HIV richiede il contatto con un fluido corporeo contenente cellule o plasma infetti. Il HIV può essere presente in ogni fluido o essudato che contiene plasma o linfociti e, specificamente, sangue, sperma, secrezioni vaginali, latte materno, saliva o essudati delle ferite. Sebbene teoricamente possibile, la trasmissione attraverso saliva o goccioline emesse con tosse o starnuti è estremamente rara e probabilmente non si verifica affatto. Il HIV non viene trasmesso tramite contatti casuali o nemmeno per contatti stretti di natura non sessuale che si verificano nell’ambito lavorativo, scolastico o domestico. Le più comuni modalità di trasmissione sono il trasferimento diretto di liquidi biologici attraverso l’uso condiviso di aghi contaminati oppure i rapporti sessuali. Le pratiche sessuali che non comportino l’esposizione a liquidi biologici sono esenti da rischio. Altre pratiche, quali la fellatio e il cunnilingus sembrano essere relativamente, anche se non in maniera assoluta, sicure. Il rischio più alto si ha attraverso il rapporto genitale, in special modo il rapporto anale ricettivo. Le pratiche sessuali che producono traumi delle mucose prima o durante il rapporto aumentano il rischio. L’uso di condom in latex, ma non quelli prodotti con membrane naturali o di barriere vaginali diminuisce ma non elimina il rischio. I lubrificanti a base oleosa diminuiscono il livello di protezione fornita dai condom in latex in quanto essi li dissolvono. Le cellule infette o i virioni liberi possono raggiungere le cellule bersaglio in un nuovo ospite attraverso la trasfusione di sangue, un’ iniezione accidentale o l’esposizione di una membrana mucosa. Il ruolo dell’infiammazione della membrana mucosa è illustrato dall’effetto di altre malattie trasmesse sessualmente (STD) sulla suscettibilità all’infezione da HIV. La trasmissione del HIV è sicuramente aumentata dall’ulcera venerea ed è più probabile in presenza di herpes, sifilide, infezioni da trichomonas e forse da altre STD. La trasmissione del HIV attraverso una puntura accidentale, stimata attorno a 1/300 incidenti, è molto più difficile e molto meno frequente della trasmissione dell’epatite B, presumibilmente a causa del numero relativamente basso di virioni file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (2 of 13)02/09/2004 2.07.38

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di HIV presenti nel sangue della maggior parte dei pazienti infetti. Il rischio di trasmissione del HIV sembra essere aumentato nel caso di ferite profonde o di iniezioni di sangue, come quando gli aghi cavi contenenti sangue penetrino la cute. Il rischio di trasmissione del HIV da personale sanitario infetto che osservi delle buone tecniche, a pazienti non infetti è molto basso anche se non è chiara la sua quantizzazione. È stata documentata la trasmissione da un singolo dentista ad almeno sei dei suoi pazienti. Tuttavia, indagini accurate effettuate su pazienti trattati da altri medici con infezione da HIV e da chirurghi non ha permesso di evidenziare altri casi di pazienti infettati. Le modalità di trasmissione del HIV dal dentista ai suoi pazienti non è stata compresa e rimane un episodio preoccupante, ma apparentemente unico. Le procedure o le situazioni dalle quali il personale medico infetto deve essere escluso non sono state identificate con chiarezza. La trasmissione del HIV durante l’assistenza medica costituisce un problema potenziale se il sangue da trasfondere non viene sottoposto a screening o gli strumenti medici non vengono sterilizzati in modo adeguato. Il ricorso al test ELISA (v. oltre) per il controllo dei donatori di sangue ha ridotto enormemente il rischio di contrarre il HIV tramite trasfusione. Tuttavia gli individui ai primi stadi dell’infezione da HIV che non abbiano già prodotto una risposta anticorpale, possono avere i test ELISA e Western Blot transitoriamente negativi mentre sono positivi i risultati dell’antigene p24 del HIV nel plasma. Queste persone rendono ragione di un rischio potenziale molto basso, ma continuo, di infezione da HIV associata a trasfusioni (stimato tra 1/10000 e 1/ 100000 per unità trasfusa). Attualmente lo screening obbligatorio sia con la ricerca degli anticorpi che dell’antigene p24 può ulteriormente ridurre tale rischio.

Patogenesi Due retrovirus strettamente correlati, HIV-1 e HIV-2 sono stati identificati come la causa della AIDS in diverse regioni geografiche. Il HIV-1 causa la maggior parte dei casi di AIDS nell’emisfero occidentale, in Europa, in Asia e nell’Africa centrale, meridionale e orientale; il HIV-2, che sembra meno virulento del HIV-1, è il principale agente della AIDS nell’Africa occidentale. In alcune regioni dell’Africa occidentale sono presenti entrambi i microrganismi. Tutti i retrovirus contengono un enzima chiamato transcrittasi inversa che converte l’RNA virale in una copia del DNA provirale che si integra nel DNA della cellula ospite. Questi provirus integrati si duplicano con i normali geni cellulari durante ogni divisione della cellula. Così tutte le cellule discendenti dalla prima cellula infettata conterranno il DNA retrovirale. Il DNA provirale del HIV è sia trascritto a RNA che tradotto in proteine in modo da produrre centinaia di copie del virus infettante. Cruciale per il passo finale del ciclo vitale del HIV è un altro enzima, la proteasi del HIV. Quest’enzima converte il virus immaturo, non contagioso, nella forma contagiosa tramite la separazione di proteine importanti così che si possano risistemare all’interno del virus una volta che questo sia fuoriuscito dalla cellula umana infetta. Il HIV infetta uno dei principali sottogruppi dei linfociti T, definito sul piano fenotipico dalle glicoproteine di membrana T4 o CD4 e sul piano funzionale come cellule helper/inducer. Il HIV infetta anche cellule non linfoidi, come i macrofagi, le cellule microgliali e varie cellule endoteliali ed epiteliali. Le cellule dendritiche nei linfonodi possono far aderire il HIV alla superficie cellulare anche se non ne sono invase. Come conseguenza dell’infezione da HIV, il numero e le funzioni delle cellule-T, delle cellule-B, delle cellule natural-killer e dei monociti/macrofagi subiscono delle alterazioni. Malgrado le anomalie delle cellule non CD4+, molte delle disfunzioni immunologiche nella AIDS sembrano spiegarsi per la perdita di questi linfociti helper la cui importanza è determinante per l’immunità cellulomediata (v. Cap. 146). I migliori predittori di insorgenza di gravi infezioni opportunistiche che caratterizzano la AIDS (v. Tab.163-1) sono dati dal numero totale dei linfociti CD4

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(conta dei CD4) in circolazione e dal livello di HIV RNA (carica virale). Il numero dei CD4 è il prodotto del numero dei GB, della percentuale dei linfociti nei GB e della percentuale dei linfociti che portano i marcatori dei CD4. I livelli normali sono di circa 750 ± 250 cell/µl, ma i livelli sono di solito ridotti di circa il 4050% nelle prime fasi dell’infezione. La vulnerabilità alle infezioni opportunistiche si accresce marcatamente quando i livelli dei linfociti CD4 sono < 200/µl. Un altro segno della diminuzione dell’immunità cellulare mediata è la perdita dell’ipersensibilità ritardata agli Ag iniettati intradermicamente come il test alla tubercolina per la TBC. La carica virale (numero di copie di HIV-1 RNA in 1 ml di plasma) rappresenta un marcatore predittivo utile del decorso clinico e una misura della risposta alla terapia antiretrovirale. I livelli del HIV-1 RNA aumentano all’aumentare del livello di immunosoppressione, ma gli alti livelli anticipano anche la velocità futura di declino del numero di CD4, anche in pazienti senza sintomi o evidenza di grave immuno depressione (> 500 CD4 cell/µl). Il rischio di progressione verso la AIDS o la morte sembra aumentare di circa il 50% ad ogni aumento di tre volte dell’RNA virale plasmatico. I linfociti CD8+ suppressor/citotossici sembrano essere normali dal punto di vista funzionale e aumentati numericamente in corso di infezione da HIV, fatto questo che può contribuire a un’ulteriore immunosoppressione e dare come risultato una riduzione del rapporto CD4:CD8 (di norma 2:1) a < 1. Dal momento che altre infezioni virali (p. es., CMV, Epstein-Barr virus, influenza, epatite B) possono produrre delle riduzioni transitorie del rapporto CD4:CD8, rapporti ridotti non sono specifici. I concetti sulle modalità di alterazione del sistema immunitario da parte del HIV sono stati radicalmente modificati dalla scoperta dell’elevata velocità sia di produzione che di rimozione del HIV, come è rivelato dalla rapida riduzione del HIV RNA plasmatica durante il trattamento con i potenti farmaci antiretrovirali. Il tempo mediano di turnover del HIV RNA nel plasma (tempo impiegato perché la metà dei virioni HIV sia rimpiazzato) è stimato essere inferiore a un giorno, che corrisponde in un’infezione da moderata a grave a circa 108-109 virioni/die. Questa rapida replicazione virale fornisce molte opportunità perché possano verificarsi delle mutazioni e perciò ci possa essere la possibilità per la rapida comparsa di mutanti virali resistenti ai farmaci antiretrovirali. Nel caso delle cellule CD4, l’emivita è più breve (circa 2 giorni). Sembra che le cellule CD4 infettate più di recente forniscano > 99% dell’RNA plasmatico; dopo circa 2 giorni di replicazione virale, queste cellule muoiono. Perciò, anche nei pazienti asintomatici si svolge una costante distruzione delle cellule CD4 a velocità determinate dal livello di RNA plasmatico. Nel corso di una terapia antiretrovirale efficace, i livelli di HIV RNA plasmatici scendono nel giro di giorni e raggiungono livelli più bassi o diventano non evidenziabili nel giro di pochi giorni o di mesi. Queste informazioni e un numero di nuovi e potenti farmaci antiretrovirali hanno radicalmente cambiato l’approccio alla terapia antiretrovirale (v. oltre). Le relazioni tra l’RNA nel plasma e i livelli nei linfonodi e nel cervello sono in corso di intenso studio dal momento che non è chiaro l’effetto del trattamento su questi serbatoi di HIV. Anche quando le terapie di combinazione riducono il HIV RNA plasmatico a livelli non misurabili, il virus rimane evidenziabile per diversi anni nei linfonodi. I livelli liquorali di HIV RNA nei pazienti trattati con farmaci efficaci come gli inibitori nucleosidici della transcrittasi inversa (p. es., zidovudina o stavudina) sono di solito non misurabili e possono riflettere i livelli del virus nel cervello, anche se questo non è ancora provato. Colpire il HIV in questi serbatoi può costituire un passaggio fondamentale verso l’eliminazione dell’infezione da HIV nei pazienti. Il modello di perdita dei linfociti CD4+ procede in tre fasi e a velocità variabili da paziente a paziente. Entro i primi mesi dell’infezione, il numero di cellule CD4+ circolanti diminuisce rapidamente. Un periodo prolungato di diminuzione più lenta può essere seguito da un altro di diminuzione più rapida per 1-2 anni prima che si sviluppi la AIDS. La variazione nei tassi di deplezione linfocitaria nel tempo e tra gli individui sembra correlarsi ai livelli di HIV RNA nel plasma. Tuttavia, i meccanismi sottostanti la distruzione cellulare non sono stati compresi del tutto. L’immunità umorale è altrettanto compromessa. L’iperplasia dei linfociti-B (produttori di Ac) nei linfonodi causa la linfadenopatia e l’aumento della file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (4 of 13)02/09/2004 2.07.38

Infezione da virus dell'immunodeficienza umana (hiv)

secrezione di Ac, che porta all’iperglobulinemia. Persiste la produzione di Ac per Ag precedentemente incontrati; tuttavia, la risposta ai nuovi Ag è difettiva e a volte assente. Così, i livelli totali degli Ac (specialmente IgG e IgA) possono essere elevati e il tasso degli Ac contro agenti specifici (p. es., il citomegalovirus) può essere superiore ai livelli normali, ma la risposta all’immunizzazione diminuisce in maniera sempre maggiore con la diminuzione del numero dei CD4. Le anomalie immunologiche misurabili nella AIDS comprendono anergia (dimostrata dalla mancanza di risposte di ipersensibilità ritardata all’iniezione intradermica dei comuni Ag; p. es., tetano, parotite, Candida albicans), scarsa risposta proliferativa delle cellule T ai mitogeni e agli antigeni, un’ipergammaglobulinemia policlonale, livelli plasmatici dei complessi immuni aumentati, diminuiti Ac di risposta agli Ag di richiamo e di prima sensibilizzazione, una diminuzione della funzione delle cellule natural killer e un aumento dei livelli dei marcatori di attivazione immunitaria come la α1-timosina, l’interferone acidolabile, la neopterina e la β2-microglobulina. Infezioni opportunistiche: la tipologia delle specifiche infezioni opportunistiche varia geograficamente, tra i gruppi a rischio e come risultato di interventi sanitari. Negli USA e in Europa, > 90% dei pazienti con AIDS che presentano il sarcoma di Kaposi (SK) è omosessuale o bisessuale di sesso maschile, forse a causa della coinfezione con il virus umano herpes-8, un cofattore virale di nuova identificazione (con HIV) per il sarcoma di Kaposi. La toxoplasmosi e la TBC sono più comuni nelle zone tropicali dove è alta la prevalenza di infezioni latenti da Toxoplasma gondii e Mycobacterium tuberculosis nella popolazione generale. Anche nei paesi industrializzati dove l’incidenza della TBC è bassa, il HIV ha causato l’aumento del tasso di TBC e delle sue presentazioni atipiche. L’ampia utilizzazione di schemi di profilassi efficaci contro patogeni quali Pneumocystis carinii e Mycobacterium avium complex ha ridotto il rischio di queste infezioni almeno nei paesi industrializzati.

Epidemiologia Da quando la AIDS è stata scoperta per la prima volta nel 1981, quando furono individuati casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di sarcoma di Kaposi in uomini omosessuali in California e a New York, essa ha assunto proporzioni epidemiche; negli USA sono stati notificati > 581000 casi e 357000 decessi a tutto il dicembre 1996. Viene stimato che in tutto il mondo si siano avuti 30 milioni di infezioni da HIV e 10 milioni di casi di AIDS. Vengono riconosciuti due modelli di trasmissione del HIV. Negli USA e in Europa (tipo 1), la trasmissione è principalmente omosessuale o parenterale. La maggior parte dei pazienti è di sesso maschile e di età compresa tra 20 e 49 anni appartenenti a gruppi ad alto rischio (p. es., uomini omosessuali o bisessuali, consumatori di droghe EV che condividono gli stessi aghi e pazienti emotrasfusi o riceventi emoderivati che a volte trasmettono il HIV a donne per via eterosessuale). Negli USA, le donne costituiscono una percentuale in aumento (circa 20%) di tutti i casi di AIDS. Tra le persone con emofilia e altri disordini della coagulazione, la AIDS è divenuta la principale causa di mortalità. Prima del 1985, il rischio di infezione da HIV tra gli emofiliaci è stato correlato con il grande bisogno dei pazienti di concentrati di fattore VIII e l’origine dei prodotti plasmatici utilizzati negli USA. L’ampia distribuzione di prodotti plasmatici commercializzati, provenienti dagli USA ha dato come risultato un alto tasso di infezione da HIV, anche in quei pazienti residenti in aree non interessate all’inizio dall’epidemia. Nella maggior parte dell’Europa, dove i fattori di coagulazione provengono da una popolazione con un basso livello di rischio di infezione da HIV, sono stati infettati un minor numero di emofiliaci. Tuttavia, l’introduzione dello screening per il HIV sul sangue e il trattamento di riscaldamento degli emoderivati oppure l’uso di prodotti derivati dalla tecnologia bioingegneristica per l’emofilia ha successivamente eliminato il rischio di infezione.

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In Africa, Sud America e nell’Asia meridionale (tipo 2), la trasmissione è soprattutto eterosessuale. In queste aree, gli uomini e le donne sono colpiti pressoché nella stessa proporzione. Un insieme dei due modelli è stato riscontrato in paesi quali il Brasile e la Tailandia. Nell’evoluzione tipica, le infezioni seguono le vie di comunicazione e di traffico commerciale tra le città e successivamente si diffondono alle aree rurali. La continua diffusione del HIV nei paesi in via di sviluppo, che possiedono risorse minime con cui fronteggiare l’epidemia, presenta gravi implicazioni. La diffusione in Tailandia di due distinti sierogruppi di HIV-1 è a questo proposito illustrativo. Intorno al 1990 circa, epidemie parallele di HIV trasmesso per via eterosessuale (genotipo A) e trasmesso da aghi (genotipo B) infettò rapidamente le prostitute e i loro clienti e i consumatori di oppiacei EV che condividevano gli stessi aghi. L’infezione di un gran numero di donne in età feconda ha portato a un numero consistente di casi pediatrici di AIDS (v. Infezione da virus di immunodeficienza umana nei bambini in Infezioni virali nel Cap. 265). Il HIV può essere trasmesso per via transplacentare o perinatale. Il virus è stata trovato nel latte materno e anche l’allattamento al seno è stato implicato nella trasmissione. Inoltre, gruppi di neonati e di bambini sono stati infettati dall’uso ripetuto di aghi inadeguatamente sterilizzati.

Sintomi e segni Il HIV causa un ampio spettro di problemi clinici che possono far pensare ad altre malattie. Immediatamente dopo l’infezione e per un periodo di tempo prolungato (oltre diversi mesi in un esiguo numero di persone) si ha un breve stato di portatore sieronegativo. Durante questo periodo, il virus si riproduce rapidamente sin quando il sistema immunitario inizia a reagire e/o le cellule obiettivo si esauriscono. Il HIV oppure l’antigene HIV p24 (capside) è evidenziabile nel plasma, anche quando nessun Ac anti-HIV sia rintracciabile. Entro 1-4 sett. dall’infezione alcuni pazienti sviluppano una sindrome retrovirale acuta o un’infezione da HIV primaria con febbre, malessere, eruzioni cutanee, artralgia e linfadenopatia generalizzata che di solito dura 3-14 giorni, seguita entro giorni, e fino a 3 mesi, dalla sieroconversione degli Ac anti-HIV. La sindrome retrovirale acuta spesso viene scambiata per una malattia febbrile del tratto respiratorio superiore (influenza) o per mononucleosi. In seguito, queste manifestazioni acute scompaiono (anche se solitamente persiste la linfadenopatia) e i pazienti diventano portatori asintomatici sieropositivi. Alcuni di questi pazienti sviluppano una sintomatologia lieve e remittente che non si inquadra nella definizione di AIDS (p. es., candidosi, zoster, diarrea, astenia, febbre). La leucopenia è reperto comune e possono aversi anche anemia e trombocitopenia immuno-mediata. Sintomi neurologici: i sintomi neurologici sono comuni e possono essere la prima manifestazione della AIDS. I sintomi possono essere dovuti agli effetti del HIV, infezioni opportunistiche, neoplasie o complicanze vascolari. Essi includono meningite asettica acuta; neuropatie periferiche di diversi tipi; encefalopatia con convulsioni; deficit motori focali, sensitivi o dell’andatura e disturbi cognitivi che progrediscono fino alla demenza (v. Demenza non Alzheimer nel Cap. 171). La neuropatia periferica può causare parestesie dolorose, perdita moderata della sensibilità distale (distribuzione a guanto e calza), diminuzione dei riflessi achillei, debolezza distale e atrofia e possono verificarsi in vari gradi. Sia la sindrome di Guillain-Barré che la poliradicolopatia da citomegalovirus (CMV) possono manifestarsi in forma di paralisi ascendente. Una miopatia simile alla polimiosite può complicare la AIDS o la terapia con zidovudina. La meningite asettica può causare cefalea, febbre e fotofobia e può essere associata a una pleiocitosi mononucleare nel LCR. Una meningite asettica transitoria può accompagnare l’infezione primaria da HIV. file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (6 of 13)02/09/2004 2.07.38

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Un’encefalite subacuta può essere causata dal HIV, dal CMV o da entrambi. L’interessamento neurologico può rivelare, in sede autoptica, degli ammassi nodulari di cellule microgliali senza altri infiltrati infiammatori nella materia grigia. Con i noduli, nei casi di encefalite da CMV, sono state associate inclusioni intranucleari e intracitoplasmiche di CMV. Nella materia bianca si rinvengono piccoli e non ben definiti foci di demielinizzazione perivenulare. Cefalea, stato confusionale, perdita della memoria, difficoltà psicomotorie, mioclonia, crisi convulsive e grave demenza progressiva fino al coma sono le manifestazioni tipiche che appaiono settimane o mesi prima del decesso. Possono essere presenti atrofia corticale alla TC, pleiocitosi del LCR con un elevato livello proteico e anomalie diffuse all’EEG, tutte non specifiche. La dimostrazione del CMV DNA nel LCR tramite reazione a catena della polimerasi può permettere la diagnosi di encefalite da CMV, ventricolite o mielite/poliradiculopatia. Disturbi cognitivi e motori meno marcati si verificano in molti pazienti con AIDS, anche se in modo clinicamente meno evidente e socialmente meno debilitanti; per tale motivo non vengono sempre riconosciuti. Le aree della funzione cognitiva più frequentemente colpite sono l’attenzione, la velocità di elaborazione delle informazioni e la comprensione. Queste anomalie della sfera cognitiva non sono spiegate da disturbi dell’umore o da farmaci oppure da abuso di alcol. Esse sono associate a un quadro di atrofia cerebrale come viene evidenziato alla RMN, a un’attivazione immunitaria (elevati livelli di β2-microglobulina), livelli misurabili di HIV RNA (> 200 copie/ml) nel LCR e altre anomalie neurologiche. Lievi disturbi cognitivi e motori non progrediscono necessariamente in modo rapido verso la demenza, comunque molti pazienti presentano un quadro che progressivamente va deteriorandosi. È stata documentata una risposta al trattamento sia nel caso dell’encefalopatia da CMV che in quella da HIV, ma in entrambi i casi ciò non è prevedibile. Infezioni opportunistiche del SNC: l’encefalite da toxoplasma causa cefalea, letargia, stato confusionale, crisi convulsive e segni focali che evolvono nel giro di gg o di sett. Gli aspetti neuroradiologici alla TC o alla RMN comprendono lesioni con un "enhancement" ad anello con una preferenza per i gangli basali. I test sierologici per gli Ac IgG antitoxoplasma indicanti un’infezione antecedente e latente cronicamente sono quasi sempre positivi ma non sempre forniscono la prova che la lesione sia causata dal Toxoplasma. I test sierologici negativi riducono di molto la probabilità che una lesione sia causata da Toxoplasma gondii. Il LCR mostra una pleiocitosi lieve o moderata ed elevata proteinorrachia. La biopsia cerebrale può permettere di giungere alla diagnosi; tuttavia nei pazienti sieropositivi spesso si attua una terapia empirica con pirimetamina e sulfadiazina (o clindamicina se il paziente è allergico ai sulfamidici), sotto stretto controllo per 7-10 giorni in attesa di una risposta clinica. Con la terapia, la prognosi è buona e le recidive possono essere prevenute con la profilassi con trimetoprim/sulfametossazolo o clindamicina/pirimetamina. In corso di AIDS si manifestano anche meningiti da criptococco, da istoplasma e tubercolari (da Mycobacterium tuberculosis) che sono caratterizzate da febbre e cefalea e sono suscettibili di trattamento. La leucoencefalopatia multifocale progressiva (v. Cap. 162), un’encefalite causata da papovavirus, non risponde alla terapia e ha un decorso solitamente progressivo e con esito fatale nel giro di pochi mesi. Neoplasie dell’encefalo: il linfoma primitivo a cellule B (non-Hodgkin) dell’encefalo produce segni focali consistenti con la sua localizzazione anatomica. La TC a volte mostra una massa che a volte prende il contrasto e non può essere distinta in maniera affidabile da un’encefalite focale causata da Toxoplasma, TBC, Cryptococcus o da altri microrganismi opportunisti. In questi casi, la RMN può essere più discriminante e la biopsia cerebrale è necessaria per una diagnosi definitiva. Nei pazienti con AIDS i linfomi sistemici possono interessare il SNC, tuttavia nel caso del sarcoma di Kaposi ciò avviene di rado. (V. anche Cap. 145.) Sintomi ematologici: alcuni pazienti presentano anemia sintomatica o trombocitopenia immunomediata. La trombocitopenia associata al HIV risponde solitamente agli stessi trattamenti (corticosteroidi, splenectomia, file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (7 of 13)02/09/2004 2.07.38

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immunoglobuline EV) della porpora trombocitopenica idiopatica e quasi mai provoca emorragie. (V. anche Cap. 145.) Sintomi GI: dolori addominali, nausea e vomito o diarrea contribuiscono al calo ponderale e alla cachessia cosicché affliggono di solito i pazienti con AIDS avanzata. Varie infezioni opportunistiche e forme tumorali possono interessare il tratto GI. I siti interessati includono l’orofaringe (Candida, sarcoma di Kaposi, linfoma, herpes simplex e stomatite aftosa), esofago (herpes simplex, CMV, Candida), stomaco (sarcoma di Kaposi e linfoma), intestino (Salmonella, Clostridium difficile, CMV, herpes simplex) e tratto biliare (cryptosporidium e CMV). Inoltre, pancreatite iatrogena (p. es., didanosina) o epatite (p. es., fluconazolo) possono complicare la terapia. La diarrea per la quale non viene identificata una causa può persistere per lunghi periodi o recidivare a intermittenza, anche in pazienti senza una grave immunosoppressione o altri sintomi. Sintomi dermatologici: le manifestazioni cutanee dell’infezione da HIV complicano tutti gli stadi dal rash e dalle ulcere genitali dell’infezione primaria al sarcoma di Kaposi disseminato nella AIDS conclamata (v. Cap. 126). Lo zoster, comune durante tutto il decorso dell’infezione, ne è spesso la prima manifestazione. Lesioni ematogene di criptococcosi o di angiomatosi bacillare possono costituire importanti elementi per giungere alla diagnosi di queste infezioni opportunistiche. Sintomi orali: la candidosi orale (mughetto) è tra le prime e le più comuni manifestazioni dell’infezione da HIV; è di solito indolore, può non essere notata dal paziente e può fornire un elemento utile nei pazienti non ancora diagnosticati come affetti da infezione da HIV. La leucoplachia capelluta orale, diagnosticata tramite il riscontro di aree ingrossate, biancastre, filiformi ai lati della lingua, è probabilmente causata dal virus di Epstein-Barr e può essere trattata con acyclovir. Le ulcere causate dall’herpes simplex o di eziologia ignota (aftose) possono essere grandi, dolenti e persistenti e possono interferire con la nutrizione. Le patologie parodontali possono divenire gravi, fino a condurre a sanguinamento, edema gengivale e perdita dei denti. Sia il sarcoma di Kaposi che i linfomi possono manifestarsi nell’orofaringe, di solito come masse indolori. Sintomi polmonari: di gran lunga la più importante infezione polmonare associata al HIV è la TBC, che è di frequente la prima manifestazione dell’infezione da HIV in quei paesi dove tale patologia è altamente endemica. Presentazioni atipiche (infrequente la presenza di cavitazioni, infiltrati dei lobi inferiori, malattia miliare e adenopatia), anergia al test cutaneo con la tubercolina e stato confusionale o coesistenza con altri patogeni opportunisti, possono rendere difficile la diagnosi. Il polmone è inoltre un sito comune di infezioni opportunistiche causate da funghi quali Pneumocystis carinii, Cryptococcus neoformans, Histoplasma neoformans, Coccidioides immitis e Aspergillus sp. Le polmoniti batteriche causate da pneumococchi, Haemophilus, Pseudomonas e Rhodococcus sono particolarmente comuni nei consumatori di droghe EV. Sia il sarcoma di Kaposi che i linfomi a cellule B possono interessare i linfonodi mediastinici e il polmone. Sintomi nelle donne: il quadro d’esordio e il decorso dell’infezione da HIV nelle donne assomiglia a quello dell’uomo, a eccezione della candidosi vaginale cronica refrattaria e dell’aumentato rischio di neoplasie intraepiteliali cervicali. Alcune STD quali la malattia infiammatoria pelvica possono avere un quadro atipico, più aggressivo e resistente al trattamento nelle donne con infezione da HIV. Si raccomanda di sottoporre a test per il HIV, le donne con forme aggressive o insolitamente resistenti di STD o con candidosi vaginale. Le complicanze cardiovascolari includono endocardite batterica trombotica (specialmente nei consumatori di droghe EV) o una cardiomiopatia con insufficienza cardiaca congestizia. L’insufficienza renale o la sindrome nefrosica complicano di rado la AIDS, ma possono essere fonte di grave inabilità (v. anche Cap. 224).

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Diagnosi di laboratorio L’evidenziazione di anticorpi anti-HIV costituisce un metodo sensibile, specifico, economico e ampiamente disponibile, nella maggior parte degli stadi dell’infezione. Test sierici rapidi (10 min), sistemi di raccolta dei campioni a domicilio e test anti-HIV sulla saliva e sulle urine, sono utili in alcune situazioni, ma possono richiedere test di conferma tramite le metodiche sierologiche standard. L’evidenziazione del HIV RNA nel sangue fornisce una diagnosi sensibile e specifica di infezione da HIV nei pazienti in uno stadio molto precoce di infezione quando gli anticorpi possono non essere ancora evidenziabili. I test per l’evidenziazione degli anticorpi anti-HIV includono l’ELISA, che può evidenziare anticorpi diretti contro le proteine del HIV. La metodica ELISA è altamente sensibile e specifica, ma può comunque fornire test falsamente positivi. Quando il test dà risultato positivo, l’ELISA va ripetuto sullo stesso campione. Nel caso di un secondo test positivo va effettuato un test più specifico di conferma, p. es., il Western blot che è una procedura immunoelettroforetica per l’identificazione degli Ac contro proteine virali specifiche separate dal loro peso molecolare. I test ELISA, che misurano direttamente gli Ag virali (p24) piuttosto che gli Ac antivirali, sono relativamente insensibili. I test che misurano i livelli dell’antigene sono stati soppiantati dalle più sensibili misurazioni dell’RNA plasmatico. Diversi e sensibili test per l’RNA plasmatico quali la reazione a catena della polimerasi per la transcrittasi inversa (RT-PCR), che amplifica gli acidi nucleici virali o il DNA ramificata (bDNA), che amplifica il segnale, sono sensibili e accurati per un’ampia gamma di concentrazioni virali (fino a 1000000 di copie/ml di plasma). I limiti inferiori di evidenziazione si aggirano intorno a 400 copie/ml per la RT-PCR (test più recenti hanno un limite di 20-50 copie/ml, n.d.t.) e a 5000 copie/ml per la bDNA e la sensibilità di questi test è stata migliorata. Altri metodi per l’amplificazione degli acidi nucleici, quali l’amplificazione degli acidi nucleici basata sulle sequenze (NASBA) e l’amplificazione trascrizione-mediata (TMA), sono in corso di sviluppo per aumentare la sensibilità di quantizzazione del HIV RNA.

Prognosi Il rischio di sviluppare la AIDS o di morire, per una persona con infezione da HIV, può essere stimato combinando il numero dei linfociti CD4+ e i livelli di RNA plasmatico (v. Patogenesi, sopra). La conta dei CD4+ fornisce informazioni sull’immediata vulnerabilità verso le infezioni opportunistiche e il livello di HIV RNA plasmatico predice i futuri livelli di CD4+. La riduzione dei livelli plasmatici dell’RNA da parte della terapia antiretrovirale riduce il rischio di complicanze e di morte e spesso permette l’aumento dei CD4+. Le infezioni opportunistiche sono rimaste la causa immediata di morte per quasi tutti i pazienti con AIDS. I progressi nella profilassi ha diminuito l’incidenza di Pneumocystis, Toxoplasma, Mycobacterium avium complex (MAC), Cryptococcus e di altre infezioni opportunistiche e di conseguenza il loro contributo alla morbilità e alla mortalità. Il miglior trattamento farmaceutico di queste infezioni, e in minor modo, del sarcoma di Kaposi ha migliorato anche gli esiti. L’introduzione della terapia antiretrovirale di combinazione ha enormemente prolungato la sopravvivenza dei pazienti con AIDS a periodi di 2-3 anni, ma la durata dell’effetto benefico è variabile e per il momento non del tutto definito. I nuovi farmaci antiretrovirali utilizzati in combinazioni potenti e il monitoraggio dei livelli virali plasmatici (RNA), fanno sperare di poter estendere la sopravvivenza dei pazienti a tutte le fasi dell’infezione da HIV. Questi benefici possono essere file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (9 of 13)02/09/2004 2.07.38

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compromessi dalla resistenza dei virus ai farmaci che viene influenzata dal precedente uso di farmaci antiretrovirali da parte del paziente e dall’adesione del paziente stesso agli schemi di combinazione propostigli e dal loro stadio di infezione (v. Terapia, oltre).

Prevenzione della trasmissione del HIV Sono in corso di sviluppo molteplici strategie per indurre immunità protettiva nelle persone non infette da HIV. Gli immunogeni comprendono il virus attenuato e l’intero virus ucciso, proteine e peptidi virali ottenuti da ingegneria genetica (p. es., dalla membrana virale) e il virus vaccinico geneticamente modificato per esprimere le proteine virali del HIV. Questi sforzi sono frenati dalla mancanza di un marcatore misurabile dell’immunità protettiva come l’Ac neutralizzante indotto dal vaccino anti-polio oppure da un modello animale conveniente. Nonostante ciò, continuano a essere sviluppati e testati nuovi vaccini per determinarne la sicurezza e l’immunogenicità. Il contatto sessuale con un portatore di HIV rimane la causa più comune di trasmissione. La pietra miliare della prevenzione è l’educazione sanitaria volta a evitare pratiche sessuali non sicure, riducendo il numero e la frequenza dei contatti sessuali, evitando pratiche ad alto rischio (p. es., la penetrazione anale) e usando barriere protettive come i profilattici. L’uso costante del profilattico riduce di molto la trasmissione del HIV. L’effetto degli antivirali sulla trasmissione è incerto, ma probabilmente il loro uso riduce il rischio. Sintomatici o meno, i portatori di HIV devono essere esortati a evitare pratiche sessuali non sicure con persone non infettate. A tutte le donne in gravidanza deve essere offerta la possibilità di effettuare il test anti-HIV. Le donne positive al HIV devono essere esortate a prendere in considerazione la possibilità di rimandare la gravidanza almeno finché la gestione del HIV in gravidanza non sia stato studiata meglio. Il rischio di trasmissione in utero, durante il parto o nel post-partum da donne infette ai loro bambini è stimato essere del 30-50%, ma la zidovudina (ZDV o AZT) da sola riduce l’infezione acquisibile durante il parto di 2/3 e una combinazione di farmaci può essere ancora più efficace. Per molte donne infette da HIV, l’interruzione della gravidanza può rappresentare un’alternativa considerato il rischio basso, ma reale, di trasmissione e tenendo conto, anche, del fatto che i farmaci necessari per mantenere il proprio stato di salute possono presentare rischi per il feto. Bisogna educare e ammonire i tossicodipendenti EV sul rischio di condividere gli stessi aghi con altri tossicodipendenti. Sarebbe ideale combinare questo sforzo con la terapia di disintossicazione. Il test per gli Ac del HIV deve essere offerto in modo confidenziale a chiunque ne faccia richiesta, ma solo unitamente a un’azione di informazione e assistenza prima e dopo il test. I soggetti a rischio di contrarre l’infezione da HIV-anche se anti-HIV negativi-non devono donare il sangue o gli organi per i trapianti a causa del rischio quantunque ridotto che essi hanno di poter essere stati infettati di recente e quindi di essere contagiosi, ancorché negativi al test. Generalmente non bisogna mettere in isolamento i pazienti ricoverati con infezione da HIV, eccetto quando le loro complicanze infettive (p. es., una sospetta o provata TBC) siano trasmissibili. Le superfici contaminate da sangue o da altri fluidi corporei devono essere pulite e disinfettate. Il HIV è reso subito inattivo dal calore e da molti disinfettanti, incluso il perossido, l’alcol, il fenolo e l’ipoclorito. I fluidi corporei e i tessuti dei pazineti con infezione da HIV devono essere maneggiati con estrema attenzione. I medici e i dentisti devono indossare i guanti nell’esaminare tutti i pazienti se può verificarsi contatto con membrane mucose o con altre superfici umide. Dal momento che le punture accidentali da ago sono comuni, gli operatori sanitari devono essere istruiti sul modo di evitare tali incidenti. file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (10 of 13)02/09/2004 2.07.38

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Si ritiene che la profilassi post-esposizione con l’uso immediato di terapia antiretrovirale dopo ferite penetranti che coinvolgano sangue infetto dal HIV (punture d’ago) o dopo la contaminazione mucosa massiva (occhi o bocca), riduca la trasmissione. Attualmente per la profilassi post-esposizione in seguito a esposizioni relativamente ad alto rischio si raccomanda una combinazione di un inibitore delle proteasi con due inibitori della transcrittasi inversa. La zidovudina (ZDV o AZT) è sembrata in uno studio ridurre il rischio di trasmissione dopo punture d’ago e questa è l’unica evidenza che la profilassi funzioni. A causa del basso rischio di infezione a seguito della maggior parte delle esposizioni, studi prospettici controllati di efficacia della profilassi non sono praticabili. Tumori o difetti alla nascita successivi a brevi esposizioni a questi farmaci non sono stati riscontrati in quei pochi soggetti, peraltro sani, che hanno utilizzato la ZDV per questo scopo. Dal momento che ad alcune donne in fase precoce di gravidanza può venire offerta una profilassi a seguito di esposizione prima che la gravidanza sia sospettata o confermata, nelle donne in potenziale stato di gravidanza devono essere prese speciali precauzioni. Problemi aggiuntivi sorgono quando sono ignoti, per quanto concerne il HIV, il paziente fonte o lo stato sierologico del sangue, ma vanno assolutamente tentati l’identificazione della fonte e lo screening del soggetto per il HIV.

Prevenzione delle infezioni opportunistiche La profilassi primaria per la polmonite da P. carinii è raccomandata per i pazienti con livelli di CD4+ < 200/µl. L’intervallo tra le somministrazioni in grado di fornire la massima protezione con il farmaco di scelta, trimetoprimsulfametoxazolo (TMP-SMX), non è stato determinato. Una compressa a giorni alterni è tollerata meglio di una compressa "forte" al giorno e schemi che prevedono il progressivo aumento della dose migliorano la tollerabilità. Alcuni pazienti che non possono tollerare il TMP-SMX tollerano il dapsone. Dal momento che sia i sulfamidici che i sulfoni provocano effetti collaterali (p. es., febbre, neutropenia, rash cutanei), in una minoranza dei pazienti, la pentamidina per aerosol rappresenta un’utile alternativa. Per le infezioni micobatteriche, da toxoplasma e fungine è stata sviluppata una profilassi primaria. La rifabutina, la claritromicina e l’azitromicina possono contribuire a prevenire le infezioni disseminate da MAC nei pazienti con livelli di CD4 < 50 cell/µl. L’azitromicina può essere il farmaco preferito, in quanto si somministra una sola volta a settimana (2 compresse da 600 mg), fornisce una protezione (70%) simile a quella fornita dalla somministrazione della claritromicina e non interagisce con altri farmaci. La prevenzione della riattivazione della TBC è importante nei pazienti che hanno la probabilità di avere infezioni inattive di Mycobacterium tuberculosis. Si raccomanda il trattamento quotidiano con isoniazide. Il rischio di riattivazione di Toxoplasma gondii, specialmente del cervello, è indicato dagli anticorpi (IgG) nel siero che identificano le infezioni latenti di Toxoplasma. L’encefalite da toxoplasma è relativamente rara negli USA in quanto le infezioni latenti da toxoplasma sono rare negli USA (circa il 15% degli adulti) confrontata con l’Europa e la maggior parte dei paesi in via di sviluppo e in quanto il TMP-SMX usato per la prevenzione della polmonite da pneumocystis fornisce un’eccellente protezione. Per alcune infezioni fungine profonde (p. es., candidosi esofagea o meningite criptococcica e polmonite), la profilassi primaria con fluconazolo assunto quotidianamente (100 mg) o settimanalmente (400 mg) si è mostrata efficace. La prevenzione di queste malattie è costosa e può non essere indicata dal momento che, nella maggior parte dei casi, esse sono suscettibili al trattamento. La profilassi secondaria è indicata con il fluconazolo per i pazienti con candidosi orale, vaginale o esofagea recidivante o per la meningite criptococcica o la polmonite; per l’istoplasmosi, invece, e probabilmente per alcune forme di aspergillosi, può essere utilizzato l’itraconazolo (v. Cap. 158). Anche la profilassi

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secondaria è indicata per prevenire le recidive di polmonite da P.carinii, infezioni criptococciche, encefalite da toxoplasma e herpes simplex (v. rispettivamente Cap. 73, 158, 161 e 154).

Terapia Diversi nuovi principi di terapia per l’infezione da HIV sono emersi nel corso della seconda metà degli anni ‘90. Nuove metodologie per misurare rapidamente gli effetti dei farmaci sul HIV nel sangue, cioè la soppressione dei livelli plasmatici di HIV RNA e una migliore comprensione della rapida produzione di HIV, anche negli stadi di malattia clinicamente inattivi, hanno cambiato l’approccio alla terapia antiretrovirale. Combinazioni di farmaci che hanno di solito come bersaglio due enzimi (la transcrittasi inversa e la proteasi) costituiscono ora lo standard terapeutico e l’uso di farmaci in monoterapia viene scoraggiato. Il trattamento con una combinazione da due a quattro farmaci può interrompere rapidamente la riproduzione virale, preservare la funzionalità immunitaria e diminuire la probabilità di emergenza di mutanti virali farmaco-resistenti. La durata della risposta alle diverse combinazioni di farmaci varia con la loro capacità di sopprimere con successo completamente la replicazione virale, che di solito richiede una adesione continua a combinazioni di tre potenti farmaci. I livelli plasmatici di HIV RNA forniscono uno strumento rapido e diretto di misura degli effetti dei farmaci antiretrovirali. Il monitoraggio terapeutico dei livelli di HIV RNA valuta all’inizio (a 4-8 sett.) e in corso di terapia (ogni 3-4 mesi) l’effetto della terapia combinata. La riduzione dell’RNA plasmatico è diventato il metodo accettato di misura degli effetti della monoterapia o delle terapie di combinazione. Livelli in aumento possono indicare una non adesione ai regimi prescritti o l’emergenza di varianti genetiche di HIV resistenti ai farmaci. La terapia dei pazienti con livelli plasmatici misurabili di RNA (> 400 copie/ml) anche in caso di conta di linfociti CD4 relativamente alta (> 500 cell/µl) viene ora raccomandata da alcuni esperti. L’evidenza che giustifica questo approccio intensivo e costoso alla terapia in pazienti con malattia meno avanzata (CD4 > 500) rimane anedottica. L’alta velocità di riproduzione virale e clearance virale dimostrata nella maggior parte dei pazienti a tutti gli stadi di HIV giustifica questo approccio. Farmaci antiretrovirali: i farmaci antiretrovirali utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV sono elencati per classe nella Tab. 163-3 per nome generico e abbreviato. Viene inoltre indicato lo stato dei singoli farmaci, nel 1998, rispetto all’iter di approvazione da parte della FDA. Tre delle quattro classi di farmaci disponibili agiscono inibendo la transcrittasi inversa del HIV; gli inibitori della proteasi interferiscono con l’attività della proteasi del HIV (v. Patogenesi, sopra). La maggior parte degli esperti raccomanda che i pazienti ad ogni stadio dell’infezione da HIV con più di 5000 copie/ml di HIV RNA sia trattato con una combinazione di terapia, inclusi due nucleosidi (p. es., ZDV e lamivudina [3TC]), due nucleosidi e un inibitore delle proteasi (p. es., indinavir) o due nucleosidi e un inibitore delle transcrittasi inversa non nucleosidico (p. es., nevirapina). Sebbene alcuni farmaci interagiscono con altri e ne influenzino la loro metabolizzazione, in alcuni casi questo è di ausilio. Per esempio, quando due inibitori delle proteasi, saquinavir e ritonavir, sono combinati, il ritonavir aiuta ad aumentare i livelli del saquinavir diminuendo la sua metabolizzazione. Un’altra utile interazione coinvolge la prevenzione della o la compensazione per la selezione di mutanti genetici del HIV farmaco-resistenti. Per esempio, se somministrato in monoterapia, il 3TC seleziona rapidamente ceppi di HIV con una singola mutazione che permette al virus di crescere in presenza del farmaco. Dopo alcuni mesi di terapia di ZDV, molti pazienti sviluppano una mutazione che riduce l’effetto antivirale della ZDV. Tuttavia, se il 3TC e la ZDV sono file:///F|/sito/merck/sez13/1631411.html (12 of 13)02/09/2004 2.07.38

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somministrate insieme, la combinazione raggiunge una notevole soppressione del HIV, anche in pazienti con resistenza alla ZDV, in quanto la mutazione per la resistenza al 3TC aumenta la suscettibilità del HIV alla ZDV. Le combinazioni possono essere pericolose se comportano l’aumento o la diminuzione dell’eliminazione di uno dei farmaci, portando a livelli di farmaco che possono essere o troppo elevati o troppo bassi o se hanno una tossicità combinata. Le informazioni sulle combinazioni farmacologiche si vanno rapidamente accumulando e condizioneranno le scelte future. Gli effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali, che variano con il tipo di farmaco e con la dose, rimangono una preoccupazione costante sia per i pazienti che per i medici. Molti effetti collaterali (p. es., cefalea da ZDV) spesso divengono meno gravi con il passare del tempo, ma altri (p. es., gastralgie con la didanosina) possono indicare problemi gravi (p. es., pancreatite) che richiedono un’azione immediata. Dal momento che alcuni effetti collaterali (p. es., anemia, pancreatite, epatite, intolleranza al glucoso) possono essere evidenziati da test ematochimici prima che causino sintomi, il monitoraggio periodico dei parametri ematologici ed ematochimici così come dei sintomi è fondamentale. Infine, la durata della terapia non è definita: i farmaci vanno assunti soltanto fin quando i benefici della terapia antiretrovirale sono superiori agli effetti collaterali e ai costi. I gravi effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali sono elencati nella Tab. 163-3. La resistenza farmacologica è più probabile se i pazienti ricevono un’inadeguata fornitura di farmaci o non assumono la terapia secondo le indicazioni ricevute. Sebbene la terapia combinata ritardi la selezione di mutanti di HIV resistenti, di solito essi non la prevengono a meno che non si ottenga una soppressione totale della replicazione virale. Un’attenzione stretta all’adesione dei pazienti alle indicazioni terapeutiche e un monitoraggio del HIV RNA plasmatica aiuta sicuramente a limitare le selezione di ceppi resistenti. Alcune complicanze da HIV del SNC, al momento non trattabili (p. es., la leucoencefalopatia progressiva multifocale), possono rispondere alla terapia antiretrovirale se viene corretto il difetto immune primario. Sono state documentate risposte alla terapia antiretrovirale in pazienti che presentavano disturbi cognitivi HIV indotti. La misurazione dei livelli di HIV RNA nel liquor sembra fornire uno strumento di valutazione della replicazione del HIV e degli effetti della terapia antiretrovirale sul cervello, ma l’utilità del monitoraggio dell’RNA del LCR non è ancora stata dimostrata.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE INFEZIONE DA VIRUS LENTI PARAPARESI TROPICALE SPASTICA/MIELOPATIA ASSOCIATA AL HTLV-I Malattia immuno-mediata a lenta progressione del midollo spinale, associata all’infezione con il retrovirus umano T-linfotropico (HTLV-1) e caratterizzato da debolezza spastica di entrambe le gambe.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni

Eziologia e patogenesi Il retrovirus HTLV-1 viene trasmesso tramite contatto sessuale, attraverso l’uso di droghe EV, attraverso trasfusioni di sangue e dalla madre al bambino con l’allattamento. C’è qualche evidenza di una forma familiare dallo studio di un caso in Brasile. Il HTLV-1 è stato isolato dalle linee delle cellule T preparate a partire dal sangue e dal LCR. La malattia si verifica in ogni parte del mondo in aree tropicali e subtropicali, come i Caraibi e il sud del Giappone. Il processo infiammatorio è cronico e progressivo e coinvolge sia la sostanza grigia che la sostanza bianca della spina dorsale. Questa progredisce per diversi anni dopo l’insorgenza di sintomi neurologici, che risultano nella degenerazione preferenziale di tratti della sostanza bianca della colonna laterale e posteriore. C’è anche della perdita di mielina e di assoni nelle colonne anteriori della spina dorsale. L’infiltrazione perivascolare e parenchimale con cellule CD4+ di memoria, cellule citotossiche CD8+ e macrofagi è riscontrata nel midollo spinale, come nell’astrocitosi. Il HTLV-II può essere l’agente eziologico in una patologia simile alla paraparesi tropicale spastica/mielopatia associata al HTLV-I. Comunque, i casi documentati di HTLV-II (50000 casi al mondo/anno) sono così rari che una correlazione risulta incerta.

Sintomi e segni L’esordio è di solito lento e cronicamente progressivo. Si verifica debolezza spastica in entrambe le gambe, accompagnata da segni piramidali e da una perdita simmetrica bilaterale della sensazione vibratoria dei piedi. I riflessi del tendine d’Achille sono spesso assenti. Vengono spesso riferiti problemi urinari (incontinenza, urgenza). Il numero delle cellule del LCR è anormale in < 1/2 dei casi, ma il contenuto di proteine e di immunoglobuline è più spesso aumentato; si individuano spesso bande oligoclonali. Anticorpi per il virus sono stati messi in evidenza nel siero e nel LCR. I GB in coltura formano delle cellule giganti multinucleate e reagiscono con Ac anti-HTLV-1. La diagnosi può essere

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Malattie virali

confermata dalla reazione a catena della polimerasi. Il trattamento è sintomatico. La tossina botulinica ha mostrato un limitato successo nel ridurre la spasticità muscolare. I corticosteroidi e il danazolo possono aiutare, ma non è stato segnalato alcuno studio clinico controllato.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 163-1. PATOLOGIE ATTRIBUIBILI AL HIV O COMPLICATE DAL HIV (CATEGORIA B) Angiomatosi bacillare Candidosi, orofaringea (mughetto) Candidosi, vulvovaginale; persistente, frequente, o poco rispondente alla terapia Displasia cervicale (moderata o grave)/ carcinoma cervicale in situ Sintomi costituzionali, come febbre (38,5°C) o diarrea da oltre 1mese Leucoplachia capelluta, orale Herpes zoster (zona), con almeno 2 distinti episodi o con l‘interessamento di oltre un dermatomero Porpora trombocitopenica idiopatica Listeriosi Malattia infiammatoria pelvica, particolarmente se complicata da un ascesso tubo-ovarico Neuropatia periferica

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 163-2. PATOLOGIE INDICATIVE DI AIDS (CATEGORIA C) Candidosi bronchiale, tracheale o polmonare Candidosi, esofagea Cancro della cervice, invasivo* Coccidioidomicosi, disseminata o extrapolmonare Criptococcosi, extrapolmonare Criptosporidiosi, cronica intestinale (>1mese di durata) Malattia da Cytomegalovirus (con localizzazioni diverse da fegato, milza o linfonodi) Retinite da Cytomegalovirus (con perdita della visione) Encefalopatia, HIV-relata Herpes simplex: ulcera(e) cronica (he) (>1mese di durata); o bronchite, polmonite o esofagite Istoplasmosi, disseminata o extrapolmonare Isosporiasi, cronica intestinale (>1mese di durata) Sarcoma di Kaposi Linfoma, di Burkitt (o termini equivalenti) Linfoma, immunoblastico (o termine equivalente) Linfoma, primario, del cervello Mycobacterium avium complex o M. kansasii, disseminato o extrapolmonare M. tuberculosis, qualsiasi localizzazione (polmonare* o extrapolmonare)

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Manuale Merck - Tabella

Mycobacterium, altre specie o specie non identificate, disseminato o extrapolmonare Polmonite da Pneumocystis carinii Polmoniti, ricorrenti* Leucoencefalopatia progressiva multifocale Setticemia da Salmonella, ricorrente Toxoplasmosi cerebrale Wasting syndrome (sindrome cachettica) da HIV *Aggiunta nel 1993 nella nuova definizione di AIDS.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI INFEZIONE DA VIRUS DELL’IMMUNODEFICIENZA UMANA NEL BAMBINO Infezione causata da uno dei 2 retrovirus correlati (HIV-1 e HIV-2), che causa un progressivo deterioramento immunologico e infezioni opportunistiche e neoplasie associate; lo stadio terminale è la sindrome da immunodeficienza acquisita (Acquire Immunodeficiency Syndrome, AIDS).

Sommario: Introduzione Epidemiologia Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Prognosi Prevenzione della trasmissione del HIV Prevenzione delle infezioni opportunistiche Terapia

La classificazione del HIV dei Centers for Disease Control and Prevention nei bambini di età < 13 anni nati da madri con infezione da HIV o con infezione da HIV nota, è mostrata nella Tab. 265-12. Le condizioni indicative di AIDS negli adolescenti sono identiche a quelle per gli adulti (v. Tab. 163-2). Queste classificazioni di sorveglianza sono utili per definire la progressione clinica di malattia. Esse enfatizzano l’importanza della conta T linfocitaria CD4+ come marker dello status immunologico e prognostico (in aggiunta alla concentrazione plasmatica del virus; v. Esami di laboratorio e diagnosi).

Epidemiologia Inizialmente, negli USA, è possibile che la AIDS si sia verificata nei bambini e negli adulti contemporaneamente. Sino a ora, >7400 casi di AIDS sono stati riportati in bambini e adolescenti, rappresentando il 2% del numero complessivo di casi negli USA. Più del 90% dei bambini statunitensi ha contratto la malattia dalla propria madre, o prima della nascita o nel periodo peripartum (trasmissione verticale). La maggior parte dei rimanenti casi (inclusi i pazienti con emofilia o altre coagulopatie) ha ricevuto sangue o emoderivati contaminati. Pochi casi sono causati da abuso sessuale. Meno del 5% dei casi non ha fattori di rischo identificabili. La trasmissione verticale attualmente rappresenta la causa di quasi tutti i nuovi casi nei bambini in età preadolescenziale. Il rischio di infezione per un lattante nato da madre HIV-positiva che non ha ricevuto terapia antivirale durante la gravidanza è stimato tra il 13 e il 39%. Il rischio può essere più elevato nei lattanti nati da madri in cui si osserva la sieroconversione durante la gravidanza e da quelle con malattia in fase avanzata, bassa conta T linfocitaria CD4+ periferica, rottura prolungata delle membrane e alta concentrazione virale, dimostrata dall’antigenemia p24 del HIV, dalla coltura virale quantitativa o dalla concentrazione dell’RNA. Nei parti per via file:///F|/sito/merck/sez19/2652511.html (1 of 9)02/09/2004 2.07.42

Infezioni nei bambini

vaginale, il primo nato di due gemelli è a rischio più elevato del secondo. Il taglio cesareo sembra ridurre il rischio. Tuttavia, la trasmissione materno-fetale può essere significativamente ridotta dalla terapia con zidovudina (ZDV, AZT) per la madre e il neonato (v. oltre, Prevenzione della trasmissione del HIV). Il HIV è stato identificato sia nella frazione cellulare che acellulare del latte materno. Il rischio di trasmissione con l’allattamento può essere aumentato nelle madri con elevata concentrazione plasmatica del virus. L’acquisizione del HIV durante l’adolescenza contribuisce significativamente al grande numero di casi osservato nei giovani adulti. Le vie di trasmissione negli adolescenti sono simili a quelle degli adulti (v. Cap. 163).

Sintomi e segni L’infezione da HIV nei bambini causa un ampio spettro di manifestazioni cliniche, delle quali la AIDS è la più grave. Le categorie cliniche A, B e C (v. Tab. 265-12 e 265-13) descrivono molti dei comuni problemi clinici mostrati dai bambini di età inferiore a 13 anni con infezione da HIV. I lattanti che hanno contratto l’infezione nel periodo perinatale solitamente sono asintomatici durante i primi mesi di vita. Sebbene l’età mediana di comparsa dei sintomi sia stimata essere di 3 anni, un numero crescente di bambini rimane asintomatico per più di 5 anni. Si possono distinguere due tipologie di infezione da HIV sulla base del periodo di incubazione e della progressione dei sintomi. Dal 10 al 15% circa dei bambini ha una rapida progressione di malattia con comparsa dei sintomi nel primo anno di vita e morte tra i 18 e i 36 mesi; si ritiene che questi bambini abbiano contratto in utero l’infezione da HIV più precocemente. La maggior parte dei bambini, tuttavia, probabilmente contrae l’infezione alla nascita o in prossimità della nascita e mostra una più lenta progressione di malattia, sopravvivendo oltre i 5 anni. Le più comuni manifestazioni dell’infezione da HIV nei bambini includono linfoadenopatia generalizzata, epatomegalia, splenomegalia, ritardo dell’accrescimento, candidiasi orale, diarrea ricorrente, parotite, cardiomiopatia, epatite, nefropatia, malattie del SNC (incluso ritardo dello sviluppo, che può essere progressivo), polmonite interstiziale linfoide, batteriemia ricorrente, infezioni opportunistiche e malattie neoplastiche. La polmonite da Pneumocystis carinii (Pneumocystis Carinii Pneumonia, PCP) è la più comune, grave infezione opportunistica nei bambini con infezione da HIV ed è associata a un’elevata mortalità. La PCP può verificarsi già a 4-6 sett., ma si verifica principalmente nei lattanti tra i 3 e i 6 mesi che hanno contratto l’infezione prima della nascita o alla nascita. I lattanti e i bambini con PCP sviluppano caratteristicamente una polmonite subacuta diffusa con dispnea a riposo, tachipnea, desaturazione ossiemoglobinica, tosse non produttiva e febbre (nei bambini e negli adulti immunocompromessi non affetti da infezione da HIV, l’esordio è spesso più acuto e fulminante). Altre comuni infezioni opportunistiche nel bambino includono esofagite da Candida, infezione da cytomegalovirus disseminata e infezioni croniche o disseminate da virus dell’herpes simplex e varicella-zoster e, meno comunemente, da Mycobacterium tuberculosis, infezione da Mycobacterium avium, enterite cronica da Cryptosporidium o altri microrganismi e infezione criptococcica o da Toxoplasma gondii disseminata o localizzata a livello del SNC. Le neoplasie maligne sono relativamente insolite, ma i leiomiosarcomi e alcuni linfomi, inclusi i linfomi del SNC e i linfomi non-Hodgkin a cellule B (tipo di Burkitt), si verificano molto più frequentemente che nei bambini immunocompetenti. Il sarcoma di Kaposi è molto raro nei bambini.

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Infezioni nei bambini

Esami di laboratorio e diagnosi La conta dei linfociti T-helper CD4+ può essere inizialmente normale ma alla fine si riduce (per i limiti inferiori dei valori normali per l’età, v. Tab. 265-12). La conta dei linfociti T-suppressor CD8+ solitamente aumenta in fase iniziale e non cala sino a una fase tardiva dell’infezione. Queste modificazioni delle popolazioni cellulari determinano una riduzione del rapporto CD4+:CD8+, un riscontro comune nell’infezione da HIV (così come in altre infezioni). Le concentrazioni sieriche delle immunoglobuline, in particolare IgG e IgA, spesso sono elevate. Alcuni pazienti sviluppano panipogammaglobulinemia. I pazienti possono essere anergici ai test cutanei con antigeni. Nei bambini di età inferiore ai 12 mesi le concentrazioni virali plasmatiche sono tipicamente molto alte (in media, approssimativamente 300000 copie di RNA/ml). Dai 24 mesi, le concentrazioni virali si riducono (a una media di approssimativamente 40000 copie di RNA/ml). La determinazione della concentrazione virale plasmatica associata alla conta dei linfociti CD4+ sembra fornire un’informazione prognostica più accurata della determinazione di uno solo dei due marker. La diagnosi solitamente viene formulata impiegando test anticorpali sul siero (Enzyme ImmunoAssay [EIA]e Western blot di conferma) tranne che nei bambini di età inferiore ai 18 mesi, nei quali possono essere presenti anticorpi acquisiti passivamente dalla madre (v. oltre). Un test anticorpale per HIV positivo in un bambino 18 mesi solitamente indica la presenza dell’infezione. Gli anticorpi sierici contro il HIV persistono in quasi tutte le persone colpite dall’infezione, sebbene alcuni pazienti affetti da AIDS divengano sieronegativi nella fase tardiva della malattia. Occasionalmente, un bambino con infezione da HIV può non presentare anticorpi contro il HIV poiché affetto da ipogammaglobulinemia. Molto raramente, un bambino con infezione da HIV può essere negativo a una determinazione anticorpale con EIA, ma positivo al Western blot o a test virologici come la coltura o la PCR. Prima di effettuare il test, la madre (e il bambino, se abbastanza grande) devono essere edotti dei possibili rischi psicosociali e dei benefici dell’esecuzione del test e delle conseguenze dell’infezione da HIV. Il consenso verbale deve essere annotato nella documentazione clinica del paziente. Un consenso scritto può essere richiesto dalle leggi statali o locali ma ciò può scoraggiare l’effetuazione del test senza aggiungere un significativo beneficio. Il rifiuto del paziente o del tutore ad accordare il consenso non solleva i medici delle loro responsabilità professionali e legali, e talvolta l’autorizzazione alla esecuzione dei test deve essere ottenuta mediante altri mezzi (p. es., ordine della magistratura). I risultati del test devono essere valutati con la famiglia, con la persona che si prende maggiormente cura del bambino e, se abbastanza grande, con il bambino stesso; se il bambino è HIV-positivo, devono essere forniti un’adeguata informazione e una successiva assistenza di follow-up. In ogni caso, è essenziale mantenere la riservatezza. Dopo abuso sessuale subito da una persona con infezione o a rischio di infezione da HIV, il bambino deve essere valutato sierologicamente al momento dell’abuso e a 6 sett., 3 mesi e 6 mesi dopo l’abuso sessuale. Se possibile, l’autore dell’abuso deve essere sottoposto a valutazione sierologica. Deve essere fornita assistenza al bambino e alla famiglia. Per i lattanti nati da donne sieropositive per HIV (v. Tab. 265-14), i test di laboratorio preferibili sono la coltura del HIV e la PCR, che possono consentire la diagnosi nel 30-50% dei casi alla nascita e in quasi il 100% tra i 4 e i 6 mesi. Un test iniziale deve essere effettuato a circa 1 mese di vita e, se negativo, ripetuto tra i 4 e i 6 mesi di età. Un test positivo deve essere confermato impiegando lo stesso test o un altro. Il test modificato per la ricerca dell’antigene p24 è meno sensibile della coltura virale o della PCR e deve essere impiegato solo se queste ultime non sono disponibili. Se un lattante di età inferiore ai 18 mesi che ha un test sierologico positivo per HIV sviluppa una malattia che configura la AIDS

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Infezioni nei bambini

(categoria C; v. Tab. 265-13), l’infezione da HIV viene diagnosticata anche se i test virologici sono negativi. Un bambino con due test virologici negativi, effettuati a 1 e 4 mesi di età o successivamente, viene considerato esente da infezione in assenza di qualsivoglia malattia clinica e la profilassi contro infezioni opportuniste può essere interrotta. I test sierologici di follow-up devono escludere un’infezione da HIV e confermare la sieroreversione (perdita degli anticorpi contro il HIV acquisiti passivamente). Tali test includono o due EIA negativi eseguiti tra i 6 e i 18 mesi d’età o un EIA negativo a un’età maggiore di 18 mesi. Alcuni esperti raccomandano l’esecuzione di un EIA finale all’età di 24 mesi. I pazienti che soddisfano i criteri di AIDS (v. Tab. 265-12 e 265-13) devono essere segnalati all’appropriata struttura di sanità pubblica. In molti stati deve essere riportata anche l’infezione da HIV.

Prognosi La maggior parte dei bambini, con infezione contratta nel periodo perinatale, sopravvive oltre i 5 anni di età. Circa il 10-15% muore prima dei 4 anni d’età, la maggior parte dei quali prima dei 18 mesi d’età. Comunque, nuove terapie stanno portando a sopravvivenze significatamente più prolungate. Infezioni opportunistiche, in particolare la PCP, interessamento neurologico progressivo, e grave deperimento, sono associati a una prognosi sfavorevole. Nella PCP, il tasso di mortalità varia dal 5 al 40% se trattata ed è quasi del 100% se non trattata. La prognosi è severa anche per quelli nei quali è identificabile precocemente il virus (p. es., dai 7 giorni di vita) o che sviluppano sintomi nel primo anno di vita.

Prevenzione della trasmissione del HIV Per la trasmissione perinatale: il trattamento con ZDV è raccomandato per tutte le donne gravide con infezione da HIV. In uno studio che è divenuto di riferimento, la profilassi con ZDV riduceva il rischio di trasmissione perinatale di circa 2/3. La ZDV viene somministrata per via orale cominciando dalla 14a fino alla 34a sett. di gravidanza e proseguendo per tutta la gravidanza, somministrata EV durante il travaglio sino al parto, e somministrata per via orale al neonato per le prime 6 sett. di vita (v. Tab. 265-15). Molti esperti raccomandano l’aggiunta di terapia antiretrovirale supplementare alla profilassi con ZDV per migliorare le condizioni di salute materne e forse ridurre ulteriormente il rischio di trasmissione del HIV. La donna gravida e il suo curante devono considerare i possibili benefici e rischi di tale terapia in assenza di dati definiti. In generale, una terapia antiretrovirale combinata (due analoghi nucleosidici inibitori della transcriptasi inversa e un inibitore proteasico) rappresenta il trattamento standard attualmente raccomandato per gli adulti non in stato di gravidanza con infezione da HIV. Pertanto, una donna con infezione da HIV già in trattamento con terapia antiretrovirale combinata che diviene gravida deve probabilmente proseguire la terapia, mentre una donna gravida con infezione da HIV non trattata precedentemente deve intraprendere una terapia combinata con 2 o 3 farmaci come raccomandato per gli adulti non in gravidanza. La chemoprofilassi con ZDV deve essere associata a qualsiasi regime terapeutico antiretrovirale proposto. L’allattamento (o la donazione a banche del latte) deve essere scoraggiata nelle donne con infezione da HIV in quelle nazioni in cui fonti di nutrimento alternative sicure e di cui è sostenibile il costo sono prontamente disponibili, come negli USA. Tuttavia, nelle nazioni in cui le malattie infettive e la malnutrizione sono importanti cause di mortalità infantile precoce, l’OMS raccomanda che le madri allattino indipendentemente dalla sierologia per HIV.

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Infezioni nei bambini

Per la trasmissione negli adolescenti: poiché gli adolescenti sono particolarmente a rischio per infezione da HIV, essi devono essere educati, avere accesso alla effettuazione di test per HIV e conoscere il proprio stato sierologico. L’educazione deve includere informazioni circa la trasmissione, le implicazioni dell’infezione, e le strategie preventive, compresa l’astensione da comportamenti ad alto rischio e pratiche sessuali sicure (impiego corretto e costante del preservativo) per quelli che sono sessualmente attivi. Un particolare sforzo deve essere diretto agli adolescenti ad alto rischio di infezione da HIV. Il consenso informato è necessario per l’esecuzione del test e il rilascio di informazioni circa lo stato sierologico. Le decisioni relative alla comunicazione della sierologia per HIV a un partner sessuale senza il consenso del paziente devono essere basate sulla probabilità che il partner sia a rischio, se il partner ha una ragionevole motivo di sospettare il rischio e di prendere le relative precauzioni, se c’è l’esigenza legale di celare o comunicare tale informazione, e i possibili effetti di tale comunicazione sulle relazioni future. Per il personale sanitario: il rischio medio per il personale sanitario di contrarre l’infezione da HIV da una puntura accidentale con ago è dello 0,3%. Il rischio può essere più elevato nelle esposizioni derivanti da puntura con ago a elevato volume ematico proveniente da un paziente con un’elevata carica virale. Il rischio è più basso (< 0,3%) dopo esposizione a superfici mucose o alla cute. Tuttavia, ogni sforzo deve essere fatto per evitare l’esposizione a sangue e altri liquidi biologici che possono contenere il HIV. Precauzioni standard devono essere seguite scrupolosamente da tutto il personale ospedaliero. Raccomandazioni temporanee per la profilassi post-esposizione devono essere consultate in caso di esposizione occupazionale documentata (v. Cap. 163). I guanti non sono richiesti dalla Occupational Safety and Health Administration per manipolare abitualmente il latte umano. Dovrebbero, tuttavia, essere indossati dal personale sanitario quando l’esposizione al latte materno può essere frequente o prolungata, come nelle banche del latte. Le banche di latte umano devono seguire le linee guida sviluppate dallo U.S. Public Health Service, che include lo screening di tutti i donatori per infezione da HIV, la valutazione dei fattori di rischio che predispongono all’infezione, e la pastorizzazione di tutti i campioni di latte. Per detergere spandimenti di sangue o altri liquidi organici, il materiale organico deve essere rimosso e, poi la superficie disinfettata con varechina blandamente diluita (p. es, da 1:10 a 1:100).

Prevenzione delle infezioni opportunistiche La profilassi contro la polmonite da P. carinii è indicata per la maggior parte dei pazienti con significativa immunocompromissione (v. Tab. 265-16). Una chemoprofilassi per tutta la vita, indipendentemente dalla conta dei linfociti T CD4 +, deve essere somministrata a chiunque abbia avuto la PCP. La profilassi è raccomandata per tutti i lattanti nati da madre con infezione da HIV a cominciare da 4-6 sett. di vita. Deve essere interrotta nei bambini in cui l’infezione da HIV è stata esclusa da PCR o colture virali sequenziali negative (v. Tab. 265-16). I bambini il cui stato di infezione da HIV è indeterminato devono proseguire la profilassi per tutto il primo anno di vita. La profilassi deve essere continuata dopo il primo anno di età nei bambini con infezione da HIV che abbiano mostrato una qualsiasi precedente conta dei linfociti T CD4+ indicativa di grave immunosoppressione (cioè, conta totale < 750 cellule/µl o una percentuale di CD4+ dei linfociti totali circolanti < 15%). La profilassi può essere sospesa a 1 anno quando la conta dei linfociti T CD4+ è rimasta superiore a questi livelli soglia. Per i bambini da 1 a 5 anni con infezione da HIV, la profilassi per la PCP deve essere somministrata se una qualsiasi conta T-linfocitaria CD4+ è < 500 cellule/µl o la percentuale di CD4+ è < 15%; la conta T-linfocitaria CD4+ si riduce rapidamente; o è presente una malattia da HIV gravemente sintomatica

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(categoria C) (v. Tab. 265-13). Eccettuata la definizione di differenti valori etàspecifici di bassa conta assoluta CD4+, i criteri sono gli stessi per i bambini più grandi e gli adolescenti. Per i bambini 6 anni, qualsiasi conta CD4+ < 200 cellule/ µl o < 15% è una indicazione per la profilassi. Per gli adolescenti (o gli adulti), la profilassi è indicata se la conta cellulare CD4+ è < 200/µl o < 15%, o il paziente ha una febbre inspiegata per 2 sett. o una storia di candidosi orofaringea. I bambini di età >1 anno con infezione da HIV che non sono stati precedentemente sottoposti a profilassi per la PCP (p. es., quei bambini non identificati in precedenza o la cui profilassi contro la PCP è stata interrotta) devono essere sottoposti a profilassi se la loro conta cellulare CD4+ indica un’immunosoppressione grave (categoria 3, v. Tab. 265-12). Per la profilassi contro la PCP, il trattamento di scelta per i bambini è il trimethoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMX) 150 mg TMP/m2/die con 750 mg SMX/ m2 /die PO diviso in 2 dosi per 3 giorni consecutivi/sett. (p. es., lunedì-martedìmercoledì); schemi alternativi includono la stessa dose totale una volta al giorno per tre giorni/sett., o bid ogni giorno della settimana o a giorni alterni. Nei pazienti 5 anni che non tollerano il TMP-SMX, può essere somministrata la pentamidina in forma aereosolica (300 mg al mese mediante l’inalatore Respirgard II). (È stata impiegata anche la pentamidina EV ma sembra essere meno efficace e potenzialmente più tossica di altri regimi profilattici.) Uno schema alternativo, in particolare per i pazienti di età < 5 anni, è il dapsone per via orale quotidianamente (2 mg/kg, fino a un massimo di 100 mg). Altri farmaci che possono essere utili profilatticamente contro la PCP includono la pirimetamina con il dapsone, la pirimetamina-sulfadossina, e l’atovaquone per via orale. Tuttavia, l’esperienza con questi farmaci negli adulti e nei bambini è molto limitata, e devono essere considerati solo quando gli schemi raccomandati non sono tollerati o non possono essere impiegati. Può essere giustificata una profilassi contro altre infezioni opportunistiche. Per la profilassi contro le infezioni da Mycobacterium avium nei bambini 6 anni con conte CD4+ < 50/µl (o nei bambini dai 2 ai 6 anni con conte CD4+ < 75/µl, da 1 a 2 anni < 500/µl, più piccoli di 1 anno < 750/ µl), l’azitromicina con cadenza settimanale o la claritromicina con cadenza quotidiana rappresentano il farmaco di scelta, e la rifabutina in somministrazione quotidiana rappresenta un’alternativa. I dati sull’impiego della profilassi per altre infezioni opportunistiche, come l’infezione da cytomegalovirus, micosi e l’encefalite da toxoplasma, sono limitate.

Terapia I farmaci antiretrovirali, il loro dosaggio raccomandato, e i loro più importanti effetti avversi sono elencati nella Tab. 265-17. Nuovi farmaci antiretrovirali, immunomodulatori, e vaccini sono in corso di valutazione. Poiché le opinioni degli esperti e le conoscenze sulle strategie diagnostiche e terapeutiche si modificano rapidamente, si consiglia di ricorrere alla consulenza di specialisti nel trattamento di bambini con infezione da HIV. L’inizio della terapia antiretrovirale dipende da criteri virologici, immunologici, e clinici mostrati nelle Tab. 265-12 e 265-13. Sulla base delle osservazioni condotte sugli adulti asintomatici, in cui la terapia riduce la concentrazione virale plasmatica e rallenta il calo della conta cellulare CD4+, la terapia deve essere fortemente considerata nei bambini asintomatici (ovvero, categoria N nella Tab. 265-12) senza evidenza di immunosoppressione. La terapia deve essere somministrata a tutti i bambini clinicamente sintomatici (categorie A, B, C) e ai lattanti di età < 12 mesi con infezione, indipendentemente dalla categoria clinica o immunologica. Il monitoraggio clinico e laboratoristico è importante per identificare la tossicità del farmaco e l’insuccesso terapeutico. La terapia combinata con gli analoghi nucleosidici inibitori della transcriptasi file:///F|/sito/merck/sez19/2652511.html (6 of 9)02/09/2004 2.07.42

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inversa ZDV più didanosina o ZDV più lamivudina è superiore alla sola didanosina, soprattutto per i bambini di età < 3 anni. La ZDV da sola sembra essere meno efficace della didanosina da sola o della ZDV più didanosina. Altre combinazioni di analoghi nucleosidici inibitori della transcriptasi inversa (p. es., didanosina e stavudina; o lamivudina e stavudina) sono utili, ma sono disponibili meno dati comparativi. Triplici associazioni farmacologiche (p. es., ZDV, lamivudina, e un inibitore proteasico [es, nelfinavir, ritonavir, indinavir, saquinavir] o ZDV, lamivudina, e un inibitore della transcriptasi inversa non nucleosidico [es, nevirapina o delavirdina]) si sono dimostrati capaci nell’adulto di determinare una riduzione marcata e sostenuta della concentrazione plasmatica del virus. Per i bambini esistono meno dati, ma schemi terapeutici a due o tre farmaci che contengono un inibitore proteasico sembrano essere superiori a combinazioni di due farmaci con analoghi nucleosidici in termini di effetti immunologici e virologici nei bambini. Il regime terapeutico preferibile per i bambini deve probabilmente comprendere un inibitore proteasico e due analoghi nucleosidici inibitori della trancriptasi inversa, in modo simile all’adulto (v. Cap. 163). Poiché i regimi terapeutici con doppio analogo nucleosidico sono comunque associati a benefici clinici, vengono considerati come schemi alternativi (come lo sono i regimi che contengono due analoghi nucleosidici e un inibitore della transcriptasi inversa non-nucleosidico), particolarmente per i bambini di età > 3 anni con sintomi lievi o per quelli che non tollerano o rifiutano di assumere inibitori proteasici. La monoterapia (tranne che per la chemoprofilassi nei lattanti esposti al HIV) viene oggi sconsigliata. La terapia antiretrovirale pediatrica è complicata dalla disponibilità e dal sapore dei farmaci; interazioni farmacologiche; differenze farmacocinetiche tra lattanti, bambini, e adolescenti; e problemi di compliance con i bambini (che dipendono da altri per la somministrazione dei farmaci) e adolescenti (che possono negare o temere la loro infezione, diffidare del personale medico, essere carenti del supporto familiare). Può essere necessaria una consultazione continua con esperti per la necessità di effettuare modificazioni della terapia a causa di intolleranza farmacologica o insuccesso virologico. Immunoglobuline per via endovenosa (IGEV), in combinazione con farmaci antivirali, possono essere somministrati a bambini con immunodeficienza umorale sintomatica (bassi livelli sierici di IgG e gravi infezioni batteriche ricorrenti o scarsa risposta sierologica alla vaccinazione). IGEV 400 mg/kg vengono somministrate q 4 sett. I bambini con bronchiettasie, nonostante trattamento standard con antibiotici e una terapia respiratoria aggressiva, possono beneficiare dell’aggiunta di IGEV 600 mg/kg q 4 sett. Nella trombocitopenia associata a HIV, possono essere somministrate IGEV 5001000 mg/kg/die per 3-5 giorni. Per trattare la PCP, il farmaco di scelta per i bambini è il TMP-SMX orale o parenterale (la via di somministrazione dipende dalla gravità della malattia); la pentamidina per via parenterale è un’alternativa. L’esperienza nei bambini con altri farmaci come atovaquone, trimetrexate con leucovorina, dapsone con trimethoprim e clindamicina con primachina è limitata. I corticosteroidi possono essere nei bambini un’utile aggiunta per la PCP da moderata a grave, come lo sono negli adulti. Raccomandazioni sull’immunizzazione: le immunizzazioni per i bambini con infezione da HIV sono riassunte di seguito. Per bambini con infezione da HIV sintomatica: in generale, i vaccini con virus vivi (p. es., poliovirus orale, varicella) e batteri vivi (es, BCG) non devono essere somministrati a pazienti affetti da AIDS o altre manifestazioni di infezione da HIV indicative di immunosoppressione. Un’eccezione è il vaccino morbillo-parotiterosolia nei pazienti che non sono gravemente immunocompromessi (categoria 3, v. Tab. 265-12). Questo vaccino, per aumentare la probabilità di una risposta immunitaria, deve essere somministrato all’età di 12 mesi cioè, se possibile, prima che il sistema immunitario si deteriori. La seconda dose può essere somministrata già 4 sett. più tardi nel tentativo di indurre una sieroconversione nel più breve tempo possibile. Se il rischio di esposizione al morbillo è aumentato, come accade durante un’epidemia, il vaccino deve essere somministrato a un’età più precoce, ovvero 6-9 mesi. Altri vaccini, ovvero i

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tossoidi della difterite e del tetano combinati con il vaccino acellulare per la pertosse (DtaP-o tossoide della difterite e del tetano e vaccino contro la pertosse [DTP]), epatite B, Haemophilus influenzae di tipo b coniugato, e poliovirus inattivato (IPV), devono essere somministrati secondo l’usuale calendario vaccinale (v. Fig. 256-5). Sono raccomandati anche il vaccino pneumococcico a 2 anni e la vaccinazione antiinfluenzale a cominciare dai 6 mesi. I bambini con infezione da HIV sintomatica generalmente hanno una scarsa risposta immunologica ai vaccini e, pertanto, quando sono esposti a malattie prevenibili con la vaccinazione come il morbillo o il tetano, devono essere considerati suscettibili, indipendentemente dalla storia di vaccinazione. Pertanto, se indicato, devono ricevere un’immunizzazione passiva con immunoglobuline. Le immunoglobuline devono inoltre essere somministrate a qualsiasi membro del nucleo familiare non immunizzato che sia esposto al morbillo. Per i bambini con infezione da HIV asintomatica: questi bambini devono ricevere i vaccini DTaP o DTP, IPV, Haemophilus influenzae tipo b coniugato, epatite B, e morbillo-parotite-rosolia, secondo l’usuale calendario vaccinale. Sebbene il vaccino orale contro la poliomielite (OPV) sia stato somministrato a questi pazienti senza effetti indesiderati, si raccomanda il IPV poiché sia il bambino che i familiari possono essere immunosoppressi come risultato dell’infezione da HIV e, pertanto, possono essere a rischio di poliomielite paralitica associata alla vaccinazione causata da infezione da virus vaccinico. Il vaccino contro la varicella è controindicato nelle persone con infezione nota da HIV (tranne che in studi clinici strettamente controllati), indipendentemente dalla stato sintomatologico correlato al HIV. Poiché i bambini 2 anni con infezione da HIV sono a rischio aumentato di infezione pneumococcica invasiva, devono ricevere la vaccinazione pneumococcica. È raccomandata la rivaccinazione dopo 3-5 anni. Il vaccino antiinfluenzale deve essere somministrato ogni anno ai bambini 6 mesi con infezione da HIV. Negli USA, e nelle aree a bassa prevalenza di TBC, il vaccino BCG non è raccomandato. Tuttavia, nei paesi in via di sviluppo, dove la prevalenza di TBC è elevata, l’OMS raccomanda la somministrazione di BCG a tutti i lattanti alla nascita se sono asintomatici, indipendentemente dall’infezione materna da HIV. Sono stati riportati alcuni casi di infezione disseminata da BCG in pazienti con AIDS gravemente immunocompromessi. Per i bambini con infezione da HIV sintomatici o asintomatici è consigliabile l’immunizzazione passiva dopo esposizione a morbillo, tetano e varicella. Per i bambini sieronegativi che vivono con un paziente con infezione da HIV sintomatica: questi bambini, così come quelli sieropositivi, devono ricevere il IPV piuttosto che l’OPV, perché il poliovirus vivo nell’OPV può essere escreto e trasmesso ai contatti immunosoppressi. Il vaccino morbillo-parotite-rosolia può essere somministrato, perché questi virus vaccinici non sono trasmessi. Per ridurre il rischio di trasmissione dell’influenza ai pazienti con infezione da HIV sintomatica, la vaccinazione annuale è indicata per i contatti familiari. La vaccinazione contro la varicella di fratelli sieronegativi e degli adulti suscettibili che assistono i bambini con infezione da HIV è fortemente incoraggiata per prevenire l’acquisizione dell’infezione da virus varicella-zoster selvaggio, che può causare una malattia grave negli ospiti immunocompromessi; inoltre, la trasmissione da persona a persona del virus vaccinale della varicella si verifica raramente. Integrazione sociale di bambini con infezione da HIV: un’infezione acquisita dal bambino prima o durante la nascita coinvolge l’intera famiglia. È raccomandata la valutazione sierologica dei fratelli e dei genitori. In ogni caso, il medico deve educare, fornire continuamente consigli sul HIV e illustrare le precauzioni a livello familiare e comunitario per prevenire la diffusione del virus. Al bambino con infezione si deve insegnare una buona igiene e un comportamento per ridurre i rischi per gli altri. Quanto gli viene detto sulla

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malattia dipenderà dall’età e dalla maturità. I bambini più grandi e gli adolescenti devono essere edotti della trasmissione sessuale e consigliati appropriatamente. La maggior parte delle famiglie non desidera condividere la diagnosi con altri perché ciò può creare isolamento sociale. Sentimenti di colpa sono comuni. I membri familiari, inclusi i bambini, possono divenire clinicamente depressi e necessitare di sostegno psichiatrico. Poiché (in assenza di esposizione di materiale ematico) l’infezione da HIV non viene contratta attraverso le tipiche modalità di contatto che si verificano tra bambini, p. es., attraverso la saliva o le lacrime, la maggior parte dei bambini con infezione da HIV deve essere autorizzata a frequentare la scuola senza restrizioni. Condizioni che possono imporre un aumentato rischio agli altri (p. es., morsi, presenza di lesioni cutanee essudative che non possono essere ricoperte) possono richiedere precauzioni speciali. Solo i genitori del bambino, altri tutori e il medico hanno un’assoluta necessità di sapere che il bambino ha un’infezione da HIV. Il numero degli esponenti del personale scolastico consapevoli della condizione del bambino deve essere mantenuta al minimo necessario per assicurare un’appropriata assistenza al bambino. La famiglia ha il diritto di informare la scuola, ma le persone coinvolte nell’assistenza e nell’educazione del bambino affetto dall’infezione devono rispettare il diritto del bambino alla privacy. La comunicazione di informazioni deve avvenire solo con il consenso informato dei familiari o dei tutori legali e un assenso appropriato per l’età del bambino. Non esiste motivo di limitare l’affidamento, l’adozione o l’assistenza dei bambini con infezione da HIV. Il rischio di trasmissione dell’infezione da HIV in questi contesti è trascurabile. Per i bambini in assistenza infantile, i problemi relativi alla confidenziali e alla manipolazione di materiali potenzialmente infetti sono gli stessi di quelli dei bambini con infezione da HIV che frequentano la scuola (v. sopra). Tutte le scuole e le strutture di assistenza dell’infanzia devono adottare procedure routinarie per il trattamento di sangue e fluidi o oggetti contaminati da materiale ematico indipendentemente dal fatto che sia nota la presenza di bambini con infezione da HIV. Inoltre, tutte le famiglie devono essere abitualmente informate delle malattie altamente contagiose, come varicella e morbillo, che si verificano a scuola, in modo che i bambini immunodeficienti possano essere protetti senza compromettere la riservatezza. Adulti con infezione da HIV asintomatica possono accudire i bambini a scuola o in struttura di assistenza dell’infanzia, purché non abbiano lesioni cutanee essudative o altre condizioni che consentirebbero il contatto con fluidi corporei. Non esistono dati che indichino che adulti con infezione da HIV hanno trasmesso il HIV nel corso di una normale assistenza al bambino o l’espletamento di responsabilità scolastiche. Adulti con infezione da HIV sintomatica sono immunocompromessi e ad aumentato rischio di contrarre malattie infettive dai bambini piccoli. Essi dovrebbero consultare il proprio medico per definire l’opportunità di proseguire il lavoro.

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TABELLA 265-12. CLASSIFICAZIONE DELL' HIV PEDIATRICO PER BAMBINI DI ETA' 2 mesi in bambini > 6 mesi di età Cardiomiopatia Infezioni da Cytomegalovirus, con esordio prima di 1 mese di vita Diarrea, ricorrente o cronica Epatite Stomatite da Herpes simplex virus (HSV), ricorrente (più di due episodi in 1 anno) Bronchite, polmonite o esofagite da HSV con esordio prima di 1 mese di vita Herpes zoster (fuoco di S. Antonio), almeno due episodi distinti o coinvolgimento di più di un dermatomero Leiomiosarcoma Polmonite interstiziale linfoide o complesso iperplasia linfoide polmonare Nefropatia Nocardiosi Febbre persistente (durata > 1 mese) Toxoplasmosi, esordio prima di 1 mese di età Varicella disseminata (varicella complicata)

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Categoria C: gravemente sintomatico

Infezioni batteriche gravi, multiple o ricorrenti (p.es., qualsiasi combinazione di almeno due infezioni confermate da esami colturali in un intervallo di tempo di 2 anni) dei seguenti tipi: setticemia, polmonite, meningite, infezione ossea o articolare, o ascesso di un organo interno o di una cavità corporea (escluse otite media, ascessi cutanei superficiali o mucosi e infezioni da catetere) Candidiasi esofagea o polmonare (bronchi, trachea, polmoni) Coccidioidomicosi disseminata (in sedi diverse o associata a linfonodi polmonari, cervicali o ilari) Criptococcosi extrapolmonare Criptosporidiosi o isosporiasi con diarrea persistente > 1 mese Malattia da Cytomegalovirus con esordio dei sintomi a età > 1 mese (in sede diversa da fegato, milza o linfonodi) Encefalopatia (almeno uno dei seguenti reperti progressivi presente per almeno 2 mesi in assenza di malattia concomitante diversa da infezione da HIV che potrebbe spiegare i rilievi): (1) incapacità di conseguire o perdità di tappe dello sviluppo o perdita di capacità intellettuale, verificata mediante scale standard di sviluppo o test neuropsicologici; (2) compromissione della crescita cerebrale o microcefalia acquisita dimostrata mediante misurazioni della circonferenza del capo o atrofia cerebrale dimostrata alla TC o alla RMN (esecuzioni seriate sono necessarie per bambini < 2 anni); (3) deficit motorio simmetrico, acquisito, manifestato da due o più dei seguenti: paresi, riflessi patologici, atassia, disturbi della marcia Infezione da Herpes simplex virus che causa un’ulcera mucocutanea persistente > 1 mese; oppure bronchite, polmonite o esofagite di qualsiasi durata che colpisce un bambino > 1 mese di età Istoplasmosi disseminata (in sedi diverse da o in combinazione con, o associata a, linfonodi polmonari, cervicali o ilari) Sarcoma di Kaposi Linfoma primario cerebrale Linfoma a cellule piccole non fessurate (linfoma di Burkitt) o immunoblastico, o linfoma a grandi cellule B-cellulare o a fenotipo file:///F|/sito/merck/tabelle/26513.html (3 of 5)02/09/2004 2.07.42

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immunologico sconosciuto Mycobacterium tuberculosis, disseminato o extrapolmonare Mycobacterium, altre specie o specie non identificate, disseminato (in sede diversa da o in aggiunta a polmoni, cute, o linfonodi cervicali o ilari) Polmonite da Pneumocystis carinii Leucoencefalopatia progressiva multifocale Setticemia da Salmonella (non tifoide) ricorrente Toxoplasmosi cerebrale con esordio a > 1 mese di età Wasting syndrome in assenza di malattie concomitanti diverse dall’infezione da HIV che possano spiegare i seguenti reperti: (1) calo ponderale persistente > 10% del valore basale oppure (2) attraversamento in basso di almeno due delle seguenti linee percentili sul grafico peso per l’età (p.es., 95o, 75o, 50o, 25o, 5o) in un bambino 1 anno di età oppure < 5opercentile su un grafico peso per l’età a due misurazioni consecutive 30 giorni di distanza in aggiunta a (1) diarrea cronica (cioè, almeno due scariche al giorno per ≥ 30 giorni) oppure (2) febbre documentata ( per ≥ 30 giorni, intermittente o costante)

*Le categorie formano una gerarchia unidirezionale in modo che la malattia del paziente procede dalla categoria N alla A alla B alla C. Per esempio, se un bambino presenta epatomegalia e linfoadenomegalia (categoria A) e svilupppa un’anemia persitente, il bambino entra nella categoria B. Se poi l’anemia si risolve (p.es., con la terapia) il bambino rimarrà classificato come categoria B. Se si sviluppa una polmonite da Pneumocystis il bambino viene riclassificato in categoria C. In modo anal ogo, le categorie immunologiche formano una gerarchia unidirezionale; se un bambino con una conta CD4+ che rientra nei limiti della categoria 2 va incontro a un aumento della conta CD4+ con la terapia tale da determinare una conta che rientra nei limiti della categoria 1, il bambino rimane comunque classificato come categoria immunologica 2 (vedi Tabella 265-12). Modificata da Centers for Disease Control and Prevention. "1994 Revised classification for HIV infection in children less than 13 years of age; official authorized addenda: HIV infection codes and official guidelines for coding and reporting ICD- 9-CM." MMWR 1994:43 (No. RR-12), pp. 1-19.

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TABELLA 265-14. DIAGNOSI DI INFEZIONE DA HIV IN BAMBINI 39°C, che è associata a irritabilità, spesso estrema, e occasionale letargia o coliche addominali intermittenti. La febbre dura 1-2 sett. o più nei pazienti non trattati. Generalmente entro uno o due giorni dall’inizio della febbre appare, un’iperemia congiuntivale bulbare bilaterale senza essudato. Entro 5 giorni compare una eruzione polimorfa eritematosa e maculare che interessa prima il tronco, spesso con accentuazione nella regione perineale. L’eruzione può essere orticarioide, morbilliforme o scarlattiniforme ed è accompagnata da iperemia faringea; arrossamento, secchezza e fissurazione delle labbra; lingua rossa a fragola. Durante la prima settimana, può comparire pallore della parte prossimale delle unghie delle mani e dei piedi (leuconichia parziale). Di solito verso il 3o-5o giorno compaiono un eritema o una colorazione rosso-porpora e un edema variabile file:///F|/sito/merck/sez19/2652527.html (1 of 4)02/09/2004 2.07.53

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delle palme delle mani e delle piante dei piedi. Benché l’edema possa essere lieve, esso è spesso teso, duro e non presenta il segno della fovea. Verso il 10o giorno dall’esordio, inizia una desquamazione periungueale palmare e plantare. Gli strati cutanei superficiali talvolta si distaccano a grosse falde, lasciando intravedere una nuova cute normale. Durante tutto il decorso è presente nel 50% circa dei pazienti una linfoadenopatia cervicale dolente non suppurativa ( 1 linfonodo 1,5 cm); ognuno degli altri reperti è presente in circa il 90% dei pazienti. La malattia può durare da 2 a 12 sett. o più a lungo. Altri sintomi meno specifici indicano il coinvolgimento di molti altri apparati. Artrite o artralgie si verificano in circa 1/3 dei pazienti (sono soprattutto interessate le grosse articolazioni). Possono manifestarsi anche uretrite, meningite asettica, diarrea, idrope della colecisti e uveite anteriore. Le complicanze più importanti sono rappresentate dall’infiammazione cardiaca, principalmente dall’arterite coronarica. Le manifestazioni cardiache di solito iniziano intorno al 10o giorno, quando la febbre, l’eruzione e gli altri sintomi acuti precoci cominciano a regredire; ovvero, in una fase subacuta della sindrome. L’infiammazione delle arterie coronarie con dilatazione e formazione di aneurismi si verifica nel 5-20% di tutti i casi e talvolta si associa a miocardite acuta con insufficienza cardiaca, aritmie e pericardite e, raramente, a tamponamento cardiaco, trombosi o infarto.

Esami di laboratorio e diagnosi Durante la fase acuta della malattia è comune una leucocitosi, spesso con un notevole aumento delle cellule immature. Altri segni ematologici sono una lieve anemia, trombocitosi (≥ 500000/ µl) nella 2a o 3a sett. di malattia e VES elevata (spesso in modo molto marcato). Le altre alterazioni, a seconda degli apparati interessati, possono comprendere piuria, proteinuria, pleiocitosi del LCR e alterazioni dell’ECG (aritmie, ridotto voltaggio o ipertrofia ventricolare sinistra). L’esame ecocardiografico deve essere eseguito in tutti i pazienti alla diagnosi (per definire un quadro basale e per diagnosticare aneurismi coronarici, pericardite o miocardite); a 3-4 sett. dall’esordio; a 6-8 sett. dall’esordio e forse a 6-12 mesi dall’esordio. L’arteriografia coronarica è utile occasionalmente nei pazienti con aneurismi e test da sforzo patologici. Gli elettrocardiogrammi sono spesso ripetuti insieme agli ecocardiogrammi. La diagnosi si basa sui segni clinici e sull’esclusione di altre malattie. I criteri per la diagnosi sono riportati nella Tab. 265-19. I risultati delle colture per batteri e virus, cosi come i test sierologici per la diagnosi di infezione, sono negativi ma possono essere utili per diagnosticare altre malattie con presentazioni simili. La diagnosi differenziale include malattie batteriche (soprattutto la scarlattina, la sindrome stafilococcica esfoliativa e la leptospirosi), esantemi virali (p. es., morbillo), rickettsiosi (p. es., febbre purpurica delle montagne rocciose), toxoplasmosi, acrodinia (causata dall’avvelenamento da mercurio), sindrome di Stevens-Johnson e artrite reumatoide giovanile.

Prognosi Il tasso di mortalità è dello 0,1% con la terapia adeguata; senza terapia, la mortalità può raggiungere l’1%. Le morti sono più frequentemente conseguenza di complicanze cardiache, ma possono essere improvvise e imprevedibili; più del > 50% dei decessi si verifica entro 1 mese dall’inizio, il 75% entro 2 mesi e il 95% entro 6 mesi ma può verificarsi fino a 10 anni dopo. Una terapia efficace riduce i sintomi acuti e, più importante, riduce l’incidenza degli aneurismi coronarici dal 20% a meno del 5%. In assenza di alterazioni coronariche, la file:///F|/sito/merck/sez19/2652527.html (2 of 4)02/09/2004 2.07.53

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prognosi per una completa guarigione è eccellente. Circa i 2/3 degli aneurismi coronarici regredisce entro 1 anno, benché non si sappia se residuino stenosi coronariche. Gli aneurismi coronarici giganti (diametro interno > 8 mm all’ecocardiogramma) regrediscono meno frequentemente e richiedono un followup e una terapia più intensivi.

Terapia I bambini con sindrome di Kawasaki devono essere trattati da un cardiologo pediatra esperto o uno specialista in malattie infettive pediatriche o in stretta collaborazione con essi. La terapia va iniziata il più presto possibile, idealmente entro i primi 10 giorni di malattia, con una combinazione di alte dosi di immunoglobuline endovena (una singola dose di 2 g/kg di IGEV somministrate in 10-12 h) e alte dosi di aspirina per via orale (80-100 mg/kg/die in 4 dosi). Il dosaggio dell’aspirina viene ridotto a 3-5 mg/kg/die in singola dose quando il bambino diviene apiretico. (In alcune strutture si preferisce continuare l’aspirina ad alto dosaggio fino al quattordicesimo giorno di malattia.) Il metabolismo dell’aspirina è imprevedibile durante la fase acuta della malattia di Kawasaki, cosa che spiega in parte gli alti dosaggi richiesti. Presso alcune strutture vengono monitorizzati i livelli sierici di aspirina durante la terapia ad alte dosi, soprattutto se la terapia viene somministrata per 14 giorni. La maggior parte dei pazienti ha una rapida risposta entro 24 h dall’inizio della terapia; una piccola percentuale continua a star male con febbre per diversi giorni e richiede un nuovo ciclo di IGEV. Una schema alternativo, che può determinare una risoluzione dei sintomi lievemente più lenta, ma può giovare a quei pazienti con disfunzione cardiaca che non possono tollerare il volume di un’infusione di 2 g/kg di IGEV, è 400 mg/kg/die di IGEV per 4 giorni (sempre in combinazione con aspirina ad alto dosaggio). L’efficacia della terapia con IGEV/aspirina quando cominciata più di 10 giorni dopo l’inizio della malattia è sconosciuta, ma la terapia deve comunque essere presa in considerazione. Dopo il miglioramento del bambino, l’aspirina viene proseguita al dosaggio di 35 mg/kg/die per almeno 8 sett., finche non viene eseguito un nuovo esame ecocardiografico. Se non ci sono aneurismi coronarici e i segni di infiammazione sono in via di risoluzione (come dimostrato dalla normalizzazione della VES e delle piastrine), l’aspirina può essere interrotta. Per la sua azione antitrombotica, l’aspirina viene continuata a tempo indefinito nei bambini con alterazioni coronariche. I bambini con aneurismi coronarici giganti possono richiedere una terapia anticoagulante aggiuntiva (p. es., coumadin o dipiridamolo). I bambini che ricevono IGEV possono avere una risposta ridotta ai vaccini con virus vivi. Pertanto, il vaccino anti morbillo-parotite-rosolia deve generalmente essere procrastinato di 11 mesi dopo la somministrazione di IGEV, e il vaccino anti-varicella deve essere posticipato di 5 mesi. Se il rischio di esposizione al morbillo è alto, la vaccinazione deve essere effettuata, ma dopo 11 mesi deve essere effettuata una rivaccinazione (o l’esame sierologico). Nei bambini che ricevono aspirina a lungo termine durante epidemie di influenza o varicella esiste un basso rischio di sindrome di Reye (v. sopra). I genitori di bambini che ricevono aspirina devono essere istruiti a contattare prontamente il medico del proprio bambino se questo è esposto o sviluppa sintomi di influenza o varicella. Può essere presa in considerazione la temporanea sospensione dell’aspirina (sostituendola con dipiridamolo nei bambini con aneurismi documentati). La vaccinazione antiinfluenzale annuale è indicata per i bambini che ricevono terapia con aspirina a lungo termine.

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Arteriosclerosi

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 201. ARTERIOSCLEROSI Termine generico per diverse malattie caratterizzate da ispessimento e perdita di elasticità della parete arteriosa. La vasculopatia, che colpisce cervello, cuore, reni, altri organi vitali e arti, rappresenta la principale causa di morbilità e mortalità negli USA e nella maggior parte dei Paesi occidentali. Nel 1994, negli USA si sono verificate quasi 1 milione di morti dovute a vasculopatia (il doppio che per il cancro e 10 volte di più che per incidenti). Nonostante la prevenzione e la terapia della malattia coronarica abbiano portato a una riduzione del 28,6% del tasso di mortalità corretto per età fra il 1984 e il 1994, la malattia coronarica e l’ictus ischemico insieme costituiscono la prima causa di morte nei Paesi industrializzati dell’Occidente e la loro prevalenza nel resto del mondo è in aumento. La frequenza dei decessi per coronaropatia in uomini bianchi di età compresa tra 25 e 34 anni è di circa 1:10000; tale percentuale sale a quasi 1:100 tra i 55 e i 64 anni. Questa relazione con l’età può essere dovuta al tempo necessario affinché le lesioni si sviluppino o alla lunga durata di esposizione ai fattori di rischio. Tra i 35 e i 44 anni, la mortalità per malattia coronarica è di 6,1 volte superiore nel sesso maschile rispetto a quello femminile. Per ragioni sconosciute, la differenza fra i due sessi è meno evidente al di fuori della razza bianca. L’aterosclerosi è la vasculopatia più frequente e più grave. Le forme non aterosclerotiche includono l’arteriolosclerosi e l’arteriosclerosi di Mönckeberg.

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Disordini della milza

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 141. DISORDINI DELLA MILZA (v. anche Sindromi da deficit splenico nel Cap. 147)

IPERSPLENISMO Sindromi in cui concomitano citopenia periferica e splenomegalia.

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Sintomi e segni Approccio diagnostico Terapia

Gli aspetti cardine dell’ipersplenismo sono: (1) la splenomegalia; (2) la riduzione di una o più popolazioni cellulari circolanti con anemia, leucopenia, trombocitopenia, da sole o variamente associate, cui concomita iperplasia dei precursori midollari della serie carente; (3) la risoluzione della citopenia dopo splenectomia.

Eziologia Le anomalie della milza sono quasi sempre secondarie ad altre malattie primitive (v. Tab. 141-1). La cirrosi epatica o la trombosi portale o splenica che danno luogo a splenomegalia congestizia (v. oltre), sono causa di ipersplenismo. Nei paesi a clima temperato la causa più frequente è rappresentata dalle malattie linfoproliferative, mieloproliferative, dalle tasaurismosi (p. es., sindrome di Gaucher) e dalle malattie del tessuto connettivo, mentre nei paesi tropicali predominano le malattie infettive (p. es., malaria e kala-azar).

Patogenesi L’abnorme sequestro di sangue nella milza ingrandita viene universalmente considerato il meccanismo patogenetico fondamentale delle citopenie nell’ipersplenismo ed è evidenziato dai dati seguenti: (1) nel sangue venoso della milza i livelli delle piastrine e dei GB sono molto bassi (contrariamente a quanto si osserva nel sangue arterioso della milza). (2) Nelle milze ingrandite si ha uno smisurato accumulo di GR e di piastrine marcate con cromo radioattivo (51Cr); ciò indica un intrappolamento preferenziale. (3) Trapianti vitali di milza, posti in camere a diffusione nel cavo peritoneale di animali splenectomizzati, non modificano affatto il numero delle cellule del sangue; ciò depone contro l’esistenza di fattori umorali splenici che inibiscono l’ematopoiesi. (4) La somministrazione di adrenalina ad animali di laboratorio determina splenocontrazione e aumento contemporaneo dei GB e delle piastrine in circolo; questa risposta può essere molto evidente nei pazienti con ipersplenismo, il che

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Disordini della milza

suggerisce che il farmaco provoca la liberazione degli elementi cellulari del sangue, sequestrati nella milza. La splenomegalia è presente nella maggior parte delle anemie emolitiche croniche, suggerendo che la crescita del tessuto splenico può essere stimolata da un aumento del carico di lavoro, che in questo caso consiste nell’intrappolare e distruggere i GR anomali. Nelle condizioni emolitiche croniche (p. es., sferocitosi ereditaria e talassemie), come è dato spesso di osservare, l’emolisi stessa è incrementata da un circolo vizioso che riflette questa "ipertrofia da lavoro"; quindi la splenectomia può comportare un beneficio clinico notevole. Il tessuto splenico, divenendo iperplastico a causa della stimolazione da parte dell’emolisi cronica, può perdere la capacità di riconoscere le cellule alterate rispetto a quelle sane, per cui in molte malattie emolitiche croniche spesso si aggiungono anche leucopenia e piastrinopenia. Allo stesso modo, citopenie aspecifiche e transitorie si osservano comunemente nella splenomegalia insorta acutamente per azione di diversi agenti patogeni circolanti (come si verifica, p. es., nell’endocardite subacuta batterica, nella TBC miliarica, nell’epatite infettiva, nella psittacosi, nella mononucleosi infettiva).

Sintomi e segni Il quadro clinico dell’ipersplenismo è spesso in gran parte quello della malattia di base. Oltre che dalla splenomegalia, facilmente rilevabile con la palpazione, l’affezione è caratterizzata da: (1) sensazione precoce di sazietà che può essere causata da una compressione della splenomegalia sullo stomaco. (2) Dolore addominale al quadrante superiore sinistro, accompagnato da sfregamenti splenici, segni che suggeriscono un infarto splenico. (3) Soffi epigastrici e splenici dovuti all’abnorme fuoriuscita di sangue dalla milza fortemente ingrandita. Questi segni possono annunciare un sanguinamento dalle varici esofagee. La citopenia può determinare l’insorgenza di infezioni quando la conta assoluta dei granulociti è < 1000/µl, porpora o emorragia delle mucose quando il numero delle piastrine è ridotto o sintomi di anemia.

Approccio diagnostico Poiché l’ipersplenismo è il risultato di molti disordini primitivi (v. Tab. 141-1), la sequenza delle procedure diagnostiche è in genere dettata dai dati desunti dall’esame clinico. 1. Esame morfologico del sangue su striscio: poiché molti disordini ematologici sono associati con la splenomegalia congestizia, il risultato specifico dell’esame del sangue periferico può fornire degli indici per la causa sottostante (p. es., linfocitosi nella leucemia linfocitica cronica, sferocitosi nella sferocitosi ereditaria). Le piastrine sono raramente < 50000/µl e hanno un volume medio piastrinico basso. I GB sono diminuiti, eccetto che nella leucemia. L’aumento dei basofili e degli eosinofili o la presenza di eritroblasti o di GR a goccia suggeriscono l’esistenza di una sindrome mieloproliferativa. Esame del midollo osseo: l’esame del midollo osseo mostra iperplasia dei precursori midollari della linea (o delle linee) cellulare che appare ridotta nel sangue circolante e che si manifesta come citopenia periferica; infiltrazione linfocitaria in una malattia linfoproliferativa, iperplasia degli elementi mieloidi nei disordini mieloproliferativi, aumento dei blasti cellulari nelle leucemie acute, fibrosi nella metaplasia mieloide, infiltrazione di un tessuto che si colora con l’acido periodico di Schiff nell’amiloidosi e dei macrofagi pieni di lipidi nella malattia di Gaucher e nelle altre tesaurismosi. Studi d’immagine: la scintigrafia con colloide di tecnezio marcato è una tecnica fattibile e non invasiva mediante la quale si identifica una massa nell’ipocondrio sinistro come milza e si può identificare una malattia intrasplenica. La TC può

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Disordini della milza

definire la grandezza della milza e anomalie caratteristiche, sia intrinseche che estrinseche, di molte lesioni. La RMN fornisce dati simili a quelli della TC e inoltre definisce le caratteristiche del flusso sanguigno; è utile soprattutto nell’evidenziare trombosi della vena porta o splenica. Sopravvivenza dei GR marcati con 51Cr, delle piastrine e studi di captazione splenica: questi esami speciali sono a volte utili per stabilire quando l’ipersequestro necessiti della splenectomia. Esami ematochimici: gli esami ematochimici possono aiutare a diagnosticare le molteplici malattie che sono associate alla splenomegalia. Con l’elettroforesi sierica, la presenza di gammapatia monoclonale o di ipogammaglobulinemia depone per una malattia linfoproliferativa o per l’amiloidosi; un’ipergammaglobulinemia a bande larghe può essere presente nelle infezioni croniche (p. es., malaria, kala-azar, brucellosi, TBC), nelle cirrosi con splenomegalia congestizia, nella sarcoidosi e nelle collagenopatie. L’acido urico aumenta nelle sindromi mieloproliferative e in quelle linfoproliferative. La fosfatasi alcalina leucocitaria è elevata nelle malattie mieloproliferative, eccetto che nella leucemia mielogena cronica dove è bassa. Test di funzione epatica sono diffusamente anomali nella splenomegalia congestizia associata a cirrosi; l’aumento isolato della fosfatasi alcalina sierica depone per un processo infiltrativo epatico, come accade nelle malattie mielo-linfoproliferative o nella tubercolosi miliare. La vitamina sierica B12 può essere elevata nei disordini mieloproliferativi, soprattutto nella leucemia mieloide cronica e nella policitemia vera; i livelli elevati sono causati dall’aumento di una proteina che lega la vitamina B12 liberata dai PMN

Terapia Nei pazienti affetti da splenomegalia il più delle volte non si deve procedere alla splenectomia, ma piuttosto occorre intervenire sulla malattia di base. Poiché gli individui splenectomizzati sono più suscettibili alle infezioni sistemiche gravi da batteri capsulati (p. es., Hemophilus influenzae, pneumococchi, ecc.), le indicazioni alla splenectomia o all’irradiazione della milza devono essere strette (v. Tab. 141-2).

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 141–1. Cause comuni di ipersplenismo Splenomegalia congestizia Cirrosi epatica Compressione estrinseca o trombosi della vena porta o della vena splenica Malattie infiammatorie e infettive Infezioni acute, p.es., la mononucleosi infettiva, l’epatite virale, l’endocardite batterica subacuta e la psittacosi Infezioni croniche, p.es., TBC miliare, malaria, brucellosi, kalaazar, sifilide Sarcoidosi Amiloidosi Malattie del tessuto connettivo, p.es., LES e la sindrome di Felty Malattie mielo- e linfoproliferative Mielofibrosi con metaplasia mieloide Linfomi, p.es., il morbo di Hodgkin Leucemie, specialmente la linfocitica cronica e la mielocitica cronica Policitemia vera Anemie emolitiche croniche, generalmente congenite Alterazioni della forma dei GR, p.es., la sferocitosi ereditaria e l’ellissocitosi ereditaria Emoglobinopatie, p.es., le talassemie, le varianti con Hb falciforme (p.es., la malattia da emoglobinaS-C) e le anemie emolitiche congenite con corpi di Heinz

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Manuale Merck - Tabella

Enzimopatie eritrocitarie, p.es., carenza di piruvatochinasi Malattie da deposito Lipidosi, p.es., le malattie di Gaucher, di Niemann- Pick e di Hand-Schüller-Christian Non lipidosiche, la malattia di Letterer-Siwe Cisti spleniche Generalmente causati da risoluzione di precedenti ematomi intrasplenici Adattata da Williams WJ, et al: Hematology, New York, McGraw-Hill Book Company, 1976.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 141-2. Indicazioni per la splenectomia o la radioterapia nell’ipersplenismo Indicazioni

Esempi

Sindromi emolitiche nelle quali la Sferocitosi ereditaria, sopravvivenza ridotta di GR talassemia intrinsecamente anomali è ulteriormente accorciata dalla splenomegalia Pancitopenia grave associata a splenomegalia massiva

Malattie da deposito lipidico (la milza può essere 30 volte più grande del normale)

Accidenti vascolari coinvolgenti la milza

Infarti ricorrenti, varici esofagee sanguinanti associate con eccessivo ritorno venoso splenico

Lesione meccanica su altri organi addominali

Stomaco con senso di sazietà precoce, rene sinistro con ostruzione caliceale

Tendenza emorragica intollerabile

Trombocitopenia da ipersplenismo

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Sindrome da distress respiratorio dell'adulto

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 67. SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO DELL'ADULTO Insufficienza respiratoria causata da vari tipi di danno respiratorio acuto e caratterizzata da edema polmonare non cardiogenico, sofferenza respiratoria e ipossiemia.

Sommario: Introduzione Eziologia Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Complicanze e prognosi Terapia

Eziologia La sindrome da distress respiratorio dell'adulto (Adult Respiratory Distress Syndrome, ARDS), un'emergenza medica comune, viene innescata da varie patologie acute che danneggiano direttamente o indirettamente il polmone, p. es., sepsi, polmoniti primitive batteriche o virali, inalazione di materiale gastrico, trauma toracico diretto, shock prolungato o grave, ustioni, embolia grassosa, semiannegamento, emotrasfusione massiva, bypass cardiopolmonare, tossicità da O2, pancreatite emorragica acuta, inalazione di fumo o di altri gas tossici e assunzione di certi farmaci. L'incidenza della ARDS è stimata essere > 30% in presenza di sepsi (v. Cap. 156). Anche se viene definita "dell'adulto", tale sindrome si verifica anche nei bambini.

Fisiopatologia Poco si sa sul danno polmonare iniziale. Modelli animali suggeriscono che GB e piastrine attivati si accumulano nei capillari, nell'interstizio e negli alveoli; essi possono rilasciare prostaglandine, radicali di O2 tossici, enzimi proteolitici e altri mediatori (quali il fattore di necrosi tumorale e le interluechine), che danneggiano le cellule, provocano infiammazione e fibrosi e alterano il tono broncomotore e la reattività vasale. Quando gli epiteli dei capillari polmonari e degli alveoli vengono danneggiati, plasma e sangue penetrano negli spazi interstiziali e intra-alveolari. Ne risultano inondazione alveolare e atelettasia; quest'ultima è dovuta in parte alla riduzione dell'attività surfattante. Il danno è disomogeneo e interessa soprattutto le zone polmonari declivi. Entro 2 o 3 gg si sviluppa una flogosi interstiziale e broncoalveolare e le cellule epiteliali e interstiziali proliferano. In seguito, il collagene può accumularsi rapidamente, causando grave fibrosi interstiziale entro 2 o 3 sett. Tali modificazioni patologiche provocano bassa compliance polmonare, ridotta capacità residua funzionale, squilibri ventilazione-perfusione, aumento dello spazio morto fisiologico, grave ipossiemia e ipertensione

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Sindrome da distress respiratorio dell'adulto

polmonare.

Sintomi, segni e diagnosi La ARDS si sviluppa di solito entro 24-48 h dall'evento patologico o dalla malattia iniziale. Per prima compare la dispnea, solitamente accompagnata da respiro rapido e superficiale. Durante l'inspirazione può essere presente retrazione intercostale e soprasternale. La pelle può apparire cianotica o chiazzata e può non migliorare con la somministrazione di O2. L'auscultazione può evidenziare crepitii, ronchi o sibili, ma i reperti possono risultare normali. La diagnosi precoce richiede un alto livello di sospetto, evocato dall'insorgere di dispnea in situazioni cliniche che predispongono alla ARDS. Una diagnosi presuntiva può essere formulata mediante un'emogasanalisi arteriosa e una rx del torace. La prima mostra inizialmente un'alcalosi respiratoria acuta: una PaO2 molto bassa, una PaCO2 normale o bassa e un elevato pH. Le rx del torace evidenziano di solito infiltrati alveolari bilaterali diffusi simili all'edema polmonare acuto cardiogeno, ma l'ombra cardiaca è di regola normale. Tuttavia, le modificazioni osservabili alla rx spesso tardano di molte ore rispetto alle alterazioni funzionali, cosicché l'ipossiemia può apparire sproporzionatamente grave rispetto all'edema osservabile alla rx. Una PaO2 estremamente bassa spesso persiste nonostante elevate concentrazioni di O2 inspirato (FiO2), indicando uno shunt polmonare destro-sinistro attraverso le unità polmonari addensate atelettasiche e non ventilate. Dopo il trattamento immediato dell'ipossiemia, sono indicati ulteriori accertamenti diagnostici. Qualora esista il dubbio che il paziente abbia uno scompenso cardiaco, un catetere di Swan-Ganz nell'arteria polmonare può essere utile. Tipicamente, la pressione polmonare arteriosa a catetere incuneato (Pulmonary Arterial Wedge Pressure, PAWP) è bassa (< 18 mm Hg) nella ARDS e alta (> 20 mm Hg) nello scompenso cardiaco. Se si considera probabile un'embolia polmonare (v. Cap. 72), che può mimare una ARDS, bisogna ricorrere ad appropriate procedure diagnostiche (p. es., l'angiografia polmonare), dopo aver stabilizzato il paziente. La polmonite da Pneumocystis carinii e, occasionalmente, altre infezioni polmonari primitive possono simulare la ARDS e vanno prese in considerazione, specialmente in pazienti immunocompromessi; può essere indicata la biopsia polmonare o il lavaggio broncoalveolare in corso di broncoscopia. L'American-European Consensus Conference definisce la ARDS in base ai seguenti criteri: un rapporto PaO2/FiO2 < 200 (indipendentemente dalla pressione positiva di fine espirazione), infiltrati bilaterali alla rx del torace antero-posteriore e, se misurata, una PAWP _ 18 mm Hg o nessun segno clinico di ipertensione ventricolare sinistra.

Complicanze e prognosi Possono verificarsi sovrainfezioni batteriche secondarie dei polmoni, particolarmente da batteri aerobi gram - (come Klebsiella, Pseudomonas e Proteus sp) e dal gram + Staphylococcus aureus, specialmente i ceppi meticillinoresistenti; scompenso sistemico multiorganico, soprattutto insufficienza renale (v. Tab. 67-1) e complicanze relative ai presidi terapeutici invasivi; queste complicanze si associano a un'alta morbilità e mortalità. Un pneumotorace ipertensivo può insorgere improvvisamente in seguito al posizionamento di un catetere venoso centrale e all'uso di respiratori a pressione positiva (PPV) e alla pressione positiva tele-espiratoria (PEEP). Sono indispensabili il riconoscimento e il trattamento rapidi per prevenire un esito letale. Tachicardia, ipotensione e un improvviso incremento delle pressioni inspiratorie di picco richieste per la ventilazione meccanica suggeriscono la possibilità di un pneumotorace. Un

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pneumotorace che insorge tardivamente nel corso di una ARDS rappresenta un segno infausto, poiché esso si associa di regola a una grave compromissione del polmone e alla necessità di alte pressioni ventilatorie. Senza un'adeguata reintegrazione del volume intravascolare, la PPV e la PEEP possono diminuire il ritorno venoso, causando una riduzione della gittata cardiaca e del trasporto complessivo di O2 ai tessuti, contribuendo allo scompenso secondario multiorganico. Il tasso di sopravvivenza nei pazienti con ARDS grave che ricevono un trattamento adeguato è di circa il 60%; se la grave ipossiemia della ARDS non viene riconosciuta e trattata, un arresto cardiorespiratorio si verifica nel 90% dei pazienti. Coloro che rispondono prontamente al trattamento, presentano di solito una disfunzione o inabilità respiratoria residua di grado lieve o assente. I pazienti che richiedono un prolungato supporto ventilatorio con FiO2 > 50% hanno maggiori probabilità di sviluppare una fibrosi polmonare. Nella maggior parte dei pazienti che sopravvivono alla patologia acuta, la fibrosi polmonare regredisce dopo diversi mesi; ma il meccanismo che porta a tale risoluzione non è noto.

Terapia I principi del trattamento sono simili, nonostante le diverse eziologie. L'ossigenazione deve essere preservata e la causa del danno polmonare acuto deve essere corretta. Una cura meticolosa è necessaria per prevenire la deplezione nutrizionale, l'intossicazione da O2, le sovrainfezioni, i barotraumi e l'insufficienza renale, che può essere peggiorata da una deplezione del volume intravascolare. Mentre la diagnosi è in corso, l'ipossiemia potenzialmente letale deve essere trattata con un'alta FiO2 e monitorata con ripetute emogasanalisi o con un pulsossimetro. Una pronta intubazione endotracheale con ventilazione meccanica e PEEP può rendersi necessaria per mantenere l'apporto di O2, dal momento che l'ipossiemia è spesso refrattaria all'inalazione di O2 con maschera facciale. Il volume intravascolare è spesso depleto all'inizio della ARDS, perché la sepsi è la causa determinante, perché è stata somministrata una terapia diuretica prima che la ARDS fosse sospettata o perché l'inizio del trattamento con PPV riduce il ritorno venoso. Nonostante la presenza di edema alveolare devono essere somministrati liquidi EV, se necessari, per ripristinare la perfusione periferica, la diuresi e la PA. Monitorare il volume vascolare è importante perché sia l'ipovolemia che l'iperidratazione sono dannosi. I reperti obiettivi e la pressione venosa centrale possono essere male interpretati in pazienti gravemente malati sottoposti a ventilazione meccanica; se persiste una grave ipossiemia, se è scarsa la perfusione cutanea, se lo stato mentale è compromesso o se la diuresi è ridotta (< 0,5 ml/kg/ h), si rende immediatamente necessario un indice attendibile del volume intravascolare. Un catetere di Swan-Ganz è utilizzato di solito per controllare il volume delle infusioni, specialmente se è necessaria la PEEP. Tuttavia l'uso dei cateteri di Swan-Ganz non è scevro da rischi. Uno stretto controllo quotidiano del peso del paziente e dell'entrate e delle uscite totali di liquidi è altrettanto essenziale per la gestione dei liquidi. Come regola, un paziente con ARDS sta meglio se tenuto "asciutto", con la restrizione dei liquidi e con l'attento uso di diuretici, fintanto che la gittata cardiaca e la perfusione tissutale non sono compromesse. Se la sepsi è o può essere la causa della ARDS, una terapia antibiotica empirica deve essere iniziata in attesa dei risultati delle colture. Esami colturali di controllo e colorazioni di Gram sull'espettorato o sull'aspirato tracheale possono essere d'aiuto nell'individuare precocemente una sovrainfezione polmonare e nel guidare la terapia antibiotica. Le infezioni degli spazi chiusi devono essere drenate. L'alimentazione deve essere cominciata entro 48-72 h; la via enterale va preferita perché protegge il rivestimento mucoso intestinale. Nella ARDS acuto i corticosteroidi non hanno efficacia dimostrata, sebbene qualche studio suggerisca miglioramenti in alcuni pazienti con ARDS nella fase tardiva fibroproliferativa, che si può sviluppare dopo 7-10 giorni di ventilazione file:///F|/sito/merck/sez06/0670597.html (3 of 6)02/09/2004 2.07.56

Sindrome da distress respiratorio dell'adulto

meccanica. Le infezioni polmonari coesistenti devono essere escluse in questi pazienti, che spesso sono febbrili e mostrano leucocitosi, con o senza infezione. Molti approcci alla prevenzione e alla gestione della ARDS si sono dimostrati infruttuosi o inconcludenti. I trattamenti, che non hanno migliorato la prognosi né prevenuto la ARDS, comprendono gli Ac monoclonali contro l'endotossina, gli Ac monoclonali contro il fattore di necrosi tumorale, l'antagonista del recettore per l'interleuchina-1, la profilassi (l'uso precoce) con la PEEP, l'ossigenazione extracorporea con membrane e la rimozione extracorporea di CO2, l'albumina EV, l'espansione del volume e i farmaci cardiotonici per aumentare il trasporto sistemico di O2, i corticosteroidi nelle fasi precoci della ARDS, l'ibuprofene parenterale per inibire la ciclo-ossigenasi, le prostaglandine E1 e la pentossifillina. Diversi approcci sono promettenti ma necessitano di ulteriori studi. La posizione prona può migliorare sostanzialmente l'ossigenazione in alcuni pazienti, probabilmente perché tale posizione ridistribuisce la perfusione e lo scambio dei gas a zone polmonari più normali, precedentemente non declivi. Se questa tecnica migliori lo scambio gassoso nella ARDS acuta e se possa ridurre la durata della ventilazione meccanica e migliorare la sopravvivenza complessiva non è ancora chiaro. Il posizionamento del paziente è difficile da eseguire. L'inalazione di ossido nitrico può migliorare significativamente l'ipertensione polmonare e l'ossigenazione arteriosa in pazienti che hanno una grave forma di ARDS, senza causare ipotensione sistemica. Resta ancora da dimostrare se l'ossido nitrico migliori la sopravvivenza e se l'uso prolungato favorisca il danneggiamento polmonare da parte di sottoprodotti dell'ossido nitrico, come l'anione perossinitrito. Il ketoconazolo può aiutare a prevenire la ARDS inibendo la formazione e il rilascio del fattore di necrosi tumorale dai macrofagi. I suoi benefici clinici in piccoli studi preliminari necessitano di conferme in studi controllati più ampi. Gli studi iniziali sugli aerosol di surfattante sintetico nei pazienti adulti con ARDS sono stati deludenti. Migliori dispositivi di erogazione e preparazioni di surfattante naturale di mammiferi possono migliorare la stabilità alveolare, ridurre l'atelettasia e lo shunt intrapolmonare e migliorare le proprietà antibatteriche e antiinfiammatorie del film liquido alveolare; sono in corso nuovi studi relativi a tali approcci. Ventilazione meccanica: la maggior parte dei pazienti richiede l'intubazione endotracheale e la respirazione assistita con un ventilatore meccanico a volume predeterminato. L'intubazione tracheale e la PPV vanno prese in considerazione se la frequenza respiratoria è > 30/min o se è necessaria una FiO2 > 60% mediante maschera facciale per mantenere la PO2 intorno a 70 mm Hg per più di alcune ore. In alternativa all'intubazione, una maschera a pressione positiva continua nelle vie aeree può erogare efficacemente PEEP nei pazienti con ARDS lieve o moderata. Tali maschere non sono consigliate per pazienti con stato di coscienza depresso per il rischio di inalazione e devono essere sostituite da un ventilatore se il paziente progredisce verso una grave forma di ARDS o se mostra segni di fatica dei muscoli respiratori con aumento della frequenza respiratoria e della Pco2 arteriosa. Le impostazioni convenzionali in un ventilatore a volume predeterminato nella SDRA sono un volume corrente da 10 a 15 ml/kg, una PEEP di 5 cm H2O, una FiO2 _ 60% e la modalità assistita-controllata innescata dal paziente. Si può in alternativa fare uso della ventilazione obbligatoria intermittente con una frequenza iniziale di 10-12 atti respiratori/minuto con PEEP. Vi è la preoccupazione che alte pressioni e volumi di ventilazione nella ARDS possano peggiorare il danno polmonare, ma questo effetto non è stato dimostrato. Anche una PEEP troppo bassa può danneggiare il polmone facilitando la ripetuta chiusura e apertura delle unità polmonari periferiche instabili. Questo problema può essere superato con volumi correnti piccoli (6-8 ml/ kg) e una PEEP più alta (tra 10 e 18 cm H2O).

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Sindrome da distress respiratorio dell'adulto

L'obiettivo dei volumi correnti ridotti è di impedire che gli atti respiratori generati dal ventilatore superino il punto di inflessione (o di deflessione) superiore della curva pressione-volume del paziente e che causino iperdistensione polmonare (v. Fig. 67-1). Oltre questo punto, il polmone diventa piuttosto rigido e piccoli aumenti del volume corrente portano a un ampio incremento del plateau pressorio (la pressione necessaria per mantenere il polmone e la parete toracica distesi dopo che il flusso insiratorio è terminato). Per ragioni tecniche, il punto di inflessione superiore non viene misurato spesso direttamente. Viene invece misurato il plateau pressorio di ventilazione, che nella maggior parte dei pazienti non deve superare i 25-30 cm H2O (o i 20-25 cm H2O secondo alcuni ricercatori). Con un volume corrente ridotto, la frequenza respiratoria del ventilatore può essere aumentata per mantenere adeguati livelli arteriosi di pH e di Pco2. Alcuni pazienti rimangono ancora in ipercapnia e in acidosi respiratoria, solitamente ben tollerate. Se il pH arterioso scende sotto 7,20, può essere prescritta una infusione lenta di bicarbonati. Teoricamente, la PEEP impostata dovrebbe essere di diversi cm di acqua superiore al punto di inflessione inferiore della curva pressione-volume del paziente (v. Fig. 67-1) per facilitare un ampio reclutamento e una piena areazione degli alveoli. Se il punto di inflessione inferiore non è misurato direttamente, una PEEP di 10-15 cm H2O è spesso sufficiente. Con un adeguato valore di PEEP, la FiO2 del ventilatore può generalmente essere diminuita a un livello < 50-60%, più sicuro, cosicché il paziente raggiunga una PaO2 _ 60 mm Hg o una saturazione arteriosa in O2 (SaO2) _ 90%. Per un adeguato trasporto di O2 ai tessuti, l'indice cardiaco deve essere _ 3 l/min/m2; occasionalmente, sono necessari farmaci cardiotonici parenterali o l'infusione di liquidi. Alternativamente, può essere utilizzata una ventilazione meccanica a pressione predeterminata, soprattutto per i pazienti con ARDS grave. La pressione inspiratoria e la durata sono programmate e il volume corrente varia con l'impedenza respiratoria; sono quindi evitate alte pressioni inspiratorie di ventilazione, ma spesso si provoca un'ipercapnia permissiva. Questo approccio è spesso combinato con la ventilazione a rapporto inverso, nella quale è programmata una durata della inspirazione uguale o maggiore di quella dell'espirazione. Questa tecnica può reclutare e riespandere più unità polmonari rispetto a quanto la PEEP non riesca a fare da sola (in parte producendo una PEEP intrinseca o auto-PEEP), cosicché FiO2 pericolosamente alte possono essere ulteriormente ridotte. Questa tecnica è mal sopportata e richiede la sedazione del paziente, spesso associata a un farmaco che paralizza la muscolatura. Il momento appropriato per lo svezzamento è indicato da segni persistenti di un miglioramento della funzione respiratoria (cioè una ridotta necessità di O2 e di PEEP), dal miglioramento osservato alla rx e dalla risoluzione della tachipnea. I pazienti senza preesistenti patologie polmonari possono essere solitamente svezzati con facilità; difficoltà nello svezzamento possono indicare un'infezione non trattata o una nuova localizzazione infettiva, iperidratazione, broncospasmo, anemia, alterazioni elettrolitiche, disfunzione cardiaca o un cattivo stato nutrizionale con conseguente indebolimento dei muscoli respiratori. Se tali condizioni vengono trattate, lo svezzamento può essere realizzato usando la ventilazione obbligatoria intermittente per ridurre la frequenza degli atti respiratori artificiali, spesso con una quota di pressione di supporto (v. Cap. 66) o tramite periodi di respirazione spontanea di durata sempre maggiore attraverso una valvola a T connessa al tubo endotracheale. Una PEEP bassa (_5 cm H2O) viene di solito mantenuta durante lo svezzamento.

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Sindrome da distress respiratorio dell'adulto

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 133–3. CAUSE E ASSOCIAZIONI DELLA PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA - SINDROME UREMICO - EMOLITICA Colite emorragica, associata a tossine Shiga di batteri, quali l’Escherichia Coli 0157 e la Shigella dysenteriae

Gravidanza, spesso indistinguibile da preeclampsia o eclampsia grave

Farmaci, quali il chinino, ciclosporina, mitomicina C

Trapianto di midollo osseo allogenico

Carcinoma metastatico

Idiopatica

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I MALATTIE ATOPICHE Malattia polmonare allergica I polmoni vengono interessati da reazioni allergiche conosciute o sospette in diversi modi, a seconda della natura dell’allergene e della sua via d’ingresso. Le malattie specifiche sono trattate sotto la voce Asma nel Cap. 68 e nel Cap. 76.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI Disordini con manifestazioni cliniche legate all’azione di mediatori vasoattivi derivati dalle mast-cellule o da altre fonti (anche se un meccanismo immunologico mediato da IgE o di altro tipo può non esserne coinvolto).

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI Mastocitosi Condizione a eziologia ignota caratterizzata da un accumulo eccessivo di mastcellule a livello di diversi organi e tessuti dell’organismo.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Le mast-cellule tissutali possono contribuire alle difese dell’organismo mediante il rilascio di potenti mediatori preformati (p. es. l’istamina) dai loro granuli e mediante la sintesi di mediatori neoformati (p. es. i leucotrieni) a partire dai lipidi di membrana. Le mast-cellule tissutali normali mediano inoltre la sintomatologia delle comuni reazioni allergiche per mezzo degli anticorpi IgE legati a specifici recettori di membrana. La mastocitosi può presentarsi in tre forme: il mastocitoma (un tumore cutaneo benigno); l’orticaria pigmentosa (piccoli aggregati cutanei multipli di mastcellule che si sviluppano come macule e papule color salmone o marrone, le quali si irritano quando vengono strofinate e che possono prendere forma vescicolare o anche bollosa); e la mastocitosi sistemica (infiltrati di mast-cellule nella cute, nei linfonodi, nel fegato, nella milza, nell’apparato GI e nelle ossa).

Sintomi, segni e diagnosi I pazienti con mastocitosi sistemica hanno artralgie, dolori ossei e sintomi anafilattoidi. Altri sintomi (aumento della secrezione acida e mucosa dello stomaco) sono causati dalla stimolazione dei recettori H2. Pertanto la malattia ulcerosa peptica e la diarrea cronica sono problemi di comune riscontro. Il contenuto di istamina delle biopsie tissutali può essere estremamente elevato, in rapporto all’alta concentrazione di mast-cellule. L’escrezione urinaria dell’istamina e dei suoi metaboliti è elevata nella mastocitosi sistemica e la concentrazione plasmatica di istamina può essere aumentata. È stato inoltre osservato un aumento dei livelli plasmatici di triptasi, di eparina e di prostaglandina D2.

Prognosi e terapia La mastocitosi cutanea può manifestarsi sia nei bambini sia negli adulti. Il mastocitoma solitario dovrebbe regredire spontaneamente; l’orticaria

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Disordini da ipersensibilità

pigmentosa si risolve del tutto o migliora in maniera sostanziale prima dell’adolescenza. Queste condizioni raramente progrediscono verso la mastocitosi sistemica. Abitualmente, è necessaria la sola terapia del prurito con un anti-H1 (v. Orticaria e angioedema, sopra). I sintomi della mastocitosi sistemica vanno trattati con un anti-H1 e un anti-H2. Poiché le prostaglandine e in particolare la prostaglandina D2, possono contribuire alla sintomatologia legata alle mast-cellule, si può tentare con cautela una terapia con salicilati; dal momento che inibiscono la sintesi delle prostaglandine, l’aspirina e i suoi analoghi possono aumentare la produzione dei leucotrieni. Se i sintomi GI non vengono controllati, si deve somministrare cromoglicato 200 mg per via orale qid (100 mg qid per i bambini da 2 a 12 anni [senza superare i 40 mg/kg/die]). Non esiste attualmente una terapia efficace per ridurre il numero delle mast-cellule tissutali.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI Allergia ed agenti fisici Condizione nella quale i sintomi e i segni allergici vengono provocati dall’esposizione a stimoli fisici, p. es. il freddo, la luce solare, il calore o i traumi lievi.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia Nella maggior parte dei casi il meccanismo patogenetico sottostante è sconosciuto. La fotosensibilità può a volte essere indotta da farmaci o agenti topici, compresi alcuni cosmetici (v. Cap. 119 e Dermatite da contatto nel Cap. 111). La sensibilità al freddo e alla luce, in alcuni casi, può essere trasferita passivamente con il siero contenente un anticorpo IgE specifico, suggerendo un meccanismo immunologico con la partecipazione in qualità di antigene di una proteina cutanea fisicamente alterata. Un meccanismo alternativo viene indicato dal recente riscontro di autoanticorpi IgG e IgM in alcuni pazienti con orticaria da freddo. Il siero di alcuni pazienti con sintomatologia indotta dal freddo contiene crioglobuline o criofibrinogeno; queste proteine anomale possono essere associate a gravi malattie sottostanti (p. es. tumori maligni, malattie collagene vascolari, infezioni croniche). Il freddo può aggravare l’asma o la rinite vasomotoria, ma l’orticaria da freddo è indipendente da qualunque altra diatesi allergica conosciuta. L’ipersensibilità di circa la metà dei casi idiopatici studiati può essere trasferita passivamente con il siero e sembra essere mediata dalle IgE. La sensibilità al calore provoca in genere un’orticaria colinergica, che negli stessi pazienti viene indotta anche dall’esercizio fisico, dagli stress emotivi o da qualsiasi altro stimolo che provochi sudorazione. L’orticaria colinergica sembra essere causata da un’insolita ipersensibilità all’acetilcolina.

Sintomi, segni e diagnosi Il prurito e i problemi estetici sono i disturbi lamentati più comunemente. L’ipersensibilità al freddo si manifesta spesso con orticaria e angioedema, che si sviluppano tipicamente in seguito all’esposizione al freddo e durante o dopo il nuoto. In casi estremi si può avere broncospasmo e shock mediato da istamina, che possono portare all’annegamento. La luce solare può provocare orticaria oppure un’eruzione cutanea polimorfa ad andamento più prolungato. L’orticaria si è manifestata anche in seguito all’esposizione a stimoli vibratori persistenti

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Disordini da ipersensibilità

(familiare), dopo l’esposizione all’acqua (idrogenica) e come reazione immediata o tardiva (da 4 a 6 h, talvolta dopo 24 h) alla pressione. Bisogna considerare la possibilità di una protoporfiria (v. Cap. 14). Il dermografismo (una reazione eritemato-pomfoide che si osserva dopo graffiamento o strofinamento energico sulla cute) è un fenomeno abitualmente idiopatico, ma talvolta costituisce il primo segno di una reazione urticaroide ai farmaci. Nell’orticaria colinergica le lesioni cutanee sono costituite da vescicole piccole, altamente pruriginose e ben distinte, circondate da un’ampia zona di eritema. Un test cutaneo con metacolina 1:5000 può riprodurre le lesioni, ma soltanto in circa 1/3 dei casi. Il test più affidabile consiste nel provocare l’insorgenza dei sintomi con l’esercizio fisico, utilizzando indumenti non traspiranti per facilitare la sudorazione.

Profilassi e terapia Bisogna riesaminare insieme con il paziente l’impiego di ogni farmaco o cosmetico, specialmente se si sospetta una fotosensibilizzazione. È necessaria la protezione dallo stimolo fisico responsabile. Per il prurito, bisogna somministrare per via orale un antiistaminico con effetti sedativi (difenidramina 50 mg qid; la ciproeptadina, da 4 a 8 mg qid, è la più efficace nell’orticaria da freddo). L’idrossizina, da 25 a 100 mg PO qid, è il farmaco di scelta per l’orticaria colinergica; i farmaci anticolinergici sono inefficaci alle dosi tollerabili. Nelle eruzioni attiniche gravi diverse dall’orticaria bisogna somministrare prednisone, da 30 a 40 mg/die PO, per abbreviare il decorso clinico; la dose viene ridotta gradualmente man mano che il paziente migliora.

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

DERMATITE DA CONTATTO Infiammazione acuta o cronica, spesso asimmetrica o di forma anomala, prodotta da sostanze a contatto con la cute e che determinano tossicità (agenti irritanti) o reazioni allergiche.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e decorso Diagnosi Terapia

Eziologia e patogenesi La dermatite da contatto può essere determinata da un originario agente chimico irritante o da un allergene (cioè, una reazione da ipersensibilità ritardata di tipo IV, v. Cap. 148). Le sostanze irritanti sono in grado di svolgere un’azione dannosa su cute normale o su una dermatite già esistente. Alterazioni riconoscibili clinicamente possono comparire entro pochi minuti dall’esposizione a forti agenti irritanti (p. es., acidi, alcali, fenoli) o possono essere necessari molti giorni di esposizione per gli agenti irritanti deboli o marginali (p. es., sapone, detergenti, acetone o anche acqua). I meccanismi patogenetici sono differenti a secondo dell’agente irritante che provoca il danno cutaneo. Per esempio, i detergenti attivano i cheratinociti, provocando la liberazione di citochine infiammatorie. I pazienti possono sensibilizzarsi verso sostanze che hanno usato per anni o farmaci in terapia per la loro dermatosi, sviluppando così una dermatite allergica da contatto. Gli allergeni vengono catturati dalle cellule di Langherhans (una piccola sottopopolazione di cellule epidermiche), che provvedono a presentarli ai linfociti T. Le citochine rilasciate dai cheratinociti e dalle cellule di Langerhans possono inoltre contribuire all’induzione della sensibilizzazione. Occorrono dai 6 ai 10 giorni (nel caso di potenti sensibilizzanti come p. es., l’edera velenosa) fino ad alcuni anni (deboli sensibilizzanti), affinché si realizzi la sensibilizzazione del paziente. Una dermatite pruriginosa potrebbe comparire entro 4-12 ore dalla riesposizione all’agente sensibilizzante. I componenti dei farmaci ad uso topico costituiscono la causa più frequente di fenomeni allergici da contatto (v. Tab. 111-1). Altre sostanze normalmente responsabili sono le piante (p. es., l’edera velenosa), i preparati utilizzati nell’industria dell’abbigliamento, nella manifattura delle scarpe, i componenti metallici, le tinture e i cosmetici. Molti prodotti di uso industriale possono provocare dermatite professionale. La sensibilità alla gomma o al lattice dei file:///F|/sito/merck/sez10/1110849.html (1 of 3)02/09/2004 2.08.04

Dermatiti

guanti è un problema specifico di molte professioni sanitarie. La sensibilità al lattice dei preservativi può precluderne l’utilizzo in alcuni uomini. Le dermatiti fotoallergiche e fototossiche da contatto necessitano di esposizione alla luce dopo applicazione topica di alcune sostanze chimiche. Gli agenti chimici (fototossine) provocano una risposta eccessiva alla luce solare, agendo come sostanze fotosensibilizzanti (v. Eruzioni polimorfe causate dalla luce nel Cap. 119 in Fotosensibilità) Le lozioni dopobarba, gli schermanti solari e le sulfonamidi topiche sono comunemente responsabili di dermatiti fotoallergiche da contatto. Di contro, alcuni profumi, catrame, psoraleni e oli utilizzati nell’industria manifatturiera provocano spesso dermatiti da contatto fototossiche. Le dermatiti da contatto fotoallergiche e fototossiche devono essere differenziate dalle reazioni di fotosensibilità ai farmaci sistemici.

Sintomi, segni e decorso La dermatite da contatto spazia da un eritema transitorio a un edema accentuato con formazione di bolle; sono spesso presenti prurito e vescicolazione. Può essere interessato qualsiasi distretto cutaneo esposto a sostanze irritanti o sensibilizzanti (incluse quelle volatili). Caratteristicamente, la dermatite è limitata alla zona di contatto, ma con il tempo può estendersi. Il decorso è variabile. Se la causa viene rimossa, l’eritema scompare in pochi giorni o qualche settimana e le bolle si asciugano. Le bolle e le vescicole possono rompersi, così il materiale può trasudare e formare croste. Se l’infiammazione recede, si ha desquamazione e temporaneo ispessimento della cute. La dermatite può persistere sia per il ripertersi dell’esposizione all’agente causale che per l’insorgenza di complicanze (p. es., fenomeni di irritazione o di allergia a farmaci topici, escoriazioni o infezioni).

Diagnosi La dermatite da contatto può essere clinicamente simile ad altre dermatiti. Caratteristiche modificazioni cutanee e una storia di precedente esposizione all’agente causale possono facilitare la diagnosi, benché la conferma necessiti comunque di un’esauriente anamnesi e di un attento patch-test. Occorre, inoltre, considerare l’attività del paziente, gli eventuali hobby, i lavori domestici, i luoghi di villeggiatura, gli indumenti, le medicazioni topiche, i cosmetici e l’attività del partner. È utile per la diagnosi conoscere le caratteristiche delle sostanze irritanti o degli allergeni topici e la distribuzione delle lesioni provocate. La sede iniziale di comparsa delle lesioni è una indicazione importante. Può essere utile eseguire un patch test (v. Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo IV, nel Cap. 148) con un gruppo standard di allergeni da contatto. La scelta della concentrazione della sostanza impiegata nel test è molto importante e richiede una consulenza specialistica, soprattutto per i prodotti industriali e per i cosmetici. Poiché durante un patch-test c’è il rischio di peggiorare un’eruzione in individui particolarmente sensibili e poiché durante la fase acuta potrebbero ottenersi dei risultati ambigui, i test allergometrici vanno effettuati subito dopo l’esaurimento della fase eruttiva. Comunque, la positività del test non permette sempre di svelare la sostanza in causa. Per poter fare una diagnosi definitiva, occorre che l’area esposta all’agente responsabile sia la stessa originariamente interessata. D’altra parte non verrà rilevata alcuna reazione se l’agente responsabile non viene incluso nelle sostanze testate.

Terapia

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Dermatiti

Ogni trattamento risulta inefficace se l’agente responsabile non viene identificato e allontanato. I pazienti con dermatiti fotoallergiche o fototossiche da contatto, devono evitare la fotoesposizione e il contatto con agenti chimici fotosensibilizzanti. Nelle dermatiti in fase acuta, possono essere utilizzate garze o sottili bende inumidite con acqua da applicare sulle lesioni (per circa 30 min, da 4 a 6 volte/die), in quanto lenitive e rinfrescanti. Le vescicole possono essere drenate fino a tre volte/die, ma senza rimuoverne il tetto. Nelle forme estese e in quelle localizzate con intensa infiammazione al volto, possono essere somministrati (purché non controindicati) corticosteroidi orali (p. es., prednisone 60 mg/die) per una durata di 7-14 giorni. La dose di prednisone può essere scalata di 10-20 mg q 3-4 giorni. I corticosteroidi topici non sono efficaci nella fase essudativa. Tuttavia, passata la fase acuta, possono essere impiegati sotto forma di creme o unguenti, frizionati fino ad assorbimento tre volte/die (v. Cap. 110). Gli antiistaminici risultano inefficaci nel risolvere la dermatite allergica da contatto, ma possono attenuarne il prurito.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO IV Sommario: Introduzione Diagnosi

Alcune condizioni cliniche nelle quali si ritiene che abbiano un ruolo di rilievo le reazioni di tipo IV sono la dermatite da contatto, la polmonite da ipersensibilità, il rigetto degli allotrapianti, i granulomi dovuti a organismi intracellulari, alcune forme di ipersensibilità ai farmaci, la tiroidite e l’encefalomielite conseguente a vaccinazione antirabbica. Per le ultime due patologie la dimostrazione è basata su modelli sperimentali e in patologia umana si basa sulla comparsa di linfociti nell’essudato infiammatorio della tiroide e del cervello.

Diagnosi Una reazione di tipo IV può essere sospettata quando una reazione infiammatoria risulta caratterizzata istologicamente da linfociti e macrofagi perivascolari. I test cutanei di ipersensibilità ritardata (v. la trattazione dei Test per i deficit delle cellule T nel Cap. 147) e i patch test sono i metodi più facilmente disponibili per la valutazione dell’ipersensibilità ritardata. Per evitare l’esacerbazione di una dermatite da contatto, i patch test vengono eseguiti dopo che essa si è risolta. L’allergene sospetto (in concentrazioni idonee) viene applicato sulla cute al di sotto di un cerotto adesivo non assorbente e lasciato in sede per 48 h. Se si manifesta bruciore o prurito prima di questo termine, il cerotto viene rimosso. Un test positivo consiste nella comparsa di eritema con un certo indurimento e, talvolta, nella formazione di vescicole. Poiché alcune reazioni non compaiono fin dopo la rimozione dei cerotti, le sedi vengono nuovamente ispezionate a 72 e a 96 h.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 111-1. CAUSE DI DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO Causa

Esempio

Principi attivi in farmaci topici: Antibiotici

Penicillina, sulfonamide, neomicina

Antiistaminici Difenidramina, prometazina Anestetici

Benzocaina

Antisettici

Timerosal, esaclorofene

Stabilizzanti

Etilendiamina e derivati

Piante

Edera velenosa, quercia, sommacco, ambrosia,primula

Metalli

Nickel, cromo, mercurio

Coloranti

p-Fenilendiamina e altri

Cosmetici

Sostanze depilatorie, solventi per unghie, deodoranti

Sostanze industriali

Monomeri acrilici, composti epossidi, preparati al tino, stimolanti per preservativi

Sostanze volatili

Polline di ambrosia, insetticidi in spray

Sostanze chimiche

Concia per le scarpe, usate nella formaldeide libera nella mani fattura di rifinitura della stampa, scarpe e stimolanti per preservativi, indumenti antiossidanti per guanti, scarpe, biancheria intima e altri indumenti

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Reazioni alla luce solare

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 119. REAZIONI ALLA LUCE SOLARE FOTOSENSIBILITÀ Sommario: Introduzione Profilassi e terapia

Oltre agli acuti e cronici effetti del sole, una varietà di reazioni anomale possono manifestarsi dopo soli pochi minuti di esposizione solare, p. es., zone con eritema o dermatite franca, orticaria e lesioni simili a eritema multiforme, bolle, placche croniche, desquamanti, ispessite. L’orticaria solare si manifesta entro pochi minuti nella sede fotoesposta. Se vaste aree cutanee vengono esposte per lunghi periodi, possono svilupparsi sincope, vertigine, dispnea e altra sintomatologia sistemica. L’orticaria solare può essere classificata in sei tipi, in base allo spettro d’azione dei raggi UV e ai risultati del trasferimento passivo e ai test di trasferimento inverso passivo. Il trattamento dell’orticaria solare può essere difficoltoso e comprendere H1-bloccanti, farmaci antimalarici, schermi solari topici e raggi ultravioletti con psolarene (PUVA). Numerosi fattori, molti sconosciuti, possono determinare la fotosensibilità. A meno che non sia nota la causa, ogni paziente con elevata fotosensibilità deve essere sottoposto a indagini per un lupus eritematoso sistemico o cutaneo. Anche lo xeroderma pigmentoso e certe porfirie possono indurre fotosensibilità; difatti il più comune tipo di porfiria, la porfiria cutanea tarda, si manifesta negli adulti in una sporadica ed ereditaria forma autosomica dominante (v. Cap. 14). Questa porfiria è causata da un difetto dell’enzima urogeno-decarbossilasi ed è caratterizzata da fragilità cutanea e milii sul dorso delle mani e sulla superficie estensoria delle braccia. L’iperpigmentazione del volto e l’ipertricosi sono abbastanza comuni. Una varietà di farmaci utilizzati (p. es., sulfonamidi, tetracicline, tiazidi, griseofulvina, psoraleni) inducono fotosensibilità, sebbene di rado. Inoltre, persino l’applicazione o il contatto con varie sostanze, incluse le colonie e i profumi al bergamotto, le sulfonamidi, il catrame, i saponi con salicilati alogenati e alcune piante (p. es., erba di prato, prezzemolo), può determinare fotosensibilità (v. anche Cap. 111). Le eruzioni polimorfe causate dalla luce sono anomale reazioni verso una sorgente luminosa che non sembrano essere correlate ad alcuna patologia sistemica né ad alcun farmaco. Queste eruzioni appaiono su zone fotoesposte, solitamente 2-5 giorni dopo l’esposizione. Le lesioni sono di tipo papulare o a placca, simulando una dermatite, un’orticaria o un eritema multiforme. Sono più frequenti in coloro che abitano in zone nordiche e che si espongono al primo sole primaverile o estivo, piuttosto che in coloro che sono sottoposti a un’esposizione solare annuale. L’immunofluorescenza diretta su biopsia della lesione e della cute, apparentemente normale, risulta negativa. La diagnosi si emette per esclusione e a volte necessita della riproduzione delle lesioni con luce artificiale o naturale, quando il paziente non è sottoposto a nessuna terapia.

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Reazioni alla luce solare

Profilassi e terapia Il paziente deve evitare l’esposizione solare e indossare indumenti protettivi (p. es., cappello, maglie a manica lunga) quando esce di casa. I protettori solari (v. Ustioni, sopra) sono a volte utili, ma il loro effetto non può eguagliare quello della non esposizione ai raggi solari. Il trattamento viene indirizzato alla patologia concomitante, quando ciò è possibile. Le eruzioni polimorfe causate dalla luce, comparse come papule, placche o dermatite, possono rispondere ai cortisonici topici. Infatti, l’idrossiclorochina potrebbe essere utile, in special modo nel trattamento della forma a placca. È consigliabile la consulenza di un oftalmologo che esamini il campo ottico del paziente per valutare una potenziale tossicità oculare. In questa condizione o nel lupus eritematoso cutaneo, una prolungata somministrazione (da 2 a 4 mesi) di idrossiclorochina in dosi di 200-400 mg/die PO, spesso riduce o sopprime la fotosensibilità e può essere provata se la terapia si rende necessaria e i protettori solari non sono efficaci. Paradossalmente, anche la PUVA terapia è efficace nel prevenire alcuni casi di eruzioni polimorfe da luce se viene usata a basso dosaggio per molte sedute prima dell’esposizione al sole, ma non deve essere effettuata da pazienti con lupus eritematoso.

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Reazioni alla luce solare

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 119. REAZIONI ALLA LUCE SOLARE USTIONI Sommario: Introduzione Profilassi Terapia

Le ustioni derivano da una sovraesposizione della cute ai raggi UVB (da 280 a 320 nm). I sintomi e i segni clinici compaiono in 1-24 h e, tranne in gravi reazioni, raggiungono il picco in 72 h. Le alterazioni cutanee variano da un lieve eritema con successiva leggera desquamazione a un quadro di vivo dolore, edema, fragilità cutanea e formazione di bolle. L’ustione che interessa gli arti inferiori, in particolare le superfici pretibiali, è particolarmente fastidiosa e spesso lenta nella guarigione. La sintomatologia obiettiva (febbre, raffreddore, debolezza, shock), simili a una ustione termica, possono comparire se viene coinvolta una vasta area della superficie corporea; ciò sembra dovuto al rilascio di interleuchina-1. L’infezione secondaria, la pigmentazione a chiazze ed eruzioni tipo miliaria (v. Cap. 124) sono le più comuni complicanze tardive. La cute esfoliata può risultare estremamente vulnerabile alla luce solare per una o più settimane.

Profilassi Semplici precauzioni possono prevenire la maggior parte delle gravi ustioni. L’iniziale esposizione estiva al sole di mezzogiorno non deve superare i 30 minuti, anche in individui con carnagione scura. Nelle zone temperate, l’esposizione è meno dannosa se effettuata prima delle 10 e dopo le 15 in quanto la maggior parte delle lunghezze d’onda che determinano le ustioni viene filtrata. La nebbia non riduce il rischio di ustioni e i rischi aumentano ad alta quota. Le formulazioni in gel o in crema di acido aminobenzoico (PABA) al 5% o i suoi esteri in alcol etilico possono prevenire le ustioni. Questi prodotti necessitano di circa 30 minuti per legarsi fortemente alla cute e quindi vanno applicati da 30 a 60 minuti prima dell’esposizione solare, per ridurne la rimozione con la sudorazione o il nuoto. Raramente i prodotti PABA determinano una dermatite allergica o fotoallergica da contatto. I pazienti che non tollerano il PABA né i suoi esteri possono usare un protettore solare con antranilato, salicilato, cinnamato o anche benzofenolo, sebbene l’ultimo schermi più efficacemente i raggi UVA. Le lozioni non opache altamente efficaci, contenenti sia gli esteri PABA sia un benzofenone, sono disponibili in commercio. Negli USA, la FDA (Food and Drug Administration) classifica i protettori solari in base al numero del fattore di protezione solare (FPS); più alto è il FPS, maggiore sarà la protezione. I protettori solari con FPS 15 sono i più raccomandati. Comunque, i pazienti con reazioni fotosensibili ai farmaci risultano essere insufficientemente protetti da questi prodotti. Alcuni protettori solari sono stati formulati per la protezione contro gli effetti degli UVA. Le formulazioni opache contenenti ossido di zinco o diossido di titanio bloccano fisicamente le radiazioni, impedendo il raggiungimento della cute. Quando vengono adeguatamente colorati con sostanze come i sali di ferro, diventano cosmeticamente accettabili.

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Reazioni alla luce solare

Terapia Va evitata assolutamente una successiva esposizione fino alla remissione della fase acuta dell’ustione. Impacchi di acqua fredda risultano più efficaci dei corticosteroidi topici nell’alleviare la sintomatologia. Inoltre, vanno evitati gli unguenti o le lozioni a base di anestetici locali (p. es., benzocaina) e altre sostanze sensibilizzanti per il rischio di una dermatite allergica da contatto (v. Cap. 111). Un tempestivo trattamento dell’ustione grave ed estesa con corticosteroidi sistemici (p. es., prednisone 20-30 mg PO bid per 4 giorni per adulti o adolescenti), può ridurre il disagio, anche se su questo argomento le opinioni sono controverse.

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Disturbi della sudorazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 124. DISTURBI DELLA SUDORAZIONE MILIARIA (Miliaria rubra) Eruzione acuta, infiammatoria, pruriginosa dovuta all’ostruzione dei dotti delle ghiandole sudoripare e alla ritenzione di sudore.

Sommario: Introduzione Terapia

La miliaria è generalmente presente nelle regioni caldo-umide, ma può insorgere anche in clima freddo in un paziente vestito in modo troppo pesante. Lo strato corneo dell’epidermide diviene edematoso, ostruendo i dotti delle ghiandole sudoripare eccrine. Il sudore raggiunge la superficie cutanea e resta intrappolato nell’epidermide o nel derma, causando irritazione (formicolio) e spesso un grave prurito. La comparsa delle lesioni dipende dalla profondità dell’ostruzione. Nella miliaria cristallina, l’ostruzione dei dotti si localizza nell’epidermide più superficiale e le tipiche lesioni puntiformi si manifestano come tese vescicole prive di infiammazione. Nella miliaria rubra, l’ostruzione e l’infiammazione si localizzano nell’epidermide profonda e le lesioni sono rossastre. Nella miliaria profonda, l’ostruzione duttale avviene all’ingresso dei dotti nel derma papillare; è la forma più profonda e più grave di miliaria. La miliaria profonda si manifesta con grandi papule, a localizzazione profonda, spesso dolenti. Vengono favorite le pieghe cutanee.

Terapia Il trattamento è sintomatico (raffreddare e asciugare le zone coinvolte) e profilattico (evitare le condizioni che favoriscono la sudorazione). L’aria condizionata crea una condizione ambientale ideale. Le lozioni steroidee, talvolta con aggiunta di mentolo allo 0,25%, sono impiegate spesso; tuttavia, la terapia topica è poco efficace rispetto al cambio di ambiente e l’uso di indumenti leggeri.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO III Sommario: Introduzione Diagnosi

Condizioni nelle quali gli immunocomplessi (IC) sembrano avere un ruolo patogenetico sono la malattia da siero dovuta al siero eterologo, a farmaci o ad antigeni della epatite virale; il LES; l’AR; la poliarterite; la crioglobulinemia; la polmonite da ipersensibilità; l’aspergillosi broncopolmonare; la glomerulonefrite acuta; la glomerulonefrite membranoproliferativa cronica; e la malattia renale associata (v. Cap. 231). Nell’aspergillosi broncopolmonare, nella malattia da siero indotta da farmaci o siero e in alcune forme di malattia renale, si ritiene che una reazione mediata da IgE preceda la reazione di tipo III. I modelli animali standard delle reazioni di tipo III sono la reazione di Arthus locale e la malattia da siero sperimentale. Nella reazione di Arthus (tipicamente una reazione cutanea locale) gli animali vengono prima iperimmunizzati per indurre la produzione di grandi quantità di anticorpi IgG circolanti e poi viene loro somministrata una piccola quantità di antigene per via intradermica. L’antigene precipita in presenza dell’eccesso di IgG e attiva il complemento, cosicché compare rapidamente (entro 4-6 h) una lesione locale altamente infiammatoria, edematosa e dolorosa che può progredire fino alla formazione di un ascesso sterile contenente molte cellule polimorfonucleate e in seguito fino alla necrosi del tessuto. Microscopicamente si può osservare una vasculite necrotizzante con occlusione dei lumi arteriolari. La reazione non è preceduta da un periodo di latenza, perché l’anticorpo è già presente. Nella malattia da siero sperimentale viene iniettato un notevole quantitativo di antigene in un animale non immunizzato. Dopo un periodo di latenza, vengono prodotti anticorpi; quando gli anticorpi raggiungono una concentrazione critica (nell’uomo, in 10-14 giorni), si formano complessi antigene-anticorpo che si depositano nei vasi di tipo endoteliale, dove provocano un danno vascolare diffuso caratterizzato dalla presenza di leucociti polimorfonucleati. Quando compare la vasculite si può evidenziare un calo del complemento sierico e nelle aree colpite si possono rinvenire antigeni, anticorpi e complemento. I complessi antigene-anticorpo, tuttavia, non sono in grado di provocare il danno di per sé, ma richiedono piuttosto la presenza di un aumento della permeabilità vascolare, come si verifica nelle reazioni mediate da IgE (di tipo I) e quando viene attivato il complemento, per aumentare il deposito vascolare degli IC.

Diagnosi Le reazioni di tipo III possono essere sospettate in patologia umana quando compare una vasculite. Nella poliarterite, la presenza di vasculite è l’unica evidenza clinica a sostegno del possibile ruolo degli IC. Un’ulteriore conferma si può ottenere con i test di immunofluorescenza diretta (come descritto precedentemente), che possono indicare la presenza di antigene, di immunoglobuline (Ig) e di complemento nella sede della vasculite.

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Disordini da ipersensibilità

Negli studi sperimentali, la microscopia a fluorescenza mostra depositi granulari grossolani (a grosse zolle) lungo la membrana basale quando i glomeruli animali vengono colorati per rivelare presenza di Ig e di complemento. Una distribuzione simile si può osservare nelle malattie renali umane dovute a reazioni di tipo III (v. Cap. 231). È possibile usare anche la microscopia elettronica per rivelare depositi elettrondensi (simili a quelli osservati nella malattia da siero sperimentale) che si ritiene siano i complessi antigene-anticorpo. Raramente, nel tessuto infiammato si può rivelare la presenza sia dell’antigene sia dell’anticorpo per mezzo dell’immunofluorescenza, come è stato dimostrato nella nefropatia del LES e nelle lesioni vasculitiche della malattia da siero dovuta ad antigeni dell’epatite. Una reazione di tipo III è ulteriormente rivelata dalla dimostrazione della presenza di anticorpi circolanti nei confronti di antigeni quali il siero di cavallo, gli antigeni dell’epatite, il DNA, le IgG alterate (fattore reumatoide) e alcune muffe. Nel LES, per esempio, durante le esacerbarzioni della nefropatia si verifica un aumento degli anticorpi contro il DNA nativo non denaturato a doppio filamento e una diminuzione del complemento sierico. Se l’antigene è sconosciuto, si possono misurare i livelli del complemento sierico totale e dei suoi componenti precoci (C1, C4 o C2); la diminuzione dei loro livelli indica un’attivazione del complemento attraverso la via classica e quindi la presenza di una reazione di tipo III. Nell’aspergillosi polmonare allergica, un test cutaneo intradermico con antigene di Aspergillus può provocare una reazione eritemato-pomfoide mediata da IgE seguita da una reazione simile a quella di Arthus. Fino a non molto tempo fa, gli IC venivano ricercati nel siero con la crioprecipitazione (sfruttando la proprietà di alcuni complessi di precipitare alle basse temperature). Attrezzature sofisticate possono rivelare anche la presenza di complessi solubili mediante ultracentrifugazione analitica e centrifugazione in gradiente di densità di saccaroso. Attualmente, vengono impiegati diversi test per la ricerca degli IC circolanti i quali si basano sulla capacità dei complessi di reagire con componenti complementari (p. es., test di legame con il C1q) e sulla loro capacità di inibire la reazione tra il fattore reumatoide monoclonale e le IgG. Test diagnostici come il test delle cellule di Raji si basano sull’interazione degli IC contenenti frazioni del complemento con recettori cellulari (p. es. un recettore per il C3 presente sulle cellule di Raji). Nonostante ne siano disponibili ancora altri, i test appena ricordati sono quelli usati più comunemente. Non esiste un singolo test in grado di identificare tutti gli IC e il loro impiego nella pratica clinica è limitato al monitoraggio dell’attività di alcune malattie.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO III DISORDINI AUTOIMMUNI Patologie nelle quali il sistema immunitario produce autoanticorpi diretti contro un antigene endogeno, con conseguente danno tissutale.

Sommario: Introduzione Sviluppo della risposta autoimmunitaria Patogenesi

In questa sede vengono considerati i meccanismi patogenetici immunologici che sono alla base delle malattie autoimmuni (v. anche Tab. 148-4). Gli aspetti clinici delle singole malattie vengono trattati in altre parti del Manuale.

Sviluppo della risposta autoimmunitaria Sebbene i dettagli esatti della risposta autoimmunitaria non siano del tutto compresi, l’esito finale della stimolazione antigenica, sia esso la produzione di anticorpi, l’attivazione delle cellule T o la tolleranza, sembra dipendere dagli stessi fattori sia nel caso degli autoantigeni sia nel caso degli antigeni esogeni. Sono stati riconosciuti cinque possibili meccanismi per lo sviluppo di una risposta immunitaria contro antigeni autologhi: 1. Antigeni nascosti o sequestrati (p. es. sostanze intracellulari) non possono essere riconosciuti come "self"; se essi vengono liberati nella circolazione possono indurre una risposta immunitaria. È quanto accade nell’oftalmia simpatica, con l’esposizione traumatica di un antigene normalmente sequestrato all’interno dell’occhio. L’autoanticorpo da solo non può provocare la malattia perché non può combinarsi con l’antigene sequestrato. Per esempio, gli anticorpi diretti contro gli spermatozoi e contro gli antigeni del muscolo cardiaco vengono bloccati rispettivamente dalla membrana basale dei tubuli seminiferi e da quella della cellula miocardica. Le cellule T immunologicamente attive potrebbero non avere tali limitazioni e potrebbero produrre il danno con maggiore efficacia. 2. Gli antigeni "self" possono divenire immunogeni a causa di un’alterazione chimica, fisica o biologica. Taluni prodotti chimici si legano a proteine corporee e le rendono immunogene (come nella dermatite da contatto). I farmaci possono provocare diverse reazioni autoimmunitarie (v. Ipersensibilità ai farmaci, oltre). La fotosensibilizzazione è un esempio di autoimmunità indotta da agenti fisici: la luce ultravioletta altera le proteine della pelle, nei confronti delle quali il paziente diviene allergico. Antigeni alterati biologicamente si osservano nei topi New Zealand, i quali sviluppano una malattia autoallergica somigliante al LES quando vengono infettati insistentemente con un virus a RNA noto per la capacità di combinarsi con i tessuti dell’ospite, alterandoli tanto da indurre la produzione di anticorpi.

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Disordini da ipersensibilità

3. Un antigene estraneo può indurre una risposta immunitaria che provoca una reazione crociata con antigeni "self" normali; ne è un esempio la reazione crociata che si verifica tra la proteina M streptococcica e il muscolo cardiaco umano. 4. La produzione di autoanticorpi può essere il risultato di una mutazione a carico delle cellule immunocompetenti. Ciò può fornire una spiegazione degli autoanticorpi monoclonali che si osservano talvolta nei pazienti con linfoma. 5. I fenomeni autoimmunitari possono essere epifenomeni e il meccanismo patogenetico primario può essere il risultato di una risposta immunitaria nei confronti di un antigene ignoto (p. es. un virus). Probabilmente in condizioni normali la reazione autoimmune è tenuta sotto controllo dall’azione di una popolazione di cellule T suppressor specifiche. Uno qualunque dei processi appena descritti può condurre o essere associato a un difetto delle cellule T suppressor. È possibile che abbia un ruolo una turba della regolazione dell’attività anticorpale da parte degli anticorpi anti-idiotipo (anticorpi contro il sito di combinazione con l’antigene di altri anticorpi). Il ruolo di altri meccanismi complessi dimostrabili sperimentalmente deve ancora essere chiarito. Per esempio, gli adiuvanti non antigenici (p. es. l’allume, le endotossine batteriche) esaltano l’antigenicità di altre sostanze. L’adiuvante completo di Freund, un’emulsione di antigene in olio minerale con micobatteri uccisi con il calore, è di solito necessario per produrre l’autoimmunità negli animali da esperimento. I fattori genetici giocano certamente un ruolo. I parenti dei pazienti affetti da malattie autoimmuni mostrano spesso un’alta incidenza dello stesso tipo di autoanticorpi e l’incidenza delle malattie autoimmuni è più elevata nei gemelli identici rispetto a quelli diversi. Le donne vengono colpite più spesso degli uomini. Il contributo dei fattori genetici sembra essere quello di conferire una predisposizione: in una popolazione predisposta, una quantità di fattori ambientali può provocare l’insorgenza di una malattia; p. es. nel LES questi fattori possono essere un’infezione virale latente, farmaci o un danno tissutale come quello dovuto all’esposizione alla luce ultravioletta. Questa situazione potrebbe essere analoga allo sviluppo di anemia emolitica come conseguenza dell’azione di fattori ambientali nei soggetti con deficit di G6PD (v. Cap. 127), un’anomalia biochimica predisponente determinata geneticamente.

Patogenesi I meccanismi patogenetici delle reazioni autoimmunitarie sono, in molti casi, compresi meglio rispetto al modo in cui si sviluppano gli autoanticorpi. In alcune anemie emolitiche autoimmuni, i GR vengono rivestiti con autoanticorpi citotossici (di tipo II); il sistema del complemento risponde a queste cellule rivestite da anticorpi esattamente come fa con le particelle estranee rivestite in maniera analoga e l’interazione del complemento con l’anticorpo complessato con l’antigene della superficie cellulare porta alla fagocitosi o alla citolisi dei GR. Il danno renale autoimmune può verificarsi come risultato di una reazione mediata da anticorpi (di tipo II) o di una reazione da IC (di tipo III). La reazione mediata da anticorpi si verifica nella sindrome di Goodpasture, nella quale la malattia polmonare e renale è dovuta alla presenza di un anticorpo antimembrana basale (v. Cap. 77). L’esempio meglio conosciuto di danno autoimmune associato a complessi antigene-anticorpo (IC) solubili è la nefrite associata al LES (v. Lupus eritematoso sistemico nel Cap. 50 e oltre). Un altro esempio è costituito da una forma di glomerulonefrite membranosa che si associa a IC contenenti un antigene dei tubuli renali. Sebbene non sia stato ancora dimostrato, la glomerulonefrite post-streptococcica potrebbe essere dovuta in parte ad anticorpi cross-reagenti indotti dallo streptococco. Nel LES e in altre malattie autoimmuni sistemiche (in contrapposizione a quelle file:///F|/sito/merck/sez12/1481142.html (2 of 3)02/09/2004 2.08.08

Disordini da ipersensibilità

organo-specifiche) vengono prodotti diversi autoanticorpi. Anticorpi diretti contro gli elementi figurati del sangue possono essere responsabili di anemia emolitica autoimmune (v. Cap. 127), di trombocitopenia e probabilmente di leucopenia; anticorpi anticoagulanti possono causare disturbi della coagulazione. Anticorpi contro il materiale nucleare provocano deposizione di IC non solo nei glomeruli ma anche nei tessuti vascolari e nella cute a livello della giunzione dermoepidermica. Nell’AR si verifica il deposito sinoviale di aggregati costituiti da IgG, fattore reumatoide e complemento. Il fattore reumatoide è solitamente una IgM (talvolta una IgG o una IgA) con specificità per un sito recettoriale situato nella regione costante della catena pesante delle IgG autologhe. Gli aggregati di IgG, fattore reumatoide e complemento si possono dimostrare anche all’interno dei neutrofili, dove provocano la liberazione di enzimi lisosomiali che contribuiscono alla reazione infiammatoria articolare. All’interno dell’articolazione sono presenti molte plasmacellule, le quali possono sintetizzare anticorpi anti-IgG. Nelle articolazioni reumatoidi si ritrovano anche cellule T e linfochine che possono dare il loro contributo al processo infiammatorio. Il processo che dà inizio agli eventi immunologici è sconosciuto; potrebbe trattarsi di un’infezione batterica o virale. Nel LES, i bassi livelli sierici di complemento sono il riflesso delle reazioni immunitarie generalizzate che stanno avendo luogo; nell’AR, al contrario, il complemento sierico è normale ma i livelli di complemento intrasinoviali sono bassi. Nell’anemia perniciosa si rinvengono nel lume GI autoanticorpi in grado di neutralizzare il fattore intrinseco. Ancora più comuni sono gli autoanticorpi diretti contro la frazione microsomiale delle cellule mucose gastriche. Si ipotizza che un attacco autoimmune cellulo-mediato contro le cellule parietali produca una gastrite atrofica, la quale a sua volta riduce la produzione di fattore intrinseco ma consente ancora l’assorbimento di una quantità di vitamina B12 sufficiente a impedire l’insorgenza di anemia megaloblastica. Tuttavia, se nel lume GI si dovessero sviluppare anche autoanticorpi contro il fattore intrinseco, l’assorbimento della vitamina B12 cesserebbe e si svilupperebbe l’anemia perniciosa. La tiroidite di Hashimoto si associa alla presenza di autoanticorpi contro la tireoglobulina, i microsomi delle cellule epiteliali tiroidee, un antigene della superficie delle cellule tiroidee e un secondo antigene della colloide. Il danno tissutale e l’eventuale mixedema possono essere mediati sia dalla citotossicità dell’anticorpo microsomiale sia dall’attività di cellule T specificamente orientate. Anticorpi a basso titolo si ritrovano anche nei pazienti con mixedema primario, il che suggerisce che esso è il risultato finale di una tiroidite autoimmune non riconosciuta. Una reazione autoimmune è coinvolta anche nella tireotossicosi (malattia di Graves) e alla fine circa il 10% dei pazienti sviluppa spontaneamente un mixedema; molti di più vi giungono dopo la terapia ablativa. Altri anticorpi esclusivi della malattia di Graves sono chiamati anticorpi tireostimolanti. Essi reagiscono con i recettori per l’ormone tireo-stimolante (TSH) presenti all’interno della ghiandola e hanno lo stesso effetto del TSH sulla funzione cellulare tiroidea.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 148-4. MALATTIE CON PROBABILE PATOGENESI AUTOIMMUNITARIA Probabilità

Malattia

Molto probabile Tiroidite di Hashimoto

Probabile

Possibile

Meccanismo o evidenza Citotossicità tiroidea cellulo-mediata e umorale

LES

Immunocomplessi circolanti e localmente generalizzati

Sindrome di Goodpasture

Anticorpi contro la membrana basale

Pemfigo

Anticorpi contro gli acantociti epidermici

Malattia di Graves da autoimmunità recettoriale

Anticorpi (stimolatori) contro il recettore per il TSH

Miastenia grave

Anticorpi contro il recettore per l'acetilcolina

Resistenza all'insulina

Anticorpi contro il recettore per l'insulina

Anemia emolitica autoimmune

Fagocitosi di GR sensibilizzati da anticorpi

Porpora trombocitopenica autoimmune

Fagocitosi di piastrine sensibilizzate da anticorpi

AR

Immunocomplessi intrarticolari

Sclerodermia con anticorpi anticollagene

Anticorpi nucleolari e altri anticorpi nucleari

Connettivite mista

Anticorpi contro antigeni nucleari estraibili (ribonucleoproteine)

Polimiosite

Anticorpi contro antigeni nucleari non istonici

Anemia perniciosa

Anticorpi contro le cellule parietali, i microsomi e il fattore intrinseco

Morbo di Addison idiopatico

Citotossicità surrenalica umorale e (?) cellulomediata

Infertilità (alcune cause)

Anticorpi contro gli spermatozoi

Glomerulonefrite

Anticorpi contro la membrana basale glomerulare, o immunocomplessi

Pemfigoide bolloso

IgG e complemento nella membrana basale

Sindrome di Sjögren

Anticorpi tissutali multipli, anticorpi specifici con tro la proteina non istonica SS-B

Diabete mellito (alcune forme)

Anticorpi contro le insule pancreatiche con danno cellulo-mediato e umorale

Resistenza ai farmaci adrenergici (alcune forme con asma e fibrosi cistica)

Anticorpi contro il recettore β-adrenergico

Epatite cronica attiva

Anticorpi contro il muscolo liscio

Cirrosi biliare primitiva

Anticorpi contro i mitocondri

Altre insufficienze ghiandolari endo crine

Anticorpi tissutali specifici in alcuni casi

Vitiligine

Anticorpi contro i melanociti

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Manuale Merck - Tabella

Vasculiti

Ig e complemento nelle pareti vascolari, diminuzione del complemento sierico, in alcuni casi

Sindrome post-infarto miocardico, post-cardiotomia

Anticorpi contro il miocardio

Orticaria, dermatite atopica, asma (alcuni casi)

Anticorpi IgG e IgM contro le IgE

Molti altri disordini infiammatori, Nessuna spiegazione logica alternativa granulomatosi, degenerativi e atrofici Ig=immunoglobuline; TSH=ormone tireo-stimolante.

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO Malattia infiammatoria cronica del tessuto connettivo a eziologia sconosciuta che coinvolge articolazioni, reni, sierose e pareti dei vasi sanguigni e che colpisce soprattutto donne giovani, ma anche bambini.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica, sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

(Lupus eritematoso disseminato) Dei casi di LES il 90% si verifica nelle donne. Una migliore conoscenza delle forme lievi di LES ha provocato un aumento mondiale delle segnalazioni di casi. In alcuni paesi la prevalenza di LES compete con quella dell'AR. Gli anticorpi antinucleari (ANA), spesso comprendenti gli anti-DNA, sono presenti nel siero della maggior parte dei pazienti. La patogenesi delle reazioni autoimmuni è trattata nel Cap. 148.

Anatomia patologica, sintomi e segni I reperti clinici variano enormemente. Il LES può iniziare improvvisamente con febbre che simula un'infezione acuta o può svilupparsi insidiosamente in mesianni soltanto con episodi di febbre e malessere. Cefalee vascolari, epilessia e psicosi possono essere le manifestazioni iniziali. Possono comparire manifestazioni a carico di qualsiasi organo. I sintomi articolari, che variano da artralgie intermittenti a poliartrite acuta, si verificano in circa il 90% dei pazienti e possono persistere per anni prima che appaiano altre manifestazioni. Nelle forme di lunga durata si possono verificare, a livello delle articolazioni metacarpofalangee, erosioni all'inserzione delle capsule con marcate deformazioni articolari secondarie, senza segni radiologici di evidenti erosioni marginali (artrite di Jaccoud). Comunque, la maggior parte delle poliartriti del lupus non è distruttiva né deformante. Le lesioni cutanee includono il caratteristico eritema malare a farfalla, lesioni discoidi (v. Lupus Eritematoso Discoide, oltre) e le eruzioni eritematose, dure e maculopapulari del viso, delle zone esposte del collo, del petto e del gomito. Le lesioni bollose e le ulcerazioni cutanee sono rare, anche se abbastanza frequenti sono le ulcere ricorrenti a carico delle mucose (particolarmente nella zona centrale del palato duro, vicino alla giunzione con il palato molle, della mucosa buccale e gengivale e del setto nasale anteriore). Un'alopecia generalizzata o focale è comune nelle fasi attive del LES. Possono anche essere presenti un eritema a chiazze sui lati del palmo della mano, che si estende alle dita, un file:///F|/sito/merck/sez05/0500465.html (1 of 5)02/09/2004 2.08.10

Malattie del tessuto connettivo

eritema periungueale con edema e lesioni maculari rosso violacee sulle superfici volari delle dita. Può svilupparsi una porpora secondaria a una trombocitopenia o a un'angioite necrotizzante dei piccoli vasi. Si ha fotosensibilità nel 40% dei pazienti. Pleuriti ricorrenti, con o senza versamenti, sono comuni. La polmonite da lupus è un'evenienza rara, mentre risultano comuni anomalie modeste della funzione respiratoria. Emorragie polmonari fatali possono raramente verificarsi. Spesso è presente una pericardite. Complicanze più serie sono la vasculite delle arterie coronariche o la miocardite fibrosante. L'endocardite di Libman-Sacks è descritta nella sezione dedicata alle Endocarditi non infettive nel Cap. 208. È comune un'adenopatia generalizzata, particolarmente nei bambini, negli adulti giovani e nei neri. La splenomegalia si verifica nel 10% dei pazienti. Istologicamente, la milza può presentare fibrosi periarteriolare (lesioni "a buccia di cipolla"). L'interessamento del SNC può essere responsabile di cefalea, modificazioni del carattere, ictus, epilessia, psicosi e della sindrome organica cerebrale. La trombosi o l'embolia cerebrale o polmonare, benché rara, viene messa in relazione con la presenza di anticorpi anticardiolipina (v. Esami di laboratorio, oltre). L'interessamento renale può avere un decorso benigno e asintomatico o, inesorabilmente, progressivo e fatale. La manifestazione più frequente è la proteinuria. L'istopatologia delle lesioni renali varia da una glomerulite focale e di solito benigna a una glomerulonefrite membrano-proliferativa diffusa. Poiché sono in aumento i casi di lupus lieve, la percentuale di pazienti con patologia renale clinicamente significativa è in diminuzione. Una sindrome lupica acuta emofagocitica è una rara forma di presentazione del LES, con febbre e pancitopenia fulminante, descritta negli Asiatici (particolarmente della razza cinese) che hanno un'alta incidenza di LES. A livello del midollo osseo si evidenzia una proliferazione di istiociti reattivi, con fagocitosi delle cellule emopoietiche (un esempio di sindrome emofagocitica reattiva). Non vi è nessuna evidenza di una sottostante infezione. I pazienti rispondono prontamente ai corticosteroidi.

Esami di laboratorio Il test di fluorescenza per la ricerca degli anticorpi antinucleari (ANA), è utile per la diagnosi di LES; un test per ANA positivo (abitualmente ad alto titolo) si riscontra in più del 98% dei pazienti affetti da LES e deve far prescrivere test più specifici per la ricerca degli anticorpi anti-DNA a doppia elica (con il metodo ELISA oppure col metodo del vetrino alla critidia, leggermente meno sensibile ma più specifico). La presenza di anticorpi anti-DNA a doppia elica ad alto titolo è altamente specifica per il LES. Altri ANA e anticorpi anticitoplasmatici (p. es., anti-Ro [SSA], anti-La [SSB], antiSm, anti-RNP, anti-Jo-1), sono di valore diagnostico nel LES o in altre malattie del tessuto connettivo (come descritto più avanti). Poiché l'antigene Ro è soprattutto citoplasmatico, gli anticorpi anti-Ro possono essere trovati occasionalmente nei pazienti con LES ANA-negativo che si presentano con lupus cutaneo cronico. Gli anticorpi anti-Ro causano il lupus neonatale e il blocco cardiaco congenito. Gli anticorpi anti-Sm sono altamente specifici del LES ma, così come gli anticorpi anti-DNA a doppia elica, non sono sensibili. Test sierologici per la sifilide falsi-positivi sono presenti nel 5-10% dei pazienti con LES. Essi possono essere associati con test positivi per il lupus anticoagulante o con un aumento del tempo di tromboplastina parziale. Valori anormali in uno o più test, indicano la presenza di anticorpi antifosfolipidi (p. es., anticorpi anticardiolipina), che sono associati a trombosi arteriosa o venosa, aborti spontanei, perdita fetale nel terzo trimestre di gravidanza e file:///F|/sito/merck/sez05/0500465.html (2 of 5)02/09/2004 2.08.10

Malattie del tessuto connettivo

trombocitopenia. Gli anticorpi anticardiolipina possono essere direttamente misurati con "test di immunoassorbimento mediante enzimi legati ad anticorpi". I livelli del complemento sierico sono spesso ridotti nella fase attiva della malattia e tendono di solito a essere ancora più bassi nei pazienti con nefrite in fase attiva. Durante la fase attiva della malattia, la VES risulta quasi sempre elevata. I livelli di proteina C-reattiva possono essere molto bassi nel LES, anche con una VES > 100 mm/h. La leucopenia è la regola, in particolare la linfopenia nelle forme attive di LES. Può verificarsi un'anemia emolitica. La trombocitopenia autoimmune può essere grave e fatale. Il manifestarsi del LES è talora indistinguibile dalla porpora trombocitopenica idiopatica. Il danno renale può diventare evidente in qualsiasi momento, anche in assenza di altre manifestazioni del LES. Un alto o crescente livello di anticorpi anti-DNA può essere predittivo di aumentato rischio di nefrite lupica. La biopsia renale non è in genere necessaria per la diagnosi, ma può essere utile per una valutazione dello stato della patologia renale (cioè, uno stato di infiammazione acuta oppure una cicatrizzazione postinfiammatoria) e per guidare la terapia medica. L'analisi delle urine può essere ripetutamente normale, indipendentemente dal precoce interessamento renale confermato dalla biopsia; così, dovrebbe essere effettuato a intervalli regolari durante il monitoraggio di pazienti in apparente remissione. La presenza di GR e di cilindri granulosi è indice di una nefrite in fase più attiva.

Diagnosi Il LES è evidente quando in un paziente (particolarmente una giovane donna) si manifesta una malattia febbrile con rash cutaneo eritematoso, poliartrite, segni di malattia renale, dolore pleurico intermittente, leucopenia e iperglobulinemia con Ac anti-DNA a doppia elica. Il LES negli stadi precoci può essere difficile da differenziare da altre malattie del tessuto connettivo, e può essere scambiato per AR se predominano i sintomi artritici. La malattia mista del tessuto connettivo ha le caratteristiche cliniche del LES e al tempo stesso caratteristiche comuni alla sclerosi sistemica, alle poliartriti simil-reumatoidi e alla polimiosite o alla dermatomiosite (v. oltre). Prima di stabilire la diagnosi, possono essere necessarie una meticolosa valutazione e l'osservazione a lungo termine. I pazienti con lesioni discoidi vanno studiati per determinare se hanno un lupus eritematoso discoide o sistemico. Alcuni farmaci (p. es., la procainamide, l'idralazina e i b-bloccanti) possono essere causa di ANA test positivo o, occasionalmente, di una sindrome simillupus associata con anticorpi antiistoni. Queste manifestazioni abitualmente scompaiono con l'immediata sospensione del farmaco. L'American College of Rheumatology ha proposto i criteri per la classificazione (non per la diagnosi) di LES (v. 50-3).

Prognosi Quanto più grave è la malattia, tanto più elevato è il rischio di complicanze iatrogene indotte da farmaci, che aumentano ulteriormente la morbosità e la mortalità. Ne sono esempi le infezioni da immunosoppressione e la coronaropatia da uso cronico di corticosteroidi. Il decorso del LES è generalmente cronico e recidivante, spesso intervallato da lunghi (anni) periodi di remissione. Nel corso degli ultimi 20 anni, la prognosi è nettamente migliorata. Prendendo i dovuti provvedimenti per controllare la fase acuta iniziale, la prognosi è solitamente buona. Le riacutizzazioni sono rare dopo la menopausa, sebbene si possano verificare casi di LES a esordio tardivo che può essere difficile da diagnosticare. La sopravvivenza a 10 anni nei paesi più sviluppati è maggiore del 95%. Questo significativo miglioramento della prognosi sottolinea che, nel LES, porre la diagnosi precocemente è di fondamentale importanza. Talora, comunque, l'esordio può essere acuto e molto grave (p. es., con trombosi cerebrale o perdita fetale nelle fasi tardive della gravidanza). file:///F|/sito/merck/sez05/0500465.html (3 of 5)02/09/2004 2.08.10

Malattie del tessuto connettivo

Terapia Il trattamento del LES idiopatico è in rapporto alle manifestazioni e alla gravità della malattia. Per semplificare la terapia il LES dovrebbe essere classificato come lieve (febbre, artrite, pleurite, pericardite, cefalea o rash) o grave (malattia potenzialmente mortale, p. es., anemia emolitica, porpora trombocitopenica, massivo interessamento della pleura e del pericardio, significativo danno renale, vasculite acuta degli arti o del tratto GI e coinvolgimento vistoso del SNC). Il decorso è imprevedibile. La malattia lieve o remittente può non richiedere alcun trattamento o soltanto una terapia blanda. Le artralgie vengono generalmente controllate con FANS. L'aspirina è utile, specialmente in pazienti con una tendenza trombogena associata alla presenza di Ac anticardiolipina, sebbene ad alte dosi possa causare tossicità epatica nei pazienti con LES. Gli antimalarici sono utili, particolarmente se le manifestazioni cutanee e articolari sono prominenti. Ci sono vari protocolli, ma si preferisce usare l'idrossiclorochina a dosi di 200 mg PO una o due volte al giorno. In alternativa può essere usata la clorochina a dosi di 250 mg/die PO o la chinacrina (mepacrina) a dosi di 50-100 mg/die PO. A volte questi farmaci sono usati in associazione. Si consiglia abitualmente un esame oculistico a intervalli di 6 mesi, anche se questa pratica può costituire una precauzione eccessiva, poiché queste dosi sono modeste e dati recenti indicano che l'idrossiclorochina ha una tossicità retinica molto bassa. Il DHEA a dosi di 50/200 mg/die può ridurre il bisogno di altri farmaci, specialmente corticosteroidi. Dosi maggiori sono meno tollerate per gli effetti androgenici e non sono probabilmente più efficaci delle dosi più basse. La forma grave della malattia richiede un'immediata terapia corticosteroidea. Si raccomanda l'associazione del prednisone con farmaci immunosoppressivi per le forme acute gravi di lupus del SNC o per le forme di nefrite lupica attiva reversibile. La posologia iniziale del prednisone orale per le specifiche manifestazioni è la seguente: anemia emolitica, 60 mg/die; porpora trombocitopenica 40-60 mg/die (le piastrine possono non aumentare prima di 46 sett.); grave polisierosite, 20-60 mg/die (la risposta si ha in alcuni gg); danno renale 40-60 mg/die in associazione con farmaci immunosoppressori. Generalmente non si nota miglioramento per 4-12 sett., talvolta finché non si riduce la dose dei corticosteroidi. Si impiegano molto come farmaci immunosoppressivi per il lupus renale l'azatioprina o la ciclofosfamide, fino alla dose di 2,5 mg/kg/die. C'è una forte tendenza all'uso intermittente o ciclico dei farmaci immunosoppressivi, come la ciclofosfamide a dosi di circa 500 mg EV (insieme con mesna e carichi di liquidi per proteggere la vescica), ripetuta mensilmente per 6-12 mesi basandosi sulla risposta renale e sulla tolleranza ematologica (v. Tab. 50-4). Vasculite acuta e grave danno del SNC sono trattati con gli stessi dosaggi di quelli usati per il danno renale. La trombosi o l'embolia cerebrale, polmonare o dei vasi placentari può richiedere trattamenti a breve termine con eparina e trattamenti più lunghi con warfarin. Nel lupus con coinvolgimento del SNC o nelle altre forme critiche, spesso la prima forma di trattamento consiste nel somministrare 1000 mg di metilprednisolone EV in infusione lenta (1 h) per 3 gg successivi, insieme alla ciclofosfamide EV, come sopra. Terapia immunosoppressiva: sia le forme lievi che quelle gravi della malattia, dovrebbero essere trattate con la dose minima di corticosteroidi e di altri farmaci in grado di sopprimere l'infiammazione tissutale (p. es., antimalarici, immunosoppressori a basse dosi). Il dosaggio dei cortisonici è abitualmente determinato riducendo la dose del 10% a intervalli (dipendenti dalla velocità del miglioramento clinico ottenuto). Per esempio, se la febbre e l'artrite sono le manifestazioni attive iniziali, la dose verrà diminuita a intervalli settimanali; se si tratta di trombocitopenia e di malattia renale (entrambe rispondono più lentamente all'inizio della terapia), la riduzione della dose si effettuerà q 2-4 sett. L'effetto rebound (riacutizzazioni temporanee) e le recidive tendono a verificarsi

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Malattie del tessuto connettivo

con le stesse modalità dell'esacerbazione più recente. La risposta terapeutica viene misurata sulla base del miglioramento dei sintomi e dei segni clinici e sulle modificazioni dei test di laboratorio. Con la terapia può verificarsi un ritorno alla norma dei bassi livelli del complemento sierico e/o del titolo degli Ac anti-DNA a doppia elica. Come guida alla terapia risultano più importanti le manifestazioni cliniche, piuttosto che le caratteristiche sierologiche. Una volta scesi al di sotto di 15 mg/die di prednisone, può essere possibile arrivare gradualmente a una somministrazione a giorni alterni. La maggior parte dei pazienti con LES può, alla fine, sospendere il prednisone. Il bisogno di corticosteroidi ad alte dosi e a lungo termine spesso conduce a considerare farmaci alternativi di tipo immunosoppressivo per via orale per evitare l'impiego di steroidi. Terapia medica generale: le infezioni intercorrenti, che spesso complicano la malattia e che vengono scambiate per sue manifestazioni, devono essere trattate energicamente. Le normali precauzioni, impiegate per combattere l'insufficienza cardiaca e renale, devono essere prese in aggiunta all'uso dei farmaci immunosoppressori. Gli ACE inibitori possono essere utili sia per lo scompenso cardiaco congestizio che per la proteinuria. Una stretta supervisione medica è necessaria durante gli interventi chirurgici e la gravidanza, ma se le funzioni renale e cardiaca sono adeguate, la gravidanza non costituisce una controindicazione per i pazienti affetti da LES relativamente inattivo. Tuttavia, si verificano frequentemente aborti spontanei ed esacerbazioni della malattia nel post-partum. Quest'ultima evenienza è in genere facilmente controllabile con una maggiore sorveglianza medica nel puerperio. Rash cutanei da ipersensibilità si verificano comunemente con i sulfamidici, l'associazione trimetoprim/ sulfametossazolo e la penicillina. Esacerbazioni e trombosi vascolari possono verificarsi, sebbene raramente, con l'uso di contraccettivi orali. La terapia anticoagulante a lungo termine è vitale nei pazienti con Ac antifosfolipidi e trombosi ricorrenti (v. Cap. 131). Pazienti con Ac antifosfolipidi possono andare incontro ad aborti spontanei nelle fasi precoci o tardive della gravidanza, dovuti alla trombosi dei vasi placentari e alla conseguente ischemia. È stato descritto il successo della terapia steroidea (fino a 30 mg/die di prednisone) o anticoagulante con basse dosi di aspirina o eparina. Recenti dati suggeriscono che l'eparina somministrata quotidianamente per via sottocutanea con o senza aspirinetta nel secondo e terzo trimestre è la misura profilattica di maggior successo. Il riconoscimento delle gravidanze ad alto rischio deve indurre un accurato controllo in fase perinatale, che spesso conduce all'esecuzione di tagli cesarei elettivi. Probabilmente, i maggiori cambiamenti nel trattamento del LES, verificatisi negli ultimi 20 anni, risiedono nell'essersi resi conto che, per la maggior parte dei pazienti, la malattia può essere tenuta sotto controllo senza fare ricorso a dosi elevate e prolungate di corticosteroidi con le loro complicanze a lungo termine.

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Trapianto

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO Trasferimento di cellule, tessuti od organi viventi da un donatore a un ricevente, con il proposito di mantenere l’integrità funzionale del materiale trapiantato nel ricevente. (V. anche Trapianto di cornea nel Cap. 96.) Dal momento del primo trapianto di rene riuscito, più di 40 anni fa, si è verificata un’enorme diffusione del trapianto per il trattamento dell’insufficienza d’organo allo stadio terminale. I tassi di sopravvivenza previsti sono migliorati (v. Tab. 1491) e molti organi vengono adesso trapiantati. Questa espansione viene attribuita a nuovi, più selettivi immunosoppressori; al miglioramento delle tecniche per l’identificazione di uno stato di immunità preesistente nei confronti di determinati donatori; alla migliore selezione dei pazienti; all’intervento più precoce; al miglioramento delle tecniche chirurgiche; alla più precoce e più accurata identificazione degli episodi di rigetto; a una migliore comprensione della reazione di rigetto. Tuttavia, il trapianto possiede ancora diverse limitazioni, principalmente a causa del rigetto, che può distruggere il tessuto poco tempo dopo l’impianto, salvo in circostanze particolari (p. es. la maggior parte dei trapianti di cornea e di cartilagine e i trapianti tra gemelli identici). Il rigetto più lento, cronico è inoltre emerso come un fattore significativo per la sopravvivenza a lungo termine e per lo stato funzionale degli organi trapiantati. Anche le limitazioni nella disponibilità di organi provenienti da donatori umani continuano ad avere importanza. I trapianti sono classificati in base alla sede e in base alla relazione genetica esistente tra il donatore e il ricevente. Il trapianto di un tessuto o di un organo è ortotopico se l’impianto avviene in una sede anatomica normale del ricevente (p. es. nel trapianto di cuore). L’impianto in una sede diversa da quella normale viene chiamato eterotopico (p. es. il trapianto di un rene all’interno della fossa iliaca del ricevente). Un autotrapianto è il trasferimento di un tessuto appartenente allo stesso individuo da una sede corporea a un’altra (p. es. un trapianto di osso per la stabilizzazione di una frattura). Un trapianto singenico (isotrapianto) è un trapianto tra gemelli identici; un allotrapianto (omotrapianto) è un trapianto tra individui geneticamente diversi appartenenti alla stessa specie. Gli xenotrapianti (eterotrapianti) sono trapianti tra membri di specie diverse. Gli xenotrapianti sono in genere limitati a strutture fisse, non vitali, p. es. le valvole cardiache di maiale. Un ulteriore miglioramento della terapia immunosoppressiva potrebbe consentire la riuscita di xenotrapianti di organo, per aiutare a superare l’attuale critica scarsità di donatori. Con rare eccezioni, i trapianti sono allotrapianti da donatori familiari viventi (e occasionalmente da individui non imparentati con il ricevente) oppure da cadavere. Ai donatori viventi si ricorre principalmente per il trapianto di rene e di midollo osseo, ma è sempre più frequente la donazione da parte dei familiari del ricevente per l’esecuzione di trapianti segmentari di fegato, pancreas e polmone. L’accettazione del concetto di morte cerebrale ha incrementato l’utilizzo e la domanda di organi prelevati da cadavere, rendendoli una pratica comune per ottenere diversi organi da un singolo donatore. Ciò nonostante, la richiesta di organi è di gran lunga superiore alla loro disponibilità da parte dei familiari dei pazienti e il numero dei pazienti in attesa di trapianti d’organo continua a crescere (v. Tab. 149-2).

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Trapianto

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Patologie della cornea

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 96.PATOLOGIE DELLA CORNEA Perdita o danneggiamento dell'epitelio dalla superficie corneale di uno o entrambi gli occhi, caratterizzato da piccole erosioni puntiformi e disseminate.

TRAPIANTO DI CORNEA (Innesto corneale; cheratoplastica perforante) Procedura chirurgica che rimuove la parte alterata della cornea e la sostituisce con una di grandezza simile e di forma uguale ottenuta da un donatore sano.

Sommario: Indicazioni Selezione del tessuto del donatore Tecnica chirurgica Gestione postoperatoria Complicanze Prognosi

Indicazioni I trapianti di cornea vengono eseguiti per varie ragioni, incluse le seguenti: ●





Ottiche: per migliorare le qualità ottiche della cornea e migliorare quindi la visione; p. es., sostituire una cornea opaca/cicatrizzata a causa di una distrofia corneale stromale o una cornea con astigmatismo irregolare dovuto a un cheratocono. Ricostruttive: per ricostruire la cornea anatomica e salvare l'occhio, p. es., sostituendo una cornea perforata. Terapeutiche: per trattare patologie che non rispondono alla terapia medica allo scopo di preservare l'occhio, p. es., terapia per gravi ulcere corneali micotiche incontrollabili o per alleviare il dolore, p. es., ridurre la forte sensazione di corpo estraneo dovuto alla rottura ricorrente delle bolle nella cheratopatia bollosa.

Le più comuni indicazioni, in ordine decrescente, sono la cheratopatia bollosa (pseudofachia, distrofia endoteliale di Fuchs, afachia), il cheratocono, innesto ripetuto, cheratiti/post-cheratiti (virali, batteriche, fungine, Acanthamoeba, perforazione) e distrofie corneali stromali.

Selezione del tessuto del donatore Il confronto del tessuto non viene eseguito di routine o non è necessario nella maggior parte dei trapianti di cornea. Il tessuto corneale dei donatori nelle seguenti condizioni non viene utilizzato per i trapianti: morte per causa sconosciuta, malattia di Creutzfeldt-Jakob, panencefalite subacuta sclerosante,

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Patologie della cornea

leucoencefalite progressiva multifocale, rosolia congenita, encefalite attiva, setticemia attiva, endocardite attiva, sifilide attiva, epatite virale o sieropositività, rabbia, sieropositività per l'HIV o alto rischio di infezione da HIV, leucemie, linfomi attivi disseminati, precedenti interventi chirurgici sul segmento anteriore o patologie del segmento anteriore e la maggior parte dei tumori maligni intraoculari. Il sangue del donatore viene testato per l'HIV-1, HIV-2, epatite B ed epatite C. Il tessuto di un donatore con positività sierologica non viene utilizzato.

Tecnica chirurgica I trapianti corneali possono essere effettuati eseguendo un'anestesia generale oppure locale associata a una sedazione EV. Per preparare il tessuto per il trapianto dalla cornea del donatore, il chirurgo perfora un bottone corneale dalla porzione centrale della cornea del donatore utilizzando un trapano. Per creare il letto ricevente, il chirurgo rimuove il 60-80% della porzione corneale della cornea del ricevente utilizzando un trapano e delle forbici. Il bottone corneale del donatore, che viene trapanato leggermente più grande del letto ricevente, è poi suturato in sede.

Gestione postoperatoria Gli antibiotici topici postoperatori vengono utilizzati per molte sett. e i corticosteroidi topici per molti mesi. In alcuni pazienti, l'astigmatismo corneale può essere ridotto nel primo periodo postoperatorio, mediante un aggiustamento della sutura o una sua rimozione selettiva. Il raggiungimento di un pieno potenziale visivo ha luogo nell'arco di un anno, a causa del cambiamento della rifrazione, della lenta guarigione della ferita e/o dell'astigmatismo corneale. In molti pazienti, una precoce e migliore visione si ottiene mediante una lente a contatto rigida posizionata sul trapianto. Per proteggere l'occhio da traumi accidentali dopo il trapianto, il paziente indossa coppette, occhiali od occhiali da sole. Inoltre, i pazienti vengono avvisati di evitare di piegarsi completamente, di sollevare oggetti pesanti, di sforzarsi o di eseguire la manovra del Valsalva.

Complicanze Le complicanze comprendono le infezioni (intraoculari e corneali), l'emorragia intraoculare, l'apertura della ferita, il glaucoma, il rigetto, il fallimento dell'innesto, l'alto errore rifrattivo (specialmente l'astigmatismo e/o la miopia) e le recidive della malattia, cioè, la distrofia corneale stromale. Il rigetto non è raro. I pazienti lamentano diminuzione della visione, fotosensibilità, dolore oculare e arrossamento oculare. Il rigetto viene trattato con corticosteroidi, somministrati per via topica (p. es., prednisolone acetato 1% q 1 h), spesso con una iniezione perioculare supplementare (p. es., metilprednisolone 40 mg). Se il rigetto è grave o se la funzione dell'innesto è marginale, corticosteroidi addizionali vengono somministrati PO (p. es., prednisone 1 mg/kg/ die) e occasionalmente EV (p. es., metilprednisolone sodio succinato da 3 a 5 mg/kg una volta). Nella maggior parte degli innesti non ad alto rischio, l'episodio di rigetto è facilmente reversibile e la funzione dell'innesto si ottiene di nuovo pienamente. L'innesto può fallire se il rigetto è insolitamente grave o duraturo o dopo diversi episodi di rigetto. Il reinnesto è possibile, ma la prognosi a lungo termine è inferiore rispetto al primo.

Prognosi

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Patologie della cornea

La prognosi di un trapianto corneale trasparente funzionante dipende dalla diagnosi. La possibilità di successo a lungo termine di un trapianto è > 90% per il cheratocono, le cicatrici corneali, la cheratopatia bollosa iniziale o la distrofia corneale stromale, dall'80% al 90% per la cheratopatia bollosa o la cheratite virale non attiva, del 50% per l'infezione corneale attiva e dallo 0 al 50% per i traumi chimici o da radiazione. L'alto tasso di successo di trapianto corneale è attribuibile a molti fattori, inclusa l'avascolarità della cornea e il fatto che la camera anteriore possiede un drenaggio venoso e non linfatico. Queste condizioni promuovono una zona di bassa tolleranza e un processo attivo detto deviazione immune associata della camera anteriore, in cui si verifica la soppressione dei linfociti intraoculari e l'ipersensibilità ritardata agli antigeni intraoculari trapiantati. Un altro fattore importante è l'efficacia dei farmaci immunosoppressori utilizzati per trattare il rigetto.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 149-1. SOPRAVVIVENZA DEL TRAPIANTO A UN ANNO, NEI TRAPIANTI D'ORGANO* Organo

1980

1991

1995

Rene

60%

98%

98%

Cuore

60%

82%

85%

Fegato

30%

79%

84%

62%

78%

93%

94%

70%

77%

Cuore-polmoni Pancreas Polmone

--20% ---

*I tassi di sopravvivenza sono stati calcolati con il metodo di Kaplan-Meier. Basata su dati aggiornati al 5 luglio 1997 della United Network of Organ Sharing (UNOS), registro Organ Procurement Transplantation Network/Scientific. Dati soggetti a variazione per successive aggiunte o modifi cazioni delle informazioni.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 149-2. LISTA DI ATTESA NAZIONALE UNOS* PER TRAPIANTI D’ORGANO N. di pazienti in lista di attesa Organo

1988

1996

Incremento

Rene

13943 34550

147%

Cuore

1030

3698

259%

Fegato

616

7467

1112%

Cuore-polmoni

205

237

13%

Pancreas

163

227

39%

Polmone

69

2309

3246%

*La UNOS (United Network of Organ Sharing) è la rete nazionale di reperimento e trapianto degli organi negli USA. Dati basati sull’aggiornamento di fine anno delle liste di attesa della Organ Procurement Transplantation Network della UNOS.

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Trapianto

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO IMMUNOBIOLOGIA DEL RIGETTO Gli allotrapianti possono essere rigettati attraverso una reazione immunitaria cellulo-mediata o umorale del ricevente contro gli antigeni di trapianto (di istocompatibilità) presenti sulle membrane delle cellule del donatore (v. anche Cap. 146). Gli antigeni più forti sono governati da un complesso di loci genici chiamati antigeni leucocitari umani (HLA) di gruppo A; insieme agli antigeni dei gruppi sanguigni AB0, essi sono i principali antigeni di trapianto presenti nell’uomo. Poiché gli antigeni di trapianto possono essere identificati mediante i loro effetti in vitro, è possibile effettuare in questo modo la tipizzazione dei tessuti (v. Compatibilità tissutale, oltre). La reazione immunitaria linfocitaria (cellulo-mediata) contro gli antigeni di trapianto (cioè la reazione dell’ospite contro il trapianto [Host-versus-Graft Reaction, HVGR]) costituisce il principale meccanismo responsabile del rigetto acuto. La HVGR, una reazione di ipersensibilità ritardata simile alla reazione alla tubercolina, provoca la distruzione del trapianto da alcuni giorni a qualche mese dopo l’intervento ed è caratterizzata istologicamente da un infiltrato di cellule mononucleate all’interno dell’allotrapianto, con vari gradi di emorragia ed edema. Di solito l’integrità vascolare è conservata, nonostante l’endotelio arterioso sembri essere un bersaglio primario della HVGR. Il rigetto cellulo-mediato in molti casi può essere fatto regredire intensificando la terapia immunosoppressiva. Dopo che un episodio di rigetto acuto si è risolto favorevolmente, gli elementi gravemente danneggiati del trapianto guariscono per fibrosi e il resto del tessuto appare normale. Dopo la risoluzione del rigetto acuto, l’allotrapianto sopravvive in genere per periodi prolungati, anche quando le dosi dei farmaci immunosoppressivi vengono ridotte a livelli molto bassi. Questo processo di adattamento al trapianto si spiega più probabilmente con la perdita di leucociti altamente immunogeni trasferiti insieme al trapianto, comprese le cellule dendritiche (v. oltre) ed è possibile che avvenga grazie allo sviluppo di una soppressione donatore-specifica della risposta immunitaria del ricevente. Occasionalmente si verifica il deterioramento tardivo del trapianto e questa forma cronica di rigetto progredisce spesso in modo insidioso nonostante l’intensificazione della terapia immunosoppressiva. Si pensa che esso sia dovuto, in gran parte, a un danno mediato da anticorpi. Il quadro anatomopatologico è diverso da quello del rigetto acuto. Il tessuto principalmente coinvolto è l’endotelio arterioso, il quale presenta un’estesa proliferazione che può gradualmente occludere il lume del vaso conducendo all’ischemia e alla fibrosi dell’organo trapiantato. Il ruolo degli anticorpi umorali nel rigetto dei trapianti è evidente quando il ricevente sia stato presensibilizzato (dalla gravidanza, da trasfusioni di sangue o da precedenti trapianti) agli HLA presenti nell’organo trapiantato. In queste circostanze il trapianto porta quasi invariabilmente al rigetto iperacuto mediato da anticorpi, che provoca la distruzione dell’organo trapiantato nel volgere di poche ore o addirittura minuti dopo la sua rivascolarizzazione (v. Compatibilità tissutale, oltre). Questa reazione di rigetto è caratterizzata dalla trombosi dei piccoli vasi e l’infarto del trapianto non risponde alle terapie immunosoppressive conosciute. I trapianti di fegato sembrano essere meno suscettibili a questa forma di rigetto iperacuto mediato da anticorpi. Gli anticorpi umorali hanno probabilmente un ruolo di rilievo anche nella distruzione più tardiva del trapianto, ma esso è ancora poco chiaro.

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Trapianto

Un risultato finale simile al rigetto mediato da anticorpi si osserva di solito se si trapianta un organo senza rispettare le compatibilità di gruppo sanguigno normalmente osservate nelle trasfusioni di sangue. Pertanto, la valutazione pretrapianto comprende generalmente la verifica della compatibilità AB0 tra donatore e ricevente e la dimostrazione dell’assenza di reattività crociata per gli anticorpi tissutali (assenza di reattività significativa tra i GB del donatore e il siero del ricevente in vitro), oltre alla tipizzazione tissutale per la compatibilità HLA.

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Trapianto

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO IMMUNOBIOLOGIA DEL RIGETTO COMPATIBILITA' TISSUTALE Grado di somiglianza reciproca tra gli antigeni tissutali geneticamente determinati del donatore e del ricevente. La tipizzazione dell’istocompatibilità (o tissutale) dei linfociti del sangue periferico o dei linfonodi viene eseguita prima di un trapianto in molti centri, allo scopo di identificare sierologicamente gli HLA e, mediante una selezione appropriata del donatore, ridurre al minimo le differenze antigeniche tra il donatore e il ricevente. L’appaiamento HLA ha migliorato notevolmente la durata funzionale dei trapianti tra individui imparentati. Anche i risultati dei trapianti tra individui non imparentati mostrano una correlazione con il grado di compatibilità HLA, sebbene meno chiaramente, dal momento che le complesse differenze di istocompatibilità in una popolazione non selezionata introducono molte più variabili. In ampi studi multicentrici sul trapianto di rene, il grado di compatibilità HLA risulta essere uno dei numerosi fattori correlati con la sopravvivenza dei trapianti da donatore cadavere, particolarmente quando la sopravvivenza viene valutata a lunga distanza dal trapianto. Al contrario, in diverse serie di pazienti di singoli centri, il ruolo della compatibilità HLA non risulta così importante. Di conseguenza, negli USA si adotta la pratica di distribuire in ogni punto del paese i reni provenienti da cadavere soltanto se esiste una completa concordanza HLA che configura un potenziale donatore. Altrimenti, gli organi vengono trapiantati in un ricevente che si trova nella regione del donatore. Il ruolo dell’appaiamento HLA nei trapianti di cuore, fegato, pancreas e polmone non è stato valutato in maniera estensiva perché questi organi devono essere trapiantati in tempi brevi, prima che la tipizzazione tissutale possa essere completata. Nei trapianti di cuore e di pancreas, la sopravvivenza del trapianto sembra correlarsi con la compatibilità HLA. In particolare, l’appaiamento degli antigeni di classe II può portare a una migliore sopravvivenza a lungo termine del trapianto. La ricerca di una presensibilizzazione specifica del potenziale ricevente nei confronti degli antigeni del donatore è molto importante per valutare se il trapianto possa essere eseguito. La presensibilizzazione deriva il più delle volte da una precedente esposizione agli antigeni del donatore attraverso trasfusioni di sangue, trapianti precedenti o gravidanze; essa viene valutata mediante un test di linfocitotossicità tra i linfociti sierici del ricevente e del donatore, in presenza di complemento. Sono disponibili anche altre tecniche. Un test crociato positivo indica solitamente la presenza nel siero del ricevente di anticorpi diretti contro gli antigeni di classe I del donatore. Ciò viene generalmente considerato una controindicazione al trapianto, in quanto il rigetto iperacuto in queste circostanze è comune. Il rapporto rischi/benefici della trasfusione di sangue nei pazienti in dialisi, nella prospettiva di un trapianto renale, è controverso. Nei pazienti con insufficienza renale allo stadio terminale le trasfusioni possono indurre sensibilizzazione nei confronti di un potenziale trapianto di rene. Tuttavia, la sopravvivenza degli allotrapianti è migliorata nei riceventi sottoposti a trasfusioni che non sono divenuti sensibilizzati. Alcune forme alterate di responsività

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Trapianto

immunitaria (p. es. la soppressione) sembrava fossero indotte dalle trasfusioni. Con l’impiego della ciclosporina (v. oltre), l’effetto favorevole delle trasfusioni pretrapianto sembra essersi notevolmente ridotto. A causa del rischio di trasmissione di malattie infettive (p. es. l’epatite e l’HIV, v. Trasmissione delle malattie virali nel Cap. 129) e della disponibilità di eritropioetina biosintetica, molti centri non praticano più di routine trasfusioni pre-intervento nei riceventi di trapianto.

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Trapianto

Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO IMMUNOBIOLOGIA DEL RIGETTO IL SISTEMA HLA Gruppo di antigeni tissutali governato da una regione cromosomica cui sono associati numerosi loci genici, ciascuno dotato di alleli multipli, i quali svolgono un ruolo di rilievo nelle reazioni di rigetto dei trapianti e influenzano la prevalenza di diverse malattie. Gli antigeni leucocitari umani (HLA) si trovano in concentrazioni variabili praticamente su tutte le cellule nucleate. La risposta immunologica contro questi antigeni è la causa principale della maggior parte degli episodi di rigetto dei trapianti. HLA è il nome con cui viene designato un insieme di antigeni prodotti da un complesso di geni situati in diversi loci strettamente associati tra loro, denominati collettivamente complesso maggiore di istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex, MHC) e localizzati sul cromosoma 6 (v. anche Complesso maggiore di istocompatibilità nel Cap. 146). I geni sono allelici; cioè, nella popolazione è presente un certo numero di forme differenti di ciascun gene; tutti gli alleli sono codominanti. In base alle leggi mendeliane, ciascun individuo possiede due alleli diversi per ciascun locus o, eventualmente, una coppia di alleli identici (v. Fig. 149-1). Gli antigeni sono divisi in due classi sulla base della loro struttura e della loro funzione. La catena pesante degli antigeni di classe I viene codificata dai geni situati nei loci HLA-A, B o C. Le molecole di classe I sono polipeptidi eterodimerici costituiti dalla catena pesante legata a una molecola di β2microglobulina. Questi antigeni sono presenti sulla maggior parte delle cellule nucleate dell’organismo, come pure sulle piastrine e sono omologhi agli antigeni di trapianto identificati con metodi sierologici presenti in altre specie. Gli antigeni di classe II sono costituiti da due catene polipeptidiche, le quali sono entrambe codificate da geni situati nella regione HLA-D. La regione HLA-D è divisa in subregioni, ognuna avente geni che codificano sia per la catena α sia per quellaβ delle diverse molecole di classe II (HLA-DR, DQ e DP). Gli antigeni di classe II vengono espressi prevalentemente sulle cellule presentanti l’antigene come i linfociti B, i macrofagi, le cellule dendritiche e alcune cellule endoteliali. Essi sono omologhi ai prodotti dei geni della risposta immunitaria (Immune response, Ir) presenti in altre specie. Poiché gli alleli sono stati numerati prima che venissero identificati i loro loci, quelli dei loci A e B non sono numerati in modo consecutivo. Fin dal 1975, la commissione dell’OMS per i fattori del sistema HLA ha assegnato nomi universalmente accettati ai singoli alleli di ciascun locus (p. es. HLA-A1, HLA-B5, HLA-Cw1, HLA-DR1). In passato, gli alleli con denominazione provvisoria venivano indicati con una "w". Tuttavia, in seguito a più recenti sviluppi nelle conoscenze sulla sequenza del DNA dei geni HLA, la "w" è stata eliminata dalla maggior parte delle specificità sierologiche (il locus C conserva la "w" per poter essere distinto dai componenti del complemento). Gli alleli definiti in base alla sequenza del DNA vengono denominati con un sistema che identifica il gene e che assegna a ciascun allele un numero caratteristico che comprende la specificità sierologica a esso più strettamente associata (p. es. A*0201, DRB1*0103, DQA1*0102).

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Nella reazione di rigetto, gli antigeni di classe I e di classe II evocano risposte differenti. Le cellule T che rispondono agli antigeni di classe I e di classe II si possono distinguere non soltanto funzionalmente, ma anche per mezzo degli antigeni di differenziazione presenti sulla superficie delle cellule T responsive. Con la messa a punto della produzione di anticorpi monoclonali (anticorpi uniformemente identici prodotti da cellule ibridate) che reagiscono contro questi antigeni di differenziazione, è possibile usare tali antigeni come marker per seguire le sottopopolazioni delle cellule T durante la reazione di rigetto. I linfociti che reagiscono contro gli antigeni di classe I esprimono gli antigeni CD8, associati spesso con la funzione cellulare effettrice citotossica e suppressor. All’attività funzionale di tipo helper provvedono generalmente le cellule T che esprimono gli antigeni CD4, caratteristici dei linfociti che reagiscono contro gli antigeni di classe II. Pertanto, mentre l’attacco immunitario distruttivo della reazione di rigetto può essere diretto contro gli antigeni di classe I sia per mezzo di anticorpi anti-HLA sia di linfociti effettori citotossici, i linfociti che rispondono agli antigeni di classe II sembrano essere necessari per facilitare il raggiungimento di una reazione di rigetto massimale. La funzione degli antigeni HLA, tuttavia, non è soltanto quella di essere il bersaglio della risposta agli allotrapianti. Nella risposta immunitaria normale, le molecole HLA-self legano i peptidi estranei e presentano questi antigeni ai recettori specifici per l’antigene presenti sulle cellule T. Dal momento che le molecole HLA sono altamente polimorfe, le molecole HLA allogeniche presenti sulle cellule di un trapianto d’organo vengono riconosciute dal recettore delle cellule T non come HLA-self, ma nella stessa maniera degli HLA-self associati al peptide estraneo. Il legame al recettore dei soli HLA del trapianto non dà inizio alla risposta all’allotrapianto. Tipi cellulari specifici presenti nell’organismo sembrano fungere da cellule di presentazione dell’antigene e trasmettere un secondo segnale alle cellule T al momento dell’interazione con l’antigene. In aggiunta, altre glicoproteine della superficie cellulare, chiamate integrine, aderiscono a strutture complementari della superficie cellulare per stabilizzare il legame dei recettori delle cellule T all’antigene presentato. Sembra che le cellule dendritiche, una popolazione cellulare simil-macrofagica, svolgano in maniera ottimale questo compito di presentazione dell’antigene. L’attivazione delle cellule T, che fa seguito al legame degli antigeni ai recettori sulla cellula di presentazione, è una complessa catena di eventi intracellulari che conduce alla trascrizione di diversi geni precedentemente quiescenti contenuti nelle cellule "helper" CD4+ che reagiscono agli antigeni di classe II. I punti chiave del processo di attivazione sono la produzione di una citochina, l’interleuchina-2 (IL2) e l’espressione del recettore per l’IL-2 sulla superficie delle cellule helper. L’IL2 agisce con meccanismo autocrino/paracrino per stimolare la proliferazione delle cellule T. Le cellule T attivate producono anche una serie di altre linfochine; esse promuovono una cascata di eventi che sfocia nel meccanismo effettore della distruzione del trapianto. Associazioni degli antigeni di classe I e di classe II che non riguardano i trapianti: si stanno accumulando evidenze sperimentali riguardo al fatto che i geni che codificano per questi antigeni (e altri geni strettamente associati all’interno del MHC) sono importanti per la funzione immunitaria generale e per la salute dell’individuo. Diversi componenti del sistema complementare e il fattore properdinico B sono governati da geni associati con il MHC. In più, antigeni HLA specifici mostrano un’associazione statistica con vari disordini a presunta origine autoimmune e con neoplasie delle cellule linfoidi, anche se il significato patogenetico di tali associazioni rimane sconosciuto. Per esempio, l’incidenza della psoriasi aumenta in associazione con gli antigeni B13 e B17, ma diminuisce con il B12. La spondilite anchilosante e la sindrome di Reiter mostrano una notevole correlazione positiva con il genotipo B27. Il DR3 e il DR4 sembrano associati positivamente con il diabete mellito di tipo I, il DR2 con la sclerosi multipla e il DR4 con l’AR. Per contro, i soggetti affetti da linfomi maligni sembra che abbiano un’incidenza di antigene A11 notevolmente ridotta. Ancora più interessante, dal punto di vista dei trapianti, è forse l’associazione ipotizzata tra il DR6 e un gene Ir che controlla l’intensità del rigetto degli allotrapianti di rene.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO IMMUNOBIOLOGIA DEL RIGETTO IMMUNOSOPPRESSIONE

Sommario: Introduzione Farmaci immunosoppressori Altre terapie immunosoppressive Tolleranza immunologica

Con l’eccezione degli isotrapianti, la terapia immunosoppressiva può raramente essere sospesa del tutto dopo un trapianto. Tuttavia, una terapia immunosoppressiva intensiva è solitamente necessaria soltanto durante le prime settimane dopo il trapianto oppure durante una crisi di rigetto. Di conseguenza, spesso sembra che il trapianto divenga "ben accetto" e possa essere mantenuto con dosi relativamente piccole di immunosoppressori ed effetti collaterali ridotti.

Farmaci immunosoppressori Gli immunosoppressori vengono impiegati per controllare la reazione di rigetto e sono i principali responsabili del buon esito del trapianto. Tuttavia, questi farmaci sopprimono tutte le reazioni immunologiche, rendendo così le infezioni a decorso rapidamente ingravescente la principale causa di morte nei riceventi di trapianto. Il prednisolone (EV), un corticosteroide, viene solitamente somministrato in una dose elevata (da 2 a 20 mg/kg) al momento del trapianto e poi ridotto gradualmente fino a una dose di mantenimento di 0,2 mg/kg/die somministrata indefinitamente. A diversi mesi di distanza dal trapianto, il farmaco può essere somministrato a giorni alterni allo scopo di ridurre gli effetti indesiderati, misura particolarmente importante nei bambini in fase di accrescimento. La sospensione del prednisolone può diventare possibile in alcuni regimi multifarmacologici, ma questo aumenta alquanto il rischio di rigetto. Se si verifica un rigetto, la dose viene aumentata decisamente nonostante l’incremento degli effetti indesiderati. L’azatioprina, un antimetabolita, viene generalmente somministrata a partire dal momento del trapianto. Dosi di 1-2,5 mg/kg/die, PO o EV, vengono in genere tollerate a tempo indefinito. I suoi effetti tossici principali sono la depressione del midollo osseo e (raramente) l’epatite. Da quando è stata introdotta la ciclosporina, molti centri trapiantologici utilizzano l’azatioprina e basse dosi di ciclosporina in associazione. La ciclofosfamide, un agente alchilante, viene impiegata nei pazienti che non tollerano l’azatioprina. Dosi equivalenti hanno in apparenza uguale attività immunosoppressiva. La ciclofosfamide viene anche utilizzata, in dosi molto maggiori, come uno dei principali farmaci immunosoppressori nel trapianto di midollo osseo. Effetti tossici gravi, con cistite emorragica, alopecia e infertilità, sono di comune riscontro.

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La ciclosporina, un metabolita di derivazione fungina, negli ultimi due decenni è stata adoperata in trapiantologia come il principale immunosoppressore al posto degli antimetaboliti. Al contrario di questi ultimi, la ciclosporina risparmia il midollo osseo, agendo invece più selettivamente per inibire la proliferazione e l’attivazione delle cellule T. L’esatto meccanismo molecolare della sua azione è sconosciuto. Nonostante la ciclosporina possa essere impiegata da sola, essa viene solitamente somministrata in associazione con altri farmaci, come l’azatioprina e il prednisone, consentendo una rapida riduzione del dosaggio corticosteroideo. Le dosi iniziali di ciclosporina sono di 6-12 mg/kg/die PO, ridotte a un livello di mantenimento di 3-5 mg/kg/die poco tempo dopo il trapianto. Il contraltare dell’efficacia della ciclosporina è costituito dalla sua notevole tossicità. Possono verificarsi nefrotossicità, epatotossicità, ipertensione refrattaria, aumento dell’incidenza di neoplasie e diversi altri effetti indesiderati di minore entità (p. es. ipertrofia gengivale e irsutismo). I linfomi a cellule B e i disordini linfoproliferativi policlonali delle cellule B sono correlati all’attivazione del virus di Epstein-Barr (EBV) e sono stati osservati più spesso nei pazienti in terapia con alte dosi di ciclosporina o con associazioni di ciclosporina e altri immunosoppressori diretti contro le cellule T. La nefrotossicità è un problema particolarmente preoccupante. Sembra che la ciclosporina provochi vasocostrizione delle arteriole afferenti preglomerulari che conduce infine alla mionecrosi e all’ipoperfusione glomerulare. L’utilizzo molto prolungato della ciclosporina può condurre all’insufficienza renale cronica irreversibile. Sebbene sia possibile misurare con facilità i livelli ematici di ciclosporina, non esistono metodi adeguati per determinare la dose terapeuticamente efficace del farmaco per un determinato paziente. In aggiunta, i livelli ematici della ciclosporina non sono correlati in maniera attendibile con i suoi effetti tossici. Il tacrolimus è un farmaco immunosoppressore utilizzato nei riceventi di trapianto di fegato. Esso è un sottoprodotto che viene rilasciato durante la crescita di un microrganismo in coltura (Streptomyces tsukubaensis). I suoi effetti collaterali sono simili a quelli della ciclosporina, anche se l’ipertrofia gengivale e l’irsutismo sono meno pronunciati. Esso inoltre può indurre il diabete. Il trattamento può essere cominciato al momento del trapianto o più tardi e può essere condotto per via endovenosa od orale. Il dosaggio iniziale solitamente è pari a 0,15-0,30 mg/kg/die per la somministrazione orale e 0,05-0,1 mg/kg/die per quella EV. L’aggiustamento del dosaggio viene facilitato dalla determinazione periodica della concentrazione ematica e la conoscenza delle interazioni farmacologiche sfavorevoli è fondamentale. Il tacrolimus può essere utile per i pazienti nei quali la ciclosporina si è dimostrata eccessivamente tossica oppure inefficace.

Altre terapie immunosoppressive I tentativi di ottenere un’immunosoppressione più selettiva comprendono l’uso di antisieri diretti contro i linfociti o le cellule timiche dell’uomo, con lo scopo di sopprimere l’immunità cellulare lasciando intatta la risposta immunitaria umorale del ricevente. Vengono anche usati gli anticorpi monoclonali e l’irradiazione. Le terapie immunosoppressive in via di sviluppo comprendono agenti chimici di vario tipo e sostanze prodotte biologicamente, come anticorpi selezionati per le loro proprietà particolari. La globulina antilinfocitaria (AntiLymphocyte Globulin, ALG) e la globulina antitimocitaria (AntiThymocyte Globulin, ATG) sono utili strumenti supplementari, perché consentono di utilizzare gli altri immunosoppressori a dosi minori, meno tossiche. L’impiego della ALG e della ATG al momento del trapianto può essere di beneficio a causa della diminuzione dell’incidenza del rigetto; in più, il loro uso consente di ritardare l’inizio della terapia con ciclosporina e di conseguenza la sua tossicità. La somministrazione di ALG o ATG per controllare gli episodi di rigetto già in atto ha chiaramente determinato un miglioramento dei tassi di sopravvivenza dei trapianti. Le possibili reazioni avverse ai sieri

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eterologhi comprendono le reazioni anafilattiche, la malattia da siero o la glomerulonefrite da immunocomplessi. Usando frazioni sieriche altamente purificate, somministrandole EV e associandole ad altri agenti immunosoppressori, l’incidenza di tali reazioni è stata notevolmente ridotta. Rispetto alle frazioni antiglobuliniche policlonali, gli anticorpi monoclonali contro le cellule T garantiscono una concentrazione molto maggiore di molecole anticorpali specificamente reattive e una quantità inferiore di proteine sieriche estranee. L’anticorpo monoclonale murino OKT3 è in grado di far regredire il rigetto. L’OKT3 si lega al complesso antigene-recettore delle cellule T (TCR/ CD3), inducendo inizialmente un’attivazione aspecifica delle cellule T e un’importante sindrome clinica causata dal conseguente rilascio di citochine, caratterizzata da febbre, rigidità, mialgie, artralgie e irritabilità a carico del SNC e dell’apparato GI. In seguito, l’OKT3 blocca il legame del TCR con l’antigene e ha come risultato finale la modulazione dell’intero complesso TCR/CD3 direttamente sulla superficie delle cellule T. L’OKT3, 5 mg/die EV per 10-14 giorni, viene somministrato al momento di un episodio di rigetto acuto. Esso è stato impiegato anche al momento del trapianto; analogamente alla ALG, sembra che ritardi l’insorgenza e riduca l’incidenza degli episodi di rigetto. Tuttavia, i benefici ottenuti con la profilassi realizzata con questo farmaco devono essere soppesati insieme ai suoi effetti collaterali, al rischio di un’immunosoppressione eccessiva e al rischio che il paziente sviluppi anticorpi neutralizzanti contro gli anticorpi monoclonali eterologhi, che potrebbero renderlo inefficace se divenisse necessario impiegarlo in seguito in occasione di un episodio di rigetto. Come accade per la ciclosporina ad alte dosi, con l’uso ripetuto dell’OKT3 è stato osservato un aumento di incidenza delle malattie linfoproliferative delle cellule B indotte dal EBV. Via via che verrà compreso meglio il ruolo delle diverse sottopopolazioni Tcellulari nella reazione di rigetto, l’uso di anticorpi monoclonali che reagiscono con sottopopolazioni specifiche consentirà di ottenere un’immunosoppressione sempre più selettiva. Per esempio, sono attualmente in corso trial clinici con anticorpi monoclonali che reagiscono contro antigeni presenti esclusivamente sulle cellule T attivate (risparmiando le cellule T che non partecipano alla reazione di rigetto). L’irradiazione a scopo immunosoppressivo è di uso limitato nei trapianti. Talvolta vengono irradiati l’organo trapiantato e i tessuti locali del ricevente, come misura di immunosoppressione profilattica aggiuntiva oppure durante il trattamento di una reazione di rigetto in atto. La dose totale (solitamente da 4 a 6 Gy) è al di sotto della soglia che può provocare gravi danni da radiazioni nel trapianto in sé. Nel trattamento della leucemia refrattaria, l’irradiazione corporea totale a dosi di 12 Gy, associata con la chemioterapia, distrugge le capacità di risposta immunitaria dell’ospite (e le cellule leucemiche residue). Tale irradiazione viene fatta seguire da un allotrapianto di midollo osseo. L’interesse per la terapia radiante ha ricevuto nuovo stimolo dall’osservazione seguente: il trattamento (ottenuto mediante opportune schermature, analoghe a quelle usate per il morbo di Hodgkin) diretto a tutte le stazioni linfatiche (irradiazione linfatica totale) sembra garantire una soppressione profonda ma relativamente sicura dell’immunità cellulare. Essa può essere mediata inizialmente dalle cellule T suppressor, la cui presenza può essere dimostrata dopo l’irradiazione linfatica totale. In alcuni pazienti, è stata osservata una delezione clonale più tardiva a carico di cellule reagenti contro antigeni specifici. L’applicazione dell’irradiazione linfatica totale nel campo dei trapianti è promettente, ma è ancora allo stadio sperimentale.

Tolleranza immunologica Con i regimi immunosoppressivi aspecifici attualmente in uso, sembra che venga raggiunto un certo grado di tolleranza. Tuttavia, i biologi dei trapianti sperano di realizzare una soppressione specifica e selettiva della risposta immunitaria del ricevente unicamente nei confronti degli antigeni estranei presenti sul trapianto, consentendo l’eliminazione dell’immunosoppressione aspecifica. Negli animali, è file:///F|/sito/merck/sez12/1491154.html (3 of 4)02/09/2004 2.08.17

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stato abbastanza agevole ottenere la tolleranza nei confronti degli antigeni incontrati nel periodo neonatale, quando il sistema immunitario è ancora in via di maturazione; tuttavia, gli animali adulti sono risultati per lo più refrattari all’induzione di una tolleranza antigene-specifica. L’ottenimento della tolleranza nei confronti di antigeni estranei negli animali adulti ha richiesto un’accurata selezione delle condizioni sperimentali (p. es. la dose dell’antigene, la via di inoculazione e l’impiego a breve termine di altri immunosoppressori in dosi tossiche). Metodi sempre più affidabili per ottenere la non responsività ad antigeni specifici sono attualmente in via di sviluppo per l’applicazione nel campo dei trapianti clinici e potrebbero giungere allo stadio della sperimentazione clinica nell’immediato futuro.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI RENE Tutti i pazienti con insufficienza renale terminale (v. Cap. 222) vanno tenuti in considerazione per il trapianto, tranne quelli a rischio per un’altra condizione che ne metta in pericolo la vita. Il trapianto di rene è ormai una procedura comune: per tutti i bambini di età superiore a 6 mesi affetti da insufficienza renale, il trapianto di rene è il trattamento di scelta. Un trapianto riuscito non solo libera il paziente da una lunga dialisi, ma garantisce anche le altre funzioni metaboliche del rene (p. es. la stimolazione dell’eritropoiesi e l’omeostasi del calcio). La sopravvivenza dei pazienti a un anno dal trapianto da donatore parente vivente è > 95%, con circa il 90% degli allotrapianti funzionanti. Successivamente, si osserva una perdita annuale di trapianti variabile dal 3 al 5%, compresi quelli dovuti alla morte del paziente. Il tasso di sopravvivenza a un anno dei pazienti sottoposti a trapianto da cadavere è circa del 90% e la sopravvivenza dell’organo varia tra il 70 e il 90%, a seconda dei centri. Negli anni successivi, viene perduto un 5-8% dei trapianti ogni anno. Attualmente, numerosi riceventi di trapianto renale sono portatori di organi che stanno funzionando da più di 30 anni. Nonostante in passato si ritenesse che nei pazienti con più di 55 anni il trapianto comportasse un rischio inaccettabile, l’uso più sofisticato dei farmaci immunosoppressori e lo stretto controllo immunologico consentono di eseguire allotrapianti, in pazienti selezionati, nel corso del 7o decennio di vita e anche oltre. Selezione dei donatori e conservazione del rene: i reni da trapiantare vengono ottenuti da parenti viventi o da cadaveri, escludendo i donatori con una storia di ipertensione, diabete o malattie maligne (eccetto forse quelli con neoplasie originatesi nel SNC). Nei potenziali donatori viventi vengono valutate anche la stabilità emotiva, la funzione renale bilaterale normale, l’assenza di altre patologie sistemiche e l’istocompatibilità. Un donatore vivente rinuncia alla sua capacità di riserva renale, può andare incontro a conflitti psicologici complessi e si trova ad affrontare una certa morbilità legata alla nefrectomia; ciò nonostante, il significativo miglioramento della prognosi a lungo termine per il ricevente di un allotrapianto con buon appaiamento solitamente giustifica la considerazione di un parente come donatore. Oltre i 2/3 dei reni trapiantati provengono da cadaveri di soggetti precedentemente sani che sono andati incontro a morte cerebrale ma hanno mantenuto una funzione cardiovascolare e renale stabile. Dopo la morte cerebrale, i reni vengono prelevati appena possibile e raffreddati per perfusione. Per una semplice conservazione ipotermica, si irriga il rene con soluzioni di raffreddamento speciali contenenti concentrazioni relativamente alte di sostanze poco permeanti (p. es. mannitolo o amido di idrossietile) e concentrazioni elettrolitiche prossime a quelle intracellulari; l’organo viene poi conservato in una soluzione congelata. I reni conservati in questo modo mantengono solitamente una buona funzionalità se vengono trapiantati entro 48 h. Usando la più complessa tecnica della perfusione ipotermica pulsatile continua con un liquido di perfusione ossigenato a base di plasma, i reni sono stati trapiantati con successo dopo una perfusione ex vivo anche di 72 h. Preparazione pre-trapianto e procedura del trapianto: la preparazione pretrapianto comprende l’emodialisi, per assicurare uno stato metabolico relativamente normale e la garanzia di avere vie urinarie inferiori funzionalmente valide e prive di infezioni. Per il drenaggio dell’allotrapianto può essere necessaria la ricostruzione vescicale, la nefrectomia dei reni infetti o la file:///F|/sito/merck/sez12/1491156.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.18

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costruzione di un’ansa ileale. Il rene trapiantato viene solitamente posto nella fossa iliaca in posizione retroperitoneale. Le anastomosi vascolari vengono eseguite sui vasi iliaci e viene ristabilita la continuità ureterale. Trattamento del rigetto: nonostante la profilassi con immunosoppressori venga cominciata subito prima o nello stesso momento del trapianto, la maggior parte dei riceventi va incontro a uno o più episodi di rigetto acuto nel primo periodo dopo l’intervento. La presenza di rigetto viene suggerita dal deterioramento della funzione renale, dall’ipertensione, dall’aumento di peso, dalla dolorabilità e dal rigonfiamento del trapianto, dalla febbre e dalla comparsa di proteine, linfociti e cellule tubulari renali nel sedimento urinario. Se la diagnosi è poco chiara, si esegue un’agobiopsia percutanea per l’esame istopatologico del tessuto. Nei riceventi trattati con ciclosporina è talvolta difficile distinguere la nefrotossicità indotta dal farmaco dal quadro del rigetto, anche con la biopsia. Un’intensificazione della terapia immunosoppressiva solitamente fa regredire il rigetto. Se il rigetto non viene risolto, la terapia immunosoppressiva viene sospesa e il paziente torna al trattamento dialitico in attesa di essere sottoposto a un trapianto successivo. Se alla reazione di rigetto e alla sospensione degli immunosoppressori fa seguito la comparsa di ematuria, rammollimento dell’organo o febbre, si rende necessaria la nefrectomia del rene trapiantato. La maggior parte degli episodi di rigetto e delle altre complicanze (v. oltre) si verifica entro 3-4 mesi dopo il trapianto; la maggioranza dei pazienti ritorna a uno stato di salute e a un’attività quotidiana più normali. Tuttavia, a meno che non si verifichino infezioni gravi o tossicità, la terapia immunosoppressiva deve essere proseguita, perché anche una breve sospensione può far precipitare il rigetto. Complicanze: alcuni pazienti vanno incontro al rigetto cronico irreversibile del trapianto. Altre complicanze tardive comprendono la tossicità da farmaci, la ripresa della malattia renale di base, gli effetti sfavorevoli del prednisone e le infezioni. Inoltre, nei riceventi di trapianti renali è aumentata l’incidenza di tumori maligni. Il rischio di carcinoma epiteliale è da 10 a 15 volte più alto del normale; quello di linfoma, circa 30 volte. Il trattamento di queste neoplasie è simile a quello dei tumori nei pazienti non immunosoppressi. La riduzione o la sospensione dell’immunosoppressione non è in genere necessaria per la terapia degli epiteliomi squamocellulari, ma è raccomandata in caso di tumori più aggressivi e di linfomi. Negli ultimi anni, nei riceventi di trapianto sono divenuti molto più frequenti i linfomi a cellule B associati al EBV. Sebbene siano state ipotizzate associazioni individuali con l’uso di ciclosporina e con i protocolli terapeutici che impiegano ALG od OKT3, la correlazione più probabile è quella con il grado complessivo di immunosoppressione raggiunto con agenti immunosoppressori più potenti.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI FEGATO Il trapianto di fegato diviene necessario nel caso di un’insufficienza epatica allo stadio terminale. I tassi di sopravvivenza sono notevolmente migliorati grazie ai progressi nelle tecniche chirurgiche, all’impiego della ciclosporina e alla migliore selezione dei pazienti. I tassi di sopravvivenza a un anno sono saliti dal 30% all’80-85%, a seconda delle condizioni preoperatorie dei pazienti. La mortalità tardiva è stata scarsa e spesso è stata attribuita alla recidiva di malattia (p. es. cancro, epatite) piuttosto che ai problemi conseguenti al trapianto. Un numero sempre crescente di pazienti è attualmente portatore di allotrapianti che stanno funzionando da più di 2 decenni. I riceventi di un trapianto riuscito possono ritornare alle attività sociali e lavorative normali. L’avvento della ciclosporina ha consentito una riduzione precoce delle dosi dei corticosteroidi, permettendo un miglior recupero postoperatorio e una maggiore resistenza alle infezioni a decorso rapidamente fatale. Grazie ai migliori risultati, un numero maggiore di pazienti viene messo in lista d’attesa per il trapianto prima di raggiungere uno stadio terminale debilitante. Se un trapianto fallisce, è possibile il retrapianto di fegato. Attualmente, dal 5 al 15% dei pazienti trapiantati di fegato che sarebbero destinati alla morte viene sottoposto a un secondo trapianto, con un tasso di successo superiore al 60%. Il miglioramento dei tassi di successo non dipende soltanto dalla ciclosporina, ma anche da molti dettagli riguardanti la gestione complessiva del paziente. Le indicazioni al trapianto di fegato sono state soprattutto le malattie responsabili di insufficienza epatica cronica. Nell’insufficienza acuta è difficile stabilire la prognosi, il tempo per reperire un donatore compatibile è spesso insufficiente e il rischio di un’infezione virale ricorrente nel fegato trapiantato è notevole. Queste circostanze si realizzano con talune intossicazioni, p. es. quella da acetaminofene. Nondimeno, se un fegato può essere reperito rapidamente, il trapianto può salvare pazienti con insufficienza epatica acuta fulminante anche dopo l’insorgenza di un coma epatico. Le più frequenti indicazioni al trapianto di fegato negli adulti sono l’epatite cronica in fase terminale e la cirrosi biliare, mentre nei bambini sono l’atresia biliare e i deficit metabolici congeniti. I pazienti con neoplasie epatiche primitive hanno una prognosi relativamente scarsa; il tumore recidiva spesso dopo il trapianto nel paziente immunosoppresso, portando a un tasso di sopravvivenza a un anno di circa il 20%. Tuttavia nel caso in cui il carcinoma epatico, specialmente se di tipo fibrolamellare, sia interamente confinato al fegato, si è ottenuta la sopravvivenza a lungo termine in assenza di recidive tumorali. Selezione dei donatori: i cadaveri utilizzati come donatori di fegato devono appartenere a individui precedentemente sani, aventi corporatura e gruppo AB0 concordanti con quelli del ricevente. Una storia di disfunzione epatica, di ipotensione con necessità di prolungate terapie vasopressorie, di infezioni sistemiche o segni di ischemia o di danno epatico suggeriti da un aumento degli enzimi epatocellulari, preclude l’utilizzo dell’organo per il trapianto. Conservazione del fegato e procedura del trapianto: non esistono metodi per la conservazione epatica extracorporea a lungo termine; dopo il prelievo i fegati vengono conservati in soluzioni refrigerate di solito per 8-16 ore. Alcuni organi conservati per più di 24 h sono stati trapiantati con successo, ma l’incidenza di non funzionamento del trapianto aumenta con i periodi di conservazione prolungati. La tipizzazione tissutale e le prove crociate di istocompatibilità file:///F|/sito/merck/sez12/1491158.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.18

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vengono di solito eseguite retrospettivamente. L’epatectomia del ricevente, che può occasionalmente provocare una perdita ematica intraoperatoria superiore a 20 unità, è la parte più impegnativa della procedura di trapianto e viene spesso eseguita in presenza di ipertensione portale e dopo pregressi interventi di chirurgia epatobiliare. Le richieste di sangue da trasfondere per i riceventi di trapianto di fegato adulti sono spesso inferiori alle 8-10 unità. Per completare il trapianto, sono necessarie cinque anastomosi: vena cava sovraepatica, vena cava infraepatica, vena porta, arteria epatica e dotto biliare. Il posizionamento eterotopico del fegato, che fornisce un fegato ausiliario, risolve diverse difficoltà tecniche. Tuttavia, a causa dei risultati poco incoraggianti, questa tecnica è stata utilizzata solo in ambito sperimentale. Poiché vi è scarsità di donatori con dimensioni corporee appropriate per i riceventi in età pediatrica, si è cominciato a fare uso di trapianti di dimensioni ridotte costituiti da un segmento di fegato adulto; i risultati sembrano essere sovrapponibili a quelli ottenuti con l’impiego di un fegato intero prelevato da un bambino. Nei bambini è stato anche eseguito con successo il trapianto del segmento laterale sinistro del fegato di uno dei genitori, ma il ruolo definitivo dei parenti viventi come donatori attende ancora valutazioni ulteriori. Trattamento del rigetto: sorprendentemente, gli allotrapianti di fegato vengono rigettati in modo meno aggressivo rispetto a quelli di altri organi. Per esempio, il rigetto iperacuto di un trapianto di fegato non avviene invariabilmente nei pazienti che erano stati presensibilizzati nei confronti degli antigeni HLA o delle incompatibilità AB0. Le ragioni di questo fenomeno sono sconosciute. Tuttavia, quando un rigetto acuto fulminante o un rigetto cronico non rispondono alla terapia immunosoppressiva, il trattamento consiste in un nuovo trapianto. La sindrome della scomparsa dei dotti biliari, caratterizzata da colestasi intrepatica con funzione epatocellulare conservata, è uno dei quadri di rigetto cronico. La terapia immunosoppressiva tipica nell’adulto prevede la ciclosporina, solitamente somministrata EV alla dose di 4-6 mg/kg/die cominciando al momento del trapianto e poi alla dose di 8-14 mg/kg/die PO quando il paziente riprende l’alimentazione orale. Le dosi vengono diminuite nel caso compaia insufficienza renale e i livelli ematici vengono utilizzati come indicatori approssimativi del dosaggio adeguato. I bambini richiedono spesso dosi maggiori per mantenere appropriati livelli ematici. Se durante il decorso postoperatorio viene impiegato un drenaggio biliare con tubo a T, possono essere richieste dosi superiori a causa della perdita di ciclosporina con la bile. Tipicamente, il metilprednisolone EV o il prednisone PO vengono somministrati alla dose iniziale di circa 10 mg/kg/die e poi ridotti scalarmente fino a una dose di mantenimento di 0,2 mg/ kg/die. Talvolta viene impiegata anche l’azatioprina, da 1 a 2 mg/kg/die PO o EV. Episodi lievi di rigetto acuto possono risolversi spontaneamente. Il rigetto viene sospettato in base alla comparsa di epatomegalia, bile chiara (osservabile in un tubo di drenaggio a T) o feci ipocoliche e dall’insorgenza di anoressia, dolore al fianco destro e febbre. Reperti a sostegno della diagnosi sono l’ittero e l’aumento dei livelli sierici degli enzimi epatici. L’agobiopsia può fornire la conferma anatomopatologica. Gli episodi sospetti di rigetto vengono trattati con corticosteroidi EV, globulina antitimocitaria (ATG) o anticorpi monoclonali. Bisogna aspettarsi che insorgano una serie di complicanze, comprese quelle attribuibili alla complessa procedura operatoria in se stessa, oltre al rigetto e alle conseguenze dei tentativi di controllarlo.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI CUORE Risultati recenti relativi ai trapianti di cuore hanno mostrato tassi di sopravvivenza a lungo termine e tassi di riabilitazione sovrapponibili a quelli dei pazienti sottoposti ad allotrapianto di rene da donatore cadavere, portando all’aumento dell’uso del trapianto per il trattamento delle cardiopatie in fase terminale. La riabilitazione dei riceventi che sopravvivono oltre il primo anno è eccellente; oltre il 95% dei pazienti raggiunge una funzionalità cardiaca pari alla classe I della New York Heart Association e più del 70% torna a lavorare a tempo pieno. Le indicazioni comuni sono le cardiomiopatie, le coronaropatie allo stadio terminale e l’impossibilità di fare a meno dei dispositivi di assistenza cardiaca temporanea dopo un infarto miocardico o un intervento maggiore di cardiochirurgia. I criteri di selezione dei riceventi sono stati rigorosi; un quarto dei pazienti ritenuti idonei al trapianto muore per malattia cardiaca prima che sia disponibile un donatore adeguato. Dispositivi di sostegno alla funzione di pompa del ventricolo sinistro e cuori artificiali possono essere adoperati come supporti temporanei. La valutazione dei donatori prevede l’accertamento della funzionalità cardiaca, delle condizioni dell’apparato respiratorio, dell’idoneità delle dimensioni dell’organo e della compatibilità di gruppo sanguigno AB0. I cuori prelevati vengono conservati con il semplice metodo ipotermico. Il tempo totale di ischemia viene mantenuto al di sotto delle 4-6 h, il che esclude in pratica il reperimento degli organi in ospedali distanti. Procedura del trapianto: il cuore viene trapiantato in posizione ortotopica eseguendo l’anastomosi dell’aorta, delle arterie polmonari e delle vene polmonari. Il ritorno venoso è assicurato da una singola anastomosi che unisce il residuo della parete posteriore dell’atrio destro del ricevente a quello del cuore del donatore. Trattamento del rigetto: i regimi immunosoppressivi sono simili a quelli adottati per i trapianti di rene o di fegato. La sopravvivenza attuariale a un anno è circa dell’80% per i pazienti che assumono ciclosporina e oltre il 60% per quelli trattati con azatioprina. È stata anche ridotta la frequenza del rigetto nel periodo postoperatorio iniziale; circa il 40% dei pazienti non presenta rigetto, contro meno del 10% ottenuto con l’azatioprina. L’esordio del rigetto può essere preannunciato da febbre, malessere generale, tachicardia, ipotensione e insufficienza cardiaca prevalentemente a carico del ventricolo destro. Nel corso di episodi di rigetto più gravi possono verificarsi aritmie. In casi più lievi, la presenza di rigetto può essere suggerita dai soli reperti bioptici. Con l’introduzione della ciclosporina, per porre la diagnosi di rigetto si è fatto un uso sempre crescente della biopsia endomiocardica transvenosa eseguita di routine, dal momento che altri segni e sintomi sono spesso assenti e che essa permette di individuare il rigetto prima del deterioramento della funzione del trapianto. Il rigetto viene trattato con corticosteroidi e, quando è necessario, con ATG od OKT3. Il rigetto di lieve entità identificato sulla base dei soli criteri istologici, in assenza di manifestazioni cliniche obiettivabili, non richiede trattamento. Complicanze: le infezioni sono responsabili di più della metà di tutte le morti dopo trapianto cardiaco; altre cause importanti sono il rigetto, l’arteriosclerosi coronarica del cuore trapiantato e i tumori maligni, responsabili ciascuna del 520% dei decessi. L’accelerazione dell’arteriosclerosi del trapianto si verifica come sequela in circa il 25% di tutti i trapianti cardiaci riusciti. Essa potrebbe file:///F|/sito/merck/sez12/1491159.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.19

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essere la conseguenza di un rigetto cronico a decorso lento, mediato da anticorpi. Sembra che la ciclosporina, che aumenta notevolmente l’incidenza di ipertensione post-trapianto, possa anche aggravare l’aterosclerosi coronarica nel trapianto, forse con un meccanismo di tossicità diretta sull’albero vascolare coronarico analogo a quello osservato nel rene. Nei pazienti con infezioni da citomegalovirus successive al trapianto è stato sospettato un aumento di incidenza dell’aterosclerosi coronarica del cuore impiantato, la quale suggerisce che nello sviluppo di questa devastante complicanza tardiva possa essere coinvolta una risposta immunitaria nei confronti di antigeni virali.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI POLMONE E CUORE-POLMONI Il trapianto di polmone presenta problemi particolari, a causa del rischio di infezioni devastanti in un organo trapiantato esposto continuamente all’aria ambientale non sterile e a causa del meccanismo della tosse, che viene abolito dall’intervento. L’attuale sopravvivenza a un anno dei riceventi di trapianto di polmone è circa del 70%, in una popolazione di pazienti che non ha praticamente alcuna possibilità di sopravvivere se non viene sottoposta al trapianto. Il tasso di sopravvivenza a lungo termine dopo trapianto di polmone non è stato del tutto stabilito, ma l’incidenza di perdita tardiva dell’organo dopo l’intervento sembra essere inferiore rispetto a quella di altri allotrapianti. La riabilitazione funzionale è buona; la maggior parte dei riceventi riprende le attività quotidiane. La capacità di esercizio fisico è leggermente limitata a causa della risposta iperventilatoria. Le possibilità per il trapianto di polmone sono il trapianto di un singolo polmone, quello di entrambi i polmoni o il trapianto combinato cuore-polmoni. Quest’ultimo è stato il tipo di intervento eseguito più di frequente. I vantaggi del trapianto di entrambi i polmoni e di quello cuore-polmoni sono la rimozione dal torace di tutti i tessuti potenzialmente malati e, per il trapianto cuore-polmoni, una cicatrizzazione più affidabile dell’anastomosi tracheale favorita dalla presenza nel blocco cuore-polmoni dei vasi collaterali bronco-coronarici. Gli svantaggi sono la natura più estesa degli interventi, con il trapianto cuore-polmoni che richiede la circolazione extracorporea, la stretta corrispondenza necessaria tra le dimensioni toraciche del donatore e quelle del ricevente, l’utilizzo di due o tre organi per un solo ricevente e, in alcuni casi, la sostituzione di un cuore normale con uno che può andare incontro a disfunzione post-trapianto. Le indicazioni al trapianto cuore-polmoni sono le malattie vascolari polmonari o le pneumopatie parenchimali diffuse nelle quali è indicata la rimozione di tutto il tessuto polmonare (p. es. alcuni casi di fibrosi cistica). Quando non esistono patologie cardiache primitive o secondarie, il cuore naturale del ricevente di un trapianto cuore-polmoni può essere utilizzato come organo da impiantare in un intervento di trapianto cardiaco. Un trapianto di polmone singolo è più chiaramente indicato per i pazienti con pneumopatia restrittiva. I vantaggi sono costituiti dalla relativa semplicità della procedura chirurgica, che evita l’uso dell’anticoagulazione sistemica e della circolazione extracorporea; dal più ampio range di accettabilità tra le dimensioni corporee del donatore e quelle del ricevente; e dall’impiego ottimale degli organi del donatore, giacché il cuore (e il polmone controlaterale) divengono disponibili per altri riceventi. Gli svantaggi comprendono la possibilità di una disomogeneità del rapporto ventilazione/perfusione tra il polmone naturale e il polmone trapiantato e la cicatrizzazione poco efficiente dell’anastomosi bronchiale. L’avvolgimento dell’anastomosi bronchiale con l’omento ha migliorato quest’ultimo problema, senza tuttavia risolverlo del tutto. Un trapianto di entrambi i polmoni consente la rimozione di tutto il tessuto polmonare malato ed è teoricamente eseguibile in tutti i pazienti che non presentano patologie cardiache irreversibili. Tuttavia, la sezione delle arterie bronchiali e delle collaterali bronco-coronariche del donatore rende problematica la cicatrizzazione tracheale. Selezione dei donatori e conservazione: I cadaveri dai quali vengono prelevati i polmoni devono appartenere a individui non fumatori con meno di 40 anni di età. Alla radiografia del torace devono essere presenti solo segni minimi di addensamento e l’ossigenazione mediante ventilazione assistita deve essere file:///F|/sito/merck/sez12/1491160.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.20

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normale. I metodi di conservazione del polmone non sono ancora ben sviluppati; un trapianto di polmone deve essere eseguito rapidamente. Per lo più, prima dell’espianto viene infusa nell’arteria polmonare del donatore una soluzione refrigerata cristalloide contenente prostaciclina. In alternativa, il polmone del donatore può essere raffreddato per via sistemica grazie alla circolazione extracorporea, evitando l’introduzione di cristalloidi nell’albero vascolare polmonare. Procedura del trapianto: per il trapianto di polmone singolo, nel ricevente si esegue una toracotomia laterale. Per confezionare le anastomosi si adoperano i manicotti dell’arteria polmonare, della vena polmonare e del bronco. Se il clampaggio dell’arteria polmonare non viene tollerato, è necessaria la circolazione extracorporea. Un trapianto cuore-polmoni viene eseguito in circolazione extracorporea mediante una sternotomia mediana con anastomosi aortica e atriale destra. L’anastomosi tracheale è eseguita in un punto immediatamente al di sopra della biforcazione. I trapianti di entrambi i polmoni richiedono una più elaborata ricostruzione chirurgica dei vasi e delle vie aeree, ma recentemente sono andati incontro a crescenti possibilità di successo nei pazienti il cui cuore è normale. Trattamento del rigetto: la terapia si avvale dei corticosteroidi somministrati rapidamente EV ad alte dosi, della ATG o dell’OKT3. Spesso durante le prime due settimane dopo l’intervento vengono anche somministrati ALG od OKT3 a scopo profilattico. Il rigetto acuto si verifica in più dell’80% dei pazienti, ma può essere trattato con successo in una percentuale molto alta di casi. Il rigetto polmonare si verifica più spesso del rigetto cardiaco nei riceventi di trapianto combinato cuore-polmoni, cosicché le biopsie endomiocardiche non sono sempre utili. Il rigetto è caratterizzato da febbre, dispnea e diminuzione della SaO2 e del volume espiratorio forzato in un secondo (Forced Expiratory Volume in 1 second, FEV1). L’infiltrato interstiziale visibile alla rx del torace è difficile da distinguere da quello di un’infezione. Per stabilire la diagnosi viene spesso utilizzata la broncoscopia con lavaggio broncoalveolare e la biopsia transbronchiale. Complicanze: le complicanze precoci più preoccupanti sono correlate alla scarsa cicatrizzazione dell’anastomosi bronchiale o tracheale. Fino al 20% dei riceventi di trapianto di polmone singolo sviluppano stenosi bronchiale, che spesso può essere trattata con la dilatazione o con il posizionamento di endoprotesi. Per evitare interferenze con il processo di cicatrizzazione dell’anastomosi bronchiale, i corticosteroidi vengono omessi dal regime immunosoppressivo nel primo periodo postoperatorio. Vengono impiegate dosi relativamente elevate di ciclosporina (da 10 a 14 mg/kg/die PO) e di azatioprina (da 1,5 a 2,5 mg/kg/die PO o EV). Una complicanza tardiva del trapianto di polmone è la bronchiolite obliterante, che provoca ostruzione lentamente progressiva delle vie aeree. Essa può essere una manifestazione del rigetto cronico. Si osserva una diminuzione del FEV1 senza evidenza di alcun processo patologico polmonare.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI PANCREAS Sommario: Introduzione ALLOTRAPIANTO DI CELLULE INSULARI PANCREATICHE

Il trapianto di pancreas ha caratteristiche uniche fra i trapianti degli organi vascolarizzati: invece di essere utilizzato per salvare la vita, esso ha lo scopo di cercare di stabilizzare o di prevenire le gravissime complicanze sistemiche del diabete di tipo I. Se le complicanze del diabete (p. es. nefropatia, retinopatia, neuropatia, aterosclerosi accelerata) sono una diretta conseguenza della cattiva omeostasi glucidica, il ritorno del paziente a valori glicemici normali può interrompere la progressione di questi processi secondari. I dati a disposizione sono ancora insufficienti per stabilire se tali risultati verranno ottenuti. Il successo del trapianto pancreatico viene valutato in base alla capacità del ricevente di rimanere normoglicemico senza la somministrazione di insulina esogena. Nell’ultimo decennio, i tassi di successo complessivi sono aumentati da meno del 40% a più dell’80% e diversi centri hanno riferito che più dell’85% dei pazienti rimane stabilmente insulino-indipendente. Il miglioramento dei tassi di sopravvivenza è da attribuire principalmente al miglioramento dei regimi immunosoppressivi e ai progressi tecnici. Selezione dei riceventi e dei donatori: il trapianto di pancreas non è una terapia appropriata per tutti i pazienti diabetici. Poiché il ricevente passa dai rischi della somministrazione di insulina a quelli dell’immunosoppressione, il trapianto di pancreas è stato di solito limitato principalmente ai pazienti che già necessitavano della somministrazione di immunosoppressori (cioè i diabetici con insufficienza renale sottoposti a trapianto di rene). Tuttavia, alcuni centri stanno adesso eseguendo trapianti isolati di pancreas in pazienti diabetici che non presentano nefrosclerosi diabetica allo stadio terminale ma che sono affetti da altre gravi complicanze della malattia. Sono stati eseguiti con sempre maggiore frequenza trapianti simultanei di pancreas e di rene con organi provenienti da un unico donatore cadavere, con eccellenti risultati metabolici. Il ricevente in questo modo viene esposto all’induzione ad alte dosi dell’immunosoppressione soltanto una volta e poiché entrambi gli organi provengono dallo stesso donatore, il rigetto può essere seguito a livello del rene, il quale sembra più incline a questo processo rispetto al pancreas, dove l’identificazione del rigetto è difficile. Nonostante la morbilità postoperatoria sia aumentata dopo l’esecuzione del trapianto combinato, la sopravvivenza dell’allotrapianto di rene non viene compromessa. I donatori hanno abitualmente un’età compresa tra 10 e 55 anni e non hanno una storia di intolleranza al glucoso o di abuso cronico di alcol. (I livelli sierici del glucoso e delle amilasi al momento del decesso non sono di aiuto, poiché essi sono spesso elevati in seguito alla risposta al trauma cranico e alla terapia rianimatoria, anche in presenza di un pancreas normale.) Procedura del trapianto: tra i progressi tecnici è compreso il trapianto dell’intero pancreas, che garantisce un maggior numero di cellule secernenti insulina, piuttosto che di un segmento. Inoltre, l’incidenza della trombosi postchirurgica del trapianto è stata fortemente ridotta. Il drenaggio delle secrezioni esocrine

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pancreatiche nella vescica urinaria attraverso un condotto costituito da un piccolo segmento duodenale del donatore si è inoltre dimostrato superiore rispetto alla procedura utilizzata in precedenza. Tuttavia con il drenaggio vescicale del pancreas si verifica una perdita obbligata di bicarbonati e un aumento delle IVU. Negli ultimi anni è stata impiegata sempre più frequentemente l’anastomosi del segmento duodenale del donatore direttamente al piccolo intestino del ricevente. L’organo viene collocato in posizione laterale nella parte bassa dell’addome. Le anastomosi vascolari in un trapianto di pancreas sono tra l’arteria celiaca, l’arteria mesenterica superiore e la vena porta del donatore e, rispettivamente, l’arteria e la vena iliaca del ricevente. Questa tecnica comporta il rilascio di insulina nella circolazione sistemica invece che nel circolo portale, con conseguente iperinsulinemia basale a digiuno. Trattamento del rigetto: l’immunosoppressione è la stessa impiegata per i pazienti con trapianto di rene (v. sopra). La terapia di induzione e il trattamento del rigetto solitamente prevedono l’uso della ALG o dell’OKT3. Complicanze: le complicanze principali, oltre a quelle già menzionate precedentemente, sono il rigetto, le infezioni e la pancreatite del trapianto. Nei pazienti sottoposti a trapianto isolato di pancreas l’identificazione del rigetto è difficile, perché la maggior parte dell’organo può essere distrutta dalla reazione di rigetto prima che si rendano evidenti alterazioni del metabolismo glucidico. Tuttavia, con un’ottima compatibilità HLA, si ottiene un tasso di sopravvivenza del trapianto dell’80%, sovrapponibile al tasso di successo complessivo del trapianto combinato rene-pancreas.

ALLOTRAPIANTO DI CELLULE INSULARI PANCREATICHE Il trapianto di cellule insulari da sole è stato limitato nell’uomo dai problemi connessi con l’ottenimento e il trasferimento di un numero sufficiente di cellule insulari. Recentemente è stata ottenuta l’isulino-indipendenza nei pazienti diabetici riceventi di allotrapianti insulari impiegando cellule provenienti da pancreas di diversi donatori cadaveri. Non è ben chiaro se la normoglicemia possa essere mantenuta a lungo termine. Il trapianto di cellule insulari presenta diversi vantaggi: le cellule possono essere trasferite più facilmente nella circolazione portale del ricevente attraverso l’incannulamento della vena ombelicale senza la necessità di un intervento chirurgico importante e le insule possono essere crioconservate. Esiste inoltre la possibilità di trattare le cellule insulari per ridurre la loro immunogenicità.

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Manuale Merck 12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE 149. TRAPIANTO TRAPIANTO DI ALTRI ORGANI E TESSUTI Gli allotrapianti di cute possono essere preziosi per i pazienti con ustioni estese o con ampie perdite cutanee dovute ad altre cause. Quando l’insufficienza di sedi corporee per l’espianto impedisce l’uso dei soli autotrapianti, si alternano strisce di autotrapianto con strisce di allotrapianto, ricoprendo l’intera superficie denudata per ridurre le perdite di liquidi e di proteine e contrastare le infezioni invasive. Gli allotrapianti vengono rigettati, ma le aree così denudate in via secondaria possono allora venire coperte nuovamente con autotrapianti prelevati dalle sedi donatrici originarie ormai riparate. Gli allotrapianti servono anche come copertura per le ustioni e le ferite infette, che divengono rapidamente sterili e sviluppano granulazioni ben vascolarizzate sulle quali gli autotrapianti attecchiranno facilmente. Cellule cutanee espanse in coltura prima di essere reimpiantate in un paziente ustionato possono aiutare anch’esse a ricoprire le ustioni estese, così come può fare la "cute artificiale" di recente introduzione, la quale è composta da cellule coltivate al di sopra di uno strato sintetico. Il trapianto di cartilagine è unico, in quanto i condrociti sono tra i pochi tipi di cellule di mammifero che possono essere trapiantate in un individuo allogenico senza soccombere alla risposta immunitaria, apparentemente perché la popolazione di cellule dispersa nella cartilagine ialina rimane protetta dall’attacco cellulare grazie alla matrice cartilaginea che la circonda. Nei bambini, la cartilagine prelevata da cadaveri può essere impiegata per rimpiazzare difetti congeniti del naso o dell’orecchio. Negli adulti, si usano più comunemente gli autotrapianti (solitamente da cartilagine costale) per il trattamento delle lesioni gravi. È stato sperimentato l’impiego degli allotrapianti di cartilagine per ripristinare il rivestimento dei capi articolari distrutti dall’artrite. Il trapianto di osso è largamente usato ma, tranne nel caso degli autotrapianti, nessuna cellula vitale dell’osso del donatore sopravvive nel ricevente. La matrice residua non vitale ha tuttavia una capacità di induzione della sintesi ossea che stimola gli osteoblasti dell’ospite a ricolonizzare la matrice e a depositare osso neoformato, servendo così come una sorta di impalcatura per colmare e stabilizzare le lesioni di continuità finché non viene sintetizzato nuovo osso. La resezione massiva dei tumori ossei maligni e la ricostruzione mediante impianto di allotrapianti compositi di osso e cartilagine rappresentano approcci concreti per salvare arti che altrimenti dovrebbero essere amputati. Gli allotrapianti da cadavere vengono conservati per mezzo del congelamento allo scopo di ridurre l’immunogenicità dell’osso (che è non vitale al momento dell’impianto) e con la glicerolizzazione che assicura la vitalità dei condrociti. Dopo l’impianto non viene usata alcuna terapia immunosoppressiva. Sebbene questi pazienti sviluppino anticorpi anti-HLA, il controllo a breve termine non mostra segni di degradazione della cartilagine. Il trapianto di intestino tenue è una procedura in via di sviluppo applicabile solo a un piccolo gruppo di pazienti con superficie di assorbimento intestinale inadeguata a causa di gravi patologie addominali (p. es. volvolo, enterocolite tossica, traumi). I trapianti di intestino tenue devono essere ulteriormente limitati ai pazienti che non sono in grado di tollerare la nutrizione parenterale cronica e che pertanto non hanno altre possibilità di sopravvivenza. Dopo il trapianto di intestino tenue sono state ormai ottenute sopravvivenze superiori a un anno con funzione enterale integra. Le questioni ancora da dirimere sono la lunghezza ottimale del segmento intestinale da trapiantare, l’uso del drenaggio venoso sistemico del trapianto rispetto a quello portale, l’opportunità di un’anastomosi immediata dell’intestino trapiantato con il tratto GI del ricevente e il ruolo della

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donazione da parente vivente per gli allotrapianti di intestino tenue. A causa della grande quantità di tessuto linfoide presente nell’intestino, la GVHD è un problema di rilevanza molto maggiore per i trapianti di intestino tenue che per gli allotrapianti di altri organi vascolarizzati. Un approccio sperimentale al problema è costituito dal pretrattamento dell’intestino da trapiantare per eliminare le cellule che provocano la GVHD e forse anche per ridurre l’immunogenicità dell’organo. È stato riportato che il trattamento di pazienti affetti da morbo di Parkinson con autotrapianti di tessuto midollare surrenalico collocati all’interno del SNC con tecnica stereotassica conduce a un miglioramento della sintomatologia. Sono stati anche proposti gli allotrapianti di tessuto surrenalico, specialmente provenienti da donatori fetali. È stato descritto che il tessuto mesencefalico ventrale fetale impiantato stereotassicamente nel putamen di pazienti con morbo di Parkinson ha migliorato la rigidità e la bradicinesia del paziente. Tuttavia, alla luce delle controversie di natura etica e politica sulla liceità dell’utilizzo di tessuti fetali umani, è poco probabile che venga intrapreso un trial controllato sufficientemente ampio da valutare adeguatamente i risultati del trapianto di tessuto nervoso fetale. Sono stati sperimentati xenotrapianti di cellule endocrinologicamente attive prelevate da suini. L’impianto di timo fetale ottenuto da feti nati morti può ripristinare la responsività immunologica in bambini affetti da aplasia timica e dalla conseguente perdita del normale sviluppo del sistema linfoide. Poiché il ricevente è immunologicamente non responsivo, l’immunosoppressione non è necessaria; tuttavia, la GVHD (v. sopra) può essere grave. Sono stati eseguiti con successo autotrapianti di tessuto paratiroideo (e anche, raramente, allotrapianti). L’autotrapianto di paratiroide è stato raccomandato da alcuni gruppi di ricerca per il trattamento dei pazienti con ipercalcemia da iperplasia secondaria. La tecnica prevede la rimozione di tutto il tessuto paratiroideo dalla regione del collo e l’impianto di alcuni piccoli lembi di tessuto in una tasca muscolare realizzata nell’avambraccio, dove sarà possibile identificare con facilità il tessuto stesso in caso di recidiva dell’ipercalcemia. Gli allotrapianti possono essere impiegati per i pazienti affetti da ipoparatiroidismo iatrogeno il cui decorso clinico rimanga insoddisfacente nonostante un trattamento medico ottimale. Poiché è necessaria l’immunosoppressione, questa procedura trova raramente indicazione, a meno che il paziente non stia per ricevere un allotrapianto di rene per il quale sarà necessaria la terapia immunosoppressiva.

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Biologia delle malattie infettive

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 150. BIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE PATOGENESI DELL'INFEZIONE Le tossine: i microrganismi possono liberare tossine che interagiscono con cellule adiacenti o distanti. Queste tossine sono molecole proteiche che possono aggravare il processo della malattia o essere totalmente responsabili dello sviluppo della malattia (p. es., difterite, colera, tetano, botulismo). La maggior parte delle tossine si lega a recettori specifici delle cellule da colpire. Ad eccezione delle tossine preformate responsabili delle tossinfezioni alimentari, le tossine sono prodotte dai microrganismi durante il decorso di un’infezione locale o sistemica. Fattori di virulenza: i fattori di virulenza determinano le capacità di invasione dei patogeni e di resistenza ai meccanismi di difesa dell’ospite, aumentando in tal modo le potenzialità patogeniche del microrganismo. Per esempio, gli pneumococchi incapsulati sono più virulenti dei ceppi non capsulati e il tipo-b incapsulato di H. influenzae è più virulento degli altri H. influenzae capsulati. Le proteine batteriche con attività enzimatica (p. es., proteasi, ialuronidasi, neuraminidasi, elastasi, collagenasi) facilitano la propagazione tissutale locale. Gli organismi invasivi (p. es., Shigella flexneri, Yersinia enterocolitica) possono penetrare e attraversare le cellule eucariote intatte, permettendo loro di entrare nell’organismo attraverso le superfici mucose. Molti microrganismi hanno meccanismi che alterano la produzione di Ac in diversi siti inducendo la produzione di cellule di soppressione, bloccando il processo degli Ag e inibendo la mitogenesi linfocitaria. Alcuni batteri (p. es., Neisseria gonorrhoeae, H. influenzae, Proteus mirabilis, specie di clostridi, Streptococcus pneumoniae) producono delle proteasi IgA specifiche che clivano e inattivano le IgA secretorie sulle superfici mucose. Altri (p. es., pneumococchi, meningococchi) hanno capsule antifagocitosi che impediscono l’adesione degli Ac opsonici. La resistenza batterica agli effetti litici dei componenti sierici è associata alla virulenza. Alcune specie di Neisseria gonorrhoeae estratte da pazienti con infezione disseminata sono siero-resistenti, mentre i ceppi localizzati nell’apparato genitale sono di solito siero-sensibili. I germi hanno sviluppato anche metodi per eludere, disattivare o ignorare le fasi della fagocitosi. Certi microrganismi (p. es., Legionella, Listeria) non producono o sopprimono attivamente la reazione ossidativa associata al contatto della superficie microbica e alla fagocitosi. Altri microrganismi producono enzimi (p. es., catalasi, reduttasi del glutatione o la dismutasi del superossido) che distruggono le specie reattive all’O2 generate nella reazione ossidativa. L’adesione microbica: L’adesione alla superficie aiuta i microrganismi a stabilire una base da cui penetrare i tessuti o invadere le cellule. Per esempio alcuni microbi aderiscono attraverso le fibrille, che sono delle strutture sottili sulle pareti batteriche che legano gli streptococchi alle cellule epiteliali umane. Altri batteri, come le Enterobacteriaceae (p. es., Escherichia coli), hanno organi specifici adesivi chiamati fimbrie o pili. Le fimbrie danno al microrganismo la possibilità di aderire a quasi tutte le cellule umane, inclusi i neutrofili, le cellule epiteliali nel tratto GU, nel cavo orale e nell’intestino. I recettori microbici sul tessuto dell’ospite, così come le adesine (molecole del microbo che mediano l’adesione a una cellula) determinano anche se l’infezione si verificherà o meno. I recettori dell’ospite sono le molecole dell’ospite o i ligandi a cui le adesine microbiche si attaccano per iniziare il processo di adesione; questi comprendono i residui file:///F|/sito/merck/sez13/1501174.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.25

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zuccherini del glicocalice e le proteine di superficie quali la fibronectina, che facilitano l’adesione di certi microrganismi gram + (p. es., gli stafilococchi). I microbi possono anche aderire a presidi medici, come i cateteri urinari e a quelli vascolari, protesi vascolari e materiale di sutura. La colonizzazione è facilitata dalla ruvidità dei materiali, dalla composizione chimica e dell’idrofobicità. L’esatta patogenesi di questa adesione è sconosciuta, ma la capacità del microbo di produrre uno strato vischioso può assumere un suo ruolo nella patogenesi delle infezioni da stafilococchi coagulasi-negativi su corpi estranei. Resistenza antibatterica: gli agenti antimicrobici esercitano delle forti pressioni selettive sulla popolazione microbica, favorendo la sopravvivenza di quegli organismi in grado di resistere loro. La variabilità genetica, essenziale per questa evoluzione microbica, può presentarsi attraverso vari meccanismi. Le modifiche di tipo microevoluzionario comportano mutazioni puntiformi in una base nucleotidica, che altera il sito bersaglio di un agente antimicrobico e interferisce con la sua attività. Le modifiche di tipo macroevoluzionario hanno come risultato un riarrangiamento su larga scala di ampli segmenti di DNA come evento singolo; queste modifiche sono di frequente create da elementi genetici specializzati noti come transposoni o da sequenze di inserzioni che possono muoversi indipendentemente dal resto del cromosoma batterico. Nei batteri la variabilità genetica può essere anche creata dall’acquisizione di DNA eterogeneo veicolato dai plasmidi, dai batteriofagi o da elementi genetici tipo transposoni. Un esempio di questo fenomeno è la diffusione di un transposone tetraciclino resistente tra Neisseria gonorrhoeae, Mycoplasma hominis e Ureaplasma urealyticum. Questi meccanismi permettono ai batteri il potenziale sviluppo di resistenza ad ogni agente antimicrobico.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 150. BIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE MANIFESTAZIONI DI INFEZIONE Sommario: Introduzione FEBBRE Eziologia Terapia FEBBRE DI ORIGINE IGNOTA Eziologia Sintomi, segni e diagnosi

Le manifestazioni ematologiche di infezione comprendono leucocitosi, anemia, coagulazione intravascolare disseminata (CID) e trombocitopenia. Le malattie infettive provocano abitualmente una leucocitosi con un incremento del numero totale dei neutrofili e del numero dei neutrofili immaturi circolanti. I neutrofili rilasciati sono il risultato dell’azione diretta dell’interleukina-1 e dell’interleukina-6 sui depositi di neutrofili del midollo osseo, sebbene un cambiamento precoce del numero dei GB sia dovuto alla marginazione e al rilascio di granulociti meno maturi dalle riserve midollari. La neutrofilia persistente che accompagna le infezioni croniche sembra essere mediata da fattori di stimolazione elaborati dai macrofagi, dai linfociti e da altri tessuti. L’esagerazione di questi fenomeni può dare come risultato reazioni leucemoidi, con il rilascio in circolo di leucociti immaturi. Le reazioni leucemoidi sono caratterizzate da un numero di leucociti non maligni > 25-30 ⋅ 109/l; esse generalmente riflettono la risposta del midollo osseo sano alle citochine prodotte come conseguenza di un trauma, di un’infiammazione e di incidenti simili. Al contrario, alcune infezioni (p. es., la febbre tifoidea, la brucellosi) producono comunemente neutropenia. Nelle infezioni gravi e acute, il midollo osseo può rivelarsi incapace di compensare l’utilizzazione periferica dei neutrofili, portando a una neutropenia profonda, che costituisce spesso un segno prognostico negativo. Nei neutrofili di pazienti settici sono stati riscontrati cambiamenti morfologici (p. es., corpi di Döhle, granulazioni tossiche, vacuolizzazioni). Il reperto di eosinofilia suggerisce una causa non batterica, di solito allergica o un’infezione parassitaria. L’anemia si sviluppa malgrado la presenza di adeguate riserve di ferro. Può essere acuta, in conseguenza di un’emorragia o della distruzione dei GR (p. es., agglutinine fredde associate al Mycoplasma pneumoniae), o cronica, con normali o accresciute riserve di ferro nel sistema reticoloendoteliale e una diminuzione della sideremia e della capacità di fissare il ferro. Una causa comune di CID è un’infezione grave, più spesso una batteriemia da gram – che da gram +. Il fattore di necrosi tumorale può avere un ruolo integrale nel causare la CID inducendo le cellule endoteliali a esprimere un’attività tissutale pro-coagulante. La CID è caratterizzata da trombocitopenia, allungamento del tempo di protrombina, aumento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno e diminuzione dei livelli di fibrinogeno (v. Coagulazione intravascolare disseminata in Coagulopatie acquisite nel Cap. 131). Le complicanze comprendono file:///F|/sito/merck/sez13/1501175.html (1 of 5)02/09/2004 2.08.26

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emorragia e/o trombosi con emorragia paradossa malgrado la presenza di uno stato di ipercoagulabilità. Per il controllo della CID è importante il trattamento della malattia sottostante. Una trombocitopenia isolata può segnalare una sepsi batterica e può risultare utile nell’analizzare la risposta del paziente alla terapia. Le manifestazioni cardiache dell’infezione vanno dalla tachicardia e dall’aumento della gittata cardiaca all’insufficienza miocardica. Mentre la maggior parte delle malattie infettive fa aumentare le pulsazioni, altre, come la febbre tifoide, la tularemia, la brucellosi e la dengue possono non causare un aumento del ritmo cardiaco come ci si aspetterebbe in considerazione del grado di febbre. Si può avere ipotensione senza shock settico o come parte di uno stato conclamato di shock: lo shock settico è caratterizato all’inizio da un aumento della gittata cardiaca e da una diminuzione della resistenza vascolare sistemica e successivamente da una gittata cardiaca normale o diminuita e da una resistenza sistemica aumentata. Le manifestazioni respiratorie comprendono l’iperventilazione, di solito con un’alcalosi respiratoria marcata. Più tardi, la compliance polmonare può diminuire, con lo sviluppo finale di una sindrome da insufficienza respiratoria dell’adulto (Adult Respiratory Distress Syndrome, ARDS) e di un cedimento della muscolatura respiratoria. Possono aversi manifestazioni renali che vanno da una minima proteinuria all’insufficienza renale acuta. Azotemia, oliguria e anomalie dei sedimenti urinari possono verificarsi con o senza shock. Nello shock settico, l’azotemia e l’oliguria sono di solito dovute a necrosi tubulare acuta. In alcuni pazienti settici, l’insufficienza renale può essere causata dalla glomerulonefrite, come nell’endocardite batterica subacuta o da una malattia tubulo interstiziale associata a infezioni dovute allo Streptococcus pneumoniae o alla Legionella pneumophila. In molte malattie infettive può verificarsi un’alterazione della funzionalità epatica, anche se l’agente infettivo non si localizza nel fegato. La presentazione clinica è spesso un ittero colestatico (segno prognostico sfavorevole). La patogenesi multifattoriale dell’iperbilirubinemia è correlata alla distruzione dei GR e all’insufficienza epatocellulare. A livello cellulare, il fegato diminuisce la sintesi di albumina ma aumenta quella di aptoglobina, complemento e quella di certi inibitori della proteasi. Altre molecole che reagiscono in fase acuta (p. es., amiloide A e proteina C reattiva) possono moltiplicare la loro concentrazione di diverse centinaia di volte. Durante la sepsi si possono avere emorragie del tratto GI superiore dovute a ulcere da stress. Di solito si perde solo una piccola quantità di sangue per quanto una perdita maggiore può verificarsi in una piccola percentuale di pazienti. Anomalie dell’equilibrio mentale possono verificarsi in caso di infezione grave, senza la presenza di un agente infettivo nel SNC. Queste sono più comuni e gravi nell’anziano e includono ansietà, confusione, delirio, stupore, convulsioni e coma, con il quadro clinico dell’encefalopatia. La regressione dell’encefalopatia dipende da un controllo adeguato della malattia sottostante. Le disfunzioni del sistema endocrino nel corso di un’infezione comprendono l’aumento della produzione di TSH, vasopressina, insulina e glucagone e un profondo catabolismo delle proteine muscolari secondarie all’ossidazione degli aminoacidi dei muscoli scheletrici. Un’infezione prolungata conduce alla riduzione della massa muscolare; può anche verificarsi demineralizzazione delle ossa. L’aumento della produzione di ACTH facilita la sopravvivenza dell’ospite, anche se i corticosteroidi in eccesso deprimono l’infiammazione e l’immunità cellulare. L’ipoglicemia è relativamente rara nei casi di sepsi. La patogenesi non è pienamente compresa ma può essere messa in relazione con le riserve epatiche di glicogeno e con l’inibizione della gluconeogenesi. L’iperglicemia può essere uno dei primi indici dell’infezione nei pazienti diabetici e può essere difficile

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controllare la glicemia.

FEBBRE Temperatura corporea < 37,8°C o rettale > 38,2°C o semplicemente un aumento della temperatura corporea superiore alle normali variazioni nell’arco della giornata. La temperatura corporea nell’uomo è regolata principalmente dall’ipotalamo. La regolazione viene raggiunta principalmente dal bilanciamento tra le perdite di calore dalla periferia e la produzione di calore da parte dei tessuti, in particolare dal fegato e dai muscoli. Nella condizione di benessere, il centro della termoregolazione mantiene la temperatura corporea degli organi interni tra 37 e 38°C. La febbre aumenta il punto di regolazione ipotalamico, che a sua volta sollecita il centro vasomotore a cominciare la vasocostrizione. Il sangue viene allora richiamato dalla periferia, riducendo la normale perdita di calore con un conseguente incremento della temperatura corporea. Possono anche essere stimolati i brividi, che aumentano la produzione di calore attraverso la contrazione dei muscoli. La conservazione e produzione del calore continua fin quando la temperatura del sangue che irrora i neuroni ipotalamici raggiunge il nuovo equilibrio. L’ipotalamo mantiene quindi la nuova temperatura febbrile. Per abbassare il livello di regolazione ipotalamica inizia il processo di perdita di calore attraverso la sudorazione e la vasodilatazione. Durante un periodo di 24 h, la temperatura varia dai livelli minimi del primo mattino ai massimi del tardo pomeriggio. L’ampiezza di queste variazioni quotidiane, il ritmo circadiano della temperatura, è di circa 0,6°C.

Eziologia La causa della febbre può essere infettiva o non infettiva (p. es., malattie infiammatorie, neoplastiche e mediate immunologicamente). L’andamento può essere di tipo intermittente, caratterizzato da picchi quotidiani seguiti da un ritorno alla temperatura normale, o remittente, in cui la temperatura non ritorna normale. Gli anziani spesso hanno una diminuita risposta alla febbre. Certi pazienti, p. es., gli alcolizzati, le persone molto anziane e i giovanissimi, possono divenire ipotermici come reazione a una grave infezione. I pirogeni sono sostanze che causano la febbre; possono essere esogeni o endogeni. I pirogeni esogeni provengono dall’esterno dell’ospite; nella maggior parte dei casi si tratta di microbi, prodotti microbici o tossine. Quelli più studiati sono i lipopolisaccaridi dei batteri gram – (comunemente chiamati endotossine) e le tossine dei ceppi di Staphylococcus aureus isolati da pazienti con sindrome da shock tossico. I pirogeni esogeni di solito causano la febbre inducendo il rilascio di pirogeni endogeni (cosiddette anche citochine endogene pirogene), che sono polipeptidi prodotti da varie cellule dell’ospite specialmente monociti-macrofagi. Altre cellule che producono citochine induttrici di febbre sono i cheratinociti e le cellule endoteliali, i linfociti B, le cellule mesangiali, epiteliali e gliali. I pirogeni endogeni (interleukina-1, fattore di necrosi tumorale e il recettore gp-130 attivante [interleukina-6, interleukina-11, fattore inibente la leucemia, fattore ciliare neurotropico e l’oncostatina M]) causano la febbre dando inizio a cambiamenti metabolici nel centro termoregolatore ipotalamico. La sintesi della prostaglandina E2 sembra avere un ruolo cruciale nel determinare l’elevazione della temperatura corporea.

Terapia file:///F|/sito/merck/sez13/1501175.html (3 of 5)02/09/2004 2.08.26

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Un dibattito è sempre in corso sulla necessità o meno di trattare una febbre che si presenti nel corso di una malattia infettiva. Le prove sperimentali suggeriscono che i meccanismi di difesa dell’ospite sono rafforzati dalla febbre; pertanto la febbre può essere benefica e non va combattuta sistematicamente. Tuttavia, nessuno studio clinico sull’uomo dimostra i benefici della febbre (eccetto, forse, vecchi studi sulla terapia della febbre contro la sifilide). Nei bambini a rischio di convulsioni, la febbre deve essere trattata. Si deve considerare una terapia antipiretica anche nei casi di febbre negli adulti con preesistente insufficienza cardiaca o polmonare, dal momento che la febbre può fare aumentare il bisogno di O2. Per ogni grado di incremento sopra i 37°C, il consumo di O2 aumenta del 13%. La febbre può anche provocare alterazioni dell’equilibrio mentale in pazienti affetti da demenza. I farmaci che inibiscono la cicloossigenasi cerebrale sono efficaci nel ridurre la febbre; i più usati sono il paracetamolo, l’aspirina e altri FANS. I corticosteroidi, anche se hanno, tra le altre, la proprietà di ridurre la febbre, non devono essere usati con questo unico scopo, a causa degli altri loro effetti sul sistema immunitario.

FEBBRE DI ORIGINE IGNOTA Temperatura rettale di almeno 38,3°C per almeno 3 sett. o più, di cui non si scopra la causa malgrado ricerche ad ampio raggio condotte per almeno 1 sett. Questa definizione era stata formulata per confrontare studi clinici retrospettivi e prospettici e non va considerata come di valore assoluto. È stato proposto che la definizione sia modificata a 2 sett. di febbre o più, o 3 giorni di ricerche condotte nel corso di un ricovero ospedaliero, oppure tre visite ambulatoriali senza scoprire la causa della febbre. L’accertamento diagnostico deve comprendere l’osservazione della curva termica, un’anamnesi e un esame clinico dettagliati, test di laboratorio e procedure non-invasive e invasive.

Eziologia Negli adulti, cause frequenti di febbre di origine ignota (FOI) sono le infezioni, le malattie del tessuto connettivo e le neoplasie occulte (specialmente leucemia e linfoma). Con il miglioramento delle tecniche diagnostiche non invasive e di quelle microbiologiche, la maggior parte delle FOI viene attribuita a malattie sistemiche (p. es., il morbo di Still, la sarcoidosi, l’arterite temporale). La FOI nei bambini viene descritta in Infezioni diverse nel Cap. 265.

Sintomi, segni e diagnosi L’esame dell’anamnesi e dei sintomi può fornire indicazioni importanti per la diagnosi di FOI. Sono determinanti le informazioni su viaggi o esposizioni a particolari agenti o animali. Certe aree degli USA, per esempio, sono endemiche per la coccidiomicosi e l’istoplasmosi. Una febbre tifoide viene suggerita da un’anamnesi di ingestione di acqua contaminata e la brucellosi dal lavoro in fabbriche che producono confezioni di carne. I dati sulla curva termica hanno di solito poca o nessuna importanza nella diagnosi delle FOI, anche se possono esserci alcune eccezioni. Una febbre che si verifichi a gg alterni (terzana) od ogni 3 gg (quartana) può essere indicativa di malaria, anche se una diagnosi definitiva richiede il riscontro dei parassiti malarici negli strisci ematici. Nella neutropenia ciclica, il numero dei neutrofili periferici scende a livelli bassissimi ogni 21 gg; ciò ha come frequente conseguenza uno

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stato di infezione e febbre; i pazienti possono presentare una febbre periodica. La febbre fa sospettare il morbo di Hodgkin. Risultano decisivi gli esami completi e ripetuti, specialmente della cute, degli occhi, del letto ungueale, dei linfonodi, del cuore e dell’addome. Gli esami di laboratorio comprendono le colture per batteri, funghi, virus e micobatteri dal sangue e di altri possibili fluidi corporei; l’emocromo e gli esami sierologici (p. es., per febbre tifoide, brucellosi e alcune malattie virali). Per giungere alla diagnosi di certe patologie (p. es., endocardite batterica) può rendersi necessaria l’esecuzione di emocolture multiple, effettuate da due a tre volte al giorno. È necessario l’esame diretto del sangue per confermare la diagnosi di alcune malattie protozoarie (p. es., malaria). L’aumento del titolo di Ac può essere diagnostico in molte malattie infettive. I campioni di siero devono essere prelevati a intervalli regolari. Tecniche più moderne e più specifiche, immunologiche e di biologia molecolare (p. es., la reazione a catena della polimerasi) sono costantemente in corso di sviluppo e possono rivelarsi utili per giungere a una diagnosi. Le procedure non-invasive (specialmente l’ecografia, la TC e la RMN) riducono il bisogno di procedure invasive. L’ecografia è utile per dimostrare la presenza di vegetazioni cardiache, come di anomalie del pancreas, del fegato del rene e della cistifellea. La TC è utile per mettere in evidenza gli ascessi intra-addominali e le adenopatie retroperitoneali, retrosternali e mesenteriche; tale procedura inoltre rileva anomalie nella milza, nel fegato, nei reni, nelle ghiandole surrenali, nel pancreas, nel cuore, nel mediastino e nella regione pelvica. La scintigrafia con radionuclidi, specialmente con granulociti marcati con indio 111, aiuta a localizzare molte infezioni o processi infiammatori. La RMN è superiore alla TC nell’evidenziare la maggior parte delle cause di FOI a interessamento cerebrale. Possono essere necessarie tecniche invasive di diagnosi. Può essere necesssaria la biopsia del fegato, del midollo osseo o di altri siti interessati, come la cute, la pleura, i linfonodi, l’intestino o il muscolo. I campioni bioptici devono essere sottoposti ad analisi istopatologica e a colture per batteri, funghi, virus e micobatteri. Un approccio individualizzato identifica la causa di una FOI nel 90% dei casi.

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 131. DISORDINI DELL’EMOSTASI E DELLA COAGULAZIONE Malattie caratterizzate da una tendenza al sanguinamento.

COAGULOPATIE ACQUISITE COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA (CID) (Coagulopatia da consumo; sindrome da defibrinazione) Anomala generazione di fibrina nel sangue circolante.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

La coagulazione intravascolare disseminata (CID) consegue generalmente all’ingresso o alla formazione nel circolo ematico di materiale con attività di fattore tissutale (TFA), che dà inizio alla coagulazione (v. Fig. 131-1). Di solito la CID si verifica in una delle seguenti quattro condizioni cliniche. (1) In corso di complicanze ostetriche, abruptio placentae, nell’aborto terapeutico indotto con soluzione fisiologica, nella sindrome da ritenzione del feto morto e nella fase iniziale dell’embolia amniotica. Materiale uterino con attività di fattore tissutale ha accesso al circolo materno. (2) In corso di infezioni, soprattutto da gram -, la cui endotossina causa generazione di attività di fattore tissutale sulla membrana citoplasmatica dei monociti e delle cellule endoteliali. (3) In presenza di neoplasia: particolarmente in caso di adenocarcinomi secernenti mucina del pancreas e della prostata e della leucemia promielocitica acuta, in cui si pensa che cellule leucemiche ipergranulate rilascino dai loro granuli materiale con attività di fattore tissutale. (4) Shock da qualsiasi causa, probabilmente a causa della generazione di attività di fattore tissutale su monociti e cellule endoteliali. Cause meno comuni di CID sono rappresentate da gravi traumi della testa che ledano la barriera emato-encefalica esponendo il sangue a tessuto cerebrale che contiene una notevole attività di fattore tissutale; complicanze di interventi chirurgici della prostata, che causino l’entrata in circolo di materiale con attività di fattore tissutale; morsi da serpenti velenosi con ingresso in circolo di enzimi che attivano il fattore X o la protrombina o che convertono direttamente il fibrinogeno in fibrina.

Sintomi e segni La CID subacuta può associarsi a complicanze tromboemboliche quando si verifichino situazioni di ipercoagulabilità che comprendono la trombosi venosa, vegetazioni trombotiche della valvola aortica ed emboli arteriosi che prendano origine da tali vegetazioni. In tali situazioni è difficile che si verifichi un sanguinamento anomalo.

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Invece, la trombocitopenia e la deplezione di fattori plasmatici della coagulazione in corso di CID acuta massiva determinano una grave tendenza alle emorragie, aggravata dalla fibrinolisi secondaria; si forma cioè una grande quantità di prodotti di degradazione della fibrina, che interferiscono con la funzione piastrinica e con una normale polimerizzazione della fibrina. Se la fibrinolisi secondaria è abbastanza estesa da indurre deplezione plasmatica di α2antiplasmina si verifica una perdita del controllo della fibrinolisi che aggrava la tendenza al sanguinamento. Quando la CID acuta è innescata, da complicanze occorse durante il parto o interventi chirurgici da cui residuino superfici rugose (p. es., la prostatectomia), possono verificarsi gravi emorragie: durante procedure invasive (p. es., prelievi arteriosi per emogasanalisi) la sede della punzione sanguinerà persistentemente, si formano ecchimosi nei punti di iniezioni parenterali e possono manifestarsi gravi sanguinamenti GI da erosone della mucosa gastrica. La CID acuta può causare anche depositi di fibrina in molteplici vasi sanguigni di piccolo calibro. Se la fibrinolisi secondaria non riesce a lisare rapidamente la fibrina, vi può essere una necrosi tissutale emorragica. L’organo più vulnerabile è il rene, dove il deposito di fibrina nel letto capillare glomerulare porta a un’insufficienza renale acuta. Essa è reversibile se la necrosi si limita ai tubuli renali (necrosi tubulare acuta), mentre è irreversibile se sono distrutti anche i glomeruli (necrosi corticale). I depositi di fibrina possono causare anche un danno meccanico ai GR con emolisi (vedere oltre, al Cap. 133, Porpora trombotica trombocitopenica-Sindrome uremico emolitica). Occasionalmente, la fibrina depositata nei piccoli vasi delle mani e dei piedi porta a gangrena e a perdita delle dita e, a volte, delle braccia e delle gambe.

Esami di laboratorio I dati di laboratorio variano con la gravità della CID. Nella CID subacuta i rilievi sono rappresentati da trombocitopenia, tempo di protrombina normale (PT) normale o appena prolungato, un tempo di tromboplastina parziale (PTT) corto, fibrinogenemia normale o lievemente ridotta e aumentato tasso dei prodotti di degradazione della fibrina. Poiché in queste affezioni vi è di solito un’aumentata produzione di fibrinogeno, è da considerare anomalo in questi pazienti il rilievo di una fibrinogenemia ai limiti bassi dell’intervallo di normalità (p. es., 175 mg/dl) per cui va considerata la probabilità di un’alterata produzione, derivante o da malattia epatica o da un aumentato consumo dovuto a CID. Una CID acuta massiva comporta una notevole varietà di anomalie dei test di screening consistenti in: trombocitopenia; la formazione di un coagulo molto piccolo (talora non visibile affatto) quando il sangue viene fatto coagulare in una provetta di vetro; un PT e un PTT marcatamente prolungati (il plasma contiene fibrinogeno in quantità insufficiente a raggiungere la soglia degli strumenti per l’avvio della reazione di coagulazione e i risultati dei test vengono spesso riportati come superiori a un determinato valore [p. es., > 200 s], che rappresenta l’intervallo di tempo oltre il quale lo strumento automatico passa al campione successivo); una concentrazione di fibrinogeno plasmatico marcatamente ridotta; un test paracoagulativo positivo alla protamina per la presenza dei monomeri di fibrina e un livello molto alto di D-dimero plasmatico e dei prodotti di degradazione della fibrina nel siero. Il dosaggio dei fattori della coagulazione rivelerà bassi livelli di più fattori della coagulazione, in particolare dei fattori V e VIII, che vengono inattivati poiché in corso di CID si forma proteina C attivata. La necrosi epatica massiva, può produrre anomalie di laboratorio simili a quelle della CID acuta; il livello di fattore VIII è elevato nella necrosi epatica, dato che esso è una proteina della fase acuta sintetizzata non solo dagli epatociti ma anche dalle cellule della milza e del rene; è ridotto nella CID.

Terapia

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Il principio fondamentale nel trattamento è l’identificazione e la rapida correzione della causa di base (p. es., un trattamento con antibiotici a largo spettro nel sospetto di una sepsi da gram -, la pulizia dell’utero nell’abruptio placentae). La terapia della causa deve far prontamente regredire la CID. Se l’emorragia è grave, c’è l’indicazione a una terapia sostitutiva: concentrati di piastrine per correggere la trombocitopenia (e anche come fonte del fattore V piastrinico); crioprecipitati per reintegrare il fibrinogeno e il fattore VIII; plasma fresco congelato per aumentare il tasso del fattore V e di altri fattori della coagulazione e come fonte di antitrombina III, che può anch’essa risultare ridotta a seguito di una CID. L’eparina generalmente non è indicata per bloccare la CID, se la malattia causale può essere prontamente controllata. Tuttavia, la somministrazione di eparina può essere appropriata qualora i rilievi clinici suggeriscano lo sviluppo di complicanze trombotiche (p. es., quando si vada manifestando un’oliguria progressiva nonostante la PA e il volume vascolare siano normali, va considerata seriamente la possibilità di una progressiva deposizione di fibrina nel letto capillare glomerulare; oppure quando una cianosi ingravescente e la freddezza delle dita delle mani e dei piedi depongano per un’incipiente gangrena). Nei pazienti con CID secondaria a neoplasia maligna, non è possibile un rapido trattamento del processo di base e può essere indicato l’uso di anticoagulanti per prevenire la CID, particolarmente se il paziente è portatore di un tumore maligno per il quale la terapia potrebbe indurre una remissione. Nel carcinoma prostatico metastatico la combinazione di una CID e di una diffusa fibrinolisi secondaria possono richiedere la somministrazione combinata di eparina e di acido ε-aminocaproico (AEAC) per controllare la sindrome emorragica (p. es., può essere somministrata una dose iniziale di eparina di 500 UI e di 1 g/h di AEAC per infusione EV continua, controllandone l’efficacia con l’osservazione clinica del sanguinamento, con la conta piastrinica e con determinazioni del fibrinogeno). L’eparina non deve mai essere somministrata nella CID secondaria a traumi cranici o quando si sospetti un’emorragia del SNC da qualunque altra causa. I concentrati di antitrombina III possono sortire beneficio in un paziente con livelli di antitrombina III < 60% e grave emorragia. Concentrati di proteina C attivata hanno mostrato beneficio clinico in alcuni pazienti con meningococcemia e CID. L’irudina, inibitore del fattore tissutale, e gli inibitori delle proteasi a serina sono oggetto di studio.

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Infezioni nell'ospite compromesso

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 151. INFEZIONI NELL'OSPITE COMPROMESSO MANIFESTAZIONI DI INFEZIONE Sommario: Introduzione Terapia farmacologica e alterati meccanismi di difesa dell’ospite compromesso Infezioni (ospedaliere) nosocomiali Alterazioni delle barriere anatomiche Meccanismi cellulari o difese umorali dell'ospite alterate Profilassi Terapia

Le infezioni che insorgono in pazienti i cui meccanismi di difesa siano compromessi variano da quelle di minore entità fino a quelle fatali e sono spesso provocate da microrganismi che normalmente risiedono sulle superfici corporee. Nell’ambiente ospedaliero sono frequenti come conseguenza di una colonizzazione da parte di microrganismi antibiotico-resistenti e dell’uso di cateteri e apparecchiature mediche. Le infezioni nosocomiali nel neonato sono trattate in Infezioni neonatali nel Cap. 260. Le infezioni opportunistiche in corso di AIDS sono trattate nel Cap. 163. I meccanismi di difesa dell’organismo (fisiologici, anatomici o immunologici) possono essere alterati o compromessi da malattie, da traumi oppure da procedure o agenti usati per diagnosi e terapia. In tale contesto le infezioni, spesso dette opportunistiche, si verificano se la terapia antimicrobica altera le normali relazioni tra l’ospite e i microbi oppure se i meccanismi di difesa dell’ospite risultano alterati da età, ustioni, neoplasie, disordini metabolici, irradiazioni, corpi estranei, farmaci immunosoppressivi o citotossici, corticosteroidi oppure da procedure strumentali diagnostiche o terapeutiche. L’alterazione di base predispone il paziente alle infezioni da microflora endogena, non patogena o da microrganismi saprofiti, normalmente innocui, acquisiti per contatto da altri pazienti, dal personale sanitario o da apparecchiature. Questi microrganismi possono essere batteri, funghi, virus o altri parassiti. Il tipo di alterazione delle difese dell’ospite determina quali microrganismi avranno la probabilità di essere coinvolti. Questi organismi sono spesso resistenti a molteplici antibiotici.

Terapia farmacologica e alterati meccanismi di difesa dell’ospite compromesso Gli antibiotici alterano la microflora normale della cute, delle mucose e del tratto GI e possono provocare la colonizzazione di tali organi da parte di nuovi microrganismi. La colonizzazione di per sé è innocua, ma può essere seguita da sovrainfezione vale a dire dall’invasione da parte di microrganismi endogeni o ambientali resistenti all’antibiotico somministrato. I fattori che predispongono alla sovrainfezione comprendono età, malattie debilitanti e trattamento prolungato con antibiotici, specialmente quelli ad ampio spettro. Le sovrainfezioni compaiono file:///F|/sito/merck/sez13/1511179.html (1 of 4)02/09/2004 2.08.28

Infezioni nell'ospite compromesso

solitamente tra il 4o e il 5o giorno di terapia e possono trasformare una malattia benigna e autolimitata in una malattia grave, prolungata o addirittura fatale. La diagnosi di sovrainfezione ad opera di un microrganismo normalmente saprofita è certa soltanto quando si isola il microrganismo dal sangue, dal LCR o dal liquido di una cavità corporea. I farmaci citotossici aumentano la suscettibilità alle infezioni per leucopenia e trombocitopenia, una depressione della risposta immunitaria cellulo-mediata e inoltre, un’alterazione della risposta infiammatoria. La maggior parte delle infezioni opportunistiche deriva da una leucopenia. I corticosteroidi alterano molti aspetti delle difese dell’ospite; uno dei più importanti è l’inibizione del movimento di neutrofili, monociti e linfociti nell’essudato infiammatorio. I corticosteroidi possono riattivare una TBC polmonare quiescente, l’istoplasmosi, la coccidioidomicosi e la blastomicosi. Pazienti sottoposti a terapia corticosteroidea (specialmente se ad alti dosaggi) per AR, colite ulcerosa, asma, sarcoidosi, LES, pemfigo o sindrome di Cushing, hanno un’elevata predisposizione alle infezioni da parte di batteri consueti e inconsueti; essi tendono anche a sviluppare infezioni sostenute da Aspergillus, Candida, Cryptococcus, Mucor e Nocardia.

Infezioni (ospedaliere) nosocomiali Queste infezioni vengono contratte dall’ambiente ospedaliero, attraverso il personale (p. es., a causa di apparecchiature non ben sterilizzate o di un lavaggio delle mani sommario). Esse di solito si verificano quando un paziente suscettibile ha una porta di ingresso da una barriera anatomica alterata (v. oltre) o ha ricevuto una terapia antibiotica ad ampio spettro. Sono comunemente provocate da Stafilococchi, Enterobacter, Klebsiella,0 Serratia, Pseudomonas, Proteus, Acinetobacter, Aspergillus o Candida.

Alterazioni delle barriere anatomiche Pazienti con ustioni estese o pazienti sottoposti a procedure diagnostiche o terapeutiche che interrompano le normali barriere anatomiche contro le infezioni (p. es., tracheotomia, terapia inalatoria, applicazioni strumentali sul tratto urinario, inserimento di cateteri a permanenza uretrali o EV, chirurgia e applicazione di protesi chirurgiche) risultano vulnerabili alle infezioni causate da microrganismi antibiotico-resistenti endogeni o esogeni. I batteri gram –, specialmente lo Pseudomonas e la Serratia e altri germi multi-resistenti, da soli o in combinazione con stafilococchi, provocano batteriemia e infezioni dei tessuti molli in pazienti con ustioni gravi. Una batteriuria significativa si sviluppa in pazienti con cateteri uretrali a permanenza, aumentando così il rischio di cistite, di pielonefrite e di batteriemia da bacilli gram –. Le sepsi provenienti dai siti di cateteri EV, dovute a stafilococchi, a organismi gram – o a Candida, possono causare una suppurazione locale o un’infezione sistemica grave, a volte mortale. I pazienti con tubi endotracheali o con tracheotomia e coloro che richiedano una ripetuta aspirazione tracheale o una terapia inalatoria con apparecchiature contenenti serbatoi di nebulizzazione di liquidi, possono andare incontro a infezioni broncopolmonari da parte di organismi gram-nosocomiali.

Meccanismi cellulari o difese umorali dell'ospite alterate Malattie neoplastiche e disordini immunodeficitari, come leucemia, anemia aplastica, malattia di Hodgkin, mieloma e infezione da HIV, sono caratterizzati da difetti selettivi delle difese dell’ospite. Pazienti con ipogammaglobulinemia, mieloma, macroglobulinemia o leucemia linfocitica cronica tendono ad avere meccanismi di risposta immunitaria umorale deficienti e a sviluppare polmonite file:///F|/sito/merck/sez13/1511179.html (2 of 4)02/09/2004 2.08.28

Infezioni nell'ospite compromesso

pneumococcica o da Haemophilus (v. anche Polmonite nel Paziente Defedato nel Cap. 73) e batteriemia. Pazienti con neutropenia dovuta a leucemia e quelli con neutropenia dovuta a terapia intensiva immunosoppressiva o radiante sviluppano frequentemente una setticemia da gram – originata da infezioni acquisite delle mucose o secondaria a una polmonite (v. Cap. 135). I pazienti gravemente immunosoppressi e quelli con morbo di Hodgkin e infezione da HIV tendono ad avere meccanismi immunitari cellulari depressi; sono frequenti in essi anche infezioni gravi da micobatteri, Aspergillus, Candida, Cryptococcus, Histoplasma, Mucor, Nocardia o Staphylococcus. Possono anche verificarsi infezioni da herpes zoster, cytomegalovirus, Pneumocystis e Toxoplasma. Spesso la AIDS provoca infezioni causate da micobatteri atipici, da herpes simplex, Giardia, Cryptosporidia, Isospora e molte altre. (La AIDS è trattata nel Cap. 163 e altre specifiche patologie da immunodeficienza sono descritte nel Cap-147.)

Profilassi La conoscenza dei meccanismi di infezione che si realizzano nel paziente compromesso aiuta a riconoscere precocemente le infezioni e a iniziare una terapia adeguata. Sono di ausilio inoltre, la consapevolezza della sede specifica di rottura delle difese, del tipo di sistema di difesa che è stato indebolito o compromesso e delle caratteristiche dei microrganismi presenti in un particolare ambiente, in base a una sorveglianza ospedaliera. La profilassi antibiotica (v. anche Chemioprofilassi antimicrobica nel Cap. 153) è indicata per alcune condizioni, come febbre reumatica, endocardite batterica, esposizione alla TBC, IVU ricorrenti, otite media ricorrente, infezioni batteriche in pazienti granulocitopenici e alcuni tipi di infezioni da Neisseria. La profilassi antibiotica è indicata anche dopo isterectomia vaginale o addominale; dopo interventi di chirurgia su colon e retto, cuore, vasi o articolazioni; dopo prostatectomia in soggetti con IVU pregresse, e nella pneumocistosi nei pazienti con AIDS (v. Polmonite causata da Pneumocystis carinii nel Cap. 73). Tuttavia l’uso di antibiotici ad ampio spettro, di dosi massicce di qualsiasi antibiotico o l’uso profilattico di antibiotici sistemici può provocare infezioni ad opera di germi resistenti. Nei pazienti che ricevono antibiotici bisognerà rilevare l’eventuale insorgenza di segni di sovrainfezione. I fattori di crescita emopoietici, il fattore stimolante i granulociti e il fattore stimolante granulociti e macrofagi, possono accelerare il recupero emopoietico dopo la chemioterapia. Essi sono utili nel prevenire le infezioni sostenute da agenti che causano una neutropenia transitoria. Il loro uso più amplio per prevenire o trattare altre infezioni è in corso di studio. L’immunizzazione attiva o passiva aiuta a prevenire alcuni tipi di infezione. Un’immunizzazione attiva può prevenire l’influenza e le infezioni da Haemophilus influenzae tipo b, le infezione meningococciche e pneumococciche. La vaccinazione antipneumococco risulta efficace nei soggetti con patologie croniche, negli splenectomizzati, negli anziani, nelle anemie falciformi e nei soggetti con malattia da HIV. Ai pazienti che ricevano ripetutamente emoderivati va somministrato il vaccino per l’epatite B. La stessa vaccinazione è indicata nel personale medico e infermieristico e in altre categorie a rischio. Con l’immunizzazione passiva si possono prevenire o alleviare l’herpes zoster, l’epatite sia A che B e le infezioni da cytomegalovirus in pazienti immunosoppressi selezionati. Una grave ipogammaglobulinemia richiede una terapia di mantenimento con immunoglobuline. L’uso di barriere fisiche è di ausilio nel controllo e nella prevenzione delle infezioni. Deve essere osservata un’asepsi rigorosa nelle procedure strumentali diagnostiche e terapeutiche. Il personale ospedaliero deve indossare guanti sterili durante l’aspirazione endotracheale o l’aspirazione tramite tracheostomia; i cateteri da suzione devono essere sterili e monouso. Per ottenere i migliori risultati, le maschere, i tubi, le borse di nebulizzazione e le altre apparecchiature per la terapia respiratoria collegate direttamente alle vie aeree del paziente, file:///F|/sito/merck/sez13/1511179.html (3 of 4)02/09/2004 2.08.28

Infezioni nell'ospite compromesso

devono essere sterilizzate a vapore o a gas prima dell’uso e devono essere cambiati quotidianamente. Quando non è possibile una sterilizzazione a vapore o a gas, l’apparecchiatura va disinfettata con glutaraldeide al 2% o con un bagno di acido acetico al 2%, seguito da accurato risciacquo e da asciugatura. In alternativa è di solito soddisfacente la nebulizzazione con acido acetico allo 0,25%, con un completo e accurato risciacquo successivo, allo scopo di pulire quotidianamente un ventilatore in uso. Bisogna porre una cura particolare per assicurarsi che gli augelli da dove passa l’ossigeno siano stati completamente puliti. I cateteri uretrali devono essere collegati a borse di drenaggio sterili e chiuse e l’intero sistema va tenuto chiuso. I cateteri EV devono essere inseriti saldamente, coperti con il cerotto sterile protettivo e rimossi dopo 48-72 h o al primo segno di flebite. Sulla sede dell’incannulamento e sulla parte emergente del catetere bisogna applicare quotidianamente un unguento di neomicina, polimixina B e bacitracina oppure un unguento allo iodio (p. es., iodio-povidone), per prevenire le infezioni. La tromboflebite risponde abitualmente alla rimozione del catetere e all’applicazione locale di impacchi caldi, anche se può rendersi necessaria una terapia antibiotica diretta a uno specifico organismo identificato oppure agli agenti presunti.

Terapia Le infezioni opportunistiche sono difficili da trattare una volta che si siano impiantate dal momento che gli organismi tendono a essere resistenti agli antibiotici di uso più comune. La terapia a breve termine tende semplicemente a sopprimere l’infezione temporaneamente a meno che la condizione di base non possa essere corretta (p. es., rimozione dei cateteri uretrali o EV o chiusura della tracheostomia); perciò il trattamento deve essere spesso più lungo del consueto. Emocolture e possibilmente biopsie tissutali vanno effettuate prima di iniziare o di modificare la terapia antibiotica, anche se la terapia può dover essere iniziata nell’attesa dei risultati di laboratorio sulla base della diagnosi clinicobatteriologica e sulla conoscenza degli organismi di cui è nota la prevalenza in una particolare istituzione e sulla loro presunta sensibilità. Se possibile, durante la terapia di un’infezione opportunistica, bisogna ridurre il dosaggio di corticosteroidi e di immunosoppressori. Pazienti con gravi agranulocitosi che presentano un’infezione documentata possono giovarsi di trasfusioni di granulociti. Ulteriori dettagli terapeutici sono contenuti nella trattazione delle specifiche patologie di base in altri capitoli del Manuale.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE NEL PAZIENTE DEFEDATO Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

I patogeni potenziali nei pazienti con difese immunitarie deficitarie sono estremamente numerosi. Tuttavia, i patogeni probabili possono essere spesso predetti sulla base della compromissione immunologica dell'ospite, dei reperti rx e dell'insieme dei sintomi clinici. I patogeni più probabili in base al tipo di compromissione delle difese del paziente sono riepilogati nella Tab. 73-1. La sintomatologia respiratoria e le modificazioni alla rx del torace possono essere dovute a svariati meccanismi diversi dall'infezione, quali l'emorragia polmonare, l'edema polmonare, i danni polmonari da radiazioni e da farmaci citotossici e gli infiltrati neoplastici. La velocità di progressione della malattia è utile per identificare il meccanismo responsabile. Nei pazienti con una sintomatologia acuta, le diagnosi più verosimili sono le infezioni batteriche, l'emorragia, l'edema polmonare, una reazione di agglutinazione dei leucociti e l'embolia polmonare. Un'insorgenza subacuta o cronica è più suggestiva di un'infezione da funghi o da micobatteri, di un'infezione virale opportunistica, di una polmonite da Pneumocystis carinii, di un tumore, di una reazione citotossica da farmaci oppure di un danno da radiazione. È utile anche il quadro delle alterazioni radiografiche. Le rx del torace che mostrano una patologia localizzata con addensamento di solito indicano un coinvolgimento di batteri, funghi o di Nocardia sp. Un quadro interstiziale diffuso rappresenta più verosimilmente un’infezione virale, una polmonite da P. carinii, un danno da farmaci o da radiazioni oppure un edema polmonare. Lesioni nodulari diffuse sono suggestive di micobatteri, di Nocardia sp, di funghi oppure di un tumore. Una patologia cavitaria è suggestiva di micobatteri, di Nocardia sp, di funghi o di batteri. Nei riceventi di trapianto con polmonite interstiziale bilaterale, la causa abituale è il citomegalovirus, oppure la malattia è idiopatica. Un addensamento a base pleurica è generalmente un'aspergillosi. Nei pazienti con AIDS, le polmoniti bilaterali sono solitamente polmoniti da P. carinii.

Diagnosi e terapia La strategia diagnostica varia a seconda del quadro clinico e delle risorse disponibili. Le prime indagini sono rappresentate di solito dalle colorazioni e dalla coltura dell'espettorato, che però sono spesso inconcludenti dal punto di vista diagnostico. A causa del rischio di un trattamento inadeguato nei pazienti compromessi, le procedure invasive (solitamente la broncoscopia, l'aspirazione transtoracica con ago o la biopsia polmonare a cielo aperto) sono spesso indicate. Una biopsia, che fornisce tessuto sia per esami istologici che colturali, può essere effettuata in corso di broncoscopia (biopsia transbronchiale) oppure di una procedura chirurgica a cielo aperto. Sebbene quest'ultima di solito richieda un'anestesia generale e la permanenza di un tubo di drenaggio toracico dopo l'intervento, essa permette di prelevare direttamente dalle zone interessate

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Polmonite

campioni sicuri sotto visione diretta; essa rimane pertanto il procedimento più definitivo con il più alto valore diagnostico. Però molti di questi pazienti sono in condizioni troppo scadute per essere sottoposti a una manovra bioptica invasiva; in tali casi, un lavaggio broncoalveolare in corso di broncoscopia può spesso fornire del materiale diagnostico. I pazienti con patologia acuta, nei quali si sospetta un'infezione, sono spesso trattati con antibiotici scelti sulla base della diagnosi presuntiva e dei risultati dello striscio colorato con il Gram e dell'esame colturale dell'espettorato. La terapia viene modificata sulla base di valutazioni diagnostiche più definitive, come sopra descritto.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI CHEMIOPROFILASSI ANTIMICROBICA Sommario: Introduzione PROFILASSI CONTRO GERMI PATOGENI ESOGENI PROFILASSI CONTRO PATOGENI ENDOGENI PROFILASSI IN CHIRURGIA PROFILASSI CONTRO PATOGENI DORMIENTI O LATENTI

Il termine di chemioprofilassi antimicrobica si riferisce al puntuale e giudizioso uso dei farmaci antibiotici per la prevenzione delle infezioni, cioè, la malattia sintomatica causata da microrganismi. Sebbene i farmaci antimicrobici svolgano un ruolo centrale nella chemioprofilassi, al processo contribuiscono anche le difese immunitarie. Una profilassi destinata ad avere successo richiede o dei patogeni bersaglio che non abbiano una probabilità di sviluppare resistenza ai farmaci utilizzati oppure situazioni cliniche in cui la durata del rischio sia misurato in ore o in giorni, in modo tale da permettere un uso efficace di farmaci antimicrobici prima che possa emergere una resistenza.

PROFILASSI CONTRO GERMI PATOGENI ESOGENI La prevenzione di un’infezione causata da patogeni esogeni, organismi questi che non fanno solitamente parte della normale flora umana, può comportare la distruzione di microbi prima che essi si attacchino alle cellule dell’ospite, modificando in tal modo il microbo onde prevenire l’adesione o eradicando la colonizzazione prima che l’invasione tissutale o la produzione di tossine abbia inizio. Le indicazioni per la profilassi riguardano le infezioni causate da Streptococcus pyogenes nei pazienti con storia di febbre reumatica o da cardiopatia reumatica (v. Cap. 270) e nei pazienti con cellulite ricorrente (v. Cap. 112). Vengono trattati di frequente i pazienti che hanno ricevuto morsi da animali o da uomini. La scelta del farmaco è controversa, anche se l’amoxicillina 500 mg/clavulanato 125 mg PO tid per 5 giorni viene spesso raccomandata nel caso di morsi di gatto, cane e di morsicature umane. L’amoxicillina 500 mg qid o doxiciclina 100 mg bid PO è efficace nella prevenzione della malattia di Lyme dopo punture di zecche; tuttavia, la profilassi viene raramente indicata in quanto il rischio di infezione è in genere basso (v. Malattia di Lyme nel Cap. 157). Sebbene la Neisseria meningitidis e l’Haemophilus influenzae tipo b possano occasionalmente colonizzare il tratto respiratorio superiore di soggetti sani, alcuni soggetti esposti a pazienti con meningite o altra malattie invasive causate da questi batteri possono necessitare di profilassi. I contatti familiari, i bambini con contatti con gli asili nido e altri soggetti esposti a secrezioni respiratorie di pazienti con malattia meningococcica invasiva (p. es., medici che effettuano manovre di rianimazione bocca a bocca) devono ricevere la rifampicina alla dose di 600 mg PO bid per 2 giorni se di età > 12 anni. La dose pediatrica è di 5 mg/kg q 12 h PO per 2 giorni se di età < l mese e 10 mg/kg q 12 h PO (massimo 600 mg) per 2 giorni se di età compresa tra 1 mese e 12 anni. Il ceftriazone 125 mg IM nei bambini di età < 12 anni e lo stesso farmaco alla dose di 250 mg IM negli adulti costituiscono altri schemi di profilassi. In alternativa, una dose file:///F|/sito/merck/sez13/1531209.html (1 of 5)02/09/2004 2.08.30

Farmaci antibatterici

singola di ciprofloxacina 500 mg PO può essere somministrata ad adulti di età superiore a 18 anni. Se i contatti familiari non vaccinati di pazienti con malattia invasiva causata da H. influenzae tipo b sono bambini di età < 4 anni, tutti i membri della famiglia con l’eccezione delle donne in gravidanza devono ricevere una terapia orale con rifampicina 20 mg/kg (massimo 600 mg) al giorno per 4 giorni nel caso in cui abbiano un’età > 1 mese e 10 mg/kg per 4 giorni se di età < 1 mese. Tale regime profilattico va utilizzato inoltre in concomitanza alla somministrazione di vaccino ai bambini suscettibili degli asili nido, specialmente quando si verifichino due o più casi nell’arco di 60 giorni e i contatti comprendano bambini non vaccinati di età < 2 anni. I soggetti che viaggiano verso aree di endemia malarica devono ricevere una chemioprofilassi (v. Cap. 161). Sebbene numerosi studi abbiano dimostrato che la profilassi antimicrobica possa ridurre la frequenza della diarrea del viaggiatore quando si viaggia per periodi di breve durata verso aree ad alto rischio, l’indicazione alla profilassi rimane controversa in quanto essa può determinare l’insorgenza di resistenza. Per questa indicazione una profilassi che possa avere successo richiede una certa conoscenza dei pattern di suscettibilità locale dei patogeni per cui ci si voglia attuare una profilassi; di solito questi sono costituiti da ceppi produttori di tossina di Escherichia coli. La maggior parte degli esperti preferisce riservare la terapia antibiotica per i soggetti che sviluppano diarrea. Per coloro che comunque devono essere sottoposti a profilassi risultano efficaci la ciprofloxacina 500 mg/die PO, la norfloxacina 400 mg/die PO oppure due compresse di salicilato di bismuto PO qid. In alcune aree a basso tasso di resistenza antibiotica, possono risultare efficaci il trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX) 160 mg/die (TMP) e 800 mg/die (SMX) oppure doxiciclina 100 mg/ die. La profilassi antimicrobica viene inoltre utilizzata per prevenire alcune infezioni virali. La profilassi con amantadina o con rimantadina è efficace durante le epidemie di influenza A (v. Cap. 162). Allo stesso modo, quanti vengano esposti a sangue per via parenterale o ad alcuni altri liquidi biologici di pazienti con infezione da HIV o quanti siano esposti in laboratorio al HIV possono avere bisogno di profilassi con farmaci antiretrovirali (v. Cap. 163). Alcuni altri usi della chemioprofilassi vengono raccomandati, anche in assenza di prove fornite da studi clinici controllati. Per prevenire la peste nei soggetti esposti e nei tecnici di laboratorio sembrano essere efficaci le tetracicline 30 mg/kg/ die PO in 4 dosi per 10 giorni o la streptomicina 1 g IM die per 1 sett. Per la prevenzione della pertosse nei contatti stretti o nei soggetti colonizzati, si utilizza eritromicina in una dose orale di 12,5 mg/kg qid (da non eccedere 2 g/die) per 14 giorni. La chemioprofilassi è ampliamente utilizzata per prevenire le malattie a trasmissione sessuale nei contatti di casi con malattia in atto e nelle vittime di violenza sessuale. I partner sessuali di pazienti con gonorrea, ulcera venerea, linfogranuloma venereo, uretrite non gonococcica, sifilide, tricomoniasi, scabbia, pedicolosi del pube e infezioni causate da Chlamydia trachomatis ricevono cicli terapeutici standard dei farmaci normalmente utilizzati nel trattamento delle stesse infezioni sia che i sintomi siano presenti o meno (v. Cap. 164). Le vittime di violenza sessuale sono trattate con singole dosi di ceftriazone 250 mg IM e metronidazolo 2 g PO e con doxiciclina 100 mg PO bid per 7 giorni. Un’unica applicazione topica di nitrato d’argento all’1%, di pomata oftalmica allo 0,5% di eritromicina o di pomata oftalmica all’1% di tetraciclina sono utilizzate per la prevenzione delle infezioni oculari da gonococco e da clamidia nei neonati (v. Cap. 260). Penicillina V, 20 mg/kg/die in 2 dosi nei bambini di età < 5 anni e 250 mg PO bid nei bambini di età > 5 anni o amoxicillina, 125 mg PO bid nei bambini di età < 5 anni e 250 mg PO bid nei bambini di età > 5 anni, vengono somministrati ai bambini affetti da anemia falciforme o ipogammaglobulinemia o dopo splenectomia onde prevenire gravi infezioni pneumococciche. Sebbene la profilassi sia controversa, alcuni esperti la raccomandano sino all’età di 5 anni o 5 anni dopo la rimozione chirurgica della milza, a secondo di quale dei due intervalli sia più lungo. La dose di 250-mg bid PO di penicillina V e l’amoxicillina sono state utilizzate anche negli adulti dopo la splenectomia, ma la loro efficacia non è stata determinata. Per ridurre negli adulti i tassi di infezione nei pazienti con malattia granulomatosa cronica viene ampliamente usato il TMP-SMX in una dose PO di 8 mg/kg (TMP) e 40 mg/kg (SMX) bid nei bambini e 80 mg/kg (TMP) e 400 mg/kg (SMX) negli adulti. Esistono specifiche linee guida per la profilassi di

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Farmaci antibatterici

persone affette da AIDS e da altre cause di immunodeficienza.

PROFILASSI CONTRO PATOGENI ENDOGENI La prevenzione delle infezioni sostenute da patogeni endogeni, sporadici o permanenti costituenti della flora umana normale comporta di solito un trattamento prolungato di soggetti con colonizzazione cronica onde prevenire le infezioni di batteri dal sito della colonizzazione a siti più vulnerabili. Per esempio, pazienti adulti con infezioni cutanee ricorrenti causate da S. aureus hanno un minor numero di infezioni quando ricevono una dose di clindamicina PO di 150 mg una volta al giorno. I pazienti in trattamento emodialitico portatori nasali di S. aureus e con storia di infezioni ricorrenti causate da questo organismo presentano tassi ridotti di infezione con la somministrazione di una dose PO di rifampicina 600 mg bid per 5 giorni più bacitracina applicata topicamente nelle narici per 7 giorni ogni 3 mesi se le colture nasali sono positive per S. aureus. La mupirocina intranasale bid può sostituire in questo schema la bacitracina. I bambini con storia di otiti ricorrenti hanno meno recidive se trattati in profilassi. Allo stesso modo le donne con storia di più di tre IVU l’anno presentano tassi di infezione ridotti se sottoposte a profilassi. I pazienti che presentano vie biliari compromesse e frequenti recidive di infezioni ascendenti sembrano avere tassi di infezione ridotti dopo l’assunzione di TMP-SMX o di ciprofloxacina 500 mg bid PO. In altri casi solo uno o due giorni di terapia antibiotica sono necessari per prevenire l’infezione. Le infezioni da Streptococcus agalactiae in donne in gravidanza e in neonati possono essere prevenute con la somministrazione intraparto di penicillina G o con un ciclo di ampicillina. Generalmente soltanto 1 o 2 dosi di antibiotici sono raccomandate nella prevenzione dell’endocardite nei pazienti con patologia valvolare o patologia cardiaca congenita che si sottopongono a interventi odontoiatrici o ad altre procedure che possono indurre batteriemia (v. Cap. 208). I pazienti che effettuano cicli intensivi di chemioterapia per tumori maligni che hanno un numero assoluto di neutrofili < 500 cellule/µl per 1 sett. sono ad alto rischio di infezioni batteriche causate da flora residente del tratto GI. Sebbene controversa, la terapia antimicrobica profilattica è stata utilizzata per sopprimere la flora endogena dell’intestino e ridurre il tasso di infezione durante la fase neutropenica. I pattern di resistenza antimicrobica e i trend in alcuni centri medici depongono contro questo approccio alla profilassi. Quando si decide di utilizzarla, la terapia profilattica per i pazienti neutropenici include sia la nistatina PO (compresse 200000-U qid o 500000-U di soluzione o compresse qid) sia clotrimazolo (10 mg 5 volte al giorno) per contrastare la Candida sp e altri miceti, più antibiotici PO. Penicillina V 500 mg bid PO viene somministrata con SMX/ TMP 1600/320 mg bid o con un fluorochinolone-ciprofloxacina 500 mg bid, norfloxacina 400 mg bid od ofloxacina 400 mg bid. L’aggiunta di fluconazolo a uno dei due regimi non porta beneficio. In pazienti sottoposti a trapianto allogenico di midollo, approcci simili vengono utilizzati per la prevenzione durante la prolungata fase di neutropenia prima del trapianto midollare. Pazienti critici ricoverati nei reparti di terapia intensiva che richiedono intubazione e ventilazione meccanica per più di qualche giorno sono ad alto rischio di sviluppare polmoniti batteriche. La decontaminazione selettiva del tratto digestivo, che viene ampiamente utilizzata in Europa, combatte tale rischio con terapia topica e con terapia antibiotica sistemica. Essa ha lo scopo di prevenire la colonizzazione orofaringea e del tratto GI da parte di bacilli aerobi gram – e di Candida sp. Nella maggior parte degli studi, una pomata contenente polimixina B, tobramicina o gentamicina e amfotericina B o nistatina è stata applicata alla mucosa orale qid per la durata dell’intubazione, e soluzioni degli stessi antibiotici sono stati somministrati oralmente o attraverso un tubo nasogastrico diverse volte al giorno. Un altro approccio è costituito dalla

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Farmaci antibatterici

somministrazione per i primi 5 giorni di cefotaxime da 1 a 2 g EV q 8 h. Sebbene tali regimi abbiano ridotto i tassi di infezione come descritto in numerosi studi, in particolare in quelli riguardanti le polmoniti nosocomiali, negli USA non esiste univocità di consensi nel raccomandarne l’uso.

PROFILASSI IN CHIRURGIA Gli antibiotici vengono utilizzati prima degli interventi per prevenire l’ingresso di flora endogena nei siti corporei normalmente sterili. Di regola la profilassi è utile nelle cosiddette procedure pulite soltanto quando il materiale protesico o presidi di altri tipo siano inseriti nel corso dell’operazione e nelle procedure pulitecontaminate che sono definite dall’attraversamento delle superfici mucose respiratorie, gastrointestinali o genitourinarie. Tutte queste superfici sono popolate dalla normale flora dell’ospite, che inevitabilmente contamina la ferita e causa un’alta incidenza di infezioni della ferita chirurgica se non vengono somministrati farmaci antibiotici come profilassi. La selezione degli antibiotici si basa sul tipo di germe che ha maggiori probabilità di contaminare la ferita durante una specifica procedura. Schemi di profilassi per le varie procedure comunemente raccomandati sono elencati nella Tab. 153-3. Queste raccomandazioni possono necessitare di modifiche alla luce di eventuali allergie del paziente, di pattern locali di resistenza e di tassi locali di infezione. Onde prevenire in maniera efficace le infezioni del sito chirurgico, i farmaci antimicrobici sono di solito somministrati EV al momento dell’induzione dell’anestesia per assicurare concentrazioni adeguate nella ferita quando viene eseguita la prima incisione. A seconda della durata della procedura e della farmacocinetica dei farmaci, dosi aggiuntive possono essere necessarie durante l’intervento. La necessità di dosi aggiuntive dopo la chiusura della ferita è molto controversa ma esse sono raccomandate da molti esperti (v. Tab. 153-3). La profilassi non va continuata per > 24 h a meno che un’infezione attiva non venga identificata durante l’intervento.

PROFILASSI CONTRO PATOGENI DORMIENTI O LATENTI La prevenzione delle infezioni sostenute da patogeni dormienti o latenti, vale a dire di microrganismi già residenti nell’organismo dell’ospite ma che al momento non causano patologia, richiede sia l’eradicazione microbica prima che le difese immunitarie si indeboliscano e permettano all’organismo di proliferare che una continua soppressione dei rimanenti microrganismi, in modo da impedirne moltiplicazione e disseminazione. Per esempio, la profilassi con acyclovir riduce drasticamente il tasso e la gravità delle recidive nei soggetti con herpes genitale che siano soggetti ad attacchi multipli (v. Cap. 164). Allo stesso modo, la profilassi con isoniazide riduce di molto la probabilità che soggetti con infezione tubercolare latente sviluppino un quadro di patologia sintomatica (v. Cap. 157). La terapia antibiotica viene utilizzata frequentemente per la prevenzione delle infezioni sostenute da agenti patogeni latenti o dormienti nei pazienti immunocompromessi. La profilassi con TMP-SMX previene la polmonite da Pneumocystis carinii in soggetti sottoposti a chemioterapia intensiva per varie forme di tumori maligni o procedure di trapianto. TMP-SMX, pentamidina per aerosol, dapsone, e altri farmaci vengono utilizzati per la prevenzione della polmonite da P. carinii in patienti con AIDS (v. Cap. 163). Inoltre, i pazienti con AIDS, a seconda del numero dei CD4+ e dell’esposizione, ricevono spesso profilassi per prevenire malattie sintomatiche causate da infezioni opportunistiche (v. Cap. 163). Simili obiettivi per la profilassi si incontrano nel corso di procedure trasfusionali e di trapianti di organi solidi (v. Cap. 149).

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE MALATTIE PROVOCATE DA SPIROCHETE (V. anche Sifilide al Cap. 164.) MALATTIA DI LYME (Borreliosi di Lyme) Malattia infiammatoria trasmessa dalle zecche, che causa un rash (erythema [chronicum]migrans) che può essere seguito dopo settimane o mesi da alterazioni neurologiche, cardiache o articolari.

Sommario: Epidemiologia e patologia Sintomi e segni Indagini radiologiche e di laboratorio Diagnosi differenziale Terapia

Epidemiologia e patologia La malattia di Lyme è stata identificata nel 1975 per il verificarsi, in tempi ravvicinati, di un gruppo di casi nella città di Lyme, nel Connecticut. Da allora è stata notificata in 49 stati degli USA, anche se oltre il 90% dei casi si verifica tra il Massachussetts e il Maryland, nel Wisconsin e nel Minnesota, in California e nell’Oregon. Per diversi anni la malattia di Lyme è stata la malattia trasmessa con morso di zecca più diffusa negli USA. La malattia di Lyme si verifica anche in Europa, nei paesi dell’ex URSS, in Cina e in Giappone. L’esordio si verifica generalmente in estate e all’inizio dell’autunno. La maggior parte dei pazienti è costituita da bambini e giovani adulti che vivono in zone boscose. La malattia di Lyme è provocata da una spirocheta, la Borrelia burgdorferi, trasmessa principalmente da piccolissime zecche del gruppo Ixodes ricinus. Negli USA il topo dalle zampe bianche è il principale animale serbatoio della B. burgdorferi nonché l’ospite preferito per lo stadio ninfale e larvale dell’I. scapularis (dammini), la zecca dei cervi. Negli USA gli ospiti preferiti per le zecche adulte sono i cervi, in Europa le pecore. Altri mammiferi (p. es., i cani) possono essere incidentalmente ospiti e possono sviluppare la malattia di Lyme. Le zecche dei cervi allo stadio ninfale, quello che attacca gli uomini, sono molto piccole e difficili da vedere. Dopo che si sono attaccate alla cute, continuano per giorni a ingurgitare sangue. La trasmissione della B. burgdorferi abitualmente non si verifica fino a al momento che la zecca infettata non sia stata in sede per almeno 36-48 h; pertanto, dopo una potenziale esposizione, la ricerca delle zecche e la loro rimozione possono aiutare a prevenire l’infezione. La B. burgdorferi penetra nella cute nel punto del morso di zecca. Essa può diffondersi ai linfonodi, determinando un’adenopatia regionale, o disseminarsi nel sangue agli organi o ad altre localizzazioni cutanee. La relativa scarsità dei microrganismi nei tessuti coinvolti suggerisce che la maggior parte delle

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Malattie batteriche

manifestazioni dell’infezione è determinata dalla risposta immune dell’ospite piuttosto che dalle proprietà lesive del microrganismo.

Sintomi e segni L’eritema migrante costituisce la caratteristica principale e il principale indicatore clinico della malattia di Lyme in almeno il 75% dei pazienti; inizia come una macula o una papula rossa, generalmente situata nella parte prossimale di un arto o sul tronco (specialmente coscia, gluteo o ascella), da 3 a 32 giorni dopo il morso della zecca. L’area si ingrandisce, spesso schiarendosi al centro, fino a un diametro superiore ai 50 cm. Immediatamente dopo l’esordio, in circa 1/2 dei pazienti non trattati, si sviluppano lesioni multiple, generalmente più piccole, che non presentano però la zona centrale indurita. Gli esami colturali delle biopsie di queste lesioni secondarie risultano positivi, a indicare la disseminazione dell’infezione. L’eritema migrante dura di solito alcune settimane; durante la fase di risoluzione possono comparire lesioni evanescenti e, prima degli attacchi ricorrenti di artrite, possono ricomparire lesioni cutanee risolte. Le mucose sono integre. Una sindrome muscolo-scheletrica simil influenzale, con malessere, astenia, brividi, febbre, mal di testa, rigidità nucale, mialgie e artralgie, spesso accompagna l’eritema migrante (o lo precede di alcuni giorni). L’artrite franca è rara in questa fase della malattia. Meno frequenti sono le lombalgie, la nausea, il vomito, il mal di gola, la linfoadenopatia e la splenomegalia. La maggior parte dei sintomi è caratteristicamente variabile o intermittente, ma il malessere e l’astenia possono perdurare per settimane. Alcuni pazienti sviluppano sintomi di fibromialgia. Le alterazioni neurologiche si sviluppano in circa il 15% dei pazienti a distanza di settimane o mesi dall’eritema migrante (spesso prima dell’attacco artritico); durano diversi mesi e si risolvono in genere completamente. Le più comuni sono la meningite linfocitaria (pleiocitosi del LCR di circa 100 cellule/µl) o meningoencefalite, nevrite dei nervi cranici (specialmente tipo paralisi di Bell, che può essere bilaterale) e radicoloneurite motoria e sensitiva; queste manifestazioni possono verificarsi isolate o in combinazione. Le lesioni miocardiche si verificano nell’8% dei pazienti entro poche settimane dall’eritema migrante. Esse comprendono vari gradi di blocco atrioventricolare (di 1o grado, di Wenckebach o di 3o grado) e, raramente, la miopericardite con una ridotta gittata sistolica e cardiomegalia. L’artrite si sviluppa in circa il 60% dei pazienti affetti entro settimane-mesi (l’intervallo massimo registrato è stato di 2 anni) dall’inizio della malattia (come indicato dall’eritema migrante). Per diversi anni ricorrono tipicamente episodi di tumefazione e dolore di alcune grandi articolazioni periferiche, in modo particolare delle ginocchia. Le ginocchia interessate generalmente sono più gonfie che dolenti, spesso calde, raramente arrossate. Talvolta sono presenti le cisti di Baker che possono rompersi. Malessere, astenia e febbricola, possono precedere o accompagnare gli attacchi artritici. In circa il 10% dei pazienti si sviluppa un’artropatia cronica del ginocchio (che non regredisce per 6 mesi). Altri segni tardivi (che si verificano dopo anni dall’esordio della malattia) associati con la malattia di Lyme sono rappresentati da una lesione cutanea antibiotico sensibile (acrodermatite cronica atrofica) e da anomalie croniche del SNC.

Indagini radiologiche e di laboratorio La diagnosi di malattia di Lyme precoce, in un paziente con il tipico eritema migrante, in un’area endemica, non richiede la conferma di laboratorio. Inoltre, nonostante il test ELISA abbia una sensibilità dell’89% e una specificità del 72%, se il sospetto clinico è scarso (probabilità di malattia prima del test < 20%), un

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eventuale risultato positivo è più probabile che sia un falso-positivo piuttosto che un vero-positivo. Pertanto il test deve essere riservato ai pazienti nei quali il sospetto sia elevato. Sulla biopsia cutanea l’eritema migrante assomiglia al morso di un insetto-interessamento dell’epidermide e del derma al centro (che è spesso indurito) e del derma alla periferia. Tutti gli strati del derma presentano numerose infiltrazioni di cellule mononucleate intorno ai vasi sanguigni e agli annessi cutanei. Al centro il derma papillare è edematoso e l’epidermide presenta strati cheratinosi ingrossati ed edemi intra-ed extracellulari. L’isolamento della B. burgdorferi da molti tessuti e liquidi corporei tramite coltura è difficile e richiede settimane. I test per l’identificazione del DNA delle spirochete, mediante PCR, nonostante non siano ancora disponibili ovunque, possono essere utili nella diagnosi, soprattutto sul liquido articolare di pazienti non trattati. Il titolo degli anticorpi specifici contro le spirochete-prima IgM, quindi le IgG-viene determinato preferibilmente con l’ELISA o mediante immunofluorescenza indiretta ma è meno utile prima che il paziente abbia sviluppato gli anticorpi; titoli positivi devono essere confermati mediante Western blot. Quando si sospetta una malattia neurologica, titoli elevati nel LCR rispetto al siero possono essere d’aiuto. In fase precoce spesso si riscontrano crioprecipitati e immunocomplessi circolanti e la VES può essere elevata. L’Htc, i GB e la formula leucocitaria sono generalmente normali. I fattori reumatoidi e antinucleari sono raramente presenti e l’infezione non causa risultati falsamente positivi della VDRL. Durante la fase attiva della malattia le frazioni sieriche del complemento sono normali o elevate. L’analisi delle urine e i livelli della creatininemia risultano generalmente normali. I livelli delle AST e della LDH possono essere lievemente aumentati quando è presente l’eritema migrante. Nel siero della maggior parte dei pazienti con eritema migrante è presente un’elevata attività di legame C1q che tende a persistere nei pazienti che sviluppano anomalie neurologiche o cardiache. Quando compare l’artrite, gli immuno complessi generalmente non sono evidenti a lungo nel siero ma vengono ritrovati nel liquido sinoviale. I pazienti che sviluppano artrite cronica presentano una maggiore incidenza dell’alloantigene delle cellula B HLA-DR4 ma non dell’HLA-B27 (come si rinviene comunemente nei pazienti con spondilo-artropatie). I dati ottenuti dall’esame del liquido sinoviale variano ma rivelano costantemente la presenza di circa 25000/µl GB (ambito 500-110000/µl), soprattutto granulociti; circa 5 g/dl di proteine; e livelli di C3 e C4 generalmente > 1/3 rispetto a quelli sierici. Generalmente una membrana sinoviale colpita non è distinguibile da quella dei pazienti affetti da AR. I dati anatomopatologici rivelano ipertrofia villosa, congestione vascolare e presenza di colonie linfocitarie e plasmacellulari che possono somigliare a follicoli linfoidi che, come nella AR, sono probabilmente capaci di produrre localmente Ac. Inoltre possono essere presenti endoarteriti obliteranti nelle quali, raramente, è possibile dimostrare la presenza delle spirochete. Raramente si può verificare la formazione del pannus e l’erosione della cartilagine e dell’osso. I dati radiografici mostrano di solito un rigonfiamento del tessuto molle e, in alcuni pazienti, l’erosione della cartilagine e dell’osso.

Diagnosi differenziale Nei bambini, la malattia di Lyme deve essere distinta dall’AR giovanile e, negli adulti, dalla sindrome di Reiter e da un’AR atipica. Elementi diagnostici importanti comprendono l’assenza di rigidità al mattino, di noduli sottocutanei, di iridociclite, di lesioni della mucosa, del FR e degli Ac antinucleari. La malattia di Lyme, che si presenti come sindrome muscolo scheletrica simil influenzale estiva, può file:///F|/sito/merck/sez13/1571281.html (3 of 4)02/09/2004 2.08.31

Malattie batteriche

assomigliare all’erlichiosi, un’infezione emergente trasmessa dalla stessa zecca; l’assenza di leucopenia, di piastrinopenia, l’incremento delle transaminasi e dei corpi inclusi nei neutrofili, aiutano a distinguere la malattia di Lyme. La febbre reumatica acuta impone una diagnosi differenziale nei confronti dei pazienti affetti da poliartralgia migrante e da un allungamento dell’intervallo PR o da corea (come manifestazione clinica di meningoencefalite). Tuttavia i pazienti affetti da malattia di Lyme raramente presentano soffi cardiaci o storie di precedenti infezioni da streptococchi. L’assenza di interessamento del rachide la fanno distinguere dalle spondiloartropatie con interessamento articolare periferico. La malattia di Lyme può simulare una paralisi di Bell e anche altre cause di meningite linfocitica, di neuropatie periferiche, di astenia cronica e di altre sindromi che interessino il SNC.

Terapia Molti aspetti della malattia di Lyme rispondono agli antibiotici ma il tempo necessario per la risoluzione completa può andare molto oltre il periodo di trattamento e la terapia della forma precoce è la più efficace. La Tab. 157-5 a pagina seguente mostra gli schemi di trattamento raccomandati nell’adulto per le differenti presentazioni della malattia di Lyme, sulla base di studi pubblicati, considerazioni pratiche e giudizio clinico. La terapia ottimale per molte condizioni, incluse l’artrite e l’interessamento del SNC, è ancora in fase di miglioramento; tuttavia gli schemi indicati sono curativi nella maggior parte dei pazienti. I bambini < 8 anni devono assumere amoxicillina 250 mg tid o 30-50 mg/kg/die PO in 3 dosi frazionate (massimo 2-3 g/die) per 10-21 giorni. Nei bambini di età > 8 anni una scelta alternativa può essere la doxiciclina 4 mg/kg/die PO (massimo, 200 mg/die divisa bid). Per i bambini allergici alla penicillina, il cefuroxime axetil 30 mg/kg/ die suddiviso bid (massimo 1-2 g/die) o l’eritromicina 250 mg qid o 30-50 mg/kg/die PO in 3-4 dosi frazionate (massimo 2 g/die) per 1021 giorni sono altrettanto efficaci. Nella malattia precoce o tardiva neurologica, ai bambini si somministra ceftriaxone EV (la somministrazione IM è dolorosa) a dosaggi di 75-100 mg/kg/die (massimo 2 g) o penicillina G EV con 300000 U/kg/ die in 6 dosi frazionate (massimo 20 milioni U/die) per 14-21 gg. Le donne in gravidanza, se la malattia è precoce e localizzata, possono assumere amoxicillina 500 mg tid per 21 giorni. Ogni manifestazione di malattia disseminata richiede la somministrazione di penicillina G 20 milioni di U/die EV per 14-28 giorni. Per le donne in gravidanza sieropositive ma asintomatiche non è necessario alcun trattamento. L’aspirina (90 mg/kg/die nei bambini) o altri FANS possono essere usati come terapia sintomatica. Il blocco cardiaco completo può richiedere un pacemaker temporaneo. Per la tensione articolare delle ginocchia, dovuta al versamento, è indicato l’uso di grucce e l’aspirazione del liquido. I pazienti affetti da artrite del ginocchio, resistente alla terapia antibiotica, rispondono alla sinovectomia artroscopica. Sono in corso di studio vaccini basati su proteine ricombinanti specifiche della superficie esterna della B. burgdorferi. Nelle popolazioni adulte esaminate fino a oggi, sembrano essere sicuri ed efficaci.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

SIFILIDE Malattia contagiosa sistemica provocata dalla spirocheta Treponema pallidum e caratterizzata da stadi clinici sequenziali e da anni di latenza. (Per la sifilide congenita, v. in Infezioni neonatali al Cap. 260.)

Sommario: Introduzione SIFILIDE ACQUISITA Eziologia e anatomia patologica Epidemiologia Sintomi, segni e decorso Diagnosi Terapia Sorveglianza post-terapia

La sifilide acquisita o congenita può interessare più organi od organi isolati, tanto da farle avere una cattiva reputazione per la sua capacità di essere scambiata per altre malattie. La classificazione della sifilide sia acquisita che congenita è illustrata nella Tab. 164-1.

SIFILIDE ACQUISITA Eziologia e anatomia patologica Il T. pallidum è un fragile organismo a spirale di circa 0,25 µm di larghezza e da 5 a 20 µm di lunghezza, che viene riconosciuto per la caratteristica morfologia e per la sua mobilità con un microscopio in campo oscuro o con tecniche fluorescenti (v. in Diagnosi, oltre). Esso non cresce nei normali terreni di coltura, si riproduce scarsamente nelle colture di tissutali e non può sopravvivere a lungo fuori del corpo umano. Nella sifilide acquisita il T. pallidum penetra nell’organismo attraverso le membrane mucose o la cute, raggiunge i linfonodi periferici nel giro di poche ore e rapidamente si dissemina in tutto l’organismo. Durante tutti gli stadi della malattia l’infiltrazione perivascolare di linfociti, plasmacellule e in seguito di fibroblasti causa edema e proliferazione endoteliale dei piccoli vasi sanguigni fino a causare un’endoarterite obliterante. Nella sifilide tardiva, il T. pallidum porta alla formazione di masse simil granulomatose (gomme) che causano reazione, ulcerazioni e necrosi. Il processo infiammatorio può ridursi malgrado il danneggiamento progressivo, in particolare a carico del sistema cardiovascolare e del sistema nervoso centrale. Il SNC viene invaso nelle fasi precoci dell’infezione. Nella fase secondaria della file:///F|/sito/merck/sez13/1641427.html (1 of 8)02/09/2004 2.08.33

Malattie a trasmissione sessuale (std)

malattia > 30% dei pazienti presenta un LCR con caratteristiche anormali e può presentare sintomi di meningite (v. Tab. 165-3). Durante i primi 5-10 anni dall’infezione la malattia interessa soprattutto le meningi e i vasi sanguigni, provocando la neurosifilide meningovascolare. Più tardi risultano danneggiati il parenchima cerebrale e il midollo spinale, con lo sviluppo di neurosifilide parenchimatosa. L’interessamento della corteccia cerebrale e delle meningi che la ricoprono porta alla paresi generale. La distruzione delle colonne posteriori e dei gangli dorsali del midollo spinale produce la tabe dorsale.

Epidemiologia Tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90, l’incidenza della sifilide primaria e secondaria è raddoppiata nei neri (in concomitanza all’uso di cocaina e alla diffusione della prostituzione), ma l’incidenza è diminuita in tutti i gruppi etnici verso la metà degli anni ‘90. Questo miglioramento viene attribuito alle aggressive misure di sanità pubblica (quali l’identificazione dei contatti sessuali). L’infezione si trasmette solitamente per contatto sessuale, compresi i contatti orogenitali e anorettali e talvolta anche attraverso il bacio e i contatti corporei intimi. Le lesioni cutanee nella sifilide primaria, secondaria, o latente precoce, sono responsabili della trasmissione praticamente in tutti i casi, tranne nella malattia congenita. La sifilide latente tardiva o la terziaria non sono contagiose. L’infezione trattata non conferisce immunità nei confronti di successive reinfezioni.

Sintomi, segni e decorso Il periodo d’incubazione della sifilide primaria varia da 1 a 13 sett., ma abitualmente è di 3-4 sett. La malattia si può presentare in qualsiasi stadio e anche a grande distanza di tempo dall’infezione iniziale. Poiché la malattia presenta manifestazioni cliniche molteplici ed è attualmente rara nella maggior parte dei paesi industrializzati, è possibile che i medici trovino in pratica qualche difficoltà nel riconoscerla. Il decorso clinico della sifilide può essere accelerato da una coesistente infezione da HIV. In questi casi possono essere più frequenti l’interessamento oculare e la meningite. Sifilide primaria: la lesione primaria o sifiloma in genere evolve e si rimargina entro 4-8 sett. nei pazienti non trattati. Dopo l’infezione, una papula rossa si sgretola in poco tempo dando luogo a un’ulcera indolore a base indurata che, quando viene abrasa, emette una secrezione sierosa limpida che contiene numerose spirochete. I linfonodi regionali sono di solito ingrossati e non dolenti e appaiono sodi, separati e non sensibili alla pressione. I sifilomi compaiono sul pene, nell’ano e nel retto nei maschi; sulla vulva, sul collo uterino e sul perineo nelle femmine. I sifilomi possono anche comparire sulle labbra o sulle membrane mucose dell’orofaringe o nelle regioni anogenitali. Raramente si possono riscontrare sulle mani o in altre parti del corpo, ove spesso provocano sintomi tanto lievi da passare inosservate. Sifilide secondaria: le eruzioni cutanee compaiono solitamente tra 6 e 12 sett. dopo l’infezione e raggiungono la fase più florida dopo 3-4 mesi. Circa il 25% dei pazienti presenta sifilomi primari residui. Le lesioni possono essere transitorie o possono persistere per mesi. Se non vengono trattate esse per lo più guariscono, ma possono apparirne di nuove nell’arco di settimane o di mesi. Di frequente, si apprezzano una moderata linfadenopatia generalizzata, con linfonodi duroelastici, non molli ed epatosplenomegalia. Oltre l’80% dei soggetti presenta lesioni mucocutanee; il 50% presenta un ingrossamento generalizzato dei linfonodi e circa il 10% ha lesioni oculari (uveite), ossee (periostite), articolari, meninge, renali (glomerulite), epatiche e spleniche. Sono spesso presenti lievi sintomi costituzionali come febbre, malessere generale, cefalea, anoressia, nausea, dolori alle ossa e affaticabilità, insieme a sintomi come anemia, ittero e albuminuria. Si può sviluppare una meningite sifilitica acuta, con cefalea, rigidità

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

cervicale, lesioni dei nervi cranici, sordità e talvolta edema papillare. Le eruzioni cutanee della sifilide possono simulare un’ampia gamma di patologie dermatologiche (v. oltre in Diagnosi). Esse sono spesso simmetriche e più marcate sulle superfici flessorie e volari del corpo, in particolare alle palme delle mani e alle piante dei piedi. Le eruzioni si presentano spesso a grappoli e possono essere costituite da macule, papule, pustole o lesioni squamose. Le singole macchie sono pigmentate nei neri e di colore rosaceo o rosso chiaro nei bianchi; sono rotonde e tendono a divenire confluenti e indurite, ma non danno prurito. Alla fine vanno incontro a guarigione senza lasciare cicatrici, ma talvolta residuano aree di iperpigmentazione o di depigmentazione. Le membrane mucose spesso si erodono, formando chiazze mucose circolari e sovente bianco-grigiastre con un’areola rossa. Queste chiazze si presentano soprattutto nella bocca, su palato, faringe, laringe, su glande, pene e vulva, canale anale e retto. I condilomi lati sono delle papule ipertrofiche, piatte, rosa spento o grigio presenti alle giunzioni mucocutanee e nelle aree umide della cute e sono oltremodo contagiose. I peli spesso cadono a chiazze e determinano un aspetto come di "stoffa tarmata" (alopecia areata). Stadio latente: questo stadio può risolversi spontaneamente in pochi anni o può durare per l’intera vita del soggetto. Nel periodo latente precoce (< 2 anni dopo l’infezione) possono verificarsi le recidive mucocutanee infettive, ma dopo 2 anni tale evento è raro e il paziente appare normale. Circa 1/3 delle persone non trattate sviluppa la sifilide tardiva anche se non prima di diversi anni dall’infezione iniziale. Nei pazienti che hanno ricevuto terapie antibiotiche per altre patologie, la sifilide terziaria può guarire, evenienza questa che può spiegare la rarità della sifilide terziaria nei paesi industrializzati. Sifilide tardiva o terziaria: le lesioni si possono clinicamente distinguere in: (1) sifilide terziaria benigna di cute, ossa e visceri; (2) sifilide cardiovascolare; (3) neurosifilide. Sifilide terziaria benigna: le lesioni si sviluppano abitualmente entro 3-10 anni dall’infezione, ma sono praticamente scomparse dopo l’avvento degli antibiotici. La lesione tipica è rappresentata dalla gomma luetica, una massa infiammatoria che evolve nella necrosi e nella fibrosi, spesso localizzata, ma talvolta diffusamente infiltrante organi e tessuti. Le lesioni localizzate sono formate da un’area di necrosi centrale circondata da tessuto di granulazione. Le gomme non danno dolore, crescono lentamente, guariscono con gradualità e lasciano cicatrici. Esse possono svilupparsi sulla cute, dove producono eruzioni nodulari, ulcerative o squamose. Nel sottocutaneo, esse provocano ulcere a stampo con sfaldamento necrotico e basi dall’aspetto di cuoio lavato. Le ulcere una volta guarite lasciano cicatrici atrofiche (a carta igienica). Le gomme spesso si verificano nei tessuti sottomucosi (specialmente su palato, setto nasale, faringe e laringe) e portano a perforazione del palato o del setto nasale. Anche se sono più frequenti sulle gambe, nella porzione superiore del tronco, sul volto e sul cuoio capelluto, possono svilupparsi praticamente in qualsiasi zona del corpo. La sifilide terziaria benigna delle ossa produce o una periostite con neoformazione ossea o un’osteite con lesioni erosive che causano un dolore sordo e incessante che peggiora durante la notte. È possibile palpare un rigonfiamento o una protuberanza. Sifilide cardiovascolare: sono presenti un aneurisma toracico, di solito filiforme dell’aorta ascendente o trasversa, restringimento degli ostii coronarici o insufficienza delle valvole aortiche che compaiono abitualmente da 10 a 25 anni dopo l’infezione iniziale. (v. in Aneurismi nel Cap. 211.) Neurosifilide: una forma asintomatica di neurosifilide precede in genere la neurosiflide sintomatica e si riscontra nel 15% circa dei soggetti cui in origine era stata diagnosticata una sifilide latente, nel 12% dei soggetti con sifilide cardiovascolare e nel 5% dei soggetti con sifilide terziaria benigna. Possono esserci alterazioni del LCR (v. oltre in Diagnosi). La neurosifilide sintomatica produce varie sindromi cliniche nel 5% circa delle infezioni non trattate.

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Nella neurosifilide meningovascolare l’interessamento cerebrale si manifesta con cefalea, vertigini, scarsa capacità di concentrazione, stanchezza, insonnia, rigidità del collo e visione offuscata. Possono manifestarsi anche confusione mentale, attacchi epilettiformi, edema della papilla, afasia e mono-o emi-plegia. Paralisi dei nervi cranici e anomalie della pupilla di solito indicano una meningite basilare. La pupilla di Argyll Robertson, che si osserva quasi esclusivamente nella neurosifilide, è una pupilla piccola e irregolare che accomoda normalmente con la convergenza, ma non reagisce alla luce. L’interessamento del midollo spinale può produrre sintomi bulbari, debolezza e deperimento dei muscoli del cinto scapolare e delle braccia, paraplegia spastica a lenta progressione con sintomi vescicali e, in rari casi, mielite trasversa con paraplegia flaccida improvvisa e perdita del controllo degli sfinteri. Neurosifilide parenchimatosa (una paresi generalizzata o demenza paralitica) colpisce in genere pazienti di 40-50 anni e si manifesta con deterioramento comportamentale progressivo e può simulare una malattia psichiatrica o il morbo di Alzheimer. Possono essere presenti convulsioni, afasia o emiparesi transitorie, ma sono più comuni irritabilità, difficoltà di concentrazione, deterioramento della memoria, errori di valutazione, cefalee, insonnia o spossatezza. L’igiene e l’aspetto generale del soggetto si deteriorano. Possono anche verificarsi instabilità emotiva, astenia, depressione e manie di grandezza con perdita dell’introspezione. I segni fisici comprendono tremori della bocca, della lingua, mani iperestese, tremori in tutto il corpo; anomalie pupillari, disartria, riflessi tendinei vivaci e, in alcuni casi, risposte plantari estensorie. La calligrafia è spesso tremula e illegibile. Le lesioni delle colonne posteriori della tabe dorsale (atassia locomotoria) provocano dolore, atassia, alterazioni della sensibilità e perdita dei riflessi tendinei. Il sintomo più precoce e più caratteristico è abitualmente un dolore intenso e lancinante (dolore fulminante) alla schiena e alle gambe che si presenta con recidive irregolari. Andatura atassica, iperestesia e parestesia possono accompagnarsi alla sensazione di camminare su gomma piuma. La perdita della sensibilità vescicale può determinare ritenzione urinaria, incontinenza e infezioni ricorrenti. Un reperto frequente è l’impotenza. La maggior parte dei pazienti con tabe dorsale è magra e ha una caratteristico facies triste e le pupille di Argyll Robertson. Può presentarsi atrofia del nervo ottico. L’esame delle gambe rivela ipotonia, riflessi tendinei ridotti o assenti, ridotta sensibilità alle vibrazioni e alla posizione delle articolazioni, atassia nel test calcagno-tibia e assenza delle sensazioni dolorifiche profonde e segno di Romberg. Altre lesioni: le crisi viscerali si manifestano sotto forma di dolori parossistici a livello di vari organi, le più frequenti sono quelle gastriche con vomito. Si riscontrano anche crisi rettali, vescicali e laringee. Nelle fasi successive della malattia possono manifestarsi lesioni trofiche, secondarie a ipoestesia della cute o dei tessuti periarticolari. Sulla pianta dei piedi si possono sviluppare ulcere trofiche, che penetrano in profondità e interessano le ossa sottostanti. È comune l’artropatia di Charcot, disordine indolore delle articolazioni, con rigonfiamento osseo ed escursione di movimento anomala.

Diagnosi Gli studi diagnostici per la sifilide includono un’anamnesi clinica orientata, un esame fisico, test sierologici, indagini sui contatti sessuali e nel caso un esame microscopico in campo oscuro dei liquidi emessi dalle lesioni, test sul LCR ed esami radiologici. Sono due le classi di test sierologici per la sifilide (TSS) che aiutano nella diagnosi della sifilide e delle altre malattie da treponemi: i test di screening che utilizzano antigeni lipoidei non treponemici evidenziano le reagine sifilitiche e includono il Venereal Disease Research Laboratory (VDRL) e la reagina file:///F|/sito/merck/sez13/1641427.html (4 of 8)02/09/2004 2.08.33

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plasmatica rapida (RPR). I test treponemici specifici evidenziano gli anticorpi antitreponemici e comprendono il test di assorbimento di Ac anti-treponema fluorescenti (FTA-ABS), il saggio di microemoagglutinazione per gli Ac contro T. Pallidum (MHA-TP) e il test di emoagglutinazione per il Treponema pallidum (TPHA). Il test VDRL è un saggio di flocculazione per la sifilide in cui l’anticorpo reaginico (da non confondere con gli Ac detti reagine che sono mediatori dell’allergia) nel siero del paziente si lega con evidenza con la cardiolipina, l’Ag. In numerose malattie (p. es., in corso di epatite acuta) si può avere un aumento di Ac reaginici e una positivizzazione del test VDRL. Il risultato di tale test è formulato come: reattivo, debolmente reattivo, limite (borderline) o non reattivo. I sieri reattivi e debolmente reattivi sono considerati positivi per gli Ac anti-sifilide. Tutti i test VDRL con un simile risultato positivo (reattivo o debolmente reattivo) vanno confermati con uno o più test treponemici maggiormente specifici e i test reattivi vanno quantizzati tramite diluizioni seriate. I test di screening sono semplici da eseguire e poco costosi, ma non possiedono la specificità dei test treponemici e danno talvolta risultati falsamente positivi (FP). Un risultato FP (definito come un test reaginico reattivo, ma con test treponemico non-reattivo) può indicare una malattia vascolare autoimmunitaria, una collagenopatia, infezioni virali o condizioni caratterizzate da immunoglobuline alterate. I titoli reaginici quantitativi diminuiscono dopo la terapia, diventando negativi nell’arco di 1 anno nella sifilide primaria e di 2 anni nei casi secondari. I test reaginici non diventano positivi prima di 3-6 sett. dall’infezione iniziale. Poiché il sifiloma primario si manifesta prima di tale epoca, un TSS precoce negativo non può escludere la sifilide. Nei pazienti con lesioni genitali non diagnosticate, i test reaginici devono dare risultati non reattivi alla sesta sett. prima che si possa escludere la diagnosi di sifilide. I test treponemici solitamente divengono positivi entro 3-4 sett. e restano tali per molti anni, nonostante il paziente abbia effettuato una terapia efficace. Nella microscopia in campo scuro la luce viene diretta obliquamente attraverso il vetrino in modo che i raggi di luce che colpiscono le spirochete le fanno apparire luminose, mobili, attorcigliate, su sfondo scuro. Il microrganismo deve essere distinto morfologicamente da altre spirochete non patogene, che possono fare parte della normale flora, specialmente di quell’orale. Prima di procedere alla terapia, al fine di escludere la neurosifilide, viene raccomandato lo svolgimento dell’esame del LCR (eccetto in presenza di infezioni sviluppatesi da meno di 1 anno). Si effettuano d’abitudine la conta delle cellule, la conta differenziale, il dosaggio delle proteine totali, il test VDRL o altri test sierologici aspecifici (reaginici). I test treponemici sul LCR non sono utili. Sifilide primaria: la diagnosi dipende dalla dimostrazione della presenza di T. Pallidum negli essudati prelevati dal sifiloma primario, come si può rilevare con l’esame microscopico in campo scuro. Se questa prova fosse negativa, essa andrà ripetuta e completata con i TTS. Gli ago aspirati da linfonodi possono mettere in evidenza il T. pallidum in quei casi in cui sia manifesta un’adenopatia. La diagnosi differenziale delle ulcere genitali comprende herpes genitalis, cancroide, linfogranuloma venereo, scabbia escoriata, chiazze mucose della sifilide secondaria, balanite erosiva, malattia di Behçet, ulcere gommose, epitelioma, granuloma inguinale e traumi. Le coinfezioni sostenute da due patogeni (p. es., herpes simplex e treponema), non sono rare. (Nota: tutte le ulcere genitali devono essere considerate sifilitiche fino a prova contraria.) I sifilomi extragenitali spesso non vengono diagnosticati correttamente perché non si prende in considerazione la possibilità che si tratti di sifilide. Sifilide secondaria: poiché la sifilide può somigliare a molte malattie della cute, è necessario prevedere la possibilità che una qualsiasi eruzione cutanea o mucosa non ancora diagnosticata possa essere dovuta alla sifilide, specialmente se si associa a una linfoadenopatia generalizzata o se si presenta in pazienti a rischio per questa malattia. La diagnosi si precisa con la dimostrazione della presenza del T. pallidum nei preparati microscopici in campo oscuro oppure file:///F|/sito/merck/sez13/1641427.html (5 of 8)02/09/2004 2.08.33

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esclusa da un TTS negativo, che è viceversa sempre positivo a questo stadio, spesso con un alto titolo di anticorpi anti-reagine. Un TTS positivo non permette di concludere che una malattia cutanea sia di natura sifilitica, in quanto una sifilide latente può coesistere con altre patologie cutanee. La sifilide secondaria può essere confusa con eruzioni da farmaci, pityriasis rosea, rosolia, mononucleosi infettiva, eritema multiforme, pityriasis rubra pilaris o con infezioni da funghi. I condilomi lati possono essere scambiati per verruche, emorroidi o pemfigo vegetante; le lesioni del cuoio capelluto possono essere scambiate per scabbia o alopecia aerata idiopatica, mentre le chiazze mucose per varie altre affezioni. Stadio latente: la diagnosi, nei pazienti con TSS reaginici e treponemici ripetutamente positivi e senza lesioni sifilitiche attive, si pone per esclusione rispetto ad altre forme di sifilide. Il LCR risulta normale, così pure il cuore e l’aorta agli esami clinici e radiologici. La sifilide latente acquisita deve essere distinta dalla sifilide latente congenita (v. in Infezioni neonatali nel Cap. 260), dalla framboesia latente, da altre malattie treponemiche e dalle reazioni FPB. Dal momento che molti pazienti non hanno una storia di manifestazioni primarie o secondarie, si deve supporre che essi siano stati asintomatici nelle fasi precoci, che abbiano avuto manifestazioni trascurabili o che la diagnosi sia stata omessa. Sifilide terziaria: nella sifilide terziaria benigna i TSS sono positivi nella maggior parte dei casi, ma senza la biopsia sarà difficile distinguere questa condizione da altre masse infiammatorie o da ulcere. Nella sifilide cardiovascolare i sintomi e i segni sono talvolta così tipici da consentire una diagnosi presuntiva solo su base clinica. Sono reperti indicativi di aortite sifilitica l’ingrandimento dell’arco aortico e le calcificazioni lineari sulle pareti dell’aorta ascendente all’esame radiologico del torace; il reperto all’esame obiettivo di un suono alto, musicale del secondo tono aortico; insufficienza cardiaca; il dolore toracico e la dispnea parossistica notturna. Può essere presente un’insufficenza aortica sifilitica, senza una stenosi aortica importante. Gli aneurismi sifilitici possono provocare sintomi da compressione o da erosione delle strutture adiacenti nel mediastino e nella parete toracica, fra cui tosse profonda e respiro stridulo da compressione sulla trachea, stenosi bronchiale e successivamente infezione secondaria a compressione sull’esofago, raucedine, come conseguenza della compressione del nervo laringeo ricorrente ed erosione dolorosa dello sterno e delle costole o della colonna vertebrale per le ripetute pulsazioni dell’aorta dilatata. La diagnosi può essere confermata mediante esami ecocardiografici, radiologici, ECG e TSS. Si dovrà esaminare anche il LCR, perché sifilide cardiovascolare e neurosifilide possono presentarsi contemporaneamente. Nella neurosifilide asintomatica il LCR presenta solitamente una conta cellulare elevata, un’aumentata proteinorrachia e test reaginici positivi. Nelle paresi i test treponemici nel siero sono positivi e il LCR risulta sempre anormale, con conte leucocitarie di 7-100 linfociti/µl, proteinorrachia aumentata e test reaginici positivi. Nella tabe dorsale i test treponemici sierici sono solitamente positivi, ma i test reaginici di screening possono risultare negativi. Il LCR presenta abitualmente una conta cellulare elevata, livelli proteinici elevati e TSS debolmente positivi. In molti casi avanzati il LCR può essere normale.

Terapia La penicillina è l’antibiotico di scelta per qualsiasi stadio della sifilide. Per curare la sifilide infettiva precoce è necessario un livello sierico di 0,03 UI/ml per 6-8 gg. La benzatin penicillina G, 2,4 milioni U IM in unica dose, produce livelli ematici soddisfacenti per circa 2 sett. (solitamente si iniettano 1,2 milioni U in ciascuna natica). Nella sifilide secondaria e latente si praticano altre due iniezioni di 2,4 milioni di U q 7 gg, a causa della persistenza occasionale dei treponemi nel LCR dopo i protocolli monodose. In alternativa, si può somministrare penicillina G procaina, 600000 U/die IM per 10 gg, che però non presenta vantaggi particolari. Per i pazienti allergici alla penicillina, si può utilizzare ceftriaxone 1 g IM q 3 gg diluito in 3,6 ml di lidocaina all’1% per 4 somministrazioni, eritromicina oppure tetraciclina, 500 mg PO q 6 h per 15 gg o doxiciclina 100 mg PO bid per 14 giorni, ma l’efficacia di questi farmaci non è ben definita. Gli ultimi tre regimi file:///F|/sito/merck/sez13/1641427.html (6 of 8)02/09/2004 2.08.33

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terapeutici vanno controllati con attenzione, perché è necessaria un’attiva partecipazione dei pazienti. Sifilide primaria e secondaria: bisogna spiegare al paziente tutte le particolarità del caso. Bisogna rintracciare tutti gli individui con cui il soggetto abbia avuto contatti sessuali negli ultimi 3 mesi (per i casi di sifilide primaria) o nell’ultimo anno (per i casi di sifilide secondaria): tali individui andranno esaminati, curati e informati del fatto che essi possono essere portatori dell’infezione e contagiosi. Essi devono evitare i rapporti sessuali finché, insieme ai rispettivi partner, non siano stati esaminati e non abbiano completato la terapia. Sifilide latente precoce e tardiva: i pazienti devono essere trattati con penicillina, come descritto sopra, allo scopo di impedire lo sviluppo successivo delle manifestazioni terziarie. I pazienti intolleranti alla penicillina possono essere trattati con uno qualunque dei regimi alternativi sopra indicati, ma si sa ancora meno sulla loro efficacia di quanto non si sappia in caso di sifilide primaria. Sifilide terziaria: la sifilide terziaria benigna si tratta allo stesso modo della sifilide latente; nei soggetti che non tollerano la penicillina e che vengono curati con eritromicina, si consiglia di effettuare un secondo ciclo terapeutico a distanza di 3 mesi. Dal momento che i pazienti con sifilide in stadio successivo a quello primario e con una concomitante infezione da HIV, hanno tassi di complicanze aumentati, essi devono essere regolarmente sottoposti a esame per rinvenire tracce di neurosifilide e sifilide oculare e i protocolli di trattamento devono essere programmati a seconda dei casi. La terapia per la sifilide cardiovascolare è la stessa della sifilide latente, ma di solito si somministra la penicillina G procaina per un totale di 21 gg. Per la neurosifilide si usa la penicillina acquosa, 2 g EV q 4 h per 10 gg, poiché penetra al meglio il LCR, anche se il farmaco è di uso poco pratico. La procaina penicillina G 600000 U più 1 g di probenecid o ceftriaxone 1 g IM o EV die per 14 giorni, oppure amoxicillina, 3 g PO bid, associata a probenecid, si sono dimostrati efficaci. La terapia della neurosifilide asintomatica previene lo sviluppo della neurosifilide sintomatica, ma abitualmente non determina la regressione dei sintomi già comparsi. Il trattamento della sifilide oculare o della neurosifilide nelle persone con infezione da HIV può essere più difficile. La paresi si può controllare con successo mediante antipsicotici somministrati oralmente o IM. Nei soggetti tabetici con dolori intensi si possono usare liberamente antidolorifici; p. es., può risultare utile la carbamazepina 200 mg PO tid o qid. Oltre il 50% dei pazienti con sifilide precoce infettiva e in particolare quelli con sifilide secondaria presenta una reazione di Jarisch-Herxheimer entro 6-12 h dall’inizio della terapia. La reazione, che si manifesta con malessere generale, febbre, cefalea, sudorazione profusa, brividi o temporanea riesacerbazione delle lesioni sifilitiche, scompare abitualmente nel giro di 24 h e non presenta alcun pericolo se non lo stato d’ansia che essa può provocare. Tuttavia i pazienti con paresi generalizzata o con conte cellulari elevate nel LCR possono sviluppare una reazione di Jarisch-Herxheimer che talvolta provoca conseguenze gravi, come attacchi epilettici o infarti. Bisogna spiegare al paziente la natura della reazione prima di iniziare il trattamento. Le reazioni di Jarisch-Herxheimer possono essere confuse con l’allergia agli antibiotici e possono rappresentare un indizio della presenza di sifilide in soggetti sottoposti a terapia per altre cause, con antibiotici attivi nei confronti dei treponemi.

Sorveglianza post-terapia L’importanza della ripetizione dei test per confermare l’avvenuta guarigione va illustrata al paziente prima dell’inizio della terapia. Si dovranno eseguire gli esami file:///F|/sito/merck/sez13/1641427.html (7 of 8)02/09/2004 2.08.33

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e i test reaginici quantitativi a 1, 3, 6 e 12 mesi oppure, dopo il dodicesimo mese, finché il risultato non sia negativo. Dopo il successo terapeutico le lesioni guariscono rapidamente, i titoli sierologici cadono e i test reaginici diventano abitualmente negativi nel giro di 9-12 mesi. I test treponemici, come l’FTA-ABS e il MHA-TP invece restano positivi per anni o per sempre. Il LCR va controllato dopo 1 anno di sorveglianza. Se il test VDRL resta positivo per > 1 anno o se il titolo incomincia a salire, bisognerà prendere in considerazione la ripetizione del ciclo terapeutico. Le recidive sierologiche o cliniche sono rare, ma talvolta si verificano tra il 6o e 9o mese e in particolare a carico del sistema nervoso. Le recidive richiedono la ripresa della terapia con dosaggi superiori di antibiotici, ma andrà anche presa in considerazione la possibilità di una reinfezione. Se tutti gli esami clinici e sierologici restano a livelli soddisfacenti per 2 anni dopo la terapia, si potrà informare il paziente del raggiungimento della guarigione. Tutti i pazienti affetti da sifilide devono essere incoraggiati a sottoporsi al test per il HIV. Le persone affette da sifilide primaria o secondaria che risultano sieronegative, devono essere sottoposte nuovamente al test HIV dopo 6 mesi. I pazienti con sifilide latente vanno controllati ed esaminati dopo 3, 6, 12, 18 e 24 mesi. I soggetti con TTS ripetutamente positivi vanno sottoposti a controlli annuali per tutta la vita. La prognosi è eccellente. I pazienti con sifilide terziaria benigna vanno controllati a intervalli regolari dopo la terapia e quelli con sifilide cardiovascolare devono essere seguiti per tutta la vita. I pazienti con aortite sifilitica non complicata possono avere una sopravvivenza normale e un decorso prolungato, ma gli aneurismi aortici sifilitici hanno una prognosi infausta. La durata media della vita dopo l’insorgenza dei sintomi è di circa 6 mesi. Nella neurosifilide asintomatica, il LCR deve essere esaminato q 6 mesi oppure fino a 2 anni dopo il ritorno alla normalità. Se il LCR è anormale, esso va esaminato q 3 mesi fino a normalizzazione dei parametri e quindi annualmente per altri 2 anni. La tabe dorsale tende a progredire malgrado la terapia.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI SIFILIDE CONGENITA Infezione multisistemica causata dal Treponema pallidum e trasmessa al feto per via transplacentare. (V. anche Sifilide nel Cap. 164)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Il rischio dell’infezione transplacentare del feto (complessivamente circa 60-80%) è correlato allo stadio materno della infezione e della gravidanza; cioè, una sifilide primaria o secondaria non curata in genere viene trasmessa, ma una sifilide latente o terziaria in genere non viene trasmessa. In caso di madre con sifilide terziaria non curata, può nascere un bambino sano fra due figli affetti da sifilide congenita. Nondimeno, la sifilide congenita si può prevenire con un trattamento adeguato per le donne gravide infette.

Sintomi e segni In corso di sifilide congenita precoce, le caratteristiche lesioni cutanee sono l’eruzione bollosa o un arrossamento maculare color rame in sede palmoplantare e lesioni papulari intorno al naso, alla bocca e nella zona del pannolino. È spesso presente una linfoadenopatia generalizzata e un’epatosplenomegalia. Il bambino può presentare un rallentato accrescimento, un caratteristico aspetto "da uomo vecchio", con lesioni attorno alla bocca (ragadi periorali) e una secrezione nasale mucopurulenta o emorragica che causa un respiro rumoroso. Alcuni bambini possono presentare meningite, coroidite, idrocefalo o convulsioni, altri possono presentare ritardo mentale. Nei primi 3 mesi di vita la osteocondrite (condroepifisite) soprattutto delle ossa lunghe e delle costole, può causare una pseudoparalisi degli arti inferiori con i caratteristici segni radiografici a carico delle ossa. In molti pazienti la sifilide congenita rimane in uno stadio latente per tutta la vita senza mai presentare alcun segno di malattia acuta. Nella sifilide congenita tardiva, le ulcere gommose interessano il naso, il setto, il palato duro, mentre le lesioni a carico del periostio determinano le caratteristiche tibie a sciabola e le tumefazioni delle ossa frontali e parietali. La neurosifilide è in genere asintomatica, tuttavia possono svilupparsi paresi giovanile e tabe. Si può verificare anche l’atrofia del nervo ottico che conduce a cecità. La cheratite interstiziale rappresenta la più comune lesione oculare file:///F|/sito/merck/sez19/2602348.html (1 of 3)02/09/2004 2.08.34

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recidiva frequentemente, determinando spesso cicatrici corneali. Può svilupparsi a ogni età una sordità percettiva, di solito progressiva,. Sono infine tipici, sebbene non frequenti, gli incisivi di Hutchinson, i molari di Mulberry e malformazioni dei mascellari che conferiscono la caratteristica facies da "bulldog".

Diagnosi La sifilide congenita precoce viene confermata quando sfregamenti delle lesioni cutanee o mucose evidenziano il T. pallidum al microscopio a campo scuro. Se questo non fornisce una diagnosi definitiva, è necessario praticare un TSS insieme a un’analisi del LCR per la conta cellulare, la proteinorrachia e un test Ricerca di Laboratorio per le Malattie Veneree (VDRL) e una rx delle ossa lunghe. Poiché la maggior parte dei neonati non presenta segni di malattia durante la degenza nel Nido, bisogna studiare sierologicamente ogni nato da madre con precedenti di malattia venerea contratta prima o durante la gravidanza. Risultati sierologici positivi non specifici (reagine) e specifici (treponemal) possono essere dovuti al passaggio transplacentare passivo degli IgG materni. Il CDC fornisce le linee guida per la diagnosi della sifilide congenita precoce e per la classificazione dei casi come confermati o presunti (v. Tab. 260- 9). La validità del fluorescent treponemal antibody absorption delle immunoglobuline (FTA- ABS[IgM]) è controversa, ma è stato utilizzato nell’individuare l’infezione nei neonati. La sifilide congenita tardiva viene diagnosticata mediante la storia clinica, i segni fisici caratteristici e la positività dei test sierologici (v. anche la trattazione sui test di screening per la sifilide nel Cap. 164). La triade di Hutchinson: cheratite interstiziale, incisivi di Hutchinson e sordità da lesione dell’8o nervo cranico, è diagnostica. A volte i TSS standard risultano negativi e anche il test di immobilizzazione del T. pallidum lo è, ma il test FTA-ABS è di solito positivo. Occorre considerare la diagnosi di sifilide in caso di sordità non altrimenti spiegabile, di progressivo deterioramento intellettivo o di cheratite.

Profilassi Nel 99% dei casi, un adeguato trattamento durante la gravidanza cura di solito sia la madre che il feto. In alcuni casi, comunque, la terapia tardiva in gravidanza elimina l’infezione ma non alcuni segni della sifilide che compaiono dopo la nascita. L’incidenza della sifilide congenita può essere enormemente ridotta mediante l’effettuazione di routine del TSS in epoca prenatale (v. nel Cap.164), mediante la ripetizione dei test nelle donne che contraggono altre malattie sessualmente trasmesse durante la gravidanza e mediante il trattamento adeguato degli infetti. Allorquando viene posta la diagnosi di sifilide congenita, vanno esaminati tutti gli altri membri del nucleo familiare per riscontri fisici e sierologici di infezione a intervalli regolari. Un nuovo trattamento materno in caso di successive gravidanze risulta necessario soltanto se i titoli sierologici permangono positivi. Le donne che rimangono sieropositive dopo un’adeguata terapia possono essere state ricontagiate e devono essere nuovamente curate. Una madre senza lesioni, sieronegativa, ma che ha avuto un’esposizione venerea a un individuo affetto da sifilide, deve essere trattata, poiché esiste una possibilità del 25- 50% che acquisisca la sifilide senza essere ancora sieropositiva.

Terapia Nelle donne in gravidanza affette da sifilide allo stadio iniziale, si raccomanda file:///F|/sito/merck/sez19/2602348.html (2 of 3)02/09/2004 2.08.34

Patologia del neonato e del lattante

l’uso di due dosi di benzatina-penicillina G alla dose di 2,4 milioni di U IM (si possono somministrare 1,2 milioni di U in ciascun gluteo a distanza di 1 sett.). Negli stadi tardivi di sifilide o neurosifilide, è necessario seguire lo stesso regime validi per le pazienti non in gravidanza (v. al Cap. 164). A volte, dopo tale terapia si verifica una grave reazione di Jarisch-Herxheimer che conduce a un aborto spontaneo. I soggetti allergici alla penicillina vanno desensibilizzati e poi trattati con penicillina. Il test delle reagine dà risultati negativi dopo 3 mesi di terapia adeguata nella maggior parte dei pazienti e dopo 6 mesi in quasi tutti i pazienti. Poiché la terapia con eritromicina non è opportuna né per la madre né per il feto, viene sconsigliata. L’uso delle tetracicline è controindicato. Per la sifilide congenita precoce (nei casi accertati o presunti), le linee guida del CDC del 1998 raccomandano il trattamento con penicillina G cristallina in soluzione acquosa alla dose di 50000 U/kg/dose q 12 h EV per i primi 7 giorni di vita, in seguito (quando la funzionalità renale migliora) si aumenta la dose a 50000 U/kg/dose q 8 h per i successivi 3 giorni, per un totale di 10 giorni di terapia. Quando la somministrazione EV non è attuabile, la penicillina G procaina può essere somministrata alla dose di 50000 U/kg/dose IM una volta al giorno per 10 giorni; tuttavia, la somministrazione IM può dare una concentrazione ematica bassa per trattare l’infezione del SNC, essa è dolorosa e difficoltosa (a causa della scarsa massa muscolare), e può determinare ascessi sterili e/o fenomeni tossici da procaina. Ai bambini con LCR normale, che non hanno segni di malattia attiva (cioè rx delle ossa lunghe negativa, emocromo normale) e che non hanno mai effettuato terapia con penicillina standard in utero si può somministrare benzatina-penicillina G alla dose di 50 000 U/kg IM in dose unica o frazionata, in una sola seduta finche il follow-up non è sicuro. Molti esperti preferiscono ancora 10 giorni di terapia parenterale se la madre non ha effettuato alcuna terapia. Di solito la prognosi risulta favorevole se ancora non si sono verificati gravi danni. Naturalmente anche la madre e gli altri membri della famiglia che risultano infetti vanno trattati. Nei lattanti più grandi e nei bambini con diagnosi recente di sifilide congenita, il LCR va esaminato prima di iniziare il trattamento. Poiché l’opportunità di cure meno intensive non è stata determinata, il CDC consiglia che ogni bambino con sifilide congenita tardiva venga trattato con penicillina G cristallina in soluzione acquosa 200000-300000 U/kg EV giornaliere in 4 dosi refratte (fino alla dose per adulti) per 10 giorni. Molti pazienti non ridivengono sieronegativi, ma hanno una diminuzione di 4 volte dei valori di anticorpi (p. es., VDRL). La cheratite interstiziale viene di solito trattata con corticosteroidi e instillazioni di atropina; va comunque sempre consultato un oculista. I pazienti con sordità nervosa possono beneficiare della combinazione di penicillina con un corticosteroidi come prednisone 0,5 mg/kg/die PO in dosi refratte per 1 sett., seguita da dosi di 0,3 mg/kg/die per 4 sett., dopo di che la dose va gradualmente ridotta in 2-3 mesi. (I corticosteroidi in ambedue le condizioni non sono stati considerati criticamente). Bisogna ricercare tutti i contatti e i soggetti affetti devono essere controllati per lungo tempo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-9. CLASSIFICAZIONE DIAGNOSTICA DELLA SIFILIDE CONGENITA Criteri laboratoristici per la diagnosi Dimostrazione del Treponema pallidum mediante microscopia in campo oscuro, anticorpi fluorescenti o altre colorazioni specifiche di campioni dalle lesioni, dalla placenta, dal cordone ombelicale o da materiale autoptico

Classificazione dei casi Probabile: condizione che colpisce un bambino la cui madre, al momento del parto, senza considerare i segni nel bambino, è affetta da sifilide non trattata o inadeguatamente trattata* oppure un lattante o un bambino che presenta una positività dei test treponemici per la sifilide e ognuno dei seguenti: Ogni evidenza di sifilide congenita all’esame obiettivo Ogni evidenza di sifilide congenita alle radiografie delle ossa lunghe Una positività del test VDRL (Venereal Disease Research Laboratory) su LCR Un elevato numero di cellule o un’elevata concentrazione di proteine a livello del LCR (in assenza di altre cause) Una positività del saggio 19S-IgM FTA-ABS (Fluorescent Treponemal Antibody Abdsorption) o del saggio immunoenzimatico (IgM-ELISA) Confermato:un caso che viene confermato dagli esami laboratoristici

*Comprende anche la madre con evidenza sierologica di recidiva o di reinfezione dopo il trattamento o con un insufficiente follow-up sierologico dopo un trattamento adeguato. Da "Case Definitions for Infectious Conditions Under Public Health Surveillance", Morbidity and Mortality Weekly Re port, Vol. 46, No. RR10, pp. 37-38, Centers for Disease Control and Prevention, U.S. Public Health Service, U.S. Depart ment of Health and Human Services, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 164-1. CLASSIFICAZIONE DELLA SIFILIDE Acquisita Stadio primario: sifiloma; linfoadenopatia regionale Stadio secondario (segue immediatamente lo stadio primario): varie lesioni dermatologiche che imitano varie patologie, p.es., eruzioni cutanee, erosioni delle mucose, alopecia e varie altre manifestazioni

Congenita* Sifilide congenita precoce (sintomatica): la malattia conclamata si osserva nei bambini fino a 2 anni

Sifilide congenita tardiva (sintomatica), le stigmati osservate più tardi nella vita, p. Stadio latente (asintomatico; può persistere indefinitamente o essere seguito dallo stadio tardivo, v. es., denti di Hutchinson, cicatrici di cheratite oltre) interstiziale, anomalie ossee Sifilide latente precoce (infezione di durata 2 anni†) Stadio tardivo o terziario (sintomatico, non contagioso) Sifilide terziaria benigna Sifilide cardiovascolare Neurosifilide *Può anche esistere in uno stadio latente, permanente o asintomatico. †Per motivi statistici, la suddivisione si effettua talvolta su una scala di 4 anni invece che 2.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 165–3. ANOMALIE DEL LCR IN VARIE PATOLOGIE Pressione

Cellule/µl

Tipo cellulare predominante

Glucoso

Proteine

100200 mm H O

0-3

L

50-100 mg/dl (2,78-5,55 mmol/ l)

20-45 mg/dl

Meningite batterica acuta



500-5000

PMN



circa 100 mg/ dl

Meningite subacuta (TBC, sarcoidosi, infezioni da Cryptococcus, leucemia, carcinoma)

N o↑

100-700

L





Meningite luetica acuta

No↑

25-2000

L

N



Neurosifilide paretica

No↑

15-2000

L

N



Malattia di Lyme del SNC

No↑

0-500

L

N

No↑

Tumore o ascesso cerebrale

No↑

0-1000

L

N



Infezioni virali

No↑

100-2000

L

N

No↑

Pseudotumor cerebrale



N

L

N

No↓

Emorragia cerebrale



Ematico

GR

N



Trombosi cerebrale

No↑

0-100

L

N

No↑

Tumore midollare

N

0-50

L

N

No↑

Sindrome di Guillain- Barré

N

0-100

L

N

> 100 mg/dl

Encefalopatia da piombo



0-500

L

N



Normale

2

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI ANEURISMI Dilatazioni localizzate di un vaso sanguigno, in particolare dell’aorta o di un’arteria periferica. Generalmente si ritiene che gli aneurismi abbiano origine da un indebolimento localizzato della parete vasale. Cause specifiche comprendono l’arteriosclerosi, la medionecrosi cistica, la sifilide o le infezioni micotiche, le aortiti e i traumi. Si può riscontrare una familiarità, soprattutto per alcuni tipi di aneurisma aortico.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 153-3.PROFILASSI ANTIBIOTICA IN CHIRURGIA Categoria e procedura

Dosaggio negli adulti*

Neurochirurgica Craniotomia - solo se ad alto rischio, p.es., riesplorazioni, microchirurgia e ingresso nei seni paranasali o nel naso faringe

Vancomicina 1g EV e gentamicina 1,5mg/kg EV

Posizionamento di una derivazione liquorale - solo in ospedali con alti tassi di infezione (15-20%)

Preop; o cefazolina 1g EV preop Trimetoprim 160mg EV e sulfametossazolo 800mg EV preop e q 12h per 3dosi; o vancomicina 10mg e gentamicina 3mg iniettate nel ventricolo cerebrale

Oftalmica Estrazioni di lenti, ed inserzione di protesi

Gentamicina, tobramicina o gocce di neomicinagramicidina- polimixina B in 2-24h; e cefazolina 100mg nel sacco sotto- congiuntivale alla fine della procedura

Otorino-laringoiatrica Importanti interventi alla testa ed al collo con interessamento della mucosa della cavità orale o del faringe

Cefazolina 1-2g EV; o clindamicina 600-900mg EV± gentamicina 1,5mg/kg EV preop e q 8h per 2dosi

Cardiaca Sternotomia mediana, bypass, arteria coronaria, chirurgia valvolare e inserimento di pacemaker

Cefazolina 2g o cefuroxime 1,5g EV preop e q 4-6h intraoperatorio; o vancomicina 1g preop

Toracica non cardiaca Resezione polmonare, lobectomia e altre resezioni o interventi esofagei

Cefazolina 1-2g EV preop e q 6h per 24h o vancomicina 1g EV preop

Addominale Gastroduodenale - con emorragia, tumori, ostruzioni e altre condizioni ad alto rischio

Cefazolina 12g EV preop o clindamicin 600mg e gentamicina 120mg EV preop

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Manuale Merck - Tabella

Bypass gastrico

Cefazolina 12g EV preop

Gastrostomia percutanea

Cefazolina 12g EV preop

Tratto biliare (inclusa CPRE) Cefazolina 12g EV preop; o gentamicina 80mg EV preop e con sintomi acuti, precedenti q 8h per 3dosi interventi, ittero e altre condizioni ad alto rischio Appendicectomia

Cefoxitin o cefotetan o cefmetazolo 12g EV preop e q 6h per 3 dosi se non perforato; o metronidazolo 500 mg e gentamicina 1,5mg/kg preop

Interventi colorettali

Neomicina 1g e eritromicina base 1g PO alle ore 13, 14, e 23 PM il giorno precedente l’intervento se questo è elettivo ± o farmaci parenterali elencati sotto, se intervento urgente, 2g cefoxitina o cefotetan o cefmetazolo EV preop e q4 h per 3dosi; o metronidazolo 500mg EV e gentamicina 1,7mg/kg EV preop e q 8h per 3 dosi

Ostetrico-ginecologici Intervento cesareo - solo ad alto rischio, p.es rottura prematura delle membrane

Cefazolina 1g EV dopo il clampaggio del cordone ombelicale e 6h e 12h dopo

Aborto - 2° trimestre

Cefazolina g EV preop e q 6h per 2 dosi

Aborto - 1° trimestre, con storia Penicillina G 12 milioni U EV preop e 3h dopo; o di PID, gonorea o partner multipli doxiciclina 100 mg PO prima dell’intervento e 200 mg 1/2h dopo Isterectomia, vaginale o addominale

Cefazolina 1g EV preop e q 6h per 2 dosi; o doxiciclina 200 mg EV preop

Ortopedica Artroplastica, incluse le sostituzioni

Cefazolina 1-2g EV preop e q 6h per 3 dosi; o vancomicina 1g EV preop

Riduzioni di fratture aperte

Cefazolina 1g EV preop e q 6h per 3 dosi

Amputazioni degli arti inferiori

Cefoxitina 2g EV preop e q 6h per 4 dosi

Vascolare

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Manuale Merck - Tabella

Interventi arteriosi sugli arti Cefazolin 1-2g EV preop e q 6h per 24h; o vancomicina 1g inferiori e sull’arteria addominale; EV preop e 12h dopo l’intervento amputazione degli arti inferiori per ischemia Urologici Prostatectomia - se è presente batteriuria

Cefazolina 1g EV preop o altri farmaci selezionati sulla base dell’antibiogramma

Inserimento di protesi peniena

Cefazolina 1g EV preop

*Farmaci, dosi, vie di somministrazione e frequenza delle somministrazioni sono rappresentative delle attuali raccoman dazioni di gruppi di esperti. La cefazolina rimane il farmaco preferito per il suo spettro di azione battericida, la sua lunga emivita, il suo costo basso e la sua bassa tossicità. Le alternative sono da prendere in considerazione principalmente per i pazienti con allergie ai betalattamici. Preop=preoperatorio. Adattata da Kernodle DS, Kaiser AB: ‘‘Postoperativ infections e antimicrobial prophylaxis,’’ in Principles and Practice of Infectious Diseases, ed. 4, edited by GL Meell, JE Bennett, e R Dolin. New Yok, Churchill Livingstone, 1995, pp. 27422756 e da ‘‘Antimicrobial prophylaxis in surgery,’’ The Medical Letter 39:97102, 1997.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE DA PNEUMOCYSTIS CARINII Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il P. carinii, attualmente considerato un fungo piuttosto che un protozoo, causa malattia solo quando le difese dell'ospite sono compromesse, più frequentemente in presenza di deficit dell'immunità cellulo-mediata, come in corso di emopatie maligne, malattie linfoproliferative, chemioterapia antitumorale e AIDS. Circa il 30% dei pazienti con infezione da HIV ha una polmonite da P. carinii come diagnosi di esordio dell'AIDS e > 80% dei malati di AIDS sviluppa questa infezione prima o poi in assenza di una profilassi (v. Cap. 163). I pazienti con infezione da HIV diventano vulnerabili alla polmonite da P. carinii quando la conta delle cellule helper CD4 è < 200/ ml.

Sintomi, segni e diagnosi La maggior parte dei pazienti presenta febbre, dispnea e una tosse secca, non produttiva, che può evolvere in forma subacuta nel corso di diverse settimane o decorrere acutamente nel giro di alcuni giorni. La rx del torace mostra, di solito, infiltrati periilari bilaterali diffusi, ma il 20-30% dei pazienti ha reperti rx normali. L'emogasanalisi arteriosa mostra ipossiemia con un incremento del gradiente alveolo-arterioso di O2 e le prove di funzionalità respiratoria mostrano un'alterata capacità di diffusione. La diagnosi richiede la dimostrazione istopatologica del microrganismo mediante colorazione con argento metenamina, Giemsa, Wright-Giemsa, Grocott modificato, Weigert-Gram o colorazione con Ac monoclonali. I campioni di escreato sono solitamente ottenuti con l'espettorazione o con la broncoscopia. La sensibilità media è del 60% per l'espettorato e del 90-95% per il lavaggio bronchiale broncoscopico.

Terapia Il farmaco di scelta è il trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX) 20 mg/kg/die (trimetoprim) in 4 dosi EV o PO per 21 gg. Non si deve ritardare l'inizio della terapia per timore che essa possa compromettere la diagnosi, perché le cisti persistono per settimane. I principali effetti collaterali, specialmente nei pazienti con AIDS, sono rappresentati da eruzione cutanea, neutropenia e febbre. Schemi di trattamento alternativi sono la pentamidina 3-4 mg/kg EV una volta al giorno, l'atovaquone 750 mg PO bid, il trimetoprim 20 mg/kg/die PO con il dapsone 100 mg/die PO o la clindamicina 300-450 mg PO qid con la primachina base 15 mg/die PO. Tutti gli schemi di trattamento devono essere somministrati per file:///F|/sito/merck/sez06/0730662.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.36

Polmonite

21 giorni. Il principale limite della pentamidina è l'alta frequenza di effetti collaterali tossici che comprendono l'insufficienza renale, l'epatotossicità, l'ipoglicemia, la leucopenia, la febbre, l'eruzione cutanea e l'intolleranza gastrica. La mortalità complessiva tra i pazienti ricoverati va dal 15 al 20%. È consigliata una terapia di supporto con corticosteroidi per coloro che hanno una PaO2 < 70 mm Hg. Lo schema terapeutico suggerito è prednisone 40 mg bid (o suo equivalente) per i primi 5 gg, 20 mg bid per i successivi 5 gg e poi 20 mg/die per tutta la durata del trattamento. I corticosteroidi riducono l'ipossia, la necessità di intubazione e la fibrosi tardiva. Il trattamento di supporto è rappresentato dall'O2terapia e talora può essere necessaria una PEEP per mantenere la PaO2 _ 60 mm Hg. I pazienti con AIDS che hanno avuto la polmonite da P. carinii o che hanno una conta dei CD4 < 200/mm3 devono assumere per profilassi TMP-SMX 80/400 mg/ die; se questo trattamento non è tollerato, si può utilizzare il dapsone 100 mg/die PO o la pentamidina per via areosolica 300 mg mensilmente. Questi schemi di profilassi sono spesso consigliati anche per altri gruppi a rischio.

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Immunizzazione negli adulti

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 152. IMMUNIZZAZIONE NEGLI ADULTI Sommario: Introduzione VACCINAZIONI DI ROUTINE VACCINAZIONI NEI VIAGGIATORI

Gli agenti immunobiologici usati per gli adulti negli USA comprendono prodotti contenenti Ag (p. es., anatossine, vaccini) o Ac (p. es., immunoglobuline, antitossine). Immunoglobuline e antitossine disponibili negli USA sono elencate nella Tab. 152-1. Per l’utilizzazione di immunoglobuline, di antitossine e di vaccini di uso non di routine (p. es., il vaccino contro la rabbia) si rimanda ai capitoli del Manuale riguardanti le singole patologie. Le vaccinazioni nei lattanti e nei bambini sono trattate in Vaccinazioni nell’infanzia nelCap. 256. Un’anatossina è una tossina batterica modificata che è stata resa non tossica ma che mantiene la capacità di stimolare la formazione di anticorpi. Un vaccino, è una sospensione di batteri e virus interi (vivi o inattivati) o frazionati resi nonpatogeni, viene somministrato per indurre una risposta immunitaria e prevenire la malattia. Anche se lo sviluppo e la larga diffusione dei vaccini rappresenta un importante trionfo per la sanità pubblica, bisogna tenere presente che oltre ai benefici a ciascun agente sono associati anche i rischi. Anche se nessun vaccino è completamente sicuro o totalmente efficace, il loro uso, nei termini finora descritti è sostenuto dal favorevole rapporto rischio-beneficio. I vaccini devono sempre essere somministrati come raccomandato nelle istruzioni contenute nel foglietto illustrativo presente nella confezione; tuttavia, gli intervalli tra una serie di dosi possono essere allungati senza perdita d’efficacia. Prodotti contenenti vaccini microbici vivi non devono essere somministrati simultaneamente alle immunoglobuline; l’ideale sarebbe somministrare tali vaccini 2 sett. prima o 6-12 sett. dopo le immunoglobuline. I vaccini vivi solitamente non devono essere somministrati a pazienti immunocompromessi o a donne in gravidanza. La Tab. 152-2 presenta un elenco di vaccini in commercio negli USA. Vaccini contro il HIV, la malattia di Lyme e contro vari altri patogeni sono al momento in corso di studio.

VACCINAZIONI DI ROUTINE Le vaccinazioni da considerare per tutti gli adulti sono indicate nella Tab. 152-3. I virus viventi attenuati di morbillo, parotite e rosolia sono combinati in un unico vaccino che viene somministrato di routine a tutti i bambini al loro 2o anno d’età. Tuttavia, alcuni adulti non hanno mai ricevuto questo vaccino e non hanno contratto queste malattie in gioventù. Alcuni pazienti che hanno ricevuto il prodotto combinato non hanno mantenuto un alto tasso di Ac e possono essere a rischio. Generalmente i nati prima del 1956 sono considerati immuni in virtù di un’infezione precedente. Le persone nate dopo il 1956 devono ricevere il vaccino combinato se il loro stato immunitario non è sicuro o se hanno una probabilità di esposizione. Anche se questi vaccini possono essere somministrati separatamente, è preferibile scegliere la forma combinata perché una persona che ha bisogno di un vaccino probabilmente necessita di tutti e tre, inoltre una

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Immunizzazione negli adulti

rivaccinazione non presenta alcun rischio particolare. L’anatossina tetanica è associata con l’anatossina difterica nel vaccino adsorbito (Td). Sebbene il tetano sia raro, esso ha un alto tasso di mortalità. Dato che 1/3 dei casi si verifica quale conseguenza di piccole lesioni, è necessario sottoporre a vaccinazione tutta la popolazione. Gli adulti che non avessero effettuato la serie primaria delle tre iniezioni di anatossina tetanica nel corso della loro infanzia devono essere sottoposti a una prima dose di vaccino, a cui devono seguire una seconda dose a distanza di 1 mese e una terza dose dopo 6 mesi. Successivamente, una dose di richiamo (0,5 ml IM) q 10 anni mantiene l’immunità per tutta la vita. In alternativa, alcuni esperti raccomandano una singola dose di richiamo all’età di 50 anni dal momento che l’immunizzazione primaria fornisce un’eccellente protezione a lungo termine. Il vaccino per l’epatite B (EB) è raccomandato secondo una schedula che prevede una serie di 3 o 4 inoculazioni, ma un soggetto con esposizione nota può essere rivaccinato nel caso in cui il titolo anticorpale sia basso. Candidati alla vaccinazione sono tutti coloro che abbiano un rischio di esposizione a sangue o a contatti sessuali incluso il personale sanitario, il personale dei servizi di onoranze funebri, i pazienti che ricevono frequenti trasfusioni o che effettuano emodialisi, i tossicodipendenti che fanno uso di droghe EV, gli omosessuali maschi e i partner sessuali di portatori di EB. Inoltre, chiunque non sia stato precedentemente infettato e venga esposto al virus (p. es., un infermiere in seguito a una puntura accidentale) deve essere vaccinato. Il virus dell’influenza A subisce delle modificazioni genetiche ogni anno, ciò fa sì che sia necessario ripetere la vaccinazione annualmente con i nuovi ceppi. Poiché l’epidemia di influenza comincia generalmente all’inizio o in pieno inverno, il periodo migliore per la vaccinazione è l’autunno. Il vaccino è raccomandato nei soggetti ad alto rischio di complicanze gravi, incluso chiunque abbia > 65 anni; i pazienti ricoverati nei centri di malattie croniche, quelli con patologie cardiovascolari o polmonari croniche, disturbi metabolici, insufficienza renale, emoglobinopatie, immunosoppressione e quelli affetti da HIV. La vaccinazione può essere inoltre offerta al personale sanitario e a chiunque desideri evitare la sintomatologia legata all’infezione. Durante le epidemie di influenza ai residenti gli istituti per lungodegenti, si può prescrivere l’amantadina indipendentemente dallo stato di vaccinazione. Il vaccino per la polmonite da pneumococco è un preparato polivalente che contiene gli antigeni dei 23 sottotipi di pneumococco più virulenti tra gli 83 noti. La sua efficacia nel prevenire la batteriemia negli adulti varia dal 56 all’81%, anche se questa percentuale è lievemente inferiore negli anziani debilitati. Deve essere somministrato a chiunque sia ad alto rischio per malattie da pneumococco o per le loro complicanze, compresi tutti coloro a rischio per le complicanze derivanti dall’influenza e ai pazienti con asplenia funzionale, agli alcolizzati, ai pazienti con un’emopatia maligna o una perdita di LCR. Il vaccino può essere somministrato insieme a quello dell’influenza ma in un sito diverso (p. es., sul deltoide controlaterale). Un’unica vaccinazione assicura la protezione per tutta la vita, sebbene si debba prendere in considerazione una vaccinazione q 6 anni per i soggetti ad alto rischio. Il vaccino della varicella contiene virus vivo o attenuato. È indicato negli adulti senza storia di una precedente infezione, in particolare nel personale sanitario e nei contatti stretti dei soggetti immunocompromessi. Esso è in grado di permettere la produzione di anticorpi anti-varicella nel 97% dei riceventi e riduce del 70% la probabilità di insorgenza della malattia dopo l’esposizione. Nessuna immunoglobulina, incluse le immunoglobuline anti-varicella-zoster, va somministrata 5 mesi prima o 2 mesi dopo la vaccinazione. Questo vaccino può essere somministrato congiuntamente a quello contro morbillo-parotite-rosolia. I soggetti vaccinati devono evitare i salicilati per 6 sett. a causa della possibilità della sindrome di Reye.

VACCINAZIONI NEI VIAGGIATORI

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Immunizzazione negli adulti

Le vaccinazioni possono essere necessarie per viaggiare attraverso varie regioni in cui ci siano malattie infettive endemiche non presenti negli USA [o in Italia]. Per informazioni contattare i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) (Atlanta, GA 30333); un servizio telefonico (404-332-4559) è disponibile per medici e viaggiatori 24 ore al giorno, [In Italia ci si può rivolgere ad appositi uffici presso le ASL di appartenenza, n.d.t.].

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI Sommario: Introduzione SELEZIONE DI UN FARMACO ANTIBATTERICO

I farmaci antibatterici, antirickettsie e antimicotici derivano da muffe e da batteri (gli antibiotici) o da processi di sintesi chimica. Gli antibiotici agiscono sui microrganismi mediante inibizione della sintesi della parete cellulare e attivazione degli enzimi che distruggono la parete cellulare stessa, incremento della permeabilità della membrana cellulare, interferenza con la sintesi proteica e interferenza con la sintesi degli acidi nucleici.

SELEZIONE DI UN FARMACO ANTIBATTERICO Sebbene l’eziologia di un’infezione possa spesso essere intuita in base ai sintomi, le colture e gli antibiogrammi sono essenziali per la scelta del farmaco adatto al trattamento delle infezioni più gravi. Sebbene nei pazienti gravemente malati possa essere necessario iniziare la terapia prima che i dati colturali di laboratorio siano disponibili i campioni devono essere sempre prelevati prima dell’inizio della terapia. In generale, i farmaci attivi in vitro sono efficaci anche in vivo. Tuttavia, la sensibilità in vitro di un microrganismo a un farmaco antimicrobico può non essere un indice attendibile della reale efficacia clinica del farmaco, poiché l’efficacia dipende in parte dalla farmacologia della molecola (assorbimento, distribuzione, concentrazione nei liquidi corporei e nei tessuti, siti di legame con le proteine e velocità di escrezione o di metabolizzazione), dalle possibili interazioni tra farmaci, dalla presenza di sostanze inibitrici e dall’efficacia dei meccanismi di difesa dell’ospite. Gli altri fattori che vanno presi in considerazione sono la natura e la gravità della malattia, la tossicità del farmaco, il suo costo e l’anamnesi del paziente per episodi di ipersensibilità o di altre reazioni gravi. Penicilline, cefalosporine, vancomicina, aminoglicosidici, chinolonici e polimixine sono generalmente considerati battericidi (cioè uccidono i batteri). Eritromicina, tetracicline, cloramfenicolo, clindamicina, lincomicina, claritromicina, azitromicina e sulfamidici sono in genere batteriostatici (cioè, rallentano la crescita batterica). Tuttavia, i farmaci battericidi possono essere batteriostatici nei confronti di alcuni microrganismi e i farmaci batteriostatici possono essere battericidi nei confronti di altri germi. Nella maggior parte delle infezioni, incluse la polmonite pneumococcica e le IVU, sembra che non ci siano vantaggi nell’uso di farmaci battericidi rispetto a quello dei farmaci batteriostatici. Tuttavia, l’attività battericida sembra necessaria nelle infezioni in cui i poteri di difesa del soggetto siano almeno parzialmente ridotti tanto localmente quanto sistematicamente; p. es., endocardite, meningite, infezioni gravi da stafilococchi e gravi infezioni batteriche da gram – nel paziente leucopenico. Sono spesso necessarie associazioni di farmaci antibatterici nelle infezioni gravi, prima di poter conoscere lo spettro di sensibilità dei germi in causa ai vari

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farmaci antimicrobici. Le associazioni sono spesso necessarie anche nelle infezioni miste e risultano superiori ai singoli farmaci antibatterici nella terapia di quelle infezioni in cui il microrganismo tende a sviluppare resistenza quando si usa un solo farmaco (p. es., TBC). Le associazioni basate su effetti sinergici sono necessarie per la terapia dell’endocardite enterococcica, in cui bisogna usare un aminoglicosidico assieme alla penicillina o alla vancomicina per ottenere un’adeguata azione battericida per la cura. Le associazioni sembrano importanti anche nei pazienti leucopenici con gravi infezioni sostenute da Pseudomonas aeruginosa; in questi casi un’associazione di un aminoglicosidico (p. es., tobramicina) con una penicillina anti-pseudomonas (p. es., la ticarcillina) fornisce risultati migliori di quelli ottenibili singolarmente con ciascuno dei due farmaci. Somministrazione: nelle infezioni gravi è solitamente d’obbligo la somministrazione parenterale, preferibilmente EV; i preparati orali vengono invece usati spesso per il mantenimento, una volta che l’infezione risulti sotto controllo. La terapia va continuata fino a che non ci siano segni obiettivi che l’infezione sistemica sia scomparsa da diversi giorni (p. es., assenza di febbre, di leucocitosi e di parametri di laboratorio anormali). Il dosaggio degli antibiotici che vengono escreti principalmente nelle urine deve essere corretta quando questi vengono somministrati a pazienti con insufficienza renale. Tali pazienti possono tollerare le dosi consuete per le prime 24 h, ma le dosi successive dovranno essere ridotte o bisognerà prolungare il loro intervallo. Il monitoraggio e la correzione dei dosaggi sono importanti anche nei neonati (v. Infezioni neonatali nel Cap. 260) e negli anziani. La tossicità diretta o l’ipersensibilità può produrre effetti indesiderati con qualsiasi antibiotico e può interessare la maggior parte dei sistemi d’organo. Le reazioni negative non richiedono sempre la sospensione del trattamento, specie se il farmaco responsabile è il solo farmaco efficace. La gravità e il tipo delle reazioni, la loro prognosi, la possibilità di modificarne le manifestazioni con un adeguato trattamento e la gravità dell’infezione saranno tutti elementi da valutare. Le complicanze della chemioterapia appaiono in Tab. 153-1. Gli organismi possono sviluppare resistenza a qualsiasi farmaco, sia in modo rapido che dopo lunghi o ripetuti cicli di terapia. La resistenza si evita controllando rapidamente le infezioni. Dosi inadeguate promuovono lo sviluppo della resistenza; successivamente, anche dosi sempre maggiori di farmaco possono non essere in grado di controllare l’infezione. Usi errati della chemioterapia: i farmaci antibatterici vengono spesso utilizzati senza un’indicazione valida (come nel caso di una malattia a eziologia virale) o sono utilizzati in maniera impropria. L’uso scorretto più frequente è rappresentato probabilmente dal trattamento della febbre che non appare essere causata da un’infezione batterica. Senza una forte evidenza di invasione batterica, la terapia antibiotica deve essere posticipata, se fattibile, sino a quando il quadro clinico e i dati di laboratorio confermino l’infezione. Esempi comuni di uso improprio e di errori includono la scelta di un antibiotico inefficace, la somministrazione di dosi inadeguate o eccessive, il trattare infezioni non batteriche quali le malattie a eziologia virale non complicate, l’uso di una via impropria di somministrazione, il continuare l’uso del farmaco dopo che la resistenza batterica si sia sviluppata, il continuare il farmaco in presenza di una reazione tossica grave o di una reazione allergica, l’interrompere prematuramente una terapia efficace, l’uso di combinazioni improprie di farmaci chemioterapici e il fare affidamento sulla chemioterapia o sulla profilassi in alternativa a un intervento chirurgico (p. es., il drenaggio di un’infezione localizzata e la rimozione di un corpo estraneo). Le penicilline sono un ampio gruppo di antibiotici ad azione antibatterica che hanno in comune il nucleo dell’acido 6-aminopenicillanico. Sembra che la loro azione antibatterica risieda nella capacità di inibire funzioni metaboliche essenziali per la sintesi della parete cellulare dei batteri e nell’attivazione di enzimi che distruggono la parete stessa. Perciò le penicilline agiscono soltanto sui batteri in attiva moltiplicazione.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI ANTIBIOTICI Β-LATTAMICI PENICILLINE

Sommario:

Farmacologia Indicazioni Effetti collaterali PENICILLINA G E SIMILARI AMPICILLINA E SIMILARI PENICILLINE PENICILLASI-RESISTENTI PENICILLINE AD AMPIO SPETTRO (ANTIPSEUDOMONAS)

Farmacologia Le penicilline, dopo iniezione EV o IM, si diffondono rapidamente nella maggior parte dei tessuti e dei liquidi corporei mentre dopo somministrazione orale hanno una diffusione più lenta. Basse concentrazioni si riscontrano nelle articolazioni non infette e nei liquidi oculare, pericardico e pleurico. Tuttavia, durante un processo infiammatorio acuto, le penicilline penetrano bene nella maggior parte dei liquidi e delle cavità corporee. La penetrazione nel LCR è variabile, ma i livelli sono spesso dotati di efficacia terapeutica in presenza di infiammazione meningea. Alte concentrazioni si riscontrano nel fegato, nella bile, nel polmone, nell’intestino e nella cute. Le penicilline si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche. Soltanto il farmaco libero è attivo; pertanto l’attività antibatterica si manifesta quando il complesso si dissocia. Le penicilline sono escrete in gran parte in forma inalterata nelle urine, ma alcune vengono metabolizzate. L’acido penicilloico, un metabolita della benzilpenicillina, sembra essere un prodotto intermedio importante in alcune risposte antigeniche. Per valutare la sensibilità alla penicillina si può ricorrere a un test cutaneo a base di benzilpenicilloil-polilisina. (V. anche Ipersensibilità ai farmaci nel Cap. 148.) L’escrezione delle penicilline avviene, con diversa velocità, soprattutto mediante un meccanismo tubulare renale, filtrazione glomerulare e, in minor misura, attraverso la bile. La nafcillina tuttavia viene escreta soprattutto dal fegato. La penicillina G parenterale viene assorbita ed escreta così rapidamente che sono state approntate anche alcune preparazioni depot; queste liberano il farmaco lentamente dalla sede dell’inoculazione e determinano concentrazioni ematiche minori ma più prolungate. Le penicilline penicillasi-resistenti sono significativamente differenti per il grado di assorbimento orale, di legame alle proteine e per il tasso e la velocità di escrezione urinaria.

Indicazioni

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La penicillina G è l’antibiotico di scelta per le infezioni provocate da streptococchi aerobi e anaerobi (inclusi gli pneumococchi), stafilococchi non produttori di penicillasi, enterococchi e meningococchi, nonché per sifilide, actinomicosi, carbonchio e treponematosi. Un sempre maggior problema è costituito dai notevoli livelli di resistenza degli pneumococchi e degli enterococchi alle penicilline. La penicillina G è utile nella febbre da morso di ratto, nel morbo di Lyme e nelle infezioni provocate da Listeria, Corynebacterium, Fusobacterium e Clostridium. Le altre penicilline simili alla penicillina G possono essere usate al posto di quest’ultima in alcune di queste situazioni. L’ampicillina e i farmaci ampicillino simili (p. es., amoxicillina) hanno uno spettro d’azione molto simile a quello della penicillina G. La differenza è nella maggiore attività nei confronti di taluni bacilli gram –, come l’Haemophilus influenzae non produttore di penicillasi, alcuni ceppi di Escherichia coli, Proteus mirabilis, Salmonella e Shigella. L’aggiunta di clavulanato o di sulbactam (inibitori della β-lattamasi) all’ampicillina o all’amoxicillina, conferisce attività anche contro stafilococchi produttori di βlattamasi, H. influenzae, Neisseria gonorrhoeae, Moraxella catarrhalis, Bacteroides e Klebsiella sp. Le penicilline penicillasi-resistenti sono attive nei confronti di stafilococchi e streptococchi (compresi gli pneumococchi) ma non contro gli enterococchi. Il loro impiego principale è per le infezioni provocate da stafilococchi produttori di penicillasi. Le penicilline ad ampio spettro (antipseudomonas) hanno un’azione simile a quella dell’ampicillina ma in più sono attive contro Enterobacter, Serratia e Pseudomonas aeruginosa. Mezlocillina, azlocillina e piperacillina sono attive anche nei confronti di molti ceppi di Klebsiella. L’aggiunta di clavulanato alla ticarcillina e di tazobactam alla piperacillina conferisce attività anche contro Klebsiella, Serratia e Bacteroides e contro ceppi di stafilococchi produttori di βlattamasi, H. influenzae e N. gonorrhoeae.

Effetti collaterali Reazioni tossiche autentiche si verificano di rado, ma le penicilline sono potenti fattori di sensibilizzazione e si possono verificare due tipi di reazione allergica: (1) immediata (si verificano in < 0,5% dei pazienti) come l’anafilassi (con la possibilità di morte immediata), l’orticaria e l’edema angioneurotico e (2) ritardata (si verificano in oltre l’8% dei pazienti), come la malattia da siero, vari tipi di eruzioni cutanee (p. es., a carattere maculare, papulare e morbilliforme) e la dermatite esfoliativa, che compaiono solitamente dopo 7-10 gg di terapia. un’ipersensibilità alle penicilline accertata nell’anamnesi costituisce generalmente una controindicazione al loro impiego, sebbene gli effetti indesiderati possano anche non ripetersi in successive esposizioni. Pazienti con reazioni lievi possono effettuare test cutanei (v. Ipersensibilità ai farmaci nel Cap. 148) prima di ricevere una successiva somministrazione di penicillina. Ad un paziente che abbia avuto una reazione grave non va più somministrata una penicillina, a meno che non se ne possa fare a meno, non essendoci alternative valide, in condizioni rare e con il massimo delle precauzioni. Circa il 4-7% dei pazienti che hanno avuto reazioni di ipersensibilità alle penicillline hanno reazioni di ipersensibilità alle cefalosporine, sebbene molte di queste non siano probabilmente in relazione all’ipersensibilità alle penicilline. È possibile che le forme allergiche lievi possano scomparire rapidamente se il farmaco viene interrotto o possano scomparire anche se si continua la somministrazione; reazioni lievi possono essere trattate con antiistaminici orali. Le reazioni più gravi possono richiedere adrenalina e corticosteroidi e l’interruzione del trattamento. La terapia specifica per l’orticaria, la malattia da siero e lo shock anafilattico è riportata nel Cap. 148 e nel Cap. 111 per la dermatite esfoliativa.

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Con alte dosi si può avere tossicità per il SNC, specialmente se la funzionalità renale è ridotta. Tutte le penicilline possono provocare nefrite (frequente soprattutto con la meticillina), anemia emolitica Coombs-positiva, leucopenia o trombocitopenia. La leucopenia sembra verificarsi più spesso con la nafcillina. Sebbene qualsiasi penicillina ad alte dosi EV può interferire con la funzione piastrinica e provocare sanguinamenti, è la ticarcillina quella con cui ciò avviene più di frequente soprattutto in pazienti con insufficienza renale. Una colite pseudomembranosa (causata da Clostridium difficile) può essere la conseguenza dell’uso di una qualsiasi penicillina ed è maggiormente probabile con le somministrazioni orali di tali antibiotici piuttosto che con le somministrazioni parenterali. Altre reazioni comprendono dolore nella sede dell’inoculazione IM, tromboflebite nel caso in cui si usi ripetutamente la stessa sede di inoculazione EV e disturbi GI con i preparati per uso orale. Con questi ultimi si può avere anche lingua nerastra, a causa dell’irritazione della superficie della lingua con cheratinizzazione degli strati superficiali. Come con altri antibiotici, si possono poi verificare anche sovrainfezioni ad opera di batteri resistenti. Il probenecid inibisce la secrezione tubulare renale di molte penicilline e perciò può elevare i livelli ematici da due a quattro volte.

PENICILLINA G E SIMILARI Lo spettro di attività delle penicilline G e V è simile. Questi composti vengono inattivati dalla penicillasi e sono controindicati nelle infezioni provocate da organismi che producono tale enzima. La penicillina G è molto efficace in vitro nei confronti di molte ma non di tutte le specie di cocchi gram – e gram +. Alcuni bacilli gram – sono sensibili a dosi parenterali elevatissime di penicillina G. Tali dosi sono spesso al di là di quelle impiegabili in clinica, con l’eccezione di quelle richieste da Pasteurella multocida, H influenzae, gonococchi e meningococchi. L’impiego clinico della penicillina V è perciò rivolto soprattutto al controllo delle infezioni causate da germi gram + sensibili; essa non deve invece essere utilizzata nella terapia delle infezioni provocate da germi delle specie Neisseria o Haemophilus sp. La penicillina G è assai efficace nella gonorrea causata da meningonococchi, pneumococchi sensibili e streptococchi anaerobi e β-emolitici, nella maggior parte dei casi di endocardite batterica subacuta (EBS); nelle malattie da spirochete fusiformi; nel carbonchio; nella streptobacillosi; nell’actinomicosi; nel morbo di Lyme; nelle infezioni causate da P. multocida e in tutti gli stadi della sifilide. La penicillina non viene più raccomandata per il trattamento della gonorrea a causa della diffusione amplia di ceppi penicillino resistenti. La maggior parte delle infezioni insorte nelle comunità o contratte in ospedale è resistente alla penicillina G. Questo farmaco può essere impiegato per prevenire la faringite streptococcica, la febbre reumatica ricorrente e l’EBS (in associazione con pratiche chirurgiche come le estrazioni dentarie). La penicillina G (acquosa) si può somministrare IM o EV, ma la somministrazione IM risulta dolorosa. Quando è necessario ottenere concentrazioni sieriche elevate, come nei casi di meningite o di endocardite enterococcica, è d’obbligo impiegare la somministrazione EV. Il dosaggio EV abituale per l’adulto è di 530 milioni U/die per infusione EV continua a goccia o in dosi frazionate q 2-4 h. Le infezioni gravi nei bambini vengono trattate a dosi da 250000 a 400000 U/kg/ die in dosi frazionate q 4 ore. Solo di rado si rendono necessarie inoculazioni dirette intratecali, intracisternali, intrapleuriche o intra-articolari. Le forme deposito di penicillina G si somministrano IM; il lento assorbimento del farmaco dalla sede del deposito assicura livelli ematici terapeutici prolungati. La procain-penicillina G fornisce livelli evidenziabili nel sangue anche 24-48 h dopo l’inoculazione. Dosi da 600000 U bid (25000 U/kg bid nei bambini) sono sufficienti per la maggior parte delle infezioni penicillino-sensibili. Una singola iniezione IM di 600000 U. di penicillina G benzatina determina livelli ematici

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rilevabili per 1 sett. o più. Un dosaggio di 1200000 U IM una volta al mese viene impiegato nella prevenzione della febbre reumatica ricorrente (600000 U IM nei bambini < 27 kg) La sifilide insorta da < 1 anno viene trattata con 2,4 milioni U IM (50000 U/kg nei bambini). La sifilide acquisita da oltre 1 anno viene trattata con 3 iniezioni settimanali di 2,4 milioni U. Tuttavia, la sifilide del SNC deve essere trattata con penicillina G acquosa EV. La penicillina G orale viene impiegata nelle infezioni lievi o di entità moderata, come la scarlattina e la faringite streptococcica, ma non è raccomandata nelle infezioni gravi, poiché viene assorbita in modo incompleto. Il dosaggio abituale è di 400000-800000 U q 6 h per 10 gg negli adulti. Ai bambini si somministrano 40000-80000 U/kg/die in dosi frazionate. Per ottenere il miglior assorbimento il farmaco va somministrato 1 h prima o 2 h dopo i pasti. La penicillina V si somministra soltanto per via orale. Essa è acido-resistente e viene assorbita meglio della penicillina G orale ed è di solito preferita quando è necessario somministrare penicillina per via orale. Come la penicillina G, è indicata nelle infezioni lievi o di moderata entità sostenute da streptococchi. Il dosaggio consueto per la maggior parte delle infezioni è di 250-500 mg q 6 h negli adulti e di 25-50 mg/kg/ die in dosi frazionate nei bambini.

AMPICILLINA E SIMILARI L’ampicillina è indicata soprattutto nelle infezioni sostenute da alcuni germi gram – e da enterococchi, ma è inefficace nei confronti di Klebsiella, Enterobacter e di Pseudomonas sp. È invece efficace nelle infezioni causate da streptococchi e da stafilococchi sensibili. È anche efficace nelle IVU causate da ceppi sensibili di E. coli e di P. mirabilis e nelle meningiti causate da meningococchi e da ceppi suscettibili di H. influenzae e di pneumococchi. L’ampicillina è anche più efficace delle tetracicline nella terapia delle riesacerbazioni di bronchite sostenute da H. influenzae. Le colangiti e le colecistiti provocate da germi sensibili possono rispondere bene all’ampicillina, poiché i livelli biliari del farmaco risultano particolarmente elevati. L’ampicillina è efficace nella febbre tifoide causata da organismi sensibili e in associazione al probenecid, è risultata efficace anche in alcuni portatori cronici. L’ampicillina si dimostra efficace nella shigellosi e nella salmonellosi, anche se i farmaci antibiotici di regola non sono necessari nella gastroenterite non complicata sostenuta da Salmonella. L’ampicillina si può somministrare per via orale, IM o EV; l’assorbimento orale è variabile e può risultare ridotto se il farmaco viene assunto assieme al cibo. I livelli ematici massimi si raggiungono circa 2 h dopo la somministrazione orale e 1 h dopo la somministrazione IM, con attività significativa che perdura per diverse ore. Il dosaggio orale solito negli adulti e nei bambini con peso corporeo > 20 kg è di 250-500 mg q 6 h; nei bambini con peso corporeo < 20 kg la dose è di 50100 mg/kg/die in dosi frazionate. Il dosaggio parenterale è di 1-2 g q 4-6 h per gli adulti e di 100-200 mg/kg/die in dosi frazionate per i bambini. Per la meningite e la batteriemia il dosaggio è di 150-200 mg/kg/die EV negli adulti e di 200-400 mg/ kg/die (dose massima 12 g/die) EV nei bambini. Le eruzioni cutanee, soprattutto reazioni di tipo ritardato, si verificano più spesso con l’ampicillina e i suoi simili che con le altre penicilline, ma l’incidenza con cui sono state riscontrate è molto variabile. I pazienti affetti da mononucleosi infettiva sono soggetti a sviluppare una caratteristica eruzione cutanea. La maggior parte delle eruzioni da ampicillina probabilmente non è di natura allergica. La bacampicillina è un estere dell’ampicillina a somministrazione orale che viene idrolizzata ad ampicillina dopo l’assorbimento. Lo spettro di attività e le indicazioni sono gli stessi dell’ampicillina. La bacampicillina produce invece concentrazioni ematiche maggiori dell’ampicillina e viene impiegata al dosaggio di 400-800 mg bid negli adulti e di 25-50 mg/kg/die, suddivisi in 2 dosi frazionate, nei bambini.

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L’amoxicillina che è disponibile solo per uso orale (tuttavia è da poco disponibile l’amoxicillina clavulanato per EV-NdT) è simile all’ampicillina, ma viene meglio assorbita nel tratto GI ed è meno attiva nei confronti della Shigella. Essa in genere sostituisce l’ampicillina nell’uso orale, causando un minor numero di sintomi GI, ed è somministrata q 8 h. La posologia è di 0,75-1,5 g/ die in 3 dosi frazionate per gli adulti e di 25-50 (la dose più comunemente usata è 40) mg/kg/ die in 3 dosi frazionate per i bambini. L’amoxicillina clavulanato (per via orale) e l’ampicillina sulbactam (per via parenterale) hanno attività equivalenti all’amoxicillina e all’ampicillina ma sono attive anche contro i ceppi di stafilococchi produttori di β-lattamasi, H. influenzae, N. gonorrhoeae, M. catarrhalis, Bacteroides e Klebsiella sp. La combinazione è dosata nella sua componente amoxicillina e ampicillina.

PENICILLINE PENICILLASI-RESISTENTI Meticillina, oxacillina, nafcillina, cloxacillina e dicloxacillina sono indicate soprattutto nelle infezioni sostenute da stafilococchi coagulasi-positivi produttori di penicillinasi. Tali farmaci costituiscono anche una buona terapia per le infezioni da Streptococcus pneumoniae, da streptococchi del gruppo A e da Staphylococcus epidermidis sensibile. Sono invece inefficaci nei confronti di enterococchi, gonococchi e bacilli gram –. La meticillina deve essere somministrata per via parenterale. Il dosaggio abituale per gli adulti è di 6-12 g/die EV in 6 dosi frazionate; per i bambini è di 150-200 mg/ kg/die EV in 4-6 dosi frazionate; per i neonati è di 50-75 mg/ kg/die EV in 3 dosi. Nafcillina e oxacillina vengono usate allo stesso dosaggio parenterale della meticillina. Essi si equivalgono tutti dal punto di vista terapeutico; dei tre farmaci, la meticillina presenta maggiori rischi di provocare nefrite, la nafcillina di provocare leucopenia e l’oxacillina di provocare un aumento dei livelli degli enzimi epatici. Nafcillina, oxacillina, cloxacillina e dicloxacillina si possono somministrare per via orale nella terapia delle infezioni stafilococciche non gravi. L’assorbimento della nafcillina è scarso e quello dell’oxacillina è variabile; dicloxacillina e cloxacillina vengono ben assorbite. La dicloxacillina produce livelli ematici doppi di quelli ottenuti con un’analoga dose di cloxacillina, ma il legame proteico del farmaco alle proteine è superiore per la dicloxacillina. Il dosaggio PO di nafcillina e di oxacillina è di 500 mg-1 g q 4-6 h per gli adulti e di 50-100 mg/kg/die in dosi frazionate per i bambini; quello della cloxacillina è di 250-500 mg q 6 h per gli adulti e di 50- 100 mg/kg/die in dosi frazionate per i bambini; quello della dicloxacillina è di 250 mg q 6 h per gli adulti e di 25-50 mg/kg/die in dosi frazionate q 6 h per i bambini.

PENICILLINE AD AMPIO SPETTRO (ANTIPSEUDOMONAS) La ticarcillina è una carbossipenicillina con attività simile all’ampicillina. È efficace contro la maggior parte dei ceppi di E. coli e di P. mirabilis e la maggior parte dei cocchi gram +, fatta eccezione per gli stafilococchi resistenti alla penicillina G). È inoltre attiva anche contro la maggior parte dei ceppi di Bacteroides fragilis e P. aeruginosa (di solito impiegata in associazione a un aminoglicosidico nelle infezioni da Pseudomonas), contro la specie Enterobacter e il Proteus indolo-positivo. Gli enterococchi risultano in genere resistenti e Klebsiella e Serratia sono del tutto insensibili a essi. La ticarcillina viene impiegata per via parenterale e deve essere impiegata soltanto nelle infezioni gravi, la dose è di 200-300 mg/kg/die EV in dosi frazionate q 4 h negli adulti e nei bambini (dose massima 12-24 g/ die). Poiché la ticarcillina contiene circa 5 mEq di sodio/g, il sovraccarico di sodio, se somministrata EV, è un problema da tenere presente. L’eliminazione urinaria del potassio può determinare un’alcalosi ipokaliemica. Con i livelli ematici più elevati di questi farmaci si sono constatati anche un’interferenza con l’attività piastrinica e il verificarsi di sanguinamenti, file:///F|/sito/merck/sez13/1531188.html (5 of 6)02/09/2004 2.08.39

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soprattutto nei pazienti con insufficienza renale. La ticarcillina clavulanato possiede uno spettro di attività più ampio della ticarcillina, comprendente anche i ceppi produttori di β-lattamasi di N. gonorrhoeae, stafilococchi e H. influenzae, così come Klebsiella, Serratia e Bacteroides sp. La combinazione non ha un’attività maggiore contro la P. aeruginosa della ticarcillina da sola. La dose EV è la stessa della ticarcillina, tenuto conto della sola quota in peso del farmaco costituita dalla ticarcillina. La carbenicillina indanil sodica è un preparato orale usato soltanto per le IVU e per la prostatite batterica negli adulti. Il suo spettro di attività è lo stesso di quello della ticarcillina. La dose è di 1-2 cp (contenenti ciascuna 382 mg di carbenicillina) qid. Mezlocillina, azlocillina e piperacillina sono ureidopenicilline utilizzabili unicamente per uso parenterale. Esse sono più attive delle carbossipenicilline nei confronti degli enterococchi. Come la ticarcillina, anche le ureidopenicilline devono essere riservate soprattutto ai casi di infezione grave; il dosaggio è di 200-300 mg/kg/die EV in somministrazioni frazionate q 4 h negli adulti e nei bambini (dose massima 24 g/die). Questi farmaci contengono circa 2 mEq di Na/ g e pertanto produrranno un sovraccarico di sodio con minore probabilità della ticarcillina. Anche le interferenze con la funzione piastrinica risultano meno probabili. La mezlocillina possiede uno spettro simile a quello della ticarcillina, ma è attiva anche contro molti ceppi di Klebsiella e Serratia. Azlocillina e piperacillina possiedono spettri simili a quello della mezlocillina, ma sono da 4 a 8 volte più attive nei confronti dello Pseudomonas. La piperacillina più tazobactam ha uno spettro di attività più amplio della piperacillina da sola, con attività anche contro ceppiβ-lattamasi-produttori di N. gonorrhoeae, stafilococchi, H. influenzae e Bacteroides sp, oltre ad attività aumentata contro Klebsiella e Serratia, ma non presenta una maggiore attività contro P. aeruginosa rispetto alla piperacillina da sola. La dose EV consigliata negli adulti nel caso di infezioni gravi è di 12 g della componente piperacillina in dosi frazionate giornaliere, dose probabilmente inadeguata per le gravi infezioni da P. aeruginosa.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI ANTIBIOTICI Β-LATTAMICI CEFALOSPORINE

Sommario:

Farmacologia Indicazioni Effetti collaterali CEFALOSPORINE DI PRIMA GENERAZIONE CEFALOSPORINE DI SECONDA GENERAZIONE CEFALOSPORINE DI TERZA GENERAZIONE

Farmacologia Le cefalosporine sono farmaci battericidi con attività tanto nei confronti di germi gram + quanto nei confronti di germi gram –. Inibiscono la sintesi della parete della cellula batterica con un meccanismo simile a quello delle penicilline. Esse sono ampiamente distribuite alla maggior parte dei liquidi corporei e ai tessuti con concentrazioni che sono generalmente sufficienti a controllare le infezioni, specie in presenza di infiammazione (la quale facilita la diffusione dei farmaci). La penetrazione nel vitreo dell’occhio e nel LCR è in genere relativamente scarsa. Il cefuroxime e alcune cefalosporine di 3a generazione raggiungono nel LCR livelli sufficientemente elevati da risolvere la meningite. Le cefalosporine si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche: solo la quota libera risulta farmacologicamente attiva. Il cefoperazone viene escreto soprattutto nella bile. Il ceftriazone, sebbene non venga escreto nella bile quanto il cefoperazone, viene eliminato in modo significativo (33-67%) attraverso questa via. Tutte le altre cefalosporine e i loro metaboliti (quando esistono) vengono eliminati soprattutto per via urinaria, di solito per secrezione tubulare e per filtrazione glomerulare.

Indicazioni Sebbene le cefalosporine siano raramente i farmaci di scelta, a causa della loro relativa sicurezza e del loro ampio spettro d’azione, esse vengono spesso usate per profilassi in chirurgia ortopedica, addominale e pelvica e per terapia nelle infezioni sostenute da bacilli gram – e da cocchi gram +. Le cefalosporine non presentano vantaggi rispetto alle penicilline nei confronti dei cocchi gram + ma ne presentano nei confronti dei bacilli gram –.

Effetti collaterali file:///F|/sito/merck/sez13/1531192.html (1 of 4)02/09/2004 2.08.42

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Con tutte le cefalosporine possono verificarsi dolore nella sede dell’inoculazione IM e tromboflebite dopo l’uso EV. Le reazioni di ipersensibilità, come eruzioni, orticaria e anafilassi, sembrano meno frequenti con le cefalosporine che con le penicilline. Una sensibilizzazione crociata tra penicilline e cefalosporine è un evento raro, sicché le cefalosporine possono essere somministrate con una certa tranquillità anche a pazienti con anamnesi positiva per episodi di ipersensibilità ritardata alle penicilline. Tuttavia se il paziente ha nell’anamnesi una storia di reazione immediata alle penicilline bisognerà astenersi dal somministrare le cefalosporine. Tutte le cefalosporine possono provocare la colite pseudomembranosa (causata da Clostridium difficile). Durante la terapia con cefalosporine si possono riscontrare anche leucopenia, trombocitopenia e positivizzazione del test di Coombs. Cefamandolo, cefoperazone, cefmetazolo e cefotetan possono avere un effetto simile al disulfiram e provocare nausea e vomito con l’ingestione di etanolo; possono anche provocare aumenti del tempo di protrombina (PT) e del tempo di tromboplastina parziale (PTT), che risultano reversibili con la vitamina K.

CEFALOSPORINE DI PRIMA GENERAZIONE Le cefalosporine hanno tutte lo stesso spettro d’azione, con differenze unicamente di tipo farmacologico. Esse hanno tutte una buona efficacia nei confronti dei cocchi gram + (con l’eccezione degli enterococchi e degli stafilococchi meticillino-resistenti e coagulasi + e coagulasi –) e nei confronti della maggior parte dei ceppi di E. coli, P. mirabilis e K. pneumoniae. cefalexina, cefradina e cefadroxil vengono bene assorbite dopo la somministrazione orale. Poiché il cefadroxil viene escreto più lentamente degli altri due farmaci esso determina livelli sierici e urinari più duraturi. Tra quelle di uso parenterale, cefalotina e cefapirina si equivalgono farmacologicamente. La cefazolina produce livelli sierici che sono 3 volte più alti e più duraturi di quelli di cefalotina e cefapirina, ma si lega maggiormente alle proteine. La cefradina dopo inoculazione IM produce concentrazioni sieriche che sono minori di quelle ottenibili con la somministrazione orale. Nessuna delle cefalosporine della 1a generazione può raggiungere concentrazioni nel LCR sufficienti per curare la meningite. Il cefadroxil viene somministrato per via orale nell’adulto a un dosaggio di 500 mg-1 g q 12 h; la dose nei bambini è di 30 mg/kg/die in 2 dosi frazionate. La cefalexina e la cefradina vengono somministrate per via orale nell’adulto a un dosaggio di 250 mg-1 g q 6 h e nei bambini a dosi di 25-100 mg/kg/die in 4 dosi frazionate. La cefradina viene impiegata IM o EV a dosaggi di 2-8 g/die nell’adulto e di 25-50 mg/kg/die in dosi frazionate q 4-6 h nel bambino. Cefalotina e cefapirina vengono impiegate IM o EV a dosaggi di 0,5-2 g q 4-6 h nell’adulto; nel bambino il dosaggio della cefalotina è di 80-160 mg/kg/die e quello della cefapirina è di 40-80 mg/kg/die IM o EV, in dosi frazionate. La cefazolina si usa IM o EV a dosaggi di 0,5-2 g q 6-8 h nell’adulto e di 50100 mg/kg/die in dosi frazionate nel bambino.

CEFALOSPORINE DI SECONDA GENERAZIONE Queste differiscono nel loro spettro di attività. Il cefamandolo, il cefaclor e il cefuroxime, il cefprozil e il loracarbef hanno un’attività contro gli stafilococchi comparabile a quella delle cefalosporine della 1a generazione; le altre cefalosporine della 2a generazione presentano un’attività minore. Cefaclor, file:///F|/sito/merck/sez13/1531192.html (2 of 4)02/09/2004 2.08.42

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cefprozil e loracarbef, sono disponibili solo per uso orale; cefamandolo e cefonicid, sono disponibili solo per uso parenterale. Il cefuroxime, disponibile sia per uso orale che parenterale, ha una migliore attività contro H. influenzae, E. coli ed Enterobacter sp, a confronto con le cefalosporine di 1a generazione. La cefossitina e il cefotetan (che sono in realtà delle cefamicine) sono più attivi delle cefalosporine di 1a generazione nei confronti di proteus indolo +, serratia, bacilli anaerobi gram – (inclusi B. fragilis) e alcuni E. coli, Klebsiella e P. mirabilis. Il cefmetazolo è attivo allo stesso modo contro i batteri anaerobi, ma è meno attivo della cefoxitina o del cefotetan contro la maggior parte dei bacilli gram –. Il cefmetazolo e il cefotetan sono più attivi della cefoxitina contro l’H. influenzae. Il cefuroxime parenterale è l’unica cefalosporina di 2a generazione capace di penetrare a sufficienza nel LCR, tanto da poter essere impiegato nella terapia della meningite (pneumococcica, meningococcica, da H. influenzae e da Staphylococcus aureus). Il cefaclor viene somministrato oralmente a dosaggi di 0,25-0,5 g q 8 h negli adulti e di 20-40 mg/kg/die in dosi frazionate nei bambini. Il cefamandolo viene usato EV o IM a dosaggi di 500 mg-2 g q 4-8 h negli adulti e di 100-150 mg/kg/die in dosi frazionate nei bambini. Il cefamandolo può provocare l’aumento del TAP e del PTT (reversibile con vitamina K) e ha un effetto simil-disulfiram. Il cefonicid ha un’emivita plasmatica molto lunga (4 h) e può essere somministrato una sola volta al giorno al dosaggio di 0,5-2 g EV o IM nell’adulto. La cefossitina e il cefotetan hanno la maggiore attività in vitro contro i batteri anaerobi rispetto ad altre cefalosporine. Sono attivi nei confronti della maggior parte dei ceppi di B. fragilis e di altri Bacteroides sp. Il dosaggio di cefoxitina negli adulti è di 1-2 g IM o EV q 4-8 h; nei bambini è di 80-160 mg/kg/die in dosi frazionate q 4-6 h. Il dosaggio di cefotetan negli adulti è di 1-2 g EV o IM q 12 h. Il cefotetan può provocare un aumento del TAP e PTT (reversibile con la vitamina K) e ha un effetto disulfiram-simile. Il cefuroxime viene usato IM o EV a dosaggi di 750 mg-1,5 g q 6-8 h negli adulti e di 75-150 mg/ kg/die nei bambini, in dosi frazionate. Il cefuroxime non deve essere utilizzato nelle meningiti per la possibilità di fallimenti. Le cefalosporine di terza generazione hanno sostituito il cefuroxime nel trattamento delle meningiti. Il dosaggio orale è di 250-500 mg bid negli adulti e di 20-30 mg/ kg/die in due dosi frazionate nei bambini. Il cefmetazolo ha un’attività comparabile alla cefoxitina e al cefotetan contro i batteri anaerobi, ma un’attività minore contro altri bacilli gram – (eccetto l’H. influenzae, che è sensibile). Il dosaggio negli adulti è di 2 g EV q 6-12 h. Il cefmetazolo può provocare un aumento del TAP e PTT (reversibile con la vitamina K) e ha un effetto disulfiram-simile. Il cefprozil viene somministrato per via orale alle dosi di 250 mg-500 mg q 12 h negli adulti e di 7,5-15 mg/kg ogni 12 h nei bambini. Il loracarbef si somministra oralmente alle dosi di 200-400 mg q 12 h negli adulti e di 7,5 mg 15 mg/kg ogni 12 h nei bambini.

CEFALOSPORINE DI TERZA GENERAZIONE Questi farmaci hanno un’eccellente attività nei confronti delle Enterobacteriaceae. Dei farmaci per uso parenterale il cefotaxime, il ceftizoxime e il ceftriazone hanno un’attività molto simile in vitro e sono notevolmente efficaci nei confronti di molti cocchi gram +, anche se non quanto le cefalosporine di 1a generazione; ceftazidime e cefoperazone sono ancor meno efficaci contro i cocchi gram +. Il cefoperazone è meno efficace di cefotaxime, ceftizoxime o ceftriazone nei confronti delle Enterobacteriaceae, ma è più efficace nei confronti

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dello P. aeruginosa. Il ceftazidime è più attivo del cefoperazone contro le Enterobacteriaceae e lo P. aeruginosa. Il cefepime ha una buona attività contro i cocchi gram + (simile al cefotaxime), buona attività contro Pseudomonas (simile al ceftazidime) e aumentata attività contro molte Enterobacteriaceae (in confronto agli altri farmaci della terza generazione). I livelli di cefotaxime, ceftizoxime, ceftriazone e ceftazidime (ma non di cefoperazone) nel LCR sono sufficienti per la terapia della meningite provocata da germi molto sensibili. In generale, la meningite provocata da H. influenzae, meningococchi ed Enterobacteriaceae può essere curata con cefotaxime, ceftriazone, ceftazidime o ceftizoxime. La meningite da P. aeruginosa può essere trattata con ceftadizime. La meningite da pneumococchi può essere curata con cefotaxime, ceftizoxime o ceftriazone. Il cefepime non è stato approvato per l’uso nelle meningiti. Il ceftizoxime ha un’attività maggiore contro i batteri anaerobi rispetto alle altre cefalosforine di 3a generazione, ma minore rispetto a quella di cefoxitina, cefotetano o cefmetazole. Il cefixime e il ceftibuten hanno un’eccellente attività contro i cocchi gram – e le Enterobacteriaceae, una buona attività contro alcuni streptococchi, inclusi gli streptococchi del gruppo A e i pneumococchi, e un’attività scarsa o nulla contro gli stafilococchi. Il cefpodoxime ha un’attività simile ma è più attiva contro gli stafilococchi. Il cefepime viene somministrato EV a una dose di 1-2 g q 12 h negli adulti. Il cefoperazone viene escreto soprattutto nella bile. Può provocare una reazione simil-disulfiram e il prolungamento di TAP e PTT, reversibile con la vitamina K. Il dosaggio nell’adulto è di 2-6 g/ die IM o EV, in dosi frazionate q 6-12 h. Sono tuttavia state impiegate anche dosi di 12 g/die. Il cefotaxime viene somministrato IM o EV a dosaggi di 1-2 g q 4-8 h negli adulti e di 100-200 mg/kg/die in dosi frazionate q 6-8 h nei bambini. Il ceftizoxime viene somministrato IM o EV a dosaggi di 1-2 g q 6-12 h negli adulti e di 50-200 mg/kg/die in dosi frazionate nei bambini. Il ceftriazone viene somministrato IM o EV a dosi di 1-2 g 1 o 2 volte/die negli adulti e di 50-75 mg/kg/die nei bambini (mai superando i 2 g) in 1-2 dosi ugualmente frazionate. Nei bambini affetti da meningite si somministrano 100 mg/ kg/die (mai superando i 4 g) in dosi frazionate q 12 h. Per la gonorrea non complicata si usa una singola dose IM da 125 mg. Per l’eradicazione dello stato di portatore di menigococco, si utilizza una dose singola IM di 250 mg (125 mg nei bambini). Il ceftazidime viene somministrato IM o EV a dosaggi di 1-2 g q 8-12 h negli adulti, e di 30-50 mg/kg q 8 h (senza superare i 6 g/die) nei bambini. Il cefixime si somministra per via orale a un dosaggio di 400 mg/die per gli adulti e 8 mg/kg/ die in 1 o 2 dosi frazionate per i bambini. Il cefpodoxime viene somministrato per via orale negli adulti alla dose di 200800 mg/die in dosi frazionate ogni 12 h e alla dose di 10 mg/kg/ die in dosi frazionate ogni 12 h nei bambini. Il ceftibuten viene somministrato negli adulti alla dose di 400 mg/die in un’unica somministrazione e alla dose di 9 mg/kg (fino a 400 mg) in un’unica somministrazione nei bambini.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI ANTIBIOTICI Β-LATTAMICI ALTRI ANTIBIOTICI Β-LATTAMICI L’imipenem e il meropenem sono antibiotici ad uso parenterale estremamente attivi con uno spettro esteso praticamente a tutti i germi gram + e gram –, sia aerobi che anaerobi. Enterococchi, B. fragilis, e P. aeruginosa sono suscettibili. Tuttavia, la maggior parte degli stafilococchi meticillino-resistenti è resistente anche all’imipenem e al meropenem. L’imipenem ha una formulazione che associa il cilastatin sodico, sostanza messa a punto per inibire il metabolismo renale dell’imipenem e per assicurare livelli antibatterici adeguati. L’imipenemcilastatina si somministra EV a dosaggi di 0,5-1 g q 6 h in adulti e di 40-60 mg/kg/ die q 6 h nei bambini. Il meropenem negli adulti si somministra alla dose di 1 g EV q 8 h e nei bambini alla dose di 20 mg/kg/die somministrata q 8 h (dose massima 2 g q 8 h). Gli effetti collaterali che si possono avere con l’imipenem sono un’ipotensione transitoria durante la somministrazione e convulsioni. Le convulsioni sono meno comuni con il meropenem rispetto all’imipenem. L’aztreonam è un antibiotico ad uso parenterale con eccellente attività nei confronti dei bacilli aerobi gram –, compreso lo P. aeruginosa; l’attività contro lo P. aeruginosa è equivalente a quella di imipenem, meropenem, ceftazidine, piperacillina e azlocillina. I germi gram + e gli anaerobi sono invece resistenti all’aztreonam. Il dosaggio negli adulti è di 1-2 g q 6-12 h IM o EV (nei bambini, 90120 mg/kg/die in dosi frazionate ogni 6-8 ore). I prodotti metabolici dell’aztreonam sono diversi da quelli di altri antibiotici β-lattamici, perciò è poco probabile che l’aztreonam dimostri sensibilità crociata. L’acido clavulanico, il sulbactam e il tazobactam hanno una scarsa attività antibiotica, ma inibiscono le β-lattamasi prodotte da molti batteri. In associazione all’ampicillina, all’amoxicillina, alla ticarcillina o alla piperacillina, questi farmaci divengono efficaci contro germi altrimenti resistenti; p. es., amoxicillina e acido clavulanico sono efficaci nei confronti degli stafilococchi produttori di β-lattamasi e dell’Haemophilus influenzae (v. sopra, in Penicilline).

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI AMINOGLICOSIDI Sommario: Introduzione Farmacologia Indicazioni Effetti collaterali Somministrazione e dosaggio

Gli aminoglicosidi sono antibiotici battericidi che si legano ai ribosomi 30S e inibiscono la sintesi proteica dei batteri. Essi sono attivi soltanto nei confronti dei bacilli aerobi gram – e degli stafilococchi. L’attività contro streptococchi e anaerobi è invece scarsa. Gli aminoglicosidi possono essere impiegati in associazione a una penicillina nella terapia dell’endocardite da stafilococchi, da streptococchi, e specialmente da enterococchi. Neomicina e kanamicina hanno uno spettro antibatterico limitato e sono più tossici degli altri aminoglicosidi. Questi due farmaci devono essere utilizzati unicamente per via topica o per via orale.

Farmacologia Tutti gli aminoglicosidi possiedono proprietà farmacocinetiche simili e sono tutti tossici; essi vengono scarsamente assorbiti per via orale e, pertanto, nelle infezioni sistemiche, devono essere impiegati per via parenterale. Essi vengono assorbiti bene dal peritoneo, dalla cavità pleurica e dalle articolazioni, pertanto non devono mai essere iniettati in tali sedi; essi vengono assorbiti attraverso la cute lesionata (p. es., da ustioni). Dopo l’inoculazione gli aminoglicosidi si distribuiscono soprattutto nel LEC. Il loro legame alle proteine è limitato. Anche in presenza di uno stato di infiammazione le loro concentrazioni nei tessuti e nelle secrezioni sono di molto inferiori ai livelli plasmatici. Le principali eccezioni a tale regola sono rappresentate da urina, perilinfa auricolare e tessuto corticale renale, nei quali ambiti gli aminoglicosidi si legano in modo selettivo, producendo concentrazioni superiori a quelle plasmatiche. In caso di infiammazione nei liquidi sinoviale, pleurico, pericardico e peritoneale si possono raggiungere concentrazioni sieriche > 50%. I livelli nella bile sono pari al 25-75% di quelli sierici, e in presenza di ostruzioni biliari tali valori risultano molto più bassi. La penetrazione degli aminoglicosidi nell’occhio, nel LCR e nelle secrezioni respiratorie è scarsa, anche in presenza di infiammazione. Quando si impiegano gli aminoglicosidi nella terapia delle meningiti, oltre alla somministrazione EV, sono spesso necessarie inoculazioni intratecali per poter raggiungere concentrazioni terapeutiche nei livelli del LCR. Gli aminoglicosidi vengono escreti nell’urina in forma inalterata per filtrazione glomerulare. Essi hanno tutti la stessa emivita plasmatica di 2-3 h, che risulta notevolmente prolungata in caso di insufficienza renale e negli anziani. Allo scopo di evitare effetti tossici, le dosi di mantenimento degli aminoglicosidi nei pazienti con insufficienza renale devono essere modificate o riducendo le singole dosi oppure prolungando l’intervallo tra di esse o con entrambi tali provvedimenti. file:///F|/sito/merck/sez13/1531195b.html (1 of 4)02/09/2004 2.08.44

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A causa delle proprietà di distribuzione corporea degli aminoglicosidi, nei pazienti obesi il calcolo della dose dovrà essere rapportato al peso magro ideale del paziente più il 50% della massa adiposa. Nei pazienti con LEC eccessivo, come p. es., nei casi di edema, bisognerà invece calcolare la dose in base al peso corporeo totale. I pazienti affetti da fibrosi cistica o da ustioni avranno livelli plasmatici inferiori e possono richiedere dosaggi aumentati. Uno stato di anemia tende ad aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci. Gli aminoglicosidi vengono inattivati in vitro ad opera delle penicilline antipseudomonas (p. es., dalla ticarcillina). In vivo l’inattivazione dell’aminoglicoside può verificarsi in pazienti con insufficienza renale che ricevano una penicillina e un aminoglicoside, quest’ultimo somministrato con lunghi intervalli tra le dosi.

Indicazioni Con l’eccezione della streptomicina, che possiede uno spettro antibiotico più limitato, tutti gli aminoglicosidi hanno una buona attività nei confronti dei bacilli aerobi gram – ma sono inefficaci nei confronti degli anaerobi. Streptomicina, neomicina e kanamicina sono inattive contro lo Pseudomonas aeruginosa, mentre gentamicina, tobramicina, amikacina e netilmicina presentano una buona efficacia contro tale germe. Gli aminoglicosidi sono attivi contro gli stafilococchi, ma non contro gli streptococchi, pneumococchi compresi. Bisogna sempre aggiungere un aminoglicoside a un antibiotico β-lattamico quando si tratta un’infezione grave da P. aeruginosa. La streptomicina ha un impiego limitato, a causa della resistenza. Viene usata nella brucellosi, nella tularemia e nella peste. È associata all’isoniazide e alla rifampicina nella terapia della TBC e sebbene ormai largamente sostituita dalla gentamicina, può essere usata occasionalmente con la penicillina o la vancomicina nella profilassi e nella terapia dell’endocardite streptococcica o enterococcica. Viene utilizzata anche nel trattamento di alcuni micobatteri non tubercolari. A causa della loro tossicità neomicina e kanamicina devono essere limitate all’uso orale o locale (occhio, orecchio). Vengono somministrate per via orale per la preparazione dell’intestino prima dell’intervento chirurgico o nella terapia del coma epatico allo scopo di ridurre la carica batterica intestinale e quindi la produzione di ammonio. L’uso locale deve essere limitato a piccole dosi su piccole zone, poiché tali farmaci possono essere assorbiti e possono provocare successivi fenomeni di tossicità. Gentamicina, tobramicina, amikacina e netilmicina devono essere impiegate unicamente nella terapia di gravi infezioni da bacilli gram –. La gentamicina viene impiegata anche in aggiunta a una penicillina o alla vancomicina nella prevenzione e nella terapia dell’endocardite da streptococchi, da enterococchi o da Staphylococcus aureus. Gentamicina e tobramicina hanno attività antibiotica molto simile nei confronti dei bacilli gram – , con due sole differenze: la tobramicina è più efficace contro lo P. aeruginosa e la gentamicina è più efficace contro la Serratia marcescens. In alcuni ospedali si è riscontrata resistenza di bacilli gram – a gentamicina e tobramicina. La resistenza è provocata il più delle volte da un’alterazione enzimatica dell’aminoglicoside mediata da plasmidi. L’amikacina ha lo stesso spettro di attività di gentamicina e tobramicina, ma è meno sensibile all’inattivazione enzimatica. Pertanto, l’amikacina ha un grande valore nel controllo delle infezioni provocate da bacilli gram – resistenti alla gentamicina e alla tobramicina e dovrebbe probabilmente essere riservata a tale uso. La resistenza all’amikacina significa per solito resistenza a tutti gli aminoglicosidi attualmente disponibili. La netilmicina possiede lo stesso spettro di attività di gentamicina e tobramicina. È meno soggetta della gentamicina e della tobramicina alle modificazioni enzimatiche, ma lo è più di quanto non sia l’amikacina. Sembra tuttavia che

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presenti pochi vantaggi rispetto agli altri farmaci del gruppo.

Effetti collaterali Tutti gli aminoglicosidi sono nefrotossici e ototossici. Essi possono provocare un blocco neuromuscolare, una parestesia e una neuropatia periferica. Possono verificarsi reazioni di ipersensibilità. Neomicina e kanamicina ad alte dosi (p. es., 12 g/die) per via orale possono provocare una sindrome da malassorbimento. Neomicina e kanamicina sono più tossiche degli altri aminoglicosidi e non devono essere usate per via parenterale. Sebbene il loro assorbimento orale sia scarso, è tuttavia sempre possibile che, con l’uso prolungato, si assorba abbastanza farmaco da provocare tossicità, specie in pazienti con insufficienza renale. La streptomicina è scarsamente nefrotossica. La gentamicina può risultare più nefrotossica di tobramicina, amikacina e netilmicina. La nefrotossicità è tuttavia solitamente reversibile e risulta più probabile a dosaggi elevati, con alte concentrazioni ematiche e nelle terapie di lunga durata, in pazienti anziani e in soggetti con malattie renali preesistenti, con disidratazione o in terapia con furosemide. Sebbene non sia approvata negli USA, la monosomministrazione (a differenza delle dosi multiple sembra ridurre la frequenza della nefrotossicità. Streptomicina e gentamicina possono provocare con maggiore probabilità danno vestibolare, piuttosto che perdita dell’udito; mentre amikacina e netilmicina provocano perdita dell’udito più che danno vestibolare. Il danno vestibolare da streptomicina è frequente con l’uso prolungato e in pazienti con funzione renale compromessa. I sintomi e i segni sono vertigini, nausea, vomito, nistagmo e perdita dell’equilibrio. La tobramicina ha eguale influenza tanto sulla funzione vestibolare che su quella uditiva. La tossicità sull’ottavo paio dei nervi cranici è spesso irreversibile e si verifica il più delle volte con dosi elevate, con i livelli ematici più alti o con le terapie di maggior durata, specie in pazienti anziani, in soggetti con insufficienza renale, con problemi preesistenti dell’udito o che assumano acido etacrinico, furosemide o bumetanide. I pazienti che ricevano un aminoglicoside per più di 2 sett. o che abbiano fattori predisponenti per il rischio di ototossicità devono essere monitorizzati con audiogrammi in serie.

Somministrazione e dosaggio La streptomicina si somministra IM a dosaggi di 0,5-1 g q 12 h negli adulti e di 10-20 mg/kg q 12 h nei bambini nelle infezioni diverse dalla TBC. Per la TBC si somministra invece abitualmente 1 g 1 volta/die nell’adulto in unica dose quotidiana per parecchi mesi; successivamente la stessa dose viene somministrata per 2-3 volte/ sett. La neomicina è disponibile per uso topico, orale e rettale e come preparato per irrigazione vescicale. Il suo dosaggio orale o rettale è di 1-2 g q 6 h. La kanamicina viene somministrata per via orale, 8-12 g/die in dosi frazionate. Gentamicina e tobramicina si somministrano IM o EV alle dosi di 1-1,7 mg/kg q 8 h negli adulti e di 2-2,5 mg/kg q 8 h nei bambini. Nelle meningiti la gentamicina si somministra per via intratecale a dosi di 4-8 mg 1 volta/die negli adulti e di 12 mg una volta/die nei bambini piccoli. La gentamicina si somministra anche per via locale. Negli adulti l’amikacina si somministra IM o EV a dosi frazionate di 15 mg/kg/die bid mentre nei bambini il dosaggio è di 15-22,5 mg/kg/die in tre dosi frazionate. La netilmicina si somministra IM o EV a dosi di 3-6,5 mg/kg/die suddivise in 23 dosi ugualmente frazionate negli adulti e di 3-7,5 mg/kg/ die in 3 dosi frazionate nei bambini. file:///F|/sito/merck/sez13/1531195b.html (3 of 4)02/09/2004 2.08.44

Farmaci antibatterici

In pazienti con normale funzionalità renale: bisogna misurare le concentrazioni massime e minime ogni 3-4 gg al fine di ridurre al minimo la possibilità di reazioni ototossiche e nefrotossiche. La concentrazione massima si riscontra 60 min dopo un’iniezione IM o 30 min dopo la fine di un’infusione EV. Bisogna quindi adattare i dosaggi in modo da ottenere concentrazioni massime di 5-10 µg/ml (10,5-21 µmol/l) per gentamicina, tobramicina e netilmicina, e di 1530 µg/ml (26-51 µmol/l) per l’amikacina. I livelli minimi vanno misurati entro 30 min prima della successiva dose. Concentrazioni > 2 µg/ml (4,2 µmol/l) per gentamicina, tobramicina e netilmicina e > 5 µg/ml (8,6 µmol/l) per l’amikacina indicano che c’è una ritenzione di farmaco e una maggiore probabilità di tossicità. L’obiettivo della terapia deve essere quello di ottenere livelli di picco adeguati q 8 h per gentamicina, tobramicina e netilmicina e q 12 h per l’amikacina. La monosomministrazione della dose giornaliera piena (p. es., 5 mg/kg di gentamicina) è stata oggetto di valutazione nelle infezioni bacillari sostenute da germi gram –. Tale pratica sembra essere efficace e forse meno tossica rispetto alle dosi frazionate. Nei pazienti con funzionalità renale compromessa: è necessario diminuire il dosaggio allo scopo di ridurre al minimo la possibilità che si verifichino reazioni nefro-e ototossiche. Dopo una dose di attacco normale (1,0-1,7 mg/kg di gentamicina o tobramicina oppure 5-7,5 mg/kg di amikacina) si possono somministrare dosi inferiori agli intervalli previsti oppure dosi normali a intervalli prolungati. Esistono nomogrammi per il calcolo dei dosaggi in base ai valori della creatinina sierica o della clearance della creatinina (v. Tab. 153-2), ma non sono molto precisi e sono quindi da preferire le rilevazioni dei livelli ematici. Col variare della funzione renale, nessun nomogramma potrà fornire valutazioni utili. Non c’è nessun metodo che possa adeguatamente sostituirsi alla misurazione dei tassi del sangue. Il metodo migliore è quello di dare la dose d’attacco abituale e poi una secondo dose in base a un nomogramma. Bisognerà quindi misurare una concentrazione minimale sierica del farmaco prima e una concentrazione massima 60 min dopo una seconda dose IM nonché dopo le successive dosi, oppure appena prima e 30 min dopo la seconda e dopo le successive dosi somministrate per infusione EV ogni 30 min. L’obiettivo della terapia deve essere quello di ottenere livelli di picco adeguati q 8 h per gentamicina, tobramicina e netilmicina e q 12 h per l’amikacina. Quando le dosi siano state adattate e i livelli sierici risultino stabili, si può procedere alle misurazioni del farmaco nel siero ogni 2 gg o anche 2 volte/ sett. L’iniezione EV degli aminoglicosidi deve sempre essere eseguita lentamente (generalmente in almeno 30 min). Questi farmaci inoltre non devono essere mai iniettati in una cavità del corpo perché possono provocare blocco neuromuscolare e arresto respiratorio. Questo tipo di complicanza è particolarmente probabile in pazienti affetti da miastenia gravis o in coloro che ricevano farmaci curaro-simili. Essa è a volte reversibile con la neostigmina o con la somministrazione EV di calcio.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 153-2. POSOLOGIA PER GLI AMINOGLICOSIDI 1. Dose da carico selezionate in mg/kg (peso ideale) per ottenere delle concentrazioni sieriche massimali ("picco"). Aminoglicoside

Dose da carico abituale

Picco di concentrazione sierico atteso

Tobramicina Gentamicina

1,5-2,0mg/kg

4-10mg/ml (8,4-21µmol/l)

Amikacina

5,0-7,5mg/kg

15-30mg/ml (2651µmol/l)

2. Dosi di mantenimento selezionate (percentuale della dose da carico scelta) per mantenere il picco di concentrazioni sieriche consigliato sopra, secondo l’intervallo di somministrazione scelto e la clearance della creatinina corretta del paziente. Percentuale della dose da carico necessaria per l’intervallo di somministrazione scelto C(C)(CR) (ML/

8h (%)

12h (%)

24h (%)

90

84

---

---

70

76

88

---

50

65

79

---

30

48

63

86

20

37

50

75

15

31

42

67

10

24

34

56

5

16

23

41

0

8

11

21

MIN)

*Clearance corretta della creatinina C(c)cr calcolata come indicato di seguito: C(c)cr uomini = (140-età) x peso (in kg)/70 x creatinina sierica C(c)cr donne = 0,85 x C(c)cr uomini †La dose per i pazienti con C(c)cr ≤10ml/min deve essere accompagnata dalla misurazione delle concentrazioni sieriche. Modificata da Sarubbi FA Jr, Hull JH: "Amikacin serum concentrations: Prediction of levels and dosage guidelines." Annals of Internal Medicine 89:612-618, 1978; riproduzione autorizzata.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI MACROLIDI, LINCOMICINA E CLINDAMICINA Sommario: Introduzione Farmacologia Indicazioni Effetti collaterali Somministrazione e dosaggio

I macrolidi sono simili per struttura e per efficacia. Tutti i macrolidi oltre alla lincomicina e alla clindamicina, vengono assorbiti se assunti per via orale, mentre eritromicina, lincomicina, azitromicina e clindamicina possono essere anche somministrate per via parenterale. Sono tutti batteriostatici e si legano alla subunità 50S del ribosoma, inibendo così la sintesi proteica dei batteri. Questi farmaci sono attivi nei confronti dei cocchi gram + aerobi e anaerobi, con l’eccezione degli enterococchi e contro gli anaerobi gram –.

Farmacologia Dopo somministrazione orale o parenterale, questi farmaci si distribuiscono bene nei liquidi corporei, tranne che nel LCR. La loro escrezione avviene soprattutto per via biliare, pertanto non sono necessari aggiustamenti di dosi, in presenza di insufficienza renale.

Indicazioni L’eritromicina è attiva nei confronti dei cocchi gram + (compresi gli anerobi), a eccezione degli enterococchi; ma molti ceppi di Staphylococcus aureus sono ormai resistenti ad essa; pertanto questo farmaco non deve essere impiegato nelle infezioni gravi sostenute da S. aureus. L’eritromicina è anche attiva nei confronti di Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia trachomatis, Legionella pneumophila e altre Legionella sp, Corynebacterium diphteriae, Campylobacter, Treponema pallidum, e Borrelia burgdorferi. L’eritromicina è stata considerata il farmaco di seconda scelta nelle infezioni da streptococchi di gruppo A e da pneumococchi e viene usato per sostituire la penicillina nei casi in cui quest’ultima non possa essere impiegata. Tuttavia, pneumococchi resistenti alla penicillina sono spesso resistenti alla eritromicina. L’eritromicina, comunque, non va utilizzata nella terapia della meningite. Essa è invece il farmaco di scelta nella terapia delle infezioni da Legionella, da M. pneumoniae, nei portatori di C. diphteriae, e nella Bordetella pertussis. Sebbene essa sia attiva nei confronti dei bacilli anaerobi gram –, la sua efficacia è notevolmente minore di quella della clindamicina. L’eritromicina è stata impiegata per via orale in associazione a un aminoglicosidico orale nella preparazione preoperatoria della chirurgia del tratto GI. A causa dell’intolleranza GI all’eritromicina, claritromicina e azitromicina sono spesso utilizzate quali sostituti, per quanto tali farmaci siano molto più costosi.

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Farmaci antibatterici

Claritromicina e azitromicina hanno uno spettro antibatterico simile a quello dell’eritromicina. Inoltre essi hanno un’attività maggiore contro l’Haemophilus influenzae, e sono attivi contro il Mycobacterium avium-intracellulare. L’azitromicina è usata in monosomministrazione nelle uretrite e nelle cerviciti causate da C. trachomatis. La claritromicina ha un’emivita sierica di 4,7 h (3 volte quella dell’eritromicina), mentre l’azitromicina ha un’emivita molto più lunga. La clindamicina possiede uno spettro di azione simile a quello dell’eritromicina, tranne che per il fatto che essa è poco attiva contro il Mycoplasma. Il principale vantaggio della clindamicina rispetto all’eritromicina è la sua maggiore efficacia nei confronti dei batteri anaerobi e in particolare del genere Bacteroides (compreso il B. fragilis). Essa è attiva anche contro il toxoplasma e lo pneumocystis se utilizzato in combinazione con altri farmaci. La clindamicina non può essere impiegata nelle infezioni del SNC perché possiede scarso potere di penetrazione nel cervello e nel LCR. La lincomicina possiede uno spettro simile a quello della clindamicina, ma è meno attiva e non viene assorbita altrettanto bene per via orale. La clindamicina è dunque da preferirsi.

Effetti collaterali L’eritromicina provoca di solito, in funzione del dosaggio, disturbi del tratto GI, come nausea, vomito e diarrea. Questi effetti collaterali sono meno frequenti con claritromicina e azitromicina. Con l’eritromicina estolato si può verificare ittero colestatico che è meno frequente con l’eritromicina etilsuccinato. L’ittero compare di solito dopo 10 gg di terapia, principalmente negli adulti, ma può manifestarsi anche più presto se il farmaco è stato già somministrato in precedenza. L’eritromicina non si somministra IM perché provoca dolori intensi; essa può causare flebiti se somministrata EV. Le reazioni di ipersensibilità sono rare. Con l’uso EV di eritromicina oppure con alte dosi dello stesso farmaco per os., si è osservato, anche se di rado, una compromissione temporanea dell’udito. L’eritromicina aumenta i livelli ematici della teofillina e potenzia la terfenadina nell’indurre aritmie ventricolari. La claritromicina può avere effetti simili. Clindamicina e lincomicina possono provocare diarrea, a volte grave. Possono verificarsi coliti pseudomembranose dovute al Clostridium difficile e reazioni di ipersensibilità.

Somministrazione e dosaggio L’eritromicina base, estolato, etilsuccinato e stearato possono tutte essere somministrate per via orale nell’adulto a dosaggi di 250 mg-1 g q 6 h. Il dosaggio nei bambini è di 30-50 mg/kg/die in dosi frazionate q 6-8 h. È raro che sia indispensabile la terapia EV, ma quando essa è necessaria (come nelle forme gravi di malattia dei legionari) è preferibile l’infusione continua; parimenti efficace è l’infusione intermittente (di 20-60 min) a intervalli non maggiori di q 6 h. L’eritromicina lattobionato e gluceptato vengono impiegate EV a dosaggi di 1520 mg/kg/die in 4 dosi frazionate (20-40 mg/kg/die nei bambini). Nelle infezioni molto gravi dell’adulto ne sono stati impiegati fino a 4 g/die. La claritromicina viene utilizzata per via orale alla dose di 250-500 mg ogni 12 h negli adulti and e di 7,5 mg/kg ogni 12 h nei bambini. L’azitromicina negli adulti viene utilizzata per via orale a una dose singola di 500 mg seguita da 250-mg in mono somministrazioni quotidiane nei giorni da 2 a 5 (oppure nei bambini, alla dose di 10 mg/kg seguita da 5 mg/kg nei giorni da 2 a 5). Una singola dose di 1 g viene usata negli adulti nel caso di uretrite o cervicite da chlamydia. Una preparazione EV viene utilizzata alla dose di 500 mg/die in sostituzione della terapia orale.

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Farmaci antibatterici

La clindamicina viene somministrata per via orale a dosaggi di 150-450 mg q 6 h negli adulti e di 10-30 mg/kg/die in 3-4 dosi frazionate nei bambini. Il dosaggio IM o EV è di 600-2700 mg/ die in 3 dosi uguali negli adulti e di 2040 mg/kg/ die, in 3 o 4 dosi uguali nei bambini. La lincomicina viene somministrata per via orale in dosaggi di 500 mg q 6-8 h negli adulti e di 30-60 mg/kg/die, in dosi frazionate q 8 h nei bambini. Il dosaggio IM o EV è di 600 mg q 8 h negli adulti e di 10-20 mg/kg/die in dosi frazionate nei bambini.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI TETRACICLINE Sommario: Introduzione Farmacologia Indicazioni Effetti collaterali Somministrazione e dosaggio

Questi farmaci sono antibiotici batteriostatici strettamente correlati, dotati di uno spettro antibatterico e di una tossicità simili. Essi si legano alla subunità 30S dei ribosomi e inibiscono la sintesi proteica dei batteri. Sono efficaci contro molti streptococchi α-emolitici, streptococchi non emolitici, bacilli gram –, rickettsie, spirochete, Mycoplasma e Chlamydia. Circa il 5% dei ceppi di pneumococco sono resistenti alle tetracicline. Le infezioni sostenute da streptococchi β-emolitici di gruppo A non devono essere trattate con una tetraciclina, poiché addirittura il 25% di tali germi può essere resistente nei test in vitro. Le infezioni stafilococciche gravi non devono essere trattate con le tetracicline. La resistenza batterica a una tetraciclina indica una probabile resistenza alle altre.

Farmacologia Le tetracicline vengono assorbite in modo diverso dopo la somministrazione orale. Circa il 60-80% di ossitetraciclina, demeclociclina e tetraciclina viene assorbito e il 90% e più di doxiciclina e minociclina. Il cibo interferisce con l’assorbimento delle tetracicline, fatta eccezione per doxiciclina e minociclina. L’assorbimento delle tetracicline è ridotto dagli antiacidi contenenti alluminio, Ca e Mg e di preparati contenenti ferro. L’emivita plasmatica è di circa 8 h per ossitetraciclina e tetraciclina, di 13 h per demeclociclina e di 16-20 h per doxiciclina e minociclina. Le tetracicline penetrano nella maggior parte dei tessuti e dei liquidi corporei, ma i valori nel LCR non raggiungono livelli terapeutici affidabili. La minociclina, per via della sua liposolubilità, è l’unica tetraciclina che si ritrova nelle lacrime e nella saliva a livelli sufficienti per eradicare la condizione di portatore del meningococco. Tutte le tetracicline, con l’eccezione della doxiciclina, vengono escrete soprattutto nell’urina per filtrazione glomerulare, sicché i loro livelli ematici crescono in presenza di un’insufficienza renale. La doxiciclina viene escreta soprattutto nelle feci. Tutte le tetracicline vengono in parte escrete nella bile, col raggiungimento di concentrazioni biliari elevate, e vengono poi parzialmente riassorbite.

Indicazioni Le tetracicline vengono soprattutto impiegate nella terapia di IVU; nelle infezioni da rickettsie, da clamidie, da Mycoplasma e da Vibrio, nelle riesacerbazioni di

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Farmaci antibatterici

bronchiti croniche, nella malattia di Lyme, nella shighellosi, nella brucellosi, nel granuloma inguinale e, come terapia alternativa alle penicilline nella sifilide. La doxicillina viene usata per la chemioprofilassi della malaria causata da Plasmodium falciparum clorochina-resistente, mentre la demeclociclina viene usata nel trattamento della sindrome da inappropriata increzione di ormone antidiuretico. I gonococchi produttori di penicillinasi sono relativamente resistenti alle tetracicline.

Effetti collaterali Tutte le tetracicline somministrate per via orale provocano effetti collaterali GI di varia entità, come nausea, vomito e diarrea e possono causare una colite pseudomembranosa (Clostridium difficile) e sovrainfezioni da Candida. È frequente la tromboflebite dopo somministrazione EV. Le tetracicline possono provocare colorazione dei denti, ipoplasia dello smalto dentario e crescita anomala delle ossa nei bambini di età 8 anni e nei feti di donne gravide. Pertanto le tetracicline devono essere evitate dopo il 1o trimestre di gravidanza e nei bambini < 8 anni. Nei neonati si può verificare lo pseudotumor cerebri, con aumento della pressione intracranica e protrusione delle fontanelle. Tutte le tetracicline possiedono un effetto antianabolico e aumentano il catabolismo proteico che può provocare un peggioramento dell’uremia nei pazienti con insufficienza renale. Con livelli ematici eccessivi, dovuti a dosi elevate, uso EV o insufficienza renale, si può determinare una degenerazione grassa acuta del fegato, specie in corso di gravidanza. Le tetracicline (e la demeclociclina in particolare) possono provocare fotosensibilizzazione. La demeclociclina può provocare anche un diabete insipido nefrogeno. La minociclina provoca abitualmente vertigini. La doxiciclina è la tetraciclina utilizzata più comunemente a causa del prezzo contenuto, della possibilità di somministrazione due volte al giorno e della migliore tollerabilità. Le tetracicline a validità scaduta possono degenerare e provocare una sindrome di Fanconi.

Somministrazione e dosaggio Ossitetraciclina e tetraciclina sono equivalenti da un punto di vista terapeutico, ma è la seconda a essere impiegata assai più di frequente. Entrambe vengono somministrate per via orale a dosaggi di 250-500 mg q 6 h negli adulti e di 2550 mg/kg/ die in 4 dosi frazionate nei bambini > 8 anni. I farmaci vanno assunti un’ora prima o 2 h dopo i pasti. L’iniezione IM risulta assai dolorosa, per cui si preferisce la via EV quando è necessaria la terapia parenterale. La tetraciclina si può iniettare EV a dosaggi di 250-500 mg (raramente di 1 g) q 12 h negli adulti e in quei rari casi in cui è necessario alla dose di 10-25 mg/kg/die in 23 somministrazioni nei bambini > 8 anni. Questi farmaci sono anche disponibili in forma di unguenti per uso oftalmico e per altri usi locali. La demeclociclina viene somministrata per via orale alla dose di 600 mg/die negli adulti e di 8-12 mg/kg/die, in 2-4 dosi frazionate, nei bambini > 8 anni. La doxiciclina viene somministrata per via orale o EV negli adulti a un dosaggio di 200 mg in 2 dosi frazionate nella prima giornata e di 100 mg/die nei gg successivi in 1-2 dosi frazionate; sono state impiegate anche somministrazioni di 100 mg q 12 h per l’intera durata della terapia. Nei bambini > 8 anni si somministrano per via orale o EV 4 mg/kg/die in 2 dosi in prima giornata e 2 mg/ kg/die nei gg successivi, in 1-2 somministrazioni; sono state impiegate inoltre dosi di 4 mg/kg/die, suddivise in 2 somministrazioni, per l’intera durata della terapia. Le dosi dei farmaci vanno prese un’ora prima dei pasti o 2 h dopo. La doxiciclina è l’unica tetraciclina che non richiede aggiustamenti di dosaggio in caso di insufficienza renale.

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Farmaci antibatterici

La minociclina si somministra per via orale o EV nell’adulto alla dose di attacco di 200 mg, seguita da dosi di 100 mg q 12 h. Nei bambini > 8 anni la dose orale di attacco o EV è di 4 mg/kg, seguita da dosi di 2 mg/kg q 12 h. La rifampicina è il farmaco di scelta per eliminare la condizione di portatore di meningococco, ma la minociclina (100 mg q 12 PO h per 5 gg) è stata impiegata con successo negli adulti; tuttavia, sono frequenti disfunzioni vestibolari, specie nelle donne, e pertanto il farmaco è raramente necessario.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI CLORAMFENICOLO Il cloramfenicolo è soprattutto batteriostatico. Esso, legandosi alla subunità ribosomiale 50S, inibisce la sintesi proteica batterica. Possiede un ampio spettro di attività nei confronti di cocchi e bacilli (anaerobi compresi) gram + e gram –, Rickettsia, Mycoplasma e Chlamydia. La terapia con cloramfenicolo deve essere riservata alle infezioni gravi quando altri farmaci risultino poco efficaci o più tossici, perché causa una rara ma potenzialmente letale complicanza: l’anemia aplastica. Farmacologia: il cloramfenicolo viene ben assorbito per via orale, ma non IM. La terapia parenterale deve pertanto avvenire EV. Il farmaco si distribuisce ampiamente nei liquidi corporei e livelli terapeutici sono raggiunti anche nel LCR. Il cloramfenicolo viene metabolizzato nel fegato nella forma inattiva glicuronata. Sia il cloramfenicolo che il suo metabolita glicuronato vengono escreti nella urina. A causa del metabolismo epatico, il cloramfenicolo attivo non si accumula nel plasma di pazienti con insufficienza renale. Indicazioni: il cloramfenicolo è uno dei farmaci di prima scelta in: (1) febbre tifoide e altre infezioni gravi da Salmonella; (2) meningite provocata da ceppi suscettibili di Haemophilus influenzae, meningococchi o pneumococchi quando non può essere utilizzata una β-lattamina; (3) infezioni gravi provocate da Bacteroides fragilis; [[1863]]e (4) infezioni da rickettsie non sensibili alla tetraciclina o nelle quali non si possa usare la tetraciclina. Il cloramfenicolo è efficace nelle meningiti causate da microrganismi suscettibili come H. influenzae, meningococco e pneumococco ma è relativamente inefficace nelle meningiti provocate da Escherichia coli e da altre Enterobacteriaceae. Reazioni collaterali: due tipi di depressione midollare possono essere causate dal cloramfenicolo: un’interferenza reversibile e dose-dipendente con il metabolismo del ferro e una forma idiosincrasica irreversibile di anemia aplastica. La forma reversibile si può verificare con alte dosi, un ciclo prolungato di trattamento e in pazienti con epatopatia: la sideremia e la capacità legante il ferro aumentano, i reticolociti diminuiscono e si sviluppa vacuolizzazione dei precursori dei GR, anemia, leucopenia e trombocitopenia. L’anemia aplastica idiosincrasica irreversibile si verifica in < 1:25000 pazienti che ricevono il cloramfenicolo. L’esordio può anche avvenire dopo il termine della terapia. Sono invece rare le reazioni di ipersensibilità. Con l’uso prolungato del cloramfenicolo si può verificare neurite ottica e periferica. Si possono anche verificare diarrea e vomito. La sindrome del bambino grigio (v. anche Terapia antimicrobica in Infezioni neonatali nel Cap. 260), che è spesso fatale, si manifesta nei neonati. La sindrome è in relazione agli alti livelli ematici del farmaco dovuti all’incapacità del fegato immaturo di metabolizzare il cloramfenicolo e si verifica anche alle dosi standard. Somministrazione e dosaggi: il dosaggio del cloramfenicolo negli adulti e nei bambini è di 50 mg/kg/die PO o EV in dosi somministrate q 6 h. Nella meningite e talvolta in altre infezioni gravi si usano 75-100 mg/kg/die in dosi frazionate. Per poter evitare la sindrome del bambino grigio, i neonati 1 mese di vita non devono file:///F|/sito/merck/sez13/1531202.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.46

Farmaci antibatterici

mai ricevere inizialmente dosi maggiori di 25 mg/kg/ die. Le dosi devono essere bilanciate per ottenere livelli sierici di 10-30 µg/ml (31-93 µmol/l) in modo da evitare reazioni tossiche, specialmente in neonati, prematuri e in pazienti affetti da epatopatia. Il cloramfenicolo non deve mai essere somministrato a donne in travaglio di parto. Il farmaco non deve essere usato localmente perché piccole quote possono essere assorbite e possono, raramente, provocare anemia aplastica.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI VANCOMICINA La vancomicina è un antibiotico battericida che inibisce la sintesi della parete cellulare. È generalmente attivo nei confronti di tutti i cocchi e i bacilli gram + compresi (con rare eccezioni) i ceppi di Staphylococcus aureus e i ceppi di stafilococco coagulasi-negativi, che sono resistenti a penicilline e cefalosporine. La vancomicina ha un’attività batteriostatica contro gli enterococchi anche se molti ceppi di E. faecium sono ora resistenti. Tutti i batteri gram – sono resistenti alla vancomicina. Farmacologia: la vancomicina non viene assorbita per via orale in modo apprezzabile. Essa penetra nei liquidi corporei, come quelli pleurici, pericardici, sinoviali e ascitici e nel liquor. Nella bile si raggiungono livelli terapeutici. Il farmaco viene escreto per filtrazione glomerulare in forma inalterata. Indicazioni: la vancomicina è il farmaco di scelta per le infezioni gravi causate da germi gram + resistenti alle penicilline e alle cefalosporine (p. es., S. aureus e S. epidermidis resistenti alla meticillina) e per le infezioni gravi da stafilococchi e le endocarditi provocate da streptococchi viridanti o da enterococchi, nei casi in cui non si possano impiegare le penicilline o le cefalosporine per le allergie o le resistenze a tali farmaci. Nella terapia dell’endocardite enterococcica bisogna usare un aminoglicosidico in associazione alla vancomicina. La vancomicina per via orale è il farmaco di scelta per la colite da Clostridium difficile (colite pseudomembranosa). Reazioni collaterali: flebite e brividi con febbre sono effetti collaterali non comuni durante l’infusione EV. Talvolta si può verificare un rash. In via occasionale, con i livelli ematici più elevati, si sono verificate nefrotossicità e sordità, per solito in pazienti con insufficienza renale. Se la vancomicina si usa in pazienti con funzionalità renale compromessa, è necessario monitorare i livelli ematici per mantenere le concentrazioni plasmatiche al di sotto di 50 µg/ml (35 µmol/l). L’infusione deve avvenire lentamente, per evitare la sindrome del collo rosso nella quale si manifestano un arrossamento della cute delle regioni del collo e della spalla, malessere generale e uno stato simile allo shock. Somministrazione e dosaggio: la terapia parenterale viene somministrata EV. Il dosaggio è di 500 mg EV q 6 h o 1 g q 12 h negli adulti e di 40 mg/kg/die EV in dosi frazionate q 6-12 h nei bambini. L’infusione deve durare almeno 60 min. Il dosaggio orale per la colite da C. difficile iatrogena è di 125 mg q 6 h negli adulti e di 40 mg/kg/ die, suddivisi in 4 somministrazioni, nei bambini. Nei pazienti con insufficienza renale sottoposti a dialisi si possono somministrare 0,5-1 g (10 mg\kg nei bambini) di vancomicina EV una volta alla sett. per ottenere livelli terapeuticamente efficaci.

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Farmaci antibatterici

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI QUINUPRISTIN/DALFOPRISTIN Il quinupristin/dalfopristin combina due streptogramine che inibiscono la sintesi proteica. Esso è attivo contro i batteri gram – ma ha attività batteriostatica solo contro gli enterococchi. Esso viene utilizzato principalmente nei ceppi vancomicina-resistenti di Enterococcus faecium e negli stafilococchi multiresistenti ed è attivo contro Streptococcus pneumoniae ma solo moderatamente attivo contro E. faecalis. La somministrazione è EV, di solito alla dose di 7,5 mg/kg q 8 h o q 12 h. Il dolore locale e l’eritema sul sito dell’infusione rappresentano i principali effetti indesiderati; la diluizione del farmaco è di aiuto. Sono stati inoltre riportati cefalea, disturbi GI, reazioni cutanee, e innalzamento reversibile dei valori degli enzimi epatici.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI METRONIDAZOLO Il metronidazolo è attivo unicamente contro i protozoi, come Giardia lamblia, Entamoeba histolytica (v. Cap. 161) e Trichomonas vaginalis (v. Cap. 164) e contro i batteri strettamente anaerobi. Non è attivo invece nei confronti dei batteri aerobi o microaerofili. Farmacologia: il metronidazolo viene ben assorbito dopo somministrazione orale. Si distribuisce bene nei liquidi corporei e penetra nel LCR ad alte concentrazioni. Il metronidazolo e i suoi metaboliti vengono escreti soprattutto nelle urine. Indicazioni: il metronidazolo si usa soprattutto nella terapia delle infestazioni parassitarie e nelle gravi infezioni sostenute da germi anaerobi, in particolare da Bacteroides fragilis. Il metronidazolo è il farmaco di scelta per la vaginiti batteriche. È stato inoltre utilizzato con successo nel morbo di Crohn (v. Cap. 31). L’uso principale è nelle infezioni intra-addominali e pelviche sostenute da anaerobi. Il metronidazolo è scarsamente attivo nei confronti dei cocchi microaerofili gram + e pertanto non è efficace, se usato da solo, negli ascessi polmonari. È efficace invece nella terapia della meningite, degli ascessi cerebrali, delle endocarditi e delle setticemie provocati dagli anaerobi sensibili. È stato anche impiegato nella profilassi delle infezioni associate alla chirurgia intestinale. È un farmaco di scelta nella terapia della colite da Clostridium difficile. Reazioni collaterali: possono aversi nausea, vomito, cefalea, convulsioni, sincope e altre reazioni del SNC e neuropatia periferica, inoltre sono state descritte eruzioni, febbre e neutropenia reversibile. Può causare un retrogusto metallico e l’emissione di urine scure e ha causato neoplasie in topi e ratti, ma il rischio in campo umano non è noto. Se si ingerisce alcol durante la terapia con metronidazolo può verificarsi una reazione simile a quella del disulfiram. Somministrazione e dosaggio: il dosaggio orale dell’adulto nella terapia delle infezioni da batteri anaerobi è di 7,5 mg/kg q 6 h. La somministrazione EV (di solito necessaria nei soggetti che non possono essere trattati oralmente) nell’adulto affetto da infezioni anaerobiche prevede una dose di attacco di 15 mg/ kg e poi dosi di 7,5 mg/kg q 6 h. Nella colite da C. difficile sono utilizzati nell’adulto dosaggi di 250-500 mg tid o qid per 7-10 gg (30 mg/kg/die in 3 dosi nei bambini). Nelle vaginiti batteriche è consueto un dosaggio di 500 mg PO bid per 7 gg anche se è stato usato con successo il metronidazolo per uso topico. Nella malattia di Crohn dell’adulto sono stati impiegati dosaggi giornalieri di 800 mg, in somministrazioni frazionate. La posologia per la tricomoniasi negli adulti è di una singola dose orale da 2 g o 500 mg bid per 7 gg; per l’amebiasi, 750 mg tid per 10 gg (35-50 mg/kg/die tid nei bambini); e per la giardiasi, 250 mg tid per 7 gg (15 mg/kg/ die in dosi frazionate tid nei bambini).

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Farmaci antibatterici

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI RIFAMPICINA La rifampicina è un antibiotico che inibisce la RNA polimerasi DNA-dipendente, col risultato di una soppressione della sintesi di RNA. È battericida e possiede uno spettro di azione molto ampio nei confronti della maggior parte dei germi gram + e gram – (compreso lo Pseudomonas aeruginosa) e della specie Mycobacterium. A causa della rapida insorgenza di batteri resistenti, l’uso viene limitato alla terapia delle infezioni da micobatteri (v. Cap. 157) e di poche altre condizioni, come viene elencato più avanti. Farmacologia: la rifampicina è ben assorbita dopo somministrazione orale e si distribuisce ampiamente nei tessuti e nei liquidi corporei, compreso il LCR. Viene metabolizzata nel fegato ed escreta nella bile, oltre che, in misura assai inferiore, nelle urine: adattamenti dei dosaggi non sono necessari in caso di insufficienza renale. Indicazioni: rifampicina, rifapentina (una rifampicina di seconda generazione), isoniazide, etambutolo e pirazinamide sono utilizzate nella terapia della TBC (v. Cap. 157). La rifampicina è utilizzata anche nelle infezioni atipiche da micobatteri e nella lebbra. Nelle infezioni non sostenute da micobatteri la rifampicina è uno dei farmaci di scelta per eradicare la condizione di portatore di meningococco e di Haemophilus influenzae tipo B e per prevenire la meningite provocata da tali germi. Può anche risultare utile in combinazione con penicilline, cefalosporine o vancomicina nel trattamento dell’endocardite stafilococcica e dell’osteomielite stafilococcica. L’aggiunta di rifampicina all’eritromicina può essere utile nel trattamento delle infezioni da Legionella. È utilizzata inoltre insieme alla vancomicina nel trattamento della meningite pneumococcica. Effetti collaterali: l’effetto collaterale più grave è costituito dall’epatite, che si verifica più spesso quando isoniazide e rifampicina vengano somministrate assieme che non quando vengano impiegate singolarmente. Possono verificarsi pirosi, nausea, vomito e diarrea. Sono stati anche descritti sintomi a carico del SNC, come cefalea, sonnolenza, atassia e confusione mentale. Si manifestano inoltre eruzioni cutanee, febbre, trombocitopenia, leucopenia e anemia emolitica: tutti sintomi da mettersi in relazione con uno stato di ipersensibilità. È stata rilevata anche l’insorgenza di insufficienza renale su una base di ipersensibilità. La rifampicina provoca una colorazione rosso-arancione dell’urina, della saliva, dell’escreato, del sudore e delle lacrime; essa ha numerose interazioni con altri farmaci (v. Cap. 157). Somministrazione e dosaggio: il dosaggio necessario per abolire la condizione di portatore di meningococco è di 600 mg PO bid per 2 gg negli adulti e di 10 mg/ kg bid per 2 gg nei bambini (5 mg/kg bid per 2 gg nei neonati < 1 mese). Per eliminare la condizione di portatore di H. influenzae tipo b, si somministrano 600 mg/die PO per 4 gg negli adulti e 20 mg/kg/die in singola dose quotidiana PO per 4 gg nei bambini (10 mg/kg/ die PO per 4 gg nei neonati < 1 mese). Nelle infezioni stafilococciche sono state impiegate dosi di 300 mg PO bid in associazione a una penicillina, a una cefalosporina o alla vancomicina. È disponibile inoltre un prodotto EV usato agli stessi dosaggi.

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Farmaci antibatterici

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI SPECTINOMICINA La spectinomicina è un antibiotico batteriostatico che si lega alla subunità 30S dei ribosomi, inibendo la sintesi proteica dei batteri. Si usa soltanto nella terapia delle infezioni gonococciche e deve essere riservata ai pazienti che non possono essere trattati con ceftriazone o con un fluorochinolone. In casi di uretrite, cervicite e proctite gonococcica si somministra una singola dose di 2 g IM (40 mg/kg nei bambini prepuberi < 45 kg). La spectinomicina non è efficace nella faringite gonococcica. Gli effetti collaterali, a parte le reazioni di ipersensibilità e la febbre, sono rari. La spectinomicina viene escreta per filtrazione glomerulare.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI FARMACI ANTIBIOTICI VARI NITROFURANTOINA La nitrofurantoina si usa per via orale nella profilassi e nella terapia delle IVU. È efficace nei confronti di Escherichia coli, specie di Klebsiella-Enterobacter, degli stafilococchi e degli enterococchi, ma lo Pseudomonas e molti ceppi di Proteus sono resistenti ad essa. Viene ben assorbita dopo somministrazione orale, ma non produce livelli ematici con azione antibatterica; i suoi livelli urinari risultano tuttavia elevati. La nitrofurantoina è controindicata nei pazienti con insufficienza renale, poiché possono verificarsi gravi reazioni di tossicità mentre potrebbero non ottenersi adeguate concentrazioni urinarie. Gli effetti collaterali consistono in nausea e vomito, che compaiono più di rado con l’impiego della forma macrocristallina. Possono manifestarsi anche febbre, eruzioni cutanee, polmonite da ipersensibilità e fibrosi interstiziale polmonare progressiva. Se la somministrazione del farmaco viene proseguita possono insorgere anche parestesie seguite da una grave polineuropatia, specie in pazienti con insufficienza renale. Sono state inoltre osservate anche leucopenia ed epatotossicità. In pazienti affetti da deficit di G6PD si può verificare un’anemia emolitica. Il dosaggio orale è di 50-100 mg qid negli adulti e di 5-7 mg/kg/die in 4 somministrazioni nei bambini. Una singola dose serale di 50-100 mg può ridurre il numero di episodi di IVU in donne soggette a infezioni ricorrenti.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI CHINOLONI Cinoxacina Acido nalidixico

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI CHINOLONI FLUOROCHINOLONI I chinoloni e i fluorochinoloni sono battericidi e inibiscono l’attività della girasi del DNA. I chinoloni di vecchia data, acido nalidixico e cinoxacina, Fsono attivi solo contro le Enterobacteriaceae senza alcun’attività contro i microrganismi gram +, Pseudomonas aeruginosa o gli anaerobi. Inoltre, i batteri tendono comunque a divenire rapidamente resistenti a questi vecchi farmaci; vengono usati soltanto per le IVU. I fluorochinoloni hanno una maggiore attività contro Enterobacteriaceae e sono inoltre attivi contro stafilococchi, P. aeruginosa, Mycoplasma, Chlamydia, e alcuni streptococchi, a eccezione della trovafloxacina, non sono attivi in maniera affidabile nei confronti degli anaerobi. Ofloxacina, levofloxacina, grepafloxacina, trovafloxacina, e sparfloxacina hanno la migliore attività contro i cocchi gram +. È stata notata resistenza, particolarmente con P. aeruginosa e Staphylococcus aureus meticillino-resistente. La resistenza a un fluorochinolone generalmente significa la resistenza a tutti i fluorochinoloni. La norfloxacina per via orale è scarsamente assorbita; gli altri fluorochinoloni sono meglio assorbiti per via orale, garantendo livelli ematici adeguati per il trattamento di infezioni sistemiche. Farmacologia: con l’eccezione di ciprofloxacina, ofloxacina, trovafloxacina e levofloxacina i chinoloni sono disponibili solo per via orale. Dopo la somministrazione, si distribuiscono ampiamente nella maggior parte dei fluidi e dei tessuti corporei. Tuttavia, la norfloxacina non raggiunge concentrazioni adeguate per il trattamento di infezioni sistemiche. I chinoloni sono variamente metabolizzati nel fegato ed escreti nelle urine. Indicazioni: tutti i chinoloni e i fluorochinoloni sono utili nelle IVU. I fluorochinoloni sono efficaci nelle prostatiti batteriche e nelle diarree batteriche a eccezione di quella causata da C. difficile; sono efficaci inoltre nel trattamento della gonorrea e del cancroide. I fluorochinolonici, eccetto la norfloxacina, sono utili nella polmonite, nelle infezioni cutanee o dei tessuti molli e nell’osteomielite causata da batteri sensibili. L’ofloxacina è approvata per il trattamento delle infezioni causate da Chlamydia trachomatis. Effetti collaterali: è raro che si verifichino gravi fenomeni di reazione. Circa il 5% dei pazienti accusa effetti collaterali che interessano l’apparato GI, p. es., nausea, vomito e anoressia. Diarrea, leucopenia, anemia, eruzioni cutanee e fotosensibilità non sono comuni. Ci sono delle segnalazioni circa il fatto che la tendinite, incluso la rottura del tendine di Achille, sia associata all’uso dei fluorochinoloni. La nefrotossicità è rara. Gli effetti collaterali nel SNC si verificano in < 5% dei pazienti e si manifestano generalmente con un leggero mal di testa, disturbi del sonno, vertigini e cambiamenti d’umore. Le convulsioni sono rare, ma questi farmaci devono essere evitati nei pazienti con convulsioni o altre anomalie del SNC. I fluorochinoloni sono al momento controindicati per l’uso nei bambini e nelle donne in gravidanza, anche se sono in corso ulteriori ricerche. L’enoxacina e, in grado minore, la ciprofloxacina e gli altri fluorochinoloni possono causare accumulo di teofillina. La lomefloxacina è il fluorochinolone che ha maggiore probabilità di causare fotosensibilità. Gli antiacidi contenenti Mg o alluminio interagiscono con l’assorbimento se presi entro 4 h dall’assunzione di chinolonici. La sparfloxacina e la grepafloxacina non vanno utilizzati con farmaci che prolungano l’intervallo QT.

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Farmaci antibatterici

Somministrazione e dosaggio: l’acido nalidixico si somministra negli adulti in un dosaggio orale di 1 g qid e di 55 mg/kg/die in 4 dosi frazionate nei bambini. La cinoxacina si somministra negli adulti per via orale, 1 g/die in 2-4 dosi frazionate. La norfloxacina viene somministrata per via orale in un dosaggio di 400 mg bid negli adulti. La ciprofloxacina viene somministrata per via orale in un dosaggio di 250-750 mg bid negli adulti, ed EV in un dosaggio di 200-400 mg q 12 h. L’ofloxacina viene somministrata per via orale o EV a un dosaggio di 200-400 mg bid negli adulti. L’enoxacina è utilizzata negli adulti alla dose di 200-400 mg ogni 12 h PO. La lomefloxacina è utilizzata negli adulti in monosomministrazione giornaliera alla dose di 400 mg. La levofloxacina è utilizzata in monosomministrazione giornaliera alla dose di 250-500 mg PO o EV. La sparfloxacina viene somministrata alla dose di 400 mg PO come dose iniziale singola e quindi 200 mg/die per 10 giorni. La grepafloxacina viene utilizzata in monosomministrazione alla dose di 400-600 mg. La trovafloxacina è data in monosomministrazione alla dose di 100-200 mg o nella forma di alatrofloxacina mesilato EV 200 mg qid dopo una dose di 200 mg o 300 mg nel primo giorno di terapia.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI ANTIBIOTICI POLIPEPTIDICI Bacitracina Colistina Polimixina B La polimixina B e la colistina (polimixina E) sono tossiche. Il loro uso, pertanto, va limitato alle applicazioni locali. I polipeptidici sono antibiotici battericidi dotati di attività nei confronti dei bacilli aerobi gram –, compreso lo Pseudomonas aeruginosa. Polimixina B e colistina non sono efficaci nei confronti delle specie Proteus e dei germi gram +. Esse agiscono entrambe frammentando la membrana cellulare batterica. Polimixina B e colistina non vengono assorbite se somministrate per via orale: esse vengono invece usate localmente (p. es., orecchio, occhio, vescica urinaria). La bacitracina è un antibiotico battericida attivo unicamente nei confronti di germi gram + e di alcuni gram – come gonococchi e meningococchi. Essa inibisce la sintesi della parete cellulare, è nefrotossica e non deve essere impiegata per via parenterale. La si usa comunemente per via locale; è anche efficace PO nella terapia della colite da Clostridium difficile in un dosaggio di 25000 U qid per 10 gg.

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Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI SULFAMIDICI Sommario: Introduzione Farmacologia Indicazioni Effetti collaterali Somministrazione e dosaggio

I sulfamidici sono antibiotici batteriostatici di sintesi con un ampio spettro che comprende la maggior parte dei germi gram + e molti germi gram –. Tuttavia, numerosi ceppi di una singola specie possono essere resistenti. I sulfamidici impediscono la moltiplicazione dei batteri agendo come inibitori competitivi dell’acido p-aminobenzoico nel ciclo del metabolismo dell’acido folico. La sensibilità dei batteri è la stessa per tutti i vari sulfamidici e la resistenza a un sulfamidico indica resistenza anche a tutti gli altri.

Farmacologia La maggior parte dei sulfamidici viene assorbita rapidamente PO. Tuttavia, la somministrazione parenterale è invece difficoltosa, poiché i sali solubili dei sulfamidici sono molto alcalini e irritano i tessuti. I sulfamidici si distribuiscono ampiamente in tutti i tessuti. Essi raggiungono alte concentrazioni nei liquidi pleurico, peritoneale, sinoviale e oculare. Sebbene questi farmaci non vengano più utilizzati nel trattamento della meningite, i livelli nel liquor sono alti nel corso di infezioni meningee. La presenza di pus inibisce l’azione antibatterica. I sulfamidici vengono metabolizzati soprattutto dal fegato in forme acetilate e in glicuronidi, entrambi inattivi da un punto di vista terapeutico. L’escrezione è soprattutto renale, per filtrazione glomerulare, con una minima quota di secrezione o di riassorbimento tubulare. Se questi farmaci sono somministrati in gravidanza, producono alti livelli anche nei tessuti fetali. I sulfamidici si legano variamente e in modo debole e reversibile all’albumina sierica. Poiché il sulfamidico legato è inattivo e non disponibile per la diffusione, il grado di legame può influenzare la sua efficacia antibatterica, la sua diffusione e la sua escrezione. La relativa insolubilità della maggior parte dei sulfamidici, in particolare dei loro metaboliti acetilati, provoca la loro precipitazione nei tubuli renali. In genere si devono preferire gli analoghi più solubili, come il sulfisossazolo e il sulfametossazolo ed è bene che il paziente sia ben idratato. Per evitare la cristalluria e il danno renale bisognerà che l’apporto idrico consenta una diuresi di 1200-1500 ml/die. I sulfamidici non devono essere impiegati nell’insufficienza renale.

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Farmaci antibatterici

Indicazioni I sulfamidici sono al momento utilizzati in: IVU, nocardiosi, terapia della toxoplasmosi, in associazione alla pirimetamina, in sostituzione della penicillina nella profilassi della febbre reumatica, nella profilassi nei confronti dei ceppi sensibili di meningococco, nella terapia della colite ulcerosa (come sulfasalazina), nella terapia delle ustioni (come sulfadiazina argentica o mafenide), nelle infezioni da Plasmodium falciparum resistenti alla clorochina e in associazione al trimetoprim (v. oltre). Il sulfisossazolo e il sulfametossazolo sono i principali farmaci terapeutici nelle IVU. La sulfadiazina viene impiegata di rado, per via della cristalluria.

Effetti collaterali Comprendono reazioni GI, come nausea, vomito e diarrea; reazioni di ipersensibilità, come eruzioni, sindrome di Stevens-Johnson (v. Eritema multiforme nel Cap. 118), vasculite, malattia da siero, anafilassi e angioedema; cristalluria, oliguria e anuria; reazioni ematologiche come metaemoglobinemia, agranulocitosi, trombocitopenia, chernittero nel neonato e anemia emolitica nei pazienti con deficit di G6PD; fotosensibilizzazione; effetti neurologici, come neuriti periferiche, insonnia e cefalea. La sindrome di Stevens-Johnson si verifica con maggiore probabilità con i sulfamidici a lunga azione che non con quelli ad azione breve. L’ittero nucleare può derivare dalla somministrazione di sulfamidici alla madre al termine della gravidanza o nel neonato, poiché i sulfamidici nel neonato scindono la bilirubina dall’albumina. Pertanto non si devono somministrare sulfamidici alle donne in gravidanza vicine al parto e ai neonati. Altri effetti collaterali comprendono ipotiroidismo, epatite, potenziamento dell’azione delle sulfaniluree con ipoglicemia conseguente e degli anticoagulanti cumarinici. Sono stati anche descritti casi di riattivazione di LES quiescente. L’incidenza degli effetti collaterali è diversa per i vari sulfamidici, ma la sensibilità crociata è invece frequente.

Somministrazione e dosaggio Sono disponibili molti sulfamidici, ma verranno qui riportati soltanto i dosaggi di quelli più comuni. Sulfamidici sistemici: si raccomanda abitualmente una prima dose di attacco, anche se non è indispensabile; va anzi evitata nella terapia delle IVU (patologie che rappresentano il principale impiego dei sulfamidici). Risulta necessaria solo di rado nella maggior parte delle altre indicazioni. Il sulfisossazolo si usa al dosaggio di 1 g q 4-6 h nell’adulto. (La dose d’attacco, se utilizzata, è di 2-4 g negli adulti.) Nei bambini se ne somministrano PO 150 mg/ kg/die in 6 dosi frazionate, con una dose d’attacco, quando necessaria, di 75 mg/ kg. Il sulfametossazolo si usa PO al dosaggio di 1 g bid o tid negli adulti e di 2530 mg/kg bid nei bambini. (Le dosi d’attacco sono di 2 g negli adulti e di 5060 mg/kg nei bambini.) La sulfadiazina si impiega agli stessi dosaggi del sulfisossazolo. Il sulfametizolo si usa al dosaggio di 500-1000 mg tid o qid negli adulti e di 3045 mg/kg/die refratti in 4 somministrazioni nei bambini. Sulfamidici per uso topico: La sulfadiazina argentica e il mafenide si usano localmente per prevenire l’infezione delle ustioni (v. Cap. 276). La sulfacetamide è utile nella terapia delle infezioni oculari. file:///F|/sito/merck/sez13/1531207.html (2 of 3)02/09/2004 2.08.53

Farmaci antibatterici

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Reazioni infiammatorie

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 118. REAZIONI INFIAMMATORIE (v. anche Papule e placche orticarioidi pruriginose in gravidanza nel Cap. 252.)

ERITEMA MULTIFORME (Eritema multiforme essudativo o bolloso) Eruzione di tipo infiammatorio, caratterizzata da lesioni simmetriche, eritematoedematose, talora bollose, che colpiscono la cute o le mucose.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La causa resta sconosciuta in oltre il 50% dei casi. Molti altri casi sono dovuti a infezioni (p. es., da herpes simplex [probabilmente la causa più comune], da coxsackievirus ed echovirus, da Mycoplasma pneumoniae, da ornitosi e istoplasmosi), oppure da farmaci. Quasi ogni farmaco è in grado di determinare l’eritema multiforme; i più probabili sono la penicillina, i sulfamidici e i barbiturici. Anche le vaccinazioni antivaiolo e antipolio e il bacillo di Calmette-Guérin (BCG) possono indurre l’instaurarsi della patologia. Il meccanismo con cui gli agenti infettivi, i farmaci e i vaccini causano l’eritema multiforme non è noto, tuttavia si ritiene che si tratti di una reazione di ipersensibilità.

Sintomi, segni e diagnosi L’esordio è solitamente improvviso, con macule, papule, pomfi, vescicole e a volte bolle su fondo eritematoso, che insorgono principalmente all’altezza delle porzioni distali delle estremità (palmo-plantari) e al viso; inoltre, possono manifestarsi lesioni emorragiche delle labbra e della mucosa orale (v. Eritema multiforme orale nel Cap. 105). Le lesioni cutanee (eritema a coccarda) hanno una distribuzione simmetrica, spesso di forma anulare ad anelli concentrici, con il centro color porpora e una colorazione grigiastra dell’epidermide, con presenza a volte di una vescicola. Il prurito è variabile. La sintomologia sistemica può essere variabile; frequentemente compaiono artralgie, febbre e malessere generale. Gli attacchi a volte si esauriscono in 2 o 4 sett., per recidivare in autunno e in primavera per diversi anni. La sindrome di Stevens-Johnson è una forma molto grave di eritema multiforme (eritema multiforme major), caratterizzata dalla presenza di bolle a livello della mucosa orale, della faringe, della regione ano-genitale e della congiuntiva, lesioni a coccarda e febbre. Il paziente ha difficoltà ad alimentarsi o a chiudere la bocca. È bene consultare uno specialista dermatologo e oftalmologo. Gli occhi colpiti possono provocare vivo dolore e la congiuntivite purulenta può impedire al paziente l’apertura palpebrale. Può manifestarsi la produzione di simblefaron, di cheratite con ulcerazione corneale, iridite e uveite.

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Reazioni infiammatorie

Inoltre, le lesioni congiuntivali possono residuare una resistente opacità corneale e sinechia. Questa condizione può essere fatale. Le lesioni cutanee dell’eritema multiforme vanno distinte dal pemfigoide bolloso, l’orticaria e la dermatite erpetiforme; le lesioni orali vanno distinte dal pemfigo e dalla stomatite erpetica e aftosa. Va considerata anche la sindrome mani-piedibocca, determinata dai coxsackievirus A5, A10 e A16.

Terapia Quando viene ritrovata la causa, questa va trattata, eliminata o soppressa. Il semplice eritema spesso non necessita di terapia. L’eritema multiforme associato alla polmonite da micoplasma va trattato con la tetraciclina. La terapia locale dipende dal tipo di lesione: vescicole e bolle o lesioni erosive possono essere trattate con soluzione di Burow, soluzione salina o semplici impacchi umidi. La cheilite e la stomatite da eritema multiforme richiedono speciali cure (v. Eritema multiforme orale nel Cap. 105). L’uso di corticosteroidi sistemici (v. Eruzioni cutanee da farmaci, sopra) è controverso: alcuni pazienti, soprattutto quelli con gravi lesioni orali e della gola, se sottoposti a terapia corticosteroidea sistemica sembrano soccombere più rapidamente a infezioni respiratorie fatali. Comunque, questi farmaci si sono dimostrati efficaci nell’eritema multiforme grave (se usati precocemente) e nell’eritema multiforme cronico. Gli antibiotici sistemici (usati in base all’esame colturale e alla sensibilità) e il ristabilimento dell’equilibrio idroelettrolitico possono essere vitali in pazienti con lesioni cutaneo-mucose molto estese. Se un eritema multiforme grave o ricorrente è preceduto dall’herpes simplex, l’acyclovir a dosaggi di 200 mg PO 3-5 volte al giorno, è efficace nel prevenirne gli attacchi.

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252. ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA PAPULE E PLACCHE ORTICARIOIDI PRURIGINOSE DELLA GRAVIDANZA Comune eruzione pruriginosa a eziologia sconosciuta che si verifica durante la gravidanza.

Sommario: Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Sintomi, segni e diagnosi Alcune papule e placche di aspetto orticarioide, intensamente pruriginose ed eritematose, alcune con minuscole vescicole al centro, iniziano a comparire sull’addome (spesso sulle smagliature) e si estendono fino a coinvolgere le cosce, le natiche e, a volte, le braccia. Spesso le lesioni sono circondate da un alone chiaro. L’eruzione inizia, più di frequente, nel corso della penultima o terzultima sett. di gestazione (a volte negli ultimi giorni), ma può iniziare in qualunque momento nel corso del 3o trimestre. La maggior parte delle pazienti presenta centinaia di lesioni. L’eruzione è sufficientemente pruriginosa da tenere sveglia la paziente, ma le lesioni di tipo escoriativo sono rare. L’eruzione, in genere, si risolve subito dopo il parto e non recidiva nelle gravidanze successive. Le papule e placche orticarioidi pruriginose della gravidanza (Pruritic Urticarial Papules and Plaques of Pregnancy, PUPPP) devono essere differenziate dalle altre eruzioni pruriginose della gravidanza (incluso l’herpes gravidico, v. sopra). Non esiste un test diagnostico specifico per il PUPPP come per l’herpes gravidico e la diagnosi differenziale solo su base clinica è talora difficile.

Terapia I sintomi e le lesioni si possono risolvere nel giro di 2-4 gg con applicazioni, fino a 6 volte/die, di una crema a base di acetato di triamcinolone allo 0,1%. In alcune pazienti, l’intensità della sintomatologia e la mancata risposta ai corticosteroidi per uso topico richiedono l’uso di prednisone per via orale, che deve essere somministrato in dosi refratte giornaliere per un totale di 30-40 mg. La dose può essere ridotta di 5 mg q 3-4 gg. I corticosteroidi per via sistemica somministrati nella tarda gravidanza, non sembrano essere dannosi per il feto.

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Anomalie della gravidanza

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252. ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA HERPES GRAVIDICO (Pemfigoide gravidico) Eruzione vescicobollosa che si verifica durante la gravidanza o dopo il parto.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il termine herpes è improprio dato che l’eruzione non è associata al virus erpetico o ad altri virus. L’herpes gravidico è raro (1 ogni 50000 gravidanze). Inizia, in genere, nel corso del 2o o 3o trimestre o immediatamente dopo il parto. Si ritiene che abbia un’eziologia autoimmunitaria poiché il complemento e le immunoglobuline sono localizzati a livello della membrana basale della cute, zona in cui si verificano le prime modificazioni istopatologiche, dove si formano le vescicole.

Sintomi, segni e diagnosi L’eruzione è molto pruriginosa e può essere polimorfa; vi sono, in genere, vescicole e bolle. Le lesioni originano spesso sull’addome della paziente e poi si espandono. Possono assumere una conformazione anulare con le vescicole disposte sul bordo esterno e possono presentarsi in gruppi come nell’herpes zoster o simplex. L’eruzione, frequentemente, peggiora subito dopo il parto, di solito regredendo a distanza di poche settimane o pochi mesi. Spesso recidiva nelle gravidanze successive o a seguito dell’uso di contraccettivi orali. Il neonato può presentare alla nascita vescicole o placche eritematose che si risolvono nel giro di poche settimane, senza alcuna terapia. L’herpes gravidico può essere confuso, dal punto di vista clinico, con diverse altre affezioni pruriginose legate alla gravidanza, in particolare con le papule e le placche orticarioidi pruriginose della gravidanza (v. oltre). L’esame all’immunofluorescenza diretta della cute perilesionale può permettere la diagnosi: la terza frazione del complemento (C3) e, occasionalmente, le IgG sono depositate in maniera lineare a livello della membrana basale dell’epidermide.

Terapia Il trattamento tende a impedire l’eruzione di nuove lesioni e ad alleviare l’intenso prurito. Alcune pazienti affette in maniera lieve necessitano soltanto delle applicazioni, fino a 6 volte al giorno, di una crema a base di acetato di triamcinolone allo 0,1%. Quelle che presentano un’eruzione più estesa hanno bisogno di prednisone, 40 mg PO ogni mattino o, se questa posologia è insufficiente a controllare il prurito, 10 mg qid per diversi giorni, poi diminuiti file:///F|/sito/merck/sez18/2522210.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.55

Anomalie della gravidanza

progressivamente fino a quando si hanno soltanto eruzioni occasionali. Al momento del travaglio, il dosaggio può dover essere aumentato a causa delle gravi esacerbazioni del prurito e delle lesioni. I corticosteroidi sistemici, somministrati nella tarda gravidanza, non sembrano arrecare danno al feto.

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Malattie del cavo orale

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE 105. MALATTIE DEL CAVO ORALE INFIAMMAZIONE DELLA MUCOSA ORALE ERITEMA ORALE MULTIFORME Stomatite dolorosa acuta caratterizzata da lesioni emorragiche diffuse delle labbra e della mucosa orale e di solito associata a sintomi costituzionali.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Le lesioni orali, oculari e genitali possono verificarsi in corrispondenza di lesioni cutanee e possono essere estese, anche senza lesioni cutanee (v. anche Eritema multiforme nel Cap. 118).

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi prodromici possono comprendere rinite e sinusite. Nella fase più precoce si formano vescicole multiple. Quindi compaiono sintomi costituzionali gravi (febbre, malessere, artralgia), che persistono di solito per 4 o 5 gg. Al momento della loro scomparsa, si manifestano le tipiche ulcerazioni emorragiche diffuse. Le labbra sono spesso sanguinanti e crostose, ma, a differenza di quanto accade nel pemfigo e nel pemfigoide, raramente sono coinvolte le gengive. L’eritema multiforme deve essere differenziato dalla stomatite allergica, dalla stomatite erpetica acuta primaria e, più raramente (negli adulti), dal pemfigo, che possono presentare sintomi costituzionali simili. Le forme allergiche di stomatite si possono abitualmente sospettare in base all’anamnesi.

Terapia In fase acuta le lesioni orali si possono curare con i corticosteroidi per via sistemica (10 mg di prednisone PO tid per 5 gg) o con elisir di desametazone a 0,5 mg/5 ml (1 cucchiaino qid per 5 giorni) utilizzato per sciacqui e quindi deglutito. È possibile fare uso di collutori scaldati che contengono una soluzione di bicarbonato di Na al 10% oppure di preparati anestetici quali pastiglie, unguenti o soluzioni (p. es., lidocaina viscosa al 2%) 5-6 volte al giorno. L’unguento al petrolato può dare sollievo alle lesioni delle labbra. Senza terapia con corticosteroidi, le lesioni possono persistere per 3-8 sett. e anche oltre. Se le lesioni del cavo orale provocano difficoltà nell’alimentazione, può essere utile una dieta liquida o semiliquida, ma la disidratazione può richiedere una terapia con fluidi EV. Il miglioramento è rapido con il trattamento e la guarigione avviene di solito senza lasciare cicatrici. Le recidive non sono frequenti.

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Malattie del cavo orale

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Reazioni infiammatorie

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 118. REAZIONI INFIAMMATORIE (v. anche Papule e placche orticarioidi pruriginose in gravidanza nel Cap. 252.)

DERMATITE DA FARMACI (Dermatite medicamentosa) Eruzione della cute e delle mucose in seguito alla somministrazione di farmaci per via orale o parenterale. (v. anche Ipersensibilità ai farmaci nel Cap. 148 e Reazioni avverse ai farmaci nel Cap. 302).

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Sebbene la patogenesi della maggior parte delle reazioni avverse a farmaci sia sconosciuta, si ritiene che molte abbiano origine allergica. Anticorpi specifici o linfociti sensibilizzati al farmaco possono reagire dopo 4-5 giorni dall’iniziale contatto con il farmaco. Una reazione tardiva causata da un nuovo contatto con l’agente farmacologico, può comparire entro alcuni minuti, oppure richiedere giorni o più tempo. Altre reazioni si innescano per accumulo di un farmaco (p. es., la pigmentazione da argento), per le caratteristiche farmacologiche del suo principio attivo (p. es., strie rubre o acne da steroidi sistemici; porpora da alte dosi di anticoagulanti), oppure dall’interazione con fattori genetici (p. es., porfiria cutanea tarda da estrogeni che inducono un enzima coinvolto nel ciclo metabolico delle porfirine).

Sintomi e segni Le reazioni allergiche da farmaci possono variare da semplici eruzioni alla necrolisi epidermica tossica. L’esordio può essere improvviso (p. es., orticaria o angioedema da penicillina) oppure richiedere ore o giorni (esantema morbilliforme o maculo-papuloso da penicillina o sulfamidici) o talvolta anche anni (esfoliazione o pigmentazione da derivati arsenicali). Talvolta le lesioni sono localizzate (eritema fisso da medicamenti, ulcerazioni orali, dermatite in aree fotoesposte), ma più spesso hanno una distribuzione generalizzata. Le reazioni possono essere caratteristiche di taluni farmaci, oppure mimare le configurazioni di qualunque altra dermatite (v. Tab. 118-1). I farmaci di una nuova terapia sono verosimilmente la causa della dermatite, ma devono essere sospettati anche quelli assunti da lunghi periodi.

Diagnosi e terapia file:///F|/sito/merck/sez10/1180886.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.57

Reazioni infiammatorie

È essenziale identificare l’agente responsabile. È importante raccogliere un’attenta anamnesi, con precise domande sui medicamenti assunti, compresi i farmaci non soggetti a prescrizione usati per il dolore, per la stipsi, per l’insonnia, per l’influenza e per la cefalea, oltre ai colliri, le supposte e i farmaci rinologici. La reazione può avere inizio anche dopo che sia stata interrotta l’assunzione del farmaco (p. es., ampicillina) o può durare per settimane o mesi; anche minime quantità di farmaco possono indurre una reazione cutanea. Molte reazioni allergiche iatrogene si risolvono spontaneamente con la sospensione del farmaco responsabile e non richiedono ulteriore trattamento. Spesso, specialmente nei pazienti ospedalizzati, tutti i farmaci incriminati(esclusi i vitali) possono essere temporaneamente sospesi, per poi essere reinseriti nello schema terapeutico uno per volta, in ordine di urgenza, a intervalli di settimane. Un medico che sia a conoscenza dell’incidenza e dei diversi tipi di eruzione da farmaci, può sospendere l’assunzione del farmaco ritenuto responsabile, continuando la restante terapia. Se i medicamenti sospettati sono strettamente necessari, quando possibile vanno sostituiti con prodotti simili ma chimicamente diversi. Non vi sono test di laboratorio attualmente in grado di confermare la diagnosi di un’ipersensibilità a farmaci, sebbene la trasformazione linfocitaria e il test cutaneo alla penicillina siano oggetto di studio. L’esame bioptico della cute interessata può essere di aiuto. L’ipersensibilità può essere ulteriormente confermata solo mediante la riassunzione del farmaco, ma ciò è rischioso e antietico. Le sostanze lubrificanti (p. es., vaselina) danno sollievo sintomatico in caso di eruzioni maculopapulose secche e pruriginose. È possibile applicare unguenti corticosteroidei fluorurati (v. Cap. 110), dapprima su un’area circoscritta e successivamente, qualora risultino efficaci, sull’intera eruzione. Un’orticaria acuta può essere segno di anafilassi (v. Cap. 148) e può richiedere l’uso di epinefrina solubile (1:1000) 2 ml per via sottocutanea o IM, oppure l’idrocortisone solubile, ad azione più lenta ma più persistente, a dosaggi di 100 mg EV, seguito da un corticosteroide orale per un breve periodo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 118-1. TIPI DI REAZIONI A FARMACI ED AGENTI CHIMICI CAUSALI Tipo di reazione

Descrizione e commento

Tipici agenti causali

Eruzioni acneiformi

Simili ad acne ma senza comedoni e generalmente a esordio improvviso

Corticosteroidi, ioduri, bromuri, idantoine, steroidi androgeni, litio

Eritema nodoso

Caratterizzato da fragili noduli rossi predominanti nella regione pretibiale, che a volte interessano le braccia e altre zone

Sulfonamidi, contraccettivi orali

Dermatite esfoliativa

Caratterizzata da eritema, desquamazione ed ispessimento dell’intera superficie cutanea; può essere fatale (v. Cap. 111)

Penicillina, sulfonamidi, idantoine

Eritema fisso da medicamenti

Lesione spesso isolata, ben circoscritta, circinata o ovalare, rosso-violacea, presente sulla cute o mucose (specie dei genitali), che riappare nella stessa sede ad ogni somministrazione del farmaco coinvolto

Fenolftaleina, tetraciclina, sulfonamide

Eruzioni lichenoidi o lichen planussimili

Si manifestano come lesioni papulari che confluiscono in placche squamose (v. Lichen planus nel Cap.117)

Antimalarici, oro, clorpromazina, tiazidi

Eruzioni morbilliformi o maculo-papulari

L’aspetto è variabile dal morbillo a quello di una eruzione simile alla pytiriasis rosea

Quasi tutti i farmaci (specie i barbiturici, analgesici, sulfonamidi, ampicillina, altri antibiotici)

Eruzioni mucocutanee

Variano da poche e piccole vescicole orali o lesioni cutanee simil-orticarioidi ad ulcerazioni orali dolenti con diffuse lesioni cutanee bollose (v. Eritema multiforme e Sindrome di StevensJohnson, in questo capitolo)

Penicillina, barbiturici, sulfonamidi, (inclusi derivati usati nell’ipertensione e nel diabete mellito)

Eruzioni da fotosensibilità

Si manifestano come aree di dermatite o iperpigmentazione grigio-bluastra (fenotiazine e minociclina) su cute esposta al sole o altra sorgente di luce ultravioletta

Fenotiazine, tetracicline, sulfonamidi, clorotiazide, dolcificanti artificiali

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Manuale Merck - Tabella

Eruzioni purpuriche

Si manifestano come macule emorragiche che Clorotiazide, non scompaiono alla digitopressione, di varie meprobamato, dimensioni; sono più frequenti agli arti inferiori anticoagulanti ma potenzialmente possono comparire ovunque, indicando una grave vasculite purpurica; possono manifestarsi come reazioni citotossiche tipo II, reazioni allergiche tipo ritardato, cellulo-mediate tipo IV, o vasculiti umorali allergiche del complesso immune tipo III

Reazione farmacologica tipo malattia da siero

Reazione del complesso immune tipo III; Penicillina, insulina, l’orticaria acuta e l’angioedema sono più comuni proteine estrogene delle eruzioni da morbillo o scarlattina; possono comparire poliartriti, mialgie, polisinoviti, febbre e neurite

Necrolisi epidermica tossica

Caratterizzata da vaste aree di perdita Barbiturici, idantoine, epidermica, facilmente scollabile, rendendo la penicillina, sulfonamidi cute apparentemete scottata (v. necrolisi epidermica tossica, in questo capitolo); può essere fatale nel 30-40% dei pazienti affetti; la sindrome SSSS provoca manifestazioni simili in bambini, adolescenti e pazienti immunodepressi (v. Cap.112)

Orticaria

Facilmente riconoscibile a causa dei tipici pomfi edematosi e ben demarcati

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Penicillina, aspirina, tartrazina (colorante FD&C giallo no.5), sulfonamide

Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

DERMATITE ESFOLIATIVA GENERALIZZATA Eritema grave e diffuso con desquamazione della cute.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Eziologia In genere, non viene riscontrata alcuna causa. Alcuni casi sono secondari a varie dermopatie (p. es., dermatite atopica, psoriasi, pityriasis rubra pilaris, dermatite da contatto); mentre altri possono essere indotti dall’assunzione di farmaci per via sistemica (p. es., penicillina, sulfamidici, isoniazide, fenitoina, barbiturici) oppure dall’azione di agenti topici. La dermatite esfoliativa può anche essere associata a micosi fungoide o linfoma (v. Cap. 139).

Sintomi e segni L’insorgenza può essere insidiosa o rapida. L’intera superficie cutanea diventa eritematosa, desquamante, ispessita, a volte crostosa. Il prurito può essere intenso o assente. In genere scompaiono le caratteristiche della dermatosi primaria. Nel caso in cui la dermatite esfoliativa dipenda da una psoriasi, da una micosi fungoide o da una pityriasis rubra pilaris, possono essere osservate zone di cute sana. È frequente il riscontro di una linfoadenopatia superficiale generalizzata, ma l’esame bioptico in genere evidenzia una linfoadenite benigna. Il paziente potrebbe sentire freddo e avere febbre alta per l’eccessiva perdita di calore causata dall’aumentato flusso ematico a livello della cute. La dermatite esfoliativa generalizzata può, inoltre, provocare calo ponderale, ipoproteinemia, ipocalcemia, iposideremia o (nei pazienti con un compenso cardiaco nei limiti) uno scompenso cardiaco ad alta gittata.

Diagnosi e terapia Va fatto ogni tentativo al fine di determinarne la causa. Possono essere utili le informazioni anamnestiche o i segni di una dermatosi primitiva. Generalmente la

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Dermatiti

biopsia non risulta utile, se non per la diagnosi di pemfigo foliaceo o di micosi fungoide, mentre la biopsia linfonodale permette di porre la diagnosi di linfoma. La sindrome di Sézary può essere diagnosticata mediante esame citologico. La malattia può necessitare di terapia a vita e spesso è necessaria l’ospedalizzazione. Siccome dalla semplice anamnesi non si può sempre risalire al farmaco responsabile dell’eruzione o della dermatite da contatto, vanno sospese, se possibile, le terapie sistemiche, oppure eventualmente sostituite con farmaci chimicamente similari. L’applicazione di vaselina dopo il bagno può apportare un sollievo temporaneo. Il successivo trattamento locale è lo stesso utilizzato per la dermatite da contatto (v. sopra). I corticosteroidi per via orale devono essere usati soltanto quando altri trattamenti risultano inefficaci. Si somministrano 40-60 mg di prednisone al giorno per dieci giorni e poi a giorni alterni. Generalmente, tale dose può essere ulteriormente diminuita; tuttavia nei casi in cui la causa primaria non viene eliminata, si rendono necessari trattamenti protratti con prednisone.

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Malattie a carattere desquamativo

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 117. MALATTIE A CARATTERE DESQUAMATIVO LICHEN RUBER PLANUS Eruzione infiammatoria ricorrente, caratterizzata da piccole papule, lievemente poligonali, violacee in superficie, che tendono a confluire in placche ruvide e squamose, spesso accompagnate da lesioni del cavo orale.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La causa è generalmente sconosciuta. Alcune sostanze (p. es., arsenico, bismuto, oro) o l’esposizione a certi prodotti chimici per lo sviluppo di fotografie a colori, possono determinare un’eruzione indistinguibile dal lichen planus. La chinacrina o la chinidina, somministrate per lunghi periodi di tempo, possono produrre un lichen planus ipertrofico delle gambe o un disordine sistemico e dermatologico. Altre cause sono le epatopatie e il rigetto del trapianto contro l’ospite (graft-vs.-host desease).

Sintomi e segni L’esordio può essere immediato o graduale. L’eruzione iniziale può persistere per settimane o mesi e le remissioni possono susseguirsi per anni. L’affezione è molto rara nei bambini. Le lesioni primarie papulose hanno un diametro di 2-4 mm, bordi poligonali, colorazione violacea e caratteristica lucentezza in controluce. Raramente l’affezione assume un aspetto bolloso. L’eventuale prurito può essere moderato o grave e comunque refrattario ad ogni terapia. Le lesioni sono abitualmente simmetriche e localizzate principalmente alle superfici flessorie degli avambracci, alle gambe, al tronco, al glande e alla mucosa orale e vaginale. Talora la dermatosi assume un carattere generalizzato, ma la cute del viso è raramente coinvolta. Le lesioni possono diventare estese, desquamanti e verrucose (lichen planus ipertrofico), particolarmente a livello delle gambe. Durante la fase acuta, compaiono nuove papule nelle zone sottoposte a piccoli traumi, quali il grattamento superficiale (fenomeno di Köbner). Se le lesioni persistono può svilupparsi una iperpigmentazione (e talora atrofia). Raramente il capillizio è colpito da un’alopecia cicatriziale a chiazze. La mucosa orale è interessata nel 50% dei pazienti, spesso prima che compaiono le lesioni cutanee, ma a volte anche in loro assenza. La mucosa buccale, i margini della lingua, la mucosa gengivale nell’area edentula mostrano lesioni asintomatiche, di colore bianco-azzurro, lineari e inizialmente di aspetto reticolare o figurato, che confluiscono tra loro e aumentano di volume. È stata descritta una forma erosiva in paziente con concomitante presenza di ulcerazioni orali superficiali, spesso dolorose e recidivanti, ma che comunque anche se durature raramente divengono cancerose. Sono comuni le esacerbazioni croniche e le remissioni. La diffusione di epatopatie croniche, come la cirrosi file:///F|/sito/merck/sez10/1170884b.html (1 of 2)02/09/2004 2.08.58

Malattie a carattere desquamativo

biliare primaria, la cirrosi da alcol, l’epatite B e soprattutto l’epatite C, è in aumento.

Diagnosi Il lichen planus ha un carattere distintivo all’esame istologico. Nelle forme persistenti della mucosa orale o vaginale, l’ispessimento cutaneo e la coalescenza dei singoli elementi possono rendere difficile la differenziazione clinica con la leucoplachia. Le forme erosive diffuse della mucosa orale devono essere differenziate dalla candidosi, dal carcinoma buccale, dalle aftosi ulcerative, dal pemfigo, dal pemfigoide cicatriziale, dalla forma cronica dell’eritema multiforme. Deve essere esaminata l’area periferica delle lesioni per rilevare corte estensioni dendritiche e tipiche strutture di colore azzurre chiaro. L’esame bioptico è spesso indicato, ma nelle lesioni di vecchia data non mostra aspetti specifici.

Terapia Le forme asintomatiche di lichen ruber planus non richiedono alcuna terapia. Se si sospetta una causa da sostanze chimiche o medicamentose bisogna sospenderne l’utilizzo. Un antiistaminico (p. es., idrossizina 25 mg o clorfeniramina 4 mg PO qid) può ridurre un prurito moderato, probabilmente grazie al suo effetto sedativo. Nelle forme ipertrofiche o quando il prurito è localizzato vengono usate infiltrazioni superficiali intralesionali di triamcinolone acetonide diluito in sospensione salina, in ragione di 2,5-5 mg/ml e iniettate abbastanza da permettere un lieve sollevamento della lesione e da non ripetere più di 1 volta ogni tre sett. Un’altra terapia prevede una medicazione occlusiva di corticosteroidi (p. es., creme di triamcinolone acetonide allo 0,1% o cortisonici topici più potenti su fogli polietilenici prima del riposo serale, oppure flurandrenolide impregnato su cerotti medicati). La tretinoina in soluzione allo 0,1%, associata ai corticosteroidi, può essere usata nel lichen planus sulle aree glabre della cute. Viene applicata la sera con un bastoncino cotonato, seguita da tre applicazioni al giorno di creme corticosteroidee ad alta potenza (v. Cap. 110). Per le lesioni erosive della mucosa orale, le soluzioni di lidocaina impiegate come colluttorio prima dei pasti danno un sollievo sintomatico. Le lesioni erosive della mucosa orale e le forme più diffuse e gravi di prurito richiedono spesso una terapia steroidea sistemica (p. es., prednisone 40-60 mg PO ogni mattina e quindi ridurre la dose giornaliera in modo graduale di circa un terzo per settimana). Comunque, appena si sospende la terapia corticosteroidea, ritorna il prurito. In questi casi, si può usare un cortisonico sistemico a basso dosaggio a mattine alterne, anche se i pazienti con prurito incessante potrebbero rispondere positivamente alla PUVA terapia. Altre terapie sistemiche, usate con successo variabile nei casi gravi, comprendono l’etretinate dei retinoidi e l’isotretinoina, la ciclosporina, la ciclofosfamide e la PUVA terapia. Il lichen planus erosivo delle mucose orali può rispondere al dapsone orale o ai collutori con ciclosporina. La malattia tende a essere autolimitante ma può recidivare dopo alcuni anni.

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Principi di terapia dermatologica topica

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 110. PRINCIPI DI TERAPIA DERMATOLOGICA TOPICA Sommario: Introduzione Preparazioni topiche Categorie e indicazioni

I trattamenti topici dermatologici vengono utilizzati come agenti detergenti, assorbenti, antiinfettivi, antiinfiammatori, astringenti (capaci di disidratare la cute attraverso la precipitazione delle proteine del film idrolipidico), emollienti (che ammorbidiscono la cute) e cheratolitici (in grado di ammorbidire, distaccare e favorire l’esfoliazione delle cellule squamose dell’epidermide). La base (veicolo o carrier) usata in una preparazione topica deve essere scelta con cura, onde evitare alterazione dell’efficacia del principio attivo. Le reazioni allergiche e irritanti (p. es., dermatite da contatto), possono essere determinate tanto dalla base quanto dal principio attivo.

Preparazioni topiche Le creme, emulsioni semisolide in olio o in acqua, rappresentano il cardine della terapia dermatologica. Sono facilmente applicabili e vengono rapidamente assorbite dalla cute con una leggera frizione. Gli unguenti sono preparati oleosi, che non contengono acqua, se non in quantità minima; hanno una consistenza gelatinosa ma, generalmente, sono ben tollerati dal paziente. Gli unguenti vengono usati per lubrificare la cute particolarmente secca; trovano inoltre largo impiego su dermatiti crostose, lichenificate, squamose. Possono risultare meno irritanti delle creme su lesioni erose o aperte (p. es., ulcere da stasi). Gli unguenti risultano spesso più efficaci delle creme. Le lozioni, originariamente, erano costituite da sospensioni di materiale polverizzato (p. es., calamina) in base acquosa o alcolica, invece le attuali lozioni (p. es., alcuni corticosteroidi) sono emulsioni in base acquosa. Le lozioni sono comode da usare, sedano le infiammazioni acute e asciugano le lesioni essudative. Le soluzioni sono una mistura omogenea di due o più sostanze. Come le lozioni, anche le soluzioni sono astringenti. In particolare, sono di facile applicazione (specialmente al cuoio capelluto). Le basi più comunemente impiegate sono l’alcol etilico, il glicole propilenico, il glicole polietilenico e l’acqua. Il bendaggio occlusivo viene usato nella psoriasi, nella dermatite atopica, nel lupus eritematoso e nella dermatite cronica della mano. In effetti, coprire l’area trattata con una medicazione occlusiva non porosa aumenta l’assorbimento e l’efficacia del corticosteroide topico. Di solito, viene utilizzato un film polietilenico (p. es., la pellicola per uso domestico) per ricoprire tutta la notte la cute precedentemente trattata con creme o unguenti, che tendono a essere meno irritanti delle lozioni per le terapie occlusive. Bende in plastica impregnate con flurandrenolide sono molto utili in caso di affezioni circoscritte o resistenti alle file:///F|/sito/merck/sez10/1100845.html (1 of 3)02/09/2004 2.08.59

Principi di terapia dermatologica topica

comuni terapie. Va ricordato che la miliaria, le strie atrofiche e le infezioni batteriche o micotiche possono essere sottoposte a una medicazione occlusiva; tra l’altro, i bambini e (meno spesso) gli adulti possono presentare un blocco dell’asse adreno-ipofisario a seguito di prolungata terapia occlusiva su vaste aree. Le formulazioni in aerosol di betametasone dipropionato e di triamcinolone acetonide sono disponibili, ma poco utilizzate, perché non offrono effettivi vantaggi rispetto a creme, lozioni e soluzioni.

Categorie e indicazioni Agenti detergenti: i principali detergenti vengono distinti in detergenti propriamente detti e solventi. Il sapone è il detergente più popolare, anche se oggi sono molto più impiegati i detergenti sintetici. In genere, gli shampoo delicati per bambini sono ben tollerati nella zona perioculare e nella detersione di ferite e abrasioni, ma si rivelano di grande efficacia per rimuovere croste e squame in corso di psoriasi, eczema e altre forme di dermatiti. Tuttavia, si consiglia l’uso della sola acqua o di soluzione salina isotonica in tutte quelle dermatiti irritative a carattere essudativo o trasudativo. Diversi ingredienti vengono spesso aggiunti nella composizione dei detergenti o di altri preparati dermatologici, allo scopo di potenziarne l’efficacia o di fornire loro altre proprietà. Per esempio, per ottenere un’azione antiforfora, al tradizionale shampoo vengono addizionati zinco-piridione, solfuro di selenio o estratti di catrame. L’acqua è il principale solvente impiegato nella preparazione di detergenti. In caso di dermatiti acute essudative, lavaggi con acqua corrente, bagni o spugnature (con compresse di garza o stoffa, cambiandole q 1-2 ore) per una durata di 48-72 ore, permettono generalmente di ottenere un essiccamento con riduzione dell’infiammazione grazie alla loro azione lenitiva e rinfrescante. Fasciature inumidite con acetato di alluminio o solfato di magnesio, risultano raramente più efficaci dei lavaggi con acqua corrente. L’evaporazione può verificarsi per concentrazioni caustiche degli ingredienti disciolti. Agenti protettivi: le polveri sono largamente impiegate per proteggere le pieghe cutanee(cioè, tra le dita dei piedi, nel solco intergluteo, nelle ascelle, nelle pieghe inguinali e nei solchi sottomammari). Le polveri facilitano l’asciugarsi delle zone macerate, riducendone lo sfregamento grazie all’azione assorbente. Tuttavia, alcune polveri tendono ad agglutinarsi e se diventano essudative possono essere molto irritanti. Il talco è spesso più efficace dell’amido di granoturco, che può favorire una infezione micotica. Inoltre, le polveri possono essere incorporate in creme ad azione protettiva, lozioni e unguenti. Il collodio o altre sostanze filmogene forniscono un rivestimento omogeneo flessibile o semirigido. Polimeri idrofili possono essere applicati con garze protettive. La gelatina di ossido di zinco (pasta di Unna) forma una medicazione occlusiva. Gli schermi solari aiutano a proteggere la cute dalla luce ultravioletta (v. Cap. 119). Agenti antiinfettivi: L’estinzione di specifici agenti causa di infezioni cutanee (p. es., batteri, miceti, protozoi) viene trattata in altra sezione del Manuale. Gli antibiotici topici sono utilizzati nella cura dell’acne e alcune sostanze (p. es., la mupirocina) risultano efficaci nel trattamento di alcune infezioni cutanee superficiali. Agenti topici ad azione fungicida, scabicida e pediculicida sono comunemente usati, come lo sono gli antibiotici per via sistemica. Agenti con azione lenitiva (p. es., prurito, bruciore e dolore): possono essere impiegati, in forma di crema o unguento, canfora allo 0,5-3% e/o mentolo allo 0,10,2% da associare ai comuni analgesici. Gli anestetici locali (come lidocaina e dibucaina) risultano, in genere, inefficaci sulla superficie cutanea, ma sono a volte utili sulle mucose. Le preparazioni topiche contenenti pramoxina e idrocloridina sono state usate con successo nel trattamento del prurito cutaneo. Inoltre, la pramoxina è meno probabile che determini sensibilizzazione rispetto alla difenidramina, alla lidocaina o alla dibucaina. Gli attuali composti eutettici di file:///F|/sito/merck/sez10/1100845.html (2 of 3)02/09/2004 2.08.59

Principi di terapia dermatologica topica

anestetici locali (p. es., la crema Emla) sono efficaci sulla cute, specialmente se usati con bendaggi occlusivi. Agenti antiinfiammatori: i corticosteroidi sono i più efficaci agenti antiinfiammatori topici. Sono privi di effetti collaterali (v. Tab. 110-1 per la relativa efficacia) a meno che non vengano utilizzati su ampie superfici cutanee. Dermatosi infiammatorie e pruriginose rispondono bene all’uso adeguato di farmaci corticosteroidei. Comunque, essi possono peggiorare talune patologie come l’acne, la rosacea e alcune micosi. I corticosteroidi e altre preparazioni medicamentose vengono solitamente utilizzate sotto forma di creme, unguenti, lozioni, gel, soluzioni e, a volte, di aerosol o cerotti medicati. Sebbene i corticosteroidi topici siano disponibili in varie concentrazioni, i più potenti (v. Tab. 110-1) devono essere prescritti per primi, eccetto in caso di interessamento del volto o delle pieghe cutanee, per la frequente comparsa di effetti collaterali. Glucocorticoidi di media e alta potenza vanno prescritti per il viso solo per brevi periodi, in quanto possono verificarsi rosacea, acne o dermatite periorale di gravità rilevante, indotte dai corticosteroidi stessi. Vanno applicati con moderazione due o tre volte al giorno, oppure più frequentemente nel caso di alcune dermatosi. Gli steroidi più potenti possono essere applicati meno frequentemente. Per il massimo dell’efficacia clinica occorre massaggiare la crema cortisonica fino al suo completo assorbimento. L’idrocortisone all’1% è efficace nelle dermatiti lievi ed è disponibile senza prescrizione. L’idrocortisone, essendo un corticosteroide non fluorurato, provoca raramente couperose, dermatite periorale, atrofia o strie ed è generalmente preferito ai corticosteroidi fluorurati usati nella cura delle dermatosi del viso. Raramente, viene consigliato l’uso topico di antibiotici con corticosteroidi, in quanto queste associazioni non sono più efficaci del solo corticosteroide e tra l’altro le dermatiti allergiche da contatto, causate dagli antibiotici topici (in special modo la neomicina), possono complicare il quadro principale. Un metodo efficace per il rilascio di alte concentrazioni di farmaco nel corso di lesioni croniche o resistenti a terapia topica con corticosteroidi, è l’infiltrazione intralesionale di corticosteroidi in sospensione (in genere il triamcinolone acetonide). La sospensione può essere diluita in soluzione fisiologica sterile e viene utilizzata in concentrazioni variabili da 2,5 a 5 mg/ ml, in modo da ridurre al minimo il rischio di atrofia dermica localizzata e, nei soggetti di razza nera, di ipopigmentazione. L’eventuale atrofia dermica è di solito reversibile. Alte concentrazioni, fino a 40 mg/ml possono essere utilizzate nel trattamento dei cheloidi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 110-1. POTENZA RELATIVA DI CORTICOSTEROIDI TOPICI SELEZIONATI Grado * I

II

Farmaco

Nome commerciale

Betametasone dipropionato Diprosone pomata 0,05%

30g

Clobetasolo propionato

Clobesol pomata 0,05%

30g

Clobesol unguento 0,05%

30ml

Diflorasone diacetato

Sterodelta crema 0,05% (USA)

30g

Halobetasol propionato (USA)

Ultravate crema 0,05% (USA)

15, 45g

Ultravate unguento 0,05% (USA)

15, 45g

Amicinil pomata 0,1% (USA)

30g

Amcinonide

Betametasone dipropionato Diprosone lozione 0,05%

30ml

Diprosone crema 0,05%

30g

Diprosone pomata 0,05%

30g

Desossimetasone

Flubason est. emuls. (bust.)

15monod

Diflorasone diacetato

Dermaflor crema derm. (USA)

30g

Sterodelta crema 0,05% (USA)

30g

Topsyn gel

30g

Topsyn lozione

30ml

Topsyn pomata derm. 0,05%

30g

Alcinonide

Halciderm pomata

30g

Mometasone furoato

Elocon unguento 0,1%

30g

Amcinonide

Amcinil pomata 0,1% (USA)

30g

Fluocinonide

III

Confezione

Betametasone dipropionato Diprosone crema 0,05%

30g

Diprosone lozione0,05%

30ml

Betametasone valerato

Ecoval 70 unguento 0,1%

30g

Desossimetasone

Flubason est. emuls. (bust.)

15monod

Diflorasone diacetato

Dermaflor crema derm. (USA)

30g

Sterodelta crema 0,05% (USA)

30g

Flu 21 pomata derm. 0,05% (USA)

30g

Topsyn pomata derm. 0,05%

30g

Fluticasone propionato (USA)

Cutivate unguento 0,005% (USA)

15, 30, 60g

Alcinonide

Halciderm pomata

30g

Fluocinonide

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Manuale Merck - Tabella

Triamcinolone acetonide IV

Kenacort-a Retard 1 ml

3f

Ledercort-a/10 crema 0,1%

20g

Fluocinolone acetonide

Localyn lozione 0,025%

30ml

Flurandrenolide (USA)

Cordran unguento 0,05 (USA)

15, 30, 60, 225g

Mometasone furoato

Elocon crema 0,1%

30g

Elocon lozione 0,1%

30g

Kenacort-a Retard 40 mg

3f

Ledercort-a/10 crema 0,1%

20g

Ledercort-a/10 pomata 0,1%

20g

Betametasone valerato

Ecoval 70 unguento 0,1%

30g

Desonide

Reticus crema 0,1%

30g

Fluocinolone acetonide

Localyn pomata 0,025%

30g

Flurandrenolide (USA)

Cordran crema 0,05% (USA)

15, 30, 60, 225g

Fluticasone propionate (USA)

Cutivate crema 0,05% (USA)

15, 30, 60,g

Idrocortisone butirrato

Locoidon crema 0,1%

30g

Locoidon crelo emuls. 0,1%

30ml

Locoidon lozione 0,1%

30ml

Idrocortisone valerato (USA)

Westcort crema 0,2% (USA)

15, 45, 60, 120g

Westcort unguento 0,2% (USA)

15, 45, 60g

Triamcinolone acetonide

Kenacort-a Retard 40 mg

3f

Ledercort-a/10 crema 0,1%

20g

Ledercort-a/10 pomata 0,1%

20g

Alclometasone dipropionato

Legederm crema 0,1%

20g

Betametasone valerato

Ecoval 70 unguento 0,1%

30g

Desonide

Reticus crema 0,1%

30g

Fluocinolone acetonide

Localyn pomata 0,025%

30g

Localyn lozione 0,025%

30ml

Flumetasone pivalato

Locorten lozione

30ml

Triamcinolone acetonide

Kenacort-a Retard 40 mg

3f

Ledercort-a/10 crema 0,1%

20g

Ledercort-a/10 pomata 0,1%

20g

Sintotrat crema 0,5%

20g

Foille insetti crema 0,5%

15g

Triamcinolone acetonide

V

VI

VII

Idrocortisone

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Manuale Merck - Tabella

Idrocortisone acetato con Idrocloruro di pramossina all’1% (USA)

Scalpicin soluzione derm. (USA)

50ml

Pramosone crema 1% (USA)

1, 2, 4once

Pramosone crema 2,5 % (USA)

1, 2, 4once

Pramosone lozione 1% (USA)

2, 4, 8once

Pramosone lozione 2,5% (USA)

2, 4once

Pramosone unguento 1% (USA)

1, 4once

Pramosone unguento 2,5 % (USA)

1,4once

*Il grado I è il più potente. La potenza dipende da molti fattori: le caratteristiche, la concentrazione e la preparazione farmaceutica. Tratta da Stoughton RB, Ferndale Laboratories, Inc., Ferndale, MI.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

SINDROME COMBUSTIFORME DA STAFILOCOCCO (Sindrome di Ritter-Lyell) Eritema acuto, diffuso e distacco epidermico causato da esotossina stafilococcica.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La sindrome combustiforme da stafilococco (Staphylococcal Scalded Skin Syndrome, SSSS) quasi sempre si manifesta nei lattanti, nei bambini < 6 anni di età, e negli adulti immunosoppressi o negli adulti con patologia renale. Epidemie possono insorgere negli asili nido, con probabile trasmissione dalle mani del personale in contatto con bambini affetti. Comunque, tra il personale degli asili nido vi possono essere portatori nasali di S. aureus. Si possono manifestare anche casi sporadici.

Eziologia Gli stafilococchi coagulasi-positivi di gruppo II, spesso penicillino-resistenti, solitamente di fago tipo 71, elaborano la esfoliatina (detta anche epidermolisina), una tossina epidermolitica che scolla la parte superiore dell’epidermide, appena al di sotto dello strato granuloso. L’infezione stimolata può manifestarsi sulla cute, ma più frequentemente negli occhi o nel nasofaringe. La tossina entra in circolo e colpisce la cute sistematicamente, come nella scarlattina.

Sintomi e segni Nei bambini, spesso malati durante i primi giorni di vita, si ha un esordio con lesioni crostose localizzate (spesso simili all’impetigo), con maggior frequenza in corrispondenza del moncone ombelicale o nell’area coperta dai pannolini. Casi sporadici, tuttavia, esordiscono con lesioni crostose superficiali localizzate spesso intorno al naso o alle orecchie. Entro 24 ore, attorno a tali lesioni compaiono aree di colorito rosso scarlatto, che possono generalizzare e divenire dolenti. Vescicole larghe e molli insorgono sulla cute eritematosa e velocemente si rompono, provocando delle erosioni. L’epidermide si desquama facilmente, spesso in larghe lamine, quando le aree eritematose vengono strofinate (segno di Nikolsky). Una desquamazione diffusa della cute compare nell’arco di 3672 ore e i pazienti possono aggravarsi con manifestazioni sistemiche (p. es.,

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Infezioni batteriche cutanee

malessere, brividi, febbre). La perdita della barriera protettiva cutanea può determinare sepsi e squilibrio idro-elettrolitico.

Diagnosi I sintomi e i segni clinici sono clinicamente indistinguibili dalla necrolisi epidermica tossica (Toxic Epidermal Necrolysis, TEN, v. Cap. 118); tuttavia la SSSS deve essere distinta rapidamente dalla TEN (v. Tab. 112-2) in quanto la terapia è differente. È consigliabile una consulenza dermatologica. Vanno effettuate colture della cute e del secreto nasofaringeo. La diagnosi viene confermata dalla biopsia cutanea e dall’esame di sezioni congelate di tessuto o dalla citologia esfoliativa. Sebbene i risultati finali della biopsia non siano disponibili se non dopo l’inizio della terapia, le sezioni congelate di tessuto e l’esame citologico possono fornire una rapida conferma diagnostica. La diagnosi differenziale viene fatta con l’ipersensibilità ai farmaci (la più nota è la TEN), l’esantema virale oppure la scarlattina, anche se nessuna di queste determina un’eruzione dolorosa. Bolle, erosioni e facilità allo sfaldamento epidermico si presentano in ustioni termiche, in malattie bollose genetiche (p. es., alcuni tipi di epidermolisi bollosa) e in affezioni bollose acquisite (p. es., pemfigo volgare e pemfigoide bolloso [v. Cap. 120]).

Terapia Con una tempestiva diagnosi e conseguente terapia, raramente la prognosi è letale. Il trattamento con antibiotici sistemici penicillinasi-resistenti antistafilococchi (p. es., cloxacillina, dicloxacillina o cefalexina) va iniziato appena è stata posta la diagnosi clinica, senza attendere il risultato degli esami colturali. Nelle forme iniziali si può somministrare cloxacillina PO 12,5 mg/kg q 6h (nei lattanti e nei bambini ≤ 20 kg) e 250-500 mg q 6h (nei bambini più grandi); nei casi gravi, va somministrata la nafcillina o la oxacillina da 100 a 200 mg/kg/die EV, in 4 dosi refratte, fino al riscontro di un miglioramento, proseguendo con terapia orale a base di cloxacillina 25 mg/kg/die fino a 100 mg/kg/die per 10 giorni. I corticosteroidi sono controindicati e va ridotta all’essenziale sia la terapia topica che la manipolazione del paziente stesso. Se la malattia è diffusa e l’essudazione dalle lesioni è marcata, il paziente va trattato come se fosse un ustionato (v. Cap. 276). Le medicazioni con gel di polimeri idrolizzati possono essere molto utili e possono diminuire il numero del cambio delle medicazioni stesse. Dato che lo sfaldamento si verifica nella parte superiore dell’epidermide, lo strato corneo viene rapidamente sostituito e la guarigione solitamente avviene entro 5-7 giorni dall’inizio del trattamento. I passi da intraprendere per prevenire o trattare le epidemie che si verificano nei nidi d’infanzia sono descritti in Infezioni ospedaliere del neonato in Infezioni neonatali nel Cap. 260.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 112-2. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA SSSS E NECROLISI EPIDERMICA TOSSICA (NET) Apetti differenti

SSSS

NET

Pazienti affetti

Bambini, adolescenti, adulti immunosoppressi

Anziani

Anamnesi

Infezione stafilococcica recente, insufficienza renale

Uso di farmaci

Livello di clivaggio Nello strato granuloso (estremo) epidermico (formazione dell’epidermide della bolla)*

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Tra epidermide e derma o a livello dello strato basale

Farmaci antibatterici

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 153. FARMACI ANTIBATTERICI TRIMETOPRIM-SULFAMETOSSAZOLO Sommario: Introduzione TRIMETOPRIM

Il trimetoprim/sulfametossazolo (TMP/ SMX) è una miscela fissa (1:5) dei due farmaci e ha per solito azione batteriostatica. I rapporti di dosaggio sono stabiliti per produrre nel sangue e nei tessuti un rapporto di concentrazioni di SMX rispetto al TMP di 20:1, in modo da fornire il massimo livello di attività antibatterica. Entrambi i farmaci bloccano il ciclo metabolico dell’acido folico nei batteri e sono molto più attivi assieme di quanto non sia ciascuno da solo. I sulfamidici sono inibitori competitivi dell’incorporazione dell’acido paminobenzoico. Il TMP impedisce la riduzione del diidrofolato a tetraidrofolato. Il TMP/SMX è attivo nei confronti di una gran parte dei germi gram + e gram – ma è inattivo contro gli anaerobi. Lo Pseudomonas aeruginosa è solitamente resistente. Farmacologia: tanto il TMP che il SMX vengono ben assorbiti PO e vengono escreti nelle urine. Possiedono emivita plasmatica simile, di circa 9 h, e penetrano bene nei tessuti e nei liquidi corporei, LCR incluso. Indicazioni: il TMP-SMX è efficace nelle IVU e nella profilassi delle IVU nelle donne che hanno reinfezioni multiple. È efficace nelle prostatiti batteriche croniche, ma determina la guarigione solo di una minoranza dei pazienti, anche dopo una terapia di 12 sett. Il TMP-SMX è il farmaco di scelta per il trattamento della polmonite da P. carinii e nella profilassi contro questa infezione nei pazienti con AIDS e nei bambini e negli adulti affetti da tumori maligni. È utile nella terapia della febbre tifoide, specie quando non è possibile usare ampicillina e cloramfenicolo. Il TMP/SMX è efficace nella shigellosi, nella diarrea da Escherichia coli enterotossigeno, nell’infezione da Nocardia, nell’otite media, nella gonorrea e nelle riesacerbazioni della bronchite cronica. Effetti collaterali: gli effetti collaterali sono gli stessi ricordati sopra per i sulfamidici. Il TMP causa effetti collaterali identici al SMX ma con minore frequenza. Gli effetti indesiderati più frequenti sono comunque nausea, vomito, eruzioni cutanee e deficit di folati (col risultato di un’anemia macrocitica). I pazienti con AIDS presentano un’elevata incidenza degli effetti collaterali, specialmente eruzioni cutanee e neutropenia. Somministrazione e dosaggio: il dosaggio orale abituale nell’adulto è di 2 cp a concentrazione base (ogni cp contiene 80 mg di TMP e 400 mg di SMX) oppure 1 cp a concentrazione doppia (160 mg di TMP e 800 mg di SMX) bid. Il dosaggio orale abituale nei bambini è di 8 mg/kg di TMP e di 40 mg/kg di SMX al giorno suddivisi in 2 somministrazioni. Il dosaggio EV per adulti e bambini è di 8-12 mg/ kg di TMP e di 40-60 mg/ kg di SMX al giorno in 4 dosi frazionate. La terapia singola dose con 1 o 2 cp a concentrazione base è stata usata con successo nelle IVU inferiori nelle donne. Dosaggi molto più elevati (20 mg/kg/die di TMP e 100 mg/kg/die di SMX suddivisi in 4 somministrazioni) vengono impiegate nella terapia della polmonite da P. carinii. Dosaggi notevolmente minori (40 mg di TMP e 200 mg di SMX ogni sera) file:///F|/sito/merck/sez13/1531208.html (1 of 2)02/09/2004 2.09.02

Farmaci antibatterici

si usano nella profilassi delle IVU. Per la profilassi della polmonite da P. carinii si somministrano 160 mg di TMP e 800 mg di SMX die o 3 volte/sett (nei bambini, 5 mg/kg/die in 2 dosi quotidiane o 3 volte/sett).

TRIMETOPRIM Nei pazienti allergici ai sulfamidici è stato usato il TMP da solo, soprattutto per la terapia della prostatite batterica cronica e per la profilassi e la terapia delle IVU. La farmacologia e gli effetti collaterali sono riportati nel paragrafo precedente, relativo al TMP/SMX. Il dosaggio di TMP per il trattamento delle IVU dell’adulto è di 100 mg PO q 12 h o 200 mg 1 volta/die.

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Farmaci antivirali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 154. FARMACI ANTIVIRALI Sommario: Introduzione IDOSSIURIDINA VIDARABINA TRIFLURIDINA ACICLOVIR FAMCICLOVIR PENCICLOVIR VALACICLOVIR GANCICLOVIR FOSCARNET RIBAVIRINA AMANTADINA E RIMANTADINA CIDOFOVIR OLIGONUCLEOTIDI IMMUNOGLOBULINE INTERFERONI

Lo sviluppo di farmaci contro il HIV ha provocato un’enorme espansione di nuovi farmaci antivirali. L’utilizzazione di alcuni di questi farmaci è in corso di valutazione per altre infezioni virali come per il virus dell’epatite B (HBV). Altri sviluppi includono la messa a punto di farmaci con una migliore biodisponibilità per le infezioni comuni come quelle sostenute dal virus herpes simplex (HSV) e dal virus varicella-zoster (VZV). L’intervento chemioterapico può avvenire prima o al momento dell’adesione della particella virale alle membrane delle cellule dell’ospite; durante la messa a nudo degli acidi nucleici virali; inibendo un recettore cellulare o un fattore richiesto per la moltiplicazione virale, o mediante blocco degli enzimi specifici codificati dal virus e delle proteine prodotte nelle cellule ospiti infettate che sono indispensabili per la replicazione virale ma non per il metabolismo delle cellule normali.

IDOSSIURIDINA L’idossiuridina (IDU) agisce rimpiazzando irreversibilmente la timidina nel DNA di nuova sintesi e producendo una molecola di DNA anomala e sostanzialmente non funzionante. Il farmaco agisce tuttavia sul DNA virale e su quello della cellula ospite, pertanto è altamente tossico per le cellule dell’ospite. A causa della sua elevata tossicità sistemica, l’uso clinico della IDU è stato ristretto alla terapia locale della cheratocongiuntivite da herpes simplex. Sono in commercio due preparati oftalmici. Si applica una goccia di una soluzione allo 0,1% nella congiuntiva q 1 h durante le ore di veglia e q 2 h durante la notte. La terapia va protratta per 5-7 gg dopo la completa guarigione delle lesioni, per ridurre la probabilità di recidive. La IDU può provocare irritazione, prurito, dolore e infiammazione o edema delle palpebre; sono state anche descritte rare reazioni allergiche e fotofobia.

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Farmaci antivirali

VIDARABINA La vidarabina (adenina arabinoside, Ara-A) interferisce con la sintesi del DNA virale ed è efficace nella terapia delle infezioni da HSV. La vidarabina sembra indurre con minor frequenza rispetto alla IDU l’insorgenza di ceppi virali resistenti, tanto che spesso le infezioni IDU-resistenti rispondono alla vidarabina. I preparati oftalmici di vidarabina sono efficaci nella terapia della cheratocongiuntivite acuta e della cheratite superficiale ricorrente provocata dai virus herpes simplex tipo 1 e 2. Una pomata oftalmica al 3% è applicata 1 cm all’interno della sacca congiuntivale inferiore dell’occhio interessato 5 volte/die (q 3 h), da svegli. La terapia va protratta per 5-7 gg dopo la completa guarigione per ridurre la probabilità di recidive. Gli effetti collaterali possibili sono: lacrimazione, irritazione, dolore, fotofobia e cheratite puntata superficiale.

TRIFLURIDINA La trifluridina (trifluorotimidina), un analogo della timidina, interferisce con la sintesi del DNA ed è efficace nella terapia della cheratocongiuntivite primaria e della cheratite ricorrente provocata dai virus herpes simplex tipo 1 e 2. La trifluridina è attiva quanto la vidarabina e può risultare efficace nei pazienti che non abbiano risposto positivamente alla IDU o alla vidarabina. L’effetto mielosoppressore della trifluridina ne impedisce l’uso sistemico. La trifluridina è stata utilizzata nel trattamento del HSV cutaneo resistente nei pazienti immuno compromessi con grado variabile di successo. Una goccia di una soluzione oftalmica all’1%, va applicata q 2 h nell’occhio interessato durante le ore di veglia. La dose massima raccomandabile è di 9 gocce/die, fino a riepitelizzazione dell’ulcera corneale e poi di 5 gocce/die (1 goccia q 4 h durante le ore di veglia) per 7 gg. Se non si ha miglioramento entro 7 gg è meglio ricorrere a un altro medicamento. Tra gli effetti collaterali si annoverano bruciore o fitte oculari ed edema palpebrale nonché, più di rado, cheratopatia puntata e reazioni di ipersensibilità.

ACICLOVIR L’aciclovir è un analogo nucleosidico della purina con attività contro i virus erpetici (in ordine di potenza): HSV-1, HSV-2, VZV, virus di Epstein-Barr (EBV). Esso ha un’attività minima contro il cytomegalovirus (CMV). La timidino chinasi virale converte l’acyclovir in acyclovir monofosfato che è ulteriormente convertito da enzimi cellulari nella forma trifosfatica attiva che inibisce in maniera competitiva la deossiguanosina trifosfato per la costituzione del DNA virale. Questo composto attivo, quando viene incorporato nel DNA virale, provoca l’interruzione della sintesi. I pazienti immunocompromessi che richiedono trattamenti prolungati possono sviluppare una resistenza attraverso una mutazione nella timidino-chinasi virale. L’acyclovir PO è efficace nelle infezioni primarie e nelle recidive del HSV genitale (v. anche Herpes genitale nel Cap. 164). Nelle infezioni primarie da HSV, l’acyclovir orale, 400 mg PO tid o 200 mg PO q 6 h per 10 giorni, abbrevia la durata della malattia clinica, riduce il dolore e la diffusione del virus. Nei casi episodici di recidiva, l’acyclovir, 200 mg q 4 h, va iniziato al primo segno di infezione. La soppressione è più efficace e va presa in considerazione se un paziente ha più di sei episodi di HSV genitale l’anno, con dosi di 200 mg da 2 a 5 volte al giorno, 400 mg bid, o 800 mg/die. Gli effetti collaterali sono poco frequenti con la somministrazione orale, ma sono stati segnalati nausea, vomito, diarrea, cefalea ed esantema. Il dosaggio va corretto in caso di insufficienza renale. I pazienti immunocompromessi che hanno frequenti episodi di infezione possono necessitare di dosi più elevate per superare il problema delle mutazioni parziali di timidino-chinasi. Se i pazienti risultano resistenti all’acyclovir si può

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Farmaci antivirali

provare in alternativa un farmaco come il foscarnet. L’acyclovir EV è indicato quando sono necessari livelli sierici del farmaco più elevati, come nel caso di encefalite erpetica. Negli studi clinici, l’acyclovir 10 mg/ kg EV q 8 h si è dimostrato più efficace della vidarabina nell’encefalite erpetica. Esso riduce la mortalità e migliora le capacità funzionali di quanti sopravvivono all’infezione. Come nel caso della vidarabina, la migliore risposta si ha nei pazienti più giovani che iniziano la terapia prima dell’eventuale insorgenza del coma. Nelle infezioni erpetiche neonatali, l’acyclovir 30 mg/kg/die EV in dosi refratte q 8 h per 10-14 giorni risulta più efficace della vidarabina e richiede una minore somministrazione di liquidi. Gli effetti collaterali includono flebite, rash e neurotossicità che provoca un quadro di letargia, confusione, convulsioni o il coma. A seconda dell’estensione della malattia e dello stato immunitario dell’ospite, l’acyclovir sia EV che orale è efficace nella varicella primaria. Il farmaco riduce le complicanze della varicella nei pazienti immunocompromessi e nelle donne in gravidanza. Negli adulti immunocompetenti, l’acyclovir orale può ridurre la durata della febbre e delle vescicole. Nel caso di herpes zoster, 800 mg PO 5 volte/die si è mostrato in grado di ridurre il tempo di guarigione delle lesioni e, in particolare nei pazienti più anziani, la prevalenza di nevralgia post-erpetica. L’acyclovir è efficace inoltre nel ridurre le complicanze dell’herpes zoster oftalmico.

FAMCICLOVIR Il famciclovir è un pro-farmaco del penciclovir, un farmaco antivirale attivo. Esso inibisce HSV-1, HSV-2 e VZV. Ha un’attività modesta contro il EBV e attività minima contro il CMV. Inoltre, riduce la carica virale del HBV nei pazienti con infezione cronica da HBV e sono in corso studi ulteriori per richiedere l’autorizzazione per questo tipo di patologia. Il famciclovir è biodisponibile al 77% e viene rapidamente convertito in penciclovir nell’intestino e nel fegato. Il penciclovir viene fosforilato dalla timidino-chinasi virale in una forma monofosfato, che è convertita in penciclovir trifosfato dalle chinasi cellulari che a sua volta inibisce la DNA polimerasi virale. Il famciclovir ha la stessa efficacia dell’acyclovir nel trattamento dell’herpes genitale e dell’herpes zoster e ha una maggiore biodisponibilità. Ceppi resistenti all’acyclovir risultano resistenti anche al famciclovir. Nel caso di infezioni genitali primarie da HSV, la dose è di 250 mg PO tid per 5 giorni; per il trattamento di manifestazioni episodiche, la dose è di 125 mg PO bid per 5 giorni. Il trattamento deve essere iniziato immediatamente. La dose soppressiva è di 250 mg PO/die. Nel caso dell’herpes zoster, il famciclovir 500 mg PO tid diminuisce il tempo di guarigione e, nei pazienti più anziani, riduce la durata della nevralgia erpetica in confronto al placebo. La terapia va iniziata entro 72 h. Gli effetti collaterali sono simili a quelli che si presentano con l’acyclovir orale (v. sopra).

PENCICLOVIR Il penciclovir è un analogo della guanosina che è fosforilata; inibisce competitivamente la DNA polimerasi virale del HSV-1 e del HSV-2. Il penciclovir pomata all’1% viene usata per trattare le infezioni ricorrenti di HSV orolabiale negli adulti. Negli studi clinici, il dolore veniva ridotto nel giro di 3,5 giorni con il penciclovir rispetto ai 4,1 giorni con il placebo se applicato entro 1 h dalla recidiva di HSV e se applicato ripetutamente ogni 2 h durante le ore di veglia. Ceppi resistenti all’acyclovir presentano resistenza crociata e gli effetti indesiderati non si verificano con maggiore frequenza nel gruppo dei trattati rispetto al gruppo placebo.

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Farmaci antivirali

VALACICLOVIR Il valacyclovir è il sale cloruro del l-valyl estere dell’acyclovir. È attivo contro HSV1, HSV-2 e VZV. È anche modicamente attivo contro EBV e ha una modesta attività contro il CMV. Il valacyclovir è convertito ad acyclovir nell’intestino e tramite metabolismo epatico; la biodisponibilità dell’acyclovir dopo la conversione è del 54%, da tre a cinque volte superiore a quella dell’acyclovir orale. Il valacyclovir è efficace nel trattamento e nella soppressione dell’herpes genitale. Il valacyclovir e l’acyclovir riducono il tempo di guarigione allo stesso modo e la durata dell’episodio rispetto al placebo quando somministrato entro 24 h dall’inizio dei sintomi. La dose per le infezioni primarie da HSV è di 1 g PO bid per 10 giorni per il HSV genitale ricorrente, 500 mg PO bid per 5 giorni. La terapia soppressiva è più efficace e va presa in considerazione se un paziente ha più di sei episodi l’anno; la dose è di 500 mg PO bid o die. Il trattamento precoce dell’herpes zoster con valacyclovir ha dimostrato di migliorare il tempo di guarigione e, nei pazienti più anziani, la durata della nevralgia post-erpetica. Il valacyclovir 1 g PO tid per 7 giorni si è dimostrato moderatamente superiore all’acyclovir (800 mg 5 volte/die) per diminuire la nevralgia post-erpetica. Gli effetti collaterali sono simili a quelli dell’acyclovir (v. sopra). Altissime dosi di valacyclovir date a pazienti con AIDS (8 g die) possono causare porpora trombotica trombocitopenica/sindrome emolitico-uremica.

GANCICLOVIR Il ganciclovir è un nucleoside analogo della 2_-deossiguanosina che differisce dall’acyclor per la presenza di un gruppo idrossimetile addizionale sulla catena laterale. Ha un’attività in vitro contro tutti gli herpes virus, incluso il CMV. Il ganciclovir è usato soprattutto nei pazienti con HIV e retinite da CMV. Il ganciclovir inibisce la sintesi del DNA virale attraverso l’inibizione competitiva della polimerasi del DNA virale, ed è incorporato nel DNA virale con la caratteristica di interrompere la catena del DNA. Esso viene fosforilato dalla timidina chinasi virale del HSV o del VZV e da un’unica chinasi nel caso di CMV. Le mutazioni in questi enzimi virali provocano resistenza (p. es., HSV resistenti all’acyclovir hanno resistenza crociata al ganciclovir). L’effetto indesiderato principale è costituito dalla soppressione dell’attività del midollo osseo, specialmente la neutropenia. Una grave neutropenia, cioè < 500/µl, richiede la stimolazione del midollo con fattori stimolanti i granulociti o fattori stimolanti i granulociti-macrofagi o l’interruzione se indicato. Effetti collaterali meno comuni includono anemia, rash, febbre, aumento dell’azotemia, alterazione della funzionalità epatica, nausea e vomito. Il ganciclovir orale ha una biodisponibilità molto bassa (circa 6-9%). Alla dose standard di 1 g PO tid, il tempo di progressione della retinite da CMV dopo un ciclo di attacco EV viene prolungato. La formulazione orale è conveniente è riduce i rischi associati ai cateteri vascolari, ma i pazienti che hanno patologie che mettono a rischio la vista necessitano per la terapia di mantenimento del farmaco EV (v. oltre). La maggior parte dei pazienti con retinite da CMV può presentare recidive in corso di terapia immunosoppressiva e deve essere ritrattata con il farmaco EV; nel caso in cui la reintroduzione non permetta il controllo dell’infezione, si renderà necessario un altro farmaco. Il ganciclovir orale per la profilassi primaria della malattia da CMV può essere di beneficio in pazienti selezionati, sebbene gli effetti collaterali e la formulazione, che richiede 12 capsule/die, limita la sua utilità. Il ganciclovir orale è utilizzato anche in profilassi per prevenire le infezioni da CMV nei pazienti trapiantati durante il periodo iniziale di profonda immuno soppressione. Nel caso di infezione da CMV, i pazienti sono inizialmente trattati con 10 mg/kg/ die EV in 2 dosi frazionate per 2-3 sett. e richiedono una terapia soppressiva per prolungare il tempo di recidiva, alla dose di 5 mg/kg/die. Il ganciclovir orale può file:///F|/sito/merck/sez13/1541214.html (4 of 8)02/09/2004 2.09.04

Farmaci antivirali

essere utilizzato anche per la terapia soppressiva. Il ganciclovir EV con immunoglobuline ha ridotto la mortalità della polmonite da CMV nei pazienti con trapianto midollare ciò nonostante, residua una significativa mortalità. Le iniezioni intravitreali di ganciclovir 400 µg, somministrate attraverso la pars plana, vengono utilizzate nei pazienti con retinite da CMV che sono resistenti al ganciclovir EV o nei pazienti che non possono tollerare la formulazione EV. Confrontato con il ganciclovir EV, un periodo di induzione con somministrazione bisettimanale, seguito da iniezioni intravitreali settimanali, permette di controllare ugualmente bene la retinite. Potenziali complicanze includono emorragie del corpo vitreo, distacco della retina, edema maculare cistoide, endoftalmite, formazione di cataratta e possibile tossicità retinica. In alternativa per la retinite da CMV, può essere impiantato ogni 6 mesi un dispensatore intraoculare attraverso la pars plana nella cavità vitrea, dove l’apparecchio rilascia ganciclovir a una velocità costante. La stabilizzazione della retinite è simile a quella che si ottiene con il ganciclovir EV; inoltre, la progressione della retinite viene ritardata in maniera significativa. Gli impianti possono essere di beneficio in pazienti resistenti al ganciclovir EV in quanto alte concentrazioni locali possono spesso risolvere il problema della resistenza. Ciò nonostante, la terapia sistemica è necessaria per prevenire la retinite nell’occhio controlaterale e per diminuire il rischio di malattia da CMV extraoculare. Le complicanze di brevi termine rappresentate da: emorragie, distacco di retina e sviluppo di malattia nell’occhio controlaterale devono essere valutate in confronto ai benefici dell’impianto.

FOSCARNET Il foscarnet è un analogo organico di un pirofosfato inorganico. Esso inibisce selettivamente la DNA polimerasi virus specifica e la transcrittasi inversa. Non viene fosforilato dalla timidino-chinasi virale e perciò è attivo contro i ceppi acyclovir-resistenti di HSV/VZV. Inoltre, il CMV ganciclovir-resistente dovrebbe essere sensibile al foscarnet. Anche il foscarnet inibisce il HSV-1, il HSV-2, lo human herpes virus 6, il EBV e il VZV. L’efficacia del foscarnet è simile a quella del ganciclovir per trattare e ritardare la progressione della retinite da CMV, con un diverso profilo di effetti collaterali inoltre, ha una certa attività anti-HIV. Per il trattamento della retinite da CMV nella malattia da HIV, un’induzione con 60 mg/kg tid o 90 mg/kg EV bid per 2 sett. viene seguita da un mantenimento di 90-120 mg/kg EV/die. La dose di mantenimento più alta può ritardare l’insorgenza di un’eventuale recidiva. La terapia di combinazione di ganciclovir e foscarnet per la malattia da CMV in corso di infezione da HIV prolunga l’effetto terapeutico e ritarda la progressione, sebbene gli effetti collaterali combinati siano gravi e più frequenti di quelli che si hanno con la monoterapia. Il foscarnet è stato usato anche per la malattia da CMV in altri pazienti immunocompromessi. Il foscarnet intravitreale è stato utilizzato in pazienti con controindicazioni ad altri regimi. Dosi comprese tra 1200 e 2400 µg sono state utilizzate con un periodo di induzione di due volte la settimana per 3 sett., seguite da iniezioni settimanali. Potenziali effetti collaterali includono: tossicità renale diretta, emorragie intravitreali ed endoftalmite. Gli effetti collaterali del foscarnet somministrato EV sono importanti e includono nefrotossicità, ipocalcemia sintomatica, ipomagnesemia, fosfatemia, ipokaliemia ed effetti sul SNC.

RIBAVIRINA La ribavirina è un analogo guanosinico che inibisce la replicazione di molti virus a RNA e a DNA. L’esatto meccanismo di azione del farmaco non è definito, ma

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Farmaci antivirali

sembra che il farmaco inibisca la formazione dell’RNA messaggero. La ribavirina mostra attività inibitoria in vitro contro il virus respiratorio sinciziale (VRS), il virus dell’influenza A e B, il HSV-1, il HSV-2 e molti altri virus. Il suo uso è preso in considerazione nei neonati ad alto rischio, nei bambini piccoli e negli adulti immunocompromessi con gravi infezioni del tratto respiratorio basso da VRS. Il farmaco somministrato per aerosol deve essere iniziato entro i primissimi giorni dell’infezione. La ribavirina aerosol può essere in parte attiva contro influenza A, influenza B e parainfluenza, ma il suo ruolo terapeutico non è definito. La ribavirina è mutagenica per le cellule di mammiferi in coltura; per tale motivo sono necessarie misure appropriate per proteggere gli operatori sanitari dal farmaco aerosolizzato. Gli effetti collaterali della ribavirina aerosol includono il peggioramento delle condizioni respiratorie. La ribavirina EV diminuisce la mortalità nei casi gravi di febbre di Lassa. Alcuni dati e precedenti studi sull’uomo dimostrano che la ribavirina EV è efficace nel ridurre la morbilità e la mortalità nella sindrome polmonare da hantavirus. Un effetto importante della somministrazione EV è rappresentato dall’emolisi.

AMANTADINA E RIMANTADINA Entrambi i farmaci sono usati principalmente nella profilassi dell’influenza di tipo A e nel suo trattamento. Tali farmaci inibiscono la penetrazione o la perdita dell’involucro esterno del virus, bloccando in tal modo la fase precoce di interazione tra virus e organismo ospite. Essi vanno utilizzati entro 48 h dall’esordio di un’influenza A per diminuire la gravità e la durata dei sintomi. Essi sono indicati per la profilassi nei soggetti non vaccinati o negli operatori sanitari durante epidemie o nei soggetti in cui il vaccino è controindicato o inefficace. Questi farmaci non interferirà con lo sviluppo dell’immunità da parte del vaccino. La dose profilattica dell’amantadina per i soggetti di età compresa tra i 14 e i 64 anni è di 100 mg PO bid per la durata dell’epidemia o fin quando si sviluppi l’immunità indotta dal vaccino (in genere 2 sett. dopo la somministrazione). Per i pazienti 65 anni di età, la dose è di 100 mg/die. La dose è la stessa quando il farmaco viene utilizzato per il trattamento dell’influenza A; tuttavia, emerge rapidamente resistenza virale a questi farmaci, cosicché il trattamento va interrotto appena le condizioni cliniche del paziente lo permettono, cioè 3-5 giorni di terapia o 1-2 giorni dopo la risoluzione dei sintomi. L’amantidina viene escreta per via renale e il dosaggio deve essere corretto nei pazienti anziani e nei pazienti con insufficienza renale. La rimantadina viene metabolizzata principalmente attraverso il fegato. La dose di rimantadina è 100 mg PO bid per le età comprese tra 14 e 64 anni o 100-200 mg nei pazienti > 64 anni. Gli effetti collaterali, che sono più comuni rispetto all’amantidina, colpiscono principalmente il SNC e includono nervosismo, insonnia, senso di testa vuota, vertigini, eloquio impacciato, atassia, incapacità a concentrarsi, allucinazioni e depressione ma si possono avere anche anoressia, nausea e costipazione. Gli effetti collaterali si sviluppano di solito entro 48 h dall’assunzione del farmaco e spesso si risolvono continuando a usarlo.

CIDOFOVIR Cidofovir (citosina; HPMPC) è un analogo nucleotidico e, in contrasto agli analoghi nucleosidici, contiene un gruppo fosfonato che non richiede la fosforilazione virus-dipendente. Gli enzimi cellulari convertono il cidofovir nella forma attiva difosfato, che ha una lunga emivita intracellulare. Il cidofovir ha un’attività inibitoria in vitro contro un amplio spettro di virus, inclusi HSV-1, HSV2, VZV, CMV, EBV, adenovirus, papillomavirus umano (HPV) e polyomavirus umano. Il farmaco è usato nel trattamento della retinite da CMV nei pazienti con HIV. La terapia di induzione per la retinite da CMV nei pazienti con infezione da HIV consiste nel trattamento EV con 5 mg/kg una volta/sett. per 2 sett. con terapia di mantenimento ogni 15 giorni. L’efficacia è simile a quella del ganciclovir file:///F|/sito/merck/sez13/1541214.html (6 of 8)02/09/2004 2.09.04

Farmaci antivirali

o del foscarnet. Effetti collaterali importanti includono insufficienza renale, annunciata dalla comparsa di proteinuria, che si previene con l’uso del probenecid. Tuttavia, gli effetti collaterali del probenecid che includono rash, cefalea e febbre possono essere così significativi da prevenirne l’uso. Il cidofovir per uso topico viene utilizzato nell’herpes simplex mucocutaneo che non risponde alla terapia orale o all’acyclovir EV. Speciali formulazioni di cidofovir per uso intravitreale (iniezioni da 20-µg sono state utilizzate nei pazienti con retinite da ceppi di CMV resistenti, come terapia di salvataggio, anche se sono possibili importanti effetti collaterali: irite e ipotonia nonostante l’uso del probenecid.

OLIGONUCLEOTIDI Queste molecole antisenso contengono delle strutture oligodeossinucleotidiche complementari alle sequenze genomiche del virus obiettivo. Gli oligonucleotidi fosforotioati che sono complementari all’RNA virale si sono dimostrati in grado di inibire la replicazione virale nelle colture cellulari. L’ISIS 2922 è un oligonucleotide fosforotioato con una potente attività antivirale contro il CMV; esso è complementare alla regione 2 dell’RNA della unità di trascrizione precoce immediata del CMV e inibisce la sintesi proteica. Tale farmaco è stato studiato per il trattamento intravitreale della retinite da CMV. Gli effetti collaterali includono vitreite e apposizione di epitelio nel pigmento retinico.

IMMUNOGLOBULINE Le immunoglobuline iperimmuni per CMV hanno attenuato la malattia da CMV associata con il trapianto di rene, ma non si sono dimostrate utili nella prevenzione della malattia da CMV nelle persone con infezione da HIV. Anticorpi umani monoclonali anti-cytomegalovirus possono essere utili come terapia di sostegno al foscarnet o al ganciclovir nel trattamento della retinite da CMV.

INTERFERONI Gli interferoni sono prodotti cellulari naturali liberati dalle cellule infettate dell’ospite in risposta ad acidi nucleici virali o di altra natura. Se ne può rilevare la presenza anche solo 2 h dopo l’infezione. Il loro complesso meccanismo d’azione non è stato ancora ben precisato, ma l’interferone ha comunque la proprietà di bloccare in modo selettivo la traduzione e la trascrizione dell’RNA virale, arrestando la replicazione del virus senza disturbare le normali funzioni delle cellule dell’ospite. Una forma ricombinante di interferone-α endogeno è stata studiata in pazienti selezionati affetti da leucemia a cellule capellute, sarcoma di Kaposi, papilloma virus umano e virus respiratori. Viene utilizzato principalmente nell’epatite B e C. I pazienti con epatite attiva da HBV o con epatite da virus C (HCV) con viremie evidenziabili e con test di funzionalità anormali possono trarre beneficio dal trattamento con interferone. Nei pazienti con epatite da HBV che rientrano in appropriati criteri, 2,5-5 milioni U SC o IM per 4-6 mesi possono indurre la scomparsa del HBV DNA e dell’antigene e del HBV (HBeAg) dal siero e migliorare le anormalità nella funzionalità epatica oltre al quadro istologico epatico nel 25-40% dei pazienti. Per file:///F|/sito/merck/sez13/1541214.html (7 of 8)02/09/2004 2.09.04

Farmaci antivirali

l’epatite cronica delta, sono necessarie dosi più elevate nell’ordine di 9-10 milioni di U 3 volte/sett. e sono comunque comuni le recidive. Nel caso dell’HCV, 36 mesi di 3-6 milioni di U 3 volte/sett. per 6-12 mesi permettono di ottenere la diminuizione dei livelli di HCV RNA e il miglioramento dei test di funzionalità epatica oltre al quadro istologico epatico nel 10-25% dei pazienti trattati. Gli effetti collaterali includono febbre, brividi, debolezza e mialgia che di solito iniziano 712 h dopo la prima iniezione e durano fino a 12 h. La dose più bassa utilizzata nell’HCV porta a effetti collaterali meno gravi, sebbene sia stato riportato il peggioramento del quadro clinico dell’epatite. L’aggiunta della ribavirina alla terapia con interferone nell’HCV si mostra promettente.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

HERPES GENITALE Infezione della cute delle zone genitali, anorettali o delle membrane mucose da parte di uno o l’altro dei virus herpes simplex strettamente imparentati (HSV-1 o HSV-2).

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Complicanze Terapia

Eziologia L’infezione della cute dei genitali e della zona anorettale e della mucosa, di solito causata dal virus herpes simplex tipo 2 (HSV-2), ma anche (10-30% dei casi) dal tipo 1 (HSV-1), tale infezione è la più comune STD ulcerativa nei paesi industrializzati. Le recidive sono comuni in quanto il virus infetta cronicamente i gangli del nervo sensitivo sacrale, da cui si riattiva e reinfetta la cute.

Sintomi e segni La lesione primaria si sviluppa dopo 4-7 giorni dal contatto. Si sviluppano quindi piccoli gruppi di vescicole dolorose che si rompono e formano numerose ulcere circolari superficiali con areola rossastra, che possono confluire. Dopo qualche giorno le ulcere formano una crosta e guariscono generalmente entro 10 gg, con caduta dell’escara a volte con residuo di una cicatrice. Le lesioni si possono presentare su prepuzio, glande e corpo del pene negli uomini, su grandi e piccole labbra, clitoride, perineo, vagina e collo uterino nelle donne. Si possono presentare attorno all’ano e nel retto negli uomini omosessuali o nelle donne che abbiano avuto rapporti anali. Le lesioni che si manifestano durante il corso della prima eruzione sono di solito più dolorose, durature e diffuse di quelle delle recidive ricorrenti, in particolare nei pazienti senza precedenti esposizioni a infezioni da HSV (infezione primaria). Febbre, malessere e adenopatia regionale spesso accompagnano la fase d’inizio, specialmente in caso di infezione primaria. Nelle infezioni primarie, il paziente può accusare difficoltà nella minzione a causa della paresi vescicale e inoltre disuria o difficoltà nella deambulazione. Con gli episodi ricorrenti le parestesie (prurito e senso di bruciore) di solito precedono un eritema localizzato della cute e delle membrane mucose. Sintomi neurologici quali dolore alle anche o alle gambe possono essere molto problematici. Nei pazienti con immunità cellulo-mediata depressa per un’infezione da HIV o per altre cause, oppure con lesioni di lunga durata o progressive, i sintomi possono file:///F|/sito/merck/sez13/1641438b.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.05

Malattie a trasmissione sessuale (std)

persistere per settimane o più. Pertanto, frequenti ricadute o difficoltà di guarigione, indicano la necessità di indagare in direzione di un’infezione da HIV.

Diagnosi Se si riscontrano le caratteristiche cellule giganti multinucleate negli strisci di cellule prelevate dalle lesioni e colorate con Wright-Giemsa si può porre una diagnosi presuntiva immediata (test di Tzanck). La diagnosi può essere confermata con la coltura, il test di immunofluorescenza diretta o la sierologia. Per l’esame colturale il prelievo di materiale si effettua con un tampone dalla base delle lesioni ulcerate (o per aspirazione da una vescica); il campione viene posto in un idoneo terreno di trasporto per virus e poi seminato in coltura tissutale. Entro 24-48 h si produce un caratteristico effetto citopatico. Sul liquido delle vescicole o sul materiale asportato mediante raschiamento, può essere eseguito il test di immunofluorescenza diretto, per mettere in evidenza gli antigeni intracellulari di HSV. Due campioni di siero, prelevati a distanza di 10-14 gg, possono rivelare l’aumento del titolo anticorpale nelle infezioni primarie.

Complicanze L’herpes genitale può complicarsi con meningite asettica, mielite trasversa, con disfunzioni del sistema nervoso autonomo o con una grave nevralgia che interessa le regioni sacrali. La meningite asettica si presenta con febbre, cefalea, vomito, fotofobia e rigidità nucale circa 3-12 gg dopo l’esordio di lesioni genitali primarie o ricorrenti. I GB vanno da 10 a > 1000/µl e più, composti soprattutto da linfociti; le proteine del LCR risultano lievemente aumentate. La malattia si risolve quasi sempre spontaneamente nell’arco di alcuni gg senza lasciare sequele. I sintomi della disfunzione del sistema nervoso autonomo, come incapacità a urinare, costipazione e impotenza nei maschi, sono complicanze dell’infezione primaria. Durante l’infezione primaria, la disseminazione ematogena del virus alla cute extragenitale, articolazioni, fegato e polmoni talvolta avviene anche in pazienti apparentemente normali per quanto riguarda le funzioni immunologiche, ma più spesso si verifica nei soggetti immunodepressi o nelle donne gravide. Nel corso di recidive si possono avere lesioni extragenitali, che interessano abitualmente natiche, inguine e cosce, dovute a diffusione neuronale. L’inoculazione diretta è responsabile anche di localizzazioni occasionali alle dita e agli occhi. La superinfezione batterica delle ulcere erpetiche è rara, anche se il HSV può coesistere con Treponema pallidum o con Haemophilus ducreyi. La complicanza di gran lunga più frequente dell’herpes genitale è la riattivazione di un’infezione latente dei nervi sacri che causa episodi ricorrenti che di solito sono limitati a una sola sede corporea, di entità più lieve rispetto all’attacco iniziale e spesso associata a sintomi prodromici anche di grave entità. Nelle infezioni genitali il tasso di recidive è maggiore con il HSV-2 (80%) che non con HSV-1 (50%). Le recidive hanno un decorso assai vario in quanto a gravità e frequenza ma possono continuare a manifestarsi per molti anni.

Terapia La terapia antivirale per il HSV (1) riduce la liberazione di particelle virali e la gravità dei sintomi nelle infezioni primarie; (2) riduce marginalmente la liberazione di particelle virali e la gravità dei sintomi nelle infezioni ricorrenti; (3) cicatrizza le infezioni croniche nei soggetti con deficit immunitari; (4) riduce la frequenza delle recidive quando venga usato in via profilattica. L’acyclovir sia alla dose di 200 mg PO 5 volte al dì o a quella di 400 mg PO q 8 h, oppure il file:///F|/sito/merck/sez13/1641438b.html (2 of 3)02/09/2004 2.09.05

Malattie a trasmissione sessuale (std)

valacyclovir 500 mg PO q 12 h per un periodo di 5-10 giorni, curano efficacemente le lesioni erpetiche della bocca, dei genitali e del retto; tuttavia, anche il trattamento precoce delle infezioni primarie non impedisce che si instaurino infezioni latenti né previene le recidive. Se si verificano recidive periodiche con cadenza inferiore al mese, esse possono essere soppresse con acyclovir orale alla dose di 200 mg q 8 h o di 400 mg q 12 h. Recidive gravi, ma meno frequenti, possono essere trattate sia con acyclovir, 200 mg PO 5 volte/die o 400 mg PO q 8 h, che con famciclovir, 125 mg PO q 12 h, ma anche con valacyclovir, 500 mg PO q 12 h per 5 gg. Il trattamento deve essere iniziato immediatamente al primo segno di recidiva. La profilassi a lungo termine con acyclovir in pazienti con infezione da HIV seleziona, anche se di rado, ceppi di herpes simplex resistenti all’acyclovir, in tali casi si è a volte dimostrata efficace la terapia con foscarnet 40 mg/kg EV q 8-12 h per 10 giorni.

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Farmaci antivirali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 154. FARMACI ANTIVIRALI FARMACI ANTIVIRALI PER L'INFEZIONE DA HIV Sommario: Introduzione INIBITORI DELLA TRANSCRITTASI INVERSA ANALOGHI NUCLEOSIDICI ZIDOVUDINA DIDANOSINA ZALCITABINA STAVUDINA LAMIVUDINA INIBITORI NON NUCLEOSIDICI DELLA TRANSCRITTASI INVERSA NEVIRAPINA DELAVIRDINA INIBITORI DELLA PROTEASI SAQUINAVIR RITONAVIR INDINAVIR NELFINAVIR Le raccomandazioni riguardanti l’uso dei farmaci antivirali nel HIV sono in continuo aggiornamento. Quando e con cosa iniziare, quando cambiare il regime e come minimizzare lo sviluppo di resistenze e la resistenza crociata sono tutti argomenti in continua rivalutazione. Chiaramente, la monoterapia provoca l’insorgenza della resistenza e la perdita di efficacia quale risultato dell’enorme carica virale, della breve emivita e della propensione a mutare da parte del HIV. La determinazione della carica virale rappresenta un elemento cruciale nel determinare l’efficacia di un dato regime terapeutico l’obiettivo è quello di rendere non più misurabile la carica virale, dal momento che alti livelli di viremia conducono alla perdita di CD4 e in ultimo alla soppressione immunitaria. La raccomandazione attuale è quella di iniziare un regime a tre farmaci (o a quattro con 2 IP e 2 ITI v. in [ref. Linee guida 5.5.1999, n.d.t.]) in pazienti con una viremia > 5000-10000, indipendentemente dal numero dei CD4. Questo regime offre una soppressione virale sostenuta rispetto alle combinazioni a due farmaci e alla monoterapia. Le combinazioni a tre farmaci che contengono un inibitore delle proteasi (IP) sono considerate le più potenti tra i regimi possibili (in realtà ora si parla di mega HAART, Higly Active Antiretroviral Terapy, cioè di combinazioni di > 5 farmaci antiretrovirali). La difficoltà con la terapia multipla è che il paziente può non aderire completamente alle indicazioni a causa del numero delle compresse e degli effetti collaterali. Anche scostamenti minimi dalle indicazioni terapeutiche possono indurre fenomeni di resistenza farmacologica e perdita di efficacia. Quando si decide di cambiare una combinazione che non funziona, vanno iniziati almeno due nuovi farmaci (preferibilmente tre). Tutti i regimi è opportuno che siano personalizzati e, occasionalmente, qualora i pazienti non fossero in grado di aderire ai difficili schemi a tre farmaci, sarà da preferire un regime a due farmaci all’assenza di terapia. I farmaci anti-HIV includono inibitori della file:///F|/sito/merck/sez13/1541219.html (1 of 5)02/09/2004 2.09.06

Farmaci antivirali

transcrittasi inversa (ITI) (nucleosidici e non-nucleosidici) e inibitori della proteasi (IP).

INIBITORI DELLA TRANSCRITTASI INVERSA ANALOGHI NUCLEOSIDICI Questi farmaci sono fosforilati nei metaboliti attivi che competono per l’incorporazione nel DNA virale. Essi inibiscono l’enzima transcrittasi inversa del HIV in maniera competitiva e agiscono come se chiudessero la catena della sintesi del DNA.

ZIDOVUDINA La zidovudine (ZDV, AZT) è un analogo della timidina che inibisce la transcrittasi inversa virale come interrompendo la catena. La dose è 200 mg PO q 8 h o 300 mg PO bid. Per la demenza HIV associata, si raccomanda una dose di 10001200 mg/die. Il farmaco è uno dei pochi antivirali che riesce a raggiungere livelli ematici significativi nel LCR e che sembra fornire protezione contro la demenza HIV relata. Gli effetti collaterali includono cefalea, decolarazione delle unghie, anemia, neutropenia, nausea, disturbi GI, epatite e miosite. La ZDV ha mostrato di essere in grado di diminuire sia la trasmissione verticale che l’acquisizione occupazionale dopo esposizione percutanea. Il suo uso con il gancyclovir può provocare una profonda soppressione midollare.

DIDANOSINA La didanosina (ddI) è una purina dideossi nucleoside che viene fosforilata a dideossiadenosina trifosfato nelle cellule e agisce interrompendo la catena di formazione del DNA. Essa è uno dei più potenti inibitori della transcrittasi inversa. È stato dimostrato come il passaggio alla terapia con ddi ritardi la comparsa delle patologie che permettono la diagnosi di AIDS o la morte nei pazienti che prendevano ZDV se confrontati con quanti continuavano ad assumere la ZDV. La dose è 200 mg PO bid in compresse o 250 mg PO bid in polvere se il peso corporeo è > 60 kg o 125 mg PO bid in compresse o 167 mg PO bid in polvere se il peso corporeo è < 60 kg. La ddI viene somministrata in forma tamponata per prevenire la sua degradazione da parte dell’acido gastrico e deve essere assunta a stomaco vuoto. Le compresse devono essere masticate completamente o schiacciate e disciolte in acqua. Gli effetti collaterali includono la neuropatia periferica, la pancreatite e la diarrea.

ZALCITABINA La zalcitabina (ddC) è un analogo nucleosidico sintetico pirimidinico della 2_deossicitidina che ha il gruppo 3_-idrossilico rimpiazzato da un idrogeno. Il metabolita attivo, dideossicitidina 5_-trifosfato, agisce interrompendo la catena del DNA virale. La dose è 0,75 mg PO tid; la combinazione di ddC e ZDV ritarda la morte o la AIDS ma soltanto nei pazienti senza precedente esperienza di terapia con ZDV. Gli effetti collaterali includono ulcere orali e neuropatia periferica nel 17-30% dei pazienti trattati, rash e febbre.

STAVUDINA La stavudina (d4T) è un analogo sintetico nucleosidico timidinico e viene

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Farmaci antivirali

fosforilato dalle chinasi cellulari a stavudina trifosfato, che è l’agente attivo. Il farmaco compete con la deossitimidina trifosfato e provoca un’interruzione della catena del DNA. La dose è 40 mg o 30 mg PO bid se il peso del paziente è < 60 kg. Esiste un potenziale antagonismo tra ZDV e d4T; perciò tale associazione va evitata. In un ampio studio di pazienti pretrattati con ZDV (con CD4 tra 50 e 500) è stata confrontata la d4T sostituita alla ZDV e si è rilevato che i pazienti randomizzati nel gruppo d4T avevano un ritardo nell’insorgenza della AIDS o della morte, rispetto a quelli che avevano proseguito la ZDV. Gli effetti collaterali sono minimi e includono un modesto rialzo degli enzimi epatici e neuropatia periferica, per cui può essere indicata la riduzione della dose.

LAMIVUDINA La lamivudina (3TC) è un analogo nucleosidico sintetico che viene fosforilato nel composto attivo 5_-trifosfato che inibisce la transcrittasi inversa del HIV, dando come risultato l’interruzione della catena del DNA. Il HIV diviene rapidamente resistente con una modifica nel codone 184, ma questa mutazione ritarda l’emergenza di resistenza verso altri inibitori della transcrittasi inversa quali la ZDV. Questo fenomeno di resistenza precoce può portare a parziale resistenza crociata verso altri inibitori della transcrittasi inversa, come la ddI e la ddC e perciò la 3TC va utilizzata solo in combinazione. In alcuni pazienti con resistenza alla ZDV, l’aggiunta di 3TC permette di recuperare la sensibilità alla ZDV. Il dosaggio è 150 mg PO bid. Gli effetti collaterali sono rari e includono disturbi GI, cefalea, astenia e rash. La 3TC ha mostrato anche di essere in grado di sopprimere il DNA-HBV nei pazienti con epatite cronica B attiva; ulteriori studi sono in corso.

INIBITORI NON NUCLEOSIDICI DELLA TRANSCRITTASI INVERSA Questi farmaci si legano direttamente all’enzima transcrittasi inversa a livelli diversi da quelli cui si legano gli analoghi nucleosidici. In generale, la resistenza virale a questi farmaci si sviluppa rapidamente e per tale motivo non devono essere utilizzati in monoterapia a eccezione di casi specifici.

NEVIRAPINA La nevirapina si lega direttamente alla transcrittasi virale e blocca l’attività della DNA polimerasi RNA dipendente DNA dipendente interrompendo il sito catalitico dell’enzima. La dose è 200 mg PO/die per 2 sett. seguita da 200 mg bid. L’aumento a scalare della dose riduce lo sviluppo del rash che può essere letale. Se si verifica rash durante il periodo di induzione la dose non va aumentata sino a risoluzione del quadro. In caso di monoterapia la resistenza si sviluppa rapidamente. In paziento con malattia da HIV moderatamente avanzata senza pregressa storia di terapia antivirale, la combinazione di nevirapina, ZDV, e ddI risulta più efficace della ZDV e della ddI nell’aumentare il numero dei CD4 e nel ridurre i livelli del HIV RNA. La nevirapina raggiunge livelli liquorali significativi. La nevirapina è un induttore del citocromo P-450 e può provocare la diminuzione dei livelli plasmatici di altri farmaci somministrati in concomitanza, cioè, rifampicina, inibitori della proteasi e contraccettivi orali.

DELAVIRDINA La delavirdina inibisce il HIV-1 attraverso il legame diretto alla transcrittasi inversa e bloccando l’attività della DNA polimerasi RNA dipendente e DNA

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Farmaci antivirali

dipendente. La resistenza emerge rapidamente quando viene somministrata in monoterapia e si ha resistenza crociata agli altri inibitori della transcrittasi inversa non nucleosidici. Essa viene metabolizzata principalmente attraverso il citocromo P-450. La dose standard è 400 mg PO tid. La somministrazione contemporanea della delavirdina e di alcuni antiistaminici non sedativi, di sedativi ipnotici, di antiaritmici, di calcio antagonisti, di ergotamina, di amfetamine e di cisapride può potenzialmente provocare dei gravi o letali effetti collaterali, in tali casi vanno presi in considerazione farmaci alternativi. La delavirdina inibisce il metabolismo del citocromo P-450 dell’indinavir e pertanto va presa in considerazione la riduzione del dosaggio dell’indinavir a 600 mg tid. A differenza della nevirapina, la delavirdina non penetra nel SNC. Manifestazioni di grave rash sono state riportate nel 3,6% dei pazienti studiati.

INIBITORI DELLA PROTEASI Gli inibitori della proteasi rappresentano la classe più potente tra i farmaci antivirali; essi hanno come obiettivo l’enzima virale proteinasi. L’inibizione della proteasi virale previene la divisione delle poliproteine gag-pol, da cui risultano particelle virali non infettive. Mutazioni primarie e accessorie del genoma che codifica per la proteinasi virale porta all’emergenza di resistenze crociate tra i farmaci di questa classe. L’unica combinazione di due inibitori della proteasi ben documentata è costituita da ritonavir e saquinavir, che ha dimostrato una significativa e sostenuta riduzione della carica virale e un aumento dei CD4. Alcuni dati ottenuti da studi in vitro suggeriscono che il saquinavir e l’indinavir sono antagonisti. Altre combinazioni di vari inibitori della proteasi sono in corso di studio. Gli inibitori della proteasi sono metabolizzati attraverso il citocromo P-450 e tutti i farmaci somministrati in aggiunta a essi devono essere valutati per possibili interazioni.

SAQUINAVIR Il dosaggio del saquinavir è 600 mg PO tid entro 2 h da un pasto completo; questa formulazione ha una biodisponibilità di solo il 4%, fattore questo che limita enormemente la sua efficacia. Formulazioni alternative, come le capsule in gel morbido, che permettono di ottenere livelli sierici più elevati, sono state registrate di recente negli USA (Saquinavir soft-gel: Fortovase). In questa formulazione il dosaggio è di 1200 mg (6 capsule) tid entro 2 h da un pasto (n.d.t.). Una dose più elevata (7200 mg/die) permette risposte più durature ma non è ben tollerata. La combinazione con ritonavir a 400 mg bid per entrambi i farmaci determina un aumento > 20 volte del livello medio di saquinavir, con una provata durevole capacità di soppressione virale. Gli effetti collaterali includono la diarrea, la nausea e la cefalea. La rifampicina o la rifabutina diminuiscono in modo significativo le concentrazioni di saquinavir e non vanno utilizzate con questo farmaco. Anche altri farmaci che inducono il citocromo P-450 possono determinare la riduzione delle concentrazioni di saquinavir. Il saquinavir è un inibitore moderato del citocromo P-450 e la co-somministrazione di terfenadina, astemizolo o cisapride e di altri substrati dei composti del citocromo P-450 devono essere evitati o comunque gli effetti collaterali monitorati con attenzione. Farmaci che inibiscono il citocromo P-450, quali ketoconazolo, itraconazolo e fluconazolo, determinano un aumento dei livelli di saquinavir.

RITONAVIR La dose del ritonavir è 600 mg PO bid e può essere assunta con il cibo (Dal luglio 1998 le capsule sono state ritirate dal commercio per un difetto di gelificazione file:///F|/sito/merck/sez13/1541219.html (4 of 5)02/09/2004 2.09.06

Farmaci antivirali

dell’involucro, al momento è disponibile solamente la soluzione orale per cui è prevista una dose standard di 7,5 ml PO bid (ndt) L’aumento della dose da 300 mg bid a 600 bid in 5 giorni (per quanto attiene la soluzione orale si propende a effettuare uno scalaggio della dose in 14 giorni-ndt-) può ridurre l’incidenza di diarrea, manifestazione che può rappresentare un effetto collaterale importante. Le capsule devono essere mantenute in frigorifero la soluzione orale ha invece bisogno di essere refrigerata solo se non viene consumata entro 30 giorni. È comune il riscontro di resistenza crociata con indinavir; si verifica inoltre parziale o completa resistenza con altri inibitori della proteasi. Il ritonavir è il più forte inibitore del citocromo P-450 e la sua co-somministrazione con alcuni antiistaminici non sedativi (cioè, terfenadina), sedativi ipnotici (cioè, midazolam) oppure con farmaci antiaritmici può determinare dei livelli tossici e importante morbilità. Tutti i farmaci somministrati contemporaneamente al ritonavir devono essere valutati per verificare potenziali interazioni. I farmaci che inducono il P450, quali la rifampicina, ridurranno i livelli sierici del ritonavir e potranno diminuirne l’efficacia. Gli effetti collaterali comprendono diarrea, parestesie periorali, alterazione del gusto, nausea, epatite e anormalità dei lipidi.

INDINAVIR La dose standard dell’indinavir è 800 mg tid e deve essere assunta a stomaco vuoto (cioè 1 h prima o 2 h dopo i pasti). Onde prevenire l’insorgenza di litiasi renale si raccomanda di bere almeno 1,5 l di liquidi nelle 24 h. L’indinavir non va somministrato contemporaneamente a terfenadina, astemizolo, cisapride, triazolam o midazolam per la competizione con il citocromo P-450, che può determinare un’inibizione del metabolismo di questi farmaci e gravi effetti collaterali. Il principale effetto collaterale, la nefrolitiasi, insorge nel 4% dei pazienti e di solito può essere trattato semplicemente aumentando l’idratazione, sebbene a volte si debba procedere all’interruzione del farmaco. Nel 10% dei pazienti studiati si presenta un’iperbilirubinemia asintomatica. Come nel caso di altri inibitori della proteasi, i farmaci che agiscono sul citocromo P-450 devono essere evitati. La rifabutina diminuisce i livelli sierici dell’indinavir mentre il ketoconazolo li aumenta. Si verifica resistenza crociata con il ritonavir con vari livelli di resistenza crociata con altri inibitori della proteasi del HIV. La didanosina non può essere somministrata in contemporanea perché le sue sostanze tamponanti possono ridurre l’assorbimento dell’indinavir.

NELFINAVIR La dose standard del nelfinavir è 750 mg PO tid a stomaco pieno, l’effetto collaterale principale è la diarrea. Il citocromo P-450 viene inibito e pertanto la contemporanea somministrazione del nelfinavir con farmaci metabolizzati principalmente attraverso questa via può determinare un aumento degli effetti collaterali; farmaci che non vanno somministrati contemporaneamente includono astemizolo, terfenadina, rifampicina, midazolam, triazolam e cisapride.

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Ascessi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 155. ASCESSI Raccolte di pus nei tessuti, negli organi o in spazi confinati, di solito causate da infezioni batteriche.

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi, segni e complicanze Terapia

Gli organismi che possono determinare la formazione di ascessi sono innumerevoli; molti vengono trattati in altre sezioni del Manuale. In particolare, gli ascessi anorettali sono trattati nel Cap. 35; gli ascessi della mano, nel Cap. 61; gli ascessi polmonari, nel Cap. 74; gli ascessi cutanei sono trattati nel Cap. 112; le infezioni da germi anaerobi misti, nel Cap. 157 e gli ascessi cerebrali e midollari, nei Cap. 176 e 182, rispettivamente.

Patogenesi I microrganismi che provocano un ascesso possono penetrare nel tessuto per impianto diretto (p. es., un trauma penetrante con un oggetto contaminato); diffusione da un’infezione contigua e stabilizzata; disseminazione per via linfatica o ematica da una sede distante; o migrazione da una sede in cui i germi sono flora saprofitica residente verso una zona adiacente, normalmente sterile, grazie a una rottura delle barriere naturali (p. es., perforazione di un viscere addominale che provocherà un ascesso intra-addominale). Fattori predisponenti la formazione di un ascesso comprendono: meccanismi di riduzione delle difese dell’ospite (p. es., una funzione leucocitaria anormale), la presenza di corpi estranei, l’ostruzione al normale deflusso urinario, biliare o respiratorio, l’ischemia o la necrosi tissutale, un ematoma o un eccessivo accumulo di liquido nel tessuto e i traumi. Gli ascessi possono cominciare sotto forma di cellulite (v. Cap. 112). La separazione degli elementi cellulari, dovuta al liquido o allo spazio creato dalla necrosi cellulare per un’altra causa, realizza una zona in cui i leucociti possono accumularsi e formare un ascesso. Questo può espandersi per dissezione progressiva con pus o per necrosi delle cellule circostanti. Successivamente, tessuto connettivo altamente vascolarizzato può invadere e circondare il tessuto necrotico, i leucociti e i frammenti tissutali, costituendo una sorte di parete dell’ascesso e quindi limitare un’ulteriore diffusione del processo.

Sintomi, segni e complicanze I sintomi e i segni degli ascessi cutanei e sottocutanei sono costituiti da calore, gonfiore, dolorabilità e arrossamento della sede colpita. Può anche essere presente febbre, specialmente quando esiste cellulite circostante. Per gli ascessi file:///F|/sito/merck/sez13/1551222.html (1 of 2)02/09/2004 2.09.07

Ascessi

profondi, i sintomi tipici sono il dolore locale comitato a sintomi sistemici, specialmente febbre, come anche anoressia, perdita di peso e affaticabilità. La manifestazione predominante di alcuni ascessi è un’anormale funzione dell’organo, p. es., un’emiplegia in caso di ascesso cerebrale. Le complicanze degli ascessi comprendono la batteriemia, con diffusione dell’infezione a sedi distanti, l’apertura in un tessuto adiacente, il sanguinamento dei vasi erosi dall’infiammazione, la compromissione della funzione di un organo vitale e la inanizione per gli effetti sistemici dell’anoressia e di uno stato catabolico.

Terapia La guarigione di un ascesso richiede il drenaggio chirurgico del suo contenuto. Il drenaggio può aversi spontaneamente per rottura dell’ascesso nei tessuti adiacenti o all’esterno del corpo, a volte associato alla formazione di fistole drenanti croniche. Senza drenaggio spontaneo o chirurgico un ascesso può guarire lentamente dopo la digestione proteolitica del pus, che si traduce in un liquido sterile e poco vischioso che viene riassorbito nel torrente circolatorio. Un riassorbimento incompleto lascia una cavità cistica, con una parete fibrosa, in cui a volte sali di Ca precipitano a formare una massa calcificata. I farmaci antimicrobici sistemici, attivi contro i microrganismi responsabili, sono indicati per le infezioni profonde ma sono spesso inefficaci senza un intervento diretto. Un drenaggio appropriato consiste nella rimozione completa del pus, del tessuto necrotico e dei residui. Per prevenire il riformarsi dell’ascesso, può rendersi necessario l’eliminazione dello spazio morto tramite il riempimento dello stesso con garze o tramite l’apposizione di drenaggi. Le eventuali condizioni predisponenti, p. es., l’ostruzione o la presenza di un corpo estraneo, dovranno naturalmente essere corrette, se possibile. La colorazione di Gram e le colture con antibiogrammi dei germi isolati dagli ascessi servono da guida per la scelta della terapia antibiotica.

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Ascessi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 155. ASCESSI ASCESSI INTRA-ADDOMINALI Sommario: Introduzione ASCESSI INTRAPERITONEALI ASCESSI SUBFRENICI Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Complicanze, prognosi e terapia ASCESSI MESO-ADDOMINALI ASCESSI PELVICI ASCESSI RETROPERITONEALI ASCESSI RETROPERITONEALI ANTERIORI ASCESSI PERIRENALI Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia ASCESSI VISCERALI ASCESSI SPLENICI Sintomi, segni e diagnosi Complicanze e terapia ASCESSI PANCREATICI Sintomi e segni Diagnosi Complicanze, prognosi e terapia ASCESSI EPATICI Sintomi e segni Diagnosi Complicanze, prognosi e terapia

Gli ascessi intra-addominali possono essere intraperitoneali, retroperitoneali o viscerali. Sebbene le manifestazioni cliniche possano variare, la maggior parte degli ascessi intra-addominali causa febbre e dolenzia addominale che varia da livelli minimi a gravi, di solito in prossimità dell’ascesso. Si può sviluppare ileo paralitico sia generalizzato che localizzato. Anoressia, nausea, vomito, diarrea o costipazione sono comuni. Molti ascessi intra-addominali si sviluppano per soluzioni di continuo del tratto GI da perforazione o da infiammazione; i microganismi infettanti, una miscela complessa di batteri aerobi e anaerobi, riflettono la normale flora intestinale. I germi più frequentemente isolati da questi ascessi sono i bacilli gram –come l’Escherichia coli e la Klebsiella, e gli anaerobi, specialmente il Bacteroides

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Ascessi

fragilis: un’efficace terapia antimicrobica richiede farmaci attivi contro questi organismi come una combinazione di un aminoglicoside, p. es., gentamicina 1,5 mg/kg q 8 h, assieme alla clindamicina 600 mg q 6 h EV. In alternativa può essere utilizzata una cefalosporina della terza generazione più metronidazolo. È ragionevole anche una monoterapia con cefoxitin 2 g q 6 h o cefotetan 1 g q 12 h. Pazienti con precedente somministrazione di antibiotici o coloro e che presentino infezioni ospedaliere devono essere trattati con farmaci che siano attivi contro bacilli aerobici gram – resistenti come lo Pseudomonas e contro gli anaerobi. Praticamente tutti gli ascessi intra-addominali hanno bisogno di un drenaggio per via chirurgica o per mezzo di cateteri percutanei. Un drenaggio mediante un catetere a permanenza posto in sede con l’ausilio dell’ecografia o della TC può essere sufficiente quando siano presenti poche cavità ascessuali, quando il percorso del catetere non attraversi l’intestino, organi non contaminati o pleura e peritoneo, quando non ci sia una fonte di contaminazione continua, come può essere un viscere perforato e quando il pus sia sufficientemente fluido da defluire attraverso il catetere stesso.

ASCESSI INTRAPERITONEALI Gli ascessi subfrenici, mesoaddominali e pelvici si sviluppano da forme generalizzate di peritonite quale risultato di un trauma o della perforazione di un viscere addominale. Con la peritonite generalizzata gli effetti della forza di gravità e della pressione intra-addominale favoriscono la localizzazione dell’ascesso agli spazi subfrenici, alla pelvi e alle docce paracoliche laterali del colon ascendente e discendente.

ASCESSI SUBFRENICI Lo spazio subfrenico è arbitrariamente definito come quello compreso tra il diaframma, superiormente e il colon trasverso. Circa il 55% degli ascessi subfrenici ha sede a destra, il 25% a sinistra e il 20% ha una sede multipla.

Eziologia e patogenesi La maggior parte degli ascessi subfrenici insorge per contaminazione diretta a seguito di interventi chirurgici, malattie locali o traumi. Essi si sviluppano a partire da una peritonite secondaria a un’altra causa, quale una perforazione di un viscere, l’estensione di un ascesso da un organo adiacente o, più comunemente, come una complicanza postoperatoria di chirurgia addominale, specialmente sul tratto biliare, sul duodeno o sullo stomaco. Il peritoneo può venire contaminato durante l’intervento chirurgico o successivamente per eventi quali perdite anastomotiche. Alcuni ascessi si sviluppano a seguito della diffusione dell’infezione attraverso la cavità peritoneale a partire da una sede di contaminazione distante (p. es., appendicite). I fattori che favoriscono il movimento del liquido negli spazi subfrenici sono la pressione negativa vigente nella zona, generata durante il movimento diaframmatico della respirazione e la maggiore pressione intraaddominale presente nella porzione inferiore dell’addome.

Sintomi e segni Le manifestazioni iniziano di solito subdolamente, dopo 3-6 sett. da un intervento chirurgico ma talora non si manifestano che dopo parecchi mesi. Il solo sintomo file:///F|/sito/merck/sez13/1551223.html (2 of 9)02/09/2004 2.09.09

Ascessi

di un ascesso può essere la febbre, quasi sempre presente, anche se sono comuni il riscontro di anoressia e calo ponderale. L’infezione del diaframma può causare tosse non produttiva, dolore al torace, dispnea e dolore alla spalla adiacente e possono essere presenti auscultatoriamente rantoli, ronchi o sfregamenti. Quando sono presenti contemporaneamente versamento pleurico, polmonite e atelettasia basilare, si riscontrano ottusità alla percussione e diminuzione dei suoni respiratori. Il dolore addominale, il sintomo più comune, è accompagnato spesso da dolorabilità locale. Nella sede di una precedente incisione possono a volte riscontrarsi una massa, un drenaggio su ferita o tratti fistolosi. Comuni sono anche la distensione addominale e la riduzione, all’auscultazione, dei murmuri intestinali a causa di un ileo paralitico.

Diagnosi La leucocitosi è di comune riscontro, insieme all’anemia. Talvolta si hanno emocolture positive. Le radiografie del torace sono di solito anormali. Reperti consueti sono versamenti pleurici omolaterali, emidiaframma elevato o immobile, infiltrati dei lobi inferiori e atelettasia. Radiografie dirette dell’addome possono rivelare gas extraintestinale all’interno dell’ascesso, spostamento degli organi adiacenti o una densità del tessuto molle significativa per la diagnosi di ascesso. Negli ascessi subfrenici situati a dx è utile l’esecuzione di un esame ecografico. Gli ascessi situati a sx sono più difficili da esaminare a causa dello stomaco, che è ripieno di gas, della fessura splenica, dei polmoni aerati e delle costole. Inoltre la milza, poiché ha dimensioni e forma assai varie e può presentare anche normalmente echi, può simulare un ascesso. Sebbene la maggio parte degli ascessi intra-addominali possono essere rivelati dalla TC, può risultare arduo accertare se un’anormalità risieda subito sopra o sotto il diaframma. La TC risulta utile quando la sede probabile dell’infezione sia il quadrante superiore sx o durante il periodo postoperatorio, quando ferite, medicazioni e drenaggi rendono difficoltoso l’ecografia. A volte, le scintigrafie come quella con leucociti marcati con indium-111 possono essere di ausilio nell’identificazione degli ascessi intra-addominali.

Complicanze, prognosi e terapia Gli ascessi subdiaframmatici possono estendersi nella cavità toracica, provocando un empiema, un ascesso polmonare o una polmonite. Le complicanze intra-addominali comprendono invece la rottura di ferite chirurgiche e la formazione di fistole. Talvolta un ascesso comprime la vena cava inferiore e provoca edema degli arti inferiori. Il tasso di mortalità degli ascessi subfrenici va dal 25 al 40%, con decesso causato da infezione non controllata, malnutrizione e complicanze di un ricovero prolungato come emboli polmonari e infezioni nosocomiali. La terapia consiste nel drenaggio chirurgico percutaneo o tramite catetere. Gli antibiotici sono una terapia coadiuvante, ma non sono sufficienti da soli. Una nutrizione adeguata è vitale durante il decorso ospedaliero spesso prolungato.

ASCESSI MESO-ADDOMINALI file:///F|/sito/merck/sez13/1551223.html (3 of 9)02/09/2004 2.09.09

Ascessi

Gli ascessi meso-addominali, con sede compresa tra il colon trasverso e la pelvi, comprendono ascessi del quadrante inferiore dx e sx e ascessi delle anse intestinali. Gli ascessi del quadrante inferiore dx si sviluppano il più delle volte come complicanze di appendicite acuta e, meno frequentemente, di una diverticolite del colon, di enterite regionale o di un’ulcera duodenale perforata con drenaggio verso il basso lungo la doccia paracolica dx. Tipicamente si manifestano febbre, dolorabilità del quadrante inferiore dx e una massa palpabile: sintomi di un’appendicite acuta. La massa può provocare un’ostruzione parziale o completa dell’intestino tenue. Di regola è presente leucocitosi. La terapia comprende antibiotici e drenaggio chirurgico o con catetere percutaneo. Tuttavia, fino a due terzi degli ascessi appendicolari possono risolversi con i soli antibiotici. Gli ascessi del quadrante inferiore sx si verificano principalmente a seguito di perforazione di un diverticolo del colon discendente o del sigma, meno frequentemente a partire da un carcinoma perforato del colon. I sintomi sono quelli di una diverticolite acuta: dolore al quadrante inferiore sinistro, anoressia, modica nausea, seguiti da febbre, leucocitosi e sviluppo di una massa palpabile. La terapia consiste nella somministrazione di antibiotici oltre alla chirurgia, anche se alcuni ascessi diverticolari possono risolversi con i soli antibiotici. Alcuni chirurghi drenano l’ascesso ed eseguono una colostomia laterale, resecano la porzione colpita con una seconda operazione e richiudono la colostomia con un terzo intervento. Altri resecano in prima istanza la porzione di intestino colpita, abboccando l’estremità prossimale del colon come una colostomia terminale e il colon distale come una fistola mucosa; 2 o 3 mesi più tardi, eseguono un’anastomosi termino-terminale. Gli ascessi delle anse intestinali sono saccature di pus, comprese tra le superfici ripiegate dell’intestino tenue e crasso e dei loro mesenteri, e rappresentano complicanze di perforazioni intestinali, di rotture anastomotiche o del morbo di Crohn. Le manifestazioni possono essere assai subdole. Febbre e leucocitosi sono spesso i soli dati rilevabili ma possono aversi dolorabilità addominale, segni di ileo paralitico o la presenza di una massa palpabile. Radiografie dirette dell’addome talvolta suggeriscono la diagnosi, per la presenza di edema della parete intestinale, separazione delle anse intestinali, ileo localizzato e livelli idroaerei nelle proiezioni effettuate con il paziente in posizione eretta. La terapia consiste nel drenaggio chirurgico accompagnato da trattamento antibiotico adeguato.

ASCESSI PELVICI Gli ascessi pelvici sono di regola complicanze di appendicite acuta, di malattia infiammatoria pelvica o di diverticolite del colon. I sintomi principali sono febbre e dolore alle regioni inferiori dell’addome. Gli ascessi del cavo di Douglas, adiacente al colon, possono provocare diarrea; la contiguità con la vescica può provocare pollachiuria e stranguria. Si riscontra di frequente dolorabilità addominale e l’ascesso è di solito palpabile all’esame vaginale o rettale. È tipico il reperto di leucocitosi. La terapia consiste nel drenaggio chirurgico (attraverso la vagina o il retto) accompagnato da una copertura antibiotica appropriata: clindamicina più un aminoglicoside oppure una cefalosporina di terza generazione più metronidazolo in attesa dei risultati delle colture. Gli ascessi di grandi dimensioni possono essere drenati per mezzo di cateteri percutanei. Negli ascessi provocati da malattie infiammatorie pelviche, alcuni ginecologi trattano la paziente con liquidi, riposo a letto e antibiotici, ricorrendo alla chirurgia solo nei casi che non rispondono alla terapia per diversi gg, o per quei casi che possono avere la rottura dell’ascesso, in ascessi drenabili attraverso la culdotomia o un’altra via extraperitoneale o nei casi di diagnosi incerta.

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Ascessi

ASCESSI RETROPERITONEALI ANTERIORI Questi ascessi sono complicanze di appendicite acuta, di perforazione del colon da diverticolite o da tumore, di perforazione gastrica o duodenale, di enterite regionale o pancreatite. I sintomi principali sono febbre, dolore all’addome o al fianco, nausea, vomito, perdita di peso e dolore all’anca, alla gamba o al ginocchio per interessamento del muscolo psoas. Reperto frequente è il dolore durante l’estensione dell’anca. All’esame obiettivo del paziente si reperta una massa palpabile. Di regola è presente leucocitosi. Il quadro radiologico include gas extraintestinale nell’ascesso, spostamento degli organi adiacenti (come rene o colon) e perdita dell’ombra del muscolo psoas. Le radiografie del torace possono mostrare elevazione del diaframma omolateralmente, con o senza versamento pleurico. Il migliore e più sensibile esame non invasivo dello spazio retroperitoneale è rappresentato dalla TC. Gli esami radiologici del tratto intestinale con bario possono mostrare spostamenti dei visceri adiacenti. La terapia è solitamente di tipo chirurgico, ma si può anche impiantare un catetere contemporaneamente alla somministrazione di antibiotici. Alcuni ascessi tuttavia si risolvono con la sola terapia antimicrobica. Le complicanze di infezioni non trattate comprendono la progressione lungo i piani fasciali fino a coinvolgere la parete addominale anteriore, la coscia, l’anca, il muscolo psoas, gli spazi subfrenici, il mediastino e le cavità pleuriche. Talvolta si ha rottura dell’ascesso che provoca una peritonite acuta batterica.

ASCESSI PERIRENALI Gli ascessi perirenali sono di regola conseguenti alla rottura di un ascesso parenchimale renale nello spazio perirenale, compreso tra il rene e la fascia che lo avvolge (capsula di Gerota). Alcuni di questi ascessi sono da stafilococchi e conseguono alla diffusione ematogena dell’infezione al rene a partire da un’altra localizzazione. Più spesso, tuttavia, gli ascessi perirenali insorgono a seguito di pielonefrite, spesso associata a calcolosi renale, a un recente intervento chirurgico o a un’ostruzione. I microrganismi infettanti abituali sono bacilli aerobi gram –; una piccola parte delle infezioni sono polimicrobiche.

Sintomi e segni I sintomi principali sono febbre, brividi e dolore al fianco o all’addome, spesso con disuria. La maggior parte dei pazienti presenta febbre e dolorabilità addominale al fianco. Talvolta si accompagnano a nausea, vomito ed ematuria: in alcuni pazienti la febbre è l’unico sintomo.

Diagnosi Leucocitosi e piuria sono reperti comuni ma non costanti. La maggioranza dei pazienti ha urinocolture positive ma emocolture positive solo nel 20-40% dei casi. Di solito, l’ascesso perirenale si può distinguere clinicamente dalla pielonefrite acuta per una più lunga durata dei sintomi prima del ricovero ospedaliero e per una febbre che si prolunga dopo l’inizio della terapia antibiotica; i sintomi durano di solito > 5 gg nell’ascesso perirenale e < 5 gg nella pielonefrite acuta. L’ecografia rivela generalmente gli ascessi, ma la TC rimane l’esame più affidabile. Quasi tutti gli ascessi perirenali sono evidenziati alla TC. La rx del torace presenta alterazioni in circa la metà dei pazienti, mostrando polmonite omolaterale, atelettasia, versamento pleurico o un emidiaframma elevato. In circa file:///F|/sito/merck/sez13/1551223.html (5 of 9)02/09/2004 2.09.09

Ascessi

la metà dei pazienti, anche le radiografie dirette dell’addome sono anormali, mostrando una massa, alcuni calcoli, la perdita dell’ombra dello psoas o presenza di gas extraintestinale nell’area perirenale, dovuta a infezione con organismi produttori di gas. I reperti di un’urografia escretoria possono comprendere una mancata o scarsa visualizzazione del rene, calici distorti, uno spostamento renale anteriore e fissità renali unilaterali, meglio dimostrate con fluoroscopia o con lastre in inspirazione-espirazione.

Prognosi e terapia La mortalità complessiva è di circa il 40%, ma una diagnosi e una terapia pronte assicurano di solito un risultato eccellente, specialmente se il paziente non ha patologie di base importanti. La terapia si basa su antibiotici, drenaggio del pus tramite un catetere chirurgico o percutaneo, eliminazione dell’ostruzione, talvolta rendendosi necessaria la nefrectomia (se il rene è coinvolto estesamente da infezione o calcolosi). Una cefalosporina di terza generazione come il ceftazidime con o senza un aminoglicoside costituisce una ragionevole scelta iniziale, in attesa dei risultati delle emocolture, delle urinocolture e delle colture sugli ascessi.

ASCESSI SPLENICI La maggior parte degli ascessi splenici si verifica a seguito di infezioni insorte in altre sedi; si tratta di piccole anormalità multiple e clinicamente silenti riscontrate incidentalmente all’autopsia. Gli ascessi splenici clinicamente evidenti sono di solito unici e insorgono da: (1) batteriemia sistemica originata in altra sede; (2)da un trauma chiuso o penetrante (con sovrainfezione di un ematoma), da un infarto limitato (come quello che si verifica nelle emoglobinopatie, specialmente a carattere falciforme o malattia da emoglobina S-C) o da altre malattie (malaria, cisti idatidee); o (3) dall’estensione di un’infezione contigua, come un ascesso subfrenico. I microrganismi infettanti più comuni sono stafilococchi, streptococchi, anaerobi e bacilli aerobi gram –, compresa la Salmonella. La Candida può essere causa di infezione in ospiti immunocompromessi.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi principali sono l’insorgenza subacuta di febbre e dolore localizzato a sx, spesso pleuritico, al fianco, all’addome superiore o al basso torace che può irradiarsi alla spalla sx. Il quadrante superiore sx è di regola dolorante ed è tipico il riscontro di una splenomegalia. Raramente si può percepire all’auscultazione uno sfregamento splenico. Di regola si riscontra leucocitosi; le emocolture producono crescita degli agenti infettanti. La TC rappresenta l’esame più attendibile anche se le radiografie ordinarie possono rivelare una massa nel quadrante superiore sx dell’addome, gas extraintestinale nell’ascesso, prodotto da microrganismi, spostamento di altri organi, compresi il rene, il colon e lo stomaco, sollevamento dell’emidiaframma sx e versamento pleurico sx. Un’ecografia può dimostrare cavità intraspleniche, con ascessi maggiori di 2-3 cm.

Complicanze e terapia Le complicanze di ascessi non trattati comprendono emorragia nella cavità ascessuale o rottura nel peritoneo, nell’intestino, in un bronco o nella cavità pleurica. L’ascesso splenico può essere, anche se di rado, causa di batteriemia continua nell’endocardite, malgrado un’appropriata chemioterapia. Il trattamento file:///F|/sito/merck/sez13/1551223.html (6 of 9)02/09/2004 2.09.09

Ascessi

prevede somministrazione di antibiotici per via sistemica e rimozione del pus tramite drenaggio con catetere percutaneo, splenotomia o splenectomia.

ASCESSI PANCREATICI Gli ascessi pancreatici si sviluppano tipicamente nella sede di una necrosi pancreatica, comprese le pseudo cisti, dopo un attacco di pancreatite acuta. I microrganismi rinvenuti di frequente sono quelli della flora intestinale, bacilli aerobi gram – e anaerobi. Come raggiungano il pancreas è incerto. Vengono isolati di frequente anche S. aureus e Candida.

Sintomi e segni Nella maggior parte dei casi, il miglioramento dopo un attacco di pancreatite è seguito, una o più settimane dopo, da febbre, dolore addominale e dolorabilità alla palpazione, nausea, vomito e, talvolta, ileo paralitico. Più raramente l’ascesso si sviluppa poco dopo l’inizio dell’attacco. In questi casi, la febbre, la leucocitosi e i sintomi addominali comuni della pancreatite acuta non si risolvono prontamente come avviene di regola; quando persistano per > 7 gg, si deve sospettare un ascesso. In circa la metà dei casi si può palpare una massa addominale.

Diagnosi Il livello di amilasi sierica può essere elevato ma spesso è normale: la leucocitosi, tuttavia, è sempre presente. Il livello di fosfatasi alcalina può essere elevato e l’albumina diminuita. Le emocolture talvolta evidenziano il germe responsabile, ma a volte è il liquido ascitico che può risultare positivo se posto in coltura. Una rx del torace dimostra spesso anormalità localizzate a sx, come versamento pleurico, atelettasia dei lobi basali, polmonite o elevazione dell’emidiaframma. Una rx diretta dell’addome o studi con mezzo di contrasto del tratto GI possono rivelare gas extraintestinale nell’area pancreatica o lo spostamento di organi adiacenti. L’ecografia può mostrare una massa pancreatica ripiena di liquido, che può presentare echi multipli per presenza di frammenti o concamerazioni all’interno dell’ascesso. La TC, che è probabilmente il miglior esame diagnostico, può mostrare una massa a bassa densità all’interno del pancreas, che può contenere gas e che non prende contrasto a seguito della somministrazione EV di mezzo di contrasto. La differenziazione delle gravi forme di pancreatite necrotica dalla formazione di pseudocisti e dagli ascessi spesso richiede l’ago aspirazione sotto guida TC, l’esplorazione chirurgica o entrambi.

Complicanze, prognosi e terapia Le complicanze di ascessi non drenati comprendono la perforazione nelle strutture contigue, l’erosione di vasi adiacenti come l’arteria gastrica sx, la splenica e la gastroduodenale causando emorragie o trombosi, e ulteriore formazione di ascessi, evenienza frequente che richiede il reintervento. Anche con terapie chirurgiche e antimicrobiche appropriate il tasso di mortalità è di circa il 40%. La terapia prevede il drenaggio chirurgico o l’impianto di un catetere percutaneo (che, a causa dell’impossibilità di rimuovere grossi frammenti necrotici, produce risultati meno buoni negli ascessi pancreatici che non in altri intra-addominali) e somministrazione di antibiotici sistemici. La cefoxitina, il cefotetan o l’imipenemfile:///F|/sito/merck/sez13/1551223.html (7 of 9)02/09/2004 2.09.09

Ascessi

cilastatina usati da soli o in combinazione con clindamicina o metronidazolo più un aminoglicosidico rappresentano una ragionevole terapia empirica in attesa dei risultati colturali.

ASCESSI EPATICI Gli ascessi epatici sono di solito amebici o batterici (da piogeni). Gli ascessi batterici si verificano a causa di: (1) colangite ascendente in un tratto biliare parzialmente o completamente ostruito da un calcolo, da un tumore o da una stenosi; (2) batteriemia portale da una sede intra-addominale come una diverticolite o un’appendicite; (3) una batteriemia sistemica originata in una sede distante, con microganismi che raggiungono il fegato attraverso l’arteria epatica; (4) un’estensione diretta da un’infezione adiacente al di fuori del tratto biliare; (5) un trauma o penetrante (con impianto diretto di batteri nel fegato) o chiuso, che provoca un ematoma suscettibile di divenire infetto. Di solito la causa è ovvia, ma talvolta l’ascesso può essere inspiegabile. Sebbene la maggior parte degli ascessi siano singoli, durante una batteriemia sistemica sono frequenti gli ascessi multipli (per solito microscopici) o un’ostruzione completa del tratto biliare. Gli streptococchi e gli stafilococchi sono i batteri più comuni nelle infezioni originate da una batteriemia sistemica. Gli ascessi che derivano da un’infezione del tratto biliare contengono invece solitamente bacilli aerobi gram – (p. es., Escherichia coli e Klebsiella) mentre quelli secondari a batteriemia portale secondaria a un’infezione intra-addominale contengono tipicamente sia bacilli aerobi gram – che batteri anaerobi.

Sintomi e segni Con ascessi multipli secondari a batteriemia sistemica o con infezioni del tratto biliare, l’esordio è acuto e i reperti clinici principali della malattia originaria dominano il quadro. Con gli ascessi singoli si ha un’insorgenza subacuta dei sintomi nel corso di varie settimane. La febbre è una manifestazione comune e talvolta la sola, ma la maggior parte dei pazienti presenta anche anoressia, nausea, perdita di peso e debolezza. Il dolore al quadrante superiore dx o la dolorabilità alla palpazione e l’epatomegalia si riscontrano in circa la metà dei casi; il dolore pleuritico all’emitorace dx è solo occasionale. L’ittero è evidente soltanto quando esiste un’ostruzione del tratto biliare.

Diagnosi Le alterazioni frequenti dei test ematologici comprendono anemia, leucocitosi, VES elevata, fosfatasi alcalina aumentata, albumina diminuita e livelli di bilirubina moderatamente elevati. Le emocolture sono positive in pochi casi. Circa la metà dei soggetti presenta radiografie con atelettasie del lobo basale dx, versamento pleurico, polmonite o emidiaframma sollevato. La TC è la tecnica di diagnostica per immagini più sensibile. Tuttavia, un ascesso > 2 cm può generalmente essere rivelato con l’ecografia, la quale abitualmente può permettere una distinzione tra masse ripiene di liquido e masse solide, permettendo la distinzione tra gli ascessi epatici e neoplasie. Un ascesso piogeno deve essere differenziato da uno amebico. Le caratteristiche che fanno pensare a un’eziologia amebica sono l’età < 50, il sesso maschile, i sintomi presenti da < 2 sett., la storia di un viaggio in un’area endemica, difetti singoli piuttosto che multipli, l’isolamento di Entamoeba histolytica nelle feci e l’assenza di una condizione predisponente l’insorgenza di ascessi batterici. Quasi tutti i pazienti con un ascesso epatico amebico hanno dati sierologici positivi per file:///F|/sito/merck/sez13/1551223.html (8 of 9)02/09/2004 2.09.09

Ascessi

E. histolytica.

Complicanze, prognosi e terapia Le complicanze degli ascessi epatici comprendono la formazione di ascessi subfrenici, il sanguinamento nella cavità ascessuale e la rottura nel polmone, in cavità pleurica e nel peritoneo. Con una diagnosi corretta e una terapia appropriata il tasso di mortalità va dal 10 al 30%; i pazienti con ascessi multipli hanno una mortalità più elevata di quelli con ascessi singoli. La terapia prevede antibiotici e la rimozione del pus, meglio se mediante drenaggio percutaneo con agoaspirazione o con catetere a permanenza. Alcuni ascessi si risolvono con la sola terapia antibiotica. Nei pazienti con una patologia che richieda la laparotomia o che non abbiano dato risposta alla terapia medica si dovrà ricorrere alla chirurgia. Gli ascessi amebici rispondono bene alla sola chemioterapia (metronidazolo, clorochina o emetina) di solito senza richiedere il drenaggio chirurgico. Quando l’agente batteriologico causale è sconosciuto, la cefoxitina o il cefotetan da soli o una combinazione di clindamicina con un aminoglicosidico, assicurano una copertura adeguata, finché non si pervenga all’identificazione. La terapia antibiotica viene di solito protratta per numerose settimane dopo il drenaggio per prevenire le recidive.

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Ascessi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 155. ASCESSI ASCESSI PROSTATICI Gli ascessi prostatici si sviluppano come complicanze di prostatite acuta, uretrite ed epididimite. Di solito sono i bacilli gram-aerobici che causano l’infezione e, più di rado, lo Staphylococcus aureus. Il paziente, in genere, di età compresa tra 40 a 60 anni, presenta pollachiuria, disuria e ritenzione urinaria. Sintomi meno frequenti sono: dolore perineale, evidenza di un’epididimite acuta, ematuria e secrezione uretrale purulenta. La febbre è presente solo in una minoranza dei casi. L’esplorazione rettale può dimostrare dolorabilità prostatica e fluttuabilità; ma spesso l’ingrossamento prostatico è il solo reperto di anormalità, perché talvolta la ghiandola appare addirittura normale. La leucocitosi è reperto comune. La leucocitosi è frequente, e anche se piuria e batteriuria siano anch’esse frequenti, l’urina può essere normale. Le emocolture danno un risultato positivo soltanto in pochi pazienti. IVU prolungate e ricorrenti, malgrado la terapia antibiotica, dolore perineale persistente indicano la presenza di un ascesso prostatico. Molti di questi ascessi, tuttavia, vengono scoperti casualmente durante interventi chirurgici sulla prostata o durante procedimenti endoscopici; la protrusione di un lobo laterale nell’uretra prostatica e/o la rottura durante i procedimenti strumentali possono rivelare l’ascesso. L’ecografia prostatica può essere di ausilio. La terapia comporta il drenaggio per evacuazione transuretrale o per incisione perineale accompagnato da antibiotici appropriati.

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Ascessi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 155. ASCESSI ASCESSI DEL CAPO E DEL COLLO (V. anche Cellulite peritonsillare e ascessi nel Cap. 87 e Ascessi retrofaringei in Infezioni batteriche nel Cap. 265.)

Sommario:

INFEZIONE DELLO SPAZIO SOTTOMANDIBOLARE ASCESSI FARINGOMASCELLARI PAROTITE SUPPURATIVA

INFEZIONE DELLO SPAZIO SOTTOMANDIBOLARE (Angina di Ludwig) Cellulite dura a rapida diffusione, bilaterale, che si verifica negli spazi sottolinguale e sottomascellare senza formazione di ascessi o interessamento linfatico. Sebbene non sia un vero ascesso, l’infezione dello spazio sottomandibolare somiglia clinicamente ed è curata allo stesso modo di un ascesso. Essa si sviluppa solitamente a partire da infezioni dentali o periodontali, specialmente del 2o e del 3o molare inferiore. Può instaurarsi in associazione a problemi causati da scarsa igiene dentale (p. es., gengivite e sepsi dentali), estrazioni dentali o traumi (p. es., frattura della mandibola, lacerazioni del pavimento della bocca, ascessi peritonsillari). Se lasciata senza terapia, può risultare fatale. Le manifestazioni principali sono dolore nell’area del dente interessato, grave indurimento dolorante della regione sottomandibolare, trisma, disfonia, salivazione eccessiva e incapacità a deglutire, dispnea, stridore per edema laringeo e sollevamento della lingua. Frequenti sono febbre, brividi e tachicardia. La TC è il migliore approccio diagnostico ma una radiografia del capo e del collo è utile per valutare il grado di rigonfiamento dei tessuti molli e dell’ostruzione delle vie aeree. Le complicanze possono comprendere l’asfissia, la polmonite da inalazione, l’ascesso polmonare e la sepsi metastatica. La terapia prevede l’assicurazione di un’adeguata ventilazione, che può consistere in una tracheotomia (Attenzione: l’ostruzione delle vie aeree può progredire di ora in ora, sicché la loro pervietà deve essere verificata di frequente); la somministrazione di antibiotici ad alte dosi per eliminare gli anaerobi orali e gli aerobi che provocano l’infezione e un’incisione per drenare qualsiasi liquido presente e per alleviare la pressione dei tessuti rigonfi e infetti. Ci sono diverse opzioni razionali quando si decide una terapia antibiotica, p. es., penicillina ad alte dosi, ampicillina-sulbactam, oppure combinazioni di farmaci quali cefotaxime più metronidazolo o ciprofloxacina più clindamicina.

ASCESSI FARINGOMASCELLARI

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Ascessi

Lo spazio faringomascellare (faringeo laterale, parafaringeo o pterigomascellare) è un compartimento a forma di cono, sito lateralmente al faringe, che si estende dall’osso sfenoide alla base del cranio fino all’osso ioide. Gli ascessi faringomascellari insorgono solitamente a seguito di infezioni del faringe, compresi il nasofaringe, le adenoidi e le tonsille. Fonti meno comuni sono le infezioni dentarie, la parotite e la mastoidite. Reperti frequenti sono febbre, mal di gola e malessere generale. Le infezioni limitate al compartimento anteriore sono caratterizzate da trisma, indurimento lungo l’angolo della mandibola e ingrossamento mediale delle tonsille e della parete faringea laterale. Nelle infezioni del compartimento posteriore si ha un rigonfiamento della parete faringea posteriore e dello spazio parotideo. Il trisma è minimo o assente; l’interessamento della vena giugulare interna medialmente al piano carotideo può provocare brividi squassanti, febbre alta e batteriemia. L’erosione dell’arteria carotide comune, interna o esterna, provoca emorragia profusa. Una diffusione dell’infezione verso il basso provoca un rigonfiamento del collo che oblitera lo spazio al di sotto dell’angolo della mandibola. Il trattamento consiste nel drenaggio chirurgico più terapia antibiotica. Gli antimicrobici indicati per il trattamento delle infezioni dello spazio sottomandibolare sono appropriati anche in questi casi in quanto la flora microbica che è causa di queste infezioni tende a essere simile.

PAROTITE SUPPURATIVA Infezione ascendente dalla bocca, di solito provocata dallo Staphylococcus aureus, che può interessare l’apertura del dotto di Stenone. L’infezione si presenta tipicamente negli anziani o nei pazienti affetti da una forma cronica con un cavo orale disidratato, per diminuita introduzione orale di liquidi, per farmaci con effetti anticolinergici o a seguito di anestesia generale. Si sviluppano febbre, brividi e dolore unilaterale con rigonfiamento. La ghiandola è dura e dolorante, con eritema ed edema della pelle soprastante. Il materiale francamente purulento espulso dal dotto di Stenone alla compressione della ghiandola presenta chiaramente cocchi gram + in grappoli. La terapia per lo S. aureus consiste nella somministrazione di penicilline penicillinasi-resistenti o vancomicina per ceppi meticillino resistenti; nel caso in cui sia un altro l’organismo che causa l’infezione, la scelta dell’antibiotico va determinata sulla base della colorazione Gram e delle colture. Sono molto importanti una buona idratazione e una migliore igiene orale. L’intervento chirurgico può rendersi necessario nel caso in cui non possa essere effettuato il drenaggio e nel caso non ci sia una risposta alla terapia antibiotica.

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Faringe

Manuale Merck 7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA 87. FARINGE CELLULITE E ASCESSO PERITONSILLARE Infezione acuta localizzata fra la tonsilla e il muscolo costrittore superiore del faringe.

Sommario: Introduzione Terapia

Gli ascessi peritonsillari sono rari nei bambini ma frequenti nei giovani adulti. Sebbene siano causati generalmente da uno streptococco b-emolitico di gruppo A, anche i microrganismi anaerobi quali i batteroidi possono causare infezione peritonsillare. La deglutizione provoca intenso dolore; il paziente è febbrile e intossicato, tiene la testa piegata dal lato dell'ascesso e presenta forte trisma. La tonsilla appare spostata medialmente a causa della cellulite e dell'ascesso peritonsillare, il palato molle si presenta eritematoso ed edematoso e l'ugola è anch'essa edematosa e spostata verso il lato opposto.

Terapia La cellulite senza formazione di pus risponde alla penicillina in 24-48 h. Inizialmente viene somministrata penicillina G 1 milione U EV q 4 h. Se è presente pus che non fuoriesce spontaneamente, sono necessari l'aspirazione o incisione e drenaggio. La terapia antibiotica con penicillina V 250 mg q 6 h deve essere continuata per via orale per 12 giorni a meno che le colture e l'antibiogramma non diano indicazioni che un altro antibiotico sia più indicato. L'ascesso peritonsillare può recidivare e la tonsillectomia potrebbe essere presa in considerazione, in particolare per i pazienti che manifestano ascessi ripetuti. Essa di solito si esegue dopo 6 sett. dalla risoluzione dell'infezione acuta, ma può essere talvolta eseguita durante l'infezione acuta sotto copertura antibiotica.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE ASCESSO RETROFARINGEO Una raccolta di pus da un’infiammazione suppurativa linfonodale nelle pareti faringee posteriore e/o laterale. L’ascesso retrofaringeo si verifica generalmente in lattanti e bambini piccoli come complicanza della suppurazione di linfonodi retrofaringei. L’infezione (solitamente causata da uno streptococco β-emolitico) raggiunge i linfonodi dal faringe, dai seni paranasali, dalle adenoidi o dall’orecchio medio. Questi ascessi sono rari negli adulti poiché i linfonodi retrofaringei si riducono di volume o scompaiono con l’adolescenza. Cause occasionali in adulti e bambini sono la TBC e la perforazione della parete faringea posteriore a causa di corpi estranei o manovre strumentali. I sintomi comprendono dolore durante la deglutizione, febbre, linfoadenomegalia cervicale e, se si verifica un’ostruzione delle vie aeree, stridore, dispnea e iperestensione del collo. Le vertebre cervicali non possono essere palpate attraverso la parete posteriore della faringe, che appare molliccia e fluttuante e con una prominenza ben definita di solito unilaterale. La diagnosi viene posta rilevando un ampliamento dello spazio prevertebrale alla radiografia laterale del collo; la formazione ascessuale può essere dimostrata da una TC. Le complicanze comprendono emorragie; rottura dell’ascesso nelle vie aeree, che può causare asfissia o aspirazione polmonare; spasmo laringeo; mediastinite; e tromboflebite suppurativa delle vene giugulari interne. Il trattamento include il drenaggio dell’ascesso mediante un’incisione nella parete faringea posteriore e la somministrazione di antibiotici per via parenterale. Se vengono isolati ceppi di Staphylococcus aureus produttori di β-lattamasi e Bacteroides sp, può essere necessario un antibiotico resistente alla β-lattamasi (p. es., ampicillina-sulbactam, oxacillina, nafcillina, ceftizoxime, ticarcillina-acido clavulanico). La clindamicina è particolarmente utile se viene isolato B. fragilis.

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Ascessi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 155. ASCESSI PIOMIOSITE Formazione di un ascesso profondo all’interno di grossi muscoli striati. Gli ascessi muscolo scheletrici sono rari. Possono svilupparsi per diffusione dell’infezione da un osso vicino o da un tessuto molle adiacente oppure per via ematogena. La piomiosite è rara negli USA ma può verificarsi in pazienti immunocompromessi in particolare in quelli affetti da AIDS. Costituisce una patologia comune in molte zone tropicali e colpisce tanto i bambini quanto gli adulti, specialmente gli individui malnutriti. Si ritiene che il meccanismo di diffusione sia la disseminazione ematogena. Probabilmente la batteriemia provoca un’infezione localizzata in un muscolo già danneggiato da un trauma precedente spesso misconosciuto. Le sedi più comuni sono il quadricipite, il gluteo, la spalla e i muscoli dell’arto superiore; i focolai multipli si verificano nel 40% dei pazienti. I sintomi iniziali sono dolori crampiformi seguiti da edema, malessere in progressivo peggioramento e febbre moderata. A questo punto il muscolo può essere indurito. Più tardi l’edema e la dolorabilità aumentano con evidente fluttuabilità che si manifesta in circa la metà dei pazienti. La leucocitosi è reperto comune. L’agoaspirato, nella fase precoce di indurimento, può dare esito negativo, ma in seguito permette di ottenere pus denso e giallastro che contiene quasi sempre lo Staphylococcus aureus. Casi rari sono dovuti allo Streptococcus pyogenes o allo Escherichia coli. La terapia è antibiotica, con penicilline penicillinasi-resistenti. Nella fase non suppurativa la piomiosite risponde agli antibiotici da sola; ma, col pus, l’incisione e il drenaggio sono obbligatori. L’estensione del danno al momento dell’atto chirurgico è spesso maggiore di quanto ritenuto in base alla sola valutazione clinica.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA COCCHI GRAM+ INFEZIONI STAFILOCOCCICHE

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Profilassi e terapia

Gli stafilococchi patogeni sono ubiquitari; essi sono presenti nella parte anteriore delle narici in circa il 30% degli adulti sani e sulla cute in circa il 20%; negli ospedali i pazienti e il personale sanitario hanno positività leggermente superiori. Negli ospedali e nella comunità sono comuni i ceppi antibiotico-resistenti. I neonati e le madri in allattamento sono predisposti alle infezioni stafilococciche così come i pazienti con influenza, malattie croniche bronco-polmonari (p. es., fibrosi cistica, enfisema polmonare), leucemia, neoplasie, trapianti, portatori di protesi o di altri corpi estranei, ustioni, malattie cutanee croniche, incisioni chirurgiche, diabete mellito e portatori di cateteri vascolari in plastica. Sono pazienti a rischio anche quelli che ricevono corticosteroidi, irradiazioni, farmaci immunodepressori o antitumorali. I soggetti predisposti possono acquisire stafilococchi antibiotico-resistenti da altre zone colonizzate del loro corpo o da personale ospedaliero. La trasmissione più comune avviene attraverso le mani del personale ma si può avere diffusione aerea. Alcune malattie stafilococciche sono mediate da tossine piuttosto che risultato dell’infezione per se. La tossinfezione stafilococcica è causata da ingestione di enterotossina stafilococcica preformata termostabile (v. nel Cap. 28). La sindrome da shock tossico (sotto), causata da esotossine, può verificarsi in associazione all’uso di tamponi vaginali o come complicanza di un’infezione postchirurgica (spesso di aspetto insignificante). La sindrome da cute bruciata stafilococcica, causata dalla tossina esfoliatina, è una dermatite esfoliativa dell’infanzia (v. nei Cap. 112 e 260). Le malattie stafilococciche sotto elencate sono trattate ulteriormente altrove nel Manuale.

Sintomi e segni Le infezioni neonatali compaiono abitualmente entro la 6a sett. dalla nascita. Sono comuni soprattutto le lesioni cutanee pustolose o bollose generalmente localizzate alle regioni ascellare e inguinale o alle pieghe del collo; tuttavia, si riscontrano anche ascessi sottocutanei multipli (specialmente dei seni) esfoliazioni, batteriemia, meningite o polmonite. L’esame microscopico delle lesioni purulente rivela neutrofili e grappoli di stafilococchi gram +, spesso all’interno dei neutrofili. (V. anche Infezioni nosocomiali nel Cap. 260 e Impetigine nel Cap. 265.)

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Malattie batteriche

Le madri in allattamento che siano colpite da mastite o da ascessi mammari, da 1 a 4 sett. dopo il parto, vanno considerate affette da infezioni stafilococciche antibiotico-resistenti provenienti con ogni probabilità dal reparto neonatale e trasmesse attraverso i loro bambini. Le infezioni postoperatorie, che vanno da ascessi dai punti di sutura fino a estesi interessamenti della ferita, sono dovute di solito a stafilococchi. Tali infezioni possono comparire da pochi gg a diverse sett. dopo l’operazione; è probabile che il loro esordio sia ritardato nel caso in cui i pazienti abbiano ricevuto antibiotici al momento dell’intervento chirurgico. I foruncoli e i favi sono trattati nel Cap. 112. La polmonite stafilococcica (v. Cap. 73) deve essere sospettata in pazienti affetti da influenza o in trattamento con corticosteroidi o farmaci immunosoppressivi, che sviluppino dispnea, cianosi o febbre persistente o ricorrente e nei pazienti ricoverati con malattie bronco-polmonari croniche o altre malattie ad alto rischio che sviluppino febbre, tachipnea, tosse, cianosi e leucocitosi. Nei neonati, la polmonite stafilococcica è caratterizzata da formazione di un ascesso nel polmone seguita da rapido sviluppo di pneumatocele ed empiema. L’esame microscopico dell’escreato del paziente rivela grappoli di cocchi gram + all’interno dei neutrofili. La batteriemia stafilococcica può verificarsi a seguito di qualsiasi ascesso stafilococcico localizzato o con infezioni connesse a cateteri intravascolari o ad altri corpi estranei; è causa frequente di morte nei pazienti affetti da ustioni gravi. Sintomi e segni della batteriemia sono illustrati nel Cap. 156. È frequente una febbre persistente che può associarsi a shock. Lo Staphylococcus epidermidis e altri stafilococchi coagulasi-negativi vengono riconosciuti sempre più di frequente quale causa di batteriemia nosocomiale associata a cateteri o ad altri corpi estranei. Essi rappresentano una causa importante di morbosità (specialmente in caso di un prolungato ricovero) e di mortalità in pazienti debilitati. L’endocardite stafilococcica (v. Endocardite infettiva nel Cap. 208), si sviluppa in particolare nei tossicodipendenti che fanno uso di droghe EV e nei pazienti portatori di protesi valvolari. La diagnosi viene sospettata per lo sviluppo improvviso di un soffio cardiaco, di un embolo settico e di altri segni classici ed è confermata dall’ecocardiogramma e dalle emocolture. L’osteomielite stafilococcica (v. anche Osteomielite nel Cap. 54) si riscontra prevalentemente nei bambini e provoca brividi, febbre e dolore a livello delle ossa coinvolte. Successivamente compaiono rossore e rigonfiamento. Infezioni periarticolari provocano spesso gonfiori che fanno pensare ad artrite settica più che a osteomielite. La conta dei GB è di solito > 15000/µl e le emocolture sono spesso positive. Segni radiologici possono non essere evidenti per 10-14 gg e le rarefazioni ossee e le reazioni periostali possono non essere individuate per un periodo di tempo ancora maggiore. Si evidenziano spesso precocemente delle anormalità alla scintigrafia ossea. L’enterocolite stafilococcica, ormai piuttosto rara, va sospettata in pazienti ricoverati che manifestino febbre, ileo, distensione e dolore addominale, ipotensione o diarrea, specialmente se sottoposti di recente a interventi chirurgici addominali o a antibioticoterapia. La diagnosi è verosimile se l’esame microscopico delle feci rivela un tappeto di neutrofili e di cocchi gram +. Si deve escludere l’infezione da Clostridium difficile tossigeno, la causa più comune di colite da antibiotici (v. Cap. 29).

Profilassi e terapia Le precauzioni asettiche (p. es., lavaggio accurato delle mani tra l’esame di un paziente e un altro e la sterilizzazione delle apparecchiature) sono molto importanti. I pazienti infetti devono essere isolati dagli altri e il personale

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Malattie batteriche

ospedaliero con infezioni stafilococciche attive, anche di natura locale (p. es., pustole), non deve venire in contatto con pazienti o apparecchiature condivise fino a guarigione. Un portatore asintomatico nasale non deve essere escluso dal contatto col paziente, a meno che il ceppo non sia particolarmente pericoloso e non sia la fonte probabile di un’epidemia. Essa comprende il drenaggio dell’ascesso, l’uso di antibiotici (per via parenterale nei pazienti gravi) e misure generali di supporto. Bisogna ottenere campioni per la coltura prima di istituire o variare le terapie antibiotiche. La scelta e il dosaggio di un antibiotico dipendono dalla sede dell’infezione, dalla gravità della malattia e infine dalla sensibilità del microrganismo. Gli stafilococchi contratti in ospedale e molti dei ceppi contratti in comunità sono per solito resistenti a penicillina G, ampicillina e a penicilline antipseudomonas. Teoricamente, tutti i ceppi sono sensibili alle penicilline penicillasi-resistenti (meticillina, oxacillina, nafcillina, cloxacillina, dicloxacillina); cefalosporine (cefalotina, cefazolina, cefalexina, cefradine, cefamandolo, cefoxitina e cefalosporine di terza generazione); carbapenemici (imipenem, meropenem); gentamicina vancomicina; teicoplanina; lincomicina e clindamicina. Sebbene le cefalosporine e la vancomicina siano efficaci, il farmaco di scelta è di solito una delle penicilline penicillasi-resistenti. Molti ceppi stafilococcici sono anche sensibili a eritromicina, tetracicline, aminoglicosidi, bacitracina e cloramfenicolo. Tuttavia, il cloramfenicolo e la bacitracina sono indicati raramente, vista la disponibilità di farmaci migliori e più sicuri. Gli isolamenti di ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistente (SAMR) sono di riscontro sempre più frequente negli USA, specie negli ospedali delle grandi città e nei centri di terzo livello. Questi microrganismi sono isolati di solito in tossicodipendenti infetti e in pazienti ricoverati in UTI anche se possono essere isolati in pazienti con infezioni di origine comunitaria. Gli SAMR isolati sono abitualmente resistenti alle penicilline resistenti alle β-lattamasi, alle cefalosporine e ai carbapenemici. Spesso i dati di laboratorio indicano erroneamente che tali germi sono sensibili alle cefalosporine, però le cefalosporine non sono affidabili nella terapia delle infezioni da SAMR. È di frequente riscontro anche la resistenza ad aminoglicosidi e macrolidi (eritromicina, claritromicina, azitromicina, lincomicina e clindamicina). Nei confronti di alcune infezioni da SAMR, sebbene possano risultare efficaci l’imipenem-cilastatina o i chinolonici, il farmaco di scelta è la vancomicina EV. Negli adulti con una funzionalità renale normale il dosaggio abituale è di 500 mg q 6 h EV o 1000 mg q 12 h EV, in infusione della durata di almeno 1 h. Nel caso in cui la funzionalità renale sia ridotta, i dosaggi devono essere adeguati sulla base dei livelli sierici. La durata della terapia dipende dalla sede dell’infezione e dalla risposta individuale del paziente, ma abitualmente è di 2-4 sett. Alcuni pazienti con infezioni gravi o complicate necessitano di un trattamento EV per 68 sett., seguito da terapia orale per un mese o più. Recentemente in Giappone e negli USA sono stati individuati ceppi di SAMR con resistenza intermedia alla vancomicina. Per la terapia dell’infezione da SAMR l’alternativa preferita alla vancomicina nell’adulto è rappresentata dal trimetoprim/sulfametossazolo (TMP/SMX) somministrato PO o EV a dosi di 10 mg/kg/die di TMP e di 50 mg/kg/die di SMX fino a 15 mg/kg/die di TMP e 75 mg/kg/die di SMX, in dosi frazionate a intervalli di 8-12 h, per 2-4 sett., oppure dalla rifampicina (600 mg/die) per via orale o parenterale, o dall’imipenem-cilastatina (500 mg q 6 h) o dal meropenem (0,5 g q 8 h) somministrati per via parenterale. In ogni caso la rifampicina non deve essere utilizzata da sola in quanto il microrganismo può sviluppare rapidamente resistenza. La rifampicina e gli aminoglicosidi sono coadiuvanti utili nel trattamento di infezioni gravi da SAMR associate a corpi estranei o che coinvolgano cavità sierose. Nel trattamento dei portatori di SAMR si sono rivelate utili cloxacillina, dicloxacillina, TMP/ SMX, ciprofloxacina e mupirocina per via topica, anche se il SAMR può divenire resistente a tutti questi farmaci. In laboratorio i ceppi di enterococchi vancomicina-resistenti (EVR), che presentano una prevalenza sempre più alta, possono trasferire i geni responsabili file:///F|/sito/merck/sez13/1571236.html (3 of 4)02/09/2004 2.09.13

Malattie batteriche

di resistenza alla vancomicina ai ceppi di S. aureus coagulasi-positivi e ai ceppi di Staphylococcus coagulasi-negativi isolati da pazienti infetti. Sfortunatamente questi stafilococchi possono essere già resistenti ad altri antibiotici utilizzati nel trattamento di tali infezioni. Se disponibile, nel trattamento delle infezioni da stafilococchi vancomicino-resistenti, si può provare la bacitracina. Per evitare la diffusione di questi microrganismi i pazienti affetti devono essere sottoposti a rigorose misure di isolamento.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI INFEZIONI NEONATALI NOSOCOMIALI Infezioni acquisite dalla madre durante il parto (infezione acquisita per vie materna) o acquisite dopo l’ingresso al Nido (infezione acquisita per via ospedaliera).

Sommario: Introduzione Infezioni ospedaliere nei nidi Infezioni in reparti di patologia neonatale

La frequenza delle infezioni ospedaliere varia a seconda del tipo di ospedale e del peso del neonato alla nascita. Le frequenze nei Nidi sono solitamente < 1%, mentre invece quelle riportate nei reparti di Patologia Neonatale variano dall’1,4% al 56%. Le sepsi e le polmoniti sono le più comuni. Il tasso di mortalità complessiva è circa del 33%; per i neonati con un peso alla nascita < 1000 g, varia dal 18 fino al 45%; e per quelli con peso alla nascita > 2000 g dal 2 al 12%.

Infezioni ospedaliere nei nidi Sebbene molti batteri possano colonizzare i bambini e causare infezioni nei Nidi, lo Staphylococcus aureus ha rappresentato un problema particolarmente comune e grave. La colonizzazione da parte dello S. aureus nei Nidi varia da < 10% a ≥ 70%. Poiché i diversi ceppi differiscono marcatamente per quanto riguarda la virulenza, anche la probabilità di malattia varia grandemente e la colonizzazione da parte di un ceppo non invasivo può interferire con la colonizzazione da parte di un ceppo che determina la malattia. Dal momento che la maggior parte di tali infezioni si manifesta dopo che il bambino ha lasciato il Nido, i pediatri devono avvertire i Nidi della loro comunità di qualunque infezione che si verifica entro il primo mese di vita. Le infezioni cutanee dovute allo S. aureus meticillino-sensibile acquisite al Nido sono le più frequenti infezioni ospedaliere nei neonati a termine; comunque, sono state anche segnalate infezioni da S. aureus meticillino-resistente. Sebbene il personale del Nido che sia portatore di S. aureus a livello nasale rappresenti una fonte potenziale di infezione neonatale, i neonati del Nido colonizzati rappresentano di solito il serbatoio. Il moncone ombelicale e la regione inguinale sono più frequentemente colonizzati durante i primi giorni di vita, mentre le narici sono più frequentemente colonizzate in seguito. L’infezione da S. aureus si presenta più frequentemente come lesioni pustolose cutanee in regione periombelicale o nella zona del pannolino, sebbene si possano avere infezioni disseminate e complicate (come osteomieliti, polmoniti e

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Patologia del neonato e del lattante

meningiti). La sindrome dell’eritrodermia desquamativa stafilococcica, che si manifesta con quadri di diversa gravità che vanno dall’eritema scarlattiniforme a lesioni bollose fino alla malattia generalizzata esfoliativa (malattia di Ritter), è causata dallo S. aureus produttore di una tossina esfoliativa (v. anche Cap. 112). Le manifestazioni cliniche dell’infezione da S. aureus possono aversi nei primi giorni di vita così come a distanza di parecchi mesi, ma generalmente si hanno a 2-3 sett. Nei Nidi si isolano sempre più frequentemente ceppi di S. aureus resistenti a penicilline penicillasi-resistenti (p. es., meticillina, oxacillina, nafcillina), gentamicina e altri antibiotici. Il bagno con esaclorofene al 3% diminuisce la frequenza di colonizzazione da parte dello S. aureus, ma questo prodotto può essere neurotossico, specialmente nei bambini di basso peso. L’American Academy of Pediatrics raccomanda la pulizia a secco della cute, sebbene ciò abbia portato a un’elevata frequenza di colonizzazione da S. aureus e a forme epidemiche in alcuni ospedali. Durante l’esplosone della malattia, l’applicazione di tintura a base di mercurocromo sull’area del cordone o di pomate a base di bacitracina o mupirocina a livello di cordone, narici e nella zona di circoncisione, aiuta a ridurre la colonizzazione. Negli ospedali si possono temporaneamente eseguire i lavaggi quotidiani del neonato, nella zona del pannolino, con emulsione di esaclorofene al 3% che poi deve essere risciacquata. Non sono consigliate colture del personale o ambientali di routine. Altre infezioni sono le meningiti o le sepsi da streptococco di gruppo B, Citrobacter, o da Listeria monocytogenes; diarree causate da Escherichia coli enterotossico o enteropatogeno, Salmonella o Rotavirus; la malattia da HIV, herpes simplex, enterovirus o virus respiratorio sinciziale; oftalmiti o infezioni complicate da Neisseria gonorrhoeae o congiuntiviti o polmoniti da Chlamydia trachomatis. Le sepsi da E. coli o altri gram - patogeni sono rare nei neonati a termine in buona salute, sebbene si possano avere gruppi di infezioni da ceppi virulenti. La maggior parte di queste infezioni è trasmessa dalla madre al figlio durante il periodo perinatale, sebbene sia possibile la trasmissione da bambino a bambino nel Nido, se non vengono adottate appropriate misure di sicurezza nei confronti delle infezioni. A eccezione delle infezioni da streptococco di gruppo A, la maggior parte delle infezioni genitali materne nel post-partum non è trasmessa al neonato. Conseguentemente, una donna febbrile nel post-partum, che si sente bene e non presenta un’infezione che danneggi il suo bambino, può accudire e alimentare il proprio bambino, se si lava le mani scrupolosamente, indossa un camice pulito ed evita al bambino di toccare gli oggetti contaminati.

Infezioni in reparti di patologia neonatale Le frequenze delle infezioni nosocomiali variano in modo marcato a seconda del peso di nascita. Il periodo di permanenza nei reparti di Patologia Neonatale è spesso un buon indice predittivo di infezione (p. es., numero di infezioni/1000 bambini-giorni di degenza). A causa delle molte infezioni derivanti dalle procedure invasive, il calcolo di incidenza specifica per ogni procedura (p. es., tasso di infezione ematica/1000 giorni di accesso vascolare o tasso di polmonite/1000 giorni di ventilazione) può identificare i cambiamenti nelle frequenze e le aree dove sono più necessarie intense indagini e sforzi per la prevenzione. La trasmissione della colonizzazione o della infezione avviene tramite le mani del personale e attraverso i materiali utilizzati nelle molteplici procedure invasive cui questi bambini vengono sottoposti; p. es., cateterizzazione per lungo tempo dei vasi ombelicali per il monitoraggio della pressione intravasale, per l’alimentazione parenterale o per l’introduzione di liquidi e di farmaci o per effettuare prelievi; intubazione endotracheale con ventilazione assistita o pressione positiva continua delle vie aeree; sonde per l’alimentazione nasogastrica o nasoduodenale. Tutte queste procedure sono chiamate in causa quali responsabili di infezioni nosocomiali epidemiche o endemiche. I neonati degenti in reparti di cura intensiva spesso sono neonati patologici,

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Patologia del neonato e del lattante

prematuri e sottopeso. Questi soggetti necessitano di molteplici procedure invasive e ricevono frequentemente una terapia antibiotica. La flora batterica colonizzante tende a essere prevalentemente costituita da microrganismi gram (p. es., Klebsiella, Enterobacter, Pseudomonas, Proteus), così come stafilococchi coagulasi-negativi; questi frequentemente sono resistenti a diversi antibiotici. È comune anche la colonizzazione da parte di lieviti (Candida Sp). La prevenzione della colonizzazione e dell’infezione richiede la disponibilità di uno spazio adeguato per la cura dei bambini (da 7 a 9 m2/ bambino in terapia intensiva, 4,5 m2/bambino in terapia non intensiva, 2 m di distanza tra le incubatrici e le culle termostatiche in ogni direzione); personale adeguato (il rapporto infermieri/ paziente deve essere di 1:1 o di 1:2 nei reparti di terapia intensiva, di 1:3 o di 1:4 nei reparti di terapia intermedia). Devono essere adottate particolari precauzioni nella collocazione e la cura degli strumenti invasivi e la meticolosa pulizia e disinfezione o la sterilizzazione degli oggetti dopo ogni uso. Sono essenziali un’attenta sorveglianza delle infezioni (non della colonizzazione) e il controllo delle precauzioni adottate. Altre misure preventive comprendono l’uso di camici e guanti. Le incubatrici ad aria condizionata sono in grado di assicurare un isolamento protettivo limitato; c’è una rapida contaminazione all’interno e all’esterno di queste incubatrici e il personale può contaminarsi a livello delle mani e degli avambracci. Può essere necessario, durante le epidemie realizzare l’isolamento dei bambini infetti o colonizzati, mentre è poco pratico come misura di routine nella maggior parte dei reparti di Patologia Neonatale. Precauzioni universali su sangue e liquidi corporei (come per la prevenzione della diffusione del HIV) forniscono una protezione ulteriore. Durante un’epidemia, è utile identificare il gruppo di bambini malati o colonizzati e destinarli a personale diverso; i bambini non contagiati possono essere presto dimessi oppure è preferibile farli rimanere con le loro madri piuttosto che ammetterli al Nido. È necessario controllare il bambino per 1 mese dopo la dimissione, per valutare l’adeguatezza delle misure di controllo messe in atto per stroncare l’epidemia. Sebbene frequentemente usata, la terapia profilattica antibiotica non è efficace, accelera lo sviluppo di batteri resistenti nell’ambito di questi Nidi, altera l’equilibrio della normale flora e predispone il bambino alla colonizzazione con ceppi più resistenti. La profilassi di routine è indicata soltanto per la prevenzione della oftalmite da gonococco nei neonati (v. più avanti Congiuntiviti neonatali,) o delle infezioni gonococciche complicate nei bambini infetti. In particolari circostanze può essere presa in considerazione la terapia antibiotica contro patogeni specifici; p. es., la profilassi con penicillina G per la infezione da streptococco di gruppo A o con colistina o neomicina PO per la profilassi, in corso di epidemia confermata nel Nido, contro l’E. coli enterotossico o enteropatogeno. La vaccinazione contro la difterite, il tetano e la pertosse, in base al calendario vaccinale di routine secondo l’età, deve essere effettuata in ogni bambino che rimanga in ospedale per più di 2 mesi (v. Vaccinazioni nell’infanzia nel Cap. 256). Per evitare infezioni crociate con altri neonati nel Nido, è da evitare, in ospedale, la vaccinazione antipolio con virus vivo. Il vaccino antipolio inattivato può essere somministrato IM al Nido e fa parte di un programma facoltativo rispetto alle vaccinazioni di routine nell’infanzia. La profilassi per l’epatite neonatale da virus B è trattata in seguito Epatite neonatale da virus B.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI CONGIUNTIVITE NEONATALE (Conjunctivitis neonatorum; ophthalmia neonatorum) Secrezione oculare purulenta nei neonati.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia ed epidemiologia Le principali cause sono, in ordine decrescente, lesioni chimiche, infezioni batteriche (inclusa la clamidia) e infezioni virali. La congiuntivite chimica è di solito secondaria all’instillazione di gocce di nitrato d’argento per la profilassi oculare. L’oftalmia da clamidia è causata dalla Chlamydia trachomatis acquisita durante il parto. Si verifica nel 2-4% dei nati e rappresenta il 30-50% delle congiuntiviti nei bambini di età inferiore o uguale a 4 sett. L’incidenza di infezioni da clamidia nella madre va dal 2 al 20%. Circa il 30-40% dei bambini nati da donne affette sviluppa una congiuntivite e il 10-20% sviluppa una polmonite. Altri batteri, come lo Streptococcus pneumoniae e l’Hemophilus influenzae non tipizzabile,, sono responsabili di un altro 15% dei casi di congiuntiviti neonatali. Negli USA, l’incidenza dell’oftalmia gonococcica (oftalmia neonatorum dovuta alla N. gonorrhoeae) è pari a 2-3 casi/10 000 nati vivi. L’isolamento di batteri diversi dall’H. influenzae e dalla N. gonorrhoeae, incluso lo S. aureus, di solito è espressione di colonizzazione più che di infezione. Il principale agente virale che causa congiuntiviti neonatali è l’Herpes simplex virus (HSV) tipo 1 e 2 (cheratocongiuntivite erpetica).

Sintomi e segni A causa della sovrapposizione nella presentazione e nell’esordio, i diversi tipi di congiuntivite neonatale sono difficili da distinguere esclusivamente sul piano clinico. La congiuntivite chimica secondaria all’uso del nitrato d’argento, di solito compare entro 6-8 h dall’instillazione e scompare spontaneamente entro 24-48 h. L’oftalmia da clamidia di solito si ha a distanza di 5-14 giorni dalla nascita. Essa può andare da una congiuntivite lieve con minima secrezione mucopurulenta fino a un grave edema palpebrale con abbondante secrezione e formazione di pseudomembrane. Non sono presenti follicoli nella congiuntiva, mentre ci sono presenti nei bambini più grandi e negli adulti. file:///F|/sito/merck/sez19/2602326.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.15

Patologia del neonato e del lattante

L’oftalmia gonorroica produce una congiuntivite purulenta acuta che compare 25 giorni dopo la nascita o prima, se c’è stata rottura prematura delle membrane. Il bambino presenta un grave edema palpebrale seguito da chemosi e da un abbondante essudato purulento che può essere sotto pressione. Se non viene trattato, si può avere l’ulcerazione corneale. L’esordio della congiuntivite da altri batteri è estremamente variabile, variando da 4 giorni a 3 sett. La cheratocongiuntivite erpetica può aversi come una infezione isolata oppure in corso di infezioni disseminate o di infezioni del SNC. Può essere erroneamente diagnosticata come congiuntivite batterica o chimica, ma la presenza di cheratite dendritica è patognomonica.

Diagnosi L’oftalmia da clamidia è meglio diagnosticata mediante isolamento della C. trachomatis in colture tissutali. L’esame colturale della congiuntiva si può ottenere strofinando con una spatolina con cotone o con Dracon la palpebra inferiore eversa. Il test diretto con anticorpi monoclonali, che evidenzia la clamidia sullo striscio di essudato purulento e l’ELISA, un dosaggio di tipo immunoenzimatico, sembrano possedere un’elevata sensibilità e specificità nella ricerca della clamidia nelle colture congiuntivali. Così si può escludere l’oftalmia gonorroica. Il primo procedimento diagnostico da attuare è l’esame colturale e la colorazione col Gram di un prelievo a livello della congiuntiva. Le colture devono essere effettuate su terreni appropriati (p. es., Thayer-Martin) per l’isolamento della N. gonorrhoeae. L’infezione gonococcica è suggerita dalla presenza, a livello microscopico, di diplococchi a chicco di caffè, gram - intracellulari. La colorazione di Gram può distinguere altri batteri patogeni. Nell’infezione da clamidia, lo striscio della congiuntiva può evidenziare la predominanza di cellule mononucleate e non batteri. La diagnosi di congiuntivite herpetica può essere definitivamente confermata con l’isolamento del virus, mediante la scoperta di Ag HSV-1 o HSV-2 con immunofluorescenza eseguita sulle colture congiuntivali o mediante identificazione per mezzo della microscopia elettronica di particelle di HSV. La diagnosi specifica è fondamentale, perché la malattia può estendersi al SNC e ad altri organi.

Profilassi L’uso routinario del nitrato d’argento all’1%, di pomate o colliri a base di eritromicina o di tetracicline applicati in ambedue gli occhi dopo la nascita è raccomandato dal Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) per la prevenzione dell’oftalmia gonococcica. Tuttavia, nessuno di questi agenti sembra prevenire l’oftalmia da clamidia. Poiché i neonati da madri con gonorrea non trattata sono a rischio aumentato di infezioni in altre sedi, i neonati a termine esposti devono ricevere una singola iniezione IM o EV di ceftriaxone 50 mg/kg, fino a 125 mg. Poiché è stata riscontrata in molte zone un’elevata frequenza di N. Gonorrhoeae produttrici di penicillinasi, la penicillina non è più il farmaco di prima linea nel trattamento delle infezioni gonococciche.

Terapia Poiché almeno la metà dei bambini colpiti, nella oftalmia da clamidia presenta

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Patologia del neonato e del lattante

anche infezione nasofaringea e qualcuno sviluppa una polmonite dallo stesso germe, la terapia sistemica è il trattamento di scelta. È raccomandato l’uso di eritromicina etilsuccinato alla dose di 50 mg/kg/die in dosi refratte q 6 o 8 h PO per 2 sett. Il bambino con oftalmia gonorroica deve essere ospedalizzato e deve essere trattato con 25-50 mg/kg di ceftriaxone IM fino alla dose massima di 125 mg (possono essere anche somministrati 100 mg/kg). L’irrigazione frequente dell’occhio con soluzione fisiologica previene la formazione di aderenze. Le pomate antibiotiche per uso topico da sole non sono sufficienti e non sono necessarie se si attua una corretta terapia antibiotica sistemica. La congiuntivite dovuta ad altri batteri risponde di solito alla terapia topica con pomate contenenti polimixina più bacitracina, eritromicina o tetracicline. La cheratocongiuntivite erpetica deve essere trattata (insieme a una consulenza oculistica) con acyclovir per via sistemica (30 mg/kg/die suddivisi in 3 dosi per 14-21 giorni; ai prematuri si somministrano 20 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi) e gocce oftalmiche o pomate a base di tifluoridina o pomate a base di vidarabina 3% q 2-3 h mentre il bambino è sveglio, in associazione con pomata a base di idossiuridina prima di andare a dormire. La terapia sistemica nel neonato è importante, perché la malattia può diffondere al SNC e ad altri organi. Poiché le pomate contenenti corticosteroidi possono seriamente aggravare le infezioni oculari dovute a C. trachomatis e HSV, esse non devono essere usate.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI VACCINAZIONI NELL’INFANZIA Sommario: IMMUNIZZAZIONE ATTIVA Vaccinazioni specifiche Speciali circostanze IMMUNIZZAZIONE PASSIVA

Il programma consigliato negli USA per la vaccinazione routinaria dei lattanti e dei bambini sani è esposto nella Tab. 256-5. Le necessità possono essere differenti in altre regioni del mondo. I genitori devono acconsentire per iscritto alla vaccinazione del loro bambino e devono essere informati riguardo agli antigeni che vengono somministrati, alle motivazioni per cui vengono utilizzati e alle reazioni che si possono verificare. È necessario invitarli a segnalare qualunque reazione grave o anomala, che deve essere sottoposta a valutazione e (negli Stati Uniti) può essere segnalata n.d.t. ai Centers for Disease Control and Prevention’s Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) e ai produttori. I genitori devono conservare un resoconto scritto di ogni vaccinazione del bambino. Le vaccinazioni negli adulti sono trattate nel Cap.152. Le raccomandazioni per le vaccinazioni contro la polmonite da pneumococco, la malattia da meningococco, la TBC, l’influenza, la rabbia, l’epatite A e altre malattie infettive sono trattate nell’ambito delle specifiche malattie altrove nel Manuale. Negli USA, la Legislazione Nazionale sugli Incidenti da Vaccinazione nell’Infanzia obbliga i medici a riferire al Servizio Sanitario americano effetti particolari che si manifestano dopo una vaccinazione routinaria (p. es., gli effetti descritti nel foglietto illustrativo come controindicazioni alla somministrazione di dosi addizionali di vaccino e gli effetti determinati dal vaccino per cui si può essere risarciti). Modalità e istruzioni sono state fornite dal VAERS e possono essere ottenute telefonicamente. La vaccinazione routinaria del bambino sano ha di solito inizio nelle prime 2 sett. di vita con il vaccino antiepatite B. All’età di 6-8 sett. vengono somministrati i successivi vaccini, che generalmente sono l’anatossina della difterite e del tetano combinati con il vaccino antipertosse a cellule intere (DTwP) o il vaccino antipertosse acellulare (DTaP), il vaccino antipolio inattivato (IPV), il vaccino antipolio orale trivalente (OPV) e il vaccino anti Haemophilus influenzae tipo b (Hib). Gli antigeni depot devono essere iniettati profondamente nel muscolo, preferibilmente nella zona medio-laterale della coscia (nella prima infanzia) o nel deltoide (in età scolare e negli adulti). Bisogna consultare il foglietto illustrativo all’interno della confezione per conoscere i dosaggi consigliati. Un ritardo tra le dosi non interferisce con l’acquisizione dell’immunità e non è necessario ricominciare la serie delle vaccinazioni, qualunque sia il tempo trascorso. In caso di malattia acuta febbrile (febbre superiore a 39°C) può essere necessario rinviare la vaccinazione fino a una visita successiva o finché lo stato infettivo non venga controllato. Una infezione più lieve, come il raffreddore comune (anche se

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

associata a una lieve rialzo febbrile) non costituisce una controindicazione alla vaccinazione. Alcuni vaccini sono preparati in sistemi di colture cellulari e possono contenere tracce di cellule o di nutrienti utilizzati nei materiali di colture cellulari, come antigeni derivati dall’uovo. Tuttavia, non sono state registrate significative reazioni avverse legate all’uso di questi vaccini in soggetti che potevano mangiare alimenti contenenti antigeni estranei (p. es., un soggetto ipersensibile all’uovo, in grado però di mangiare pane o biscotti, può con sicurezza ricevere il vaccino). La somministrazione simultanea di vaccini contenenti subunità o virus inattivati e vaccini contenenti virus vivi presenta dei vantaggi, in particolare nel caso in cui il bambino possa essere irrintracciabile per altre vaccinazioni. I vaccini combinati autorizzati includono DTwP, DTaP, DTwP-Hib coniugato, DTaP-Hib coniugato, vaccino antiepatite B-Hib coniugato, trivalente IPV, trivalente OPV e antimorbilloparotite-rosolia. I vaccini combinati possono essere somministrati simultaneamente, così come il DTwP-Hib coniugato o il DTaP-Hib coniugato con IPV o OPV e con il vaccino antiepatite B, utilizzando diversi siti di iniezione e diverse siringhe per vaccini differenti. Sebbene possano differire nei loro componenti e nella formulazione e possano provocare differenti effetti collaterali e differenti risposte immuni, vaccini comparabili prodotti da case farmaceutiche differenti possono considerarsi intercambiabili, se somministrati in accordo alle loro indicazioni. È stata poco studiata l’intercambialità tra DTwP e DTaP, tra differenti vaccini anti-Hib coniugati, e tra differenti vaccini antiepatite B. Tuttavia, dosi sequenziali di questi vaccini prodotti da case farmaceutiche differenti, produce probabilmente risposte anticorpali protettive solo dopo una serie completa.

Vaccinazioni specifiche Difterite-tetano-pertosse: i vaccini antidifterico (D) e antitetanico (T) sono tossoidi rispettivamente derivati dal Corynebacterium diphteriae e dal Clostridium tetani. Il vaccino antipertosse a cellule intere è composto da frammenti della parete cellulare della Bordetella pertussis, trattati con formaldeide e combinati con D e T (DTwP). I vaccini antipertosse acellulari, consistenti in componenti semipurificati o purificati del batterio della pertosse (p. es., la tossina della pertosse; l’emoagglutinina filamentosa; le fimbrie e la pertactina, una proteina 69 kd), combinati con D e T (DTaP), sono autorizzati negli USA per la serie principale di vaccinazioni a 2, 4 e 6 mesi e per i richiami (4a e 5a dose) a 15-20 mesi e a 4-6 anni. Tutti i bambini devono ricevere una vaccinazione con DTwP o DTaP, a partire da 6-8 sett., a meno che una controindicazione ne precluda l’uso (p. es., una grave patologia o l’ipersensibilità verso un componente del vaccino). Il vaccino DTaP viene preferito perché causa in misura minore febbre e reazioni locali. Tra gli effetti avversi dopo la vaccinazione, che in genere controindicano somministrazioni successive di vaccino antipertosse, sono compresi la comparsa di un’encefalopatia entro 7 giorni; una convulsione, con o senza febbre, entro 3 giorni; pianto o urla disperati, inconsolabili e persistenti per ≥ 3 h; un collasso o uno stato di shock entro 48 h; temperatura corporea pari a ≥ 40,5°C, non riconducibile ad altre cause, entro 48 h e una reazione immediata grave o una reazione anafilattica al vaccino. Con l’eccezione dell’encefalopatia, di cui non si conosce l’incidenza relativa, sembra che tutte queste reazioni si verifichino meno frequentemente con il DTaP che con il DTwP. La serie iniziale di tre dosi principali di DTwP o di DTaP è seguita da un richiamo all’età di 15-20 mesi e da un altro richiamo a 4-6 anni. I successivi richiami antitetano ogni 10 anni (indicati sia nei bambini che negli adulti) servono a mantenere l’immunità; in questi casi si preferisce l’uso di anatossina adsorbita del tetano e della difterite di tipo adulto (Td); sono in corso studi di valutazione riguardo l’uso di DTaP negli adolescenti e negli adulti. Poiché possono verificarsi reazioni avverse al tossoide, non sono necessari richiamidi Td più frequenti. A

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qualunque intervallo di tempo dalla vaccinazione iniziale, l’immunità può essere ristabilita con un solo richiamo; tuttavia, dopo un intervallo di 10 anni o più dall’ultima somministrazione di tossoide tetanico, la velocità di incremento anticorpale al richiamo può essere sostanzialmente più bassa. Haemophilus influenzae di tipo b coniugato: i vaccini ottenuti dalla capsula purificata dell’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib)-poliribosilribitolo fosfato (PRP), coniugati a proteine carrier sono efficaci nella prevenzione della patologia da Hib nei bambini. Tutti utilizzano il PRP come polisaccaride, ma esistono quattro differenti proteine carrier che producono quattro differenti vaccini anti-Hib coniugati: l’anatossina della difterite (PRP-D), la proteina della membrana esterna della Neisseria meningiditis (PRP-OMP), l’anatossina del tetano (PRP-T) e la proteina carrier della difterite CRM1 PE97 (HbOC). Il programma per la vaccinazione primaria dei bambini varia a seconda del prodotto usato: PRP-OMP viene somministrato in due dosi iniziali all’età di 2 e 4 mesi, con un richiamo a 12 mesi; l’HbOC e il PRP-T vengono somministrati in tre dosi iniziali all’età di 2, 4 e 6 mesi, con un richiamo a 15 mesi. Il PRP-D non è consigliato nei bambini di età < 15 mesi. Poliomelite (v. anche Poliomelite in Infezioni virali nel Cap. 265): una prima serie di tre dosi, intervallate un minimo di 4 sett. l’una dalle altre, di vaccino antipolio trivalente (OPV), consistente in una miscela [bilanciata, n.d.t.]di poliovirus attenuati di tipo 1, 2 e 3 determina l’immunità in circa il 95% dei vaccinati. L’infezione del tratto GI da OPV è una condizione necessaria per lo stabilirsi dell’immunità. Poiché un’infezione subclinica o in atto da enterovirus selvaggio può interferire con questo processo, si raccomandano diverse dosi di vaccino antipolio a intervalli regolari. L’unico effetto collaterale conosciuto dell’OPV trivalente è rappresentato dalla paralisi indotta dal vaccino, che si verifica nel 0,06/ 1000000 di dosi. A causa di questo rischio, un programma combinato di vaccino antipolio inattivato (IPV) seguito dall’OPV viene adesso raccomandato negli USA, sebbene 4 dosi di OPV rimangano una possibilità. L’utilizzo esclusivo del IPV è raccomandato nei pazienti immunocompromessi, compresi i lattanti con infezione da HIV e rappresenta una possibilità anche nei bambini immunocompetenti. Morbillo (v. Morbillo in Infezioni virali nel Cap. 265): il vaccino antimorbillo è un virus vivo attenuato. Gli Ac vengono prodotti nel 95% dei bambini vaccinati a 1215 mesi di età; i livelli anticorporali conferiscono una protezione che è probabilmente definitiva. Poiché la replicazione del virus vaccinico può essere inibita da preesistenti anticorpi materni, la vaccinazione nei lattanti deve essere preferibilmente rinviata fino a dopo la scomparsa degli anticorpi materni acquisiti passivamente. Esiste qualche controversia riguardo al momento in cui gli anticorpi materni diminuiscono tanto da permettere che la vaccinazione sia efficace. L’attuale raccomandazione è per due dosi di vaccino, una a 12-15 mesi e l’altra a 4-6 anni per aumentare l’immunizzazione o per indurla in quelli che non hanno risposto alla dose iniziale. Tuttavia, in caso di epidemia, i bambini di ≥ 6 mesi devono essere vaccinati e poi vaccinati nuovamente dopo i 15 mesi di età. Una lieve infezione, non contagiosa, si verifica nel 15% dei vaccinati. I sintomi si verificano 7-11 giorni dopo la vaccinazione e possono comprendere febbre, malessere ed esantema morbilliforme. La Panencefalite Sclerosante Subacuta (PESS) è una infezione virale lenta del SNC associata a varianti selvagge del virus del morbillo (v. anche Panencefalite sclerosante subacuta in Infezioni virali nel Cap. 265). Si hanno circa da 6 a 22 casi di PESS per 1000000 di casi di infezione naturale morbillo. La PESS è stata segnalata in bambini senza precedenti di morbillo naturale ma con una precedente vaccinazione con virus del morbillo vivo attenuato. Non si sa se la vaccinazione contro il morbillo è associata allo sviluppo di una PESS ma, la PESS di fatto è quasi scomparsa nell’era postvaccinica. Rosolia (v. anche Rosolia congenita in Infezioni neonatali nel Cap. 260 e Rosolia in Infezioni virali nel Cap. 265). Questo vaccino vivo attenuato produce anticorpi nel 95% dei soggetti e l’immunità viene probabilmente mantenuta per tutta la vita. La raccomandazione è di effettuare la vaccinazione antirosolia in combinazione con il vaccino antimorbillo e antiparotite. Il dolore articolare, di solito a carico delle

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

piccole articolazioni periferiche, rappresenta l’effetto collaterale più comune, che si verifica in genere 2-8 sett. dopo la vaccinazione in < 1% dei soggetti. In qualche caso sopraggiungono un eritema, una linfoadenopatia o entrambi. Il vaccino antirosolia con virus vivi non deve essere somministrato a donne in gravidanza a causa dei rischi teorici sul feto in via di sviluppo. Tuttavia, una somministrazione accidentale durante la gravidanza non obbliga a un aborto terapeutico, poiché dati riportati in letteratura indicano che non vi è rischio reale per il feto. Parotite (v. anche Parotite in Infezioni virali nel Cap. 265): un vaccino antiparotite vivo induce la produzione di Ac protettivi nel 95% dei vaccinati; l’immunità si mantiene probabilmente per tutta la vita. Raramente, sono stati riportati effetti collaterali, compresi encefalite (che non è stata segnalata negli USA ed è associata a un ceppo vaccinico giapponese), convulsioni, sordità, parotite, porpora, eritema e prurito. Epatite B: i vaccini antiepatite B disponibili attualmente negli USA sono prodotti mediante tecnica del DNA ricombinante; contengono 10-40 µg di antigene di superficie dell’epatite B (HbsAg) per millilitro, adsorbito su idrossido di alluminio. Sebbene la concentrazione di HBsAg differisca nei due vaccini ricombinanti autorizzati, si ottengono uguali tassi di sieroconversione con entrambi i vaccini, quando somministrati a lattanti, bambini, adolescenti o adulti. Tre dosi per via intramuscolare sono richieste per indurre una ottimale risposta anticorpale protettiva. Il vaccino deve essere somministrato nella superficie anterolaterale della coscia nei lattanti e in regione deltoidea nei bambini, adolescenti e adulti; l’iniezione in regione glutea o per via intradermica può determinare una ridotta immunogenicità, con più bassi tassi di sieroconversione e titoli anticorpali. È raccomandata la vaccinazione universale dei lattanti. È indicato un programma di 3 dosi che deve essere iniziato durante il periodo neonatale o entro 2 mesi di vita, una seconda dose viene somministrata 1-2 mesi più tardi e una terza dose è somministrata entro 6-18 mesi di vita. I vaccini antiepatite B sono altamente immunogeni nei diversi programmi vaccinali. Maggiori titoli anticorpali sono ottenuti quando le ultime due dosi di vaccino sono ancora più distanziate. Si aspettano ulteriori dati per stabilire se sono necessarie dosi di richiamo. Non sono sistematicamente indicati test di suscettibilità prima della vaccinazione e i test postvaccinazione per valutare lo stato di immunità non sono necessari dopo la vaccinazione routinaria. La vaccinazione degli adulti con vaccino antiepatite B è trattata nel Cap. 152. Varicella: si tratta di un vaccino con virus vivo attenuato. I bambini a rischio possono effettuare la vaccinazione antivaricella nell’ambito di qualunque visita dopo il loro primo compleanno e i bambini di 11-12 anni che non hanno un’anamnesi positiva per varicella attendibile devono essere vaccinati durante le visite effettuate a 11-12 anni. I bambini a rischio di ≥ 13 anni devono ricevere 2 dosi distanziate di almeno 1 mese; bambini più giovani richiedono una singola dose per ottenere l’immunogenicità e un’efficacia anticipata. Gli effetti collaterali sono minimi; può manifestarsi, entro 1 mese dalla vaccinazione, un leggero rash associato al vaccino maculopapulare o varicella-simile in circa il 7% dei bambini e nell’8% di adolescenti suscettibili. Dolore transitorio nel sito di iniezione, iperestesia transitoria o arrossamento transitorio sono stati evidenziati nel 2025% dei bambini. Il rischio di propagazione del virus vaccinico dai soggetti vaccinati a persone suscettibili di contagio è stato documentato ma si verifica in meno dell’1% di vaccinazioni, nel caso in cui il vaccino induca un rash. Il vaccino antivaricella può essere somministrato contemporaneamente al vaccino antimorbillo-parotite-rosolia, ma devono essere utilizzate separate siringhe ed essere effettuate separate iniezioni. Se non somministrato simultaneamente, l’intervallo tra la vaccinazione antivaricella e quella antimorbillo-parotite-rosolia deve essere di almeno 1 mese. Non è stato dimostrato un declino dell’immunità nei soggetti vaccinati, ma rimane un problema da sottoporre a una valutazione futura.

Speciali circostanze

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Per bambini che non sono stati immunizzati secondo il programma vaccinale indicato in Fig. 256-5, l’American Academy of Pediatrics ha proposto delle raccomandazioni alternative che vengono riportate in Tab. 256-7. Bambini di età inferiore a 7 anni possono essere vaccinati con DTwP o DTaP utilizzando 3 dosi IM a intervalli di 4-8 sett. Per bambini di ≥ 7 anni si preferisce l’uso di Td. Il vaccino DTaP non è raccomandato a questa età, ma può essere utilizzato in circostanze particolari (p. es., durante periodi epidemici in popolazioni circoscritte così come asili, ospedali o case di cura). I vaccini antimorbillo-parotite-rosolia vivi attenuati possono essere somministrati in soggetti di qualunque età, se non ci sono controindicazioni. Allo stesso modo, IPV e OPV possono essere utilizzati in bambini più grandi e negli adolescenti. Poiché il passaggio transplacentare di anticorpi si interrompe alla nascita e il neonato può produrre immunoglobuline in risposta alla stimolazione antigenica, la vaccinazione può essere iniziata nel bambino pretermine, a 6-8 sett. di vita, indipendentemente dall’età gestazionale. Se il neonato è ancora ospedalizzato, l’IPV non deve essere somministrato per il rischio di diffondere un vaccino virale vivo (OPV) negli altri bambini. I bambini che presentano disturbi neurologici instabili o progressivi non devono essere vaccinati fino a quando le loro condizioni non si sono stabilizzate da almeno 1 anno, per il rischio di irritazione cerebrale. Non è necessario rinviare o ritardare le vaccinazioni di routine nei lattanti e nei bambini con disturbi neurologici stabili. I bambini con immunodeficienza nota o sospetta, non devono ricevere vaccino virale vivo, poiché potrebbero sviluppare un’infezione grave o mortale. I bambini che ricevono sostanze immunosoppressive (corticosteroidi, antimetaboliti, composti alchilanti, radiazioni) possono dare risposte aberranti alle vaccinazioni. La vaccinazione in pazienti sottoposti a terapia a breve termine deve essere rinviata fino a quando questa non viene interrotta. Non devono essere somministrati vaccini vivi ai bambini in terapia a lungo termine, ma essi possono ricevere vaccini inattivati come il DTaP o DTwP; ≥ 3 mesi dopo l’interruzione della cura, si deve somministrare loro un richiamo del vaccino inattivato e poi si può iniziare la somministrazione di vaccino vivo. I bambini nati senza milza sono a rischio maggiore di setticemia, di solito dovuta a Streptococcus pneumoniae, N. meningitidis o H. influenzae di tipo b. A questi bambini devono essere somministrati vaccini coniugati contro lo pneumococco e l’Hib nel primissimo periodo di vita perché possano essere efficaci. I bambini che sono stati sottoposti a trapianto di midollo osseo devono essere considerati non immunizzati; devono essere rivaccinati secondo lo schema riportato nella Tab. 256-7. Vaccini vivi o vaccini batterici (p. es., antimorbillo-parotite-rosolia, OPV, BCG) generalmente non devono essere somministrati a bambini con AIDS sintomatico; si raccomanda, in genere, una vaccinazione con vaccini inattivati (p. es., DTP, IPV e il vaccino coniugato Hib). Tuttavia, si può fare un’eccezione per il vaccino antimorbillo-parotite-rosolia, se non è presente una grave immunosoppressione. La comparsa di morbillo grave, spesso fatale, dopo l’infezione da virus selvaggio nei bambini sintomatici affetti da HIV comparata con la rarità di complicanze da vaccino antimorbillo-parotite-rosolia hanno indotto a consigliare questa vaccinazione. I bambini con test sierologico positivo per infezione da HIV, ma che non presentano manifestazioni cliniche, devono essere vaccinati secondo il programma routinario, eccezion fatta per l’IPV che deve sostituire l’OPV. Nei bambini che hanno recentemente ricevuto sangue, plasma o immunoglobuline, la vaccinazione con virus vaccinici vivi attenuati deve essere ritardata di 3 mesi, poiché questi prodotti possono inibire la risposta anticorpale desiderata.

IMMUNIZZAZIONE PASSIVA

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

L’immunizzazione passiva conferisce una immunità temporanea quando la vaccinazione non è disponibile o non è stata effettuata prima dell’esposizione all’agente infettante. Le immunoglobuline umane (IG) sono frazioni ricche di anticorpi ottenute da un pool di plasma da donatori sani. Contengono principalmente IgG, sebbene possano essere presenti tracce di IgA, IgM e altre proteine sieriche. Le Ig sono una soluzione concentrata di Ac che molto raramente contiene virus trasmissibili (p. es., epatite B o C o HIV) e rimane stabile per molti mesi, se conservata a 4°C. Poiché i livelli massimi di Ac nel siero non possono essere raggiunti prima di 48 h circa dopo l’iniezione IM, le Ig devono essere somministrate il più presto possibile dopo l’esposizione. La vita media delle Ig in circolo è di circa 3 sett. Le IG possono essere utilizzate per la profilassi dell’epatite A, del morbillo, del deficit di immunoglobuline, della varicella (in pazienti immunocompromessi quando non sono disponibili le IG specifiche antivaricella-zoster), nell’esposizione alla rosolia nei primi 3 mesi di gravidanza. Gli svantaggi delle IG sono rappresentati dal fatto che viene fornito esclusivamente un temporaneo effetto protettivo; il contenuto di anticorpi contro specifici agenti varia da uno a dieci a seconda delle preparazioni; la somministrazione è dolorosa e si può verificare un’anafilassi in seguito a iniezioni EV accidentali, come risultato di un’attivazione del complemento da parte di aggregati immunoglobulinici. Le globuline iperimmuni sono preparate dal plasma di soggetti che hanno alti titoli di anticorpi contro uno specifico microrganismo o antigene. Sono ottenute da donatori iperimmunizzati artificialmente o da soggetti convalescenti dopo un’infezione naturale. Le immunoglobuline disponibili comprendono quelle antiepatite B, antirabbia, antitetano e antivaricella-zoster. La somministrazione è dolorosa e può verificarsi anafilassi. Le immunoglobuline EV (IVIG) sono preparate per fornire dosi maggiori e ripetute di immunoglobuline. L’IVIG è il farmaco di scelta nella terapia e nella profilassi delle infezioni batteriche e virali gravi, come la setticemia nei nati pretermine e con basso peso alla nascita, la meningite batterica, la malattia di Kawasaki e la AIDS nei bambini. Sono in corso di studio altre indicazioni. Sono disponibili le IVIG specifiche per il virus respiratorio sinciziale (RSV) per la prevenzione della malattia da RSV in bambini di età inferiore a 24 mesi con broncodisplasia polmonare o nati pretermine (< 35 sett. di gestazione); il palivizumab, un anticorpo monoclonale, ha le stesse indicazioni. La somministrazione di tutte le preparazioni di IVIG è indolore (una volta ottenuto l’accesso EV) e gli effetti collaterali sono rari, sebbene siano stati riportati febbre, brividi, cefalea, debolezza, nausea, vomito, ipersensibilità, reazioni anafilattiche ed effetti cardiovascolari.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 256-5. ETÀ DI ERUZIONE DEI DENTI Denti

N.

Età di eruzione*

Decidui (numero totale 20) Incisivi centrali inferiori

2

5-9 mesi

Incisivi centrali superiori

2

8-12 mesi

Incisivi laterali superiori

2

10-12 mesi

Incisivi laterali inferiori

2

12-15 mesi

Primi molari

4

10-16 mesi

Canini

4

16-20 mesi

Secondi molari

4

20-30 mesi

Permanenti (Numero totale 32) Primi molari ***

4

5-7 anni

Incisivi

8

6-8 anni

Premolari

8

9-12 anni

Canini

4

10-13 anni

Secondi molari ***

4

11-13 anni

Terzi molari ***

4

17-25 anni

*Varia notevolmente ** La media dei bambini deve avere 6 denti a 1 anno, 12 denti a 1 anno e ½, 16 denti a 2 anni, 20 denti a 2 anni e ½. *** I molari sono numerati dalla parte anterore a quella pos teriore della bocca.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI (Per un riassunto sulla diagnosi differenziale dei più comuni esantemi, v. Tab. 265-8.) MORBILLO (Rubeola; morbillo dei 9 giorni) Infezione virale acuta altamente contagiosa caratterizzata da febbre, tosse, coriza, congiuntivite, enantema (macchie di Koplik) sulla mucosa buccale o labiale, e rash cutaneo maculopapulare diffuso.

Sommario: Eziologia e patogenesi Epidemiologia Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prognosi e profilassi Terapia

Eziologia e patogenesi Il morbillo è causato da un paramixovirus. Il morbillo (come la varicella) è estremamente contagioso e si diffonde soprattutto attraverso le goccioline escrete da naso, gola e bocca di un soggetto nello stadio prodromico o eruttivo precoce della malattia, oppure mediante nuclei di goccioline disperse nell’aria. Il contagio indiretto da parte di persone non infette o mediante oggetti è raro. Il periodo contagioso della malattia si estende da 2-4 giorni prima della comparsa dell’eruzione fino a 2-5 giorni dopo il suo inizio. Il virus scompare dal naso e dalle secrezioni faringee dal momento in cui si risolve l’eruzione cutanea. Le persone che presentano una lieve desquamazione dopo l’eruzione non sono più contagiose. La sindrome del morbillo atipico si manifesta di solito in soggetti precedentemente vaccinati con i vecchi vaccini con virus morbilloso ucciso, che non sono più disponibili. Presumibilmente, i vaccini con virus morbilloso inattivato non impediscono l’infezione da virus selvaggio e possono sensibilizzare i pazienti in modo che l’espressione della malattia ne risulti significativamente alterata. Tuttavia, la sindrome del morbillo atipico può seguire anche la vaccinazione con virus morbilloso vivo attenuato, forse come risultato di una involontaria inattivazione dovuta a una cattiva conservazione.

Epidemiologia Prima della vaccinazione di massa, epidemie di morbillo si verificavano ogni 2-

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Infezioni nei bambini

3 anni, con piccoli focolai localizzati durante gli anni intercorrenti. Recentemente negli USA, si sono verificati più frequentemente focolai in adolescenti e giovani adulti precedentemente immunizzati e talvolta in bambini in età prescolare non immunizzati. Il lattante la cui madre ha già avuto il morbillo riceve un’immunità passiva transplacentare che dura per quasi tutto il primo anno di vita; successivamente la suscettibilità al morbillo è elevata. Un singolo episodio di morbillo conferisce immunità per tutta la vita.

Sintomi e segni Il morbillo tipico inizia, dopo un periodo d’incubazione di 7-14 giorni, con febbre prodromica, rinite, tosse secca e congiuntivite. Le patognomoniche macchie di Koplik, compaiono 2-4 giorni più tardi, solitamente sulla mucosa orale di fronte al 1o e 2o molare superiore. Queste macchie assomigliano a granelli minuti di sabbia bianca circondati da areole infiammate. Se sono numerose, il fondo può assumere l’aspetto di un eritema screziato. Si manifestano poi faringite e infiammazione della mucosa laringea e tracheobronchiale. Compaiono caratteristiche cellule giganti multinucleate nelle secrezioni nasali, nella mucosa orale e faringea e, spesso, nel sedimento urinario. L’esantema tipico compare da 3 a 5 giorni dopo l’inizio dei sintomi, di solito 12 gg dopo la comparsa delle macchie di Koplik. Esso inizia davanti e al di sotto delle orecchie e lateralmente sul collo come macule irregolari che subito si trasformano in maculo-papule e si diffonde rapidamente (entro 24-48 h) al tronco e agli arti, non appena incominciano a scomparire dal volto. Nelle eruzioni particolarmente gravi possono comparire petecchie ed ecchimosi. All’acme della malattia, la temperatura può superare i 40°C (104°F) e possono esserci edema periorbitale, congiuntivite, fotofobia, tosse stizzosa, eruzione estesa e confluente e prurito di lieve entità; generalmente, il paziente appare piuttosto sofferente. È frequente una leucopenia con linfocitosi relativa. I sintomi e i segni sistemici seguono la gravità dell’esantema e variano da un’epidemia all’altra. Entro 3-5 giorni la febbre cala, il paziente migliora e l’esantema inizia rapidamente a svanire, lasciando una pigmentazione ramata seguita da desquamazione. La sindrome del morbillo atipico può esordire bruscamente con febbre alta, stato tossico, cefalea, dolore addominale e tosse. L’eruzione può comparire 12 giorni più tardi, iniziando spesso agli arti e può essere maculopapulosa, vescicolosa, orticarioide o emorragica. Vi può essere edema delle mani e dei piedi. Sono frequenti polmonite e adenopatia ilare e gli addensamenti nodulari nel polmone possono persistere per 12 sett. Un’alterazione del rapporto ventilazione-perfusione polmonare, moderata o grave, può determinare una significativa ipossiemia.

Complicanze Una sovrainfezione batterica si verifica comunemente (in aggiunta al tipico coinvolgimento del tratto respiratorio presente nel morbillo), provocando polmonite, otite media e altre infezioni suppurative. Il morbillo provoca una temporanea soppressione della ipersensibilità ritardata, che determina una negativizzazione transitoria di test cutanei in precedenza positivi per tubercolina e istoplasmina e talvolta il peggioramento di una TBC attiva o la riattivazione di una TBC latente. Un’esacerbazione della febbre, cambiamenti della conta dei GB da leucopenia a leucocitosi, malessere generale, dolore o prostrazione suggeriscono una sovrapposta complicanza batterica. I pazienti immunocompromessi possono sviluppare la polmonite a cellule giganti grave, progressiva, senza esantema. La porpora trombocitopenica acuta, a volte con gravi manifestazioni

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emorragiche, può complicare la fase acuta del morbillo. In un caso su 1000-2000 si verifica l’encefalite, di solito da 2 giorni a 3 sett. dopo l’inizio dell’esantema, spesso con febbre alta, convulsioni e coma. Nella maggior parte dei casi la conta linfocitaria del LCR evidenzia da 50 a 500 cell./µl e la protidorrachia è moderatamente aumentata. Un reperto di LCR normale al momento dei sintomi iniziali non esclude l’encefalite. Il decorso può essere breve, con guarigione in circa 1 settimana o può essere prolungato, esitando in una grave compromissione del SNC o addirittura nella morte. Anche la panencefalite sclerosante subacuta (PESS) è associata al virus del morbillo ed è trattata successivamente.

Diagnosi Un morbillo tipico può essere sospettato in un paziente con anamnesi positiva di esposizione al morbillo e rinite, fotofobia e segni di bronchite, ma prima che appaia l’esantema una diagnosi precisa si può fare soltanto se si identificano le macchie di Koplik. Nella maggior parte dei casi, queste macchie, seguite da febbre alta, malessere generale ed esantema con la caratteristica progressione cranio-caudale, consentono la diagnosi. Benché sia raramente necessario, il virus può essere individuato precocemente mediante immunofluorescenza nelle cellule epiteliali faringee e urinarie oppure può essere isolato in colture tissutali; è più facile da rilevare, tuttavia, dimostrando un aumento del titolo anticorpale tra il siero prelevato in fase acuta e durante la convalescenza. La diagnosi differenziale del morbillo tipico comprende rosolia, scarlattina, eruzioni da farmaci, malattia da siero, roseola infantum, mononucleosi infettiva, infezioni da adenovirus, echovirus e coxsackievirus (v. Tab. 265-8). Le caratteristiche distintive della rosolia comprendono il suo decorso benigno con pochi o nessun sintomo sistemico, linfonodi retro-auricolari e sotto-occipitali ingrossati (e spesso dolenti), febbre bassa, normale conta dei GB, assenza di segni prodromici riconoscibili e breve durata. Si può pensare inizialmente a una scarlattina in base alla faringite e alla febbre, ma nel morbillo manca la leucocitosi della scarlattina e l’eruzione è morfologicamente differente. Le eruzioni da farmaci (p. es., da fenobarbital o da sulfamidici) assomigliano all’eruzione morbillosa, ma di nuovo, mancano i tipici prodromi, la tosse e la progressione cranio-caudale dell’eruzione, oltre al fatto che palmi delle mani e piante dei piedi sono più spesso coinvolte in modo marcato. Soprattutto in questi casi, è importante l’anamnesi. La roseola infantum può provocare un’eruzione cutanea simile a quella del morbillo ma si osserva raramente nei bambini di età superiore ai 3 anni. Solitamente può essere distinta dal morbillo per la sua elevata temperatura iniziale, per l’assenza delle macchie di Koplik e del malessere generale, e per la comparsa dell’eruzione al momento della defervescenza. La diagnosi differenziale di sindrome del morbillo atipico è simile a quella del morbillo tipico; tuttavia, il pleiomorfismo dell’esantema e i gravi segni sistemici a volte osservati possono far pensare alla febbre delle montagne rocciose, alla leptospirosi, alla varicella emorragica o alla infezione meningococcica; la diagnosi differenziale deve essere posta anche con alcune polmoniti batteriche o virali, malattie collageno-vascolari come la AR giovanile e la malattia di Kawasaki (sindrome linfonodale mucocutanea). Un’anamnesi positiva per esposizione al morbillo e la precedente somministrazione di vaccino con virus ucciso suggeriscono la diagnosi, ma per confermarla può essere necessario l’isolamento virale, studi sierologici, o entrambi.

Prognosi e profilassi Nei bambini sani e ben nutriti, il morbillo ha un basso tasso di mortalità, a meno

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Infezioni nei bambini

che non sopravvengano complicanze. Un vaccino con virus vivo attenuato può conferire immunità di lunga durata. Il vaccino provoca una infezione lieve o asintomatica, non contagiosa, e una risposta anticorpale simile a quella del morbillo naturale. In meno del 5% dei vaccinati da 5 a 12 giorni dopo l’inoculazione compare febbre > 38°C (> 101°F) spesso seguita da un’eruzione cutanea. Le reazioni a carico del SNC sono estremamente rare. Per la vaccinazione di routine, v. Vaccinazioni nell’Infanzia al Cap. 256. Gli individui suscettibili esposti a rischio di contagio possono essere protetti se si somministra il vaccino vivo entro 2 giorni dall’esposizione. Alternativamente (p. es., nelle donne in gravidanza e nei bambini di età < 1 anno) si possono somministrare immediatamente immunoglobuline specifiche anti-morbillo (MIG) o immunoglobuline sieriche 0,25 ml/kg IM. A ciò segue la vaccinazione entro 56 mesi se appropriato dal punto di vista medico (p. es., paziente non più in gravidanza, bambino di età in tale momento > 1 anno). La contemporanea somministrazione di immunoglobuline specifiche anti-morbillo (MIG) o di immunoglobuline sieriche con il vaccino è controindicata. Al paziente esposto a rischio di contagio, affetto da una condizione che controindichi l’impiego di qualsiasi vaccino con virus morbilloso vivo (v. oltre), vengono somministrate immunoglobuline specifiche anti-morbillo (MIG) o immunoglobuline sieriche 0,5 ml/kg IM (massimo, 15 ml). Se tale paziente immunocompromesso ha anche disturbi della coagulazione (p. es., trombocitopenia), deve essere considerato l’impiego di immunoglobuline EV. Le controindicazioni all’uso di qualsiasi vaccino a base di virus morbilloso vivo sono la presenza di tumori generalizzati (p. es., leucemie, linfomi), immunodeficienze, terapie con corticosteroidi, terapie radianti, con agenti alchilanti o con antimetaboliti. Motivi validi per rinviare la vaccinazione sono gravidanza, qualsiasi malattia acuta febbrile, TBC attiva non trattata o somministrazione di anticorpi (come sangue intero, plasma o qualsiasi immunoglobulina) nelle precedenti 8 sett. Nei bambini e nei lattanti con infezione da HIV, si raccomanda l’impiego del vaccino con virus morbilloso vivo per quelli con e senza sintomi ma che non sono severamente immunocompromessi. In questi bambini, il rischio di infezione morbillosa grave o letale controbilancia il rischio teorico di morbillo associato alla vaccinazione. Vi è stato un caso di morbillo causato da un ceppo vaccinico in un bambino con malattia da HIV in fase avanzata, e pertanto il vaccino non deve essere somministrato a bambini gravemente immunocompromessi con infezione da HIV e bassa conta assoluta o relativa di CD4.

Terapia La terapia è sintomatica. Le infezioni batteriche secondarie richiedono una terapia antibiotica adeguata. La vitamina A riduce la morbilità e la mortalità nei bambini malnutriti affetti da forme gravi di morbillo. Per i bambini di età > 1 anno, la vitamina A 200000 UI PO deve essere somministrata per 2 giorni (dose totale, 400000 UI) se il bambino mostra evidenza oftalmologica di deficienza di vitamina A e ripetuta alla quarta sett. Ai bambini senza evidenza oftalmologica di deficienza di vitamina A viene somministrata una singola dose di 200000 UI. Ai bambini di età compresa tra 6 mesi e 1 anno deve essere somministrata una dose di 100000 UI. Le immunoglobuline sieriche sono inefficaci nell’encefalite; l’unica terapia disponibile è costituita dalle cure sintomatiche.

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Infezioni nei bambini

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI PANENCEFALITE PROGRESSIVA DA ROSOLIA Malattia neurologica progressiva, che si presenta nel bambino con rosolia congenita, dovuta presumibilmente alla riattivazione dell’infezione da virus della rosolia. I bambini con rosolia congenita (p. es., con sordità, cataratta, microcefalia e ritardo mentale) possono sviluppare spasticità progressiva, atassia, deterioramento mentale e convulsioni durante l’adolescenza. La diagnosi deve essere presa in considerazione quando un paziente con rosolia congenita sviluppa deficit neurologici progressivi associati ad aumento del numero delle cellule, della concentrazione delle proteine e delle globuline nel LCR; quando si riscontra un titolo elevato di anticorpi specifici nel LCR e nel siero; o quando viene isolato il virus della rosolia dal tessuto cerebrale. La TC può mostrare una dilatazione ventricolare, specialmente a carico del 4o ventricolo, dovuta all’atrofia cerebellare. Non esiste terapia specifica.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI ROSOLIA CONGENITA Infezione virale, acquisita dalla madre durante la gravidanza, che può causare morte fetale o difetti congeniti. (V. anche Rosolia in Infezioni virali nel Cap. 265)

Sommario: Eziologia, epidemiologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia, epidemiologia e patogenesi La rosolia è causata da un virus a RNA della famiglia Togaviridae del genere Rubivirus. La rosolia congenita è tipicamente derivante da una infezione materna primaria. Nonostante la diffusa campagna di vaccinazione, la rosolia si verifica ancora, primariamente nei soggetti di età > 15 anni e studi recenti mostrano che il 10-20% degli individui dopo la pubertà è privo di anticorpi anti-rosolia. La protezione in questo gruppo deve essere ottenuta prima che la rosolia congenita possa essere eliminata. Si crede che il virus della rosolia invada le vie respiratorie superiori, con conseguente viremia e diffusione in differenti siti, compresa la placenta. Il feto, se infettato durante le prime 16 sett. di gestazione, in particolare le prime 8-10 sett., presenta un rischio altissimo di disturbi dello sviluppo. Si pensa che il virus nelle fasi iniziali della gestazione provochi un’infezione intrauterina cronica; le conseguenze comprendono un’endotelite dei vasi sanguigni, una citolisi diretta delle cellule e una interruzione della mitosi cellulare.

Sintomi e segni La rosolia nella donna gravida può essere asintomatica oppure caratterizzata da sintomi delle alte vie respiratorie, febbre, linfoadenopatia (specialmente nell’area suboccipitale e auricolare posteriore) ed eritema maculopapulare. Questa malattia può essere seguita da sintomi articolari. Le conseguenze sul feto variano dalla morte in utero, alle anomalie multiple, alla isolata perdita di udito. I neonati possono essere asintomatici alla nascita. Le anomalie più frequenti comprendono ritardo di crescita intrauterina, meningoencefalite, cataratta, retinopatia, perdita dell’udito, disturbi cardiaci (ipoplasia dell’arteria polmonare e dotto arterioso pervio), epatosplenomegalia e osteite. Altre sono trombocitopenia con porpora, eritropoiesi cutanea che provoca lesioni violacee, adenopatia e polmonite interstiziale. È necessaria un’attenta osservazione per diagnosticare le possibili conseguenze, ipoacusia, ritardo file:///F|/sito/merck/sez19/2602341.html (1 of 2)02/09/2004 2.09.20

Patologia del neonato e del lattante

mentale, comportamenti anomali, endocrinopatie o la rara encefalite progressiva.

Diagnosi I test sierologici e le colture virali possono essere utili nella diagnosi di infezione materna e di infezione congenita. Nell’adulto, il virus può essere isolato con un tampone nasale o faringeo. Nel neonato, campioni prelevati dal nasofaringe, dalle urine, dal LCR, dal sovranatante dopo centrifugazione del sangue (buffy coat) e dalla congiuntiva possono far sviluppare il virus. Per facilitare l’identificazione deve essere avvertito il laboratorio del sospetto di virus della rosolia. Le prove sierologiche utilizzate per individuare le IgG e le IgM comprendono i test di inibizione dell’emoagglutinazione, la immunofluorescenza indiretta, le tecniche radioimmunologiche e il test ELISA. Si sospetta un’infezione materna a partire dall’aumento di 4 o più volte del tasso di IgG specifiche tra i campioni prelevati nello stato di acuzie e di convalescenza. La persistenza di IgG specifiche antirosolia nel bambino dopo 6-12 mesi d’età indica un’infezione congenita. L’aumento di Ac specifici anti-rosolia di classe IgM può anche diagnosticare la rosolia nella donna in gravidanza o nel bambino. In qualche centro, è stata posta la diagnosi nel feto, prima della nascita, mediante l’isolamento del virus dal liquido amniotico, mediante l’individuazione nel sangue fetale di anticorpi specifici anti-rosolia di classe IgM o mediante l’applicazione di tecniche di biologia molecolare su un campione da biopsia dei villi coriali. Altri test neonatali comprendono un EECC con conta differenziale, un’analisi del LCR e un’indagine radiologica dello scheletro; sono anche utili un attento esame oftalmologico e cardiaco.

Profilassi e terapia Contrariamente a molte altre infezioni congenite, la rosolia può essere facilmente prevenuta poiché è disponibile un vaccino efficace. Negli USA, i lattanti devono effettuare una vaccinazione antirosolia contemporaneamente alla vaccinazione contro il morbillo e la parotite a 15 mesi d’età e una seconda volta all’ingresso alla scuola elementare o media (v. Vaccinazioni nell’infanzia nel Cap. 256). Le donne adulte che non sanno di essere immuni alla rosolia devono essere vaccinate. Attenzione: la vaccinazione antirosolia è controindicata nelle donne in gravidanza o con immunodeficienza. Dopo la vaccinazione, bisogna avvertire le donne di non intraprendere una gravidanza per 3 mesi. Devono compiersi degli sforzi per controllare e vaccinare soggetti a alto rischio, come il personale ospedaliero, coloro che lavorano con i bambini, le reclute militari e gli studenti. Per la rosolia materna o congenita non è disponibile nessuna terapia specifica. Le donne esposte alla rosolia all’inizio della gravidanza devono essere informate sui rischi potenziali per il feto e deve essere presa in considerazione una interruzione di gravidanza. Alcune autorità raccomandano la somministrazione di immunoglobuline (0,55 ml/kg IM) in caso di esposizione all’inizio della gravidanza. Tuttavia, questa non garantisce la prevenzione.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI ROSOLIA Morbillo dei tre gg Esantema virale contagioso, spesso con sintomi generali lievi, che può provocare aborto, nascita di feti morti o difetti congeniti nei neonati di madri infettate durante i primi mesi di gravidanza. La rosolia congenita viene trattata alla voce Infezioni neonatali nel Cap. 260.

Sommario: Eziologia e patogenesi Epidemiologia Sintomi, segni e complicanze Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia e patogenesi La malattia è provocata da un RNA-virus diffuso mediante i nuclei di goccioline per via aerea o per contatto ravvicinato. Un malato può trasmettere la rosolia da 1 sett. prima dell’esordio dell’esantema fino a 1 sett. dopo la sua scomparsa. I bambini infettati durante la gravidanza possono trasmettere la rosolia per molti mesi dopo la nascita. La rosolia è meno contagiosa del morbillo.

Epidemiologia Molte persone non vengono contagiate durante l’infanzia, di conseguenza il 1015% delle giovani donne adulte è a rischio di contagio. Le epidemie si verificano a intervalli irregolari durante la primavera; epidemie più estese si verificano a intervalli di 6-9 anni. Negli USA, l’incidenza è attualmente al livello più basso nella storia. Tuttavia, continuano a verificarsi delle epidemie e la rosolia deve ancora essere identificata e le popolazioni a rischio di contagio immunizzate. L’immunità sembra durare tutta la vita dopo un’infezione naturale.

Sintomi, segni e complicanze Molti casi vengono mal diagnosticati o sono tanto lievi da passare inosservati. Dopo un periodo d’incubazione di 14-21 giorni, nei bambini si ha un periodo prodromico di 1-5 giorni, che può essere minimo o assente negli adolescenti e negli adulti e che consiste abitualmente in malessere generale e linfoadenopatia. Un ingrossamento dolente dei linfonodi suboccipitali, retroauricolari e file:///F|/sito/merck/sez19/2652493.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.21

Infezioni nei bambini

laterocervicali è caratteristico e, assieme al tipico esantema, consente di formulare la diagnosi. All’esordio il faringe si arrossa, ma la gola non è dolente. L’eruzione è simile a quella del morbillo ma è meno estesa e più evanescente. Essa inizia al volto e al collo e si diffonde rapidamente al tronco e agli arti. All’inizio dell’eruzione può comparire un arrossamento che assomiglia a quello della scarlattina, specialmente al volto. Sul palato è presente un lieve enantema a macchie separate di colorito roseo che più tardi si fondono in un’area di arrossamento; esso dura di solito circa 3 giorni. Al 2o giorno diviene spesso più scarlattiniforme (a punta d’ago), con arrossamento. La lieve anomalia di colorazione cutanea che permane alla scomparsa dell’eruzione può svanire nell’arco di un giorno. Nei bambini i sintomi generali sono lievi e possono includere malessere generale e artralgie occasionali. Gli adulti caratteristicamente lamentano pochi o nessun sintomo generale, ma possono presentare febbre, malessere, cefalea, rigidità articolare (talvolta con transitoria artrite franca), una leggera sensazione di stanchezza e rinite di grado lieve. Essi possono rendersi conto della malattia notando l’eruzione su torace, braccia o fronte oppure rilevando la caratteristica linfoadenopatia retroauricolare nel lavarsi o nel pettinarsi i capelli. L’encefalite, una complicanza rara ma talvolta fatale, si è manifestata durante le grandi epidemie di rosolia tra i giovani adulti in servizio militare. L’otite media si verifica raramente. Gli uomini lamentano frequentemente anche un transitorio dolore testicolare.

Diagnosi La diagnosi senza conferma di laboratorio è soggetta a errore, specialmente perché gli esantemi da enterovirus e da parvovirus B19 (eritema infettivo) simulano la rosolia. Pertanto, una storia di rosolia non garantisce in modo affidabile né l’infezione né l’immunità. Quando si sospetta la rosolia devono essere raccolti campioni di siero in fase acuta e durante la convalescenza per i test sierologici; un’elevazione di 4 o più volte del titolo anticorpale specifico conferma la diagnosi. La diagnosi differenziale include il morbillo, la scarlattina, la sifilide secondaria, le eruzioni da farmaci, l’eritema infettivo e la mononucleosi infettiva, così come le infezioni da echo-, coxsackie- e adenovirus (v. Tab. 265-8). La rosolia si distingue clinicamente dal morbillo per l’eruzione più lieve e più evanescente e per l’assenza delle macchie di Koplik, di rinite, di fotofobia e di tosse. Il paziente con il morbillo è in genere più gravemente compromesso e la malattia ha una durata maggiore. Una scarlattina anche lieve provoca solitamente sintomi generali più marcati della rosolia, p. es., una gola dolente ed estremamente arrossata. La conta dei GB è elevata nella scarlattina ma normale nella rosolia. L’osservazione del paziente per un giorno solitamente fa porre la diagnosi di scarlattina. La sifilide secondaria può simulare l’eruzione e l’adenopatia della rosolia, ma l’adenopatia della sifilide non è dolente e l’eruzione cutanea interessa per lo più il palmo delle mani e la pianta dei piedi. Se esistono dubbi, deve essere eseguito un test sierologico qualitativo per la sifilide, seguito dal test quantitativo se necessario. Anche la mononucleosi infettiva può causare un’adenopatia e un’eruzione cutanea simili a quelle della rosolia, ma si può distinguere da questa per la leucopenia iniziale seguita da leucocitosi, per le molte cellule mononucleate atipiche nello striscio di sangue, per la comparsa di anticorpi contro il virus di Epstein-Barr e, nei bambini più grandi, per un aumento del titolo degli anticorpi eterofili. Inoltre, l’angina che si ha nella mononucleosi è generalmente imponente e il malessere generale è maggiore e dura più a lungo che nella rosolia.

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Infezioni nei bambini

Profilassi I vaccini con virus vivi preparati in colture cellulari di fibroblasti diploidi umani determinano la comparsa di anticorpi in > 95% dei soggetti. La trasmissione del virus vaccinale dai vaccinati ai contatti a rischio di contagio non è stata documentata (a eccezione di un caso di apparente trasmissione dalla madre vaccinata che allattava al seno al suo bambino, senza gravi conseguenze). Con i vaccini a virus vivo, l’immunità perdura per 15 anni. La vaccinazione è raccomandata per i bambini di età compresa tra i 12 e i 15 mesi e all’ingresso nella scuola elementare o media. È stato proposto di eseguire la vaccinazione in tutte le madri a rischio di contagio subito dopo il parto. È stato anche suggerito di sottoporre a screening le donne in età fertile per gli anticorpi anti-rosolia (l’anamnesi, sia positiva che negativa, è un criterio d’immunità non attendibile) e vaccinare quelle sieronegative. Tale vaccinazione, tuttavia, non si può intraprendere senza prevenire il concepimento almeno per 3 mesi. Il vaccino non deve essere somministrato a soggetti con meccanismi immunitari compromessi o alterati (p. es., con leucemia, linfoma, altri tumori maligni o una grave malattia febbrile; durante prolungata terapia steroidea o radiante; o durante chemioterapia). I dati suggeriscono che il vaccino può infettare il feto durante la prima fase della gravidanza, ma ciò non ha provocato la sindrome rubeolica congenita; sebbene si stimi che il rischio di danno fetale sia 3%, l’uso del vaccino è controindicato durante la gravidanza. Raramente nei bambini compaiono febbre, eruzione, linfoadenopatia, polineuropatia, artralgia e artrite franca con la vaccinazione; dolore e tumefazione delle articolazioni a volte seguono la vaccinazione, principalmente nelle donne adulte precedentemente non vaccinate e in minor misura negli uomini adulti. Per maggiori dettagli sulla profilassi v. Vaccinazioni nell’infanzia al Cap. 256.

Terapia La rosolia richiede un trattamento minimo o nullo. L’otite media richiede un trattamento appropriato. Non è disponibile alcuna terapia specifica per l’encefalite.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 265-8. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEI PIÙ COMUNI ESANTEMI Eruzione

Affezione

Incubazione (gg)

Periodo di contagio

Sintomi e segni

Sede

Caratteristiche

Esordio e durata

Dati di laboratori

Morbillo

7-14

Da 24 gg prima della comparsa dell’esantema, fino a 25 gg dopo l’esordio

Macchie di Koplik; febbre, coriza, tosse, congiuntivite, fotofobia, di solito lieve prurito

Insorge attorno alle orecchie, su viso e collo, per diffondere poi a tronco ed arti, che restano intatti nei casi lievi

Maculopapulare, di colore rosa-marrone e irregolarmente confluente nei casi gravi in cui può essere addirittura petecchiale; non confluente nei casi lievi

3-5 gg dopo l’inizio dei sintomi; dura 4-7 gg

Leucopenia granulocitica; virus presente nel sangue e nel nasofaringe

Rosolia

14-21

Da 1 settimana prima dell’inizio dei sintomi fino alla scomparsa dell’esantema

Malessere, febbre, cefalea, rinite, linfadenopatia retroauricolare e suboccipitale con linfonodi dolenti

Compare al volto e al collo, diffonde poi a tronco ed arti

Macule rosate fini che confluiscono, spesso scarlattiniforme o a capocchia di spillo al 2o giorno

1-2 gg dopo l’inizio dei sintomi; dura 1-3 gg

Conta dei GB spesso normale o lievemente ridotta; virus presente nel sangue e nel nasofaringe

Caratteristica scomparsa della febbre alta e simultanea apparizione dell’eruzione nei lattanti e bambini in età prescolare; rischio di convulsioni

Maculare o Torace e maculopapulare addome, con diffusa moderato interessamento di viso e arti

Circa 4 Leucopenia giorni dopo granulocitica l’inizio dei sintomi, compare l’eruzione e la temperatura torna bruscamente alla norma; durata 1-2 gg

Inizia sulle Maculopapulare; gote, si spesso foruncolosa o diffonde poi a reticolare braccia, gambe e tronco

Poco dopo Linfocitosi ed l’esordio dei eosinofilia lievi sintomi; dura 5-10 gg; può ripresentarsi per diverse settimane

Roseola Probabilmente Sconosciuto infantum 5-15 (esantema improvviso; herpesvirus umano tipo 6)

Eritema infettivo (quinta malattia)

4-14

Da prima Febbre lieve, a dell’inizio volte artralgie dell’esantema fino a pochi gg dopo (improbabile che sia contagioso dopo la comparsa del rash)

Varicella

10-21

Da alcuni gg prima dell’esordio dei sintomi fino a quando tutti i gruppi di vescicole non hanno formato croste

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Febbre moderata, cefalea, malessere generale, talvolta mal di gola

Di solito prima sul tronco, poi su viso, collo ed arti; raramente sulle palme delle mani e sulle piante dei piedi

Lesioni separate; evolvono da macule a papule a vescicole che formano croste; appaiono ad ondate, sicché le varie fasi descritte sono presenti contemporaneamente

Poco dopo la comparsa dei sintomi; dura da pochi gg a 2 sett.

Presenza del virus nel liquido delle vescicole all’immunofluore scenza; o cellule giganti multi- nucleate alla base delle vescicole (test di Tzanck)

Manuale Merck - Tabella

Mononucleosi 10-50 infettiva

Non determinato

Malessere Evidente generale, soprattutto al cefalea, mal di tronco gola, splenomegalia. linfadenopatia generalizzata

Si manifesta nel 15% dei casi come eruzione morbilliforme, scarlattiniforme o vescicolare, spesso in associazione con gli antibiotici

Compare da 5 a 14 gg dopo l’esordio della malattia; dura da 3 a 7 gg

Test per Ac eterofili positivo; leucocitosi con grossi linfociti atipici; comparsa di Ac contro il virus di Epstein- Barr

Scarlattina

Di solito da 24 h prima dell’esordio dei sintomi fino a 2-3 sett dopo, o anche più a lungo se esistono complicanze (p. es. sinusite, otite media)

Mal di gola, brividi, febbre, cefalea, vomito, lingua a fragola; linfadenopatia cervicale; pallore periorale, tachicardia

Volto, collo, torace, addome; diffusione poi agli arti; può essere interessata l’intera superficie corporea

Arrossamento diffuso Al 2o giorno, della pelle di colore dura 4-10 gg rosso-rosato con sbiancamento alla pressione

Granulocitosi, tamponi faringei positivi per streptococco βemolitico

Variabili, con febbre, malessere generale, artralgia, nausea, fotofobia, prurito

Generalizzata; talvolta limitata alle superfici esposte

Può essere morbilliforme, scarlattiniforme, eritematosa, acneiforme, vescicolare, bollosa, purpurea, esfoliativa

Può esserci agranulo-citosi o eosinofilia; ricercare il farmaco nelle urine

3-5 (talvolta poco di più o poco di meno)

Eruzioni da farmaci

Variabile in Nessuno dipendenza da anamnesi di assunzione di farmaci

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Variabile

Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI PAROTITE (Orecchioni; parotite epidemica) Malattia virale acuta contagiosa e generalizzata che provoca abitualmente tumefazione dolorosa delle ghiandole salivari, più comunemente delle parotidi.

Sommario: Eziologia, patogenesi ed epidemiologia Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prognosi e profilassi Terapia

Eziologia, patogenesi ed epidemiologia L’agente responsabile, un paramixovirus, viene diffuso tramite le goccioline di saliva infetta o per contatto diretto con materiale contaminato da saliva infetta. Il virus probabilmente penetra attraverso la bocca. Esso si può ritrovare nella saliva per 1-6 giorni prima della comparsa della tumefazione delle ghiandole salivari e per tutta la sua durata (di solito 5-9 giorni). Il virus è stato isolato dal sangue e dalle urine dei pazienti e dal LCR dei soggetti con interessamento del SNC. Un attacco di solito conferisce immunità permanente, anche quando si ha tumefazione unilaterale della ghiandola salivare. La parotite è endemica in alcune zone intensamente popolate, ma può presentarsi in epidemie quando molti individui a rischio di contagio sono raggruppati insieme. È meno contagiosa rispetto al morbillo e alla varicella. L’incidenza è massima nel tardo inverno e all’inizio della primavera. Sebbene la malattia possa presentarsi ad ogni età, la maggior parte dei casi si verifica in bambini di età compresa fra 5 e 10 anni; essa è insolita nei bambini di età < 2 anni e i lattanti fino a 1 anno solitamente sono immuni. Circa il 25-30% dei casi decorre in maniera asintomatica.

Sintomi e segni Dopo un periodo d’incubazione di 14-24 giorni, si ha l’esordio della parotite con brividi, cefalea, anoressia, malessere generale e febbre bassa o moderata che può durare 12-24 h prima che compaia la tumefazione ghiandolare. Tali sintomi prodromici possono mancare nei casi lievi. Il primo sintomo della parotite è il dolore alla masticazione o alla deglutizione, specialmente quando si assume un liquido acido come aceto o succo di limone. La parotide o le altre ghiandole salivari colpite sono estremamente dolenti. Con lo svilupparsi della parotite la temperatura spesso sale a 39,5-40°C (103-104°F). La file:///F|/sito/merck/sez19/2652491.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.22

Infezioni nei bambini

tumefazione ghiandolare raggiunge l’acme al secondo giorno circa e si associa a edema tissutale che si estende oltre la parotide davanti e al di sotto dell’orecchio. Solitamente, la parotite è bilaterale. A volte sono interessate anche le ghiandole sottomascellari e le sottolinguali; più raramente, sono interessate soltanto queste ultime ghiandole. In questi casi si ha rigonfiamento del collo al di sotto della mandibola; con il coinvolgimento delle ghiandole sottomascellari, può svilupparsi un’edema soprasternale. Gli sbocchi delle ghiandole interessate sono "rilevati" e lievemente infiammati. La cute al di sopra delle ghiandole può divenire tesa e lucida. Le ghiandole coinvolte sono molto dolenti durante il periodo febbrile di 24-72 h. La conta dei GB può essere normale, benché sia frequente una lieve leucopenia con riduzione dei granulociti.

Complicanze Orchite o ooforite: Il 20% circa dei pazienti maschi in età postpuberale presenta un’infiammazione testicolare (orchite) che è di solito monolaterale. Può seguire un certo grado di atrofia testicolare, ma la sterilità è rara e la funzione ormonale non è persa. Nelle femmine l’interessamento gonadico (ooforite) viene riconosciuto meno frequentemente, è meno doloroso e non è stato associato a successiva sterilità. Meningoencefalite: cefalea, rigidità nucale, pleiocitosi del LCR compaiono nell’110% dei pazienti; la glicorrachia è di solito normale, ma occasionalmente può essere bassa, fra 20 e 40 mg/dl (1,1 e 2,2 mmol/l), simulando una meningite batterica. Segni più gravi di encefalite si hanno in circa 1 su 1000-5000 casi di parotite, con sonnolenza o addirittura coma o convulsioni che possono presentarsi improvvisamente. Circa il 30% delle infezioni del SNC da virus della parotite epidemica decorre senza interessamento delle ghiandoli salivari. La prognosi è favorevole nella maggior parte dei casi con coinvolgimento del SNC ed è notevolmente migliore di quella della encefalite morbillosa, sebbene possano aversi sequele permanenti come sordità neurosensoriale unilaterale (raramente bilaterale) o paralisi del facciale. Come in altre malattie virali, può verificarsi raramente una forma di encefalite para o postinfettiva. Altre manifestazioni inconsuete sono l’atassia cerebellare acuta postinfettiva, la mielite trasversa e la polineurite. Pancreatite: verso la fine della prima settimana, alcuni pazienti possono accusare grave nausea e vomito, con dolore addominale particolarmente intenso all’epigastrio, che fa pensare a una pancreatite. Questi sintomi scompaiono nell’arco di 1 sett. e il paziente guarisce completamente. Complicanze varie: molto raramente si riscontrano prostatite, nefrite, miocardite, mastite, poliartrite e interessamento delle ghiandole lacrimali. L’infiammazione della tiroide e del timo possono provocare edema e tumefazione in regione soprasternale, ma questo il più delle volte è secondario all’interessamento delle ghiandole sottomascellari.

Diagnosi La diagnosi dei casi tipici durante un’epidemia è facile; la diagnosi dei casi sporadici non lo è. Utilizzando campioni di siero prelevati in fase acuta e durante la convalescenza, la diagnosi può essere fatta mediante la fissazione del complemento, l’inibizione dell’emoagglutinazione e il test ELISA. La parotite è associata alla produzione di anticorpi contro gli antigeni solubili (S) e virali (V). Gli anticorpi anti-S aumentano nella prima settimana d’infezione e scompaiono rapidamente, entro 6-8 mesi; gli anticorpi anti-V solitamente aumentano più tardi degli anticorpi anti-S, ma diminuiscono lentamente fino a un valore che si mantiene nel tempo. Anche un singolo campione di siero permette a volte la diagnosi, soprattutto se viene rilevato l’anticorpo fissante il complemento contro

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Infezioni nei bambini

la componente solubile del virus parotitico. Un tasso di amilasi sierica elevato può anch’esso indirizzare alla diagnosi. Se si dispone di un servizio di virologia, si può facilmente isolare il virus dalla gola, dal LCR e, talvolta, dall’urina. La tumefazione della parotide o delle altre ghiandole salivari causata dal virus della parotide epidemica deve essere distinta da altre condizioni, come mostrato nella Tab. 265-9. I linfonodi ingrossati lungo la mandibola possono essere scambiati per ghiandole salivari ingrossate. La meningoencefalite da virus della parotide epidemica, a volte unica manifestazione clinica, deve essere distinta da altre meningiti virali.

Prognosi e profilassi La prognosi è eccellente nei casi di parotite non complicati, benché raramente possa aversi una recidiva dopo circa 2 sett. Specialmente dopo la pubertà, la parotite può interessare organi diversi dalle ghiandole salivari. I sintomi possono precedere, accompagnare, seguire o comparire senza l’interessamento della ghiandola salivare. Il paziente deve rimanere in isolamento fino alla scomparsa della tumefazione ghiandolare. Le immunoglobuline specifiche e le globuline estratte da sieri immuni non sono di alcuna utilità. Il vaccino con virus vivo è quello preferibile per l’immunizzazione attiva (v. Vaccinazioni nell’Infanzia al Cap. 256). Tale vaccino non provoca reazioni locali o sistemiche significative e richiede una sola inoculazione. La American Academy of Pediatrics raccomanda la vaccinazione (con il vaccino morbillo-parotite-rosolia) da 12 a 15 mesi di età e nuovamente all’inizio della scuola elementare o media. La vaccinazione post-esposizione non conferisce protezione dagli orecchioni per l’esposizione avvenuta.

Terapia La terapia è sintomatica. Una dieta liquida riduce il dolore causato dalla masticazione. Le sostanze acide (p. es., succhi di agrumi) possono provocare disagio e devono essere evitate. Per la cefalea e il malessere generale possono essere usati analgesici. Se la nausea e il vomito per la pancreatite sono gravi si deve sospendere l’alimentazione e somministrare glucoso e soluzione fisiologica EV per riequilibrare il bilancio idro-elettrolitico. Anche le complicanze vengono trattate in maniera sintomatica. I pazienti con orchite devono osservare riposo a letto. È utile sostenere lo scroto con un lembo d’ovatta sostenuto da un nastro adesivo messo a ponte tra le cosce per rendere minima la tensione; l’applicazione di impacchi di ghiaccio spesso aiuta ad alleviare il dolore. I corticosteroidi di solito non sono necessari, sebbene possano diminuire il dolore e l’edema nell’orchite acuta.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 256-7. CALENDARIO VACCINALE PER I BAMBINI NON VACCINATI DURANTE IL PRIMO ANNO DI VITA* Età raccomandata

Vaccinazione(i)** ˆ

Commenti

Età inferiore a 7 anni Prima visita

DTaP (o DTP), Hib, HBV, MMR, OPV§

Se indicato, il test della tubercolina può essere eseguito durante la stessa visita. Se il bambino è di età³ 5 aa, l’Hib non è indicato nella mag gior parte dei casi.

Intervallo dopo la 1ª visita 1mese

DTaP (o DTP), HBV, Var

Si può effettuare la seconda dose di OPV se è necessaria una vaccinazione antipolio accelerata, come nel caso di viaggi in aree dove la poliomelite è endemica

2mesi

DTaP (o DTP), Hib, OPV§

La 2ª dose di Hib è consigliata soltanto se la prima dose è stata effettuata ad un’età 8mesi

DTaP (o DTP), Hib, OPV§

OPV e HBV non vengono effettuati se la terza dose è stata somministrata più precocemente

46anni (prima o all’entrata a scuola)

DTaP (o DTP), OPV§, MMR¶

DTaP (o DTP) non è necessario se la 4ª dose è stata somministrata dopo i 4anni di età; OPV non è necessario se la 3ª dose è stata somministrata dopo i 4anni di età

7-12anni Prima visita

HBV, MMR,Td, OPV§

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Manuale Merck - Tabella

Intervallo dopo la 1ª visita 2mesi

HBV, MMR¶, Var||, Td, OPV§

OPV può anche essere somministrato 1mese dopo la prima visita se è necessaria un’accelerata vaccinazione antipolio

814mesi

HBV#, Td, OPV§

OPV non viene somminstrato se la 3a dose è stata somministrata più precocemente

1112anni

V. FIG. 256-5

*La tabella non è completamente conforme a tutti i foglietti illustrativi. Per i prodotti utilizzati consultare anche i foglietti illustrativi dei produttori per verificare le istruzioni sulla conservazione, sulle modalità d’uso, il dosaggio e la somministrazi one. I prodotti biologici preparati da diverse case farmaceutiche possono variare tra loro e i foglietti illustrativi della stessa casa farmaceutica possono variare di tanto in tanto. Quindi il medico deve conoscere il contenuto dei foglietti illustrativi cor renti. ** Se tutti i vaccini necessari non possono essere somministrati contemporaneamente, bisogna dare la priorità alla protezione del bambino nei confronti di quelle malattie che pongono il maggiore rischio immediato. Negli USA, queste malattie, per bambini di età < 2 anni, sono morbillo e infezioni da Haemophilus Influenzae di tipo b; per bambini di età > 7 anni sono mor billo, parotite e rosolia. Nei bambini di età < 13 anni bisogna garantire l’immunità nei confronti di epatite B e varicella. ˆ I vaccini DTaP, HBV, Hib, MMR e antivaricella possono essere somministrati contemporaneamente in sedi diverse, se si pensa che non sia sicuro il ritorno del bambino per le altre vaccinazioni. §

Anche il vaccino antipolio inattivato è accettato. Tuttavia, nei lattanti e bambini che iniziano le vaccinazioni in ritardo (cioè dopo i 6 mesi di vita), si preferisce l’OPV per completare un programma vaccinale accelerato con il minimo numero di iniezioni.

?

Il vaccino antivaricella può essere somministrato ai bambini a rischio di contagio in qualunque momento dopo i 12 mesi di vita. I bambini non vaccinati che non hanno una storia attendibile di varicella devono essere vaccinati prima del loro 13o com pleanno.



L’intervallo minimo tra le dosi del vaccino MMR è di 3 mesi.

#

L’HBV può essere somministrato più precocemente seguendo un calendario

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Manuale Merck - Tabella

a 0, 2 e 4 mesi. DTaP = tossoidi difterico e tetanico associati al vaccino antipertosse acellulare; DTP = tossoidi difterico e tetanico associati al vaccino antipertosse; Hib = vaccino coniugato anti Haemophilus Influenzae di tipo b; HBV = vaccino antiepatite B; MMR = vaccino anti morbillo-rosolia-parotite (Measles, Mumps and Rubella); OPV = vaccino antipolio orale; Var = vaccino anti varicella;Td = tossoidi difterico e tetanico di tipo adulti, adsorbiti. Modificata da 1997 Red Book: Report of the Committee on Infectious Diseases, ed.24, edited by G. Peter. Copyright 1997, American Academy of Pediatrics, p.20; riproduzione autorizzata .

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE IMPETIGINE ED ECTIMA L’impetigine (impetigo contagiosa) è un’infezione cutanea superficiale vescicolopustolosa. L’ectima è una forma ulcerativa di impetigine.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi Terapia

Eziologia Lo Staphylococcus aureus è la più frequente causa di infezioni superficiali della cute; è una causa iniziale molto più comune dello streptococco β-emolitico di gruppo A. Lo S. aureus è il principale agente eziologico dell’impetigine bollosa che si verifica ovunque sul corpo e dell’impetigine crostosa del viso; il suo ruolo nell’ectima è differente nelle diverse parti del mondo. Si è verificato un recente aumento di foruncoli e di diverse infezioni stafilococciche più gravi. Infezioni purulente delle orecchie o delle narici possono essere sorgenti di stafilococchi, ma lo stafilococco cutaneo raramente proviene dal naso o dalla gola. Spesso si sospetta la diffusione ad altri di una infezione non trattata, ma sperimentalmente è difficile indurre l’infezione. Le braccia, le gambe e il viso sono le sedi più frequentemente interessate dall’impetigine e dall’ectima; meno interessate sono le sedi non esposte. Sia l’impetigine che l’ectima possono seguire un trauma superficiale che abbia interrotto la continuità della cute o possono essere secondarie a pediculosi, scabbia, herpes simplex o zoster, infezioni micotiche, altre dermatiti, o punture d’insetto.

Sintomi, segni e diagnosi L’impetigine si può verificare anche su cute normale, specialmente sulle gambe nei bambini. Le lesioni variano da vescicolopustole della grandezza di un pisello a lesioni vermiformi larghe, bizzarre, cercinate. Le lesioni causate dallo S. aureus progrediscono rapidamente da maculopapule a vescicolopustole o da bolle a lesioni di tipo essudativo e poi color miele, crostose, cercinate. L’ectima è caratterizzata da ulcere piccole, purulente, superficiali, perforate, con croste spesse, di colore marrone nerastro circondate da eritema. Il prurito è frequente e il grattamento può diffondere l’infezione. La diagnosi di solito si basa sulle caratteristiche cliniche.

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Infezioni nei bambini

Prognosi Un’infezione non trattata negli adulti può portare a cellulite, linfangite o foruncolosi. Nei bambini, una lesione eritematosa non trattata può persistere per mesi. Può residuare una modificazione pigmentaria con o senza cicatrice. Le lesioni dell’ectima penetrano più profondamente di quelle dell’impetigine causando ulcerazioni con successiva cicatrizzazione. Il trattamento è solitamente seguito da una pronta guarigione. A seguito di una infezione cutanea da streptococco β-emolitico di gruppo A, si può verificare nel bambino una glomerulonefrite acuta, ma non la malattia reumatica acuta; comunque, la nefrite è divenuta meno comune poiché i ceppi degli streptococchi dannosi per il rene sono meno frequenti.

Terapia L’applicazione di unguento alla mupirocina 3 volte/die si è rilevata efficace nel trattamento dell’impetigo causata da S. aureus e dallo streptococco β-emolitico del gruppo A, anche se si sono sviluppati alcuni ceppi resistenti. I pazienti che non mostrano alcuna risposta alla mupirocina nel giro di 3-5 giorni devono essere sottoposti a trattamento sistemico. Poiché la maggior parte dei casi è dovuta a stafilococchi produttori di penicillinasi, la cloxacillina o le cefalosporine di prima generazione sono farmaci di prima scelta. I soggetti allergici alla penicillina devono essere trattati con cefadroxil 30mg/kg/die PO suddiviso in 2 dosi giornaliere o cefalexina per 10 gg (50 mg/ kg die PO frazionati q 6 h nei bambini, 250 mg qid negli adulti) piuttosto che con l’eritromicina; l’aumentata frequenza di stafilococchi resistenti all’eritromicina (10-40%) ha ridotto l’efficacia di questo farmaco. La maggior parte degli streptococchi è sensibile all’eritrocina ma raramente alle tetracicline. Nel pioderma stafilococcico semplice deve essere somministrata per 10 gg una penicillina penicillinasi-resistente (p. es., cloxacillina 50 mg/kg/die PO frazionata q 6 h nei bambini o 250 mg qid negli adulti). Nell’impetigine secondaria o nell’ectima, deve essere trattata anche la causa sottostante.

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Endocardite

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 208. ENDOCARDITE ENDOCARDITE INFETTIVA Infezioni microbiche dell’endocardio, caratterizzate da febbre, soffi cardiaci, petecchie, anemia, fenomeni embolici e vegetazioni endocardiche che possono esitare in insufficienza o stenosi valvolare, ascessi miocardici o aneurismi micotici. (v. anche Febbre Reumatica nel Cap. 270)

Sommario: Introduzione Classificazione ed eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia

L’incidenza complessiva non si è modificata in misura significativa negli ultimi trent’anni. L’incidenza negli uomini è circa il doppio rispetto alle donne. Tuttavia, l’età media di insorgenza è aumentata dai 35 anni circa dell’era preantibiotica a > 50 anni. Oggi si assiste anche a un aumento dell’incidenza di endocardite del cuore destro, in associazione all’uso di stupefacenti EV e a procedimenti diagnostici e terapeutici che richiedono il cateterismo di vasi sanguigni. La cardiochirurgia e le altre tecniche invasive hanno portato a un’aumentata incidenza di endocardite in ambiente ospedaliero (10-15% in recenti casistiche).

Classificazione ed eziologia L’endocardite batterica subacuta (EBS) è di solito causata da varie specie di streptococchi (in particolare streptococchi viridans, microaerofilo e anaerobio, streptococco nonenterococco di Gruppo D ed enterococco) e, meno frequentemente, da Stafilococco aureus, S. epidermidis e da Haemophilus sp. La EBS si sviluppa spesso su valvole già danneggiate e dopo batteriemie asintomatiche da infezioni del cavo orale o da infezioni genitourinarie o gastroenteriche. L’endocardite batterica acuta (EBA) è di solito causata da S. aureus, da streptococco emolitico di Gruppo A, da pneumococco o da gonococco e da germi meno virulenti. Si può sviluppare su valvole normali. L’endocardite su protesi valvolare (EPV) si ha nel 2-3% di pazienti entro 1 anno dall’intervento di sostituzione valvolare e nello 0,5% per anno successivamente; è più comune su protesi valvolari aortiche piuttosto che mitraliche ed è meno comune su valvole biologiche ("heterograft"). Le infezioni file:///F|/sito/merck/sez16/2081893.html (1 of 6)02/09/2004 2.09.25

Endocardite

precoci (< 2 mesi dopo l’intervento) sono causate soprattutto da microrganismi resistenti agli antibiotici contratti al momento dell’intervento chirurgico (p. es. S. epidermidis, difteroidi, bacilli coliformi, Candida sp e Aspergillus sp). Le infezioni tardive sono causate soprattutto da microrganismi con bassa virulenza contratti durante l’intervento chirurgico o da batteriemie asintomatiche transitorie, sostenute spesso da Streptococcus sp, S. epidermidis, difteroidi e fastidiosi bacilli gram -, come Haemophilus sp, Actinobacillus actinomycetemcomitans e Cardiobacterium hominis. Lo S. epidermidis può essere un patogeno precoce o tardivo. L’endocardite del cuore destro, che interessa la valvola tricuspide e più raramente la valvola e l’arteria polmonare, può essere provocata dall’uso di stupefacenti EV o da infezioni associate a vie venose centrali, che facilitano l’ingresso di microrganismi e possono anche danneggiare l’endocardio. I microrganismi possono provenire dalla cute (p. es., S. aureus, Candida sp o bacilli coliformi).

Anatomia patologica Si ritiene che il nido intravascolare dei microrganismi all’interno del miocardio e dei vasi sanguigni sia una vegetazione sterile di fibrina e piastrine che si forma allorquando un fattore tissutale viene liberato dalle cellule endoteliali danneggiate. I microrganismi che colonizzano le vegetazioni vengono ricoperti da uno strato di fibrina e piastrine, che impedisce l’accesso a neutrofili, immunoglobuline e complemento, permettendo quindi ai patogeni di resistere alle difese messe in atto dall’ospite. L’endocardite infettiva interessa più spesso il cuore sinistro e può coinvolgere le valvole mitrale, aortica, tricuspide e polmonare (in ordine decrescente di frequenza). I fattori predisponenti più importanti sono le cardiopatie congenite e la valvulopatia reumatica, insieme con valvole aortiche calcifiche o bicuspidi, prolasso della mitrale, stenosi subaortica ipertrofica e protesi valvolari. Trombi murali, fistole arterovenose, difetti del setto interventricolare e persistenza del dotto arterioso possono essere sede di infezioni. Le infezioni trattate con antibiotici guariscono attraverso l’endotelizzazione delle vegetazioni. La morte è di solito dovuta allo scompenso cardiaco che si sviluppa dal peggioramento di una cardiopatia sottostante o dalla disfunzione acuta della valvola; all’embolizzazione delle vegetazioni a livello di organi vitali, con conseguenti infarti; alla rottura di un aneurisma micotico; allo shock settico nell’EBA; all’insufficienza renale o a complicanze in corso di intervento cardiochirurgico.

Sintomi e segni L’EBS ha un esordio insidioso e può mimare altre malattie sistemiche: è caratterizzata da un modesto rialzo della temperatura (< 39°C), sudorazione notturna, facile affaticabilità, malessere, perdita di peso e insufficienza valvolare. Possono inoltre verificarsi brividi e artralgie. Gli emboli possono causare ictus, infarto miocardico, ematuria e dolore al fianco, dolori addominali o insufficienza arteriosa acuta a livello di un arto. L’esame obiettivo può essere negativo o mostrare i segni di una malattia cronica, con pallore; febbre; il cambiamento di un soffio preesistente o la comparsa di un nuovo soffio cardiaco da insufficienza valvolare; tachicardia; petecchie sulla regione superiore del tronco, sulla congiuntiva, sulle mucose e sulla cute delle estremità più distali; noduli dolenti eritematosi sottocutanei sui polpastrelli delle dita (noduli di Osler); piccole emorragie sotto le unghie; emorragie retiniche (particolarmente macchia di Roth, che consistono in lesioni tondeggianti od ovali con piccoli centri pallidi). In caso di infezioni prolungate, si può sviluppare splenomegalia e dita a bacchetta di tamburo.

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Endocardite

Possono verificarsi ematuria e proteinuria in seguito a infarti embolici renali o a una glomerulonefrite diffusa, dovuta alla deposizione di immunocomplessi circolanti. Manifestazioni comuni di interessamento del SNC (in circa il 35% dei pazienti) vanno da attacchi ischemici transitori ed encefalopatia tossica ad ascessi cerebrali ed emorragie subaracnoidee da rottura di aneurismi micotici. I sintomi e i segni sono simili nella EBA e nella EBS, sebbene nel primo caso si abbia un decorso più rapido. L’EBA si caratterizza per la presenza variabile di febbre elevata, segni di tossicità acuta, rapida distruzione valvolare, ascessi dell’anello valvolare, emboli settici che sono fonte di infezione e shock settico. Si può verificare una meningite purulenta. L’EPV spesso provoca ascessi dell’anello valvolare; vegetazioni stenosanti; ascessi miocardici; aneurismi micotici che si manifestano con ostruzione o deiscenza valvolare e disturbi della conduzione cardiaca e i consueti sintomi della EBS o EBA. L’endocardite delle sezioni destre è caratterizzata da flebite settica, febbre, dolore pleuritico, emottisi, infarto polmonare settico e insufficienza tricuspidale.

Diagnosi Dal momento che i sintomi e i segni non sono specifici, ma sono molto variabili e possono essere insidiosi, la diagnosi richiede un alto indice di sospetto; il rischio è massimo in pazienti con storia di valvulopatia, in soggetti che si sono recentemente sottoposti a procedure diagnostico-terapeutiche invasive o interventi sull’arcata dentaria e nei tossicodipendenti. I rilievi clinici più costanti sono la febbre e i soffi cardiaci; sebbene fino a 15% dei pazienti possano inizialmente non presentare febbre o soffi, quasi tutti li sviluppano successivamente. Pazienti con batteriemie da microrganismi che sono frequentemente causa di endocardite infettiva devono essere esaminati attentamente e ripetutamente, per rilevare la comparsa di nuovi soffi valvolari e i segni di eventuali fenomeni embolici. Tutti i pazienti in cui si sospetta una setticemia, soprattutto quelli con febbre e soffio cardiaco, vanno sottoposti il prima possibile a emocoltura. Possono essere sufficienti da tre a cinque emocolture (ciascuna di 20-30 ml) nell’arco delle 24 h per isolare l’agente eziologico, in quanto le infezioni intravascolari presentano una batteriemia continua. L’identificazione del microrganismo e della sua sensibilità agli antimicrobici sono essenziali perché la terapia risulti effettivamente battericida. L’emocoltura può richiedere 34 settimane di incubazione per alcuni microrganismi; altri microrganismi (p. es., Aspergillus sp) possono non dare emocolture positive e per altri ancora bisogna ricorrere alla diagnosi sierologica (Coxiella burnetii, Chlamydia psittaci, Barcella sp, Rochalimaea) oppure servono speciali terreni di coltura (Legionella pneumophila). Oltre alla positività dell’emocoltura, non vi sono dati di laboratorio specifici. Emocolture negative possono indicare che l’infezione è soppressa da una precedente terapia antibiotica, oppure è sostenuta da agenti che non si sviluppano nei comuni terreni di coltura, oppure che la diagnosi è un’altra (p. es., endocardite non infettiva [v. oltre], mixomi atriali con fenomeni embolici o una vasculite). L’ecocardiografia bidimensionale transtoracica rileva le vegetazioni nel 50% dei pazienti con endocardite e può evitare il ricorso a metodiche più invasive. L’ecocardiografia transesofagea rileva le vegetazioni in > 90% dei pazienti, compresi quelli con emocolture negative e può rilevare ascessi miocardici. In caso di infezione conclamata, sono spesso presenti anemia normocitica normocromica, VES elevata, neutrofilia, aumento delle immunoglobuline, complessi immuni circolanti e fattore reumatoide.

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Endocardite

Prognosi L’endocardite infettiva non trattata è sempre fatale. Quando è trattata, la mortalità varia notevolmente a seconda dell’età e delle condizioni generali del paziente, della durata dell’infezione prima del trattamento, della gravità di malattie preesistenti, del sito di infezione, della suscettibilità dei microrganismi agli antibiotici e dell’insorgenza di complicanze. L’endocardite delle sezioni destre spesso risponde alla terapia antibiotica e ha una prognosi migliore rispetto all’endocardite delle sezioni sinistre. La mortalità attesa per l’endocardite da S. viridans, in assenza di complicanze maggiori, è < 10%, ma la mortalità è praticamente del 100% nel caso di endocardite da Aspergillus dopo intervento di sostituzione valvolare. Gli interventi di cardiochirurgia realizzati per correggere le insufficienze valvolari acute, rimuovere i corpi estranei infetti ed eliminare le infezioni resistenti, si associano a un significativo aumento della sopravvivenza. Una prognosi infausta è associata con: scompenso cardiaco, età avanzata, coinvolgimento della valvola aortica o di più valvole, vegetazioni ampie, batteriemia da diversi microrganismi, resistenza agli antibiotici, ritardo nell’inizio della terapia, infezione di valvole protesiche, aneurismi micotici, ascessi degli anelli valvolari ed eventi embolici maggiori. Per le endocarditi successive a intervento cardiochirurgico, la mortalità è maggiore nelle forme a insorgenza precoce piuttosto che in quelle a insorgenza tardiva e nelle endocarditi sostenute da miceti.

Profilassi (V. Tab. 270-1 e 270-2 per la profilassi nei bambini) Sebbene la sua efficacia non sia stata dimostrata, la profilassi antimicrobica è solitamente raccomandata nei pazienti predisposti all’endocardite infettiva che vengono sottoposti a interventi associati con batteriemia e a rischio di successiva endocardite infettiva (v. Tab. 208-1). Ad alto rischio di endocardite sono: i portatori di protesi valvolari cardiache (bioprotesi, "homograft"), i soggetti con storia di endocardite, i portatori di cardiopatie congenite cianogene complesse o i portatori di shunt o condotti chirurgici fra circolo sistemico e circolo polmonare. A rischio medio sono: i portatori della maggior parte delle altre cardiopatie congenite, di insufficienze valvolari acquisite, di cardiomiopatia ipertrofica e di prolasso valvolare mitralico con soffio o con ispessimento dei lembi valvolari. Le attuali raccomandazioni per la profilassi dell’endocardite, realizzate dall’"American Heart Association", sono riassunte nelle Tab. 208-2 e 208-3. La profilassi contro S. aureus e S. epidermidis durante interventi chirurgici sulle valvole cardiache consiste di solito nella somministrazione di cefazolina 2 g EV durante l’induzione dell’anestesia e successivamente 2 g EV q 8 h per un totale di 3-6 dosi. Se sono frequenti infezioni postoperatorie sostenute da germi resistenti alla cefazolina, possono rendersi necessari altri antibiotici.

Terapia Una terapia valida richiede il mantenimento di elevati livelli sierici di un antibiotico efficace e la terapia chirurgica delle complicanze meccaniche e dei microrganismi resistenti. Schemi di terapia antibiotica: la maggior parte degli streptococchi viridans, gli streptococchi microaerofili e anaerobi e gli streptococchi non enterococchi di gruppo D è sensibile alla penicillina (concentrazione minima inibente [MIC] della penicillina G 0,1 µg/ml). Penicillina G (12-18 milioni U/die EV in file:///F|/sito/merck/sez16/2081893.html (4 of 6)02/09/2004 2.09.25

Endocardite

somministrazione continua o in dosi refratte q 4 h) e penicillina-procaina G (1,2 milioni U im q 6 o 12 h per 4 sett) danno risultati equivalenti. Se viene contemporaneamente somministrata gentamicina (1 mg/kg/IM, fino a un massimo di 80 mg, q 8 h), il periodo di terapia deve essere ridotto a 2 settimane. In pazienti allergici alla penicillina si può somministrare con cautela il ceftriaxone, se non c’è storia di pregressa reazione anafilattica alla penicillina o, in alternativa, si può somministrare la vancomicina. Il ceftriaxone (2 g EV una volta al giorno per 4 settimane, attraverso una via centrale) può essere una terapia domiciliare conveniente ed efficace. I protocolli di terapia orale sono meno affidabili e non devono essere usati senza stretto monitoraggio dei livelli sierici del farmaco per assicurarsi che l’assorbimento gastro-intestinale del farmaco sia adeguato. Gli enterococchi e alcuni altri ceppi di streptococco (inclusi i fastidiosi streptococchi viridans che richiedono la piridossina) sono streptococchi resistenti alla penicillina (MIC della penicillina G > 0,1 µg/ml) e richiedono l’associazione di una penicillina (o vancomicina) e di un aminoglicoside. Circa il 40% dei ceppi di enterococco è resistente alla streptomicina e va trattato con penicillina più gentamicina. La resistenza alla gentamicina è un problema terapeutico in aumento nelle endocarditi enterococciche in ambiente ospedaliero. Penicillina G (18-30 milioni U/ die EV) o ampicillina (12 g/die EV in infusione continua o q 4 h) vanno associate a gentamicina (1 mg/kg EV: la dose va calcolata sulla base del peso corporeo ideale piuttosto che reale negli obesi) q 8 h per 4-6 sett. I pazienti affetti da un’infezione enterococcica che perduri da > 3 mesi, con voluminose vegetazioni o con vegetazioni su protesi valvolari, vanno trattati per 6 sett. I soggetti allergici alla penicillina possono essere desensibilizzati o trattati con vancomicina 15 mg/ kg EV (fino a 1 g) q 12 h più gentamicina. Le endocarditi da pneumococco o streptococco di gruppo A vanno trattate con penicillina G alla dose di 10-20 milioni U/die EV per 4 sett. L’endocardite da S. aureus va trattata con penicillina G (15-24 milioni U/die EV), qualora il ceppo non produca β-lattamasi. Il 95% dei ceppi è resistente alla penicillina e va trattato con una penicillina penicillinasi-resistente (oxacillina o nafcillina) alla dose di 2 g EV q 4 h per 4-6 sett. Ceppi stafilococcici resistenti alle penicilline penicillinasi-resistenti sono anche resistenti alle cefalosporine, sebbene la resistenza possa essere di difficile dimostrazione mediante i test di routine. Stafilococchi resistenti alla oxacillina o alla nafcillina vanno trattati con vancomicina (15 mg/ kg EV q 12 h). Le infezioni sensibili alla oxacillina o alla nafcillina in pazienti allergici alla penicillina possono essere trattate con cautela con cefazolina (2 g EV q 8 h), se non c’è storia di anafilassi da penicillina, o con vancomicina. Poiché l’endocardite da S. epidermidis si verifica soprattutto in pazienti portatori di protesi valvolari, può rendersi necessaria tanto una terapia farmacologica quanto la terapia chirurgica. I ceppi sensibili alla penicillina o alla oxacillina vanno trattati come specificato in precedenza per lo S. aureus, ma per 6-8 settimane. L’ixacillina o la nafcillina vanno associate alla rifampicina (300 mg PO ogni 8 h) e alla gentamicina (1 mg/ kg EV ogni 8 h). Ceppi resistenti alla oxacillina vanno trattati con vancomicina (15 mg/kg EV q 12 h) più gentamicina (1 mg/kg ogni 8 h) e rifampicina (300 mg PO q 8 h per 6-8 sett). I microrganismi del gruppo HACEK (Haemophilus parainfluenzae, H. aphrophilus, Actinobacillus actinomycetemcomitans, Cardiobacterium hominis, Eikenella corrodens, Kingella kingae) vanno trattati con ceftriaxone (2 g/die EV per 4 sett.) o ampicillina più gentamicina per 4 sett., alle stesse dosi utilizzate nelle infezioni enterococciche. Le infezioni sostenute da bacilli coliformi sono spesso resistenti agli antibiotici e vanno trattate per ≥ 4 sett. con un farmaco β-lattamico cui il germe sia sensibile più un aminoglicoside. Chirurgia delle valvole cardiache: la chirurgia delle valvole cardiache (riparazione e/o sostituzione della valvola) è spesso necessaria per eradicare un’infezione non controllabile con la terapia medica, soprattutto in caso di comparsa precoce di endocardite su protesi valvolare. Il momento giusto per l’intervento chirurgico va scelto sulla base del giudizio clinico di uno specialista con particolare esperienza nel settore. Può rendersi necessario un intervento chirurgico d’urgenza, nel caso in cui uno scompenso cardiaco causato da una

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lesione correggibile peggiori progressivamente (in particolare quando l’agente eziologico è lo S. aureus o un bacillo gram - o un fungo), ma l’intervento deve comunque essere preceduto da una terapia antibiotica ottimale per 24-72 h. Risposta alla terapia: i pazienti con endocardite infettiva da ceppi di streptococco sensibili alla penicillina presentano di solito un miglioramento soggettivo e hanno una riduzione della febbre entro 3-7 giorni dall’inizio della terapia. La febbre può comunque persistere per ragioni diverse dalla persistenza di un’infezione attiva (p. es., allergia al farmaco, flebite o infarto embolico). L’endocardite infettiva stafilococcica risponde spesso più lentamente. Emboli sterili e rottura valvolare si possono verificare sino a un anno dopo terapia antimicrobica efficace. Una recidiva si verifica di solito entro 4 sett; un nuovo ciclo di terapia antibiotica può essere efficace, ma può anche essere necessario l’intervento chirurgico. La ricomparsa di un’endocardite infettiva dopo 6 sett. in pazienti non portatori di protesi valvolari rappresenta di solito una nuova infezione piuttosto che una recidiva.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO FEBBRE REUMATICA Si tratta di una complicanza acuta infiammatoria non suppurativa di una infezione da streptococco di gruppo A, caratterizzata soprattutto da artrite, corea o cardite (con possibile cardiopatia residua) presenti da sole o in combinazione; anche la pelle può essere coinvolta (noduli sottocutanei ed erythema marginatum). (V. anche Corea di Sydenham nel Cap. 271)

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Analisi patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

Eziologia ed epidemiologia Lo streptococco di gruppo A è il precursore eziologico, anche se il ruolo di fattori costituzionali e ambientali è sconosciuto. La predisposizione familiare è considerevole. La malnutrizione, il sovraffollamento e uno stato socio-economico basso sembrano predisporre alle infezioni streptococciche e ai conseguenti episodi reumatici. La febbre reumatica (FR) si verifica soprattutto durante l’età scolare; il primo episodio è raro prima dei 4 anni e infrequente dopo i 18 anni. L’esatta incidenza della FR acuta è difficile da determinare perché la maggior parte dei pazienti dei Paesi sottosviluppati non si sottopone a cure mediche, in particolare quelli che presentano soltanto una lieve cardite asintomatica. Negli USA, l’incidenza è probabilmente pari a 1/ 100000. Tuttavia, l’incidenza della FR tra le persone non trattate va dallo 0,1% al 3% degli affetti da infezioni streptococciche. L’incidenza si avvicina al 50% nelle persone non trattate con una storia di FR che si ammalano di faringite streptococcica. È difficile da determinare anche l’incidenza della cardiopatia reumatica, poiché i criteri clinici diagnostici non sono ben standardizzati e le autopsie non vengono eseguite di routine. Anche se la FR è frequente nei Paesi sottosviluppati, le percentuali di incidenza si sono ridotte recentemente nella maggior parte dei Paesi sviluppati. Tuttavia, la riduzione reale dell’incidenza dovuta alla terapia antibiotica è difficilmente separabile dal decremento apparente dovuto all’uso di criteri diagnostici più specifici. Per ragioni sconosciute, la febbre reumatica è una malattia relativamente rara negli USA, anche nei casi in cui la faringite streptococcica non viene trattata; comunque, alcuni studi indicano una sua ricomparsa. Sono stati riportati focolai di riaccensione negli anni Ottanta nello Utah e nell’Ohio e negli anni Novanta in Pensylvania. Sorprendentemente, i casi hanno interessato principalmente i

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bambini bianchi della "middle class" che abitavano in aree suburbane o rurali. In questi casi era prevalente uno streptococco di gruppo A mucoide di tipo M 18; questo tipo è stato associato in precedenza alla febbre reumatica, ma è diventato poco comune negli USA da parecchi decenni. Un’epidemia è stata anche riportata in un campo militare nel 1989; 3 uomini adulti su 10 affetti dalla malattia hanno sviluppato la cardite. Ceppi più virulenti di streptococco sembra che stiano ricomparendo negli USA e l’incidenza può aumentare nei prossimi anni.

Analisi patologica L’istopatologia della malattia reumatica è difficile da valutare, dal momento che un numero limitato di pazienti muoiono durante l’attacco acuto. Interessamento articolare: le biopsie delle membrane sinoviali infiammate mostrano edema e iperemia aspecifici; Interessamento cerebrale: nel cervello di pazienti morti per un episodio acuto di corea o anni dopo è stata trovata soltanto iperemia. Interessamento cardiaco: il coinvolgimento delle valvole costituisce l’effetto patologico più caratteristico e potenzialmente pericoloso. La valvulite interstiziale acuta può causare edema valvolare. In assenza di trattamento si possono verificare ispessimento valvolare, fusione e retrazione o altri tipi di distruzione dei lembi e delle cuspidi, che sono responsabili di una stenosi o di un’insufficienza valvolare. Un tale interessamento può accorciare, ispessire o fondere le corde tendinee, il che aggrava l’insufficienza di una valvola danneggiata o provoca l’insufficienza in una valvola altrimenti non colpita. Un terzo meccanismo di insufficienza può essere la dilatazione degli anelli valvolari. Gli effetti più comuni sui lembi delle valvole mitrale e tricuspidale sono l’insufficienza e la stenosi; di solito la valvola aortica diviene inizialmente insufficiente e soltanto in seguito stenotica. La valvola mitrale è quella più comunemente coinvolta, la valvola aortica lo è spesso, le valvole tricuspidale e polmonare raramente. I corpi di Aschoff sono spesso rilevabili nel miocardio e in altre parti del cuore dei pazienti con cardite. Una pericardite fibrinosa aspecifica, talvolta con versamento, si osserva soltanto in pazienti con infiammazione endocardica e quasi sempre guarisce senza danno permanente. Interessamento cutaneo: gli esami bioptici dei noduli sottocutanei mostrano alcune caratteristiche che ricordano i corpi di Aschoff, ma nessun elemento può distinguere tali noduli da quelli della AR. L’eritema marginato non presenta lesioni istopatologiche specifiche.

Sintomi e segni Le cinque manifestazioni principali della febbre reumatica sono poliartrite migrante, corea, cardite, noduli sottocutanei ed eritema marginato. Queste possono presentarsi da sole o in associazione e dar luogo a molti quadri clinici. Le manifestazioni cutanee e sottocutanee sono rare e non si presentano quasi mai da sole; generalmente si sviluppano in pazienti che presentano già artrite, corea o cardite. La febbre è importante ma aspecifica. La poliartrite migrante è la manifestazione clinica più frequente, benché possa verificarsi una monoartrite. Le articolazioni diventano estremamente dolenti e dolorabili e possono anche diventare rosse, calde e tumefatte, talvolta con versamento. Caviglie, ginocchia, gomiti e polsi sono le articolazioni coinvolte più comunemente. Possono anche essere interessate le spalle, le anche e le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, quasi mai da sole. Quando sono colpite le file:///F|/sito/merck/sez19/2702564.html (2 of 6)02/09/2004 2.09.26

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articolazioni vertebrali bisogna sospettare altre patologie. Il dolore articolare e la febbre di solito scompaiono entro 2 sett. e spesso più rapidamente; soltanto di rado perdurano > 1 mese. In assenza di cardite, la VES (v. più avanti: Esami di laboratorio) generalmente diventa normale entro 3 mesi. Sintomi simil-artralgia possono essere legati a una mialgia aspecifica o a dolore dei tendini della zona pararticolare; nei punti di inserzione dei muscoli si può sviluppare una tenosinovite. Questi sintomi possono essere distinti dall’artralgia della AR per l’assenza di dolorabilità durante il movimento passivo dell’articolazione interessata. La contrazione isometrica dei muscoli o dei tendini vicini riproduce spesso il dolore. La corea può presentarsi da sola o con altre manifestazioni reumatiche (v. Corea di Sydenham nel Cap. 271). La cardite può verificarsi da sola o in combinazione con sfregamenti pericardici, soffi, dilatazione cardiaca o insufficienza cardiaca. Nei primi attacchi di febbre reumatica la cardite si riscontra in circa il 50% dei pazienti con artrite. In assenza di artrite (o di corea), un paziente con cardite richiederà un intervento medico soltanto in caso di febbre abbastanza elevata, di pericardite dolorosa o se uno scompenso cardiaco causa manifestazioni respiratorie, periferiche o addominali. D’altro canto, in circa il 50% degli adulti affetti il danno cardiaco può essere scoperto soltanto molto più tardi. I soffi cardiaci costituiscono la manifestazione più frequente della cardite e in genere si evidenziano alla prima visita del paziente. Il soffio diastolico dolce dell’insufficienza aortica (ben udibile lungo il tratto parasternale inferiore sinistro) e il soffio presistolico della stenosi mitralica (il cui focolaio è sopra o medialmente all’apice) possono essere rilevati con difficoltà. Se non c’è peggioramento nelle 2-3 sett. successive, raramente si avranno nuove manifestazioni carditiche in seguito. Visto che i soffi cardiaci spesso non scompaiono e che sono rari nuovi fenomeni cardiaci, i migliori indici della risposta terapeutica sono le manifestazioni infiammatorie e non quelle cardiache. I test di laboratorio della flogosi acuta, compresa la VES, si normalizzano generalmente entro 5 mesi nella cardite non complicata. La febbre reumatica non sembra provocare una cardite cronica e subdola. Le cicatrici che residuano dopo il danno valvolare acuto possono contrarsi e modificarsi, con conseguenti difficoltà emodinamiche secondarie nel miocardio, anche senza la persistenza di una flogosi acuta. Lo scompenso cardiaco in bambini affetti da malattia acuta può non essere diagnosticato perché può provocare sintomi diversi da quelli degli adulti. I sintomi presenti nei bambini possono essere dispnea senza rantoli, nausea e vomito (dovuti a iperemia gastrica), dolore epigastrico o al quadrante superiore destro dell’addome (dovuto a distensione della capsula epatica) e una tosse stizzosa non produttiva (dovuta a congestione polmonare). I noduli sottocutanei, che si evidenziano molto frequentemente sulle superfici estensorie delle grandi articolazioni, si associano generalmente alla cardite. Di solito tali noduli sono indolori, transitori e rispondono alla terapia per l’artrite o la cardite concomitante. L’eritema marginato è un rash cutaneo serpiginoso, piano, indolore e che non lascia cicatrici. È transitorio e dura a volte < 1 giorno. La sua comparsa è spesso successiva all’infezione streptococcica. Se compare nel momento (o anche dopo) in cui si riducono le altre manifestazioni dell’infiammazione reumatica, non va considerato erroneamente come il segno di un nuovo attacco. Altre manifestazioni possono comprendere dolori addominali e anoressia, o per il meccanismo epatico riportato sopra per lo scompenso cardiaco o a causa di una concomitante adenite mesenterica. Per la presenza di leucocitosi e di difesa addominale, il quadro può assomigliare a quello di un’appendicite acuta, file:///F|/sito/merck/sez19/2702564.html (3 of 6)02/09/2004 2.09.26

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specialmente se mancano altre manifestazioni reumatiche. La sonnolenza, il malessere generale o l’affaticabilità, spesso attribuiti alla febbre reumatica, possono essere provocati dall’insufficienza cardiaca. La polmonite o la pleurite "reumatica" non sono più considerate manifestazioni specifiche. Attacchi prolungati di FR ( 8 mesi) si verificano in circa il 5% dei pazienti, con episodi spontaneamente ricorrenti di flogosi (manifestazioni cliniche e laboratoristiche) non correlati a una infezione streptococcica intercorsa o all’interruzione della terapia antiinfiammatoria. Questi episodi ricorrenti nell’ambito di un attacco reumatico prolungato si associano con maggiore probabilità alla cardite.

Esami di laboratorio Gli indici di flogosi sistemica sono la VES e la proteina C-reattiva. Con il metodo Westergren, la VES è spesso più elevata di 120 mm/h. La conta del leucociti raggiunge valori di 12000-20000/ µl e può salire ancora con la terapia cortisonica. I livelli sierici di proteina C-reattiva sono abnormemente alti; poiché tale parametro aumenta e diminuisce più rapidamente della VES, un risultato negativo è utile per confermare l’assenza di flogosi in un paziente con incremento protratto della VES dopo la risoluzione di un attacco acuto. Indici di flogosi locale si ritrovano nel liquido sinoviale, anche se l’aspirazione è raramente necessaria per la diagnosi o per guidare la terapia. Il liquido sinoviale è in genere chiaro e giallo, con una conta dei GB elevata composta fondamentalmente da polimorfonucleati; la coltura è negativa. Le alterazioni ECG comprendono l’allungamento del PR, che è la più comune alterazione ma non è ben correlata alla prognosi o ad altra evidenza di cardite. L’allungamento del PR riflette il ritardo della conduzione elettrica atrioventricolare in circa il 30% dei pazienti con FR. Altre anomalie elettrocardiografiche possono essere dovute alla pericardite, alla dilatazione dei ventricoli o degli atri o ad aritmie cardiache.

Diagnosi Non esistono singole analisi o altri dati patognomonici. La diagnosi si basa solitamente sui criteri modificati di Jones che richiedono l’evidenza di un’infezione recente da streptococco di gruppo A (scarlattina, tampone faringeo positivo, titolo di anti-streptolisina O o di altri anticorpi anti-streptococco elevati) insieme a due delle cinque manifestazioni maggiori già citati sotto la voce "Sintomi e segni", oppure una manifestazione maggiore e due minori (che comprendono febbre, artralgia, storia precedente di FR, aumento della VES o della proteina C-reattiva, leucocitosi e intervallo PR allungato). La diagnosi differenziale comprende la gotta, l’anemia falciforme, la leucemia, il LES, l’endocardite embolica batterica, la malattia da siero, la malattia di Kawasaki, le reazioni da farmaci, l’artrite traumatica e l’artrite gonococcica; tutte possono essere generalmente distinte dalla febbre reumatica in base all’anamnesi e a test di laboratorio specifici. L’AR giovanile sistemica (v. più avanti) a volte ha un esordio relativamente improvviso, talora con interessamento cardiaco e può essere confusa con la FR. I pazienti con AR sistemica giovanile non producono il fattore reumatoide o anticorpi antinucleo e quindi gli esami sierologici non sono utili. L’assenza di una pregressa infezione streptococcica e il lungo decorso clinico di un episodio artropatico fanno generalmente distinguere l’AR dall’artrite reumatica. La cardite reumatica deve essere distinta dalle cardiopatie congenite, che presentano soffi caratteristici e frequentemente cianosi; per verificare diagnosi file:///F|/sito/merck/sez19/2702564.html (4 of 6)02/09/2004 2.09.26

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difficoltose si può ricorrere all’ecocardiografia, al cateterismo cardiaco o all’angiografia. Un quadro patologico raro che mima la cardiopatia reumatica e che viene segnalato sempre più spesso è la fibroelastosi subendocardica, che può essere sospettata quando non esistono prove evidenti di lesioni reumatiche o congenite.

Prognosi La prognosi dipende dalla gravità della cardite iniziale. I pazienti che presentano una cardite grave durante l’episodio acuto possono avere come reliquato una cardiopatia, che spesso può peggiorare con gli attacchi reumatici ricorrenti, ai quali essi sono particolarmente esposti. I soffi possono scomparire in circa la metà dei pazienti in cui gli episodi acuti si sono manifestati con una cardite lieve, senza notevole dilatazione cardiaca o scompenso. Il rischio di recidive è intermedio, tra il basso rischio dei pazienti senza cardite e l’alto rischio di quelli con storia di grave cardite, ma le ricadute possono causare un danno cardiaco permanente o aggravarne uno già esistente. I pazienti che non hanno avuto cardite presenteranno con minore probabilità recidive reumatiche ed è improbabile che essi sviluppino la cardite durante le recidive. Tutte le altre manifestazioni della FR scompaiono senza danni residui.

Terapia I pazienti generalmente dovrebbero limitare l’attività fisica a seconda dei sintomi: artrite, corea o insufficienza cardiaca. In assenza di cardite non è necessario limitare l’attività fisica oltre la fine dell’episodio acuto. Nei pazienti asintomatici con cardite, il riposo assoluto a letto non si è dimostrato utile e può portare a reazioni psicologiche indesiderate. Le limitazioni fisiche per ridurre o eliminare i sintomi sembrano consigliabili soltanto ai pazienti con insufficienza cardiaca sintomatica. Nei pazienti affetti unicamente da artrite, la terapia mira ad alleviare il dolore. Nei casi lievi sono sufficienti la codeina o un altro analgesico, come un FANS in dosi relativamente basse. Nei casi più gravi, può essere richiesto l’uso aggressivo di farmaci antiinfiammatori. L’aspirina viene somministrata ai dosaggi più alti finché non si raggiunge l’efficacia clinica o la tossicità. La determinazione dei livelli ematici o urinari di salicilati aiuta soltanto a prevenire gli effetti tossici. La posologia iniziale di aspirina per i bambini e per gli adolescenti è di 60 mg/kg (circa 30 mg/lb) divisi in 4 somministrazioni giornaliere orali. Se non è sufficiente per tutta la notte, la posologia viene aumentata a 90 mg/kg in seconda giornata e a 120 mg/kg in terza giornata. Le dosi maggiori possono essere ripartite in 5 o 6 somministrazioni/die. Preparati di salicilati complessi, tamponati o rivestiti di pellicole per limitarne i danni gastrici, non sembrano di nessun vantaggio sull’aspirina comune. Le reazioni gastriche locali possono essere evitate (o trattate) assumendo il farmaco durante i pasti e/o ingerendo latte o antiacidi 1/2 h dopo l’aspirina. La tossicità da salicilati si manifesta con tinniti, cefalea o tachipnea e può non presentarsi fino a oltre 1 sett. o più dal momento in cui si è definito il dosaggio. Il trattamento degli effetti tossici implica la riduzione del dosaggio, se il farmaco appare efficace, o l’interruzione della terapia. Anche altri FANS possono essere utilizzati nei bambini. Gli intervalli tra le dosi sono più lunghi e la tossicità, che comprende tinniti ed epatite, può essere inferiore. Il naprossene e l’indometacina sono disponibili sotto forma di sciroppo e di compresse. Il naprossene si somministra bid fino a di 20 mg/kg/die. L’indometacina si somministra tid fino a 3 mg/kg/die. Nonostante questi farmaci non siano ancora stati sottoposti a uno studio controllato verso l’aspirina, sembrano ottenere risultati sovrapponibili. Se non si sono verificati degli effetti terapeutici dopo il quarto giorno, l’aspirina o un altro FANS devono essere sostituiti da un corticosteroide. file:///F|/sito/merck/sez19/2702564.html (5 of 6)02/09/2004 2.09.26

Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Nei pazienti con cardite, l’obiettivo è interrompere l’infiammazione evitando contemporaneamente la riaccensione. L’aspirina o un altro FANS sono farmaci di prima scelta; dopo 8 sett. di terapia, le riacutizzazioni si verificano di rado e gli effetti collaterali sono meno importanti di quelli di un trattamento con corticosteroidi ad alte dosi. Tuttavia, in caso di cardite grave, in particolare con scompenso cardiaco, l’aspirina può essere inefficace; i corticosteroidi devono quindi essere iniziati subito. Il prednisone può essere utilizzato alla dose di 0,52 mg/kg/die PO fino a 60 mg/die q 6 o 12 ore. Se la flogosi non viene interrotta dopo 2 giorni, il metilprednisolone succinato alla dose di 30 mg/kg/die EV in 3 giorni successivi può essere introdotto come farmaco sostitutivo. Si deve quindi riprendere la dose orale totalmente soppressiva di corticosteroide finché la VES non rimane entro i limiti della norma per 1 sett. o più ed è poi scalata di 5 mg q 2 giorni. Per prevenire la riacutizzazione, i FANS vengono somministrati contemporaneamente e vengono continuati fino a 2 sett. dopo l’interruzione del corticosteroide. Un episodio di riacutizzazione caratterizzato solo da febbre o dolore articolare spesso si interrompe spontaneamente, ma la terapia antiinfiammatoria deve essere ripresa in caso di insufficienza cardiaca non controllata da farmaci cardiotonici come la digossina. Nei pazienti con attacchi di cardite prolungati, che ricorrono spontaneamente, può essere efficace la terapia con farmaci immunosoppressori. Sebbene l’infiammazione post-streptococcica sia ben sviluppata al momento della diagnosi di FR, gli antibiotici sono utili per rimuovere qualsiasi microrganismo residuo. Schemi terapeutici appropriati sono riportati sotto la voce Infezioni streptococciche nel Cap. 157. La profilassi anti-streptococcica deve essere mantenuta continuamente dopo un attacco di FR (o di corea), per prevenire le recidive. L’uso di benzatinpenicillina G in una singola iniezione IM mensile di 1. 200. 000 U è molto efficace, ma le iniezioni sono dolorose ed è necessario il controllo medico ogni mese. La sulfadiazina, in singola somministrazione orale di 1 g/ die (500 mg/die in pazienti con peso 27 kg), è efficace quanto altri farmaci orali, compresa la penicillina G 400000 U bid o la penicillina V 250 mg bid. La durata ottimale della profilassi anti-streptococcica non è ben definita. Alcuni esperti ritengono che la profilassi debba essere effettuata per tutta la vita dei pazienti con febbre reumatica o corea o finché essi hanno contatti stretti con bambini che sono frequentemente portatori di streptococchi di gruppo A. Altri raccomandano di proseguire la profilassi solo per i primi anni dopo un attacco acuto in tutti i pazienti con meno di 18 anni e per tutta la vita soltanto nei pazienti con gravi danni cardiaci. Nei soggetti con danno cardiaco lieve (cioè con soffi ma senza cardiomegalia o scompenso) la profilassi può essere mantenuta; se essa viene interrotta, è richiesto il precoce trattamento delle infezioni streptococciche. Nei pazienti con malattia valvolare reumatica accertata o sospetta si deve eseguire una profilassi contro l’endocardite batterica in caso di procedure odontoiatriche o di chirurgia orale che possono causare sanguinamento gengivale, in caso di interventi chirurgici sul tratto respiratorio superiore e in caso di interventi chirurgici o strumentali sugli apparati GU e GI basso. Le Raccomandazioni della Associazione Americana di Cardiologia sono riportate nelle Tab. 270-1 e 270-2.

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Malattie neurologiche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 271. MALATTIE NEUROLOGICHE COREA DI SYDENHAM (Corea minor; corea reumatica; ballo di San Vito) Malattia del SNC, spesso a esordio insidioso ma di durata definita, caratterizzata da movimenti involontari non ripetitivi e afinalistici, che scompare senza residui neurologici.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e incidenza Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Terapia

Eziologia, epidemiologia e incidenza La corea di Sydenham è generalmente considerata una complicanza infiammatoria della infezione da streptococco β-emolitico di gruppo A, che causa la febbre reumatica (v. anche Febbre Reumatica nel Cap. 270). La corea interessa fino al 10% dei casi di febbre reumatica. La malattia è probabilmente immuno-mediata: gli antigeni streptococcici sono simili agli antigeni del tessuto neuronale e gli anticorpi cross-reattivi si legano al tessuto nervoso e innescano, così, la cascata infiammatoria e il danno tissutale. La malattia è più comune nelle femmine che nei maschi e nell’infanzia. Tale rapporto di incidenza è ancora più accentuato nell’adolescenza, dato che le popolazioni colpite sono composte quasi esclusivamente da femmine. La corea colpisce di solito (nei climi temperati) in estate e nel primo autunno, dopo il picco di incidenza della febbre reumatica in primavera e nell’inizio dell’estate.

Sintomi e segni Dopo l’infezione streptococcica, l’intervallo di tempo prima dell’esordio dei sintomi (talvolta anche fino a 12 mesi) è maggiore di quello necessario per altre manifestazioni della febbre reumatica e la corea può insorgere quando (o dopo) altri segni clinici e di laboratorio si normalizzano. Essa tipicamente non si verifica contemporaneamente all’artrite, ma compare frequentemente con la cardite. Il paziente presenta movimenti rapidi, afinalistici, non ripetitivi, involontari che spariscono nel sonno e possono interessare tutti i muscoli tranne quelli oculari. I movimenti volontari sono improvvisi, con scarsa coordinazione. Frequenti sono le smorfie del volto. Nei casi lievi, il paziente può apparire goffo e avere leggere difficoltà nel vestirsi e nel mangiare. L’esame neurologico non mostra nessun difetto della forza muscolare o della percezione sensoriale, con l’eccezione a volte del riflesso rotuleo. Il decorso è variabile e difficile da valutare con precisione, poiché il suo esordio è insidioso e la sua scomparsa graduale. Può trascorrere anche più di un mese file:///F|/sito/merck/sez19/2712582.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.27

Malattie neurologiche

prima che i movimenti anomali divengano abbastanza intensi da indurre il paziente o i genitori a consultare un medico. La situazione può risolversi entro altri 3 mesi, ma occasionalmente dura 6-12 mesi.

Esami di laboratorio e diagnosi Nella corea non si evidenziano caratteristiche di laboratorio particolari, eccetto l’evidenza occasionale di una pregressa infezione streptococcica. Non esistono di solito alterazioni del LCR e l’EEG non mostra nulla oltre disritmie aspecifiche. La diagnosi spesso è solamente clinica. I movimenti irregolari e involontari di questo disordine sono patognomonici. Sono simili a quelli della paralisi cerebrale ma possono essere distinti per l’esordio recente. Altre condizioni da differenziare sono gli spasmi abituali, che sono ripetitivi, e i movimenti dei bambini ipercinetici, che sono invece intenzionali. La corea di Huntington si associa di solito a un’anamnesi familiare positiva e si presenta in età adulta. Gli effetti collaterali simil-parkinsoniani dei tranquillanti, somministrati per controllare un bambino iperattivo, possono mascherare la diagnosi della corea finché non si interrompe la terapia e non si possono notare i movimenti coreici non alterati. La corea può anche comparire nel LES. La corea a esordio tardivo è l’unica situazione in cui i criteri di Jones (v. il Cap. 270) non devono essere rispettati per effettuare la diagnosi di febbre reumatica. Questo è possibile perché la corea può verificarsi molti mesi dopo l’esposizione allo streptococco, in un momento in cui l’artrite, la cardite e l’evidenza di una precedente infezione streptococcica sono assenti.

Terapia Nei casi estremi può essere necessario sedare pesantemente il paziente e proteggerlo per evitare i danni che può arrecarsi da solo con i movimenti incontrollati e a scatto delle braccia e delle gambe. Nessun farmaco è realmente efficace. Quando i movimenti patologici sono gravi, una benzodiazepina o un farmaco antipsicotico come l’aloperidolo o il risperidone devono essere somministrati alla dose minima efficace per ridurre i movimenti. Il dosaggio delle benzodiazepine è il seguente: diazepam da 0,04 a 0,1 mg/kg/dose PO q 6 ore nei bambini e da 2 a 10 mg/dose PO q 6 ore negli adulti; lorazepam 0,05 mg/kg/ dose PO q 8 ore nei bambini e da 1 a 2 mg PO q 8 ore negli adulti. L’aloperidolo può essere utile per i movimenti coreici gravi alla dose di 0,01-0,03 mg/kg/ die PO bid o tid, ma può causare discinesia tardiva. Il risperidone comporta un rischio più basso di discinesia tardiva, ma l’uso è approvato dalla FDA solo per gli adulti. La dose è di 0,5 mg bid, successivamente somministrata con incrementi di 0,5 mg finché non si raggiunge il controllo della malattia. Se questi farmaci non sono efficaci, si può somministrare un corticosteroide, ai dosaggi descritti per la febbre reumatica (v. nel Cap. 270). Benché gli studi di supporto siano scarsi, alcune segnalazioni e considerazioni teoriche suggeriscono che i corticosteroidi possono aiutare ad accelerare il miglioramento. La corea deve essere ritenuta e trattata come un evento transitorio. I pazienti, i genitori e altre persone (p. es., amici, infermieri, insegnanti e compagni di scuola) devono essere rassicurati che la malattia scomparirà senza danni residui e che la temporanea compromissione delle funzioni motorie non influenzerà le capacità intellettive. I pazienti devono interrompere la frequenza scolastica soltanto se i movimenti sono gravi e incontrollabili, ma devono fare ritorno a scuola non appena sono in grado di eseguire i movimenti necessari per la deambulazione e le disfunzioni residue sono minime. Molti dei cosiddetti effetti psicologici precedentemente attribuiti alla corea sono dovuti non alla malattia in sé ma alla mancata frequenza scolastica, all’ansia e allo sgomento del paziente stesso per i movimenti bizzarri e per le reazioni che essi provocano nelle persone che ignorano questa malattia.

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Malattie neurologiche

Nei pazienti con corea attiva è di rado presente un interessamento cardiaco grave che può essere curato come descritto per la febbre reumatica (v. nel Cap. 270). Dopo la fine di un attacco la profilassi antistreptococcica va protratta come descritto per la febbre reumatica, per prevenire le recidive di corea.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA COCCHI GRAM+ INFEZIONI STREPTOCOCCICHE (v. anche Febbre Reumatica nel Cap. 270)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio Prognosi e terapia

Nelle colture su agar-sangue di pecora, gli streptococchi β-emolitici producono zone di emolisi chiara attorno alle colonie, gli streptococchi α-emolitici (comunemente denominati Streptococcus viridans) sono circondati da un alone verdastro determinato da un’emolisi incompleta; gli streptococchiγ-emolitici non sono emolitici. Un’altra classificazione, basata sui carboidrati presenti nella parete cellulare, distingue gli streptococchi nei gruppi di Lancefield da A ad H e da K a T. Gli streptococchi β-emolitici del gruppo A (S. pyogenes) costituiscono la specie più virulenta nell’uomo e provocano faringite, tonsillite, lesioni e infezioni cutanee, setticemia, scarlattina, polmonite, febbre reumatica e glomerulonefrite. Gli streptococchi del gruppo B β-emolitici, conosciuti anche come S. agalactiae, causano gravi infezioni, in particolare sepsi neonatali, sepsi del post-partum, endocarditi e artriti settiche. Gli Streptococchiβ-emolitici di gruppo C e G sono microrganismi simili allo S. pyogenes che vengono distinti in base al sierogruppo e alla resistenza alla bacitracina. Essi sono spesso veicolati da animali e nell’uomo possono colonizzare il faringe, il tratto intestinale, la vagina e la cute. Tali germi possono causare gravi infezioni suppurative, incluse faringite, polmonite, cellulite, piodermite, erisipela, impetigine, infezioni delle ferite chirurgiche, sepsi puerperale, sepsi neonatale, endocardite, artrite settica e glomerulonefrite poststreptococcica. Per la terapia sono efficaci penicillina, vancomicina, cefalosporine ed eritromicina ma l’antibiogramma può guidare il trattamento, soprattutto nei soggetti più gravi, immunocompromessi o debilitati o in quelli con corpi estranei nel sito dell’infezione. La chirurgia, in aggiunta alla terapia antimicrobica, può salvare la vita. Il gruppo D (generalmente α- o γ-emolitici) comprende gli enterococchi E. faecalis, E. durans ed E. faecium (precedentemente S. faecalis, S. durans, S. faecium) e gli streptococchi di gruppo D non-enterococchi, dei quali lo S. bovis e lo S. equinus sono i più diffusi. La maggior parte delle infezioni umane determinate dal gruppo D è causata da E. faecalis, E. faecium o S. bovis. Come gli enterococchi lo S. bovis si ritrova frequentemente nel tratto GI. Lo S. bovis è un’importante causa di endocardite batterica, soprattutto in presenza di una neoplasia intestinale o di altre lesioni importanti. Lo S. bovis è relativamente sensibile agli antibiotici, nonostante gli enterococchi siano molto resistenti a meno che non vengano esposti a una combinazione di farmaci attivi sulla parete file:///F|/sito/merck/sez13/1571239.html (1 of 5)02/09/2004 2.09.28

Malattie batteriche

cellulare, quali penicillina, ampicillina o vancomicina, associati a un aminoglicosidico come gentamicina o streptomicina. L’E. faecalis e l’E. faecium sono responsabili di endocarditi, IVU, infezioni intraddominali, celluliti, infezioni di ferite, ma anche di batteriemie concomitanti. Gli streptococchi viridans sono rappresentati da cinque specie principali: S. mutans, S. sanguis, S. salivarius, S. mitior e A. milleri; quest’ultimo ulteriormente suddiviso in S. constellatus, S. intermedius e S. anginosus. Esiste ancora una certa discordanza per quanto riguarda la loro classificazione e identificazione. Nonostante siano definiti come α-emolitici, alcuni sono in realtà γ-emolitici e molti di essi non sono raggruppabili. La colonizzazione della cavità orale e delle sue componenti sembra svolgere un ruolo determinante nel prevenire la colonizzazione da parte di altri microrganismi patogeni quali lo Pseudomonas e i microrganismi enterici. La maggior parte degli streptococchi viridanti è suscettibile alla lisi da parte del siero e non produce esotossine né i tradizionali fattori di virulenza; ciò nonostante essi costituiscono un’importante causa di endocardite batterica in quanto possono aderire alle valvole cardiache, soprattutto nelle persone con sottostante patologia valvolare. I membri del gruppo dello S. milleri possono essere in maniera variabile emolitici, microaerofili o anaerobi e tendono a provocare gravi infezioni invasive o ascessi localizzati in quasi tutte le regioni dell’organismo. Lo S. iniae, patogeno nei pesci, può provocare epidemie di cellulite e di infezioni invasive nei pazienti con lesioni cutanee che maneggino pesci di allevamento vivi o pescati da poco, generalmente tilapia o trota.

Sintomi e segni Le infezioni streptococciche possono essere distinte in tre gruppi: (1) lo stato di portatore, in cui il paziente alberga gli streptococchi senza un’infezione apparente; (2) l’infezione acuta, spesso suppurativa, provocata dall’invasione streptococcica dei tessuti e (3) le complicanze tardive non suppurative, che si verificano per lo più dopo circa 2 sett. da un’infezione streptococcica manifestatasi clinicamente, anche se l’infezione può essere asintomatica e l’intervallo può essere superiore alle 2 sett. Le infezioni primarie e secondarie possono diffondersi attraverso i tessuti interessati e lungo i vasi linfatici fino ai linfonodi regionali; esse possono anche provocare batteriemia. Lo sviluppo di suppurazione dipende dalla gravità dell’infezione e dalla predisposizione del tessuto. Nell’infezione acuta i sintomi e i segni dipendono dal tessuto interessato, dal microrganismo e dallo stato delle difese e dalla risposta dell’ospite. La faringite streptococcica, la più comune malattia streptococcica, è un’infezione faringea primaria causata da streptococchiβ-emolitici di gruppo A. Circa il 20% dei pazienti con infezione di gruppo A presenta mal di gola, febbre, faringe arrossato ed essudato tonsillare purulento. Gli altri pazienti sono asintomatici e sviluppano soltanto febbre o un lieve mal di gola (allo stesso modo della faringite virale), oppure hanno sintomi aspecifici come mal di testa, malessere generale, nausea, vomito o tachicardia. Nei bambini possono presentarsi convulsioni. I linfonodi cervicali e sottomascellari possono ingrossarsi e divenire doloranti. Nei bambini < 4 anni si ha spesso rinorrea e talvolta questa è l’unica manifestazione dell’infezione. La tosse, la laringite e il naso chiuso non sono elementi caratteristici delle infezioni streptococciche faringee e la loro presenza indica un’altra causa (di solito virale o allergica) oppure la coesistenza di complicanze. La diagnosi definitiva si basa sulle tecniche di laboratorio descritte sotto. La scarlattina è oggi rara, probabilmente perché la terapia antibiotica impedisce all’infezione di progredire o di creare epidemie. La scarlattina è causata da streptococchi di gruppo A (e occasionalmente altri) che producono una tossina eritrogenica che determina una colorazione cutanea diffusa rosa-rossastra che si file:///F|/sito/merck/sez13/1571239.html (2 of 5)02/09/2004 2.09.28

Malattie batteriche

sbianca alla pressione. L’eruzione cutanea è ben visibile sull’addome, sulla regione laterale del torace, nelle pieghe cutanee come linee rosso scuro (linee di Pastia) o come pallore circumorale. La lingua presenta un aspetto a fragola (le papille infiammate protrudono attraverso un rivestimento rosso acceso) e tale quadro deve essere differenziato da quello che si vede nelle sindromi dello shock tossico (v. sopra) e di Kawasaki (v. Cap. 265). Dopo la remissione della febbre lo strato superficiale della pelle precedentemente arrossata spesso si desquama. Gli altri sintomi sono simili a quelli della faringite streptococcica e il decorso e la terapia della scarlattina sono gli stessi delle altre infezioni clinicamente evidenti da streptococchi di gruppo A. Il pioderma streptococcico (impetigine) viene trattato sotto Infezioni Batteriche nel Cap. 265. L’impetigine può anche essere causata dallo S. aureus. La sindrome dello shock tossico streptococcico simile a quella provocata dallo S. aureus, è stata recentemente attribuita a ceppi di streptococchi βemolitici di gruppo A in grado di produrre esotossine pirogene. I pazienti sono generalmente bambini per il resto in buona salute o adulti con infezioni cutanee e dei tessuti molli.

Esami di laboratorio Nell’infezione acuta la VES è solitamente > 50 mm/h e la conta dei GB va da 12000 a 20000 µl con il 75-90% di neutrofili, molti dei quali in forme immature. Le urine di solito non mostrano alterazioni tranne quelle attribuibili alla febbre (p. es., proteinuria). La presenza di streptococchi nei campioni prelevati dalla sede infetta può essere appurata dopo incubazione di una notte su piastra di agar-sangue o, per gli organismi di gruppo A, con la colorazione immediata con anticorpi fluorescenti. Il metodo della fluorescenza evita il ricorso ai test sierologici per distinguere i germi di gruppo A da altri streptococchi β-emolitici; ma tale metodo genera spesso reazioni falso-positive con gli stafilococchi emolitici. Per l’evidenziazione rapida degli streptococchi di gruppo A dai tamponi tonsillari sono disponibili altri test economici. La dimostrazione dell’infezione si può ottenere in maniera indiretta evidenziando, durante il periodo di convalescenza, gli anticorpi antistreptococcici nel siero. Per la conferma è necessario che campioni sequenziali mostrino variazioni del titolo poiché un singolo valore può risultare elevato per un’infezione anche molto precedente. Il prelievo di campioni di siero non deve essere effettuato con intervalli inferiori a 2 sett. e può essere sufficiente farlo anche ogni 2 mesi. Una significativa elevazione (o caduta) del titolo deve essere almeno pari a 2 diluizioni. Il titolo antistreptolisinico O (ASLO) è elevato soltanto nel 75-80% delle infezioni; per completezza, nei casi difficili, possono essere utilizzati uno qualsiasi degli altri test (antiialuronidasi, antideossiribonucleasi B, antinicotinamide adenina dinucleotidasi o antistreptochinasi). La somministrazione di penicillina entro i primi 5 gg per una faringite streptococcica sintomatica può ritardare la comparsa e diminuire l’ampiezza della risposta del titolo antistreptolisinico (TAS). I pazienti con pioderma streptococcico di solito non presentano una risposta significativa del TAS.

Prognosi e terapia La setticemia, la sepsi puerperale, l’endocardite e la polmonite streptococciche rimangono complicanze serie, soprattutto quando il microrganismo è un enterococco multiresistente. Anche se i ceppi degli streptococchi di gruppo A e dello S. viridans sono quasi sempre sensibili alla penicillina, gli enterococchi sono relativamente resistenti e in aggiunta alla penicillina, ampicillina o vancomicina, richiedono un trattamento con un aminoglicoside. Gli enterococchi possono

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Malattie batteriche

essere resistenti anche ad alte concentrazioni di vancomicina (EVR), di gentamicina e di altri aminoglicosidi e non mostrano killing sinergico con la penicillina o la vancomicina. Attualmente non esistono terapie efficaci per questi ceppi, anche se sono in corso di studio diversi nuovi composti. Le infezioni faringee primitive da Streptococcus di gruppo A, compresa la scarlattina, sono generalmente autolimitantesi. Nei bambini piccoli gli antibiotici abbreviano il decorso della malattia, soprattutto in quelli con scarlattina, ma negli adolescenti o negli adulti hanno scarso effetto sui sintomi. Essi aiutano a prevenire le complicanze suppurative locali quali gli ascessi peritonsillari (angina), l’otite media, la sinusite e la mastoidite; in particolare essi impediscono le complicanze non suppurative (p. es., la febbre reumatica) che possono seguire a infezioni non trattate. La penicillina è il farmaco di scelta per l’infezione streptococcica di gruppo A, documentata. È abitualmente sufficiente una singola iniezione di benzatinapenicillina G, alla dose di 600000 U IM per i bambini piccoli (< 27,3 kg) (50000 U/ kg) e di 1,2 milioni U IM per adolescenti e adulti. La terapia orale con penicillina V può essere utilizzata se il paziente rispetterà il regime terapeutico indicato: almeno 125-250 mg di penicillina V tid o qid per non meno di 10 giorni (per i bambini, 25-50 mg/kg/die in dosi frazionate tid o qid). Per i pazienti considerati inaffidabili o incapaci di assumere farmaci per via orale si possono somministrare in alternativa tre iniezioni di procaina penicillina da 600000 U (nei bambini, 50000 U/kg) IM il 1o, 4o e 7o giorno. Queste iniezioni sono generalmente meno dolorose di quelle di benzatina. Quando vi siano controindicazioni alla penicillina, si possono somministrare 250 mg qid di eritromicina o 300 mg tid di clindamicina PO per 10 giorni. Sono stati isolati streptococchi di gruppo A resistenti ai macrolidi quali eritromicina, clindamicina, claritromicina e azitromicina; il TMP-SMX, la maggior parte dei fluorochinoloni e le tetracicline sono inefficaci. Nei bambini che presentano recidive di tonsillite cronica si preferisce la clindamicina (20 mg/kg/die in dosi frazionate tid o qid), verosimilmente per la sua buona attività contro gli anaerobi produttori di penicillasi che coinfettano le cripte tonsillari e che inattivano la penicillina G. La sulfadiazina, che ha potere batteriostatico, non va usata per curare un’infezione già stabilizzata, sebbene essa sia assai utile nella prevenzione delle infezioni streptococciche. Si può ritardare l’inizio della terapia antistreptococcica di 1 o 2 giorni fino a ottenere i risultati batteriologici, senza aumentare significativamente il rischio di complicanze. È tuttavia comune iniziare la penicillina PO quando si sospetti l’infezione e dopo aver prelevato i campioni da inviare al laboratorio. Si sospenderà la terapia se i risultati delle analisi risultassero negativi. Altrimenti si prosegue con il farmaco orale o lo si sostituisce con un agente iniettivo. Altri sintomi (p. es., mal di gola, mal di testa, febbre) possono essere trattati con analgesici o antipiretici. Non sono necessari il riposo a letto e l’isolamento. I contatti stretti sintomatici o con una storia di complicanze post-streptococciche devono essere valutati per evidenziare un’eventuale infezione streptococcica. In molti ospedali sono diventati prevalenti gli enterococchi resistenti alla vancomicina (EVR), alla gentamicina e alla streptomicina. Per la loro resistenza ad alti livelli di aminoglicosidi, ai β-lattamici attivi sulla parete cellulare quali penicillina G e ampicillina e ai glicopeptidi quali vancomicina e teicoplanina, questi enterococchi, soprattutto negli ospedali, sono diventati un’importante causa di infezioni gravi e refrattarie. Spesso per le infezioni gravi causate da EVR, soprattutto le endocarditi, non è disponibile alcun trattamento sicuramente efficace. Devono essere applicate procedure di rigoroso isolamento. Recentemente sono stati riportati isolamenti di S. bovis vancomicina-resistenti ma fortunatamente essi rimangono sensibili alla penicillina e agli aminoglicosidi. La maggior parte degli streptococchi viridans è fortemente sensibile alla penicillina G, anche se in molti paesi sta diventando un problema preoccupante la resistenza agli aminoglicosidi e aiβ-lattamici, spesso determinata dalla produzione di proteine leganti la penicillina modificate. Per tale motivo per la scelta terapeutica diventano fondamentali gli antibiogrammi.

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Malattie batteriche

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 270-1. PROFILASSI PER L'ENDOCARDITE RACCOMANDATA DURANTE PROCEDURE SUL TRATTO ORO-DENTALE, RESPIRATORIO ED ESOFAGEO NEI BAMBINI Condizioni del paziente

Farmaco

Posologia

Nessuna controindicazione

Amoxicillina

50 mg/kg PO 1 h prima della procedura

Impossibilità di assunzione orale

Ampicillina

50 mg/kg IM o EV entro 30 min prima della procedura

Allergia alla penicillina Clindamicina

Impossibilità di assunzione orale ed allergia alla penicillina

20 mg/kg PO 1 h prima della procedura

cefalexina o cefadroxil*

50 mg/kg PO 1 h prima della procedura

azitromicina o claritromicina

15 mg/kg PO 1 h prima della procedura

Clindamicina

20 mg/kg EV entro 30 min prima della procedura

cefazolina*

25 mg/kg IM o EV entro 30 min prima della procedura

*Le cefalosporine non si devono utilizzare in soggetti con reazione di ipersensibilità immediata alle penicilline (orticaria, angioedema o anafilassi). Adattata da Dajani AS, Taubert KS, Wilson W et al.: "Prevention of bacterial endocarditis." JAMA 277:1794-1801; 1997.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 270-2. PROFILASSI DELL'ENDOCARDITE RACCOMANDATA DURANTE PROCEDURE SULL'APPARATO GASTROINTESTINALE O GENITOURINARIO NEI BAMBINI Condizioni del paziente

Farmaco e dosaggio

Rischio elevato Ampicillina 50 mg/kg IM o EV (non più di 2 g) più gentamicina 1,5 mg/kg (dose massima 120 mg) entro 30 min dall’inizio della procedura; 6 ore dopo : ampicillina 25 mg/kg IM/EV o amoxicillina 25 mg/kg PO. Rischio elevato, allergico alla penicillina

Vancomicina 20 mg/kg EV in 1-2 h (dose massima totale: 1 g) più gentamicina 1,5 mg/kg EV/IM (dose massima: 120 mg); infusione completa entro 30 min dall’inizio della procedura.

Rischio moderato

Amoxicillina 50 mg/kg PO 1 h prima della procedura oppure ampicillina 50 mg/kg IM/EV entro 30 min dall’inizio della procedura.

Rischio moderato, allergico alla penicillina

Vancomicina 20 mg/kg EV in 1-2 h; infusione completa entro 30 min dall’inizio della procedura (dose massima totale: 1 g).

Adattata da Dajani AS, Taubert KS, Wilson W et al "Prevention of bacterial endocarditis" JAMA 277: 1794- 1801, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 208-2. PROFILASSI PER L‘ENDOCARDITE RACCOMANDATA DURANTE PROCEDURE A LIVELLO DEL CAVO ORALE, DELL'ESOFAGO E DEL TRATTO RESPIRATORIO Parametri legati al paziente Nessuna controindicazione

Farmaco Amoxicillina

Non può assumere farmaci per Ampicillina via orale Allergico alla penicillina

Clindamicina

Dose nell‘adulto 2g PO 1h prima della procedura 2g IM o EV 30min prima della procedura 600mg PO 1h prima della procedura

Cefalexina o cefadroxil* Azitromicina o claritromicina

2g PO 1ora prima della procedura 500mg PO 1h prima della procedura

Non può assumere farmaci per Clindamicina via orale ed è allergico alla penicillina Cefazolina

600mg EV 30min prima della procedura 1g IM o EV 30min prima della procedura

*Le cefalosporine non vanno usate in pazienti con reazioni di ipersensibilità immediata (orticaria, angioedema, anafilassi) alla penicillina. Adattato da Dajani AS, Taubert KS, Wilson W, et al: "Prevention of bacterial endocarditis." JAMA 277:1794-1801, 1997

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 208-3. PROFILASSI PER L'ENDOCARDITE RACCOMANDATA DURANTE PROCEDURE A LIVELLO DEL TRATTO GASTROINTESTINALE E GENITOURINARIO Parametri legati al paziente

Farmaco e dosi nell‘adulto

Alto rischio

Ampicillina 2g IM o EV e gentamicina 1,5 mg/kg (non superare 120 mg) IM o EV 30min prima della procedura; ampicillina 1g IM o EV o amoxicillina 1g PO 6h dopo la procedura

Alto rischio, allergico alla penicillina

Vancomicina 1g EV in 1-2h e gentamicina 1,5mg/ kg (non superare 120mg) EV o IM mezz‘ora prima dell'inizio del la procedura

Rischio moderato

Amoxicillina 1g PO 1h prima della procedura o ampicillina 2g IM o EV mezz'ora dalla procedura

Rischio moderato, allergico alla penicillina

Vancomicina 1g EV in 1-2h mezz‘ora prima della procedura

Adattata da Dajani AS, Taubert KS, Wilson W, et al: "Prevention of bacterial endocarditis." JAMA 277:1794-1801, 1997

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Infezioni delle ossa e delle articolazioni

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 54. INFEZIONI DELLE OSSA E DELLE ARTICOLAZIONI OSTEOMIELITE Infiammazione e distruzione ossea causata da germi aerobi e anaerobi, micobatteri e funghi.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L'osteomielite si verifica nelle vertebre e nelle ossa dei piedi in pazienti con diabete o nei siti di penetrazione ossea da trauma o da chirurgia. Nei bambini, l'osteomielite di solito colpisce la metafisi della tibia o del femore così come le ossa in fase di crescita con un ricco apporto ematico.

Eziologia e patogenesi L'infezione dell'osso è causata da germi che si moltiplicano nel sangue (osteomielite ematogena), che si diffondono da un tessuto infetto, compresa l'infezione di una protesi articolare, alle fratture contaminate e agli interventi chirurgici sull'osso. L'osteomielite ematogena è più frequentemente causata da germi gram +. I germi gram - causano osteomielite nei tossicodipendenti, nei pazienti con malattia drepanocitica e nei pazienti gravemente debilitati o traumatizzati. I funghi e i micobatteri tendono a localizzarsi all'osso, causando infezioni indolenti croniche. I fattori di rischio comprendono malattie debilitanti concomitanti, radioterapia, tumori maligni, diabete, emodialisi e uso di droghe EV. Nei bambini, qualunque processo che causi batteriemia può predisporre a osteomielite. L'infezione dell'osso è accompagnata da occlusione dei vasi sanguigni, che causa necrosi ossea e diffusione locale dell'infezione. L'infezione si può espandere attraverso la corteccia ossea e diffondere sotto il periostio, con formazione di ascessi sottocutanei che possono drenare spontaneamente attraverso la pelle.

Sintomi e segni I pazienti con osteomielite acuta delle ossa periferiche sono di solito febbrili, hanno avuto perdita di peso e astenia e hanno calore localizzato, tumefazione, eritema e dolorabilità. L'osteomielite vertebrale produce dolore lombare localizzato con spasmo dei file:///F|/sito/merck/sez05/0540499.html (1 of 2)02/09/2004 2.09.30

Infezioni delle ossa e delle articolazioni

muscoli paravertebrali che non risponde al trattamento conservativo. I pazienti sono di solito afebbrili. Se il trattamento dell'osteomielite acuta ha successo solo in parte, si sviluppa un'osteomielite cronica di basso grado con intermittente (da mesi a molti anni) dolore osseo, dolorabilità alla palpazione e fistolizzazione. L'osteomielite cronica è spesso polimicrobica.

Diagnosi In un paziente con dolore osseo localizzato, febbre e malessere suggeriscono una osteomielite. La conta dei GB può non essere elevata, ma la VES e la proteina C-reattiva di solito lo sono. La rx diventa anormale dopo 3-4 sett., mostrando distruzione ossea, tumefazione dei tessuti molli, sollevamento del periostio, perdita di altezza dal corpo vertebrale o restringimento dello spazio discale intervertebrale adiacente infettato e distruzione dei piatti sovrastanti e sottostanti il disco. Se i reperti radiologici sono ambigui, una TC può definire la anormalità ed evidenziare la formazione di un ascesso paravertebrale. Le scintigrafie ossee con radioisotopi sono anormali prima dei raggi x, ma non distinguono tra infezione, fratture e tumori. La biopsia ossea con ago o l'escissione chirurgica e l'aspirazione o la pulitura degli ascessi offrono tessuto per la coltura e per i test di sensibilità antibiotica. La coltura del drenaggio dalle fistole non è affidabile per la diagnosi di un'osteomielite sottostante.

Terapia Gli antibiotici dovrebbero essere scelti per coprire i germi gram + e gram - finché non siano disponibili i risultati delle colture. Nei bambini e negli adulti, la terapia antibiotica iniziale dovrebbe includere una penicillina semisintetica penicillinasi resistente (nafcillina o oxacillina) e un aminoglicoside finché non siano disponibili i risultati delle colture e i test di sensibilità. Gli antibiotici devono essere somministrati per via parenterale per 4-8 sett. Se la risposta è al di sotto dei livelli ottimali o se vi sono grandi aree di distruzione ossea, è necessaria la pulizia chirurgica del tessuto necrotico. Essa può essere necessaria per drenare un ascesso paravertebrale o epidurale o per stabilizzare la colonna per prevenire un danno. Si richiede la pulizia chirurgica del tessuto necrotico con antibiotici a largo spettro. I trapianti di cute o i lembi cutanei possono essere necessari per chiudere ampi difetti chirurgici e la terapia antibiotica deve essere continuata per > 3 sett. dopo la pulizia. Con l'osteomielite vertebrale, il trattamento del M. tuberculosis (v. Cap. 157) o dei funghi (v. Cap. 158) può essere necessario.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA COCCHI GRAM+ INFEZIONI STAFILOCOCCICHE SINDROME DELLO SHOCK TOSSICO Sindrome causata dall’esotossina stafilococcica, caratterizzata da febbre alta, vomito, diarrea, stato confusionale ed eruzioni cutanee, che può progredire rapidamente verso uno stato di shock grave e intrattabile.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Prognosi, profilassi e terapia

La sindrome dello shock tossico si verifica principalmente in donne mestruate che utilizzino tamponi. L’incidenza di questa patologia nelle donne si è rapidamente ridotta in seguito all’ampia pubblicità sul ruolo svolto dai tamponi e dai diaframmi e dopo il ritiro di alcune marche di tamponi dal mercato. È frequente il riscontro di casi meno gravi in cui mancano alcune delle manifestazioni caratteristiche. Stime effettuate partendo da piccole serie fanno pensare che l’incidenza sia ancora di circa 3 casi/100000 donne mestruate e che inoltre ci siano casi in donne che non usano tamponi e in donne nel periodo postoperatorio e post-partum. Circa il 15% dei casi si manifesta infatti nel periodo del post-partum o come conseguenza marginale di infezioni postoperatorie della ferita chirurgica o da stafilococchi. Sono stati anche riportati casi associati a influenza, osteomielite e cellulite.

Eziologia e patogenesi La causa precisa della sindrome da shock tossico è sconosciuta, ma in quasi tutti i casi è stata associata a un’infezione dovuta a ceppi di Staphylococcus aureus produttori di un’esotossina del fagogruppo 1 che sintetizzano la tossina-1 della sindrome da shock tossico o esotossine ad essa collegate. Tali microrganismi sono stati rinvenuti nelle mucose (nasofaringe, vagina, trachea) oppure in sedi sequestrate (empiema, ascesso) e nella vagina di donne con flusso mestruale. Probabilmente le donne più esposte al rischio di sindrome da shock tossico sono quelle con una precedente colonizzazione della vagina che facciano regolare uso di tamponi. È probabile che fattori meccanici o chimici correlati all’uso dei tamponi favoriscano un incremento di produzione dell’esotossina batterica, che entra in circolo attraverso un’interruzione della mucosa o attraverso l’utero.

Sintomi, segni e diagnosi L’esordio è improvviso, con febbre (di 39-40,5°C che rimane elevata) cefalea, file:///F|/sito/merck/sez13/1571238.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.31

Malattie batteriche

mal di gola, congiuntivite non purulenta, letargia profonda, stato confusionale intermittente senza segni neurologici focali, vomito, diarrea acquosa profusa ed eritrodermia diffusa simile a un’ustione da raggi solari. La sindrome può progredire nell’arco di 48 h fino a ipotensione ortostatica, sincope, shock e morte. Dopo 3 e 7 gg dall’esordio inizia la desquamazione cutanea che può portare a disepitelizzazione, soprattutto alle piante dei piedi e alle palme delle mani. Di frequente sono interessati anche altri organi, con una lieve anemia non emolitica, moderata leucocitosi con prevalenza di granulociti immaturi e trombocitopenia precoce seguita da trombocitosi. Sebbene siano rari i fenomeni di sanguinamento clinicamente evidente, il tempo di protrombina e quello di tromboplastina parziale tendono a essere prolungati. Durante la prima settimana di malattia si riscontrano di frequente dati di laboratorio che evidenziano uno stato di disfunzione epatocellulare (epatite) e miolisi dei muscoli scheletrici. Si può verificare anche un interessamento cardiopolmonare che si manifesta con edema periferico e polmonare (in presenza di una pressione venosa insolitamente bassa, che depone per una sindrome da stress respiratorio di tipo adulto). Specialmente nei bambini si ha quasi sempre un quadro caratterizzato da profonda ipotensione e alterata perfusione delle estremità con disfunzione renale che si manifesta con una riduzione della diuresi e un aumento dei livelli di azotemia e creatininemia. La sindrome da shock tossico somiglia alla malattia di Kawasaki (sindrome linfonodale mucocutanea, v. in Infezioni varie nel Cap. 265) ma di solito può essere differenziata su base clinica. La malattia di Kawasaki si verifica generalmente in bambini di età < 5 anni; essa non provoca shock, iperazotemia o trombocitopenia e il rash cutaneo è maculopapulare. Altre malattie da prendere in considerazione sono la scarlattina, la sindrome di Reye, la sindrome stafilococcica della pelle ustionata, la meningococcemia, la febbre delle montagne rocciose, la leptospirosi e le malattie virali esantematiche. Queste ultime vengono escluse in base a differenze nel quadro clinico e a studi sierologici e colturali.

Prognosi, profilassi e terapia La mortalità varia dall’8 al 15% ma tali dati si basano soltanto sui casi gravi. Non è chiaro se gli antibiotici modifichino o meno il decorso della malattia. Nelle donne che continuano a usare i tamponi nei primi 4 mesi successivi a un episodio di malattia sono comuni le recidive. La terapia antibiotica durante la fase acuta della malattia può eradicare il focolaio stafilococcico e proteggere dalle recidive. Per la prevenzione (primaria o secondaria) non si possono fare altre raccomandazioni precise oltre all’eradicazione dello S. aureus. Sembra tuttavia prudente consigliare alle donne di evitare i tamponi intravaginali per tutto il periodo mestruale e di usare invece a cicli alterni assorbenti esterni e altre misure igieniche. Le pazienti sospettate di essere affette da sindrome da shock tossico devono essere immediatamente ricoverate e curate in maniera intensiva: innanzitutto si dovranno rimuovere eventuali tamponi vaginali, diaframmi e ogni altro corpo estraneo. Devono essere somministrati liquidi e sali per prevenire o curare l’ipovolemia, l’ipotensione o lo shock. Dal momento che la perdita di liquidi nei tessuti può avvenire in tutto il corpo, lo shock può essere profondo e resistente e a volte sono necessarie grosse quantità di liquidi e di elettroliti. Le infezioni manifeste devono essere trattate; per gli esami colturali e la colorazione di Gram bisogna prelevare campioni di sangue e campioni dalle superfici mucose; la terapia può essere iniziata con penicilline resistenti alle β-lattamasi o con cefalosporine.

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Malattie batteriche

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VARIE SINDROME DI REYE Sindrome caratterizzata da encefalopatia acuta e infiltrazione grassa del fegato che insorge dopo alcune infezioni virali acute.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Anatomia patologica Sintomi, segni e complicanze Diagnosi Prognosi Terapia

L’eziologia è sconosciuta, ma sono stati implicati agenti virali (p. es., i virus dell’influenza B e A e della varicella), tossine esogene (p. es., l’aflatossina dell’Aspergillus flavus), salicilati e difetti metabolici intrinseci.

Epidemiologia Tra il 1974 e il 1984, la sindrome di Reye si verificava annualmente negli USA in 200-550 bambini l’anno, ma è divenuta da allora molto rara, verificandosi in meno di 20 bambini l’anno. La sindrome si verifica quasi esclusivamente in bambini di età 2 anni d’età e nella maggior parte degli adulti, riducendo l’incidenza della polmonite e delle altre infezioni batteriemiche di circa l’80% e la mortalità di circa il 40%. La sua antigenicità e i suoi effetti protettivi nei bambini < 2 anni non sono stati tuttavia chiaramente dimostrati ma le nuove formulazioni che vengono sviluppate potranno risolvere questo problema. Alla dose consigliata di 0,5 ml, esso è relativamente privo di reazioni collaterali. La protezione generalmente può durare per diversi anni, ma negli individui particolarmente suscettibili, specialmente se bambini affetti da drepanocitosi, è consigliabile una rivaccinazione dopo 5 o più anni. Il vaccino è indicato nei soggetti con malattia cardiaca cronica, bronchite cronica e bronchiettasie, diabete mellito e malattie metaboliche; in tutti gli anziani e nei soggetti più giovani debilitati assistiti nei reparti di lungodegenza. Non è raccomandato nelle donne gravide, nei bambini < 2 anni d’età, nei pazienti precedentemente splenectomizzati, compresi quelli con morbo di Hodgkin o in qualsiasi soggetto con ipersensibilità nei confronti di componenti del vaccino. Il vaccino previene la polmonite grave e la batteriemia nella maggior parte dei pazienti con anemia falciforme o con splenectomia eseguita dopo il compimento dei 2 anni d’età, che abbiano ricevuto il vaccino prima della splenectomia. Il vaccino può non essere efficace nella prevenzione della meningite pneumococcica secondaria a fratture della base del cranio. Per i bambini affetti da asplenia funzionale o anatomica, si raccomanda un trattamento continuo con penicillina V 125 mg bid.

Terapia La terapia principale per la maggior parte delle infezioni pneumococciche è rappresentata dalla penicillina G o uno dei suoi analoghi, a meno che il ceppo isolato non sia resistente. In generale, agli adulti ricoverati che presentino microrganismi altamente suscettibili si somministra penicillina G EV 6-10 milioni U/die o penicillina V 250-500 mg (per i bambini 25-50 mg/kg/die in dosi frazionate tid o qid) PO per 5-7 giorni in casi di otite media pneumococcica o di sinusite. Nell’artrite, tuttavia, sarà preferibile la terapia parenterale protratta per un’altra settimana. La meningite e l’endocardite pneumococciche richiedono dosaggi di penicillina G fino a 20000-40000 U/die (per i bambini 250000-400000 U/kg/die in dosi frazionate q 4-6 h) somministrate in infusione EV intermittente (q 2 h) o continua e proseguita per 10 giorni-2 sett. dopo che il paziente sia sfebbrato e le colture di sangue e di LCR siano ritornate sterili. In tutto il mondo sono diventati frequenti i ceppi altamente resistenti alla penicillina, all’ampicillina e agli altri β-lattamici. Il meccanismo di resistenza sembra risiedere nella produzione sulla parete batterica in accrescimento di nuove proteine leganti la penicillina che non si legano alla penicillina. In molti centri il 10-15% dei ceppi è moderatamente (in maniera intermedia) resistente alla penicillina (MIC da 0,1 a 1,0 µg/ml) e un ulteriore 10-15% risulta altamente

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Malattie batteriche

resistente alla penicillina G (> 1,0 µg/ml). I microrganismi con resistenza intermedia possono essere trattati con dosi normali o alte di penicillina G o di altri beta-lattamici, mentre i pazienti più gravi con infezioni fortemente resistenti alla penicillina richiedono la vancomicina, il ceftriaxone o il cefotaxime da soli o in combinazione con la rifampicina; buone risposte sono state riportate anche con altissime dosi di penicillina G per via parenterale (negli adulti da 20000 a 40000 U/die EV). Fino a oggi tutti gli isolati penicillino-resistenti sono risultati sensibili alla vancomicina, ma per il trattamento delle meningiti la vancomicina per via parenterale non sempre raggiunge concentrazioni adeguate nel LCR (soprattutto quando vengono contemporaneamente utilizzati i corticosteroidi); pertanto nei pazienti con meningite al regime contenente la vancomicina vengono generalmente aggiunti il ceftriaxone o il cefotaxime e/o la rifampicina. Stanno diventando sempre più frequenti una ridotta sensibilità al ceftriaxone o al cefotaxime. Alcuni dei fluorochinolonici più recenti quali l’ofloxacina e la sparfloxacina sembrano promettenti per il trattamento delle infezioni da pneumococchi fortemente resistenti alla penicillina. Per la terapia della polmonite pneumococcica e dell’empiema pleurico, v. Polmonite pneumococcica nel Cap. 73 e Versamento pleurico nel Cap. 80. Per il trattamento dei pazienti affetti da polmonite, meningite o endocardite pneumococciche, allergici alla penicillina, v. Polmonite pneumococcica nel Cap. 73 ed Endocardite Infettiva nel Cap. 208. I pazienti affetti da endocardite vanno seguiti di frequente, per rilevare variazioni dei rumori cardiaci o l’insufficienza cardiaca progressiva o repentina: quest’ultima richiede un pronto intervento chirurgico.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE PNEUMOCOCCICA Polmonite causata dallo Streptococcus pneumoniae.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e patogenesi Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prognosi Profilassi

Lo S. pneumoniae è la causa di polmonite batterica più comunemente identificata e rappresenta i due terzi delle polmoniti batteriche contratte in comunità. La polmonite pneumococcica generalmente si verifica sporadicamente, ma con maggiore frequenza in inverno. Essa colpisce più spesso i più piccoli e i più anziani. Studi sulla flora faringea indicano che il 5-25% delle persone sane sono portatrici di pneumococchi, con la massima prevalenza in inverno nei bambini e nei genitori di bambini piccoli. Ci sono > 80 sierotipi (caratterizzati da polisaccaridi delle capsula antigenicamente distinti).

Anatomia patologica e patogenesi I pneumococchi di solito raggiungono i polmoni per via inalatoria o per aspirazione. Si localizzano nei bronchioli, proliferano e danno origine a un processo infiammatorio che inizia negli spazi alveolari con l'essudazione di un liquido ricco di proteine. I fluidi agiscono come terreno di coltura per i batteri e facilitano la disseminazione agli alveoli vicini, causando tipicamente una polmonite lobare. La congestione è il primo stadio della polmonite lobare, caratterizzata da massiva essudazione sierosa, congestione vascolare e rapida proliferazione batterica. Lo stadio successivo viene denominato epatizzazione rossa, riferendosi all'aspetto simil-epatico del polmone addensato: gli alveoli si riempiono di polimorfonucleati, compare uno stato di congestione vascolare e lo stravaso di globuli rossi causa una colorazione rossastra all'esame macroscopico. Lo stadio successivo è rappresentato dall'epatizzazione grigia, in cui un accumulo di fibrina si associa ai GB e ai GR in varie fasi di disintegrazione e gli spazi alveolari sono ripieni di essudato infiammatorio. Lo stadio finale è rappresentato dalla risoluzione, caratterizzata dal riassorbimento dell'essudato.

Sintomi e segni La polmonite pneumococcica viene spesso preceduta da una IRS. L'insorgenza

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Polmonite

è spesso improvvisa con un unico brivido scuotente; brividi persistenti suggeriscono un'altra diagnosi. Il brivido è di solito seguito da febbre, dolore con gli atti del respiro dalla parte del lato colpito (pleurite), tosse, dispnea e produzione di escreato. Il dolore può essere riferito e, nel caso di coinvolgimento di un lobo inferiore, può suggerire una sepsi intra-addominale, come un'appendicite. La temperatura sale rapidamente fino a 38-40,5°C (100,4-105°F), il polso raggiunge di solito i 100-140 bpm e la frequenza respiratoria accelera fino a 20-45 atti/min. Ulteriori rilievi di frequente riscontro sono nausea, vomito, malessere e mialgie. La tosse all'inizio può essere secca, ma di solito diventa produttiva con escreato purulento, striato di sangue o rugginoso. In molti pazienti, specialmente nei più piccoli e nei più anziani, la malattia è più insidiosa. I rilievi all'esame obiettivo variano in relazione al carattere del processo e allo stadio in cui il paziente viene visitato. Possono essere presenti i segni tipici dell'addensamento lobare o del versamento pleurico. Nella broncopolmonite i segni tipici sono i crepitii.

Complicanze Tra le complicanze gravi e potenzialmente letali vi è la polmonite progressiva, talora associata alla sindrome da distress respiratorio dell'adulto e/o allo shock settico. Alcuni pazienti sviluppano infezioni per contiguità (p. es., empiema o pericardite purulenta). Versamenti pleurici si rilevano alla rx del torace in circa il 25% dei pazienti, ma < 1% presenta un empiema. La batteriemia può dare origine a infezioni extrapolmonari che comprendono l'artrite settica, l'endocardite, la meningite e la peritonite (nei pazienti con ascite). Alcuni pazienti sviluppano sovrainfezioni polmonari; durante il corso del trattamento, un temporaneo miglioramento è seguito da un peggioramento con ricomparsa di febbre e di infiltrati polmonari ingravescenti.

Diagnosi Una polmonite pneumococcica deve essere sospettata in tutti i casi di malattia febbrile acuta associata a dolore toracico, dispnea e tosse. Una diagnosi presuntiva può basarsi sui dati anamnestici, sulle alterazioni della rx del torace, sulla coltura e sugli strisci colorati con il Gram di campioni appropriati, sulla reazione di rigonfiamento ("quellung") capsulare. Una diagnosi definitiva richiede la dimostrazione dello S. pneumoniae nel liquido pleurico, nel sangue, nel polmone o nell'aspirato transtracheale. Circa la metà degli esami colturali dell'espettorato sono dei falsi negativi. I test sul sangue solitamente mostrano una leucocitosi con uno spostamento a sinistra. Le emocolture positive sono la dimostrazione definitiva dell'infezione pneumococcica. Possono essere presenti ipossiemia a causa della scarsa ventilazione del polmone e alcalosi respiratoria da iperventilazione. La colorazione di Gram dell'escreato mostra tipicamente diplococchi gram + di forma lanceolata in catene corte. Questi steptococchi possono essere definitivamente identificati come lo S. pneumoniae con la reazione di rigonfiamento capsulare, nella quale la capsula del microrganismo si rigonfia dopo l'applicazione di un antisiero pneumococcico polivalente; questo test fornisce un'informazione immediata, ma richiede un osservatore esperto e viene eseguito raramente. Esso può identificare il sierotipo se si utilizza un antisiero specifico. Alternativamente, alcuni laboratori utilizzano la controimmunoelettroforesi per la determinazione del sierotipo dei ceppi isolati o per l'identificazione dei casi clinici usando campioni di escreato, urina o di altri fluidi corporei. Una rx del torace mostra sempre un infiltrato polmonare, sebbene i rilievi possano essere all'inizio minimi o assenti per diverse ore. Un quadro di

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Polmonite

broncopolmonite è il reperto più comune, ma un netto addensamento confinato a un solo lobo (polmonite lobare) con il tipico broncogramma aereo è quello più specifico per l'infezione da S. pneumoniae.

Prognosi Sebbene la morbilità e la mortalità per polmonite pneumococcica si siano ridotte sostanzialmente con l'avvento della penicillina, il pneumococco è responsabile di circa l'85% di tutti i casi letali di polmoniti epidemiche in cui sia noto l'agente eziologico. La mortalità complessiva è del 10% circa e la terapia ha un efficacia minima sulla mortalità nei primi 5 giorni di malattia. I fattori che predicono una prognosi relativamente sfavorevole sono le età estreme, specialmente < 1 anno o > 60 anni; le emocolture positive; l'interessamento di > 1 lobo; una conta periferica di globuli bianchi < 5000/ml; la presenza di malattie associate (p. es., cirrosi, scompenso cardiaco, immunodepressione, agammaglobulinemia, asplenia anatomica o funzionale e uremia); il coinvolgimento di certi sierotipi (specialmente 3 e 8) e lo sviluppo di complicanze extrapolmonari (p. es., meningite o endocardite). I pazienti con forme lievi trattati abbastanza precocemente presentano di regola uno sfebbramento durante le prime 24-48 h; tuttavia, i pazienti con forme gravi, in particolare quelli con le condizioni prognostiche sfavorevoli sopraindicate, spesso richiedono _ 4 gg per lo sfebbramento. La terapia non deve essere modificata in caso di miglioramento clinico graduale e di conferma dell'eziologia. Qualora i pazienti non migliorino, sono da prendere in considerazione i fattori seguenti: diagnosi eziologica errata, avverse reazioni farmacologiche, stadio troppo avanzato (il caso più frequente), sovrainfezione, difese inadeguate dell'ospite per effetto di condizioni associate, inosservanza dello schema farmacologico in caso di pazienti domiciliari, antibioticoresistenza del ceppo di S. pneumoniae e complicanze, come un empiema che richiede il drenaggio, o foci metastatici di infezione che richiedono un dosaggio maggiore di penicillina (p. es., meningite, endocardite o artrite settica).

Profilassi È disponibile un vaccino che contiene 23 Ag polisaccaridici pneumococcici specifici dei tipi responsabili dell'85-90% delle infezioni pneumococciche gravi. La maggior parte dei bambini > 2 anni di età ha una risposta agli Ag entro 2-3 sett. dalla vaccinazione. Tuttavia, la titolazione anticorpale non è raccomandata perché i livelli protettivi non sono precisamente noti. Circa il 50% dei pazienti vaccinati sviluppa eritema e/o dolore in corrispondenza del sito dell'iniezione; circa l'1% sviluppa febbre, mialgie o una grave reazione locale e 5 pazienti per milione sviluppano infine una reazione anafilattica o altre reazioni gravi. La vaccinazione è raccomandata nei bambini con > 2 anni e negli adulti ad aumentato rischio di malattia pneumococcica o di sue complicanze. Sono comprese le persone affette da malattie croniche (specialmente cardiovascolari e polmonari), disfunzioni spleniche, asplenia anatomica, morbo di Hodgkin, mieloma multiplo, diabete mellito, infezione da HIV, cirrosi, alcolismo, insufficienza renale, trapianto d'organo o da altre condizioni associate a immunosoppressione; i bambini con nefrosi; gli anziani, specialmente quelli con _ 65 anni altrimenti in buona salute e i pazienti con liquorragia. La risposta anticorpale è ridotta nei pazienti immunosoppressi. I bambini con malattia delle cellule falciformi o con altre cause di asplenia devono ricevere un trattamento profilattico con penicillina ed essere sottoposti a vaccinazione antipneumococcica. Le IRS ricorrenti nei bambini (compresa l'otite media e la sinusite) non vanno considerate come un'indicazione alla vaccinazione. Non si conosce la durata della protezione, ma sembra essere durevole; la rivaccinazione dopo 5-10 anni è a volte proposta per i soggetti ad alto rischio. Le persone rivaccinate prima di 5 anni tendono ad avere delle reazioni locali più intense. file:///F|/sito/merck/sez06/0730652.html (3 of 5)02/09/2004 2.09.34

Polmonite

Terapia Per i ceppi penicillino-sensibili di S. pneumoniae, la penicillina G è il farmaco di scelta; i pazienti che non sono in gravi condizioni possono essere trattati con penicillina G o V alla dose di 250-500 mg PO q 6 h. Il dosaggio raccomandato per il trattamento parenterale di polmoniti pneumococciche non complicate è la penicillina G in soluzione acquosa 500000-2 milioni U EV q 4-6 h. Circa il 25% dei ceppi di S. pneumoniae è penicillino-resistente. La prevalenza della resistenza alla penicillina relativa o di alto grado nei campioni clinici varia dal 15 al 30% negli USA, ma è di solito più alta in altre parti del mondo, specialmente in Spagna, Giappone, Israele, Sud Africa ed Europa dell'Est. Molti ceppi penicillino-resistenti sono anche resistenti ad altri antibiotici. Il disco con 1 mg di oxacillina è un metodo appropriato per il riconoscimento di ceppi resistenti. Le colture con colonie di diametro _ 19 mm devono essere testate mediante diluizione con brodo. Per i ceppi altamente resistenti, la terapia deve essere basata sull'antibiogramma. La maggior parte dei ceppi resistenti risponde ad alte dosi di penicillina, di cefotaxime o di ceftriaxone. I chinolonici più recenti (la levofloxacina, la sparfloxacina, la grepafloxacina e la trovafloxacina) sono la terapia da preferire per i ceppi penicillino-resistenti e da usare come alternativa alla penicillina per i ceppi penicillino-sensibili. La vancomicina, il solo farmaco costantemente efficace, è attiva su tutti i ceppi di S. pneumoniae e può essere preferibile per i pazienti molto gravi in aree con alte percentuali di resistenza. Altri farmaci alternativi con efficacia dimostrabile sono le cefalosporine, l'eritromicina e la clindamicina. Poiché le tetracicline sono attive meno costantemente contro lo S. pneumoniae, esse non devono essere impiegate nei pazienti gravi. I trattamenti orali comprendono l'eritromicina o la clindamicina 300 mg q 6 h. Tra i trattamenti parenterali ricordiamo il cefotaxime 1-2 g EV q 6 h, il ceftriaxone 1-2 g EV q 12 h, la cefazolina 500 mg EV q 8 h, l'eritromicina 500 mg-1 g EV q 6 h o la clindamicina 300-600 mg EV q 6-8 h. La maggior parte delle cefalosporine di terza generazione, a parte il cefotaxime e il ceftizoxime, è relativamente inattiva contro lo S. pneumoniae. Quando si sospetta la meningite, il paziente deve ricevere cefotaxime 2 g EV q 46 h o ceftriaxone 1-2 g EV q 12 h, più vancomicina 1 g EV q 12 h con o senza rifampicina 600 mg/die PO in attesa del risultato dell'antibiogramma. Per i pazienti con empiema, i trattamenti devono comprendere un appropriato drenaggio in associazione ad antibiotici parenterali. Le misure di supporto sono rappresentate dal riposo a letto e dalla somministrazione di liquidi e di analgesici per il dolore pleuritico. L'O2 va somministrato ai pazienti con cianosi, con ipossiemia significativa, con grave dispnea, con disturbi circolatori o con delirio. In quelli affetti da malattia broncopolmonare cronica, l'O2 deve essere somministrato con attenzione con frequente monitoraggio dei gas del sangue arterioso. Le rx di controllo sono solitamente indicate per i pazienti > 35 anni, ma la risoluzione dell'infiltrato alla rx può richiedere parecchie settimane, specialmente in caso di pazienti con forme gravi, con batteriemia o con preesistente patologia polmonare cronica. Un infiltrato che persista _ 6 sett. di terapia deve far prendere in considerazione la possibilità di una neoplasia broncogena sottostante o di una TBC.

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Polmonite

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Malattie della pleura

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 80. MALATTIE DELLA PLEURA VERSAMENTO PLEURICO Presenza di un eccesso di liquido nello spazio pleurico.

Sommario: Introduzione Condizioni che causano trasudati Condizioni che causano essudati Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Normalmente, un sottile strato di 10-20 ml di liquido copre diffusamente la pleura parietale e viscerale. Il liquido ha una composizione simile al plasma ad eccezione di una minore concentrazione di proteine (< 1,5 g/dl). Il liquido pleurico entra dai capillari pleurici ed esce dagli orifizi della pleura parietale e dai vasi linfatici. I versamenti pleurici sono distinti in trasudati ed essudati; i trasudati sono dovuti all'aumento della pressione microvascolare o alla riduzione della pressione oncotica; gli essudati sono dovuti a infiammazione della pleura (pleurite), con un aumento della permeabilità della superficie pleurica al fluido proteico. L'ostruzione dei vasi linfatici può anche contribuire all'accumulo del liquido pleurico. Molte condizioni possono produrre sia dei trasudati che degli essudati (v. oltre). L'emotorace (presenza di sangue nello spazio pleurico) insorge più spesso dopo un trauma e più raramente in seguito alla rottura di un vaso in un'aderenza pleuroparietale nel corso di un pneumotorace spontaneo. L'emotorace spontaneo di rado insorge come complicanza di un difetto coagulativo. Raramente, un aneurisma aortico si rompe nella cavità pleurica. Il sangue nello spazio pleurico spesso non coagula e può essere rimosso facilmente con un ago o con un tubo toracotomico con valvola ad acqua. Il chilotorace (un versamento pleurico lattiginoso o chiloso) è determinato da una lesione traumatica o neoplastica (più spesso linfomatosa) del dotto toracico. Il contenuto in lipidi (grassi neutri e acidi grassi) del liquido pleurico è elevato; al microscopio si vedono spesso goccioline di grasso sudanofile. Il contenuto in colesterolo è basso. La diagnosi è confermata da un livello di trigliceridi nel versamento _ 110 mg/dl (1,24 mmol/l). Il versamento colesterolico (versamento chiliforme o pseudochiloso) è raro. Il liquido appare dorato e iridescente a causa della rifrazione dei cristalli di colesterolo, che possono essere visti al microscopio. Le concentrazioni di colesterolo possono essere alte (fino a 1 g/dl [26 mmol/l]), ma le concentrazioni di grassi neutri e di acidi grassi restano basse. Questo tipo di versamento segue essudati pleurici cronici di vecchia data, come nella pleurite tubercolare o nel versamento dell'artrite reumatoide. La malattia di base deve essere ricercata; non è accettabile la diagnosi finale di versamento pleurico colesterolico.

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Malattie della pleura

Condizioni che causano trasudati L'insufficienza cardiaca, che aumenta la pressione venosa sistemica e quella dei capillari polmonari, è la causa più frequente dei versamenti pleurici trasudativi. Di solito bilaterali, questi versamenti tendono a essere più estesi nel lato destro e, se unilaterali, sono generalmente presenti a destra. L'ipoalbuminemia può causare versamenti pleurici, abitualmente bilaterali e associati ad accumuli di liquido in altre parti del corpo. L'ascite può associarsi al versamento pleurico perché il fluido può passare dallo spazio peritoneale nella cavità pleurica attraverso difetti nel diaframma o vasi linfatici; il 70% dei versamenti para-ascitici compare a destra, il 15% a sinistra e il 15% è bilaterale. Si verificano nel 5% circa dei pazienti con cirrosi e ascite. La sindrome di Meigs (versamento pleurico e ascite associati con fibromi ovarici e altri tumori dell'ovaio) ha un meccanismo simile, ma il liquido pleurico associato con i tumori ovarici è generalmente un essudato. Il meccanismo è simile anche nei versamenti pleurici associati a dialisi peritoneale o a pancreatite acuta. Nel mixedema, i versamenti pleurici sono di solito dei trasudati ma possono essere anche degli essudati. Nelle prime 24 h dopo il parto, possono essere osservati versamenti di piccola entità, che spariscono rapidamente. Versamenti pleurici iatrogeni si verificano quando il liquido instillato attraverso un catetere diretto a una vena sottoclaveare entra nella cavità pleurica (v. Inserimento di cateteri venosi centrali nel Cap. 198). Le sonde per alimentazione enterale di piccolo calibro, se malposizionate, possono perforare un bronco principale ed entrare nella cavità pleurica (v. Intubazione intestinale o nasogastrica nel Cap. 19). Il liquido pleurico che ne risulta è identico a quello instillato.

Condizioni che causano essudati Le pleuriti micotiche producono un essudato e la biopsia pleurica può mostrare dei granulomi (v. anche Cap. 158 e Altre infezioni da micobatteri simili alla tubercolosi nel Cap. 157). Possono essere coltivati dei microrganismi dal liquido e dal tessuto pleurico. La storia geografica, le prove cutanee e sierologiche, gli esami microbiologici delle secrezioni delle vie aeree e l'istologia di altri tessuti sono utili per stabilire una diagnosi. Il 10% circa dei pazienti con blastomicosi ha versamenti pleurici, abitualmente con un'estesa patologia sottostante del parenchima. Il versamento, di solito abbondante e unilaterale, si verifica nel 7% circa dei pazienti con coccidioidomicosi primaria. In circa la metà dei pazienti è presente una lesione parenchimale associata; ed è frequente l'eritema multiforme o nodoso. Il versamento pleurico si verifica anche in uno stadio più avanzato della coccidioidomicosi se una cavità coccidioidale si apre nella cavità pleurica, una complicanza temibile. Il versamento è raro nell'istoplasmosi e nella criptococcosi primarie, verificandosi di solito nell'ambito di una patologia disseminata o di interessamento massivo del parenchima. Nei versamenti parapneumonici, la pleura viscerale che insiste sopra la polmonite si infiamma; spesso una produzione di fluido sieroso essudativo accompagna la pleurite acuta. Il liquido contiene molti neutrofili e può contenere batteri. I versamenti parapneumonici sono di solito causati da batteri, ma versamenti di piccola entità possono verificarsi nella polmonite virale o da micoplasma. I versamenti pleurici virali possono anche verificarsi senza una polmonite evidente. L'embolia polmonare produce dei versamenti pleurici nel 30-50% dei pazienti (v. anche Cap. 72). Circa l'80% dei versamenti sono essudati, spesso di colore

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Malattie della pleura

ematico. Il principale meccanismo di formazione del liquido pleurico è l'aumento di permeabilità della pleura viscerale a contatto con il polmone infartuato, sebbene 1/3 di questi versamenti si verifichi senza segni di infarto alla rx. Tuttavia, in presenza di scompenso cardiaco si può verificare un trasudato. Le atelettasie dovute a embolia polmonare possono anch'esse causare un trasudato. Le metastasi polmonari sono la causa più frequente di essudati in persone con età > 60 anni. Il sito primitivo più frequente è il polmone, seguito dalla mammella, ma i carcinomi di ogni sede possono metastatizzare alla pleura. L'ostruzione dei vasi linfatici da parte degli impianti neoplastici pleurici è il meccanismo principale della formazione del liquido. I versamenti sono spesso di grande entità e causano dispnea da sforzo. Essudati sieroematici o francamente ematici sono la norma. La maggioranza dei versamenti pleurici carcinomatosi può essere diagnosticata con l'esame citologico del liquido, ma possono essere necessari fino a tre campioni di liquido. La biopsia pleurica è meno sensibile della citologia sul liquido pleurico, ma a volte è positiva quando la citologia è negativa; nei casi difficili, possono essere necessarie entrambe le procedure. Nella malattia di Hodgkin e nel linfoma non Hodgkin, il versamento pleurico è comune; esso può essere un segno di esordio del linfoma non Hodgkin. Il meccanismo varia, predominando l'ostruzione linfatica nella malattia di Hodgkin e l'infiltrazione della pleura nel linfoma non Hodgkin. Stabilire la natura neoplastica del processo è raramente necessario nella malattia di Hodgkin e i risultati della biopsia pleurica sono raramente positivi. La diagnosi di versamento pleurico linfomatoso può occasionalmente essere fatta tramite l'esame citologico del liquido e la biopsia pleurica. Il mesotelioma maligno (un tumore maligno che origina dal mesotelio della pleura) è fortemente correlato all'esposizione all'asbesto (v. anche Asbestosi e malattie correlate nel Cap. 75). L'incidenza negli USA è di circa 2000 casi/anno. Un dolore toracico insidioso non pleuritico e la dispnea sono i sintomi di presentazione più frequenti. Il tumore, che gradualmente incarcera il polmone e invade la parete toracica, produce versamento pleurico in circa il 75% dei pazienti. La TC rivela un irregolare ispessimento della pleura. Il liquido pleurico è un essudato sieroso o ematico, con glucoso < 50 mg/dl (< 2,78 mmol/l) e pH < 7,2 in circa 1/3 dei pazienti. La citologia sul liquido pleurico può rilevare delle cellule maligne non facilmente differenziabili dall'adenocarcinoma. Poiché le biopsie pleuriche con ago sono anche difficili da interpretare, una biopsia a cielo aperto o una biopsia sotto controllo visivo toracoscopico (chirurgia toracica videoassistita [Video-Assisted Thoracic Surgery, VATS]) sono spesso necessarie per stabilire la diagnosi. L'immunoistochimica e la microscopia elettronica rendono possibile la diagnosi differenziale di questo tumore dall'adenocarcinoma. La prognosi è sfavorevole, con una scarsa risposta alla chirurgia radicale, alla chemioterapia, alla terapia radiante o a queste terapie combinate. Il mesotelioma fibroso benigno è un tumore solido raro della pleura che causa dolore toracico, dispnea, febbre e osteoartropatia ipertrofica nel 50% dei pazienti. Il liquido è un essudato che può essere vischioso a causa della presenza dell'acido ialuronico. La diagnosi e la guarigione avvengono con la toracotomia e l'escissione del tumore. Il LES o le sindromi lupoidi indotte dai farmaci (più spesso dall'idralazina, dalla procainamide, dall'isoniazide, dalla difenilidantoina e dalla clorpromazina) causano un versamento pleurico in una percentuale di pazienti che può raggiungere il 40%. I farmaci sono stati solitamente somministrati per lunghi periodi e i sintomi regrediscono solitamente entro 10 giorni dall'interruzione della terapia. Febbre, dolore pleurico e alcune manifestazioni sistemiche di lupus sono comuni; raramente, si verifica una patologia pleurica primitiva. Una lesione parenchimale è solitamente, ma non sempre, presente. Il liquido pleurico è essudativo, con predominanza di neutrofili all'inizio e di monociti più tardivamente. Il glucoso del liquido pleurico è di solito > 80 mg/dl (> 4,44 mmol/l), il pH è > 7,35 e la LDH è < 500 U/l; il complemento del liquido pleurico è basso e il titolo di Ac anti-nucleo (ANA) tende a essere alto. Un titolo di ANA > 1:320 con un quadro omogeneo o un rapporto liquido pleurico/ siero del tasso di ANA _ 1 è altamente suggestivo. Nel lupus da farmaci, a differenza del LES, gli anticorpi contro gli istoni e contro il DNA a singola elica sono spesso presenti nel sangue.

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Malattie della pleura

Le cellule LE possono essere individuate e sono ritenute diagnostiche, ma il test è complesso e non andrebbe richiesto perché la diagnosi è di solito evidente dalla clinica e dalla sierologia del liquido pleurico. I versamenti pleurici indotti da farmaci sono rari. La nitrofurantoina a volte si associa con una malattia febbrile acuta con infiltrati polmonari, versamento pleurico ed eosinofilia periferica. Una polmonite cronica interstiziale con fibrosi si verifica meno di frequente e più di rado causa versamenti pleurici. Colpisce le persone che hanno assunto il farmaco per molti anni. Il miorilassante dantrolene causa occasionalmente versamenti unilaterali ed eosinofilia nel sangue e nel liquido pleurico ma senza infiltrati parenchimali. La bromocriptina e altri agonisti della dopamina, l'amiodarone e l'interleuchina-2 causano raramente dei versamenti pleurici, di solito con infiltrati polmonari. L'artrite reumatoide causa versamento pleurico più spesso negli uomini, anche se la malattia è più comune nelle donne. I versamenti pleurici sono di entità da lieve a moderata e tipicamente si verificano in uomini anziani affetti da artrite reumatoide da diversi anni e che hanno noduli reumatoidi sottocutanei. Il liquido è un essudato con basso glucoso (< 40 mg/dl [< 2,22 mmol/l]), elevata LDH (> 700 U/l), basso pH (< 7,2), basso complemento e un alto titolo di FR (_ 1:320). I cristalli di colesterolo sono frequenti. L'ascesso sottodiaframmatico molto spesso causa un versamento pleurico consensuale, un essudato sterile con predominanza di neutrofili. Tale versamento si infetta raramente; i 3/4 degli ascessi sottodiaframmatici si verificano settimane o mesi dopo un intervento chirurgico all'addome. La diagnosi è stabilita con l'ecografia o la TC addominale. La pancreatite acuta è complicata da un versamento pleurico para-ascitico nel 10% dei casi. L'essudato pleurico è ricco di neutrofili e contiene molta più amilasi di quella presente nel siero. I versamenti sono solitamente di piccola entità; il 60% circa è a sinistra, il 30% a destra e il 10% è bilaterale. Le pseudocisti pancreatiche possono incunearsi nel mediastino, attraverso lo iato dell'aorta o dell'esofago e rompersi in una o entrambe le cavità pleuriche. I livelli di amilasi nel liquido pleurico sono molto alti (fino a 100000 U/l), anche se l'amilasemia può essere normale. L'ecografia e la TC dell'addome aiutano a porre la diagnosi di pseudocisti pancreatica. Poiché il liquido si riforma velocemente dopo la toracentesi, le pseudocisti devono essere drenate. La sindrome successiva a lesione cardiaca è caratterizzata da febbre, pleuropericardite e infiltrati polmonari che cominciano settimane dopo lesioni del pericardio o del miocardio. Essa colpisce l'1% circa dei pazienti che hanno subito un IMA, un intervento cardiochirurgico, un trauma chiuso del torace, un impianto di pacemaker o un'angioplastica. I versamenti pleurici sono di solito piccoli, bilaterali in circa metà dei casi e spesso rappresentati da un essudato ematico con glucoso e pH normali. La sindrome risponde ai FANS e ai corticosteroidi. L'uremia è spesso complicata da una sierosite generalizzata e un versamento pleurico essudativo può manifestarsi con una pleurite fibrinosa. Il versamento può essere francamente emorragico e di solito contiene poche cellule, per la maggior parte mononucleate. La concentrazione della creatinina è alta ma minore di quella sierica, a differenza del versamento pleurico dovuto a ostruzione delle vie urinarie e accumulo retroperitoneale di urina. L'esposizione all'asbesto produce un versamento pleurico benigno nel 3% circa dei lavoratori dell'asbesto dopo un periodo di latenza che varia da 5 a > 30 anni. I pazienti possono essere asintomatici o accusare dolore toracico. I versamenti sono di solito unilaterali e di entità da lieve a moderata. Sono comuni le placche pleuriche, generalmente senza calcificazioni e circa la metà dei pazienti presenta una patologia parenchimale. Il versamento è un essudato, che può essere di colore ematico. La conta dei WBC può raggiungere i 25000/ml, con una conta differenziale variabile e molti eosinofili. La diagnosi è posta per esclusione, particolarmente nei confronti del mesotelioma e del carcinoma metastatico.

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Malattie della pleura

La AIDS causa versamento pleurico (di solito un essudato) in meno del 2% dei pazienti. Il versamento può essere parapneumonico, un empiema o secondario a TBC, a una polmonite da Pneumocystis carinii o al sarcoma di Kaposi. I principi di gestione sono simili a quelli per i soggetti con sistema immunitario normale.

Sintomi, segni e diagnosi Il dolore pleuritico e la dispnea sono i sintomi più frequenti, ma molti versamenti pleurici sono asintomatici e si riscontrano durante l'esame obiettivo o alla rx torace. L'esame obiettivo può svelare un'ottusità alla percussione, una ridotta mobilità dell'emitorace, un'assenza di fremito vocale tattile e un murmure vescicolare ridotto o assente. Nonostante un'ampia valutazione diagnostica, l'eziologia del versamento rimane indeterminata nel 20% dei casi. La rx torace è il metodo più accurato per confermare i segni obiettivi e dimostrare la presenza di liquido pleurico. In assenza di aderenze fra la pleura viscerale e quella parietale, il liquido si raccoglie nelle zone più declivi del torace. A causa dell'elasticità del polmone, il margine superiore della raccolta liquida assume la forma di un menisco. Con il paziente in posizione eretta la quantità minima di liquido evidenziabile varia fra i 200 e i 500 ml. Tuttavia, nella proiezione in decubito laterale, sono facilmente rilevabili anche < 100 ml di liquido. Un abbondante versamento pleurico può determinare la completa opacizzazione dell'emitorace e lo spostamento del mediastino verso il lato opposto. Le aderenze fra la pleura viscerale e quella parietale possono dar luogo a raccolte saccate atipiche. Le raccolte saccate nella scissura orizzontale o in quella obliqua possono essere confuse con un tumore intrapolmonare e sono dette "tumori evanescenti". L'obliterazione del seno costofrenico indica in genere un processo di organizzazione fibrosa di riparazione e può persistere dopo la completa guarigione. Le placche pleuriche da esposizione all'asbesto si presentano come aree localizzate di ispessimento pleurico, a volte calcifiche, di solito localizzate nei 2/3 inferiori del torace. La TC è di grande aiuto nella valutazione del parenchima polmonare sottostante nei pazienti con estese patologie pleuriche. Al di sotto di un versamento pleurico saccato si può riscontrare un ascesso polmonare, una polmonite o un'opacità dovuta a un carcinoma broncogeno. Un ascesso polmonare può essere differenziato da un empiema con una fistola broncopleurica e un livello idroaereo. Le placche pleuriche si distinguono facilmente dalle lesioni del parenchima e gli addensamenti pleurici del mesotelioma vengono prontamente identificati. I versamenti pleurici saccati si vedono chiaramente alla TC. La RMN non è indicata. Anche l'ecografia può identificare e localizzare un versamento pleurico saccato, che risulta anecogeno contrariamente al polmone e alla parete toracica. Nei casi difficili, può servire per mettere un segno sulla parete toracica o per effettuare la toracentesi sotto guida ecografica. La toracentesi (v. Cap. 65) deve essere eseguita quasi sempre sia per confermare la presenza di versamento che per determinarne le caratteristiche. Il versamento può essere giallo chiaro (sieroso), lattescente (chiloso), di colore ematico (sieroematico), francamente ematico (contenente sangue), trasparente od opaco e denso (purulento). Vanno prelevati campioni per le indagini chimiche, batteriologiche e citologiche (per queste ultime si utilizzano provette addizionate con eparina, 3 U/ml di liquido). Dopo la toracentesi, si deve esaminare al microscopio un campione di sedimento del liquido pleurico sottoposto a colorazione di Gram per la ricerca di batteri e di funghi. Le colture per anaerobi devono essere inviate al laboratorio in recipienti speciali per il trasporto o con siringhe tappate. Gli essudati hanno almeno una delle caratteristiche seguenti: (1) rapporto liquido pleurico/ proteine ematiche > 0,5, in genere con > 3,0 g/dl di proteine nel versamento pleurico; (2) rapporto fra LDH nel liquido pleurico e nel siero > 0,6 e (3) LDH del liquido pleurico > 2/3 del limite superiore del valore normale per il file:///F|/sito/merck/sez06/0800694.html (5 of 8)02/09/2004 2.09.36

Malattie della pleura

siero. I trasudati non hanno nessuno di questi caratteri; sono di solito chiari e di color paglierino ma possono essere sieroematici, con una conta di GR > 10000/ ml. La conta dei GB è solitamente < 1000/ml ma è tra 1000 e 10000/ml nel 20% circa dei trasudati. Il livello di glucoso è simile a quello del siero. Il colore ematico dei versamenti pleurici ha scarsa rilevanza clinica. Oltre il 15% dei trasudati pleurici e > 40% degli essudati sono sieroematici con una conta eritrocitaria tra 5000 e 100000/ml. Solamente 5000-10000 GR/ml sono sufficienti per rendere rosso il versamento pleurico e solamente 1 ml di sangue è necessario per dare a 500 ml di liquido pleurico un aspetto sieroematico. I versamenti francamente ematici hanno > 100000 GR/ml; i versamenti pleurici ematici suggeriscono una trauma, una neoplasia o un infarto polmonare. Un ematocrito > 50% in un versamento pleurico ematico è diagnostico per un emotorace. Se le difese corporee non controllano l'infezione in un paziente con polmonite e versamento parapneumonico, il numero dei neutrofili e dei batteri aumenta e il liquido prende l'aspetto macroscopico del pus. Ne risulta l'empiema del torace (essudato purulento nello spazio pleurico). I liquidi con > 100000 neutrofili/ml, con batteri osservabili alla colorazione di Gram e pH < 7,2 possono essere considerati degli empiemi anche se il liquido non è francamente purulento. La maggior parte degli empiemi è causata da batteri anaerobi. L'empiema può verificarsi per contaminazione della cavità pleurica da rottura di un ascesso polmonare (v. Cap. 74); una fistola broncopleurica complica il processo. Una fistola broncopleurica può essere il risultato del drenaggio interno di un empiema. L'empiema può essere l'esito di una ferita penetrante, di una toracotomia, di un'infezione originata da un ascesso epatico o sottodiaframmatico o di una rottura di un viscere (p. es., l'esofago). La conta totale delle cellule deve essere eseguita di routine nei liquidi pleurici chiari o torbidi. La prevalenza dei leucociti polimorfonucleati (PMN) suggerisce la presenza di una polmonite sottostante e di un versamento pleurico parapneumonico, che di regola è sterile anche nella polmonite batterica. Negli stadi precoci di una flogosi batterica, il liquido non è macroscopicamente purulento, sono presenti molti PMN e i batteri sono evidenziabili con la colorazione di Gram. La presenza di numerosi linfociti maturi piccoli, specialmente con poche cellule mesoteliali, è molto suggestiva di TBC. Nell'infarto polmonare, vi è di solito una miscellanea di linfociti, di PMN e di cellule mesoteliali; i GR possono essere numerosi. La presenza di eosinofili nel liquido pleurico riveste scarso significato diagnostico, anche se si rileva di rado nella TBC o nei versamenti neoplastici. Una concentrazione di glucoso < 60 mg/dl (< 3,33 mmol/l) in un versamento pleurico essudativo indica TBC, neoplasia, versamento parapneumonico o malattia reumatoide. Nella maggior parte dei versamenti pleurici reumatoidi il glucoso è < 30 mg/dl (< 1,67 mmol/l). Dei livelli di amilasi molto alti si ritrovano nei versamenti pleurici da pancreatite acuta, nelle fistole pleuropancreatiche croniche e nelle rotture dell'esofago. L'amilasi nel versamento pleurico dovuto a rottura esofagea è di origine salivare, è evidente entro poche ore dalla rottura e può essere la chiave per una diagnosi precoce e un intervento salvavita. Nel 10% circa dei versamenti pleurici maligni, le amilasi sono da lievemente a moderatamente aumentate. Il pH dei versamenti pleurici saccati che complicano una polmonite tende a essere < 7,2. Questi esami di laboratorio sono massimamente utili se integrati con tutti i dati clinici e con gli altri test indicati, p. es., il test cutaneo alla tubercolina quando si sospetta un versamento pleurico da TBC. Quando la diagnosi di un versamento pleurico essudativo non è chiara, va eseguita un'agobiopsia della pleura parietale con un ago di Cope o di Abrams a punta ricurva (v. Agobiopsia pleurica percutanea nel Cap. 65). Diversi campioni di tessuto possono essere inviati per esami istologici e batteriologici. La combinazione di esami al microscopio e di colture del tessuto pleurico permette la diagnosi nel 90% dei pazienti con versamento pleurico da TBC. Comunque, ripetuti esami citologici del liquido pleurico sono preferibili alla biopsia pleurica per stabilire la diagnosi di carcinomatosi pleurica. Nei casi incerti si possono prelevare maggiori quantità di tessuto parietale da una piccola incisione

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Malattie della pleura

toracotomica (biopsia pleurica a cielo aperto). Per esempio, la diagnosi di mesotelioma pleurico è spesso impossibile con un'agobiopsia e richiede maggiori quantità di tessuto ottenibile con una biopsia pleurica a cielo aperto. Con la sostituzione del liquido con aria e l'esecuzione di una biopsia sotto visione diretta toracoscopica (VATS) si ottengono risultati comparabili. Però, nonostante queste procedure più invasive, l'eziologia di un versamento pleurico può rimanere sconosciuta. Il versamento pleurico complica molte patologie polmonari. Il medico deve valutare se concentrare gli esami diagnostici sui polmoni, sulla cavità pleurica o su entrambi. Se i segni clinici e della rx suggeriscono la presenza di patologie polmonari importanti l'attenzione deve essere concentrata sui polmoni e deve essere eseguita precocemente una broncoscopia a fibre ottiche. In assenza di una patologia polmonare evidente, è improbabile che la broncoscopia sveli l'eziologia del processo pleurico. Tuttavia, prima di definire ignota l'eziologia deve essere eseguita una broncoscopia.

Terapia La toracentesi spesso risolve drasticamente la dispnea determinata da un abbondante versamento pleurico. Poiché può verificarsi (di rado) un collasso cardiocircolatorio se troppo liquido viene evacuato troppo rapidamente, l'evacuazione deve essere limitata a 1200-1500 ml per volta. Il pneumotorace può complicare la toracentesi se viene punta la pleura viscerale o se dell'aria penetra nello spazio pleurico (che è a pressione subatmosferica) per una discontinuità del sistema di drenaggio della toracentesi. Le infezioni croniche dello spazio pleurico devono essere trattate con una terapia antibiotica prolungata (v. Profilassi e terapia in Tubercolosi nel Cap. 157). Il liquido pleurico in genere si riassorbe spontaneamente. L'empiema viene trattato con antibiotici ad alte dosi per via parenterale e con il drenaggio. Una o due aspirazioni al giorno con ago possono essere sufficienti per piccole raccolte di pus fluido, ma un tubo di drenaggio toracico toracostomico con valvola ad acqua è in genere preferibile. Quando la cavità dell'empiema è rivestita da un essudato denso e fibrinoso o da una cotenna in via di organizzazione può essere necessario un drenaggio aperto, da mantenere per settimane o mesi, attraverso una resezione costale o un tubo intercostale. Se il polmone è parzialmente collassato da una spessa cotenna o se l'empiema è saccato, la procedura di scelta per espandere il polmone e obliterare la cavità è la decorticazione chirurgica per via toracotomica o con VATS. La decorticazione di un empiema saccato va eseguita preferibilmente entro le prime 3-6 sett. di malattia. L'intervento può rendersi anche necessario se una fistola broncopleurica complica l'empiema. Il trattamento del versamento pleurico da metastasi pleuriche presenta spesso notevoli difficoltà. Il liquido pleurico spesso si riforma dopo il drenaggio, specialmente se il trattamento antineoplastico sistemico non è stato adeguato. Quando il versamento si riforma, il trattamento di scelta è la pleurodesi: il polmone è riespanso con l'inserimento di un tubo di drenaggio toracico, quindi si procede all'instillazione di agenti sclerosanti, come il talco privo di asbesto, somministrato in una miscela semiliquida o la doxiciclina, un derivato della tetraciclina. Il risultato è un'intensa pleurite che oblitera lo spazio pleurico cosicché il versamento non si può riformare. Nell'emotorace è generalmente sufficiente un drenaggio con tubo con valvola ad acqua, se il sanguinamento è cessato. Gli enzimi fibrinolitici (streptochinasistreptodornasi o urochinasi) possono essere instillati attraverso un tubo di drenaggio intercostale per lisare le aderenze fibrinose se il versamento diventa saccato, ma per espandere il polmone e occludere lo spazio pleurico può essere necessaria la toracotomia con decorticazione. Il trattamento del chilotorace è diretto verso le cause sottostanti alla lesione del file:///F|/sito/merck/sez06/0800694.html (7 of 8)02/09/2004 2.09.36

Malattie della pleura

dotto toracico.

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI INORGANICHE ASBESTOSI E MALATTIE CORRELATE

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Asbestosi: questa pneumoconiosi interstiziale diffusa origina dall'inalazione prolungata nel tempo di polveri di asbesto (fibre minerali di silicati di diversa composizione chimica) durante l'estrazione, la fresatura, la lavorazione industriale, l'applicazione (p. es., per l'isolamento) o la rimozione di prodotti a base di asbesto. Il rischio di sviluppare l'asbestosi, il cancro del polmone e il mesotelioma dipende dall'esposizione cumulativa alle fibre di asbesto nell'intero arco della vita. Sembra che l'asbesto favorisca ma non inizi la carcinogenesi. L'incidenza del cancro del polmone è aumentata nei fumatori con asbestosi, con una relazione di tipo dose-dipendente. Se ci sia un rischio aumentato nei non fumatori è dubbio, ma, se presente, esso è ritenuto minimo. La probabilità di sviluppare cancro del polmone è notevolmente aumentata nelle persone che sono esposte all'asbesto e che sono forti fumatori, specialmente se fumano > 1 pacchetto/die. Mesoteliomi maligni pleurici e peritoneali: sono rari tumori del tessuto mesoteliale associati all'esposizione ad asbesto. L'esposizione è costantemente avvenuta 15-40 anni prima e può essere stata relativamente di breve durata (cioè, 12 mesi), ma intensa. Il mesotelioma è solitamente associato con l'esposizione alla crocidolite, una delle quattro principali fibre commerciali. Anche l'amosite spesso causa il mesotelioma, ma il tumore è molto raro nei soggetti esposti alla crisolite e all'antofillite. Gli studi suggeriscono che il tumore in una persona esposta alla crisolite solitamente nasce da depositi di crisolite che vengono contaminati dalla tremolite, una forma anfibolica non commerciale dell'asbesto. I mesoteliomi maligni pleurici, anche se rari, sono più frequenti di quelli benigni. Il tumore maligno è diffuso, infiltra ampiamente la pleura e si associa sempre a versamento pleurico. Il liquido può essere vischioso a causa dell'alta concentrazione di acido ialuronico. Dopo l'esposizione all'asbesto possono svilupparsi placche pleuriche benigne e versamenti pleurici; tuttavia, i mesoteliomi pleurici benigni non sono collegati all'esposizione ad asbesto. (V. anche il Cap. 80.) Versamento pleurico da asbesto: di rado, le persone esposte all'asbesto sviluppano un versamento pleurico 5-20 anni dopo l'esposizione. Il versamento può fare seguito a una breve esposizione ma più spesso è conseguente a esposizioni intermedie (cioè, fino a 10-15 anni). Il meccanismo è ignoto, ma si presume che le fibre si spostino dai polmoni alla pleura inducendo una risposta infiammatoria. Nella maggior parte delle persone, i versamenti si risolvono dopo 3-6 mesi; il 20% sviluppa una fibrosi pleurica diffusa. Pochi individui possono sviluppare un mesotelioma maligno molti anni più tardi, ma non ci sono prove di un aumento dell'incidenza del mesotelioma tra quelli che hanno avuto un versamento pleurico. file:///F|/sito/merck/sez06/0750673.html (1 of 3)02/09/2004 2.09.37

Malattie respiratorie occupazionali

Anatomia patologica e fisiopatologia Le singole fibre di asbesto possono essere inalate profondamente nel parenchima polmonare e, una volta depositate e trattenute, causano lo sviluppo di fibrosi alveolare e interstiziale diffusa. L'asbestosi porta a una riduzione dei volumi, della compliance (con aumentata rigidità) e degli scambi gassosi. Le fibre di asbesto nel tessuto polmonare possono essere o non essere ricoperte ricoperte da un complesso ferro-proteina. Una volta che le fibre sono ricoperte (corpi ferruginosi o dell'asbesto), si ritiene che esse diventino innocue. In assenza dei segni di fibrosi nei polmoni, la presenza di fibre nel tessuto polmonare indica solo l'esposizione all'asbesto, non la malattia. Occasionalmente, altre fibre, p. es., il talco ricoperto da una proteina contenente ferro, possono mimare i corpuscoli di asbesto.

Sintomi e segni Il paziente caratteristicamente rileva la comparsa insidiosa di una dispnea da sforzo e di ridotta tolleranza all'esercizio fisico. I sintomi della patologia delle vie aeree (tosse, escreato e sibili) non sono comuni, ma possono presentarsi nei forti fumatori affetti da bronchite cronica associata. La rx torace mette in evidenza piccole opacità irregolari o lineari diffusamente distribuite, di solito più evidenti nei campi polmonari inferiori. Spesso sono visibili solo delle alterazioni minime alla rx ed esse sono spesso confuse con quelle relative ad altre condizioni. Può essere evidente anche un ispessimento pleurico diffuso o localizzato, associato o meno a patologia parenchimale. La malattia progredisce (ma solamente per 1-5 anni) nel 5-12% circa dei pazienti dopo la cessazione dell'esposizione. La sintomatologia e le turbe funzionali si fanno più gravi man mano che la categoria rx peggiora. Si giunge infine all'insufficienza respiratoria con marcata compromissione dell'ossigenazione. Le placche pleuriche localizzate non alterano la funzione, benché la fibrosi diffusa della pleura, come avviene dopo un versamento pleurico, è di solito associata a una grave compromissione restrittiva. I mesoteliomi associati con l'esposizione all'asbesto risultano quasi sempre fatali entro 2-4 anni dalla diagnosi. Essi si diffondono localmente per estensione e possono metastatizzare diffusamente. È spesso presente un versamento pleurico con dolore toracico.

Diagnosi La diagnosi di asbestosi richiede una storia di esposizione professionale e riscontri rx, clinici e funzionali di danno restrittivo e di ridotta capacità di diffusione da fibrosi polmonare diffusa. La conferma istologica non è quasi mai necessaria né indicata. Sebbene la diagnosi di carcinoma broncogeno può essere formulata rapidamente, esistono seri problemi medico-legali nello stabilire una relazione di causa-effetto con l'esposizione alle fibre di asbesto nel singolo paziente, specialmente se fumatore di sigarette. Solo quando l'asbestosi è chiaramente dimostrata si può presumere che l'esposizione all'asbesto abbia avuto un ruolo. È più difficile porre diagnosi di mesotelioma, che può essere confermata solo al riscontro bioptico o autoptico.

Profilassi e terapia L'asbestosi è prevenibile, soprattutto con un'efficace eliminazione della polvere file:///F|/sito/merck/sez06/0750673.html (2 of 3)02/09/2004 2.09.37

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dall'ambiente di lavoro. La forte dimunuizione dell'esposizione all'asbesto ha ridotto l'incidenza dell'asbestosi ed è probabile che ulteriori progressi nell'igiene industriale la eradichino. La profilassi più efficace contro il cancro del polmone può essere attuata dal lavoratore, vale a dire evitando l'esposizione continuativa e, soprattutto, astenendosi dal fumare sigarette. Poiché un'esposizione breve all'asbesto (almeno 6 mesi-2 anni) ma in genere intensa può portare allo sviluppo di un mesotelioma, la sua prevenzione non è prevedibile con certezza, ma la sua incidenza si abbasserà di molto ora che nell'America del Nord e nella maggior parte dell'Europa la crocidolite non è più in uso. Non esiste una terapia specifica per l'asbestosi o il mesotelioma; la terapia è sintomatica.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI TORACENTESI Puntura della parete toracica per l'estrazione di liquido pleurico. La toracentesi diagnostica è più spesso utilizzata per determinare l'eziologia di un versamento pleurico. L'analisi del liquido pleurico è importante nella diagnosi e nella stadiazione di una neoplasia sospetta o confermata. La toracentesi terapeutica è eseguita per alleviare l'insufficienza respiratoria causata da un versamento pleurico massivo. Essa può essere utilizzata per introdurre agenti sclerosanti o antineoplastici nello spazio pleurico dopo rimozione del liquido pleurico, ma a questo scopo la maggiore parte dei medici preferisce usare un tubo da toracostomia. Le controindicazioni comprendono la mancanza di collaborazione da parte del paziente; una coagulopatia non corretta; l'instabilità o l'insufficienza respiratoria (a meno che la toracentesi terapeutica venga eseguita per farla regredire); l'instabilità del ritmo o dell'emodinamica cardiaca e l'angina instabile. Controindicazioni relative sono la ventilazione meccanica e la malattia bollosa del polmone. L'infezione locale della parete toracica deve essere esclusa prima di introdurre l'ago nello spazio pleurico. Per prima cosa, il medico deve verificare la presenza e la localizzazione del liquido pleurico, generalmente con l'esame obiettivo; una rx del torace in decubito laterale, un'ecografia e/o una TC possono essere però necessari se la patologia è saccata. Sebbene la toracentesi possa essere eseguita in maniera sicura senza premedicazione, alcuni medici preferiscono somministrare atropina 0,01 mg/kg EV per bloccare le reazioni vasovagali durante l'aspirazione del fluido; un narcotico o un sedativo non sono consigliabili. La toracentesi si effettua nel modo migliore quando il paziente è seduto comodamente ed è leggermente piegato in avanti, con le braccia rilassate e posate su un appoggio. È possibile, ma più difficile, effettuarla col paziente disteso, essendo spesso necessaria una guida TC o ecografica. Solamente pazienti ad alto rischio o instabili richiedono il monitoraggio (p. es., il pulsossimetro, l'ECG). L'ago deve essere inserito in uno spazio intercostale sovrastante il fluido. Nei versamenti non saccati, il punto di inserzione dell'ago rimane di solito uno spazio intercostale al di sotto del livello del fluido, sulla linea medioscapolare. Dopo aver pulito la pelle con una soluzione iodata e averla ricoperta con un telo sterile, il medico con guanti sterili usa come anestetico locale la lidocaina all'1 o 2% per formare un pomfo cutaneo, poi infiltra il sottocutaneo, il periostio del margine superiore della costa inferiore (evitando pertanto il margine inferiore della costa superiore per prevenire danni al fascio neurovascolare sottocostale) e la pleura parietale. Dopo che l'ago con l'anestetico ha superato la pleura parietale e ha aspirato del liquido pleurico, si deve segnare la profondità dell'ago applicando sull'ago una pinza al livello della pelle. Un ago da toracentesi (16-19) di grosso calibro o un'agocannula con mandrino viene collegato a un rubinetto a 3 vie, connesso a una siringa di 30-50 ml e ai tubi per svuotare il liquido dalla siringa dentro un contenitore. Il medico prende nota della posizione della pinza sull'ago e aggiunge 0,5 cm all'ago per la toracentesi. Perciò l'ago di grosso calibro può essere introdotto nel torace con minor pericolo di perforare i polmoni sottostanti. L'ago viene introdotto perpendicolarmente alla gabbia toracica attraverso la pelle

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Indagini speciali

e il tessuto sottocutaneo e lungo il margine superiore della costa inferiore, fin dentro al versamento. I cateteri flessibili sono generalmente preferibili ai tradizionali semplici aghi da toracentesi perché riducono il rischio di pneumotorace. La maggior parte degli ospedali dispone di confezioni monouso per toracentesi complete di aghi, siringhe, rubinetto e tubi e questo le rende più sicure ed efficienti. Campioni piccoli e numerosi (15-30 ml) vengono versati in provette contenenti 0,1 ml di eparina; i campioni sono sottoposti a colture, a conte cellulari e ad analisi chimiche. Il liquido rimanente viene aspirato e inviato per l'analisi del peso specifico e per l'esame citologico se indicato. Nei casi di pazienti con versamenti di grande entità, di regola non dovrebbero essere aspirati più di 1500 ml in una seduta per evitare di causare un'instabilità emodinamica e/o un edema polmonare associato alla riespansione del polmone. La siringa e il rubinetto a tre vie devono essere maneggiati con cautela: non si deve far entrare aria nella cavità pleurica. Il liquido non deve mai essere aspirato forzatamente dalla cavità pleurica, per evitare di danneggiare il polmone con l'ago o con il catetere. Mentre i polmoni si espandono contro la gabbia toracica, il paziente può avvertire un dolore pleuritico. La procedura deve essere interrotta al presentarsi di forte dolore, mancanza di respiro, bradicardia, malore o altri segni importanti, anche se rimane molto liquido nel torace. La rx del torace (in posizione eretta, nelle proiezioni antero-posteriore e laterale in inspirazione e in espirazione) deve essere effettuata dopo la toracentesi per documentare la rimozione del liquido aspirato, per visualizzare il parenchima polmonare precedentemente nascosto dal liquido e per cercare eventuali complicanze causate dalla procedura. Le complicanze sono rare, sebbene l'esatta incidenza sia sconosciuta. Queste comprendono il pneumotorace, causato da ingresso di aria attraverso l'ago o per trauma causato dall'ago al polmone sottostante; l'emorragia nella cavità pleurica o nella gabbia toracica dovuta a lesioni dei vasi sottocostali; la sincope semplice o vasovagale; gli emboli aerei (rari ma gravissimi); l'infezione; la perforazione della milza o del fegato dovuta a inserimento basso o insolitamente profondo dell'ago e l'edema polmonare da riespansione, solitamente dovuto a una rapida rimozione di > 1 l di liquido pleurico. La mortalità è molto rara.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI AGOBIOPSIA PLEURICA PERCUTANEA L'agobiopsia della pleura viene eseguita quando la toracentesi con citologia sul liquido pleurico non fornisce una diagnosi specifica, di solito nei versamenti essudativi quando si sospettano la TBC, altre infezioni granulomatose o una neoplasia. Il risultato diagnostico della biopsia pleurica dipende dalla causa del versamento. Nei pazienti con la TBC, la biopsia pleurica è molto più sensibile della toracentesi e della sola coltura del liquido pleurico; l'80% dei casi viene diagnosticato alla prima biopsia e un ulteriore 10% alla seconda biopsia. Dei pazienti con tumore pleurico, il 90% può essere diagnosticato combinando l'esame citologico sul liquido pleurico con l'agobiopsia pleurica. Le controindicazioni sono le stesse della toracentesi (v. sopra). La premedicazione, la preparazione e l'anestesia sono identiche a quelle per la toracentesi. Aghi specificatamente disegnati per biopsie pleuriche sottocutanee comprendono l'ago di Abrams, di Cope e il Tru-Cut. Una piccola incisione viene fatta nella cute e nel sottocutaneo e un ago da biopsia collegato a una siringa, viene introdotto nel versamento sopra il margine superiore della costola inferiore. La parte tagliente dell'ago viene aperta e la pleura parietale viene agganciata mediante una pressione laterale o verso il basso dell'ago. La parte tagliente viene poi richiusa, trattenendo il pezzo di pleura all'interno. Questo tessuto può essere aspirato all'interno della siringa collegata, oppure può essere recuperato rimuovendo l'ago. Sono necessari almeno tre campioni per l'istologia e l'esame colturale, ottenuti da un sito cutaneo con il posizionamento della parte tagliente dell'ago in direzione delle ore 3, 6 e 9. Per evitare lesioni al soprastante fascio neurovascolare sottocostale, l'operatore non deve mai praticare una biopsia con la parte tagliente aperta verso l'alto. La rx del torace è d'obbligo dopo biopsia pleurica. Le complicanze sono simili a quelle della toracentesi, ma l'incidenza del pneumotorace e dell'emorragia è lievemente più alta.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA MICOBATTERI TUBERCOLOSI Infezione cronica, ricorrente, più frequente nei polmoni. (V. anche Tubercolosi Perinatale in Infezioni Neonatali nel Cap. 260)

Sommario: Introduzione Eziologia, epidemiologia e incidenza Patogenesi Profilassi Terapia TUBERCOLOSI POLMONARE Sintomi e segni Diagnosi TUBERCOLOSI EXTRAPOLMONARE TUBERCOLOSI GENITOURINARIA MENINGITE TUBERCOLARE TUBERCOLOSI MILIARE PERITONITE TUBERCOLARE PERICARDITE TUBERCOLARE LINFOADENITE TUBERCOLARE TUBERCOLOSI OSTEOARTICOLARE TUBERCOLOSI GASTROINTESTINALE TUBERCOLOSI EPATICA

Una volta che l’infezione si è stabilita, la tubercolosi clinica (TBC) può svilupparsi nel giro di mesi o può non manifestarsi per anni e addirittura decenni.

Eziologia, epidemiologia e incidenza La TBC riguarda soltanto le malattie causate dal Mycobacterium tuberculosis, dal M. bovis o dal M. africanum. Altri micobatteri possono causare malattie simili alla TBC (v. oltre), ma generalmente essi rispondono poco ai farmaci efficaci per la TBC. Nei paesi sviluppati, la TBC dell’uomo si verifica quasi esclusivamente attraverso l’inalazione di microrganismi dispersi sotto forma di goccioline emesse dalla tosse di un individuo con TBC polmonare, il cui espettorato è positivo. Il M. tuberculosis può restare in sospensione nell’aria per diverse ore e ciò aumenta pertanto il rischio di diffusione. La propagazione può avvenire nei laboratori di microbiologia e nelle sale di autopsia, in parte perché la natura idrofoba dei microrganismi può agevolare la loro aerosolizzazione. Gli oggetti contaminati non file:///F|/sito/merck/sez13/1571285.html (1 of 15)02/09/2004 2.09.41

Malattie batteriche

sembrano svolgere alcun ruolo nella diffusione. L’incidenza dei casi varia secondo l’area geografica, l’età, la razza, il sesso e la condizione socio-economica. Negli USA, nel 1996, sono stati segnalati 21337 casi con un’incidenza di 8/ 100000 abitanti. Sebbene la TBC sia stata pressoché eliminata in alcuni strati della popolazione, essa continua a essere prevalente in altri, come nelle persone > 70 anni, categoria in cui la malattia si verifica nei due sessi e in tutte le razze, con un incidenza di 200/100000. L’incidenza della tubercolosi è doppia nelle persone di colore rispetto a quelle di razza bianca, in tutte le fasce di età (v. oltre). Benché le difese immunitarie specifiche contro la TBC compaiano solo dopo il contagio, contro l’invasione iniziale possono agire considerevoli difese innate. Pertanto, in molti casi, il personale medico può lavorare per anni a contatto ravvicinato con pazienti affetti da TBC senza che si verifichi la conversione del test cutaneo alla tubercolina. I neri sono meno resistenti all’invasione iniziale rispetto ai bianchi, il che spiega parzialmente la maggiore prevalenza dell’infezione tra i neri. Dato che il tasso di incidenza è sempre parallelo alla prevalenza, tra i neri si registra un tasso di incidenza della TBC più elevato. L’incidenza della TBC si è pericolosamente accresciuta tra le persone affette da HIV e in particolare tra i neri e gli ispanici che facciano uso di droghe EV, per lo più in soggetti residenti nei centri urbani di età compresa tra 25 e 44 anni. Il tasso di incidenza è minore tra gli omosessuali con AIDS, che generalmente sono maschi, di razza bianca e appartenenti al ceto medio. La tubercolosi attiva è determinata sia dalla recrudescenza di un’infezione tubercolare silente sia da una nuova infezione in quanto l’infezione da HIV determina una profonda immunodeficienza. I segni di una nuova e potenzialmente pericolosissima epidemia di TBC sono già comparsi. La comparsa dell’infezione da HIV ha creato i presupposti non solo per un aumento dell’incidenza della TBC (aumentata del 30% nello stato di New York nel 1992-1993) ma anche per la propagazione di microrganismi resistenti a tutti i farmaci di prima scelta. L’incidenza della TBC è aumentata dal 1989 al 1992, ma da allora in poi le più strette misure di controllo sembra che siano state efficaci. Rimane tuttavia la minaccia dei microrganismi farmaco-resistenti.

Patogenesi Gli stadi della TBC sono il primario, o infezione iniziale, il latente, o infezione quiescente, e il recrudescente o TBC di tipo adulto. Il 90-95% delle infezioni primarie non viene scoperto, dando luogo soltanto al risultato positivo del test cutaneo alla tubercolina e a un’infezione latente o quiescente. La TBC primaria può diventare attiva ad ogni età, causando una tubercolosi clinica in ciascun organo, più frequentemente nell’area apicale del polmone, ma anche nel rene, nell’osso lungo, nelle vertebre, nei linfonodi e in altri organi. Spesso l’attivazione avviene entro 1 o 2 anni dall’infezione iniziale ma può essere ritardata di anni o decenni e attivarsi dopo l’esordio di un diabete mellito, durante periodi di stress o dopo trattamento con corticosteroidi o altri agenti immunosoppresivi, nell’adolescenza o negli anni dell’invecchiamento (> 70 anni di età), ma specialmente in seguito a infezione da HIV. L’infezione iniziale lascia cicatrici nodulari negli apici di uno o di entrambi i polmoni (detti focolai di Simon), che sono le sedi più comuni per una successiva malattia allo stadio attivo. La frequenza di attivazione non sembra dipendere dalle cicatrici calcificate dell’infezione primaria (foci di Ghon) o dai residui calcifici dei linfonodi ilari. Anche la gastrectomia parziale e la silicosi predispongono allo sviluppo della TBC attiva.

Profilassi

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Malattie batteriche

La profilassi antibiotica è principalmente indicata nelle persone il cui test tubercolinico cutaneo sia divenuto da negativo a positivo nei 2 anni precedenti. Pertanto il trattamento è sempre indicato nei bambini piccoli, nei quali l’infezione deve necessariamente essere recente, e nei bambini più grandi e negli adulti < 25 anni nei quali l’infezione è probabile che sia recente, e che sono ad alto rischio per lo sviluppo di una tubercolosi clinica. Negli anziani la profilassi è indicata soltanto quando la conversione del test cutaneo alla tubercolina è certa (cioè, un incremento di 15 mm in rapporto a precedenti test negativi; la progressione da un singolo test negativo a una reazione positiva in un test ripetuto da 1 a 6 sett. più tardi devono essere considerati un effetto di richiamo positivo e non una conversione). La profilassi è fortemente indicata per ogni persona infetta da HIV la cui reazione tubercolinica sia 10 mm, perché è perduto l’effetto protettivo dell’immunità delle cellule-T. È anche indicata per gli individui reattivi (indurimento di 10 mm) che presentino una cicatrice apicale di una vecchia TBC (foci di Simon) e siano affetti da diabete mellito insulinodipendente, in trattamento con terapia corticosteroidea prolungata, siano stati sottoposti a gastrectomia oppure siano affetti da malattia renale in fase terminale o bendaggio gastrico. La profilassi è fortemente indicata in ogni bambino < 4 anni (che sia risultato negativo o positivo al test tubercolinico) che abiti o che sia a stretto contatto con persone il cui escreato sia positivo per i bacilli acidoresistenti che si suppongono M. tuberculosis. In questo gruppo di età l’infezione può progredire così rapidamente che può svilupparsi una malattia grave prima ancora che il test cutaneo diventi positivo. La chemioprofilassi consiste abitualmente nell’isoniazide a meno che non sia sospettata resistenza. La dose è di 300 mg/die per 6 o 9 mesi per gli adulti. Per i bambini il dosaggio è di 10 mg/kg/die fino a 300 mg, da somministrare in una singola dose al mattino. Nei bambini con infezione in atto e negli anziani che presentano conversione tubercolinica è stato dimostrato che, nella prevenzione dello sviluppo di una TBC clinica, la profilassi con isoniazide è efficace nel 98,5%. Il vaccino BCG, ottenuto da un ceppo attenuato di M. Bovis è stato utilizzato nei paesi in via di sviluppo con alta prevalenza e incidenza di TBC fra i giovani. Esso è poco usato negli USA, a meno che in casi peculiari che non possono essere trattati altrimenti in modo soddisfacente. La precedente vaccinazione spesso determina una reazione positiva al test cutaneo. Molti trial specifici hanno fallito nel dimostrare in maniera conclusiva l’efficacia del BCG nei confronti della TBC non complicata, nonostante i dati suggeriscano un certo grado di protezione nei confronti della meningite tubercolare nei bambini. Non è necessario ospedalizzare a lungo le persone con TBC clinica per proteggere i loro contatti stretti. Ogni rischio si è infatti già realizzato al momento della diagnosi e dell’inizio del trattamento. I pazienti di solito non sono più contagiosi dopo 10-14 gg dall’inizio di una terapia efficace. Tuttavia, deve essere fatta una buona valutazione; p. es., a una persona infetta non deve essere permesso di lavorare in un reparto neonatale fino a quando le colture e/o la PCR non risultino negative in maniera consistente. Talora nei pazienti problematici con infezione tubercolare contagiosa è necessaria la reclusione per effettuare la terapia sotto supervisione. Dal momento che i pazienti con AIDS possono diffondere il M. tuberculosis agli ospiti sani, deve essere posta molta attenzione alla rapida identificazione della TBC e, nel caso in cui la si sospetti , finquando tale diagnosi non sia esclusa, si dovraà somministrare una terapia a più farmaci e mantenere nelle stanze dei pazienti la sterilizzazione dell’aria con lampade a ultravioletti. I M. avium-intracellulare non possono essere trasmessi da persona a persona. La sterilizzazione dell’aria è utile anche per proteggere gli stessi pazienti con AIDS da varie infezioni aerogene.

Terapia

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Malattie batteriche

L’antibioticoterapia è estremamente efficace e di solito curativa se viene proseguita per l’intera durata. I farmaci antitubercolari includono cinque sostanze che alle dosi usuali sono battericide e tre che sono batteriostatiche. Anche i ceppi di bacilli tubercolari considerati sensibili a un farmaco includono invariabilmente un piccolo numero (cioè 1/1000000) che risulta resistente. Pertanto in risposta a un singolo farmaco la malattia può inizialmente migliorare e quindi peggiorare non appena il mutante resistente si moltiplica liberamente. I mutanti resistenti ad ogni farmaco battericida si trovano nei ceppi sensibili con un tasso di riproduzione di circa 1/1000000. Così, per prevenire lo sviluppo di resistenza, la TBC clinica deve sempre essere trattata con almeno due farmaci battericidi che agiscano attraverso meccanismi differenti. Nei pazienti che vivono in città, dove la diffusione della TBC isoniazide-resistente è comune e non può quindi essere curata con i due farmaci più efficaci devono essere aggiunti altri farmaci. Un singolo farmaco è utilizzato quando è assente una malattia clinica e la popolazione dei microrganismi è scarsa (cioè < 10000-100000 rispetto a 1 ⋅ 109 in un caso cavitario). Gli esempi riguardano un’infezione precoce identificata dalla conversione tubercolinica ma che non si presenti ancora come lesione visibile alla rx o come malattia clinica o una vecchia lesione che sia stata curata per anni ma che non sia mai stata trattata sufficientemente da uccidere i microrganismi residui. Gli anziani possono presentare una maggiore tossicità per il trattamento: le persone di età > 60 anni con infezione riattivata e senza storia di un precedente tentativo terapeutico possono generalmente essere trattate in maniera soddisfacente con rifampicina e isoniazide in quanto l’infezione era stata acquisita decenni prima, molto prima della disponibilità dei farmaci più moderni. La TBC nelle persone infette da HIV risponde generalmente bene ai regimi usuali quando l’antibiogramma ne dimostri la sensibilità. Per i ceppi multiresistenti, devono essere utilizzati i farmaci più recenti, non appena disponibili, ma sempre insieme ad altri farmaci efficaci. La terapia deve essere continuata per 6-9 mesi dopo la negativizzazione dell’esame colturale dell’espettorato. Nei soggetti con TBC polmonare ed esame diretto dell’espettorato positivo e in quelli con TBC extrapolmonare, la terapia con almeno due farmaci (isoniazide e rifampicina) deve essere continuata per 9 mesi. La durata può essere ridotta se per i primi due mesi viene somministrata pirazinamide e soprattutto se per i primi due mesi vengono anche somministrati streptomicina o etambutolo. La terapia della TBC polmonare può essere ridotta a 6 mesi se gli esami iniziali dell’espettorato sono negativi, indicando che il numero dei microrganismi è relativamente piccolo. Nel caso in cui la coltura dell’espettorato non si sia negativizzata entro 5 mesi, al fine di migliorare la cura non deve essere aggiunto un singolo farmaco, non importa quanto potente. Il fallimento terapeutico è probabilmente dovuto allo sviluppo di resistenza a uno o probabilmente a entrambi i farmaci utilizzati inizialmente; l’aggiunta di un terzo farmaco garantisce semplicemente che si sviluppi rapidamente resistenza anche a esso. Piuttosto devono essere aggiunti due o più farmaci nei confronti dei quali il microrganismo sia sensibile, a dosi pienamente efficaci, e la durata complessiva della terapia deve essere estesa per almeno 6 mesi dopo che l’esame colturale dell’espettorato sia diventato completamente negativo. Nei bambini, quando è presente adenopatia ilare, è generalmente consigliabile una terapia a tre farmaci, cioè isoniazide, rifampicina e pirazinamide, per 6 mesi (v. Tab. 157-6). Quando nella proiezione antero-posteriore e laterale della radiografia del torace non può essere evidenziata nessuna alterazione e il bambino sta clinicamente bene, a meno che il caso fonte non abbia un ceppo TBC resistente, è adeguata la terapia con la sola isoniazide (10-20 mg/kg in un unica somministrazione per 6 mesi). L’isoniazide è il farmaco che ha le più alte probabilità di perdere la propria efficacia, dal momento che la sua grande efficacia può aver dato luogo a mutanti resistenti che si moltiplicano e divengono il ceppo dominante. La streptomicina IM è solitamente efficace, a meno che il paziente non l’abbia già ricevuta in passato, in questo caso può essere sostituita con la capreomicina, allo stesso dosaggio. La pirazinamide per via orale è anche battericida e assolutamente file:///F|/sito/merck/sez13/1571285.html (4 of 15)02/09/2004 2.09.41

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efficace. La resistenza all’etambutolo è rara, perché essa al dosaggio comunemente usato non è efficace in maniera sufficiente (15 mg/kg/die) e così non promuove la sopravvivenza di preferenziali mutanti resistenti. Per raggiungere un effetto battericida per i primi 2 mesi è necessario un dosaggio di 25 mg/kg/die. Deve quindi essere ridotta a 15 mg/kg per evitare la neurite ottica. Inizialmente i campioni dell’espettorato devono essere analizzati settimanalmente, successivamente, per avere una documentazione della risposta alla terapia, due volte al mese per i primi due mesi di trattamento. Una terapia efficace riduce rapidamente il numero dei microrganismi nell’escreato cosicché lo striscio e la coltura risultano di solito negativi nel giro di 2 mesi. Quando all’inizio lo striscio dell’escreato è altamente positivo, esso può rimanere positivo (in parte a causa dell’escrezione di microrganismi morti) per 2 o 3 mesi dopo la negativizzazione della coltura. Un ritardo nella negativizzazione della coltura suggerisce l’inadeguatezza del regime farmacologico (cioè, i microrganismi sono resistenti) o la mancanza di cooperazione da parte del paziente. La piena adesione del paziente a un regime terapeutico che comporti l’assunzione di molti farmaci è così importante che spesso i farmaci vengono somministrati sotto la diretta osservazione di una persona responsabile. La terapia deve essere continuata almeno fino a che sei campioni mensili consecutivi non siano risultati negativi. Antibiotici: l’isoniazide (INH) viene somministrata per via orale ed è battericida, ha una buona penetrazione nelle cellule dell’organismo e nel LCR ed è largamente efficace contro consistenti popolazioni di bacilli extracellulari. Essa rimane il farmaco antitubercolare più utile e meno costoso. Quando l’INH viene somministrata in combinazione con rifampicina (RMP) un microrganismo suscettibile ha una possibilità di sopravvivenza e replicazione di 1 ⋅ 1012. L’uso dell’INH in gravidanza è sicuro. Le reazioni allergiche all’INH includono eruzione cutanea, febbre da farmaci e, raramente, anemia e agranulocitosi. Un grave (ma reversibile) danno al fegato può verificarsi dall’1 al 2% delle persone trattate < 65 anni. Il rischio di tali effetti può raggiungere il 4-5% nelle persone > 65 anni e si può anche accrescere negli alcolisti. Gli effetti possibili, che devono essere notificati, includono anoressia, nausea, vomito e itterizia, indicando la tossicità epatica e il bisogno di esaminare la funzionalità epatica. Se il paziente accusa il sintomo del vomito, l’INH deve essere immediatamente sospesa finquando non siano disponibili i dati di funzionalità epatica. Se il valore delle transaminasi è molto elevato ( 500 U/l) l’INH non deve essere ripresa. Nel caso di aumenti meno consistenti e dopo guarigione sintomatica si può trattare in tutta sicurezza il paziente con metà dose di ogni farmaco per 2-3 gg; se tale dosaggio viene tollerato si può ricominciare con la dose intera, con un attento controllo dei sintomi. Circa 1/2 dei pazienti che abbiano avuto reazioni tossiche possono tollerare il farmaco se esso viene somministrato nuovamente in questa maniera. Se il paziente sta ricevendo insieme l’INH e la RMP, la prova deve essere condotta con un farmaco alla volta, separatamente. Ciò consente l’identificazione del farmaco nocivo, che dovrà essere sospeso così che possa essere sostituito da un altro. Non si richiede una regolare analisi mensile dei test di funzionalità epatica perché si verifica frequentemente un innocuo aumento transitorio del livello delle transaminasi sieriche, che porterebbe soltanto confusione. La neuropatia periferica dovuta alla deficienza di piridossina (vitamina B6) indotta dall’INH si verifica molto frequentemente nelle donne gravide e nelle persone con una dieta carente, negli alcolisti, nei pazienti affetti da cancro o da uremia e negli anziani. Una dose giornaliera di 25-50 mg di pirodossina può prevenire questa complicanza, sebbene possa non essere necessaria nei bambini sani e nei giovani. L’INH ritarda l’escrezione della fenitoina, il cui dosaggio deve essere ridotto. La rifampicina (RMP) somministrata per via orale è ugualmente battericida, ben assorbita, penetra bene nelle cellule e nel LCR e agisce rapidamente contro la grande popolazione extracellulare dei bacilli tubercolari. Essa è valida anche nell’eliminazione di numerosi microrganismi nei macrofagi o nelle lesioni caseose che possono causare una successiva ricaduta. Pertanto, la RMP deve essere file:///F|/sito/merck/sez13/1571285.html (5 of 15)02/09/2004 2.09.41

Malattie batteriche

usata per tutto il corso della terapia. Il dosaggio per gli adulti è 600 mg/die in una singola dose; per i bambini da 10 a 20 mg/kg/die in una singola dose giornaliera (dose massima, 600 mg). Gli effetti tossici includono ittero colestatico (raro), febbre, trombocitopenia e insufficienza renale. La RMP contribuisce solo marginalmente all’epatotossicità dell’INH. Con il dosaggio di 600 mg 2 volte/ settimana, le reazioni allergiche simil-influenzali sono rare. La RMP può essere tranquillamente utilizzata in gravidanza. La RMP accelera il metabolismo degli anticoagulanti, dei contraccettivi orali, dei corticosteroidi, delle digitossine, degli agenti ipoglicemici orali e del metadone. Essa tende altresì a ridurre la concentrazione di vitamina D, cosa che può risultare pericolosa in caso di pazienti con febbre o gravemente malati, specialmente se neri, i quali hanno generalmente un livello di vitamina D inferiore ai bianchi. La vitamina D è essenziale alla funzione dei macrofagi che proteggono dal M. tuberculosis. Nei pazienti anziani di colore, affetti da TBC, che siano stati costretti a casa per un lungo periodo o che non abbiano passato molto tempo all’aperto, si consiglia l’aggiunta di vitamina D. La rifapentina, rifampicina di seconda generazione, possiede un’emivita più lunga rispetto alla rifampicina e può essere somministrata settimanalmente. La streptomicina (SM) è molto efficace e la resistenza è ancora poco frequente. La SM si somministra tramite iniezione 5 die/sett. a un dosaggio di circa 15 mg/ kg (di solito 1 g per gli adulti, ridotto a 0,5 per quelli > 60 anni, < 45 kg, o per quanti presentino un qualsiasi livello di insufficienza renale). Le dosi pediatriche devono essere adattate al peso corporeo. Nei pazienti > 60 anni con ridotte funzioni renali, il dosaggio deve essere ridotto a 0,25 g. La penetrazione nel LCR è piccola e, nel caso siano disponibili altri agenti efficaci, non si deve ricorrere alla somministrazione intratecale. Gli effetti tossici possibili includono lesioni tubulari renali, vestibolari e ototossicità. Siccome questi sono collegati alle dosi, il dosaggio non deve essere > 1 g/die e il farmaco non deve essere prescritto giornalmente per > 2 mesi (piuttosto per 5 gg/sett.). Quindi, se necessario, può essere somministrata due volte a settimana per ulteriori due mesi. I pazienti devono essere controllati con esami specifici dell’equilibrio, dell’udito e dei livelli della creatinina sierica. Le reazioni allergiche comprendono eruzione cutanea, febbre da farmaci, agranulocitosi e malattia da siero. Una congestione del volto e un formicolio intorno alla bocca accompagnano comunemente ogni inezione, ma svaniscono presto. La SM è controindicata in caso di gravidanza perché può danneggiare l’8o nervo cranico nel feto. La pirazinamide (PZA), utile farmaco battericida orale, prima veniva usato solo in caso di ritrattamento o in presenza di farmacoresistenza, ma ora viene utilizzato di routine con INH e RMP o con EMB o SM, per proteggersi da fallimenti terapeutici da ceppi resistenti all’INH e per abbreviare il corso della terapia a 6 mesi. Non è consigliabile per un uso routinario nei pazienti di età > 60 anni che non siano mai stati trattati in precedenza. Il suo principale effetto tossico è l’iperuricemia, che è generalmente lieve e solo raramente provoca la gotta. Il dosaggio usuale da 25 a 30 mg/kg somministrato in una singola dose giornaliera per evitare l’epatotossicità che si verificava in passato con dosi frazionate maggiori. La dose pediatrica deve essere calcolata in base al peso corporeo. L’etambutolo (EMB) è un farmaco batteriostatico orale che inibisce la resistenza ai farmaci battericidi usati nella terapia contro la TBC. Per i primi 2 mesi di terapia deve essere usata una dose singola di 25 mg/kg/die, seguita da un dosaggio meno tossico di 15 mg/kg/die una volta che la popolazione batterica sia stata in larga parte ridotta. In alternativa,possono essere somministrati 50 mg/kg 2 volte/ sett. per raggiungere un livello ematico battericida con ogni dose. La tossicità può interessare il nervo ottico producendo l’incapacità di distinguere il blu dal verde, cui segue un’alterazione del campo visivo. Siccome entrambe le conseguenze sono reversibili se scoperte in tempo, il paziente deve essere istruito su come controllare il suo campo visivo guardando uno stesso oggetto blu e leggendo ogni giorno un giornale, usando gli stessi occhiali. Un cambiamento riscontrato in uno o nell’altro test deve essere segnalato così che si possa procedere a un esame oculistico e sostituire un altro farmaco all’EMB nel caso si riscontri neurite ottica. Con le dosi della fase di mantenimento di 15 mg/kg/ die la tossicità è rara. L’EMB viene generalmente evitato nei bambini più piccoli che non possono file:///F|/sito/merck/sez13/1571285.html (6 of 15)02/09/2004 2.09.41

Malattie batteriche

leggere le tavole ottometriche mentre viene utilizzato alla dose regolare nei bambini in grado di leggere le tavole ottometriche. Nei pazienti con insufficienza renale il dosaggio di EMB deve essere ridotto a 8-10 mg/kg/die. Esso può essere usato senza rischio anche in caso di gravidanza. Nei pazienti in trattamento dialitico la dose deve essere somministrata dopo ogni seduta di dialisi. La capreomicina è un ottimo farmaco battericida per via parenterale il cui dosaggio, efficacia ed effetti collaterali sono essenzialmente identici a quelli della streptomicina. L’etionamide e la cicloserina sono molto efficaci, per quanto utilizzate raramente a causa degli indesiderati effetti collaterali (nausea e, rispettivamente, depressione e psicosi ). Levofloxacina, ciprofloxacina e amikacina sembrano efficaci, anche se non sono approvate per la TBC. Ciò nonostante, esse possono essere di aiuto contro la TBC quando il microrganismo mostri di resistere a diversi farmaci. Regimi di terapia: inizialmente RMP e INH possono essere somministrate giornalmente per 9 mesi oppure somministrate giornalmente per un mese e poi 2 volte/sett. per 8 mesi (regime Arkansas). La dose di RMP somministrata 2 volte alla settimana è di 600 mg (come nella dose giornaliera) e quella dell’INH di 900 mg. Questo regime viene ottenuto molto facilmente con le capsule di combinazione che contengono 1/2 dose di entrambi, RMP e INH (300 mg e 150 mg); si somministrano due capsule/die per un mese, poi si somministrano due capsule più due compresse da 300 mg di INH 2 volte/sett., per il restante corso della terapia. Ciò elimina la possibile confusione di scambiare i due farmaci: tre capsule di RMP e due compresse di INH. Fatto ancora più importante ciò elimina lo sviluppo di farmacoresistenza quale risultato di assumere entrambi i farmaci da soli. (Per gli schemi di trattamento, v. Tab. 157-6.) Un regime alternativo consiste nella somministrazione giornaliera di RMP, INH, EMB e PZA per 2 sett. sotto diretta supervisione, poi nella somministrazione di RMP 10 mg/kg, INH 15 mg/kg, EMB 50 mg/kg, e PZA 50 mg/kg per 2 volte/sett. sotto supervisione (regime di Denver). Questo regime può essere completato in 6 mesi con pochissime possibilità di fallimento o di ricaduta. Gli elevati dosaggi somministrati 2 volte alla settimana rendono battericida anche l’EMB. Questo regime è utile per i pazienti che sembra non possano rispettare il regime di trattamento senza supervisione. L’American Thoracic Society e i CDC (Centers for Disease Control and Prevention) raccomandano un regime giornaliero di RMP e INH per 6 mesi, con PZA 30 mg/kg/die per i primi 2 mesi. I regimi più intensivi sono preferiti nelle aree dove l’incidenza di resistenza all’INH è elevata. Di solito, siccome la TBC negli anziani è causata dai microrganismi sensibili alla RMP e all’INH, questi due farmaci risultano sufficienti e ben tollerati. Inoltre gli effetti tossici sono meno comuni e più facili da convertire con due farmaci anziché con tre. Altre modalità terapeutiche: talora deve essere effettuata la resezione chirurgica di una cavità TBC persistente, ma solo da parte di un chirurgo esperto, per eliminare la numerosa popolazione di batteri che abbiano iniziato a mostrare farmaco resistenza. La terapia corticosteroidea non è mai indicata. Tuttavia, nei pazienti affetti dalla sindrome da Distress respiratorio dell’adulto, da febbre eccessiva o difficoltà nella respirazione, il ricorso ai corticosteroidi per 2 o 3 sett. potrebbe essere vitale. Tale terapia è anche indicata quando alla meningite tubercolare si accompagna edema cerebrale, per quanto non sia stato dimostrato che essa sia benefica nei casi di pleurite tubercolare o di pericardite. Dosi fisiologiche di un mineralcorticoide sono adeguate nel trattamento dell’insufficienza surrenale che accompagna il morbo di Addison. I corticosteroidi necessari per un’altra indicazione non sono pericolosi in un paziente con TBC attiva che stia assumendo uno schema terapeutico efficace.

TUBERCOLOSI POLMONARE

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Malattie batteriche

La malattia recrudescente interessa tipicamente le cicatrici nodulari nell’area apicale di uno o di entrambi i polmoni (foci di Simon) e può allargarsi attraverso i bronchi alle altre porzioni. La recrudescenza può aver luogo mentre un focus primario di TBC è ancora in fase di cicatrizzazione, ma è più spesso ritardata sino a quando un’altra malattia faciliti la riattivazione dell’infezione. In un soggetto immunocompetente il cui test alla tubercolina risulti positivo ( 10 mm), l’esposizione alla TBC raramente esita in una nuova infezione, in quanto l’immunità dei linfociti T controlla rapidamente e completamente piccoli inoculi esogeni. Nel paziente immunocompetente anche le cavità ampie vengono di solito cicatrizzate con la chemioterapia appropriata, anche se la farmaco terapia deve essere intensiva e prolungata. La malattia è molto più aggressiva nei soggetti immunocompromessi nei quali, se non viene trattata adeguatamente e aggressivamente, può anche essere fatale in meno di due mesi dalla comparsa del primo sintomo.

Sintomi e segni La TBC polmonare è di solito quasi asintomatica al punto che il paziente può non avvertire alcun sintomo eccetto un "non sentirsi bene", anche quando una rx toracica mostri distintamente un’anormalità. Il sintomo più comune è la tosse, ma viene spesso trascurata e ascritta al fumo, a un recente raffreddore o a un recente attacco di influenza. Inizialmente produce un minimo di muco giallo o verde, generalmente al risveglio mattutino, ma con la progressione della malattia diviene più produttiva. La dispnea può essere secondaria a una rottura polmonare (pneumotorace spontaneo) o a un versamento pleurico causato da una forte reazione infiammatoria verso una piccola quantità di sostanze caseose estruse da un nido caseoso piccolo e superficiale. Questo sintomo, per quanto possa verificarsi in ogni stadio della malattia, è comune soprattutto nel caso di un’infezione recente in un adulto giovane (TBC primaria progressiva). L’emottisi di solito non si verifica se non negli stadi avanzati della TBC. La linfadenopatia ilare è il sintomo più comune nei bambini ed è dovuto al drenaggio di una piccola lesione solitamente situata nelle porzioni meglio ventilate del polmone (lobi inferiori e mediani), dove viene trascinata la maggior parte dei microrganismi inalati. Nei bambini di solito la TBC è pauci sintomatica, eccezion fatta per una tosse rauca, ma può essere associata ad atelettasia segmentale. Successivamente è frequente un edema dei linfonodi, anche dopo l’inizio della chemioterapia, che può causare un’atelettasia lobare che di solito scompare senza complicanze man mano che il trattamento produce i suoi effetti. L’infezione non trattata può progredire in TBC miliare o in meningite tubercolare e, se trascurata a lungo, raramente può portare a una cavitazione polmonare. Il decorso della TBC è molto variabile, dipendendo da molti fattori quali la dimensione dell’inoculo (il numero di organismi infettanti inalati), la virulenza del microrganismo, la competenza delle difese dell’ospite e la presenza di altre malattie (p. es., diabete, infezione da HIV) o di una terapia immunosoppressiva. Il decorso generalmente è più rapido tra i negri e tra gli indiani d’America piuttosto che tra i bianchi. I bianchi hanno più spesso una malattia fibrotica cronica senza i chiari sintomi di malattia grave e pertanto possono rimanere non diagnosticati per mesi finquando non siano state eliminate tutte le altre possibilità. Così i neri e gli indiani d’America sono più soggetti all’infezione ma per un periodo di tempo minore prima che sia posta la diagnosi e iniziato il trattamento. I bianchi possono rimanere contagiosi per molti mesi prima di essere diagnosticati. Nei bianchi, per stabilire la diagnosi, sono spesso necessari l’esame colturale o la biopsia, mentre i bacilli alcol-acido resistenti (AAR) vengono ritrovati più frequentemente nell’espettorato dei negri e degli indiani d’America. La TBC negli anziani presenta problemi specifici. Una vecchia infezione quiescente può tornare allo stato attivo, più comunemente nel polmone, ma a

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Malattie batteriche

volte nel cervello, nel rene, nell’osso lungo, in una vertebra, in un linfonodo o in qualsiasi organo dove i bacilli si siano impiantati negli anni precedenti. Questa è spesso cronica e produce un piccolo cambiamento nella situazione clinica. Tale recrudescenza può non essere presa in considerazione per settimane o mesi e in tal modo può essere ritardata l’esecuzione degli esami diagnostici appropriati. La TBC può svilupparsi quando l’infezione in un vecchio linfonodo calcifico viene riattivata e immette sostanze caseose nel bronco lobare o segmentale, causando una polmonite che persiste malgrado la terapia antibiotica ad ampio spettro. Quando si verifica una TBC polmonare in un ospite di una casa di cura, l’infezione ha la possibilità di diffondersi in maniera amplia. Pertanto, negli ospiti delle case di cura, è possibile osservare sia un coesistere di TBC al tipico stadio adulto nella zona apicale dei polmoni di individui reattivi da lungo tempo sia un versamento pleurico e infiltrati polmonari nella porzione mediana o bassa del polmone determinati da un’infezione primaria progressiva nei residenti tubercolino-negativi. Negli USA, la TBC miliare e la meningite tubercolare che di solito si pensava interessare i bambini sono oggi più comuni negli anziani. Con l’infezione da HIV la progressione verso la TBC clinica è molto più frequente e rapida. Anziché il 5-10% del tasso di attacco della malattia in 1 o 2 anni, il tasso di attacco è del 50% entro 60 gg. Se il ceppo infettante è resistente ai farmaci disponibili, il risultato, in una percentuale del 50%, è il decesso in un tempo medio di 60 gg. Il HIV riduce inoltre sia la reazione infiammatoria sia la formazione di cavità nelle lesioni polmonari. Come risultato la rx toracica di un paziente può risultare normale anche quando i bacilli sono presenti in numero sufficiente da essere visibili nell’escreato. Quando l’infezione si sviluppa con una conta di T-linfociti CD4+ 200/µl si deve sempre sospettare una TBC recidivante. In contrasto, la diagnosi è quasi sempre di infezione da M. avium-intracellulare quando la conta dei CD4+ è < 50. Quest’ultima per gli altri risulta non infettiva. La TBC pleurica si sviluppa quando una piccola lesione polmonare subpleurica viene a rompersi, estrudendo sostanze caseose nello spazio pleurico. Il tipo più comune è l’essudato sieroso, quale conseguenza di una rottura della lesione della TBC primaria della grandezza di una pustola che contenga pochissimi microrganismi. Generalmente non si verifica fuoriuscita d’aria e il versamento può scomparire spontaneamente in alcune settimane. Tuttavia può progredire in TBC polmonare e anche diffondersi ad altri organi. Pertanto un essudato pleurico linfocitico in un soggetto giovane, anche quando il test cutaneo alla tubercolina sia negativo, è così probabile che sia tubercolare che, anche quando la diagnosi di TBC non sia dimostrata, è fortemente indicata la terapia anti-TBC. Per fermare l’infezione a questo stadio precoce è necessario un corso completo di chemioterapia. L’empiema tubercolare con o senza fistola broncopleurica sono causati da una più massiccia contaminazione dello spazio pleurico in conseguenza della rottura di una grande lesione tubercolare. Una tale rottura permette la fuoriuscita di aria e il collasso del polmone. Entrambi i tipi richiedono un immediato drenaggio del pus e l’inizio di una terapia farmacologica multipla (v. Terapia, sopra).

Diagnosi La TBC viene spesso inizialmente sospettata sulla rx toracica effettuata sia per sintomi non specifici oppure come parte dell’approccio diagnostico a un quadro di febbre di natura non identificata. Negli adulti, un infiltrato multinodulare situato sopra o dietro la clavicola (la posizione più caratteristica) suggerisce il risveglio di una vecchia TBC. Nell’infezione recente (più frequentemente nei soggetti giovani), l’infiltrazione è più comune nelle regioni polmonari meglio ventilate, media e inferiore, e può essere accompagnata da una soffusione pleurica essudativa. Esame dell’escreato: rinvenire tracce dei bacilli AAR nell’escreato è un dato

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decisivo che suggerisce la presenza della TBC, ma una diagnosi definitiva può essere fatta solo sulla base dell’identificazione tramite PCR del M. tuberculosis o di un esame colturale dell’espettorato, che può comunque non essere disponibile prima di tre sett. o più. L’esame mediante PCR richiede molto meno tempo. La broncofibroscopia è utile nei pazienti che non riescono a produrre escreato, che per ricavare l’escreato per la coltura devono essere sottoposti al lavaggio bronchiale. L’escreato ottenuto mediante broncoscopia è estremamente probabile che dia un risultato positivo. Sulle lesioni infiltrative si deve praticare una biopsia transbronchiale e si deve sottoporre il campione a esame colturale, istologico e alla PCR. I lavaggi gastrici sono stati ampiamente rimpiazzati dai lavaggi bronchiali e dalla biopsia e specialmente dagli espettorati post broncoscopia. Quando sia sospettata una TBC pleurica, devono essere effettuate la toracentesi e la biopsia pleurica, con determinazione delle proteine totali e del contenuto in glucoso, la conta dei GB con quella differenziale, il pH del liquido e anche la valutazione istologica e l’esame colturale. La diagnosi spesso non viene posta per la negatività dell’esame colturale negativo e il risultato del test cutaneo. Tuttavia, poiché la possibilità che più tardi si sviluppi una TBC attiva è di almeno il 50%, è obbligatorio il trattamento anti-TBC. Ogni caso deve essere notificato allo Stato e alle autorità sanitarie locali affinché i contatti stretti possano vengano valutati per la ricerca della sorgente di ogni nuova infezione. Il test cutaneo alla tubercolina, pur se lontano dall’essere definitivo, è un complemento essenziale alla diagnosi. La dose standard di 5 U di proteina purificata derivata dalla tubercolina (PPD) in una soluzione di 0,1 ml va iniettata per via intradermica, di solito sulla superficie volare dell’avambraccio. Un indurimento di 10 mm indica l’infezione da M. tuberculosis, ma non indica che l’infezione sia attiva. I pazienti affetti da TBC che siano già in fase avanzata di malattia possono non mostrare alcuna reazione al test cutaneo a causa degli Ac inibenti o per la mobilitazione di un tale numero di cellule-T verso la lesione che ne rimangono troppo poche per produrre una significativa reazione cutanea. Il test può anche risultare negativo in soggetti affetti da HIV, in particolare se il valore delle cellule CD4+ è < 200/µl o sono presenti manifestazioni di AIDS. Il dispositivo con puntura multipla non è raccomandato per un uso generalizzato. Tutte le persone suscettibili alla TBC (p. es., coloro che vivano o lavorino in ospizi, ospedali, rifugi per senzatetto o in prigioni) inizialmente devono essere esaminate con il test di Mantoux in 2 stadi. Il 3-10% delle persone che non reagiscono al primo test potranno sviluppare una reazione significativa quando il test verrà ripetuto da 1 a 3 sett. più tardi (troppo presto per presentare una conversione dovuta a una nuova infezione). Questa è chiamata reazione di richiamo positivo e ha la stessa significatività di un test che risulti positivo la prima volta. Non usare il test a 2 fasi può avere come risultato l’erronea valutazione di una reazione di richiamo positiva riscontrata l’anno successivo, che viene scambiata per una sieroconversione, e la conseguente prescrizione non necessaria di profilassi. I risultati del test cutaneo di partenza sono utili quando un soggetto lungodegente precedentemente non reattivo sia esposto a un caso di TBC infettiva. Un incremento di 15 mm oltre la misura dell’infiltrazione nell’ultimo test negativo è dimostrazione di una nuova infezione. Se non è presente un’evidenza clinica o radiologica di malattia attiva, il degente deve essere preventivamente trattato (v. in Profilassi e terapia, sopra).

TUBERCOLOSI EXTRAPOLMONARE Lesioni tubercolari remote possono essere considerate come metastasi derivanti da un sito primario nel polmone, paragonabili alle metastasi derivanti da una neoplasia primitiva. La TBC delle tonsille, dei linfonodi, degli organi addominali, delle ossa e delle giunture erano una volta comunemente causata dalla ingestione di latte infetto da M. bovis. Nei paesi sviluppati questa infezione è stata completamente eradicata macellando i bovini con test cutaneo positivo e

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negli USA pastorizzando tutto il latte e i prodotti caseari venduti. Oggi, organi diversi dal polmone possono essere infettati durante una fase di bacillemia silente di un’iun’infezione tubercolare recente. Che un microrganismo si stabilizzi in un sito remoto dipende da molti fattori: alcuni microrganismi attecchiscono con successo, molti altri no. Di quelli che attecchiscono con successo, molti non sono in grado di dare luogo a una lesione progressiva e passano allo stato quiescente. In tal modo il "germe" si innesta e potrà causare una lesione attiva soltanto in seguito in concomitanza con altre malattie o con l’abbassamento delle difese immunitarie (come nel caso di infezione da HIV o di età avanzata). L’infezione da HIV aumenta enormemente la possibilità che la bacillemia sia accompagnata in seguito da conseguenze che altrimenti si sarebbero semplicemente limitate alla TBC primaria. Il risultato è che una larga porzione di lesioni tubercolari nelle persone affette da HIV è extrapolmonare. La TBC può interessare qualsiasi organo. Raramente in un paziente con una TBC polmonare cavitaria può svilupparsi su cute abrasa la TBC cutanea. L’infezione può interessare le pareti di un vaso sanguigno e ha anche causato la rottura dell’aorta. La TBC renale può diffondersi all’epididimo o alla ghiandola prostatica. Un coinvolgimento surrenale, che porta alla malattia di Addison, in passato era frequente ma ora è raro. Un trauma alla guaina di un tendine può causare una tenosinovite tubercolare in un paziente colpito da un attacco tubercolare in un qualsiasi organo. La recrudescenza di una vecchia infezione è frequente in qualsiasi sito nei soggetti insulinodipendenti, in trattamento con corticosteroidi o per malattia maligna e nelle persone immunodepresse, specialmente in quelle con infezione da HIV.

TUBERCOLOSI GENITOURINARIA Il rene è uno dei siti più comuni per la TBC extrapolmonare (metastatica). Spesso un piccolo focolaio corticale può allargarsi e distruggere gran parte del parenchima renale dopo decenni di stato silente. La pelvi renale può sviluppare una pielonefrite cronica "sterile" (generalmente le colture sono negative). L’infezione si propaga comunemente alla vescica e, negli uomini, alla prostata, alle vescichette seminali e all’epididimo, causando l’ingrandirsi di una massa scrotale. L’infezione può diffondere nello spazio perirenale, causando la dissezione caudale dell’infezione nella parte inferiore del muscolo psoas e presentandosi come un ascesso sulla parte anteriore della coscia. La diagnosi di solito può essere stabilita attraverso una coltura dalle urine, specialmente se il campione viene preso dopo massaggio prostatico. L’escavazione renale e la deformità dell’architettura renale sono i segni tipici nella pielografia. La PCR può facilitare l’identificazione anche di un piccolo numero di microrganismi provenienti da tali lesioni. La salpingo-ovarite è una complicanza della TBC primaria, che si verifica dopo il menarca, quando la tuba diviene vascolarizzata. Può manifestarsi precocemente o dopo una lunga latenza, presentandosi come un processo infiammatorio cronico o come sterilità o anche come gravidanza ectopica determinata dalla cicatrice tubarica. La diagnosi, nelle donne, non può essere stabilita dall’urinocoltura. Generalmente è necessaria una laparotomia, ma a volte la diagnosi può essere fatta in base a raschiamenti uterini o a laparoscopia.

MENINGITE TUBERCOLARE La disseminazione della TBC allo spazio subaracnoideo può avvenire come parte di una disseminazione generalizzata attraverso il flusso sanguigno oppure da un tubercolo superficiale cerebrale, in maniera simile alla contaminazione pleurica derivante da una lesione polmonare. La meningite di solito si verifica senza un’ulteriore diffusione della TBC nell’organismo. Attualmente negli USA la meningite è più comune tra gli anziani, presentandosi come manifestazione della file:///F|/sito/merck/sez13/1571285.html (11 of 15)02/09/2004 2.09.41

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recrudescenza di un’infezione contratta molti anni prima. Nelle aree dove la TBC è comune tra i bambini, la meningite tubercolare di solito si verifica tra la nascita e il 5o anno d’età a seguito dell’esposizione a un genitore, una baby sitter o un nonno contagiosi. I sintomi sono rappresentati da febbre (con temperatura fino a 38-39°C), mal di testa persistente, nausea, intorpidimento che può progredire sino allo stupore e al coma. Il rigor nucale (il segno di Brudzinski) e le l’innalzarsi delle gambe distese costituiscono, per quanto incostanti, delle utili indicazioni. Gli stadi della meningite tubercolare sono (1) sensorio lucido con LCR anormale, (2) intorpidimento o stupore con sintomi neurologici focali e (3) coma. La probabilità che le alterazioni del SNC diventino permanenti aumenta con lo stadio della malattia. I sintomi possono progredire improvvisamente se la lesione causa la trombosi di un vaso cerebrale principale. La diagnosi si stabilisce attraverso l’analisi del LCR. Tuttavia i microrganismi sono generalmente troppo sparsi per poter essere individuati su uno striscio colorato e spesso non vengono individuati nemmeno nella coltura del fluido. I dati più utili sul LCR includono (1) un livello di glucoso < 1/2 di quello del siero e (2) un elevato livello di proteine con una pleiocitosi determinata principalmente da linfociti. L’esame del LCR mediante PCR è più utile, rapido e altamente specifico. Occasionalmente i bacilli tubercolari attecchiti all’interno del cervello si manifestano come una lesione massiva o un ascesso. Durante o dopo la convalescenza essi producono una massa nota come tubercoloma. Nel sospetto diagnostico, la terapia deve essere somministrata non appena possibile per prevenire danni cerebrali gravi e permanenti. Per determinare se la lesione debba essere rimossa sotto copertura antibiotica è necessaria una valutazione neurochirurgica. Tali lesioni sono molto più comuni e più aggressive nei soggetti che presentino l’infezione da HIV.

TUBERCOLOSI MILIARE (Tubercolosi ematogena o linfoematogena generalizzata) Quando una lesione tubercolare riversa i suoi contenuti in un vaso sanguigno, si può verificare una disseminazione massiva di microrganismi, che causano milioni di lesioni metastatiche della grandezza di 1-3 mm. Tale disseminazione, denominata miliare poiché le lesioni assomigliano a granuli di miglio, è più frequente nei bambini < 4 anni e negli anziani. Il coinvolgimento del midollo osseo può produrre una delle molte alterazioni possibili nel sangue periferico: anemia refrattaria, trombocitopenia, reazione leucemoide e altre. La gravità dipende dalla grandezza dell’inoculo. Nel caso di disseminazione massiva la rx del torace mostra migliaia di noduli interstiziali di 2-3 mm uniformemente distribuiti attraverso i polmoni e ciò rende facile la diagnosi. I sintomi includono febbre (frequentemente in seguito a un colpo di freddo), debolezza, malessere e spesso dispnea progressiva. Tuttavia, la TBC disseminata può verificarsi senza i segni caratteristici di quella miliare alla radiografia del torace e ciò rende la diagnosi difficile. Quando si sospetta una TBC disseminata la rx toracica deve essere ripetuta nel giro di alcuni giorni, perché i tubercoli della grandezza di un chicco di miglio possono apparire in breve tempo. La disseminazione intermittente dei bacilli tubercolari può condurre a malattie croniche fuorvianti, presentandosi come una febbre prolungata di ndd. La TBC ematogena in persone con infezione da HIV produce una malattia seria e spesso difficile da identificare che si presenta con i sintomi di entrambe le infezioni. La biopsia midollare o epatica possono mostrare granulomi poco formati con abbondanti bacilli tubercolari che vengono in seguito confermati dalla coltura o dalla PCR. L’emocoltura può ugualmente essere positiva per bacilli tubercolari. Una vigorosa chemioterapia antitubercolare fa generalmente migliorare la sintomatologia. L’infezione da Mycobacterium avium intracellulare spesso produce batteriemia in pazienti con AIDS ed è un evento preterminale che non risponde alla chemioterapia attualmente disponibile.

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La diagnosi può essere posta esaminando i lavaggi bronchiali o le raschiature protette o attraverso la biopsia transbronchiale. Se ciò non riesce, le biopsie del midollo osseo e poi del fegato sono i passi successivi da compiere. Sebbene il test alla tubercolina sia di solito positivo, può cessare di esserlo in particolare in un paziente febbrile e negli anziani. La diagnosi va confermata dalla PCR anche se la presenza di un granuloma è sufficiente per cominciare la chemioterapia senza attendere i risultati. La principale diagnosi differenziale include l’infezione micotica disseminata e la diffusione linfangitica di un carcinoma disseminato; entrambe possono essere facilmente distinte nei campioni bioptici con le appropriate colorazioni.

PERITONITE TUBERCOLARE La TBC si può propagare al peritoneo dai linfonodi addominali colpiti o da una salpingo-ovarite tubercolare. Un coinvolgimento peritoneale è particolarmente frequente negli alcolisti con cirrosi. I sintomi possono essere lievi con astenia, dolenzia addominale oppure il quadro può essere grave al punto da simulare una peritonite batterica acuta. L’"addome impastato" di cui si parla nei vecchi manuali è visto solo di rado. La procedura diagnostica più affidabile è la paracentesi e l’agobiopsia peritonale. L’esame del liquido e la biopsia peritoneale per l’esame istologico e l’identificazione mediante PCR del M. tuberculosis sono di massimo aiuto. Il rinvenimento di granulomi nella biopsia insieme a un test cutaneo positivo permette di stabilire la diagnosi quasi con la stessa affidabilità consentita dal rinvenimento del M. tuberculosis nella coltura. Tuttavia se è presente una considerevole quantità di fluido il test alla tubercolina può risultare negativo.

PERICARDITE TUBERCOLARE Occasionalmente l’infezione si estende al sacco pericardico come conseguenza della recrudescenza di un’infezione quiescente in un linfonodo mediastinico o di una pleurite tubercolare. Si possono avere segni di insufficienza cardiaca o dilatazione delle vene del collo accompagnati da febbre e da battiti cardiaci deboli all’auscultazione oppure anche tamponamento pericardico. Possono essere presenti una frizione pericardica e una pulsazione paradossa. All’esame radiologico può essere osservato un allargamento dell’ombra cardiaca a forma di bottiglia d’acqua. La diagnosi generalmente richiede un campione di essudato pericardico o la biopsia chirurgica del pericardio. Le più comuni diagnosi differenziali riguardano la pericardite virale e il carcinoma polmonare. Se il test alla tubercolina è positivo e i sintomi clinici sono compatibili con la pericardite tubercolare, si deve iniziare la terapia antitubercolare (v. sopra) anche prima che la diagnosi sia confermata. Se è presente una quantità notevole di fluido la pressione che questo determina può essere ridotta tramite drenaggio, sebbene sia preferibile procedere a un intervento chirurgico atto a creare una finestra pericardica così da poter procedere sia al drenaggio che a una biopsia diagnostica. La pronta prescrizione di una chemioterapia antitubercolare con due-quattro farmaci è la più importante misura di intervento. Non si è stabilito il valore della terapia corticosteroidea che è rischiosa a meno che non venga somministrata un’adeguata chemioterapia.

LINFADENITE TUBERCOLARE Nell’infezione primaria da M. tuberculosis l’infezione diffonde dal sito infetto del polmone ai linfonodi ilari. Se l’inoculo non è troppo grande generalmente non vengono coinvolti altri linfonodi. Tuttavia se l’infezione non è controllata, possono file:///F|/sito/merck/sez13/1571285.html (13 of 15)02/09/2004 2.09.41

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essere interessati altri linfonodi del mediastino superiore. Quando i microrganismi raggiungono il dotto toracico può verificarsi una disseminazione generale. Dall’area sopraclavicolare possono venir inoculati i linfonodi della catena cervicale anteriore e si creano così le condizioni per una successiva linfoadenite tubercolare. La maggior parte dei linfonodi infetti guarisce ma i microrganismi possono rimanere allo stato quiescente ma vitale per anni o decenni per tornare successivamente a moltiplicarsi e produrre uno stato di malattia attiva. Il quadro clinico della linfadenite comprende una tumefazione leggermente sensibile e lentamente progressiva dei linfonodi interessati, di solito conglomerati in una massa irregolare. Se trattati tempestivamente e vigorosamente, essi in genere possono regredire, ma il rischio di una loro ricomparsa è comune a meno che la terapia non sia continuata per un periodo di 9-12 mesi. L’infezione se non viene trattata può infine penetrare nella cute. I linfonodi cervicali in un soggetto cutireattivo non devono essere incisi o drenati, dal momento che ciò produce solitamente una lesione attiva cronica e suppurante che è difficile da curare. L’intervento chirurgico, se necessario, deve consistere in un’attenta resezione dei linfonodi interessati, sotto copertura antibiotica ed evitando la contaminazione della ferita. La riattivazione di una TBC a lungo quiescente in un linfonodo ilare o mediastino, può determinare una propagazione ematogena dell’infezione, una polmonite tubercolare lobare, una pericardite o persino una TBC vertebrale (morbo di Pott).

TUVERCOLOSI OSTEOARTICOLARE Nel caso in cui la TBC primaria si verifichi in bambini quando le epifisi sono aperte e riccamente vascolarizzate, i bacilli si possono propagare alle vertebre e alle propaggini delle ossa lunga. La malattia può svilupparsi rapidamente o anche mesi, anni o decenni più tardi. L’infezione può diffondersi alla capsula articolare, causando un’artrite monoarticolare. Le articolazioni più comunemente coinvolte sono quelle che sopportano il peso, ma possono venire coinvolte anche le ossa del polso, della mano e del gomito, specialmente dopo un trauma. Il morbo di Pott comincia nel corpo vertebrale vicino all’area del disco. Nel decorso tipico vengono interessate due vertebre e l’area del disco tra di esse viene compressa dalla caseificazione. Questa lesione si differenzia dal carcinoma metastatico, che ugualmente interessa le vertebre senza però comprimere l’area del disco. Se la malattia non viene diagnosticata e combattuta prontamente, le vertebre possono collassare, dando luogo a una paraplegia. L’infezione viene facilmente evidenziata in fase precoce mediante RMN dal momento che la deformazione si sviluppa lentamente e spesso nell’esame radiografico della colonna vertebrale eseguito in uno stadio precoce della malattia non viene individuata. Se non si giunge alla diagnosi e i sintomi di dolore localizzato alla schiena persistono o peggiorano si devono ripetere gli studi. Un edema paravertebrale nel sito interessato può essere costituito da un ascesso che, se disatteso, può dissecare verso il basso il muscolo psoas e puntare verso la faccia anteriore della coscia. La diagnosi può essere sospettata sulla base della sintomatologia, ma la TC o la RMN sono essenziali. La diagnosi viene meglio confermata dalla biopsia; tramite agobiopsia si può ottenere un campione dell’osso vertebrale. Per gli altri siti è necessaria una biopsia del tessuto sinoviale o dell’osso. Il campione del tessuto deve essere esaminato istologicamente e colorato per evidenziare il M. tuberculosis, funghi e altri agenti patogeni. Deve inoltre essere studiato tramite PCR e coltivato per evidenziare questi e altri agenti patogeni più comuni (p. es., Staphylococcus, Brucella, Salmonella, Francisella tularensis). Di solito, se la distruzione vertebrale è limitata e il midollo spinale non è compresso, la chemioterapia è sufficiente. Se l’edema paravertebrale si corregge con la terapia, probabilmente non si tratta di un ascesso e non si renderà necessaria la soluzione chirurgica. Tuttavia durante il trattamento con la chemioterapia l’area interessata deve essere immobilizzata con un busto ben

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calzante. Se l’edema non si riduce o persiste il dolore, può rendersi necessaria la soluzione chirurgica. Solo negli stadi più avanzati si richiede di fissare la colonna vertebrale con un trapianto osseo anteriore o posteriore.

TUBERCOLOSI GASTROINTESTINALE La mucosa dell’intero tratto gastrointestinale è resistente all’invasione dei bacilli tubercolari. L’invasione si verifica solo in seguito a un’esposizione prolungata e quando l’inoculo sia enorme, come nella TBC polmonare cavitaria. Nei paesi dove la TBC bovina è comune, in seguito al consumo di prodotti caseari contaminati possono svilupparsi ulcerazioni della bocca e dell’orofaringe e si possono verificare lesioni primarie nell’intestino tenue. Nei paesi sviluppati un coinvolgimento intestinale significativo si verifica raramente ma rappresenta ancora un problema nelle regioni in via di sviluppo. L’invasione intestinale produce generalmente una lesione iperplastica (sindrome infiammatoria dell’intestino) che viene spesso diagnosticata quando il paziente si sottopone a laparotomia per un sospetto carcinoma. Una semplice resezione seguita da chemioterapia generalmente produce risultati eccellenti.

TUBERCOLOSI EPATICA Nel fegato i tubercoli possono essere presenti in pazienti con TBC polmonare avanzata, TBC miliare o infezione disseminata. Tuttavia quando viene trattato il sito principale di infezione il fegato generalmente guarisce senza problemi. I pazienti con TBC polmonare gravemente malati e con accessi febbrili presentano test anormali della funzionalità epatica. In questi pazienti, piuttosto che una combinazione di rifampicina e isoniazide, i diversi farmaci utilizzati devono comprendere non più di un farmaco potenzialmente epatotossico. Di solito la terapia viene iniziata con streptomicina, isoniazide ed etambutolo, cosicché, se la funzionalità epatica peggiora, il medico saprà che ciò è dovuto all’isoniazide che andrà sospesa e sostituta con la rifampicina. Dopo che il paziente abbia presentato miglioramenti clinici, la terapia può essere continuata con il regime di rifampicina e isoniazide, più efficace e in generale meno tossico. Con la chemioterapia la funzionalità epatica ritorna abbastanza rapidamente normale. L’interessamento tubercolare del fegato talvolta si propaga alla cistifellea, causando un ittero ostruttivo, che può essere diagnosticato attraverso la laparoscopia.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI TUBERCOLOSI PERINATALE TBC acquisita in epoca perinatale. (V. anche Tubercolosi nel Cap. 157)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

I bambini possono aver acquisito la TBC per diffusione transplacentare al fegato fetale attraverso la vena ombelicale, per aspirazione o ingestione di liquido amniotico infetto o trasmissione aerea da parte di stretti contatti (membri familiari o personale del Nido). Circa il 50% dei bambini nati da madri con TBC polmonare attiva sviluppa la malattia durante il primo anno di vita se non si attua la chemioprofilassi o il vaccino BCG.

Sintomi, segni e diagnosi I segni clinici in un neonato con TBC non sono specifici, ma è in genere rilevante l’interessamento di molti organi. Il bambino può sembrare affetto da una malattia acuta o cronica. La febbre, la letargia, i disturbi respiratori, l’epatosplenomegalia o il difetto di accrescimento possono evidenziare una TBC in un bambino con anamnesi positiva per esposizione al MBT. Il test cutaneo può risultare negativo nel neonato con TBC in fase attiva. Può essere di aiuto nella diagnosi la coltura dell’aspirato tracheale, delle urine, del lavaggio gastrico e l’esame del LCR per la ricerca di batteri acido-resistenti. La rx del torace di solito mostra infiltrati miliari. Può essere necessaria la biopsia epatica, di linfonodi o di polmoni e pleura.

Profilassi e terapia La vaccinazione neonatale di routine con BCG non è consigliabile nei paesi sviluppati, ma può ridurre l’incidenza della TBC infantile o ridurre la gravità in popolazioni selezionate ad alto rischio di infezione. In donne gravide con test alla tubercolina positivo: il rischio di contrarre TBC da una madre con test della tubercolina positivo è maggiore per il neonato nel periodo dopo il parto che per il feto durante la gravidanza. Poiché la potenziale epatotossicità dell’isoniazide (INH) è aumentata in gravidanza, il suo utilizzo in donne che non hanno una TBC in fase acuta può essere rimandato al 3o

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Patologia del neonato e del lattante

trimestre. Il trattamento per 6 mesi con INH è raccomandato. Tuttavia, le donne gravide con infezione da HIV devono ricevere una terapia profilattica INH per 12 mesi e devono essere studiate per la presenza di TBC in fase attiva. I neonati di madri positive al PPD ma senza evidenza clinica o evidenza radiografica di infezione non richiedono la profilassi, ma deve essere loro eseguito ogni 3 mesi per 1 anno il test cutaneo alla tubercolina. La famiglia del bambino deve essere anch’essa controllata. Se la reazione è positiva o se la famiglia non può essere esaminata subito e non sia disponibile, si deve somministrare al bambino INH alla dose di 10 mg/kg/die PO in una dose singola giornaliera per almeno 6 mesi e deve essere attentamente seguita. In donne in gravidanza con TBC attiva: INH, etambutolo e rifampicina, usati alle dosi raccomandate, non si sono dimostrati teratogeni per il feto umano. Se la malattia non è diffusa, la donna in gravidanza può essere trattata con una combinazione di INH (300 mg PO), piridossina (50 mg PO) e rifampicina (600 mg PO). L’etambutolo (15-25 mg/kg PO) può essere aggiunto inizialmente se c’è rischio di resistenza al INH. Tutti questi farmaci possono essere somministrati in dose unica giornaliera. La durata consigliata del trattamento è di almeno 6 mesi a meno che il germe non sia farmaco-resistente, nel qual caso si raccomanda una visita infettivologica e la terapia potrebbe doversi estendere fino a 18 mesi. La streptomicina è potenzialmente ototossica per il feto e non deve essere usata nei primi periodi della gravidanza a meno che non ci siano controindicazioni all’uso della rifampicina. Se possibile, devono essere evitati altri farmaci antitubercolari a causa della teratogenicità (p. es., etionamide) o per mancanza di sperimentazioni durante la gravidanza. L’allattamento al seno non è controindicato nelle madri in trattamento poiché non sono contagiose. In bambini asintomatici di madri con TBC attiva: in genere, è bene separare i bambini dalle madri finché non sia stato avviato un efficace trattamento e finché la ricerca sull’espettorato di ceppi acido-resistenti non diventi negativa (di solito 212 sett.). Si deve eseguire un’indagine accurata sui familiari per escludere in essi una TBC non diagnosticata, prima che il bambino sia rinviato a casa. Se la compliance può essere ragionevolmente assicurata e i familiari non sono tubercolotici, si può iniziare a trattare il bambino con INH e può essere mandato a casa nei tempi normali; lo skin test deve essere eseguito a 3 e 6 mesi. Se il bambino rimane tubercolino-negativo, si può interrompere la terapia con INH e seguire il bambino nel tempo sottoponendolo a skin test a 12 mesi, con valutazioni cliniche mensili o bimestrali. Se, tuttavia, la compliance in un ambiente non infetto non può essere assicurata, si può considerare per il bambino un vaccino BCG e deve essere intrapresa il prima possibile la terapia con INH. (Sebbene l’INH inibisca la moltiplicazione dei componenti del BCG, la combinazione del vaccino BCG e dell’INH è confermata da trials clinici e descrizioni aneddotiche.) Il bambino viene separato dalla madre finché essa non riceve la terapia antitubercolare e finché non risulti negativa la ricerca di bacilli acido-resistenti sull’espettorato. Il bambino allora può essere rinviato a casa con la madre con una terapia di INH e sottoposto al test con la tubercolina a 8-12 sett. di vita. Se lo skin test è ancora negativo, bisogna ripetere la vaccinazione con BCG. La vaccinazione con BCG non assicura una protezione nei confronti dell’esposizione e dello sviluppo della malattia tubercolare, ma protegge in maniera significativa il bambino nei confronti della forma disseminata e grave (p. es., meningite tubercolare). Questi bambini devono essere strettamente controllati per la possibilità che hanno di sviluppare la malattia tubercolare in modo particolare nel primo anno di vita. (Attenzione: il vaccino BCG è controindicato nei pazienti immunodepressi e in quelli sospettati di essere infetti da HIV; tuttavia, nelle popolazioni ad alto rischio, l’OMS raccomanda di somministrare ai bambini affetti da HIV asintomatici il vaccino BCG alla nascita o poco dopo. Se il bambino nato da madre con TBC attiva presenta una positività dei test cutanei, la malattia tubercolare deve essere esclusa mediante un’attenta valutazione. Se la malattia non è presente, la terapia con INH deve essere continuata per almeno 6 mesi. I bambini che presentano un’infezione da HIV devono essere trattati per 12 mesi. Nei neonati con tubercolosi attiva: L’American Academy of Pediatrics

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Patologia del neonato e del lattante

raccomanda il trattamento della TBC congenita con INH (10-15 mg/kg PO), rifampicina (10-20 mg/kg PO), pirazinamide (20- 40 mg/kg PO) e streptomicina (20-40 mg/kg IM)in dosi singole giornaliere somministrate per 2 mesi, seguito da INH e rifampicina per altri 10 mesi. Alternativamente, uno schema terapeutico di 10 mesi di INH e rifampicina due volte a settimana può essere effettuato dopo 2 mesi di terapia iniziale. In base ai risultati dei test di resistenza, la capreomicina o la kanamicina possono essere usati al posto della streptomicina. Quando è interessato il SNC, la terapia iniziale deve anche comprendere corticosteroidi (prednisone 1 mg/kg/die PO per 6-8 sett., poi gradualmente ridotto). La terapia deve essere continuata finché non scompaiono tutti i segni di meningite e non sono negative le colture su due successive punture lombari eseguite almeno a 1 sett. di distanza l’una dall’altra. Si può proseguire la terapia con INH e rifampicina giornalmente o 2 volte/ sett. per altri 10 mesi. Dati recenti indicano che la TBC acquisita, non disseminata e che non coinvolge il SNC, le ossa o le articolazioni, in lattanti e bambini, può essere curata efficacemente con un ciclo di terapia di 6-9 mesi (in totale). I germi reperiti dal bambino e dalla madre devono essere sottoposti a controllo per la sensibilità ai farmaci. Si devono ricercare frequentemente sintomi ematologici, epatici e uditivi per determinare la risposta al trattamento e la tossicità del farmaco. Non sono solitamente necessarie frequenti indagini di laboratorio.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 157-6. SCHEMI TERAPEUTICI CONSIGLIATI PER LA TUBERCOLOSI Tipo di trattamento Chemioprofilassi (resistenza improbabile; esclusa una malattia attiva)

Schemi terapeutici raccomandati INH* per 69mesi

Terapia iniziale (polmonare o extrapolmonare) Malattia minima in pazienti di età ≥60 anni senza storia di chemioterapia precedente 1. Tre esami batterioscopici e colturali negativi; test della tubercolina positivo

INH e RMP‡ per 4mesi

2. Treesami batterioscopici negativi, coltura positiva

INH e RMP per 6 mesi

Malattia cavitaria in pazienti di età 60anni senza storia di precedenti seguiti da INH e RMP dosi standard) per 6 trattamenti o esposizione ai pazienti sopra mesi in totale menzionati Ulteriore terapia (o probabile resistenza a INH) Inizio del trattamento

SM¶ o EMB+INH+RMP+PZA per 2 mesi

Continuazione della terapia (dopo l’antibiogramma) 1. Forma resistente a INH

RMP+EMB+PZA

2. Sensibilità a INH

Come per la malattia cavitaria (v. Terapia iniziale, sopra)

Mycobacterium tuberculosis multiresistente 3 farmaci efficaci#; in ordine di preferenza: (e non M. avium intracellulare). Resistente a capreomicina, PZA, etionamide, cicloserina, INH e RMP clofazimina,ofloxacina, levofloxacina, kanamicina, amikacina. (Non somministrare più di un aminoglicosidicco per volta) Regimi terapeutici particolari**

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Manuale Merck - Tabella

Terapia sotto controllo diretto bisettimanale

INH+RMP ogni giorno per 1 mese, seguiti da INH 900mg+RMP 600mg 2volte/sett per 8 mesi

Terapia intensiva a breve termine

INH+RMP+EMB+PZA ogni giorno per 2 sett, seguiti da INH 15 mg/kg+RMP 10 mg/kg+EMB 50 mg/kg+PZA 50 mg/kg 2 volte/sett, per un totale di 6mesi di terapia

Terapia per donne in gravidanza

Come sopra, ma SM e PZA sono controindicate

Terapia per infezione da HIV

Come sopra, con 3 mesi supplementari di terapia

*300 mg/die (singola dose) al mattino per adolescenti e adulti; 10-20 mg/kg (singola dose per lattanti e bambini piccoli; 10 mg/kg, fino a 300 mg/die (singola dose al mattino) per i bambini. Terapia profilattica alternativa: 15 mg/kg 2 volte/sett. per adulti e bambini se è necessario un controllo. †Le

combinazioni di farmaci riducono lo sviluppo di resistenza ai farmaci stessi.

‡600

mg/die (singola dose)per gli adulti (450 mg/die se 50%) nei soggetti immunocompromessi con infezione disseminata e bassa (15% di mortalità) nei soggetti immunocompetenti con lesioni localizzate ai polmoni. Poiché la maggior parte dei casi risponde lentamente alla terapia, bisognerà protrarre per diversi mesi una somministrazione di sulfamidici che mantenga livelli ematici di 12-15 mg/dl (p. es., 4-6 g/die di sulfadiazina PO). Vengono utilizzati il trimetoprim-sulfametossazolo o alte dosi di sulfamidici non associati ad altri farmaci (sulfadiazina o sulfisossazolo). Quando sono presenti ipersensibilità ai sulfamidici o infezioni refrattarie, possono essere utilizzati amikacina, tetraciclina, imipenem, ceftriaxone, cefotaxime o cicloserina.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA ENTEROBACTERIACEE Le enterobacteriacee comprendono Salmonella, Shigella, Escherichia, Klebsiella, Enterobacter, Serratia, Proteus, Morganella, Providencia, Yersinia e altri generi meno comuni. Questi microrganismi ossidasi-negativi, gram – e catalasi positivi si coltivano facilmente su terreni convenzionali: essi fermentano il glucoso e riducono i nitrati a nitriti. Verranno qui illustrati soltanto i microrganismi clinicamente importanti che non vengono trattati in altri capitoli. Per la trattazione della Yersinia pestis, v. peste, oltre. Escherichia coli: E. coli vive normalmente nel tratto GI. Quando i microrganismi di E. coli possiedono capacità di colonizzazione, di enterotossicità, citotossicità o di virulenza invasiva, diventano la causa principale di diarrea acquosa, infiammatoria o ematica (v. Cap. 28), associata occasionalmente alla sindrome emolitico-uremica (v. Cap. 133). Se le barriere anatomiche normali sono lese, il microrganismo può diffondersi alle strutture circostanti o invadere il flusso circolatorio. La sede extraintestinale più spesso infettata dall’E. coli è il tratto urinario, che viene colonizzato generalmente dall’esterno. Ma si verificano anche infezioni epatobiliari, peritoneali, cutanee e polmonari. L’E. coli è una causa importante di batteriemia che si verifica spesso senza un’evidente via di accesso; tale microrganismo è anche un patogeno opportunistico che provoca malattie in pazienti che abbiano deficit immunitari come conseguenza di altre patologie (p. es., cancro, diabete, cirrosi) o siano sotto terapia con corticosteroidi, raggi x, farmaci antineoplastici o antibiotici. La batteriemia da E. coli e la meningite sono frequenti nei neonati, specialmente nei prematuri (v. Meningite neonatale e Sepsi neonatale in Infezioni neonatali nel Cap. 260). Gli E. coli enterotossigeni ed enteropatogeni provocano diarree nei lattanti e la diarrea del viaggiatore negli adulti. I ceppi enteroemorragici dell’E. coli, quale il tipo O157:H7, provocano diarrea ematica, che può essere complicata dalla sindrome emolitico-uremica. Questi ceppi vengono frequentemente acquisiti dalla carne macinata di manzo cotta male. Altri ceppi enteroaggregativi di E. coli stanno emergendo come causa potenzialmente importante di diarrea persistente nei bambini delle aree tropicali e nei pazienti con AIDS. Quando si sospetta una diagnosi di infezione da E. coli in base a dati clinici, questa va confermata mediante colture e test biochimici o di virulenza adeguati; la colorazione di Gram non è in grado di distinguere l’E. coli da altri batteri gram –. La caratteristica specifica di virulenza enterica può essere evidenziata solamente con metodi in corso di sviluppo. La terapia può essere iniziata empiricamente e poi modificata in base ai risultati degli antibiogrammi. Sebbene siano molti i ceppi ancora sensibili ad ampicillina e tetracicline, vengono usati con sempre maggiore frequenza altri farmaci inclusi ticarcillina, piperacillina, cefalosporine, aminoglicosidi, trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX) e i chinolonici (negli adulti). In molti casi la terapia necessita anche di interventi chirurgici per drenaggio del pus, escissione di lesioni necrotiche o rimozione di corpi estranei. Infezioni da Klebsiella, Enterobacter e Serratia: queste sono di regola file:///F|/sito/merck/sez13/1571249.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.00

Malattie batteriche

contratte all’interno dell’ospedale, soprattutto in pazienti con diminuite capacità intrinsiche di resistenza. Di regola, Klebsiella, Enterobacter e Serratia provocano infezioni nelle stesse sedi dell’E. coli e sono anch’essi importanti cause di batteriemia. Tendono a rispondere bene alle penicilline ad ampio spettro (ticarcillina, piperacillina) e agli aminoglicosidi. Tuttavia, siccome molti ceppi sono resistenti a diversi antibiotici, hanno un’importanza fondamentale gli antibiogrammi. I ceppi di Enterobacter sono inclini a sviluppare resistenza alle cefalosporine anche quando sono inizialmente sensibili. La polmonite da Klebsiella (v. Cap. 73), è una rara infezione polmonare caratterizzata da polmonite grave (a volte con espettorato di materiale marrone scuro o gelatinoso rosso-ribes), formazione di ascessi polmonari e di empiema, più frequente in diabetici e alcolisti cronici. Se la terapia è cominciata tempestivamente, l’infezione risponde bene a cefalosporine e farmaci aminoglicosidi. La specie Proteus: i proteus comprendono quei microrganismi gram – che non fermentano il lattoso e che deaminizzano la fenilalanina. Costituiscono almeno tre generi: Proteus (P. mirabilis, P. vulgaris e P. myxofaciens), Morganella (M. morgani) e Providencia (P. rettgei, P. alcalifaciens e P. stuartii). Il P. mirabilis provoca la maggior parte delle infezioni umane e si distingue dagli altri per la sua incapacità di formare indolo. Questi microrganismi si ritrovano comunemente nel terreno, nell’acqua e nella flora normale delle feci. Essi sono spesso presenti nelle ferite superficiali, nel secreto auricolare e nell’escreato, specialmente in pazienti la cui flora normale sia stata eradicata da terapie antibiotiche. Possono provocare infezioni profonde (specialmente nell’orecchio e nei seni mastoidei, nella cavità peritoneale e nel tratto urinario di pazienti con IVU croniche o con calcoli renali o vescicali) oltre a batteriemia. Il P. mirabilis è spesso ma non sempre sensibile ad ampicillina, carbenicillina, ticarcillina, piperacillina, cefalosporine e aminoglicosidi. Le altre specie tendono a essere più resistenti ma generalmente sono sensibili alle ultime tre penicilline (non all’ampicillina) e a gentamicina, tobramicina e amikacina.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA ENTEROBACTERIACEE INFEZIONI DA SALMONELLA (Salmonellosi) I 2200 sierotipi conosciuti di Salmonella si possono raggruppare in: (1) quelli molto adattati all’ospite umano, (2) quelli adattati a ospiti non umani, (3) quelli non adattati a ospiti specifici. Il primo gruppo comprende S. typhi, S. paratyphi A, B (S. schottmuelleri) e C (S. hirschfeldii) e S. sendai che sono patogene soltanto per l’uomo e provocano comunemente la febbre enterica. Il secondo gruppo provoca malattia quasi soltanto negli animali sebbene 2 ceppi di tale gruppo, la S. dublin e la S. choleraesuis, siano patogeni anche per l’uomo. Il terzo gruppo designato S. enteritidis include > 2000 sierotipi che sono causa di gastroenteriti e sono responsabili di oltre l’85% delle infezioni da Salmonella negli USA.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA ENTEROBACTERIACEE INFEZIONI DA SALMONELLA FEBBRE TIFOIDE Malattia sistemica provocata dalla S. typhi e caratterizzata da febbre, prostrazione, dolore addominale ed eruzione cutanea rosata.

Sommario: Epidemiologia e anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia

Epidemiologia e anatomia patologica Negli USA vengono notificati annualmente circa 400-500 casi di febbre tifoide. I bacilli tifoidi vengono liberati nelle feci dei portatori asintomatici e in urine e feci dei soggetti con malattia attiva. L’igiene inadeguata dopo la defecazione può diffondere la S. typhi al cibo o all’acqua. Nelle aree endemiche, dove le misure sanitarie sono generalmente inadeguate, la S. typhi si trasmette più spesso attraverso l’acqua che non attraverso il cibo. Nei paesi sviluppati invece la trasmissione avviene soprattutto attraverso il cibo contaminato da portatori sani durante la preparazione. Le mosche possono trasportare i germi dalle feci al cibo. In via occasionale è stata documentata anche la trasmissione per contatto diretto (via oro-anale), nei bambini durante il gioco e negli adulti durante i rapporti sessuali. Raramente anche il personale sanitario, che non abbia osservato strette precauzioni di tipo enterico, ha contratto la malattia nel cambiare la biancheria sporca di pazienti infetti. Il microrganismo penetra nel corpo attraverso il tratto GI e si apre la via verso il circolo sanguigno attraverso i vasi linfatici. Nell’ileo e nel colon si ha un’infiammazione monocitaria nella lamina propria e nelle placche di Peyer dove è comune la necrosi tissutale. Nei casi gravi si possono avere ulcerazioni, emorragie e perforazioni intestinali. Portatori: circa il 3% dei pazienti non trattati libera i microrganismi nelle feci per > 1 anno e costituisce la categoria dei portatori enterici cronici. Alcuni portatori non hanno anamnesi positiva di malattia clinica e hanno evidentemente avuto un’infezione asintomatica. In certi pazienti con febbre tifoide l’uropatia ostruttiva secondaria a schistosomiasi può predisporre allo sviluppo di una condizione di portatore urinario di salmonelle. La maggior parte dei 2000 portatori presumibilmente presenti negli USA è di sesso femminile e di età avanzata con malattia biliare cronica. I dati epidemiologici indicano che i portatori di S. typhi sviluppano cancro del tratto epatobiliare con maggiore probabilità della popolazione generale. file:///F|/sito/merck/sez13/1571250b.html (1 of 4)02/09/2004 2.10.02

Malattie batteriche

Sintomi e segni Il periodo di incubazione (di solito di 8-14 giorni) è di durata inversamente proporzionale al numero di germi ingeriti. L’esordio è graduale, con febbre, cefalea, artralgie, faringite, costipazione, anoressia e dolore addominale sia spontaneo che alla palpazione. I sintomi più rari comprendono disuria, tosse non produttiva ed epistassi. In assenza di terapia la temperatura sale gradualmente per un periodo di 23 giorni, resta quindi elevata (solitamente 39,4-40°C) per altri 10-14 giorni e alla fine decresce dalla fine della 3a sett. per raggiungere i livelli normali solo in 4a sett. La febbre prolungata è spesso accompagnata da bradicardia relativa e, nei casi gravi, da prostrazione e sintomi a carico del SNC, come delirio, stato stuporoso e coma. Nel 10% circa dei pazienti compaiono sulla cute macchie isolate e arrotondate di colorito rosato che sbiancano alla pressione (macchie rosacee) specie su addome e torace, con comparsa nel corso della 2a sett. e risoluzione dopo 2-5 giorni. Nell’1-2% dei pazienti si verifica una perforazione intestinale che interessa di solito l’ileo distale. Un addome acuto con leucocitosi nel corso della terza sett. può essere indicativo di perforazione in atto. Di riscontro frequente sono splenomegalia, leucopenia, anemia, anomalie degli esami di funzionalità epatica, proteinuria e una lieve coagulopatia da consumo. Possono verificarsi anche una colecistite acuta e un’epatite. Nella fase tardiva della malattia, quando sono preponderanti le lesioni intestinali, si può manifestare una diarrea florida e le feci possono contenere sangue (20% occulto, 10% palese). Nel 2% circa dei casi si verifica un sanguinamento grave nel corso della 3a sett., con una mortalità del 25% circa. Una polmonite si può instaurare tra la 2a e la 3a sett. ed è abitualmente provocata da un’infezione pneumococcica, sebbene la S. typhi possa anch’essa provocare infiltrati. La diagnosi può essere ritardata in caso di presentazioni atipiche, come polmonite, sintomi riconducibili a IVU o febbre isolata. Il periodo di convalescenza può durare diversi mesi. In aggiunta la batteriemia porta talvolta a infezioni focali come osteomielite, endocardite, meningite, ascessi dei tessuti molli, glomerulite e interessamento del tratto GU. Nell’8-10% dei pazienti non trattati si possono verificare delle recidive con la comparsa, circa 2 sett. dopo la defervescenza, di sintomi e segni simili a quelli iniziali della sindrome clinica. Per ragioni non ancora del tutto chiare la terapia antibiotica nelle fasi iniziali della malattia aumenta l’incidenza delle recidive febbrili del 15-20%. Se al momento della recidiva viene ripresa la terapia antibiotica la febbre scompare rapidamente, a differenza di quanto si osservava nella malattia primaria, in cui la defervescenza era lenta. Talvolta può verificarsi anche una seconda recidiva.

Diagnosi La diagnosi si basa principalmente sull’isolamento dei bacilli tifoidi nelle colture ma quadro clinico e anomalie ematologiche possono essere già indicativi di febbre tifoide. I bacilli tifoidi vengono isolati abitualmente dalle colture di sangue o di midollo osseo soltanto durante le prime 2 sett. di malattia, mentre le colture fecali divengono positive solitamente tra la 3a e la 5a sett. Le urinocolture sono spesso positive. Le colture di biopsie epatiche o delle macchie rosacee possono anch’esse produrre talvolta la crescita del microrganismo. I bacilli tifoidei contengono Ag (O e H) che stimolano l’ospite a produrre i corrispondenti Ac. Un aumento di 4 volte del titolo di Ac anti-O e anti-H in campioni prelevati nel paziente a 2 sett. di distanza l’uno dall’altro suggerisce un’infezione da S. typhi. Tuttavia, questo test (la reazione di agglutinazione di Widal) è solo moderatamente sensibile (il 30% dei casi con colture positive presenta una reazione negativa) e ha una scarsa specificità (molti ceppi non

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Malattie batteriche

tifoidi di Salmonella hanno Ag O e H cross-reagenti; la cirrosi si associa a una produzione aspecifica di Ac che danno false positività nella reazione di Widal). Sono in fase di studio test, quali quelli immunoenzimatici, per l’identificazione degli Ag della S. typhi nel siero o nelle urine nelle fasi precoci della malattia. La diagnosi differenziale comprende altre infezioni da Salmonella che provochino febbri enteriche, malattie da rickettsie, leptospirosi, TBC disseminata, malaria, brucellosi, tularemia, epatite infettiva, infezioni da Yersinia enterocolitica e linfomi. La febbre tifoide può assomigliare nelle sue fasi precoci a una IRS o a una IVU.

Prognosi Senza antibiotici la mortalità dei pazienti affetti da febbre tifoide è del 12%; con una pronta terapia antibiotica il tasso di mortalità è < 1%. I decessi si verificano soprattutto tra bambini, soggetti malnutriti e anziani. Stato stuporoso, coma e shock sono indizi di patologia grave e di prognosi infausta. Le complicanze si riscontrano soprattutto nei pazienti che non sono trattati o che sono trattati in ritardo.

Profilassi Per la prevenzione l’acqua da bere deve essere depurata, le fognature devono essere disposte in maniera adeguata, il latte deve essere pastorizzato, i portatori cronici devono evitare di maneggiare il cibo e devono essere messe in atto misure idonee di isolamento dei pazienti. È importante avere un’attenzione particolare alle precauzioni enteriche. Chi si trova in viaggio nelle aree endemiche deve evitare di mangiare vegetali a foglia crudi, altri cibi che vengono conservati o serviti a temperatura ambiente e acqua non imbottigliata. L’acqua, a meno che non si sappia per certo che è pura, andrà bollita o clorata prima di essere consumata. È disponibile un vaccino tifoide per via orale, vivo, attenuato (ceppo Ty21) che possiede un’efficacia di circa il 70%. Deve essere somministrato quotidianamente per un totale di 4 dosi. Poiché il vaccino contiene organismi vivi di S. typhi, è controindicato nei pazienti immunocompromessi. Negli USA il vaccino Ty21a non è approvato per i bambini < 6 anni. Un’alternativa è il vaccino per via parenterale, a dose singola, del polisaccaride Vi, che ha un’efficacia del 64-72% ed è ben tollerato. Questo vaccino viene somministrato come singola iniezione IM.

Terapia Gli antibiotici riducono notevolmente la gravità e la durata della malattia nonché l’incidenza delle complicanze e la mortalità. I farmaci di prima scelta sono il ceftriaxone e il cefoperazone. Il ceftriaxone viene somministrato 30 mg/ kg/die IM o EV in 2 dosi frazionate per 2 sett. (p. es., 1 g EV q 12 h per gli adulti) e il cefoperazone viene somministrato 60 mg/kg/die EV in 2 dosi frazionate per 2 sett. Il cloramfenicolo viene ancora diffusamente utilizzato in tutto il mondo, ma la resistenza è in incremento. I chinolonici possono essere utili. Un loro uso potrebbe essere il proseguimento di una terapia orale (p. es., ciprofloxacina 500 mg PO q 12 h) dopo una terapia parenterale iniziale con una cefalosporina di III generazione. I chinolonici vengono sconsigliati nei bambini in fase prepuberale. Una terapia alternativa, dipendente dalla sensibilità in vitro, è l’ampicillina 100 mg/kg/die EV o IM in 4 dosi frazionate per 14 giorni. I glucocorticoidi possono essere utilizzati in aggiunta agli antibiotici per trattare un grave stato tossico. Con questa terapia si ottengono di solito la defervescenza e il miglioramento clinico. È abitualmente sufficiente somministrare 20-40 mg/die file:///F|/sito/merck/sez13/1571250b.html (3 of 4)02/09/2004 2.10.02

Malattie batteriche

di prednisone PO (o di un farmaco equivalente) per i primi 3 giorni di terapia. Dosi maggiori di glucocorticoidi (attacco con 3 mg/kg di desametasone EV e poi 1 mg/kg q 6 h per 48 h complessive) si usano solo nei pazienti con gradi notevoli di delirium, coma o shock. Come misura di supporto il paziente va alimentato con pasti frequenti. Nel periodo febbrile i pazienti vengono di solito tenuti a riposo a letto. Andranno evitati i salicilati (che possono provocare ipotermia e ipotensione) nonché i lassativi e i clisteri. La diarrea si può controllare con una dieta liquida in bianco e, se necessario, con un’alimentazione parenterale. Possono rendersi necessarie una terapia di reintegrazione idro-elettrolitica e trasfusioni di sangue. La perforazione intestinale e la relativa peritonite richiedono una copertura antibiotica a più ampio spettro, anche nei confronti di germi gram – e anaerobi. Per il trattamento della perforazione, sebbene la sola terapia medica abbia avuto alcuni successi, è raccomandabile assieme agli antibiotici la terapia chirurgica. Le recidive si curano allo stesso modo della malattia iniziale, anche se la terapia antibiotica difficilmente deve essere protratta > 5 giorni. I portatori vanno notificati alle autorità sanitarie locali e bisognerà proibire loro di manipolare il cibo. Bacilli tifoidi possono essere isolati dalle feci fino a 3-6 mesi dopo la malattia acuta nei soggetti che non diventano portatori; successivamente, per escludere l’instaurarsi di uno stato di portatore, bisogna attendere che 3 esami consecutivi delle feci eseguiti a 1 sett. l’uno dall’altro risultino negativi. Nei portatori con vie biliari normali, la percentuale di guarigione è del 60%, con antibiotici quali l’ampicillina (1,5 g qid PO o EV per 6 sett.) o l’amoxicillina (2 g tid PO per 4 sett.). Il probenecid 0,5 g qid PO può essere somministrato con ampicillina. In alcuni portatori con patologia della colecisti è stata raggiunta l’eradicazione con trimetoprim/sulfametoxazolo e rifampicina. In altri casi la colecistectomia, associata a terapia antibiotica (ampicillina 6 g/die EV in 4 dosi frazionate, da 1-2 giorni prima dell’intervento a 2-3 sett. dopo di esso), abitualmente risolve la condizione di portatore.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA ENTEROBACTERIACEE INFEZIONI DA SALMONELLA INFEZIONI DA SALMONELLA NON TIFOIDEE

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Profilassi e terapia

L’epidemiologia delle altre salmonellosi è simile a quella della febbre tifoide, ma più complessa, perché la malattia si può manifestare nell’uomo anche per contatto diretto o indiretto con numerose specie di animali infetti, con prodotti alimentari da essi derivati o con loro escrementi. Fonti comuni di Salmonella sono animali da carne infetti, pollame, latte fresco, uova e prodotti fatti con le uova. Altre fonti descritte sono le tartarughe domestiche, il colorante rosso carminio e la marijuana contaminata. Condizioni predisponenti per le infezioni da Salmonella sono: gastrectomia subtotale, acloridria (o l’assunzione di antiacidi), anemia perniciosa, splenectomia, febbre ricorrente da pidocchi, malaria, bartonellosi, cirrosi, leucemia, linfoma e infezione da HIV. Esclusa la febbre tifoide, le infezioni da Salmonella enteritidis rimangono un importante problema di salute pubblica negli USA. A molti sierotipi di S. enteritidis è stato dato un nome e vengono ufficiosamente considerati come specie separate, anche se non lo sono. Negli USA i più comuni sierotipi di Salmonella comprendono: S. typhimurium, S. heidelberg, S. newport, S. infantis, S. agona, S. montevideo e S. saint-paul.

Sintomi e segni Le infezioni da Salmonella si possono manifestare clinicamente sotto forma di gastroenterite, di febbre enterica, di sindrome batteriemica o di malattia focale. Ogni sierotipo di Salmonella può produrre una o tutte le sindromi cliniche descritte qui di seguito, ma un singolo sierotipo si associa spesso a una sindrome specifica. Può esserci anche uno stato di portatore asintomatico. La gastroenterite (v. anche Cap. 28), compare abitualmente da 12 a 48 h dopo l’ingestione dei microrganismi, con nausea e dolori addominali crampiformi seguiti da diarrea, febbre e talvolta vomito. Le feci solitamente sono acquose, ma possono essere pastose semisolide. Di rado possono notarsi anche muco o sangue. La malattia è di regola benigna e dura da 1 a 4 giorni. Talvolta si può manifestare in forma più grave e protratta. Nei campioni di feci colorati con blu di metilene si riscontrano spesso GB, che sono indice di colite infiammatoria. La diagnosi viene confermata dall’isolamento di Salmonella da campioni di feci o da tamponi rettali.

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Malattie batteriche

La febbre enterica è una sindrome sistemica caratterizzata da febbre, prostrazione e setticemia. Il prototipo di questa sindrome, la febbre tifoide, è stato descritto più sopra. Una sindrome analoga, ma spesso meno grave, è causata da S. paratyphi A, B e C. Le manifestazioni focali delle infezioni da Salmonella possono verificarsi con o senza una batteriemia rilevante. Nei pazienti con batteriemia si può avere un’nfezione localizzata che interessa il tratto GI (fegato, colecisti e appendice), le superfici endoteliali (placche aterosclerotiche, aneurismi ileo-femorali o aortici, valvole cardiache), pericardio, meningi, polmoni, articolazioni, ossa, tratto GU o tessuti molli. Possono talvolta essere infettati dei tumori solidi preesistenti, con formazione di ascessi che rappresentano a loro volta una fonte di batteriemia da Salmonella. S. choleraesuis e S. typhimurium sono le cause più comuni delle infezioni focali. Nei pazienti con gastroenterite la batteriemia è relativamente poco comune. Tuttavia, la S. choleraesuis, la S. typhimurium e la S. heidelberg, tra le altre, possono provocare una sindrome batteriemica rilevante, che dura 1 sett. Sebbene le emocolture siano positive, le coprocolture sono in genere negative. I pazienti con AIDS o con infezione da HIV possono avere episodi ricorrenti di batteriemia o di altre infezioni invasive (p. es., artrite settica) dovute alla Salmonella. Infezioni multiple da Salmonella in un paziente senza altri fattori di rischio impongono il test del HIV. Non sembra che i portatori giochino un ruolo importante nelle grandi epidemie di gastroenterite non tifoidee. La continua liberazione di microrganismi nelle feci per 1 anno si verifica soltanto nello 0,2-0,6% dei pazienti con infezioni da Salmonella non tifoidi. La diagnosi viene effettuata sulla base dell’isolamento del microrganismo dalle feci o da altri siti infetti. La prognosi è generalmente buona, a meno che non sia presente una grave patologia sottostante.

Profilassi e terapia Di primaria importanza è prevenire la contaminazione dei cibi da parte di animali e uomini infetti. Il pollame, la carne, le uova e gli altri cibi devono essere cotti, maneggiati, conservati e refrigerati in maniera adeguata. Gli animali infetti (p. es., rettili domestici) e le sostanze potenzialmente contaminate (p. es., il colorante rosso carminio) devono essere identificati e posti sotto controllo. Le misure di prevenzione per chi viaggia sono trattate sopra, in Febbre tifoide e si possono applicare per analogia alla maggior parte delle altre infezioni enteriche. La notifica dei casi è fondamentale. La gastroenterite viene sottoposta a terapia sintomatica con liquidi e dieta blanda (v. anche Shighellosi e i Principi generali di terapia nel Cap. 28). Gli antibiotici prolungano l’emissione dei germi e non sono consigliati nei casi non complicati. A causa della maggiore mortalità, i pazienti anziani assistiti a casa, i bambini e i pazienti con infezione da HIV o con AIDS devono essere trattati con antibiotici. L’insorgenza di antibiotico-resistenza è ancora più comune con la Salmonella non tifoide che con la S. typhi. Un regime terapeutico accettabile è costituito da: TMP-SMX 5 mg/kg del composto TMP PO ogni 12 h nei bambini mentre negli adulti ciprofloxacina 500 mg PO q 12. I pazienti non immunocompromessi devono essere trattati per 3-5 giorni, mentre quelli affetti da AIDS possono richiedere una soppressione prolungata per prevenire le recidive. La malattia sistemica o focale deve essere curata con le dosi di antibiotici riportate più sopra per la febbre tifoide. Una batteriemia prolungata viene trattata in genere per 46 sett. Gli ascessi richiedono terapia chirurgica, seguita da terapia antibiotica per almeno 4 sett. dopo l’intervento. Aneurismi infetti, valvole cardiache e infezioni ossee o articolari richiedono un intervento chirurgico e trattamenti antibiotici più prolungati.

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Malattie batteriche

Lo stato di portatore asintomatico è abitualmente autolimitato e di rado si rende necessario il trattamento antibiotico. Gli antibiotici possono prolungare l’eliminazione dei microrganismi nelle feci dopo che si sia interrotta la somministrazione del farmaco. Nei casi meno frequenti (p. es., negli operatori alimentari o nel personale sanitario), si può tentare l’eliminazione dei germi con ciprofloxacina 500 mg PO q 12 h per 1 mese, ma andranno effettuate ulteriori coprocolture nelle settimane successive alla fine del trattamento, in modo da documentare l’eliminazione della Salmonella.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA ENTEROBACTERIACEE SHIGELLOSI (Dissenteria bacillare) Infezione intestinale acuta provocata da microrganismi del genere Shigella.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia, epidemiologia e anatomia patologica Il genere Shigella è suddiviso in quattro principali sottogruppi. Il genere Shigella si divide in 4 sottogruppi principali (A, B, C, D), che vengono ulteriormente suddivisi in determinati tipi sierologici. Il genere Shighella è diffuso in tutto il mondo ed è la causa tipica della dissenteria infiammatoria, responsabile in molte aree geografiche del 5-10% delle patologie associate a diarrea. La S. flexneri e la S. sonnei si ritrovano in aree più vaste della S. boydii e della S. dysenteriae che è particolarmente virulenta. La specie più frequentemente isolata negli USA è la S. sonnei. Fonte dell’infezione sono le escrezioni degli individui infetti o dei portatori convalescenti. Il contagio avviene per via oro-fecale; il contagio indiretto avviene attraverso cibi od oggetti contaminati. Le mosche fungono da vettori meccanici. È raro che la malattia venga trasmessa attraverso l’acqua. Le epidemie di shighellosi avvengono più spesso in zone sovrappopolate con condizioni sanitarie scadenti. La shighellosi è particolarmente frequente nei bambini più piccoli che vivono nelle aree endemiche; gli adulti spesso contraggono una malattia meno grave. I portatori convalescenti e subclinici possono rappresentare fonti di infezione, ma sono rari gli individui che rimangono portatori per tempi lunghi. L’infezione conferisce un’immunità scarsa o nulla. è possibile la reinfezione con lo stesso ceppo. I microrganismi Shighella penetrano la mucosa dei tratti distali dell’intestino, provocando secrezione mucosa, iperemia, infiltrazione leucocitaria, edema e spesso ulcerazioni superficiali della mucosa. La diarrea acquosa che si associa alle infezioni da Shigella può essere mediata da un’enterotossina che provoca l’aumento dell’attività secretoria intestinale.

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Malattie batteriche

Sintomi e segni Il periodo di incubazione va da 1 a 4 giorni. Nei bambini piccoli l’esordio è improvviso, con febbre, irritabilità o sonnolenza, anoressia, nausea o vomito, diarrea, dolore e distensione addominali e tenesmo. Entro 3 giorni compaiono nelle feci sangue, pus e muco: la frequenza delle evacuazioni può aumentare fino a 20/die e, in parallelo, si hanno grave perdita di peso e disidratazione. Se non trattato, un bambino può morire entro i primi 12 giorni; se non si ha il decesso, i sintomi acuti scompaiono gradualmente entro la 2a sett. Gli adulti si possono presentare senza febbre, con una diarrea non ematica e non mucosa e con tenesmo lieve o assente; tuttavia i primi sintomi possono essere episodi di dolore addominale lacerante, urgenza a defecare ed evacuazione di feci inizialmente formate, che risolve temporaneamente il dolore. Tali episodi si ripetono con gravità e frequenza progressive. La diarrea diviene marcata, con feci molli o liquide contenenti muco, pus e spesso sangue. A causa di un grave tenesmo può manifestarsi prolasso rettale e, di conseguenza, incontinenza fecale. Negli adulti la malattia di solito si risolve spontaneamente: nei casi lievi in 4-8 giorni mentre nei casi gravi in 3-6 sett. I quadri con disidratazione e perdita elettrolitica imponenti, con collasso circolatorio e morte, sono limitati principalmente ai bambini < 2 anni di età e agli adulti debilitati. Raramente la shighellosi ha un esordio improvviso con emissione di feci tipo acqua di riso o sierose (talvolta ematiche). Il paziente può anche presentare vomito e subire una rapida disidratazione. L’infezione può presentarsi con delirio, convulsioni e coma ma con diarrea scarsa o assente; il decesso si può verificare nel giro di 12-24 h. È possibile che si manifestino infezioni batteriche secondarie, specialmente in soggetti debilitati e disidratati: ulcerazioni mucose gravi possono provocare perdite ematiche acute. Altre complicanze non sono comuni ma includono: neurite tossica, artrite, miocardite e perforazione intestinale. Nei bambini la shighellosi può essere complicata dalla sindrome emolitico-uremica. L’infezione non cronicizza e non è un fattore eziologico di colite ulcerosa. Tuttavia, a seguito di infezioni da Shigella, i pazienti con il genotipo HLA-B27 possono sviluppare più frequentemente un’artrite o addirittura la sindrome di Reiter conclamata.

Esami di laboratorio e diagnosi Il bacillo Shigella si rinviene nelle feci, ma bacillemia e bacilluria sono rare. La conta dei GB è spesso diminuita all’inizio ma poi raggiunge valori medi di 13000 µl. Frequente è l’emoconcentrazione, come nell’acidosi metabolica indotta dalla diarrea. La diagnosi è facilitata se si tiene in conto tale patologia nel caso si sia di fronte a epidemie nelle aree endemiche. La forma più comune, caratterizzata da diarrea acquosa, è indistinguibile da altre infezioni batteriche, virali e da protozoi che stimolano l’attività secretoria delle cellule dell’epitelio intestinale. Le superfici mucose, osservate al proctoscopio, appaiono con eritemi diffusi e numerose piccole ulcere. Bisognerà procedere allo striscio e alla coltura del materiale prelevato con un tampone dalle ulcere. I tamponi e i campioni di feci fresche devono essere posti immediatamente in coltura. I preparati umidi o gli strisci colorati con blu di metilene, o con colorante di Wright, rivelano la presenza di un tappeto di leucociti che distinguono la dissenteria bacillare da quella amebica (dato che le amebe distruggono i leucociti). I batteri non hanno in questi strisci caratteristiche che permettano di porre la diagnosi; questa viene confermata soltanto da colture positive. Nei pazienti che sviluppano la forma acuta della dissenteria bacillare (cioè con feci poco voluminose ma contenenti sangue e muco), la diagnosi differenziale andrà posta con le diarree invasive da Escherichia coli, Salmonella, Yersinia, Campylobacter, da amebiasi e da virus.

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Malattie batteriche

Profilassi Per prevenire la diffusione mediante cibi contaminati, acque e mosche è necessario assicurare un buon livello di igiene con le seguenti misure: accurato lavaggio delle mani prima di manipolare i cibi; immersione di indumenti sporchi e di lenzuola in secchi coperti, contenenti acqua e sapone, fino alla loro bollitura; uso di reti antimosche alle finestre delle case. Nei confronti dei pazienti e dei portatori devono essere adottate adeguate procedure di isolamento (specialmente isolamento fecale). È in corso di sperimentazione un vaccino orale con germi vivi; studi sul campo condotti in aree endemiche sembrano dare risultati soddisfacenti. D’altra parte l’immunità è generalmente tipo specifica.

Terapia Terapia liquida: la diarrea provoca abitualmente disidratazione isotonica (perdita di acqua e di sali in uguale proporzione), con acidosi metabolica e significativa perdita di potassio. La sete dovuta alla disidratazione può produrre un apporto d’acqua sproporzionato che può generare ipotonicità. La dissenteria senza diarrea non provoca una così grande perdita di liquidi(per la trattazione della terapia liquida v. Cap. 12). Nei bambini, soprattutto nei climi caldi, la perdita di liquidi attraverso sudore e respirazione, in aggiunta alla grave diarrea, può provocare una disidratazione ipertonica (v. Cap. 259). La somministrazione prematura di liquidi con alti soluti (latte, alimentazione per sondino, miscele di elettroliti "fatte in casa") può provocare un’ipertonicità pericolosa cui possono seguire convulsioni. Per l’alimentazione del neonato: v. Terapia in Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265. Antibiotici: la decisione circa l’uso degli antibiotici va presa in funzione della gravità della malattia, dell’età del paziente (per i bambini v. Terapia in Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265), delle condizioni sanitarie generali, della possibilità di ulteriori trasmissioni e della possibilità di provocare antibiotico-resistenza nei microrganismi. Inoltre, i sintomi e la disseminazione della Shigella possono essere significativamente ridotti mediante il trattamento precoce con un appropriato agente antimicrobico assorbibile. Il trattamento di scelta è costituito nei bambini da TMP-SMX a un dosaggio di 4 mg/kg PO q 12 h del componente di TMP. Negli adulti la dose è una compressa "forte" q 12 h (TMP 320 mg). Le alternative per gli adulti comprendono norfloxacina 400 mg PO bid o ciprofloxacina 500 mg PO bid. Molte delle Shigellae isolate hanno un’alta probabilità di essere resistenti all’ampicillina e alle tetracicline. Altri trattamenti: una borsa di acqua calda aiuta ad alleviare il dolore addominale. Al contrario preparazioni di metil cellulosa assorbente o lenitiva hanno uno scarso effetto per alleviare la diarrea e il tenesmo. Gli anticolinergici e i paregorici vanno evitati. Essi inducono stasi intestinale, prolungano lo stato febbrile e consentono un’escrezione continuata dei microrganismi nelle feci.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA HAEMOPHILUS Gli Haemophilus sono piccoli bacilli gram –, non mobili o coccobacilli che per la crescita richiedono i fattori specifici X (ematina) e V (nicotinamide adenina dinucleotide). Molte specie di Haemophilus si rinvengono normalmente nelle alte vie respiratorie, ma soltanto raramente provocano malattie. L’H. influenzae, nei bambini piccoli è una delle principali cause di meningite, batteriemia, artrite settica, polmonite, tracheobronchite, otite media, congiuntivite, sinusite ed epiglottite acuta. Queste infezioni possono presentarsi assieme all’endocardite, anche negli adulti, seppur raramente. Queste patologie vengono trattate nel Cap. 73 e in Artriti Infettive nel Cap. 54, Meningiti Batterice Acute nel Cap. 176 ed Epiglottite acuta nel Cap. 265. La maggior parte dei ceppi di H. influenzae, che provocano infezioni gravi in bambini o adulti, è di tipo b capsulato. Altri ceppi di Haemophilus possono provocare infezioni respiratorie o più di rado endocardite. H. parainfluenzae e H. aphrophilus possono essere raramente causa di batteriemia, endocardite e ascesso cerebrale. H. influenzae sierotipo aegyptius può causare congiuntivite mucopurulenta e la febbre batterica purpurea brasiliana. L’H. ducreyi provoca la malattia venerea denominata ulcera molle (v. Cap. 164). La scelta dell’antibiotico dipende strettamente dalla sede dell’infezione, p. es., meningite ed epiglottite. Sono disponibili per i bambini 2 mesi d’età vaccini coniugati contro l’H. influenzae di tipo b e sono efficaci nel prevenire le infezioni invasive come meningiti, epiglottiti e batteriemie (v. Vaccinazioni nei bambini nel Cap. 256).

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMBRUCELLOSI (Febbre ondulante, maltese, mediterranea o di Gibilterra) Malattia causata da microrganismi del genere Brucella, caratterizzata da uno stato febbrile acuto con scarsi o nulli segni di localizzazione e da uno stadio cronico con febbre ricorrente, debolezza, sudorazione e vaghi dolori diffusi.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia ed epidemiologia I microrganismi responsabili della brucellosi umana sono la Brucella abortus (bovini), la B. suis (suini), la B. melitensis (pecore e capre) e la B. rangiferi (B. suis, biotipo 4, caribù dell’Alaska e della Siberia); invece la B. canis (cani) ha provocato infezioni soltanto raramente. Sono state descritte anche infezioni da Brucella in cervi, bisonti, cavalli, alci, lepri e ratti del deserto. La brucellosi si contrae per contatto diretto con secrezioni ed escrezioni di animali infetti e per ingestione di latte crudo o di prodotti caseari contenenti microrganismi vivi del tipo Brucella. Viene trasmessa soltanto raramente da persona a persona. Frequente soprattutto nelle zone rurali, la brucellosi è una malattia professionale dei macellai, dei veterinari, dei cacciatori, dei contadini e degli allevatori; i bambini sono meno soggetti a contrarla rispetto agli adulti; i bambini possono acquisire l’infezione consumando latte o formaggi non pastorizzati. La brucellosi è molto rara negli USA, Europa e Canada, mentre continuano a verificarsi casi in Medio Oriente, nelle regioni mediterranee, in Messico e nell’America Centrale.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione va da 5 giorni a diversi mesi con una media di 2 sett. L’esordio può essere improvviso, con brivido e febbre, grave cefalea, dolori, malessere e talvolta diarrea; oppure si può presentare con esordio insidioso con lieve malessere prodromico, dolori muscolari, cefalea e dolori alla regione cervicodorsale seguiti da un aumento della temperatura serotina. Col progredire della malattia, la temperatura sale a 40 o 41°C e poi ritorna gradualmente normale o quasi al mattino, con sudorazioni profuse. Nel quadro tipico la febbre intermittente persiste per 1-5 sett., seguita da una remissione di 2-14 giorni, quando i sintomi sono ormai molto diminuiti o assenti: file:///F|/sito/merck/sez13/1571256b.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.05

Malattie batteriche

si ha quindi una nuova fase febbrile. A volte questo andamento si ripete soltanto una volta, ma altre volte, tuttavia, si ha una brucellosi cronica o subacuta con picchi febbrili ripetuti (ondulazioni) e remissioni, che si presentano per periodi di mesi o addirittura di anni. In alcuni pazienti la febbre può essere soltanto transitoria. Dopo la fase iniziale, il paziente di solito lamenta costipazione pronunciata, assieme ad anoressia, perdita di peso, dolore addominale e articolare, cefalea, mal di schiena, debolezza, irritabilità, insonnia, depressione mentale e instabilità emotiva. Compare anche splenomegalia, associata a un ingrossamento lieve o moderato dei linfonodi; in una proporzione di pazienti vicina al 50% ci può essere epatomegalia. I pazienti con brucellosi acuta non complicata guariscono di regola in 2-3 sett. Le complicanze sono rare, ma comprendono endocardite batterica subacuta, meningite, encefalite, nevrite, orchite, colecistite, suppurazione epatica e lesioni ossee.

Diagnosi La conta totale dei GB è normale o ridotta, con una linfocitosi relativa o assoluta durante la fase acuta. La diagnosi definitiva si basa sull’isolamento dei microrganismi dal sangue o, più di rado, da LCR, urine e tessuti. Anche i dati sierologici sono molto importanti e i test di agglutinazione sono particolarmente significativi se il titolo è di 1:160 o superiore. I test di agglutinazione della Brucella evidenziano il titolo degli anticorpi IgG e IgM, dal momento che le IgM indicano la malattia attiva. Pertanto, quando un test di agglutinazione è positivo anche in assenza di dati batteriologici, la diagnosi è probabile se c’è un’anamnesi positiva per esposizioni ad animali infetti o ai loro prodotti, se esistono dati epidemiologici attinenti e se i parametri clinici e di decorso sono caratteristici. I test intradermici con Ag di Brucella hanno scarso valore per la diagnosi della brucellosi attiva.

Profilassi Per prevenire l’infezione umana da Brucella il latte deve essere pastorizzato; anche il formaggio non stagionato può essere contaminato. Le persone che hanno a che fare con animali o con carcasse probabilmente infette devono indossare occhiali protettivi e guanti di gomma e proteggere eventuali ferite cutanee dall’esposizione. Attualmente negli USA e in diversi altri paesi sono richiesti programmi di sanità pubblica volti a rilevare le infezioni negli animali, eliminare gli animali infetti e vaccinare i giovani bovini e suini sieronegativi.

Terapia Dato che il trattamento con un singolo agente è stato associato a un alto tasso di recidive, ogni volta che sia possibile si usa una terapia combinata. La doxiciclina 100 mg PO bid (o la tetraciclina 500 mg PO qid) per 3-6 sett. più la streptomicina 1 g IM q 12-24 h per 14 giorni diminuisce il tasso di recidive. Nei bambini < 8 anni sono stati usati TMP-SMX e streptomicina IM o rifampicina PO per 4-6 sett. I dolori muscolo-scheletrici gravi, specialmente alla colonna vertebrale, possono richiedere un trattamento antidolorifico. Nei casi acuti bisognerà limitare le attività con riposo a letto durante i periodi febbrili.

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Malattie batteriche

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMTULAREMIA (Febbre dei conigli o dei tafani) Malattia acuta caratterizzata da una lesione ulcerativa locale primaria, linfoadenopatia regionale, sintomi sistemici imponenti, stato simil tifoideo, batteriemia e, occasionalmente, polmonite atipica.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Profilassi, prognosi e terapia

Eziologia, epidemiologia e anatomia patologica I quattro tipi di tularemia sono elencati nella Tab. 157-1. Il germe responsabile, la Francisella tularensis, è un bacillo aerobio di piccole dimensioni, pleiomorfo, immobile e non sporigeno che penetra nell’organismo per ingestione, inoculazione, inalazione o contaminazione. Esso è capace di penetrare la cute integra, anche se in realtà entra attraverso microlesioni. Il tipo A, il sierotipo più virulento per l’uomo, si rinviene nei conigli e nei roditori. Il tipo B provoca abitualmente un’infezione ulcero-ghiandolare lieve e si rinviene nell’acqua e negli animali acquatici. La trasmissione tra animali avviene attraverso artropodi che succhiano sangue e per cannibalismo. Gli individui che più spesso contraggono l’infezione sono i cacciatori, i macellai, i contadini, i lavoranti di pelli e i dipendenti di laboratori biologici. Nei mesi invernali, la maggior parte dei casi di infezione deriva da contatti con conigli selvatici infetti (specialmente durante lo scuoiamento); nei mesi estivi l’infezione deriva solitamente da contatti con altri animali infetti o con uccelli o da contatti con pulci infette o con altri artropodi. Raramente si possono verificare casi per ingestione di carni infette, poco cotte o dal consumo di acque contaminate. Negli stati dell’ovest altre sorgenti di infezione sono le zecche, le mosche, i tafani e il contatto diretto con animali. Non si conoscono casi di trasmissione interumana. Nei casi disseminati si hanno le caratteristiche lesioni necrotiche focali in vari stadi di evoluzione, diffuse in tutto il corpo. Esse sono di colorito bianco giallastro e variano da 1 mm a 8 cm; sono visibili all’esterno poiché le lesioni primarie si rinvengono sulle dita, sugli occhi o sulla bocca; sono comunemente rinvenute anche nei linfonodi, milza, fegato, rene e polmone. Nei casi di polmonite i focolai di necrosi si localizzano a livello polmonare. Microscopicamente la necrosi focale risulta circondata da monociti e fibroblasti giovani che sono a loro volta attorniati da grossi addensamenti di linfociti. Anche se può esserci un elevato grado di tossicità sistemica, finora non sono state scoperte tossine liberate dai germi.

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Malattie batteriche

Sintomi e segni L’esordio è repentino, 1-10 giorni dopo il contatto (abitualmente 2-4 giorni), con cefalea, brivido, nausea, vomito, febbre di 39,5-40°C e grave stato di prostrazione. Si manifestano anche astenia marcata, brividi ricorrenti e sudorazioni profuse. Entro 24-48 h compare un papula infiammata nella sede dell’infezione (polpastrello, braccio, occhio o palato), con l’eccezione della tularemia ghiandolare o tifoidea. La papula diviene rapidamente pustolosa e si ulcera, producendo un cratere ulceroso pulito con un essudato incolore, sottile e scarso. Le ulcere di solito sono singole alle estremità ma multiple nell’occhio o nella bocca. Solitamente è interessato soltanto un occhio, i linfonodi regionali si rigonfiano e possono dare suppurazione e abbondante secrezione. Al 5o giorno si manifesta spesso uno stato simil-tifoideo; il paziente può mostrare segni di polmonite atipica con sintomi come quelli di altri tipi di polmonite (v. Cap. 73). La polmonite tularemica può essere accompagnata da delirio. Anche se sono spesso presenti segni di consolidamento polmonare, talvolta i soli segni della polmonite tularemica sono costituiti dalla riduzione del murmure respiratorio e da occasionali rantoli. Una tosse secca, non produttiva è associata a una sensazione di bruciore retrosternale. In qualsiasi fase della malattia può anche manifestarsi un’eruzione aspecifica simil-rosolia. La milza è ingrossata e può aversi anche perisplenite. Di regola è presente leucocitosi, ma la conta dei GB può risultare normale con un semplice aumento dei leucociti polimorfonucleati. Nei casi non trattati la temperatura permane elevata per 3-4 sett. e si risolve gradualmente. Rare complicanze dell’infezione sono: mediastinite, ascesso polmonare e meningite.

Diagnosi Un’anamnesi positiva per contatti con conigli o con roditori selvatici o per esposizioni a vettori artropodi, l’esordio improvviso dei sintomi e le lesioni primarie caratteristiche permettono di solito di giungere alla diagnosi. Le infezioni di tipo laboratoristico sono spesso tifoidee o polmonari, senza lesioni primarie dimostrabili e sono difficili da diagnosticare. L’isolamento del microrganismo dalle lesioni, dai linfonodi o dall’escreato, anche se potenzialmente pericoloso per il personale di laboratorio, è determinante per la diagnosi. Dal momento che questo microrganismo è così altamente infettivo, il laboratorio non deve tentarne l’isolamento senza l’uso di cappe protettive. È necessaria una cautela estrema nella manipolazione dei tessuti infetti o dei terreni di coltura. I test di agglutinazione divengono positivi di regola dopo il decimo giorno, ma quasi mai prima dell’ottavo giorno di malattia. La diagnosi è confermata dall’incremento di un titolo agglutinante. Il siero di pazienti affetti da brucellosi può dare reazioni positive contro gli Ag della F. tularensis ma spesso a titoli assai più bassi.

Profilassi, prognosi e terapia Quando si entra in aree endemiche devono essere indossati vestiti che impediscano alle zecche il contatto con la cute, devono essere utilizzati repellenti e deve essere effettuata una minuziosa ricerca delle zecche. Quando si maneggiano conigli e roditori, soprattutto nelle aree endemiche, devono essere utilizzati abiti protettivi, compresi guanti di gomma e maschere per il viso. Tutte le zecche devono essere rimosse immediatamente; i microrganismi possono essere presenti nelle feci dell’animale, nelle feci delle zecche e sul pellame dell’animale stesso. Gli uccelli selvatici e la selvaggina devono essere cotti con cura prima di cibarsene; l’acqua potenzialmente contaminata deve essere disinfettata prima dell’uso. La mortalità è pressoché nulla nei casi trattati e di circa il 6% nei casi non curati. Il decesso si verifica in seguito a infezione diffusa, polmonite, meningite o peritonite. Le recidive sono rare, ma possono manifestarsi in soggetti trattati in maniera inadeguata. La prima infezione conferisce un’immunità completa.

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Malattie batteriche

Il farmaco di scelta è la streptomicina (0,5 g IM q 12 h sino alla defervescenza); successivamente 0,5 g/die per 5 giorni. Ugualmente efficace è la gentamicina, 35 mg/kg/die IM o EV in 3 dosi frazionate. Si può somministrare cloramfenicolo o tetracicline, fino a normalizzare la temperatura corporea, a dosi di 500 mg PO q 6 h, successivamente a dosi di 250 mg qid per 5-7 giorni; con questi due farmaci si possono avere a volte delle recidive e inoltre essi non prevengono la suppurazione dei linfonodi. La F. tularensis è sensibile in vitro alle cefalosporine di III generazione. Quando la diagnosi non è chiara al momento dell’esordio e si sospetta la tularemia, possono costituire un’utile terapia iniziale il cefotazime 12 g EV q 8 h o il ceftriaxone 1 g EV q 12 più la streptomicina o la gentamicina ai dosaggi menzionati. Per la polmonite ci sarà una terapia supplementare identica a quella per la polmonite pneumococcica (v. Cap. 73). Bendaggi umidi di soluzione fisiologica applicati con continuità sono indicati per le lesioni cutanee primarie e possono lenire la gravità della linfangite e della linfoadenite. Gli ascessi di grandi dimensioni possono essere drenati, ma ciò è necessario soltanto raramente, a meno che la terapia antibiotica sia stata iniziata con ritardo. Nella tularemia oculare si ottiene sollievo con applicazioni di compresse imbevute di soluzione fisiologica calda e con l’uso di occhiali scuri; nei casi gravi si possono instillare 1-2 gocce q 4 h di omatropina al 2%. La cefalea intensa di regola viene controllata dalla codeina (15-60 mg PO o SC q 34 h).

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMCOLERA Infezione acuta provocata dal Vibrio cholerae che interessa l’intero intestino tenue, caratterizzata da diarrea acquosa profusa, vomito, crampi muscolari, disidratazione, oliguria e collasso.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia, epidemiologia e fisiopatologia Il germe responsabile è il Vibrio cholerae, sierogruppi 01 e 0139, un bacillo aerobio corto, incurvato e mobile. Sia i biotipi classici di V. cholerae che i biotipi El Tor possono provocare malattia grave; tuttavia con i biotipi El Tor sono assai più frequenti forme di infezione lieve o asintomatica. Il colera si diffonde per ingestione di acqua, pesci, crostacei e altri tipi di cibi contaminati dalle feci di soggetti con infezione sintomatica o asintomatica. Il colera è endemico in alcune regioni dell’Asia, nel Medio Oriente, in Africa, nell’America Centrale e Meridionale e nella costa prospiciente il golfo del Messico negli USA. I casi trasferitisi in Europa, Giappone e Australia hanno provocato talora epidemie localizzate. Nelle aree endemiche le epidemie si hanno solitamente durante i mesi caldi con un’incidenza che è massima per i bambini; nelle zone in cui invece la malattia non è endemica le epidemie possono verificarsi in qualsiasi stagione e risultano ugualmente soggetti all’infezione gli individui di tutte le età. Una forma di gastroenterite più lieve, provocata da vibrioni non colerici, viene trattata in questo stesso capitolo in Infezioni da Campylobacter e da Vibrioni non colerici. La suscettibilità all’infezione è variabile ed è maggiore nei soggetti di gruppo sanguigno O. Poiché il vibrione è sensibile all’acidità gastrica, una condizione di acloridria o di ipocloridria possono costituire fattori predisponenti. Gli individui che vivono nelle aree endemiche acquisiscono gradualmente un’immunità naturale contro il vibrione. I V. Cholerae 01 e 0139 producono un’enterotossina proteica che induce l’ipersecrezione di una soluzione elettrolitica isotonica da parte della mucosa dell’intestino tenue intatta. La mucinasi può essere importante nella riduzione di un effetto protettivo della mucina intestinale, mentre la neuraminidasi può alterare la struttura dei gangliosidi delle membrane delle cellule mucose aumentando il contenuto del ganglioside specifico (GM1) che lega l’enterotossina. Il processo di colonizzazione delle mucose può essere favorito da un’emoagglutinina associata alle cellule, ma il flagello sembra avere una maggiore importanza.

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Malattie batteriche

Sintomi e segni Il periodo di incubazione va da 1 a 3 giorni. Il colera si può presentare come forma subclinica; come un episodio diarroico lieve e non complicato oppure come una malattia fulminante e rapidamente letale. Di regola i reperti iniziali sono una diarrea improvvisa, non dolorosa e acquosa e il vomito: negli adulti le feci possono ammontare a oltre 1 l/h, ma solitamente sono assai meno. La grave perdita di acqua e di elettroliti che ne consegue porta a sete intensa, oliguria, crampi muscolari, debolezza e marcata perdita della consistenza dei tessuti con occhi affossati e grinze nella cute delle dita. La manifestazioni del colera sono dovute all’eliminazione di feci acquose isotoniche ricche di sodio, cloro, bicarbonato e potassio. Si hanno anche ipovolemia, emoconcentrazione, oliguria e anuria e acidosi metabolica grave con perdita di potassio (ma con normale concentrazione di Na nel siero); inoltre, in mancanza di terapia, si ha esito in collasso circolatorio, cianosi e stato stuporoso. un’ipovolemia prolungata può provocare necrosi tubulare renale. Il colera non complicato ha un decorso limitato: si ha guarigione in 3-6 giorni. Il tasso di mortalità nei casi gravi non trattati può essere > 50% a causa della disidratazione ma è < 1% con una terapia liquida ed elettrolitica tempestiva e adeguata. Nella maggior parte dei pazienti il V. cholerae scompare nell’arco di 2 sett., ma alcuni soggetti divengono portatori cronici del tratto biliare.

Diagnosi La diagnosi è confermata dall’isolamento di V. cholerae nelle colture da tamponi rettali diretti o da feci fresche e dalla successiva identificazione come sierogruppo 01 o 0139 mediante agglutinazione con antisiero specifico. Il colera deve essere distinto dalla malattia clinicamente simile provocata dai ceppi di Escherichia coli producenti enterotossina e dai microrganismi Salmonella e Shigella.

Profilassi Per il controllo del colera gli escrementi umani devono essere eliminati in maniera adeguata e i rifornimenti d’acqua devono essere depurati. L’acqua da bere deve essere bollita o clorata e le verdure e il pesce devono essere completamente cotti. Un vaccino orale ucciso dell’intera subunità cellulare B (non registrato negli USA) fornisce una protezione dell’85% nei confronti del sierogruppo 01 per 46 mesi. Negli adulti la protezione dura almeno 3 anni ma nei bambini scompare rapidamente ed è maggiore per il biotipo classico piuttosto che per quello El Tor. Non esiste una protezione crociata tra i sierogruppi 01 e 0139, pertanto un vaccino sicuramente efficace contro entrambi i sierogruppi è un obiettivo da perseguire. Il vaccino parenterale contro il colera fornisce soltanto una protezione parziale e di breve durata e non viene raccomandato. Una tempestiva profilassi con tetracicline 500 mg PO q 6 h negli adulti (50 mg/kg in 4 dosi frazionate nei bambini) può far diminuire i casi secondari nei familiari dei pazienti colpiti da colera, ma la profilassi di massa è inappropriata e alcuni ceppi non sono comunque sensibili. Per la profilassi dei bambini < 9 anni può anche essere utilizzato il trimetoprim-sulfametossazolo(TMP-SMX).

Terapia È importante la rapida correzione dell’ipovolemia e dell’acidosi metabolica nonché la prevenzione dell’ipopotassiemia. Per i pazienti gravemente disidratati, file:///F|/sito/merck/sez13/1571259.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.07

Malattie batteriche

specialmente per quelli incapaci di bere, bisogna iniziare al più presto, se possibile, le infusioni EV con: (1) 100 ml/kg di soluzione di Ringer lattato; (2) una miscela 2:1 di NaCl allo 0,9% e di lattato di Na 0,17 M (1/6 molare); o (3) NaCl allo 0,9%. L’infusione va somministrata rapidamente (1-2 ml/kg/min) finché la PA non si normalizzi e il polso non sia valido, i rimanenti liquidi vanno infusi in 3 h. Si dovrà somministrare anche acqua PO a libitum. Per rimpiazzare le perdite di potassio, il KCl (10-15 mEq/l) può essere aggiunto alla soluzione EV oppure può essere somministrato bicarbonato di K (1 ml/kg di una soluzione con 100 g/l) PO qid. Ciò è importante soprattutto per i bambini che tollerano poco le perdite di potassio. I quantitativi necessari in caso di perdita continua devono essere equivalenti al volume misurato delle feci. L’adeguatezza dell’idratazione è confermata da una valutazione clinica frequente (ritmo e validità del polso, turgore della pelle e diuresi). Il plasma, i plasma "expander" e i farmaci vasopressori non devono essere impiegati al posto dell’acqua e degli elettroliti. La somministrazione orale di una soluzione mista di glucoso ed elettroliti è efficace nel rimpiazzare le perdite di feci e può essere utilizzata dopo una prima idratazione per EV. Essa è anche utile talora, come unico strumento di reidratazione, nelle aree epidemiche dove la disponibilità di fluidi per via parenterale è limitata. I pazienti con disidratazione lieve o moderata che siano in grado di bere possono essere reidratati esclusivamente con soluzioni orali (circa 75 ml/kg in 4 h). Quelli con disidratazione più grave necessitano di quantità maggiori di liquidi e possono aver bisogno di ricevere i fluidi attraverso un sondino nasogastrico. La soluzione PO raccomandata dall’OMS contiene 20 g di glucoso, 3,5 g di cloruro di sodio; 2,9 g di citrato trisodico diidrato (o 2,5 g di bicarbonato di Na) e 1,5 g di cloruro di K per l di acqua. Questa va continuata a libitum dopo la reidratazione in quantitativi almeno uguali alle continue perdite che si verificano con feci e vomito. I cibi solidi vanno assunti dopo la scomparsa del vomito e il ritorno dell’appetito. Una terapia precoce con un antibiotico orale efficace eradica i vibrioni, riduce il volume fecale del 50% e fa scomparire la diarrea nell’arco di 48 h. La scelta dell’antibatterico deve essere basata sulla sensibilità del V. cholerae isolato nella comunità. I farmaci efficaci per i ceppi sensibili comprendono tetraciclina (negli adulti 500 mg PO qid per 72 h; nei bambini 50 mg/kg/die in 4 dosi frazionate per 72 h (massima dose giornaliera 2 g]); doxiciclina (negli adulti una dose singola di 300 mg PO è sufficiente); furazolidone (negli adulti 100 mg PO qid per 72 h; nei bambini 5 mg/kg/die in 4 dosi frazionate per 72 h); eritromicina (negli adulti 100 mg qid per 72 h; nei bambini 50 mg/kg/die in 4 somministrazioni per 72 ore); TMP-SMX (negli adulti 160 mg bid (TMP) e 800 mg bid (SMX) nei bambini 5 mg/ kg bid (TMP) e 25 mg/kg bid (SMX) per 72 h); o norfloxacina (negli adulti 400 mg PO bid). Nei bambini < 8 anni evitando la tetraciclina si può eliminare il rischio di scoloramento dei denti da parte di questo farmaco.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMPESTE (Peste bubbonica) Grave infezione acuta che si manifesta per lo più in forma bubbonica o polmonare ed è provocata dal bacillo Yersinia pestis.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi e prognosi Profilassi e terapia

Eziologia ed epidemiologia La Yersinia pestis (prima denominata Pasteurella pestis), è un bacillo corto che mostra spesso colorazione bipolare (specialmente al Giemsa) e può assomigliare a spille da balia. La peste è presente principalmente nei roditori selvatici (p. es., ratti, topi, scoiattoli, cani della prateria); può decorrere come malattia acuta, subacuta o cronica e in forma murina o silvestre. In passato si sono verificate epidemie umane massicce (p. es., la peste nera del Medio Evo), ma anche più di recente la peste si è presentata sporadicamente in epidemie limitate. Negli USA > 90% dei casi umani di peste si verifica negli stati sud-occidentali e particolarmente in New Mexico, Arizona, California e Colorado. La forma più comune è la peste bubbonica. La peste si trasmette dai roditori all’uomo attraverso il morso di pulci vettrici infette. La trasmissione da uomo a uomo avviene per inalazione di nuclei di goccioline diffuse con la tosse da pazienti affetti da peste bubbonica o setticemica che abbiano lesioni polmonari (peste polmonare primaria). Nelle aree endemiche degli USA un gran numero di casi è stato posto in relazione con gli animali domestici e in particolare con i gatti. Il contagio dal gatto all’uomo può avvenire per morsicatura o, se il gatto è affetto da peste polmonare, per inalazione di goccioline infette.

Sintomi e segni Nella peste bubbonica, il periodo di incubazione è generalmente di 2-5 giorni ma varia da poche ore a 12 giorni. L’esordio è improvviso e spesso associato a brivido; la temperatura raggiunge i 39,5-41°C. Il polso può essere rapido e filiforme con ipotensione. I linfonodi ingrossati (bubboni) compaiono assieme alla febbre o leggermente prima di essa. Sono coinvolti soprattutto i linfonodi femorali o inguinali (50%), seguiti da quelli ascellari (22%), cervicali (10%) o linfonodi multipli (13%). Di regola i linfonodi sono dolenti, duri e fissi con evidente edema file:///F|/sito/merck/sez13/1571261.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.09

Malattie batteriche

circostante; essi nella seconda sett. possono suppurare. La pelle sovrastante è liscia e arrossata ma spesso non calda. Nella sede della puntura può avvenire una lesione cutanea primaria variabile da una piccola vescicola, con una leggera linfangite locale, sino a un’escara. Il paziente può essere agitato, delirante, confuso e scoordinato. Fegato e milza possono divenire palpabili. La conta dei GB è di solito tra 10000 e 20000/µl con una predominanza dei neutrofili immaturi e maturi. I linfonodi, nel corso della seconda sett., possono dare fenomeni suppurativi. La peste polmonare primaria ha un periodo di incubazione di 2-3 giorni, seguito da un esordio acuto con febbre alta, brivido, tachicardia e cefalea spesso di grave entità. La tosse, non evidente all’inizio, si instaura in 20-24 h; l’escreato è inizialmente mucoso, ma rapidamente diviene striato di sangue e poi uniformemente rosa o rosso intenso (simile allo sciroppo di lamponi) e schiumoso. Sono presenti tachipnea e dispnea ma non pleurite; i segni di consolidamento sono rari e i rantoli possono essere assenti. La rx del torace mostra una polmonite a rapida progressione. La peste setticemica si ha solitamente assieme alla forma bubbonica come malattia acuta e fulminante. Dolore addominale, dovuto presumibilmente a linfadenopatia mesenterica, si verifica nel 40% dei pazienti. La peste faringea e la meningite sono forme meno comuni. La pestis minor, una forma benigna di peste bubbonica, si presenta solo in aree endemiche. I suoi sintomi, linfoadenite, febbre, cefalea e prostrazione, scompaiono nell’arco di 1 sett.

Diagnosi e prognosi La diagnosi si basa sull’isolamento del microrganismo che può avvenire dal sangue, dall’escreato o dall’aspirato linfonodale. Dal momento che il drenaggio chirurgico può disseminare il microrganismo, si preferisce effettuare un agoaspirato del bubbone. La Y. pestis può crescere in terreni di coltura ordinari o essere isolata mediante inoculazione in animali (specialmente il porcellino d’India). I test sierologici comprendono la fissazione del complemento, l’emoagglutinazione passiva e l’immunofluorescenza diretta su linfonodo, su tessuto bioptico o sulle secrezioni. Nella diagnosi differenziale una precedente vaccinazione non esclude la peste, in quanto la malattia si può verificare anche in soggetti vaccinati. Il tasso di mortalità nei pazienti non trattati è di circa il 60% con la peste bubbonica, nella maggior parte dei casi il decesso si verifica per sepsi tra il 3o e il 5o giorno. La maggior parte dei pazienti non trattati muore di peste polmonare entro 48 h dall’esordio dei sintomi. La peste setticemica può essere fatale prima che compaiano le manifestazioni bubboniche o polmonari.

Profilassi e terapia Devono essere controllati i roditori e utilizzati repellenti per ridurre i morsi di pulce. Sebbene la vaccinazione con vaccino pestoso ucciso standard conferisca protezione, per la maggior parte dei viaggiatori che si recano in paesi in cui si segnalano casi di peste la vaccinazione non è indicata. I viaggiatori devono prendere in considerazione la profilasi con tetraciclina 500 mg PO q 6 h durante i periodi di esposizione. Una terapia immediata riduce la mortalità a < 5%. Nella peste polmonare o setticemica bisogna iniziare il trattamento entro le 24 h con streptomicina 30 mg/ kg/die IM in 4 dosi frazionate q 6 h per 7-10 giorni. Molti medici somministrano dosaggi iniziali maggiori, fino a 0,5 g IM q 3 h per 48 h. In alternativa si utilizza la tetraciclina, 30 mg/kg EV oppure PO in 4 dosi frazionate. Probabilmente anche la gentamicina è efficace, anche se non sono stati condotti studi clinici controllati. Il cloramfenicolo è il farmaco di scelta nella meningite pestosa e va somministrato

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alla dose d’attacco di 25 mg/kg EV, seguita da 50 mg/kg/ die in 4 dosi frazionate EV o PO. In Madagascar è stato isolato un ceppo multiresistente. Le abituali precauzioni di asepsi sono sufficienti per i pazienti con peste bubbonica. La peste polmonare primaria o secondaria richiede invece uno stretto isolamento del paziente (agente trasmesso per via aerea). Tutti i soggetti sospetti di aver avuto un contagio con peste polmonare devono essere sottoposti a sorveglianza medica, con controllo della temperatura q 4 h per 6 giorni. Se ciò non è possibile possono essere somministrate tetracicline alla dose di l g/die PO per 6 giorni; tuttavia tale provvedimento può causare l’insorgenza di ceppi batterici resistenti al farmaco.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMMELIOIDOSI Infezione dell’uomo e degli animali determinata dalla Burkholderia (Pseudomonas) pseudomallei.

Sommario: Introduzione Sintomi,segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il microrganismo può essere isolato nel terreno e nell’acqua ed è endemico nell’Asia sudorientale, in Australia nell’Africa centrale, occidentale e orientale, in India e in Cina. L’uomo può contrarre la melioidosi per contaminazione di abrasioni cutanee o di ustioni, per ingestione o per inalazione ma non direttamente da animali o da altri uomini. Nelle aree endemiche è probabile osservare la melioidosi nei pazienti affetti da AIDS.

Sintomi, segni e diagnosi L’infezione può rimanere silente per anni; può essere asintomatica o può presentarsi in varie forme. La forma più comune è caratterizzata da un’infezione polmonare acuta. Essa va da una forma di polmonite benigna fino a una forma necrotizzante grave. L’esordio può essere improvviso o graduale, con cefalea, anoressia, dolore toracico o pleuritico sordo e mialgia generalizzata. La febbre è di solito > 39°C. Tosse, tachipnea e rantoli sono caratteristici; l’escreato può essere striato di sangue. La rx del torace mostra abitualmente un consolidamento del lobo superiore, con cavitazioni frequenti e simili a quelle della TBC. Possono anche essere presenti lesioni nodulari, cisti a pareti sottili e versamento pleurico. La conta dei GB va da un reperto normale fino a 20000/µl. L’infezione setticemica disseminata inizia in maniera improvvisa con shock settico e interessamento di più organi con disorientamento, estrema dispnea, grave cefalea, faringite, colica addominale alta, diarrea e lesioni cutanee pustolose. Sono anche presenti febbre alta, ipotensione, tachipnea, un intenso colorito eritematoso e cianosi. La dolorabilità muscolare può essere spiccata. Sono talvolta presenti segni di artrite o di meningite. I segni polmonari possono essere assenti o possono includere rantoli, ronchi e sfregamenti pleurici. La rx del torace mostra spesso addensamenti nodulari irregolari (4-10 mm). Il fegato e la milza possono essere palpabili. I test di funzionalità epatica, AST e bilirubina, sono spesso anormali. La conta dei GB è normale o lievemente aumentata. Quando la batteriemia coinvolge un singolo organo si verifica un’infezione setticemica non disseminata, generalmente non associata a shock.

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L’infezione localizzata (infezione suppurativa cronica) causa ascessi secondari su cute, linfonodi o in qualsiasi altro organo. Un reperto relativamente comune è l’osteomielite. I pazienti possono essere apiretici. Una forma suppurativa acuta è rara. Nella diagnosi sono di supporto la coltura della B. pseudomallei (che cresce su terreni tradizionali in 48-72 h) e le determinazioni di emoagglutinazione, di agglutinazione e di fissazione del complemento su campioni di siero ottenuti in fase acuta e in fase di convalescenza.

Prognosi e terapia La mortalità è < 10%, tranne che nella melioidosi setticemica acuta. L’infezione asintomatica non richiede terapia. Ai pazienti con malattia lieve si somministra TMP/SMX, 8 mg/kg/die di TMP e 40 mg/kg/die (p. es., 2 compresse, ciascuna contenente 80 mg di TMP e 400 mg di SMX PO qid in un adulto di 70 kg di peso) per un minimo di 30 giorni. Ai pazienti con malattia di modica gravità si somministrerà ceftazidime 30 mg/kg q 6 h EV per 14 giorni, poi TMP/SMX da solo per 30-120 giorni. L’amoxicillina/clavulanato 160 mg/kg/die EV in 6 dosi frazionate q 4 h (negli USA non è disponibile la formulazione EV mentre lo è in Italia-ndt) è efficace, ma le percentuali di fallimento sono maggiori rispetto al ceftazidime. L’infezione disseminata setticemica viene trattata con ceftazidime come sopra, riducendo il dosaggio con il miglioramento clinico e assumendo poi il TMP/SMX, che verrà impiegato come prescritto per i pazienti con malattia lieve, ma per 30-120 giorni.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA PSEUDOMONAS Lo Pseudomonas aeruginosa, bacillo mobile gram –, è un patogeno opportunista che frequentemente provoca infezioni nosocomiali.

Sommario: Epidemiologia Sintomi e segni Terapia

Epidemiologia Gli Pseudomonas sono ubiquitari e preferiscono gli ambienti umidi. Nell’uomo la specie più comune è lo P. aeruginosa. Altre specie che talora possono provocare infezioni umane sono le seguenti: P. paucimobilis, P. putida, P. fluorescens e P. acidovorans. Lo P. aeruginosa si può ritrovare occasionalmente nelle regioni ascellare e anogenitale di una cute normale ma solo di rado nelle feci, a meno che non sia stata somministrata una terapia antibiotica. Il microrganismo è spesso un contaminante di lesioni popolate da microrganismi più virulenti, ma talvolta provoca infezione in tessuti esposti all’ambiente esterno. Le infezioni da Pseudomonas di solito si verificano negli ospedali, dove i microrganismi si ritrovano di frequente nei lavandini, nelle soluzioni antisettiche e nei recipienti per urine. Si può verificare la trasmissione ai pazienti da parte del personale sanitario sano, soprattutto nel caso degli ustionati e nei reparti di terapia intensiva neonatale. Altre specie, precedentemente classificate come Pseudomonas, sono importanti patogeni nosocomiali, quali la Burkholderia cepacia e lo Stenotrophomonas maltophilia. La maggior parte delle infezioni provocate dallo P. aeruginosa si verifica in pazienti ospedalizzati debilitati o immunocompromessi. Lo P. aeruginosa è la seconda causa più frequente di infezioni nei reparti di terapia intensiva e una frequente causa di polmoniti associate ai ventilatori. Oltre ad acquisire infezioni in ambito ospedaliero, i pazienti con infezione da HIV sono a rischio di acquisire in comunità infezioni da P. aeruginosa e spesso, quando contraggono l’infezione, presentano segni di infezione da HIV avanzata. Le infezioni da Pseudomonas possono presentarsi in molte sedi anatomiche come cute, tessuti sottocutanei, ossa, orecchie, occhi, tratto urinario e valvole cardiache. La sede varia a seconda della porta d’ingresso e della vulnerabilità del paziente. Negli ustionati la regione al di sotto dell’escara si può infiltrare in modo abbondante con i microrganismi e servire da focolaio per una successiva batteriemia, rappresentando una complicanza delle ustioni spesso letale. Una batteriemia senza un focolaio urinario evidenziabile, soprattutto se dovuta a specie di Pseudomonas diverse dallo P. aeruginosa, deve far pensare alla possibilità di un’avvenuta contaminazione EV dei liquidi, dei farmaci o degli antisettici usati per l’applicazione di cateteri EV. Nei pazienti con infezione da HIV, lo Pseudomonas determina più frequentemente polmonite o sinusite.

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Malattie batteriche

Sintomi e segni Il quadro clinico dipende dalla sede interessata. Nei pazienti ricoverati in ospedale si può verificare un’infezione polmonare associata a intubazione endotracheale, tracheotomia o trattamento RPPI quando lo Pseudomonas si sia unito ad altri bacilli gram – a colonizzare l’orofaringe. La bronchite da Pseudomonas è frequente nel decorso tardivo della fibrosi cistica (v. Cap. 267); i germi isolati presentano una caratteristica morfologia mucoide delle colonie. L’isolamento dello Pseudomonas nel sangue è frequente nelle ustioni e nei pazienti con tumori maligni. La presentazione clinica è quella di una sepsi da gram –, talvolta con l’aggiunta di ecthyma gangrenosum, caratterizzato da aree nero-violacee, di circa 1 cm di diametro, con centro ulcerato ed eritema circostante che generalmente si rinviene nelle zone ascellari o anogenitali. Lo Pseudomonas è causa frequente di IVU, specialmente in pazienti sottoposti a manipolazioni urologiche, affetti da uropatie ostruttive (v. anche Cap. 227) o che abbiano ricevuto antibiotici ad ampio spettro. La forma più frequente di infezione auricolare dovuta allo Pseudomonas è l’otite esterna con secrezione purulenta che si riscontra spesso nei climi tropicali. Una forma più grave, chiamata otite esterna maligna, può svilupparsi nei diabetici; si manifesta con un dolore acuto all’orecchio, spesso con paralisi unilaterale del nervo cranico e richiede una terapia parenterale (v. anche Cap. 83). Un interessamento dell’occhio da parte dello Pseudomonas spesso si presenta come un’ulcerazione corneale conseguente a traumi, ma in alcuni casi la contaminazione si ha anche a partire da lenti a contatto o dai liquidi utilizzati per il loro uso (v. Cap. 96). Il microrganismo può essere rinvenuto in fistole secernenti, specie dopo traumi o ferite da punta profonde ai piedi. Il liquido di drenaggio spesso ha un dolce odore di frutta. Molte di queste ferite da punta esitano in cellulite e osteomielite da P. aeruginosa e possono richiedere, in aggiunta agli antibiotici, una tempestiva toletta chirurgica. Di rado lo Pseudomonas provoca endocardite: ciò avviene su protesi valvolari oppure nei pazienti che abbiano subito un intervento chirurgico a cuore aperto o anche sulle valvole naturali in chi fa uso di droghe EV. L’endocardite destra può essere curata con terapia medica, ma se l’infezione interessa la mitrale, le valvole aortiche o valvole protesiche, si dovrà spesso procedere all’asportazione della valvola infetta.

Terapia Quando l’infezione è localizzata ed esterna, è efficace un trattamento con irrigazioni di acido acetico all’1% o con agenti topici, come polimixina B o colistina. Il tessuto necrotico deve essere eliminato e gli ascessi drenati. Quando invece è necessaria terapia parenterale la tobramicina o la gentamicina (5 mg/kg/ die in dosi frazionate) sono in grado di curare la maggior parte delle specie di Pseudomonas. Con il miglioramento clinico, per rendere minimi gli effetti collaterali, il dosaggio si può ridurre a 3 mg/kg/die. Il dosaggio va anche ridotto in caso di insufficienza renale. Nella terapia di infezioni da Pseudomonas che presentino resistenza enzimatica alla tobramicina e alla gentamicina si dovrà usare l’amikacina. Molti esperti raccomandano di trattare le infezioni gravi da Pseudomonas con un aminoglicoside associato a un antibiotico β-lattamico. Diverse penicilline, tra cui ticarcillina, piperacillina, mezlocillina e azlocillina, sono efficaci nei confronti dello Pseudomonas. Altri farmaci dotati di un’eccellente attività sono il ceftazidime, il cefepime, l’aztreonam, l’imipenem, il meropenem e la ciprofloxacina. Nella maggior parte dei casi la ticarcillina viene usata a dosaggi di 16-20 g/die EV. Piperacillina, azlocillina, cefepime, ceftazidime, meropenem e imipenem sono attivi in vitro contro alcuni ceppi resistenti alla ticarcillina. Nelle infezioni sistemiche, o nei pazienti granulocitopenici, a una delle penicilline efficac,i si dovrà associare un aminoglicoside attivo contro lo Pseudomonas. Nei pazienti neutropenici, con funzionalità renale al limite, sono ugualmente adeguate combinazioni terapeutiche senza aminoglicosidi, quali doppio β-lattamico o un βlattamico insieme a un fluorochinolonico. Le IVU possono essere trattate con

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Malattie batteriche

indanil-carbenecillina PO o con ciprofloxacina o altri fluorochinolonici. Tuttavia, i fluorochinolonici non devono essere somministrati ai bambini per via dei potenziali effetti sulla cartilagine. Quando vengono utilizzati due farmaci antipseudomonas, durante il trattamento è più rara la comparsa di ceppi resistenti.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA CAMPYLOBACTER

Sommario: Introduzione Epidemiologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I Campylobacter sono bacilli mobili, ricurvi, microaerofili e gram –, che possono essere causa di tromboflebite settica, batteriemia, endocardite, osteomielite, artrite settica protesica e diarrea.

Epidemiologia Si ritiene che le specie patogene per l’uomo siano tre. Il C. fetus sottospecie fetus negli adulti è causa tipicamente di batteriemia, spesso in presenza di condizioni predisponenti di base come diabete, cirrosi o tumori maligni. Questi microrganismi possono anche causare infezioni recidivanti, difficili da trattare nei pazienti con deficit delle immunoglobuline. Il C. jejuni nei bambini può provocare meningiti, mentre il C. jejuni e li C. coli possono provocare diarrea in ogni fascia d’età. I Campylobacter sp sono patogeni batterici isolati comunemente, tra questi il C. jejuni rappresenta oltre il 90% degli isolati da pazienti infetti con diarrea. Con l’insorgere di epidemie sono stati messi in relazione il contatto con animali infetti, domestici o selvatici e l’ingestione di cibi (specialmente pollame non ben cucinato) o di acque contaminati; anche se nei casi sporadici la sorgente del microrganismo infettante è frequentemente oscura. Esiste un’associazione tra epidemie estive di C. jejuni, malattie diarroiche e successivo sviluppo (oltre il 30% dei casi) di sindrome di Guillain-Barré. Un’altra specie, originariamente chiamata C. pylori, ma rinominata Helicobacter pylori, è associata a gastrite, ulcera peptica e tumori gastrici e viene trattata in Gastrite non erosiva nel Cap. 23.

Sintomi, segni e diagnosi La presentazione più frequente è l’enterite. L’enterite assomiglia a una salmonellosi o a una shighellosi e interessa tutte le età, con un picco di incidenza nel gruppo di età tra 1 e 5 anni. La diarrea è acquosa e a volte sanguinolenta; negli strisci fecali dopo colorazione si ritrovano GB. L’unico sintomo costante di infezione sistemica da Campylobacter è la febbre (temperatura di 38-40°C) che segue un andamento intermittente o ricorrente, per quanto sintomi frequenti siano anche dolore addominale ed epatosplenomegalia. L’infezione può presentarsi anche come un’endocardite batterica subacuta, artrite settica, meningite o come FOI senza dolore concomitante. file:///F|/sito/merck/sez13/1571265.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.12

Malattie batteriche

Per la diagnosi sono necessari i test batteriologici, soprattutto per distinguere l’infezione da Campylobacter dalla colite ulcerosa (v. Cap. 31). Il Campylobacter può essere isolato dal sangue e da vari liquidi corporei, per mezzo di terreni di coltura standard, ma l’isolamento dalle feci richiede invece terreni selettivi: il terreno di Skirrow con il 7% di agar sangue di cavallo lisato e l’aggiunta di vancomicina, polimixina B e di trimetoprim.

Terapia La ciprofloxacina 500 mg PO tid per 5 giorni o l’azitromicina 500 mg/die PO per 3 giorni nella maggior parte dei casi permettono l’eradicazione del microrganismo. Nella terapia della diarrea da Campylobacter è efficace inoltre l’eritromicina a dosi di 1-2 g/die PO in 4 dosi frazionate. Per i pazienti con infezione extraintestinale, il trattamento deve essere prolungato (da 2 a 4 sett.) per prevenire le recidive.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. GASTRITE NON EROSIVA

Sommario: Eziologia Epidemiologia Anatomia patologica Diagnosi Terapia

Eziologia L'H. pylori è implicato sempre più frequentemente come causa principale di gastrite non erosiva. Questo organismo gram -, a forma di spirale, è responsabile di quasi tutti i casi di gastrite non erosiva e delle complicanze che ne risultano. L'infezione porta invariabilmente a un'infiammazione della mucosa, che a sua volta altera la fisiologia della secrezione gastrica, rendendo la mucosa maggiormente suscettibile ai danni provocati dall'acido. Le più alte concentrazioni di H. pylori sono riscontrate nell'antro, dove l'infezione circoscritta aumenta sostanzialmente il rischio di ulcere prepiloriche e duodenali. In alcuni pazienti, l'infezione coinvolge l'intero stomaco e sembra essere associata al successivo sviluppo di ulcere gastriche e dell'adenocarcinoma gastrico.

Epidemiologia L'H. pylori sembra essere un'infezione molto frequente in tutto il mondo. Nei paesi in via di sviluppo, l'infezione è più frequentemente acquisita durante l'infanzia; le condizioni sanitarie subottimali, la scarsa igiene, il basso stato socioeconomico e il vivere in ambienti affollati sono associati a una maggiore prevalenza e a una più precoce infezione. Negli USA, l'evidenza dell'infezione è rara nei bambini e aumenta con l'età. L'infezione è più frequente nelle persone di colore e negli ispanici, rispetto ai bianchi. Sebbene l'esatta modalità di trasmissione non sia chiara, l'organismo è stato isolato nelle feci, nella saliva e nella placca dentaria, implicando una trasmissione oro-orale od oro-fecale. Le infezioni tendono a concentrarsi nelle famiglie e nei frequentatori degli istituti di custodia. Gli infermieri e i gastroenterologi sembrano essere ad alto rischio e i batteri sono stati trasmessi attraverso gli endoscopi disinfettati in modo improprio.

Anatomia patologica

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Gastrite superficiale: nell'infiltrato infiammatorio sono, qui, predominanti i linfociti e le cellule plasmatiche insieme ai neutrofili; l'infiammazione è superficiale e può coinvolgere l'antro, il corpo o entrambi. Di solito non si associa ad atrofia o a metaplasia. La prevalenza aumenta con l'età. Data l'elevata prevalenza di H. pylori nella gastrite superficiale e l'incidenza relativamente bassa di sequele cliniche (cioè, la malattia peptica ulcerosa), non ci sono precise indicazioni per la terapia eradicante dell'H. pylori nei pazienti asintomatici. La maggior parte dei pazienti che ospita l'organismo presenta solo delle minime alterazioni istologiche e una sintomatologia clinica aspecifica. Gastrite profonda: la gastrite profonda è più frequentemente sintomatica (dispepsia vaga). Le cellule mononucleari e i neutrofili infiltrano l'intera mucosa sino alla tonaca muscolare, ma raramente si forma un essudato o degli ascessi criptici. La distribuzione delle lesioni può essere a chiazze e può coesistere una gastrite superficiale. Possono essere presenti un'atrofia ghiandolare parziale e delle aree di metaplasia. Nei pazienti sintomatici, deve essere tentata l'eradicazione dell'H. pylori con la terapia antibiotica (v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa, oltre). Atrofia gastrica: l'atrofia delle ghiandole gastriche può essere dovuta a numerose lesioni, soprattutto di tipo gastritico e il più delle volte a una gastrite antrale di lunga data (tipo B). Alcuni pazienti con atrofia gastrica presentano degli autoanticorpi verso le cellule parietali, di solito in associazione con la gastrite del corpo (tipo A) e con l'anemia perniciosa (v. oltre). L'atrofia può essere presente senza causare una sintomatologia specifica. Endoscopicamente, la mucosa può apparire normale fino a quando l'atrofia non è in fase avanzata ed è visibile la rete vascolare sottomucosa. Quando l'atrofia diventa completa, si riduce la secrezione di acido e di pepsina e può essere assente il fattore intrinseco, con il conseguente malassorbimento di vitamina B12. Metaplasia: due tipi di metaplasia sono frequenti nella gastrite cronica non erosiva: quella a ghiandole mucose e quella intestinale. La metaplasia a ghiandole mucose (metaplasia pseudopilorica) si verifica nelle situazioni di grave atrofia delle ghiandole gastriche, che vengono progressivamente sostituite dalle ghiandole mucose (mucosa antrale), specialmente lungo la piccola curva. Le ulcere gastriche si verificano più frequentemente a livello della mucosa della giunzione tra antro e corpo, anche se non è chiaro se siano la causa o la conseguenza dell'antrificazione. La metaplasia intestinale si verifica in risposta a una lesione mucosa cronica. La mucosa gastrica può assomigliare alla mucosa del piccolo intestino, con cellule sferiche, cellule endocrine (enterocromaffini o enterocromaffino-simili) e villi rudimentali e ne può anche assumere le caratteristiche funzionali (di assorbimento). La metaplasia intestinale inizia nell'antro e si può estendere al corpo. È classificata istologicamente come completa (più frequente) o incompleta. Nella metaplasia completa, la mucosa gastrica viene completamente trasformata in mucosa del piccolo intestino, sia istologicamente che funzionalmente, con la capacità di assorbire le sostanze nutrienti e secernere i peptidi. Nella metaplasia incompleta, l'epitelio assume un aspetto istologico simile a quello dell'intestino crasso e frequentemente mostra una displasia. La metaplasia intestinale è associata al cancro dello stomaco.

Diagnosi La gastrite non erosiva viene sospettata in base ai sintomi, ma viene diagnosticata con certezza tramite l'endoscopia e la biopsia. La maggior parte dei pazienti con gastrite associata all'H. pylori è asintomatica; il test specifico e il trattamento dell'infezione non sono sempre indicati. Nei casi in cui la diagnosi è importante per decidere la terapia, si possono utilizzare degli esami diagnostici, invasivi e non invasivi, per accertare la presenza dell'H. pylori. Gli esami non invasivi sono meno costosi e non richiedono l'endoscopia. Le valutazioni sierologiche di laboratorio e quelle ambulatoriali, frequentemente mirano a identificare la presenza di anticorpi IgA e IgG contro l'H. pylori, con una file:///F|/sito/merck/sez03/0230265b.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.13

Gastrite e malattia ulcerosa peptica

sensibilità e una specificità > 85%. Tuttavia, poiché la maggior parte dei pazienti dispeptici non ha una malattia peptica ulcerosa all'endoscopia (10-15%) e poiché il ruolo dell'H. pylori nella patogenesi della dispepsia non ulcerosa è poco chiaro, lo studio non invasivo di ogni paziente dispeptico per l'H. pylori potrebbe portare a una terapia, in molti casi, non necessaria. Non è stato ancora accertato se da un punto di vista economico è conveniente studiare (in modo non invasivo) e trattare tutti i pazienti dispeptici. Nei pazienti non trattati, i titoli anticorpali rimangono elevati nel tempo, suggerendo l'induzione persistente di una risposta immune. Dopo il successo di un'eradicazione dell'organismo, le valutazioni sierologiche qualitative rimangono positive per più di 3 anni, mentre i livelli di anticorpi decrescono lentamente. Dato questo persistente innalzamento dei titoli anticorpali dopo l'eradicazione, le valutazioni sierologiche non documentano in modo reale l'avvenuta eradicazione. A causa della sua accuratezza e del basso costo, la valutazione sierologica deve essere considerata l'esame diagnostico non invasivo di scelta per l'iniziale documentazione dell'infezione da H. pylori. Il test respiratorio dell'urea utilizza l'urea marcata con il 13C o il 14C e somministrata PO. In un paziente infetto, l'organismo metabolizza l'urea e libera la CO2 marcata che viene espirata e può essere misurata nei campioni respiratori prelevati 20-30 min dopo l'ingestione. La sensibilità e la specificità sono > 90%. I test respiratori all'urea sono adeguati per confermare l'eradicazione dell'organismo dopo la terapia. Risultati falsi negativi sono possibili con la recente assunzione di antibiotici o la contemporanea terapia con inibitori della pompa protonica; quindi, la valutazione durante il follow-up deve essere posticipata a ≥ 4 sett. dalla terapia antibiotica. La valutazione invasiva richiede la gastroscopia e la biopsia mucosa e deve essere riservata ai pazienti con una preesistente indicazione all'endoscopia. Sebbene la coltura batterica sia altamente specifica, essa è usata raramente nella pratica clinica a causa della natura esigente dell'organismo che rende difficile l'esame colturale. La colorazione istologica delle biopsie della mucosa gastrica ha una sensibilità e una specificità > 90%. Data l'elevata prevalenza dell'organismo nell'antro, le biopsie devono essere ottenute da questa zona dello stomaco, preferibilmente in 1-2 cm dal piloro. Un test rapido all'ureasi (Rapid Urease Test, RUT) viene eseguito ponendo il campione della biopsia gastrica su di un gel o su membrane contenenti urea e un indicatore colorimetrico pH-sensibile. Se l'H. pylori è presente, l'ureasi batterica idrolizza l'urea e cambia il colore del mezzo. Il RUT ha una sensibilità e una specificità > 90%. Poiché è accurato, facile da eseguire e relativamente economico, il RUT deve essere considerato il metodo diagnostico invasivo di scelta. I risultati falsi-negativi si possono verificare in presenza di una recente assunzione di antibiotici o di una terapia con inibitori della pompa protonica, che sopprimono il batterio; in questi casi, la diagnosi deve essere confermata dall'esame istologico.

Terapia La terapia della gastrite cronica non erosiva è diretta all'eradicazione dell'H. pylori (v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa, oltre). Nei pazienti H. pylori-negativi, la terapia è diretta contro i sintomi, utilizzando i farmaci che sopprimono la secrezione acida (p. es., H2-antagonisti, inibitori della pompa protonica) o gli antiacidi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA BACILLI GRAMINFEZIONI DA VIBRIONI NON COLERICI

Sommario: Introduzione Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e diagnosi Prevenzione e terapia

Questi vibrioni sono diversi dal Vibrio cholerae da un punto di vista biochimico o sierologico e, a seconda della specie interessata, provocano infezioni di ferite, sepsi enteriche o diarree.

Eziologia ed epidemiologia I vibrioni diversi dal colera sono:l V. parahemolyticus, V. mimicus, V. alginolyticus, V. vulnificus e i così detti vibrioni non agglutinabili. Il V. parahemolyticus è un germe alofilo incriminato nelle epidemie di diarrea da cibi (nei cibi di mare non ben cotti, di solito gamberi) in Giappone e nelle zone costiere degli USA. Il microrganismo non produce enterotossina né invade il flusso circolatorio, ma danneggia la mucosa intestinale. Infezioni gravi con vibrioni non agglutinabili sono state generalmente riportate in pazienti con patologia epatica e altre immunodeficienze, anche se possono sviluppare infezioni gravi anche soggetti altrimenti sani. Né il V. alginolyticus né il V. vulnificus provocano enterite, ma possono entrambi provocare infezioni di ferite procurate in ambiente marino.

Sintomi, segni e diagnosi La malattia, dopo un periodo di incubazione di 15-24 h, ha un esordio acuto con dolore addominale crampiforme, diarrea acquosa (le feci possono essere sanguinolente e contenere leucociti polimorfonucleati), tenesmo, debolezza e talvolta febbre di modica entità. I sintomi si riducono spontaneamente in 24-48 h. I vibrioni non agglutinabili possono provocare una malattia simil-colerica e sono stati isolati da ferite e dal sangue. Le ferite contaminate con acqua di mare calda possono divenire cellulitiche e progredire rapidamente, risultando in alcuni casi in una fascite necrotizzante, con le tipiche lesioni bollose emorragiche. Il V. vulnificus quando viene ingerito da un soggetto defedato (spesso un individuo con epatopatia cronica o immunodeficienza) attraversa la mucosa intestinale senza causare enterite e provoca setticemia con alta mortalità. Le infezioni delle ferite e del flusso circolatorio sono facilmente diagnosticate tramite gli esami colturali di routine. Quando si sospetta un’infezione enterica si può procedere alla coltura dalle feci di microrganismi del tipo Vibrio su terreno al tiosolfato citrato, sali biliari e saccaroso; anche i cibi marini contaminati danno file:///F|/sito/merck/sez13/1571266.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.14

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colture positive.

Prevenzione e terapia I pazienti ad alto rischio con ferite cutanee devono evitare di maneggiare cibo marino non cotto e di esporsi all’acqua marina. Le infezioni da vibrione non colerico possono essere trattate con una dose singola di ciprofloxacina 1 g PO o con doxiciclina 300 mg PO. Nei casi di diarrea provocata da questi microrganismi bisogna prestare grande attenzione al ripristino dei volumi di liquidi e di elettroliti perduti con le feci. Per i pazienti con fascite necrotizzante in aggiunta agli antibiotici è necessaria la toaletta chirurgica.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII TETANO (Trisma) Malattia infettiva acuta da Clostridium tetani, caratterizzta da convulsioni e spasmi tonici intermittenti dei muscoli volontari; lo spasmo dei masseteri è responsabile del nome di "trisma" (o "serramascelle").

Sommario: Epidemiologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia

Epidemiologia e patogenesi In tutto il mondo il tetano provoca 50000 morti all’anno. Negli USA sono particolarmente predisposti a sviluppare il tetano i pazienti anziani così come i tossicodipendenti e i soggetti con ustioni e con ferite chirurgiche. L’infezione può svilupparsi anche post-partum nell’utero (tetano materno) e nell’ombelico dei neonati (tetanus neonatorum). La malattia clinica non conferisce immunità. Il tetano è una malattia di enorme importanza, che può essere prevenuta, particolarmente nella sua forma neonatale presente nei paesi in via di sviluppo. Le manifestazioni del tetano sono causate da un’esotossina (tetano-spasmina) prodotta dal Clostridium tetani, bacillo sporigeno sottile, anaerobio, mobile e gram +. Le spore restano vitali per anni e si possono rinvenire nel terreno e nelle feci animali. Il tetano può insorgere da ferite banali, o anche inapparenti, quando il contenuto di ossigeno presente nei tessuti feriti è basso. La tossina può penetrare nel SNC lungo i nervi motori periferici o può risultare veicolata dal sangue al tessuto nervoso. La tetano-spasmina si lega ai gangliosidi di membrana delle sinapsi nervose, bloccando la liberazione del trasmettitore inibitorio dalle terminazioni nervose e provocando pertanto una spasticità tonica generalizzata, cui si sovrappongono di regola convulsioni toniche intermittenti. Una volta che la tossina si sia fissata essa non può più essere neutralizzata.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione va da 2 a 50 giorni (in media 5-10 giorni). Il sintomo più frequente è la rigidità della mandibola. Altri sintomi sono difficoltà alla deglutizione, stato di agitazione, irritabilità, rigidità di collo, braccia o gambe, cefalea, febbre, mal di gola, sensazione di freddo e convulsioni. Successivamente il paziente ha difficoltà ad aprire la mandibola (trisma); gli file:///F|/sito/merck/sez13/1571267b.html (1 of 4)02/09/2004 2.10.15

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spasmi dei muscoli facciali provocano un’espressione caratteristica con un sorriso fisso e sopracciglia sollevate (risus sardonicus). Possono verificarsi rigidità o spasmi dei muscoli addominali, del collo e del dorso o addirittura opistotono. Lo spasmo degli sfinteri provoca ritenzione urinaria o costipazione; la disfagia può dare problemi per la nutrizione; le caratteristiche convulsioni dolorose con sudorazione profusa vengono provocate da stimoli minimi, come una corrente d’aria, un rumore o un’oscillazione del letto. Il sensorio è abitualmente integro, ma a seguito di convulsioni ripetute può aversi coma. Durante le convulsioni il paziente è incapace di parlare o di gridare, per via della rigidità della parete toracica e dello spasmo della glottide. Ciò interferisce anche con la respirazione, provocando cianosi o asfissia fatale. La causa immediata della morte può non risultare evidente. La temperatura del paziente è moderatamente elevata, tranne che nei casi con infezioni complicate come polmoniti. I ritmi cardiaco e respiratorio sono aumentati, i riflessi spesso esagerati: frequente è una modica leucocitosi. Può verificarsi una forma di tetano localizzato con spasmi di gruppi di muscoli attorno alla ferita, ma senza trisma. La spasticità del movimento può persistere per varie settimane. Il tetano cefalico, più comune nei bambini, è associato all’otite media cronica; la sua incidenza è maggiore in Africa e in India. Possono essere interessati tutti i nervi cranici, il settimo in particolare. Il tetano cefalico può diventare generalizzato. In un neonato dopo il tetano si è verificata una sordità percettiva bilaterale.

Diagnosi In un paziente con rigidità muscolare o con spasmi è molto indicativa l’anamnesi di una ferita pregressa. Il tetano può essere confuso con meningo-encefalite di origine batterica o virale, ma la combinazione di un sensorio integro, di un LCR normale e di spasmi muscolari indicano la diagnosi di tetano. Il trisma va distinto da ascessi peritonsillari o retrofaringei o altre cause locali. Le fenotiazine possono provocare una rigidità simil-tetanica. Il C. tetani può a volte essere isolato dalla ferita, ma la sua assenza non cambia la diagnosi.

Prognosi Il tetano ha un tasso mondiale di mortalità del 50%; la mortalità è massima nei pazienti giovani e anziani e nei tossicodipendenti. La prognosi è peggiore se il periodo di incubazione è breve e se i sintomi progrediscono rapidamente oppure se la terapia è ritardata. Il decorso tende a essere più benigno quando non c’è focolaio di infezione dimostrabile.

Profilassi Un’immunizzazione primaria contro il tetano, mediante anatossina liquida o adsorbita è migliore della somministrazione di antitossina al momento della lesione. Le vaccinazioni di routine con difterite, tetano, pertosse (DTP) e i richiami raccomandati sono trattati sotto Vaccinazioni nell’infanzia nel Cap. 256. L’immunizzazione in una donna gravida produce nel feto sia immunità passiva che attiva e quindi va somministrata a un’età gestazionale di 5-6 mesi, con un richiamo a 8 mesi. Se l’anatossina viene somministrata alla madre prima del 6o mese di gravidanza, nel feto si avrà soltanto l’immunità passiva. Al momento della lesione (v. Tab. 157-3), i pazienti che hanno ricevuto file:///F|/sito/merck/sez13/1571267b.html (2 of 4)02/09/2004 2.10.15

Malattie batteriche

l’antitossina tetanica entro i 5 anni precedenti non hanno bisogno di una dose aggiuntiva. Coloro nei quali l’ultima immunizzazione sia stata effettuata > 5 anni prima devono ricevere un richiamo di 0,5 ml di anatossina tetanica. Coloro che non hanno mai effettuato l’immunizzazione primaria devono ricevere 250-500 U di immunoglobuline antitetaniche. (Per ferite più gravi è necessaria una dose maggiore.) Contemporaneamente bisognerà somministrare SC o IM, in sede diversa, la prima delle 3 dosi di 0,5 ml di anatossina tetanica adsorbita. La seconda e la terza dose di anatossina verranno somministrate a distanza di un mese l’una dall’altra. L’antitossina tetanica 3000-5000 U IM deve essere usata soltanto se le immunoglobuline antitetaniche non siano reperibili. (Attenzione: L’antitossina tetanica viene ricavata da siero di cavallo o bovino, v. Ipersensibilità ai farmaci nel Cap. 148 per le precauzioni necessarie.)

Terapia La terapia mira al mantenimento di un’adeguata pervietà delle vie aeree, ad assicurare l’uso tempestivo e adeguato di immunoglobuline sieriche umane, alla neutralizzazione della tossina non fissata, alla prevenzione di un’ulteriore produzione di tossina, provvedere alla sedazione, al controllo degli spasmi muscolari e dell’ipertonicità, al bilancio idro-elettrolitico, alle infezioni intercorrenti e a un’assistenza infermieristica continua. Principi generali: il paziente deve essere tenuto in una stanza silenziosa. Nei casi di media o elevata gravità, il paziente deve essere intubato. Quando si suppone che l’intubazione dovrà essere prolungata, cioè più di 7 giorni, sarà bene eseguire una tracheostomia. Può risultare necessaria la ventilazione meccanica, che diventa essenziale quando è necessario il blocco neuromuscolare per il controllo degli spasmi muscolari che rendono difficile la respirazione. un’iperalimentazione EV evita il pericolo di conseguenze di inalazione secondaria ad alimentazione mediante sondino gastrico. Dal momento che la costipazione è frequente, risulta utile un clistere iniziale di pulizia, mentre un tubo rettale aiuta a controllare la distensione. Se esiste ritenzione urinaria è necessaria la cateterizzazione. La fisioterapia respiratoria, il muovere spesso il malato e forzare la tosse sono elementi essenziali per impedire le polmoniti. Spesso è necessario l’utilizzo di analgesici narcotici. I pazienti con tetano prolungato possono avere una notevole labilità del sistema nervoso simpatico che si manifesta con periodi di ipertensione, tachicardia e di irritabilità miocardiaca. È necessario un monitoraggio continuo oltre all’uso di α-o βbloccanti (p. es., propranololo, labetalolo) o di betanidina. Dopo la guarigione il paziente deve ricevere un intero ciclo immunizzante di anatossina. Antitossina: i benefici dell’antisiero dipendono dalla quantità di tetano-spasmina che si sia già legata alle membrane sinaptiche. Per gli adulti, è generalmente raccomandata una singola dose IM di 3000 U di immunoglobulina tetanica con una concentrazione variabile da 1500 a 10000 U, a seconda della gravità della ferita. Le antitossine di origine animale sono meno preferibili in quanto non viene mantenuto in maniera adeguata il livello di antitossina nel siero del paziente ed esiste un significativo rischio di malattia da siero. Se tuttavia è necessario far uso di siero di cavallo, la dose abituale è di 50000 U IM o EV (Attenzione: v. Ipersensibilità ai farmaci nel Cap. 148). Se necessario possono essere iniettate direttamente nella ferita immunoglubuline o l’antitossina animale, ma ciò non è un elemento essenziale quanto l’appropriata pulizia della ferita. Cura della ferita: poiché il tessuto sporco e necrotico favorisce la moltiplicazione del C. tetani, è essenziale un’immediata e accurata pulitura-soprattutto delle ferite da punta profonde-. La penicillina e le tetracicline sono efficaci nei confronti del C. tetani ma non rappresentano l’alternativa a un’adeguata disinfezione e immunizzazione. Trattamento dello spasmo muscolare: le benzodiazepine, la clorpromazina e i barbiturici a breve durata aiutano a ridurre l’eccessiva neuroeccitabilità e possono ridurre lo spasmo muscolare. Il diazepam può aiutare a controllare le convulsioni, contrastare la rigidità muscolare e indurre sedazione. Il dosaggio è

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variabile e necessita di una meticolosa titolazione e di una stretta sorveglianza. Nei casi più gravi saranno necessari da 10 a 20 mg q 3 h per EV. I casi meno gravi possono essere controllati con 5-10 mg q 2-4 h PO. Il dosaggio nei bambini con meno di 30 giorni è di 1-2 mg/kg IM o EV ripetuti lentamente q 3-4 h se necessario. Nei bambini > 5 anni, 5-10 mg IM o EV ripetuti q 2-4 h. Il diazepam può non impedire gli spasmi riflessi, pertanto una respirazione efficace può anche richiedere il blocco neuromuscolare con un agente curariforme quale il bromuro di pancuronio o il bromuro di vecuronio (la d-tubocurarina, al contrario del bromuro di pancuronio, può determinare un rilascio di istamina e conseguente indesiderata ipotensione). Per ridurre gli spasmi e la mortalità nel tetano neonatale è stato molto limitato ma promettente l’uso della piridossina. Gli antibiotici: sebbene il ruolo della terapia antibiotica sia di minore importanza rispetto alla pulizia chirurgica della ferita e al trattamento generale, sarà bene somministrare per 10 giorni anche penicillina G 2 milioni U EV q 6 h oppure tetraciclina 500 mg EV q 6 h. Ai bambini va somministrata penicillina G alla dose di 100000 U/ kg/die in 4-6 dosi o tetraciclina 30-40 mg/kg/die in 4 dosi frazionate (nei bambini > 7 anni; le tetracicline dovrebbero essere evitate nei bambini < 7 anni). Il metronidazolo 30 mg/kg/die in 4 dosi frazionate è altrettanto efficace. In tutti i pazienti una maggiore quantità di tessuto ischemico necessita di dosaggi più elevati. Nessun antibiotico sembra poter prevenire le infezioni secondarie (p. es., la polmonite). Se queste si sviluppano bisognerà prelevare campioni per gli esami colturali, effettuare test di antibiotico-sensibilità e quindi somministrare, se necessario, un antibiotico adeguato.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 157-3. LINEE GUIDA PER LA VACCINAZIONE* CONTRO IL TETANO IN PAZIENTI CON FERITE APERTE Suscettibilità al tetano/Immunizzazione raccomandata Anamnesi

Nulla

Moderata

Alta

Già vaccinato, e10anni dal richiamo

Td

Td

Td

Vaccinato incompletamente o incerto

Td

Td e TIG* (250U)

Td e TIG† (500U)

*Le immunoglobuline antitetaniche non vanno somministrate a pazienti che abbiano già ricevuto 2 dosi di anatossina. †Da somministrare in diverse sedi con diverse siringhe. Td=anatossina tetanica e difterica, tipo adulto; TIG=immunoglobuline antitetaniche.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII INFEZIONI UTERINE DA CLOSTRIDI Le infezioni da clostridi possono causare ascessi suppurativi tubo-ovarici e uterini senza un’evidente tossicità. Le infezioni uterine gravi possono rappresentare una complicanza dell’aborto settico; di rado fanno seguito a interventi chirurgici pelvici relativamente poco complessi o al parto. La paziente è tipicamente febbricitante e in stato tossico, le lochiazioni sono maleodoranti e l’utero è dolorante. A volte c’è fuoriuscita di gas dalla cervice uterina. Può manifestarsi anche anemia emolitica a seguito della setticemia da clostridii e dell’effetto dell’esotossina lecitinasi sulla membrana dei GR. Con un’emolisi grave e un concomitante stato tossico può manifestarsi insufficienza renale acuta. Il grado di mortalità è dunque elevato ed è di circa il 50%. Una diagnosi precoce richiede un’elevata capacità di intuito. Si raccomandano colorazioni Gram e colture precoci e ripetute del materiale delle lochiazioni e del sangue, sebbene il C. perfringens possa talvolta essere isolato anche da lochiazioni e secrezioni vaginali normali. Gli esami radiologici possono dimostrare la produzione locale di gas. La terapia consiste nella pulizia mediante curettage e nella somministrazione di penicillina G 20 milioni U/die per almeno 1 sett. Se il raschiamento non è sufficiente a rimuovere il materiale infetto, può rendersi necessaria l’isterectomia per salvare la vita della paziente. Se si manifesta necrosi tubulare acuta, è necessaria la dialisi renale. L’utilità dell’O2 iperbarico non è stata ben stabilita (v. oltre).

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII INFEZIONI DA CLOSTRIDI DELLE FERITE

Sommario: Introduzione Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia

Le infezioni da clostridi delle ferita possono presentarsi come una cellulite locale contenuta, miosite locale o diffusa o, nelle forme più gravi, come mionecrosi progressiva (gangrena gassosa). L’infezione si sviluppa da poche ore a qualche giorno dopo la lesione, solitamente in un arto, in seguito a grave trauma penetrante o da schiacciamento che devitalizzi il tessuto. Una simile diffusione della miosite o della mionecrosi può aversi nelle ferite chirurgiche, specialmente in pazienti con malattia vascolare occlusiva di base. Le infezioni da anaerobi delle ferite, specialmente quelle dovute alle sp Clostridium, possono progredire dalla lesione iniziale, attraverso gli stadi di cellulite, fino a una miosite, a mionecrosi con shock, delirium tossico e infine a morte nell’arco di uno o più giorni. La cellulite da clostridi (cellulite anaerobica) si manifesta come un’infezione localizzata a una ferita superficiale, solitamente 3 o più giorni dopo la lesione iniziale. L’infezione può diffondersi estesamente lungo i piani fasciali, spesso con evidente crepitazione e abbondanti borborigmi gassosi, ma la tossicità è assai meno grave rispetto alla mionecrosi estesa. Le bolle sono frequentemente evidenti con emissione di cattivo odore e di essudato sieroso e marrone. Sono rare le anomalie della colorazione e l’edema grossolano dell’arto. Le infezioni da clostridi, associate a occlusioni vascolari primarie di un arto, raramente si estendono oltre la linea di demarcazione o progrediscono in una mionecrosi tossica grave. La miosite da Clostridium profonda, inizialmente localizzata, si propaga rapidamente. Le tossine producono un ambiente anaerobico con edema, dolore, gas e successiva mionecrosi spesso con notevole progressione nell’arco di poche ore. Nella mionecrosi (gangrena gassosa) l’essudato è sieroso e marrone ma non ha necessariamente cattivo odore. In circa l’80% dei casi nel decorso dell’infezione si può avvertire crepitazione gassosa. La sede della lesione può essere inizialmente pallida, ma successivamente diventa rossa o color bronzo e infine cambia in un colorito nero-verdastro. La condizione del paziente entra progressivamente in uno stato tossico, si manifestano shock e insufficienza renale, sebbene il paziente rimanga comunque spesso vigile fino allo stadio terminale. A differenza dell’infezione uterina da clostridii, nella gangrena gassosa degli arti, anche nei pazienti in stadio terminale, la setticemia e un’emolisi franca sono rare. Ogni volta che si verifica emolisi massiccia, alla presenza d’insufficienza renale acuta e di setticemia, ci si deve aspettare una mortalità del 70-100%.

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Sono dunque essenziali una diagnosi e un intervento tempestivi. La cellulite anaerobica risponde uniformemente al trattamento; tuttavia, una miosite stabilita e progressiva con associata tossemia sistemica presenta un tasso di mortalità 20%.

Diagnosi Sebbene la cellulite localizzata, la miosite e la mionecrosi diffusa possano presentarsi in forma abbastanza distinta da consentire una diagnosi differenziale e una terapia adeguata, la diagnosi richiede spesso un’accurata esplorazione chirurgica della ferita e una valutazione visiva dell’interessamento tissutale. Per esempio nella mionecrosi il tessuto muscolare si presenta necrotico. Il muscolo interessato passa da un colore rosa opaco a rosso scuro e infine a verde grigiastro o viola screziato. Le radiografie possono mostrare la produzione locale di gas e TC e RMN possono aiutare a delineare l’estensione della necrosi gassosa. L’essudato della ferita deve essere messo a coltura alla ricerca di microrganismi aerobi e anaerobi; i clostridi possono essere isolati in una coltura pura o essere associati ad altri anaerobi, aerobi o a entrambi. Gli strisci mostrano clostridi gram +. Di solito nell’essudato si rinvengono pochi leucociti polimorfonucleati, mentre con il colorante di Sudan possono essere evidenziate goccioline di grasso libero. Molte ferite, specialmente se aperte, sono contaminate da clostridi sia patogeni sia non patogeni senza evidente malattia invasiva. Il significato di tale reperto dovrà essere valutato clinicamente.

Diagnosi differenziale Nelle ferite da traumi o in quelle postoperatorie altri batteri, sia aerobi sia anaerobi, comprendenti membri della famiglia delle Enterobacteriaceae e delle specie del Bacteroides, Streptococcus e dello Staphylococcus, da soli o in combinazione, spesso provocano una grave cellulite simil-clostridiale, fascite diffusa o gangrena gassosa. Nel caso in cui i leucociti polimorfonucleati sono abbondanti e lo striscio presenta molte catene di cocchi, bisognerà sospettare un’infezione anaerobica da streptococchi o da stafilococchi. Al contrario, l’abbondante presenza di bacilli gram – può indicare un’infezione da Enterobacteriaceae o da Bacteroides sp (v. anche Infezioni da Germi Anaerobi misti, oltre). L’identificazione nella ferita o nel sangue di specifici antigeni tossinici è utile solo nel raro caso di botulismo acquisito attraverso una lesione cutanea. I clostridi possono anche essere presenti, ma senza provocare conseguenze.

Terapia Il trattamento è determinato dalla gravità e dalla localizzazione. Un reperto accidentale di clostridi in coltura senza evidenza clinica di un’infezione da anaerobi non richiede trattamento. Tuttavia, quando è presente un’infezione clinica, è doveroso iniziare rapidamente un trattamento antibiotico empirico. Il drenaggio e una pulizia appropriati sono spesso più importanti della terapia antibiotica. La penicillina G rimane il farmaco di scelta contro i clostridi; alla presenza di gravi celluliti o di mionecrosi devono essere immediatamente somministrati 10-20 milioni U/die EV. Sebbene la resistenza sia rara, in alcuni ceppi di C. ramosum si è verificata una resistenza relativa. Nel trattamento delle infezioni da Clostridium il metronidazolo possiede un’efficacia equivalente. Mentre cloramfenicolo e metronidazolo sono attivi contro la maggior parte dei batteri anaerobi, inclusi i clostridi, alcuni ceppi di questi ultimi sono resistenti a eritromicina, tetraciclina e clindamicina. L’uso precoce di antibiotici a largo spettro (p. es., ticarcillina con clavulanato di potassio o ampicillina con sulbactam) è file:///F|/sito/merck/sez13/1571270b.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.17

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appropriato quando siano presenti altri anaerobi e aerobi. Le cefalosporine di III generazione o la clindamicina in combinazione con un aminoglicoside sono appropriate in alcune infezioni miste da clostridi, ma questi antibiotici sono relativamente meno attivi e i clostridi sviluppano resistenza agli aminoglicosidi. Per il botulismo da ferita è utile la somministrazione precoce di antitossina specifica o polivalente (v. Botulismo nel Cap. 28). La terapia con O2 iperbarico può essere utile nella mionecrosi estesa specialmente negli arti come aggiunta alla chirurgia e alla terapia antibiotica. Se iniziata precocemente la terapia con O2 iperbarico sembra avere la potenzialità di salvare i tessuti, ridurre la mortalità e il tasso di morbosità.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII INFEZIONI DA GERMI ANAEROBI MISTI

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e prevenzione Terapia

Centinaia di specie di anaerobi non sporulanti sono parte della flora normale della cute, della bocca, del tratto intestinale e della vagina. Se tale relazione di commensalità viene rotta (p. es., per interventi chirurgici, traumi, scarso apporto sanguigno, necrosi tissutale), alcune specie di questi germi possono provocare infezioni con morbosità e mortalità elevate. Dopo la penetrazione per tale via, i microrganismi possono diffondersi per via ematogena in sedi distanti. Poiché nella stessa sede dell’infezione si ritrovano sia i batteri anaerobi che quelli aerobi, le infezioni possono essere miste ed è possibile che gli anaerobi vengano trascurati, a meno che non si mettano in atto condizioni di isolamento e di coltura adeguate. Gli anerobi possono essere la causa principale di infezione negli spazi pleurici e polmonari, nell’addome, nel campo ginecologico, nel SNC, nelle vie respiratorie superiori e nelle malattie cutanee nonché nei casi di batteriemia.

Eziologia e patogenesi Una classificazione utile si basa sulle caratteristiche alla colorazione di Gram. I principali cocchi anaerobi gram + che provocano malattia sono i peptococchi e i peptostreptococchi, che fanno parte della normale flora della bocca, del tratto respiratorio superiore e del colon. I principali bacilli anaerobi gram – includono Bacteroides fragilis, Prevotella melaninogenica, nonché il genere Fusobacterium. Il gruppo del B. fragilis fa parte della flora intestinale normale e comprende i germi anaerobi patogeni che vengono isolati con maggior frequenza dalle infezioni endo addominali. Le specie che compongono questo gruppo (B. fragilis, B. thetaiotaomicron, B. distasonis, B. vulgatus, B. ovatus, B. caccae e B. merdae) vengono classificate assieme perché in passato esse erano considerate sottospecie del B. fragilis. Gli organismi del gruppo Prevotella e Fusobacterium sono componenti della flora orale indigena. Le infezioni anaerobiche sono generalmente caratterizzate da questi aspetti: (1) tendono a manifestarsi come raccolte localizzate di pus o come ascessi; (2) la ridotta PO2 e il basso potenziale di ossido-riduzione esistenti nei tessuti avascolari e necrotici sono elementi critici per la sopravvivenza degli anaerobi; (3) quando si ha batteriemia, questa si presenta soltanto raramente in associazione con una coagulazione intravascolare disseminata (CID) e con porpora.

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Alcuni batteri anaerobi possiedono fattori di virulenza specifici: quelli del B. fragilis sono probabilmente responsabili del suo frequente isolamento nei campioni biologici malgrado esso sia un germe relativamente raro nella flora normale. Questo microrganismo possiede una capsula polisaccaridica che apparentemente stimola la formazione di ascessi. Un modello sperimentale di sepsi intraddominale ha evidenziato che il B. fragilis può causare ascessi da solo, mentre altre sp di Bacteroides richiedono l’azione sinergica di altri germi patogeni facoltativi. Un altro fattore di virulenza, la potente endotossina del Fusobacterium, è implicato nello shock settico associato a faringite grave causata da questo organismo.

Sintomi e segni Le infezioni determinate da microrganismi anaerobi misti sono trattate altrove nel Manuale. Un elenco di queste condizioni appare nella Tab. 157-4. Gli anaerobi sono rari nelle IVU, nell’artrite settica e nell’endocardite infettiva. Gli indizi clinici di seguito riportati sono a favore della presenza di germi anaerobi: infezioni in prossimità di superfici mucose su cui sia residente una flora anaerobica; la presenza di ischemia, neoplasie, traumi penetranti, corpi estranei o visceri perforati, gangrena invasiva che interessi anche la cute, i tessuti sottocutanei, le fasce e i muscoli; odore di feci nel pus o nei tessuti infetti nonché dalla presenza di ascessi, gas nei tessuti, tromboflebite settica e mancata risposta agli antibiotici che non hanno significativa attività antianaerobica. La batteriemia, che costituisce una complicanza delle infezioni miste da anaerobi, può provocare febbre, brividi e una malattia clinica. Può svilupparsi shock e, anche se estremamente rara nella sepsi pura da Bacteroides; nella sepsi da Fusobacterium può verificarsi una CID.

Diagnosi Al fine di isolare e identificare gli anaerobi patogeni bisogna impiegare tecniche particolari per la raccolta, il trasporto e la coltura del campione. Poiché i contaminanti possono essere facilmente confusi con i patogeni, i campioni non devono essere contaminati con la flora normale. I seguenti campioni sono indenni da contaminazione e possono essere coltivati direttamente: sangue, liquido pleurico, materiale di aspirazione trans-tracheale, pus ottenuto per aspirazione diretta, per aspirazione sopra-pubica e biopsie di tessuti normalmente sterili. Quando si prelevano campioni liquidi mediante ago e siringa bisogna espellere l’aria dalla siringa e bisogna inserire l’ago in un tappo di gomma sterile. Una breve esposizione all’aria può infatti uccidere alcuni dei microrganismi anaerobi esigenti, come quelli rinvenuti nelle infezioni polmonari, anche se le specie anaerobiche più virulente sono alquanto tolleranti all’ossigeno. Il B. fragilis non cresce in condizioni di aerobiosi, ma sopravvive alcune ore in presenza di O2. Il trasporto al laboratorio deve essere rapido; un ritardo può provocare una crescita prevalente di germi aerobi che possono determinare la mancata identificazione degli anaerobi presenti. Da ciascun campione devono essere ottenute una colorazione di Gram e colture aerobiche. Le colture anaerobiche vanno seminate su terreni speciali e incubate per 48-72 h prima di poter essere esaminate. I dati di sensibilità agli antibiotici possono richiedere 1 sett. dall’inizio della coltura, e il test di sensibilità per gli anaerobi è problematico e deve conformarsi agli standard internazionali. Tuttavia, quando viene identificata la specie batterica, la sua sensibilità è solitamente prevedibile; per tale motivo molti laboratori non eseguono di routine le prove di sensibilità antibiotica. file:///F|/sito/merck/sez13/1571274.html (2 of 4)02/09/2004 2.10.18

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Un’infezione anaerobica deve essere presa in considerazione quando la colorazione di Gram del pus proveniente da un sito infetto mostra una flora batterica mista pleomorfica. Dal momento che i Bacteroides sp sono poco visibili con la colorazione di Gram, per trovare le caratteristiche variabili e i bastoncelli filamentosi è richiesta un’spezione accurata. Quando la cultura proveniente da un sito infetto sicuramente necrotico mostra una flora mista e con la colorazione di Gram evidenzia solo streptococchi α-emolitici, una singola specie aerobia, quale l’Escherichia coli o l’assenza di crescita, la spiegazione è che i microrganismi anaerobi non siano cresciuti a causa di un trasporto o di tecniche batteriologiche inadeguate.

Prognosi e prevenzione La morbosità e mortalità delle infezioni da batteri anaerobi o miste sono simili a quelle delle sepsi provocate da singoli germi aerobi. Le infezioni anaerobiche risultano spesso complicate da necrosi tissutale a localizzazione profonda. La mortalità generale per le infezioni intra-addominali gravi e per le polmoniti anaerobiche miste tende a essere elevata; la batteriemia da B. fragilis è associata a una rilevante mortalità, specie negli anziani e nei pazienti con patologie maligne. Misure efficaci di prevenzione comprendono una terapia precoce delle infezioni localizzate per prevenire la batteriemia e la metastatizzazione della malattia: la pulizia chirurgica dei tessuti necrotici, la rimozione dei corpi estranei, il ripristino della circolazione e la terapia antimicrobica tempestiva nelle ferite traumatiche. Sono essenziali l’esplorazione e il drenaggio tempestivi con chiusura della perforazione intestinale e la terapia antimicrobica nelle ferite addominali penetranti. Quando i pazienti devono subire interventi chirurgici elettivi sul colon è opportuno eseguire una preparazione intestinale (p. es., con neomicina ed eritromicina). Nel periodo immediatamente successivo all’intervento chirurgico possono essere anche usati a scopo profilattico antibiotici per via parenterale. Possono essere utilizzati la cefoxitina o una combinazione di metronidazolo o clindamicina con gentamicina o tobramicina. Nella chirurgia pulito-contaminata, la profilassi antibiotica data con dosi singole prima dell’intervento e continuata in seguito per 24 h può ridurre il tasso di infezione postoperatoria dal 20-30% al 48%.

Terapia Per le infezioni anaerobiche profonde va drenato il pus e vanno rimossi i tessuti devitalizzati. La somministrazione di antibiotici unitamente all’intervento chirurgico aiuta a controllare la batteriemia, riduce le complicanze suppurative secondarie o metastatiche e previene la diffusione locale dell’infezione attorno al sito dell’intervento. Poiché i risultati delle colture degli anaerobi possono non essere disponibili per 35 giorni, prima che i risultati definitivi del laboratorio siano noti deve comunque essere iniziato un antibiotico. Gli antibiotici a volte funzionano anche quando alcune specie batteriche coinvolte in un’infezione mista sono resistenti all’agente antimicrobico, in particolare se vengono eseguite adeguate procedure di drenaggio. Il trattamento dei germi anaerobi nelle infezioni miste, riduce il numero di germi presenti nelle ferite nonché il numero degli ascessi che si formeranno. Bisognerà drenare o eliminare qualsiasi ascesso o situazione che induca infezioni, come p. es., le perforazioni; bisognerà rimuovere il tessuto devitalizzato, i corpi estranei e il materiale necrotico. Si dovrà procedere al drenaggio di qualsiasi infezione degli spazi chiusi, come gli empiemi, e si dovrà, per quanto possibile, ristabilire la circolazione sanguigna della zona interessata. Una tromboflebite settica potrà richiedere legature venose e terapia antibiotica generale.

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Le infezioni orofaringee da anaerobi devono essere trattate con la penicillina G. Di rado le infezioni orali non rispondono e devono essere trattate con un farmaco efficace nei confronti degli anaerobi penicillino-resistenti (v. oltre). Gli ascessi polmonari devono essere trattati con clindamicina o con una combinazione di un β-lattamico con una β-lattamasi. Nei pazienti allergici alle penicilline, risultano utili la clindamicina o il metronidazolo (associati a un farmaco attivo contro gli aerobi). Le infezioni da anaerobi GI o della pelvi femminile, che spesso contengono il B. fragilis, possono risultare penicillino-resistenti. La resistenza è stata descritta anche per le cefalosporine di II generazione e per la clindamicina. Nessun regime terapeutico singolo si è rivelato superiore. I seguenti farmaci possiedono un’eccellente attività in vitro e sono efficaci: metronidazolo, imipenem/cilastatina, piperacillina/tazobactam, ampicillina/sulbactam, meropenem e ticarcillina/acido clavulanico. Farmaci che sono alquanto meno attivi in vitro ma che risultano generalmente efficaci comprendono la clindamicina, la cefoxitina e il cefotetan. Nelle infezioni intraddominali e in tutte le infezioni da sorgente colonizzata, può essere utilizzato il metronidazolo, a dosi di 500-750 mg EV q 8 h (per i bambini 30 mg/kg/die in tre dosi frazionate) somministrato insieme a un aminoglicosidico (p. es., gentamicina a dosi di 5 mg/kg/die in tre quote frazionate), allo scopo di controllare anche la flora enterica aerobia gram –. Per il potenziale rischio di nefrotossicità e di ototossicità, i livelli sierici di gentamicina devono essere monitorati. La clindamicina a dosi di 900 mg EV q 8 h (per i bambini 30 mg/kg/die in tre dosi frazionate) in questo protocollo è un’alternativa al metronidazolo. Il metronidazolo è attivo contro i B. fragilis resistenti alla clindamicina, presenta un’eccezionale attività contro i batteri anaerobi e di solito evita la colite pseudomembranosa associata alla clindamicina. I dubbi circa il suo potenziale mutageno non hanno avuto riscontri clinici. La cefoxitina e il cefotetan danno una buona copertura anaerobica. La migliore attività in vitro è mostrata dal metronidazolo, dall’imipenem, dal meropenem e dalle combinazioni di β-lattamici/ β-lattamasi. Dal momento che questi farmaci hanno anche una buona attività nei confronti degli aerobi, a eccezione del metronidazolo, possono essere tutti utilizzati in monoterapia.

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

BOTULISMO Avvelenamento neuromuscolare da tossine di Clostridium botulinum.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Precauzioni speciali Profilassi e terapia

Il botulismo si presenta sotto 3 forme: trasmesso dal cibo, delle ferite e dei lattanti.

Eziologia e fisiopatologia Il bacillo anaerobio gram +, sporulante, C. botulinum produce 7 tipi di neurotossine antigenicamente distinte, quattro delle quali colpiscono gli uomini: i tipi A, B, E o, raramente, il tipo F. Le tossine di tipo A e B sono proteine altamente velenose resistenti alla digestione da parte degli enzimi dell'apparato GI. Circa il 50% delle epidemie da intossicazione alimentare negli USA è causata dalla tossina di tipo A, seguita dai tipi B ed E. La tossina di tipo A è presente principalmente a ovest del fiume Mississippi, il tipo B negli stati orientali e il tipo E in Alaska e nell'area dei Grandi Laghi. Nel botulismo trasmesso dai cibi, viene ingerita la tossina prodotta all'interno dei cibi contaminati; nel botulismo delle ferite e dei lattanti la neurotossina viene elaborata in vivo dal C. botulinum, rispettivamente nei tessuti infetti e nel grosso intestino. Dopo l'assorbimento, le tossine interferiscono con il rilascio di acetilcolina a livello delle terminazioni nervose periferiche. Le spore del C. botulinum sono molto resistenti al calore e possono sopravvivere alla bollitura a 100°C per diverse ore; tuttavia, l'esposizione al calore umido a 120°C per 30 min le uccide. Le tossine, peraltro, sono prontamente distrutte dal calore e la semplice cottura del cibo a 80°C per 30 min mette al sicuro dal botulismo. La produzione di tossine (specialmente del tipo E) si può verificare a basse temperature, anche a 3°C, cioè nel frigorifero e non richiede la presenza di condizioni di stretta anaerobiosi.

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I cibi in scatola di produzione casalinga rappresentano la provenienza più comune, ma anche i cibi preparati commercialmente sono stati identificati come responsabili di circa il 10% delle epidemie. I più comuni veicoli sono le verdure, i pesci, la frutta e i condimenti, ma sono stati coinvolti anche la carne, i latticini, il maiale, il pollame e altri tipi di cibi. Nelle intossicazioni provocate dai frutti di mare, la tossina di tipo E è responsabile di circa il 50% dei casi; i tipi A e B sono responsabili dei restanti casi. Negli ultimi anni, i cibi non inscatolati (p. es., patate cotte avvolte nell'alluminio, aglio tritato in olio, tramezzini con carne e formaggio) hanno causato le epidemie associate ai pasti consumati nei ristoranti.

Sintomi e segni Nel botulismo trasmesso dal cibo, l'inizio è brusco, solitamente 18-36 h dopo l'ingestione della tossina, anche se il periodo di incubazione può variare da 4 h a 8 gg. La nausea, il vomito, i dolori addominali crampiformi e la diarrea precedono frequentemente i sintomi neurologici. Questi ultimi sono caratteristicamente bilaterali e simmetrici, iniziando dai nervi cranici e proseguendo con una debolezza o una paralisi discendente. I comuni sintomi e segni iniziali includono la secchezza delle fauci, la diplopia, la blefaroptosi, la perdita dell'accomodazione e la riduzione o la perdita totale del riflesso pupillare alla luce. Si sviluppano i sintomi di una paresi bulbare (p. es., disartria, disfagia, disfonia, espressione facciale flaccida). La disfagia può causare una polmonite da inalazione. I muscoli degli arti e del tronco e i muscoli della respirazione diventano progressivamente più deboli in senso craniocaudale. Non si manifestano disturbi sensitivi e il sensorio solitamente rimane integro. La febbre è assente e il polso rimane normale o diventa bradicardico, a meno che non si sviluppi un'infezione intercorrente. Gli esami ematochimici di routine, gli esami delle urine e quelli del LCR sono normali. La costipazione è frequente dopo la comparsa dei danni neurologici. Le principali complicanze includono l'insufficienza respiratoria, dovuta alla paralisi del diaframma e le infezioni polmonari. Il botulismo delle ferite si manifesta con sintomi neurologici come nel botulismo alimentare, ma non presenta i sintomi a carico dell'apparato GI o le evidenze epidemiologiche che implicano il cibo come causa dell'intossicazione. L'anamnesi di una lesione traumatica o di una puntura profonda, avvenute nelle 2 sett. precedenti, può far supporre la diagnosi. Devono essere attentamente ricercate le lesioni cutanee o gli ascessi cutanei dovuti all'autoiniezione di farmaci illegali. Il botulismo del lattante si verifica più frequentemente nei lattanti con meno di 6 mesi di vita. Il più giovane paziente riportato in letteratura aveva 2 sett. e il più vecchio, 12 mesi. È causato dall'ingestione delle spore del C. botulinum, dalla loro colonizzazione dell'intestino e dalla produzione della tossina in vivo; contrariamente a quello alimentare, il botulismo del lattante non è provocato dall'ingestione di una tossina preformata. Inizialmente è presente una costipazione nel 90% dei casi, seguita da una paralisi neuromuscolare che inizia dai nervi cranici e procede verso la muscolatura periferica e respiratoria. I deficit dei nervi cranici includono tipicamente la ptosi, la paralisi dei muscoli extraoculari, un pianto debole, una poppata scarsa, un diminuito riflesso del vomito, la perdita delle secrezioni orali e una faccia inespressiva. La gravità varia da una letargia lieve, con una rallentata alimentazione, a una grave ipotonia e insufficienza respiratoria. La maggior parte dei casi è idiopatica, anche se alcuni sono stati imputati all'assunzione di miele. Le spore di C. botulinum sono frequenti nell'ambiente e molti casi possono essere causati dall'ingestione di polvere microscopica.

Diagnosi Il botulismo può essere confuso con la sindrome di Guillain-Barré, con la

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poliomielite, con un ictus cerebrale, con la miastenia gravis, con una paralisi del nervo faciale e con un avvelenamento da curaro o da alcaloidi della belladonna. L'elettromiografia è utile per la diagnosi perché produce una caratteristica risposta aumentata alla stimolazione rapida e ripetitiva nella maggior parte dei casi. Nel botulismo trasmesso dal cibo, il quadro dei disturbi neuromuscolari e l'ingestione di cibo probabilmente infetto sono degli importanti indizi diagnostici. Il simultaneo verificarsi in almeno due pazienti che hanno mangiato lo stesso cibo, semplifica la diagnosi, che è confermata dimostrando la tossina del C. botulinum nel siero o nelle feci o con l'isolamento del microrganismo dalle feci. La presenza della tossina del C. botulinum nel cibo sospetto identifica l'origine dell'infezione. Gli animali domestici possono sviluppare il botulismo mangiando lo stesso cibo contaminato. Nel botulismo delle ferite, la presenza della tossina nel siero o l'isolamento del C. botulinum nella coltura anaerobia del materiale prelevato dalla ferita, conferma la diagnosi. Il botulismo dell'infanzia, può essere confuso con la sepsi, la distrofia muscolare congenita, l'atrofia muscolare spinale, l'ipotiroidismo e l'ipotonia benigna congenita. L'identificazione della tossina del C. botulinum o del microrganismo nelle feci permette la diagnosi.

Precauzioni speciali Poiché anche una minima quantità di tossina del C. botulinum assunta attraverso l'ingestione, l'inalazione o l'assorbimento attraverso l'occhio o una soluzione di continuo della cute, può provocare una grave malattia, tutti i materiali sospettati di contenere la tossina richiedono una manipolazione particolarmente attenta. Solo il personale esperto, preferibilmente vaccinato con l'anatossina del C. botulinum, deve eseguire gli esami di laboratorio. I campioni devono essere posti in contenitori infrangibili, sterili e sigillati; refrigerati (non ghiacciati) ed esaminati appena possibile. Ulteriori dettagli riguardanti la raccolta dei campioni e la loro manipolazione possono essere ottenuti dai centri di epidemiologia del Ministero della Sanità o dai Centers for Disease Control and Prevention (in Italia, dall'Istituto Superiore di Sanità, Roma, n.d.t.).

Profilassi e terapia Sono essenziali un appropriato inscatolamento commerciale e un adeguato riscaldamento del cibo inscatolato in casa, prima di consumarlo. Il cibo in scatola che presenta una qualsiasi evidenza di inquinamento, come le scatole rigonfie o con delle perdite, va gettato via. I lattanti con un'età < 12 mesi non devono essere alimentati con il miele che può contenere delle spore di C. botulinum. Chiunque sappia o pensi di essere stato in contatto con del cibo contaminato deve essere posto sotto un'attenta sorveglianza. Il lavaggio gastrico con la somministrazione di carbone attivo può essere utile. I pazienti affetti dal botulismo possono avere un'alterazione dei riflessi delle vie aeree e quindi il carbone deve essere somministrato attraverso il sondino nasogastrico e la via aerea deve essere protetta con un tubo endotracheale cuffiato. L'anatossina è disponibile per vaccinare le persone che lavorano con il C. botulinum o con le sue tossine. Il maggior pericolo per la vita deriva dal danno respiratorio e dalle sue complicanze. Tutti i pazienti devono essere ospedalizzati e attentamente osservati con misurazioni periodiche della capacità vitale. La paralisi progressiva impedisce ai pazienti di manifestare i segni del distress respiratorio mentre la loro capacità vitale si riduce. Il danno respiratorio richiede il trattamento in un'UTI

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dove sono prontamente praticabili l'intubazione e la ventilazione meccanica (v. Cap. 66). Il miglioramento di tali misure di supporto ha ridotto la mortalità a < 10%. Può essere necessaria un'alimentazione EV, che però non è raccomandata nei lattanti. Invece, l'intubazione nasogastrica è il metodo preferito per l'alimentazione perché semplifica la somministrazione delle calorie e dei liquidi; stimola la peristalsi intestinale, che aiuta a eliminare il C. botulinum dall'intestino e permette la somministrazione del latte materno. Inoltre, evita la possibilità delle complicanze infettive o vascolari legate all'alimentazione EV. Dai Centers for Disease Control and Prevention e attraverso i dipartimenti di igiene statali, è disponibile un'antitossina trivalente (A, B, E). L'antitossina non inattiva la tossina che è già legata alla giunzione neuromuscolare; perciò, le preesistenti alterazioni neurologiche non si risolvono rapidamente (la guarigione finale dipende dalla rigenerazione delle terminazioni nervose, che può impiegare settimane o mesi). Tuttavia, l'antitossina può rallentare o arrestare l'ulteriore progressione. L'antitossina deve essere somministrata il prima possibile dopo che è stata fatta la diagnosi clinica di botulismo. La sua somministrazione non deve essere ritardata aspettando i risultati dell'esame colturale. È poco probabile che l'antitossina sia di un qualche beneficio se somministrata > 72 h dopo l'inizio dei sintomi. Poiché l'antitossina è derivata dal siero di cavallo, esiste il rischio dell'anafilassi o della malattia da siero. (Per quanto riguarda le precauzioni, v. Ipersensibilità ai farmaci in Disordini con reazioni da ipersensibilità di tipo EV e per quanto riguarda il trattamento, v. Anafilassi in Disordini con le reazioni da ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148.) L'antitossina ricavata dal siero di cavallo non è raccomandata nei lattanti. Un trial clinico è in corso per stabilire l'utilità delle immunoglobuline umane antibotuliniche (derivate dal plasma delle persone immunizzate con il tossoide del C. botulinum) nel trattamento del botulismo del lattante.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII ENTERITE NECROTIZZANTE Infiammazione del piccolo e del grosso intestino determinate dal C. perfringens. Oltre alle intossicazioni alimentari da C. perfringens, i clostridi possono talvolta provocare malattie infiammatorie acute, a volte necrotizzanti, dell’intestino tenue o del crasso. Queste entero-tossiemie da clostridi possono manifestarsi come casi isolati e come piccole epidemie e alcuni sembrano dovuti, almeno in parte, a carni contaminate. Un processo simile può verificarsi in pazienti in trattamento per leucemia. Il "pigbel" (o ventre da maiale), che si presenta in Nuova Guinea, deriva probabilmente dal consumo di carne di maiale contaminata dal C. perfringens di tipo C; va da una forma con lieve diarrea fino a una con tossiemia fulminante e disidratazione, cui segue stato di shock e talvolta morte. Neonati e bambini piccoli sono soggetti a rischio, rispetto agli adulti. Nei bambini più grandi l’intenzione è stata associata all’anoressia nervosa. È stato sviluppato un vaccino sperimentale con anatossina, ma non è ancora disponibile in commercio. L’enterite necrotizzante si verifica in popolazioni con deprivazione proteica, scarsa igiene alimentare, episodica alimentazione carnea e dieta a base di inibitori della tripsina, come in Nuova Guinea, in alcune regioni dell’Africa, dell’America Centrale e del Sud e dell’Asia. L’enterocolite neonatale necrotizzante (ENN), che si verifica nei reparti di terapia intensiva neonatale, può essere causata da C. perfringens, C. butyricum e C. difficile sebbene il ruolo di questi organismi necessiti di ulteriori studi (v. Enterocolite Necrotizzante nel Cap. 260).

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII DIARREA INDOTTA DAL C. DIFFICILE Il C. difficile, causa recente della colite da antibiotici (v. anche al Cap. 29), è sempre più frequentemente riconosciuto quale causa di diarrea nosocomiale. La diarrea da C. difficile si presenta sia isolata sia in piccole epidemie limitate ed è trasmessa per contagio interpersonale. Si verifica in oltre l’8% dei pazienti ospedalizzati ed è responsabile del 20-30% delle diarree nosocomiali. I fattori di rischio sono rappresentati dall’età avanzata, da gravi patologie sottostanti, da degenze ospedaliere prolungate e da residenza in case di cura. L’infezione produce una citotossina e un’enterotossina. Le alterazioni della flora GI provocate dagli antibiotici sono il più importante fattore predisponente. La storia naturale va da uno stato di portatore asintomatico, frequente soprattutto nei bambini e negli anziani, fino a forme gravi di enterite necrotizzante. Raramente si verifica una disseminazione tissutale limitata, come anche sepsi e addome acuto. Sono elementi tipici feci semiformate (non liquide), leucocitosi fecale e precedente trattamento con cefalosporine. I pazienti asintomatici colonizzati nelle feci con il C. difficile superano il numero dei pazienti sintomatici di 3:1. Dopo diarrea indotta da C. difficile è stata descritta un’artrite reattiva. La diagnosi viene generalmente effettuata ricercando nelle feci la tossina del C. difficile. Generalmente è sufficiente un unico campione, ma quando il sospetto è forte, e il primo prelievo risulta negativo, devono essere raccolti campioni ripetuti. Per ridurre la diffusione del C. difficile dal personale sanitario sano ai pazienti e tra i pazienti stessi sono indispensabili misure di controllo dell’infezione. Nella determinazione della diffusione clonale possono aiutare gli studi di epidemiologia molecolare dei tipi di pattern di DNA. La riduzione dell’uso della clindamicina in tutti gli ospedali ne ha fatto diminuire l’incidenza. Nel 15-20% dei pazienti possono verificarsi recidive. Il metronidazolo PO, alla dose di 250-500 mg q 6 ore, rappresenta il farmaco di scelta. Se il paziente non risponde o recidiva, il metronidazolo PO come sopra può essere ripetuto per 21 giorni, oppure può essere somministrata vancomicina PO 125-500 mg q 6 h per 10 giorni. Alcuni pazienti necessitano di bacitracina 500 mg PO q 6 ore per 10 giorni, resina di colestiramina o lievito del Saccharomyces boullardii. Per i pazienti che falliscono con tutti i tipi di trattamento, per l’eradicazione della colite da C. difficile alcuni casi anedottici suggeriscono di effettuare un clisma di feci (clisma effettuato con feci di un donatore sano per rimpiazzare la normale flora intestinale). Alcuni pazienti, per ottenere la guarigione, hanno richiesto una colectomia totale.

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE INFEZIONI DA CLOSTRIDII ACTINOMICOSI Malattia infettiva cronica provocata dall’Actinomyces israelii, caratterizzata da multiple fistole secernenti.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia I microrganismi responsabili, anaerobi gram +, specie dell’Actinomyces o del Propionobacterium (più comunemente A. israelii), sono spesso presenti come commensali sulle gengive, sulle tonsille e sui denti. Tuttavia molte, se non la maggior parte delle infezioni, sono polimicrobiche, con altri batteri (anaerobi del cavo orale, stafilococchi, streptococchi o Enterobacteriaceae) frequentemente coltivati dalle lesioni. L’actinomicosi si manifesta il più delle volte in soggetti adulti di sesso maschile. Nella forma cervico facciale, la via di ingresso più frequente è un dente malato; nella forma toracica, la malattia polmonare è conseguente ad aspirazione di secrezioni orali; nella forma addominale, la malattia risulta presumibilmente da una rottura nella mucosa di un diverticolo, dell’appendice o durante un trauma; nella forma pelvica localizzata, l’actinomicosi è una complicanza di alcuni tipi di spirale. Raramente si verifica la propagazione dalla localizzazione primaria, probabilmente per diffusione ematogena dal primitivo sito di infezione.

Sintomi e segni Le lesioni caratteristiche consistono in un’area indurita con ascessi multipli, piccoli e comunicanti, circondati da tessuto di granulazione. Le lesioni tissutali tendono a formare tratti fistolosi che comunicano con la pelle e drenano materiale purulento contenente granuli sulfurei giallastri. Le infezioni si diffondono ai tessuti vicini e, ma soltanto raramente, possono raggiungere il flusso circolatorio. Sono solitamente compresenti anche altri batteri anaerobi. La forma cervicofacciale insorge di solito come un rigonfiamento piccolo, piatto e duro con o senza dolore al di sotto della mucosa orale o della pelle del collo oppure come un rigonfiamento subperiostale della mandibola. Successivamente compaiono aree più morbide che si trasformano in cavità e fistole con secrezioni contenenti i caratteristici grani di zolfo (granuli rotondeggianti o sferici, di regola giallastri, con diametro massimo di 1 mm). Possono essere interessati guance, lingua, faringe, ghiandole salivari, ossa del cranio, meningi e cervello, tutti per estensione diretta dell’infezione.

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Malattie batteriche

Nella forma addominale sono interessati dall’infezione l’intestino (solitamente il cieco e l’appendice) e il peritoneo. Sintomi caratteristici sono dolore, febbre, vomito, diarrea o costipazione ed emaciazione. Compaiono una o più masse addominali con segni di parziale ostruzione intestinale. Le cavità secernenti e le fistole intestinali possono svilupparsi ed estendersi alla parete addominale esterna. Nella forma toracica l’interessamento polmonare assomiglia alla TBC: prima che compaiano dolore toracico, febbre e tosse produttiva può aversi anche un’invasione massiva. Può anche verificarsi una perforazione della parete toracica con cavità secernenti croniche. Nella forma generalizzata, l’infezione si diffonde per via ematogena a cute, corpi vertebrali, cervello, fegato, rene, uretere e (nelle donne) organi pelvici. Ad ognuna di queste localizzazioni può seguire una lunga lista di differenti sintomi di infezione, quali mal di schiena, cefalea, malessere addominale e dolore addominale profondo. Soprattutto nelle donne può verificarsi una forma pelvica localizzata. I sintomi comprendono dolenzia vaginale insieme a dolore pelvico o addominale profondo.

Diagnosi La diagnosi è basata sui sintomi, sui risultati della rx e sull’identificazione dell’A. israelii nell’escreato, nel pus o in campioni bioptici. Nel pus o nei tessuti il microrganismo si presenta in masse aggrovigliate di filamenti ramificati e non, ondeggianti oppure sotto forma dei caratteristici granuli di zolfo. Questi sono formati da una massa centrale di filamenti batterici aggrovigliati, di cellule del pus e di detriti con una zona intermedia di filamenti interconnessi, circondati da una zona esterna di filamenti radiali, con forme a clava e rifrangenti, che acquisiscono il colorante eosina nei tessuti, ma sono positivi alla colorazione di Gram. I noduli di actinomicosi in qualsiasi sede possono simulare le neoplasie maligne. Le lesioni polmonari vanno distinte da quelle della TBC e dalle neoplasie. Molte lesioni addominali si presentano nella regione ileocecale e sono difficili da diagnosticare, a meno che non si esegua una laparotomia o non esistano cavità secernenti sulla parete addominale. La biopsia epatica per aspirazione non è indicata in quanto può provocare una fistola persistente. La presenza di una massa dolorante palpabile suggerisce l’ascesso appendicolare o l’enterite regionale.

Prognosi e terapia La malattia ha una progressione lenta, con una prognosi in relazione diretta con la precocità della diagnosi; la prognosi è favorevole nelle forme cervico-facciali e diviene progressivamente peggiore nelle forme toraciche, addominali e generalizzate, specialmente se è interessato il SNC. Il decorso dipende dalla estensione dell’infezione pelvica e dalla sua durata prima della diagnosi. La maggior parte dei pazienti risponde a cicli prolungati di terapia antibiotica anche se lentamente a causa dell’esteso indurimento dei tessuti e della fibrosi relativamente avascolare. Pertanto il trattamento deve essere continuato per almeno 8 sett. e occasionalmente per 1 anno fino a che siano regrediti i segni e i sintomi. Può essere necessaria l’esecuzione di interventi chirurgici estesi e ripetuti. Alcune volte i piccoli ascessi devono essere aspirati, i più grandi drenati o le fistole escisse chirurgicamente. Alte dosi di penicillina G, di solito 1218 milioni U/die EV, sono in genere somministrate come primo antibiotico e hanno in genere come risultato la guarigione. Successivamente si può sostituire con penicillina orale V (1 g qid) dopo circa 2-6 sett. Invece della penicillina si può somministrare tetraciclina alle dosi di 500 mg PO q 6 h. In alcuni casi sono state

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utilizzate con successo anche la minociclina, la clindamicina o l’eritromicina. La terapia va protratta per diverse sett. dopo la guarigione apparente. Lo schema terapeutico deve essere ampliato a coprire gli altri patogeni coltivati dalle lesioni. Casi anedottici hanno suggerito che in casi selezionati possa essere efficace la terapia con ossigeno iperbarico (v. anche il Cap. 292).

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE MALATTIE PROVOCATE DA SPIROCHETE (V. anche Sifilide al Cap. 164.) TREPONEMATOSI ENDEMICHE Infezioni croniche non veneree da spirochete diffuse mediante contatto corporeo.

Sommario: Epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi, profilassi e terapia

Epidemiologia La sifilide endemica si rinviene soprattutto nei paesi aridi del Mediterraneo Orientale e nell’Africa Occidentale (Sahel); la trasmissione si verifica per contatto oro-orale, o condividendo il cibo e gli utensili delle bevande. I granulomi si ritrovano nelle regioni umide equatoriali e la loro trasmissione è favorita da un abbigliamento inadeguato, scarsa igiene e dai traumi cutanei. La pinta si manifesta tra gli indiani del Messico, dell’America Centrale e del Sud America e non è molto contagiosa. La trasmissione non è ben conosciuta. Gli agenti causali, Treponema pallidum sottospecie endemicum (sifilide endemica [sifilide non venerea, bejel]), T. pallidum sottospecie pertenue (yaws) [framboesia] e il T. carateum (pinta) sono morfologicamente e sierologicamente indistinguibili dal T. pallidum sottospecie pallidum (sifilide).

Sintomi e segni La sifilide endemica inizia nell’infanzia come una chiazza mucosa, spesso sulla mucosa buccale, seguita da lesioni papulosquamose e papulari erosive del tronco e degli arti. Frequente è una periostite alle ossa delle gambe. In fasi successive si sviluppano lesioni gommose del palato molle e del naso. La framboesia (yaws), dopo un periodo di incubazione di diverse settimane, inizia come una lesione granulomatosa o maculare nella sede di inoculo, solitamente sulle gambe. La lesione si rimargina, ma è seguita da un’eruzione generalizzata di granulomi soffici sul volto, sugli arti e sui glutei, spesso alle giunzioni mucocutanee. Questi granulomi guariscono lentamente e possono recidivare. Possono svilupparsi lesioni cheratosiche alle piante dei piedi che provocano ulcerazioni dolorose (framboesia a granchio). Più tardi possono manifestarsi lesioni distruttive come periostite (specialmente della tibia), esostosi proliferative della porzione nasale dell’osso mascellare (goundou), noduli iuxtaarticolari, lesioni cutanee gommose e, infine, anche ulcere facciali mutilanti, specialmente attorno al naso (gangosa). La pinta produce lesioni confinate al derma. Esordiscono nella sede di ingresso file:///F|/sito/merck/sez13/1571277b.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.22

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come piccole papule che progrediscono in placche eritematose nell’arco di diversi mesi. Più tardi si sviluppano chiazze eritematose e squamose soprattutto agli arti, al volto e al collo. Dopo diversi mesi si manifestano chiazze simmetriche di color blu ardesia, spesso al volto e agli arti, oltre che sulle prominenze ossee: esse divengono più tardi depigmentate e assomigliano alla vitiligo. Può anche verificarsi ipercheratosi alle palme delle mani e alle piante dei piedi. Le lesioni distruttive lasciano una cicatrice.

Diagnosi, profilassi e terapia Nei soggetti provenienti dalle aree endemiche la diagnosi si formula in base all’aspetto tipico delle lesioni. I test VDRL (Venereal Disease Research Laboratory) e FTA-ABS (Fluorescent Treponemal Antibody Absorption: assorbimento degli Ac treponemici in fluorescenza) risultano positivi, ma non distinguono queste malattie dalla sifilide venerea. Dalle lesioni precoci si possono spesso osservare spirochete in campo oscuro che sono indistinguibili dal T. pallidum sottospecie pallidum. L’International Task Force for Disease Eradication ha giudicato che l’eliminazione della trasmissione di queste malattie e non la loro scomparsa è un obiettivo raggiungibile. Il controllo sanitario comprende la ricerca attiva dei casi e il trattamento dei contatti familiari esposti e dei bambini con benzatina penicillina. Per ciascuna delle malattie un’iniezione IM di 1,2 milioni U di benzatin-penicillina G determina la guarigione con rapida scomparsa delle spirochete. I bambini di peso < 45 kg devono ricevere 600000 U.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE MALATTIE PROVOCATE DA SPIROCHETE (V. anche Sifilide al Cap. 164.) FEBBRE RICORRENTE (Febbre da acari, febbre ricorrente o febbre della carestia) Malattia acuta provocata da diverse specie di spirochete Borrelia, trasmesse dagli acari e dai pidocchi e caratterizzata da episodi febbrili ricorrenti della durata di 3-5 giorni, separati da intervalli di apparente guarigione.

Sommario: Epidemiologia e patogenesi Sintomi, segni e complicanze Diagnosi e prognosi Profilassi e terapia

Epidemiologia e patogenesi Febbre ricorrente è la denominazione applicata a febbri periodiche clinicamente simili ma eziologicamente distinte. A seconda dell’area geografica gli insetti vettori possono essere le zecche del genere Ornithodoros oppure i pidocchi del corpo. Le febbri ricorrenti da pidocchi sono endemiche soltanto in alcune zone dell’Africa e del Sud America; quelle da acari lo sono nelle Americhe, in Africa, Asia ed Europa. Negli USA la malattia è in genere limitata agli stati dell’ovest, con massima frequenza tra maggio e settembre. Le Borrelia sono microrganismi filiformi, esili, lunghi 8-30 µ con estremità appuntite e con 4-10 ampie spire irregolari. Appaiono nel sangue durante la fase febbrile e possono essere rinvenute negli organi interni, specialmente nella milza e nel cervello. Il pidocchio si infetta succhiando il sangue di un soggetto affetto durante lo stato febbrile. Le spirochete non vengono trasmesse direttamente all’uomo ma vengono liberate sulla pelle, nella quale penetrano se essa è lesa per abrasioni o per morsi, quando il pidocchio viene schiacciato. Gli acari contraggono le spirochete dai roditori, che fungono da serbatoi, l’uomo viene infettato quando mordono la pelle del soggetto con le spirochete nella saliva o nel liquido coxale (escrezioni dell’acaro). È stata descritta anche la borreliosi congenita.

Sintomi, segni e complicanze Il periodo di incubazione va da 3 a 11 giorni (mediana 6 giorni). Brividi repentini segnano l’attacco e sono seguiti da febbre elevata, tachicardia, cefalea grave, vomito, dolori muscolari e articolari e spesso da delirio. Precocemente può comparire un’eruzione eritematosa maculare o purpurea al tronco e agli arti; possono essere presenti anche emorragie congiuntivali, sottocutanee o file:///F|/sito/merck/sez13/1571278.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.23

Malattie batteriche

sottomucose, oltre a una lieve leucocitosi polimorfonucleare. Più avanti nel decorso della febbre si verificano ittero, epatomegalia, splenomegalia, miocardite e insufficienza cardiaca, specialmente in casi di malattia da pidocchi. La febbre rimane alta per 3-5 giorni e poi scompare rapidamente per crisi, a indicare una svolta nella malattia. La durata della malattia va da 1 a 54 giorni (mediana 18 giorni). Il paziente è solitamente asintomatico per diversi giorni, fino a 1 sett. o più. La recidiva, da mettere in relazione con lo sviluppo ciclico dei parassiti, si verifica con un brusco ritorno della febbre e, spesso, dell’artralgia e degli altri sintomi e segni descritti. L’ittero è più frequente durante le recidive. La malattia scompare nuovamente, ma a intervalli di 1-2 sett. possono susseguirsi 2-10 episodi febbrili analoghi. Gli episodi diventano progressivamente meno gravi e la guarigione è possibile se il paziente sviluppa un’immunità. Le complicanze comprendono aborto, oftalmite, esacerbazione dell’asma ed eritema multiforme. Possono anche manifestarsi irite, iridociclite e interessamento del SNC.

Diagnosi e prognosi La diagnosi è suggerita dalla febbre ricorrente e viene confermata dalla comparsa delle spirochete nel sangue durante l’episodio febbrile. Le spirochete possono essere visualizzate mediante esame in campo oscuro o tramite colorazione di Giemsa o di Wright su goccia spessa e su striscio. (L’esame del sangue e dei tessuti con arancio di acridina è più sensibile degli strisci di sangue periferico colorati con Wright o con Giemsa.) Poiché gli acari si alimentano di notte, in modo saltuario e indolore, la maggior parte dei pazienti non presenta anamnesi positiva per morsi d’acaro ma può riferire un’esposizione notturna a caverne o rifugi rustici. Nelle infezioni da acari, l’iniezione intraperitoneale di sangue del paziente in un topo o in un ratto genera un grande numero di spirochete nel sangue prelevato dalla coda dell’animale entro 3-5 giorni. La diagnosi differenziale include artrite di Lyme, malaria, dengue, febbre gialla, leptospirosi, tifo, influenza e febbri enteriche. Il tasso di mortalità è generalmente dello 0-5%, ma può essere ben più alto nei bambini, nelle donne gravide, negli anziani, negli individui malnutriti o debilitati o durante epidemie di febbre da pidocchi.

Profilassi e terapia Le infezioni da acari sono invece più difficili da prevenire perché le misure di controllo degli insetti sono inadeguate, anche se possono essere utili nuovi repellenti contro gli acari, contenenti dietiltoluamide (deet) per la cute e permethrin per i vestiti (v. Febbre maculosa delle Montagne Rocciose nel Cap. 159). Negli USA i pidocchi del corpo sono poco frequenti e le febbri ricorrenti da pidocchi sono rare. Nella febbre da acari si somministra tetraciclina o eritromicina 500 mg PO q 6 h per 5-10 giorni; una singola dose orale di 500 mg di 1 dei 2 farmaci guarisce la febbre da pidocchi. Ugualmente efficace è la doxiciclina 100 mg PO bid per 510 giorni. L’eritromicina estolato si somministra ai bambini < 8 anni a dosi di 40 mg/ kg/die PO in 2-3 dosi frazionate. Quando il vomito o la gravità della malattia impediscono la somministrazione orale, la tetraciclina si può somministrare EV 1 o 2 volte/die (per i bambini > 8 anni 25-50 mg/kg/die in 4 dosi frazionate) disciogliendo 500 mg in 100 o 500 ml di soluzione fisiologica. La terapia va intrapresa o all’inizio della fase febbrile o durante lo stadio di apiressia, ma non va praticata verso la fine dell’episodio per il pericolo di una reazione di Jarisch-Herxheimer (v. in Sifilide nel Cap. 164) che occasionalmente file:///F|/sito/merck/sez13/1571278.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.23

Malattie batteriche

nelle infezioni da pidocchi risulta fatale. Nel caso in cui si verifichi una reazione devono essere disponibili personale e attrezzature adeguate. La gravità della reazione di Jarisch-Herxheimer nella febbre ricorrente da acari può essere ridotta somministrando paracetamolo 650 mg PO 2 h prima e 2 h dopo la prima dose di tetraciclina o di eritromicina. La disidratazione e lo squilibrio elettrolitico vanno corretti con somministrazioni parenterali di liquidi. Per alleviare la grave cefalea si può usare codeina (3060 mg PO q 4-6 h). Nausea e vomito possono essere trattati con 50-100 mg di dimenidrinato PO (oppure con 50 mg IM) q 4 h oppure con 5-10 mg di proclorperazina PO o IM da 1 a 4 volte/die. Se si presenta insufficienza cardiaca bisognerà praticare la terapia del caso (v. Cap. 203).

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

FEBBRE MACULOSA DELLE MONTAGNE ROCCIOSE (Febbre petecchiale; febbre da zecche; tifo da zecche) Malattia acuta febbrile provocata da Rickettsia rickettsii e trasmessa dalle zecche ixodidi, caratterizzata da febbre elevata, tosse e rash.

Sommario: Epidemiologia e anatomia patologica Sintomi e segni Prognosi e profilassi

Epidemiologia e anatomia patologica La febbre maculosa delle montagne rocciose è presente soltanto nell’emisfero occidentale. Riconosciuta inizialmente negli USA nelle regioni delle montagne rocciose, essa può verificarsi praticamente in tutti gli stati (tranne Maine, Hawaii e Alaska) negli USA specialmente negli stati della costa atlantica. Nell’uomo, l’infezione si manifesta soprattutto da maggio a settembre, quando le zecche adulte sono attive e le persone hanno maggiore probabilità di trovarsi in aree infettate dalle zecche. Negli stati meridionali, i casi si verificano invece nell’arco dell’intero anno. L’incidenza è elevata nei bambini al di sotto dei 15 anni e in altri soggetti che frequentino le aree infestate da zecche per lavoro o per diporto. Le zecche a guscio duro (famiglia delle Ixodidae) ospitano la R. rickettsii e le femmine infette trasmettono il germe alla loro progenie. Queste zecche e alcuni mammiferi ospiti sono i serbatoi naturali; gli animali forniscono loro il sangue di cui si nutrono. Il Dermacentor andersoni (la zecca del legno) è il principale vettore negli USA occidentali; il D. variabilis (zecca del cane) è il vettore negli USA orientali e meridionali. L’organismo è presente anche nei conigli e in altri piccoli mammiferi. La FMR probabilmente non può essere trasmessa direttamente da persona a persona nemmeno attraverso le particelle emesse con la tosse. I piccoli vasi sanguigni sono le sedi delle caratteristiche lesioni patologiche. Le rickettsie si propagano all’interno delle cellule endoteliali e i vasi possono essere bloccati producendo vasculite nella cute, nel tessuto sottocutaneo, nel SNC, nei polmoni, cuore, reni, fegato e milza. La coagulazione intravascolare disseminata si verifica spesso nei pazienti gravemente malati (v. Coagulazione intravascolare disseminata in Coagulopatie acquisite nel Cap. 131).

Sintomi e segni file:///F|/sito/merck/sez13/1591325b.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.24

Malattie da rickettsie

In circa il 70% dei pazienti è presente una storia di puntura di zecca. Il periodo di incubazione è di 7 gg in media, ma varia da 3 a 12 gg; più breve è il periodo di incubazione e più grave è l’infezione. L’esordio è improvviso con cefalea grave, brivido, prostrazione e dolori muscolari. La febbre sale a 39,5 o 40°C nell’arco di diversi gg e resta alta (per 15-20 gg nei casi gravi), sebbene possano aversi remissioni mattutine. Si manifesta anche una tosse fastidiosa e non produttiva. Tra il primo e il sesto giorno di febbre la maggior parte dei pazienti sviluppa un’eruzione su polsi, caviglie, palme delle mani, piante dei piedi e avambracci che si estende rapidamente al collo, al volto, alle ascelle, alle natiche e al tronco. Spesso l’acqua calda o impacchi con alcol fanno scomparire l’eruzione. Essa, inizialmente maculare e rosa, diviene col tempo maculopapulare e più scura. Le lesioni diventano petecchiali nell’arco di circa 4 gg e possono fondersi a formare ampie aree emorragiche che più tardi si ulcerano. I sintomi neurologici comprendono cefalea, inquietudine, insonnia, stato delirante e coma: tutti segni indicativi di encefalite. Nei casi gravi si ha ipotensione; può esserci epatomegalia, ma l’ittero è raro. Può verificarsi polmonite localizzata e, i pazienti non trattati, possono sviluppare polmonite, necrosi tissutale e insufficienza circolatoria con conseguenze gravi, come danni cerebrali e cardiaci. Nei casi fulminanti si hanno talvolta arresto cardiaco e morte improvvisa.

Prognosi e profilassi Il precoce avvio di una terapia antibiotica ha ridotto significativamente la mortalità da circa il 20 al 7%. Il trattamento precoce previene la maggior parte delle complicanze. Non è disponibile alcun vaccino efficace. Non sono disponibili mezzi pratici per liberare intere aree dalle zecche, ma è possibile ridurre le popolazioni di parassiti nelle aree endemiche controllando le popolazioni che parassitano i piccoli animali. Prevenire il contatto delle zecche con la cute include infilare i pantaloni negli stivali o nelle calze e indossare camicie con le maniche lunghe e applicare repellenti contenenti dal 25 al 40% di dietiltoluamide sulla superficie cutanea. Il permethrin, cosparso sui vestiti, respinge efficacemente le zecche, anche se sono state segnalate reazioni tossiche nei bambini. Bisognerà osservare una buona igiene personale, con frequente ricerca delle zecche, specialmente nei bambini. I parassiti congesti devono essere rimossi con cura e non schiacciati tra le dita per il pericolo di trasmissione. Una trazione graduale della testa con una piccola pinza è in grado di rimuovere la zecca. La sede di adesione andrà poi strofinata con alcol. In assenza di segni clinici, non devono essere assunti antibiotici immediatamente dopo una puntura di zecca in un’area riconosciuta come endemica. Occorre piuttosto avvertire il paziente o i genitori dei possibili segni clinici precoci della malattia. Qualora si manifestino febbre, cefalea e malessere generale con o senza eruzione cutanea, si dovrà iniziare prontamente una terapia antibiotica. Per diagnosi e terapia, v. Diagnosi differenziale delle malattie da rickettsie e Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

Sommario: Introduzione DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE MALATTIE DA RICKETTSIE TRATTAMENTO DELLE MALATTIE DA RICKETTSIE

Le rickettsiosi comprendono quattro gruppi: tifo, tifo epidemico, malattia di BrillZinsser, tifo murino (endemico) e tsutsugamushi; febbre petecchiale, febbre delle montagne rocciose, rickettsiosi da zecche dell’est e rickettsiosi vescicolare; febbre Q e febbre delle trincee. La Ehrlichiosi è causata da Ehrlichia, un batterio simile alla rickettsia trasmesso all’uomo dalle zecche. La maggior parte dei membri dell’ordine delle Rickettsiacee è costituita da coccobacilli pleiomorfi intracellulari obbligati. Essi sono veri batteri, poiché hanno enzimi metabolici e parete cellulare, utilizzano l’O2 e sono sensibili agli antibiotici sebbene abbiano bisogno di cellule vive per crescere. La maggior parte delle Rickettsie si presenta in natura con un ciclo vitale che implica un serbatoio animale e un insetto vettore (solitamente un artropode) che infetta l’uomo. Poiché molte delle rickettsie sono localizzate in particolari aree geografiche, sapere dove il paziente viva o si sia recato di recente in viaggio aiuta spesso nella diagnosi. Alcune rickettsie si moltiplicano nella sede di adesione di un artropode e provocano una lesione locale (escara). Le rickettsie penetrano nella cute o nelle mucose e si moltiplicano nelle cellule endoteliali dei piccoli vasi sanguigni, provocando una vasculite che consiste in proliferazione endoteliale, infiltrazione perivascolare e trombosi. L’endovasculite causa il rash, segni encefalitici e gangrena della cute e dei tessuti.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE MALATTIE DA RICKETTSIE La distinzione delle rickettsiosi dalle altre malattie acute è difficile durante i primissimi giorni, prima della comparsa dell’eruzione cutanea. Un’anamnesi di infestazione da pidocchi o da pulci o di morsi di zecche in aree note per endemia di rickettsiosi costituisce un elemento assai utile. Per ogni paziente gravemente ammalato che viva all’interno o in prossimità di un’area boschiva e abbia una febbre inspiegata, cefalea e prostrazione, con o senza una storia di contatto con zecche, si deve pensare a un’eventuale febbre maculosa delle montagne rocciose (FMR). Nella meningococcemia l’eruzione cutanea può essere rosa, maculare, maculopapulare o petecchiale nella forma subacuta e petecchiale confluente o ecchimotica nella forma fulminante; assomiglia alla FMR o al tifo epidemico. L’eruzione meningococcica si sviluppa rapidamente nella malattia acuta e, quando ecchimotica, è solitamente dolente alla palpazione; l’eruzione da file:///F|/sito/merck/sez13/1591321.html (1 of 4)02/09/2004 2.10.25

Malattie da rickettsie

rickettsie compare di solito al 4o giorno febbrile e diviene petecchiale gradualmente, nell’arco di diversi giorni. Nel morbillo l’eruzione inizia al volto, si diffonde al tronco e alle braccia e diviene rapidamente confluente. La FMR può essere perciò confusa con la rosolia. Nella rosolia di solito l’eruzione rimane non confluente. Il rigonfiamento dei linfonodi retro-auricolari e la mancanza di tossicità rivelano la presenza di rosolia. Nel tifo murino la malattia è più lieve della FMR o del tifo epidemico, con un’eruzione non purpurea, non confluente e meno estesa, complicanze renali e vascolari sono rare. La distinzione tra FMR e tifo murino può tuttavia risultare difficile e possono essere necessari i risultati di reazioni sierologiche specifiche. La terapia non deve essere rimandata in attesa di tale distinzione. Il tifo epidemico da pidocchi provoca tutte le profonde anomalie fisiologiche e patologiche della FMR, compresi collasso vascolare periferico, shock, cianosi, necrosi cutanea ecchimotica, gangrena digitale, iperazotemia, insufficienza renale, stato delirante e coma. L’eruzione del tifo epidemico compare solitamente prima alle pieghe ascellari e al tronco, successivamente si diffonde alla periferia e di rado interessa anche le palme delle mani, le piante dei piedi e il volto. Escare locali si presentano in pazienti con tsutsugamushi, rickettsiosi vescicolare e, talvolta, con febbri maculari. La distinzione si fa spesso in base alla storia epidemiologica. L’eruzione nella rickettsiosi varicelliforme è di tipo vescicolare; nel tifo da zecche è spesso chiaramente maculopapulare. Nella febbre Q l’eruzione cutanea è poco frequente, mentre nella febbre delle trincee è piuttosto rada. Nella tularemia ulceroghiandolare (associata con un’escara) e in altre forme di tularemia non c’è esantema. Va inoltre considerata la malattia di Lyme, nella quale si osserva spesso il caratteristico eritema cronico migrante. La rickettsiosi è una malattia lieve, si verifica abitualmente un’escara iniziale nel punto di attacco dell’acaro e l’eruzione, sotto forma di vescicole che circondano l’eritema, è rada. Poiché simili lesioni orali si verificano nella varicella, questa deve essere esclusa. I pazienti con tsutsugamushi presentano tutte le manifestazioni cliniche e patologiche della FMR e del tifo epidemico; tuttavia, lo tsutsugamushi si presenta in diverse aree geografiche in particolare in Malesia e nella Tailandia settentrionale; è spesso presente un’escara con adenopatia periferica. Test di laboratorio: la diagnosi è confermata da test sierologici e dall’identificazione di Rickettsia rickettsii nel sangue o nei tessuti e dall’identificazione dell’agente nella cute o negli altri tessuti mediante immunofluorescenza, in particolare nella FMR. Per essere utili, i test sierologici richiedono tre campioni di siero, prelevati durante la 1a, la 2a e dalla 4a alla 6a sett. di malattia. La reazione a catena della polimerasi è utile per l’identificazione precoce di specifici acidi nucleici delle rickettsie. Reazione di fissazione del complemento: quadri sierologici della FMR e del tifo sono evidenti negli specifici antigeni delle rickettsie. Le rickettsie della febbre maculare e delle altre malattie del gruppo del tifo possiedono due tipi di antigeni di fissazione del complemento (FC); la frazione solubile è comune a tutti i membri del gruppo, mentre frazioni purificate sono più specifiche per le singole rickettsie. Varie febbri maculari (p. es., la febbre maculosa delle montagne rocciose, la rickettsiosi vescicolare, la febbre bottonosa, la rickettsiosi da zecche nordasiatiche, il tifo da zecche del Queensland) si possono distinguere per tipo specifico mediante antigeni rickettsiali lavati. Gli anticorpi che si sviluppano in risposta a un’infezione primaria di FMR e di tifo sono abitualmente del tipo IgM. Anticorpi FC compaiono nei pazienti durante la 2a e la 3a sett. di queste malattie e più tardi in quelle trattate con antibiotici nei primi 3-5 gg di affezione. In queste circostanze, bisognerà prelevare un campione di siero in convalescenza più tardivo, a 4-6 sett. Nella malattia di Brill-Zinsser gli Ac del tipo 7S compaiono rapidamente dopo diversi giorni di malattia. Gli Ag della febbre Q sono di particolare importanza diagnostica. Nelle infezioni acute compaiono Ac per gli Ag della fase 2; mentre Ac contro la fase I indicano infezione cronica (p. es., epatite

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Malattie da rickettsie

o endocardite). Altri esami sierologici: usando preparazioni antigeniche più pure, altri test sierologici contro le rickettsiosi possono non solo distinguere tra le singole infezioni specifiche, ma anche aiutare a determinare il tipo di immunoglobulina nelle malattie acute (IgM) e nelle malattie tardive o ricorrenti (IgG), come la malattia di Brill-Zinsser. I test di Weil-Felix e di FC sono utili per la diagnosi di routine; l’agglutinazione microscopica, gli Ac fluorescenti indiretti (AFI) e l’emoagglutinazione sono metodiche utili per l’identificazione e stanno diventando procedure standard. I test di immunofluorescenza e di FC aiutano a confermare la diagnosi di febbre delle trincee. La R. akari ha Ag in comune con altri membri del gruppo del tifo petecchiale, ma può essere distinta mediante dimostrazione di un titolo di Ac specifici FC in aumento. La R. conori, la R. sibirica e la R. australis hanno un antigene in comune con la R. rickettsii e la R. akari ma se ne distinguono mediante test di neutralizzazione di tossine di topo e mediante FC oltre che con test di immunità crociata nei porcellini d’India. Le tecniche di immunofluorescenza sono state usate per ricercare R. rickettsi e R. prowazekii in tessuti di embrione di pollo, di porcellini d’India e nelle zecche vettrici. Le rickettsie identificabili sono state osservate in lesioni cutanee di pazienti con FMR, al più presto al quarto e al più tardi al decimo giorno di malattia. Le rickettsie si possono colorare con tecniche di immunofluorescenza in tessuti fissati in formalina. Isolamento e identificazione: l’isolamento di una rickettsia è raramente necessario eccetto che per ragioni epidemiologiche. Quando si tenta l’isolamento del germe bisogna prelevare il sangue precocemente in pazienti febbrili con febbre maculare o altre forme di tifo, prima di iniziare il trattamento con antibiotici. L’isolamento della rickettsia causale tramite inoculazione in porcellini d’India, topi o sacco vitellino embrionale è stato generalmente rimpiazzato con varie tecniche di colture tissutali.

TRATTAMENTO DELLE MALATTIE DA RICKETTSIE Tutte le rickettsiosi richiedono la chemioterapia specifica e le terapie collaterali. Sono qui riportate le misure consigliabili per tutte le infezioni; le variazioni sono descritte oltre per ehrlichiosi, rickettsiosi varicelliforme, febbre Q e febbre delle trincee. Se la terapia è intrapresa subito, al primo comparire dell’eruzione, si ha un pronto regresso di segni e sintomi. Poiché pazienti con FMR non trattata possono giungere in punto di morte o morire prima che i dati sierologici definitivi siano disponibili, bisogna avviare la terapia non appena si formuli la diagnosi di presunzione. Un miglioramento clinico evidente si nota per solito entro 36-48 h, con defervescenza in 2-3 gg. Nello tsutsugamushi la risposta è anche più vistosa. Tetracicline e cloramfenicolo sono particolarmente efficaci, ma sono rickettsiostatici, non rickettsicidi. I protocolli ottimali comprendono una dose orale iniziale di tetraciclina 25 mg/kg o di cloramfenicolo 50 mg/kg. La stessa dose si somministra poi quotidianamente, suddivisa in parti uguali assunte a 6-8 h di intervallo, finché il paziente non migliori e non rimanga apiretico per circa 24 h. Nei pazienti che siano troppo gravi per assumere farmaci orali si usano preparati EV. Nei pazienti in cui la terapia viene cominciata tardi, il miglioramento è più lento e la febbre è di durata maggiore. Pazienti gravemente malati con una patologia da rickettsie del tifo e febbre maculosa hanno spesso collasso circolatorio, oliguria, anuria, iperazotemia, anemia, iponatriemia, ipocloremia, edema e coma. Nei pazienti con malattia lieve o modica tali alterazioni sono assenti, il che rende la terapia notevolmente meno complicata. I soggetti in condizioni critiche, che abbiano avuto la prima visita in una fase avanzata di malattia, possono assumere dosi elevate di corticosteroidi assieme agli antibiotici specifici per circa 3 gg.

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Malattie da rickettsie

I pazienti gravemente affetti da FMR e da tifo epidemico possono presentare un marcato aumento della permeabilità capillare negli stadi avanzati; bisogna somministrare liquidi EV con attenzione, per evitare il peggioramento dell’edema polmonare e cerebrale. L’eparina non viene raccomandata per i pazienti con coagulazione intravascolare disseminata. (V. anche Cap. 131 e 156.)

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE MALATTIE PROVOCATE DA SPIROCHETE (V. anche Sifilide al Cap. 164.) FEBBRE DA MORSO DI RATTO

Sommario: Introduzione FEBBRE STREPTOBACILLARE DEL MORSO DI RATTO FEBBRE SPIRILLARE DA MORSO DI RATTO

La febbre del morso di ratto viene trasmessa all’uomo in oltre il 10% delle morsicature da ratto. Tuttavia, in alcuni casi microbiologicamente dimostrati può non esserci una storia di morso di ratto. Sia le forme streptobacillari che quelle spirillari colpiscono principalmente gli abitanti delle regioni urbane affollate e il personale dei laboratori di analisi. La forma streptobacillare è la più frequente.

FEBBRE STREPTOBACILLARE DEL MORSO DI RATTO Febbre da morso di ratto provocata dal bacillo pleiomorfico Streptobacillus moniliformis. Lo S. moniliformis è presente nell’orofaringe di ratti sani. Epidemie sono state associate all’ingestione di latte non pastorizzato contaminato da S. moniliformis (febbre di Haverhill), ma l’infezione è abitualmente conseguenza del morso di un ratto o di un topo selvatici; sono stati sospettati anche le donnole e altri roditori. La ferita primaria guarisce prontamente, ma dopo il periodo di incubazione di 122 gg (solitamente < 10) si manifesta improvvisamente una sindrome simil-virale con brividi, febbre, vomito, cefalea e dolore alla schiena e alle articolazioni. Nella maggior parte dei pazienti compare in circa 3 gg, un’eruzione petecchiale morbilliforme alle mani e ai piedi. La poliartralgia o l’artrite, che spesso interessano asimmetricamente le grosse articolazioni, in molti pazienti si manifestano entro 1 settimana e in mancanza di terapia possono permanere per diversi giorni o mesi. La EB e gli ascessi cerebrali o di altri tessuti sono complicanze rare, ma gravi. Alcuni pazienti hanno un versamento pericardico e liquido amniotico infetti. La diagnosi viene confermata dall’isolamento del microrganismo dal sangue o dal liquido articolare. Durante la 2a o la 3a sett. si rinvengono agglutinine dosabili che sono importanti dal punto di vista diagnostico, se il loro titolo aumenta. La conta dei GB va da 6000 a 30000/µl. Anche se la forma streptobacillare si distingue abitualmente su base clinica dalla forma spirillare, può essere confusa con la febbre delle montagne rocciose, con l’infezione da virus coxsachie B e con la meningococcemia. La terapia consiste in procaina penicillina G 1,2 milioni U/die IM o in penicillina V

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Malattie batteriche

2 g/die PO per 7-10 gg. Nei pazienti allergici alla penicillina può essere utilizzata eritromicina 2 g/die PO.

FEBBRE SPIRILLARE DA MORSO DI RATTO (Sodoku) Febbre da morso di ratto provocata dallo Spirillum minus. L’infezione da S. minus si acquisisce col morso di un ratto o, talvolta, di un topo. La ferita di regola guarisce prontamente ma nella sede del morso, dopo un periodo di incubazione di 4-28 gg (solitamente > 10), ricompare l’infiammazione accompagnata da febbre ricorrente e da linfoadenite regionale. Talvolta si presenta un’eruzione roseolo-orticarioide, ma meno evidente dell’eruzione streptobacillare. La febbre è frequentemente accompagnata da sintomi sistemici, l’artrite è però rara. La diagnosi si formula in base alla dimostrazione dello spirillo negli strisci di sangue o nelle biopsie tissutali dalle lesioni o dai linfonodi oppure mediante colorazione di Giemsa o esame in campo oscuro del sangue di topi inoculati. La conta dei GB va da 5000 a 30000/µl. Nella metà dei pazienti si ha una falsa positività del test VDRL. La malattia può facilmente essere confusa con la malaria, la menigococcemia o con l’infezione da Borrelia recurrentis, tutte caratterizzate da febbre ricorrente. L’artrite è rara, ma nei pazienti non trattati si ripresentano cicli febbrili di 2-4 gg per 4-8 sett., con rari casi in cui gli episodi febbrili si ripresentano per oltre un anno. La terapia è costituita da procaina penicillina G (1,2 milioni U/die) IM o penicillina V 500 mg PO qid. Nei pazienti allergici alla penicillina può essere utilizzata tetraciclina 500 mg PO qid. La durata del trattamento deve essere di 14 giorni; se è presente endocardite è necessario un corso terapeutico più lungo e si deve iniziare con una terapia parenterale.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA MICOBATTERI ALTRE INFEZIONI DA MICOBATTERI SIMILI ALLA TUBERCOLOSI

Sommario: Introduzione MALATTIA POLMONARE LINFADENITE MALATTIA CUTANEA FERITE E INFEZIONI DA CORPI ESTRANEI

I micobatteri diversi dal bacillo tubercolare possono causare infezioni nell’uomo. Questi microrganismi si rinvengono comunemente nell’ambiente (terrestre e acquatico) e l’esposizione a essi è molto più frequente di quanto non sia lo sviluppo della malattia. Siccome tutti questi microrganismi sono meno virulenti del M. tuberculosis, perché si sviluppi la malattia è necessario che vi sia una deficienza locale o sistemica delle difese dell’ospite. Il M. avium complex (MAC), vale a dire le specie strettamente correlate di M. Avium e di M. Intracellulare, è responsabile della maggior parte di queste malattie. Altre specie degne di nota sono M. kansasii, M. xenopi, M. marinum, M. ulcerans e il complesso M. fortuitum (M. fortuitum e M. chelonei). I polmoni rappresentano il sito più comune di infezione, con casi occasionali che interessano i linfonodi, le ossa e le articolazioni, la cute e le ferite. Tuttavia, la malattia disseminata da MAC sta emergendo come importante causa di patologia nei pazienti con AIDS e la resistenza ai farmaci antitubercolari è la regola (eccetto nel M. kansasii e nel M. xenopi). La trasmissione interpersonale è rara ma può verificarsi negli ospiti immunocompromessi.

MALATTIA POLMONARE La maggior parte delle infezioni polmonari è provocata dal MAC, ma alcune sono dovute a M. kansasii, M. xenopi e al complesso M. fortuitum. Il paziente tipico è un uomo caucasico, di mezza età, con precedenti problemi polmonari quali bronchite cronica, enfisema, TBC guarita, bronchiettasie o silicosi. Tosse ed espettorazione sono frequenti, ma i sintomi sistemici sono rari. Il decorso può essere lentamente progressivo o può essere stazionario per un lungo periodo; emottisi persistente e sviluppo di insufficienza respiratoria sono complicanze rilevanti. Le caratteristiche radiografiche sono simili a quelle della TBC polmonare, ma la cavitazione tende a essere a pareti sottili e il versamento pleurico è raro. Nei casi più lievi può essere sufficiente la sola osservazione. In caso di malattia sintomatica moderatamente avanzata, con positività degli espettorati e delle colture, deve essere proposto un regime comprendente tre farmaci (claritromicina, rifampicina ed etambutolo). Nei casi gravi progressivi, che non rispondano alla terapia farmacologica standard, si possono provare combinazioni di quattro-sei farmaci che includano: rifabutina (300 mg/die PO), ciprofloxacina (500-1000 mg/ die), clofazimina (100-200 mg/die) e amikacina (10-15 mg/kg/die). file:///F|/sito/merck/sez13/1571298.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.27

Malattie batteriche

La resezione chirurgica viene raccomandata nel caso eccezionale di una malattia ben localizzata in un paziente giovane o comunque sano. Le infezioni da M. kansasii e M. xenopi rispondono ai protocolli standard della TBC, ma bisogna includere anche la rifampicina e la claritromicina. Siccome i microrganismi sono solitamente resistenti a tutti i farmaci somministrati in monoterapia, l’antibiogramma ha un valore alquanto limitato. La determinazione della sensibilità a combinazioni di farmaci può essere utile ma può essere ottenuta soltanto nei laboratori ad alta specializzazione.

LINFADENITE Nei bambini da 1 a 5 anni, la linfadenite cronica cervicale sub-mascellare e submandibolare è comunemente dovuta al MAC o al M kansasii. La via di trasmissione è presumibilmente l’ingestione orale. La diagnosi viene usualmente stabilita con la biopsia. Per evitare la formazione di fistole e di cicatrici permanenti deve essere somministrata terapia con claritromicina, rifampicina ed etambutolo.

MALATTIA CUTANEA Il granuloma delle piscine è una malattia superficiale granulomatosa ulcerante prolungata ma che guarisce spontaneamente, spesso causata dal M. marinum contratto in piscine contaminate e occasionalmente dalla pulizia degli acquari domestici. Occasionalmente sono implicati il M. ulcerans e il M. kansasii. La guarigione può avvenire in modo spontaneo, ma le tetracicline (1-2 g/ die) e una combinazione di claritromicina, rifampicina ed etambutolo per 3-6 mesi hanno dato buoni risultati contro il M. marinum.

FERITE E INFEZIONI DA CORPI ESTRANEI Il complesso M. fortuitum è stato riconosciuto responsabile di molti gravi casi di ferite penetranti della cute (specialmente dei piedi), degli occhi e di materiali contaminati (valvole cardiache porcine, protesi mammarie, cera ossea). Il trattamento prevede abitualmente la pulizia estensiva e la rimozione del materiale estraneo. I farmaci utili comprendono la claritromicina, il sulfametoxazolo (50 mg/kg/die), la doxiciclina (200-400 mg/die), la cefoxitina (200 mg/kg/die) e l’amikacina (10-15 mg/kg/die) per periodi di 3-6 mesi. Una malattia disseminata dovuta a MAC è frequente nei pazienti affetti da AIDS e si riscontra occasionalmente in altre condizioni di immunosoppressione, inclusi il trapianto di organi e la leucemia a cellule capellute. Nella AIDS, la malattia è di solito una manifestazione tardiva che si presenta associata ad altre infezioni opportunistiche. Questo tipo di presentazione è distinto da quello della TBC nella AIDS, che è frequentemente una patologia precoce dell’infezione che permette di porre diagnosi di AIDS quando i CD4 sono > 200/µl. Una malattia disseminata da MAC è caratterizzata da febbre, anemia, trombocitopenia, diarrea e dolore addominale, sintomi simili al morbo di Whipple. La diagnosi può essere prontamente confermata dalle colture di sangue, di midollo osseo o dalla biopsia di piccoli campioni di intestino. I campioni fecali e respiratori possono ugualmente rivelare i microrganismi, ma queste fonti possono indicare la colonizzazione piuttosto che identificare la vera malattia. L’uso di associazioni di farmaci antimicrobici (v. Tubercolosi polmonare, sopra) hanno ridotto la batteriemia e diminuito temporaneamente i sintomi, ma nessun protocollo si è rivelato veramente efficace e la malattia presenta una prognosi grave.

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Malattie batteriche

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Malattie batteriche

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 157. MALATTIE BATTERICHE CAUSATE DA MICOBATTERI LEBBRA (Morbo di Hansen) Malattia infettiva cronica causata dal bacillo acido-resistente Mycobacterium leprae, che ha tropismo esclusivamente per i nervi periferici, la cute e le membrane mucose.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e patogenesi Forme cliniche Stati reattivi Complicanze Diagnosi ed esami di laboratorio Profilassi e terapia

Eziologia, epidemiologia e patogenesi Il M. leprae è un parassita intracellulare obbligato responsabile nel mondo di lebbra in oltre 10 milioni di persone. Anche se la maggior parte dei casi si verifica in Asia, la prevalenza più alta di lebbra si riscontra in Africa. Focolai endemici sono presenti anche in Messico, in America latina e nelle isole del Pacifico. Quasi tutti i 5000 casi stimati negli USA riguardano immigrati da paesi in via di sviluppo che si sono stabiliti in California, nelle Hawaii e in Texas. La forma lepromatosa grave è più comune negli uomini che nelle donne. La lebbra può presentarsi ad ogni età, anche se la maggior parte degli esordi si verifica nel secondo e terzo decennio di vita. Fino a poco tempo fa l’uomo era considerato l’unico serbatoio naturale del M. leprae, in realtà la malattia è stata rinvenuta nel 15% degli armadilli selvatici in Lousiana e in Texas e anche i primati sub-umani possono occasionalmente ospitare il microrganismo. Il M. leprae può anche essere presente nel suolo. Non cresce su terreni artificiali ma si moltiplica se viene iniettato nelle zampe dei topi. La trasmissione del M. leprae non è del tutto nota. Tuttavia circa il 50% dei pazienti ha un’anamnesi di contatti stretti con persone infette, di solito conviventi. I pazienti lepromatosi non trattati ospitano numerosi bacilli di M. leprae nella mucosa nasale e nelle secrezioni e si ritiene che il microrganismo venga trasmesso dalle goccioline emesse dal naso. La forma più lieve, la lebbra tubercoloide, viene generalmente considerata non contagiosa. Tuttavia il suolo infetto e gli insetti vettori (p. es., cimici e zanzare) possono avere un ruolo nella trasmissione. Il periodo di incubazione va da 1 a 2 anni, in media 5-7 anni e può essere 40 anni. Il M. leprae cresce lentamente (tempo di raddoppio 2 sett.). Prima che compaiano i sintomi e segni clinici, un paziente lepromatoso porta con sé un enorme numero di microrganismi, superiore di molti ordini di grandezza rispetto a qualunque altra malattia batterica.

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Malattie batteriche

Forme cliniche La maggior parte delle persone che sono state esposte al M. leprae non si ammalano. Tuttavia spesso sviluppano anticorpi sierici e risposte di immunità cellulare nei confronti del M. leprae. In coloro che sviluppano la malattia, le manifestazioni cliniche e la gravità variano ampiamente. La lebbra tubercoloide (LT) è a un polo dello spettro evolutivo. I pazienti presentano una o più macchie ipopigmentate e di iposensibilità, a contorni ben definiti, pochi o nessun M. leprae e linfociti in circolo che riconoscono il M. leprae. Il rash, come in tutte le forme di lebbra, non dà prurito. I nervi periferici possono venire danneggiati o ipertrofizzati, sono generalmente asimmetrici e il più delle volte sono contigui alle lesioni cutanee. La lebbra lepromatosa (LL) è all’altro polo dello spettro. Questi pazienti presentano noduli cutanei simmetrici o placche ripiene di M. leprae e spesso hanno una neuropatia periferica distale; essi non hanno difese immunitarie contro il M. leprae. Possono perdere ciglia e sopracciglia. Nel Messico occidentale e in altre zone dell’America latina, i pazienti affetti da LL, possono presentare infiltrazione dermica diffusa con perdita di peli e di altre appendici cutanee ma senza noduli cutanei visibili, condizione definita lepromatosi diffusa o lebbra bonita. I pazienti lepromatosi possono sviluppare un eritema nodoso lebbroso mentre quelli affetti da lepromatosi diffusa possono sviluppare il fenomeno di Lucio, una grave reazione associata a ulcere (in particolare delle gambe) che spesso diventano infette, provocando batteriemia e il decesso. La lebbra borderline è nel mezzo dello spettro. Questo tipo è instabile e può diventare più simile alla lebbra lepromatosa o può subire una reazione inversa, portandosi verso la forma tubercoloide.

Stati reattivi Gli stati reattivi sono eventi di tipo immunologico che provocano sintomi e segni di infiammazione. Reazioni della lebbra di tipo 1: i pazienti affetti da lebbra borderline possono sviluppare un’infiammazione su lesioni preesistenti, nuove zone di infiammazione cutanea, una neurite (dolorosa, che interessa i nervi ulnari e perineali) ed eventualmente febbre. Se la reazione si verifica prima della terapia, viene chiamata reazione di evoluzione verso l’estremità LL dello spettro; se si verifica durante la terapia, reazione di evoluzione verso il polo LT. Entrambe sono associate rispettivamente a una modifica dell’immunità cellulare e un corrispondente spostamento verso la lebbra lepromatosa o tubercoloide. Nelle reazioni di evoluzione verso il polo LT, l’infiltrazione dermica delle cellule T helper si accresce significativamente, con associato un aumento delle secrezioni di citochine locali, specialmente dell’interferone-γ. Se i pazienti non vengono trattati precocemente le reazioni di evoluzione verso il polo LT che interessano i nervi possono portare a una perdita irreversibile della capacità motoria e della sensibilità. L’unico trattamento efficace è l’aggiunta di corticosteroidi ai farmaci antimicrobici usati. Prednisone, a dosi di attacco di 4060 mg/die PO, che deve essere continuato per alcuni mesi, spesso a bassi dosaggi di mantenimento (10-15 mg/ die). I corticosteroidi non devono in genere essere iniziati se non in presenza di neurite, di un’infiammazione cutanea che può diventare ulcerata o di coinvolgimento di zone esteticamente importanti. Le infiammazioni cutanee minori non devono essere trattate. Reazioni della lebbra di tipo 2: circa la metà dei pazienti con lebbra lepromatosa, nei primi anni di terapia antibiotica efficace, sviluppa un eritema nodoso leproso (ENL). Questa reazione può verificarsi spontaneamente prima file:///F|/sito/merck/sez13/1571299.html (2 of 5)02/09/2004 2.10.28

Malattie batteriche

della terapia, permettendo la diagnosi, oppure può verificarsi fino a 10 anni dopo la terapia, quando i pazienti presentano reazioni negative degli strisci cutanei . L’ENL è caratterizzato da papule o da noduli sottocutanei eritematosi e dolorosi che possono formare pustole o ulcerarsi, febbre, neurite, linfadenite, orchite, artrite (particolarmente nelle grandi articolazioni, solitamente le ginocchia) e glomerulonefrite. Istologicamente sembra trattarsi di una vasculite polimorfonucleare o una pannicolite e si ritiene che sia dovuta a complessi immuni in circolo o a eventi associati all’aumento della funzione delle cellule T helper. I livelli del fattore di necrosi tumorale circolante aumentano. Per la distruzione dei GR o per la soppressione del midollo osseo può verificarsi un’anemia oppure un’infiammazione epatica con leggere anomalie nei test di funzionalità del fegato. Gli episodi primari e secondari dell’ENL possono essere trattati, se leggeri, con aspirina o, se significativi, con brevi periodi (1 sett.) di prednisone 40-60 mg/die, in aggiunta ai farmaci antimicrobici. Per i casi ricorrenti il farmaco di scelta è la talidomide a dosi di 100-400 mg/die PO. Tuttavia, a causa dei suoi effetti teratogeni, negli USA non può essere prescritta alle donne che possono essere in gravidanza. Gli effetti collaterali sono una leggera costipazione, una modesta leucopenia oppure effetti sedativi.

Complicanze La maggior parte delle complicanze della lebbra è dovuta all’interessamento dei nervi periferici conseguente sia all’infezione che alla conseguente risposta infiammatoria o alla neurite associata alle reazioni. Possono essere coinvolti i tronchi nervosi e i microscopici nervi dermici. Il nervo ulnare, al livello del gomito, è il tronco nervoso interessato più comunemente e nei casi gravi determina un’ipoestesia distale e la retrazione del 4o e 5o dito. Il coinvolgimento di altri nervi periferici può riguardare i nervi perineali, mediani, il ramo zigomatico dei nervi facciali e i nervi auricolari posteriori. Sono particolarmente colpite le piccole fibre nervose che rispondono alle sollecitazioni del caldo e del freddo, del tatto e del dolore, mentre vengono risparmiate le fibre più grandi responsabili delle sensazioni di posizione e di vibrazione. Interventi sui tendini possono correggere le incapacità funzionali degli arti e il lagoftalmo ma non devono essere praticati fino a 6 mesi dall’inizio della terapia o di una reazione significativa, soprattutto in ogni zona innervata da uno stesso ramo interessato. Le ulcere plantari con un’infezione secondaria sono la causa principale di morbilità e devono essere trattate con il curettage e un trattamento antibiotico appropriato. Il paziente deve indossare un’ingessatura a contatto totale che permetta la deambulazione o deve evitare di portare pesi. Per prevenire le recidive le callosità devono essere limate e si devono prescrivere ai pazienti calzature molto larghe (che non facciano attrito contro il piede). Gli occhi possono essere colpiti gravemente. Nei pazienti lepromatosi i microrganismi possono invadere la camera anteriore; l’ENL può provocare irite, portando al glaucoma. L’insensibilità corneale e il coinvolgimento del ramo zigomatico dei nervi facciali (che provoca il lagoftalmo) può portare a un trauma corneale, cicatrici e cecità. I pazienti con coinvolgimento corneale devono usare regolarmente colliri lubrificanti. Nei pazienti lepromatosi sono colpite la mucosa e la cartilagine nasale; i pazienti non trattati spesso accusano una congestione nasale cronica e, a volte, epistassi. Se la malattia progredisce in assenza di trattamento si possono verificare, benché raramente, la perforazione e il collasso della cartilagine. Nei maschi lepromatosi si arriva all’impotenza come risultato dell’abbassamento dei livelli di testosterone sierico e dell’innalzamento degli ormoni follicolostimolanti e del fattore di liberazione delle gonadotropine e si può inoltre avere ipospermia, aspermia e sterilità. L’impotenza può essere migliorata con iniezioni file:///F|/sito/merck/sez13/1571299.html (3 of 5)02/09/2004 2.10.28

Malattie batteriche

mensili di enantato di testosterone 200 mg IM o con la libera applicazione bid sullo scroto di una crema al 5% di testosterone su una base idrofila. L’amiloidosi e la conseguente insufficienza renale si verificano occasionalmente nella lebbra lepromatosa associate a grave ENL ricorrente.

Diagnosi ed esami di laboratorio La diagnosi è suggerita dal quadro clinico, per le notevoli lesioni cutanee croniche, e confermata dalla biopsia. I campioni bioptici devono essere prelevati dal fronte di avanzamento delle lesioni tubercoloidi poiché la pelle apparentemente normale presenta comunque modificazioni patologiche. Nei pazienti lepromatosi i campioni devono essere prelevati dai noduli o dalle placche, sebbene si possano rinvenire modificazioni patologiche anche nella pelle apparentemente normale. Le biopsie cutanee ottenute dai pazienti lepromatosi mostrano all’esame istologico macrofagi altamente vacuolati (cellule spumose), pochi linfociti e numerosi bacilli alcol acido resistenti (BAAR), spesso in ammassi. Queste cellule persistono anche dopo anni di terapia, quando non sono più presenti i BAAR. Al contrario, le biopsie dei pazienti con la forma tubercoloide contengono granulomi formati da linfociti, cellule epitelioidi e cellule giganti da corpo estraneo che presentano una preferenza per le appendici dermiche, specialmente nervose. Talvolta i pazienti affetti dalla forma tubercoloide presentano solo un’infiammazione cronica non specifica, consistente in un’infiltrazione cutanea linfocitaria disseminata. Una lesione del nervo periferico può anche verificarsi nella sarcoidosi che interessi la cute, ma una reale invasione del nervo che risulti in degenerazione assonica e a volte in necrosi caseosa è patognomonica della lebbra. Gli Ac di tipo IgM sierici contro un Ag fenolico glicolipidico del M. leprae sono specifici contro questi bacilli. I pazienti lepromatosi hanno quasi sempre gli Ac, che sono presenti altresì solo nei 2/ 3 dei pazienti con lebbra tubercoloide. Nelle aree di endemia tali Ac sono spesso presenti in persone infette ma non malate. Pertanto risulta limitata, nella diagnosi della lebbra, l’utilità degli Ac contro l’Ag fenolico glicolipidico. Essi possono tuttavia essere utili nel controllo dell’attività della malattia, dato che i livelli anticorpali diminuiscono con una terapia efficace e possono salire in casi di recidiva. Per i test cutanei è disponibile la lepromina (M. leprae ucciso dal calore). Tuttavia, dato che i pazienti lepromatosi presentano delle reazioni negative e quelli con la forma tubercoloide e alcuni individui non malati presentano reazioni positive, la lepromina non è diagnosticamente utile.

Profilassi e terapia La profilassi con il vaccino BCG o con il dapsone si è dimostrata efficace solo marginalmente e non viene raccomandata. Con il trattamento le conseguenze mediche sono spesso di modesta entità ma le deformità causate dalla lebbra sono socialmente stigmatizzanti; i pazienti e le loro famiglie sono spesso emarginati. Il trattamento della forma lepromatosa richiede protocolli più intensivi e una durata maggiore di quella prevista per la forma tubercoloide. Per quanto la terapia antimicrobica sia efficace, il regime ottimale rimane incerto. Per entrambe le forme di lebbra il dapsone (4,4_-diaminodifenilsulfone [DDS]) a dosi di 50-100 mg/die PO (per gli adulti) costituisce la terapia di riferimento. Il dosaggio suggerito per i bambini è di 25 mg 3 volte/sett. per le età da 2 a 6 anni, 25 mg/die per le età da 7 a 12 anni, e 50 mg/die per le età da 13 a 18 anni. Gli effetti collaterali comprendono emolisi e anemia franca (generalmente lieve), dermatosi allergiche che possono essere gravi e, raramente, una sindrome che comprende una dermatite esfoliativa, febbre alta e una linfomonocitosi relativa

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Malattie batteriche

tipo mononucleosi (la "sindrome da sulfone"). La rifampicina è soprattutto battericida per il M. leprae. È tuttavia troppo costosa per molti paesi in via di sviluppo se somministrata alle dosi raccomandate di 600 mg/die PO. Gli effetti collaterali comprendono epatotossicicità, sindrome simil-influenzale e, in casi rari, trombocitopenia e insufficienza renale quando viene somministrata a intermittenza. La clofazimina, un colorante del tipo della fenazina che è simile al dapsone nell’attività contro il M. leprae, viene somministrata a dosaggi orali da 50 mg/die a 100 mg 3 volte/sett. Un dosaggio di 300 mg/die è moderatamente attivo contro le reazioni della lebbra di tipo-2 e probabilmente contro le reazioni della lebbra di tipo-1. Gli effetti collaterali comprendono intolleranza GI e una decolorazione disuguale nero-rossastra della cute. L’etionamide 250-500 mg/die PO è ugualmente efficace. Tuttavia, siccome causa irritabilità GI in molti pazienti e siccome può causare disfunzione epatica specialmente se somministrata con la rifampicina, non viene consigliata a meno che non venga regolarmente controllata la funzionalità epatica. Recentemente nei trial clinici condotti su pazienti affetti da lebbra lepromatosa tre antibiotici si sono dimostrati in grado di uccidere rapidamente il M. leprae e di ridurre in maniera efficace l’infiltrazione del derma: la minociclina (100 mg PO al giorno), la claritromicina (500 mg PO al giorno) e l’ofloxacina (400 mg PO al giorno). La loro attività battericida nei confronti del M. leprae è maggiore rispetto a quella del dapsone, della clofazimina e dell’etionamide ma non della rifampicina. Solo la minociclina possiede una dimostrata sicurezza per un trattamento a lungo termine quale quello richiesto per la lebbra. Schemi terapeutici raccomandati: è stata segnalata la presenza di lebbra dapsone-resistente; la maggior parte dei pazienti con resistenza primaria al dapsone rivela una resistenza solo parziale e di fatto risponde al dosaggio usuale. Nonostante ciò l’OMS raccomanda per tutte le forme di lebbra schemi di terapia con associazioni di più farmaci. Negli USA, dove è rara la resistenza primaria al dapsone, si raccomanda di sperimentare sui topi i test di sensibilità dei farmaci per tutti i pazienti diagnosticati recentemente e per quelli che presentino ricadute multibacillari (lepromatosi e borderline). Per la lebbra multibacillare negli adulti l’OMS consiglia il dapsone (100 mg/die), la clofazimina (50 mg/die più 300 mg una volta al mese) e la rifampicina (600 mg una volta al mese). Questo protocollo va mantenuto per almeno 2 anni o fino a che i risultati delle biopsie cutanee risultino negativi (solitamente circa 5 anni). Per la lebbra paucibacillare (che interessa pazienti affetti da lebbra tubercoloide senza BAAR evidenti) l’OMS raccomanda il dapsone (100 mg/die) e la rifampicina (600 mg 1 volta al mese per 6 mesi). Molti specialisti in India raccomandano che la durata del trattamento sia estesa a 1 anno. Negli USA la lebbra lepromatosa viene trattata con dapsone a dosi di 100 mg/die a vita, con un protocollo iniziale di 2-3 anni con rifampicina a dosi di 600 mg/die. La lebbra tubercoloide viene trattata solo con dapsone a dosi di 100 mg/die per 5 anni. Suggerimenti sulla diagnosi e il trattamento sono forniti dal Gillis W. Long Hansen’s Disease Center di Carville, LA (504-642-4755).

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Malattie sistemiche da funghi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 158. MALATTIE SISTEMICHE DA FUNGHI (Micosi sistemiche)

ISTOPLASMOSI Malattia causata dall’Histoplasma capsulatum, che determina lesioni polmonari primitive e disseminazione ematogena.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

L’istoplasmosi si verifica in tutto il mondo. Le aree endemiche negli USA si trovano nelle vallate dei fiumi Ohio-Mississipi, estendendosi fino al nord del Maryland, il sud della Pennsylvania, la zona centrale di New York e del Texas, ma piccoli focolai sono stati osservati anche in altri stati quali la Florida. L’H. capsulatum cresce in natura o coltivato a temperatura ambiente come una muffa ma a 37°C e quando invade le cellule dell’ospite si trasforma in una piccola (da 1 a 5 µm di diametro) cellula di lievito. L’infezione segue all’inalazione dei conidi della muffa (spore) dal terreno o dalla polvere contaminata con rifiuti di uccelli o di pipistrelli. La malattia grave è più frequente dopo un’esposizione importante, prolungata e si verifica spesso negli uomini, nei bambini o nei soggetti con compromissione dell’immunità mediata dalle cellule T.

Sintomi e segni La malattia si manifesta in tre forme principali. L’istoplasmosi acuta primaria è generalmente asintomatica. Se si sviluppano dei sintomi essi sono generalmente aspecifici, con febbre, tosse e malessere di gravità variabile. Alcune volte all’esame obiettivo e alla radiografia del torace può essere evidente una polmonite acuta. L’istoplasmosi progressiva disseminata seguita a una diffusione ematogena dai polmoni che non venga controllata da un normale meccanismo di difesa cellulo-mediato da parte dell’ospite. Tipicamente si verifica un coinvolgimento generalizzato del sistema reticolo-endoteliale, con epatosplenomegalia, linfoadenopatia, interessamento del midollo osseo e alcune volte, soprattutto nei casi cronici, ulcerazioni orali o GI. In generale, il decorso è abitualmente subacuto o cronico, con sintomi aspecifici, spesso impercettibili, quali astenia, debolezza, malessere o, nei pazienti HIV positivi, un inspiegabile peggioramento delle condizioni generali. La malattia di Addison è una manifestazione rara ma potenzialmente grave e deve essere distinta da altre cause di insufficienza surrenalica quali la TBC, la sarcoidosi, il linfoma o la leucemia. Manifestazioni gravi si verificano più frequentemente nei bambini e nei soggetti immunocompromessi.

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Malattie sistemiche da funghi

L’istoplasmosi disseminata progressiva è una delle infezioni definite opportunistiche della AIDS. I pazienti con AIDS possono sviluppare una grave polmonite acuta con ipossia suggestiva di un’infezione da Pneumocystis carinii, così come ipotensione, alterazioni dello stato mentale, coagulopatie o rabdomiolisi. L’istoplasmosi cronica cavitaria è caratterizzata da lesioni polmonari spesso apicali che assomigliano alla TBC cavitaria. Le manifestazioni sono rappresentate da un peggioramento della tosse e della dispnea, che evolvono infine in una disfunzione respiratoria inabilitante. Non si verifica disseminazione. Un’altra rara forma cronica di istoplasmosi è la mediastinite fibrosante, che in ultimo determina una compromissione circolatoria. L’istoplasmosi può essere causa di cecità nella presunta sindrome dell’istoplasmosi oculare (v. Cap. 98); tuttavia i microrganismi non sono presenti nelle lesioni, la chemioterapia antimicotica non è efficace e il legame con l’infezione da H. capsulatum non è stata ancora stabilita con certezza.

Diagnosi La coltura dell’H. capsulatum dall’espettorato, dai linfonodi, dal midollo osseo, dalla biopsia epatica, dal sangue, dalle urine o dalle ulcere orali conferma la diagnosi. La centrifugazione del lisato o la coltura del concentrato leucocitario aumenta la quantità di lievito nei campioni di sangue. L’istopatologia microscopica può fortemente suggerire la diagnosi: i campioni tissutali che vengono colorati in maniera specifica (metenamina argentica di Gomori, PAS, colorazione argentica di Gridley) possono rivelare i caratteristici raggruppamenti delle piccole cellule ovalari del lievito all’interno dei macrofagi, dei monociti ematici o dei neutrofili. Nei pazienti con AIDS e infezione estesa, i lieviti intracellulari possono essere visti nel sangue periferico o nei campioni di concentrati leucocitari con la colorazione di Wright o di Giemsa. L’antigene dell’H. capsulatum può essere identificato nel siero, nelle urine, nel LCR o nei campioni di lavaggio broncoalveolare mediante test enzimatico o radioimmunologico. Nonostante il test per l’antigene dell’H. capsulatum venga riportato come sensibile e specifico, sono state osservate rare reazioni crociate con altri funghi (Coccidioides immitis, Blastomyces dermatitidis, Paracoccidioides brasiliensis, Penicillium marneffei). Tuttavia il test antigenico per l’Histoplasma è attualmente disponibile solo presso il laboratorio di referenza per l’istoplasmosi di Indianapolis e i risultati non sono stati ancora ripetuti in altri laboratori. La positività della coltura deve sempre essere richiesta come conferma definitiva della diagnosi istopatologica o immunosierologica.

Prognosi e terapia La forma primaria acuta è quasi sempre autolimitantesi, anche se dopo un’infezione massiva molto raramente sono stati riportati casi mortali. L’istoplasmosi cronica cavitaria può causare la morte per grave insufficienza respiratoria. L’istoplasmosi disseminata progressiva non trattata ha un indice di mortalità > 90%, la diagnosi viene ancora spesso sbagliata in quanto i reperti sono aspecifici, problema particolarmente importante nei soggetti con AIDS, che sviluppano più frequentemente infezioni rapidamente fatali. L’istoplasmosi acuta primaria non richiede terapia antimicotica eccetto che nelle rare forme di grave polmonite. Nella forma cronica la terapia può determinare la negativizzazione degli esami colturali e la progressione può essere fermata o rallentata anche se le lesioni fibrotiche non migliorano. Possono essere efficaci l’amfotericina B o l’itraconazolo, ma le recidive sono frequenti. L’amfotericina B è il trattamento di scelta per l’istoplasmosi disseminata grave. L’itraconazolo può essere utilizzato per il trattamento dei casi meno gravi. Nei pazienti con AIDS, per prevenire le recidive, viene utilizzata una terapia cronica indefinita con file:///F|/sito/merck/sez13/1581308.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.29

Malattie sistemiche da funghi

itraconazolo, in quanto non è nota la migliore durata del trattamento. Il fluconazolo sembra essere meno efficace. Nei pazienti intolleranti agli azoli per una soppressione cronica possono essere utilizzate dosi intermittenti di amfotericina B EV.

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Malattie sistemiche da funghi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 158. MALATTIE SISTEMICHE DA FUNGHI (Micosi sistemiche)

COCCIDIOIDOMICOSI (Febbre della valle; febbre di San Joaquin) Malattia causata dal fungo Coccidioides immitis, che si verifica generalmente in forma primaria come infezione respiratoria acuta benigna asintomatica o autolimitantesi e che occasionalmente si dissemina a determinare lesioni focali nella cute, nel tessuto sottocutaneo, linfonodi, ossa, fegato, reni, meningi, cervello o altri tessuti.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La coccidioidomicosi è endemica negli USA del sudovest, compresa la vallata centrale della California, l’Arizona, parti del New Mexico e il Texas a ovest di El Paso. L’area si estende nel nord del Messico e alcuni focolai si verificano in zone dell’America centrale e in Argentina. L’infezione viene acquisita dall’inalazione di polveri cariche di spore. A causa degli spostamenti e del ritardato esordio delle manifestazioni cliniche, alcune volte un’infezione sintomatica può diventare evidente al di fuori delle aree endemiche. Una volta inalati i conidi (spore) del C. immitis si trasformano a 37°C in grosse forme sferiche che invadono i tessuti (circa 30-100 µm di diametro). Come la sferula si ingrossa e quindi si rompe, rilascia multiple piccole endospore che possono formare nuove sferule. La patologia è caratterizzata da una reazione granulomatosa acuta, subacuta o cronica, con vari gradi di fibrosi. Le sferule intatte generalmente vengono circondate da linfociti insieme a plasmacellule, cellule epitelioidi e cellule giganti, mentre i neutrofili sono spesso presenti nel sito di rottura della sferula insieme con gli eosinofili. Nei polmoni infetti le lesioni possono cavitarsi o formare lesioni nodulari granulomatose.

Sintomi e segni La coccidioidomicosi primaria è generalmente asintomatica, ma talora si verifica una sintomatologia respiratoria aspecifica simile all’influenza o a una bronchite acuta o, meno spesso, una polmonite acuta o un versamento pleurico. I sintomi, in ordine di frequenza decrescente, comprendono febbre, tosse, dolore toracico, brividi, produzione di espettorato, faringodinia ed emottisi. I segni clinici possono essere assenti o limitati a rantoli sparsi con o senza aree di ottusità alla percussione dei campi polmonari. È generalmente presente leucocitosi e, alcune volte, eosinofilia. Alcuni pazienti sviluppano un’ipersensibilità all’infezione respiratoria localizzata che si manifesta con una sindrome reumatica, artrite, congiuntivite, eritema nodoso o eritema multiforme. Le lesioni polmonari primitive alcune volte si risolvono lasciando lesioni nodulari a moneta che devono essere file:///F|/sito/merck/sez13/1581309.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.30

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distinte dalle neoplasie e dalla TBC o da altre infezioni granulomatose. Alcune volte si sviluppano lesioni cavitarie residue che possono variare di dimensione nel tempo e spesso possono apparire delimitate da una sottile parete. Anche se da questi focolai residui non si verifica disseminazione, una piccola percentuale di queste cavità esita a chiudersi spontaneamente. L’emottisi o la minaccia di rottura nello spazio pleurico possono talora rendere necessario un intervento chirurgico. La coccidioidomicosi progressiva può svilupparsi alcune settimane, mesi od occasionalmente anni dopo l’infezione primaria e può verificarsi tempo dopo aver lasciato l’area endemica. La coccidioidomicosi disseminata progressiva è più comune negli uomini che nelle donne e si verifica più facilmente in associazione con l’infezione da HIV, con terapia immunosoppressiva, durante la seconda metà della gravidanza o il post-partum, durante l’età avanzata e in alcuni gruppi etnici (Filippino, Afro-Americano, Americano nativo, Ispanico e Orientale con rischio relativo in ordine decrescente). I sintomi sono spesso aspecifici e comprendono febbre di basso grado, anoressia, perdita di peso e debolezza. Un coinvolgimento polmonare massivo può causare cianosi progressiva, dispnea ed eliminazione di un espettorato mucopurulento o ematico. Le lesioni extrapolmonari sono generalmente focali e coinvolgono uno o più localizzazioni tissutali nelle ossa, articolazioni, cute, tessuto sottocutaneo, intestino, cervello o meningi. Alcune volte le lesioni più profonde sono collegate alla cute da tratti fistolosi secernenti. Le lesioni localizzate extrapolmonari spesso diventano croniche e frequentemente recidivano, alcune volte tempo dopo il termine di un trattamento antimicotico apparentemente efficace.

Diagnosi La diagnosi può essere effettuata attraverso l’esame colturale dei liquidi corporei infetti o di campioni tissutali o anche attraverso la visualizzazione delle sferule del C. immitis nell’espettorato, nel liquido pleurico, nel LCR, nell’essudato proveniente dalle lesioni secernenti, mediante colorazione argentica o di PAS dei campioni bioptici. Le sferule intatte hanno generalmente un diametro di 2080 µm, hanno una sottile parete e sono ripiene di piccole endospore (~ 2-4 µm di diametro). Le endospore rilasciate nei tessuti dalla rottura delle sferule possono essere scambiate con funghi non proliferanti. La fissazione del complemento per gli anticorpi IgG anti-coccidioide rimane il test più efficace. Titoli 1:4 nel siero sono significativi per un’infezione in atto o recente, mentre titoli più elevati ( 1:32) indicano con maggior probabilità una disseminazione extrapolmonare. Tuttavia, i pazienti immunocompromessi possono avere bassi titoli. I titoli si possono ridurre nel corso di un trattamento efficace. La presenza di anticorpi fissanti il complemento nel LCR è diagnostica di meningite coccidioidica ed è importante in quanto l’esame colturale risulta positivo solo in pochi casi. Altri test anticorpali comprendono i più nuovi, più sensibili e specifici test di reazione antigene anticorpo, ma questi non hanno mostrato di rispecchiare la prognosi e sono meno vantaggiosi. Nei pazienti immunocompetenti, in genere entro 10-21 giorni dall’infezione acuta, si sviluppa un’ipersensibilità cutanea ritardata alla coccidioidina o alla sferulina, ma questa è tipicamente assente nella malattia progressiva. Poiché nelle aree endemiche questo test risulta positivo nella maggior parte delle persone, piuttosto che per la diagnosi, è di primaria importanza per gli studi epidemiologici.

Prognosi e terapia La coccidioidomicosi disseminata non trattata è generalmente fatale, soprattutto

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quando sia presente meningite. Nei pazienti con infezione da HIV la mortalità supera il 70% entro 1 mese dalla diagnosi e non è chiaro se il trattamento è in grado di modificarla. Nei pazienti a basso rischio la terapia della coccidioidomicosi primaria non è necessaria. Elevati titoli di fissazione del complemento indicano la disseminazione, che richiede il trattamento. Un coinvolgimento extrapolmonare non meningeo da lieve a moderato deve essere trattato con 400 mg/die di fluconazolo o 400 mg/die di itraconazolo. L’amfotericina B EV è da preferire per i pazienti gravemente malati e viene continuata finché non sia stata raggiunta una dose totale di 1-3 g in funzione del grado dell’infezione. Come con l’istoplasmosi, i pazienti con coccidioidomicosi associata a AIDS, richiedono una terapia di mantenimento per la prevenzione delle recidive; 200 mg/die di un azolo generalmente è sufficiente, mentre l’amfotericina B EV settimanale può bastare per i soggetti intolleranti agli azolici. Per i pazienti con meningite, se viene utilizzata l’amfotericina B, è necessaria l’infusione intratecale sia intraventricolare, attraverso un deposito sottocutaneo, che intracisternale. Tuttavia, per la maggior parte dei casi di meningite coccidioidica il fluconazolo, come farmaco di scelta, ha sostituito l’amfotericina B. Dosi > 400 mg/die possono risultare più efficaci e sperimentalmente sono state provate dosi > 800-1200 mg/die, anche se il regime ottimale deve ancora essere definito. La terapia per la coccidioidomicosi meningea deve essere continuata per molti mesi, probabilmente per tutta la vita. Per guarire l’osteomielite può essere necessaria la rimozione chirurgica dell’osso coinvolto.

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BLASTOMICOSI (Blastomicosi del Nord America; malattia di Gilchrist’s) Malattia causata dall’inalazione dei conidi della muffa (spore) del Blastomyces dermatitidis, che si trasforma in lievito e invade i polmoni, talora diffondendosi per via ematogena alla pelle o in punti focali di altri tessuti.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Negli USA l’area endemica per la blastomicosi comprende la distribuzione geografica dell’H. capsulatum, ma si estende ulteriormente nel medio Atlantico e negli stati del sud-est, nel nord del Midwest, sopra lo stato di New York e nel Canada del sud. Alcuni casi sono anche stati identificati in Medio Oriente e in Africa. L’incidenza e la gravità della blastomicosi sembra aumentare nei pazienti immunocompromessi, ma è un’infezione opportunistica meno comune rispetto all’istoplasmosi o alla coccidioidomicosi. Il Blastomyces dermatitidis cresce come muffa a temperatura ambiente e nel suo ambiente naturale, nel terreno arricchito di escrementi animali, umido, in decomposizione e nel materiale organico acido. Esso è stato raramente isolato dal terreno vicino alle dighe dei castori o dove vengono tenuti gli animali di fattoria. Può infettare sia i cani che gli essere umani. I conidi del B. dermatitidis una volta inalati nei polmoni, a 37°C si trasformano in grossi lieviti invasivi, generalmente da 8 a 15 µm di diametro (ma alcune volte più di 30) che formano gemme a pianta larga. L’istopatologia è caratterizzata da infiltrati misti di cellule mononucleari con cellule giganti che circondano i grossi lieviti, con formazione di alcuni granulomi, necrosi, fibrosi e, soprattutto nelle lesioni cutanee, aree focali di infiltrato suppurativo con neutrofili.

Sintomi e segni La blastomicosi acuta, autolimitantesi, viene talora riconosciuta clinicamente. La blastomicosi polmonare tende a verificarsi come casi individuali di infezione progressiva che richiede una terapia. Può essere presente un infiltrato focale o diffuso, alcune volte come lesione broncopneumonica che si diffonde dall’ilo, assomigliando a una neoplasia. Più spesso l’infezione ha un esordio insidioso ed è cronica. I sintomi sono aspecifici e possono comprendere una tosse intermittente secca o produttiva, dolore toracico, dispnea, febbre, brividi e sudorazione profusa. Occasionalmente si verifica un versamento pleurico. Alcuni pazienti presentano infezioni rapidamente progressive e possono sviluppare una sindrome da distress respiratorio dell’adulto.

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Nella blastomicosi disseminata extrapolmonare, la diffusione ematogena può portare all’infezione focale della cute, della prostata, dell’epididimo, del testicolo, dei reni, delle vertebre, della testa delle ossa lunghe, del tessuto sottocutaneo, dell’encefalo, della mucosa orale o nasale, della tiroide, dei linfonodi, del midollo osseo e di altri tessuti. Alcune volte le aree sovrastanti le lesioni ossee sono edematose, calde e dolenti. Alcune lesioni genitali si possono manifestare come un ingrossamento dolente dell’epididimo, profondo malessere perineale o tensione prostatica all’esplorazione rettale. Le lesioni cutanee sono di gran lunga le più frequenti, possono essere singole o multiple e possono manifestarsi con o senza coinvolgimento polmonare clinicamente evidente. Sulle superfici esposte di solito compaiono delle papule o papulo-pustole che si diffondono lentamente. Sui margini delle lesioni progressive si formano ascessi miliari non dolenti, di dimensioni variabili da una punta di spillo fino a 1 mm di diametro. Papille irregolari simili a verruche possono formarsi sulla superficie; con l’ingrandimento delle lesioni il centro guarisce con un’escara atrofica tipica. Una lesione individuale completamente sviluppata appare come una chiazza verrucosa sollevata che misura di solito 2 cm di diametro, con un bordo che degrada improvvisamente, rosso violaceo e cosparso di ascessi. Se è presente sovrainfezione si può avere ulcerazione.

Diagnosi L’esame colturale è decisivo, ma la diagnosi è quasi certa quando l’esame diretto dell’espettorato, del pus o dei campioni di urine evidenzia i caratteristici lieviti a parete spessa, non capsulati, che hanno un diametro di 8-15 µm o più e una forma di gemma a largo impianto. L’istopatologia con la metenamina argentica di Gomori, di Gridley o con la colorazione di PAS può differenziare questi lieviti dalle più piccole cellule di C. neoformans, che formano gemme a impianto stretto e, diversamente dal B. dermatitidis, sono incapsulate e si colorano con la mucicarmina di Mayer o con la tecnica di Masson-Fontana per la melanina. I pazienti con blastomicosi possono avere un test positivo per reazione crociata per l’antigene dell’H. capsulatum, ma la sensibilità del test non è dimostrata. Nessun altro test sierologico o test cutaneo è utile per la diagnosi. La blastomicosi polmonare deve essere differenziata da altre micosi, dalla TBC e dalle neoplasie. Le lesioni cutanee possono essere confuse con la sporotricosi, con la TBC, con lo iodismo o con il carcinoma a cellule basali. Il coinvolgimento genitale può mimare la TBC.

Prognosi e terapia La blastomicosi non trattata è in genere lentamente progressiva e in ultimo fatale. Per la blastomicosi da lieve a moderata viene utilizzato l’itraconazolo per via orale. Il fluconazolo sembra essere meno efficace. La dose ottimale non è definita, ma per il trattamento di pazienti intolleranti all’itraconazolo con forme lievi di blastomicosi possono essere utilizzati 400-800 mg/die PO. L’amfotericina B EV è il trattamento di scelta per i pazienti con infezioni gravi e potenzialmente letali ed è generalmente efficace.

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PARACOCCIDIOIDOMICOSI (Blastomicosi del Sud America) Micosi progressiva della pelle, delle membrane mucose, dei linfonodi e degli organi interni causata dal Paracoccidioides brasiliensis.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi, prognosi e terapia

Le infezioni si verificano solo in focolai separati nell’America centrale e del sud, più frequentemente in uomini di età tra i 20 e i 50 anni, soprattutto i coltivatori di caffè della Colombia, del Venezuela e del Brasile. Anche se è un’infezione opportunistica relativamente rara, la paracoccidioidomicosi alcune volte si verifica in pazienti immunocompromessi, compresi quelli con AIDS. Nonostante l’ambiente naturale del P. brasiliensis sia ancora indefinito, si presume che esista nel terreno come muffa, mentre le infezioni si ritiene seguano all’inalazione dei conidi (spore). Queste si trasformano in funghi invasivi all’interno dei polmoni a 37°C e si presuppone che si diffondano alle altre localizzazioni per via ematogena e per via linfatica.

Sintomi e segni L’infezione mucocutanea si presenta il più delle volte al volto, in particolare ai bordi mucocutanei nasali e orali. I funghi sono generalmente presenti in abbondanza all’interno delle lesioni a punta di spillo per tutte le basi granulari delle ulcere, che si ingrandiscono lentamente. I linfonodi regionali si ingrandiscono, divengono necrotici e drenano attraverso la pelle. Le infezioni linfatiche interessano principalmente un massiccio ingrossamento senza dolore dei linfonodi cervicali, sopraclavicolari o ascellari. Le infezioni viscerali sono caratterizzate da lesioni focali che causano un ingrossamento principalmente di fegato, milza e linfonodi addominali, che a volte si accompagnano a dolori addominali. Infezioni miste riguardano combinazioni di tutti e tre i tipi.

Diagnosi, prognosi e terapia L’esame colturale è diagnostico, anche se la presenza nei campioni di grandi lieviti (spesso > 15 µm) che formano caratteristiche gemmazioni multiple, fornisce una forte evidenza presuntiva.

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Le infezioni clinicamente apparenti sono generalmente croniche e progressive, ma generalmente non fatali. Gli azoli sono molto efficaci. L’itraconazolo per via orale è generalmente considerato il farmaco di scelta. Anche l’amfotericina B EV può eliminare l’infezione e viene spesso utilizzata nei casi molto gravi. I sulfamidici, che in alcune regioni sono ampiamente utilizzati per il loro basso costo, possono controllare la crescita e migliorare le lesioni ma non sono curativi.

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SPOROTRICOSI Infezione causata da una muffa saprofitica Sporothrix schenckii, che inizia generalmente nella sede di un trauma cutaneo e, se non trattata, si diffonde per via linfatica a formare noduli che evolvono in ascessi e in ulcere.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi, prognosi e terapia

Lo S. schenckii si ritrova sulle rose o sui cespugli di crespino e nel muschio sfagno o in altri pacciami. Gli orticultori, i giardinieri, i contadini e i lavoratori di legname vengono infettati più frequentemente.

Sintomi e segni Le infezioni linfocutanee sono le più frequenti. Esse si possono verificare in ogni punto del corpo, ma si ritrovano tipicamente su una mano e sulle braccia, anche se la lesione primaria può verificarsi sulla superficie esposta dei piedi o sul volto. Occasionalmente, in assenza di lesioni linfocutanee primitive, sono coinvolti i polmoni oppure la diffusione ematogena porta a un coinvolgimento di altri siti, soprattutto le articolazioni periferiche. La lesione primaria può apparire come una piccola papula non dolente o, talora, come un nodulo sottocutaneo che si espande lentamente e infine diventa necrotico e alcune volte si ulcera. Tipicamente, alcuni giorni o settimane più tardi, comincia a ingrossarsi lentamente ma progressivamente una catena di linfonodi , che formano noduli sottocutanei mobili. Se non trattata la cute sovrastante si arrossa e può successivamente necrotizzare, alcune volte causando ascesso, ulcerazione e sovrainfezione batterica. Segni e sintomi sistemici di infezione sono tipicamente assenti. Le lesioni linfocutanee raramente, se mai, portano alla disseminazione ematogena ad altre localizzazioni. Tuttavia si verificano rari casi di disseminazione, che in genere causano infezioni non dolenti di più articolazioni periferiche, alcune volte delle ossa e, meno spesso, dei genitali, del fegato, della milza, del rene o delle meningi. Raramente l’inalazione di spore causa una polmonite cronica che si manifesta con infliltrati localizzati o con cavità più spesso in pazienti con patologie croniche polmonari sottostanti.

Diagnosi, prognosi e terapia La malattia deve essere differenziata dalle infezioni localizzate causate dal Mycobacterium tuberculosis, dai micobatteri atipici, dalla Nocardia o da altri microrgamismi. La coltura dal sito di un’infezione attiva fornisce la diagnosi definitiva. I lieviti di S. schenckii possono essere visti solo raramente sui campioni

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tissutali fissati, anche con le colorazioni speciali. I test sierologici non sono ovunque disponibili. Spesso si verifica un ritardo del trattamento appropriato in quanto, durante lo stadio precoce, non disseminato, la lesione primaria viene confusa con un morso di ragno, soprattutto nelle regioni note per essere infestate da specie di ragni che causano morsi velenosi necrotizzanti. La sporotricosi linfocutanea è cronica e indolente ma potenzialmente fatale solo quando una sovrainfezione batterica determini una sepsi. L’itraconazolo per via orale è il trattamento di scelta, sostituendo la somministrazione prolungata di soluzione satura di potassio iodato che è meno efficace e causa molto più frequentemente preoccupanti effetti tossici. L’amfotericina B EV è risultata efficace nel risolvere la maggior parte dei casi sistemici, ma le recidive sono frequenti. L’itraconazolo può dimostrare di essere più efficace, ma l’esperienza è limitata.

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CRIPTOCOCCOSI (Torulosi; blastomicosi Europea) Infezione acquisita dall’inalazione di polvere contaminata con il fungo capsulato Cryptococcus neoformans, che può causare un’infezione polmonare autolimitantesi o disseminata, soprattutto alle meningi, ma alcune volte alla pelle, alle ossa, ai visceri o in altre localizzazioni.

Sommario: Eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia e incidenza La distribuzione è ubiquitaria. La criptococcosi è un’infezione opportunistica indicativa di AIDS, anche se i pazienti con linfoma di Hodgkin o di altro tipo, con sarcoidosi o quelli sottoposti a terapia cortisonica a lungo termine sono anch’essi a elevato rischio. La criptococcosi disseminata progressiva alcune volte colpisce anche quelli che non sono chiaramente immunocompromessi, più frequentemente uomini > 40 anni. In tali casi è più frequente la meningite cronica, in genere senza lesioni polmonari clinicamente evidenti. Tipicamente l’infiammazione meningea non è diffusa e sono presenti microscopiche lesioni intracerebrali multifocali. Possono essere evidenti granulomi meningei e lesioni focali cerebrali più grandi.

Sintomi e segni Anche se la maggior parte delle infezioni criptococciche ha un decorso autolimitante, subacuto o cronico, infezioni criptococciche AIDS-correlate si possono presentare come una grave polmonite progressiva con dispnea acuta e un quadro radiologico suggestivo per infezione da Pneumocystis. Un interessamento cutaneo disseminato può manifestarsi in qualsiasi persona infetta, causando lesioni pustolose, papulari, nodulari o ulcerate, che a volte assomigliano all’acne, al mollusco contagioso o al carcinoma basocellulare. Siti focali di disseminazione possono comparire in forma di noduli sottocutanei a livello delle epifisi delle ossa lunghe, delle articolazioni, del fegato, della milza, dei reni, della prostata e di altri tessuti. Nel quadro tipico, i tessuti coinvolti contengono masse cistiche di funghi che appaiono gelatinose a causa del polisaccaride capsulare criptococcico accumulato, ma con reazione infiammatoria acuta minima o del tutto assente, specialmente nel cervello. Nei polmoni le lesioni primarie sono di solito asintomatiche e autolimitantisi. In soggetti immunocompetenti, le lesioni polmonari clinicamente evidenti guariscono

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a volte spontaneamente senza disseminazione, anche senza terapia antimicotica. La polmonite causa di solito tosse e altri sintomi respiratori non specifici. La pielonefrite decorre raramente con sviluppo di necrosi papillare. Oltre alle lesioni cutanee, le lesioni focali localizzate alle ossa, agli organi addominali o ad altri tessuti di solito non causano sintomi o ne causano solo alcuni. La maggior parte dei sintomi della meningite criptococcica è attribuibile all’edema cerebrale ed è di solito aspecifica, comprendendo cefalea, visione offuscata, confusione mentale, depressione, agitazione o altre alterazioni comportamentali. Ad eccezione delle paralisi oculari o facciali, i segni focali sono rari fino a uno stadio relativamente avanzato dell’infezione. Si può sviluppare cecità per l’edema cerebrale o per diretto coinvolgimento dei nervi ottici. La febbre è di solito bassa e spesso assente. I pazienti con AIDS possono avere sintomi minimi o del tutto assenti e parametri del LCR del tutto normali se non per la presenza di numerosi funghi. È frequente tuttavia il riscontro di proteinorrachia e pleiocitosi mononucleare, sebbene a volte predomini una neutrofilia. La glicorrachia è per lo più bassa e in molti casi, con l’esame diretto con inchiostro di china, si possono visualizzare miceti capsulati formanti gemme a base stretta. L’antigene polisaccaridico capsulare criptococcico è evidenziabile nel LCR e/o nel siero in più del 90% dei casi di meningite.

Diagnosi La coltura permette una diagnosi definitiva. Molto spesso il LCR, l’escreato e le urine contengono criptococchi e le emocolture possono essere positive nelle infezioni più gravi, particolarmente in associazione alla AIDS. La diagnosi è fortemente sospetta se operatori esperti identificano miceti a forma di gemme incapsulate su strisci di liquidi organici, secrezioni, essudati o altri campioni. In campioni di tessuto fissato i miceti capsulati possono anche essere identificati e confermati come C. neoformans tramite colorazione positiva alla mucicarmina o alla colorazione di Masson-Fontana. Il test al latex per antigene capsulare è positivo in campioni di LCR e/o sangue in oltre il 90% dei pazienti con meningite ed è generalmente specifico, nonostante si possano avere dei falsi positivi, di solito con titoli 1:8, specialmente in presenza di fattore reumatoide. Nella criptococcosi disseminata con meningite il C. neoformans è frequentemente isolato dalle urine e a volte persistono focolai prostatici dell’infezione nonostante la bonifica del fungo dal SNC.

Terapia I pazienti non immunocompromessi possono non richiedere terapia se vi sono solo localizzazioni polmonari confermate dalla normalità dei parametri del LCR, dalla negatività delle colture del LCR e delle urine e nessun segno di lesioni cutanee, ossee o di altre sedi extrapolmonari. In assenza di meningite, le lesioni localizzate alla cute, alle ossa o ad altri siti, richiedono terapia antimicotica sistemica, ma i regimi ottimali non sono stati definiti in studi clinici controllati. L’amfotericina B con o senza flucitosina si è dimostrata efficace nella maggior parte dei casi, ma più di recente sono stati riportati successi terapeutici con la terapia orale. Per la meningite in pazienti non affetti da AIDS, la terapia standard è amfotericina B 0,3 mg/kg/die EV per 6 sett. in associazione a flucitosina 100150 mg/die PO (da 25 a 37,5 mg q 6 h). La funzionalità renale e la crasi ematica devono essere controllate regolarmente prima e durante la terapia. Teoricamente, i livelli ematici di flucitosina devono essere monitorati per evitare accumulo a livelli tossici. È più difficile somministrare senza rischi flucitosina a pazienti con preesistente insufficienza renale o patologia midollare. Dosi più elevate di amfotericina B, generalmente 0,6 mg/kg/die, vengono somministrate a pazienti che non tollerano la flucitosina. Il fluconazolo è efficace anche in pazienti con infezioni di media gravità e senza apparenti fattori di rischio.

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I pazienti con AIDS hanno più spesso risposte terapeutiche non ottimali; amfotericina B e flucitosina sono comunque raccomandate come terapia iniziale nei pazienti con AIDS per almeno 2 sett. Successivamente può essere usato il fluconazolo per via orale (da 200 a 400 mg/die). Nei pazienti affetti da AIDS con criptococcosi, il trattamento iniziale con fluconazolo è stato associato a un maggior numero di decessi precoci di quanti non se ne verifichino nei pazienti trattati con amfotericina B. La maggior parte dei casi recidiva se la terapia viene interrotta, pertanto è necessaria una terapia soppressiva cronica, preferibilmente con fluconazolo da 200 a 400 mg/die PO. Per prevenire recidive possono anche essere usate dosi settimanali di amfotericina B EV. Sono state provate e possono essere più efficaci dosi più elevate di fluconazolo. Nei pazienti non affetti da AIDS in generale, le colture devono diventare e mantenersi negative per almeno 2 sett. prima del completamento della terapia. Per la meningite criptococcica, il dosaggio ottimale del fluconazolo e la durata della terapia per il trattamento del paziente non affetto da AIDS devono ancora essere definiti. Per la terapia di mantenimento o per tutto il trattamento della meningite criptococcica è stato usato con successo anche l’itraconazolo che sembra però meno efficace del fluconazolo. In assenza di AIDS, i titoli antigenici devono gradualmente declinare nel corso di una terapia efficace.

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CANDIDIASI SISTEMICA (Candidosi; moniliasi) Infezioni invasive causate da Candida sp, più spesso C. albicans, che si presentano come sepsi, endocarditi, meningiti e/o lesioni focali a livello di fegato, milza, reni, ossa, cute e tessuto sottocutaneo o di altri tessuti.

Sommario: Introduzione Eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La candidosi mucocutanea è trattata nei Cap. 113 e 164; la candidosi mucocutanea cronica, nel Cap. 147.

Eziologia e incidenza I miceti della specie Candida sono commensali che colonizzano il tratto GI normale e a volte la cute. Diversamente da altre micosi sistemiche, la candida è un organismo endogeno e non è generalmente acquisito dall’ambiente circostante. Le infezioni dovute a Candida sp ammontano a circa l’80% di tutte le maggiori infezioni sistemiche micotiche. La candida è ora il quarto microrganismo riscontrato più frequentemente nei casi di sepsi nonché la più comune causa di infezioni micotiche in soggetti immunocompromessi. La frequenza di candidosi nosocomiali è aumentata di almeno 5 volte negli anni ‘80, facendone una delle più comuni infezioni ospedaliere. Sebbene spesso sia un problema benigno e autolimitato, la sepsi da candida può essere associata a un eccesso di mortalità di 40% (cioè, decessi attribuibili alle candidosi piuttosto che alla patologia di base) e al prolungamento dell’ospedalizzazione. La candidosi sistemica di solito si verifica in pazienti immunocompromessi ed è per lo più causata da C. albicans o C. tropicalis. Tuttavia, infezioni causate da C. glabrata (in passato Torulopsis glabrata) e altre Candida sp sono sempre più frequenti. La candidosi orale (mughetto) colpisce comunemente pazienti con AIDS o con altre cause di compromissione dei sistemi di difesa immunitaria mediati da cellule T e occasionalmente colpisce altri pazienti. La candidosi esofagea, tracheale, bronchiale o polmonare è un’infezione opportunistica che permette di porre la diagnosi di AIDS. La candidosi mucocutanea complica di frequente la AIDS, ma la disseminazione ematogena è inusuale finché l’immunocompromissione non diviene marcata. La candidosi vaginale colpisce frequentemente le donne, comprese quelle con immunità normale, specialmente file:///F|/sito/merck/sez13/1581315.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.34

Malattie sistemiche da funghi

dopo l’uso di antibiotici. Pazienti neutropenici che ricevono chemioterapia antineoplastica sono ad alto rischio per lo sviluppo di candidosi disseminate potenzialmente letali. Candidemia e specialmente endoftalmite ematogena sono frequenti infezioni nosocomiali in pazienti non neutropenici che hanno ospedalizzazioni prolungate; l’infezione è spesso correlata a politrauma o a procedure chirurgiche, cicli multipli di terapia antibiotica ad ampio spettro e/o alimentazione EV. Le linee venose e il tratto gastrointestinale sono le usuali porte di ingresso. L’endocardite può verificarsi in seguito ad uso di droghe EV, sostituzione valvolare o trauma intravascolare. La fungiemia può portare alla meningite e al coinvolgimento focale della cute, dei tessuti sottocutanei, delle ossa, delle articolazioni, del fegato, della milza, dei reni, degli occhi e di altri tessuti.

Sintomi e segni L’esofagite si manifesta più spesso con disfagia. I sintomi di infezione dell’apparato respiratorio sono aspecifici, come la tosse. La vaginite causa prurito, bruciore e secrezione. La candidemia provoca di solito febbre, ma gli altri sintomi sono tipicamente aspecifici. A volte si sviluppa una sindrome che ricorda la sepsi batterica, con un decorso fulminante che può comprendere shock, oliguria, insufficienza renale e coagulazione intravascolare diffusa. L’endoftalmite ematogena comincia come una macchia retinica bianca che può causare cecità per il progredire di un’infiammazione destruente che si estende fino a rendere il vitreo opaco e a causare cicatrici potenzialmente irreversibili. Più spesso, gli stadi precoci dell’endoftalmite da Candida sono asintomatici. Se il trattamento non viene iniziato prima che appaiano i sintomi, possono verificarsi perdite della visione significative o totali nell’occhio colpito. Nei pazienti neutropenici, il coinvolgimento oculare si manifesta per lo più con emorragie retiniche; possono svilupparsi anche lesioni cutanee papulonodulari, vasculitiche ed eritematose.

Diagnosi Poiché la Candida sp è un commensale, l’eventuale positività della coltura da escreato, tamponi orali, secreto vaginale, urine, feci o cute, non significa necessariamente un’infezione invasiva e progressiva. Deve anche essere presente una caratteristica lesione clinica, l’evidenza istopatologica di invasione tissutale documentata o l’esclusione di altre cause. Colture positive di sangue, LCR, pericardio o liquido pericardico o campioni di tessuto bioptico forniscono prove evidenti che la terapia sistemica è necessaria. La diagnosi viene inoltre resa possibile dall’evidenza istopatologica di tipici miceti misti, pseudoife e/o ife in campioni di tessuto. Tuttavia, la terapia antimicotica spesso si inizia su base presuntiva. Sono stati sviluppati diversi esami sierologici per la ricerca di anticorpi o antigeni, ma nessuno di essi ha dimostrato sufficiente specificità o sensibilità da risultare di ausilio per una diagnosi rapida o per l’esclusione diagnostica in pazienti gravi.

Prognosi e terapia Tutte le forme di candidosi disseminata devono essere considerate gravi, progressive e potenzialmente fatali. Condizioni predisponenti come la neutropenia, la malnutrizione o il diabete incontrollato devono essere corrette o controllate ogni qualvolta sia possibile. L’amfotericina B EV, da sola o in associazione alla flucitosina, è raccomandata per le forme più gravi, specialmente per quelle caratterizzate dall’immunocompromissione. Il fluconazolo è efficace quanto l’amfotericina B per il trattamento della candidemia in pazienti non neutropenici e dati preliminari suggeriscono che il fluconazolo può anche essere efficace nelle candidemie con neutropenia. Tuttavia, le infezioni

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Malattie sistemiche da funghi

causate da C. cruzii non rispondono al fluconazolo e devono essere trattate con amfotericina B; alcune altre specie di Candida sono meno sensibili al fluconazolo di quanto non lo siano la C. albicans, particolarmente la C. glabrata. Per la terapia iniziale possono essere usate alte dosi orali o, se necessario, EV di fluconazolo (600 mg/die o più) a seconda delle specie isolate e dei risultati dei test di sensibilità in vitro, eccetto in quegli ospedali con alta prevalenza di infezioni causate da C. cruzii o altri miceti fluconazolo-resistenti. In questi casi, l’amfotericina B deve essere usata per la terapia iniziale. Tuttavia, i trial comparativi sono incompleti e il dosaggio ottimale del fluconazolo per il trattamento di candidosi sistemiche non è ancora definito. La maggior parte degli esperti raccomanda di somministrare da 400 a 800 mg/die (PO o, se necessario, EV), specialmente da quando alcune specie di Candida sono più resistenti al fluconazolo di quanto non lo sia la C. albicans. In particolare, gli ospedali con alte frequenze di infezioni da C. cruzii devono usare amfotericina B per la terapia iniziale finché non siano disponibili i risultati di test di sensibilità in vitro. Possono essere efficaci anche altri azolici ma non sono disponibili dati comparativi. L’endocardite da Candida richiede quasi sempre la sostituzione valvolare, sebbene possa essere tentata una terapia soppressiva a lungo termine con fluconazolo. Non sono disponibili studi controllati per determinare il regime di trattamento ottimale per le altre forme di candidosi disseminata. La maggior parte degli esperti raccomanda l’amfotericina B, ma può essere ugualmente efficace il fluconazolo ad alte dosi. Non sono stati stabiliti regimi standard per la meningite da Candida. L’amfotericina B EV si è dimostrata efficace in alcuni pazienti, ma in molti casi è stata necessaria la somministrazione intratecale. Anche il fluconazolo è stato segnalato come farmaco efficace. Di solito si utilizzano da 400 a 800 mg/die (PO o, se necessario, EV). Alcuni casi di meningite da Candida si sono risolti spontaneamente senza alcuna specifica terapia antimicotica.

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Malattie sistemiche da funghi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 158. MALATTIE SISTEMICHE DA FUNGHI (Micosi sistemiche)

ASPERGILLOSI Infezioni opportunistiche causate da Aspergillus sp che viene inalato sotto forma di conidi che portano alla crescita di ife e all’invasione di vasi sanguigni, necrosi emorragica, infarto e potenziale disseminazione ad altri siti in pazienti suscettibili.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Le specie di Aspergillus sono tra i più comuni funghi ambientali, ritrovati frequentemente nella vegetazione in putrefazione (cumuli di concime) o sui materiali isolanti (sulle pareti o sui soffitti intorno a travi d’acciaio), nei sistemi di aria condizionata o nei termoconvettori, nei reparti operatori e nelle stanze dei pazienti, sulle apparecchiature ospedaliere o nella polvere portata dal vento. Le infezioni invasive sono di solito acquisite da pazienti suscettibili per inalazione di conidi o, occasionalmente, per invasione diretta a livello di punti di cute danneggiata. I fattori di rischio principali includono neutropenia, terapia corticosteroidea prolungata a dosi elevate, trapianto d’organo (specialmente trapianto di midollo), disordini ereditari della funzione dei neutrofili, come la malattia granulomatosa cronica o, occasionalmente, la AIDS.

Sintomi e segni Si possono avere inoltre colonizzazioni non invasive o, raramente, a minima invasività, di preesistenti lesioni polmonari cavitarie con l’aspetto di formazioni fungine nodulari (aspergilloma) o aspergillosi cronica progressiva. Il nodulo micotico (aspergilloma) costituisce una caratteristica crescita saprofitica non invasiva di un’aggrovigliata massa di ife, con essudato fibrinoso e poche cellule infiammatorie, tipicamente incapsulate da tessuto fibroso. L’aspergilloma di solito cresce e può allargarsi gradualmente tra cavità polmonari originariamente causate da bronchiettasie, neoplasie, TBC, altre infezioni croniche polmonari o anche evolvere in un’aspergillosi invasiva. Di rado, si verificano lesioni croniche invasive polmonari, di solito in associazione a terapia corticosteroidea. L’aspergillosi invasiva primaria superficiale è poco frequente, ma può verificarsi nelle ustioni, al di sotto di bendaggi occlusivi, dopo traumi corneali (cheratiti) o nei seni paranasali, nelle cavità nasali o nel condotto uditivo. L’aspergillosi invasiva polmonare di solito si estende rapidamente, causando una progressiva e infine fatale insufficienza respiratoria, a meno che non sia trattata prontamente e aggressivamente. L’A. fumigatus è la più comune specie eziologica. L’aspergillosi extrapolmonare disseminata può coinvolgere il fegato, i reni, il cervello o altri tessuti ed è di solito fatale. L’aspergillosi primaria invasiva può anche iniziare come sinusite invasiva, di solito causata da A. flavus, e si presenta come febbre con rinite e cefalea. Lesioni cutanee necrotizzanti file:///F|/sito/merck/sez13/1581317.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.35

Malattie sistemiche da funghi

possono estendersi oltre il naso o i seni paranasali, il palato o possono essere presenti ulcerazioni gengivali; possono svilupparsi segni di trombosi del seno cavernoso, polmonari o lesioni disseminate. Una forma allergica di aspergillosi polmonare si presenta con infiltrati infiammatori non correlati all’invasione micotica dei tessuti (v. Aspergillosi broncopolmonare allergica nel Cap. 76).

Diagnosi Dal momento che le specie di Aspergillus sono comuni nell’ambiente, colture positive dell’escreato possono essere dovute a contaminazione ambientale da spore aerogene o da colonizzazione noninvasiva in pazienti con malattia cronica polmonare. L’escreato di pazienti con aspergilloma spesso non contiene Aspergillus in coltura, poiché le cavità sono probabilmente escluse dalle vie aeree. Un nodulo micotico mobile nell’ambito di una lesione cavitaria è caratteristico all’esame radiologico standard o TC, sebbene tale quadro possa essere causato anche da altri funghi saprofiti. Le colture dell’escreato hanno addirittura una minore probabilità di essere positive in pazienti con aspergillosi invasiva polmonare, presumibilmente perché la malattia procede principalmente per invasione vascolare e infarto tissutale. Tuttavia, una coltura positiva da escreato o da lavaggio bronchiale consente una forte evidenza presuntiva di aspergillosi invasiva se ottenuta da pazienti con aumentata suscettibilità dovuta a neutropenia, terapia corticosteroidea o AIDS. La maggior parte delle lesioni è focale e solida, sebbene la rx o la TC a volte rilevino un segno circolare, un’ombra aerea sottile che circonda un nodulo che rappresenta la cavitazione all’interno di una lesione necrotica. In alcuni pazienti si verificano infiltrati generalizzati diffusi. La progressione di solito è estremamente rapida. Tuttavia, l’aspergillosi cronica invasiva si verifica solo occasionalmente, in particolar modo nei pazienti con difetti ereditari delle cellule fagocitarie o malattia cronica granulomatosa. Molti pazienti al alto rischio per aspergillosi invasiva sono trombocitopenici ed è comune l’insufficienza respiratoria, così i campioni bioptici possono essere difficili da ottenere. Inoltre, sia le colture che l’esame istopatologico possono essere negativi su campioni bioptici ottenuti da tessuti non infetti poiché possono sfuggire piccoli focolai di invasione vascolare e i reperti possono mostrare solo necrosi aspecifica tra aree di infarto secondario. Pertanto la decisione sull’inizio della terapia è basata su forti evidenze cliniche presuntive. L’esame istopatologico con argento o colorazione PAS può rivelare la caratteristica invasione dei vasi ematici da parte di ife settate con diametro regolare e ramificazioni dicotomiche (a forma di Y). Tuttavia, altre cause meno comuni di micosi opportunistiche possono essere simili dal punto di vista istopatologico. La sinusite invasiva può essere fortemente sospettata dalla TC e diagnosticata tramite rinoscopia anteriore con colture di conferma ed esami istologici da lesioni necrotiche bioptizzate. Altre lesioni superficiali invasive possono essere diagnosticate tramite coltura ed esami istologici. Le emocolture sono quasi sempre negative, anche nei rari casi di endocardite. Le grandi vegetazioni spesso rilasciano emboli abbastanza grandi da poter ostruire vasi ematici e fornire campioni per la diagnosi. Sono stati sviluppati vari test sierologici anche se di scarso valore per la diagnosi rapida dell’aspergillosi invasiva acuta potenzialmente letale. La ricerca di antigeni come i galattomannani può essere specifica ma non è così sensibile da identificare la maggior parte dei casi abbastanza precocemente.

Prognosi e terapia I noduli micotici né richiedono né rispondono alla terapia sistemica antimicotica ma possono richiedere la resezione chirurgica a causa degli effetti locali, specialmente emottisi. Le infezioni invasive richiedono generalmente un trattamento aggressivo con amfotericina B EV, sebbene in alcuni casi possa file:///F|/sito/merck/sez13/1581317.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.35

Malattie sistemiche da funghi

essere efficace l’itraconazolo orale (ma non il fluconazolo). L’aspergillosi invasiva progressiva è spesso rapidamente fatale, tanto che devono essere iniziate al più presto possibile alte dosi di amfotericina B (generalmente 1,0 mg/kg/die, fino a 1,5 mg/kg/die, solitamente somministrate in dosi frazionate). L’aggiunta di flucitosina può giovare ad alcuni pazienti, ma l’insufficienza renale inevitabilmente causata da alte dosi di amfotericina B aumenta l’accumulo di flucitosina e la probabilità di tossicità. Le dosi di flucitosina devono essere adeguate alla funzionalità renale. Diverse recenti formulazioni di amfotericina B associata a lipidi sono state approvate per l’uso in casi di aspergillosi invasiva che non rispondono alla formulazione colloidale standard. Se la progressiva insufficienza renale richiede una riduzione delle dosi di amfotericina B a livelli non ottimali, le più recenti formulazioni lipidiche sono meno nefrotossiche dell’amfotericina B deossicolato e si sono dimostrate efficaci. Tuttavia, studi comparativi diretti di differenti formulazioni non sono stati completati. L’itraconazolo è stato valutato in trial comparativi, ma è stato usato con successo in casi moderatamente gravi. Generalmente, la cura completa richiede la reversione dell’immunosoppressione (p. es., la risoluzione della neutropenia o la sospensione dei corticosteroidi). Recidive si verificano comunemente in pazienti che sviluppano nuovamente neutropenia.

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Malattie polmonari da ipersensibilità

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 76. MALATTIE POLMONARI DA IPERSENSIBILITÀ ASPERGILLOSI BRONCOPOLMONARE ALLERGICA Reazione allergica all'Aspergillus fumigatus che si verifica nei pazienti asmatici sotto forma di polmonite eosinofila.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Organismi meno frequenti, come le specie di Penicillium, Candida, Curvularia o Helminthosporium, possono causare delle sindromi identiche più accuratamente denominate micosi broncopolmonari allergiche.

Eziologia e patogenesi La presenza dell'A. fumigatus nel lume bronchiale provoca una risposta allergica nelle vie aeree e nel parenchima polmonare. Nella patogenesi sono coinvolte reazioni da ipersensibilità di tipo I e III (e probabilmente IV). Questa forma di aspergillosi non è invasiva. Gli alveoli interessati sono ripieni di eosinofili. Può svilupparsi una polmonite granulomatosa interstiziale, con infiltrazione peribronchiale e dei setti alveolari da parte di plasmacellule, cellule mononucleate e numerosi eosinofili. Il numero delle ghiandole mucose e delle cellule caliciformi dei bronchioli può aumentare. Nei casi avanzati si sviluppano bronchiettasie prossimali. La fibrosi può condurre a un'ostruzione grave e irreversibile delle vie aeree.

Sintomi e segni Il paziente si presenta generalmente con un'esacerbazione di asma bronchiale e può avere una febbricola intermittente e sintomi sistemici. Durante l'esame obiettivo del torace si rilevano i segni della bronco-ostruzione (espirazione prolungata e sibili). Le rx torace eseguite in serie mostrano opacità transitorie che possono migrare da un lobo all'altro. I tappi di muco possono determinare atelettasia. La TC è utile nel visualizzare le bronchiettasie, solitamente presenti nelle vie aeree prossimali. La broncografia non deve essere eseguita. L'esame dell'escreato può evidenziare piccoli zaffi o stampi giallastri o bruni contenenti i miceli dell'A. fumigatus, le spirali di Curschmann (aggregati mucosi), i cristalli di CharcotLeyden (corpuscoli eosinofili allungati formati da granuli eosinofili), muco ed eosinofili. Tutti questi elementi a eccezione dei miceli sono presenti anche

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Malattie polmonari da ipersensibilità

nell'escreato degli asmatici. Le colture dell'escreato possono essere positive per l'Aspergillus, ma non costantemente; occasionalmente, la dimostrazione del micete è difficile. Le prove di funzionalità respiratoria mostrano un quadro ostruttivo con diminuzione dei flussi espiratori. L'eosinofilia ematica di solito è > 1000/ml e i livelli di IgE totali e di Ac IgE specifici per l'Aspergillus possono essere estremamente elevati. Le indagini sierologiche rilevano Ac precipitanti contro l'A. fumigatus. Le prove cutanee con l'Aspergillus possono dare una reazione positiva bifasica con una reazione immediata di tipo I con pomfo ed eritema, seguita da una reazione tardiva (eritema, edema e dolorabilità culminanti dopo 6-8 h). Il significato della risposta tardiva non è tuttavia chiaro ed essa non è necessaria né sufficiente per la diagnosi.

Diagnosi Le caratteristiche diagnostiche sono rappresentate dall'asma bronchiale estrinseco (atopico, allergico), generalmente da lunga data, dagli infiltrati polmonari, dall'eosinofilia nell'escreato e nel sangue e dall'ipersensibilità all'Aspergillus o ad altro fungo attinente, dimostrata dalla formazione di pomfi ed eritema al test cutaneo, dagli Ac precipitanti sierici e da alti livelli di IgE totali e specifiche. La presenza di questi elementi (v. Tab. 76-4) rendono la diagnosi molto probabile. L'aspergillosi invasiva (v. Aspergillosi nel Cap. 158) in genere insorge sotto forma di una grave polmonite opportunistica in pazienti immunosoppressi. Gli aspergillomi possono insorgere su vecchie lesioni cavitarie (p. es., TBC) o, raramente, nella spondilite reumatoide per colonizzazione degli spazi aerei cistici dei lobi superiori.

Terapia Poiché l'A. fumigatus è ubiquitario, è difficile evitarlo. Il trattamento con corticosteroidi e altri farmaci antiasmatici (teofillina, simpaticomimetici) è generalmente in grado di permettere l'espettorazione degli zaffi di muco e con essi dell'Aspergillus. Il prednisone, come nella polmonite da ipersensibilità (v. sopra) è appropriato, sebbene possano essere necessari da 7,5 a 15 mg/ die per la terapia di mantenimento a lungo termine e per prevenire la forma progressiva e irreversibile. Non è ancora stabilita la percentuale di successo della terapia di mantenimento con corticosteroidi inalatori. Non sono consigliate l'immunoterapia né le terapie con farmaci fungicidi o fungistatici. Il trattamento iposensibilizzante con estratti di A. fumigatus è controindicato poiché produce fastidiose reazioni locali e può esacerbare i sintomi. Un buon segno prognostico e un indice del successo della terapia sono rappresentati da una prolungata riduzione delle IgE nel siero. La spirometria e la rx torace devono essere eseguite periodicamente perché la malattia può progredire senza sintomi clinici evidenti.

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Malattie sistemiche da funghi

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MUCORMICOSI (Zigomicosi; ficomicosi) Infezione con invasione tissutale da parte di ampie ife a forma irregolare non settate di diverse specie micotiche, incluse Rhizopus, Rhizomucor, Absidia e Basidiobolus.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

L’infezione è più frequente in soggetti immunocompromessi, in pazienti con diabete scarsamente controllato e in pazienti che ricevono terapia chelante con deferossamina.

Sintomi e segni La mucormicosi rinocerebrale è la forma più comune, anche se possano a volte aversi lesioni primarie cutanee, polmonari o gastrointestinali e possa verificarsi la disseminazione ematogena ad altri siti. Le infezioni rinocerebrali sono di solito fulminanti e frequentemente fatali. Di solito appaiono lesioni necrotiche sulla mucosa nasale o a volte sul palato. L’invasione vascolare delle ife porta a progressiva necrosi tissutale che può coinvolgere il setto nasale, il palato, le ossa periorbitarie o i seni paranasali. Le manifestazioni possono comprendere dolore, febbre, cellulite orbitale, proptosi, secrezione nasale purulenta e necrosi della mucosa. La progressiva estensione della necrosi fino a coinvolgere il cervello può causare segni di trombosi del seno cavernoso, convulsioni, afasia o emiplegia. Sono colpiti più spesso i pazienti con chetoacidosi diabetica, ma possono svilupparsi anche infezioni opportunistiche in associazione a terapia con deferossamina in malattie renali croniche o con immunosoppressione, in particolare con neutropenia o terapia corticosteroidea ad alti dosaggi. Le infezioni polmonari ricordano l’aspergillosi invasiva. Infezioni cutanee da Rhizopus si sono sviluppate sotto bendaggi occlusivi.

Diagnosi e terapia La diagnosi richiede un alto indice di sospetto e un accurato esame di campioni di tessuto per la ricerca di ife ampie e non settate di diametro irregolare e con aspetti ramificati, poiché molte delle lesioni necrotiche non contengono microrganismi. Per ragioni non chiare, le colture di solito sono negative anche quando le ife sono chiaramente visibili nei tessuti. La TC e la radiologia standard spesso sottostimano o non evidenziano distruzioni ossee significative. file:///F|/sito/merck/sez13/1581318.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.37

Malattie sistemiche da funghi

Affinché la terapia antimicotica sia efficace è necessario che il diabete sia controllato o, se possibile, che l’immunosoppressione sia risolta o che la deferossamina venga sospesa. Deve essere usata amfotericina B EV, poiché gli azolici non sono efficaci. Può essere necessaria la rimozione chirurgica dei tessuti necrotici, poiché l’amfotericina B non può penetrare in queste aree non vascolarizzate per rimuovere i microrganismi residui.

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Malattie sistemiche da funghi

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MICETOMA (Maduromicosi, piede di Madura) Infezione cronica, progressiva, locale causata da funghi o batteri, che coinvolge i piedi, le estremità superiori o il dorso, caratterizzata da tumefazione e formazione di fistole multiple.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi, prognosi e terapia

I batteri, principalmente Nocardia sp e altri actinomiceti, causano più della metà dei casi; i restanti sono causati da circa 20 differenti specie micotiche. Il micetoma si verifica principalmente in aree tropicali o subtropicali, compreso il sud degli USA ed è acquisito per l’ingresso dei microrganismi attraverso traumi locali su cute scoperta dei piedi e delle estremità o sulla schiena di lavoratori che trasportano vegetazione contaminata o altri oggetti. Sono più spesso colpiti gli uomini di età compresa tra i 20 e i 40 anni, presumibilmente a causa dei traumi incorsi durante il lavoro all’aperto. Le infezioni si diffondono attraverso aree contigue sottocutanee e si manifestano con tumefazione e formazione di fistole multiple che secernono caratteristici "granuli" che comprendono microrganismi raggruppati. Le reazioni tissutali microscopiche possono essere principalmente suppurative o granulomatose a seconda dello specifico agente eziologico.

Sintomi e segni La prima lesione può esser una papula, un nodulo cutaneo fisso, una vescicola con una base indurita o un ascesso sottocutaneo che si rompe per formare una fistola sulla superficie cutanea. La fibrosi è comune all’interno e intorno alle lesioni precoci. La tumefazione è minima o assente in mancanza di superinfezione acuta batterica suppurativa. L’infezione progredisce lentamente nel corso di mesi o anche anni, con graduale, progressiva estensione e distruzione di muscoli contigui, tendini, fasce e ossa. Non vi sono né disseminazione sistemica né segni e sintomi che suggeriscano un’infezione generalizzata. Infine, il danno muscolare, la deformità e la distruzione tissutale precludono l’uso degli arti colpiti. Nelle infezioni avanzate, le estremità coinvolte appaiono anormalmente rigonfie, formando una massa claviforme di aree cistiche con drenaggi multipli e tratti del seno intercomunicanti e fistole che secernono essudati spessi o sieroematici, contenenti i caratteristici granuli.

Diagnosi prognosi e terapia

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Malattie sistemiche da funghi

L’agente eziologico può essere identificato presuntivamente dall’esame macroscopico e microscopico dei granuli, che sono di forma irregolare, variamente colorati da 0,5 a 2 mm dai granuli dagli essudati. La spremitura e la coltura di questi granuli fornisce l’identificazione definitiva. I campioni possono contenere molti batteri e funghi, alcuni dei quali sono potenziale causa di superinfezioni. Il decorso può essere prolungato, di oltre 10 anni. Nei casi trascurati a causa di sovrainfezione batterica e sepsi può verificarsi la morte. Per trattare la Nocardia (v. Nocardiosi nel Cap. 157) vengono utilizzati sulfonamidi e alcuni altri farmaci antibatterici, a volte in combinazione. Tra le infezioni causate da funghi, i cosiddetti eumicetomi, alcuni dei potenziali agenti eziologici possono rispondere almeno parzialmente all’amfotericina B, all’itraconazolo o al ketoconazolo, ma molti sono resistenti a tutti i farmaci antimicotici disponibili. Spesso, si verificano recidive dopo la terapia antimicotica e molti casi non migliorano o peggiorano durante la terapia. È necessario lo sbrigliamento chirurgico, mentre l’amputazione dell’arto può diventarlo per prevenire gravi infezioni batteriche secondarie potenzialmente fatali.

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Malattie sistemiche da funghi

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CROMOMICOSI E FEOIFOMICOSI (Cromoblastomicosi; dermatite verrucosa; ematomicosi) Infezioni dei tessuti sottocutanei, dei seni paranasali, del cervello e di altri tessuti causate da funghi scuri dematicei melanino-pigmentati (che includono specie di Bipolaris, Cladophialophora, Cladosporium, Drechslera, Exophiala, Fonsecaea, Phialophora, Xylohypha, Ochroconis, Rhinocladiella, Scolecobasidium e Wangiella).

Sommario: Sintomi e segni Diagnosi, prognosi e terapia

Sintomi e segni La cromomicosi è un’infezione cutanea che colpisce persone sane, immunocompetenti principalmente in aree tropicali o subtropicali, caratterizzata dalla formazione di noduli papillomatosi che tendono a ulcerare. La maggior parte delle infezioni inizia dal piede, ma altre parti esposte del corpo possono essere infettate, specialmente dove la cute è lesionata. Dapprima piccole papule, pruriginose, che si allargano e possono ricordare le dermatofitosi (tigna). Esse si estendono a formare chiazze rosso scuro o violacee, dai margini demarcati con una base indurita. Diverse settimane o mesi dopo, nuove lesioni, aggettanti 1 o 2 mm al di sopra della cute, possono apparire lungo il decorso delle vie linfatiche. Al centro delle chiazze possono svilupparsi formazioni nodulari dure a forma di cavolfiore, di colore rosso scuro o grigiastro, che si estendono gradualmente fino a coprire le estremità in un periodo di tempo che può variare da 4 a 15 anni. Può verificarsi ostruzione linfatica, il prurito può persistere e sovrainfezioni batteriche secondarie possono causare ulcerazioni e, occasionalmente, setticemia. I funghi dematicei possono causare anche altri quadri di infezione nell’ospite sano e sono stati riconosciuti quali agenti opportunisti in pazienti immunocompromessi. La maggior parte dei testi di micologia definisce queste infezioni extracutanee come feoifomicosi. Possono verificarsi sinusiti invasive, a volte con necrosi ossea o anche noduli sottocutanei o ascessi, cheratiti, masse polmonari, osteomieliti, artriti micotiche, ascessi intramuscolari, endocarditi, ascessi cerebrali o meningiti croniche.

Diagnosi, prognosi e terapia Le lesioni cromomicotiche tardive hanno un aspetto caratteristico, ma quelle iniziali possono essere confuse con le dermatomicosi. La feoifomicosi deve essere distinta tramite esame istopatologico e colturale dalle molteplici altre cause di infezione extracutanea facciale e da patologie non infettive. I funghi dematicei sono frequentemente distinguibili nei campioni di tessuto colorati con le convenzionali ematossilina ed eosina, apparendo come corpi settati, bruni, che file:///F|/sito/merck/sez13/1581320a.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.39

Malattie sistemiche da funghi

riflettono il loro naturale contenuto di melanina. La colorazione di MassonFontana per la melanina ne conferma la presenza. La coltura è necessaria per identificare le specie causali. I funghi dematicei solo raramente causano infezioni fatali in coloro che hanno meccanismi di difesa intatti. Le malattie potenzialmente letali si verificano più spesso in pazienti immunocompromessi. L’itraconazolo è il farmaco antimicotico più efficace, sebbene non tutti i pazienti rispondano. La flucitosina è a volte utile come terapia secondaria, poiché alcune lesioni possono rispondere rapidamente, ma generalmente recidivano. Il fluconazolo raramente causa regressione delle lesioni e l’amfotericina B è inefficace. Molti casi richiedono l’escissione chirurgica.

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Malattie sistemiche da funghi

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 158. MALATTIE SISTEMICHE DA FUNGHI (Micosi sistemiche)

ALTRI FUNGHI OPPORTUNISTI Molti funghi e muffe possono causare infezioni opportunistiche, potenzialmente anche letali in pazienti immunocompromessi. Questi solo raramente colpiscono persone con difese immunitarie integre. I funghi tendono a causare fungiemia e coinvolgimento focale della cute e di altri siti. Trichosporon beigelii e Blastoschizomyces capitatus colpiscono particolarmente pazienti neutropenici. La Candida (Torulopsis) glabrata può causare fungiemia, infezioni urinarie e, occasionalmente, polmonite o altre lesioni focali e tende a essere più resistente agli azolici o all’amfotericina B della C. albicans. I bambini e gli adulti debilitati che ricevono iperalimentazione EV contenente lipidi sono suscettibili alla fungemia da Malassezia furfur. Il Penicillium marneffei è stato riconosciuto come agente opportunistico in pazienti con AIDS nel Sud-Est asiatico e ne sono stati riscontrati casi negli USA. Le lesioni cutanee da P. marneffei possono ricordare il mollusco contagioso. Varie muffe ambientali, tra cui specie di Fusarium e di Scedosporium, possono causare lesioni vasculitiche focali che mimano l’aspergillosi invasiva specialmente nei pazienti neutropenici. La diagnosi specifica richiede colture e identificazione di specie e ciò è di cruciale importanza perché non tutti questi organismi rispondono ad ogni singolo farmaco antimicotico. Per esempio, le specie di Scedosporium sono tipicamente resistenti all’amfotericina B. Devono ancora essere definiti regimi ottimali di terapia antimicotica per ogni membro di questo gruppo di funghi opportunisti.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

TIFO EPIDEMICO (Tifo europeo, classico o da pidocchi; febbre delle prigioni) Malattia acuta febbrile grave trasmessa dai pidocchi e causata dalla Rickettsia prowazekii, caratterizzata da febbre alta prolungata, cefalea intrattabile ed eruzione maculopapulare.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e prognosi Profilassi

Eziologia ed epidemiologia La R. prowazekii è presente in tutto il mondo e si trasmette all’uomo con le feci dei pidocchi del corpo umano, Pediculus humanus, quando la sede di una puntura viene contaminata mediante grattamento. Le feci secche dei pidocchi trasferiscono il microbo anche alle mucose degli occhi o alla bocca. L’uomo è il serbatoio naturale dell’infezione. Negli USA l’uomo può contrarre occasionalmente la febbre da tifo epidemico che è generalmente più lieve della forma classica, tramite contatto con gli scoiattoli o con i loro ectoparassiti o con le feci aerosolizzate dei pidocchi; essa viene identificata con test sierologici.

Sintomi, segni e diagnosi Dopo un periodo di incubazione di 7-14 gg si verificano improvvisamente febbre, cefalea e prostrazione. La temperatura raggiunge 40°C in diversi gg e rimane elevata, con lievi remissioni mattutine, per circa 2 sett. La cefalea è intensa e generalizzata; piccole macule rosate appaiono nel 4o-6o giorno, solitamente alle ascelle e alle zone alte del tronco, coprono rapidamente il corpo, escludendo generalmente la faccia, le piante dei piedi e le palme delle mani. Successivamente il rash diviene scuro e maculopapulare. In casi gravi l’eruzione diviene petecchiale ed emorragica. In alcuni casi si ha splenomegalia. Nei soggetti più gravi, si ha ipotensione; con collasso vascolare, insufficienza renale, segni encefalitici, ecchimosi con gangrena e polmonite; tutti segni di prognosi infausta. I decessi sono rari nei bambini < 10 anni, ma la mortalità aumenta con l’età e può raggiungere il 60% nei soggetti > 50 anni non trattati.

Profilassi file:///F|/sito/merck/sez13/1591323.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.40

Malattie da rickettsie

Mezzi molto efficaci sono la vaccinazione e il controllo dei pidocchi. Tuttavia i vaccini non sono facilmente disponibili. I pidocchi sono resistenti al DDT; essi possono essere eliminati irrorando le persone infestate con malathion o lindano. Per diagnosi e terapia, v. Diagnosi differenziale delle malattie da rickettsie e Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

TIFO EPIDEMICO (Tifo europeo, classico o da pidocchi; febbre delle prigioni) Malattia acuta febbrile grave trasmessa dai pidocchi e causata dalla Rickettsia prowazekii, caratterizzata da febbre alta prolungata, cefalea intrattabile ed eruzione maculopapulare. MALATTIA DI BRILL-ZINSSER La malattia di Brill-Zinsser è una recrudescenza di tifo epidemico che si verifica anni dopo un attacco iniziale. I pazienti affetti o hanno acquisito il tifo epidemico precedentemente o sono vissuti in un’area endemica per la malattia. Apparentemente quando le difese dell’ospite si riducono, i microrganismi presenti nel corpo vengono attivati e provocano la recidiva di tifo. I pidocchi che infestano i pazienti possono essere infetti e trasmettere il germe. Inoltre, la R. prowazekii può essere isolata dal sangue mediante inoculazione in animali. La malattia è sporadica, si presenta in qualsiasi stagione e anche in assenza di pidocchi infetti. I sintomi e i segni della malattia sono quasi sempre moderati e ricordano il tifo epidemico con simili disturbi circolatori e includono alterazioni epatiche, renali e neurologiche. Il decorso febbrile remittente dura circa 7-10 gg e l’eruzione è spesso evanescente o assente. La mortalità è nulla. Per diagnosi e terapia, v. Diagnosi differenziale delle malattie da rickettsie e Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

TIFO MURINO O ENDEMICO (Tifo da pulci di ratto, tifo urbano della Malesia) Malattia acuta febbrile clinicamente simile, ma più lieve del tifo epidemico, provocata da Rickettsia typhi (R. mooseri) e trasmessa all’uomo dalle pulci del ratto.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e prognosi Profilassi

Eziologia ed epidemiologia L’agente causale, R. typhi (R. mooseri), assomiglia alle altre rickettsie morfologicamente e per parassitismo intracellulare. Il serbatoio animale è rappresentato da ratti selvatici, topi e altri roditori; il germe è trasmesso all’uomo da pulci di ratto (Xenopsylla cheopis) e probabilmente dalle pulci del gatto (Ctenocephalides felis). La distribuzione è sporadica e ubiquitaria, ma l’incidenza è bassa e maggiore nelle aree infestate da ratti.

Sintomi, segni e prognosi Dopo un periodo di incubazione di 6-18 gg (media 10 gg), si manifesta un brivido scuotente con febbre e cefalea. La febbre dura circa 12 gg e poi la temperatura ritorna gradualmente alla norma. L’eruzione e le altre manifestazioni sono simili a quelle del tifo epidemico anche se decisamente meno gravi. Il rash iniziale è scarso e intervallato. Sebbene la mortalità sia bassa, i decessi sono più probabili nei pazienti anziani.

Profilassi L’incidenza è diminuita con la riduzione delle popolazioni dei ratti e delle pulci di ratto realizzata mediante bonifiche degli scantinati, dei depositi di cibo, dei granai e delle case, trappole, rodenticidi e spargendo polveri di carbaryl o permethrin nei luoghi infestati per controllare le pulci. Non esistono vaccini efficaci. Per la diagnosi e la terapia, v. Diagnosi differenziale e Trattamento delle malattie

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Malattie da rickettsie

da Rickettsia, sopra.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

TSUTSUGAMUSHI (Tsutsugamushi; tifo da acari; tifo tropicale) Malattia trasmessa da acari, provocata dalla Rickettsia tsutsugamushi e caratterizzata da febbre, da una lesione primaria, da un’eruzione maculare e da linfoadenopatia.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e prognosi Profilassi

Eziologia ed epidemiologia La R. tsutsugamushi è trasmessa in natura dagli acari trombiculidi che parassitano roditori domestici e di campagna, come ratti, criceti e topi campagnoli. L’infezione umana consegue al morso di larve di acaro. Lo tsutsugamushi si manifesta nell’area asiatico-pacifica delimitata da Giappone, India e Australia. Casi sporadici si sono verificati in soggetti americani, particolarmente tra coloro che si recano nel nord della Tailandia o in India.

Sintomi, segni e prognosi Dopo un periodo di incubazione di 6-21 gg (media 10-12 gg) compaiono febbre, brividi, cefalea e linfoadenopatia generalizzata. All’inizio della febbre si sviluppa spesso un’escara nella sede del morso della larva. La lesione è comune nei bianchi ma rara negli orientali e inizia come una lesione indurita e rossa di circa 1 cm di diametro, che infine forma una vescica, si rompe e diviene coperta da una crosta nera; si ha anche rigonfiamento del linfonodo regionale. La febbre aumenta durante la 1a sett., spesso fino a 40-40,5°C. La cefalea è frequente e grave, così come l’iniezione congiuntivale. Al tronco si manifesta un’eruzione maculare dal 5o all’8o giorno di febbre, che spesso si estende alle braccia e alle gambe. Essa può scomparire rapidamente o divenire maculopapulare e intensamente colorata. Durante la 1a sett. di febbre è presente tosse e può svilupparsi una polmonite durante la 2a sett. Nei casi gravi la frequenza cardiaca aumenta e la PA diminuisce; si manifestano stato delirante, stato stuporoso e spasmi muscolari. Possono essere presenti splenomegalia e miocardite interstiziale, che è più frequente in questa malattia che non nelle altre rickettsiosi. Nei pazienti non trattati, la febbre alta può perdurare per 2 sett. per poi gradualmente esaurirsi nell’arco di diversi gg. Con la terapia, invece, si ha una defervescenza entro 36 h; la guarigione è pronta e sicura.

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Malattie da rickettsie

Profilassi La ripulitura e l’irrorazione delle aree infestate con insetticidi a effetto residuo elimina o diminuisce le popolazioni di acari. I repellenti per acari (p. es., il dimetilftalato o il benzilbenzoato) devono essere usati quando è probabile che si possa essere esposti. Per diagnosi e terapia, v. Diagnosi differenziale delle malattie da rickettsie e Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

EHRLICHIOSI Malattia febbrile che ricorda la febbre maculosa delle montagne rocciose causata da un batterio simile a una rickettsia del genere Ehrlichia e trasmessa all’uomo dalle zecche.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia ed epidemiologia Gli Ehrlichia sono batteri obbligati e intracellulari che appaiono come piccole inclusioni citoplasmatiche nei linfociti e nei neutrofili. Le infezioni sono a volte trasmesse all’uomo tramite punture di zecca e a volte per contatto con cani parassitati dalla zecca marrone. La maggior parte dei casi è stata identificata nella parte sud-orientale e in quella centro-meridionale degli USA. Due specie d’Ehrlichia sono patogene per l’uomo negli USA, l’E. chaffeenis causa l’ehrlichiosi umana monocitica e l’E. phagocytophilia o un microrganismo correlato causa l’ehrlichiosi umana granulocitica. L’E. canis viene ora rivista come ehrlichiosi umana monocitica.

Sintomi, segni e diagnosi A prescindere dalle specie che causano le infezioni, i sintomi e i segni sono simili. Sebbene alcune infezioni siano asintomatiche, la maggior parte dei casi presenta un esordio brusco della malattia con febbre, brividi, cefalea e malessere, sintomi che iniziano di solito circa 12 giorni dopo una puntura di zecca. Alcuni pazienti sviluppano un rash maculopapuloso o petecchiale che interessa il tronco e le estremità, benché il rash sia raro con l’E. canis. Possono verificarsi dolore addominale, vomito e diarrea, coagulazione intravascolare disseminata, convulsioni e coma. Le alterazioni ematologiche ed epatiche includono leucopenia, trombocitopenia e anomalie dei test di funzionalità epatica e in particolar modo elevati livelli delle transaminasi. Sono disponibili esami sierologici diagnostici mentre la reazione a catena della polimerasi può aiutare a stabilire una diagnosi precoce.

Prognosi e terapia file:///F|/sito/merck/sez13/1591326.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.43

Malattie da rickettsie

È meglio iniziare la terapia prima che i risultati di laboratorio confermino la diagnosi. Quando la terapia viene iniziata precocemente, i pazienti generalmente rispondono rapidamente e bene. Quando la terapia viene ritardata, possono seguire serie complicanze, comprese superinfezioni virali e micotiche e morte. Tetraciclina (500 mg 4 volte al giorno), doxiciclina (100 mg 2 volte al giorno o 4 mg/kg/die in 2 dosi frazionate nei bambini) possono essere somministrate PO o EV. Può anche essere usato il cloramfenicolo (v. Trattamento delle malattie da Rickettsie, sopra). La terapia andrà protratta per almeno 7 gg.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

RICKETTSIOSI DELL'EST CAUSATA DA ZECCHE Malattie febbrili lievi o di media gravità, causate da varie rickettsie, trasmesse da zecche ixodidi e caratterizzate da una lesione iniziale, da adenopatia satellite e da un’eruzione eritematosa maculopapulare.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e prognosi

Eziologia ed epidemiologia Le rickettsiosi dell’est causate da zecche includono le rickettsiosi causate da zecche del nord dell’Asia, il tifo da zecche del Queensland, il tifo da zecche africane e la febbre maculosa Mediterranea [febbre bottonosa]. L’agente causale appartiene alle rickettsie del gruppo delle febbri maculari. La rickettsiosi da zecche nord asiatiche, provocata dalla R. sibirica, si manifesta in Armenia, in Asia centrale, in Siberia e in Mongolia; il tifo da zecche del Queensland, causato da R. australis, è presente in Australia. La febbre bottonosa, prototipo della 3a malattia, provocata dalla R. conorii, si presenta in tutto il continente africano, in India e in alcune aree dell’Europa e del Medio Oriente che si affacciano sul Mediterraneo, sul mar Nero e sul mar Caspio. Le malattie sono spesso denominate in base alla zona in cui si manifestano (p. es., tifo da zecche indiane, febbre bottonosa mediterranea, febbre di Marsiglia). L’epidemiologia di queste rickettsiosi da zecche assomiglia a quella del tifo petecchiale dell’emisfero occidentale. Le zecche ixodidi e gli animali selvatici mantengono le rickettsie in natura, se l’uomo si inserisce accidentalmente nel ciclo, si infetta. In alcune zone, il ciclo della febbre bottonosa interessa l’ambiente domiciliare, con la zecca marrone del cane, il Rhipicephalus sanguineus, in qualità di vettore dominante. In varie specie di zecche si ha la trasmissione transovarica delle rickettsie.

Sintomi, segni e prognosi I sintomi e i segni sono simili per tutte; essi sono più lievi di quelli che si riscontrano nella febbre maculare. Dopo un periodo di incubazione di 5-7 gg si manifestano febbre, malessere generale, cefalea e striatura congiuntivale. Con l’esordio della febbre compare una piccola ulcera a forma di bottone di 2-5 mm di diametro con il centro nero (un’escara o, nella febbre bottonosa, "tache noire"). Solitamente i linfonodi regionali o satelliti si presentano aumentati di volume. Al 4o giorno circa di febbre si ha la comparsa di un’eruzione maculo-papulare rossastra sugli avambracci che si estende alla maggior parte del corpo, file:///F|/sito/merck/sez13/1591327a.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.44

Malattie da rickettsie

comprese le palme delle mani e le piante dei piedi. La febbre perdura fino alla 2a sett. Le complicanze sono rare e il decesso è eccezionale, se non nei soggetti anziani o debilitati. Tuttavia la malattia non va ignorata; si può verificare una forma fulminante o una vasculite. Per diagnosi e terapia, v. Diagnosi differenziale delle malattie da rickettsie e Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra.

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

RICKETTSIOSI VESCICOLARE (Rickettsiosi varicelliforme) Malattia febbrile lieve e autolimitantesi, provocata dalla Rickettsia akari, con una lesione iniziale e un’eruzione generalizzata papulovescicolare.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi, profilassi e terapia

La rickettsiosi vescicolare, osservata per la prima volta nella città di New York, si è verificata in altre aree degli USA, in Russia, in Corea e in Africa. Il vettore, un piccolo acaro incolore, l’Allodermanyssus sanguineus, ha un’ampia distribuzione. Esso infetta il topo comune (Mus musculus) e anche alcune specie di topi selvatici e può trasmettere la R. akari per via transovarica. L’uomo può essere infettato col morso di acari adulti o di pulci penetranti.

Sintomi e segni Un’escara che appare all’inizio circa una sett. prima dell’esordio della febbre come piccola papula di 1-1,5 cm di diametro si sviluppa in una piccola ulcera con una crosta scura che lascia una cicatrice quando guarisce. È presente linfoadenopatia regionale. La febbre intermittente dura circa 1 sett., con brividi, sudorazione profusa, cefalea, fotofobia e dolori muscolari. Durante il decorso febbrile compare presto un’eruzione maculopapulare generalizzata con vescicole intraepidermiche, che risparmia le palme delle mani e le piante dei piedi. La malattia è di lieve entità e non se ne conoscono casi mortali.

Diagnosi, profilassi e terapia Per la profilassi i ricettacoli dei topi devono essere distrutti e i vettori controllati mediante insetticidi ad azione residua. Per diagnosi e terapia, v. Diagnosi differenziale delle malattie da rickettsie e Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra. Di regola la terapia non è indicata.

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Malattie da rickettsie

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

FEBBRE Q Malattia acuta causata da Coxiella burnetii (Rickettsia burnetii) e caratterizzata da improvvisa comparsa di febbre, cefalea, malessere e polmonite interstiziale.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia ed epidemiologia La febbre Q, con la sua distribuzione su scala mondiale, è considerata un’infezione latente degli animali domestici o da fattoria. Pecore, bovini e capre sono i principali serbatoi che alimentano l’infezione umana. La C. burnetii persiste in feci, urine, latte e tessuti (specialmente la placenta); così si formano facilmente fomiti e aerosol infetti. La C. burnetii è presente in natura anche con un ciclo animale-zecca. Diversi artropodi, roditori, altri mammiferi e uccelli sono tutti infettati naturalmente e possono giocare un ruolo nell’infezione umana. I casi di malattia si presentano tra i lavoratori che sono professionalmente in contatto ravvicinato con animali da fattoria o con i loro prodotti. La trasmissione avviene di solito per inalazione di aerosol infetti, ma la malattia si può contrarre anche per ingestione di latte infetto non trattato.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione varia da 9 a 28 gg e la media 18-21 gg. L’esordio è improvviso, con febbre, grave cefalea, brividi, grave malessere generale, mialgia e, spesso, dolori al torace. La febbre può raggiungere i 40°C e persiste per 1 od oltre 3 sett. A differenza delle altre malattie da rickettsie, la febbre Q non è associata a esantema. Una tosse non produttiva e un’evidenza radiografica di polmonite si sviluppano durante la 2a sett. di malattia. Nei casi gravi, si ha spesso consolidamento lobare e l’aspetto generale dei polmoni assomiglia a quello della polmonite batterica. Tuttavia, le alterazioni istologiche nella polmonite della febbre Q assomigliano a quelli della psittacosi e di alcune polmoniti virali; un infiltrato interstiziale intenso attorno a bronchioli e vasi sanguigui si estende alle pareti alveolari adiacenti e sono numerose le cellule del plasma. I lumi bronchiolari possono contenere leucociti file:///F|/sito/merck/sez13/1591328.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.45

Malattie da rickettsie

polimorfonucleati. Le cellule limitanti dell’alveolo sono rigonfie e gli alveoli stessi contengono cellule marginali desquamate e grosse cellule mononucleate. Circa 1/3 dei pazienti con febbre Q protratta sviluppa epatite, caratterizzata da febbre, malessere generale, epatomegalia con dolore addominale al quadrante superiore dx e talvolta ittero. I campioni bioptici del fegato mostrano diffusi cambiamenti granulomatosi e permettono l’identificazione della C. burnetii con immunofluorescenza. La cefalea e i segni respiratori sono invece, spesso, assenti. Tuttavia, la polmonite lobare può essere particolarmente grave in pazienti anziani o debilitati. Esistono inoltre diverse forme di febbre Q cronica, con epatite cronica ed endocardite. L’epatite da febbre Q cronica andrà distinta da altre malattie granulomatose del fegato (p. es., dalla sarcoidosi, dall’istoplasmosi, dalla brucellosi, dalla tularemia e dalla sifilide). L’endocardite provocata dalla C. burnetii è grave ma rara. Clinicamente rassomiglia all’endocardite batterica subacuta, con interessamento, il più delle volte, della valvola aortica. Le emocolture di routine sono costantemente negative. La febbre Q è raramente fatale (1% nei casi non trattati e anche più bassa nei casi trattati).

Diagnosi La diagnosi viene posta su base clinica e per dimostrazione di Ac nel siero del paziente nella fase 1. La febbre Q nella fase iniziale è simile a molte malattie infettive, come influenza, altre infezioni virali, salmonellosi, malaria, epatite e brucellosi; in seguito, somiglia a molte forme di polmonite batterica, virale e da micoplasmi. Un dato importante è il contatto eventuale con animali, prodotti animali o zecche. La C. burnetii può essere isolata dal sangue. Anticorpi specifici agglutinanti e fissazione del complemento (FC) compaiono durante la convalescenza. I test di agglutinizzazione sono più sensibili dei test FC; anche le analisi con Ac fluorescenti sono utili. Gli Ac contro gli organismi in fase 1 sono prodotti soltanto raramente nei soggetti in fase acuta di malattia, ma, quando sono presenti, indicano l’esistenza di una febbre Q cronica.

Profilassi La trasmissione dall’animale all’uomo è prevenuta al meglio attraverso la pastorizzazione del latte, il controllo delle polveri nelle industrie del settore e l’incenerimento di placente animali, feci e urine. L’escreato e l’urina devono essere sterilizzati in autoclave e il paziente deve essere isolato. I vaccini sono efficaci e vanno usati per proteggere chi lavora nei mattatoi o nei caseifici, i pastori, i cardatori della lana, i contadini e gli altri soggetti a rischio. Tali vaccini non sono in commercio, ma possono essere richiesti a laboratori speciali, p. es., al Medical Research Institute of Infectious Diseases dell’esercito degli USA a Frederick, nel Maryland.

Terapia La tetraciclina (250 mg PO q 4 o 6 h), la doxiciclina e il cloramfenicolo (50 mg/kg/ die in 4 dosi frazionate q 6 h) sono efficaci. Nella malattia acuta, la terapia va continuata per cinque giorni dopo la defervescenza. Il cloramfenicolo può essere utilizzato nei bambini in cui non vanno utilizzate le tetracicline. Nell’endocardite la terapia è prolungata e si preferiscono le tetracicline. Quando la terapia antibiotica risulta soltanto parzialmente efficace, è necessario sostituire

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Malattie da rickettsie

chirurgicamente le valvole danneggiate, sebbene siano state segnalate alcune guarigioni senza intervento chirurgico. Non sono ancora stati determinati precisi protocolli per l’epatite cronica. (V. anche Trattamento delle malattie da rickettsie, sopra.)

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Malattie da rickettsie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 159. MALATTIE DA RICKETTSIE (Rickettsiosi) Malattie causate da rickettsie che si manifestano con un esordio brusco, un decorso febbrile da una a diverse settimane, cefalea, malessere, prostrazione, vasculiti periferiche e, nella maggior parte dei casi, un caratteristico rash.

BARTONELLOSI Infezioni causate da Bartonella sp che di solito causano anemia acuta febbrile, un’eruzione cutanea cronica, la malattia da graffio di gatto o una malattia disseminata nell’ospite immunocompromesso.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia FEBBRE DELLE TRINCEE Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e prognosi Diagnosi Profilassi e terapia INFEZIONI DA BARTONELLA IN PAZIENTI IMMUNOCOMPROMESSI MALATTIE DA GRAFFIO DI GATTO Eziologia Sintomi e segni Diagnosi, prognosi e terapia

Eziologia Il genere Bartonella, un gruppo di batteri gram –, piccoli, debolmente colorati, include tre specie di importanza medica. Il genere è stato allargato recentemente a causa della riclassificazione di organismi precedentemente appartenenti al genere Rochalimaea. I microrganismi in questo genere, B. quintana, B. henselae e B. bacilliformis, sono riassunti nella Tab. 159-1. B. henselae, un’infezione batterica riconosciuta nei soldati durante la I guerra mondiale come causa di febbre della trincea è stata riportata poco comunemente e sporadicamente ovunque nel mondo nei decenni successivi (v. oltre). La B. quintana raramente causa endocardite nei barboni, negli alcolisti e angiomatosi bacillare, batteriemia e altre infezioni disseminate in pazienti con AIDS (v. Infezioni da Bartonella in pazienti immunocompromessi, oltre). In pazienti con sistema immunitario normale, la febbre della trincea causata da B. quintana si presenta sotto forma di febbri prolungate o ricorrenti con un prolungato periodo di batteriemia, ma con una bassa mortalità. Poiché i casi in ospiti immunocompetenti sono rari, le raccomandazioni sulla terapia antibiotica devono essere considerate empiriche: la doxicillina 100 mg PO bid per 4 sett. può essere di beneficio. file:///F|/sito/merck/sez13/1591329.html (1 of 5)02/09/2004 2.10.47

Malattie da rickettsie

La B. henselae (recentemente Rochalimaea henselae) causa due distinte sindromi: la malattia da graffio di gatto (o febbre da graffio di gatto) negli adulti e nei bambini con immunità normale e infezioni disseminate nei pazienti immunocompromessi (v. oltre). La B. bacilliformis è trasmessa da uomo a uomo per mezzo del Phlebotomus o pappatacio. Casi sporadici ed epidemie avvengono soltanto ad alcune quote nelle Ande in Colombia, Ecuador e Perù, paesi in cui si rinviene il vettore. Negli individui non immuni i microrganismi Bartonella invadono il circolo sanguigno e si attaccano alla superficie degli eritrociti provocando anemia; i germi invadono anche le cellule endoteliali capillari, provocando occlusione vascolare. Questa fase della malattia si complica spesso con una batteriemia sovrapposta provocata da Salmonella o da altri germi coliformi. Con l’instaurarsi dell’immunità, cala rapidamente il numero di batteri nel sangue e nelle cellule endoteliali. Dopo un periodo di latenza i microrganismi ricompaiono sulla cute e nei tessuti sottocutanei, dove causano apparentemente noduli emoangiomatosi.

Sintomi, segni e diagnosi La febbre di Oroya è caratterizzata da febbre improvvisa, debolezza, pallore, dolore muscolare e articolare, grave cefalea e, in molti casi, delirio e coma. Nei pazienti non trattati la mortalità può superare il 50%. La verruca peruviana può presentarsi in pazienti con o senza sintomi precedenti di febbre di Oroya. Le lesioni cutanee, che vanno da 0,2 a 4 cm di diametro, possono essere nodulari o erosive. Si presentano a gruppi, spesso al volto e alle gambe, possono persistere per mesi o anni e possono essere accompagnate da dolore e febbre. Sebbene le lesioni possano somigliare a quelle del sarcoma di Kaposi, sono distinguibili alla biopsia. Durante la fase acuta, i microrganismi possono attaccare il 90% degli eritrociti, causando un’anemia grave e si vedono facilmente su uno striscio colorato di sangue periferico. Durante la fase cutanea i microrganismi si possono riscontrare nelle lesioni. Sebbene in questa fase lo striscio di sangue sia di solito negativo, è possibile isolare la Bartonella mediante emocoltura. Importanti infezioni intercorrenti sono salmonellosi, malaria e amebiasi.

Profilassi e terapia L’insetto vettore può essere controllato mediante repellenti per insetti e con insetticidi. La terapia antibiotica risolve rapidamente la malattia acuta febbrile e accelera l’involuzione delle lesioni cutanee. La bartonellosi risponde a tetracicline e cloramfenicolo, ma, poiché spesso sopraggiunge come complicanza una batteriemia da Salmonella, la terapia di scelta è cloramfenicolo 2-4 g/die per via orale in più somministrazioni per 7 giorni.

FEBBRE DELLE TRINCEE (Febbre della Volinia, febbre quintana) Rara malattia febbrile veicolata da pulci, causata dalla Bartonella quintana e osservata soprattutto tra i militari durante le due guerre mondiali.

Eziologia ed epidemiologia L’agente causale, Bartonella (prima Rickettsia, Rochalimaea) quintana cresce al di fuori delle cellule, al contrario delle altre rickettsie e si moltiplica nel lume file:///F|/sito/merck/sez13/1591329.html (2 of 5)02/09/2004 2.10.47

Malattie da rickettsie

intestinale del corpo delle pulci. La B. quintana viene trasmessa all’uomo mediante la deposizione di feci infette di pulci su pelle abrasa o nelle congiuntive. L’uomo è il serbatoio naturale, poiché la B. quintana persiste nel sangue per mesi dopo la guarigione. La malattia è endemica in Messico, Tunisia, Eritrea, Polonia e nei paesi della ex-Unione Sovietica.

Sintomi, segni e prognosi Dopo un periodo di incubazione di 14-30 gg si ha un esordio improvviso con febbre, debolezza, sonnolenza, cefalea e gravi dolori alle gambe e alla schiena. La febbre può raggiungere i 40,5°C e durare 5-6 gg. In circa la metà dei casi, la febbre si ripresenta da una a otto volte a intervalli di 5-6 gg. Si manifestano un’eruzione maculare o papulare transitoria e, talvolta, epatomegalia e splenomegalia. L’affezione è contraddistinta da una rickettsiemia persistente durante l’attacco iniziale, durante le recidive (che sono frequenti) e nei periodi sintomatici tra varie recidive. La rickettsiemia può persistere per lunghi periodi; le recidive cliniche sono state descritte anche a 10 anni di distanza dal primo attacco. Sebbene la guarigione sia abitualmente completa in 1-2 mesi e la mortalità sia trascurabile, la malattia può essere lunga e debilitante.

Diagnosi La febbre delle trincee può essere sospettata in soggetti che vivono in zone pesantemente infestate da pidocchi. Bisogna escludere la leptospirosi, il tifo, la febbre ricorrente e la malaria. Il microrganismo può essere identificato esaminando l’ectoparassita; i normali pidocchi del corpo espellono la B. quintana circa 1 sett. dopo l’ingestione del sangue del paziente. È possibile evidenziare la presenza di Ac mediante test di fluorescenza o di FC durante la convalescenza.

Profilassi e terapia È necessario controllare la diffusione dei pidocchi umani (v. Tifo epidemico, sopra). La B. quintana è assai sensibile al cloramfenicolo in vitro e alle tetracicline, ma non esistono dati attendibili circa la sua efficacia clinica. Per il malessere generale sono utilizzate aspirina e codeina.

INFEZIONI DA BARTONELLA IN PAZIENTI IMMUNOCOMPROMESSI Le infezioni disseminate da B. henselae e B. quintana possono causare diversi quadri patologici in pazienti immunocompromessi, più spesso in quelli con AIDS. Queste infezioni di solito si verificano in pazienti con un numero di linfociti CD4 < 100/µl. Possedere un gatto è un fattore di rischio per infezione da Bartonella nei pazienti affetti da AIDS. La più comune manifestazione è l’angiomatosi bacillare caratterizzata da lesioni della cute protuberanti, rossastre, a forma di bacche, spesso circondate da un alone di squame; queste lesioni sanguinano profusamente se traumatizzate. Le lesioni dell’angiomatosi bacillare possono spesso essere distinte da quelle del sarcoma di Kaposi, che sono di solito più piatte e di colore porpora o nero-porpora. Anche nei casi in cui il sarcoma di Kaposi non rientra nella diagnosi differenziale, le lesioni sospette per angiomatosi bacillare devono essere bioptizzate per confermare la diagnosi. La colorazione di Warthin-Starry può dimostrare i batteri nelle lesioni cutanee. file:///F|/sito/merck/sez13/1591329.html (3 of 5)02/09/2004 2.10.47

Malattie da rickettsie

Le infezioni da B. henselae e B. quintana possono causare anche febbre prolungata e batteriemia in pazienti con AIDS. La diagnosi in questi casi viene effettuata tramite emocoltura. I microrganismi possono crescere in sistemi commerciali di emocoltura, ma le colture devono essere tenute in osservazione fino a 21 giorni. Poiché i bacilli non si colorano bene con la colorazione di Gram, devono essere usate colorazioni speciali come quella acridina arancio. Inoltre, possono verificarsi in pazienti con AIDS diversi altri tipi di infezioni profonde causate da B. henselae o B. quintana, compresa l’osteomielite, un’infezione batterica del fegato conosciuta come peliosi epatica, ascessi cerebrali ed endocarditi. La terapia ha di solito successo con eritromicina PO 500 mg q 6 h o doxiciclina 100 mg q 12 h, anche se deve essere continuata per almeno 3 mesi. Per l’endocardite, la peliosi epatica o per manifestazioni più gravi, devono essere usate inizialmente (passando alla via orale più tardi) eritromicina EV o doxicillina EV, spesso in combinazione con un secondo antibiotico come la rifampicina 300 mg PO bid o la gentamicina 1,5 mg/kg EV q 8-12 h; la terapia in questi casi deve essere continuata per almeno 4 mesi.

MALATTIA DA GRAFFIO DI GATTO (Febbre del graffio di gatto) Infezione causata da Bartonella henselae, caratterizzata da linfoadenite regionale successiva a papule nel punto graffiato dal gatto.

Eziologia Dai linfonodi possono essere coltivati alcuni piccoli bacilli gram – pleiomorfi, ora identificati come B. henselae dalla reazione a catena della polimerasi. I batteri possono essere identificati al microscopio in sezioni di linfonodi e nelle papule primarie. Nell’84% dei pazienti appartenenti a un gruppo che soddisfaceva i criteri clinici relativi alla malattia del graffio di gatto, sono stati dimostrati anticorpi verso la B. henselae. Il gatto domestico è il principale serbatoio per la B. henselae. La prevalenza di anticorpi anti B. henselae nei gatti negli USA varia dal 14 al 50%. In uno studio, il 41% dei gatti domestici aveva batteriemia, sebbene fossero tutti asintomatici. Circa il 99% dei pazienti riferisce contatti (e a volte ricorda di essere stato graffiato) con gatti e il 78% con gattini. La maggior parte dei felini implicati è sana. La pulce del gatto può essere un vettore aggiuntivo.

Sintomi e segni Tipici: entro 3-10 gg dopo un graffio di lieve entità, si sviluppa una lesione cutanea nel 60-90% dei pazienti. La lesione primaria tipica è una papula eritematosa e crostosa (soltanto di rado si tratta di una vera pustola) di 2-6 mm di diametro. La linfoadenopatia regionale si sviluppa nell’arco di 2 sett., spesso in forma monolaterale e in relazione alla sede del graffio (causando cioè linfoadenopatia ascellare, epitrocleare, sottomandibolare, cervicale o noduli inguinali). I linfonodi sono inizialmente duri, saldi e dolenti, ma più tardi divengono mobili e possono generare suppurazione con formazione di fistole. Febbre (nel 32-60% dei pazienti), malessere (nel 29%), cefalea (nel 13%) e anoressia (14%) possono presentarsi unitamente alla linfadenopatia (nel 100% dei casi). Atipici: manifestazioni insolite si riscontrano nel 5-14% dei pazienti. La sindrome

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Malattie da rickettsie

oculoglandulare di Parinaud (congiuntivite associata a linfonodi preauricolari palpabili) si riscontra nel 6% dei pazienti, manifestazioni neurologiche (encefalopatia, convulsioni, neuroretinite, mielite, paraplegia, arterite cerebrale) nel 2% e malattia granulomatosa epatosplenica. Altre manifestazioni rare sono rappresentate da eritema nodoso, lesioni osteolitiche e porpora trombocitopenica. Forme gravi sono state segnalate in diversi pazienti con AIDS. La lesione cutanea e la linfoadenopatia scompaiono spontaneamente nell’arco di 2-5 mesi.

Diagnosi, prognosi e terapia La diagnosi può essere confermata da titoli positivi di anticorpi per B. henselae. La prognosi è eccellente, eccetto nei casi neurologici gravi o di malattia epatosplenica che possono essere fatali o seguiti da effetti residui. La guarigione completa rientra nella norma. La terapia per la maggior parte dei pazienti deve essere conservativa: applicazione locale di calore e analgesici. Se il linfonodo è fluttuante (come nel 10-20% dei casi), un’aspirazione con siringa allevia generalmente il dolore. La terapia antibiotica non è chiaramente efficace e non è stata valutata in prospettiva. La sensibilità degli antibiotici in vitro spesso non si correla ai risultati clinici. Rifampicina, ciprofloxacina, gentamicina e cotrinossazolo (TMP-SMX) sembrano avere efficacia clinica, ma con ognuno di essi sono stati riportati fallimenti. Una limitata esperienza suggerisce che la gentamicina EV a dosi di 5 mg/kg/ die in dosi frazionate q 8 h è efficace nella malattia atipica grave da graffio di gatto (neurologica o epatosplenica).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 159-1. INFEZIONI DA BARTONELLA Malattia nome(i) Organismo

Manifestazioni nell'ospite sano

Popolazione a rischio

Insetto vettore

Febbre delle trincee

B. quintana

Febbre prolungata o ricorrente

Soggetti che vivono Pidocchio in condizioni di del corpo sovraffollamento o con scarsa igiene; pazienti immunocompromessi a rischio d’infezione disseminata.

Malattia da graffio di gatto

B. henselae

Linfoadenopatia, Possessori di gatto o ?Pulci di cuccioli; pazienti febbre immunocompromessi a rischio d’infezione disseminata.

Febbre di Oroya, verruca peruviana, malattia di Carrión

B. bacilliformis

Anemia emolitica febbrile acuta; lesioni cutanee; infezioni secondarie

Residenti nelle montagne andine ad altitudini 6002400m

Terapia antibiotica *Eritromicina; doxiciclina; rifampicina

*Eritromicina; doxiciclina; rifampicina

Phlebotomus Cloranfenicolo; penicillina; pappatacio tetracicline; streptomicina

*La terapia non è di solito necessaria nei pazienti con sistema immunitario nella norma.

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Malattie da clamidie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 160. MALATTIE DA CLAMIDIE Le clamidie sono parassiti intracellulari obbligati immobili. Sebbene fossero originariamente considerati virus per via della loro moltiplicazione all’interno del citoplasma delle cellule ospiti, esse sono ora considerate dei batteri, poiché contengono sia DNA che RNA, possiedono una parete cellulare chimicamente simile a quella dei batteri gram –, possiedono ribosomi e crescono bene nei sacchi vitellini delle uova embrionate. Nel genere Chlamydia, vengono identificate tre specie: C. psittaci che provoca la psittacosi; C. pneumoniae, che causa la polmonite da clamidie e C. trachomatis, che comprende 15 sierotipi e causa molte condizioni patologiche; i sierotipi A, B, Ba e C causano il tracoma e le congiuntiviti da inclusione; quelli da D a K causano malattie trasmesse sessualmente. L1 e L2 causano il linfogranuloma venereo e la L3 causa polmoniti nel topo. La C. trachomatis negli USA è la più comune causa di malattie trasmesse per via sessuale, comprese l’uretrite non gonococcica e l’epididimite negli uomini; la cervicite, l’uretrite e la malattia infiammatoria pelvica nelle donne; la sindrome di Reiter; la congiuntivite neonatale e la polmonite acquisite per trasmissione materna. In alcune casistiche la C. trachomatis è stata ritenuta responsabile del 20% delle faringiti dell’adulto. La C. pneumoniae (prima chiamata TWAR), originariamente considerata un sierotipo di C. psittaci, viene ora considerata come specie e può causare polmonite, specialmente nei bambini e nei giovani. La percentuale di polmoniti di comunità dovute a C. pneumoniae varia dal 6 al 19% in diversi studi. Essa può essere clinicamente indistinguibile da una polmonite causata da Mycoplasma pneumoniae. Sebbene secondo alcuni studi la polmonite da clamidia tra i bambini < 5 anni sia rara, essa arriva a rappresentare il 6-9% dei casi di polmonite in altri. Non sono state osservate variazioni stagionali nella frequenza. Il microrganismo è stato trovato nelle lesioni ateromatose e l’infezione è associata a un aumentato rischio di malattia coronarica. La causalità non è stata stabilita e sono in corso studi clinici controllati sulla terapia. La C. psittaci infetta numerosi animali, ma l’infezione umana è strettamente correlata al contatto con uccelli. La psittacosi e le polmoniti da clamidia sono trattate nel Cap. 73; il linfogranuloma venereo e l’uretrite nel Cap. 164; le epididimiti nel Cap. 219; la sindrome di Reiter nel Cap. 51; la congiuntivite e la polmonite neonatale nelle Infezioni neonatali nel Cap. 260; i disordini oftalmici, tracoma e congiuntivite da inclusi, nel Cap. 95. Le clamidie possono essere isolate in colture tissutali. Anche i test immunologici degli Ac fluorescenti diretti e le reazioni immunoenzimatiche, sono in grado di dimostrare la presenza delle clamidie. Test sierologici possono essere utili per escludere l’infezione da Chlamydia in una popolazione a bassa prevalenza di infezione. La terapia è rappresentata da tetracicline, macrolidi e alcuni fluorochinolonici. La terapia, proseguita per 2 sett., può ridurre le recrudescenze.

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Malattie da clamidie

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE (V. anche Larva Migrans Cutanea nel Cap. 114, Trichomoniasi nel Cap. 164 e Infestazione da ossiuri nel Cap. 265.)

Sommario: Introduzione Diagnosi di laboratorio delle infestazioni parassitarie

Le infezioni parassitarie sono comuni in Africa, Asia e America centrale e meridionale, ma sono relativamente rare altrove. Le persone che si spostano dai paesi industrializzati alle aree endemiche spesso possono ridurre il rischio seguendo rigide regole di alimentazione, di balneazione e prendendo semplici misure per minimizzare l’esposizione. Visitatori casuali da paesi endemici probabilmente non diffondono malattie parassitarie, poiché i requisiti ambientali, i vettori o gli ospiti intermedi necessari per la trasmissione di molte infezioni parassitarie, non sono spesso presenti nei paesi industrializzati. Tuttavia, la trasmissione di infezioni importate può verificarsi per via oro-fecale, attraverso trasfusioni di sangue o trapianti d’organo oppure tramite un vettore locale idoneo. Le più recenti raccomandazioni per prevenire alcune infezioni parassitarie possono essere ottenute dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta (Georgia, USA; in Italia presso i Servizi di Igiene delle ASL, ndt). Consultando i centri medici di riferimento si possono ottenere consigli utili circa le modalità di trattamento delle infezioni non comuni. Diversi farmaci non in commercio negli USA, possono essere ottenuti dal Parasitic Diseases Branch dei CDC.

Diagnosi di laboratorio delle infestazioni parassitarie I metodi per la diagnosi di specifiche infezioni sono riassunte nella Tab. 161-1. Molti protozoi e le uova di alcuni elminti vengono escrete sporadicamente. La ricerca di routine di uova e parassiti intestinali richiede l’esame di almeno tre campioni di feci, preferibilmente raccolti in giorni diversi o in tre giorni consecutivi. Le feci fresche, non contaminate con urina, acqua o sporcizia, vanno inviate al laboratorio entro 1 h, in particolare se sono diarroiche o poco formate (cioè se è probabile che contengano trofozoiti mobili). Se l’esame non può essere eseguito subito, le feci ben formate possono essere refrigerate (non congelate). Se possibile, si dovrebbero emulsionare porzioni di feci fresche con fissativo per conservare i protozoi gastrointestinali. Possono rivelarsi inoltre utili anche strisci sottili di materiale fecale, conservati con fissativo di Schaudinn. Se necessario, i campioni di feci possono essere concentrati tramite formalina-etere, sospensione di zinco, tecnica di flottazione con zucchero o tecnica di Baerman. I tamponi anali possono rivelare le uova dei vermi cilindrici o a nastro. Gli antibiotici, i raggi x, i purganti irritanti e gli antiacidi, rendono più difficile il rilevamento di uova e parassiti per diverse settimane. La sigmoidoscopia deve essere presa in considerazione quando gli esami di file:///F|/sito/merck/sez13/1611333.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.49

Infezioni parassitarie

routine delle feci sono negativi in pazienti sospetti per amebiasi o schistosomiasi. Il campione sigmoidoscopico deve essere raccolto con una "curette" o con un cucchiaio di Volkmann (i tamponi di cotone non sono adatti) ed esaminato subito. Se in pazienti con esame delle feci negativo si sospetta la giardiasi o la strongiloidiasi, possono essere effettuati aspirati duodenali o test del laccio. Biopsie dell’intestino crasso possono essere necessarie per la diagnosi di infezioni come la criptosporidiosi.

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Infezioni parassitarie della cute

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 114. INFEZIONI PARASSITARIE DELLA CUTE (v. anche Cap. 161.)

LARVA MIGRANS CUTANEA (Creeping disease; dermatite serpiginosa)

Sommario: Introduzione Terapia

La dermatite serpiginosa da larve di anchilostomidi è causata principalmente da Ancylostoma braziliense, un verme parassita dei cani o dei gatti. Le uova vengono depositate con le feci e le larve persistono nel terreno o nella sabbia calda e umida, penetrando nella cute non protetta, che viene a contatto con il terreno. Questa infezione colpisce più frequentemente i piedi, le gambe, i glutei o la schiena. Il parassita, scavando gallerie nell’epidermide, provoca un sentiero infiammato tortuoso e filiforme. Il prurito è intenso. Una dermatite da grattamento e una sovrainfezione batterica secondaria ne possono complicare il tipico aspetto ad andamento serpiginoso.

Terapia La somministrazione PO o l’applicazione topica di una sospensione al 10% di tiobendazolo, qid per 7-10 giorni, è di pronto effetto. Sembra che anche il mebendazolo topico in crema sia efficace.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

TRICOMONIASI Infezione della vagina o del tratto genitale maschile da Trichomonas vaginalis.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia Il Trichomonas vaginalis è un protozoo flagellato rinvenuto nel tratto GU di ambo i sessi. Il microrganismo possiede di solito una forma a pera, con dimensioni medie di 7-10 µm, ma talvolta può essere lungo anche 25 µm. Presenta quattro flagelli anteriori e un quinto flagello inserito in una membrana ondulante. Questo microrganismo che è più frequente nelle donne, infettandone il 20% in età fertile, provoca vaginite, uretrite e talvolta cistite. Il T. vaginalis negli uomini è più difficile da identificare; provoca probabilmente prostatite e cistite e in alcune zone può essere responsabile del 5-10% di tutti i casi di uretrite maschile. Spesso gli uomini infettati asintomatici possono infettare i loro partner sessuali. L’infezione può coesistere con la gonorrea e altre STD.

Sintomi e segni Nelle donne l’esordio è accompagnato tipicamente da un’abbondante secrezione vaginale schiumosa giallo-verdastra associata a irritazione e indolenzimento di vulva, perineo e cosce, cui si accompagnano dispareunia e disuria. Alcune donne hanno soltanto una secrezione moderata e possono essere portatrici asintomatiche per lungo tempo, anche se possono sviluppare i sintomi dell’infezione in qualsiasi momento. Nei casi gravi vulva e perineo possono essere infiammati, con edema delle grandi e piccole labbra. Le pareti vaginali e la superficie del collo uterino possono mostrare macchie rosse punteggiate a fragola, ma spesso risultano normali o possono presentare piccole quantità di secrezione nei fornici vaginali. Gli uomini sono generalmente asintomatici; tuttavia essi possono presentare una secrezione uretrale transitoria, schiumosa o purulenta, con disuria e pollachiuria limitata spesso al primo mattino. Altri presentano lieve irritazione uretrale e, talvolta, meato uretrale con secrezione umida; fastidio al perineo o in regioni pelviche più profonde e, se non è stato circonciso, vi è una secrezione sottoprepuziale. Complicanze rare sono l’epididimite e la prostatite.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Diagnosi Nelle donne la diagnosi può essere di solito posta immediatamente con l’esame di un campione non colorato di secrezione vaginale prelevato dal fornice posteriore e osservato con un microscopio ottico normale. I movimenti a frusta dei flagelli e la spiccata motilità dei microrganismi a forma ovoide si notano con molta facilità. L’esame colturale è più sensibile dell’esame diretto. La tricomoniasi viene diagnosticata facilmente anche in uno striscio di Papanicolaou. Per escludere gonorrea, infezioni da clamidia e altre STD si dovranno eseguire i test del caso. Negli uomini, se l’esame viene effettuato al mattino presto, prima che il paziente abbia urinato, si potrà notare una lieve secrezione mucoide e si potranno rinvenire sottili filamenti di muco al test delle urine con i 2 bicchieri. Le secrezioni uretrali maschili vanno osservate al microscopio in strato sottile per rilevare la presenza di tricomonadi e vanno usate per la semina in terreni di coltura. Pure utile può risultare l’osservazione del sedimento urinario dopo centrifugazione delle secrezioni prostatiche.

Terapia Il metronidazolo, 2 g PO in unica dose, cura fino al 95% delle donne al primo trattamento, se anche i partner sessuali vengono trattati simultaneamente. Poiché l’efficacia della terapia a dose unica nei maschi non è chiara, questi dovranno ricevere 500 mg dello stesso farmaco bid per 7 gg specialmente se una singola dose non si è dimostrata sufficiente. Si è manifestata resistenza clinica e microbiologica al metronidazolo e ciò può rendere necessario la somministrazione del farmaco ad alte dosi EV oppure terapia locale. Non vi sono farmaci alternativi. Il metronidazolo può causare leucopenia, reazioni all’alcol tipo disulfuram o superinfezioni da candida. È relativamente controindicato all’inizio della gravidanza, sebbene non sia pericoloso per il feto dopo il primo trimestre. Si dovranno sottoporre a esame e trattare tutti i partner sessuali.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VARIE INFESTAZIONE DA OSSIURI (Enterobiasi; ossiuriasi) Infestazione intestinale determinata all’Enterobius vermicularis e caratterizzata da prurito perianale.

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L’Enterobius è il parassita che, nelle zone temperate, infesta più frequentemente l’intestino dei bambini. La sua incidenza nella popolazione infantile generale è 20%; nei bambini istituzionalizzati sale al 100%.

Patogenesi L’infestazione avviene solitamente per trasferimento con le dita delle uova del parassita dalla regione anale a veicoli (vestiario, biancheria da letto, mobili, coperte, giocattoli), da cui passano a un nuovo ospite, raggiungono la bocca e vengono ingoiate. Le uova possono anche essere inalate e quindi ingerite. Tramite le dita contaminate che trasportano le uova dalla regione perianale alla bocca, può verificarsi facilmente la reinfestazione (o l’autoinfestazione). Gli ossiuri raggiungono la loro maturità nel tratto GI basso in 2-6 sett. La femmina migra nella regione perianale (di solito di notte) e deposita le uova entro le pieghe cutanee. I movimenti del verme femmina e la sostanza gelatinosa in cui deposita le uova causano prurito anale. Le uova possono sopravvivere sui veicoli per 3 sett. a temperatura ambiente. A volte le larve possono schiudersi rapidamente nella regione perianale e ritornare nel retto e nel tratto intestinale più basso (retroinfestazione).

Sintomi e segni La maggior parte delle persone che alberga gli ossiuri non ha alcun sintomo né alcun segno. Alcuni comunque hanno prurito perianale e presentano perciò escoriazioni perianali per il continuo grattamento. La vaginite nelle giovani ragazze può essere dovuta a un’irritazione causata dagli ossiuri. Dolore addominale, insonnia, convulsioni e molte altre condizioni sono state attribuite all’infestazione da ossiuri, ma una relazione causale non è ancora stata

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Infezioni nei bambini

dimostrata. L’appendicite è stata raramente attribuita all’ostruzione del lume appendicolare da parte di ossiuri, ma la presenza dei parassiti può essere una coincidenza.

Diagnosi La diagnosi si fa ricercando il verme femmina, che ha una lunghezza di circa 10 mm (i maschi circa 3 mm), nella regione perianale 1-2 h dopo che il bambino è stato messo a letto per la notte o identificando le uova con un microscopio a bassa risoluzione. Le uova di 50 ⋅ 30 µg sono di forma ovale con un guscio sottile che contiene le larve raggomitolate. Le uova vanno ricercate al mattino presto prima che il bambino si alzi toccando le pieghe perianali con una striscia di nastro adesivo trasparente posto con il lato adesivo sulla punta di un abbassalingua. Poi la striscia è messa con il lato adesivo su un vetrino e osservata al microscopio. Una goccia di toluene posta fra la striscia e il vetrino dissolve l’eventuale materiale mucoso ed elimina le bolle d’aria che possono impedire l’identificazione delle uova. Questa procedura deve essere ripetuta per 5 mattine successive se necessario per escludere l’infestazione da ossiuri.

Terapia Poiché il parassita è raramente dannoso, l’incidenza di infestazione è alta, e la reinfestazione è probabile, il trattamento di solito non è indicato. Comunque alcuni genitori sono turbati dal concetto di infestazione per cui richiedono la terapia anche quando il figlio ha avuto i vermi molte volte. Una singola dose di mebendazolo 100 mg PO (indipendentemente dall’età) è efficace nell’eradicare gli ossiuri (ma non le uova) nel 90% circa dei casi. Anche la somministrazione PO di Pyrantel pamoato in un’unica dose di 11 mg/kg (massimo 1 g) ripetuta dopo 2 sett. eradica gli ossiuri in circa il 90% dei casi. La retroinfestazione e le reinfestazioni sono probabili, poiché le uova possono essere depositate fino a una sett. dopo la terapia, e poiché le uova depositate nell’ambiente prima della terapia possono sopravvivere per 3 sett. Poiché infestazioni multiple tra i familiari sono la regola, il trattamento di un solo membro della famiglia è inutile. Il lavaggio meticoloso delle mani e la pulizia della casa hanno poco effetto sul controllo o sul trattamento delle infestazioni da ossiuri. Preparati al petrolio o altre creme o unguenti antipruriginosi applicati nella regione perianale 2-3 volte/die, possono alleviare il prurito. Con la reinfestazione, l’eradicazione completa degli ossiuri in ogni singolo componente della famiglia può essere conseguita in molti casi con i seguenti provvedimenti: (1) tutti i membri della famiglia ricevono pyrantel pamoato in dose terapeutica; (2) tutti lasciano la propria casa per 3 sett., preferibilmente cambiando posto ogni sera (e stando attenti a non contaminare gli altri); (3) il pyrantel pamoato è somministrato di nuovo a tutti alla fine della 2a sett. Ovviamente, questo trattamento non è pratico, anche se sarebbe efficace.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE (V. anche Larva Migrans Cutanea nel Cap. 114, Trichomoniasi nel Cap. 164 e Infestazione da ossiuri nel Cap. 265.)

PROTOZOI EXTRAINTESTINALI MALARIA Infezione con ognuna delle quattro differenti specie di Plasmodi, che causano periodici parossismi di brividi, febbre e sudorazione, anemia e splenomegalia.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

La malaria è endemica in Africa, in gran parte del sud e sud-est asiatico, in America centrale e nella zona settentrionale del sud America. La malaria una volta era endemica negli USA ma è stata praticamente eliminata dal Nord America. Tuttavia, sono ancora presenti le zanzare anofele capaci di trasmettere la malattia. Piccole epidemie causate da trasmissione locale di malaria importata sono state riportate in California, Florida e a New York. La maggior parte dei casi negli USA si verifica in persone infettate all’estero (malaria importata); un’esigua percentuale da trasfusione di sangue. Le quattro specie importanti di Plasmodium sono P. falciparum, P. vivax, P. ovale e P. malariae. Il P. falciparum e, recentemente, il P. vivax sono diventati progressivamente resistenti ai farmaci antimalarici. Molti neri dell’Africa occidentale e degli USA sono resistenti al P. vivax poiché i loro globuli rossi non hanno il gruppo sanguigno Duffy, che è necessario per l’invasione dei globuli rossi. Lo sviluppo di Plasmodium nei globuli rossi è anche ritardato in pazienti con emoglobina S, emoglobina C, talassemia, deficit di G6PD o ellissocitosi melanesiana.

Eziologia e patogenesi L’elemento base del ciclo vitale è lo stesso per ognuna di queste quattro specie. La trasmissione inizia quando una zanzara femmina Anopheles punge una persona affetta da malaria e ingerisce sangue contenente gametociti. Durante le successive 1 o 2 sett., i gametociti all’interno della zanzara si riproducono sessualmente e si sviluppano in sporozoiti infettivi. Quando la zanzara punge una persona, inocula gli sporozoiti, che rapidamente infettano gli epatociti. Questo non produce malattia clinica. Tuttavia si verifica schizogonia tra gli epatociti infetti; da 1 a 2 sett. dopo essi si rompono e rilasciano merozoiti che invadono i globuli rossi dove si trasformano in trofozoiti. Essi appaiono come anelli nei globuli rossi colorati, i giovani trofozoiti crescono e si sviluppano in schizonti, che file:///F|/sito/merck/sez13/1611337.html (1 of 6)02/09/2004 2.10.53

Infezioni parassitarie

rompono il globulo rosso. I merozoiti rilasciati nel plasma quindi invadono rapidamente nuovi glubuli rossi. Ripetuti cicli di schizogonia (invasione e rottura di un globulo rosso) sono responsabili dei sintomi clinici. Simultaneamente, un ciclo separato di sviluppo esita nella formazione di gametociti nei globuli rossi. Questi sono clinicamente irrilevanti, ma infettano le zanzare anofele mantenendo così il ciclo vitale del parassita. Gli schizonti pre-eritrocitari nel fegato possono persistere da 2 a 3 anni nelle infezioni da P. vivax e P. ovale, ma non da P. falciparum o P. malariae. Questi ipnozoiti a lunga sopravvivenza servono come base per le recidive e complicano la chemioterapia perché non vengono uccisi dai farmaci usati per trattare la malattia clinica. La parte pre-eritrocitaria del ciclo della malaria non si svolge quando l’infezione è trasmessa con una trasfusione di sangue, attraverso la condivisione di aghi contaminati o per via congenita. Anemia e ittero sono causati da emolisi intravascolare dei globuli rossi infetti durante il rilascio dei merozoiti, da fagocitosi di globuli rossi infetti e non infetti nella milza, dalla limitata sopravvivenza di globuli rossi infetti e non infetti e da ematopoiesi inefficace, specialmente con concomitante malnutrizione.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione varia di solito da 10 a 20 giorni per P. vivax, da 12 a 14 giorni per P. falciparum e di circa 1 mese per P. malariae. Tuttavia, alcuni ceppi di P. vivax in climi temperati possono non causare malattia fino a 1 anno dall’infezione. La malaria è spesso atipica in una persona che abbia assunto chemioprofilassi. Il periodo di incubazione può estendersi per settimane dall’interruzione del farmaco. Invece dei periodici brividi e febbre, il soggetto può avere cefalea, rachialgia, e febbre irregolare i parassiti possono essere difficili da trovare nei campioni di sangue. Le manifestazioni comuni a tutte le forme di malaria includono anemia, ittero, splenomegalia, epatomegalia e accesso malarico (rigor) che coincide con il rilascio di merozoiti da parte dei globuli rossi lisati. Un accesso malarico comincia con malessere, brivido brusco e febbre che sale fino a 39-41°C, polso rapido e flebile, poliuria, cefalea crescente e nausea. Successivamente la febbre scende e si verifica una profusa sudorazione per 2 o 3 h. L’accesso malarico si verifica circa ogni 48 h con P. vivax, P. falciparum e P. ovale e circa ogni 72 h con P. malariae. Questi intervalli non sono rigidi gli accessi possono verificarsi quotidianamente nelle infezioni miste o precocemente durante l’infezione (specialmente con P. falciparum). L’anemia nella malaria dipende dalla specie infettante: solitamente grave in P. vivax e P. falciparum e di solito moderata in P. malariae. La splenomegalia di solito diventa palpabile alla fine della prima sett. di malattia ma può anche non verificarsi con P. falciparum. La milza aumentata di volume è morbida ed esposta a rottura traumatica. La splenomegalia si riduce progressivamente con attacchi ricorrenti di malaria e si sviluppa un’immunità funzionale. Dopo molti attacchi, la milza diventa fibrotica e fissa. L’epatomegalia di solito accompagna la splenomegalia. P. falciparum causa la malattia più grave e può essere fatale se non trattata. I globuli rossi che contengono gli schizonti del P. falciparum aderiscono all’endotelio vascolare, ostruendo i piccoli vasi sanguigni e causando anossia tissutale in vari organi. I pazienti con malaria cerebrale possono sviluppare sintomi che vanno dall’irritabilità al coma. Possono anche verificarsi sindrome da stress respiratorio, diarrea, ittero, tensione epigastrica, emorragie retiniche, malaria algida (una sindrome simile allo shock) e grave trombocitopenia. Malattia renale può risultare da deplezione di liquidi, intasamento dei vasi ematici, deposizione di immunocomplessi o febbre dell’acqua nera (emoglobinemia ed emoglobinuria risultante da emolisi intravascolare, sia spontaneamente che dopo trattamento con chinino). L’ipoglicemia e l’ipoinsulinemia sono comuni e possono essere aggravate dal trattamento con chinino. Il coinvolgimento placentare può

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Infezioni parassitarie

portare ad aborti spontanei, nascite premature o raramente infezioni congenite. P. vivax e il P. ovale raramente compromettono le funzioni di organi vitali. La mortalità è rara ed è principalmente dovuta alla rottura splenica o iperparassitemia incontrollata in persone aspleniche. Le infezioni da P. malariae causano spesso sintomi non acuti, ma la parassitemia a basso livello può persistere per decenni e portare a nefrite mediate da immunocomplessi o a nefrosi o alla "malattia della grande milza." La P. malariae è la più comune causa di malaria da trasfusione.

Diagnosi L’infezione da P. falciparum è un’emergenza medica. Gli attacchi ricorrenti di brivido e la febbre senza apparente causa devono sempre suggerire la malaria, particolarmente se il paziente è stato in un’area endemica negli ultimi 3-5 anni, ha una splenomegalia o è stato recentemente sottoposto a una trasfusione. Il reperto di Plasmodium in uno striscio di sangue permette di porre diagnosi di malaria. La specie infettante deve essere identificata poiché ciò influenza la terapia e la prognosi. Alcuni tratti distintivi sono riassunti nella Tab. 161-2. Le possibilità di trovare parassiti sono maggiori tra un episodio clinico e l’altro piuttosto che dopo un parossismo. Gli strisci per la malaria sono preparati allo stesso modo di quelli per gli studi ematologici. Gli strisci spessi sono preparati da una maggiore quantità di sangue diffusa circolarmente su un’area del vetrino di circa 15 mm, in modo che le cellule del sangue siano distese l’una sull’altra. Il preparato a goccia spessa può essere fatto asciugare del tutto, preferibilmente con il lato colorato in basso per proteggerlo dalla polvere, dalle mosche e così via. I preparati a goccia spessa sono non fissati ma sono piazzati direttamente nella soluzione di Giemsa. Dopo la colorazione, i vetrini possono essere lavati con acqua corrente o acqua distillata e quindi asciugati all’aria (senza macchiarli). I vetrini non devono essere sporcati con cotone e olio. Poiché il colorante Giemsa è acquoso, i glubuli rossi sono emolizzati. I parassiti appaiono quindi come organismi extracellulari contro un uniforme sfondo di stromi eritrocitari. I globuli bianchi rimangono relativamente intatti. I vetrini sottili colorati forniscono una buona morfologia ma sono meno sensibili dei preparati a goccia spessa, che richiedono maggiore esperienza diagnostica. Gli strisci ematici devono essere ripetuti ogni 6 h se quello iniziale è negativo. Il metodo quantitativo di esaminare il sovranatante dei campioni di sangue può aumentare la sensibilità. La reazione a catena della polimerasi e sonde di DNA specie-specifiche sono in corso di valutazione, così come un metodo rapido per la ricerca di un antigene di P. falciparum nel corso della malattia acuta. La sierologia è di aiuto solo retrospettivamente. Anticorpi IgM di solito appaiono quando i parassiti sono stati già dimostrati nel sangue periferico successivamente, la risposta IgG è marcata.

Prevenzione Nessuna misura è del tutto efficace per prevenire la malaria una pronta valutazione medica deve essere cercata per tutte le malattie febbrili nei soggetti a rischio. La malaria è particolarmente pericolosa nei bambini < 5 anni, nelle donne in gravidanza e nei visitatori di aree endemiche precedentemente non esposti. Vaccini sperimentali sono stati valutati in studi clinici controllati. La profilassi contro le zanzare include l’uso di insetticidi spray, contenenti piretro, nelle case e al di fuori degli edifici, applicando delle protezioni alle porte e alle finestre, posizionando zanzariere (preferibilmente impregnate di piretro) intorno ai letti, usando repellenti per zanzare come la N,N-dietil-metatoluamide e indossando indumenti protettivi, specialmente tra la sera e l’alba.

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Infezioni parassitarie

La chemioprofilassi deve iniziare da 1 a 2 sett. prima di recarsi in un’area endemica e continuare 4 sett. dopo il ritorno da un’area endemica. Tuttavia la doxiciclina può essere iniziata da 1 a 2 giorni prima di entrare in area endemica. La clorochina, assunta una volta a settimana, è raccomandata in chi si rechi in aree a rischio dove non sia stata riportata la presenza di P. falciparum clorochinoresistente (p. es., Haiti nel 1996). La clorochina è di solito ben tollerata. Altrimenti può essere usata l’idrissiclorochina. La meflochina è raccomandata in chi si rechi in aree dove esistono ceppi di P. falciparum clorochino-resistenti. Una combinazione fissa di meflochina, pirimetamina e sulfadossina è commercializzata in alcuni paesi con il nome Fansimef. Il Fansimef non deve essere confuso con la meflochina poiché non è raccomandato per la profilassi per la malaria. La doxiciclina presa quotidianamente è un regime alternativo per chi fa viaggi brevi e non tollera la meflochina o per persone in cui il farmaco sia controindicato (v. oltre). Per i viaggiatori che non possono assumere né la meflochina né la doxiciclina, donne in gravidanza e bambini sotto i 15 kg, si raccomanda una dose settimanale di clorochina. In caso di malattia febbrile durante il viaggio quando cure professionali mediche non siano prontamente disponibili, le persone che usano solo clorochina devono immediatamente assumere una dose di pirimetamina più sulfadossina (eccetto le persone con una storia di intolleranza ai sulfonamidi) o di alofrantina. Il cosiddetto trattamento presuntivo è solo una misura temporanea e una pronta valutazione è imperativa. Finché quest’ultima non viene effettuata deve essere continuata la profilassi settimanale con clorochina. Se l’esposizione a P. vivax o a P. ovale è stata intensa o il viaggiatore era splenoctomizzato, può essere indicato un ciclo profilattico di 14 giorni con primachina fosfato al ritorno. La malaria durante la gravidanza pone una serie di problemi terapeutici sia per la madre che per il feto. Se il viaggio in un’area endemica è inevitabile, si dovrà somministrare quanto meno una chemioprofilassi con clorochina. La sicurezza della meflochina durante la gravidanza è in fase di studio ma una limitata esperienza suggerisce che può essere sicura dopo la 16a sett. di gestazione. La sicurezza della pirimetamina/sulfadossina durante la gravidanza non è stata stabilita. La doxiciclina e la primachina non devono essere assunte durante la gravidanza. Una volta che una persona lascia un’area endemica, la resistenza funzionale dura solo pochi mesi e protegge contro solo quei ceppi di parassiti a cui la persona è stata esposta.

Terapia I dosaggi raccomandati dei farmaci antimalarici sono elencati nelle Tab. 161-3 e 161-4; i comuni effetti collaterali e le controindicazioni sono descritti oltre. Se si sospetta il coinvolgimento del SNC con P. falciparum, la terapia deve essere iniziata immediatamente senza aspettare uno striscio positivo. Diversi nuovi farmaci antimalarici sono disponibili al di fuori degli USA. L’alofantrina può essere usata per trattare il P. falciparum clorochino-resistente ma non deve essere usata per profilassi. Il farmaco può causare prolungamento del tratto QT. Il Quinghaosu riduce rapidamente la parassitemia, da P. falciparum, ma sono comuni le recidive. Il proguanil può essere usato per la chemioprofilassi in combinazione con la clorochina settimanalmente ma può causare anemia megaloblastica. Terapia per l’attacco acuto: la clorochina è il farmaco di scelta contro P. malariae, P. ovale e i ceppi clorochino-sensibile di P. falciparum e di P. vivax. Il paziente di solito diventa apiretico in 48 o 72 h. Nella malaria da P. falciparum, la

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Infezioni parassitarie

somministrazione lenta EV di clorochina è indicata se il farmaco per via orale non può essere tollerato. Nei pazienti con parassitemia a insorgenza rapida l’exanguinotrasfusione, associata ad antimalarici parenterali, può rimuovere rapidamente i GR infetti e salvare la vita. I corticosteroidi sono controindicati nella malaria cerebrale. Il P. falciparum clorochino-resistente va trattato con chinino solfato o, nella malattia grave, con chinidina EV o chinino diidrocloridrato. La terapia parenterale deve essere continuata fino a che la parassitemia non sia < 1% o non sia tollerata la somministrazione di farmaci per via orale. A causa della possibile recidiva, si accompagna questo regime a pirimetamina e sulfadossina, tetraciclina o clindamicina. Altri farmaci includono la meflochina, l’alofantrina e i derivati dell’artemisina. Infezioni da P. vivax clorochino-resistenti si sono verificate in Nuova Guinea e nelle isole Solomone. È raccomandata la terapia con chinino e tetraciclina o con meflochina. Terapia curativa: per prevenire le recidive di malaria da P. vivax o da P. ovale, le forme ipnozoite devono essere eliminate con la primachina. La primachina deve essere somministrata contemporaneamente alla clorochina o in un secondo tempo. Alcuni ceppi sono resistenti e richiedono un trattamento ripetuto. Una terapia curativa non è necessaria per il P. falciparum o il P. malariae, poiché essi non hanno una fase persistente epatica. Effetti collaterali e controindicazioni: gli effetti collaterali minori della clorochina e dell’idrossiclorochina, come i disturbi gastrointestinali, le cefalee, le vertigini, la visione offuscata o il prurito, non richiedono generalmente la sospensione dei farmaci. Entrambi i farmaci possono esacerbare la psoriasi. Esami oftalmologici periodici sono consigliati per le persone che assumono clorochina settimanalmente per più di 6 anni a causa di rari episodi di retinopatia. L’assunzione di clorochina durante la gravidanza è sicura. Sebbene la chinidina e il chinino parenterali, siano generalmente ben tollerati, devono essere usati soltanto nei reparti di terapia intensiva, dove si possono effettuare monitoraggi emodinamici ed ECG. È doverosa una particolare attenzione all’idratazione e al livello di glucoso nel sangue del paziente. I livelli plasmatici di chinidina > 6 µg/ml (18 µmol/l), l’intervallo QT > 0,6 s o l’allargamento del QRS oltre il 25% del valore di base suggeriscono di rallentare la frequenza delle infusioni. Il chinino può causare temporaneamente tinnito, nausea e disturbi della visione. Reazioni cutanee fatali si verificano in 1/11000 fino a 1/25000 viaggiatori americani che usano pimetamina-sulfadossina settimanalmente per profilassi. Il suo uso è anche associato a eritema polimorfo, sindrome di Stevens-Johnson, neurolisi epidermica tossica, orticaria, dermatite esfoliativa, malattia da siero ed epatite. Il farmaco è controindicato in persone con una storia di intolleranza ai sulfonamidi e in bambini con età 2 mesi. La doxiciclina è controindicata in gravidanza e nei bambini di 8 anni. Disturbi gastrointestinali, fotosensibilità e candidosi vaginale sono relativamente comuni. La meflochina causa vertigini autolimitantesi e disturbi gastrointestinali. Il farmaco può anche causare bradicardia sinusale e prolungamento del tratto QT e non deve essere usato da coloro che ricevono farmaci che possono prolungare la conduzione cardiaca (p. es.,β-bloccanti, calcio-antagonisti). La meflochina può causare vertigini, confusione, psicosi e convulsioni e non deve essere usata in pazienti con una storia di epilessia o disturbi psichiatrici o in coloro il cui lavoro richiede una fine coordinazione e discriminazione spaziale. La meflochina non deve essere usata nei bambini con un peso inferiore a 15 kg o nelle donne in gravidanza. Poiché la primachina può causare una grave emolisi intravascolare in persone con deficit di G6PD, i pazienti devono essere sottoposti a screening per questo difetto prima della terapia. Possono verificarsi inoltre, crampi addominali e metemoglobinuria, ma il farmaco è altrimenti generalmente ben tollerato. La file:///F|/sito/merck/sez13/1611337.html (5 of 6)02/09/2004 2.10.53

Infezioni parassitarie

primachina è controindicata durante la gravidanza. All’estero, ma non negli USA, sono disponibili diversi nuovi farmaci antimalarici. L’alofantrina può essere usata per trattare la malaria da P. falciparum clorochinoresistente, ma non deve essere usata come agente profilattico. Il farmaco può causare prolungamento del tratto QT. Il Quinghaosu (artemisina) è derivato da un rimedio dell’erboristeria tradizionale cinese. Esso riduce rapidamente la parassitemia da P. falciparum ma sono comuni le recidive. Vari derivati del composto base sono in fase di valutazione in alcuni paesi. Il proguanil (paludrine) non è in commercio negli USA ,ma può essere utilizzato per la chemioprofilassi in combinazione con la clorochina settimanalmente. Il proguanil è un inibitore della diidrofolato reduttasi e perciò può causare anemia megaloblastica.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI EXTRAINTESTINALI BABESIOSI Infezione causata da ceppi di origine bovina o di roditori di Babesia sp, che provoca una malattia simile alla malaria con anemia emolitica.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

Eziologia e patogenesi Negli USA la B. microti costituisce la causa più comune di babesiosi. Le arvicole sono il principale serbatoio naturale, mentre le zecche dei cervi della famiglia Ixodidae (che veicolano anche le spirochete che causano malattia di Lyme) sono i vettori usuali. Le zecche allo stato larvale si infettano mentre parassitano arvicole infette, quindi si ibernano e si trasformano in ninfe che trasmettono il parassita a un altro animale o accidentalmente a un uomo. Le zecche adulte di solito parassitano i cervi ma possono anche trasmettere il parassita agli uomini. La Babesia entra nei globuli rossi, matura e si divide in maniera asessuata per gemmazione. Gli eritrociti infetti alla fine si rompono e rilasciano organismi che invadono altri eritrociti. Le aree endemiche negli USA includono le isole e i confini dello stretto di Nantucket nel Massachusetts, la parte orientale di Long Island e di Shelter Island nello stato di New York, le coste del Connecticut, inoltre esistono focolai nel Wisconsin, in Georgia e in California. Altre specie di Babesia trasmesse da differenti zecche infettano l’uomo in alcune parti d’Europa, come Irlanda e Yugoslavia. La babesiosi può anche essere trasmessa con le trasfusioni di sangue.

Sintomi e segni L’infezione asintomatica può persistere per mesi o anni e rimanere subclinica durante tutto il suo corso in persone altrimenti sane, specialmente in quelle con meno di 40 anni. Quando è sintomatica, la malattia comincia dopo 1 o 2 sett. di incubazione ed è caratterizzata da malessere, stanchezza, brividi, febbre, mialgia e artralgia che può durare per settimane. Possono verificarsi epatosplenomegalia con ittero, anemia da lieve a moderatamente grave, lieve neutropenia e trombocitopenia. L’infezione può essere potenzialmente letale in soggetti asplenici, in cui la babesiosi ricorda la malaria da falciparum, con febbre elevata, anemia emolitica, emoglobinuria, ittero e insufficienza renale. La splenectomia può fare in modo file:///F|/sito/merck/sez13/1611342.html (1 of 2)02/09/2004 2.10.54

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che una parassitemia asintomatica diventi sintomatica.

Diagnosi Molti pazienti non ricordano una puntura di zecca. La diagnosi viene fatta di solito rinvenendo Babesia in strisci di sangue. Forme tetragone o a canestro o una gran quantità di parassiti extraeritrocitari sono utili indizi diagnostici. Sono disponibili esami sierologici e metodi per ricercare nel sangue il DNA del parassita dopo amplificazione tramite reazione a catena polimerasica (PCR). La diagnosi può anche essere fatta inoculando sangue del paziente in criceti o in gerbilli e monitorando poi i roditori per la parassitemia.

Prevenzione Le persone aspleniche devono evitare le aree endemiche. L’uso di repellenti per insetti e di abiti protettivi è di ausilio. Dopo una possibile esposizione, il corpo deve essere esaminato per individuare eventuali zecche; le ninfe hanno la grandezza di circa una capocchia di spillo e perciò non sono facilmente evidenti. La rimozione delle zecche prima che siano completamente rigonfie di sangue e si stacchino spontaneamente (cosa che può richiedere da 2 a 3 giorni) può prevenire la trasmissione della malattia.

Terapia Molti pazienti richiedono solo una terapia sintomatica, ma una terapia specifica è indicata per i casi gravi con persistente febbre elevata, parassitemia in rapido aumento ed ematocrito in netta diminuzione. La terapia raccomandata è il chinino (650 mg PO tid) associato a clindamicina (600 mg PO tid o 1,2 g EV bid) per 710 giorni. Il dosaggio pediatrico è chinino 25 mg/kg/die PO associato a clindamicina 20-40 mg/kg/die PO, somministrati in 3 dosi frazionate. L’atovaquone e l’azitromicina rimangono farmaci in studio. L’exanguino trasfusione è stata risolutiva in pazienti gravemente ipotesi con alta parassitemia.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI EXTRAINTESTINALI TRIPANOSOMIASI AFRICANA (Malattia del sonno africana) Infezione da protozoi del genere Trypanosoma, che causano una malattia cronica con linfoadenopatia generalizzata e spesso una meningoencefalite fatale.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

Eziologia e patogenesi La tripanosomiasi africana è causata da T. brucei gambiense in Africa centrooccidentale e da T. brucei rhodesiense in Africa orientale, entrambi trasmessi da mosche tsetse. Le forme metacicliche inoculate dalle mosche si trasformano in tripomastigoti che si moltiplicano per fissione binaria, si diffondono per via ematica e raggiungono i linfonodi circa 1 sett. dopo l’inoculazione. I tripomastigoti si moltiplicano finché anticorpi specifici prodotti dall’ospite lisano i microrganismi e riducono al minimo i livelli del parassita. Tuttavia, alcuni parassiti sfuggono alla distruzione immunitaria alterando i loro antigeni di superficie e iniziando un nuovo ciclo di moltiplicazione se l’infezione non viene trattata. Il ciclo di moltiplicazione e lisi si ripete per molti mesi. Più tardi nel corso dell’infezione, i tripanosomi si trovano nei fluidi interstiziali di molti organi, specialmente nel miocardio e nel SNC. Le tripanosomiasi africane possono anche essere trasmesse da trasfusione di sangue.

Sintomi e segni Una papula può svilupparsi entro pochi giorni o 2 sett. nel punto della puntura della mosca tsetse che diventa gradualmente un nodulo duro (nodulo tripanosomiale) di colore rosso scuro o dolente, che si risolve poi spontaneamente. Questo è più comune nelle infezioni da T. b. rhodesiense ed è meno comune tra gli africani che tra le altre popolazioni. La fase successiva della malattia si sviluppa dopo vari mesi nei pazienti africani ma può iniziare bruscamente e precocemente nei pazienti non africani. Febbre intermittente, cefalea, rigidità ed edema transitorio si verificano quando i tripanosomi si diffondono nel sangue, nei linfonodi e nel midollo osseo. Un caratteristico, evanescente rash eritematoso circinato si verifica da 6 a 8 sett. dopo l’infezione, più facilmente visibile nelle aree scoperte della cute. È spesso presente una linfoadenopatia generalizzata. Il segno di Winterbottom (linfonodi ingrossati nel triangolo cervicale posteriore) è file:///F|/sito/merck/sez13/1611343.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.55

Infezioni parassitarie

caratteristico della malattia del sonno del Gambia. Nella forma gambiana, il coinvolgimento del SNC si verifica da mesi a diversi anni dopo l’esordio della malattia acuta nella forma rodesiana, l’invasione del SNC si verifica nei primi mesi. Il coinvolgimento del SNC causa persistente cefalea, incapacità di concentrazione, alterazioni della personalità come stanchezza progressiva e indifferenza, sonnolenza diurna, bulimia, tremore, atassia e coma terminale. Se l’infezione non viene trattata, si verifica la morte di solito entro 9 mesi dall’esordio della malattia nella forma rodesiana e durante il secondo o terzo anno nella forma gambiense. I pazienti muoiono in coma, con miocardite, malnutrizione o infezioni secondarie.

Diagnosi In fase precoce di malattia, la diagnosi viene fatta trovando i tripanosomi nei vetrini o in preparati sottili colorati con Giemsa o vetrini spessi di sangue periferico (più utili nel tipo rodesiano) o in aspirato da un linfonodo ingrossato (più utile nel tipo gambiense). La centrifugazione del sangue o di campioni di fluidi può essere necessaria per concentrare i tripanosomi. Negli stadi avanzati, i tripanosomi possono essere trovati solo in centrifugati del LCR. Il sangue o i fluidi possono essere inoculati in animali o coltivati per la diagnosi. È utile effettuare esami sierologici quali (immunofluorescenza[IFA], ELISA, agglutinazione su carta). Quando è coinvolto il SNC, la pressione del LCR è aumentata e il LCR presenta livelli elevati di linfociti, proteine totali e IgM. Oltre ai tripanosomi possono essere presenti le caratteristiche cellule di Mott (plasmacellule moruleggianti piene di goccioline di immunoglobuline). Gli esami di laboratorio includono anemia, monocitosi e livelli sierici marcatamente elevati di IgM policlonali.

Prevenzione La prevenzione include l’evitare aree endemiche e il proteggersi contro le mosche tsetse. I visitatori dei parchi devono indossare abiti a maniche lunghe e pantaloni (le mosche tsetse pungono attraverso i tessuti sottili) e utilizzare profusamente repellenti per insetti. La profilassi con pentamidina (4 mg/kg IM q 3-6 mesi) offre una certa protezione contro la forma gambiense. La pentamidina può tuttavia causare insufficienza renale, diabete e un’infezione mascherata se non adeguatamente gestita. Perciò essa è usata solo in situazioni particolari.

Terapia La suramina e la pentamidina sono efficaci contro gli stadi ematici di entrambe le forme da T. brucei ma non curano le infezioni del SNC. Una dose di prova iniziale di 100 mg di suramina EV (per escludere l’ipersensibilità) è seguita da 1 g EV il giorno seguente e quindi il 3o, 7o, 14o e 21o per un totale di 5 g. Ai bambini si somministrano 20 mg/kg EV dopo una dose di prova di 100 mg. Il dosaggio della pentamidina isetionato è 4 mg/kg/die IM per 10 giorni. Il melarsoprolo è il farmaco di scelta nel caso di disturbi del SNC. Si somministra di solito in un ciclo di 3 giorni da 2 a 3,6 mg/kg/die EV che viene ripetuto dopo 1 e 2 sett. Ai pazienti debilitati con grave compromissione del SNC, si somministra melarsoprolo in 3 dosi quotidiane o a gg alterni, di 1,5, 2 e 2,2 mg/kg EV. Dopo un intervallo di 7 gg, si somministrano 3 dosi di melarsoprolo da 2,5, 3 e 3,6 mg/ kg/die EV; dopo un altro intervallo di 7 gg si somministra un terzo ciclo con 3,6 mg/kg/die EV per 3 gg. Per i bambini la dose iniziale è di 0,36 mg/kg EV, da portare gradualmente a un massimo di 3,6 mg/kg EV q 1-5 gg per un totale di 9file:///F|/sito/merck/sez13/1611343.html (2 of 3)02/09/2004 2.10.55

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10 dosi o di 18-25 mg/kg in 1 mese. Gli effetti collaterali gravi includono encefalopatia reattiva e dermatite esfoliativa in aggiunta alla comune tossicità degli arsenicali sul tratto gastrointestinale e sull’apparato renale. Un precedente trattamento con suramina (2-4 dosi a gg alterni di 250-500 mg EV) può aiutare a prevenire un’encefalopatia. L’eflornitina è efficace sia contro gli stadi precoci che quelli tardivi gambiani (non rodesiani) della tripanosomiasi. Viene somministrata EV con dosaggi di 400 mg/ kg/die in 4 dosi frazionate per 14 giorni, seguita da terapia orale con 300 mg/kg/ die per 3-4 sett.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI EXTRAINTESTINALI TRIPANOSOMIASI AMERICANA (Malattia di Chagas) Infezione con Trypanosoma cruzi, che causa cardiomiopatia cronica, megaesofago o megacolon.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi Il T. cruzi è trasmesso dalle cimici triatomine (reduvidi, "bacianti," o "assassine"). Mentre pungono le cimici infette depositano feci sulla cute contenenti tripomastigoti metaciclici. Queste forme infettive entrano attraverso la ferita della puntura o penetrano le membrane mucose. I parassiti quindi invadono i macrofagi nel punto di entrata e si trasformano in amastigoti che si moltiplicano per scissione binaria e sono rilasciati come tripomastigoti nel sangue e nei tessuti dai quali infettano altre cellule. Le cellule del sistema reticoloendoteliale, del miocardio, dei muscoli e del sistema nervoso sono comunemente coinvolte. Altri importanti serbatoi includono cani, gatti, opossum, ratti e altri mammiferi. L’infezione può anche essere trasmessa da trasfusione di sangue o per via transplacentare. Le cimici triatomine infette si trovano nel nord, centro e sud America. Più di 20 milioni di persone in America sono state infettate da T. cruzi. La trasmissione da vettore non è frequente. Negli USA sono stati notificati solo pochi casi (nel Texas e in California). Tuttavia, > 100000 Latino Americani immigrati che vivono negli USA sono cronicamente infetti; queste persone sono potenziali fonti di trasmissione tramite trasfusione di sangue. In zone del Sud-America, la malattia cardiaca di Chagas è la principale causa di morte negli uomini con meno di 45 anni.

Sintomi e segni L’infezione iniziale è di solito asintomatica. Segni nel sito di ingresso del parassita non sono comuni ma consistono in una lesione cutanea eritematosa indurita (lo chagoma) o perioculare unilaterale ed edema palpebrale con congiuntivite e linfoadenopatia preauricolare (complessivamente chiamati segno di Romana) quando il sito di inoculazione sia la congiuntiva. Nei soggetti che sviluppano una malattia acuta clinicamente apparente i sintomi cominciano dopo 1 o 2 sett. di incubazione e consistono in febbre (che dura file:///F|/sito/merck/sez13/1611345.html (1 of 3)02/09/2004 2.10.56

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settimane), malessere, linfoadenopatia generalizzata ed epatosplenomegalia. Meno del 10% dei pazienti con malattia acuta di Chagas sviluppa una miocardite acuta con insufficienza cardiaca o una meningoencefalite acuta con convulsioni. La malattia acuta è fatale in circa il 10% dei pazienti ma regredisce senza alcun trattamento nei rimanenti. Dopo una fase acuta sintomatica o asintomatica, le persone infettate entrano in una fase latente che può durare anni, decenni o tutta la vita. I segni clinici della malattia cronica di Chagas si sviluppano nel 20-40% dei casi. La cardiomegalia cronica porta a ipertrofia flaccida di tutte le cavità cardiache, aneurismi apicali e lesioni degenerative localizzate nel sistema di conduzione, che producono insufficienza cardiaca, sindrome di Stokes-Adams, morte improvvisa dovuta ad arresto cardiaco o aritmie ventricolari e tromboembolie. La più comune anomalia all’ECG è il blocco cardiaco di branca destro. La malattia cronica del tratto gastrointestinale produce sintomi che ricordano l’acalasia o la malattia di Hirschsprung. Il megaesofago di Chagas si presenta con disfagia o rigurgito e può portare a infezioni polmonari per aspirazione o a grave malnutrizione. Il megacolon può dare luogo a prolungati periodi di stipsi e volvoli intestinali. L’immunosoppressione dei pazienti cronicamente infetti può portare alla riattivazione, con alta parassitemia e a una seconda fase acuta. La malattia acuta di Chagas in pazienti immunocompromessi, come in quelli con AIDS, può essere grave e atipica, con lesioni cutanee e lesioni a massa del SNC. La trasmissione congenita produce aborto, nascita prematura o una malattia cronica neonatale con alta mortalità. La trasmissione si verifica nell’1-5% delle gravidanze che interessano donne con infezione cronica.

Diagnosi Il numero dei tripanosomi nel sangue periferico è alto durante la fase acuta e facilmente identificato dall’esame di strisci sottili o spessi. Invece durante l’infezione latente o nella fase cronica della malattia, nel sanguesono presenti pochi parassiti; la diagnosi definitiva quindi può richiedere l’emocoltura (o aspirati di organi come i linfonodi). Altri approcci diagnostici includono la xenodiagnosi (esame del contenuto rettale di cimici da laboratorio in seguito a ingestione di sangue proveniente da un paziente sospetto o inoculazione di sangue umano in animali di laboratorio) o la ricerca di DNA del parassita tramite PCR nel sangue o su fluidi tissutali. Gli esami sierologici possono dare risultati falsi positivi in pazienti con leismaniosi viscerale o mucocutanea.

Prevenzione e terapia Il miglioramento degli edifici intonacando le pareti e riparando i tetti o spruzzando ripetutamente le case con insetticidi a effetto residuo può controllare le cimici triatomine. I viaggiatori possono evitare l’infezione non dormendo in tali dimore o usando reti per il letto o insetticidi. La malattia di Chagas trasmessa da trasfusione rappresenta un serio problema per la salute. Si stima che in Brasile ogni anno si verifichino 20000 casi da trasfusione. Diversi casi sono stati notificati negli USA. Il sangue per la trasfusione deve essere sottoposto a screening per anticorpi contro T. cruzi. I centri trasfusionali degli USA non effettuano screening di routine per T. cruzi. La malattia di Chagas trasmessa per trasfusione può essere prevenuta con l’aggiunta di violetto di genziana al sangue. Sebbene la terapia nello stadio acuto riduce rapidamente la parassitemia, abbrevia la malattia clinica e riduce la mortalità della malattia acuta, essa spesso non eradica l’infezione. La terapia nello stadio cronico è di solito inefficace. Sono stati riportati casi anedottici di guarigione, ma il danno cronico d’organo, che può

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essere causato in parte dalle risposte autoimmuni, appare essere largamente irreversibile. Misure di supporto includono diuretici, pacemaker, farmaci antiaritmici, trapianto cardiaco, dilatazione esofagea e chirurgia del tratto gastrointestinale. I soli farmaci efficaci sono il nifurtimox (8-10 mg/kg/die PO in 4 dosi frazionate per 3-4 mesi negli adulti; 15-20 mg/kg/die in 4 dosi frazionate nei bambini da 1 a 10 anni; 12,5-15 mg/kg/die in 4 dosi frazionate nei bambini da 11 a 16 anni) e il benznidazolo (5-7 mg/kg/ die PO per 1-4 mesi). Questi trattamenti di lunga durata sono associati a gravi effetti collaterali, scarsa tolleranza e bassa compliance.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI EXTRAINTESTINALI LEISHMANIOSI Infezioni con specie correlate di Leishmania, che causano malattia viscerale, cutanea o mucocutanea.

Sommario: Eziologia e patogenesi LEISHMANIOSI VISCERALE Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia LEISHMANIOSI CUTANEA Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia LEISHMANIOSI MUCOCUTANEA

Eziologia e patogenesi La leishmaniosi è presente ovunque nelle regioni tropicali e in alcune regioni a clima temperato. La leishmania è trasmessa da flebotomi (Phlebotomus e Lutzomyia sp) e sopravvive nell’ospite vertebrato come amastigote intracellulare. I vettori sono infettati pungendo gli uomini o gli animali; i serbatoi animali includono i canidi, i roditori, i bradipi e i formichieri. L’infezione è diffusa raramente tramite trasfusione, per via congenita o per via sessuale. Differenti specie di parassiti possono essere identificate da determinazioni di isoenzimi o con specifici anticorpi monoclonali e sonde di DNA.

LEISHMANIOSI VISCERALE Kala-Azar; febbre dumdum La leishmaniosi viscerale è causata da parassiti del complesso L. donovani. La malattia si manifesta in India, Cina, Russia meridionale, Africa e nel bacino del Mediterraneo, oltre che in numerose nazioni dell’America centrale e meridionale. Particolarmente colpiti sono i bambini e i giovani.

Sintomi e segni La lesione primaria nel sito di una puntura di flebotomo è piccola e di solito non

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evidente. I parassiti si diffondono dalla cute per via ematica verso i linfonodi, la milza, il fegato e il midollo osseo. I segni clinici si sviluppano gradualmente dopo 2 sett. e fino a un anno. La sindrome classica consiste in febbre irregolare, epatosplenomegalia, pancitopenia e ipergammaglobulinemia policlonale con inversione del rapporto albumina/ globuline. Nel 5-10% dei pazienti si verifica un doppio picco febbrile quotidiano. Stato emaciato e morte si verificano da 1 a 2 anni nell’80-90% dei pazienti sintomatici non trattati. Una variante subclinica con sintomi minori vaghi si risolve spontaneamente nei 2/3 dei casi e progredisce verso una leishmaniosi viscerale completa in 1/3 dei casi. Coloro che sopravvivono sono resistenti a successivi attacchi a meno che non sviluppino depressione dell’immunità cellulo-mediata (p. es., AIDS). Dopo 1-2 anni da una guarigione apparente, alcuni pazienti sviluppano lesioni nodulari cutanee piene di parassiti, che possono durare anni.

Diagnosi Una diagnosi definitiva viene posta dimostrando i parassiti in campioni colorati con Giemsa o da emocoltura o aspirati da milza, fegato, midollo osseo o linfonodi. L’uso della PCR e sonde di DNA aumentano la sensibilità. Sono ora disponibili esami sierologici specifici. Un antigene ricombinante predice quali pazienti con malattia subclinica svilupperanno una leishmaniosi viscerale completa se non trattati. Il test cutaneo della leishmania (Montenegro), che è negativo durante l’infezione attiva, diventa positivo da poche settimane a 2 anni dopo la terapia e rimane positivo a vita.

Prevenzione e terapia Il trattamento di massa dei casi, la riduzione della popolazione dei vettori e l’eliminazione dei serbatoi non umani sarebbero appropriati ed è possibile che possano essere d’aiuto. I repellenti per insetti possono fornire una protezione individuale, ma i flebotomi possono penetrare all’interno delle zanzariere o delle tende da letto in non perfette condizioni. I farmaci di scelta sono la pentamidina isetionato (2-4 mg/kg IM quotidianamente o a giorni alterni fino a 15 dosi), l’amfotericina B (0,25-1 mg/ kg in infusione lenta ogni giorno o a giorni alterni fino a 8 sett.) o composti antimoniali pentavalenti. Lo stibogluconato di sodio (antimonio gluconato sodico) è iniettato lentamente EV o IM con dosi quotidiane di 20 mg/kg per 20-28 giorni. Se appaiono gli effetti tossici (nausea, vomito), il farmaco deve essere somministrato a giorni alterni, la dose ridotta o la somministrazione sospesa. In generale, il tipo indiano e quello sudamericano di leishmaniosi viscerale rispondono bene al trattamento. Il tipo africano e quello mediterraneo-asiatico richiedono alte dosi dei farmaci. L’infusione di interferone-γ o la splenectomia può essere necessaria nei casi resistenti. Possono essere necessarie misure di supporto, come il riposo a letto, l’accurata igiene orale e una nutrizione adeguata. Possono essere indicati trasfusioni e antibiotici.

LEISHMANIOSI CUTANEA La leishmaniosi cutanea è conosciuta con una varietà di nomi locali: bottone d’oriente o tropicale, foruncolo di Delhi o di Aleppo, Uta o ulcera del Chiclero e Yaws della foresta. Gli agenti causali sono L. major e L. tropica nell’Europa del sud, Asia e Africa; la L. mexicana complex in Messico e Centro e Sud America e la L. braziliensis complex in Centro e Sud-America. Epidemie di leishmaniosi cutanea americane si sono verificate nel personale militare operante in Medio file:///F|/sito/merck/sez13/1611346.html (2 of 4)02/09/2004 2.10.57

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Oriente; casi isolati sono stati riportati in viaggiatori che occasionalmente si trovavano in aree endemiche.

Sintomi e segni Nel sito della puntura di un flebotomo si sviluppa dopo 1-4 sett. una lesione cutanea a forma demarcata. Dopo punture infettive multiple, autoinoculazione accidentale o diffusione metastatica, possono verificarsi lesioni multiple. La lesione iniziale è una papula che si estende, con ulcerazione centrale e che spesso sviluppa un’iperpigmentazione rialzata ai bordi dove sono concentrati i parassiti intracellulari. Le ulcere sono indolenti e non causano sintomi sistemici a meno che non siano infettate secondariamente, ciò che rappresenta un evento comune. Le ulcere cutanee generalmente guariscono spontaneamente dopo diversi mesi e lasciano una cicatrice infossata. Il decorso successivo dipende dal ceppo di appartenenza del microrganismo infettante e dallo stato immunitario dell’ospite infettato. In America, le lesioni cutanee possono essere seguite da lesioni mucocutanee metastatiche se sono state causate da alcuni membri del complesso L. braziliensis (v. Leishmaniosi mucocutanea, oltre). La leishmaniosi cutanea diffusa (LCD) è una forma non comune caratterizzata da lesioni cutanee nodulari diffuse che ricordano quelle della lebbra lepromatosa. Ciò presumibilmente deriva da uno specifico difetto dell’immunità cellulo-mediata verso la leishmania.

Diagnosi La diagnosi viene posta dimostrando il microrganismo in campioni colorati con Giemsa o su colture di materiale raschiato dai bordi sollevati della lesione. I materiali infetti possono essere fatti separare su filtri o amplificati con metodo della reazione a catena della polimerasi e quindi testati per ibridazione con specifiche sonde di DNA. L’organismo che causa la leishmaniosi cutanea semplice può essere differenziato da quello che causa la leishmaniosi mucocutanea con specifiche sonde di DNA o con anticorpi monoclonali o per mezzo dell’analisi dei pattern degli isoenzimi dei parassiti coltivati. Il test cutaneo della leishmania diventa positivo precocemente, ma l’esame sierologico di solito rimane negativo fino alla fase tardiva dell’infezione.

Prevenzione e terapia Le persone a rischio di contagio possono essere inoculate in zone coperte del corpo con amastigoti vivi; questo stimola l’immunità verso la stessa specie di parassita e può prevenire la formazione di una cicatrice visibile. Sono in fase di valutazione vaccini sperimentali. La terapia specifica è la stessa della leishmaniosi viscerale. L’itraconazolo, un nuovo farmaco antimicotico, potrebbe diventare il farmaco di scelta. L’immunoterapia sperimentale con promastigoti morti più BCG è in fase di valutazione. L’applicazione di calore o l’infiltrazione del margine indurito e della base dell’ulcera con antimonio gluconato sodico da 3 a 4 volte a giorni alterni può essere efficace. La LCD è molto resistente al trattamento.

LEISHMANIOSI MUCOCUTANEA La leishmaniosi mucocutanea è causata principalmente da L. viannia braziliensis. file:///F|/sito/merck/sez13/1611346.html (3 of 4)02/09/2004 2.10.57

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Un’ulcera cutanea primaria appare dopo 2-3 mesi, dura da 6 a 15 mesi e ricorda da vicino le lesioni della leishmaniosi cutanea semplice. Tuttavia, la leishmaniosi mucocutanea può metastatizzare nei tessuti rino-faringei, cosa che di solito si verifica entro 1 anno ma occasionalmente entro vari anni o anche decenni dopo la guarigione della lesione cutanea. Possono verificarsi grossolane mutilazioni del naso e del palato che richiedono chirurgia plastica. La diagnosi è la stessa della leishmaniosi cutanea semplice, ma i parassiti sono difficili da isolare dalle lesioni mucose. Il test cutaneo alla leishmania può essere utile nelle infezioni avanzate quando i parassiti sono scarsi. La prevenzione consiste principalmente nell’utilizzo di abiti protettivi e di repellenti per insetti. La terapia è la stessa raccomandata per le altre forme di leishmaniosi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI EXTRAINTESTINALI TOXOPLASMOSI Infezione da Toxoplasma gondii, che causa uno spettro di manifestazioni che va dalla linfoadenopatia asintomatica benigna a malattie del SNC potenzialmente letali, alla corioretinite e al ritardo mentale.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

Le indagini sieroepidemiologiche indicano che l’esposizione umana alla toxoplasmosi è comune e diffusa in tutto il mondo; il 20-40% degli adulti sani negli USA è sieropositivo. Il feto e l’ospite immunocompromesso sono a maggior rischio di malattia grave.

Eziologia e patogenesi Il Toxoplasma gondii è un protozoo ubiquitario parassita degli uccelli e dei mammiferi. Questo parassita obbligato intracellulare invade il citoplasma di ogni cellula nucleata e si moltiplica asessualmente all’interno di esso. Quando si sviluppa l’immunità dell’ospite, la moltiplicazione dei tachizoiti cessa e si formano cisti tissutali che persistono per anni specialmente nel cervello e nei muscoli. La riproduzione sessuata di T. gondii si verifica solo nell’intestino dei gatti; le oocisti prodotte emesse con le feci rimangono infettive nel terreno per circa un anno. L’ingestione di oocisti dalle feci di gatto è la più comune modalità di infezione orale negli USA. L’infezione può anche verificarsi mangiando carne cruda o poco cotta contenente cisti tissutali, generalmente di agnello, maiale o manzo. La toxoplasmosi può essere trasmessa per via transplacentare se la madre è infetta o se l’immunosoppressione riattiva una precedente infezione durante la gravidanza. La trasmissione può anche verificarsi tramite trasfusione di sangue intero o globuli bianchi o tramite trapianto d’organo da donatore sieropositivo. La riattivazione si verifica principalmente nei pazienti immunosoppressi o in persone altrimenti sane con infezione congenita della retina.

Sintomi e segni L’infezione è di solito asintomatica, ma può causare una moderata linfoadenopatia cervicale o ascellare. Le infezioni sintomatiche possono

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Infezioni parassitarie

presentarsi in diversi modi. La toxoplasmosi acuta può mimare una mononucleosi acuta con linfoadenopatia, febbre, malessere, mialgie, epatosplenomegalia e faringite. Sono comuni la linfocitosi atipica, l’anemia moderata, la leucopenia e lievi anomalie dei test di funzionalità epatica. La sindrome può persistere per settimane o mesi ma è quasi sempre autolimitatantesi. Sono stati descritti una forma grave disseminata caratterizzata da polmonite, miocardite, meningoencefalite, polimiosite, rash maculopapuloso diffuso, febbre elevata, brividi e prostrazione. È poco comune una malattia acuta fulminante. La toxoplasmosi nel paziente immunocompromesso può causare una malattia grave. La toxoplasmosi clinicamente apparente si sviluppa nel 30-40% dei pazienti con AIDS, spesso come riattivazione di una precedente infezione latente piuttosto che come prima acquisizione di infezione. La maggior parte dei pazienti con AIDS e toxoplasmosi sviluppa encefaliti potenzialmente letali o meningoencefaliti. Sono molto meno comuni miocarditi, polmoniti, orchiti, coinvolgimento di altri organi e malattia disseminata. La toxoplasmosi del SNC causa deficit neurologici focali, come deficit motorio o sensitivo, paralisi dei nervi cranici, anomalie visive, convulsioni focali e anomalie generalizzate del SNC, come cefalea, stato mentale alterato, convulsioni, coma e febbre. Nelle polmoniti da toxoplasma, infiltrati interstiziali diffusi possono progredire rapidamente verso il consolidamento e causare insufficienza respiratoria; un’endoarterite può portare all’infarto di piccoli segmenti polmonari. Difetti della conduzione sono comuni ma spesso asintomatici nelle miocarditi e possono rapidamente portare all’insufficienza cardiaca. Le infezioni non trattate sono di solito fatali. La toxoplasmosi congenita di solito deriva da un’infezione acuta primaria (spesso asintomatica) acquisita dalla madre durante la gravidanza. Le donne infettate prima del concepimento non trasmettono di norma la toxoplasmosi al feto, a meno che l’infezione si sia riattivata durante la gravidanza per un’immunosoppressione. Il rischio dell’infezione transplacentare aumenta dal 15 al 30 al 60% per infezioni materne acquisite rispettivamente nel 1o, 2o o 3o trimestre di gravidanza. Le manifestazioni cliniche della toxoplasmosi congenita sono varie. Aborto spontaneo e parto pretermine possono verificarsi precocemente nella gravidanza. La malattia del neonato può essere grave, con ittero, rash ed epatosplenomegalia, seguiti da una caratteristica tetrade di anomalie: corioretinite bilaterale, calcificazioni cerebrali, idrocefalo o microcefalia e ritardo psicomotorio. La prognosi è infausta. Molti bambini con infezioni meno gravi e la maggior parte dei bambini nati da madri infettate durante il 3o trimestre sembra sana alla nascita ma è ad alto rischio di sviluppare sintomi mesi o anni più tardi. La maggior parte delle toxoplasmosi oculari deriva da un’infezione congenita in seguito riattivatasi (spesso nel secondo e terzo decennio) di vita. Si possono avere retinite focale necrotizzante e infiammazione necrotizzante secondaria della coroide. Le recidive di corioretinite sono comuni e possono portare a dolore oculare, visione offuscata e a volte a cecità.

Diagnosi La diagnosi si pone su base sierologica. Anticorpi specifici di tipo IgM compaiono durante le prime 2 settimane di malattia, con un picco massimo entro 4-8 sett. e quindi divengono irrilevabili entro vari mesi. Gli anticorpi IgG compaiono più lentamente, raggiungono il massimo in 1-2 mesi e possono rimanere elevati e stabili per mesi o anni. Anticorpi IgM specifici oppure un aumento di 4 volte in uno dei test per le IgG indica abitualmente la malattia acuta, che va anche sospettata se i titoli dei test per IgG-AFI o con colorante superano il titolo di 1:1000 in presenza di linfoadenopatia in una donna in gravidanza o di encefalite in un soggetto immunocompromesso. L’infezione pregressa, che conferisce resistenza alla reinfezione, fornisce tipicamente risposte positive per IgG e negative per IgM. La ricerca di anticorpi IgM specifici nella malattia neonatale file:///F|/sito/merck/sez13/1611348.html (2 of 4)02/09/2004 2.10.58

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suggerisce l’infezione congenita (le IgG materne attraversano la placenta ma non le IgM). Sono di solito presenti bassi titoli di anticorpi IgG, anche se non sono rintracciati nella corioretinite attiva anticorpi specifici IgM. La sierologia non è utile per la diagnosi di toxoplasmosi in pazienti con AIDS. Anticorpi IgM non sono presenti durante la riattivazione e gli anticorpi IgG verso T. gondii non distinguono tra infezione latente e riattivata. Quest’ultima è presente negli USA nel 20-30% dei pazienti con AIDS a prescindere dalla toxoplasmosi clinica. Il parassita può essere isolato durante la fase acuta della malattia inoculando topi o in colture tissutali con materiali bioptici o fluidi organici, ma questo richiede fino a 6 sett. Gli organismi possono essere dimostrati istologicamente. I tachizoiti che sono presenti durante l’infezione acuta, si colorano bene con la colorazione di Giemsa o con quella di Wright ma può essere difficile trovarli nelle sezioni di tessuto colorate di routine. Le cisti tissutali non distinguono l’infezione acuta da quella cronica. Il toxoplasma deve essere distinto da altri organismi intracellulari, come Histoplasma, Trypanosoma cruzi e Leishmania. Sono in fase di studio test per la ricerca rapida di antigeni del parassita o amplificazione del DNA tramite PCR nel sangue, LCR o liquido amniotico. L’analisi basata su PCR del liquido amniotico sembra essere il metodo più sensibile per la diagnosi di toxoplasmosi in utero. Nella toxoplasmosi del SNC il LCR può mostrare pleiocitosi linfocitaria ed elevati livelli di proteine. La TC mostra tipicamente lesioni multiple dense, rotondeggianti che prendono il contrasto quando questo viene usato. La RMN è più sensibile della TC. Sebbene queste lesioni non siano patognomoniche, la loro presenza in pazienti con AIDS e i sintomi neurologici richiedono che sia comunque instaurata una terapia empirica. Se il sospetto diagnostico di toxoplasmosi è corretto, un miglioramento clinico o radiologico deve avvenire entro 7-14 giorni. La diagnosi specifica in pazienti con AIDS e sintomi neurologici richiede una biopsia cerebrale.

Prevenzione L’infezione può essere evitata astenendosi dal consumo di carne cruda o poco cotta. La carne deve essere cotta a 66°C, congelata a-20°C, affumicata o conservata sotto sale o con altre tecniche. È essenziale lavarsi le mani dopo aver maneggiato carne cruda. Deve essere evitato il contatto con il terreno o con cibo contaminato da feci di gatto. La chemioprofilassi è raccomandata per i pazienti con AIDS con IgG positive una volta che la conta delle cellule CD4 sia < 100/µl. Un efficace regime di profilassi è la combinazione di trimetoprim-sulfametossazolo alle stesse dosi usate per la profilassi contro lo Pneumocystis carinii.

Terapia La maggior parte dei pazienti immunocompetenti non necessita di terapia specifica a meno che non siano presenti malattie viscerali o non persistano gravi sintomi. Una terapia specifica è tuttavia indicata per la toxoplasmosi acuta del neonato, la donna in gravidanza e i pazienti immunosoppressi. Il regime più efficace è l’associazione di pirimetamina (25-100 mg/die PO per 34 sett. negli adulti 2 mg/kg per 3 giorni quindi 1 mg/kg/die fino a un massimo di 25 mg/die per 4 sett. nei bambini) con sulfadiazina (1-1,5 g PO qid per gli adulti; 100-200 mg/kg/die in dosi frazionate per i bambini). La pirimetamina può deprimere il midollo osseo. Questo processo può essere minimizzato dalla concomitante somministrazione di leucovorina IM (non folato, che blocca l’effetto terapeutico), 10 mg/die per gli adulti, 5-10 mg ogni 3 giorni per i bambini. I

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pazienti con toxoplasmosi oculare devono ricevere inoltre corticosteroidi. Ai neonati con infezione congenita si deve somministrare pirimetanina q 2 o 3 gg e sulfonamide giornaliero fino a un anno. Il trattamento della donna in gravidanza, con infezione acuta, riduce l’incidenza dell’infezione fetale. Tuttavia, la pirimetamina non deve essere usata durante le prime 14-16 sett. di gravidanza. La spiramicina (3-4 g/die PO per 3-4 sett.) è stata usata con sicurezza ed efficacia in donne in gravidanza ma è meno attiva dell’associazione pirimetaminasulfadiazina e non attraversa la placenta. Le recidive sono così comuni nei pazienti con AIDS che il trattamento deve continuare indefinitamente. In pazienti intolleranti ai sulfonamidi, si può utilizzare in alternativa pirimetamina ad alte dosi da sola o l’associazione di pirimetamina e clindamicina (1,8–2,4 g/die in dosi frazionate); entrambi i regimi hanno mostrato in alcuni casi un miglioramento. L’atovaquone e l’azitromicina possono essere delle alternative per i pazienti intolleranti a sulfonamidi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA AMEBE A VITA LIBERA Le amebe generalmente vivono libere nel terreno o nell’acqua ma possono infettare gli uomini e causare malattie importanti. Quando un’ameba del genere Naegleria o Acanthamoeba penetra attraverso la lamina cribiforme può causare una meningoencefalite fulminante e rapidamente fatale o una forma meno sintomatica di meningoencefalite cronica granulomatosa. La diagnosi è suggerita da una storia di nuoto in fiumi, stagni o laghi ed è confermata dal rinvenimento di amebe (mobili) nel LCR o nel tessuto cerebrale. Occasionalmente il trattamento con amfotericina B, miconazolo o rifampicina può portare a guarigione. L’Acanthamoeba sp può causare una cheratite di solito cronica e progressivamente distruttiva. La lesione, dolente, consiste in un’uveite anteriore, in erosioni sclerali e in cheratite stromale, spesso a forma di anello. I fattori di rischio includono l’uso di lenti a contatto, traumi corneali minori e l’esposizione a polvere potenzialmente infetta o ad acqua proveniente dal rubinetto dell’acqua calda o a soluzioni saline usate per pulire le lenti a contatto. La diagnosi può essere fatta esaminando raschiati corneali colorate con Giemsa, tricromico o con specifici anticorpi monoclonali o ponendo in coltura lacrime o raschiati corneali. Le lesioni devono essere differenziate da quelle causate dall’Herpes simplex. È necessaria la disinfezione a caldo delle lenti a contatto per prevenire la cheratite amebica. Il miconazolo topico o la propamidina isetionato, da sola o combinata con l’itraconazolo orale o con pomata topica di neomicina-polimixina-gramicidina, può arrestare le lesioni, ma per ristabilire la visione normale può rendersi necessaria la cheratoplastica o il trapianto corneale.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI INTESTINALI Spesso nell’intestino sono presenti molteplici parassiti patogeni e commensali non patogeni. I più importanti patogeni sono Entamoeba histolytica, Giardia lamblia, Cryptosporidium, Isospora, Cyclospora e Microsporidia. I protozoi intestinali sono trasmessi per via oro-fecale e le infezioni sono largamente diffuse nei Paesi in via di sviluppo con strutture sanitarie inadeguate. Esse sono comuni anche negli USA in quei luoghi dove sia prevalente trovare pazienti con incontinenza fecale e scarsa igiene, come negli istituti psichiatrici e nei centri diurni di accoglienza. Alcune amebe e protozoi gastrointestinali si diffondono come malattie sessualmente trasmesse, specialmente tra i maschi omosessuali promiscui e diverse specie di protozoi causano serie infezioni opportunistiche in pazienti con AIDS. Le persone infette ma asintomatiche sono la fonte maggiore di diffusione ambientale e interpersonale e vanno perciò trattate. La diagnosi su base solamente clinica non è attendibile; è necessario l’esame microscopico di campioni idonei di feci. La diagnosi può richiedere che siano sottoposti a esami numerosi campioni, con metodi di concentrazione, colorazioni speciali o tecniche diagnostiche semiinvasive come la biopsia endoscopica (v. Tab. 161-1).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 161-1 RACCOLTA E MANIPOLAZIONE DEI CAMPIONI PER LA DIAGNOSI DI LABORATORIO DELLE INFESTAZIONI PARASSITARIE Campione Cute

Parassita Onchocerca

Campione ottimale Per i pazienti africani, usare frammenti cutanei prelevati da cosce, natiche e cresta iliaca Per i pazienti non africani, usare frammenti cutanei da volto, scapola e natiche

Leishmania sp

Margine dell’ulcera

E. histolytica

Particolari del prelievo

Note

Per il prelievo dei frammenti Non deve verificarsi cutanei, disinfettare la cute sanguinamento con alcol, inserire un ago G25 subito al di sotto dell’epidermide, sollevarlo e tagliare via con un bisturi o con una lametta un piccolo lembo di tessuto; è possibile utilizzare un punch per biopsia sclerocorneale Nell’amebiasi o nella leishmaniosi cercare i parassiti nella parete della lesione/ulcera, piuttosto che nel pus

Midollo osseo

Leishmania sp

Aspirati di midollo, Centrifugare 5-10ml di Colorante di Wright o di milza, fegato, linfonodi sangue con anticoagulante e Giemsa o strisci di fare strisci di sovranatante sovranatante

Sangue

Plasmodium sp

Strisci spessi o sottili di sangue capillare (dito od orecchio, con lancetta sterile) o 510ml di sangue fresco con anticoagulante V. anche il testo

Trypanosoma sp

Strisci sottili di sangue capillare o 5-6ml di sangue con anticoagulante

Filaria

1 ml di sangue con anticoagulante; se il primo campione è negativo, raccogliere 5-10ml di sangue e concentrarlo per centrifugazione o filtrazione

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Raccogliere q 6h durante la malattia acuta Accertarsi che l’alcol o altri disinfettanti siano evaporati prima di raccogliere il campione di sangue

Colorante di Giemsa I vetrini devono essere ben puliti

Se c’è un qualsiasi dubbio circa le capacità di allestire un buon Gli strisci si possono vetrino, prelevare in preparare dalla provetta di una provetta un po’ di sangue con sangue con anticoagulante fino a 1h dopo il prelievo anticoagulante e inviarlo al laboratorio Asciugare lentamente in una per l’allestimento dei vetrini e la colorazione piastra con coperchio Colorante di Wright o di Giemsa

Wuchereria bancrofti e Brugia malayi: effettuare il prelievo tra le 22 e le 2 di notte Loa loa, Dipetalonema perstans e Mansonella ozzardi: effettuare il prelievo tra le 10 e le 18

Colorante di Wright o di Giemsa

Manuale Merck - Tabella

Sistema urogenitale Vagina

Trichomonas sp 1 tampone sterile in provetta, con una piccola quantità di soluzione salina sterile

Inviare al laboratorio al più presto prima che i tricomonadi cessino di muoversi

Uretra Secrezioni prostatiche Vescica SNC

Le donne non devono fare docce per i 3-4 gg precedenti la raccolta del campione

Schistosoma haematobium

Biopsia della zona attorno al trigono

Naegleria

Liquido cerebro spinale fresco

Hartmannella

Raccolta asettica Esaminare il campione appena possibile

Acanthamoeba Non refrigerare

Tratto intestinale Giardia Biopsie

Strongyloides

Digiunali

Entamoeba

Duodenali

Schistosoma mansoni

Rettali Schistosoma japonicum

Campione posto in vasetto o provetta sterili con un po’ di soluzione fisiologica o su di un vetrino da microscopio con coprioggetto

Se non è possibile un esame immediato in microscopia diretta o in contrasto di fase, fissare i campioni in alcol polivinilico, fissativo di Schaudinn o formalina al 5-10%

Esaminare immediatamente

Per una diagnosi ottimale possono essere necessari strisci multipli; v. le specifiche sezioni per una spiegazione più dettagliata

3 campioni di feci Esaminare le feci diarroiche fresche raccolte al o poco formate entro 15min mattino a giorni alterni Conservare le feci ben formate refrigerate fino al momento dell’esame (v. anche il testo)

Fissare i vetrini in alcol polivinilico o timerosaliodio-formalina

Per gli schistosomi: biopsia a livello della piega dorsale (valvola di Houston), a circa 9 cm dall’ano

Cryptosporidium sp Isospora Cyclospora Feci

E. histolytica Altre amebe

Giardia

3campioni di feci Se la prima serie di 3 fresche raccolte al campioni risulta negativa, mattino a giorni alterni esaminarne altre 3, 1/sett. Può essere necessario un aspirato duodenale (v. testo)

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Manuale Merck - Tabella

Cryptosporidium 3 campioni di feci fresche raccolti sp giornalmente o a giorni alterni

Concentrare le feci Una biopsia digiunale può essere utile nei soggetti con feci negative Maneggiare con attenzione; le feci fresche o conservate in bicromato sono infette

Se non è possibile l’esame immediato, conservare in bicromato di potassio al 2,5% o in formalina tamponata al 10% Colorante acidoresistente modificato, Giemsa o anticorpo monoclonale specifico

Isospora

3campioni di feci fresche raccolti giornalmente o a giorni alterni

Concentrare le feci

Colorante acidoresistente modificato

Cyclospora

3campioni di feci fresche raccolti giornalmente o a giorni alterni

Concentrare le feci

Colorante acidoresistente modificato; le oocisti sono autofluorescenti (emettono luce di colore verde)

Trichuris

Fino a 3campioni di feci raccolti giornalmente

Se necessario, i campioni possono essere refrigerati

Ascaris

Non è fondamentale l’esame immediato, ma le larve nate dalle uova di anchilostoma nelle feci vecchie possono essere confuse con quelle di Strongyloides

Anchilostoma Strongyloides Vermi a nastro Fasciole Enterobius

Sigmoido E. histolytica scopia (proctosco pia)

Uova su nastro di cellophane

Raccogliere dalla regione perianale al mattino, prima dell’evacuazione intestinale e prima di lavarsi

Materiale fresco grattato con una curette o un cucchiaio di Volkmann o mucosa prelevata con uno strumento chirurgico, o un aspirato delle lesioni con una pipetta sierologica da 1 ml con un bulbo di gomma

Se il paziente non ha evacuato da poco prima della sigmoidoscopia, purgarlo e ritardare la procedura di 2 o 3h.

Non sono adatti i tamponi con punta in cotone

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Esaminare il prelievo immediatamente o conservarlo per un ulteriore esame

Manuale Merck - Tabella

Tratto respiratorio Escreato

Paragonimus sp Escreato fresco

Aspirati E. histolytica (tracheale, bronchiale) Strongyloides

Istruire adeguatamente il paziente sulla procedura di raccolta

Qualsiasi materiale aspirato; anche materiale da drenaggio

Se si sospetta l’amebiasi, il campione va esaminato al più presto possibile oppure va conservato per un esame successivo

Biopsia polmonare a cielo aperto

Raccogliere in un contenitore sterile

Biopsia percutanea in fluoroscopia

Se viene effettuata un’agobiopsia aggiungere soluzione fisiologica sterile

Echinococcus Anchilostoma Ascaris Biopsia Paragonismus polmonare sp

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI INTESTINALI AMEBIASI (Entamebiasi) Infezione del colon da parte di Entamoeba histolytica, che decorre per lo più in forma asintomatica ma può produrre manifestazioni cliniche che vanno dalla diarrea moderata alla dissenteria grave.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

Eziologia e patogenesi L’amebiasi è un’infezione protozoaria del colon. Esistono 2 forme di E. histolytica: il trofozoita e la forma cistica. Il trofozoita è uno stadio mobile che si nutre di batteri e tessuti, si riproduce, colonizza il lume e la mucosa del colon e a volte invade i tessuti e gli organi. Alcuni trofozoiti nel lume intestinale diventano cisti che sono eliminate con le feci. I trofozoiti sono predominanti nelle feci liquide (a prescindere dalla causa della diarrea) ma muoiono rapidamente in ambiente esterno. Le cisti predominano nelle feci formate. Le cisti sono resistenti nell’ambiente esterno. Esse possono diffondersi sia direttamente da persona a persona che indirettamente attraverso cibi o acqua. L’amebiasi è una malattia sessualmente trasmessa nei maschi omosessuali. Le due specie di Entamoeba sono morfologicamente indistinguibili: l’E. histolytica è patogena mentre l’E. dispar colonizza il colon senza causare danni. Le amebe aderiscono e uccidono le cellule epiteliali del colon e causano diarrea ematica e presenza di muco nelle feci. Le amebe producono anche delle proteasi che degradano la matrice extracellulare e permettono l’invasione nella parete intestinale e oltre. Le amebe possono diffondersi attraverso la circolazione portale e causare ascessi epatici necrotici. L’infezione si può diffondere ulteriormente per estensione diretta dal fegato o attraverso il flusso ematico ai polmoni, al cervello e ad altri organi.

Sintomi e segni La maggior parte delle persone infette è asintomatica ma cronicamente emette cisti con le feci. I sintomi che si presentano con l’invasione tissutale includono diarrea intermittente e costipazione, flatulenza e dolori addominali crampiformi. Può esserci una dolorabilità su fegato e colon ascendente e le feci possono contenere muco e sangue. file:///F|/sito/merck/sez13/1611351b.html (1 of 4)02/09/2004 2.11.02

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La dissenteria amebica, frequente ai tropici ma rara nei climi temperati, è caratterizzata da episodi di feci (semi)liquide, contenenti spesso sangue, muco e trofozoiti vivi. I segni addominali variano da modica tensione a dolore addominale franco con febbre elevata e sintomi tossici sistemici. Un’epatomegalia dolorosa accompagna spesso la colite amebica. Tra un episodio e l’altro i sintomi diminuiscono, con soli crampi ricorrenti e feci liquide o poco consistenti, anche se permangono l’anemia e lo stato di emaciazione. Possono verificarsi i sintomi di un’appendicite subacuta. L’intervento chirurgico, in questi casi, può provocare una peritonite. L’infezione cronica mima comunemente una malattia infiammatoria intestinale e si presenta come diarrea intermittente non dissenterica con dolore addominale, muco, flatulenza e perdita di peso. L’infezione cronica può anche presentarsi come massa palpabile morbida o come lesione anulare nel ceco e nel colon ascendente che ricorda un carcinoma (l’ameboma). La malattia metastatica origina nel colon e può coinvolgere ogni organo anche se la manifestazione più comune è l’ascesso epatico, di solito singolo e nel lobo destro. Esso può presentarsi in pazienti senza precedenti sintomi, è più comune negli uomini che nelle donne (rapporto da 7:1 a 9:1) e può svilupparsi in modo subdolo. I sintomi comprendono dolore o malessere nella zona epatica, aggravati dal movimento e talvolta riferito alla spalla destra, febbre intermittente, sudori, brividi, nausea, vomito, debolezza e perdita di peso. L’ittero è raro e, se presente, di lieve entità. L’ascesso può perforarsi nello spazio subfrenico, nella cavità pleurica destra, nel polmone destro e in altri organi adiacenti. Occasionalmente sono state osservate, specialmente attorno al perineo e alle natiche, lesioni cutanee causate da impianto diretto di trofozoiti, in particolare nelle ferite traumatiche e operatorie.

Diagnosi L’amebiasi non dissenterica è spesso confusa con la sindrome del colon irritabile, con l’enterite regionale o con la diverticolite. La dissenteria amebica può essere invece confusa con la shighellosi, la salmonellosi, la schistosomiasi o la colite ulcerosa. Le feci nella dissenteria amebica sono più consistenti e meno frequenti, meno acquose o meno purulente che nella dissenteria batterica. Esse contengono caratteristicamente muco tenace e macchie di sangue fresco o alterato. Al contrario delle feci nella shighellosi, nella salmonellosi e nella colite ulcerosa, le feci amebiche non contengono una grande quantità di leucociti. L’amebiasi epatica e l’ascesso amebico vanno distinti dalle altre infezioni epatiche ovvero dagli ascessi batterici e da cisti di echinococco infettate. L’amebiasi intestinale, viene confermata dal rinvenimento dell’E. histolytica nelle feci o nei tessuti. La diagnosi può richiedere l’esame di 3-6 campioni fecali e metodi di concentrazione (v. Tab. 161-1). Gli antibiotici, gli antiacidi, gli agenti antidiarroici, clisteri e mezzi di contrasto radiologico intestinale possono interferire con la raccolta del parassita e non devono essere somministrati fino a che le feci non siano state esaminate. L’E. histolytica deve essere distinta dalle amebe non patogene e dall’E. coli. Nei pazienti sintomatici, la proctoscopia dimostra spesso lesioni mucose a fiasco, che vanno aspirate e nel materiale andranno ricercati i trofozoiti. Campioni bioptici anch’essi delle lesioni rettosigmoidee possono contenere trofozoiti. L’amebiasi extraintestinale è più difficile da diagnosticare. L’esame delle feci è solitamente negativo e l’identificazione di trofozoiti nel pus è rara. Un tentativo terapeutico con amebicidi può essere il mezzo diagnostico più utile per un ascesso amebico epatico. I test sierologici sono positivi in quasi tutti i pazienti con ascesso amebico epatico e in oltre 80% dei soggetti con dissenteria amebica. I test sono positivi solo in file:///F|/sito/merck/sez13/1611351b.html (2 of 4)02/09/2004 2.11.02

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circa il 10% dei portatori asintomatici. Il test di emoagglutinazione indiretta e i test ELISA (enzyme-linked immunosorbent assays) sembrano essere quelli più sensibili. I titoli anticorpali possono persistere per mesi o anni. In presenza di un ascesso epatico, la rx mostra un’elevazione e una fissazione oppure una diminuita escursione del diaframma destro. Una scintigrafia epatica con radioisotopi o una TC possono mostrare le dimensioni dell’ascesso mentre un esame con ultrasuoni può rivelare se esso è ripieno di liquido o meno. Il livello della fosfatasi alcalina può essere aumentato. L’agoaspirato è di solito riservato alle lesioni > 10 cm, ai casi in cui si sospetti una rottura imminente o ai casi con scarsa risposta dopo 5 giorni di terapia antibiotica. Gli ascessi contengono materiale denso semifluido che va dal color giallo al marrone cioccolato. Un’agobiopsia può prelevare tessuto necrotico, ma amebe mobili sono difficili da trovare nel materiale ascessuale, mentre le cisti sono del tutto assenti.

Prevenzione Deve essere prevenuta la contaminazione di cibo e acqua con feci umane; ciò costituisce un problema complicato dall’alta incidenza di portatori asintomatici. I livelli di cloro sufficienti a uccidere i batteri non sono efficaci sulle cisti da E. histolytica, ma bollendo o trattando l’acqua con compresse di idroperiodio tetraciclina (1-2 compresse per quarto di litro o per litro) si uccidono le cisti.

Terapia La terapia generale allevia i sintomi e corregge le perdite idro-elettrolitiche ed ematiche. Se i sintomi dell’appendicite sono ritenuti essere di origine amebica, la chirurgia può essere differita di 48-72 h per osservare gli effetti della chemioterapia. Le persone asintomatiche che eliminano cisti devono essere trattate per prevenire la diffusione. Viene di solito somministrato un ciclo di diloxanide furoato orale (500 mg tid per 10 giorni negli adulti o 20 mg/kg/die in 3 dosi frazionate nei bambini). Un’alternativa adeguata è rappresentata da una terapia di 20 giorni con iodochinolo (650 mg PO tid per gli adulti o di 30-40 mg/kg/ die in 3 dosi frazionate per i bambini, fino a un massimo di 2 g per evitare di provocare una neurite ottica). Il metronidazolo ha un alto tasso di fallimento nei portatori sani a meno che non sia usato ad alti dosaggi. Per i soggetti con sintomi gastrointestinali moderati sono raccomandati 5-10 giorni di terapia con metronidazolo orale (750 mg tid per gli adulti, 35-50 mg/kg/ die in 3 dosi frazionate per i bambini). Il metronidazolo non deve essere somministrato a donne in gravidanza. Per quelli con sintomi gastrointestinali moderati un ciclo di metronidazolo può dover essere seguito da un secondo farmaco orale come iodoquinolo o diloxanide furoato con i dosaggi precedentemente elencati o con paramomicina (25-30 mg/kg/die in 3 dosi frazionate per 7 giorni) per prevenire le recidive. Se i sintomi sono gravi, i farmaci orali possono essere seguiti da emetina 1 mg/kg/die (massimo 60 mg) o deidroemetina 1-1,5 mg/kg/die (massimo 90 mg) per somministrazione IM, finché i sintomi non vengano controllati (massimo 5 gg). L’emetina e la deidroemetina sono tossiche e i pazienti che le ricevono devono essere tenuti a letto e monitorati con ECG. La terapia va prontamente sospesa se compaiono segni di tossicità: tachicardia, ipotensione, debolezza muscolare, marcati segni GI o dermatosi. Le controindicazioni includono gravidanza e malattie renali o cardiache. Per l’amebiasi extraintestinale, il metronidazolo è il farmaco di scelta e viene somministrato come sopra indicato. In alternativa si possono somministrare emetina o deidroemetina per 5 gg, alle dosi descritte, per la dissenteria amebica grave. L’emetina o la deidroemetina usata per trattare la malattia epatica deve

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essere associata a clorochina (1 g/die PO per 2 gg quindi 500 mg/die per 3 sett. negli adulti; 10 mg/kg/die nei bambini, con un massimo di 300 mg/die di clorochina base). Se l’E. histolytica è presente nelle feci, si può anche somministrare iodochinolo, come descritto sopra. Le feci andranno esaminate nuovamente per eventuali recidive 1, 3 e 6 mesi dopo la terapia, se possibile.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI INTESTINALI GIARDIASI Infezione dell’intestino tenue da parte di un protozoo flagellato, la Giardia lamblia, che può essere asintomatica o causare manifestazioni cliniche che vanno dalla flatulenza intermittente al malassorbimento cronico.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

Eziologia e patogenesi I trofozoiti di Giardia si attaccano in modo deciso alla mucosa duodenale e prossimale del digiuno e si moltiplicano per fissione binaria. Gli organismi rilasciati si trasformano rapidamente in cisti resistenti nell’ambiente che sono eliminate con le feci e diffuse per via oro-fecale. La trasmissione tramite l’acqua è la fonte maggiore di giardiasi. La trasmissione può anche verificarsi per contatto diretto interpersonale, specialmente in istituti psichiatrici, in centri diurni o tra partner sessuali. La filtrazione dell’acqua attraverso il terreno rimuove le cisti di Giardia, anche se queste rimangono vitali sulla superficie dell’acqua e sono resistenti ai livelli ordinari di clorazione. Oltre all’uomo, possono fungere da serbatoi anche gli animali selvatici. Perciò anche i ruscelli di montagna come gli acquedotti urbani clorati ma poco filtrati sono stati implicati nelle epidemie originate dall’acqua. L’infezione si verifica su scala mondiale, specialmente tra i bambini e dove i livelli di igiene sono scarse. Negli USA la giardiasi è una delle più comuni infezioni intestinali; i tassi di infestazione sono alti tra i visitatori di numerosi paesi, tra i maschi omosessuali promiscui e nei pazienti affetti da sindrome di dumping, pancreatite cronica o ipogammaglobulinemia.

Sintomi e segni La maggior parte dei casi è asintomatica. Tuttavia, queste persone eliminano cisti infettive e necessitano di trattamento. I sintomi di una giardiasi acuta generalmente appaiono da 1 a 3 sett. dopo l’infezione. I sintomi sono di solito moderati e includono diarrea acquosa maleodorante, crampi addominali e distensione, flatulenza ed eruttazione, nausea intermittente e dolore epigastrico. Possono essere presenti febbre bassa, brividi, malessere e cefalea. Il malassorbimento dei grassi e degli zuccheri può portare a una significativa perdita di peso nei casi gravi. Sangue e muco non sono di solito presenti nelle feci.

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La fase cronica può seguire o verificarsi senza una malattia acuta. Predomina un quadro caratterizzato da emissione di feci poco formate e maleodoranti, distensione addominale e flatulenza maleodorante. La giardiasi cronica occasionalmente è causa di mancata crescita nei bambini.

Diagnosi La diagnosi è resa possibile dall’evidenziazione nelle feci dei caratteristici trofozoiti o delle cisti. Questi sono facilmente rinvenuti nelle infezioni acute, ma l’eliminazione del parassita è intermittente e a bassi livelli nella infezione cronica. La diagnosi può richiedere perciò ripetuti esami delle feci o l’esame del contenuto dell’intestino superiore ottenuto con una striscia di nylon o per aspirazione endoscopica. Per l’evidenziazione dei parassiti o dei loro antigeni sono disponibili test di immunofluorescenza ed ELISA. Sonde specifiche di DNA sono in fase di studio.

Prevenzione La scrupolosa igiene personale può prevenire la trasmissione interpersonale. Il trattamento dei portatori sani riduce la diffusione dell’infezione, ma se il trattamento dei bambini asintomatici infetti negli asili nido sia conveniente rimane poco chiaro. L’acqua può essere decontaminata mediante ebollizione o riscaldandola ad almeno 70°C per 10 min. Le cisti di Giardia resistono ai livelli ordinari di clorazione dell’acqua per essere efficace la disinfezione basata su iodio deve essere effettuata per almeno 8 h. Alcuni dispositivi di filtrazione possono rimuovere le cisti di Giardia dall’acqua contaminata.

Terapia Il metronidazolo orale (250 mg tid per 5 giorni negli adulti; 15 mg/kg/die in tre dosi frazionate per 5 giorni nei bambini) è efficace, ma non è al momento autorizzato negli USA per l’uso nella giardiasi. Gli effetti collaterali includono nausea, cefalea e, meno comunemente, urine scure, parestesia e vertigini. La chinacrina orale (100 mg tid per 5 giorni negli adulti; 2 mg/kg tid [fino a un massimo di 300 mg/die] per 5 giorni nei bambini) è molto efficace ma può produrre disturbi gastrointestinali, vertigini, cefalea e, raramente, dermatite esfoliativa e psicosi tossica. Da tempo non è disponibile negli USA. Il furazolidone orale (100 mg qid per 7-10 giorni negli adulti 6 mg/kg/ die in 4 dosi frazionate per 7-10 giorni nei bambini) è meno efficace della chinacrina e del metronidazolo ma è disponibile come sospensione, utile quindi con i bambini. I familiari o i partner sessuali del paziente vanno esaminati e curati se colpiti dalla giardiasi. La terapia durante la gravidanza deve essere evitata; se possibile, il metronidazolo non deve essere somministrato a donne in gravidanza. Se la terapia non può essere ritardata a causa di sintomi gravi, può essere usato un aminoglicoside non assorbibile come la paromomicina (25-35 mg/kg/ die per via orale in 3 dosi frazionate per 7 giorni).

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI INTESTINALI CRIPTOSPORIDIOSI Infezione con protozoi del genere Cryptosporidium che causano malattia diarreica.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi I criptosporidi sono protozoi coccidiani che si replicano intracellularmente nel margine ciliato del piccolo intestino. Le oocisti infettanti vengono liberate nel lume e si ritrovano nelle feci. Dopo l’ingestione da parte di un altro vertebrato, l’oocisti libera gli sporozoiti che si trasformano in trofozoiti, quindi si replicano e producono oocisti dopo circa 12 giorni. Il C. parvum causa la maggior parte dei casi. Le infezioni derivano da diffusione zoonotica, da contatto interpersonale diretto o sono trasmesse con l’acqua. La malattia si verifica in tutto il mondo; sono ad alto rischio i bambini, chi viaggia all’estero, i pazienti immunocompromessi e il personale sanitario che assiste i soggetti affetti da criptosporidiosi. La criptosporidiosi è responsabile di più del 5% di tutte le gastroenteriti sia nei paesi industrializzi che in quelli in via di sviluppo. Epidemie si sono verificate negli asili nido la trasmissione nosocomiale ha causato vaste epidemie causate dall’acqua in diverse città degli USA.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione è di circa una sett. e la malattia clinica si verifica in più dell’80% delle persone infette. L’esordio è acuto, con profusa diarrea acquosa, crampi addominali e, meno comunemente, nausea, anoressia, febbre e malessere. I sintomi generalmente persistono per 1-2 sett., raramente un mese e quindi diminuiscono. L’eliminazione fecale delle oocisti può continuare per diverse settimane dalla fine dei sintomi clinici. L’eliminazione asintomatica delle oocisti è comune presso i bambini più grandi nei paesi in via di sviluppo. Nell’ospite immunocompromesso l’esordio della malattia può essere più graduale, ma la diarrea può essere più grave. Se non si può rimediare al difetto immunitario di base, l’infezione non verrà eliminata. Perciò, la diarrea profusa intrattabile può proseguire persistentemente o in maniera intermittente a vita, con perdite di fluidi > 5-10 l/ die.

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Diagnosi L’identificazione delle oocisti acido-resistenti nelle feci conferma la diagnosi; i metodi convenzionali di esame delle feci non sono attendibili. L’utilizzo delle procedure di sedimentazione con formalina-etil acetato o di concentrazione delle feci con la flottazione zuccherina aumenta le probabilità di effettuare la diagnosi. Le oocisti di Cryptosporidium possono essere identificate mediante microscopia a contrasto di fase o colorando con il reagente Kinyoun modificato acido-resistente. L’Ac monoclonale marcato con fluoresceina e i kit ELISA sono ottimi per l’individuazione di oocisti. La biopsia intestinale è l’ultima risorsa.

Profilassi e terapia Le feci dei pazienti con criptosporidiosi sono altamente contagiose; devono essere osservate strette precauzioni con enteriche. La bollitura dell’acqua è il metodo di decontaminazione più facilmente disponibile; solo filtri con pori di grandezza 1 µm rimuovono i criptosporidi. Nelle persone immunocompetenti, la criptosporidiosi è autolimitantesi e richiede solo terapia di supporto. Un farmaco del tutto efficace non è disponibile, ma la paramomicina (500-750 mg PO qid) ha la più alta frequenza di successo; le recidive sono comuni. In alcuni pazienti con AIDS, i sintomi della criptosporidiosi sono cessati dopo la terapia antiretrovirale. Misure di supporto, reidratazione orale e parenterale e iperalimentazione sono spesso vitali nelle persone immunocompromesse.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI INTESTINALI ISOSPORIASI E CICLOSPORIASI Infezioni con protozoi coccidiani Isospora belli o Cyclospora cayetanensis, che causano diarrea.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi I cicli vitali d’I. belli e C. cayetanensis sono simili a quello del Cryptosporidium, a parte il fatto che le oocisti possono sporulare prima di diventare infettive. L’isosporiasi umana è più comune nei climi tropicali e subtropicali. La trasmissione è per via oro-fecale tramite cibi o bevande contaminate. Cani e altri mammiferi sono ritenuti essere la fonte d’I. belli.

Sintomi e segni Il disturbo più importante è la diarrea acquosa, l’esordio può essere improvviso con febbre, malessere e dolore addominale. La malattia di solito si risolve spontaneamente in pochi giorni o settimane, ma può persistere per mesi o anni. La malattia prolungata si associa con malassorbimento e perdita di peso. Nell’ospite immunocompromesso, l’isosporiasi e la ciclosporiasi possono causare una diarrea intrattabile, voluminosa simile a quell’osservata nella criptsporidiosi. Una forma extraintestinale di malattia che è stata segnalata include colangite e infezioni disseminate.

Diagnosi La diagnosi viene posta tramite il riconoscimento delle caratteristiche oocisti all’esame microscopico delle feci. Può essere necessario sottoporre a esame molti campioni di feci la ricerca delle oocisti è facilitata dalla colorazione dei campioni di feci con colorazione modificata acido-resistente. La diagnosi è a volte fatta solo quando gli stadi intracellulari del parassita vengono rinvenuti nelle biopsie del tessuto intestinale. Le feci di persone con infezione d’I. belli spesso contengono cristalli di Charcot-Leyden derivati dagli eosinofili. Nel sangue periferico è spesso presente eosinofilia. Le biopsie effettuate su pazienti infestati da questi parassiti mostrano villi accorciati e infiltrati di linfociti, plasmacellule ed eosinofili nella lamina propria.

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Prevenzione e terapia La prevenzione è la stessa illustrata per la criptosporidiosi. Il trattamento di scelta sia per l’isosporiasi che per la ciclosporiasi è la doppia dose orale di trimetropinsulfametossazolo (TMP-SMX) 160 mg TMP e 800 mg SMX qid per 10 giorni, quindi bid per 3 sett. Nei pazienti con AIDS, questo deve essere seguito da un trattamento soppressivo a vita con una compressa di TMP-SMX forte 3 volte/sett. Le terapie alternative per l’isosporiasi includono la pirimetamina (25 mg/die PO) associata alla sulfadiazina (500 mg/die PO) con leucovorina di salvataggio; i pazienti allergici ai sulfamidici possono beneficiare di alte dosi di piremetamina da sola (50-75 mg/die con leucovorina di salvataggio) o di roxitromicina.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE PROTOZOI INTESTINALI MICROSPORIDIOSI Infezione con Microsporidia, che causa uno spettro di manifestazione che va dall’infezione asintomatica nelle persone immunocompetenti alla diarrea cronica, alla malattia corneale e alla miosite nei pazienti con AIDS.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Eziologia e patogenesi I microsporidi sono parassiti protozoari intracellulari obbligati che formano spore. Nel lume del tratto gastrointestinale essi arpionano una cellula ospite e vi inoculano lo sporoplasma nucleato. La divisione intracellulare quindi produce sporoblasti che maturano in spore, che disseminano alle altre cellule o passano all’ambiente esterno tramite le feci, le urine o la cute. Poco è noto circa le vie di trasmissione o i possibili serbatoi animali. I microsporidi probabilmente sono una causa comune di malattie sub-cliniche o moderate autolimitantesi in persone altrimenti sane. Indagini sieroepidemiologiche hanno mostrato che più del 50% delle popolazioni sane, specialmente quelle che vivono in ambienti tropicali, possiede anticorpi contro microsporidium Enterocytozoon cuniculi, ma solo pochi casi di infezione umana sono stati riportati in epoca pre-AIDS. Gli organismi sono importanti patogeni opportunistici in persone con AIDS. Più del 30% dei pazienti con AIDS con diarrea cronica altrimenti non diagnosticata ha una microsporidiosi intestinale. Altri sviluppano infezioni coinvolgenti siti diversi dal tratto gastrointestinale.

Sintomi e segni La malattia clinica causata da microsporidi varia con la specie di parassita infettante e lo stato immune dell’ospite. Nei pazienti con AIDS, varie specie causano diarrea cronica, colangite, cheratocongiuntivite puntata, peritonite, epatite, miosite o sinusite. Sono state descritte infezioni dei reni, della colecisti e dei seni paranasali. L’Enterocytozoon bieneusi è presente nei pazienti affetti da AIDS con o senza diarrea e perciò può non esserne la causa. Il Nosema corneum può causare una grave cheratite stromale che può causare perdita della vista in persone immunocompetenti come pure in pazienti con AIDS.

Diagnosi e terapia Gli organismi devono essere dimostrati in campioni di tessuti malati ottenuti file:///F|/sito/merck/sez13/1611356a.html (1 of 2)02/09/2004 2.11.05

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tramite biopsia o in raschiati corneali. I microsporidi sono visti meglio dopo colorazione con Giemsa, PAS, Gram o coloranti acido-resistenti. Le piccole spore possono essere rintracciabili nelle feci, nelle urine o in altre secrezioni. L’albendazolo (400 mg PO bid) può essere efficace per il controllo dell’infezione intestinale con Septata intestinalis. Il farmaco riduce anche il numero d’E. bieneusi nelle biopsie del piccolo intestino, ma non elimina questa infezione. Non esiste un trattamento stabilito per la microsporidiosi oculare o disseminata, ma sono stati riportati alcuni successi con colliri di fumagillina e preparati imidazolici (fluconazolo, itraconazolo).

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) I nematodi sono vermi cilindrici non segmentati che variano da 1 mm a circa 1 m di lunghezza. I nematodi hanno una cavità del corpo, che li distingue dai vermi a nastro e dai trematodi. A seconda delle specie, differenti stadi nel ciclo vitale nei nematodi sono infettivi per gli uomini.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) ASCARIASI Infezione con Ascaris lumbricoides, che causa inizialmente una manifestazione polmonare e in seguito manifestazioni intestinali.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi Ingerendo le uova inizia l’infezione. Le uova si attaccano al duodeno e le larve che ne nascono penetrano le pareti del piccolo intestino e migrano per via ematica al cuore e ai polmoni. Queste ascendono l’albero bronchiale fino all’orofaringe, vengono deglutite, quindi ritornano al piccolo intestino, dove si sviluppano in vermi adulti. Il ciclo vitale è completato in circa 2 mesi; i vermi adulti possono vivere 6-12 mesi. La malattia si verifica ovunque, ma è concentrata nelle regioni tropicali e subtropicali con scarso livello di igiene. L’infezione è comune nelle zone rurali del deserto del sud-est degli USA. L’ascariasi è la più comune infezione elmintica intestinale nel mondo; stime correnti suggeriscono che più di 1 miliardo di persone sono infette, di queste circa 20000 muoiono ogni anno.

Sintomi e segni Le larve migranti possono produrre una "polmonite verminosa," una tipica sindrome di Löffler. I vermi adulti di solito non producono sintomi gastrointestinali. Il passaggio di un verme adulto per la bocca o per il retto può portare un paziente altrimenti asintomatico all’attenzione medica. Tuttavia, infezioni massicce, specialmente nei bambini, possono produrre crampi addominali e una massa di vermi aggrovigliati può causare ostruzione intestinale. La migrazione aberrante di singoli vermi adulti occasionalmente porta a ostruzioni che esitano in colangite, colecistite, ascessi epatici, pancreatite, appendicite o peritonite. La febbre provocata da altre malattie e da alcuni farmaci (come il tetracloroetilene) può provocare questa migrazione aberrante. Infezioni anche moderate portano spesso alla malnutrizione nei bambini. La patogenesi non è chiara e può comprendere la competizione per nutrienti, la riduzione dell’assorbimento e la diminuzione dell’appetito.

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Diagnosi La diagnosi si effettua con la ricerca microscopica delle caratteristiche uova nelle feci. Occasionalmente, i vermi adulti passano nelle feci o vengono vomitati e si rinvengono le larve nell’escreato durante la fase polmonare. L’eosinofilia può essere marcata mentre le larve migrano attraverso i polmoni ma di solito diminuisce quando i vermi adulti si localizzano nel piccolo intestino.

Profilassi e terapia La prevenzione richiede misure igieniche adeguate. Verdure crude o non lavate devono essere evitate nelle aree dove le feci umane sono usate come fertilizzanti. Tutte le infezioni devono essere trattate. Il mebendazolo (100 mg PO bid per 3 giorni), l’albendazolo (400 mg PO una volta), la piperazina citrato (75 mg/kg PO una volta al giorno per 2 giorni; massimo 3,5 g/die), il pirantel (11 mg/kg, massimo 1 g in unica dose orale) sono i farmaci di scelta. Il mebendazolo non va usato in gravidanza. Se sono presenti altri elminti intestinali, l’Ascaris deve essere trattato per primo per prevenire la migrazione aberrante di vermi adulti. La risoluzione di complicanze ostruttive può richiedere un intervento chirurgico o endoscopico.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) TRICHIURIASI (Infezione da vermi a frusta; tricocefalosi) Infezione da Trichuris trichiura, che causa dolore addominale e diarrea.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi L’infezione si diffonde per via oro-fecale. L’ingestione di uova dà luogo all’infezione. Le uova si attaccano all’interno del duodeno, dove le larve invadono e maturano nella mucosa prima di migrare nel colon. I vermi adulti a forma di frusta infilano le loro teste nella mucosa superficiale del colon e del cieco. Il ciclo vitale si completa in circa 3 mesi; i vermi adulti possono vivere da 7 a 10 anni. Il parassita si trova principalmente nei tropici e nelle aree subtropicali. Moderate infezioni asintomatiche sono comuni nelle zone rurali del sud degli USA.

Sintomi, segni e diagnosi Le infestazioni lievi sono spesso asintomatiche, mentre quelle più gravi causano dolore addominale, anoressia e diarrea e possono ritardare l’accrescimento. Le infestazioni massicce possono causare perdita di peso, anemia e prolasso rettale nei bambini e nelle partorienti. Nelle feci vengono facilmente rinvenute le caratteristiche uova a forma di limone.

Prevenzione e terapia La prevenzione richiede un’adeguata igiene ambientale e personale. Non è necessario alcun trattamento per le infestazioni asintomatiche o lievi. Il mebendazolo (100 mg PO bid per 3 giorni) viene usato per le infestazioni più gravi. Il farmaco non deve essere usato durante la gravidanza.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) ANCHILOSTOMIASI (Infezione da verme a uncino) Infezione con Ancylostoma duodenale o Necator americanus che causa dolore addominale e anemia sideropriva.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi Entrambe le specie di vermi a uncino hanno cicli vitali simili. Le uova eliminate con le feci si schiudono in 1-2 giorni (se sono state depositate in un posto caldo, umido su suolo libero) e liberano larve rabdoidi che si sviluppano in 5-8 giorni in larve filariformi più sottili. Le larve filariformi penetrano la cute umana, raggiungono i polmoni per via ematica, risalgono l’albero respiratorio fino all’epiglottide e vengono deglutite. Le larve quindi si attaccano alle pareti dell’intestino tenue, diventano adulte e succhiano continuamente sangue. I vermi adulti possono vivere da 2 a 10 anni. L’A. duodenale è ampiamente diffuso nel bacino del mediterraneo, in India, in Cina, in Giappone e nelle zone adiacenti la costa pacifica del sud America, ma è rara negli USA e nell’Africa equatoriale. Il N. americanus è il verme a uncino predominante in Africa centro-meridionale, Asia meridionale, Melanesia e Polinesia. Esso è ampiamente diffuso nel sud degli USA, nelle isole dei Caraibi e nella parte atlantica dell’America centro-meridionale. Il 25% circa della popolazione mondiale è infestata da anchilostomi. L’infestazione con A. caninum, la specie di verme a uncino che ordinariamente infetta i cani, è una comune causa di enterite eosinofila nel Queensland e in Australia; vari casi sono stati diagnosticati negli USA. Di solito non vengono ritrovate uova nelle feci. L’infezione può essere asintomatica o causare dolore addominale acuto ed eosinofilia. La diagnosi e la terapia sono rappresentate dalla rimozione per via endoscopica del verme.

Sintomi, segni e diagnosi L’anchilostomiasi è asintomatica nelle maggior parte dei casi. Può svilupparsi tuttavia, un rash pruriginoso papulovescicoloso (prurito della terra) nel punto di ingresso della larva. La migrazione di un gran numero di larve attraverso i polmoni occasionalmente causa una sindrome di Löffler. Durante la fase acuta, i vermi adulti nell’intestino possono causare dolore epigastrico spastico, anoressia, flatulenza, diarrea e perdita di peso. L’infezione cronica può portare ad anemia

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sidero-priva e ipoprotidemia, che causa pallore, dispnea, stanchezza, tachicardia, prostrazione, impotenza ed edema. Spesso persiste un’eosinofilia di basso grado. La grave perdita cronica di sangue può portare a ritardo dell’accrescimento, insufficienza cardiaca e anasarca. L’A. duodenale e il N. americanus producono uova ovali a forma di sottile conchiglia che sono facilmente rinvenute nelle feci fresche. Se le feci non vengono mantenute calde ed esaminate entro alcune ore, le uova possono schiudersi e liberare larve che possono essere confuse con quelle dello Strongyloides. Devono essere valutati lo stato nutrizionale, l’anemia e le riserve di ferro.

Profilassi e terapia La prevenzione nei confronti di una defecazione non condotta in modo igienico e gli accorgimenti onde evitare il contatto diretto della cute con il terreno sono misure efficaci ancorché poco pratiche nella maggior parte delle zone endemiche. Disinfestazioni periodiche di massa possono essere efficaci per le popolazioni ad alto rischio. Inizialmente, se l’infestazione è massiccia e l’anemia grave, possono essere necessarie una terapia generale di sostegno e la correzione dell’anemia. L’anemia solitamente risponde bene alla terapia marziale orale, ma in casi molto gravi possono essere necessari ferro parenterale o trasfusioni di sangue. Appena le condizioni del paziente si stabilizzano si può somministrare un antielmintico. Il mebendazolo è il farmaco di scelta negli USA. È stata riportata una frequenza di guarigione superiore al 99% dopo un ciclo di 100 mg PO bid per 3 giorni. Poiché il farmaco è anche ovocida, è particolarmente adatto nel controllo dell’infezione in aree endemiche. Il mebendazolo non va usato in gravidanza. L’albendazolo in monodose (400 mg) e il pirantel (per N. americanus, in singola dose quotidiana di 11 mg/kg [massimo 1 g]si somministra PO per 3 gg; per A. duodenale, di solito è sufficiente 1 giorno di trattamento) sono efficaci.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) STRONGILOIDIASI (Infezione da verme filiforme) Infezione da Strongyloides stercoralis, che causa rash cutanei, eosinofilia e dolore addominale.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi La strongiloidiasi è endemica ovunque nei tropici e nelle aree subtropicali, comprese le aree rurali del sud degli USA. I vermi adulti vivono nella mucosa e sottomucosa del duodeno e del digiuno. Le uova rilasciate si rompono immediatamente e liberano larve rabdoidi che migrano nel lume e sono eliminate con le feci. Dopo pochi giorni al suolo, le larve si trasformano in larve filariformi infettive. Come i vermi a uncino, le larve di Strongyloides penetrano la cute umana, migrano attraverso i polmoni e raggiungono l’intestino, dove maturano in circa 2 sett. Nel suolo, diverse generazioni di vermi a vita libera possono essere prodotte prima che i vermi tornino a essere parassiti. Le larve filariformi possono saltare la fase al suolo e penetrare direttamente il colon o la cute. La trasmissione è spesso dovuta all’esposizione della cute nuda al suolo contaminato in condizioni non igieniche. La trasmissione da persona a persona per via oro-fecale è responsabile della maggior parte delle infezioni riportate negli istituti psichiatrici e negli asili nido e tra i maschi omosessuali promiscui. Può verificarsi autoreinfestazione. La reinfestazione può causare la presenza di un numero altissimo di vermi (sindrome da iperinfestazione) e probabilmente spiega perché l’infestazione può persistere per molti decenni. La sindrome de iperinfestazione si riscontra di solito in persone con immunità cellulo-mediata diminuita, occasionalmente in persone con acloridia o tempo prolungato di transito intestinale e raramente in persone altrimenti sane. L’accelerata autoinfestazione e l’iperinfestazione si verificano frequentemente in persone affette da virus umano linfotrofico a cellule T di tipo I o in soggetti che assumono farmaci immunosoppressivi, ma la strongiloidiasi disseminata non è comune tra i pazienti con AIDS, anche quelli provenienti dall’Africa dove la strongiloidiasi infetta quasi il 50% della popolazione. L’immunisoppressione può portare a un’iperinfestazione in persone con un’infestazione precedentemente asintomatica.

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Sintomi e segni Più della metà delle persone infette è asintomatica, anche se 75% ha eosinofilia; l’eosinofilia può essere soppressa da farmaci come steroidi o agenti citotossici chemioterapeutici, che possono anche aumentare il rischio di iperinfestazione. I sintomi cutanei sono inusuali nella strongiloidiasi acuta ma non in quella cronica. Larva currens, una lesione orticarioide serpiginosa, migrante, di solito alle natiche, al perineo o alle cosce, è patognomonica, ma possono verificarsi altre eruzioni orticarioidi non specifiche o maculopapulari. I sintomi polmonari sono assenti nella maggior parte dei casi, sebbene le infestazioni massicce possano produrre una sindrome di Löffler. Occasionalmente, le larve maturano nella sottomucosa bronchiale e producono una bronchite cronica e asma. L’infestazione intestinale nel duodeno e nell’adiacente digiuno può danneggiare la mucosa e la sottomucosa. I sintomi che ne risultano includono dolore epigastrico e dolorabilità, diarrea, nausea, vomito, costipazione e perdita di peso. L’infestazione cronica può portare a malassorbimento di glucoso ed enteropatia da dispersione proteica. Nell’iperinfestazione, i vermi adulti femmina si accumulano nel piccolo intestino superiore mentre le larve filariformi invadono il restante tratto intestinale. I sintomi gastrointestinali precoci includono nausea, vomito, diarrea e dolore addominale. L’infestazione non trattata può causare ileo, ostruzione, sanguinamento gastrointestinale massivo, malassorbimento grave e peritonite. I sintomi polmonari includono tosse, espettorazione, dispnea, emottisi, broncospasmo e insufficienza respiratoria. La radiografia del torace può mostrare infiltrati interstiziali diffusi, consolidamento o ascesso. Le larve migranti possono infettare il SNC, portando a meningite parassitaria, ascesso cerebrale e invasione diffusa del cervello. L’infestazione del fegato può causare epatite colostatica e granulomatosa. L’alta incidenza di meningiti secondarie da gram –, polmoniti e batteriemie probabilmente riflette la distruzione della mucosa intestinale o il trasporto di batteri da parte delle larve migranti. L’infestazione può essere fatale nei pazienti immunosoppressi. La mortalità della sindrome da iperinfezione non trattata si avvicina al 100%; la mortalità con il trattamento è del 50-80%.

Diagnosi La visualizzazione microscopica delle larve in un singolo campione di feci ha successo in circa il 25% delle volte. Ripetuti esami di feci concentrate o la flottazione in zinco, la tecnica di Baermann o il metodo della piastra di agar aumentano la sensibilità a 85%. Se i campioni restano a temperatura ambiente per diverse ore, le larve rabdoidi possono trasformarsi nelle più lunghe larve filariformi, che portano a erronee diagnosi di iperinfezione accelerata. Nelle infestazioni a più bassa carica può essere richiesto il prelievo di campioni dal tratto prossimale del piccolo intestino con apposite capsule a laccio (capsule da Enterotest) o per aspirazione. Quest’ultima deve essere fatta endoscopicamente per permettere biopsie di lesioni duodenali e digiunali sospette. Nella sindrome da iperinfestazione, le larve filariformi possono essere trovate nelle feci, nel contenuto duodenale, nell’escreato e nel lavaggio bronchiale e meno comunemente nel LCR, nelle urine e nel liquido pleurico o nel liquido ascitico. Il test ELISA è sensibile all’80-85% per la diagnosi di strongiloidiasi non complicata, ma risultati falsi-positivi si verificano in persone infette con altri nematodi intestinali. Altri esami sierodiagnostici non sono in commercio.

Prevenzione e terapia La prevenzione dell’infestazione primaria è la stessa suggerita per

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l’anchilostomiasi. Per prevenire la sindrome da iperinfezione altamente fatale, i pazienti con possibile esposizione a Strongyloides (anche nel remoto passato), quelli con eosinofilia idiopatica e quelli con sintomi suggestivi di strongiloidiasi devono sottoporsi a diversi esami delle feci e, se necessario, a test del nastro o aspirazione duodenale prima di ricevere corticosteroidi o altra terapia immunosoppressiva. Infatti, se la terapia deve essere istituita, la bonifica parassitologica va documentata prima dell’immunosoppressione. Le persone immunosoppresse che hanno strongiloidiasi ricorrente possono avere necessità di cicli mensili di tiabendazolo. Il tiabendazolo è il farmaco di scelta. Nell’infezione non complicata, 25 mg/kg bid PO per 2 giorni (massimo 3 g/die) risultano curativi all’80-90%; possono essere necessari cicli ripetuti o l’instillazione diretta del farmaco nell’intestino superiore. La guarigione deve essere documentata da ripetuti esami delle feci e del test del nastro. Nella sindrome da iperinfestazione devono essere somministrati 25 mg/kg bid PO o con sondino naso-gastrico per un minimo di 5-7 giorni, ma la terapia deve essere continuata per diversi giorni dopo che i parassiti siano scomparsi da tutti i siti. È necessario effettuare controlli a lungo termine delle feci e ottenere campioni dell’intestino superiori. Gli effetti collaterali del tiabendazolo sono frequenti e occasionalmente inabilitanti: nausea, vomito, dolore addominale, vertigini, cefalea, parestesia, malessere, prurito, vampate di calore. L’ivermectina (200 µg/kg/die PO per 1-2 giorni) può essere più efficace contro Strongyloides e produce minori effetti collaterali del tiabendazolo. Il mebendazolo e l’albendazolo sono meno attivi che il tiabendazolo e non sono raccomandati.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) TOXOCARIASI (Larva oculare migrante o viscerale) Infezione umana con larve di nematodi che normalmente infettano gli animali e che causa reazioni tissutali granulomatose eosinofile in risposta alle larve migranti o riduzione del visus.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi Le uova di Toxocara canis, T. cati e Baylisascaris procyonis maturano nel terreno e di solito infettano rispettivamente i cani, i gatti e i procioni. Le uova eliminate da questi animali possono essere ingerite dagli uomini e schiudersi nell’intestino. Le larve penetrano la parete intestinale e migrano attraverso il fegato, i polmoni, il SNC, gli occhi e quasi tutti gli altri tessuti. Le larve di solito non completano il loro sviluppo nel corpo umano, ma rimangono vive per molti mesi. L’infezione può essere causata anche dall’ingestione di fegato o carni crude, o poco cotte, di vari animali.

Sintomi e segni La sindrome da larva viscerale migrante (LVM) comporta febbre, anoressia, epatosplenomegalia, rash cutanei, polmonite e attacchi asmatici, a seconda degli organi colpiti. Sono comuni iperglobulinemia, leucocitosi e marcata eosinofilia. Il danno tissutale è causato da reazioni focali granulomatose eosinofile verso le larve migranti. La LVM si verifica principalmente nei bambini di 2-5 anni con una storia di geofagia. La sindrome è autolimitantesi, in 6-18 mesi se cessa l’introduzione di uova. Si verificano raramente decessi dovuti all’invasione del cervello o del cuore. La larva migrante oculare (LMO), chiamata anche toxocariasi oculare, di solito si presenta con senza o con una manifestazione sistemica molto moderata. Le lesioni da LMO consistono principalmente in reazioni granulomatose nella retina che possono causare riduzione del visus. La LMO si verifica nei bambini più grandi e meno comunemente nei giovani.

Diagnosi

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La diagnosi si basa su reperti clinici, epidemiologici e segni sierologici. È stato sviluppato un test ELISA altamente specifico per cercare anticorpi verso le larve di T. canis. Le biopsie del fegato o di altri organi colpiti possono mostrare reazione granulomatosa eosinofila. Le larve sono difficili da trovare nelle sezioni di tessuto e le biopsie hanno una scarsa resa. Gli esami delle feci non hanno alcun valore. La LMO deve essere distinta dal retinoblastoma per prevenire un’enucleazione chirurgica non necessaria dell’occhio.

Profilassi e terapia L’infezione nei cuccioli di cane supera l’80% negli USA; nei gatti è molto meno comune, ma entrambi devono essere sverminati regolarmente. Il contatto tra feci animali e bambini deve essere ridotto al minimo. Non esiste terapia provata per la LMV. L’utilità della dietilcarbamazina (2 mg/kg PO tid per 1-2 sett.), del mebendazolo (100-200 mg PO bid per 5 giorni) o dell’albendazolo (400 mg PO bid per 3-5 giorni) rimane incerta. Gli antiistaminici per i sintomi moderati possono bastare la terapia con corticosteroidi (prednisone 20-40 mg/die PO) per i sintomi gravi può essere salvavita. I corticosteroidi sono anche indicati per la LMO acuta. La fotocoagulazione con laser può riuscire a uccidere le larve nella retina.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) DRACUNCULOSI (Malattia del verme di Guinea, dracontiasi; "serpente di fuoco") Infezione con Dracunculus medinensis, che può causare un’ulcera cutanea dolorosa e artrite debilitante.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi La dracunculosi è endemica in buona parte dell’Africa tropicale, India, Pakistan, Medio oriente, alcune zone dell’America meridionale e India occidentale. Da 10 a 40 milioni di persone sono infettate annualmente in tutto il mondo. Gli uomini si infettano bevendo acqua contenente micro-crostacei infetti. Le larve penetrano la parete intestinale, maturano in vermi adulti e migrano nel tessuto connettivo. Quando la femmina gravida migra verso il tessuto sottocutaneo, l’estremità cefalica del verme produce una papula dura che forma una vescicola e che alla fine si ulcera. A contatto con l’acqua, un’ansa dell’utero prolassa attraverso l’estremità anteriore del verme e rilascia larve mobili nell’acqua. Se non ci sono complicanze, l’espulsione del verme attraverso la sacca cutanea richiede 1-3 sett. di ripetute immersioni nell’acqua. I vermi che non riescono a raggiungere la cute si disintegrano e sono riassorbiti o calcificano. Nella maggior parte delle aree, un episodio infettivo dura circa 1 anno e la trasmissione si verifica ogni anno nella stessa stagione.

Sintomi e segni L’infezione è generalmente asintomatica durante il primo anno. Il sintomo d’esordio coincide con l’eruzione del verme. I sintomi locali includono prurito intenso e un dolore urente a livello della piccola sacca. Orticaria, eritema, dispnea, vomito e prurito sono ritenuti essere il riflesso della reazione allergica a prodotti tossici del verme che forma la sacca. Se il verme si rompe durante l’espulsione o l’estrazione e le larve sfuggono nei tessuti segue una grave reazione infiammatoria con dolore intenso. I sintomi cessano e l’ulcera guarisce una volta che il verme adulto è stato espulso. In circa il 50% dei casi, si verificano infezioni batteriche secondarie lungo il percorso del verme emergente. Le sequele croniche includono anchilosi fibrosa delle articolazioni e contrazioni tendinee.

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Diagnosi La diagnosi è ovvia una volta che la testa del verme adulto appare sulla superficie dell’ulcera. Il rilascio delle larve può essere stimolato raffreddando l’area ulcerata. Vermi calcificati possono essere localizzati con esami radiologici (sono stati trovati nelle mummie egiziane). Un test cutaneo con estratto crudo del verme produce un pomfo e una reazione urente, ma è spesso negativo prima che il verme femmina emerga. Gli esami sierologici non sono specifici.

Prevenzione e terapia Sebbene la profilassi con dietilcarbamazina sembri essere efficace, il metodo più semplice per prevenire l’infezione è filtrare l’acqua da bere attraverso un pezzo di garza. La terapia consiste nella lenta rimozione del verme adulto per giorni e settimane arrotolandolo su un bastoncino. La rimozione chirurgica, che può ridurre l’inabilità, è possibile ma solo a volte disponibile nelle aree endemiche. L’effetto benefico del tiabendazolo (50-75 mg/kg PO in 2 dosi frazionate per 3 giorni) o del metronidazolo (250 mg PO tid per 6 giorni) è stato attribuito alle proprietà antiinfiammatorie e antibatteriche dei farmaci piuttosto che ai loro effetti antielmintici. La prevenzione delle infezioni secondarie e la riduzione della risposta infiammatoria locale con antibiotici topici e idrocortisone (o con antibiotici sistemici se necessario) può accelerare l’espulsione del verme e l’estrazione.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO) INFEZIONI DA FILARIE

Sommario: Introduzione FILARIASI LINFATICA Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia ONCOCERCOSI Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Misure preventive Terapia LOIASI Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Prevenzione e terapia DIROFILARIASI

Vermi filiformi adulti risiedono nei tessuti. Le femmine gravide producono una discendenza vitale (microfilarie) che circola nel sangue o migra nei tessuti. Quando vengono ingerite da un insetto idoneo (zanzare o mosche), le microfilarie si sviluppano in larve infettive che vengono inoculate o deposte sulla cute durante la puntura dell’insetto. Solo poche specie di vermi infettano regolarmente gli uomini. Inoltre, le filarie che parassitano gli animali, a volte infettano l’ospite umano, pur non arrivando a un completo sviluppo.

FILARIASI LINFATICA Infezione con 3 specie di Filarioidea, che può portare ad adenolinfangite acuta e a linfedema cronico, idrocele o chiluria.

Eziologia e patogenesi La filariasi linfatica è causata da Wuchereria bancrofti, Brugia malayi o da B. timori, ed è diffusa dalle zanzare. Le larve infettive vengono emesse dalla proboscide della zanzara quando punge, entrano nel punto di inoculo e migrano lungo i vasi linfatici, dove si sviluppano in vermi adulti in 6-12 mesi. Le femmine gravide producono microfilarie che circolano nel sangue.

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La filariasi bancroftiana è presente nelle zone tropicali e subtropicali dell’Africa, dell’Asia, del Pacifico e delle Americhe compresa parte dei Caraibi. La filariasi brugiana è limitata all’Asia sud-orientale. Stime correnti suggeriscono che sono infette circa 90 milioni di persone.

Sintomi e segni L’infezione porta spesso a microfilaremia senza manifestazioni cliniche. Tuttavia la filariasi infiammatoria acuta comporta episodi (spesso ricorrenti) di febbre che durano da 4 a 7 giorni, linfoadenite acuta con tipica linfangite retrograda (LAA) o funiculite acuta ed epididimite. Il linfedema transitorio di una gamba colpita può dare luogo a un ascesso che drena all’esterno e lascia una cicatrice. La LAA in aree che drenano i linfatici delle gambe è spesso causata o aggravata da infezioni batteriche secondarie. La filariasi cronica spesso si sviluppa insidiosamente dopo molti anni. Nella maggior parte dei pazienti si verifica una dilatazione linfatica asintomatica, ma la risposta infiammatoria cronica ai vermi adulti può portare al linfedema cronico dell’area del corpo interessata o all’idrocele. L’ipercheratosi e l’aumentata suscettibilità locale alle infezioni batteriche e micotiche porta infine all’elefantiasi. Altre forme di malattia cronica da filarie sono causate dalla distruzione di vasi linfatici o dal drenaggio aberrante di linfa che porta a chiluria e chilocele. L’eosinofilia polmonare tropicale (EPT) non è comune. Essa si manifesta con frequenti attacchi di asma, transitorie opacità polmonari, febbricola e marcata leucocitosi ed eosinofilia. Le microfilarie di solito non rimangono nel sangue, ma sono presenti in ascessi eosinofili nei polmoni o nei linfonodi. La EPT è molto probabilmente dovuta a reazioni allergiche verso le microfilarie. La EPT cronica può portare alla fibrosi polmonare. Altri segni extralinfatici includono ematuria microscopica cronica, proteinuria e moderata poliartrite, causate dalla deposizione di immunocomplessi. Episodi di LAA di solito precedono l’esordio della malattia cronica di 2 decenni. La filariasi acuta è più grave e la progressione verso la malattia cronica è più rapida negli immigranti in aree endemiche precedentemente non esposti rispetto ai residenti nativi. La microfilaremia e i sintomi scompaiono gradualmente dopo aver lasciato l’area endemica.

Diagnosi L’evidenziazione al microscopio delle microfilarie nel sangue permette la diagnosi. Filtrati o concentrati centrifugati di sangue sono molto più sensibili dei vetrini a goccia spessa. I campioni di sangue devono essere raccolti quando si verifica il picco della microfilaremia cioè di notte, nella maggior parte delle aree endemiche, e durante il giorno, in molte isole del Pacifico. Vermi adulti vitali possono essere visualizzati in vasi linfatici dilatati con l’ecografia; i loro movimenti sono detti "danza delle filarie". Gli esami sierologici non possono differenziare le infezioni pregresse da quella in atto. È disponibile un test altamente sensibile e specifico per la ricerca di antigeni del verme nel siero di pazienti con filariasi bancroftiana.

Prevenzione e terapia La protezione richiede la riduzione dei contatti con zanzare infette. L’efficacia della chemioprofilassi con dietilcarbamazina (DEC) non è provata.

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La terapia della filariasi linfatica è problematica. La DEC uccide le microfilarie ma solo una parte variabile di vermi adulti. È raccomandata una singola dose orale di 6 mg/kg. L’ivermectina riduce rapidamente i livelli di microfilaremia e può inibire lo sviluppo larvale nelle zanzare, ma il farmaco non uccide i vermi adulti e non è molto efficace contro la filariasi brugiana. Gli attacchi acuti generalmente si risolvono spontaneamente, sebbene possa essere necessario l’uso di antibiotici per il controllo delle infezioni secondarie. La ETP spesso risponde alla DEC, ma le recidive sono comuni e possono richiedere cicli multipli. Se la DEC previene o meno il linfedema cronico rimane controverso. La terapia del linfedema cronico può essere molto efficace. La creazione chirurgica di shunt veno-linfatici per migliorare il drenaggio linfatico offre benefici a lungo termine anche in casi avanzati di elefantiasi e le misure conservative come il bendaggio elastico della gamba colpita aiutano a ridurre l’edema. La cura meticolosa della cute, compreso l’uso di pomate antibiotiche e la profilassi con antibiotici sistemici, può far regredire il linfedema e prevenirne la progressione verso l’elefantiasi.

ONCOCERCOSI (Cecità fluviale) Infezione con il nematode Onchocerca volvulus, che causa una malattia cronica delle pelle e lesioni oculari che possono portare alla cecità.

Eziologia e patogenesi L’oncocercosi è diffusa dalle mosche nere (Simulium sp) che si riproducono nei torrenti (da cui la definizione di cecità fluviale). Le larve infettive inoculate nella cute durante il morso di una mosca si sviluppano in vermi adulti in circa 1 anno. I vermi adulti femmine possono vivere più di 15 anni nei noduli fibrosi sottocutanei più profondi. I vermi adulti maschi migrano tra i noduli e periodicamente fecondano le femmine. I vermi maturi producono microfilarie vive che migrano principalmente attraverso la cute e invadono gli occhi. Circa 18 milioni di persone sono infette, di cui circa 270000 sono cieche e 500000 hanno disturbi della vista. L’infezione e la malattia sono più comuni nelle regioni tropicali e nelle regioni del Sahel in Africa; focolai meno estesi esistono nello Yemen, nel Messico del sud, in Guatemala, in Ecuador, in Colombia, in Venezuela e nell’Amazzonia brasiliana.

Sintomi e segni I noduli sottocutanei (o più profondi) (oncocercomi) che contengono i vermi adulti sono visibili o palpabili ma per il resto asintomatici. Essi sono composti di cellule infiammatorie e tessuto fibrotico in varie proporzioni; i vecchi noduli possono necrotizzare e calcificare. La dermatite da oncocerche è causata dallo stadio microfilariale del parassita. Il prurito intenso può essere il solo sintomo in persone con infestazione lieve. Le lesioni cutanee di solito consistono in rash maculopapuloso con escoriazioni secondarie, ulcerazioni desquamanti, lichenificazione e linfoadenopatia da lieve a moderata. Possono verificarsi prematura rugosità, atrofia cutanea, massiccia tumefazione dei linfonodi inguinali o femorali, ostruzione linfatica, ipopigmentazione a chiazze e aree transitoriamente localizzate di edema ed eritema. La dermatite da oncocerca è generalizzata nella maggior parte dei pazienti, ma nello Yemen e in Arabia Saudita è comune una forma localizzata e delineata di dermatite eczematosa con ipercheratosi, desquamazione e depigmentazione (Sowdah). La malattia oculare varia da moderata riduzione del visus a completa cecità. Le file:///F|/sito/merck/sez13/1611363.html (3 of 6)02/09/2004 2.11.11

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lesioni dell’occhio anteriore includono una cheratite puntata (a fiocco di neve), un infiltrato infiammatorio acuto che circonda microfilarie morte si risolve senza causare danno permanente; una cheratite sclerosante, un groviglio di tessuto fibrovascolare che può causare lussazione del cristallino e cecità; uveite anteriore o iridociclite che può deformare la pupilla. Possono verificarsi inoltre corioretinite, neurite ottica e atrofia ottica. L’oncocercosi è la seconda causa di cecità al mondo (dopo il tracoma). La cecità è comune nelle regioni a prevalenza di savana dell’Africa, dove è principalmente dovuta alla cheratite sclerosante è meno comune nelle aree delle foreste pluviali, dove è causata da lesioni corioretiniche ed è di gran lunga più rara in America, dove è causata principalmente da lesioni del segmento posteriore dell’occhio.

Diagnosi La dimostrazione di microfilarie in biopsie cutanee è il metodo tradizionale per dimostrare la presenza e la gravità dell’infezione (v. Tab. 161-1). Le microfilarie possono essere rinvenute anche nella cornea e nella camera anteriore dell’occhio. Metodi basati sulla PCR per cercare il DNA del parassita in biopsie cutanee con sonde di DNA specie-specifiche possono essere più sensibili delle tecniche usuali. È in corso di sviluppo la valutazione di un test sierodiagnostico che utilizzi antigeni specifici ricombinanti di Onchocerca. Noduli palpabili (o noduli profondi individuati mediante ecografia o RMN) possono essere asportati ed esaminati per la ricerca di vermi adulti con esame istologico di routine o dopo digestione con collagenasi. Le forme africane di O. volvulus che causano cecità possono essere distinte da quelle che non la causano tramite specifiche sonde di DNA.

Misure preventive Nessun farmaco si è mostrato in grado di proteggere dall’infezione da O. volvulus. Comunque la somministrazione annuale od ogni sei mesi di ivermectina controlla efficacemente la malattia e può diminuire la trasmissione del parassita. La rimozione chirurgica di tutti gli oncocercomi accessibili riduce il numero di microfilarie nella cute e può ridurre la prevalenza di cecità. È possibile ridurre le punture delle mosche della specie Simulium evitando le aree infestate, indossando abiti protettivi e usando in maniera abbondante agenti repellenti per insetti. L’uccisione delle larve della mosca nera rappresenta il punto cardine del programma internazionale di controllo dell’oncocerchiasi nell’Africa Occidentale.

Terapia Il farmaco di scelta è l’ivermectina somministrata in una singola dose orale di 150 µg/kg una sola volta o due volte in un anno. Essa non deve essere somministrata a bambini di 5 anni di età o di peso 15 kg, alle donne in gravidanza, alle madri che allattano neonati durante la prima sett. di vita e ad ogni persona in gravi condizioni cliniche generali. L’ivermectina riduce rapidamente il numero di microfilarie nella cute e negli occhi. Essa non sembra essere in grado di uccidere i vermi adulti, ma blocca il rilascio di microfilarie dall’utero per diversi mesi. Gli effetti collaterali sono qualitativamente simili a quelli della dietilcarbamazepina (DEC) ma sono meno frequenti e meno gravi. Il DEC non è più un farmaco raccomandato per il trattamento dell’oncocerchiasi poiché causa nefrotossicità e la reazione di Mazzotti, che può ulteriormente danneggiare la cute e gli occhi e portare a un collasso cardiovascolare, oltre ad

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Infezioni parassitarie

accelerare l’insorgenza della cecità nei pazienti con un livello massiccio di infestazione. La suramina è efficace ma deve essere somministrata EV per varie settimane. L’eliminazione dei vermi adulti può essere ottenuta anche mediante la rimozione chirurgica dell’oncocercoma.

LOIASI Infezione da Loa loa, che può causare angioedema localizzato della cute e una sindrome allergica con ipereosinofilia.

Eziologia e patogenesi La Loa loa è trasmessa da mosche tabanidi (cavalline o mosche del cervo del genere Chrysops). Le forme adulte migrano nei tessuti sottocutanei e nell’occhio, mentre le microfilarie circolano nel sangue. La loiasi è limitata alla zona delle foreste pluviali dell’Africa occidentale, centrale e del Sudan equatoriale. La loiasi si sviluppa rapidamente in persone che soggiornano per pochi mesi in un’area endemica, come i missionari o i volontari di organizzazioni non governative.

Sintomi, segni e diagnosi L’infezione nelle persone indigene provoca nella maggior parte dei casi aree di angioedema (edema di Calabar) che può svilupparsi in ogni parte del corpo, ma prevalentemente sulle estremità; generalmente esse persistono per 1-3 giorni e sono presumibilmente correlate a reazioni di ipersensibilità agli allergeni rilasciati dai vermi adulti durante la migrazione. I vermi migrano anche nella zona sottocongiuntivale attraverso gli occhi, e ciò può creare disturbi, anche se lesioni oculari residue non sono di frequente riscontro. Alterazioni patologiche meno comuni sono costituite dalla nefropatia, dall’encefalopatia e dalla cardiomiopatia. La nefropatia generalmente è caratterizzata da proteinuria accompagnata o meno da lieve ematuria e si ritiene sia causatada immunocomplessi. La proteinuria è transitoriamente esacerbata dal trattamento con dietilcarbamazina (DEC). L’encefalopatia si presenta in forma lieve ed è generalmente associata a sfumati sintomi neurologici. Il DEC aggrava i sintomi neurologici fino a provocare stato di coma e morte. Nei viaggiatori, a differenza dei nativi africani, sono predominanti i sintomi da iperreattività allergica. L’edema di Calabar tende a essere più frequente e più grave nei viaggiatori, che possono anche sviluppare una sindrome sistemica con ipereosinofilia che può condurre a fibrosi endomiocardica. La diagnosi consiste nel riscontro alla microscopia ottica di microfilarie nel sangue periferico . I campioni di sangue devono essere prelevati intorno a mezzogiorno, quando i livelli di microfilaremia sono più alti. Le persone che risiedono temporaneamente in aree endemiche rimangono spesso amicrofilaremiche. I test sierodiagnostici non sono ancora in grado di differenziare la Loa loa da altre filarie.

Prevenzione e terapia Agenti repellenti per insetti possono ridurre l’esposizione alle mosche infette. Comunque, il DEC orale (300 mg una volta a settimana) è l’unica misura di provata efficacia nella prevenzione dell’infezione. Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare file:///F|/sito/merck/sez13/1611363.html (5 of 6)02/09/2004 2.11.11

Infezioni parassitarie

un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma e alla morte. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

DIROFILARIASI (Infezione canina del verme nel cuore) Infezione da Dirofilaria immitis, una comune filaria parassita dei cani. La trasmissione di D. immitis agli esseri umani da una zanzara infetta è molto rara. La larva si incapsula nel tessuto polmonare infartuato e produce noduli polmonari a margini netti. Il paziente può presentare dolore toracico, tosse e, occasionalmente, emottisi. Molti pazienti restano asintomatici e, mediante una rx del torace di routine, viene riscontrato un nodulo polmonare. La diagnosi è resa possibile dall’esame istologico di un campione bioptico. I test sierodiagnostici sono positivi solo nel 35% circa dei casi, ma possono prevenire il ricorso a un intervento chirurgico non necessario. Non è indicata alcuna terapia. L’infezione è autolimitantesi.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) La schistosomiasi è di gran lunga la più importante infezione da trematodi. Circa 500 milioni di persone sono a rischio di infezione, che si diffonde contestualmente alla costruzione di nuove dighe in aree endemiche. Comunque sono numerosi i trematodi, oltre agli schistosomi, che parassitano l’uomo e infettano con facilità chi viaggia nelle aree endemiche. Poiché i vermi adulti di questi altri trematodi sono ermafroditi (al contrario degli schistosomi), le infezioni sono generalmente di lunga durata. Nelle chiocciole e in altri molluschi si svolgono solo gli stadi precoci dello sviluppo larvale; gli stadi larvali contagiosi avvengono nel pesce, nei crostacei o in vegetali acquatici che, per causare infezione, devono essere ingeriti.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) SCHISTOSOMIASI (Bilharziosi) Infezione da vermi del genere Schistosoma, che può causare una malattia cronica dell’intestino, del fegato e del tratto genitourinario.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi I vermi adulti vivono e si accoppiano all’interno delle vene del mesentere o della vescica. Alcune uova penetrano nell’intestino o nella mucosa vescicale e vengono eliminate nelle feci o con le urine. Le uova si schiudono in acqua fredda, liberando i miracidi che si moltiplicano nelle lumache e producono migliaia di cercarie. Queste penetrano attraverso la cute umana nell’arco di pochi minuti dopo l’esposizione e si trasformano in schistosomuli. Gli schistosomuli si sviluppano fino a raggiungere la forma di vermi sessualmente attivi nelle vene intestinali o nel plesso venoso del tratto genito urinario, a seconda delle specie. Le uova compaiono nelle feci o nelle urine dopo 1-3 mesi dalla penetrazione delle cercarie. Le stime sulla durata di vita di un verme adulto oscillano in un range di 3-37 anni. Lo S. haematobium colpisce principalmente l’apparato genito urinario ed è ampiamente diffuso nel continente africano; focolai di minori dimensioni sono presenti nel Medio Oriente e in India. Lo S. mansoni è diffuso in Africa e costituisce l’unica specie presente nell’emisfero occidentale (in Brasile, Suriname, Venezuela e in alcune isole caraibiche). Lo S. japonicum è presente esclusivamente in Asia, principalmente in Cina e nelle Filippine. Lo S. mekongi è l’agente responsabile della schistosomiasi nel Laos e nella Cambogia, lo S. intercalatum nell’Africa Centrale. La trasmissione della schistosomiasi non può verificarsi negli USA e in Canada poiché non sono presenti le lumache che agiscono come ospiti intermedi. Comunque, la malattia può essere presente nei viaggiatori e negli immigrati provenienti da zone endemiche.

Sintomi e segni La dermatite da Schistosoma può verificarsi in persone precedentemente sensibilizzate, causando un rash papulare pruriginoso nella zona di penetrazione delle cercarie (v. anche Dermatiti causate da Schistosomi animali, oltre). La schistosomiasi acuta (febbre di Katayama) può verificarsi 2-4 sett. dopo una esposizione massiva. Le manifestazioni della schistosomiasi acuta sono più

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comuni e generalmente più gravi nei viaggiatori rispetto ai nativi residenti nelle zone endemiche. I sintomi includono febbre, brividi, nausea, dolore addominale, malessere, mialgia, rash orticarioidi e marcata eosinofilia. Occasionalmente, le uova si localizzano in maniera aberrante nel SNC e causano mielite trasversa o crisi comiziali. La schistosomiasi cronica si manifesta principalmente in funzione delle risposte dell’ospite alle uova localizzate nei tessuti. In fase di esordio, gli ascessi della mucosa intestinale causati da S. mansoni o S. japonicum possono andare incontro a ulcerazione e provocare diarrea ematica; al progredire delle lesioni, possono svilupparsi fibrosi focale, restringimenti, fistole e crescite papillomatose. In presenza di S. haematobium, le ulcerazioni della parete vescicale possono causare disuria, ematuria e pollachiuria. Nel tempo si sviluppa una cistite cronica; le stenosi possono condurre a idrouretere e idronefrosi; sono comuni masse papillomatose nella vescica, che possono diventare maligne; altrettanto comuni sono le infezioni batteriche secondarie del tratto genitourinario e le setticemie persistenti da Salmonella. Reazioni granulomatose alle uova di S. mansoni e S. japonicum producono nel fegato una cirrosi diffusa nodulare periportale. La funzione della cellula epatica non risulta seriamente compromessa, ma il danno alla circolazione provoca una grave ipertensione portale. L’ematemesi è comune e può essere fatale. L’ipertensione portale provoca una diffusione delle uova nei polmoni, dove esse producono un’arterite obliterante focale e lesioni granulomatose che possono causare ipertensione polmonare e cuore polmonare.

Diagnosi Le uova si trovano nelle feci (S. japonicum, S. mansoni, S. mekongi, S. intercalatum) o nelle urine (S. haematobium), ma possono rendersi necessari esami seriati delle feci con tecniche di concentrazione. La prognosi e la terapia differiscono in base alle specie. Se il quadro clinico è compatibile con la schistosomiasi, ma non vengono riscontrate uova dopo ripetuti esami delle urine o delle feci, si deve ricorrere alla biopsia della mucosa intestinale o vescicale per la ricerca delle uova. I test sierologici sono altamente sensibili e specifici. I livelli sierici di antigene possono essere utilizzati per stabilire le carica infestante e monitorare l’efficacia del trattamento. La RMN o l’ecografia possono individuare la fibrosi portale e le uova calcificate all’interno del fegato, nella parete intestinale o nella vescica e nell’uretere.

Prevenzione e terapia Si previene l’infezione evitando scrupolosamente il contatto con acqua contaminata. Gli adulti residenti in aree endemiche sono più resistenti alla reinfezione di quanto non lo siano bambini; questo suggerisce la possibilità di sviluppo di un’immunità acquisita. È in corso la messa a punto di un vaccino. Attualmente, per il trattamento vengono utilizzati tre farmaci: si raccomanda la somministrazione orale di praziquantel per un giorno (20 mg/kg bid per S. haematobium e S. mansoni; 20 mg/kg tid per S. japonicum e S. mekongi). Comunque esso non agisce sullo sviluppo degli schistosomuli e così può essere inefficace nel caso di un’infezione precoce. Gli effetti collaterali sono generalmente lievi e includono dolore addominale, diarrea, cefalea e vertigini. Si è sviluppato un ceppo farmaco-resistente. L’oxamnichina è efficace solo contro S. mansoni. I ceppi africani sono più resistenti a questo farmaco rispetto ai ceppi del Sud America e richiedono dosi più elevate (30 mg/kg/die PO per 1 o 2 giorni piuttosto di 15 mg/kg in unica somministrazione). Sono stati osservati casi di oxamnichina-resistenza. Il metrifonato è utile solo per il trattamento di S.

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haematobium. Esso è largamente usato in aree endemiche a causa del basso costo. Il metrifonato va somministrato in 3 dosi, ciascuna a distanza di 2 sett. Bisogna esaminare il paziente per rilevare eventuali uova vive 3 e 6 mesi dopo la terapia. Se la liberazione di uova non è notevolmente diminuita risulta indicata una nuova terapia. I test di rilevazione dell’antigene possono sostituire la conta quantitativa delle uova come indagine nel monitorare l’efficacia della chemioterapia.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) DERMATITI CAUSATE DA SCHISTOSOMI ANIMALI (Prurito del nuotatore; prurito dei pescatori di vongole) Le cercarie di alcuni parassiti degli animali possono penetrare nella cute. Sebbene le cercarie non si sviluppano nella specie umana, l’uomo può sensibilizzarsi e sviluppare lesioni cutanee maculopapulari localizzate sul sito di ripetuta penetrazione dei parassiti. Le lesioni cutanee possono essere accompagnate da una risposta febbrile sistemica della durata di 5-7 giorni che si risolve spontaneamente. La dermatite da acqua di mare da schistosomi (prurito dei pescatori di vongole) è diffusa in tutte le coste dell’Atlantico, del Golfo del Messico, del Pacifico e delle Hawaii. È molto comune nelle secche al largo di Cape Cod (USA). La dermatite da schistosomi d’acqua dolce (prurito del nuotatore) è comune nei laghi del nord del Michigan, del Wisconsin e del Minnesota.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) PARAGONIMIASI (Verme orientale del polmone; emottisi endemica) Infezione da Paragonimus westermani e specie correlate, che possono causare una malattia polmonare che può mimare una tubercolosi.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi Il P. westermani è l’agente causale principale della paragonimiasi. Le uova emesse con l’escreato o con le feci maturano in 2-3 sett. in acqua dolce fino a schiudersi liberando miracidi. I miracidi invadono le lumache, dove le larve si sviluppano, si moltiplicano e vengono infine liberate in forma di cercaria. Le cercarie penetrano nei granchi o nei gamberi e si incistano trasformandosi in metacercarie. L’uomo si infetta consumando crostacei crudi, in salamoia o poco cotti. Le metacercarie fuoriescono dalle cisti nel tratto gastrointestinale, penetrano attraverso la parete intestinale all’interno del peritoneo, migrano attraverso il diaframma nella cavità pleurica, entrano all’interno del tessuto polmonare, ove si incistano e quindi maturano fino allo stadio di vermi adulti ermafroditi. I vermi possono svilupparsi anche nel cervello, nel fegato, nei linfonodi, nella cute e nel midollo spinale. Le forme adulte possono persistere per 20-25 anni. Le aree endemiche più importanti si trovano in estremo Oriente, principalmente in Corea, Giappone, Taiwan, nelle alture della Cina e nelle Filippine. Focolai endemici si verificano anche in Africa Occidentale e in alcune zone dell’America del Sud e Centrale.

Sintomi e segni Nelle infezioni lievi, la maggior parte del danno è a carico dei polmoni. Infezioni più gravi generalmente colpiscono altri organi; circa il 25-45% di tutte le infezioni extrapolmonari colpisce il SNC. Le manifestazioni di infezione polmonare si sviluppano lentamente e includono dispnea, tosse cronica, dolore toracico ed emottisi. L’esame radiografico può mostrare un infiltrato diffuso, noduli e opacità anulari, cavitazioni, ascessi polmonari, versamento pleurico e pneumotorace. Il quadro clinico è simile ed è spesso confuso con la TBC. Le infezioni cerebrali mimano e si presentano con gli aspetti di una lesione tumorale occupante spazio, spesso entro un anno dall’insorgenza di una malattia polmonare. Convulsioni, afasia, paresi e disturbi del visus sono comuni. Le lesioni allergiche cutanee da

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migrazione del parassita, simili a quelle di larva migrans cutanea, sono di comune osservazione nelle infezioni da P. skriabini ma si verificano anche con altre specie.

Diagnosi La diagnosi è posta mediante identificazione nell’escreato o nelle feci di caratteristiche grandi uova opercolate. Occasionalmente, le uova possono essere riscontrate nel liquido pleurico o peritoneale. Può essere difficoltoso individuare le uova, poiché esse vengono liberate in maniera intermittente e in piccolo numero. Esami radiologici forniscono dati aggiuntivi ma non sono diagnostici. I test sierodiagnostici possono essere d’aiuto nella diagnosi delle infezioni extrapolmonari e utili nel monitoraggio della terapia.

Prevenzione e terapia La migliore forma di prevenzione consiste nell’evitare il consumo di granchi e gamberi crudi o poco cotti. Il praziquantel (25 mg/kg per via orale tid per 2 giorni) risulta efficace nell’80-100% delle infezioni polmonari ed è il farmaco di scelta. Il bitionolo (30-50 mg/kg/die PO a giorni alterni fino a 10-15 dosi) è ugualmente efficace e più economico ma ha più effetti collaterali. Gli stessi farmaci possono essere usati nel trattamento di infezioni extrapolmonari ma, per giungere alla guarigione, possono essere necessari cicli multipli. Il trattamento chirurgico può essere necessario per asportare lesioni cutanee, o più raramente, cisti cerebrali.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) CLONORCHIASI (Verme orientale epatico) Infezione da Clonorchis sinensis, che può causare una malattia cronica del fegato.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi I vermi adulti di C. sinensis vivono nei dotti biliari. Le uova vengono eliminate con le feci e le cercarie liberate da lumache infette infettano una varietà di pesci d’acqua dolce. L’uomo si infetta consumando pesce secco, salato o in salamoia che contiene metacercarie incistate. Queste ultime vengono rilasciate nel duodeno, entrano nel dotto biliare comune e migrano nei dotti biliari intraepatici più piccoli (o occasionalmente nella vescica e nei dotti pancreatici), dove maturano in vermi adulti in circa 1 mese. Le forme adulte possono vivere 20 anni. Il Clonorchis è endemico nell’Estremo Oriente, specialmente in Corea, in Giappone, a Taiwan e nella Cina del Sud e si ritrova ovunque tra gli immigrati e nel pesce importato provenienti da aree endemiche dell’Oriente.

Sintomi e segni Le infestazioni lievi sono spesso asintomatiche. I casi clinici si presentano soprattutto negli adulti, quando il numero dei vermi diviene > 500. I segni iniziali includono febbre, brividi, dolore epigastrico, epatomegalia dolorabile, ittero lieve ed eosinofilia. Successivamente, la diarrea diventa un sintomo comune; una colangite cronica può progredire in fibrosi portale nelle infestazioni massive. La fibrosi portale può essere associata a ipertensione, cirrosi e atrofia del parenchima epatico. L’ittero è spesso provocato da ostruzione biliare per una massa di fasciole o per formazione di calcoli. Altre complicanze comprendono il colangio-carcinoma, la colangite suppurativa e la pancreatite cronica.

Diagnosi La diagnosi è confermata dal rinvenimento di uova nelle feci o nel succo duodenale. Le uova sono difficili da distinguere da quelle di Metagonimus,

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Infezioni parassitarie

Heterophyes e Opisthorchis. I livelli di fosfatasi alcalina e bilirubina possono essere elevati; l’eosinofilia è variabile. Una rx diretta dell’addome rivela spesso calcificazioni intraepatiche. La colangiografia transepatica percutanea spesso mostra dilatazione dei dotti intraepatici biliari. I vermi adulti sembrano difetti di riempimento rotondeggianti. Nella malattia sintomatica acuta la scintigrafia epatica è spesso negativa, ma può mostrare aree multiple di assorbimento diminuito.

Profilassi e terapia I pesci d’acqua dolce devono essere ben cotti e non consumati crudi, in salamoia o a bagno nel vino. Il praziquantel è molto efficace (25 mg/kg PO tid per 2 giorni). L’ostruzione biliare può richiedere l’intervento chirurgico.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) FASCICOLIASI Infezione da Fasciola hepatica, il verme del fegato degli ovini e dei bovini. La fascioliasi umana si verifica in Europa, Africa, Cina e Sud America ma è rara negli USA. L’infezione è acquisita con il consumo di crescione contaminato. I vermi adulti maturano nei dotti biliari e causano ostruzione biliare e danno epatico. La terapia è effettuata con bitionolo (30-50 mg/kg PO a giorni alterni per un totale di 10-15 somministrazioni).

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) OPISTORCHIASI Infezione da Opisthorchis, molto simile nelle sue manifestazioni alla clonorchiasi. Due specie d’Opisthorchis causano malattia nell’uomo, che viene acquisita con il consumo di pesce crudo o poco cotto che contiene metacercarie infettanti. L’opistorchiasi si manifesta nell’Europa orientale e centrale, in Siberia e in alcune zone dell’Asia, come la Tailandia e la Cambogia. La terapia è la stessa impiegata per la clonorchiasi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE INFEZIONI DA TREMATODI (VERMI PIATTI) FASCICOLOPSIASI Infezione causata dal verme Fasciolopsis buski. Il F. buski è presente nell’intestino dei maiali in molte parti dell’Asia. L’infezione umana è acquisita con l’ingestione di piante, come le castagne d’acqua, che veicolano metacercarie contagiose. I vermi adulti si attaccano e ulcerano la mucosa del piccolo intestino prossimale, simulando così una malattia ulcerosa peptica. La terapia è la stessa impiegata per la clonorchiasi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE CESTODI (VERMI A NASTRO) I cestodi adulti sono vermi caratteristicamente lunghi, piatti e segmentati, che mancano del tratto digestivo e assorbono le sostanze nutritive direttamente nel piccolo intestino. Un verme adulto nastriforme è formato da tre parti riconoscibili: lo scolice (testa), organo con funzioni di ancoraggio; il collo, regione non segmentata con alta capacità rigenerativa, se con il trattamento non si ottiene l’eliminazione del collo e dello scolice, il verme intero può rigenerarsi; il resto del verme è formato da numerose proglottidi (segmenti). I segmenti più vicini al collo sono indifferenziati. Appena le proglottidi progrediscono caudalmente, si formano gli organi sessuali (i vermi nastriformi sono ermafroditi); i segmenti distali sono gravidi e contengono le uova nell’utero.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE CESTODI (VERMI A NASTRO) INFEZIONE DA VERME A NASTRO DEL PESCE (Difillobotriasi) Infezione del tratto intestinale da Diphyllobothrium latum, spesso asintomatica ma che può causare deficit di vitamina B12 e anemia megaloblastica.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi L’infezione si verifica in ogni parte del mondo, in special modo nelle regioni dei laghi freddi, dove le acque di scolo contaminano il pesce d’acqua dolce. Negli USA le infezioni si verificano in persone che mangiano pesce crudo. I vermi adulti colonizzano il tratto intestinale dell’uomo. Le uova non sviluppate vengono liberate dalle proglottidi nel lume intestinale e passano nelle feci. Una larva libera natante ciliata (coracidium) si schiude dalle uova in acqua dolce, è ingerita da micro-crostacei e si sviluppa fino ad assumere la forma di larva procercoide. Le larve infettanti si sviluppano nella carne del pesce d’acqua dolce che ingerisce micro-crostacei infetti. I vermi maturano nel piccolo intestino dell’uomo e cominciano a deporre le uova nell’arco di un mese (circa 1 milione per verme al giorno) e possono vivere per mesi o anni.

Sintomi, segni e diagnosi L’infestazione è abitualmente asintomatica, ma si possano notare lievi sintomi GI. I vermi a nastro del pesce consumano vitamina B12 assunta con la dieta dalla parte superiore del piccolo intestino di conseguenza ciò causa anemia perniciosa in circa l’1% delle persone infettate, specialmente negli scandinavi. Caratteristiche uova opercolate si ritrovano facilmente nelle feci.

Profilassi e terapia Per prevenire l’infezione tutti i pesci di acqua dolce devono essere ben cotti o congelati a-10°C per 48 h. Il trattamento consiste in una singola somministrazione orale di praziquantel, di 5-10 mg/kg. La vitamina B12 può essere necessaria per la correzione dell’anemia.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE CESTODI (VERMI A NASTRO) INFEZIONE DA VERME A NASTRO DEI BOVINI (Taeniasi saginata) Infestazione del tratto intestinale, spesso asintomatica, provocata dal cestode Taenia saginata.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi Il verme adulto a forma di nastro colonizza il tratto intestinale dell’uomo. Le proglottidi ripiene di uova passano nelle feci e possono essere ingerite dai bovini. Le uova si schiudono all’interno degli animali, liberando oncosfere embrionali che invadono la parete intestinale e vengono trasportate attraverso il flusso ematico ai muscoli striati dove, nell’arco di due mesi, divengono cisticerchi, vale a dire piccole cisti contenenti singoli scolici invertiti. L’uomo viene infestato ingerendo le cisti contenute nella carne bovina cruda o poco cotta. I cisticerchi si ancorano alla mucosa intestinale e arrivano a maturazione in circa 2 mesi. I vermi adulti (generalmente sono presenti nel numero di 1 o 2 esemplari) possono vivere parecchi anni. L’infestazione si verifica su scala mondiale, ma in particolare nelle zone tropicali e subtropicali caratterizzate da una massiccia presenza di bovini, come Africa, Medio Oriente, Europa orientale, Messico e Sud America. L’infezione non è comune nei bovini degli USA ed è monitorizzata con programmi di sorveglianza federale.

Sintomi, segni e diagnosi L’infestazione è solitamente asintomatica, ma possono presentarsi dolore epigastrico, diarrea e perdita di peso. L’escrezione di un segmento mobile spesso conduce all’attenzione del medico un paziente altrimenti asintomatico. La diagnosi si pone solitamente per il rinvenimento di caratteristiche proglottidi gravide o, più raramente, dello scolice nelle feci. Occasionalmente, nelle feci appaiono uova che fuoriescono dalla rottura di segmenti del verme. Le uova non sono distinguibili da quelle di altre specie di Taenia. L’area perineale può essere esaminata anche con il lato adesivo di un nastro di cellophan applicato sulla zona e poi posto su un vetrino per l’esame microscopico, per cercare le uova. Le uova possono anche essere presenti sui tamponi anali.

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Profilassi e terapia Si può prevenire l’infestazione cuocendo a fondo la carne bovina a un minimo di 56°C per 5 min. L’ispezione delle carni e adeguate norme igieniche aiutano a controllare il fenomeno. Il trattamento consiste in una singola somministrazione orale di praziquantel, 5 o 10 mg/kg. In alternativa, si somministra una singola dose di 2 g di niclosamide (4 cp da 500 mg) che vengono masticate una alla volta e ingoiate con una piccola quantità di acqua (0,5 g per i bambini dai 2 ai 5 anni, 1 g per i più grandi). Entrambi i farmaci hanno un tasso di eradicazione di circa il 90%. Il trattamento può essere considerato efficace quando non viene espulsa alcuna proglottide nell’arco di 4 mesi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE CESTODI (VERMI A NASTRO) INFEZIONE DA VERME A NASTRO DEI SUINI (Infezione da Taenia Solium; cisticercosi) Infezione del tratto intestinale, spesso asintomatica, causata dalla forma adulta del cestode Taenia solium; l’infezione causata da forme allo stadio larvale può condurre alla neurocisticercosi caratterizzata dalla comparsa di convulsioni.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi L’uomo si infetta mangiando maiale che contiene cisticerchi. L’uomo può anche essere ospite intermedio e sviluppare la cisticercosi mediante un’ingestione accidentale di uova di T. solium presenti in feci umane; o, nel caso in cui un verme a nastro sia presente nell’intestino, un fenomeno di rigurgito può veicolare proglottidi gravide dall’intestino allo stomaco, dove le oncosfere possono schiudersi e migrare nel tessuto sottocutaneo, nel muscolo, nei visceri e nel SNC. La neurocisticercosi è un problema molto comune e costituisce la maggior causa di epilessia in America latina, Sud Africa e India. L’infezione negli USA è rara eccetto nel caso degli immigranti provenienti da aree endemiche.

Sintomi e segni L’infestazione con il verme adulto è di solito asintomatica. I cisticerchi vitali provocano soltanto una lieve reazione tissutale, ma la morte delle larve provoca un’intensa risposta tissutale; così, i sintomi spesso non appaiono che 4-5 anni dopo l’infezione. L’infezione nel cervello può provocare sintomi gravi. I sintomi derivano da un effetto massa, da un processo infiammatorio conseguente alla degenerazione del parassita e dall’ostruzione dei foramina e dei ventricoli. I pazienti possono presentarsi con convulsioni, segni di aumentata pressione intracranica, idrocefalo, segni neurologici focali, stato mentale alterato o meningite asettica. I cisticerchi possono anche infettare il midollo spinale e l’occhio.

Diagnosi La diagnosi è generalmente formulata mediante il riscontro di tipiche proglottidi

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Infezioni parassitarie

gravide nelle feci. Le uova provenienti da segmenti rotti possono apparire nelle feci o essere trovate in tamponi anali, ma esse non sono distinguibili da uova di altre specie di Taenia. Le uova sono presenti in 30% di campioni di feci di pazienti affetti da cisticercosi. Lo studio radiologico del cervello o dei muscoli può mostrare cisti calcifiche. La TC o la RMN consentono frequentemente di formulare la diagnosi, mostrando molti noduli solidi o cisti, cisti calcifiche, lesioni con anello di rinforzo o idrocefalo. È disponibile un test immunoblot altamente sensibile e specifico.

Profilassi e terapia La cottura accurata della carne di maiale previene l’infestazione da vermi a nastro adulti. La prevenzione della cisticercosi in aree endemiche può essere difficoltosa; l’infezione può verificarsi nonostante igiene personale e comportamenti alimentari scrupolosi. La cisticercosi è anche diffusa da uova disperse nell’aria in polvere contaminata. Una persona infettata da T. solium deve essere trattata tempestivamente e attentamente al fine di eliminare il verme adulto. Il trattamento dell’infezione intestinale è lo stesso utilizzato per la T. saginata. I farmaci raccomandati causano la distruzione delle proglottidi, rilasciando così le uova che teoricamente potrebbero causare infezione. Il trattamento di scelta per la cisticercosi cerebrale è il praziquantel (50 mg/kg/die PO per 15 giorni). L’albendazolo (15 mg/kg/die PO per 28 giorni) può essere un farmaco egualmente efficace e meno costoso, ma non è ancora disponibile negli USA (al contrario, esso è disponibile in Italia, n.d.t.). Non tutti i pazienti rispondono al praziquantel e non tutti i pazienti devono essere trattati (le cisti possono essere già morte o la risposta infiammatoria al trattamento potrebbe peggiorare il decorso della malattia). Corticosteroidi (come il desametazone, 416 mg/die) e anticonvulsivanti possono essere necessari al fine di ridurre i sintomi dovuti alle cisti in fase di degenerazione. La chirurgia può essere necessaria per l’idrocefalo ostruttivo, l’infezione del quarto ventricolo e nella cisticercosi spinale e oculare.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE CESTODI (VERMI A NASTRO) MALATTIA IDATIDEA (Infezione da Echinococcus granulosus; echinococcosi) Infezione da larva di Echinococcus granulosus che può causare cisti nel fegato e in altri organi.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia e patogenesi Le uova presenti nelle feci di cani, lupi e altri canidi vengono ingerite da animali erbivori (come la pecora o l’alce) o dall’uomo. Le oncosfere penetrano nella parete intestinale, migrano per via ematica e si localizzano nel fegato, nei polmoni e, meno frequentemente, nel cervello, nelle ossa e in altri organi. La larva si sviluppa lentamente (generalmente nell’arco di molti anni) fino a formare una grande lesione uniloculare ripiena di fluido, la cisti idatidea. Capsule proligere fuoriescono da queste cisti; all’interno di queste capsule vi sono numerosi piccoli scolici infettivi. Grandi cisti possono contenere vari litri di fluido idatideo altamente antigenico insieme a milioni di scolici. Le cisti figlie talora si formano all’interno o al di fuori di cisti primarie. La malattia è comune nelle zone di allevamento di pecore nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, in Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e Sud America. Esistono altri focolai in alcune regioni del Canada, dell’Alaska e della California.

Sintomi e segni La maggior parte delle infezioni si acquisisce nell’infanzia ma, a parte i casi in cui le cisti si localizzano in organi vitali, segni clinici possono non comparire per decenni. Segni e sintomi sono simili a quelli che si verificano in presenza di lesioni occupanti spazio. La maggior parte delle cisti si rinviene nel fegato, dove, provoca infine dolore addominale o una massa palpabile. Può esserci ittero in caso di ostruzione di un dotto biliare. La rottura in un dotto biliare, in una cavità addominale o peritoneale o nei polmoni può provocare febbre, orticaria oppure una grave reazione anafilattica. Gli scolici liberati possono provocare infestazione metastatica. Le cisti polmonari vengono scoperte abitualmente mediante radiografie di routine. Alcune si rompono, provocando tosse, dolore toracico ed emottisi. Può essere presente eosinofilia.

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Infezioni parassitarie

Diagnosi Qualora siano presenti cisti figlie, le immagini ottenute con la TC e l’ecografia possono essere patognomoniche, ma le semplici cisti idatidee sono difficili da differenziare da una semplice cisti epiteliale. La presenza di sabbia idatidea (costituita da detriti di vecchi scolici e resti di uncini) nelle cisti fluide è diagnostica. L’rx torace può evidenziare masse polmonari rotonde, spesso irregolari, a densità uniforme. Il test cutaneo di Casoni è spesso positivo, ma manca di sensibilità e di specificità. I test sierologici sono spesso positivi. Il riscontro di anticorpi verso l’antigene echinococcico arc 5 o la dimostrazione di tipiche bande con tecnica immunoblot sono altamente specifiche.

Prevenzione e terapia L’infezione può essere prevenuta impedendo che i cani si alimentino con selvaggina infetta e non permettendo ai cani di mangiare carcasse e frattaglie di pecora. Nelle zone di allevamento degli ovini bisogna sverminare ripetutamente i cani. Un’attenta chirurgia, talora per via laparoscopica, è il trattamento di scelta. Alcuni centri stanno ora mettendo a punto una tecnica di aspirazione percutanea una tecnica TC guidata seguita da instillazione di agenti scolicidi e riaspirazione (la tecnica PAIR). L’albendazolo (400 mg bid PO per 28 giorni, 15 mg/kg/die nei bambini) può sopprimere la crescita o uccidere le cisti ed è indicata per casi inoperabili o nei casi di aspirazione intraoperatoria di cisti per prevenire infezioni metastatiche.

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Infezioni parassitarie

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 161. INFEZIONI PARASSITARIE CESTODI (VERMI A NASTRO) MALATTIA ALVEOLARE IDATIDEA (Echinococcosi multiloculare) Infezione da Echinococcus multilocularis. I vermi adulti sono riscontrati nelle volpi e le larve idatidee nei piccoli roditori selvaggi. I cani infetti costituiscono il principale veicolo di infezione. Il ciclo vitale dell’organismo è simile a E. granulosus. Le larve formano cisti irregolari alveolari che generalmente non contengono scolici. Il tessuto germinativo e le capsule proligere diffondono rapidamente e producono tumori spongiosi che sono difficili o impossibili da trattare chirurgicamente. Le cisti vengono riscontrate principalmente nel fegato, ma possono metastatizzare nei polmoni, linfonodi e in altri tessuti. L’E. multilocularis è presente principalmente in Europa Centrale, Alaska, Canada e Siberia. La zona in cui si verificano negli USA si estende dal Wyoming e dal Dakota all’Indiana e all’Ohio. I sintomi, i segni e la diagnosi sono simili alla malattia idatidea (v. sopra). La prognosi è grave, fatto salvo nei casi in cui l’intera massa larvale può essere rimossa. Alte dosi di mebendazolo o albendazolo possono sopprimere la crescita del parassita. La somministrazione concomitante di interferone-γ può aumentare l’efficacia di questi farmaci. Il trapianto di fegato è stato risolutivo in un piccolo numero di pazienti.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI Sommario: Introduzione Diagnosi Profilassi e terapia

I virus sono i parassiti di dimensioni più piccole; essi sono completamente dipendenti dalle cellule (batteriche, vegetali o animali) per la riproduzione. I virus sono costituiti di uno strato esterno di natura proteica e in alcuni casi lipidica e di un nucleo centrale (core) formato da acidi nucleici a RNA o DNA. In molti casi, il core penetra in cellule suscettibili e da il via all’infezione. Le dimensioni dei virus oscillano tra 0,02 a 0,3 µ; troppo piccoli per essere visualizzati al microscopio ottico, ma visibili mediante l’uso del microscopio elettronico. I virus possono essere identificati con metodi biofisici e biochimici. Come molti altri germi, i virus animali stimolano la produzione di anticorpi da parte dell’ospite. Diverse centinaia di virus differenti infettano l’uomo. Poiché molti di essi sono stati riconosciuti solo recentemente, i loro effetti clinici non sono ancora del tutto chiari. Molti virus provocano abitualmente infezioni asintomatiche; tuttavia, a causa della loro ampia e a volte universale prevalenza, creano importanti problemi clinici e di sanità pubblica. I virus che infettano prevalentemente l’uomo vengono diffusi soprattutto attraverso le secrezioni respiratorie ed enteriche. Tali virus (v. Tab. 162-1) si rinvengono ovunque nel mondo, anche se la loro diffusione è limitata dalla resistenza intrinseca, da precedenti infezioni che hanno conferito uno stato di immunità o da vaccini, da misure sanitarie o di controllo di sanità pubblica e da farmaci antivirali utilizzati come profilassi. I virus zoonotici compiono il loro ciclo biologico soprattutto negli animali. L’uomo rappresenta un ospite secondario o accidentale. Questi virus (v. Tab. 162-2) sono limitati alle aree e agli ambienti capaci di sostenere i loro cicli naturali di infezione non umana (vertebrati, artropodi o entrambi). Alcuni virus hanno proprietà oncogene. I virus linfotropico umano a cellule T di tipo 1 (un retrovirus) è associato a leucemia e linfoma nell’uomo. L’Epstein-Barr virus è stato correlato all’insorgenza di neoplasie maligne come il carcinoma nasofaringeo (v. Cap. 87), il linfoma di Burkitt (v. Cap. 139), il morbo di Hodgkin e i linfomi in trapiantati d’organo immunosoppressi (v. Cap. 149). Il virus associato al sarcoma di Kaposi è messo in relazione anche (v. Cap. 126) a neoplasie maligne del tessuto linfatico e alla malattia di Castleman (un disordine linfoproliferativo). Le malattie virali lente sono caratterizzate da una prolungata incubazione e causano alcune malattie degenerative croniche tra cui la panencefalite subacuta sclerosante (virus del morbillo), la panencefalite progressiva da rosolia, la leucoencefalopatia multifocale progressiva (JC virus) e la malattia di CreutzfeldtJakob (una malattia da prioni) (v. Infezioni da virus lenti, oltre, Panencefalite subacuta sclerosante e Panencefalite progressiva da rosolia nel Cap. 265).

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Malattie virali

La latenza di un’infezione quiescente da virus causa un’infezione ricorrente malgrado la risposta immunitaria e facilita la diffusione da persona a persona. Gli herpes virus sono caratterizzati da una fase di latenza.

Diagnosi Solo alcune malattie virali possono essere diagnosticate clinicamente o epidemiologicamente (p. es., sindromi virali ben conosciute, v. Morbillo, Rosolia, Roseola infantum, Eritema infettivo e Varicella in Infezioni virali nel Cap. 265). La diagnosi generalmente richiede l’utilizzo di test. L’esame sierologico durante le fasi acute e durante la convalescenza è sensibile e specifica, ma lenta; diagnosi più rapide possono talora essere effettuate usando esami colturali, reazione polimerasica a catena o test antigenici virali. L’esame istopatologico può essere talora di aiuto. Procedure diagnostiche specifiche sono descritte in altre parti del Manuale. Molti laboratori di sanità pubblica e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) offrono un supporto per la diagnosi.

Profilassi e terapia Vaccini efficaci di uso generale per un’immunità attiva includono influenza, morbillo, parotite, poliomielite, rabbia, rosolia, epatite A, epatite B, varicella e febbre gialla. Un vaccino efficace per adenovirus è disponibile, ma è usato solo nei gruppi ad alto rischio, come le reclute militari. Per un’immunizzazione passiva sono disponibili inoltre le immunoglobuline (v. anche Cap. 152 e Immunizzazioni nell’infanzia nel Cap. 256). Contro alcuni virus sono disponibili anche farmaci a efficacia terapeutica o profilattica: l’amantadina o la rimantadina per l’influenza A; l’acyclovir, il valacyclovir e il famciclovir per l’herpes simplex o le infezioni da varicella-zoster; ganciclovir, foscarnet e cidofovir per le infezioni da citomegalovirus e gli inibitori della transcrittasi inversa, gli inbitori delle proteasi e altri farmaci per il HIV. Attualmente, l’uso di interferone è limitato alle epatiti B e C e al papillomavirus umano (v. anche Cap. 154.)

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 162-1.VIRUS PRESENTI PRINCIPALMENTE NELL’UOMO* Gruppo e categorie di virus

Sindromi principali N. e sierotipi principali

Prevalenza e distribuzione

Elementi diagnostici

Terapia

Profilassi

Respiratori Influenza A, B e Influenza, MRFA, bronchite e C polmonite acute, crup

3 sierotipi: A (con molti sottotipi possibili), B, C

Epidemica, talvolta pandemica (A, B); endemica (C)

Dati clinici ed Amantadina, epidemiologici; rimantadina sierologia; (A) isolamento del virus; identificazione dell’antigene

Vaccino ( A, B: efficacia moderata); amantadina (A)

Parainfluenza 14

4 sierotipi: 1, 2, 3 e 4

Epidemie locali (1); ampia diffusione nei bambini (1, 2, 3 e 4)

Dati clinici; Nessuna sierologia; isolamento del virus; identificazione dell’antigene

Vaccini in corso di studio

1 sierotipo

Mondiale; soprattutto nei bambini; alcuni casi in adulti

Dati clinici; Nessuna sierologia; isolamento del virus

Vaccino

MRFA (bambini), bronchite e polmonite acute, crup

Virus della paro Parotite, orchite, tite meningoencefalite

Adenovirus

MRFA (bambini); 41sierotipi MAR (adulti); FAFC; CCE; polmonite virale; congiuntivite follicolare acuta; diarrea; cistite emorragica

Mondiale; soprattutto nei bambini

FAFC, CCE: Nessuna dati clinici. Per molti: sierologia e isolamento del virus

Vaccino (4, 7) per epidemie militari

Reovirus

Malattia rara

3sierotipi

Ampia nei bambini;

Sierologia; Nessuna isolamento del virus

Nessuna

Virus respiratorio sinciziale

IRI (bambini); IRS lievi (adulti)

1 sierotipo

Ribavirina per Nessuna Ampia nei bambini Sierologia; isolamento e i neonati ad identificazione alto rischio dei virus; identificazione dell’antigene

Rinovirus

Comune raffreddore; rinite acuta con o senza febbre

>95 sierotipi; Universale; forse centinaia specialmente nei mesi freddi

Poliomielite (paralitica); meningite asettica

3sierotipi

Mondiale: incidenza ormai bassa a causa del vaccino

Tipica paralisi; Nessuna sierologia; isolamento del virus

Vaccini: vivo (orale), ucciso (iniettato)

29sierotipi (A:23, B:6)

Varia con i tipi; quasi tutte le persone sono infettate; aumentata nei mesi caldi e nei bambini

Isolamento del Nessuna virus; difficoltà sierologiche per i numerosi sierotipi

Nessuna

Dati clinici

Nessuna

Nessuna

Enterici Poliovirus

Coxsackie-virus Herpangina, pleurodinia epidemica, meningite asettica, meningoencefalite, sepsi neonatale, miocardite, pericardite, MRFA (bambini), malattia paralitica, febbre ed esantema

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Manuale Merck - Tabella

Echovirus ed enterovirus "ad alta numerazione"

Meningite asettica, febbre ed esantema, meningoencefalite, meningite asettica, sepsi neonatale, malattia paralitica, miocardite, pericardite, MAR

37 sierotipi:† Come per i 4, 6, 8, 11, 14, coxsackie virus 16; 18, 20, 30

Come per i coxsackie virus

Gastroenterite epidemica

Nausea e vomito epidemici; diarrea

? sierotipi: rotavirus, virus Norwalk e altri calicivirus, astrovirus adenovirus, di tipo 40 e 41; agenti similcoronavirus

Epidemie locali (bambini); aumentate nei mesi freddi

Dati clinici ed Nessuna epidemiologici; esame in microscopia elettronica delle feci diarroiche; sierologia; identificazione dell’antigene

Vaccini contro i rotavirus in corso di studio

Rotavirus (bambini); adenovirus di tipo 40 e 41 (lattanti); agenti similcoronavirus (lattanti)

Nessuna

Nessuna

Esantematici Morbillo

Morbillo; encefalomielite

1 sierotipo

Mondiale; incidenza in diminuzione grazie al vaccino; raro coinvolgimento del SNC

Dati clinici; Nessuna sierologia; isolamento del virus

Vaccini

Rosolia

Rosolia

1 sierotipo

Universale; Dati clinici ed Nessuna malformazioni epidemiologici; congenite dovute sierologia a infezioni durante la gravidanza

Vaccini

Mollusco contagioso

Papula del mollusco 1 sierotipo contagioso

Genitale (adulti); cute esposta (bambini); più grave (AIDS)

Esame clinico e biopsia

Nessuna

Parvovirus umanoB19

Eritema infettivo 1 sierotipo (quinta malattia); eruzione; malessere generale; artrite, idrope fetale (infezione durante la gravidanza); anemia (infezione in soggetti immunodepressi o con emoglobinopatie)

Epidemie isolate

Dati clinici; Immunoglobuli Nessuna pronormoblasti na IV (anemia giganti nel grave) midollo osseo in presenza di anemia, sierologia

Tipo A

Epatite A (acuta)

1sierotipo (enterovirus)

Ampia diffusione, Dati clinici ed Nessuna spesso epidemica epidemiologici; sierologia

Tipo B

Epatite B (acuta e cronica)

1sierotipo

Ampia diffusione

Crioterapia; raschiamento mediante curette

Epatiti

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Dati clinici; sierologia

Interferone

γ-globuline, vaccino Misure asettiche strette; ricerca dell’antigene di superficie dell’epatite B; vaccino; γ- o iperimmunogl obuline

Manuale Merck - Tabella

Tipo C

Epatite C (acuta e cronica)

6genotipi

Ampia diffusione

Tipo D

Epatite D (delta); epatite grave

1 sierotipo

Tipo E

Epatite E

Dati clinici; sierologia

Interferone

Precauzioni di asetticità; ricerca dell‘antigene dell‘epatite C

Associata a Sierologia tossicodipendenza da droga EV; può infettare solo in presenza di epatite B

Nessuna

Nessuna

1 sierotipo

Epidemie; paesi in Sierologia via di sviluppo; grave durante la gravidanza

Nessuna

Evitare il contatto con acqua o cibi contaminati

Citomegalovirus Difetti congeniti (malattia da inclusioni citomegaliche); epatite; (mononucleosi da CMV); ospite immunodepresso (incluso AIDS): retinite, disturbi GI, malattie del SNC, polmonite

1 sierotipo

Diffusione mondiale, congenite; pazienti immunosoppresi

Caratteristiche Ganciclovir; cliniche; foscarnet; sierologia; cidofovir isolamento del virus: istopatologia

Ganciclovir

Virus EpsteinBarr

2 tipi

Ampia diffusione; predominante soprattutto nei giovani

Agglutinazione Nessuna eterofila; conta differenziale dei GB; sierologia specifica

Nessuna

Herpes simplex Herpes labialis, 2 sierotipi gengivostomatite erpetica, dermatite, cheratocongiuntivite, encefalite, vulvovaginite, malattia neonatale disseminata

Herpes labiale ricorrente, quasi universale, gengivostomatite frequente in lattanti e bambini;

Dati clinici, sierologia, isolamento del virus

Acyclovir; famciclovir; valacyclovir; penciclovir

Nessuna

Herpes virus umano tipo6

Roseola infantum (esantema critico)

1 sierotipo

Ampia diffusione; prima infanzia

Dati clinici

Nessuna

Nessuna

Papillomavirus umano

Verruche, verruche genitali, neoplasia della cervice

>60 sierotipi, Universale, numero non frequente spesso definitivamente ricorrente stabilito

Dati clinici e biopsia

Crioterapia, Nessuna Interferone (?) (genitale), podofillina, (genitale)

Persistenti (latenti)

Mononucleosi infettiva

Varicella-zoster Varicella

Herpes zoster

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1sierotipo

Quasi universale (bambini); occasionale negli adulti

Dati clinici; Acyclovir sierologia; isolamento del virus

1sierotipo

Frequente negli Idem adulti; riattivazione del virus latente

Acyclovir, famciclovir, valacyclovir

Immunoglobuline; vaccino

Manuale Merck - Tabella

*Gli sviluppi sono talmente rapidi che non è possibile compilare sintesi del tutto aggiornate. †I tipi 9, 10 e 28 sono stati riclassificati; tali numeri non sono più usati; recentemente gli enterovirus descritti sono stati definiti come tipi da 68 a 72. MRFA=malattia respiratoria febbrile acuta; IRFA=indisposizione respiratoria febbrile acuta; FAFC=febbre acuta faringo-congiutivale; CCE=cherato-congiuntivite epidemica; IRIn=infezioni respiratorie inferiori; IRS=infezioni respiratorie superiori.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 162-2. VIRUS ZOONOTICI* Gruppi e categorie di virus Arbovirus Togavirus Alphavirus

Flavivirus

Sindromi principali

N. di sierotipi Prevalenza e distribuzione noti generale

1. Encefalite equina dell’ovest

Elementi diagnostici

>250 sieroti: stesse denominazio ni delle 2. Encefalite sindromi equina dell’est cliniche 3. Encefalite equina venezuelana

1. Nord e Sud Sierologici; America anatomopatologici; antigene virale; PCR 2. Nord e Sud America

4. Encefalite Chikungunya

4. Africa, SudEst Asiatico, India

5. Malattia di Mayaro

5. Sud America, Trinidad

1.Febbre gialla

1. Africa, America Centrale e Sud-America

2. Febbre da dengue

2. Zone tropicali e subtropicali in tutto il mondo

3. Encefalite giapponese

3. Sud-Est Asiatico, Giappone, Corea, Cina, Filippine, India, ex URSS orientale

4. Encefalite della valle Murray

4. Australia, Nuova Guinea

5. Encefalite di St. Louis

5. Nord e Sud America

6. Encefalite russa di primaveraestate

6. Ex URSS, Europa centro orientale, Malesia

7. Febbre emorragica di Omsk

7. Ex URSS

8. Malattia della foresta di Kyasanur

8. India

9. Encefalite di Powassan

9. Nord America

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3. Stati del Golfo del Messico e del Sud America

Terapia specifica

Profilassi

La ribavirina può dimostrarsi efficace in alcune infezioni virali

Controllo del vettore nella popolazione; ridurre al minimo il contatto con il vettore: si possono preparare vaccini efficaci, tranne che per la febbre gialla, per la quale non sono ancora disponibili vaccini in uso

Manuale Merck - Tabella

Bunyavirus 1. Malattia di Bunyamwera e altre

1. Africa, Sud America, Finlandia USA

2. Encefalite californiana e tipi correlati

2. Probabilmente su scala mondiale; frequente negli USA centrooccidentali

3. Malattia di Hantaan e tipi correlati

3. Asia Settentrionale, Europa, USA sudoccidentali

4. Sindrome polmonare da Hantavirus

4. USA

Phlebovirus 1. Febbri da flebotomo di Napoli e Sicilia

1. Italia, India, Egitto 2. Panama

2. Febbri di Punta Toro e Chagres

3. Africa Orientale, Egitto

3. Febbre della Rift Valley Nairovirus

1. Febbre emorragica di Crimea e Congo

1. Ex URSS, Africa Centrale, Pakistan Occidentale

Orbivirus

Febbre da zecche del Colorado

1 sierotipo

USA occidentali

Sierologici, isolamento del virus, individuazione antigene

Rabbia

Rabbia

1 sierotipo

Su scala mondiale

Dati clinici e Nessuna anatomopatologici, isolamento del virus; individuazione antigene; sierologici

Arenavirus

1. Febbre di Lassa

>11sierotipi; 1. Africa stesse denominazioni delle sindromi cliniche

2. Machupo (febbre emorragica boliviana)

2. Sud America

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Isolamento del virus; dati sierologici

Nessuna

Evitare le zecche

Vaccini efficaci disponibili; immunoglobuline rabiche in seguito all’esposizione

Ribavirina Evitare i roditori per febbre di Lassa; plasma tratto da pazienti convalescenti per Junin e Machupo, ribavirina per la Junin e la Machupo

Manuale Merck - Tabella

Filovirus

3. Junin (febbre emorragica argentina)

3. Sud America

4. Coriomeningite linfocitica

4. Su scala mondiale, il principale serbatoio sono i roditori

1. Virus di Marburg (febbre emorragica)

1specie

1. Africa

2. Virus di Ebola (febbre emorragica)

3sottotipi

2. Africa

Il vaccino per la Junin è in fase di studio

Isolamento del virus; dati sierologici

Nessuna

Nessuna

*V. anche Tab. 162-6 in malattie da arbovirus e da arenavirus, oltre. Gli artropodi vettori della maggior parte degli arbovirus sono uno o più generi e specie di zanzare, zecche e pappataci. PCR = reazione a catena della polimerasi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 162-6.MALATTIE DA ARBOVIRUS E ARENAVIRUS Sindromi cliniche principali Febbre, malessere generale, cefalea, mialgia

Febbre, malessere generale, cefalea, mialgia, linfoadenopatia, eruzione cutanea

Febbre, malessere generale, cefalea, mialgia, artralgia, eruzione cutanea

Agente virale / Malattia

Genere

Febbre da zecche Orbivirus del Colorado

Vettore Zecca

Distribuzione principale USA occidentali, Canada occidentale

Febbre da pappataci

Phlebovirus Flebotomo

Bacino mediterraneo, Balcani, Pakistan, Medio Oriente, India, Cina, Africa Orientale, Panama, Brasile

Encefalite equina venezuelana

Alphavirus

Argentina, America del Sud (parte settentrionale), Brasile, Florida , Panama, Messico

Febbre della Rift Valley

Phlebovirus Zanzara

Sud Africa, Africa Orientale, Egitto

Febbre del dengue

Flavivirus

Zanzara

Sud-Est Asiatico, Africa, Oceania, Australia, America del Sud, Messico, Caraibi

Febbre del Nilo Occidentale

Flavivirus

Zanzara

Africa, Medio Oriente, Francia del Sud, ex Unione Sovietica, India, Indonesia

Chikungunya

Alphavirus

Zanzara

Africa, India, Guam, Sud- Est Asiatico, Nuova Guinea

Malattia da virus Mayaro

Alphavirus

Zanzara

Brasile, Bolivia

Virus del Ross River

Alphavirus

Zanzara

Australia, Nuova Guinea, Isole Salomone, Samoa, Isole di Cook

Virus della foresta Alphavirus di Barmah

Zanzara

Australia

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Zanzara

Manuale Merck - Tabella

Febbre con interessamento del SNC

Febbre, malessere generale, cefalea, mialgia, segni

Malattia da virus Sindbis (malattia di Okelbo, febbre di Karelian)

Alphavirus

Zanzara

Africa, Australia, ex Unione Sovietica, Finlandia, Svezia

Encefalite equina dell’Est

Alphavirus

Zanzara

Coste USA atlantiche e del Golfo del Messico, Caraibi, parte settentrionale dello stato di New York, Michigan occidentale

Encefalite equina dell‘Ovest

Alphavirus

Zanzara

USA, Canada, America Centrale e del Sud

Encefalite di St. Louis

Flavivirus

Zanzara

USA, Caraibi

Encefalite equina venezuelana

Alphavirus

Zanzara

Brasile, America del Sud (parte settentrionale), Argentina, Panama, Messico, Florida

Encefalite giapponese

Flavivirus

Zanzara

Giappone, Corea, India, Cina, Sud-Est Asiatico, Filippine, ex Unione Sovietica (orientale)

Virus del gruppo California

Bunyavirus Zanzara

Stati centrosettentrionali degli USA e stato di New York

Virus Powassan

Flavivirus

Zecca

Canada orientale, stato di New York

Encefalite della Murray Valley

Flavivirus

Zanzara

Australia, Nuova Guinea

Malattia della foresta di Kyasanur

Flavivirus

Zecca

India

Virus dell’encefalite da zecche

Flavivirus

Zecca

Europa, Balcani, ex Unione Sovietica

Coriomeningite linfocitaria

Arenavirus

Roditori

USA, Argentina, Germania, Balcani

Febbre gialla

Flavivirus

Zanzara

America Centrale e del Sud, Africa

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Manuale Merck - Tabella

emorragici

Febbre, malessere generale, cefalea, mialgia, insufficienza respiratoria

Febbre emorragica della dengue

Flavivirus

Zanzara

Sud-Est Asiatico, Oceania, Caraibi

Malattia della foresta di Kyasanur

Flavivirus

Zanzara

India

Febbre emorragica dell‘Omsk

Flavivirus

Zecca

Ex Unione Sovietica

Febbre emorragica di Crimea e Congo

Nairovirus

Zecca

Africa, Europa dell’Est, Medio Oriente, ex Unione Sovietica

Virus di Hantaan

Hantavirus

Roditori

Corea, Giappone, Cina, Sud-Est Asiatico, Europa

Virus di Seoul

Hantavirus

Roditori

Corea, Giappone

Virus di Puumala

Hantavirus

Roditori

Scandinavia, ex Unione Sovietica

Virus di Machupo

Arenavirus

Roditori

Bolivia

Virus di Junin

Arenavirus

Roditori

Argentina

Febbre di Lassa

Arenavirus

Roditori, Africa occidentale uomo- uomo

Virus di Marburg

Filovirus

Sconosciuto, Zimbabwe, Kenia, uomo- uomo Uganda

Virus di Ebola

Filovirus

Sconosciuto, Zaire, Sudan uomo- uomo

Hantavirus: Sin Hantavirus Nombre, Black Creek Canal, Bayou, New York1, Rio Mamore

Roditori

USA (parte occidentale del fiume Mississippi), Canada, Brasile, Bolivia, Paraguay, Argentina

Modificata da Sanford JP "Arbovirus Infections" in Harrison's Principles of Internal Medicine, ed. 13, edito da KJ Issel bacher E. Braunwald, JD Wilson et al. New York, Mc Graw-Hill, Inc., 1994, p. 837.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI RESPIRATORIE RAFFREDDORE COMUNE (Infezione delle prime vie respiratorie; coriza acuta) Infezione virale acuta, generalmente senza febbre, del tratto respiratorio, con infiammazione in alcune o in tutte le parti delle prime vie aeree, che comprendono naso, seni paranasali, gola, laringe e talora trachea e bronchi.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi differenziale Profilassi Terapia

Eziologia ed epidemiologia I picornavirus, specialmente i rinovirus e alcuni echovirus e coxsackievirus, causano il raffreddore comune. Circa il 30-50% di tutti i raffreddori è causato da uno dei più di cento sierotipi di rinovirus. In un episodio epidemico solo pochi tipi virali sono prevalenti. Spesso nelle epidemie che si verificano in popolazioni relativamente chiuse, come può accadere in una scuola o in una caserma, è responsabile un singolo virus. I coronavirus causano alcune epidemie e le infezioni causate da influenza, parainfluenza e virus respiratori sinciziali possono manifestarsi anche come raffreddori comuni, in particolar modo negli adulti che presentano una reinfezione. Gli adenovirus causano molto spesso una faringite, ma possono produrre sintomi difficili da distinguere dagli altri virus respiratori. Le infezioni rinovirali sono rare durante i mesi invernali, particolarmente quando compaiono il virus dell’influenza o il virus respiratorio sinciziale. La stagionalità può essere correlata almeno parzialmente al cambiamento del comportamento sociale, agli effetti del clima sull’ecologia virale e sui fattori dell’ospite, che includono sostanze inibitorie (p. es., interferon) nelle secrezioni respiratorie. I rinovirus si trasmettono per contatto da persona a persona attraverso secrezioni contaminate sulle dita e attraverso aerosol. L’esposizione alla temperatura fredda non provoca raffreddori di per sé e la suscettibilità di una persona non è influenzata né dallo stato di salute né da quello nutrizionale o da anormalità del tratto respiratorio superiore (p. es., tonsille ingrandite o adenoidi). Le infezioni sintomatiche possono essere facilitate dallo stato fisiologico dell’ospite. Astenia eccessiva, stress emotivo, disordini allergici rinofaringei e la fase centrale del ciclo mestruale sono state correlate a un’aumentata espressione e rilevamento di sintomi. Il fattore più importante per evitare l’infezione consiste nella presenza di anticorpi specifici neutralizzanti nel siero e nelle secrezioni, che indicano una precedente esposizione allo stesso virus o a uno strettamente correlato e offre una protezione relativa.

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Malattie virali

Sintomi e segni I sintomi e i segni sono aspecifici. Dopo un periodo di incubazione l’esordio è brusco, con una sensazione urente nel naso o nella gola, seguito da starnuti, rinorrea e malessere generale. Caratteristicamente, la febbre non è presente, in particolare con rinovirus o coronavirus. La faringite si sviluppa solitamente nelle fasi precoci; la laringite e la tracheobronchite variano a seconda del paziente e dell’agente eziologico. Le secrezioni nasali, sono acquose e profuse durante i primi giorni, divengono più mucoidi e purulente; le secrezioni mucopurulente non indicano una superinfezione batterica. La tosse dura generalmente fino alla 2a sett. Nei soggetti con malattie croniche delle vie respiratorie dopo un raffreddore si ha comunemente una riesacerbazione della bronchite cronica. Escreato purulento o importanti sintomi delle vie respiratorie più basse, suggeriscono un’eziologia virale differente dai rinovirus e possono essere dovuti a un’infezione batterica primaria o secondaria. Le persone con asma e bronchite spesso hanno un aggravamento dei sintomi respiratori da infezioni virali. Altre complicanze solitamente batteriche sono la sinusite purulenta e l’otite media, ma sono occasionalmente dovute all’infezione virale primaria delle mucose. In assenza di complicanze, i sintomi si risolvono normalmente in 4-10 gg.

Diagnosi differenziale Sintomi simili delle vie respiratorie superiori possono essere causate da infezioni batteriche, rinorrea allergica e da altre patologie. Criteri per la differenziazione includono la stagione dell’anno e l’andamento dei sintomi. La faringite senza essudato o adenopatia spesso indica un’infezione virale piuttosto che cause batteriche o allergiche. La coltura del tampone faringeo è richiesta per differenziare la faringite streptococcica da quella virale, specialmente nei bambini. Nell’influenza si verificano con maggiore probabilità febbre e sintomi più gravi. Un’importante leucocitosi con prevalenza di polimorfo nucleati suggerisce una patologia diversa da un raffreddore comune non complicato. L’eosinofilia presente nel liquido respiratorio o nelle secrezioni aiuta a differenziare infezioni batteriche e reazioni allergiche. Sebbene sia solo di rado necessaria, l’identificazione di un virus specifico può essere effettuata da un laboratorio di sanità pubblica o universitario. Un aumento degli anticorpi sierici conferma la specificità dell’infezione ma si verifica in meno dei 2/3 delle infezioni non influenzali.

Profilassi L’immunità è specifica per virus secondo sierotipo o ceppo. Sebbene siano stati approntati vaccini sperimentali efficaci contro alcuni rinovirus, adenovirus e paramyxovirus, non è disponibile alcun vaccino commerciale. Né i vaccini batterici polivalenti, né gli alcali, gli agrumi, le vitamine, la luce ultravioletta, né il glicole aerosolico sono in grado di prevenire il raffreddore comune. In studi clinici controllati, dosi orali di vitamina C, anche 2 g/die somministrati come profilassi, non hanno modificato la frequenza dei comuni raffreddori da rinovirus o la quantità di virus eliminati da persone infette; alcuni studi hanno mostrato una diminuzione della durata dei sintomi tra le persone che hanno assunto fino a 8 g/die il primo giorno di infezione. L’uso profilattico di interferone offre garanzie ai pazienti a rischio di morbilità derivante dai raffreddori, come quelli affetti da asma o da bronchite. In alcune particolari condizioni, l’interferone-α somministrato per via intranasale riduce l’acquisizione dell’infezione da rinovirus o da coronavirus e riduce la produzione di particelle virali. Comunque, i costi e gli aspetti logistici della somministrazione creano problemi e l’infiammazione nasale con sanguinamento può verificarsi dopo una prolungata esposizione. file:///F|/sito/merck/sez13/1621375.html (2 of 3)02/09/2004 2.11.26

Malattie virali

Il lavaggio delle mani e l’uso di disinfettanti di superficie in un ambiente contaminato riduce la diffusione dell’infezione. I fazzoletti nasali acidificati chimicamente hanno inattivato i rinovirus in esperimenti controllati, ma non si sono dimostrati capaci di ridurne la diffusione e non sono generalmente di facile reperimento.

Terapia Un ambiente caldo, umido aumenta il comfort. Il riposo è indicato per le persone con febbre o con sintomi più gravi. Gli antipiretici aiutano a ridurre la febbre, ma ripetute dosi di aspirina possono aumentare la produzione di particelle virali mentre i sintomi possono migliorare solo leggermente. Se si sospetta l’influenza, l’aspirina deve essere evitata al fine di ridurre il rischio di sindrome di Reye, specialmente nei bambini. I decongestionanti nasali possono offrire un sollievo temporaneo, ma l’effetto è insufficiente per poter raccomandare un uso ripetuto o prolungato, poiché può verificarsi una nuova congestione al momento della sospensione (v. Tab. 162-3). L’idratazione è importante nel mantenere la fluidità delle secrezioni. Il trattamento della tosse, talora grave nel raffreddore comune, è descritta nel Cap. 63. Comunque, la tosse, tranne nei casi in cui sia particolarmente intensa e dolorosa o causante stridore, è un sintomo che preferibilmente è meglio non trattare per preservare un meccanismo di difesa. Sono stati raccomandati molti altri trattamenti di supporto. Alcuni trattamenti possono essere d’aiuto, ma non hanno mostrato avere un beneficio generale. I più comuni sono rappresentati dall’ingestione di varie bevande calde, dall’uso di antiistaminici, che potrebbero ridurre la rinorrea nelle persone predisposte all’asma o alla febbre da fieno e da elevate dosi di acido ascorbico assunto all’insorgenza dei sintomi, che possono avere un effetto soggettivo ma non hanno mostrato avere un beneficio oggettivamente quantificabile. Non è disponibile alcun trattamento antiretrovirale, sebbene numerose sostanze (p. es., interferone, induttori dell’interferone, pastiglie di zinco gluconato, tiosemicarbazoni e agenti indolici triazinici) inibiscono con efficacia i rinovirus in vitro. Nessuno di questi ha dimostrato validità per un’applicazione pratica. Gli antibiotici non sono raccomandati come profilassi contro un’infezione batterica; se si verificano infezioni batteriche nella seconda settimana o in seguito, esse devono essere trattate in maniera specifica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 162-3. COMUNI DECONGESTIONANTI NASALI SIMPATICOMIMETICI* Farmaco†

Via di somministrazione

Dose

Intervallo

Feniletilamine Pseudoefedrina

Orale

Adulti: 60mg Bambini 2-6anni: 15mg Bambini 6-12anni: 30mg

Fenilefrina

Orale‡

Adulti: 10mg 1-3 gocce o q4h spray/narice

Locale

Adulti: 0,25-1% q4h Bambini 2-6anni: 0,125% Bambini 6-12anni: 0,25%

Nafazolina

Locale

1-3 gocce o spray/narice q4-6h Adulti: 0,05%

Ossimetazolina

Locale

1-3 gocce o spray/narice q12h Adulti: 0,05% Bambini 6-12anni: 0,05%

Xilometazolina

Locale

1-3 gocce o spray/narice q8-10h Adulti: 0,1% Bambini 2-12 anni: 0,05%

q6h

Imidazoline§

*I simpaticomimetici vanno somministrati con cautela ai pazienti affetti da ipertensione, da cardiopatie e da ipertiroidismo. I decongestionanti nasali simpaticomimetici sono controindicati nei soggetti che assumono gli inibitori delle monoaminossidasi o gli antidepressivi triciclici. L'uso di decongestionanti nasali simpaticomimetici è frequentemente associato con un ripresa della congestione nasale e i preparati per uso locale possono produrre un’infiammazione della mucosa nasale, se usati più frequentemente di quanto consigliato o per periodi prolungati. †Altri simpaticomimetici usati come decongestionanti nasali comprendono l'adrenalina, l'efedrina, la propilexedrina e la tetraidrozolina. ‡Disponibile soltanto in associazione. §Le imidazoline devono essere somministrate con cautela nei bambini, poiché possono produrre depressione del SNC, ipo termia e coma, in particolare nei lattanti.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI RESPIRATORIE INFLUENZA (Grippe; grip; flu) Infezione acuta virale respiratoria da virus dell’influenza, un virus che causa febbre, coriza, tosse, cefalea, malessere e infiammazione delle membrane respiratorie mucose.

Sommario: Eziologia Epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia

Eziologia Il termine "influenza" viene spesso utilizzato in modo non corretto nel parlare comune e da alcuni operatori sanitari, per indicare infezioni respiratorie che non sono in realtà causate dal virus dell’influenza. I virus dell’influenza, della famiglia degli orthomyxovirus, sono classificati secondo i tipi A, B o C in base alla reazione con anticorpi fissanti il complemento verso la nucleoproteina e le proteine della matrice. L’infezione da virus C dell’influenza non causa la malattia classica dell’influenza e non sarà trattata in questa sede. I virus dell’influenza hanno due principali glicoproteine di superficie, l’emoagglutinina (EA) e la neuraminidasi (NA). Esse permettono al virus di ancorarsi e di infettare ospiti suscettibili e costituiscono i bersagli di significative risposte immunologiche dell’ospite. L’EA permette al virus di legarsi all’acido sialico cellulare e di fondersi con la membrana dell’ospite. La NA funziona come un enzima in grado di rimuovere l’acido sialico, che previene l’autoaggregazione e promuove la dispersione durante l’emissione di nuovi virioni dalla cellula infettata. Al momento, è riconosciuto soltanto un tipo sierologico del virus dell’influenza B, sebbene la variabilità dei ceppi è dimostrabile mediante l’antigenicità della EA e della NA. Comunque, i virus dell’influenza A sono stati categorizzati all’interno di sottotipi basati sulla diretta divergenza antigenica delle EA e delle NA. Le mutazioni di EA e NA all’interno di un tipo di virus dell’influenza sono conosciuti come variazione antigenica, un processo continuo sia per il virus influenzale A che B. La variazione antigenica può essere sostanziale e ha condotto a epidemie estese caratterizzate da forme gravi di malattia. Lo scambio di interi segmenti genici tra virus umani e animali (generalmente di uccelli) produce dei riarrangiamenti virali conosciuti come deriva antigenica. La deriva antigenica si è verificata soltanto con i virus dell’influenza A, determinando pandemie. Un ceppo aviario di influenza A (H5N1) è emerso come causa di influenza umana in 18 casi documentati a Hong Kong nel 1997, ma non si è verificata diffusione pandemica. file:///F|/sito/merck/sez13/1621383.html (1 of 5)02/09/2004 2.11.28

Malattie virali

Epidemiologia L’influenza si manifesta come una malattia respiratoria a diffusione ampia e sporadica durante l’autunno e l’inverno ogni anno nei climi temperati. Epidemie negli USA, spesso con ondate di assenteismo, morbilità e mortalità, si verificano circa ogni 2-3 anni, per la maggior parte spesso causate dal virus dell’influenza A (H3 N2). I virus dell’influenza B causano tipicamente una malattia respiratoria lieve, ma possono causare importante morbilità e mortalità durante cicli epidemici che si verificano tipicamente ogni 3-5 anni. Sebbene la maggior parte delle epidemie sia stata causata da un singolo sierotipo in una determinata stagione, i differenti virus influenzali sono apparsi sequenzialmente in un luogo o sono apparsi simultaneamente, con un virus che predomina in un luogo e un altro virus che predomina in un altro. La maggiore prevalenza si ha nei bambini in età scolare. Le epidemie stagionali si verificano spesso in due ondate, la prima tra i bambini in età scolare e i loro familiari (in genere i soggetti più giovani) e la seconda principalmente nelle persone confinate a casa o che vivono in istituti che permettono scarsi rapporti con l’esterno (generalmente anziani). La diffusione dei virus dell’influenza avviene con particelle aeree, mediante un contatto da persona a persona o un contatto con mezzi contaminati. Un viaggio aereo, che consente un contatto prolungato in spazi stretti con persone infette, può generare nuovi ceppi virali e trasportare ceppi epidemici a nuove aree. I soggetti a più alto rischio di sviluppare una malattia grave sono quelli con malattie polmonari croniche e quelli con malattie valvolari cardiache (con o senza insufficienza cardiaca) o con altre malattie cardiache complicate da edema polmonare. Le donne al 3o trimestre di gravidanza, gli anziani, i giovanissimi e le persone immobilizzate a letto presentano una maggiore condizione di rischio per la malattia grave con la possibilità che si arrivi al decesso.

Sintomi e segni Durante il periodo di incubazione di 48 h il virus replica nel tratto respiratorio e può verificarsi una viremia transitoria asintomatica. In casi lievi (in ospiti resistenti o parzialmente immuni), i sintomi sono quelli di un comune raffreddore. Brividi e febbre fino a 39-39,5°C iniziano improvvisamente. Appaiono presto prostrazione e dolori generalizzati (più spiccati alla schiena e alle gambe). La cefalea è notevole, spesso con fotofobia e dolore retrobulbare. I sintomi del tratto respiratorio possono essere lievi all’inizio, con mal di gola raschiante, bruciore retrosternale, tosse non produttiva e talvolta coriza. In seguito tale quadro sintomatologico diviene dominante; la tosse può essere persistente e produttiva. Nei casi gravi, l’escreato può essere ematico. La cute è calda e arrossata. Il palato molle e la parte posteriore del palato duro, i pilastri tonsillari e la parete faringea posteriore possono essere arrossati, ma senza essudato. Gli occhi lacrimano facilmente e la congiuntiva può essere moderatamente infiammata. Nei bambini possono verificarsi nausea e vomito. I sintomi acuti regrediscono dopo 2-3 gg, rapidamente, con fine dello stato febbrile, sebbene possa persistere febbre fino a 5 gg, salvo complicanze. Possono essere dimostrati un processo di ripulitura polmonare anormale e un flusso aereo bronchiolare alterato. Debolezza, sudorazione e affaticamento possono persistere per diversi gg e talvolta per settimane. Possono manifestarsi bronchite emorragica e polmonite, che divengono rapidamente progressive. La polmonite virale fulminante fatale può essere virale, batterica o mista; quando si verificano, dispnea ed escreato ematico associati a congestione polmonare ed edema possono portare alla morte in sole 48 h dall’insorgenza. Una malattia così grave si verifica con maggiore probabilità durante pandemie provocate da nuovi sierotipi di influenza A e in

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Malattie virali

soggetti con fattori di rischio cardiaci o polmonari. Un’infezione batterica secondaria dei bronchi e dei polmoni, generalmente pneumococcica o stafilococcica, è suggerita dalla persistenza o dalla ricorrenza di febbre, tosse e altri sintomi respiratori durante la seconda settimana. Con lo sviluppo della polmonite la tosse peggiora e si assiste alla produzione di escreato purulento o ematico. Rantoli crepitanti o subcrepitanti si possono rilevare sui segmenti polmonari interessati (v. anche Cap. 73). Encefalite, miocardite e mioglobinuria sono complicanze dell’influenza poco frequenti che si verificano eventualmente durante la convalescenza. Raramente si isola il virus dagli organi al di fuori del tratto respiratorio, sicché non può essere stabilito con certezza un ruolo specifico nella patogenesi delle malattie extrapolmonari. Un aumento dell’incidenza di tali affezioni, tuttavia, si verifica regolarmente dopo pandemie da influenza A. La sindrome di Reye (v. Infezioni varie nel Cap. 265), caratterizzata da encefalite, epatite, ipoglicemia e lipidemia, è stata spesso associata a epidemie di infuenza B, in particolare nei bambini che hanno assunto aspirina.

Diagnosi Nell’influenza non complicata, la conta leucocitaria è normale. La febbre e i gravi sintomi generali fanno distinguere l’influenza dal comune raffreddore. Nelle prime fasi dell’infezione o nei casi non complicati, l’esame del torace è normale. Durante le epidemie, l’isolamento precoce del tipo di virus e l’identificazione delle sue caratteristiche virali possono essere utilizzate per raccomandare la prosecuzione degli sforzi di vaccinazione e dei farmaci antivirali. I laboratori di sanità pubblica locali o statali, i CDC e i centri di riferimento per l’influenza dell’OMS sono disponibili per assistere nella identificazione dei ceppi. Sebbene necessaria solo di rado, una diagnosi specifica di influenza può essere posta isolando i virus e mettendo in evidenza le cellule infette nelle secrezioni attraverso tecniche immunologiche o molecolari per rilevare le componenti virali o dimostrare un aumento del livello anticorpale per anticorpi specifici anti-EA e antiNA nei test sierologici. Il virus può essere facilmente isolato dalle secrezioni respiratorie per replicazione nelle colture tissutali. Il campione si può raccogliere dall’escreato, anche se la resa è migliore se raccolto dai lavaggi nasofaringei o dai gargarizzati ottenuti in soluzione fisiologica tamponata. La produzione è massimale durante la fase sintomatica precoce, ma testare le secrezioni per più di 1 giorno migliora la possibilità di effettuare la diagnosi. Un piccola quantità di proteine come l’albumina o la gelatina aggiunta dopo la raccolta stabilizza la vitalità del virus. Come mezzo di raccolta e di trasporto è stato utilizzato latte scremato diluito. I test sierologici impiegati per stabilire la diagnosi di infezione sono il test di fissazione del complemento (FC) e il test di inibizione dell’emoagglutinazione (IEA) ma sempre di più si stanno diffondendo i test ELISA. Se necessari, i test sierologici rendono al meglio se raccolti all’esordio della malattia e 2 settimane dopo. I due campioni vengono esaminati contemporaneamente per dimostrare un aumento del titolo anticorpale specifico. Se si possiede un solo campione di siero, prelevato dopo lo sviluppo della malattia, un alto titolo anticorpale può indicare un’infezione recente. Il titolo IEA si rapporta meglio con la neutralizzazione sierica dei virus e può essere usato come indice di protezione contro l’infezione da parte di ceppi specifici. La leucocitosi, con una deviazione verso i granulociti giovani nello striscio di sangue, è un valido segno di sopravvenuta polmonite batterica o virale-batterica mista. I campioni di escreato purulento devono essere raccolti per essere strisciati, colorati al Gram ed esaminati per il contenuto di leucociti e batteri. Nel caso di complicanze è necessario, onde identificare la specie batterica specifica e la sua suscettibilità agli antibiotici, eseguire colture di escreato e sangue, oltre ad altri test diagnostici.

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Malattie virali

La diagnosi differenziale include altre cause virali per malattie respiratorie che ricordano l’influenza: virus parainfluenzali, virus respiratori sinciziali e (raramente) rinovirus ed echovirus. Nel distinguere l’influenza da altre infezioni del tratto respiratorio possono essere importanti le caratteristiche epidemiche, la stagione dell’anno e la riconosciuta comparsa di influenza nella comunità.

Prognosi Sebbene anche le persone sane dimostrino difetti nella clearance polmonare e nella ventilazione, per diverse settimane dopo una malattia acuta, la guarigione è la regola nell’influenza non-complicata. Le gravi complicanze virus-correlate richiedono l’ospedalizzazione e sono potenzialmente letali, più frequentemente tra i bambini < 12 mesi, gli adulti > 65 anni e tra le persone affette da patologie cardiache croniche e, in special modo, polmonari. La mortalità correlata alla polmonite e all’influenza (una delle 10 principali cause di morte negli USA) ha superato regolarmente il numero di 20000 decessi/ anno durante le epidemie degli ultimi 20 anni. Una terapia antibatterica appropriata diminuisce il tasso di mortalità dovuta alla polmonite batterica.

Profilassi L’esposizione al virus influenzale da infezione o immunizzazione determina temporaneamente resistenza alla reinfezione con lo stesso tipo di virus. Vaccinazione: i vaccini che includono i ceppi prevalenti di virus influenzali riducono l’incidenza di infezione tra i vaccinati quando corrispondono la EA e/o la NA dei ceppi immunizzanti e infettanti. Un’immunità meno efficace si verifica quando si ha un’apprezzabile variazione antigenica nel ceppo virale emergente e la vaccinazione non fornisce alcuna protezione quando si verifica una mutazione antigenica maggiore, a meno che il vaccino non comprenda il nuovo ceppo. Il vaccino è preparato da fluidi allantoidei di embrione infettato con virus intero inattivato o da preparazioni di virioni incompleti ed è standardizzato nel fornire una specifica massa antigenica di EA. Comunque, sono in fase di studio altri metodi per la preparazione, tra questi l’EA e la NA purificati da proteine prodotte con tecniche di DNA ricombinante. I vaccini con virus vivo attenuato somministrati per via intranasale hanno recentemente mostrato di produrre immunità con una semplice e ben tollerata somministrazione. Essi suscitano la formazione di anticorpi secretori a livello della porta di entrata del virus e possono fornire una protezione addizionale mediante risposte immunologiche (p. es., linfociti T citotossici) indotti da proteine interne virali. La vaccinazione annuale è raccomandata nei pazienti con malattie cardiache e polmonari, negli anziani, nei pazienti con molte altre malattie croniche e nei soggetti che svolgono compiti assistenziali a domicilio o in ospedale. Poiché gli pneumococchi frequentemente causano infezioni batteriche, una strategia prudente che viene raccomandata consiste nell’immunizzare persone ad alto rischio di complicanze da influenza, anche con un vaccino pneumococcico (una sola volta). Le donne gravide che rientrano nelle categorie ad alto rischio o in cui il 3o trimestre di gravidanza cada durante i mesi invernali devono essere considerate candidate alla vaccinazione con i vaccini antiinfluenzali. Un’immunizzazione annuale è raccomandata per mantenere il titolo anticorpale e per riflettere i cambiamenti nei ceppi virali. L’immunizzazione attraverso un’iniezione IM va effettuata in autunno, in modo che i titoli anticorpali siano ai massimi livelli nei mesi di prevalenza dell’influenza (da novembre a marzo negli USA [e in Italia, n.d.t.]). Nelle persone vaccinate per la prima volta, ci si aspetta una risposta massimale alla vaccinazione in circa 2 sett. Con i vaccini formati da subvirioni attualmente disponibili, le reazioni locali o generali sono rare o trascurabili e di breve durata. Ai bambini di età < 13 anni si file:///F|/sito/merck/sez13/1621383.html (4 of 5)02/09/2004 2.11.28

Malattie virali

somministrerà un vaccino subvirionico, in quanto presenta minori effetti collaterali. Poiché i bambini hanno avuto minori occasioni di esposizione ai virus influenzali, sarà opportuno somministrare sia una dose primaria che una dose di richiamo (0,5 ml nei soggetti da 3 a 10 anni, 0,25 ml nei bambini da 6 a 35 mesi) a distanza di 1 mese l’una dall’altra, a meno che non siano state effettuate altre vaccinazioni negli anni precedenti. Per gli adulti si possono somministrare 0,5 ml come vaccino intero o come sottounità. Farmaci antivirali: amantadina e rimantadina sono farmaci antivirali efficaci nella profilassi contro i virus influenzali A ma non contro l’influenza B. Per entrambi i farmaci può essere adottato il dosaggio di 100 mg PO bid. Per evitare reazioni avverse da accumulo di farmaci, la dose deve essere ridotta nei bambini (5-8 mg/kg/die fino a un massimo di 200 mg/die per l’amantadina e 5 mg/kg/die in una singola dose fino a un massimo di 150 mg/die per la rimantadina), per l’anziano (non più di 100 mg/die) o se la funzione renale è diminuita. Se esiste un’insufficienza epatica, la dose di rimantadina deve essere corretta. I soggetti non vaccinati devono ricevere il vaccino quando viene somministrata l’amantadina o la rimantadina; i farmaci antivirali possono essere sospesi dopo 23 sett. Se non può essere praticato il vaccino, l’amantadina o la rimantadina devono essere protratte per tutta la durata dell’epidemia, solitamente per 6 o 8 sett. L’amantadina e la rimantadina provocano nervosismo, insonnia o altri effetti collaterali a carico del SNC in circa il 10% delle persone. Le reazioni avverse sono dose correlate e sono più frequenti con l’amantadina che con la rimantadina; questi sono maggiori negli anziani e nei soggetti con malattie del SNC o con anomalie delle funzioni renali; la resistenza a farmaci si verifica frequentemente.

Terapia La terapia nella maggior parte dei pazienti è di tipo sintomatico. Il paziente deve riposare e mantenere un’adeguata idratazione. Se i sintomi dell’influenza acuta non complicata sono gravi, risultano utili i farmaci antinfluenzali, antipiretici e analgesici. L’amantadina e la rimantadina hanno un effetto benefico sulla febbre e sui sintomi respiratori se vengono somministrati precocemente nella influenza A non complicata o probabilmente nella polmonite virale. La resistenza che si verifica per un farmaco rende entrambi inefficaci. I ceppi resistenti non sono prevalenti. La ribavirina (v. Virus respiratorio sinciziale in Infezioni virali nel Cap. 265) somministrata precocemente a elevate dosi orali negli adulti o per aerosol nei bambini, può abbreviare la durata della febbre e ridurre la liberazione del virus nei casi di infezione influenzale A o B. È stato anche riconosciuto che il farmaco può arrestare il decorso della polmonite influenzale primaria. Negli adulti, si possono somministrare 600 mg di aspirina o di acetaminofene 650 mg PO q 4 ore. Per i bambini si raccomanda il solo paracetamolo (10-15 mg/ kg q 46 h, che non superi 5 dosi/24 h), dal momento che l’aspirina può aumentare il rischio di sindrome di Reye. Per alleviare l’ostruzione nasale si può considerare per uso temporaneo un decongestionante nasale (v. Tab. 162-3). Le inalazioni di vapore possono alleviare i sintomi respiratori e prevenire alcuni dei problemi indotti dall’essiccamento delle membrane e dall’ispessimento delle secrezioni. La terapia dei sintomi respiratori può essere superflua nei casi più lievi. Le infezioni batteriche complicanti richiederanno gli antibiotici idonei.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI RESPIRATORIE VIRUS PARAINFLUENZALI Tre virus, strettamente correlati, che provocano molte malattie respiratorie che vanno dal comune raffreddore fino alla polmonite simil influenzale, con il mal di gola febbrile quale manifestazione grave più comune.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Sintomi, segni e complicanze Diagnosi Prognosi, profilassi e terapia

I virus parainfluenzali sono paramixovirus di tipo 1, 2, 3 e 4. I tipi sono simili dal punto di vista strutturale e biologico, ma tendono a provocare malattie di diversa gravità anche se possiedono antigeni comuni, come indicato dalle risposte crociate anticorpali. Il tipo 4 ha una reattività crociata antigenica con la parotite.

Epidemiologia Le infezioni da virus parainfluenzali (in particolare di tipo 3) si verificano durante tutto l’anno. Il croup o la laringotracheobronchite (tipi 1 e 2) provocano epidemie nei bambini in autunno e sono più preoccupanti delle malattie respiratorie generalmente lievi durante le reinfezioni. L’immunità quasi universale che si riscontra negli adulti determina una ridotta gravità della malattia negli adulti e può essere utile nell’impedire la diffusione di virus parainfluenzali. Comunque, possono verificarsi infezioni secondarie e addirittura terziarie con lo stesso virus, in particolare per i virus parainfluenzali di tipo 1 e 3. Le prime infezioni con i virus della parainfluenza, tipi 1 e 3, sono frequenti nella prima infanzia. Epidemie localizzate si verificano nei reparti maternità, nei reparti pediatrici, nelle scuole e nelle altre strutture che ospitano bambini. La malattia di tipo 3 è endemica, altamente contagiosa, si presenta in tutte le stagioni e colpisce un’alta proporzione di bambini nel primo anno di vita. Le malattie epidemiche causate dal virus parainfluenzale di tipo 1 o 2 tendono a verificarsi annualmente con ciascun tipo predominante ad anni alterni. La malattia di tipo 2 tende a essere più sporadica. I tipi 1, 2 e 3 possono circolare in una sola stagione autunnale. Il tipo 4 provoca una lieve malattia respiratoria.

Sintomi, segni e complicanze La malattia più comune provocata nei bambini è un’infezione respiratoria acuta febbrile che è clinicamente identica all’influenza o ad altre infezioni respiratorie

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virali che si presentano nello stesso gruppo di età. Il tempo di incubazione varia abbastanza e dipende in parte dal virus infettante: di solito 24-48 h per il virus della parainfluenza di tipo 3 e 4-5 gg per il tipo 1. L’esordio è caratterizzato da febbre e da coriza moderata. Il livello di malessere generale è in relazione diretta all’intensità della febbre. In molti casi la temperatura non supera i 38°C; in altri, invece, può raggiungere varie volte i 40°C. La febbre può scomparire rapidamente o protrarsi per 2-3 gg. In alcuni, specialmente coloro che hanno un interessamento delle basse vie respiratorie, può verificarsi una o più volte febbre della durata di 1 sett. Nelle prime fasi della malattia si presentano spesso mal di gola moderato e tosse secca; in molti casi sono prominenti raucedine e laringo-tracheite: il croup (laringotracheobronchite acuta) è la più grave e pericolosa manifestazione del virus parainfluenzale nei bambini e spesso richiede l’ospedalizzazione (v. in Cap. 265). La bronchite e la polmonite virale si manifestano spesso durante o dopo l’episodio iniziale acuto nei bambini e a volte negli adulti infettati con il tipo 3. La polmonite può essere rilevata tramite auscultazione di rantoli umidi in una o più aree polmonari, ma con maggiore certezza mediante una rx del torace. Le complicanze batteriche non sono frequenti. Comunque, come con altre infezioni respiratorie virali, possono verificarsi riacutizzazioni di stati asmatici o di bronchiti croniche (v. Croup in Infezioni virali nel Cap. 265).

Diagnosi Una diagnosi specifica non può essere posta su basi cliniche. Se indicati, l’isolamento e l’identificazione del virus possono essere effettuati tramite coltura tissutale per inoculazione. Gli Ag virali possono essere individuati nelle cellule infettate provenienti dal tratto respiratorio attraverso metodiche immunologiche e molecolari. I test di FC, di IEA e di neutralizzazione con campioni di siero in fase acuta e in fase di convalescenza possono confermare un’infezione parainfluenzale, ma le reazioni crociate sierologiche potranno rendere difficoltosa l’identificazione del virus parainfluenzale specifico senza isolamento del virus stesso.

Prognosi, profilassi e terapia Ad eccezione della laringo-tracheite infantile e della polmonite virale, le malattie provocate dai virus parainfluenzali, sebbene frequenti, sono solitamente lievi, autolimitate e di breve durata. La bronchite e la polmonite associate alle infezioni di tipo 3 provocano talvolta grave inabilità, ma sono raramente fatali. Non esiste terapia specifica. Il riposo in un ambiente confortevole è il rimedio migliore. Se la febbre è alta o se i sintomi impediscono di dormire, il paracetamolo può recare sollievo. Se i bambini necessitano di antipiretici o di analgesici, il paracetamolo è preferibile all’aspirina, per evitare il rischio della sindrome di Reye durante l’influenza. In caso di necessità, la tosse può essere repressa con sintomatici (p. es., 1-1,5 mg/kg/die di destrometorfano PO in 6 dosi frazionate). Per la terapia della laringo-tracheite v. Croup in Infezioni virali nel Cap. 265.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI CROUP (Laringotracheobronchite acuta) Infezione virale acuta delle alte e basse vie respiratorie caratterizzata da stridore inspiratorio, edema sottoglottico e difficoltà respiratoria principalmente di tipo inspiratorio.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi differenziale Terapia

Eziologia, epidemiologia e fisiopatologia Il croup colpisce fondamentalmente bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 3 anni, benché talvolta si verifichi prima o dopo questa età. Gli agenti patogeni più frequentemente responsabili sono i virus parainfluenzali, specialmente il tipo 1. Cause meno comuni sono il virus respiratorio sinciziale (VRS) e i virus influenzali A e B, seguiti da adenovirus, enterovirus, rinovirus, virus del morbillo e Mycoplasma pneumoniae. I casi dovuti a virus influenzali sono particolarmente gravi e si verificano in una più ampia fascia di età. Sono frequenti epidemie stagionali; i casi dovuti a virus parainfluenzali tendono a verificarsi in autunno; quelli dovuti a VRS e ai virus influenzali in inverno e primavera. La trasmissione avviene di solito per via aerea o per contatto con secrezioni infette. L’infezione determina flogosi di laringe, trachea, bronchi, bronchioli e parenchima polmonare. Comunque, l’ostruzione, dovuta all’edema e all’essudato, è più pronunciata nella regione sotto glottica. L’ostruzione determina un aumento del lavoro respiratorio e, quando il bambino si stanca, provoca ipercapnia. Ipossia senza ipercapnia suggerisce una concomitante infezione del parenchima polmonare. L’eventuale ostruzione dei bronchioli può provocare atelettasia.

Sintomi e segni Il croup è di solito preceduto dai sintomi di un’infezione delle vie respiratorie superiori. Una tosse abbaiante, spesso spasmodica, e raucedine possono segnare l’esordio acuto dello stridore inspiratorio che avviene frequentemente di notte. Il bambino può svegliarsi di notte con difficoltà respiratoria, tachipnea e rientramenti inspiratori sopraclavicolari, giugulari, epigastrici e intercostali. Nei casi gravi, quando il bambino è stanco, può svilupparsi cianosi con respirazione sempre più superficiale. L’evidente difficoltà respiratoria e lo stridore inspiratorio di timbro aspro rappresentano i segni obiettivi più notevoli. All’auscultazione si apprezzano inspirazione prolungata e stridore, spesso alcuni ronchi e sibili alla espirazione. Rantoli possono anche essere presenti. I rumori respiratori possono

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Infezioni nei bambini

essere ridotti per l’atelettasia. La febbre si ha in circa la metà dei bambini. Le condizioni generali del bambino possono migliorare di giorno e peggiorare di nuovo durante la notte. All’inizio può essere presente leucocitosi con aumento dei polimorfonucleati e successivamente leucopenia e linfocitosi. In caso di coinvolgimento del parenchima polmonare, un’emogasanalisi arteriosa evidenzia ipossiemia con o senza ipercapnia. L’ipossiemia compare in circa 80% dei pazienti ospedalizzati. Alla radiografia del collo eseguita in anteroposteriore si può notare un restringimento sotto epiglottico. La malattia di solito si protrae per 3-4 giorni. Episodi recidivanti sono spesso chiamati croup spasmodico. L’allergia o una reattività delle vie aeree può giocare un ruolo patogenetico nel croup spasmodico, ma le manifestazioni cliniche non possono essere distinte da quelle del croup virale, e spesso anche il croup spasmodico è scatenato da un’infezione virale.

Diagnosi differenziale L’epiglottite può essere confusa con il croup. I caratteri differenziali dell’epiglottite acuta sono stati trattati sopra alla voce Infezioni Batteriche. La tracheite batterica è un’entità distinta e rara spesso confusa con l’epiglottite per l’esordio improvviso e grave e il decorso ingravescente. È caratterizzata da febbre improvvisa, dispnea e stridore sia nei bambini piccoli che in quelli più grandi. Sebbene segua raramente un croup virale, essa deve essere distinta da questa patologia per il maggiore stato tossico e il maggior distress respiratorio, per lo spostamento a sinistra della formula leucocitaria, per le secrezioni dense, per la presenza di membrane laringee essudative ruvide, che possono essere evidenziate direttamente o con una radiografia. Campioni delle membrane o delle secrezioni tracheali profonde ottenute per aspirazione svilupperanno con maggiore probabilità una coltura pura di Staphilococcus aureus o streptococco βemolitico di gruppo A. Cause meno frequenti sono lo Streptococcus pneumoniae e l’Hemophilus influenzae tipo b. Anche l’inalazione di un corpo estraneo provoca insufficienza respiratoria e tosse abbaiante tipica, ma non c’è febbre né una precedente infezione delle vie aeree superiori. Una radiografia del collo può mostrare il corpo estraneo, ma a volte per confermare la diagnosi si deve ricorrere alla laringoscopia diretta e indiretta. Se il soggetto è stato vaccinato adeguatamente si esclude la difterite altrimenti la si deve confermare con l’identificazione del germe in speciali colture di materiale derivante dalle tipiche membrane grigiastre faringee o laringee. Di rado l’ascesso retrofaringeo determina stridore. La diagnosi può essere fatta mediante visualizzazione diretta, con la radiografia della regione del collo in laterale o con la TC.

Terapia Il bambino lievemente malato può essere curato a casa con una terapia di supporto. Il bambino deve essere messo a proprio agio e bene idratato. È importante il riposo, poiché la fatica e il pianto aggravano la sintomatologia. L’umidificazione dell’ambiente (p. es., effettuata con vaporizzatori o umidificatori) può alleviare la secchezza delle vie aeree superiori. La dispnea progressivamente ingravescente o persistente, la tachicardia, l’affaticamento, la cianosi o la disidratazione indicano la necessità del ricovero ospedaliero. Nei bambini con distress respiratorio, un’emogasanalisi è indicata, perché un’ipossemia moderata può verificarsi senza cianosi. Se la PaO2 è inizialmente < 60 mm Hg deve essere somministrato O2 umidificato. Una file:///F|/sito/merck/sez19/2652499.html (2 of 3)02/09/2004 2.11.29

Infezioni nei bambini

concentrazione di O2 inspirato dal 30 al 40% è di solito adeguata. Una ipercapnia (PaCO2 > 45 mm Hg) indica di solito esaurimento muscolare e richiede una stretta sorveglianza del paziente. Occorre prevedere la necessità dell’intubazione e avere sempre pronti attrezzatura e personale specializzato. Il ricorso all’intubazione è indicato quando aumenta la ritenzione di CO2 nonostante l’adeguata ossigenazione, la terapia con areosol nebulizzati e quella reidratante; quando l’ipossia non risponde alla somministrazione di O2; e quando le secrezioni non sono rimosse con la tosse. Con l’areosolterapia si può ridurre la viscosità delle secrezioni tracheobronchiali e facilitarne quindi l’eliminazione. I comuni nebulizzatori a getto migliorano l’umidificazione della laringe, ma per l’umidificazione bronchiolare occorre una tenda a O2 o un nebulizzatore a ultrasuoni collegato alla maschera. L’adrenalina racemica per areosol offre un miglioramento della sintomatologia respiratoria e conseguentemente allevia la fatica. Comunque gli effetti sono transitori; e né il decorso della malattia, né l’infezione virale sottostante, né la PaO2 sono modificati dal suo impiego; inoltre possono manifestarsi tachicardia e altri effetti collaterali. Il desametasone parenterale ad alte dosi (minore di 0,3 mg/kg), il desametasone orale (0,5-0,6 mg/kg), e i corticosteroidi nebulizzati possono essere utili nei pazienti ricoverati con croup da moderato a grave. Il valore del trattamento steroideo nei pazienti non ricoverati non è stato dimostrato con chiarezza. I virus che di solito determinano il croup non predispongono abitualmente alle infezioni batteriche secondarie, per cui gli antibiotici sono raramente indicati.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI RESPIRATORIE ADENOVIRUS Gruppo costituito da virus, alcuni dei quali provocano diverse malattie acute febbrili caratterizzate da infiammazione delle mucose respiratoria e oculare, con iperplasia dei tessuti linfatici regionali e della sottomucosa.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e profilassi Terapia

Gli adenovirus sono virus a DNA con tre Ag principali (esone, pentone e fibra) messi in relazione diretta con le strutture del capside. Questi antigeni possono essere usati per identificare e tipizzare i virus. Talvolta gli adenovirus sono accompagnati da un virus a DNA più piccolo chiamato virus adeno-associato, un virus difettivo che per potersi replicare deve essere sostenuto da un adenovirus. L’importanza di questo virus non è nota.

Epidemiologia Il 4-5% delle malattie respiratorie diagnosticate clinicamente nella popolazione civile è provocato da adenovirus. Solo alcuni degli oltre 40 sierotipi noti sono stati studiati tanto da poterne determinare il ruolo causale nelle malattie umane (v. Tab. 162-4). I diversi sierotipi possiedono caratteristiche epidemiologiche alquanto differenti: i tipi 1, 2 e 5 provocano epidemie acute e limitate di malattia respiratoria o enterica durante i primi mesi o anni di vita, con il tipo 2 in una certa misura più frequente in alcuni episodi. Il tipo 3 provoca una sindrome caratteristica di febbre acuta faringo-congiuntivale (FAFC) nei bambini più grandi e negli adulti, osservata specialmente nei campi estivi e nelle piscine. La malattia acuta respiratoria (MAR) si manifesta tra le reclute nei campi militari ed è provocata dai tipi 4, 7, 14 e 21. Epidemie di MAR si verificano anche nella popolazione civile in alcune nazioni, ma non sono state frequentemente identificate negli USA. La cheratocongiuntivite epidemica è provocata da vari sierotipi e si osserva ampiamente nelle fabbriche e nelle cliniche oculistiche. Alcuni tipi di adenovirus infettano soltanto il tratto intestinale, spesso senza provocare sintomi, sebbene possano verificarsi enterite, adenite mesenterica e intussuscezione. L’infezione con gli adenovirus dei tipi 1, 2 e 5 ha come risultato lo stato di latenza del virus nelle tonsille e nelle adenoidi. Circa l’80% delle tonsille asportate contiene tali virus. D’inverno, le infezioni con il tipo 4 o 7 provocano malattia palese nelle reclute file:///F|/sito/merck/sez13/1621388.html (1 of 4)02/09/2004 2.11.31

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militari che, per il 25%, necessitano di ricovero per febbre e malattia delle basse vie respiratorie. In estate si verifica FAFC in un’alta proporzione delle infezioni da tipo 3. Gli adenovirus sono comunemente acquisiti mediante il contatto con secrezioni da persona infetta o mediante il contatto con un oggetto contaminato. L’infezione viene contratta per via aerea o tramite l’acqua (la si prende nuotando).

Sintomi e segni La malattia acuta respiratoria febbrile è la manifestazione frequente delle infezioni adenovirali sintomatiche nel bambino. Il periodo di incubazione è al massimo di 10 gg. In una tipica epidemia confinata in una casa o in un reparto maternità, alcuni bambini colpiti hanno soltanto febbre, senza segni di localizzazione; altri presentano febbre più faringite; altri ancora presentano febbre con faringite, tracheite e bronchite, oltre a una tosse moderatamente persistente e non produttiva e, raramente, polmonite. In passato la tosse presente nella polmonite da adenovirus nei bambini è stata confusa con quella della pertosse. A volte permane ipertrofia linfatica faringea, che porta a ostruzione delle tube di Eustachio e probabilmente a otite media. I linfonodi regionali sono spesso ingranditi e talvolta doloranti, ma non arrivano mai a suppurazione. I dati di laboratorio sono spesso entro i limiti normali, sebbene compaia a volte una linfocitosi. Una sindrome denominata malattia acuta respiratoria (MAR) è stata osservata tra le reclute militari nel corso di esercitazioni. La MAR è contraddistinta da malessere generale, febbre, brivido e cefalea. Le manifestazioni respiratorie includono faringite, raucedine e tosse secca. La malattia può assomigliare alla faringite streptococcica o alla mononucleosi infettiva. È presente adenopatia cervicale, ma i linfonodi non sono dolenti come nella faringite streptococcica. Sul corpo può apparire un’eruzione eritematosa e maculare e possono presentarsi anche viremia e viruria, ma questa viruria non provoca sintomi quali quelli della cistite emorragica epidemica che si presenta come malattia principale con l’adenovirus di tipo 11. I segni fisici sono minimi, a eccezione del 10% circa dei pazienti in cui si sviluppano rantoli e segni radiografici di polmonite. La febbre solitamente regredisce in 2-4 gg; la convalescenza, sebbene senza problemi, può richiedere altri 10-14 gg. Nelle persone immunocompromesse possono verificarsi viremia cronica ed escrezione di virus. La polmonite virale del lattante, è un’entità clinico-patologica rara ma specifica. Piccole epidemie si sono riscontrate in Francia, Sud Africa, negli USA, Cina e in Giappone, con decessi causati da una polmonite massiva. La febbre acuta faringo-congiuntivale (FAFC) provoca la triade clinica di febbre, faringite e congiuntivite. L’infezione viene talvolta contratta attraverso l’acqua contaminata. Il periodo di incubazione è di 5-10 gg. In una tipica epidemia 50% dei pazienti possiede tutti i tre componenti della triade clinica, mentre gli altri ne presentano soltanto uno o due. La congiuntivite è inizialmente unilaterale e talvolta dolorosa. Può manifestarsi interessamento del tratto respiratorio inferiore con tosse in aggiunta a faringite. La malattia abitualmente recede nell’arco di 1 sett., ma può persistere una congiuntivite follicolare per diversi altri giorni. La congiuntivite senza sintomi costituzionali è una manifestazione comune di infezione con numrosi diversi sierotipi di adenovirus. Essa si presenta il più delle volte nei giovani, soprattutto genitori di bambini con FAFC ed è benigna e autolimitata. L’esordio è repentino e spesso unilaterale. I sintomi e i segni includono: sensazione di corpo estraneo nell’occhio, lacrimazione ed eritema focale della congiuntiva palpebrale e bulbare. La secrezione è mucoide ma non purulenta; in circa la metà dei pazienti viene successivamente interessato l’altro occhio, ma spesso in modo meno grave. Da 2 a 4 gg dopo l’esordio si può osservare un persistente ingrossamento follicolare del tessuto linfatico sottomucoso al di sotto della congiuntiva palpebrale, simile addirittura a un tracoma precoce. Un reperto frequente è rappresentato da una linfoadenopatia preauricolare e retrocervicale, più evidente sullo stesso lato dell’occhio più

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colpito. Talvolta si sviluppa un mal di gola moderato, spesso dallo stesso lato dell’occhio interessato. Il decorso è benigno, sebbene possano talvolta presentarsi emorragie congiuntivali focali ed edema periorbitale. La cheratocongiuntivite epidemica (CCE) è una malattia epidemica specifica, talvolta grave, provocata da adenovirus. Osservata in Giappone per molti anni, essa è divenuta epidemica negli USA, durante la seconda guerra mondiale, soprattutto tra i lavoratori dei cantieri navali delle coste. In seguito si è manifestata soltanto sporadicamente negli USA ma ampie epidemie si sono verificate in Europa e in Asia. L’esordio è improvviso; un occhio appare arrossato e chemotico e successivamente mostra rigonfiamento periorbitale, linfoadenopatia preauricolare e opacità corneali superficiali. Al contrario della cheratite erpetica, non si ha la comparsa di ulcere corneali; tuttavia, è frequente il dolore locale, simile a quello da irritazione da corpi estranei. L’altro occhio può essere coinvolto nell’arco di una sett. I sintomi sistemici sono lievi o assenti. La CCE di solito si risolve entro 3-4 sett., ma le opacità corneali possono permanere assai più a lungo con una compromissione talvolta permanente del visus. Le autopsie hanno rivelato al microscopio una caratteristica polmonite estesa da corpi inclusi; le inclusioni intranucleari sono simili a quelle visibili nelle colture tissutali. Le biopsie delle lesioni superficiali provocate dagli adenovirus sulle mucose congiuntivale e faringea mostrano dilatazione capillare, occasionali emorragie sottomucose e infiltrazioni di leucociti mononucleati, ma senza inclusioni intranucleari. La congiuntivite provocata dai consueti tipi di adenovirus respiratori è benigna, ma a volte si verifica una cheratocongiuntivite (come quella provocata dal tipo 8), con opacità corneali e danno della visione.

Diagnosi L’identificazione clinica di infezioni da adenovirus è soltanto presuntiva, a eccezione di epidemie di FAFC, di CCE e di MAR; in tali condizioni, le caratteristiche cliniche o epidemiologiche, oppure entrambe, risultano inequivocabili. Durante la fase acuta delle infezioni da adenovirus, il virus può essere isolato per 7-10 gg dalle secrezioni respiratorie e oculari e spesso anche da feci e urine, sebbene tale procedura venga effettuata soltanto di rado se non per indicazioni di tipo epidemiologico. Un aumento di 4 volte del titolo anticorpale sierico indica un’infezione adenovirale recente.

Prognosi e profilassi Le infezioni da adenovirus sono spesso benigne e di durata relativamente breve. Con l’eccezione dei rari casi di polmonite primaria fulminante riscontrata principalmente nei neonati e nelle reclute militari, anche gravi polmoniti da adenovirus risultano non fatali. I vaccini contenenti gli adenovirus vivi di tipo 4 e 7, somministrati oralmente in capsule rivestite con materiali entero-resistenti hanno provocato una notevole diminuzione delle MAR nella popolazione militare; tuttavia essi non sono né raccomandati, né disponibili per uso civile. La diffusione di virus per mezzo di vaccini è possibile, ma non provoca conseguenze. I vaccini per alcuni altri sierotipi sono stati sviluppati, ma non sono ancora in commercio. Il lavaggio è una pratica estremamente importante dal momento che tra la popolazione civile le epidemie di congiuntivite da adenovirus si diffondono per contatto con oggetti contaminati (p. es., asciugamani, strumenti, ecc.), con secrezioni o con dita infette. Per prevenire la trasmissione del virus si raccomanda di praticare appropriati metodi di sterilizzazione degli oggetti, di indossare guanti e lavarsi le mani prima e dopo aver esaminato un paziente infetto e di evitare di utilizzare su più pazienti gli stessi strumenti oftalmologici.

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Malattie virali

Terapia La terapia è sintomatica e di sostegno. Il riposo a letto può essere necessario nei periodi acuti febbrili. L’aspirina non è consigliabile, a meno che cefalea e malessere generale non siano marcati; per i bambini si preferisce il paracetamolo per via delle riserve circa la possibilità di sviluppare la sindrome di Reye; gli analgesici tipo codeina sono necessari soltanto di rado. Nei lattanti la polmonite grave e la CCE richiedono un controllo ravvicinato, per impedire la morte nel primo caso e la compromissione permanente del visus nel secondo caso. I corticosteroidi topici alleviano i sintomi e abbreviano il decorso della CCE e della congiuntivite da adenovirus. Tale terapia è invece pericolosa nelle localizzazioni corneali ulceranti, ma va sempre usata sotto controllo di un oftalmologo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 162-4. SINDROMI CAUSATE DA ADENOVIRUS Sindromi implicati (tipo) Frequenti Malattia

Note

Meno frequenti

Respiratoria Malattia acuta febbrile respiratoria nei bambini

1, 2, 3, 5, 6

Altri tipi

È probabilmente la manifestazione più frequente degli adenovirus. I tipi 1, 2 e 5 sono endemici; il tipo 3 talvolta epidemico; maggiore frequenza nei mesi freddi

Malattia acuta respiratoria (MAR)

4,7

14,21

Epidemica in reclute militari; sporadica nei civili adulti; le infezioni da tipi 4 e 7 sono rare nei bambini

Polmonite virale

7

1,3

Rara, si manifesta nei reparti maternità degli os pedali; può essere fatale; simile alla polmonite da corpo incluso di Goodpasture

4,7

3,21

Soprattutto associata con la malattia acuta respiratoria; non si sviluppano le agglutinine fredde

3,7

2, 4, 6, 9, 10, 21

Sporadica; colpiti soprattutto gli adulti; nei bambini è spesso associata a effetti respiratori e sistemici

3, 7, 19 (lieve)

Epidemica; colpiti soprattutto gli adulti; diffusa in Giappone, rara negli USA

1, 2, 5, 6, 14, 21

Epidemica nei bambini; sporadica negli adulti; epidemie estive spesso legate al nuoto in piscine o laghi

Bambini

Adulti

Oculare Congiuntivite follicolare acuta

Cheratocon giuntivite 8 (classico) epidemica

Combinata, respiratoria e oculare Febbre acuta faringo- 3, 4, 7 con giuntivale

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Manuale Merck - Tabella

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI INFEZIONI DA HERPESVIRUS HERPES SIMPLEX Infezione da herpes simplex virus caratterizzata da uno o molti grappoli di piccole vescicole ripiene di fluido chiaro su una base lievemente infiammata.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia I due tipi di virus herpes simplex (HSV) sono il HSV-1 e il HSV-2. Il HSV-1 provoca comunemente herpes labialis, stomatite erpetica e cheratite; il HSV-2 di solito causa herpes genitale e si trasmette soprattutto per contatto diretto (di solito sessuale) e produce lesioni cutanee. (L’herpes genitale viene trattato nel Cap. 164, la cheratite da herpes simplex nel Cap. 96 e la stomatite erpetica primaria e ricorrente nel Cap. 105.) Il momento dell’infezione iniziale con HSV è spesso sconosciuto. Dopo un’eruzione iniziale, HSV rimane latente nei gangli nervosi. Le eruzioni erpetiche ricorrenti possono essere scatenate da eccessiva esposizione alla luce solare, da malattie febbrili, da stress fisici o emotivi, da immunosoppressione. Lo stimolo scatenante è spesso sconosciuto. La malattia ricorrente è generalmente meno grave della malattia primaria.

Sintomi e segni Le lesioni possono comparire in qualsiasi sede cutanea o mucosa, ma sono più frequenti attorno alla bocca, sulle labbra, sulla congiuntiva e sulla cornea, oltre che sui genitali. Dopo un periodo prodromico (in genere < 6 h nelle recidive di HSV-1) di bruciore o di prurito, compaiono piccole vescicole tese su una base eritematosa. I singoli gruppi variano da 0,5 a 1,5 cm di diametro, ma possono confluire con altri. Lesioni cutanee che interessano naso, orecchie o dita possono risultare particolarmente dolorose. Le vescicole persistono per alcuni gg, incominciano poi a seccarsi e formano infine una sottile crosta giallastra. La guarigione avviene in genere in 8-12 gg dopo l’esordio. Singole lesioni erpetiche guariscono di regola in modo completo, ma le lesioni ricorrenti nello stesso luogo possono provocare atrofia e cicatrici. L’infezione primaria da HSV-1 causa tipicamente una gengivostomatite, che è molto comune nei neonati e nei bambini. I sintomi sono irritabilità, anoressia, febbre, infiammazione gengivale e ulcere dolorose della bocca. L’infezione primaria da HSV-2 si verifica tipicamente sulla vulva e sulla vagina o file:///F|/sito/merck/sez13/1621391.html (1 of 3)02/09/2004 2.11.32

Malattie virali

sul pene nei giovani. La malattia è accompagnata da febbre, malessere e adenopatia inguinale dolorosa. L’infezione da HSV-2 può presentarsi nei neonati e determinare una grave malattia disseminata (v. Infezioni neonatali da Herpes simplex in Infezioni neonatali nel Cap. 260). Il HSV causa occasionalmente encefalite grave (v. Encefalite virale acuta e Meningite asettica nel Cap. 176). Il HSV-2 è stato associato anche alla meningite asettica spesso benigna o alle sindromi di mieloradiculite lombosacrale, che possono comprendere ritenzione urinaria o costipazione. Nei pazienti affetti da AIDS le infezioni erpetiche possono essere particolarmente gravi. Si possono avere esofagite progressiva e persistente, colite, ulcera perianale, polmonite e sindromi neurologiche. Le epidemie da HSV possono essere seguite da tipico eritema multiforme. L’eczema erpetico rappresenta una complicanza dell’infezione nella quale i pazienti manifestano una grave malattia nelle regioni cutanee con eczema. Il patereccio erpetico, una lesione rigonfia, dolorosa ed eritematosa della falange distale, è provocato dall’inoculazione del HSV attraverso una ferita o un’abrasione cutanea ed è comune soprattutto tra gli operatori sanitari.

Diagnosi La diagnosi è confermata dalla coltura del virus, dalla sieroconversione e da un incremento progressivo degli Ac sierici al sierotipo appropriato (nelle infezioni primarie), oltre che dai reperti bioptici. Una preparazione di Tzanck della base della lesione spesso rivela cellule giganti multinucleate nell’infezione da HSV o da varicella-zoster. Le nuove tecniche quali gli studi del LCR tramite la reazione a catena della polimerasi possono permettere una diagnosi precoce non invasiva dell’encefalite da herpes simplex. Il HSV va distinto dall’herpes zoster, che recidiva soltanto di rado e provoca spesso dolore più intenso e gruppi di lesioni distribuite lungo un dermatomero. La diagnosi differenziale include varicella, ulcere genitali o gengivostomatiti dovute ad altre cause e le dermatosi vescicolari, specialmente la dermatite erpetiforme e le eruzioni da farmaci.

Terapia Il trattamento sistemico con acyclovir viene usato nelle gravi infezioni erpetiche, come nella malattia disseminata del neonato, nell’encefalite da herpes simplex e nei pazienti immunocompromessi. Acyclovir, valacyclovir e famciclovir possono ciascuno essere utilizzati per la soppressione di eruzioni ricorrenti. La trifluridina topica è usata, sotto la supervisione di un oculista, nel trattamento delle cheratiti da herpes simplex. Il penciclovir topico può essere usato nel trattare il HSV ricorrente orolabiale e l’acyclovir topico per l’herpes genitalis iniziale. Il foscarnet EV è usato per il HSV (mucocutaneo) resistente all’acyclovir in pazienti immunosoppressi. I dosaggi di acyclovir, valacyclovir e famciclovir sono trattati nel Cap. 154. Le infezioni secondarie vengono trattate con antibiotici topici (p. es., neomicinabacitracina unguento) o, se gravi, con antibiotici sistemici.

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Malattie virali

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Patologie della cornea

Manuale Merck 8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE 96.PATOLOGIE DELLA CORNEA Perdita o danneggiamento dell'epitelio dalla superficie corneale di uno o entrambi gli occhi, caratterizzato da piccole erosioni puntiformi e disseminate.

CHERATITE DA HERPES SIMPLEX (Cheratocongiuntivite da Herpes simplex) Infezione corneale causata dal virus herpes simplex, caratterizzata da un insieme di segni clinici che frequentemente porta a infiammazione ricorrente, vascolarizzazione e cicatrizzazione corneali e perdita del visus.

Sommario: Sintomi e segni Terapia

Sintomi e segni L'infezione iniziale (primaria) è, di norma, una comune congiuntivite autolimitante, generalmente accompagnata da una blefarite vescicolare. Le recidive (secondarie) si presentano sotto forma di cheratite epiteliale (anche detta cheratite dendritica), caratterizzata da una lesione ramificata dell'epitelio corneale che ricorda le venature di una foglia, con le estremità arrotondate. Sensazione di corpo estraneo, lacrimazione, fotofobia e iperemia congiuntivale sono i primi sintomi. Possono conseguirne, dopo varie recidive, ipoestesia o anestesia corneale, ulcerazione e cicatrizzazione permanente. La cheratite disciforme, che coinvolge lo stroma corneale, è un'area localizzata di edema e opacamento corneale più profonda, a forma circolare, con irite associata; essa di solito segue una cheratite epiteliale. La cheratite disciforme probabilmente rappresenta una risposta immunologica al virus. Un difetto epiteliale che non guarisce o guarisce molto lentamente, non provocato da virus herpes simplex, è stato indicato come ulcera non dolente.

Terapia La terapia topica (p. es., trifluridina 1% collirio 9 volte al giorno o vidarabina 3% pomata 5 volte al giorno) è generalmente efficace. Occasionalmente, è indicata la somministrazione di acyclovir PO 400 mg 5 volte al giorno. Se l'epitelio che circonda il dendrite è lasso ed edematoso, un curettage tramite un delicato strofinamento con un cotton-fioc sterile, prima di iniziare la terapia farmacologica, può accelerare la guarigione. I corticosteroidi topici sono controindicati nella cheratite epiteliale, ma possono essere efficaci in caso di successivo interessamento stromale (cheratite disciforme) o uveale se associati a un farmaco antivirale. L'atropina 1%, instillata tid, è utile nei casi in cui è presente anche uveite. I casi che non giungono a guarigione dopo 1 sett. e quelli con interessamento stromale o uveale devono essere affidati alle cure di un oftalmologo.

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Patologie della cornea

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Malattie del cavo orale

Manuale Merck 9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE 105. MALATTIE DEL CAVO ORALE INFIAMMAZIONE DELLA MUCOSA ORALE INFEZIONI DA HERPESVIRUS L’herpes simplex primario (tipicamente contratto da bambini) determina la gengivostomatite erpetica acuta. Essa di solito è dovuta al virus herpes simplex tipo 1 ma, attraverso il contatto oro- genitale, può essere dovuta al virus herpes simplex tipo 2 ed esordisce con piccole vescicole che si rompono rapidamente formando ulcere. Quando nelle fasi iniziali è localizzata, può somigliare alla stomatite aftosa, ma l’herpes primario colpisce sempre la gengiva aderente e può interessare altri tessuti, mentre la stomatite aftosa non colpisce mai la gengiva aderente. La febbre e il dolore accompagnano spesso l’herpes. La difficoltà nell’alimentarsi e nel bere può condurre alla disidratazione. L’infezione tipicamente dura da 10 a 14 giorni. Il virus poi si muove verso il ganglio semilunare e può essere riattivato dallo stress, da alterazioni del sistema immune o dal trauma. Il trattamento è sintomatico. Esso comprende analgesici sistemici (p. es., paracetamolo) e anestetici topici applicati direttamente con una garza (p. es., una soluzione di diclonina allo 0,5% o una pomata di benzocaina al 2-20%). Quando sono colpite aree molto vaste, la lidocaina viscosa al 5% può essere utilizzata per gli sciacqui orali 5 min prima del pasto. (Nota: la lidocaina non deve essere deglutita poiché anestetizza l’orofaringe, l’ipofaringe e a volte l’epiglottide. I bambini devono essere tenuti in osservazione per escludere segni di inalazione.) Le eruzioni dell'herpes simplex secondario si verificano come ulcere fredde sul bordo vermiglio del labbro o, molto meno comunemente, come ulcerazioni della mucosa del palato duro. Di solito, un paziente presenta delle sensazioni prodromiche, tipicamente un prurito o un bruciore del labbro. Durante la fase prodromica, il trattamento PO con aciclovir alla dose di 200 mg cinque volte al giorno può diminuire la durata e la gravità delle eruzioni, mentre la somministrazione dell’aciclovir per via topica non è efficace. La durata delle lesioni può essere ridotta a circa un giorno applicando una pomata di penciclovir all’1% q 2 h al risveglio. Questo trattamento deve essere iniziato durante la fase prodromica o subito dopo la comparsa della prima lesione. L'herpes zoster secondario (fuoco di Sant’Antonio) può colpire l’interno del cavo orale (v. Infezioni da Herpesvirus nel Cap. 162). È una condizione rara, ma deve essere sospettata quando è presente una netta distribuzione unilaterale delle lesioni erpetiformi e non si verifica alcuna lesione prodromica orale primaria.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI INFEZIONE NEONATALE DA HERPES SIMPLEX VIRUS Infezione da virus herpes simplex, che viene solitamente trasmesso durante il parto, e che tipicamente causa un’eruzione vescicolare e una conseguente malattia disseminata. (v. anche Herpes Simplex in Infezioni da Herpes virus nel Cap. 162)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Le infezioni neonatali da herpes simplex virus (HSV) presentano un’alta mortalità e una significativa morbilità. Le stime dell’incidenza variano da 1/3000 a 1/20000 nati vivi. L’HSV di tipo 2 è responsabile dell’80% dei casi; il 20% è causato da HSV di tipo 1. L’HSV di tipo 2 è di solito trasmesso al neonato durante il parto, nel passaggio attraverso il tratto genitale materno infetto. È stata anche chiamata in causa in circa il 15% dei casi una trasmissione transplacentare e la diffusione ospedaliera del virus da un neonato all’altro tramite il personale ospedaliero o i familiari. Le madri dei bambini con infezioni da HSV non hanno precedenti o sintomi di infezione genitale al momento del parto.

Sintomi e segni Le manifestazioni cliniche, di solito, si hanno tra la 1a e la 2a sett. di vita; tuttavia, i sintomi possono non comparire fino alla 4a sett. di vita. Il segno patognomonico dell’infezione è rappresentato da vescicole cutanee, che, se non trattate, frequentemente inducono entro 7-10 giorni una progressiva e più grave forma di malattia. Comunque, fino al 45% dei neonati infetti non presenta inizialmente vescicole cutanee; solitamente questi neonati hanno una malattia localizzata al SNC. Altri segni di infezione, che possono essere presenti singolarmente o in associazione, comprendono l’instabilità termica, la letargia, l’ipotonia, la difficoltà respiratoria (apnea o polmonite), le convulsioni, l’epatite e la coagulazione intravascolare disseminata (CID). I neonati con malattia diffusa e coinvolgimento degli organi viscerali hanno epatite, polmonite e/ o CID con o senza encefalite o manifestazioni cutanee. I neonati con malattia localizzata possono essere suddivisi in 2 gruppi. Il primo gruppo presesnta un’encefalite che si manifesta con segni neurologici, pleiocitosi e aumento delle proteine nel LCR, con o senza concomitante interessamento della cute, degli occhi e della mucosa orale. Il secondo gruppo mostra soltanto un interessamento della cute, dell’occhio e della mucosa orale e non presenta file:///F|/sito/merck/sez19/2602342.html (1 of 2)02/09/2004 2.11.34

Patologia del neonato e del lattante

evidenza di malattia del SNC o di altri organi.

Diagnosi È essenziale una rapida e specifica diagnosi di infezione neonatale da HSV. L’infezione può essere confermata con l’isolamento del virus da coltura tissutale usando diverse linee cellulari, di origine umana o non umana. Il virus si isola più facilmente a livello delle vescicole cutanee; anche le colture della mucosa orale, dell’occhio, del LCR sono particolarmente ricche di virus. In alcuni neonati con encefalite, il virus può essere evidenziato soltanto a livello del cervello. Tuttavia, sono disponibili, esclusivamente in alcuni laboratori di ricerca specializzati, test accurati (come la reazione polimerasica a catena per HSV). Gli effetti citopatogeni si possono dimostrare nella coltura tissutale solitamente entro le 2448 h dall’inoculazione. La diagnosi può anche essere confermata dalla neutralizzazione con appropriati antisieri ad alto titolo; l’immunofluorescenza sui frammenti di materiale prelevati dalla lesione, utilizzando anticorpi monoclonali; e la microscopia elettronica. Se non sono disponibili metodiche di diagnostica virologica, uno striscio col metodo Papanicolau, prelevando materiale dal fondo della lesione, può evidenziare le caratteristiche istopatologiche (cellule giganti multinucleate o inclusioni intranucleari) ma questo è meno sensibile rispetto alla coltura e si ottengono risultati falsamente positivi.

Prognosi Il tasso di mortalità nei neonati con malattia disseminata non trattata è pari all’85%; in quelli con malattia localizzata non trattata e con encefalite, è pari circa al 50%. Almeno il 95% dei sopravvissuti presenta esiti neurologici gravi. La morte non è un evento frequente nel gruppo con malattia localizzata (cute, occhi, bocca) ma senza malattia del SNC o di organo, a meno che non siano concomitanti altri problemi medici, ma circa il 30% sviluppa un danno neurologico, che si può evidenziare fino a 2-3 anni di età. La morbilità in ciascun gruppo decorre parallelamente alla mortalità ed è direttamente proporzionale all’estensione della malattia stessa. Circa il 90% dei bambini con infezione neonatale da HSV disseminata ha delle sequele. Soltanto il 5% dei bambini con infezioni del SNC non ha esiti.

Terapia La terapia con acyclovir diminuisce la mortalità del 50% e aumenta dal 10 al 50% la percentuale di chi presenterà uno sviluppo normale. L’acyclovir 30 mg/kg/die in una soluzione standard EV viene somministrato q 8 h in dosi refratte per 10-14 giorni. È richiesta un’efficace terapia di supporto, che comprenda la somministrazione appropriata di liquidi EV, l’alimentazione, l’assistenza respiratoria, la correzione dei disturbi della coagulazione e il controllo delle convulsioni. La cheratocongiuntivite herpetica richiede il trattamento concomitante con acyclovir per via sistemica e una terapia topica con un farmaco come la trifluridina (v. anche sopra Congiuntivite neonatale).

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Infezioni del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 176. INFEZIONI DEL SNC ENCEFALITI VIRALI ACUTE E MENINGITI ASETTICHE Encefalite: malattia infiammatoria acuta dell’encefalo dovuta a un’invasione virale diretta o a un processo di ipersensibilità causato da un virus o da altre proteine estranee. Meningite asettica: infiammazione febbrile delle meningi, caratterizzata da pleiocitosi monocitaria, normoglicorrachia, lieve aumento della proteinorrachia, assenza di batteri all’esame microscopico e colturale del liquor. Encefalomielite: patologia infiammatoria dell’encefalo e del midollo spinale. (v. anche Malattie Virali del Sistema Nervoso Centrale al Cap. 162)

Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

L’encefalite si distingue dalla meningite asettica per l’estensione e la gravità della compromissione cerebrale, che è indipendente dai segni di infiammazione meningea.

Eziologia e anatomia patologica L’encefalite può essere primitiva o costituire la complicanza secondaria di un’infezione virale. Le forme di encefalite primaria possono essere sia epidemiche (malattie da arbovirus, poliovirus, echovirus, coxsackievirus), che sporadiche (herpes simplex, varicella zoster, parotite, v. Cap. 162). Le encefaliti da arbovirus, causate da zanzare (febbre di St. Louis, febbre equina dell’Est e dell’Ovest, febbre della California), colpiscono l’uomo soltanto nelle stagioni calde. Le encefaliti secondarie, solitamente come complicanza di un’infezione virale, riconoscono verosimilmente un meccanismo patogenetico di natura immunologica. Esempi ne sono le encefaliti secondarie al morbillo, alla varicella, alla rosolia, alla vaccinazione antivaiolosa, il vaiolo bovino e altre malattie virali meno definite. Queste encefaliti para- o postinfettive (talvolta definite encefalomieliti acute disseminate, v. Cap. 180) si manifestano di solito 5-10 gg dopo l’esordio della malattia e sono caratterizzate, all’autopsia, da una demielinizzazione perivascolare; un virus è raramente isolato nell’encefalo. Nella parotite, l’interessamento del liquor può essere primitivo e postinfettivo. La meningite asettica può essere legata a infezioni da virus (v. anche Malattie da Enterovirus nel Cap. 265) o ad altri organismi o a condizioni non infettive. Molto raramente le encefaliti e le altre encefalopatie sono la conseguenza tardiva di un’infezione virale. La più conosciuta è la panencefalite sclerosante subacuta (v. Cap. 265), associata al virus del morbillo.

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Infezioni del snc

È presente un edema cerebrale con numerose emorragie petecchiali disseminate negli emisferi, nel tronco cerebrale, nel cervelletto e, occasionalmente, nel midollo. L’invasione virale diretta dell’encefalo esita di solito in necrosi neuronale, frequentemente con visibili inclusioni cellulari. Sono caratteristiche nelle encefalomieliti parainfettive e postinfettive le lesioni perivenose demielinizzanti.

Sintomi, segni e diagnosi L’encefalite può causare febbre e malessere senza segni meningei o può provocare segni meningei (febbre, cefalea, vomito, spossatezza e rigidità del collo e del dorso), con compromissione cerebrale (alterazione della coscienza, alterazioni della personalità, crisi comiziali e paresi) e deficit dei nervi cranici. Le infezioni virali devono essere distinte dalle altre (batteriche, da rickettsie, da spirochete e parassitarie) nonché dalle patologie non infettive (v. Tab. 176-3). Il problema consiste nel distinguere le meningiti virali dalle meningiti batteriche acute trattate parzialmente (v. sopra e la Tab. 165-3). La diagnosi si basa, di solito, sulle caratteristiche del liquor, compreso il normale livello di glucoso e sull’assenza di batteri nella coltura. Occasionalmente i virus (p. es., gli enterovirus) vengono isolati direttamente dal liquor o da altri tessuti, ma questi vengono identificati soltanto in meno della metà dei casi. I virus possono essere identificati con precisione mediante tecniche di reazione a catena polimerasica, che consentono di individuare il DNA specifico virale nel liquor. Alternativamente, si può rilevare l’aumento degli anticorpi specifici nel siero del paziente in fase acuta della malattia o convalescente, ma questa tecnica non è pratica ai fini di una rapida diagnosi. In comunità può essere utile la coltura di materiale (p. es., dal nasofaringe e dalle feci), così come il controllo della presenza di eventuali agenti epidemici. Per motivi di salute pubblica, qualora si sospetti come prima diagnosi l’encefalite o la meningite asettica di eziologia incerta, si dovrà prelevare e conservare il siero. Maggiori informazioni per la diagnosi di infezioni virali si potranno ottenere presso le strutture sanitarie locali. L’encefalite da herpes simplex è clinicamente simile ad altre encefaliti virali, ma può essere fortemente sospettata in presenza, nelle fasi iniziali, di crisi convulsive e di segni focali che indicano un coinvolgimento del lobo frontale o temporale. La RMN può rivelare un’infiammazione del lobo frontale inferiore e del lobo temporale mediale ancor prima dell’EEG, della TAC o della scintigrafia cerebrale e può orientare una terapia antivirale, prima che si realizzi il deterioramento neurologico. La presenza di GR, in un liquor raccolto dopo una puntura lombare atraumatica, suggerisce un’infezione da herpes simplex. Le tecniche della PCR possono individuare il DNA virale nel liquor. Di rado, il virus è isolato nel liquor e, sebbene il confronto di due campioni di siero successivi possa rivelare un aumento delle IgM contro l’herpes simplex, durante i primi 1012 gg di malattia, i risultati sono troppo tardivi per essere utili. La RMN può inoltre escludere un ascesso cerebrale, un empiema e un ematoma subdurale, un tumore, una trombosi del seno sagittale, che può simulare clinicamente un’encefalite. La biopsia è di rado indicata e deve essere effettuata solo in pazienti con evoluzione peggiorativa, con una lesione non diagnosticata dalla TAC o dalla RMN e con scarsa risposta all’acyclovir.

Prognosi e terapia La frequenza della mortalità varia con l’eziologia e le epidemie, causate dallo stesso virus, possono variare per gravità in anni diversi. I danni cerebrali permanenti sono più frequenti nei lattanti, ma i bambini piccoli, rispetto agli adulti affetti da infezioni simili, migliorano nell’arco di un lungo periodo. Qualora non si possa escludere l’encefalite da herpes simplex, dovrà essere tempestivamente somministrato (prima che il paziente cada in coma) l’acyclovir, alla dose di 10 mg/kg EV q 8 h e, per ottenere il massimo beneficio terapeutico,

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Infezioni del snc

dovrà essere continuato per almeno 10 gg. L’acyclovir è relativamente non tossico, ma può provocare anomalie alla funzione epatica, soppressione della funzione ematomidollare e un’insufficienza renale transitoria. La somministrazione lenta di acyclovir EV in 1 h aiuta a prevenire la nefrotossicità. Talvolta, la puntura lombare iniziale non svela la pleiocitosi cellulare, pertanto il trattamento con acyclovir non dovrà essere ritardato se il quadro clinico è altrimenti compatibile con un’encefalite da herpes simplex. Dovrà essere considerata anche la febbre delle Montagne Rocciose e in questi casi è indicato un trattamento empirico con doxyciclina (v. Cap. 159). La puntura lombare viene ripetuta a distanza di 24 h. La terapia di supporto è analoga a quella delle meningiti batteriche acute (v. sopra). Dovrà essere mantenuto il bilancio idrico ed evitata l’iperidratazione.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI MALATTIE DA ENTEROVIRUS Sono un gruppo di malattie provocate dagli enterovirus (poliovirus, coxsackievirus, echovirus).

Sommario: Introduzione POLIOMIELITE Eziologia ed epidemiologia Anatomia patologica e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia HERPANGINA MALATTIA MANO-PIEDE-BOCCA PLEURODINIA EPIDEMICA MENINGITE ASETTICA MIOCARDITE E PERICARDITE ESANTEMA MALATTIA RESPIRATORIA GASTROENTERITE CONGIUNTIVITE EMORRAGICA ACUTA CONGIUNTIVITE ACUTA NON EMORRAGICA

Gli enterovirus sono correlati tassonomicamente con i rinovirus (v. Tab. 265-10 e Il Raffreddore Comune al Cap. 162) come sottogruppi della famiglia dei Picornavirus (da pico, piccolo); l’RNA è il loro acido nucleico caratteristico. Gli enterovirus comprendono i poliovirus, i coxsackievirus, gli echovirus, e gli enterovirus tipo 68-71 (che hanno caratteristiche di crescita e di ospite che si sovrappongono in modo variabile con quelle dei coxsackievirus e degli echovirus). I Coxsackieviruses e gli echoviruses (enteric cytopathic human orphan) sono antigenicamente eterogenei. Questi virus sono stati isolati da secrezioni orali, feci, sangue e LCR e hanno un’ampia distribuzione geografica. Essi assomigliano ai poliovirus per dimensioni, resistenza agli agenti chimici e fisici, per la prevalenza durante l’estate e l’autunno e soprattutto per la diffusione da persona a persona. Gli enterovirus causano un’ampia varietà di sindromi (v. Tab. 265-11).

POLIOMIELITE

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Infezioni nei bambini

(Paralisi infantile, poliomielite acuta anteriore) Infezione virale acuta causata da poliovirus, che produce una malattia minore non specifica, meningite asettica (poliomielite non paralitica), e paralisi flaccida di vari gruppi muscolari (poliomielite paralitica).

Eziologia ed epidemiologia Il poliovirus è piccolo (22-30 nm), con genoma costituito da RNA a singolo filamento e privo di rivestimento. Dei tre sierotipi, il tipo 1 è quello che maggiormente causa paralisi e che più frequentemente è responsabile di epidemie. Gli esseri umani sono gli unici ospiti naturali per i poliovirus. L’infezione si verifica per contatto diretto ed è altamente contagiosa. Le infezioni inapparenti (la principale sorgente di epidemia) sono comuni nella popolazione non vaccinata, ma la malattia conclamata è rara; anche in corso di epidemie, il rapporto fra le infezioni inapparenti e i casi clinicamente evidenti è > 100:1. Si riteneva che la malattia paralitica fosse eccezionale nei paesi in via di sviluppo (specialmente tropicali), ma prima della introduzione dei vaccini la sua incidenza era pari a quella registrata negli anni di maggiore frequenza della malattia negli USA. In queste regioni in cui le condizioni igienico-sanitarie sono scarse la circolazione del virus è notevole e si verifica tutto l’anno, l’infezione e l’immunità sono acquisite nei primi anni di vita, non si verificano epidemie, e più del 90% dei casi di paralisi si verifica in bambini di età inferiore a 5 anni. Al contrario, nei paesi econoicamenti sviluppati, essendo migliori le condizioni igienico- sanitari l’infezione si verifica più tardi, molti bambini più grandi e giovani adulti restano a rischio di contagio, e le epidemie estive interessano maggiormente soggetti di età più avanzata. La vaccinazione di massa ha quasi eliminato la malattia nei paesi sviluppati. La poliomielite potrà presto essere eradicata in tutto il mondo.

Anatomia patologica e patogenesi La via di penetrazione del virus nell’uomo è orale e la prima moltiplicazione si verifica nel tessuto linfoide dell’orofaringe e del tratto GI, specialmente nell’ileo. Una piccola quota di virus raggiunge il sangue ed è trasportata in altre sedi nel sistema reticoloendoteliale, dove si verifica un’imponente moltiplicazione. La viremia secondaria è seguita dall’invasione del SNC. Il virus può talvolta raggiungere il SNC tramite le terminazione delle fibre nervose periferiche. Il virus è presente in gola e nelle feci durante il periodo d’incubazione e, dopo l’inizio dei sintomi, persiste in gola per 1-2 sett. e nelle feci per 3-6 sett. La viremia persiste per diversi giorni ma scompare al momento dell’inizio dei sintomi, quando gli anticorpi sono già comparsi. L’azione patogena del virus si esplica solo a livello del midollo spinale e dell’encefalo, coinvolgendo i motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale, il bulbo e, in minor grado, altre parti dell’encefalo, compresi il cervelletto e la corteccia motoria. Il virus scatena al livello della fibra nervosa un’intensa reazione infiammatoria e infine neuronofagia. La sede e la gravità della paralisi dipendono dalla distribuzione delle lesioni neuronali. I fattori predisponenti a un danno neurologico grave comprendono l’età più avanzata (per tutta la vita), una recente tonsillectomia o una iniezione (più spesso DPT), gravidanza ed esercizio fisico contemporaneo all’esordio della fase neurologica.

Sintomi e segni Le forme cliniche sono assai varie, ma i quadri principali sono la malattia minore

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(abortiva) e la malattia maggiore (paralitica o non paralitica). La poliomielite minore è responsabile dell’80-90% delle infezioni sintomatiche, si presenta soprattutto nei bambini più piccoli, è lieve e di solito non interessa il SNC. I sintomi sono febbre non elevata, malessere generale, cefalea, mal di gola e vomito, che compaiono 3-5 giorni dopo il contagio. La guarigione avviene in 2472 h. La poliomielite maggiore può comparire dopo diversi giorni di benessere dopo una malattia minore, ma il più delle volte non è preceduta da una malattia minore, specialmente nei bambini più grandi e negli adulti. L’incubazione è di solito di 714 giorni; raramente più lunga. Possono comparire febbre, cefalea grave, rigidità nucale e dorsale, dolore muscolare profondo e talvolta iperestesie e parestesie. Durante la fase attiva della mielite, ritenzione urinaria e spasmi muscolari sono comuni. Può non esserci ulteriore progressione, ma, a seconda della localizzazione delle lesioni nel midollo spinale o nel bulbo, possono comparire perdita di alcuni riflessi tendinei e debolezza asimmetrica o paralisi di gruppi muscolari. Un’insufficienza respiratoria può essere determinata da un interessamento del midollo spinale che causa la paralisi dei muscoli respiratori o da un danno virale ai centri respiratori nel bulbo e dalla paralisi dei muscoli innervati dai nervi cranici. Disfagia, rigurgito nasale e voce nasale sono segni precoci d’interessamento bulbare. Talvolta predominano i segni dell’encefalite. La glicorrachia è normale, le proteine nel LCR sono lievemente aumentate, la conta cellulare è di solito compresa fra 10 e 300/µl (soprattutto linfociti). La conta dei GB periferica può essere normale o moderatamente aumentata.

Diagnosi Paralisi asimmetriche flaccide degli arti o paralisi bulbare senza perdita di coscienza durante una malattia acuta febbrile in un bambino o in un giovane adulto indicano quasi sempre la poliomielite. Sebbene raramente, alcuni coxsackievirus di gruppo A e B (specialmente A7), numerosi echovirus e l’enterovirus di tipo 71 possono causare debolezza muscolare o paralisi che non possono essere differenziate clinicamente dalla poliomielite paralitica. Il virus responsabile può essere identificato con test di laboratorio; la terapia è la stessa della poliomielite paralitica. La sindrome di Guillain-Barré (v. Cap. 183) è spesso confusa con la poliomielite paralitica ma solitamente non determina la comparsa di febbre, la debolezza muscolare è simmetrica, coesistono reperti sensoriali nel 70% dei casi, e le proteine nel LCR sono solitamente elevate con una normale conta cellulare. Anche il coinvolgimento del SNC da parotite o herpes virus, meningoencefalite da arbovirus in talune aree geografiche, meningite tubercolare, o ascesso cerebrale devono essere considerati. La poliomielite non paralitica non può essere differenziata clinicamente dalla meningite asettica provocata da altri agenti; la diagnosi è confermata dall’isolamento del virus dalla gola o dalle feci oppure dimostrando un aumento del titolo anticorpale specifico.

Prognosi Nelle forme minori e maggiori non paralitiche, la guarigione è completa. Nella poliomielite paralitica, meno del 25% dei pazienti sviluppa un’invalidità permanente grave, il 25% circa sviluppa un’invalidità di modesta gravità e più del 50% guarisce senza paralisi residua. Il ripristino della funzione muscolare è massimo nei primi 6 mesi, ma il miglioramento può proseguire per 2 anni. La mortalità è dell’1-4%, ma sale al 10% negli adulti e nei soggetti con interessamento bulbare. Una sindrome post-poliomielitica, caratterizzata da fatica muscolare e ridotta tolleranza allo sforzo, spesso associata a debolezza, fascicolazioni e atrofia in gruppi muscolari selettivi, può verificarsi molti anni dopo la poliomielite paralitica, particolarmente nei pazienti anziani e in quelli con più grave compromissione iniziale. La causa può essere in relazione con l’ulteriore perdita di cellule delle file:///F|/sito/merck/sez19/2652506.html (3 of 8)02/09/2004 2.11.37

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corna anteriori dovuta all’invecchiamento in una popolazione di neuroni già deteriorata dalla precedente infezione del poliovirus.

Profilassi Tutti i lattanti e i bambini devono essere immunizzati (v. Vaccinazioni dell’infanzia nel Cap. 256) con il vaccino vivo attenuato della poliomielite tipo Sabin per via orale (Oral Poliovirus Vaccine, OPV) o con il vaccino inattivato tipo Salk (Inactivate Poliovirus Vaccine, IPV); quest’ultimo, attualmente disponibile in una forma rinforzata, che evoca una più potente risposta anticorpale, viene somministrato IM con periodiche dosi di richiamo. Entrambi i vaccini OPV e IPV inducono la formazione di anticorpi circolanti, ma il OPV induce anche una difesa al livello intestinale mediante la produzione di anticorpi secretori (IgA) che bloccano l’impianto del virus. Molto raramente, il OPV ha provocato poliomielite paralitica. Il OPV è controindicato in pazienti immunodeficenti, che dovranno quindi ricevere il IPV, e nei familiari di un soggetto immunodeficiente a causa della possibilità di una infezione da contatto col vaccinato che può eliminare il virus. Dal 1980 al 1994, 124 casi di poliomielite paralitica associata alla vaccinazione sono stati riportati: il 39% si sono verificati in soggetti peraltro sani sottoposti a vaccinazione, solitamente dopo la prima dose; il 32% si sono verificati in contatti sani (principalmente adulti) dei soggetti sottoposti a vaccinazione; il 24% si sono verificati in soggetti vaccinati e loro contatti con anomalie del sistema immunitario; e i restanti casi si sono verificati in soggetti senza storia di vaccinazione recente e nessun contatto noto con individui appena vaccinati. A causa dei rari ma potenzialmente prevenibili casi di poliomielite associata alla vaccinazione, negli USA, la American Academy of Pediatrics raccomanda tre opzioni: lo schema tradizionale (OPV somministrato a 2 mesi, 4 mesi, e da 6 a 18 mesi e una dose di richiamo da 4 a 6 anni); uno schema con solo poliovirus inattivato (IPV somministrato a 2 mesi, da 3 a 4 mesi, e da 9 a 16 mesi e una dose di richiamo da 4 a 6 anni); e uno schema sequenziale (IPV somministrato a 2 e 4 mesi, seguito da OPV somministrato da 12 a 18 mesi e da 4 a 6 anni). La vaccinazione primaria degli adulti non è raccomandata routinariamente negli USA. Tuttavia, gli adulti non immunizzati che viaggiano in aree endemiche o epidemiche dovrebbero ricevere almeno una dose di IPV o di OPV trivalente.

Terapia La terapia è sintomatica. I pazienti con forma minore o maggiore lieve non paralitica hanno bisogno soltanto di riposo a letto per diversi giorni. Possono essere utili analgesici e antipiretici. Durante la mielite attiva, è raccomandato il riposo su un letto rigido (con sponde per impedire la caduta dei piedi). Le IVU dovute ad alterata motilità urinaria dovrebbero essere trattate con antibiotici appropriati e un apporto di liquidi elevato aiuta a impedire la formazione di calcoli urinari di fosfato di Ca. La terapia fisica rappresenta la parte più importante del trattamento durante la convalescenza. La terapia in tutti i casi è la respirazione artificiale. Nei pazienti con deficit dei muscoli faringei, difficoltà a deglutire, incapacità a tossire e accumulo di secrezioni tracheobronchiali dovrebbero essere attuati drenaggio posturale e aspirazione. Per mantenere pervie le vie aeree è spesso necessaria l’intubazione o la tracheostomia. L’atelettasia polmonare è frequente e spesso sono necessarie broncoscopia e aspirazione. Per ulteriori dettagli relativi alla terapia intensiva respiratoria v. Cap. 66. Gli antibiotici non sono consigliati se non c’è un’infezione batterica.

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HERPANGINA Malattia infettiva acuta febbrile causata da numerosi coxsackievirus di gruppo A e, talvolta, da altri enterovirus, e caratterizzata da lesioni vescicoloulcerative a livello delle mucose. L’Herpangina tende a presentarsi in epidemie, il più delle volte in lattanti e bambini, ed è caratterizzata dalla comparsa improvvisa di febbre con mal di gola, cefalea, anoressia e spesso dolore al collo, all’addome e agli arti. Nei lattanti possono comparire vomito e convulsioni. Entro 2 giorni dall’esordio compaiono, il più delle volte a livello dei pilastri tonsillari, ma anche su palato molle tonsille ugola o lingua, alcune lesioni papulo-vescicolari (raramente più di 12) piccole (12 mm di diametro) grigiastre con areola eritematosa. Nelle successive 24 h le lesioni diventano ulcere poco profonde, con diametro talvolta maggiore di 5 mm, che guariscono in 1- 5 giorni. Le complicanze sono rare e il paziente è in genere asintomatico entro il 7o giorno. All’infezione fa seguito un’immunità duratura nei confronti del ceppo infettante, ma si possono verificare altri episodi causati da altri coxsackievirus di gruppo A o da altri enterovirus. La diagnosi si basa sui sintomi e sulle caratteristiche lesioni orali. Viene confermata con l’isolamento del virus dalle lesioni o con la dimostrazione dell’aumento del titolo anticorpale specifico, ma tali esami non sono raccomandati di routine. La diagnosi differenziale comprende la stomatite erpetica (che si presenta in qualsiasi stagione ed è caratterizzata da ulcere più ampie e più persistenti), le afte ricorrenti, e le afte di Bednar (che si presentano raramente nella faringe e non sono in genere associate a sintomi sistemici). Il coxsackievirus A 10 provoca una malattia simile (faringite linfonodulare), ma le lesioni orali e faringee sono costituite da noduli rilevati biancastri o giallastri. La terapia è sintomatica.

MALATTIA MANO-PIEDE-BOCCA Malattia infettiva acuta febbrile causata da coxsackievirus A16 e caratterizzata da un’esantema vescicolare della cute e delle mucose. La malattia è più comune tra i bambini piccoli. Il decorso è simile a quello dell’erpangina, ma l’esantema vescicolare è localizzato sulla mucosa orale e sul palato, e lesioni simili compaiono sulle mani e sui piedi e talvolta nella zona perineale. La terapia è sintomatica.

PLEURODINIA EPIDEMICA (Malattia di Bornholm) Malattia infettiva febbrile causata da un coxsackievirus di gruppo B e caratterizzata da dolore epigastrico o toracico grave. La pleurodinia epidemica può presentarsi a qualsiasi età, ma è più frequente nei bambini. È caratterizzata dalla comparsa improvvisa di dolore grave, frequentemente intermittente, spesso pleuritico, all’epigastrio o a livello della parte inferiore della regione toracica anteriore con febbre e, spesso, cefalea, mal di gola, e malessere generale. Possono presentarsi dolorabilità locale, iperestesia, tumefazione muscolare e mialgie del tronco e degli arti. La malattia di solito regredisce in 2-4 giorni, ma possono verificarsi recidive entro diversi giorni e i sintomi possono continuare o ripresentarsi per diverse settimane. Fino al 5% dei casi vengono complicati da meningite asettica, orchite, e meno comunemente, pleurite e pericardite fibrinosa. La diagnosi è ovvia in corso di epidemia. Al contrario, nei casi sporadici o nelle prime fasi di un’epidemia, la malattia può essere scambiata per pneumotorace file:///F|/sito/merck/sez19/2652506.html (5 of 8)02/09/2004 2.11.37

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spontaneo, appendicite acuta, pancreatite, costocondrite, perforazione viscerale, infezione respiratoria simil influenzale o IMA. La diagnosi di laboratorio consiste nella dimostrazione di un aumento del titolo anticorpale neutralizzante specifico o nell’isolamento del virus da una coltura faringea o da una coprocoltura. La prognosi è buona nei casi non complicati, sebbene siano stati registrati alcuni casi fatali. Infezioni ripetute con un altro coxsackievirus di gruppo B sono possibili. La terapia è sintomatica.

MENINGITE ASETTICA Infiammazione meningea febbrile caratterizzata da assenza di batteri all’esame microscopico e colturale e frequentemente causata da un coxsackievirus di gruppo A o B o da un echovirus in lattanti e bambini piccoli e da virus diversi dagli enterovirus nei bambini più grandi e negli adulti. (V. Encefalite da Arbovirus nel Cap. 162 e Encefalite Virale Acuta e Meningite Asettica nel Cap. 176). La comparsa di cefalea, dolore e rigidità al collo e alla schiena, e dolori muscolari può essere improvvisa o preceduta da febbre, malessere generale, anoressia e vomito. I segni di Kernig e di Brudzinski sono solitamente positivi. I sintomi in genere scompaiono alla fine della prima sett., ma spossatezza e irritabilità possono persistere per mesi. I reperti del LCR consistono in proteinorrachia normale o lievemente aumentata, glicorrachia normale e una conta cellulare solitamente < 500/µl; i neutrofili possono essere predominanti inizialmente, ma nell’arco di 1-2 giorni divengono prevalenti i linfociti. Occasionalmente possono comparire segni encefalitici di una certa gravità. Spesso è impossibile distinguere clinicamente la meningite acuta da coxsackievirus o da echovirus dalle altre meningiti virali. Alcuni pazienti presentano diminuzione del glucoso e neutrofilia nel LCR, mimando cosi una meningite batterica. Un’eruzione petecchiale può complicare sulteriormente la diagnosi. La diagnosi viene effettuata mediante isolamento del virus da tampone faringeo, coprocoltura o coltura del LCR. La prognosi è generalmente buona, ma nel neonato può avere esito fatale. I pazienti con agammaglobulinemia possono sviluppare una meningite enterovirale cronica. Il trattamento è di supporto. Nuovi farmaci antivirali sono in corso di valutazione.

MIOCARDITE E PERICARDITE La miocardite causata da coxsackievirus di gruppo B e da alcuni echovirus si presenta nei neonati infettati dopo la nascita (miocardite neonatale) o raramente in utero. Anche una miocardite e una pericardite in bambini più grandi o in adulti può essere dovuta a coxsackievirus di gruppo B e raramente a coxsackievirus di gruppo A o a un echovirus. Nei neonati, generalmente diversi giorni dopo la nascita, compaiono improvvisamente febbre, difficoltà ad alimentarsi, faringite, tachicardia, cianosi, tachipnea e, frequentemente, soffi cardiaci ed epatomegalia. L’ECG può mostrare segni di miocardite. Contemporaneamente vi può essere interessamento di SNC, fegato, pancreas e surrene. La guarigione può aversi in alcune settimane, ma il decesso per collasso circolatorio non è raro. Nei bambini più grandi e negli adulti i sintomi e i segni sono spesso localizzati a miocardio o pericardio e la guarigione completa è la regola. La diagnosi si pone mediante l’isolamento del virus o la determinazione del titolo

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anticorpale. La PCR è stata impiegata per identificare il DNA virale in campioni bioptici. La terapia è sintomatica e prevede il riposo a letto e il controllo dell’insufficienza cardiaca e delle aritmie. I corticosteroidi non sono generalmente utili. I trattamenti diretti alla immunomodulazione (p. es, immunoglobuline EV, interleuchina 12, anticorpi monoclonali), farmaci che riducono il danno ossidativo e nuovi farmaci antivirali sono in corso di valutazione.

ESANTEMA Alcuni coxsackievirus ed echovirus possono causare esantemi epidemici (occasionalmente sporadici) particolarmente tra lattanti e bambini. L’esantema è generalmente modesto, non pruriginoso, non desquamativo ed è spesso confinato a volto, collo e torace. Talvolta è maculopapulare o morbilliforme, raramente emorragico, petecchiale o vescicolare. La febbre è frequente. Può svilupparsi una meningite asettica (v. sopra). Il decorso è di solito benigno.

MALATTIA RESPIRATORIA Gli enterovirus sono stati implicati in alcune malattie respiratorie di lattanti e bambini. La malattia respiratoria enterovirale è caratterizzata da febbre, coriza e faringite, talvolta con diarrea e vomito. Bronchiti e polmoniti interstiziali si sono occasionalmente verificate in lattanti. La terapia è sintomatica (v. Il Raffreddore Comune nel Cap. 162).

GASTROENTERITE Gli enterovirus sono stati talvolta isolati dalle feci di neonati con diarrea acuta e da pazienti immunocompromessi con diarrea protratta, ma il loro ruolo causale è discutibile. La terapia è sintomatica (v. sopra Gastroenterite Acuta Infettiva sotto Infezioni Batteriche).

CONGIUNTIVITE EMORRAGICA ACUTA Infiammazione virale della congiuntiva a comparsa improvvisa spesso accompagnata da emorragia sottocongiuntivale e solitamente causata da enterovirus 70. La congiuntivite acuta emorragica si è verificata raramente in forma epidemica negli USA, ma si ritiene probabile che la sua importazione da Africa, Asia e Messico, dove si sono verificate epidemie, aumenti progressivamente nel tempo. La malattia è caratterizzata dalla rapida comparsa di tumefazione e congestione palpebrale, dolore, abbondante lacrimazione e talvolta emorragie sottocongiuntivali e cheratite epiteliale. La malattia sistemica è rara, sebbene siano stati riportati alcuni casi di radicolomielopatia lombo-sacrale transitoria o di malattia simile a poliomielite. La guarigione è solitamente completa entro 1-2 sett. dall’esordio. La terapia è sintomatica.

CONGIUNTIVITE ACUTA NON EMORRAGICA Una congiuntivite senza manifestazioni emorragiche può essere causata da alcuni ceppi di coxsackievirus A24 e di echovirus 7. Epidemie di congiuntivite si

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sono verificate nel Sud-est asiatico e in ogni parte del mondo. L’emorragia sottocongiuntivale si verifica raramente. La guarigione completa si verifica in 12 sett. Sequele neurologiche sono molto meno comuni che con la congiuntivite emorragica acuta.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 265-10. CLASSIFICAZIONE DEGLI ENTEROVIRUS E DEI RHINOVIRUS UMANI Gruppo Enterovirus

Sottogruppo (Sierotipo) Poliovirus 1-3 Coxsackievirus A1-22, 24 Coxsackievirus B1-6 Echovirus 2-9, 11-27, 2934 Enterovirus 68-71

Rhinovirus

1-100

Adattata da G. Mandell, J. Bennet, e R. Dolin: Principles and Practice of Infectious Disease, ed.4, Churchill Living stone, 1995.

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TABELLA 265-11. SINDROMI PROVOCATE DA ENTEROVIRUS Sindrome

Sierotipi più spesso responsabili

Note

Herpangina

Virus coxsackie A2, 46, 8, 10; forse il 3 ed altri

Frequente specialmente in lattanti e bambini; caratteristiche lesioni del palato e faringee

Malattia manopiede-bocca

Virus coxsackie A16: enterovirus 71

Frequente specialmente nei bambini piccoli; esantema vescicolare spesso benigno e di breve durata

Pleurodinia epidemica

Virus coxsackie B1-6

Frequente specialmente nei bambini, ma qualsiasi gruppo di età può essere colpito

(malattia di Bornholm) Meningite asettica

Frequente specialmente in Virus coxsackie A2, 4, lattanti e bambini; decorso di 7, 9, 23 ed altri, B1-6; Poliovirus 13; Echovirus solito benigno 4, 6 e, meno frequentemente, altri

Paralisi

Poliovirus 1-3; Virus coxsackie A7 ed altri; Echovirus 4, 6, ed altri Enterovirus 71

Nella meningite asettica può verificarsi ad ogni età una lieve paresi transitoria; i bambini più piccoli generalmente presentano una malattia più lieve.

Miocardite

Virus coxsackie B1-5; Virus coxsackie A4,14,16; Echovirus 1,6,9,19

Può presentarsi a qualsiasi età; la miocardite nei lattanti ha mortalità elevata

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Manuale Merck - Tabella

Pericardite

Virus coxsackie A23, B1-5; Echovirus 1, 6, 8, 16

Può presentarsi a qualsiasi età

Esantemi: Con sola febbre

Virus coxsackie A23, Decorso generalmente B2, 3, 5; implicati anche benigno virus coxsackie A4-6, 9, 16; Echovirus 4; implicati anche Echovirus 2, 6, 9, 11, 14, 16, 18, 30

con meningite asettica

Virus coxsackie A16, 23; B4 Echovirus 4, 16; Enterovirus 71

Malattia respiratoria

Echovirus 4, 8, 11, 20, Frequente specialmente nei ed altri Virus coxsackie lattanti e nei bambini; A21, B1, 3-5; Poliovirus decorso generalmente lieve 1-3

Diarrea

Echovirus 6, 14, e 18 Probabilmente la più dimostrati essere causa importante nei reparti nei neonati; molti altri maternità e nei prematuri enterovirus sono sospettati come causa in pazienti immunocompromessi

Congiuntivite

Enterovirus 70; Virus coxsackie A24; Echovirus 7

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Decorso generalmente benigno

Epidemie di congiuntivite emorragica frequenti soprattutto con enterovirus 70; casi lievi o inapparenti possono essere più probabili nei bambini

Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. ENCEFALITE DA ARBOVIRUS Negli USA, l’encefalite equina occidentale si presenta in tutta la nazione e a tutte le età, ma la maggior parte dei casi interessa i bambini < 1 anno di età. L’encefalite equina orientale si verifica negli USA orientali, soprattutto nei bambini e nei soggetti > 55 anni e ha una mortalità maggiore dell’encefalite equina occidentale. Nei bambini < 1 anno di età entrambi i tipi tendono a provocare forme gravi di malattia, con sequele neurologiche permanenti. Epidemie di entrambi i tipi sono associate a epizoozie nei cavalli. Epidemie urbane e rurali di encefalite di St. Louis si sono verificate in tutti gli USA; con morbilità e mortalità maggiori nei gruppi di età più anziani. Il virus dell’encefalite della California è distribuito principalmente negli Stati del Centro Nord e a New York, ma colpisce soprattutto bambini nelle aree rurali o suburbane. Tranne che nelle epidemie, i reperti clinici di meningite e di encefalite raramente consentono un’identificazione specifica. I sintomi di esordio abituali sono cefalea, sonnolenza, febbre, vomito e rigidità nucale. Si possono presentare poi rapidamente tremori, confusione mentale, convulsioni e coma. Talvolta si ha anche paralisi degli arti.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI PANENCEFALITE SCLEROSANTE SUBACUTA Malattia cerebrale evolutiva, di solito fatale, che si presenta, abitualmente, da mesi ad anni dopo un episodio di morbillo ed è caratterizzata da deterioramento mentale, spasmi mioclonici e convulsioni.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia e prognosi

Eziologia e patogenesi Si ritiene che la panencefalite sclerosante subacuta (PESS) rappresenti un’infezione persistente da virus del morbillo. Il virus morbilloso è stato dimostrato nel tessuto cerebrale con il microscopio elettronico ed è stato isolato da biopsie cerebrali; è stata dimostrata la presenza dell’antigene del morbillo nel tessuto cerebrale mediante tecniche che impiegano anticorpi fluorescenti. La PESS è stata descritta in bambini che non avevano riferimento anamnestico di morbillo, ma ai quali era stato somministrato il vaccino anti-morbillo, benché qualcuno di questi casi possa essere stato il risultato di un morbillo non diagnosticato nel primo anno di vita. La PESS si verifica in circa 6-22 casi di morbillo su 1 milione. Con il vaccino l’incidenza è anche più bassa, di circa 1 caso per milione di dosi di vaccino, e alcuni casi possono essere dovuti a un morbillo non riconosciuto prima della vaccinazione. I maschi sono colpiti più frequentemente delle femmine. La malattia insorge abitualmente prima dei 20 anni di età. La PESS è estremamente rara negli USA e nell’Europa Occidentale.

Sintomi e segni La PESS causa deterioramento intellettivo, convulsioni e anomalie motorie. I primi segni sono spesso un ridotto rendimento scolastico, perdita della memoria, cambiamenti repentini dell’umore, distrazione, insonnia e allucinazioni. Le convulsioni fanno seguito alle alterazioni mentali e inizialmente sono costituite da spasmi mioclonici. Possono anche verificarsi crisi di grande male. I pazienti mostrano un ulteriore declino intellettuale, alterazioni della parola e movimenti involontari anomali. Compaiono movimenti distonici e periodi transitori di opistotono. Più tardivamente, possono comparire rigidità della muscolatura corporea, difficoltà alla deglutizione, cecità corticale e atrofia ottica. In molti pazienti si verificano corioretinite focale e altre anomalie del fundus. Nelle fasi finali, il paziente diviene progressivamente rigido, con segni intermittenti d’interessamento ipotalamico (p. es., ipertermia, sudorazione, disturbi della PA e del ritmo cardiaco).

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La malattia, quasi sempre fatale nell’arco di 1-3 anni (spesso con un quadro terminale di polmonite), presenta talvolta un decorso più protratto, con deficit neurologici pronunciati. Alcuni pazienti subiscono anche remissioni ed esacerbazioni.

Diagnosi L’EEG mostra sequenze parossistiche di 2-3 cicli/s, alto voltaggio, onde difasiche che si verificano in modo sincrono per tutto il tracciato. La TC può mostrare un’atrofia corticale o lesioni a bassa densità della sostanza bianca. Il LCR di solito ha una pressione normale e un numero di cellule e una protidorrachia normale. Le globuline del LCR sono quasi sempre marcatamente elevate potendo rappresentare il 20-60% delle proteine totali del LCR. Il siero e il LCR contengono alti livelli di anticorpi contro il virus del morbillo. Le IgG anti-morbillo aumentano con il progredire della malattia. Malgrado la risposta iperimmune contro il virus del morbillo, i pazienti affetti da PESS non producono anticorpi contro la proteina M del virione morbilloso.

Terapia e prognosi I farmaci antivirali si sono rivelati inutili. È stato riportato che l’inosiplex e l’interferone alfa intratecale rallentano la malattia, ma la loro efficacia è controversa. In genere, è possibile soltanto una terapia sintomatica con anticonvulsivanti e con misure di supporto. La maggior parte dei pazienti muore entro 2-4 anni dalla diagnosi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 176-3. CAUSE DI MENINGITE ASETTICA Infettive Batteriche: malattia di Lyme (neuroborreliosi), meningite batterica trattata parzialmente, TBC, lue Postinfettive: morbillo, rosolia, vaiolo, varicella

Non infettive Farmaci: azatioprina, carbamazepina, FANS (p.es., ibuprofene, naprossene), anticorpo monoclonale OKT3, trimetoprimsulfametossazolo

Malattia meningea: sindrome di Behçet con interessa mento Virali: varicella (varicella-zoster); neurologico, carcinomatosi virus coxsackie, encefalite equina meningea, leucemia meningea, sarcoidosi dell'Est e dell'Ovest, herpes simplex, HIV e infezioni da cytomegalovirus, epatiti infettive; Malattia parameningea: ascesso, mononucleosi; coriomeningite tumore cerebrale, sinusite o otite linfocitica; parotite; encefalite di croniche, sclerosi multipla, ictus St. Louis Veleni: piombo Miscellanea: infezioni amebiche, brucellosi, malattia del graffio di Reazioni a iniezioni intratecali: gatto, interessamento cerebrale aria, antibiotici, agenti della malattia di Whipple; chemioterapici, iofendilato e altri coccidioidomicosi, cisticercosi, mezzi di contrasto leptospirosi, linfogranuloma venereo, malaria, infezioni Reazioni vacciniche: molte, specie micoplasmatiche, rickettsia, lue, per il vaccino della pertosse, rabbia, torulosi, toxoplasmosi, trichinosi vaiolo

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI INFEZIONI DA HERPESVIRUS HERPES ZOSTER (Fuoco di S. Antonio; zona; ganglionite acuta posteriore) Infezione causata dal virus della varicella-zoster che interessa principalmente i gangli delle radici dorsali ed è caratterizzata da eruzione vescicolare e da dolore nevralgico nel dermatomero dei gangli delle radici interessate.

Sommario: Eziologia, incidenza e patologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia, incidenza e patologia L’herpes zoster è provocato dal virus varicella-zoster, lo stesso che provoca la varicella (v. Cap. 265). L’Herpes zoster si verifica quando il virus è riattivato dal suo stato latente nei gangli delle radici posteriori. Nei gangli delle radici sensitive e nella cute dei dermatomeri relativi si manifestano lesioni infiammatorie. L’infiammazione coinvolge a volte le corna posteriori e anteriori della materia grigia, le meningi e le radici dorsali e ventrali. L’herpes zoster si verifica frequentemente nei pazienti con infezione da HIV ed è più grave nei pazienti immunosoppressi.

Sintomi e segni Il dolore lungo il sito della successiva eruzione generalmente precede il rash di 23 giorni. Caratteristici grappoli di vescicole su base eritematosa, seguono poi la distribuzione cutanea di uno o più dermatomeri adiacenti. La zona interessata è spesso iperestetica e il dolore può essere grave. Le eruzioni si presentano il più delle volte nella regione toracica o lombare, a diffusione unilaterale. Le lesioni generalmente continuano a formarsi per circa 3-5 giorni. L’herpes zoster può disseminarsi ad altre regioni della cute e ad altri organi viscerali, in particolare in pazienti immunodepressi. Meno del 4% dei pazienti con herpes zoster presenta recidive; la maggior parte dei pazienti guarisce senza reliquati, ma molti, particolarmente gli anziani, presentano una nevralgia post-erpetica che può persistere per mesi o anni. Il dolore della nevralgia post-erpetica può essere puntorio e intermittente o costante e può essere invalidante. Lo zoster genicolato (sindrome di Ramsay Hunt) si ha per interessamento del ganglio genicolato. Si hanno dolore all’orecchio e paralisi facciale nel lato interessato. Si ha un’eruzione vescicolare nel canale uditivo esterno dell’orecchio e si ha la perdita del gusto nei due terzi anteriori della lingua (v. anche Herpes file:///F|/sito/merck/sez13/1621392.html (1 of 2)02/09/2004 2.11.41

Malattie virali

zoster oticus nel Cap. 85). L’herpes zoster oftalmico (v. anche Cap. 96) si ha per interessamento del ganglio di Gasser. Sono presenti dolori ed eruzione vescicolare coincidenti con il territorio di distribuzione del ramo oftalmico del 5o nervo cranico. Vescicole sulla punta del naso indicano l’interessamento del ramo nasociliare del 5o nervo e possono predire lo sviluppo di lesioni corneali. Comunque, il coinvolgimento dell’occhio può verificarsi in assenza di lesioni sulla punta del naso. Un oculista deve essere consultato per aiutare a valutare e prevenire una malattia invasiva dell’occhio.

Diagnosi È difficile porre la diagnosi in fase pre-eruttiva che può essere invece posta con facilità dopo la comparsa delle vescicole. La preparazione di Tzanck mostra cellule giganti multinucleate per il virus varicella-zoster e HSV. Può essere utile il riscontro dell’antigene da una biopsia. La diagnosi differenziale dovrà comprendere pleurite, nevralgia trigeminale, paralisi di Bell e varicella (nei bambini). Il HSV può produrre lesioni zosteriformi quasi identiche, ma a differenza dell’herpes zoster, il HSV tende a recidivare. Il virus si può distinguere in coltura e con tecniche sierologiche.

Terapia Impacchi umidi locali leniscono il dolore ma spesso si rende necessario il ricorso ad analgesici. Per i pazienti immunodepressi con herpes zoster si raccomanda l’acyclovir EV, 10 mg/kg q 8 h per 7 gg per gli adulti e 500 mg/m2 q 8 h per 7 gg per i bambini 1 anno (30 mg/kg/die in tre dosi frazionate per i bambini < 1 anno). Famciclovir orale, valacyclovir e acyclovir vengono impiegati nel trattamento dell’herpes zoster nei pazienti immunocompetenti e i dati indicano che essi possono diminuire la nevralgia post-erpetica e accelerare la guarigione. Famciclovir e valacyclovir hanno migliore biodisponibilità con il dosaggio orale rispetto all’acyclovir. Per provare a prevenire la nevralgia sono stati utilizzati i corticosteroidi, ma i dati sono controversi e tale trattamento non viene raccomandato. Il controllo della nevralgia post-erpetica può essere particolarmente difficoltoso e può includere antidepressivi triciclici. Per il trattamento dell’herpes zoster oftalmico, v. Cap. 96.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI INFEZIONI DA HERPESVIRUS INFEZIONE DA CYTOMEGALOVIRUS (Malattia da inclusione citomegalica) Varie infezioni causate da cytomegalovirus, che si verificano in maniera congenita, post-natale o ad ogni età e che vanno da un’infezione priva di sequele a una malattia che si presenta con febbre, epatite, polmonite e, nei neonati, grave danno cerebrale, morte intrauterina o perinatale. (V. anche Malattia congenita e perinatale da Cytomegalovirus in Infezioni neonatali nel Cap. 260)

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia ed epidemiologia La trasmissione del cytomegalovirus (CMV) avviene mediante sangue, fluidi corporei od organi trapiantati. L’infezione si può acquisire per via transplacentare o al momento della nascita. La malattia da inclusi citomegalici si riferisce alle inclusioni intranucleari che si trovano nelle cellule infette ingrossate. L’incidenza dell’infezione cresce gradualmente con l’età; il 60-90% degli adulti ha avuto l’infezione da CMV. Gruppi a più basso livello socio-economico tendono ad avere una prevalenza più elevata di infezione.

Sintomi e segni L’infezione congenita si può manifestare soltanto con citomegaloviruria in un bambino per altri aspetti apparentemente normale. All’altro estremo, l’infezione da CMV può provocare aborto, natimortalità o morte post-natale per emorragia, anemia o danni epatici estesi o del SNC (v. Infezione congenita e perinatale da cytomegalovirus in Infezioni neonatali nel Cap. 260). Le infezioni acquisite decorrono spesso in forma asintomatica se acquisite dopo la nascita o in seguito. Si può avere una malattia febbrile acuta, definita mononucleosi da citomegalovirus o epatite da citomegalovirus. Nei pazienti immunocompromessi il CMV rappresenta un’importante causa di morbilità e mortalità. La malattia spesso si origina da una riattivazione di un’infezione virale latente. I pazienti possono avere un coinvolgimento polmonare, dell’apparato gastrointestinale o del SNC. Nella fase terminale della AIDS, l’infezione da CMV causa comunemente retiniti e una malattia ulcerativa

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Malattie virali

del colon o dell’esofago (v. Cap. 163). Una sindrome post-perfusionale/post-trasfusionale può svilupparsi in un ospite sano da 2 a 4 sett. dopo la trasfusione con sangue contenente CMV. Essa è caratterizzata da febbre della durata di 2-3 sett., epatite di vario grado, splenomegalia e da una caratteristica linfocitosi atipica che ricorda quella della mononucleosi. La malattia generalmente assume le stesse caratteristiche della mononucleosi spontanea da CMV, sebbene sia più comune la splenomegalia.

Diagnosi Soprattutto nell’ospite immunocompromesso, il CMV si può isolare dalle urine, da altri liquidi corporei o tessuti. Il CMV, tuttavia, può essere escreto per mesi o anni dopo l’infezione senza però causare malattia attiva e una coltura positiva di CMV andrà interpretata nel contesto del particolare ospite e del modo di manifestarsi della malattia. Un esame bioptico che documenti una patologia da CMV è spesso importante per dimostrare una malattia disseminata. Tecniche promettenti per formulare una rapida diagnosi includono alcune in grado di rilevare antigeni di CMV o DNA virale. L’infezione congenita va distinta dalle infezioni batteriche, virali (p. es., rosolia) e protozoarie (p. es., toxoplasmosi). Nei bambini il modo migliore di porre la diagnosi è tramite urinocoltura. La mononucleosi da CMV deve essere differenziata dall’epatite virale, dal virus di Epstein-Barr e da altre cause di sindromi simil-mononucleosi. L’assenza di faringite e la negatività del test per gli Ac eterofili sono di ausilio nel distinguere la mononucleosi primaria da CMV dalla malattia causata dal virus di Epstein-Barr anche se la febbre e la linfocitosi atipica sono caratteristiche di entrambi le sindromi. La sieroconversione può essere dimostrata dallo sviluppo di anticorpi anti-CMV.

Terapia Il ganciclovir EV è usato nel trattamento della retinite da CMV e per la profilassi della malattia da CMV nei trapiantati a rischio per lo sviluppo della malattia da CMV. Il ganciclovir orale è usato per la prevenzione della malattia da CMV in pazienti con HIV e per la terapia di mantenimento in alcuni pazienti con retinite da CMV. Impianti oculari di ganciclovir forniscono un trattamento prolungato per la retinite, ma non costituiscono un trattamento sistemico. Anche il foscarnet e il cidofovir vengono usati nella retinite da CMV in pazienti con AIDS. Iniezioni intraoculari di ganciclovir o di foscarnet sono stati effettuati a volte, come terapia primaria di salvataggio. Nel trattamento di malattie gravi da CMV, non retinica, vengono usati farmaci anti-CMV, ma la risposta al trattamento è molto meno efficace. L’immunizzazione passiva con immuno-globuline ha avuto qualche successo nel ridurre la malattia in alcuni trapiantati CMV sieronegativi di organi (v. anche Cap. 154). Il ganciclovir più le immunoglobuline sono state usate nel trattare la polmonite in pazienti con trapianto di midollo osseo.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI INFEZIONE CONGENITA E PERINATALE DA CITOMEGALOVIRUS Infezione da citomegalovirus acquisita in epoca prenatale o perinatale. (V. anche Infezione da Citomegalovirus in Infezioni da Herpesvirus nel Cap. 162).

Sommario: Introduzione Eziologia, epidemiologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Il citomegalovirus (CMV) viene frequentemente isolato dai neonati alla nascita. Sebbene la maggior parte dei neonati che contraggono questo virus sia asintomatica, altri soffrono di una malattia che minaccia la vita e che si protrae con conseguenze gravissime a lungo termine. Molte domande riguardanti la trasmissione del CMV e i rischi per il feto restano senza risposta. Per esempio, non è definibile quando una donna con CMV primario possa concepire senza rischi. Poiché il rischio per il feto è difficilmente valutabile, le donne che contraggono un’infezione primaria da CMV durante la gravidanza devono essere avvertite. Molte istituzioni non consigliano nelle donne sane un’indagine sierologica di routine per il CMV, prima o durante la gravidanza.

Eziologia, epidemiologia e patogenesi Il CMV, un virus a DNA che appartiene alla famiglia degli Herpesviridae, ha preso il nome dalle caratteristiche grandi cellule, che contengono inclusioni intranucleari e citoplasmiche, spesso riscontrate nei prelievi istologici. Sebbene possano essere evidenziate, attraverso l’analisi di restrizione enzimatica (endonucleasi) sul DNA virale, differenze tra i CMV isolati, ci sono molte somiglianze; di conseguenza, viene riconosciuto un solo sierotipo di CMV. Come altri herpesvirus, il CMV è capace di latenza e riattivazione. Il CMV è stato isolato in vari siti compresa la saliva, l’urina, il latte materno, lo sperma, il muco cervicale, il liquido amniotico e nel sovranatante dopo centrifugazione del sangue (buffy coat). L’acquisizione del CMV in età precoce sembra essere correlato a vari fattori come basso livello socioeconomico, prolungato allattamento materno e aumento del contatto con altri bambini piccoli (p. es., asili). Si pensa anche che il CMV si trasmetta per via sessuale. L’infezione congenita da CMV, che si verifica, nella popolazione mondiale, nello 0,2-2,2% di tutti i nati vivi, si pensa che derivi dall’acquisizione transplacentare di una infezione materna primaria o ricorrente. Una malattia clinicamente evidente nel neonato si verifica molto più facilmente dopo l’esposizione a un’infezione materna primaria, in particolare nella prima metà della gravidanza. In alcuni file:///F|/sito/merck/sez19/2602345.html (1 of 3)02/09/2004 2.11.43

Patologia del neonato e del lattante

gruppi di più alto livello socioeconomico negli USA, il 50% delle donne giovani è privo di anticorpi contro il CMV, divenendo a rischio di contrarre un’infezione primaria. L’infezione perinatale da CMV è contratta per esposizione alle secrezioni cervicali infette, al latte materno o a emoderivati. Si ritiene che gli anticorpi materni abbiano funzione protettiva e che la maggior parte di questi neonati a termine sia asintomatica o non sia colpita in caso di contatto con il virus. D’altra parte, i bambini prematuri privi di anticorpi contro il CMV, che ricevono sangue sieropositivo, possono sviluppare una malattia grave. Le trasfusioni di sangue CMV-positivo possono determinare gravi infezioni o la morte in neonati pretermine figli di madri sieronegative per CMV. Devono essere compiuti degli sforzi per trasfondere questi bambini esclusivamente con sangue o derivati CMV-negativi (v. più avanti Profilassi e terapia).

Sintomi e segni Molte donne che vengono infettate dal CMV durante la gravidanza sono asintomatiche, ma qualcuna sviluppa una malattia simile alla mononucleosi. Circa il 10% dei bambini con infezione congenita da CMV sono sintomatici alla nascita; le manifestazioni comprendono ritardo di crescita intrauterino, prematurità, microcefalia, ittero, petecchie, epatosplenomegalia, calcificazioni periventricolari, corioretinite e polmonite. I bambini che acquisiscono il CMV dopo la nascita possono sviluppare polmonite, epatosplenomegalia, epatite, trombocitopenia e linfocitosi atipica.

Diagnosi La diagnosi laboratoristica di CMV viene effettuata mediante isolamento del virus o test sierologici. Un’infezione primaria materna è più frequentemente diagnosticata attraverso le prove sierologiche piuttosto che quelle colturali; una coltura positiva può essere dovuta alla riattivazione del virus. Una sieroconversione anticorpale contro il CMV, passando dalla negatività alla positività, è fortemente suggestiva di infezione. Un aumento di 4 o più volte del livello di IgG specifiche anti- CMV tra i prelievi eseguiti in uno stadio acuto e in uno di convalescenza e un tasso elevato di IgM specifiche anti-CMV in test eseguiti in laboratori affidabili, possono anche indicare una nuova infezione. Tuttavia, i risultati vanno interpretati con cautela perché le IgM possono essere prodotte durante la riattivazione, possono persistere per un lungo periodo di tempo o possono non essere evidenziate durante l’infezione primaria. Il tasso di IgG può essere misurato mediante fissazione del complemento, immunofluorescenza indiretta, emoagglutinazione, test radioimmunologico o ELISA. I livelli di IgM sono misurati con maggiore affidabilità attraverso prova radioimmunologica o ELISA. Nei neonati, la coltura virale è il principale strumento diagnostico. I prelievi colturali devono essere tenuti in frigorifero prima di essere inoculati nelle cellule fibroblastiche. Il CMV congenito può essere diagnosticato se il virus viene isolato da urine o altri liquidi corporei, prelevati entro le prime 2 sett. di vita. Dopo 2 sett., le colture positive indicano infezione perinatale o congenita. I bambini possono mantenere il CMV per diversi anni dopo entrambi i tipi di infezione. Possono essere utili un esame emocromocitometrico completo e le prove di funzionalità epatica. Devono essere praticati anche l’esame radiologico del cranio del bambino e un controllo oftalmologico. L’infezione congenita sintomatica da CMV deve essere distinta dalle altre file:///F|/sito/merck/sez19/2602345.html (2 of 3)02/09/2004 2.11.43

Patologia del neonato e del lattante

infezioni congenite comprendenti la toxoplasmosi, la rosolia, l’herpes simplex e la sifilide. I neonati sintomatici hanno un tasso di mortalità fino al 30% e il 70-90% dei sopravvissuti presenta deficit neurologici, come perdita dell’udito, ritardo mentale e disturbi visivi. Inoltre, anche il 10% dei bambini asintomatici sviluppa alla fine sequele neurologiche. Poiché i difetti uditivi sono un problema, è necessario uno stretto monitoraggio dopo il periodo neonatale.

Profilassi e terapia Sebbene il CMV sia presente ovunque e la sua riattivazione sia consueta, la donna gravida, non immunizzata può avere la possibilità di limitare la sua esposizione al virus. Per esempio, poiché l’infezione da CMV è comune nei bambini che frequentano gli asili, le donne in gravidanza devono sempre lavarsi le mani a fondo dopo l’esposizione all’urina e all’espettorato di tali bambini. Una malattia perinatale da CMV dovuta a trasfusione può essere evitata mediante la somministrazione ai bambini pretermine sieronegativi di prodotti ricavati da donatori CMV sieronegativi o prodotti che sono stati trattati e resi non infettivi. È in via di ricerca lo sviluppo di un vaccino contro il CMV. Non è a disposizione nessuna terapia specifica per le infezioni congenite o perinatali da CMV. È stato dimostrato che il ganciclovir riduce la diffusione virale nei bambini con infezione congenita da CMV. Tuttavia, quando si interrompe la terapia, il virus si diffonde nuovamente. Perciò è ancora incerto il suo ruolo nella terapia dei bambini con infezioni congenite da CMV.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE RABBIA (Idrofobia) Malattia infettiva acuta dei mammiferi, specialmente dei carnivori, caratterizzata da manifestazioni patologiche a carico del SNC che portano a paralisi e morte.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Patologia Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Profilassi Prognosi e terapia

Eziologia ed epidemiologia La rabbia è causata da un virus neurotropo spesso presente nella saliva degli animali rabidi. I virus della rabbia isolati da specie animali differenti e in parti diverse del mondo sono tra loro distinti. Gli animali rabidi trasmettono l’infezione tramite morsicature inferte ad altri animali o all’uomo. La rabbia si trasmette raramente dalla saliva infetta a una mucosa o a un’abrasione cutanea. Si sono avuti rari casi di infezioni respiratorie dopo esposizione nel laboratorio ed esposizione all’aria di una caverna infestata da pipistrelli. I cani rabidi rappresentano ancora il rischio più alto per l’uomo su scala mondiale di contrarre la rabbia. Nei cani l’infezione è prevalente in America Latina, Africa e Asia. Negli USA, dove la vaccinazione ha notevolmente ridotto la rabbia canina, i morsi di animali selvatici infetti in particolare di pipistrelli, hanno provocato la maggior parte dei rari casi di rabbia umana dal 1960. I cani rabidi possono avere o la rabbia furiosa, caratterizzata da agitazione e malvagità, seguite da paralisi e morte; oppure la rabbia muta, in cui predominano i sintomi paralitici. Gli animali selvatici rabidi possono avere un comportamento "furioso", ma sono più comuni cambiamenti meno ovvi del comportamento (attività diurna di animali normalmente notturni come pipistrelli, puzzole e volpi; mancanza del normale timore per l’uomo).

Patologia Il virus viaggia dalla sede di ingresso lungo i nervi periferici fino al midollo spinale e al cervello, in cui si moltiplica; esso prosegue attraverso i nervi efferenti verso

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Malattie virali

le ghiandole salivari e compare nella saliva. L’autopsia (post-mortem) mostra un intasamento vasale con emorragie puntiformi nelle meningi e nel cervello; l’esame microscopico mostra raccolte perivascolari di linfociti con distruzione minima delle cellule nervose. Corpi inclusi intracitoplasmatici (corpi di Negri), solitamente nel corno di Ammone, sono patognomonici della rabbia, anche se non sono sempre presenti.

Sintomi e segni Nell’uomo, il periodo di incubazione va da 10 gg a > 1 anno e in media 30-50 gg. Tempi di incubazione più lunghi possono verificarsi nei casi di infezione da ceppi di virus della rabbia provenienti da fuori gli USA; i periodi di incubazione più brevi si hanno nei pazienti che hanno subito morsicature estese o morsi sul capo o sul tronco. La rabbia di solito inizia con un breve periodo di depressione, irrequietezza, malessere generale e febbre. L’irrequietezza aumenta fino a un eccitamento incontrollabile con salivazione eccessiva e spasmi dolorosi dei muscoli laringei e faringei. Tali spasmi, che sono provocati dall’irritabilità riflessa dei centri della deglutizione e della respirazione, sono scatenati facilmente (p. es., da una lieve brezza o da un tentativo di bere acqua. In definitiva, il paziente non può bere, sebbene abbia molta sete (di qui il termine "idrofobia"). Dopo la morsicatura può esserci una fase isterica di paura che può dare l’impressione della rabbia, ma i sintomi scompaiono di regola prontamente una volta che il paziente venga tranquillizzato e rassicurato che non c’è nessun pericolo immediato e che si può intervenire contro la rabbia.

Diagnosi Il test degli Ac fluorescenti e l’isolamento del virus hanno sostituito, quali metodi diagnostici preferiti, l’esame del cervello dell’animale, in cui si ricercano i corpi del Negri. Un cane o un gatto asintomatici che mordano un uomo devono, quando possibile, essere isolati e osservati da un veterinario per 10 gg. Se l’animale resta in buona salute, si può concludere con sicurezza che esso non era contagioso al momento del morso. Qualora l’animale responsabile sia visibilmente rabbioso o sia un animale selvatico, deve essere abbattuto e il suo cervello deve essere immediatamente sottoposto ad analisi di laboratorio, poiché tutte le volte che un animale morde, per evitare la terapia nell’uomo si deve dimostrare che non è infetto. La diagnosi viene indicata da un’anamnesi di un morso (raramente assente) di un animale capace di trasmettere la malattia e confermata dai test virali una volta che i sintomi caratteristici abbiano fatto la loro comparsa. La rabbia va presa in considerazione quale diagnosi possibile nei pazienti con grave e progressiva encefalite o con paralisi ascendente con encefalite. Quest’ultima forma si presenta nei casi di rabbia umana, più spesso dopo l’esposizione a pipistrelli rabbiosi.

Prevenzione Per la prevenzione e il controllo i cani devono essere isolati e i cani randagi devono essere catturati e tenuti nei canili. Immunizzando 70% o più della popolazione canina si è riusciti a ridurre la trasmissione della malattia in modo efficace, anche in zone in cui la rabbia è endemica negli animali selvatici. Controllare la rabbia nei serbatoi selvatici è difficile, tuttavia gli sforzi compiuti per vaccinare le volpi selvatiche e i procioni si sono mostrati promettenti.

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Malattie virali

Profilassi Post-esposizione: se immediatamente dopo l’esposizione viene messa in atto un’accurata profilassi locale e sistemica, nell’uomo la rabbia si verifica raramente. La terapia locale delle ferite può essere la misura preventiva più importante. L’area contaminata deve essere immediatamente e accuratamente pulita con acqua e sapone o benzalcon cloruro. Le punture profonde vanno irrorate con acqua saponata utilizzando un catetere. Cauterizzare o suturare la ferita è invece un provvedimento non consigliato. La profilassi post-esposizione (v. Tab. 162-5) va messa in atto immediatamente se l’animale è rabido o accusa rabbia durante l’isolamento oppure se è un animale domestico che non si sia potuto tenere in osservazione o si comportava in maniera insolita o se il suo morso non è stato causato dalla reazione a una provocazione e se la rabbia è presente nella zona. La migliore profilassi post-esposizione è data dalla somministrazione di immunoglobuline antirabbia (RIG) per l’immunizzazione passiva seguite dal vaccino antirabico umano da cellule diploidi (HDCV) o dal vaccino antirabico assorbito (RVA) per l’immunizzazione attiva. I prodotti per l’immunizzazione sia passiva che attiva devono essere usati contemporaneamente all’inizio della profilassi post-esposizione, ma mai somministrati nella stessa sede anatomica. L’HDCV produce una risposta immunitaria superiore e minori reazioni indesiderate rispetto ai vaccini precedenti. Il vaccino RVA presenta vantaggi simili e si somministra generalmente con gli stessi modi e dosaggi del vaccino HDCV ma non va somministrato per via intradermica. Le RIG si somministrano soltanto alla dose raccomandata di 20 UI/kg; intorno al sito del morso deve essere infiltrata una quantità più elevata possibile di RIG; ogni rimanente quota di RIG deve essere somministrata IM a un sito distante dall’inoculazione del vaccino. Il vaccino HDVC o RVA viene somministrato in una serie di cinque iniezioni da 1 ml IM (l’area deltoidea è quella preferita), cominciando dal giorno dell’esposizione e proseguendo con iniezioni ai gg 3, 7, 14 e 28. L’esame sierologico di routine non è raccomandato, poiché la risposta anticorpale risulta soddisfacente dopo tale dosaggio, a meno che non si ritenga che il paziente abbia una forma di immunosoppressione causata da malattia o da farmaci. L’OMS raccomanda di somministrare inoltre una 6a iniezione a 90 gg dalla prima. Reazioni locali nella sede di iniezione sono solitamente di lieve entità, mentre quelle sistemiche si associano raramente all’immunizzazione primaria. Non bisogna mai interrompere la profilassi a causa di effetti collaterali minori, che si possono curare con antiistaminici, con antiinfiammatori e con farmaci antipiretici; per le reazioni gravi o neuroparalitiche prima di procedere all’interruzione della vaccinazione bisogna valutare il rischio di sviluppare la rabbia. In tali casi la verifica del titolo di Ac antirabici nel siero può fornire informazioni essenziali. Tra gli animali selvatici, pipistrelli, volpi, puzzole e altri carnivori sono particolarmente sospetti e, a meno che non si provi mediante l’esame istopatologico del cervello che essi sono indenni, i loro morsi richiedono di solito una terapia antirabica. Di rado si trovano conigli e roditori (compresi scoiattoli, ratti e topi) infetti e quasi mai il loro morso giustifica la terapia. Per problemi particolari si può richiedere l’assistenza dei Centers for Disease Control di Atlanta, Georgia, 30333, USA. (In Italia si può ricorrere all’Istituto Superiore di Sanità, ai centri universitari di controllo antirabico, ai dispensari antirabici regionali o provinciali e ai centri di pronto soccorso ospedalieri, n.d.t.) Pre-esposizione: in considerazione della relativa sicurezza del HDVC e del RVA la vaccinazione profilattica è giustificata nei soggetti ad alto rischio di esposizione ad animali rabidi, inclusi veterinari, addetti agli animali, speleologi, tecnici di laboratorio che manipolano tessuti infettati dal virus della rabbia e coloro che risiedono a lungo (> 30 gg) nei paesi in via di sviluppo nei quali è diffusa la rabbia canina. Il HDCV si somministra nella regione del muscolo deltoide, con una serie di tre iniezioni intradermiche da 0,1 ml, la 2a iniezione 7 gg dopo e la 3a a 23 sett. di distanza. Le persone sottoposte alla vaccinazione con RVA o quelle che hanno assunto clorochina per la profilassi della malaria 30 gg prima o durante il protocollo di vaccinazione, richiedono iniezioni IM da 1 ml. Non è richiesto testare il titolo di anticorpi dopo questi schemi, ma i soggetti che continuano ad avere un

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alto rischio di esposizione devono essere sottoposti a determinazione del titolo anticorpale a due anni di intervallo; una dose di richiamo di HDCV viene somministrata se il titolo è inadeguato. Nel 5% circa dei pazienti cui si praticano richiami si verificano reazioni di ipersensibilità. Una persona immunizzata in precedenza (regime post-esposizione o pre-esposizione) morsa da un animale rabido deve sottoporsi a due iniezioni IM da 1 ml, una subito e una dopo 3 gg. Non si pratica l’immunizzazione passiva. La vaccinazione pre-esposizione fornisce una maggiore protezione e riduce il regime post-esposizione ma non elimina la necessità di una tempestiva profilassi post-esposizione.

Prognosi e terapia Entro 3-10-giorni dall’insorgenza dei sintomi si verificano morte da asfissia, esaurimento o paralisi generalizzata. Tuttavia si è verificata la guarigione di un paziente dopo una terapia di supporto aggressiva e vigorosa per controllare i sintomi respiratori, circolatori e del SNC. Se si manifesta la rabbia, la terapia è sintomatica. Si deve fare ricorso all’assistenza di esperti.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 162-5. PROFILASSI ANTIRABICA IN SEGUITO A ESPOSIZIONE Tipo di animale

Stato dell’animale e sua disponibilità

Profilassi dopo esposizione*

In buona salute e sotto osservazione per 10 gg

Non cominciare il trattamento a meno che l’animale sviluppi una sintomatologia indicativa di rabbia

Rabido o sospetto tale

Vaccinazione immediata

Ignoto (fuggito)

Consultare le autorità sanitarie

Moffetta, volpe, pipistrello§, procione, e altri carnivori selvatici; picchi

Da considerarsi rabido a meno che la regione sia considerata senza rabbia o fino alla negatività dei test dell’animale||

Vaccinazione immediata

Bestiame, roditori e lagomorfi (conigli e lepri)

Da considerare caso per caso

Consultare le autorità sanitarie. I morsi di scoiattoli, hamsters, cavie, ratti, topi, altri roditori, conigli e lepri quasi mai richiedono una terapia antirabica

Cane, gatto

*Pulire le morsicature con acqua e sapone. †Iniziare a somministrare immunoglobuline antirabiche (RIG) e un vaccino a cellule diploidi umane (HDCV) o vaccino antirabico assorbito (RVA) ai primi segni di rabbia nel cane o nel gatto aggressore durante il periodo di osservazione (10 gg). L'animale sintomatico deve essere abbattuto e testato. ‡Qualora a livello locale non sia possibile consultare un esperto, ma sia comunque sospettata la rabbia in cani o gatti, eseg uire immediatamente il vaccino. §Poiché

l’identificazione dei morsi di pipistrello non è facile, la profilassi in seguito a esposizione è raccomandata anche per le persone che non hanno la certezza di essere state morse, come chi, svegliandosi, si accorge della presenza di un pipistrello nella stanza o come bambini entrati in contatto con questi animali.

||L'animale

deve essere abbattuto e testato appena possibile. Non è consigliabile lasciar passare del tempo prima di compiere l’osservazione. Sospendere il vaccino se i test con anticorpi fluorescenti sugli animali abbattuti al momento dell'attacco sono risultati negativi. Adattata da "Rabies Prevention-United States, 1991: "Recommendations of the Immunization Practices Advisory Commit tee (ACIP)."Morbidity and Mortality Weekly Report 40 (RR-3):1-19, 1991.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE INFEZIONI DA VIRUS LENTI Infezioni virali caratterizzate da lunghe incubazioni o da un decorso prolungato della malattia. (V. anche Panencefalite subacuta sclerosante e Panencefalite sclerosante da rosolia nel Cap. 265.) Si tratta di infezioni virali lente o croniche che si manifestano con malattia neurologica cronica, causate da virus convenzionali (retrovirus, papovavirus) e da prioni (agenti non convenzionali dell’encefalopatia trasmissibile spongiforme). In queste malattie progressive a lento sviluppo, le manifestazioni cliniche iniziano da mesi ad anni dopo l’iniziale esposizione.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE INFEZIONE DA VIRUS LENTI LEUCOENCEFALOPATIA MULTIFOCALE PROGRESSIVA Disordine progressivo subacuto, demielinizzante del SNC che generalmente si verifica come infezione opportunistica in pazienti con una sottostante depressione dell’immunità cellulo-mediata.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia La leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) è ritenuta essere causata dalla riattivazione del virus JC, un papovavirus umano. Esso è associato ad alterazioni del sistema reticolo-endoteliale, come leucemia e linfomi, ma può presentarsi in qualsiasi condizione che comporti una concomitante depressione dell’immunità cellulo-mediata (p. es., AIDS, sindrome di Wiskott-Aldrich, trapianti d’organo). Oggi, la PML è osservata molto spesso come una complicanza della AIDS. (Al momento, il 4% dei pazienti con AIDS è affetto da tale condizione.) Alcuni casi si sono riscontrati in pazienti senza alterazioni immunologiche evidenti.

Sintomi, segni e diagnosi L’esordio può essere subacuto o graduale, ma il decorso è progressivo in modo uniforme. La durata della malattia dall’esordio dei sintomi fino alla morte è di solito di 1-9 mesi. I segni neurologici riflettono sia un interessamento focale che diffuso degli emisferi cerebrali. L’interessamento del tratto piramidale che si manifesta con emiparesi è il reperto più frequente. Altri reperti frequenti sono afasia, disartria ed emianopsia. Possono essere presenti alterazioni sensitive, cerebellari e del midollo allungato. Con la multifocalizzazione dell’interessamento focale, la malattia può apparire diffusa con compromissione intellettiva progressiva di varia gravità nei 2/3 dei pazienti. Raramente si ha una mielite trasversa completa o incompleta. Cefalee e convulsioni sono rare. Tuttavia, questi sintomi sono stati riportati più frequentemente in pazienti con AIDS. I dati della RMN e della TC rivelano lesioni unilaterali o bilaterali, singole o multiple nella materia bianca. Alla TC, si osservano lesioni senza rinforzo a bassa densità che non prendono contrasto. La RMN rivela un aumentato segnale di intensità nelle immagini T-2 pesate e immagini aumentate in T-1 nel 10-15% dei casi. Le analisi del LCR risultano di solito nella norma. L’EEG mostra solitamente anomalie diffuse e focali che corrispondono alla patologia asimmetrica sottostante, ma tali reperti non sono patognomonici della malattia. Le analisi sierologiche non confermano la diagnosi, poiché i 2/3 di una file:///F|/sito/merck/sez13/1621398a.html (1 of 2)02/09/2004 2.11.46

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popolazione normale possiede già Ac contro il virus JC e le anomalie immunologiche presenti nella maggior parte dei pazienti affetti da PML rendono i test sierologici poco affidabili. Tecniche più nuove di reazione polimerasica a catena consentono di riscontrare una singola copia di JC DNA virale in 50 µl di LCR. Se necessario, una diagnosi definitiva può essere effettuata mediante biopsia stereotassica. Comunque, questa procedura non è raccomandata fatto salvo nei casi in cui la RMN o la TC indicano un tipo di lesione inusuale. La diagnosi è confermata mediante identificazione del virus JC nel tessuto cerebrale, usando colorazione con Ac immunofluorescenti o con agglutinazione al microscopio elettronico.

Terapia Dati aneddotici hanno mostrato risposte terapeutiche positive con la citosina e l’adenina arabinoside, ma uno studio controllato condotto su pazienti con AIDS non ha mostrato alcun beneficio. Recentemente, sono stati riportati almeno due casi in pazienti con AIDS migliorati dopo terapia con alte dosi di zidovudina. In questi casi, l’aspettativa di vita è aumentata di 2 anni.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE MALATTIE DA PRIONI (Encefalopatie spongiformi trasmissibili) Malattie caratterizzate, dal punto di vista istopatologico, da modificazioni a carattere spongiforme (vacuoli nei neuroni e nella glia) nel cervello.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Quattro encefalopatie umane spongiformi sono individuate come diverse entità patologiche: malattia di Creutzfeldt-Jakob, kuru, malattia di Gerstmann-SträusslerScheinker e insonnia fatale familiare. Attualmente, si ritiene che le encefalopatie spongiformi, in passato considerate malattie virali lente, siano causate da un prione.

Diagnosi e terapia La diagnosi precoce è difficoltosa. La maggior parte dei casi si presenta con manifestazioni simili ad altre malattie (p. es., malattia di Alzheimer) e test iniziali sono più utili nel differenziare queste malattie che nel diagnosticare un’encefalopatia spongiforme. Appena la malattia progredisce, alcuni test diventano maggiormente diagnostici. Per esempio l’EEG può essere all’inizio normale, ma successivamente mostra una disorganizzazione locale o generalizzata che progredisce in un quadro caratteristico di parossismi di onde aguzze o di punte contro un fondo lento oppure, in alcuni casi, in un quadro di soppressione rapida dell’attività a basso voltaggio. Una TC cerebrale può mostrare atrofia cerebrale e cerebellare, ma è solitamente normale. La RMN mostra un’atrofia corticale senza cambiamenti della materia bianca. In un paziente affetto da demenza rapidamente progressiva e comparsa in età medio-adulta, bisognerà prendere in esame la malattia di Creutzfeldt-Jakob, specialmente se coesiste epilessia mioclonica. La malattia di GerstmannSträussler-Scheinker va presa in considerazione se c’è una storia familiare e se il paziente ha 40 anni di età. L’insonnia fatale familiare deve essere considerata se c’è una storia familiare e se il paziente si presenta con disturbi del sonno. Per le forme familiari (malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker, insonnia fatale, familiare), test genetici possono confermare la diagnosi. Variazioni patologiche sono riscontrate in tutte le forme di encefalopatie spongiformi, ma la distribuzione delle aree colpite nel cervello varia a seconda delle differenti malattie. I pazienti con kuru e malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker presentano più placche del kuru (amiloide) e meno variazioni spongiformi di quelli con malattia di Creutzfeldt-Jakob e insonnia fatale familiare. Le placche di amiloide possono essere distinte da quelle della malattia di Alzheimer per il fatto che esse non reagiscono con proteine anti-β A4. Perciò la diagnosi può essere file:///F|/sito/merck/sez13/1621399.html (1 of 2)02/09/2004 2.11.47

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confermata tramite una biopsia cerebrale con reperto delle tipiche alterazioni vacuolari spongiformi e delle proliferazioni astrocitiche nel tessuto cerebrale. La terapia è sintomatica. Ciascuna di queste malattie è inevitabilmente fatale.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE MALATTIE DA PRIONI MALATTIA DI CREUTZFELDT-JACOB Malattia lenta, progressiva del SNC, caratterizzata da ingravescente demenza e da attacchi mioclonici, che possono essere sia sporadici che familiari.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e prognosi Prevenzione

Eziologia ed epidemiologia Sebbene la malattia si presenti in tutte le parti del mondo, si conosce assai poco delle modalità di trasmissione. Essa generalmente colpisce adulti dell’età di 4065 anni. La trasmissione interumana si è verificata inavvertitamente come risultato di alcune procedure mediche come durante i trapianti di cornea e di dura madre proveniente da cadaveri, forse durante i trapianti di fegato, con le emotrasfusioni e per il trattamento durante l’infanzia con l’ormone della crescita proveniente da ghiandole ipofisarie proveniente da cadaveri e mediante l’uso di elettrodi cerebrali contaminati. Sono state descritte due forme. La forma sporadica è più comune. La forma familiare è costituita da un tratto autosomico dominante ed è caratterizzata da un’età più precoce di esordio e da una più lunga durata della malattia. La malattia si presenta soprattutto negli adulti, con un picco di incidenza nell’ultima parte della 5o decennio di vita. L’agente infettivo può essere isolato dal tessuto nervoso e dal LCR. Esso è simile all’agente che provoca lo "scrapie" delle pecore. La malattia è stata trasmessa in via sperimentale. La recente epidemia in Gran Bretagna di encefalopatia spongiforme bovina (malattia della mucca pazza) è ritenuta essere originata da mangimi ottenuti dalle carcasse di pecore morte o abbattute in quanto affette da scrapie. Recenti casi di malattia simile alla Creutzfeldt-Jakob nell’uomo sono state associate all’ingestione o al contatto con carne di manzo proveniente da bestiame infetto da encefalopatia spongiforme bovina. In questi casi la presentazione era anomala e consisteva in un’età molto precoce all’esordio seguita da una lenta progressione e da un più lungo decorso di malattia (in media, anni rispetto a mesi). Le manifestazioni, il decorso e i reperti istopatologici, in questi casi sono molto simili a quelli del kuru. Una definita correlazione tra carne di manzo contaminata e malattia nell’uomo non è stata effettuata.

Sintomi, segni e prognosi Solitamente l’insorgenza della malattia di Creutzfeldt-Jakob è graduale, presentandosi con una perdita di memoria che progredisce in settimane e mesi.

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Comunque, nel 10-20% dei casi, l’esordio si verifica nell’arco di giorni con scarsa o assente fase prodromica. In questi casi, il primo sintomo è generalmente un episodio di vertigine, visione offuscata o diplopia che rapidamente peggiora nell’arco di giorni. In entrambi i tipi di esordio, l’episodio iniziale è seguito da progressivi deficit mentali e quasi sempre conduce a una demenza globale, comunemente evidenziata da scarsa cura di sé, apatia o irritabilità. Alcuni pazienti lamentano affaticabilità frequente, sonnolenza, insonnia oppure altri disturbi del sonno. Possono essere presenti altre anomalie delle funzioni corticali elevate (p. es., afasia, aprassia, dislessia, disgrafia, agnosia, disorientamento destro-sinistro e noncuranza unilaterale). Un mioclono provocato spesso da stimoli sensitivi appare di solito entro i primi 6 mesi. Si hanno anche disturbi cerebellari; è comune l’interessamento del tratto corticospinale, come dimostrato dai riflessi plantari estensori, dai cloni e dall’iperreflessia. In alcuni casi, è prevalente l’interessamento delle cellule delle corna anteriori, con atrofia muscolare e fascicolazioni. Possono presentarsi segni di interessamento dei nuclei della base, come ipocinesia, posture distoniche, rigidità "a ruota dentata", tremore e movimenti coreo-atetosici. In alcuni casi si sono notate paralisi di nervi cranici. Sono frequenti i disturbi oculari con difetti di campo visivo, diplopia, diminuzione od offuscamento della visione e agnosia visiva. La morte si ha dopo 3-12 mesi di malattia, spesso per complicanze polmonari; il decorso termina 2-5 anni nel 5-10% dei pazienti.

Prevenzione Per prevenire la trasmissione, bisogna porre cautela nella manipolazione dei liquidi e degli altri materiali di pazienti con sospetta malattia di Creutzfeldt-Jakob. I metodi standard di sterilizzazione, come l’esposizione alla formalina, sono inefficaci per l’inattivazione di agenti trasmissibili. Per la sterilizzazione si raccomandano il vapore in autoclave a 132°C per 1 h o l’immersione in idrossido di sodio al 4% o in una soluzione di ipoclorito di sodio al 10% per 1 h. La cute contaminata può essere disinfettata con un’esposizione di 5-10 min all’idrossido di sodio al 4%, seguita da un completo lavaggio con acqua.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE MALATTIE DA PRIONI KURU Malattia neurologica progressiva, che si presenta principalmente negli indigeni Fore delle montagne della Nuova Guinea. Fino ai primi anni ‘60 la malattia era frequente specialmente tra le donne e i bambini, ma negli ultimi anni l’incidenza si è decisamente ridotta. Si ritiene che le infezioni iniziali siano state dovute a pratiche cannibalistiche rituali connesse con la cura dei defunti. Molte di queste pratiche sono state abbandonate e il kuru è stato ora praticamente eliminato. I pazienti mostrano alterazioni dei movimenti, ovvero anomalie cerebellari, rigidità degli arti e clono. Talvolta sono presenti movimenti atetosici e coreiformi e il paziente mostra una risposta esagerata allo spavento. È presente labilità emotiva, con scoppi patologici di risate. La demenza può essere presente nelle fasi più avanzate. In fase terminale, il paziente è in genere totalmente placido, muto e non responsivo. La morte si verifica generalmente in 3-12 mesi ed è causata da gravi ulcere da decubito o polmoniti ipostatiche. La malattia è stata trasmessa sperimentalmente.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE MALATTIE DA PRIONI MALATTIA DI GERSTMANN-STRÄUSSLER-SCHEINKER Malattia genetica lentamente progressiva che è trasmessa con un tratto autosomico dominante. Simile alla malattia di Creutzfeldt-Jakob, è trasmissibile ad animali da esperimento. La malattia è riscontrata ovunque; ad ogni modo, l’incidenza è di circa 100 volte inferiore rispetto alla malattia di Creutzfeldt-Jakob. Un ‘altra differenza con la malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker è rappresentata dal fatto che ha un’età di esordio più precoce (40 anziché 60 anni) e una più lunga durata media di malattia (5 anni anziché 9 mesi). I pazienti presentano una degenerazione spinocerebellare o una degenerazione olivo ponto cerebellare, con un’atassia cerebellare che si verifica precocemente. Il mioclono è molto meno comune. La malattia progredisce verso un’atassia degli arti, disartria, nistagmo, demenza, parkinsonismo, sordità, cecità e paralisi dello sguardo. Infine si ha una compromissione del tratto corticospinale.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE VIRALI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE MALATTIE DA PRIONI INSONNIA FATALE FAMILIARE Malattia genetica rapidamente progressiva, trasmessa con un tratto autosomico dominante. Questa malattia molto rara è associata con una proteina prionica (PrP) e si presenta con le stesse alterazioni della malattia di Creutzfeldt-Jakob; tuttavia, l’insonnia fatale familiare è difficile da trasmettere ad animali da esperimento. Essa si verifica in bambini che sono portatori della mutazione GAC-AAC al codone 178 del gene del prione. L’età di esordio varia ampiamente dalla fine dei 30 anni agli inizi dei 60, l’età media è di 40 anni. A differenza di altre encefalopatie spongiformi, i cambiamenti della sostanza grigia sono confinate ai nuclei talamici e provocano disturbi del ritmo sonno-veglia. Negli stadi precoci della malattia, il paziente può avere difficoltà nell’addormentarsi e difficoltà motorie intermittenti. Questo stadio può durare mesi, ma alla fine progredisce nell’insonnia, nel mioclono, in iperattività simpatica e nella demenza. Il corso della malattia dura in media 13 mesi.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. Arbovirus è una definizione datata, basata su dati ecologici; i cambiamenti nella tassonomia attuale, basata su morfologia, struttura e funzione dei virus, hanno distribuito gli arbovirus tra le varie famiglie, tra le più notevoli Togaviridae, Flaviviridae, Bunyaviridae e Reoviridae. Importanti malattie sono elencate in base alla sindrome clinica nella Tab. 162-6. Gli arbovirus (arthropod-borne virus) sono > 250, almeno 80 arbovirus immunologicamente diversi provocano malattie nell’uomo. Gli arbovirus sono trasmessi tra vertebrati per la puntura di insetti, soprattutto zanzare e zecche. Gli uccelli sono spesso fonti di infezioni per le zanzare, che trasmettono poi l’infezione ai cavalli, agli altri animali domestici e all’uomo. L’uomo è un ospite terminale (cioè incidentale nel ciclo naturale e non efficiente nella perpetuazione del virus) per la maggior parte di questi virus, ma è un ospite definitivo (cioè parte del ciclo naturale e necessario per la trasmissione) nella febbre gialla urbana, nella febbre da flebotomo, nel chikungunya, nel dengue. Gli Arbovirus sono ampiamente distribuiti in tutto il mondo, a seconda della presenza degli appropriati ospiti e vettori. La ribavirina EV (soltanto la forma aerosol è attualmente disponibile negli USA) (una dose d’attacco di 2 g seguita da un dosaggio di 1 g q 6 h per 4 gg, poi 0,5 g q 8 h per 6 gg) è efficace nella febbre di Lassa, nella febbre della Rift Valley e nella febbre emorragica congo-crimeana. Per il dosaggio nella febbre emorragica con sindrome renale, v. oltre. La terapia per la maggior parte delle infezioni da arbovirus è di tipo sintomatico, come nelle altre encefaliti virali (v. Cap. 176). Gli arbovirus causano tre sindromi (meningite asettica ed encefalite, artralgiaartrite e malattia emorragica), malattie febbrili aspecifiche minori e, il più delle volte, infezioni asintomatiche.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. FEBBRE GIALLA Infezione acuta da Flavivirus di varia gravità, caratterizzata da esordio improvviso, febbre, bradicardia e cefalea.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e profilassi Terapia

Eziologia ed epidemiologia La febbre gialla si manifesta in due forme. Il virus della febbre gialla urbana si trasmette mediante la puntura della zanzara Aedes aegypti infettata 2 sett. prima per aver punto un paziente viremico. Nella febbre gialla della giungla (silvestre) il virus si trasmette mediante la zanzara Haemogagus e altre zanzare della foresta che acquisiscono il virus dai primati selvatici. La febbre gialla è endemica nell’Africa centrale e in alcune aree dell’America centrale e meridionale.

Sintomi e segni I casi sono classificati come latenti ( 48 ore di febbre e cefalea), lievi, moderatamente gravi e maligni. Il periodo di incubazione dura 3-6 gg. I sintomi prodromici sono di regola assenti. L’esordio è improvviso, con febbre di 39-40°C. La frequenza cardiaca, spesso rapida all’inizio, diviene rallentata al 2o giorno in rapporto alla febbre presente (segno di Faget). Il volto è arrossato e gli occhi sono iniettati; i margini della lingua sono rossi e il centro è peloso. Sintomi comuni sono nausea, vomito, costipazione, cefalea, dolori muscolari (specialmente a collo, schiena e gambe), grave prostrazione, irrequietezza e irritabilità. Nei casi lievi, la malattia si ferma a questo stadio dopo 1-3 gg. Nei casi moderatamente gravi e maligni, la febbre si risolve improvvisamente da 2 a 5 gg dopo l’esordio, con una remissione di diverse ore o gg. La febbre ricompare, ma la frequenza cardiaca resta lenta. Appare la caratteristica triade: ittero, albuminuria marcata e dolore epigastrico con ematemesi. Possono presentarsi anche oliguria o anuria, oltre che petecchie ed emorragie mucose. Il paziente è obnubilato, confuso e apatico. Nei casi maligni si presentano delirio, convulsioni e coma. I casi moderatamente gravi possono durare da 3 giorni a > 1 sett.; il periodo di convalescenza è abitualmente breve, tranne che nei casi più gravi. Non sono note sequele.

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Malattie virali

Diagnosi L’albuminuria si presenta nel 90% dei pazienti spesso al 3o giorno e può raggiungere nei casi più gravi i 20 g/l. La conta dei GB, regolarmente bassa, scende a 1500-2500/µl al 5o giorno; in fase terminale può presentarsi leucocitosi. La patogenesi dell’emorragia è multipla: sintesi ridotta dei fattori della coagulazione dipendenti dalla vitamina K, secondaria alla malattia epatica, coagulazione intravascolare disseminata e funzione piastrinica alterata. Sono comuni una trombocitopenia e un prolungamento dei tempi di coagulazione e di protrombina. Nei casi meno acuti, alcuni di questi dati di laboratorio possono non verificarsi. I livelli della bilirubina del siero sono lievemente aumentati. La diagnosi viene confermata dall’isolamento del virus dal sangue, da un titolo anticorpale in aumento o, all’autopsia, dalla caratteristica necrosi delle cellule epatiche nella zona intermedia del lobulo. L’agobiopsia del fegato durante la malattia è controindicata per il rischio di emorragie.

Prognosi e profilassi Fino al 10% dei pazienti con malattia clinicamente diagnosticata muore, ma la mortalità generale è in realtà più bassa, poiché molte infezioni lievi o inapparenti restano non diagnosticate. L’immunizzazione attiva con il ceppo 17 D del virus della febbre gialla, un vaccino vivo attenuato (0,5 ml SC q 10 anni), previene con efficacia le epidemie e anche i casi sporadici. Negli USA il vaccino è somministrato soltanto presso centri vaccinali pubblici autorizzati (lo stesso avviene in Italia n.d.t.). I requisiti per la vaccinazione variano a seconda della nazione, informazioni attuali e indirizzi dei centri di vaccinazione si possono ottenere dai servizi sanitari statali e locali. (In Italia tali informazioni si possono ottenere dall’Ufficio Quarantenario del Ministero della Sanità di Roma o dagli uffici periferici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera n.d.t.) Per impedire un’ulteriore trasmissione nelle zanzare, bisogna isolare i pazienti in stanze ben schermate e irrorate con insetticidi ad attività residua. Poiché può esserci trasmissione dell’infezione per incidenti di laboratorio, il personale ospedaliero e di laboratorio deve porre la massima cura nell’evitare l’autoinoculazione con il sangue del paziente. L’eradicazione della febbre gialla urbana richiede un controllo allargato delle zanzare e un’immunizzazione di massa. Durante le epidemie silvestri, bisogna interrompere il lavoro nella zona e procedere a vaccinazioni e a campagne antizanzare.

Terapia La terapia di supporto è diretta ad alleviare i sintomi principali. Importanti sono l’assoluto riposo a letto e l’assistenza infermieristica. Imperativa è la correzione dello squilibrio idro-elettrolitico (v. Cap. 12). La tendenza alle emorragie deve essere trattata con 1 g EV di gluconato di Ca quotidianamente o bid oppure con fitonadione (v. Deficit di vitamina K, nel Cap. 3). Può rendersi necessaria l’emotrasfusione. Può essere presa in considerazione la terapia con eparina se è evidente la coagulazione intravascolare disseminata (v. in Coagulopatie Acquisite nel Cap. 131).

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Malattie virali

Nausea e vomito possono essere alleviati con 50-100 mg di dimenidrinato PO o con 50 mg IM q 4-6 h oppure con 5-10 mg di proclorperazina PO, per via parenterale o rettale q 4-6 h. La febbre si può ridurre con spugnature di acqua tiepida. L’aspirina è controindicata a causa della sua attività antipiastrinica.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE CARENZA DI VITAMINA K Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Profilassi Terapia

Vitamina K è un termine generico per i derivati del 2-metil-1,4-naftochinone che hanno un'attività coagulante. Le forme naturali presentano una catena laterale alchile in posizione 3. La vitamina K1 (fillochinone) ha una catena laterale fitile in posizione 3 ed è il solo omologo della vitamina K che si trova nelle piante. La vitamina K2 comprende una famiglia di omologhi del 2-metil-1,4-naftochinone che presentano in posizione 3 una catena laterale isoprenilica che contiene da 4 a 13 unità di metilbutadiene. Questi sono chiamati menachinoni; il suffisso (-n) indica il numero di unità di metilbutadiene nella catena laterale. I menachinoni sono sintetizzati dai batteri nel tratto intestinale e possono fornire parte del fabbisogno di vitamina K. La vitamina K è una vitamina essenziale poiché il nucleo dell'1,4-naftochinone non può essere sintetizzato nell'organismo. La vitamina K controlla la produzione epatica dei fattori della coagulazione II (protrombina), VII (proconvertina), IX (fattore Christmas, componente della tromboplastina plasmatica) e X (fattore di Stuart). Altri fattori della coagulazione dipendenti dalla vitamina K sono la proteina C, la proteina S e la proteina Z; le proteine C e S sono anticoagulanti. Sono vitamina K dipendenti anche due proteine della matrice ossea necessarie per il normale metabolismo dell'osso. Tutte queste proteine vitamina K-dipendenti contengono l'aminoacido gcarbossiglutammico e tutte partecipano a reazioni che richiedono il calcio. La vitamina K partecipa alla conversione dei residui dell'acido 10-12-glutammico presenti nei precursori delle proteine della coagulazione (p. es., i precursori della protrombina) alla loro forma attiva (p. es., la protrombina) attraverso l'aggiunta di anidride carbonica (carbossilazione; v. Fig. 3-2). Questa reazione aumenta l'affinità, essenziale a fini coagulativi, dei residui dell'acido glutammico per il calcio e modula la captazione del calcio nell'osso. La Fig. 3-3 descrive la reazione di carbossilazione e il ciclo della vitamina K, che è una via per il recupero della vitamina K. L'epossido della vitamina, cioè il prodotto della glutammil-carbossilazione della vitamina, è riciclato in vitamina K idrochinone attraverso una riduzione enzimatica. Gli anticoagulanti cumarolici non bloccano la reazione di carbossilazione, ma bloccano le due riduttasi che rigenerano la vitamina K idrochinone dall'epossido della vitamina K. La carbossilazione è inibita perché non si forma la vitamina K idrochinone, un substrato essenziale per la g-glutammil-carbossilasi. Grosse dosi di vitamina K (110 mg) possono superare il blocco cumarolico ricorrendo a un'altra riduttasi epatica per rigenerare la vitamina K idrochinone. Il fabbisogno giornaliero di vitamina K è di circa 1 mg/kg. La sua carenza causa file:///F|/sito/merck/sez01/0030044b.html (1 of 4)02/09/2004 2.11.53

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

un'ipoprotrombinemia e una riduzione della concentrazione degli altri fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti, evidenziate dai difetti della coagulazione e dalla comparsa di emorragie. Nei neonati, l'apporto di un'adeguata quantità di vitamina K è a rischio perché (1) la placenta fa passare relativamente pochi lipidi; (2) il fegato neonatale è immaturo per la sintesi di protrombina; (3) il latte materno è carente di vitamina K, contenendone solo 1-3 mg/l (il latte di mucca ne contiene 5-10 mg/l) e (4) l'intestino neonatale è sterile durante i primi giorni di vita. La malattia emorragica del neonato, causata dalla carenza di vitamina K, si verifica di solito 1-7 giorni dopo il parto e si può manifestare con emorragie cutanee, GI, intratoraciche o, nei casi peggiori, intracraniche. La malattia emorragica tardiva, che si presenta con le stesse manifestazioni cliniche, si verifica 1-3 mesi dopo il parto. Di solito è associata con il malassorbimento o con delle epatopatie. L'assunzione da parte della madre di anticonvulsivanti come l'idantoina, di antibiotici come la cefalosporina o di anticoagulanti cumarolici, aumenta il rischio per entrambi i tipi di malattia emorragica. La carenza di vitamina K nei lattanti alimentati al seno rimane dunque una delle principali cause, nel mondo, di morbilità e mortalità infantile. Negli adulti in buona salute, la carenza primaria di vitamina K è rara. Ciò dipende dal fatto che questa vitamina è diffusamente presente nelle piante e nei tessuti animali, il ciclo della vitamina K ne permette la riutilizzazione e la flora microbica dell'intestino normale sintetizza i menachinoni. Tuttavia, una carenza di vitamina K si può verificare a causa di una ridotta assunzione negli adulti che subiscono un trauma, un intervento chirurgico maggiore o sono trattati con una nutrizione parenterale a lungo termine con o senza una terapia antibiotica a largo spettro. Anche le persone affette da un'ostruzione biliare, dal malassorbimento o da un'epatopatia hanno un maggior rischio di carenza di vitamina K; quelle che assumono certi farmaci, come gli anticonvulsivanti, gli anticoagulanti, alcuni antibiotici (particolarmente le cefalosporine), i salicilati e le megadosi di vitamina A o E, sono a rischio per una malattia emorragica correlata alla vitamina K. Le persone trattate con il warfarin devono cercare di mantenere costante l'assunzione di vitamina K per evitare dei livelli fluttuanti di protrombina.

Sintomi e segni I sintomi e i segni sono causati dall'ipoprotrombinemia e dalla correlata depressione degli altri fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti. Il sanguinamento è la principale manifestazione sia nei casi dovuti a un'inadeguata assunzione alimentare che in quelli dovuti all'antagonismo della vitamina K da parte dei farmaci. Nella carenza di vitamina K è presente una facile tendenza all'ecchimosi e al sanguinamento delle mucose (specialmente l'epistassi, l'emorragia GI, la menorragia e l'ematuria). Dopo un trauma si possono verificare uno stillicidio ematico dalle sedi di puntura o di incisione e delle emorragie intracraniche pericolose per la vita nei neonati. Nell'ittero ostruttivo, l'emorragia, se sopravviene, ha inizio di solito dopo il 4o-5o giorno. Può iniziare come un lento sanguinamento da una ferita chirurgica, dalle gengive, dal naso o dalla mucosa GI, oppure può esordire come un'emorragia massiva nel tratto GI.

Esami di laboratorio La riduzione dell'attività della protrombina e degli altri fattori vitamina Kdipendenti indica una carenza di vitamina K o l'azione di un antagonista. Il tempo di protrombina (PT) e il tempo di tromboplastina parziale attivata (PTT) sono, di solito, prolungati. La fibrinogenemia, il tempo di trombina, la conta piastrinica e il tempo di sanguinamento sono normali. I livelli plasmatici di fillochinone variano da 0,2 a 1,0 ng/ml nei soggetti normali che consumano da 50 a 150 mg di fillochinone al giorno. Una riduzione dell'assunzione di vitamina K a < 50 mg/die di solito determina una riduzione dei livelli plasmatici. Tuttavia, se non si conosce l'assunzione della vitamina K, la misurazione dei livelli plasmatici è di scarsa file:///F|/sito/merck/sez01/0030044b.html (2 of 4)02/09/2004 2.11.53

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

utilità nello screening della carenza. L'indicatore più sensibile di una carenza di vitamina K è la presenza della des-gcarbossiprotrombina (DCP) nel plasma. La DCP, conosciuta anche come PIVKA (Protein Induced in Vitamin K Absence or Antagonism), può essere misurata con gli appropriati anticorpi. È assente nel plasma delle persone in buona salute.

Diagnosi La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi, dei segni e di un'anamnesi positiva per una possibile carenza di vitamina K. È confermata quando il PT e il PTT sono prolungati. Un trial terapeutico può aiutare a escludere la presenza di un'epatopatia. Se la somministrazione EV di 1 mg di fillochinone in soluzione con acidi grassi poliossietilati (anche conosciuti come fitonadione iniettabile) causa un aumento significativo dei livelli di protrombina entro 2-6 ore, l'epatopatia è improbabile. (Fitonadione è il nome generico USP per le preparazioni farmacologiche di fillochinone, sia iniettabili che orali.) Le altre malattie che possono causare sintomi emorragici, come lo scorbuto, la porpora allergica, la leucemia e la trombocitopenia, non presentano ipoprotrombinemia.

Profilassi Per i neonati, sono raccomandate dosi abituali di fitonadione di 0,5-1 mg IM per prevenire l'ipoprotrombinemia e ridurre l'incidenza delle emorragie intracraniche dovute al trauma della nascita. Questi dosaggi vengono usati come profilassi anche nella preparazione a un intervento chirurgico. In alternativa si può somministrare alla madre un dosaggio profilattico di fitonadione (2-5 mg/die PO) nella sett. prima della data presunta del parto o una soluzione di fitonadione (25 mg IM) 6-24 h prima del parto. Alle donne gravide in terapia con anticonvulsivanti si devono somministrare 20 mg/die PO di fitonadione nelle 2 sett. prima del parto per prevenire le emorragie fetali. Il basso contenuto di fillochinone del latte materno non è dovuto a una ridotta assunzione e non può essere ripristinato dall'ingestione quotidiana di vegetali freschi a foglia verde.

Terapia Il fillochinone è la preparazione di scelta ed è commercializzato sotto il nome generico di fitonadione. Può essere usato per trattare l'ipoprotrombinemia, specialmente quella causata dagli anticoagulanti derivati dalla cumarina o dall'indanedione. Il menadione sodio bisolfito non è efficace contro questi antagonisti perché la sua conversione a menachinone-4 è molto limitata (1%). Se possibile, il fitonadione deve essere somministrato SC o IM. La dose abituale per gli adulti è di 10 mg IM. Nelle emergenze devono essere somministrati da 10 a 20 mg di fitonadione iniettabile, disciolti in una soluzione glucosata al 5% o in una soluzione di NaCl allo 0,9% EV a una velocità non superiore a 1 mg/min (raramente si sono verificate delle gravi reazioni che ricordano l'ipersensibilità o l'anafilassi, inclusi lo shock e l'arresto cardiaco o respiratorio, anche quando il fitonadione era stato correttamente diluito e somministrato lentamente). Se il PT non diminuisce in modo soddisfacente, si può ripetere la dose dopo 6-8 h. Di solito, comunque, la risposta è evidente entro 1-2 h e, nella maggior parte dei casi, questa terapia è efficace entro 3-6 h. Per controllare l'ipoprotrombinemia dei pazienti in terapia con anticoagulanti è indicata una dose di mantenimento di 520 mg di fitonadione orale. Gli effetti benefici compaiono di solito entro 6-10 h.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 131. DISORDINI DELL’EMOSTASI E DELLA COAGULAZIONE Malattie caratterizzate da una tendenza al sanguinamento.

COAGULOPATIE ACQUISITE Le cause principali di coagulopatie acquisite sono la carenza di vitamina K (v. Cap. 3), l’epatopatia, la coagulazione intravascolare disseminata e lo sviluppo di anticoagulanti circolanti.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. DENGUE (Febbre-rompiossa o febbre di Dandy) Malattia acuta febbrile dall’esordio improvviso con cefalea, febbre, prostrazione, acuti dolori articolari e muscolari, linfoadenopatia ed eruzione cutanea che compare con una seconda elevazione febbrile che fa seguito a un periodo di apiressia.

Sommario: Epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Epidemiologia La dengue è endemica nelle fasce tropicali e subtropicali; dal 1969 sono state registrate epidemie nei Caraibi, compresi Portorico e le isole Vergini degli USA. Alcuni casi sono stati anche importati da turisti di ritorno da Tahiti. L’agente responsabile, un flavivirus con quattro sierogruppi distinti, si trasmette con la puntura delle zanzare della famiglia Aedes. La febbre emorragica dengue si verifica principalmente nei bambini < 10 anni che vivono dove la dengue è endemica (per lo più Asia sud orientale, Cina e Cuba) ed è caratterizzata da un esordio acuto seguito per vari gg da dolore addominale, manifestazioni emorragiche e collasso circolatorio. È anche chiamata febbre emorragica filippina, tailandese o del Sud-Est Asiatico o sindrome da shock da dengue.

Sintomi e segni Dopo un periodo di incubazione di 3-15 gg (di solito 5-8 gg) l’esordio è improvviso con brividi, cefalea, dolore retro-orbitale al movimento degli occhi, dolori lombari e grave prostrazione. Durante le prime ore di malattia sono presenti anche dolori acuti alle gambe e alle articolazioni. La febbre sale rapidamente fino a 40°C con bradicardia relativa e ipotensione. Le congiuntive bulbari e palpebrali sono iniettate, con comparsa di un arrossamento transitorio diffuso o maculare rosa-chiaro (in particolare al volto). Alla palpazione la milza si presenta soffice e leggermente ingrossata. Di solito i linfonodi cervicali, epitrocleari e inguinali sono ingrossati. file:///F|/sito/merck/sez13/1621405.html (1 of 3)02/09/2004 2.11.55

Malattie virali

La febbre e gli altri sintomi di dengue permangono per 48-96 h, seguiti da un’abbassamento rapido della temperatura, con sudorazione profusa. Ciò annuncia un periodo di apiressia con un senso di benessere della durata di circa 24 h. Fa seguito però un secondo rapido aumento della temperatura, solitamente con un picco inferiore al primo, che produce una curva di temperatura a "sella". Si conoscono casi privi del secondo periodo febbrile. Compare allo stesso tempo una caratteristica eruzione maculopapulare, che si diffonde spesso dagli arti fino a coprire l’intera superficie corporea, con l’eccezione del volto, oppure con una distribuzione a chiazze sul tronco e sugli arti. Le palme delle mani e le piante dei piedi possono essere di color rosso vivo con edema. La febbre, l’eruzione e la cefalea con le altre affezioni costituiscono la triade tipica della dengue. La mortalità nella dengue tipica è nulla. La convalescenza spesso può durare diverse settimane, caratterizzata da astenia. Un singolo attacco conferisce immunità per 1 anno. Casi di dengue con manifestazioni lievi sono atipici, di solito si presentano senza linfoadenopatia e guariscono in < 72 h. Nella febbre emorragica dengue, anche l’esordio è improvviso, con febbre e cefalea. Tuttavia, piuttosto che sviluppare una grave mialgia, linfadenopatia ed eruzioni cutanee, il bambino presenta sintomi respiratori e GI. Sono anche presenti faringite, tosse, dispnea, vomito e dolore addominale. Lo shock (sindrome da shock da dengue) si verifica 2-6 gg dopo l’esordio, con improvviso collasso e prostrazione, con estremità fredde e umide (il tronco è spesso caldo), polso filiforme e cianosi periorale. Si verifica una tendenza alle emorragie, solitamente con porpora, petecchie ed ecchimosi nel sito dell’iniezione (talvolta con ematemesi, melena o epistassi) e occasionalmente con emorragia subaracnoidale. L’epatomegalia è frequente, come lo è la broncopolmonite con o senza effusioni pleuriche bilaterali. Può essere presente miocardite. Il tasso di letalità della febbre emorragica dengue varia dal 6 al 30%; la maggior parte dei decessi si verifica nei neonati < 1 anno.

Diagnosi Nella dengue, al 2o giorno di febbre si ha leucopenia; tra il 4o-5o giorno la conta dei GB è scesa a 2000-4000/µl con appena 20-40% di granulociti. Si può riscontrare modica albuminuria e rari cilindri. La dengue può essere confusa con la febbre da zecche del Colorado, con il tifo, con la febbre gialla e con altre febbri emorragiche. Una diagnosi sierologica si può eseguire con un test di inibizione dell’emoagglutinazione e di fissazione del complemento su coppie di sieri, ma è resa difficile da reazioni crociate con altri Ac contro altri flavivirus. Nella febbre emorragica dengue, durante lo shock, è presente emoconcentrazione (Htc > 50%); la conta dei GB è elevata in 1/3 dei pazienti. Trombocitopenia (< 100000/µl), un test della pinza emostatica positivo e un tempo prolungato di protrombina sono caratteristiche indicative delle anomalie della coagulazione. Può essere presente una minima proteinuria. I livelli della AST possono risultare moderatamente aumentati. I test sierologici mostrano solitamente titoli anticorpali di fissazione del complemento elevati contro i flavivirus, che suggeriscono una risposta immunologica secondaria. L’OMS ha formulato criteri clinici per la diagnosi della febbre emorragica dengue, che è considerata un ‘emergenza medica: esordio acuto di febbre alta e continua che dura per 2-7 gg, manifestazioni emorragiche, incluso almeno un test della pinza emostatica e almeno uno dei seguenti sintomi e segni: petecchie, porpora, ecchimosi, gengive sanguinanti, ematemesi o melena; epatomegalia; trombocitopenia ( 100000/µl); o emoconcentrazione (Htc aumentati del 20%). I pazienti affetti da sindrome da shock da dengue presentano anche un polso rapido e debole con l’abbassamento della pressione ( 20 mm Hg) o ipotensione con cute fredda e umida e stato di agitazione.

Profilassi e terapia file:///F|/sito/merck/sez13/1621405.html (2 of 3)02/09/2004 2.11.55

Malattie virali

La profilassi della dengue richiede il controllo o l’eliminazione delle zanzare. Per impedire la trasmissione alle zanzare, nelle aree endemiche i pazienti vanno protetti con zanzariere fino alla scomparsa del secondo picco febbrile. La terapia della dengue è sintomatica: importante è il riposo assoluto a letto. L’aspirina è da evitare, il paracetamolo e la codeina possono essere somministrati nei casi di gravi cefalee e mialgie. Nella febbre emorragica dengue devono essere determinati immediatamente il grado di emoconcentrazione, di disidratazione e l’assetto elettrolitico e controllati attentamente per i primi gg, dato che all’improvviso può verificarsi o ripresentarsi uno shock. I pazienti cianotici devono ricevere O2. Il collasso vascolare e l’emoconcentrazione richiedono la somministrazione immediata e generosa di liquidi, preferibilmente con una soluzione cristalloide come la soluzione di Ringer lattato; bisogna evitare un’iperidratazione. Se non c’è alcuna risposta entro la prima ora, è necessario somministrare plasma o albumina umana. Le trasfusioni di sangue fresco o di piastrine possono controllare l’emorragia. Ai pazienti in stato di agitazione si possono somministrare paraldeide, idrato di cloro o diazepam. Sono invece di dubbia efficacia il cortisone, le amine pressorie, gli agenti α-adrenergici-bloccanti e le vitamine C e K.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. LINFOCORIOMENINGITE Infezione acuta provocata da un virus a RNA, ora classificato come un arenavirus, che compare abitualmente come affezione simil-influenzale o come meningite asettica, che può essere associata con eruzione cutanea, artrite, orchite o parotite.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La coriomeningite linfocitica è endemica nei roditori. L’infezione umana deriva il più delle volte dall’esposizione a polveri o cibi contaminati dal topo grigio delle abitazioni o dai criceti che sono portatori del virus per tutta la vita e che lo secernono in urine, feci, sperma e secrezioni nasali. Quando è trasmessa dai topi, la malattia si presenta soprattutto negli adulti e in inverno.

Sintomi e segni Tra 5 e 10 gg dopo l’esposizione si sviluppa una malattia simil-influenzale. La febbre è uniforme su valori di 38,5-40°C. Altri sintomi, presenti in > 50% dei pazienti, comprendono malessere generale, debolezza, mialgia (specialmente nell’area lombare), cefalea retro-orbitale, fotofobia, anoressia, nausea e sensazione di testa vuota. Mal di gola e disturbi della sensibilità sono meno frequenti. Nella prima sett. di malattia i reperti fisici sono scarsi; può esserci bradicardia relativa e faringe arrossato, ma senza essudato. Dopo 5 gg-3 sett. i pazienti possono migliorare per 1 o 2 gg. Molti di essi poi vanno incontro a una recidiva con febbre ricorrente, cefalea, eruzioni cutanee, edema delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangee prossimali, segni meningei, orchite, parotite e alopecia del cuoio capelluto. I pazienti con meningite asettica guariscono quasi sempre senza conseguenze. Con l’encefalite, un numero di pazienti pari al 33% ha problemi neurologici residui.

Diagnosi e terapia La diagnosi si può porre isolando il virus dal sangue o dal LCR o mediante test indiretti di immunofluorescenza delle colture cellulari inoculate. Le manifestazioni cliniche non possono essere differenziate da quelle di molte altre meningiti virali. file:///F|/sito/merck/sez13/1621407a.html (1 of 2)02/09/2004 2.11.56

Malattie virali

La leucopenia (conta dei GB da 2000/µl a 3000/µl) e la trombocitopenia (piastrine da 50000/µl a 100000/µl) sono praticamente uniformi durante la 1a sett. di malattia. La rx del torace può evidenziare una polmonite basale. Nei pazienti con segni meningei il LCR presenta abitualmente diverse centinaia di cellule/µl, ma talvolta anche > 1000/µl. I linfociti sono prevalenti (> 80%) anche nelle prime fasi. Nel 25% dei pazienti si è notata una diminuzione del glucoso del LCR, con concentrazioni di appena 15 mg/dl, anche se nella maggior parte dei casi il LCR è normale. La terapia è sintomatica.

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Malattie virali

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. FEBBRE DI LASSA Grave infezione sistemica da arenavirus che interessa la maggior parte degli organi viscerali, ma risparmia il SNC.

Sommario: Epidemiologia Sintomi, segni e prognosi Diagnosi Profilassi e terapia

Epidemiologia Dopo il primo riconoscimento della malattia a Lassa, in Nigeria, nel 1969, si sono verificate alcune epidemie in Liberia e Sierra Leone. Alcuni casi sono stati importati negli USA e nel Regno Unito. Il Mastomys natalensis, un piccolo ratto che abita comunemente le case ed è assai diffuso in Africa, è il serbatoio del virus. La maggior parte dei casi umani risulta probabilmente da contaminazione di cibo con urine dei roditori, ma può aversi anche trasmissione da uomo a uomo per contatto con urine, feci, saliva, vomito o sangue. Le epidemie in Nigeria e in Liberia erano soprattutto associate a ospedali, per diffusione da un caso indice al personale ospedaliero o ad altri pazienti. In Sierra Leone, in cui la maggior parte dei casi era stata contagiata al di fuori degli ospedali, il 6% degli individui residenti nell’area endemica possedeva Ac contro il virus di Lassa, mentre soltanto lo 0,2% di essi veniva diagnosticato quali soggetti con pregressa malattia clinica. Circa i 2/3 dei casi erano donne, predilezione questa che può essere in relazione con l’esposizione, piuttosto che con differenze di sensibilità tra i sessi.

Sintomi, segni e prognosi Il periodo di incubazione va da 1 a 24 gg; abitualmente è di 10 gg. L’esordio dei sintomi gravi è graduale: la maggior parte dei pazienti mostra sintomi per 4-5 gg prima del ricovero. I sintomi iniziali (mal di gola, febbre, brividi, cefalea, mialgia e malessere generale) vengono seguiti da anoressia, vomito e dolori al torace e all’epigastrio. Il mal di gola diviene più grave durante la 1a sett.: sulle tonsille possono comparire chiazze di essudato bianco o giallo che possono fondersi in pseudo-membrane. Nella prima parte del decorso è frequente una bradicardia relativa. In alcuni pazienti si presenta una linfoadenopatia generalizzata non dolente. Durante la 2a sett. sono frequenti forti dolori addominali bassi e vomito incoercibile. Nel 10-30% dei pazienti si osserva rigonfiamento facciale e del collo,

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oltre a edema congiuntivale. Talvolta i pazienti hanno tinnito, epistassi, sanguinamento dalle gengive e dalle sedi di puntura venosa, eruzioni maculopapulari, tosse e sonnolenza. Durante la fase acuta si riscontra PA sistolica < 90 mm Hg, con pressioni differenziali < 20 mm Hg, nel 60-80% dei pazienti. Durante la 2a sett., la febbre scende nei pazienti che guariscono, mentre i pazienti con malattia letale manifestano shock, obnubilamento, agitazione, rantoli, versamento pleurico e, talvolta, convulsioni tipo grande male. La malattia dura da 7 a 31 gg (media, 15 gg) nei soggetti che sopravvivono e da 7 a 26 gg (media, 12 gg) nei casi a esito fatale. La gravità dell’infezione è in relazione al livello di viremia, con l’aumento dei livelli di transaminasi e con la febbre. I tassi di letalità variano tra il 16 e il 45%; tuttavia, nelle donne gravide o che abbiano partorito da meno di 1 mese, la letalità è del 50%. Tra i sopravvissuti, le conseguenze tardive comprendono sordità in circa il 5% dei casi, oltre a casi isolati di alopecia, di iridociclite e di cecità transitoria.

Diagnosi La diagnosi si può porre mediante la dimostrazione di un aumento di quattro volte del titolo di Ac mediante tecnica di immunofluorescenza indiretta o con la presenza degli Ac IgM per la febbre di Lassa. I valori dell’Htc sono normali. In 1/3 dei pazienti, la conta dei GB scende precocemente al di sotto di 4000/µl, con neutrofilia relativa. Il numero delle piastrine rimane normale. L’analisi delle urine rivela proteinuria, spesso cospicua. La rx toracica può mostrare una polmonite basale e versamenti pleurici. I livelli di AST e di ALT divengono elevati (10 ⋅ il normale) così come i livelli della LDH e della CK.

Profilassi e terapia In aggiunta alle precauzioni universali, si raccomanda l’isolamento aereo, che prevede l’uso di occhiali, di maschere ad alta efficienza, di stanze a pressione negativa, prive di circolazione d’aria e di respiratori a pressione positiva filtrata. Si raccomanda inoltre la sorveglianza dei contatti. La ribavirina può ridurre la mortalità di dieci volte se il trattamento viene iniziato entro 6 giorni dall’inizio dei sintomi. Una dose di attacco di 30 mg/kg EV si fa seguire da 15 mg/kg q 6 h per 4 giorni e successivamente da 7,5 mg/kg q 8 h per altri 6 giorni. In pazienti molto gravi, si può usare plasma anti-febbre di Lassa come terapia di supporto. È fondamentale attuare terapie di supporto, fra cui la correzione dello squilibrio idroelettrolitico.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. INFEZIONI DA HANTAVIRUS Infezione acuta causata da specie di Hantavirus, trasmesse all’uomo dai roditori e caratterizzata o da coinvolgimento renale (nefrite) ed emorragia o da una sindrome con edema polmonare acuto non cardiogeno.

Sommario: Introduzione FEBBRE EMORRAGICA CON SINDROME RENALE Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia SINDROME POLMONARE DA HANTAVIRUS Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il genere Hantavirus consta di almeno quattro sierogruppi e include nove virus che sono implicati in due sindromi cliniche principali e a volte sovrapposte: la febbre emorragica con sindrome renale (FESR) e la sindrome polmonare da hantavirus (SPH). I virus associati alla FESR sono Hantaan, Seoul, Dobrava (Belgrado), Puumala. Quelli associati con SPH sono Sin Nombre, Black Creek Canal, Bayou e New York-1. Gli Hantavirus sono stati isolati in roditori selvatici (specie di topi e ratti) di tutto il mondo. È stato segnalato un numero crescente di infezioni, acquisite naturalmente o associate alle attività di laboratorio. Il virus è responsabile di un’infezione persistente e viene escreto con le urine, le feci e la saliva. La trasmissione fra roditori avviene principalmente per via respiratoria. La trasmissione all’uomo avviene attraverso l’inalazione di aerosol infetti provenienti dagli escrementi dei roditori; non sono coinvolti insetti vettori. Vi sono prove recenti della trasmissione da uomo a uomo in un gruppo di casi.

FEBBRE EMORRAGICA CON SINDROME RENALE (Febbre emorragica coreana; nefrosonefrite epidemica; nefropatia epidemica)

Sintomi, segni e diagnosi Gli Hantavirus possono causare una specifica sindrome con febbre emorragica e insufficienza renale acuta. In Scandinavia è diffusa una forma più lieve di FESR file:///F|/sito/merck/sez13/1621408.html (1 of 3)02/09/2004 2.11.58

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(nefropatia epidemica) causata dal virus Puumala. L’esordio è improvviso, con febbre elevata, cefalea, mal di schiena e dolori addominali. Nella 3a o 4a giornata possono comparire emorragie congiuntivali, petecchie al palato ed eruzioni petecchiali del tronco. In circa il 20% dei pazienti si sviluppa una condizione tossica che porta a obnubilamento del sensorio. Nell’1% dei casi si hanno gravi sintomi neurologici (convulsioni e paralisi vescicale). Contemporaneamente alle manifestazioni emorragiche si sviluppano oliguria e iperazotemia. L’analisi delle urine rivela proteinuria, ematuria e piuria. L’eruzione scompare in circa 3 gg; il paziente presenta poliuria e guarisce nel giro di varie settimane. La letalità è bassa (< 1%) e la maggior parte dei pazienti guarisce senza sequele. Nella forma più grave di FESR (febbre emorragica coreana o quella che si incontra nei Balcani), il decorso clinico segue cinque fasi: febbrile, ipotensiva, oligurica, diuretica e convalescente. Il periodo di incubazione è compreso tra i 7 e i 36 gg ma solitamente è di 10-25 gg. La gravità della malattia varia considerevolmente, circa il 65% dei casi è lieve, mentre il 10-15% è grave. L’esordio è solitamente improvviso (fase febbrile), con brividi, febbre, mal di schiena, dolore addominale e mialgia. La febbre raggiunge il massimo livello nel 3o o 4o giorno. È presente bradicardia relativa. Uno dei segni precoci più tipici è un arrossamento diffuso del viso che assomiglia a una scottatura da sole. Un dermografismo può essere messo in evidenza in > 90% dei pazienti. Dal 3o al 5o giorno si sviluppano petecchie, inizialmente sul palato e poi nelle aree sottoposte a pressione, come la regione ascellare. Circa nello stesso periodo appaiono emorragie congiuntivali. I dati di laboratorio non sono significativi, a eccezione dell’albuminuria, che compare tra il 2o e il 5o giorno. Il sedimento urinario rivela ematuria e cilindri di GR e GB. Attorno al 5o giorno si possono verificare shock o ipotensione (fase ipotensiva); nei casi lievi l’abbassamento della PA è solo temporaneo. In questa fase, si sviluppano un aumento dell’Htc e una marcata proteinuria, leucocitosi e trombocitopenia. Attorno all’8o giorno la PA ritorna normale ma l’oliguria progredisce (fase oligurica). I livelli di azotemia si accrescono rapidamente e le manifestazioni emorragiche diventano prominenti. Attorno all’11o giorno la diuresi riprende (fase diuretica) e si possono osservare complicanze a carico del SNC e polmonari. La fase di convalescenza di solito dura da 3 a 6 sett. ma può durare fino a 6 mesi.

Prognosi e terapia Nella FESR la letalità complessiva è del 6-15%. Un’insufficienza renale residua è rara in Corea, ma può essere più comune in Europa. La terapia si basa su ribavirina EV (dose di attacco 33 mg/kg, quindi 16 mg/kg q 6 h per 4 giorni; poi 8 mg/kg q 8 h per 3 giorni). L’unico effetto collaterale associato alla ribavirina è l’anemia peraltro reversibile. La terapia di supporto è d’importanza vitale; può essere necessaria l’emodialisi.

SINDROME POLMONARE DA HANTAVIRUS Eziologia ed epidemiologia Un tipo di hantavirus (virus Sin Nombre) può causare una grave malattia respiratoria acuta. Fu riconosciuta per la prima volta nel 1993, negli stati del sudovest degli USA. I roditori sigmodotini (specialmente il topo cervo) sono stati identificati come ospiti, con la trasmissione all’uomo che si realizza mediante l’inalazione di particelle contenenti frammenti di feci dei roditori. Studi retrospettivi hanno dimostrato che non si trattava di una nuova malattia, poiché un caso era già stato identificato nel 1959, piuttosto di una sindrome di recente identificazione. Fino all’inizio del 1996, negli USA si sono verificati 128 casi confermati, in 24 stati, la maggior parte dei quali si è verificata a ovest del fiume Mississippi. L’incidenza più alta si ha in primavera e in estate. L’età dei pazienti file:///F|/sito/merck/sez13/1621408.html (2 of 3)02/09/2004 2.11.58

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varia da 11 a 69 anni. Il fatto che l’infezione praticamente non si verifica nei bambini è sorprendente.

Sintomi, segni e diagnosi La sindrome polmonare da Hantavirus (SPH) si manifesta come una malattia simil-influenzale con insorgenza brusca di febbre, mialgie, cefalea e sintomi GI. L’esame clinico in una fase iniziale di solito non è indicativo, così come non lo sono gli esami di laboratorio di routine (emocromo, esame delle urine). Da 2 a 15 gg più tardi (mediana 4 giorni), il paziente va incontro a edema polmonare acuto di origine non cardiaca e ipotensione. In questa fase, gli esami di laboratorio rivelano leucocitosi neutrofila (GB 26000/µl con 26% di forme immature), emoconcentrazione (Htc 56%), trombocitopenia (piastrine 64000/µl) e immunoblasti circolanti. L’esame delle urine mostra minime anormalità. La rx del torace può mostrare edema polmonare in fase iniziale con un aumento della trama vascolare o strie B di Kerley; si sviluppano con velocità infiltrati bilaterali (polmone bianco) e possono essere associati a versamento pleurico. È usuale un modesto aumento dei livelli di LDH, AST e ALT, con diminuzione dell’albumina sierica. Livelli elevati di acido lattico sono indicativi di prognosi infausta. Diversi pazienti hanno avuto una combinazione di FESR e SPH. Sono stati identificati casi lievi di SPH.

Prognosi e terapia Il decorso clinico è rapido. I pazienti che sopravvivono migliorano rapidamente dopo 5-7 gg con la respirazione artificiale (analogamente alla guarigione nel caso di FESR), spesso vengono dimessi senza alcun residuato polmonare dopo 23 sett. Sfortunatamente, il tasso di mortalità rimane del 50-75%. Il trattamento è sintomatico. Essenziale è il ricovero in terapia intensiva sin dalle prime fasi per mantenere l’ossigenazione e correggere lo shock. È raccomandato l’uso precoce di sostanze per sostenere il circolo. Va tuttavia evitato un sovraccarico di liquidi per prevenire un peggioramento dell’edema polmonare. È stata utilizzata la ribavirina EV, ma la sua efficacia è dubbia.

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Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 162. MALATTIE VIRALI MALATTIE DA ARBOVIRUS E DA ARENAVIRUS Gli Arbovirus sono perpetuati in natura per trasmissione tra ospiti vertebrati e artropodi ematofagi: essi si moltiplicano sia nei primi che nei secondi. Gli Arenavirus appartengono alla famiglia Arenaviridae e sono di solito trasmessi dai roditori, ma a volte da uomo a uomo. INFEZIONI DA VIRUS DI MARBURG ED EBOLA Trattasi di infezioni acute che determinano una malattia grave con sintomi di natura emorragica.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prevenzione e terapia

Si sa poco sull’origine dei virus. Raramente e sporadicamente si sono verificate epidemie. La maggior parte dei casi indice è collegata con l’esposizione a scimmie in Africa o nelle Filippine; comunque, le indagini non hanno stabilito in maniera conclusiva il vettore o il serbatoio. L’inoculazione diretta da materiali di laboratorio quasi sempre trasmette la malattia e presenta la più alta letalità. La trasmissione tra esseri umani avviene attraverso la cute e il contatto delle membrane mucose con un soggetto infetto. È stata ipotizzata una trasmissione tramite materiale infetto sotto forma di aerosol.

Sintomi, segni e diagnosi Il periodo d’incubazione è di solito di 5-10 gg. Febbre associata a mialgie e cefalea sono i primi sintomi, associati frequentemente a sintomi addominali (nausea, vomito, dolore, diarrea) e delle vie aeree superiori (tosse, dolore al torace, faringite). Possono presentarsi anche fotofobia, emorragie congiuntivali, ittero, pancreatite e linfoadenopatia. Delirio, obnubilamento del sensorio e coma indicano un coinvolgimento del SNC. I sintomi emorragici iniziano entro pochi giorni e includono petecchie, ecchimosi e vero e proprio sanguinamento intorno alla zona di puntura e alle membrane mucose. Un esantema maculopapulare, che inizia sul dorso si manifesta intorno alla quinta giornata. Durante la seconda sett. di malattia, il paziente diviene apiretico e inizia la guarigione oppure sviluppa un’insufficienza multiorgano che porta a morte. La guarigione è lenta e può essere complicata da epatite ricorrente, uveite, mielite trasversa e da orchite. La letalità varia fra il 25 e il 90%. Una storia di viaggi nell’Africa sub-Sahariana o nelle Filippine o l’esposizione a primati importati da queste aree rappresentano l’elemento anamnestico più

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Malattie virali

importante. La diagnosi viene posta mediante l’evidenziazione con il microscopio elettronico dei caratteristici virioni. Il metodo ELISA è sensibile nei primati nonumani e può essere utile anche per l’uomo. Se richiesto nell’ambito di una politica di controllo delle infezioni, per confermare la diagnosi si può effettuare l’esame al microscopio elettronico di frammenti di tessuto (specialmente epatico prelevati) durante un’autopsia.

Prevenzione e terapia L’uso precauzionale di mascherine, camici e guanti, un’adeguata sterilizzazione delle attrezzature, la chiusura degli ospedali e l’educazione sanitaria a livello della comunità hanno contribuito a porre fine alle epidemie. Negli USA sono in vigore strette misure quarantenarie per prevenire l’importazione di scimmie infette. Non esistono vaccini o efficaci terapie antivirali. Si ritiene che l’interferone non sia efficace e possa esso stesso essere responsabile di febbre e altri sintomi, che possono complicare il trattamento. La terapia è pertanto di supporto e comprende la riduzione al minimo delle procedure invasive e la somministrazione di fattori della coagulazione che si siano esauriti.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.) L’incidenza delle malattie a trasmissione sessuale (Sexually Transmitted Disease, STD), che sono tra le più comuni malattie trasmissibili del mondo, è andata costantemente aumentando dagli anni ‘50 agli anni ‘70 ma si è generalmente stabilizzata negli anni ‘80. L’incidenza di alcune malattie (p. es., la sifilide e la gonorrea) è diminuita negli USA dalla metà degli anni ‘80 alla metà degli anni ‘90. Malattie come l’uretrite aspecifica, le infezioni da trichomonas e da clamidia, le verruche e l’herpes genitale e anorettale (tutte trattate nel presente capitolo), la scabbia, la pediculosi pubica e il mollusco contagioso (v. Cap. 114 e 115) sono con ogni probabilità più frequenti delle cinque malattie veneree classiche, sifilide, gonorrea, ulcera molle o venerea, linfogranuloma venereo e granuloma inguinale. Tuttavia, dal momento che queste ultime vengono notificate con maggiore regolarità tassi affidabili per le altre non sono disponibili. Nel 1995, l’incidenza di gonorrea nel mondo è stata stimata > 250 milioni di casi (negli USA, circa 400000 casi); per la sifilide, 50 milioni di casi nel mondo (negli USA, circa 70000, compresi circa 16000 casi di forme primarie e secondarie e 1500 casi di sifilide congenita). L’infezione da clamidia sessualmente trasmessa conta ora negli USA 1-2 milione di casi notificati, ma viene stimato che venga notificato solo il 10-20% di tutti i casi. Altre infezioni vengono trasmesse per via sessuale; anche se possono seguire altre vie, tra queste ricordiamo: salmonellosi, giardiasi, amebiasi, shigellosi, campylobatteriosi, infezioni da citomegalovirus, nonché epatite A e B. Esiste una forte associazione tra cancro del collo dell’utero (v. Cap. 241) e il papillomavirus trasmesso sessualmente. Dal 1978, il HIV si è diffuso rapidamente tra varie popolazioni (V. Cap. 163). L’incidenza delle STD rimane alta nella maggior parte del mondo nonostante i miglioramenti diagnostici e terapeutici che possono rapidamente ottenere la fine della contagiosità dei pazienti nel caso di molte STD e permettono la guarigione nella maggior parte dei casi. In molti contesti culturali il cambiamento delle abitudini sessuali e l’uso di contraccettivi orali hanno allentato le restrizioni sessuali tradizionali, specialmente nelle donne, mentre sia i medici che i pazienti hanno difficoltà a parlare apertamente di argomenti attinenti alla sfera sessuale. I finanziamenti per i programmi di controllo delle STD sono ovunque inadeguati. A ciò si aggiunge che la disseminazione di batteri antibiotico-resistenti (p. es., gonococchi resistenti alla penicillina) in tutto il mondo, riflette un cattivo utilizzo degli antibiotici nonché la diffusione di cloni resistenti da parte di popolazioni mobili. L’effetto dei viaggi è drammaticamente illustrato dalla rapida diffusione del virus della AIDS (HIV-1) dall’Africa all’Europa e alle Americhe alla fine degli anni ‘70. Il controllo delle STD dipende dalla disponibilità di buone strutture per la diagnosi e la terapia, dalla possibilità di identificare e di curare i soggetti che abbiano avuto contatti sessuali con i pazienti, dal controllo nel tempo dei soggetti sottoposti a terapia per accertarsi della loro guarigione, dall’educazione degli operatori sanitari e della popolazione generale, dai suggerimenti forniti ai pazienti in merito a comportamenti sessuali responsabili. Nonostante i vari decenni di sforzi, vaccini efficaci per le MST non sono ottenibili al di fuori degli studi clinici.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

GONORREA Consiste nell’infezione dell’epitelio di uretra, cervice, retto, faringe o degli occhi causata dalla Neisseria gonorreae, che può condurre a batteriemia e può dar luogo a complicanze metastatiche.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Complicanze Terapia

Eziologia ed epidemiologia L’agente causale, Neisseria gonorrhoeae, può essere messo in evidenza nelle secrezioni (mediante esame diretto del preparato tramite coltura) e ha l’aspetto di germi in coppia o a masse di diplococchi gram –, reniformi, spesso intracellulari e con le superfici di contatto appiattite o leggermente concave. La malattia si trasmette quasi sempre per contatto sessuale. Spesso le donne sono portatrici asintomatiche dei microrganismi per settimane o mesi e spesso vengono identificati quando sono rintracciati i loro partner sessuali. Sono anche frequenti infezioni asintomatiche dell’orofaringe e del retto negli omosessuali maschi e il germe si ritrova talvolta nell’uretra di maschi eterosessuali. La gonorrea che si presenta nella vagina o nel retto di fanciulle in età prepuberale è spesso trasmessa da adulti o per violenza sessuale o, raramente, per mezzo di oggetti contaminati.

Sintomi e segni Negli uomini il periodo di incubazione è di 2-14 gg. L’esordio è abitualmente marcato da un lieve fastidio nell’uretra, seguito qualche ora più tardi da disuria e secrezione purulenta. Con il diffondersi dell’infezione all’uretra posteriore si manifestano poi pollachiuria e stranguria. All’esame uretrale si notano una secrezione purulenta giallo-verdastra; i margini del meato possono presentarsi arrossati ed edematosi. Nelle donne i sintomi iniziano abitualmente dopo 7-21 gg dall’infezione. Sebbene essi siano di solito lievi, l’esordio della malattia può essere grave, con disuria, pollachiuria e secrezione vaginale. Il collo uterino e gli organi profondi dell’apparato genitale sono le sedi che più spesso vengono interessate dall’infezione, seguite dall’uretra, dal retto, dai dotti di Skene e dalle ghiandole del Bartolini. Il collo uterino può essere arrossato e di aspetto friabile, con secrezione mucopurulenta o francamente purulenta. Il pus può fuoriuscire dall’uretra per file:///F|/sito/merck/sez13/1641424.html (1 of 4)02/09/2004 2.12.00

Malattie a trasmissione sessuale (std)

compressione sulla sinfisi pubica o può essere emesso dai dotti di Skene o dalle ghiandole di Bartolini. Una complicanza frequente è la salpingite (v. Cap. 238). Nelle donne o negli uomini omosessuali è frequente la gonorrea rettale. Nelle donne tale manifestazione per lo più decorre in forma asintomatica, ma possono essere presenti anche fastidio perianale con secrezione rettale. Gli omosessuali maschi presentano più spesso forme di infezione rettale gravi. I pazienti possono notare le feci ricoperte di muco e pus e riferire dolore durante l’evacuazione e i rapporti anali. La faringite gonococcica derivata da contatti orogenitali è in genere asintomatica, anche se alcuni pazienti lamentano mal di gola o fastidio alla deglutizione; il faringe e la regione tonsillare possono essere arrossati e presentare essudazione talvolta con edema. Nelle bambine e nelle fanciulle prepuberi si possono osservare irritazione, eritema ed edema della vulva con secrezione vaginale purulenta; talvolta si può associare una proctite. La fanciulla può accusare fastidi o disuria e i genitori possono notare macchie sulla biancheria intima.

Diagnosi Uno striscio della secrezione uretrale colorato con colorazione di Gram consente una rapida identificazione del gonococco in > 90% dei soggetti di sesso maschile. Nelle donne tuttavia la colorazione di Gram su secrezioni del collo uterino è sensibile soltanto al 60%. In caso di interessamento del retto, la proctoscopia può mostrare mucopus sulle pareti del retto. In tutte le donne e negli uomini con strisci negativi o dubbi bisogna procedere all’identificazione del gonococco tramite esami colturali o metodi genetici delle secrezioni genitali. Se ci sono sintomi di infezione rettale o faringea, si raccomanda di eseguire esami colturali e metodiche genetiche in ambo i sessi, poiché la colorazione di Gram è poco sensibile e aspecifica. Le colture richiedono che gli essudati uretrali, vaginali, rettali o di altre sedi infette, siano inoculati in un terreno idoneo (p. es., terreno modificato di Thayer-Martin) e incubati a 35-36°C per 48 h in un’atmosfera contenente il 3-10% di CO2 (può essere utilizzato un contenitore a candela). Alcune colonie sono visibili dopo 24 h; la maggior parte compare dopo 48 h. Se non è possibile usufruire immediatamente di un laboratorio adatto, i campioni possono essere riposti in terreno di trasporto per essere trasferiti in laboratorio in seguito ed essere coltivati entro 48 h, preferibilmente entro 24 h. Esami diagnostici affidabili e rapidi, basati su sonde genetiche per RNA gonococcico possono essere combinati a test per la clamidia per esaminare pazienti con uretrite o cervicite alla ricerca di entrambi i patogeni. Un test sierologico per la sifilide (TSS) va eseguito al momento della diagnosi di gonorrea e dopo 3 mesi, inoltre il paziente va sottoposto a un esame accurato in modo da escludere altre STD.

Complicanze Negli uomini, l’uretrite postgonococcica, una complicanza ricorrente, è la conseguenza di un’infezione da altri organismi (p. es., Chlamydia trachomatis). Questi due agenti infettanti sono acquisiti contemporaneamente, ma la clamidia ha un periodo di incubazione più lungo e non risponde al trattamento con penicillina e cefalosporine. Nel quadro tipico si ripresentano in modo meno intenso secrezioni e disuria 7-14 gg circa, dopo la terapia penicillinica per la gonorrea. Le epididimiti sono rare e di solito monolaterali (v. Cap. 219). L’infezione risale dall’uretra posteriore lungo il dotto deferente, fino al polo inferiore dell’epididimo, che diviene dolente, caldo ed edematoso. Possono svilupparsi un idrocele secondario; ascessi delle ghiandole di Tyson e di Littré, ascessi periureterali, infezioni delle ghiandole di Cowper, della prostata e delle vescichette seminali e restringimenti uretrali sono meno frequenti. Nelle donne il problema clinico più importante è la salpingite (v. Cap. 238).

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

L’infezione gonococcica disseminata (IGD) con batteriemia, è più comune tra le donne rispetto agli uomini. Nella sindrome dell’artrite-dermatite il paziente presenta generalmente una malattia febbrile lieve, malessere generale, poliartralgie o poliartriti migranti e con alcune lesioni cutanee pustolose, spesso alle porzioni periferiche degli arti. Ognuno di questi sintomi si presenta in circa i 2/3 dei pazienti. L’infezione genitale è spesso asintomatica, ma può essere di solito accertata con gli esami colturali. Nella metà circa dei casi è possibile isolare il microrganismo dal sangue (con maggior frequenza nella 1a sett.) o dal liquido articolare. Sono rare manifestazioni quali pericardite, endocardite, meningite e periepatite. Anche l’artrite gonococcica, una forma più focale di IGD può essere preceduta da una batteriemia sintomatica. L’esordio è tipicamente acuto, con febbre, dolore intenso e limitazioni dei movimenti in una o in alcune articolazioni, al contrario delle IGD, in cui sono interessate più articolazioni. Le articolazioni sono gonfie e dolenti, con la cute sovrastante arrossata e calda. Il liquido sinoviale è di solito purulento (GB > 25000/µl) e contiene gonococchi che è possibile visualizzare con la colorazione di Gram oppure tramite colture. I pazienti con IGD hanno raramente colture contemporaneamente positive tanto del sangue quanto del liquido sinoviale. Dopo l’aspirazione va immediatamente instaurata la terapia onde limitare la distruzione delle superfici articolari dell’articolazione. Possono verificarsi infezioni oculari nel neonato che possono essere prevenute con la profilassi (v. in Congiuntivite neonatale in Infezioni neonatali nel Cap. 260). Si presentano raramente negli adulti (V. Cap. 95).

Terapia L’emergere di gonococchi resistenti ha limitato l’utilità dei protocolli precedentemente raccomandati basati su penicillina, ampicillina e tetracicline. Le coesistenti infezioni da clamidia sono sufficientemente comuni da richiedere un trattamento presuntivo concomitante (v. oltre). Perciò si raccomanda una singola dose di ceftriaxone 125 mg IM per il gonococco più dossiciclina a 100 mg PO bid per 7 gg o azitromicina 1 g PO in unica somministrazione per la clamidia come terapia iniziale per le infezioni uretrali, endocervicali, faringee e rettali. Alternative al ceftriaxone sono una dose singola di spectinomicina 2 g IM, ciprofloxacina 500 mg PO, ofloxacina 400 mg PO, o cefixime 400 mg PO. Tutti i protocolli devono essere accompagnati da azitromicina o dalla dossiciclina per trattare le possibili coinfezioni da clamidia, con l’eccezione delle donne in gravidanza per le quali va utilizzata eritromicina 500 mg PO qid per 7 gg. Nei pazienti portatori di gonococchi di cui si conosce la sensibilità alla penicillina, si può usare amossicillina 3 g PO con probenecid 1 g PO in dose unica al posto del ceftriaxone. Per le IGD sono considerati equivalenti ceftriaxone 1 g/die IM o EV, ceftizoxime 1 g EV q 8 h e cefotaxime 1 g EV q 8 h. Per le infezioni penicillino-sensibili, è adeguata l’ampicillina o l’amoxicillina a un dosaggio di 1 g PO q 6 h. La durata del trattamento per le IGD non è ben definita, ma i protocolli che variano da 3 a 10 gg sembrano essere ugualmente efficaci. Alcuni medici consigliano regimi terapeutici di 3 giorni con uno dei suddetti antibiotici somministrati per via parenterale insieme a un antibiotico per via orale per ulteriori 4-7 giorni. Nell’artrite gonococcica, in cui un versamento articolare sterile può persistere per periodi prolungati può essere di beneficio l’uso di un farmaco antiinfiammatorio. Di regola non sono necessari drenaggi ripetuti, ma all’inizio si può tenere l’articolazione immobilizzata in una posizione funzionale. Si dovranno avviare al più presto possibile esercizi di mobilizzazione passiva e, se è interessato il ginocchio, gli esercizi di rafforzamento del quadricipite. Quando scompare il dolore, si eseguiranno esercizi più attivi almeno due volte/die, con stiramento, escursioni attive e rinforzo muscolare. Oltre il 95% dei pazienti affetti da artrite gonococcica, trattato adeguatamente, può recuperare la funzione articolare in modo completo.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

La possibilità di trasmissione della gonorrea va spiegata al paziente, il quale deve astenersi dall’attività sessuale sino a quando sia la terapia per la gonorrea sia quella per la clamidia non sia completata. È necessario individuare, esaminare e trattare i partner sessuali dei pazienti. Non è necessario sottoporre a test il paziente subito dopo il trattamento antigonococcico per confermare che il paziente non sia più contagioso sempre che la risposta sintomatica sia stata adeguata. La ripetizione dello screening per un’eventuale reinfezione da clamidia o da gonococco è consigliata dopo 4-8 sett. Un TSS va effettuato sebbene la maggior parte delle infezioni sifilitiche concomitanti è curata dai farmaci utilizzati per il trattamento della gonorrea. Per la terapia delle altre complicanze, v. i relativi capitoli in altre parti del Manuale.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

INFEZIONI A TRASMISSIONE SESSUALE DA CLAMIDIA, DA MICOPLASMA E DA UREAPLASMA (Uretrite non gonococcica; uretrite non specifica; cervicite mucopurulenta; infezioni genitali aspecifiche)

Sommario: Eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Complicanze Terapia

Eziologia e incidenza Sono stati identificati i microrganismi che causano la trasmissione sessuale della maggior parte dei casi di cervicite e di uretrite nelle donne, e di uretrite, proctite e faringite in ambo i sessi. Perciò i termini usati in passato per definire le forme non gonococciche di queste infezioni, ovvero uretrite non gonococcica (UNG) o uretrite non specifica, sono inesatti. Queste infezioni a trasmissione sessuale sono probabilmente le più comune STD negli USA. Gli agenti causali includono Chlamydia trachomatis (responsabile di circa il 50% dei casi di UNG e della maggior parte dei casi di cervicite mucopurulenta non gonococcica), Mycoplasma genitalium e l’Ureaplasma urealyticum; alcuni casi tuttavia risultano non spiegabili.

Sintomi e segni Negli uomini i sintomi di uretrite compaiono abitualmente tra 7 e 28 gg dopo il contagio sessuale, con lieve disuria e fastidio uretrale con secrezione chiara o mucopurulenta. Sebbene i sintomi possano essere lievi e la secrezione moderata, essi si manifestano soprattutto al mattino quando i margini del meato possono risultare incollati da secrezioni essiccate. All’esame il meato può avere un aspetto arrossato e si possono rilevare i segni delle secrezioni sulla biancheria intima. Talvolta l’esordio è più acuto, con disuria, pollachiuria e secrezione purulenta abbondante che simula l’uretrite gonococcica. Per contatti rettali e orogenitali si possono manifestare anche proctite e faringite. Nella maggior parte delle donne le infezioni decorrono in forma asintomatica, ma si possono riscontrare secrezione vaginale, disuria, pollachiuria, dolore pelvico, dispareunia e sintomi di faringite e di proctite. Cerviciti con essudato giallo, mucopurulento ed ectopia cervicale (espansione dell’epitelio colonnare endocervicale rosso sulla superficie vaginale della cervice) sono caratteristiche.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Diagnosi Negli uomini gli strisci di secrezione uretrale colorati al Gram mostrano molti leucociti polimorfonucleati (PMN) e alcune cellule epiteliali, senza germi patogeni. Nei casi lievi in presenza di uretrite si procederà all’analisi delle urine, con reperto di 5 PMN/per campo (1000 ⋅) con lente a immersione d’olio. Se la diagnosi fosse dubbia, si eseguirà l’esame sul primo getto di urina del mattino. Se c’è infezione, un tampone uretrale raccoglie solitamente materiale sufficiente per gli esami di laboratorio che possono confermare la diagnosi. Nelle donne la colorazione di Gram su strisci di secrezioni purulente del collo uterino dimostra la presenza di molti leucociti, ma non di gonococchi. La diagnosi dell’infezione da clamidia si basa sull’esame degli essudati infetti per evidenziare i microrganismi tramite coltura, su test immunologici per gli antigeni o su metodi genetici. Metodiche non colturali, come la colorazione con immuno fluorescenza test ELISA ed evidenziazione dell’RNA ribosomiale tramite sonde di acido nucleico, hanno reso pratica per la maggior parte dei laboratori la diagnosi di C. trachomatis dalle secrezioni genitali. Le tecniche di amplificazione degli acidi nucleici aumentano la sensibilità di rilevamento dell’RNA in modo da permetterne l’uso in entrambi i sessi. Il rilevamento del micoplasma o dell’ureaplasma è poco pratico. Lo screening per co-infezioni gonococciche è un esame di routine. (V. anche Proctite nel Cap. 35).

Complicanze Negli uomini, possono verificarsi epididimiti (soprattutto in uomini < 35 aa), artrite reattiva e sindrome di Reiter (artrite con interessamento oculare e dermico e uretriti non infettive ricorrenti) (v. Cap. 51). Nelle donne, le complicanze includono l’artrite reattiva e la sindrome di Fitz-Hugh-Curtis, in cui l’infezione del peritoneo periepatico da Chlamydia o, meno comunemente, da gonococco può mimare la colecistite. La salpingite da clamidia di solito porta a dolore pelvico cronico, gravidanza ectopica e sterilità. L’oftalmia neonatorum da clamidia e la polmonite possono essere causate da infezioni nei neonati partoriti da donne affette da cervicite da clamidia (v. Congiuntivite neonatale in Infezioni neonatali nel Cap. 260).

Terapia Le infezioni non complicate vengono curate sia con la somministrazione orale di azitromicina, 1 g in unica dose, sia con ofloxacina, 300 mg bid e con tetraciclina, 500 mg q 6 h o con doxiciclina, 100 mg bid per 7 gg. I pazienti con recidive o con complicanze richiedono periodi di terapia maggiori (tetraciclina 500 mg PO q 6 h o doxiciclina 100 mg PO bid per 21-28 gg). Nelle donne in gravidanza invece della tetraciclina si somministrerà eritromicina (500 mg PO q 6 h per almeno 7 gg). Se tale posologia fosse mal tollerata, si potrà usare un dosaggio di eritromicina inferiore per un periodo di tempo più prolungato, oppure azitromicina con le posologie sopra indicate, sebbene non sia accertata la sicurezza di questo farmaco durante la gravidanza. Circa il 20% dei pazienti presenta una o più recidive nel periodo di controllo e va quindi sottoposto a un nuovo trattamento e rassicurati sul fatto che ciò porterà alla guarigione. Le infezioni da clamidia coesistono così di frequente con la gonorrea da far raccomandare la terapia presuntiva per la clamidia (v. Terapia in Gonorrea, sopra). Se le infezioni genitali da clamidia non vengono trattate, sintomi e segni scompaiono nell’arco di 4 sett. in circa il 60-70% dei pazienti. Possono persistere infezioni cervicali croniche, che portano a endometrite cronica, salpingite o peritonite pelvica e alle conseguenze derivanti, come dolore, infertilità e gravidanze ectopiche.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Ai pazienti va consigliato di astenersi dai rapporti sessuali fino al completamento della terapia e fino a che i loro partner siano stati visitati e trattati. Dopo la cura, le persone vanno visitate di nuovo e sottoposte a test diagnostici per la ricerca di infezioni persistenti o ricorrenti, dopo 8-12 sett.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI PROCTITE Infiammazione della mucosa rettale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia La proctite può essere di eziologia ignota (p. es., proctite ulcerosa o morbo di Crohn) o può derivare da malattie trasmesse sessualmente (p. es., gonorrea, sifilide, di solito secondaria; Chlamydia trachomatis; herpes simplex; citomegalovirus [CMV]) o da altre infezioni (p. es., Campylobacter, Shigella, Salmonella). Può essere associata a un pregresso uso di antibiotici. Altre cause di proctite includono la radioterapia e la sindrome di "diversione" che si verifica in pazienti che hanno il retto intatto con una colostomia o un'ileostomia. I germi patogeni trasmessi sessualmente producono proctiti molto più spesso nei maschi omosessuali. I pazienti immunodepressi sono particolarmente a rischio per le infezioni da herpes simplex e da CMV. In alcuni pazienti, le proctiti aspecifiche evolvono verso la colite ulcerosa cronica o rappresentano una complicanza della malattia di Crohn (v. Cap. 31).

Sintomi, segni e diagnosi Il paziente lamenta un sanguinamento rettale o la secrezione di muco. Le proctiti dovute a gonorrea, herpes simplex o CMV possono causare un dolore anorettale. La diagnosi richiede una proctoscopia o una sigmoidoscopia, che possono rivelare una mucosa rettale infiammata. La diagnosi viene posta mediante uno striscio e una coltura della parete rettale per batteri, funghi e virus patogeni; il test di Tzanck per la visualizzazione microscopica di cellule giganti multinucleate; i test sierologici per la sifilide; e la ricerca nelle feci del Clostridium difficile. A volte è necessaria una biopsia della mucosa. La valutazione degli altri tratti dell'intestino con l'endoscopia o l'rx può essere necessaria in alcuni pazienti.

Terapia Le proctiti infettive possono essere trattate con gli antibiotici. Il maschio omosessuale con una proctite aspecifica può essere trattato empiricamente con la doxiciclina (100 mg bid) o con il trimetoprim/sulfametossazolo (160-800 mg PO bid) o con il ciprofloxacin (500 mg bid) per 7 giorni. Le proctiti associate ad antibiotici vengono trattate con metronidazolo (250 mg PO qid per 7-10 gg) o con la vancomicina (250 mg PO qid per 7-10 gg). Il trattamento delle proctiti da radiazioni è simile a quello delle proctiti aspecifiche, incluso il trattamento corticosteroideo topico sotto forma di una schiuma (contenente idrocortisone file:///F|/sito/merck/sez03/0350366a.html (1 of 2)02/09/2004 2.12.02

Malattie anorettali

90 mg) o di clisteri (contenente idrocortisone 100 mg o metilprednisolone 40 mg) somministrati bid per 3 sett o di clisteri di mesalamina (4 g) prima di coricarsi per 3-6 sett. Anche le supposte di mesalamina da 500 mg una volta al giorno o bid, la mesalamina 800 mg PO tid o la sulfasalazina 500-1000 mg PO qid per 3 sett. o più, possono essere efficaci da sole o in combinazione con la terapia topica. I pazienti che non rispondono a questo tipo di terapia possono trarre beneficio dal trattamento sistemico con corticosteroidi. La formalina, applicata cautamente per via topica sulla mucosa colpita può aiutare a controllare il sanguinamento secondario alla proctite da radiazioni.

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Malattie intestinali infiammatorie

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 31. MALATTIE INTESTINALI INFIAMMATORIE MORBO DI CROHN (Enterite regionale; ileite granulomatosa o ileocolite) Una malattia infiammatoria cronica aspecifica, transmurale, che colpisce più di frequente la parte distale dell'ileo e il colon, ma che può localizzarsi in qualunque parte del tratto GI.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Anatomia patologica Sintomi, segni e complicanze Diagnosi Diagnosi differenziale Prognosi Terapia

Eziologia ed epidemiologia La causa fondamentale del morbo di Crohn è sconosciuta. Alcune evidenze indicano che una predisposizione genetica causa un'anomala risposta immune da parte dell'intestino a fattori ambientali, alimentari o infettivi. Tuttavia, nessun antigene causale è stato identificato. Il fumo di sigarette sembra contribuire allo sviluppo o all'esacerbazione della malattia di Crohn. Negli ultimi decenni, l'incidenza del morbo di Crohn è aumentata nelle popolazioni dell'Europa occidentale e di origine anglosassone, nelle popolazioni del terzo mondo, nelle persone di colore e nei latino-americani. La malattia si verifica in modo eguale in entrambi i sessi ed è più frequente tra gli ebrei. Circa un sesto dei pazienti ha almeno un parente di primo grado affetto dalla stessa malattia o, meno frequentemente, dalla colite ulcerosa. La maggior parte dei casi inizia in pazienti con < 30 anni di età, con un picco di incidenza tra quelli di età compresa tra i 14 e i 24 anni.

Anatomia patologica La prima lesione mucosa del morbo di Crohn è la lesione delle cripte sotto forma di un'infiammazione (criptite) e di ascessi, che progrediscono fino alle piccole ulcere aftoidi focali, di solito localizzate a livello dei noduli di tessuto linfatico. In alcuni casi queste lesioni regrediscono; in altri, il processo infiammatorio evolve con l'infiltrazione e la proliferazione di macrofagi e di altre cellule infiammatorie, che occasionalmente formano dei granulomi non caseosi con cellule giganti multinucleate. La diffusione transmurale dell'infiammazione causa un linfedema e un ispessimento della parete intestinale, che può alla fine evolvere in una fibrosi estesa. Lo sviluppo di ulcerazioni a chiazze sulla mucosa e la combinazione di ulcere longitudinali e trasversali, con il concomitante edema della mucosa, file:///F|/sito/merck/sez03/0310325b.html (1 of 7)02/09/2004 2.12.04

Malattie intestinali infiammatorie

spesso dà luogo a un caratteristico aspetto ad acciottolato. Il mesentere è ispessito e linfedematoso; il grasso mesenterico si estende tipicamente sulla superficie sierosa dell'intestino. I linfonodi mesenterici sono spesso aumentati di volume. L'infiammazione transmurale, le profonde ulcerazioni, l'edema, la proliferazione muscolare e la fibrosi sono responsabili della formazione di profondi tramiti e fistole, degli ascessi mesenterici e delle ostruzioni che sono le complicanze locali più importanti. I granulomi si possono verificare nei linfonodi, nel peritoneo, nel fegato e in tutti gli strati della parete intestinale e sono occasionalmente osservati alla laparotomia o alla laparoscopia come noduli miliariformi. Sebbene patognonomici, i granulomi sono assenti fin nel 50% dei pazienti e non sono perciò fondamentali per fare la diagnosi del morbo di Crohn. Sembra che non abbiano alcuna rilevanza decisiva sul decorso clinico. I segmenti dell'intestino malato sono caratteristicamente ben demarcati dai segmenti adiacenti di intestino normale ("skip areas"), da cui il nome di enterite regionale. Di tutti i casi di morbo di Crohn, circa il 35% interessa l'ileo (ileite); il 45% interessa l'ileo e il colon (ileocolite), con una predilezione per il lato destro del colon e il 20% interessa solo il colon (colite granulomatosa). Occasionalmente è interessato tutto il piccolo intestino (digiunoileite) e molto raramente anche lo stomaco, il duodeno o l'esofago. Anche la regione perianale è affetta in 1/4-1/3 dei casi.

Sintomi, segni e complicanze I sintomi di presentazione più comuni sono la diarrea cronica associata a dolore addominale, febbre, anoressia, perdita di peso e alla presenza di una massa addominale nel quadrante inferiore dx. Comunque, molti pazienti giungono all'osservazione del medico per la prima volta per un addome acuto che simula un'appendicite acuta o un'ostruzione intestinale. In circa 1/3 dei pazienti c'è un'anamnesi positiva per una malattia perianale, specialmente ragadi e fistole, che sono a volte il disturbo iniziale o il più importante. Nei bambini frequentemente predominano le manifestazioni extraintestinali rispetto ai sintomi GI. I sintomi iniziali possono essere rappresentati dall'artrite, da una febbre di origine sconosciuta, da un'anemia o da un ritardo della crescita e il dolore addominale e la diarrea possono essere assenti. Il quadro patologico più comune del morbo di Crohn è rappresentato da (1) infiammazione, caratterizzata da dolore e dolorabilità in corrispondenza del quadrante addominale inferiore di dx; (2) ostruzione parziale ricorrente, causata dalla stenosi intestinale, responsabile di gravi coliche, distensione addominale, costipazione e vomito; (3) digiunoileite diffusa, con infiammazione e ostruzione che causa una malnutrizione e una debolezza cronica e (4) fistole addominali e ascessi, solitamente a sviluppo tardivo, che spesso provocano febbre, masse addominali dolorose e un deperimento generalizzato. Le frequenti complicanze dell'infiammazione sono rappresentate dall'ostruzione, dalla formazione di fistole enteroenteriche, enterovescicali, retroperitoneali o enterocutanee e dalla formazione di ascessi. Raramente si può avere un sanguinamento intestinale, una perforazione e lo sviluppo di un cancro del piccolo intestino. Quando è interessato solo il colon, il quadro clinico può essere indistinguibile da quello della colite ulcerosa. Le manifestazioni extraintestinali sono distinte in: ●

Complicanze che, di solito, vanno di pari passo con l'attività della malattia intestinale e, probabilmente, rappresentano i fattori concomitanti acuti immunologici o microbiologici dell'infiammazione intestinale: l'artrite periferica, l'episclerite, la stomatite aftosa, l'eritema nodoso e il pioderma gangrenoso. Queste manifestazioni possono essere osservate in oltre 1/3 dei pazienti ospedalizzati con affezioni infiammatorie intestinali. Sono due volte più comuni quando è presente una colite rispetto a quando la

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Malattie intestinali infiammatorie

malattia è limitata al piccolo intestino. Quando si verificano, le manifestazioni extraintestinali sono multiple in circa 1/3 dei pazienti. ●



Disturbi associati alla malattia infiammatoria intestinale, ma che hanno un decorso indipendente: spondilite anchilosante, sacroileite, uveite e colangite sclerosante primitiva. L'associazione genetica tra queste sindromi e la malattia di Crohn (e la colite ulcerosa) con l'antigene HLA B27 è trattata in seguito, a proposito delle complicanze extracoliche della colite ulcerosa. Complicanze che sono in rapporto diretto con l'alterata fisiologia dell'intestino: calcoli renali dovuti a un'alterazione del metabolismo dell'acido urico, a un'alterata diluizione e alcalinizzazione delle urine e a un eccessivo assorbimento di ossalati dalla dieta; le IVU, specialmente con la fistolizzazione nel tratto urinario; e l'idrouretere e l'idronefrosi dovuti alla compressione ureterale derivante dall'estensione retroperitoneale del processo infiammatorio intestinale. Altre complicanze correlate all'intestino includono il malassorbimento, soprattutto in presenza di estese resezioni ileali o di contaminazioni batteriche derivanti dall'ostruzione del piccolo intestino o dalla fistolizzazione; una colelitiasi correlata con l'alterato riassorbimento ileale dei sali biliari e un'amiloidosi, secondaria all'infiammazione di lunga durata e alla malattia suppurativa. Le complicanze tromboemboliche si possono verificare, di solito, durante le fasi attive di una grave malattia, a causa dell'ipercoagulabilità associata agli alterati livelli dei fattori della coagulazione e alle alterazioni delle piastrine.

Diagnosi La diagnosi del morbo di Crohn deve essere sospettata in qualunque paziente che presenti i sintomi infiammatori od ostruttivi suddescritti e in un paziente senza importanti sintomi GI, ma che presenti una fistola o un ascesso perianale o disturbi, altrimenti inspiegabili, quali l'artrite, l'eritema nodoso, la febbre, l'anemia o un ritardo di crescita (in un bambino). Gli esami di laboratorio sono aspecifici e possono includere l'anemia, la leucocitosi, l'ipoalbuminemia e gli aumentati livelli dei marker della fase acuta evidenziati da un aumento della VES, della proteina C-reattiva o degli orosomucoidi. Gli aumenti della fosfatasi alcalina e della g-glutamil transpeptidasi che accompagnano la malattia colica, spesso riflettono una colangite sclerosante primitiva. La diagnosi definitiva, di solito, viene fatta radiologicamente. Il clisma opaco può mostrare un reflusso di bario nell'ileo terminale con irregolarità, nodularità, rigidità, ispessimento della parete e un restringimento del lume. Una rx dell'apparato digerente con scatti mirati sull'ileo terminale solitamente dimostra molto chiaramente la natura e l'estensione della lesione. La sola rx dell'apparato digerente senza lo studio seriato del tenue, comunque, di solito non permette la diagnosi. Nei casi avanzati si può osservare il segno della corda con un marcato restringimento dell'ileo e una separazione delle anse intestinali. Nelle fasi precoci, la diagnosi rx può talvolta essere difficile, ma la tecnica del clisma opaco a doppio contrasto con aria e bario e l'enteroclisi sono in grado di dimostrare le ulcere aftose superficiali e quelle lineari. Nei casi dubbi, la colonscopia e la biopsia possono essere d'aiuto nel confermare la diagnosi di malattia di Crohn e permettere la visualizzazione diretta e la biopsia dell'ileo terminale. L'endoscopia del tratto GI superiore può identificare l'interessamento gastroduodenale da parte della malattia nei pazienti con sintomi GI superiori. Anche se la TC può mostrare le complicanze extramurali (p. es., le fistole, gli ascessi e le tumefazioni), non è sempre necessaria per fare la diagnosi iniziale. L'ecografia può essere utile per differenziare le patologie ginecologiche che si presentano con dolore nei quadranti inferiori dell'addome e nella pelvi.

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Malattie intestinali infiammatorie

Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale con la colite ulcerosa può essere difficile nel 20% dei casi in cui il morbo di Crohn è confinato al colon (colite di Crohn). Le principali diagnosi differenziali sono la colite acuta infettiva (autolimitantesi) e la colite ulcerosa. La colite acuta infettiva è identificata con l'esame colturale delle feci, la biopsia rettale e con un'attenta osservazione. La differenziazione con la colite ulcerosa è descritta in dettaglio nella Tab. 31-1. La colite ischemica è trattata nel Cap. 25. Sebbene gli anticorpi perinucleari anticitoplasmatici neutrofili siano presenti nel 60-70% dei pazienti affetti dalla colite ulcerosa e solo nel 5-20% dei pazienti affetti dal morbo di Crohn e gli anticorpi anti-Saccharomyces cerevisiae siano relativamente specifici per il morbo di Crohn, questi test non sono sufficientemente perfezionati per un'applicazione clinica di routine al fine di differenziare le due malattie. Il morbo di Crohn del piccolo intestino (ileite) deve essere differenziato da altre malattie infiammatorie, infettive e neoplastiche localizzate nel quadrante inferiore di destra. Se la presentazione è acuta e non c'è una storia di sintomi intestinali cronici, l'ileite può essere diagnosticata per la prima volta durante un'esplorazione chirurgica eseguita per il sospetto di un'appendicite. Gli ascessi periappendicolari sono più difficili da diagnosticare clinicamente perché spesso causano dei sintomi cronici. Anche una malattia infiammatoria della pelvi, una gravidanza ectopica, i tumori e le cisti ovariche, causano segni infiammatori a carico del quadrante inferiore destro e devono essere esclusi quando si considera una diagnosi di morbo di Crohn nelle donne. Il cancro del ceco, il carcinoide ileale, il linfosarcoma, la vasculite sistemica, l'enterite attinica, la TBC ileocecale e l'ameboma possono mimare i reperti radiografici del morbo di Crohn. Si devono considerare come una possibile causa dell'ileite localizzata anche le infezioni opportunistiche correlate alla AIDS (p. es., Mycobacterium avium-intracellulare e citomegalovirus). L'enterite da Yersinia enterocolitica deve essere esclusa quando, all'intervento chirurgico eseguito per un dolore acuto al quadrante inferiore di destra, si osserva un ileo terminale infiammato ed edematoso e un'adenite mesenterica associata. Sebbene l'enterite da Yersinia sia autolimitantesi, senza sequele intestinali croniche, il quadro clinico iniziale può essere indistinguibile dal morbo di Crohn e sono quindi necessari degli appropriati studi sierologici e batteriologici. Nei casi dubbi, è utile un controllo rx dell'ileo terminale a distanza di 3 mesi, perché l'enterite da Yersinia, al contrario del morbo di Crohn, di solito, si risolve completamente in questo periodo di tempo. La digiunoileite ulcerosa non granulomatosa mostra dei reperti simili a quelli sia del morbo di Crohn che della sprue, con malassorbimento, ulcerazione del piccolo intestino e atrofia dei villi, ma manca del reperto anatomo-patologico dei granulomi, delle fistole e delle manifestazioni extraintestinali del morbo di Crohn. La gastroenterite eosinofila di solito presenta un importante interessamento dello stomaco (raro nel morbo di Crohn) ed è spesso associata a un'eosinofilia periferica, che è l'indizio per la diagnosi.

Prognosi Sebbene la remissione spontanea o la terapia medica possano causare dei prolungati intervalli asintomatici, il morbo di Crohn accertato, raramente guarisce, ma piuttosto è caratterizzato da esacerbazioni intermittenti. In assenza di un trattamento chirurgico, la malattia non si estende mai in altre aree dell'intestino oltre quelle già interessate alla diagnosi iniziale. Con un giudizioso trattamento medico e, se opportuno, chirurgico, la maggior parte dei pazienti affetti dal morbo di Crohn risponde positivamente e si adatta senza problemi. La mortalità correlata alla malattia è molto bassa e continua a diminuire. file:///F|/sito/merck/sez03/0310325b.html (4 of 7)02/09/2004 2.12.04

Malattie intestinali infiammatorie

Il cancro del tratto GI, inclusi i cancri del colon e del piccolo intestino, è la causa principale dei decessi correlati al morbo di Crohn. I pazienti affetti da un morbo di Crohn di lunga durata, localizzato al piccolo intestino, hanno un aumentato rischio di cancro, sia nel tratto vicino che nelle anse escluse. Inoltre, i pazienti con morbo di Crohn del colon hanno un rischio a lungo termine di cancro colorettale uguale a quello della colite ulcerosa, data la stessa estensione e durata di malattia. Circa il 70% dei pazienti affetti dal morbo di Crohn alla fine necessita del trattamento chirurgico. Inoltre, è verosimile che una recidiva della malattia di Crohn si verifichi anche dopo la resezione di tutto il tratto clinicamente interessato.

Terapia Non si conosce alcuna terapia. I crampi e la diarrea possono essere alleviati dalla somministrazione orale, fino a qid (meglio se prima dei pasti), di anticolinergici, difenossilato, 2,5-5 mg, loperamide, 2-4 mg, tintura di oppio raffinata, 0,5-0,75 ml (10-15 gocce) o codeina, 15-30 mg. Questo trattamento sintomatico è sicuro, tranne che nei casi gravi di colite di Crohn acuta, che possono progredire al megacolon tossico come accade nella colite ulcerosa. Le mucillagini idrofile (p. es., le preparazioni di metilcellulosa e di psillio) talvolta aiutano a prevenire l'irritazione anale, aumentando la consistenza delle feci. La sulfasalazina è utile soprattutto nei pazienti con coliti e ileocoliti, lievi o moderate, ma è efficace anche nelle ileiti. Può permettere la remissione della malattia, sebbene non sia provato che prevenga le ricorrenze dopo l'intervento chirurgico. (Per i dettagli sulla terapia con la sulfasalazina, v. Terapia in Colite ulcerosa.) La mesalamina (acido 5-amminosalicilico), la molecola attiva della sulfasalazina, è disponibile in diverse preparazioni orali formulate in modo da rilasciare il farmaco nei vari segmenti del piccolo intestino e del colon. È particolarmente utile nei pazienti che sono intolleranti alla sulfasalazina. In dosi anche di 4 g/die, la mesalamina è efficace nell'indurre e mantenere la remissione e si sta dimostrando particolarmente promettente per l'inibizione delle recidive postoperatorie. La terapia corticosteroidea è utile nel trattamento della fase acuta della malattia di Crohn, in quanto riduce drasticamente la febbre e la diarrea, allevia il dolore e la dolorabilità addominale e migliora l'appetito e il senso di benessere generale. Inizialmente devono essere somministrate dosi elevate (40-60 mg/die) di prednisone per via orale. La dose equivalente di idrocortisone (200-300 mg) può essere somministrata in infusione EV continua nei pazienti affetti da una malattia grave e ospedalizzati. La dose giornaliera di prednisone viene gradualmente ridotta dopo una risposta soddisfacente in modo da arrivare, dopo 1 o 2 mesi, a _ 10 mg. Anche se in alcuni pazienti possono essere utili, nel controllo dei sintomi, dosi minime di prednisone, pari a 5-10 mg/die, la terapia a lungo termine spesso dà più problemi che benefici. I corticosteroidi devono essere evitati quando sono presenti delle ovvie infezioni (p. es., ascessi, fistole). Nei casi dubbi (p. es., quelli con una massa infiammatoria dolente) devono essere somministrati contemporaneamente degli antibiotici. Il nuovo corticosteroide attivo per via topica, il budesonide, può essere somministrato per via orale o come clistere e ha una bassa biodisponibilità sistemica e quindi una ridotta soppressione surrenalica. Il budesonide a rilascio controllato, somministrato per via orale, induce la remissione con minori effetti collaterali rispetto al prednisolone, ma non è efficace quanto i corticosteroidi convenzionali e non sembra meglio del placebo nel prevenire le recidive dopo i 6 mesi.

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Malattie intestinali infiammatorie

Gli antibiotici ad ampio spettro che sono attivi contro la flora enterica gram - e quella anaerobia, possono essere utili nel ridurre l'attività della malattia in molti pazienti, ma sono più efficaci per il trattamento delle complicanze suppurative (p. es., ascesso, fistola infetta). Il metronidazolo, a dosaggi di 1-1,5 g/die, ha dato buoni risultati, specialmente nella colite di Crohn ed è risultato particolarmente utile nel trattamento delle lesioni perianali. Un effetto collaterale, frequente, potenzialmente grave con l'uso a lungo termine, è rappresentato da una neuropatia, solitamente reversibile con la sospensione del farmaco, che si manifesta principalmente con delle parestesie. Dopo l'interruzione della terapia ci sono, comunque, numerose recidive. Tra gli altri antibiotici ad ampio spettro, la ciprofloxacina si è dimostrata particolarmente promettente, mentre i risultati del regime antitubercolare con più farmaci sono mal valutabili perché considerati insieme. I farmaci immunomodulanti, particolarmente gli antimetaboliti, azatioprina e 6mercaptopurina, sono efficaci come terapia a lungo termine. L'azatioprina, alla dose di 2,0-3,5 mg/kg/die o la 6-mercaptopurina, alla dose di 1,5-2,5 mg/kg/die PO, migliorano significativamente lo stato generale del paziente, riducono il fabbisogno di corticosteroidi, guariscono le fistole e mantengono la remissione della malattia per molti anni. Tuttavia, questi farmaci spesso non sono clinicamente efficaci prima di 3-6 mesi e si deve stare attenti agli effetti collaterali rappresentati dall'allergia, dalla pancreatite o dalla leucopenia. Il metotrexato 25 mg IM o SC una volta alla sett. è utile in alcuni pazienti affetti da una grave malattia refrattaria ai corticosteroidi, anche quelli che non hanno risposto all'azatioprina o alla 6-mercaptopurina. La ciclosporina ad alte dosi si è dimostrata utile nella malattia infiammatoria e fistolosa, ma il suo impiego a lungo termine è controindicato per i numerosi effetti tossici. L'infliximab, un anticorpo monoclonale che inibisce il tumor necrosis factor, può essere somministrato EV, nei casi di malattia moderata o severa (specialmente nella malattia fistolosa) refrattaria agli altri trattamenti; l'efficacia e gli effetti collaterali a lungo termine, sono, comunque, ancora da accertare. Gli altri potenziali trattamenti immunoregolatori includono i bloccanti dell'interleuchina-1, gli anticorpi contro l'interleuchina-12, gli anticorpi anti-CD4, gli inibitori delle molecole di adesione e le citochine inibenti. Questi numerosi trattamenti sperimentali dimostrano l'inadeguatezza dell'attuale terapia farmacologica per il morbo di Crohn. Alcuni pazienti con ostruzione intestinale o con fistole, hanno mostrato un miglioramento con delle diete elementari o con un'iperalimentazione, almeno a breve termine e i bambini spesso mostrano un aumento della crescita. Quindi, queste misure possono servire come terapia preoperatoria o come terapia aggiuntiva e possono essere valide anche come terapia primaria. L'intervento chirurgico è solitamente necessario nei casi di ostruzione intestinale ricorrente o di fistole e ascessi intrattabili. La resezione del segmento di intestino macroscopicamente coinvolto può comportare un miglioramento della sintomatologia in modo definitivo, ma non cura la malattia. La sulfasalazina non si è dimostrata capace di prevenire le ricorrenze postoperatorie, ma la mesalamina ≥ 2,0 g/die, può essere efficace. La percentuale di ricorrenze, definite dalla presenza all'endoscopia di lesioni a livello dell'anastomosi, è > 70% a 1 anno e > 85% a 3 anni; la recidiva definita in base ai sintomi clinici, è di circa il 25-30% a 3 anni e del 40-50% a 5 anni. Infine, un altro intervento è necessario in circa il 50% dei casi. Tuttavia, le percentuali di ricorrenza sembrano essere ridotte da una precoce profilassi postoperatoria con la mesalamina, il metronidazolo o possibilmente con la 6-mercaptopurina. Inoltre, quando l'intervento è stato eseguito per complicanze specifiche o per il fallimento della terapia medica, la maggior parte dei pazienti ha un miglioramento della qualità della vita.

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Malattie intestinali infiammatorie

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA COLITE ISCHEMICA Infiammazione del colon causata da un'interruzione della vascolarizzazione colica insufficiente, però, a causare un'ischemia a tutto spessore della parete colica. La colite ischemica può essere dovuta all'occlusione di un'arteria principale, a una malattia dei piccoli vasi, all'ostruzione venosa, alle condizioni di basso flusso (p. es., lo shock cardiogeno) o all'occlusione intestinale. In ognuno di questi casi, la mucosa e la sottomucosa sono danneggiate in proporzione alla gravità e alla durata dell'ischemia. Questo processo determina un'infiammazione e un'ulcerazione della mucosa, che possono guarire completamente. In alternativa, la riparazione di questi danni può portare alla fibrosi e alla formazione di stenosi. La flessura splenica, la cui vascolarizzazione è uno spartiacque tra due circolazioni arteriose, è particolarmente vulnerabile a questo tipo di colite. La colite ischemica interessa più frequentemente le persone tra la 6a e l'8a decade di vita. Il paziente tipico ha _ 50 anni e si presenta con un dolore acuto nei quadranti di sinistra dell'addome che è iniziato in fossa iliaca sinistra. Ci possono essere stati degli episodi analoghi in passato o possono essere associati i sintomi di una malattia cardiovascolare o di una collagenopatia vascolare. È possibile l'evacuazione di feci liquide, in particolare con dei coaguli scuri. I reperti sistemici sono rappresentati, di solito, da un'iperpiressia modesta e dalla tachicardia; i reperti obiettivi includono una dolorabilità colica localizzata. Il segno dell'"impronta digitale" osservato al clisma opaco durante le fasi molto precoci è diagnostico della colite ischemica. In seguito, l'ulcerazione della mucosa e la sua irregolarità possono ricordare la colite ulcerosa o il morbo di Crohn. Lunghe stenosi lisce del colon si possono sviluppare anche successivamente. La valutazione colonscopica può aiutare a distinguere la colite ischemica dalle altre forme di colite e di stenosi. Nelle forme gravi della malattia acuta e nella maggior parte delle stenosi, la resezione chirurgica del segmento di colon interessato è sicura e terapeutica.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

CANDIDIASI GENITALE Sviluppo sintomatico di funghi sulla mucosa della vagina o del pene.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia Le infezioni da funghi del tratto genitale, di solito causate da Candida albicans, sono molto frequenti nelle donne, ma di norma non sono acquisite per via sessuale. Al contrario, i funghi normalmente presenti sulla cute dei pazienti o nella flora intestinale crescono in modo eccessivo a causa di un gran numero di fattori predisponenti. L’alta incidenza della candidosi vaginale scaturisce dall’uso diffuso di antibiotici a largo spettro e da gran numero di donne che assumono contraccettivi orali. Altri fattori predisponenti sono la gravidanza, il flusso mestruale, il diabete mellito, la biancheria intima troppo stretta e la soppressione dell’immunità cellulo-mediata a seguito dell’uso di farmaci o dell’infezione da HIV. La candidosi sistemica (v. Cap. 158) è dovuta a una grave neutropenia di base, a ferite o a infezioni di cateteri endovascolari e raramente a infezioni del tratto genitale.

Sintomi e segni Le donne presentano spesso irritazione vulvare e secrezione vaginale. L’irritazione è spesso grave e la secrezione scarsa. La vulva può essere infiammata, con escoriazioni e fissurazioni. La parete vaginale è di solito ricoperta da colonie di lieviti biancastre, caseose. Gli uomini sono invece spesso portatori asintomatici, anche se a volte possono notare una lieve secrezione uretrale. Essi possono lamentare irritazione e dolenzia al glande e al prepuzio, in modo particolare dopo un coito. Glande e prepuzio appaiono arrossati e possono esserci materiale biancastro, caseoso, vesciche o erosioni. Nei casi più gravi può esserci edema del prepuzio, con fimosi (restringimento del prepuzio).

Diagnosi Una diagnosi immediata può essere postacon l’esame di strisci di materiale prelevato da vagina, glande o prepuzio e ricercando al microscopio miceti con metodo di colorazione di Gram o senza colorazione in idrossido di potassio. I microrganismi sono lieviti a gemma gram +, ovali, con tipiche pseudoife

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

filamentose, allungate. I terreni di coltura possono inoltre essere inoculati, poiché questa pratica aumenta del 25% il numero di reperti positivi e permette la diagnosi specifica di C. Albicans. Poiché la candidosi non si trasmette di solito per via sessuale, bisognerà eseguire anche test per l’eventuale presenza di STD concomitanti, ma soltanto se esistono indicazioni cliniche ed epidemiologiche.

Terapia La candidosi vaginale può essere trattata localmente con: (1) una compressa intravaginale da 100 mg di clotrimazolo/die per 6 gg oppure 200 mg/die per 3 gg, (2) 200 mg/die di miconazolo per via vaginale per 3 gg, (3) butoconazolo in crema al 2% 5 g/die per via vaginale per 3 gg, o (4) terconazolo 1 ovulo da 80 mg/ die per 3 gg o crema al 4% 5 g/die per 7 gg oppure (5) econazolo crema vaginale all’1% oppure candelette vaginali 100 mg per 3 gg. Tutti questi agenti vanno presi 1 volta/die prima di andare a letto. Risulta essere efficace, ma più costoso, anche il fluconazolo, 150 mg PO in unica somministrazione. La balanopostite da candida si cura mediante lavaggio dei genitali con acqua e sapone, asciugando con un asciugamano pulito e applicando crema alla nistatina o altri agenti topici bid per 7-10 gg. Le ricadute sono frequenti in entrambi i sessi, solitamente legate alla flora del paziente, che può risultare alterata a seguito dell’uso di antibiotici. Talvolta si dovrà sospendere l’assunzione o modificare il tipo di contraccettivi orali. Le donne che abbiano bisogno di antibiotici in modo frequente (p. es., a causa di infezioni urinarie) o prolungato o che possiedano inevitabili condizioni predisponenti potranno essere sottoposte a scopo profilattico a uno qualsiasi dei vari regimi terapeutici sopra trattati. In pazienti con mughetto grave o recidivante, va esclusa un’infezione da HIV.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

BALANOPOSTITE Infiammazione del glande (balanite) e del prepuzio (postite).

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Eziologia La balanopostite o balanite (nei soggetti circoncisi) può essere una complicanza di candidosi, gonorrea, uretrite da clamidia, tricomoniasi, herpes simplex, scabbia o sifilide primaria e secondaria. Altre cause non infettive sono la sindrome di Reiter (balanite circinata), eritemi fissi da farmaci, dermatite da contatto, psoriasi, lichen planus, dermatite seborroica, lichen sclerosus et atrophicus nonché eritroplasia di Queyrat. Spesso non si rinviene alcuna causa evidente. La balanopostite si associa spesso alla presenza di un prepuzio aderente che non permette un’igiene adeguata. Le secrezioni sottoprepuziali possono infettarsi con batteri anaerobi e determinano infiammazione e distruzione tissutale. Il diabete mellito è condizione predisponente la balanopostite, probabilmente attraverso diversi meccanismi, incluso la glicosuria.

Sintomi e segni Dolore, irritazione e secrezione sottoprepuziale si presentano abitualmente 23 gg dopo un rapporto sessuale. Possono aversi fimosi (restringimento del prepuzio a causa dell’edema superficiale del glande e del prepuzio stesso) ulcerazioni superficiali o adenopatia inguinale.

Diagnosi e terapia Vanno indagate le condizioni patologiche sopra indicate, specialmente la candidosi, e va misurata la glicosuria. Va esaminata la cute del paziente alla ricerca di lesioni che possono indicare un interessamento del tratto genitale con una dermatosi più diffusa. Se si rinviene una causa specifica, si dovrà procedere a una terapia appropriata e andranno messe in atto misure igieniche generali. Per la fimosi può essere necessario eseguire irrigazioni sottoprepuziali, per allontanare secrezioni e detriti. Nei pazienti con fimosi persistente si dovrà prendere in considerazione la possibilità di eseguire la circoncisione dopo la risoluzione dell’infiammazione.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

CANCROIDE Malattia contagiosa acuta interessante la cute dei genitali o le membrane mucose causata da Haemophilus ducreyi e caratterizzata da ulcere dolorose e da suppurazione dei linfonodi inguinali.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi e complicanze Terapia

Eziologia H. ducreyi è un bacillo gram –, sottile, dalle estremità arrotondate che cresce lentamente solo su terreni di coltura arricchiti (ovvero contenenti emina e albumina). Il cancroide è riemerso fra le STD negli anni ‘80 in Nord America e risulta essere, in altre zone, fortemente associato a un aumentato rischio di trasmissione del HIV. Negli USA è stato posto sotto controllo in modo più efficace nella metà degli anni ‘90. Il cancroide può coesistere con altre cause di ulcere genitali, che vanno escluse. Vanno eseguiti di routine i TSS e la coltura per herpes.

Sintomi e segni Dopo un periodo di incubazione di 3-7 gg si formano piccole papule dolorose che si rompono rapidamente trasformandosi in ulcere non indurate dolorose a margini frastagliati e mal definiti e con bordo arrossato. Tali ulcere sono di varie dimensioni e spesso si fondono tra loro. Talvolta le erosioni più profonde portano a notevoli distruzioni di tessuto. I linfonodi inguinali diventano ingrossati, dolenti alla pressione e raggruppati per periadenite, formando un ascesso fluttuante (bubbone) nell’inguine. La cute al di sopra dell’ascesso può divenire rossa e lucida e rompersi, con la formazione di una fistola. Nuove lesioni si possono generare per autoinfezione.

Diagnosi e complicanze La diagnosi solitamente si basa sui reperti clinici, perché la coltura del microrganismo è difficoltosa e la flora polimicrobica delle ulcere rende incerta l’identificazione microscopica. Si deve tuttavia tentare di identificare lo H. ducreyi negli essudati prelevati dai margini delle ulcerazioni o nel pus di un bubbone, tramite colture consultando un laboratorio qualificato. Le complicanze comprendono fimosi, stenosi e fistole uretrali ed estese distruzioni tissutali.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Terapia Sono consigliati eritromicina 500 mg PO q 6 h per 7 giorni, ceftriaxone 250 mg IM in unica somministrazione, azitromicina 1 g PO in unica somministrazione o ciprofloxacina 500 mg PO bid per 3 giorni. I bubboni devono essere aspirati, non incisi. I soggetti che hanno avuto rapporti sessuali con i malati devono essere esaminati e tenuti sotto controllo per 3 mesi, quindi sottoposti a screening per il HIV e altre STD. Il trattamento dei pazienti con coinfezione da HIV può essere meno efficace, specialmente con i regimi basati sulla dose unica.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

LINFOGRANULOMA VENEREO (Linfopatia venerea; linfogranuloma inguinale) Malattia sessualmente trasmessa da clamidia, caratterizzata da una lesione primaria transitoria seguita da una linfadenite suppurativa, da linfangite e da gravi complicanze locali.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia Il linfogranuloma venereo (LGV) è provocato da diversi immunotipi di Chlamydia trachomatis differenti da quelli che provocano il tracoma, la congiuntivite da inclusi, l’uretrite e la cervicite. Questi ceppi di LGV invadono i linfonodi regionali e vi si riproducono. La malattia si riscontra soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali e si verifica raramente negli USA.

Sintomi e segni Dopo un periodo di incubazione da 3 a 12 gg, si forma una piccola lesione vescicolare transitoria e non indurita che si ulcera rapidamente, guarisce prontamente e può anche passare inosservata. Il primo sintomo abitualmente è l’ingrossamento unilaterale e dolente al tatto dei linfonodi inguinali, che portano poi alla formazione di una grossa massa fluttuante e dolente che aderisce ai piani profondi e infiamma la cute sovrastante. Possono svilupparsi fistole multiple che emettono materiale purulento o striato di sangue. La guarigione avviene solitamente con formazione di cicatrici, mentre le fistole possono permanere o recidivare. Il paziente può lamentare malessere generale, febbre, cefalea, dolori articolari, anoressia e vomito. Nelle donne è frequente riscontrare mal di schiena: in esse le lesioni iniziali possono trovarsi sul collo uterino o nella porzione più alta della vagina, determinando dilatazione e suppurazione dei linfatici pelvici e perirettali. L’interessamento della parete del retto, nelle donne e negli uomini omosessuali può provocare proctite ulcerativa con secrezioni rettali purulente e striate di sangue. Un processo infiammatorio cronico determina l’ostruzione dei vasi linfatici, portando a edema, ulcerazioni e formazione di fistole. Le grosse masse polipoidi e le ostruzioni linfatiche croniche possono determinare alla fine un’elefantiasi dei genitali. Nelle donne e nei maschi omosessuali si possono riscontrare stenosi file:///F|/sito/merck/sez13/1641437.html (1 of 2)02/09/2004 2.12.08

Malattie a trasmissione sessuale (std)

rettali.

Diagnosi La diagnosi clinica può essere confermata dal test di fissazione del complemento che può evidenziare un titolo anticorpale in aumento o un titolo in fase convalescente > 1:16. Un test di microimmunofluorescenza misura gli Ac tipospecifici e distingue i vari sierotipi anticorpali. Sono disponibili in commercio kit per l’immunofluorescenza che usano anticorpi monoclonali per la colorazione di Chlamydia nel pus. Colture cellulari per Chlamydia vengono usate in un numero relativamente scarso di laboratori. In assenza di questi test la diagnosi si basa sulla tipicità del quadro clinico e su un titolo alto (> 1/ 64) o su un aumento di Ac fissanti il complemento.

Terapia Dossiciclina, 100 mg PO bid, eritromicina 500 mg PO qid o tetracicline 500 mg PO qid, ciascun farmaco proseguito per 21 gg, consentono una rapida guarigione delle lesioni precoci. L’azitromicina probabilmente è efficace, ma non sono stati definiti il dosaggio e la durata necessari per il LGV. Il linfedema in stadio avanzato può non guarire nonostante l’eliminazione dei germi responsabili. I bubboni fluttuanti devono essere aspirati e non incisi. Ascessi e fistole richiedono l’intervento chirurgico, ma le stenosi rettali possono invece essere dilatate. L’elefantiasi si cura mediante chirurgia plastica. Tutti i soggetti che abbiano avuto rapporti sessuali con i pazienti devono essere visitati e tenuti in osservazione per 6 mesi dopo un trattamento apparentemente efficace.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

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GRANULOMA INGUINALE (Donovanosi) Trattasi di un’infezione trasmessa sessualmente, progressiva, della cute dei genitali causata da un batterio intracellulare, il Calymmatobacterium granulomatis.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia Il granuloma inguinale è molto raro nei climi temperati, ma è più frequente nelle aree tropicali e subtropicali. L’agente causale è un bacillo gram – intracellulare che si ritrova nelle cellule mononucleari, il C. granulomatis (in precedenza Donovania granulomatis), che non cresce nei comuni terreni di coltura.

Sintomi e segni Il periodo d’incubazione varia da 1 a 12 sett. La lesione iniziale è costituita da un nodulo indolore rosso-carne che si trasforma in una placca arrotondata, maleodorante, rilevata e vellutata. Le sedi dell’infezione negli uomini sono il pene, lo scroto, l’inguine e le cosce; nelle donne, la vulva, la vagina e il perineo; nei maschi omosessuali, l’ano e le natiche; il volto in entrambi i sessi. Non è presente linfoadenopatia e la malattia si diffonde per contiguità e per autoinfezione. Le lesioni progrediscono lentamente, ma alla fine possono ricoprire i genitali. La guarigione è lenta, con formazione di cicatrici. Frequenti sono le infezioni secondarie, che possono provocare abbondanti distruzioni tissutali. Talvolta si verifica una diffusione ematogena nelle ossa nelle articolazioni o nel fegato e nei casi trascurati possono seguire anemia, cachessia e morte.

Diagnosi Sono caratteristiche lesioni rosso carne, chiare, umide, soffici ed elevate. La diagnosi può essere confermata dall’esame microscopico, rilevando la presenza di corpi di Donovan (bacilli intracitoplasmatici nei macrofagi colorati con i preparati di Giemsa o di Wright) negli strisci eseguiti su materiale prelevato per raschiamento dei margini delle lesioni. I reperti bioptici delle lesioni contengono molte plasmacellule ma poche cellule mononucleate.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Terapia Tetracicline, macrolidi e trimetoprim-sulfametossazolo, sono stati usati con ottimi risultati, ma gli aminoglicosidi, i chinolonici e il cloramfenicolo sono anche essi efficaci. Gli schemi di terapia raccomandati sono: azitromicina 500 mg PO al giorno per 7 gg 1 g PO alla settimana per 4 sett., dossiclina 100 mg PO bid per 21 gg, eritromicina 800-1000 mg PO bid per 21 giorni o ceftriaxone 1 g IM o EV / die per 14 giorni. La terapia deve produrre risultati entro 7 gg anche se la guarigione di una malattia estesa può essere lenta e le lesioni possono recidivare, tanto da rendere necessario il prolungamento del trattamento. I soggetti che abbiano avuto contatti sessuali con i pazienti devono essere sottoposti a esame clinico allo scopo di evidenziare eventuali lesioni. I pazienti stessi andranno tenuti sotto controllo per almeno 6 mesi dopo una terapia apparentemente efficace. I pazienti con infezione da HIV possono richiedere un ciclo di trattamento più prolungato.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

VERRUCHE GENITALI (Condilomi acuminati; condilomi venerei) Lesioni iperplastiche della cute o delle mucose dei genitali causate da papillomavirus umani.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia I condilomi anogenitali causati da papillomavirus umano [HPV] tipi 6, 11, 16, 18, 31, 33 e 35 sono trasmessi per via sessuale e presentano un periodo di incubazione di 1-6 mesi. Le infezioni endocervicali causate dai tipi 16 o 18 sono stati implicate nell’eziologia del tumore intraepiteliale della cervice e del cancro del collo dell’utero. I tipi 16 e 18 di HPV di solito non causano condilomi genitali esterni, che invece sono di solito causati dai tipi 6 e 11.

Sintomi e segni Le verruche genitali si presentano come piccoli polipi rosa o grigi, molli e umidi che crescono rapidamente, possono diventare peduncolati e spesso si ritrovano in grappoli. La superficie sembra quella di un cavolfiore. Negli uomini si manifestano nelle superfici calde e umide della regione sottoprepuziale, sul solco coronale, dentro il meato uretrale e sul corpo del pene. Nelle donne possono essere interessati vulva, parete vaginale, collo dell’utero e perineo. Sono particolarmente frequenti nella regione perianale e nel retto negli uomini omosessuali e possono essere più gravi e più diffìcili da trattare nei pazienti immunosoppressi. La velocità di crescita è variabile, ma la gravidanza, l’immunosoppressione o la macerazione della cute, possono accelerare sia la crescita sia la diffusione delle singole lesioni.

Diagnosi Le verruche genitali possono solitamente essere identificate dal loro aspetto, ma devono essere distinte dai condilomi lati ad apice appiattito che caratterizzano la sifilide secondaria. L’effettuazione di biopsie nel caso di verruche atipiche o persistenti può rendersi necessaria onde escludere la presenza di carcinoma. Le verruche endocervicali possono essere evidenziate soltanto dalla colposcopia e

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

non devono essere trattate fino a quando non sia disponibile il risultato di un Pap test.

Terapia Nessuna forma di terapia risulta pienamente soddisfacente. Le recidive sono frequenti e richiedono una nuova terapia. Le verruche genitali possono essere eliminate mediante elettrocauterizzazione, laser-terapia, crioterapia o escissione chirurgica in anestesia locale o generale. Antimicotici topici quali la podofillotossina, la podofillina o il 5-fluorouracile; caustici come l’acido tricloroacetico; o induttori di interferoni, quali l’imiquimod vengono molto usati, ma solitamente richiedono applicazioni ripetute per settimane o mesi e spesso non ottengono buoni risultati. Nelle lesioni uretrali si è dimostrato efficace il tiotepa. Il 5-fluorouracile applicato localmente 2-3 volte/die dal paziente stesso, si è dimostrato efficace sulla uretra maschile, anche se sarà necessario tenere il paziente sotto controllo per l’eventuale formazione di sia pur rare ostruzioni uretrali acute. Il trattamento più soddisfacente può, tuttavia, risultare la rimozione meccanica per mezzo di un resettoscopio, in anestesia generale. L’interferone-α, somministrato IM o direttamente nella lesione, ha eliminato lesioni intrattabili di cute e genitali. La sua modalità ottimale di somministrazione e i risultati a lungo termine non sono chiari. Un atteggiamento cauto è suggerito dai dati in merito a pazienti con papulosi bowenoide dei genitali (da virus tipo 16), nei quali le lesioni inizialmente scomparse dopo il trattamento con interferon-β si sono manifestate nuovamente in forma di cancri invasivi. La circoncisione può prevenire eventuali recidive. I soggetti con cui il paziente avesse avuto contatti sessuali devono essere controllati e devono essere effettuati test sierologici per la sifilide inizialmente e ripetuti dopo 3 mesi. Le recidive sono frequenti e necessitano di un nuovo ciclo di trattamento. È molto importante il follow-up delle donne con verruche genitali endocervicali e dei loro partner sessuali in modo da cogliere eventuali alterazioni displastiche o addirittura un carcinoma invasivo del collo uterino. Il riscontro di HPV tipo 16 o 18 nella papulosi bowenoide e nei carcinomi vescicali giustifca anch’esso l’effetuazione di regolari controlli a distanza. È necessario effettuare esami citologici o colposcopici sul collo uterino, da eseguirsi ogni sei mesi nel caso di donne con infezioni da tipo 16 e 18 per individuare e trattare la displasia, che talvolta è premaligna.

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Malattie a trasmissione sessuale (std)

Manuale Merck 13. MALATTIE INFETTIVE 164. MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE (STD) (V. anche Cap. 163.)

INFEZIONI ENTERICHE A TRASMISSIONE SESSUALE Numerosi germi patogeni di natura batterica (Shigella, Campylobacter), virale (epatite A) o parassitaria (Giardia) vengono trasmessi per mezzo delle pratiche sessuali che implicano una contaminazione anale-orale. Sebbene i germi patogeni batterici possano coesistere con una proctite o possano causarla, essi in genere producono sintomi (diarrea, febbre, nausea e dolori addominali) che indicano una localizzazione più alta nel sistema GI. Le infezioni multiple sono frequenti, specialmente nelle persone che hanno attività sessuali che comportano contatti oro-genitali od oro-anali. Con tutti questi germi patogeni si verificano anche infezioni asintomatiche, che sono anzi la regola con l’Entamoeba dispar che è la designazione data alle specie non patogene, prima denominate Entamoeba histolytica e che si riscontrano negli omosessuali maschi dei paesi occidentali. Diagnosi e terapia di queste affezioni sono illustrate in altre sezioni del Manuale.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 204-2. MECCANISMI CHE CAUSANO SHOCK CARDIOGENO Meccanismo

Causa

Interferenza meccanica con il riempimento ventricolare o precarico

Pneumotorace iperteso, tamponamento cardiaco, tumore o trombo atriale

Interferenza con lo svuotamento ventricolare o postcarico

Embolia polmonare, malfunzionamento di protesi valvolare

Danno alla contrattilità miocardica

Ischemia miocardica o IMA, miocardite, farmaci

Anomalie del ritmo cardiaco

Tachicardia, bradicardia

Eccessiva richiesta di volume

Insufficienza mitralica e aortica acuta, rottura del setto interventricolare

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Coronaropatia

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 202. CORONAROPATIA INFARTO MIOCARDICO Necrosi ischemica miocardica derivante di solito dalla brusca riduzione del flusso coronarico in un determinato distretto miocardico.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Complicanze Diagnosi clinica e di laboratorio Prognosi Terapia Trattamento delle complicanze Terapia dopo la dimissione dall’ospedale

Eziologia e fisiopatologia In > 90% dei pazienti con IMA, un trombo formatosi acutamente, spesso associato alla rottura di una placca, occlude l’arteria (che era in precedenza parzialmente ostruita da una placca aterosclerotica) che fornisce sangue all’area danneggiata. Un’alterata funzione piastrinica indotta dalle modificazioni dell’endotelio a livello della placca aterosclerotica contribuisce presumibilmente alla genesi del trombo. Una trombolisi spontanea si verifica in circa 2/3 dei pazienti, cosicché, a distanza di 24 h, l’occlusione trombotica si ritrova solo nel 30% circa dei casi. L’IMA è raramente causato da un’embolia arteriosa (p. es., nella stenosi aortica o mitralica, nell’endocardite infettiva e nell’endocardite marantica). È possibile avere un IMA in pazienti con spasmo coronarico e arterie coronarie per il resto normali. La cocaina causa un importante spasmo coronarico e gli individui che ne fanno uso possono sviluppare angina o IMA indotti dalla cocaina. Studi autoptici e angiografici hanno mostrato che una trombosi coronarica indotta dalla cocaina può verificarsi su coronarie normali o sovrapporsi a un preesistente ateroma. L’IMA è prevalentemente una malattia del VS, sebbene il danno possa estendersi al ventricolo destro (VD) o agli atri. L’infarto del VD è di solito la conseguenza dell’occlusione dell’arteria coronaria destra o di una circonflessa dominante ed è caratterizzato da un’elevata pressione di riempimento del VD, spesso con grave insufficienza tricuspidale e ridotta gittata cardiaca. Un certo grado di disfunzione del VD si verifica in circa la metà dei pazienti con un infarto infero-posteriore e provoca un’instabilità emodinamica nel 10-15% dei casi. Una disfunzione del VD deve essere presa in considerazione in ogni paziente con infarto infero-posteriore ed elevata pressione venosa giugulare e con ipotensione o shock. La capacità del cuore di continuare a mantenere la funzione di pompa è direttamente proporzionale all’entità del danno miocardico. I pazienti deceduti per shock cardiogeno hanno di solito un infarto, o una combinazione di cicatrice e di nuovo infarto, che interessa 50% della massa del VS. Gli infarti anteriori tendono a essere più estesi e hanno una prognosi peggiore rispetto agli infarti inferofile:///F|/sito/merck/sez16/2021790.html (1 of 15)02/09/2004 2.12.27

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posteriori. Sono solitamente dovuti a occlusione dei rami coronarici di sinistra, soprattutto dell’arteria discendente anteriore, mentre gli infarti infero-posteriori riflettono l’occlusione della coronaria destra o di una circonflessa dominante. Gli infarti transmurali interessano la parete miocardica a tutto spessore, dall’epicardio all’endocardio, e si caratterizzano solitamente per un’onda Q patologica all’ECG. Gli infarti non transmurali o subendocardici non si estendono attraverso tutta la parete ventricolare e causano soltanto anomalie del tratto ST e dell’onda T. Gli infarti subendocardici coinvolgono generalmente il terzo più interno del miocardio, dove la tensione di parete è massima e il flusso miocardico è più vulnerabile a modificazioni circolatorie. Essi possono anche seguire una prolungata ipotensione da qualunque causa. Poiché l’estensione della necrosi attraverso la parete miocardica non può essere determinata clinicamente in maniera precisa, gli infarti vengono più correttamente classificati come Q e non-Q in base all’ECG. L’ammontare del miocardio necrotico può essere stimato dall’entità e dalla durata dell’aumento della CK.

Sintomi e segni Circa 2/3 dei pazienti avvertono sintomi premonitori qualche giorno o settimana prima dell’evento, compresa angina instabile o in crescendo (v. sopra), dispnea o affaticabilità. Il primo sintomo di un IMA è in genere il dolore viscerale profondo, retrosternale, descritto come costrittivo od oppressivo, spesso irradiato al dorso, alla mandibola o al braccio sinistro. Il dolore ha caratteristiche analoghe a quelle dell’angina pectoris, ma di solito è più intenso, duraturo e scarsamente o solo transitoriamente alleviato dal riposo o dalla nitroglicerina. Tuttavia, il dolore può anche essere molto lieve e circa il 20% degli infarti acuti è silente o non viene riconosciuto dal paziente come un evento patologico. Le donne possono avere un fastidio toracico atipico. I pazienti anziani possono lamentare dispnea piuttosto che dolore toracico di tipo ischemico. Negli episodi gravi il paziente appare angosciato e può avvertire una sensazione di morte imminente. Possono verificarsi nausea e vomito, soprattutto nell’IM inferiore. I sintomi dovuti a insufficienza del VS, a edema polmonare, a shock o aritmie importanti possono dominare il quadro clinico. All’esame clinico, il paziente appare in preda a un dolore intenso, è di solito inquieto e ansioso, con la cute pallida, fredda e sudata. Può manifestarsi cianosi periferica o centrale. Il polso può essere filiforme e la PA è variabile, sebbene la maggior parte dei pazienti presenti inizialmente un certo grado di ipertensione, a meno che non si stia sviluppando uno shock cardiogeno. I toni cardiaci sono spesso un po’ attutiti; è quasi di regola la presenza di un quarto tono. Può esserci un soffio sistolico dolce apicale (espressione di disfunzione del muscolo papillare). Il rilievo di sfregamenti o soffi più marcati alla valutazione iniziale suggerisce una cardiopatia preesistente o un’altra diagnosi. La comparsa di uno sfregamento nelle primissime ore dell’IMA è piuttosto insolita e può suggerire la diagnosi di pericardite acuta piuttosto che di IMA. Sfregamenti pericardici, solitamente evanescenti, sono comuni al 2o e 3o giorno dopo un infarto di tipo Q.

Complicanze Un’aritmia, di qualunque genere, si verifica in > 90% dei pazienti infartuati (v. anche Cap. 205). In una fase precoce, si possono osservare bradicardia o battiti ectopici ventricolari (BEV). Le turbe della conduzione possono riflettere un danno a carico del nodo del seno, del nodo atrioventricolare o del tessuto specifico di conduzione. Le aritmie potenzialmente letali, che costituiscono la principale causa di morte nelle prime 72 h, comprendono la tachicardia di qualsiasi origine, rapida abbastanza da ridurre la gittata cardiaca e abbassare la PA, i blocchi AV di secondo grado tipo Mobitz II o di terzo grado, la tachicardia ventricolare (TV) e

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la fibrillazione ventricolare (FV). Il blocco cardiaco completo con QRS largo (gli impulsi atriali non riescono a raggiungere il ventricolo, la frequenza ventricolare è bassa) è raro e generalmente è indice di un infarto anteriore massivo. Il blocco atrioventricolare completo con QRS stretto indica di solito un infarto inferiore o posteriore. L’asistolia è infrequente, a parte i casi in cui compare come manifestazione terminale di insufficienza ventricolare sinistra progressiva e shock. I disturbi della funzione del nodo del seno dipendono dall’arteria da cui ha origine il vaso che lo irrora (cioè coronaria destra o sinistra) e dalla possibilità, specialmente nei pazienti in età più avanzata, di una patologia preesistente. La bradicardia sinusale non ha in genere alcun significato, a meno che la frequenza cardiaca sia inferiore a 50 bpm. La tachicardia sinusale persistente è di solito un segno infausto, spesso espressione di insufficienza del VS e di bassa gittata cardiaca. Vanno comunque ricercate altre cause (p. es., sepsi, ipertiroidismo). Aritmie atriali, compresi i battiti ectopici atriali (BEA), la fibrillazione e il flutter atriale (meno comune della fibrillazione) si riscontrano in circa il 10% dei pazienti con IMA e possono essere espressione di scompenso ventricolare sinistro o infarto atriale destro. La tachicardia atriale parossistica è rara e in genere si manifesta in pazienti che hanno già avuto episodi precedenti. La fibrillazione atriale che si verifica entro le prime 24 ore è solitamente transitoria. Fattori di rischio comprendono un’età > 70 anni, lo scompenso cardiaco, un pregresso IMA, un infarto anteriore esteso, un infarto atriale, la pericardite, l’ipokaliemia, l’ipomagnesiemia, malattie respiratorie croniche e l’ipossia. La terapia trombolitica ne riduce l’incidenza. La fibrillazione atriale parossistica ricorrente è un segno prognostico negativo e aumenta il rischio di embolia sistemica. Nel blocco atrioventricolare, modificazioni reversibili della conduzione atrioventricolare, cioè turbe della conduzione tipo Mobitz I con prolungamento dell’intervallo P-R o fenomeno di Wenckebach, si osservano con relativa frequenza, particolarmente nell’infarto infero-diaframmatico; in tal caso, infatti, sono interessati i vasi che irrorano la parete posteriore del VS, che danno rami per il nodo atrioventricolare. Questi disturbi di solito sono autolimitantesi. La corretta diagnosi ECG del tipo di blocco è importante. La progressione verso il blocco cardiaco completo è insolita; il vero blocco tipo Mobitz II, con battiti mancanti o blocco atrioventricolare con complessi QRS larghi e lenti, rappresenta solitamente una complicanza infausta dell’infarto anteriore massivo. Le aritmie ventricolari sono comuni. BEV si verificano nella maggior parte dei pazienti con IMA, ma non richiedono terapia. La FV primaria si verifica nelle prime ore dopo un IMA. La FV tardiva può essere associata con ischemia miocardica continua o tardiva e, quando associata con instabilità emodinamica, è un segno prognostico negativo. Le aritmie ventricolari possono riflettere ipossia, squilibrio elettrolitico o iperattività simpatica. L’insufficienza cardiaca si verifica in circa i 2/3 dei pazienti ospedalizzati per IMA. Di solito è predominante la disfunzione del VS, con dispnea, rantoli inspiratori alle basi polmonari e ipossiemia. I segni clinici dipendono dalle dimensioni dell’infarto, dall’aumento della pressione di riempimento del VS e dall’entità della riduzione della gittata cardiaca. Nell’insufficienza del VS, la PaO2 prima e dopo la somministrazione efficace di un diuretico ad azione rapida (p. es., furosemide 40 mg EV) può essere d’aiuto per fare diagnosi: una ridotta PaO2 dovuta a insufficienza del VS deve aumentare dopo la diuresi. La mortalità varia in maniera direttamente proporzionale alla gravità dell’insufficienza ventricolare sinistra (v. Tab. 202-3). Nell’infarto del VD, i segni clinici comprendono un’elevata pressione di riempimento del VD, turgore giugulare, nessun rilievo patologico a carico dei campi polmonari e ipotensione. Un sopraslivellamento del tratto ST di 1 mm nella derivazione precordiale destra (V4R) è altamente indicativo di infarto del VD. L’infarto del VD che complica un infarto del VS è associato a un aumento della mortalità.

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L’ipossiemia che accompagna comunemente un IMA è solitamente secondaria all’aumento della pressione atriale sinistra con conseguente alterazione del rapporto ventilazione/perfusione a livello polmonare, edema polmonare in fase interstiziale, collasso degli alveoli e aumento della quota fisiologica di shunt. In pazienti di età compresa fra 50 e 70 anni, i valori normali di PaO2 a riposo a letto sono di circa 82 ± 5 mm Hg. L’ipotensione in corso di IMA può essere dovuta alla riduzione del riempimento ventricolare o alla perdita di forza contrattile secondaria a un infarto massivo. Un ridotto riempimento del VS è il più delle volte la conseguenza di una ridotto ritorno venoso, a sua volta secondario a ipovolemia, soprattutto in pazienti che ricevono una terapia diuretica intensa; tuttavia, esso può anche riflettere un infarto del VD. Per determinare la causa dell’ipotensione, talvolta è necessario misurare le pressioni intracardiache mediante catetere transcutaneo a palloncino flottante (Swan-Ganz). Se (in presenza di ipotensione sistemica) la pressione nell’atrio sinistro è bassa, va eseguito un test di carico di liquidi (NaCl 0,9% o 0,45%): si somministrano 200-400 ml di NaCl in 30 min monitorando la PA sistemica e quella atriale sinistra. Se la PA sale con un incremento solo modesto della pressione atriale, la diagnosi di ipovolemia è probabile. Alternativamente (se non si misurano le pressioni intracardiache), un aumento della PA con miglioramento del quadro clinico e assenza di congestione polmonare suggerisce un’ipovolemia. Lo shock cardiogeno, caratterizzato da ipotensione, tachicardia, diuresi ridotta, confusione mentale, sudorazione profusa ed estremità fredde, ha una mortalità 65%. È soprattutto associato all’infarto massivo in sede anteriore e alla perdita di una quota > 50% del miocardio ventricolare sinistro funzionante. Un’ischemia ricorrente può seguire un IMA. Il dolore toracico dell’IMA scompare generalmente in 12-24 ore. Ogni dolore toracico residuo o successivo può rappresentare una pericardite, un’embolia polmonare o altre complicanze (p. es., polmonite, disturbi gastrici o ischemia ricorrente). L’ischemia ricorrente è di solito accompagnata da modificazioni reversibili dell’onda T e del tratto ST all’ECG. La PA può essere elevata. Fino a 1/3 dei pazienti che non hanno più dolore toracico possono avere ischemia silente (modificazioni ECG senza dolore). L’evidenza di ischemia continua post-IMA suggerisce la presenza di miocardio a rischio. Un’insufficienza funzionale del muscolo papillare si verifica in circa il 35% dei pazienti. In alcuni si ha un’insufficienza mitralica permanente, causata da una lesione cicatriziale del muscolo papillare o della parete libera. L’auscultazione frequente nel corso delle prime ore dell’infarto permette di apprezzare spesso un transitorio soffio telesistolico apicale, che si ritiene legato all’ischemia di un muscolo papillare che provoca una mancata coaptazione completa dei lembi valvolari mitralici. Esistono 3 forme di rottura del miocardio: quella del muscolo papillare, la rottura del setto interventricolare e quella della parete libera. La rottura di un muscolo papillare è spesso associata a un infarto inferoposteriore, dovuto all’occlusione dell’arteria coronaria destra. Essa produce una grave insufficienza mitralica acuta ed è caratterizzata dall’improvvisa comparsa di un soffio sistolico puntale intenso con fremito, in presenza di edema polmonare. La rottura del setto interventricolare, sebbene rara, è 8-10 volte più frequente della rottura di un muscolo papillare. È caratterizzata dall’improvvisa comparsa di un soffio sistolico intenso con fremito, più mediale rispetto all’apice, lungo il margine sternale sinistro a livello del 3o-4o spazio intercostale, accompagnato da ipotensione con o senza segni di insufficienza ventricolare sinistra. La diagnosi può essere confermata mediante l’inserimento di un catetere a palloncino per la determinazione e il confronto della saturazione di O2 o della Po2 di campioni di sangue prelevati dall’atrio destro, dal VD e dall’arteria polmonare. Un significativo aumento dei valori di Po2 nel VD è diagnostico. L’ecocardiografia Doppler è spesso diagnostica.

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L’incidenza della rottura di cuore aumenta con l’età ed è più alta nelle donne. Si caratterizza per l’improvvisa caduta della PA, con persistenza momentanea del ritmo sinusale, e per la frequente presenza di segni di tamponamento cardiaco. È quasi sempre fatale. Lo pseudoaneurisma è una forma di rottura della parete libera del VS, in cui una parete aneurismatica fatta da trombi e pericardio impedisce lo stravaso di sangue. L’aneurisma ventricolare è comune, soprattutto in presenza di un grosso infarto transmurale (più comunemente anteriore) e di una buona funzione del miocardio restante. Gli aneurismi possono formarsi in alcuni giorni, settimane o mesi. Non vanno incontro a rottura, ma possono essere accompagnati da aritmie ventricolari ricorrenti e da bassa gittata cardiaca. Un altro rischio legato agli aneurismi ventricolari è la formazione di un trombo murale e l’embolizzazione sistemica. Il sospetto diagnostico deriva dal rilievo ispettivo o palpatorio di movimenti paradossi precordiali accompagnati da sopraslivellamento persistente del tratto ST all’ECG o da una caratteristica protrusione dell’ombra cardiaca alla rx del torace. L’ecocardiografia aiuta a fare diagnosi e a rilevare la presenza di un trombo. La somministrazione di ACE-inibitori durante la fase acuta di un infarto influisce sul rimodellamento del VS e può ridurre l’incidenza degli aneurismi. Un’asinergia del ventricolo può verificarsi a causa della giustapposizione di miocardio normale e patologico in corso di IMA. Un segmento acinetico non si contrae e non mostra il caratteristico movimento di retrazione in sistole. Un segmento ipocinetico ha una ridotta escursione contrattile e una parziale compromissione della retrazione sistolica. Nel caso di infarti multipli, l’ipocinesia miocardica è diffusa e, se predominano la bassa gittata cardiaca e l’insufficienza cardiaca con congestione polmonare, si parla di miocardiopatia ischemica. Un segmento discinetico mostra un’espansione sistolica o un bulging (movimento paradosso). Queste alterazioni possono essere individuate mediante ecocardiografia bidimensionale, ventricolografia radionuclidica o angiografia e possono contribuire alla riduzione della funzione ventricolare e della tolleranza allo sforzo a lungo termine. La trombosi murale si verifica in circa il 20% dei pazienti con IMA (60% dei pazienti con ampi infarti anteriori). L’embolia sistemica si ha in circa il 10% dei pazienti con trombosi del VS (meglio diagnosticata all’ecocardiografia); il rischio è più alto nei primi 10 giorni ma persiste almeno per 3 mesi. La pericardite può causare uno sfregamento pericardico in circa 1/3 dei pazienti con IMA transmurale. Lo sfregamento compare di solito 24-96 h dopo l’insorgenza dell’IMA. Un esordio più precoce è insolito e suggerisce la possibilità di altre patologie (p. es., pericardite acuta), benché la pericardite emorragica possa occasionalmente complicare la fase precoce dell’IMA. Il tamponamento è raro. La sindrome postinfartuale (sindrome di Dressler) si sviluppa in alcuni pazienti diversi giorni, o settimane o anche mesi, dopo l’IMA, ma negli ultimi anni la sua incidenza sembra essersi ridotta. È caratterizzata da febbre, pericardite con sfregamenti, versamento pericardico, dolore pleuritico, versamento pleurico, infiltrati polmonari e dolore articolare. Può essere difficile differenziare tale condizione da un’estensione dell’infarto o da un reinfarto, ma gli enzimi cardiaci non aumentano in maniera significativa. Questa sindrome può essere ricorrente.

Diagnosi clinica e di laboratorio Un IMA tipico viene diagnosticato mediante l’anamnesi, confermato dall’ECG iniziale e da successivi tracciati seriati e ulteriormente supportato dal rilievo di un movimento enzimatico. Tuttavia, in alcuni casi, la diagnosi definitiva può non essere possibile; i dati clinici possono essere tipici o fortemente suggestivi, in presenza di un ECG e di livelli enzimatici non diagnostici: i pazienti vengono classificati come portatori di un possibile o probabile IMA. È probabile che alcuni file:///F|/sito/merck/sez16/2021790.html (5 of 15)02/09/2004 2.12.28

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di questi pazienti abbiano subito un IMA di modesta estensione. La diagnosi di IMA va presa in considerazione negli uomini > 35 anni e nelle donne > 50 anni che si lamentano soprattutto di un dolore toracico che va differenziato dal dolore dovuto a polmonite, embolia polmonare, pericardite, frattura costale, infrazione costocondrale, spasmo esofageo, dolorabilità dei muscoli toracici dopo un trauma o dopo attività fisica, dissezione aortica acuta, colica renale, infarto splenico e diverse patologie gastrointestinali. I pazienti confondono spesso il dolore dell’IMA con un’indigestione e la corretta valutazione di tale sintomo può essere resa difficile da una coesistente ernia iatale, ulcera peptica o patologia della colecisti. Nonostante il dolore dell’IMA sia comunemente alleviato dal vomito o dagli antiacidi, tale beneficio è solitamente di breve durata o solo parziale. ECG: l’indagine diagnostica più importante nel paziente con sospetto IMA è l’ECG. Nell’IMA transmurale (infarto di tipo Q) l’ECG iniziale è di solito diagnostico, perché evidenzia onde Q anormalmente profonde e sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni che sottendono l’area danneggiata; l’ECG può anche essere notevolmente alterato con tratto ST sopraslivellato o sottoslivellato e onda T invertita, in assenza di onde Q patologiche (v. Figg. 202-1, 202-2, 202-3, 202-4, 202-5 e 202-6). La comparsa di un blocco di branca sinistra ex novo può essere il segno di un IMA recente. L’immediata esecuzione di un ECG a 12 derivazioni è cruciale per decidere circa la terapia (i pazienti con sopraslivellamento del tratto ST possono beneficiare della terapia trombolitica; v. Terapia, più avanti). In presenza di sintomi caratteristici, il sopraslivellamento del tratto ST all’ECG ha una specificità del 90% e una sensibilità del 45% per la diagnosi di IMA. Tracciati ripetuti in serie che mostrano una graduale evoluzione verso un quadro stabile, più vicino alla normalità, o la comparsa di onde Q patologiche nel giro di pochi giorni, tendono a confermare l’ipotesi iniziale di un IMA. Gli infarti non transmurali (infarti non-Q) interessano di solito gli strati subendocardici o mesomiocardici, non sono caratterizzati dalla comparsa di onde Q diagnostiche all’ECG e comunemente producono solo modificazioni di grado variabile del tratto ST e dell’onda T. In alcuni pazienti, le alterazioni dell’ECG sono meno eclatanti, variabili o aspecifiche e perciò difficili da interpretare. Tuttavia, non è possibile diagnosticare un IMA quando ECG ripetuti sono normali. Un ECG normale in assenza di sintomatologia dolorosa non esclude la presenza di un’angina instabile che può evolvere verso un IMA. Esami ematochimici: gli esami di routine evidenziano alterazioni compatibili con una necrosi tissutale. Dopo circa 12 h, la VES è aumentata e la conta leucocitaria è moderatamente elevata con spostamento a sinistra della formula di Arneth. La CK-MB, componente miocardica della CK, si rileva in circolo entro 6 h dalla necrosi miocardica. I suoi livelli ematici persistono elevati per 36-48 h. Sebbene piccole quantità di CK-MB si trovino anche in altri tessuti, l’aumento della CK con componente MB > 40% è diagnostico, se associato a dati clinici suggestivi di IMA. Il dosaggio di routine della CK-MB all’ingresso e q 6-8 h nelle prime 24 h confermerà o esluderà la diagnosi. Una CK-MB normale per 24 h esclude praticamente un IMA. Anche la mioglobina e le proteine contrattili troponina-T e troponina-I vengono rilasciate in circolo dal miocardio infartuato. La troponina-T e la troponina-I sembrano essere marker molto sensibili di danno miocardico e possono sostituire l’analisi della CK-MB quando bisogna prendere delle decisioni cliniche in pazienti con dolore toracico ed ECG non diagnostico. Le troponine vengono rilasciate in alcuni pazienti con angina instabile e i livelli raggiunti correlano con la prognosi (quanto più alti, tanto maggiore è la probabilità di futuri eventi avversi). Diagnostica per immagini (v. anche Cap. 198): per visualizzare un IMA, sono disponibili due tecniche. Il tecnezio-99m pirofosfato si accumula nel miocardio che ha subito un ( 3-4 giorni) infarto recente. Al contrario, il tallio-201 si concentra all’interno delle cellule del miocardio vitale mimando il K e si distribuisce in maniera direttamente proporzionale al flusso ematico. Tuttavia, la scintigrafia è costosa, richiede molto tempo e comporta l’esposizione a radiazioni; inoltre, le informazioni ottenute sono spesso solo di utilità marginale nella diagnosi e nel trattamento dell’IMA.

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L’ecocardiografia può essere utile per valutare la cinetica di parete, la presenza di un trombo ventricolare, la rottura di un muscolo papillare, la rottura del setto interventricolare e la presenza di un trombo endocavitario in pazienti con infarto anteriore di tipo Q. Quando la diagnosi di IMA non è certa, il rilievo di anomalie della cinetica segmentaria del VS mediante ecocardiografia permette di stabilire che è presente un danno miocardico presumibilmente dovuto a un IMA recente o pregresso. Cateterismo destro: il trattamento delle complicanze dell’IMA (p. es., lo scompenso cardiaco grave, l’ipossia, l’ipotensione) può giovarsi dei rilievi pressori nelle cavità destre, nell’arteria polmonare e nei capillari polmonari mediante cateteri a palloncino in posizione di incuneamento (Swan-Ganz). La gittata cardiaca può essere determinata mediante la tecnica di diluizione degli indicatori. Per le complicanze e altri dettagli circa il cateterismo cardiaco, v. Cap. 198.

Prognosi Cinque caratteristiche cliniche predicono il 90% della mortalità nei pazienti che si presentano con un IMA o con sopraslivellamento del tratto ST e ricevono terapia trombolitica: età avanzata (31% della mortalità totale), ridotti valori di PA sistolica (24%), classe Killip > 1 (15%), aumentata frequenza cardiaca (12%) e localizzazione in sede anteriore (6%). Nonostante gli sforzi che si vanno compiendo per ottimizzare i programmi di terapia per l’IMA, queste variabili cliniche iniziali influenzano la prognosi in maniera altamente significativa. Il 60% della mortalità totale per IMA è dovuta a FV primaria, che si verifica prima che il paziente giunga in ospedale. La mortalità dei pazienti che sopravvivono all’iniziale fase ospedaliera, a un anno dall’IMA, è dell’8-10%: la maggior parte dei decessi si verifica durante i primi 3-4 mesi. Dei pazienti che recuperano, sono ad alto rischio quelli con: aritmie ventricolari persistenti, scompenso cardiaco o ridotta funzione ventricolare, ischemia ricorrente. Pareri autorevoli raccomandano l’uso di un test ergometrico limitato dai sintomi (v. Prevenzione della Malattia Coronarica sopra) al momento della dimissione o entro 6 settimane dall’IMA. Una buona tolleranza allo sforzo fisico in assenza di modificazioni ECG è associata a una prognosi favorevole; in tal caso, ulteriori valutazioni non sono abitualmente necessarie. Una prova da sforzo anormale è associata ad una prognosi sfavorevole.

Terapia La terapia deve mirare a ridurre il livello di stress, eliminare l’ischemia, limitare l’area della necrosi, ridurre il lavoro cardiaco e prevenire e trattare le complicanze (v. oltre). L’IMA è un’emergenza medica e l’esito finale è influenzato in maniera significativa da una diagnosi e un trattamento rapidi. L’UTIC deve essere un ambiente calmo, tranquillo, riposante. È preferibile la camera singola, e deve essere assicurata al paziente una certa privacy, compatibilmente con le esigenze di monitoraggio delle sue funzioni vitali. Nei primi giorni di malattia vanno evitate le visite e va ridotto al minimo il contatto con l’esterno (p. es., radio, quotidiani). L’orologio, il calendario e una finestra aiuteranno il paziente a orientarsi e impediranno che si senta isolato. Sono comuni ansietà, modificazioni dell’umore e un atteggiamento di rifiuto. Viene spesso somministrato un blando tranquillante (di solito una benzodiazepina), ma molti ritengono che tali farmaci siano raramente necessari. La depressione psichica è frequente entro il 3o giorno di malattia ed è quasi universale durante la fase di guarigione. Superata la fase acuta, gli obiettivi principali consistono nel trattamento della depressione psichica, nella

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riabilitazione e nell’istituzione di un programma di prevenzione a lungo termine. Enfatizzare eccessivamente l’importanza del riposo a letto, l’inattività e la gravità della malattia rafforza la tendenza alla depressione del paziente. Un impatto positivo è dato da un’accurata spiegazione delle caratteristiche della malattia e dalla descrizione di un programma di riabilitazione mirato, sulla base della situazione del paziente. Fa parte delle misure generali mantenere normali le funzioni intestinali ed evitare sforzi per la defecazione usando lassativi. Nei pazienti più anziani è comune la ritenzione urinaria, particolarmente dopo diversi giorni di riposo a letto e dopo terapia con atropina. Può rendersi necessaria l’applicazione di un catetere vescicale, che comunque in genere può essere rimosso non appena il paziente è in grado di alzarsi in piedi o di mettersi seduto per svuotare la vescica e l’alvo. Il fumo va proibito: la degenza in UTIC è una delle motivazioni più efficaci per la sospensione del fumo. Il medico deve impegnarsi a fondo per rafforzare nel paziente la convinzione a smettere definitivamente di fumare. I pazienti in fase acuta hanno scarso appetito, ma modiche quantità di alimenti piacevoli sono psicologicamente utili. I pazienti vengono di solito alimentati con una dieta semiliquida da 1500-1800 kcal/die, con un ridotto apporto di Na (2-3 g/ die, cioè 87-130 mEq/die). La restrizione di Na non è più necessaria dopo i primi 2-3 giorni per i pazienti che non hanno evidenza di scompenso cardiaco. Va usata una dieta a ridotto contenuto di colesterolo e di grassi saturi per iniziare a educare il paziente a più sane abitudini alimentari. Terapia iniziale: il 50% dei decessi da IMA si verifica entro 3-4 ore dall’insorgenza dei sintomi e la prognosi può essere influenzata dalla terapia praticata in questi primi momenti. Il principale fattore che ritarda la terapia è il diniego del paziente, che non riconosce i propri sintomi come indice di una patologia grave e potenzialmente letale. Un immediato rischio per la sopravvivenza è costituito dalla FV primaria (FV senza BEV precedenti) o, occasionalmente, dal blocco cardiaco o dalla bradicardia estrema con conseguente ipotensione che porta all’arresto cardiaco. Un trattamento iniziale ottimale comprende una rapida diagnosi, il controllo del dolore e dell’ansia, la stabilizzazione del ritmo cardiaco e della PA, la somministrazione di un trombolitico, se possibile (v. Terapia trombolitica, più avanti), e il trasporto presso un ospedale mediante un’ambulanza dotata di dispositivi per il monitoraggio continuo del paziente. Ogni Pronto Soccorso dovrebbe avere sistemi per il triage immediato del paziente con dolore toracico, per consentire una rapida valutazione delle condizioni cliniche del paziente e l’esecuzione di un ECG urgente. Va stabilita un’affidabile via venosa, va prelevato del sangue per l’analisi degli enzimi e va stabilito un monitoraggio continuo dell’ECG (su una derivazione). L’efficienza dei servizi medici d’emergenza, compresa la disponibilità di un elettrocardiografo portatile, la possibilità di una trombolisi precoce quando indicata e l’esecuzione di un triage adeguato che indirizzi verso l’ospedale più appropriato (ciò dipende da una corretta valutazione iniziale del paziente), influiscono sulla mortalità e sulle complicanze. I pazienti a basso rischio non hanno bisogno di essere ricoverati in UTIC. Nonostante l’ampia varietà di apparecchi di monitoraggio elettronico disponibili, solo la frequenza cardiaca e il ritmo (come rilevati sulla base dall’ECG) si sono dimostrati utili per il monitoraggio continuo di routine. Personale paramedico qualificato può riconoscere le aritmie all’ECG e avviare immediatamente i protocolli per la terapia. Tutto il personale paramedico professionale deve essere addestrato a eseguire la rianimazione cardiorespiratoria di base (v. Cap. 206). Va somministrata aspirina alla dose di 160-325 mg (se non controindicata) al momento dell’esordio dei sintomi e, successivamente, una volta al giorno, per sempre. Sembra che la prima dose sia assorbita più velocemente se masticata. Il suo effetto antiaggregante riduce la mortalità a breve e lungo termine. L’ossigeno viene somministrato mediante maschera facciale al 40% o cannule nasali a 4-6 l/ min solo nelle prime ore. file:///F|/sito/merck/sez16/2021790.html (8 of 15)02/09/2004 2.12.28

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La morfina, a dosi di 2-4 mg EV ripetute al bisogno, è altamente efficace per il dolore dell’IMA, ma può deprimere il respiro, può ridurre la contrattilità miocardica ed è un potente vasodilatatore venoso. All’ipotensione e alla bradicardia legate alla somministrazione di morfina si può in genere ovviare sollevando gli arti inferiori. Il dolore persistente può essere alleviato in alcuni pazienti dalla somministrazione di nitroglicerina, inizialmente per via sublinguale e poi in infusione EV continua a goccia lenta, se necessario. La maggior parte dei pazienti è moderatamente ipertesa all’arrivo in Pronto Soccorso e la PA scende gradualmente nel corso delle ore successive. L’ipotensione grave o i segni di shock hanno un significato infausto e devono essere trattati in maniera aggressiva. L’ipertensione arteriosa persistente richiede una terapia aggressiva con antiipertensivi, preferibilmente EV, per abbassare la PA e ridurre il lavoro cardiaco. Terapia trombolitica: la terapia trombolitica è massimamente efficace se somministrata entro pochi minuti o poche ore dall’esordio dell’IMA e ciò rende necessario fare la diagnosi rapidamente. Nella fase acuta di un IMA di tipo Q, i trombolitici riducono la mortalità ospedaliera del 30-50%, se usati insieme all’ASA, e migliorano la funzione ventricolare. Quanto più precoce è la terapia trombolitica, tanto migliori sono i risultati a distanza. Il beneficio maggiore si ha entro 3 h, ma è stato dimostrato che la trombolisi può risultare efficace anche quando praticata dopo 12 h. Il sopraslivellamento del tratto ST individua i candidati alla terapia trombolitica. Ogni sforzo deve essere fatto per raggiungere un tempo "dalla porta all’ago" ("door to needle") 30 min. Circa il 50% dei pazienti con un IMA dimostrato dal rilievo di movimento enzimatico non ha un sopraslivellamento del tratto ST od onde Q. La fissurazione o la rottura di una placca o ancora l’emorragia all’interno di una placca, con successiva occlusione del vaso da parte di un trombo, sono comunemente la causa dell’IMA. Nell’occlusione sperimentale di una coronaria, la necrosi progredisce dal subendocardio al subepicardio e la maggior parte della necrosi si completa entro 6 h. Le maggiori possibilità di recupero del miocardio si hanno se il vaso viene riaperto entro 2 h. La trombolisi deve essere presa in considerazione nei pazienti che presentano un sopraslivellamento del tratto ST in due o più derivazioni contigue, nei pazienti con sintomi tipici in cui la presenza di un blocco di branca non consente di apprezzare le modificazioni ECG suddette, in quelli con IMA solo posteriore (che si presentano con una r o R e un sottoslivellamento del tratto ST in V1-V4) e nel paziente (raro) che si presenta con onde T giganti. Il miglioramento è più significativo nei pazienti con infarto anteriore o blocco di branca. Gli infarti non-Q non si accompagnano in genere a un trombo totalmente occlusivo e non sono solitamente trattati con trombolisi, perché non ci sono evidenze di un vantaggio terapeutico. L’effetto terapeutico correla con il grado di riperfusione dell’arteria coronaria ostruita. L’ipotesi dell’"arteria aperta" ("open artery") asserisce che la pervietà dell’arteria dopo un’occlusione acuta predice la sopravvivenza dopo l’IMA. Il maggior rischio della terapia trombolitica è l’emorragia, in particolare l’emorragia endocranica (circa 1%). Tale rischio è maggiore nei pazienti > 65 anni, ma un chiaro beneficio della trombolisi può essere dimostrato in pazienti selezionati fino a 75 anni d’età con un peso corporeo > 70 kg, in assenza di ipertensione o di una storia di emorragia endocranica. Le controindicazioni comprendono: chirurgia toracica o addominale nel mese precedente, sanguinamento GI o GU attivo (ma non mestruazioni), trauma cranico, ictus o attacco ischemico transitorio recente e ipertensione sistolica con valori di PAS > 180 mm Hg. Non ci deve essere evidenza di dissezione aortica o pancreatite. Streptokinasi, anistreplase (complesso di streptokinasi e attivatore tissutale del plasminogeno), alteplase e reteplase sono disponibili per uso EV. Questi attivatori del plasminogeno trasformano il plasminogeno a catena singola in plasminogeno a catena doppia, che ha attività fibrinolitica. Tuttavia, file:///F|/sito/merck/sez16/2021790.html (9 of 15)02/09/2004 2.12.28

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questi farmaci differiscono fra loro per molte caratteristiche cliniche importanti (v. Tab. 202-4). La streptokinasi (1,5 milioni di U somministrati in 30-60 min) può provocare reazioni allergiche, soprattutto se utilizzata in precedenza; tuttavia, comporta una minore incidenza di emorragia cerebrale, non richiede concomitante terapia eparinica, ricanalizza l’arteria coinvolta meno frequentemente ed è relativamente poco costosa. L’alteplase viene utilizzato in un dosaggio accelerato ("frontloaded") di 100 mg EV in 90 min, secondo lo schema seguente: 15 mg in bolo, poi 0,75 mg/kg nei 30 min successivi (fino a un massimo di 50 mg) e infine 0,50 mg/kg in 60 min (fino a un massimo di 35 mg). Si raccomanda di associare eparina EV all’alteplase, perché questo aumenta la probabilità di ristabilire la pervietà del vaso. L’alteplase non provoca allergie, riesce a riaprire il vaso più frequentemente rispetto agli altri trombolitici ed è più costoso. L’anistreplase viene somministrato alla dose di 30 mg EV in 5 min. Ha una lunga emivita, può provocare allergie e ha caratteristiche intermedie fra gli altri due trombolitici. Il reteplase è simile all’alteplase e va somministrato alla dose di 10 U in un bolo di 2 min, da ripetere dopo 30 min. Terapia antitrombotica associata: l’utilizzo e la via di somministrazione dell’eparina dipendono dal trombolitico usato e dal rischio tromboembolico. L’eparina EV va somministrata all’inizio della terapia con alteplase alla dose di 70 U/kg in bolo con un successivo mantenimento di circa 15 U/kg/h, da aggiustare poi in modo da mantenere il PTT su valori di 1,5-2 volte il valore basale (50-75 s) per 48 ore. La somministrazione di eparina EV può essere proseguita > 48 h nei pazienti ad alto rischio per eventi tromboembolici. L’eparina EV non è, al momento attuale, raccomandata in associazione agli altri trombolitici e i potenziali vantaggi della sua somministrazione per via sottocutanea non sono chiari. Tuttavia, nei pazienti ad alto rischio di embolia sistemica (IMA anteriore esteso, trombo in VS, fibrillazione atriale), l’eparina EV (a dose piena, come quella sopra descritta in associazione all’alteplase) riduce l’incidenza di eventi tromboembolici. L’utilità dell’irudina, un nuovo farmaco antitrombotico diretto, resta ancora da stabilire. L’efficacia delle eparine a basso peso molecolare nell’angina e nell’IMA non è ancora stata dimostrata in maniera definitiva. Sono attualmente in corso trial clinici sugli antagonisti del recettore piastrinico glicoproteina IIb/IIIa, per stabilire la loro utilità nelle sindromi coronariche acute. L’abciximab è già stato approvato per prevenire la ricorrenza della trombosi coronarica nei pazienti ad alto rischio sottoposti ad angioplastica. È stato dimostrato che il tirofiban previene gli eventi ischemici acuti nell’infarto non-Q e nell’angina instabile. Farmaci che riducono il lavoro cardiaco: la funzione cardiaca dopo il recupero dipende in larga parte dalla massa di miocardio funzionante che sopravvive all’episodio acuto. Cicatrici da pregressi infarti si sommano al danno acuto. Quando il danno totale supera il 50% della massa del VS, è insolito che il paziente sopravviva. La riduzione del fabbisogno di O2 da parte del miocardio mediante riduzione del postcarico con vasodilatatori o riduzione della frequenza cardiaca e della contrattilità con β-bloccanti limita l’area dell’infarto. I β-bloccanti riducono l’incidenza di FV e sono raccomandati, se non controindicati, soprattutto nei pazienti ad alto rischio. La somministrazione EV di β-bloccanti entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi migliora la prognosi perché riduce l’area di necrosi, la frequenza di recidive, l’incidenza di FV e la mortalità. Clinicamente, i β-bloccanti riducono la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la contrattilità, riducendo così il lavoro cardiaco e il fabbisogno di O2. La loro utilità è meno evidente nell’IMA non-Q. Le controindicazioni comprendono bradicardia, blocco cardiaco e asma. Se l’atenololo (5 mg EV in 5 min seguiti, dopo 10 min, da altri 5 mg EV in 5 min) è ben tollerato, viene somministrato PO (50 mg 10 min dopo e poi ancora 12 h più tardi); si prosegue poi con 50 mg bid o 100 mg/die. Se il metoprololo (5 mg EV q 2 min per un totale di tre dosi) è ben tollerato, viene somministrato PO (50 mg q 12 h), iniziando 15 min dopo l’ultima somministrazione EV. Si continua così per 48 h, quindi si passa a 100 mg/die. La frequenza cardiaca e la PA devono essere

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strettamente monitorate durante l’incremento delle dosi e successivamente. Il dosaggio va ridotto se compaiono bradicardia o ipotensione. Un eccessivo effetto β-bloccante può essere contrastato mediante somministrazione di isoproterenolo (un agonista β-adrenergico) alla dose di 1-5 µg/min EV. Gli ACE-inibitori sembrano ridurre la mortalità nei pazienti con IMA, soprattutto nel caso di infarto anteriore, insufficienza cardiaca o tachicardia. Il beneficio maggiore si ha nei pazienti a più alto rischio, subito all’inizio e poi durante tutta la convalescenza. Gli ACE-inibitori vanno somministrati > 24 h dopo la fine della trombolisi e, visto che il loro effetto positivo è protratto nel tempo, possono essere prescritti come terapia a lungo termine. Le controindicazioni comprendono ipotensione, insufficienza renale, stenosi bilaterale dell’arteria renale e intolleranza nota. I vasodilatatori possono risultare utili per ridurre il lavoro cardiaco in pazienti selezionati con IMA. È preferibile un farmaco EV a breve durata d’azione, con un rapido inizio e una rapida fine dell’effetto farmacologico. La nitroglicerina EV è raccomandata durante le prime 24-48 h nei pazienti con IMA e scompenso cardiaco o IMA anteriore esteso o ischemia persistente o ipertensione (la PA sistemica va ridotta di 10-20 mm Hg, ma non < 80-90 mm Hg di pressione sistolica). Periodi maggiori di terapia possono essere utili nei pazienti con angina ricorrente o congestione polmonare persistente. L’infusione va iniziata a 5 µg/min e aumentata di 2,5-5,0 µg a intervalli di pochi minuti fino a che non venga raggiunta la risposta desiderata. La nitroglicerina dilata le vene, le arterie e le arteriole, riducendo il precarico e il postcarico del VS. La riduzione del lavoro cardiaco e del consumo miocardico di O2 migliora l’ischemia miocardica. Evidenze da trial clinici suggeriscono che la nitroglicerina nelle prime ore dell’IMA riduce l’estensione della necrosi e riduce la mortalità nei pazienti a più alto rischio, a breve e probabilmente a lungo termine. Tali dati non supportano l’uso di routine della nitroglicerina nei pazienti a basso rischio, in assenza di complicanze. Angioplastica cardiaca transluminale percutanea (Percutaneous Transluminal Cardiac Angioplasty, PTCA) primaria: la PTCA come terapia iniziale è tanto efficace almeno quanto, e in alcuni laboratori di emodinamica può essere anche un po’ più efficace, la trombolisi nel limitare l’estensione della necrosi e nel ridurre gli eventi cardiaci avversi e la mortalità nei pazienti con IMA caratterizzato da sopraslivellamento del tratto ST o blocco di branca sinistra. Il successo della PTCA in genere dipende dall’abilità degli operatori, dall’esperienza del laboratorio e dal tempo trascorso dall’inizio dei sintomi all’esecuzione del cateterismo. Tuttavia, solo pochi pazienti con IMA hanno accesso a un buon team di emodinamisti. Alcune evidenze isolate ipotizzano un ruolo per la PTCA o per l’intervento di bypass aorto- coronarico in pazienti con IMA massivo di recente insorgenza e ipotensione grave o shock.

Trattamento delle complicanze La bradicardia sinusale (v. anche Cap. 205) non viene solitamente trattata, a meno che la frequenza cardiaca non sia inferiore a 50 bpm. La bradicardia marcata con ipotensione può rispondere alla somministrazione EV di 0,5-1 mg di atropina solfato, che può essere ripetuta dopo diversi minuti se la risposta non è adeguata. Piccole dosi ripetute nel tempo sono preferibili, perché dosi eccessive possono indurre tachicardia. Occasionalmente, è necessario inserire un pacemaker temporaneo per via transvenosa. La tachicardia sinusale persistente, in assenza di insufficienza cardiaca o di altre cause evidenti, può rispondere ai β-bloccanti, somministrati PO o EV a seconda dell’urgenza. I battiti ectopici atriali (BEA) di solito vanno trattati prontamente perché spesso precedono un’aritmia atriale sostenuta. I BEA frequenti possono rispondere alla digitale, a un β-bloccante o al calcioantagonista verapamil.

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Nella fibrillazione atriale, a causa del rischio di embolia sistemica, solitamente si somministra eparina. I β-bloccanti EV riducono la frequenza cardiaca (p. es., atenololo 2,5-5,0 mg in 2 min fino a una dose totale di 10 mg in 10-15 min, metoprololo 2-5 mg ogni 2-5 min fino a una dose totale di 15 mg in 10-15 min). La frequenza cardiaca e la PA vanno attentamente monitorate. La terapia si sospende quando la frequenza ventricolare si è ridotta in maniera soddisfacente o la PAS è < 100 mm Hg. La digitale EV è anche efficace nei pazienti che sono a riposo, sebbene l’effetto bradicardizzante si instauri più lentamente rispetto ai βbloccanti: la dose di digossina è di 0,6-1,0 mg EV (8-15 µg/kg), di cui la metà subito e il resto in 4-6 h. Un certo rallentamento della frequenza può aversi entro 1/2 h, ma l’effetto pieno si verifica dopo circa 2 ore. Un rallentamento della frequenza può anche essere ottenuto con il verapamil o il diltiazem EV. In presenza di compromissione emodinamica con progressiva insufficienza del VS o ipotensione in coincidenza dell’instaurarsi della fibrillazione atriale, la cardioversione elettrica d’urgenza può avere un effetto drammatico, se si riesce poi a mantenere il ritmo sinusale. Il flutter atriale viene trattato in maniera simile alla fibrillazione atriale. Nel blocco atrioventricolare con complessi QRS lenti e larghi o nel blocco Mobitz II vero con battiti mancanti, si possono ripristinare temporaneamente il ritmo e la frequenza mediante infusione di isoproterenolo, ma un pacemaker temporaneo transvenoso è la terapia di scelta. L’atropina (0,5-1,0 mg ogni 35 min fino a una dose totale di 2,5 mg) può essere utile nella bradicardia sinusale, nel blocco cardiaco con complessi QRS stretti e bassa frequenza ventricolare o, occasionalmente, nell’asistolia. L’atropina non è raccomandata nel blocco cardiaco di nuova comparsa con complessi QRS larghi. Modificazioni reversibili della conduzione atrioventricolare e anomalie della conduzione tipo Mobitz I con un prolungamento dell’intervallo PR (o fenomeno di Wenckebach) si autolimitano e, se viene mantenuta una frequenza cardiaca accettabile, non richiedono alcun trattamento. In caso di aritmie ventricolari, un’ipossia evidente va trattata intensivamente con O2 tramite cannule nasali o maschere facciali e vanno ricercate le eventuali cause trattabili dell’ipossia (p. es., congestione polmonare, ipoventilazione). L’ipokaliemia va corretta, dato che forti evidenze cliniche mettono in relazione bassi livelli sierici di K con aritmie ventricolari. Va anche trattata l’ipomagnesiemia, sebbene i suoi rapporti con le aritmie siano meno chiari. La somministrazione di β-bloccanti (dapprima EV e successivamente PO) nelle prime fasi dell’IMA, in assenza di insufficienza cardiaca o ipotensione, riduce l’incidenza di aritmie ventricolari, compresa la FV. I battiti ectopici ventricolari (BEV) in genere non richiedono alcun trattamento. La profilassi non previene la TV o la FV, aumenta la mortalità e non è raccomandata. Le TV non sostenute e perfino le TV sostenute a frequenza relativamente bassa, in assenza di compromissione emodinamica, di solito non richiedono alcuna terapia. Le TV polimorfe o le TV sostenute monomorfe, in presenza di insufficienza cardiaca o ipotensione, vanno trattate con shock elettrico. Se ben tollerata emodinamicamente, la TV può essere trattata mediante somministrazione EV di lidocaina, procainamide o amiodarone. La FV va trattata immediatamente con uno shock elettrico non sincronizzato. Nell’insufficienza cardiaca, il trattamento dipende dalla gravità; nei casi lievi è necessaria cautela. L’uso di un diuretico dell’ansa (p. es., furosemide 20-40 mg EV una o due volte/die) per ridurre la pressione di riempimento ventricolare dà spesso risultati soddisfacenti. Può anche essere utile la riduzione del precarico e del postcarico con nitroglicerina EV. Nei casi gravi, si misura la pressione capillare polmonare mediante cateterismo cardiaco destro (Swan-Ganz), mentre si somministra terapia con vasodilatatori per ridurre il precarico e il postcarico. Se la PA è normale o alta, si possono utilizzare gli ACE-inibitori. Nell’infarto del VD, la riduzione del precarico causata dai nitrati o dai diuretici riduce la gittata cardiaca e provoca un’ipotensione grave, se il VD è ischemico o necrotico. La somministrazione di un carico di liquidi (1-2 l di soluzione fisiologica) è spesso efficace. Un supporto inotropo con dobutamina può essere

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d’aiuto. Nell’ipossiemia, va somministrato O2 mediante cannula nasale per mantenere la PaO2 intorno ai 100 mm Hg. Ciò può favorire l’ossigenazione del miocardio e può limitare l’estensione dell’infarto nell’ambito della zona ischemica. Nell’ipotensione dovuta a ipovolemia, il ripristino della volemia è solitamente possibile senza sovraccaricare il cuore sinistro (senza, cioè, un eccessivo aumento della pressione atriale sinistra). Tuttavia, la funzione del VS a volte è così compromessa che un’adeguata somministrazione di liquidi è estremamente difficoltosa perché, in presenza di normali livelli di proteine plasmatiche, è accompagnata da un netto aumento della pressione capillare polmonare fino a livelli associati a edema polmonare (> 25 mm Hg). Se la pressione atriale sinistra è elevata, l’ipotensione è probabilmente secondaria a insufficienza del VS e può essere necessaria una terapia inotropa o di supporto circolatorio se i diuretici non sono efficaci. Nello shock cardiogeno, la somministrazione di α-β agonisti può risultare temporaneamente efficace. La dopamina, una catecolamina con effetti α e β , 1 viene somministrata alla dose iniziale di 0,5-1 µg/kg/min, che viene poi incrementata finché non si raggiunge una risposta soddisfacente o una dose totale di circa 10 µg/kg/min; dosi maggiori inducono vasocostrizione. La dobutamina, un β-agonista, può essere somministrata EV alla dose di 2,5-10 µg/ kg/min o anche a dosi maggiori. La dobutamina risulta particolarmente efficace quando l’ipotensione è secondaria a una bassa gittata cardiaca, mentre la dopamina può essere più efficace quando è anche richiesto un effetto vasopressorio. In casi refrattari, la dobutamina e la dopamina possono essere associate. Il contropulsatore aortico spesso costituisce una misura di supporto temporaneo. È stato riportato che si può ottenere un importante recupero della funzione ventricolare con la lisi diretta del coagulo a livello della coronaria colpita, con l’angioplastica del vaso interessato o con l’intervento di bypass aortocoronarico d’emergenza. La PTCA o l’intervento di bypass aorto-coronarico d’emergenza o d’urgenza vanno presi in considerazione nel caso di ischemia persistente, di aritmie ventricolari refrattarie o d’instabilità emodinamica o shock in pazienti con un’anatomia coronarica favorevole. L’ischemia ricorrente viene trattata in modo simile all’angina instabile. La nitroglicerina sl o EV è di solito efficace. Dopo la terapia con vasodilatatori, vanno presi in considerazione l’angiografia coronarica e l’angioplastica o l’intervento di bypass, con l’obiettivo di salvare il miocardio ischemico. La disfunzione del muscolo papillare, se dovuta a insufficienza funzionale del muscolo papillare, va semplicemente tenuta sotto controllo perché può migliorare a mano a mano che l’ischemia regredisce. Se la causa è la rottura del muscolo papillare, la sostituzione della valvola mitrale è certamente coronata da successo. Nella rottura del miocardio, nonostante la mortalità sia alta, può essere necessaria la riparazione chirurgica del difetto. L’intervento chirurgico deve essere dilazionato il più a lungo possibile dopo un IMA per permettere il massimo grado di guarigione del miocardio infartuato. Nel caso di uno pseudoaneurisma, è sempre indicata l’immediata correzione chirurgica. Nel caso di un aneurisma ventricolare, l’intervento chirurgico può essere indicato quando l’insufficienza del VS o le aritmie persistono, in presenza di un aneurisma significativo dal punto di vista funzionale. In presenza di trombosi parietale, la terapia anticoagulante riduce il rischio di embolia. Se non è controindicata, la terapia va incominciata con dosi piene di eparina EV, seguite da warfarin PO per 3-6 mesi, mantenendo l’INR fra 2 e 3. L’aspirina può anche essere prescritta come profilassi successiva, per tutta la vita. La terapia anticoagulante va continuata per tutta la vita in presenza di un VS

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ingrandito e diffusamente ipocinetico o di fibrillazione atriale cronica. Nella pericardite, l’aspirina o un altro FANS di solito allevia i sintomi. Nella sindrome post-IMA (sindrome di Dressler), i pazienti solitamente rispondono a terapia con alte dosi di aspirina (600-900 mg q 4-6 h), ma la sindrome può recidivare svariate volte. Un breve periodo di terapia cortisonica intensiva o un altro FANS può essere necessario nei casi gravi.

Terapia dopo la dimissione dall’ospedale Una TV sostenuta ( 30 s) va trattata, ma ci si deve aspettare che altre aritmie ventricolari insorgano successivamente. La stimolazione ventricolare programmata per guidare la scelta del farmaco antiaritmico più efficace può migliorare la prognosi in pazienti con TV ricorrente sostenuta. L’arteriografia coronarica e la valutazione di un’eventuale rivascolarizzazione (mediante angioplastica o bypass aorto-coronarico) possono essere indicate in pazienti con angina postinfartuale ricorrente o con un test da sforzo positivo per ischemia. Prevenzione secondaria di recidive tardive di IMA e di morte: l’aspirina riduce del 15-30% la mortalità e il rischio di reinfarto in pazienti post-IMA. Si raccomanda una terapia a lungo termine con preparazioni gastro-protette di aspirina alla dose di 160-325 mg/die. Anche il warfarin, associato all’aspirina, riduce l’incidenza di reIMA, ma, se utilizzato da solo in assenza di un trombo del VS o di fibrillazione atriale, non dà alcun beneficio. Il timololo, il propranololo e il metoprololo riducono la mortalità post-IMA di circa il 25% per 7 anni. I pazienti ad alto rischio vanno trattati con β-bloccanti. Si discute molto se i pazienti a basso rischio debbano essere trattati o no. Essendo tali farmaci ben tollerati, sembra ragionevole trattare tutti i pazienti che non presentano effetti collaterali, o che ne riferiscono solo di minimi, e sono determinati a continuare la terapia a lungo termine. Riabilitazione: il riposo a letto nei primi 1-3 giorni è prudente, finché l’evoluzione clinica non è chiara. Un riposo più prolungato provoca un rapido deterioramento fisico con sviluppo di ipotensione ortostatica, ridotta capacità lavorativa e incremento della frequenza cardiaca sotto sforzo. Risulta inoltre favorita in tal caso la tendenza alla depressione e la sensazione di inutilità. In assenza di complicanze si può permettere al paziente di restare seduto, di fare esercizi passivi e di usare il lavabo già in prima giornata. Dopo breve tempo gli si consentirà la lettura o il lavoro d’ufficio non stressante e gli si permetterà di recarsi in bagno camminando. In assenza di complicanze, è ragionevole, e non comporta un rischio significativo, prevedere la dimissione dall’ospedale dopo 57 giorni. L’attività fisica verrà gradualmente incrementata nelle successive 3-6 sett. La ripresa dell’attività sessuale rappresenta spesso un’importante preoccupazione e può essere incoraggiata, insieme ad altre attività fisiche di entità moderata. Se la funzione cardiaca è conservata a 6 sett. dall’IMA, la maggior parte dei pazienti può tornare alla propria attività abituale. Un regolare programma di esercizi, compatibile con lo stile di vita, l’età e le condizioni cardiache, è protettivo e migliora il generale stato di salute. L’impatto della malattia acuta e del trattamento in UTIC rappresenta una forte motivazione per il medico e per il paziente ad analizzare e trattare i fattori di rischio. La trattazione e la valutazione delle condizioni fisiche ed emotive del paziente e un’adeguata informazione circa il fumo, la dieta, il lavoro, lo stile di vita e l’esercizio fisico, insieme al trattamento dei fattori di rischio noti, possono migliorare la prognosi del paziente. Dati recenti hanno dimostrato una progressione più lenta e perfino una regressione delle lesioni aterosclerotiche con il trattamento dell’ipercolesterolemia mediante la dieta e gli inibitori dell’idrossimetilglutaril-coA-reduttasi (statine); è dunque motivato un approccio terapeutico aggressivo (v. anche Cap. 201). file:///F|/sito/merck/sez16/2021790.html (14 of 15)02/09/2004 2.12.28

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 202-3. LA MORTALITA' NELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO IN RELAZIONE ALLA CLASSE KILLIP* Classe

Pao2†

1 Normale

Descrizione clinica

Mortalità intraospe daliera

Nessuna evidenza 3-5% clinica di insufficienza ventricolare sinistra

2 Lievemente Insufficienza ventricolare ridotta sinistra lievemoderata

6-10%

3 Gravemente Insufficienza ventricolare ridotta sinistra grave; edema polmonare

20-30%

4 Gravemente Shock cardiogeno: >80% ipotensione, ridotta tachicardia, obnubilamento del sensorio, estremità fredde, oliguria, ipossia *Determinata sulla base di ripetute osservazioni del paziente durante il decorso della malattia. †In aria ambiente. Modificato da Killip T, Kimball JT: "Treatment of myocardial infarction in a coronary care unit. A twoyear experience with 250 patients." The American Journal of Cardiology 20:457-464, 1967.

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Coronaropatia

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 202. CORONAROPATIA PREVENZIONE DELLA MALATTIA CORONARICA Sommario: Introduzione MODIFICAZIONI DELLA DIETA SUPPLEMENTI ALLA DIETA ESERCIZIO FISICO

La prevenzione della coronaropatia incomincia con l’eliminazione dei fattori di rischio modificabili. Smettere di fumare è di primaria importanza. Strategie ulteriori comprendono modifiche nella dieta, il raggiungimento di un peso appropriato in rapporto all’altezza, il controllo dei livelli di stress e l’esercizio regolare. I medici devono trattare le patologie concomitanti associate con un rischio aumentato, come l’ipertensione (v. Cap. 199), l’ipercolesterolemia, il diabete (v. Cap. 13) o l’ipotiroidismo (v. Cap. 8). In particolare, è stato dimostrato che una riduzione aggressiva dei livelli di colesterolo mediante gli inibitori della HMG-CoA reduttasi (statine, v. anche Cap. 15) riduce la mortalità totale, previene l’angina instabile e l’IMA e riduce la frequenza degli interventi di rivascolarizzazione coronarica.

MODIFICAZIONI DELLA DIETA I grassi: la dieta media degli statunitensi contiene il 37% delle calorie totali sotto forma di grassi. La American Heart Association raccomanda che tale proporzione sia ridotta al 30%; può essere necessaria una riduzione a < 10% per ottenere un effetto più significativo sul rischio di coronaropatia. È anche importante che genere di grassi si assumono con la dieta; ce ne sono di tre tipi (Tab. 202-1): saturi, monoinsaturi e PUFA omega-3 e omega-6. La proporzione ideale di ciascuno di questi grassi non è nota. Tuttavia, diete ricche di grassi saturi sono chiaramente aterogene, mentre diete ricche di grassi monoinsaturi od omega-3 lo sono meno. Studi statunitensi non sono riusciti a dimostrare una ridotta incidenza di angina o IMA nelle persone sottoposte a diete ricche di omega-3, nonostante queste diete fossero associate con un rischio ridotto di morte improvvisa cardiaca. Persone che hanno un’alimentazione ricca di pesce hanno un introito medio di omega-3 di 0,58 g/die, ma sono probabilmente necessari apporti di omega-3 molto maggiori per avere una riduzione del rischio dimostrabile. Per esempio, supplementi di omega-3 mediante due o tre dosi separate di acido eicosapentaenoico (1,8-6 g/ die) e di acido docosaexaenoico (0,75-2,5 g/die) riducono elevati livelli sierici di trigliceridi. Queste dosi sono fino a 10 volte maggiori rispetto all’ammontare consumato dalle persone che assumevano una dieta ricca di pesce negli studi statunitensi. Ai pazienti ad alto rischio di coronaropatia, e specialmente a quelli che hanno evidenza di malattia coronarica, è ragionevole raccomandare una dieta file:///F|/sito/merck/sez16/2021780.html (1 of 4)02/09/2004 2.12.29

Coronaropatia

contenente 20 g/die di grassi, di cui 6-10 g siano PUFA, in egual misura omega-6 e omega-3, 2 g siano grassi saturi e il rimanente sia costituito da grassi monoinsaturi. Frutta e verdura: assumere cinque piccole porzioni al giorno di frutta e verdura, che sono ricche di fattori nutritivi di origine vegetale, sembra ridurre il rischio di coronaropatia e di alcuni tipi di cancro. Tuttavia, le popolazioni che hanno una dieta ricca di fattori nutritivi di origine vegetale tendono anche a consumare meno grassi saturi, più fibre e più vitamina C ed E, rendendo il ruolo dei fattori nutritivi di origine vegetale meno chiaro. I flavonoidi, un tipo di fattore nutritivo di origine vegetale (si trovano nell’uva rossa e nera, nel vino rosso, nel tè nero e nella birra scura) sembrano avere un ruolo protettivo nei confronti della coronaropatia. L’elevato introito dei flavonoidi contenuti nel vino rosso può spiegare perché i Francesi hanno un’incidenza di coronaropatia relativamente bassa, nonostante facciano maggior uso di tabacco e di grassi rispetto agli Americani. Fibre: gli Americani hanno un regime alimentare relativamente povero di fibre, di cui esistono due tipi: fibre solubili (contenute nei cereali integrali), che riducono il colesterolo totale e possono avere un effetto positivo sui livelli di glucoso e di insulina e fibre insolubili (p. es., cellulosa, lignina). Le fibre, tuttavia, non sono prive di effetti negativi, come per esempio l’interferenza con l’assorbimento di alcuni minerali e vitamine. In generale, gli alimenti ricchi di fattori nutritivi di origine vegetale e vitamine sono anche ricchi di fibre. Proteine vegetali: l’assunzione di proteine vegetali (p. es., soia) sembra ridurre il rischio di coronaropatia.

SUPPLEMENTI ALLA DIETA L’utilità di supplementi alla dieta a base di vitamine, fattori nutritivi di origine vegetale, omega-3 e minerali resta controversa. Esistono dati che giustificano l’assunzione di vitamina E, vitamina C, acido folico e Ca, mentre dati meno convincenti sono portati a sostegno dell’utilizzo della vitamina B6 e B12. La vitamina E riduce l’ossidazione del colesterolo LDL e sembra dunque ridurre la sua capacità di danneggiare i vasi sanguigni. I livelli sierici di vitamina E sono inversamente proporzionali alla mortalità cardiovascolare ed è stato dimostrato che l’assunzione di 800 UI/die di vitamina E riduce l’incidenza di IMA. Uno studio recente eseguito su una popolazione di infermiere ha mostrato che regimi dietetici ricchi di vitamina E si associano a un minore tasso di mortalità da cause cardiache, ma non è riuscito a dimostrare un beneficio specifico dei supplementi di vitamina E, probabilmente a causa di problemi nel disegno dello studio e nella raccolta dei dati. Ulteriori studi sono in corso. L’assunzione di vitamina C (250-500 mg bid) , nonostante non sia stato dimostrato che riduca il rischio di cardiopatia, potenzia le proprietà antiossidanti della vitamina E. L’acido folico (0,8 mg bid) previene la coronaropatia riducendo livelli elevati di omocisteina. Anche le vitamine B6 e B12 riducono i livelli di omocisteina, ma c’è scarsa evidenza che siano utili nella prevenzione generale. Il calcio (500 mg bid), a parte gli altri effetti favorevoli che ha, sembra avere un ruolo nel normalizzare i valori pressori in alcune persone.

ESERCIZIO FISICO Studi recenti hanno dimostrato che un’attività fisica regolare e una buona forma fisica sono associati a una ridotta incidenza di cardiopatie e ipertensione. Tuttavia, non sono stati realizzati trial controllati per stabilire l’intensità, la durata e la frequenza ottimali dell’esercizio o il tipo di esercizio. Inoltre, la questione se file:///F|/sito/merck/sez16/2021780.html (2 of 4)02/09/2004 2.12.29

Coronaropatia

soggetti con cuore sano abbiano uno stile di vita più attivo o se stili di vita più attivi comportino cuori più sani resta senza risposta. Diversi studi controllati, ma con pochi pazienti, dimostrano effetti benefici dell’esercizio sulla PA e sul rischio di coronaropatia. Una riabilitazione cardiaca completa, di cui l’esercizio fisico è una parte importante, riduce la morbilità e la mortalità a lungo termine dopo un IMA. Comporta lo stesso beneficio nei pazienti con angina e in quelli che sono stati sottoposti a intervento di bypass aorto-coronarico o ad angioplastica. La riabilitazione cardiaca si basa sugli stessi principi utilizzati nella prevenzione primaria della coronaropatia. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti e dei medici dedica poca attenzione alla prevenzione delle cardiopatie finché non compaiono i segni della coronaropatia. La valutazione pre-esercizio deve comprendere l’anamnesi e l’esame obiettivo per escludere condizioni patologiche come una valvulopatia, l’ipertrofia ventricolare, aritmie pericolose, ipertensione, asma scatenato dall’esercizio, emoglobinopatie e patologie muscoloscheletriche. Negli adolescenti o nei giovani, in assenza di rilievi patologici, nessun approfondimento diagnostico ulteriore è in genere necessario. La valutazione è più complessa nelle persone più anziane e in soggetti ammalati o con un aumentato rischio per una data patologia (compresi i diabetici con un cattivo controllo dei valori glicemici, i cardiopatici, gli ipertesi o gli obesi). Idealmente, queste persone andrebbero sottoposte a un test ergometrico (v. Cap. 198). Prima dell’inizio dell’allenamento, va presa in considerazione un’ulteriore valutazione (p. es., da parte di un fisioterapista per i pazienti con patologie dell’apparato locomotore). I pazienti con elevati livelli di colesterolemia devono sottoporsi a un’analisi delle lipoproteine, a una stima del grasso corporeo e a una valutazione della dieta praticata. I pazienti obesi devono sottoporsi a un’analisi della dieta che praticano, a test di funzionalità tiroidea e alla determinazione della glicemia; i livelli di insulina (sia a digiuno che dopo assunzione di glucoso PO) e il metabolismo basale possono essere valutati in appositi studi sperimentali. Ci sono tre generi di programmi di esercizio fisico: quelli che favoriscono la resistenza, la forza muscolare e l’agilità. La resistenza e la forza muscolare hanno un ruolo evidente nella prevenzione della coronaropatia. Un programma completo di esercizi deve comprendere tutti e tre i tipi di esercizio. L’"American College of Sports Medicine" ha stabilito i livelli minimi di esercizio fisico raccomandato per uomini e donne sani di ogni età per sviluppare e mantenere un’ottima funzione cardiorespiratoria, un’equilibrata composizione corporea e buoni livelli di forza e resistenza muscolari (v. Tab. 202-2). Componenti dell’esercizio fisico svolto per allenarsi alla resistenza sono la durata, la frequenza, il tipo e l’intensità. Un allenamento di questo tipo deve durare 40 min/die almeno tre volte alla sett. Ogni singolo allenamento comprende 5 minuti di riscaldamento, 30 minuti di esercizio e 5 minuti di defaticamento. Si possono eseguire esercizi fisici di resistenza con diversi attrezzi. L’uso domestico di apparecchi meccanici che mimano l’andare in bicicletta (soprattutto quelli che comprendono anche il movimento delle braccia), il salire le scale, la voga o lo sci di fondo possono risultare efficaci per l’esecuzione di esercizio fisico aerobio quanto la corsa o lo jogging, il camminare a passo svelto, la bicicletta, la voga o la canoa. L’esercizio deve svolgersi a un’intensità che permetta il raggiungimento di una frequenza cardiaca appropriata in rapporto alle condizioni di salute e agli scopi dell’allenamento di ogni individuo. In genere, dopo 5 minuti di riscaldamento, una persona sana deve eseguire esercizio fisico fino a raggiungere la frequenza cardiaca che corrisponde al 70-85% della propria Vo2 di picco. Se la frequenza cardiaca massimale (FCmax) non è stata misurata, può essere calcolata mediante la seguente formula: FCmax = 220 – età Tuttavia, negli anziani, questa formula può risultare significativamente inaccurata; la presenza di una malattia e l’uso di alcuni farmaci possono rendere ancora più file:///F|/sito/merck/sez16/2021780.html (3 of 4)02/09/2004 2.12.29

Coronaropatia

complessa la valutazione del rapporto fra età e frequenza cardiaca. Un paziente affetto da patologia cardiaca o respiratoria deve praticare esercizio fisico a un livello meno intenso e la frequenza cardiaca dell’allenamento deve essere mantenuta su valori corrispondenti al 60% o perfino al 50% del Vo2 di picco. È stato recentemente dimostrato che l’allenamento aerobio a sport di resistenza riduce il rischio di coronaropatia, riduce la PA a riposo, aumenta i livelli di colesterolo HDL e riduce l’insulino-resistenza. Tuttavia, se non eseguito correttamente, questo tipo di esercizio comporta il rischio di traumi, di un improvviso aumento della PA, di aritmie cardiache e rischia di peggiorare le condizioni emodinamiche nei pazienti con alcune valvulopatie. Nonostante questi rischi, l’allenamento aerobio a sport di resistenza può essere eseguito in maniera sicura in pazienti anziani selezionati, utilizzando tecniche di respirazione e di esercizio appropriate per promuovere il buon funzionamento dell’apparato cardiovascolare, prevenire l’osteoporosi e mantenere una forma fisica soddisfacente. La prescrizione di allenamento aerobio a sport di resistenza comprende il tipo, l’intensità e la frequenza dell’esercizio. Può essere ugualmente efficace l’utilizzo di pesi liberi o di attrezzi dotati di pesi, sebbene i pesi liberi siano più difficili da usare in maniera corretta e sia di conseguenza più probabile che provochino un trauma. Idealmente, gli attrezzi dovrebbero permettere di fissare dei limiti al range di movimento per ogni dato esercizio e dovrebbe essere poi possibile aumentare la resistenza con piccoli incrementi. Non c’è accordo circa l’intensità ottimale dell’esercizio. Una resistenza moderata con ripetizioni frequenti è più sicura rispetto a un’elevata resistenza con poche ripetizioni, nonostante fornisca uno stimolo minore per l’adattamento muscolare. La resistenza viene di norma fissata a un livello tale per cui il paziente può eseguire, utilizzando sempre una tecnica corretta, ciascun esercizio in tre set di 10 ripetizioni ciascuno. Una tecnica corretta migliora gli effetti dell’allenamento e riduce il rischio di traumi; a tal fine, vanno anche evitati gli esercizi che potrebbero danneggiare articolazioni o muscoli che hanno già subito un trauma o sono indeboliti. Quando un paziente riesce a eseguire tre set di 12-15 ripetizioni con una tecnica corretta, la resistenza viene leggermente aumentata, ma mai tanto da impedire l’esecuzione di almeno tre set di 10 ripetizioni. Respirare correttamente durante l’esercizio è importante, particolarmente per impedire la manovra di Valsalva ed evitare così livelli di PA pericolosamente elevati. Una corretta respirazione può essere insegnata al paziente da fisioterapisti specializzati. A tutti quelli che praticano esercizio fisico va mostrato come eseguire correttamente uno stretching che coinvolga tutti i maggiori gruppi di muscoli. Lo stretching deve essere lento e graduale e non deve mai essere doloroso. Idealmente, lo stretching dovrebbe far parte dell’inizio e della fine di ogni allenamento.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 202-1. CLASSIFICAZIONE DEI GRASSI CONTENUTI NEGLI ALIMENTI Tipo di grasso

Alimenti che lo contengono

Grassi saturi

Carni, olii vegetali idrogenati

Grassi monoinsaturi

Olio di oliva, olii di semi

Grassi polinsaturi Pesci pelagici (p.es., tonno, salmone, sgombro) Omega-3 Olii di vegetali coltivati (semi Omega-6 di mais)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 202-2. RACCOMANDAZIONI CIRCA L'ESERCIZIO FISICO DELL'"AMERICAN COLLEGE OF SPORTS MEDICINE" Parametri

Raccomandazioni

Frequenza

3-5giorni/settimana

Intensità

Fino al 60-90% della FC teorica massima o fino a una FC pari al 5085% del consumo massimo di O2 del miocardio

Durata

20-60min di attività aerobica continua, a seconda dell'intensità

Tipo di esercizio

Si devono utilizzare ampi gruppi muscolari, l'esercizio va eseguito in maniera continua e deve essere ritmico e aerobio (p.es., cammino, corsa, jogging, bicicletta, sci, ballo, nuoto, pattinaggio)

Allenamento a Almeno una serie di 8-12 ripetizioni di sport di 8-10 esercizi che coinvolgano i maggiori gruppi muscolari almeno due resistenza volte a settimana

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 202-4. CARATTERISTICHE DEI FARMACI TROMBOLITICI DISPONIBILI PER USO EV Caratteristiche Dose (EV)

Streptokinasi Anistreplas Alteplase e 1,5×106 U in 30-60min

30mg in 5min

100mg in 90min*

Reteplase 10U in un bolo di 2min, ripetibile una volta dopo 30min

Emivita (min)

20

100

6

13-16

Reazioni allergiche

Si

Si

Rare

Rare

Deplezione sistemica di fibrinogeno

Grave

Grave

Moderata

Moderata

Emorragia intracranica

≈ 0,3%

≈ 0,6%

≈ 0,6%

≈ 0,8%

Tasso di ricanalizzazione, 90min

≈ 40%

≈ 63%

≈ 79%

≈ 80%

≈ 2,5

≈ 2,5

≈ 3,5

≈ 3,0

Costoso

Il più costoso

Vite salvate per 100 pazienti trattati Costo per dose

Il meno costoso

Il più costoso

*V. testo per dettagli sulla dose. Adattata da: "ACC/AHA guidelines for the managment of patients with acute myocardial infarction." Journal of the American College of Cardiology 28:1328-1419, 1996.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 204-3. CATECOLAMINE INOTROPE Farmaco

Dose

Noradrenalina 4mg/l in soluzione glucosata al 5% in infusione EV continua a 8-12µg/ min inizialmente, poi a 2-4µg/min come dose di mantenimento, con ampie variazioni individuali Dopamina

400mg/500ml in soluzione glucosata al 5% in infusione EV continua da 0,3ml (0,25mg) a 1,25ml (1mg)/min. Dose bassa: 2-10 µg/kg/min

Dobutamina

Effetti emodinamici α-adrenergici: vasocostrizione β-adrenergici: effetto inotropo e cronotropo* α-adrenergici: vasocostrizione† β-adrenergici: effetto inotropo e cronotropo e vasodilatazione‡

Dose elevata: 20-50µg/kg/min

Nonadrenergici: vasodilatazione renale e splancnica

250mg/250ml in soluzione glucosata al 5% in infusione EV continua da 2,5 a 10mg/kg/min

β-adrenergici: effetto inotropo‡

*Tali effetti non sono evidenti se la PA è eccessivamente elevata. †Tali effetti dipendono dalla dose e dai meccanismi fisiopatologici che sono alla base dell’insufficienza cardiaca. ‡L’effetto cronotropo, aritmogeno e l’effetto diretto sui vasi sono minimi alle dosi più basse.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA DA EMORRAGIA CRONICA Anemia microcitica provocata da una modica ma prolungata perdita di sangue quale si verifica a livello di una lesione emorragica cronica del tratto GI (p. es., ulcera peptica o emorroidi) oppure di una sede emorragica dell’apparato genitourinario. Le caratteristiche cliniche e il trattamento dell’anemia da emorragia cronica sono descritte in Anemia sideropenica, oltre.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MICROCITICHE ANEMIA SIDEROPENICA (Anemia da sanguinamento cronico; anemia microcitica ipocromica; clorosi; anemia ipocromica della gravidanza, dell’infanzia e dell’adolescenza) Anemia cronica caratterizzata da GR piccoli e pallidi e da deplezione di ferro.

Sommario: Eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia L’emorragia deve essere considerata come la causa primaria di carenza di Fe e la causa più comune di anemia; negli adulti essa rappresenta praticamente il solo meccanismo possibile. Negli uomini, la causa più frequente è l’emorragia cronica occulta, di solito dal tratto GI. Nelle donne in età premenopausale, la perdita mestruale può rappresentare il meccanismo, ma altri meccanismi devono essere presi in considerazione. Sebbene l’assenza delle mestruazioni durante la gravidanza si possa presumere rappresentare una protezione della madre dalla carenza di Fe, un apporto supplementare di Fe è indispensabile poiché c’è una perdita netta di Fe a favore del feto in accrescimento (v. Anemia nel Cap. 251). La deficienza marziale può anche essere causata da un aumento delle richieste di Fe, da diminuzione del suo assorbimento o da entrambe le cause. La carenza di Fe è un evento frequente durante i primi 2 anni di vita, quando il contenuto dietetico non è adeguato alla rapida crescita. Le adolescenti possono andare incontro a carenza di Fe a causa di inadeguato apporto dietetico di Fe, di aumentate richieste della crescita e a causa delle perdite mestruali. La rapida e intensa crescita degli adolescenti può anche determinare un aumento significativo della richiesta di Fe, producendo un’eritropoiesi con carenza di Fe. Altre cause di anemia sideropenica possono essere un difetto nell’assorbimento del Fe dopo gastrectomia, le sindromi da malassorbimento del primo tratto del piccolo intestino e, occasionalmente, alcune forme di picacismo (soprattutto da argilla); tali meccanismi comunque sono rari se confrontati con l’emorragia. La maggior parte delle forme di picacismo (p. es., da amido, argilla, ghiaccio) è associata con una ridotta ingestione di Fe, causata dalla sostituzione calorica,

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Anemie

piuttosto che da inadeguato assorbimento. In corso di emolisi intravascolare cronica (p. es., emoglobinuria parossistica notturna, coagulazione intravascolare disseminata cronica, protesi valvolari cardiache difettose), la frammentazione dei GR (riconoscibile allo striscio periferico) può portare a carenza di Fe attraverso l’emoglobinuria e l’emosiderinuria croniche.

Fisiopatologia La maggior parte delle persone copre appena il fabbisogno quotidiano, dal momento che il Fe è poco assorbito. La perdita addizionale di Fe con le mestruazioni (media 0,5 mg/die), la gravidanza (0,5-0,8 mg/die), l’allattamento (0,4 mg/die) e la perdita di sangue (da malattia, incidenti o prelievo venoso) conduce subito a una carenza di Fe, che si verifica progressivamente e culmina nelle deplezione. Stadio 1: la perdita di Fe eccede l’assorbimento, causando una progressiva deplezione dei depositi marziali (rappresentati dal contenuto del Fe midollare). Sebbene l’Hb e il Fe plasmatico restino normali, la concentrazione sierica della ferritina cala (< 20 ng/ml). Quando i depositi si riducono, si assiste a un progressivo incremento dell’assorbimento del Fe dietetico e della concentrazione della transferrina (dimostrato, quest’ultimo, dall’aumento della capacità Felegante). Stadio 2: i depositi di Fe, ormai esauriti, non riescono più a soddisfare le richieste degli eritroblasti. Mentre il livello plasmatico di transferrina aumenta, la concentrazione sierica del Fe decresce, portando a una progressiva riduzione del Fe disponibile per l’eritropoiesi. Quando il Fe sierico scende a valori < 50 µg/dl (< 9 µmol/l)e la saturazione della transferrina a < 16%, si instaura una compromissione dell’eritropoiesi. La concentrazione dei recettori della ferritina sierica aumenta (> 8,5 mg/l). Stadio 3: si instaura anemia con GR e indici in apparenza normali. Stadio 4: sono presenti microcitosi e quindi ipocromia. Stadio 5: la carenza di Fe intacca i tessuti, determinando sintomi e segni.

Sintomi e segni Oltre ai comuni segni e sintomi dell’anemia, alcuni sintomi sono specifici per la carenza di Fe. In casi gravi, cronici, un paziente può soffrire di picacismo (p. es., sporco, pittura) o pagofagia (desiderio compulsivo del ghiaccio), di glossite, cheilosi e coilonichia e, raramente, di disfagia associata alla presenza di membrana esofagea postcricoidea ((v. Disordini ostruttivi nel Cap. 20). Infine, per un effetto di tipo diverso sui tessuti (forse una disfunzione degli enzimi cellulari relativa al contenuto di Fe degli enzimi) possono aversi esaurimento e perdita delle cellule staminali.

Diagnosi Sebbene il picacismo e specialmente la pagofagia suggeriscano la deficienza di Fe nella diagnosi differenziale dell’anemia microcitica, non esistono in realtà sintomi o segni patognomonici. Quindi, gli esami di laboratorio sono fondamentali per la diagnosi (v. Tab. 127-4). Il classico criterio diagnostico per l’eritropoiesi sideropenica è rappresentato dall’assenza dei depositi midollari di Fe. Gli altri esami di laboratorio seguono un modello predittivo degli stadi fisiopatologici. Una concentrazione molto bassa (< 12 ng/ml) identifica la carenza di Fe. Tuttavia, i file:///F|/sito/merck/sez11/1270926.html (2 of 3)02/09/2004 2.12.43

Anemie

livelli di ferritina sono elevati in presenza di danno epatico e in alcuni tumori e devono essere interpretati con attenzione. Il recettore sierico della transferrina è aumentato fino a > 8,5 µg/ml e una riduzione della ferritina dei GR (< 5 ag/ml) fornisce una valutazione eccellente e non invasiva dello stato del Fe. Poiché la deficienza di Fe limita l’eritropoiesi, si manifesta reticolocitopenia. La presenza di policromatofilia in uno striscio di sangue periferico di un paziente con caratteristiche di carenza marziale suggerisce che il Fe si è reso disponibile di recente. Possibili cause di tale disponibilità, se non è presente alcuna fonte esterna, sono un sanguinamento in prossimità del duodeno (sito dell’assorbimento del Fe), sangue libero in peritoneo legato a una gravidanza ectopica e Fe derivante da uno stato emolitico intravascolare (p. es., emoglobinuria parossistica notturna).

Terapia Instaurare un trattamento a base di Fe senza ricercare la causa dell’anemia è una pratica mediocre; il sito di sanguinamento deve essere ricercato anche in casi di anemia lieve. Il ferro può essere somministrato mediante una varietà di sali di Fe (p. es., come solfato, gluconato, fumarato ferroso) o saccarato di Fe PO 30 min prima dei pasti (il cibo o gli antiacidi possono ridurne l’assorbimento). L’aggiunta di acido ascorbico (500 mg) aumenta l’assorbimento del Fe senza aumentare i problemi gastrici. Il Fe contenuto in capsule entero-protette non è ben assorbito e quindi non deve essere somministrato. Il Fe orale è più sicuro di quello parenterale, sebbene la risposta e il modello di ripristino dell’Hb sono gli stessi. La via parenterale deve essere riservata ai pazienti che non tollerano o non sono in grado di prendere il prodotto PO oppure nel caso di pazienti che perdono regolarmente grandi quantità di sangue a causa di malattie vascolari o capillari (p. es., la teleangiectasia emorragica ereditaria). A distanza di 7-10 giorni dall’inizio della terapia con Fe di solito si ha il massimo della risposta reticolocitaria. Il grado di reticolocitosi è meno elevato di quello raggiunto nelle anemie megaloblastiche in corso di trattamento con B12 o acido folico. L’evidenziazione dell’aumentata policromatofilia sullo striscio di sangue permette una documentazione del processo di ripristino con minori sforzi e costi di quelli richiesti per una vera conta reticolocitaria. Nelle prime 2 sett. l’Hb aumenta poco, mentre successivamente l’incremento di regola è di 0,7-1 g/sett. Una risposta anormale può essere dovuta a emorragia ininterrotta, infezione o neoplasia concomitanti, insufficiente apporto di Fe o, molto raramente, a malassorbimento del Fe PO. Quando l’Hb si avvicina alla normalità, il livello dell’incremento rallenta; l’anemia deve essere corretta entro 2 mesi. La terapia deve essere portata avanti per 6 mesi in modo che si reintegrino i depositi tissutali.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA ANEMIA Il valore dell’ematocrito nelle donne non gravide varia tra il 38% e il 45%, ma nelle donne gravide i valori normali possono essere molto più bassi (p. es., 34% in una gravidanza singola e 30% in una gravidanza multipla), perfino in presenza di normali depositi di ferro, acido folico e vitamina B12. Questi livelli sono causati dall’emodiluizione fisiologica della gravidanza e non indicano una riduzione della capacità di trasporto dell’O2 o una vera e propria anemia. Normalmente, una paziente gravida ha un’iperplasia eritroide del midollo e un aumento misurabile della massa eritrocitaria; un aumento sproporzionato del volume plasmatico provoca l’emodiluizione. A meno che durante il parto non si verifichi una perdita eccessiva di sangue, in genere l’ematocrito aumenta nell’immediato periodo postpartum. L’assenza di questo effetto di diluizione nell’ultimo periodo della gravidanza, indica un’insufficiente espansione del volume plasmatico, che è stata associata a un ritardo di crescita, a un’ipertensione gravidica o alla morte fetale intrauterina. L’anemia durante la gravidanza è definita come un livello di Hb < 10 g/dl. Tuttavia, qualunque paziente con un livello di Hb < 11-11,5 g/dl all’inizio della gravidanza deve essere trattata come anemica, perché l’emodiluizione che si verifica durante la gravidanza riduce il livello dell’Hb a valori caratteristici dello stato anemico. L’anemia si verifica addirittura fin nell’80% di alcune popolazioni di gravide. Una carenza marziale è responsabile del 95% dei casi di anemia in corso di gravidanza. La carenza è di solito dovuta a un inadeguato apporto dietetico (specialmente nelle ragazze ventenni), a una precedente gravidanza o alla normale perdita di ferro con il sangue mestruale (che si avvicina alla quantità normalmente assunta con la dieta in un mese, così che i depositi di ferro non vengono mai costituiti). È dibattuta la necessità di una terapia supplementare sistemica di ferro durante la gravidanza. Nondimeno, il ferro supplementare (solfato ferroso, 325-650 mg/ die) è, di solito, raccomandato per la maggior parte delle donne gravide, anche se il livello di Hb è normale all’inizio della gravidanza. Questa misura profilattica previene la deplezione dei depositi di ferro e l’anemia che può risultare da un sanguinamento anomalo o da una gravidanza successiva. A meno che l’apporto nutrizionale con la dieta durante la gravidanza non venga implementato, le donne gravide a termine avranno un deficit delle riserve marziali. Gli indici diagnostici per l’anemia da carenza di ferro includono un Htc 33%, un MCV < 79 µm3 e una sideremia < 60 µg/dl (< 11 µmol/l). Caratteristicamente, nel sangue periferico sono osservati dei GR ipocromici e microcitici. La diagnosi può essere confermata dagli indici dei GR e dalla misurazione della sideremia e della capacità di legare il ferro. Le pazienti gravide con una deficienza marziale possono essere trattate con successo mediante la somministrazione di una compressa di solfato ferroso da 325 mg a metà mattinata e di un polivitaminico (formula gravidica con acido folico) assunto prima di andare a letto nel succo di agrumi. Dosi maggiori, assunte più frequentemente, aumentano gli effetti collaterali GI, soprattutto la stipsi senza particolari vantaggi, in quanto la prima dose blocca l’assorbimento della successiva riducendo l’apporto totale. Circa il 20% delle donne gravide non riesce ad assumere o ad assorbire il ferro in modo adeguato; raramente, è

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Gravidanza complicata dalla malattia

necessaria una terapia parenterale. In questi casi, il ferro-destrano è somministrato IM in dosi frazionate a giorni alterni per un totale 1000 mg nel corso di 3 sett. Viene generalmente osservata una pronta risposta, messa in evidenza dall’aumento della conta reticolocitaria. Se l’anemia non risponde alla terapia marziale, si deve sospettare un deficit di acido folico. Poiché il ferro è trasportato in modo preferenziale attraverso la placenta, l’Htc del neonato è di solito normale nonostante l’anemia materna, ma le sue riserve totali di ferro sono generalmente ridotte, indicando la necessità di una precoce supplementazione di ferro con la dieta. La carenza di folati con una grave anemia, gravi variazioni midollari megaloblastiche midollari e un’importante glossite, è relativamente rara, ma i risultati di laboratorio indicativi di una carenza di acido folico si riscontrano nello 0,5-1,5% delle donne gravide. Il segno più precoce di questa carenza è la presenza di macrociti nel sangue periferico. La diagnosi viene confermata dai bassi livelli di folati nel siero o negli eritrociti. La carenza di acido folico è stata chiamata in causa nella sindrome alcolica fetale e nella sindrome fetale da idantoina, che è associata alla terapia anticonvulsivante a base di fenitoina. La carenza di folati aumenta il rischio della spina bifida. La somministrazione profilattica di 0,8 mg/die di acido folico è raccomandata in tutte le donne gravide. Le pazienti che hanno avuto un feto con la spina bifida devono assumere 4,0 mg/ die, iniziando prima del concepimento. Per l’anemia megaloblastica dovuta al deficit di acido folico, il trattamento consiste nella somministrazione di acido folico, 1 mg bid. Un’anemia megaloblastica grave può richiedere il ricovero in ospedale per l’esame del midollo osseo e per l’ulteriore trattamento. Le anemie possono essere così gravi (Hb 6 g/dl) da richiedere delle trasfusioni. Le anemie refrattarie da deficit di ferro o l’anemia megaloblastica richiedono la consulenza di un ematologo per il trattamento definitivo. Una terapia vitaminica massiccia (con un complesso polivitaminico) o la somministrazione di ferro per iniezione sono, talvolta, necessarie (v. anche Cap. 127).

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

DISORDINI OSTRUTTIVI (V. anche Tumori dell'esofago nel Cap. 34.) ANELLO ESOFAGEO INFERIORE (Anello di Schatzki) Struttura mucosa di 2-4 mm, probabilmente congenita, che provoca un restringimento anulare a carico dell'esofago distale in corrispondenza della giunzione squamocolonnare. Un anello esofageo inferiore è la causa più comune di disfagia intermittente. Questa si può verificare per i cibi solidi quando il lume esofageo è < 12 mm di diametro. Se l'esofago distale è adeguatamente disteso, l'anello viene di solito dimostrato all'esofagogramma. Solitamente gli anelli > 20 mm di diametro sono asintomatici e non deve essere loro attribuita alcuna sintomatologia. Normalmente, il solo tipo di trattamento necessario è quello di istruire il paziente a masticare a lungo e completamente il cibo, anche se gli anelli possono essere interrotti per via endoscopica, dilatati o resecati.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DELL'ESOFAGO Ci sono molti tipi di tumori benigni dell'esofago, che nella maggior parte dei casi hanno una scarsa importanza a eccezione di eventuali sintomi fastidiosi (v. Cap. 20). Il leiomioma è il più comune tumore benigno dell'esofago, può essere multiplo e ha un'eccellente prognosi nella maggior parte dei pazienti. Tra i cancri primitivi dell'esofago il più frequente è il carcinoma epidermoide, seguito dall'adenocarcinoma. Gli altri tumori maligni dell'esofago comprendono il linfoma, il leiomiosarcoma e il cancro metastatico.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MICROCITICHE ANEMIA DA DEFICIT DI TRASPORTO DEL FERRO (Atransferrinemia) L’anemia da deficienza di trasporto del Fe è eccezionalmente rara e si manifesta quando il Fe non riesce a passare dai siti di deposito (cellule delle mucose, fegato) ai precursori eritropoietici. Il meccanismo presunto consiste nell’assenza della transferrina o nella presenza di una transferrina con struttura molecolare abnorme. Oltre all’anemia risalta l’emosiderosi del tessuto linfatico, specialmente lungo il tratto GI.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MICROCITICHE ANEMIE DA CATTIVA UTILIZZAZIONE DEL FERRO

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Prognosi e terapia

Le anemie da utilizzazione del Fe sono causate da un’insufficiente o anomala utilizzazione del Fe intracellulare per la sintesi dell’Hb, sebbene all’interno dei precursori eritrocitari in via di sviluppo, lo ione sia presente in quantità adeguata o addirittura aumentata. Questo difetto comprende le emoglobinopatie, principalmente di tipo talassemico e l’anemia sideroblastica o mielodisplastica. Poiché le talassemie vengono individuate da altre caratteristiche clinicolaboratoristiche, il termine di anemia sideroblastica viene generalmente applicato a questa seconda entità. Poiché gli stati sideroblastici primitivi (o idiopatici) sono oggi comunemente definiti come parte della sindrome mielodisplastica, il termine sideroblastosi è usato da alcuni per arguire che tutte le forme sono in realtà displastiche. Sebbene l’anemia sideroblastica sia comunemente microcitica e ipocromica, un’ampia distribuzione dei volumi dei GR (RDW) deriva da una popolazione cellulare circolante di tipo dimorfico (di piccola e grossa taglia); questa eterogeneità cellulare è evidenziabile dallo striscio di sangue periferico. Un segno importante della difettosa sintesi dell’eme nel sangue periferico è la presenza di GR "a bersaglio" (cioè siderociti). Altri aspetti di laboratorio comprendono l’aumento della concentrazione sierica del Fe, della ferritina e della saturazione della transferrina. Nel midollo osseo è presente iperplasia eritroide con aspetti displastici; la colorazione al Fe mette in evidenza il segno morfologico patognomonico costituito dalla presenza di mitocondri paranucleari sovraccarichi di Fe nei precursori eritroidi (sideroblasti "ad anello"). Nelle forme acquisite, specialmente la forma primitiva o idiopatica, sono evidenti altri aspetti della mielodisplasia con deficit di granulopoiesi e megacariociti mononucleati. Queste anemie sono caratterizzate da eritropoiesi inefficace, che è definita clinicamente come un’anemia e reticolocitopenia assoluta o relativa, in presenza di iperplasia eritroide. Il Fe radiomarcato passa rapidamente dalla transferrina plasmatica al midollo, ma non riappare con normale cinetica nei GR circolanti. Gli studi di ferrocinetica dimostrano l’esistenza di un’eritropoiesi inefficace, indicando che la dispoiesi fa aumentare la morte intramidollare dei GR.

Eziologia e fisiopatologia file:///F|/sito/merck/sez11/1270928b.html (1 of 2)02/09/2004 2.12.47

Anemie

Gli specifici meccanismi fisiopatologici alla base della produzione di sideroblasti sono sconosciuti. La lista delle malattie associate occasionalmente con la sideroblastosi è lunghissima; praticamente tutte provocano in genere altre alterazioni più tipiche nell’eritropoiesi. L’anemia sideroblastica pura, senza modificazioni nell’architettura e nella produzione dei GB e delle piastrine, è estremamente rara. Praticamente tutti i casi con queste modificazioni sono associati a uno stato mielodisplastico.

Prognosi e terapia Il miglior trattamento si ottiene quando è possibile individuare e rimuovere la causa specifica (specialmente l’alcol). Sebbene rare forme congenite abbiano risposto alla piridossina, 50 mg PO tid, non si ha mai una correzione completa dell’anemia. Tentativi simili, nelle forme acquisite, non hanno determinato alcuna risposta. In generale, le forme idiopatiche devono essere trattate con terapia di supporto come parte dell’approccio terapeutico alla mielodisplasia. Se l’anemia determina disturbi cardiopolmonari possono rendersi necessarie le trasfusioni con pappe di GR. Le trasfusioni possono essere evitate nei pazienti la cui eritropoietina sierica (EPO) è più bassa del dovuto per la loro Hb misurata. La terapia sostitutiva con EPO può fornire uno stimolo adeguato per migliorare i valori dei GR fino al raggiungimento di livelli vicini alla normalità, evitando il necessario ricorso alle trasfusioni. A causa del già consistente carico di Fe presente, tali trasfusioni possono favorire la comparsa di sintomi secondari a emosiderosi, per cui deve essere presa in considerazione la possibilità di una terapia con chelanti del Fe. Quasi tutti i casi idiopatici rientrano negli aspetti parziali della sindrome mielodisplastica, così che la terapia della sindrome mielodisplastica è applicabile anche in questi casi (v. Mielodisplasia, oltre).

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MICROCITICHE ANEMIA IN CORSO DI MALATTIA CRONICA (Anemia da riutilizzazione del ferro)

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi, segni ed esami di laboratorio Terapia

Nel mondo, l’anemia in corso di malattie croniche è la seconda più comune forma di anemia. Precocemente, i GR sono normocitici; col tempo essi diventano microcitici. La caratteristica principale di questa forma è che il tessuto eritroblastico midollare non riesce a espandersi adeguatamente in risposta all’anemia.

Eziologia e patogenesi Si pensava che questo tipo di anemia sopravvenisse nel corso di malattie croniche, tra cui le infezioni, le malattie infiammatorie (specialmente l’AR) e il cancro; tuttavia, la malattia di base non necessariamente deve essere cronica, in quanto i caratteri fisiopatologici si presentano transitoriamente durante praticamente qualsiasi infezione o infiammazione. Sono stati identificati tre meccanismi fisiopatologici: (1) Un modesto accorciamento della sopravvivenza eritrocitaria (all’interno del potenziale di produzione di compenso per un midollo normale) è stato dimostrato nei pazienti con cancro e malattia cronica granulomatosa. L’esatto meccanismo per questo insulto eritrocitario extracorpuscolare è sconosciuto, sebbene recentemente una proteina di 50000 kD sia stata identificata in alcuni pazienti con cancro. (2) La produzione di EPO e la risposta midollare sono ridotte, provocando un’eritropoiesi insufficiente. Citochine derivate dai macrofagi (p. es., interleuchina-1β, α-tumor necrosis factor, interferon-β), riscontrate nei pazienti con infezioni, stati infiammatori e cancro, causano questa ridotta produzione di EPO. (3) Il metabolismo intracellulare del Fe è deteriorato. Il riciclaggio efficiente del Fe proveniente dai GR vecchi è critico per l’equilibrio del Fe. Nelle malattie croniche, le cellule del sistema reticoloendoteliale trattengono tenacemente il Fe che proviene dai GR senescenti, rendendolo non più disponibile per la sintesi dell’Hb da parte dell’eritrone. C’è reticolocitopenia e impossibilità a correggere l’anemia attraverso l’iperplasia del tessuto eritroide. Il deterioramento del metabolismo del Fe, con la conseguente insufficienza eritropoietica, deriva anche dalla produzione di citochina infiammatoria. file:///F|/sito/merck/sez11/1270929.html (1 of 2)02/09/2004 2.12.48

Anemie

Sintomi, segni ed esami di laboratorio I segni clinici sono di solito quelli della malattia di base (infezione, infiammazione o cancro). I dati di laboratorio sono riportati nella Tab. 127-4. In genere, l’anemia è modesta, con una Hb che raramente è < 8 g/dl, a meno che non sia complicata da un meccanismo aggiuntivo. La determinazione della ferritina e del recettore transferrinico aiuta a differenziare l’anemia sideropenica dall’anemia della malattia cronica. Se, accanto a quest’ultima, è presente anche una carenza marziale, la ferritina sierica non aumenta (restando in genere a livelli < 100 ng/ ml). Quindi, nel caso di infezioni, infiammazioni o cancro, un residuo livello di ferritina suggerisce l’esistenza di un deficit di Fe sovrapposto a un’anemia da malattia cronica. Poiché la ferritina sierica può talora funzionare come una proteina della fase acuta, la ferritina eritrocitaria o il recettore sierico della transferrina possono essere utilizzati per la diagnosi.

Terapia Il trattamento della malattia di base è importantissimo. Poiché l’anemia è di solito di grado modesto, le trasfusioni non sono normalmente necessarie e l’EPO ricombinante corregge frequentemente l’anemia con pochissime o nessuna trasfusione. Poiché si manifestano sia una ridotta produzione che una resistenza midollare all’EPO, specialmente nei pazienti oncologici, le dosi sono leggermente maggiori (150-300 UI/kg SC 3 volte/sett.) di quelle usate nell’insufficienza renale. Una buona risposta è probabile se, dopo due settimane di terapia, l’Hb è aumentata più di 0,5 g/dl e la ferritina sierica è < 400 ng/ml. È richiesto un apporto di Fe per assicurare un’adeguata risposta all’EPO.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE NORMOCITICHE NORMOCROMICHE L’eritropoiesi insufficiente (cioè l’insufficienza midollare) determina anemie normocromico-normocitiche, che sono caratterizzate da RDW normale, da una reticolocitopenia (cioè, ridotta dismissione di cellule) e dalla incapacità del tessuto eritroide di espandersi in risposta all’anemia stessa. I meccanismi coinvolti sono l’ipoproliferazione, l’ipoplasia e la mieloftisi.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE NORMOCITICHE NORMOCROMICHE ANEMIE IPOPROLIFERATIVE Anemie causate da deficienza o mancanza di risposta all’EPO e agli stimoli umorali di citochine correlate all’EPO.

Sommario: Introduzione ANEMIA IN CORSO DI MALATTIA RENALE ANEMIA DA DEPLEZIONE PROTEICA

Il meccanismo fisiopatologico delle anemie ipoproliferative sembra consistere in una riduzione assoluta o relativa nella produzione di EPO o in uno stato ipometabolico con incapacità a rispondere all’EPO. Come è stato segnalato precedentemente, le anemie da carenza marziale e quelle associate a malattie croniche sono ipoproliferative, in quanto sono caratterizzate da un’iperplasia eritroide modesta e da produzione di EPO e risposta midollare ridotte. Un’ipoproliferazione si associa comunemente con l’anemia della malattia renale, degli stati ipometabolici (p. es., ipotiroidismo, ipopituitarismo) e della carenza proteica, tutte condizioni che determinano una ridotta produzione di EPO.

ANEMIA IN CORSO DI MALATTIA RENALE La gravità dell’anemia si correla con il grado di disfunzione renale. La produzione renale di EPO in genere è correlata alla funzione renale di escrezione; e l’anemia compare quando la clearance della creatinina è < 45 ml/min. La ridotta eritropoiesi che deriva dalla diminuzione dell’EPO si manifesta con reticolocitopenia periferica e risposta midollare anormale (assenza di iperplasia eritroide per il grado di anemia). Le lesioni renali che interessano in modo particolare la regione glomerulare (p. es., amiloidosi, nefropatia diabetica) determinano generalmente un’anemia più severa, a causa dell’alto grado di insufficienza renale che le accompagna. Il termine anemia dell’insufficienza renale si riferisce soltanto al meccanismo ipoproliferativo ipoeritropoietinemico, ma altri meccanismi possono aumentare la gravità di questo disordine. Nell’uremia è frequente una lieve emolisi; la causa non è certa, ma è sicuramente collegata alla persistenza delle "scorie metaboliche dell’uremia", che in qualche modo danneggiano i GR. Meno comune, ma più facile da riconoscere, è l’anemia associata alla frammentazione dei GR (anemia emolitica traumatica), che si manifesta quando viene danneggiato l’endotelio vascolare renale (p. es., nell’ipertensione maligna, nella poliarterite nodosa o nella necrosi corticale acuta). L’emolisi traumatica può file:///F|/sito/merck/sez11/1270930b.html (1 of 2)02/09/2004 2.12.49

Anemie

essere riconosciuta nello striscio di sangue periferico grazie alla presenza di frammentazione dei GR e, di solito, a una trombocitopenia associata. Nei bambini essa può presentarsi come una malattia acuta, spesso fatale, che viene chiamata sindrome emolitico-uremica (v. in Porpora trombotica trombocitopenica - Sindrome uremico-emolitica, nel Cap. 133). La terapia è rivolta alla malattia renale di base. Se si ristabilisce una funzione renale adeguata, l’anemia viene corretta. Nei pazienti trattati con dialisi cronica si verifica un aumento dell’eritropoiesi, ma raramente si ha un ritorno alla normalità. Il trattamento con EPO ricombinante umana, iniziando con 50 fino a 100 UI/ kg EV o SC 3 volte/sett., è il trattamento di scelta. Per ottenere un’adeguata risposta all’EPO deve essere somministrato un apporto supplementare di Fe. Praticamente tutti i parametri correlati ai GR aumentano raggiungendo la normalità o la quasi normalità dopo circa 8-12 settimane di trattamento. Il mantenimento a una dose ridotta (circa la metà della dose di induzione) può essere somministrato da 1 a 3 volte/sett. Raramente sono indicate le trasfusioni, a meno che non si sviluppino sintomi o segni cardiopolmonari.

ANEMIA DA DEPLEZIONE PROTEICA I segni clinici e di laboratorio dell’anemia da deplezione proteica possono mimare quelli tipici degli stati ipometabolici e di ipoeritropoietinemia. Il meccanismo patogenetico è stato attribuito alla ridotta attività metabolica generale. Non è chiaro il ruolo svolto dalle proteine nell’emopoiesi.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE NORMOCITICHE NORMOCROMICHE ANEMIE APLASTICA (Anemia ipoplastica) Anemia da perdita dei precursori dei GR, da difetto del compartimento staminale o da insulto al microambiente che supporta il midollo e spesso con alti valori limite di MCV.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi, segni ed esami di laboratorio Terapia

Comunemente il termine anemia aplastica indica una panipoplasia del midollo con leucopenia e trombocitopenia associate. La confusione terminologica ha portato al termine aplasia pura dei GR, che definisce la marcata riduzione selettiva o l’assenza completa dei precursori eritroidi. Sebbene entrambi i disordini siano rari, l’anemia aplastica è più comune.

Eziologia e patogenesi Circa la metà dei casi di anemia aplastica vera (più comune negli adolescenti e nei giovani adulti) sono idiopatici. Le cause riconosciute sono chimiche (p. es., benzene, arsenico inorganico), radiazioni e farmaci (p. es., antineoplastici, antibiotici, FANS, anticonvulsivi). Il meccanismo non è conosciuto, ma sembra risiedere in un’ipersensibilità selettiva (forse su base genetica). Alcuni bambini con aberrazioni cromosomiche presentano una rara forma di anemia aplastica, l’anemia di Fanconi (un tipo di anemia aplastica familiare caratterizzata da alterazioni ossee, microcefalia, ipogonadismo e pigmentazione bruna della cute). Non viene quindi di solito eseguita una diagnosi specifica finché non sopraggiunge qualche disturbo. Tali stati morbosi (specialmente disordini infettivi o infiammatori) possono determinare una citopenia periferica. Con la risoluzione della sopraggiunta forma morbosa, i valori periferici tornano alla norma, nonostante la riduzione della massa cellulare midollare. L’aplasia pura, d’altra parte, prevede un meccanismo di distruzione selettiva dei precursori eritroidi; quindi, l’eritroblastopenia acuta consiste nella scomparsa breve e reversibile dei precursori dei GR nel midollo durante il decorso di malattie virali acute di vario tipo, specialmente nei bambini. L’infezione con il parvovirus file:///F|/sito/merck/sez11/1270931.html (1 of 3)02/09/2004 2.12.50

Anemie

umano sembra essere la causa più comune di questo evento. Questa condizione può essere riconosciuta in modo fortuito, in quanto l’anemia dura più dell’infezione acuta. L’aplasia cronica dei GR è stata associata a disordini emolitici (eritrobastopenia acuta), a timomi e danni immunologici e, meno frequentemente, a farmaci (p. es., tranquillanti, anticonvulsivi), tossine (fosfati organici), carenza di riboflavina e leucemia linfatica cronica. Una rara forma congenita, la sindrome di Blackfan-Diamond, un tempo ritenuta manifestarsi nell’infanzia, è stata riscontrata nell’età adulta. La presenza di anomalie ossee del pollice o delle dita e la bassa statura suggeriscono la diagnosi.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio Sebbene l’esordio dell’anemia aplastica sia di solito insidioso, verificandosi spesso dopo settimane o mesi dall’esposizione a una sostanza tossica, occasionalmente è acuto. I segni variano con la gravità della pancitopenia. I sintomi generali dell’anemia sono di solito gravi. Un pallore cereo della cute e delle mucose è caratteristico. Nelle forme croniche vi può essere una considerevole pigmentazione scura della cute. Può manifestarsi grave trombocitopenia, con emorragie della cute e delle membrane mucose. Sono frequenti anche emorragie nel fondo oculare. È comune un’agranulocitosi con infezioni a rischio di vita. Non c’è splenomegalia, se non quando essa venga indotta dall’ emosiderosi trasfusionale. I GR sono normocromo-normocitici (di rado marginalmente macrocitici). È frequente una conta dei GB 1500 µl3, con prevalente riduzione dei granulociti. Le piastrine sono spesso marcatamente ridotte. I reticolociti sono diminuiti o assenti, anche quando coesiste emolisi. L’aspirato midollare è acellulare. La sideremia è elevata. I sintomi dell’aplasia pura dei GR sono generalmente modesti e dipendono dal grado dell’anemia o dai concomitanti problemi di base. La cellularità e la maturazione midollare possono essere normali, a eccezione dell’assenza completa dei precursori eritroidi.

Terapia La globulina equina antitimocita (Antithymocyte Globulin, ATG), somministrata a dosi di 15 mg/kg diluiti in 500 ml di soluzione fisiologica da infondere EV in 4-6 h per 10 giorni consecutivi, ha mostrato una risposta positiva in circa il 60% dei pazienti; la terapia con ATG è diventata la terapia di scelta per i pazienti anziani o per coloro che non hanno un donatore compatibile per il trapianto di midollo. Poiché la ATG è un prodotto biologico e può dar luogo a reazioni allergiche e a malattia da siero, tutti i pazienti necessitano di prove cutanee (per identificare allergie al siero di cavallo) e contemporaneamente di terapia corticosteroidea (prednisone 40 mg/ m2/ die, iniziando dal 7° giorno e continuando il trattamento per 10 giorni o fino alla scomparsa dei sintomi). La ciclosporina (5-10 mg/kg/die PO) ha mostrato un’efficacia equivalente alla ATG e ha fornito una risposta nel 50% circa dei casi non responsivi alla ATG, suggerendo che il meccanismo d’azione possa essere differente. È anche efficace una terapia combinata con ATG e ciclosporina. L’efficacia di questi agenti ha limitato il ricorso al trapianto ai casi molto gravi o non rispondenti. I pazienti resistenti alla terapia con ATG o con ciclosporina possono rispondere al trattamento con citochine (EPO, G-o GMCSF). Il trapianto di midollo osseo prelevato o da un gemello monocoriale o da un fratello con un HLA compatibile è un trattamento di efficacia dimostrata per l’anemia aplastica grave nei soggetti di età < 30 anni. Alla diagnosi di anemia aplastica deve seguire la valutazione della compatibilità per l’HLA dei fratelli del paziente. Poiché le trasfusioni rappresentano un rischio per il futuro successo del

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Anemie

trapianto, gli emoderivati dovrebbero essere utilizzati soltanto in caso di assoluta necessità. Pazienti con eritroblastopenia pura dei GR sono stati trattati con successo con farmaci immunosoppressivi (prednisone, ciclosporina e ciclofosfamide), specialmente nei casi correlati a un meccanismo immunologico. Poiché i pazienti con eritroblastopenia pura associata a timoma migliorano dopo timectomia, la presenza di tale lesione dovrebbe essere ricercata tramite TC per valutare la possibilità di un intervento chirurgico.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE NORMOCITICHE NORMOCROMICHE ANEMIA MIELOFTISICA Anemia causata da infiltrazione e sostituzione del midollo normale da parte di cellule anomale o non ematopoietiche.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

Normocromia, anisocitosi, poichilocitosi e GR nucleati nello striscio sono le caratteristiche tipiche dell’anemia mieloftisica; sono anche presenti cellule mieloidi immature. Questi reperti si hanno quando c’è una sostituzione midollare da parte di tumori infiltranti, una malattia granulomatosa, nelle tesaurismosi (lipidiche) o nelle fibrosi. I termini descrittivi usati in questa anemia possono creare disorientamento. La metaplasia mieloide si riferisce alla emopoiesi extramidollare epatica, splenica o linfonodale che può accompagnare una mieloftisi di qualsiasi tipo. La mielofibrosi, sostituzione midollare da parte di un tessuto fibroblastico, può essere idiopatica o secondaria. Un vecchio termine, la metaplasia mieloide agnogenica, indica la mielofibrosi con o senza emopoiesi extramidollare. In alcuni casi, la mielosclerosi (formazione di tessuto osseo ex novo) è associata alla mielofibrosi.

Eziologia e patogenesi È stato ipotizzato che questa forma di anemia sia la sequela di una ridotta disponibilità di tessuto emopoietico funzionante. Altri fattori che sono stati chiamati in causa ma non provati includono un deficit metabolico correlato alla malattia di base e, in qualche caso, l’eritrofagocitosi. La causa più frequente è la metastasi midollare a partenza da tumori primitivi (in genere localizzati a livello della mammella o della prostata; meno comunemente reni, polmoni, surreni o tiroide). Nei disordini mieloproliferativi (p. es, stadio finale o spento della policitemia vera, leucemia mieloide cronica, mielofibrosi), può essere osservata un’anemia mieloftisica. La fibrosi midollare può essere osservata in tutte queste condizioni, ma la mielofibrosi vera è un difetto della file:///F|/sito/merck/sez11/1270932.html (1 of 3)02/09/2004 2.12.51

Anemie

cellula staminale nel quale la fibrosi è reattiva ad altri eventi emopoietici intramidollari. Una causa rara, nei bambini, è rappresentata dalla malattia di Albers-Schönberg.

Sintomi e segni Nei casi gravi possono essere presenti i segni dell’anemia o anche quelli riferibili alla malattia fondamentale. La splenomegalia può essere massiva e associata a epatomegalia. La pressione esercitata dalla splenomegalia può essere il sintomo d’esordio, specialmente nei pazienti con mielofibrosi o disordini dei depositi. La sostituzione midollare da parte di tumori maligni è raramente associata a ingrandimento d’organo e l’ematopoiesi extramidollare è modesta. Tale processo metastatico spesso è suggerito da leucoeritroblastosi nel sangue periferico.

Esami di laboratorio L’anemia, per solito di grado moderato, è caratteristicamente normocitica, ma può essere lievemente macrocitica. La valutazione dell’eritropoiesi ha mostrato valori normali o, in alcuni casi, di aumentata velocità di sintesi. La vita media dei GR è spesso diminuita. Possono essere presenti notevoli alterazioni morfologiche dei GR, con ampie variazioni in grandezza e forma. Un altro segno preminente è la presenza in circolo di precursori eritrocitari (soprattutto normoblasti) e di GB immaturi. Il termine leucoeritroblastico si applica a questo particolare quadro cellulare, dovuto a rottura dei sinusoidi midollari e al rilascio di cellule immature oppure a emopoiesi extramidollare. Spesso sono presenti policromatofilia e reticolocitosi. In questo caso, la reticolocitosi, dovuta al rilascio prematuro dei reticolociti dal midollo o da sedi extramidollari, non è necessariamente indice di accelerata rigenerazione eritrocitaria. La conta dei GB può essere normale, ridotta o aumentata. La conta piastrinica spesso è bassa e possono aversi piastrine giganti o con forma bizzarra. Gli studi di cinetica con Fe marcato possono rivelare un’attività emopoietica a livello della milza e/o del fegato. È spesso difficile aspirare materiale midollare; i reperti variano a seconda della malattia di base. Per fare diagnosi è di solito necessario ricorrere alla biopsia midollare. La rx può mostrare lesioni ossee caratteristiche di una mielofibrosi di lunga data (mielosclerosi) o altre alterazioni ossee (cioè lesioni osteoblastiche o litiche di un tumore) che suggeriscono la causa fondamentale dell’anemia.

Terapia La malattia di base deve essere trattata. Nelle forme idiopatiche si interviene con una terapia di supporto. Le emotrasfusioni sono indicate soltanto se l’anemia determina sintomi a carico dell’apparato cardiovascolare. Nella mielofibrosi primitiva sono stati utilizzati l’EPO o androgeni e corticosteroidi nel tentativo di aumentare l’eritropoiesi o di ridurre l’emolisi; sono state osservate solo risposte modeste. L’idrossiurea (500 mg/die o a giorni alterni) riduce la splenomegalia e migliora i parametri eritrocitari in molti pazienti, ma la risposta richiede dai 6 ai 12 mesi di trattamento.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE NORMOCITICHE NORMOCROMICHE MIELODISPLASIA L’anemia è una caratteristica evidente della mielodisplasia (v. Cap. 138). L’anemia è normocromica, normocitica e associata a una diminuizione dell’attività eritroide nel midollo, mutamenti megaloblastoidi e displastici e a volte aumentato numero dei sideroblasti ad anello, come notato precedentemente. L’anemia sintomatica spesso può essere trattata con EPO. È particolarmente efficace nei pazienti i cui livelli sierici di EPO sono inferiori a quelli attesi rispetto al grado di anemia. Poiché è presente eritropoiesi inefficace e l’anemia non è causata da una ridotta secrezione di EPO, sono richiesti dosaggi farmacologici; circa il 50% dei pazienti risponde, non avendo quindi necessità di trasfusioni.

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Le leucemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 138. LE LEUCEMIE Malattie neoplastiche maligne del tessuto emopoietico.

SINDROME MIELODISPLASTICA Disordine proliferativo clonale nel quale un midollo osseo normale o ipercellulare è associato con una mielopoiesi inefficace o anomala.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia

La sindrome mielodisplastica (SMD) è un gruppo di sindromi (preleucemia, anemia refrattaria, leucemia mielocitica cronica Ph-negativa, leucemia mielomonocitica cronica, metaplasia mieloide agnogenica) comunemente osservata in pazienti con più di 50 anni. La sua incidenza è sconosciuta, ma sta aumentando, probabilmente in parte per la crescita proporzionale della popolazione anziana e per l’aumento delle leucemie correlate alla terapia. L’esposizione al benzene e alle radiazioni può essere correlata al suo sviluppo. Nella fase preleucemica di alcune delle leucemie secondarie (p. es., dopo farmaci o esposizione a tossici), può essere osservata un’alterata o difettosa produzione cellulare con caratteristiche di mielodisplasia.

Anatomia patologica La SMD è caratterizzata da una proliferazione clonale delle cellule ematopoietiche, che includono la serie eritroide, mieloide e megacariocitaria. Il midollo osseo è normale o ipercellulare e l’ematopoiesi inefficace causa vari tipi di citopenie periferiche, di cui la più frequente è l’anemia. Il disordine della produzione cellulare è anche associato ad anomalie morfologiche sia nel midollo osseo che nel sangue. Può manifestarsi un’eritropoiesi extramidollare con epato e splenomegalia. La mielofibrosi è occasionalmente presente al momento della diagnosi o comparire durante lo sviluppo della SMD. La classificazione secondo il sistema FAB è mostrata nella Tab. 138-6. Il clone della SMD è instabile e c’è la tendenza verso la LMA.

Sintomi e segni Il paziente presenta caratteristiche cliniche variabili dipendenti dal tipo di SMD e dal grado del disordine dell’ematopoiesi. I sintomi iniziali possono essere soltanto quelli dell’astenia e dell’affaticabilità associati con l’anemia. A seconda del grado di anomalie funzionali e numeriche delle piastrine e dei GB possono anche

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Le leucemie

essere presenti emorragie e febbre associata con infezioni. Altri segni non specifici sono l’anoressia, la perdita di peso e un senso di pesantezza addominale causata dalla splenomegalia.

Esami di laboratorio L’anemia è il segno più comune, associato di solito a macrocitosi e anisocitosi. Con gli apparecchi di conta automatica, questi mutamenti sono indicati da un aumento del MCV e dall’entità della distribuzione dei GR (RDW). Qualche segno di trombocitopenia è usuale; allo striscio di sangue le piastrine variano di dimensioni e alcune appaiono ipogranulari. Il numero dei GB può essere normale, aumentato o diminuito. La granularità del citoplasma dei neutrofili è anomala con anisocitosi e variabilità del numero di granuli. Anche gli eosinofili possono avere una granularità anomala. Possono essere osservate delle cellule pseudo Pelger-Huët. La monocitosi è caratteristica del sottogruppo della leucemia mielomonocitica cronica e le cellule mieloidi immature possono manifestarsi nei sottogruppi meno differenziati. Il pattern citogenetico è di solito anomalo, con una o più anomalie citogenetiche clonali, che spesso coinvolgono il cromosoma 5 e 7.

Diagnosi La SMD deve essere sospettata in ogni paziente con un’anemia refrattaria inspiegabile e confermata da un midollo osseo ipercellulare con associate caratteristiche morfologiche di dismielopoiesi. La proporzione di cellule blastiche è < 30%. In alcuni pazienti, le caratteristiche megaloblastiche possono indicare la necessità di misurare i livelli del folato e della vitamina B12. Un’anomalia citogenetica clonale rafforza la diagnosi. Il sangue e l’osso midollare devono essere esaminati con cura per definire la classificazione FAB specifica.

Prognosi e terapia La prognosi dipende soprattutto dalla sottoclassificazione (v. Tab. 138-6) e da qualsiasi malattia associata. I pazienti con anemia refrattaria, o anemia refrattaria con sideroblasti, tendono a progredire meno verso forme più aggressive e possono morire per cause non correlate. Non c’è un trattamento stabilito per la SMD. La terapia è quella di supporto con trasfusioni di GR se indicate, trasfusione piastrinica per le emorragie e terapia antibiotica per le infezioni. In alcuni pazienti, una terapia con citochine (l’eritropoietina per supportare la necessità di GR, il G-CSF per trattare gravi neutropenie sintomatiche e, quando disponibile, la trombopoietina per la trombocitopenia grave) può servire come rilevante supporto ematopoietico. Il TMO allogenico non è raccomandato per gli anziani. Fattori di stimolazione delle colonie (p. es., G-CSF e GM-CSF) aumentano le conte dei neutrofili mentre l’eritropoietina aumenta la produzione dei GR nel 20-25% dei casi, ma il vantaggio, ai fini della sopravvivenza, non è stato dimostrato. La risposta delle SMD alla chemioterapia della LMA è simile a quella della LMA, dopo che sono presi in considerazione l’età e il cariotipo.

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Le leucemie

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 138–6. Sindrome mielodisplastica: esami del midollo osseo e sopravvivenza Classificazione

Criteri

Sopravvivenza mediana (anni)

Anemia refrattaria

Anemia con reticolocitopenia, ≥5 aspetto midollare normale o ipercellulare con iperplasia eritroide e diseritropoiesi; blasti ≤5%

Anemia refrattaria con sideroblasti

Stesso aspetto dell’anemia refrattaria con sideroblasti ad anello >15% delle cellule midollari nucleate (CMN)

Anemia refrattaria con eccesso di blasti

Citopenia di due o più linee 1,5 cellulari con anomalie morfologiche delle cellule ematiche; ipercellularità midollare con diseritropoiesi e disgranulopoiesi; blasti= 5-20% delle CMN

Leucemia mielomonocitica cronica

Stesso aspetto dell’anemia 1,5 refrattaria con eccesso di blasti con monocitosi assoluta nel sangue; aumento significativo dei precursori dei monociti midollari

Anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione

Anemia refrattaria con eccesso 0,5 di blasti in trasformazione con uno o più degli aspetti seguenti: ≥5% blasti nel sangue periferico, 20- 30% blasti midollari, bastoncelli di Auer nei precursori dei granulociti

CMN=cellule midollari nucleate

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≥5

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ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIA MACROCITICA NON MEGALOBLASTICA La forma non megaloblastica dell’anemia macrocitica (cioè, MCV > 95 fl/cellula) è eterogenea e in essa le modificazioni macrocitiche periferiche non sono associate alle caratteristiche di laboratorio, biochimiche e cliniche tipiche della megaloblastosi. L’anemia macrocitica non megaloblastica si verifica in vari stati clinici, non tutti chiariti. La macrocitosi con eccesso di membrana eritrocitaria si verifica nei pazienti con malattia cronica del fegato nella quale l’esterificazione del colesterolo è deficitaria. Poiché i processi di modificazione membranosa dei GR avvengono nella milza dopo la dismissione eritrocitaria dal midollo, i GR possono essere leggermente macrocitici dopo la splenectomia, sebbene queste modificazioni non siano associate ad anemia. L’uso cronico di alcol è stato anche associato a indici eritrocitari macrocitici (generalmente MCV di 95-105 fL/ cellula); queste modificazioni non sono causate da carenza di acido folico o da altro identificabile meccanismo metabolico. Una modesta macrocitosi si verifica anche nell’anemia aplastica (v. sopra), specialmente nella fase di ripresa. In ognuno di questi casi, l’anemia è correlata a meccanismi differenti dalla macrocitosi e il midollo non è megaloblastico. Un ulteriore indizio che sostiene la macrocitosi è rappresentato dall’assenza di tipici macro-ovalociti negli strisci periferici e dall’incremento dell’RDW, tipico della classica anemia megaloblastica. Infine, modificazioni macrocitiche sono comuni nella mielodisplasia, nella quale l’eterogeneità cellulare è enfatizzata dall’aumento dell’RDW e dalla marcata anisocitosi. Il midollo osseo contiene precursori eritrocitari megaloblastoidi (comuni anche nelle fasi avanzate di epatopatia), con pattern nucleare di cromatina densa che differisce dalle modificazioni dell’anemia megaloblastica tipica.

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ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MEGALOBLASTICHE Le alterazioni megaloblastiche sono dovute ad alterazioni della sintesi del DNA. La sintesi dell’RNA continua, dando luogo a un aumento della massa e della maturazione del citoplasma. GR macro-ovalocitici entrano in circolo e tutte le linee cellulari presentano una dispoiesi, in cui il citoplasma si presenta più maturo del nucleo, dando origine al megaloblasto nel midollo. La dispoiesi determina un aumento della morte cellulare intramidollare (eritropoiesi inefficace) da cui deriva un incremento della bilirubina indiretta e dell’uricemia. Poiché la dispoiesi coinvolge tutte le linee cellulari, oltre all’anemia si ha leucopenia e trombocitopenia, sebbene comunemente questo accade nelle fasi tardive della forma morbosa. Tra gli altri segni distintivi dello stato megaloblastico c’è anche una reticolocitopenia, conseguente alla ridotta eritropoiesi. La ipersegmentazione dei granulociti polimorfonucleati è un reperto tipico degli stati megaloblastici; il suo meccanismo patogenetico è sconosciuto. Insieme al riconoscimento delle alterazioni morfologiche di tipo megaloblastico, può essere utilizzato il test di soppressione della deossiuridina per mostrare un deficit nella sintesi del DNA a livello biochimico. I meccanismi che causano lo stato megaloblastico comprendono in genere la carente o difettosa utilizzazione della vitamina B12 o dell’acido folico; i farmaci citotossici (in genere farmaci antitumorali o immunosoppressori) che interferiscono con la sintesi del DNA e una rara forma neoplastica a sé stante, la sindrome di Di Guglielmo, che è considerata una mielodisplasia che muta in una forma di leucemia mieloide acuta. Il chiarimento dell’eziologia e della fisiopatologia è di importanza cruciale nell’anemia megaloblastica.

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ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MEGALOBLASTICHE ANEMIA DA CARENZA DI VITAMINA B12

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi ed esami di laboratorio Terapia DIPENDENZA DA VITAMINA B12

La molecola della vitamina B12 è costituita dal nucleotide 5,6dimetilbenzimidazolo legato ad angolo retto a un anello tetrapirrolico con un atomo di cobalto (nucleo corrinico). In natura esistono diverse cobalamine (composti di vitamina B12), che differiscono soltanto nel ligando attaccato all’atomo di cobalto (v. Tab. 1-2 e Tab. 1-3 per le fonti e i fabbisogni giornalieri raccomandati). La metilcobalamina (MeCbl) e l’adenosilcobalamina (AdoCbl), coenzimi cobalaminici fisiologici, svolgono i ruoli biochimici della B12. La MeCbl partecipa al metabolismo degli acidi nucleici e rappresenta il cofattore implicato nella sintesi alterata del DNA. L’AdoCbl serve come sistema di eliminazione per il catabolismo degli aminoacidi alifatici, delle membrane lipidiche e dei precursori del propionato; esso può essere il cofattore implicato nella sintesi della mielina e nella riparazione di quella alterata. La vitamina B12 è presente nella carne e nei cibi a base di proteine animali. Il suo assorbimento è complesso; avviene nella parte terminale dell’ileo e richiede la presenza del fattore intrinseco, un prodotto di secrezione specifico delle cellule parietali della mucosa gastrica, indispensabile per il trasporto attraverso la mucosa intestinale. La vitamina B12 alimentare è legata a delle proteine di legame (R binders) della saliva che sembrano proteggere la B12 dall’acidità gastrica. Quando questo complesso B12 (B12-R binders) entra nel piccolo intestino, gli enzimi pancreatici lo clivano e la vitamina B12 si lega al fattore intrinseco. La vitamina B12 è presente nel plasma come MeCbl, 5’-deossiAdoCb e idrossicobalamina, legate a proteine specifiche, le transcobalamine I e II. La transcobalamina I rappresenta in realtà una forma di riserva mentre la transcobalamina II è la proteina di trasporto fisiologica della B12. La concentrazione normale di vitamina B12 plasmatica si aggira tra 200 e 750 pg/ml

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(150-550 pmol/ l), che rappresenta soltanto lo 0,1% circa del contenuto corporeo totale di B12, di cui la maggior parte è contenuta nel fegato. L’escrezione avviene soprattutto attraverso la bile e in minor misura attraverso i reni. Le perdite totali giornaliere sono di 2-5 µg e si verifica una certa riutilizzazione enteroepatica. A causa della lenta velocità di utilizzazione e dei considerevoli depositi tissutali di vitamina B12, il deficit di tale vitamina (una riduzione dei depositi tissutali al di sotto di 0,1 mg e dei livelli sierici al di sotto di 150 pg/ml [< 110 pmol/l]) impiega di solito da molti mesi o anni per comparire. I depositi epatici di B12 sono normalmente sufficienti a sostenere il fabbisogno fisiologico per 3-5 anni in assenza di fattore intrinseco e per mesi fino a 1 anno in assenza della capacità di riassorbimento enteroepatico. Tuttavia, quando i depositi possono essere limitati e il fabbisogno dovuto alla velocità di crescita è alto, possono verificarsi più rapidamente alterazioni ematologiche e neurologiche (p. es., nei bambini allattati al seno di madri vegetariane).

Eziologia e fisiopatologia La diminuzione dell’assorbimento della B12 è il maggiore meccanismo fisiopatologico causale che può dipendere da uno tra diversi fattori (v. Tab. 127-5 e il Cap. 30). L’anemia causata da carenza di vitamina B12 è spesso definita con lo stesso significato dal termine anemia perniciosa. Classicamente, il termine anemia perniciosa definisce la carenza di B12 causata da perdita di secrezione del fattore intrinseco (v. in Gastrite nel Cap. 23). Nella sindrome dell’ansa cieca (a causa dell’utilizzazione della B12 da parte dei batteri) e nell’infestazione da Diphyllobothrium latum può esserci una competizione per la B12 disponibile e il clivaggio del fattore intrinseco. I siti di assorbimento dell’ileo possono essere congenitamente assenti o essere distrutti a causa di enterite infiammatoria regionale o in seguito a resezione chirurgica. Cause meno comuni di ridotto assorbimento di B12 includono la pancreatite cronica, le sindromi di malassorbimento, certi farmaci (p. es., i chelanti orali del calcio, l’acido aminosalicilico, le biguanidi), l’inadeguato apporto di B12 (di solito nei vegetariani) e, molto raramente, l’aumentato metabolismo della B12 nell’ipertiroidismo protratto. Una causa comune di carenza di B12 negli anziani è rappresentata da un inadeguato assorbimento della B12 legata ai cibi, qualora non sussistano i meccanismi sopra elencati; la vitamina pura B12 è assorbita, ma la liberazione e l’assorbimento della B12 legata ai cibi è carente. Modificazioni degenerative a carico del sistema nervoso sono definite come malattia combinata di sistema. Cambiamenti degenerativi che coinvolgono sia gli assoni che le guaine mieliniche sono visibili anche nella sostanza bianca cerebrale e nei nervi periferici e, normalmente, precedono le modificazioni degenerative nei fasci posteriori e nel tratto corticospinale. Si può avere anche degenerazione dei neuroni corticali, in genere di minore entità di quella che si trova nei tratti mielinici. A volte si riscontrano splenomegalia ed epatomegalia.

Sintomi e segni Nella maggior parte dei pazienti l’anemia si sviluppa in modo insidioso e progressivo quando i considerevoli depositi epatici di B12 vengono depleti. A causa dell’adattamento fisiologico che consegue al suo lento sviluppo, l’anemia è spesso più pronunciata di quello che i sintomi indicano. A volte si possono occasionalmente riscontrare splenomegalia e epatomegalia. Possono concomitare diverse manifestazioni a carico del tratto GI, tra cui anoressia, stipsi intermittente con diarrea e dolore addominale diffuso. La glossite, descritta di solito come "bruciore della lingua", può essere un sintomo precoce. È frequente un considerevole calo ponderale. Un raro segno è la febbre di n.d.d., che risponde prontamente al trattamento con B12. file:///F|/sito/merck/sez11/1270934c.html (2 of 5)02/09/2004 2.12.56

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Un interessamento neurologico può essere presente anche in assenza di anemia. Questo vale soprattutto per i pazienti al di sopra dei 60 anni di età. Le lesioni dei nervi periferici precedono di solito quelle midollari. I sintomi neurologici di solito compaiono prima delle anomalie ematologiche (o sono presenti quando queste mancano, soprattutto se è stato assunto acido folico). Nella fase iniziale della malattia una perdita della sensibilità di posizione e di vibrazione degli arti è accompagnata da modesta diminuzione della forza e perdita dei riflessi. Nelle fasi tardive compaiono spasticità, segno di Babinski, aggravamento del deficit della sensibilità di posizione e di vibrazione degli arti inferiori e atassia. La sensibilità tattile, la termica e la dolorifica sono raramente interessate. Gli arti superiori sono coinvolti tardivamente e in modo più lieve. Alcuni pazienti lamentano anche irritabilità e lieve depressione. Si può verificare la cecità per i colori giallo e blu. Nelle forme più avanzate si possono avere sindrome paranoica (pazzia megaloblastica), confusione mentale, atassia spastica e talvolta ipotensione ortostatica.

Diagnosi ed esami di laboratorio Bisogna differenziare la malattia combinata di sistema dalle lesioni compressive del midollo spinale e dalla sclerosi multipla. La diagnosi precoce è importante perché il deficit neurologico lasciato a sé per mesi o anni diviene irreversibile. L’anemia è macrocitica, con MCV > 100 fl. Lo striscio rivela macro-ovalocitosi, aniso-e poichilocitosi. Come prevedibile, l’RDW è alta. Sono molto frequenti i corpi di Howell-Jolly (frammenti residui del nucleo). È presente reticolocitopenia, a meno che il paziente non sia stato trattato. Uno dei segni più precoci è l’ipersegmentazione dei granulociti; più tardi si sviluppa una neutropenia. In circa la metà dei casi più gravi c’è trombocitopenia, con piastrine spesso bizzarre nella grandezza e nella forma. Il midollo osseo mostra iperplasia eritroide con modificazioni di tipo megaloblastico. La bilirubinemia sierica indiretta può essere elevata a causa dell’eritropoiesi inefficace e della sopravvivenza accorciata dei GR. Di solito l’LDH è molto elevata, il che indica l’inefficacia dell’ematopoiesi e l’aumentata emolisi. La ferritina sierica è di solito aumentata (> 300 ng/ml), compatibile con emolisi. L’analisi della vitamina B12 sierica è il metodo più comunemente utilizzato per stabilire la carenza di B12 come causa di megaloblastosi. Sebbene si manifestino falsi valori negativi, in generale livelli < 150 pg/ml (< 110 pmol/l) indicano con certezza una carenza di B12. Abitualmente, l’anemia o il deficit neurologico è evidente con livelli di B12 < 120 pg/ml (< 90 pmol/l). Nei casi borderline (150250 pg/ml [110-180 pmol/l]) e quando il giudizio clinico suggerisce che c’è deficienza di B12, altri esami debbono aggiungersi al test di valutazione della B12. Un deficit tissutale di B12 induce una aciduria metilmalonica (e propionica). Quindi, la misurazione di acido metilmalonico nel siero è un test sensibilissimo per carenza di B12. Il saggio dell’acido metilmalonico sierico è divenuto il "gold standard" per la diagnosi nei casi sospetti di falsi valori negativi, particolarmente negli anziani, tra i quali il 5-10% ha un normale valore di vitamina B12 a dispetto di una carenza tissutale. Un saggio meno comune è la misurazione del contenuto di transcobalamina II-B12, che identifica un bilanciamento negativo della B12 quando la transcobalamina II-B12 è < 40 pg/ml (< 30 pmol/l). Una volta stabilitosi un deficit della B12, deve essere identificato il meccanismo fisiopatologico. Autoanticorpi diretti contro le cellule parietali gastriche possono essere evidenziati nell’80-90% dei pazienti affetti da anemia perniciosa. Più importanti per la diagnosi sono gli anticorpi rivolti contro il fattore intrinseco che possono essere presenti nel siero della maggior parte dei pazienti con anemia perniciosa. Il saggio per la ricerca di anticorpi contro il fattore intrinseco deve essere eseguito in un paziente non in trattamento con B12 nei 5 giorni precedenti all’esame. Nella maggior parte dei pazienti con anemia perniciosa c’è

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Anemie

acloridria. L’analisi gastrica mostra un volume di secrezioni gastriche ridotto (achilia gastrica) con pH > 6,5; l’acloridria è confermata se, dopo somministrazione di istamina, il pH sale a livelli compresi tra 6,8 e 7,2. La mancanza assoluta di secrezione del fattore intrinseco sta alla base dell’anemia perniciosa tipica; nel secreto gastrico deve essere ricercata la presenza del fattore intrinseco, indipendentemente dal valore di pH ottenuto, poiché ci può essere una discordanza tra la produzione di acido e quella di fattore intrinseco. Il test di Schilling misura l’assorbimento di vitamina B12 radioattiva con e senza fattore intrinseco. Esso è particolarmente utile per fare diagnosi nei pazienti trattati e che si trovano in remissione clinica e nei quali esiste un dubbio riguardante la validità della diagnosi. Il test viene effettuato somministrando la vitamina B12 radioattiva PO e successivamente, entro 1-6 ore, una dose da carico di B12 (1000 µg) per via parenterale allo scopo di evitare il deposito nel fegato di B12 radioattiva; si procede, quindi, alla misurazione della quantità di materiale radiomarcato nelle urine raccolte nelle 24 ore (normalmente > 9% della dose somministrata). La ridotta escrezione urinaria (< 5% se la funzione renale è normale) conferma il ridotto assorbimento di vitamina B12. Questo test (Schilling I), può essere ripetuto (Schilling II) utilizzando fattore intrinseco di maiale radiomarcato con cobalto. La correzione della ridotta escrezione osservata nello Schilling I, permette di diagnosticare nell’assenza di fattore intrinseco il meccanismo fisiopatologico della ridotta escrezione di B12. La mancata correzione di questi valori suggerisce la presenza di un meccanismo di malassorbimento GI (p. es., la sprue). Dopo un ciclo di 2 sett. di terapia antibiotica PO, può essere effettuato il test di Schilling III. Il test di Schilling dovrebbe essere effettuato dopo aver completato tutte le indagini e i protocolli terapeutici stabiliti, dal momento che esso rifornisce l’organismo di vitamina B12 in eccesso. Poiché il test di Schilling non misura l’assorbimento della B12, il test non mette in evidenza una carenza di liberazione di tale forma di B12 nei pazienti anziani. A causa dell’aumentata incidenza di cancro gastrico nei pazienti con anemia perniciosa, è consigliabile, appena posta la diagnosi, l’esecuzione di un esame radiologico del tratto GI, che può risultare utile anche per evidenziare altre eventuali cause di anemia megaloblastica (p. es., diverticoli intestinali, sindrome dell’ansa cieca o alterazioni del piccolo intestino, caratteristiche della sprue). Una successiva sorveglianza deve essere intrapresa qualora compaiano caratteristiche cliniche suggestive di alterazioni gastriche (cioè sintomi, presenza di sangue occulto nelle feci). Il ruolo di periodici controlli endoscopici o rx non è del tutto chiaro.

Terapia La quantità di B12 trattenuta dall’organismo è proporzionale alla quantità somministrata. È difficile calcolare il fabbisogno terapeutico di B12, poiché la replezione deve includere la reintegrazione dei depositi epatici (normalmente compresi tra 3000 e 10000 µg), durante la quale la ritenzione di B12 diminuisce. In generale, 1000 µg di vitamina B12 vengono somministrati IM 2-4 volte/sett. finché non siano corrette le alterazioni ematologiche; successivamente tale dose viene somministrata 1 volta/mese; in alternativa la vitamina B12 può essere somministrata PO a dosi massive (da 0,5 a 2 mg/die). Sebbene la correzione dell’anemia si ottenga di solito entro 6 sett., il miglioramento dei disturbi nervosi può richiedere anche fino a 18 mesi di cura. La somministrazione di acido folico (al posto della B12) ai pazienti con carenza di B12 è controindicata, poiché può provocare un deficit neurologico fulminante. Viene data terapia con Fe PO nei casi in cui venga diagnosticata una carenza marziale quando, all’esame del midollo osseo eseguito prima della terapia con B12, venga riscontrata la mancanza del Fe di deposito o le alterazioni di altri parametri (p. es., ferritina sierica < 200 ng/ml). È necessario continuare la terapia di mantenimento con B12 per tutta la vita a meno che non venga corretto il meccanismo fisiopatologico responsabile della carenza. file:///F|/sito/merck/sez11/1270934c.html (4 of 5)02/09/2004 2.12.56

Anemie

DIPENDENZA DA VITAMINA B12 Sono stati descritti vari disturbi specifici congeniti del metabolismo vitamina B12dipendenti, che causano anemia megaloblastica. Ognuno di essi presenta difetto dell’uptake cellulare del precursore della vitamina, della conversione della vitamina nella forma coenzimatica o dell’interazione coenzima-apoenzima. È per solito interessato il metabolismo dell’acido metilmalonico, con eliminazione di grosse quantità di questo nelle urine e i pazienti (di solito lattanti) si presentano con una grave inspiegabile acidosi metabolica. Questi disordini rispondono abitualmente a dosi massive di B12 (1000 µg/die IM).

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127-5. CAUSE DI DEFICIT DI VITAMINA B12* Causa

Origine

Dieta inadeguata

Vegetarianismo stretto, bambini allattati al seno da madri vegetariane strette, alcolismo cronico (raro), mode dietetiche

Inadeguato assorbimento

Carenza di fattore intrinseco (anemia perniciosa, distruzione della mucosa gastrica, endocrinopatie), inibizione del fattore intrinseco, disordini dell’intestino tenue (malattia celiaca, sprue, tumori maligni, farmaci, malassorbimento specifico per la vitamina B12), competizione per la vitamina B12 (tenia, sindrome dell’ansa cieca)

Inadeguata utilizzazione

Antagonisti, deficit enzimatici, patologia d’organo (fegato, reni, tumori maligni, malnutrizione), anomalie del trasporto delle proteine

Aumentate richieste

Ipertiroidismo, infanzia, infestazioni parassitarie, a-talassemia.

Aumentata escrezione

Inadeguato legame nel siero, patologia epatica, patologia renale

*La maggior parte dei pazienti con deficit di vitamina B12 avrà un assorbimento inadeguato. Modificata da Herbert VD, Colman N: "Folic acid and vitamin B12" in Modern Nutrition in Health and Disease, ed.7, edito da ME Shils e VR Young. Philadelphia, Lea & Febiger, 1988, pp388-416.

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Sindromi da malassorbimento

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi

Molte malattie o le loro conseguenze possono causare un malassorbimento (v. Tab. 30-1). Il meccanismo può essere rappresentato da un'alterazione diretta dell'assorbimento o da dei disturbi della digestione che causano l'alterato assorbimento. Il malassorbimento si può verificare per molte sostanze nutritive o per specifici carboidrati, grassi o micronutrienti.

Sintomi e segni I sintomi del malassorbimento sono causati dagli effetti delle sostanze osmoticamente attive nel tratto GI o dai deficit nutrizionali che si sviluppano. Alcune cause di malassorbimento hanno dei quadri clinfici specifici. La dermatite erpetiforme si associa spesso a un'enteropatia simil-celiaca di grado lieve; la cirrosi biliare e il cancro del pancreas causano l'ittero; l'ischemia mesenterica causa l'angina abdominis; la pancreatite cronica causa un fastidioso dolore addominale epigastrico e la sindrome di Zollinger-Ellison causa una grave e persistente dispepsia ulcerosa. Il malassorbimento causa perdita di peso, glossite, spasmi carpopodalici, assenza di riflessi tendinei, ecchimosi cutanee, flatulenza, distensione addominale, meteorismo e senso di fastidio legato all'aumento della massa intestinale e alla produzione di gas. I sintomi di un deficit di lattasi includono una diarrea esplosiva con meteorismo addominale e presenza di gas dopo l'ingestione di latte. Il deficit di lipasi pancreatiche si manifesta con delle feci grasse, contenenti i grassi, indigeriti, assunti con la dieta (trigliceridi). A volte si ha steatorrea, con feci chiare, soffici, pastose e maleodoranti che aderiscono ai lati del vater o che galleggiano e sono mandate via con difficoltà. La steatorrea si verifica più frequentemente nella malattia celiaca o nella sprue tropicale. Può essere presente anche in caso di feci che sembrano relativamente normali. Il deficit nutrizionale secondario si verifica in proporzione alla gravità della malattia primaria e all'area del tratto GI interessata. Molti pazienti affetti da malassorbimento sono anemici, di solito, a causa del deficit di ferro (anemia microcitica) e di acido folico (anemia megaloblastica). Il deficit di ferro si verifica usualmente nella malattia celiaca e nei pazienti gastrectomizzati. Il malassorbimento dei folati, si verifica nonostante la dieta adeguata, soprattutto nella malattia celiaca e nella sprue tropicale. Nella sindrome dell'ansa cieca, così come molti anni dopo un'estesa resezione della parte distale del tenue o dello stomaco, si può avere un deficit di vitamina B12. Tuttavia, la classica resezione di 50 cm dell'ileo terminale per una malattia di Crohn ileocecale, raramente file:///F|/sito/merck/sez03/0300317.html (1 of 4)02/09/2004 2.12.57

Sindromi da malassorbimento

conduce a un significativo deficit di B12. Il deficit di Ca è comune, in parte dovuto a un deficit di vitamina D con alterato assorbimento e in parte al legame del Ca con gli acidi grassi non assorbiti. Questa carenza può causare dolore osseo e tetania. Il rachitismo infantile è raro, ma nella forma grave della malattia celiaca dell'adulto si può verificare l'osteomalacia. Un deficit di tiamina (vitamina B1) può causare delle parestesie(come il deficit di vitamina B12), mentre il malassorbimento della vitamina K (principalmente liposolubile) può condurre a un'ipoprotrombinemia con la tendenza all'ecchimosi e al facile sanguinamento. Un grave deficit di riboflavina (vitamina B2) può causare un'infiammazione della lingua e una stomatite angolare, mentre i deficit di vitamine A, di vitamina C e di niacina raramente causano problemi clinici. Un malassorbimento proteico può portare a un edema ipoproteico, solitamente a carico degli arti inferiori. Una disidratazione, una perdita di potassio e una debolezza muscolare possono far seguito a una diarrea profusa. La malnutrizione può essere responsabile anche di deficit endocrini secondari; per esempio, l'amenorrea primaria o secondaria costituisce un'importante manifestazione della malattia celiaca nelle giovani donne.

Diagnosi I sintomi e i segni conducono al sospetto diagnostico di malassorbimento. Qualunque combinazione di calo ponderale, diarrea e anemia deve far nascere il sospetto di un malassorbimento. Gli studi di laboratorio confermano la diagnosi. La misurazione diretta dei grassi fecali è il test più affidabile per la diagnosi definitiva. La steatorrea rappresenta un'evidenza assoluta di malassorbimento, ma non è sempre presente. Per un adulto che segue una normale dieta occidentale, con un'assunzione giornaliera di grassi pari a 50-150 g, una perdita di grassi fecali > 17 g/die non è normale. L'accuratezza nella raccolta delle feci è importante. È possibile ed è vantaggioso effettuare gli studi dei grassi fecali ambulatorialmente; solitamente una raccolta di 3-4 gg è adeguata. L'ispezione delle feci e l'esame microscopico sono anch'essi di grande valore. Il tipico aspetto delle feci, descritto sopra, è inconfondibile. La presenza di frammenti di cibo indigerito suggerisce o l'estrema ipermotilità intestinale o un intestino corto (p. es., una fistola gastrocolica). Le feci grasse in un paziente itterico indirizzano verso una cirrosi biliare primitiva o un cancro del pancreas. L'esame microscopico che evidenzia la presenza di particelle di grasso e di fibre carnee indigerite, suggerisce un'insufficienza pancreatica. La microscopia permette di identificare le uova o i parassiti. La colorazione di Sudan III di uno striscio di feci è un test di screening relativamente semplice e diretto, anche se non quantitativo, per il grasso fecale. I test dell'assorbimento sono utili per definire la lesione (per l'assorbimento del lattoso, v. oltre Intolleranza ai carboidrati). Il test di assorbimento del d-xiloso è una misura indiretta, ma relativamente specifica, dell'assorbimento della parte prossimale del piccolo intestino. I reperti alterati sono comuni nella malattia digiunale primitiva, ma raramente lo sono nelle altre cause. Al paziente a digiuno vengono somministrati 5 g di d-xiloso PO e poi vengono raccolte le urine per le successive 5 h. Questo dosaggio è leggermente meno sensibile rispetto a una somministrazione maggiore (25 g), ma non provoca nausea o diarrea. Se il flusso urinario è adeguato e la filtrazione glomerulare è normale, una quantità < 1,2 g di d-xiloso nelle urine raccolte per 5 h è considerata alterata, mentre 1,2-1,4 g sono considerati valori al limite della norma. Anche se il test è molto popolare nella pratica pediatrica, la raccolta completa delle urine nei bambini piccoli è difficile e molti ricercatori preferiscono misurare i livelli ematici. Tuttavia, la misurazione dei livelli ematici è meno attendibile perché i livelli normali e quelli anormali si sovrappongono in maniera importante a meno che la dose di d-xiloso non sia di 0,5 g/kg. Il malassorbimento del ferro, solitamente, può essere sospettato in un paziente che segue una dieta adeguata e che non ha una perdita cronica di sangue o non file:///F|/sito/merck/sez03/0300317.html (2 of 4)02/09/2004 2.12.57

Sindromi da malassorbimento

è affetto da talassemia, ma presenta un deficit di ferro, indicato da una bassa ferritina sierica e da una bassa sideremia. All'esame del midollo osseo si possono osservare delle ridotte riserve di ferro. L'assorbimento di acido folico è anormale se, in un paziente che assume una dieta adeguata e non consuma una quantità eccessiva di alcol, viene riscontrato un basso livello di folati nel siero o nei GR. L'assorbimento della vitamina B12 è alterato nei casi in cui la concentrazione sierica di vitamina B12 è bassa. Poiché i depositi sono abbondanti, un basso livello indica una condizione cronica. Il test di Schilling è utile per accertare la causa del malassorbimento. La ridotta escrezione urinaria (< 5%) della vitamina B12 radiomarcata indica il malassorbimento. Se l'escrezione torna a valori normali (> 9%) quando viene somministrato il fattore intrinseco legato alla vitamina B12 radiomarcata, il malassorbimento è causato da un deficit di attività del fattore intrinseco (spesso, una vera anemia perniciosa). Quando la somministrazione del fattore intrinseco non corregge l'escrezione, devono essere sospettate una pancreatite cronica, i farmaci (p. es., l'acido aminosalicilico) o una malattia del piccolo intestino (p. es., le anse cieche, i diverticoli digiunali e la malattia ileale). La deconiugazione dei sali biliari da parte dei batteri intestinali, che si verifica nei disordini del piccolo intestino che causano una stasi e una crescita batterica (p. es., le anse cieche, i diverticoli e la sclerodermia), può essere valutata con il breath test con l'acido glicolico con C 14. Il test, di solito, non è necessario, è costoso e spesso non è disponibile. Le rx possono essere aspecifiche o diagnostiche. Un esame dell'apparato digerente superiore, seguito da un esame del piccolo intestino, può mostrare una dilatazione delle anse intestinali con un assottigliamento delle pliche mucose (che indicano una sprue celiaca) o un loro ispessimento (che indica la malattia di Whipple) e una frammentazione irregolare della colonna di bario, ma questi aspetti suggeriscono solo un malassorbimento. I reperti diagnostici sono rappresentati dalla presenza di fistole, di anse cieche o di varie anastomosi intestinali; di una diverticolosi digiunale; e aspetti della mucosa suggestivi di un linfoma intestinale, di una sclerodermia o di una malattia di Crohn. L'esame rx diretto dell'addome può evidenziare delle calcificazioni pancreatiche, che sono un segno di pancreatite cronica. Anche la CPRE può essere utile nell'identificare un'insufficienza pancreatica cronica, ma di solito è sufficiente la calcificazione pancreatica. La biopsia del piccolo intestino a livello digiunale è una procedura di routine che permette contemporaneamente dei prelievi di succo digiunale per un esame microbiologico della flora intestinale (v. Tab. 30-2). Le biopsie endoscopiche sono anch'esse utili, ma devono essere eseguite oltre la seconda porzione del duodeno. Il prelievo mucoso può essere esaminato macroscopicamente con una lente di ingrandimento o con un microscopio dissettore o con la microscopia ottica o elettronica e gli omogenati tissutali possono essere analizzati per la loro attività enzimatica. Le diagnosi specifiche includono la malattia di Whipple, il linfosarcoma, la linfangectasia intestinale e la giardiasi (in cui si può notare il trofozoita strettamente adeso alla superficie villosa). L'istologia digiunale (atrofia dei villi) si presenta alterata anche nella malattia celiaca, nella sprue tropicale e nella dermatite erpetiforme. Sono utilizzati due test della funzione pancreatica che richiedono entrambi l'intubazione duodenale: il test di Lundh, in cui la secrezione pancreatica viene stimolata indirettamente mediante l'assunzione orale di un pasto apposito, misura i livelli della lipasi nell'aspirato duodenale. La secrezione pancreatica può essere stimolata anche direttamente da un'iniezione di secretina EV (v. Cap. 26). Il test alla bentiromide è stato, invece, introdotto per valutare la funzione pancreatica, ma la sua accuratezza e la sua utilità devono essere ancora definite. Il test è basato sulla scissione del peptide sintetico bentiromide, da parte dell'enzima pancreatico chimotripsina. La molecola dell'acido para-amminobenzoico è assorbita ed escreta nelle urine. L'accuratezza dipende dal normale svuotamento gastrico, dal normale assorbimento e da una normale funzione renale; alcuni file:///F|/sito/merck/sez03/0300317.html (3 of 4)02/09/2004 2.12.57

Sindromi da malassorbimento

farmaci (p. es., i sulfamidici e l'acetaminofene) possono provocare dei falsi risultati. Dei test speciali possono essere utili per fare la diagnosi delle cause meno comuni di malassorbimento, come i livelli della gastrina sierica e la secrezione gastrica acida nella sindrome di Zollinger-Ellison, la concentrazione del Cl nel sudore nella fibrosi cistica, l'elettroforesi delle lipoproteine nella abetalipoproteinemia e il cortisolo plasmatico nella malattia di Addison.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. La gastrite può essere classificata come erosiva o non erosiva sulla base della gravità della lesione mucosa. Può essere classificata anche sulla base della localizzazione nello stomaco (cioè, cardias, corpo e antro). La gastrite può essere ulteriormente classificata istologicamente come acuta o cronica, sulla base del tipo di cellule infiammatorie presenti. Nessuna classificazione si combina perfettamente con la fisiopatologia; esiste, infatti, una notevole sovrapposizione. La gastrite acuta è caratterizzata dall'infiltrazione di cellule polimorfonucleate della mucosa dell'antro e del corpo. La gastrite cronica implica alcuni gradi di atrofia (con perdita della capacità funzionale della mucosa) o di metaplasia. Coinvolge principalmente l'antro, con la conseguente perdita delle cellule G e la riduzione della secrezione gastrinica o il corpo, con la perdita delle ghiandole parietali e la conseguente riduzione dell'acidità e della secrezione di pepsina e di fattore intrinseco.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MEGALOBLASTICHE ANEMIA DA CARENZA DI ACIDO FOLICO

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Diagnosi Terapia

Molte piante e molti tessuti animali contengono acido folico (acido pteroilglutamico, folacina) come metil o formil poliglutamati ridotti (v. Tab. 1-2 e Tab. 1-3 per le fonti e per i fabbisogni giornalieri). Nella forma tetraidro, i folati agiscono come coenzimi per i processi in cui c’è il trasferimento di un’unità di carbonio, come nella biosintesi dei nucleotidi purinici e pirimidinici, nella conversione di aminoacidi (p. es., l’istidina ad acido glutamico attraverso l’acido formiminoglutamico) e nella formazione e nell’utilizzazione del formiato. L’assorbimento avviene a livello del duodeno e del primo tratto del digiuno. Nelle cellule epiteliali i poliglutamati alimentari vengono ridotti a diidro- e tetraidrofolati. Si legano alle proteine e vengono trasportati come metiltetraidrofolati. I livelli sierici variano da 4 a 21 ng/ml e riflettono strettamente l’introduzione alimentare. I folati dei GR (normale, 225-640 ng/ml di sangue intero [510-1450 nmol/ l], con un ematocrito del 45%) sono il miglior indice dello status dei folati tissutali. La quantità totale di folati dell’organismo è di circa 70 mg, di cui 1/3 si trova nel fegato. I folati ingeriti vengono escreti per circa il 20% in forma non assorbita, insieme a 60-90 µg/die che non vengono riassorbiti dalla bile.

Eziologia e fisiopatologia Cause di carenza di folato sono elencate in Tab. 127-6. La lunga cottura distrugge i folati, che sono presenti in quantità abbondante in cibi quali gli ortaggi a foglia verde, il lievito, il fegato e i funghi. I depositi epatici sono limitati e rappresentano una scorta sufficiente per soli 2-4 mesi, se mancano gli apporti esterni. Frequentemente con la dieta si assumono quantità appena sufficienti di folati. L’alcol interferisce con il metabolismo intermedio, l’assorbimento intestinale e il recupero enteroepatico. Tendono a sviluppare anemia macrocitica da carenza di acido folico, quindi, gli individui che seguono una dieta al limite della sopravvivenza (p. es., i "consumatori di tè e toast" e gli etilisti cronici) e i pazienti con malattia cronica del fegato. Poiché il feto si rifornisce di acido folico dalla madre, le donne in gravidanza sono suscettibili file:///F|/sito/merck/sez11/1270938.html (1 of 2)02/09/2004 2.12.59

Anemie

all’anemia megaloblastica. Un’altra causa comune di carenza di folati è il malassorbimento intestinale (v. Cap. 30). Nella sprue tropicale il malassorbimento stesso è secondario all’atrofia della mucosa intestinale derivante dalla mancanza di folato, così anche minime dosi in genere correggono sia l’anemia che la steatorrea. Una carenza di folato può svilupparsi in pazienti che seguono un trattamento cronico con anticonvulsivi o che assumono contraccettivi orali o nei pazienti in trattamento con antimetaboliti (metotrexato) e antimicrobici (p. es., trimethoprimsulfametossazolo) che interferiscono con il metabolismo dei folati. Infine, una maggiore richiesta di folati si ha in gravidanza e durante l’allattamento, in pazienti con anemia emolitica cronica (specialmente congenita) o psoriasi e in pazienti in dialisi cronica.

Diagnosi Le manifestazioni cliniche primarie della carenza di folati sono quelle dell’anemia. I reperti midollari e del sangue periferico sono esattamente gli stessi descritti nella carenza di B12, ma non si hanno lesioni neurologiche (come invece accade nella carenza di B12). Il folato è critico nella formazione del sistema nervoso durante i periodi fetali e neonatali. Difetti del tubo neuronale con deficit neurologici gravi si verificano quando non si ingerisce in gravidanza un’adeguata quantità di folati. Un altro sintomo neurologico inusuale (sindrome da gamba senza riposo in gravidanza) è stato anche messo in relazione con la carenza di folato. Il principale dato di laboratorio che permette di distinguere la deficienza di folati dalle altre forme di anemia megaloblastica rivela una quantificabile deplezione di folati. Livelli sierici di acido folico < 4 ng/ml (< 9 nmol/ l) suggeriscono una carenza. Bassi livelli di folati eritrocitari (di norma 225-600 ng/ ml [510-1360 nmol/l]) identificano una deficienza tissutale (Il range di normalità dipende dal metodo di laboratorio usato). Entrambi i saggi sono gravati sia da risultati falsi positivi che falsi negativi. Quindi, la misura dell’omocisteina sierica fornisce la migliore evidenza di carenza tissutale. Tuttavia, poiché la B12 usa la stessa via metabolica, devono essere misurati sia l’acido metilmalonico che l’omocisteina. Un valore normale di acido metilmalonico con un livello elevato di omocisteina confermano la diagnosi di carenza di folato.

Terapia La terapia con 1 mg/die PO di folato restaura i normali valori tissutali. Il normale fabbisogno è di circa 50 µg/die di folato, con tale valore aumentato di 2-3 volte nella gravidanza e nella fanciullezza. (Attenzione: nell’anemia megaloblastica è molto importante escludere una carenza di vitamina B12 prima di sottoporre il paziente a terapia con i folati, dal momento che essi potrebbero migliorare l’anemia, ma peggiorare le lesioni neurologiche). Nelle donne gravide, specialmente quelle che avevano avuto una precedente gravidanza con un feto o un neonato portatore di difetto del tubo neurale, la dose raccomandata è di 5 mg/ die.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127-6.CAUSE DI CARENZA DI FOLATO* Causa

Origine

Inadeguata assunzione

Mancanza di cibi freschi o poco cotti; alcolismo cronico; nutrizione parenterale totale

Inadeguato assorbimento

Sindromi da malassorbimento (specialmente malattia celiaca, sprue), farmaci (fenitoina, primidone, barbiturici, cicloserina, contraccettivi orali?), malassorbimento specifico per acido folico (congenito, acquisito), sindrome dell’ansa cieca

Inadeguata utilizzazione

Antagonisti dell’acido folico (metotrexato, pirimetamina, triamterene, composti della di amidina, trimetoprim), anticonvulsivanti?, deficit enzimatico (congenito, acquisito), deficit di vitamina B12, alcolismo, scorbuto

Aumentate richieste

Gravidanza, allattamento, tu mori maligni (specialmente lin foproliferativi), aumento dell’emopoiesi (specialmente talassemia major), aumento del metabolismo

Aumentata escrezione Dialisi renale (peritoneale o emo dialisi), dipendenza dalla vitamina B12?, epatopatie? *Inadeguata assunzione e inadeguato assorbimento sono le cause più comuni. Adattata da Herbert VD, Colman N: "Folic acid and vitamin B12," in Modern Nutrition in Health and Disease, ed.7, edito da ME Shils e VR Young, Philadelphia, Lea & Febiger, 1988, pp.388416.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI ANEMIE MEGALOBLASTICHE ANEMIA DA CARENZA DI VITAMINA C Una carenza di vitamina C (acido ascorbico) (v. anche Cap. 3) è spesso associata ad anemia ipocromica e può essere normocitica od occasionalmente microcitica (se c’è stata perdita cronica di sangue). Un’occasionale carenza macrocitica di vitamina C è associata a deficit di acido folico. La correzione farmacologica richiede sia la vitamina C (500 mg/die) che l’acido folico (come prima specificato).

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI CAUSATA DA DIFETTI ESTRINSECI AL GLOBULO ROSSO Nessuna anomalia dei GR può essere identificata o implicata nell’emolisi da deficit extraglobulari. La distruzione dei GR è in rapporto a circostanze estranee ai GR. Le cellule del donatore vengono distrutte a una velocità uguale a quella delle cellule autologhe.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI CAUSATA DA DIFETTI ESTRINSECI AL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA IPERATTIVITÀ RETICOLOENDOTELIALE

Sommario: IPERSPLENISMO-SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA Eziologia e patogenesi Sintomi e segni, diagnosi e terapia

IPERSPLENISMO-SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA L’ipersplenismo (v. anche Cap. 141) è caratterizzato da un meccanismo che produce splenomegalia con aumento associato di filtrazione dei GR e della funzione fagocitica. Spesso si manifestano con l’anemia altre citopenie (leucopenia, trombocitopenia) rendendo più semplice la diagnosi. Sebbene il meccanismo primitivo sia una sorta di azione simil-setaccio che porta al sequestro dei GR, il grado dell’anemia è anche sostanziato da una componente diluitoria derivante da un’espansione del volume plasmatico associato alla splenomegalia. In alcune condizioni immunomediate, la milza può sequestrare GR e produrre anticorpi, sovrapponendo un meccanismo immunologico a quello congestizio.

Eziologia e patogenesi Malattie associate a iperplasia reticoloendoteliale sono quelle maggiormente implicate nella genesi dell’ipersplenismo, che può anche derivare da qualsiasi patologia che determina splenomegalia. Con il termine "ipersplenismo" si indica la condizione di citopenia periferica con iperplasia midollare delle linee cellulari relative agli elementi ridotti in circolo a causa dell’iperattività splenica e, implicitamente, riparabili per mezzo della splenectomia.

Sintomi e segni, diagnosi e terapia La splenomegalia è il segno caratteristico dell’ipersplenismo; la grandezza della milza è direttamente proporzionale al grado dell’anemia. Per ogni 2 cm di milza che supera il margine costale ci si può attendere un calo del’Hb di circa 1 g. Altri reperti clinici in pazienti con splenomegalia congestizia sono di solito in correlazione con la malattia di base. L’anemia e le altre citopenie sono di solito modeste e asintomatiche, a meno che non coesistano altri meccanismi file:///F|/sito/merck/sez11/1270941b.html (1 of 2)02/09/2004 2.13.01

Anemie

responsabili della loro gravità. La diagnosi può essere suggerita dalla presenza di altre citopenie accanto all’anemia (la conta piastrinica è compresa tra 50000 e 100000/µl; i GB vanno da 2500 a 4000/µl con una formula leucocitaria normale). Poiché l’anemia deriva dal sequestro splenico, non esistono mutamenti morfologici particolari nei GR. Lo studio del tempo di sopravvivenza dei GR marcati con 51Cr mostra un’emolisi accelerata e un sequestro splenico selettivo. Frequentemente viene rilevato un aumento del volume plasmatico. La terapia è diretta alla malattia di base. L’ipersplenismo di per sé è raramente indice di splenectomia, poiché l’anemia è lieve.

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Disordini della milza

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 141. DISORDINI DELLA MILZA (v. anche Sindromi da deficit splenico nel Cap. 147) Per la sua struttura anatomofunzionale la milza comprende due organi diversi: un organo immunitario, la polpa bianca, formato dai manicotti linfatici periarteriosi e dai centri germinativi e un organo reticoloendoteliale, la polpa rossa, costituita dai macrofagi e dai granulociti che rivestono gli spazi vascolari (i cordoni sinusoidali). Funzioni della polpa bianca: la polpa bianca produce anticorpi umorali protettivi (autoanticorpi inappropriati diretti contro elementi sanguigni circolanti come accade nella porpora trombocitopenica immunitaria [ITP] o nell’anemia emolitica autoimmune Coombs-positiva). La produzione e la maturazione di cellule B e T e delle plasmacellule avvengono nella polpa bianca, come in altri organi linfoidi. Funzioni della polpa rossa: la polpa rossa rimuove i batteri e gli elementi del sangue senescenti. Nelle citopenie immunitarie (ITP, anemia emolitica Coombspositiva e alcune neutropenie), le cellule vengono distrutte dai macrofagi e dai granulociti della polpa rossa, che fagocitano gli elementi ricoperti da anticorpi; la polpa rossa serve anche come riserva per gli elementi ematici, specialmente per i GB e le piastrine. La funzione cateretica rimuove corpi inclusi dei GR (p. es., corpi di Heinz, [precipitati di globina insolubile], i corpi di Howell-Jolly [frammenti nucleari] e anche interi nuclei dai GR); così, dopo splenectomia, nel sangue circolano comunemente GR nucleati e con corpi di Howell-Jolly; l’ematopoiesi, un’altra funzione della polpa rossa, normalmente si ha nella milza soltanto durante la vita fetale; al di fuori della vita fetale, le cellule staminali emopoietiche possono ripopolare e circolare nella milza e nel fegato, anche nella vita adulta (v. Mielofibrosi al Cap. 130 e Sindrome mielodisplastica al Cap. 138).

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Malattie mieloproliferative

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 130. MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Gruppo di malattie caratterizzate da anomala proliferazione di una o più linee cellulari emopoietiche o di elementi del tessuto connettivale.

MIELOFIBROSI (Metaplasia mieloide agnogenica) Malattia cronica, in genere idiopatica, caratterizzata da fibrosi midollare, splenomegalia e anemia leucoeritroblastica con GR a goccia.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia e fisiopatologia La causa è sconosciuta. Può complicare una leucemia mielogena cronica e può manifestarsi nel 15-30% dei pazienti con policitemia vera quando sopravvivano abbastanza a lungo. Sindromi simili alla mielofibrosi idiopatica sono state osservate in associazione a diverse neoplasie e infezioni, come pure dopo esposizione a certe tossine (v. Tab. 130-5). La mielofibrosi maligna o acuta, una variante infrequente, ha un decorso infausto più rapidamente fatale. Questa può essere in realtà una vera leucemia megacariocitica. Il picco d’incidenza della mielofibrosi è compreso tra i 50 e i 70 aa. La sopravvivenza media è di 10 anni dall’inizio presunto. Studi basati sugli isoenzimi del G6PD e anomalie cromosomiche suggeriscono che possa essere in causa una proliferazione clonale di un’anomala linea staminale mieloide. Dal momento che i fibroblasti midollari non derivano dallo stesso clone ematopoietico, come confermato dall’analisi dei fibroblasti midollari dopo trapianto del midollo, si ritiene che l’aspetto principale della malattia, la mielofibrosi, rappresenta un momento complicante, reattivo al processo patologico primitivo.

Sintomi e segni Negli stadi iniziali la malattia può essere asintomatica. Una splenomegalia o alterazioni ematologiche possono essere riscontrate in occasione di controlli routinari. Negli stadi successivi, possono comparire malessere generale, perdita di peso e sintomi attribuibili a splenomegalia o a infarti splenici. Una epatomegalia si manifesta nel 50% dei pazienti. Si può manifestare linfoadenopatia, ma non è tipica.

Diagnosi

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Malattie mieloproliferative

Le alterazioni delle cellule ematiche sono variabili. Usuale è l’anemia, che generalmente aumenta col tempo. I GR sono normocitici-normocromici con lieve poichilocitosi, reticolocitosi e policromatofilia. GR nucleati possono essere rilevati nel sangue periferico. Negli stadi avanzati i GR presentano una forma notevolmente alterata e a goccia; il loro aspetto è sufficientemente alterato da suggerire la diagnosi. La conta dei GB è in genere aumentata, ma è fortemente variabile. Un’immaturità dei neutrofili si manifesta nella maggior parte dei pazienti e la presenza di mieloblasti non è necessariamente indicativa di una trasformazione in leucemia acuta. Anche la conta piastrinica può essere all’inizio alta, normale o ridotta; tuttavia, una tende a instaurarsi trombocitopenia col progredire della malattia. Il puntato midollare è in genere secco. La biopsia del midollo osseo si rende necessaria per evidenziare la fibrosi. Poiché la fibrosi può essere distribuita non uniformemente, si devono eseguire ripetute biopsie in diverse sedi nei pazienti con sospetto di mielofibrosi idiopatica, qualora la prima biopsia non risulti diagnostica.

Terapia Non esiste terapia per far regredire o per tenere sotto controllo il processo patologico di base, sebbene l’interferon-α sia in corso di valutazione. La terapia è rivolta al trattamento delle complicanze. Come terapia palliativa si è ricorso talora ad androgeni, alla splenectomia, alla chemioterapia (idrossiurea) e alla radioterapia. Per i pazienti con livelli di eritropoietina bassi in relazione al grado di anemia, l’eritropoietina SC può minimizzare la necessità di trasfondere GR. La trasfusione di concentrati di GR per l’anemia grave è un importante aspetto della terapia. Per i pazienti più giovani, con malattia avanzata, deve essere preso in considerazione il trapianto di midollo allogenico.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 130–5. CONDIZIONI ASSOCIATE ALLA MIELOFIBROSI Condizione

Esempi

Malattie maligne

Leucemie, policitemia vera, mieloma multiplo, linfoma di Hodgkin, linfoma non Hodgkin, cancro

Infezioni

TBC, osteomielite

Effetti tossici

Radiazioni x o γ, benzene

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI CAUSATA DA DIFETTI ESTRINSECI AL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA ANOMALIE IMMUNOLOGICHE (V. anche descrizione dell’anemia emolitica isoimmune [isoagglutinina] in Reazioni emolitiche nel Cap. 129.

Sommario: ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE (AEA) ANEMIA ASSOCIATA A SENSIBILITÀ AL COMPLEMENTO

ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE (AEA) L’anemia emolitica autoimmune (AEA) è identificata da autoanticorpi (Ac) che reagiscono contro i GR. Questi anticorpi sono identificati dal test diretto antiglobulinico (di Coombs). Il siero antiglobulinico è aggiunto ai GR lavati del paziente; l’agglutinazione indica la presenza di immunoglobulina o componenti del complemento legati ai GR. In alternativa, il missaggio del plasma del paziente con GR normali identifica tali Ac (liberi) nel plasma (test delle antiglobuline [di Coombs] indiretto). In generale, l’intensità del test diretto antiglobulinico è correlato con il numero di molecole di IgG e/o C3 legato ai GR e, sebbene non ci sia una perfetta correlazione, con la velocità di emolisi. Un test antiglobulinico indiretto positivo (p. es., presenza di anticorpi liberi anti-GR) in assenza di positività del test diretto non indica un’emolisi immunitaria; in generale il test evidenzia un alloanticorpo causato dalla gravidanza, da precedenti trasfusioni o da una reattività crociata lectinica. Anche l’identificazione di Ac caldi non indica l’emolisi in quanto i normali donatori (1/10000) hanno un risultato positivo per questo test. L’anemia emolitica da anticorpi caldi è la forma più comune di AEA ed è molto più frequente nelle donne che negli uomini. I sintomi all’insorgenza sono quelli dell’anemia, poiché di solito l’inizio è brusco. Una modesta splenomegalia è usuale. L’anemia è di solito grave e può essere fatale; la MCHC è elevata, in accordo con l’aumento di sferociti e della policromatofilia riscontrati nello striscio. La caratteristica dell’AEA è la positività del test diretto antiglobulinico; quindi, le IgG o il C3 sono stati osservati sulla superficie dei GR alla temperatura di 37°C. Questi anticorpi possono comparire spontaneamente, in associazione a talune malattie (LES, linfomi, leucemia linfatica cronica) o dopo stimolo da parte di un farmaco (p. es., α-metildopa, levodopa). Essi possono anche essere visti come facenti parte di un meccanismo nel quale fungono transitoriamente da apteni, come si verifica con farmaci quali le alte dosi di penicillina o di cefalosporine quando l’anticorpo è diretto contro il complesso antibiotico-membrana del GR; la sospensione del farmaco è seguita dalla regressione del processo emolitico. Si possono avere tre tipi di test antiglobulinico diretto: (1) Il test antiglobulinico

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Anemie

diretto è positivo con anti-IgG e negativo con anti-C3. Non c’è fissazione del C3. Questo assetto si riscontra nell’AEA idiopatica e nei casi indotti dall’α-metildopa e dalla penicillina. (2) Il test antiglobulinico diretto è positivo con anti-IgG e con antiC3. C3 e l’anticorpo sono fissati. Questo si osserva nei casi con LES e nell’AEA idiopatica. Non si manifesta nei casi farmaco-indotti. (3) Il test antiglobulinico è positivo con l’anti-C3 ma negativo con l’anti-IgG. Questo si manifesta nell’AEA idiopatica quando l’anticorpo è a bassa affinità e in alcuni casi farmaco-associati e nelle forme criopatiche (malattia delle agglutinine fredde, emoglobinuria parossistica da freddo). Nell’AEA mediata da anticorpi caldi, l’emolisi avviene soprattutto nella milza; l’emoglobinuria e l’emosiderinuria sono molto rare. Sebbene gli anticorpi possano avere una certa specificità in quanto diretti contro l’antigene Rh, quasi tutti sono panagglutinine, che rendono difficile il cross-matching. In alcuni casi clinici tipici il test diretto antiglobulinico è negativo perché il numero di molecole per superficie dei GR è troppo piccolo o perché l’immunoglobulina della superficie è IgA o una IgM. La terapia, nelle anemie emolitiche da farmaci, è la sospensione del farmaco che riduce la velocità di emolisi. Con l’α-metildopa e farmaci correlati, l’emolisi di solito cessa in 3 settimane; tuttavia, la positività del test di Coombs può persistere per più di un anno. Occasionalmente si usano i corticosteroidi, nelle gravi emolisi indotte da farmaci. Con la penicillina e farmaci analoghi, l’emolisi cessa quando il farmaco scompare dal plasma. I corticosteroidi sono il trattamento di scelta nell’AEA idiopatica; la maggior parte dei pazienti ha una risposta eccellente, che in circa 1/3 dei casi persiste dopo la cessazione del corticosteroide. Nei pazienti che recidivano dopo la sospensione del corticosteroide o che non rispondono agli steroidi, si effettua la splenectomia (preferibilmente 2 sett. dopo immunizzazione con il vaccino per lo pneumococco e l’Haemophilus influenzae). In circa 1/3-1/2 dei pazienti si ha una risposta duratura alla splenectomia. Nei casi di emolisi fulminante, la sostituzione del plasma può essere efficace. Per le emolisi minori incontrollate, l’infusione di immunoglobulina può fornire un controllo temporaneo. La terapia di lungo corso con immunosoppressivi (tra cui la ciclosporina) si è rivelata efficace dopo il fallimento dei corticosteroidi e della splenectomia. La presenza di anticorpi panagglutinanti rende difficile un valido cross-match del sangue del donatore. Inoltre, le trasfusioni spesso determinano la comparsa di alloanticorpo sovrapposto all’autoanticorpo, che accelera l’emolisi. Le trasfusioni devono essere evitate. Quando necessario per la stabilità cardiopolmonare, devono essere somministrate solo in piccole aliquote (100-200 ml in 1-2 ore, controllando l’emolisi). La malattia da anticorpo freddo (malattia da agglutinina fredda) è un’anemia emolitica causata da autoanticorpo che reagisce a una temperature < 37°C (di solito < 30°C). La malattia è associata a infezioni (soprattutto polmoniti da micoplasma o mononucleosi) e a stati linfoproliferativi; circa la metà dei casi sono di natura idiopatica, che rappresenta la forma più comune negli adulti. Si presenta clinicamente come un’anemia emolitica acuta (in genere associata a infezioni virali o batteriche) o cronica (di solito idiopatica). Possono essere presenti altri sintomi e segni di criopatia (p. es., acrocianosi, fenomeni di Raynaud, incidenti ischemici associati al freddo). Gli esami di laboratorio sono quelli di un’emolisi extravascolare; raramente i casi sono fulminanti e gravi e associati a emoglobinemia ed emosiderinuria. Caratteristiche particolari sono le agglutinazioni dei GR sugli strisci. L’autoagglutinazione si manifesta spesso con un aumento del MCV e un livello falsamente basso di Hb registrato dagli strumenti automatici di conta cellulare; il riscaldamento del tubo e un nuovo conteggio dà valori significativamente prossimi al normale. L’anemia è di solito lieve; l’Hb è di solito > 7,5 g/ dl. Gli anticorpi freddi di solito sono IgM che reagiscono contro glicoproteine di membrana dei GR e sono denominati "i" per evidenziare gli Ag dei GR di cellule fetali o "I" per l’assetto di membrana di cellule adulte. Le agglutinine anti-i fredde si manifestano in genere nella mononucleosi infettiva e nel linfoma maligno a grandi cellule. Le agglutinine anti-I sono state evidenziate nelle forme idiopatiche

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Anemie

e dopo polmonite da micoplasma. In entrambi i casi la IgM attiva e lega il C3 e il grado di emolisi è legato all’entità della potenza di questa azione e alla temperatura alla quale la reazione si manifesta. Più alta è la temperatura (p. es., più è vicina alla temperatura corporea) alla quale l’anticorpo reagisce con i GR, più estesa è l’emolisi. Poiché le IgM si eliminano facilmente dalle cellule, il test di Coombs diretto di solito identifica solamente il C3 fissato a queste cellule. Come previsto, l’emolisi si verifica soprattutto nel sistema dei fagociti mononucleati del fegato. La terapia è largamente di supporto nei casi acuti, che sono di solito causati da infezione, poiché l’anemia si autolimita. In casi cronici, l’anemia è generalmente di modesta entità. La terapia della malattia di base controlla anche l’anemia. In casi cronici idiopatici, l’anemia è generalmente moderata (Hb, 9-10 g/dl) ma può persistere per tutta la vita. È spesso utile evitare l’esposizione al freddo. La splenectomia non ha alcuna utilità. Gli agenti immunosoppressivi hanno solo una modesta efficacia. Le emotrasfusioni devono essere effettuate con cautela. Il sangue deve essere riscaldato mediante un generatore di calore situato internamente al deflussore. Il tempo di sopravvivenza delle cellule autologhe può essere maggiore di quello delle cellule trasfuse poiché il sangue somministrato si riveste di anticorpi; le cellule autologhe sono già sopravvissute all’effetto degli anticorpi sui GR; i prodotti di inattivazione del C3 (C3d), presenti sulla loro superficie, non modificano la sopravvivenza dei GR. Emoglobinuria parossistica da freddo (EPF; sindrome di Donath-Landsteiner) è una rara sindrome da agglutinine fredde. L’emolisi si manifesta da minuti a ore dopo esposizione a freddo, che può essere anche molto localizzata (p. es., bere acqua fredda, lavarsi le mani in acqua fredda). L’emolisi intravascolare è provocata da un’autoemolisina che si lega ai GR a bassa temperatura e li lisa soltanto dopo il riscaldamento. L’emolisina "a frigore" è una IgG 7S. L’EPF, causata da un’autoemolisina attivata dal freddo, si manifesta in alcuni pazienti affetti da sifilide congenita o acquisita; in tal caso il trattamento della malattia fondamentale può portare a guarigione dalll’EPF. Tuttavia, in genere, il fenomeno si presenta dopo una malattia virale aspecifica o in pazienti per altri aspetti sani. I sintomi comprendono un forte dolore alla regione lombare e agli arti inferiori, cefalea, diarrea, vomito ed emissioni di urine color marrone scuro. I reperti obiettivi comprendono emoglobinuria, lieve anemia e moderata reticolocitosi. La gravità e la rapidità dello sviluppo dell’anemia varia grandemente. In alcuni casi può essere fulminante e rappresentare un’emergenza acuta. Può essere presente un’epatosplenomegalia. Dopo l’attacco è possibile osservare una lieve iperbilirubinemia. Il test antiglobulinico diretto è positivo durante gli attacchi, ma negativo negli intervalli. Il test di Donath-Landsteiner identifica il cosiddetto autoanticorpo di Donath-Landsteiner che ha una specificità per l’antigene P sui GR. La terapia consiste in misure scrupolose per evitare l’esposizione al freddo. La splenectomia non ha alcuna utilità. I farmaci immunosoppressivi si sono rivelati efficaci, ma il loro uso dovrebbe essere limitato alle forme progressive o idiopatiche.

ANEMIA ASSOCIATA A SENSIBILITÀ AL COMPLEMENTO L’emoglobinuria parossistica notturna (EPN; sindrome di Marchiafava-Micheli) è un raro disordine caratterizzato da episodi di emolisi ed emoglobinuria, quest’ultima più accentuata durante il sonno. L’EPN è più frequente negli uomini intorno ai 20 anni, ma può manifestarsi in entrambi i sessi ad ogni età. L’EPN è un’anomalia di membrana acquisita, che determina un’insolita suscettibilità all’azione del C3 normale nel plasma. Il difetto è il risultato della mancanza di proteine di membrana, secondaria a un’anomalia di un gruppo di ancoraggio glicosil-fosfatidil-inositolico, che è causata primariamente da una biosintesi alterata; il gene responsabile è localizzato sul cromosoma X ed è denominato gene PIG-A. Il difetto di membrana deriva da un singolo "colpo" al

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Anemie

gene; le manifestazioni cliniche derivano dalla mancanza di proteine che per la loro espressione di superficie dipendono dal gruppo glicosil-fosfatidil-inositolico, che funge da ancoraggio. Le crisi possono essere scatenate dalle infezioni, dalla somministrazione di Fe o di vaccini o dalle mestruazioni. Possono esserci dolore addominale e lombare, splenomegalia, emoglobinemia, emoglobinuria e sintomi di una grave anemia normocitica. La protratta perdita urinaria di Hb può determinare una carenza di Fe, anche se alcuni organi, specialmente i reni, possono essere saturi di emosiderina. Si ha frequentemente leucopenia e trombocitopenia. Durante le crisi è comune un’emoglobinuria macroscopica, con presenza di emosiderina nelle urine. I pazienti vanno spesso incontro a trombosi venosa e arteriosa, causa frequente di morte. La sindrome di Budd-Chiari è una comune complicanza vascolare. I test diagnostici comprendono quello dell’emolisi acida (test di Ham), in cui si ha emolisi quando il sangue viene acidificato con HCl, incubato per 1 ora e centrifugato. È anche utile il test "sugar-water" di Hartman, che si basa su un’esaltata emolisi dipendente dai sistemi C3-dipendenti in soluzioni isotoniche di bassa forza ionica. Sebbene semplice da eseguire, non è specifico e la diagnosi deve essere confermata dal test dell’emolisi acida. Può esserci un’ipoplasia midollare. L’analisi citofluorimetrica è molto specifica e sensibile. La mancanza del CD55 e del CD59 stabilisce la diagnosi di EPN e ne definisce la fisiopatologia. La terapia è sintomatica. L’uso empirico dei corticosteroidi (prednisone 20-40 mg/ die) ha portato al controllo dei sintomi e stabilizzato il numero dei GR in più del 50% dei pazienti. Devono essere evitate le emotrasfusioni che contengano plasma (C3). Il lavaggio dei GR con soluzione fisiologica prima della trasfusione non è più necessaria. Generalmente, le trasfusioni sono riservate alle crisi. L’eparina può accelerare l’emolisi e deve essere usata con cautela, ma il suo uso negli episodi trombotici può essere necessario. È utile dare Fe supplementare PO. La maggior parte dei pazienti può essere trattata con queste misure terapeutiche sintomatiche per anni o decenni. Il trapianto di midollo osseo allogenico è stato usato con successo in una piccola minoranza di casi. Alcuni pazienti evolvono verso un’aplasia midollare.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI CAUSATA DA DIFETTI ESTRINSECI AL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DANNO MECCANICO

Sommario: ANEMIA EMOLITICA DA TRAUMA ANEMIA EMOLITICA CAUSATA DA AGENTI INFETTIVI

ANEMIA EMOLITICA DA TRAUMA (Anemia emolitica microangiopatica) I GR si rompono quando sono esposti a deformazione o turbolenza di circolo eccessive; la diagnosi è data dalla presenza di frammenti di GR di forma strana nel sangue periferico (p. es., triangoli o forme a elmetto). La comparsa dei frammenti è responsabile di un basso MCV e di un’alta RDW, espressione dell’anisocitosi. Il trauma può essere localizzato: (1) all’esterno del vaso, come p. es., nell’emoglobinuria dei marciatori o dei praticanti il karate o dei suonatori di bongo; (2) all’interno del cuore, come nella stenosi aortica calcifica o nei pazienti con protesi valvolari aortiche difettose; (3) nelle arteriole, come nell’ipertensione grave (soprattutto maligna) e in alcuni tumori maligni; (4) nelle arteriole terminali, come nella porpora trombotica trombocitopenica e nella coagulazione intravascolare disseminata. Nella coagulazione intravascolare disseminata si ha carenza di fattori della coagulazione (v. Cap. 131). La terapia è diretta alla malattia di base. A volte un’anemia sideropenica si sovrappone all’emolisi, in conseguenza dell’emosiderinuria cronica e, quando presente, può rispondere alla terapia con Fe.

ANEMIA EMOLITICA CAUSATA DA AGENTI INFETTIVI Gli agenti infettivi possono provocare emolisi attraverso un’azione diretta delle tossine (p. es., da Clostridium perfrigens, da streptococchi α- o β-emolitici o da meningococchi) oppure per invasione e distruzione dei GR da parte del microrganismo (p. es., Plasmodium e Bartonella sp).

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL METABOLISMO ERITROCITARIO (Deficit enzimatici ereditari)

Sommario: Introduzione DEFICIT DELLA VIA DI EMBDEN-MEYERHOF DEFICIT DELLO SHUNT DEGLI ESOSO MONOFOSFATI

Il glucoso è la principale fonte energetica del GR. Dopo il suo ingresso nella cellula, il glucoso è convertito in acido lattico attraverso la glicolisi anaerobica (la via di Embden-Meyerhof) oppure attraverso lo shunt degli esoso monofosfati. Deficit ereditari dei sistemi enzimatici coinvolti nei processi metabolici del glucoso possono comportare un’anemia emolitica.

DEFICIT DELLA VIA DI EMBDEN-MEYERHOF I deficit della via di Embden-Meyerhof sono relativamente rari e presentano le seguenti caratteristiche: il carattere ereditario è autosomico recessivo e l’anemia emolitica si ha soltanto negli omozigoti; mancano gli sferociti, ma può essere presente un certo numero di GR di forma sferica e a margini dentellati; l’emolisi e l’anemia non rispondono alla splenectomia, che comunque può determinare un certo miglioramento. La forma più frequente è quella da carenza di piruvatochinasi, causata da un’insufficienza quantitativa o qualitativa dell’enzima. Praticamente tutti i deficit enzimatici sono associati ad anemia emolitica congenita. L’esatto meccanismo dell’emolisi non è conosciuto. In genere, il dosaggio dell’ATP e del difosfoglicerato aiuta a identificare qualsiasi difetto metabolico e a localizzare il punto preciso, ai fini di un’ulteriore caratterizzazione biochimica. Non esiste terapia specifica per queste forme di anemia emolitica congenita. Talora la splenectomia riduce in minima parte il grado della distruzione eritrocitaria nei pazienti con deficit di piruvato-chinasi.

DEFICIT DELLO SHUNT DEGLI ESOSO MONOFOSFATI L’unico deficit di rilievo in questa via metabolica è quello della glucoso-6-fosfato deidrogenasi (G6PD). Sono state identificate oltre 100 forme mutanti dell’enzima. Dal punto di vista clinico, la forma più comune è quella collegata alla sensibilità ai farmaci (v. anche il Cap. 301). Questo disordine legato al file:///F|/sito/merck/sez11/1270946.html (1 of 2)02/09/2004 2.13.07

Anemie

cromosoma X si esprime in modo completo nel maschio e nella femmina omozigote, mentre ha un’espressione variabile nella femmina eterozigote. Il deficit enzimatico è presente nel 10% circa dei maschi neri americani e in una percentuale minore nelle femmine dello stesso gruppo razziale; si riscontra anche, con un’incidenza modesta, in individui di origine mediterranea (p. es., italiani, greci, arabi, ebrei sefarditi). L’emolisi si evidenzia nella popolazione più vecchia dei GR dei soggetti neri e nella maggior parte dei bianchi colpiti dalla malattia, dopo esposizione a farmaci o altre sostanze che producono perossidi e provocano l’ossidazione dell’Hb e della membrana del GR. Questi agenti comprendono la primachina, i salicilati, i sulfamidici, la fenacetina, il naftalene, i nitrofurani, alcuni derivati della vitamina K e, in alcuni individui di razza bianca, i semi di fava. Tuttavia gli eventi scatenanti più comuni dei farmaci sono la febbre, le infezioni acute virali e batteriche e l’acidosi diabetica. È presente l’anemia, l’ittero e la reticolocitosi. All’inizio del processo emolitico possono essere evidenziati anche i corpi di Heinz, ma questi non persistono in un paziente con una milza intatta poiché essi vengono rimossi dalla milza. Spesso il miglior segno diagnostico è la presenza di cellule morse ("bite cells") nel sangue periferico. Queste cellule sono GR che sembrano aver ricevuto uno o più morsi (della grandezza di 1 µm) nella loro parte più periferica, probabilmente quale risultato della rimozione dei corpi di Heinz da parte della milza. Poiché vengono distrutte in modo selettivo soltanto le cellule più vecchie, nella maggior parte delle crisi l’emolisi è abbastanza contenuta, poiché, nei neri, interessa meno del 25% della massa eritrocitaria; nei bianchi, la carenza è più grave; può manifestarsi un’emolisi, con emoglobinuria e insufficienza renale acuta. La possibilità che con l’uso prolungato di farmaci tossici si sviluppi una condizione emolitica compensata oppure un’emolisi letale, dipenderà dall’entità della carenza di G6PD e dal potenziale ossidante del farmaco. In alcuni individui di razza bianca si ha un’emolisi congenita cronica (in assenza di ingestione di farmaci). Esistono molti test di screening. Tuttavia durante o immediatamente dopo un episodio emolitico possono verificarsi falsi negativi per la distruzione di GR più vecchi e difettosi e per la presenza di reticolociti ricchi di G6PD. I migliori test diagnostici sono i dosaggi enzimatici specifici. Ai pazienti si deve consigliare di evitare i farmaci o le sostanze che possono provocare l’emolisi.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. La molecola dell’Hb dell’individuo adulto normale (Hb A) è formata da due coppie di catene polipeptidiche chiamate α e β. L’Hb fetale (Hb F, nella quale catene γ sostituiscono le catene β) diminuisce gradualmente nei primi mesi di vita, mentre nell’adulto costituisce < 2% dell’Hb totale. (Le emoglobinopatie in gravidanza sono trattate nel Cap. 251.) L’Hb F può aumentare in alcuni disturbi della sintesi dell’Hb, nelle malattie aplastiche e mieloproliferative. Il sangue normale contiene 2,5% di Hb A2, che è composta da catene α e δ. Il tipo di catena e la struttura chimica dei polipeptidi nelle diverse catene subiscono un controllo genetico. Difetti genetici possono portare alla formazione di molecole emoglobiniche con proprietà fisico-chimiche abnormi e, in alcuni casi, condurre alla comparsa di anemia. Tali anemie sono gravi negli omozigoti e lievi negli eterozigoti. Alcuni pazienti possono essere eterozigoti per due anomalie e quindi avere un’anemia che presenta i caratteri di entrambe i tratti ereditari. Le Hb anomale, distinte in base alla mobilità elettroforetica, sono designate in ordine di scoperta e alfabeticamente (p. es., A, B, C) sebbene la prima, l’Hb della cellula falciforme, fu definita HbS. Emoglobine strutturalmente diverse ma con la stessa mobilità elettroforetica vengono chiamate con i nomi delle città in cui furono scoperte (p. es., Hb S Memphis, Hb C Harlem). Le emoglobinopatie più importanti negli USA sono quelle dovute a difettosa sintesi dell’Hb S e dell’Hb C nonché alle talassemie; l’immigrazione di individui provenienti dal SudEst asiatico ha portato all’aumento del riconoscimento di HbE nella pratica clinica. Per tradizione dei laboratori, l’Hb che all’elettroforesi risulta a concentrazione più elevata è definita per prima (p. es., AS nel trait drepanocitico, mentre nella SA [cellula falciforme; β-talassemia], la concentrazione dell’Hb A è diminuita dalla presenza della talassemia e della Hb S).

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA EMOGLOBINOPATIE (V. anche Cap. 127.) Le emoglobinopatie che complicano la gravidanza, in particolar modo l’anemia falciforme, l’emoglobinopatia SC, l’emoglobinopatia falciforme-talassemica e l’αtalassemia, influiscono significativamente sulla morbilità materna e sulla mortalità e morbilità perinatali. Lo screening prenatale dello status dell’emoglobina è raccomandato per tutte le donne a rischio sulla base della razza, dell’origine geografica o dell’anamnesi familiare. Le emoglobinopatie possono essere diagnosticate per mezzo dell’analisi con endonucleasi di restrizione del DNA delle cellule placentari non coltivate, attraverso il prelievo di villi coriali o con l’amniocentesi. La paziente gravida con anemia falciforme è particolarmente soggetta alle infezioni; le più comuni sono le polmoniti, le infezioni urinarie e le endometriti. L’anemia si aggrava praticamente sempre con il progredire della gravidanza. Circa 1/3 delle pazienti ha un’ipertensione indotta dalla gravidanza. Si verificano frequentemente sia le crisi drepanocitiche che l’insufficienza cardiaca e l’infarto polmonare. Più è stata grave la patologia prima della gravidanza, più è alto il rischio di morbilità e mortalità. Le morti fetali sono notevolmente aumentate, con una mortalità perinatale pari al 25%. Il ritardo di crescita intrauterina e la morte intrauterina sono responsabili della maggior parte di questo aumento di incidenza, ma vi contribuiscono anche la grave debilitazione della madre e l’elevata frequenza di preeclampsia. Il trattamento dell’anemia falciforme in gravidanza è complesso. La terapia trasfusionale profilattica non è raccomandata di routine. Le raccomandazioni per una terapia trasfusionale sono il peggioramento dell’anemia, l’insufficienza cardiaca, un’infezione batterica maggiore e le complicanze del travaglio e del parto (p. es., il sanguinamento, la sepsi). Le exsanguino-trasfusioni profilattiche effettuate per mantenere l’Hb A a livelli 60% riducono la frequenza delle crisi emolitiche e delle complicanze polmonari. Tuttavia, questi benefici devono tenere in debito conto i rischi di reazioni da trasfusione, di epatite, di trasmissione del HIV e dell’isoimmunizzazione ai gruppi sanguigni. La malattia dell’Hb S-C spesso si manifesta per la prima volta durante la gravidanza in pazienti fino ad allora asintomatiche. Sebbene meno comune dell’anemia falciforme, la malattia dell’Hb S-C può essere associata a una maggiore incidenza di infarti polmonari secondari a embolizzazione di spicole ossee. La gestione ostetrica prevede il trattamento aggressivo delle crisi dolorose con la somministrazione di fluidi EV, O2 e analgesici. L’emoglobinopatia falciforme-talassemica è relativamente rara e più benigna. L’α-talassemia non è associata a una morbilità materna, ma nella sua forma omozigote è letale per il feto; la morte intrauterina si verifica in seguito a idrope durante il 2o trimestre o all’inizio del 3o.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. MALATTIA DA EMOGLOBINA C Il grado dell’anemia è variabile, ma può esser moderatamente grave. Degli individui di razza nera negli USA, il 2-3% presenta il tratto. I sintomi negli omozigoti sono causati dall’anemia. L’artralgia è frequente. Una sintomatologia dolorosa addominale può essere presente anche se non si hanno le crisi addominali tipiche dell’anemia falciforme. Il paziente può presentare un ittero modesto. C’è abitualmente splenomegalia. Si possono verificare episodi di sequestro splenico con dolore a livello del fianco sinistro e improvviso calo del valore dei GR; se questi sono gravi, è richiesta la splenectomia. Nell’omozigote si manifesta un’anemia normocitica, con cellule a bersaglio nella misura del 30-100%, sferociti e, raramente, GR contenenti corpi cristallini riconoscibili allo striscio. Nei pazienti con microcitosi che non presentano carenza marziale, è presente una concomitante α-talassemia. I reticolociti sono lievemente aumentati ed è possibile trovare eritroblasti circolanti. I GR non mostrano il fenomeno della falcizzazione. All’elettroforesi si evidenzia Hb C. La bilirubina sierica è lievemente aumentata, come anche l’urobilinogeno fecale e urinario. Non esiste un trattamento specifico. L’anemia comunque raramente è grave al punto da richiedere le emotrasfusioni. Gli individui eterozigoti di solito non sono anemici e il solo reperto sono GR con bersaglio centrale.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. MALATTIA DA EMOGLOBINA S-C Poiché il 10% dei soggetti di colore è portatore del carattere Hb S, l’incidenza della doppia eterozigosi S-C è maggiore di quella dell’omozigosi dell’Hb C. Molti casi di anemia di tipo falciforme sono in realtà esempi di combinazione S-C passati misconosciuti. Nella malattia da Hb S-C l’anemia è simile a quella della malattia da Hb C, anche se più lieve. Alcuni pazienti possono avere persino una concentrazione normale di Hb. I sintomi sono per la maggior parte quelli caratteristici dell’anemia falciforme, ma di solito si manifestano più raramente e con minore gravità. Tuttavia, sono comuni l’ematuria macroscopica, le emorragie retiniche e la necrosi asettica della testa del femore. L’esame del sangue su striscio mostra cellule "a bersaglio" e rari elementi falciformi. Tutti i GR vanno incontro al fenomeno della falcizzazione se poste nelle idonee condizioni sperimentali già descritte.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. MALATTIA DA EMOGLOBINA E →

L’Hb E (α2β226glu lys) si colloca al terzo posto in ordine di frequenza in tutto il mondo (dopo la A e la S), con una prevalenza maggiore nelle popolazioni del SudEst asiatico (> 15%) e in quelle di razza nera; è piuttosto rara nella popolazione cinese. Nell’eterozigote (Hb AE) non si evidenziano anomalie nel sangue periferico. L’elettroforesi dell’emoglobina mostra il 30% circa di E (che si confonde con la A2, la C e la Hb OArab, quando presenti) e il 70% di A. All’elettroforesi su gel di agar a pH acido l’Hb E migra insieme a quella A e, pertanto, si separa da quelle C e Hb OArab. La percentuale relativa di Hb E si riduce quando concomita l’αtalassemia o in presenza di carenza di Fe. Nell’omozigote per Hb E si manifesta una lieve anemia microcitica, con un gran numero di cellule a bersaglio. La condizione di doppia eterozigosi per l’Hb E e la β-talassemia comporta una malattia emolitica più grave di quella associata alla S-talassemia.

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Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. TALASSEMIA (Anemia mediterranea; leptocitosi ereditaria; talassemia major e minor) Gruppo di anemie emolitiche microcitiche croniche ed ereditarie, che si manifestano in popolazioni originarie dei paesi del Bacino Mediterraneo, dell’Africa e del SudEst asiatico; esse sono tutte caratterizzate da un’alterazione nella sintesi dell’Hb e da eritropoiesi inefficace.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e patogenesi La talassemia rappresenta uno dei più frequenti disordini ereditari emolitici nell’uomo. Deriva da una sintesi sbilanciata di Hb causata da una ridotta produzione di almeno una catena polipeptidica della globina (β, α, γ, δ). La β-talassemia è caratterizzata da una riduzione della sintesi delle catene polipeptidiche β. Viene trasmessa come carattere autosomico dominante; gli eterozigoti sono portatori e hanno un’anemia microcitica lieve o moderata e, di solito, asintomatica (talassemia minor), mentre negli omozigoti (talassemia major) si hanno i sintomi caratteristici. L’α-talassemia, che deriva da una riduzione della sintesi della catena α, presenta un modello ereditario più complesso, poiché il controllo genico della sintesi della catena α coinvolge due paia di geni strutturali. Gli eterozigoti che difettano di un solo gene (α-talassemia2 [silente]) non hanno di solito alcun segno clinico. Gli eterozigoti per le due coppie di geni o gli omozigoti per una sola coppia (α-thalassemia-1 [tratto]) tendono a manifestare un quadro clinico che somiglia a quello degli individui eterozigoti per la β-talassemia. La mancanza contemporanea di una coppia di file:///F|/sito/merck/sez11/1270951b.html (1 of 3)02/09/2004 2.13.14

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geni e di un gene singolo determina una compromissione più grave della sintesi delle catene α. Il deficit delle catene α porta alla formazione in eccesso di tetrameri di catene β (Hb H) o, nell’infanzia, di tetrameri di catene γ (Hb di Bart). La condizione di omozigosi per la coppia di geni è letale poiché l’Hb senza catene α non trasporta O2. Nella popolazione nera, la frequenza genica per l’αtalassemia è circa del 25% e l’espressione fenotipica (clinica) si ha nel 10%.

Sintomi e segni Nelle diverse talassemie i quadri clinici sono simili, ma variano in gravità. La βtalassemia minor è clinicamente asintomatica. La β-talassemia major (anemia di Cooley) si presenta con sintomi di anemia grave, notevole espansione dello spazio midollare e sovraccarico di Fe, secondario alle trasfusioni e all’aumentato assorbimento. I pazienti possono avere ittero, ulcere agli arti inferiori e colelitiasi (come nell’anemia falciforme). È comune una splenomegalia e la milza talora può essere enorme. Se c’è sequestro splenico, il tempo di sopravvivenza dei GR normali trasfusi diminuisce. L’iperattività del midollo osseo causa un ispessimento delle ossa del cranio e degli zigomi. Il coinvolgimento delle ossa lunghe determina frequentemente delle fratture patologiche. È presente una riduzione dell’accrescimento e pubertà ritardata o assente. I depositi di Fe nel miocardio possono provocare alterazione della funzione cardiaca che porta alla comparsa di insufficienza cardiaca. È tipica la siderosi epatica, con conseguente insufficienza funzionale e cirrosi. L’α-talassemia-1 (tratto) ha una presentazione simile a quella della β-talassemia minor. I pazienti affetti da malattia da Hb H presentano spesso anemia emolitica sintomatica e splenomegalia.

Esami di laboratorio La Tab. 127-7 elenca le caratteristiche delle talassemie. La bilirubina sierica, il ferro e la ferritina sierica presentano valori aumentati. L’esame del midollo osseo mostra una spiccata iperplasia eritroide. È possibile, di solito, sia nella β- che nell’α-talassemia minor, riscontrare una modesta anemia microcitica. Il dosaggio del Fe e della ferritina sierici permette di scartare la carenza marziale. Nella β-talassemia major l’anemia è grave, con valori di Hb 6 g/dl. Il numero dei GR risulta elevato. Lo striscio di sangue periferico è praticamente diagnostico e mostra un gran numero di eritroblasti nucleati, cellule a bersaglio, GR piccoli e pallidi e basofilia puntiforme o diffusa.

Diagnosi La diagnosi clinica di routine viene fatta attraverso studi quantitativi dell’emoglobina. L’aumento dell’Hb A2 è diagnostico della β-talassemia minor. Nella β-talassemia major, l’Hb F è di solito aumentata e può costituire anche il 90% dell’Hb totale e l’Hb A2 è di solito aumentato a valori > 3%. La percentuale di Hb F e di Hb A2 risulta di solito normale nelle sindromi α-talassemiche e spesso la diagnosi viene fatta per esclusione di altre condizioni associate ad anemia microcitica. La malattia da emoglobina H può essere diagnosticata con l’elettroforesi che, in questo caso, mostra la migrazione rapida dell’Hb H o delle frazioni di Bart. Il difetto molecolare specifico può ora essere caratterizzato, ma fino a oggi queste tecniche non hanno modificato l’approccio clinico. La tecnologia del DNA ricombinante (soprattutto con l’impiego della PCR) è diventata standard nella diagnosi prenatale e nella consulenza genetica. Negli omozigoti per la β-talassemia major, la radiografia dello scheletro mostra i segni tipici di un’iperattività midollare cronica. La corticale del cranio e delle ossa lunghe è assottigliata, mentre gli spazi midollari risultano aumentati. La diploe del file:///F|/sito/merck/sez11/1270951b.html (2 of 3)02/09/2004 2.13.14

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cranio può essere ispessita con trabecole che assumono l’aspetto a raggi di sole. Nelle ossa lunghe possono evidenziarsi aree di osteoporosi, mentre i corpi vertebrali e il cranio possono presentare un aspetto in qualche modo granuloso o a vetro smerigliato. Le falangi possono perdere la forma normale e apparire rettangolari o biconvesse.

Prognosi e terapia La prognosi è variabile. L’aspettativa di vita è normale negli individui affetti da βtalassemia minor. Alcuni pazienti con β-talassemia major vivono fino alla pubertà o oltre. La α-e la β-talassemia minor non necessitano di alcun trattamento. I bambini con β-talassemia major devono ricevere il minor numero possibile di trasfusioni per il pericolo di sovraccarico di Fe. Nei pazienti molto gravi sembra tuttavia vantaggioso l’utilizzo di una terapia trasfusionale cronica allo scopo di sopprimere l’eritropoiesi anomala che è tipica della malattia; al fine di prevenire o ritardare l’emocromatosi, bisogna rimuovere il Fe in eccesso (trasfusionale) mediante terapia chelante cronica. La trasfusione di GR relativamente giovani sembra essere vantaggiosa, permettendo una riduzione della quantità di Fe in eccesso. Nei pazienti con splenomegalia, la splenectomia può ridurre il fabbisogno trasfusionale qualora venga riconosciuta l’esistenza di un’attività emolitica nella milza; il trapianto di midollo osseo allogenico è stato efficace nel piccolo numero di pazienti che lo hanno ricevuto.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127–7. CARATTERISTICHE DELLE TALASSEMIE Categoria

Anemia

MCV

% Hb A2

% Hb F

β-Talassemia

Lieve





Variabile

Eterozigote

Grave



Variabile

↑ fino al 90%

β-δ-Talassemia

Lieve



No↓

>5%

Eterozigote

Moderatagrave ↓

Assente

100%

N↓

N

N



N↓

< 5%



N↓

Variabile

Omozigote

Omozigote α-Talassemia

Assente

Difetto di un gene Lieve singolo Moderata Difetto di 2 geni Difetto di 3 geni

(Presente Hb H o Hb di Bart)

MCV=volume corpuscolare medio; ↓= ridotto; ↑=aumentato; N=normale.

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Anemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 127. ANEMIE Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA (Emoglobinopatie) Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle proprietà fisiche della proteina. MALATTIA DA EMOGLOBINA S-β-TALASSEMIA Poiché i geni dell’Hb S e della β-talassemia mostrano una frequenza più alta in gruppi di popolazioni simili, è relativamente frequente la trasmissione ereditaria contemporanea delle due malattie. Il quadro clinico consiste in una moderata anemia accompagnata dai segni dell’anemia falciforme, che tuttavia sono di solito meno frequenti e gravi. I dati di laboratorio sono rappresentati da un’anemia microcitica di grado lieve o moderato, dalla presenza di alcuni elementi falciformi nello striscio di sangue e da reticolocitosi. L’Hb A2 è > 3%. All’elettroforesi predomina l’Hb S mentre l’Hb A è ridotta o addirittura assente; c’è un aumento variabile dell’Hb F. La terapia è simile a quella dell’anemia falciforme, sebbene la maggior parte dei pazienti presenti generalmente un decorso clinico meno grave.

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 129. MEDICINA TRASFUSIONALE LA RACCOLTA DEL SANGUE Negli USA l’FDA e, talora, anche altri organismi sanitari locali o statali hanno decretato la standardizzazione per la raccolta, la conservazione e il trasporto del sangue e dei suoi componenti. Lo screening del donatore include un esteso questionario e un’intervista sulla sua salute, misura della temperatura, della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa (PA), oltre una determinazione delll’Hb. Alcuni potenziali donatori possono essere rinviati, temporaneamente o permanentemente (v. Tab. 129-1). Alcuni di questi criteri proteggono i possibili donatori dagli eventuali effetti dannosi della donazione; altri proteggono il ricevente. Tutte le donazioni sono limitate a 1 volta q 56 giorni. Con rare eccezioni, i donatori di sangue non sono remunerati. Donazione di sangue standard: una unità da 450 ml (circa 1 pinta) di sangue intero è raccolta in una sacca di plastica che contiene un anticoagulante. Il sangue intero o i GR preservati in citrato-fosfato-destroso-adenina può essere conservato fino a 35 gg. I GR possono essere conservati per 42 gg se viene aggiunta una soluzione contenente adenina-soluzione fisiologica. Trasfusione autologa: quando è possibile conviene utilizzare il sangue del paziente stesso: nelle settimane precedenti la chirurgia elettiva, vengono raccolte 3 o 4 U di sangue e il paziente viene supplementato con Fe. Queste unità possono essere utilizzate durante o dopo l’intervento. Attualmente si dispone di tecniche adatte alla raccolta e all’autotrasfusione del sangue perso in seguito a trauma o durante interventi chirurgici.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 129-1. Cause di rinvio per una donazione di sangue Rinvio temporaneo

Rinvio permanente*

Anemia

AIDS o partecipazione ad attività ad alto rischio

Uso di determinati farmaci

Disordine emorragico

Alcuni tipi di vaccinazione

Cancro (escluse le forme lievi trattabili, p.es., piccole neoplasie cutanee

Malaria o esposizione alla malaria

Epatite

Gravidanza

Forma asmatica grave

Esposizione recente all’epatite

Patologia cardiaca grave

Tatuaggio recente Trasfusione di sangue nei 12 mesi precedenti Ipertensione incontrollata *Il rinvio è permanente in presenza di uno qualsiasi di questi disordini.

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 129. MEDICINA TRASFUSIONALE PRODOTTI EMATICI Il sangue intero fonte dei componenti ematici, è ora considerato oggi più come un materiale crudo che un mezzo trasfusionale. Il sangue intero può essere usato quando è necessario, con l’espansione di volume, una migliore capacità di trasporto dell’O2, p. es., per rapide emorragie massive. È usato anche per le exanguinotrasfusioni. I GR sono di solito considerati il componente di scelta per reintegrare l’Hb. Tenendo conto che i pazienti isovolemici possono avere una normale capacità di trasporto di O2, con dei livelli di Hb bassi intorno a 70 g/l, il medico deve considerare l’età del paziente, la causa e il grado dell’anemia, l’equilibrio circolatorio e la condizione del cuore, dei polmoni e dei vasi prima della trasfusione. Quando occorre solo espandere il volume ematico si può ricorrere ad altri liquidi somministrati insieme al sangue o separatamente. I GR congelati e scongelati sono usati soprattutto per i pazienti con anticorpi diretti contro più gruppi sanguigni o verso antigeni molto frequenti. I GR lavati vengono purificati da qualsiasi traccia di plasma e della maggior parte dei GB e delle piastrine. Vengono somministrati in genere ai pazienti che presentano gravi reazioni al plasma (p. es., allergie gravi o immunizzazione antiIgA, v. Deficit selettivo di IgA al Cap. 147). Nei pazienti immunizzati con IgA, può essere preferibile usare sangue proveniente da donatori IgA-deficienti. I GR purificati dai GB sono preparati utilizzando speciali filtri che rimuovono circa il 99,9% dei GB. Tali GR hanno largamente soppiantato i GR lavati nella prevenzione delle ripetute reazioni febbrili trasfusionali, sebbene i GR lavati possono essere utili nei casi dovuti alle alte concentrazioni di citochine presenti nel sangue conservato. I GR purificati dai GB prevengono anche l’infezione citomegalica associata alla trasfusione così come l’alloimmunizzazione piastrinica. I concentrati piastrinici vengono utilizzati nei casi di trombocitopenia grave (conta piastrinica < 10000/µl) per prevenire i sanguinamenti o in caso di tendenza emorragica nelle forme meno gravi di trombocitopenia. Sono necessari, a volte, nei pazienti chirurgici che hanno tendenza a sanguinare dopo trasfusioni massive o dopo periodi prolungati di circolazione extracorporea o nei pazienti che vengono sottoposti a trasfusioni massive. Un concentrato piastrinico aumenta la conta piastrinica di circa 10000/µl e un’emostasi adeguata si raggiunge con una conta piastrinica di circa 50000/µl. Quindi, da sei a otto concentrati di piastrine provenienti da donatori random sono utilizzati comunemente nelle persone adulte. Inoltre, le piastrine sono preparate, sempre più spesso, con degli apparecchi automatici che selezionano le piastrine (o altre cellule) e restituiscono al donatore gli elementi inutilizzati (p. es., GR e plasma) (citaferesi). La procedura, sebbene esiga più tempo della donazione di sangue intero, fornisce un numero sufficiente di piastrine, provenienti da un solo donatore per la trasfusione in un adulto. Certi pazienti possono non rispondere alle trasfusioni piastriniche, forse per il sequestro splenico o il consumo immediato da anticorpi diretti contro antigeni HLA o piastrino-specifici. Questi ultimi pazienti possono rispondere alle piastrine separate attraverso citaferesi (aferesi piastrinica) da sangue di parenti o di file:///F|/sito/merck/sez11/1290958.html (1 of 2)02/09/2004 2.13.18

Medicina trasfusionale

donatori non considerati potenziali donatori di midollo osseo o da donatori selezionati in base alla compatibilità piastrinica o all’HLA del paziente. L’alloimmunizazione può essere mitigata trasfondendo GR purificati da GB e concentrati. Il plasma fresco congelato (PFC) contiene, a eccezione delle piastrine, tutti i fattori della coagulazione. Gli usi approvati includono la correzione del sanguinamento secondario alle deficienze di fattore, per il quale la terapia sostitutiva con il fattore specifico non è disponibile, gli stati di deficienza multifattoriale (p. es., la coagulazione intravascolare disseminata [CID], l’insufficienza epatica) e l’antagonizzazione urgente della warfarina. Il PFC può supplire la trasfusione di GR quando il sangue intero non è disponibile per un’exanguinotrasfusione. Il PFC non deve essere usato per il solo scopo di espandere il volume ematico (le soluzioni colloidali o cristalloidi sono di solito preferite per questo scopo). Il fattore antiemofilico crioprecipitato (fattore VIII) è un concentrato preparato dal PFC. Ogni concentrato solitamente contiene fattore XIII, circa 80 unità di fattore VIII e il complesso fattore VIII:VWF più circa 250 mg di fibrinogeno. Sebbene originariamente utilizzato per l’emofilia, la malattia di von Willebrand e la CID, è correntemente usato come fonte di fibrinogeno nella chirurgia cardiotoracica ("colla fibrinica") e nelle emergenze ostetriche. In generale, non deve essere utilizzato per altre indicazioni. (La terapia preferita per l’emofilia e la malattia di von Willebrand ora include il fattore ricombinante o concentrati inattivati per virus o l’acetato di desmopressina [DDAVP].) I granulociti possono essere usati quando la sepsi si manifesta in un paziente gravemente neutropenico (GB < 500/µl) che non risponde agli antibiotici. I granulociti devono essere somministrati entro 24 h dalla raccolta; tuttavia, i test di routine per malattie infettive, come HIV, epatite, HTLV e sifilide possono non essere completati prima dell’infusione. A causa della migliorata terapia antibiotica, i granulociti sono utilizzati molto di rado. La globulina immune Rh (RhIg) deve essere somministrata a una madre Rhnegativa immediatamente dopo l’aborto o il parto (sia che il bambino sia vivo o nato morto), a meno che il neonato sia Rh0 (D) e DU negativo, il siero della madre contenga già anticorpi anti-Rh0 (D), oppure la madre rifiuti. La dose intramuscolare standard di RhIg (300 µg) previene la sensibilizzazione dovuta all’emorragia materno-fetale (EMF) di quantità di sangue intero fino a 30 ml. È necessario identificare donne con EMF > 30 ml per calcolare il dosaggio necessario a prevenire la sensibilizzazione per mezzo di un test di screening su rosetta, il quale, se positivo, è seguito da un test quantitativo (p es., KleihauerBetke). L’uso di RhIg è primariamente limitato al trattamento della porpora trombocitopenica idiopatica in persone Rh-positive o quando la somministrazione intramuscolare è controindicata (p. es., emorragia).

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 129. MEDICINA TRASFUSIONALE TECNICA Attenzione: Prima di iniziare la trasfusione, il cartellino del paziente, l’identificativo dell’unità di sangue e il referto del test di compatibilità devono essere controllati al letto, per assicurarsi che il sangue è destinato al ricevente, che è compatibile e che il componente è corretto. L’uso di un ago di calibro 18 o maggiore previene i danni meccanici a carico dei GR. Un filtro deve sempre essere usato per infondere qualsiasi componente ematico. Soltanto soluzione salina allo 0,9% deve essere permessa nella sacca trasfusionale o negli stessi tubi con il sangue. Soluzioni ipotoniche lisano i GR e ne accorciano la sopravvivenza, mentre il calcio nella soluzione di Ringer può causare l’innesco della coagulazione. La trasfusione di 1 U di sangue o di un componente ematico dovrebbe essere completata in circa 4 ore; la trasfusione prolungata aumenta il rischio di crescita batterica. Se la trasfusione deve essere somministrata lentamente a causa di scompenso cardiaco o ipervolemia, le unità possono essere divise in aliquote nel centro trasfusionale. Per i bambini, 1 U di sangue può essere fornito in piccole aliquote sterili nell’arco di diversi giorni, riducendo così l’esposizione al donatore. La stretta sorveglianza è importante durante i primi 15 min e dovrebbe includere la registrazione della temperatura corporea, della pressione arteriosa, la valutazione del polso e del ritmo respiratorio. L’osservazione periodica deve continuare per tutto il corso e dopo la trasfusione, durante la quale deve essere controllato lo stato dei fluidi. Il paziente deve stare al caldo e ben coperto per prevenire brividi che potrebbero essere interpretati come una reazione. La trasfusione durante la notte deve essere evitata.

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 129. MEDICINA TRASFUSIONALE EMAFERESI TERAPEUTICA Sommario: PLASMAFERESI CITAFERESI COMPLICANZE

PLASMAFERESI Rimozione di un componente plasmatico dal sangue. La plasmaferesi terapeutica è eseguita utilizzando un separatore cellulare per estrarre il plasma del paziente, mentre i GR sono restituiti in un fluido che sostituisce il plasma (p. es., albumina al 5%). Componenti plasmatici indesiderati sono rimossi in questo processo e la quota rimanente del plasma viene infusa nuovamente nel paziente. Così, la plasmaferesi terapeutica assomiglia alla dialisi, eccetto per il fatto che rimuove sostanze tossiche legate alle proteine, il che invece non avviene con la dialisi. Il cambio di un volume rimuove circa il 66% di tali componenti. Per essere di beneficio, la plasmaferesi deve essere usata nelle condizioni morbose nelle quali il plasma contiene una sostanza patogenetica nota; la plasmaferesi dovrebbe rimuovere questa sostanza più rapidamente del tempo impiegato dall’organismo per produrla. La plasmaferesi può essere usata come coadiuvante nella terapia immunosoppressiva o citotossica nel trattamento iniziale di processi autoimmuni rapidamente progressivi. Rimuovendo rapidamente i componenti plasmatici indesiderati (p. es., crioglobuline, anticorpi anti membrana basale glomerulare), la plasmaferesi dà tempo ai farmaci di manifestare i loro effetti. La plasmaferesi terapeutica spesso è ripetuta; il volume da scambiare, la frequenza, il tipo del liquido di sostituzione e altre variabili, sono decisi in collaborazione con i medici del cantro trasfusionale. Le indicazioni correnti per la plasmaferesi sono elencate nella Tab. 129-3. Un nuovo metodo di filtrazione plasmatico per la rimozione del complesso colesterolo-lipoproteine a bassa densità, tramite plasmaferes,i è stato di recente approvato negli USA. Le complicanze sono simili a quelle della citaferesi terapeutica.

CITAFERESI Rimozione di una componente cellulare. La citaferesi terapeutica è spesso usata per eliminare i GR malati e sostituirli con quelli sani, nei pazienti con anemia falciforme durante la gravidanza, in caso di interventi chirurgici o che soffrono di frequenti e gravi crisi falciformi (v. Tab. 1293). La citaferesi fa raggiungere livelli di HbS < 30% senza il rischio di un’aumentata viscosità dovuta a un aumentato Htc. La citaferesi terapeutica può anche essere usata per ridurre la trombocitosi grave o la leucocitosi

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Medicina trasfusionale

(citoriduzione) nella leucemia acuta e cronica, quando c’è il rischio di emorragia, trombosi o leucostasi polmonare o cerebrale. La citaferesi è efficace nella trombocitosi, poiché le piastrine non vengono ripristinate così velocemente come i GB. Uno o due trattamenti aferetici possono ridurre il numero delle piastrine a un livello di sicurezza. La leucoferesi terapeutica può rimuovere con alcune procedure chilogrammi di sovranatante ("buffy coat") e spesso riduce la leucostasi e la splenomegalia. Tuttavia, la riduzione della conta dei GB in sé stessa può essere relativamente irrilevante e solo temporanea. Altri usi dei separatori cellulari includono la raccolta di cellule staminali periferiche per trapianto di midollo autologo o ricostituzione di midollo osseo allogenico (alternativa al trapianto di midollo osseo) e raccolta di linfociti per utilizzo nella terapia del cancro con immunomodulazione (immunoterapia adottiva).

COMPLICANZE Le complicanze della plasmaferesi e della citaferesi sono molto simili. Può crearsi una falsa impressione di sicurezza perché l’emaferesi è ben tollerata dai donatori sani; sebbene relativamente sicure, queste procedure presentano molti rischi di lieve entità e alcuni più seri: (1) la procedura non può essere effettuata senza un eccellente accesso vascolare, di solito doppio (entrata e uscita), che richiede il posizionamento di un catetere EV, di uno shunt o di una fistola artificiale. (2) Il citrato usato come anticoagulante può causare manifestazioni di diminuzione del calcio sierico ionizzato. (3) La sostituzione del plasma con una soluzione non colloidale (p. es., soluzione fisiologica) produce inevitabilmente dei cambiamenti nell’equilibrio idrico. (4) La reinfusione di soluzioni colloidali, che sono preferite al PFC a motivo della minore incidenza di reazioni e di malattie trasmesse tramite trasfusione, possono ridurre le Ig e i fattori della coagulazione. La maggior parte delle complicanze può essere trattata con stretta osservazione del paziente e delle procedure, ma si sono verificate ugualmente alcune gravi reazioni, così come alcuni decessi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 129-3. Indicazioni per plasmaferesi e citaferesi secondo l’American Association of Blood Banks Categoria I (standard e accettabile in alcune circostanze, inclusa la terapia primaria)

Plasmaferesi

Citaferesi

Polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica

Leucemia con sindrome da iperleucocitosi

Crioglobulinemia

Raccolta di cellule staminali periferiche per la ricostituzione midollare

Sindrome di Goodpasture Sindrome di Guillain-Barrè

Sindrome da cellula falciforme (v. anche CategoriaIII, sotto)

Ipercolesterolemia familiare omozigote Trombocitosi sintomatica Sindrome da iperviscosità Miastenia gravis Porpora post-trasfusionale Morbo di Refsum Porpora trombotica trombocitopenica II (evidenza sufficiente da suggerirne l’efficacia; terapia accettabile come intervento aggiuntivo)

Malattia da agglutinine fredde Sovradosaggio di farmaci (tossine legate alle proteine) Sindrome HELLP* (emolisi, aumento degli enzimi epatici e bassa conta piastrinica) Sindrome emolitico-uremica Pemfigus vulgaris Trombocitopenia da chinina-chinidina Glomerulonefrite rapidamente progressiva Vasculite sistemica (primitiva o secondaria ad AR o LES)

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Linfoma cutaneo T-cellulare (citoriduzione o fotoaferesi) Iperparassitemia (p.es., malaria) AR

Manuale Merck - Tabella

III (Evidenza di efficacia non definitiva o incerto rapporto rischiobeneficio)

Trapianto d’organo o di midollo ABOincompatibile

Reazioni trasfusionali emolitiche pericolose per la vita

Shock da ustione, refrattario

Sclerosi multipla

Inibitori di fattori coagulativi

Rigetto di trapianto d’organo (anche fotoaferesi)

Porpora trombocitopenica idiopatica (ad sorbimento su proteina A) Trattamento materno di incompatibilità materno-fetale

Sclerosi sistemica progressiva (fotoaferesi) Malattia da cellula falciforme (uso profilattico in gravidanza)

Sclerosi multipla Sclerosi sistemica progressiva Aplasia pura dei GR Marasma tireotossico Refrattarietà trasfusionale dovuta ad alloanticorpi (GR, piastrine, HLA) Anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi IV (mancanza AIDS (per sintomi di immunodeficienza) d’efficacia in trial Sclerosi laterale amiotrofica controllati)

Ipereosinifilia Leucemia senza sindromi da iperleucocitosi

Anemia aplastica Polimiosite e dermatomiosite Insufficienza epatica fulminante Porpora idiopatica trombocitopenica (cronica) Nefrite lupica Polimiosite e dermatomiosite Psoriasi Rigetto di trapianto renale

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Manuale Merck - Tabella

Adattata da Guidelines for Therapeutic Hemapheresis, revisionata nel Maggio 1993 dall’American Association of Blood Banks, Bethesda, MD * HELPP = Hemolysis, Elevated Liver enzymes, and law Platelet count

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Malattie mieloproliferative

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 130. MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Gruppo di malattie caratterizzate da anomala proliferazione di una o più linee cellulari emopoietiche o di elementi del tessuto connettivale. I disordini mieloproliferativi includono la policitemia vera, la mielofibrosi, la leucemia mielogena (mielocitica) cronica (v. Cap. 138) e la trombocitemia primitiva. Alcuni ematologi includono anche la leucemia acuta, in particolare l’eritroleucemia e l’emoglobinuria parossistica notturna; tuttavia, da parte dei più si ritiene che tali malattie clonali siano diverse dalle quattro affezioni di base tanto da essere omesse. Ciascuna malattia viene identificata sulla base del suo aspetto predominante o della sede di proliferazione (v. Tab. 130-1). Ognuna di esse, nonostante una certa sovrapposizione, presenta una costellazione tipica di aspetti clinici, di rilievi di laboratorio e di decorso. Sebbene il quadro clinico possa essere dominato dalla proliferazione di una particolare linea cellulare, lo studio di marker citogenetici e di isoenzimi ha dimostrato che ciascuna malattia è causata da una proliferazione clonale che si origina a livello di una cellula staminale pluripotente, cui consegue un diverso grado di proliferazione anomala di precursori eritroidi, mieloidi o megacariocitici nel midollo osseo. I GR, i granulociti e le piastrine circolanti originano tutti da questo clone anomalo, mentre ciò non accade per il fibroblasto del midollo osseo. Le malattie mieloproliferative talora evolvono verso una leucemia acuta.

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Le leucemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 138. LE LEUCEMIE Malattie neoplastiche maligne del tessuto emopoietico.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Classificazione

Eziologia e fisiopatologia Nonostante i virus siano causa di diverse forme di leucemia negli animali, il loro ruolo nell’uomo è ancora incerto; soltanto due virus sono stati associati alla leucemia umana: (1) il virus di Epstein-Barr, virus a DNA, è associato al linfoma di Burkitt (v. Cap. 139) mentre (2) il virus linfotropico umano a cellule T di tipo I, detto virus umano della leucemia/linfoma a cellule T, un retrovirus a RNA, è associato ad alcune leucemie e linfomi a cellule T, individuati generalmente in Giappone e nei Caraibi. Può avere importanza dal punto di vista eziologico l’esposizione alle radiazioni ionizzanti e ad alcune sostanze chimiche (come, p. es., il benzene e alcuni farmaci antineoplastici). Soggetti portatori di alcuni difetti genetici (p. es., sindrome di Down, anemia di Fanconi), sono predisposti a sviluppare una leucemia. La trasformazione maligna (a uno o due stadi) si verifica in una singola cellula, con conseguente proliferazione ed espansione clonale. La trasformazione maligna interessa, di solito, le cellule staminali emopoietiche pluripotenti anche se, talvolta, può coinvolgere cellule staminali con potenzialità differenziative più limitate. Il clone neoplastico tende a essere instabile dal punto di vista genetico e presenta caratteristiche di eterogeneità e di evoluzione fenotipica. In generale, le popolazioni cellulari leucemiche si dividono con cicli cellulari più lunghi e con frazioni di crescita più piccole rispetto alle cellule normali del midollo osseo, ma si accumulano a causa della rallentata apoptosi (morte cellulare programmata). Le caratteristiche cliniche e di laboratorio delle leucemie sono in rapporto alla soppressione della formazione di cellule ematiche normali e all’infiltrazione degli organi. La produzione di fattori inibitori e la sostituzione degli spazi midollari da parte delle cellule leucemiche può sopprimere l’ematopoiesi fisiologica, con conseguente anemia, trombocitopenia e granulocitopenia. L’infiltrazione d’organo determina ingrandimento del fegato, della milza e dei linfonodi, con occasionale coinvolgimento anche del rene e della gonade. L’accumulo di cellule leucemiche a livello meningeo determina i segni clinici tipici dell’ipertensione endocranica (p. es., paralisi dei nervi cranici).

Classificazione Le leucemie furono originariamente definite acute o croniche sulla base dell’aspettativa di vita, ma ora sono classificate in base alla loro maturità cellulare. Le leucemie acute consistono di cellule principalmente immature (in genere forme blastiche); le leucemie croniche, di cellule più mature. Le leucemie acute si dividono in linfoblastica (LLA) e mielogena (LMA), che possono essere ulteriormente suddivise sulla base delle caratteristiche file:///F|/sito/merck/sez11/1381017.html (1 of 2)02/09/2004 2.13.21

Le leucemie

morfologiche e citochimiche, in accordo alla classificazione Francese-AmericanaBritannica (FAB) (v. Tab. 138-1) o immunofenotipica (v. Tab. 138-2). Gli anticorpi monoclonali specifici per le cellule B e T e gli antigeni mieloidi, unitamente con la citometria a flusso, sono molto utili per la classificazione delle LLA rispetto alle LMA, il che è critico per il trattamento. Le leucemie croniche vengono descritte come linfocitiche (LLC) o mielocitiche (LMC). Le caratteristiche generali della LLA, MLA, LMC e LLC, sono presentate nella Tab. 138-3. Le sindromi mielodisplastiche rappresentano un’insufficienza midollare progressiva ma con un’insufficiente proporzione di cellule blastiche (< 30%), non sufficienti per definire la diagnosi di LMA; il 40-60% dei casi evolve nella LMA.

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Linfomi

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 139. LINFOMI Gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dai sistemi reticoloendoteliale e linfatico.

LINFOMI NON HODGKIN Proliferazione monoclonale maligna di cellule linfoidi in siti del sistema immune, inclusi i linfonodi, il midollo osseo, la milza, il fegato e il tratto GI. LINFOMA DI BURKITT (Linfoma a piccole cellule non clivate) Sebbene raro negli USA, il linfoma di Burkitt è endemico nell’Africa centrale. Si può presentare nell’infanzia come una mandibola rapidamente in accrescimento o come una massa ovarica. Più frequentemente, appare come una voluminosa affezione addominale, spesso derivante dalla regione della valvola ileocecale. Negli adulti, può essere di grosse dimensioni e generalizzato, spesso con massivo coinvolgimento del fegato, della milza e del midollo osseo. Malattie del SNC e del cervello sono spesso riscontrate alla diagnosi o durante una ricaduta del linfoma. La patologia rivela un alto tasso mitotico e un aspetto a cielo stellato di linfociti maligni rapidamente proliferanti. La malattia è strettamente associata al virus di Epstein-Barr (EBV) nel linfoma endemico. Tuttavia, è incerto se il EBV giochi un ruolo eziologico. Il linfoma di Burkitt presenta una caratteristica citogenetica, di solito t(8,14), coinvolgente l’oncogene C-myc. La stadiazione include la TC del tronco, la biopsia midollare, la citologia del LCR e la scintigrafia con gallio. Il trattamento deve essere iniziato urgentemente e gli studi di stadiazione devono essere resi veloci poiché la crescita del tumore è rapida. Con il trattamento, la sindrome da lisi tumorale può essere una complicanza della rapida morte cellulare. Un elevato livello di LDH predice questa complicanza e i pazienti devono ricevere idratazione, allopurinolo, alcalinizzazione e attenzione per gli elettroliti (per prevenire o trattare l’iperkaliemia), al fine di evitare la possibile nefropatia da acido urico, una disfunzione renale acuta, l’ipocalcemia e l’ipofosfatemia. Una polichemioterapia ad alte dosi e per un breve periodo può risultare altamente curativa (> 75%). Una profilassi meningea è essenziale. Occasionalmente la malattia è completamente resecata prima della chemioterapia, ma è ancora indicata una terapia aggressiva.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 138–1. Classificazione Franco-Americana-Britannica delle leucemie acute Classificazione FAB

Descrizione

Leucemia lin foblastica acuta L1

Linfoblasti con nucleo uniforme tondeggiante e scarso citoplasma

L2

Maggior variabilità dei linfoblasti; i nuclei possono essere irregolari con citoplasma più abbondante che in L1

L3

I linfoblasti posseggono una cromatina nucleare più delicata e citoplasma di colore blu o blu- scuro con vacuolizzazione citoplasmatica

Leucemia mielogena acuta M1

Mieloblastica indifferenziata; nessuna granulazione citoplasmatica

M2

Mieloblastica differenziata; poche o molte cellule possono presentare granulazioni sparse

M3

Promielocitica; granulazioni tipiche di morfologia promielocitica

M4

Mielomonoblastica; morfologia mista di tipo mieloblastico e monocitoide

M5

Monoblastica; morfologia di tipo monoblastico puro

M6

Eritroleucemica; predominante morfologia di eritroblasti immaturi; talora aspetto megaloblastico

M7

Megacarioblastica; le cellule pre sentano bordi villosi che possono mostrare qualche protrusione

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 138-2. Classificazione della leucemia linfoblastica acuta in base all’immunofenotipo Linea cellulare

Descrizione

Cellula B

Riarrangiamenti del gene immunoglobulinico

Indifferenziata

CALLA-negativa

Comune

CALLA-positiva

Pre-B

CALLA-positiva, immunoglobulina citoplasmatica

B

Immunoglobulina di superficie, morfologia L3 della classificazione franco-americano-britannica

Cellula T

Riarrangiamenti del gene antigenerecettore

Pre-T

AntigeneT-positiva; recettore dei GR di pecora-negativa

T

Antigene T e recettore dei GR di pecora-positiva

CALLA = (Common Acute Lymphoblastic Leukemia), antigene della leucemia linfoblastica acuta comune.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 138–3. Reperti alla diagnosi nei tipi più comuni di leucemia Caratteristica

Linfoblastica acuta

Mielogena acuta

Linfocitica cronica

Mielocitica cronica

Età di massima Infanzia incidenza

Qualsiasi età

Età media e avanzata

Età giovanile

Concentrazione A nel 50% dei GB N o B nel 50%

A nel 60%

A nel 98%

A nel 100%

N o B nel 40%

N o B nel2%

Conta Molti linfoblasti Molti mieloblasti differenziale dei GB

Piccoli linfociti

Tutta la serie mieloide

Anemia

Nel 50% circa

Nell’80%, ma lieve

In >90% grave

In >90% grave

lieve Piastrine

B in >80%

B in >90%

B nel 20-30%

A nel 60%; B nel 10%

Linfoadenopatia Comunemente Occasionalmente Comunemente presente presente presente

Raramente presente

Splenomegalia

60%

50%

Abituale e moderata

Abituale e grave

Altri reperti

Nel 50% dopo 1 anno interessamento del SNC

Interessamento del SNC raro; i bastoncelli di Auer possono essere osservati nei mieloblasti

Talora anemia Fosfatasi emolitica e alcalina ipogammaglobulinemia leucocitaria bassa; cromosoma Philadelphia positivo nell’85%

B=basso; N=normale; A=alto

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 130–1. CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Patologia Policitemia vera (malattia di Vaquez)

Caratteristica predominante Eritrocitosi

Mielofibrosi (o mielosclerosi) con Fibrosi midollare con metaplasia mieloide (metaplasia emopoiesi extramidollare mieloide agnogenica) Trombocitemia primitiva (trombocitemia essenziale)

Trombocitosi

Leucemia mieloide (mielocitica) cronica

Granulocitosi

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Malattie mieloproliferative

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 130. MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Gruppo di malattie caratterizzate da anomala proliferazione di una o più linee cellulari emopoietiche o di elementi del tessuto connettivale.

POLICITEMIA VERA (Policitemia primitiva; morbo di Vaquez) Disordine mieloproliferativo cronico caratterizzato da un aumento della concentrazione dell’Hb e della massa dei GR (eritrocitosi).

Sommario: Incidenza e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Incidenza e fisiopatologia La policitemia vera (PV) ha un’incidenza di circa 5/1000000 di persone e interessa più frequentemente il sesso maschile (circa 1,4:1). Al momento della diagnosi l’età media è di 60 anni (con un range da 15 a 90 anni; raramente nell’infanzia); il 5% dei pazienti ha < 40 anni all’esordio. Il midollo osseo talora appare normale, ma di solito è ipercellulare; l’iperplasia coinvolge tutti gli elementi midollari e rimpiazza il grasso midollare. C’è un aumento della produzione e del turnover dei GR, dei neutrofili e delle piastrine. I megacariociti aumentati in quantità possono presentarsi in aggregati ("clumps"). Il Fe midollare è assente in > 90% dei pazienti, anche quando non siano stati eseguiti salassi. Studi sulle donne con PV eterozigoti rispetto al locus per il G6PD legato al cromosoma X, hanno dimostrato che i GR, i neutrofili e le piastrine hanno tutti lo stesso isoenzima G6PD, rilievo a favore della tesi dell’origine clonale di tale patologia a livello di una cellula staminale pluripotente. La causa di tale proliferazione è ignota. Infine, circa il 25% dei pazienti presenta una riduzione della sopravvivenza dei GR e mancano della capacità di un adeguato incremento dell’eritropoiesi; si sviluppano anemia e mielofibrosi. Un’emopoiesi extramidollare si verifica nella milza, nel fegato e in altre sedi con potenzialità emopoietica.

Sintomi e segni Alcuni pazienti sono asintomatici e il primo sospetto si ha con un esame routinario del sangue. I disturbi (debolezza, cefalea, sensazione di testa vuota, disturbi visivi, affaticamento, dispnea) di solito possono essere attribuiti all’espansione del volume ematico e all’iperviscosità. Comune è una diatesi file:///F|/sito/merck/sez11/1300967.html (1 of 4)02/09/2004 2.13.24

Malattie mieloproliferative

emorragica. Frequentemente viene lamentato prurito, specialmente dopo un bagno caldo. La faccia può essere rubizza e le vene retiniche congeste. Comune è l’epatomegalia e più del 75% dei pazienti presenta splenomegalia (che può essere notevole, arrivando fino alla cresta iliaca); se si verifica un infarto splenico può essere ascoltato uno sfregamento. I pazienti possono presentarsi con un’ulcera peptica, una trombosi, la sindrome di Budd-Chiari o un dolore osseo. Le complicanze dell’iperuricemia (p. es., gotta, calcoli renali) tendono a manifestarsi più tardivamente. Infine, l’attività eritropoietica si riduce nel midollo. GB immaturi e precursori dei GR possono ritrovarsi nel sangue periferico, mentre si sviluppano marcata anisocitosi, poichilocitosi, con microciti, ellissociti e cellule a goccia. I neutrofili e le piastrine possono essere morfologicamente anomale e il loro numero può aumentare. Il midollo osseo mostra un aumento della reticolina; può essere rilevata una progressiva splenomegalia causata dall’emopoiesi extramidollare. Durante questa "fase silente", possono svilupparsi anemia e trombocitopenia. L’anomala funzione piastrinica spesso porta a problemi emostatici. Dal momento che gli interventi chirurgici possono essere rischiosi, il trattamento chirurgico deve essere rinviato fino a quando l’Htc si sia ridotto < 42% e le piastrine < 600000/µl)

Diagnosi La PV deve essere considerata negli uomini con Htc > 54% e nelle donne con Htc > 49%. Poiché la PV è una panmielosi, la sua diagnosi è chiara nei pazienti con aumento di tutte e tre le componenti ematiche periferiche, splenomegalia e nessuna evidenza di eritrocitosi secondaria. Le linee guida diagnostiche sono elencate nella Tab. 130-2. Poiché l’Htc è un rapporto dei GR circolanti per unità di volume di sangue intero, un Htc elevato può essere causato da una riduzione del volume plasmatico. Quindi, una diagnosi di eritrocitosi vera è basata sulla dimostrazione di una massa eritrocitaria aumentata. Quando misurata con GR marcati con il cromo radioattivo (51Cr), una massa dei GR > 36 ml/kg negli uomini (valore normale 28,3 ± 2,8 ml/kg) e > 32 ml/kg nelle donne (valore normale 25,4 ± 2,6 ml/kg) è considerata anormale. Nella eritrocitosi relativa (spuria) (cioè, policitemia da stress, la sindrome di Gaisböck), la massa è normale e l’aumento dell’Htc è causato da una riduzione del volume plasmatico. Una volta che l’eritrocitosi è stata stabilita, ne deve essere ricercata la causa (v. Tab. 130-3). Più comune è l’eritrocitosi secondaria a patologia polmonare (v. oltre), a policitemia del fumatore causata da elevati livelli di carbossiemoglobina e a tumori producenti sostanze eritropoietiche. Nella Tab. 130-4 sono indicati i test di laboratorio per la diagnosi differenziale e nella Fig. 130-1 viene proposta una strategia diagnostica nella valutazione dell’eritrocitosi. Se la concentrazione arteriosa di O2 è < 92%, un’ipossia tissutale può essere alla base dell’eritrocitosi. L’indice di fosfatasi alcalina leucocitaria (FAL) si valuta mediante una colorazione istochimica specifica per un enzima dei neutrofili. L’indice di FAL risulta elevato nel 75% dei pazienti con PV, mentre risulta di solito normale nei pazienti con altre cause di eritrocitosi. Tuttavia, dal momento che febbre, infezioni o infiammazioni possono aumentare i livelli di FAL, l’indice di quest’ultima è utile per porre diagnosi di PV solo in assenza di tali stimoli. L’esame delle urine può far rilevare un’ematuria microscopica mentre l’ultrasonografia renale o la TC possono rivelare una lesione renale alla base di un’eritrocitosi secondaria. La P50 (pressione parziale di O2 relativa a una saturazione dell’Hb del 50%) rappresenta una valutazione dell’affinità dell’Hb per l’O2 ed esclude un’alta affinità dell’Hb (un’anomalia familiare) quale causa di eritrocitosi. I pazienti con PV hanno livelli bassi o indeterminabili di eritropoietina sierica; quelli con eritrocitosi indotta da ipossia hanno livelli elevati; quelli con eritrocitosi

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associata a tumore hanno livelli normali o aumentati. Il midollo osseo prelevato da pazienti con PV ha la capacità di formare colonie eritroidi endogene in coltura, cioè senza la necessità di aggiungere eritropoietina. In contrasto, nei pazienti sani o in quelli con eritrocitosi secondaria, il midollo necessita dell’aggiunta di eritropoietina per la formazione di colonie eritroidi. Altre alterazioni nei dati di laboratorio possono rilevarsi nella PV: iperuricemia e iperuricosuria si hanno in 30% dei pazienti; possono essere presenti alterazioni qualitative della funzione piastrinica; la vitamina B12 e la capacità di legame per la B12 risultano frequentemente elevate.

Prognosi Senza trattamento, il 50% dei pazienti sintomatici muore entro 18 mesi dalla diagnosi. (Per informazioni riguardanti il supporto per il paziente e la famiglia, v. Cap. 294.) Nei pazienti trattati con terapia, la sopravvivenza media varia da 7 a 15 anni. La trombosi rappresenta la causa di morte più frequente, seguita dalle complicanze della metaplasia mieloide, dall’emorragia e dallo sviluppo di una leucemia. L’incidenza della trasformazione in una leucemia acuta è maggiore nei pazienti trattati con fosforo radiattivo (32P) o con agenti alchilanti rispetto a quelli trattati solo con salassi. La PV che si trasforma in una leucemia acuta è più resistente alla chemioterapia d’induzione rispetto a una leucemia de novo.

Terapia Poiché la PV è la sola forma di eritrocitosi per la quale ci possa essere l’indicazione a una terapia mielosoppressiva, è fondamentale un’accurata diagnosi. La terapia deve essere individualizzata sulla base dell’età, del sesso, dello stato di salute, delle manifestazioni cliniche e dei rilievi ematologici. Il salasso è parte integrante della terapia e può rappresentare il solo regime terapeutico necessario. Esso costituisce il trattamento di scelta per le donne in età fertile e per i pazienti < 40 anni, dal momento che non è mutagena ed elimina i sintomi dell’ipervolemia. Inizialmente i pazienti devono essere sottoposti a un salasso di 300-500 ml a giorni alterni finché l’Htc non sia < 45%. I salassi devono essere eseguiti con maggiore cautela (cioè, 200-300 ml due volte/sett.) nei pazienti anziani e in quelli con malattie cardiache o cerebrovascolari. Una volta che l’Htc si sia normalizzato, il paziente va controllato mensilmente e salassato se l’Htc è > 45%. Interventi chirurgici d’urgenza devono essere preceduti da un salasso sufficiente a normalizzare il volume eritrocitario. Se necessario, il volume intravascolare può essere mantenuto con soluzioni cristalloidi o colloidali. La terapia mielosoppressiva può essere indicata per i pazienti con conta piastrinica > 1 ⋅ 106/ µl, con disturbi a causa della visceromegalia, con trombosi, con sintomi causati dall’ipermetabolismo o con prurito ribelle a terapia e per i pazienti anziani o in quelli con malattie cardiovascolari che non tollerino bene la flebotomia. Il fosforo radioattivo (32P) ha successo nell’80-90% dei casi. Le remissioni possono durare da 6 mesi a diversi anni. È ben tollerato e richiede minori controlli clinici quando la malattia è controllata. Tuttavia, il 32P si associa a un’aumentata incidenza di trasformazione in leucemia acuta, per cui tale forma di trattamento richiede un’accurata selezione dei pazienti (p. es., è indicata nei pazienti con età > 70 anni). Dopo aver raggiunto la normalizzazione dell’Htc (40-45%), con i salassi, si somministrano EV 32P 2,7 mCi/m2 di ASC (dose totale 5 mCi). Tale dose in genere normalizza la conta piastrinica e l’Htc in 4-8 settimane. Il 32P può essere ripetuto e la dose aumentata se non si è raggiunto il controllo della file:///F|/sito/merck/sez11/1300967.html (3 of 4)02/09/2004 2.13.24

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malattia. Se non c’è risposta dopo 3 iniezioni durante il primo anno di terapia, il paziente va trattato con salasso o con idrossiurea. Gli agenti alchilanti sono leucemogeni e devono essere evitati. Tuttavia l’idrossiurea, che agisce inibendo l’enzima ribonucleoside difosfato reduttasi, si è dimostrata un successo nei pazienti nei quali è indicata la terapia mielosoppressiva. L’idrossiurea è stata utilizzata per questo scopo per molti anni; la sua sicurezza concernente la leucemogenesi continua a essere studiata. I pazienti vengono salassati fino a raggiungere un normale Htc (40-45%) e viene somministrata idrossiurea alla dose di 10-15 mg/kg/die PO. Il paziente viene controllato, con un emocromo completo, settimanalmente. Quando la condizione si è stabilizzata, gli intervalli tra gli emocromi vengono allungati a 2 e, in seguito, a 4 sett. Se i GB scendono a < 4000/µl o le piastrine a < 100000/µl, l’idrossiurea viene sospesa e poi ripresa a una dose ridotta del 50% quando l’emocromo si sia normalizzato. Per i pazienti con controllo insoddisfacente, che richiedano frequenti flebotomie o trombocitemici (piastrine > 600000/ µl), la dose può essere incrementata di 5 mg/kg/ die a intervalli mensili, con un monitoraggio frequente finché non sia stato raggiunto il controllo. La tossicità acuta è minima; occasionalmente i pazienti sviluppano un rash cutaneo, sintomi GI o febbre. L’interferon-α è stato utilizzato per i pazienti che non tollerano l’idrossiurea o per quelli in cui il farmaco non controlla la conta ematica periferica. La dose iniziale tipica di interferon-α è 3,0⋅ 106 U SC 3 volte/sett. Il costo, la tossicità acuta e la sicurezza a lungo termine sono elementi importanti per il suo uso. L’iperuricemia può essere trattata con allopurinolo PO (300 mg/die). Il prurito può essere trattato con antistaminici, ma spesso è di difficile controllo. Dopo il bagno la pelle deve essere asciugata delicatamente. Sono state usate con successo anche la colestiramina PO 4 g tid, la ciproeptadina 4-16 mg qid PO o la cimetidina 300 mg qid PO. L’aspirina placa i sintomi dell’eritromelalgia (gonfiore e infiammazione delle dita dei piedi).

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 130–2. CRITERI PER LA DIAGNOSI DI POLICITEMIA VERA* Criteri principali Aumento della massa dei GR ≥36ml/kg negli uomini ≥32ml/kg nelle donne

Criteri secondari Trombocitosi>400x103/µl Leucocitosi>12x103/µl

Attività della fosfatasi alcalina leucocitaria>100 (senza febbre o Saturazione arteriosa di O2≥92% infezioni) Splenomegalia B12 sierica>900pg/ml (>660pmol/l) o capacità di legame per la B12 non saturata >2200pg/ml (>1620pmol/l) *Si formula la diagnosi di policitemia vera se il paziente soddisfa tutti e 3 i criteri principali o i primi 2criteri principali e 2dei criteri secondari. Da Wasserman LR: "The management of polycythaemia vera." British Journal of Haematology 21:371-376, 1971. Pubblicato da Blackwell Scientific Publications Ltd; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 130–3. CLASSIFICAZIONE DELL’ERITROCITOSI Tipo

Eziologia

Primaria

Policitemia vera

Secondaria

Ridotta ossigenazione tissutale: patologia polmonare; alta quota; shunt intracardiaci; sindromi da ipoventilazione; Hb anomale, compresa la carbossiemoglobinemia in dotta dal fumo Produzione aberrante di eritropoietina; tumori, cisti

Relativa (falsa)

Emoconcentrazione: diuretici, ustioni, diarrea Stress (sindrome di Gaisböck)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 130–4. DIAGNOSTICA DI LABORATORIO IN UN PAZIENTE CON ERITROCITOSI ASSOLUTA Conta piastrinica Conta e formula leucocitaria Emogasanalisi Carbossiemoglobina Fosfatasi alcalina leucocitaria B12 e capacità di legame per la B12 Esame urine Ecografia renale, urografia o TC P50 (pressione parziale di O2 relativa a una saturazione dell’Hb del 50%)

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Assistenza del paziente terminale

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 294. ASSISTENZA DEL PAZIENTE TERMINALE Aiutare un paziente e la famiglia a trovare conforto nell’esperienza della morte è spesso più importante che aderire alle routine cliniche o correggere le anomalie fisiologiche asintomatiche. I sintomi angoscianti, tuttavia, devono essere prevenuti o alleviati il più efficacemente possibile. È anche importante prevenire la sofferenza, una percezione globale di angoscia dovuta a fattori che insieme minano la qualità della vita (p. es., dolore; compromissione fisica; disturbi psicologici; problemi sociali, finanziari e spirituali). Le persone hanno differenti opinioni su ciò che considerano importante, soprattutto quando affrontano la morte. Alcune persone cercano la conclusione: raggiungono gli amici e la famiglia per condividere il tempo e per esprimere il loro amore; completano i progetti importanti per la loro vita e scelgono di non fare niente. Spesso, il tempo e la modalità di morte permettono una fine soddisfacente. Altri sono incapaci di accettare la loro morte imminente ed evitano tale conclusione. Per alcuni, la vita deve essere prolungata, anche a costo di accusare dolore, confusione marcata o grave sofferenza respiratoria. Per altri, la qualità della vita è il problema sovrastante: essi preferirebbero misure di conforto per sopportare inabilità e vicissitudini prolungate. Le preferenze del paziente sono sovrane nel pianificare l’assistenza. Un paziente che teme la demenza più della morte deve essere trattato differentemente da uno che ama ogni istante della vita, indipendentemente dalla sua qualità. La conoscenza della legge locale e della polizia istituzionale che governa le volontà sulla vita, la procura durevole e le procedure per la rianimazione e l’ospedalizzazione sono anche importanti per assicurare che i desideri dei pazienti siano seguiti quando essi non sono più in grado di dare direttive sulla propria assistenza. L’assistenza di supporto può essere il solo obiettivo realistico per un paziente moribondo. La gestione medica dei sintomi preoccupanti può dare la possibilità ai pazienti e alle famiglie di evitare sofferenze inutili e di condividere tempo prezioso. Inoltre, dire che l’assistenza a un paziente è stata modificata da curativa a supportativa o dal trattamento alla attenuazione dei sintomi è un’eccessiva semplificazione di un complesso processo decisionale. Talvolta, può essere appropriato un trattamento aggressivo. Un paziente terminale può beneficiare di tentativi di assistenza curativa, riabilitativa o preventiva, proprio come una persona non prossima alla morte può beneficiare del controllo dei sintomi e della consulenza psicologica.

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Malattie mieloproliferative

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 130. MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Gruppo di malattie caratterizzate da anomala proliferazione di una o più linee cellulari emopoietiche o di elementi del tessuto connettivale.

POLICITEMIA VERA ERITROCITOSI SECONDARIA (Policitemia secondaria) Fumo: il fumo può causare un’eritrocitosi reversibile. La carbossiemoglobina è una conseguenza dell’inalazione del fumo di tabacco. L’eritrocitosi è causata dall’anossia tissutale (dal momento che l’Hb legata alla CO è incapace di trasportare O2) e dall’alterata cessione di O2 da parte dell’Hb ai tessuti come dimostrato dallo spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina. Ipossiemia arteriosa: i pazienti con patologia polmonare cronica o con shunt intracardiaci da destra a sinistra con ipossiemia possono sviluppare un’eritrocitosi. Anche in caso di prolungata esposizione ad alte quote (v. Cap. 281) o nelle sindromi da ipoventilazione centrale, può esserci un incremento della massa eritrocitaria. La terapia per i pazienti con patologia polmonare è tesa al miglioramento della funzione respiratoria. Può esserci indicazione alla O2terapia; inoltre salassi prescritti con criterio riducono la viscosità del sangue e migliorano il senso di benessere del paziente. Emoglobinopatie con alta affinità per l’O2: la diagnosi viene suggerita da una storia familiare di eritrocitosi e confermata misurando la P50 (v. nella sezione Diagnosi in Policitemia Vera, sopra) e, se possibile, determinando la curva completa di dissociazione dell’ossiemoglobina. L’elettroforesi standard dell’Hb di solito non evidenzia una banda anomala di Hb e sulla sua base non si può escludere questa forma di eritrocitosi. Eritrocitosi associata a tumore: i tumori renali e le cisti possono causare eritrocitosi dovuta all’aumentata secrezione di eritropoietina. La rimozione della patologia causale può essere risolutiva. Anche gli epatomi, gli emangioblastomi cerebellari e i leiomiomi uterini possono causare un’eritrocitosi paraneoplastica.

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Malattia da alte quote

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 281. MALATTIA DA ALTE QUOTE (Mal di montagna; mal delle Ande;) Sindromi dovute a deficit di O2 a elevate altitudini.

Sommario: Introduzione Patologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi Terapia

La pressione atmosferica diminuisce all’aumentare dell’altitudine, mentre la percentuale di O2 nell’atmosfera rimane costante, ne consegue che la pressione parziale di O2 diminuisce a quote elevate e a 5500 m è circa la metà di quella che troviamo a livello del mare. Il 20% circa delle persone che si spingono oltre i 2500 m, in meno di 1 giorno, sviluppa alcuni sintomi e segni della malattia da alte quote. Gli individui che ne hanno già sofferto, sono più suscettibili a sviluppare nuovi episodi in circostanze analoghe, ma gli effetti delle alte quote variano notevolmente da un individuo all’altro. I bambini sono più suscettibili e l’incidenza decresce linearmente all’aumentare dell’età. Il rapido raggiungimento di quote elevate (p. es., depressurizzazione negli aerei, ascesa in mongolfiera) è causa di una grave ipossia acuta e di perdita di coscienza, piuttosto che di una manifestazione sintomatologica della malattia da alte quote. La maggior parte delle persone si abitua a quote fino ai 3000 m in pochi giorni. Maggiore è l’altitudine raggiunta, tanto più tempo è necessario per ottenere un’acclimatazione completa. Al di sopra dei 5100 m, il deterioramento è più rapido, infatti nessuno è in grado di vivere per lungo tempo a quella altitudine. L’acclimatamento consiste in una serie complessa di risposte che gradualmente ristabiliscono l’ossigenazione tissutale a valori normali in coloro che sono esposti a elevate altitudini. I segni dell’acclimatamento comprendono iperventilazione di grado elevato con alcalosi persistente parzialmente compensata, aumento iniziale della gittata cardiaca (che è minore della gittata cardiaca massima normale), aumento della massa degli eritrociti e della tolleranza allo sforzo anaerobico. Alcune etnie hanno raggiunto l’acclimatamento con meccanismi leggermente differenti, dopo che molte generazioni sono vissute in alta quota.

Patologia e fisiopatologia L’ipossia stimola i centri del respiro, incrementando l’ossigenazione tissutale, ma determinando anche alcalosi respiratoria, la quale contribuisce allo sviluppo di sintomi, che permangono finché non viene parzialmente compensata da una perdita di HCO3 nelle urine. La fisiopatologia della malattia da alte quote è rappresentata dall’alterazione del bilancio idrico ed elettrolitico. La permeabilità dei capillari aumenta, favorendo l’accumulo di liquidi in diverse sedi; la causa è probabilmente imputabile a lesioni endoteliali. Negli individui suscettibili, l’aumentata secrezione di ADH determina ritenzione dei liquidi nei tessuti, cosicché il volume plasmatico diminuisce, simulando un aumento dell’HTC. Nella

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Malattia da alte quote

malattia da alte quote la risposta ipossica non è mai di scarsa entità. Non sono stati ancora chiariti i ruoli del peptide natriuretico atriale, dell’aldosterone, della renina e dell’angiotensina. L’ipossia aumenta le resistenze vascolari polmonari e la pressione nell’arteria polmonare, mentre le resistenze periferiche e la pressione arteriosa subiscono solo scarse modifiche. Il flusso ematico cerebrale è diminuito dall’ipocapnia, mentre è aumentato dall’ipossia, di conseguenza si modifica al variare dell’equilibrio tra la CO2 e l’O2 arteriose, non è comunque chiaro il ruolo di questa variazione nella sintomatologia.

Sintomi, segni e diagnosi L’edema periferico o del volto può essere dovuto all’elevata altitudine o, come si verifica al livello del mare, a uno sforzo notevole. La tromboflebite può presentarsi ad altissime quote, specialmente in soggetti disidratati e inattivi. Sono stati descritti altri sintomi quali: annebbiamento della vista, emianopsia, scotomi e perfino cecità transitoria. Alcuni di questi possono essere spiegati dall’emicrania "non cefalgica" (emicrania senza mal di testa); altri possono essere raggruppati tra le amaurosi ipossiche. Individui sottoposti a cheratotomia radiale possono presentare importanti disturbi del visus a quote > 5000 m (> 16000 piedi) o perfino a quote inferiori ai 3000 m (10000 piedi). Questa sintomatologia molto allarmante tende a scomparire rapidamente dopo la discesa, tranne il caso in cui sia dovuta a patologie intracraniche, che sono comunque rare. Le emorragie retiniche possono verificarsi a quote inferiori ai 2700 m (9000 piedi), sono invece frequenti al di sopra dei 5000 m (16000 piedi), solitamente sono asintomatiche, se non interessano la regione maculare, e si risolvono rapidamente senza reliquati. Si possono inoltre verificare piccole emorragie sotto il letto ungueale, a livello renale e cerebrale. Le varie forme cliniche della malattia da alte quote non sono entità separate, ma parti di uno spettro continuo, in cui una o più possono essere contemporaneamente presenti, con differenti gradi di gravità. Le disfunzioni del SNC sono ritenute fattori causali di numerose forme cliniche della malattia. Non esiste alcun esame in grado di predire con esattezza il futuro sviluppo della malattia da alte quote. Mal di montagna acuto (MMA): é la forma più comune e può comparire ad altitudini di appena 2000 m (6500 piedi), è caratterizzata da cefalea, spossatezza, nausea, dispnea e disturbi del sonno, l’esercizio fisico aggrava i sintomi. Il MMA regredisce di solito in 24-48 h, ma occasionalmente, come nella malattia da alte quote, evolve verso un edema polmonare e/o cerebrale. I dati di laboratorio sono aspecifici e non sono utili per la diagnosi. Edema polmonare da alte quote (EPAQ): é una forma meno comune ma più grave, si manifesta abitualmente entro 24-96 h dopo una rapida ascesa al di sopra dei 2500 m (8000 piedi). Nella maggior parte delle persone che raggiungono quote oltre gli 8000 piedi, i liquidi tendono ad accumularsi negli spazi interstiziali polmonari e vengono drenati dal sistema linfatico, quando questi liquidi si accumulano troppo rapidamente rispetto all’attività drenante, si sviluppa un edema alveolare franco. Le vittime di un episodio di EPAQ potrebbero presentare una recidiva e dovrebbero quindi essere avvisati della possibilità di questa evenienza. Le infezioni respiratorie, anche lievi, sembrano aumentare il rischio di EPAQ. Recentemente, sono stati identificati soggetti che hanno presentato ripetuti episodi di EPAQ e sono stati definiti EPAQ-S (suscettibili), la ragione di questa suscettibilità è sconosciuta. Gli uomini presentano un rischio di sviluppare EPAQ 5 volte maggiore rispetto alle donne, ma il MMA e l’edema cerebrale da alte quote colpiscono entrambi i sessi con la stessa frequenza. I bambini sembrano presentare un rischio lievemente aumentato, nel caso in cui siano residenti ad alte quote e, dopo una breve permanenza a basse quote, vi ritornino. L’assenza file:///F|/sito/merck/sez20/2812623.html (2 of 5)02/09/2004 2.13.28

Malattia da alte quote

di una delle arterie polmonari, una rara anomalia congenita, può aumentare notevolmente il rischio di EPAQ, anche a quote di appena 1500 m (5000 piedi). I soggetti che sviluppino EPAQ ripetutamente o a quote insolitamente basse, dovrebbero essere esaminati per ricercare una patologia dell’arteria polmonare o un pregresso embolo polmonare. L’EPAQ è considerato un edema ad alta pressione con aumentata permeabilità del microcircolo, l’eccessiva vasocostrizione di alcuni distretti è responsabile di iperperfusione in altri, ne consegue un’inversione del rapporto ventilazione/ perfusione che viene considerata come la causa precipitante. È di recente osservazione che una diminuzione dell’ossido nitrico alveolare, probabilmente dovuta all’assenza della sintetasi dell’ossido nitrico, sia un fattore importante nella suscettibilità all’EPAQ. L’EPAQ è caratterizzato da dispnea ingravescente, tosse irritativa, che produce escreato schiumoso e spesso striato di sangue, debolezza, atassia e infine coma. Sono inoltre frequenti cianosi, tachicardia e febbre di lieve entità, accompagnate da rantoli polmonari a piccole o a grandi bolle (spesso udibili anche senza lo stetoscopio), che possono indurre erroneamente a porre diagnosi di polmonite. Una rx toracica mostrerà le linee di Kerley e un edema a chiazze, diverso però da quello dell’insufficienza cardiaca congestizia. La pressione atriale si presenta normale, ma quella dell’arteria polmonare è superiore anche a quella riscontrabile nei soggetti sani durante un evento ipossico. L’EPAQ può peggiorare rapidamente e possono sopravvenire nell’arco di poche ore coma e morte. Edema cerebrale da alte quote (ECAQ): si ritiene che l’edema cerebrale sia presente, in grado moderato, in tutte le forme della malattia da alte quote. L’edema cerebrale diffuso o a chiazze, osservabile con le scansioni della TC, si ritiene contribuisca allo sviluppo dell’ECAQ e del MMA. L’edema grave si manifesta con atassia, cefalea, confusione mentale e allucinazioni, la rigidità nucale è assente e non è necessaria per la diagnosi la presenza di edema della papilla, la pressione del LCR può essere elevata, ma il liquor è normale. L’atassia deambulatoria è un segno predittivo affidabile e precoce. Il coma e la morte possono sopravvenire entro poche ore dall’esordio dei sintomi. L’ECAQ andrà distinto dal coma dovuto ad altre cause (p. es., infezioni, accidenti cerebrovascolari, chetoacidosi) sulla base dell’anamnesi, dell’assenza di febbre significativa o di paralisi e del riscontro di parametri ematici e liquorali nella norma. Mal di montagna subacuto infantile: questa sindrome è stata descritta, per la prima volta, nei bambini cinesi della città di Han, nati o cresciuti ad alta quota. Una sindrome simile è stata descritta tra le truppe che hanno stazionato oltre i 6000 m (20000 piedi) per mesi. Entrambe queste sindromi sono caratterizzate da insufficienza cardiaca destra e dalla necessità di portarsi a quote inferiori per evitare la morte. Mal di montagna cronico (malattia di Monge): é una affezione rara che colpisce gli individui che risiedono ad alta quota da lungo tempo; è caratterizzata da affaticamento, dispnea, dolori diffusi, eccessiva policitemia e tromboembolie e presenta stretta analogia con l’ipoventilazione alveolare (definita un tempo, sindrome di Pickwick); si ritiene che entrambe siano provocate da un’insufficiente sensibilità dei centri del respiro. Il paziente deve necessariamente tornare al livello del mare, la guarigione è lenta e la patologia può recidivare se il paziente si reca di nuovo in alta quota. Le flebotomie ripetute possono essere efficaci nel ridurre la policitemia, ma non rappresentano il trattamento ideale.

Profilassi Il modo migliore per prevenire la malattia da alte quote consiste in una lenta ascesa, ma il grado di sicurezza di tale ascesa varia da individuo a individuo. La maggior parte riesce a raggiungere quote di 1500 m (5000 piedi) in 1 giorno senza la comparsa di sintomi, ma molti risentono di ascese che raggiungono i

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Malattia da alte quote

2500 m (8000 piedi); al di sopra di questa quota, si consiglia di risalire non più di 460 m/die (1500 piedi). Gli scalatori devono imparare a riconoscere la velocità alla quale riescono ad ascendere senza avvertire alcun sintomo, un gruppo di persone che proceda insieme a una scalata dovrà adattarsi al ritmo del più lento. Sebbene l’allenamento fisico consenta di svolgere un maggiore esercizio con un minor consumo di O2, non protegge comunque da alcuna forma di malattia da alte quote. Nelle 24-36 h che seguono il completamento dell’ascesa vanno evitati sforzi fisici estremi, mentre il riposo a letto presenta benefici minori dell’esercizio leggero. È importante bere molta più acqua del solito, perché quando si respira aria asciutta ad alte quote con ritmo accelerato, si verifica un aumento notevole della perdita d’acqua con conseguente disidratazione che, associata a un certo grado di ipovolemia, aggrava i sintomi, inoltre si deve evitare un’ulteriore assunzione di sale. Sembra che l’alcol aggravi il MMA e diminuisca la ventilazione notturna, accentuando i disturbi del sonno. Nei primi giorni, si raccomanda l’assunzione di piccoli pasti frequenti, ricchi di carboidrati facilmente digeribili (p. es., frutta, amidi, marmellate), che migliorano la tolleranza alle alte quote. Una profilassi efficace del MMA è rappresentata dalla somministrazione di 125 mg di acetazolamide alla sera (per la maggior parte delle persone) o di 125 mg q 8 h. Sono anche disponibili capsule a lento rilascio (500 mg una volta al giorno). Non vi è alcun vantaggio nell’assumere l’acetazolamide prima dell’inizio dell’ascesa, tale farmaco inibisce l’anidrasi carbonica, aumentando la ventilazione e migliorando il trasporto di O2 con un’alcalosi minore, impedisce il respiro periodico (che è presente durante il sonno alle alte quote) e pertanto previene brusche cadute del livello di O2 ematico. Non deve essere somministrata ai pazienti allergici ai sulfamidici. Lo stesso risultato può essere ottenuto con O2 a basso flusso durante il sonno, ma è alquanto più complicato da somministrare. Gli analoghi dell’acetazolamide non offrono alcun vantaggio. Gli antiacidi a scopo preventivo risultano inutili, così come il desametazone, che riduce i sintomi del MMA.

Terapia Le emorragie retiniche non richiedono terapia, perché di solito si risolvono durante la permanenza degli scalatori ad alta quota. Il MMA di solito richiede soltanto liquidi, analgesici, dieta leggera, attività fisica moderata e (raramente) il ritorno a quote più basse. È efficace una terapia di 4 mg di desametazone PO q 6 h, di 250 mg di acetazolamide PO q 6 h, che può alleviare i sintomi. L’ibuprofene, un antiaggregante piastrinico, è più efficace dell’aspirina per la cefalea da alte quote, ma può favorire la comparsa di ecchimosi. Se si sospetta la presenza di EPAQ, si può iniziare una terapia con O2 e riposo a letto, ma se le condizioni peggiorano, si dovrà riportare senza indugio il paziente a quote più basse. Eventualmente, il soggetto può essere adagiato in un’ampia camera iperbarica in cui la pressione può essere incrementata, simulando la discesa, se questa non può avvenire, tale misura permette di guadagnare tempo in caso di emergenza, ma non può sostituire la discesa. La somministrazione di 20 mg di nifedipina sublinguale, seguiti da una compressa da 30 mg a lento rilascio, determina un abbassamento dell’ipertensione a livello dell’arteria polmonare, comportando un beneficio. È controindicato l’uso di diuretici potenti (p. es., la furosemide). Sebbene la morfina risulti efficace, la depressione respiratoria conseguente vanifica ampiamente l’utilità del farmaco. La somministrazione di digitale non è di alcuna utilità dal momento che l’attività cardiaca nell’EPAQ è normale, tuttavia, nelle forme di mal di montagna subacuto dei bambini e degli adulti, si sviluppa insufficienza cardiaca e quindi si rendono necessarie, come misure salvavita, sia la discesa che la somministrazione di digitale. Una volta che il paziente viene ricoverato, vengono escluse altre cause di malattia polmonare, la terapia quindi prevede: ossigenazione adeguata (talvolta con l’intubazione e mantenendo positiva la pressione tele-espiratoria), file:///F|/sito/merck/sez20/2812623.html (4 of 5)02/09/2004 2.13.28

Malattia da alte quote

riposo a letto, controllo della diuresi, drenaggio posturale e antibiotici, se si sospetta una superinfezione. I pazienti, se prontamente trattati, di solito guariscono dall’EPAQ entro 24-48 h. In caso di EPAQ grave, è necessario ridiscendere rapidamente. La somministrazione di ossigeno supplementare o la pressurizzazione in camere iperbariche permettono di guadagnare tempo, ma non sono risolutive. Il desametazone 8 mg EV q 4 h è efficace, ma non eccezionale ed è dubbia la sua validità in caso di emergenza ad alte quote.

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Malattie mieloproliferative

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 130. MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Gruppo di malattie caratterizzate da anomala proliferazione di una o più linee cellulari emopoietiche o di elementi del tessuto connettivale.

TROMBOCITEMIA PRIMITIVA (Trombocitemia essenziale) Malattia caratterizzata da un aumento delle piastrine, da iperplasia megacariocitica e da diatesi emorragica o trombotica.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia e fisiopatologia La trombocitemia primitiva è un’anomalia clonale di una cellula staminale emopoietica multipotente. Si manifesta di solito tra i 50 e i 70 anni e colpisce in ugual misura sia gli uomini che le donne. Il notevole aumento della conta delle piastrine risulta da un aumento della loro produzione. La sopravvivenza delle piastrine è generalmente normale, ma può anche risultare ridotta a causa del sequestro splenico. Nei pazienti più anziani, l’aumento del numero delle piastrine associato a una patologia vascolare degenerativa può portare a gravi emorragie o trombosi.

Sintomi e segni I sintomi più frequenti sono rappresentati da astenia, emorragie, cefalea aspecifica, parestesie delle mani e dei piedi e vertigini. Le emorragie sono generalmente di lieve entità e si manifestano come epistassi, facilità a sviluppare lividi o sanguinamenti GI. Nel 60% dei pazienti si manifesta ischemia alle dita e splenomegalia (che generalmente non deborda > 3 cm dal margine costale sinistro). Si può anche manifestare epatomegalia.

Diagnosi La trombocitemia primitiva deve essere differenziata da altri disordini mieloproliferativi associati a piastrinosi. Per una diagnosi di trombocitemia primitiva depongono una normale massa eritrocitaria (aumentata nella policitemia vera), assenza del cromosoma Philadelphia (presente nella leucemia mielogena cronica) e l’assenza di GR a forma di goccia o di una fibrosi midollare significativa (rilevati nella mielofibrosi idiopatica). La conta piastrinica può essere > 1⋅ 106/µl, sebbene possono manifestarsi conte pari anche a 500000/µl.

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Malattie mieloproliferative

Nello striscio periferico si possono osservare aggregati piastrinici, piastrine giganti e frammenti di megacariociti. Il midollo osseo mostra un’iperplasia megacariocitica, con rilascio di un aumentato numero di piastrine. Di solito è presente anche siderosi midollare.

Terapia Le indicazioni per la terapia della trombocitemia primitiva non sono chiare, sebbene nei pazienti con conta piastrinica > 1 ⋅ 106/µl e in quelli con complicanze emorragiche o complicanze trombotiche si è per lo più concordi nel ritenere che ci sia l’indicazione per una terapia adeguata. La terapia mielosoppressiva è rappresentata dalla idrossiurea alla dose di 1015 mg/kg/die. È indispensabile un controllo settimanale dell’EECC. Le dosi possono essere aggiustate come nella terapia della policitemia vera (v. sopra). Anche il fosforo radioattivo (32P) ha avuto successo nel trattamento della trombocitemia primitiva (2,7 mCi/m2 EV; dose totale 7 mCi). Lo scopo del trattamento è quello di ottenere una conta piastrinica < 600000/µl senza manifestazioni cliniche significative di tossicità o di soppressione degli altri elementi midollari. Nei pazienti con trombocitemia refrattaria che necessitano della terapia, può essere tentato l’utilizzo dell’anagrelide, un composto del gruppo degli imidazochinazolinici. I pazienti devono iniziare con 0,5 mg PO q 6 h per una dose totale quotidiana di 2 mg. Se non c’è una diminuizione (modificazione < 15% del numero delle piastrine) dopo 7 giorni di terapia e se il farmaco è ben tollerato, la dose può essere aumentata di 1 mg q 6 ore per una dose totale giornaliera di 4 mg. Se dopo 7-14 gg il numero delle piastrine rimane > 600000/µl e se il farmaco è ben tollerato, l’anagrelide può essere gradualmente aumentata ogni settimana (1-2 mg/die) o a settimane alterne fino a raggiungere un valore delle piastrine < 600000/µl o fino a raggiungere un massimo di 12 mg come dose quotidiana. È straordinariamente raro avere necessità di dosi > 8 mg/die. L’esame delle piastrine deve essere effettuato almeno 2 volte/sett. quando il paziente ha appena iniziato la terapia per stabilire la dose opportuna di anagrelide. Gli effetti collaterali possono comprendere una ridotta PA, un’ipotensione ortostatica, insufficienza renale e malessere gastrici. Il rischio degli effetti secondari di lungo tempo è sconosciuto. Per un’immediata riduzione della conta piastrinica la piastrinaferesi è stata utilizzata (p. es., per emorragie gravi o trombosi, prima di interventi chirurgici d’urgenza) a causa dell’attesa di un periodo relativamente lungo di tempo necessario per gli effetti dell’idrossiurea o del 32P (2-6 settimane). Aspirina a basso dosaggio (cioè, 80 mg/die PO) è spesso somministrata come farmaco antipiastrinico nel tentativo di prevenire la trombosi; non è stato dimostrato essere vantaggiosa rispetto ai risultati ottenuti dalla sola riduzione della conta piastrinica. È stato anche utilizzato interferon-α che può controllare la conta piastrinica con trattamento continuativo.

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Malattie mieloproliferative

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 130. MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE Gruppo di malattie caratterizzate da anomala proliferazione di una o più linee cellulari emopoietiche o di elementi del tessuto connettivale.

TROMBOCITEMIA PRIMITIVA (Trombocitemia essenziale) Malattia caratterizzata da un aumento delle piastrine, da iperplasia megacariocitica e da diatesi emorragica o trombotica. TROMBOCITEMIA SECONDARIA La trombocitemia secondaria è un processo reattivo. Le cause sono elencate nella Tab. 130-6. La conta piastrinica è < 1 ⋅ 106/µl e la causa può essere ovvia sulla base dell’anamnesi o dell’esame clinico; i test di funzione piastrinica di solito risultano normali. Tuttavia, in malattie mieloproliferative, un’anomala aggregabilità piastrinica si rileva in circa il 50% dei pazienti. La terapia della trombocitemia secondaria è rappresentata da quella della patologia di base. Con terapia appropriata, la conta piastrinica generalmente si rinormalizza.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1306.CAUSE DI TROMBOCITEMIA SECONDARIA Malattie infiammatorie croniche: AR, malattia infiammatoria intestinale, TBC, sarcoidosi, granulomatosi di Wegener Infezioni acute Emorragie Carenza di ferro Emolisi Tumori: cancro, morbo di Hodgkin, linfomi non Hodgkin Operazione chirurgica: splenectomia

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Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 131. DISORDINI DELL’EMOSTASI E DELLA COAGULAZIONE Malattie caratterizzate da una tendenza al sanguinamento.

DISORDINI DELLA COAGULAZIONE EREDITARI MALATTIE COAGULATIVE EREDITARIE RARE Altre condizioni di deficit ereditario di fattori della coagulazione sono riassunte nella Tab. 131-3; la maggior parte è costituita da rari stati di tipo autosomico recessivo che causano la malattia solo nella condizione omozigote. Il deficit di Fattore XI è inusuale nella popolazione generale ma comune nei discendenti degli Ebrei europei (frequenza del gene, 5-9%). Un disordine emorragico caratterizzato da sanguinamento da lesione (trauma o chirurgia) si verifica negli omozigoti e nei doppi eterozigoti e occasionalmente negli eterozigoti. Un altro importante disordine deriva da una deficienza di α2-antiplasmina, il principale inibitore fisiologico della plasmina. Il dosaggio specifico dell’α2-antiplasmina mostrerà valori dell’1-3% del range normale. La profilassi con acido εaminocaproico o acido tranexamico correggerà la tendenza emorragica. Un eterozigote, con un tasso di α2-antiplasmina nel 30-40% del valore normale, può presentare un eccessivo sanguinamento chirurgico, se si manifesta un grado inusuale di fibrinolisi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 131-3.DIFETTI EREDITARI NEI DISORDINI DEI FATTORI DELLA COAGULAZIONE DEL SANGUE Carenza

Risultati dei test di screening

Commenti

Fattore XII CAPM PTT allungato Prek PT normale

Alterazione in vitro senza sanguinamenti clinici; deve essere distinto con dosaggi specifici dalla carenza di fattore XI in cui possono verificarsi sanguinamenti post-operatori

PTT allungato

Autosomica recessiva; più frequente negli Ebrei Ashkenazi; assenza di sanguinamento eccessivo dopo traumi; ci può essere un’anamnesi negativa per sanguinamenti dopo precedenti interventi chirurgici, mentre ci può essere un eccessivo sanguinamento per un intervento recente; la diagnosi si fa in base ad un dosaggio specifico; la terapia del sanguinamento si basa sul mantenimento del tasso del fattore XI>30% con plasma fresco congelato 5-20ml/kg/ die

Fattore XI

PT normale

Fattore VIII Fattore IX

PTT allungato PT normale

Fattore VII

PTT normale PT allungato

Fattore V, X o protrombina

PTT allungato PT allungato

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Carenza di fattore VIII (emofiliaA); carenza di fattore IX (emofilia B); trasmissione legata al cromosoma X; sanguinamenti gravi; per la terapia vedere il testo Autosomica recessiva, rara; grave carenza (5% associati a sanguinamenti lievi o assenti; la terapia si basa su plasma 3-5ml/kg; il fattore VIIa ricombinante è il trattamento di scelta Autosomiche recessive, rare; i sanguinamenti possono essere lievi o gravi; flussi mestruali abbondanti nelle donne; distinti sulla base di dosaggi specifici; la terapia della carenza di fattore V si basa sul plasma fresco congelato e concentrati di piastrine (reintegrazione del fattoreV pias trinico); la terapia della carenza di fattore X o di protrombina si basa sul plasma fresco congelato o concentrato del complesso protrombinico in caso di sanguinamento pericoloso per la vita

Manuale Merck - Tabella

Fattore V Leiden

PTT normale PT normale Tempo di trombina normale

Eterozigote nel3-15% delle popolazioni, provoca resistenza del fattore Va ad essere disattivato dalla proteina C attivata; associazione molto elevata con il tromboembolismo venoso (non con la trombosi arteriosa), particolarmente quando associato ad altro difetto

Rivelato dal test di resistenza alla proteina C att vata, utilizzando plasma carente di fattore V Fibrinogeno

Nell’afibrinogenemia (fibrinogeno 1500/µl). Una classificazione delle neutropenie può essere effettuata con la conta dei neutrofili (GB totali ⋅ percentuale dei neutrofili e dei precursori) e sul relativo rischio di infezioni: neutropenie lievi (1000-1500/µl), moderate (500-1000/ µl) o gravi (< 500/µl). Una neutropenia acuta, grave, secondaria a ridotta produzione, spesso è pericolosa per la vita del paziente immunocompromesso (v. Cap. 151).

Eziologia La neutropenia acuta (che si manifesta nello spazio di pochi giorni) spesso si sviluppa quando l’utilizzo dei neutrofili è rapido e la produzione carente. La neutropenia cronica (con durata di mesi o anni) in genere deriva da una ridotta file:///F|/sito/merck/sez11/1351003.html (1 of 8)02/09/2004 2.13.43

Leucopenia e linfocitopenia

produzione o da un eccessivo sequestro splenico di neutrofili. La neutropenia può essere classificata a seconda che sia un epifenomeno di fattori estrinseci alle cellule mieloidi midollari o un difetto intrinseco presente nei progenitori mieloidi (v. Tab. 135-1). Neutropenia secondaria: i farmaci sono una delle più comuni cause di neutropenia. L’incidenza della neutropenia indotta da farmaci aumenta enormemente con l’età; solo il 10% dei casi si verifica in bambini e adolescenti, mentre più del 50% dei casi si verifica negli adulti. La neutropenia indotta da farmaci può essere dovuta a diversi meccanismi sottostanti (immunologici, tossici, idiosincrasici o reazioni di ipersensibilità) e deve essere differenziata dalla neutropenia grave che si sviluppa prevedibilmente dopo la somministrazione di grandi quantità di farmaci citoriduttivi antineoplastici o a seguito di radioterapia (v. oltre) e da quella causata da infezioni virali (v. oltre). La chemioterapia citotossica induce neutropenia a causa dell’elevato ritmo proliferativo di precursori neutrofili e del rapido ricambio dei neutrofili ematici. La neutropenia immunomediata, che si pensa derivi da farmaci che agiscono da apteni per stimolare la formazione anticorpale, in genere dura 1 settimana. Si può verificare quando vengono usate l’aminopirina, il propiltiouracile o la penicillina. Altri farmaci (p. es., le fenotiazine) possono causare neutropenia se somministrati in dosi tossiche. Di contro, le reazioni idiosincrasiche non sono prevedibili in base al dosaggio o alla durata d’uso e si manifestano con farmaci come il cloramfenicolo. Le reazioni di ipersensibilità acuta (p. es., quelle causate da fenitoina o fenobarbital) possono durare solo per pochi giorni, ma l’ipersensibilità e le reazioni croniche possono durare per mesi o anni. Le reazioni d’ipersensibilità sono rare e occasionalmente possono coinvolgere i metaboliti dell’ossido di arene (generato nel fegato) di anticonvulsivanti aromatici, cioè, la fenitoina, il fenobarbital. Spesso febbre, rash, linfoadenopatia, epatite, nefrite, polmonite o anemia aplastica possono associarsi alla neutropenia indotta dall’ipersensibilità. Occasionalmente, la neutropenia indotta da farmaci può essere asintomatica nonostante la neutropenia, specialmente nei pazienti la cui conta dei GB viene regolarmente monitorata durante la terapia. Una diminuita produzione di neutrofili è un frequente e spesso iniziale aspetto di anemia megaloblastica causata da una carenza di B12 o folato, sebbene sia di solito accompagnata da anemia macrocitica e talora da modesta trombocitopenia. L’alcol può inibire la risposta del midollo all’infezione quando i pazienti sviluppano malattie quali la polmonite pneumococcica. La carente produzione di neutrofili può avvenire quando una leucemia, un mieloma, un linfoma o tumori solidi metastatici (p. es., della mammella, della prostata) infiltrano e sostituiscono il midollo osseo. La mielofibrosi indotta da tumore può ulteriormente accentuare la neutropenia. La mielofibrosi può anche derivare da infezioni granulomatose, dal morbo di Gaucher e da radioterapia. La Neutropenia può anche derivare da insufficienza midollare, come si riscontra in rare condizioni (p. es., la sindrome di Schwachman-Diamond, l’ipoplasia cartilagine-capelli, la discheratosi congenita, la malattia tipo IB di deposito del glicogeno). La neutropenia è anche un aspetto prominente della mielodisplasia ed è accompagnata da aspetti megaloblastoidi nel midollo osseo (v. Cap. 130). Splenomegalia di qualsiasi causa (v. Cap. 141) può portare a una modesta neutropenia, trombocitopenia e anemia. Una neutropenia transitoria spesso accompagna le infezioni virali (p. es., stadio iniziale della mononucleosi infettiva) e la sepsi è una causa particolarmente grave di neutropenia. La neutropenia associata alle comuni affezioni virali dell’infanzia si manifesta durante i primi 1-2 giorni di malattia e può persistere per 3-8 giorni. Essa corrisponde a un periodo di viremia acuta e ed è correlata a una redistribuzione indotta dal virus dei neutrofili dal compartimento circolante a quello di marginazione. Il sequestro dei neutrofili può avvenire dopo il danno virale dei tessuti. Neutropenia da moderata a grave può anche essere associata a un’ampia varietà di altre infezioni (v. Tab. 135-2). Neutropenia cronica spesso accompagna l’infezione da HIV, il risultato di una

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Leucopenia e linfocitopenia

carente produzione di neutrofili e di una accelerata distruzione di neutrofili da parte di anticorpi (v. Cap. 145). Neutropenie autoimmuni possono associarsi alla presenza di anticorpi circolanti antineutrofili e possono manifestarsi isolatamente o con malattie associate. Neutropenia causata da difetti intrinseci delle cellule mieloidi o nei loro precursori: questo tipo di neutropenia non è comune. La neutropenia ciclica è un raro disordine granulocitopoietico congenito. Può essere trasmesso in modo autosomico dominante ed è caratterizzato da irregolari, periodiche oscillazioni del numero dei neutrofili periferici. Il periodo oscillatorio medio è di 21 ± 3 giorni. La neutropenia grave congenita (sindrome di Kostmann) è un raro disordine che si manifesta sporadicamente negli USA ed è caratterizzato da un arresto della maturazione mieloide a uno stadio promielocitico midollare, determinando una conta assoluta dei neutrofili < 200/µl. La neutropenia cronica idiopatica rappresenta un gruppo di non comuni, scarsamente compresi disordini che coinvolgono cellule staminali commissionate della serie mieloide; sono presenti un normale numero di precursori dei GR e delle piastrine. Non è presente splenomegalia. Il grado di suscettibilità alle infezioni è quasi proporzionale alla conta ematica dei neutrofili nei pazienti con conte assolute dei neutrofili < 500/µl.

Sintomi e segni Alcuni pazienti con neutropenia cronica con conte dei neutrofili < 200/µl non hanno esperienza di molte infezioni gravi, probabilmente poiché il resto del sistema immunitario rimane intatto. Comunemente, tuttavia, i pazienti con neutropenia ciclica o neutropenia grave congenita presentano ulcere orali, stomatiti o faringite associata a ingrandimento linfonodale nel corso degli stati di grave neutropenia. Si manifestano spesso polmoniti e periodontiti croniche. I pazienti la cui neutropenia è secondaria a disordini di produzione acquisiti, derivanti da cancro o da chemioterapia, sviluppano con maggiore probabilità gravi infezioni batteriche, poiché il loro sistema immunitario è globalmente compromesso. L’integrità della pelle e delle membrane mucose, il supporto vascolare ai tessuti e lo stato nutrizionale del paziente influenza anche il rischio di infezioni nella neutropenia acuta. I pazienti con infezioni piogeniche tendono ad avere febbre > 38,3°C. Le infezioni piogeniche che si manifestano più frequentemente nei pazienti con profonda neutropenia sono la cellulite cutanea, gli ascessi epatici, la furuncolosi, la polmonite e la setticemia. Spesso si manifestano stomatite, gengivite, infiammazione perirettale, colite, sinusite e otite media.

Diagnosi La diagnosi di neutropenia di solito si sospetta in un paziente con infezioni frequenti, gravi o usuali e viene confermata da basse conte ematiche. Si deve allora ricercare la causa e valutare il rischio delle infezioni. La neutropenia isolata assoluta ha un limitato numero di cause. Durante l’esame obiettivo, particolare attenzione deve essere diretta ai più comuni siti primari di infezione: spesso le superfici mucose, quali il tratto alimentare (gengive, faringe), dove il danno indotto dalla chemioterapia può consentire l’invasione di organismi colonizzanti o la pelle, dove cateteri vascolari possono fungere da porta di infezione. Altri siti comuni di infezione includono i polmoni, il peritoneo, i siti di aspirazione del midollo osseo e di prelievo venoso e le unghie. La durata e la gravità della neutropenia influenza grandemente il grado della file:///F|/sito/merck/sez11/1351003.html (3 of 8)02/09/2004 2.13.43

Leucopenia e linfocitopenia

valutazione laboratoristica. Neutropenia acuta: la valutazione di una sospetta infezione nella neutropenia acuta è particolarmente difficile poiché i tipici segni di infiammazione possono essere marcatamente depressi o assenti. Almeno due batterie di emocolture per batteri e funghi si devono ottenere da tutti i pazienti febbrili. Se è presente un catetere EV a dimora, le colture devono essere ottenute dal lume e dalla vena periferica. Drenaggi persistenti o cronici devono essere valutati per micobatteri atipici, mentre lesioni cutanee sospette devono essere aspirate o biopticate per la citologia e l’esame colturale. L’urinocoltura è indicata se sono presenti i sintomi o i segni di infezione delle vie urinarie. Se è presente diarrea, le feci devono essere studiate per batteri enteropatogeni e per le tossine di Clostridium difficile. Le radiografie dei seni facciali possono aiutare se sono presenti i sintomi o i segni di sinusite (cioè cefalea, edema facciale, rinorrea). Neutropenia cronica: i pazienti con neutropenia cronica dall’infanzia e con una storia di febbri ricorrenti e di gengivite cronica debbono eseguire per tre volte/ sett. per 6 settimane una conta dei GB e una formula differenziale per valutare la periodicità, suggestiva di neutropenia ciclica. L’aspirato midollare e la biopsia ossea possono essere d’ausilio per la diagnosi e nel determinare la cellularità. Altri studi del midollo (p. es., l’analisi citogenetica, colorazioni speciali per individuare una leucemia e altri disordini maligni) devono essere condotti per i pazienti con sospetto di difetti intrinseci nelle cellule mieloidi o nei loro precursori e per i pazienti con sospetto di patologie maligne. La scelta di ulteriori esami di laboratorio è determinata dalla durata e dalla gravità della neutropenia e dalle risultanze dell’esame obiettivo. Anticorpi antineutrofili sono associati a neutropenia immunologica. Vari test per la ricerca di anticorpi sono stati utilizzati per studiare i pazienti con sospetto di neutropenia autoimmune; tutti i test misurano direttamente l’anticorpo nei neutrofili del paziente o misurano indirettamente l’anticorpo nel siero del paziente. La loro specificità e sensibilità non sono ben definite.

Terapia Neutropenia acuta: la terapia della neutropenia transitoria acquisita caratteristicamente associata a tumori maligni, a chemioterapia mielosoppressiva (v. Cap. 144) o a terapia immunosoppressiva differiscono da quella della forma congenita o di quella cronica. I pazienti con infezioni di solito si presentano solo con febbre. Le infezioni sono la maggiore causa di morte in questi pazienti, che devono quindi essere gestite con alto grado di sospetto. Il riconoscimento e la terapia precoci delle infezioni possono salvare la vita. Se una neutropenia acuta è sospettata essere in correlazione a farmaci, tutti i farmaci potenzialmente nocivi devono essere interrotti immediatamente. La terapia empirica con antibiotici ad ampio spettro rimane la pietra angolare della terapia iniziale nei pazienti neutropenici con febbre acuta. Si deve assumere che tali pazienti abbiano una grave infezione batterica e bisogna prontamente somministrare antibiotici ad ampio spettro, ordinariamente somministrati EV a dosi massimali mentre gli studi diagnostici sono in corso. Nella maggior parte delle situazioni, cateteri vascolari a permanenza possono rimanere in sede anche se la batteriemia è sospettata o documentata, ma essi devono essere rimossi il più rapidamente possibile. Stafilococchi coagulasinegativi e lo Staphylococcus aureus sono le specie batteriche più comuni che causano infezioni associate al catetere. Mentre le infezioni causate da stafilococchi coagulasi-negativi in genere rispondono bene al trattamento antimicrobico, le infezioni associate a S. aureus, Bacillus sp, Corynebacterium sp o Candida in genere richiedono la rimozione del catetere e una terapia antimicrobica. La scelta di un regime per qualsiasi paziente deve essere basata sulla conoscenza della suscettibilità antimicrobica dei patogeni predominanti riscontrati file:///F|/sito/merck/sez11/1351003.html (4 of 8)02/09/2004 2.13.43

Leucopenia e linfocitopenia

in una particolare istituzione. Si deve prendere in considerazione, anche, la potenziale tossicità di un regime quando si inizia una terapia. La Tab. 135-3 elenca tre regimi utilizzabili. A causa del rischio di colonizzazione e delle possibili conseguenti infezioni da organismi resistenti, deve essere scoraggiata la routinaria indiscriminata inclusione della vancomicina come terapia empirica antimicrobica per la febbre nei pazienti neutropenici. Se le colture risultano positive è necessario modificare l’antibiotico-terapia in rapporto alla sensibilità dei microrganismi presenti, continuando la loro somministrazione per almeno 7-10 gg. Se un paziente sfebbra rapidamente, nell’arco di 72 ore, gli antibiotici devono essere continuati per almeno 7 giorni e fino a quando il paziente è libero da significativi sintomi e segni di infezione. Sebbene la terapia antibiotica è di solito continuata fino a quando la conta dei neutrofili è > 500/µl, l’interruzione della copertura antibiotica può essere presa in considerazione in pazienti selezionati, specialmente quelli nei quali la neutropenia è prolungata e i segni e i sintomi di infiammazione si sono risolti. La febbre che non si risolve in 72 ore nonostante la terapia antibiotica ad ampio spettro suggerisce una causa non batterica o un’infezione con specie batteriche resistenti al regime empirico scelto, una superinfezione da una seconda specie batterica, un livello inadeguato di antibiotici nel siero o nei tessuti o una infezione localizzata in un sito vascolare (p. es., un ascesso). Pazienti neutropenici con febbre devono essere rigorosamente rivalutati al 4° o 5° giorno. Se un paziente sta procedendo bene da un punto di vista clinico, il regime antibiotico iniziale può essere continuato. Se la situazione clinica sta peggiorando, il regime antibiotico deve essere modificato. In molte situazioni, l’aggiunta di vancomicina al regime terapeutico è giustificata. Poiché l’infezione fungina è una significativa causa di febbre persistente nei pazienti neutropenici, una terapia empirica con anfotericina B deve essere aggiunta al regime terapeutico nei pazienti neutropenici la cui febbre non risponde entro 7 giorni alla terapia antibiotica ad ampio spettro. Se un paziente non presenta una scomparsa della febbre dopo 3 settimane di terapia antibiotica empirica, incluse due settimane con anfotericina B, allora deve essere considerata l’interruzione di tutti i farmaci antibiotici e rivalutata la causa della febbre. Il ruolo della profilassi antibiotica in pazienti neutropenici non febbrili rimane controverso. Il trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX) è efficace nella prevenzione della polmonite da Pneumocystis carinii nei pazienti neutropenici e in quelli non neutropenici con deficit dell’immunità cellulo-mediata. Inoltre, il TMPSMX può ridurre la frequenza delle infezioni batteriche nei pazienti che si prevede essere profondamente neutropenici per > 1 settimana. Lo svantaggio della profilassi con TMP-SMX include gli effetti collaterali sfavorevoli, la potenziale mielodepressione, lo sviluppo di batteri resistenti e di candidiasi orale. La profilassi antifungina con anfotericina B o fluconazolo è stata valutata anche nei pazienti neutropenici ad alto rischio di sviluppare infezioni fungine (p. es., dopo trapianto di midollo osseo). Tuttavia, una profilassi antifungina sistemica non è raccomandata nella terapia routinaria dei pazienti neutropenici. L’uso di glucocorticoidi, steroidi androgeni e vitamine per stimolare il midollo osseo a produrre più neutrofili non è stato dimostrato avere successo. Due fattori di crescita (citochine), il fattore di stimolazione della colonia granulocitica (GCSF) e il fattore di stimolazione della colonia granulocitico-macrofagica (GMCSF), sono diffusamente utilizzati per prevenire la febbre e le infezioni nei pazienti con neutropenia grave (p. es., dopo trapianto di midollo osseo e chemioterapia intensiva oncologica). La terapia con citochine è costosa; tuttavia, se il rischio di neutropenia febbrile è 30%, il costo del G-CSF è giustificato. In generale, la maggior parte del beneficio clinico si verifica quando il G-CSF è somministrato circa 24 ore dopo il completamento della chemioterapia. Dosi di 5 µg/kg/die SC sono spesso efficaci. Il G-CSF e il GM-CSF accelerano il ritorno della conta dei neutrofili a valori > 500/ in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo o a chemioterapia intensiva.

µl

Per ridurre il disagio provocato dalle ulcerazioni orofaringee, si possono effettuare dei gargarismi con soluzione fisiologica o con acqua ossigenata con

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intervalli di qualche ora o con pastiglie anestetiche (benzocaina 15 mg ogni 3 o 4 h) o sciacqui della bocca con clorexidina (soluzione all’1%). Il mughetto viene trattato con colluttori a base di nistatina (400000-600000 U qid). Nei pazienti con mucosite acuta può rendersi necessaria una dieta semisolida o liquida. Neutropenia cronica: la produzione dei neutrofili nella neutropenia congenita, ciclica e idiopatica può essere migliorata dalla somministrazione di G-CSF alla dose di 3-10 µg/kg/die SC. Questa terapia è indicata nei pazienti liberi da ulcere della bocca e da altri tipi di infiammazione orofaringea, febbre, cellulite e altre infezioni batteriche documentate. I benefici sono prolungati e i pazienti possono essere mantenuti con una somministrazione di G-CSF giornaliera o a giorni alterni per mesi o anni senza perdita di efficacia. Terapia a lungo termine con GCSF è stata anche utilizzata per prevenire la neutropenia in altre circostanze, compresa la mielodisplasia, l’HIV, l’AIDS e disordini autoimmuni. In generale, la conta dei neutrofili aumenta, sebbene i benefici clinici di questa terapia sono meno chiari, specialmente per pazienti che non presentano una neutropenia grave. Pazienti con neutropenia causata da una reazione idiosincrasica a farmaci possono anche beneficiare del G-CSF, particolarmente se è anticipata una ripresa ritardata. Finora, tuttavia, sono stati riportati solo trial non controllati nell’ultimo tipo di situazione. In alcuni pazienti con aumentato turnover cellulare causato da una patologia autoimmune, la somministrazione di corticosteroidi (di solito, il prednisone alla dose di 0,5-1,0 mg/kg/die PO) migliorerà la conta dei neutrofili; questo miglioramento può essere spesso mantenuto con un regime terapeutico a giorni alterni. La splenectomia fa incrementare il numero dei neutrofili in alcuni pazienti con splenomegalia e sequestro splenico dei neutrofili (p. es., nella sindrome di Felty, tricoleucemia). Tuttavia, la splenectomia deve essere riservata per i pazienti con neutropenia grave (cioè < 500/µl) e con seri problemi infettivi poiché essa predispone il paziente alle infezioni da organismi incapsulati (v. Cap. 141).

LINFOCITOPENIA Una conta linfoacitaria totale < 1000/µl negli adulti o < 3000/µl nei bambini < 2 anni. La conta linfocitaria normale negli adulti è 1000-4800/µl e nei bambini con meno di due anni, 3000-9500/µl. All’età di 6 anni, il limite inferiore normale è 1500/µl. Quasi il 65% dei linfociti T ematici è rappresentato da cellule T CD4+ (helper). La maggior parte dei pazienti con linfocitopenia ha una riduzione del numero assoluto delle cellule T, particolarmente del numero delle cellule T CD4+. Il numero medio di cellule T CD4+ nel sangue di adulti è 1100 µl (range, 300-1300/ µl) e il numero medio di cellule dell’altro grande sottogruppo di cellule T, quelle CD8+ (suppressor), è 600 µl (range, 100-900/µl).

Eziologia La linfocitopenia congenita può essere associata a malattie da immunodeficienza congenita (v. Tab. 135-4 e anche il Cap. 147), che possono anche avere un’anomalia quantitativa o qualitativa della cellula staminale che determina una linfocitopoiesi insufficiente. Limfocitopenia associata ad altre cause, quali la sindrome di Wiskott-Aldrich, può derivare da una accelerata distruzione di cellule T. Un meccanismo simile è presente in pazienti con deficit di adenosina- deaminasi e deficit di purin-nucleoside-fosforilasi. La linfocitopenia acquisita si riferisce alle sindromi associate a deplezione di linfociti ematici non secondaria a malattie congenite. L’AIDS è la più comune malattia infettiva associata a linfocitopenia, che deriva da distruzione dei linfociti file:///F|/sito/merck/sez11/1351003.html (6 of 8)02/09/2004 2.13.43

Leucopenia e linfocitopenia

T CD4+ infettati dall’HIV (v. anche Cap. 145). La linfocitopenia può anche riflettere un’insufficiente produzione e proliferazione linfocitaria derivante dalla distruzione della normale architettura timica o linfoide. Altre affezioni virali e batteriche possono associarsi a linfocitopenia. In alcuni casi di viremia acuta, i linfociti possono subire una distruzione accelerata da infezioni attive da parte del virus, possono essere intrappolati nella milza o nei linfonodi o possono migrare nel tratto respiratorio. La linfocitopenia jatrogena è causata dalla chemioterapia citotossica, dalla radioterapia e dalla somministrazione di globulina antilinfocitaria. La terapia a lungo termine della psoriasi con psoralene e radiazioni ultraviolette possono distruggere i linfociti T. I glucocorticoidi possono causare linfocitopenia attraverso distruzione cellulare. Malattie sistemiche associate ad autoimmunità (p. es., LES, AR, miastenia gravis) possono indurre linfocitopenia. Condizioni quali l’enteropatia protidodisperdente possono associarsi a deplezione linfocitaria.

Sintomi, segni e diagnosi La linfocitopenia, in genere, non causa sintomi ed è generalmente messa in evidenza durante la diagnosi di altre affezioni, particolarmente infezioni virali, fungine o parassitarie. La conta linfocitaria stabilisce la presenza di linfocitopenia. Le sottopopolazioni linfocitarie possono essere misurate con citometria a flusso multiparametrica, che utilizza l’assetto dell’espressione degli antigeni per classificare e caratterizzare queste cellule. I pazienti linfocitopenici sperimentano infezioni ricorrenti, spesso presentano risposte inusuali ad agenti infettivi benigni o sviluppano infezioni da organismi inusuali. Una polmonite da Pneumocystis carinii, da citomegalovirus, da rosolia o da varicella suggerisce una potenziale immunodeficienza; una polmonite determinata da una di queste infezioni è spesso fatale. Questi pazienti presentano anche una più alta incidenza di tumori maligni e di disordini autoimmuni. Essi possono avere tonsille o linfonodi assenti o di ridotte dimensioni, indicativi di immunodeficienza cellulare; anomalie cutanee, quali alopecia, eczema, piodermiti o telangiectasia; evidenza di malattia ematologica, come pallore, petecchie, ittero o ulcere orali e linfoadenopatia generalizzata con splenomegalia, che può suggerire una malattia da HIV. Poiché l’80% dei pazienti con immunodeficienza primaria ha una deficienza anticorpale, i test per la produzione di anticorpi e la misura dei livelli di immunoglobuline sono appropriati. Pazienti con una storia di infezioni ricorrenti devono essere sottoposti ad altri test per immunodeficienza anche se i test di screening iniziali sono normali. Questi test sono descritti in dettaglio nel Cap. 147. Conte di neutrofili molto basse potrebbero indicare una neutropenia grave congenita, una neutropenia ciclica, una neutropenia cronica grave, un’insufficienza midollare e sostituzione da parte di cellule tumorali o di altre cellule emopoietiche. La consapevolezza degli aspetti clinici di disordini da immunodeficienza porterà a una più razionale interpretazione dei risultati dei test diagnostici.

Terapia La linfocitopenia associata a stress, somministrazione di corticosteroidi, chemioterapia o irradiazione è, di solito, reversibile quando è rimosso l’agente o il fattore scatenante. L’efficace trattamento della malattia di base associata alla linfocitopenia (p. es., malattia infettiva, infiammatoria e tumorale maligna) di solito determina un aumento della conta dei GB. La prevenzione e il trattamento dei disordini da immunodeficienza primaria sono descritti nel Cap. 147.

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Leucopenia e linfocitopenia

Il trattamento ottimale dei pazienti con malattia da HIV richiede l’identificazione e il trattamento delle infezioni attive nei pazienti che manifestano un’immunodeficienza grave, profilassi primaria e secondaria per prevenire infezioni opportunistiche nuove o ricorrenti e il trattamento dell’infezione primaria da HIV per rallentare il deterioramento immunologico. La terapia farmacologica è concepita per massimizzare i benefici clinici, prevenire o minimizzare la tossicità e mantenere il benessere e la funzione.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 135-1. Classificazione delle neutropenie Classificazione Neutropenie secondarie*

Eziologia Sostituzione midollare da tumori maligni, mielofibrosi, granuloma, cellule di Gaucher Neutropenia secondaria a radiazioni, chemioterapia citotossica, immunosoppressione Neutropenia associata a deficit di folato o vitamina B12 Alcolismo Infezione Neutropenia autoimmune MalattiaTγ-linfoproliferativa Neutropenia da farmaci Ipersplenismo

Neutropenia Neutropenia ciclica dovuta a difetti intrinseci delle Neutropenia congenita grave (Sindrome di cellule mieloidi o Kostmann) dei loro precursori† Neutropenia idiopatica, inclusa la neutropenia benigna Neutropenia associata a disgammaglobulinemia Neutropenia secondaria ad altre patologie (p.es., sindrome di Schwachman- Diamond, ipoplasia capelli-cartilagine, discheratosi congenita, malattia da deposito di glicogeno di tipo IB) Mielodisplasia

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Manuale Merck - Tabella

*Disordini comuni †Disordini rari Adattata da Boxer LA:" Approach to the patient with leukopenia", in Textbook of Internal Medicine, 3 ed., edito da WN Kelley. Philadelphia, Lippincott-Raven Publishers, 1997, pp.1299-1305

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Disordini della milza

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 141. DISORDINI DELLA MILZA (v. anche Sindromi da deficit splenico nel Cap. 147)

SINDROMI SPLENOMEGALICHE Malattie mieloproliferative: questi disordini includono la policitemia vera, la mielofibrosi con metaplasia mieloide, la leucemia mielogena cronica e la trombocitemia essenziale (v. Cap. 130). La milza si ingrandisce, particolarmente con la mielofibrosi, nella quale il midollo osseo è completamente distrutto e la milza assume una crescente funzione ematopoietica. La splenomegalia può essere massiva e la splenectomia può essere di beneficio se le indicazioni sopra descritte sono rispettate (v. Tab. 141-2). Disordini linfoproliferativi: nella leucemia linfocitica cronica e nei linfomi, compreso il morbo di Hodgkin, è presente splenomegalia (v. Cap. 138 e Cap. 139). Queste affezioni si accompagnano a linfoadenomegalia, anomalie delle immunoglobuline e alterazioni delle disfunzioni linfocitaria (p. es., anergia). In questi casi il reperto di elementi linfoidi che infiltrano il midollo aiuta a fare diagnosi. Lipidosi: i glicocerebrosidi (nella malattia di Gaucher) o le sfingomieline (nella malattia di Niemann-Pick) possono accumularsi nella milza. Nella malattia di Gaucher l’ipersplenismo può essere l’unico problema importante; la splenectomia risulta utile, anche se tuttavia dopo l’intervento i glicolipidi possono accumularsi nel fegato e nelle ossa in misura anche maggiore (V. anche Cap. 150). Disordini vascolari del collagene: splenomegalia e leucopenia possono coesistere nel LES e nell’AR. Quando l’AR si associa alla splenomegalia e alle leucopenia, la malattia prende il nome di sindrome di Felty: la neutropenia può essere grave e associata a infezioni ricorrenti. La patogenesi della splenomegalia in questa sindrome è sconosciuta; la splenectomia dà buoni risultati soltanto nel 50% circa dei casi, probabilmente a causa dell’eccesso di complessi immuni (p. es., fattore reumatoide o IgG) che producono la marginazione dei neutrofili lungo la parete dei vasi. In presenza di AR e splenomegalia deve essere presa in considerazione anche l’eventualità di un’amiloidosi della milza. Un indizio comune è l’associata evidenza di corpi di Howell-Jolly nei GR circolanti. Splenomegalia congestizia (sindrome di Banti): la cirrosi epatica, la trombosi della vena porta o della vena splenica e alcune malformazioni del circolo portale possono provocare un aumento protratto della pressione nel sistema venoso della milza. In questi casi il sanguinamento dalle varici esofagee può essere reso più imponente dalla concomitante piastrinopenia dovuta alla splenomegalia. È di aiuto alla diagnosi la splenoportografia e la RMN che possono mettere in evidenza o escludere un’eventuale ostruzione della vena porta a livello extraepatico. Il trattamento è determinato dalla patologia di base.

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Linfomi

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 139. LINFOMI Gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dai sistemi reticoloendoteliale e linfatico.

MORBO DI HODGKIN Proliferazione maligna disseminata o localizzata di cellule tumorali derivanti dal sistema linforeticolare, primariamente coinvolgente il tessuto linfonodale e il midollo osseo.

Sommario: Incidenza ed eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Stadiazione Terapia

Incidenza ed eziologia Ogni anno negli USA vengono diagnosticati 6000-7000 nuovi casi di malattia. Il rapporto tra sesso maschile e femminile è 1,4:1. Questa malattia è rara al di sotto dei 10 anni di età e ha una distribuzione bimodale con un picco di maggiore incidenza tra 15 e 34 anni e un secondo picco dopo i 60 anni. Tuttavia, il secondo picco può essere un artefatto di inaccurate diagnosi patologiche, poiché la maggior parte dei casi diagnosticati dopo i 60 anni è rappresentata da linfomi non Hodgkin di grado intermedio (v. NHL, oltre). Gli studi epidemiologici non hanno dimostrato alcuna diffusione orizzontale. La causa è sconosciuta, ma i pazienti con morbo di Hodgkin sembrano avere una suscettibilità genetica (come dimostrato negli studi su gemelli) e associazioni ambientali (p. es., l’occupazione, come per i falegnami; l’infezione da virus di Epstein-Barre; l’infezione da HIV).

Anatomia patologica La diagnosi dipende dall’identificazione delle cellule di Reed-Sternberg (grandi cellule binucleate) nei linfonodi o in altre aree. L’infiltrato cellulare è eterogeneo e consiste di istiociti, linfociti, monociti, plasmacellule ed eosinifili. Il morbo di Hodgkin ha quattro sottotipi istopatologici (v. Tab. 139-1). Le cellule di Reed-Sternberg sono di solito CD15+ e CD30+ all’analisi immunofenotipica. Il morbo di Hodgkin a predominanza linfocitaria può essere confuso con il NHL a cellule B ricco in cellule T; il morbo di Hodgkin a sclerosi nodulare, a cellularità mista e a deplezione linfocitaria possono essere confusi con il NHL anaplastico Ki-1 a grandi cellule.

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Linfomi

Sintomi e segni I sintomi e i segni correlano primariamente con il sito, la quantità e l’estensione del coinvolgimento della massa nodale. La maggior parte dei pazienti presenta adenomegalia cervicale e mediastinica, senza sintomi di interessamento sistemico. Quando la malattia diffonde attraverso il sistema reticoloendoteliale, progredendo generalmente per contiguità da un sito all’altro, si rendono evidenti altre manifestazioni. La velocità di progressione varia in accordo al sottotipo istopatologico (v. Tab. 139-1). Un sintomo precoce è il prurito intenso; quando c’è l’interessamento dei linfonodi profondi (pacchetti mediastinici o retroperitoneali), dei visceri (fegato) o del midollo osseo compaiono frequentemente febbre, sudorazione notturna e perdita di peso. Soltanto occasionalmente compare la febbre di Pel-Ebstein (caratterizzata da brevi periodi di iperpiressia alternati a periodi di durata variabile, da alcuni giorni a diverse settimane, di temperatura normale o al di sotto della norma). Sebbene il meccanismo non sia chiaro, un dolore immediato può manifestarsi nelle aree malate dopo aver bevuto bevande alcoliche, fornendo un indizio precoce per la diagnosi. La localizzazione ossea è spesso asintomatica, ma può produrre lesioni vertebrali dolorose di tipo osteoblastico (vertebre "di avorio") e, più raramente, di tipo osteolitico con fratture da compressione. Pancitopenia è occasionalmente causata da invasione midollare, di solito nella varietà a deplezione linfocitaria. L’invasione epidurale può portare a compressione del midollo spinale, con secondaria paraplegia. Un’eventuale compressione dei linfonodi ingranditi sui nervi simpatico cervicale e laringeo ricorrente può comportare la sindrome di Horner e la paralisi laringea. La compressione delle radici nervose è seguita da dolore di tipo nevralgico. Raramente si sviluppano lesioni intracraniche, gastriche e cutanee, che, se presenti, suggeriscono una malattia di Hodgkin associata a HIV. L’ostruzione dei dotti biliari intra- o extra-epatici da parte di masse tumorali determina la comparsa di ittero. L’ostruzione linfatica a livello della pelvi o dell’inguine può determinare edema degli arti inferiori. Mentre la compressione tracheobronchiale può accompagnarsi a dispnea grave e a respiro sibilante. L’infiltrazione del parenchima polmonare può simulare una massa lobare o una broncopolmonite e può evolvere in caverna o ascesso polmonare. La maggior parte dei pazienti mostra un deficit dell’immunità ritardata o cellulomediata (funzione cellule T) che contribuisce, nelle fasi avanzate delle malattia, all’instaurarsi di infezioni batteriche da germi comuni e di infezioni inconsuete, fungine, virali e protozoarie (v. Cap. 151). Negli stadi molto avanzati della malattia si instaura anche un deficit dell’immunità umorale (produzione di anticorpi) o della funzione dei linfociti B. Compare la cachessia e il paziente spesso muore per sepsi.

Esami di laboratorio Può essere presente una lieve o moderata leucocitosi con neutrofilia. Precocemente compare la linfocitopenia che diventa grave nella fase avanzata della malattia. Nel 20% circa dei casi è presente eosinofilia e, talvolta, trombocitosi. Nelle fasi avanzate è comune l’anemia, di solito microcitica. Nelle fasi avanzate dell’anemia, c’è un difetto nella riutilizzazione del Fe che si associa a bassa sideremia, ridotta capacità legante il Fe e aumento dei depositi midollari di Fe. Possono comparire i segni dell’ipersplenismo, ma di solito ciò si verifica nei pazienti con marcata splenomegalia. L’aumento della fosfatasi alcalina sierica indica solitamente un coinvolgimento del midollo osseo o del fegato, oppure di entrambi. L’aumento della fosfatasi alcalina leucocitaria, dell’aptoglobina sierica, della VES, della cupremia e di altri fattori reattivi della fase acuta indica, in genere, una malattia in fase attiva.

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Linfomi

Diagnosi Il complesso sintomatologico di linfoadenomegalia (specialmente cervicale), adenopatia mediastinica, sudorazione notturna e perdita di peso, con o senza febbre, è suggestivo per linfoma; tuttavia, la conferma diagnostica della malattia di Hodgkin si può definitivamente ottenere dalla biopsia, che mette in evidenza le cellule di Reed-Sternberg in una caratteristica disposizione istologica. Il morbo di Hodgkin è molto raro in assenza di linfoadenopatia. Frustoli bioptici si possono ottenere dal midollo, del fegato o di altri parenchimi. Talora è importante il rilievo di reattività di anticorpi monoclonali con le cellule di Red-Stenberg (p. es., LeuM1 [CD15]e CD30 [Ber-H2]) per differenziare tale malattia dai linfomi non Hodgkin. Il morbo di Hodgkin può essere difficile da differenziare dalla linfoadenopatia causata dalla mononucleosi infettiva, toxoplasmosi, citomegalovirus, NHL o leucemia. Il quadro clinico del morbo di Hodgkin può anche simulare un carcinoma polmonare, una sarcoidosi una tubercolosi o, ancora, una delle tante malattie il cui aspetto predominante è la splenomegalia (v. Cap. 141).

Stadiazione La radioterapia, la chemioterapia, o entrambi questi presidi terapeutici, possono risultare potenzialmente curativi, ma è indispensabile definire per prima cosa l’estensione o il grado della malattia. Generalmente si fa riferimento alla stadiazione di Ann Arbor (v. Tab. 139-2). La modificazione Cotswold della classificazione Ann Arbor utilizza X per designare un sito di malattia voluminoso (> 1/3 del diametro del torace o > 10 cm di diametro). Procedure non invasive per la stadiazione includono la TC del torace, addome e pelvi e una scintigrafia con il gallio. La scintigrafia e la RMN ossea non sono in genere richieste. La linfoadenografia a entrambi gli arti inferiori può essere indicata in pazienti con scansioni TC addominali e pelviche normali. Studi clinici che tentano di rivelare la malattia sotto il diaframma possono essere falsamente positivi o negativi nel 25-33% dei pazienti. La laparotomia (inclusa la splenectomia), la biopsia dei linfonodi mesenterici e retroperitoneali (specialmente quelli aumentati di volumi alla TC o alla linfoangiografia) e la biopsia osteomidollare ed epatica devono essere prese in considerazione quando le decisioni terapeutiche saranno significativamente influenzate. Tuttavia, le indicazioni alla laparotomia sono state significativamente ridotte in anni recenti. Solo i pazienti il cui stadio clinico è IIA o meno e nel quale è pianificata un’irradiazione a mantellina possono essere presi in considerazione. Se il paziente deve ricevere chemioterapia, la laparotomia per stadiazione non è necessaria.

Terapia La chemio- e la radioterapia curano la maggior parte dei pazienti. La malattia linfonodale può essere eradicata in > 95% dei casi con 4-4,5 sett. di trattamento con 4000-4400 cGy nel campo trattato. Inoltre, l’irradiazione della regione adiacente (terapia a campi allargati) con 3600 cGy è standard, dal momento che la malattia si diffonde per contiguità attraverso la via linfatica. Pazienti con sottoclassificazione E possono anche rispondere alla radioterapia, sebbene siano raccomandate radio-e chemioterapia integrate. Il trattamento è basato principalmente su pazienti stadiati dal punto di vista anatomo-patologico, sebbene pazienti selezionati possono essere considerati per una radioterapia primaria senza stadiazione. I pazienti con stadio I e IIA di malattia possono essere trattati con la sola radioterapia utilizzando un campo allargato che include tutte le stazioni linfonodali sopradiaframmatiche e, nella maggior parte dei casi, l’irradiazione dei

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Linfomi

linfonodi periaortici fino alla biforcazione aortica, con la milza e il peduncolo splenico. Questo tipo di trattamento guarisce l’80% circa dei pazienti. La cura si riferisce all’essere libero da malattia dopo 5 anni dalla terapia, dopo di che la ricaduta è molto rara. Nei pazienti con masse linfonodali mediastiniche, la radioterapia da sola ha un alto indice di recidive; perciò viene utilizzata la chemioterapia seguita dalla radioterapia. Questo trattamento può comportare una sopravvivenza libera da malattie nel 75% dei casi. Per pazienti selezionati con stadio di malattia IA e istologia a sclerosi nodulare o predominanza linfocitaria, può essere sufficiente la sola irradiazione a mantellina. Per lo stadio IIIA1 della malattia, l’irradiazione linfonodale totale (a mantellina e a "Y" rovesciata) assicura una sopravvivenza globale dell’85-90% e libera da malattia nel 65-75% dei pazienti a 5 anni dalla diagnosi. In casi selezionati (p. es., solo minima malattia splenica) si sono avuti ugualmente buoni risultati con un’irradiazione meno estesa (con esclusione del campo pelvico). Tuttavia, per la maggioranza dei pazienti che si presentano con stadi clinici IIB e IIIA1, è indicata la chemioterapia e la radioterapia. Per lo stadio IIIA2 della malattia, la polichemioterapia è generalmente usata con o senza irradiazione dei linfonodi colpiti. Con questo protocollo terapeutico sono state ottenute percentuali di guarigione del 75-80%. Poiché la radioterapia da sola non è sufficiente per determinare la guarigione di pazienti in stadio IIIB, è necessaria la polichemioterapia da sola o associata alla radioterapia. La sopravvivenza oscilla dal 70 all’80%. Per lo stadio IVA e B della malattia, la polichemioterapia, in particolare l’associazione MOPP (mecloretamina, vincristina, procarbazide e prednisone) o l’ABVD (doxorubicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina) hanno portato alla remissione completa il 70-80% dei pazienti, con una percentuale > 50% rimasti liberi da malattia a 10-15 anni. Il protocollo ABVD è diventato il regime standard per la maggior parte dei casi sulla base dei risultati di recenti studi randomizzati. Alternanza di protocolli MOPP e ABVD o di combinazioni ibride non si sono dimostrate superiori all’ABVD in studi prospettici. Altri farmaci efficaci sono le nitrosuree, l’ifosfamide, il cis-platino o il carboplatino e l’etoposide. I pazienti che non ottengono la remissione completa o recidivano entro 6-12 mesi hanno una cattiva prognosi. Il trapianto di midollo osseo (TMO) con utilizzo di midollo osseo o di prodotti cellulari periferici è stato tentato in alcuni pazienti selezionati. I regimi convenzionali di salvataggio non sono in genere curativi. Il trapianto autologo può curare fino al 50% dei pazienti che sono fisiologicamente eleggibili per intensificazione di terapia e responsivi alla chemioterapia di induzione di salvataggio. Il trapianto allogenico non si è dimostrato superiore e non è raccomandato. Il trapianto autologo è in via di studio in pazienti selezionati ad alto rischio alla diagnosi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 139-1. SOTTOTIPI ISTOPATOLOGICI DEL MORBO DI HODGKIN Tipo

Aspetto

Incidenza

Progressione

A predominanza linfocitaria

Poche cellule di Reed Sternberg e molti linfociti

3%

Relativamente lenta o indolente

Sclerosi nodulare

Denso tessuto fibroso* circonda i noduli del tessuto di Hodgkin

67%

Intermedia o moderatamente progressiva; relativamente lenta o indolente (occasionalmente)

A cellularità mista

Un moderato 25% numero di cellule di Reed-Stern berg con un infiltrato misto di fondo

Intermedia o moderatamente progressiva; aggressiva

A deplezione linfocitaria

Numerose cellule di 5% Reed-Sternberg ed estesa fibrosi

Aggressiva

*Presenta una caratteristica birifrangenza con luce polarizzata

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 139-2. Stadiazione di Ann Arbor per il morbo di Hodgkin e per i linfomi non Hodgkin Stadio*

Criteri

I

Solo in un linfonodo

II

In due o più linfonodi dello stesso lato del diaframma

III

Nei linfonodi, milza, o entrambi e su entrambi i lati del diaframma

IV

1

Sopra i vasi renali (p.es., milza; linfonodi splenici, ilari, celiaci e portali)

2

Nel distretto addominale inferiore (linfonodi periaortici, pelvici o inguinali) Coinvolgimento extranodale (p. es., midollo osseo, polmone, fegato).

*La sottoclassificazione E indica il coinvolgimento extranodale adiacente a un linfonodo coinvolto (p.es., una malattia dei linfonodi mediastinici e un’adenopatia ilare con infiltrazione polmonare adiacente è classificata come IIE). Gli stadi possono essere ulteriormente classificati come A a indicare assenza o B a indicare la presenza di sintomi costituzionali (perdita di peso, febbre o sudorazione notturna).I sintomi B in genere si verificano con gli stadiIII e IV (20-30%dei pazienti).

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 135-2. Infezioni associate a neutropenia Batteriche Febbre tifoide Febbre paratifica Tubercolosi (disseminata) Brucellosi Tularemia Sepsi da gram-negativi Psittacosi Virali Epatite infettiva Mononucleosi infettiva Influenza Morbillo Rosolia Varicella Virus respiratorio sinciziale Febbre dengue Febbre da zecca del Colorado Febbre gialla Febbre da pappataci

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Manuale Merck - Tabella

Orecchioni Citomegalovirus Virus della coriomeningite linfocitaria Virus della immunodeficienza umana di tipo I Infezioni da rickettsie Febbre maculosa delle Montagne Rocciose Febbre tifoide Rickettsiosi varicelliformi Fungine Istoplasmosi (disseminata) Protozoarie Malaria Leishmaniosi (Kala-azar) Adattata da Boxer LA: "Leukocytes disorders: quantitative and qualitative disorders of the neutrophil, partI. "Pedi atrics in Review" 17:19-28, 1997.

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Malattie ematologiche e neoplasie associate

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 145. MALATTIE EMATOLOGICHE E NEOPLASIE ASSOCIATE Sommario: Introduzione ESAME DEL MIDOLLO OSSEO ANEMIA Terapia TROMBOCITOPENIA Terapia LEUCOPENIA FARMACI ANTIRETROVIRALI SARCOMA DI KAPOSI Patogenesi Sintomi e segni Terapia LINFOMI NON HODGKIN Patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia LINFOMA PRIMITIVO DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE MORBO DI HODGKIN TUMORE DELLA CERVICE TUMORE DELL'ANO

Una citopenia progressiva (anemia, piastrinopenia, leucopenia) insorge comunemente nei pazienti con infezione da HIV. I meccanismi fisiopatologici sono multifattoriali e comprendono gli effetti diretti dell’HIV sui precursori emopoietici, le alterazioni nel microambiente del midollo osseo e la distruzione immunologica delle cellule periferiche del sangue. La gravità di queste alterazioni è correlata alle infezioni o alle neoplasie sovrapposte all’AIDS e agli effetti mielosoppressivi dei trattamenti antiretrovirali, antiinfettivi e antineoplastici. L’AIDS è stato direttamente correlato all’aumentata incidenza di neoplasie maligne. Il sarcoma di Kaposi, il linfoma non Hodgkin e il tumore della cervice sono malattie correlate all’AIDS nei pazienti con infezione da HIV. Altre malattie neoplastiche associate ad AIDS comprendono il morbo di Hodgkin, il tumore dell’ano, il tumore del testicolo, il melanoma, i tumori cutanei non melanomi, il tumore polmonare e i linfomi primitivi del SNC. Il leiomiosarcoma è stato riportato come una rara complicanza dell’infezione da HIV nei bambini.

ESAME DEL MIDOLLO OSSEO Le indicazioni per l’esame del midollo osseo nei pazienti HIV positivi comprendono la valutazione delle citopenie, la stadiazione di neoplasie maligne e gli esami colturali per infezioni occulte. L’esame del midollo osseo può rilevare M. avium intracellulare, M. tuberculosis, criptococco, Histoplasma, Toxoplasma, citomegalovirus, parvovirus umano B19, Pneumocystis carinii e Leishmania. file:///F|/sito/merck/sez11/1451071.html (1 of 7)02/09/2004 2.13.48

Malattie ematologiche e neoplasie associate

La morfologia del midollo osseo in pazienti affetti da AIDS è aspecifica; la maggior parte dei pazienti ha un midollo normo o ipercellulare, nonostante la citopenia periferica. Sono comuni una plasmocitosi lieve o moderata, aggregati linfoidi, aumentato numero di istiociti e alterazioni displastiche delle cellule emopoietiche. I depositi di ferro sono di solito normali o aumentati (ad esempio, nel caso di difetto di riutilizzazione del ferro). Una percentuale fino al 40% dei pazienti con AIDS ricoverati hanno avuto una positività del test di Coombs diretto, dovuto a IgG o al complemento. Questo reperto non è solitamente associato a emolisi clinicamente significativa. I pazienti con infezione da HIV possono avere anche un anticoagulante lupico associato ad allungamento del tempo di tromboplastina parziale attivata in assenza di sanguinamento. Ciò può avere un maggiore significato se associato con patologie che possono predisporre a una diatesi emorragica (piastrinopenia, alterazioni qualitative delle piastrine, ipoprotrombinemia). Questa alterazione può anche portare a trombosi.

ANEMIA L’anemia da insufficiente riutilizzazione del ferro (anemia in corso di malattie croniche v. Cap. 127) insorge in circa 1/4 dei pazienti asintomatici con infezione da HIV. Quando l’AIDS si sviluppa, praticamente tutti i pazienti manifestano un’anemia. Benché molte infezioni in corso di AIDS siano comunemente coinvolte nella genesi di quest’anemia progressiva, due di esse costituiscono un particolare problema: l’infezione cronica da parvovirus umano B19 riduce i precursori dei globuli rossi in presenza di eritropoiesi già insufficiente secondaria alla infezione da HIV e la frequente infezione secondaria da Mycobacterium avium intracellulare determina anch’essa una grave anemia. La diagnosi è spesso facilitata dall’esame morfologico e colturale del midollo osseo. Anche la terapia antiretrovirale può essere causa dell’anemia progressiva.

Terapia Deve essere scoperta e trattata la causa primitiva dell’anemia (p. es., infezione, infiammazione, neoplasie). Tuttavia, un’anemia sintomatica di qualunque causa può essere migliorata con trasfusione di globuli rossi. I pazienti che richiedono emotrasfusioni secondariamente alla somministrazione di zidovudina (AZT) e che hanno livelli di eritropoietina endogena 500 mU/ml possono ridurre il loro fabbisogno di trasfusioni e aumentare i livelli di Hb con la somministrazione di eritropoietina. L’eritropoietina può anche essere usata per trattare l’anemia associata a trattamenti antineoplastici. L’anemia causata da parvovirus può essere migliorata con somministrazione endovena di una preparazione commerciale di immunoglobuline. Per l’anemia dovuta a M. avium intracellulare, è necessario il trattamento dell’infezione stessa.

TROMBOCITOPENIA L’incidenza di trombocitopenia autoimmune è quasi uguale a quella dell’anemia; insorge comunemente durante la fase asintomatica dell’infezione da HIV. In genere, i pazienti presentano un modesto sanguinamento dalle mucose (epistassi, emorragie gengivali) o facilità nel formare ematomi. Le manifestazioni cliniche sono notevolmente minori di quanto ci si aspetterebbe per il basso numero di piastrine. Sono stati identificati vari meccanismi immunologici (p. es.,

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Malattie ematologiche e neoplasie associate

malattia da immunocomplessi, anticorpi antiglicoproteine piastriniche, interazioni con la membrana megacariocitica). Al contrario dei pazienti con porpora trombocitopenica idiopatica (autoimmune) (v. IPT nel Cap. 133), questi pazienti raramente hanno gravi emorragie, generalmente hanno delle remissioni spontanee e frequentemente rispondono alla terapia antiretrovirale.

Terapia La somministrazione per via endovenosa di elevate dosi di γ-globuline può aumentare il numero delle piastrine in caso di emorragia clinicamente importante o in preparazione a intervento chirurgico invasivo. La risposta ai corticosteroidi nella piastrinopenia associata a HIV è molto meno duratura che nella PTI e vi è la preoccupazione per il rischio di un’ulteriore immunosoppressione indotta dai corticosteroidi. La splenectomia è una pratica sicura e relativamente efficace, ma deve essere riservata a casi attentamente selezionati con episodi ripetuti di piastrinopenia sintomatica. Altre terapie che danno risposte variabili comprendono ripetute somministrazioni endovena di γ-globuline, IgG anti-Rh0 (D), vincristina, danazolo e interferone.

LEUCOPENIA La neutropenia è comune in corso di AIDS. Benché l’inefficace emopoiesi e l’ipocellularità midollare ne siano cofattori, la neutropenia significativa (conta assoluta di neutrofili < 1000/µl) è solitamente il risultato della terapia antiretrovirale, antivirale e antimicotica. I fattori di crescita emopoietici stimolanti le colonie granulocitiche, che aumentano il numero dei neutrofili, e il fattore stimolante le colonie di granulociti e di macrofagi, che aumenta neutrofili, eosinofili e monociti, possono annullare gli effetti neutropenizzanti di questi farmaci. La risposta si mantiene solo durante la somministrazione del fattore di crescita. L’HIV determina caratteristicamente una linfocitopenia CD4+; il livello CD4+ può essere utilizzato come marker dello stato dell’infezione da HIV. Le recenti evidenze dell’aumento dei livelli di CD4+ con la terapia di associazione supportano ulteriormente il valore prognostico di questo marker (v. anche Cap. 135).

FARMACI ANTIRETROVIRALI I farmaci antiretrovirali utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV sono stati associati a molti effetti tossici ematologici, che sono più comuni nei pazienti con malattia avanzata (conta di CD4 200/µl). Tra gli analoghi dei nucleosidi, l’AZT induce un’alterazione metabolica nello sviluppo dei precursori dei globuli rossi e aumenta il volume corpuscolare medio. AZT, stavudina, zalcitabina e didanosina sono associate ad anemia e neutropenia, anche se il trattamento con stavudina presenta una ridotta incidenza di citopenia nei pazienti non pretrattati in confronto all’AZT. L’incidenza di piastrinopenia è molto più bassa e spesso i pazienti con piastrinopenia associata a HIV rispondono alla terapia antiretrovirale. Gli inibitori delle proteasi (indinavir, saquinavir, nelfinavir, ritonavir) possono essere associati a citopenia, linfoadenopatie, alterazioni funzionali della milza e linfocitopenia, ma sono usati più comunemente nell’infezione da HIV in fase avanzata. Questi farmaci non incrementano in modo significativo la tossicità ematologica se usati insieme agli analoghi dei nucleosidi. La delavirdina, inibitore non nucleosidico della trascriptasi inversa, può essere file:///F|/sito/merck/sez11/1451071.html (3 of 7)02/09/2004 2.13.48

Malattie ematologiche e neoplasie associate

associato a citopenia, eosinofilia, ecchimosi, alterazioni funzionali della milza e allungamento del tempo di tromboplastina parziale. È associato a riduzione della neutropenia se usato in combinazione all’AZT. La nevirapina è più comunemente associata a neutropenia, anemia e, in minor misura, piastrinopenia.

SARCOMA DI KAPOSI (v. anche Cap. 126.) Il sarcoma di Kaposi (SK) è la più comune neoplasia maligna nei pazienti affetti da AIDS. Negli USA e in Europa, > 90% dei casi di SK sono diagnosticati tra i maschi omosessuali e bisessuali con AIDS. Questa e altre osservazioni epidemiologiche suggeriscono che un altro agente eziologico, probabilmente trasmesso con i rapporti sessuali, può causare il SK. La scoperta di una sequenza di DNA analoga a quella del virus herpes nel SK associato ad AIDS, chiamata herpes virus SK o herpes virus 8 umano (HHV8), e il riscontro di questa sequenza nel liquido seminale e altri liquidi biologici di pazienti con SK associato ad AIDS supportano questa teoria. Sequenze di DNA di HHV8 sono state anche ritrovate nel SK classico e nel SK endemico dell’Africa. Il virus può essere rilevato diversi anni prima della comparsa del SK. Il genoma dell’HHV8 è stato identificato anche nel linfoma associato a HIV (a esclusione dei linfomi delle cavità corporee).

Patogenesi La cellula di origine del SK è probabilmente una cellula vascolare o endoteliale displastica derivante da un precursore cellulare mesenchimale, che può essere trasformata dall’esposizione a un agente infettivo. Il gene transattivante HIV-1 (TAT) e il suo prodotto genico (proteina tat) stimolano la crescita delle cellule di SK in coltura. Ciò può alterare i recettori della cellula e portare all’espressione di recettori per l’oncostatina-M e l’interleuchina (IL) -6. Le cellule di SK producono poi IL-6, che funziona come un fattore autocrino nella stimolazione della crescita delle cellule, e citochine paracrine, che possono stimolare la proliferazione di altre cellule mesenchimali e indurre l’angiogenesi.

Sintomi e segni Il SK spesso si presenta come una placca o una lesione violacea o eritematosa, che può allargarsi e sanguinare. Le lesioni possono causare intenso fastidio e alterazione funzionale, specie se localizzate nella bocca o sul volto, alle piante dei piedi o ai genitali e in regione inguinale. Quando il SK insorge in soggetti con AIDS, non è una malattia indolente come negli altri casi. L’interessamento mucocutaneo può estendersi ai linfonodi locali, con conseguente linfoadenopatia e linfedema massivo. Il SK può interessare anche la mucosa GI ed essere causa di sanguinamento e disturbi del tratto GI superiore. Queste lesioni sono meglio evidenziate con endoscopia delle alte vie e possono essere confermate con biopsia. Il SK può anche causare danni in altri organi, incluso polmone e fegato e portare al decesso.

Terapia La terapia locoregionale, come l’infiltrazione delle lesioni cutanee con vinblastina, bleomicina o interferone; la radioterapia esterna; e la crioterapia sono utilizzate con risultati variabili.

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La terapia sistemica con interferone ad alte dosi ha dato percentuali di risposta fino al 50%, ma l’uso è limitato dalla tossicità e dalla necessità che il paziente sia immunocompetente (conta di CD4 200 µl). Molti farmaci chemioterapici sono stati utilizzati da soli e in combinazione, con percentuali di risposte tra 20 e 80%. Questi farmaci comprendono tossine del fuso, vinblastina e vincristina, etoposide, doxorubicina, bleomicina e paclitaxel. Recentemente, dosi modificate di doxorubicina, bleomicina e vinblastina hanno dato buone percentuali di risposta, ma sono associate a importante tossicità (p. es., alopecia, nausea, vomito, mielodepressione, fibrosi polmonare, cardiotossicità). Con questi regimi di trattamento può essere prolungato l’intervallo libero da sintomi, ma l’effetto sulla sopravvivenza globale, specialmente nei pazienti con metastasi viscerali, è limitato ad alcuni mesi. I farmaci più nuovi per il SK includono le antracicline daunorubicina e doxorubicina veicolate all’interno di liposomi. Questo nuovo sistema di rilascio migliora i parametri farmacocinetici come il picco di concentrazione plasmatica, migliorando così l’efficacia e riducendo la tossicità. In un ampio studio di fase III, la daunorubicina liposomiale si è dimostrata efficace quanto la chemioterapia di combinazione. I farmaci sperimentali comprendono l’IL-4, che riduce l’espressione di IL-6 e oncostatina-M; gli acidi retinoici, che regolano l’espressione delle citochine e inducono la differenziazione cellulare; e gli inibitori della neoangiogenesi.

LINFOMI NON HODGKIN (V. anche Cap. 139.) Fino al 10% dei pazienti con infezione da HIV sviluppa linfomi non Hodgkin (NHL); tale incidenza è più elevata di 60 volte rispetto ai pazienti non infetti da HIV. I pazienti affetti da AIDS con lunga storia di infezione sono a maggior rischio. La maggior parte dei NHL sono linfomi aggressivi a cellule B con sottotipi ad alto grado di malignità, che comprendono i linfomi immunoblastici e i linfomi diffusi a piccole cellule non clivate (Burkitt o non Burkitt). I NHL associati a HIV sono solitamente già disseminati alla diagnosi e interessano frequentemente sedi extralinfonodali, come il midollo osseo e il tratto GI e sedi insolite nei NHL non associati a HIV, come il SNC e le cavità corporee (pleura, pericardio e peritoneo).

Patogenesi I meccanismi patogenetici coinvolti nella genesi di NHL associato a HIV variano in rapporto all’istotipo o alla sede anatomica di malattia. Per esempio, il virus di Epstein-Barr, che può causare un’espansione clonale di cellule B, è stato rinvenuto nella maggior parte dei linfomi simil-Burkitt e in quasi tutti i linfomi del SNC associati a HIV, ma è raro negli altri linfomi immunoblastici. Analogamente, i riarrangiamenti dell’oncogene C-myc e le mutazioni dei geni oncosoppressori p53 sono tipici dei linfomi diffusi a piccole cellule non clivate e meno comuni nei linfomi immunoblastici.

Sintomi, segni e diagnosi Un paziente affetto da AIDS con NHL presenta di solito una massa a rapida crescita in uno o più linfonodi o in una sede extralinfonodale o sintomi sistemici (B), comprendenti perdita di peso (> 10% del peso corporeo), sudorazioni notturne o episodi febbrili. La presenza in circolo di linfociti alterati o un’inattesa citopenia possono suggerire la presenza di interessamento midollare, che può essere confermata dalla biopsia. La TC del torace e dell’addome e di altre parti

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Malattie ematologiche e neoplasie associate

clinicamente interessate è importante per definire lo stadio e l’estensione della malattia e per la pianificazione terapeutica. L’alta incidenza di interessamento del SNC rende necessario un esame del liquor al momento della diagnosi.

Prognosi e terapia I fattori prognostici negativi comprendono il basso performance status, l’interessamento del midollo osseo, una storia di infezioni opportunistiche e il tipo istologico ad alto grado di malignità. Il trattamento di scelta per le forme aggressive di NHL è la polichemioterapia sistemica, di solito in associazione a terapia antiretrovirale, profilassi antibiotica e fattori di crescita ematologici. La chemioterapia è altamente mielosoppressiva e può essere tollerata con difficoltà nei pazienti con AIDS in fase avanzata. Per questi pazienti sono stati messi a punto regimi di trattamento con dosi modificate. Una storia di infezioni opportunistiche condiziona spesso la tolleranza alla terapia. Una concomitante terapia antiretrovirale, antibatterica e antimicotica riduce la tolleranza. Tuttavia, se un paziente presenta un NHL come malattia di esordio dell’AIDS, senza precedenti significative infezioni opportunistiche, allora la polichemioterapia aggressiva e le misure terapeutiche di supporto, come indicato in precedenza, possono essere curative. La radioterapia adiuvante può essere efficace nel trattamento di voluminosi linfomi "bulky" o nel controllo dei sintomi quali il dolore o le emorragie intratumorali.

LINFOMA PRIMITIVO DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE Circa il 20% dei linfomi associati a HIV sono linfomi primitivi del SNC. Il SNC è una rara sede extralinfonodale di malattia nei pazienti senza infezione da HIV, nei quali si manifesta solo nell’1-2% dei casi. Nei pazienti affetti da AIDS, è un linfoma a cellule B di grado intermedio o alto grado di malignità. I pazienti di solito presentano cefalea, convulsioni, deficit neurologici (p. es., paralisi dei nervi cranici) o alterazioni dello stato di coscienza. Questa patologia deve essere differenziata da altre lesioni occupanti spazio nell’encefalo, come la toxoplasmosi; i linfomi tendono a evidenziarsi con poche ampie lesioni nella regione periventricolare, mentre lesioni multiple più piccole sono tipiche della toxoplasmosi. La biopsia può confermare la diagnosi, specie se il paziente ha una negatività degli anticorpi anti-Toxoplasma e le lesioni permangono non sensibili alla terapia anti-Toxoplasma. Il trattamento dei linfomi del SNC consiste nella somministrazione di corticosteroidi ad alte dosi, per ridurre rapidamente i sintomi secondari all’edema cerebrale e nella radioterapia. Anche se questo trattamento può indurre una completa regressione agli esami rx, la prognosi è scarsa (sopravvivenza < 6 mesi). La barriera ematoencefalica impedisce alla maggior parte dei farmaci chemioterapici di entrare in maniera efficace nel SNC, riducendo l’efficacia delle combinazioni chemioterapiche.

MORBO DI HODGKIN (v. anche Cap. 139) Anche se non è una neoplasia maligna di esordio dell’AIDS, il morbo di Hodgkin (specie i sottotipi a cellularità mista e a deplezione linfocitaria) sembra insorgere più frequentemente in presenza di infezione da HIV, in special modo nei soggetti che fanno uso di droghe EV. Questa associazione può, tuttavia, essere

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Malattie ematologiche e neoplasie associate

semplicemente dovuta all’incidenza correlata all’età delle due patologie. Nei pazienti affetti da AIDS, la malattia di Hodgkin è più aggressiva e meno sensibile alla terapia. Il morbo di Hodgkin a deplezione linfocitaria si può sovrapporre ai linfomi anaplastici Ki-1. In questa popolazione può spesso essere dimostrata un’infezione monoclonale con virus di Epstein-Barr .

TUMORE DELLA CERVICE (v. anche Cap. 241) L’incidenza della neoplasia cervicale intraepiteliale nelle donne con infezione da HIV aumenta con la diminuzione del numero dei CD4 e del funzionamento del sistema immunitario. Il 60% delle donne con infezione da HIV ha una displasia cervicale osservata allo striscio di Papanicolaou, sottolineando l’importanza dello screening citologico e della colposcopia nel trattamento di queste pazienti. La patogenesi delle neoplasie maligne associate a papillomavirus umano (HPV), nelle pazienti con infezione da HIV, può essere correlata agli effetti delle oncoproteine E6 ed E7, derivanti dai sottotipi 16 e 18 del HPV, sui geni oncosoppressori p53 e RB. In alternativa, può esserci un’interazione sinergica tra HPV e HIV per aumentare l’espressione genica attraverso il fattore transattivante E2 e il gene TAT. Il tumore della cervice nelle donne HIV positive è più esteso e più difficile da curare rispetto a quello che insorge nelle donne HIV negative. La percentuale di recidiva dopo trattamento standard è elevata.

TUMORE DELL'ANO (v. anche Cap. 34) I meccanismi che portano all’insorgenza di tumore a cellule squamose dell’ano associato ad HIV possono essere simili a quelli coinvolti nello sviluppo del tumore della cervice. Nei pazienti HIV positivi, l’apparente aumento di incidenza del tumore dell’ano può essere correlato al comportamento dei maschi omosessuali e in particolare alla presenza di infezione da HPV più che all’infezione da HIV. Una displasia anale insorge frequentemente in questi pazienti e i tumori a cellule squamose possono essere molto aggressivi. Sono state utilizzate l’asportazione chirurgica, la radioterapia e la chemioterapia di combinazione con mitomicina o cisplatino e 5-fluorouracile.

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI SARCOMA DI KAPOSI (Sarcoma emorragico idiopatico multiplo) Neoplasia vascolare multicentrica causata dall’herpesvirus di tipo 8 che esiste in tre sottotipi: non dolente, linfoadenopatico e AIDS-correlato.

Sommario: Introduzione Incidenza Sintomi e segni Terapia

Le lesioni del SK originano da sedi multifocali nel derma intermedio e si estendono all’epidermide. L’istopatologia mostra cellule fusiformi e strutture vascolari combinate in vario modo. La cellula di origine è una cellula endoteliale, come dimostrato da colorazioni specifiche per il fattore VIII; le cellule tumorali assomigliano alle cellule muscolari lisce, ai fibroblasti e ai miofibroblasti. La forma non dolente di SK manifesta lesioni dermiche nodulari o a placca. La forma linfoadenopatica è disseminata e aggressiva, con coinvolgimento di linfonodi, di visceri e talvolta del tratto GI. Nella forma associata all’AIDS (v. Cap. 145 e 163), le lesioni possono essere poche o ampiamente disseminate sulla cute, sulle mucose, nei linfonodi e nei visceri.

Incidenza Un tempo, il SK era più frequente nell’Europa orientale, in Italia e negli USA e si presentava per lo più nella forma indolente in uomini di origine italiana o ebrea di età > 60 anni. Attualmente, a causa della diffusione dell’AIDS, il SK è endemico nell’Africa equatoriale, dove è più aggressivo e si osserva spesso nei bambini e in giovani adulti e rappresenta quasi il 10% di tutti i tumori maligni nello Zaire e nell’Uganda. Dal 1981, la forma aggressiva di SK si verifica in almeno 1/3 dei pazienti con AIDS e ha assunto proporzioni epidemiche negli USA e in molte altre nazioni.

Sintomi e segni Nei maschi anziani, senza AIDS, il SK si manifesta generalmente al Io dito dei piedi o agli arti inferiori sotto forma di placche violacee o marrone scuro o di noduli che possono crescere a fungo o penetrare i tessuti molli e invadere l’osso; inoltre, nel 5-10% dei casi ne segue un interessamento disseminato linfonodale e viscerale. Nei pazienti con AIDS, il SK può rappresentare la prima manifestazione della malattia. Le lesioni appaiono dapprima sulla parte superiore del corpo o sulle

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Tumori maligni

mucose come papule rosse, rosa o violacee, appena rilevate, oppure come placche rotondeggianti od ovalari, di colore bruno o violaceo. Successivamente, si diffondono ampiamente sulla cute e si associano a lesioni viscerali, con probabile interessamento linfonodale. Il sanguinamento, compreso quello da organi interni, può presentarsi imponente.

Terapia Per le lesioni superficiali non dolenti si usa la crioterapia, l’elettrocoagulazione o la radioterapia con un fascio di elettroni, che determinano lo spianamento e la risoluzione della maggior parte delle lesioni. Le lesioni dermiche ostinate o le manifestazioni linfonodali con linfedema vengono trattate con la radioterapia locale a dosi di 10-20 Gy. La forma associata all’AIDS è stata trattata con singoli agenti chemioterapici o con combinazioni di più farmaci (p. es., etoposide, vincristina, vinblastina, bleomicina e doxorubicina). L’interferone-α si è dimostrato efficace nel rallentare la progressione delle prime lesioni insorte e nel curarne altre. Anche l’infiltrazione intralesionale di vinblastina si è rivelata molto utile. Il decorso del SK in corso di infezione da HIV è legato al livello di immunosoppressione, che determina la probabilità di insorgenza di infezioni opportunistiche. Il trattamento del SK non migliora le aspettative di vita di questi pazienti, in quanto il decorso clinico è determinato dalle infezioni concomitanti.

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Linfomi

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 139. LINFOMI Gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dai sistemi reticoloendoteliale e linfatico.

LINFOMI NON HODGKIN Proliferazione monoclonale maligna di cellule linfoidi in siti del sistema immune, inclusi i linfonodi, il midollo osseo, la milza, il fegato e il tratto GI.

Sommario: Introduzione Incidenza ed eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Stadiazione Prognosi e terapia

La classificazione patologica dei linfomi non Hodgkin (NHL) continua a evolvere, riflettendo nuove acquisizioni sulle cellule di origine e sulle basi biologiche di queste eterogenee patologie. Il corso dei NHL varia da indolente e inizialmente ben tollerato a rapidamente fatale. Un quadro simil-leucemico può apparire in una percentuale che arriva fino al 50% di bambini e in circa il 20% degli adulti affetti da alcune forme di NHL.

Incidenza ed eziologia Il NHL è più frequente del morbo di Hodgkin; ogni anno, vengono diagnosticati negli USA circa 50000 nuovi casi in tutti i gruppi di età, sebbene l’incidenza tenda ad aumentare con l’età. L’eziologia di questa malattia è sconosciuta; peraltro come per le leucemie, esistono evidenze sperimentali di una responsabilità virale per alcuni linfomi. Ad esempio, il retrovirus della leucemia-linfoma umano a cellule T (HTLV-I) è stato isolato e risulta endemico nel sud del Giappone, nei Caraibi, nell’America del Sud e nel sud-est degli USA. La malattia acuta della leucemia-linfoma dell’adulto a cellule T è caratterizzata da un decorso clinico fulminante con infiltrato cutaneo, adenopatia, epatosplenomegalia e leucemia. Le cellule leucemiche sono cellule T maligne, molte con nucleo convoluto. Si ha spesso ipercalcemia, legata a dei fattori umorali piuttosto che all’invasione ossea diretta. Nei pazienti con AIDS è stato osservato un aumento dell’incidenza di NHL, particolarmente di quello immunoblastico e a piccole cellule non clivate (linfoma di Burkitt). In queste situazioni è più frequente il coinvolgimento primario del SNC e una malattia disseminata. In circa il 30% dei casi, il linfoma è preceduto da linfoadenopatie generalizzate, suggerendo che la stimolazione policlonale delle cellule B precede la linfomagenesi. I riarrangiamenti del gene C-myc sono caratteristici di alcuni linfomi associati all’AIDS. È possibile ottenere adeguate risposte alla chemioterapia, ma sono in genere gravate da tossicità con infezioni opportunistiche che continuano a esistere, determinando una riduzione della

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Linfomi

sopravvivenza.

Anatomia patologica La Working Formulation classifica i NHL in categorie prognostiche che hanno implicazioni terapeutiche come segue (Nota: le designazioni prognostiche sono basate su dati di sopravvivenza di pazienti trattati prima del 1980 e possono non riflettere, accuratamente, i risultati in pazienti sottoposti a moderna terapia, come descritto in Terapia, oltre): ●







Linfomi a basso grado (38%): diffuso, a piccoli linfociti; follicolare, a piccole cellule clivate; follicolare misto, a piccole e grandi cellule. Linfomi a grado intermedio (40%): follicolare a grandi cellule; diffuso, a piccole cellule clivate; diffuso misto, a piccole e grandi cellule; diffuso, a grandi cellule. Linfomi ad alto grado di malignità (20%): linfoma immunoblastico; linfoma linfoblastico; diffuso a piccole cellule non clivate (tipo Burkitt e non Burkitt); Miscellanea (2%): linfomi misti, micosi fungoide, istiocitico vero, altri tipi non classificabili.

Una nuova classificazione patologica, la REAL (Revised European American Linphoma) Classification è stata introdotta recentemente e sta gradualmente venendo adottata. Questa classificazione è utile per identificare entità non riconosciute nella Working Formulation e presenta notevole compattezza, incorporando nelle categorie diagnostiche l’immunofenotipo, il genotipo e la citogenetica. Tra i più importanti nuovi linfomi ci sono i tumori linfoidi associati alla mucosa (MALT, vedi Cap. 23); il linfoma a cellule mantellari, una malattia a cattiva prognosi precedentemente introdotto nella categoria del linfoma a piccole cellule clivate e il linfoma anaplastico a grandi cellule (linfoma Ki-1). L’immunofenotipizzazione, che utilizza tessuto tumorale fresco o fissato, rivela che 80-85% dei NHL si sviluppa a partire da cellule B, il 15% da cellule T e < 5% dai veri istiociti (monociti-macrofagi) o da cellule null indefinite. Inoltre, gli studi immunologici hanno mostrato che il linfoma si sviluppa a partire da differenti stadi evolutivi dell’attivazione e differenziazione delle cellule linfoidi normali. Tuttavia, eccetto che in alcuni tipi di linfoma a cellule T, la classificazione immunologica non ha svolto un ruolo importante nelle strategie terapeutiche.

Sintomi e segni Sebbene esistano varie manifestazioni cliniche, molti pazienti si presentano con linfoadenopatia periferica asintomatica. I linfonodi ingrossati sono elastici e separati mentre, successivamente, diventano conglobati. La malattia locale è apparente in alcuni pazienti ma la maggior parte presenta aree multiple di coinvolgimento. L’anello del Waldeyer (specialmente le tonsille) è un sito occasionale di malattia. Linfoadenopatia mediastinica e retroperitoneale possono causare sintomi da compressione su vari organi. I siti extranodali possono dominare il quadro clinico (p. es., il coinvolgimento gastrico può simulare un carcinoma GI; il linfoma intestinale può causare una sindrome da malassorbimento). La pelle e le ossa sono inizialmente coinvolte nel 15% dei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule e nel 7% dei pazienti con linfoma linfocitico diffuso a piccole cellule. Circa il 33% dei pazienti con malattia estesa addominale o toracica sviluppa, rispettivamente, ascite chilosa o effusione pleurica (v. il Cap. 80) dovute all’ostruzione linfatica. Perdita di peso, febbre, sudorazioni notturne e astenia indicano disseminazione di malattia.

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Linfomi

Due problemi sono comuni nei NHL, ma rari nel morbo di Hodgkin: (1) la congestione e l’edema della faccia e del collo possono derivare dalla pressione sulla vena cava superiore (sindrome da vena cava superiore o sindrome mediastinica superiore) e (2) compressione ureterale dai linfonodi pelvici possono interferire con il flusso urinario e causare insufficienza renale secondaria. L’anemia è presente all’inizio in circa il 33% dei pazienti, per svilupparsi, infine, nella maggior parte di essi. L’anemia può essere causata dal sanguinamento per compromissione dell’apparato GI, dalla piastrinopenia, dall’emolisi, da ipersplenismo o da anemia emolitica Coombs-positiva, da infiltrazione linfomatosa del midollo o da mielossopressione indotta dalla chemio- o dalla radioterapia. Una fase leucemica si sviluppa nel 20-40% dei linfomi linfocitici e raramente in quelli a grado intermedio. I linfomi ad alto grado possono essere frequentemente leucemici. Nel 15% dei pazienti si ha ipogammaglobulinemia causata da una progressiva riduzione della produzione di gammaglobuline, che predispone allo sviluppo di gravi infezioni batteriche. Il linfoma anaplastico a grandi cellule Ki-1, un sottotipo di linfoma di grado intermedio (diffuso a grandi cellule) che colpisce i bambini e gli adulti, è stato recentemente codificato per l’antigene Ki-1 (CD30) presente sulle cellule maligne. Il CD30 è anche osservato sulle cellule di Reed-Sternberg, mentre il CD15 è limitato alla malattia di Hodgkin. Il linfoma è eterogeneo Gli studi immunofenotipici mostrano che il 75% dei casi origina da cellule T, il 15% da cellule B mentre il 10% è non classificato. I pazienti manifestano delle lesioni cutanee rapidamente progressive, adenopatie e lesioni viscerali. È possibile confondere questo linfoma con quello di Hodgkin o con il carcinoma metastatico indifferenziato. Nei bambini il NHL può essere da piccole cellule non clivate (linfoma di Burkitt), diffuso a grandi cellule o di tipo linfoblastico. I linfomi dell’infanzia comportano problemi speciali (p. es., coinvolgimento GI o meningeo) e sono trattati differentemente dai linfomi dell’età adulta. Il linfoma linfoblastico rappresenta una variante della leucemia acuta linfoblastica (del tipo a cellule T), dal momento che in entrambe queste forme è presente la predilezione per il midollo, per il sangue periferico, per la cute e per il SNC; i pazienti spesso presentano un’adenopatia mediastinica con sindrome della vena cava superiore. Il linfoma follicolare si manifesta raramente nei bambini.

Diagnosi Il NHL deve essere differenziato dal morbo di Hodgkin, dalla leucemia acuta e cronica, dal carcinoma metastatico, dalla mononucleosi infettiva, dalla TBC (specialmente la TBC primaria con adenopatia ilare) e da altre cause di linfoadenomegalia, compreso lo pseudolinfoma causato dalla fenitoina. La diagnosi può essere fatta soltanto sulla base di uno studio istologico di materiale tissutale. Il sovvertimento della normale architettura linfonodale e l’invasione della capsula e del grasso circostante da parte delle cellule neoplastiche caratteristiche sono i criteri istologici che di solito permettono di diagnosticare il NHL. Gli studi immunofenotipici per determinare l’origine delle cellule permetteranno l’identificazione di sottotipi specifici e risulteranno utili nella definizione della prognosi e nella scelta della strategia terapeutica (v. oltre). La dimostrazione della presenza dell’antigene leucocitario comune CD45 mediante il metodo dell’immunoperossidasi consente di escludere la diagnosi di carcinoma metastatico. Il dubbio sussiste quando il carcinoma si presenta come un "tumore indifferenziato". Il test per l’antigene leucocitario comune può essere effettuato con tessuto fissato. La maggior parte degli studi dei marker di superficie può anche essere effettuata su tessuto fissato con metodi basati sull’uso dell’immunoperossidasi. Il riarrangiamento genico (per documentare la clonalità B- o T-cellulare) e la citogenetica richiedono tessuto fresco.

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Linfomi

Stadiazione Anche se esiste il NHL localizzato, al momento della diagnosi la malattia si presenta generalizzata nel 90% circa dei linfomi follicolari e nel 70% di quelli diffusi. La stadiazione clinica viene fatta di solito utilizzando le stesse procedure descritte per il morbo di Hodgkin (v. sopra), a esclusione della laparotomia e della splenectomia che soltanto di rado sono richieste. La TC dell’addome e della pelvi può mettere in evidenza siti di malattia a livello para-aortico e mesenterico. La stadiazione finale dei NHL (v. Tab. 139-2) è simile a quella del morbo di Hodgkin; tuttavia, è più spesso basata su reperti clinici che patologici. I sintomi di malattia sistemica tendono a essere meno comuni nelle fasi iniziali del NHL rispetto al morbo di Hodgkin e, comunque, di solito non modificano la prognosi. L’infiltrazione d’organo è più estesa, con possibile interessamento sia del midollo che del sangue. In tutti i pazienti si deve eseguire una biopsia midollare allo scopo di rilevare un eventuale interessamento del midollo, quando questa procedura cambierà le raccomandazioni del protocollo terapeutico (p. es., la scelta della sola radioterapia per linfomi localizzati a basso grado, la possibilità di una terapia intratecale per linfomi di grado intermedio, la determinazione dell’Indice Prognostico Internazionale ([IPI]).

Prognosi e terapia Il tipo istopatologico, lo stadio di malattia e (secondo alcuni autori) il risultato dei marker di superficie influenzano in maniera significativa la prognosi e la risposta alla terapia. I pazienti affetti da linfoma a cellule T hanno di solito una prognosi peggiore rispetto a quelli con linfoma a cellule B, anche se i risultati di recenti programmi di trattamento intensivo hanno mostrato una riduzione di questa differenza. Altri fattori che peggiorano la prognosi sono: un cattivo performance status, l’età > 60 anni, alti livelli di LDH, la presenza di grosse masse tumorali (con diametro > 10 cm) e più di due sedi extraghiandolari di malattia. Recentemente, è stato riportato un indice prognostico per i linfomi diffuso misto, diffuso a larghe cellule e immunoblastico. L’IPI considera cinque categorie: età, stato di performance, livello di LDH, numero di siti extranodali e stadio. Possono essere definiti gruppi prognostici di basso, basso-intermedio, alto-intermedio e alto rischio (v. Tab. 139-3). L’IPI si sta studiando anche nei linfomi a basso e alto grado. Terapia della malattia localizzata (stadio I e II): nei linfomi a basso grado, i pazienti raramente si presentano con malattia localizzata, ma quando ciò avviene, la radioterapia regionale può offrire un controllo a lungo termine. Tuttavia, le ricadute possono manifestarsi > 10 anni dopo la radioterapia. Circa la metà dei pazienti con linfomi di grado intermedio si presenta con malattia localizzata. Questi pazienti devono ricevere una polichemioterapia e irradiazione regionale, che è generalmente curativa. I pazienti con linfomi ad alto grado, linfomi linfoblastici o linfomi a piccole cellule non clivate (linfoma di Burkitt), anche se apparentemente localizzati, devono ricevere una polichemioterapia intensiva con profilassi meningea. Il trattamento può richiedere chemioterapia di mantenimento (linfoblastico), ma è attesa la cura. Terapia della malattia in fase avanzata (stadio III e IV): il trattamento è considerevolmente diverso nei pazienti con linfomi di basso grado o indolenti. Può essere utilizzata la forma di intervento, "osserva e attendi", oppure protocolli terapeutici che prevedono un singolo agente alchilante o l’associazione di 2 o 3 farmaci. L’interferone e altri modificatori della risposta biologica possono essere di beneficio. Recenti studi di terapia con anticorpi radiomarcati appaiono anche promettenti. Sebbene la sopravvivenza possa essere prolungata in termini di anni, si verifica una ricaduta tardiva, determinando una prognosi sfavorevole a lungo termine.

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Linfomi

In pazienti con linfomi a grado intermedio, la combinazione farmacologica CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) è standard. La regressione completa della malattia è attesa nel 50-70% dei casi, in base alla categoria dell’IPI. Circa il 70% dei responsivi completi viene curato e le ricadute, a 2 anni dalla sospensione della terapia, sono rare. Nuovi regimi terapeutici che usano i fattori di crescita come supporto sono in corso di studio. Dati preliminari suggeriscono che questi regimi ad alte dosi possono essere superiori al CHOP. Un regime intensivo alternato per il linfoma a piccole cellule non clivate (di Burkitt), il CODOX-M/IVAC (ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, metotrexato, ifosfamide, etoposide, citarabina), è stato riportato essere curativo nel 90% dei bambini e adulti. Pazienti con linfoma linfoblastico a cellule T sono trattati in modo simile a quelli con leucemia dell’infanzia a cellule T, cioè, con regimi di chemioterapia intensiva, incluso il trattamento profilattico del SNC. I risultati sono incoraggianti con un percentuale di cura del 50%. Terapia delle ricadute: la prima ricaduta dopo la chemioterapia iniziale è quasi sempre trattata con trapianto di cellule staminali. I pazienti devono essere fisiologicamente di 65 anni di età e avere una malattia responsiva, un buono stato di performance e una fonte di cellule staminali CD 34+ incontaminate e in numero adeguato. La risposta tumorale è usualmente valutata con una chemioterapia di salvataggio di seconda linea. Le cellule staminali sono raccolte dal sangue periferico o dal midollo. La cellula staminale può essere purificata (pulita dalle cellule tumorali con metodi in vitro) o selezionata positivamente (raccogliendo le cellule CD34+) e subito il pool di cellule staminali può essere espanso in vitro. La terapia mieloablativa di consolidamento può includere la chemioterapia con o senza l’irradiazione del sangue intero. L’immunoterapia posttrattamento (p. es., interferone, IL-2) è in corso di studio. Il trapianto autologo (cellule staminali dello stesso paziente) è raccomandato come terapia di salvataggio per tutti i pazienti eleggibili con ricaduta chemiosensibile. Se è disponibile un donatore HLA compatibile, un trapianto allogenico (cellule staminali di un donatore) può essere preso in considerazione per quei pazienti con linfomi ad alto grado o invasione ematica o linfomi a basso grado. Il prodotto di allotrapianto di cellula staminale, libero di cellule tumorali contaminanti, può fornire un effetto benefico teorico di trapianto nel caso di linfoma. Questi vantaggi devono essere bilanciati dai rischi significativamente aumentati delle procedure di allotrapianto. Una guarigione può essere attesa nel 30-50% dei pazienti eleggibili con linfomi a grado intermedio e alto sottoposti a terapia mieloablativa. Nei linfomi a basso grado, rimane incerto se la cura possa essere ottenuta con il trapianto, sebbene la sopravvivenza sia superiore alla sola terapia palliativa secondaria. Il tasso di mortalità del trapianto mieloablativo si è drasticamente ridotto al 2-5% per la maggior parte delle procedure autologhe e < 15% per la maggior parte delle procedure allogeniche. Una nuova area di ricerca è il ruolo del trapianto autologo come trattamento iniziale al momento della diagnosi. Usando l’IPI, i pazienti ad alto rischio possono essere identificati e selezionati per l’intensificazione di dose. Dati preliminari suggeriscono un aumentato tasso di guarigione. Una sequela tardiva della chemioterapia standard ad alte dosi è la possibile comparsa di nuove neoplasie, specialmente mielodisplasie e leucemia mielogena acuta. La chemioterapia, combinata con la radioterapia, aumenta il rischio, sebbene la sua incidenza sia solo del 3%. Uno speciale evento tardivo, nelle giovani donne con morbo di Hodgkin, trattate con radioterapia, è un aumento di incidenza di cancro della mammella.

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Linfomi

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA Normalmente, la mucosa GI è protetta da diversi meccanismi: (1) la produzione di muco e di HCO3 da parte della mucosa crea un gradiente di pH tra il lume gastrico (pH basso) e la mucosa stessa (pH neutro). Il muco serve come una barriera per la diffusione dell'acido e della pepsina. (2) Le cellule epiteliali rimuovono l'eccesso di ioni idrogeno (H+) attraverso il sistema di trasporto di membrana e hanno delle giunzioni intercellulari, che prevengono la retrodiffusione degli ioni H+. (3) Il flusso ematico della mucosa rimuove l'acido in eccesso che si è diffuso attraverso lo strato epiteliale. Molti fattori di crescita (p. es., il fattore di crescita epidermico, il fattore di crescita insulino-simile I) e prostaglandine sono stati collegati alla riparazione della mucosa e al mantenimento della sua integrità.

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Malattie della pleura

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 80. MALATTIE DELLA PLEURA PLEURITE (Per la tubercolosi, v. Cap. 157.) Infiammazione della pleura, di solito responsabile di un versamento pleurico essudativo e di dolore toracico trafittivo che si acuisce con gli atti del respiro e con la tosse.

Sommario: Eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia La pleurite può essere causata da un sottostante processo polmonare (p. es., polmonite, infarto, TBC); dall'ingresso diretto nello spazio pleurico di un agente infettivo o di una sostanza irritante (p. es., nei casi di rottura esofagea, di empiema amebico o di pleurite in corso di pancreatite); dal trasporto alla pleura di un agente infettivo o di una sostanza tossica o di cellule neoplastiche attraverso il torrente circolatorio o i linfatici; da un danno alla pleura parietale (p. es., un trauma, specialmente frattura delle costole, o pleurodinia epidemica [da coxsackievirus del gruppo B]); dalla malattia pleurica associata all'asbesto nella quale le particelle di asbesto raggiungono la pleura passando attraverso le vie aeree di conduzione e il parenchima polmonare o, raramente, da ingestione di farmaci (v. oltre).

Anatomia patologica La pleura di solito diviene inizialmente edematosa e congesta; segue un'infiltrazione cellulare e si forma sulla superficie pleurica un essudato fibrinoso. L'essudato può riassorbirsi oppure andare incontro a organizzazione fibrosa, causando aderenze pleuriche. In alcune malattie (p. es., la pleurodinia epidemica), la pleurite resta secca o fibrinosa, senza significativa essudazione di liquido dalla pleura infiammata. Più spesso si sviluppa un essudato pleurico per lo stravaso di liquido ricco in proteine plasmatiche dai capillari danneggiati. Talvolta la pleura va incontro a un marcato ispessimento fibroso o anche calcifico (p. es., le placche pleuriche da asbesto o le calcificazioni pleuriche idiopatiche) senza una precedente pleurite acuta.

Sintomi e segni

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Malattie della pleura

Il dolore improvviso è il sintomo dominante della pleurite. Tipicamente il dolore pleurico è una sensazione trafittiva che peggiora con gli atti del respiro e con la tosse, ma può variare. Può essere solamente un vago fastidio o può presentarsi soltanto quando il paziente respira profondamente o tossisce. La pleura viscerale non ha sensibilità; il dolore deriva dall'infiammazione della pleura parietale, che è principalmente innervata dai nervi intercostali. Il dolore generalmente è avvertito sulla zona di infiammazione, ma può anche essere riferito a sedi distanti. L'irritazione delle porzioni posteriori e periferiche della pleura diaframmatica, innervate dagli ultimi sei nervi toracici, può causare dolore riferito alla base del torace o all'addome e può simulare una patologia intra-addominale. L'irritazione della parte centrale della pleura diaframmatica, innervata dai nervi frenici, provoca dolore riferito al collo e alla spalla. Il respiro è di solito frequente e superficiale. La motilità del lato interessato può essere ridotta. Il murmure vescicolare può risultare diminuito. Uno sfregamento pleurico, sebbene infrequente, è il segno obiettivo caratteristico. Esso non è necessariamente accompagnato dal dolore pleuritico, ma solitamente lo è. Gli sfregamenti variano da scarsi reperti intermittenti che possono simulare un crepitio a un quadro conclamato di rumori aspri, grattanti, scricchiolanti o come da sfregamento di cuoio, sincroni con gli atti del respiro e in genere udibili sia durante l'inspirazione che durante l'espirazione. Gli sfregamenti da pleurite adiacente al cuore (sfregamenti pleuropericardici) possono modificarsi in sincrono con le contrazioni cardiache. Il dolore pleurico in genere scompare quando si forma il versamento. Sono allora ben evidenti l'ottusità alla percussione, l'assenza del fremito vocale tattile, la riduzione o la scomparsa del murmure vescicolare e l'egofonia a livello del limite superiore del versamento. Maggiore è il versamento, più evidenti sono i segni descritti. Un versamento pleurico massivo può dare o contribuire a causare dispnea, per riduzione del volume polmonare, specialmente in presenza di malattia parenchimale sottostante, spostamento del mediastino verso il lato opposto e ridotta funzionalità e reclutamento alterato dei muscoli inspiratori per iperespansione della gabbia toracica.

Diagnosi La pleurite fibrinosa viene diagnosticata rapidamente quando è presente il caratteristico dolore pleuritico. Lo sfregamento pleurico è patognomonico. La pleurite che può dare dolore addominale si differenzia di solito da una malattia flogistica acuta dell'addome con la rx e con i segni clinici di una patologia respiratoria; con l'assenza di nausea, vomito e di alterazioni della funzione intestinale; con il notevole incremento del dolore durante le profonde inspirazioni o con la tosse; con il respiro frequente e superficiale e con la tendenza al sollievo dal dolore mediante la compressione della parete toracica o dell'addome. La nevrite intercostale può essere confusa con la pleurite, ma raramente il dolore è collegato con gli atti del respiro e non ci sono gli sfregamenti. Nella nevrite erpetica è diagnostica la comparsa delle caratteristiche vescicole cutanee; l'IMA, il pneumotorace spontaneo, la pericardite e le lesioni della parete del torace possono simulare una pleurite. Uno sfregamento pleurico può essere confuso con il rumore tipico della pericardite (sfregamento pericardico), che è udibile soprattutto sul bordo sinistro dello sterno a livello del terzo o quarto spazio intercostale, è caratteristicamente un suono "va e vieni" sincrono con i battiti del cuore e non è influenzato in maniera significativa dalla respirazione. Le radiografie del torace sono di scarso ausilio nella diagnosi della pleurite fibrinosa. La lesione pleurica non dà luogo ad alterazioni visibili alla rx, ma possono essere evidenziate lesioni polmonari o della parete toracica associate. La presenza di versamento pleurico, in genere di piccola entità, conferma l'esistenza di una pleurite acuta.

Terapia

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Malattie della pleura

Il trattamento della malattia di base è fondamentale. Il dolore toracico può essere alleviato avvolgendo l'intero torace con 2 o 3 bende elastiche non adesive da 15 cm, da riapplicare una o due volte al giorno. Il paracetamolo 0,65 g qid, o un FANS, spesso è efficace. Gli anestetici orali possono essere necessari, ma la soppressione della tosse può non essere desiderabile. Per prevenire la polmonite deve essere istituito un adeguato drenaggio bronchiale. Un paziente che assume narcotici deve essere esortato a respirare profondamente e a tossire nei periodi di massimo effetto antidolorifico del farmaco. Gli antibiotici e i broncodilatatori devono essere considerati per il trattamento di una bronchite associata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 139-3. PROGNOSI IN BASE AL GRUPPO DI RISCHIO DEFINITO DALL’INTERNATIONAL PROGNOSTIC INDEX Gruppo Fattori Pazienti Risposta Sopravvivenza Sopravvivenza Sopravvivenza Sopravvivenza di di * (%) completa a 2 anni senza a 5 anni senza a 2 anni (%) a 5 anni (%) rischio rischio (%) ricadute (%) ricadute (%) (n) Basso

0o1

35

87

79

70

84

73

Basso- 2 Interme dio

27

67

66

50

66

51

Alto3 Interme dio

22

55

59

49

54

43

Alto

16

44

58

40

34

26

4o5

*Pazienti totali 2031, di cui 1385 nel gruppo di trattamento e 646 nel gruppo di convalida. Adattato dall’International Non-Hodgkin’s Lymphoma Prognostic Factors Project: "A predictive model for aggressive non- Hodgkin’s lymphoma." N Engl J Med 329(14):987-994, 1997.

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE CANCRO DELLA CERVICE UTERINA Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e trattamento

Il cancro della cervice è, come frequenza, la terza neoplasia ginecologica maligna e l’ottava neoplasia maligna tra le donne negli USA. L’età media per lo sviluppo di un cancro cervicale è di circa 50 anni anche se può interessare donne più giovani, anche di 20 anni. Circa l’1% di tutti i cancri cervicali si verifica in donne gravide o che lo sono state di recente (v. Tumori Maligni nel Cap. 251). Il cancro cervicale è essenzialmente una malattia trasmessa sessualmente. Il rischio è inversamente correlato all’età del primo rapporto sessuale e direttamente correlato al numero di partner sessuali avuti nel corso della vita. Il rischio è aumentato anche per le partner sessuali di uomini le cui precedenti partner avevano avuto un cancro della cervice. L’infezione da papillomavirus umano (HPV) e lo sviluppo di una neoplasia cervicale sono fortemente associati. L’infezione da HPV è legata a tutti i gradi di neoplasia cervicale intraepiteliale (CIN) e al cancro invasivo della cervice. L’infezione con il HPV di tipo 16, 18, 31, 33, 35 e 39 aumenta il rischio di neoplasia. Comunque, anche altri fattori sembrano contribuire alla trasformazione maligna. Per esempio, il fumo di sigarette è associato con un aumentato rischio di CIN e di cancro cervicale.

Anatomia patologica Le cellule precursori (displasia cervicale, CIN) si trasformano in un cancro cervicale invasivo nel corso di molti anni. Le CIN di grado I, II e III corrispondono alla displasia cervicale lieve, moderata e grave. La CIN III, che include la displasia grave e il carcinoma in situ, è difficile che regredisca spontaneamente e, se non trattata, può alla fine invadere la membrana basale, trasformandosi in un carcinoma invasivo. Il carcinoma a cellule squamose è responsabile dell’80-85% di tutti i cancri cervicali; gli adenocarcinomi sono responsabili della maggior parte dei restanti casi. I sarcomi e i piccoli tumori delle cellule neuroendocrine sono rari. Il cancro cervicale invasivo, di solito, si diffonde per estensione diretta ai tessuti circostanti e alla vagina o attraverso i linfatici, ai linfonodi pelvici e para-aortici che drenano la cervice. È possibile anche una diffusione per via ematogena.

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Neoplasie ginecologiche

Sintomi e segni La CIN è, di solito, asintomatica e viene scoperta grazie a un Pap test anormale. Le pazienti affette da un cancro cervicale in stadio precoce, di solito, presentano un sanguinamento vaginale irregolare, che è più frequentemente post-coitale, ma che può essere intermestruale o una menometrorragia. Le pazienti con voluminose neoplasie cervicali o con una malattia in stadio avanzato possono presentare delle perdite vaginali maleodoranti, un sanguinamento vaginale anomalo o un dolore pelvico. L’uropatia ostruttiva, la lombalgia e l’edema delle gambe sono manifestazioni della malattia in stadio avanzato.

Diagnosi Più del 90% dei casi asintomatici precoci di CIN può essere accertato in fase preclinica con l’esame citologico del Pap test ottenuto direttamente dalla cervice. Tuttavia, la percentuale di falsi negativi è del 15-40%, dipendendo dalla popolazione delle pazienti e dal laboratorio. Circa il 50% delle pazienti con un cancro della cervice non ha mai eseguito un Pap test o non ne ha effettuato uno da 10 anni. Le pazienti a più alto rischio per una neoplasia cervicale sono, con molte probabilità, quelle seguite con minore regolarità. Un Pap test alterato (cioè, che indica una neoplasia, inclusa la displasia, la CIN, il carcinoma in situ, il carcinoma microinvasivo o il carcinoma invasivo) richiede un’ulteriore valutazione sulla base della diagnosi descrittiva del Pap test e dei fattori di rischio della paziente (v. Tab. 241-3). Il sistema di classificazione cellulare (da I a V) non è più usato. Le lesioni cervicali sospette devono essere bioptizzate direttamente. Se non c’è una lesione chiaramente invasiva, può essere utilizzata la colposcopia per identificare le aree che richiedono una biopsia e per localizzare la lesione. I risultati della colposcopia possono essere correlati clinicamente (valutando le caratteristiche modificazioni del colore, la vascolarizzazione e i margini) con i risultati del Pap test. La biopsia guidata dalla colposcopia, di solito, fornisce un’evidenza clinica sufficiente per una diagnosi accurata. Se la valutazione colposcopica non è soddisfacente o è inconcludente, è necessaria una biopsia con conizzazione della cervice, eseguita mediante escissione con ansa (Loop Electrical Excision Procedure, LEEP), con il laser o con il bisturi a lama fredda. Se la malattia cervicale è invasiva, la stadiazione viene eseguita sulla base dell’esame obiettivo, con una ricerca delle metastasi mediante cistoscopia, sigmoidoscopia, pielografia EV, rx del torace e rx dello scheletro (v. Tab. 241-4). Per le malattie in stadio precoce (IB o meno), la rx del torace è, di solito, il solo esame aggiuntivo necessario. La TC o la RMN dell’addome e della pelvi sono opzionali; i risultati non possono essere usati per la stadiazione clinica.

Prognosi e trattamento Il carcinoma a cellule squamose invasivo, di solito rimane localizzato o si diffonde in sede loco-regionale per un considerevole periodo di tempo; le metastasi a distanza si verificano tardivamente. Le percentuali di sopravvivenza a 5 anni sono dell’80-90% per lo stadio I, del 50-65% per lo stadio II, del 25-35% per lo stadio III e dello 0-15% per lo stadio IV. Quasi l’80% delle recidive si manifesta entro 2 anni. I fattori prognostici negativi includono l’interessamento linfonodale, le elevate dimensioni e il grosso volume del tumore, l’invasione profonda dello stroma cervicale, l’invasione dei parametri, l’invasione dei vasi e il reperto istologico di una componente neuroendocrina. Per le donne con una malattia cervicale preinvasiva o con un carcinoma a cellule squamose microinvasivo della cervice, la biopsia mediante conizzazione con la LEEP, il laser o il bisturi a lama fredda o la crioterapia è, di solito, il trattamento file:///F|/sito/merck/sez18/2412105.html (2 of 4)02/09/2004 2.13.53

Neoplasie ginecologiche

adeguato. Raramente è necessario eseguire un’isterectomia per trattare una malattia cervicale preinvasiva. Poiché il tumore si propaga per diffusione diretta o per via linfatica, il trattamento deve coinvolgere i linfonodi regionali. Possono essere appropriati la radioterapia o l’intervento chirurgico. Obiettivo del trattamento è anche la preservazione dei tessuti normali circostanti. Il trattamento chirurgico primario è riservato alle pazienti con una limitata diffusione tumorale. Le pazienti con malattia microinvasiva (definita come un tumore che invade non più di 3 mm in profondità dalla membrana basale senza invasione dei vasi e con margini negativi alla conizzazione cervicale) possono essere trattate con un’isterectomia extrafasciale. Il rischio di recidiva e di metastasi linfonodali per queste pazienti è < 1%. La dissezione dei linfonodi pelvici non è indicata. Le pazienti con una malattia in stadio IA2, IB o IIA possono essere trattate con un’isterectomia radicale che includa una dissezione bilaterale dei linfonodi pelvici e l’asportazione di tutti i legamenti adiacenti (cardinali, utero-sacrali) e i parametri o con una radioterapia. Le percentuali di cura a 5 anni per le donne con una malattia in stadio IB o IIA sono dell’85-90% con una o l’altra terapia. I vantaggi della chirurgia includono un tempo di trattamento relativamente breve, la possibilità di una stadiazione chirurgica, la conservazione delle ovaie nelle donne giovani e l’evitare la stenosi vaginale e le complicanze tardive della radioterapia. Una complicanza maggiore (p. es., la formazione di una fistola ureterovaginale o vescico-vaginale) si verifica in < 1% delle pazienti. Se durante l’intervento si nota una diffusione extracervicale, si può ricorrere alla radioterapia postoperatoria per prevenire la recidiva locale. I vantaggi della radioterapia consistono nell’evitare la morbilità della chirurgia maggiore, nel trattamento ambulatoriale e nelle possibilità di trattamento delle pazienti che non sono delle buone candidate per la chirurgia. La radioterapia esterna riduce il tumore centrale e tratta i linfonodi regionali; questa terapia è seguita dalla brachiterapia (applicazioni radioattive locali, di solito usando il cesio) della cervice, che distrugge la parte centrale del tumore primitivo. Le maggiori complicanze acute includono la proctite e la cistite da radiazioni. A volte si verificano delle complicanze tardive, come l’ostruzione intestinale e la formazione di fistole retto-vaginali e vescico- vaginali. Per le pazienti con una malattia in stadio IIB, III o IV, il trattamento di scelta è rappresentato dalla radioterapia. Molte lesioni avanzate richiedono elevate dosi. La percentuale di fallimento per i grossi tumori in stadio avanzato contenuti nella pelvi è del 40% e il rischio di metastasi ai linfonodi pelvici e para-aortici e di metastasi a distanza è sostanziale. Può essere utile, per controllare la malattia pelvica, l’impiego della chemioterapia come sensibilizzante alle radiazioni. Prima della radioterapia, può essere eseguita la stadiazione chirurgica per valutare i linfonodi para-aortici e, se indicata, può essere somministrata a quest’area una radioterapia a campi estesi. Se i tumori sono limitati alla pelvi e interessano il retto o la vescica, può essere presa in considerazione l’eviscerazione (escissione di tutti gli organi pelvici). Comunque, di solito, si prova prima la radioterapia. L’eviscerazione è il trattamento di scelta per i tumori recidivanti o persistenti confinati alla parte centrale della pelvi dopo la radioterapia convenzionale. Può curare fino al 50% delle pazienti. Recenti progressi in questo tipo di intervento includono un’urostomia continente, un’anastomosi bassa del retto senza colostomia, la peduncolizzazione dell’omento a chiudere il pavimento pelvico, la ricostruzione vaginale con flap miocutaneo con il muscolo gracile o con il muscolo retto addominale e un migliore trattamento perioperatorio. Poiché la radioterapia e la chirurgia hanno di solito successo, la chemioterapia non viene impiegata come trattamento primario a meno che la paziente non abbia una malattia metastatica diffusa. La chemioterapia sistemica non è, infatti, considerata curativa. Le metastasi a distanza, al di fuori del campo di irradiazione, sembrano rispondere meglio alla chemioterapia di quanto non faccia la parte centrale del tumore pelvico, precedentemente irradiata. I farmaci file:///F|/sito/merck/sez18/2412105.html (3 of 4)02/09/2004 2.13.53

Neoplasie ginecologiche

citotossici determinano un’obiettiva regressione, di breve durata, solo nel 25-30% delle pazienti. Il cisplatino e l’ifosfamide sono farmaci i più attivi.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA TUMORI MALIGNI (V. anche Cap. 241). I tumori maligni di ogni tipo sono in genere trattati come se la paziente non fosse gravida. Qualunque decisione circa l’aborto deve coinvolgere la madre. I tumori a carico dell’addome, del polmone e delle estremità sono rari in corso di gravidanza e devono essere trattati come di norma. Il tumore della mammella può essere mascherato dall’ingorgo mammario che si verifica in corso di gravidanza e che rende difficile riconoscere la presenza di una nuova tumefazione. Comunque, ogni massa, solida o cistica, a carico della mammella deve essere esaminata e il trattamento non deve essere ritardato. I tumori maligni dell’addome inferiore, con esclusione di quelli dell’apparato genitale, devono essere trattati come se la donna non fosse gravida. Comunque, nel caso dei tumori del retto, può essere necessaria l’isterectomia per assicurare la rimozione completa della neoplasia. Anche in questo caso il trattamento non deve essere ritardato. Dopo la 28a sett. di gestazione si deve eseguire un parto cesareo, nell’intento di salvare il bambino. Quando si accerta la presenza di una neoplasia dell’ovaio deve essere eseguita un’annessiectomia bilaterale. Prima della 12a sett. di gravidanza, le ovaie sono in genere agevolmente palpabili, ma dopo la 12a sett. risalgono fuori della pelvi insieme all’utero e il tumore può non essere riconosciuto. La percentuale di sopravvivenza per le pazienti con una neoplasia dell’ovaio è molto bassa. I carcinomi endometriali e delle tube si verificano raramente durante la gravidanza. Il carcinoma della cervice sta diventando meno frequente, perché la forma preinvasiva può essere diagnosticata precocemente con il test di Papanicolaou (Pap test). In ogni caso, questa patologia si può sviluppare in corso di gravidanza e un Pap-test anomalo non deve essere attribuito alla gravidanza stessa, ma deve essere seguito con la colposcopia e con delle biopsie dirette, quando indicate. La conizzazione in genere può essere evitata. Se la biopsia evidenzia forme di displasia lieve, la paziente può partorire normalmente e il controllo mediante strisci citologici e biopsie può iniziare alla visita delle 6 sett. dopo il parto. La displasia grave o il carcinoma in situ impongono di effettuare ulteriori indagini in corso di gravidanza. Può essere necessario eseguire una conizzazione della portio molto superficiale per escludere l’invasività, anche se la colposcopia è, in genere, accurata. Può essere indicata l’isterectomia al momento del parto. Tuttavia, alcuni autori credono che l’isterectomia non abbia un’indicazione assoluta per le neoplasie cervicali intraepiteliali di grado III, che il rischio dell’isterectomia sia maggiore se eseguita al momento del parto e non più tardi e che la convalescenza interferisca con le cure del neonato. Pertanto, le ulteriori indagini possono essere rimandate fino al controllo delle 6 sett., data in cui può essere istituito il trattamento appropriato. Se viene diagnosticato un carcinoma invasivo della cervice, deve essere considerata la volontà della paziente circa il momento del trattamento in funzione della vitalità del feto e dello stadio della malattia. Non ci sono prove che la gravidanza di per sé influenzi negativamente l’esito del carcinoma cervicale. Se un carcinoma è diagnosticato nelle prime 20 sett. di gravidanza, è necessario effettuare o un’isterotomia con isterectomia radicale e linfadenectomia o un’irradiazione della pelvi in toto, seguita dall’applicazione intravaginale di radio. Ci sono prove, tuttavia, che in corso di gravidanza la chirurgia radicale dia

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Gravidanza complicata dalla malattia

risultati migliori della radioterapia. Il trattamento può essere ritardato fino alla vitalità del feto se la paziente desidera accettare un rischio non quantificabile. Il trattamento di un carcinoma microinvasivo può essere differito fino a dopo il parto, perché allora è possibile una chirurgia più conservativa. Se il carcinoma viene diagnosticato dopo la 20a sett., alcune pazienti preferiscono attendere fino alla 32a sett., quando il feto ha maggiori probabilità di sopravvivere; ma se viene accettato l’aborto, si deve immediatamente iniziare il trattamento. In prossimità del termine è preferibile eseguire un parto cesareo associato all’isterectomia radicale e alla linfadenectomia. Il parto per via vaginale è controverso, ma, probabilmente, non modifica l’esito. In casi selezionati, la chemioterapia può indurre la regressione del tumore prima della terapia radiante definitiva o della chirurgia e permettere al feto di maturare fino a uno stadio vitale. La leucemia e il morbo di Hodgkin sono rari in gravidanza (v. anche Cap. 138 e 139). Se sono diagnosticati in una fase precoce della gravidanza, devono essere trattati in maniera appropriata, con la guida e la consulenza di un ematologo o di un oncologo. Sebbene molti feti si siano sviluppati normalmente mentre le loro madri erano in trattamento con farmaci antineoplastici, l’uso di questi farmaci è stato associato all’aborto e alla presenza di anomalie fetali. Poiché la leucemia è rapidamente fatale, deve essere trattata prontamente, senza tentativi di salvare la gravidanza. Se la malattia di Hodgkin è limitata al di sopra del diaframma, la paziente gravida può essere adeguatamente irradiata con la schermatura dell’addome. Se la malattia è localizzata al di sotto del diaframma può essere necessario ricorrere all’aborto per attuare la terapia del caso.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-3. CLASSIFICAZIONE DI BETHESDA DELLA CITOLOGIA CERVICALE Categoria Adeguatezza del campione

Caratteristiche Soddisfacente per la valutazione Soddisfacente per la valutazione, ma limitato da … (specificare la ragione) Non soddisfacente per la valutazione … (specificare la ragione)

Categorizzazione generale Nei limiti normali (opzionale) Alterazioni cellulari benigne: vedi la diagnosi descrittiva Anomalie delle cellule epiteliali: vedi la diagnosi descrittiva Diagnosi descrittiva Alterazioni cellulari benigne Infezione

Trichomonas vaginalis Organismi fungini morfologicamente compatibili con la specie Candida Predominanza dei coccobacilli, compatibile con una modificazione della flora vaginale Batteri morfologicamente compatibili con la specie Actinomyces Alterazioni cellulari associate con il virus herpes simplex Altro*

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Manuale Merck - Tabella

Alterazioni cellulari reattive

Infiammazione (include la tipica riparazione) Atrofia con infiammazione (vaginite atrofica) Radiazioni Dispositivi contraccettivi intrauterini Altro

Anomalie delle cellule epiteliali Cellule squamose

Cellule squamose atipiche di significato indeterminato: qualificare† Lesioni squamose intraepiteliali di basso grado (LSIL) incluse le infezioni da HPV* e le displasie lievi/CIN I Lesioni squamose intraepiteliali di grado elevato incluse le displasie moderate e gravi (CIN II e CIN III /CIS) Carcinoma a cellule squamose

Cellule ghiandolari

Cellule endometriali, citologicamente benigne, nella donna in post- menopausa Cellule ghiandolari atipiche di significato indeterminato: qualificare Adenocarcinoma endocervicale Adenocarcinoma endometriale Adenocarcinoma extrauterino Adenocarcinoma, NOS

Altre neoplasie maligne

Specificare

Valutazione ormonale (da fare solo sugli strisci vaginali)

Quadro ormonale compatibile con l'età e l'anamnesi Quadro ormonale incompatibile con l'età e l'anamnesi: (specificare) Valutazione ormonale non possibile per … (specificare)

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Manuale Merck - Tabella

*Le alterazioni cellulari del HPV, precedentemente definite coilocitosi, atipia coilocitica e atipia condilomatosa, sono inc luse nella categoria delle LSIL. † Le atipie delle cellule squamose o ghiandolari di significato non determinato devono essere ulteriormente qualificate, se possibile, come verosimilmente reattive o premaligne/maligne. HPV=(Human Papillomavirus) papillomavirus umano; CIN=(Cervical Intraepithelial Neoplasia) neoplasia cervicale intraepiteliale; CIS=Carcinoma In Situ; NOS=(Not Otherwise Specified) non altrimenti specificato. The Bethesda system for reporting cervical/vaginal cytologic diagnosesReport of the 1991 Bethesda Workshop, National Institutes of Health.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-4. STADIAZIONE CLINICA DEL CARCINOMA DELLA CERVICE* Stadio

Descrizione

0

Carcinoma in situ, carcinoma intraepiteliale

I

Carcinoma strettamente confinato alla cervice (l’estensione al corpo non deve essere presa in considerazione) IA

Carcinoma preclinico (diagnosticato solo alla microscopia)†

IA1

Invasione dello stroma ≤3 mm in profondità e ≤7mm in larghezza

IA2

Invasione dello stroma>3mm e ≤5 mm in profondità e ≤7mm in larghezza

IB

Lesioni cliniche confinate alla cervice o lesioni precliniche di dimensioni maggiori di quelle in stadio IA2

IB1

Lesioni cliniche ≤4cm

IB2

Lesioni cliniche>4cm

II

Carcinoma che si estende oltre la cervice, ma non alla parete pelvica; carcinoma che interessa la vagina, ma non il suo 1/3 inferiore IIA

Non ovvio interessamento dei parametri

IIB

Ovvio interessamento dei parametri

III

Carcinoma che si estende alla parete pelvica, senza soluzione di continuo tra il tumore e la parete, all‘esplorazione rettale; tumore che interessa il 1/3 inferiore della vagina; include tutti i casi con idronefrosi o con un rene non funzionante IIIA

Estensione alla parete pelvica

IIIB

Estensione alla parete pelvica e idronefrosi, rene non funzionante, o entrambi

IV

Carcinoma che si estende oltre la pelvi o che clinicamente interessa la mucosa della vescica o del retto (l’edema bolloso non indica lo stadioIV) IVA

Diffusione a organi adiacenti

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Manuale Merck - Tabella

IVB

Diffusione a organi distanti

*Come definita dall’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO), 1995. †La profondità dell’invasione deve essere misurata dalla base dell’epitelio (di superficie o ghiandolare) da cui origina. L’interessamento dello spazio vascolare (venoso o linfatico) non modifica la stadiazione.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL GROSSO INTESTINO CANCRO ANORETTALE Il più frequente cancro anorettale è l'adeno-carcinoma. Gli altri tumori includono il carcinoma cloacogenico a cellule squamose, il melanoma, il linfoma e diversi sarcomi. Il carcinoma epidermoide (a cellule squamose non cheratinizzate o a cellule basali) dell'ano-retto rappresenta il 3-5% dei cancri del grosso intestino distale. Le fistole croniche, la cute anale irradiata, la leucoplachia, il linfogranuloma venereo, la malattia di Bowen (carcinoma intraepiteliale) e il condiloma acuminato sono le cause predisponenti. È stata dimostrata un'importante associazione con l'infezione da papillomavirus umano. Le metastasi si verificano lungo i linfatici del retto e nei linfonodi inguinali. Il carcinoma a cellule basali, la malattia di Bowen (carcinoma intradermico), la malattia di Paget extramammaria, il carcinoma cloagenico e il melanoma maligno sono meno frequenti. L'ampia escissione locale rappresenta spesso un trattamento soddisfacente per il carcinoma perianale. La combinazione della chemioterapia e della radioterapia determina un'elevata percentuale di guarigione quando usata per i tumori squamosi e cloacogenici. La resezione addominoperineale è indicata quando la radioterapia e la chemioterapia non permettono di ottenere la regressione completa del tumore.

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Principi di terapia dei tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 144. PRINCIPI DI TERAPIA DEI TUMORI Sommario: Introduzione CHIRURGIA RADIOTERAPIA CHEMIOTERAPIA TERAPIA ADIUVANTE E MULTIMODALE ALTRE MODALITÀ Terapia endocrina Modificatori della risposta biologica Ipertermia e crioterapia TERAPIA DEGLI EFFETTI COLLATERALI Nausea e vomito Citopenia Altri comuni effetti collaterali TUMORI NON GUARIBILI

Un trattamento efficace di un tumore richiede l’eliminazione di tutte le cellule neoplastiche, sia se la malattia è limitata alla sede primitiva, con estensione locoregionale, sia se vi sono metastasi in altre regioni del corpo. Le principali modalità di trattamento sono la chirurgia e la radioterapia (per la malattia locale e locoregionale) e la chemioterapia (per le forme con diffusione sistemica). Altre importanti metodiche comprendono la terapia endocrina (per alcuni tipi di neoplasia, p. es., prostata, mammella, endometrio, fegato), l’immunoterapia (modificatori della risposta biologica per incrementare l’attività citocida endogena del sistema immune e vaccini tumorali) e termoterapia (crioterapia e ipertermia). La terapia multimodale associa i vantaggi derivanti da ciascuna metodica. La definizione clinica dei termini oncologici aiuta a comprendere gli obiettivi e i progressi della terapia. Per una possibile guarigione, deve essere ottenuta una remissione o risposta completa, che richiede la scomparsa della malattia clinicamente evidente. Questo tipo di pazienti potrebbe sembrare guarito ma può ancora avere cellule neoplastiche vitali che, nel tempo, possono essere causa di recidiva. Una risposta parziale è una riduzione > 50% del volume della massa o delle masse tumorali. Una risposta parziale può portare a una palliazione e a un prolungamento della sopravvivenza significativi, ma la ricrescita del tumore è inevitabile. Un paziente può anche non avere alcuna risposta. L’intervallo tra la scomparsa della neoplasia e la recidiva è definito intervallo libero da malattia o sopravvivenza libera da malattia. Analogamente, la durata della risposta si misura dalla comparsa della risposta parziale al momento della progressione. La sopravvivenza è il tempo che va dalla diagnosi al decesso.

CHIRURGIA La chirurgia rappresenta la più antica forma efficace di terapia del cancro. La chirurgia con intento curativo richiede che il tumore sia localizzato o abbia una

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diffusione locoregionale limitata, in modo da permettere una resezione in blocco. Ciò si applica in particolare al tumore della vescica, mammella, cervice, colon, endometrio, laringe e testa-collo, rene, polmone, ovaio e testicolo. Nelle situazioni in cui non può essere effettuata una resezione in blocco, trattamenti multimodali con radioterapia, chemioterapia o chemioradioterapia possono ridurre le dimensioni del tumore, rendendo possibile una resezione chirurgica curativa. Le neoplasie guaribili con la sola chirurgia sono elencate nella Tab. 144-1. In dettaglio gli aspetti del trattamento chirurgico sono trattati nei capitoli sui tumori dei singoli organi.

RADIOTERAPIA La radioterapia viene somministrata secondo varie metodiche. La più comune è l’irradiazione esterna con acceleratore lineare, che rilascia elevate percentuali di fotoni (radiazioni). La radioterapia con fascio di neutroni è utilizzata per alcuni tumori che hanno un ristretto margine tissutale. La radioterapia con fascio di elettroni ha una penetrazione nei tessuti piuttosto ridotta ed è maggiormente utilizzata per la cute o per le neoplasie superficiali. La terapia con protoni, anche se scarsamente disponibile, può consentire di raggiungere piccoli tumori anche profondi con fasci strettamente collimati. La brachiterapia comporta il posizionamento di una sorgente radioattiva nello stesso letto tumorale (p. es., nella prostata o nell’encefalo) attraverso degli aghi, cedendo quindi una dose molto alta in un piccolo campo. Gli isotopi radioattivi per via sistemica possono essere utilizzati per gli organi che possiedono i recettori per il loro "uptake" (tumore della tiroide) o a scopo palliativo in caso di diffusione ossea generalizzata (p. es., stronzio radioattivo per le metastasi di tumore prostatico). La radioterapia a scopo curativo generalmente richiede una malattia locale o locoregionale che possa essere circoscritta all’interno del campo di radiazione. Il danno cellulare indotto dalle radiazioni è casuale e aspecifico, con effetti complessi sul DNA. L’efficacia della terapia dipende dal danno cellulare che va oltre la normale capacità di riparazione. In genere, i meccanismi di riparazione del tessuto normale sono più efficaci di quelli del tumore, consentendo una diversa citotossicità. La radioterapia è curativa in molte neoplasie (v. Tab. 144-1). La radioterapia associata alla chirurgia (per testa e collo, laringe o cancro dell’utero) o con chemioterapia e chirurgia (per sarcomi o tumori della mammella, dell’esofago, del polmone o del retto) migliora le percentuali di guarigione rispetto alle tradizionali modalità di terapia usate singolarmente. La fototerapia, il più recente approccio multimodale, utilizza un derivato della porfirina (una protoporfirina) per legarsi e quindi illuminare la neoplasia, allo scopo di ottenere una captazione selettiva della radiazione luminosa. La radioterapia è in grado di fornire un importante effetto palliativo sul tumore, anche quando la guarigione non è possibile. La radioterapia nei tumori cerebrali prolunga lo stato di benessere del paziente; nelle neoplasie che comprimono il midollo, può eliminare il deficit neurologico; nelle sindromi della vena cava, può eliminare il rischio di morte improvvisa; e nelle metastasi sintomatiche o associate a dolore, di solito controlla la sintomatologia.

CHEMIOTERAPIA Il chemioterapico ideale dovrebbe colpire e distruggere solo le cellule tumorali senza effetti collaterali o tossicità sulle cellule normali. Purtroppo, tale farmaco non esiste; vi è un basso indice terapeutico tra l’effetto citotossico sulle cellule tumorali e quello sulle cellule normali. Ciononostante, la chemioterapia, anche con farmaci usati singolarmente, ha portato alla guarigione di alcuni tipi di tumore

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(cioè, coriocarcinoma, leucemia a cellule capellute, leucemia linfatica cronica). Più comunemente, regimi terapeutici con più farmaci con meccanismo, siti d’azione intracellulare e tossicità differenti (per ridurre la possibile tossicità cumulativa) forniscono percentuali di guarigione significative (p. es., nella leucemia acuta, nel tumore della vescica e del testicolo, nel morbo di Hodgkin, nel linfoma maligno, nel tumore polmonare a piccole cellule e nei tumori del rinofaringe). L’inefficacia dei farmaci chemioterapici in vivo quando l’efficacia è stata documentata in vitro ha indotto un gran numero di studi sulla resistenza ai farmaci. Uno dei meccanismi identificati, la simultanea resistenza a più farmaci, è dovuto a vari geni che limitano la concentrazione del farmaco e il suo effetto sulle cellule tumorali del paziente. I tentativi di superamento di questa resistenza non hanno avuto successo. I più comuni farmaci chemioterapici considerati efficaci sono descritti nella Tab. 144-2.

TERAPIA ADIUVANTE E MULTIMODALE Il limitato successo del trattamento con chirurgia o radioterapia da sole ha portato a scoprire che la chirurgia associata alle radiazioni può aumentare l’intervallo libero da malattia e la percentuale di guarigione in alcuni tumori (p. es., ginecologici, polmonari, del laringe e della testa e del collo). Essendo queste modalità rivolte al controllo locoregionale, la chemioterapia viene associata a scopo adiuvante per eliminare le cellule tumorali che si siano diffuse oltre la regione interessata. La chemioterapia adiuvante può aumentare la sopravvivenza libera da malattia e la percentuale di guarigione in circa il 30% dei casi di tumore della mammella nelle donne e negli uomini, di tumore del colon (Dukes B2 e C), tumore avanzato della vescica e dell’ovaio. Questo successo ha portato all’uso della chemioterapia o della radioterapia prima della chirurgia, definita terapia di induzione (o neoadiuvante). Questo approccio ha migliorato la sopravvivenza nel tumore infiammatorio e avanzato della mammella, del polmone (p. es., stadio IIIA e B), del rinofaringe e della vescica.

ALTRE MODALITÀ Terapia endocrina La terapia endocrina additiva o ablativa può influenzare il decorso di alcune neoplasie. La terapia endocrina non è curativa; è solo palliativa. L’orchiectomia ha un importante valore palliativo nel carcinoma prostatico metastatico, con un prolungamento abituale della sopravvivenza da 3 a 5 anni. La sua efficacia è basata sulla presenza di una popolazione cellulare testosterone- dipendente nel tumore prostatico. Altre neoplasie con recettori ormonali nelle loro cellule (p. es., mammella, endometrio, ovaio) possono spesso avere un miglioramento palliativo con terapia ormonale ablativa. Questo successo ha indotto l’uso di ormoni nel trattamento farmacologico per questo tipo di tumori. Gli estrogeni costituiscono un efficace trattamento palliativo per il tumore della prostata ma aumentano il rischio di cardiopatia. Queste osservazioni hanno portato all’uso di inibitori della secrezione di gonadotropine. Il leuprolide, un analogo sintetico dell’ormone che induce il rilascio delle gonadotropine, inibisce la secrezione delle gonadotropine e la conseguente produzione di androgeni dalle gonadi e ha un’efficacia analoga all’orchiectomia come trattamento palliativo del tumore prostatico. Un blocco androgenico ancora più completo può essere ottenuto aggiungendo un antiandrogeno orale (flutamide o bicalutamide), che riduce il legame dell’ormone androgeno ai suoi recettori; questa associazione sembra dare una sopravvivenza libera da malattia maggiore di 6-12 mesi rispetto al solo leuprolide o all’orchiectomia.

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Analogamente, la privazione degli estrogeni (con l’ovariectomia) ha un effetto palliativo nel tumore della mammella in fase avanzata. Il tamoxifene, un farmaco ormonale orale, può legarsi ai recettori degli estrogeni delle cellule di tumore mammario ed è altrettanto efficace dell’ovariectomia come trattamento palliativo. Il tamoxifene è una terapia particolarmente efficace per il tumore mammario metastatico nelle donne in post-menopausa. Come terapia adiuvante del tumore della mammella, prolunga la durata della sopravvivenza libera da malattia, migliora del 20-30% la percentuale di guarigione delle pazienti con recettori positivi e riduce il rischio di neoplasia mammaria nel seno controlaterale di circa il 60%. Per i dettagli sulla terapia endocrina, v. Tab. 144-2.

Modificatori della risposta biologica Gli interferoni, le interleuchine e il tumor necrosis factor (TNF) sono proteine biologiche che intervengono nelle risposte immunologiche (protettive). Sono sintetizzate dalle cellule del sistema immune in presenza di infezione virale come risposta immune protettiva. In concentrazioni farmacologiche, hanno un effetto palliativo in alcune neoplasie. Gli interferoni si sono dimostrati attivi in alcuni tumori. Nella leucemia a cellule capellute si sono avute percentuali di risposte complete del 60-80%. Nella leucemia mieloide cronica, fino al 20% dei pazienti possono ottenere una risposta completa (con negativizzazione del cromosoma Philadelphia). L’interferone può aumentare la sopravvivenza libera da malattia (12-24 mesi) dopo un trattamento chemioterapico efficace nel mieloma e in alcune forme di linfoma. La sopravvivenza è in parte prolungata nei pazienti con melanoma e carcinoma renale a cellule chiare. Un effetto estetico palliativo si ha nel sarcoma di Kaposi. Le maggiori tossicità dell’interferone comprendono astenia, nausea, leucopenia, febbre con brividi e mialgia. Le interleuchine, in primo luogo la linfochina interleuchina-2 prodotta da cellule T attivate, sono state utilizzate con modesti effetti palliativi nel carcinoma renale. Varie altre interleuchine sono in corso di studio, come il TNF.

Ipertermia e crioterapia Il riscaldamento del letto tumorale (a 41°C [105,8°F]) per aumentare la necrosi cellulare con l’uso di farmaci o radiazioni è stato sperimentato con scarsi risultati. La criochirurgia (con una sonda all’interno della massa tumorale) produce un modesto effetto palliativo nel tumore del fegato e nel tumore mammario inoperabile.

TERAPIA DEGLI EFFETTI COLLATERALI Nausea e vomito Gli antiemetici prevengono o controllano la nausea e il vomito, che comunemente insorgono con la radioterapia dell’addome e con molti farmaci chemioterapici, specie se in combinazione. Talvolta la nausea e il vomito sono funzionali (v. Vomito Funzionale nel Cap. 21) o dovuti allo stesso tumore. Pertanto, la causa sottostante deve sempre essere riconosciuta e trattata. La stimolazione del centro del vomito nel midollo allungato avviene nella zona "grilletto" chemiorecettoriale (CTZ), nella corteccia cerebrale o nell’apparato vestibolare oppure deriva dalla trasmissione diretta di stimoli provenienti da aree periferiche (p. es., mucosa gastrica). Gli antiemetici sembrano agire in queste aree, ma il loro meccanismo non è stato ancora ben capito. Di solito la terapia file:///F|/sito/merck/sez11/1441061.html (4 of 7)02/09/2004 2.13.58

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farmacologica è più efficace nella profilassi che non nel trattamento di nausea e vomito. Gli antagonisti del recettore della serotonina sono i farmaci più efficaci attualmente disponibili per il trattamento della nausea e del vomito associati a radioterapia o chemioterapia e a molti processi patologici. In pratica non si ha nessuna tossicità con il granisetron e l’ondansetron, anche se, raramente, con l’ondansetron sono insorte cefalea e ipotensione ortostatica. Questi farmaci costituiscono la terapia antiemetica di prima linea; il loro maggiore svantaggio è il costo. Gli antidopaminergici comprendono molte delle fenotiazine (p. es., proclorperazina, flufenazina), che sembrano agire con una depressione selettiva del CTZ e, in minor grado, sul centro del vomito. Questi farmaci di seconda scelta sono utili nel trattamento di nausea e vomito leggeri o moderati. Dato che la maggior parte delle fenotiazine (eccetto la tioridazina e la mesoridazina) sembra avere la stessa efficacia, se somministrate in dosi sufficienti, la scelta del farmaco può dipendere dalla valutazione degli effetti collaterali. La metoclopramide stimola la motilità del tratto superiore dell’apparato GI, aumenta il tono e l’ampiezza della contrazione gastrica e aumenta la peristalsi duodenale e digiunale. Il risultato è un’accelerazione dello svuotamento gastrico e del transito intestinale. La metoclopramide funziona come antiemetico attraverso gli effetti gastrocinetici e inoltre sembra avere qualche effetto centrale antagonista dopaminergico. Gli effetti collaterali più importanti sono i sintomi extrapiramidali, in parte dosedipendenti. Il benadryl è in grado di proteggere da questi. Altri effetti collaterali comprendono sonnolenza e astenia. Il farmaco è controindicato nei casi in cui la stimolazione della motilità GI può essere pericolosa (ostruzioni meccaniche o perforazioni), nel feocromocitoma e nei pazienti epilettici o in coloro che assumono farmaci ugualmente in grado di provocare sintomi extrapiramidali. Il suo uso come antiemetico è stato ampiamente rimpiazzato dagli antagonisti dei recettori della serotonina. Il dronabinolo (∆-9-tetraidrocannabinolo (THC), è un farmaco approvato per il trattamento di nausea e vomito provocati dalla chemioterapia antiblastica, nei pazienti che non rispondono al trattamento antiemetico convenzionale. Il THC è il componente psicoattivo principale della marijuana. Il meccanismo dell’azione antiemetica è sconosciuto, ma si ritiene che i cannabinoidi si leghino ai recettori per gli oppioidi del cervello anteriore e possano indirettamente inibire il centro del vomito. Questo farmaco è stato abbandonato poiché per os ha una biodisponibilità variabile, non è efficace contro la nausea e il vomito dei regimi chemioterapici contenenti cisplatino e ha importanti effetti collaterali (p. es., sonnolenza, ipotensione ortostatica, secchezza delle fauci, alterazioni dell’umore, alterazioni della cognizione spazio-temporale).

Citopenia Durante la radioterapia o la chemioterapia possono svilupparsi anemia, leucopenia e trombocitopenia. La comparsa di sintomi clinici e una ridotta efficacia della radioterapia si hanno con valori di ematocrito < 30%. Anche se le trasfusioni con sacche di globuli rossi sono raramente necessarie, l’eritropoietina ricombinante è utilizzata nel controllo dell’astenia nel paziente affetto da neoplasia per supplire al fabbisogno di globuli rossi. In genere, la posologia di 100-150 U/kg SC tre volte/ sett. (un comodo dosaggio per l’adulto è 10000 U) è molto efficace e ha ridotto o eliminato il fabbisogno di emotrasfusioni. Una piastrinopenia importante (piastrine < 10000/ml), specie se è presente sanguinamento, può essere trattata con trasfusioni di piastrine concentrate. La trombopoietina ricombinante è disponibile e probabilmente ridurrà notevolmente la necessità di tali trasfusione. La neutropenia (conta dei neutrofili < 1000/µl) è la citopenia clinicamente più

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importante poiché possono insorgere febbre neutropenica e aumentato rischio di infezioni. La febbre > 38°C (100,4°F) in un paziente granulocitopenico deve essere considerata una emergenza. La valutazione del paziente neutropenico deve comprendere colture immediate di sangue, escreato, urine e feci. L’esame clinico deve andare alla ricerca di possibili raccolte ascessuali (p. es., retina, orecchio, retto). Poiché l’assenza dei neutrofili ha come conseguenza che i segni abituali di riconoscimento di un ascesso possono non essere evidenti, il dolore localizzato e le alterazioni della normale consistenza tissutale possono essere i segni di un ascesso incipiente. Un paziente stabile può essere trattato con un regime domiciliare intensivo presso molti centri, ma in assenza di un programma di trattamento definito, è necessario il ricovero ospedaliero. Un trattamento con antibiotici ad ampio spettro deve essere iniziato subito dopo aver ottenuto i risultati degli esami colturali di sangue, escreato, urine e di ogni lesione cutanea sospetta. Se sono presenti infiltrati polmonari diffusi, il medico deve includere nella diagnosi differenziale la polmonite da Pneumocystis carinii e istituire una terapia empirica, specie nei pazienti con leucemia o linfoma. In presenza di un quadro infiltrativo polmonare, gli antibiotici devono includere trimetoprim-sulfametossazolo, un aminoglicoside e una cefalosporina. Nei pazienti con catetere venoso permanente, le infezioni da gram + sono comuni e dovrebbe essere aggiunta la vancomicina. Se la febbre persiste oltre le 24 h, deve essere aggiunta una penicillina semisintetica (p. es., ticarcillina). Se la febbre continua per 72-120 h, deve essere presa in considerazione un’eziologia micotica e deve essere aggiunta al programma terapeutico l’amfotericina B. Un importante elemento addizionale nella terapia durante la sepsi o la febbre neutropenica è la terapia con citochine come il fattore stimolante le colonie granulocitarie (GCSF o in alternativa il fattore stimolante le colonie di macrofagi [GM-CSF]). Il G-CSF (5 µg/kg/die SC o in infusione endovena) è il farmaco di scelta e deve essere prescritto alla comparsa della febbre o della sepsi.

Altri comuni effetti collaterali Le enteriti post-attiniche possono essere migliorate con antidiarroici. Le mucositi da radioterapia possono precludere significativamente l’alimentazione orale e portare a malnutrizione e a perdita di peso. Misure semplici (p. es., l’uso di analgesici e di lidocaina topica prima dei pasti, una dieta blanda senza alimenti o succhi a base di agrumi, evitando temperature troppo alte o troppo basse) consentono al paziente di alimentarsi e mantenere il peso. Se tali semplici misure falliscono, deve essere presa in considerazione un’alimentazione enterale con un tubo di plastica flessibile (Dobhoff) fino a quando l’intestino tenue torni funzionalmente normale. In caso di mucosite e diarrea o di alterata funzione intestinale, si può istituire un’alimentazione parenterale. Il dolore può costituire un problema ma può essere trattato con farmaci, radioterapia locale o chirurgia (v. Cap. 167). Analogamente, la depressione deve essere riconosciuta. Una discussione franca sui timori del paziente spesso può rimuovere l’ansia; un crescente armamentario di farmaci è attualmente disponibile per il trattamento della depressione (v. Cap. 189).

TUMORI NON GUARIBILI Una comune concezione errata è che alcuni tumori non siano suscettibili di trattamento. Anche se la neoplasia può essere inguaribile, il paziente può essere curato. Curare significa qualcosa di più dell’uso di chirurgia, radioterapia o chemioterapia e vuol dire prendersi cura saggiamente del paziente. Per i pazienti le cui neoplasie non sono responsive a queste modalità di trattamento, l’uso di un’inefficace chemioterapia tanto per "fare qualcosa" contro il tumore non è una buona pratica medica. Una terapia adeguata per questo tipo di pazienti (e per tutti i pazienti affetti da cancro) comprende un supporto nutrizionale, un efficace controllo del dolore, un trattamento palliativo importante e un supporto sociale e file:///F|/sito/merck/sez11/1441061.html (6 of 7)02/09/2004 2.13.58

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psichiatrico. Soprattutto, il paziente deve sapere che l’équipe terapeutica non lo abbandonerà poiché non esiste una terapia specifica o questa non è stata efficace. La partecipazione in protocolli di ricerca attentamente controllati, se disponibile e appropriata, deve essere presa in considerazione e discussa con il paziente. L’hospice o altri simili programmi di cura della fase terminale costituiscono un importante elemento della terapia dei tumori. Per maggiori informazioni concernenti i pazienti con malattia inguaribile, v. Cap. 294.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 144-1. PERCENTUALE DI SOPRAVVIVENZA LIBERA DA MALATTIA A 5 ANNI IN RELAZIONE AL TRATTAMENTO Terapia

Chirurgia (da sola)

Sede

% di sopravvivenza libera da malattia a 5anni

Cervice

I

94

Mammella

I

82

Vescica

O+A

81

B1

66

A

81

B

64

C

27

Prostata

A+B

80

Laringe

I+II

76

Endometrio

I

74

Ovaio

I

72

Cavità orale

I+II

67-76

Rene

I+II

67

Testicolo (non seminoma)

I

65

Polmone (non a piccole cellule)

I

50-70

II

37

Linfoma non Hodgkin

Stadio anatomo patologico I

60

Colon

Radioterapia (da sola)

Stadio

Linfoma non Hodgkin (diffuso) Morbo di Hodgkin

90 Stadio anatomo patologico IA 88 Stadio anatomo patologico IIA 83 Stadio anatomo patologico IIIA

71

Testicolo (seminoma)

II+III

84

Prostata

A+B

80

C

67

Laringe

I+II

76

Cervice

II+III

60

Nasofaringe

I, II, III

35

Seni nasali

I, II, III

35

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Manuale Merck - Tabella

Mammella

III

Esofago

Chemioterapia (da sola)

Chirurgia e radioterapia

Chirurgia e chemioterapia

Radioterapia e chemioterapia

10

Polmone

IIIMO (escluso tumore di Pancoast)

9

Coriocarcinoma (donne)

Tutti gli stadi

95

Testicolo (non seminoma)

III

88

Morbo di Hodgkin

III B+IV A+B

74

Linfoma diffuso a grandi cellule

II, III, IV

64

Linfoma di Burkitt

I, II, III

60

Leucemia (infanzia, LNLA)

54

Leucemia (40anni, LNLA)

25

Polmone (a piccole cellule)

Limitato

25

Testicolo (seminoma)

I

94

Endometrio

II

62

Vescica

B2+C

54

Cavità orale

III

36

Ipofaringe

II+III

33

Polmone

IIIMO Pancoast

32

Mammella

II

62

Colon

III

70

Prostata

C

50-68

Ovaio: carcinoma

II, III,IV

30-60

Ovaio: cellule germinali

II, III,IV

85

SNC (medullo blastoma)

Sarcoma di Ewing

71-80

Ogni stadio

Retto (carcinoma squamoso) Chirurgia, radioterapia e chemioterpia

29

70 40

Polmone (a piccole cellule)

Limitato

16-20

Rene (tumore di Wilm)

Ogni stadio

80

Rabdomiosarcoma embrionario

Ogni stadio

80

Polmone

IIIB

35

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Manuale Merck - Tabella

Cavità orale, ipofaringe

III+IV

20-40

Retto

II+III

50

LNLA=leucemia acuta non linfocitica

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 144-2.FARMACI ANTINEOPLASTICI COMUNEMENTE USATI Classe

Nome generico o commerciale

Agenti alchilanti

Mecloretamina (mostarda azotata)

Dose consigliata e via di somministrazione 6mg/m2 EV q 4 sett. 4-10mg/die PO

Clorambucil (Leukeran) Ciclofosfamide (Endoxan) Melfalan (Alkeran) Ifosfamide (Holoxan) Antimetaboliti

Metotrexato

Antagonisti dei folati

Meccanismo d‘azione

Tumori abitualmente sensibili

Tossicità e note

Morbo di Hodgkin, linfoma maligno, tumore polmonare a piccole cellule, cancro della mammella, tumore del testicolo, leucemia linfatica cronica

Alopecia ad alte dosi EV; nausea e vomito; mielode pressione; cistite emorragica (in particolare con l‘ifosfamide) che può essere prevenuta o ridotta con il mesna; azione mutagena e leucemogena; azoospermia; sterilità permanente (possibile)

Si lega con la Specifico deidrofolatoreduttasi della fase S e interferisce con la sintesi del timidilato (pirimidina)

Coriocarcinoma (donne), tumore testa-collo, leucemia linfatica acuta, tumore dell‘ovaio, linfoma maligno, osteosarcoma osteogenico

Ulcerazione delle mucose; mielodepressione; tossicità aumentata in caso d‘insufficienza renale o di ascite (con sequestro del farmaco). Il rescue con il leucovorin può inibire la tossicità a 24h (1020mg q 6h×10 dosi)

Blocco della sintesi Specifico de novo delle purine della fase S

Leucemia acuta

Mielodepressione, alopecia

Interferisce con la timidilatosintetasi riducendo la produzione di timidina

Specifico della fase S

Neoplasie gastrointestinali, tumore della mammella

Mucosite, alopecia, mielodepressione, diarrea e vomito, iperpigmentazione. Se somministrato dopo il MTX ha un significativo effetto sinergico

Inibizione della DNA Specifico polimerasi della fase S

Leucemia acuta (in particolare non linfatiche), linfomi maligni

Mielodepressione; nausea e vomito; tossicità congiuntivale e cerebellare con le alte dosi; eruzioni cutanee

Inteferisce con la conversione di dCMP in dUMP, riducendo la quantità di timidina disponibile

Tumore del pancreas, del polmone e della vescica

Mielodepressione

Alchilazione del DNA con impossibilità della doppia elica di svolgersi e replicarsi

Effetto sul ciclo cellulare Non specifico

600mg/m2 EV q 4 sett. 50-200mg/m2 PO 1mg/kg q 4 sett. PO 2-4 g/m2/die EV x 3- 5gg q 3-4 sett. 2,5-5mg/die PO 25-50mg/1 dose/ sett. PO 100-10000mg/ m2EV (con rescue) q 4 sett.

Antagonisti delle purine

6100mg/m2/die PO Mercaptopurina

Antagonisti delle pirimidine

5-Fluorouracile

300-1000mg/m2 EV o in infusione continua

Citarabina (Ara 100mg/m2 EV in - C) infusione continua

Gemcitabina (Gemzar)

1200mg/m2 EV/ sett.

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Specifico della fase S

Manuale Merck - Tabella

Veleni del fuso (di origine vegetale)

Vinblastina (Velbe) 0,1-0,2mg/kg EV q Blocco della mitosi Metafase per alterazione delle 7-10gg proteine microtubulari

Linfomi, leucemie, tumore della mammella, sarcoma di Ewing, tumore del testicolo

Alopecia, mielodepressione, neuropatia periferica, ileo paralitico

Vincristina

1,4mg/m2 EV* q 3 sett.

Come sopra

Metafase

Come sopra

Neuropatia periferica; SI ADH. Dose massima totale negli adulti di 2mg

Vinorelbina (Navelbine)

20mg/m2 EV sett.

Come sopra

Metafase

Tumore del polmone e della mammella

Mielodepressione, neuropatia

Paclitaxel (Taxol)

135mg-200 g/ml EV q 3 sett.

Promuove l‘assemblaggio dei microtubuli

G2 e

Tumore della mammella, polmone, ovaio, testa-collo e vescica

Mielodepressione, alopecia, mialgia, artralgia, neuropatia

Docetaxel (Taxotere)

100g/m2 EV q 3sett.

Promuove l‘assemblaggio dei microtubuli

G2 e

Tumore della mammella e del polmone

Mielodepressione, alopecia, rush cutanei, ritenzione di liquidi

100mg/m2/die EV per 35gg

Inibizione della mitosi con un meccanismo sconosciuto; inibizione topoisomerasi II

Metafase

Linfomi, linfoma di Hodgkin, cancro del testicolo, cancro del polmone (in particolare a piccole cellule), leucemia acuta

Nausea e vomito; mielode pressione; neuropatia periferica; eliminato dal fegato (teniposide dal rene); aumento della tossicità in caso d‘insufficienza renale

Inibizione topoisomerasi I

Non specifico

Tumore del colon, retto e polmone

Diarrea, mielodepressione, alopecia

Topotecan (Hycamtin)

1,5g/m2/die EV per Iinibizione 5gg q 3-4 sett. topoisomerasi I

Non specifico

Tumore dell‘ovaio e del polmone

Mielodepressione

Adriamicina (Adriblastina)

40-75mg/m2 in bolo EV o 30mg/ m2/die per 3gg in infusione EV continua† q 3-4 sett.

Non specifico

Leucemia acuta, linfoma di Hodgkin, altri linfomi, tumore della mammella e del polmone

Nausea e vomito; mielodeppressione; alopecia. Tossicità cardiaca a dose cumulativa >500mg/m2. Dosi superiori sono tollerate se somministrate in infusione continua EV. La daunomicina, un analogo, presenta una cardiotossicità maggiore; la sua utilità è limitata alla leucemia acuta

Vinca

Podofillotossine Etoposide (Vepesid)

100mg/die PO per 14gg al mese

Camptotecine

Irinotecan (Campto)

100-125g/m2 EV sett. (USA)

metafase

metafase

350mg/m2 q. 3sett. (Europa)

Antibiotici

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Intercalazione tra le coppie di basi del DNA, inibizione del disavvolgimento della doppia elica del DNA

Manuale Merck - Tabella

Bleomicina (Bleomicina)

6-15 U/m2 SC o EV

Incisione delle coppie di basi del DNA

Non specifico

Tumori epidermoidali, linfomi, tumore del testicolo e del polmone

Anafilassi; brividi e febbre; eruzioni cutanee; fibrosi polmonare alla dose >200mg/m2; richiede un‘escrezione renale

Mitomicina (Mitomicyn C)

Di solito 10-12mg/ m2, EV lenta, q 6 sett.

Inibisce la sintesi del DNA agendo come un alchilante bifunzionale

Non ciclo o fasespecifico; gli effetti sono potenziati se le cellule sono in fase G tardiva o S precoce

Adenocarcinoma gastrico, cancro del colon, mammella e polmone, tumore della vescica a cellule transizionali

Lo stravaso locale provoca necrosi tissutale; mielode pressione, con leucopenia e trombocitopenia dopo 4-6 sett dal trattamento; alopecia; letargia; febbre; sindrome emolitica uremica

Carmustina (BiCNU)

150-200mg/m2 EV q 6 sett.

Alchilazione del Non DNA con restrizione specifico del disavvolgimento delle coppie di basi e della replicazione

Lomustina (CCNU) (Belustine)

100-130mg/m2 PO Carbamilazione degli aminoacidi q 6 sett. nelle proteine

Non specifico

Tumori cerebrali (astrocitoma, glioblastoma)

Mielodepressione (ritardata), nefrotossicità

Cisplatino (Platinex, Platamine, Citoplatino)

60-100mg/m2EV o 20mg/m2 EV/die per 5gg, q 4 sett.

Inter- e intracalazione fra le basi del DNA, inibisce il disavvolgimento del DNA

Non specifico

Tumore del polmone (soprattutto a piccole cellule), testicolo, mammella e stomaco, linfomi

Anemia, ototossicità, nausea, vomito, neuropatia periferica, mielodepressione

Carboplatino (Paraplatin)

300g/m2 o secondo AUC 5-6 EV q 3 sett.

Come sopra

Non specifico

Tumore del polmone, testacollo e mammella

Mielodepressione

Modificatori del la risposta biologica

Interferone (Intron-A, Roferon- A)

3-25 x 106 U/m2 3 volte/sett. SC o IM

Effetto antiproliferativo

Sconosciuto Leucemia a cellule capellute, leucemia mieloide cronica, linfomi, sarcoma di Kaposi (AIDS), carcinoma a cellule renali, melanoma

Astenia, febbre, mialgie, artralgie, mielodepressione, sindrome nefrosica (raramente)

Enzimi

Asparaginasi (Kidrolase)

1000-6000 U/m2 EV o IM

Deplezione di as paragina, da cui dipende la cellula leucemica

Ciclo specifico

Leucemia linfatica acuta

Anafilassi acuta, ipertermia, pancreatite, iperglicemia, ipofibrinogenemia

Ormoni

Tamoxifene (Nolva dex)

10mg PO bid

Mette le cellule in fase quiescente; si lega al recettore degli estrogeni

Non specifico

Tumore della mammella

Vampate di calore, ipercalcemia, trombosi venosa profonda

Leuprolide (Zoladex)

7,5mg IM 1 volta al Inibisce la mese o depot secrezione di 21mg IM q 3 mesi gonadotropine

Non specifico

Tumore della prostata

Vampate di calore, calo della libido, irritazione nella sede di iniezione

Nitrosuree

Ioni inorganici

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Tumori cerebrali, Mielodepressione; tossicità polmonare linfomi (fibrosi); tossicità renale

Manuale Merck - Tabella

Flutamide (Eulexin)

250mg PO q 8h

Si lega ai recettori degli androgeni

Megestrolo acetato (Megestil, Megace)

160-240mg/die PO Inibisce l‘azione degli estrogeni

*Dose normalmente contenuta in 2mg negli adulti. †Dosi più alte tollerate se somministrate in infusione continua. dCMP=deossicitidina monofosfato; dUMP=deossiuridina monofosfato.

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Non specifico

Tumore della prostata

Diminuzione della libido, vampate di calore, ginecomastia

Tumore della mammella e dell‘endometrio

Aumento di peso, ritenzione di liquidi

Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 21. DISTURBI FUNZIONALI DELL'APPARATO GASTROINTESTINALE SUPERIORE Sintomi riferibili al sistema GI superiore in cui la condizione patologica è assente, scarsamente definita o, se presente, non spiega interamente il quadro clinico.

VOMITO FUNZIONALE Espulsione forzata del contenuto gastrico prodotta dalle involontarie contrazioni della muscolatura addominale quando il fondo gastrico e lo sfintere esofageo inferiore sono rilasciati.

Sommario: Introduzione Eziologia e psicofisiologia Diagnosi Terapia

La nausea (la spiacevole sensazione che si ha quando si sta per vomitare) è associata a un'alterazione dell'attività fisiologica, che comprende un'ipomobilità gastrica e un aumento del tono parasimpatico che precedono e accompagnano il vomito. Può rappresentare la consapevolezza del paziente circa la presenza di stimoli afferenti al centro midollare del vomito. Il vomito deve essere distinto dal rigurgito, che è l'emissione del contenuto gastrico senza la nausea e le contrazioni forzate della muscolatura addominale.

Eziologia e psicofisiologia Il vomito fisiologico è una condizione funzionale che si verifica in risposta a fattori che condizionano, a livello centrale o in periferia, il centro del vomito (p. es., tossine sistemiche o ingerite, disturbi del sistema vestibolare, infiammazione peritoneale, occlusione intestinale). Si può verificare anche nei disturbi da ritardato svuotamento gastrico (p. es., diabete, gastroparesi idiopatica). Il vomito psicogeno può essere autoindotto o si può presentare involontariamente in situazioni percepite dal paziente come causa di ansia, minacciose o in un certo senso "disgustose". I fattori psicologici che conducono al vomito possono essere determinati culturalmente (p. es., mangiare cibi esotici considerati repulsivi per la propria estrazione culturale). Il vomito può esprimere ostilità, come quando un bambino vomita durante un accesso di ira o può essere sintomo di un disturbo di conversione.

Diagnosi L'anamnesi, l'esame obiettivo e i dati iniziali di laboratorio possono spesso escludere in modo ragionevole un significativo disturbo organico a carico del tratto GI (colecistite, coledocolitiasi, ostruzione intestinale, malattia peptica ulcerosa, gastroenterite acuta, perforazione viscerale o altre cause di "addome acuto", ingestione di sostanze nocive); le alterazioni in altri distretti (p. es., file:///F|/sito/merck/sez03/0210254.html (1 of 2)02/09/2004 2.14.01

Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

pielonefrite acuta, infarto del miocardio, epatite acuta); i disturbi tossici o metabolici (infezioni sistemiche, esposizione alle radiazioni, intossicazione da farmaci, chetoacidosi diabetica, cancro); o le cause neurogene (stimolazione dei centri vestibolari, dolore, meningite, trauma del SNC, tumori). Anche quando la sintomatologia persiste per settimane o mesi, l'esame obiettivo solitamente non evidenzia un calo ponderale, la disidratazione o delle anomalie cliniche. Comunque, i pazienti con gravi disturbi psicologici, inclusi i disordini alimentari, possono sviluppare uno stato di malnutrizione e delle anomalie metaboliche dovute al vomito protratto. Gli episodi possono non seguire gli attesi schemi fisiologici; p. es., il vomito si può presentare al pensiero del cibo o può non essere in alcun rapporto temporale con l'assunzione di alimenti. Nei disturbi dell'alimentazione, il vomito è autoindotto. Chiarire le caratteristiche comportamentali che producono il vomito, aiuta a stabilire una causa psicologica, ma può portare via molto più tempo di quanto si dispone. I pazienti possono presentare delle storie personali o familiari di nausea funzionale e di vomito, che possono servire come modello per i sintomi attuali. Incoraggiando i pazienti a descrivere l'inizio degli episodi, molti di essi lo rapportano a un periodo di stress e riferiscono la comparsa di recidive o di aggravamenti durante periodi ugualmente stressanti; tuttavia, possono non riconoscere l'associazione o non essere consapevoli del disturbo mentale. Se l'anamnesi e l'esame clinico non escludono un disturbo organico, l'esecuzione di ulteriori esami dipenderà dalle informazioni cliniche già in possesso del medico. Questi esami comprendono l'emocromo, la glicemia, la VES, l'azotemia, gli elettroliti, l'esame delle urine, i test di funzionalità epatica, la ricerca del sangue occulto nelle feci, l'esame radiologico dell'apparato digerente incluso il piccolo intestino e l'ecografia dell'addome. Se questi sono normali (cioè, se è possibile escludere una malattia del tratto GI superiore, metabolica o tossica), si può porre con ragionevole certezza la diagnosi di nausea e vomito funzionali.

Terapia La rassicurazione terapeutica dimostra il riconoscimento da parte del medico del fastidio del paziente e il desiderio di impegnarsi per ottenere la guarigione indipendentemente dall'eziologia. Commenti del tipo "non c'è niente che non va" o "il problema è soltanto di tipo emozionale" devono essere evitati. Si può provare con una breve terapia sintomatica a base di antiemetici. Il trattamento a lungo termine comprende regolari visite ambulatoriali di sostegno durante le quali il paziente può essere aiutato a risolvere i problemi che sono alla base del disturbo.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 135-3. Regimi antimicrobici disponibili come terapia iniziale ed empirica per infezione in corso di neutropenia acuta Regime Aminoglicoside più un preparato antipseudomonas di tipo βlattamico*

Due farmaci β-lattamici più una ureidopenicillina

Indicazioni Pazienti a rischio per Pseudomonas aeruginosa, inclusi i pazienti colonizzati da questo organismo e pazienti con grave mucosite associata a chemioterapia

Vantaggi Uso diffuso Attività contro gli anaerobi Potenziale attività sinergica contro alcuni bacilli gram-

Pazienti a rischio per Bassa tossicità Staphylococcus aureus e P. aeruginosa

Svantaggi Mancanza di attività contro alcuni batteri gram + Potenziale tossicità legata all’aminoglicoside, inclusa la nefrotossicità e l’ototossicità Potenziale selezione di organismi resistenti Costo relativamente alto Possibile antagonismo antimicrobico con infezioni batteriche sieriche

Vancomicina o nafcillina più un aminoglicoside e una penicillina con attività anti-pseudomonas (o una cefalosporina di terza generazione)

Pazienti con stafilococchi coagulasinegativi, S.aureus resistente alla meticillina, e streptocochi a- emolitici

Utile in pazienti con una derivazione di Hickman infettata e con S. aureus resistente alla meticillina (vancomicina)

Potenziale selezione di enterococchi vancomicina- resistenti; se si verifica resistenza è disponibile quinupristin/ dalfopristin

*Se è utilizzato questo regime, i livelli dell’aminoglicoside devono essere monitorizzati e le dosi regolate in modo appropriato.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 135-4. CAUSE DI LINFOCITOPENIA Cause ereditarie Aplasia delle cellule staminali linfopoietiche Immunodeficienza combinata grave associata a difetto della catena γ del recettore dell’interleuchi na-2, deficit di ADA o di PNP o a causa scono sciuta Atassia telengiectasia Sindrome di Wiskott-Aldrich Immunodeficienza con timoma Ipoplasia cartilagine-capelli

Cause acquisite Malattie infettive, incluse AIDS, epatite, influenza, TBC, febbre tifoide, sepsi Iatrogene dopo somministrazione di terapia immuno soppressiva, glucocorticoidi, terapia con raggi ultravioletti di tipo A associata a psoralenici ad alto dosaggio, chemioterapia citotossica, radiazioni, drenaggio del dotto toracico. Malattia sistemica associata a forme autoimmunitarie, p. es., LES, miastenia gravis, morbo di Hodgkin, enteropatia protido- disperdente, insufficienza renale, sarcoidosi, insulto termico, anemia aplastica Deficit dietetici associati ad abuso di etanolo, deficienze di zinco.

Linfocitopenia idiopatica delle cellule T CD4+ ADA=adenosina-deaminasi; PNP=fosforilasi del nucleoside purinico. Adattata da Boxer LA:"Approach to the patient with leukopenia", in Textbook of Internal Medicine, 3ed., edito da WN Kelley. Philadelphia, Lippincott-Raven Publishers, 1997, pp.1299-1305

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Disordini degli eosinofili

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 136. DISORDINI DEGLI EOSINOFILI Sommario: Introduzione EOSINOFILIA Eziologia Diagnosi e terapia SINDROME IPEREOSINOFILA IDIOPATICA Fisiopatologia Sintomi, segni e prognosi Terapia

Gli eosinofili sono dei granulociti derivati dalle stesse cellule progenitrici dei monociti-macrofagi, neutrofili e basofili. Il numero normale di eosinofili circolanti nel sangue periferico è < 350/µl, con livelli diurni che variano in maniera inversa al livello di cortisolo plasmatico; il picco si ha nella notte e il minimo nel corso della mattina. La vita media degli eosinofili circolanti è di 6-12 ore con la maggior parte degli eosinofili che risiedono nei tessuti (p. es., prime vie respiratorie e del tratto GI, cute, utero). L’eosinofilopoiesi sembra essere regolata dai linfociti T attraverso la secrezione di fattori di crescita ematopoietici, di fattori stimolanti le colonie granulocitomacrofagiche (GM-CSF), interleuchina-3 (IL-3) e interleuchina-5 (IL-5). Sebbene il GM-CSF e IL-3 incrementino anche la produzione di altre cellule mieloidi, l’IL-5 aumenta esclusivamente la produzione degli eosinofili. Contenuti dei granuli degli eosinofili: la proteina basica maggiore (PBM) e la proteina cationica degli eosinofili (PCE) sono tossiche per diversi parassiti e per le cellule mammarie. Queste proteine legano l’eparina e neutralizzano la sua attività anticoagulante. La neurotossina eosinofilo-derivata può danneggiare gravemente la guaina mielinica dei neuroni. La perossidasi degli eosinofili, che si differenzia significativamente dalla perossidasi degli altri granulociti, genera radicali ossidanti in presenza di acqua ossigenata e di un alogeno. I cristalli di Charcot-Leyden sono composti principalmente di fosfolipasi B e possono essere trovati nello sputo, nei tessuti e nelle feci nelle malattie associate all’eosinoflia (p. es., asma e polmonite eosinofila). Funzioni degli eosinofili: le precise funzioni sono sconosciute; non è stato descritto alcun paziente o animale senza eosinofili. Sebbene siano cellule fagocitiche, gli eosinofili sono meno efficienti dei neutrofili nell’uccidere i batteri intracellulari. Nessuna evidenza diretta mostra che gli eosinofili uccidono parassiti in vivo, ma essi sono tossici contro gli elminti in vitro e l’eosinofilia comunemente accompagna le infestazioni elmintiche. Gli eosinofili possono modulare la reazione d’ipersensibilità immediata mediante la degradazione o l’inattivazione di mediatori rilasciati dalle mastcellule (p. es., istamina, leucotrieni, lisofosfolipidi, eparina). I leucotrieni possono causare vasocostrizione e broncocostrizione. Una prolungata eosinofilia può determinare un danno dei tessuti mediante un meccanismo non ancora chiaro, sebbene le proteine basiche degli eosinofili siano citotossiche.

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Disordini degli eosinofili

EOSINOFILIA Numero di eosinofili circolanti nel sangue periferico > 350/µl. Lo sviluppo di eosinofilia ha le caratteristiche di una risposta immune: un primo contatto con un agente quale la Trichinella spiralis determina una risposta primaria con livelli relativamente bassi di eosinofili, mentre ripetuti contatti inducono una risposta eosinofila aumentata o secondaria. I fattori che riducono il numero degli eosinofili comprendono i β-bloccanti, i corticosteroidi, lo stress e a volte infezioni batteriche e virali. Diversi composti rilasciati dai mastociti e dai basofili in conseguenza del legame di molecole di IgE sulla loro superficie sono chemiotattiche per gli eosinofili, p. es., il fattore eosinofilo chemiotattico di anafilassi, il leucotriene B4, il complesso del complemento (C567) e l’istamina (in un ristretto intervallo di concentrazione).

Eziologia L’eosinofilia può essere primitiva o secondaria ad altre malattie sottostanti (v. Tab. 136-1). Negli USA le malattie allergiche/atopiche sono la causa più comune di eosinofilia, con prevalenza delle malattie respiratorie e cutanee. Le reazioni eosinofile ai farmaci possono essere asintomatiche o associate a una varietà di sindromi che includono nefrite interstiziale, malattia da siero, ittero colestatico, vasculite da ipersensibilità e linfoadenopatia immunoblastica. Recentemente è stata osservata un’epidemia (diverse centinaia di casi) di una sindrome eosinofilo-mialgica in pazienti che utilizzavano grandi quantità di ltriptofano per la sedazione o come supporto psicotropico. La sindrome (grave dolore muscolare, tenosinovite, edema dei muscoli, rash cutaneo) durava da qualche settimana ad alcuni mesi e sono stati riportati diversi decessi. L’evidenza suggerisce che questa condizione non è stata dovuta all’l-triptofano, ma a un agente contaminante. Quasi tutte le invasioni parassitarie di tessuti possono comportare una reazione eosinofila, ma i protozoi e i metazoi non invasivi di solito non la determinano. Infezioni non sostenute da parassiti possono essere accompagnate da eosinofilia. Delle malattie neoplastiche la malattia di Hodgkin può determinare una marcata eosinofilia, mentre i linfomi non Hodgkin, la leucemia mieloide cronica e la leucemia linfoblastica acuta sono meno spesso accompagnate da eosinofilia. Dei tumori solidi, il cancro dell’ovaio è la causa maggiore di eosinofilia. Le malattie del tessuto connettivo con aumento dei complessi immuni circolanti e le vasculiti sono spesso associati a eosinofilia (v. Fascite eosinofila al Cap. 50). Malattie immunitarie acquisite e congenite, spesso con eczema, possono essere associate a eosinofilia. Il termine di infiltrato polmonare con eosinofilia (sindrome IPE) definisce un ampio spettro di manifestazioni cliniche, che è caratterizzato da eosinofilia periferica e infiltrati polmonari eosinofili (v. Polmoniti eosinofile al Cap. 76 e Granuloma eosinofilo in Granulomatosi da cellula di Langerhans al Cap. 78) ma è di solito di causa sconosciuta.

Diagnosi e terapia L’anamnesi deve essere molto accurata per ciò che riguarda viaggi, allergie e uso di farmaci. L’esame obiettivo, la radiografia del torace, l’ECG, l’analisi delle urine, lo studio della funzionalità epatica e renale possono rivelare una causa sottostante e identificare una lesione d’organo. Test diagnostici specifici vengono richiesti in base al sospetto clinico e possono comprendere l’esame delle feci per parassiti e uova e test sierologici per parassiti e malattie del tessuto connettivo. Talora nelle feci può non essere evidente la presenza di elminti, ma la negatività dell’esame parassitologico non esclude che la causa dell’ipereosinofilia sia da file:///F|/sito/merck/sez11/1361011.html (2 of 4)02/09/2004 2.14.03

Disordini degli eosinofili

attribuire a una parassitosi (p. es., la trichinosi richiede una biopsia muscolare, le infezioni da larva migrans, e le infestazioni da filariosi, richiedono biopsie di altri tessuti). L’aspirato duodenale può essere necessario per escludere la presenza di parassiti specifici (p. es., sp Strongyloides). Un aumento del valore sierico della vitamina B12 o una riduzione dei valori della fosfatasi alcalina leucocitaria può far ipotizzare una malattia mieloproliferativa sottostante. L’aspirato e la biopsia midollare con studi citogenetici possono essere di aiuto, soprattutto se sono presenti nel sangue periferico cellule immature. Se non vengono identificate cause sottostanti, il paziente deve essere seguito per le complicanze. Un breve tentativo con corticosteroidi a basso dosaggio può ridurre la conta degli eosinofili se l’eosinofilia è reattiva piuttosto che maligna.

SINDROME IPEREOSINOFILA IDIOPATICA (Connettivite disseminata eosinofila; leucemia eosinofila; endocardite fibroplastica di Löffler con eosinofilia) Condizione caratterizzata da eosinofilia ematica periferica > 1500/µl per più di 6 mesi; assenza di cause parassitarie, allergiche o altre cause di eosinofilia; sono presenti manifestazioni di malattie con coinvolgimento di più organi o disfunzioni direttamente correlate all’eosinofilia.

Fisiopatologia Sebbene possa essere coinvolto qualsiasi organo, quelli più frequentemente colpiti comprendono il cuore, i polmoni, la milza, la cute e il sistema nervoso (v. Tab. 136-2). Il coinvolgimento cardiaco di solito causa morbilità e mortalità derivante da una diretta infiltrazione eosinofila o da tossine rilasciate dalle cellule. La lesione endocardica e microvascolare innesca i processi di trombosi con conseguente fibrosi endocardica e cardiomiopatia restrittiva. Il coinvolgimento dei muscoli papillari e delle corde tendinee di solito portano al rigurgito mitralico o tricuspidale. I trombi murali sono una fonte di emboli polmonari o sistemici.

Sintomi, segni e prognosi La sindrome clinica segue due grandi modelli: un disordine mieloproliferativo con splenomegalia, trombocitopenia, livelli elevati di vitaminaB12 sierica ed eosinofili ipogranulari o vacuolati. Tali pazienti presentano un rischio aumentato per lo sviluppo di fibrosi endomiocardica o, meno comunemente, per una progressione verso una franca leucemia con cellule blastiche. (2) Una malattia di ipersensibilità con angioedema, ipergammaglobulinemia, livelli elevati sierici di IgE e immunocomplessi circolanti; tali pazienti è meno probabile che sviluppino una malattia cardiaca, spesso non richiedono terapia e rispondono bene agli steroidi. Circa 1/3 dei pazienti, con l’una o l’altra delle sindromi, sopra descritte, sono trombocitopenici al momento della presentazione. Le manifestazioni neurologiche sono variabili e sono la conseguenza diretta della lesione neurologica o di lesione focale dovuta alla formazione di emboli. Nel passato, questa malattia aveva una prognosi infausta con una sopravvivenza mediana < 1 anno e < 20% dei pazienti sopravvissuti a 2 anni; la morte di solito si verificava per disfunzione d’organo. La terapia attuale ha migliorato la prognosi. La maggioranza dei pazienti richiede un intervento terapeutico; metà di questi pazienti risponde bene al prednisone, specialmente quelli con un’eosinofilia da ipersensibilità; con la terapia citotossica, un altro terzo di pazienti avrà un numero file:///F|/sito/merck/sez11/1361011.html (3 of 4)02/09/2004 2.14.03

Disordini degli eosinofili

di GB normali e concomitante stabilità clinica. In questi ultimi pazienti la sopravvivenza globale è > 80%.

Terapia Tutta la terapia ha l’obiettivo di ridurre il numero degli eosinofili secondo il principio che le manifestazioni cliniche possono derivare dall’infiltrazione del tessuto da parte degli eosinofili o al rilascio del loro contenuto. La terapia è necessaria solo quando si manifesta la progressione del danno a carico di organi critici; altrimenti il paziente va semplicemente osservato q 3-6 mesi. Le complicanze secondarie al coinvolgimento di sistemi di organo devono essere trattate in maniera aggressiva. I corticosteroidi e l’idrossiurea sono le pietre miliari del trattamento. La terapia d’attacco è il prednisone PO (1 mg/kg/die) fino al miglioramento della sintomatologia clinica e al ritorno degli eosinofili a valori normali; una terapia adeguata di prednisone deve durare almeno 2 mesi. Se il paziente ottiene una remissione, la dose deve essere lentamente ridotta nei successivi 2 mesi a 0,5 mg/kg/die e quindi a giorni alterni a questo dosaggio. Una riduzione ulteriore deve essere effettuata lentamente fino alla dose più bassa che controlla la malattia. Se il prednisone non controlla le manifestazioni della malattia e l’eosinofilia, o se il dosaggio richiesto è inaccettabilmente alto, allora deve essere aggiunta idrossiurea 0,5-1,5 g/die PO; l’obiettivo terapeutico è quello di riportare il numero dei GB a valori oscillanti tra 4000 e 10000/µl. Recentemente, l’interferon-α è stato introdotto come prezioso agente per il trattamento dell’eosinofilia. Il dosaggio efficace va da 3 a 5 milioni di U SC per tre volte la settimana e dipende in parte dalla tolleranza e dai suoi effetti collaterali. La funzione cardiaca e le lesioni delle mucose hanno mostrato notevoli miglioramenti. L’interruzione dell’interferon-α può esacerbare la malattia. È in via di accertamento se l’interferon-α debba essere il trattamento di prima linea dell’ipereosinofilia. Terapia di supporto per le complicanze: può essere necessario praticare la terapia medica e chirurgica per le manifestazioni cardiache (p. es., cardiomiopatia infiltrativa, lesioni valvolari, scompenso cardiaco). Le complicanze trombotiche indicano l’uso di farmaci antipiastrinici (p. es., aspirina, dipiridamolo); è opportuno l’utilizzo del warfarin quando si rilevi un trombo del ventricolo sinistro e di una prolungata terapia con l’aspirina quando vi è stato un attacco ischemico transitorio. I pazienti con danno cardiaco devono ricevere terapia antibiotica profilattica in corso di trattamenti odontoiatrici o altre procedure strumentali chirurgiche.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 136–1. CAUSE IMPORTANTI DI EOSINOFILIA Ipereosinofilia primitiva o idiopatica Malattie allergiche o atopiche Asma, rinite allergica, aspergillosi allergica broncopolmonare, pneumopatie professionali, orticaria, eczema, dermatite atopica, allergia alle proteine del latte, angioedema episodico con eosinofilia, reazioni allergiche da farmaci Infezioni parassitarie (specialmente metazoari in vadenti i tessuti) Trichinosi, larva migrans viscerale, tricuriasi, ascaridiosi, strongiloidosi, anchilostomiasi, clonorchiasi, paragonimiasi, fasciolasi, teniasi (da Taenia solium), echinococcosi, filariosi, schistosomiasi, infezione da Pneumocystis carinii Infezioni non parassitarie Aspergillosi, brucellosi, malattia da graffio di gatto, linfocitosi infettiva, polmonite infantile da Clamidia, coccidioidomicosi acuta, mononucleosi infettiva, malattie da micobatteri, scarlattina Neoplasie Carcinomi e sarcomi (polmone, pancreas, colon, cervice uterina, ovaio), malattia di Hodgkin, lin foma non Hodgkin, linfoadenopatia immunoblastica Malattie mieloproliferative, come la leucemia mielo genacronica (compresa la sindrome ipereosinofilica idiopatica) Sindromi di infiltrati polmonari con eosinofilia Eosinofilia polmonare semplice (sindrome di Löffler), polmonite eosinofila cronica, eosinofilia polmonare tropicale, aspergillosi broncopolmonare allergica, sindrome di Churg-Strauss

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Manuale Merck - Tabella

Affezioni della pelle Dermatite esfoliativa, dermatiti erpetiformi, psoriasi, pemfigo Connettiviti, vasculiti o malattie granulomatose (specie quelle che colpiscono i polmoni) Periarterite nodosa, artrite reumatoide, sarcoidosi, malattia infiammatoria intestinale, lupus eritema toso sistemico, sclerodermia, fascite eosinofila, sindrome di Dressler Malattie immuni Malattia del rigetto verso l’ospite (graft-vs-host disease), immunodeficienze congenite (p.es., carenza di IgA, sindrome di Wiskott-Aldrich)

Disordini endocrini Insufficienza surrenalica Altre cause Cirrosi, radioterapia, dialisi peritoneale, eosinofilia familiare, l-triptofano

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO FASCITE EOSINOFILA Disordine simil-sclerodermico caratterizzato da infiammazione simmetrica e dolorosa, tumefazione e indurimento che coinvolge le braccia e le gambe ma non le aree più vicine ai cingoli come nella sclerodermia.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La causa della fascite eosinofila (FE) è sconosciuta. La malattia si verifica soprattutto in soggetti di sesso maschile e di età media, ma può colpire anche le donne e i bambini.

Sintomi e segni La strenua attività fisica in una persona precedentemente sedentaria può precipitare la malattia. Le manifestazioni d'esordio sono il dolore, la tumefazione e l'infiammazione della cute, seguiti dall'indurimento con una caratteristica configurazione a buccia d'arancia, molto evidente sulle superfici anteriori degli arti. Possono essere interessati occasionalmente anche la faccia e il tronco, con alterazioni molto simili a quelle della sclerosi sistemica. Può essere presente anche la sindrome del tunnel carpale. Il fenomeno di Raynaud non è caratteristico. L'esordio è generalmente insidioso, con graduale riduzione dei movimenti delle braccia e delle gambe. Il coinvolgimento delle fasce è caratteristico, ma il processo può anche coinvolgere i tendini, le membrane sinoviali e i muscoli. Compaiono, in genere, contratture secondarie all'indurimento e all'ispessimento della fascia. Sono comuni l'astenia e la perdita di peso. Benché sia assente una compromissione della forza muscolare, possono verificarsi mialgie e artriti. Sono stati riportati casi con sindrome di Sjögren e con patologie cardiache e, sebbene raramente, con anemia aplastica e trombocitopenia. L'assenza abituale del fenomeno di Raynaud, delle teleangectasie e di un significativo coinvolgimento viscerale (p. es., la riduzione della motilità esofagea), aiutano a distinguere la FE dalla sclerosi sistemica.

Diagnosi Gli esami di laboratorio negli stadi precoci della malattia attiva mostrano eosinofilia, VES elevata e ipergammaglobulinemia di tipo IgG policlonale. Raramente possono svilupparsi gravi malattie ematologiche, specialmente

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Malattie del tessuto connettivo

processi linfoproliferativi. Gli Ac antinucleari e il fattore reumatoide sono assenti. Non vi è associazione con HLA di classe I o II. Possono essere evidenziate alterazioni elettromiografiche aspecifiche. La diagnosi è confermata dalla biopsia della cute e delle fasce interessate, effettuata abbastanza profondamente da includere le fibre muscolari adiacenti. Comunque, una significativa infiammazione della fascia può anche verificarsi in altre malattie diffuse del tessuto connettivo. Il derma può presentare un'infiltrazione cellulare. La fascia sottocutanea è notevolmente ispessita con iperplasia delle fibre collagene del connettivo. L'infiltrazione cellulare della fascia, dell'epimisio, del perimisio, dell'endomisio e del muscolo è costituita da istiociti, plasmacellule, linfociti e, occasionalmente, da granulociti eosinofili. La RMN può evidenziare un ispessimento della fascia, con intensità aumentata del segnale nelle fibre muscolari superficiali in correlazione con l'infiammazione.

Prognosi e terapia La maggior parte dei pazienti risponde rapidamente ad alte dosi di prednisone (40-60 mg/die, con rapida riduzione a 5-10 mg/die). Basse dosi continuative possono essere richieste per 2-5 anni. In alternativa, può essere usata l'idrossiclorochina 200-400 mg/die. Sebbene i risultati a distanza siano per ora sconosciuti, nella maggior parte dei pazienti la FE è una patologia autolimitata, senza complicanze.

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Malattie polmonari da ipersensibilità

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 76. MALATTIE POLMONARI DA IPERSENSIBILITÀ POLMONITI EOSINOFILE Gruppo di malattie da causa nota o sconosciuta, caratterizzate da infiltrati polmonari eosinofili e, generalmente, da eosinofilia ematica periferica.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La polmonite eosinofila è a volte detta sindrome degli infiltrati polmonari con eosinofilia (IPE).

Eziologia e fisiopatologia Le cause comprendono parassiti (p. es., nematelminti, larve di Toxocara, filarie), farmaci (p. es., penicilline, acido aminosalicilico, idralazina, nitrofurantoina, clorpropamide, sulfamidici), sensibilizzanti chimici (p. es., nickel carbonile inalato come vapore) e i funghi (p. es., l'Aspergillus fumigatus, causa dell'aspergillosi broncopolmonare allergica, v. oltre). Tuttavia, la maggior parte delle polmoniti eosinofile ha un'eziologia sconosciuta, sebbene si sospetti un meccanismo di ipersensibilità. L'eosinofilia suggerisce una reazione di ipersensibilità di tipo I; altri aspetti della sindrome (la vasculite, gli infiltrati a cellule rotonde) fanno ipotizzare reazioni di tipo III e forse di tipo IV. Le polmonite eosinofile (v. Tab. 76-3) sono spesso associate con l'asma bronchiale. Quelle associate all'asma e quelle a eziologia sconosciuta possono essere classificate in 3 gruppi principali: asma bronchiale estrinseco con sindrome IPE, che spesso è un'aspergillosi broncopolmonare allergica; asma bronchiale intrinseco con sindrome IPE (polmonite eosinofila cronica), comunemente con infiltrati periferici caratteristici alla rx del torac ; e granulomatosi allergica (sindrome di Churg-Strauss), una variante della poliarterite nodosa con predilezione per i polmoni. La polmonite eosinofila semplice (sindrome di Löffler) può occasionalmente essere associata a un asma lieve. Le polmoniti eosinofile non associate all'asma comprendono le polmoniti eosinofile acute, la sindrome eosinofilia-mialgia e la sindrome da ipereosinofilia. La polmonite acuta eosinofila, un'entità distinta da causa ignota, provoca febbre acuta, grave ipossiemia, diffusi infiltrati polmonari e > 25% di eosinofili nel liquido di lavaggio broncoalveolare; si risolve rapidamente e completamente con una terapia con corticosteroidi. La sindrome eosinofiliamialgia è associata all'ingestione di grandi quantità di l-triptopfano contaminato usato come additivo alimentare. Gli infiltrati polmonari occasionalmente compaiono insieme alle caratteristiche tipiche: mialgia, astenia muscolare, eruzione cutanea e indurimento dei tessuti molli che richiama lo scleroderma. I

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Malattie polmonari da ipersensibilità

criteri diagnostici per la sindrome da ipereosinofilia sono una persistente eosinofilia > 1500/mm3 per oltre 6 mesi, il mancato riscontro di altre cause di eosinofilia e il coinvolgimento sistemico del cuore, del fegato, della milza, del SNC o dei polmoni. Il cuore è coinvolto comunemente. La febbre, la perdita di peso e l'anemia sono frequenti. Le tromboembolie, più frequentemente arteriose che venose, si verificano spesso. Caratteristicamente, gli alveoli sono riempiti di eosinofili e di grandi cellule mononucleate e i setti sono infiltrati da eosinofili, da plasmacellule e da cellule mononucleate grandi e piccole. Inoltre, si osservano tappi di muco nei bronchioli e infiltrazione vascolare.

Sintomi e segni I sintomi e i segni possono essere sia lievi che potenzialmente letali. La sindrome di Löffler può comprendere febbre non elevata, sintomatologia respiratoria minima (o assente) e rapida risoluzione. Altre forme di sindrome IPE danno febbre con sintomi di asma bronchiale, compresi la tosse, il respiro sibilante e la dispnea a riposo. Senza terapia, la polmonite eosinofila cronica è spesso progressiva e potenzialmente letale, come anche la polmonite eosinofila acuta. È caratteristica in genere una spiccata eosinofilia ematica (compresa tra il 20 e il 40%, talvolta assai più elevata). Le rx torace mostrano infiltrati che si sviluppano e scompaiono rapidamente in diversi lobi (infiltrati migranti).

Diagnosi Le infezioni da elminti devono essere ricercate sulla base della provenienza geografica del paziente. I parassiti e l'A. fumigatus possono essere presenti nell'escreato. Va raccolta un'anamnesi farmacologica completa. La diagnosi differenziale comprende la TBC, la sarcoidosi, la malattia di Hodgkin e le altre patologie linfoproliferative, il granuloma eosinofilo del polmone, la polmonite interstiziale desquamativa e le collagenopatie. La polmonite da ipersensibilità e la granulomatosi di Wegener sono solo raramente associate a eosinofilia.

Terapia La malattia può essere benigna, autolimitantesi e non richiedere alcun trattamento. Se i sintomi sono sufficientemente gravi, tuttavia, la terapia con corticosteroidi (p. es., prednisone, come per la polmonite da ipersensibilità, v. sopra) è in genere decisamente efficace; nella polmonite acuta eosinofila e nella polmonite eosinofila cronica idiopatica, tale trattamento può essere salvavita. Quando è presente l'asma bronchiale, è indicata la consueta terapia dell'asma (v. Asma nel Cap. 68). In presenza di una infezione da elminti devono essere utilizzati farmaci vermifughi adeguati (v. Cap. 161).

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 68. MALATTIE OSTRUTTIVE CRONICHE DELLE VIE AEREE ASMA Malattia polmonare caratterizzata da ostruzione reversibile del flusso aereo, infiammazione delle vie aeree e aumentata reattività delle vie aeree a una serie di stimoli.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Fisiopatologia Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi e classificazione Diagnosi differenziale nei bambini Diagnosi differenziale negli adulti Terapia Terapia giorno per giorno Terapia di un attacco acuto

(Per l'asma in gravidanza, v. Cap. 251.)

Epidemiologia Negli USA, circa 12 milioni di persone sono affette da asma. Dal 1982 al 1992, la prevalenza dell'asma è aumentata dal 34,7 al 49,4 per 1000. La mortalità è aumentata del 40%, dal 13,4 al 18,8 per milione; è risultata cinque volte più frequente nei neri che nei bianchi. L'asma è la principale causa di ricovero tra i bambini e la prima condizione cronica nel causare assenze scolastiche. Nel 1990, le cure ospedaliere degli asmatici sono costate > 2 miliardi di dollari e il costo totale dell'asma è stato di 6,21 miliardi di dollari.

Fisiopatologia L'ostruzione delle vie aeree nell'asma è dovuta a una combinazione di fattori che comprendono lo spasmo del muscolo liscio bronchiale, l'edema della mucosa delle vie aeree, l'aumentata secrezione mucosa, l'infiltrazione cellulare (soprattutto eosinofila e linfocitaria) delle pareti delle vie aeree e il danno e la desquamazione dell'epitelio bronchiale. Il broncospasmo causato dalla contrazione della muscolatura liscia è stato a lungo considerato il meccanismo principale dalla ostruzione delle vie aeree. Ma attualmente la malattia infiammatoria delle vie aeree è riconosciuta un fattore di importanza cruciale, particolarmente nelle forme croniche di asma. Anche nell'asma lieve è presente una risposta infiammatoria con infiltrazione cellulare,

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

particolarmente da parte di eosinofili attivati e linfociti ma anche di neutrofili e mastcellule; si verifica anche una desquamazione delle cellule epiteliali. Le mastcellule sembrano importanti nella risposta acuta agli allergeni inalati e forse allo sforzo fisico, ma sono meno importanti di altre cellule nella patogenesi dell'infiammazione cronica. Il numero di eosinofili presenti nel sangue periferico e nelle secrezioni delle vie aeree è in stretta correlazione con il grado di iperreattività bronchiale. Caratteristicamente, tutti gli asmatici con patologia in fase attiva hanno delle vie aeree iperresponsive (iperreattive), evidenziate da un'eccessiva risposta broncocostrittiva a molti stimoli diversi. Il grado di iperreattività è strettamente collegato all'estensione dell'infiammazione e correla strettamente sia con la gravità della malattia che con la necessità di farmaci. Tuttavia, non si conosce la causa dell'iperreattività delle vie aeree. Modificazioni strutturali nelle vie aeree possono contribuire a determinarla. Per esempio, la desquamazione dell'epitelio (dovuta alla proteina basica maggiore degli eosinofili) causa una perdita di fattore rilasciante derivato dall'epitelio e di prostaglandina E2, sostanze entrambe in grado di ridurre la risposta contrattile ai mediatori broncocostrittori. Le endopeptidasi neutre responsabili della metabolizzazione dei mediatori della broncocostrizione (p. es., la sostanza P) sono prodotte dalle cellule epiteliali e anch'esse vengono perse quando l'epitelio è danneggiato. Un'altra possibile causa di iperreattività delle vie aeree è il rimodellamento delle vie aeree che produce un lieve aumento del loro spessore. Molti mediatori dell'infiammazione nelle secrezioni delle vie aeree dei pazienti asmatici contribuiscono alla broncocostrizione, alla secrezione di muco e allo stravaso nel microcircolo. Lo stravaso, una componente costante delle reazioni infiammatorie, porta a un edema della sottomucosa, aumenta la resistenza delle vie aeree e contribuisce all'iperreattività. I mediatori dell'infiammazione sono rilasciati o prodotti in conseguenza delle reazioni allergiche polmonari; questi comprendono l'istamina e i prodotti del metabolismo dell'acido arachidonico (i leucotrieni e i trombossani, entrambi in grado di aumentare transitoriamente l'iperreattività delle vie aeree). I cisteinil-leucotrieni, il LTC4 e il LTD4, sono i più potenti broncocostrittori mai studiati nell'uomo. Il fattore attivante le piastrine non è più considerato un importante mediatore nell'asma. L'attivazione della risposta allergica da parte delle cellule T è un evento chiave anche nell'infiammazione che caratterizza l'asma. Le cellule T e i loro prodotti di secrezione (le citochine) mantengono l'infiammazione delle vie aeree. Le citochine prodotte da un gruppo specifico di linfociti, le cellule T CD4Th2 (helper), favoriscono la crescita e la differenziazione delle cellule, le attivano e le inducono a migrare nelle vie aeree, dove ne prolungano la sopravvivenza. Le principali citochine coinvolte comprendono l'interleuchina (IL)-4, che è necessaria per la produzione di IgE; l'IL-5, che è un fattore chemiotattico per gli eosinofili e il fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi, simile all'IL-5 per i suoi effetti sugli eosinofili ma meno potente. La broncocostrizione da riflesso colinergico probabilmente partecipa alla risposta acuta all'inalazione di sostanze irritanti; tuttavia, può essere più importante il rilascio di neuropeptidi dalle vie nervose sensitive mediante riflesso assonico. Questi peptidi, che comprendono la sostanza P, la neurochinina A e il peptide correlato con il gene della calcitonina, inducono aumentata permeabilità vascolare, secrezione mucosa, broncocostrizione e vasodilatazione bronchiale. Le modificazioni fisiopatologiche sopra descritte portano a vari gradi di ostruzione bronchiale e a una ventilazione che è tipicamente disomogenea. La persistente vascolarizzazione di aree ipoventilate porta a uno squilibrio ventilazione/ perfusione, causando ipossiemia arteriosa. Nella fase precoce di un attacco, un paziente solitamente compensa iperventilando le aree polmonari non ostruite, provocando una riduzione della PaCO2. Al progredire dell'attacco, la capacità di iperventilare è compromessa dalla progressiva occlusione delle vie aeree e dall'affaticamento muscolare. L'ipossiemia peggiora e la PaCO2 comincia a salire, portando a un'acidosi respiratoria. A questo punto, il paziente è in insufficienza respiratoria (v. Cap. 66)

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Sintomi e segni La frequenza e la gravità dei sintomi variano ampiamente da paziente a paziente e di momento in momento nel singolo paziente. Alcuni asmatici hanno degli attacchi occasionali di modesta entità e di breve durata. Altri presentano tosse e sibili di modesta entità per gran parte del tempo, intervallati da gravi esacerbazioni dopo esposizione ad allergeni riconosciuti, infezioni virali, sforzi fisici o stimoli irritanti aspecifici. Fattori psicologici, in particolare quelli associati a pianto, grida o scoppi di riso, possono scatenare i sintomi. Di solito, un attacco inizia acutamente con crisi parossistiche di sibili, tosse e respiro corto o in modo insidioso con manifestazioni di difficoltà respiratoria a lenta progressione. Comunque, specialmente nei bambini, un sintomo prodromico può essere una sensazione di prurito nella parte anteriore del collo o in quella superiore del torace, e una tosse secca, specialmente di notte e durante esercizio fisico, può rappresentare l'unico sintomo. Un paziente asmatico avverte di solito in primo luogo tosse, mancanza di respiro e senso di costrizione o di oppressione al torace e può udire dei sibili. La tosse durante un attacco acuto suona "secca" e generalmente non produce muco. Fatta eccezione per i bambini, che espettorano di rado, quando l'attacco cessa si ha produzione di escreato mucoso vischioso. Esame obiettivo: durante un attacco acuto, il paziente mostra una sofferenza respiratoria di vario grado a seconda della gravità e della durata dell'episodio. Sono presenti tachipnea e tachicardia. Il paziente preferisce sedere ben dritto o sporto in avanti, usa i muscoli respiratori accessori, è ansioso e sembra combattere per respirare. L'esame del torace mostra una fase espiratoria prolungata con sibili di tonalità relativamente alta durante tutta l'inspirazione e la maggior parte dell'espirazione. Il torace può apparire nettamente iperespanso per effetto dell'intrappolamento di aria. Ronchi grossolani possono accompagnare i sibili, ma non si auscultano fini rantoli, a meno che non ci sia una concomitante presenza di polmonite, atelettasia o scompenso cardiaco. Durante gli episodi di maggior gravità, il paziente può non essere in grado di pronunciare più di qualche parola per volta senza doversi fermare per prendere fiato. Affaticamento e grave sofferenza sono evidenziati da movimenti respiratori rapidi, superficiali e inefficaci. Col peggioramento dell'attacco diventa manifesta la cianosi. Stato confusionale e letargia possono indicare l'insorgere di uno scompenso respiratorio ingravescente con narcosi da CO2. In tali pazienti, l'auscultazione può evidenziare solo pochi sibili, dal momento che l'ostruzione diffusa da tappi di muco e l'affaticamento del paziente comportano una marcata riduzione del flusso aereo e degli scambi gassosi. Un torace silente in un paziente con un attacco d'asma è un segnale di allarme e indica che il paziente può avere gravi problemi respiratori che possono rapidamente diventare minacciosi per la vita. I segni più affidabili di un grave attacco sono la dispnea a riposo, la difficoltà nel parlare, la cianosi, il polso paradosso (> 20-30 mm Hg) e l'uso dei muscoli accessori della respirazione. La valutazione più precisa della gravità è fornita dalla misurazione dei gas nel sangue arterioso. Nell'intervallo tra gli attacchi acuti, i suoni respiratori possono risultare normali durante la respirazione tranquilla. Tuttavia, fini sibili possono essere auscultati durante l'espirazione forzata o dopo sforzo. In alcuni pazienti si può rilevare costantemente un respiro appena o moderatamente sibilante, anche quando sono asintomatici. In caso di grave asma persistente da lungo tempo, specie se fin dall'infanzia, un'iperespansione cronica può deformare la gabbia toracica, producendo p. es., il torace "a botte", l'inarcamento anteriore dello sterno o l'abbassamento del diaframma. Le complicanze di un attacco acuto di asma sono elencate nella Tab. 68-2.

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Esami di laboratorio La misura dei gas e del pH nel sangue arterioso è essenziale in un paziente con asma così grave da richiedere il ricovero. Prove di funzionalità respiratoria: negli asmatici riconosciuti, le prove di funzionalità respiratoria aiutano a valutare il grado di ostruzione bronchiale e di compromissione degli scambi gassosi, a determinare la risposta delle vie aeree all'inalazione di allergeni o ad agenti chimici (test di provocazione bronchiale), a quantificare la risposta alla terapia farmacologica e per realizzare il follow-up a lungo termine (v. anche Cap. 64). Le prove di funzionalità respiratoria sono soprattutto utili quando sono eseguite prima e dopo la somministrazione di broncodilatatori per aerosol in modo da stabilire il grado di reversibilità della bronco-ostruzione. Queste prove sono inoltre utili nella diagnosi differenziale. I volumi e le capacità polmonari statici mostrano varie alterazioni, benché queste possano non essere osservate nella fase di remissione di una malattia di lieve entità. La capacità polmonare totale, la capacità residua funzionale e il volume residuo risultano di solito aumentati. La capacità vitale può essere normale o ridotta. I volumi e le capacità polmonari dinamici sono ridotti ma tornano a normalizzarsi dopo l'inalazione di un broncodilatatore per aerosol. Nei soggetti con asma asintomatico lieve, i risultati possono risultare normali. Dal momento che il flusso espiratorio dipende dal diametro delle vie aeree e dalle forze di ritorno elastico del polmone, il flusso a grandi volumi polmonari supera il flusso a bassi volumi. I test che misurano il flusso a volumi polmonari relativamente elevati (il volume espiratorio forzato durante i primi 0,5 s [FEV0,5]e il picco di flusso espiratorio) sono in larga misura sforzo-dipendenti e sono meno soddisfacenti dei test che misurano il flusso in un intervallo di volumi polmonari (p. es., il FEV nel primo s [FEV1]). I flussi espiratori a grandi volumi polmonari sono insensibili alle variazioni di resistenza delle vie aeree periferiche e riflettono principalmente le alterazioni delle vie aeree centrali. La curva flusso-volume, dove il volume espiratorio è rappresentato in funzione del flusso, è probabilmente la più utile; essa dà una chiara descrizione grafica del flusso ai volumi polmonari grandi e piccoli e così sembra rilevare le alterazioni delle vie aeree sia centrali che periferiche (v. Fig. 64-4C). Comunque, il FEV1 fornisce la maggior parte delle informazioni necessarie per il trattamento dell'asma. Prima di eseguire la spirometria, i broncodilatatori b2-agonisti inalati devono essere interrotti per almeno 4 h e i teofillinici (in particolare i preparati a lento rilascio) per almeno 12 h. Il test da sforzo al treadmill o al cicloergometro è utile per confermare la diagnosi di asma soprattutto nei bambini. Oltre il 90% dei bambini con asma ha un netto calo della funzione polmonare dopo 7 min di test da sforzo di sufficiente intensità. La distribuzione della ventilazione nei soggetti asmatici è spesso alterata; cioè, le unità polmonari si riempiono e si svuotano in maniera asincrona. L'alterata distribuzione della ventilazione viene quantificata per mezzo del test dell'N2 con respiro singolo e con il test di eliminazione dell'N2 in 7 min. La valutazione dell'elasticità polmonare (compliance polmonare), utilizzando un pallone esofageo per la stima della pressione pleurica, mostra una riduzione del ritorno elastico (particolarmente durante gli attacchi acuti), che spesso si normalizza quando l'asma è in remissione. La capacità di diffusione del monossido di carbonio (DlCO) è generalmente normale. All'inizio di un attacco acuto, può essere presente solo una modesta riduzione del flusso espiratorio forzato fra il 25 e 75% della capacità vitale (FEF25-75%). Con il progredire dell'attacco, la FVC e il FEV1 si riducono progressivamente; il consensuale intrappolamento dell'aria e l'aumento del volume residuo causano iperespansione dei polmoni. Le alterazioni dei flussi, soprattutto di quelli che rappresentano la funzione delle piccole vie aeree, possono persistere per molte file:///F|/sito/merck/sez06/0680602b.html (4 of 13)02/09/2004 2.14.08

Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

settimane dopo un attacco acuto. Conta degli eosinofili: l'eosinofilia (> 250-400 cellule/ml) è comune nell'asma, indipendentemente dal fatto che sia dimostrato un ruolo eziologico dei fattori allergici. In molti asmatici il grado di eosinofilia correla con la gravità dell'asma. La soppressione dell'eosinofilia con i corticosteroidi per via generale è usata come indice dell'appropriatezza del loro dosaggio. Esame dell'espettorato: in un paziente con asma non complicato, l'escreato è molto caratteristico: vischioso, gommoso e biancastro. In presenza di infezione può apparire giallastro, soprattutto negli adulti. Molti eosinofili, spesso organizzati in cordoni, si possono osservare microscopicamente e i granuli eosinofili provenienti dalle cellule distrutte possono osservarsi in tutto lo striscio dell'escreato. I cristalli allungati bipiramidali (di Charcot-Leyden), originati dagli eosinofili, sono frequenti. In caso di infezione batterica respiratoria, specialmente quando ci sia una componente bronchitica, c'è una predominanza di leucociti polimorfonucleati e di batteri. Nell'asma non complicato le colture dell'escreato raramente mostrano batteri patogeni. Rx torace: i reperti variano dalla normalità all'iperinflazione. La trama polmonare è di solito rinforzata, in particolare nell'asma cronico. Un'atelettasia, che in genere interessa il lobo medio destro, è frequente nei bambini e può essere ricorrente. Piccole aree di atelettasia segmentale si osservano frequentemente durante le esacerbazioni e possono essere erroneamente interpretate come polmoniti, ma la rapidità della loro risoluzione è indice di atelettasia. Identificazione degli allergeni: gli irritanti aspecifici, soprattutto il fumo di sigaretta, devono essere valutati. Esacerbazioni correlate con l'esposizione ad allergeni ambientali, l'anamnesi positiva per riniti o la familiarità per atopia suggeriscono fattori allergici estrinseci (v. anche Asma occupazionale nel Cap. 75). Gli allergeni suggeriti dall'anamnesi sono confermati in modo ottimale da una valutazione allergologica che comprenda i test cutanei. (Gli antiistaminici devono essere interrotti almeno per 48 h, ma i corticosteroidi sistemici possono essere continuati senza interferire con la risposta immediata ai test cutanei.) Una risposta negativa a una batteria di antigeni propriamente selezionati indica fortemente l'assenza di una componente allergica. Una risposta positiva indica solamente una potenziale reattività allergica agli allergeni testati. Il significato clinico dei risultati è confermato dalla correlazione di questi con il quadro sintomatologico e con l'esposizione ambientale. Ac IgE-specifici per gli inalanti possono essere rilevati con metodi in vitro (p. es, il test di radioallergoadsorbimento [radioallergosorbent test, RAST]; v. Cap. 148) o test simili sul siero del paziente, ma i test in vitro sono costosi, sono soggetti a errori di laboratorio e offrono poco vantaggio rispetto ai test cutanei correttamente eseguiti e interpretati. Comunque, la misurazione delle IgE totali nel siero o degli anticorpi IgE-specifici verso un piccolo gruppo di allergeni comuni con un metodo in vitro può contribuire a stabilire la costituzione atopica del paziente. I test di broncostimolazione per via inalatoria possono essere eseguiti con allergeni per stabilire il significato clinico di test cutanei positivi o con metacolina o istamina per valutare il grado di iperreattività delle vie aeree in soggetti con asma riconosciuto. Essi facilitano inoltre la diagnosi quando i sintomi sono atipici (p. es., una tosse persistente ma senza sibili respiratori, come nell'asma variante tosse).

Diagnosi e classificazione La diagnosi di asma deve essere presa in considerazione in ogni persona con respiro sibilante; essa è la più verosimile quando episodi di dispnea parossistica tipica compaiono nell'infanzia o nei giovani, con l'interposizione di periodi asintomatici. Una storia familiare di allergia o di asma può essere raccolta nella maggioranza degli asmatici. file:///F|/sito/merck/sez06/0680602b.html (5 of 13)02/09/2004 2.14.08

Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

L'asma può essere classificata in quattro categorie a seconda della gravità (v. Tab. 68-3). Dal momento che l'evoluzione dell'asma è variabile, un paziente può passare da una categoria all'altra. Ogni paziente, a prescindere dalla categoria di gravità, può avere un'esacerbazione lieve, moderata o grave. Alcuni pazienti con asma intermittente hanno gravi esacerbazioni potenzialmente letali intervallate da lunghi periodi senza o con lievi sintomi e una normale funzione polmonare.

Diagnosi differenziale nei bambini L'ostruzione da corpo estraneo deve essere presa in considerazione, specialmente in bambini con sibili respiratori monolaterali o con respiro sibilante a esordio improvviso senza un'anamnesi di precedenti sintomi respiratori. La rx del torace in inspirazione e in espirazione facilita la diagnosi di inalazione di corpo estraneo. I corpi estranei radiopachi sono facilmente riconoscibili alla rx. La rx del torace in espirazione mostra una espirazione di aria ritardata dal polmone interessato ed è particolarmente importante quando il corpo estraneo è radiotrasparente. La presenza di corpi estranei radiotrasparenti può essere stabilita sulla base dell'anamnesi di una comparsa improvvisa di tosse e sibili in un bambino precedentemente sano, associata al reperto di un'asimmetria dell'escursione diaframmatica o di spostamento mediastinico nelle rx del torace eseguite in inspirazione e in espirazione. Malformazioni congenite del sistema vascolare (p. es., anelli o imbrigliamenti vascolari) o del tratto GI e di quello respiratorio (fistola tracheoesofagea) possono comprimere la trachea o i bronchi e causare respiro sibilante nei neonati e nei bambini piccoli (v. Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261). Un esofagogramma deve essere inserito della valutazione di un bambino con asma sospetto per escludere la presenza di tali malformazioni. Un'infezione delle prime vie aeree (Upper Respiratory Infection, URI) di origine virale che coinvolge l'epiglottide, la glottide e il sottoglottide generalmente causa i sintomi e i segni del crup (stridore inspiratorio, tosse a tonalità alta e raucedine; v. Crup in Infezioni virali nel Cap. 265) che sono diversi dai sintomi e dai segni delle basse vie aeree dell'asma. Quando si sospettata l'epiglottite, l'epiglottide deve essere esaminata direttamente con grande attenzione e con la possibilità di eseguire un'intubazione immediata nel caso di un'ostruzione acuta delle vie aeree durante l'ispezione. Nei bambini piccoli, i virus, in modo particolare il virus respiratorio sinciziale (Respiratory Syncitial Virus, RSV), può causare bronchiolite con un quadro clinico praticamente identico a quello dell'asma. La bronchiolite, particolarmente quella dovuta a RSV, può precedere la comparsa dell'asma. Se riesaminati più tardi durante l'infanzia, molti bambini con una storia di bronchiolite durante la prima infanzia hanno una funzione respiratoria anormale e una risposta bronchiale patologica al test di provocazione all'istamina e alla metacolina e durante esercizio fisico. I lattanti e i bambini piccoli raramente hanno più di uno o due episodi da infezione da RSV; un'anamnesi di episodi ricorrenti di sintomi ostruttivi delle vie aeree scatenati da infezioni virali respiratorie suggerisce fortemente la diagnosi di asma. Poiché la bronchite cronica è rara nei bambini, nei bambini con tosse cronica e produzione di escreato vanno sempre prese in considerazione patologie sottostanti (p. es., la fibrosi cistica, le deficienze immunitarie, la sindrome da discinesia ciliare).

Diagnosi differenziale negli adulti La broncopneumopatia cronica ostruttiva e lo scompenso cardiaco sono le principali condizioni da considerare nella diagnosi differenziale della dispnea file:///F|/sito/merck/sez06/0680602b.html (6 of 13)02/09/2004 2.14.08

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sibilante, sebbene anche la microembolia polmonare multipla occasionalmente causi sibili. I pazienti con polmonite da ipersensibilità presentano a un esame superficiale una somiglianza clinica con gli asmatici, ma generalmente hanno una sintomatologia sistemica più spiccata dopo l'esposizione alle sostanze responsabili e non presentano respiro sibilante, tranne che nell'aspergillosi broncopolmonare allergica (v. Cap. 76). Anche i pazienti con bronco-ostruzione secondaria a neoplasia, aneurisma aortico, tubercolosi endobronchiale o sarcoidosi occasionalmente presentano sibili. Un'ostruzione delle vie aeree superiori dovuta a una disfunzione delle corde vocali può essere diagnosticata utilizzando un broncoscopio flessibile durante un attacco. Altre rare affezioni che possono simulare l'asma comprendono la sindrome da carcinoide, la sindrome di Churg-Strauss e le polmoniti eosinofile (comprendenti l'eosinofilia tropicale e altre infestazioni parassitarie che interessano il polmone durante alcune fasi della malattia). L'infezione da Strongyloides stercoralis deve essere trattata per prevenire l'exitus, ma se è curata con i corticosteroidi, può causare la sindrome da iperinfezione con disseminazione parassitaria e sepsi da gram -. Di solito, la storia di asma è sufficientemente atipica da suggerire un'altra affezione come causa dell'ostruzione delle vie aeree.

Terapia Il trattamento efficace dell'asma consiste nel determinare la gravità dell'asma e nel monitorare il corso della terapia; nel controllare i fattori ambientali per evitare o minimizzare lo scatenarsi dei sintomi o delle esacerbazioni; nell'utilizzare farmaci per gestire le esacerbazioni e per far regredire e per prevenire l'infiammazione delle vie aeree e nel fornire un'educazione sanitaria che promuova la collaborazione tra paziente, famiglia e operatori sanitari. La terapia è mirata a prevenire i sintomi cronici, a conservare una funzione polmonare più vicina possibile al normale, a mantenere normali livelli di attività, a prevenire le esacerbazioni, a ridurre la necessità di accessi al pronto soccorso o di ricoveri ospedalieri, a evitare gli effetti collaterali della terapia e a soddisfare le aspettative di cura del paziente e della famiglia. Controllo ambientale: i fattori ambientali che possono scatenare l'asma comprendono forfore animali, acari delle polveri domestiche, scarafaggi, muffe e pollini. Se si sospetta un allergene si devono eseguire le prove allergometriche cutanee. Se possibile, gli allergeni devono essere eliminati; p. es., i materassi a molle vanno avvolti in un telo di plastica impermeabile con chiusura lampo e teoricamente i tappeti dovrebbero essere tolti, specialmente se il clima è caldo e umido, favorevole alla propagazione degli acari delle polveri domestiche. Alcuni allergeni (p. es., acari della polvere, muffe, pollini) possono essere selezionati per un ciclo di immunoterapia desensibilizzante. Se l'immunoterapia non induce significativi miglioramenti entro 12-24 mesi, deve essere interrotta. Se si verificano miglioramenti, è raccomandabile la prosecuzione della terapia per almeno 3 anni, ma la durata ottimale è sconosciuta. I fattori aspecifici causa di esacerbazioni (p. es., il fumo di sigaretta, forti odori, fumi irritanti e variazioni di temperatura, pressione atmosferica e umidità) devono pure essere ricercati e se possibile controllati. L'aspirina va evitata, specialmente dai pazienti con poliposi nasale, che tendono a sviluppare l'asma indotto da aspirina. Un piccolo numero di asmatici con intolleranza all'aspirina ha reazioni avverse anche da altri FANS e, più raramente, da tartrazina (colorante giallo numero 5 della Food Drug and Cosmetic [FD&C]). Quelli che hanno attacchi dopo aver mangiato gamberetti o aver bevuto vino rosso o birra devono evitare i sulfiti, ampiamente utilizzati come conservanti alimentari. I b-bloccanti, compresi quelli di uso topico per la terapia del glaucoma, peggiorano l'asma. Farmaci: i farmaci antiasmatici possono essere divisi tra quelli usati per alleviare i sintomi (b-agonisti, teofilline e anticolinergici) e quelli usati per il controllo a lungo termine (corticosteroidi, cromoglicato e nedocromile, farmaci attivi sui leucotrieni).

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I farmaci b-agonisti (b-adrenergici) rilasciano la muscolatura liscia bronchiale e regolano il rilascio dei mediatori, almeno in parte attraverso la stimolazione del sistema adenilciclasi-cAMP. Essi inoltre proteggono dall'azione di vari broncocostrittori, impediscono lo stravaso dal microcircolo all'interno delle vie aeree e aumentano la clearance mucociliare. Questi farmaci comprendono l'adrenalina, l'isoproterenolo (ancora usato solo raramente) e i b2-agonisti più selettivi (che hanno un effetto di broncodilatazione b2 relativamente maggiore e un effetto cardiostimolante b1 minore). I b2-agonisti comunemente usati comprendono il salbutamolo, la terbutalina, il pirbuterolo, il metaproterenolo, il bitolterolo e l'isoetarina. Un b2-agonista inalatorio è il farmaco di prima scelta per risolvere la broncocostrizione acuta e per prevenire il broncospasmo indotto dall'esercizio fisico. Dopo l'inalazione, i b2-agonisti hanno una rapida comparsa d'azione (entro pochi minuti), ma la maggior parte è attiva solo per 4-6 h. Il salmeterolo, un b2agonista a lunga azione (fino a 12 h), è utile nel controllare i sintomi notturni. La sua associazione con un corticosteroide inalatorio è efficace per la terapia di mantenimento. Il salmeterolo non deve essere utilizzato per trattare i sintomi acuti; in questo contesto sono state riportate delle morti per asma. Gli effetti dannosi dei b2-agonisti sono dose-dipendenti; sono più frequenti dopo somministrazione orale che dopo aerosol poiché la dose necessaria PO è molto più alta (mg contro mg). Le formulazioni orali a rilascio ritardato sono utili nel prevenire l'asma notturno. La teofillina (una metilxantina) rilascia la muscolatura liscia bronchiale e ha una qualche modesta attività antiinfiammatoria. Il suo meccanismo d'azione non è chiaro, ma sembra che inibisca il rilascio intracellulare di calcio, diminuisca lo stravaso dal microcircolo nella mucosa delle vie aeree e inibisca la risposta ritardata agli allergeni. La teofillina diminuisce l'infiltrazione di eosinofili nella mucosa bronchiale e di linfociti T nell'epitelio. Essa aumenta la contrattilità miocardica e diaframmatica. La teofillina non è più somministrata EV di routine nelle esacerbazioni asmatiche acute. Tuttavia, per il controllo a lungo termine, essa è un utile coadiuvante dei b-agonisti. La formula ritardata della teofillina è molto utile per il trattamento dell'asma notturno. Poiché ha un ridotto indice terapeutico e può causare gravi reazioni collaterali, i medici devono avere familiarità con la sua farmacologia clinica, particolarmente con le interazioni farmacologiche e con altri fattori (p. es., la febbre) che interferiscono con il suo metabolismo e diminuiscono la sua velocità di eliminazione. I livelli sierici di teofillina devono essere monitorati periodicamente ed essere mantenuti tra 10 e 15 mg/ml (56 -83 mmol/ l). Gli agenti anticolinergici (p. es., l'atropina e l'ipratropio bromuro) bloccano le vie colinergiche che causano ostruzione delle vie aeree inibendo competitivamente i recettori colinergici muscarinici. Se questi farmaci migliorino l'effetto di broncodilatazione dei b2-agonisti nell'asma acuto è controverso. Gli anticolinergici bloccano anche il riflesso di broncocostrizione dovuto a sostanze irritanti o all'esofagite da reflusso. Il ruolo degli anticolinergici nel trattamento di mantenimento non è ancora stato definito. Gli effetti collaterali comprendono xerostomia e, se spruzzati negli occhi, visione sfocata. I corticosteroidi inibiscono l'attrazione delle cellule infiammatorie nella sede di una reazione allergica e ne inibiscono l'attivazione, risolvono la desensibilizzazione ("down-regulation") dei recettori per i b2-agonisti, bloccano la sintesi dei leucotrieni, inibiscono la produzione di citochine e l'attivazione delle proteine di adesione. I corticosteroidi, particolarmente se somministrati per aerosol, bloccano la risposta tardiva (ma non quella immediata) agli allergeni inalati e la conseguente iperreattività bronchiale. Con la terapia a lungo termine, l'iperreattività bronchiale diminuisce gradualmente. L'uso precoce dei corticosteriodi durante un'esacerbazione spesso la interrompe, riduce la necessità di ricovero, previene la ricaduta e accelera il recupero. L'uso a breve termine (p. es., per 5-7 gg) di alte dosi per la risoluzione di un attacco non si associa a effetti collaterali significativi. Gli steroidi inalatori sono indicati nella prevenzione dei sintomi a lungo termine e nella soppressione, nel controllo e nella risoluzione dell'infiammazione. Essi riducono in modo sostanziale la necessità di proseguire una terapia corticosteroidea orale a eccezione dei casi file:///F|/sito/merck/sez06/0680602b.html (8 of 13)02/09/2004 2.14.08

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più gravi, ma non sono utilizzati per l'asma acuto. Gli effetti collaterali dei corticosteroidi inalatori comprendono la disfonia e la candidosi orale. Queste possono essere prevenute o alleviate prescrivendo al paziente l'uso di un distanziatore o gargarismi con acqua dopo l'inalazione dei corticosteroidi. Gli effetti sistemici sono tutti correlati con il dosaggio e si verificano principalmente a dosaggi superiori a 2000 mg/die. Essi comprendono la soppressione dell'asse adrenoipofisario, il ritardo di crescita nei bambini, l'osteoporosi postmenopausale nelle donne, l'assottigliamento della pelle e la facilità a sviluppare lividi. Negli asmatici, una TBC quiescente è di rado riattivata dall'uso di corticosteroidi sistemici. Il cromoglicato e il nedocromile sono somministrati per via inalatoria come profilassi. Essi inibiscono il rilascio dei mediatori dalle cellule infiammatorie, riducono l'iper-reattività bronchiale e bloccano la fase immediata e tardiva della risposta agli allergeni. Essi sono utili nei bambini e in alcuni adulti solamente come terapia di mantenimento e non trovano alcuna indicazione nel trattamento di un attacco acuto. Sono i più sicuri tra i farmaci antiasmatici. Il nedocromile ha un sapore non gradevole. I modificatori dei leucotrieni comprendono il montelukast e lo zafirlukast, inibitori competitivi selettivi dei recettori del LTE4 e del LTD4 e lo zileuton, un inibitore della 5-lipossigenasi. Sebbene il loro ruolo nella terapia non sia stato stabilito, questi farmaci, assunti per via orale, sono indicati per il controllo a lungo termine e per la prevenzione dei sintomi nei pazienti _ 12 anni (_ 6 anni per il montelukast) con un'asma lieve persistente. Lo zileuton può causare un aumento dose-correlato dell'ALT o dell'AST; il montelukast no. Con lo zafirlukast si verificano interazioni farmacologiche mediate dagli enzimi del citocromo P-450; in un piccolo numero di pazienti è comparsa la sindrome di Churg-Strauss. Educazione e informazione del paziente: l'importanza dell'educazione del paziente non può essere sovrastimata: quanto più i pazienti conoscono l'asma, compresi i fattori che scatenano una crisi, quale farmaco usare e quando, come usare un distanziatore con un'aerosol predosato e quanto sia importante un intervento precoce con i corticosteroidi quando l'asma peggiora, tanto meglio andrà la loro malattia. Il monitoraggio del picco di flusso combinato con l'informazione del paziente sull'asma è estremamente utile per i pazienti con asma persistente moderato o grave. Quando l'asma è quiescente, una sola misurazione al mattino è sufficiente. Se il picco di flusso del paziente diminuisce a < 80% del migliore valore personale, allora è utile il monitoraggio per due volte al giorno della variabilità giornaliera. Una variazione giornaliera > 20% indica instabilità delle vie aeree e la necessità di modificare il regime terapeutico. Ogni paziente deve avere un piano di azione scritto per la gestione giorno per giorno, specialmente per la gestione degli attacchi acuti.

Terapia giorno per giorno L'uso appropriato dei farmaci tiene lontano dal pronto soccorso e dall'ospedale la maggioranza degli asmatici. La scelta e l'uso graduale dei farmaci si basano sulla gravità dell'asma (v. Tab. 68-4). I pazienti con asma lieve intermittente non hanno bisogno di un trattamento quotidiano. Un b2-agonista ad azione breve (p. es., due inalazioni di salbutamolo) è sufficiente per i sintomi acuti. L'uso di questo farmaco per più di due volte alla settimana può indicare la necessità di un controllo a lungo termine. Indipendentemente dalla gravità dell'asma, il frequente bisogno di un b2-agonista indica che l'asma non è ben controllato. Per i pazienti con asma lieve persistente, è indicata una terapia antiinfiammatoria, come un corticosteroide inalatorio a basse dosi o come il cromoglicato o il nedocromile. Particolarmente nei bambini, il cromoglicato è

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spesso provato prima dei corticosteroidi. In alternativa, le teofilline a lento rilascio possono essere prescritte a dosi sufficienti a produrre concentrazioni seriche di 10-15 mg/ml (56-83 mmol/l); il dosaggio varia con l'età e il peso (solitamente 300 mg PO bid negli adulti). Il montelukast 5 mg (per pazienti da 6 a 14 anni) o 10 mg (per gli adulti) una volta al giorno alla sera o lo zafirlukast 20 mg bid 1 h prima o 2 h dopo i pasti o lo zileuton 600 mg/die qid (per i pazienti > 12 anni) possono essere presi in considerazione. Per i sintomi acuti, può essere usato un b2-agonista ad azione breve (p. es., due inalazioni di salbutamolo). L'aumento della necessità di un b2-agonista suggerisce che la terapia antiinfiammatoria deve essere aumentata. I pazienti con asma moderato persistente devono essere trattati con un corticosteroide inalatorio a un dosaggio regolato in base alla loro risposta clinica. L'aggiunta di un b2-agonista ad azione prolungata (salmeterolo) è utile per i pazienti con asma notturno e spesso consente di ridurre il dosaggio dei corticosteroidi inalatori. Una preparazione orale di un b2-agonista a lento rilascio o una teofillina a lento rilascio può sostituire un b2-agonista inalatorio ad azione prolungata, ma entrambi sono associati a maggiori effetti collaterali, soprattutto nelle persone anziane. Una minoranza degli asmatici è affetta da asma grave persistente; spesso essi hanno bisogno di parecchi farmaci a dosaggi elevati. Essi devono assumere una terapia antiinfiammatoria ad alto dosaggio con un corticosteroide inalatorio (sempre utilizzando un distanziatore), un b2-agonista a lunga azione, sia esso un b2-agonista inalatorio ad azione prolungata (come il salmeterolo) o un b2agonista a lento rilascio in compresse e una teofillina a lento rilascio o un modificatore dei leucotrieni. I pazienti gravemente compromessi possono aver bisogno dei corticosteroidi sistemici; uno schema terapeutico a giorni alterni aiuta a minimizzare gli effetti collaterali associati a una terapia quotidiana con corticosteroidi. Una volta che il corticosteroide inalatorio controlla l'asma in maniera ottimale, il suo dosaggio deve essere regolato alla dose minima sufficiente per mantenere il controllo. Un b2-agonista inalatorio ad azione breve è necessario per il controllo dei sintomi acuti.

Terapia di un attacco acuto Un attacco acuto di asma può essere lieve (stadio I), moderato (stadio II), grave (stadio III) o causare insufficienza respiratoria (stadio IV). Nello stadio I o II, i pazienti sono di solito trattati con un broncodilatatore per aerosol (p. es., una soluzione di salbutamolo allo 0,5% o 5 mg/ ml) mediante un nebulizzatore alimentato da aria compressa. Negli adulti con asma acuto, il salbutamolo può essere somministrato con pari efficacia con uno spray predosato con un distanziatore o con un nebulizzatore alimentato da aria compressa. In alternativa, l'adrenalina può essere iniettata per via sottocutanea e, se necessario, ripetuta una volta o due ogni 20-30 min. La terbutalina per via sottocutanea può essere preferibile all'adrenalina negli adulti per il suo effetto cardiovascolare minore; la sua durata di azione è un poco più lunga. (La Tab. 685 elenca i dosaggi dei b2-agonisti.) Se non c'è risposta dopo tre somministrazioni di b2-agonisti per aerosol e/o iniezioni di adrenalina, bisogna procedere alla somministrazione EV di teofillina (sotto forma di aminofillina). Benché alcuni studi indichino che la somministrazione EV di aminofillina in pazienti in pronto soccorso sottoposti a una terapia ottimale con b2-agonisti (ogni 20 min per tre volte) non aggiunga nulla se non effetti collaterali, molti medici esperti credono che l'aminofillina sia ancora indicata. Se il paziente non risponde ai b2-agonisti inalati in modo ottimale e deve essere ricoverato, molti medici esperti raccomandano l'uso di aminofillina EV, benché anche questa' indicazione sia controversa. Per bambini e adulti, l'aminofillina si inizia con un bolo EV di aminofillina 6 mg/kg (a una concentrazione di 25 mg/ml, diluita 1:1 con liquidi EV) iniettato in circa

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20 min; successivamente si innesta un'infusione continua, inizialmente a un dosaggio di 0,45 mg/kg/h per gli adulti e di 0,8-1,0 mg/kg/h per i bambini di età < 12 anni. I livelli sierici devono essere misurati 1, 12 e 24 h dopo l'inizio dell'infusione; livelli sierici tra 10 e 15 mg/ml (56 a 83 mmol/l) sono efficaci e sicuri. Se non è possibile l'infusione continua, l'aminofillina alla dose di 4-6 mg/kg EV in 20 min q 6 h è un'alternativa accettabile. La soluzione nebulizzata di ipratropio bromuro (0,25 mg/ml) può essere usata con il salbutamolo nebulizzato nei pazienti che non hanno mostrato una risposta ottimale a quest'ultimo. Per gli adulti, la dose è 0,5 mg q 30 min per tre dosi, poi q 2-4 h secondo il bisogno. Ai bambini si danno 0,25 mg q 20 min per tre dosi, poi q 2-4 h. Per gli adulti che si presentano allo stadio II di un attacco, si somministra un corticosteroide (prednisone, prednisolone o metilprednisolone) da 120 a 180 mg/ die per os in tre o quattro dosi frazionate per 48 h. La dose può quindi essere ridotta a 60-80 mg/die finché il picco di flusso espiratorio (Peak Expiratory Flow, PEF) non raggiunge il 70% del migliore personale o del predetto. Ai bambini si prescrivono 1 mg/kg ogni 6 h per 48 h, poi 1-2 mg/kg/die (fino a un massimo di 60 mg/die) in due dosi frazionate fino a che il PEF non è il 70% del migliore personale o del predetto. Per i pazienti ambulatoriali, si somministra per 310 giorni un bolo d'attacco di 40-60 mg in dose singola o in due dosi frazionate per gli adulti o 1-2 mg/kg/die (fino a un massimo di 60 mg/die) per i bambini. Somministrare corticosteroidi EV non è necessario, ma se è già disponibile una via EV, somministrare metilprednisolone EV è spesso vantaggioso. Le raccomandazioni sopra elencate per i dosaggi non sono state rigorosamente studiate; il principio guida è di usare i corticosteroidi precocemente e in dosaggi adeguati (v. sopra). I gas del sangue arterioso devono essere misurati, specialmente se il paziente non risponde rapidamente a un b2-agonista inalatorio (entro circa 30 min), se il paziente mostra marcata sofferenza o sta peggiorando, o se lo stadio della crisi è non chiaro. Nello stadio III, i gas del sangue arterioso devono essere misurati immediatamente. Una soluzione di salbutamolo nebulizzato (5 mg/ml) viene prescritta mediante una nebulizzazione continua con ossigeno attraverso una maschera; la dose è di 10-15 mg/h per gli adulti e di 0,5 mg/kg/h (massimo 15 mg/h) per i bambini. Se un paziente continua ad avere grave sofferenza respiratoria, viene iniziata un'infusione continua di aminofillina. La dose può essere aumentata fino a 1 mg/kg/ h nei giovani e negli adulti di mezza età e fino a 1,25 mg/kg/h nei bambini. I livelli sierici della teofillina devono essere monitorati. Maggior cautela e dosaggi più bassi (ridotti da 1/3 a 1/2) devono essere usati nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio, con epatopatia o anziani. Per i pazienti trattati con farmaci che notoriamente riducono la clearance sierica di teofillina (p. es., cimetidina, eritromicina, ciprofloxacina) si deve ridurre la dose del 25-50% e le concentrazioni sieriche devono essere controllate. L'O2 deve essere somministrato al flusso inspiratorio (FiO2) appropriato per correggere l'ipossiemia attraverso le cannule nasali o la maschera facciale. I corticosteroidi vengono prescritti come ai pazienti che si presentano allo stadio II, ma il metilprednisolone EV è il farmaco utilizzato più di frequente. I criteri per l'ospedalizzazione variano, ma sono indicazioni nette un mancato miglioramento, un affaticamento ingravescente, una ricaduta dopo ripetute somministrazioni di b-agonisti e aminofillina e un decremento significativo della PaO2 (< 50 mm Hg) o un incremento della PaCO2 (> 50 mm Hg), suggestivi di una progressione verso l'insufficienza respiratoria. Troppi pazienti con gravi attacchi asmatici sono rimandati a casa dal pronto soccorso degli ospedali. Ai pazienti che sono o stanno entrando nello stadio IV, oltre ai b-agonisti e alla teofillina, va somministrato immediatamente metilprednisolone 1-2 mg/kg EV q 4-6 h. Per i pazienti nello stadio IV che non rispondono favorevolmente alla terapia aggressiva con b2-agonisti e con corticosteroidi e che presentano affaticamento e progressivo deterioramento degli scambi gassosi e del pH, si deve considerare la possibilità di un'intubazione endotracheale e di una

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respirazione assistita (v. Cap. 66). Tali pazienti vanno ricoverati in un'unità di terapia intensiva. L'ansia può divenire estrema in molti stadi dell'asma a causa dell'ipossia e della sensazione di soffocamento. Il trattamento dei problemi respiratori di fondo, compreso l'uso ragionato dell'O2-terapia, è l'approccio preferito, soprattutto quando condotto da personale medico calmo, attento e collaborativo. L'uso dei sedativi in pazienti non intubati comporta l'aumento della mortalità e della necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica. Le infezioni del tratto respiratorio che riacutizzano l'asma sono soprattutto di tipo virale; le infezioni batteriche raramente giocano un ruolo significativo, specialmente nei bambini. Tuttavia, se il paziente espettora escreato giallastro, verde o marrone e la colorazione di Wright dell'escreato mostra una prevalenza di leucociti polimorfonucleati, si prescrivono empiricamente degli antibiotici. Gli antibiotici sono appropriati soprattutto negli adulti con una tendenza accertata alla bronchite cronica o ricorrente. L'antibiotico dovrebbe essere scelto in base agli esami batteriologici, ma di solito l'amoxicillina risulta efficace. In pazienti allergici agli antibiotici b-lattamici, si possono somministrare eritromicina, tetracicline o trimetoprim-sulfametossazolo; le tetracicline non devono essere somministrate ai bambini piccoli. L'O2-terapia è sempre indicata, perché i pazienti con un grave attacco di asma sono invariabilmente ipossiemici. I livelli arteriosi dei gas del sangue condizionano la FiO2; la PaO2 va mantenuta > 60 mm Hg, tra 70 e 90 mm Hg, se possibile. Un pulsossimetro digitale non invasivo per stabilire la saturazione in O2 (SaO2) può sostituire l'emogasanalisi arteriosa nei pazienti con PaCO2 e pH arterioso stabili; la SaO2 deve essere 90-95%. Nei pazienti che non riescono a sopportare la maschera Venturi, le cannule nasali a bassa FiO2 (2-4 l/min) spesso ottengono lo stesso risultato. L'O2 può seccare la mucosa delle vie aeree, perciò deve essere sempre umidificato. L'equilibrio idroelettrolitico può essere alterato specialmente quando gli episodi durano > 12 h. Le perdite idriche pregresse o in atto vanno rimpiazzate con un'infusione continua di liquidi sufficienti a stimolare una diuresi adeguata all'età e alla corporatura del paziente, piuttosto che una quantità arbitraria nelle 24 h. Un'iperidratazione può causare edema polmonare. Può essere necessario aggiungere un supplemento di potassio all'infusione, dal momento che esso si ridistribuisce in relazione a cambiamenti del pH arterioso e tissutale e al turnover dei liquidi nel paziente disidradato. Inoltre, le alte dosi di idrocortisone (ma non di metilprednisolone) e b2-agonisti somministrate nel corso dell'infusione EV di liquidi favoriscono la perdita urinaria del potassio. L'umidificazione dell'aria o dell'O2 inalato riduce le perdite eccessive di fluidi dal tratto respiratorio. L'acidosi respiratoria può svilupparsi negli episodi gravi e prolungati; il pH arterioso può scendere in modo allarmante fino a valori di 7-7,1. A tale stadio, la maggior parte dei pazienti viene intubata e sottoposta a respirazione assistita, poiché l'acidosi respiratoria riflette soprattutto un problema di meccanica respiratoria che deve essere risolto. La ventilazione volumetrica viene solitamente utilizzata perché è in grado di assicurare una ventilazione alveolare ragionevolmente costante quando la resistenza delle vie aeree è alta e variabile. La modalità centrale è preferita, anche se molti pazienti necessitano di farmaci sedativi, talvolta con paralisi muscolare, per ottenere un controllo completo con il ventilatore. Per ridurre al minimo l'iperinflazione polmonare in pazienti con livelli pericolosamente elevati di pressione positiva di fine espirazione endogena (autoPEEP o PEEP intrinseca), il ventilatore deve essere regolato a una frequenza di 8-14 atti/min, con un alto flusso inspiratorio (> 60-80 l/min). Come risultato, il tempo inspiratorio è breve, con un rapporto inspirazione/espirazione di 1:3-1:4; tali impostazioni consentono l'ottimizzazione dell'espirazione nei pazienti con grave limitazione al flusso espiratorio. Ciò nonostante, in alcuni pazienti con uno stato di male asmatico, la resistenza delle vie aeree è così elevata che si manifestano livelli pericolosamente elevati di

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

pressione di picco nelle vie aeree (_ 55-60 cm H2O), di plateau di pressione delle vie aeree (_ 35-40 cm H2O) e di auto-PEEP (_ 15-20 cm H2O). Possono comparire un barotrauma potenzialmente letale (pneumomediastino, pneumotorace) e l'ipotensione. In questa situazione impostare un'ipoventilazione controllata e permettere una certa ipercapnia è accettabile. La scelta di un volume corrente contenuto (7-10 ml/ kg) e di una frequenza respiratoria bassa (912 atti/min) con una complessiva riduzione della ventilazione minuto (in combinazione con alti flussi inspiratori) può correggere una grave iperinflazione polmonare con una pressione nelle vie aeree inaccettabilmente alta. Se la PaCO2 aumenta a > 80-90 mm Hg e il pH arterioso scende a < 7,20, va iniziata un'infusione lenta di sodio bicarbonato per mantenere il pH tra 7,20 e 7,25. La maggiore parte dei pazienti tollera questo approccio. Quando l'ostruzione delle vie aeree è ridotta e la PaCO2 e il pH arterioso si normalizzano, i pazienti possono essere rapidamente svezzati dal ventilatore dopo la sospensione dei sedativi e dei farmaci paralizzanti. Occasionalmente alcuni pazienti trattati con farmaci paralizzanti mostrano una grave debolezza muscolare generalizzata per diverse settimane o mesi.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA ASMA L’incidenza dell’asma nella donna gravida è pari all’1% e può essere in aumento. I gravi attacchi asmatici e lo stato asmatico si verificano in < 1 ogni 10 pazienti gravide affette dall’asma. La gravidanza non ha un effetto significativo sull’asma, anche se è più frequente un peggioramento che non un miglioramento e l’asma non ha influenza determinante sulla gravidanza, sebbene sia associato alla nascita pre-termine e a un ritardo di crescita intrauterino. Il trattamento della paziente gravida con asma è basato sulla gravità e sulla frequenza degli attacchi (v. anche Asma nel Cap. 68). Gli antibiotici devono essere usati quando è presente un’infezione. I broncodilatatori nebulizzati e i corticosteroidi per inalazione (p. es., il beclometazone dipropionato) sono diffusamente utilizzati come terapia di mantenimento e sono efficaci e sicuri. In alcune pazienti, una terapia di mantenimento con teofillina anidra a lento rilascio, 300 mg bid, è raccomandata dopo un attacco acuto, con il monitoraggio dei livelli di teofillina. Una dose maggiore può essere necessaria durante la gravidanza per ottenere i livelli terapeutici di 10 µg/ml ( 55 µmol/l).

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI ORGANICHE ASMA OCCUPAZIONALE Ostruzione delle vie aeree diffusa, intermittente e reversibile, causata da un allergene specifico presente nell'ambiente di lavoro.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

L'asma occupazionale è differente dalla broncocostrizione in una persona con asma idiopatico esposta a un irritante. Molti irritanti incontrati nell'ambiente di lavoro possono esacerbare l'asma idiopatico, ma tali reazioni non costituiscono un asma occupazionale. L'asma occupazionale comincia solitamente dopo un'esposizione di almeno 18 mesi- 5 anni; non si verifica prima di un mese di attività a meno che la sensibilizzazione non sia avvenuta in precedenza. Una volta sensibilizzata a un allergene specifico, una persona invariabilmente risponde a concentrazioni molto minori di allergene di quelle che normalmente provocano una risposta (misurabili in ppm o in ppb). L'asma occupazionale interessa solamente una minoranza dei lavoratori.

Eziologia Gli allergeni occupazionali comprendono i semi di ricino, i semi di cereali, gli enzimi proteolitici utilizzati nella produzione di detergenti e nelle industrie della birra e dei pellami, il legno di cedro rosso occidentale, gli isocianati, la formalina (raramente), gli antibiotici (p. es., l'ampicillina e la spiramicina), le resine epossidiche e il tè. L'elenco è in continuo aumento (Per l'esposizione a polveri tessili, v. oltre Bissinosi). Nonostante si sia tentati di attribuire la maggior parte delle forme di asma a una risposta immunologica di tipo I (IgE-mediata) o a una di tipo III (IgG-mediata), un approccio così semplicistico non è giustificato. Le reazioni possono variare e il broncospasmo può verificarsi a breve distanza dall'esposizione o più tardivamente, p. es., fino a 24 h dopo con ripresentazione notturna per una settimana o più senza ulteriori esposizioni.

Sintomi, segni e diagnosi I pazienti in genere lamentano affanno, senso di costrizione toracica, respiro sibilante e tosse, spesso con sintomi del tratto respiratorio superiore, quali starnuti, rinorrea e lacrimazione. La sintomatologia può insorgere nelle ore lavorative dopo l'esposizione a polvere o a vapori specifici, ma spesso si manifesta diverse ore dopo la sospensione del lavoro, rendendo l'associazione con l'esposizione professionale meno evidente. Il respiro sibilante notturno può file:///F|/sito/merck/sez06/0750675b.html (1 of 2)02/09/2004 2.14.10

Malattie respiratorie occupazionali

essere l'unico sintomo. Spesso la sintomatologia scompare durante il fine settimana o durante le ferie. La diagnosi si basa sul riconoscimento dell'esposizione all'agente eziologico nell'ambiente di lavoro e sulle prove immunologiche (p. es., i test cutanei) condotte con l'antigene sospetto. Un aumento nell'iperreattività bronchiale dopo esposizione all'antigene sospetto è anche d'aiuto nel fare la diagnosi. Nei casi più difficili, un test inalatorio di provocazione positivo, eseguito in laboratorio e accuratamente controllato, conferma la causa della ostruzione delle vie aeree. Le prove di funzionalità polmonare, che dimostrano una riduzione della capacità ventilatoria durante il lavoro, sono un'ulteriore conferma che l'esposizione professionale riveste un ruolo causale. La diagnosi differenziale con l'asma idiopatico si basa generalmente sul quadro sintomatologico e sulla relazione con l'esposizione ad allergeni.

Profilassi e terapia Nelle industrie nelle quali sono state identificate sostanze allergeniche o broncocostrittrici è essenziale l'eliminazione della polvere; tuttavia, l'eliminazione di tutte le occasioni di sensibilizzazione e di malattia clinica non è realizzabile. Se possibile, un soggetto particolarmente sensibile deve essere allontanato dall'ambiente che gli provoca i sintomi asmatici. Se l'esposizione continua, i sintomi tendono a persistere. La terapia dell'asma bronchiale (che prevede in genere un broncodilatatore per via orale o per aereosol, la teofillina e, nei casi gravi, i corticosteroidi) migliora la sintomatologia (v. Asma nel Cap. 68).

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE GRANULOMATOSI DA CELLULE DI LANGERHANS (Istiocitosi X) Gruppo di malattie caratterizzate da proliferazione degli istiociti. (V. anche Cap. 137.) Le lesioni granulomatose possono interessare molti organi, ma si riscontrano specialmente nei polmoni e nelle ossa. L'eziologia è sconosciuta. Dal punto di vista anatomo-patologico le alterazioni iniziano con una progressiva proliferazione istiocitaria e infiltrazione di granulociti eosinofili. Alla fine si instaura una fase fibrotica con scarsa infiltrazione cellulare. I polmoni mostrano granulomatosi, fibrosi e aspetto a nido d'ape, in vario grado. I corpi dell'istiocitosi X, osservabili al microscopio elettronico, sono caratteristici e possono essere osservati all'esame del lavaggio alveolare all'interno degli istiociti o dei macrofagi alveolari. La malattia di Letterer-Siwe è una malattia sistemica che si manifesta prima dei 3 anni di età. Se non trattata, risulta di solito fatale. La cute, i linfonodi, le ossa, il fegato e la milza sono spesso interessati. Il pneumotorace è una complicanza frequente. La sindrome di Hand-Schüller-Christian è una malattia multifocale che il più delle volte comincia durante la prima infanzia ma può comparire nella inoltrata mezza età. I polmoni e le ossa sono più frequentemente colpiti, sebbene possano essere interessati anche altri organi. Raramente si riscontra una triade di alterazioni ossee, esoftalmo e diabete insipido. La biopsia tissutale, solitamente eseguita sulla pelle o sulla lesione ossea, è necessaria per confermare la diagnosi. La malattia multisistemica deve essere trattata con la chemioterapia sistemica, che comprende la vinblastina o l'etoposide.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 136–2. ANOMALIE PRESENTI NEI PAZIENTI CON SINDROME IPEREOSINOFILA IDIOPATICA Manifestazioni Pazienti

Sintomi

≅50%

Astenia, affaticabilità, anoressia, febbre, calo ponderale, mialgie

Cardiopolmonari >70%

Tosse, dispnea, insufficienza cardiaca, aritmie, malattia dell’endomio cardio, infiltrati polmonari, versamento pleurico, embolia

Ematologiche

>50%

Tromboembolie, anemie, trombocitopenie, adenopatie, splenomegalie

Neurologiche

>50%

Alterazioni del comportamento e delle funzioni intellettuali, spasticità, neuropatie periferiche, lesioni cerebrali focali

Costituzionali

Dermatologiche >50%

Dermatografismo, angioedema, eruzioni, prurito

Gastrointestinali

>40%

Diarrea, nausea, crampi addominali

Immunologiche

≅40%

Aumento delle immunoglobuline (specialmente IgE), complessi immuni circolanti

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Sindromi istiocitiche

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 137. SINDROMI ISTIOCITICHE Un vasto gruppo di disordini caratterizzati da anomala proliferazione di macrofagi o cellule simil-istiocitiche.

Sommario: Introduzione ISTIOCITOSI DELLA CELLULA DI LANGERHANS Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Classificare questi disordini è difficile a causa della natura ubiquitaria del macrofago, le sue straordinarie capacità metaboliche, il suo ruolo come regolatore dell’ematopoiesi e la sua prominenza nella risposta immune e infiammatoria e a causa dell’incertezza dell’ontogenesi del monocita, del macrofago, dell’istiocita e della cellula dendritica. Tuttavia, sono state definite tre classi di sindromi istiocitiche (v. Tab. 137-1). Questo capitolo descrive le istiocitosi di classe I (istiocitosi delle cellule di Langerhans.).

ISTIOCITOSI DELLA CELLULA DI LANGERHANS (V. anche il Cap. 56 e il Cap. 78) L’istiocitosi della cellula di Lanngerhans fu previamente chiamata istiocitosi X ed è sottoclassificata come granuloma eosinofilo, malattia di Hand-SchüllerChristian e malattia di Letterer-Siwe. Sebbene i pazienti raramente rientrino in queste categorie discrete, le designazioni rimangono utili per catalogare le manifestazioni cliniche dell’istiocitosi della cellula di Langerhans. L’incidenza è stimata essere fra 1/200000 e 1/ 2000000. In maniera predominante colpisce i bambini e i giovani fanciulli, sebbene la malattia negli adulti, anche in età senile, è ben descritta. È stata ampiamente riportata una predominanza per i maschi.

Sintomi e segni I sintomi e segni variano considerevolmente dipendendo dagli organi infiltrati. Le ossa, la pelle, i denti, il tessuto gengivale, l’orecchio, gli organi endocrini, il polmone, il fegato, la milza, i linfonodi e il midollo osseo possono essere coinvolti ed esibire una disfunzione secondaria alla infiltrazione cellulare. La maggioranza dei casi si manifesta tra 1 e 15 anni di età. Un granuloma solitario o multifocale si riscontra in maniera predominante nei bambini di maggior età e nei giovani adulti, di solito all’età di 30 anni; l’incidenza è massima tra l’età di 5 e 10 anni. I granulomi eosinofili solitari e multifocali rappresentano circa il 60-80% dei casi d’istiocitosi della cellula di Langerhans. I file:///F|/sito/merck/sez11/1371014.html (1 of 4)02/09/2004 2.14.12

Sindromi istiocitiche

pazienti, con coinvolgimento sistemico, frequentemente presentano lesioni ossee simili, spesso con un’inabilità a portare pesi e con un molle (qualche volta caldo) gonfiore sottostante. Radiograficamente, le lesioni sono in genere nettamente delineate rotonde od ovali, con un’estremità smussa che dà l’apparenza di profondità. Alcune lesioni, tuttavia, sono radiologicamente indistinguibili dal sarcoma di Ewing o dal sarcoma osteogenico. La malattia di Hand-Schüller-Christian si manifesta nei bambini fra i 2 e i 5 anni di età e nei bambini più grandi e negli adulti. Rappresenta il 15-40% dei casi di istiocitosi della cellula di Langerhans. Possono avere difetti ossei ed esoftalmo causato da una massa tumorale nella cavità orbitaria, perdita della visione o strabismo causato da coinvolgimento del nervo ottico o del muscolo orbitario e perdita dei denti causata da infiltrazione delle gengive e della mandibola. I più frequenti siti di coinvolgimento osseo sono le ossa piatte del cranio, le coste, la pelvi e la scapola. Le ossa lunghe e le ossa vertebrali lombosacrali sono meno frequentemente coinvolte. L’aspetto nelle ossa lunghe può ricordare il sarcoma di Ewing e quello osteogenico o l’osteomielite. I polsi, le mani, le ginocchia, i piedi o le vertebre cervicali sono raramente coinvolte. I genitori dei bambini colpiti frequentemente riferiscono una precoce eruzione dentaria, quando infatti le gengive si stanno ritirando per esporre la dentatura da latte. L’otite cronica media, dovuta al coinvolgimento della mastoide e della porzione petrosa dell’osso temporale, così come l’otite esterna sono abbastanza comuni. Il diabete insipido colpisce il 5-50% dei pazienti, soprattutto bambini che presentano una malattia sistemica e il coinvolgimento dell’orbita e del cranio. Fino al 40% dei bambini con istiocitosi della cellula di Langerhans presenta bassa statura. Iperprolattinemia e ipogonadismo possono essere causati da infiltrazione ipotalamica. Sono stati riportati molti altri sintomi rari. La malattia di Letterer-Siwe, la forma più severa di istiocitosi della cellula di Langerhans, si manifesta nel 10% dei casi. Tipicamente, un bambino con meno di 2 anni di età si presenta con un rash squamoso, seborroico, eczematoso, talora purpurico, che coinvolge il cuoio capelluto, i canali auricolari, l’addome e con aree intertriginose del collo e della faccia. La pelle denudata può servire come porta di ingresso per microrganismi, che causano sepsi. Frequentemente, si osserva drenaggio auricolare, linfoadenopatia, epatosplenomegalia e, in casi gravi, disfunzione epatica con ipoproteinemia e ridotta sintesi dei fattori coagulativi. Si possono anche manifestare anoressia, irritabilità, mancanza di crescita e significativi sintomi polmonari (p. es., tosse, tachipnea, pneumotorace). Si manifestano una significativa anemia e talora neutropenia; molto frequentemente una trombocitopenia presagisce la morte. A causa del loro aspetto, questi giovani pazienti sono considerati essere stati oggetto d’abuso o d’incuria.

Diagnosi La diagnosi differenziale dipende dalla presentazione clinica. Essa include le sindromi da immunodeficienza con la malattia del graft-vs-host o di infezione virale, malattie infiltranti come la leucemia o il linfoma, la malattia da accumulo reticoloendoteliale, infezioni congenite, tumori dell’osso benigni o maligni, cisti e xantomi papulari. L’istiocitosi della cellula di Langerhans è diagnosticata sulla base della biopsia che dimostra la caratteristica istopatologia. La cellula di Langerhans è in genere prominente all’istopatologia, ma il suo aspetto varia con l’età della lesione esaminata. Le lesioni iniziali sono "cellulari" con una proliferazione di cellule di Langerhans ben differenziate; quando le lesioni vanno a maturazione, si evidenziano meno cellule di Langerhans e, in qualche caso, nessuna. Occasionalmente, è presente necrosi con solo rare cellule di Langerhans. Sono spesso presenti istiociti multinucleati, unitamente ad altre cellule infiammatorie (p. es., granulociti, eosinofili, macrofagi e occasionalmente linfociti e plasmacellule).

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Sindromi istiocitiche

Test diagnostici aggiuntivi includono immunocolorazioni con ATPasi, proteina S100, α-mannosidasi, lectina derivata da nocciolina e vimentina. Questi marker sono abbastanza sensibili, ma sono meno specifici e necessitano di essere valutati nel contesto del quadro istopatologico. Una diagnosi definitiva richiede l’identificazione tramite microscopia elettronica delle cellule di Langerhans, basata sulla presenza dei granuli di Langerhans (corpi-X o granuli di Birbeck) o sulla presenza del CD1 sulla superficie cellulare.

Prognosi e terapia I pazienti a basso rischio sono definiti quelli con più di 2 anni di età senza coinvolgimento del sistema ematopoietico, fegato, polmoni o milza, mentre ad alto rischio quelli con meno di 2 anni di età con coinvolgimento di questi organi. Poiché c’è un continuum nell’espressione della malattia e i pazienti frequentemente non soddisfano designazioni rigide e arbitrarie è stato sviluppato un sistema di raggruppamento (v. Tab. 137-2). Pazienti nei gruppi 0-II, particolarmente quelli con malattia di qualsiasi singolo sistema, possono richiedere poca o nessuna terapia sistemica e hanno poca morbilità e mortalità nulla. Alcuni pazienti nel gruppo II e la maggior parte di quelli del gruppo III (cioè quelli con malattia multisistemica) richiedono terapia sistemica ma generalmente stanno bene. Significativa morbilità e mortalità si incontrano (fino al 20%) nei pazienti del gruppo IV, che sono giovani e presentano coinvolgimento d’organo multisistemico. Infine, quasi tutti i pazienti con buona risposta possono interrompere il trattamento, sebbene le ricadute siano comuni. Un andamento cronico di remissioni e ricadute può anche manifestarsi nei pazienti adulti. I pazienti gravemente ammalati sono ospedalizzati, trattati con dosi massimali di antibiotici, ventilazione, supporto nutrizionale (inclusa l’iperalimentazione), emoderivati, cura della cute, terapia fisica, mentre è necessario sia il supporto medico che infermieristico. Un’igiene scrupolosa limita efficacemente le lesioni del canale auditivo, della cute e dei denti. L’igiene orale, e perfino la resezione di tessuto gengivale gravemente affetto, limita il coinvolgimento orale. La dermatite simil-seborroica del cuoio capelluto può migliorare con l’uso di uno shampo a base di selenio per 2 volte/sett. Se lo shampo non è efficace, corticosteroidi per uso topico vanno usati con parsimonia per piccoli periodi per il controllo di piccole aree. Molti pazienti richiedono una terapia sostitutiva ormonale per il diabete insipido o altre manifestazioni di ipopituitarismo. Terapia locale (chirurgia e radioterapia): dopo una valutazione completa, i pazienti con coinvolgimento di un singolo osso e, in qualche circostanza, i pazienti con lesioni multiple e con coinvolgimento di ossa multiple, sono trattati con terapia locale. Questa coinvolge un curettage chirurgico per i pazienti le cui lesioni sono accessibili facilmente e in aree non critiche. Il trattamento chirurgico preverrà le drastiche deformità estetiche e ortopediche e la perdita di funzione. La radioterapia localizzata con uso di equipaggiamento da megavoltaggio è di solito somministrata ai pazienti a rischio per deformità scheletriche, perdita della funzione visiva secondaria a esoftalmo, fratture patologiche, collasso vertebrale e lesione del midollo spinale o a pazienti con grave dolore o adenopatia sintomatica. Chemioterapia: pazienti a basso rischio con più di due anni di età, con lesione ossea sia singola che mutipla, richiedono frequentemente terapia locale e poca, se non addirittura nessuna, terapia sistemica. Tuttavia, la mancanza di crescita o una VES persistentemente elevata possono indicare una significativa malattia sistemica. I pazienti a basso rischio con più di 2 anni di età con malattia multisistemica e nessun coinvolgimento del midollo ematopoietico, fegato, polmone o milza di solito hanno risposte durature alla chemioterapia, mentre molti pazienti con meno di 2 anni di età con coinvolgimento e particolarmente con disfunzione di questi sistemi d’organo muoiono nonostante la chemioterapia. Pazienti con una prognosi estremamente scarsa devono essere tipizzati per l’HLA alla diagnosi e presi in considerazione per il trapianto di midollo osseo, ciclosporina o terapia immunosoppressiva o immunomodulatoria sperimentale. file:///F|/sito/merck/sez11/1371014.html (3 of 4)02/09/2004 2.14.12

Sindromi istiocitiche

I pazienti con istiocitosi sistemica della cellula di Langerhans devono essere monitorizzati per possibili disabilità croniche, quali disordini cosmetici o funzionali ortopedici e per neurotossicità, nonché per problemi emozionali derivanti dalla malattia o dal trattamento.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 137-1. LE SINDROMI ISTIOCITICHE Sindrome Istiocitosi di classe I

Patologie Granuloma eosinofilo

Istiocitosi della cellula di Langerhans Malattia di Letterer-Siwe (istiocitosiX) Malattia di Hand-Schüller-Christian Istiocitosi di classe II Linfoistiocitosi emofagocitica familiare Sindromi emofagocitiche (istiocitosi della cellula non Langerhans) Sindrome emofagocitica associata a infezione Istiocitosi di classe III Istiocitosi dei seni con linfoadenopatia Sindromi istiocitosiche maligne massiva Leucemie Leucemia monocitica acuta Leucemia monocitica cronica Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) LMMC dell’adulto LMMC del bambino (anche definita leucemia mielogena cronica giovanile) Istiocitosi maligna (include alcuni casi originaria mente definiti come reticulosi istiocitica midollare) Linfoma istiocitico vero Adattata da Komp DM, Perry MC: "Introduction: The histiocytic syndromes." Seminars in Oncology18:1, 1991.

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Tumori osseie articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 56. TUMORI OSSEI E ARTICOLARI Sommario: Introduzione Diagnosi

Il problema più comune nella diagnosi e nel trattamento dei tumori ossei è quello di non sospettarne la presenza. Qualunque dolore persistente o progressivo inspiegabile del tronco o degli arti, particolarmente se associato alla presenza di una massa, deve essere considerato dovuto a un tumore finché non venga dimostrato il contrario. Condizioni tumorali o similtumorali raramente colpiscono le articolazioni, se non per estensione diretta di un tumore dell'osso adiacente o dei tessuti molli. Comunque, due condizioni, l'osteocondromatosi e la sinovite villonodulare pigmentosa, si verificano nelle cellule di rivestimento (sinovia) delle articolazioni. L'ostecondromatosi è caratterizzata da numerosi corpi liberi cartilaginei, ciascuno dei quali può essere non più grande di un chicco di riso, in una articolazione tumefatta, dolente. La chirurgia è necessaria per rimuovere i corpi liberi insieme alla sinovia della articolazione. Nella sinovite villonodulare pigmentosa, la sinovia diventa ispessita e contiene emosiderina, la quale conferisce al tessuto il suo colorito brunastro. Questo tessuto tende a invadere l'osso adiacente, causando distruzione cistica. Il processo doloroso è difficile da controllare. La chirurgia è il trattamento abituale.

Diagnosi Nei bambini prevalgono i tumori ossei primitivi, mentre i tumori metastatici sono rari. Negli adulti, al contrario, le metastasi ossee sono circa 20 volte più frequenti dei tumori maligni primitivi. Alcuni segni radiologici ci aiutano a distinguere le lesioni benigne dalle maligne. Certi tumori hanno un aspetto caratteristico; p. es., i linfomi dell'osso causano un aspetto tarlato dell'osso, mentre i tumori a cellule giganti hanno un'apparenza cistica. Le indagini radiografiche permettono di determinare la localizzazione del tumore e possono restringere le possibilità diagnostiche; p. es., il tumore di Ewing compare spesso nella diafisi delle ossa lunghe, mentre l'osteosarcoma abitualmente nella regione meta-epifisaria verso l'estremità distale dell'osso lungo. Il tumore gigantocellulare colpisce di solito le epifisi. Una cisti aneurismatica ossea può manifestarsi in qualsiasi segmento osseo, ma è generalmente localizzata nella porzione metafisaria di un osso lungo. Anche la TC e la RMN possono risultare utili nella definizione della localizzazione e dell'estensione di una lesione, ma soltanto raramente permettono di porre la diagnosi. Per la ricerca di lesioni multicentriche o metastatiche devono essere eseguite la rx e la scintigrafia ossea. La biopsia è essenziale per la diagnosi. La diagnosi istopatologica dei tumori ossei è difficile e richiede una quantità di tessuto sufficiente di una porzione rappresentativa del tumore. Si preferisce una biopsia a cielo aperto. Tuttavia, vi file:///F|/sito/merck/sez05/0560506.html (1 of 2)02/09/2004 2.14.13

Tumori osseie articolari

sono centri particolarmente esperti nel diagnosticare tumori ossei mediante agobiopsia. Si devono dare all'anatomopatologo dettagli sull'anamnesi clinica e sull'esame rx. Poiché quasi tutti i tumori hanno zone di tessuto molle, che sono il miglior materiale da sezionare ed esaminare per una diagnosi immediata con la tecnica del congelamento a freddo, una diagnosi immediata, accurata e definitiva è possibile in > 90% dei pazienti. Sezioni istologiche permanenti sono di solito disponibili il giorno dopo la biopsia.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE Una serie di malattie a eziologia sconosciuta con caratteristiche cliniche simili, che causano alterazioni anatomo-patologiche diffuse primitivamente nel tessuto interstiziale interalveolare. Le malattie polmonari occupazionali e da ipersensibilità, anch'esse delle malattie polmonari interstiziali, sono trattate nei Cap. 75 e 76; la sarcoidosi è trattata nel Cap. 288. La radiografia del torace può essere normale nel 10% dei pazienti con varie malattie polmonari interstiziali, specialmente in quelli con polmoniti da ipersensibilità. La TC ad alta risoluzione (High-resolution CT, HRCT) viene utilizzata sempre più spesso per valutare le pneumopatie diffuse interstiziali. La HRCT facilita il riconoscimento degli elementi patologici di queste malattie perché non sovrappone le strutture ed è indipendente dall'esposizione. La HRCT è più accurata della rx torace convenzionale nel distinguere la patologia alveolare dalle malattie interstiziali e questo facilita il riconoscimento precoce e la conferma di malattie polmonari diffuse sospette, soprattutto in un paziente sintomatico con una rx torace normale. La HRCT fornisce una migliore definizione dell'estensione e della distribuzione della malattia ed è più probabilmente capace di rilevare delle patologie coesistenti (p. es., un'adenopatia mediastinica occulta, un carcinoma, l'enfisema). In pazienti selezionati con malattie polmonari interstiziali, l'analisi delle cellule ottenute attraverso il lavaggio broncoalveolare può aiutare a circoscrivere le possibili diagnosi differenziali, a definire lo stadio di malattia e a valutare la progressione della malattia o la risposta alla terapia. Tuttavia, l'utilità di questa procedura nella valutazione clinica e nella gestione della maggiore parte dei pazienti con queste patologie non è stata ancora stabilita.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 137-2. SISTEMA DI RAGGRUPPAMENTO PER L’ISTIOCITOSI Fattore

Punti*

Età 2 anni

0

Età 1 mese (cronica).

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L’encefalopatia multifocale progressiva e le altre infezioni da virus lenti sono trattate nel Cap. 162.

Eziologia La meningite subacuta e quella cronica possono insorgere per infezioni micotiche, TB, malattia di Lyme, AIDS, lue o disturbi non infettivi, quali la sarcoidosi, la sindrome di Behçet’s e tumori (p. es., leucemia, linfomi, melanomi, carcinoma metastatico dell’encefalo e gliomi, particolarmente il glioblastoma, l’ependimoma e il medulloblastoma). La meningite subacuta può conseguire a reazioni chimiche nei confronti di alcune iniezioni intratecali. La meningite cronica deve essere differenziata dalla meningite acuta o dall’encefalite, in cui la guarigione è lenta e dalle meningiti ricorrenti (p. es., dovute alla perdita del liquido del craniofaringioma o a trauma). I farmaci immunosoppressivi e l’epidemia da AIDS, hanno aumentato l’incidenza di infezioni micotiche, sia dell’encefalo che delle meningi. Il Cryptococcus è l’agente patogeno più comune nei pazienti affetti da AIDS, malattia di Hodgkin, linfosarcoma o in quelli sottoposti a terapia steroidea cronica. Meno spesso si incontrano i Coccidioides, il Mucor, la Candida, l’Actinomyces, l’Histoplasma e l’Aspergillus (v. Cap. 158). Una delle complicanze della leucemia linfoblastica acuta è la meningite neoplastica, con importante coinvolgimento leptomeningeo, frequente soprattutto nei bambini trattati con farmaci antileucemici che non attraversano la barriera ematoencefalica. Raramente, una meningite subacuta è il primo segno di una malattia maligna.

Sintomi, segni e diagnosi Le manifestazioni sono simili a quelle delle meningiti acute, ma evolvono più lentamente, in settimane piuttosto che in giorni. La febbre può essere molto lieve. Nella meningite neoplastica sono comuni la cefalea, la demenza, la lombalgia e le paralisi dei nervi cranici e periferici. Una complicanza è rappresentata dall’idrocefalo comunicante cronico. Il decorso è progressivo e la morte avviene entro alcuni mesi o settimane dall’esordio. file:///F|/sito/merck/sez14/1761546.html (1 of 3)02/09/2004 2.14.17

Infezioni del snc

A causa della lenta evoluzione dei sintomi cerebrali, la diagnosi differenziale dovrà comprendere le lesioni organiche (p. es., i tumori, gli ascessi o gli essudati subdurali); la presenza di una neoplasia maligna o di una TB, interessanti qualsiasi sede, indicherà l’eziologia, ma l’esame del liquor sarà sempre utile, a meno che non esistano controindicazioni. La conta delle cellule nel liquor è di solito < 1000/µl, con predominanza dei linfociti; il glucoso è spesso inferiore alla norma, mentre le proteine possono essere aumentate (v. Tab. 165-3). Il liquor nelle meningiti neoplastiche è caratterizzato da pleiocitosi linfocitica, glucoso diminuito, proteine lievemente aumentate e, frequentemente, aumento della pressione. Nella lue i reperti liquorali sono simili a quelli di altre meningiti subacute, se si eccettua il glucoso, che di solito è nella norma; i valori della VDRL nel liquor e nel sangue, insieme ad altri test, sono positivi nella maggior parte dei pazienti. L’esame microscopico o colturale del liquor è necessario per il riscontro delle cellule neoplastiche o di un microrganismo patogeno. Dal momento che la maggior parte delle infezioni dovrà essere trattata per lunghi periodi di tempo con farmaci altamente specifici, è necessario identificare il microrganismo responsabile prima di iniziare la terapia. I miceti possono essere identificati nel sedimento della centrifugazione; la TB, mediante colorazione acid-fast o immunofluorescente. L’identificazione di cellule tumorali, TB e alcuni funghi (p. es., aspergilli) dipende dal volume di liquor esaminato o coltivato. Possono essere necessari 30-50 cc di liquor (da punture lombari seriate).

Terapia La terapia della meningite tubercolare è trattata nel paragrafo Tubercolosi extrapolmonare nel Cap. 157; la meningite luetica, nel Cap. 164; la malattia di Lyme, nel Cap. 157 e la meningite leucemica, sotto Leucemia Linfoblastica Acuta nel Cap. 138. Nella meningite sarcoidotica si può somministrare prednisone 80 mg/die PO per 3 sett diminuendo poi le dosi di 5 mg/die ogni 3 gg. Nella meningite da actinomiceti, il farmaco di scelta è la penicillina G, 20 milioni di U/die IM o EV (nei bambini 200000 U/kg/die suddivisi q 4 h) per almeno 6 sett. Il trattamento può essere continuato per altri 2-3 mesi con penicillina V, 100 mg/ kg/die PO suddivisi ogni 6 h. Il farmaco di scelta per tutti i miceti e i lieviti è l’amfotericina B. Negli adulti viene iniziata con una dose test di 1 mg, somministrata mediante infusione EV lenta e gradualmente aumentata fino a raggiungere la dose di 1 mg/kg/die, come limite di tolleranza (v. Principi Terapeutici Generali al Cap. 158). La dose ottimale non è stata ancora stabilita e di solito si raggiungono i 2-6 g totali. Ai bambini viene somministrata una dose test di amfotericina B 0,25 mg/kg EV in 6 h mediante l’infusione di 0,1 mg/ml, in soluzione glucosata al 5%. La dose giornaliera viene aumentata di 0,25 mg/kg fino a non più di 1 mg/kg. Se i livelli ematici dell’amfotericina B sono mantenuti a una concentrazione pari a due volte quella necessaria a inibire la crescita dei miceti in coltura, il trattamento non dovrà superare le 10 sett. Sebbene rischiosa, la somministrazione intratecale o intraventricolare (con reservoir Ommaya) del farmaco può talvolta rendersi necessaria (p. es., nella meningite da cocchi). Nelle meningiti da criptococco il trattamento di scelta è una combinazione di amfotericina B 0,3 mg/kg insieme a 5-flucitosina 150 mg/kg/die suddivisa q 6 h per 6 sett. È anche efficace il fluconazolo. È meno tossico e l’assunzione PO o EV determina picchi di concentrazione plasmatica simili. Quando il liquor è sterile, dopo due settimane dall’inizio della somministrazione di amfotericina e flucitosina, il paziente può essere sottoposto a fluconazolo 400-800 mg/die PO (se la funzionalità renale è normale) per almeno 8 settimane dopo che il liquor è diventato sterile. Una dose di mantenimento PO di 200 mg/die può prevenire le

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Infezioni del snc

ricadute (p. es., in pazienti con AIDS). Un ridotto numero di bambini con un’età > 3 anni è stato trattato senza rischi con 3-6 mg/kg/die, ma l’efficacia di questo trattamento non è stata ancora stabilita. Se la meningite criptococcica è di entità lieve (come indicato da uno stato mentale normale, normale pressione del liquor e dell’antigene criptococcico < 1:1024), il fluconazolo, alla dose di 400 mg/ die PO, potrà essere somministrato, come monoterapia, per 10-12 settimane.

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Le leucemie

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 138. LE LEUCEMIE Malattie neoplastiche maligne del tessuto emopoietico.

LEUCEMIA CRONICA Sommario: LEUCEMIA LINFOCITICA CRONICA Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Prognosi e terapia LEUCEMIA MIELOCITICA CRONICA Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

LEUCEMIA LINFOCITICA CRONICA (Leucemia linfatica cronica) Espansione clonale di linfociti apparentemente maturi che interessa i linfonodi e gli altri tessuti linfoidi, con progressiva infiltrazione del midollo osseo e comparsa di questi elementi cellulari nel sangue periferico. Il settantacinque per cento di casi sono diagnosticati nei pazienti con più di 60 anni. L’incidenza della LLC risulta 2 volte maggiore negli uomini rispetto alle donne. L’eziologia è sconosciuta, ma in alcuni casi è familiare. La LLC è rara in Giappone e in Cina e l’incidenza non sembra aumentare tra i giapponesi emigrati negli USA, il che suggerisce l’importanza del fattore genetico.

Anatomia patologica L’accumulo dei linfociti inizia probabilmente nel midollo osseo e si diffonde ai linfonodi interessando successivamente gli altri tessuti linfatici. Può manifestarsi splenomegalia. Di solito nelle fasi avanzate della malattia l’emopoiesi anomala comporta anemia, neutropenia, trombocitopenia e ridotta produzione immunoglobulinica. Molti pazienti sviluppano ipogammaglobulinemia, con alterata risposta anticorpale, correlabile, almeno in alcuni di essi, a incrementata attività delle cellule T-suppressor. Un’altra espressione dell’anomala immunoregolazione è la particolare suscettibilità a sviluppare malattie autoimmunitarie: si tratta di anemie immunoemolitiche (di solito con test di Coombs positivo) o trombocitopenie. C’è un modesto aumento di rischio di comparsa di seconde neoplasie.

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Le leucemie

La descrizione tradizionale della LLC è quella del sottotipo più frequente (cioè forma a cellule B), che rappresenta quasi la totalità dei casi. In circa i 2-3% dei casi l’espansione del clone è del tipo a cellule T e anche questo gruppo ha un sottogruppo (p. es., grandi linfociti granulari con citopenia). Inoltre, altre espressioni di leucemia cronica sono state raggruppate sotto la dizione di LLC: la leucemia prolinfocitica, la fase leucemica del linfoma cutaneo a cellule T (p. es., la sindrome di Sézary), la leucemia a cellule capellute e la leucemia linfomatosa (cioè, mutamenti leucemici osservati negli stadi avanzati del linfoma maligno). La differenziazione di questi sottotipi dalla tipica LLC è di solito facile.

Sintomi e segni L’esordio di solito è insidioso e la LLC è spesso inizialmente diagnosticata da un esame emocromocitometrico a carattere incidentale o durante la valutazione di una linfoadenopatia asintomatica. I pazienti sintomatici presentano di solito disturbi non specifici, astenia, anoressia, perdita di peso, dispnea da sforzo o una sensazione di dolenzia addominale (secondaria alla splenomegalia o alla linfoadenomegalia). Reperti iniziali includono linfoadenomegalia diffusa e una minima o modesta epato-splenomegalia. Col progredire della malattia può comparire pallore dovuto all’anemia. L’infiltrazione della cute può essere un reperto attribuibile alla LLC a cellule T. Una predisposizione alle infezioni batteriche, virali e fungine si manifesta nelle fasi tardive, secondaria all’ipogammaglobulinemia e alla granulocitopenia.

Esami di laboratorio e diagnosi Il reperto tipico di questa malattia è la linfocitosi assoluta (> 5000/µl) con aumento dei linfociti (> 30%) a livello midollare. Al momento della diagnosi, non comunemente, possono essere presenti, sebbene di grado modesto, anemia e trombocitopenia secondarie all’infiltrazione del midollo (10% dei casi), splenomegalia o anemia immunoemolitica e trombocitopenia. Alcuni pazienti presentano ipogammaglobulinemia (< 15% dei casi) e, occasionalmente, un picco monoclonale all’elettroforesi, costituito dallo stesso tipo di immunoglobulina, può essere riscontrato sulla superficie delle cellule leucemiche (2-4% dei casi). In un paziente asintomatico, la LLC può essere diagnosticata da un anomalo esame emocromocitometrico. D’altra parte, la diagnosi di LLC deve essere sospettata in un paziente che si presenta all’osservazione clinica con linfoadenomegalia generalizzata e con i sintomi non specifici di un esordio insidioso, descritti precedentemente. L’EECC e l’aspirazione del midollo confermano la diagnosi. La linfocitosi reattiva che si associa alle infezioni virali può essere differenziata sulla base del quadro clinico e della presenza di linfociti atipici allo striscio di sangue periferico. Le cellule nella LLC coesprimono marker B-cellulari, il CD5 e il CD23. La diagnosi differenziale è semplificata dall’immunofenotipo. Il linfoma linfocitico con una fase leucemica è caratterizzato da cellule circolanti che risultano più grandi rispetto a quelle della LLC, con tipici nuclei dentellati. Le cellule della sindrome di Sezary (cioè nuclei cerebriformi) e della leucemia a cellule capellute (cioè, con estroflessioni citoplasmatiche) sono anche caratteristiche. La stadiazione clinica è importante per la prognosi e la terapia. Due approcci comuni per la stadiazione sono il Rai, che è fondamentalmente basato sulle modificazioni ematologiche, e il Binet, basato sull’estensione di malattia (v. Tab. 138-5).

Prognosi e terapia

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Le leucemie

La sopravvivenza mediana dei pazienti con LLC a cellule B o con complicanze della malattia è di circa 10 anni. Un paziente con stadio 0-II, al momento della diagnosi, può sopravvivere 5-20 anni senza trattamento, mentre, allo stadio III o IV, è più verosimile che muoia entro 3-4 anni dalla diagnosi. La progressione verso l’insufficienza midollare si associa di solito a una sopravvivenza breve. I pazienti con LLC sono più a rischio per lo sviluppo di una seconda neoplasia. Sebbene la LLC abbia un andamento progressivo, alcuni pazienti possono rimanere asintomatici per anni; la terapia non è indicata fino alla fase di progressione o fino a quando non compaiano sintomi. La terapia di supporto comprende le trasfusioni di concentrati di GR per l’anemia e di piastrine per i sanguinamenti secondari alla trombocitopenia e antimicrobici per le infezioni batteriche, fungine o virali. L’antibioticoterapia è indicata di solito nei pazienti con neutropenia e agammaglobulinemia; perciò la terapia antibiotica deve essere battericida. L’Herpes zoster è comune e generalmente dermatomico. La risposta all’acyclovir e ai farmaci antivirali correlati è in genere soddisfacente. Le infusioni terapeutiche di γ-globuline devono essere considerate nel paziente con ipogammaglobulinemia e infezioni resistenti o, per profilassi, quando due o più infezioni gravi si verificano entro 6 mesi. La terapia specifica include i corticosteroidi, la radio e la chemioterapia. Non è stato dimostrato che la terapia possa prolungare la sopravvivenza. È più pericoloso sottoporre il paziente a un trattamento eccessivo, che non trattarlo affatto. Chemioterapia: i farmaci alchilanti, specialmente il clorambucile, da solo o in associazione con i corticosteroidi, sono stati a lungo la terapia usuale per la LLC a cellule B. Tuttavia, la fludarabina è più efficace. Le remissioni sono più lunghe che con gli altri trattamenti, sebbene non sia stato dimostrato alcun vantaggio in termini di sopravvivenza. L’interferon-α (IFN-α), la deossicoformicina e la 2clorodeossiadenosina hanno mostrato un’elevata efficacia nella leucemia a cellule capellute. I pazienti con leucemia prolinfocitica e leucemia linfomatosa di solito richiedono una polichemioterapia e spesso rispondono solo parzialmente. Terapia corticosteroidea: l’anemia immunoemolitica e la trombocitopenia sono indicazioni per la terapia corticosteroidea. La somministrazione del prednisone alla dose di 1 mg/kg/die può comportare occasionalmente un rapido e sorprendente miglioramento nei pazienti con LLC in fase avanzata, anche se per un periodo di tempo solitamente breve. Le complicanze metaboliche e l’aumento della frequenza e della gravità delle infezioni devono indurre cautela nell’uso prolungato di questo farmaco. Il prednisone usato con la fludarabina aumenta il rischio delle infezioni da P. carinii e da Listeria. Radioterapia: l’irradiazione locale di aree di linfoadenomegalia, del fegato e della milza può essere utilizzata transitoriamente a scopo palliativo. Anche l’irradiazione totale del corpo con piccole dosi ha dato occasionalmente buoni risultati.

LEUCEMIA MIELOCITICA CRONICA (Leucemia mieloide, mielogena o granulocitica cronica) Mieloproliferazione clonale causata dalla trasformazione maligna di una cellula staminale totipotente e caratterizzata clinicamente da un’abnorme iperproduzione di granulociti. Questa malattia può esordire in entrambi i sessi; sebbene la LMC possa manifestarsi a qualsiasi età, l’età mediana è circa di 45 anni; è piuttosto rara prima dei 10 anni di età.

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Le leucemie

Anatomia patologica La LMC è caratterizzata da un accumulo abnorme di granulociti, soprattutto a livello del midollo osseo, ma anche in aree extramidollari (p. es., il fegato e la milza). Sebbene si tratti principalmente di cellule della serie granulocitaria, è possibile che il clone neoplastico produca anche GR, megacariociti, monociti e, talvolta, cellule della linea B e T. Le cellule staminali di solito sono confinate al midollo, ma possono comparire in circolo dopo terapia immunosoppressiva. Generalmente il midollo si presenta ipercellulare ma, nel 20-30% dei pazienti, si sviluppa una mielofibrosi, di solito dopo diversi anni. Nella maggior parte dei pazienti, il clone della LMC progredisce verso una fase accelerata e la crisi blastica finale. A questo stadio possono svilupparsi tumori a cellule blastiche in altre sedi extramidollari (p. es., ossa, SNC, linfonodi, cute).

Sintomi e segni I pazienti sono spesso inizialmente asintomatici. La LMC può essere diagnosticata a seguito di un EECC eseguito casualmente. Altri richiedono una valutazione per la comparsa insidiosa di sintomi non specifici (p. es., stanchezza, astenia, anoressia, perdita di peso, febbre, sudorazione notturna o una vaga sensazione di dolenzia addominale). Inizialmente, il pallore, l’emorragia, i facili sanguinamenti e la linfoadenopatia sono inusuali, ma una splenomegalia modesta, o occasionalmente enorme, è comune (60-70% dei casi). Col progredire della malattia la splenomegalia può diventare notevole e compaiono pallore ed emorragie.

Esami di laboratorio Nei pazienti asintomatici la conta dei GB è di solito < 50000/µl. Nei pazienti sintomatici, il numero totale dei GB di solito è intorno a 200000/gml, ma può raggiungere 1000000/µl. Le piastrine risultano normali o soltanto di poco aumentate e l’Hb è solitamente > 10 g/dl. Lo striscio di sangue periferico mostra la presenza di granulociti in tutti gli stadi di differenziazione, sebbene nei pazienti con conta totale < 50000/µl sia piuttosto infrequente l’osservazione di granulociti immaturi. Il numero assoluto degli eosinofili e dei basofili risulta notevolmente aumentato, ma la concentrazione assoluta di linfociti e monociti può essere normale. Talvolta sono presenti alcuni GR nucleati, mentre la morfologia leucocitaria è normale. Il midollo è ipercellulare nei preparati da aspirazione e in quelli bioptici. Qualche paziente può avere un certo grado di mielofibrosi, anche al momento della diagnosi. La fosfatasi alcalina leucocitaria è sempre molto ridotta. Il cromosoma Philadelphia (Ph, prima definito Ph1) può essere dimostrato in quasi tutti i pazienti (95%) tramite analisi cromosomica. Sebbene quando si parla di cromosoma Ph ci si riferisca di solito al cromosoma 22, in realtà si tratta della traslocazione t(9;22) di un pezzo di cromosoma 9 che contiene l’oncogene c-abl sul cromosoma 22, con fusione con un altro gene bcr e formazione, quindi, di un gene di fusione (ABL-BCR) e un pezzo del cromosoma 22 traslocato al cromosoma 9. L’ABL-BCR è importante nella patogenesi e nell’espressione della LMC. In alcuni pazienti, nei quali il cromosoma Ph non è evidente, si può dimostrare il riarrangiamento del gene bcr tramite studi molecolari (Southern blot). Durante la fase rapidamente progressiva della malattia si aggravano l’anemia e la trombocitopenia. I basofili possono essere aumentati in numero e la maturazione granulocitaria può essere difettosa. Può aumentare la quantità di cellule immature così come il livello della fosfatasi alcalina dei neutrofili. Nel midollo può svilupparsi una mielofibrosi, con comparsa di sideroblasti visibili alla microscopia. L’evoluzione del clone leucemico può accompagnarsi allo sviluppo di nuovi cariotipi anomali.

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Le leucemie

Successivamente la malattia può evolvere verso la crisi blastica con mieloblasti (60% dei pazienti), linfoblasti (30%) e megacarioblasti (10%). Nell’80% di questi pazienti si rilevano frequentemente anche anomalie cromosomiche di altro tipo.

Diagnosi La diagnosi di LMC è relativamente facile per la presenza di splenomegalia associata, leucocitosi con granulociti immaturi ed eosinofilia e basofilia assolute, bassi livelli di fosfatasi alcalina leucocitaria e cromosoma Ph. Una diagnosi differenziale si impone con la leucocitosi di pazienti affetti da mielofibrosi, nella quale sono però sempre presenti GR nucleati e a goccia, anemia e trombocitopenia. La reazione leucemoide secondaria a carcinoma o infezione non si accompagna di solito alla basofilia ed eosinofilia assolute della LMC, mentre può esserci di solito un aumento dei livelli di fosfatasi alcalina leucocitaria.

Prognosi La LMC Ph-negativa e la leucemia mielomonocitica cronica hanno una prognosi peggiore della LMC Ph-positiva. I loro comportamenti clinici ricordano una sindrome mielodisplastica. Eccetto per i casi nei quali il TMO può essere utilizzato con successo, il trattamento non è curativo. Tuttavia, l’uso di IFN-α ha prolungato la sopravvivenza media da 3-4 anni a 5-8 anni. Dei pazienti, il 5-10% muore entro i 2 anni dalla diagnosi e il 10-15% muore nei tre anni successivi; il 90% dei pazienti muore in seguito a crisi blastica o nel corso di una fase accelerata della malattia; la sopravvivenza media dopo una crisi blastica è di circa 2 mesi, ma può arrivare a 8-12 mesi nei casi in cui si raggiunga la remissione.

Terapia Lo scopo usuale del trattamento è soltanto palliativo e non curativo. In generale i sintomi sono direttamente legati al numero dei GB; quindi, mantenere i GB a un livello < 250000/µl in genere aiuta a prevenire i sintomi. L’idrossiurea e altri farmaci mielosoppressivi possono mantenere il paziente asintomatico per lunghi periodi di tempo, mantenendo il numero totale dei GB < 10000/µl, ma remissioni vere non si ottengono poiché il clone Ph-positivo permane nel midollo. Un TMO da un donatore HLA compatibile, effettuato in una fase precoce della malattia, può procurare lunghi periodi di sopravvivenza libera da malattia e la scomparsa definitiva del clone Ph-positivo. Il TMO effettuato durante una crisi blastica, o una fase rapidamente progressiva della malattia, ha dato risultati meno buoni (v. anche il Cap. 149). Nella LMC Ph-positiva, l’interferon-α ha mostrato di produrre remissioni ematologiche con la scomparsa della positività delle cellule Ph-positive nel midollo del 20-25% dei pazienti e di prolungarne la sopravvivenza. L’IFN-α a dosi di 3-5 milioni U/m2/ die SC rappresenta il trattamento di scelta per la maggior parte dei pazienti; l’aggiunta di citarabina è benefica. L’idrossiurea è l’agente citotossico di scelta se l’IFN non può essere utilizzato. Il farmaco presenta bassa tossicità cumulativa, ma bisogna somministrarlo in maniera continuativa per la sua breve durata d’azione. Di solito il numero dei GB aumenta nuovamente alla sospensione del farmaco. La dose di partenza di solito è intorno a 1-2 g/ die PO suddivisa in dosi uguali. Il numero dei GB deve essere controllato ogni 1-2 sett. e quindi adattate le dosi del farmaco. Il busulfano non è più raccomandato. Altri farmaci immunosoppressori sono stati usati per il trattamento della fase cronica della LMC, compresi la 6file:///F|/sito/merck/sez11/1381022.html (5 of 6)02/09/2004 2.14.18

Le leucemie

mercaptopurina, 6-tioguanina, il melfalan e la ciclofosfamide. Tuttavia, poiché ha dimostrato la superiorità di questi farmaci, essi non vengono preferiti all’idrossiurea. Sebbene l’irradiazione splenica è usata di rado, può essere di aiuto nei casi di LMC refrattari o nei pazienti terminali con marcata splenomegalia. La dose totale è compresa di solito tra 6-10 Gy, da somministrare in frazioni giornaliere di 0,252 Gy/die. Questo tipo di trattamento deve iniziare con dosi iniziali molto basse e controllando accuratamente il numero dei GB. La risposta è in genere scoraggiante. La splenectomia può alleviare il disagio addominale, migliorare la trombocitopenia e ridurre anche la richiesta di trasfusioni, quando la splenomegalia non si risolve con la chemio- o radioterapia. Non ci sono prove che la splenectomia possa giocare un ruolo significativo sul controllo della LMC in fase cronica. La terapia della fase di trasformazione blastica raggiunge la remissione in circa il 50% dei pazienti con trasformazione linfoblastica. I regimi usati sono basati sul tipo di cellula della crisi blastica. Le remissione e la durata della sopravvivenza tendono a essere brevi. Nel 20-25% dei pazienti con trasformazione mieloblastica, le remissioni possono essere raggiunte, ma in genere la sopravvivenza è breve.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 138-5. Stadiazione clinica della leucemia linfocitica cronica Classificazione e stadio

Descrizione

Rai Stadio0

Linfocitosi assoluta con conta >10000/µl nel sangue e con linfociti >30% nel midollo osseo

Stadio I

Stadio 0 più linfoadenomegalia

Stadio II

Stadio I più epatomegalia o splenomegalia

Stadio III

Stadio II più anemia con Hb30% nel midollo osseo; H b ≥10g/dl, piastrine >100000/µL, ≤2 siti coinvolti

Stadio B

Come per lo stadio A, ma con 3- 5 siti coinvolti

Stadio C

Come per lo stadio A o B, ma con Hb 4,0 (normale 1,4-1,8).

Prognosi e terapia Il decorso è variabile, ma la macroglobulinemia tende a essere più benigna del mieloma. La sopravvivenza media è di circa 5-7 anni. Un’età > 60 anni, l’anemia e la crioglobulinemia sono associate a una sopravvivenza minore. Spesso, i pazienti non necessitano di trattamento per molti anni. Se c’è iperviscosità bisogna innanzitutto intervenire con la plasmaferesi, che migliora rapidamente le manifestazioni emorragiche e le anomalie neurologiche secondarie agli alti livelli di IgM. La plasmaferesi spesso deve essere ripetuta. In alcuni pazienti può essere necessario un trattamento di lunga durata con agenti alchilanti PO, di solito rappresentati dal clorambucil. Tuttavia, può manifestarsi tossicità midollare (v. in Mieloma multiplo). Il farmaco di elezione è il clorambucil, 0,03-0,09 mg/kg/die o, a intervalli di 4-6 sett., alla dose di 0,25 mg/ kg/die per 4 giorni. Il melfalan o la ciclofosfamide, somministrati come nel mieloma multiplo, sono possibili alternative, mentre il prednisone orale (1 mg/kg/ die per 4 giorni q 4-6 settimana) può essere aggiunto. Recenti risultati con gli analoghi purinici fludarabina e 2-clorodeossiadenosina sono stati incoraggianti e offrono alternative ai pazienti non responsivi ai farmaci alchilanti orali standard. L’interferone riduce la proteina M in alcuni pazienti.

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Discrasie plasmacellulari

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Discrasie plasmacellulari

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 140. DISCRASIE PLASMACELLULARI Gruppo di disordini clinicamente e biochimicamente diversi di eziologia sconosciuta, caratterizzati da una sproporzionata proliferazione di un clone di cellule B e dalle presenza di un’immunoglobulina strutturalmente ed elettroforeticamente omogenea (monoclonale) o da una subunità polipeptidica nel siero o nelle urine.

MALATTIE DA CATENA PESANTE Discrasie plasmacellulari di tipo neoplastico caratterizzate dall’iperproduzione di catene pesanti monoclonali delle immunoglobuline.

Sommario: Introduzione Malattia delle catene pesanti IgA (catene α) Malattia delle catene pesanti IgG (catene γ) Malattia delle catene pesanti IgM (catene µ) Malattia delle catene pesanti IgD (catene δ)

Nella maggior parte delle discrasie plasmacellulari, le proteine M sono strutturalmente simili alle molecole anticorpali normali. Al contrario, nelle malattie delle catene pesanti sono prodotte immunoglobuline monoclonali incomplete ("paraproteine" vere). Le diverse frazioni di catene pesanti vengono secrete da linfociti o plasmacellule anomale. Non è stata mai descritta una forma di malattia delle catene pesanti di tipo ε. La maggior parte di queste catene proteiche pesanti è rappresentata da frammenti delle loro copie normali e presenta delezioni interne di lunghezza variabile; queste delezioni sono il risultato di mutazioni strutturali. Il quadro clinico è più simile a quello di un linfoma che di un mieloma multiplo.

Malattia delle catene pesanti IgA (catene α) La malattia da catene pesanti IgA è la malattia delle catene pesanti più frequente e compare di solito tra i 10 e i 30 anni. È particolarmente frequente tra le popolazioni del Medio Oriente ed è strettamente correlata al "linfoma Mediterraneo" o "malattia immunoproliferativa del piccolo intestino". Il quadro clinico è molto costante; quasi tutti i pazienti presentano un linfoma addominale diffuso e una sindrome da malassorbimento. L’esame istopatologico dell’intestino mostra la presenza di una diffusa atrofia dei villi e di una massiva infiltrazione della lamina propria da parte di linfociti, plasmacellule o immunoblasti. L’infiltrato cellulare può presentarsi pleomorfico con caratteristiche non chiaramente rispondenti ai criteri istopatologici di malignità. Anche a carico dei linfonodi mesenterici è possibile reperire un simile infiltrato linfoplasmocitico ma, di solito, i linfonodi periferici, il midollo, la milza e il fegato non sono interessati. All’esame radiologico non sono presenti lesioni di tipo osteolitico. All’elettroforesi proteica può non essere osservato un modesto picco M. Spesso, c’è una banda larga nelle regioni α2 e β o una ridotta frazione γ. La diagnosi immunochimica richiede il rilevamento di una componente anomala all’immunoelettroforesi, che reagisce con antisiero anti-IgA ma non con antisiero anti-catena leggera. Le proteine

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Discrasie plasmacellulari

anomale sono generalmente presenti nelle secrezioni intestinali e possono essere reperite nelle urine concentrate. La proteinuria di Bence Jones è assente. Il trattamento si effettua con corticosteroidi, farmaci citotossici e antibiotici ad ampio spettro. Sono state riportate prolungate remissioni. La risposta alla terapia antibiotica da sola e la ripartizione geografica particolare dell’incidenza della malattia fanno sì che la malattia della catene α possa rappresentare una risposta immune aberrante a parassiti o ad altri microrganismi. Una forma respiratoria della malattia è stata raramente osservata.

Malattia delle catene pesanti IgG (catene γ) Sono stati descritti più di 100 casi, soprattutto di uomini anziani e in alcuni casi si trattava di bambini. Possono essere associate a questa forma alcune malattie croniche come l’AR, la sindrome di Sjögren, il LES, la TBC, la miastenia gravis, la sindrome ipereosinofila, l’anemia emolitica autoimmune e la tiroidite. Il quadro clinico ricorda quello di un linfoma maligno, dal momento che le caratteristiche tipiche sono la linfoadenomegalia e l’epatosplenomegalia. In 1/4 circa dei pazienti è presente edema del palato. Altre caratteristiche di solito presenti sono la febbre, le infezioni ricorrenti e la riduzione dei normali livelli di normali immunoglobuline. Sono comunemente presenti anemia, leucopenia, trombocitopenia, eosinofilia e linfociti o plasmacellule atipiche in circolo. La diagnosi si basa sulla dimostrazione all’immunoelettroforesi o all’immunofissazione di frammenti monoclonali liberi di catene pesanti di IgG, nel siero e nelle urine. Manca una concomitante produzione monoclonale di catene leggere. Dei pazienti il 50% dei pazienti ha componenti monoclonali nel siero > 1 g/dl e il 50% ha una proteinuria > 1 g/24 h. I frammenti proteici di catene pesanti possono appartenere a ciascuna delle sottoclassi di IgG conosciute, sebbene la sottoclasse G3 sia particolarmente comune. L’aspetto istopatologico del midollo e dei linfonodi è variabile. Nella maggior parte dei casi, agli esami radiologici si evidenzia, raramente, la presenza di lesioni osteolitiche. Depositi amiloidotici sono stati riscontrati raramente, di solito al riscontro autoptico. La sopravvivenza media è di circa 1 anno ma varia da pochi mesi a > 5 anni. La morte si ha solitamente per infezioni batteriche o per cachessia neoplastica. La terapia effettuata con agenti alchilanti, vincristina o con corticosteroidi e la radioterapia possono determinare remissioni transitorie.

Malattia delle catene pesanti IgM (catene µ) Questa malattia, molto rara dal punto di vista clinico, è molto simile di solito alla leucemia linfatica cronica o a un altro disordine di tipo linfoproliferativo. La malattia è rara. Vengono colpiti soprattutto gli organi viscerali (milza, fegato e linfonodi addominali) mentre le stazioni linfoghiandolari superficiali mostrano soltanto una modesta linfoadenomegalia. Nel midollo si ritrovano plasmacellule vacuolizzate nei 2/3 dei pazienti e, quando presenti, sono praticamente patognomoniche. La proteinuria di Bence Jones (di tipo κ) è presente nel 10-15% dei pazienti e possono manifestarsi fratture patologiche e amiloidosi. L’elettroforesi proteica del siero è normale o mostra un’ipogammaglobulinemia. La diagnosi si effettua con il riscontro di una frazione sierica a migrazione rapida che reagisce con un antisiero per le catene µ ma non con un antisiero per le catene leggere. Nelle urine si ritrovano soltanto raramente catene µ libere. Le catene leggere monoclonali κ non sono strutturalmente legate alle catene µ, anche quando appaiono essere sintetizzate dalle stesse cellule; la ragione di questa discrepanza non è chiara, anche se sembra secondaria alla natura della delezione nelle catene pesanti anomale.

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Discrasie plasmacellulari

Malattia delle catene pesanti IgD (catene δ) È stato descritto un unico caso, recentemente. Si trattava di un paziente anziano con il quadro clinico tipico del mieloma multiplo. Erano presenti una marcata plasmocitosi midollare e lesioni osteolitiche delle ossa craniche. L’elettroforesi proteica su siero mostrava un picco M che reagiva con antisiero anti-IgD monospecifico, ma non con altri antisieri diretti contro le catene leggere o le altre catene pesanti. Non c’era proteinuria. La morte sopravvenne per insufficienza renale.

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Disordini della milza

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 141. DISORDINI DELLA MILZA (v. anche Sindromi da deficit splenico nel Cap. 147)

ROTTURA DELLA MILZA Cause maggiori di rottura della milza sono (1) il trauma fisico, specialmente con incidenti automobilistici o con sport in cui c’è contatto fisico e (2) più raramente, come complicanza spontanea di rapidi ingrandimenti splenici nella malattia virale fulminante di Epstein-Barr (mononucleosi o pseudolinfoma post-trapianto mediato da virus di Epstein-Barr).). In quest’ultimo, una milza fragile e acutamente megalica può rompersi per opera di un medico bene intenzionato o di uno studente che eserciti una vigorosa palpazione. La rottura della capsula splenica con una marcata emorragia in addome è di solito clinicamente ovvia dopo un trauma fisico; è confermata da una radiografia semplice dell’addome (perdita dell’ombra dello psoas sinistro) e della plessia peritoneale, che dimostra sangue libero. Un danno più sottile, come può essere causato da una vigorosa palpazione, può determinare un’emorragia intrasplenica confinata. In analogia agli ematomi subdurali, gli ematomi intrasplenici possono ingrandirsi gradualmente nello spazio di settimane o mesi tramite un rigonfiamento osmotico che accompagna la rottura dell’emoglobina in frazioni molecolari più piccole. Questo più lento ingrandimento splenico produce sintomi di dolore e pienezza del quadrante superiore e deve condurre a una diagnosi TC-guidata. Alla splenectomia, il tessuto splenico si trova sostituito da una grande cisti color cioccolata, contenente metemoglobina e altri prodotti del catabolismo ematico.

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Generalità sui tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 142. GENERALITÀ SUI TUMORI Proliferazione cellulare, la cui tipica perdita dei normali controlli biologici porta a crescita sregolata, mancanza di differenziazione, invasione dei tessuti circostanti e metastasi.

Sommario: Introduzione Cinetica cellulare Crescita tumorale e metastasi Alterazioni molecolari Fattori ambientali Malattie immunologiche Diagnosi e screening Stadiazione Complicanze CARCINOMI METASTATICI DI ORIGINE NON CONOSCIUTA

Un tumore maligno può svilupparsi in ogni tessuto, in ogni organo e a qualunque età. La maggior parte delle neoplasie è potenzialmente curabile se diagnosticata precocemente. Con l’autoesame del seno, i pazienti stessi possono aiutare a riconoscere i segni precoci di alcune possibili neoplasie maligne. Gli esami diagnostici e la terapia adeguata sono essenziali per il raggiungimento di risultati ottimali. Il medico deve prendere in considerazione tutte le opzioni terapeutiche, se la guarigione o una ragionevole palliazione sono possibili. I pazienti affetti da neoplasia che non hanno possibilità di guarigione, devono, comunque, essere informati sul trattamento cui verranno probabilmente sottoposti e sui suoi possibili effetti collaterali. Possono essere necessarie terapie intensive per il trattamento delle complicanze correlate al trattamento. Il supporto psicologico da parte del medico e del gruppo degli operatori sanitari (che può comprendere anche uno psichiatra e un assistente sociale) aiuta i pazienti durante la terapia (v. Complicanze, oltre). I medici devono dire la verità e al contempo trasmettere una sensazione di ottimismo. Alcuni pazienti devono essere messi in guardia nei confronti di coloro che, pur lavorando nel campo sanitario, promettono false guarigioni. Il paziente deve avere la sensazione che i membri dell’équipe sanitaria siano partecipi e disponibili a rispondere alle sue domande. Il medico deve avviare un colloquio franco sulle cure della fase terminale e prendere le necessarie decisioni terapeutiche al momento appropriato (v. Cap. 294).

Cinetica cellulare Il tempo di generazione è il tempo impiegato dalle cellule per entrare in ciclo (v. Fig. 142-1) e dare origine a due cellule figlie. Le cellule tumorali hanno di solito un ciclo più breve di quelle normali. La maggior parte delle cellule normali ha una più ampia percentuale di cellule in G0 (fase di riposo) e vi è quindi una minore frazione proliferante. L’iniziale crescita neoplastica di tipo esponenziale è seguita

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Generalità sui tumori

da una fase di "plateau" in cui il numero delle cellule che muoiono è equivalente al tasso di formazione di cellule figlie. I tumori di piccole dimensioni hanno, in confronto a quelli più voluminosi, una maggiore percentuale di cellule in ciclo e quindi una maggiore proliferazione. La cinetica cellulare è importante nel disegno dei regimi di trattamento con farmaci antineoplastici. Molti farmaci antineoplastici sono efficaci soltanto se le cellule sono in ciclo e alcuni farmaci agiscono solo in una specifica fase del ciclo. La cinetica cellulare può influenzare la posologia dei farmaci e i tempi di somministrazione.

Crescita tumorale e metastasi Durante la crescita del tumore, i nutrienti vengono forniti mediante diffusione diretta dalla circolazione. L’invasione locale dei tessuti può indurre una compressione sui tessuti normali che può portare a infiammazione, oppure il tumore può produrre sostanze (p. es., collagenasi) che portano alla distruzione enzimatica dei tessuti. Successivamente, la sintesi del fattore angiogenetico tumorale provoca la formazione di un supporto vascolare indipendente. Quasi fin dall’inizio, un tumore può liberare cellule in circolo. Da modelli animali, si è calcolato che un tumore di 1 cm libera > 1 milione di cellule/24 h nella circolazione venosa. Negli animali, le cellule neoplastiche circolanti di solito muoiono in seguito a traumi intravascolari. Più lungo è il tempo che una cellula neoplastica rimane in circolo, maggiore è la probabilità che essa muoia. La probabilità che una cellula neoplastica circolante dia luogo a una metastasi è valutata essere < 1:1 milione. Le metastasi si sviluppano quando le cellule tumorali aderiscono all’endotelio vascolare e penetrano nei tessuti circostanti, sopravvivendo e generando colonie tumorali indipendenti. Così, la crescita tumorale riprende, alterando le normali caratteristiche tissutali e la funzione dell’organo interessato. I tumori metastatici possono dare origine ad altre metastasi. Dati sperimentali suggeriscono che la metastasi non è un evento casuale e che il tumore primitivo può controllare la crescita delle metastasi (p. es., nel carcinoma renale a cellule chiare, la velocità di crescita è, spesso, analoga nel nodulo primitivo e in quelli metastatici). Teoricamente, l’asportazione del tumore primitivo può indurre una rapida crescita delle metastasi.

Alterazioni molecolari Le mutazioni a carico dei geni sono in parte responsabili della crescita o della proliferazione delle cellule maligne. Queste mutazioni alterano la quantità o il comportamento delle proteine codificate da geni che regolano la crescita e, di conseguenza, alterano la divisione cellulare. Le due maggiori categorie di geni mutati sono rappresentate dagli oncogeni e dai geni oncosoppressori. Gli oncogeni sono forme alterate di geni che normalmente regolano la crescita cellulare. Per esempio, il gene ras è alterato nel 25% circa delle neoplasie umane. La proteina Ras (codificata dal gene ras) regola o fornisce il segnale per la divisione cellulare. Nella maggior parte dei casi il gene è inattivo, ma in queste cellule maligne la proteina Ras è attiva e dà alle cellule il segnale per la divisione, anche se in condizioni normali esse non andrebbero incontro a divisione. Un altro esempio di attività degli oncogeni coinvolge le proteinchinasi, enzimi che contribuiscono a regolare molte attività cellulari, in particolare attraverso un segnale dalla membrana cellulare al nucleo, avviando in tal modo l’ingresso in ciclo della cellula e controllando varie altre funzioni. Diversi tumori umani (p. es., il tumore della vescica, il tumore mammario, la leucemia mielocitica cronica [LMC]) contengono proteinchinasi con struttura alterata. Se prodotte in eccesso o

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alterate, le chinasi stimolano in continuazione la divisione cellulare. Gli oncogeni cellulari sono amplificati in diversi tumori maligni umani (p. es., Cmyc e N-myc nel tumore polmonare a piccole cellule, N-myc nel neuroblastoma, C-erb B-2 nel tumore della mammella). L’attivazione degli oncogeni non è stata del tutto chiarita, ma molti fattori possono contribuire ad essa, compresi i cancerogeni chimici (p. es., il fumo di tabacco) o gli agenti infettivi (p. es., virus). L’attivazione può derivare da riarrangiamenti cromosomici (DNA). Nel linfoma di Burkitt, la traslocazione t(8;14) sposta il locus C-myc sul cromosoma 8 verso la posizione distale del locus della catena pesante delle immunoglobuline situato sul cromosoma 14, aumentando la sintesi delle immunoglobuline. Nella LMC, la t (9;22) determina la produzione di una proteina chimerica, fusione della parte Nterminale di bcr e della parte C-terminale di abl. Queste traslocazioni di DNA sono localizzate in prossimità o sugli stessi geni responsabili della crescita cellulare e della proliferazione. I geni oncosoppressori impediscono, in condizioni normali, lo sviluppo di neoplasie maligne codificando per proteine che bloccano la trasformazione e la crescita. Per esempio, il gene del retinoblastoma (RB) codifica per la proteina pRB, che regola il ciclo cellulare, bloccando la replicazione del DNA. Mutazioni del gene RB si hanno nel 30-40% di tutte le neoplasie umane e consentono alle cellule colpite di dividersi in continuazione. Un’altra importante proteina regolatrice, la p53, previene la replicazione del DNA danneggiato nelle cellule normali e promuove la morte cellulare (apoptosi) nelle cellule con DNA alterato. La p53 inattiva o alterata permette alle cellule con DNA anormale di sopravvivere e dividersi. Le mutazioni sono trasmesse alle cellule figlie, inducendo un’elevata probabilità di sviluppare un tumore. Il gene p53 sembra essere difettoso nella maggior parte delle neoplasie umane. Alterazioni cromosomiche (v. anche Cap. 286): per quanto l’eterogeneità fenotipica si verifichi per qualsiasi tumore maligno, si ritiene che un determinato tumore derivi genotipicamente da un clone di cellule trasformate. I fattori che, in definitiva, inducono le alterazioni geniche o cromosomiche non sono conosciuti; tuttavia, la delezione, la traslocazione o la duplicazione di geni importanti danno alla cellula tumorale un vantaggio proliferativo rispetto alle cellule normali, determinando lo sviluppo di un tumore. Alterazioni cromosomiche sono state trovate in alcuni tipi di tumori; p. es., circa l’80% dei pazienti con leucemia mieloide cronica (LMC) presenta un cromosoma Filadelfia (Ph) t(9;22) (v. Leucemia Mielocitica Cronica nel Cap. 138). Utilizzando come marker proteico la G6PD, è presente un solo isoenzima nei GR e nei GB dei pazienti con LMC, mentre i fibroblasti degli stessi pazienti contengono entrambi gli isoenzimi. Queste osservazioni indicano che un’alterazione cromosomica è presente nelle cellule maligne. La perdita di alleli localizzati sui cromosomi 17p e 18q sembra importante nell’eziologia del cancro del colonretto. La perdita di alleli sul cromosoma 17p è stata implicata anche nel cancro della mammella, nei gliomi, nel carcinoma polmonare e nell’osteosarcoma. Si ritiene che i siti 17p e 18q siano sede di geni oncosoppressori. Nella conversione delle cellule epiteliali normali a neoplastiche, nella poliposi familiare del colon, è stato proposto un meccanismo di alterazione cromosomica. Inizialmente, la perdita di un gene oncosoppressore sul cromosoma 5 rende l’epitelio iperproliferativo. Una metilazione del DNA produce un adenoma precoce che l’oncogene ras converte in adenoma intermedio. La perdita del gene soppressore sul cromosoma 18 determina la sua conversione in adenoma tardivo e la perdita del gene sul cromosoma 17 lo converte in cancro. Altre alterazioni genetiche possono essere necessarie alla neoplasia per dare metastasi. L’analisi cromosomica delle cellule neoplastiche può dare informazioni prognostiche e terapeutiche; p. es., i pazienti con leucemia mieloide acuta e cromosomi normali hanno una prognosi migliore rispetto a quelli con alterazioni cromosomiche. Allo stesso modo, i pazienti che presentano traslocazione dei cromosomi t(15;17) sviluppano sempre una leucemia acuta promielocitica.

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In alcune malattie congenite, i cromosomi vanno facilmente incontro a rotture, inducendo nei bambini un rischio elevato di leucemia acuta o di altre neoplasie. Queste includono la sindrome di Bloom (una rara malattia recessiva caratterizzata da nanismo, eritema del volto fotosensibile con teleangiectasie e facies caratteristica), sindrome di Fanconi e sindrome di Down (trisomia 21).

Fattori ambientali I virus correlati a tumori maligni umani sono rappresentati dai papillomavirus umani (carcinoma cervicale), dal citomegalovirus (sarcoma di Kaposi), dal virus di Epstein-Barr (linfoma di Burkitt, linfoma immunoblastico e carcinoma nasofaringeo) e dal virus dell’epatite B (carcinoma epatocellulare). I retrovirus umani sono stati correlati ai linfomi a cellule T (virus umano con linfotropismo per le cellule T [HTLV-1]), che hanno una predilezione per l’interessamento cutaneo e osseo, con ipercalcemia e una fase leucemica. Il meccanismo di trasformazione neoplastica da parte dell’HTLV-1 consiste nell’integrazione del provirus (DNA a doppia elica copia dell’RNA del genoma virale) nel genoma cellulare. L’HTLV-2 è stato debolmente associato a una forma inusuale di leucemia a cellule capellute dei linfociti T. L’HIV I e II sono legati patogeneticamente all’AIDS (v. Cap. 163). I pazienti affetti da AIDS sono predisposti a sarcoma di Kaposi e linfoma, che possono essere di origine virale. Tra i parassiti, lo Schistosoma haematobium è stato messo in relazione al cancro della vescica che di solito si sviluppa a seguito di infiammazione cronica e fibrosi. L’Opistorchis sinensis è stato correlato al carcinoma del pancreas e dei dotti biliari. La cancerogenesi chimica è un processo multifasico: (1) Nella fase di iniziazione, una cellula che viene interessata da un evento cancerogeno può potenzialmente dare luogo a un clone neoplastico. (2) Nella fase di promozione, che è un processo reversibile, la persistenza della proliferazione di un clone neoplastico è legata ad un agente chimico, dotato di ridotta attività cancerogena. (3) Nella fase di progressione, si manifesta una crescita irreversibile di cellule alterate (neoplastiche). Un agente dotato di scarsa o assente capacità cancerogena (un cocancerogeno) può incrementare l’effetto cancerogeno di un altro agente, quando l’esposizione è simultanea. La cancerogenesi chimica è influenzata dall’età, dallo stato endocrino, dalla dieta, da altri agenti esogeni (cocancerogeni o promotori) e dallo stato immunologico. I cancerogeni chimici più comuni sono elencati nella Tab. 142-2. Le radiazioni ultraviolette sono una causa certa di neoplasie cutanee (cioè, carcinoma squamoso e a cellule basali, melanoma e soprattutto xeroderma pigmentosum). Le radiazioni ionizzanti sono cancerogene; p. es., i sopravvissuti alle esplosioni delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki hanno un’incidenza di leucemie e vari altri tumori maggiore di quella attesa. Analogamente, quando si usano radiazioni ionizzanti sotto forma di raggi X per il trattamento di affezioni non maligne (acne, aumento di volume del timo e spondilite anchilosante), aumenta l’incidenza di tumori, compresi leucemia acuta e cronica, aumenta; linfomi di Hodgkin e non Hodgkin, mieloma multiplo, anemia aplastica con evoluzione in leucemia non linfocitica acuta (LNLA), mielofibrosi, melanoma e cancro della tiroide. L’esposizione industriale (p. es., all’uranio da parte dei minatori) è collegata allo sviluppo di cancro del polmone dopo una latenza di 15-20 anni. L’esposizione per un lungo periodo a irradiazione professionale o a diossido di torio, somministrato a scopo diagnostico, predispone allo sviluppo di angiosarcomi e LNLA. L’irritazione cronica della cute porta a dermatite cronica e, in rare occasioni, al carcinoma epidermoidale.

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Malattie immunologiche I pazienti con affezioni immunologiche sono predisposti a neoplasie del sistema linforeticolare e devono essere controllati periodicamente; la comparsa di una linfoadenopatia non preesistente o sospetta deve essere valutata con biopsia. Nei pazienti con atassia-teleangectasia, l’incidenza di leucemia acuta linfoblastica (LLA), di tumori del cervello e di cancro gastrico è maggiore di quella della popolazione normale. I pazienti con sindrome di Wiskott-Aldrich e con agammaglobulinemia legata al cromosoma X hanno anche un alto rischio di linfoma e LLA. I pazienti con immunodeficienza, sia come esito di un trattamento con farmaci immunosoppressivi o a seguito di infezione da HIV, sono a rischio per una serie di neoplasie, in particolare linfoma a grandi cellule e sarcoma di Kaposi. Allo stesso modo, i pazienti con LES, AR e sindrome di Sjögren sono a rischio di linfoma, di solito del tipo a cellule B, presumibilmente correlato all’alterazione dello stato immunologico.

Diagnosi e screening L’anamnesi e l’esame fisico completi sono un requisito indispensabile per la diagnosi precoce. I medici devono essere a conoscenza dei fattori predisponenti e devono specificatamente indagare neoplasie nell’ambito familiare, sull’esposizione ambientale e le malattie pregresse (p. es., malattie autoimmuni, precedenti trattamenti immunosoppressivi, AIDS). L’esame dei vari apparati è importante e deve andare a ricercare sintomi quali astenia, perdita di peso, febbre o sudorazioni notturne, tosse, emottisi, ematemesi o ematochezia, alterazioni delle scibale fecali e dolore persistente. L’esame fisico deve rivolgere particolare attenzione a cute, linfonodi, polmoni, mammelle, addome, all’esplorazione dei testicoli, della prostata, del retto e della vagina. I principali obiettivi dello screening tumorale e della diagnosi precoce sono: ridurre la mortalità da cancro, permettere trattamenti meno invalidanti e ridurre i costi. Le procedure di screening che hanno ridotto la mortalità sono lo striscio di Papanicolaou (Paptest) (carcinoma della cervice), l’autoesame del seno e lo screening mammografico (carcinoma mammario). Per le procedure di screening raccomandate dalla American Cancer Society, v. Tab. 142-3. Tuttavia, lo screening comporta esso stesso dei rischi: la morbilità fisica e psicologica determinata dai falsi positivi, la falsa rassicurazione indotta dai falsi negativi e la morbilità derivante dalla procedura di screening. I tumori possono sintetizzare proteine che non inducono una sintomatologia clinica, p. es., β-gonadotropina corionica umana, α-fetoproteina, antigene carcinoembrionario, CA 125 e CA 15-3. Queste sostanze proteiche possono essere usate come marker tumorali in valutazioni seriate per determinare la presenza di una recidiva tumorale o la risposta alla terapia (v. Cap. 143).

Stadiazione Una volta che sia stata effettuata una diagnosi istologica, la stadiazione (cioè, la determinazione dell’estensione della neoplasia) aiuta a stabilire il trattamento appropriato e la prognosi. La stadiazione clinica utilizza informazioni provenienti dalla storia del paziente, dall’esame fisico e dagli esami non invasivi. La stadiazione patologica richiede campioni di tessuto. Per la stadiazione di neoplasie specifiche v. i dettagli in altre parti del Manuale. La mediastinoscopia (v. Cap. 65) è particolarmente importante nella stadiazione del carcinoma polmonare non a piccole cellule; se essa mostra il coinvolgimento dei linfonodi mediastinici, di solito il paziente non potrà beneficiare di una file:///F|/sito/merck/sez11/1421047.html (5 of 8)02/09/2004 2.14.27

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toracotomia con resezione polmonare. La biopsia osteomidollare è particolarmente utile per la diagnosi delle metastasi di linfoma maligno e di tumore polmonare a piccole cellule. La biopsia midollare è positiva nel 50-70% dei pazienti con linfoma maligno (a basso e ad alto grado di malignità) e nel 15-18% dei pazienti con tumore polmonare a piccole cellule. Lo svuotamento dei linfonodi ascellari con l’esame istologico per la ricerca di metastasi (parte integrante del trattamento chirurgico) è di ausilio nella stadiazione del tumore mammario. Nel carcinoma del colon la laparotomia permette un intervento terapeutico e una stadiazione intraoperatoria. La laparotomia con splenectomia, la linfadenectomia e la biopsia epatica sono, in alcuni pazienti, parte integrante della stadiazione della malattia di Hodgkin (v. Cap. 139). Le determinazioni chimiche e degli enzimi sierici possono essere d’ausilio alla stadiazione. L’incremento degli enzimi epatici (fosfatasi alcalina, LDH e ALT) suggerisce la presenza di metastasi epatiche. Un aumento della fosfatasi alcalina e del Ca sierico può essere il primo segno di metastasi ossee. L’aumento della fosfatasi acida (inibita dal tartrato) è suggestiva della diffusione extracapsulare di un carcinoma della prostata. Un’improvvisa ipoglicemia può essere il segno di un insulinoma, un carcinoma epatocellulare o un sarcoma retroperitoneale. L’aumento dell’azoto ureico o della creatininemia possono essere indicativi di un’uropatia ostruttiva secondaria a una massa pelvica, a un’ostruzione intrarenale da parte di precipitati tubulari di una proteina mielomatosa o a nefropatia uratica in corso di linfoma o di altre neoplasie. Livelli elevati di acido urico si hanno spesso in corso di malattie mielo- e linfoproliferative. L’αfetoproteina può essere elevata nel carcinoma epatocellulare e nel carcinoma del testicolo, l’antigene-S carcinoembrionario nel cancro del colon, la βgonadotropina corionica umana nel coriocarcinoma e nel carcinoma del testicolo, le immunoglobuline sieriche nel mieloma multiplo e i DNA-probes nella LMC (sonde bcr per identificare l’alterazione del cromosoma 22). La diagnostica per immagini, soprattutto per mezzo della TC e della RMN, può rilevare la presenza di metastasi cerebrali, polmonari o addominali, comprese le ghiandole surrenali, i linfonodi retroperitoneali, il fegato e la milza. La RMN (con gadolinio) è la procedura di scelta per la diagnosi e lo studio dei tumori cerebrali. L’ecografia può essere utilizzata per lo studio della cavità orbitaria, della tiroide e della regione cardiaca, pericardica, epatica, pancreatica, renale e delle regioni retroperitoneali. Può servire da guida per le biopsie percutanee e differenziare l’ipernefroma da una cisti renale benigna. La linfoangiografia mostra l’aumento di volume dei linfonodi pelvici e del tratto lombare inferiore e trova un utile impiego nella stadiazione clinica dei pazienti con morbo di Hodgkin, ma è stata in genere sostituita dalla TC. La scintigrafia epatosplenica può evidenziare metastasi epatiche e splenomegalia. La scintigrafia ossea è efficace nell’individuazione di metastasi prima che queste diventino visibili agli esami radiologici. Poiché la positività della scintigrafia richiede la presenza di tessuto osseo neoformato (cioè di attività osteoblastica), essa è inutile nelle neoplasie in cui le lesioni sono esclusivamente litiche (p. es., mieloma multiplo); in queste malattie, lo studio radiografico di routine è l’esame di scelta. La scintigrafia con gallio può essere utile nella stadiazione dei linfomi. Gli anticorpi monoclonali radiomarcati (p. es., antiantigene carcinoembrionario, anti-cellule di microcitoma) forniscono informazioni importanti per la stadiazione di varie neoplasie (p. es., cancro del colon, carcinoma polmonare a piccole cellule).

Complicanze Un tumore maligno può provocare dolore, decadimento delle condizioni generali, file:///F|/sito/merck/sez11/1421047.html (6 of 8)02/09/2004 2.14.27

Generalità sui tumori

neuropatie, nausea, anoressia, convulsioni, ipercalcemia, iperuricemia, occlusione intestinale e insufficienza d’organo. Il tamponamento cardiaco spesso insorge improvvisamente. Le cause più comuni sono rappresentate dal cancro della mammella e del polmone e dai linfomi. Poiché un versamento pericardico neoplastico precede il tamponamento cardiaco, la storia clinica di solito rivela la presenza di dolore toracico maldefinito o di senso di oppressione che peggiora nella posizione supina e migliora nella posizione eretta (v. Cap. 209). A fini diagnostici e terapeutici, deve essere eseguita una pericardiocentesi e si deve prendere in considerazione una finestra pleuropericardica o una pericardiectomia. I versamenti pleurici, se presenti, vanno drenati se sintomatici, controllandone la riformazione. Se il versamento si riforma rapidamente, si deve ricorrere al drenaggio con tubo da toracostomia e ad agenti sclerosanti (v. Cap. 65). La compressione del midollo spinale richiede immediata attenzione allo scopo di evitare la morbilità correlata (v. Cap. 182) L’ipercalcemia può essere causata da una neoplasia maligna (v. Cap. 12). La sindrome della vena cava superiore, situazione clinica drammatica, richiede un trattamento urgente, ma non d’emergenza (v. Cap. 81). Il dolore nei pazienti con tumore metastatico dipende spesso dalle metastasi ossee, dall’interessamento di un nervo o di un plesso nervoso o dalla compressione esercitata da una massa o da un versamento neoplastico. La terapia del dolore è trattata nel Cap. 167. Sindromi paraneoplastiche: le sindromi paraneoplastiche (v. anche Sintomi e segni nel Cap. 81; Ipercalcemia nel Cap. 12; e Cap. 177) possono essere dovute a produzione eccessiva o ectopica di ormoni sintetizzati dal tumore, a immunocomplessi, recettori ectopici, rilascio di composti fisiologicamente attivi o derivare da cause sconosciute. I sintomi della produzione di sostanze ormonali, da parte delle cellule tumorali, comprendono ipoglicemia a digiuno (insulina da insulinoma), diarrea (polipeptide intestinale vasoattivo da tumore neuroendocrino, per esempio un tumore insulare) e ipertensione (adrenalina e noradrenalina da feocromocitoma). La produzione ectopica di ormoni comprende l’ACTH e l’ADH ectopico (tumore polmonare a piccole cellule e non a piccole cellule), paratormone (carcinoma polmonare epidermoidale, neoplasie della testa e del collo, cancro della vescica), calcitonina (da cancro della mammella, carcinoma polmonare a piccole cellule e carcinoma midollare della tiroide), ormone tireotropo (da coriocarcinoma gravidico). Le manifestazioni cliniche variano con il tipo di ormone prodotto. Il trattamento più efficace consiste nel controllo del tumore maligno, ma i sintomi possono essere alleviati con farmaci, p. es., minociclina per l’ADH ectopico, ciproeptadina per la sindrome da carcinoide o pamidronato e corticosteroidi per l’ipercalcemia. Le sindromi cliniche associate a neoplasie maligne, in cui non è identificabile nessuna sostanza responsabile delle manifestazioni cliniche, sono "veramente" paraneoplastiche e possono coinvolgere vari organi. Le sindromi paraneoplastiche neurologiche (vedi anche Cap. 177) comprendono la degenerazione cerebellare subacuta, la sclerosi laterale amiotrofica, la neuropatia periferica sensitivo-motoria, la sindrome di Guillain-Barré, la dermatomiosite, la polimiosite, la miastenia gravis e la sindrome di EatonLambert. La maggior parte delle polineuropatie è da causa sconosciuta e non ha una specifica terapia, anche se la miastenia gravis può essere trattata con neostigmina o con prednisone. Le sindromi paraneoplastiche ematologiche sono l’anemia aplastica pura, l’anemia delle malattie croniche, la leucocitosi (reazione leucemoide), la trombocitosi, l’eosinofilia, la basofilia e la coagulazione intravascolare disseminata. Inoltre, una porpora trombocitopenica idiopatica e un’anemia emolitica Coombs-positiva possono complicare il decorso nei pazienti con neoplasie linfoidi e con morbo di Hodgkin. La sindrome paraneoplastica renale (glomerulonefrite membranosa) si può verificare in pazienti con cancro del colon, cancro ovarico e linfomi per la presenza di immunocomplessi circolanti.

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Generalità sui tumori

Le lesioni cutanee pigmentate o cheratosi associate a forme maligne sono rappresentate da acanthosis nigricans (neoplasie maligne del tratto GI), melanosi generalizzata (linfomi, melanoma, carcinoma epatocellulare), malattia di Bowen (tumori polmonari, tumori GI e GU) ed estese cheratosi seborroiche multiple, come il segno di Leser-Trélat (linfoma e neoplasie GI). Altre varie complicanze paraneoplastiche comprendono la febbre, l’acidosi lattica (leucemia, linfoma), l’iperlipidemia (mieloma), l’osteoartropatia ipertrofica polmonare (cancro del polmone o metastasi polmonari da cancro renale, timoma, sarcoma e morbo di Hodgkin). Per la prognosi e la terapia dei tumori, v. Cap. 144.

CARCINOMI METASTATICI DI ORIGINE NON CONOSCIUTA Un tumore maligno metastatico, accertato biopticamente, per il quale non è possibile individuare la lesione primitiva. I carcinomi metastatici di origine ignota costituiscono lo 0,5-7% di tutte le neoplasie. Poiché il trattamento dei tumori spesso varia in rapporto al tessuto di origine, è necessaria una valutazione completa. Devono essere effettuati un’anamnesi e un esame fisico accurati, con particolare attenzione a segni e sintomi inerenti il seno, la pelvi, la prostata, il retto e le malattie gastrointestinali. Gli esami di laboratorio devono comprendere l’emocromo completo, l’esame delle urine, la ricerca del sangue occulto nelle feci, gli esami chimici (inclusa la determinazione dell’antigene prostatico specifico). Gli esami devono essere limitati alla radiografia del torace, alla mammografia e alla TC dell’addome. Non è necessario effettuare di routine la radiografia delle prime vie digestive e il clisma opaco. La colorazione all’immunoperossidasi per le immunoglobuline, gli studi sul riarrangiamento genico e la microscopia elettronica sul tessuto tumorale disponibile possono essere d’aiuto per la diagnosi di linfoma a grandi cellule, mentre l’immunoperossidasi per la α-fetoproteina o β-HCG può indirizzare verso un tumore a cellule germinali. La determinazione tissutale dei recettori per gli estrogeni e il progesterone è d’aiuto nella diagnosi di carcinoma mammario e il test all’immunoperossidasi per l’antigene prostatico specifico aiuta a identificare un tumore prostatico. Anche se non si riuscisse a formulare una diagnosi istologica precisa, i pazienti con carcinomi poco differenziati localizzati in regione mediana o paramediana (p. es., mediastino, retroperitoneo) devono essere sottoposti a due cicli di chemioterapia con un regime comprendente il cisplatino. In presenza di risposta, devono essere somministrai da tre a quattro cicli, poiché in quasi il 50% dei pazienti si ha un lungo intervallo libero da malattia. Negli altri casi, alcuni medici prendono in considerazione schemi di terapia con doxorubicina o regimi contenenti il paclitaxel. In genere, le risposte sono modeste e di breve durata. Tuttavia, poiché molti pazienti hanno i tumori primitivi occulti in sede, l’approccio futuro potrebbe migliorare con lo sviluppo di più efficaci trattamenti citotossici.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA DISORDINI CROMOSOMICI I geni sono trasportati sui cromosomi; pertanto i cromosomi o le parti di cromosomi persi o in soprannumero possono avere un effetto maggiore in base a quanti geni funzionano in quella regione. Le famiglie di geni che hanno funzioni simili possono essere raggruppate su un cromosoma o possono essere sparse su molti cromosomi differenti. Alcune specifiche anomalie cromosomiche sono descritte nel Cap. 261.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE Sommario: Introduzione Diagnosi

I cromosomi sono le 46 strutture bastoncelliformi che si vedono durante la divisione cellulare nel nucleo di molte cellule umane. Sono costituiti da proteine e DNA e contengono la maggior parte dei geni (v. anche unità ereditarie nel Cap. 286).

Diagnosi Preparare i cromosomi per l’analisi del cariotipo è relativamente semplice. In genere vengono utilizzati linfociti ematici circolanti, tranne per il feto, nel quale, invece, vengono utilizzati amniociti provenienti dal liquido amniotico o cellule dei villi coriali placentari. Le cellule sono coltivate in laboratorio con fitoemoagglutinine per stimolare la divisione cellulare. Successivamente viene aggiunta colchicina per bloccare la mitosi durante la metafase, in cui ogni cromosoma si presenta replicato in due cromatidi attaccati per il centromero. Le cellule sparse su vetrini da microscopio, vengono successivamente fissate. I cromosomi di singole cellule sono in genere fotografati e le loro immagini vengono ritagliate dalla stampa fotografica e incollate su un pezzo di carta a formare il cariotipo. Per visualizzare i cromosomi si possono anche utilizzare immagini computerizzate. Preparare i cromosomi per l’analisi del cariotipo è relativamente semplice. In genere vengono utilizzati linfociti ematici circolanti, tranne per il feto, nel quale, invece, vengono utilizzati amniociti provenienti dal liquido amniotico o cellule dei villi coriali placentari. Le cellule sono coltivate in laboratorio con fitoemoagglutinine per stimolare la divisione cellulare. Successivamente viene aggiunta colchicina per bloccare la mitosi durante la metafase, in cui ogni cromosoma si presenta replicato in due cromatidi attaccati per il centromero. Le cellule sparse su vetrini da microscopio, vengono successivamente fissate. I cromosomi di singole cellule sono in genere fotografati e le loro immagini vengono ritagliate dalla stampa fotografica e incollate su un pezzo di carta a formare il cariotipo. Per visualizzare i cromosomi si possono anche utilizzare immagini computerizzate. La colorazione dei cromosomi è eseguita con coloranti (Giemsa) o con tecniche di bandeggio Q (fluorescenti). Le procedure di colorazione aggiuntive o le tecniche di allungamento cromosomico hanno notevolmente aumentato la precisione della diagnosi citogenetica (v. Fig. 261-9). Le nuove tecniche molecolari utilizzano sonde di DNA (che hanno etichette fluorescenti) per collocare specifici geni o sequenze di DNA sui cromosomi. La fluoroibridizzazione in situ (Fluorescent In Situ Hybridization, FISH) viene file:///F|/sito/merck/sez19/2612393b.html (1 of 2)02/09/2004 2.14.29

Anomalie congenite

utilizzata per individuare l’organizzazione dei geni e cercare le delezioni, i riarrangiamenti, e le duplicazioni cromosomiche. La nomenclatura del cariotipo è effettuata nel seguente modo. L’uomo normale presenta un cariotipo 46,XY e la donna normale 46,XX. Nella sindrome di Down, dovuta a un cromosoma 21 in più (trisomia 21), il simbolo è 47,XY,21+ per il maschio e 47, XX,21+ per la femmina. Nella sindrome di Down dovuta a traslocazione (due cromosomi attaccati insieme), la madre portatrice della tipica traslocazione bilanciata 14/21 è individuata dalla scrittura 45,XX,t (14q;21q). Il cromosoma che ha subito la traslocazione (t) risulta costituito dai frammenti 14q e 21q (individuando con q le braccia lunghe dei cromosomi 14 e 21); le braccia corte (p) invece vengono perse. Con la delezione del braccio corto del cromosoma 5 (come nella sindrome da delezione 5p), il cariotipo femminile diventa 46,XX,5 p-. Ciascun braccio di un cromosoma è suddiviso in un numero di regioni maggiori compreso tra 1 e 4, a seconda della lunghezza del cromosoma stesso. A ciascuna banda colorata positivamente o negativamente, è attribuito un numero crescente in base alla distanza dal centromero. P. es. la scrittura 1q23 individua la 3a banda della 2a regione, a partire dal centromero, sul braccio lungo (q) del cromosoma numero 1 (v. Fig. 261-9).

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 142-3. DISPOSIZIONI DELL‘AMERICAN CANCER SOCIETY RIGUARDO ALLE PROCEDURE DI SCREENING Tipo di tumore Tumore della mammella

Procedura

Disposizione

Autoesame del seno

Ogni mese dopo i 18 anni

Esame clinico del seno

Ogni 3 anni tra i 18 e i 40 anni

Mammografia

Valutazione di base tra i 35 e i 40 anni, ogni 1-2 anni tra i 40 e i 49 anni e ogni anno dopo i 50 anni

Tumore della cervice Test di Papanicolau (Paptest)

Ogni anno tra i 18 e i 65 anni*

Tumore della cervice Esame della pelvi uterina, dell’utero e dell‘ovaio

Ogni 1-3 anni tra i 18 e i 40 anni; poi ogni anno

Tumore del polmone Rx del torace

Non indicato nella routine

Esame citologico dell‘escreato

Non indicato nella routine

Tumore della prostata

Esplorazione rettale e Ogni anno dopo i 50 anni (o determinazione ematica dopo i 45 nei soggetti ad alto dell‘antigene prostatico specifico rischio)

Tumore del colon e del retto

Sangue occulto nelle feci

Ogni anno dopo i 50 anni

Esplorazione rettale

Ogni anno dopo i 40 anni

Sigmoidoscopia

Ogni 3-5 anni dopo i 50 anni

*Dopo 3 o più esami consecutivi nella norma, il Paptest deve essere effettuato meno spesso a discrezione del medico; la maggior parte delle donne >65anni necessita meno frequentemente del Pap test. Modificato dalle pubblicazioni dell‘American Cancer Society #2070-LE e 9210MNo. 3402.

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Immunologia dei tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 143. IMMUNOLOGIA DEI TUMORI La comprensione dei meccanismi coinvolti nell’induzione dell’immunità e il riconoscimento degli antigeni da parte delle cellule effettrici sono notevolmente migliorati negli ultimi dieci anni, con gli sforzi congiunti della biologia molecolare e della tradizionale immunologia dei tumori. Questa migliore comprensione dei meccanismi molecolari ha portato a molti approcci terapeutici nuovi. Per esempio, la risposta immune può essere notevolmente modificata con la sostituzione di un singolo aminoacido negli antigeni o nei recettori. Un antigene tumore-associato (ATA) è un antigene relativamente specifico delle cellule tumorali. Gli antigeni tumore-specifici (ATS) sono antigeni presenti solo nelle cellule tumorali. Lo sviluppo di tumori nonostante la presenza di antigeni, il significato del riconoscimento immunologico nella patogenesi dei tumori e la possibilità di incrementare la risposta immune sono oggetto di intensi studi.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI MEDIASTINOSCOPIA Esame endoscopico del mediastino. La mediastinoscopia viene usata per la stadiazione del cancro polmonare, specialmente quando linfonodi ingrossati sono evidenziati dalla rx del torace o dalla TC. Alcuni medici sostengono che tutti i pazienti con cancro polmonare devono essere sottoposti a procedure invasive per la stadiazione; altri usano tali procedure solamente nei pazienti con linfonodi identificati dalla diagnostica per immagini. La mediastinoscopia può essere usata per diagnosticare le masse mediastiniche o per analizzare dei linfonodi in pazienti che potrebbero avere un linfoma o affezioni granulomatose. Le controindicazioni sono la non tolleranza verso un anestetico generale; la sindrome della vena cava superiore; irradiazione del mediastino, mediastinoscopia, sternotomia mediana o tracheostomia eseguite in precedenza e l'aneurisma dell'arco aortico. La mediastinoscopia è effettuata in anestesia generale in una sala operatoria. Il mediastinoscopio viene passato attraverso la fossa soprasternale, consentendo l'accesso ad alcuni linfonodi della carena e dell'ilo, ai linfonodi peribronchiali e paratracheali e al mediastino posteriore superiore. Le complicanze si verificano in < 1% dei pazienti. Esse comprendono il sanguinamento, la paralisi delle corde vocali secondaria al danneggiamento del nervo laringeo ricorrente e il chilotorace dovuto a lesione del dotto toracico.

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Malattie del pericardio

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 209. MALATTIE DEL PERICARDIO Sommario: Introduzione PERICARDITE Eziologia Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Tecniche diagnostiche speciali Terapia

Anomalie congenite del pericardio comprendono le cisti pericardiche e l’assenza del pericardio parietale. Le cisti pericardiche si verificano tendenzialmente alla giunzione fra il pericardio e la pleura diaframmatica, più comunemente a destra. L’assenza del pericardio parietale è solitamente ben tollerata ma può simulare l’ingrandimento di un segmento dell’arteria polmonare a causa di uno spostamento del cuore a sinistra alla rx del torace. Raramente, l’assenza parziale del pericardio parietale di sinistra provoca un ostacolo alla circolazione a causa dell’erniazione del cuore attraverso tale difetto. Le patologie acquisite del pericardio (p. es., infezioni, infiammazioni, traumi, neoplasie) di regola provocano una pericardite.

PERICARDITE Infiammazione del pericardio, che può essere acuta o cronica e può provocare un versamento pericardico.

Eziologia Pericardite acuta: La pericardite acuta può essere provocata da un’infezione, da patologie del connettivo, malattie metaboliche, traumi, dall’IMA, da alcuni farmaci oppure può essere idiopatica. Infezioni che provocano una pericardite acuta possono essere causate da batteri, parassiti, protozoi, virus o miceti. Le infezioni batteriche più frequenti sono provocate da streptococchi, stafilococchi e bacilli gram negativi. L’Haemophilus influenzae è comune nei bambini. La pericardite purulenta è poco comune, ma può verificarsi in coincidenza di un’endocardite infettiva, di una polmonite, di una setticemia e di un trauma penetrante, dopo un intervento cardiochirurgico e nei pazienti immunocompromessi. Le infezioni virali più frequenti sono da echovirus, virus influenzale e coxsackievirus di gruppo B. In alcuni Paesi, l’AIDS è la causa più comune di versamento pericardico individuato ecocardiograficamente. I pazienti affetti da AIDS possono sviluppare pericardite da Mycobacterium avium, M. tuberculosis, Nocardia, infezioni micotiche, malattie virali, linfoma o sarcoma file:///F|/sito/merck/sez16/2091899.html (1 of 8)02/09/2004 2.14.32

Malattie del pericardio

di Kaposi. Tuttavia, il versamento pericardico spesso non ha una causa evidente. La pericardite tubercolare ha un’insorgenza insidiosa e può verificarsi anche in assenza di un chiaro interessamento polmonare. È responsabile di < 5% dei casi di pericardite acuta o subacuta negli USA, ma è la causa della maggior parte dei casi di versamento pericardico in alcune zone dell’India e dell’Africa. La pericardite acuta o cronica può anche essere causata da patologie del tessuto connettivo (autoimmuni) (p. es., AR, LES, sclerodermia) e da malattie del metabolismo (p. es., uremia). Può essere dovuta a un trauma; p. es., si verifica dopo pericardiotomia (sindrome postpericardiotomica) nel 5-30% degli interventi di cardiochirurgia. Traumi toracici penetranti o non penetranti possono causare un emopericardio e una conseguente pericardite (talora con conseguente tamponamento cardiaco, v. oltre). I cateteri cardiaci e quelli utilizzati per l’alimentazione parenterale possono occasionalmente perforare il miocardio e penetrare nel sacco pericardico. Gli aneurismi sacculari o dissecanti dell’aorta possono rompersi nel pericardio. La pericardite acuta può costituire una complicanza precoce di un IMA (10-15% dei casi). La sindrome post-IMA tardiva (sindrome di Dressler) si verifica solitamente in un periodo compreso fra 10 giorni e 2 mesi dopo un infarto miocardico (1-3%) ed è caratterizzata da febbre, pericardite con sfregamenti, versamento pericardico, pleurite, versamento pleurico e dolore articolare. Occasionalmente, dopo un IMA il cuore può rompersi, con conseguente emopericardio. Ciò si verifica di solito 1-10 giorni dopo l’IMA ed è più frequente nelle donne. La pericardite acuta può complicare terapie con farmaci come procainamide, idralazina, isoniazide, metisergide, fenitoina o anticoagulanti. Spesso, la causa della pericardite acuta può non essere identificata (pericardite nonspecifica o idiopatica) ma, in alcuni casi, si può, in un secondo momento, dimostrarne l’eziologia virale. Pericardite cronica: I principali tipi di pericardite cronica sono la pericardite cronica costrittiva e il versamento pericardico cronico. La pericardite cronica costrittiva è in genere idiopatica, sebbene possa far seguito a quasi tutte le malattie che provocano una pericardite acuta. Raramente si verifica a seguito della febbre reumatica. Le più comuni cause conosciute sono la TBC o altre infezioni, le neoplasie, agenti fisici come radiazioni di diversa natura, l’artrite reumatoide e la cardiochirurgia. Il versamento pericardico cronico è solitamente idiopatico ma può essere causato dal bacillo tubercolare, da miceti o da neoplasie. Le neoplasie metastatiche, p. es. i carcinomi (soprattutto polmonare e mammario), i sarcomi (specialmente il melanoma), le leucemie e i linfomi, sono la causa più comune di ampi versamenti pericardici nei pazienti ospedalizzati. Il pericardio può anche essere coinvolto da neoplasie toraciche, per contiguità; il mesotelioma primario del pericardio è raro. L’interessamento neoplastico è spesso complicato da versamento sieroso o emorragico, che può essere focale o diffuso; se diffuso, si può avere un tamponamento cardiaco che impedisce la normale funzione cardiaca.

Anatomia patologica e fisiopatologia Pericardite acuta: La pericardite acuta può essere sierosa, fibrinosa, sieroemorragica, emorragica o purulenta. Possono essere interessati anche gli strati superficiali del miocardio subepicardico. L’entità e il tipo di reazione cellulare dipendono dalla causa determinante. Pericardite cronica: La pericardite cronica può essere sierosa, chilosa o emorragica (effusiva); fibrosa, adesiva o calcifica (può dare una costrizione o può anche non causare problemi clinici). La fibrosi del pericardio può derivare da infezioni, traumi o emopericardio, oppure può accompagnarsi a una collagenopatia, compresa la febbre reumatica; spesso la causa è sconosciuta. La file:///F|/sito/merck/sez16/2091899.html (2 of 8)02/09/2004 2.14.32

Malattie del pericardio

fibrosi può essere parcellare o massiva ed è di frequente sede di depositi di calcio. La fibrosi del pericardio può non avere effetti emodinamici o può causare gradualmente una pericardite cronica costrittiva. Quest’ultima può causare un aumento cronico della pressione venosa sistemica ed epatica, che può portare a una cirrosi cardiaca. Nel versamento pericardico cronico, l’entità del versamento varia da circa 50 ml a > 1 l di liquido (valori normali: 25 ml). La rapida ma modesta, oppure lenta e massiva, formazione di versamento pericardico e la riduzione della distensibilità pericardica, legata a processi fibrocalcifici o neoplastici, possono limitare il riempimento del cuore in diastole. In questo caso, la pressione telediastolica ventricolare è condizionata dall’effetto limitante del versamento o dell’ispessimento del pericardio, mentre le pressioni diastoliche nei ventricoli, negli atri e nei distretti venosi diventano praticamente identiche, abitualmente 1332 mm Hg. Si ha una congestione venosa sistemica, che provoca un considerevole passaggio di liquido dai capillari sistemici all’interstizio con comparsa di edemi declivi e successivamente di ascite. I segni della congestione sistemica sono più appariscenti di quelli della congestione polmonare e un edema polmonare franco è raro. Tuttavia, versamenti pericardici > 1 l che si sviluppano lentamente possono non produrre un tamponamento, poiché il pericardio può distendersi per accogliere un ampio volume che si accumula lentamente.

Sintomi e segni Pericardite acuta: la pericardite acuta può presentarsi con dolore toracico, febbre, sfregamenti pericardici, tamponamento, alterazioni dell’ECG o della rx; a volte viene scoperta per caso nel corso di una malattia sistemica. Un dolore sordo o acuto in sede precordiale o retrosternale può irradiarsi al collo, al trapezio (specialmente a sinistra) o alle spalle. Il dolore è d’intensità variabile da lieve a grave ed è generalmente aumentato dai movimenti del torace, dalla tosse e dal respiro; è alleviato dalla posizione seduta e dall’inclinazione in avanti del torace. Solitamente è possibile distinguere il dolore pericardico da quello ischemico, che non peggiora con i movimenti del torace o con la posizione supina (v. anche dolore pericardico nel Cap. 197). Possono essere presenti tachipnea e tosse non produttiva; sono comuni febbre, brividi e astenia. Il reperto obiettivo più importante è costituito dagli sfregamenti pericardici, che possono essere trifasici o sistolico e diastolico. Spesso, tuttavia, gli sfregamenti sono intermittenti ed evanescenti, oppure possono essere presenti solo durante la sistole o, meno frequentemente, in diastole. Un versamento pericardico cospicuo può attutire i toni cardiaci, aumentare l’area di ottusità cardiaca e modificare le dimensioni e la forma dell’ombra cardiaca. Tamponamento cardiaco: l’aumento della pressione diastolica ventricolare, della pressione atriale e venosa e la caduta della gittata sistolica, della gittata cardiaca e della pressione arteriosa sistemica fanno seguito al rapido accumulo di liquido nel cavo pericardico. I segni clinici che ne derivano sono simili a quelli dello shock cardiogeno (riduzione della gittata cardiaca e bassa pressione arteriosa sistemica) con tachicardia, dispnea e ortopnea ed elevate pressioni venose sistemiche e polmonari. Il tamponamento cardiaco grave è quasi sempre accompagnato da un’accentuazione della fisiologica caduta inspiratoria della pressione arteriosa sistolica (polso paradosso). Una riduzione > 10 mm Hg è in genere significativa. Nei casi avanzati, il polso può scomparire durante l’inspirazione. Il polso paradosso può anche essere evidente nella BPCO, nell’asma bronchiale, nell’embolia polmonare, nell’infarto ventricolare destro e nello shock clinico. Il tamponamento cardiaco, se consegue a un fatto acuto con un versamento o un’emorragia di lieve entità, si verifica in presenza di toni cardiaci normali e senza alcun aumento apprezzabile dell’aia di ottusità cardiaca alla palpazione. Un tamponamento distrettuale con versamento saccato può far seguito a un intervento cardiochirurgico, a un’infezione o a una neoplasia. La diagnosi clinica

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Malattie del pericardio

può essere difficile; in presenza di una compressione localizzata dell’atrio o del ventricolo di sinistra, la pressione venosa sistemica non è aumentata. È necessaria l’ecocardiografia bidimensionale per fare diagnosi. Pericardite cronica: la pericardite cronica (spesso neoplastica, tubercolare o uremica) può verificarsi senza dolore. La fibrosi e la calcificazione del pericardio sono condizioni asintomatiche, a meno che non si abbia una pericardite costrittiva; in tal caso, possono diventare evidenti i sintomi e i segni di congestione venosa periferica, con la contemporanea comparsa di un tono aggiunto protodiastolico ("pericardial knock") dovuto all’improvviso rallentamento del riempimento diastolico del ventricolo; talora compare anche un polso paradosso. I segni della pericardite cronica costrittiva differiscono da quelli del tamponamento cardiaco: la sola anomalia precoce può essere l’aumento delle pressioni: diastolica ventricolare, atriale, polmonare e venosa sistemica. La funzione sistolica ventricolare (frazione d’eiezione) è solitamente conservata. L’aumento protratto della pressione venosa polmonare causa dispnea e ortopnea; l’ipertensione venosa sistemica produce ipervolemia, turgore delle giugulari, versamento pleurico (di solito maggiore a destra), epatomegalia, ascite ed edemi periferici. Il polso paradosso si manifesta solo in pochi casi ed è generalmente meno grave che nel tamponamento. Talvolta, è presente il segno di Kussmaul (turgore delle giugulari in inspirazione), che è invece assente nel tamponamento cardiaco. In circa il ≤ 50% dei casi di pericardite costrittiva si hanno calcificazioni pericardiche, che sono spesso meglio apprezzabili alla rx del torace in proiezione laterale. L’ombra cardiaca può essere piccola, normale o ingrandita. Le modificazioni ECG sono solitamente aspecifiche. Il voltaggio del QRS è generalmente ridotto. Le onde T mostrano di solito alterazioni non specifiche. Nel 25% circa dei pazienti con pericardite costrittiva è presente fibrillazione atriale o, meno comunemente, flutter atriale. La pericardite cronica costrittiva può evolvere verso una pericardite effusivocostrittiva, in cui il tracciato delle pressioni endocavitarie è simile a quello del tamponamento cardiaco ma, dopo che il liquido pericardico è stato rimosso, esso è simile a quello della pericardite cronica costrittiva.

Diagnosi Pericardite acuta: la pericardite acuta può essere diagnosticata grazie all’anamnesi circa le caratteristiche del dolore e grazie alle tipiche modificazioni dell’ECG o al rilievo di sfregamenti pericardici. Il dolore della pericardite deve essere differenziato dal dolore pleurico e dal dolore dell’infarto miocardico o polmonare. La formazione di un versamento pericardico può essere sospettata da modificazioni rapide dell’ombra cardiaca su rx seriate del torace, specie quando i campi polmonari restano chiari. (È più probabile trovare segni di congestione polmonare quando la causa delle rapide modificazioni delle dimensioni del cuore è lo scompenso cardiaco.) L’ombra cardiaca è spesso ingrandita simmetricamente, con scomparsa del profilo delle singole camere cardiache e dei grandi vasi. Dato che anche nel mixedema e nella congestione secondaria a insufficienza ventricolare il versamento pericardico può essere di considerevole entità, la sua presenza non implica necessariamente la diagnosi di pericardite. L’ecocardiografia rappresenta il miglior mezzo per riconoscere un versamento pericardico in corso di pericardite acuta; tuttavia, l’ecocardiogramma può risultare normale in caso di sola pericardite fibrinosa. Nella pericardite acuta, sono di comune riscontro una leucocitosi e l’aumento della VES. Lo skin test alla tubercolina è solitamente positivo nella pericardite tubercolare, a meno che il paziente non sia anergico. La ricerca di ceppi alcol-acido resistenti è raramente positiva. Per la diagnosi, può rendersi necessaria la coltura dell’essudato pericardico o di tessuto pericardico; la conferma diagnostica può aversi, ex adiuvantibus, dalla risposta alla terapia antitubercolare. Pericarditi dovute a infezioni da germi piogeni, da virus o da miceti; da febbre reumatica acuta; da collagenopatie; da uremia o da IMA possono passare inosservate poiché in tali casi l’attenzione viene di solito rivolta alle altre manifestazioni della

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Malattie del pericardio

malattia di base; una volta rilevata la pericardite, la causa è solitamente di facile identificazione. Una lesione traumatica a carico del pericardio viene di solito suggerita dall’anamnesi, dal rilievo auscultatorio di sfregamenti pericardici, dalle modificazioni ECG e dal rapido accumulo di sangue nel sacco pericardico, che provoca un tamponamento cardiaco. La comparsa di aritmie atriali e di segni evidenti di tamponamento o di costrizione pericardica in pazienti neoplastici è indicativa della presenza di metastasi pericardiche. La sindrome postpericardiotomica e quella post-IMA possono essere difficili da identificare e devono essere differenziate dai processi infettivi a carico del pericardio che fanno seguito a interventi di cardiochirurgia e da episodi recenti di infarto del miocardio o di embolia polmonare. Permettono di fare diagnosi: il dolore, gli sfregamenti pericardici e la febbre, che compaiono in un periodo compreso fra 2 sett. e diversi mesi dopo l’evento scatenante noto, oltre che la risposta rapida ai corticosteroidi. Le recidive sono comuni. La pericardite idiopatica viene diagnosticata dopo aver escluso tutte le cause specifiche. È spesso preceduta da infezioni delle prime vie respiratorie. Quando la causa non è evidente, possono essere presi in considerazione i seguenti test: emocoltura, test cutanei per la TBC, test per l’infezione da HIV, creatininemia, ricerca di miceti nel liquido pericardico o sulla biopsia pericardica, test per gli anticorpi antinucleo, test di fissazione del complemento per l’istoplasmosi nelle aree endemiche, Streptozyme test, test per gli Ab neutralizzanti i virus coxsackie, i virus influenzali e gli echovirus. Possono risultare utili i test per gli Ab anti-DNA e anti-RNA. Se viene eseguita una pericardiocentesi, il liquido estratto deve essere sottoposto a coltura e a esame citologico per la ricerca di cellule neoplastiche. In caso di versamento pericardico recidivante o persistente, può rendersi necessaria la biopsia diretta del pericardio, con esame colturale e microscopico. La pericardite idiopatica è complicata da recidive (per mesi o anni) nel 15-25% dei casi. Pericardite cronica: la fibrosi del pericardio può essere individuata mediante il rilievo di calcificazioni pericardiche, talora senza costrizione pericardica, o per le manifestazioni cliniche di congestione circolatoria. La pericardite cronica costrittiva deve essere differenziata dalle miocardiopatie e dalle valvulopatie che provocano congestione e dalla cirrosi epatica di origine non cardiaca. Di regola, ci si attende una pressione venosa giugulare elevata nel caso di una cardiopatia costrittiva o restrittiva sintomatica, ma non in presenza di cirrosi. La cardiomiopatia restrittiva deve essere distinta dalla pericardite costrittiva. Per differenziare un versamento pericardico o una pericardite effusivo-costrittiva da un cuore dilatato possono rendersi necessarie tecniche diagnostiche speciali. Nella pericardite costrittiva pura, l’ombra cardiaca alla rx del torace spesso non è ingrandita.

Tecniche diagnostiche speciali Nelle fasi precoci della pericardite acuta, ECG seriati possono mostrare alterazioni del segmento ST e dell’onda T, che in genere interessano la maggior parte delle derivazioni. Si osserva un sopraslivellamento del tratto ST in due o tre delle derivazioni standard, che successivamente ritorna all’isoelettrica. A differenza di quanto si verifica nell’IMA, il tratto ST non mostra un sottoslivellamento reciproco (eccetto che in aVR e in V1) e mancano onde Q patologiche. Può aversi una depressione del segmento PR. Dopo diversi giorni o > 1 sett., le onde T si appiattiscono e quindi si invertono in tutte le derivazioni, eccetto che in aVR. L’inversione delle onde T si verifica dopo che il tratto ST è ritornato alla linea isoelettrica e dunque differisce rispetto a quanto avviene nell’ischemia acuta o nell’IMA. Con il versamento, il voltaggio del QRS generalmente diminuisce. Viene mantenuto il ritmo sinusale in circa il 90% dei casi. L’ombra cardiaca alla rx del torace non è ingrandita, eccetto che nel caso di una coesistente cardiopatia o nel caso di versamento > 250 ml. È di comune

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Malattie del pericardio

riscontro un versamento pleurico, specialmente a sinistra. Quando il tamponamento complica la pericardite acuta, l’alternanza elettrica può coinvolgere l’onda P, il QRS o l’onda T. Più spesso, ne è interessato il solo QRS: l’ampiezza del QRS aumenta e diminuisce a battiti alterni. In alcuni casi di tamponamento, l’alternanza elettrica è associata a variazioni della posizione del cuore ("swinging heart"). Nella maggior parte dei casi tuttavia non si evidenzia alternanza elettrica. L’ecocardiografia, metodica non rischiosa, rapida e non invasiva, ha un elevata sensibilità e specificità per l’individuazione del liquido pericardico. Di solito, l’ecocardiografia evidenzia modificazioni caratteristiche nel tamponamento, mentre le variazioni che si riscontrano nella pericardite costrittiva non sono specifiche. In caso di versamento, l’esame mostra due echi dietro al ventricolo sinistro, nella regione della parete posteriore del cuore: uno è originato dall’epicardio e l’altro dal pericardio parietale. Nei versamenti importanti, si evidenzia la presenza di liquido anche anteriormente al ventricolo destro. Lo spazio tra i due echi corrisponde al fluido. Rilievi ecocardiografici solitamente presenti nel tamponamento cardiaco sono il collasso dell’atrio destro e il collasso diastolico del ventricolo destro, in presenza di un versamento pericardico moderato-severo. L’ecocardiografia Doppler è utile nel differenziare la pericardite costrittiva dalla cardiomiopatia restrittiva, quando le pressioni di riempimento del VD e del VS sono ugualmente elevate. Nella pericardite costrittiva, la velocità del flusso diastolico transmitralico si riduce > 25% in inspirazione, mentre nella cardiomiopatia restrittiva si riduce < 15%. La velocità del flusso attraverso la tricuspide durante l’inspirazione aumenta più del normale nella pericardite costrittiva, ma non nella cardiomiopatia restrittiva. La diagnosi di pericardite costrittiva può essere suggerita dallo studio emodinamico, che mostra i caratteristici tracciati di pressione. La pressione media di incuneamento ("wedge") polmonare, la pressione diastolica dell’arteria polmonare, la pressione telediastolica del ventricolo destro e la pressione atriale destra hanno di solito valori compresi tra 10 e 30 mm Hg, praticamente identici nel tamponamento cardiaco e nella pericardite costrittiva. Le pressioni sistoliche dell’arteria polmonare e del ventricolo destro sono solo modicamente elevate, cosicché le pressioni differenziali sono basse. In presenza di una pericardite costrittiva, le curve della pressione atriale mostrano di solito un’accentuazione delle deflessioni x e y e le curve della pressione ventricolare mostrano un avvallamento ("dip") diastolico ripido in corrispondenza della fase di riempimento ventricolare rapido (v. Fig. 209-1). In presenza di un’importante pericardite costrittiva, queste modificazioni si verificano quasi sempre. Nel tamponamento cardiaco, non vi è il "dip" diastolico precoce nella curva di pressione ventricolare. La curva della pressione atriale mostra una deflessione x conservata, mentre si perde la y. In caso di stati congestizi gravi dovuti a cardiomiopatia dilatativa, la pressione "wedge" o la pressione diastolica del ventricolo sinistro di solito superano la pressione media dell’atrio destro e la pressione diastolica del ventricolo destro di 4 mm Hg. Nella cardiomiopatia restrittiva, e più raramente nella pericardite costrittiva, si riscontrano valori di pressione sistolica del ventricolo destro > 50 mm Hg. Quando la pressione "wedge" risulta uguale alla pressione media atriale destra e c’è un "dip" nella fase protodiastolica della curva della pressione ventricolare con ampie onde x e y nel tracciato pressorio dell’atrio destro, può essere presente una pericardite costrittiva o una cardiomiopatia restrittiva. La TC o la RMN confermano la diagnosi e solitamente mostrano un ispessimento pericardico > 5 mm. Quando si rileva un tale ispessimento in presenza delle caratteristiche emodinamiche sopra descritte, può essere diagnosticata una pericardite costrittiva. Quando non si riesce a dimostrare la presenza di ispessimento pericardico o di liquido, la diagnosi di cardiomiopatia restrittiva è probabile ma non dimostrata. La biopsia endomiocardica abitualmente rivela un miocardio normale nella pericardite costrittiva e fibrosi, amiloidosi o altre cause nella cardiomiopatia restrittiva. Tuttavia, i risultati possono non essere conclusivi e una toracotomia esplorativa può essere necessaria se la pericardite costrittiva resta una possibilità.

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Malattie del pericardio

Terapia Per il dolore si possono somministrare 650 mg di aspirina PO, 15-60 mg di codeina PO, 50-100 mg di meperidina PO o IM oppure 10-15 mg IM di morfina q 4 h. L’ansia o l’insonnia possono rispondere a basse dosi di benzodiazepine. Nelle malattie acute del pericardio gli anticoagulanti sono di solito controindicati, poiché possono provocare una emorragia intrapericardica e un tamponamento cardiaco fatale; tuttavia, possono essere somministrati nella pericardite che complica precocemente l’IMA. In genere è raccomandato il ricovero per tenere il paziente in osservazione, date le possibili complicanze. Vanno sospesi i farmaci che potrebbero avere un ruolo nell’eziologia della pericardite (p. es., anticoagulanti, procainamide, fenitoina). Pericardite acuta: La pericardite dovuta a infezioni batteriche o micotiche va trattata con farmaci antimicrobici specifici (v. Tubercolosi nel Cap. 157). La pericardiocentesi è indicata per risolvere il tamponamento o nel caso di sospetta pericardite purulenta. Va anche considerata a scopo diagnostico quando il versamento e i sintomi progrediscono dopo 1-3 settimane di osservazione. Se la pericardite è dovuta a infezione da piogeni, il sacco pericardico va drenato chirurgicamente. Nella sindrome postpericardiotomica, nella pericardite post-IMA e nella pericardite idiopatica, non sono indicati gli antibiotici. L’indometacina 25-50 mg PO tid può controllare il dolore e il versamento. Si può somministrare prednisone 20-60 mg/die PO in dosi refratte per un periodo di 3-4 giorni, quando necessario, per controllare il dolore, la febbre e il versamento. La dose viene gradualmente ridotta se la risposta è soddisfacente e la terapia può essere sospesa dopo 714 giorni in alcuni casi, mentre in altri occorrono molti mesi di trattamento. Nella febbre reumatica, nelle altre malattie del connettivo e in caso di coinvolgimento del pericardio in processi neoplastici, il trattamento della pericardite è diretto contro la malattia di base. In alcuni casi di trauma, al fine di porre riparo alla lesione e drenare il sangue dal sacco pericardico, si rende necessaria la chirurgia. La pericardite uremica può rispondere a un aumento della frequenza delle sedute di dialisi, all’aspirazione o alla terapia con corticosteroidi per via locale o generale. La somministrazione intrapericardica di triamcinolone può essere utile. Quando il tamponamento cardiaco si sviluppa rapidamente con caduta dei valori pressori e stato di shock, può rendersi necessaria la pericardiocentesi immediata; l’asportazione di una quantità anche piccola di liquido può essere di importanza vitale. Eccetto che in caso di emergenza, la pericardiocentesi, una procedura potenzialmente letale, deve essere effettuata sotto la supervisione di un cardiologo o di un chirurgo toracico e, se possibile, in un laboratorio di cateterismo cardiaco sotto guida ecocardiografica. La toracotomia presenta abitualmente rischi minori. Bisogna avere a disposizione l’attrezzatura per la rianimazione. Nei casi non urgenti è preferibile una premedicazione con 5-15 mg di morfina o 50-100 mg di meperidina IM. Il paziente deve stare disteso, con la testa sollevata di 30° dal piano orizzontale. In condizioni di asepsi, la cute e il tessuto sottocutaneo vengono quindi infiltrati con lidocaina. Un ago n° 16 di 75 mm con punta di taglio corto ("short-beveled") viene collegato a una siringa di 30-50 ml. Si può penetrare nel sacco pericardico attraverso l’angolo xifocostale destro o sinistro, oppure all’apice del processo xifoideo, con l’ago diretto verso l’interno, verso l’alto e molto vicino alla parete toracica. L’ago viene fatto avanzare mantenendo con la siringa un’aspirazione costante. L’ecocardiografia può essere usata per guidare l’ago e localizzarlo mediante l’iniezione di soluzione salina. Una volta in sede, l’ago deve essere fissato sulla cute, per evitare che penetri più del necessario e oltrepassi la parete cardiaca o danneggi le coronarie. È necessario monitoriare l’ECG per rilevare eventuali aritmie prodotte dal contatto file:///F|/sito/merck/sez16/2091899.html (7 of 8)02/09/2004 2.14.32

Malattie del pericardio

con il miocardio. Come regola generale, si monitorano la pressione atriale destra, la pressione capillare polmonare e la pressione intrapericardica. Il liquido viene evacuato fino a che la pressione intrapericardica cade al di sotto della pressione dell’atrio destro, di solito a livelli inferiori alla pressione atmosferica. Se è necessario un drenaggio continuo, un catetere di plastica può essere inserito nella cavità pericardica attraverso l’ago, che viene a questo punto rimosso. Il catetere di plastica può essere lasciato in sede per 2-4 giorni. Il versamento recidivante dovuto all’interessamento del pericardio da parte di un tumore maligno può essere trattato mediante farmaci sclerosanti come le tetracicline. Pericardite cronica: la stasi legata alla pericardite cronica costrittiva può essere alleviata dal riposo a letto, dalla restrizione dietetica di sale e dall’impiego di diuretici. La digossina è indicata nelle aritmie atriali o in quelle associate a disfunzione ventricolare sistolica. La pericardite cronica costrittiva richiede di solito la resezione del pericardio. Tuttavia, i pazienti con sintomi lievi, calcificazioni importanti o significativi danni miocardici possono essere candidati non idonei al trattamento chirurgico. La mortalità della resezione del pericardio può raggiungere il 40% nei pazienti in classe NYHA IV. È molto probabile che pazienti affetti da pericardite costrittiva associata a terapia radiante o a collagenopatia abbiano un importante danno miocardico e non dimostrino alcun miglioramento dopo resezione pericardica. La terapia del versamento pericardico cronico è diretta verso la causa, se nota; altrimenti, si raccomanda l’osservazione. Il versamento pericardico sintomatico ricorrente o persistente può essere trattato mediante la pericardiotomia "a palloncino", una finestra chirurgica nel pericardio o mediante la sclerosi con tetracicline. I versamenti asintomatici da causa sconosciuta possono richiedere solamente un periodo di osservazione. Pericardite recidivante: La pericardite idiopatica o la pericardite dovuta a traumi, a interventi cardiochirurgici o a IMA può recidivare. In aggiunta ai FANS o al prednisone, la colchicina (1 mg/die) è spesso efficace. Raramente si rende necessaria la resezione pericardica.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI Dopo la completa raccolta dei dati anamnestici, obiettivi e funzionali del paziente, alcune indagini speciali possono essere d'aiuto nella diagnosi delle patologie dei polmoni, della pleura, della parete toracica, del diaframma e del mediastino.

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE (v. anche la trattazione della tabe dorsale nella Lue al Cap. 164) Il midollo spinale si estende dalla porzione caudale del bulbo situata nel forame magno fino alle vertebre lombari superiori. La sostanza bianca periferica del midollo spinale contiene i tratti ascendenti e discendenti delle fibre sensitive e motorie mieliniche; la sostanza grigia centrale, a forma di H, è costituita da neuroni e da fibre non mieliniche (v. Fig. 182-1). Le corna anteriori (ventrali) della H contengono i motoneuroni che ricevono impulsi dalla corteccia motoria per mezzo dei tratti corticospinali; gli assoni di queste cellule formano le fibre efferenti dei nervi spinali. Le corna posteriori (dorsali) sono costituite da fibre sensitive i cui corpi cellulari originano nei gangli delle radici dorsali. Anche la sostanza grigia midollare contiene molti neuroni internunciali che conducono impulsi motori, sensitivi o riflessi dalle radici dorsali a quelle ventrali, da una parte all’altra e da un livello all’altro del midollo. I segmenti midollari sono suddivisioni funzionali che corrispondono approssimativamente all’origine delle 31 paia di nervi spinali. Nelle malattie midollari l’integrità dei singoli segmenti può essere valutata clinicamente esaminando i riflessi e le risposte motorie e sensitive corrispondenti (v. oltre a Lesione del Midollo Spinale e la Tab. 182-1).

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi Terapia

Dopo una lesione del midollo spinale, il deficit neurologico può essere temporaneo, per concussione, più duraturo per compressione del midollo spinale causata da contusione o emorragia o in modo permanente per lacerazioni o transezione. Nella contusione, un rapido rigonfiamento edematoso del midollo con ipertensione intradurale può provocare una grave disfunzione per diversi giorni. Segue un miglioramento spontaneo, ma permane spesso un’invalidità residua. L’emorragia del midollo (ematomielia) è in genere limitata alla sostanza grigia cervicale, con conseguenti segni di danno al secondo motoneurone (debolezza muscolare e ipotrofia, fascicolazioni e diminuzione dei ROT), che di solito sono permanenti. La diminuzione di forza è in genere prossimale e si associa ad alterazioni della sensibilità dolorifica e termica. Possono aversi anche emorragie extradurali, subdurali o subaracnoidee secondarie a lesioni spinali. Molte patologie possono compromettere la funzione del midollo spinale e simulare gli effetti di una lesione fisica diretta.

Sintomi, segni e diagnosi Una lesione trasversale acuta del midollo comporta la paralisi flaccida immediata unitamente alla perdita di tutte le sensibilità e i riflessi (incluse le funzioni neurovegetative) al di sotto del livello del trauma (shock spinale). Nel giro di ore o di giorni, la paralisi flaccida si modifica gradualmente in una paraplegia spastica dovuta all’esagerazione dei normali riflessi da stiramento. In seguito, se il tratto lombo-sacrale è integro, si avrà la comparsa di spasmi dei muscoli estensori e flessori e la ripresa dei ROT e dei riflessi neurovegetativi (v. anche Vescica Neurologica nel Cap. 216). Lesioni meno estese provocano perdite parziali della funzione motoria e sensitiva. I movimenti volontari diventano difficoltosi. Il tipo di alterazione sensitiva dipende dalla sede anatomica della lesione. Nel caso siano coinvolte le colonne posteriori si avrà perdita della propiocezione, della pallestesia e della sensibilità tattile epicritica. Nel caso dei fasci spinotalamici saranno compromesse la sensibilità tattile, fine e non termica e dolorifica. L’emisezione del midollo comporta una paralisi spastica e la perdita della sensibilità profonda omolateralmente al di sotto della lesione, quella della sensibilità termo-dolorifica controlateralmente (sindrome di Brown Séquard). Il livello della lesione midollare è indicato dai segni clinici (v. Tab. 182-1).

Prognosi file:///F|/sito/merck/sez14/1821593.html (1 of 3)02/09/2004 2.14.35

Malattie del midollo spinale

Le fibre nervose completamente danneggiate o degenerate non si riparano e, pertanto, almeno per ora, il danno funzionale è in genere permanente. Comunque, studi condotti su animale indicano che la rigenerazione dei nervi lesionati per contusione o transezione può essere possibile. Il tessuto nervoso compresso riassume spesso la propria funzionalità. Se dopo la prima settimana dal trauma si intravede una ripresa della motilità e delle funzioni sensitive si può pensare a una buona remissione del quadro; i disturbi funzionali che persistono 6 mesi dopo il trauma saranno probabilmente irreversibili. Poiché le lesioni della cauda equina sono in genere incomplete, le alterazioni motorie e sensitive sono parziali. Tuttavia, se gli archi riflessi che controllano la minzione, l’attività intestinale, quella sessuale nell’uomo e la risposta sessuale nella donna (tutti generati nel cono midollare) sono distrutti, sarà impossibile ristabilire perfino il riflesso della minzione. Un danno della cauda equina, sia a livello lombare che sacrale, significherà impotenza permanente e perdita del controllo dello sfintere della vescica, dell’intestino o di entrambi, analogamente a quanto accade per lesioni permanenti del midollo a livelli più alti.

Terapia Qualsiasi vittima di incidente che si sospetti abbia avuto un trauma spinale, soprattutto nella regione cervicale, deve essere mossa con la massima attenzione per proteggere il midollo da ulteriori danni. Fino a quando non si conosca l’estensione del trauma, tutte le lesioni spinali devono essere trattate come potenzialmente instabili. La flessione o l’estensione della colonna possono comprimere o sezionare il midollo, nel caso di rottura di un disco intervertebrale, di un legamento o in caso di frattura della colonna. Quando si mobilizzano le vittime di incidenti, manovre improprie possono scatenare una tetraplegia o provocare addirittura la morte da lesione spinale. Il paziente deve essere spostato come un blocco unico e trasportato su di una tavola solida e liscia o su di una porta, attuando un’imbottitura che stabilizzi la posizione senza esercitare un’eccessiva pressione; è importante tentare un allineamento della colonna con la trazione. Un collare rigido dovrà essere indossato per immobilizzare la colonna cervicale. I pazienti con traumi del midollo lombare o toracico devono essere trasportati supini o proni; quelli con danni cervicali devono essere trasportati supini, a causa delle difficoltà respiratorie, facendo attenzione alla pervietà delle vie aeree ed evitando qualsiasi costrizione del torace. Una terapia massiccia con corticosteroidi, iniziata entro 8 h dal trauma spinale midollare, migliora significativamente la prognosi. È raccomandato somministrare il metilprednisolone 30 mg/kg EV infuso in 1 h seguito da 5,4 mg/kg/ h, per le successive 23 h. Se la colonna vertebrale è integra, i traumi sono trattati con riposo, calmanti e miorilassanti, fino a che l’edema e il dolore non siano scomparsi; se possibile, il trasferimento del paziente in un trauma center è preferibile. Le lesioni instabili dovranno essere immobilizzate mediante trazione fino a che l’osso e i tessuti molli siano cicatrizzati per assicurare un allineamento adeguato; la terapia chirurgica con fissazione interna è raramente necessaria. Il valore della decompressione chirurgica per le lesioni complete è dubbio; i pazienti con deficit neurologici incompleti possono occasionalmente beneficiarne. Le cure generali devono assicurare la prevenzione di infezioni urinarie e polmonari, la mobilizzazione degli arti paralizzati q 2 h (su di un letto di Stryker se necessario). L’esercizio attivo e le misure di riabilitazione devono essere intrapresi prima possibile (v. Cap. 291). Il supporto psicologico per un traumatizzato midollare è diretto a combattere la depersonalizzazione e la quasi inevitabile grave depressione che può insorgere dopo la perdita del controllo del proprio corpo. Una volta stabilizzati, tali pazienti devono essere trasferiti in un centro di riabilitazione con personale esperto nel trattamento della lesione della colonna e della sua prognosi, compresi i problemi sociali, finanziari e di lavoro.

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Malattie del midollo spinale

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Disordini mioneurogeni

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 216. DISORDINI MIONEUROGENI VESCICA NEUROGENA Disfunzione vescicale dovuta ad anomalie congenite, lesioni o patologie cerebrali, del midollo spinale o dell’innervazione locale della vescica e del suo sbocco.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Nella vescica neurogena, l’attività può essere ipotonica (flaccida) o spastica (contratta).

Eziologia La vescica neurogena ipotonica (flaccida) è generalmente causata da una lesione dell’innervazione locale (midollo spinale sacrale); le cause congenite più frequenti comprendono mielomeningocele, sindrome del filum terminale o altre lesioni del midollo spinale, inclusa la cauda equina. La vescica neurogena spastica (contratta) è di solito dovuta a una lesione cerebrale o del midollo spinale soprasacrale; la causa acquisita più frequente è la lesione del midollo spinale da mielite trasversa o la sezione traumatica del midollo che provoca paraplegia o quadriplegia. Sia la vescica neurogena ipotonica che spastica possono essere causate da processi patologici, comprendenti sifilide, diabete mellito, neoplasie cerebrali o del midollo spinale, accidenti cerebrovascolari, rottura di disco intervertebrale e malattie demielinizzanti o degenerative (p. es., sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica). Contrazioni non coordinate tra la vescica e il suo sbocco (collo vescicale o lo sfintere urinario esterno) sono comuni sia nella vescica ipotonica che in quella spastica, ma soprattutto in quest’ultima. Il reflusso vescico-ureterale con danno renale può seguire ad ogni tipo vescica neurogena.

Sintomi e segni Le vesciche ipotoniche sono di solito indolori, flaccide, distese e perdono costantemente una piccola quantità di urina (sgocciolamento da sovrariempimento). La disfunzione ipotonica dovuta a una lesione acuta della colonna vertebrale può inizialmente persistere per giorni, settimane o mesi (fase

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Disordini mioneurogeni

di shock) prima che si stabilisca ipotonia permanente, spasticità o intervenga un miglioramento nella funzione vescicale. In contrasto, segni d’ipotonia o di spasticità dovuti ad altri processi patologici (p. es., neoplasie) possono progredire lentamente. In una vescica neurogena ipotonica cronica, le IVU sono frequenti. Le IVU possono essere secondarie a calcoli urinari; nei pazienti con lesione del midollo spinale, questi sono un risultato dell’immobilizzazione, con la sua conseguente aumentata escrezione urinaria di Ca e della stasi urinaria. I calcoli urinari e la stasi urinaria predispongono a IVU. Vesciche spastiche da lesioni alte del midollo spinale (toracico e cervicale) possono svuotarsi spontaneamente e dar luogo a incontinenza urinaria (incontinenza da urgenza minzionale); l’efficacia dello svuotamento volontario della vescica dipende dalla sua tonicità, dalla resistenza uretrale e dal coordinamento tra la contrazione vescicale e il rilasciamento del collo.

Diagnosi Studi di diagnostica per immagini con l’urografia, l’ecografia, la cistografia e l’uretrografia possono aiutare anche a valutare la lesione e le evoluzioni secondarie alla vescica neurogena e a dimostrare la presenza di calcoli urinari. La cistouretroscopia determina il grado di ostruzione del collo della vescica. La cistometrografia seriata eseguita durante la fase di risoluzione della vescica ipotonica fornisce un indice della capacità funzionale del detrusore e quindi un’indicazione delle prospettive di riabilitazione. Si sono rivelati utili la valutazione urodinamica del flusso minzionale, l’elettromiografia dello sfintere e gli studi del profilo della pressione uretrale.

Terapia Sebbene un recupero totale sia poco frequente, una terapia vigorosa e appropriata può dare risultati eccellenti. Distinguere tra vescica neurogena ipotonica e spastica è importante poiché queste alterazioni vengono trattate in maniera differente. Per la vescica ipotonica, specialmente quando è dovuta a una lesione acuta del midollo spinale, si dovrebbe stabilire immediatamente un drenaggio continuo con catetere o una cateterizzazione intermittente per prevenire una sovradistensione con conseguente infezione e lesione della muscolo detrusore. La cateterizzazione intermittente, se possibile eseguita dal paziente stesso, è preferibile al drenaggio con catetere a permanenza. Il drenaggio con catetere continuo è tollerato meglio dalle donne; predispone gli uomini a uretriti, periuretriti, alla formazione di ascessi prostatici e fistole uretrali. Il trattamento della vescica spastica spesso comprende il drenaggio con uroprofilattico. Un residuo urinario persistente e la contrazione del collo vescicale o dell’uretra possono rendere necessaria, per lo meno una volta, la resezione transuretrale o l’incisione dello sfintere esterno (sfinterotomia) negli uomini, per rendere minima la resistenza dello sbocco vescicale e per aumentare al massimo lo svuotamento. La stimolazione elettrica della vescica, dei nervi sacrali o del midollo spinale può essere di aiuto, ma è ancora allo stadio sperimentale. Sia per la vescica ipotonica che per quella spastica, l’obiettivo del trattamento farmacologico è di migliorare il riempimento, lo svuotamento e il controllo della vescica. La spasticità del detrusore e le contrazioni involontarie possono essere di solito ridotte o eliminate con antispastici o anticolinergici (p. es., negli adulti ossibutinina cloruro 5 mg, imipramina 50 mg, propantelina bromuro 15 mg da bid a qid). Effetti collaterali sono secchezza delle fauci e stipsi. La dissinergia sfinteriale (attività non coordinate tra il muscolo detrusore della vescica e i

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Disordini mioneurogeni

muscoli dello sbocco vescicale) può rispondere ai bloccanti α-simpatici (p. es., doxazosina mesilato, fenossibenzammina cloridrato, prazosina cloridrato, terazosina cloridrato); è possibile l’ipotensione posturale. Betanecolo cloruro 50 mg da bid a qid è un farmaco raramente impiegato PO negli adulti per la vescica ipotonica; provoca stimolazione parasimpatica, con tutti i suoi effetti collaterali sfavorevoli. La fenilpropanolammina e l’imipramina possono migliorare la funzione dello sfintere. La derivazione urinaria permanente è raramente indicata, ma dovrebbe venir presa in considerazione se vi è un deterioramento della funzione renale o se le circostanze sociali, la spasticità o la quadriplegia rendono impossibile l’uso di un drenaggio vescicale, continuo o intermittente, soddisfacente. La derivazione permanente del tratto superiore viene eseguita mediante un’ansa iliaca o colica. Talvolta la cistostomia sovrapubica permanente fornisce un drenaggio adeguato ma è indesiderabile, poiché altera l’istologia vescicale e predispone i pazienti a infezioni, a formazione di calcoli e, raramente, al carcinoma a cellule di transizione o squamose. La cistostomia cutanea (apertura vescicale nella parete anteriore addominale) con un dispositivo esterno e senza catetere permanente può essere un metodo conveniente di controllo urinario in bambini senza lesioni del tratto superiore. Altre cure essenziali sono: monitoraggio continuo della funzione renale, controllo dell’infezione urinaria, abbondante assunzione di liquidi, deambulazione precoce, cambiamenti frequenti di posizione e limitazione dietetica di calcio per inibire la formazione di calcoli. In pazienti selezionati possono essere inseriti chirurgicamente dispositivi sfinterici artificiali per controllare la continenza urinaria.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 182-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLA SCLEROSI MULTIPLA Localizzazione della lesione*

Effetti possibili

Sopra a C-5

Se grave, paralisi respiratoria e spesso morte

Sopra o a livello di C4 fino a C5

Quadriplegia

Tra C5 e C6

Paralisi degli arti inferiori, ma possibili l'abduzione e la flessione delle braccia

Tra C6 e C7

Paralisi degli arti inferiori, dei polsi e delle mani, ma spesso possibili i movimenti delle spalle e la flessione dei gomiti

Sopra a T1

Nelle lesioni trasverse, pupille miotiche

Da C8 a T1

Sindrome di Horner (miosi, ptosi palpebrale, anidrosi del volto)

Tra T11 e T12

Paralisi dei muscoli degli arti inferiori sopra e sotto il ginocchio

Da T12 a L1

Paralisi al di sotto del ginocchio

Cauda equina

Paresi iporeflessica o areflessica degli arti inferiori e generalmente dolore e iperestesie lungo la distribuzione delle radici nervose

Radici sacrali 3°,4° e 5° o cono midollare a L1

Perdita completa del controllo sfinteriale

*Le abbreviazioni si riferiscono alle vertebre; il midollo spinale è più corto della colonna vertebrale, i segmenti midollari e i livelli vertebrali sono progressivamente sfalsati.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL CALCIO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL CALCIO Ipercalcemia Aumento della concentrazione plasmatica totale di calcio al di sopra di 10,4 mg/dl (2,60 mmol/ l).

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Esami di laboratorio Terapia

Eziologia e patogenesi L'ipercalcemia è solitamente conseguente a un riassorbimento osseo eccessivo. Le cause principali di ipercalcemia sono elencate nella Tab. 12-7 e vengono descritte in questo paragrafo. L'iperparatiroidismo primitivo è un disordine generalizzato derivante dalla secrezione eccessiva di paratormone da parte di una o più ghiandole paratiroidi. Esso è probabilmente la causa più comune di ipercalcemia nella popolazione generale. L'incidenza dell'iperparatiroidismo aumenta con l'età ed è più elevata nelle donne in periodo postmenopausale. Esso si presenta inoltre con elevata frequenza a distanza di trent'anni o più da un'irradiazione del collo. Ne esistono forme familiari e forme sporadiche. Le forme familiari dovute alla presenza di un adenoma paratiroideo si verificano in associazione con altri tumori endocrini (v. Cap. 10). L'esame istologico rivela un adenoma delle paratiroidi in circa il 90% dei pazienti, sebbene sia talora difficile distinguere un adenoma da una ghiandola normale. Approssimativamente il 7% dei casi è dovuto a iperplasia di due o più ghiandole. Un tumore maligno delle paratiroidi si verifica raramente, nel 3% dei casi. La sindrome dell'ipercalcemia ipocalciurica familiare viene trasmessa come carattere autosomico dominante. Essa è caratterizzata da ipercalcemia persistente, spesso presente fin dai primi anni di vita, elevati livelli di PTH e ipocalciuria. Questa sindrome, la quale è associata con l'iperplasia delle paratiroidi, è talvolta considerata un disordine della sensibilità delle paratiroidi al Ca. L'iperparatiroidismo secondario si verifica quando un'ipocalcemia cronica, determinata da condizioni come l'insufficienza renale o una sindrome da malassorbimento intestinale, stimola l'aumento della secrezione di PTH. Una volta che l'iperparatiroidismo secondario si sia stabilito, può presentarsi ipercalcemia o, meno spesso, normocalcemia. La sensibilità delle paratiroidi al file:///F|/sito/merck/sez02/0120156.html (1 of 8)02/09/2004 2.14.38

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Ca può essere ridotta a causa della spiccata iperplasia ghiandolare e dell'innalzamento della soglia per il Ca (cioè la quantità di Ca necessaria per determinare una riduzione della secrezione di PTH). L'iperparatiroidismo terziario determina un'ipersecrezione autonoma di PTH indipendentemente dalla concentrazione plasmatica del Ca. Esso si verifica in genere nei pazienti con malattie renali in fase avanzata e iperparatiroidismo secondario di lunga durata. L'ipercalcemia nei pazienti ospedalizzati è molto spesso dovuta a neoplasie maligne. Sebbene i tumori maligni possano causare ipercalcemia attraverso vari meccanismi differenti, in ognuno di essi l'innalzamento del Ca plasmatico è in definitiva il risultato del riassorbimento osseo. I tumori maligni ematologici, più spesso il mieloma, ma anche alcuni linfomi e linfosarcomi, determinano ipercalcemia attraverso l'elaborazione di un gruppo di citochine che stimolano l'attività di riassorbimento osseo degli osteoclasti, con conseguenti lesioni osteolitiche e/o osteopenia diffusa. Più frequentemente, l'ipercalcemia dei tumori maligni è causata da tumori solidi con metastasi ossee. Il carcinoma della mammella con metastasi ossee è responsabile di > 50% dei casi di ipercalcemia associata a neoplasie maligne. In questi pazienti, l'ipercalcemia è il risultato dell'elaborazione locale di citochine o prostaglandine attivanti gli osteoclasti e/o del riassorbimento osseo diretto da parte delle cellule tumorali metastatiche. L'ipercalcemia umorale delle neoplasie maligne si verifica per lo più in associazione con vari carcinomi squamocellulari, il carcinoma renale, il carcinoma mammario o il carcinoma ovarico. Molti di questi casi sono stati attribuiti in passato alla produzione ectopica di PTH, giacché nell'ipercalcemia umorale delle neoplasie maligne l'ipercalcemia compare in assenza di metastasi ossee identificabili; tuttavia, dati più recenti hanno dimostrato che i tumori maligni non paratiroidei raramente producono PTH. I test di laboratorio evidenziano nella maggior parte dei pazienti livelli di PTH indosabili o notevolmente ridotti nonostante la presenza di ipofosfatemia, fosfaturia ed elevati livelli di cAMP nefrogeno. Da diversi tumori associati a ipercalcemia umorale, è stato isolato un peptide correlato al PTH che si lega ai recettori per il PTH sia nell'osso sia nel rene e mima molti degli effetti dell'ormone. Il peptide è più grande del PTH, ma somiglia all'ormone nativo nella sua sequenza N-terminale. Sebbene la prevalenza e l'identità di tali peptidi rimangano da stabilire in vari tumori, sembra che la causa principale dell'ipercalcemia umorale delle neoplasie maligne sia il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, il quale è mediato da un peptide correlato al PTH e/o da altri fattori elaborati dal tumore. Sebbene le concentrazioni plasmatiche di 1,25(OH)2D3 siano basse nella maggior parte dei pazienti con tumori solidi, l'aumento dei livelli plasmatici di 1,25 (OH)2D3 può in rari casi determinare un'ipercalcemia in associazione con un linfoma o un leiomioblastoma. La vitamina D esogena in dosi farmacologiche produce un eccessivo riassorbimento osseo, come pure un aumento dell'assorbimento intestinale di Ca e ipercalciuria (v. Tossicità da vitamina D nel Cap. 3). La sarcoidosi è associata con ipercalcemia in una percentuale che arriva al 20% dei pazienti e con ipercalciuria in una percentuale che giunge al 40% di essi. Ipercalcemia e ipercalciuria sono state inoltre descritte in altre malattie granulomatose, come la TBC, la lebbra, la berilliosi, l'istoplasmosi e la coccidioidomicosi. Nella sarcoidosi, l'ipercalcemia e l'ipercalciuria sembrano essere dovute a una conversione non regolata del 25(OH)D3 in 1,25(OH)2D3, presumibilmente secondaria all'espressione dell'enzima 1-a-idrossilasi nelle cellule mononucleate presenti all'interno dei granulomi sarcoidei. Allo stesso modo, elevati livelli plasmatici di 1,25(OH)2D3 sono stati descritti in pazienti ipercalcemici affetti da TBC, silicosi e linfoma. Altri meccanismi devono essere responsabili dell'ipercalcemia in alcune circostanze, poiché livelli ridotti di 1,25 (OH)2D3 sono stati descritti in alcuni pazienti che presentavano ipercalcemia in associazione con la lebbra, i linfomi a cellule T o la leucemia. L'immobilizzazione, in particolare l'assoluta, prolungata permanenza a letto, può causare ipercalcemia conseguente all'accelerazione del riassorbimento osseo. L'ipercalcemia si sviluppa entro giorni o settimane dall'inizio della permanenza a

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

letto nei pazienti sottoposti a posizionamento di gesso e/o trazione ortopedica, e in quelli con traumi spinali o malattie neurologiche. La regressione dell'ipercalcemia si verifica prontamente appena recuperata la capacità di carico. L'ipercalcemia idiopatica dell'infanzia è dovuta a un gruppo di rari disordini genetici, tutti associati con un aumento dell'assorbimento intestinale di Ca e che possono derivare da una tossicità da vitamina D o da un aumento della sensibilità alla vitamina D. La riduzione della supplementazione del latte con vitamina D ha portato a una progressiva diminuzione di questa malattia, ma se ne verificano tuttora casi associati con l'intossicazione vitaminica materna, con l'iperparatiroidismo neonatale e con l'ipocalciuria ipercalcemica familiare. Nella milk-alkali syndrome vengono ingerite, di solito durante un trattamento per l'ulcera peptica, quantità eccessive di Ca e basi assorbibili con conseguenti ipercalcemia, insufficienza renale e alcalosi metabolica. La disponibilità della terapia con anti-H2 per la malattia ulcerosa peptica ha fortemente ridotto l'incidenza di questa sindrome. Quando viene sospettata una milk-alkali syndrome, è opportuna un'ulteriore valutazione per escludere altre cause di ipercalcemia e sintomi di malattia ulcerosa peptica, come l'iperparatiroidismo che si verifica nei tumori che provocano la sindrome di Zollinger-Ellison (v. Cap. 10). L'ingestione cronica di alte dosi di carbonato di calcio, solitamente allo scopo di prevenire l'osteoporosi, in particolare in associazione con l'uso di diuretici tiazidici, è stata descritta come causa di grave ipercalcemia in alcuni pazienti.

Sintomi, segni e diagnosi Nell'ipercalcemia lieve, molti pazienti sono asintomatici. La condizione viene spesso scoperta incidentalmente durante indagini di laboratorio di routine. Le manifestazioni cliniche dell'ipercalcemia comprendono stipsi, anoressia, nausea e vomito, dolore addominale e ileo. La compromissione del meccanismo di concentrazione renale porta a poliuria, nicturia e polidipsia. L'elevazione del Ca plasmatico > 12 mg/dl (> 3,00 mmol/ l) è associata a labilità emotiva, confusione, delirio, psicosi, stupor e coma. L'interessamento neuromuscolare può determinare notevole astenia della muscolatura scheletrica. Le convulsioni sono rare. L'ipercalciuria con nefrolitiasi è comune. Più raramente, un'ipercalcemia prolungata o grave può produrre insufficienza renale acuta reversibile o un danno renale irreversibile dovuto a nefrocalcinosi (precipitazione di sali di Ca nel parenchima renale). Anche l'ulcera peptica e la pancreatite possono essere associate con l'iperparatiroidismo, ma la relazione tra queste condizioni e l'ipercalcemia rimane poco chiara. L'ipercalcemia grave è associata con un accorciamento dell'intervallo QTc all'ECG e possono verificarsi aritmie cardiache, in particolare nei pazienti in terapia digitalica. Un'ipercalcemia che supera i 18 mg/dl (4,50 mmol/l) può determinare shock, insufficienza renale e morte. Un iperparatiroidismo grave o di lunga durata talvolta determina le lesioni ossee dell'osteite fibrosa cistica, in particolare nei pazienti in dialisi da lungo tempo affetti da iperparatiroidismo secondario. In questa malattia, l'aumento dell'attività osteoclastica dovuto all'iperstimolazione da parte del PTH determina rarefazione dell'osso con degenerazione fibrosa e formazione di cisti e di noduli fibrosi. L'esame radiografico mostra solitamente la presenza di cisti ossee, un aspetto a sale e pepe del cranio e un riassorbimento osseo subperiostale in corrispondenza delle falangi e della porzione distale delle clavicole. L'iperparatiroidismo primitivo è solitamente caratterizzato da ipercalcemia, ipofosfatemia ed eccessivo riassorbimento osseo. Sebbene l'ipercalcemia asintomatica costituisca la presentazione clinica più frequente, la nefrolitiasi è anch'essa comune, in particolare quando l'ipercalciuria è di lunga durata. Nella sindrome dell'ipercalcemia ipocalciurica familiare, l'ipercalcemia è solitamente asintomatica, la funzione renale è ben conservata e la nefrolitiasi è rara. Tuttavia, talvolta può presentarsi una grave pancreatite. La sintomatologia file:///F|/sito/merck/sez02/0120156.html (3 of 8)02/09/2004 2.14.38

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può anche presentarsi in bambini gravemente malati appartenenti a una linea familiare affetta. La sottostante causa di ipercalcemia risulta spesso evidente dall'anamnesi e dai reperti clinici associati. L'evidenza radiologica di malattia ossea può suggerire la diagnosi attraverso la dimostrazione di lesioni osteolitiche od osteoblastiche oppure delle caratteristiche lesioni dell'iperparatiroidismo.

Esami di laboratorio Nell'iperparatiroidismo, il Ca plasmatico è di rado > 12 mg/dl (3,00 mmol/l), ma il Ca plasmatico ionizzato è quasi sempre elevato. Un basso livello plasmatico di PO4 suggerisce la presenza di alcune delle forme di iperparatiroidismo, in particolare quando è associato a un'elevata clearance del PO4 (cioè a un ridotto riassorbimento tubulare del PO4) e a lieve ipercloremia (con o senza acidosi). In presenza di insufficienza renale, può essere difficile distinguere l'iperparatiroidismo primitivo da quello secondario. Un Ca plasmatico elevato e un PO4 plasmatico normale suggeriscono un iperparatiroidismo primitivo, specie nei pazienti non dializzati. La presenza di un elevato PO4 suggerisce un iperparatiroidismo secondario. Quando l'iperparatiroidismo determina un incremento del turnover osseo, la fosfatasi alcalina plasmatica è frequentemente aumentata. Il valore del PTH intero di solito è elevato, ma esso viene valutato meglio congiuntamente alla concentrazione plasmatica del Ca ionizzato. Nei pazienti affetti da iperparatiroidismo, il PTH è elevato in maniera inappropriata (cioè in assenza di ipocalcemia). Il PTH è soppresso nei pazienti affetti dalla maggior parte delle altre cause di ipercalcemia (v. la trattazione dell'ormone paratiroideo sotto Metabolismo del calcio, sopra). L'ipercalcemia umorale delle neoplasie maligne può essere associata a diminuzione del PO4, alcalosi metabolica, ipocloremia e ipoalbuminemia. Tuttavia, la diagnosi viene posta in base alla presenza del peptide correlato al PTH. Un Ca plasmatico > 12 mg/dl (3,00 mmol/l) solitamente indica la presenza di una neoplasia o di qualche altra causa di ipercalcemia al di fuori dell'iperparatiroidismo. La presenza di un mieloma viene suggerita dalla sindrome comprendente anemia, iperazotemia e ipercalcemia. Questa diagnosi ottiene conferma dalla biopsia del midollo osseo o dal reperto di una gammopatia monoclonale, come suggerito dalla presenza di una sola specie di immunoglobuline o di catene leggere libere plasmatiche o urinarie all'immunoelettroforesi. L'ipercalcemia ipocalciurica familiare si distingue dall'iperparatiroidismo primitivo per la precoce età di insorgenza, la frequente concomitanza di ipermagnesiemia e la presenza di ipercalcemia senza ipercalciuria in altri membri della famiglia. L'escrezione frazionata del Ca (rapporto tra la clearance del Ca e la clearance della creatinina) è bassa (< 1%) nei pazienti con ipercalcemia ipocalciurica familiare; essa è quasi sempre elevata (dall'1 al 4%) nell'iperparatiroidismo primitivo. L'ipercalciuria si osserva nella maggior parte delle altre malattie che determinano ipercalcemia, tranne nella milk-alkali syndrome, nella terapia con tiazidici e nell'insufficienza renale. Il PTH intero può essere elevato o normale nell'ipercalcemia ipocalciurica familiare, riflettendo forse un'alterazione della regolazione retrograda delle ghiandole paratiroidi. L'ipercalcemia idiopatica dell'infanzia si riconosce per la combinazione di livelli di PTH soppressi, ipercalciuria e, in alcuni pazienti con malattia grave, per i difetti somatici della sindrome di Williams (p. es., stenosi aortica sopravalvolare, ritardo mentale e facies da elfo). La milk-alkali syndrome viene riconosciuta in base all'anamnesi e alla combinazione di ipercalcemia, alcalosi metabolica e occasionalmente file:///F|/sito/merck/sez02/0120156.html (4 of 8)02/09/2004 2.14.38

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iperazotemia con ipocalciuria. Con la sospensione dell'ingestione di Ca e alcali, il Ca plasmatico torna rapidamente ai valori normali, anche se l'insufficienza renale può persistere se è presente una nefrocalcinosi. In altre cause endocrine di ipercalcemia, come la tireotossicosi o il morbo di Addison, i reperti di laboratorio tipici della malattia di base aiutano a stabilire la diagnosi (v. Cap. 8 e 9). Il PTH circolante è solitamente elevato nei pazienti con iperparatiroidismo ed è soppresso nei pazienti con intossicazione da vitamina D, milk-alkali syndrome e sarcoidosi. La maggioranza dei pazienti con ipercalcemia umorale da neoplasia maligna ha un PTH soppresso o indosabile. Poiché molti di questi pazienti hanno fosfaturia, ipofosfatemia ed elevata escrezione urinaria di cAMP, il riscontro addizionale di un PTH soppresso differenzia questi pazienti da quelli con iperparatiroidismo primitivo. Nell'ipercalcemia associata a sarcoidosi, ad altre malattie granulomatose e ad alcuni linfomi, i livelli plasmatici di 1,25(OH)2D3 possono essere elevati.

Terapia Il trattamento dell'ipercalcemia dipende dalla presenza di sintomi, dalla gravità dell'elevazione del Ca e dalla causa di fondo. Quando i sintomi sono lievi e il Ca plasmatico è < 11,5 mg/dl (< 2,88 mmol/l), spesso è sufficiente la correzione del disturbo di base. Quando la calcemia supera i 15 mg/dl (3,75 mmol/l) o in presenza di gravi segni clinici di ipercalcemia, è necessario un trattamento diretto allo scopo di ridurre i livelli plasmatici di Ca. Soluzione fisiologica e furosemide: il cardine della terapia nei pazienti con funzione renale relativamente normale consiste nell'aumentare l'escrezione renale di Ca mediante l'espansione del volume extracellulare con soluzione fisiologica EV e somministrazione di furosemide. Lo scopo è di ottenere un volume urinario di almeno 3 l/die. Deficit di volume preesistenti sono spesso presenti nei pazienti ipercalcemici e devono essere corretti prima di avviare la diuresi con l'infusione di soluzione fisiologica. Durante la diuresi per l'ipercalcemia, ai pazienti deve essere consentito di assumere acqua liberamente. La quantità di urina prodotta deve essere reintegrata con soluzione fisiologica EV contenente KCl in quantità sufficiente a prevenire l'insorgenza di ipokaliemia. Durante il trattamento devono essere strettamente controllati l'apporto di liquidi, la diuresi e gli elettroliti plasmatici. Sebbene non esista un metodo completamente soddisfacente per correggere l'ipercalcemia grave nei pazienti affetti da insufficienza renale, l'emodialisi temporanea con liquido di dialisi a contenuto di calcio basso o nullo è probabilmente il metodo più sicuro e più affidabile. Fosfati EV: un approccio più rischioso al trattamento è la somministrazione EV di fosfato disodico e monopotassico. Non se ne devono somministrare più di 0,51,0 g EV nelle 24 h; di solito 1 o 2 dosi in 2 giorni sono sufficienti ad abbassare il Ca plasmatico per 10-15 giorni. La riduzione della calcemia con tale trattamento è associata a calcificazioni dei tessuti molli e può comparire insufficienza renale acuta. La somministrazione EV di PO4 deve essere utilizzata esclusivamente quando l'ipercalcemia rappresenta un pericolo per la vita e non risponde ad altri metodi, e quando non è possibile eseguire un'emodialisi temporanea. L'infusione EV di solfato di sodio è ancora più pericolosa e meno efficace dell'infusione di fosfato e non deve essere utilizzata. Plicamicina: la somministrazione di plicamicina (mitramicina) in dosi di 25 mg/kg EV in 50 ml di soluzione glucosata al 5% in 3-6 h è straordinariamente efficace nei pazienti con metastasi scheletriche o ipercalcemia umorale da neoplasia maligna. La plicamicina riduce la concentrazione plasmatica di Ca nel giro di 1236 h. Tuttavia, la sua utilità nella terapia a lungo termine è limitata a causa della tossicità del farmaco, della sua durata d'azione variabile (da diversi giorni a

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3 sett.) e dell'ipercalcemia di rimbalzo, che può essere improvvisa e grave. La plicamicina può determinare trombocitopenia, difetti qualitativi delle piastrine (diatesi emorragica con conta piastrinica normale), epatotossicità e danno renale. La sua tossicità potenziale può essere ridotta osservando un intervallo di almeno 72 h fra una dose e l'altra. Nei pazienti con preesistenti alterazioni dell'emopoiesi o della funzionalità epatica o renale vengono preferiti altri farmaci. Se in questi pazienti deve essere utilizzata la plicamicina, può essere opportuno ridurre la dose a 12,5 mg/kg. La plicamicina potrebbe essere sostituita dal nitrato di gallio o dai difosfonati quando l'efficacia a lungo termine e la sicurezza di questi farmaci più recenti saranno state stabilite con maggiore certezza. Calcitonina (tirocalcitonina): la calcitonina è un ormone peptidico ad azione rapida secreto in risposta all'ipercalcemia da parte delle cellule parafollicolari (cellule C) della tiroide. La calcitonina sembra ridurre il Ca plasmatico inibendo l'attività osteoclastica e dunque la velocità di liberazione del Ca dall'osso. Una preparazione commerciale di calcitonina di salmone è attualmente disponibile ed è particolarmente utile nel trattamento della malattia di Paget. È stato suggerito che la somministrazione di calcitonina di salmone (da 4 a 8 UI/kg SC q 12 h) e di prednisone (da 30 a 60 mg/die PO in tre dosi frazionate) può controllare l'ipercalcemia grave associata alle neoplasie maligne, anche nei pazienti nefropatici nei quali il trattamento primario con soluzione fisiologica EV non è consigliabile. La sua utilità nel trattamento dell'ipercalcemia associata alle neoplasie maligne è stata limitata dalla sua breve durata d'azione e dalla mancanza di risposta in una percentuale che arriva al 25% dei pazienti. Tuttavia, la combinazione di calcitonina di salmone e prednisone può tenere sotto controllo il Ca plasmatico anche per diversi mesi in alcuni pazienti affetti da tumori maligni. Se la calcitonina perde di efficacia, essa può essere sospesa per 2 giorni (mentre la somministrazione di prednisone viene proseguita) e poi ripresa. Corticosteroidi: l'aggiunta di 20-40 mg/die di prednisone PO controlla efficacemente l'ipercalcemia nella maggior parte dei pazienti con intossicazione da vitamina D, ipercalcemia idiopatica dell'infanzia e sarcoidosi. Alcuni pazienti con mieloma, linfoma, leucemia o carcinoma mammario metastatizzato rispondono a dosi di 40-60 mg/die di prednisone. Tuttavia, poiché la risposta ai glucocorticoidi ha una latenza di diversi giorni e poiché più del 50% dei pazienti con ipercalcemia dovuta a tali neoplasie maligne non risponde ai glucocorticoidi, è di solito necessario un trattamento alternativo. Nitrato di gallio: il nitrato di gallio si è dimostrato in grado di ridurre efficacemente il Ca plasmatico nell'ipercalcemia associata a metastasi ossee, nell'ipercalcemia umorale da neoplasie maligne e nel carcinoma paratiroideo. Esso sembra inibire il riassorbimento osseo operato dagli osteoclasti. La durata media della normocalcemia durante la terapia con nitrato di gallio è di circa 2 sett. L'infusione di nitrato di gallio è indicata nel caso che la soluzione fisiologica e i diuretici dell'ansa non riescano a controllare l'ipercalcemia associata alle neoplasie maligne, sebbene la sua efficacia con l'uso ripetuto non sia ancora stabilita e la terapia a lungo termine richieda ulteriori valutazioni. Questo farmaco sembra avere alcuni effetti collaterali diversi dall'ipocalcemia, dall'ipofosfatemia e dalla nefrotossicità. Il nitrato di gallio può causare insufficienza renale acuta e non deve essere usato nei pazienti affetti da grave compromissione della funzionalità renale o contemporaneamente ad altri farmaci nefrotossici. In aggiunta, il nitrato di gallio deve essere somministrato esclusivamente ai pazienti con volume intravascolare normale. Devono essere controllate di frequente le concentrazioni plasmatiche della creatinina, del Ca e del PO4. Bifosfonati: i bisfosfonati, i quali agiscono inibendo il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, vengono adesso ampiamente utilizzati come terapia di prima linea in associazione con la soluzione fisiologica e la furosemide per il trattamento dell'ipercalcemia associata alle neoplasie maligne. L'etidronato disodico è stato disponibile per diversi anni negli USA come trattamento efficace per il controllo del riassorbimento osseo nella malattia di Paget. Il suo utilizzo nell'ipercalcemia delle neoplasie maligne è stato limitato dalla tossicità renale. Il pamidronato e il clodronato sembrano essere più sicuri. Entrambi vengono somministrati in infusione EV e riducono la concentrazione plasmatica di Ca in 57 giorni. Gli effetti collaterali comprendono febbri transitorie e mialgie. Si possono

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sviluppare leucopenia occasionale, ipocalcemia sintomatica e ipofosfatemia. Clorochina fosfato: la clorochina fosfato 500 mg/die PO può inibire la sintesi di 1,25(OH)2D3 e ridurre i livelli plasmatici di Ca nei pazienti con sarcoidosi. Un controllo oftalmologico di routine è obbligatorio durante la somministrazione cronica del farmaco, dal momento che può verificarsi un danno retinico dosecorrelato. Trattamento chirurgico: nell'iperparatiroidismo, il trattamento è chirurgico se la malattia è sintomatica o progressiva. L'esito dell'intervento dipende dall'effettiva rimozione di tutto il tessuto ipersecernente. Tutte le ghiandole affette adenomatose devono essere rimosse. Il rimanente tessuto paratiroideo viene anch'esso generalmente rimosso, poiché è notoriamente molto difficile localizzare le paratiroidi durante un'esplorazione chirurgica successiva. Per prevenire il conseguente ipoparatiroidismo, una piccola porzione di una ghiandola paratiroide apparentemente normale viene di solito reimpiantata nel ventre del muscolo sternocleidomastoideo o in sede sottocutanea nell'avambraccio. Occasionalmente, viene anche effettuata la crioconservazione del tessuto paratiroideo per permettere un successivo trapianto autologo nel caso in cui si sviluppi un ipoparatiroidismo persistente. Le ghiandole paratiroidi abnormemente funzionanti possono trovarsi in sedi insolite nel collo e nel mediastino e necessitano di un chirurgo esperto per poter essere reperite. Quando un'esplorazione delle paratiroidi viene eseguita per la prima volta da un chirurgo di tale esperienza, percentuali di guarigione del 90% sono la norma e la localizzazione preoperatoria del tessuto paratiroideo non è necessaria. Tuttavia, in tutti i pazienti precedentemente sottoposti senza successo a un intervento sulle paratiroidi, la localizzazione preoperatoria del tessuto paratiroideo è imperativa. In tali pazienti, una TC ad alta risoluzione, con o senza biopsia TCguidata, e il dosaggio immunologico su sangue venoso refluo dalla tiroide sembrano essere più sensibili e specifici rispetto all'ecografia ad alta risoluzione, all'angiografia a sottrazione digitale o alla scintigrafia con tallio 201-tecnezio 99. Il tecnezio 99 sestamibi, un nuovo radionuclide per lo studio delle paratiroidi, è più sensibile e specifico rispetto ad agenti meno recenti e viene utilizzato con sempre maggiore frequenza. Le indicazioni all'intervento chirurgico nei pazienti con iperparatiroidismo primitivo lieve asintomatico devono ancora essere chiarite. I dati suggeriscono che i pazienti con questa forma di iperparatiroidismo possono essere trattati conservativamente in assenza di ipercalcemia progressiva o altre complicanze; tuttavia, le preoccupazioni riguardo alla malattia ossea in fase subclinica, all'ipertensione e alla longevità permangono. Il trattamento conservativo è indicato nei pazienti con ipercalcemia ipocalciurica familiare, se non compaiono una pancreatite o un grave iperparatiroidismo primitivo neonatale. In tali casi, l'intervento di scelta è la paratiroidectomia totale. Quando l'iperparatiroidismo è lieve, non sono richieste particolari precauzioni post-operatorie. I livelli plasmatici del Ca scendono appena al di sotto della norma entro 24-48 h dall'intervento. Nei pazienti affetti da grave osteite fibrosa cistica, un carico di 10-20 g di calcio elementare nei giorni che precedono l'intervento chirurgico può attenuare l'ipercalcemia prolungata sintomatica, la quale può svilupparsi dopo l'operazione. Anche con la somministrazione preoperatoria di Ca, questi pazienti possono necessitare di grandi dosi di Ca e di vitamina D mentre il calcio dell'osso viene reintegrato (v. Ipocalcemia, sopra). Nella sindrome dell'ipercalcemia ipocalciurica familiare, nonostante si riscontri coerentemente con il quadro clinico un'iperplasia delle paratiroidi, la risposta alla paratiroidectomia subtotale è insoddisfacente. Dal momento che le manifestazioni cliniche conclamate sono rare nell'ipercalcemia ipocalciurica familiare, è raramente necessario un trattamento specifico differente dalla necessità occasionale dei provvedimenti descritti in precedenza per ridurre le concentrazioni di calcio. Tuttavia, in caso di pancreatite o iperparatiroidismo primitivo neonatale grave, l'intervento di scelta è la paratiroidectomia totale.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE TOSSICITÀ DELLA VITAMINA D La vitamina D, alla dose di 1000 mg/die (40000 UI), produce uno stato tossico entro 1-4 mesi nei lattanti, mentre sono sufficienti 75 mg/die (3000 UI) per determinare uno stato tossico nel corso degli anni. Effetti tossici sono stati osservati anche negli adulti con assunzioni di 2500 mg/die (100000 UI) per diversi mesi. Quando si manifestano i sintomi della tossicità è costante il reperto di elevati livelli sierici di calcio, pari a 12-16 mg/dl (3-4 mmol/l); i livelli normali sono compresi tra gli 8,5 e i 10,5 mg/dl (da 2,12 a 2,62 mmol/l). La calcemia deve essere misurata frequentemente (settimanalmente e poi ogni mese) in tutti i pazienti che ricevono grosse dosi di vitamina D. I primi sintomi sono l'anoressia, la nausea e il vomito, seguiti dalla poliuria, dalla polifagia, dall'astenia, dal nervosismo e dal prurito. La funzione renale è alterata come dimostrano le urine a basso peso specifico, la proteinuria, la cilindruria e l'iperazotemia. Si possono osservare delle calcificazioni metastatiche, soprattutto a carico dei reni. I livelli plasmatici di 25(OH)D3 sono aumentati fino a cinque volte i valori normali, mentre i livelli di 1,25(OH)2D3 sono di solito normali. L'anamnesi positiva per un'eccessiva assunzione di vitamina D è fondamentale per differenziare questa condizione da tutti gli altri stati ipercalcemici. La tossicità da vitamina D si verifica frequentemente durante il trattamento dell'ipoparatiroidismo (v. Ipocalcemia sotto Disordini del metabolismo del calcio nel Cap. 12) e con l'uso non corretto di complessi megavitaminici. In Gran Bretagna, la cosiddetta ipercalcemia nell'infanzia con crescita insufficiente si è verificata con un'assunzione quotidiana di vitamina D pari a 50-75 mg (20003000 UI). La sindrome di Williams consiste in un'ipercalcemia transitoria nell'infanzia associata alla triade rappresentata dalla stenosi aortica sopravalvolare, dal ritardo mentale e dalla facies da elfo. I livelli plasmatici di 1,25 (OH)2D3 nella fase ipercalcemica sono 8-10 volte la norma. La maggior parte dei casi è dovuta a un difetto non identificato del metabolismo della vitamina D, piuttosto che a una sua eccessiva assunzione. Il 1,25(OH)2D3 è 100 volte più potente della vitamina D3. Quando viene utilizzato per trattare le diverse patologie, si devono monitorare i possibili effetti tossici della terapia a lungo termine. La terapia consiste nell'interruzione della somministrazione della vitamina, nell'adozione di una dieta a basso contenuto di Ca, nel mantenimento dell'acidità delle urine e nella somministrazione di corticosteroidi. I danni renali o le calcificazioni metastatiche, se presenti, possono essere irreversibili. Non sono utili né i diuretici né l'infusione di liquidi.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL CALCIO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL CALCIO IPOCALCEMIA

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Riduzione della concentrazione plasmatica totale del calcio al di sotto di 8,8 mg/ dl (2,20 mmol/l) in presenza di una concentrazione normale delle proteine plasmatiche. L'ipocalcemia nel neonato è trattata nel paragrafo Patologia metabolica nel neonato nel Cap. 260.

Eziologia e patogenesi L'ipocalcemia ha molte cause diverse. Alcune sono elencate di seguito: 1. L'ipoparatiroidismo è la conseguenza di un deficit o dell'assenza completa di PTH. Esso è caratterizzato da ipocalcemia e iperfosfatemia ed è spesso associato a tetania cronica. L'ipoparatiroidismo è solitamente dovuto alla rimozione accidentale o al danno di diverse ghiandole paratiroidi durante un intervento di tiroidectomia. Un ipoparatiroidismo transitorio è comune dopo tiroidectomia subtotale. L'ipoparatiroidismo permanente si verifica in meno del 3% delle tiroidectomie eseguite da chirurghi esperti. Le manifestazioni cliniche dell'ipocalcemia si presentano generalmente a circa 24-48 h di distanza dall'intervento, ma possono esordire dopo mesi o anni. Il deficit di paratormone è più comune dopo tiroidectomia totale per neoplasie maligne o come conseguenza di un intervento sulle paratiroidi stesse (paratiroidectomia subtotale o totale). I fattori di rischio per l'ipocalcemia grave dopo paratiroidectomia subtotale comprendono l'ipercalcemia pre-operatoria grave, la rimozione chirurgica di un voluminoso adenoma e l'elevazione della fosfatasi alcalina. L'ipoparatiroidismo idiopatico è una rara condizione nella quale le ghiandole paratiroidi sono assenti o atrofiche. Può presentarsi sporadicamente o come condizione ereditaria. Le ghiandole paratiroidi sono talvolta assenti in associazione all'aplasia timica e alle malformazioni delle arterie che originano dagli archi branchiali (sindrome di DiGeorge). Altre forme ereditarie comprendono la sindrome genetica dell'ipoparatiroidismo legato al cromosoma X, il morbo di Addison e la candidosi mucocutanea (v. Cap. 11).

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Lo pseudoipoparatiroidismo è un gruppo di disordini caratterizzati non dal deficit di PTH, bensì dalla resistenza degli organi bersaglio alla sua azione. Ne sono state descritte sia una forma autosomica dominante sia una recessiva. I pazienti con pseudoipoparatiroidismo di tipo I (osteodistrofia ereditaria di Albright) sono di solito ipocalcemici ma possono avere concentrazioni plasmatiche di Ca normali. La caratteristica distintiva della sindrome è un'incapacità del rene di esibire la risposta fosfaturica normale o l'aumento del cAMP urinario dopo la somministrazione di PTH. Le urine contengono sia il cAMP filtrato sia il cAMP generato nel rene. L'aggiustamento del cAMP urinario per la componente non nefrogena fornisce una misura più specifica dell'effetto del PTH sul rene. Perciò, la produzione di cAMP nefrogeno stabilisce meglio se è presente un'appropriata risposta al PTH. Molti di questi pazienti mostrano un deficit della subunità a della proteina di legame guanilnucleotidica, la Gsa. Mutazioni a carico del gene che codifica per questo importante messaggero proteico intracellulare sono state trovate nelle famiglie con pseudoipoparatiroidismo di tipo I. Le alterazioni associate comprendono bassa statura, viso rotondo, ritardo mentale con calcificazioni dei gangli della base, ossa metacarpali e metatarsali accorciate, oltre a lieve ipotiroidismo e altre sfumate alterazioni endocrinologiche. Alcuni membri delle famiglie colpite da mutazioni della Gsa hanno molte delle caratteristiche somatiche della malattia ma non hanno ipoparatiroidismo, condizione talvolta descritta come pseudopseudoipoparatiroidismo. Lo pseudoipoparatiroidismo di tipo II è meno comune. In questi pazienti, il PTH non aumenta il Ca plasmatico o il PO4 urinario, ma la risposta del cAMP nefrogeno al PTH esogeno è normale. 2. Il deficit di vitamina D è un'importante causa di ipocalcemia. Esso può essere secondario a un apporto alimentare insufficiente o a un ridotto assorbimento dovuto a patologie epatobiliari o malassorbimento intestinale. Può anche verificarsi in seguito ad alterazioni del metabolismo della vitamina D, come accade con alcuni farmaci (fenitoina, fenobarbitale e rifampicina) o nella mancata esposizione della cute alla luce solare. Quest'ultima è un'importante causa di carenza acquisita di vitamina D nei climi nordici tra gli individui che indossano indumenti che li ricoprono completamente (p. es., le donne musulmane in Inghilterra). Il rachitismo vitamina D-dipendente di tipo I è un disordine autosomico recessivo nel quale è presente un deficit dell'enzima 1-a-idrossilasi necessario per la conversione del 25(OH)D3 in 1,25(OH)2D3. Nel rachitismo vitamina D-dipendente di tipo II, gli organi bersaglio non sono in grado di rispondere all'1,25(OH)2D3. La carenza di vitamina D è associata a ipocalcemia e grave ipofosfatemia. Si possono osservare debolezza e dolore muscolare e deformità ossee caratteristiche. (V. Deficit e dipendenza da vitamina D nel Cap. 3.) 3. Le nefropatie tubulari, compresa la sindrome di Fanconi dovuta a nefrotossine come i metalli pesanti e l'acidosi tubulare renale distale, possono causare una grave ipocalcemia conseguente alla perdita renale abnorme di Ca e alla diminuzione della capacità renale di conversione della vitamina D nella sua forma attiva. Il cadmio, in particolare, determina ipocalcemia danneggiando le cellule del tubulo prossimale e interferendo con la conversione della vitamina D. L'osteomalacia può anche verificarsi a causa della malattia tubulare renale, ma può essere dovuta in primo luogo a un'acidosi cronica di accompagnamento. 4. L'insufficienza renale può determinare ipocalcemia in seguito alla diminuita formazione di 1,25(OH)2D3 conseguente al danno diretto delle cellule renali e all'iperfosfatemia dovuta alla ridotta escrezione renale del fosfato. 5. La deplezione di magnesio che si verifica in corso di malassorbimento intestinale o nel deficit alimentare può determinare ipocalcemia. Nella deplezione di magnesio, con conseguenti concentrazioni plasmatiche < 1,0 mEq/l (< 0,5 mmol/l), si verifica un deficit relativo di PTH e una resistenza degli organi bersaglio terminali alla sua azione; la reintegrazione del magnesio migliora i livelli di PTH e la conservazione renale del Ca. 6. La pancreatite acuta causa ipocalcemia quando il Ca viene chelato dai file:///F|/sito/merck/sez02/0120152.html (2 of 7)02/09/2004 2.14.40

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prodotti lipolitici liberati dal pancreas infiammato. 7. L'ipoprotidemia di qualunque origine può ridurre la frazione del Ca plasmatico legata alle proteine. L'ipocalcemia secondaria alla diminuzione del legame alle proteine è asintomatica. Poiché la frazione di Ca ionizzato è invariata, questa forma è stata denominata ipocalcemia factitia. 8. L'aumento della sintesi ossea con insufficiente assunzione di Ca può causare ipocalcemia. Questa situazione si verifica in particolare dopo la correzione chirurgica dell'iperparatiroidismo nei pazienti affetti da grave osteite fibrosa cistica ed è stata denominata sindrome dell'osso affamato. 9. Lo shock settico può essere associato a ipocalcemia dovuta alla soppressione del rilascio di PTH e della conversione del 25(OH)D3 in 1,25(OH)2D3. 10. L'iperfosfatemia causa anch'essa ipocalcemia mediante uno o più meccanismi scarsamente compresi. I pazienti affetti da insufficienza renale e conseguente ritenzione di fosfati sono particolarmente inclini a sviluppare questa forma di ipocalcemia. 11. I farmaci associati a ipocalcemia comprendono quelli generalmente utilizzati per trattare l'ipercalcemia (v. Ipercalcemia, più avanti); gli anticonvulsivanti (fenitoina, fenobarbitale) e la rifampicina, che alterano il metabolismo della vitamina D; la trasfusione con emoderivati trattati con citrato e i mezzi di contrasto radiografici contenenti l'agente chelante ionico bivalente etilendiaminotetracetato. 12. Sebbene ci si possa attendere che l'eccessiva secrezione di calcitonina provochi ipocalcemia, raramente si osservano bassi livelli plasmatici di Ca nei pazienti con grandi quantità di calcitonina circolante proveniente da un carcinoma midollare della tiroide.

Sintomi e segni L'ipocalcemia è frequentemente asintomatica. La presenza di ipoparatiroidismo è spesso suggerita dalle manifestazioni cliniche della malattia di base (p. es., cataratta, calcificazioni dei gangli della base e candidosi cronica nell'ipoparatiroidismo idiopatico). Le manifestazioni cliniche dell'ipocalcemia sono dovute alle alterazioni del potenziale elettrico della membrana cellulare. La sintomatologia è principalmente il risultato dell'eccitabilità neuromuscolare. I crampi muscolari a livello del dorso e delle gambe sono disturbi frequenti in questi pazienti. Un'ipocalcemia insidiosa a lenta insorgenza può produrre una lieve encefalopatia diffusa e deve essere sospettata in ogni paziente con demenza, depressione o psicosi non altrimenti spiegabili. Occasionalmente, dopo un'ipocalcemia prolungata può comparire papilledema e possono svilupparsi cataratte. L'ipocalcemia grave con Ca plasmatico < 7 mg/dl (< 1,75 mmol/l) può causare tetania, laringospasmo o convulsioni generalizzate. La tetania è una conseguenza caratteristica dell'ipocalcemia grave. Essa può anche essere secondaria a una riduzione della frazione ionizzata del Ca plasmatico in assenza di ipocalcemia marcata, come si verifica nell'alcalosi grave. La tetania è caratterizzata da sintomi sensitivi consistenti in parestesie delle labbra, della lingua e delle dita delle mani e dei piedi, spasmo carpopedalico, che può essere prolungato e doloroso, dolenzia muscolare generalizzata e spasmo della muscolatura facciale. La tetania può essere conclamata, con sintomi spontanei, o latente e richiedere test provocativi per essere evidenziata. La tetania latente si verifica generalmente con concentrazioni plasmatiche di Ca meno gravemente ridotte: da 7 a 8 mg/dl (da 1,75 a 2,20 mmol/ l).

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I segni di Chvostek e di Trousseau sono facilmente evocabili al letto del paziente per rendere manifesta una tetania latente. Il segno di Chvostek è una contrazione involontaria dei muscoli facciali, provocata dalla percussione leggera ripetuta sul nervo facciale appena anteriormente al meato acustico esterno. È presente in una percentuale che arriva al 10% degli individui sani ed è spesso assente nell'ipocalcemia cronica. Il segno di Trousseau consiste nello scatenamento di uno spasmo carpopedalico ottenuto riducendo l'apporto ematico alla mano con un laccio emostatico o con il manicotto di uno sfigmomanometro gonfiato a una pressione superiore di 20 mm Hg alla PA, applicato all'avambraccio per 3 minuti. Il segno di Trousseau si osserva anche nell'alcalosi, nell'ipomagnesiemia, nell'ipokaliemia e nell'iperkaliemia e in circa il 6% degli individui senza alcun disordine elettrolitico identificabile. La tetania latente può divenire conclamata con l'ulteriore riduzione del Ca ionizzato in seguito a iperventilazione o a somministrazione di NaHCO3 o di diuretici che determinano deplezione di Ca, come la furosemide. Tutte le manifestazioni della tetania ipocalcemica possono essere mascherate da un'ipokaliemia concomitante. Aritmie o blocco cardiaco possono occasionalmente svilupparsi nei pazienti con ipocalcemia grave. L'ECG nell'ipocalcemia mostra tipicamente un prolungamento degli intervalli QTc e ST. Si possono anche osservare alterazioni della ripolarizzazione, come una forma appuntita dell'onda T o la sua inversione. Numerose altre alterazioni sono associate all'ipocalcemia cronica, come la cute secca e a scaglie, le unghie fragili e i capelli ispessiti. Occasionalmente nell'ipocalcemia si verificano infezioni da Candida, ma esse sono più comuni nei pazienti affetti da ipoparatiroidismo idiopatico. Cataratte oculari vengono occasionalmente osservate nelle ipocalcemie di vecchia data e tali cataratte non sono reversibili in seguito alla correzione del Ca plasmatico.

Diagnosi L'ipocalcemia viene diagnosticata in presenza di un livello plasmatico totale di Ca < 8,8 mg/ dl (< 2,20 mmol/l). Quando è presente tetania, il Ca plasmatico totale è solitamente _ 7 mg/dl (_ 1,75 mmol/l) a meno che non sia presente alcalosi. Le alterazioni caratteristiche dell'alcalosi metabolica e respiratoria sono trattate nel Metabolismo acido-base, più avanti. Il deficit di PTH è caratterizzato da bassi livelli plasmatici di Ca, elevati livelli di PO4 e valori normali di fosfatasi alcalina. Nonostante nell'ipoparatiroidismo il Ca urinario sia basso, se si prende in considerazione il carico di Ca filtrato ci si rende conto che il Ca urinario è relativamente alto. Poiché l'ipocalcemia costituisce lo stimolo principale alla secrezione di PTH, il PTH dovrebbe essere elevato nell'ipocalcemia. Tuttavia, nell'ipoparatiroidismo il PTH integro è inappropriatamente basso per il livello plasmatico del Ca. Meno frequentemente, il PTH risulta indosabile e suggerisce la diagnosi di ipoparatiroidismo idiopatico, il quale fa il suo esordio nell'infanzia e può essere associato a morbo di Addison, steatorrea e candidosi (v. Cap. 11). L'iperfosfatemia si verifica quando l'ipocalcemia è la conseguenza di un ipoparatiroidismo o di un'insufficienza renale. Le due condizioni sono facilmente distinguibili per la presenza di iperazotemia marcata nell'insufficienza renale. Lo pseudoipoparatiroidismo di tipo I può essere distinto in base alla presenza di ipocalcemia nonostante la presenza di livelli di PTH circolante da normali a elevati. La diagnosi viene spesso suggerita dalla frequente ricorrenza di diverse alterazioni scheletriche concomitanti, tra le quali la bassa statura e l'accorciamento del primo, del quarto e del quinto osso metacarpale. I pazienti affetti da pseudoipoparatiroidismo perdono solitamente le risposte renali normali al PTH. Nonostante la presenza di PTH circolante, la fosfaturia è assente. Un test di provocazione mediante l'iniezione di un estratto paratiroideo o, disponibile a breve, di PTH umano ricombinante non ottiene un aumento del cAMP plasmatico o nefrogeno. Nello pseudo-ipoparatiroidismo di tipo II, gli estratti paratiroidei determinano un aumento del cAMP, ma non provocano fosfaturia né aumento della concentrazione plasmatica del Ca. La carenza di vitamina D deve file:///F|/sito/merck/sez02/0120152.html (4 of 7)02/09/2004 2.14.40

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

essere esclusa prima che venga posta la diagnosi di pseudoipoparatiroidismo di tipo II. Nell'osteomalacia o nel rachitismo possono essere presenti alterazioni scheletriche caratteristiche. Il livello plasmatico di PO4 è spesso lievemente ridotto e la fosfatasi alcalina è elevata, indicando un incremento della mobilizzazione di Ca dall'osso. Il dosaggio dei livelli plasmatici di 25(OH)D3 e 1,25 (OH)2D3 può aiutare a distinguere gli stati di carenza di vitamina D da quelli di dipendenza dalla vitamina D. Il rachitismo ipofosfatemico familiare si riconosce per l'associata dispersione renale di PO4.

Terapia La tetania ipocalcemica acuta grave viene trattata inizialmente con l'infusione EV di sali di Ca. Il calcio gluconato può essere somministrato EV sotto forma di 10 ml di soluzione al 10% in 10 minuti. La risposta può essere drastica, ma può durare soltanto alcune ore. Nelle successive 12-24 ore possono essere necessarie infusioni ripetute o in alternativa l'aggiunta di un'infusione continua, costituita da 1 l di soluzione glucosata al 5% con 20-30 ml di calcio gluconato al 10%. Le infusioni di Ca sono rischiose nei pazienti in trattamento digitalico e devono essere somministrate lentamente e solo sotto monitoraggio ECG continuo. Il cloruro di Ca non deve essere utilizzato se sono disponibili alternative come il Ca gluconato, perché può causare una grave tromboflebite e ustioni tissutali in caso di fuoriuscita dai vasi. L'iniezione IM di qualunque preparazione di calcio è parimenti controindicata a causa del rischio di necrosi tissutale. Quando la tetania è dovuta all'ipomagnesiemia, essa può rispondere transitoriamente alla somministrazione di Ca o K, ma viene corretta definitivamente soltanto dalla reintegrazione del Mg (v. Ipomagnesiemia, più avanti). Nell'ipoparatiroidismo transitorio conseguente a tiroidectomia o paratiroidectomia parziale, supplementi orali di Ca possono essere sufficienti a prevenire l'ipocalcemia. Tuttavia, l'ipocalcemia può essere particolarmente grave e prolungata in seguito a paratiroidectomia subtotale nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica o malattie renali in stadio terminale. Per evitare una grave ipocalcemia postoperatoria, può essere necessaria la somministrazione parenterale prolungata di Ca, come pure una supplementazione con 1 g di calcio elementare/die per 5-10 giorni, prima che il Ca e la vitamina D per via orale siano sufficienti a mantenere una calcemia adeguata. Una fosfatasi alcalina plasmatica elevata in tali circostanze può essere un segno di rapido ingresso del Ca nell'osso. Grandi quantità di Ca per via parenterale solitamente sono necessari, fino a che i livelli di fosfatasi alcalina cominciano a diminuire. Nell'ipocalcemia cronica i supplementi orali di Ca e occasionalmente di vitamina D sono di solito sufficienti. Il Ca può essere somministrato come calcio gluconato (90 mg di calcio elementare per 1 g) oppure come carbonato di calcio (400 mg di calcio elementare per 1 g) in modo da fornire 1-2 g di calcio elementare al giorno. Sebbene qualunque preparazione di vitamina D possa essere sufficiente, i composti 1-idrossilati come il calcitriolo [1,25(OH)2D3] e gli analoghi pseudo 1-idrossilati come il diidrotachisterolo, offrono il vantaggio di un più rapido inizio d'azione e di una più rapida eliminazione dall'organismo. Il calcitriolo è particolarmente utile nell'insufficienza renale, perché non richiede una modificazione metabolica da parte del rene. I pazienti con ipoparatiroidismo solitamente rispondono al calcitriolo alla dose di 0,5-2 mg/die PO. Lo pseudoipoparatiroidismo può occasionalmente essere trattato con la sola supplementazione di Ca per via orale. Talvolta si possono osservare effetti positivi con il calcitriolo, ma ne sono richieste dosi superiori, da 1 a 3 mg/die. In tutti i casi, la terapia con vitamina D non sarà efficace a meno che non venga fornito un supplemento adeguato di calcio e di fosfato con la dieta o con la somministrazione aggiuntiva (da 1 a 2 g di calcio elementare al giorno). La tossicità da vitamina D con grave ipercalcemia sintomatica può essere una seria complicanza del trattamento con analoghi della vitamina D. La concentrazione plasmatica del Ca deve essere controllata di frequente: dapprima una volta alla file:///F|/sito/merck/sez02/0120152.html (5 of 7)02/09/2004 2.14.40

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

settimana e in seguito a intervalli di 1-3 mesi dopo che i livelli di Ca si sono stabilizzati. La dose di mantenimento del calcitriolo o del diidrotachisterolo viene solitamente ridotta con il tempo. Il trattamento dell'ipocalcemia nei pazienti con insufficienza renale deve essere combinato con la restrizione alimentare di PO4 e con agenti leganti il PO4, come il carbonato di calcio, per prevenire l'iperfosfatemia e le calcificazioni metastatiche. Un accumulo di alluminio nell'osso con conseguente osteomalacia grave o nell'encefalo con induzione di demenza da dialisi è stato osservato a seguito dell'uso massivo di chelanti del PO4 contenenti alluminio nei pazienti sottoposti a dialisi. Per tale motivo, i composti contenenti alluminio dovrebbero essere evitati nei pazienti con insufficienza renale e particolarmente in quelli sottoposti a dialisi a lungo termine. Nonostante l'uso dei chelanti del PO4, si deve sempre dare rilievo alla restrizione del PO4 nella dieta. La somministrazione di vitamina D nell'insufficienza renale è potenzialmente rischiosa e deve essere limitata ai pazienti con osteomalacia sintomatica non correlata all'alluminio o affetti da iperparatiroidismo secondario, sempre che il Ca plasmatico sia < 11 mg/ dl (< 2,75 mmol/l), o ai pazienti con ipocalcemia post-paratiroidectomia. L'efficacia e la relativamente breve durata d'azione del calcitriolo ne fanno il farmaco di scelta in tali pazienti. Sebbene il calcitriolo per via orale venga spesso somministrato insieme al Ca per evitare l'iperparatiroidismo secondario, i risultati nei pazienti con insufficienza renale allo stadio terminale sono stati variabili. La forma parenterale del calcitriolo può essere più utile per la prevenzione dell'iperparatiroidismo secondario in tali pazienti, dal momento che i più alti livelli plasmatici di 1,25(OH)2D3 ottenuti sopprimono direttamente il rilascio di PTH. L'osteomalacia semplice può rispondere a dosi di calcitriolo per via orale di appena 0,25-0,5 mg/die, mentre la correzione dell'ipocalcemia postparatiroidectomia può richiedere la somministrazione prolungata di 2 mg di calcitriolo e _ 2 g di calcio al giorno. L'osteomalacia causata dall'alluminio si verifica solitamente nei pazienti affetti da insufficienza renale allo stadio terminale in trattamento dialitico, i quali abbiano assunto grandi quantità di chelanti del PO4 contenenti alluminio. In questi pazienti, la rimozione dell'alluminio mediante desferoxamina è necessaria prima che si verifichi un miglioramento delle lesioni ossee grazie al calcitriolo. Il rachitismo da carenza di vitamina D risponde a dosi di appena 10 mg (400 UI/ die) di vitamina D2 o D3; se è presente osteomalacia franca, si somministrano 125 mg/die (5000 UI/ die) di vitamina D2 o D3 per 6-12 settimane e in seguito si riduce il dosaggio a 10 mg/die (400 UI/ die). Durante le fasi iniziali del trattamento, è consigliabile la somministrazione aggiuntiva di 2 g di calcio al giorno. Nei pazienti affetti da rachitismo od osteomalacia secondari all'assenza di esposizione alla luce solare, il trattamento con l'aumento dell'esposizione alla luce o il trattamento con lampade a raggi ultravioletti può essere tutto ciò che serve. Il rachitismo vitamina D-dipendente di tipo I risponde alle dosi fisiologiche di calcitriolo, fra 0,25 e 1,0 mg/die PO. I pazienti con rachitismo vitamina Ddipendente di tipo II non rispondono ad alcuna forma di vitamina D (per questa entità patologica è stato suggerito il termine più facilmente comprensibile di "resistenza ereditaria all'1,25(OH)2D"). Il trattamento del rachitismo vitamina Ddipendente di tipo II dipende dalla gravità delle lesioni ossee e dell'ipocalcemia. Nei casi più gravi sono necessari fino a 6 mg/kg di peso corporeo o un totale di 30-60 mg/die di calcitriolo in aggiunta a una quantità che può arrivare a 3 g di calcio elementare al giorno. Il trattamento con vitamina D richiede il monitoraggio dei livelli plasmatici di Ca; sebbene possa derivarne un'ipercalcemia, essa generalmente risponde in modo rapido all'adeguamento della dose di vitamina D.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE DEFICIT E DIPENDENZA DA VITAMINA D Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Profilassi Terapia

Questa vitamina liposolubile esiste principalmente in due forme: l'ergocalciferolo (ergosterolo attivato, vitamina D2) presente nel lievito irradiato e il colecalciferolo (7-deidrocolesterolo attivato, vitamina D3) che si forma nella cute in seguito all'esposizione ai raggi solari (radiazioni ultraviolette) e che si trova principalmente nell'olio di fegato di pesce e nel tuorlo d'uovo. Il latte viene arricchito con entrambe le forme. La fonte principale è, comunque, la quota sintetizzata a livello cutaneo. Un microgrammo di vitamina D equivale a 40 UI. La vitamina D è un pro-ormone con diversi metaboliti attivi che agiscono come ormoni. Nella cute la provitamina D3 viene sintetizzata fotochimicamente a partire dal 7-deidrocolesterolo e viene lentamente isomerizzata a vitamina D3 che viene, poi, rimossa dalla vitamin-D binding protein. In seguito, la vitamina D3 è convertita nel fegato a 25(OH)D3, che rappresenta la principale forma circolante. Questa passa nella circolazione enteroepatica ed è riassorbita dall'intestino. Infine, viene ulteriormente idrolizzata, principalmente nel rene, in una forma metabolicamente molto più attiva, il 1,25(OH)2D3 (1,25-diidrossicolecalciferolo, calcitriolo, ormone vitamina D). La funzione principale dell'ormone vitamina D è di aumentare l'assorbimento intestinale del calcio e di promuovere la normale formazione e mineralizzazione dell'osso. Queste funzioni sono mediate dal recettore della vitamina D, un fattore di trascrizione che serve per attivare una panoplia di geni che esprimono l'attività biologica dell'ormone vitamina D. La fondamentale idrossilazione in posizione 1 del 25(OH)D3 è fortemente stimolata dall'ormone paratiroideo (PTH) e, indipendentemente dal PTH, dall'ipofosfatemia. Le azioni della vitamina D e dei suoi metaboliti sono riassunte nella Tab. 3-1. La vitamina D viene usata nel trattamento dell'osteodistrofia renale causata dall'insufficienza renale cronica (v. Cap. 222). La malattia metabolica delle ossa, dovuta al deficit di vitamina D, è chiamata rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti. Queste malattie hanno fattori patogenetici comuni, ma differiscono nella loro espressione clinica e anatomopatologica a causa delle differenze tra le ossa in accrescimento e le ossa mature.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Eziologia Per lo sviluppo di un deficit clinico di vitamina D sono generalmente necessari un'insufficiente esposizione alla luce del sole e uno scarso apporto alimentare. Il rachitismo non è raro ai tropici, perché i lattanti vengono fasciati e le donne e i bambini sono confinati a casa. Il rachitismo nutrizionale è raro negli USA, ma non è infrequente tra gli immigrati indiani in Gran Bretagna, dove ne sono probabilmente responsabili la mancanza di esposizione alla luce del sole, la chelazione del calcio dovuta all'assunzione della tradizionale dieta a base di cereali e lo scarso consumo di latte. Raramente la causa di questa malattia è rappresentata da uno scarso apporto di calcio o fosforo. La carenza di vitamina D può essere causata anche da difetti nella produzione del 25(OH)D3 o nell'azione del 1,25(OH)2D3 (v. Tab. 3-2). La carenza si può verificare anche nell'ipoparatiroidismo (v. Ipocalcemia nei Disordini del metabolismo del calcio nel Cap. 12); nelle patologie ereditarie, come il rachitismo ipofosfatemico familiare (resistente alla vitamina D), un disordine dominante legato al cromosoma X (v. Anomalie del trasporto renale nel Cap. 261) e in varie altre patologie. Alcune malattie interferiscono con l'assorbimento della vitamina D o con la formazione dei suoi metaboliti attivi. La carenza dei metaboliti della vitamina D causa una condizione di resistenza alla vitamina D. Il rachitismo e l'osteomalacia possono manifestarsi quando l'apporto di vitamina D è inadeguato, quando il suo metabolismo è alterato o quando esiste una resistenza tissutale alla sua azione. La classificazione eziologica del rachitismo e dell'osteomalacia è importante per quello che riguarda le manifestazioni della malattia e per un efficace trattamento.

Anatomia patologica Nei bambini le alterazioni comprendono una difettosa calcificazione delle ossa in via di accrescimento e l'ipertrofia delle cartilagini epifisarie. Le cellule delle cartilagini epifisarie smettono di degenerare normalmente e continuano a formare nuova cartilagine con un irregolare aumento dello spessore delle cartilagini epifisarie stesse. Quindi la calcificazione si interrompe e il materiale osteoide si accumula intorno ai capillari diafisari. Nel deficit cronico possono essere riassorbiti sia il trabecolato osseo della diafisi che la corticale. Un adeguato trattamento con vitamina D permette, entro 24 h, la deposizione di calcio e di fosfato tra le cellule cartilaginee in degenerazione e, in 48 h, la formazione di una rete vascolare. Nella diafisi cessa di formarsi il materiale osteoide e viene ripristinata una normale produzione endocondrale di nuovo tessuto osseo. Negli adulti le modificazioni sono simili, ma non sono confinate alle estremità delle ossa lunghe.

Sintomi e segni L'osteomalacia materna può causare nei neonati delle alterazioni metafisarie e la tetania. I piccoli lattanti sono agitati e dormono poco. Hanno una ridotta mineralizzazione del cranio (craniotabe), lontano dalle suture. Nei lattanti più grandi si osserva un ritardo nell'esecuzione di attività quali il sedersi e il camminare carponi, una ritardata chiusura delle fontanelle e la formazione di protuberanze del cranio e di deformazioni costocondrali (rosario rachitico). Nei bambini di 1-4 anni si osserva uno slargamento delle cartilagini epifisarie alle estremità distali del radio, dell'ulna, della tibia e della fibula; si sviluppa anche

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

una cifoscoliosi e la deambulazione è ritardata. Nei bambini più grandi e negli adolescenti la deambulazione è dolorosa e nei casi estremi si sviluppano delle deformità come il ginocchio varo e il ginocchio valgo. La tetania rachitica è causata dall'ipocalcemia e si può associare al deficit di vitamina D sia nel bambino che nell'adulto. I reperti clinici sono trattati nell'Ipocalcemia sotto Disordini del metabolismo del calcio nel Cap. 12. Le alterazioni ossee, visibili ai raggi x, precedono i segni clinici, diventando evidenti al 3o-4o mese di vita o anche alla nascita, se la madre ha un deficit di vitamina D. Le alterazioni ossee nel rachitismo sono più evidenti alle estremità distali del radio e dell'ulna. Le estremità diafisarie perdono i loro contorni netti e chiari; hanno una forma a calice e mostrano una rarefazione irregolare o sfrangiata. In seguito, la distanza tra le estremità del radio e dell'ulna e le ossa metacarpali appare aumentata perché le estremità vere non sono calcificate e sono quindi invisibili sulle rx. La radiopacità delle diafisi si riduce e il reticolo formato dalle lamine diventa grossolano. Le caratteristiche deformità sono prodotte dalla curvatura delle ossa a livello della giunzione cartilagineo-diafisaria perché la diafisi è indebolita. Appena inizia la guarigione, compare a livello delle epifisi una sottile linea bianca di calcificazione che diventa più densa e più spessa mano a mano che avviene la calcificazione. Successivamente si depositano dei sali di calcio al di sotto del periostio, le diafisi proiettano ombre più dense e le lamelle scompaiono. Negli adulti la demineralizzazione (osteomalacia) si verifica soprattutto a livello della colonna vertebrale, della pelvi e degli arti inferiori; la lamelle fibrose diventano visibili alle rx e sulla corticale compaiono delle aree di demineralizzazione incomplete, a nastro (pseudofratture, zone di Looser, sindrome di Milkman). Poiché le ossa diventano più cedevoli, il peso può causare un incurvamento delle ossa lunghe, l'accorciamento verticale delle vertebre e l'appiattimento delle ossa pelviche, con il restringimento dello stretto pelvico inferiore.

Esami di laboratorio Il 25(OH)D3 e gli altri metaboliti della vitamina D possono essere misurati nel plasma. I valori osservati nelle persone sane sono compresi tra i 25 e i 40 ng/ml (62,4-99,8 nmol/l) per il 25-(OH)D3 e tra i 20 e i 45 pg/ml (48-108 pmol/l) per il 1,25-(OH)2D3. Nel rachitismo nutrizionale e nell'osteomalacia i livelli di 25(OH)D3 sono molto bassi e il 1,25(OH)2D3 non è dosabile. Sono caratteristici il basso livello sierico di fosforo (normale: 3,0-4,5 mg/dl [0,97-1,45 mmol/l]) e gli elevati livelli sierici di fosfatasi alcalina. La calcemia può essere bassa o normale, in base alla capacità dell'iperparatiroidismo secondario di riportarla a valori normali. Il PTH sierico è elevato e il calcio urinario è basso in tutte le forme della malattia, tranne che in quelle associate ad acidosi. Nelle forme ereditarie di rachitismo vitamina D-dipendente i dati di laboratorio sono variabili (v. oltre).

Diagnosi Un'anamnesi positiva per un'inadeguata assunzione di vitamina D fa pensare al rachitismo e aiuta a distinguerlo dallo scorbuto infantile e da altre condizioni. Può essere differenziato dalla sifilide congenita (identificata per mezzo di esami sierologici e di altri test) e dalla condrodistrofia (identificata dalla presenza di una testa voluminosa, di arti corti, ossa ispessite e normali livelli di calcio, fosforo e fosfatasi). Devono essere prontamente distinti anche l'osteogenesi imperfetta, il cretinismo, la lussazione congenita dell'anca, l'idrocefalo e la poliomielite. Nel rachitismo infantile, la tetania manifesta può essere differenziata dalle convulsioni dovute ad altre cause. Il rachitismo refrattario alla vitamina D può essere causato da un file:///F|/sito/merck/sez01/0030037.html (3 of 4)02/09/2004 2.14.42

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

grave danno renale o si può verificare nell'acidosi tubulare renale, nell'ipofosforemia familiare legata al cromosoma X o nella sindrome di Fanconi (v. Anomalie del trasporto renale nel Cap. 261). L'osteomalacia deve essere differenziata dalle altre cause di estesa decalcificazione ossea (p. es., iperparatiroidismo, osteoporosi senile o postmenopausale, osteoporosi da ipertiroidismo, sindrome di Cushing, mieloma multiplo e atrofia da disuso). Le modificazioni dei livelli sierici di calcio, di fosfato, di fosfatasi alcalina e di 25(OH)D3, insieme ai reperti rx, confermano la diagnosi.

Profilassi Bisogna dare alle popolazioni a rischio una buona educazione sanitaria, inclusi i consigli dietetici. Il latte materno umano è carente di vitamina D, contenendo in media solo 1,0 mg/l (40 UI/l), generalmente sotto forma di 25(OH)D3, mentre il latte di mucca arricchito ne contiene 10 mg/l (400 UI/l). I neonati allattati al seno devono essere, quindi, trattati con un supplemento di vitamina D, 7,5 mg (300 UI) /die dalla nascita fino ai 6 mesi, quando è attuabile una dieta più differenziata. In Gran Bretagna, l'arricchimento della farina con vitamina D (125 mg / kg) si è dimostrato efficace negli immigrati indiani. In estremo oriente, una singola dose IM di 2,5 mg (100000 UI) di ergocalciferolo somministrata agli adolescenti in autunno determina un sostanziale aumento della 25(OH)D3 fino alla primavera.

Terapia In presenza di un'adeguata assunzione di calcio e di fosforo, l'osteomalacia e il rachitismo non complicato possono essere curati con la somministrazione di 40 mg/die (1600 UI) di vitamina D. I livelli sierici di 25(OH)D3 e di 1,25(OH)2D3 cominciano ad aumentare in 1-2 gg. Il fosforo sierico aumenta in circa 10 giorni. La Fig. 3-1 illustra la risposta di un bambino rachitico alla terapia con vitamina D. Durante la 3a sett. di trattamento, si possono osservare sulle rx i segni del deposito di calcio e di fosforo nel tessuto osseo. Dopo circa un mese di terapia, la dose può essere gradualmente ridotta fino all'usuale dose di mantenimento di 10 mg / die (400 UI). Se è presente la tetania, la somministrazione di vitamina D deve essere integrata con quella dei sali di calcio EV durante la prima settimana (v. Ipocalcemia sotto Disturbi del metabolismo del calcio nel Cap. 12). Il rachitismo e l'osteomalacia che derivano da un deficit di produzione dei metaboliti della vitamina D (v. Tab. 3-2) non rispondono alle dosi usualmente efficaci nel rachitismo nutrizionale. Alcuni casi rispondono a dosi giornaliere massicce (600-1200 mg/die di vitamina D2 o D3), che però possono causare anche uno stato di tossicità. Quando c'è una difettosa produzione di 25(OH)D3, la somministrazione di 50 mg/die di 25(OH)D3 aumenta i livelli plasmatici con un conseguente miglioramento clinico.

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Insufficienza renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 222. INSUFFICIENZA RENALE (v. anche Malattia Renale e Diabete Mellito nel Cap. 251 e Alterazioni Renali ed Elettrolitiche nel Cap. 38).

INSUFFICIENZA RENALE CRONICA Condizione clinica causata da alterazione e insufficienza cronica della funzione renale escretoria e di regolazione (uremia).

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

L’insufficienza renale cronica (IRC) può essere provocata da una qualsiasi importante causa di disfunzione renale (v. Tab. 222-3). La causa più comune di insufficienza renale terminale è la nefropatia diabetica, seguita dalla nefroangiosclerosi ipertensiva e da diverse glomerulopatie primarie e secondarie. Gli effetti funzionali della IRC possono essere sintetizzati in: riserva renale diminuita, insufficienza renale e uremia. Il concetto di adattamento funzionale renale spiega come mai una perdita del 75% del tessuto renale produce soltanto una caduta del 50%, rispetto alla norma, della GFR. Con una minore riserva renale vi è una perdita misurabile della funzione renale, ma l’omeostasi viene preservata a spese di alcuni adattamenti ormonali (p. es., iperparatiroidismo secondario e modificazioni intrarenali dell’equilibrio glomerulotubulare). Le concentrazioni plasmatiche di creatinina e urea (che sono altamente dipendenti dalla filtrazione glomerulare) cominciano ad aumentare in modo non lineare, quando diminuisce la GFR. Alterazioni delle concentrazioni di creatinina e urea non avvengono nelle fasi iniziali; quando la GFR scende sotto 6 ml/min/ m2, i livelli aumentano rapidamente e di solito sono associati a manifestazioni sistemiche (uremia). Per le sostanze che sono escrete principalmente mediante secrezione dai nefroni distali (p. es., K), l’adattamento di solito porta a concentrazioni plasmatiche normali fino all’insufficienza avanzata. Nonostante la diminuzione della GFR, il bilancio idrico e del Na è ben conservato dall’aumento della frazione di escrezione del Na e da una normale risposta alla sete. Così, la concentrazione plasmatica di Na è tipicamente normale e l’ipervolemia è infrequente nonostante l’assunzione immodificata di Na con la dieta. Tuttavia, si possono verificare squilibri se l’assunzione di Na e liquidi è molto limitata o eccessiva.

Sintomi e segni I pazienti con riserva renale modicamente diminuita sono asintomatici e la disfunzione renale può essere scoperta soltanto con esami di laboratorio. Un paziente con insufficienza renale può presentare soltanto sintomi vaghi, file:///F|/sito/merck/sez17/2221981.html (1 of 5)02/09/2004 2.14.43

Insufficienza renale

malgrado azoto ureico e creatininemia elevate; si nota nicturia, dovuta principalmente all’incapacità a concentrare l’urina durante la notte. Astenia, stanchezza e un certo grado di obnubilamento sono spesso le prime manifestazioni di uremia. Gli aspetti neuromuscolari comprendono grossolane contrazioni muscolari, neuropatie periferiche con fenomeni sensitivi e motori, crampi muscolari e convulsioni (solitamente risultato di encefalopatia ipertensiva o metabolica). Anoressia, nausea, vomito, stomatite e alitosi sono quasi uniformemente presenti. L’aspetto dominante dell’uremia cronica è la malnutrizione che porta alla distruzione dei tessuti. Nell’IRC avanzata, sono frequenti ulcere ed emorragie GI. Nell’80% dei pazienti con insufficienza renale avanzata, si ha ipertensione che di solito è in relazione all’ipervolemia e, talvolta, all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. La cardiopatia (ipertensiva, ischemica) e la ritenzione renale di Na e acqua possono provocare insufficienza cardiaca congestizia o a edema declive. La pericardite, che si osserva frequentemente nell’uremia cronica, si può presentare nell’uremia acuta, potenzialmente reversibile. La cute può apparire giallo-brunastra; a volte l’urea proveniente dal sudore può cristallizzare sulla cute come brina uremica. Per alcuni pazienti, il prurito è particolarmente fastidioso. L’osteodistrofia renale (anormale mineralizzazione ossea dovuta a iperparatiroidismo, deficit di calcitriolo, fosforo sierico elevato o Ca sierico basso o normale) di solito assume l’aspetto di malattia ossea da iperparatiroidismo (osteite fibrosa). L’osteomalacia da esposizione cronica a sali di alluminio come i leganti del fosforo e la contaminazione del dialisato, una volta era frequente ma ora è diminuita a circa il 5% dei casi. La forma prevalente e in aumento di osteodistrofia renale è la malattia adinamica dell’osso, la lesione ossea predominante nella dialisi peritoneale (60%); nei pazienti in emodialisi, ha una prevalenza sovrapponibile a quella dell’osteite fibrosa (circa 36% versus 38%). Anomalie del metabolismo lipidico si verificano anche nell’IRC in trattamento dialitico e dopo trapianto renale. Il principale reperto nell’IRC e nei pazienti in dialisi è l’ipertrigliceridemia; il livello di colesterolo totale è di solito normale.

Diagnosi Il primo provvedimento è determinare se l’insufficienza renale è acuta, cronica o acuta instauratasi su una cronica (v. Tab. 222-4). La progressione fino all’IRC è comune quando la concentrazione della creatinina sierica è > 1,5-2 mg/dl. Questa si può verificare anche se la patologia sottostante non è attiva. Ottenere una diagnosi precisa diviene sempre più difficile man mano che il paziente si avvicina all’insufficienza renale terminale. Lo strumento per la diagnosi definitiva è la biopsia renale, ma non è indicata quando l’ecografia mostra reni piccoli e fibrotici. Urea e creatinina sono elevate. Le concentrazioni plasmatiche di Na possono essere normali o ridotte. Il K sierico è normale o soltanto moderatamente elevato (< 6 mmol/l) nonostante l’assunzione di diuretici risparmiatori di K, di ACEinibitori, di β-bloccanti o di bloccanti i recettori dell’angiotensina. Possono essere presenti anomalie del metabolismo del Ca, fosforo, ormone paratiroideo (PTH), vitamina D e osteodistrofia renale; si riscontrano regolarmente ipocalcemia e iperfosfatemia. Generalmente, un’acidosi di grado moderato (contenuto plasmatico di CO2, 1520 mmol/l) e l’anemia sono caratteristiche. L’anemia dell’IRC è normocromica normocitica (v. anche Cap. 127), con un Htc del 20-30% (o 35-50% nei pazienti con malattia policitica renale). Solitamente è dovuta a un deficit di produzione di eritropoietina provocato da una riduzione della massa renale funzionante. Altre cause comprendono carenze di ferro, folato e cianocobalammina. La diuresi non risponde rapidamente a variazioni dell’assunzione di liquidi. L’osmolarità urinaria è solitamente stabile, vicina a quella plasmatica (da 300 a 320 mOsm/kg). I file:///F|/sito/merck/sez17/2221981.html (2 of 5)02/09/2004 2.14.43

Insufficienza renale

reperti dell’analisi dell’urina dipendono dalla natura dell’affezione sottostante, ma nell’insufficienza renale avanzata di qualsiasi origine sono spesso evidenti grandi cilindri (specialmente cerei).

Prognosi e terapia La prognosi dipende dalla natura della malattia sottostante e dalle complicanze sovrapposte. Queste ultime possono causare riduzioni acute della funzione renale che sono reversibili con la terapia. Il controllo dell’iperglicemia nella nefropatia diabetica e dell’ipertensione riduce sostanzialmente il deterioramento della GFR. La restrizione proteica probabilmente ha un modesto beneficio. Gli ACE inibitori, e forse i bloccanti dei recettori dell’angiotensina, diminuiscono il tasso di riduzione della GFR nella nefropatia diabetica. I fattori che aggravano o provocano IRC (p. es., deplezione di Na e acqua, nefrotossine, scompenso cardiaco, infezione, ipercalcemia, ostruzione) devono essere trattati in modo specifico. Tuttavia, la progressione della malattia renale cronica sottostante non risponde a nessun specifico trattamento. Se l’uremia è il risultato di una patologia progressiva e non curabile, il trattamento conservativo è una palliazione fino a che non si renda necessaria la dialisi o il trapianto. Il trattamento dietetico dovrebbe ricevere un’attenzione meticolosa a mano a mano che l’IRC evolve verso la fase terminale. L’anoressia richiede la valutazione dell’assunzione calorica. Un aumento dall’assunzione calorica dovrebbe essere controbilanciato da una riduzione di proteine nella dieta (nei pazienti diabetici, 0,6 g/kg/ die; nei pazienti non diabetici, > 0,8 g/kg/die se la GFR è 25-55 ml/min o 0,6 g/kg/die se GFR è 13-24 ml/min). Il catabolismo proteico endogeno viene ridotto al minimo fornendo carboidrati e grassi per venire incontro alle necessità energetiche e per prevenire la chetosi. Una dieta proteica mista, che includa alcune proteine di bassa qualità per ottenere una certa varietà, migliora il gradimento da parte del paziente. Si dovrebbe integrare l’equivalente della perdita proteica urinaria. Molti sintomi uremici (fatica, nausea, vomito, crampi, confusione) diminuiscono marcatamente quando il catabolismo proteico e la produzione di urea sono ridotti, sebbene sia modesto un effetto di rallentamento sulla continua riduzione della GFR. Può essere possibile ritardare la dialisi o il trapianto per un breve periodo. Poiché le restrizioni dietetiche possono ridurre l’assunzione di vitamine necessarie, i pazienti devono prendere preparazioni multivitaminiche contenenti vitamine idrosolubili. La somministrazione di vitamina A o E non è necessaria. Le modifiche dietetiche possono essere utili per l’ipertrigliceridemia, ma i fibrati (clofibrato, gemfibrozil) non sono raccomandati per l’aumentato rischio di rabdomiolisi, specialmente se assunti insieme alle statine. Nei rari pazienti con ipercolesterolemia, un farmaco della famiglia della statina (p. es., fluvastatina, pravastatina, simvastatina, atorvastatina) risulta efficace. La correzione dell’ipercolesterolemia può rallentare il tasso di progressione della sottostante malattia renale e riduce il rischio coronarico. I liquidi e i livelli degli elettroliti sono un importante aspetto della terapia. L’assunzione di liquidi dovrebbe essere limitata solo nei casi in cui non si riesca a mantenere una concentrazione sierica di Na da 135 a 145 mmol/l. L’assunzione di Na non dovrebbe essere limitata, a meno che non sia controindicata per la presenza di edema o di ipertensione. L’assunzione di K è in stretta relazione all’ingestione di proteine e frutta e di solito non necessita di modificazioni. Talvolta, una disfunzione tubulare renale o una terapia diuretica vigorosa possono rendere necessario un supplemento di K. L’iperkaliemia non è frequente (a eccezione dell’ipoaldosteronismo iporeninemico o della terapia con diuretici risparmiatori di K) fino all’insufficienza renale terminale, quando può essere necessario limitarne l’assunzione a 50 mmol/die. Una modesta iperkaliemia (< 6 mmol/l) può essere trattata con riduzione dell’assunzione di proteine e con correzione dell’acidosi metabolica. Un’iperkaliemia più grave (> 6 mmol/l) autorizza una terapia urgente se l’ECG evidenzia alterazioni da iperpotassiemia.

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Insufficienza renale

Il polistirene sulfonato sodico può essere utile per il trattamento dell’IRC prima della dialisi. Gli effetti delle resine a scambio ionico sono relativamente lenti (0,51 h) se usate per via rettale e da 1 a 2 h se assunte PO. Nell’insufficienza renale precoce (GFR > 50 ml/min, fosfato sierico < 5 mg/dl [< 1,6 mmol/l]), un regime dietetico con apporto di fosforo < 1 g/die è sufficiente per ritardare l’iperparatiroidismo secondario. Quando la GFR è < 30 ml/min (concentrazione sierica di creatinina circa 5 mg/dl [440 µmol/l]) e il fosforo sierico è > 5 mg/dl, i sali di Ca leganti il fosforo (acetato o carbonato) devono essere iniziati per ottenere una fosforemia < 6 mg/dl. Il calcitriolo 1-4 µg PO somministrato due volte a settimana viene aggiunto in terapia per sopprimere concentrazioni di PTH intatto > 400 pg/ml e ridurle a circa 150-300 pg/ml, per evitare la malattia adinamica dell’osso. In alcuni pazienti senza iperparatiroidismo secondario, il calcitriolo PO può essere necessario per evitare l’ipocalcemia nonostante l’elevata quantità di Ca assunto PO. Un’acidosi modesta(pH 7,30-7,35) non richiede terapia. Tuttavia, l’acidosi metabolica cronica (pH < 7,3) è di solito associata a un contenuto plasmatico di CO2 < 15 mmol/l e a sintomi di anoressia, astenia, dispnea, di eccessivo catabolismo proteico e di osteodistrofia renale. Il bicarbonato di sodio 2 g/die PO viene aumentato gradualmente finché la sintomatologia non regredisce (contenuto di CO2 circa 20 mmol/l) o finché l’evidenza di un sovraccarico di Na impedisca un’ulteriore terapia. L’anemia viene trattata al fine di mantenere l’Htc tra il 30 e il 36%. L’anemia risponde lentamente all’eritropoietina umana ricombinante (p. es., epoetin alfa 50150 U/kg SC 1-3 volte/ sett). A causa dell’aumentata utilizzazione di ferro da stimolazione dell’eritropoiesi, le riserve di ferro devono essere rimpiazzate, di solito con terapia marziale parenterale. Sideremia, capacità ferro legante e ferritina sono tenute sotto stretto controllo. Le emotrasfusioni non devono essere effettuate a meno che l’anemia non sia grave (Htc < 18%) o sintomatica, riducendo in questo modo il rischio di infezioni virali correlate alla trasfusione e della possibilità di indurre sensibilizzazione nei pazienti in attesa di trapianto. La tendenza al sanguinamento nell’IRC può essere diminuita dalla trasfusione di GR, piastrine o crioprecipitati, desmopressina EV (0,3-0,4 µg/kg [fino a un massimo di 20 µg] in 20 ml in soluzione fisiologica isotonica in 20-30 min) o estrogeni coniugati (2,5-5 mg/die PO). Gli effetti di queste terapie durano 1248 ore, a eccezione degli estrogeni coniugati, che possono ridurre il tempo di sanguinamento per diversi giorni. L’insufficienza cardiaca congestizia, il più delle volte dovuta a ritenzione di Na e liquidi da parte del rene, risponde alla restrizione di Na e ai diuretici. Se la funzionalità del ventricolo sinistro è ridotta, possono essere impiegati gli ACE inibitori. Si può introdurre la digossina, ma il dosaggio deve essere ridotto. Diuretici come la furosemide sono di solito efficaci anche quando la funzione renale è significativamente ridotta. L’ipertensione moderata o grave dovrebbe essere trattata per evitare il suo effetto deleterio sulla funzione cardiaca e renale. I pazienti che non rispondono a una moderata riduzione dell’assunzione di Na (100 mmol/die) necessitano di un’ulteriore restrizione dietetica di Na e di terapia diuretica (furosemide da 80 a 240 mg bid). Se l’ipertensione e l’edema non vengono così controllati, si può aggiungere alla terapia con furosemide ad alto dosaggio, l’idroclorotiazide 50 mg bid o il metolazone da 5 a 10 mg/die. Se un’attenta riduzione del volume extracellulare non controlla la PA, vengono aggiunti i convenzionali farmaci antiipertensivi. Nel corso di questo trattamento l’azotemia può aumentare, ma, per un breve periodo, è accettabile, anche se si rendesse necessario un temporaneo trattamento dialitico. Il prurito può rispondere alla fototerapia con raggi ultravioletti. Non c’è bisogno di limitare l’attività fisica, in quanto fatica e rilassamento la mantengono di solito entro limiti accettabili. Quando la terapia convenzionale non è più efficace, si devono prendere in considerazione la dialisi cronica (v. Cap. 223) o il trapianto (v. Cap. 149).

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Insufficienza renale

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIA RENALE Di regola, una paziente che presenta una disfunzione renale significativa (creatinina sierica > 3 mg/dl [> 270 µmol/l] o azotemia > 30 mg/dl [> 10,5 mmol urea/l]) prima della gravidanza, non può portare a termine la gravidanza stessa. Tuttavia, alcune donne affette da patologie renali anche gravi hanno partorito feti vitali così come è successo a donne che erano sottoposte a un trattamento dialitico cronico o che erano state sottoposte a un trapianto di rene. La gravidanza sembra non avere alcun effetto significativo sull’insorgenza delle patologie renali non infettive, purché l’ipertensione sia assente o controllata. Il trattamento richiede una stretta collaborazione col nefrologo. L’azotemia e la creatininemia, oltre alla clearance della creatinina, devono essere misurate almeno una volta al mese; la PA e il peso devono essere misurati ogni 2 sett. I diuretici sono somministrati solo per controllare la PA o l’edema eccessivo; in alcune pazienti possono essere necessari altri farmaci per tenere sotto controllo la PA. L’incidenza della preeclampsia è elevata. Si deve tenere in considerazione il ricovero in ospedale dopo la 28a sett. di gestazione, poiché può essere necessario espletare il parto prima del termine, per salvaguardare il feto. Si devono eseguire il test di stimolazione con l’ossitocina (OCT) e il "non stress test", oltre a un profilo biofisico (v. Monitoraggio del feto nel Cap. 249); se i risultati sono normali, la gravidanza può continuare. Si devono determinare, inoltre, il rapporto lecitine/sfingomieline e il fosfatidilglicerolo. Se il rapporto è > 2:1 e il fosfatidilglicerolo è il 3%, specialmente se la clearance della creatinina è in riduzione, o in presenza di alterazioni del OCT e del NST, si deve espletare il parto. Il parto per via vaginale può essere scelto se si presenta facile e la cervice è ben preparata, ma di solito è necessario ricorrere a un parto cesareo.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTRI SINTOMI E SEGNI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTERAZIONI RENALI ED ELETTROLITICHE Le alterazioni renali ed elettrolitiche sono di comune riscontro, specialmente nelle epatopatie croniche con ascite. L'ipokaliemia è causata dall'eccessiva perdita di K con le urine, dovuta all'aumento dell'aldosterone in circolo, alla ritenzione renale di ioni ammonio scambiati con ioni K, all'acidosi tubulare renale secondaria e alla terapia diuretica. Il trattamento consiste nel somministrare PO un supplemento di K e nell'evitare i diuretici che inducono una perdita di ioni K. Il rene può ritenere avidamente il Na (v. Ascite, sopra). Nonostante ciò, è comune un'iponatriemia che è espressione di un'epatopatia avanzata ed è di difficile correzione. Ne sono responsabili il sovraccarico idrico relativo e, meno frequentemente, la deplezione del Na totale corporeo; anche la deplezione di K vi può contribuire. Un'adeguata restrizione dei liquidi nella dieta e una somministrazione supplementare di K possono spesso rivelarsi utili; l'uso di diuretici che aumentano la clearance dell'acqua libera è invece controverso. Solo di rado sono utili le infusioni EV di soluzioni di NaCl, a meno che l'iponatriemia non metta in pericolo la vita del paziente e non esista un'evidente deplezione del Na totale corporeo; queste infusioni devono essere evitate nei cirrotici con ritenzione di liquidi, dal momento che possono peggiorare l'ascite e hanno solamente un effetto transitorio sui livelli sierici del Na. Nell'insufficienza epatica di grado avanzato, diverse turbe metaboliche e respiratorie possono produrre un'alcalosi o un'acidosi. L'azotemia è spesso bassa per la ridotta sintesi epatica di urea; se ne osserva un aumento dopo un'emorragia GI per l'aumentato riassorbimento intestinale di composti azotati, piuttosto che per una reale compromissione renale, come dimostra la normale creatininemia. L'insufficienza renale nelle epatopatie può essere l'espressione di: (1) una malattia che interessa direttamente entrambi gli organi (p. es., intossicazione da tetracloruro di carbonio, rara); (2) un'insufficienza circolatoria con riduzione della perfusione renale, con o senza una franca necrosi tubulare acuta; (3) un'insufficienza renale funzionale, spesso chiamata sindrome epato-renale. Questo tipo di insufficienza renale è un disturbo progressivo senza alcuna apparente alterazione morfologica del rene; si riscontra di solito nell'epatite fulminante o nella cirrosi avanzata con ascite. La sua patogenesi è sconosciuta, ma probabilmente implica un'alterazione del flusso ematico della corticale del rene a genesi nervosa o umorale. Ne annunciano l'insorgenza un'oliguria insidiosamente progressiva e un'iperazotemia. La bassa concentrazione urinaria del Na e la negatività del sedimento urinario, ne permettono in genere la distinzione dalla necrosi tubulare, mentre è più difficile differenziarla dall'iperazotemia prerenale; nei casi dubbi si deve valutare la risposta a un carico di volume. Una volta instauratasi, l'insufficienza renale è quasi sempre progressiva e fatale in quanto non c'è una terapia efficace. Il quadro clinico può essere complicato da un'ipotensione terminale con necrosi tubulare, ma all'autopsia i reni sono generalmente privi di alterazioni particolari.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 222-3. PRINCIPALI CAUSE DI INSUFFICIENZA RENALE CRONICA Glomerulopatie Malattie glomerulari primitive Nefropatia da IgA Glomerulosclerosi focale Nefropatia membranosa Glomerulonefrite membranoproliferativa Glomerulonefrite a semilune idiopatica Glomerulopatie associate a malattia sistemica Diabete mellito Glomerulonefrite postinfettiva LES Granulomatosi di Wegener Sindrome emolito-uremica Amiloidosi Nefropatie tubulo-interstiziali croniche ( v. tabella 225-1) Nefropatie ereditarie Malattia policistica renale Sindrome di Alport Malattia cistica midollare

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Manuale Merck - Tabella

Sindrome unghia-rotula Ipertensione Nefroangiosclerosi Glomerulosclerosi maligna Malattia renale macrovascolare (vasculopatia di arterie e vene) Uropatia ostruttiva Ostruzione ureterale (congenita, da calcolo, tumorale) Reflusso vescico-ureterale Iperplasia prostatica benigna

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 225-1. CAUSE DI NEFRITE TUBULOINTERSTIZIALE Nefrite tubulo-interstiziale acuta

Nefrite tubulo-interstiziale cronica

Nefrite da ipersensibilità indotta da farmaci Nefrite indotta da farmaci (v.Fig.226-1) Farmaci analgesici Infezioni sistemiche Litio Streptococcosi Farmaci antineoplastici Leptospirosi Farmaci immunosoppressori (ciclosporina, tacrolimus) Febbre delle montagne Rocciose Nefrite tubulo-interstiziale da agenti fisici Malattia del legionario Uropatie ostruttive (compresa la uropatia da Pielonefrite (infezioni batteriche acute, reflusso) micotiche, virali, v.Cap.227) Nefrotossicità indotta da farmaci (v. Tab.226-1)

Nefrite da radiazioni Nefrite infettiva

Reazioni immunologiche Pielonefrite acuta batterica Rigetto acuto di trapianto (v. Cap. 149) Malattie metaboliche Ipercalcemia Iperuricemia Uropatie ostruttive acute Idiopatica

Pielonefrite cronica Pielonefrite xantogranulomatosa Nefrite interstiziale dovuta a infezione sistemica Nefrite metabolica e tossica (v.Cap.226) Iperossaluria Iperuricemia e iperuricosuria Ipercalcemia e ipercalciuria Ipokaliemia cronica

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Manuale Merck - Tabella

Esposizione a piombo e cadmio Nefrite tubulo-interstiziale da danno vascolare Ipertensione Malattia drepanocitica Embolia colesterinica Trombosi vena renale Nefrite tubulo-interstiziale da disprotinemia e neoplasia Mieloma multiplo Amiloidosi Malattia cistica Malattia policistica renale Malatia cistica acqusita Nefronoftisi- malattia midollare cistica Rene a spugna midollare Altre malattie associate LES e altre malattie da immunocomplessi Sindrome di Sjögren Sarcoidosi Nefropatia dei balcani Rigetto di trapianto

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 226-1. COMUNI AGENTI NEFROTOSSICI Antibiotici

Aminoglicosidi, sulfamidici, anfotericina B, polimixina, , bacitracina, rifampicina, cefaloridina, meticillina, acido aminosalicilico, foscarnet, pentamidina

Prodotti diagnostici

Mezzi di contrasto a base di iodio organico

Analgesici

Salicilati, paracetamolo, fenacetina, FANS, fenilbutazone, inibitori della prostaglandina-sintetasi

Metalli pesanti

Hg inorganico (cloruro), sali di Hg organico (metile, etile, fenile, etilmercurotiosalicilato di sodio, diuretici mercuriali), piombo inorganico, piombo organico (tetraetile), cadmio, uranio, oro (specialmente tiomalato sodico), rame, arsenico, arsina (triidruro di arsenico), ferro, cromo (specialmente triossido), tallio, selenio, vanadio, bismuto

Solventi

Metanolo, glicol etilenico, glicol dietilenico, Cellosolves, tetracloruro di carbonio, tricloroetilene, idrocarburi vari

Induttori di immunocomplessi

Penicillamina, captopril, levamisolo, sali d’oro

Erbicidi e pesticidi

Paraquat, cianuro, diossina, difenile, cicloessamidi, insetticidi con cloro organico (endrina, aldrina, endosulfan, dieldrina, lindane, benzene esacloruro, diclorodifeniltricloroetano [DDT], heptaclor, clordecone, policlorati di terpene, chlordane, dicofol [kelthane], clorobenzilato, mirex, metossicloro)

Piante e altri agenti biologici

Funghi (p.es., Amanita phalloides, grave avvelenamento muscarinico), veleno di serpenti e di ragni, punture di insetti, aflatossine

Farmaci immunosoppressori ed antiblastici

Ciclosporina, tacrolimus, cisplatino, ciclofosfamide, ifosfamide streptozocina, metotrexate, nitrosourea (lomustina, carmustina, metil lomustina), doxorubicina, daunorubicina

Sostanze implicate nella formazione di metacmoglobina

Anestetici locali (benzocaina, prilocaina), antimicrobici (clorochina, dapsone, primachina, sulfamidici), analgesici (fenazopiridina, fenacetina), nitrati e nitriti (nitrito di amile, butil nitrito, isobutil nitrito, sodio nitrito), vari (aminofenolo, coloranti anilici, bromati, clorati, metoclopramide, nitrobenzene, ossido nitrico, nitroglicerina)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 222-4. classificazione dell’insufficienza renale acuta versus cronica Reperto Precedente noto aumento della creatinina sierica

Commento Evidenza molto attendibile di IRC

Ecografia renale Reni piccoli

Alta associazione con IRC

Reni normali o ingranditi

Possono associarsi a IRA e ad alcune forme di IRC (nefropatia diabetica, mieloma, nefroangiosclerosi maligna, glomerulonefrite rapidamente progressiva)

Oliguria, aumento giornaliero della creatinina sierica e dell’azoto ureico

Probabilmente IRA o IRA su preesistente IRC

Cheratopatia a banda

Probabilmente IRC

Assenza di anemia

Probabilmente IRA o IRC da PCKD

Anemia grave, Probabilmente IRC, ma iperfosfatemia, ipocalcemia osservate anche nell’IRC Erosioni subperiosteali alla radiografia

Probabilmente IRC

Sintomi o segni cronici (fatica, nausea, prurito, nicturia, ipertensione)

Elevata associazione con IRC

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE NEL TRASPORTO RENALE CISTINURIA Difetto ereditario dei tubuli renali, caratterizzato da un deficit del riassorbimento tubulare renale dell’aminoacido cistina, di cui aumenta l’escrezione urinaria con frequente formazione di calcoli (di cistina) nelle vie urinarie.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

La cistinuria è ereditata con meccanismo di tipo autosomico recessivo. Negli eterozigoti vi può essere aumento dell’escrezione di cistina con le urine, che raramente è tale da indurre la formazione di calcoli.

Fisiopatologia Il difetto principale è un ridotto riassorbimento tubulare renale di cistina, cui consegue un’aumentata concentrazione urinaria. La cistina è scarsamente solubile in ambiente acido e quando la sua concentrazione urinaria supera la sua solubilità precipita, sia sotto forma di cristalli che di calcoli. Anche il riassorbimento di aminoacidi bibasici (lisina, ornitina e arginina) è ostacolato, ma senza conseguenze, poiché esiste un sistema di trasporto alternativo a loro dedicato, separato da quello della cistina. Gli aminoacidi bibasici possiedono una solubilità urinaria maggiore della cistina e l’aumento della loro escrezione non determina cristallizzazione o formazione di calcoli. Il loro assorbimento intestinale (e anche quello della cistina) risulta inoltre diminuito.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi, più comunemente coliche renali, appaiono di solito a un’età compresa tra i 10 e i 30 aa. Si possono avere infezioni delle vie urinarie e insufficienza renale a causa dell’uropatia ostruttiva. I calcoli radioopachi di cistina si formano nella pelvi renale o nella vescica. Frequenti sono i calcoli a "corna di cervo". La cistina in eccesso escreta nelle urine si può presentare come cristalli esagonali giallo-marrone, visibili all’esame microscopico del sedimento urinario (n.d.t.) e può essere evidenziata con il test al nitroprussiato di cianuro. La diagnosi viene confermata con la cromatografia o

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Anomalie congenite

l’elettroforesi.

Prognosi e terapia Nei pazienti che sopravvivono a lungo si arriva di regola a una insufficienza renale cronica. La concentrazione urinaria di cistina può essere ridotta aumentando il volume urinario (mediante iperidratazione n.d.t.). L’ingestione di liquidi deve essere tale da fornire un flusso urinario fino a 4 l/die. L’idratazione è importante durante la notte, quando il pH urinario si abbassa. Inoltre l’alcalinizzazione dell’urina a un pH > 7,5 con somministrazione orale di bicarbonato di sodio, in dosi frazionate e di acetazolamide 5 mg/kg (fino a 250 mg) PO prima di coricarsi, farà aumentare in modo significativo la solubilità della cistina. Quando l’aumento dell’apporto di liquidi e l’alcalinizzazione non sono in grado di ridurre la formazione di calcoli, possono essere tentate altre terapie, p. es., la penicillamina, sebbene la sua tossicità ne limiti l’utilità. La metà circa dei pazienti trattati con penicillamina presenta qualche segno di tossicità, come febbre, eruzione cutanea, artralgia e, meno spesso, sindrome nefrosica, pancitopenia o reazione tipo LES.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL MAGNESIO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL MAGNESIO IPOMAGNESIEMIA Concentrazione plasmatica di magnesio al di sotto di 1,4 mEq/l (0,70 mmol/l).

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

L'ipomagnesiemia grave viene spesso identificata con la deplezione di Mg. Tuttavia, la concentrazione plasmatica di Mg, anche se viene misurato lo ione Mg libero, può non riflettere lo stato dei depositi intracellulari od ossei dello ione. I disordini associati a deficit di Mg sono complessi e solitamente sono accompagnati da disturbi metabolici e nutrizionali multipli.

Eziologia e patogenesi La deplezione di magnesio deriva di solito da un apporto inadeguato associato a un'alterazione dell'assorbimento renale o intestinale. Essa è stata descritta in associazione alla nutrizione parenterale prolungata (solitamente in combinazione con la perdita di liquidi corporei attraverso l'aspirazione gastrica o la diarrea), all'allattamento (aumento delle richieste di Mg) e alle condizioni di alterazione della conservazione renale del Mg, come l'ipersecrezione di aldosterone, ADH od ormone tiroideo, l'ipercalcemia, l'acidosi diabetica e la terapia con cisplatino o diuretici. Un deficit di Mg clinicamente significativo è il più delle volte associato a (1) sindromi da malassorbimento di qualsiasi origine, in cui l'elevata escrezione fecale di Mg è probabilmente correlata con i livelli di steatorrea più che con la sede intestinale di riduzione dell'assorbimento di per sé; (2) malnutrizione proteico-calorica (p. es., kwashiorkor); (3) patologia paratiroidea, in cui l'ipomagnesiemia compare dopo la rimozione di un tumore paratiroideo, specialmente se è presente un'osteite fibrosa grave (presumibilmente il Mg viene trasferito all'osso in fase di rapida mineralizzazione e il deficit di Mg può rendere conto della resistenza dell'ipocalcemia alla correzione con vitamina D in alcuni pazienti con ipoparatiroidismo); (4) alcolismo cronico, in cui l'ipomagnesiemia è probabilmente dovuta sia ad apporto inadeguato sia a eccessiva escrezione renale; (5) diarrea cronica.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Sintomi e segni Sulla base di quanto osservato nella deplezione sperimentale di Mg in volontari umani, le manifestazioni cliniche del deficit di Mg sono l'anoressia, la nausea, il vomito, la letargia, l'astenia, il cambiamento di personalità, la tetania (p. es., positività del segno di Trousseau o di Chvostek o spasmo carpopedalico spontaneo), il tremore e le fascicolazioni muscolari. I segni neurologici, in particolare la tetania, sono correlati con lo sviluppo concomitante di ipocalcemia e ipokaliemia. All'elettromiografia vengono riscontrati potenziali miopatici, ma essi sono compatibili anche con l'ipocalcemia o l'ipokaliemia. Sebbene non sia stato osservato sperimentalmente, è probabile che l'ipomagnesiemia grave possa determinare crisi convulsive tonico-cloniche generalizzate, specialmente nei bambini.

Esami di laboratorio Quando la deplezione di Mg è grave, spesso è presente ipomagnesiemia. Ipocalcemia e ipocalciuria sono comuni nei pazienti con steatorrea, alcolismo o altre cause di deplezione di Mg. Può essere presente ipokaliemia con aumento dell'escrezione urinaria di K e alcalosi metabolica. Così, l'ipocalcemia e l'ipokaliemia inspiegate devono suggerire la possibilità di una deplezione di Mg.

Terapia Il trattamento con sali di Mg (solfato o cloruro) è indicato quando il deficit di Mg è sintomatico o associato a grave e persistente ipomagnesiemia < 1 mEq/l (< 0,5 mmol/l). In tali casi, carenze prossime a 12-24 mg/kg sono un'evenienza possibile. Nei pazienti con funzionalità renale conservata bisogna somministrare una quantità pari a circa il doppio del deficit calcolato, poiché circa il 50% del Mg somministrato viene escreto con le urine. Di solito, metà della dose viene somministrata nelle prime 24 h e il rimanente nei successivi 4 giorni. La somministrazione parenterale è riservata ai pazienti che sono affetti da grave ipomagnesiemia sintomatica o che non sono in grado di tollerare i farmaci per via orale. Quando il Mg deve essere reintegrato per via parenterale, una soluzione di solfato di magnesio (MgSO4) al 10% (1 g/10 ml) è disponibile per l'uso EV e una soluzione al 50% (1 g/ 2 ml) viene utilizzata per la somministrazione IM. Il livello plasmatico di Mg deve essere controllato di frequente durante la terapia, in particolare quando il Mg viene somministrato per via parenterale o a pazienti con insufficienza renale. Il trattamento viene proseguito fino a che non viene ottenuto un livello plasmatico normale di Mg. Nella grave ipomagnesiemia sintomatica (p. es., in caso di convulsioni generalizzate, Mg < 1 mEq/l [< 0,5 mmol/l]), si possono somministrare da 2 a 4 g di MgSO4 EV in 5-10 min. Se le convulsioni persistono, la dose può essere ripetuta fino a raggiungere un totale di 10 g nelle 6 ore successive. Se le convulsioni si interrompono, si possono infondere 10 g in 1 l di soluzione glucosata al 5% in 24 h, seguiti da un quantitativo massimo di 2,5 g q 12 h per reintegrare il deficit dei depositi totali di Mg e prevenire ulteriori cadute del Mg plasmatico. Quando la magnesiemia è < 1 mEq/l (< 0,5 mmol/l) ma i sintomi sono meno gravi, il MgSO4 può essere somministrato EV in soluzione glucosata al 5% a una velocità di 1 g/h in infusione lenta per un tempo massimo di 10 h. Nei casi meno gravi di ipomagnesiemia, una reintegrazione graduale può essere ottenuta mediante la somministrazione di dosi parenterali più piccole nel giro di 3-5 giorni fino a che il livello plasmatico di Mg non ritorna normale. (V. anche uso del MgSO4 sotto Preeclampsia ed eclampsia nel Cap. 252.) I pazienti ipocalcemici che presentano anche uno stato di deplezione di Mg con

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

conseguente ipomagnesiemia richiedono generalmente la reintegrazione del Mg in aggiunta alla somministrazione di Ca.

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252.ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA PREECLAMPSIA ED ECLAMPSIA Preeclampsia: sviluppo di ipertensione con albuminuria o edema tra la 20a sett. di gestazione e la fine della prima settimana post-partum. Eclampsia: crisi epilettiche o coma senza altre eziologie che si verificano nello stesso periodo di tempo.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e trattamento

L’eziologia della preeclampsia e dell’eclampsia è sconosciuta. La preeclampsia si sviluppa nel 5% delle donne gravide, generalmente nelle primigravide e nelle donne con ipertensione o affezioni vascolari preesistenti (v. anche Cap. 251). Se non trattata, la preeclampsia rimane generalmente stazionaria per un tempo variabile e poi improvvisamente procede fino all’eclampsia. L’eclampsia si sviluppa in 1 ogni 200 pazienti preeclamptiche e ha, in genere, un esito fatale se non trattata. Una complicanza maggiore della preeclampsia è il distacco placentare (v. oltre), che è apparentemente provocato dall’interessamento vascolare.

Sintomi, segni e diagnosi Ogni donna gravida che presenta una PA di 140/90 mm Hg, edema del volto e delle mani, un’albuminuria 1+ o la cui pressione aumenti in ragione di 30 mm Hg per la sistolica o di 15 mm Hg per la diastolica (anche se non raggiunge livelli superiori a 140/90 mm Hg), deve essere considerata preeclamptica. La preeclampsia moderata si presenta con un’ipertensione ai limiti superiori della norma, edema refrattario o albuminuria. Le pazienti con una PA di 150/ 110 mm Hg, un edema marcato, un’albuminuria 3+, disturbi visivi o dolore addominale sono considerate preeclamptiche gravi. Si devono eseguire tutti i test di laboratorio (emocromo, analisi delle urine, elettroliti, tempo di protrombina, test di funzionalità epatica e PTT) e devono essere corrette le eventuali alterazioni. Si devono valutare l’azotemia e la creatininemia per escludere che vi siano alterazioni renali insospettate.

Profilassi e trattamento Il trattamento è teso a preservare la vita e la salute della madre; anche il feto, in genere, sopravvive. Una paziente con i primi segni di una preeclampsia moderata può essere trattata ambulatorialmente prescrivendo un rigoroso riposo a letto, ma deve essere visitata dal suo medico ogni due giorni. Se le sue condizioni non migliorano rapidamente, deve essere ricoverata. Una volta che è stata presa la decisione di trattare la preeclampsia con misure più complesse del solo riposo a letto, il parto deve rappresentare l’obiettivo della terapia. Non ci file:///F|/sito/merck/sez18/2522206b.html (1 of 3)02/09/2004 2.14.48

Anomalie della gravidanza

sono prove che il ritardare la data del parto aumenti le possibilità di sopravvivenza del feto, eccetto quando le pazienti presentano una preeclampsia insolitamente lieve e rapidamente correggibile con la terapia e il parto sarebbe prematuro. Pertanto, ogni paziente affetta da preeclampsia che non risponde alla terapia, indipendentemente dalla durata della gravidanza, deve essere stabilizzata e quindi fatta partorire. La paziente affetta da una preeclampsia lieve ha bisogno di un apporto normale di sale e aumentato di acqua. Mantenere la paziente a letto e incoraggiarla a giacere sul fianco sinistro aumenta prontamente la diuresi e diminuisce la disidratazione intravascolare e l’emoconcentrazione. Dal momento che l’eziologia è sconosciuta, il trattamento prima del parto è mirato a ridurre i sintomi e il farmaco principale che viene utilizzato è il solfato di magnesio (v. oltre). Nella preeclampsia grave è indicata una terapia più energica. Al ricovero si deve somministrare alla paziente un’infusione EV di una soluzione salina bilanciata (p. es., soluzione di Ringer), attraverso un catetere venoso di grosso calibro. Quindi, si somministrano 4 g di solfato di magnesio, lentamente EV, in 15 min, fino all’attenuazione dell’iperreflessia che, in genere, si accompagna a questa malattia, diminuendo, in tal modo, il rischio di insorgenza delle convulsioni. La PA, di solito, si riduce contestualmente. Con l’infusione di 3 o 4 l di soluzione salina bilanciata nell’arco di 24 h, si ha anche un aumento della diuresi e la riduzione degli edemi. Vengono somministrati 1-3 g/h di solfato di magnesio EV, in continua, mediante una pompa da infusione, con dosi supplementari, se necessario. La terapia è monitorata con la misurazione sequenziale dei livelli sierici di magnesio (valori terapeutici, 4-7 mEq/l). In genere, entro 4-6 h la PA si stabilizza su livelli più bassi e l’iperreflessia è controllata. Il parto deve essere portato a termine appena la paziente si è stabilizzata. Se la PA non risponde alla terapia con il magnesio solfato, si deve iniziare un’infusione EV di idralazina (40 mg/l), modificando la velocità di infusione sulla base dei valori della PA. Questa non deve mai scendere al di sotto di 130/80 mm Hg in caso di preeclampsia grave o di eclampsia, perché in questo caso la perfusione uterina diminuirebbe così marcatamente da mettere a repentaglio la vita del feto. L’antidoto specifico per il sovradosaggio di magnesio solfato è il calcio gluconato, 1 g EV. Se la diuresi non aumenta, si può associare furosemide, 10-20 mg EV; altrimenti i diuretici non vengono adoperati. Non vanno usati i sedativi a causa degli effetti nocivi sul feto. La preeclampsia lieve può essere stabilizzata in 6-8 h; successivamente, è indicato il parto. La paziente che viene ricoverata con una diagnosi di eclampsia conclamata deve essere trattata nella stessa maniera. La somministrazione precoce di magnesio solfato è in grado, di solito, di controllare le convulsioni. Se ciò non avviene, si dovrà somministrare diazepam, 5 mg EV, in singolo bolo. È necessario attuare un monitoraggio e un’assistenza costanti; la PA, il polso, la respirazione e i riflessi devono essere valutati ogni 15 minuti e la diuresi e il volume di infusione ogni ora. Tutte le pazienti, indipendentemente dalla gravità della condizione, devono essere tenute sotto controllo per il possibile sviluppo di complicanze quali la cefalea, i disturbi della vista, la confusione, i dolori addominali, il sanguinamento vaginale e la scomparsa dei rumori cardiaci fetali; il controllo deve essere registrato ogni 15 min. Molti medici preferiscono ricoverare la paziente nell’UTR, dove è possibile il monitoraggio continuo della madre e del feto. È obbligatoria una continua assistenza ostetrica. La preeclampsia deve cominciare a risolversi in 4-6 h dal parto. La sindrome HELLP (Hemolysis [emolisi], Elevated [elevati] Liver enzymes [enzimi epatici] and Low [bassa] Platelet count [conta piastrinica]) è una delle complicanze più importanti che si può verificare nelle pazienti affette da una preeclampsia lieve. Il trattamento è lo stesso della preeclampsia. Il parto va portato a termine secondo il metodo più efficace. Se il collo è preparato e sembra probabile il parto per via vaginale, si deve iniziare un’infusione diluita di ossitocina EV per indurre il travaglio e quando il travaglio è attivo eseguire l’amniotomia. Se il collo non è preparato e il parto per via vaginale è improbabile, si deve eseguire un parto cesareo.

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Anomalie della gravidanza

Dopo il parto, la paziente deve essere seguita attentamente e di frequente come durante il travaglio; infatti il 25% delle eclampsie si verifica nel periodo del postpartum, in genere nei primi 2-4 giorni. La deambulazione è permessa non appena migliorano le condizioni della paziente. Sebbene l’ospedalizzazione possa essere prolungata e possa essere necessaria una terapia antiipertensiva dopo la dimissione, la guarigione dopo il parto può essere sorprendentemente rapida. La paziente deve essere controllata almeno q 1 o 2 sett. dopo il parto. La PA può rimanere elevata per 6-8 sett.; se rimane elevata dopo 8 sett., deve essere presa in considerazione una diagnosi di ipertensione. In tutto questo periodo, si devono controllare con regolarità l’emocromo, l’analisi delle urine, l’azotemia e la creatininemia.

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252. ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA DISTACCO PREMATURO DELLA PLACENTA Distacco prematuro dalla parete dell’utero di una placenta normalmente impiantata.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Si possono verificare tutti i gradi del distacco, da pochi millimetri al distacco completo. La causa è sconosciuta. L’abruptio placentae si verifica nello 0,4-3,5% di tutti i parti. È associata alle varie malattie ipertensiva, cardiovascolare o reumatoide e, in particolar modo, all’uso di cocaina in qualsiasi forma.

Sintomi, segni e diagnosi Si verifica un sanguinamento retroplacentare e il sangue può passare dietro le membrane e attraverso il canale cervicale (emorragia esterna) o può essere ritenuto dietro la placenta (emorragia nascosta). I sintomi e i segni dipendono dal grado di distacco e dalla perdita di sangue. Nei casi gravi sono presenti il sanguinamento vaginale, un utero dolente e fortemente contratto, i segni evidenti di una sofferenza cardiaca o della morte del feto e lo shock materno. Le gravi complicanze, particolarmente se la paziente ha una preeclampsia preesistente, includono l’ipofibrinogenemia con la coagulazione intravasale disseminata, l’insufficienza renale acuta e l’apoplessia utero-placentare (utero di Couvelaire). L’abruptio placentae può essere confusa con la placenta previa (v. oltre). La diagnosi può essere in genere stabilita con l’ausilio dell’ecografia addominale.

Terapia Se il sanguinamento non è pericoloso per la vita della madre o del feto, se il battito cardiaco fetale è normale e se la gravidanza non è vicina al termine, è indicato il riposo a letto che può ridurre l’entità del sanguinamento. Se le condizioni migliorano, si può consentire alla paziente di alzarsi dal letto e camminare e la si può dimettere se non si verificano ulteriori sanguinamenti e se può tornare rapidamente in ospedale. Se invece il sanguinamento continua o peggiora, è indicato il pronto espletamento del parto. Deve essere eseguita una visita vaginale e se il collo è dilatato si devono rompere le membrane, poiché questa procedura sembra diminuire l’incidenza della coagulazione intravascolare disseminata. Il parto cesareo è eseguito con le consuete indicazioni. Un trattamento deciso e attivo riduce drasticamente la morbilità e la mortalità materna, fetale e neonatale.

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Anomalie della gravidanza

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL CALCIO Sommario: Introduzione Regolazione del metabolismo del calcio

Il calcio (Ca) è necessario per il corretto funzionamento di numerosi processi intracellulari ed extracellulari, compresa la contrazione muscolare, la conduzione dell'impulso nervoso, il rilascio ormonale e la coagulazione del sangue. In aggiunta, lo ione Ca svolge un ruolo esclusivo nei meccanismi di segnalazione intracellulare ed è coinvolto nella regolazione di numerosi enzimi. Il mantenimento dell'omeostasi del Ca è, perciò, di importanza cruciale. Sia la concentrazione extracellulare sia quella intracellulare del Ca sono strettamente regolate dal trasporto bidirezionale del Ca attraverso la membrana plasmatica delle cellule e dalle membrane degli organuli intracellulari come il reticolo endoplasmatico, il reticolo sarcoplasmatico delle cellule muscolari e i mitocondri. Il trasporto del Ca fuori dal citoplasma delle cellule e verso l'interno di questi vari compartimenti e l'elevato grado di legame del Ca alle proteine mantiene la concentrazione del Ca ionizzato all'interno del citoplasma nell'ambito di un valore micromolare (cioè meno di 1/1000 della concentrazione plasmatica di Ca). Poiché il Ca è presente nel citosol in concentrazioni così basse, esso è straordinariamente adatto ad agire come secondo messaggero intracellulare. Nel muscolo scheletrico, aumenti transitori della concentrazione citosolica di Ca determinano un'interazione fra il Ca e le proteine leganti il Ca troponina C e calmodulina e danno inizio alla contrazione muscolare. L'accoppiamento eccitazione-contrazione nella muscolatura cardiaca e in quella liscia è anch'esso Ca-dipendente. La concentrazione intracellulare di Ca regola una varietà di altri processi cellulari mediante l'attivazione delle protein chinasi e la fosforilazione enzimatica. Il Ca è inoltre coinvolto nell'azione di altri messaggeri intracellulari, come l'adenosin monofosfato ciclico (cAMP) e l'inositolo 1,4,5-trifosfato e media pertanto la risposta cellulare a numerosi ormoni, tra i quali l'adrenalina, il glucagone, la vasopressina, la secretina e la colecistochinina. Nonostante il suo importante ruolo intracellulare, circa il 99% del Ca corporeo è contenuto nell'osso, dove si trova per lo più complessato con altri ioni sotto forma di cristalli di idrossiapatite. Più o meno l'1% del Ca osseo è liberamente scambiabile con il ECF e, quindi, è disponibile per tamponare le modificazioni del bilancio del Ca. I livelli plasmatici totali normali del Ca sono compresi tra 8,8 e 10,4 mg/dl (tra 2,20 e 2,60 mmol/l). Circa il 40% del Ca ematico totale è legato alle proteine plasmatiche, in primo luogo all'albumina. Il rimanente 60% comprende il Ca ionizzato e il Ca complessato con il fosfato e il citrato. Con la misurazione clinica di laboratorio del Ca plasmatico viene solitamente determinato il Ca totale (cioè il Ca legato alle proteine, quello complessato e quello ionizzato). Idealmente, dovrebbe essere determinato il Ca ionizzato o quello libero, poiché questa è la forma fisiologicamente attiva del Ca nel plasma. Il Ca ionizzato è sempre stato difficile da misurare e non viene ancora determinato di routine. Tuttavia, il Ca ionizzato può adesso essere determinato mediante elettrodi ione-specifici, il che è talvolta utile nei pazienti nei quali si sospettino alterazioni significative del legame proteico del Ca plasmatico.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

La frazione di Ca ionizzato viene generalmente ricavata dal Ca plasmatico totale. Il Ca ionizzato corrisponde approssimativamente al 50% del Ca plasmatico totale e varia da circa 4,7 a 5,2 mg/dl (da 1,17 a 1,3 mmol/l). Il legame del Ca alle proteine è influenzato dalle variazioni del pH. L'acidosi è associata con un aumento del Ca ionizzato dovuto alla diminuzione del legame con le proteine, mentre l'alcalosi è associata con una diminuzione del Ca ionizzato dovuta all'aumento del legame proteico. Anche le alterazioni della concentrazione delle proteine plasmatiche influenzano la frazione di Ca ionizzato. Nell'ipoalbuminemia, per esempio, il Ca plasmatico misurato è spesso basso, ma, poiché esso riflette fondamentalmente i bassi livelli della frazione del Ca legato, il Ca ionizzato può essere nella norma. La concentrazione plasmatica totale del Ca può essere corretta per il livello di albumina utilizzando l'approssimazione che il Ca plasmatico totale misurato diminuisce o aumenta di 0,8 mg/dl (0,20 mmol/l) per ogni 1 g/dl di diminuzione o di aumento dell'albumina. Pertanto, un paziente con un'albumina di 2,0 g/dl (valore normale, 4,0) deve avere una riduzione del Ca plasmatico misurato di 1,6 mg/dl (2 × 0,8 mg/dl) dovuta alla sola ipoalbuminemia. In questo caso, i limiti del range di normalità dei valori del Ca plasmatico devono essere ridotti di 1,6 mg/dl (0,40 mmol/l); in alternativa, il Ca plasmatico del paziente può essere aumentato dello stesso fattore e messo a confronto con i limiti normali per il Ca plasmatico elencati sopra. Sfortunatamente, questo e altri algoritmi per inferire il valore del Ca ionizzato sono spesso imprecisi. Di conseguenza, il Ca plasmatico ionizzato deve essere misurato direttamente ogni volta che si sospetti una sua alterazione nonostante il Ca plasmatico totale sia normale. Gli aumenti delle proteine plasmatiche, come avviene nel mieloma multiplo, possono innalzare il Ca plasmatico totale aumentando la frazione legata alle proteine. Poiché le paraproteine legano il Ca in misura non prevedibile, il Ca plasmatico ionizzato deve essere misurato direttamente per orientare le decisioni cliniche. Il mantenimento dei depositi corporei di Ca e della concentrazione plasmatica del Ca in definitiva dipende dall'apporto di Ca con la dieta, dall'assorbimento del Ca dal tratto GI e dall'escrezione renale del Ca. Circa 1000 mg di Ca vengono ingeriti ogni giorno con una dieta bilanciata. Circa 200 mg/die vengono persi nel lume del tratto GI con la bile e altre secrezioni. A seconda della concentrazione di 1,25-diidrossivitamina D circolante, approssimativamente da 200 a 400 mg di Ca vengono assorbiti dall'intestino ogni giorno. I rimanenti 800-1000 mg (2025 mmol) si ritrovano nelle feci. Il bilancio netto del Ca viene mantenuto attraverso l'escrezione renale del Ca, attestata su una media di 200 mg/die (5 mmol/ die).

Regolazione del metabolismo del calcio Il metabolismo del Ca e del fosfato (PO4-, v. più avanti) sono strettamente correlati. La regolazione dell'equilibrio del Ca e del PO4 è fortemente influenzata dai livelli circolanti di ormone paratiroideo (ParaThyroid Hormone, PTH), di vitamina D e, in misura minore, di calcitonina. Le concentrazioni del Ca e del PO 4 inorganico sono legate anche dalla loro capacità di reagire chimicamente fra loro per formare fosfato di calcio. È stato calcolato che il prodotto delle concentrazioni del Ca e del PO4 (in mEq/l) in vivo è normalmente pari a 60. Quando il prodotto di solubilità del Ca e del PO4 supera il valore di 70, il rischio di precipitazione di cristalli di fosfato di calcio nei tessuti molli è fortemente aumentato. La precipitazione nel tessuto vascolare è di particolare interesse perché può portare a un'accelerazione della malattia vascolare aterosclerotica. Il PTH è un polipeptide di 84 aminoacidi secreto dalle ghiandole paratiroidi. Esso possiede diverse azioni, ma probabilmente la più importante consiste nell'effetto protettivo contro l'ipocalcemia. Le cellule paratiroidee sono sensibili alla diminuzione del Ca plasmatico, presumibilmente attraverso un recettore specifico, e aumentano l'espressione del gene per il PTH e rilasciano PTH preformato nella circolazione. Il Ca plasmatico aumenta nel giro di alcuni minuti in seguito a diverse azioni del PTH, fra le quali l'aumento dell'assorbimento renale e intestinale del Ca e la rapida mobilizzazione del Ca e del PO4 dall'osso (riassorbimento osseo). L'escrezione renale del Ca in generale segue file:///F|/sito/merck/sez02/0120149.html (2 of 3)02/09/2004 2.14.50

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

parallelamente l'escrezione del Na ed è influenzata da molti degli stessi fattori che governano il trasporto del Na nel tubulo prossimale. Tuttavia, il PTH incrementa il riassorbimento tubulare distale del Ca indipendentemente da quello del Na. Il PTH riduce inoltre il riassorbimento renale del PO4 e aumenta così le perdite renali di PO4. La perdita renale di PO4 impedisce che venga superata la soglia di solubilità del fosfato di calcio nel plasma quando i livelli di Ca aumentano in risposta al PTH. Il PTH influenza anche il metabolismo della vitamina D, la quale aumenta la percentuale del Ca assunto con la dieta che viene assorbita a livello intestinale. La vitamina D viene convertita nella sua forma più attiva, l'1,25diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3], nel rene ad opera dell'enzima 1-aidrossilasi. L'1,25(OH)2D3 aumenta il trasporto intestinale di Ca in parte mediando la sintesi delle proteine leganti il Ca della mucosa. Il PTH aumenta l'assorbimento intestinale di Ca attraverso l'aumento della sintesi di 1,25(OH)2D3. Nonostante questo effetto sull'assorbimento del Ca dal tratto GI, aumenti della secrezione di PTH di lunga durata provocano generalmente un ulteriore riassorbimento osseo attraverso l'inibizione della funzione osteoblastica e la promozione dell'attività osteoclastica. In vivo, entrambi gli ormoni agiscono come importanti regolatori della crescita ossea e del rimodellamento osseo (v. Deficit e dipendenza da vitamina D nel Cap. 3). La valutazione della funzione paratiroidea comprende la misurazione dei livelli di PTH circolante con metodi radioimmunologici e la misurazione dell'escrezione del cAMP totale o nefrogeno nelle urine. Adesso che sono divenuti ampiamente disponibili dosaggi accurati del PTH, il cAMP urinario viene misurato raramente. Agli altri test devono sempre essere preferiti quelli per la molecola del PTH intatto. I vecchi test per il PTH carbossiterminale erano difficili da interpretare nei pazienti con insufficienza renale. La calcitonina è un ormone polipeptidico di 32 aminoacidi secreto dalle cellule C della tiroide. Essa tende a ridurre la concentrazione plasmatica del Ca aumentando la captazione cellulare, l'escrezione renale e la sintesi dell'osso. Gli effetti della calcitonina sul metabolismo osseo sono molto più deboli di quelli del PTH o della vitamina D.

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Tumori del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 81. TUMORI DEL POLMONE Le neoplasie del polmone possono essere tumori benigni o maligni oppure metastasi di tumori primitivi originati da numerosi altri organi e tessuti. I tumori primitivi comprendono il carcinoma broncogeno (il tipo di cancro del polmone più frequente), il carcinoide bronchiale e molti tipi più rari. Il carcinoide bronchiale (precedentemente denominato adenoma bronchiale) può essere benigno o maligno e ha una incidenza uguale nei due sessi. La sua storia naturale è lenta. La porzione endobronchiale dell'adenoma può ostruire il lume dei bronchi principali. La mucosa che copre l'adenoma va spesso incontro a emorragie intense. Sono frequenti le polmoniti ricorrenti nello stesso distretto polmonare e il dolore pleurico localizzato. Le metastasi non sono frequenti, ma possono interessare i linfonodi regionali. I tumori primitivi del polmone meno frequenti comprendono l'amartoma condromatoso (benigno), il linfoma solitario e il sarcoma (maligno). I polmoni sono talora interessati da linfomi multifocali. Le metastasi polmonari vengono comunemente causate dai carcinomi primitivi di mammella, colon, prostata, rene, tiroide, stomaco, cervice, retto, testicolo e osso e dal melanoma.

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Dolore

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 167. DOLORE Il dolore è una complessa sensazione soggettiva che riflette un danno tessutale, potenziale o reale unitamente alla risposta affettiva al danno stesso. (v. anche Cap. 294 e le sottovoci alla voce Dolore nell’indice)

Sommario: Classificazione Valutazione del dolore Terapia

Classificazione Il dolore acuto, segnale biologico essenziale per quantificare l’estensione del danno, è un dolore di durata breve o che si preveda che duri di solito < 1 mese. È spesso associato ad ansia e a iperattività del sistema nervoso autonomo adrenergico (p. es., tachicardia, aumento dell’attività respiratoria e della PA, diaforesi, dilatazione pupillare). Il dolore cronico viene generalmente definito in modo generico e arbitrario come un dolore persistente > un mese successivo alla risoluzione di un danno tissutale acuto; il dolore persistente o ricorrente > 3 mesi o un dolore associato a danno tissutale ritenuto di tipo evolutivo. Il dolore cronico non ha alcun ruolo biologico adattativo. I segni vegetativi (p. es., debolezza, disturbi del sonno, diminuzione dell’appetito, perdita di gusto per il cibo, diminuzione di peso, scomparsa della libido e costipazione) si sviluppano spesso in modo graduale, con successiva insorgenza di depressione. Il dolore può essere ampiamente classificato come somatogeno (organico), motivabile in termini di meccanismi fisiologici o psicogeno, esistendo in assenza di una patologia organica sufficiente a motivare il grado del dolore e dell’invalidità e ritenuto come correlato a problemi psicologici (v. Sindromi Dolorose Psicogene, più avanti). Un dolore psicogeno non va diagnosticato senza specifiche prove. Se non può essere identificato un processo somatogeno e non sia chiaro il ruolo di un processo psicogeno, il dolore deve essere ritenuto idiopatico. Il dolore somatogeno potrà essere nocicettivo o neuropatico. Il dolore nocicettivo è reputato essere commisurato alla progressiva attivazione delle fibre nervose algosensitive, sia somatiche che viscerali. Quando sono colpiti i nervi somatici, il dolore è tipicamente percepito come bruciante o pressorio (p. es., la maggior parte dei dolori da cancro). Il dolore neuropatico è conseguenza di una disfunzione nel sistema nervoso; si ritiene che venga sostenuto da processi somatosensoriali aberranti a livello del sistema nervoso periferico, nel SNC o in entrambi (v. Dolore neuropatico, più avanti). Il dolore può coinvolgere la funzione efferente del sistema nervoso simpatico (dolore di tipo simpatico) o una lesione patologica periferica identificabile (p. es., la compressione di un nervo, la formazione di un neuroma) oppure una patologia del SNC (p. es., l’ictus, una lesione del midollo spinale). Generalmente, il dolore è parte di una definita alterazione neurologica. Il dolore file:///F|/sito/merck/sez14/1671465.html (1 of 6)02/09/2004 2.14.53

Dolore

ritenuto interessare i nervi periferici può essere suddiviso in mononeuropatia periferica o polineuropatia; la polineuropatia dolorosa più comune è conseguenza del diabete. Il dolore interessante il SNC, chiamato dolore da deafferentazione, può essere suddiviso in una varietà di tipologie, quali il dolore centrale dopo ictus o il dolore da arto fantasma dopo un’amputazione. Alcune sindromi dolorose presentano una fisiopatologia multifattoriale; p. es., la maggioranza delle sindromi da dolore neoplastico ha una componente nocicettiva preminente, ma può trattarsi anche di dolori neuropatici dovuti al danno di un nervo causato dal tumore o secondari ai chemioterapici. Può anche trattarsi di un dolore psicogeno correlato alla perdita di una funzione e alla paura per l’evoluzione della malattia. Il dolore nocicettivo può predominare nelle sindromi dolorose dovute a danno articolare cronico o a lesioni ossee (p. es., artrite, anemia falciforme, emofilia). La distinzione tra dolore continuo e acuto ricorrente (come nell’anemia falciforme) rappresenta un altro aspetto importante della classificazione. I protocolli di trattamento potranno differire a seconda della descrizione temporale del dolore. Molte sindromi dolorose sono difficili da classificare. Per esempio, nella maggior parte dei pazienti, la cefalea cronica (v. Cap. 168) comporta probabilmente un’interazione complessa tra alterazioni nocicettive nei muscoli e nei vasi ematici con fattori psicologici.

Valutazione del dolore Una causa organica deve essere sempre ricercata, perfino se è verosimile un preminente contributo psicologico al dolore, in quanto il dolore è trattato meglio mediante la rimozione della causa sottostante. Una volta che sia stato escluso un motivo organico, possono essere utili test aggiuntivi. Il senso illusorio di evoluzione che tale test dà sia al medico che al paziente può perpetuare un comportamento maladattativo e ostacolare il ritorno alla normale funzionalità. L’anamnesi dovrà comprendere la gravità, la sede, la qualità, la durata, il decorso, la sequenza temporale (inclusa la frequenza delle remissioni e il grado delle oscillazioni), i fattori peggiorativi e lenitivi, nonché i fattori di comorbilità associati al dolore (evidenziando le problematiche psicologiche, la depressione e l’ansia). Si dovranno determinare l’uso, l’efficacia e gli effetti collaterali dei farmaci e degli altri trattamenti. Al paziente andrà chiesto se abbia in corso una causa legale o un procedimento di risarcimento per danni. Una storia personale o familiare di dolore cronico può spesso servire a chiarire il problema. Si deve valutare dettagliatamente il livello funzionale del paziente, focalizzandosi sui rapporti familiari (inclusa la vita sessuale), le relazioni sociali, il lavoro. Chi raccoglie l’anamnesi dovrà evidenziare come il dolore provato dal paziente incida sulle sue relazioni con gli altri e se comprometta la vita normale. Andranno valutati l’utile secondario di una malattia, la psicopatologia attuale e quella premorbosa del paziente, nonché il ruolo che la famiglia ha nella patologia. Dovrà essere stabilito quale significato abbia il dolore per il paziente. Lamentare un dolore è più accettato socialmente piuttosto che riportare ansia o depressione; una terapia appropriata dipende spesso dalla determinazione di queste percezioni, che vengono descritte in modo similare ma esperite in maniera differente. Parimenti, si dovrà distinguere il dolore dalla sofferenza, specialmente nel paziente neoplastico, la cui sofferenza può essere dovuta molto di più alla perdita della funzione e alla paura della morte imminente che non al dolore. La percezione del dolore da parte del paziente può essere più significativa dell’anatomia patologica intrinseca della malattia stessa. L’esame obiettivo è essenziale e aiuta spesso a identificare le cause che sottendono il dolore e a valutare ulteriormente il grado di impedimento funzionale. Si devono inoltre eseguire appropriati esami rx e di laboratorio.

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Dolore

Terapia Gli analgesici non oppiacei: questi farmaci, specialmente il paracetamolo e i FANS sono spesso efficaci a calmare dolori lievi e moderati (v. anche la Tab. 1671 e Artrite reumatoide al Cap. 50). I FANS differiscono per costo, durata di azione ed effetti collaterali; i risultati per un dato paziente spesso non sono predittivi. Se le dosi di partenza sono ben tollerate ma non forniscono un’adeguata analgesia può essere corretto utilizzare dosi maggiori. Se si ottiene ulteriore analgesia ma questa è ancora inadeguata, non è stata raggiunta la dose massima; i dosaggi possono pertanto essere ulteriormente aumentati. Tuttavia, per limitare i rischi di tossicità, la dose non deve essere aumentata più di 1-1/2 volta, 2 volte la dose raccomandata. I pazienti devono essere sottoposti a controlli vòlti alla ricerca di sangue occulto nelle feci o alterazioni dell’ematocrito e degli elettroliti, nonché sottoposti a prove di funzionalità epatica o renale. A differenza dei derivati dell’oppio, i FANS non producono dipendenza fisica o tolleranza. Agonisti oppiacei (narcotici): "oppioide" è un termine generico per sostanze naturali o sintetiche che si legano a specifici recettori oppiacei del SNC, producendo un effetto agonista. Gli analgesici oppiacei sono estremamente utili nel trattamento del dolore acuto grave, compreso quello postoperatorio e il dolore cronico, come il dolore neoplastico. Sono spesso poco utilizzati, con conseguente dolore e sofferenza inutili, in quanto il dosaggio richiesto è spesso sottostimato, la loro durata d’azione e i rischi di effetti collaterali sono sopravvalutati e i medici e gli infermieri sono spesso preoccupati in modo immotivato per gli effetti di dipendenza (v. Dipendenza da oppiacei nel Cap. 195). Sebbene la dipendenza fisica colpisca praticamente tutti i pazienti in cui il dolore cronico sia stato per lungo tempo trattato con oppiacei, questa è molto rara nei pazienti senza una storia di abuso di sostanze e non deve essere presa in considerazione qualora si decidesse di iniziare o incrementare le dosi nei pazienti con dolore grave. La morfina, un alcaloide dell’oppio, ne è il prototipo. In un paziente con dolore acuto che non ha sviluppato tolleranza al farmaco, essa ha un effetto analgesico a dosi (circa 10 mg IM) che non alterano gravemente la coscienza. La morfina influenza sia l’iniziale percezione periferica del dolore che la risposta emotiva a esso. I pazienti con intenso dolore avvertono raramente l’euforia causata dalla morfina, ma possono presentare sonnolenza o senso di rilassamento, in parte anche in seguito alla riduzione del senso di sofferenza. Per il dolore acuto, la morfina viene generalmente somministrata IM o EV; il solfato di morfina è il sale idrosolubile più comunemente usato. Tradizionalmente, la morfina è stata considerata inefficace se assunta PO. Essa viene rapidamente metabolizzata, principalmente nel fegato ed escreta con le urine. Tuttavia, aumentando progressivamente la dose, la morfina PO può essere molto efficace. La morfina a rilascio controllato assunta PO è il farmaco più comunemente utilizzato per trattare il dolore da neoplasia di grave entità. Con dosi molto basse di morfina per via intraspinale (p. es., 5-10 mg per via epidurale o 0,5-1 mg per via intratecale) si può ottenere per lungo tempo (fino a 24 h) un’attenuazione del dolore nel postoperatorio; con adeguamenti del dosaggio, gli oppiacei a somministrazione intraspinale possono essere utilizzati per il trattamento a lungo termine in pazienti selezionati. Gli effetti negativi della morfina sono dose dipendenti (v. Tab. 167-2). La morfina causa la contrazione della muscolatura liscia periferica, la cui più importante conseguenza è la riduzione dei movimenti peristaltici del tratto gastro-intestinale, con conseguente stipsi (effetto utile nel trattamento della diarrea). La morfina causa dilatazione delle venule (vasi di capacitanza). Nei pazienti con ipovolemia o in persone che assumono bruscamente la stazione eretta, si può avere ipotensione. Questo effetto si verifica di rado con l’assunzione prolungata. La morfina 6-glucuronide (un metabolita attivo della morfina, potente, escreto per via renale) può causare una risposta esagerata in alcuni pazienti con insufficienza renale che ricevono dosi multiple di morfina. file:///F|/sito/merck/sez14/1671465.html (3 of 6)02/09/2004 2.14.53

Dolore

Gli altri agonisti degli oppiacei comprendono la codeina (un derivato dell’oppio), il fentanil, l’idromorfone, il levorfanolo, la meperidina e il metadone (oppiacei di sintesi), l’ossicodone (un congenere di sintesi della morfina), l’oximorfone e il propoxifene, il quale è chimicamente affine al metadone. L’abituale dosaggio, la potenza, la durata d’effetto e gli effetti indesiderati sono riportati nella Tab. 167-2. Un farmaco può essere preferito in base all’esperienza favorevole, al minor costo (il metadone è meno costoso), alla disponibilità, alla via di assunzione o alla durata d’azione. Gli oppiacei a breve emivita (quali la morfina e l’idromorfone) devono essere adoperati come agenti di prima scelta nel dolore acuto ma possono essere sostituiti con farmaci ad azione più duratura, se il dolore persiste. La conoscenza delle dosi equivalenti tra i vari farmaci oppiacei (v. Tab. 167-3) è di fondamentale importanza per cambiare farmaco o schema di somministrazione. La tolleranza crociata è incompleta e perciò, quando un farmaco viene sostituito, la dose equianalgesica andrà ridotta del 50%. L’unica eccezione è rappresentata dal metadone, il quale deve essere ridotto del 7590%. Poiché la risposta individuale varia molto, il dosaggio degli oppiacei deve essere modificato a seconda della risposta di ogni paziente. Per i pazienti affetti da dolore acuto che non hanno mai assunto in precedenza gli oppiacei, il controllo frequente della diminuzione del dolore, della sedazione, della frequenza respiratoria e della pressione arteriosa guida l’adeguamento della dose. La sensibilità agli oppiacei è aumentata negli anziani; per ottenere lo stesso grado di analgesia, questi richiedono una dose iniziale più bassa e aumenti del dosaggio più contenuti rispetto ai pazienti più giovani e sono più predisposti agli effetti collaterali. Inizialmente, il farmaco può essere somministrato su richiesta del paziente; la maggior parte degli oppiacei deve essere somministrata almeno ogni 3 h e molti ogni 2 h. Poiché livelli stabili non si raggiungono fino a che non siano trascorse 45 emivite, i farmaci a emivita lunga (particolarmente il levorfanolo e il metadone) presentano il rischio di tossicità ritardata, qualora aumentino i livelli plasmatici. Gli oppiacei a rilascio controllato necessitano solitamente di diversi giorni per raggiungere livelli plasmatici stabili. La tolleranza (il bisogno di incrementare la dose per mantenere l’effetto) sembra essere una causa poco frequente della diminuzione dell’efficacia degli oppiacei durante la terapia a lungo termine. La necessità di aumentare le dosi riflette in genere il peggioramento della patologia di base, con evoluzione del dolore. Anche se la tolleranza agli effetti analgesici può essere concomitante, essa raramente rappresenta l’unica ragione per aumentare il dosaggio. Il timore della tolleranza non dovrà ostacolare l’uso convenientemente tempestivo e aggressivo di un farmaco oppiaceo. L’instaurarsi della dipendenza e degli altri effetti varia da un apparato all’altro; p. es., la tolleranza all’effetto costipante si sviluppa lentamente, ma la tolleranza alla depressione respiratoria o alla nausea insorge solitamente in modo precoce, dopo l’inizio del trattamento. Gli oppiacei devono essere somministrati con cautela nei pazienti affetti da insufficienza renale, patologie polmonari ostruttive croniche (a causa dell’effetto deprimente il respiro), epatopatie, encefalopatia preesistente, oppure demenza. I neonati, specie se prematuri, sono molto sensibili agli oppiacei, poiché non dispongono dei sistemi metabolici adeguati per eliminarli. La titolazione della dose rappresenta il riferimento più importante per individuare la dose di somministrazione ottimale. La titolazione della dose prevede aumenti seriati della stessa, fino a trovare un equilibrio favorevole tra analgesia ed effetti collaterali. Se tale equilibrio non è raggiungibile, il farmaco è considerato inutile. Una tecnica efficace per la titolazione della dose si basa sulle "dosi di salvataggio". Con questa metodica si tratta il dolore che insorge durante il periodo in cui le dosi vengono aumentate progressivamente. Oltre alla somministrazione delle dosi regolari orarie o durante l’assunzione di farmaci a lunga durata, si aggiunge, se necessario, una dose extra di un farmaco a breve emivita q 2 h. L’entità della dose di salvataggio è stabilita empiricamente ed è file:///F|/sito/merck/sez14/1671465.html (4 of 6)02/09/2004 2.14.53

Dolore

correlata a quella della somministrazione di base, ammontando generalmente al 5-10% della dose totale giornaliera. Qualora siano necessarie molte dosi di salvataggio o se persistesse il dolore, si potrà aumentare giornalmente la somministrazione di base mediante la somministrazione di una dose pari al totale di quelle di salvataggio necessarie. Schemi di somministrazione: se possibile, gli oppiodi devono essere assunti PO per prolungarne gli effetti ed evitare fluttuazioni rapide dei livelli plasmatici. La morfina a lento rilascio o le compresse di ossicodone (intervalli di dose di 8-12 h) e il fentanil transdermico (intervalli di dose di 2-3 giorni) rendono possibile un dosaggio saltuario. Per quanto riguarda la via parenterale, l’assunzione di boli ripetuti risulta più confortevole per il paziente se somministrata EV piuttosto che IM. L’infusione EV o SC continua andrà presa in considerazione qualora le dosi parenterali ripetute producano un "prominent bolus effect", cioè una tossicità da picco di concentrazione, precoce durante gli intervalli di dosaggio o dei dolori a insorgenza più tardiva, a bassi livelli di concentrazione. Per consentire dosi supplementari, possono essere aggiunti all’infusione sistemi di analgesia controllati dal paziente (mediante i quali il paziente può regolare il rilascio di una quota addizionale di farmaco). La somministrazione epidurale e intratecale di oppiacei richiede particolare esperienza. Essa può dare un’analgesia efficace, con pochi effetti collaterali, mediante l’attivazione dei recettori spinali per gli oppiacei. Tuttavia, i costi e la diffusione del farmaco al di sopra del livello spinale, con effetti tossici tardivi dopo una somministrazione acuta, rappresentano le maggiori limitazioni di questa tecnica. Effetti collaterali degli oppiacei: la stipsi, un frequente effetto collaterale, dovrà essere trattata aumentando il contenuto delle fibre nella dieta > 10 g/die (a meno che vi sia occlusione intestinale) e mediante la prescrizione di ammorbidenti delle feci (p. es., docusate sodio 100 mg bid o tid), generalmente insieme a un lassativo stimolante (p. es., la senna). La dose del lassativo stimolante è inizialmente bassa, ma, se necessario, può essere aumentata. La stipsi persistente può essere trattata con un lassativo osmotico (p. es., il magnesio citrato) somministrato ogni 2-3 giorni o con lattuloso somministrato quotidianamente (p. es., 15 ml bid). La sedazione può essere specificamente trattata con il metilfenidato o la destroanfetamina, iniziando con 5 mg PO 1-2 volte/die, aumentando fino a una dose efficace. La dose massima raramente oltrepassa i 60 mg/die. La nausea può essere trattata con idrossizina 25-50 mg PO/die, metoclopramide 10-20 mg PO q 6 h, oppure mediante una fenotiazina antiemetica (p. es., proclorperazina 10 mg PO o 25 mg rettale q 6 h). La depressione respiratoria è rara nei pazienti sottoposti alla terapia a lungo termine, in quanto si sviluppa precocemente la tolleranza a questo effetto; se insorge la depressione respiratoria, andrà ricercato il processo patologico predisponente. Se fosse necessario trattare la depressione respiratoria in un paziente con dipendenza fisica, dovranno essere lentamente somministrate EV soluzioni diluite di naloxone (0,4 mg diluiti in 10 ml di fisiologica allo 0,9%), titolate alla frequenza respiratoria, non alla vigilanza, con l’accortezza di evitare la sindrome acuta da astinenza (v. Antagonisti degli oppiacei, oltre). Agonisti-antagonisti: questi farmaci sono dei potenti analgesici con un minor potenziale di abuso rispetto gli agonisti degli oppiacei; la loro attività antagonista può indurre una sindrome da astinenza nei pazienti già dipendenti da oppiacei. La pentazocina, un debole antagonista con considerevole attività analgesica, è l’unico agonista-antagonista somministrabile PO (v. Tab. 167-2). Altri farmaci di questa classe comprendono la buprenorfina, il butorfanolo, la dezocina e la nalbufina. Antagonisti degli oppiacei: queste sostanze simil-oppiacee si legano ai recettori oppiacei ma hanno un’attività bassa o non agonista.

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Dolore

Il naloxone, un antagonista oppiaceo quasi esclusivo, può annullare gli effetti degli oppiodi. Agisce in pochi minuti quando somministrato EV e leggermente meno rapidamente quando somministrato IM. Tuttavia, la durata dell’effetto antagonista è spesso più breve della durata della depressione respiratoria indotta dagli stupefacenti; sono pertanto necessarie dosi ripetute di naloxone e uno stretto controllo clinico. La dose d’attacco, per i pazienti senza tolleranza per gli oppiacei, affetti da sovradosaggio acuto degli stessi, è di 0,4 mg EV q 2-3 min al bisogno. Per i pazienti che ricevono una terapia oppiacea a lungo termine, il naloxone deve essere usato solo per trattare la depressione respiratoria e deve essere somministrato con cautela per evitare lo scatenarsi di una sindrome d’astinenza o dolori recidivanti. Una dose di partenza ragionevole è di 0,04 mg (una fiala da 0,4 mg diluita in 10 ml di fisiologica) EV q 2-3 min secondo necessità. Il naltrexone è un farmaco antagonista degli stupefacenti, attivo PO ed è somministrato come adiuvante nella cura della dipendenza da oppiodi e da alcol. Ha una lunga durata d’azione ed è generalmente ben tollerato. Terapie analgesiche non farmacologiche: le terapie analgesiche non farmacologiche possono essere impiegate in pazienti selezionati affetti da dolore cronico; comprendono approcci non invasivi (p. es., la stimolazione nervosa elettrica transcutanea, la diatermia) e speciali tecniche anestetiche, neurochirurgiche e invasive di neurostimolazione (v. Tab. 167-4 e Sindromi Dolorose Psicogene e Sindrome da dolore regionale complesso, oltre). Anche se ampie casistiche ne riportano l’efficacia, non sono stati condotti studi controllati su queste tecniche. Non è stato ancora definito esattamente il ruolo di queste nel trattamento del dolore neoplastico; gli approcci invasivi sono più utili nel trattamento del dolore localizzato. Per la loro esecuzione è richiesta una particolare perizia, disponibile solo in alcuni centri. Andranno utilizzate solo se le tecniche non invasive sono risultate inefficaci; un’eccezione è rappresentata dalla tecnica del blocco neurolitico del plesso celiaco per il dolore addominale, in cui i benefici del trattamento precoce sembrano essere superiori ai rischi potenziali.

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TABELLA 167-1. ANALGESICI NON OPPIOIDI Classe chimica Indoli

Farmaco

Dosaggio abituale (mg)

Etodolac

200-400q 8h

Indometacina

25-50q 8-12h

Sulindac

150q 12h

Tolmetin

200-400q 6-8h

Naftilalcanoni Nabumetone

1000-2000q 24h

Oxicam

20q 24h

Piroxicam

Derivati del Paracetamolo para-aminofe nolo

650-1000q 4-6h

Acidi propionici

Fenoprofene*

200-800q 6h

Flurbiprofene

50-150q 12h

Ibuprofene*

400-800q 4-8h

Ketoprofene*

50-75q 6-8h

Naprossene*

250-500q 12h

Naprossene sodio*

275-550q 12h

Ossaprozina

600-1800q 24h

Aspirina*

650-1000q 4-6h

Colina magnesio trisalicilato

750-2000q 12h

Salicilati

500q 8-12h Diflunisal* Fenamati

Acido meclofenamico 50q 6-8h Acido mefenamico*

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250q 6h

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Pirazolo

Fenilbutazone

100q 6-8h

Nota: le prime sei classi sono spesso somministrate come analgesici (*=approvazione specifica per l'analgesia).

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TABELLA 167-2.ANALGESICI OPPIACEI Farmaco

Dosaggio abituale per il dolore acuto*

Potenza†

Durata

Commenti

Agonisti oppiacei Codeina

Parenterale e Buona potenza nella Orale: 3-4h orale: 30-60mg q somministrazione orale ma meno 4h potente della morfina; 65mg ≅ 600mg aspirina

Fentanil

Non consigliato

Idromorfone

Parenterale: 12mg q 4h

---

Potente

Orale: 2-4mg q 4h

Transdermico: fino a 72h

Usato in preparati transdermici per il trattamento del dolore cronico; altre vie di somministrazione adoperate solo in anestesia. Intervallo di dosaggio transdermico: 2-3 giorni.

Parenterale: 24h

Rapido inizio di azione e breve emivita. Può essere somministrato in sostituzione della morfina. Disponibile anche in soluzione parenterale concentrata (10mg/ml), utile per il trattamento del dolore neoplastico moderato- grave in pazienti con tolleranza per gli oppiacei.

Orale: 24h Rettale: una supposta 4h

Rettale: una supposta da 3mg q 6-8h

Agisce centralmente e pertanto l'analgesia è aggiuntiva a quella dell'aspirina, dell'acetaminofene e degli altri analgesici ad azione periferica. Gli effetti indesiderati sono simili a quelli degli altri oppiacei. Utile nel trattamento della tosse e della diarrea.

Levorfanolo

Parenterale: 2mg Buona potenza nella Parenterale: 4h q 6-8h somministrazione orale Orale: circa 4h Orale: 4mg q 68h

Emivita relativamente lunga (14-16h). Può essere somministrato in sostituzione della morfina per tutte le indicazioni.

Meperidina

Parenterale: 75100mg q3-4h

Non è preferibile nel trattamento del dolore cronico perché il suo metabolita attivo (normeperidina) provoca disforia ed eccitazione del SNC (mioclono, tremori e crisi comiziali) e si accumula per giorni dopo l'inizio o l'aumento del dosaggio, specialmente nei pazienti con insufficienza renale.

Metadone

Parenterale: 10mg q 6- 8h

Bassa potenza nella Parenterale: somministrazione circa 3h orale; 75- 100mg per via parenterale = 10mg di solfato di morfina

Buona biodisponibilità nella somministrazione Orale: 20mg q 6- orale 8h

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Orale: 4-6h; talora più duratura

Nella maggioranza dei casi viene somministrato per il trattamento dell'astinenza da eroina (v. DIPENDENZA DA OPPIACEI, Cap. 195), trattamento di mantenimento a lungo termine dell'intossicazione da oppiacei e analgesia negli stati di dolore cronico. Effetti indesiderati simili a quelli della morfina, reversibili mediante gli antagonisti degli oppiacei. L'emivita lunga (generalmente più lunga della durata dell'analgesia dopo una somministrazione) ne complica il

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dosaggio sicuro per l'analgesia. Richiede uno stretto controllo per alcuni giorni o più, dopo l'aumento della quantità o della frequenza del dosaggio, in quanto può insorgere una grave tossicità quando i livelli plasmatici continuano ad aumentare fino al livello stabile. Morfina

Parenterale: 10mg q 4h

Rappresenta lo standard di paragone; bassa Orale: 60mg q 4h biodisponi bilità nella somministrazi one orale (solo 1/3- 1/6 dell'efficacia parenterale)

Parenterale: 23h Orale: 3-4h Orale (rilascio control lato): 812h Orale (rilascio sostenu to): 24h

Ossicodone

Ossimorfone

Orale: 5-10mg q 4-6h

IM o SC: 11,5mg q 4-6h inizialmente

Buona potenza nella sommin istrazione orale; 20-30mg PO=morfina 10mg IM

Orale (rilascio immedi ato): 34h

Rapido inizio di azione. Anche disponibile come soluzione concentrata orale. Gli effetti indesiderati comprendono depressione del respiro, diminuzione del riflesso della tosse, nausea, vomito, stitichezza, prurito, sedazione, con fusione mentale, miosi e ipotensione arteriosa (in pazienti ipovolemici che assumono improvvisamente la posizione eretta). Utile nel trattamento della diarrea. Somministrato da solo, per il trattamento a lungo termine del dolore grave; combinato con aspirina o acetaminofene, per il dolore moderato.

Orale (rilascio control lato): 812h

EV o IM: 3-4h Potente; 10mg somministrati per via rettale=morfina Supposta 10mg IM rettale: 4h

Rapido inizio d'azione.

debole; propossifene Orale: 3-4h idroclo ride 65 mg o propossifene napsilato 100=aspirina 650mg

Somministrato da solo o in combinazione con l'aspirina per il trattamento del dolore lieve o moderato. Il sale napsilato è disponibile in sospensione o in compresse, consentendo una flessibilità del dosaggio e della somministrazione. Tossicità simile a quella degli altri analgesici oppiacei.

Potente

Effetti psicomimetici meno marcati di quelli degli altri ago nisti-antagonisti, ma simili gli altri effetti. La depressione del respiro indotta dalla buprenorfina può non essere pien amente reversibile con il naloxone.

EV: 0,5mg inizialmente Rettale: una supposta da 5mg q 4-6h Propossifene

Orale: propossifene idro cloride 65mg q 4h o propossifene napsilato 100mg q 4h

Agonisti-Antagonisti Buprenorfina

Parenterale: 1ml q 6h

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Parenterale: 6h

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Butorfanolo

EV: 1 (0,5-2)mg q 3-4h

30 x pentazocina

Parenterale: 3-4h

Effetti simili alla pentazocina; disponibile come spray na sale.

Più potente della pentazocina

Parenterale: 2-4h (dose correlata)

Effetti simili alla nalbufina.

Nalbufina

10 x pentazocina Parenterale: 10mg q 3-6h (per 70 kg di peso corporeo)

Parenterale: 3-6h

Effetti psicomimetici meno marcati rispetto alla pentazocina ma più marcati di quelli della morfina.

Pentazocina

Orale: 50mg q 3-4h in izialmente, non superare i 600mg/die

Orale: fino a 4h

Disponibile in compresse combinata con naloxone, aspirina o acetaminofene. Utilità limitata dall'effetto soglia sull'analgesia a dosi più alte, dall'eventualità di astinenza da op piacei se somministrata a pazienti con dipendenza fisica da agonisti oppiacei e dal rischio di effetti psicomimetici, specialmente per i pazienti affetti da dolore acuto senza tolleranza e senza dipendenza fisica. Può causare stati confusionali e ansia, specialmente negli anziani. Sovra dosaggio reversibile mediante il naloxone, ma non medi ante gli altri antagonisti oppiacei.

IM: 2 (1-4)mg q 34h Dezocina

EV: 2,5- 10mg q 2-4h IM: 5-20mg q 36h

Debole; 60mg IM = 10 mg morfina

Parenterale: 30mg q 3-4h

Parenterale: fino a 4h

*Dosaggio abituale per il dolore acuto in pazienti che nonhanno mai assunto oppiacei. † La potenza in genere non è un elemento clinico determinante, in quanto le dosi necessitano spesso di adeguamenti; un farmaco a potenza più bassa è utile se la sua dose può essere aumentata senza l'insorgenza di effetti collaterali non tollerabili.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 167-3. DOSI EQUIANALGESICHE DI ANALGESICI OPPIOIDI PER IL DOLORE GRAVE* Farmaco

IM (mg)

Orale (mg)

Butorfanolo

2

---

Codeina

130

200

Idromorfone 1,5

7,5

Levorfanolo 2

4

Meperidina

75

300

Metadone

10

20

Morfina

10

60†

Nalbufina

10

---

Ossicodone 15

30

Ossimor fone

1

---

60

180

Pentazocina *Le equivalenze sono basate su studi a dose singola. †Per il dosaggio ripetuto è stato indicato, mediante casistiche cliniche, e attuato in pratica, un rapporto IM : orale di 1:2-3.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 167-4. METODI ANALGESICI NON FARMACOLOGICI Approccio

Esempi

Anestesiologico

Infusione intrarachidea, blocco neurale

Neurochirurgico

Neurolisi dei tratti del SNC (cordotomia)

Neurostimolatorio

Stimolazione nervosa elettrica transcutanea, stimolazione delle colonne dorsali

Fisiatrico

Terapia fisica, dispositivi ortopedici, diatermia

Psicologico

Metodi cognitivi (pes., ipnosi, biofeedback), metodi comportamentali

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Neoplasie del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 177. NEOPLASIE DEL SNC (V. anche Cap. 89 e 142) (V. anche Cap. 89 e 142)

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Neoplasie del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 177. NEOPLASIE DEL SNC (V. anche Cap. 89 e 142)

SINDROMI PARANEOPLASTICHE DEL SNC Complicanze neurologiche a distanza di una neoplasia, in cui le alterazioni del sistema nervoso si sviluppano senza invasione diretta del tumore e in assenza di infezioni o di complicanze vascolari. (v. anche Cap. 81 e in Complicanze al Cap. 142)

Sommario: Introduzione Sindromi specifiche

Tali sindromi si ritrovano in < 1% dei pazienti neoplastici e, nella maggior parte dei casi, in seguito a tumori (a piccole cellule) del polmone o dell’ovaio. Non sono limitate al sistema nervoso, ma lo coinvolgono frequentemente. L’eziologia è sconosciuta. È stato ipotizzato per alcune di queste sindromi un meccanismo autoimmunitario, in quanto in alcuni pazienti sono stati dimostrati anticorpi anti sistema nervoso. Le sindromi vengono classificate in base alla localizzazione. Gli effetti centrali sono caratterizzati da demenza progressiva, alterazioni dell’umore, convulsioni e, meno frequentemente, da segni focali sensitivi o motori. Alcuni pazienti presentano agglomerati linfocitici a livello del lobo temporale medio (encefalite limbica), mentre altri presentano scarse anomalie. Le complicanze neurologiche periferiche comprendono deficit di forza (talvolta con sindrome di Eaton-Lambert) e neuropatie periferiche. La diagnosi è posta per esclusione, a meno che non si ritrovino i caratteristici auto-anticorpi nel siero o nel liquor. La diagnosi differenziale comprende i disturbi metabolici cerebrali, la carcinomatosi meningea, la leucoencefalopatia progressiva multifocale. Non esiste trattamento specifico, sebbene occasionalmente i pazienti migliorino dopo il trattamento della neoplasia.

Sindromi specifiche La degenerazione cerebellare subacuta, associata a neoplasia, ha un quadro clinico tipico, caratterizzato da una lenta insorgenza di atassia bilaterale delle braccia e delle gambe, disartria e, talvolta, vertigine e diplopia. I segni neurologici comprendono demenza, oftalmoplegia, nistagmo e segni estensori plantari. La malattia in genere progredisce per settimane o mesi e causa grave invalidità. La degenerazione cerebellare può precedere di settimane o anni la scoperta di una neoplasia; di norma, in alcuni pazienti, può essere dimostrata la presenza di antiYo, un auto-anticorpo circolante, specialmente nelle donne affette da carcinoma mammario od ovarico. La TAC o la RMN possono mostrare l’atrofia cerebellare, soprattutto nel livello avanzato di malattia. I reperti anatomopatologici sono caratterizzati da una notevole perdita di cellule sparse di Purkinje e da un accumulo a manicotto linfocitario nei vasi sanguigni profondi. L’esame del liquor presenta talvolta una lieve pleiocitosi linfocitica. Il trattamento è aspecifico, anche se possono esserci dei miglioramenti dopo un’efficace terapia antitumorale. file:///F|/sito/merck/sez14/1771558.html (1 of 3)02/09/2004 2.14.56

Neoplasie del snc

La neuropatia sensitiva paraneoplastica, con o senza encefalomielite, può accompagnare il carcinoma polmonare a piccole cellule. I sintomi consistono nella neuropatia sensitiva dolorosa, con perdita di tutti i tipi di sensibilità. La degenerazione cerebellare e le anomalie del tronco encefalico sono variabili. L’encefalite limbica insorge con ansia e depressione, comportando amnesia, agitazione, confusione, allucinazione e anomalie comportamentali. Alcuni pazienti presentano l’anti-Hu, un autoanticorpo circolante, nel siero e nel liquor. Non esiste trattamento conosciuto, ma occasionalmente i pazienti migliorano dopo il trattamento della patologia di base. Opsoclono (spontanei e caotici movimenti oculari): si tratta di una rara sindrome cerebellare che può accompagnare il neuroblastoma infantile. Si associa ad atassia cerebellare e mioclono del tronco e degli arti. In questi pazienti si può talvolta isolare l’anti-Ri, un autoanticorpo circolante. La sindrome spesso risponde al trattamento antitumorale e agli ormoni corticosteroidei. La neuropatia motoria subacuta è un raro disturbo che colpisce in genere i pazienti affetti da morbo di Hodgkin o altre varietà di linfomi. È caratterizzata da debolezza muscolare, senza dolore agli arti superiori. Le cellule delle corna anteriori sono degenerate. In genere il miglioramento spontaneo è frequente. La mielopatia necrotica subacuta è rara. Insorge come una rapida perdita di fibre motorie e sensitive ascendenti a livello della materia grigia e bianca del midollo spinale. Conduce a paraplegia. Può essere effettuata una RMN per escludere una compressione epidurale da tumore metastatico, che rappresenta la causa più comune di disturbo ingravescente midollare nei pazienti affetti da neoplasia. La RMN può rivelare la lesione necrotica del midollo spinale. La neuropatia periferica rappresenta l’effetto a distanza più frequente prodotto dal cancro sul sistema nervoso periferico. Consiste abitualmente in una polineuropatia sensitivo-motoria distale che produce lieve deficit di forza, ipoestesia e assenza dei riflessi distali. La sindrome non è distinguibile da quella che accompagna molte patologie croniche. Può essere causata da malnutrizione, ma risponde poco alla terapia nutrizionale. La neuropatia sensitiva subacuta è una neuropatia più specifica ma rara. I gangli delle radici dorsali degenerano e si sviluppa un’ipoestesia progressiva, con atassia, ma lieve deficit di forza; tale quadro può essere invalidante. L’anti-Hu, un autoanticorpo, è rilevabile nel siero di alcuni pazienti affetti da cancro polmonare e affetti da tale complicanza. Non esistono terapie. La sindrome di Guillain-Barré è più frequente nei pazienti affetti da morbo di Hodgkin rispetto alla popolazione generale. La sindrome di Eaton-Lambert è una sindrome miasteniforme immunomediata, con deficit di forza che colpisce solitamente gli arti e risparmia i muscoli oculari. È di tipo presinaptico, conseguente alla compromissione del rilascio di acetilcolina dai terminali nervosi. Un anticorpo IgG sembra avere un ruolo nell’ezio-patogenesi. La sindrome può precedere, essere contemporanea o svilupparsi dopo la diagnosi di cancro. Insorge in genere in uomini affetti da tumori intratoracici (il 70% ha un carcinoma polmonare a piccole cellule). I segni clinici consistono in affaticabilità, astenia, talvolta dolore a livello della muscolatura prossimale degli arti, parestesie periferiche, secchezza delle fauci, impotenza e ptosi palpebrale. I riflessi osteotendinei profondi sono ridotti o assenti. La diagnosi è confermata dal rilievo di una risposta incrementale alla stimolazione ripetitiva del nervo, con aumento dell’ampiezza del potenziale d’azione muscolare > 200% a frequenze > 10 Hz. Il trattamento è innanzitutto diretto contro la patologia maligna sottostante e, in alcuni casi, induce la remissione. La guanidina (inizialmente 125 mg PO qid, poi in dosi gradualmente crescenti fino a un massimo di 35 mg/kg), favorisce il rilascio di acetilcolina e spesso diminuisce la sintomatologia, ma può deprimere la funzione epatica e midollare. I corticosteroidi e la plasmaferesi sono di beneficio per alcuni pazienti. Si ritiene che l’incidenza della dermatomiosite e, in minor grado, della polimiosite (v. Cap. 50) sia maggiore nei pazienti neoplastici, soprattutto in quelli con età > 50 anni. Generalmente, insorge una progressiva debolezza dei muscoli prossimali, con segni di infiammazione e necrosi delle cellule muscolari. Si può sviluppare sulle guance un rash eritematoso a farfalla, di colorito scuro; può file:///F|/sito/merck/sez14/1771558.html (2 of 3)02/09/2004 2.14.56

Neoplasie del snc

essere presente edema periorbitale. Può essere utile in questi casi la terapia corticosteroidea.

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Immunologia dei tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 143. IMMUNOLOGIA DEI TUMORI ANTIGENI TUMORALI Antigeni presenti sulle cellule tumorali ma non presenti o non evidenziabili sulle cellule normali. In studi su animali, la maggior parte dei tumori indotti o trapiantati in ospiti singenici induce un’immunità contro un successivo tentativo di indurre o trapiantare lo stesso tumore ma non contro trapianti di tessuto normale o di altri tumori. La presenza di antigeni tumorali è ben dimostrabile in particolare nei (1) tumori indotti da cancerogeni chimici, che tendono ad avere antigeni specifici che variano tra i vari tumori, anche tra quelli indotti dallo stesso cancerogeno e nei (2) tumori indotti da virus, che tendono a mostrare una reattività crociata tra tumori indotti dallo stesso virus. Le infezioni virali possono avere come risultato una modificazione del "self", cioè, la comparsa di nuovi antigeni riconosciuti nel contesto del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). I meccanismi suggeriti sull’origine di questi antigeni comprendono (1) la presenza di una nuova informazione genetica introdotta da un virus, come le proteine E6 e E7 del papillomavirus umano nel carcinoma della cervice; (2) l’alterazione di oncogeni da parte di cancerogeni, che generano direttamente una nuova sequenza proteica o portano a induzione di geni che normalmente non sono espressi (con l’eccezione forse del periodo dello sviluppo embrionale); (3) l’esposizione di antigeni in condizioni normali "sommersi" nella membrana plasmatica poiché le cellule neoplastiche sono incapaci di sintetizzare i componenti della membrana (p. es., acido sialico); e (4) rilascio di antigeni normalmente sequestrati all’interno cellula o negli organelli endocellulari quando la cellula neoplastica muore. Le tecniche per la tipizzazione degli antigeni tumorali sono notevolmente migliorate con la clonazione molecolare. Gli antigeni tumorali sono stati direttamente purificati dalle cellule tumorali e identificati con tecniche chimicofisiche, come la spettrofotometria di coppia. In alternativa, cloni di cellule T specifiche per il tumore possono essere testati contro cellule antigene-negative che hanno acquisito l’antigene attraverso la trasfezione con cloni di plasmidi di DNA per isolare il clone che esprime l’antigene. Possono quindi essere costruiti peptidi sintetici per identificare con precisione il sito antigenico o epitopo. Alcuni ATA e ATS sono stati identificati nelle neoplasie umane, p. es., linfoma di Burkitt, neuroblastoma, melanoma maligno, osteosarcoma, carcinoma renale a cellule chiare, carcinoma mammario e alcune neoplasie GI e polmonari. Il coriocarcinoma nelle donne possiede degli antigeni MHC di derivazione paterna che possono comportarsi come ATS nello stimolare una risposta immune, che potenzialmente contribuisce alla guarigione completa di questi tumori con la chemioterapia. Purtroppo, benché altri tumori umani possano avere ATA o ATS antigenici, non tutti sono immunogeni nell’ospite.

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Immunologia dei tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 143. IMMUNOLOGIA DEI TUMORI RISPOSTA DELL’OSPITE AI TUMORI Sommario: IMMUNITÀ CELLULARE IMMUNITÀ UMORALE Anticorpi antitumorali ALTERAZIONI DELLA REATTIVITÀ IMMUNOLOGICA DELL'OSPITE

IMMUNITÀ CELLULARE L’importanza delle cellule linfoidi nell’immunità tumorale è stata ripetutamente dimostrata in vivo. La cellula T è ritenuta la principale responsabile del riconoscimento diretto e della soppressione della cellula tumorale. Le cellule T esercitano una sorveglianza immunologica, distruggendo cellule tumorali neotrasformate dopo il riconoscimento degli ATA. Nell’uomo possono svilupparsi specifici cloni di cellule T, che riconoscono e uccidono direttamente cellule tumorali autologhe. Le cellule T sono singolarmente capaci di uccidere cellule che esprimono ATA intracellulari poiché i frammenti di peptidi derivanti da queste proteine intracellulari possono essere legati ad antigeni di classe I MHC sulla superficie della cellule tumorale, i quali possono essere riconosciuti dai recettori di superficie delle cellule T. Pertanto, gli antigeni riconosciuti dai linfociti T citotossici (CTL) non sono necessariamente proteine di superficie, ma possono essere proteine intracellulari o anche intranucleari. Queste molecole possono rappresentare bersagli ideali per l’immunoterapia poiché esse possono essere direttamente coinvolte nella sregolazione della crescita cellulare associata con lo sviluppo del tumore. CTL-tumore specifici sono stati trovati nei neuroblastomi, melanomi maligni, sarcomi e carcinomi di colon, mammella, cervice, endometrio, ovaio, testicolo, rinofaringe e rene. Il significato delle reazioni immunologiche nel controllo della crescita tumorale non è chiaro, ma sembra probabile che le cellule T possano in alcune circostanze danneggiare cellule tumorali in vivo. Cellule natural killer (NK), in grado di uccidere cellule tumorali, sono state trovate anche in soggetti senza tumore. Le cellule NK sembrano riconoscere alcune caratteristiche comuni alle cellule neoplastiche, in particolare i bassi livelli di molecole MHC di classe I. Alcune cellule T richiedono la presenza di anticorpi umorali diretti contro le cellule tumorali (citotossicità cellulare anticorpo- dipendente) per avviare le interazioni che portano alla morte cellulare. Anche se apparentemente meno efficaci dei meccanismi della citotossicità cellulomediata, i macrofagi possono uccidere specifiche cellule tumorali se attivati dalla presenza di ATA, linfochine (fattori solubili) prodotte dalle cellule T, o interferone (IFN). Altre cellule T, definite cellule T-suppressor, inibiscono la produzione di una risposta immune contro i tumori. Anche la cellula che presenta l’antigene ha un ruolo chiave nell’induzione della risposta immune. Questa cellula è presente nei tessuti barriera (p. es., cute, linfonodi) e presenta i nuovi antigeni alle cellule effettrici, come le cellule T. In aggiunta alle diverse popolazioni cellulari, le linfochine prodotte dalle cellule immunologiche stimolano la crescita o l’attivazione delle altre cellule immunologiche (v. anche Cap. 144). Queste linfochine comprendono

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Immunologia dei tumori

l’interleuchina-2 (IL-2), conosciuta anche come fattore di crescita delle cellule T e gli interferoni. Fattori di crescita descritti recentemente, come l’interleuchina12 (IL-12), inducono specificatamente i CTL piuttosto che sopprimere le risposte delle cellule T e aumentano pertanto le risposte immuni.

IMMUNITÀ UMORALE Anticorpi umorali che reagiscono con cellule tumorali in vitro sono prodotti in risposta a vari tumori di origine animale, indotti da cancerogeni chimici o da virus. Anticorpi umorali diretti contro cellule tumorali umane o i loro costituenti sono stati evidenziati in vitro nel siero di pazienti con linfoma di Burkitt, melanoma maligno, osteosarcoma, neuroblastoma e carcinomi GI. Tuttavia, la protezione mediata da anticorpi umorali contro la crescita tumorale in vivo è dimostrabile solo in alcune leucemie e linfomi degli animali. Al contrario, una protezione in vivo mediata da cellule linfoidi si manifesta in molti tumori di origine animale.

Anticorpi antitumorali Gli anticorpi citotossici sono generalmente Ac che fissano il complemento, diretti contro antigeni di superficie a densità relativamente alta. Di solito gli anticorpi IgM sono più citotossici nei sistemi di trapianto rispetto agli anticorpi IgG. Gli anticorpi bloccanti o facilitanti possono favorire la crescita di un tumore piuttosto che inibirla. Sono in genere IgG, forse in forma di complessi con antigeni solubili. I meccanismi e la relativa importanza di tale facilitazione immunologica non sono ben noti ma possono coinvolgere complessi immuni solubili e cellule T-suppressor. La relazione tra anticorpi citotossici e facilitanti non è ancora chiara; non è ancora noto cioè se si tratti di due distinti anticorpi

ALTERAZIONI DELLA REATTIVITÀ IMMUNOLOGICA DELL'OSPITE I tumori con ATA sono in grado di crescere in vivo; questa constatazione suggerisce un deficit nella risposta dell’ospite agli ATA. I meccanismi possibili sono i seguenti: (1) può svilupparsi una tolleranza immunologica specifica agli ATA (p. es., per l’esposizione prenatale all’antigene, che può essere d’origine virale). Questo può coinvolgere in qualche modo le cellule T-suppressor. (2) Agenti chimici, fisici, virali possono deprimere la risposta immune. Un clamoroso esempio di quest’ultimo meccanismo si è osservato in pazienti con infezione da HIV, nei quali le cellule T-helper sono distrutte selettivamente dal virus (v. Cap. 163). (3) La terapia, in particolare con i farmaci citotossici e le radiazioni, può deprimere la risposta immune. I pazienti sottoposti a terapia immunosoppressiva per trapianto renale hanno un’incidenza di neoplasie > 100 volte quella attesa, suggerendo un danneggiamento dei supposti meccanismi di sorveglianza immunologica. Questi tumori sono generalmente neoplasie linfoidi anziché tumori più comuni (p. es., quelli del polmone, della mammella, del colon e della prostata). Tumori che sono stati inavvertitamente trapiantati in pazienti sottoposti a trapianto renale e a trattamento con immunosoppressori, sono regrediti dopo interruzione del trattamento immunosoppressivo. In contrasto con questi effetti nocivi dei farmaci immunosoppressivi o della radioterapia, si è visto che il trattamento preventivo dei pazienti, affetti da tumore, con basse dosi di ciclofosfamide inibisce le risposte delle cellule T-suppressor ai vaccini contro cellule tumorali e ad altri antigeni, e quindi aumenta potenzialmente l’immunità tumorale. (4) Il tumore stesso può deprimere la risposta immune. Un deficit dell’immunità cellulare può essere associato con la recidiva e la disseminazione del tumore, sebbene sia difficile distinguere la causa e l’effetto. Questa deficienza è stata dimostrata a più riprese in varie neoplasie, in modo più eclatante nel morbo di Hodgkin, in cui file:///F|/sito/merck/sez11/1431056.html (2 of 3)02/09/2004 2.14.57

Immunologia dei tumori

sembra coinvolto un difetto di varia entità nella funzione delle cellule T. Possono essere anche coinvolti una riduzione della produzione della IL-2, un incremento dei recettori solubili circolanti e alterazioni a carico della cellula che presenta l’antigene. È stato evidenziato un carente funzionamento delle cellule T che infiltrano il tumore che può essere superato con un’adeguata presentazione dell’antigene da parte della cellula che presenta l’antigene e con un appropriato supporto di citochine. Un deficit dell’immunità umorale è comunemente associato a neoplasie correlate ad anomalie dei linfociti B (p. es., mieloma multiplo, leucemia linfatica cronica).

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Immunologia dei tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 143. IMMUNOLOGIA DEI TUMORI IMMUNODIAGNOSI DEI TUMORI Gli ATA possono essere marker tumorali utili nella diagnosi e nel trattamento di varie neoplasie. Un marker tumorale ideale è rilasciato solo dal tessuto tumorale, è specifico di un determinato tipo di tumore (in modo da indirizzare la valutazione diagnostica), è dosabile in presenza di una piccola massa cellulare tumorale, dimostra una relazione diretta fra l’entità della massa tumorale e la concentrazione del marker nel sangue o altri liquidi biologici ed è presente in tutti i pazienti affetti dal tumore. La maggior parte dei tumori liberano in circolo macromolecole antigeniche che possono essere messe in evidenza mediante immunodosaggio. Sebbene i marker tumorali siano utili per monitorare i pazienti con recidive tumorali dopo terapia, nessuno di essi ha una specificità o sensibilità tali da risultare utile nella diagnosi precoce o nei programmi di screening tumorali di massa dei tumori. L’antigene carcinoembrionario (CEA) è un complesso proteico-polisaccaride che è stato trovato nel carcinoma del colon e nell’intestino pancreas e fegato normali del feto. Un dosaggio radioimmunologico sensibile può evidenziare livelli aumentati nel sangue dei pazienti con carcinoma del colon, ma la specificità è relativamente bassa, poiché un test positivo si può avere anche nei forti fumatori, nei cirrotici, nelle coliti ulcerose e in altre neoplasie (p. es., della mammella, del pancreas, della vescica, dell’ovaio e della cervice). Il monitoraggio dei livelli di CEA può essere utile per evidenziare recidive dopo l’asportazione di un tumore che era inizialmente associato ad alti livelli di CEA. L’α-fetoproteina, un prodotto normale delle cellule epatiche fetali, viene riscontrata anche nel siero di pazienti con carcinoma epatico primitivo, neoplasie del sacco vitellino e, frequentemente, nel carcinoma embrionario del testicolo e dell’ovaio. La subunità β della gonadotropina corionica umana (β-HCG), misurata mediante dosaggio immunologico, è il marcatore più importante nelle donne con neoplasie gestazionali trofoblastiche (NGT), un insieme di malattie che comprende la mole idatiforme, la NGT non metastatica e la NGT metastatica (v. anche malattia trofoblastica gestazionale nel Cap. 241) e in circa i 2/3 degli uomini con carcinoma embrionale del testicolo o coriocarcinoma. È dosata la subunità β poiché è specifica della HCG. L’antigene prostatico specifico (PSA), glicoproteina localizzata nelle cellule epiteliali dei dotti della ghiandola prostatica, può essere evidenziato in basse concentrazioni nel siero di uomini sani. Con l’individuazione di un appropriato limite superiore alla norma, gli esami con anticorpi monoclonali rilevano livelli sierici elevati di PSA in circa il 90% dei pazienti con tumore della prostata in fase avanzata, anche in assenza di malattia metastatica già evidente. È più sensibile della fosfatasi acida prostatica. Tuttavia, essendo il PSA aumentato nell’ipertrofia prostatica benigna, è meno specifico. Il PSA può essere usato per monitorare la recidiva dopo che il carcinoma prostatico è stato diagnosticato e trattato. Il CA 125 è utile clinicamente per la diagnosi e il monitoraggio della terapia del carcinoma ovarico, anche se ogni processo infiammatorio peritoneale può indurne un aumento dei livelli circolanti. L’anticorpo monoclonale marcato B72,3, che riconosce un antigene comune ai carcinomi (in grado di riconoscere carcinomi di ogni tessuto) definito TAG-72, è

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Immunologia dei tumori

utilizzato per localizzare depositi neoplastici al fine di ricercare sedi tumorali occulte. Il beneficio clinico derivante dalla scoperta di tali tumori occulti è in corso di studio.

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE MALATTIA TROFOBLASTICA GESTAZIONALE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Le neoplasie di origine trofoblastica si possono sviluppare in seguito a un aborto spontaneo, a una gravidanza ectopica o a una gravidanza a termine. La mola idatiforme è una gravidanza in cui i villi sono diventati idropici e gli elementi trofoblastici sono proliferati. Il corioadenoma (mola invasiva) è un’invasione locale del miometrio da parte della mola idatiforme. Il coriocarcinoma è un tumore invasivo, di solito diffusamente metastatico, composto da cellule trofoblastiche maligne senza villi idropici. La localizzazione placentare del tumore trofoblastico, consistente di cellule trofoblastiche intermedie che persistono dopo una gravidanza a termine, è rara. La mola idatiforme è più comune dopo gravidanze in pazienti molto giovani (< 17 anni) o anziane (trentenni e quarantenni) e si verifica in circa 1 ogni 2000 gravidanze negli USA. Per ragioni sconosciute, l’incidenza nei paesi asiatici raggiunge una frequenza di 1 ogni 200 gravidanze. Più dell’80% delle mole idatiformi è benigno e regredisce spontaneamente. Tuttavia, il 15-20% tende a persistere e il 2-3% è seguito da un coriocarcinoma (in circa 1 ogni 2500045000 gravidanze).

Sintomi, segni e diagnosi Una mola idatiforme si manifesta, spesso, entro 10-16 sett. dopo il concepimento, con un rapido aumento delle dimensioni dell’utero, che è spesso più grande di quanto ci si aspetti per l’età gestazionale stimata. Sono frequenti le perdite ematiche vaginali, la mancanza di movimenti fetali, l’assenza del battito cardiaco fetale, la nausea e il vomito gravi. L’espulsione di tessuto molare con aspetto "a grappolo d’uva" suggerisce la diagnosi e l’esame istologico la conferma. L’ecografia pelvica, sebbene non infallibile, è utile per la diagnosi. Le gonadotropine umane corioniche (hCG) prodotte dal tessuto trofoblastico proliferato e gli elevati livelli sierici della subunità βdell’hCG (β-hCG) aiutano nella diagnosi della malattia trofoblastica gestazionale. Le complicanze di una mola parziale o completa includono l’infezione intrauterina e la setticemia, l’emorragia, la tossiemia e lo sviluppo di una malattia trofoblastica gestazionale persistente. La localizzazione placentare del tumore trofoblastico, dato il suo sviluppo intramurale, tende a provocare un sanguinamento; può infiltrare i tessuti adiacenti e, occasionalmente, metastatizzare a distanza. Il coriocarcinoma, che è altamente maligno, metastatizza precocemente e diffusamente attraverso i sistemi venoso e linfatico.

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Neoplasie ginecologiche

Terapia Se la mola idatiforme regredisce spontaneamente, la paziente deve assumere dei contraccettivi orali (a meno che non siano controindicati) per 6 mesi. Se la mola non regredisce, deve essere asportata (evacuata). Il trattamento di scelta è lo svuotamento mediante isterosuzione, seguito dalla somministrazione di ossitocina e da una cauta revisione della cavità uterina. L’isterotomia non è più usata a meno che non sia indisponibile l’aspiratore per la suzione e l’utero sia grande. Si può ricorrere all’isterectomia selezionando le pazienti in base alla loro età, alla parità e ai loro progetti di future gravidanze. Dopo l’asportazione, devono essere effettuati un esame radiologico del torace e la determinazione dei valori sierici della β-hCG. I livelli devono tornare a valori normali in < 10-12 sett. Se viene diagnosticata una malattia trofoblastica gestazionale persistente e la paziente necessita di chemioterapia, deve assumere anche dei contraccettivi orali per 12 mesi dopo la riuscita del trattamento. Le pazienti con livelli di β-hCG persistentemente elevati o in aumento possono avere una mola invasiva o un coriocarcinoma. Sono necessari una valutazione formale delle metastasi e quindi il trattamento (di solito la chemioterapia). Dopo la valutazione, la malattia viene classificata come non metastatica o metastatica. La malattia metastatica è ulteriormente classificata in forme a buona o a cattiva prognosi. Tutte le pazienti con malattia trofoblastica gestazionale non metastatica possono essere trattate con un singolo farmaco chemioterapico (metotrexato o dactinomicina). Tuttavia, l’isterectomia può essere presa in considerazione per le pazienti > 40 anni o per quelle che desiderano essere sterilizzate e può essere necessaria per quelle con una grave infezione o un sanguinamento non controllato. Alcune pazienti affette da una malattia non metastatica che non rispondono a un singolo farmaco possono essere candidate all’intervento di isterectomia o possono richiedere in ultima analisi un trattamento con più farmaci. In pratica, il 100% delle pazienti che non hanno metastasi può guarire. La prognosi per le pazienti con metastasi è notevolmente migliorata grazie allo sviluppo di efficaci regimi polichemioterapici. Le pazienti che hanno un basso rischio di metastasi, come determinato dal sistema di punteggio dell’OMS (v. Tab. 241-8), sono a volte trattate con un solo farmaco. Le pazienti che sono ad alto rischio per la malattia metastatica necessitano di una chemioterapia aggressiva con più farmaci. Globalmente, la percentuale di guarigione per le pazienti ad alto rischio è del 60-80%. Per le pazienti con una storia di mola idatiforme, il rischio di ricorrenza nelle gravidanze successive è di circa l’1%. Queste pazienti devono eseguire all’inizio della gravidanza uno studio ecografico per confermare la presenza di una normale gravidanza intrauterina. La malattia trofoblastica gestazionale non compromette la fertilità e non aumenta l’incidenza di anomalie congenite, di aborti o di complicanze prenatali o perinatali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-8. SISTEMA DI PUNTEGGIO DELLA MALATTIA TROFOBLASTICA GESTAZIONALE SECONDO LA OMS Fattore Età (anni)

Precedente gravidanza

Descrizione ≤39

0

>39

1

Mola idatiforme

0

Aborto

1

A termine

2

Intervallo tra la 12

4

5

2

Milza, rene tratto GI, fegato, cervello

1 2 4

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Manuale Merck - Tabella

Numero di metastasi

Precedente chemioterapia

1-3

1

4-8

2

>8

4

Monofarmaco

2

≥2 farmaci

4

*Punteggio totale: 0-4=basso rischio; 5-7=rischio inter medio; ≥8=rischio elevato. †Combinazione dei gruppi sanguigni paterno e materno. ‡Gruppo sanguigno materno. OMS=Organizzazione Mondiale della Sanità; βhCG=subunità β della gonadotropina corionica umana.

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Immunologia dei tumori

Manuale Merck 11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA 143. IMMUNOLOGIA DEI TUMORI IMMUNOTERAPIA Sommario: Introduzione IMMUNTERAPIA PASSIVA CELLULARE IMMUNOTERAPIA PASSIVA UMORALE IMMUNOTERAPIA SPECIFICA ATTIVA IMMUNOTERAPIA ASPECIFICA

È opportuno considerare l’immunoterapia come facente parte di un argomento più ampio, vale a dire la terapia biologica, ovvero l’utilizzazione dei modificatori della risposta biologica (BRM). Queste sostanze possono agire attraverso uno o più meccanismi per: (1) stimolare la risposta antitumorale dell’ospite mediante l’incremento del numero delle cellule effettrici o attraverso la produzione di uno o più mediatori solubili (p. es., linfochine); (2) ridurre i meccanismi immunosoppressori dell’ospite; (3) alterare le cellule tumorali per aumentare la loro immunogenicità o renderle più sensibili ai danni dei processi immunologici; e (4) migliorare la tolleranza dell’ospite ai farmaci citotossici o alla radioterapia (p. es., stimolando la funzione del midollo osseo con il fattore di crescita stimolante le colonie granulocitarie o altri fattori ematopoietici). I primi tre meccanismi costituiscono una manipolazione dei processi immunologici e sono considerati immunoterapia. Un BRM può avere effetti immunologici e non immunologici; p. es., l’α-IFN aumenta l’espressione degli ATA sulle cellule tumorali e l’attività delle cellule NK, ma inibisce anche la proliferazione delle cellule tumorali direttamente attraverso meccanismi non immunologici.

IMMUNOTERAPIA PASSIVA CELLULARE Immunoterapia cellulare passiva è un termine utilizzato quando cellule effettrici specifiche, attivate, sono direttamente infuse al paziente e non sono indotte o espanse nell’organismo del paziente. I primi tentativi riguardano la reinfusione dei linfociti del paziente stesso dopo espansione in vitro mediante esposizione all’IL2 (fattore di crescita delle cellule T). Queste cellule sono definite cellule killer attivate da linfochine (cellule LAK). A volte le cellule sono esposte prima alla fitoemoagglutinina, un mitogeno linfocitario, per permettere l’espansione di una grande varietà di cellule linfoidi periferiche. Questi approcci sono un’estensione degli studi nei quali i linfociti allogenici erano trasfusi in maniera crociata tra pazienti affetti da tumore dopo un tentativo di immunizzazione mediante trapianti di tumore. La disponibilità di grandi quantità di IL-2 ricombinante ha reso possibile la tecnica delle cellule LAK più IL-2 e in alcuni pazienti con melanomi e carcinomi renali si sono osservate risposte obiettive. Poiché l’infusione di IL-2 dopo quella delle cellule LAK è associata a una tossicità significativa, sono allo studio modifiche della metodica. Un approccio è quello di isolare ed espandere la popolazione di linfociti che hanno infiltrato il tumore in vivo e possono avere pertanto una specificità tumorale (definiti linfociti infiltranti il tumore [TIL]). L’infusione di TIL permette di usare livelli più bassi di IL-2 con uguale o maggiore efficacia antitumorale. I TIL possono anche essere modificati geneticamente in modo da esprimere molecole con capacità tumoricida per file:///F|/sito/merck/sez11/1431058b.html (1 of 4)02/09/2004 2.15.01

Immunologia dei tumori

aumentare la loro citotossicità. Un’altra modifica dell’immunità cellulare passiva è l’utilizzo concomitante di interferon, che aumenta l’espressione degli antigeni MHC e degli ATA sulle cellule tumorali, aumentando quindi il numero di cellule tumorali uccise da parte delle cellule effettrici infuse. Tuttavia, le remissioni sono state rare.

IMMUNOTERAPIA PASSIVA UMORALE L’uso di anticorpi antitumorali come forma di immunoterapia passiva (in contrasto con la stimolazione attiva del sistema immunitario dell’ospite) risale ad almeno un secolo fa. La tecnologia degli ibridomi ha incrementato le potenzialità di questo approccio all’immunoterapia nell’uomo poiché permette di individuare e di produrre in vitro anticorpi monoclonali diretti contro varie neoplasie nell’uomo e negli animali. Il siero antilinfocitario è stato impiegato nella leucemia linfoide cronica e nei linfomi a cellule B e T, ottenendo una temporanea riduzione del numero dei linfociti o del volume dei linfonodi. In alcuni studi con anticorpi monoclonali murini diretti contro vari antigeni associati a melanoma maligno e linfomi sono state osservate risposte significative; al momento anticorpi non di origine umana ma "resi umani" sono usati per prevenire l’insorgere di una reazione immune contro l’immunoglobulina del topo. Un’altra modifica è la coniugazione di anticorpi monoclonali antitumore con tossine (p. es., ricino, tossina difterica) o con radioisotopi, in maniera che gli anticorpi possano liberare questi agenti tossici specificamente sulle cellule tumorali. Un nuovo approccio, con entrambi i meccanismi cellulare e umorale, è lo sviluppo di anticorpi bispecifici, comprendenti un anticorpo che reagisce contro la cellula tumorale legato a un secondo anticorpo che reagisce con una cellula effettrice citotossica, così da rendere quest’ultima più specifica per il tumore.

IMMUNOTERAPIA SPECIFICA ATTIVA Gli approcci studiati per indurre un’immunità cellulare a scopo terapeutico nell’animale da esperimento portatore di tumore sono più promettenti delle metodiche di immunoterapia passiva. Indurre una capacità immunitaria in un ospite che non è riuscito a sviluppare un’effettiva risposta una prima volta richiede speciali procedure che consentano la presentazione degli antigeni tumorali alle cellule effettrici dell’ospite. Vengono utilizzati a tale scopo cellule tumorali intatte, antigeni tumorali ben caratterizzati o immunostimolanti generici. Cellule tumorali autoctone (cellule prelevate dall’ospite) sono state utilizzate in vari tumori tra cui il carcinoma renale e il melanoma maligno, dopo irradiazione, trattamento con neuraminidasi, coniugazione con apteni o ibridazione in vitro con linee cellulari perenni. Più recentemente, approcci basati sull’uso di cellule tumorali geneticamente modificate per produrre molecole immunostimolanti (incluse le citochine come il fattore di stimolazione dei granulociti e dei macrofagi o la IL-2, molecole coadiuvanti come la B7-1 e molecole allogeniche di classe I MHC) sono stati utilizzati con successo in studi su animali e vengono attualmente valutati in studi clinici sull’uomo. Cellule tumorali allogeniche (cellule prelevate da altri pazienti) sono state utilizzate in pazienti con leucemia linfoblastica e mieloblastica acuta. La remissione è indotta da chemioterapia e radioterapia intensive; le cellule tumorali allogeniche irradiate sono quindi trattate con il vaccino costituito dal bacillo di Calmette-Guérin (BCG) o altri adiuvanti (v. oltre). Remissioni prolungate o più alte percentuali di reinduzione sono state riportate in alcuni gruppi di pazienti, ma non nella maggior parte dei casi.

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Immunologia dei tumori

I vaccini con antigeni tumorali ben definiti costituiscono uno degli approcci più promettenti nell’immunoterapia dei tumori. Uno dei vantaggi derivanti dall’uso di antigeni già caratterizzati è che l’efficacia della tecnica di immunizzazione può essere prontamente valutata poiché è già noto un punto di riferimento (cioè, risposte misurabili a uno specifico peptide). Un numero crescente di antigeni tumorali è stato inequivocabilmente identificato come target per sviluppo di cellule T specifiche in pazienti affetti da neoplasia. Questi comprendono antigeni che hanno una normale sequenza ma sono espressi in maniera inadeguata nel tumore e antigeni derivanti da geni che hanno subito mutazioni durante lo sviluppo del tumore (p. es., oncogeni). I linfomi a cellule B hanno un antigene unico che deriva dalla regione variabile della sequenza immunoglobulinica espressa in modo clonale (l’idiotipo). Questo antigene è unico nelle cellule tumorali ma differisce nei diversi pazienti. L’immunità cellulare (che coinvolge le cellule T citotossiche) verso specifici e ben caratterizzati antigeni può essere indotta con l’uso di peptidi di sintesi a catena corta in sostanze adiuvanti o coniugati in vitro a cellule autologhe che presentano l’antigene (esposizione dell’antigene). Queste cellule, con l’antigene esposto, ovvero che presentano l’antigene, sono reintrodotte per via endovenosa e vanno a stimolare la risposta delle cellule T del paziente all’antigene peptidico esposto. I primi risultati degli studi clinici hanno mostrato risposte significative. L’immunizzazione con sequenze idiotipo appositamente sintetizzate espresse dalle cellule di pazienti con linfoma a cellule B ha evidenziato percentuali di risposta significative. L’immunità antigene-specifica può anche essere indotta da virus ricombinanti (p. es., adenovirus, virus vaccinico) che esprimono degli ATA come il CEA. Questi virus che rilasciano antigeni sono oggetto di studio per la loro attività antitumorale.

IMMUNOTERAPIA ASPECIFICA Gli interferoni (IFN), derivati da GB (IFN-α e -γ) o da fibroblasti (IFN-β), oppure sintetizzati da batteri con tecniche di ricombinazione genetica, sono glicoproteine dotate di attività antitumorale e antivirale che possono aver origine in parte da meccanismi a mediazione immunologica. A seconda della dose, gli IFN possono esaltare o ridurre le funzioni immunitarie umorali e cellulari e influenzare anche l’attività dei macrofagi e delle cellule NK. Gli IFN inoltre inibiscono la divisione cellulare e alcuni processi di sintesi in vari tipi di cellule. Le sperimentazioni cliniche nell’uomo hanno indicato che gli IFN hanno un’attività antitumorale nella leucemia a cellule capellute, nella leucemia mieloide cronica e nel sarcoma di Kaposi associato all’AIDS. Qualche risposta di grado minore è stata osservata nel linfoma non Hodgkin, nel mieloma multiplo e nel carcinoma dell’ovaio. Tuttavia, gli IFN possono indurre particolare tossicità; i pazienti possono sviluppare febbre, malessere generale, leucopenia, alopecia e mialgie. In alcuni studi randomizzati sono stati impiegati adiuvanti batterici (come il bacillo tubercolare attenuato[BCG]), estratti di BCG (p. es., residuo metanoloestratto [MER]) o sospensioni di Corynebacterium parvum ucciso. Essi sono stati utilizzati con o senza aggiunta di antigene tumorale nel trattamento di un’ampia varietà di neoplasie, solitamente in associazione a chemio o radioterapia intensive. L’iniezione diretta di BCG nei noduli di melanoma porta quasi sempre alla regressione dei noduli inoculati e talvolta di noduli distanti non inoculati. L’instillazione intravescicale di BCG in pazienti con carcinoma superficiale della vescica ha prolungato l’intervallo libero di malattia, probabilmente come effetto di meccanismi immunologici. Alcuni studi indicano che il residuo estratto con metanolo può contribuire a prolungare le remissioni indotte dalla chemioterapia nella leucemia mieloblastica acuta e che il BCG, in associazione alla polichemioterapia, può prolungare la sopravvivenza nei pazienti con carcinoma ovarico e forse nel linfoma non Hodgkin. Tuttavia, in molti studi non sono stati osservati benefici.

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Immunologia dei tumori

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. ALTRE LIPIDOSI Con l'impiego di sofisticate tecniche di coltura tissutale e di analisi enzimatica sono state identificate numerose lipidosi ereditarie rare. Di seguito vengono descritte le più comuni. La diagnosi di queste patologie può essere fatta prima della nascita tramite prelievo del liquido amniotico o dei villi coriali (v. Tecniche diagnostiche prenatali nel Cap. 247). Non esiste alcuna terapia specifica. La malattia di Tay-Sachs (gangliosidosi GM2) è caratterizzata da esordio molto precoce, progressivo ritardo nello sviluppo, paralisi, demenza, cecità, chiazze retiniche rosso ciliegia e morte entro i 3-4 anni di età. Questo disordine recessivo è più frequente nelle famiglie ebraiche originarie dell'Est europeo. Esso è causato dal deficit dell'enzima esosaminidasi A, cui consegue l'accumulo di gangliosidi (sfingolipidi complessi) nel cervello. La gangliosidosi generalizzata (GM1) è un disordine infantile caratterizzato dall'accumulo di ganglioside GM1 nel sistema nervoso. Il paziente muore spesso entro i 2 anni di età. La lipidosi sulfatidica (leucodistrofia metacromatica) è un disordine in cui il deficit dell'enzima cerebroside sulfatasi determina l'accumulo di lipidi metacromatici nella sostanza bianca del SNC, nei nervi periferici, nei reni, nella milza e in altri organi viscerali. È caratterizzata da paralisi progressiva e demenza che iniziano generalmente prima dei 2 anni di età, portando a morte entro i 10 anni. La lipidosi galattosilceramidica, conosciuta anche come malattia di Krabb o leucodistrofia a cellule globose, è un disordine mortale dell'infanzia caratterizzato da ritardo mentale, paralisi, cecità, sordità e paralisi pseudobulbare, ad andamento progressivo. Questa condizione familiare è secondaria al deficit di galattocerebroside b-galattosidasi.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 247. VALUTAZIONE E CONSULENZA GENETICA PRENATALI TECNICHE DI DIAGNOSI PRENATALE Sommario: AMNIOCENTESI PRELIEVO DEI VILLI CORIALI PRELIEVO PERCUTANEO DI SANGUE DAL CORDONE OMBELICALE PRELIEVO DI CUTE FETALE ECOGRAFIA DIAGNOSI PREIMPIANTO

AMNIOCENTESI Il periodo migliore per eseguire l’amniocentesi è tra la 15a e la 17a sett. di gestazione (epoca di amenorrea). Il rischio dell’amniocentesi, eseguita precocemente durante la gravidanza, non è stato quantificato. Immediatamente prima dell’amniocentesi, deve essere eseguita un’ecografia in tempo reale per valutare l’attività cardiaca fetale, l’epoca gestazionale, la posizione della placenta, la localizzazione del liquido amniotico e il numero dei feti (v. oltre). L’attività cardiaca fetale deve essere documentata anche subito dopo la procedura. Dopo la procedura devono essere somministrati alle madri Rh negative non sensibilizzate, 300 µg di immunoglobuline Rh0(D) per diminuire le probabilità di una sensibilizzazione. Il liquido amniotico è ematico in circa il 2% delle amniocentesi. Il sangue, generalmente, non ostacola la crescita delle cellule amniotiche ed è di origine materna; tuttavia, se il sangue è fetale, può causare un falso aumento dellaαfetoproteina del liquido amniotico (v. sopra). Un liquido di colore rosso scuro o marrone indica un pregresso sanguinamento intra-amniotico ed è associato a un esito sfavorevole della gravidanza. Un liquido di colore verde non sembra invece associato a un esito sfavorevole. L’amniocentesi raramente causa una significativa morbilità materna (p. es., un’amnionite sintomatica). Una perdita ematica vaginale transitoria o una perdita di liquido amniotico, di solito autolimitantesi, si verificano nell’1-2% dei casi. Il probabile rischio di un aborto in seguito all’amniocentesi è circa dello 0,5% superiore alla percentuale basale di aborti del 3,0%. Le lesioni del feto dovute all’ago sono rare. Sono rari anche l’impossibilità di ottenere il liquido amniotico, l’insuccesso delle colture e la contaminazione con cellule materne. L’amniocentesi è possibile in > 95% delle gravidanze gemellari. Il liquido amniotico viene aspirato dal primo sacco. Prima di rimuovere l’ago, si iniettano nella prima cavità 2-3 ml di indacotindisulfonato sodico (indaco carminio), diluito 1:10 in acqua batteriostatica. Viene poi aspirato il liquido dal secondo sacco, nel punto scelto dopo aver visualizzato la membrana divisoria. L’aspirazione di un liquido limpido, conferma che il campione proviene dal secondo sacco. La stessa file:///F|/sito/merck/sez18/2472156.html (1 of 5)02/09/2004 2.15.15

Valutazione e consulenza genetica prenatali

tecnica viene solitamente utilizzata nelle gravidanze con più feti. Il sesso del feto può essere accertato prima della nascita definendo il cariotipo dalle cellule fetali coltivate. Quando la madre è stata identificata come una portatrice di una mutazione legata al cromosoma X e non è disponibile un test specifico per il feto, il sesso del feto può essere determinato con il proposito di interrompere la gravidanza in caso di sesso maschile, anche se il 50% sarà normale. L’analisi del DNA può identificare il maschio affetto da molti dei disturbi legati al cromosoma X.

PRELIEVO DEI VILLI CORIALI Il prelievo dei villi coriali (Chronic Villous Sampling, CVS) è utilizzato per la diagnosi prenatale nel 1o trimestre. I villi coriali vengono aspirati con una siringa e posti in coltura a breve e a lungo termine in laboratorio. I cariotipi sono ottenuti da entrambe le colture, anche se quelli della coltura a lungo termine sono più accurati. La maggior parte, se non tutti gli enzimi delle cellule del liquido amniotico messe in coltura, può essere misurata nei campioni dei villi coriali o nelle cellule dei villi coltivate e il DNA può essere estratto per gli studi di genetica molecolare. Tuttavia, il CVS non può essere usato per i test che richiedono il liquido amniotico (p. es., i livelli di αfetoproteina del liquido amniotico per lo screening dei difetti del tubo neurale, v. sopra). Il vantaggio principale del CVS è che i risultati sono disponibili in una fase molto più precoce della gravidanza. Allora, se i risultati sono anormali, possono essere usati dei metodi più semplici e sicuri per interrompere la gravidanza, o il feto può essere trattato prima della nascita (p. es., il desametazone per prevenire la virilizzazione in un feto di sesso femminile con un deficit di 21-idrossilasi). I risultati normali riducono prima l’ansia dei genitori. Ci sono due approcci per il CVS. Il CVS transcervicale viene eseguito tra la 10a e la 13a sett. di gestazione. Il CVS transaddominale può essere eseguito dalla 10a sett. di gestazione fino al termine. È controindicato se l’intestino o la vescica interferiscono con il passaggio dell’ago o se la cute, nell’area dove si deve inserire l’ago è infetta. L’incidenza totale degli aborti dovuti al CVS eseguiti nel 1o trimestre (inclusi gli aborti spontanei, quelli indotti e gli aborti dopo le 20 sett.) non è statisticamente differente da quella dell’amniocentesi. La percentuale degli aborti dovuto a un CVS transaddominale eseguito dopo le 12 sett. di gestazione non è stata valutata in maniera definitiva. La posizione della placenta determina l’approccio da usare. Le placente con impianto basso e quelle posteriori, di solito, sono raggiunte più facilmente per via transcervicale. L’approccio transaddominale è il più indicato nei casi di placente fundiche e di quelle poste anteriormente negli uteri leggermente antiflessi, e nei casi delle donne con leiomiomi cervicali o con un canale cervicale lungo e angolato. Nelle donne con un utero marcatamente retroflesso e una placenta posteriore può essere usato un approccio transvaginale attraverso il cul-de-sac posteriore. L’amniocentesi rappresenta l’alternativa nei casi in cui il CVS è controindicato. Dopo il CVS si deve controllare con l’ecografia la frequenza cardiaca fetale. Alle donne Rh negative non sensibilizzate, si somministrano 300 µg di immunoglobuline Rh0(D). La qualità di ogni campione viene immediatamente valutata con un microscopio ottico o se necessario con l’uso di un microscopio dissettore. Per l’analisi è, di solito, necessario un minimo di 5 mg di villi; 10-25 mg rappresentano una quantità ottimale. Le file:///F|/sito/merck/sez18/2472156.html (2 of 5)02/09/2004 2.15.15

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cellule citotrofoblastiche sono raccolte direttamente dopo una notte di incubazione, per l’analisi citogenetica. Le colture in situ delle cellule mesenchimali dello stroma possono essere esaminate dopo circa 5-8 gg. Tra la 16a e la 18a sett., si dosa l’α-fetoproteina sierica materna per lo screening dei difetti del tubo neurale (v. sopra). Un errore diagnostico dovuto alla contaminazione da parte di cellule materne è raro quando le tecniche di laboratorio sono buone. L’identificazione di certe anomalie cromosomiche (cioè una tetraploidia, le trisomie letali, una monosomia X) può non riflettere il reale stato del feto, ma piuttosto un mosaicismo confinato alla placenta. Il mosaicismo placentare può talvolta causare una disomia uniparentale nella linea cellulare diploide e il feto può essere a rischio di disturbi genetici recessivi, di anomalie causate dall’imprinting o di limitazioni della crescita intrauterina. È raccomandata la consulenza con un genetista esperto in questo tipo di anomalie. Quando la diagnosi non è chiara, può essere necessaria l’amniocentesi per fare una diagnosi definitiva. In generale, comunque, l’accuratezza del CVS è sovrapponibile a quella dell’amniocentesi. Il rischio di aborto in seguito ad amniocentesi è confrontabile con quello dovuto al CVS. L’incidenza degli aborti è più elevata nelle pazienti in cui è necessario più di un passaggio del catetere o dell’ago. Anche le percentuali di complicanze tardive nel corso della gravidanza sono confrontabili. Il CVS è stato messo in relazione ad anomalie congenite, in particolare i difetti di riduzione trasversale degli arti e l’ipogenesia oromandibolare e degli arti. Il rischio assoluto è di circa 1 su diverse migliaia di procedure, ma si mette in discussione l’evidenza di una qualunque associazione quando il CVS è eseguito dopo 10 sett. di gestazione da operatori esperti.

PRELIEVO PERCUTANEO DI SANGUE DAL CORDONE OMBELICALE I campioni di sangue fetale possono essere ora facilmente ottenuti con la puntura percutanea del cordone ombelicale (funicolocentesi). Sotto guida ecografica si inserisce un ago di calibro 23 o 25 gauge nella vena ombelicale, generalmente vicino al punto di inserzione del cordone ombelicale sulla placenta. La percentuale di aborti correlati alla procedura è di circa l’1%. Il prelievo percutaneo di sangue dal cordone ombelicale è utile per l’analisi rapida dei cromosomi, soprattutto nella fase avanzata del 3o trimestre, quando sono state osservate delle anomalie fetali. Con le colture linfocitarie a breve termine si può stabilire l’assetto cromosomico fetale in 48-72 h. Un’anomalia cromosomica incompatibile con la vita può influenzare il trattamento ostetrico.

PRELIEVO DI CUTE FETALE La biopsia della cute fetale rappresenta l’unico metodo per la diagnosi prenatale di alcuni disturbi cutanei ereditari (genodermatosi), p. es., alcuni casi di eritrodermia ittiosiforme congenita ("harlequin ichthyosis"), di epidermolisi bollosa letale (tipo giunzionale) e di ipercheratosi epidermolitica, quando l’analisi del DNA non è disponibile e le famiglie non sono informate. I campioni di cute fetale sono ottenuti usando un

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fetoscopio (con visualizzazione diretta e biopsia attraverso il canale del fetoscopio) o usando una pinza da biopsia fatta passare attraverso un canale di 14 gauge sotto guida ecografica. Il punto preferito per la biopsia è la schiena del feto. L’incidenza di aborti in seguito al prelievo di cute fetale é del 2-3%.

ECOGRAFIA L’ecografia è necessaria per molte procedure diagnostiche durante la gravidanza. Non ci sono rischi conosciuti per la madre o per il feto. L’uso di routine dell’ecografia in gravidanza è controverso. L’esame eseguito nel 1o trimestre deve accertare la presenza o l’assenza di un sacco gestazionale, il numero dei feti, la posizione della placenta e l’età gestazionale, così come deve documentare la vitalità del feto e valutare l’utero e gli annessi. L’esame eseguito nel 2o o nel 3o trimestre deve anche valutare la presentazione fetale, il volume del liquido amniotico e la presenza di malformazioni fetali macroscopiche. La determinazione del sesso del feto è generalmente possibile alla fine del 2o trimestre. Molte delle indicazioni per la diagnosi prenatale (p. es., un’α-fetoproteina elevata o un’anamnesi familiare positiva per anomalie congenite) richiedono uno studio ecografico mirato per le anomalie fetali. Un esame ecografico mirato deve valutare le strutture fetali intracraniche (in particolare i ventricoli e il cervelletto), la colonna vertebrale (in sezioni longitudinali e sagittali), il cuore, la vescica, i reni, lo stomaco, il torace, la parete addominale e le ossa lunghe e il punto di inserzione del cordone ombelicale. L’ecografia ad alta risoluzione può evidenziare le anomalie renali (p. es., l’agenesia renale [sindrome di Potter], la malattia policistica), le forme letali di displasia scheletrica con arti corti (p. es., la displasia scheletrica tanatofora, l’acondrogenesia), le anomalie dell’intestino (p. es., l’ernia diaframmatica, l’occlusione), la microcefalia e l’idrocefalia. Gli ecografisti esperti devono essere capaci di diagnosticare senza difficoltà le anomalie più importanti (anencefalia), ma pochi centri riescono a quantificare la propria sensibilità e specificità per il riconoscimento di specifiche anomalie. Alcune situazioni cliniche, come l’oligoidramnios, l’obesità materna o la posizione fetale, precludono una visualizzazione ottimale. Le pazienti devono essere consapevoli che le anomalie fetali non possono essere individuate con un’accuratezza del 100% e che una normale ecografia non garantisce che il neonato sia fenotipicamente normale.

DIAGNOSI PREIMPIANTO In alcune pazienti, è possibile fare una diagnosi genetica prima dell’impianto, in modo da poter prendere delle decisioni sull’aborto prima che la gravidanza inizi. Queste diagnosi sono fatte utilizzando i corpuscoli polari derivati dagli oociti, i blastomeri dall’embrione allo stadio di quattrootto cellule o un campione di trofoectoderma dalla blastocisti. Queste tecniche sono disponibili solo in centri specializzati e sono usate per le coppie con un elevato rischio genetico per alcuni disordini mendeliani (p. es., la fibrosi cistica). L’elevato costo delle tecniche di file:///F|/sito/merck/sez18/2472156.html (4 of 5)02/09/2004 2.15.15

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fertilizzazione in vitro impedisce la diffusione dell’uso di routine di queste tecniche. Tuttavia, il lavaggio uterino, eseguito per ottenere una blastocisti per la biopsia del trofoectoderma, sembra promettere una riduzione dei costi.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 247. VALUTAZIONE E CONSULENZA GENETICA PRENATALI SCREENING PRENATALE SIERICA MATERNA DELL’α-FETOPROTEINA Lo screening dell’α-fetoproteina sierica materna per i difetti del tubo neurale e per altre anomalie fetali (p. es., la sindrome di Down) deve essere proposto a tutte le donne gravide con un basso rischio, quando il feto è appropriato per l’età gestazionale. Lo scopo è di identificare quelle con sufficiente rischio da giustificare un’amniocentesi (circa l’1-2% di quelle esaminate). Questa tecnica di screening identifica circa l’80% dei feti con una spina bifida aperta e il 90% di quelli con anencefalia. L’età gestazionale deve essere determinata con cura quando è ottenuto un campione; la valutazione ecografica dell’età gestazionale riduce i risultati falsi positivi. I risultati sono più accurati quando il campione iniziale è ottenuto tra le 16 e le 18 sett. di gestazione, anche se lo screening può essere eseguito tra la 15a e la 20a sett. Sono necessarie delle correzioni per il peso materno, il diabete mellito e la razza. Lo screening sierico materno per i difetti del tubo neurale e per la sindrome di Down può essere possibile con le appropriate correzioni nelle gravidanze gemellari. Prima dello screening, la coppia deve essere informata sulla natura volontaria, sulle limitazioni e sulle implicazioni del test così come sulla possibile necessità di ulteriori test. In un primo screening, l’aumentato rischio è definito come un valore compreso tra il 95o e il 98o percentile o di 2-2-1/2 volte superiore a quello mediano delle gravidanze normali (multipli della MOM mediana). Più basso è il cutoff, più alta è la sensibilità, ma minore è la specificità e quindi maggiore è la necessità di un’amniocentesi. Un secondo screening può essere raccomandato se il livello iniziale è elevato. Il secondo campione deve essere ottenuto 7 gg dopo il primo. Un secondo screening non è raccomandato quando il valore iniziale è > 3,0 MOM o l’età gestazionale è > 20 sett. Circa il 4% della popolazione originariamente esaminata ha dei livelli elevati negli screening successivi e richiede un’ulteriore valutazione. L’ecografia è il passo successivo, se l’α-fetoproteina sierica materna è elevata. Può evidenziare una sottostima dell’età gestazionale, una gravidanza multipla, una morte fetale o delle rare anomalie congenite. L’ecografia ad alta risoluzione può fornire ulteriori informazioni circa l’anatomia fetale. In circa il 2% della popolazione originariamente esaminata, l’ecografia non riesce a identificare una causa dell’aumento. Alcuni esperti credono che l’amniocentesi non sia indicata quando un’ecografia dettagliata risulta normale. L’appropriatezza di questa raccomandazione dipende dall’esperienza dell’ecografista e dalla qualità dello studio. Le percentuali di identificazione delle patologie non sono disponibili per la maggior parte dei centri. Anche nei centri con la maggiore esperienza, l’ecografia non riesce a diagnosticare alcuni difetti del tubo neurale. Quando la diagnosi ecografica è dubbia, la misurazione della α-fetoproteina nel liquido amniotico è la metodica standard per evidenziare dei difetti del tubo neurale. La contaminazione con il sangue fetale può falsamente elevarne il livello. La presenza dell’acetilcolinesterasi nel liquido amniotico conforma la diagnosi di un difetto del tubo neurale o di altre anomalie fetali. Praticamente, in tutti i casi di anencefalia e nel 90-95% dei casi di spina bifida aperta, l’αfile:///F|/sito/merck/sez18/2472154.html (1 of 3)02/09/2004 2.15.16

Valutazione e consulenza genetica prenatali

fetoproteina del liquido amniotico è aumentata e l’acetilcolinesterasi è presente. Circa il 5-10% delle lesioni della spina bifida è ricoperto dalla cute e non è evidenziato dai test sierici materni o del liquido amniotico. Quando è presente del sangue fetale, ma è assente l’acetilcolinesterasi, l’elevataα-fetoproteina è dovuta alla contaminazione ematica o a un difetto diverso da quello del tubo neurale. Molte altre anomalie possono essere associate a un aumento dell’α-fetoproteina nel liquido amniotico; queste includono l’onfalocele, la nefrosi congenita, l’igroma cistico, la gastroschisi e le atresie del tratto GI superiore. In queste patologie, l’acetilcolinesterasi può essere elevata o meno. Un’ecografia ad alta risoluzione, anche se non infallibile, deve essere eseguita per identificare le altre anomalie. Se l’α-fetoproteina è elevata e l’acetilcolinesterasi è presente, è verosimile che ci sia un’anomalia fetale, indipendentemente dai reperti ecografici. Nelle donne che hanno un inspiegato aumento dell’α-fetoproteina sierica, ma il cui feto non ha un difetto del tubo neurale, il rischio di un ritardo di crescita intrauterino, di un distacco placentare, di altre complicanze ostetriche e di morte del feto può essere aumentato. Lo screening sul siero materno per la sindrome di Down è proposto di routine nel 2o trimestre. The American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda che a tutte le donne che avranno < 35 anni al momento del parto e sono a un’epoca gestazionale compresa tra le 15 e le 18 sett. in base alla data mestruale, sia proposta una valutazione del rischio della sindrome di Down con la misurazione dell’α-fetoproteina nel siero materno. Per le donne che avranno > 35 anni al momento del parto, deve essere proposta la diagnosi prenatale citogenetica con il prelievo dei villi coriali o con l’amniocentesi. I livelli mediani dell’α-fetoproteina sierica materna nelle gravidanze complicate da una sindrome di Down sono di circa 0,8 MOM. Questi livelli, insieme all’età materna, identificano circa il 25% delle gravidanze con sindrome di Down nelle donne con < 35 anni. Nelle gravidanze con sindrome di Down, il valore mediano di gonadotropina umana corionica (hCG) è di circa 2,5 MOM e il livello mediano di estriolo è di circa 0,75 MOM. L’uso di tutti e tre i marker identifica circa il 60% dei feti con la sindrome di Down nelle donne con < 35 anni. Il rischio specifico per la sindrome di Down è ottenuto aggiustando il rischio basato sull’età della paziente con i livelli mediani dei tre marker sierici materni. Le donne sono considerate positive allo screening se il loro rischio calcolato è maggiore di quello di una donna di 35 anni, alla 16a sett. di gravidanza (1 a 270, anche se alcuni laboratori usano il rapporto di 1 a 190). Il primo passo, dopo la positività dello screening sierico materno per la sindrome di Down, è rappresentato dalla misurazione biometrica ecografica per confermare l’età gestazionale. Se l’età gestazionale è stata soprastimata, il rischio viene ricalcolato. Se il primo campione di sangue è stato prelevato troppo presto, un secondo campione deve essere prelevato al momento giusto, più tardivamente, nel corso della gravidanza. A differenza dello screening iniziale positivo per i difetti del tubo neurale, lo screening positivo per la sindrome di Down non deve essere ripetuto. Alla paziente deve essere fatta una consulenza genetica e deve essere proposta un’amniocentesi per la diagnosi definitiva. Lo screening per la trisomia 18 implica la misurazione di tre marker: i livelli materni dell’α-fetoproteina sierica < 0,6 MOM, della hCG < 0,55 MOM e dell’estriolo non coniugato < 0,5 MOM, identificano circa il 60-80% dei feti con trisomia 18, con una percentuale di risultati falsi positivi dello 0,4%. Quando il rischio è stimato sulla base di questi tre marker e dell’età materna, è stata riportata una percentuale di identificazione del 60% con un rischio calcolato 1:100 e una percentuale di falsi positivi di 0,2%. La consulenza genetica e l’amniocentesi sono indicate per le persone con un aumentato rischio di avere un bambino con trisomia 18.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 247. VALUTAZIONE E CONSULENZA GENETICA PRENATALI INDICAZIONI ALLA DIAGNOSI PRENATALE Sommario: ANOMALIE CROMOSOMICHE DISORDINI MENDELIANI DISTURBI POLIGENICI

ANOMALIE CROMOSOMICHE Delle anomalie cromosomiche sono presenti in circa lo 0,5% di tutti i nati vivi. Tutte possono essere diagnosticate prima della nascita, ma i rischi dei test prenatali invasivi possono superare i benefici. La diagnosi prenatale deve, quindi, essere riservata alle persone che sono ad aumentato rischio. L’età materna avanzata è l’indicazione più frequente alla studio citogenetico prenatale. Anche se le anomalie cromosomiche si verificano nella prole di madri di ogni età, la frequenza di figli affetti da trisomia aumenta con l’età, e in maniera esponenziale dopo i 35 anni (v. Tab. 247-1). La causa è sconosciuta. La prevalenza delle anomalie cromosomiche è del 30% più alta nei feti a 16-18 sett. di gestazione (età mestruale) rispetto ai bambini nati vivi, a causa dell’elevata incidenza di aborti spontanei. La diagnosi prenatale deve essere offerta a tutte le donne che avranno 35 anni di età al momento del parto. Questo limite di età è ampiamente arbitrario e la diagnosi prenatale può essere presa in considerazione anche in alcune donne più giovani. I marker sierici materni anormali indicano un aumentato rischio di avere un feto con la sindrome di Down o con la trisomia 18. In queste donne può essere presa in considerazione l’amniocentesi (v. oltre). Le anomalie cromosomiche in un precedente figlio sono un’indicazione alla diagnosi prenatale. Se una coppia ha avuto un figlio nato vivo affetto da trisomia 21 e la donna avrà < 30 anni al momento del parto, il rischio di avere un altro figlio trisomico è di circa l’1%. Se la donna avrà > 30 anni, il rischio è pari a quello basato sull’età materna (v. Tab. 247-1). Queste cifre presuppongono che i genitori non siano portatori di una traslocazione robertsoniana. Per le altre trisomie le informazioni sono limitate, ma il rischio di avere un altro figlio con anomalie cromosomiche sembra essere aumentato a circa l’1%. Alcune anomalie cromosomiche (p. es., 45,X; triploidia; riarrangiamenti de novo) non aumentano il rischio nelle successive gravidanze. Tuttavia, anche quando il rischio non è aumentato, la preoccupazione dei genitori può essere un motivo sufficiente per la diagnosi prenatale. Una coppia può aver avuto un bambino con anomalie fisiche e un assetto cromosomico sconosciuto. Le anomalie fisiche sono comunemente associate con delle anomalie cromosomiche, che si riscontrano nel 30% dei bambini nati vivi con anomalie e nel 5% dei nati morti fenotipicamente normali. La diagnosi prenatale è indicata se le anomalie in un precedente bambino sono dovute a

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

un’anomalia cromosomica. Un’anomalia cromosomica nei genitori aumenta il rischio di avere un bambino con anomalie cromosomiche. I riarrangiamenti bilanciati parentali includono le traslocazioni (robertsoniane o reciproche) e le inversioni (paracentriche o pericentriche). Le persone con un riarrangiamento cromosomico bilanciato sono, di solito, fenotipicamente normali. Le persone con tali anomalie devono essere inviate a una consulenza genetica e si deve prendere in considerazione lo studio prenatale. L’aneuploidia parentale per un autosoma è inusuale. Teoricamente, il 50% dei figli di un genitore con aneuploidia è aneuploide. Un terzo dei figli di donne affette da una trisomia 21 è trisomico. Gli uomini con trisomia 21 sono sterili. La trisomia di un cromosoma sessuale (p. es., 47,XXY) è più comune, ma è frequentemente associata a una riduzione della fertilità. Pochissimi figli di genitori con trisomia dei cromosomi sessuali sono aneuploidi. La diagnosi prenatale deve essere proposta a tutti i genitori portatori di un’aneuploidia o di un mosaicismo. Le anomalie cromosomiche dei genitori vengono diagnosticate il più delle volte nel corso della valutazione per aborti spontanei ricorrenti (aborti abituali), per figli con anomalie o per infertilità. Gli aborti spontanei ricorrenti possono indicare un’anomalia cromosomica. In almeno il 50% degli aborti spontanei precoci, il feto ha delle anomalie cromosomiche; in circa la metà dei casi è presente una trisomia. Se l’aborto iniziale è causato da un’aneuploidia, gli aborti successivi sono anch’essi probabilmente causati dall’aneuploidia, sebbene non necessariamente dello stesso cromosoma. Una trisomia (p. es., la trisomia 16) in una gravidanza può essere letale e causare un aborto, ma nelle gravidanze successive un’altra trisomia (p. es., la trisomia 18) può causare la nascita di un feto vivo con anomalie cromosomiche e fenotipiche. L’aver avuto un precedente bambino, nato vivo, affetto da aneuploidia aumenta il rischio di averne un altro in una successiva gravidanza. Tuttavia, non è chiaro se l’aneuploidia in un feto abortito spontaneamente aumenti il rischio di avere un futuro bambino nato vivo con aneuploidia. Gli aborti spontanei ricorrenti sono considerati un’indicazione per la diagnosi prenatale da parte di alcuni genetisti e sono un’indicazione allo studio dei cromosomi parentali per i riarrangiamenti.

DISORDINI MENDELIANI Se entrambi i genitori sono stati identificati come portatori dello stesso gene autosomico anormale e recessivo (cioè, hanno già avuto un bambino affetto o hanno partecipato a un programma di screening per l’eterozigosi) e il disordine può essere identificato prima della nascita, devono essere proposti il prelievo dei villi coriali o l’amniocentesi. Più di 100 patologie, incluse le malattie da accumulo di glicogeno, le mucopolisaccaridosi, le aminoacidurie, le malattie del metabolismo lipidico e la sindrome adrenogenitale, possono essere diagnosticate prima della nascita. Non tutti i disordini mendeliani possono essere individuati prima della nascita, ma il numero è in rapido aumento (v. Tab. 247-2). Per molte pazienti che hanno un rischio aumentato, la diagnosi può essere fatta con l’amniocentesi, con il prelievo dei villi coriali, con il prelievo della cute o del sangue fetale o con l’ecografia. Certe popolazioni, selezionate per etnia, razza o provenienza geografica, possono essere sottoposte a screening prima della nascita per identificare i portatori di specifiche patologie mendeliane, come la malattia di TaySachs e le talassemie. Lo screening neonatale può identificare le coppie portatrici di specifiche malattie metaboliche; in questi casi, l’anamnesi familiare è generalmente negativa. Per altre coppie, particolarmente quelle con patologie a ereditarietà autosomica dominante o recessiva legata al cromosoma X, l’anamnesi familiare è spesso positiva. L’esame obiettivo dei componenti di una coppia può evidenziare una patologia mendeliana.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

Un’età paterna > 50 anni aumenta il rischio di alcune nuove mutazioni spontanee dominanti nei figli. Il gene specifico coinvolto è imprevedibile; l’ecografia può identificare alcune patologie. La valutazione del rischio in queste situazioni dipende da vari fattori, ma principalmente dal tipo di ereditarietà (cioè, autosomica o recessiva, legata al cromosoma X o dominante, v. anche Cap. 286). È importante anche l’incidenza del disordine nella popolazione generale.

DISTURBI POLIGENICI I disturbi poligenici, più frequentemente identificati prima della nascita, sono i difetti della cresta neurale; negli USA la loro incidenza è di 1-2 casi ogni 1000 nascite. La maggior parte dei difetti del tubo neurale (spina bifida o anencefalia) viene ereditata come affezioni poligeniche/ multifattoriali; alcuni sono conseguenza dell’alterazione di un singolo gene, di anomalie cromosomiche o di agenti teratogeni (p. es., l’acido valproico). Quando il soggetto valutato ha un difetto del tubo neurale, il rischio per i figli dei parenti di primo grado (germani, genitori, figli) è pari all’1-2%. Per i figli dei parenti di secondo grado (zii, nipoti) il rischio è inferiore all’1%. Per i figli dei parenti di terzo grado il rischio è solo leggermente superiore a quello della popolazione generale. Per le coppie con due figli affetti da difetti del tubo neurale, il rischio di ricorrenza è del 5%. Il rischio di ricorrenza è anche legato all’incidenza dei difetti del tubo neurale in una particolare popolazione; nel Regno Unito, sia il rischio di incidenza che quello di ricorrenza sono più alti che negli USA. Il rischio nelle gravidanze successive può essere ridotto con la somministrazione di folati, 4 mg/die per 1 mese prima e fino al 3o mese dopo il concepimento. L’amniocentesi è raccomandata alle coppie con un rischio 1%. Per altre anomalie (p. es., i difetti cardiaci congeniti, la schisi labiale e del palato, la stenosi pilorica, la lussazione congenita dell’anca), il rischio di ricorrenza si accorda con l’ereditarietà poligenica/multifattoriale. La diagnosi prenatale può essere disponibile in alcuni casi, in particolare con l’ecografia ad alta risoluzione, rendendo ottimale il trattamento prima del parto e possibile l’immediata cura neonatale. La diagnosi deve essere confermata per escludere una sindrome malformativa multipla.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 247-1. RISCHIO DELLA NASCITA DI UN BAMBINO CON UN’ANOMALIA CROMOSOMICA Età materna

Rischio di Rischio di una qualche anomalia sindrome di Down cromosomica*

20

1/1667

1/526

22

1/1429

1/500

24

1/1250

1/476

26

1/1176

1/476

28

1/1053

1/435

30

1/952

1/384

32

1/769

1/323

34

1/500

1/238

35

1/385

1/192

36

1/294

1/156

37

1/227

1/127

38

1/175

1/102

39

1/137

1/83

40

1/106

1/66

41

1/82

1/53

42

1/64

1/42

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Manuale Merck - Tabella

43

1/50

1/33

44

1/38

1/26

45

1/30

1/21

46

1/23

1/16

47

1/18

1/13

48

1/14

1/10

49

1/11

1/8

*47,XXX esclusa per le età da 20 a 32 (dati non disponibili). Dati da Hook EB: "Rates of chromosome abnormalities at different maternal ages." Obstetrics and Gynecology 58:282285, 1981; and Hook EB, Cross PK, Schreinemach ers DM: "Chromosomal abnormality rates at amniocentesis and in live-born infants." Journal of the American Medical Association 249:20342038, 1983.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 247-2. ALCUNI DISORDINI MENDELIANI CHE POSSONO ESSERE DIAGNOSTICATI IN EPOCA PRENATALE* Disordine

Incidenza

Ereditarietà

Diagnosi prenatale

Fibrosi cistica

1/3300 tra i bianchi

Autosomica recessiva

VC o CLA†; enzimi dei microvilli intestinali (liquido amniotico)

Iperplasia surrenalica congenita

1/10000

Autosomica recessiva

VC o CLA†; disponibile la terapia prenatale

Distrofia muscolare di Duchenne

1/3500 maschi nati

Recessiva legata al cromosoma X

VC o CLA†

Emofilia A

1/8500 maschi nati

Recessiva legata al cromosoma X

VC o CLA†; raramente, prelievo di sangue fetale

Talassemie omozigotiche α e β

Varia molto, ma presente nella maggior parte delle popolazioni

Autosomica recessiva

VC o CLA†

Malattia di Huntington

4-7/100000

Autosomica dominante

VC o CLA†

Malattia del rene policistico (tipo adulto)

1/3000 diagnosticati clinicamente

Autosomica dominante

VC o CLA†

Anemia a cellule falciformi

1/400 tra i neri in USA

Autosomica recessiva

Analisi diretta del DNA dei VC o CLA

Autosomica recessiva

Livelli di esosamminidasi A nei VC o nelle CLA in coltura

Malattia di Tay1/3600 tra gli ebrei Sachs Ashkenazi e gli abitanti (gangliosidosi GM2) della Louisiana francese; 1/400000 nelle altre popolazioni

*Per i disordini non riportati in questa tabella non è detto che non sia disponibile una diagnosi prenatale. †Delle tecniche molecolari sono usate per i VC o le CLA. VC=villi coriali; CLA=cellule del liquido amniotico.

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Manuale Merck - Tabella

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA EREDITARIETÀ DEI DIFETTI DI UN SINGOLO GENE Sommario: Introduzione AUTOSOMICA DOMINANTE AUTOSOMICA RECESSIVA DOMINANTE LEGATA AL CROMOSOMA X RECESSIVA LEGATA AL CROMOSOMA X CODOMINANTE

I disordini genetici dovuti alla mutazione di un singolo gene sono i più facili da esaminare e i più completamente studiati. Sono stati descritti molti disordini specifici. I difetti di un singolo gene possono essere autosomici o legati al sesso, dominanti o recessivi.

AUTOSOMICA DOMINANTE È sufficiente che una persona abbia un solo allele anomalo di un gene perché si determini un disordine autosomico dominante. Un tipico albero genealogico di un carattere autosomico dominante è mostrato nella Fig. 286-2; si determina una trasmissione verticale. In genere sono valide le seguenti regole: ●



una persona affetta ha un genitore affetto. Una persona malata e una persona sana avranno, in media, un egual numero di figli malati o sani.



I figli sani di un genitore malato avranno figli e nipoti sani.



Maschi e femmine hanno la stessa probabilità di essere affetti.



Il rischio dell’evento tra i figli di una persona affetta è del 50%.

Gli alberi genealogici sono basati sul fenotipo (aspetti osservabili). Attraverso gli studi molecolari, può anche essere determinato e registrato il genotipo. Espressività e penetranza: gli effetti di un gene possono essere influenzati dall’ambiente e da altri geni che possono modificare l’espressione (o l’espressività) fenotipica. Così, anche nell’ambito di una famiglia, i soggetti che presentano la stessa alterazione genetica (lo stesso allele) possono manifestare ampie variazioni fenotipiche. Per esempio, nella sindrome di Waardenburg di tipo I, una mutazione del gene PAX3 determina la presenza di un ciuffo di capelli bianchi sulla fronte, occhi molto distanti ed eterocromia dell’iride, ma, in meno del 20% dei casi, si verifica una significativa perdita dell’udito. Alcuni membri della famiglia con l’allele anomalo non hanno alcun sintomo eccetto il ciuffo bianco frontale, ma i loro figli presentano grave sordità congenita dovuta alla stessa mutazione. In rari casi, l’espressività è così bassa da non indurre la

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Principi generali di genetica medica

manifestazione clinica, tuttavia il portatore sano dell’allele anomalo può trasmetterlo ai discendenti, che a loro volta possono sviluppare tutto il quadro clinico. In questo caso l’albero genealogico presenta il salto di una generazione. Questo fenomeno è conosciuto come assenza di penetranza. Tuttavia, alcuni casi di apparente assenza di penetranza sono dovuti alla scarsa dimestichezza dell’esaminatore o alla sua incapacità nel riconoscere le manifestazioni minori di questa condizione. I casi con minima espressività sono talvolta attribuiti a forme fruste della malattia. Pleiotropia: il difetto di un singolo gene può produrre anomalie in diversi sistemi dell’organismo umano. Per esempio, ossa fragili, sordità, cornee bluastre, denti displasici, articolazioni ipermobili e anomalie delle valvole cardiache possono verificarsi nella osteogenesi imperfetta (un’anomalia del tessuto connettivo in cui molti pazienti presentano alterazioni riconoscibili dei geni del collageno-v. anche Alterazioni muscolo-scheletriche al Cap. 261). Poiché tutte queste alterazioni cliniche coinvolgono il collageno in vari tessuti e poiché i tipi specifici di collageno hanno una distribuzione prevedibile, sono coinvolti molti organi e sistemi. Ereditarietà limitata al sesso: un carattere che compare soltanto in un sesso si definisce limitato al sesso. Questo è differente dalla eredità legata al cromosoma X, che si riferisce a tratti trasportati sul cromosoma X. Gli ormoni sessuali e le altre differenze fisiologiche fra maschi e femmine possono modificare l’espressività di un gene. Per esempio, la calvizie prematura è un carattere autosomico dominante, ma probabilmente, a causa degli ormoni sessuali femminili, la condizione si presenta raramente nelle femmine e in quel caso solitamente solo dopo la menopausa. Pertanto, l’eredità limitata al sesso, forse più correttamente definita eredità influenzata dal sesso, è un caso specifico di espressività e penetranza limitata. Mutazioni: le mutazioni sono modificazioni delle informazioni genetiche che si presentano spontaneamente. Un albero genealogico autosomico dominante inizia con una nuova mutazione, per cui viene modificata l’informazione genetica (DNA) ereditata dai genitori. Le frequenze di mutazione variano (da 1/6000 a 1/ 50000 persone) tra i disordini riconosciuti come autosomici dominanti. Per esempio, circa l’80% delle persone con nanismo acondroplastico (un carattere autosomico dominante) non presenta familiarità e pertanto il carattere è legato a nuove mutazioni. Quasi tutti i soggetti affetti sono in grado di trasmettere il nuovo gene mutato ai propri discendenti. Nella acondroplasia, le mutazioni si verificano in un sito specifico del gene. In molte altre condizioni, ciascuna nuova mutazione sembra determinarsi in un sito differente del gene. Generalmente, i genitori non affetti non sono a maggior rischio di avere ulteriori figli affetti, ma un ristretto numero di genitori apparentemente normali ha avuto due o anche tre discendenti con tipico nanismo acondroplastico. La spiegazione è una mutazione della linea germinale; cioè, un evento che può comparire precocemente nella vita embrionale di un genitore apparentemente normale quando è presente solo qualche precursore delle cellule germinali. La cellula contenente la nuova mutazione può quindi fornire molte cellule alla gonade in sviluppo. In tali casi, la probabilità di avere un altro figlio affetto può essere anche del 50%. L’esistenza delle mutazioni della linea germinale è stata confermata da studi molecolari sulla mutazione genetica nei genitori e nei loro figli. Nel caso del padre fenotipicamente normale che trasporta una mutazione della linea germinale, gli studi molecolari hanno confermato che molti spermatozoi possono trasportare la mutazione.

AUTOSOMICA RECESSIVA La Fig. 286-3 mostra un tipico albero genealogico. Una persona deve avere due copie di un allele anomalo per sviluppare un disordine autosomico recessivo. Alcune popolazioni possono presentare una maggiore percentuale di eterozigoti o portatori a causa di un effetto "fondatore" (p. es., il gruppo è partito da pochi membri, uno dei quali era un portatore) o perché la stirpe può aver dato un file:///F|/sito/merck/sez21/2862647.html (2 of 5)02/09/2004 2.15.31

Principi generali di genetica medica

vantaggio selettivo a un portatore (p. es., l’anemia falciforme, in cui lo stato di eterozigosi protegge dalla malaria). In genere sono valide le seguenti regole dell’ereditarietà: ●





genitori sani hanno un figlio affetto, entrambi i genitori sono eterozigoti e, in media, 1/4 dei loro figli sarà affetto, 1/2 sarà eterozigote e 1/4 sarà sano. Tutti i figli di un soggetto affetto e di un soggetto genotipicamente normale saranno eterozigoti fenotipicamente normali. In media, la metà dei figli di un soggetto affetto e di un eterozigote sarà affetto e 1/2 sarà eterozigote.



Tutti i figli di due persone affette saranno affetti.



Maschi e femmine hanno la stessa probabilità di essere affetti.



Gli eterozigoti sono fenotipicamente normali, ma portatori del carattere. Se la malattia è causata da un deficit di una proteina specifica (p. es., un enzima), il portatore sano ha di solito una quota ridotta di quella proteina. Se la mutazione è nota, le tecniche di genetica molecolare possono identificare i soggetti eterozigoti fenotipicamente normali.

La consanguineità (p. es., l’unione tra persone imparentate) può essere importante nelle malattie autosomiche recessive. Le persone imparentate hanno più probabilità di avere lo stesso allele mutante. Si stima che ogni essere umano sia un eterozigote (cioè, un portatore) per un numero da sei a otto alleli che, allo stato omozigote, porterebbero alla malattia. Un’accurata anamnesi familiare può svelare una consanguineità sconosciuta o dimenticata. Le unioni genitore-figlio o fratello-sorella (solitamente definite come incestuose) hanno un maggior rischio di discendenti con anomalie, poiché il 50% dei loro geni è identico.

DOMINANTE LEGATA AL CROMOSOMA X Un tipico albero genealogico è illustrato nella Fig. 286-4. In genere sono valide le seguenti regole dell’ereditarietà: ●







I maschi malati trasmettono il carattere a tutte le loro figlie, ma non ai loro figli maschi (non si verifica trasmissione da maschio a maschio). Le femmine eterozigoti malate trasmettono la condizione a 1/2 dei loro figli, a prescindere dal sesso. Le femmine malate omozigoti trasmettono il carattere a tutti i loro figli. Un numero doppio di femmine affette rispetto ai maschi presenterà il disordine a meno che esso sia letale nei maschi.

Le condizioni dominanti legate al cromosoma X, che sono molto rare, solitamente colpiscono i maschi più gravemente rispetto alle femmine; tuttavia, le femmine portatrici di un solo allele anomalo sono affette. Per esempio, nell’incontinentia pigmenti, il gene responsabile legato al cromosoma X è letale nel maschio, mentre nelle donne causa una tipica pigmentazione a vortice e altre varie anomalie dei denti, degli occhi e del SNC. Nel diabete insipido nefrogenico le donne mostrano solo una lieve polidipsia e poliuria. È difficile differenziare l’ereditarietà dominante legata al cromosoma X dall’ereditarietà autosomica dominante senza l’utilizzo di prove molecolari. Sono necessari alberi genealogici ampi, prestando particolare attenzione ai figli dei maschi affetti, poiché la trasmissione da maschio a maschio esclude l’ereditarietà

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Principi generali di genetica medica

legata al cromosoma X (i maschi trasmettono il loro cromosoma Y ai loro figli maschi).

RECESSIVA LEGATA AL CROMOSOMA X Nella Fig. 286-5 è descritto un tipico albero genealogico. In genere sono valide le seguenti regole dell’ereditarietà: ●



Quasi tutti gli individui affetti sono di sesso maschile. Se il carattere è trasmesso dalla madre eterozigote, questa è di solito fenotipicamente normale.



Il carattere può rappresentare una nuova mutazione nel maschio affetto.



Un maschio malato non trasmetterà mai il carattere ai figli maschi.



Tutte le figlie femmine di un maschio malato saranno portatrici.



La donna portatrice trasmetterà il carattere a 1/ 2 dei suoi figli maschi.



Nessuna delle figlie di una donna portatrice presenterà il carattere, ma 1/2 sarà portatrice (a meno che esse ereditino il carattere anche dal padre, come nel daltonismo).

Una femmina deve avere il gene anomalo su entrambi i cromosomi X (omozigote) perché esso sia espresso. Questo può accadere se il padre è malato e la madre è eterozigote od omozigote per l’allele mutante. Tuttavia, nei maschi sono espressi tutti i geni che sono localizzati sul cromosoma X, siano essi recessivi o dominanti. Poiché la maggior parte delle alterazioni legate al cromosoma X è rara, le donne malate sono molto poche (l’incidenza nelle donne è uguale al quadrato di quella che si verifica nei maschi). Inoltre, in media, la metà degli zii materni del probando è affetta; la metà delle zie materne è portatrice, così come alcuni dei cugini maschi di primo grado del probando, da parte materna, saranno malati. Talvolta, donne eterozigoti per mutazioni legate al cromosoma X mostrano vari gradi di espressione, ma esse raramente sono malate gravemente come i maschi emizigoti. Un riarrangiamento cromosomico strutturale (p. es., la traslocazione dal cromosoma X a un autosoma, la mancanza o la delezione del cromosoma X) può determinare una femmina malata anche se è eterozigote.

CODOMINANTE Nella ereditarietà codominante, entrambi gli alleli sono espressi in un soggetto eterozigote. Poiché solitamente entrambi gli alleli per un locus genetico producono una certa quantità di prodotto, la codominanza, o espressione di entrambi gli alleli, viene osservata se i fenotipi o i prodotti degli alleli sono qualitativamente diversi, come per gli Ag di gruppo sanguigno (p. es., AB, MN), per gli Ag leucocitari (p. es., DR4, DR3) e per le proteine sieriche differenti per la mobilità elettroforetica (p. es., albumina, aptoglobina).

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Principi generali di genetica medica

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE Alcuni importanti e comuni disordini dell’apparato muscoloscheletrico del neonato sono trattati più avanti.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA EREDITARIETÀ MULTIFATTORIALE I parenti stretti (fino al terzo grado) somigliano l’un l’altro per quanto riguarda molte caratteristiche obiettive (p. es., altezza, peso, dimensione e forma del naso, altri tratti del viso, pressione arteriosa e "intelligenza"). Molte caratteristiche hanno una distribuzione secondo una curva a campana, fenomeno che è compatibile con la determinazione del carattere da parte di diversi geni. Ogni gene può far aumentare o diminuire l’espressione del carattere e agisce in modo sommatorio indipendentemente dagli altri geni. Pochi soggetti sono agli estremi della curva di distribuzione, mentre molti sono nel mezzo, poiché è improbabile che un soggetto erediti molti fattori agenti tutti nella stessa direzione. I fattori ambientali, ciascuno che aggiunge o sottrae qualcosa al risultato finale, daranno anch’essi origine a una curva di distribuzione normale. Molte anomalie congenite e malattie familiari relativamente frequenti non seguono le leggi dell’ereditarietà per un singolo gene (mendeliane). Probabilmente queste condizioni derivano da un’ereditarietà multifattoriale; una soglia separa la persona affetta dalla persona non affetta. Il soggetto affetto è predisposto alla patologia, che rappresenta la somma dell’interazione di fattori genetici e ambientali. Pertanto, il rischio dell’espressione di un tale carattere nei parenti di primo grado (fratelli e figli), che condividono il 50% dei geni della persona affetta, è relativamente alto. Il rischio nei parenti più distanti, che è probabile che ereditino solo pochi geni ad alta predisposizione, è molto più basso. Per esempio, i difetti del tubo neurale (Neural Tube Defects, NTD-anencefalia, spina bifida, encefalocele, mielomeningocele) solitamente presentano cause multifattoriali, sebbene essi riconoscano anche molte cause specifiche note a singolo gene, cromosomiche e ambientali. Nella popolazione bianca dell’America del Nord, i NTD si presentano con un’incidenza combinata di 1,5/1000 nati vivi. Si pensa che i genitori sani di un bambino affetto siano portatori di molti geni altamente determinanti e abbiano circa una probabilità di 1/30 (3%) di avere un secondo discendente malato. Analogamente, un genitore con una NTD multifattoriale ha il 3-4% di probabilità di avere un figlio malato. Nella rara eventualità che una coppia abbia avuto due figli malati, il rischio per un terzo figlio malato aumenta del 7-8%. I fattori ambientali giocano un ruolo nella ereditarietà multifattoriale. L’incidenza di NTD si avvicina a 1/100 nelle regioni occidentali del Regno Unito, tuttavia quando i soggetti da un’area ad alto rischio emigrano nell’America del Nord, il rischio si riduce, ma rimane sempre più alto di quello della popolazione nordamericana. Inoltre, dal 50 al 70% dei NTD può essere prevenuto dall’apporto materno di acido folico (400 mg/die), da 1 mese prima del concepimento a 3 mesi dopo il concepimento. Sebbene il deficit di acido folico nella madre giochi un ruolo principale, esso non è la sola causa ambientale di NTD. Altri esempi di ereditarietà multifattoriale, con rischio simile per i fratelli e la prole dei soggetti affetti, sono le anomalie congenite del cuore (v. al Cap. 261), l’epilessia idiopatica (piccolo o grande male) e la maggior parte dei casi di labbro leporino con o senza palato leporino. Nella stenosi congenita del piloro, il rapporto maschio:femmina è 5:1, il che suggerisce che la soglia per le femmine è più alta. Pertanto, rispetto a un maschio, una femmina richiede geni di predisposizione più potenti per sviluppare la condizione, ha più fratelli affetti e ha un maggior rischio di avere discendenti affetti. Si sta dedicando una certa attenzione ai comuni disordini dell’adulto che file:///F|/sito/merck/sez21/2862650.html (1 of 2)02/09/2004 2.15.33

Principi generali di genetica medica

riconoscono cause multifattoriali (p. es., ipertensione, cardiopatia aterosclerotica, diabete mellito, carcinoma, artrite). Si stanno trovando molti geni specifici. I fattori predisponenti determinati geneticamente, comprendenti la familiarità e parametri biochimici e molecolari, possono identificare le persone a rischio che potrebbero beneficiare maggiormente di misure preventive.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE Difetti anatomici del cuore e dei grossi vasi prodotti a vari stadi dello sviluppo fetale e già presenti alla nascita.

Sommario: Epidemiologia ed eziologia Fisiologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi

Epidemiologia ed eziologia L’incidenza è di 1/120 nati vivi. Il rischio è compreso tra il 2 e il 3% nei bambini con un parente di primo grado affetto (il rischio aumenta se il parente è un genitore). Talvolta può essere individuata una causa specifica. Alcuni difetti cromosomici (p. es., la trisomia 13 o 18) possono determinare gravi cardiopatie congenite, mentre altri difetti cromosomici (p. es., la trisomia 21, la sindrome di Turner [XO]) e alcuni disordini genetici (p. es., la sindrome di Holt-Oram) possono causare anomalie meno gravi. Possno essere implicate le malattie materne (p. es., il diabete mellito, il LES, la rosolia), le esposizioni ambientali (p. es., alla talidomide, alla isotretinoina o all’alcol [sindrome feto-alcolica]) o una combinazione di questi fattori.

Fisiologia e fisiopatologia In condizioni normali, gli adattamenti cardiovascolari postnatali (chiusura del forame ovale e del dotto arterioso, riduzione delle resistenze vascolari polmonari) separano il circolo sistemico dal circolo polmonare (v. Fig. 261-1 e Fisiologia perinatale nel Cap. 256). Le pressioni cardiache sono più basse nelle sezioni di destra, rispetto alle sezioni di sinistra. Le conseguenze delle cardiopatie congenite dipendono da queste differenze pressorie. Numerose cardiopatie congenite non determinano alterazioni emodinamiche significative, mentre altre causano eccessivo carico di volume ventricolare, di pressione ventricolare e svuotamento atriale; mescolamento di sangue non ossigenato e ossigenato, o inadeguata gittata cardiaca. I difetti che ostacolano il flusso ematico (p. es., la stenosi aortica o polmonare) causano soffi indipendentemente dalla caduta delle resistenze vascolari polmonari. Questi soffi da eiezione, spesso apprezzabili alla nascita, presentano un’intensità di tipo crescendo/decrescendo, per l’aumento della pressione sistolica ventricolare necessario per superare l’ostruzione. L’ipertrofia ventricolare, conseguente al sovraccarico di lavoro, viene documentata dall’ECG file:///F|/sito/merck/sez19/2612356.html (1 of 3)02/09/2004 2.15.33

Anomalie congenite

e, meno frequentemente, dalla radiografia. Gli shunt sinistro-destri dipendono dalle basse resistenze polmonari e di solito quelli ad alta pressione (cioè a livello ventricolare o dei grossi vasi) non sono evidenti fino a diversi giorni o alcune settimane dopo la nascita, mentre quelli a bassa pressione (cioè a livello atriale) si manifestano ancora più tardivamente. La dilatazione ventricolare da shunt sinistro-destro è ben dimostrata dalla rx, ma è meno evidente all’ECG. Lo scompenso cardiaco (v. avanti) è la conseguenza dell’aumento del flusso ematico polmonare (facilmente individuabile con la rx del torace), che può determinare un aumento della pressione venosa polmonare.

Sintomi e segni I soffi e i rumori cardiaci dovuti al flusso turbolento all’interno del cuore o dei grossi vasi, sono meglio apprezzabili in corrispondenza della superficie toracica più vicina al loro punto di origine e attraverso la loro localizzazione sono di grande aiuto nella diagnosi. L’aumento del flusso attraverso la valvola polmonare produce un soffio dolce, simile a un soffio di eiezione aortico o polmonare, ma meno aspro. Il flusso dovuto al rigurgito di sangue attraverso una valvola atrioventricolare o il flusso attraverso un difetto interventricolare producono un soffio pansistolico, che può mascherare i toni cardiaci all’aumentare della sua l’intensità. Il flusso ematico nei grossi vasi è continuo, di conseguenza un soffio che deriva dal flusso aorto-polmonare è continuo e non interrotto dai toni cardiaci. La qualità dei toni cardiaci rispecchia l’adeguatezza della funzione ventricolare e delle pressioni arteriose di chiusura. Quando l’ostio valvolare è ristretto si può facilmente apprezzare un click eiettivo dopo il primo tono (S1). I segni di scompenso cardiaco includono distress respiratorio con tachipnea e dispnea, tachicardia ed epatomegalia. La cianosi può essere il sintomo d’esordio dello scompenso cardiaco nel neonato. Le conseguenze di una insufficiente saturazione arteriosa di lunga durata sono le dita a bacchetta di tamburo e la policitemia. Un’inadeguata perfusione sistemica determina un polso ridotto o non palpabile, estremità fredde, scarso riempimento capillare e, se persiste per lungo tempo, sintomi di disfunzione d’organo (p. es., contrazione della diuresi, insufficienza renale). Il sovraccarico di lavoro cardiaco può determinare dilatazione e ipertrofia delle camere cardiache.

Diagnosi La diagnosi si basa sul riscontro di un’alterata funzionalità cardiaca (descritta sopra). L’anamnesi, l’esame obiettivo, l’ECG, e la rx del torace non sono in genere sufficienti per effettuare una diagnosi anatomica specifica; l’ecocardiografia, il cateterismo cardiaco, l’angiocardiografia, e altri esami di laboratorio, possono essere necessari per confermare la diagnosi e valutare più specificatamente la gravità della malattia. Riguardo alla cianosi è necessario escludere con ricerche approfondite cause non cardiologiche. Numerosi disturbi respiratori neonatali possono associarsi a cianosi quando vi è un ostacolo al flusso aereo nell’albero bronchiale, in presenza di masse occupanti lo spazio normalmente riservato ai polmoni o in corso di malattie alveolari che non assicurano un adeguato scambio gassoso. Anche l’ipotermia, l’ipoglicemia, l’ipocalcemia, la sepsi e le disfunzioni del SNC possono essere responsabili di cianosi neonatale. La sua comparsa dipende dalla quantità di Hb desaturata; di conseguenza la cianosi può essere mascherata dalla presenza di anemia. Nel neonato e nel piccolo lattante non è raro l’arlecchinismo (eritema transitorio che interessa un emilato del corpo con file:///F|/sito/merck/sez19/2612356.html (2 of 3)02/09/2004 2.15.33

Anomalie congenite

pallore dell’emilato controlaterale e netta linea di demarcazione nel mezzo), che simula la cianosi.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA EREDITARIETÀ MULTIFATTORIALE In aggiunta ai modelli tradizionali di ereditarietà descritti sopra, sono stati descritti numerosi altri meccanismi. Essi comprendono le strutture determinate geneticamente e possono determinare vari disordini. Mosaicismo: il mosaicismo è la presenza di 2 linee cellulari differenti in genotipo o cariotipo ma derivate da uno zigote. È probabile che si verifichino mutazioni durante la divisione cellulare di qualsiasi organismo multicellulare superiore anche se l’apparato genetico di divisione cellulare è solitamente accurato ed esistono molti meccanismi per riparare gli errori commessi durante la replicazione. Si stima che, ogni volta che una cellula si divide, si determinano quattro o cinque modificazioni del genoma. Pertanto, tutti gli organismi multicellulari superiori avranno subcloni di cellule aventi un corredo genetico leggermente differente. Queste mutazioni somatiche (cioè, mutazioni durante la divisione cellulare mitotica) possono non portare alla malattia, ma a disordini in cui si verificano modificazioni irregolari. Le tecniche di genetica molecolare hanno messo in evidenza mutazioni nelle cellule anomale coinvolte in un tessuto di riparazione a confronto dei normali tessuti di supporto circostanti. Per esempio, nella sindrome di McCune-Albright, ci sono modificazioni displasiche irregolari dell’osso, anomalie delle ghiandole endocrine, modificazioni pigmentarie irregolari e occasionalmente anomalie a livello del cuore o del fegato. Le persone con queste anomalie in tutte le cellule morirebbero, cosicché la condizione sarebbe trasmessa alla successiva generazione, ma essi sopravvivono poiché il tessuto normale sostiene il tessuto anomalo. Occasionalmente, per un disordine dovuto a un singolo gene, un genitore sembra avere una forma più lieve, ma si tratta effettivamente di un mosaico; il loro figlio più gravemente affetto ha ricevuto una cellula germinale con l’allele mutante e pertanto presenta tale anomalia in ogni cellula. Il mosaicismo cromosomico si verifica in alcuni embrioni e può essere dimostrato nella placenta sui campioni di villi corioidei. La maggior parte degli embrioni e dei feti cromosomicamente anomali va incontro ad aborto spontaneo. Tuttavia, lo sviluppo delle cellule normali può supportare certe anomalie cromosomiche, permettendo ai discendenti di nascere vivi. Imprinting genomico: l’imprinting genomico è l’espressione differenziale del materiale genetico a seconda che esso sia stato ereditato dal padre o dalla madre. L’imprinting genomico è tessuto-specifico e tempo di sviluppo-specifico. L’espressione biallelica o biparentale degli alleli può essere presente in alcuni tessuti e l’espressione uniparentale in altri tessuti. La sindrome di Angelman e la sindrome di Prader-Willi possono entrambe essere provocate da delezioni del cromosoma 15. Gruppi di geni specifici si trovano in stretta vicinanza sul cromosoma 15 con sola espressione paterna o materna. Si determina una diversa sindrome a seconda che il cromosoma alterato sia ereditato dal padre o dalla madre. Molte regioni di diversi cromosomi presentano questo tipo di effetto genitore-diorigine. I geni coinvolti sembrano essere correlati con la crescita e con il comportamento nello sviluppo precoce. Alcuni di questi geni sono anche coinvolti in tumori e carcinomi. L’imprinting genomico deve essere considerato nei disordini che sembrano aver saltato una generazione. Disomia uniparentale: la disomia uniparentale si verifica quando due cromosomi di un paio sono ereditati da un solo genitore. Ciò è molto raro e si pensa che rappresenti il salvataggio dalla trisomia; cioè, lo zigote è partito come una trisomia e uno dei tre cromosomi è stato perduto, portando a disomia file:///F|/sito/merck/sez21/2862651.html (1 of 2)02/09/2004 2.15.34

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uniparentale in 1/3 dei casi. Gli effetti dell’imprinting possono essere osservati perché le informazioni genetiche dell’altro genitore sono assenti. Inoltre, se lo stesso cromosoma è in duplicato (isodisomia) e tale cromosoma trasporta un allele anomalo per un disordine autosomico recessivo, una persona con disomia uniparentale può presentare un disordine autosomico recessivo sebbene solo un genitore sia il portatore. In presenza di disomia uniparentale devono essere considerate anomalie cromosomiche vestigiali in alcuni tessuti. Ripetizione di triplette, mutazioni instabili: una ripetizione di triplette è un tipo insolito di mutazione in cui una tripletta di nucleotidi aumenta di numero all’interno di un gene (un gene normale presenta relativamente poche ripetizioni di triplette a tandem). Si ritiene che questo tipo di mutazione si verifichi in diversi disordini, particolarmente in quelli che coinvolgono il SNC. Quando il gene viene trasmesso da una generazione alla successiva o talvolta all’interno dell’organismo quando le cellule si dividono, la ripetizione della tripletta può espandersi ed estendersi fino al punto in cui il gene termina di funzionare normalmente. Gli esempi comprendono la distrofia miotonica, la malattia di Huntington, il ritardo mentale da X fragile e diversi altri disordini neurologici. Il numero di ripetizioni può aumentare considerevolmente nella formazione di cellule germinali o in certi tessuti nel momento in cui l’embrione e il feto si sviluppano. L’espansione può essere maggiore quando trasmessa da un genitore (p. es., la madre nella distrofia miotonica, il padre nella malattia di Huntington); pertanto, possono essere osservati un effetto e un’anticipazione genitore-di-origine. Questo tipo di mutazione è individuato da studi molecolari. Anticipazione: l’anticipazione si verifica quando un disordine ha un’età di insorgenza e una gravità di espressione più precoci in ogni generazione successiva. Essa può verificarsi perché un genitore è un mosaico e il figlio ha la mutazione completa in tutte le cellule. L’espansione della ripetizione di triplette può mostrare l’anticipazione quando il numero di ripetizioni aumenta in ciascuna generazione.

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA ANOMALIE DEL DNA MITOCONDRIALE I mitocondri sono organuli intracellulari che producono energia attraverso una serie complessa di catene respiratorie. Contengono un cromosoma circolare unico che codifica per 13 proteine, vari RNA e numerosi enzimi regolatori. Tuttavia, oltre il 90% delle proteine mitocondriali è codificata dai geni nucleari. Ciascuna cellula presenta diverse centinaia di mitocondri nel proprio citoplasma. La malattia mitocondriale è dovuta ad anomalie del DNA mitocondriale (p. es., delezioni, duplicazioni, mutazioni). I tessuti ad alta energia, come il muscolo, il cuore e il cervello, sono particolarmente a rischio, ma l’udito, il pancreas e il fegato sono anche a rischio. I quadri di coinvolgimento tissutale correlano con particolari modificazioni del DNA mitocondriale, p. es., l’oftalmoplegia esterna cronica progressiva; la sua variante, la sindrome di Kearns-Sayre multisistemica (oftalmoplegia esterna cronica progressiva, blocco cardiaco, retinite pigmentosa, degenerazione del SNC); la sindrome di Pearson (anemia sideroblastica, insufficienza pancreatica e malattia epatica progressiva che inizia durante i primi mesi di vita ed è solitamente fatale nei bambini); la neuropatia ottica ereditaria di Leber (una perdita della vista variabile ma spesso devastante che si manifesta solitamente negli adolescenti e che è dovuta a una mutazione puntiforme del DNA mitocondriale); la MERRF (Myoclonic Epilepsy, Ragged Red Fibers), caratterizzata da demenza, atassia, miopatia e la MELAS (Mitochondrial Encephalomyopathy, Lactic Acidosis, Strokelike episodes). La patologia mitocondriale si presenta in molti disordini comuni (p. es., le grandi delezioni mitocondriali nelle cellule dei gangli basali dei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson, molti tipi di patologia muscolare, accumulo progressivo delle delezioni del DNA mitocondriale con l’età). L’ereditarietà materna caratterizza le anomalie del DNA mitocondriale, poiché tutti i mitocondri sono trasmessi attraverso gli ovuli. Perciò, tutti i discendenti di una femmina affetta sono a rischio di ereditare l’anomalia, mentre nessun discendente di un maschio affetto è a rischio. La variabilità delle manifestazioni cliniche è la regola e potrebbe essere dovuta in parte alle mescolanze variabili dei genomi mitocondriali mutanti e normali (eteroplasmia) entro le cellule e i tessuti.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA GENETICA DEL CARCINOMA Il carcinoma comprende molti disordini caratterizzati da crescita cellulare incontrollata dovuta a modificazioni dell’informazione genetica nel tessuto maligno. Due classi principali di geni sono state riconosciute: geni soppressori del tumore, che sopprimono la crescita del tumore e gli oncogeni, che incrementano la crescita del tumore (v. anche Cap. 142). Gli oncogeni originano da proto-oncogeni o geni coinvolti nella regolazione della crescita cellulare. La maggior parte dei carcinomi si caratterizza per la perdita di molteplici meccanismi di controllo, spesso attraverso la perdita di cromosomi o l’attivazione di geni che sono normalmente inattivi. Alcuni carcinomi familiari comprendono l’ereditarietà di un gene già mutato o geneticamente modificato e la perdita dell’allele normale nel tessuto carcinomatoso. Molti geni specifici giocano un ruolo importante nel carcinoma, compresi il gene del retinoblastoma, diversi geni del tumore di Wilms e almeno due geni del carcinoma polmonare. Inoltre, alcuni disordini, come la neurofibromatosi e la sindrome di von Hippel-Lindau, predispongono a particolari carcinomi.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA IMMUNOGENETICA La base genetica del sistema immunitario è molto complessa. Numerosi deficit immunitari genetici coinvolgono varie parti del meccanismo di difesa immunitario. Il complesso maggiore di istocompatibilità è importante per l’autoriconoscimento. L’ereditarietà del locus maggiore di istocompatibilità è autosomica recessiva, cosicché i fratelli hanno una probabilità del 25% di possedere lo stesso locus maggiore di istocompatibilità. Il locus di istocompatibilità è importante per il trapianto degli organi e gioca un ruolo principale nella tolleranza per il trapianto degli organi o del midollo osseo. Un’altra componente del sistema immunitario comprende le molecole di superficie dei GR, che causano reazioni immunitarie durante l’emotrasfusione. I sistemi di antigeni dei GR AB0 e Rh sono particolarmente importanti nelle reazioni alla trasfusione e nella incompatibilità materno-fetale. Un clone deriva da una cellula somatica piuttosto che dalla fusione di gameti (ovulo e spermatozoo). È stato recentemente ottenuta la clonazione dei mammiferi da singole cellule. I Chimeras sono soggetti con cellule di origine geneticamente distinta (p. es., trapianto, innesto, fusione embrionale). Per contro, i gemelli monozigoti sono due individui che si sono sviluppati dopo la fertilizzazione di un ovulo da parte di uno spermatozoo.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA GENETICA FORENSE Le più recenti tecniche di genetica molecolare hanno un alto potere di identificazione del corredo genetico di una persona. I molteplici marcatori genetici, ciascuno dei quali presenta un’ampia variabilità tra soggetti, possono essere utilizzati per identificare se due persone sono geneticamente correlate. Questi marcatori polimorfi sono utilizzati nelle tecniche del DNA che identificano se un soggetto è il figlio di un altro. Metà dei marcatori dovrebbe provenire dal padre e metà dalla madre. Pertanto, l’analisi dei campioni ematici e del DNA estratto può determinare se padre e madre putativi di un particolare bambino sono i genitori biologici. La paternità può solitamente essere determinata precisamente, a eccezione del caso di gemelli monozigoti, che hanno marcatori di DNA identici. Gli stessi marcatori polimorfi del DNA possono essere utilizzati per identificare un campione e determinare la persona da cui esso proviene. Possono essere utilizzati le biopsie, i campioni patologici, le macchie di sangue, i campioni di sperma, i tessuti sotto le unghie e anche un follicolo del cuoio capelluto. Con la reazione a catena della polimerasi, può essere amplificato il DNA di una singola cellula, fornendo una sufficiente quantità per determinare l’origine del DNA.

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA TERAPIA GENETICA La terapia delle malattie genetiche è spesso molto simile alla terapia degli altri tipi di disordini. Le diete particolari possono eliminare i composti che sono tossici per i pazienti, come nel caso della fenilchetonuria e della omocistinuria. Le vitamine o gli altri agenti possono migliorare un processo biochimico e quindi ridurre i livelli tossici di un composto. Per esempio, l’acido folico riduce i livelli di omocisteina in una persona che presenta il polimorfismo per la 5,10-metilene tetraidrofolato reduttasi. La terapia può consistere nel rimpiazzare una deficienza o nel bloccare una via metabolica iperattiva. Un feto può talvolta essere trattato attraverso il trattamento della madre (p. es., con corticosteroidi per l’ipoplasia surrenalica virilizzante congenita) o mediante l’impiego della terapia cellulare in utero (p. es., trapianto del midollo osseo). Un neonato con una malattia genetica può essere un candidato al trattamento mediante trapianto di midollo osseo o di un organo. La terapia genica può comprendere l’inserzione di copie normali di un gene nelle cellule di persone con specifica malattia genetica. Sono stati effettuati studi sperimentali su terapie geniche somatiche per disordini genetici molto gravi (p. es., deficit di adenosina deaminasi). La terapia genica della linea germinale potrebbe comprendere la correzione di una anomalia nei geni dello spermatozoo o dell’ovulo ed è considerata un modo inappropriato per trattare le malattie genetiche a causa degli aspetti etici, dei costi, dell’assenza di ricerche negli esseri umani, dell’assenza di consapevolezza a riguardo della possibilità che le modificazioni vengano mantenute nell’embrione in crescita e della relativa facilità nel trattare somaticamente quando necessario. La terapia genica potrebbe anche includere l’inattivazione di geni come per il DNA "antisense".

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Sindromi di origine incerta

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 287. SINDROMI DI ORIGINE INCERTA Molte persone soffrono enormemente di sindromi per le quali non può essere riscontrata alcuna causa specifica. Alcuni medici considerano queste sindromi come la conseguenza di fattori psicologici, sebbene la maggior parte delle persone con sintomi rifiuti una causa psicologica. Alcuni dati, spesso incompleti, non uniformi o contraddittori, suggeriscono una causa psicologica. Alcuni pazienti possono presentare sintomi diffusi, non correlati, che non formano una sindrome, ma alcuni di questi pazienti potrebbero essere affetti da una malattia fisica che non può essere diagnosticata. Migliori definizioni possono permettere un miglior riconoscimento del caso; sono necessarie ultreriori ricerche per chiarire le origini e il significato di queste sindromi, per porre diagnosi accurate e per definire la cura ottimale. La prima responsabilità del medico nei confronti di un tale paziente è quella di ottenere un’anamnesi completa dell’esposizione e di escludere specifiche, potenziali cause trattabili. Se non viene identificata nessuna causa, è richiesto un follow-up di supporto e di comprensione.

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Sindromi di origine incerta

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 287. SINDROMI DI ORIGINE INCERTA SINDROME DELLA GUERRA DEL GOLFO Una costellazione di malattie manifestate da 5000-80000 statunitensi reduci dopo il ritorno dalla guerra del golfo (1992). La maggior parte dei casi è priva di reperti clinici oggettivi, ma in alcuni la malattia fisica è dimostrabile ed è spesso grave. La diversità dei disturbi rende lo studio difficile. Gli studi epidemiologici non hanno documentato una precisa esposizione a patogeni o un aumento della mortalità (per cause diverse che da lesioni) nella popolazione esposta e gli studi descrittivi hanno utilizzato sintomi riferiti piuttosto che misurazioni oggettive. L’eziologia è sconosciuta. I reduci della Guerra del Golfo hanno subito sia esposizioni multiple isolate a un singolo agente sia una o più esposizioni a una combinazione di armi chimiche, insetticidi, vaccini, fumo proveniente da olio bruciato e altri composti tossici. Tuttavia, nessuna di queste esposizioni è stata legata in maniera convincente alla causa o alla malattia. I sintomi sono principalmente neurologici e, sebbene molti tendano a ricadere in diversi quadri sovrapposti, essi consistono principalmente nella compromissione dello stato cognitivo con problemi di attenzione, di memoria, di ragionamento, di insonnia, di depressione, di astenia e di cefalea. Problemi di disorientamento, disturbi dell’equilibrio, vertigine, impotenza, dolori muscolari, astenia muscolare, debolezza e parestesie sono anche frequenti. La diagnosi e il trattamento non possono essere stabiliti, poiché l’eziologia e i meccanismi non sono ancora clinicamente definiti. La valutazione dei reduci dalla Guerra del Golfo deve essere guidata da specifici disturbi e il trattamento deve essere scelto dal risultato di questa valutazione.

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Sindromi di origine incerta

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 287. SINDROMI DI ORIGINE INCERTA SINDROME DA SENSIBILITÀ CHIMICA MULTIPLA Una serie di disturbi attribuiti all’esposizione a bassi livelli di un certo numero di sostanze comunemente riscontrate nell’ambiente. Non esiste nessuna definizione universalmente accettata, ma la sindrome è paragonabile alla diagnosi non più utilizzata di nevrastenia. Alcuni ritengono che l’eziologia sia psicologica, probabilmente una forma di disturbo d’ansia correlato con l’agorafobia (paura di trovarsi in pubblico) o con gli attacchi di panico (v. Cap. 187). Alcuni pazienti riferiscono i sintomi dopo una singola esposizione ad alti livelli di sostanze tossiche con successiva ricorrenza dopo esposizione a livelli estremamente bassi delle stesse sostanze. Le modificazioni biologiche misurabili in alcuni (p. es., livelli ridotti di linfociti B, livelli elevati di IgE) suggeriscono una reazione allergica cronica. Tuttavia, tali modificazioni non presentano un quadro conforme e il loro significato non è chiaro. I sintomi sono innumerevoli (tachicardia, dolore toracico, sudorazione, respiro breve, astenia, vampate, vertigini, nausea, senso di soffocamento, tremolio, torpore, tosse, raucedine, difficoltà di concentrazione) e solitamente colpiscono più di un apparato. L’esposizione a bassi livelli di ciascuna sostanza identificabile o non identificabile (inalata, toccata o ingerita) determina lo scatenamento dei sintomi. La diagnosi viene effettuata sulla base dell’anamnesi. I criteri diagnostici includono lo sviluppo dei sintomi quando il paziente è esposto a livelli molto bassi di sostanze chimiche, una reazione riproducibile, la risoluzione o l’attenuazione dei sintomi quando l’esposizione viene eliminata e la cronicità. Alcuni medici raccomandano la misurazione di emocromo completo e di IgE per identificare i pazienti che richiedono un’ulteriore valutazione, ma questi test sono di valore non provato. Il trattamento è generalmente finalizzato a evitare le sostanze sospette scatenanti, il che può essere difficile poiché molte sono ubiquitarie. La valutazione e l’intervento psicologico possono aiutare alcuni pazienti.

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Sindromi di origine incerta

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 287. SINDROMI DI ORIGINE INCERTA SINDROME DA AFFATICAMENTO CRONICO Astenia grave di lunga durata senza debolezza muscolare sostanziale e senza cause psicologiche o fisiche comprovate.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Esistono diverse varianti di questa definizione e c’è notevole eterogeneità tra coloro che incontrano questa definizione. È impossibile stabilire con precisione la prevalenza, variando questa da 7 a 38 casi/100000 soggetti. Questa variazione può essere dovuta a differenze nel corredo psicologico o genetico, nell’accettabilità sociale o nell’esposizione a un agente infettivo o tossico oppure a differenze nella definizione e nel ritrovamento dei casi. Le donne sono affette da 1,3 a 1,7 volte più spesso degli uomini.

Eziologia e fisiopatologia L’eziologia è controversa. I fattori psicologici possono rappresentare la causa in alcuni, molti o anche in tutti i casi; tuttavia, la sindrome da affaticamento cronico sembra essere distinta dalla tipica depressione, ansia o altri disordini psicologici. Come ipotesi eziologica è stata proposta un’infezione virale cronica, poiché molti pazienti correlano l’insorgenza a un evento simile all’influenza o alla mononucleosi. Il virus di Epstein-Barr è una possibile causa, ma i marcatori immunologici di esposizione non sembrano essere sensibili o specifici. Altre possibili, ma non provate, cause virali comprendono gli enterovirus, l’herpesvirus umano tipo 6 e il virus linfotropo delle cellule T umane. Come eziologia sono anche state proposte le reazioni allergiche; circa il 65% dei pazienti lamenta precedenti allergie e, per questi, la frequenza di reattività cutanea agli inalanti o ai cibi è dal 25 al 50% più alta di quella della popolazione generale. Sono state descritte varie anomalie immunologiche, compresi i bassi livelli di immunoglobuline, la riduzione della proliferazione linfocitaria e i bassi livelli di interferone-γ in risposta a mitogeni e la scarsa tossicità delle cellule "natural killer". Alcuni pazienti possiedono immunoglobuline alterate, con anticorpi circolanti e complessi immuni. Sono state studiate molte altre modificazioni immunologiche; tutte mostrano scarsa sensibilità e specificità per la definizione della sindrome. Altri meccanismi proposti, ma non provati, includono anomalie endocrine, livelli alterati di neurotrasmettitori, una circolazione cerebrale inadeguata e livelli elevati di enzima di conversione dell’angiotensina.

Sintomi, segni e diagnosi file:///F|/sito/merck/sez21/2872655b.html (1 of 2)02/09/2004 2.15.54

Sindromi di origine incerta

Il sintomo principale è l’astenia marcata (generalmente 6 mesi) che compromette la funzionalità quotidiana ed è spesso peggiorata dallo sforzo, dall’attività fisica, dalla cefalea, dal mal di gola e da altri stress. Essa può essere accompagnata da linfonodi ingrossati, dolenti; mal di gola; cefalea; artralgie; dolore addominale; dolore muscolare; febbricola e difficoltà cognitive, soprattutto difficoltà nella concentrazione e nel sonno. Molti pazienti correlano l’insorgenza dei sintomi a una sindrome simil-virale, con ghiandole ingrossate, astenia marcata, febbre e sintomi delle vie respiratorie superiori. Generalmente, non è presente nessun segno di debolezza muscolare, artrite, neuropatia od organomegalia. Tuttavia, alcune definizioni richiedono la presenza di febbricola, faringite non essudativa o linfonodi palpabili o di consistenza molle. Poiché la causa è sconosciuta, la valutazione diagnostica ha lo scopo di escludere una malattia curabile (v. Tab. 287-1). Una valutazione ragionevole include possibilmente un EECC, indagini chimiche di routine, VES e dosaggio dell’ormone stimolante la tiroide. In alcuni casi, devono essere aggiunti una radiografia del torace e i test per gli anticorpi antinucleo, il fattore reumatoide, gli anticorpi della malattia di Lyme, gli anticorpi dell’epatite A o B e l’anticorpo HIV. Altri anticorpi virali e altri test costosi potrebbero far luce sulla diagnosi o sulla causa. La depressione manifesta o l’ansia grave escludono la diagnosi di sindrome da affaticamento cronico.

Terapia Il trattamento deve essere adattato al singolo caso. Gli antidepressivi sembrano essere il trattamento più utile studiato da più tempo; almeno l’80% dei pazienti riferisce benefici. Il farmaco scelto non deve accentuare l’astenia. Gli studi sui trattamenti antivirali con acyclovir e amantadina non hanno dimostrato l’efficacia. Gli studi sui trattamenti immunologici, comprendenti immunoglobuline ad alte dosi, estratto dializzabile di GB, anfigene, interferoni, isoprinosina e corticosteroidi, sono stati non risolutivi, ma generalmente deludenti. I supplementi dietetici e le vitamine ad alte dosi sono comunemente utilizzate, ma la loro utilità non è stata comprovata. L’intervento psicologico, compresa la terapia individuale e di gruppo, può aiutare alcuni pazienti.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 287-1. CRITERI DIAGNOSTICI DELLA SINDROME DA AFFATICAMENTO CRONICO Affaticamento cronico non spiegato, persistente o recidivante di recente insorgenza o con insorgenza pregressa definita, che non è dovuto all'attuazione di uno sforzo, non è alleviato sostanzialmente dal riposo e che riduce sostanzialmente le attività lavorative, scolastiche, sociali o personali Almeno quattro dei seguenti elementi per un periodo ≥6mesi*: Compromissione grave della memoria a breve termine o della concentrazione (riferita dal soggetto) tale da ridurre sostanzialmente le attività lavorative, scolastiche, sociali o personali

Mal di gola

Linfonodi cervicali o ascellari di consistenza molle

Dolore muscolare

Dolore poliarticolare senza rigonfiamento o fragilità delle articolazioni

Cefalea di carattere, quadro e gravità di recente insorgenza

Sonno non ristoratore

Malessere a seguito di uno sforzo che perdura per un periodo>24ore

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Manuale Merck - Tabella

*Non devono essere antecedenti all'affaticamento. Dati ottenuti dai Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, dagli Istituti Nazionali di Sanità e dall'International Chronic Fatigue Study Group.

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Sarcoidosi

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 288. SARCOIDOSI È un disordine granulomatoso multisistemico a eziologia ignota, caratterizzato istologicamente da granulomi epitelioidi non caseosi che interessano diversi organi o tessuti, con sintomi dipendenti dalla sede e dal grado di interessamento.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Decorso clinico e prognosi Terapia

La sarcoidosi si presenta principalmente in soggetti tra i 20 e i 40 anni d’età ed è più frequente tra i nordeuropei e i neri americani. Il rischio di sviluppare una sarcoidosi nel corso della vita è particolarmente alto negli uomini svedesi (1,15%), nelle donne svedesi (1,6%) e nei neri americani (2,4%). Un singolo agente causale o reazioni di difesa disordinate innescate da vari insulti possono essere alla base della malattia e i fattori genetici possono essere importanti. Caratteristici reperti istopatologici sono i granulomi epitelioidi non caseosi multipli, che si presentano comunemente nei linfonodi mediastinici e periferici, nei polmoni, nel fegato, negli occhi e nella pelle e, meno di frequente, nella milza, nelle ossa, nelle articolazioni, nei muscoli scheletrici, nel cuore e nel SNC. Questi granulomi possono risolversi completamente o avere esito in fibrosi. Per quanto simili granulomi si presentino in diverse infezioni, reazioni allergiche, polmoniti e reazioni da corpo estraneo, i caratteristici modelli di interessamento sono indicativi di sarcoidosi.

Sintomi e segni I sintomi dipendono dalla sede interessata e possono essere assenti, lievi o gravi. Inizialmente possono presentarsi febbre, perdita di peso e artralgie. Una febbre persistente è frequente con l’interessamento epatico. La linfoadenopatia periferica è costante e solitamente asintomatica; anche linfonodi non significativi possono contenere i granulomi. La funzione dell’organo può essere compromessa per una malattia granulomatosa attiva o per la fibrosi secondaria. Tosse e dispnea possono essere minimi o assenti. Le lesioni cutanee (placche, papule, noduli sottocutanei) sono spesso presenti in pazienti con sarcoidosi cronica e si possono presentare granulomi della mucosa congiuntivale e nasale. L’eritema nodoso, spesso con febbre e artralgie, è frequentemente il sintomo di presentazione negli Europei, ma meno frequentemente negli Americani. Granulomi epatici si ritrovano alla biopsia percutanea nel 70% dei pazienti, che possono essere asintomatici e con test di funzionalità epatica nella norma. L’epatomegalia si riscontra in < 10% dei pazienti; la disfunzione epatica grave e progressiva con ittero è reperto raro.

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Sarcoidosi

L’uveite granulomatosa è presente nel 15% dei pazienti; è solitamente bilaterale e, se non curata, può provocare grave perdita del visus dovuta a interessamento retinico, a grave vitreite o a glaucoma secondario. Occasionalmente sono presenti ingrossamento delle ghiandole lacrimali, infiltrati congiuntivali palpebrali e cheratite secca. L’interessamento del miocardio, osservato dal 5 al 10% dei pazienti, può provocare angina, insufficienza cardiaca o anomalie della conduzione fatali. Può anche essere evidente una poliartrite acuta; rigonfiamento periarticolare cronico e dolorabilità possono essere dovute ad alterazioni ossee delle falangi. L’infiammazione periarticolare acuta della caviglia spesso si verifica senza lesioni cutanee e spesso non è riconosciuta come una presentazione della sarcoidosi. L’interessamento del SNC può essere praticamente di ogni tipo, ma più frequenti sono le paralisi dei nervi cranici (specialmente paralisi del facciale), che colpiscono il 5% dei pazienti. Può presentarsi diabete insipido. Ipercalcemia e ipercalciuria (risultato dell’aumento della produzione di 1,25-diidrossivitamina D da parte dei macrofagi alveolari e dei granulomi sarcoidei) possono provocare calcoli renali o nefrocalcinosi con conseguente insufficienza renale, ma il prednisone ha ridotto la frequenza delle alterazioni del metabolismo del Ca. L’iperparatiroidismo sembra essere insolitamente frequente e deve essere considerato quando l’ipercalcemia non risponde prontamente ai corticosteroidi.

Esami di laboratorio e diagnosi Le alterazioni radiologiche del torace si verificano nel 90% dei pazienti. L’adenopatia mediastinica viene riscontrata spesso alle rx di routine. I reperti rx di adenopatia bilaterale dell’ilo e paratracheale destra sono praticamente universali (90% dei pazienti), sebbene occasionalmente l’adenopatia sia unilaterale. L’infiltrato polmonare può avere un aspetto diffuso alla rx, fine, a vetro smerigliato. Esso può accompagnare o seguire l’adenopatia; presentarsi senza adenopatia visibile; presentarsi sotto forma di lesioni reticolari o miliari; o essere presente sotto forma di infiltrazioni confluenti o grossi noduli che assomigliano a metastasi. Tosse e dispnea possono essere minime o assenti. Fibrosi polmonare, alterazioni cistiche e cuore polmonare sono esiti tardivi della malattia progressiva. La leucopenia è frequentemente presente ed è comune inoltre il reperto di un aumento dell’acido urico sierico, anche se la gotta è rara. I livelli sierici di fosfatasi alcalina e di γ-glutamil-transpeptidasi possono essere elevati in seguito a interessamento epatico. Caratteristica è una depressione dell’ipersensibilità ritardata, ma una reazione negativa alla tubercolina a doppia dose esclude in modo convincente una complicanza TBC. L’ipergammaglobulinemia è frequente negli individui di razza nera. I test di funzionalità polmonare dimostrano restrizione, diminuita compliance e diminuita capacità di diffusione. Rara è la ritenzione di CO2, anche se l’ostruzione delle vie aeree è frequente nei pazienti con malattia endobronchiale o negli stadi terminali con fibrosi o bolle polmonari. Test seriali di funzionalità polmonare sono importanti per determinare la progressione della malattia e per guidare il trattamento. La sarcoidosi può essere diagnosticata in pazienti asintomatici con i tipici reperti radiografici del torace, ma dovrebbe essere presa in considerazione anche in presenza di reperti normali quando si manifestano i sintomi e i segni sopra descritti. Poiché la diagnosi differenziale include il linfoma e le infezioni fungine (p. es., istoplasmosi, coccidioidomicosi), la biopsia tissutale, assieme agli esami microbiologici e istologici, è essenziale se i sintomi sono presenti e se la terapia corticosteroidea è indicata. Quando sono presenti lesioni superficiali o palpabili (p. es., su cute, linfonodi o congiuntiva) la biopsia è positiva per sarcoidosi in più file:///F|/sito/merck/sez21/2882657.html (2 of 5)02/09/2004 2.15.56

Sarcoidosi

dell’85% di tali campioni. Quando i siti periferici non sono disponibili per la biopsia, la biopsia transbronchiale mediante broncoscopio a fibre ottiche è la migliore procedura iniziale per confermare l’evidenza istologica di sarcoidosi; i granulomi possono essere osservati nel 50-80% dei pazienti, indipendentemente dal fatto che le rx torace rivelino gli infiltrati polmonari o soltanto le adenopatie ilari. Campioni di tessuto polmonare possono anche essere prelevati mediante toracoscopia. Altre possibili sedi in cui eseguire biopsie sono la congiuntiva apparentemente normale o il mediastino, che può essere raggiunto con mediastinotomia o mediastinoscopia. La biopsia epatica dimostra granulomi nel 70% dei casi. Devono essere escluse le reazioni sarcoidee locali in un singolo organo (p. es., fegato) e i granulomi polmonari dovuti a infezione, reazione di ipersensibilità o reazione da corpo estraneo. Nei casi discutibili, deve essere prelevato mediante biopsia più di un campione per cercare diffusamente un’infezione o una reazione da corpo estraneo. La reazione di Kveim, una reazione granulomatosa che compare 4 sett. dopo un’iniezione intradermica di estratti di milza o di linfonodi sarcoidei, è positiva nel 50-60% dei pazienti, ma negli USA non sono disponibili Ag affidabili a causa delle restrizioni dell’FDA sull’uso di materiale umano per i test diagnostici. L’attività dell’ACE sierico risulta aumentata (> 2 deviazioni standard) nel 60% dei pazienti, forse come riflesso dell’attività macrofagica. Essa può essere elevata nei pazienti con istoplasmosi, TBC miliare acuta, epatite o linfoma e pertanto non è specifica. Le epatopatie rallentano l’escrezione metabolica di ACE sierica ed esitano in un incremento dell’attività dell’ACE. L’aumento dell’ACE nel LCR può essere utile nella diagnosi di sarcoidosi del SNC. L’attività tissutale dell’ACE è più alta nei linfonodi sarcoidei che nei tessuti polmonari. Il lavaggio broncoalveolare mette in evidenza linfocitosi nella maggior parte dei soggetti con sarcoidosi attiva, ma è raramente indicato poiché i pazienti con polmonite da ipersensibilità mostrano una linfocitosi simile. Tuttavia, il rapporto CD4/CD8 nel liquido di lavaggio broncoalveolare è elevato nella sarcoidosi e ridotto nella polmonite da ipersensibilità. Le analisi del lavaggio broncoalveolare sono state chiamate in causa per valutare la necessità della terapia corticosteroidea, ma studi recenti non supportano questa applicazione. La scintigrafia globale al gallio, indicatore sensibile, ma non specifico di infiammazione sarcoidea, può essere usata per la diagnosi nei pazienti con una radiografia del torace normale o con presentazioni altrimenti atipiche. I pazienti con fissazione simmetrica aumentata nei linfonodi mediastinici o ilari (segno del lambda) e nelle ghiandole lacrimali, parotidee e salivari (segno del panda), presentano un quadro patognomonico di sarcoidosi. La scintigrafia al gallio può indicare le sedi utilizzabili per la biopsia e può aiutare a determinare se gli addensamenti radiografici rappresentano sedi di infiammazione reversibile o di fibrosi nella sarcoidosi polmonare di lunga durata. La captazione del gallio è assai sensibile ai corticosteroidi; un risultato negativo in pazienti che assumono prednisone non è attendibile. Tubercolosi, aspergillosi, criptococcosi, istoplasmosi, coccidioidomicosi e morbo di Hodgkin devono essere differenziati dalla sarcoidosi. Non è certo se i tipici granulomi sarcoidei riscontrati nel 5% delle biopsie epatiche eseguite per valutare il grado della malattia di Hodgkin indichino due malattie concomitanti oppure una reazione sarcoidea della neoplasia.

Decorso clinico e prognosi È difficile valutare la terapia, poiché sono frequenti i miglioramenti spontanei o la scomparsa dei sintomi. Persino un’adenopatia ilare massiva e infiltrati estesi possono comparire nell’arco di pochi mesi o di qualche anno. L’adenopatia mediastinica può talvolta persistere senza alterazioni per molti anni. In uno file:///F|/sito/merck/sez21/2882657.html (3 of 5)02/09/2004 2.15.56

Sarcoidosi

studio, la regressione dei reperti radiologici è stata osservata dopo 5 anni nell’82% dei casi di pazienti svedesi con sola adenopatia dell’ilo polmonare e nel 57% di pazienti con opacità polmonari. In un altro studio, la regressione è stata osservata dopo 9 anni di osservazione nell’85% dei pazienti di razza bianca e nel 65% dei pazienti di razza nera affetti da sarcoidosi polmonare. La razza e la sarcoidosi extrapolmonare aiutano a predire la probabilità di regressione nei pazienti affetti da sarcoidosi polmonare: 89,4% nei bianchi senza malattia extratoracica; 69,7% nei bianchi con malattia extratoracica; 76% nei neri senza malattia extratoracica; 46,4% nei neri con malattia extratoracica. La prognosi è migliore nei pazienti che presentano un’adenopatia polmonare, ma senza segni di malattia polmonare alla rx. L’indicatore più affidabile di prognosi favorevole è un esordio con eritema nodoso. Circa il 10% dei pazienti sviluppa grave inabilità causata da danni oculari, respiratori o di altri organi, ma la mortalità per sarcoidosi è < 3%. La fibrosi polmonare che esita in insufficienza cardiorespiratoria è la più frequente causa di morte, seguita dall’emorragia polmonare da aspergilloma.

Terapia I pazienti asintomatici o con pochi sintomi non devono essere trattati, a prescindere dalle anomalie radiologiche o cliniche (eccetto per l’ipercalcemia sostenuta). Un’alterata attività dell’ACE, la scintigrafia al gallio e altri esami di laboratorio sono utili per valutare i sintomi, ma la presenza isolata di risultati alterati ai test non giustifica la terapia. Nessuno dei farmaci disponibili si è dimostrato capace di impedire la fibrosi polmonare. I corticosteroidi accelerano la remissione dei sintomi, dei disturbi fisiologici e delle alterazioni rx. Tuttavia, sono dimostrabili poche differenze nei risultati a lungo termine tra i pazienti trattati e non trattati e quando termina il trattamento è frequente la recidiva. I corticosteroidi vanno somministrati per sopprimere i sintomi gravi (p. es., dispnea, artralgia o febbre) o l’insufficienza epatica, l’aritmia cardiaca, l’interessamento del SNC, l’ipercalcemia, le patologie oculari non controllabili da trattamenti locali o le lesioni cutanee sfiguranti. Una buona dose di partenza è il prednisone da 15 a 20 mg/die PO o metilprednisolone da 12 a 16 mg/die PO. Il prednisone alla dose di 60 mg/die PO o il metilprednisolone a 48 mg/die PO sono spesso utilizzati quando si desidera un effetto immediato, ma tali dosi sono poco tollerate da molti pazienti. I pazienti con forma acuta di sarcoidosi (p. es., con grave eritema nodoso) possono aver bisogno del trattamento soltanto per poche settimane, ma la maggior parte di coloro che necessitano della terapia presenta una sarcoidosi cronica e richiede un trattamento per 1 anno. Le dosi di mantenimento del prednisone di 5 mg/die PO controllano i sintomi e le alterazioni radiologiche e possono essere necessarie indefinitamente per pochi pazienti. I corticosteroidi inalati possono provocare attenuazione dei sintomi respiratori lievi o moderati. Poiché le recidive si hanno nel 50% dei casi, l’esame clinico e di laboratorio deve essere ripetuto ogni 23 mesi dopo che il farmaco viene sospeso. Circa il 10% dei pazienti che necessita della terapia non risponde alle dosi tollerabili di un corticosteroide e si deve provare a somministrare metotrexate per 6 mesi partendo da 2,5 mg/sett. PO e incrementando di 2,5 mg/sett. fino a un totale di 10-15 mg/sett., purché tollerati con valori di GB > 3000 mm3. Dopo 8 sett. di metotrexate, il corticosteroide può essere ridotto e poi spesso interrotto. Emocromi e test per gli enzimi epatici ripetuti in serie devono essere eseguiti ogni 6 sett. Sebbene i farmaci immunosoppressori siano spesso più efficaci nei casi refrattari, la recidiva è frequente dopo loro sospensione. Non è stata determinata la sicurezza dell’uso a lungo termine di farmaci diversi dal metotrexate. I farmaci immunosoppressori sono frequentemente richiesti nei pazienti con neurosarcoidosi e altre gravi forme della malattia. L’idrossiclorochina 200 mg bid PO è più efficace dei corticosteroidi per il trattamento dei granulomi sarcoidei che

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Sarcoidosi

deformano la cute. Il danno retinico è raro, ma esami oftalmologici seriali devono essere eseguiti ogni 6 mesi.

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Febbre familiare mediterranea

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 289. FEBBRE FAMILIARE MEDITERRANEA (Polisierosite parossistica familiare) Malattia ereditaria caratterizzata da febbre ricorrente e peritonite e meno frequentemente da pleurite, artrite, lesioni cutanee e pericardite.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi, profilassi e terapia

Più frequentemente, ma non esclusivamente, sono colpiti gli individui di origine mediterranea (p. es., gli Ebrei sefarditi, gli Arabi, gli Armeni, i Turchi). Un numero sufficiente di casi si è verificato in altri gruppi, in particolare negli Ebrei ashkenaziti, il che deve mettere in guardia dall’esclusione della diagnosi sulla base della razza atipica. Circa il 50% dei pazienti non ha alcuna storia familiare di tale patologia. La malattia è ereditata con un meccanismo di tipo autosomico recessivo; è stato clonato il gene responsabile dal braccio corto del cromosoma 16. Il prodotto del gene, una proteina a 781 aminoacidi chiamata pirina da un gruppo di ricercatori e marenostrina da un altro, sembra essere espressa solo nei neutrofili circolanti. Si pensa di attenuare la trascrizione dei promotori pro-infiammatori di queste cellule.

Sintomi, segni e diagnosi L’esordio è solitamente compreso tra i 5 e i 15 anni, ma può avvenire molto più tardi o anche nell’infanzia. Gli attacchi non presentano nessun modello regolare di ricorrenza e variano nello stesso paziente. Durano 24-72 h, ma alcuni anche più di una settimana. La frequenza varia da due attacchi per settimana a uno per anno (più frequentemente una volta ogni 2-4 sett.). Gravità e frequenza degli attacchi possono diminuire con l’età, durante la gravidanza o con l’amiloidosi. Le remissioni spontanee possono durare anche anni. Una febbre di 40°C, solitamente accompagnata da peritonite, è la manifestazione principale; occasionalmente si verifica sierosite con febbricola. Il dolore addominale (che inizia solitamente in un quadrante e si estende all’intero addome) si presenta in circa il 95% dei pazienti e può essere di varia intensità ad ogni attacco. Riduzione dei rumori intestinali, distensione addominale, stato di difesa e sensibilità riflessa si verificano frequentemente al culmine dell’attacco e non possono essere distinti da una perforazione organica all’esame clinico. Di conseguenza molti pazienti sono stati sottoposti a una laparatomia urgente prima che venisse fatta la diagnosi corretta. Con l’interessamento del diaframma può manifestarsi contrattura di difesa del torace e dolore a una o a entrambe le spalle. Altri sintomi comprendono dolore pleuritico acuto (nel 75%), artrite acuta che interessa le grandi articolazioni (nel 25%) e un’eruzione erisipeloide nella parte inferiore delle gambe. La pericardite ricorrente con dolore toracico è relativamente rara. Nessun test di laboratorio è diagnostico. Non è stata riscontrata alcuna lesione file:///F|/sito/merck/sez21/2892660.html (1 of 2)02/09/2004 2.15.57

Febbre familiare mediterranea

anatomopatologica specifica. La laparotomia al culmine di un attacco può produrre una piccola quantità di liquido peritoneale contenente neutrofili; la biopsia peritoneale può mettere in evidenza una deposizione di fibrina. L’amiloidosi può svilupparsi (più frequentemente nei pazienti delle regioni mediterranee) per deposizione perivascolare della proteina amiloide A sierica; essa è molto meno frequente dall’avvento della colchicina. Durante gli attacchi acuti è frequente, ma non costante, una leucocitosi da polimorfonucleati. Gli indici di fase acuta (VES, fibrinogeno sierico, proteina C-reattiva) sono frequentemente elevati. Gli altri test di laboratorio risultano normali. Di conseguenza, la diagnosi si basa più sui reperti clinici che non su quelli di laboratorio, comprendendo una presentazione tipica (etnia appropriata; anamnesi familiare positiva; peritonite ricorrente e autolimitantesi; salute eccellente nell’intervallo tra gli episodi).

Prognosi, profilassi e terapia Malgrado la gravità dei sintomi che si manifestano durante gli attacchi acuti, la maggior parte dei pazienti recupera rapidamente e mantiene un buono stato di salute fino al successivo attacco. L’ampio uso di colchicina a scopo profilattico è stato associato a una notevole riduzione dell’incidenza di amiloidosi e della conseguente insufficienza renale. La colchicina somministrata a scopo profilattico alla dose di 0,6 mg PO bid (alcuni pazienti richiedono un dosaggio qid e altri una singola dose giornaliera) consente un completo recupero o un netto miglioramento in circa l’85% dei pazienti. Per i pazienti con attacchi rari e che abbiano una fase prodromica ben identificabile, la colchicina può essere lasciata da parte fino a quando non si verificano i sintomi iniziali e allora va assunta a 0,6 mg/h PO per 4 h, poi ogni 2 h per 4 h, poi ogni 12 per 48 h. L’inizio del trattamento con colchicina, anche se somministrata EV, al culmine di una crisi porta raramente a risultati efficaci. I bambini spesso richiedono dosaggi da adulti per il raggiungimento di una profilassi efficace. La colchicina non aggrava ulteriormente il rischio di sterilità e di aborto spontaneo tra le donne affette, né produce un aumento dei fenomeni teratogeni quando viene assunta durante la gravidanza. I narcotici sono talvolta necessari per ridurre il dolore, ma devono essere somministrati prudentemente per evitare farmacodipendenza.

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Sospensione del fumo

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 290. SOSPENSIONE DEL FUMO L’enorme impatto della morbilità e della mortalità prematura causata dal fumo di tabacco, principalmente dal fumo di sigaretta, persiste ancora. Molti adolescenti iniziano a fumare nonostante gli sforzi effettuati per dissuaderli e circa 47 milioni di Americani continuano a fumare (le percentuali stanno aumentando tra le donne) nonostante gli sforzi tesi ad aiutare il 70% dei fumatori che vogliono smettere. Questi fumatori presentano dipendenza dal tabacco e affermano che essi non sanno come smettere. Sebbene 70% dei fumatori consulti il proprio medico almeno una volta all’anno per qualche problema, molti di loro non sono mai stati interrogati sull’abitudine al fumo o non hanno mai ricevuto l’esortazione a smettere di fumare da parte del loro medico. Per iniziare la sospensione del fumo e per fornire consigli pratici ed efficaci sulla sospensione del fumo, i medici devono innanzitutto raccogliere informazioni sulle abitudini al fumo del paziente. Dei pazienti che smettono, il 90% lo fa per proprio conto. Ma, per ogni anno, solo circa 1,7 milioni di fumatori (3,6%) smettono con successo. Gli studi hanno messo in evidenza che il consiglio del medico a smettere di fumare, che richiede solo circa 3-5 minuti, può determinare una percentuale di sospensione del 3-5%. Tuttavia, quando i consigli del medico sono supportati da visite di controllo e da farmaci, può raggiungersi una percentuale di sospensione del 20-25% (v. oltre).

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Sospensione del fumo

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 290. SOSPENSIONE DEL FUMO DIPENDENZA DA TABACCO Sommario: Introduzione Gestione iniziale

La dipendenza dal tabacco comprende una componente abitudinaria o sociale e una dipendenza fisica che si combinano nel presentare una formidabile sfida alla sospensione del fumo. Gli studi hanno evidenziato che la dipendenza da tabacco è più grave della dipendenza da alcol e almeno altrettanto vincolante della dipendenza da narcotici. La gravità della dipendenza da tabacco è importante per determinare quando sviluppare le strategie di sospensione del fumo. Sebbene siano disponibili scale complesse di valutazione della dipendenza, la gravità della dipendenza è correlata con la fase del giorno in cui viene fumata la prima sigaretta, con la più importante sigaretta del giorno e con il numero di sigarette fumate al giorno. I pazienti che fumano durante i primi minuti del risveglio o anche prima di alzarsi dal letto e per i quali la prima sigaretta del giorno è la più importante sono spesso gravemente dipendenti. Coloro che consumano anche più di 1 pacchetto al giorno di sigarette hanno i più alti punteggi di dipendenza. Vantaggi della sospensione: la maggior parte dei fumatori che smette lo fa per motivi di salute (v. Tab. 290-1) o per motivi economici. La maggior parte dei fumatori non si rende conto del fatto che, in media, vengono persi 7 minuti di vita per ogni sigaretta fumata. Pertanto, a seconda dell’età alla quale una persona inizia o smette di fumare, all’incirca da 7 a 13 anni di vita vengono persi a causa di patologie correlate al fumo. Le più frequenti malattie correlate al fumo tra i nordamericani e gli europei sono l’aterosclerosi (che ha come conseguenza l’infarto miocardico, l’ictus e la vasculopatia periferica); i carcinomi polmonare, pancreatico, vescicale, uterino, laringeo, esofageo e, probabilmente, mammario e del colon; e la COPD (enfisema, bronchite cronica). Questi fatti devono essere semplicemente spiegati ai fumatori dipendenti. In termini di benefici economici, i fumatori che smettono possono risparmiare 2 dollari al giorno non acquistando le sigarette (il che equivale a 1500020000 dollari in tutta la vita). Inoltre, i costi sono ulteriormente ridotti dalle minori eventualità di bruciature di vestiti, mobili, tappeti e tappezzerie automobilistiche. Ulteriori incentivi a smettere comprendono le ricompense sociali come il migliore odore dei vestiti o dell’alito e il miglioramento dell’aspetto (si evita il corrugamento prematuro del viso). Alcuni fumatori smettono quando vengono a conoscenza degli eventi avversi del fumo indiretto sulla salute dei loro figli (p. es., l’aumento delle infezioni dell’orecchio e del tratto respiratorio, l’aggravamento dell’asma). Valutazione del flusso aereo: il programma "National Lung Health Education Program", recentemente sviluppato negli USA, sponsorizzato dal governo e dalle organizzazioni mediche professionali, è stato progettato per identificare gli stadi precoci dell’ostruzione delle vie aeree (cioè, COPD e disturbi correlati) nei fumatori. La spirometria del flusso aereo e del volume aereo (cioè, il volume espiratorio forzato in 1 secondo, la capacità vitale forzata) può indicare se i fumatori presentano già un flusso aereo compromesso e questa informazione file:///F|/sito/merck/sez21/2902661b.html (1 of 4)02/09/2004 2.15.58

Sospensione del fumo

può essere un potente elemento che motiva la sospensione del fumo. Controllare il flusso aereo nel tempo in un paziente che continua a fumare o smette di fumare è un potente indicatore prognostico. Negli USA è stato realizzato un incisivo messaggio pubblicitario per allertare tutti i fumatori: "test your lungs and know your numbers" ("fai un test spirometrico: è in gioco il tuo futuro"). Lo scopo di tale campagna è aiutare i fumatori a più alto rischio (cioè, coloro che iniziano a perdere flusso aereo).

Gestione iniziale I fumatori che cercano di smettere lo fanno attraverso vari stadi: precontemplazione, contemplazione, azione e mantenimento. Lo stadio di precontemplazione non è riconosciuto dal paziente. I fumatori che iniziano a pianificare come smettere possono beneficiare di un’assistenza del medico. Scegliere una data per smettere, cambiare il tipo di abitudine al fumo (attraverso modificazioni comportamentali) e smettere "di colpo" sono importanti passi sequenziali. I medici devono insegnare e incoraggiare il mantenimento della condizione di non fumatore e la prevenzione della ripresa. Ruolo del medico: il primo passo per il medico nella sospensione del fumo è consigliare semplicemente, ma decisamente, di smettere di fumare e fornire libri sulla sospensione del fumo. Promemoria su carta che documentavano lo stato del fumo dei pazienti hanno incrementato le raccomandazioni ai fumatori del 70% e raddoppiato la proporzione di tutti i pazienti consigliati. La documentazione della sospensione del fumo è parte delle linee guida del Health Plan Employer Data and Information Set (HEDIS) utilizzate dalle organizzazioni di gestione delle cure. La Agency for Health Care Policy and Research pubblica un opuscolo per i pazienti, "tu puoi smettere di fumare" e le informazioni per i medici, che sono disponibili gratuitamente chiamando il numero 1-800-358-9295. Molte biblioteche degli ospedali hanno reti di computer che i pazienti possono utilizzare per ottenere informazioni; inoltre, milioni di persone possiedono un computer e possono collegarsi a Internet, che offre molti siti educativi disponibili per i fumatori interessati a smettere (utilizzando le parole chiave "tobacco cessation", "smoking cessation" e "quitting smoking"). Se i pazienti possono smettere su consiglio di un medico e andare incontro a modificazioni comportamentali con l’assistenza di questi materiali pratici di istruzione, le spese e gli effetti avversi dei farmaci possono essere evitati. Successi sono anche stati riferiti aneddoticamente con l’agopuntura e l’ipnosi in pazienti selezionati. Il test al monossido di carbonio esalato, disponibile in alcuni reparti ospedalieri di terapia respiratoria, può convincere il fumatore degli effetti dell’avvelenamento da inalazione di fumo di sigaretta o di sigaro. Questo test deve essere eseguito al ricovero, perché la curva di decadimento del monossido di carbonio è rapida. Molti reparti di terapia respiratoria forniscono consigli e istruzioni sulla sospensione del fumo. Scelta di una data di interruzione: la scelta di una data di interruzione è fondamentale e deve essere coordinata con l’uso di farmaci per la sospensione del tabacco (v. oltre). La data di interruzione può essere casuale o per un’occasione particolare (p. es., una festa o un anniversario); un periodo di tensione (p. es., le scadenze delle tasse) è solitamente da non preferire come data di interruzione. Le strategie differiscono a seconda della classe di farmaco utilizzata. Per esempio, la terapia sostitutiva con nicotina, se utilizzata, deve essere iniziata alla data di interruzione, mentre il bupropione, se prescritto, deve essere iniziato tra 1 e 2 sett. prima della data di sospensione. Lo stesso può valere per altri farmaci che riducono la sindrome da astinenza da tabacco (p. es., buspirone). Modificazioni comportamentali: è necessario che vengano proposte a tutti i pazienti modificazioni del comportamento, sia che vengano sia che non vengano prescritti farmaci per l’astinenza da tabacco (v. oltre). Le modificazioni del comportamento consistono nel cambiare i modelli abitudinari che favoriscono il fumo nelle normali attività del vivere quotidiano del paziente. Questi elementi favorenti possono essere le conversazioni telefoniche, le pause caffè, i pranzi, file:///F|/sito/merck/sez21/2902661b.html (2 of 4)02/09/2004 2.15.58

Sospensione del fumo

l’attività sessuale, la noia, i problemi di traffico o altre frustrazioni. I pazienti che riconoscono i fattori favorenti il fumo possono modificare questi fattori o sostituire l’attività orale (p. es., sciogliendo una caramella in bocca, masticando uno stuzzicadenti, utilizzando un’ordinaria gomma da masticare). Sospensione "di colpo": l’interruzione assoluta, nota come sospensione "di colpo", è generalmente preferibile alla riduzione graduale. Terapia farmacologica: sono disponibili molti prodotti sostitutivi della nicotina da banco o prescrivibili (v. Tab. 290-2). La nicotina polacrile, disponibile come gomma da masticare (2 e 4 mg), è ampiamente utilizzata e permette ai pazienti di titolare la percentuale di assorbimento della nicotina. L’uso della gomma permette la massima flessibilità della dose e mima alcune delle attività orali del fumo di sigaretta. La nicotina è assorbita attraverso la mucosa orale, ma solo in presenza di pH alcalino. Pertanto, per 30 min prima dell’uso della gomma, il paziente non deve consumare altro con la bocca (p. es., soda, caffè, tè, dolci acidi, cibo). La gomma viene masticata e mantenuta tra i denti e la mucosa orale a seconda della sensazione di sollievo dai sintomi di astinenza. La maggior parte dei pazienti dipendenti deve masticare una gomma da 4 mg. L’uso della gomma solitamente continua per 1-3 mesi, a seconda del successo della sospensione del fumo. I più frequenti effetti avversi sono l’irritazione gastrica e i singhiozzi se la gomma viene masticata troppo vigorosamente. Altri eventi avversi sono l’irritazione della gola, la flatulenza e l’adesione della gomma ai denti. Le articolazioni temporomandibolari possono diventare dolenti per la masticazione eccessiva. I pazienti edentuli e i pazienti con malattie dell’articolazione temporo-mandibolare non sono candidati alla gomma di nicotina. La dipendenza dalla gomma è rara. Sino a oggi, tutti gli studi sulla terapia sostitutiva con nicotina non riportano aumento della pressione arteriosa, alterazione dei lipidi sierici o aritmie cardiache. Quando la gomma è utilizzata in associazione a modificazioni aggressive del comportamento, le percentuali di successo a 1 anno (che sono dimostrate biologicamente dalle misurazioni del CO2 esalato o della cotinina, un metabolita della nicotina) possono essere del 20-25%. L’uso occasionale della gomma senza modificazioni comportamentali è generalmente inefficace. L’uso di un cerotto transdermico è una via più appropriata di liberazione della nicotina. Sono disponibili diverse strategie di dosaggio con cerotti (v. Tab. 290-2). Possono essere impiegate a intervalli di 2 sett. sia una singola dose fissa che una dose ridotta. Nessuno studio di comparazione ha messo in evidenza che una strategia di dosaggio con cerotto è superiore ad altre. Il cerotto può provocare irritazione della cute. Frequentemente, il cerotto è utilizzato quotidianamente per 6 sett., ma la sospensione del fumo, se raggiunta, solitamente si verifica entro 2 sett.. Il successo del cerotto dipende anche, in parte, dal grado di modificazione del comportamento associata. In generale, il cerotto raddoppia la percentuale di disassuefazione per ogni livello di modificazione del comportamento. È possibile una percentuale del 20-25% di disassuefazione a 1 anno. Uno spray nasale prescrivibile può essere utilizzato solo o in associazione con la gomma o il cerotto. Tutti e tre gli agenti possono essere utilizzati simultaneamente per fornire nicotina, ma nessuno studio ha indicato un maggior successo con le forme combinate di dosaggio della nicotina. Generalmente, quando usati da soli, la gomma, il cerotto o lo spray producono livelli ematici più bassi dei picchi raggiunti mediante il fumo (una sigaretta fumata per circa 10 minuti fornisce 1 mg di nicotina). L’uso di più prodotti sostitutivi della nicotina può produrre livelli ematici più elevati di nicotina e può rendersi necessario nella maggior parte dei pazienti gravemente dipendenti. Un inalatore di nicotina, che assomiglia a un bocchino per sigaretta, possiede nicotina impregnata di mentolo. Gli inalatori di nicotina riproducono più fedelmente la via con cui i fumatori assumono nicotina. Ciascuna inalazione produce una piccola quantità di nicotina; sono necessari da 40 a 80 puff per file:///F|/sito/merck/sez21/2902661b.html (3 of 4)02/09/2004 2.15.58

Sospensione del fumo

produrre 1 mg di nicotina, l’equivalente del fumo di una sigaretta. Gli agenti farmacologici non nicotinici comprendono il bupropione, un modificatore dei neurotrasmettitori, che presenta proprietà dopaminergiche. Il bupropione ha una tendenza a stimolare convulsioni e può elevare la pressione arteriosa ed è pertanto non raccomandato nei pazienti con una storia di epilessia o con ipertensione difficile da controllare. Quando il bupropione è stato utilizzato con la terapia sostitutiva di nicotina, è stata dimostrata biochimicamente una percentuale di disassuefazione fino al 50% a 1 anno in condizioni di studio e questa potrebbe o non potrebbe essere riprodotta nell’ambulatorio del medico di assistenza primaria. I più frequenti eventi avversi sono secchezza delle fauci e insonnia. Il buspirone, un tranquillante non benzodiazepinico, può aiutare i pazienti con ansia da astinenza dal tabacco. In uno studio clinico controllato, le percentuali di successo con buspirone e gomma di nicotina sono risultate uguali. Altri tranquillanti possono anche essere utili.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 290-1. BENEFICI DELLA SOSPENSIONE DEL FUMO SULLA SALUTE Rischio

Effetto della sospensione del fumo

Infarto miocardico

Riduce il rischio a quello di un non fumatore in circa 1-2 anni

Ictus

Riduce il rischio a quello di un non fumatore in circa 1-3 anni

Compromissione della Rallenta la velocità del declino funzione polmonare approssimandola a quella associata alla sola età Carcinoma polmonare Riduce il rischio a quello basale solo dopo 10-20 anni Altri carcinomi

Sconosciuto

COPD

Attenua il rischio della malattia progressiva e sintomatica

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 290-2. FARMACI UTILIZZATI PER LA SOSPENSIONE DEL FUMO Farmaco e modo di somministrazione Nicotina polacrile (orale) Cerotto transdermico di nicotina

Spray nasale di nicotina

Nicotina per inalazione

Posologia

Intervallo tra le dosi

2-4mg 21, 14 e 7mg

Ogni 1-2h* Nel corso di 24h

15, 10 e 5mg 22 e 11mg 0,5mg/inalazione/ narice

Nel corso di 16h Nel corso di 24h 8-40mg/die con somministrazione ogni ora o a seconda delle circostanze Inalazione continua per 20min 6-16 volte al giorno 150mg per 3giorni, dopo 300mg/die

10mg/inalazione

Compresse a rilascio 150mg prolungato di buproprione Compresse di buspirone 15, 10 e 5mg

7,5mg bid, dose di partenza; 60mg/ die, dose massima *Da quindici a 30 pezzi possono essere masticati nelle 24h.

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Sospensione del fumo

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 290. SOSPENSIONE DEL FUMO PROBLEMI ASSOCIATI ALLA SOSPENSIONE DEL FUMO L’astinenza da tabacco può esitare in molti sintomi spiacevoli, comprendenti il desiderio impellente di tabacco, l’irritabilità, l’ansia, la scarsa concentrazione, l’irrequietezza, la cefalea, la sonnolenza e i disturbi gastrici. L’astinenza da tabacco è molto pesante nei pazienti gravemente dipendenti. Molti dipendenti dal tabacco riprendono dopo il primo tentativo di sospensione del fumo; da cinque a sette fallimenti di solito precedono il successo. Il fallimento non deve essere considerato come un segno di inutilità. Quanto più spesso un paziente fa un serio tentativo di smettere di fumare, tanto più è probabile che il paziente alla fine riesca a smettere. Spesso sono necessarie differenti strategie di modificazione del comportamento e varie modalità di trattamento. L’aumento di peso è un problema, particolarmente nelle donne, che possono utilizzare il tabacco come una misura di controllo del peso, poiché esso riduce l’appetito e incrementa leggermente il metabolismo basale. L’aumento medio di peso nelle donne nei primi 6 mesi è di circa 5 kg. Questo modesto incremento di peso non rappresenta un pericolo per la salute se confrontato con il rischio di morbilità e morte prematura da uso continuato di tabacco. Una consulenza dietetica, la terapia sostitutiva con nicotina e l’aumento dell’esercizio fisico in coincidenza con la sospensione del fumo possono aiutare a prevenire l’aumento del peso. L’esercizio fisico può anche ridurre il desiderio impellente di tabacco. Alcuni fumatori utilizzano il tabacco per combattere la depressione. Pertanto, i pazienti depressi che tentano di smettere di fumare devono essere consigliati e il medico e il paziente devono stare attenti per la possibilità di peggioramento della depressione. Il bupropione è anche ampiamente utilizzato come antidepressivo e può essere particolarmente utilizzato in persone che sono depresse o a rischio di depressione.

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Riabilitazione

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 291. RIABILITAZIONE Una combinazione di terapia fisica, occupazionale e del linguaggio, consulenza psicologica e assistenza sociale finalizzata ad aiutare i pazienti a mantenere o a recuperare le capacità fisiche. La riabilitazione è spesso necessaria dopo fratture del bacino, amputazioni, ictus, eventi cardiaci gravi o riposo prolungato a letto che esita in decondizionamento, o come parte del trattamento dell’artrite o di varie altre malattie o di danni che causano vari gradi di perdita funzionale. Solitamente, per i pazienti più giovani l’obiettivo è raggiungere una funzionalità piena, senza restrizioni, mentre per i pazienti più anziani è quello di restituire l’abilità a eseguire il maggior numero possibile di attività del vivere quotidiano. Il recupero è spesso rapido per i pazienti più giovani, ma il progresso può essere lento per i pazienti più anziani. La riabilitazione può iniziare in un ospedale per acuzie ma, raramente, si attuano programmi organizzati di riabilitazione in ambiente ospedaliero. Gli ospedali per la riabilitazione forniscono solitamente le cure più ampie e intensive e devono essere considerati per i pazienti che hanno le maggiori potenzialità e che possono partecipare a interventi aggressivi (p. es., i pazienti devono essere in grado di tollerare la terapia per 3 h/die). Molte RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali, le quali, a differenza delle "nursing home" statunitensi, possono usufruire della presenza di un medico) hanno programmi che sono meno intensivi (generalmente 1 h/die, < 5 giorni/sett.) e, pertanto, sono più adatte a coloro che necessitano di una riabilitazione meno faticosa (p. es., i pazienti deboli o anziani). Programmi di riabilitazione con minore varietà e frequenza di servizi possono essere effettuati su pazienti non ricoverati o pazienti domiciliari e sono appropriati per molte situazioni. Per dare inizio a una determinata terapia riabilitativa, un medico deve scrivere una relazione a un fisiatra, a un terapista o a un centro di riabilitazione. La relazione deve stabilire l’obiettivo della terapia e, quindi, deve essere dettagliata, comprendendo informazioni pertinenti e le istruzioni iniziali. Sebbene le istruzioni vaghe (p. es., "terapia fisica per valutare e trattare") siano spesso accettate, esse non sono adeguate. I medici non abituati a scrivere relazioni devono consultare un terapista, un fisiatra o un chirurgo ortopedico esperto. I pazienti disabili tendono a essere depressi e possono perdere le motivazioni per il recupero della funzionalità persa e per il ritorno in comunità. Gli specialisti di salute mentale possono aiutare il paziente a superare questi stati emotivi avversi e a concentrarsi sul recupero funzionale. La famiglia può dover adattarsi all’inabilità del paziente e assistere appropriatamente il paziente. L’inabilità può provocare difficoltà finanziarie al paziente e alla famiglia. Un assistente sociale agevola l’adattamento del paziente e della famiglia. La valutazione iniziale comprende le discussioni degli obiettivi, che generalmente si concentrano sul recupero delle funzioni per le attività del vivere quotidiano (Activities of Daily Living, ADL). Le ADL comprendono le cure personali come riordinarsi, fare il bagno, vestirsi, mangiare e andare alla toilette così come cucinare, fare il bucato, fare compere, gestire l’assunzione dei medicinali, gestire le finanze, usare il telefono e viaggiare. Il medico che relaziona e l’equipe di riabilitazione possono determinare quali di queste attività sono raggiungibili e quali sono essenziali perché il paziente resti indipendente.

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Riabilitazione

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Riabilitazione

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 291. RIABILITAZIONE Una combinazione di terapia fisica, occupazionale e del linguaggio, consulenza psicologica e assistenza sociale finalizzata ad aiutare i pazienti a mantenere o a recuperare le capacità fisiche.

TERAPIA FISICA Prima di prescrivere la terapia fisica, il medico deve accertarsi che il paziente sia clinicamente stabile e avvisare il terapista di tutte le limitazioni cardiache, polmonari, neurologiche o muscolo-scheletriche. Deve essere valutato il range del movimento per i distretti coinvolti prima della terapia e successivamente a intervalli regolari. I valori normali dei range di movimento sono elencati nella Tab. 291-1. Prima della valutazione, uno stiramento sostenuto (cioè, applicando da 2,3 a 23 kg di pesi con pulegge per 20 min/die) può aiutare a sciogliere i muscoli contratti. I gradi di forza muscolare sono elencati nella Tab. 291-2. Deve essere segnalato se il movimento è doloroso o non doloroso. L’esercizio attivo per range di movimento viene utilizzato quando un paziente può allenarsi senza assistenza. L’esercizio attivo assistito per range di movimento viene utilizzato quando i muscoli sono troppo deboli o quando il movimento articolare causa disagio. L’esercizio passivo per range di movimento è utilizzato quando un paziente non può partecipare attivamente. Lo stiramento è solitamente più efficace e meno doloroso quando la temperatura tissutale è salita a circa 43°C (109°F) (v. Caldo e Freddo sotto Terapia del dolore e dell’infiammazione, oltre). La forza muscolare può essere incrementata con esercizi di resistenza progressiva. Quando un muscolo è molto debole, la sola gravità è una resistenza sufficiente. Quando la forza muscolare diventa discreta, diviene necessaria una resistenza aggiuntiva manuale o meccanica per incrementare la forza muscolare. La resistenza meccanica comprende pesi, molle in tensione e altre tecniche. L’agevolazione neuromuscolare propriocettiva aiuta a promuovere l’attività neuromuscolare nei pazienti che presentano un danno dei motoneuroni superiori con spasticità. Per esempio, l’applicazione di una forte resistenza al flessore del gomito sinistro (bicipite) di un paziente con emiplegia destra causa la flessione del gomito destro attraverso la contrazione del bicipite emiplegico. Varie tecniche (p. es., Brunnstrom, Rood, Bobath) sono ampiamente utilizzate. Gli esercizi di coordinazione sono orientati per compiti. Essi fanno lavorare più di una articolazione e di un muscolo. Per quanto semplice sia un movimento (p. es., sollevare un oggetto, toccare una parte del corpo), i vari muscoli devono contrarsi e rilasciarsi in maniera coordinata. Gli esercizi di coordinazione rappresentano un modo semplice per migliorare le abilità motorie. Gli esercizi di condizionamento generale trattano gli effetti della debilitazione, del riposo prolungato a letto o dell’immobilizzazione. Gli esercizi combinano vari interventi per ristabilire l’equilibrio emodinamico, per aumentare la capacità cardiorespiratoria e per mantenere il range del movimento e la forza muscolare. Gli esercizi di deambulazione hanno lo scopo di migliorare la deambulazione. Se i singoli muscoli sono deboli o spastici, può essere utilizzata un’ortesi (p. es., file:///F|/sito/merck/sez21/2912666.html (1 of 2)02/09/2004 2.16.01

Riabilitazione

una fascia di sostegno) (v. oltre). Le barre parallele sono utilizzate per i pazienti con equilibrio compromesso, per quelli con muscoli deboli o spastici, per quelli che non caricano il peso su una gamba e per quelli con altre cause di instabilità. Solitamente si inizia l’esercizio di deambulazione alle barre parallele e si prosegue nel camminare con un girello, con le stampelle o con il bastone e poi senza strumenti. Una cintura di assistenza aiuta il terapista a prevenire le cadute in alcuni pazienti. Chiunque assista i pazienti deve sapere come sostenerli in maniera appropriata (v. Fig. 291-1). L’allenamento allo spostamento è particolarmente importante dopo una frattura di bacino, un’amputazione o un ictus. La possibilità di spostarsi con sicurezza è decisiva per restare a casa. I pazienti che non possono spostarsi indipendentemente dal letto alla sedia, dalla sedia al comò o dalla sedia alla posizione eretta in genere richiedono assistenti per 24 ore. Gli strumenti di assistenza possono talvolta essere di aiuto e, per le persone sedute che hanno difficoltà a stare in piedi, può essere vantaggioso l’innalzamento del livello della sedia o l’uso di una sedia autosollevante. Un tavolo reclinabile può aiutare a ristabilire l’equilibrio emodinamico in un paziente paraplegico o tetraplegico con ipotensione ortostatica. Il paziente supino viene legato a un tavolo imbottito con un asse per piede e il tavolo viene reclinato manualmente o elettricamente. L’angolo viene incrementato molto lentamente a 85° in posizione eretta, fino a quanto è tollerato dal paziente. Inizialmente, la durata di ciascun trattamento dipende dalla tolleranza del paziente, ma essa non dovrebbe eccedere i 45 minuti una volta o due volte al giorno.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 291-1. VALORI NORMALI DEI RANGE DI MOVIMENTO DELLE ARTICOLAZIONI* Articolazione Bacino

Movimento

Range

Flessione

0-125°

Estensione

115-0°

Iperestensione†

0-15°

Abduzione

0-45°

Adduzione

45-0°

Rotazione laterale

0-45°

Rotazione mediale

0-45°

Flessione

0-130°

Estensione

120-0°

Flessione plantare

0-50°

Dorsiflessione

0-20°

Inversione

0-35°

Eversione

0-25°

Articolazioni metatarso- Flessione falangee

0-30°

Ginocchio

Caviglia

Piede

Dita del piede

Articolazioni interfalangee

Spalla

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Estensione

0-80°

Flessione

0-50°

Estensione

50-0°

Flessione a 90°

0-90°

Estensione

0-50°

Abduzione a 90°

0-90°

Manuale Merck - Tabella

Gomito

Polso

Dita della mano

Articolazioni metacarpo-falangee

Articolazioni interfalangee

Articolazioni interfalangee distali

Pollice

Articolazioni metacarpo-falangee

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Adduzione

90-0°

Rotazione laterale

0-90°

Rotazione mediale

0-90°

Flessione

0-160°

Estensione

145-0°

Pronazione

0-90°

Supinazione

0-90°

Flessione

0-90°

Estensione

0-70°

Abduzione

0-25°

Adduzione

0-65°

Abduzione

0-25°

Adduzione

20-0°

Flessione

0-90°

Estensione

0-30°

Flessione

0-120°

Estensione

120-0°

Flessione

0-80°

Estensione

80-0°

Abduzione

0-50°

Adduzione

40-0°

Flessione

0-70°

Estensione

60-0°

Manuale Merck - Tabella

Articolazioni interfalangee

Flessione

0-90°

Estensione

90-0°

*I range sono validi per i soggetti di tutte le età. I range etàspecifici non sono stati stabiliti; tuttavia, i valori sono tipicamente più bassi nei soggetti anziani con buona funzionalità rispetto ai soggetti più giovani. †Estensione oltre la metà

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 291-2. GRADI DI FORZA MUSCOLARE Grado

Descrizione

5 o N (Normale)

Range completo contro gravità e resistenza completa per statura, età e sesso del paziente

N- (Normal minus, quasi normale)

Leggera stanchezza

G+ (Good plus, più che buono)

Moderata stanchezza

4 o G (Good, buono)

Movimento contro gravità e resistenza moderata almeno 10 volte senza affaticamento

F+ (Fair plus, più che Movimento contro gravità diverse volte o discreto) contro lieve resistenza una volta 3 o F (Fair, discreto)

Range completo contro gravità

F- (Fair minus, quasi discreto)

Movimento contro gravità e movimento completo una volta

P+ (Poor plus, più che mediocre)

Range completo con gravità eliminata, ma con qualche resistenza applicata

2 o P (Poor, mediocre)

Range completo con gravità eliminata

P- (Poor minus, meno che mediocre)

Range incompleto di movimento con gravità eliminata

1 o T (Trace, minimo) Evidenza di contrattura (visibile o palpabile), ma nessun movimento articolare 0 (Zero)

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Nessuna contrattura palpabile o visibile e nessun movimento articolare

Riabilitazione

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 291. RIABILITAZIONE Una combinazione di terapia fisica, occupazionale e del linguaggio, consulenza psicologica e assistenza sociale finalizzata ad aiutare i pazienti a mantenere o a recuperare le capacità fisiche.

STRUMENTI TERAPEUTICI E DI ASSISTENZA Sommario: ORTESI PROTESI

ORTESI Le ortesi forniscono sostegno alle articolazioni, ai legamenti, ai tendini, ai muscoli e alle ossa danneggiate. Sebbene alcuni apparecchi siano standard, la maggior parte è personalizzata in base ai bisogni e all’anatomia del paziente. I girelli, le stampelle e i bastoni (v. Fig . 291-2) possono aiutare la deambulazione nei pazienti cronicamente disabili e in quelli che presentano lesioni, artrite o si sono sottoposti a intervento chirurgico. Ciascuno ha vantaggi e svantaggi specifici e ciascuno è disponibile in diversi modelli; il terapista deve scegliere il migliore dopo la valutazione, al fine di raggiungere la sintesi ideale tra stabilità e libertà. I sostegni sono disponibili o possono essere concepiti per supportare la maggior parte delle zone. L’uso prolungato può indebolire i muscoli. Le sedie a rotelle per i pazienti con mobilità gravemente limitata includono un modello per interni, con grandi ruote posteriori e un modello per esterni, con grandi ruote anteriori. Una sedia a rotelle con guida a una mano può essere adatta a un paziente emiplegico con buona coordinazione. Una sedia a rotelle motorizzata, che richiede poca forza, viene prescritta per un paziente che presenta una modesta o nessuna funzionalità degli arti superiori.

PROTESI La deambulazione precoce con un pilone o con una protesi temporanea rende attivo un paziente che ha subito un’amputazione, accelera la riduzione del moncone, previene la contrattura in flessione e riduce il dolore dell’arto fantasma. Il paziente può iniziare la deambulazione alle barre parallele e continuare a camminare con le stampelle o i bastoni fino a che venga costruita una protesi permanente. Una protesi deve essere leggera e deve andare incontro alle esigenze e alle richieste di sicurezza di un amputato. Se una protesi viene costruita prima che il moncone finisca di ridursi, possono rendersi necessarie alcune correzioni per soddisfare il paziente e per fornire un buon tipo di andatura. Innanzitutto, la protesi deve essere finalizzata al comfort.

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Riabilitazione

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 291. RIABILITAZIONE Una combinazione di terapia fisica, occupazionale e del linguaggio, consulenza psicologica e assistenza sociale finalizzata ad aiutare i pazienti a mantenere o a recuperare le capacità fisiche.

TERAPIA DEL DOLORE E DELL’INFIAMMAZIONE (V. anche il Cap. 167)

Sommario: Introduzione CALORE FREDDO STIMOLAZIONE ELETTRICA TRAZIONE CERVICALE MASSAGGIO AGOPUNTURA

Il trattamento non farmacologico del dolore e dell’infiammazione comprende il calore, il freddo, la stimolazione elettrica, la trazione cervicale, il massaggio e l’agopuntura. Benché frequentemente utilizzate, queste modalità spesso non sono state studiate approfonditamente per molte applicazioni in studi sperimentali controllati.

CALORE Il calore fornisce un sollievo temporaneo nelle condizioni croniche traumatiche e infiammatorie (p. es., distorsioni, strappi, fibrosite, tenosinovite, spasmo muscolare, miosite, dolore al dorso, lesioni da colpo di frusta, varie forme di artrite, artralgia, nevralgia). Il calore incrementa il flusso sanguigno e l’estensibilità del tessuto connettivo; riduce la rigidità articolare, il dolore e lo spasmo muscolare e aiuta a risolvere l’infiammazione, l’edema e gli essudati. L’applicazione del calore può essere superficiale o profonda. L’intensità e la durata degli effetti fisiologici sono determinate principalmente dalla temperatura del tessuto, dall’entità di innalzamento della temperatura e dall’area trattata. Il calore a raggi infrarossi viene applicato con una lampada, solitamente per 20 min/die. Le controindicazioni comprendono la cardiopatia in stadio avanzato, la vasculopatia periferica, l’alterazione della sensibilità cutanea (particolarmente alla temperatura e al dolore) e l’insufficienza epatica o renale significativa. Devono essere prese precauzioni per evitare ustioni. Gli impacchi caldi sono contenitori di panni di cotone riempiti di gel silicato che vengono bolliti in acqua, raffreddati e applicati sulla cute. Avvolgendo gli impacchi in diversi strati di asciugamani si cerca di proteggere la cute dalle ustioni. Le controindicazioni sono le stesse che per il calore a raggi infrarossi. Un bagno di paraffina è utilizzato per applicare la cera liquefatta riscaldata a 49° C (120°F). Il metodo di applicazione è bagnare, immergere e pennellare. Il calore file:///F|/sito/merck/sez21/2912669.html (1 of 4)02/09/2004 2.16.03

Riabilitazione

può essere mantenuto avvolgendo l’area affetta con un tessuto spugnoso per 20 min. È facile bagnare o immergere una mano, mentre un ginocchio o un gomito sono meglio trattati mediante pennellatura. La paraffina è solitamente applicata alle piccole articolazioni; non deve essere utilizzata sulle ferite aperte o sulle persone allergiche alla paraffina. L’idroterapia può essere utilizzata per accelerare la guarigione della piaga o per applicare calore. L’acqua calda agitata stimola il flusso sanguigno e deterge le piaghe. Questo trattamento viene spesso effettuato in una vasca Hubbard (una grande turbina industriale) da 35,5 a 37,7°C (da 96 a 100°F). La completa immersione a temperature da 37,7 a 40°C (da 100 a 104°F) può anche aiutare a rilassare i muscoli e ad alleviare il dolore. L’idroterapia è particolarmente utile in associazione con gli esercizi per range di movimento. Essa non ha controindicazioni. Tuttavia, i pazienti possono affaticarsi durante il trattamento e la pressione arteriosa può abbassarsi. La diatermia a onda corta è l’applicazione terapeutica delle correnti ad alta frequenza; essa usa campi elettromagnetici in radiofrequenza per il riscaldamento terapeutico dei tessuti. Per l’applicazione si usano placche di condensatore o applicatori a bobina di induzione. La diatermia a onde corte sembra essere meno efficace di quanto si pensasse in passato; tuttavia, è talvolta utilizzata per trattare il dolore dei calcoli urinari, delle infezioni pelviche e della sinusite acuta e cronica. Le controindicazioni comprendono neoplasie maligne, condizioni emorragiche, vasculopatie periferiche, perdita di sensibilità e protesi non rimovibili, pacemaker o fasce elettrofisiologiche. (Attenzione: La diatermia a onde elettriche non può essere utilizzata in persone con impianti metallici.) La diatermia a microonde è più semplice da applicare e più confortevole della diatermia a onde corte e ha misurazioni di uscita più accurate. Le microonde sono una forma di radiazione elettromagnetica. La diatermia a microonde è una forma di terapia termica. Con un applicatore a contatto diretto, il dispositivo di diatermia a microonde a 915-MHz riscalda i muscoli uniformemente. Esso provoca calore nelle zone più profonde senza riscaldare eccessivamente la cute, poiché le microonde sono assorbite selettivamente dai tessuti con alto contenuto di acqua (p. es., i muscoli). Le indicazioni e le controindicazioni sono le stesse della diatermia a onde corte. La tecnica a ultrasuoni utilizza onde sonore ad alta frequenza per penetrare in profondità nei tessuti (da 4 a 10 cm), provocando effetti termici, meccanici, chimici e biologici. Le indicazioni per il trattamento con ultrasuoni sono elencate nella Tab. 291-3. Gli ultrasuoni non devono essere utilizzati per trattare il tessuto ischemico, le diatesi emorragiche, le neoplasie maligne, le aree anestetizzate o le aree di infezione acuta. Inoltre, non deve essere utilizzato su occhi, cervello, midollo spinale, orecchie, cuore, organi riproduttivi, plesso brachiale od ossa in via di guarigione.

FREDDO La scelta tra le terapie con calore o con freddo è spesso empirica. Quando il calore non funziona, viene applicato il freddo. Tuttavia, per il dolore acuto, la crioterapia sembra essere migliore della terapia con calore. L’applicazione del freddo può aiutare ad alleviare lo spasmo muscolare, il dolore miofasciale o traumatico, il dolore acuto al basso dorso e l’infiammazione acuta e può aiutare a indurre una certa anestesia locale. Il freddo può essere applicato localmente utilizzando una borsa con ghiaccio o un impacco freddo. Il raffreddamento locale può anche essere prodotto dall’evaporazione di fluidi volatili (p. es., cloruro di etile). L’estensione del freddo nella cute dipende dallo spessore dell’epidermide, dai sottostanti tessuti adiposo e muscolare, dal contenuto in acqua del tessuto e dall’entità del flusso sanguigno. Bisogna aver cura di evitare il danno tissutale (cioè, il congelamento) e l’ipotermia sistemica. Il freddo non deve essere impiegato sulle aree file:///F|/sito/merck/sez21/2912669.html (2 of 4)02/09/2004 2.16.03

Riabilitazione

scarsamente perfuse.

STIMOLAZIONE ELETTRICA La stimolazione elettrica dei muscoli scheletrici denervati e dei muscoli innervati che non possono contrarsi volontariamente può aiutare a trattare o a prevenire l’atrofia e la spasticità muscolare da disuso, soprattutto nei pazienti con emiplegia da accidente cerebrovascolare, da paraplegia e tetraplegia traumatica e da lesione dei nervi periferici. Un grosso elettrodo dispersivo viene collocato in una zona distante del corpo e un elettrodo attivo più piccolo sul muscolo da trattare. Questa tecnica unipolare utilizza una bassa corrente ed è preferita. Solitamente, sono sufficienti da 10 a 20 contrazioni muscolari per sessione. La sovrastimolazione può causare affaticamento muscolare, che può esitare in danno. Le ustioni da elettrodo possono derivare da uno scarso contatto con la cute o da una corrente eccessiva. Le controindicazioni comprendono le cardiopatie in stadio avanzato e la presenza di pacemaker. Questa tecnica non deve essere utilizzata sugli occhi. La stimolazione nervosa elettrica transcutanea (Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation, TENS) impiega una corrente bassa con oscillazione a bassa frequenza per alleviare il dolore. Il paziente avverte una sensazione di vibrazione leggera senza aumento della tensione muscolare. A seconda della gravità del dolore, può essere applicata una stimolazione da 20 min a poche ore, diverse volte al giorno. Spesso, i pazienti ricevono istruzioni sull’uso dello strumento TENS e sulla decisione di quando applicare il trattamento. Poiché la TENS può causare aritmia, essa non deve essere utilizzata sui pazienti con cardiopatia in stadio avanzato o con un pacemaker. Inoltre non deve essere utilizzata sugli occhi.

TRAZIONE CERVICALE La trazione cervicale è spesso indicata per il dolore cronico del collo da spondilosi cervicale, da ernia del disco, da colpo di frusta o da torcicollo. Viene utilizzato un peso da 2,5 a 5 kg. Alcuni sostengono l’uso di pesi maggiori, ma la trazione sostenuta con > 10 kg per più di pochi minuti è poco tollerata; la trazione ritmica intermittente motorizzata è generalmente ben tollerata. La trazione generalmente non deve iperestendere il collo, evento che può incrementare la compressione delle radici nei fori intervertebrali.

MASSAGGIO Il massaggio può alleviare il dolore, riduce la tumefazione e l’indurimento associati al trauma (p. es., frattura, lesione articolare, distorsione, strappo, contusione, lesione dei nervi periferici) e mobilita i tessuti contratti. Il massaggio deve essere considerato per il dolore del basso dorso, per l’artrite, la periartrite, la borsite, la neurite, la fibrosite, l’emiplegia, la paraplegia, la tetraplegia, la sclerosi multipla e la paralisi cerebrale. Non deve essere utilizzato per trattare le infezioni o la tromboflebite.

AGOPUNTURA L’agopuntura consiste nell’inserimento nella cute di aghi in siti corporei specifici, frequentemente lontani dalla sede del dolore. Un ago viene ruotato rapidamente e in maniera intermittente per pochi minuti oppure viene applicata una bassa corrente elettrica. Sebbene il meccanismo di azione non sia ben compreso e non file:///F|/sito/merck/sez21/2912669.html (3 of 4)02/09/2004 2.16.03

Riabilitazione

tutti credano che la metodica sia vantaggiosa, molti credono che essa stimoli la produzione di endorfine, generando effetti analgesici e antiinfiammatori.

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Manuale Merck - Tabella

291-3. INDICAZIONI PER IL TRATTAMENTO CON ULTRASUONI IN RIABILITAZIONE Borsite e tendinite Ulcerazione cronica della cute Contusioni Accorciamento e fibrosi muscolare Sindrome da sofferenza muscolofasciale Neurite Dolore da neurofibromi postoperatori (specialmente quando inclusi in tessuto cicatriziale) Dolore fantasma Distrofie riflesse (p.es., atrofia di Sudeck, causalgia, sindrome spalla-mano) Cicatrizzazione della cute o del tessuto sottocutaneo

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Riabilitazione

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 291. RIABILITAZIONE Una combinazione di terapia fisica, occupazionale e del linguaggio, consulenza psicologica e assistenza sociale finalizzata ad aiutare i pazienti a mantenere o a recuperare le capacità fisiche.

RIABILITAZIONE PER ALCUNI PROBLEMI SPECIFICI La terapia delle persone non vedenti consiste nell’allenamento a contare maggiormente sugli altri sensi, nell’istruzione in abilità specifiche e nell’uso di strumenti per non vedenti, nel recupero della sicurezza psicologica e nell’assistenza a trattare con e a influenzare le attitudini degli altri. Il paziente deve imparare a sviluppare le abilità e la fiducia nel camminare e nel viaggiare, i nuovi mezzi di orientamento spaziale e le capacità di conversazione atte a superare la mancanza del contatto visivo. Alcuni pazienti possono voler imparare a leggere e scrivere in linguaggio braille. La terapia del linguaggio, per stabilire i più efficaci mezzi di comunicazione, è utilizzata per trattare pazienti con afasia, disartria e aprassia verbale e coloro che si sono sottoposti a laringectomia. La riabilitazione cardiovascolare può essere utile per alcuni pazienti che presentano coronaropatia, scompenso cardiaco o un infarto miocardico recente. L’obiettivo della riabilitazione cardiaca è aiutare il paziente a mantenere o a riguadagnare l’indipendenza. I pazienti ad alto rischio devono esercitarsi solo in una palestra di riabilitazione cardiaca ben attrezzata, sotto la supervisione di un fisioterapista o di un infermiere. I programmi tipici iniziano con attività leggere e proseguono con attività moderate ed è spesso utilizzato il monitoraggio ECG. La riabilitazione dell’ictus tenta di preservare o migliorare il range del movimento, la forza muscolare, la funzione intestinale e vescicale e l’abilità funzionale e cognitiva. Essa viene stabilita in base alla situazione sociale del paziente (che comprende le prospettive di ritornare a casa o al lavoro), alla possibilità di partecipare a un regime riabilitativo supervisionato da infermieri e terapisti, alla possibilità di imparare, alla motivazione e alle abilità da riprodurre. La riabilitazione deve iniziare, non appena il paziente colpito da ictus si è clinicamente stabilizzato, per prevenire le inabilità secondarie (p. es., contratture, piaghe da decubito) e per cercare di evitare la depressione. I pazienti possono iniziare con sicurezza a mettersi in posizione eretta una volta che siano completamente consci e che i loro deficit neurologici non siano più in progressione, solitamente 48 h dopo l’ictus. Gli esercizi di resistenza per le estremità emiplegiche possono incrementare la spasticità e sono pertanto controversi. Se il terapista osserva una spasticità aumentata, gli esercizi di resistenza devono essere interrotti. Un’anomalia dell’andatura in un paziente emiplegico è provocata dalla debolezza muscolare, dalla spasticità, dall’immagine corporea alterata e da molti altri fattori. I pazienti emiplegici sono altamente suscettibili alle cadute, che spesso esitano nella frattura del bacino; la prognosi funzionale di un paziente emiplegico con frattura del bacino è molto sfavorevole. Un tentativo di normalizzare l’andatura spesso fa aumentare la spasticità e può avere come conseguenza l’affaticamento muscolare. Pertanto, finché un paziente emiplegico è in grado di camminare senza correre rischi, la deambulazione non deve essere agevolata. Idealmente, quando un paziente emiplegico sale le scale, la ringhiera deve stare dal lato non affetto, in modo tale che il paziente possa afferrarla. Il paziente non

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Riabilitazione

deve guardare in su la scalinata; così facendo potrebbe accusare vertigine. Quando il paziente scende, la ringhiera deve stare dal lato affetto, in modo tale che il paziente possa appoggiarsi ad essa, prevenendo una caduta. Quando un paziente emiplegico cade, la caduta avviene quasi sempre dal lato emiplegico. Il principio di base da tenere presente nel salire una scala è che "il lato buono sta su e il cattivo sta giù". La riabilitazione dopo amputazione di una gamba comprende esercizi per il condizionamento generale, per lo sforzo sul bacino e il ginocchio, per il rafforzamento delle estremità e per la tolleranza della protesi. La riabilitazione deve essere iniziata non appena il paziente sia clinicamente stabilizzato per cercare di prevenire le inabilità secondarie. La contrattura in flessione del bacino o del ginocchio può svilupparsi rapidamente, rendendo difficile l’adattamento e l’uso della protesi (v. Protesi, sopra). Il condizionamento aiuta il processo naturale di retrazione che deve verificarsi prima che una protesi possa essere utilizzata. Tutti i monconi devono essere assottigliati e pertanto un riduttore di moncone elastico o bendaggi elastici vengono applicati e mantenuti per 24 ore. L’arto fantasma, una sensazione non dolorosa dell’arto amputato possibilmente accompagnata da lieve prurito, è avvertito da > 70% dei nuovi amputati. Questa sensazione può perdurare diversi mesi o anni, ma solitamente scompare senza trattamento. Il dolore dell’arto fantasma si verifica più probabilmente se il paziente presentava una condizione dolorosa prima dell’amputazione o se il dolore non è stato adeguatamente controllato durante e dopo l’intervento. Vari trattamenti, come gli esercizi simultanei dell’arto amputato e di quello controlaterale, il massaggio del moncone, la percussione del moncone con le dita, l’uso di strumenti meccanici (p. es., un vibratore) e gli ultrasuoni, sono sicuramente efficaci. I farmaci (p. es., gli antidepressivi triciclici, la carbamazepina) possono essere utili. Le cause frequenti di dolore del moncone sono il neurinoma e una formazione a sperone all’estremità amputata dell’osso. Un neurinoma da amputazione è solitamente palpabile. Il trattamento a ultrasuoni giornaliero per 5-10 sessioni può essere molto efficace. Altri trattamenti comprendono l’iniezione di corticosteroidi o di analgesici nel neurinoma o nell’area circostante, la crioterapia e il bendaggio stretto continuo del moncone. La resezione chirurgica spesso dà risultati deludenti. La formazione a sperone può essere diagnosticata dalla palpazione e dalla rx. L’unico trattamento efficace di una formazione a sperone è la resezione chirurgica.

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Medicina geriatrica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 293. MEDICINA GERIATRICA (Geriatria) Approccio interdisciplinare alla gestione della patologia e dell’inabilità, alla promozione della salute e alla prevenzione delle malattie negli anziani, comprendente la gerontologia (lo studio delle modificazioni del normale invecchiamento in quanto differenziato dagli effetti della malattia). La maggior parte delle funzioni biologiche correlate con l’età raggiunge il culmine a < 30 anni di età e può gradualmente declinare con un andamento lineare (v. Tab. 293-1); sebbene questo declino tardivo possa essere critico durante lo stress, esso non ha nessun effetto sull’attività quotidiana. Così, la malattia, piuttosto che il normale invecchiamento, è la principale causa di perdita di funzione nell’età avanzata. Molti decrementi che vengono generalmente riferiti all’invecchiamento sono spesso attribuibili allo stile di vita, al comportamento, alla dieta o all’ambiente, fattori che possono essere modificati. Per esempio, l’attività fisica aerobica può invertire parzialmente il declino della o2 max, della forza muscolare e della tolleranza al glucoso nei soggetti anziani sani, ma sedentari. Gli effetti dell’invecchiamento possono essere meno notevoli di quanto ritenuto in passato e un invecchiamento più sano e più vigoroso potrebbe essere alla portata di molte persone. Gli studi trasversali, che mettono a confronto soggetti di età differenti, sono relativamente facili da eseguire, ma meno utili degli studi longitudinali che analizzano i soggetti nel tempo a confronto di quando essi stessi erano più giovani. Tali studi sono difficili a causa della lunga durata e dell’alta percentuale di ritiri; inoltre, è difficile trovare soggetti anziani sani. Demografia: all’inizio del secolo, i soggetti > 65 anni ammontavano al 4% della popolazione degli Stati Uniti; attualmente, essi ammontano a più del 12% (33 milioni, con un guadagno netto > 1000 al giorno). Si stima che nel 2030, quando i bambini nati dopo la II Guerra Mondiale raggiungeranno l’età di 80 anni, più di 70 milioni di Americani (> 20%) avranno un’età superiore ai 65 anni e la percentuale dei soggetti di ultraottantacinquenni sarà maggiore. Aspettativa di vita: all’età di 65 anni, un uomo ha un’aspettativa di vita di 13 anni, ma all’età di 75 anni ha ancora un’aspettativa di vita di 9 anni. All’età di 65 anni, una donna ha un’aspettativa di vita di 20 anni ma all’età di 75 anni ha ancora un’aspettativa di vita di 12 anni. Complessivamente, le donne vivono circa 8 anni di più degli uomini, probabilmente in seguito a fattori genetici, biologici e ambientali; pertanto, ci sono più donne che uomini anziani. Le differenze in sopravvivenza non si sono ridotte, nonostante le donne fumino di più e svolgano lavori finora tradizionalmente maschili. La durata massima della vita umana (calcolata intorno a 110-120 anni) è aumentata di poco rispetto all’aumento più netto dell’aspettativa media di vita, in questo secolo, ma gli incrementi continuano. Le persone di età > 65 anni sono in uno stato di salute migliore rispetto ai loro predecessori. Tuttavia, in tutte le coorti, i più anziani diminuiscono maggiormente.

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Medicina geriatrica

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 293-1. MODIFICAZIONI SELEZIONATE FISIOLOGICHE ETA'-CORRELATE DELLA FUNZIONE E COMPOSIZIONE CORPOREA Organo o sistema colpito

Modificazione fisiologica

Sistema nervoso periferico

↓ Risposte baroriflesse ↓ Sensibilità β-adrenergica, ↓ recettori ↓ Trasduzione del segnale ↓ Risposte parasimpatiche muscariniche

SNC

Risposte α preservate ↓ Recettori della dopamina ↑ Risposte α ↑ Risposte parasimpatiche muscariniche

Composizione corporea

↓ Massa corporea magra ↓ Massa muscolare, ↓ produzione di creatinina ↓ Massa scheletrica ↓ Acqua corporea totale ↑ Percentuale di tessuto adiposo (fino a 60 anni, poi declino fino alla morte)

Cellule

Danno del DNA e ↓ capacità di riparazione del DNA ↓ Capacità ossidativa Fibrosi Accumulo di lipofuscina

Orecchio

Perdita di udito per le alte frequenze

Sistema endocrino

Menopausa, ↓ secrezione di estrogeni e progesterone ↓ Secrezione di testosterone ↓ Secrezione di ormone della crescita ↓ Assorbimento e attivazione della vitamina D ↑ Incidenza di anomalie tiroidee ↑ Incidenza di diabete (↓ sensibilità all’insulina o ↑ insulino-resistenza) ↑ Perdita minerale dell’osso ↑ Secrezione di ADH in risposta a stimoli osmolari

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Occhi

↓ Flessibilità del cristallino ↑ Tempo dei riflessi pupillari (costrizione, dilatazione) ↑ Incidenza di cataratta

Tratto gastrointestinale

↓ Massa epatica ↓ Flusso ematico epatico ↓ Flusso ematico splancnico ↑Tempo di transito

Cuore

↓ Frequenza cardiaca intrinseca e frequenza cardiaca massimale ↓ Rilassamento diastolico ↑ Tempo di conduzione atrioventricolare ↑ Ectopia atriale e ventricolare

Sistema immunitario

↓ Funzione delle cellule-T

Articolazioni

Degenerazione dei tessuti cartilaginei Fibrosi, ↓ elasticità

Fegato

Nessuna modificazione

Polmoni

Nessuna modificazione della capacità polmonare totale

Naso

↓ Olfatto

Apparato respiratorio

↓ Capacità vitale ↓ Elasticità polmonare

Rene

↓ Flusso ematico renale ↓ Massa renale ↓ Filtrazione glomerulare ↓ Secrezione e riassorbimento tubulare renale ↓ Capacità di escrezione senza carico di acqua

Sistema vascolare

↓ Vasodilatazione dipendente dalla endotelina ↑ Resistenze periferiche ↑ PA sistolica

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 293. MEDICINA GERIATRICA (Geriatria)

EROGAZIONE DI ASSISTENZA SANITARIA Assistere una popolazione in aumento di soggetti anziani, che presentano più patologie e sequele psicosociali complicanti rispetto alle coorti più giovani, determina una richiesta straordinaria dei sistemi sanitari tradizionali. Sebbene costituisca solo il 12% della popolazione degli USA, gli anziani sono responsabili di più del 40% dei giorni di degenza in ospedali per acuti, acquistano più del 30% dei farmaci prescrivibili e del 40% dei farmaci da banco e utilizzano il 30% del budget sanitario che ammonta a più di 1000 miliardi di dollari e più del 65% del budget sanitario federale. Poiché molti pazienti anziani ritengono che non sentirsi bene sia una naturale e inevitabile componente dell’invecchiamento, essi tendono a nascondere disturbi legittimi che potrebbero indicare patologie gravi ma trattabili. Essi tendono a riferire i sintomi solo ai familiari. La depressione, che è predominante; le perdite cumulative dell’età avanzata e il disagio della malattia riducono l’interesse nel riguadagnare la salute. La compromissione dello stato cognitivo può compromettere la capacità di un paziente di descrivere i disturbi e la ricerca diagnostica del medico. I soggetti anziani sono riluttanti a fare ricorso a cure che implicano l’ospedalizzazione, cosa che associano inevitabilmente alla morte. Il proseguimento dell’assistenza agli anziani comprende l’assistenza domiciliare, l’assistenza in case alloggio, l’assistenza in RSA, l’ospedalizzazione e la lungodegenza. In generale, le persone anziane devono utilizzare questi servizi al più basso livello adeguato ai propri bisogni. Questo approccio salva le risorse finanziarie e aiuta a preservare l’indipendenza e le funzioni del paziente. Assistenza domiciliare: l’assistenza domiciliare è la forma di assistenza più frequentemente utilizzata dopo dimissione dall’ospedale, ma l’ospedalizzazione non è un prerequisito. Solitamente, l’assistenza domiciliare è indicata quando i pazienti necessitano di monitoraggio, di istruzione, di correzione delle terapie, di cambiamento delle medicazioni e di eseguire una terapia fisica limitata. In generale, l’assistenza domiciliare non è adatta ai pazienti che hanno bisogno di assistenza per più di 0,5-1 h per 3 volte alla settimana, sebbene possano talvolta essere concesse eccezioni particolari. Gli infermieri forniscono i servizi per ordine di un medico, con cui essi comunicano per eseguire i cambiamenti delle terapie. Sebbene la maggior parte delle persone con funzionalità gravemente ridotta preferisca rimanere a casa, pochi possono permettersi un’assistenza domiciliare a tempo pieno per le malattie gravi, croniche. Assistenza in RSA: l’assistenza nelle RSA è costata 21 miliardi di dollari nel 1980, 50 miliardi di dollari nel 1990 e si prevede un costo di 80 miliardi per il 1997. Già nel 1972 il numero dei posti letto delle RSA superava quello degli ospedali per acuti. Dei 1,7 milioni di posti letto delle RSA, il 90% è occupato da persone di età > 65 anni, ma < 5% degli americani di età > 65 anni vive in RSA o in altre strutture. Tra gli ultrasessantacinquenni, il 40% trascorrerà un certo periodo in RSA prima di morire; di questi, più del 50% dei soggetti di età superiore a 80 anni morirà in tali strutture. Tuttavia, nelle comunità vive un numero di anziani non autosufficienti che è pari al doppio di quelli che vivono nelle RSA e il 25% degli anziani che vivono in comunità non ha parenti viventi. Una particolare attenzione alla loro salute e ai bisogni di assistenza sanitaria potrebbe aggiungere qualità e file:///F|/sito/merck/sez21/2932680b.html (1 of 2)02/09/2004 2.16.08

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anni alla loro vita, mentre verrebbero limitati i costi attraverso la prevenzione della istituzionalizzazione. La RSA può essere necessaria temporaneamente per facilitare il recupero da una malattia acuta, soprattutto la frattura del bacino, l’infarto miocardico e l’ictus. In questi casi, la RSA deve essere in grado di fornire i servizi relativi ai bisogni del paziente. Non tutte le RSA forniscono una terapia o una riabilitazione fisica eccellente. Le più frequenti ragioni di assistenza prolungata nella RSA sono l’incontinenza, la demenza e l’immobilità. Ospedalizzazione: l’ospedalizzazione deve essere riservata agli anziani gravemente malati. La stessa ospedalizzazione espone i pazienti anziani a rischi a causa dell’isolamento, dell’esposizione ai farmaci, ai test diagnostici e ai trattamenti. I pazienti anziani ospedalizzati frequentemente presentano confusione notturna ("vagabondaggio"), cadute, fratture senza trauma identificabile, decubiti, incontinenza urinaria, fecaloma e ritenzione urinaria. La convalescenza può essere prolungata. Assistenza in ospizio: gli ospizi offrono assistenza alle persone in fin di vita (v. Cap. 294). I benefici offerti dalla Medicare sono limitati ai pazienti con aspettativa di vita < 6 mesi e sostituiscono il consueto pacchetto di benefici, sebbene l’ospedalizzazione sia ancora coperta. L’obiettivo della lungodegenza è alleviare i sintomi e mantenere la tranquillità della persona piuttosto che trattare la malattia. La lungodegenza può essere assicurata in varie sedi, tra cui il proprio domicilio, una RSA o presso altre strutture.

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 293. MEDICINA GERIATRICA (Geriatria)

PATOLOGIE FREQUENTI SOLO TRA GLI ANZIANI Sommario: Introduzione DISTURBI MULTIPLI IDROCEFALO NORMOTESO Sintomi e segni Diagnosi e terapia IPOTERMIA ACCIDENTALE Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Alcuni disturbi si verificano quasi esclusivamente negli anziani (v. oltre e Cap. 215 [Incontinenza urinaria]) e alcuni si verificano in tutte le età, ma sono di gran lunga più frequenti negli anziani (v. Tab. 293-2). Tali disturbi spesso coesistono negli anziani.

DISTURBI MULTIPLI Le persone anziane hanno qualitativamente esigenze differenti di assistenza sanitaria. Nelle persone più anziane coesistono in media sei patologie, sebbene un medico di base possa non essere a conoscenza della metà di esse. La malattia di un sistema indebolisce un altro sistema, comportando il deterioramento di entrambi, portando a infermità, dipendenza e, se non arrestata, morte. I fardelli della molteplicità dei disturbi sono complicati dalla perdita del ruolo sociale, dalla vulnerabilità emotiva e dalla povertà (dal momento che i pazienti vivono più a lungo delle loro risorse e dei pari di supporto). Sono necessari meccanismi di ispezione per la ricerca del problema attivo, poiché la molteplicità dei disturbi negli anziani complica la diagnosi e il trattamento. L’anamnesi, l’esame fisico e i test semplici di laboratorio aiutano a selezionare le condizioni frequenti e trattabili (p. es., anemia da deficit di B12-o da carenza di ferro, scompenso cardiaco, emorragia gastrointestinale, diabete mellito non compensato, TBC attiva, patologie del piede che interferiscono con la mobilità, disturbi orali che interferiscono con l’alimentazione, difetti correggibili dell’udito e della vista, demenza, depressione), che spesso non vengono diagnosticate negli anziani. È importante un frequente controllo dell’uso di farmaci prescrivibili e da banco. L’individuazione precoce permette un intervento immediato, che può prevenire il deterioramento e migliorare la qualità della vita attraverso manovre relativamente minori e non costose. Assistere una persona anziana con disturbi multipli richiede un’elevata abilità file:///F|/sito/merck/sez21/2932682.html (1 of 4)02/09/2004 2.16.09

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diagnostica, analitica, sintetica e interpersonale. Spesso, la familiarità del medico con il comportamento e la storia del paziente (compreso lo stato mentale) è alla base del riconoscimento precoce di un disturbo e permette interventi che possono comprendere le correzioni dello stile di vita. Frequentemente, i primi segni di malattia fisica, spesso a uno stadio trattabile, sono mentali o emotivi, i quali tendono a confermare lo stereotipo di "senilità" e ostacolano la diagnosi e il trattamento appropriati se accettati come casuali. Quando coesistono più patologie, il riposo a letto, gli interventi chirurgici, i farmaci e altri trattamenti possono sortire un effetto disastroso se non vengono ben integrati e scrupolosamente monitorizzati. Il solo riposo a letto è una causa di morbilità negli anziani: l’allettamento completo porta a una perdita giornaliera di massa e di forza muscolare dal 5 al 6%. Il trattamento di una malattia che non tenga conto del trattamento delle altre contemporaneamente presenti può accelerare il decadimento.

IDROCEFALO NORMOTESO Dilatazione dei ventricoli cerebrali con normale pressione lombare del LCR, che produce demenza, disturbi dell’andatura e incontinenza urinaria. L’idrocefalo normoteso (Normal-Pressure Hydrocephalus, NPH) è una rara causa di demenza negli anziani (v. anche Demenze non Alzheimer al Cap. 171). Esso può essere causato da pregressa infiammazione della superficie dell’encefalo, solitamente per emorragia subaracnoidea o meningite diffusa, che presumibilmente esita nella cicatrizzazione dei villi aracnoidei al di sopra delle convessità dell’encefalo, dove solitamente avviene l’assorbimento del LCR. I dati di supporto, tuttavia, sono scarsi e i pazienti anziani con NPH hanno una storia di predisposizione alla patologia.

Sintomi e segni L’NPH classicamente comporta demenza, aprassia dell’andatura e incontinenza, ma molti pazienti con questi sintomi non presentano NPH. Tipicamente sono assenti debolezza e incoordinazione motoria, ma l’inizio della deambulazione, descritta come andatura "a innesto inciampante" o "a piedi incollati al suolo", è esitante e la deambulazione completa interviene alla fine. Sono state descritte altre andature. L’NPH è stato anche associato a varie manifestazioni psichiatriche che non sono caratteristiche. L’NPH deve essere considerato nella diagnosi differenziale di tutte le nuove malattie psichiatriche in età avanzata.

Diagnosi e terapia Per la diagnosi sono necessarie la TC o la RMN e la puntura lombare. Alla TC o alla RMN, i ventricoli appaiono dilatati; la pressione del LCR è normale. Un lieve miglioramento dopo rimozione di circa 50 ml di LCR indica una prognosi migliore dello shunt. I reperti rx o le misurazioni della pressione da soli non sembrano in grado predire l’esito dello shunt. La derivazione del LCR dai ventricoli dilatati a volte comporta il miglioramento clinico, ma quanto maggiore è stata la durata della malattia, tanto minori saranno le probabilità che lo shunt possa risultare curativo.

IPOTERMIA ACCIDENTALE

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Discesa della temperatura corporea al di sotto di 35°C (95°F). (V. anche Cap. 280.) L’ipotermia accidentale negli anziani è maggiormente frequente in inverno. In Gran Bretagna, migliaia di anziani muoiono ogni anno per ipotermia accidentale; tuttavia, uno studio negli USA non ha riscontrato l’abbassamento della temperatura tra gli anziani ad alto rischio che vivono in comunità nel Maine durante l’inverno. L’ampia gamma di valutazioni può essere spiegata dal fatto che post-mortem il decesso non può con sicurezza essere attribuito all’ipotermia accidentale, poiché la maggior parte delle persone morte risulta fredda. Se i dati della Gran Bretagna vengono estrapolati alla popolazione degli U.S., circa 50000 Americani anziani vengono ospedalizzati ogni anno, durante l’inverno, con ipotermia occulta.

Eziologia e patogenesi Le persone anziane con ipotermia borderline hanno in genere alcuni difetti del sistema nervoso autonomo correlati con l’età, che comportano un ridotto flusso ematico periferico a riposo, una risposta vasomotoria non costrittiva al freddo e un’ipotensione ortostatica facilmente provocabile. Tali difetti vengono esacerbati dalle fenotiazine e sono correlati con il rischio di ipotermia. L’evento scatenante non è costituito da una prolungata esposizione al freddo intenso; sebbene la maggior parte degli episodi parta da temperature < 18,3°C (< 65°F), i pazienti anziani possono diventare ipotermici a temperature domestiche anche maggiori di 18,3°C. Oltre all’inadeguato riscaldamento delle abitazioni durante l’inverno, fattori aggiuntivi possono essere rappresentati dalla diminuita percezione del freddo e dall’alterazione dei meccanismi di mantenimento del calore. I fattori predisponenti includono numerosi farmaci (p. es., antipsicotici, sedativi e ipnotici, traquillanti, alcol), lo scompenso cardiaco, l’ipotiroidismo, l’ipopituitarismo, l’uremia, il morbo di Addison, il digiuno, la chetoacidosi, le infezioni polmonari o altre sepsi, le lesioni cerebrali e qualsiasi malattia che comporti l’immobilizzazione. L’ipotermia accidentale si sviluppa in un tempo variabile da molte ore a diversi giorni. La temperatura corporea < 35°C (< 95°F) continua a scendere lentamente e insidiosamente, culminando nella morte se le condizioni ambientali rimangono immodificate. Il tasso di mortalità globale è di circa il 50%, ma la sopravvivenza è largamente condizionata dalla presenza e dalla gravità delle malattie complicanti.

Sintomi e segni I pazienti sono ad alto rischio di morte e di una sindrome clinica che mima l’ictus o lo scompenso metabolico. Man mano che la temperatura corporea scende, affaticamento, astenia, incoordinazione, apatia e sonnolenza portano a uno stato confusionale acuto che progredisce fino allo stupore e al coma quando la temperatura corporea scende al disotto di 32,2°C (< 90°F). Si possono verificare allucinazioni, aggressività e resistenza all’offerta di aiuto. I pazienti ipotermici hanno mani, piedi e addome freddi al tatto. Il brivido è sorprendentemente assente; gli atti del respiro sono superficiali e poco frequenti; di comune riscontro sono la bradicardia e l’ipotensione, insieme con aritmie atriali e ventricolari; il viso può apparire gonfio e roseo. In poco meno del 50% dei pazienti ipotermici, l’ECG può mostrare una caratteristica onda J, una piccola deflessione positiva che segue il complesso QRS nelle derivazioni ventricolari sinistre. Più frequentemente, l’ECG mostra oscillazioni del tracciato di base, prodotte da un tremore muscolare fine e rapido che è spesso scambiato per un’interferenza elettrica o un movimento volontario. Questo tremore fine non è solitamente molto evidente. e, probabilmente, costituisce l’equivalente fisiologico del brivido nel paziente anziano ipotermico. Si possono riscontrare vari segni neurologici: file:///F|/sito/merck/sez21/2932682.html (3 of 4)02/09/2004 2.16.09

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tremori, atassia, depressione o alterazione dei riflessi, coma, convulsioni e un marcato aumento del tono muscolare. Se non si interrompe la discesa della temperatura, tra i 29,4°C e i 23,9°C in genere sopraggiunge il decesso dovuto ad arresto cardiaco o a fibrillazione ventricolare. Gli effetti metabolici generali dell’ipossia e della necrosi tissutale sono la regola, sebbene, se il paziente sopravvive, la bassa temperatura possa ritardare l’insorgenza di molte complicanze (in genere pancreatite, edema polmonare, polmonite, acidosi metabolica, scompenso renale e gangrena degli arti).

Diagnosi Premura e vigilanza sono necessari per la diagnosi. È essenziale un alto grado di sospetto. Il personale sanitario deve essere abituato a cercare un’eventuale bassa temperatura corporea nell’anziano, dal momento che, durante la valutazione del paziente, vengono documentate soltanto le temperature normali o elevate. I termometri clinici standard registrano da 34,4° a 42,2°C (da 94 a 108° F) e raramente scendono a meno di 35,6°C (< 96°F); le misurazioni con termometri elettronici possono essere non attendibili a temperature < 34,4°C. È disponibile un termometro che registra basse temperature, da 28,9°C a 42,2°C (da 84 a 108°F), da utilizzare quando si sospetta un’ ipotermia.

Terapia La temperatura corporea deve essere riportata lentamente alla norma ( 0,6°C [ 1° F]/h). Un riscaldamento più rapido è spesso soltanto causa di un’ipotensione irreversibile. La conservazione del calore si ottiene con coperte o con sofisticati materiali isolanti in una stanza calda. Lo stretto monitoraggio e la prevenzione delle comuni complicanze sono essenziali per il successo del trattamento.

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Incontinenza urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 215. INCONTINENZA URINARIA Perdita involontaria di urina. L’incontinenza urinaria è una condizione anormale indipendentemente dall’età, dalla autosufficienza motoria, dalle condizioni mentali o da condizioni generali compromesse. Le persone incontinenti sono frequentemente imbarazzate, isolate, stigmatizzate, depresse e vanno incontro a regressione; le persone anziane incontinenti vengono spesso ricoverate in istituti poiché questa patologia è un peso significativo per coloro che se ne prendono cura. L’incontinenza rimane un problema largamente trascurato nonostante sia molto ben trattabile e spesso curabile. La continenza richiede l’integrità funzionale dell’ultimo tratto della via urinaria così come un’adeguata attività mentale, autosufficienza motoria, motivazione e destrezza manuale. Le contrazioni vescicali incontrollate diventano sempre più predominanti, diminuendo con l’età la capacità vescicale, la capacità di ritardare la minzione e il flusso urinario. Il residuo postminzionale aumenta ma probabilmente è 50-100 ml. Nella donna, la pressione massima di chiusura e la lunghezza dell’uretra diminuiscono e in molti uomini aumentano le dimensioni della prostata. I liquidi assunti quotidianamente vengono escreti tardi nel corso della giornata, durante la notte. Questi cambiamenti aumentano la sensazione d’incontinenza nella persona anziana ma da soli non la causano. L’incontinenza può essere classificata secondo la durata dei sintomi, della presentazione clinica o delle alterazioni fisiologiche. Determinare se se l’incontinenza sia di recente insorgenza (transitoria) o cronica (stabilizzata) è una guida per la diagnosi differenziale. È anche utile classificare il problema come incontinenza da urgenza minzionale, da stress o da rigurgito.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 293-2. DISTURBI FREQUENTI NEGLI ANZIANI Quasi esclusivi degli anziani

Più frequenti negli anziani che in altri gruppi di età

Disturbi multipli

Cadute

Idrocefalo normoteso

Carcinoma basocellulare

Incontinenza urinaria

Carcinoma della prostata

Ipotermia accidentale

Coma diabetico iperosmolare non chetosico Demenza Frattura del bacino Gammopatie monoclonali Herpes zoster Ictus Leucemia linfatica cronica Linfadenopatia angioimmunoblastica con disproteinemia (linfoma) Osteoartrite degenerativa Osteoporosi Parkinsonismi Polimialgia reumatica (arterite a cellule giganti) Ulcere da decubito

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Disturbi causati dal calore

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 280. DISTURBI CAUSATI DAL CALORE IPOTERMIA Abbassamento generalizzato della temperatura corporea.

Sommario: Introduzione Terapia

L’ipotermia è conseguenza della prolungata esposizione a quelle temperature in cui la perdita di calore corporeo è superiore alla produzione di quest’ultimo (v. anche Ipotermia accidentale nel Cap. 293), si verifica più frequentemente nei climi freddi o nelle immersioni subacquee, ma può insorgere anche nei giorni estivi o in climi caldi, se il calore prodotto dal metabolismo basale e dall’attività fisica (brivido) non è in grado di mantenere un’adeguata temperatura corporea. Può verificarsi anche a seguito di traumi gravi. L’immobilità, gli abiti bagnati, il vento freddo e il giacere su superfici fredde sono fattori che aumentano il rischio di ipotermia. Questa condizione provoca il rallentamento fisiologico di tutte le funzioni, comprese l’attività cardiovascolare e respiratoria, la conduzione nervosa, le capacità intellettive, il tempo di reazione neuromuscolare e l’attività metabolica. Nei bambini molto piccoli, l’ipotermia dovuta a immersione in acque gelate può proteggere il cervello dall’ipossia. Il rapido abbassamento della temperatura corporea provoca letargia, movimenti ritardati, confusione mentale, irritabilità, allucinazioni, rallentamento o arresto del respiro e rallentamento del battito cardiaco che diviene irregolare fino all’asistolia. Tuttavia, la vittima di ipotermia non deve essere considerata morta fino a che non sia stata riscaldata. Il riscontro di una temperatura rettale < 34°C permette di distinguere l’ipotermia da patologie con sintomatologia simili, come malattie cardiache, coma diabetico, iperinsulinismo, accidenti cerebrovascolari o tossicodipendenze, che possono peraltro essere concomitanti. I comuni termometri non permettono di rilevare le basse temperature corporee, riscontrabili in caso di ipotermia; è necessario quindi utilizzare uno speciale termometro per le basse temperature. Se è disponibile soltanto un termometro comune, sarà indicativo dello stato di ipotermia l’impossibilità del mercurio di superare i 34°C .

Terapia Quando cessano i brividi e compaiono letargia e confusione mentale, è imminente una situazione di grave emergenza. La priorità, mentre si esamina rapidamente la vittima, è di prevenire l’ulteriore perdita di calore. Si deve rapidamente decidere se iniziare una rianimazione cardiopolmonare (Cardiopulmonary Resuscitation, CPR) quando il paziente non respira, non presenta polso e appare presumibilmente morto. Se l’ospedale può essere raggiunto rapidamente, si deve iniziare la CPR e protrarla fino all’arrivo, mentre è tuttora controverso quando iniziare la CPR se il nosocomio è molto distante. L’assenza prolungata di flusso ematico può essere causa di danni cerebrali

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Disturbi causati dal calore

permanenti, anche nelle forme di ipotermia più profonda; tuttavia, iniziare una CPR quando il battito cardiaco sia presente, anche se in maniera impercettibile, può innescare una fibrillazione ventricolare, che risulterà fatale se non verrà reinstaurato il ritmo sinusale. Quindi, il consiglio di alcuni esperti, nel caso in cui l’ospedale sia molto vicino, è quello di ritardare l’inizio della CPR fin quando il bilancio dei liquidi e degli elettroliti non sia stato ristabilito nella struttura ospedaliera. Durante il trasporto, la vittima deve essere assistita con molta cura, evitando scosse o movimenti bruschi che potrebbero provocare tachicardia o fibrillazione ventricolare, perché un cuore che abbia raggiunto basse temperature è predisposto a sviluppare tali aritmie. I soggetti ipotermici e privi dello stato di coscienza non possono generare spontaneamente una quantità di calore sufficiente, pertanto andranno riscaldati dall’esterno o dall’interno, facendo uso di tecniche speciali. In ospedale vanno eseguite immediatamente l’emogasanalisi e la determinazione degli elettroliti. Non è necessario ristabilire la normale temperatura ematica, mentre il pH e la Po2 devono essere ripristinati ai valori normali. Quando è necessaria la CPR e può essere protratta, il paziente deve essere immerso immediatamente in un’ampia vasca d’acqua, mantenuta a 45-48°C, per ottenere un riscaldamento rapido. Soggetti che siano stati immersi in acqua gelata per 1 ora o (raramente) più a lungo, sono stati riscaldati con successo, senza riportare danni cerebrali permanenti (v. Cap. 284), infatti, sono state salvate persone con una temperatura corporea addirittura di 26°C. Quindi, non si deve considerare questi soggetti morti, fino a quando non siano stati riscaldati. Di solito, si riesce a restaurare un’adeguata temperatura corporea nei bambini, molto meno frequentemente negli adulti. Durante il riscaldamento, bisogna porre particolare attenzione perché il pH ematico, il potassio e il sodio possono variare rapidamente.

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Sindrome da annegamento

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 284. SINDROME DA ANNEGAMENTO Sommario: Introduzione Prevenzione Terapia

L’insufficienza respiratoria è il problema più critico per le vittime di un semiannegamento. Una grave ipossia può essere conseguente all’inalazione di liquidi o a un laringospasmo riflesso acuto, che può provocare un’asfissia senza inalazione di liquidi. L’inalazione di liquido e materiale particolato può causare una polmonite da composti chimici, danneggiando le cellule che rivestono gli alveoli e inibendo la secrezione alveolare del surfactante, con il risultato di un’atelettasia distribuita a zone. La perfusione delle aree atelettasiche non aerate dei polmoni porta a uno shunt intrapolmonare, che aggrava l’ipossiemia; quanto più liquido viene inalato, tanto maggiore è la perdita di surfactante, di conseguenza si aggravano l’atelettasia e l’ipossiemia. Vaste aree di atelettasia possono determinare inespansibilità polmonare e insufficienza respiratoria (v. Cap. 66), cui può associarsi una condizione di acidosi respiratoria con ipercapnia, oltre a una possibile acidosi metabolica concomitante, conseguente all’ipossia tissutale. L’ipossia alveolare e tissutale possono poi provocare edema polmonare e cerebrale. Si ritiene che l’edema polmonare nel semi-annegamento sia diretta conseguenza dell’ipossia alveolare, analogamente all’edema polmonare da alte quote (v. Cap. 281), cioè non è di origine cardiogena. L’edema polmonare e l’atelettasia possono coesistere. Le altre complicanze sono rappresentate dalle alterazioni degli elettroliti e del volume ematico, la cui gravità varia in base al tipo e al volume di fluido inalato. L’acqua di mare può causare un leggero aumento del Na e del Cl ematico, ma a livelli che raramente costituiscono una minaccia per la vita. Al contrario, grandi quantità di acqua dolce possono provocare un profondo squilibrio degli elettroliti, un improvviso aumento del volume ematico ed emolisi, a cui possono seguire asfissia e fibrillazione ventricolare, che causano morte immediata. L’arresto cardiaco, di solito preceduto da fibrillazione, è la causa di molte morti attribuite all’annegamento. Il riflesso da immersione dei mammiferi può permettere, alle vittime di un semiannegamento, la sopravvivenza dopo lunghi periodi di immersione in acqua fredda. Originariamente identificato nei mammiferi marini, questo riflesso rallenta il battito cardiaco e provoca vasocostrizione delle arterie periferiche, deviando il sangue ossigenato dagli arti e dall’intestino al cuore e al cervello. Inoltre, in acque fredde, la richiesta di O2 da parte dei tessuti è ridotta e il tempo possibile di sopravvivenza si allunga.

Prevenzione Non si deve consumare un pasto sostanzioso poco prima di immergersi, perché aumenta il rischio di vomito, cui segue inalazione di cibo e ostruzione delle vie aeree. Il consumo di alcol rappresenta un fattore di rischio notevole di semiannegamento negli adolescenti e negli adulti, quindi deve essere assolutamente evitato. I bambini devono essere tenuti continuamente sotto controllo sulle

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Sindrome da annegamento

spiagge e vicino ai laghetti e agli stagni. Tutti i bagnanti devono essere accompagnati da nuotatori esperti e nuotare soltanto nelle zone in cui è presente una persona addetta al salvataggio. Si consiglia a tutti l’uso durante la navigazione di giubbotti di salvataggio, che sono invece obbligatori per coloro che non sanno nuotare e per i bambini piccoli, che devono indossarli anche quando giochino vicino a corsi d’acqua. È consigliabile insegnare ai bambini a nuotare il più presto possibile; gli adulti e i bambini > 12 anni dovrebbero conoscere le basi della rianimazione. Tutte le piscine devono essere adeguatamente recintate (il recinto deve essere 1,2 m di altezza. Lattanti, bambini, soggetti debilitati e anziani non devono mai essere lasciati in una vasca da bagno senza assistenza continua. Gli individui con una storia di attacchi epilettici o di altri disturbi, quando si trovino a nuotare o in barca, dovrebbero avvisare gli altri dei loro problemi e si dovrebbe consigliare loro di prendere appropriate precauzioni.

Terapia I fattori chiave che consentono di sopravvivere all’immersione sono: la durata dell’immersione, la temperatura dell’acqua, l’età del soggetto (il riflesso da immersione è più attivo nei bambini) e la celerità della rianimazione. La sopravvivenza dipende dalla pronta correzione dell’ipossiemia e dell’acidosi (dovute a insufficienza ventilatoria) piuttosto che dalla correzione dello squilibrio elettrolitico, l’obiettivo è di prevenire l’edema polmonare e cerebrale, conseguenti all’ipossia. Se si verifica semi-annegamento in acqua molto fredda, la vittima può andare incontro a ipotermia. A causa del riflesso di immersione dei mammiferi e delle ridotte necessità metaboliche che si associano all’ipotermia, si dovranno eseguire energici tentativi di rianimazione (specialmente nei bambini), anche se sono stati in immersione per 1 h. La rianimazione cardiorespiratoria di base e l’immediata correzione dell’ipotermia (v. Cap. 280) sono molto importanti, perché un cuore sottoposto a ipotermia può rispondere meno alle tecniche rianimatorie. Se la vittima è in stato di apnea, si deve procedere immediatamente, perfino nell’acqua, alla respirazione bocca a bocca. Se non si percepiscono il battito cardiaco e il polso carotideo, si dovrà comunque iniziare il massaggio cardiaco esterno (a cielo chiuso) (v. Cap. 206), quindi, si dovrà eseguire rapidamente una rianimazione cardiaca avanzata, che comprenda anche l’intubazione endotracheale. Appena disponibile dovrà essere utilizzato un ventilatore meccanico, per innalzare la concentrazione di O2. La defibrillazione e/o la cardioversione elettrica possono essere necessarie per correggere aritmie non responsive a ventilazione e ossigenazione adeguate. Se la vittima si è tuffata in acqua, si deve sempre sospettare una lesione traumatica della colonna cervicale. Il collo della vittima deve essere mantenuto in posizione neutra, impedendo i movimenti di flesso-estensione e si deve ripristinare la pervietà delle vie aeree esercitando una decisa trazione sulla mandibola, senza iperestendere il collo o esercitare leve sul mento. Il tentativo di far uscire l’acqua dolce dai polmoni è una perdita di tempo, perché questa, essendo ipotonica, entra rapidamente in circolo, l’acqua di mare, al contrario è ipertonica e richiama plasma nei polmoni, perciò se ne dovrebbe tentare il drenaggio: per questo scopo può essere utile la posizione antideclive di Trendelenburg. Le vittime di un semi-annegamento devono essere necessariamente ricoverate. La rianimazione deve continuare durante il trasporto, a prescindere dalle condizioni del paziente, dal momento che le lesioni polmonari e l’ipossia possono svilupparsi molte ore dopo l’immersione: lo stato di coscienza non è quindi sinonimo di guarigione. In ospedale, il trattamento deve essere incentrato sulla terapia polmonare intensiva, per ottenere un adeguato ripristino dei livelli dei gas nel sangue file:///F|/sito/merck/sez20/2842631.html (2 of 3)02/09/2004 2.16.12

Sindrome da annegamento

arterioso e dell’equilibrio acido-base. Le misure richieste vanno dalla semplice somministrazione di O2 (per il paziente che respira spontaneamente), all’intubazione e al supporto ventilatorio continuo (per il paziente in apnea). Nelle vittime di un semi-annegamento in arresto cardiaco, è necessario ripristinare l’adeguata ventilazione alveolare e la perfusione tissutale, per ottenere un’ottimizzazione dell’equilibrio acido-base. L’utilizzo e il dosaggio di farmaci ad azione tamponante sono controversi. La somministrazione di bicarbonato di sodio EV può essere presa in considerazione quando la ventilazione alveolare sia adeguata, dato che l’acidosi metabolica quasi sempre accompagna l’ipossia tissutale e cellulare. L’emogasanalisi è utile nel determinare il grado di ossigenazione e l’equilibrio acido-base, quindi permette di stabilire se è opportuno somministrare bicarbonato, se il supporto ventilatorio deve essere continuato e a quali concentrazioni somministrare l’O2. La somministrazione di O2 ad alta concentrazione deve continuare finché l’emogasanalisi non indichi che sono sufficienti minori concentrazioni. L’insufflazione esagerata manuale dei polmoni è indicata per riespandere gli alveoli atelettasici, la frequenza di esecuzione di tale manovra sarà basata sulla risposta clinica. Dosi standard di β2-agonisti, somministrati per inalazione o per iniezione, aiutano a ridurre il broncospasmo. Poiché il semi-annegamento con inalazione di liquido è una forma di polmonite ab ingestis, può essere presa in esame la somministrazione di corticosteroidi e di antibiotici. Un paziente che sviluppi una sindrome di distress respiratorio acuto richiede una ventilazione meccanica. La pressione positiva tele-espiratoria (v. Cap. 66) può aiutare a mantenere la pervietà alveolare, impedire il collasso alveolare e dilatare gli alveoli collassati. L’assistenza respiratoria può essere necessaria per ore o giorni, a seconda dei risultati dell’emogasanalisi e dei valori del pH. Per correggere uno squilibrio elettrolitico significativo sono necessari liquidi e soluzioni saline. Nell’annegamento in acqua di mare, può stravasare una grande quantità di liquidi nei polmoni, provocando riduzione della volemia e talvolta abbassamento della pressione venosa centrale, in questi casi può essere indicata l’infusione di plasma-expander. Generalmente non è consigliabile la restrizione dei liquidi, poiché l’edema polmonare e cerebrale, causati dall’ipossia, sono correlati al danno diretto dell’epitelio polmonare o ai gradienti osmotici, piuttosto che al sovraccarico circolatorio, come si verifica nell’insufficienza cardiaca. Se è presente un’emolisi importante, possono essere necessarie trasfusioni di GR concentrati, per incrementare la capacità di trasporto dell’O2 e forzare la diuresi, facilitando l’escrezione dell’Hb plasmatica libera. In alcuni pazienti può reliquare un danno cerebrale permanente, causato dall’ipossiemia e dall’ipossia cerebrale. L’iperventilazione o l’iperossigenazione in camere iperbariche (v. Cap. 292) possono essere efficaci, ma presentano rischi intrinseci. Non è stata dimostrata l’efficacia di alcun farmaco o di protocolli terapeutici nel trattamento dell’ischemia cerebrale globale, quindi ci si deve attenere alle misure generali di terapia intensiva cerebrale (contenute nelle linee guida dell’American Heart Association’s Advance Life Support, v. Cap. 206).

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Insufficienza respiratoria

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 66. INSUFFICIENZA RESPIRATORIA Alterazioni dello scambio dei gas tra aria ambiente e circolazione sanguigna, che si verificano negli scambi gassosi intrapolmonari o nello spostamento dei gas dentro e fuori i polmoni.

Sommario: Introduzione Ipossiemia Ipercapnia Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Negli scambi gassosi intrapolmonari, l'O2 è trasferito al sangue arterioso (ossigenazione) mentre la CO2 ne viene eliminata. Le turbe degli scambi gassosi intrapolmonari in genere causano soprattutto ipossiemia, perché la capacità di diffusione della CO2 è molto maggiore di quella dell'O2 e perché le zone di ipoventilazione regionale (inadeguata ventilazione alveolare) con scarsa rimozione della CO2 possono essere compensate da un aumento della ventilazione delle unità polmonari normali. Il meccanismo del passaggio dei gas dentro e fuori dei polmoni può essere inadeguato (ipoventilazione globale o generalizzata), producendo soprattutto ipercapnia, sebbene si verifichi anche ipossiemia. Molti processi patologici possono compromettere contemporaneamente entrambe queste funzioni, ma più comunemente si verificano compromissioni selettive o sproporzionate dell'una o dell'altra.

Ipossiemia I seguenti meccanismi possono agire da soli o in associazione nel causare l'ipossiemia arteriosa: Una riduzione della pressione parziale di O2 inspirato (PiO2) si verifica ad alta quota (come conseguenza della riduzione della pressione barometrica), durante l'inalazione di gas tossici e in prossimità di incendi che consumano O2. L'ipoventilazione causa una caduta dei livelli di O2 alveolare (PaO2) e di O2 arterioso (PaO2). Durante la fase iniziale dell'ipoventilazione o dell'apnea, la PaO2 può scendere più rapidamente di quanto i livelli di CO2 arteriosi (PaCO2) non aumentino, perché le riserve corporee di O2 sono scarse mentre quelle di CO2 sono molto maggiori. Comunque, quando la PaCO2 e la PaCO2 aumentano (la PaCO2 aumenta di 3-6 mm Hg/min in un paziente totalmente apneico), la PaO2 deve diminuire perché la concentrazione nello stato di equilibrio della PaO2 ha una relazione fissa con la PaCO2, come predetto dall'equazione del gas alveolare PaO2 = PiO2-PaCO2/R. R è il quoziente respiratorio, cioè il rapporto tra la produzione di CO2 e il consumo di O2 allo stato di equilibrio. Quando gli scambi

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gassosi intrapolmonari sono normali, il gradiente PaO2/PaO2 rimane immodificato e la caduta della PaO2 è simile alla diminuzione della PaO2. La riduzione della diffusione è causata dalla separazione fisica di gas e sangue (come nella patologia interstiziale polmonare diffusa) o dalla riduzione del tempo di transito dei GR attraverso i capillari (come nell'enfisema polmonare con perdita di parte del letto capillare). L'alterazione del rapporto ventilazione/perfusione regionale (/) quasi sempre contribuisce all'ipossiemia clinicamente importante. Le regioni del polmone scarsamente ventilate ma con una buona perfusione producono una desaturazione; l'effetto dipende in parte dal contenuto di O2 del sangue venoso misto. Una riduzione del contenuto di O2 nel sangue venoso misto peggiora ulteriormente l'ipossiemia. Le cause più frequenti sono le affezioni che causano una scarsa ventilazione di alcune regioni del polmone (p. es., ostruzione delle vie aeree, atelettasie, addensamenti o edema di origine cardiogena o non). Il grado di vasocostrizione polmonare ipossica, che allontana il flusso sanguigno dalle zone poco ventilate, determina la misura nella quale una diminuzione della ventilazione contribuisce all'ipossiemia. Poiché il sangue dei capillari proveniente dalle regioni del polmone ben ventilate è già saturo di O2, l'iperventilazione con aumento della PaO2 non compensa pienamente l'alterato rapporto /. Tuttavia, un aumentato apporto di O2 inverte in modo drammatico l'ipossiemia quando l'alterazione del rapporto /, l'ipoventilazione o i disturbi della diffusione ne sono la causa, perché la PaO2 delle stesse regioni mal ventilate aumenta abbastanza da permettere una piena saturazione dell'Hb. Quando i pazienti respirano O2 al 100%, solo gli alveoli perfusi che sono totalmente non ventilati (regioni di shunt) contribuiscono all'ipossiemia. Lo shunt (lo sbocco diretto del sangue venoso nella circolazione arteriosa) può essere intracardiaco, come nelle cardiopatie congenite destro- sinistre cianogene o può manifestarsi per il passaggio attraverso anormali canali vascolari intrapolmonari (p. es., le fistole arterovenose polmonari). Le cause più frequenti sono le malattie polmonari che producono uno squilibrio regionale /, con ventilazione regionale quasi o totalmente assente. La commistione del sangue venoso con desaturazione anormale con il sangue arterioso diminuisce la PaO2 nei pazienti con malattie polmonari e alterazioni degli scambi gassosi intrapolmonari. La saturazione di O2 del sangue venoso misto (Sv¯O2) è direttamente influenzata da ogni squilibrio tra il consumo e il trasporto dell'O2. Pertanto, l'anemia non compensata dall'aumento della gittata cardiaca o una gittata cardiaca non adeguata alle richieste metaboliche possono causare la diminuzione della Sv¯O2 e della PaO2, anche quando la patologia polmonare resta immodificata.

Ipercapnia I principali meccanismi che causano o contribuiscono all'ipercapnia sono un insufficiente stimolo dai centri respiratori, una pompa ventilatoria difettosa, un carico di lavoro così gravoso da affaticare i muscoli respiratori e le malattie polmonari intrinseche con grave alterazione dei rapporti /. Gli ultimi due meccanismi spesso coesistono. Anche se un aumento nella pressione parziale di CO2 inspirata (p. es., in vicinanza di un caminetto in casa o per inalazione volontaria di CO2) può occasionalmente causare ipercapnia, l'ipercapnia quasi sempre indica un'insufficienza o uno scompenso della ventilazione. La PaCO2 è proporzionale alla produzione di CO2 (co2) ed è inversamente proporzionale alla ventilazione alveolare (Va) come previsto dall'equazione standard (dove k è una costante)

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Un aumento della co2 dovuta a febbre, crisi epilettiche, agitazione o ad altri fattori è solitamente compensato da un immediato aumento del a. L'ipercapnia si sviluppa solo se l'aumento della a è sproporzionatamente basso. L'ipoventilazione è la causa più comune di ipercapnia. Oltre all'aumento della PaCO2, è presente acidosi respiratoria in misura dipendente dal grado di tamponamento tissutale e renale. Una riduzione della a può essere dovuta a una riduzione della ventilazione totale (e), spesso chiamata ipoventilazione globale, o a un aumento della ventilazione dello spazio morto (d). (e equivale al volume espirato ad ogni atto respiratorio [volume corrente] moltiplicato per la frequenza respiratoria al minuto.)

Un'overdose di stupefacenti con soppressione dei centri respiratori cerebrali è una causa di ipoventilazione globale. La ventilazione dello spazio morto (Vd), o sprecata, si verifica quando alcune regioni polmonari sono ben ventilate ma insufficientemente perfuse o, al contrario, quando alveoli ben perfusi sono ventilati con gas con un'alta pressione parziale di CO2. Queste regioni eliminano meno CO2 di quella solitamente rimossa. La frazione di ogni volume corrente che non partecipa allo scambio di CO2 (Vd/Vt), chiamata frazione di spazio morto fisiologico, può essere calcolata come segue: Vd/Vt = (PaCO2-PeCO2) /PaCO2 (PeCO2 = concentrazione espiratoria mista di CO2.) Un'equazione alternativa mostra come un aumento dello spazio morto contribuisca all'ipercapnia; Vco2, e e Vt sono assunte come costanti. PaCO2 = k o Vco2/Ve (1-Vd/Vt)

Eziologia L'insufficienza respiratoria (con conseguente ipossiemia e/o ipercapnia) può essere causata dall'ostruzione delle vie aeree, da disfunzioni del parenchima polmonare, ma non delle vie aeree, e dall'insufficienza della pompa ventilatoria. Per realizzare una ventilazione efficace, una pressione pleurica negativa deve essere generata dai muscoli respiratori che agiscono in maniera coordinata su una gabbia toracica sana. La disfunzione della pompa ventilatoria può essere causata da una disfunzione primitiva dei centri respiratori del SNC, da disfunzioni dell'apparato neuromuscolare ventilatorio o da alterazioni scheletriche della gabbia toracica che non permettono una trasmissione efficace della forza dei muscoli respiratori. Le vie aeree e il parenchima polmonare possono essere anatomicamente normali. Per esempio, patologie che alterano la struttura della parete toracica (p. es., torace a ventola, cifoscoliosi) possono causare un inefficiente accoppiamento fra la contrazione muscolare e la generazione della pressione pleurica. L'ipoventilazione si può anche verificare quando i muscoli inspiratori del diaframma e della gabbia toracica si contraggono in modo asincrono (p. es., durante la paralisi diaframmatica, la tetraplegia o un ictus acuto).

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Spesso la ragione principale della disfunzione della pompa è una ridotta potenza muscolare. La resistenza delle fibre muscolari viene determinata dall'equilibrio fra l'apporto nutrizionale e le necessità. Pertanto, i muscoli respiratori deprivati di nutrienti per ipotensione o ipossiemia non hanno un rendimento efficiente e si affaticano. L'iperinflazione acuta compromette gravemente l'efficienza della pompa ventilatoria anche quando la forza muscolare delle singole fibrocellule rimane normale. Non solo le fibre del muscolo inspiratorio producono meno forza perché sono accorciate, ma anche il lavoro che i muscoli devono svolgere aumenta a causa del ritorno elastico alveolare tele-espiratorio residuo e della compliance ridotta del tessuto connettivo polmonare ad alti volumi. Inoltre, la geometria alterata (p. es., il diaframma piatto e la gabbia toracica espansa) limita le modificazioni della pressione pleurica inducibili durante una contrazione forzata. Durante la ventilazione con pressione positiva, l'iperdistensione acuta si associa a una differenza tele-espiratoria positiva fra la pressione alveolare e quella delle vie aeree centrali (auto-PEEP).

Sintomi e segni I sintomi e i segni clinici dell'insufficienza respiratoria sono aspecifici e possono essere minimi anche quando l'ipossiemia, l'ipercapnia e l'acidosi sono gravi. I principali segni fisici di fatica ventilatoria sono l'uso vigoroso dei muscoli ventilatori accessori, la tachipnea, la tachicardia, la diminuzione del volume respiratorio, un respiro irregolare o boccheggiante e il movimento paradosso dell'addome. L'ipossiemia acuta può causare diversi problemi, come le aritmie cardiache e il coma. Una certa alterazione dello stato di coscienza è tipica e la confusione è comune. La riduzione cronica della PaO2 è generalmente ben tollerata dai pazienti con un'adeguata riserva cardiovascolare. Però l'ipossia alveolare (PaO2 < 60 mm Hg) può indurre vasocostrizione arteriolare polmonare e aumento delle resistenze polmonari vascolari, portando, in settimane o mesi, a un quadro di ipertensione polmonare, di ipertrofia ventricolare destra (cuore polmonare) e infine di scompenso ventricolare destro. L'ipercapnia può produrre acidemia. I repentini incrementi della PaCO2 si realizzano molto più rapidamente dell'aumento compensatorio delle basi tampone extracellulari. Brusche diminuzioni del pH cerebrale aumentano lo stimolo alla respirazione; tuttavia, col tempo, aumenta la capacità tampone nel SNC, attenuando infine la diminuzione del pH cerebrale e riducendo così lo stimolo alla respirazione. Gli effetti dell'ipercapnia acuta sono tollerati in modo molto peggiore di quelli dell'ipercapnia cronica. Una brusca ipercapnia causa modificazioni del sensorio che possono andare da lievi disturbi della personalità e cefalea alla confusione marcata e alla narcosi. L'ipercapnia può inoltre causare vasodilatazione cerebrale e aumento della pressione del LCR, un problema di notevole importanza in presenza di traumi acuti alla testa. La ritenzione acuta di CO2 causa acidemia che, quando è grave (pH < 7,3), contribuisce ulteriormente alla vasocostrizione arteriolare polmonare, alla vasodilatazione sistemica, alla riduzione della contrattilità miocardica, all'iperkaliemia, all'ipotensione e all'irritabilità cardiaca, con il rischio di aritmie potenzialmente fatali.

Diagnosi La misurazione dei gas del sangue arterioso (PaO2, PaCO2 e pH) è il principale strumento per la diagnosi e la valutazione della gravità dell'insufficienza respiratoria (v. Cap. 64). In molti casi, essa deve essere ripetuta frequentemente

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per quantificare il deterioramento o il miglioramento. La funzione neuromuscolare viene valutata osservando il quadro respiratorio e misurando la capacità vitale, il volume corrente, la frequenza del respiro e la pressione inspiratoria massima. Il rapporto fra la frequenza del respiro e il volume corrente è di particolare utilità; se è > 100 respiri/ min/l indica una grave debolezza o affaticamento. L'intensità dello stimolo alla respirazione viene valutata in modo più pratico cercando segni di sofferenza nel paziente (frequenza respiratoria > 30/min, uso vigoroso dei muscoli accessori della respirazione, movimenti addominali paradossi) ed esaminando la PaCO2 in relazione alla ventilazione espiratoria al minuto (e) richiesta. Per esempio, se la PaCO2 è alta (> 45 mm Hg) e la e e la frequenza del respiro sono modeste o basse, lo stimolo può essere soppresso oppure il meccanismo è alterato; la presenza di agitazione o sofferenza fanno pensare a quest'ultimo caso. Se la causa dell'insufficienza ventilatoria non è ovvia, alcune misurazioni fatte al letto del paziente aiutano a definire i meccanismi responsabili. Il carico di lavoro respiratorio si riflette nella e, tramite il vigore dell'attività dei muscoli respiratori, e negli indici di lavoro respiratorio come le pressioni di inspirazione medie, di plateau e di picco osservate durante l'insufflazione passiva effettuata dal respiratore. Il calcolo della frazione dello spazio morto (Vd/Vt) e la misura della produzione di CO2 possono aiutare a definire i fattori che contribuiscono alla richiesta ventilatoria. Nell'insufficienza respiratoria acuta, l'impedenza dell'insufflazione toracica è difficile da definire con precisione, tranne che durante la ventilazione meccanica, quando questa è calcolata nel modo migliore attraverso semplici misure di meccanica respiratoria (p. es., le resistenze delle vie aeree e la compliance del sistema respiratorio).

Terapia Gli obiettivi principali sono mantenere un adeguato trasporto dell'O2, ridurre l'eccessivo lavoro respiratorio e stabilizzare l'equilibrio elettrolitico e acido-base, prevenendo allo stesso tempo danni ulteriori da tossicità da O2, da barotrauma, da infezioni o da altre complicanze iatrogene. L'atelettasia, il sovraccarico di liquidi, il broncospasmo, l'aumento delle secrezioni respiratorie e le infezioni impongono specifiche misure terapeutiche, ma il trattamento di altri problemi (p. es., la sindrome da distress respiratorio nell'adulto [Adult Respiratory Distress Syndrome, ARDS], l'affaticamento muscolare respiratorio e le anomalie strutturali dei polmoni e della parete toracica) è in larga misura solo di supporto. O2-terapia: l'aumento della frazione di O2 inspirato (FiO2) aumenta la PaO2 in tutti i casi nel quali un vero shunt non sia responsabile dell'ipossiemia. In circostanze normali, l'obiettivo è di aumentare la saturazione dell'Hb almeno fino all'85-90% senza causare tossicità da O2. Molti pazienti con ipossiemia cronica tollerano una PaO2 < 55 mm Hg; comunque, quale che sia la causa dell'insufficienza respiratoria, una PaO2 tra 60 e 80 mm Hg è generalmente desiderabile per un adeguato trasporto di O2 ai tessuti e per ridurre l'ipertensione polmonare indotta dall'ipossiemia. A causa della forma sigmoide della curva di dissociazione dell'ossiemoglobina, una PaO2 > 80 mm Hg non aumenta significativamente il contenuto ematico di O2. Deve essere prescelta la FiO2 minima che fornisce un'accettabile PaO2. Per pazienti con insufficienza polmonare causata da squilibri / e da una riduzione della diffusione (p. es., nelle malattie polmonari ostruttive), una FiO2 < 40% è di solito sufficiente, con un valore di 25-35% sufficiente nella maggiore parte dei pazienti. La tossicità da O2 è dipendente sia dalla concentrazione che dal tempo. Aumenti prolungati della FiO2 > 60% causano alterazioni infiammatorie, infiltrati alveolari e, infine, una fibrosi polmonare. Una FiO2 > 60% deve essere evitata a meno che non sia necessaria per la sopravvivenza del paziente. Una FiO2 < 60% è ben tollerata per lunghi periodi in assenza di un'evidente tossicità clinica.

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Insufficienza respiratoria

Una FiO2 < 40% può essere somministrata attraverso delle cannule nasali o una maschera facciale. Con le maschere facciali, il flusso richiesto di O2 dipende dalla FiO2 desiderata e dal tipo di maschera. Con le cannule nasali, un flusso di O2 di 2-4 l/min di norma fa salire la PaO2 a livelli terapeutici. Comunque, la FiO2 somministrata al paziente può essere soltanto stimata. Questa valutazione richiede la conoscenza della ventilazione totale al minuto (e) del paziente mentre respira aria ambiente e la durata dell'inspirazione e dell'espirazione. Se la durata di entrambe le fasi della ventilazione è uguale, solo il flusso di O2 al 100% viene erogato al paziente dalla bombola di O2. Pertanto, per una ventilazione al minuto di 10 l/min e un flusso di O2 al 100% di 4 l/min attraverso le cannule nasali, la FiO2 erogata al paziente è calcolata al (2 o 100%) + (8 o 21%)/ 10 l = 37% di O2. Se la ventilazione al minuto aumenta e il flusso di O2 rimane invariato, la FiO2 diminuisce. A causa dell'imprecisione di queste stime (p. es., il mescolamento dell'O2 con l'aria ambiente, la respirazione orale, il variare della frequenza respiratoria), la PaO2 o la saturazione arteriosa in O2 (SaO2), misurata mediante ossimetria non invasiva, deve essere controllata con regolarità. L'eccessiva somministrazione di O2 è una causa frequente di depressione della respirazione nel trattamento della ritenzione della CO2. Nell'ipercapnia cronica, il centro respiratorio può diventare insensibile alle modificazioni della PaCO2 e rispondere principalmente agli stimoli ipossici. Se la PaO2 viene aumentata eccessivamente, lo stimolo ventilatorio ipossico è soppresso e può instaurarsi un'ulteriore ritenzione della CO2 con acidosi respiratoria ingravescente. Tale complicanza è prevenibile con un uso giudizioso dell'O2 ed è rilevata precocemente nel modo più efficace dal monitoraggio emogasanalitico. Se l'aggiunta di O2 durante la ventilazione spontanea porta a una aumento della PaCO2 e all'acidemia, la ventilazione meccanica si rende necessaria (v. oltre). Uso della pressione positiva: la pressione positiva continua nelle vie aeree (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP), la pressione positiva nelle vie aeree su due livelli (Bilevel Positive Airway Pressure, BiPAP), la pressione positiva di fine espirazione (Positive End Expiratory Pressure, PEEP) e tecniche specifiche per aumentare la pressione media alveolare (p. es., la ventilazione a rapporto inverso, v. oltre) spesso riaprono unità alveolari chiuse, riducendo in tal modo lo shunt destro-sinistro e la necessità di O2 supplementare. La CPAP, una tecnica non ventilatoria che utilizza una maschera facciale, recupera volume polmonare e spesso migliora il rapporto PaO2/ FiO2. Essa è più frequentemente utilizzata nei pazienti con scarse esigenze ventilatorie e atelettasie acute o edema polmonare. La BiPAP varia la pressione su due livelli, realizzando sia l'assistenza ventilatoria che maggiori volumi polmonari di fine espirazione. La PEEP a bassi livelli (3-5 cm H2O) può essere di beneficio praticamente per tutti i pazienti con insufficienza respiratoria intubati e ventilati meccanicamente; essa aiuta a compensare il volume perso associato alla posizione supina e all'intubazione translaringea. Il livello ottimale di PEEP da utilizzare è una funzione del volume corrente; maggiori livelli di PEEP sono generalmente richiesti in caso di volumi correnti piccoli (< 7 ml/kg). Può essere necessaria una PEEP > 15 cm H2O per ottenere un'ossigenazione accettabile a una FiO2 ben tollerata. L'effetto di reclutamento del volume della PEEP e la possibilità di migliorare la PaO2 possono essere annullati se una vigorosa contrazione dei muscoli espiratori porta il volume polmonare al di sotto della posizione rilasciata di fine espirazione (di equilibrio). Quando questo modello respiratorio diventa evidente, la sedazione o la paralisi possono essere d'aiuto. Se un infiltrato polmonare è prevalentemente monolaterale, l'applicazione dello stesso livello di PEEP a entrambi i polmoni può essere inefficace, perché dirotta il sangue dal polmone sano verso quello malato. Con la ventilazione polmonare indipendente, il modello di insufflazione polmonare, la FiO2 e la PEEP possono essere calibrate per ciascun polmone. Misure terapeutiche specifiche: alcune procedure possono aiutare a

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Insufficienza respiratoria

compensare le alterazioni dello scambio di O2. L'ottimizzazione della concentrazione in Hb può migliorare la capacità di trasporto dell'O2, ma se l'Htc diventa troppo alto, il trasporto di O2 può essere ostacolato a causa dell'aumentata viscosità del sangue. Benché non vi sia un consenso, l'Hb ottimale per la maggior parte dei pazienti con affezioni acute e ipossiemia grave si stima tra i 10 e i 12 g/dl. La correzione di un'alcalemia acuta migliora le prestazioni dell'Hb. La diminuzione delle richieste tissutali di O2 può essere tanto efficace quanto il miglioramento del trasporto dell'O2. Febbre, agitazione, alimentazione eccessiva, attività respiratoria vigorosa, brividi, sepsi, bruciature, ferite, convulsioni e altre comuni situazioni cliniche aumentano il consumo di O2; tali fattori richiedono l'adozione di misure energiche. La sedazione e la paralisi farmacologica sono molto utili per ridurre il consumo di O2 nei pazienti che rimangono agitati o che contrastano il ventilatore. Tuttavia, la paralisi protratta deve essere evitata perché elimina il meccanismo della tosse, crea un respiro monotono che promuove la ritenzione di secrezioni nelle regioni declivi e può accentuare l'ipotonia e l'atrofia muscolare. Il mantenimento della gittata cardiaca con l'appropriato utilizzo di liquidi e di farmaci inotropi è fondamentale nella terapia dell'ipossiemia. Poiché l'acqua extravascolare si accumula rapidamente in molte condizioni, i liquidi devono essere utilizzati con attenzione. Deve essere mantenuto un attento bilancio perché una forte restrizione dei liquidi, sebbene spesso riduca l'acqua nel polmone e migliori lo scambio di O2, può compromettere la perfusione dell'intestino, dei reni e di altri organi vitali. La gestione dello scompenso circolatorio, sia di origine cardiaca che non, può aiutare a correggere una PaO2 bassa; le misure comprendono le variazioni dei liquidi, i farmaci inotropi e quelli per il controllo pressorio e la diminuzione del consumo di O2. Nei pazienti con edema polmonare, i diuretici e altri presidi possono essere d'aiuto nella mobilizzazione dell'acqua extravascolare del polmone, aumentando così la compliance polmonare, riducendo l'asma cardiaco e diminuendo il carico di lavoro dei muscoli respiratori. Migliorando una condizione di ischemia miocardica, diminuendo il postcarico ventricolare sinistro o utilizzando dei calcioantagonisti, si può ridurre la congestione vascolare e l'ipossiemia in pazienti con disfunzione cardiaca diastolica. I corticosteroidi non devono essere utilizzati di routine per le patologie polmonari parenchimali diffuse, per l'edema polmonare o per la ARDS (v. Cap. 67); l'aumentato catabolismo, il metabolismo proteico e il rischio di infezioni superano di gran lunga i potenziali benefici terapeutici nella prima fase dello scompenso respiratorio. Ciò nonostante, alcuni pazienti (p. es., quelli con vasculiti documentate, con emboli grassi, con polmoniti eosinofile acute o con reazioni allergiche che contribuiscono all'ipossiemia) possono beneficiarne. I corticosteroidi possono essere di maggiore aiuto nella fase fibroproliferativa tardiva della ARDS. Dai corticosteroidi inoltre traggono beneficio i pazienti con asma acuto o con un'esacerbazione della COPD. Le modificazioni della postura possono essere utili. Il cambio dalla posizione supina a quella ortostatica produce un aumento del volume polmonare equivalente a circa 5-12 cm H2O PEEP, a seconda della compliance toracica. Se possibile, i pazienti allettati devono essere girati spesso (specialmente se in coma o paralizzati). Le posizioni in decubito laterale alternato espandono al massimo diverse regioni polmonari e migliorano il drenaggio delle secrezioni. Quando la patologia interessa sproporzionatamente un polmone, l'ossigenazione può migliorare notevolmente ponendo il polmone più sano in posizione declive. Tuttavia, bisogna fare attenzione nell'assicurarsi che le secrezioni non vengano aspirate dal polmone infiltrato nelle vie aeree del polmone declive. Inoltre, alcuni pazienti affetti da ARDS subiscono una desaturazione marcata di O2 quando cambiano posizione (per ragioni non ben spiegate). La posizione prona è spesso molto efficace nelle prime fasi della ARDS. Sebbene i motivi di tale risposta non siano completamente compresi, la ridistribuzione dei volumi polmonari a riposo con espansione delle aree dorsali è verosimilmente il principale effetto benefico.

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Insufficienza respiratoria

Il drenaggio delle secrezioni delle vie aeree superiori e inferiori è essenziale. L'idratazione parenterale può aiutare a mantenere le secrezioni adeguatamente fluide. Occasionalmente vengono impiegati agenti mucolitici (p. es., preparazioni di ioduro di potassio, acetilcisteina), se le secrezioni rimangono vischiose nonostante un'adeguata idratazione e l'umidificazione dell'aria inspirata. Gli antibiotici e i corticosteroidi possono aiutare a ridurre la quantità delle secrezioni in pazienti selezionati. Quando gli sforzi del paziente per tossire risultano inefficaci, le tecniche di fisioterapia respiratoria (drenaggio posturale, percussione del torace) possono essere utili. Le secrezioni trattenute malgrado queste misure devono essere rimosse tramite aspirazione. Le secrezioni nelle basse vie aeree possono essere rimosse con un catetere introdotto al di sotto delle corde vocali attraverso il naso. Se ciò non riesce o se le secrezioni delle basse vie aeree sono troppo abbondanti, si rende di solito necessaria una via aerea artificiale. Per brevi periodi può essere impiegato un tubo endotracheale nasale od orale; se è necessario effettuare l'aspirazione per periodi prolungati, può essere richiesta la tracheostomia (v. Cap. 65). L'umidificazione di tutte le miscele gassose somministrate nella trachea contribuisce ad assicurare alle secrezioni una minore viscosità. Un umidificatore riscaldato idrata il flusso di aria con maggiore efficacia; in alternativa, degli umidificatori igroscopici monouso (nasi artificiali) possono essere posizionati nel canale comune del circuito di ventilazione per recuperare l'umidità espirata e restituirla all'aria inspirata. I broncodilatatori sono indicati quando sono in gioco il broncospasmo e l'edema bronchiale. Si può ridurre la resistenza delle vie aeree e migliorare lo scambio gassoso con agenti adrenergici o anticolinergici somministrati per aerosol e con derivati della teofillina o corticosteroidi EV o PO (v. Asma nel Cap. 68). I nebulizzatori per l'erogazione degli aerosol possono essere collegati a un ventilatore meccanico o alimentati da una sorgente di gas pressurizzato. Gli spray a dose prefissata possono essere utilizzati con o senza il ventilatore. Gli antibiotici vengono somministrati per controllare l'infezione. Precauzioni per minimizzare le complicanze: nei pazienti con un danno polmonare acuto, la pressione positiva nelle vie aeree, l'O2 e i farmaci vasopressori e vasodilatatori sono potenzialmente pericolosi. Quindi, la necessità della PEEP, il livello del supporto ventilatorio e la FiO2 dovono essere rivalutati frequentemente. La pressione intratoracica media spesso può essere ridotta permettendo al paziente di produrre tutta la potenza ventilatoria di cui è capace, p. es., con l'uso di una ventilazione obbligatoria intermittente. Spesso, i pazienti semincoscienti, agitati, confusi o disorientati sottoposti a ventilazione meccanica devono essere contenuti e sedati, poiché una brusca disconnessione e un'accidentale estubazione possono rapidamente portare a bradiaritmie, ipossiemia, asfissia o a inalazione di contenuti gastrici, complicanze potenzialmente letali. Nei pazienti con edema polmonare, l'interruzione della PEEP anche per brevi periodi (durante l'aspirazione o il cambio dei tubi) può causare una desaturazione profonda difficilmente reversibile in quanto il volume polmonare si riduce e le vie aeree vengono inondate dal liquido edematoso. I pazienti paralizzati devono essere attentamente monitorati poiché la loro ventilazione dipende totalmente dalla macchina. Poiché la deglutizione d'aria e l'ileo sono frequenti, lo stomaco deve essere decompresso nei pazienti intubati più di recente. Il medico deve essere pronto a decomprimere immediatamente una bolla polmonare ipertesa o un pneumotorace. Ventilazione meccanica Nella pratica attuale, la ventilazione a pressione positiva (PPV) è l'unica forma di supporto per l'insufficienza respiratoria acuta. I respiratori che applicano una pressione negativa al torace (polmone d'acciaio, respiratori a corazza e a poncho) richiedono un supporto strutturale rigido per il compartimento sotto

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Insufficienza respiratoria

vuoto, che ostacola notevolmente le procedure infermieristiche di terapia intensiva. I criteri per l'intubazione e la ventilazione meccanica comprendono un'acidemia progressiva, l'ipossiemia e l'instabilità circolatoria. Prima di istituire una ventilazione meccanica, il medico deve scegliere la modalità di ventilazione (il tipo e la frequenza dei cicli del respiratore), la FiO2 da somministrare, la sensibilità della macchina agli sforzi del paziente e il livello di PEEP da applicare. I cicli del ventilatore possono essere regolati sia per la pressione che per il flusso ed essere innescati da valori prefissati di volume, flusso, tempo o pressione. I respiratori pressometrici (che ciclano in base a una pressione prefissata) sono macchinari semplici e poco costosi. Tuttavia, poiché il volume corrente somministrato ad ogni ciclo respiratorio dipende dalla durata della fase inspiratoria e dall'impedenza del torace (resistenza, compliance), questi ventilatori non sono affidabili nel fornire un volume corrente o una ventilazione al minuto predeterminati. Il loro uso è limitato ai pazienti non intubati che richiedono l'insufflazione di broncodilatatori o ampi volumi correnti per far regredire l'atelettasia. La ventilazione volumetrica (che cicla in base a un volume predeterminato) è stata per lungo tempo il tipo standard di supporto ventilatorio per tutte le forme di grave insufficienza respiratoria. Tutti i moderni respiratori forniscono sia questa che varie altre modalità, che variano nel tipo di onda e di cicli respiratori, nella percentuale del supporto fornito e nel metodo nel quale il ciclo assistito dall'apparecchio termina. Per molti pazienti con malattie di grado moderato, che sono in grado di tollerare una maschera nasale od orofacciale pressurizzata, la ventilazione può essere applicata senza intubazione orotracheale. Il supporto ventilatorio completo è programmato per fornire tutto il lavoro respiratorio e cerca di fornire un volume corrente sufficiente a una frequenza specificata. Lo standard è rappresentato dai respiratori volumetrici con flusso regolabile. Il medico sceglie il volume corrente desiderato, il tipo di onda del flusso inspiratorio (p. es., costante o decelerante) e la velocità di flusso di picco. Una volta selezionati questi parametri, la pressione massima delle vie aeree varia in relazione all'impedenza di distensione e alla pressione alveolare teleespiratoria. Quando si usa la variante a tempo predeterminato con pressione regolabile (ventilazione controllata dalla pressione), si sceglie anche la pressione e la durata dell'inspirazione e si lascia che il volume corrente vari con l'impedenza di inflazione. Entrambi i tipi di ciclo possono essere forniti a una frequenza fissa (ventilazione controllata) oppure essere innescati dallo sforzo inspiratorio del paziente (ventilazione assistita/controllata). Una frequenza minima di sostegno viene impostata per far partire il ventilatore, se il paziente non respira. Il supporto ventilatorio parziale è indicato quando il paziente può eseguire senza sforzo una parte del lavoro respiratorio, come durante il processo di interruzione della ventilazione (svezzamento). Si può fornire assistenza ad ogni respiro spontaneo con un supporto pressorio, una tecnica regolata dal flusso, che porta rapidamente la pressione nelle vie aeree fino a un livello costante a ogni atto respiratorio. Si possono fornire livelli di assistenza alti o bassi, a seconda della pressione prescelta. Nelle nuove apparecchiature, possono essere impostati la forma dell'onda di pressione e i criteri per terminare il flusso. Il supporto pressorio aiuta a superare la resistenza del tubo endotracheale, che può essere sorprendentemente alta nell'insufficienza respiratoria. Al giusto livello di pressione, il supporto pressorio tende a essere confortevole, in quanto il paziente ha un qualche controllo sul profilo del flusso e sulla durata del ciclo. La ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata usa dei cicli respiratori con volumi predeterminati e regolazione di flusso o con tempi predeterminati e regolazione di pressione, per fornire l'assistenza meccanica a una frequenza scelta dal medico. Il livello di assistenza viene variato regolando non le caratteristiche del ciclo ma il numero dei cicli sostenuti dal ventilatore. Questo tipo di ventilazione spesso si combina con il supporto pressorio per dare il massimo confort al paziente durante lo svezzamento. Altri tipi di ventilazione meccanica sono usati meno frequentemente. La file:///F|/sito/merck/sez06/0660590.html (9 of 10)02/09/2004 2.16.15

Insufficienza respiratoria

ventilazione ad alta frequenza (a getto di gas o con oscillatori) si realizza con quantità piccole di gas ad alta frequenza, permettendo lo scambio dei gas con escursioni del volume corrente molto piccole. La sua utilità è limitata nei pazienti adulti con insufficienza respiratoria, in parte perché la realizzazione di uno scambio di gas adeguato è in gran parte un processo empirico che richiede agli operatori una notevole abilità. La ventilazione a rapporto inverso prolunga la fase inspiratoria per occupare almeno il 50% del ciclo inspiratorio, alzando così la pressione alveolare media e rallentando il flusso tele-inspiratorio. Questo tipo di ventilazione è di solito usato con sedazione e paralisi come terapia di sostegno nei casi di insufficiente ossigenazione. Alcune delle modalità più recenti regolano il grado di supporto ventilatorio parziale in modo da soddisfare i criteri di volume corrente e/o di ventilazione minuto con il minimo della pressione necessaria. La PEEP (v. sopra) può essere aggiunta a quei sistemi che forniscono una ventilazione ad alta frequenza o a rapporto inverso, come pure a tutti i modi tradizionali di ventilazione. Complicanze: ogni ventilatore meccanico può ridurre il ritorno venoso al torace, la gittata cardiaca e la PA sistemica, specialmente se la pressione di lavoro nel polmone è alta. Questi problemi insorgono con più probabilità in presenza di un'alta pressione inspiratoria, di ipovolemia e di tono vasomotore inadeguato a causa di farmaci, neuropatia periferica o debolezza muscolare. Il danno polmonare da barotrauma, indotto dalle alte pressioni del ciclo, si può manifestare con rotture tissutali (p. es., pneumomediastino, pneumotorace, enfisema sottocutaneo, embolia gassosa sistemica), danno del parenchima polmonare (displasia broncopolmonare) o edema polmonare. È probabile che questi danni si verifichino quando le pressioni che distendono gli alveoli sono eccessive (> 35 cm H2O) o quando si usano degli ampi volumi correnti (> 12 ml/ kg) con una PEEP insufficiente a prevenire il collasso delle unità polmonari instabili.

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Lesioni da freddo

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 280. LESIONI DA FREDDO Lesioni dovute al freddo che provocano disturbi funzionali e strutturali di piccoli vasi sanguigni, cellule, nervi e cute. Il rischio di danni da freddo è incrementato da: assunzione di farmaci o di alcol in eccesso, affaticamento grave, fame, disidratazione, ipossia, deterioramento della funzione cardiovascolare, ambienti umidi e contatto con metalli. Sono particolarmente a rischio gli anziani, i soggetti molto giovani e gli alcolisti cronici. Le misure preventive, per quanto ovvie, vengono spesso ignorate. È opportuno indossare diversi strati di indumenti caldi, proteggendosi dall’umidità e dal vento, anche quando le condizioni atmosferiche non appaiano minacciose. Nei climi molto freddi bisogna mantenere guanti e calze il più possibilmente asciutti e indossare scarponi imbottiti, che tuttavia non impediscano la circolazione; l’uso di un copricapo caldo è di particolare importanza, poiché il 30% della termodispersione avviene attraverso il capo. È necessario un consumo abbondante di cibo e bevande per sostenere la produzione metabolica di calore, si possono inoltre prevenire eventuali danni da freddo riscaldando immediatamente le parti corporee che divengono fredde e insensibili. Man mano che il corpo si raffredda, l’ipotermia può essere evitata dai brividi, dall’esercizio fisico volontario o con l’uso di vestiario e bevande calde.

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 206. ARRESTO CARDIO-RESPIRATORIO E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE ARRESTO CARDIACO Contrazione ventricolare assente o inadeguata, che causa immediatamente insufficienza circolatoria sistemica.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni

L’arresto cardiaco è un’emergenza medica che supera tutte le altre, eccetto che un’inarrestabile emorragia esterna o un’ostruzione delle vie aeree, che devono essere affrontate simultaneamente. A meno che non sia risolto prontamente, l’arresto cardiaco è rapidamente fatale. Per il trattamento, v. Rianimazione Cardiopolmonare, più avanti.

Eziologia e fisiopatologia L’arresto cardiaco è causato soprattutto da cause cardiache e, precisamente, da una disfunzione elettrica nell’80% dei pazienti e da un’insufficienza di pompa nel 20%. Cause ulteriori comprendono lo shock circolatorio e le anomalie della ventilazione a cui consegue una grave acidosi respiratoria (arresto cardiorespiratorio). Sebbene sia l’insufficienza cardiaca che quella respiratoria possano costituire l’evento primario, esse sono di solito strettamente correlate. La disfunzione elettrica rappresenta il meccanismo più comune di morte improvvisa cardiaca e la fibrillazione ventricolare rappresentante l’alterazione del ritmo più frequente nell’arresto cardiaco preospedaliero (70% dei pazienti). Nella fibrillazione ventricolare, la perdita di coordinazione nella contrazione ventricolare porta all’immediata perdita di efficienza della gittata cardiaca, con conseguente arresto circolatorio. Nonostante l’IM costituisca spesso la malattia di base che provoca la FV nell’arresto cardiaco, circa il 50% delle vittime non presenta evidenza di IMA all’ECG e alla valutazione degli enzimi cardiaci. La FV può anche seguire al peggioramento di aritmie ventricolari croniche (FV primaria), a uno shock elettrico a basso voltaggio (110-220 volt per 2-3 s), a squilibri elettrolitici (soprattutto K e Ca), a emolisi da annegamento, a un’ipotermia profonda (< 28°C [ 7 mEq/l) o ipermagnesiemia gravi. Il termine di dissociazione elettromeccanica indica la presenza di depolarizzazioni elettriche organizzate, non accompagnate da contrazioni meccaniche. I meccanismi primari sono rottura di cuore, tamponamento cardiaco, ischemia generalizzata, IMA, trombi o tumori intracardiaci ostruttivi e insufficienza cardiaca cronica. Lo shock circolatorio può avere molte cause, fra cui la riduzione del volume ematico circolante effettivo (p. es., ipovolemia da emorragia massiva o importanti perdite di liquidi nel 3o compartimento [ustioni gravi, pancreatite]); la perdita del tono vasale periferico con conseguente riduzione del ritorno venoso (p. es. sepsi, anafilassi, ipotermia profonda, danno del SNC, sovradosaggio di farmaci o anestetici); l’ostacolato riempimento o svuotamento ventricolare (p. es., tamponamento cardiaco, embolia polmonare massiva, pneumotorace iperteso). Tuttavia, l’ipotensione arteriosa diastolica rappresenta il comune denominatore che porta alla compromissione del flusso arterioso coronarico, all’instabilità elettrica del miocardio e all’arresto cardiaco.

Sintomi e segni I principali rilievi clinici nell’arresto cardiaco comprendono perdita di coscienza; respiro rapido e superficiale rapidamente seguito da apnea; ipotensione arteriosa grave con assenza di polso nelle arterie principali; assenza di toni cardiaci. Nel giro di diversi minuti, si sviluppa un’ipossia tissutale che causa danni significativi agli organi vitali.

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Medicina geriatrica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 293. MEDICINA GERIATRICA (Geriatria)

MALATTIE CHE SI PRESENTANO IN MODO INSOLITO NEGLI ANZIANI Sommario: Introduzione IPERTIROIDISMO OCCULTO Sintomi e segni Diagnosi e terapia

I caratteristici segni e sintomi di molte malattie sono frequentemente assenti nei pazienti anziani e sono spesso sostituiti da una o più manifestazioni aspecifiche (p. es., le cadute, l’incontinenza, le vertigini, la confusione mentale acuta, la demenza progressiva, la perdita di peso e lo scadimento delle condizioni generali). Le malattie che più frequentemente sono difficili da diagnosticare nell’età avanzata sono l’intossicazione da farmaci, l’alcolismo, il mixedema, l’infarto del miocardio, l’embolia polmonare, la polmonite, i carcinomi (specialmente del colon, del polmone, della mammella), l’addome acuto e la tireotossicosi. La depressione è il disturbo del tono dell’umore più frequente negli anziani, ma non è più frequente negli anziani rispetto ai più giovani. La depressione è più frequente negli anziani istituzionalizzati. Le psicosi, gli altri disturbi del tono dell’umore, gli stati paranoidi, l’ipocondria e i suicidi (p. es., il rifiuto di mangiare, di bere o di assumere farmaci essenziali) si fanno più frequenti con l’aumentare dell’età; tutti si possono presentare in modo atipico.

IPERTIROIDISMO OCCULTO La presentazione dell’ipertiroidismo mascherato o apatico non è caratterizzata dal corteo di sintomi e segni clinici abituali e facilmente riconoscibili dell’ipertiroidismo (v. Cap. 8). L’ipertiroidismo mascherato è più frequente (6570%) dell’ipertiroidismo apatico (10-15%). Sebbene più del 50% dei pazienti ipertiroidei abbia un’età compresa tra 40 e 60 anni, il 15% ha più di 65 anni. La tireotossicosi non è frequente negli anziani. In Gran Bretagna l’ipertiroidismo occulto si riscontra nell’1-2% dei pazienti ricoverati di età > 65 anni, dei quali il 40% non presenta gozzo e più del 50% non ha segni oculari o tachicardia. Il classico quadro costituito da gozzo diffuso, segni oculari, tremore e soffio tiroideo si riscontra solo nel 20% dei pazienti anziani con tireotossicosi. Una spiegazione dell’assenza dei classici segni negli anziani è che la loro diminuita riserva fisiologica viene velocemente depleta dagli stress ipermetabolici.

Sintomi e segni Ipertiroidismo mascherato: i segni e i sintomi riferibili al coinvolgimento di un solo organo o sistema, più frequentemente il cuore, dominano il quadro clinico. Sono frequenti lo scompenso cardiaco scarsamente sensibile alla digitale, la

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Medicina geriatrica

fibrillazione atriale con bassa frequenza ventricolare, altri tipi di aritmie stabili o parossistiche, la cardiomegalia e le palpitazioni. L’interessamento dell’apparato gastrointestinale si può esprimere con stipsi, perdita di peso con anoressia ed epatomegalia. Le manifestazioni psichiatriche includono la confusione mentale, il rallentamento psicomotorio, la depressione cronica e la demenza "senile" manifesta. L’aumentato turnover del Ca osseo è indicato dall’aumento del Ca sierico, dai dolori ossei, dalla osteoporosi e dalle frequenti fratture. Ipertiroidismo apatico: l’apatia e l’inattività dominano il quadro clinico e sostituiscono la consueta ipercinesia. Possono osservarsi reperti associati cardiaci o di altri sistemi. I pazienti appaiono estremamente invecchiati e rugosi ma, col trattamento, la rugosità migliora rapidamente e l’aspetto si fa più giovanile. Si è detto che tali pazienti assumono "il caratteristico aspetto senile" delle malattie croniche lievi, ma quando essi vengono colpiti da una malattia acuta o da uno stress, "serenamente e pacificamente cadono in coma e muoiono in modo assolutamente rilassato, senza attivazione".

Diagnosi e terapia I dati di laboratorio sono in genere gli stessi per gli anziani e per i giovani adulti, ma i livelli di tiroxina diminuiscono del 10-20% negli anziani eutiroidei. Il trattamento con iodio radioattivo è in genere efficace, ma una percentuale di pazienti fino al 50% necessita della temporanea soppressione farmacologica della funzione tiroidea prima e dopo il trattamento con radioiodio (v. anche Ipertiroidismo al Cap. 8).

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Medicina geriatrica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 293. MEDICINA GERIATRICA (Geriatria)

USO DI FARMACI (V. anche Cap. 304.) Alcuni farmaci espongono gli anziani a rischi particolari a causa delle modificazioni della farmacodinamica e della farmacocinetica correlate all’età (v. Tab. 304-1 e 304-2). Più frequentemente causano problemi i farmaci con proprietà anticolinergiche, con effetti sul SNC e con emivita prolungata. La polifarmacologia richiede una completa valutazione per eliminare i farmaci non necessari e per individuare le interazioni farmacologiche.

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Medicina geriatrica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 293. MEDICINA GERIATRICA (Geriatria)

DIRETTIVE MEDICHE DI AVANZAMENTO Procura durevole per l’assistenza sanitaria e per la volontà di vita. Le direttive mediche di avanzamento sono importanti per le persone di tutte le età, ma sono spesso più importanti per gli anziani. Una malattia catastrofica improvvisa o una patologia lentamente progressiva possono rendere impossibile alle persone anziane comunicare i loro desideri riguardanti l’assistenza (v. anche Cap. 294). Le direttive mediche di avanzamento aiutano a preservare l’autonomia del paziente.

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Assistenza del paziente terminale

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 294. ASSISTENZA DEL PAZIENTE TERMINALE CONTROLLO DEI SINTOMI Sommario: Introduzione DOLORE DISPNEA ANORESSIA NAUSEA E VOMITO STIPSI PIAGHE DA DECUBITO CONFUSIONE

La sofferenza fisica e mentale è frequente nei malati terminali. I pazienti comunemente temono che la loro sofferenza sarà prolungata e che nessuno la controllerà. Il sollievo dal disagio permette al paziente di vivere il più pienamente possibile e di mettere a fuoco gli aspetti unici presentati dall’avvento della morte. Il controllo dei sintomi è migliore se basato sull’eziologia. Per esempio, il vomito dovuto all’ipercalcemia viene trattato differentemente da quello dovuto all’aumento della pressione endocranica. Tuttavia, diagnosticare la causa di un sintomo dipende dal peso e dall’utilità di un test. Talvolta è preferibile un trattamento non specifico o un tentativo di più trattamenti in sequenza. Poiché un sintomo può avere molte cause e può rispondere differentemente alla terapia nel momento in cui le condizioni del paziente si deteriorano, i trattamenti devono essere strettamente monitorati e ripetutamente rivalutati. Deve essere evitato il sovradosaggio o il sottodosaggio dei farmaci, soprattutto quando le disposizioni farmacologiche cambiano a causa della malattia. Quando la sopravvivenza attesa è breve, la gravità dei sintomi detta frequentemente il trattamento iniziale. Talvolta, il timore che un sintomo peggiori può essere più disabilitante del sintomo stesso e la rassicurazione sulla disponibilità del trattamento efficace può rappresentare tutto ciò di cui il paziente ha bisogno. Altre volte, un sintomo è così grave e le alternative diagnostiche sono così aspecifiche, che è indicata l’immediata soppressione del sintomo. Per il paziente moribondo, le misure di conforto, compresi brevi tentativi empirici di trattamento, sono spesso migliori di un programma diagnostico esauriente.

DOLORE Un dolore grave colpisce circa la metà dei pazienti con cancro in fase terminale, la metà dei quali non raggiunge mai un sollievo adeguato. Un dolore grave è anche comune nei pazienti che muoiono per scompenso a carico di un sistema e per demenza. Solitamente il dolore persiste non perché non può essere ben controllato, ma perché i pazienti, le famiglie e i medici hanno idee sbagliate sul dolore e sui farmaci, soprattutto sugli oppiacei, che possono controllarlo.

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I pazienti avvertono il dolore differentemente, in base a certi fattori quali l’affaticamento, l’insonnia, l’ansia, la depressione e la nausea. L’individuazione di questi fattori unitamente a un ambiente di supporto può aiutare a controllare il dolore. La scelta dell’analgesico dipende ampiamente dall’intensità del dolore, che può essere determinata solo dal colloquio e dall’osservazione del paziente. Tutti i dolori possono essere alleviati da un farmaco appropriatamente potente al giusto dosaggio, che può anche provocare sedazione o confusione. Farmaci frequentemente utilizzati sono l’aspirina, l’acetaminofene o i FANS per il dolore lieve; la codeina o l’ossicodone per il dolore moderato e l’idromorfone o la morfina per il dolore grave. Per una trattazione dettagliata sull’uso degli analgesici, v. Cap. 167. Aspetti di particolare significato per i pazienti con malattia terminale sono trattati oltre. Analgesici oppiacei: nelle malattie terminali, la somministrazione orale di oppiacei è la via più comoda e con il miglior rapporto costo-efficacia. La somministrazione rettale determina un assorbimento più lento, ma con un effetto molto piccolo di primo passaggio; le supposte o le pillole di morfina possono essere date per via rettale alla stessa dose di quelle usate per via orale e dosate come necessario. La somministrazione di oppiacei EV o SC viene preferita alle iniezioni IM, che sono dolorose e presentano un assorbimento variabile. L’intervallo tra i dosaggi che solitamente si dimostra efficace per gli analgesici oppiacei è di 3-4 h, a eccezione che per le preparazioni a lunga azione. È opportuno somministrare gli oppiacei a tutte le ore per evitare l’insorgenza del dolore. Quando gli oppiacei sono indicati, il medico deve prescriverli con fiducia, alle giuste dosi e su una base di continuità per prevenire il dolore. La reticenza pubblica e professionale spesso limita tragicamente il loro uso appropriato. La dipendenza farmacologica fa parte dell’uso regolare, ma non provoca alcun problema, a eccezione del bisogno di evitare la mancata somministrazione anche involontaria. La dipendenza psicologica è così rara da essere irrilevante nei pazienti con dolore che utilizzano gli oppiacei prescritti. La morfina è l’oppiaceo più frequentemente utilizzato nelle malattie terminali. I possibili effetti collaterali comprendono la nausea, la sedazione e la confusione. La stipsi deve essere trattata in maniera profilattica (v. oltre). Il paziente sviluppa solitamente una sostanziale tolleranza agli effetti di depressione respiratoria e di sedazione della morfina, ma una tolleranza molto minore agli effetti analgesici e costipanti. Quando la morfina è somministrata per via orale, è preferibile una formulazione a rilascio controllato poiché essa determina livelli costanti di morfina con un dosaggio di due volte al giorno (invece del dosaggio ogni 3-4 h per la morfina a rilascio immediato); tuttavia, essa presenta una lenta insorgenza dell’attività. I pazienti iniziano ad assumere morfina a rilascio controllato a un dosaggio equianalgesico, in base ai tentativi iniziali di controllo del dolore con gli oppiacei a breve azione. Deve essere sempre disponibile la morfina a rilascio immediato per il dolore dirompente. Sono utili due regole per il dosaggio. Prima, se una certa dose deprime gravemente la funzione respiratoria, essa è solitamente molto più di due volte la dose costante tollerata. Seconda, per ristabilire il controllo del dolore quando una dose costante diventa inadeguata, ordinariamente è richiesta una dose 1,5 volte la dose precedente. Quando la via orale non è perseguibile, la morfina può essere somministrata mediante supposte o per via parenterale (o anche sublinguale o nel cavo orale, attraverso compresse o soluzione di 20 mg/ml). In ospedale, la morfina è frequentemente somministrata EV attraverso distributori per l’analgesia controllata dal paziente (Patient-Controlled Analgesia, PCA). Più frequente nella lungodegenza è l’uso di distributori SC di PCA, che evita così le difficoltà di mantenere l’accesso venoso mentre si forniscono livelli costanti di analgesia. Un ago permanente misura 25, inserito SC con annesso catetere, può essere lasciato in sede da 3 a 7 giorni. La morfina a concentrazioni superiori a 50 mg/ml file:///F|/sito/merck/sez21/2942687.html (2 of 7)02/09/2004 2.16.20

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può essere fatta passare attraverso il catetere in maniera intermittente in quantità di 1 ml o rifornita continuamente attraverso un distributore PCA delle dimensioni di un riproduttore portatile di cassette. La velocità di infusione SC continua è generalmente mantenuta da 0,1 a 1 ml/h. Percentuali di diversi millilitri l’ora (ml/h) sono state utilizzate con successo; tuttavia, mantenere l’ago in sede è più difficile. I distributori possono essere mantenuti a casa con l’intervento di un infermiere che cambia la sede SC due volte alla settimana. L’idromorfone è circa cinque volte più potente della morfina e può essere somministrato in una soluzione più concentrata (fino a 100 mg/ml), permettendo dosaggi più opportuni in un paziente che riceve un’infusione SC continua. Il fentanile è l’unico oppiaceo somministrato per via topica attraverso un cerotto che rilascia l’oppiaceo in maniera costante per circa 72 h e poi viene sostituito. Sono necessarie almeno 24 h per raggiungere l’analgesia massimale e la dose non deve essere incrementata per almeno 3 giorni. Ai pazienti devono essere somministrati oppiacei a breve azione mentre si raggiunge lo stadio costante di fentanile. Il fentanile può causare confusione e delirio. Una volta che il cerotto viene rimosso, ci vogliono 18 h perché i livelli sierici si riducano del 50%; pertanto gli effetti collaterali possono continuare per più di un giorno. La meperidina non è raccomandata per la gestione del dolore persistente, poiché è a breve azione, non fornisce livelli costanti di analgesia e produce un metabolita tossico che causa psicosi e ipereccitabilità del SNC a dosi relativamente basse. Similmente, la pentazocina, il butirfanolo e altri farmaci misti agonisti-antagonisti non devono essere utilizzati a causa della loro scarsa potenza, dell’assorbimento variabile per via orale e IM e per la maggiore incidenza di effetti avversi, soprattutto di psicosi. Analgesici adiuvanti: l’uso di farmaci aggiuntivi per il controllo del dolore spesso permette la riduzione del dosaggio dell’oppiaceo. I corticosteroidi sono ampiamente utilizzati nelle malattie in fase terminale per ridurre il dolore dell’infiammazione e degli edemi. Gli antidepressivi triciclici come l’amitriptilina, la nortriptilina e la doxepina aiutano a gestire il dolore. Gli anticonvulsivanti come il valproato, la carbamazepina e, recentemente, la gabapentina si sono dimostrati utili complementi, soprattutto per la gestione del dolore da neuropatie. Le benzodiazepine sono utili per i pazienti il cui dolore viene aggravato dalla loro ansia. Anestetici: per il dolore grave in regioni localizzate del corpo, un anestesista esperto nella terapia del dolore può fornire sollievo con pochi effetti avversi. I cateteri epidurali o intratecali a permanenza possono essere collocati per garantire una infusione continua di analgesici, spesso frammisti ai farmaci anestetici. Una equipe per la gestione del dolore può anche garantire varie tecniche di denervazione. Trattamenti non farmacologici: le tecniche per la modificazione del dolore, come l’immaginazione mentale guidata, l’ipnosi e il rilassamento, sono utili per alcuni pazienti. Consigli per lo stress e l’ansia o il supporto spirituale di un cappellano possono essere utili.

DISPNEA Uno dei sintomi più temuti, e probabilmente il più angosciante per un paziente moribondo, la dispnea presenta diverse cause che possono essere trattate. Per esempio, gli antibiotici per le polmoniti o la toracentesi per un versamento pleurico possono essere appropriati. Tali misure non sono necessarie, tuttavia, per il benessere di un paziente in procinto di morte. Indipendentemente dalla causa della dispnea, il paziente può essere messo a proprio agio senza misure invasive o aggressive. L’ossigeno è inizialmente utile per correggere l’ipossiemia ed è solitamente più confortevole quando ricevuto mediante cannula nasale. Anche quando non sia file:///F|/sito/merck/sez21/2942687.html (3 of 7)02/09/2004 2.16.20

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più di beneficio certo, l’ossigeno può continuare a essere psicologicamente confortante per il paziente e la famiglia. La morfina, da 2 a 10 mg per via sublinguale o da 2 a 4 mg SC ogni 2-4 h a seconda delle circostanze, aiuta a ridurre la tachipnea e l’affanno. Basse dosi di morfina possono attenuare la risposta midollare alla ritenzione di CO2 o alla riduzione di ossigeno, riducendo la dispnea e l’ansia senza produrre una depressione respiratoria significativa. I diuretici sono raramente utilizzati per trattare la congestione nel paziente terminale, dal momento che questi pazienti presentano tipicamente deplezione di volume. Un paziente che sta peggiorando rapidamente e che probabilmente morirà presto non deve ricevere liquidi EV o nutrizione enterale, dal momento che i liquidi peggiorano la congestione e incrementano il disagio (v. oltre). Anche i pazienti che non hanno ricevuto liquidi per settimane spesso sviluppano congestione polmonare quando muoiono. La congestione è meglio trattata con l’uso di agenti essiccanti come il gel di scopolamina topica da 0,25 a 0,5 mg ogni 8-12 h, ioscina 0,125 mg per via sublinguale ogni 8 h o difenidramina da 25 a 100 mg IM ogni 4-6 h in funzione delle circostanze. La soluzione fisiologica nebulizzata può essere utilizzata per trattare i pazienti con secrezioni viscose. Il broncospasmo e l’infiammazione bronchiale possono essere trattati con albuterolo nebulizzato e con corticosteroidi orali o iniettabili. Le benzodiazepine sono spesso utili per alleviare l’ansia associata alla dispnea. Misure non farmacologiche utili comprendono il garantire una corrente d’aria fresca da una finestra aperta o mediante un ventilatore e il mantenimento di una presenza calmante.

ANORESSIA L’anoressia e la perdita di peso marcata sono frequenti nei pazienti terminali. La famiglia spesso ha difficoltà ad accettare lo scarso introito orale del paziente, poiché accettare il rifiuto di mangiare da parte di una persona amata equivale ad accettare la sua morte. Devono essere individuate le condizioni facilmente trattabili che potrebbero essere causa di scarso introito-gastrite, stipsi, candidosi orale, dolore e nausea. Alcuni pazienti beneficiano di agenti stimolanti l’appetito, come i corticosteroidi (desametasone 2 mg o prednisone 10 mg tid) o di megestrol. Tuttavia, se un paziente è prossimo alla morte, la famiglia deve essere informata che né il cibo né l’idratazione sono necessarie per mantenere il benessere del paziente. Non è stato dimostrato che i liquidi EV, la nutrizione parenterale totale e la nutrizione con tubo, prolungano la vita dei pazienti terminali. Tutti sono associati a un aumento del disagio e possono ridurre la sopravvivenza. I pazienti terminali alimentati artificialmente presentano una maggiore incidenza di congestione polmonare e di polmoniti. L’idratazione artificiale può peggiorare l’edema e il dolore associato all’infiammazione. Viceversa, la fame e la disidratazione sono associate agli effetti analgesici e all’assenza di disagio. Il solo disagio riferito associato alla disidratazione prossima alla morte è la xerostomia, che viene facilmente alleviata con tamponi orali o con pezzetti di ghiaccio. Alla famiglia deve essere detto con molto tatto che il paziente sta morendo e che il cibo non può incrementare la sua forza o ritardare la morte. Alle famiglie devono essere date raccomandazioni concrete, come l’uso di cibi preferiti, di piccole porzioni e di cibi facili da deglutire. La famiglia deve anche essere aiutata a utilizzare altre vie per dimostrare la loro cura e il loro amore e deve essere rassicurata sul fatto che il paziente non soffrirà se avrà un introito alimentare modesto o nullo. Anche i pazienti debilitati e cachettici possono vivere per diverse settimane dopo la sospensione di tutti i cibi e dell’idratazione. Le famiglie devono essere avvertite del fatto che l’interruzione dei liquidi non determinerà l’immediato decesso del file:///F|/sito/merck/sez21/2942687.html (4 of 7)02/09/2004 2.16.20

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paziente. L’assistenza di supporto è obbligatoria per il benessere del paziente durante questo periodo. Tale assistenza comprende una buona igiene orale (spazzolare i denti, tamponare la cavità orale, applicare protezioni per le labbra e fornire pezzetti di ghiaccio per la bocca secca). Garantire l’igiene orale può anche dare ai membri della famiglia un ruolo prezioso nell’assistenza del paziente terminale.

NAUSEA E VOMITO Molti pazienti gravemente malati avvertono nausea, frequentemente senza vomito. I fattori che contribuiscono alla nausea comprendono i problemi gastrointestinali come la stipsi e la gastrite; le anomalie metaboliche tipo l’ipercalcemia e l’uremia; gli effetti collaterali dei farmaci; l’aumento della pressione endocranica secondaria a neoplasie cerebrali e lo stress psicosociale. Il trattamento deve essere guidato dall’eziologia probabile, come l’interruzione dei FANS e la somministrazione di antagonisti H2 in un paziente con gastrite. Viceversa, un paziente con metastasi cerebrale nota o sospetta può avere nausea dovuta all’aumento della pressione endocranica ed è meglio trattata mediante un tentativo con corticosteroidi. La metoclopramide, PO o SC, è utile per la nausea causata da distensione e reflusso gastrico, dal momento che essa incrementa il tono e le contrazioni gastriche mentre rilassa lo sfintere pilorico. Se non è identificabile la causa di una nausea lieve, può essere somministrato un trattamento aspecifico con una fenotiazina come la prometazina 25 mg PO qid o la proclorperazina 10 mg PO prima dei pasti (o 25 mg per via rettale bid se incapace di prendere farmaci per via orale). I farmaci anticolinergici come la scopolamina e l’antistaminico meclizina prevengono la nausea ricorrente in molti pazienti. Farmaci di seconda scelta per la nausea non trattabile comprendono l’aloperidolo (iniziato a 1 mg PO o SC ogni 6-8 h, poi dosato a 15 mg/die) e gli antagonisti del recettore della 5-HT3, ondansetron (PO o SC) e granisetron, che, sebbene costosi, spesso garantiscono un notevole sollievo della nausea. La nausea e il dolore da occlusione intestinale maligna sono frequenti nei pazienti con estensione addominale del cancro. Per il trattamento in lungodegenza generalmente si evita l’uso di liquidi EV e di suzione nasogastrica. I sintomi di nausea, dolore e spasmo intestinale possono essere controllati da scopolamina 1-2 mg/die, in dosi frazionate, somministrata per via sublinguale, topica o SC; morfina somministrata SC o per via rettale e qualunque degli altri antiemetici elencati sopra. I corticosteroidi, come il desametasone 4-6 mg EV o IM tid, possono ridurre l’infiammazione ostruttiva nella sede del tumore. I liquidi EV, tuttavia, possono contribuire all’edema ostruttivo. Il dolore e la nausea derivanti dall’occlusione intestinale si risolvono nella maggior parte dei pazienti con un trattamento conservativo.

STIPSI La stipsi è frequente nei pazienti terminali a causa dell’inattività, dei farmaci oppiacei e anticolinergici e del ridotto introito di liquidi e di fibre nella dieta. I lassativi aiutano a prevenire il fecaloma, soprattutto in coloro che ricevono oppiacei e tutti i pazienti devono essere interrogati sulle loro abitudini intestinali. La maggior parte dei pazienti risponde bene alla somministrazione di un emolliente delle feci (docusato) per due volte al giorno, associato a un lassativo stimolante debole come il casantranolo o la senna. I pazienti che avvertono fastidio da crampi con i lassativi stimolanti possono rispondere a maggiori dosi di solo docusato o a un lassativo osmotico come il lattuloso o il sorbitolo (che è molto meno costoso e ugualmente efficace), iniziato a 15-30 ml bid e titolato fino all’effetto.

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Ai pazienti con fecaloma morbido può essere somministrata una supposta di bisacodile o un clistere di soluzione fisiologica. Per il fecaloma duro, prima della frantumazione digitale, può essere somministrato un clistere di olio minerale, possibilmente con una benzodiazepina a breve azione (p. es., lorazepam) o con un analgesico. Dopo la frantumazione, ai pazienti deve essere imposto un regime intestinale vigoroso per evitare la recidiva. I movimenti intestinali regolari sono di vitale importanza per il benessere di un paziente terminale.

PIAGHE DA DECUBITO Molti pazienti terminali sono immobilizzati, scarsamente nutriti e cachettici e pertanto ad alto rischio di sviluppare piaghe da decubito. La prevenzione richiede l’alleggerimento della pressione facendo girare nel letto il paziente ogni 2 h, utilizzando materassi particolari o un letto a sospensione d’aria gonfiato continuamente. Un catetere urinario deve essere utilizzato come ultima risorsa; solitamente, esso è giustificato solo quando il dolore si verifica con i cambi del letto o quando il paziente o la famiglia esprimono una forte preferenza.

CONFUSIONE Le modificazioni mentali che possono accompagnare lo stadio terminale della malattia possono preoccupare sia il paziente che la famiglia, sebbene molti pazienti non siano consapevoli di esse. La confusione è frequente e riconosce diverse cause, che includono farmaci, ipossia, disturbi metabolici e patologie intrinseche del SNC. Se può essere determinata la causa, è indicato il semplice trattamento, purché esso permetta al paziente di comunicare in maniera più significativa con la famiglia e gli amici. Altrimenti, può essere meglio non trattare un paziente tranquillo e poco consapevole delle circostanze. Quando possibile, il medico deve conoscere le preferenze del paziente e della famiglia per condurre il trattamento. Devono essere prese in considerazione le cause semplici di confusione e agitazione. L’agitazione e l’irrequietezza spesso derivano da una ritenzione urinaria che si risolve prontamente con un cateterismo urinario. La confusione nel paziente debilitato è resa peggiore dalla perdita del sonno. I pazienti agitati possono beneficiare delle benzodiazepine; tuttavia, le benzodiazepine possono anche causare confusione. Lo scarso controllo del dolore può essere la causa dell’insonnia o dell’agitazione. Se il paziente sta ricevendo un’analgesia appropriata, può essere d’aiuto la sedazione notturna. Gli antiistaminici sedativi come la difenidramina 25-50 mg possono essere utilizzati al momento di coricarsi, sebbene negli anziani questi possano determinare effetti collaterali anticolinergici non desiderati. Gli antidepressivi triciclici sono anche efficaci. L’amitriptilina 25 mg al momento di coricarsi è utilizzata frequentemente; la doxepina 10-30 mg al momento di coricarsi ha minore attività anticolinergica rispetto all’amitriptilina e pertanto è più sicura negli anziani. Basse dosi di aloperidolo (0,25-1 mg) possono aiutare un paziente con allucinazioni inquietanti o paranoidi. Per il paziente che può deglutire, la tioridazina 25-50 mg è più sedativa e provoca meno facilmente effetti collaterali extrapiramidali rispetto all’aloperidolo. La terapia aspecifica della confusione comprende frequenti strette di mano e richiami alla memoria, da parte della famiglia e dei visitatori del paziente, riguardo il luogo nel quale si trova il paziente e riguardo ciò che sta accadendo. I pazienti con grave agitazione terminale resistente alle altre misure possono aver bisogno di barbiturici; la famiglia del paziente deve essere coinvolta nella decisione dell’uso di questi farmaci. Il pentobarbital, un barbiturico ad azione rapida e a breve durata di azione, può essere somministrato a 100-200 mg IM ogni 4 h secondo necessità. Il fenobarbital, che ha durata di azione più prolungata, può essere somministrato PO, SC o per via rettale. Il midazolam, una benzodiazepina a breve durata d’azione, è anche spesso efficace.

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 294. ASSISTENZA DEL PAZIENTE TERMINALE INTERVENTI PSICOLOGICI Sommario: DEPRESSIONE STRESS AFFLIZIONE

DEPRESSIONE La maggior parte dei pazienti terminali presenta alcuni sintomi depressivi. Un paziente può avere molti rimpianti sulla propria vita, mentre un altro può essere preoccupato per problemi legali, sociali o finanziari. L’approccio migliore e più semplice è garantire un supporto psicologico e permettere al paziente di esprimere le preoccupazioni e i sentimenti. Aiutare il paziente e la famiglia a sistemare ogni problema non risolto può ridurre l’ansia. Un assistente sociale esperto, un medico, un infermiere o un cappellano possono aiutare a far superare i conflitti che allontanano il paziente dai membri della famiglia. Gli antidepressivi devono essere provati nei pazienti che hanno una depressione persistente, clinicamente significativa. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina sono utili nei pazienti che presumibilmente vivranno oltre le 4 sett. necessarie per l’insorgenza dell’effetto antidepressivo. I pazienti depressi con ansia e insonnia possono beneficiare di un antidepressivo triciclico sedativo somministrato al momento di coricarsi. Per i pazienti che interrompono o che presentano segni vegetativi, il metilfenidato può essere iniziato a 2,5 mg e aumentato a 5-10 mg al giorno in due dosi (somministrato a colazione e a pranzo) quando necessario; esso ha un effetto rapido, ma può scatenare l’agitazione.

STRESS L’avvicinarsi della morte è molto angosciante quando essa è inaspettata o quando i conflitti interpersonali impediscono al paziente e alla famiglia di condividere insieme i loro ultimi momenti. Tali conflitti possono portare a un eccessivo incolparsi o a un’incapacità di rattristarsi tra i sopravvissuti e possono angosciare il paziente. Costui può avere un’immagine alterata del corpo e una perdita di autostima, timori di abbandono e di separazione, ansie e sentimenti di disperazione. Un membro della famiglia che sta assistendo un paziente terminale a casa può anche presentare stress fisico e psichico. Solitamente, lo stress nei pazienti e nelle famiglie è meglio trattato con la compassione, le informazioni, i consigli e anche con una breve psicoterapia. I sedativi devono essere utilizzati limitatamente e brevemente. Quando un coniuge muore, il sopravvissuto può essere oppresso dal prendere decisioni sui problemi legali o finanziari o dal gestire la famiglia. In una coppia di anziani, la morte di un coniuge può svelare una compromissione cognitiva nel sopravvissuto che il coniuge deceduto aveva compensato. Lo stress è maggiore se gli amici o gli altri membri della famiglia non forniscono alcun supporto. I medici devono identificare tali situazioni ad alto rischio in modo tale che essi file:///F|/sito/merck/sez21/2942691.html (1 of 2)02/09/2004 2.16.21

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possano mobilitare le risorse necessarie per prevenire sofferenze e disfunzioni eccessive. L’assistenza efficace per il morente solitamente coinvolge una equipe, poiché nessun assistente può garantire una disponibilità per 24 h e diverse discipline possono garantire le abilità e le prospettive necessarie. Le equipe di assistenza palliativa o di lungodegenza anticipano i potenziali problemi e allestiscono preparativi appropriati, come procurarsi sussidi od oppiacei per un’emergenza. Con la morte incombente, una persona esperta può dare conforto alla famiglia e può prevenire una chiamata impropria al sistema medico di emergenza. I pazienti terminali spesso hanno bisogni spirituali che devono essere identificati, riconosciuti e indirizzati. Non tutti sono a proprio agio nel trovarsi a contatto con un paziente terminale, ma alcuni trovano ciò molto gratificante. Gli infermieri che lavorano in un reparto di lungodegenza non sembrano avvertire lo stesso grado di esasperazione di quelli che lavorano in reparti come l’oncologia o l’ICU. Tuttavia, i membri dello staff possono diventare così coinvolti con il paziente o la famiglia da rattristarsi con loro. Questo coinvolgimento stressante può essere mitigato da un ambiente di lavoro addestrato o da un gruppo di supporto allo staff che si incontra regolarmente per condividere le risposte da dare ai pazienti terminali e alle loro famiglie. I medici e il personale che lavorano in ambienti meno di supporto possono aver bisogno di costituire gruppi di supporto simili e di trovare fonti di informazione.

AFFLIZIONE L’afflizione è un normale processo che solitamente inizia prima di una morte anticipata. Per il paziente, essa spesso inizia con il rifiuto provocato dai timori della perdita di controllo, della separazione, della sofferenza, del futuro incerto e della perdita di sé. Lo staff può aiutare i pazienti ad accettare la loro prognosi ascoltando le loro preoccupazioni, aiutandoli a capire che essi possono mantenere il controllo, spiegando come peggiorerà la malattia e come sopraggiungerà la morte e assicurandoli sul fatto che i loro sintomi fisici saranno controllati. La famiglia può anche aver bisogno di supporto nell’esprimere il cordoglio. Ciascun membro dell’equipe di assistenza sanitaria che sia venuto a conoscenza del paziente e della famiglia può aiutare loro attraverso questo processo e indirizzarli ai servizi professionali se necessario. I medici e le altre figure professionali devono sviluppare procedure regolari che assicurino il prosieguo ai familiari sofferenti.

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 294. ASSISTENZA DEL PAZIENTE TERMINALE PROBLEMI SOCIALI Sommario: PROBLEMI FINANZIARI PROBLEMI LEGALI ED ETICI

PROBLEMI FINANZIARI La copertura finanziaria dell’assistenza dei pazienti terminali è problematica. I regolamenti dell’assistenza medica escludono l’assistenza supportativa a eccezione che nel settore della lungodegenza. Tuttavia, non tutti i pazienti rientrano nei parametri della lungodegenza e i medici sono spesso riluttanti nel certificare i 6 mesi di prognosi richiesti per la copertura. Anche un’esigenza certificata di un livello di assistenza da parte di infermieri professionali non può consentire il ricovero in una RSA per un breve termine, ad alti costi, di un malato terminale. I medici devono conoscere le opzioni di finanziamento e gli effetti finanziari delle scelte.

PROBLEMI LEGALI ED ETICI La maggior parte delle terapie mediche è finalizzata ad alleviare il dolore o le altre sofferenze. Tale trattamento deve essere interpretato come una buona assistenza medica piuttosto che come omicidio o suicidio assistito. La vita trascorsa dovrebbe essere stata così breve e così angosciata che pochi dovrebbero porre domande sull’appropriatezza di tale terapia. Tuttavia, talvolta è difficile affrontare l’argomento sul cosa rappresenti una morte illecita. Il diritto penale non discrimina tra crimine intenzionale e non intenzionale, sebbene la motivazione frequentemente influenzi la pena. Pertanto, un paziente la cui dispnea sia alleviata solo da dosi di oppiacei che possono anche affrettare il decesso potrebbe ragionevolmente essere considerato la vittima di una morte illecita. Tuttavia, tali situazioni non sono praticamente mai portate in causa per diverse ragioni: ●







la maggior parte delle persone, compresi pubblici ministeri, giudici e giurati, considera la motivazione nelle loro valutazioni e solitamente non trova nessun danno volontario, ma solo la compassione verso una situazione che non avrebbe potuto avere nessun esito migliore. Gli strumenti di morte sono quelli ordinariamente utilizzati nel trattamento (analgesici, sedativi e anestetici), non quelli associati ai crimini (veleni, armi da fuoco e coltelli). Gli strumenti di morte non sono altrettanto connessi con la morte come lo sono quelli dei casi chiaramente criminosi. La terapia del dolore per lo più accelera la morte raramente e in maniera ambigua e anche il trattamento della dispnea probabilmente accelera la

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morte solo in casi estremi. Agevolare il suicidio rimane un atto criminoso nella maggior parte degli stati, ma le leggi variano sostanzialmente e raramente vengono invocate. Fornire direttamente a un paziente terminale i farmaci letali e le istruzioni per utilizzarli potrebbe essere base di reato nella maggior parte degli stati, ma è specificatamente autorizzata nell’Oregon. Le accuse di omicidio piuttosto che di aiuto al suicidio sono più frequenti se gli interessi del paziente non sono attentamente difesi, se il paziente perde la capacità o risulta, dal punto di vista funzionale, gravemente compromesso proprio prima della morte, se le documentazioni sono rade e se la base elettorale del pubblico ministero prevede di dimostrarle. I medici impegnati nella gestione di sintomi gravi, che non ritengono opportuno utilizzare una terapia che prolunghi la vita, devono documentare la decisione in maniera accurata, garantire al paziente l’assistenza in strutture adeguate ed essere disposti a spiegare le motivazioni della propria decisione con onestà e tatto ai pazienti, al personale e a chiunque sia interessato. I medici devono evitare qualsiasi trattamento che sia convenzionalmente considerato uno strumento di omicidio (p. es., un’iniezione letale), anche se essi possono affermare che il trattamento era inteso ad alleviare la sofferenza.

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 294. ASSISTENZA DEL PAZIENTE TERMINALE GESTIONE DELLA MORTE Sommario: Introduzione CONSIDERAZIONI FINALI DOPO LA MORTE

Quando si prevede il decesso, le famiglie devono essere preparate ad essa e le figure professionali di assistenza sanitaria devono cercare di assicurare che i problemi conseguenti saranno affrontati.

CONSIDERAZIONI FINALI La famiglia deve essere ampiamente informata sulle modificazioni che il corpo del paziente può subire direttamente prima e dopo il decesso. Essi non devono essere sorpresi dalla respirazione irregolare, dalle estremità fredde, dalla confusione, da un colorito purpureo della cute o dalla sonnolenza nelle ultime ore. Alcuni pazienti prossimi alla morte possono sviluppare una rumorosità da congestione bronchiale o da rilassamento del palato, comunemente nota come "rantoli di morte". Se questo disturba la famiglia, la scopolamina o la difenidramina (v. sopra) possono ridurre le secrezioni del paziente e quindi ridurre il rumore. Inoltre, i pazienti possono sviluppare irritabilità del SNC, con agitazione e irrequietezza, che possono essere alleviate dai sedativi. Se il paziente intende morire a casa, la famiglia deve essere informata su chi chiamare (p. es., il medico o l’infermiere dell’ospizio) e chi non chiamare (p. es., un servizio di ambulanza). La famiglia deve anche essere informata sul conseguimento della consulenza legale e sui servizi di sepoltura o di cremazione. Gli ultimi momenti di vita possono avere un effetto durevole sulla famiglia, sugli amici e su chiunque offra assistenza al paziente. Il paziente deve stare in una zona pacifica, quieta e fisicamente confortevole. Tutte le macchie o i tubi sul letto devono essere coperti e gli odori devono essere mascherati. La famiglia deve essere incoraggiata a mantenere il contatto fisico con il paziente, come tenergli le mani. Se desiderato dal paziente e dalla famiglia, deve essere incoraggiata la presenza di amici e di preti. Deve essere concesso un accomodamento per i riti spirituali, culturali, etnici o personali del trapasso desiderati dal paziente e dalla famiglia.

DOPO LA MORTE Un medico, un infermiere o un’altra persona autorizzata devono eseguire la constatazione ufficiale di morte il più rapidamente possibile per ridurre l’ansia e l’incertezza della famiglia. Le famiglie o chi conduce i servizi funebri dovrebbero essere forniti di un certificato di morte appropriatamente completato il più file:///F|/sito/merck/sez21/2942693b.html (1 of 2)02/09/2004 2.16.22

Assistenza del paziente terminale

rapidamente possibile. I medici, gli infermieri e gli altri operatori di assistenza sanitaria devono occuparsi dei bisogni psicologici della famiglia e fornire consigli appropriati, un ambiente confortevole dove i membri della famiglia possano rattristarsi insieme e un periodo adeguato perché essi stiano con il corpo. Gli amici, i vicini e i preti possono essere disponibili per sostenere la famiglia. Gli operatori di assistenza sanitaria devono essere consapevoli delle differenze culturali di comportamento al momento della morte. Il sistema di assistenza sanitaria deve assicurare il fatto che la morte non è derivata da un peccato. Anche quando la morte è stata prevista, i medici possono avere la responsabilità di riferire il decesso alle autorità o alla polizia. Una discussione sull’autopsia può verificarsi sia prima che subito dopo il decesso. Le famiglie possono avere forti sentimenti, sia a favore che contro di essa. La discussione sull’autopsia non deve essere lasciata a un medico assistente o a un funzionario che non abbia avuto un precedente contatto con la famiglia. Le discussioni sulla donazione degli organi, se appropriate, devono essere intraprese prima del decesso o immediatamente dopo il decesso. Il corpo non deve rappresentare un rischio per la salute pubblica, il che significa che se ne devono occupare prontamente le persone autorizzate a fare ciò. Spesso, i comportamenti da adottare in caso di morte consistono anche nel garantire la presenza di qualcuno (p. es., un infermiere o un volontario), nel momento in cui la famiglia visita la salma per la prima volta, che offra aiuto nel reperire un sacerdote o un servizio di pompe funebri e che rassicuri i congiunti del defunto circa il conforto prestato al paziente negli ultimi momenti di vita. Questa persona cercherà di far capire alla famiglia e a chi ha prestato assistenza al paziente che non avrebbero potuto fare nulla di più per lui e programmerà degli incontri successivi nell’arco di alcune settimane con il parente più direttamente colpito dalla morte del paziente, per rispondere a eventuali domande e per assicurarsi che si stia verificando un corretto processo di accettazione della morte del congiunto. Le pratiche religiose possono influenzare il modo con cui il corpo è curato e devono generalmente essere discusse con il paziente o la famiglia o entrambi prima della morte.

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Processo decisionale nella pratica clinica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA I medici devono selezionare e interpretare un’ampia varietà di dati clinici facendo così in modo di ridurre l’incertezza, i rischi per i pazienti e i costi. L’essenza della pratica clinica è il prendere decisioni (p. es., quali informazioni raccogliere, quali test prescrivere, come interpretare e integrare queste informazioni in ipotesi diagnostiche, quali trattamenti somministrare).

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Processo decisionale nella pratica clinica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA REGOLE DI COMPORTAMENTO CLINICO Tradizionalmente, le decisioni cliniche hanno seguito le regole logiche del processo "causa-effetto" (p. es., se un paziente ha febbre e neutropenia, allora si somministrano antibiotici a largo spettro). Tali regole sono state recentemente rese più esplicite e sono presentate come linee guida o algoritmi. Tali linee guida hanno guadagnato una popolarità crescente. Tuttavia, le linee guida dovrebbero essere applicate solo ai pazienti che rientrano nel contesto clinico specifico descritto esplicitamente dall’algoritmo. Spesso, le linee guida sono abbreviate e non possono rappresentare adeguatamente le variazioni tra i pazienti con caratteri demografici e comorbilità differenti. Le linee guida possono aiutare nella gestione di molti problemi clinici, ma il medico deve sempre fare uso dell’appropriato discernimento clinico ed essere in grado di interpretare le eventuali incoerenze che possono presentarsi nel corso del processo decisionale. Per integrare l’incertezza e il valore dei risultati nello sviluppo delle decisioni cliniche e per seguire la logica sottesa alle regole decisionali, i medici devono comprendere i concetti base della probabilità. La formalizzazione del processo decisionale costringe i medici a confrontare gli assunti e le incertezze che sono alla base delle decisioni. Sebbene i medici prendano decisioni complesse e siano in grado di valutare in modo informale il rischio e i benefici delle varie opzioni nelle situazioni semplici o comuni, talvolta la quantità di informazioni che essi devono prendere in cosiderazione eccede le loro capacità cognitive. I calcoli matematici aiutano lo sviluppo delle decisioni cliniche e, anche quando non sono disponibili numeri esatti, definiscono meglio le probabilità cliniche e le loro relazioni logiche.

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Processo decisionale nella pratica clinica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA RAGIONARE CON LE PROBABILITÀ I medici spesso stilano mentalmente una lista delle possibili cause sottostanti per meglio comprendere i sintomi o i segni di un paziente. Alcune cause sono più o meno probabili di altre; i medici spesso utilizzano termini vaghi come "altamente probabile", "improbabile" e "non si può escludere" per descrivere l’eventuale presenza di una malattia. L’uso di questi termini è però influenzato dal significato soggettivo che ogni singolo medico attribuisce a essi e i pazienti spesso interpretano erroneamente questi termini non ben definiti. Questa terminologia imprecisa può essere resa chiara dall’utilizzo di quantità esplicite chiamate probabilità. La probabilità che si verifichi una malattia (o un evento) in un paziente di cui non si conoscono le informazioni cliniche è pari alla frequenza con cui la malattia o l’evento si verifica nella popolazione. Le probabilità variano da 0,0 (impossibile) a 1,0 (certa) e sono spesso espresse in proporzione a 100 pazienti (cioè, in percentuali che variano dallo 0 al 100%). Quando sono considerati solo due stati (p. es., malattia e assenza di malattia), le probabilità possono talvolta essere meglio comprese considerando il rapporto tra pazienti affetti e non affetti (cioè, l’odds della malattia nei confronti dell’assenza di malattia). Pertanto, una probabilità di 0,2 (20%) corrisponde a un odds di 0,2/0,8 (20%/80%) o 0,25 (talvolta espresso come 1 su 4). L’odds (Ω) e le probabilità (p) possono essere calcolate come Ω = p/ (1-p) o p = Ω/(1 + Ω). Approssimare le probabilità molto piccole allo zero, valore che esclude qualunque possibilità di malattia (come talvolta si fa nel ragionamento clinico implicito), può portare a conclusioni errate quando si fa uso del ragionamento quantitativo.

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Processo decisionale nella pratica clinica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA TEST DI LABORATORIO I medici utilizzano i test di laboratorio come ausilio per compiere delle scelte. I risultati dei test possono aiutare a dissipare l’incertezza, a interpretare i segni e i sintomi di un paziente e a identificare i pazienti che probabilmente hanno una malattia occulta (p. es., carcinoma del colon o della mammella). Tuttavia, i risultati dei test possono incrementare l’incertezza se i test offrono uno scarso grado di discriminazione tra i pazienti con e senza malattia, se i risultati sono in disaccordo o impropriamente integrati nel contesto clinico. I test di laboratorio sono imperfetti e possono identificare erroneamente le persone sane come affette da una malattia (risultato falsamente positivo) o possono erroneamente identificare alcune persone affette come sane (risultato falsamente negativo). Oltre al rischio di fornire informazioni fuorvianti, i test di laboratorio depauperano le già limitate risorse, possono ritardare l’inizio del trattamento, indurre a intraprendere un trattamento non necessario o a sospenderne uno necessario ed esporre il paziente al rischio di un evento sfavorevole legato al test stesso. Sebbene un test possa fornire informazioni su una varietà di malattie, esso è spesso utilizzato per stabilire la presenza o l’assenza di una malattia. Similmente, molti test forniscono un risultato quantitativo (p. es., glicemia 120 mg/dl) o diversi risultati (p. es., ECG da sforzo con sottoslivellamento ST < 1, da 1 a 2, > 2 mm) che sono definiti positivi solo quando essi soddisfano o superano alcuni criteri stabiliti o punti di soglia. Quando i test di laboratorio sono utilizzati per stabilire se la malattia è presente o assente e il risultato del test può essere solo positivo o negativo, si possono definire la sensibilità e la specificità del test. La sensibilità è la probabilità di un risultato positivo al test in pazienti con la malattia; essa valuta la capacità del test di individuare la malattia. Essa è complementare alla percentuale di falsi negativi (cioè, la percentuale di falsi negativi più la sensibilità = 100%). La specificità è la probabilità di un risultato negativo al test in pazienti senza malattia; essa valuta la capacità del test di escludere la malattia. Essa è complementare alla percentuale di falsi positivi. La probabilità condizionata è la probabilità che una malattia (o un evento) sia condizionata dalla presenza di un altro evento, risultato di un test o condizione. La sensibilità e la specificità sono tipi particolari di probabilità condizionata, in questo caso condizionata dalla presenza o dall’assenza della malattia come definito da qualche standard di riferimento (spesso sulla base di criteri istologici, microbiologici o radiografici che definiscono la presenza o l’assenza della malattia). Il medico deve saper discriminare la probabilità di malattia del paziente prima di conoscere i risultati di uno specifico test diagnostico (probabilità di malattia pretest o a priori) e dopo che essi siano stati ottenuti (probabilità di malattia posttest, a posteriori o rivista). La misura in cui il risultato del test modifica la valutazione della probabilità di malattia dipende dalla sensibilità e dalla specificità del test. Quando il gold standard consiste nella sola diagnosi clinica, talvolta sorgono problemi di ragionamento circolare. Se il gold standard utilizzato per stabilire una diagnosi corretta viene ridefinito, la sensibilità e la specificità di un test possono modificarsi, poiché cambia la definizione dei pazienti con e senza malattia.

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Processo decisionale nella pratica clinica

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Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA REVISIONE DELLE PROBABILITÀ CON IL TEOREMA DI BAYES Sommario: Introduzione LA FORMULAZIONE ODDS-VEROSIMIGLIANZA DEFINIZIONE DEL RISULTATO POSITIVO POSSIBILITÀ DIAGNOSTICHE MULTIPLE

Quando interpreta il risultato di un test, il medico converte una probabilità pre-test o a priori di malattia nella corrispondente probabilità post-test o a posteriori. Un medico deve utilizzare il suo miglior giudizio, derivato da tutti i dati clinici disponibili, per stabilire valori ragionevoli di tali probabilità. Per illustrare questo processo in un contesto clinico, consideriamo una donna di 25 anni che presenta disuria. Presumiamo che il medico pensi che la probabilità di una IVU sia moderatamente bassa (30%) sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo della paziente. Prima di inviare l’urina della paziente all’esame microscopico del sedimento e alla coltura, il medico esegue un test con stick per l’esterasi leucocitaria, che presenta un risultato positivo. Per determinare la probabilità a posteriori di una IVU, il medico deve conoscere la sensibilità e la specificità del test, in questo caso 71% e 85%, rispettivamente. La Fig. 295-1 considera 100000 donne simili alla paziente, delle quali il 30% (30000) presenta IVU e il 70% (70000) non presenta tale condizione. I risultati del test saranno positivi in 21300 (71%, la sensibilità del test) delle donne con IVU e in 10500 (15%, la percentuale di falsi positivi del test) delle donne senza una IVU. Delle 31800 donne della coorte originale con risultato positivo al test (veri e falsi positivi), 21300 (67%) hanno effettivamente una IVU. Pertanto, la probabilità a posteriori o rivista di IVU dopo un risultato positivo al test dell’esterasi leucocitaria è del 67%, il che rende la diagnosi più probabile che non probabile. Se il risultato al test fosse negativo, delle 68200 donne con risultato negativo al test (veri e falsi negativi), 8700 (13%) avrebbero effettivamente una IVU. Pertanto, la probabilità a posteriori o rivista di IVU dopo un risultato negativo al test dell’esterasi leucocitaria è del 13%, il che rende la diagnosi meno probabile ma ancora possibile. Questi calcoli possono essere inseriti in una semplice tabella (v. Tab. 295-1). Per illustrare come questa tabella possa essere utilizzata per rivedere le probabilità, consideriamo una seconda donna con disuria e minzione frequente, ma senza perdite o irritazione vaginale; si presuma un’alta probabilità a priori di IVU, del 77%. La metà superiore della Tab. 295-1 interpreta un risultato positivo al test dell’esterasi leucocitaria in questa donna; la metà inferiore interpreta un risultato negativo al test. Sebbene la sensibilità e la specificità del test non siano modificate (cioè, 71% e 85%, rispettivamente), un risultato positivo al test fa aumentare la probabilità di IVU al 94%, quasi fino alla certezza e un risultato negativo al test la riduce al 54%, ancora più probabile che non probabile. Il processo che utilizza la probabilità pre-test di malattia e le caratteristiche del test per calcolare la probabilità post-test viene definito teorema di Bayes o revisione bayesiana. Il teorema di Bayes può essere espresso come un’equazione, ma un diagramma di flusso (v. Fig. 295-1) o una tabella (v. Tab. 295-1) sono più facili da usare e meno passibili di errori. Quando devono essere interpretati numerosi test, il teorema di Bayes può essere file:///F|/sito/merck/sez21/2952696.html (1 of 4)02/09/2004 2.16.26

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applicato sequenzialmente utilizzando la probabilità a posteriori di un test come probabilità a priori del test successivo. La probabilità condizionata utilizzata per interpretare i risultati del test successivo deve essere basata sul gold standard per la diagnosi e sui risultati osservati al test precedente. Quando non sono disponibili tali dati, i risultati dei vari test spesso si ammettono come condizionatamente indipendenti (cioè, la verosimiglianza del risultato di un dato test dipende dalla sola diagnosi con il gold standard piuttosto che dal gold standard e dai risultati dell’altro test) e le caratteristiche di validità del secondo test possono essere condizionate solo dal gold standard per la diagnosi.

LA FORMULAZIONE ODDS-VEROSIMIGLIANZA Questi esempi presumono che sia presente un semplice scenario di presenza o assenza di malattie e di positività o negatività del risultato di un test. Se la probabilità a priori di malattia viene espressa come suo odds (Ω), il rapporto di verosimiglianza (RV) dei risultati osservati del test può essere definito come il rapporto tra la probabilità di ottenere quel risultato nei pazienti con la malattia e la sua probabilità in quelli senza la malattia. In altre parole, il rapporto di verosimiglianza per un risultato positivo è uguale alla percentuale di veri positivi diviso la percentuale di falsi positivi. Allo stesso modo, il rapporto di verosimiglianza per un risultato negativo è uguale alla percentuale di falsi negativi diviso la percentuale di veri negativi. La formulazione oddsverosimiglianza del teorema di Bayes afferma che gli odds a posteriori di malattia sono il prodotto dell’odds pre-test o a priori e del corrispondente rapporto di verosimiglianza. Questa formulazione del teorema di Bayes fornisce alcuni interessanti principi intuitivi. Un rapporto di verosimiglianza > 1,0 incrementa la probabilità post-test di malattia; più grande è il rapporto di verosimiglianza, maggiore è la quantità di informazioni che fornisce il risultato positivo a un test. Un rapporto di verosimiglianza < 1,0 diminuisce la probabilità post-test di malattia; più piccolo è il rapporto di verosimiglianza, maggiore è la quantità di informazioni che fornisce il risultato negativo al test. I risultati di un test con rapporto di verosimiglianza di 1,0 non forniscono alcuna informazione e non influiscono sulla probabilità posttest di malattia. Quindi, i rapporti di verosimiglianza sono utili per comparare i test. Utilizzando i rapporti di verosimiglianza si può semplificare l’interpretazione dei risultati di test sequenziali. L’odds pre-test o a priori può essere moltiplicato per il prodotto dei rapporti di verosimiglianza che corrispondono ad ogni risultato osservato (cioè Ω ⋅ RVtest1 RVtest2 RVtest3...); la conversione degli odds post⋅



test o a posteriori in probabilità tra un passaggio e l’altro non è necessaria.

DEFINIZIONE DEL RISULTATO POSITIVO Perché possa essere utilizzato il teorema di Bayes (o anche i termini sensibilità e specificità), ogni possibile risultato di un test diagnostico deve essere classificato come positivo o negativo. Quando un test non è di per sé di tipo binario, il laboratorio (o chiunque descriva la validità del test) stabilisce un criterio di positività tale che tutti i risultati che oltrepassano tale criterio siano definiti come positivi e viceversa. Due distribuzioni sovrapponibili di risultati sono intersecate da una linea di demarcazione o di soglia (v. Fig. 295-2). L’area al di sotto della distribuzione dei risultati per i pazienti con malattia, che si trova al di sopra (a destra) della demarcazione, corrisponde alla percentuale di veri positivi al test (cioè, alla sua sensibilità); l’area che si trova al di sotto (a sinistra) della demarcazione corrisponde alla percentuale di falsi negativi. Per quanto riguarda la distribuzione dei risultati per i pazienti senza malattia, queste due aree corrispondono rispettivamente alla percentuale di falsi positivi e alla percentuale di veri negativi (cioè alla sua specificità). Per due distribuzioni sovrapponibili (p. es., pazienti con e senza malattia), lo spostamento della linea di demarcazione o di soglia influenza la sensibilità e la specificità, ma in direzioni

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Processo decisionale nella pratica clinica

opposte. La sensibilità e la specificità non possono essere entrambe migliorate dalla modificazione della linea di soglia, ma piuttosto solo dal cambiamento delle distribuzioni in maniera tale che ci sia una minore sovrapposizione (cioè, migliorando la discriminazione del test stesso). La scelta della soglia di positività del test dipende da come deve essere utilizzato il test. La classificazione di un risultato quantitativo o graduato semplicemente in risultato positivo o negativo esclude implicitamente le informazioni su quanto il risultato osservato sia positivo o negativo. Per esempio, per livelli dell’isomero MB di creatina chinasi di 10 ng/ml e di 30 ng/ml, entrambi i livelli sono considerati positivi se la soglia è posta a 8 ng/ml. Tuttavia, il livello di 30 ng/ml ha un rapporto di verosimiglianza più elevato e pertanto fornisce più informazioni.

POSSIBILITÀ DIAGNOSTICHE MULTIPLE Il teorema di Bayes aiuta a interpretare informazioni cliniche in situazioni nelle quali esistono più di due possibilità diagnostiche (cioè, malattia presente e assente). Il ragionamento esplicito diventa sempre più importante quando il compito diagnostico diventa più complesso. I soli requisiti per l’interpretazione bayesiana consistono nel fatto che siano considerate tutte le possibilità diagnostiche e che siano loro assegnate le corrispondenti probabilità a priori, e che siano tutte mutuamente esclusive (cioè, solo una delle possibilità elencate può essere presente). Le combinazioni possono essere elencate esplicitamente. Per esempio, in una donna con disuria che può avere una IVU, una vaginite o entrambe, le possibilità diagnostiche mutuamente esclusive sono "IVU", "vaginite", "IVU e vaginite" e "nessuna delle due". Il diagramma di flusso o la forma tabulare del teorema di Bayes possono facilmente fornire più di due possibilità diagnostiche. Per il diagramma di flusso, la prima serie di diagnosi mutuamente esclusive può essere estesa a tre o più diramazioni. La serie successiva può essere estesa per includere ogni possibile risultato e il numero di pazienti in ogni categoria diagnostica con ogni possibile risultato al test. Per l’approccio tabulare, viene aggiunta una nuova riga per ogni diagnosi mutuamente esclusiva addizionale considerata e una colonna per ogni possibile risultato al test. Per esempio, i livelli di troponina I cardiaca possono essere d’aiuto nella valutazione di un uomo di 59 anni con un’anamnesi positiva per diabete e ipertensione che si presenta in pronto soccorso con un dolore toracico di nuova insorgenza verificatosi circa 5 ore prima. L’ECG non mostra alcun sopraslivellamento del tratto ST od onde Q, sebbene le onde T siano invertite anteriormente. Le possibilità diagnostiche includono un infarto miocardico non-Q, un’angina instabile e una patologia non cardiaca. Il livello sierico di troponina I cardiaca può essere utile nella diagnosi differenziale. Livelli sierici di troponina I cardiaca molto elevati si osservano più spesso in pazienti con infarto del miocardio; livelli intermedi, in pazienti con angina instabile; e livelli molto bassi, in pazienti con patologie di origine non cardiaca. L’analisi matematica è utile nella quantificazione delle probabilità. Si presuma che le probabilità condizionate siano quelle mostrate nella Tab. 295-2. Per ogni diagnosi (riga), la somma delle probabilità condizionate è del 100% poiché sono elencati tutti i risultati possibili. Dopo una valutazione clinica (anamnesi, esame obiettivo, ECG), si presuma che la probabilità sia del 25% per l’infarto miocardico non-Q, del 70% per l’angina instabile e del 5% per patologie di origine non cardiaca. Ora si considerino tre differenti livelli di troponina I cardiaca: < 0,4 ng/ml nel primo caso, 1,0 ng/ml nel secondo caso e 3,0 ng/ml nel terzo caso. La Tab. 295-3 mostra come viene utilizzato il teorema di Bayes per interpretare questi risultati. Un basso livello di troponina I cardiaca riduce la probabilità di un infarto miocardico non-Q, incrementa lievemente la probabilità di un’angina instabile e incrementa in maniera consistente la possibilità di una patologia di origine non cardiaca. Un livello intermedio riduce in maniera modesta la probabilità di infarto miocardico e incrementa la probabilità di angina instabile, mentre la probabilità di una patologia non cardiaca diminuisce bruscamente. Un livello elevato di troponina I

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cardiaca fa aumentare la probabilità di infarto miocardico e praticamente esclude una patologia non cardiaca.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 295-1. INTERPRETAZIONE DI UN RISULTATO AL TEST DELL’ESTERASI LEUCOCITARIA IN UNA DONNA CON UN'ALTA PROBABILITÀ A PRIORI (77%) DI UNA IVU D B*

E

C*

A

Prodotto Probabilità a priori (%)

Diagnosi

Probabilità condizionale del risultato (%)

(B x C)

Probabilità a posteriori (%)

Risultato positivo IVU

77

71

5467

94

Assenza di IVU

22

15

330

6

Totale=

5797

Risultato negativo IVU

77

29

2233

54

Assenza di IVU

22

85

1870

46

Totale=

4103

*I dati immessi nelle colonne B e C possono essere in qualunque scala conveniente (p.es., probabilità, percentuali, casi per 1000) e la scala per ciascuna colonna può essere differente. Il prodotto row-wise diviso il totale della colonnaD

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 295-2. LIVELLI DI TROPONINA I CARDIACA NELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA ACUTA Probabilità cTnI 2,5ng/ml (%)

Diagnosi

Totale (%)

IM non-Q

25

40

35

100

Angina instabile

40

55

5

100

Patologia non cardiaca

96

3,9

0,1

100

cTnl= livello di troponina l cardiaca

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 295-3. INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI DELLA TROPONINA I CARDIACA UTILIZZANDO IL TEOREMA DI BAYES A

B

C

D

Diagnosi

Probabilità a priori(%)

Probabilità condizionaledel risultato (%)

E

Prodotto Probabilità (B x C) a posteriori (%)

cTnI 50%) dovrebbero essere trattati. La soglia terapeutica divide la sfera delle probabilità in due regioni strategiche. Per esempio, in un paziente con coronaropatia e segni ECG di un pregresso infarto del miocardio, che sviluppa sintomi compatibili con la diagnosi di un nuovo infarto del miocardio, quanto alta deve essere la probabilità clinica di infarto acuto del miocardio perché venga somministrata una terapia trombolitica, assumendo che la scelta sia basata sulla mortalità a breve termine? Per un infarto miocardico anteriore, si presume che la mortalità senza terapia trombolitica sia del 12%, ma solo del 9% se essa viene somministrata entro 4 h dall’esordio dei sintomi (cioè, B è 3% [12%-9%]). Inoltre si presuma che la frequenza di emorragia intracranica con una terapia trombolitica sia dell’1% (R) e che tutti i pazienti che vanno incontro a un’emorragia intracranica muoiano. Allora, il rapporto beneficio/rischio è 3/1 e la soglia di trattamento è 1/(3 + 1), ossia il trattamento dovrebbe essere somministrato se la probabilità di infarto acuto del miocardio è maggiore del 25%.

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Processo decisionale nella pratica clinica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA DETERMINARE UNA SOGLIA PER L’ESECUZIONE Un test di laboratorio dovrebbe generalmente essere eseguito solo se i suoi risultati influenzeranno la gestione della malattia. Un risultato positivo al test implica la decisione di trattare e un risultato negativo la decisione di non trattare. Queste due soglie di probabilità definiscono potenzialmente tre aree strategiche (v. Fig. 295-4). Se la probabilità di malattia è più bassa della soglia del test, allora il test di laboratorio e il trattamento dovrebbero generalmente essere evitati; se la probabilità di malattia è più alta della soglia di trattamento, il test di laboratorio non dovrebbe essere eseguito e il trattamento dovrebbe essere empirico. Solo se la probabilità di malattia è interposta tra le due soglie del test, dovrebbe essere eseguito il test di laboratorio. Queste soglie dipendono dai benefici e dai rischi del trattamento, dalla sensibilità e specificità del test e dall’eventuale rischio del test. Per un test con nessun effetto collaterale, che può essere solo positivo o negativo, la soglia del test è uguale a: [(1-specificità) ⋅ R]/{[(1-specificità) ⋅ R] + [sensibilità ⋅ B]} e la soglia di trattamento del test è uguale a: (specificità ⋅ R)/{(specificità ⋅ R) + [(1-sensibilità) ⋅ B]} Per esempio, a un paziente con un pregresso infarto del miocardio, ma senza un precedente ecocardiogramma di confronto deve essere eseguito un rapido ecocardiogramma prima di somministrare una terapia trombolitica? Si presuma che la sensibilità e la specificità dell’ecocardiogramma nella diagnosi di un nuovo infarto del miocardio siano 60% e 70%, rispettivamente e che il beneficio e il rischio della terapia trombolitica siano 3% e 1%, rispettivamente. In questo caso, la soglia del test è uguale a (30% ⋅ 1%)/[(30% ⋅ 1%) + (60% ⋅ 3%)], o 14%, e la soglia di trattamento del test è uguale a (70% ⋅ 1%)/[(70% ⋅ 1%) + (40% ⋅ 3%)], o 37% (confrontato con la soglia di trattamento calcolata del 25%-1/[B/R + 1], se non viene considerato alcun test). Un ecocardiogramma d’urgenza sarebbe appropriato solo se la probabilità di un infarto acuto del miocardio fosse tra il 14% e il 37%. Nei casi in cui il test di laboratorio di per sé comporti dei rischi, il numeratore dell’equazione per la soglia del test viene incrementato dal rischio del test e il numeratore dell’equazione per la soglia di trattamento viene ridotto dal rischio del test; entrambi sono misurati sulla stessa scala di utilità per esprimere il beneficio e il rischio di trattamento. Pertanto, l’effetto della riduzione della sensibilità e della specificità di un test o dell’aumento del suo rischio è di restringere il range di probabilità di malattia per cui il test risulta la migliore strategia. Migliorando la capacità di un test di discriminare o facendo diminuire il suo rischio aumenteremo il range di probabilità per cui il test risulta essere la migliore strategia.

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Processo decisionale nella pratica clinica

Manuale Merck 21. ARGOMENTI SPECIALI 295. PROCESSO DECISIONALE NELLA PRATICA CLINICA ANALISI ECONOMICHE Viste le limitate risorse collettive e individuali e le restrizioni delle assicurazioni sulla salute, le considerazioni sui costi sono diventate più rilevanti nel processo decisionale clinico. Le risorse limitate non dovrebbero essere sperperate. Per esempio, quando viene utilizzato un test di screening per identificare pazienti con una malattia che insorge con una bassa prevalenza (p. es., un carcinoma ovarico), i costi (e forse i rischi) per ricercare risultati positivi che risultano essere falsi positivi, possono sopravanzare i costi della valutazione e del trattamento dei pazienti che effettivamente hanno la malattia. Da un punto di vista sociale, devono essere anche considerati i costi, così come le ore di lavoro perse (per i pazienti e le loro famiglie) e le spese di tasca propria (p. es., trasporti, qualche volta vitto e alloggio per i familiari). Infine, possono anche essere importanti i costi del trattamento di altre malattie (iatrogene e insorte naturalmente) che possono svilupparsi in pazienti che guariscono dalla malattia che viene trattata. Per esempio, un uomo giovane curato per linfoma potrebbe sviluppare, dopo alcuni anni, una leucemia o una coronaropatia. Solitamente vengono eseguiti tre tipi di analisi economica. L’identificazione dei costi rappresenta tipicamente un tentativo per comprendere i costi di una o più strategie di cura. Gli elementi inclusi nell’analisi sono spesso determinati dalla prospettiva dell’analisi. Differenti prospettive possono fornire differenti conclusioni basate sui costi che vengono inclusi (p. es., ospedalizzazione, reparti di terapia sub-acuta e assistenza domiciliare, assicurazioni o quota pro capite, effetto sulla società). L’obiettivo dell’identificazione dei costi può talvolta essere quello di minimizzare il costo di una cura da un particolare punto di vista. Le analisi costo-beneficio esaminano i costi e i benefici sulla salute del trattamento su una scala di tipo economico, spesso convertendo i benefici sulla salute in un equivalente in denaro suscettibile di rimborso. Tali analisi spesso determinano se una data strategia salvaguarda i costi o richiede un netto dispendio di risorse. Negli ultimi due casi, queste analisi non indicano se le spese sono opportune. L’importanza del guadagno o della perdita spesso dipende dal numero delle persone considerate e da quanto tempo sono state incluse nell’analisi e dalle ipotesi sul valore economico del miglioramento della salute. L’analisi costo-efficacia considera separatamente i costi clinici e i risultati sulla salute; entrambi possono essere fortemente influenzati dalla prospettiva e dalla durata dell’analisi e dalle ipotesi di base fatte sull’analisi. Il confronto tra i costi e i risultati sulla salute di due strategie di gestione esita in uno tra nove possibili accoppiamenti (v. Tab. 295-4). Quando i risultati di salute sono equivalenti (colonna centrale), la scelta dovrebbe essere basata sul costo; quando i costi sono equivalenti (riga centrale), la scelta dovrebbe essere basata sui risultati. Quando una strategia ha risultati migliori e costi più bassi (in alto a destra e in basso a sinistra), la scelta è chiara. La decisione è difficoltosa solo quando la strategia che è più costosa comporta anche i migliori risultati (in alto a sinistra e in basso a destra). Un numero significativo di decisioni cliniche ricadono nell’ultima situazione: l’utilizzazione di più risorse spesso determina il raggiungimento di risultati migliori. Se le risorse fossero illimitate, la scelta sarebbe semplice, ma risorse limitate richiedono il calcolo del rapporto marginale costo-efficacia (cioè, il costo di una strategia diviso per i risultati di salute che essa raggiunge, v. Tab. 295-5). Il rapporto marginale è più utile quando una scelta deve essere fatta tra diverse strategie di gestione. file:///F|/sito/merck/sez21/2952703.html (1 of 2)02/09/2004 2.16.30

Processo decisionale nella pratica clinica

La misura di valutazione è un rapporto (tra denaro addizionale e salute addizionale); più basso è il rapporto, maggiore è il guadagno in salute per un dato dispendio di risorse. Un rapporto aumenta più rapidamente quando il proprio denominatore si avvicina allo zero (cioè, quando le due strategie forniscono risultati sulla salute abbastanza simili). La più comune misura di efficacia per le analisi di strategia è l’anno di vita corretto per la qualità di vita, assumendo come unità il corrispondente rapporto marginale costo-efficacia "denaro addizionale speso per anno di vita guadagnato, corretto per la qualità di vita." Un rapporto marginale costo-efficacia può essere calcolato (v. Tab. 295-5) dapprima ordinando le strategie per aumento dei costi (colonna B), associando ognuna con l’efficacia (colonna C), calcolando il costo marginale (colonna D) e l’efficacia marginale (colonna E) e, infine, calcolando il rapporto marginale (colonna F). Per esempio, si consideri la prima strategia, terapia convenzionale versus trombolisi con attivatore del plasminogeno tissutale (tissue Plasminogen Activator, tPA) in pazienti con un infarto acuto anteriore del miocardio. La trombolisi fa aumentare l’aspettativa di vita ma con un costo addizionale di 5000 dollari sulla base del costo del farmaco, del monitoraggio richiesto e della maggiore probabilità di cateterizzazione e rivascolarizzazione nei pazienti che ricevono la terapia trombolitica. La seconda strategia, con il tPA, fa aumentare la sopravvivenza al costo di 3571 dollari per anno di vita guadagnato corretto per la qualità di vita. La terza strategia considera la trombolisi con streptochinasi, che è meno costosa e meno efficace del tPA. L’effetto di aggiungere la terza strategia intermedia è notevole: il rapporto marginale costo-efficacia della streptochinasi è più basso (1538 dollari per anno di vita guadagnato corretto per la qualità di vita), ma l’esistenza di una strategia a più basso costo con parziale efficacia fa aumentare il rapporto marginale costo-efficacia del tPA da 3571 a 30000 dollari per anno di vita guadagnato corretto per la qualità di vita.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 295-4. CONFRONTO PER COSTO-EFFICACIA TRA LE STRATEGIE DI TRATTAMENTO A E B Health Outcome Costo

A>B

A=B

AB

Calcolare il rapporto costoefficacia marginale*

B meno costosa: scegliere B

B prevale su A: scegliere B

A=B

A migliore risultato: scegliere A

Non c'è differenza

B migliore risultato: scegliere B

A 50 anni, più frequentemente nella dermatomiosite. Non esiste un tipo o una sede caratteristica dei tumori.

Esami di laboratorio Gli esami di laboratorio sono utili, ma non specifici. La VES è spesso elevata. Gli Ac antinucleari o le cellule LE sono presenti in alcuni casi, soprattutto in quelli con segni di altre malattie del tessuto connettivo. Circa il 60% dei pazienti ha Ac contro un Ag nucleare timico (PM-1) o Ag di timo intero o estratti nucleari di timo (Jo-1). La relazione tra questi Ac e la patogenesi della malattia non è tuttora chiara, sebbene l'anticorpo anti-Jo-1 sia un significativo marker per l'associazione con alveolite fibrosante e fibrosi polmonare. Gli enzimi muscolari, specialmente le transaminasi, CK e l'aldolasi, mostrano livelli sierici abitualmente notevolmente elevati. Controlli periodici del CK sono utili per seguire il trattamento: infatti i tassi ematici elevati si riducono con una terapia efficace. In ogni caso, questi enzimi possono rimanere occasionalmente nella norma, a prescindere dalla malattia in fase attiva, nei pazienti affetti da miosite cronica e da atrofia muscolare globale.

Diagnosi I seguenti criteri sono utili per la diagnosi: (1) debolezza dei muscoli prossimali; (2) eruzione cutanea caratteristica; (3) elevati tassi sierici degli enzimi muscolari; (4) istologia muscolare alterata (l'indagine dirimente); e (5) una caratteristica triade di anormalità elettromiografiche: fibrillazioni spontanee e potenziali a riposo positivi con aumento della eccitabilità inserzionale; potenziali brevi polifasici durante la contrazione volontaria; scariche ad alta frequenza, bizzarre e ripetitive durante la stimolazione meccanica. L'elettromiografia è abitualmente eseguita unilateralmente, cosicché i muscoli che mostrano anomalie elettriche, generalmente il deltoide e il quadricipite femorale, possano essere biopticati, ma all'arto opposto per evitare di toccare siti in precedenza irritati dagli aghi dell'elettromiografia. Anche nella tipica polimiosite o dermatomiosite è richiesta, per la diagnosi finale, una biopsia muscolare, per consentire comunque di escludere la miosite da corpi inclusi , anche se rara, o la rabdomiolisi postvirale. Con l'assoluta certezza di una diagnosi tissutale, il medico può convincere i file:///F|/sito/merck/sez05/0500472.html (3 of 5)02/09/2004 2.20.10

Malattie del tessuto connettivo

pazienti riluttanti ad assumere corticosteroidi, a effettuare invece una terapia immunosoppressiva. Una nuova biopsia è talora necessaria per distinguere una recidiva di polimiosite dalla miopatia da steroidi. La RMN talora aiuta a identificare zone di edema muscolare e di infiammazione che con maggiore probabilità risultano positive all'esame, particolarmente nei bambini. La possibilità di una patologia neoplastica maligna deve essere presa in considerazione in tutti gli adulti con dermatomiosite; le prove raccolte nel corso di esami di routine dovrebbero essere oggetto di follow-up senza effettuare studi alla cieca di tipo invasivo.

Prognosi Le remissioni sono relativamente soddisfacenti e lunghe (anche con guarigione apparente), specialmente nei bambini. Il decesso negli adulti è dovuto alla grave e progressiva astenia muscolare, alla disfagia, alla malnutrizione, alla polmonite ab ingestis o all'insufficienza respiratoria con infezioni polmonari intercorrenti. La polimiosite è più grave e resistente al trattamento nei pazienti con evidenti segni di interessamento cardiaco o polmonare. Il decesso nei bambini è generalmente dovuto a una vasculite intestinale. La prognosi dei pazienti che presentano associata una neoplasia maligna è correlata alla prognosi della neoplasia stessa.

Terapia L'attività fisica deve essere ridotta fino a quando l'infiammazione non sia stata eliminata. I corticosteroidi sono i farmaci di prima scelta, nel trattamento iniziale. Nella fase acuta viene somministrato il prednisone per via orale alla dose di 4060 mg/die. Ripetute determinazioni sieriche del CK sono la migliore guida all'efficacia della terapia nelle fasi iniziali. Il ritorno alla norma di questi enzimi è evidente nella maggior parte dei pazienti, in 6-12 sett. ed è seguito da aumento della forza muscolare. Quando i tassi enzimatici sono tornati nella norma, la dose del prednisone viene gradualmente ridotta; se i livelli ematici degli enzimi muscolari si alzano, la dose viene aumentata. Nell'adulto, la terapia di mantenimento con prednisone (10-15 mg/ die) è talora necessaria indefinitamente. Si cerca sempre di interrompere la somministrazione del farmaco ma raramente vi si riesce. Comunque, alcuni pazienti sembrano guarire dopo completa risposta terapeutica durata alcuni anni; la terapia può allora essere gradualmente sospesa con stretto monitoraggio. I bambini richiedono elevate dosi iniziali di prednisone (30-60 mg/m2/die). Nei bambini, può essere possibile interrompere il prednisone dopo un anno, con apparente remissione. In alcuni pazienti sottoposti a terapia cronica con alte dosi di corticosteroidi, può verificarsi, sebbene occasionalmente, un aumento dell'astenia muscolare dovuta alla sovrapposizione di una miopatia da corticosteroidi; quando ciò accade, è necessario sospendere o diminuire il corticosteroide e sostituirlo con un altro farmaco (p. es., un farmaco immunosoppressivo). La miosite associata a tumori non resecabili chirurgicamente, a presenza di metastasi o a miosite da corpi inclusi, risponde meno, di norma, alla terapia steroidea. I farmaci immunosoppressori (il metotrexato, la ciclofosfamide, il clorambucil, l'azatioprina e la ciclosporina) sono stati utilizzati con beneficio nei casi che non rispondono ai soli corticosteroidi a dosi convenzionali. Alcuni pazienti sono stati trattati solo con metotrexato (generalmente a dosi maggiori che nell'AR) per 5 anni e oltre, per controllare questa malattia. È in corso di valutazione l'efficacia delle immunoglobuline EV; i primi dati sono positivi in pazienti che non rispondono ai comuni trattamenti farmacologici, ma il costo proibitivo di questa terapia ha impedito l'effettuazione di trial comparativi. Nei casi di miosite associata a neoplasia, si può spesso ottenere una remissione asportando il tumore.

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Malattie del tessuto connettivo

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO POLIMIALGIA REUMATICA Gravi rigidità e dolore a carico dei muscoli prossimali, non accompagnata da astenia e atrofia ma associata a un notevole aumento della VES e a sintomatologia sistemica aspecifica.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La prevalenza, l'eziologia e la patogenesi della polimialgia reumatica (PMR) sono sconosciute. Il alcuni pazienti, la malattia rappresenta la manifestazione di una sottostante arterite temporale; la maggior parte dei pazienti non ha un rischio significativo di sviluppare le complicanze dell'arterite temporale, ma andrebbe messa in guardia riguardo a questa possibilità e dovrebbe riferire immediatamente il sopraggiungere di qualsiasi sintomo come cefalea, disturbi visivi e dolore muscolare nel corso della masticazione (v. oltre, Arterite temporale) La PMR abitualmente compare in pazienti di età > 60 anni e il rapporto femmine/maschi è 2:1.

Sintomi, segni e diagnosi L'insorgenza può essere acuta o subacuta. La PMR è caratterizzata da grave dolore e rigidità del collo e del cingolo scapolare e pelvico; rigidità mattutina; rigidità dopo inattività (fenomeno del "gelling"); disturbi sistemici, come malessere, febbre, depressione e perdita di peso (PMR cachettica, che può mimare un tumore). Non vi è una debolezza muscolare selettiva all'elettromiografia (EMG) o evidenza di patologia muscolare alla biopsia. Può essere presente anemia normocromica-normocitica. Nella maggior parte dei pazienti la VES è notevolmente elevata, spesso > 100 mm/h, abitualmente > 50 mm/h (Westergren). I livelli di proteina C-reattiva sono di solito elevati (> 0,7 mg/dl) ed essa può essere un marker di attività di malattia più sensibile della VES in certi pazienti. La PMR si distingue dall'AR per l'abituale assenza di sinovite delle piccole articolazioni (sebbene possa essere presente un rigonfiamento delle articolazioni), di patologia erosiva o distruttiva, di fattore reumatoide o di noduli reumatoidi. Si differenzia dalla polimiosite per la presenza di solito di normali livelli sierici degli enzimi muscolari e per EMG ed esame istologico nella norma e per la predominanza del dolore sulla debolezza. L'ipotiroidismo si può presentare sotto forma di mialgia, con test di funzionalità tiroidea alterati e CPK elevate. La PMR si distingue dal mieloma per l'assenza di gammopatia monoclonale e dalla fibromialgia per le caratteristiche sistemiche e la VES elevata.

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Terapia La PMR di solito risponde sensibilmente a una dose iniziale di prednisone 15 mg/ die. Qualora si sospetti un'arterite temporale, la terapia andrà iniziata immediatamente a una dose di 60 mg/die per prevenire la cecità (v. oltre, Arterite temporale). Quando la sintomatologia scompare, i corticosteroidi vengono scalati fino alla minima dose efficace, indipendentemente dalla VES. Alcuni pazienti sono capaci di interrompere la terapia steroidea in 2 anni, mentre altri hanno bisogno di piccole dosi per diversi anni. Raramente i pazienti rispondono adeguatamente ai salicilati e ad altri FANS.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO VASCULITE Infiammazione dei vasi sanguigni, spesso segmentale, che può essere generalizzata o localizzata e costituisce il processo patogenetico di base delle lesioni di varie malattie e sindromi reumatiche.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica Classificazione

Anatomia patologica La vasculite riconosce numerosi meccanismi eziologici, ma la gamma delle alterazioni istologiche è limitata. Nelle lesioni acute la componente cellulare infiammatoria è costituita prevalentemente da PMN e nelle lesioni croniche da quella linfocitaria. L'infiammazione è spesso segmentale con foci sparsi di intensa flogosi e con il resto dell'albero vascolare normale. Si possono notare gradi variabili di infiltrazione cellulare, di necrosi e di fibrosi cicatriziale in uno o più strati della parete vasale dei siti affetti. L'infiammazione della tunica media di un'arteria muscolare tende a distruggere la lamina elastica interna. L'infiammazione di qualsiasi punto della parete vascolare si risolve con la fibrosi e l'ipertrofia dell'intima. Talvolta è possibile osservare aspetti istologici caratteristici, quali p. es., numerose cellule giganti, zone non uniformi di necrosi fibrinoide, in cui sezioni complete della parete vascolare sono andate incontro a distruzione e a liquefazione. L'occlusione secondaria del lume, dovuta all'ipertrofia dell'intima e/o alla formazione di un trombo è frequente. Inoltre, una volta lesa l'integrità della parete vascolare, la fibrina e i GR possono infiltrare il tessuto connettivo circostante. Può essere interessato un vaso di qualsiasi tipo e grandezza: arterie, arteriole, vene, venule e capillari. Comunque, la maggior parte dei processi fisiopatologici può essere ascritta all'infiammazione arteriosa, che è in grado di condurre all'occlusione parziale o totale dei vasi e alla necrosi tissutale conseguente. Poiché la vasculite è spesso segmentale o focale, la biopsia di un tessuto clinicamente sospetto potrebbe non dare una diagnosi istologica definitiva. Tuttavia, la reazione fibrosa periavventiziale e dell'intima a un focolaio di intensa infiammazione della parete vasale, frequentemente si estende al di sopra e al di sotto del segmento stesso, sicché il dato istologico di una fibrosi e di un'iperplasia dell'intima o di una perivasculite, può suggerire la presenza di una zona adiacente di vasculite.

Classificazione Le numerose malattie vasculitiche sono utilmente classificate in base alla file:///F|/sito/merck/sez05/0500476a.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.12

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grandezza e alla profondità del vaso principalmente colpito (v. anche le trattazioni specifiche, in altre parti del Manuale). La profondità delle lesioni è determinata da quanto il processo si estende in direzione viscerale a partire dai tegumenti. La Tab. 50-5 elenca alcuni dei disordini vasculitici in base al tipo di infiammazione e alla presentazione clinica. Molte altre malattie sono caratterizzate o fortemente associate a lesioni vasculitiche. Infarti reumatoidi ungueali, ulcere degli arti inferiori e le altre lesioni delle malattie reumatiche sembrano riconoscere come loro meccanismo patogenetico di base un foco centrale di vasculite. Gran parte della fisiopatologia del LES può essere addebitata alla vasculite, con o senza occlusione vascolare secondaria, che è particolarmente evidente nei "ciuffi" glomerulari renali. La polimiosite, o dermatomiosite dell'infanzia, presenta frequentemente elementi vasculitici nei muscoli e in siti extramuscolari ed extracutanei. Anche l'apparentemente lieve ed estesa proliferazione intimale delle piccole arterie che caratterizza la sclerosi sistemica, può essere un evento postinfiammatorio. Altre sindromi caratterizzate da una grave vasculite comprendono la poliarterite nodosa e la granulomatosi di Wegener.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO POLIARTERITE NODOSA Malattia caratterizzata da un'arterite necrotizzante segmentaria delle arterie muscolari di medio calibro, con ischemia secondaria del tessuto irrorato dai vasi colpiti.

Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

(Poliarterite; periarterite nodosa)

Eziologia e anatomia patologica L'eziologia è sconosciuta, ma meccanismi immunologici sembrano essere coinvolti. Si manifesta intorno ai 40-50 anni, ma può colpire qualsiasi età. La malattia è 3 volte più frequente negli uomini che nelle donne. La varietà degli aspetti clinici e patologici della malattia depone per una patogenesi multifattoriale. Lesioni delle arterie, simili a quelle della poliarterite nodosa spontanea, si verificano in volontari iperimmunizzati, in animali affetti da malattia da siero sperimentale e in pazienti che sviluppano reazioni da ipersensibilità. Farmaci (p. es., sulfamidici, penicillina, ioduro, tiouracile, bismuto, tiazidi, guanetidina, metamfetamina), vaccini, infezioni batteriche (p. es., da streptococchi o stafilococchi) e infezioni virali (p. es., epatite da siero, influenza, HIV), sono stati indicati come possibili cause della malattia. Abitualmente, però, non può essere chiamato in causa alcun Ag predisponente. L'infiammazione segmentale necrotizzante della media e dell'avventizia caratterizza la lesione. Il processo patologico si verifica più frequentemente nei punti di biforcazione vasale, iniziando dalla media ed estendendosi all'intima e all'avventizia delle arterie di medio calibro, causando spesso la rottura della lamina elastica interna. Le lesioni possono verificarsi in tutti gli stadi di sviluppo e di guarigione. Le lesioni precoci contengono PMN e, talvolta, anche eosinofili; le lesioni più tardive contengono linfociti e plasmacellule. Nelle lesioni sono presenti depositi di immunoglobuline, di componenti del complemento e di fibrinogeno, ma il loro significato non è ancora chiarito. La proliferazione dell'intima, con trombosi e occlusione secondaria, causa infarti di organi e tessuti. L'indebolimento della parete muscolare del vaso può causare piccoli aneurismi e dissezione dell'arteria. La guarigione può esitare in fibrosi nodulare dell'avventizia. L'interessamento renale, epatico, cardiaco e GI è molto frequente. Le lesioni renali sono di due tipi ben distinti: dei grandi vasi (in cui la lesione è file:///F|/sito/merck/sez05/0500478.html (1 of 4)02/09/2004 2.20.13

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rappresentata dall'infarto tubulare e l'insufficienza renale è rara) e microvascolare, che coinvolge anche le arteriole glomerulari afferenti (in cui la lesione è diffusa e l'insufficienza renale è frequente e si manifesta nelle prime fasi del decorso della malattia). Dei pazienti colpiti da infarto epatico massivo, il 50% è affetto da poliarterite nodosa, sebbene questa complicanza sia rara. Un lieve ingrandimento epatico e un'aumentata concentrazione sierica degli enzimi epatici generalmente sono indice di aree focali di vasculite a carico della capsula epatica. Numerose sindromi associate alla poliarterite nodosa sono state distinte dalla poliarterite nodosa tipica, sulla base di differenze patogeniche o cliniche: l'angioite da ipersensibilità; la sindrome di Chürg-Strauss (la vasculite determina coinvolgimento del polmone, eosinofilia, granulomi necrotizzanti e asma grave); la sindrome di Cogan (in cui la malattia inizia come cheratite interstiziale e infarto dell'orecchio interno); la poliarterite nodosa mesenterica pura (riconosciuta nei tossicomani che usano amfetamina EV); la sindrome di Kawasaki (sindrome dei linfonodi mucocutanei dei neonati e dei bambini, complicata dall'arterite coronarica con precoce formazione di aneurismi); l'arterite necrotizzante associata all'epatite B (sia acuta che cronica attiva). Molti pazienti con crioglobulinemia essenziale associata a vasculite dei vasi di piccolo e medio calibro (cioè, porpora palpabile, occlusione dei vasi digitali, glomerulonefrite), hanno un'infezione cronica da virus dell'epatite C. Le interrelazioni della poliarterite nodosa idiopatica con queste varie forme di arterite non sono chiare.

Sintomi e segni Le manifestazioni della poliarterite nodosa possono simulare altre malattie. Il decorso può essere acuto e prolungato, caratterizzato da febbre, subacuto, con exitus dopo diversi mesi, o può essere insidioso e presentarsi come una malattia cronica debilitante. Il quadro sintomatologico dipende soprattutto dalla sede e dalla gravità dell'arterite, dall'estensione del danno circolatorio conseguente e può essere riferito a uno o più apparati. I sintomi più comuni, inizialmente, sono febbre (85%), dolore addominale (65%), neuropatie periferiche, spesso una mononeurite multipla (50%), astenia (45%) e perdita di peso (45%). Ipertensione (60%), edema (50%), oliguria e uremia (15%) possono essere presenti nel 75% dei pazienti con interessamento renale; la proteinuria e l'ematuria sono le prime manifestazioni. Il dolore addominale diffuso o localizzato, la nausea, il vomito e una diarrea sanguinolenta possono indurre a una diagnosi errata di addome acuto, sebbene l'ischemia acuta della colecisti o dell'intestino possa causare perforazione e peritonite. Può anche verificarsi emorragia del tratto GI o nello spazio retroperitoneale. Il dolore precordiale è presente nel 25% dei pazienti, anche se gli esami ECG indicano una coronaropatia nel 45% dei casi. L'interessamento del SNC si manifesta con cefalea (30%) e convulsioni (10%). Le mialgie, con aree di miosite ischemica focale e le artralgie sono comuni e può verificarsi un'artrite franca delle grandi articolazioni. Si osservano occasionalmente lesioni cutanee che comprendono porpora palpabile, noduli sottocutanei palpabili lungo il decorso dell'arteria colpita e aree irregolari di necrosi.

Esami di laboratorio Le anomalie più frequenti sono: leucocitosi 20000-40000 GB/ml (80% dei pazienti), proteinuria (60%) ed ematuria microscopica (40%). L'eosinofilia transitoria o permanente è rara, ma può essere riscontrata nelle forme a decorso lento o con sindrome di Churg-Strauss, con interessamento polmonare o con accessi asmatici. Trombocitosi, VES elevata e anemia dovuta a una perdita ematica o a insufficienza renale, ipoalbuminemia e aumento delle immunoglobuline sieriche, si verificano frequentemente. Gli auto-anticorpi, sebbene spesso presenti in altre collagenopatie vascolari, sono rari.

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Diagnosi La poliarterite nodosa deve essere considerata come possibile diagnosi, qualora siano presenti febbre inspiegabile, dolore addominale, insufficienza renale e ipertensione o quando un paziente con nefrite o un disturbo cardiaco ha sintomi inspiegabili, quali artralgia, dolore e astenia muscolari, noduli sottocutanei, eruzioni cutanee tipo porpora, dolori addominali o degli arti e ipertensione acuta. La diagnosi viene abitualmente suggerita da una confusa combinazione di elementi clinici e di laboratorio, soprattutto quando siano state escluse altre cause di malattia febbrile e multisistemica. Una malattia sistemica associata a una nevrite periferica, normalmente multipla, che interessa i tronchi nervosi maggiori (p. es., radiale, peroneo e sciatico) in maniera bilaterale, simmetrica o asimmetrica (mononeurite multipla), è anche altamente indicativa di una poliarterite. Ciascuno di questi profili clinici, specialmente in un uomo di mezza età precedentemente sano, suggerisce la possibilità di una poliarterite nodosa. Poiché non esistono test sierologici specifici, la diagnosi definitiva va confermata mediante biopsia delle lesioni tipiche e con la dimostrazione angiografica di tipici aneurismi a carico dei vasi di medio calibro. La biopsia effettuata alla cieca in tessuti non interessati dal punto di vista clinico è inutile. La biopsia può dar luogo a reperti falsamente negativi, a causa della distribuzione focale delle lesioni. Per questo motivo, la biopsia dovrebbe essere effettuata sulla pelle, sui tessuti sottocutanei o sul nervo sciatico-popliteo o sui muscoli poplitei nei punti interessati dalla malattia. L'elettromiografia e studi sulla conduzione nervosa possono essere utili per selezionare la sede del prelievo bioptico muscolare o nervoso, in assenza di elementi clinici. Non si deve effettuare la biopsia sul gastrocnemio, a meno che non sia l'unico muscolo interessato, a causa del rischio di trombosi venosa postoperatoria. La biopsia testicolare, consigliata per l'alta frequenza di lesioni microscopiche in questa sede, ha un così basso potere diagnostico che deve essere evitata se vi sono altri siti accessibili, probabilmente interessati. Può essere indicata la biopsia renale nei pazienti con segni di nefrite e quella epatica nei pazienti con test per la funzionalità epatica fortemente alterati, se i prelievi effettuati in altre sedi non hanno dato alcun contributo diagnostico. L'angiografia selettiva può evidenziare tipici aneurismi nei vasi renali, epatici e celiaci e può essere considerata di valore diagnostico, anche in assenza di elementi anatomopatologici sicuri.

Prognosi Sia i casi acuti che quelli cronici, se non trattati, sono fatali perché spesso esitano in insufficienza cardiaca, renale o di altri organi vitali, con danni GI gravissimi (infarto intestinale) o con rottura degli aneurismi. Senza la terapia, soltanto il 33% dei pazienti sopravvive un anno; l'88% muore entro 5 anni. La glomerulonefrite con insufficienza renale risponde occasionalmente alla terapia, ma l'anuria e l'ipertensione perdurano; l'insufficienza renale è causa di decesso nel 65% dei pazienti. Sono frequenti infezioni nosocomiali o opportunistiche potenzialmente letali.

Terapia La terapia deve essere energica e diversificata. Gli agenti responsabili, compresi i farmaci, devono essere identificati ed eliminati. Alte dosi di corticosteroidi (p. es., prednisone 60 mg/die in dosi frazionate) possono prevenire l'evoluzione della malattia e sembra che inducano una remissione parziale o quasi completa in circa il 30% dei pazienti. Poiché è necessaria una terapia a lungo termine, spesso si manifestano effetti collaterali, come l'ipertensione, che può aggravare il danno renale preesistente e aumenta notevolmente il rischio di infezioni intercorrenti. Si deve ridurre la dose giornaliera di corticosteroidi quando compare

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Malattie del tessuto connettivo

un miglioramento, p. es., abbassamento della febbre e della VES, miglioramento della funzionalità cardiaca e renale, della velocità di conduzione nervosa, scomparsa delle lesioni cutanee e diminuzione del dolore. Alcune manifestazioni a lungo termine legate all'ipercorticismo possono essere minimizzate somministrando i cortisonici in dose unica la mattina, a giorni alterni, dose che può essere adeguata come terapia di mantenimento, ma è raramente utile come trattamento nelle fasi precoci. I farmaci immunosoppressori, somministrati da soli o con i corticosteroidi, vengono impiegati con qualche successo, quando i soli corticosteroidi non bastano. La ciclofosfamide alla dose di 2-3 mg/kg/die PO, può essere somministrata nei pazienti che non rispondono ai cortisonici nelle prime settimane di terapia o nei casi in cui sono necessari dosi altissime di steroidi per controllare la malattia (la maggior parte dei pazienti è compresa in questi criteri). La dose del farmaco deve essere tale da mantenere la conta dei GB periferici fra 2000 e 3500 gm/l. Altre misure basate su problemi specifici comprendono una terapia antiipertensiva, un attento regime idrico, la cura dell'insufficienza renale e le trasfusioni di sangue. L'intervento chirurgico è necessario, se l'interessamento GI comporta l'invaginazione o la trombosi dell'arteria mesenterica e l'infarto intestinale o viscerale. I primi dati sull'uso del gamma-interferon in pazienti con vasculite associata a epatite B o C si sono dimostrati promettenti e trial di nuovi farmaci antivirali sono stati annunciati per le vasculiti associate a epatite B e C.

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO GRANULOMATOSI DI WEGENER Malattia poco comune che di solito inizia come un'infiammazione localizzata, granulomatosa, delle mucose del tratto respiratorio superiore o inferiore e che può evolvere in una vasculite granulomatosa necrotizzante generalizzata e in una glomerulonefrite.

Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia L'eziologia è sconosciuta. Anche se la malattia è simile a un processo infettivo, l'agente causale non è stato isolato. In base alle alterazioni tissutali istologiche caratteristiche, l'ipersensibilità è stata proposta come fattore patogenetico della malattia che può comparire ad ogni età. Il rapporto maschi:femmine è 2:1.

Anatomia patologica La biopsia della mucosa del materiale flogistico granulare del naso e del nasofaringe, evidenzia un tessuto granulomatoso contenente cellule epitelioidi, cellule di Langhans e cellule giganti da corpo estraneo insieme a un rilevante danno vascolare, necrosi tissutale con stravaso di GR e numerosi GB in vari stadi di necrosi cellulare. Le biopsie polmonari e cutanee mostrano essudati perivascolari infiammatori e depositi di fibrina nelle piccole arterie, nei capillari e nelle venule; la biopsia renale mostra una glomerulonefrite focale e segmentale di vario grado, occasionalmente accompagnata da una vasculite necrotizzante. Studi immunoistochimici della biopsia renale evidenziano estesi depositi di fibrina nei vasi sanguigni e nei glomeruli; questi ultimi suggeriscono una parziale attivazione di un fattore della coagulazione (il fattore di Hageman). Immunocomplessi precipitati da C1q scompaiono con la somministrazione di ciclofosfamide e prednisone. Densi depositi sottoepiteliali, che indicano la presenza di immunocomplessi, sono rilevabili al microscopio elettronico, dal lato epiteliale della membrana basale. L'immunofluorescenza evidenzia, in alcuni casi, depositi sparsi di complemento e di IgG.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio file:///F|/sito/merck/sez05/0500480.html (1 of 3)02/09/2004 2.20.14

Malattie del tessuto connettivo

L'esordio può essere insidioso o acuto e possono trascorrere anni prima che la malattia si manifesti pienamente. I primi sintomi si riferiscono spesso al tratto respiratorio superiore e comprendono rinorrea emorragica acuta, sinusite a carico dei seni paranasali, ulcerazioni della mucosa nasale (con conseguente infezione batterica secondaria) e otite media sierosa o purulenta con perdita dell'udito, tosse, emottisi e pleurite. Il paziente presenta generalmente un processo granulomatoso del naso, spesso confuso con una sinusite cronica. La mucosa nasale ha un aspetto granulomatoso, rosso, è friabile e sanguina facilmente. Si possono verificare episodi di perforazione nasale. Altri sintomi iniziali comprendono febbre, malessere, anoressia, perdita di peso, poliartrite migrante, lesioni cutanee e manifestazioni oculari con ostruzione del dotto nasolacrimale, granulomi retrobulbari con proptosi ed episclerite. Si possono inoltre verificare una condrite dell'orecchio, un IMA secondario a vasculite, una meningite asettica nonché granulomi incurabili del SNC. Alla fine, può svilupparsi una fase vascolare disseminata, con lesioni cutanee infiammatorie necrotizzanti, infiltrati polmonari con successiva cavitazione, con vasculite diffusa leucocitoclastica e glomerulonefrite focale, che può evolvere in una glomerulonefrite generalizzata con formazione di semilune, con conseguente ipertensione e uremia. Occasionalmente la malattia è limitata al solo polmone. Il coinvolgimento renale è patognomonico della malattia generalizzata; l'analisi delle urine evidenzia proteinuria, ematuria e cilindri ematici. Il danno renale è inevitabile, senza un'immediata terapia adatta. I livelli sierici del complemento sono normali o elevati. La VES è elevata; è presente leucocitosi. Può essere presente anemia grave. Gli Ac antinucleari e le cellule LE sono assenti. Alti titoli di Ac contro il citoplasma dei neutrofili (ANCA) sono quasi sempre presenti e possono fungere da marcatori relativamente specifici e sensibili per la diagnosi della malattia e talora per seguire il corso della malattia. Una ulteriore differenziazione degli ANCA associati alla granulomatosi di Wegener, rivela una predominante reazione in vitro con la proteinasi E (CANCA) con il 97% di specificità per la malattia. In pazienti con una predominanza di IgA-C-ANCA, le emorragie polmonari intraalveolari si presentano con maggior facilità.

Diagnosi La granulomatosi di Wegener viene diagnosticata in base a elementi clinici, sierologici e anatomopatologici caratteristici. La biopsia renale determina l'entità delle lesioni renali. Talvolta, una biopsia polmonare a cielo aperto di una lesione solida o escavata permette la diagnosi. Raggruppamenti compatti di cellule atipiche possono essere presenti nell'espettorato dei pazienti con interessamento polmonare. La diagnosi differenziale comprende la poliarterite nodosa, la fase vascolare renale della endocardite batterica subacuta, il LES, la glomerulonefrite, rapidamente o lentamente progressiva e il granuloma letale della linea mediana (un tipo di linfoma). La poliarterite nodosa sarà esclusa mediante la biopsia cutanea e per la diversa localizzazione delle lesioni vascolari. L'eosinofilia, che non è un elemento caratteristico della granulomatosi di Wegener, è spesso presente nella sindrome di Churg-Strauss nella quale manca l'infiammazione granulomatosa nasale e polmonare. Le colture ematiche caratteristiche e i soffi cardiaci sono presenti nell'endocardite batterica subacuta. In caso di LES, sono presenti nel siero gli Ac antinucleari e le cellule LE; i livelli ematici del complemento sono bassi. Nel granuloma letale della linea mediana, l'infiammazione granulomatosa vasculitica è assente. Gli ANCA che reagiscono soprattutto con la mieloperossidasi (P-ANCA) sono correlati ad altre malattie, compresi alcuni tipi di vasculite necrotizzante, specialmente una forma di poliarterite nodosa che causa emorragie intraalveolari e glomerulonefrite con semilune. Questa forma deve essere distinta dalla granulomatosi di Wegener (CANCA con specificità per la proteinasi E) e dalla sindrome di Goodpasture (con anticorpi anti-membrana basale glomerulare) (v. Cap. 77).

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Malattie del tessuto connettivo

Prognosi e terapia La sindrome completa, di solito, progredisce rapidamente sino all'insufficienza renale, una volta che sia iniziata la fase vascolare diffusa. I pazienti affetti da una malattia limitata, possono presentare soltanto lesioni nasali e polmonari, con poco o nessun interessamento sistemico. Le manifestazioni polmonari possono migliorare o peggiorare spontaneamente. La prognosi per questa malattia, in passato fatale, è stata sensibilmente migliorata con l'uso di agenti immunosoppressori citotossici. La diagnosi precoce e la terapia sono cruciali, poiché un'alta percentuale di remissioni è ora possibile e le complicanze renali critiche possono essere evitate o ridotte. La ciclofosfamide è il farmaco di scelta (1-2 mg/ kg/die PO con idratazione orale o una singola dose iniziale somministrata in bolo EV una volta q 2-3 sett.). I corticosteroidi, in grado di ridurre l'edema legato alla vasculite, possono essere somministrati simultaneamente (prednisone alla dose di 1 mg/kg/die PO). Dopo 23 mesi si può gradualmente ridurre la dose del prednisone, fino a quando il paziente viene mantenuto soltanto con la ciclofosfamide PO (sembrano essere meno efficaci dosi a lungo termine EV). Questo farmaco deve essere somministrato almeno per un intero anno dopo la remissione clinica della malattia. La dose quindi viene ridotta gradualmente di 25 mg q 2-3 mesi. L'azatioprina è meno efficace, ma può essere usata in alternativa o in associazione alla ciclofosfamide per i pazienti che non tollerano quest'ultimo farmaco. Comunque, la terapia "pulsatile" con metotrexato a dosi di 20-30 mg/ sett. PO, sembra essere una migliore alternativa. La profilassi a lungo termine con trimetoprim/sulfametossazolo PO (da 160/800 mg a 480/2400 mg/die), sembra essere molto efficace per le lesioni del tratto respiratorio superiore e può essere sufficiente quale unico trattamento a lungo termine una volta che tutti i sintomi sistemici siano scomparsi dopo trattamento con ciclofosfamide e corticosteroidi. Talvolta, l'anemia associata può essere così grave da richiedere trasfusioni. Con la terapia si possono ottenere remissioni complete a lungo termine, anche negli stadi avanzati di malattia. Il trapianto di rene si è dimostrato utile nell'insufficienza renale, sebbene sia stato descritto in letteratura il caso di un paziente che ha subìto un trapianto di rene da cadavere nel quale il rene trapiantato ha sviluppato tipiche lesioni renali della granulomatosi di Wegener. Un'aumentata incidenza dopo molti anni di tumori solidi può essere indice di un uso di alte dosi di ciclofosfamide. L'elevata incidenza di cancro della vescica molti anni dopo la sospensione della terapia è una conseguenza temibile della cistite emorragica associata alla escrezione di prodotti di degradazione della ciclofosfamide, spesso non alleviata dal notevole flusso urinario mantenuto nelle fasi iniziali della terapia.

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO MALATTIA MISTA DEL TESSUTO CONNETTIVO Sindrome reumatica caratterizzata dalla sovrapposizione di aspetti clinici del LES, della sclerodermia, della polimiosite o dermatomiosite e dell'AR e da altissimi titoli di Ac circolanti antiribonucleoproteina nucleare.

Sommario: Introduzione Eziologia, patogenesi e prevalenza Anatomia patologica, sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi e terapia

Eziologia, patogenesi e prevalenza L'eziologia e la prevalenza sono sconosciute. In alcuni pazienti, la malattia evolve nel tempo nella classica sclerodermia o nel LES. Diverse caratteristiche supportano l'idea che la malattia mista del tessuto connettivo (MMTC) sia una entità clinica distinta: la sovrapposizione di caratteristiche cliniche tipiche di varie malattie del tessuto connettivo; il titolo estremamente alto di Ac anti-RNP, abitualmente in assenza di altri Ac antinucleari (ANA) a titolo significativo; la clearance normale di immunocomplessi da parte del sistema reticoloendoteliale, presente nella maggior parte dei pazienti con MMTC, contrariamente a quanto si verifica nel LES; anomalie della funzione di immunoregolazione delle cellule T nella MMTC che differiscono da quelle di altre malattie reumatiche; e frequente ipertensione polmonare associata a vasculopatia di tipo proliferativo con fibrosi minima.

Anatomia patologica, sintomi e segni La sindrome clinica tipica è caratterizzata dal fenomeno di Raynaud, dalla poliartralgia, dall'artrite, dalla tumefazione delle mani, dalla miopatia infiammatoria prossimale, dall'ipomotilità esofagea e da malattie polmonari. Il fenomeno di Raynaud può precedere di numerosi anni le altre manifestazioni patologiche. Spesso il quadro clinico iniziale suggerisce il LES nelle prime fasi, la sclerodermia, la polimiosite o dermatomiosite o l'AR. A prescindere dall'esordio, le forme localizzate della malattia tendono a progredire e a espandersi; si verificano, quindi, col passare del tempo, variazioni del quadro clinico. La manifestazione più frequente è la tumefazione delle mani che comporta la forma "a salsiccia" delle dita. Diffuse alterazioni cutanee simil-sclerodermiche, necrosi ischemiche e ulcerazioni della punta delle dita, comuni nella sclerodermia, sono notevolmente meno frequenti nella MMTC. Altri segni cutanei sono: eruzioni simili a quelle del lupus, chiazze eritematose sulle falangi delle

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Malattie del tessuto connettivo

mani, una colorazione violacea delle palpebre, l'alopecia diffusa non cicatrizzante e le teleangectasie sulle mani e sul volto. Quasi tutti i pazienti lamentano poliartralgie e 3/4 di essi hanno un'artrite franca. Spesso l'artrite non è deformante, ma possono essere presenti alterazioni erosive e deformazioni identiche a quelle dell'AR. Un'astenia dei muscoli prossimali, con o senza dolore, è comune. L'elettromiografia mostra una miopatia infiammatoria; la biopsia muscolare mostra la degenerazione delle fibre muscolari e la presenza di infiltrati interstiziali e perivascolari di linfociti e plasmacellule. Le alterazioni esofagee, caratterizzate da una diminuzione della pressione dello sfintere inferiore, da una riduzione della peristalsi nei due terzi inferiori e da una diminuzione della pressione nello sfintere superiore, sono presenti nell'80% dei casi, comprendendo anche il 70% dei casi asintomatici. L'interessamento polmonare si verifica nell'80% dei casi circa e alterazioni significative della capacità di diffusione possono svilupparsi prima che la MMTC sia clinicamente evidente. Gli esami radiografici del torace possono evidenziare pleuriti o infiltrati interstiziali diffusi. In alcuni pazienti l'interessamento polmonare diventa il problema clinico predominante, portando a una dispnea o all'ipertensione polmonare. L'ipertensione polmonare e le lesioni vascolari proliferanti, che si sviluppano di solito insidiosamente, sono gravi complicanze in alcuni casi. Le patologie renali si verificano soltanto in circa il 10% dei casi e spesso in forma lieve. In ogni caso, l'interessamento renale può diventare talvolta un problema clinico grave, con exitus per insufficienza renale progressiva. Le biopsie renali dimostrano generalmente un'ipercellularità del mesangio, una glomerulonefrite focale e una glomerulonefrite membranosa, mentre le lesioni vascolari proliferanti e le glomerulonefriti membranoproliferative sono notevolmente meno frequenti. Una neuropatia sensitiva del trigemino è stata osservata molto più frequentemente nella MMTC che non in altre malattie reumatiche.

Esami di laboratorio Quasi tutti i pazienti hanno alti titoli (spesso > 1:1000) di Ac antinucleari (ANA) con un pattern di fluorescenza punteggiata. Gli Ac anti-Ag nucleare estraibile (ENA) sono generalmente rilevati ad altissimi titoli (> 1:100000) con tecniche di emoagglutinazione. Gli ANA e le reazioni di emoagglutinazione sono eliminati con la somministrazione di ribonucleasi poiché il componente dell'ENA, contro cui sono diretti gli Ac nella MMTC, è un antigene nucleare RNP ribonucleasisensibile. Con l'immunodiffusione si può confermare la presenza di Ac anti-RNP, mentre gli Ac anti-componente Sm ribonucleasi-resistente dell'ENA sono assenti. Alti titoli di anticorpi anti-RNP durano di solito per anni, ma possono abbassarsi significativamente o addirittura divenire indosabili in pazienti con remissioni di lunga durata. Gli Ac anti-DNA a doppia elica e le cellule LE sono raramente presenti nella MMTC. Le agglutinine reumatoidi sono spesso positive e i titoli spesso alti. La VES è spesso elevata; il 75% dei pazienti presenta un'ipergammaglobulinemia diffusa che varia dai 2 ai 5 g/dl. I livelli del complemento sierico sono lievemente o moderatamente ridotti soltanto in circa il 25% dei pazienti. I livelli sierici della CK e dell'aldolasi sono generalmente elevati, quando è presente una miosite in fase attiva. Anemia moderata e leucopenia si riscontrano nel 30-40% dei pazienti. Un'anemia emolitica Coombs-positiva, clinicamente significativa e una trombocitopenia non sono frequenti. Ematuria, cilindruria e proteinuria sono presenti all'esame delle urine in caso di glomerulonefrite.

Diagnosi e terapia

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Malattie del tessuto connettivo

Si deve sospettare la MMTC quando numerose manifestazioni sono presenti in pazienti apparentemente affetti da LES, sclerodermia, polimiosite, AR, AR giovanile, sindrome di Sjögren, vasculite, porpora trombocitopenica idiopatica, linfoma e "pericardite virale". Le cause di decesso comprendono lesioni vascolari di tipo proliferativo con ipertensione polmonare, insufficienza renale, IMA, perforazione del colon, setticemie ed emorragia cerebrale. Sono state osservate in alcuni casi remissioni della durata di numerosi anni, sia con che senza una terapia di mantenimento minima con corticosteroidi. Il trattamento medico generale e la terapia farmacologica della MMTC sono simili all'approccio terapeutico usato nel LES. La maggior parte dei pazienti risponde bene ai corticosteroidi, soprattutto se trattata nelle prime fasi della malattia. Le forme lievi spesso si giovano dell'uso dei salicilati, di altri FANS, degli antimalarici o, a dosi molto basse, dei corticosteroidi. Una forma grave, con interessamento degli organi principali, richiede generalmente alte dosi di corticosteroidi; p. es., una dose iniziale di 1 mg/kg di prednisone.

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Artrite associata a spondilite

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 51. ARTRITE ASSOCIATA A SPONDILITE SPONDILITE ANCHILOSANTE Malattia reumatica sistemica, caratterizzata dall'infiammazione del rachide e delle grosse articolazioni periferiche.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia

(Malattia di Marie-Strümpell) La spondilite anchilosante (SA) è classificata con la sindrome di Reiter (venerea e dissenterica), con la psoriasi, con le artriti reattive, con la rettocolite ulcerosa e con il morbo di Crohn, con le quali costituisce il gruppo delle spondiloartropatie sieronegative (cioè, negative per il fattore reumatoide). La SA ha un'incidenza 3 volte maggiore nel sesso maschile ed esordisce in genere in pazienti di età compresa tra i 20 e i 40 anni. È 10-20 volte più frequente in parenti di primo grado di pazienti con SA, rispetto alla popolazione generale e l'aumentata prevalenza dell'Ag tissutale HLA-B27 nei bianchi o dell'Ag HLA-B7 nei neri, suggerisce una base genetica, benché fattori ambientali possano svolgere un ruolo significativo. Il rischio di sviluppare la SA, per individui con l'HLA-B27, è di circa il 20%.

Sintomi e segni Il sintomo d'esordio più frequente è la lombalgia, sebbene la malattia possa iniziare in modo atipico con un interessamento delle articolazioni periferiche, particolarmente nei bambini e nelle donne; raramente esordisce con un'irite acuta (uveite anteriore). Un altro sintomo iniziale è la diminuzione dell'espansibilità toracica, risultante dall'interessamento diffuso delle strutture costovertebrali, come pure la febbricola, l'astenia, l'anoressia, la perdita di peso e l'anemia. Ricorrenti episodi di lombalgia, spesso notturni e di varia intensità, come pure la rigidità mattutina che caratteristicamente si allevia col movimento, sono disturbi che finiscono sempre col comparire. Il mantenimento di una postura in flessione o inclinata in avanti migliora la lombalgia e lo spasmo dei muscoli paraspinali; così è comune, nei pazienti non sottoposti a terapia, un certo grado di cifosi. Manifestazioni sistemiche si verificano in 1/ 3 dei pazienti. Ricorrenti attacchi di irite acuta, abitualmente autolimitantesi (uveite anteriore) raramente sono protratti e gravi tanto da danneggiare la vista. I segni neurologici possono occasionalmente essere in rapporto a radicoliti o sciatalgie da compressione, fratture o sublussazioni vertebrali e alla sindrome della cauda equina (che consiste di impotenza, incontinenza urinaria notturna, diminuzione dello stimolo file:///F|/sito/merck/sez05/0510484.html (1 of 3)02/09/2004 2.20.16

Artrite associata a spondilite

alla minzione e alla defecazione e assenza dei riflessi achillei); le manifestazioni cardiovascolari possono comprendere insufficienza aortica, episodi di angina, pericardite e anomalie di conduzione all'ECG. L'interessamento polmonare è raro: si tratta di fibrosi del lobo superiore, occasionalmente con cavitazione tale da simulare una TBC, talvolta complicata da infezioni da Aspergillus. La SA è caratterizzata da accessi di spondilite, di lieve o moderata intensità, alternati a periodi di totale o pressoché totale inattività dell'infiammazione. La terapia appropriata comporta, nella maggior parte dei pazienti, una minima o assente inabilità residua e una piena, produttiva qualità di vita, nonostante la rigidità lombare. Occasionalmente l'evoluzione della malattia è così grave e progressiva da causare deformazioni altamente invalidanti. La prognosi è infausta per quei pazienti che presentano un'irite refrattaria e per quelli, sebbene rari, con un'amiloidosi secondaria.

Diagnosi La VES e altri indici di flogosi della fase acuta (p. es., la proteina C-reattiva e le immunoglobuline sieriche) sono lievemente elevati nella maggior parte dei pazienti con SA attiva. È negativa la ricerca del fattore reumatoide IgM e degli Ac anti-nucleari. La presenza dell'Ag HLA-B27 è abituale ma non necessaria né specifica (un test negativo è più utile nell'aiutare a escludere l'AS di quanto un test positivo lo sia per diagnosticarla). Questo test non è necessario nei pazienti con malattia tipica. La diagnosi può essere confermata dai reperti radiologici. Le lesioni più precoci (pseudoallargamento da erosioni subcondrali, sclerosi o restringimento tardivo) si manifestano nelle articolazioni sacro iliache. Le alterazioni precoci a carico della colonna vertebrale comprendono la demineralizzazione con squadratura dei corpi vertebrali, la calcificazione a chiazze dei legamenti e uno o due sindesmofiti. La classica colonna a canne di bambù, con prominenti sindesmofiti e diffuse calcificazioni dei legamenti paravertebrali, non è utile per una diagnosi precoce. Queste modificazioni si sviluppano dopo in media 10 anni dall'esordio e in una minoranza dei pazienti.

Diagnosi differenziale L'ernia del disco limitata al rachide, non presenta manifestazioni di tipo sistemico (p. es., l'astenia, l'anoressia o la perdita di peso). Le indagini di laboratorio, compresa la VES, sono normali. Se necessario, può essere confermata da una mielografia, una TC o una RMN. La malattia di una singola articolazione sacro iliaca deve far pensare a una infezione. La spondilite tubercolare è trattata in Tubercolosi ossea e articolare nel Cap. 157. L'iperostosi scheletrica idiopatica diffusa (Diffuse Idiopathic Skeletal Hyperostosis, DISH) è più difficile da differenziare. Essa si verifica principalmente nei soggetti di sesso maschile di età > 50 anni ed è molto simile alla SA, sia dal punto di vista clinico che radiografico. I pazienti possono presentare dolore al rachide, rigidità e perdita insidiosa della motilità. I reperti della rx mostrano grandi ossificazioni dei legamenti a ponte su diverse vertebre, con interessamento generalmente dei tratti cervicale e dorsale inferiore della colonna. Tuttavia, manca l'erosione delle articolazioni sacroiliache e delle apofisi spinose, la rigidità mattutina non è accentuata, la VES è normale e non c'è legame con l'HLA-B27.

Terapia

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Artrite associata a spondilite

Bisogna cominciare con l'alleviare il dolore articolare con farmaci. Il piano di terapia deve comprendere interventi preventivi, la valutazione di eventuali tempi di attesa o la correzione delle deformazioni e la valutazione dei bisogni psicosociali e riabilitativi. Per una postura e movimenti articolari appropriati, sono di importanza vitale gli esercizi giornalieri e altri provvedimenti di supporto (p. es., educazione posturale o esercizi terapeutici), che servono a rinforzare i gruppi muscolari che si oppongono alla direzione delle potenziali deformazioni (rinforzo degli estensori piuttosto che dei flessori). La lettura in posizione prona con estendensione del collo può aiutare a mantenere la schiena flessibile. I FANS facilitano l'esecuzione degli esercizi e delle altre procedure di supporto, eliminando l'infiammazione e il dolore articolare, come pure lo spasmo muscolare. La maggior parte dei FANS è efficace nella SA. La scelta deve essere fatta più sulla base della tollerabilità e della tossicità che sulla base dell'efficacia di questi farmaci. I pazienti devono essere monitorati e avvisati circa i possibili effetti collaterali. La dose giornaliera di FANS deve essere la più bassa possibile, ma dosi massime di farmaci come l'indometacina possono essere necessarie nella malattia attiva. La sospensione del farmaco deve essere effettuata lentamente e soltanto dopo che tutte le manifestazioni articolari e sistemiche siano state soppresse per diversi mesi. Molti nuovi FANS, individuati come farmaci COX-2 poiché inibiscono la cicloossigenasi-2, si sono dimostrati promettenti nel garantire uguale efficacia rispetto ai farmaci che inibiscono il COX1 con minori effetti collaterali sulla mucosa gastrica e forse anche sul rene (V. anche la trattazione sui FANS in Artrite reumatoide nel Cap. 50.) I corticosteroidi hanno un limitato valore terapeutico; l'uso a lungo termine è associato con molti effetti collaterali gravi, compresa l'osteoporosi della colonna irrigidita. I corticosteroidi topici (e i midriatici) sono generalmente utili per l'irite acuta; i corticosteroidi PO sono raramente indicati, mentre possono risultare utili per iniezione intrarticolare, in particolare quando uno o due articolazioni periferiche sono molto più infiammate di altre, così compromettendo l'esecuzione degli esercizi e la riabilitazione. La maggior parte dei farmaci a lenta azione (di fondo) usati nell'AR, come l'oro IM, o non è stata studiata o non risulta efficace per la SA. La sulfasalazina può essere utile, in particolar modo quando sono interessate le articolazioni periferiche. Bisogna iniziare con una dose di 500 mg/die aumentando a intervalli sett. di 500 mg/die fino a una dose di mantenimento di 1 g bid (v. anche Artrite Reumatoide nel Cap. 50). Il più comune effetto collaterale è la nausea che è di origine prevalentemente centrale, anche se le compresse gastro-resistenti sono meglio tollerate. In questi casi una riduzione delle dosi può essere utile. I narcotici, altri forti analgesici e i miorilassanti non hanno proprietà antiinfiammatorie e devono essere prescritti in aggiunta soltanto per brevi periodi, per aiutare a controllare la lombalgia grave e lo spasmo muscolare. La terapia radiante della colonna, nonostante sia efficace, è raccomandata soltanto come ultima risorsa, poiché essa aumenta dieci volte il rischio di leucemia mieloide acuta.

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Artrite associata a spondilite

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 51. ARTRITE ASSOCIATA A SPONDILITE SINDROME DI REITER Artrite conseguente a infezione del tratto genito urinario o a gastroenterite e associata con uretrite o cervicite, congiuntivite e lesioni mucocutanee.

Sommario: Introduzione Eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La sindrome di Reiter è classificata con le spondiloartropatie sieronegative. Originariamente ritenuta un'artrite infiammatoria conseguente a un processo infettivo localizzato in siti non articolari, la sindrome di Reiter appare ora, almeno in alcuni casi, essere associata alla presenza di Chlamydia trachomatis nell'articolazione.

Eziologia e incidenza Si riconoscono 2 forme: una sessualmente trasmessa e l'altra dissenterica. La prima si verifica principalmente nei maschi di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Sono chiamate in causa in genere le infezioni genitali da Chlamydia trachomatis. La sindrome di Reiter è meno comune nelle donne, nei bambini e negli anziani. Gli uomini o le donne di solito contraggono la forma dissenterica dopo un'enterite batterica, che ha per agente eziologico la Shigella, la Salmonella, la Yersinia o il Campylobacter così come la forma Chlamydia-associata. La prevalenza dell'HLAB27 è del 63-96% nei pazienti con sindrome di Reiter e soltanto del 6-15% nei controlli sani, così suggerendo una predisposizione genetica. Individui con HLAB27 hanno un rischio maggiore di sviluppare una sindrome di Reiter dopo un contatto sessuale o dopo certe infezioni enteriche batteriche, rispetto al resto della popolazione.

Sintomi e segni Nella sindrome di Reiter tipica, si sviluppa un'uretrite non batterica 7-14 gg dopo un contatto sessuale o dopo un episodio dissenterico; all'uretrite seguono, dopo alcune settimane, una febbre modesta, la congiuntivite e l'artrite. Non tutte le caratteristiche devono per forza comparire, così che è necessario considerare forme incomplete. Nel maschio l'uretrite è meno dolorosa e meno produttiva di secrezione purulenta rispetto a quella della gonorrea acuta e può essere associata a cistite emorragica o a prostatite. Nelle donne l'uretrite e la cervicite possono decorrere con una sintomatologia modesta (con disuria o modeste perdite vaginali) o essere asintomatiche, rendendo così difficile la diagnosi. La

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Artrite associata a spondilite

congiuntivite è la lesione oculare più frequente, generalmente di lieve entità, a meno che non sia associata a cheratite e a uveite anteriore. L'artrite può essere lieve o grave. L'interessamento articolare è generalmente asimmetrico e oligoarticolare o poliarticolare, con coinvolgimento predominante tanto delle grosse articolazioni degli arti inferiori che delle dita del piede. Può essere presente una lombalgia, generalmente nelle forme a decorso grave. L'entesopatia (infiammazione delle inserzioni tendinee sull'osso) è comune nella sindrome di Reiter e nelle altre artriti sieronegative (p. es., fascite plantare, periostite digitale, tendinite d'Achille); le lesioni mucocutanee, piccole ulcere superficiali non dolenti, si verificano comunemente sulla mucosa orale, sulla lingua e sul glande (balanite circinata). I pazienti possono anche sviluppare lesioni cutanee ipercheratosiche (talora identiche alla psoriasi pustolosa) sul palmo della mano, sulla pianta del piede e intorno alle unghie (cheratoderma blenorragico). Interessamento cardiovascolare (aortite, insufficienza aortica) e difetti di conduzione si verificano raramente. La sindrome di Reiter si risolve generalmente nel giro di 3 o 4 mesi, sebbene il 50% dei pazienti lamenti la comparsa di episodi transitori o prolungati, ricorrenti di artrite o di altri componenti della sindrome, per diversi anni. Nei pazienti con sindrome di Reiter cronica o ricorrente, si possono instaurare deformità e anchilosi, come pure una socroileite o una spondilite.

Diagnosi La diagnosi richiede la presenza della tipica artrite periferica con uretrite o cervicite o una delle altre caratteristiche extrarticolari. Poiché le diverse manifestazioni della sindrome possono verificarsi in tempi diversi, la diagnosi definitiva può richiedere diversi mesi. In un soggetto giovane e sessualmente attivo, la presenza di un esame colturale positivo per il gonococco, unitamente a una rapida risposta alla penicillina, differenzia l'artrite gonococcica acuta dalla sindrome di Reiter. L'artrite o le lesioni cutanee della sindrome di Reiter cronica, possono simulare quelle dell'artrite psoriasica, della spondilite anchilosante o della sindrome di Behçet.

Prognosi e terapia Soltanto alcuni pazienti sono resi invalidi da una malattia cronica o ricorrente. Poiché la sindrome di Reiter da contagio sessuale è spesso associata con la C. trachomatis, si raccomanda di sottoporre questi pazienti e i relativi partner sessuali a terapia con tetraciclina (doxiciclina 100 mg bid) per almeno tre mesi. Si è dimostrato che questo aiuta ad abbreviare il corso della artrite associata a Chlamydia (v. anche Infezioni a trasmissione sessuale da Chlamydia, Mycoplasma e Ureoplasma nel Cap. 164). Nessun trattamento è necessario per la congiuntivite e le lesioni mucocutanee, al contrario dell'irite che richiede corticosteroidi per uso oftalmico. L'artrite può essere trattata anche con FANS alle stesse dosi usate per l'AR (v. Cap. 50). Possono essere indicate iniezioni locali di corticosteroidi per il trattamento dell'entesopatia (tendinite inserzionale) o dell'oligoartrite. I corticosteroidi per via sistemica non hanno alcun valore terapeutico. La fisioterapia può risultare utile nelle fasi di remissione. Il metotrexato può essere preso in considerazione nei pazienti con grave e prolungata malattia, ma non è consigliato nella maggior parte dei pazienti con sindrome di Reiter a causa della sua tossicità. La terapia immunosoppressiva nei pazienti con sindrome di Reiter e AIDS deve essere usata con attenzione. La sulfasalazina, così come usata nel trattamento delle SA, può anche essere utile (per le dosi, v. Terapia nel Cap. Spondilite anchilosante, sopra).

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Artrite associata a spondilite

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Artrite associata a spondilite

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 51. ARTRITE ASSOCIATA A SPONDILITE ARTRITE PSORIASICA Artrite infiammatoria associata a psoriasi della cute o delle unghie; test negativi per fattore reumatoide e presenza dell'antigene HLA-B27 in alcuni pazienti, particolarmente in quelli con interessamento del rachide.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L'artrite psoriasica si verifica nel 7% dei pazienti con psoriasi. Una aumentata prevalenza è stata riportata in alcuni pazienti con AIDS.

Sintomi, segni e diagnosi La psoriasi della cute o delle unghie può precedere o seguire l'interessamento articolare. I pazienti affetti da una monoartrite, oligoartrite o poliartrite infiammatoria sieronegativa vanno attentamente esaminati per ricercare una psoriasi non ancora diagnosticata, o minima, o le unghie butterate e accuratamente interrogati per evidenziare un'eventuale familiarità per questa malattia. Le articolazioni interfalangee distali (IFD) delle mani e dei piedi sono quelle colpite più comunemente. Frequente è l'interessamento asimmetrico delle piccole e grandi articolazioni, comprese quelle sacroiliache e del rachide. I noduli reumatoidi sono assenti. I periodi di esacerbazione e di remissione dei sintomi articolari e cutanei possono coincidere. Nell'artrite psoriasica le remissioni tendono a essere più frequenti, rapide e complete che nell'AR, ma possono evolvere in un'artrite cronica e fortemente invalidante. I reperti radiografici evidenziano l'interessamento delle IFD, il riassorbimento delle falangi distali, l'artrite mutilante e un'estesa distruzione e lussazione delle piccole e grandi articolazioni.

Terapia Il trattamento è diretto al controllo delle lesioni cutanee e della flogosi articolare. La terapia farmacologica è simile a quella dell'AR, fatta eccezione per l'uso degli antimalarici che, oltre a dare soltanto lievi benefici, possono essere responsabili della comparsa di dermatiti esfoliative o di un peggioramento della sottostante psoriasi. Qualche miglioramento può essere ottenuto con l'oro IM, ma non orale (v. Terapia in Artrite reumatoide nel Cap. 50) e con la sulfasalazina (iniziando da 0,5 g/die con aumenti settimanali di 0,5 g/die fino a 1 g bid e talora anche 1,5 g bid).

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Artrite associata a spondilite

L'etretinato può essere efficace nella psoriasi grave e in alcuni studi è stato evidenziato che può essere utile anche per il trattamento dell'artrite; la posologia è di 0,5-1 mg/kg/die PO in due dosi frazionate. Gli effetti collaterali di questo farmaco sono gravi: ipervitaminosi A, teratogenicità e tossicità epatica. A causa del potenziale effetto teratogeno dell'etretinato e della sua lunga permanenza nell'organismo, le pazienti sottoposte a terapia non devono rimanere incinte durante la somministrazione e per circa un anno dopo la sospensione del farmaco. La fotochemioterapia con l'uso del metossalene PO associato a esposizione ai raggi ultravioletti A a grande lunghezza d'onda con psoralene (PUVA), è molto efficace sulle lesioni psoriasiche e utile per le artriti periferiche, ma non in caso di interessamento del rachide. Gli antagonisti dell'acido folico e i farmaci immunosoppressori, particolarmente il metotrexato sono potenzialmente tossici, ma, utilizzati in condizioni di assoluto controllo, hanno mitigato le lesioni psoriasiche e i sintomi articolari. Il trattamento della psoriasi è approfondito nel Cap. 117.

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Osteoartrosi e artropatia neurogena

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 52. OSTEOARTROSI E ARTROPATIA NEUROGENA OSTEOARTROSI (Malattia degenerativa delle articolazioni; osteoartrosi ipertrofica) Artropatia con alterazione della cartilagine ialina caratterizzata da perdita della cartilagine articolare e ipertrofia dell'osso, con produzione di osteofiti.

Sommario: Introduzione Classificazione Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

L'osteoartrosi (OA), la più comune di tutte le patologie articolari, inizia in modo asintomatico nel 2o e 3o decennio ed è estremamente diffusa all'età di 70 anni. La quasi totalità dei soggetti intorno ai 40 anni, mostra qualche alterazione patologica delle articolazioni sottoposte al carico, benché una parte relativamente piccola di essi presenti una sintomatologia. Vengono colpiti entrambi i sessi con la stessa frequenza, ma l'esordio è più precoce nel maschio. È presente negli animali filogeneticamente antichi, pesci, anfibi, rettili (dinosauri), uccelli, mammut e orsi. L'OA si ritrova in quasi tutti i vertebrati, suggerendo così che essa, nel corso dell'evoluzione, faccia la propria comparsa con lo sviluppo dello scheletro. Si verifica nelle balene, nei delfini e nelle focene, animali che vivono nelle acque, ma non nei pipistrelli e nei bradipi che vivono con il corpo sospeso e capovolto. Questo suggerisce che l'OA sia un antico meccanismo paleozoico di riparazione e rimodellamento, piuttosto che una malattia in senso stretto.

Classificazione L'OA viene classificata in primaria (idiopatica) e secondaria ad alcuni fattori causali noti. L'OA primaria generalizzata coinvolge le articolazioni interfalangee distali e prossimali (provocando la formazione dei noduli di Heberden e di Bouchard), la prima articolazione carpo-metacarpale, i dischi intervertebrali e le apofisi articolari vertebrali della colonna nei tratti cervicale e lombare, la prima articolazione metatarso-falangea, l'anca, il ginocchio. Sottotipi della OA primaria comprendono la forma erosiva, quella infiammatoria e quella rapidamente distruttiva delle spalle e meno spesso delle anche e delle ginocchia negli anziani. L'iperostosi diffusa idiopatica dello scheletro è una sindrome che comporta la formazione di grandi osteofiti spinali simili a quelli della OA con poca o nessuna perdita della cartilagine articolare. Si può anche verificare la condromalacia della rotula, una lieve OA della cartilagine rotulea nei soggetti giovani. L'OA secondaria sembra risultare da condizioni che cambiano il microambiente dei condrociti. Queste includono anomalie articolari congenite, anomalie file:///F|/sito/merck/sez05/0520488.html (1 of 4)02/09/2004 2.20.18

Osteoartrosi e artropatia neurogena

genetiche, malattie infettive, metaboliche, endocrine o neurologiche; malattie che alterano la struttura e la funzione della cartilagine ialina (p. es., l'AR, la gotta e la condrocalcinosi); i traumi (comprese le fratture) a carico della cartilagine ialina o dei tessuti circostanti (p. es., per uso eccessivo e prolungato di una o di un gruppo di articolazioni, come si verifica in particolari lavori, quali il lavoro di fonderia, in miniere di carbone o come autista di autobus).

Fisiopatologia Le articolazioni normali hanno un coefficiente di frizione basso e normalmente non si logorano con un uso eccessivo o un trauma. La cartilagine ialina non presenta vascolarizzazione, né innervazione, né vasi linfatici. È costituita per il 95% da acqua e da matrice cartilaginea extracellulare e solo per il 5% da condrociti. I condrociti hanno il più lungo ciclo cellulare (simile a quello delle cellule muscolari e del SNC). Lo stato di salute della cartilagine e la funzione dipendono dalla compressione e dal rilasciamento esercitata dal peso del corpo e dal movimento; cioè, la compressione sposta liquidi dalla cartilagine nello spazio articolare e nei capillari e nelle venule, mentre il rilasciamento consente alla cartilagine di riespandersi, iperidratarsi e assorbire i necessari nutrienti. Il processo fisiopatologico dell'OA è progressivo. Scatenato da una modificazione del microambiente, il condrocita va incontro a mitosi e ad aumentata sintesi di proteoglicani e di collagene tipo II (i principali elementi strutturali della cartilagine). Quindi aumenta la sintesi ossea da parte degli osteoblasti subcondrali, verosimilmente grazie alle comunicazioni intercellulari esistenti tra i condrociti e gli osteoblasti per mezzo della citochine. Con l'aumentata formazione ossea nell'area subcondrale, le proprietà fisiche dell'osso cambiano; l'osso diventa più rigido con diminuita elasticità e si verificano microfratture, seguite da formazione di callo, ulteriore rigidità e ulteriori microfratture. La metaplasia delle cellule sinoviali periferiche comporta la formazione di osteofiti periarticolari (o, più correttamente, osteocondrofiti, che sono formati da osso e da un miscuglio di tessuto connettivo ricoperto da fibrocartilagine e talora da isole di cartilagine ialina all'interno degli osteofiti). L'entità della formazione di questi speroni ossei è diversa nelle varie articolazioni, in proporzione alla causa sottostante. Alla fine, si formano cisti ossee (pseudocisti) nel midollo, al di sotto dell'osso subcondrale. Le cisti ossee sono causate dalla fuoriuscita di liquido articolare nel midollo attraverso le spaccature della cartilagine ialina, con una reazione cellulare fibroblastica e osteoblastica. L'aspetto macroscopico è quello di una perdita di levigatezza con perdita di sostanza e irregolarità a carico della superficie della cartilagine ialina, fino alla formazione di grossolane ulcerazioni con perdita di sostanza, inizialmente focale, quindi diffusa, che lascia soltanto superfici ossee eburnee. Quando compaiono i sintomi clinici, sono praticamente sempre presenti un'attiva proliferazione sinoviale e una lieve sinovite.

Sintomi e segni L'esordio è graduale, generalmente con interessamento di una sola o poche articolazioni. Il dolore è il sintomo più precoce e abitualmente si aggrava con l'esercizio e migliora con il riposo. La rigidità mattutina è presente dopo inattività, ma dura < 15-30 min e migliora con il movimento. Con il progredire della OA la motilità articolare diminuisce e compaiono dolorabilità e sensazioni di crepitazione o di scrosci e possono svilupparsi contratture in flessione. Si verifica una proliferazione della cartilagine, dell'osso, della capsula, dei legamenti, dei tendini e della membrana sinoviale, insieme a vari gradi di versamento articolare che infine produce il caratteristico rigonfiamento articolare dell'OA. Di solito non si verifica una sinovite acuta e grave, ma può comparire in pazienti con altre malattie (p. es., gotta, pseudogotta) che sono il meccanismo iniziale primitivo dell'OA.

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Osteoartrosi e artropatia neurogena

L'OA dei tratti cervicale e lombare della colonna vertebrale può condurre a mielopatia o radiculopatia. Comunque i segni clinici della mielopatia sono usualmente lievi. A livello del disco vertebrale, il notevole ispessimento e la proliferazione del legamento longitudinale anteriore danno luogo a una barra trasversale sul fascio anteriore spinale; l'ipertrofia e l'iperplasia dei legamenti gialli danno luogo frequentemente a una compressione del fascio posteriore. La radiculopatia è meno frequente perché le radici anteriori e posteriori del nervo, i gangli e il nervo comune spinale sono ben protetti nel forame intervertebrale ove occupano soltanto il 25% dello spazio disponibile per il resto ben imbottito. La compromissione funzionale delle arterie vertebrali, l'infarto del midollo spinale e la compressione dell'esofago da parte di osteofiti si verificano raramente. Sintomi e segni possono anche derivare dalle strutture legamentose, dalle capsule, dai muscoli, dai tendini, dai dischi e dal periostio, i quali sono tutti dotati di sensibilità dolorifica. La pressione venosa aumenta nel midollo situato dentro l'osso subcondrale, come altra fonte di dolore. L'OA dell'anca è caratterizzata da un graduale aumento della rigidità e da una perdita dell'ampiezza di motilità articolare. Il dolore può essere avvertito nell'area inguinale o riferito al ginocchio. Poiché la cartilagine è perduta nel ginocchio con OA (una perdita mediale si verifica nel 70% dei casi), i legamenti diventano lassi e l'articolazione diventa meno stabile, con dolore locale insorgente dai legamenti e dai tendini. Dolorabilità alla palpazione e dolore ai movimenti passivi sono segni relativamente tardivi. Spasmi muscolari e contratture si aggiungono al dolore. Si può verificare un blocco funzionale da osteofiti o corpi mobili (frammenti ossificati che si muovono nello spazio articolare) che può causare blocco o intrappolamento. Deformazioni e sublussazioni derivano dalla perdita di volume cartilagineo, dal collasso dell'osso subcondrale, dalla formazione di osteofiti, dall'atrofia muscolare e dalle pseudocisti.

Diagnosi Sebbene la diagnosi sia generalmente semplice, talvolta devono essere considerate altre malattie reumatiche comuni (p. es., l'AR, le spondilo-artropatie sieronegative e la pseudogotta). Nell'OA il coinvolgimento di articolazioni non abituali, suggerisce una OA secondaria e richiede ulteriori considerazioni riguardo l'eziologia (p. es., patologie endocrine, metaboliche neoplastiche o disordini biomeccanici dell'osso e delle articolazioni). La diagnosi viene effettuata generalmente sulla base dei segni e dei sintomi clinici o nei pazienti asintomatici, sui reperti rx. La VES è normale o solo moderatamente elevata. Gli esami del sangue possono aiutare a escludere altre cause identificabili di artrite (p. es., gotta, AR). Spesso l'esame del liquido sinoviale evidenzia un liquido chiaro viscoso caratteristico dell'OA (v. Tab. 49-3 e 49-4). Le radiografie generalmente rivelano restringimento dello spazio articolare (soprattutto unilaterale nella OA precoce del ginocchio), aumento della densità dell'osso subcondrale, formazione di osteofiti ai margini delle articolazioni e formazione di pseudocisti nel midollo subcondrale.

Prognosi e terapia Il processo fisiopatologico dell'OA è di solito progressivo ma occasionalmente, senza essere prevedibile, si arresta o regredisce. Il trattamento comprende la riabilitazione, che implica la prevenzione delle alterazioni funzionali iniziando il trattamento prima che si sviluppino le disabilità e la riduzione della gravità o della durata della disabilità (v. Cap. 291). Le considerazioni principali da fare sulla terapia riguardano lo stadio e l'ampiezza delle modificazioni tissutali, il numero delle articolazioni coinvolte, il ciclo di comparsa del dolore, la causa del dolore (difetti biomeccanici o infiammazione) e lo stile di vita del paziente. Il trattamento deve anche comprendere l'educazione del paziente riguardo la natura del problema (fisiologia e biomeccanica), la prognosi (generalmente benigna), la file:///F|/sito/merck/sez05/0520488.html (3 of 4)02/09/2004 2.20.18

Osteoartrosi e artropatia neurogena

necessità di cooperazione e la capacità di mantenersi in una buona forma fisica. Particolare attenzione deve essere posta alle attività di vita quotidiana. Un paziente con OA dell'anca o del ginocchio, deve essere abituato a evitare di sedersi su poltrone soffici e profonde e su divani dai quali alzarsi sia difficile. L'uso regolare di cuscini sotto le ginocchia aumenta le contratture e deve essere evitato. I pazienti devono sedere in sedie diritte senza sprofondare; usare un letto duro provvisto di tavola e un sedile di automobile confortevole; eseguire esercizi di postura; usare scarpe con plantare o scarpe da atletica; e continuare l'attività lavorativa e fisica. L'esercizio (range di movimento, isometrico, isotonico, isocinetico, posturale, rafforzante) mantiene sane le cartilagini, le escursioni del movimento e sviluppa le capacità dei muscoli e dei tendini di ammortizzare le sollecitazioni. Esercizi giornalieri di "stretching" risultano essere estremamente importanti. L'immobilizzazione per periodi relativamente brevi può accelerare e peggiorare l'andamento clinico. L'arresto e raramente la guarigione dell'OA delle anche e delle ginocchia si verificano con programmi di esercizi fisioterapici appropriati. Bisogna mantenere un equilibrio tra il riposo (q 4-6 h durante il giorno per permettere la reidratazione della cartilagine) e l'esercizio. Non c'è evidenza che i FANS largamente usati abbiano alcun beneficio a lungo termine sull'OA. L'acetaminofene, a dosi di 1 g qid, è un utile analgesico ed è generalmente più sicuro dei FANS. Nei pazienti con dolore refrattario o con più segni di infiammazione, l'aspirina o altri FANS possono essere utilizzati e possono offrire un buon sollievo sintomatologico (v. in Artrite Reumatoide nel Cap. 50). Gli inibitori dell'enzima COX-2 controllano l'infiammazione e diminuiscono il dolore con minori effetti collaterali gastrointestinali. I miorilassanti (normalmente a basse dosi) offrono occasionalmente un beneficio temporaneo quando il dolore proviene dai muscoli stirati nel tentativo di sostenere le articolazioni artrosiche. I corticosteroidi PO non sono generalmente indicati. Corticosteroidi depot per via intrarticolare sono utili quando vi siano versamento o segni di flogosi; questi farmaci di solito sono necessari solo a intermittenza e devono generalmente essere usati con la minore frequenza possibile. La terapia farmacologica è l'aspetto minore del trattamento ottimale, forse soltanto il 15% del programma totale. L'acido ialuronico, un normale componente fisiologico del liquido sinoviale, si è dimostrato efficace nel trattamento dell'OA del ginocchio. Le preparazioni commerciali, Hyalgan e ARTZ, per iniezione, hanno dato miglioramenti misurabili usando criteri clinici, radiologici e di laboratorio. Quando le terapie di tipo conservativo non hanno dato risultati, va presa in considerazione l'esecuzione di un intervento chirurgico: laminectomia, osteotomia e protesi dell'anca. Nella OA della colonna, del ginocchio o della prima articolazione carpometacarpale, vari metodi possono offrire sollievo, ma dovrebbero essere seguiti da specifici programmi di esercizi. Altre terapie aggiuntive sono le stimolazioni nervose elettriche transcutanee e le frizioni locali (p. es., con capsaicina). Terapie sperimentali che possono preservare la cartilagine o permettere trapianti di condrociti sono allo studio

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Osteoartrosi e artropatia neurogena

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 52. OSTEOARTROSI E ARTROPATIA NEUROGENA ARTROPATIA NEUROGENA Artropatia rapidamente distruttiva, di varia eziologia, dovuta alla compromissione della sensibilità dolorifica e propriocettiva. (Artropatia neuropatica; articolazioni di Charcot)

Sommario:

Patogenesi ed eziologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Patogenesi ed eziologia La perdita della percezione del dolore profondo e della propriocezione influisce negativamente sui normali riflessi, facendo passare spesso inosservati traumi (particolarmente episodi traumatici minori) e piccole fratture periarticolari. Così, una vasodilatazione riflessa in grado di incrementare il flusso ematico nell'osso, può provocare riassorbimento osseo con conseguenti fratture, danno articolare e successiva riparazione. La Tab. 52-1 elenca le condizioni associate con l'artropatia neurogena. La progressione della malattia è accelerata dall'ipotonia muscolare, dalla lassità legamentosa e dalla distensione della capsula articolare da parte di un versamento e talora da cristalli di calcio pirofosfato o di apatite.

Sintomi, segni e diagnosi Nei primi stadi, la malattia viene spesso scambiata per osteoartrosi (OA). Sono generalmente presenti dolore, versamenti abbondanti, spesso emorragici, sublussazioni e instabilità articolare. Talvolta, in questo stadio, si verifica una lussazione articolare acuta. L'artropatia neurogena progredisce più rapidamente dell'OA. L'artropatia può non svilupparsi per lungo tempo dall'esordio delle manifestazioni neurologiche, ma può progredire rapidamente e portare, in alcuni mesi, alla completa compromissione dell'articolazione. Nell'artropatia neurogena pienamente sviluppata, possono predominare le alterazioni ipertrofiche, quelle distruttive o entrambe. Il dolore è spesso assente o meno acuto rispetto a quello che ci si aspetterebbe dall'entità del danno articolare; il dolore può essere intenso se la malattia ha progredito rapidamente e se si sono verificate fratture periarticolari o ematomi da tensione. L'articolazione è gonfia per la presenza di calli ossei o di versamenti sinoviali massivi. Si instaurano deformazioni dovute a fratture con spostamento, a lussazioni dopo la distruzione delle superfici articolari, a lassità legamentosa e a ipotonia muscolare. Le fratture e la metaplasia ossea determinano la formazione di numerosi corpi mobili intrarticolari (frammenti cartilaginei o ossei) che producono un aspro rumore di crepitazione, spesso avvertibile e generalmente più fastidioso file:///F|/sito/merck/sez05/0520491.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.19

Osteoartrosi e artropatia neurogena

per chi osserva che non per il paziente. L'articolazione può sembrare "un sacco di ossa". Può essere interessata la maggior parte delle articolazioni, ma il ginocchio è leso con una frequenza uguale alla somma della frequenza di tutte le altre articolazioni. La distribuzione dipende in gran parte dalla malattia di base. Così, la tabe dorsale colpisce il ginocchio e l'anca e il diabete mellito il piede. La siringomielia colpisce più frequentemente le articolazioni degli arti superiori, specialmente il gomito e la spalla. Di solito viene interessata soltanto un'articolazione e comunque non più di due o tre (tranne che per le articolazioni più piccole del piede), con distribuzione asimmetrica. La diagnosi va sospettata nei pazienti con disturbi neurologici che sviluppano un'artropatia distruttiva e relativamente poco dolorosa, generalmente dopo vari anni dall'esordio della malattia neurologica di base. L'esame radiografico mostra un'articolazione gonfia con versamento e una sublussazione delle superfici articolari. La sclerosi delle epifisi, abitualmente presente, può mancare nelle fasi avanzate o rapidamente distruttive della malattia. Le ossa risultano deformate e generalmente sono ben evidenti neoformazioni ossee adiacenti la corticale, che originano all'interno della capsula articolare e che spesso si estendono per tutta la lunghezza di un osso lungo. Raramente si verificano calcificazione e ossificazione a carico dei tessuti molli. Questo, tuttavia, può essere un reperto transitorio e anche l'estensiva calcificazione dei tessuti molli può scomparire nei successivi esami radiologici. Osteofiti grandi e di forma bizzarra possono essere osservati ai margini articolari; questi possono staccarsi generando numerosi corpi mobili intrarticolari che sono caratteristici di tale patologia. Sono di frequente riscontro i segni rx dell'interessamento del rachide (osteofiti caratteristici a forma di "becco di pappagallo"), anche in assenza di qualsiasi manifestazione clinica patologica a carico di tale distretto. Le complicanze comprendono l'artrite settica e fenomeni compressivi a carico delle strutture adiacenti (p. es. vasi sanguigni, nervi o midollo spinale). I segni locali sono di difficile interpretazione, ma le manifestazioni sistemiche (p. es., il malessere e la febbre) indicano che si deve procedere a un'aspirazione del liquido sinoviale e a un esame colturale.

Profilassi e terapia La prevenzione dell'insorgenza dell'artropatia è possibile in un paziente ad alto rischio (p. es., casi di tabe grave). La diagnosi precoce e l'immobilizzazione di una frattura, spesso non dolente (con splint, stivali speciali o calibri), possono bloccare l'evoluzione di un'artropatia neurogena. L'artrodesi, effettuata utilizzando una sintesi endomidollare, che è una tecnica di compressione interna e un innesto osseo adeguato, può avere successo in alcuni pazienti con un'articolazione molto compromessa. Quando la malattia non è progressiva, si possono ottenere buoni risultati con la sostituzione protesica di anca e ginocchio. Tuttavia, la lussazione e l'allentamento della protesi costituisce un grave rischio. Il trattamento della malattia neurologica di base può rallentare la progressione dell'artropatia e fare parzialmente regredire il processo distruttivo articolare, se questo è ancora nelle fasi iniziali.

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Necrosi avascolare

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 53. NECROSI AVASCOLARE Sommario: Introduzione Epidemiologia Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Le alterazioni patologiche sono caratterizzate da necrosi cellulare ossea causata da compromissione dell'apporto ematico. L'estensione della necrosi avascolare è in funzione del grado di compromissione circolatoria. La testa del femore (anca) è coinvolta più frequentemente; il femore al livello del ginocchio e la testa omerale (spalla) sono colpite frequentemente; il corpo dell'astragalo, lo scafoide carpale e l'osso navicolare sono coinvolti meno frequentemente.

Epidemiologia Negli USA, il 5% dei casi di osteoartrosi dell'anca che richiedono una protesi, è causato da necrosi avascolare. Il picco di incidenza si ha tra i 30 e i 60 anni. La necrosi avascolare idiopatica della testa del femore ha un rapporto maschiofemmina di 4-5:1. Nel 33-72% dei pazienti, la malattia è bilaterale. Si ritiene che la malattia di Legg-Calvé-Perthes delle apofisi e delle epifisi nei bambini e negli adolescenti e altre forme di osteocondrosi, siano causate da necrosi avascolare, anche se questo è ora meno certo (v. Osteocondrosi nel Cap. 270).

Eziologia Diverse malattie primarie sono state associate con la necrosi avascolare; alcune ne sono più chiaramente ritenute la causa (v. Tab. 53-1). I più comuni siti di necrosi avascolare post-traumatica sono le teste femorale e omerale, il corpo dell'astragalo e lo scafoide carpale. La necrosi avascolare posttraumatica si sviluppa quando l'apporto ematico è alterato ed è per questo una funzione del contributo relativo delle arterie della testa femorale o omerale e della estensione delle anastomosi tra loro, che varia tra i diversi individui. La lussazione dell'anca può stirare il legamento rotondo e la capsula articolare, compromettendo i vasi della capsula stessa. Delle anche che rimangono dislocate più di 12 h, il 52% sviluppa una necrosi avascolare contro il 22% di quelle ridotte entro 12 h. Negli interventi di fissazione in seguito a frattura, l'incidenza di necrosi avascolare e di collasso osseo varia tra l'11 e il 45% dei casi e non sembra essere correlata alla abilità del chirurgo o al tipo di apparecchio fissatore.

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Necrosi avascolare

La necrosi avascolare da altre cause più spesso si verifica a carico dell'anca, seguita dalla testa omerale. Le due principali teorie sul meccanismo d'azione sono l'obliterazione intraluminale dei vasi terminali (p. es., da emboli lipidici, da drepanociti o da bolle di azoto nella malattia da decompressione dei sommozzatori) o l'obliterazione extraluminale causata da aumentata pressione del midollo per la proliferazione di cellule di Gaucher o aumentato grasso midollare. Vi è anche una necrosi avascolare idiopatica a carico del ginocchio, che si verifica più spesso nelle donne anziane.

Sintomi e segni Per alcuni pazienti, il dolore comincia acutamente, i pazienti ricordano il giorno e l'ora della prima percezione di un improvviso, grave, disabilitante dolore, presumibilmente al momento della iniziale obliterazione vascolare e prima del collasso osseo. Per altri pazienti, l'insulto iniziale è asintomatico. La maggior parte sviluppa più tardi un dolore meccanico nel momento in cui la testa femorale (o un altro osso coinvolto) collassa. Un tale dolore è evocato dallo stare in piedi, dal camminare, dal muoversi, dal tossire o da altri stress meccanici ed è largamente alleviato dal riposo. I pazienti con malattia avanzata hanno dolore a riposo. In pazienti con fratture, i sintomi che possono indicare una necrosi avascolare sono il dolore che aumenta e la zoppia a circa 1 anno dall'evento. I sintomi tendono a essere aspecifici. La necrosi avascolare della testa del femore si presenta con dolore all'inguine che si irradia a intermittenza lungo la coscia anteromedialmente. I pazienti possono mostrare una andatura antalgica, una minima zoppia glutea o una limitazione del range di movimento, specialmente nella flessione, nella abduzione e nella rotazione interna, con un distinto rumore tipo "click" suscitato dalla rotazione esterna dell'anca flessa abdotta, particolarmente quando ci si muove dalla posizione seduta. La necrosi avascolare del ginocchio nell'anziano è quasi sempre associata con l'esordio improvviso atraumatico di un dolore acuto costante localizzato al lato mediale del ginocchio, accompagnato da dolorabilità sul condilo femorale mediale e, in 1/3 dei pazienti, versamento lieve o moderato. La necrosi avascolare della testa omerale può essere a lungo non riconosciuta, poiché la spalla non è un'articolazione portante e i sintomi possono essere transitori o lievi. Di solito il dolore si irradia alla tuberosità deltoide dell'omero. Il movimento attivo risulta limitato molto presto, ma quello passivo viene conservato. La necrosi avascolare della testa dell'omero in assenza del coinvolgimento di altre sedi è rara.

Diagnosi La diagnosi precoce richiede un forte sospetto in pazienti che si presentano con dolore, particolarmente delle anche, ginocchia o spalle. I test diagnostici dipendono dallo stadio della malattia. La RMN è la tecnica più sensibile e specifica e dovrebbe essere usata per la diagnosi molto precoce, quando il collasso della testa femorale o di un altro osso è prevedibile. Se la durata della malattia non è chiara, una radiografia o una TC devono essere effettuati per escludere una malattia in stadio avanzato. La scintigrafia ossea è più sensibile dei raggi-x, ma non è specifica ed è usata meno spesso della RMN. I reperti radiologici possono non diventare evidenti per mesi fino a 5 anni dopo l'esordio dei sintomi. Le caratteristiche osservate alla rx cominciano con una sottile sclerosi dell'osso. A livello della testa del femore, questo è seguito da una file:///F|/sito/merck/sez05/0530492.html (2 of 3)02/09/2004 2.20.20

Necrosi avascolare

caratteristica lucentezza subcondrale (il segno della semiluna). A questo consegue il collasso dell'osso (appiattimento della testa femorale) e, alla fine, il restringimento dello spazio articolare e alterazioni di tipo osteoartrosico a carico delle ossa prospicienti la articolazione.

Prevenzione e terapia La prevenzione è ovviamente preferibile alla terapia. Seguire le regole nelle immersioni in profondità può prevenire la malattia da decompressione (v. Cap. 285). Ridurre le dosi di corticosteroidi dovrebbe anche diminuire il rischio. Il trattamento conservativo spesso comprende analgesici ed evitare il carico sulle articolazioni degli arti inferiori nel tentativo di prevenire il collasso durante la guarigione, sebbene l'efficacia di questa misura sia difficile da dimostrare. Devono essere effettuati esercizi per conservare il range di movimento. Un intervento chirurgico precoce può offrire la migliore possibilità di prevenire gravi disfunzioni articolari delle anche e delle ginocchia (meno nelle spalle). La malattia è generalmente irreversibile quando diventa evidente alla rx. I trapianti ossei corticali possono offrire un supporto meccanico all'osso subcondrale e alla cartilagine articolare, nel tentativo di prevenire il collasso mentre la testa femorale rivascolarizza. Le stampelle devono essere usate per mesi dopo tali trapianti. La decompressione del nucleo comprende la perforazione del collo e della testa del femore per rimuovere la porzione centrale dell'osso, riducendo la pressione intraossea. In alcuni centri, questo ha dato ottimi risultati. In casi trattati precocemente, il dolore dell'anca è alleviato e una percentuale di pazienti che può arrivare fino al 75% riesce a evitare, più avanti nel tempo, la protesi. L'osteotomia è stata anche usata per alterare i meccanismi di funzionamento della articolazione e ridistribuire le massime forze di carico per prevenire il collasso e la deformazione della testa femorale. L'uso di stampelle è richiesto per 6-12 mesi. La protesi chirurgica di anca (o di ginocchio) è efficace, ma è abitualmente riservata ai casi di dolore grave refrattario e a quelli di osteoartrosi secondaria. Grande cautela deve essere posta quando si esegue questa operazione in pazienti giovani, che spesso vogliono continuare un'attività fisica vigorosa, che limita la durata degli impianti articolari.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOPOROSI OSTEOSCLEROSI Caratterizzata da aumento della densità dello scheletro con scarse alterazioni del modellamento osseo. Caratterizzata da aumento della densità dello scheletro con scarse alterazioni del modellamento osseo. Le osteopetrosi a manifestazione tardiva si verificano nell’infanzia, nell’adolescenza o nel periodo adulto-giovanile. La malattia di Albers-Schönberg in senso stretto costituisce la forma autosomica dominante tardiva o benigna di osteopetrosi, relativamente comune, a vasta distribuzione geografica ed etnica. Le persone affette possono essere asintomatiche e si arriva alla diagnosi per caso, effettuando esami radiologici per altri motivi. La facies, l’aspetto fisico, lo stato mentale e l’aspettativa di vita sono normali e lo stato di salute generale non è compromesso. Occasionalmente si presenta con una paresi facciale o una sordità dovute a compressione dei nervi cranici per iperaccrescimento osseo. Complicanza rara è una lieve anemia. Lo scheletro è radiologicamente normale alla nascita, ma durante l’infanzia la sclerosi ossea diventa progressivamente sempre più evidente. L’interessamento osseo è diffuso, ma con distribuzione zonale e gli arti vengono talvolta risparmiati dal processo morboso. La volta cranica è ispessita e i seni possono essere obliterati. La colonna vertebrale assume il caratteristico aspetto a "maglia da rugby" (a fasce orizzontali) per la sclerosi dei piatti vertebrali. In alcuni pazienti, può essere necessario il trattamento dell’anemia con terapia trasfusionale o splenectomia. L’osteopetrosi con manifestazioni precoci (forma autosomica recessiva precoce, maligna o congenita di osteopetrosi che si presenta nell’infanzia) è un disordine raro, potenzialmente mortale. L’eccessiva crescita ossea determina disfunzione del midollo osseo, manifestandosi con disturbi dell’accrescimento, formazione spontanea di ematomi, emorragie e anemia. Si sviluppa epatosplenomegalia e negli stadi più avanzati si verificano paralisi dei nervi ottico, oculomotore e facciale. La morte, dovuta ad anemia, infezioni gravi o emorragie, si realizza generalmente nel primo anno di vita. Il reperto radiologico predominante è una densità ossea generale aumentata. Le radiografie delle ossa lunghe rivelano la presenza di bande trasversali nelle regioni metafisarie e di striature longitudinali nelle diafisi. Col progredire della malattia le epifisi delle ossa lunghe, in particolare l’epifisi prossimale dell’omero e quella distale del femore, assumono una configurazione a clava. Si osservano formazioni endo-ossee nelle vertebre, nella pelvi e nelle ossa tubulari; il cranio si ispessisce e la colonna vertebrale ha un aspetto a "maglia da rugby". Il trapianto di midollo osseo ha dato inizialmente eccellenti risultati in un piccolo numero di lattanti, ma non si conoscono i risultati a lungo termine. L’osteopetrosi con acidosi tubulare renale è una condizione autosomica recessiva che determina astenia, bassa statura e ritardo di crescita. Lo scheletro è radiologicamente denso, si riscontra l’acidosi tubulare renale e l’attività file:///F|/sito/merck/sez19/2702579a.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.21

Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

dell’anidrasi carbonica dei GR è difettosa. La picnodisostosi è una condizione autosomica recessiva in cui la bassa statura si evidenzia nella prima infanzia; nell’età adulta l’altezza non supera i 150 cm. Altre manifestazioni, comprendenti un cranio grosso, mani e piedi corti e larghi, unghie distrofiche e sclere blu, si rilevano generalmente durante l’infanzia. Le persone affette si somigliano, avendo una faccia piccola, con mento sfuggente e denti cariati e mal posizionati. Il cranio è bombato, con la fontanella anteriore aperta. Le falangi terminali sono corte e le unghie delle mani sono displastiche. Le fratture patologiche sono una complicanza della picnodisostosi. Durante l’infanzia diventa evidente sulle radiografie la sclerosi ossea, ma non sono rilevabili né le striature ossee né le formazioni all’interno delle ossa. La calotta cranica non è particolarmente densa, ma si ha pervietà delle fontanelle e presenza di numerose ossa wormiane. Le ossa della faccia e i seni paranasali sono ipoplasici e l’angolo della mandibola è ottuso. Le clavicole possono essere gracili, con le parti laterali poco sviluppate; le falangi distali sono rudimentali.

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Malattie indotte da cristalli

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 55. MALATTIE INDOTTE DA CRISTALLI IPERURICEMIA IDIOPATICA Esistono solo pochi dati che riguardano il trattamento specifico di un'iperuricemia non gottosa asintomatica. Sembra prudente la somministrazione quotidiana di probenecid o di sulfinpirazone a quei pazienti < 40 anni, con iperuricemia persistente maggiore di 9 mg/dl (0,53 mmol/l), con una normale escrezione urinaria di urati nelle 24 h. I pazienti con ipersecrezione di acido urico devono essere trattati con allopurinolo in quanto sono a maggior rischio di urolitiasi.

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Malattie indotte da cristalli

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 55. MALATTIE INDOTTE DA CRISTALLI MALATTIA DA DEPOSIZIONE DI PIROFOSFATO CALCICO DIIDRATO Malattia articolare causata da deposizione di cristalli di calcio pirofosfato diidrato con manifestazioni proteiformi che possono includere attacchi intermittenti di artrite acuta, una artropatia degenerativa che è spesso grave ma può essere asintomatica ed evidenza ai raggi-x di calcificazione della cartilagine articolare (condrocalcinosi) in siti caratteristici. (Pseudogotta)

Sommario:

Eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e incidenza La causa è sconosciuta. La frequente associazione con altre condizioni come traumi (compresi gli interventi chirurgici), amiloidosi, mixedema, iperparatiroidismo, gotta ed emocromatosi, suggerisce che i depositi di CPPD siano secondari a modificazioni di tipo degenerativo o metabolico nei tessuti affetti. La malattia diventa sintomatica nei soggetti in età > 60 anni. L'incidenza di condrocalcinosi radiologica in pazienti di 70 anni è di circa il 3%, e raggiunge circa il 50% nei pazienti di 90 anni. Entrambi i sessi vengono colpiti allo stesso modo.

Sintomi e segni Gli attacchi di artrite acuti o subacuti si verificano generalmente nel ginocchio o in altre grandi articolazioni periferiche e possono simulare altre patologie artritiche. Talvolta tali attacchi seguono l'andamento di quelli della gotta classica, ma sono in genere meno gravi. L'intervallo tra gli attacchi può essere asintomatico oppure decorrere con una sintomatologia più sfumata, simile a quella dell'AR, in articolazioni multiple. Tale quadro clinico tende a persistere per tutta la vita. Una condrocalcinosi asintomatica è stata osservata radiologicamente anche a carico del ginocchio, dell'anca, dei dischi intervertebrali, delle articolazioni sacro iliache e nella sinfisi pubica.

Diagnosi La presenza di cristalli a forma di ago, bastoncino o parallelepipedo di CPPD in file:///F|/sito/merck/sez05/0550504b.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.22

Malattie indotte da cristalli

una goccia di liquido sinoviale è diagnostica di condrocalcinosi (v. Diagnosi differenziale tra malattie articolari infiammatorie e non infiammatorie al Cap. 49). I cristalli possono essere inglobati nei leucociti, in frammenti di tessuto o liberi. Il loro aspetto al microscopio a luce polarizzata è descritto nella Tab. 55-1. La diagnosi è confermata dalla presenza di immagini rx che mostrano calcificazioni lineari della cartilagine articolare, in particolare delle fibrocartilagini.

Prognosi e terapia La prognosi è generalmente eccellente, anche se può verificarsi una grave artropatia destruente, simile a quella neuropatica (di Charcot). La colchicina è efficace se somministrata EV a una dose di 1 mg (diluita in soluzione fisiologica fino a 20 ml) in 2-5 min, seguita da un altro mg in 12 h EV, se persiste il dolore (V. anche Gotta, sopra.) In caso di versamento acuto, il liquido sinoviale può essere aspirato e analizzato per evidenziare la presenza dei cristalli; una sospensione microcristallina di un corticosteroide può essere inoculata nella cavità articolare. L'indometacina 75-150 mg/die o dosi analoghe di altri FANS, spesso risolvono rapidamente un attacco acuto. Trial controllati hanno dimostrato che la colchicina assunta PO a dosi di 0,5-1,5 mg/die è efficace nel prevenire episodi di attacchi acuti.

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Malattie indotte da cristalli

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 55. MALATTIE INDOTTE DA CRISTALLI DISORDINI DA CRISTALLI DI FOSFATO DI CALCIO BASICO E DI ALTRA NATURA La maggior parte delle calcificazioni patologiche del corpo contiene miscugli di idrossiapatite carbonato e fosfato octocalcico. Poiché questi cristalli ultramicroscopici sono fosfati di calcio non acido, il termine "fosfato di calcio basico" (FCB) è stato proposto come più preciso rispetto a "apatite." Questi cristalli si presentano in masse simili a palle di neve in diverse condizioni reumatiche, come la tendinite calcifica, la periartrite calcifica o la calcinosi circoscritta e la calcinosi diffusa che complica alcuni casi di sclerodermia e dermatomiosite. Si trovano anche nel liquido articolare di pazienti con artropatie degenerative. L'esempio meglio studiato è la sindrome della spalla di Milwaukee, una condizione trovata prevalentemente in donne anziane nelle quali la testa omerale è dislocata in alto a causa della dissoluzione della cuffia fibrosa dei rotatori. I cristalli di FCB stimolano il rilascio di prostaglandine durante l'endocitosi da parte delle cellule sinoviali di rivestimento dello spazio articolare. All'interno delle cellule essi causano il continuo rilascio di proteasi neutre e agiscono come fattori di crescita, stimolando la divisione cellulare. Queste proprietà sono state legate ai cambiamenti articolari distruttivi. Quando i cristalli di FCB si rompono in una articolazione o nei casi di periartrite calcifica, essi possono attrarre neutrofili e causare una infiammazione acuta, che è spesso grave. Sfortunatamente, non vi è un test clinicamente utile definitivo per i cristalli di FCB. I cristalli ammassati possono essere identificati soltanto con la microscopia elettronica a trasmissione. Essi non sono birifrangenti al microscopio a luce polarizzata (v. Tab. 55-1). Ai raggi-x, possono essere visibili come opacità periarticolari simili a nuvole. La terapia con la colchicina orale o EV, FANS o, se una grande articolazione è coinvolta, una sospensione di cristalli di esteri di corticosteroidi intrarticolari è utile. Questa terapia è descritta sopra per la gotta acuta. I cristalli di ossalato di calcio si depositano nei tessuti dei pazienti trattati con emodialisi o dialisi peritoneale. Essi appaiono come strutture birifrangenti bipiramidali all'interno dei neutrofili durante gli attacchi acuti similgottosi e nelle artriti subacute (v. Tab. 55-1). Nell'ossalosi congenita, essi sono stati descritti nei macrofagi del midollo osseo e nelle cellule giganti. Alla rx, essi sono indistinguibili dalle calcificazioni periarticolari di FCB o dai depositi di CPPD nella cartilagine. Essi si possono anche depositare nelle pareti dei vasi sanguigni e nella pelle di alcuni pazienti. I cristalli di colesterolo, che appaiono come dischi sottili con angoli dentellati o meno comunemente come aghi, sono stati descritti nel liquido articolare in corso di malattie croniche degenerative o infiammatorie. Essi derivano dal colesterolo delle membrane delle cellule che migrano nello spazio sinoviale. Nessuna attività biologica è stata chiaramente attribuita loro.

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Malattie indotte da cristalli

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Tumori osseie articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 56. TUMORI OSSEI E ARTICOLARI TUMORI BENIGNI DELL'OSSO Gli osteocondromi (esostosi osteocartilaginea) sono i più comuni tumori ossei benigni. Si manifestano per lo più fra i 10 e i 20 anni e possono essere singoli o multipli. Essi possono originare da qualunque osso ma tendono a localizzarsi vicino le epifisi delle ossa lunghe. Ogni osteocondroma è coperto da uno strato cartilagineo. Vi può essere la tendenza familiare a sviluppare osteocondromi multipli. La degenerazione maligna in condrosarcoma si manifesta in circa il 10% dei pazienti con osteocondromi multipli ma in < 1% di quelli con lesioni singole. I condromi possono verificarsi a qualunque età, ma tendono a comparire negli adulti. Essi sono localizzati centralmente in un segmento osseo (cioè, nella cavità midollare). All'esame rx queste lesioni appaiono come un'area osteolitica con zone di calcificazione. Questi tumori spesso sono asintomatici e costituiscono reperti occasionali in corso di indagini rx eseguite per altri motivi. La scintigrafia ossea in questi casi è abitualmente positiva, così da far pensare a una neoplasia maligna. Un'attenta lettura dei reperti rx consente di solito di fare una diagnosi corretta senza la necessità di una biopsia. Se alla rx sorgessero dubbi interpretativi o se la lesione fosse dolorosa, la biopsia si renderebbe con tutta probabilità necessaria. Una lesione asintomatica radiologicamente ben caratterizzata non necessita di asportazione chirurgica né di alcun altro trattamento. Tuttavia, è consigliabile un controllo radiologico nel tempo per escludere la progressione della malattia. Il condroblastoma è raro, verificandosi più frequentemente in persone tra i 10 e i 20 anni. Esso insorge nelle epifisi. Alla rx, appare come una cisti contenente tracce di minerale (calcio). Questo tumore può continuare a crescere e distruggere l'osso. Deve essere resecato chirurgicamente. Il condromixofibroma è molto raro e insorge prima dei 30 anni. La diagnosi è basata sui reperti rx (generalmente è eccentrico, ben circoscritto, con aree di lisi e localizzato in vicinanza delle estremità delle ossa lunghe). L'osteoma osteoide può manifestarsi in qualsiasi osso, ma è in genere sito nelle ossa lunghe. Esso tende a verificarsi nei giovani adulti. Il dolore (che peggiora abitualmente di notte) viene generalmente alleviato da piccole dosi di aspirina. L'esame obiettivo può rivelare l'atrofia dei muscoli della regione dell'osso coinvolto. Il reperto rx caratteristico mostra una piccola zona radiotrasparente circondata da un'ampia zona sclerotica. Alla scintigrafia ossea con tecnezio-99, esso appare come un'area di aumentata captazione. La guarigione permanente si ottiene soltanto con l'individuazione e asportazione chirurgica della piccola zona radiotrasparente. Il tumore gigantocellulare si manifesta generalmente in persone fra i 20 e i 30 anni, la lesione si verifica a carico delle epifisi delle ossa lunghe e si presenta come un'area osteolitica alla rx. Può erodere l'osso e infiltrare il tessuto molle. La maggior parte dei tumori gigantocellulari benigni viene trattata con curettage e riempimento con metil metacrilato. Per le forme più estese può essere necessaria la totale asportazione della lesione. Il tumore gigantocellulare tende a recidivare e questo può rendere difficile il trattamento chirurgico. Raramente, un tumore benigno a cellule giganti può metastatizzare, anche se rimane istologicamente benigno. file:///F|/sito/merck/sez05/0560507a.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.24

Tumori osseie articolari

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Tumori osseie articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 56. TUMORI OSSEI E ARTICOLARI TUMORI MALIGNI DELL'OSSO Sommario: Tumori primitivi Lesioni che generalmente simulano i tumori primitivi dell'osso Tumori metastatici

Di derivazione emopoietica, il mieloma multiplo (v. anche Cap. 140) è il più comune tumore dell'osso. Si verifica prevalentemente negli adulti anziani. Il processo neoplastico è in genere multicentrico e spesso interessa il midollo osseo tanto diffusamente che l'esame del puntato sternale ha in genere valore diagnostico. I raggi x di solito mostrano lesioni osteolitiche o demineralizzazione diffusa. L'osteosarcoma (sarcoma osteogenico), dopo il mieloma, è il tumore osseo primitivo più comune. È altamente maligno. Si riscontra più frequentemente fra i 10 e i 20 anni, ma può verificarsi in qualsiasi età. In circa la metà dei casi colpisce il ginocchio, anche se può localizzarsi in qualsiasi osso. Dolore e tumefazione sono i sintomi più comuni. I reperti rx variano molto e il tumore può essere in predominanza osteolitico od osteosclerotico. La diagnosi è basata sulla biopsia. Poiché l'osteosarcoma può metastatizzare, di solito al polmone, una valutazione per eventuali metastasi può essere necessaria. Una volta stabilita con certezza la diagnosi di osteosarcoma, bisogna consultare un oncologo per stabilire se effettuare una chemioterapia (preoperatoria) neoadiuvante o (postoperatoria) adiuvante o entrambe. Se si istituisce una terapia neoadiuvante, il miglioramento della malattia può essere seguito mediante indagine rx, dalla diminuzione dell'intensità del dolore e del livello sierico della fosfatasi alcalina. L'intervento chirurgico può essere effettuato dopo vari cicli di chemioterapia. La maggior parte delle lesioni si può trattare con tecniche conservative (cioè con tecniche chirurgiche moderne si può resecare il tumore e ricostruire l'arto) e non richiede amputazione come in passato. La terapia neoadiuvante consente inoltre lo studio del tessuto tumorale, una volta asportato, per determinare l'estensione della necrosi causata dalla chemioterapia. Le lesioni con una necrosi quasi completa sono quelle in cui vi è una prognosi migliore. Alcuni oncologi preferiscono la chemioterapia adiuvante. Il 75% dei pazienti ha una sopravvivenza di 5 anni con entrambe le forme di terapia. Numerosi studi clinici sono in corso per migliorare ulteriormente la sopravvivenza. Il fibrosarcoma ha le medesime caratteristiche generali dell'osteosarcoma, colpisce gli stessi gruppi di età e pone gli stessi problemi. L'istiocitoma fibroso maligno, è clinicamente simile all'osteosarcoma e al fibrosarcoma. Esso tende a verificarsi nei bambini e negli adolescenti. Il trattamento è il medesimo dell'osteosarcoma. Il condrosarcoma, tumore maligno della cartilagine, è dal punto di vista clinico, terapeutico e prognostico differente dall'osteosarcoma. Si sviluppa in circa il 10% dei pazienti affetti da osteocondromi multipli. In ogni caso, il 90% dei file:///F|/sito/merck/sez05/0560507b.html (1 of 4)02/09/2004 2.20.25

Tumori osseie articolari

condrosarcomi è primitivo, manifestandosi ex novo. I condrosarcomi tendono a verificarsi negli adulti. I condrosarcomi possono essere diagnosticati soltanto con la biopsia e molti possono essere gradati istologicamente dal grado 1 (a lenta crescita, buona prognosi) al grado 4 (a più rapida crescita, con maggior probabilità di metastatizzare). A prescindere dallo stadio, la caratteristica più saliente di questi tumori è la capacità di infiltrare il tessuto molle circostante. Il trattamento è chirurgico. La terapia radiante e la chemioterapia non sono efficaci come trattamento primario o aggiuntivo. A causa della loro capacità di disseminazione, la biopsia deve essere effettuata a cielo chiuso e l'intervento di resezione dovrà essere eseguito meticolosamente. Si deve fare attenzione a non intaccare il tumore e a non disseminare le cellule neoplastiche nei tessuti molli dell'incisione. Se questo accade, la recidiva è inevitabile. Se l'intervento chirurgico è eseguito correttamente, senza disseminare le cellule tumorali nei tessuti circostanti, la guarigione si ottiene nel 50% dei casi in rapporto allo stadio del tumore. Se l'intervento chirurgico conservativo è impossibile, l'amputazione è obbligatoria. Il condrosarcoma mesenchimale è un raro, ma istologicamente distinto, condrosarcoma, che metastatizza molto facilmente; il tasso di guarigione è basso. Il tumore di Ewing (sarcoma di Ewing) è un tumore osseo a cellule tonde che si riscontra nei giovanissimi (l'incidenza più alta si ha fra i 10 e i 20 anni). I maschi sono colpiti più frequentemente delle donne. La maggior parte dei tumori si sviluppa negli arti, ma qualsiasi osso può essere interessato. I sintomi più comuni sono il dolore e la tumefazione. Il tumore di Ewing tende a essere estensivo, interessando talvolta l'intera diafisi di un osso lungo. Generalmente, l'osso è interessato dal processo neoplastico in maniera più estesa di quanto non risulti all'esame rx. La TC e la RMN spesso aiutano nell'ulteriore definizione dell'estensione della malattia. Una lesione osteolitica è l'elemento più frequente, ma può essere presente una corticale ispessita ad opera di successive deposizioni sottoperiostee reattive di nuovo osso a "buccia di cipolla" considerate in passato un segno diagnostico tipico. Molte altre condizioni benigne e maligne possono sembrare identiche, così la diagnosi è posta attraverso la biopsia. Il trattamento si basa sulla terapia chirurgica, sulla chemioterapia e sulla radioterapia, in diverse combinazioni. Attualmente più del 60% dei pazienti con sarcoma di Ewing primitivo e localizzato può essere curato con questo approccio terapeutico multimodale. Il linfoma osseo maligno (sarcoma a cellule reticolari) colpisce gli adulti, abitualmente tra i 40 e i 50 anni. Può insorgere in qualsiasi osso. Il tumore è a piccole cellule tonde, spesso con un miscuglio di cellule reticolari, di linfoblasti e linfociti. Si può riscontrare una delle seguenti 3 condizioni cliniche: (1) il linfoma maligno può essere primitivo nell'osso, senza altre localizzazioni; (2) oltre alla lesione scheletrica, un processo patologico simile può essere riscontrato in altre sedi ossee o dei tessuti molli; (3) una patologia linfomatosa nota dei tessuti molli può presentare disseminazione metastatica in qualsiasi osso. Sintomi abituali sono dolore e tumefazione locali. All'esame rx, la distruzione ossea è predominante. In base allo stadio del tumore, l'osteolisi può essere a limiti sfumati, talora a chiazze multiple o, in fasi più avanzate, l'intero contorno dell'osso colpito può essere distrutto. Le fratture patologiche sono frequenti. Quando non sono presenti altre localizzazioni, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni è Š 50%. I tumori sono radiosensibili. La terapia radiante, associata alla chemioterapia, è efficace quando l'amputazione o l'intervento di resezione è ampio. L'amputazione è indicata solamente raramente nei casi in cui la funzione articolare è compromessa a causa di una frattura patologica o di un esteso interessamento dei tessuti molli. Il tumore a cellule giganti è raro; persino la sua esistenza è dubbia. Si localizza generalmente a un'estremità di un osso lungo. Il quadro rx è caratterizzato da segni evidenti di distruzione maligna (soprattutto osteolisi, distruzione corticale, espansione nelle parti molli, fratture patologiche). Per la diagnosi definitiva, è necessario dimostrare nell'ambito del tessuto tumorale maligno o in precedenti tessuti ottenuti dal tumore la presenza di cellule giganti benigne tipiche. Grande file:///F|/sito/merck/sez05/0560507b.html (2 of 4)02/09/2004 2.20.25

Tumori osseie articolari

attenzione deve essere posta quando si formula questa diagnosi, poiché la pura presenza di cellule giganti non è diagnostica. Un sarcoma che si sviluppa su di un tumore gigantocellulare precedentemente benigno è caratteristicamente radioresistente. Valgono per questa neoplasia gli stessi principi di trattamento di un osteosarcoma, ma la percentuale di guarigione è bassa. Il cordoma è estremamente raro. Esso si sviluppa dai residui della notocorda. Predilige le estremità della colonna vertebrale ed è generalmente localizzato nel sacro-coccige o nella base cranica. Il dolore è una caratteristica praticamente costante nel caso del cordoma della regione sacro-coccigea. Quando il cordoma è localizzato alla base della regione occipitale, i sintomi sono dovuti alla compressione che esercita su qualsiasi nervo cranico (specialmente ottico e oculomotore). I sintomi possono essere presenti per mesi o vari anni prima della diagnosi. Il cordoma si manifesta radiograficamente come una lesione ossea espansiva e osteolitica talora associata a una tumefazione del tessuto molle. La disseminazione metastatica ematogena è rara. La recidiva locale è spesso un problema più di quanto non lo sia la disseminazione metastatica. Nei cordomi sacrococcigei si può eseguire una resezione radicale, ampia o totale. I cordomi localizzati nella regione sfeno-occipitale sono di norma inaccessibili chirurgicamente, ma taluni dimostrano una discreta radiosensibilità.

Lesioni che generalmente simulano i tumori primitivi dell'osso Numerose lesioni non neoplastiche dell'osso possono simulare, da un punto di vista clinico o rx, i tumori ossei. L'ossificazione eterotopica (miosite ossificante) o il callo esuberante post-frattura, possono essere erroneamente interpretati come neoplasie maligne; l'esame istopatologico del tessuto differenzia le diverse patologie. Le cisti ossee monocavitarie semplici si osservano nelle ossa lunghe dei bambini. Nella maggior parte dei casi vengono scoperte in presenza di una frattura patologica. Le cisti più piccole guariscono e possono obliterarsi nella fase di riparazione. Le cisti più grandi possono richiedere lo svuotamento e l'innesto osseo. Comunque, molte rispondono favorevolmente a iniezioni di corticosteroidi. La displasia fibrosa è una lesione ossea cistica, dovuta probabilmente a un'anomalia dello sviluppo osseo. La lesione compare di solito durante l'infanzia in una o in più sedi ossee. Quando le lesioni scheletriche multiple si associano a chiazze di pigmentazione cutanea e anomalie endocrine, questa condizione prende il nome di sindrome di Albright. All'esame rx le lesioni appaiono cistiche, deformanti con rigonfiamento osseo. Le lesioni cessano di accrescersi alla pubertà. La degenerazione maligna spontanea è rara. Il trattamento deve essere conservativo, anche se le deformazioni secondarie alla localizzazione della displasia fibrosa nelle ossa lunghe possono richiedere la correzione chirurgica. La cisti ossea aneurismatica è idiopatica e si osserva in genere prima dei 20 anni. La lesione cistica si manifesta prevalentemente nella metafisi delle ossa lunghe, ma può osservarsi in quasi tutti i punti dello scheletro. Dolore e tumefazione sono i sintomi principali. La lesione può essere presente per alcune settimane o alcuni anni prima della diagnosi. Tende a ingrandirsi lentamente finché non si inizia la terapia. Gli aspetti rx sono spesso caratteristici; l'area di osteolisi è generalmente ben circoscritta, eccentrica; può sollevare il periostio ed espandersi nel tessuto molle circostante. La reazione osteogenica periostale tende a limitare il tumore perifericamente. L'escissione extraperiostea o lo svuotamento completo della cisti aneurismatica sono i trattamenti di scelta. Talvolta si ha regressione dopo l'escissione parziale. La terapia radiante è la terapia di scelta soltanto delle lesioni vertebrali inoperabili che comprimono il midollo spinale. La terapia radiante deve essere impiegata con molta cautela, per il rischio di sarcomi da raggi. L'istiocitosi a cellule di Langerhans (istiocitosi X, sindrome di Letterer-

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Tumori osseie articolari

Siwe, sindrome di Hand-Schüller-Christian, granuloma eosinofilo) è trattata anche nel Cap. 78. Si presenta di solito come una lesione ossea reticoloendoteliale solitaria o multicentrica, radiologicamente ben definita. Quando la lesione è solitaria con una reazione osteogenetica periostea vivace, l'immagine rx ricorda quella di un tumore maligno; la diagnosi si basa sulla biopsia. Quando sono presenti una o alcune lesioni ossee, possono essere efficaci la terapia radiante a bassa dose o la chirurgia. La prognosi è quasi sempre infausta: nei pazienti < 3 anni o che hanno più di otto ossa colpite, specialmente in quei pazienti con diatesi emorragica e splenomegalia. Esiste una forma di istiocitosi X disseminata, con lesioni osteolitiche multiple, particolarmente delle ossa craniche e a decorso rapidamente fatale con exitus per insufficienza respiratoria o cardiaca.

Tumori metastatici Tutti i tumori maligni possono metastatizzare nell'osso, ma le metastasi dei carcinomi sono quelle che più frequentemente interessano lo scheletro, in particolare i tumori della mammella, del polmone, della prostata, del rene e della tiroide. Possono interessare qualunque segmento osseo, ma le metastasi localizzate alle ginocchia e ai gomiti sono meno comuni. Tutti i pazienti trattati per cancro o che abbiano avuto il cancro e che lamentano disturbi ossei, devono essere sottoposti a esami rx approfonditi per escludere la possibilità di lesioni ossee metastatiche. La scintigrafia scheletrica total-body con radioisotopi, rivela talvolta lesioni metastatiche prima ancora che diventino evidenti all'esame rx. L'origine può essere oscura, ma l'anatomopatologo, descrivendo le caratteristiche del tessuto, deve essere in grado di dare indicazioni circa la sede del tumore primitivo. Talvolta i sintomi di un focus metastatico di un carcinoma si manifestano ancora prima che venga sospettato il tumore primitivo. Il trattamento delle metastasi e del tumore primitivo dipende dal tipo di tessuto interessato e dall'organo nel quale si origina. La terapia radiante combinata con la chemioterapia o con l'ormono-terapia, è il trattamento impiegato più spesso. In caso di frattura patologica presente o imminente, è possibile impiegare diverse tecniche chirurgiche che evitano l'amputazione. Quando la malattia primitiva è stata controllata e rimane soltanto una singola metastasi ossea, raramente l'asportazione associata con la terapia radiante, con la chemioterapia o con entrambe può essere curativa.

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Osteoporosi

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 57. OSTEOPOROSI Sommario: Introduzione Classificazione, eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione e terapia

Nell'osso normale, la formazione di osso e il riassorbimento sono strettamente associati. Nell'osteoporosi, la quota netta di riassorbimento osseo supera quella di formazione e ciò dà luogo a una diminuzione della massa ossea senza un difetto nella mineralizzazione ossea. Nelle donne, l'attività osteoclastica è aumentata a causa della diminuzione degli estrogeni; quando gli uomini e le donne raggiungono un'età > 60 anni, l'attività osteoblastica decade. Gli uomini con testosterone prematuramente ridotto possono avere un aumento dell'attività osteoclastica. Questi cambiamenti esitano in ulteriore perdita netta di osso. La quantità di osso disponibile per il supporto meccanico dello scheletro alla fine cade al di sotto della soglia di frattura e il paziente può andare incontro a una frattura senza o con un minimo trauma. La perdita ossea interessa sia l'osso corticale che trabecolare. Istologicamente, vi è una riduzione dello spessore della corticale e del numero e della grandezza delle trabecole di osso spugnoso, con normale ampiezza delle linee di congiunzione osteoidi. La perdita ossea trabecolare predomina nella tipica osteoporosi postmenopausale. Un difetto nella mineralizzazione (osteomalacia) e l'osteoporosi possono coesistere. Il picco di massa ossea negli uomini e nelle donne si raggiunge intorno alla metà della terza decade di vita e si attesta intorno a un plateau per circa 10 anni, durante i quali il turnover dell'osso è costante, con la formazione ossea che approssimativamente eguaglia il riassorbimento. Questo è seguito da una perdita netta di massa ossea di circa 0,3-0,5%/anno. All'inizio della menopausa, le donne sperimentano una accelerata perdita ossea (può essere aumentata dieci volte al tasso di 3-5%/anno) per circa 5-7 anni. Le principali manifestazioni cliniche dell'osteoporosi sono le fratture ossee, che causano dolore cronico. Comunque, non tutti coloro che hanno una bassa massa ossea andranno incontro a fratture. La quantità di osso definita come densità ossea può essere misurata ed è predittiva di future fratture; comunque, senza biopsia ossea, predire la qualità dell'osso (una importante componente della solidità dell'osso) è difficile. Le cadute aggiungono un rischio addizionale. Molte persone anziane sono a rischio di caduta a causa della scarsa coordinazione, della scarsa vista, della debolezza muscolare, della confusione e dell'uso di ipnotici o di altri farmaci che alterano il sensorio. L'uso di imbottiture delle anche da parte dei pazienti anziani può ridurre l'incidenza di fratture dell'anca nonostante le continue cadute. Incrementare l'attività fisica può aumentare la densità minerale ossea e portare a maggiore stabilità e forza muscolare.

Classificazione, eziologia e incidenza Gli osteoblasti (cellule che producono la matrice organica dell'osso e quindi la file:///F|/sito/merck/sez05/0570510.html (1 of 5)02/09/2004 2.20.30

Osteoporosi

mineralizzazione ossea) e gli osteoclasti (cellule che riassorbono l'osso) sono controllati dagli ormoni sistemici, dalle citochine e da altri fattori locali (p. es., l'ormone paratiroideo (PTH], la calcitonina, gli estrogeni, la 25-hidrossivitamina D). Il deficit di estrogeni è una significativa causa di accelerata perdita ossea in epoca perimenopausale e si ripercuote sui livelli circolanti di specifiche citochine (p. es., l'interleuchina-1, il tumor necrosis factor-a, il fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi, l'interleuchina-6). I livelli di queste citochine si elevano con la perdita di estrogeni e potenziano il riassorbimento osseo attraverso l'aumento del reclutamento, la differenziazione e l'attivazione degli osteoclasti. Sebbene i livelli di calcitonina siano diminuiti nelle donne a paragone con gli uomini, il deficit di calcitonina non sembra essere importante nell'osteoporosi correlata all'età. L'attività fisica tende ad aumentare la massa ossea, mentre l'immobilizzazione la diminuisce ulteriormente. L'obesità è associata con una massa ossea maggiore; i pazienti con osteoporosi tendono a pesare meno e hanno una massa muscolare più bassa. L'insufficiente apporto dietetico di Ca, P e vitamina D è associato con la perdita ossea correlata all'età. L'equilibrio acido-base è anche importante; per esempio, l'alcalinizzazione del plasma con HCO3 ritarda la perdita ossea. Il menarca tardivo e la menopausa precoce, la nulliparità, l'ingestione di caffeina, l'uso di alcol e il fumo di sigaretta sono anche importanti determinanti di diminuzione della massa ossea. I neri e gli ispanici (americani di origine latinoamericana) hanno una massa ossea maggiore dei bianchi e degli asiatici e gli uomini hanno una massa ossea maggiore delle donne. Così, sebbene i neri e gli ispanici possano sviluppare l'osteoporosi, questo generalmente accade in età più tardive rispetto ai bianchi e agli asiatici. I fattori genetici sono importanti nello sviluppo dell'osteoporosi; le donne in età postmenopausale con una storia familiare di fratture incontreranno probabilmente futuri problemi. Osteoporosi primaria: esistono tre tipi di osteoporosi primaria. L'osteoporosi idiopatica è rara, ma si verifica in bambini o in giovani adulti di entrambi i sessi con normali funzioni gonadiche. L'osteoporosi di tipo I (osteoporosi postmenopausale) si verifica tra i 51 e i 75 anni. Sebbene sei volte più comune nelle donne, essa si verifica anche negli uomini dopo castrazione o con bassi livelli di testosterone sierico ed è direttamente correlata alla perdita di funzione gonadica. La perdita di estrogeni conduce a elevati livelli sierici di interleuchina-6 e forse di altre citochine, che si pensa portino a un aumento del reclutamento e dell'attività dei precursori degli osteoclasti nell'osso trabecolare (spugnoso), che risulta in aumento del riassorbimento osseo. Il tipo I è in gran parte responsabile delle fratture delle ossa nelle quali è predominante l'osso trabecolare, come per esempio i crolli vertebrali e le fratture di Colles (radio distale). L'osteoporosi di Tipo II (osteoporosi involutiva o senile) è associata con i normali processi di invecchiamento, con un graduale declino del numero e dell'attività degli osteoblasti e non primariamente con un aumento dell'attività degli osteoclasti. Si verifica principalmente in persone > 60 anni ed è due volte più frequente nelle donne rispetto agli uomini. Il tipo II colpisce sia l'osso trabecolare che quello corticale, dando luogo spesso a fratture del collo del femore, vertebrali, dell'omero prossimale, della tibia prossimale e pelviche. Essa può essere provocata dalla riduzione di sintesi di vitamina D che si verifica con l'invecchiamento o da una resistenza all'azione di questa stessa vitamina (probabilmente attraverso una diminuzione o una non responsività dei recettori della vitamina D in alcuni pazienti). Nelle donne più anziane si possono spesso verificare contemporaneamente sia l'osteoporosi di tipo I che di tipo II. Osteoporosi secondaria: l'osteoporosi secondaria è responsabile di < 5% di tutti i casi di osteoporosi. Le cause possono includere malattie endocrine (p. es., ipersurrenalismo, iperparatiroidismo, ipertiroidismo, ipogonadismo, iperprolattinemia, diabete mellito), farmaci (p. es., corticosteroidi, etanolo, dilantina, tabacco, barbiturici, eparina) e condizioni varie (p. es., immobilizzazione, insufficienza renale cronica, epatopatia, sindrome da malassorbimento, broncopneumopatia cronica ostruttiva, artrite reumatoide, sarcoidosi, patologie neoplastiche maligne, prolungata assenza di gravità come si verifica nei voli spaziali).

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Osteoporosi

Sintomi e segni L'osteoporosi non complicata può rimanere asintomatica o può manifestarsi con vivo dolore nelle ossa e nei muscoli, particolarmente nel rachide lombare. Crolli vertebrali possono essere secondari a traumi, minimi o misconosciuti e generalmente localizzati alle vertebre più soggette a sopportare il peso del corpo (T-8 e oltre); fratture isolate di T-4 o di vertebre superiori, devono far sospettare un processo neoplastico. Quando sintomatica, il dolore che ne deriva è acuto, generalmente non irradiato, aggravato dal carico e può essere associato a dolorabilità locale; di solito regredisce in una sett. Comunque, il dolore residuo può durare Š 3 mesi. Alla fine, le fratture multiple da compressione possono causare cifosi dorsale con esagerata lordosi cervicale (gobba della vedova). L'anomalo stress sui muscoli spinali e sui legamenti può causare dolore sordo persistente, particolarmente evidente nella zona bassa del torace e nella regione lombare. Fratture di altre ossa, spesso l'anca o il radio distale, sono generalmente la conseguenza di una caduta.

Diagnosi La calcemia, la fosforemia, il protidogramma elettroforetico e la VES sono normali nell'osteoporosi primaria; la fosfatasi alcalina sierica è di solito normale ma può essere leggermente elevata in caso di frattura recente o molto elevata in caso di fratture recenti multiple. I livelli di PTH sono normali o diminuiti nei pazienti con osteoporosi di tipo I e aumentati in quelli con il tipo II se l'assorbimento di Calcio è diminuito o se vi è ipercalciuria inappropriata. Circa il 20% delle donne con osteoporosi postmenopausale ha un'ipercalciuria significativa, che può condurre ad aumento del PTH sierico. Gli indicatori del ricambio osseo possono essere aumentati (p. es., l'escrezione urinaria di peptidi contenenti idrossiprolina, il peptide piridinio urinario o il livello di osteocalcina sierica, la captazione di tecnezio-99m metilene difosfonato). Altri reperti ematochimici alterati depongono per una forma secondaria di osteoporosi. Gli esami radiologici delle vertebre e di altre ossa evidenziano un'aumentata radiotrasparenza dei corpi vertebrali per la riduzione della componente trabecolare. Comunque, l'esame soggettivo della densità ossea può essere fuorviante, perché l'osteoporosi non viene rilevata alla rx come radiotrasparenza se non si è perso più del 30% del tessuto osseo. Una riduzione delle trabecole, disposte orizzontalmente, rende più evidente la corticale dei piatti vertebrali e le rimanenti trabecole orientate in senso verticale, quelle cioè particolarmente soggette a sopportare il peso corporeo. Le vertebre a cuneo, nel rachide toracico e i rigonfiamenti degli spazi intervertebrali della regione lombare sono caratteristici delle fratture vertebrali. Sebbene le corticali delle ossa lunghe possano diventare sottili per l'eccessivo riassorbimento endostale, il periostio rimane liscio (a differenza di quanto accade nell'iperparatiroidismo dove vi è un profilo corticale irregolare dovuto al riassorbimento del subperiostio). L'osteoporosi indotta da glicocorticosteroidi può causare radiotrasparenza delle ossa del cranio, fratture costali e formazione di calli ossei esuberanti nelle fratture in via di guarigione. L'osteomalacia (v. Deficit e dipendenza da Vitamina D nel Cap. 3) può essere radiologicamente confusa con l'osteoporosi, ma può essere differenziata dall'alterazione degli esami ematochimici e dalla biopsia ossea. L'assorbimetria a fotoni accoppiati e singoli, l'assorbimetria accoppiata rx (DXA) e la TC quantitativa, sono tecniche sempre più diffuse, che permettono di misurare la densità ossea della colonna lombare, dell'anca, del radio e ulna distali e sono utili per la diagnosi e la valutazione della risposta terapeutica. L'OMS definisce l'osteoporosi attraverso i risultati della DXA: > 1 deviazione standard dal valore medio in soggetti di controllo di 35 anni comparabili per sesso e per razza è definita osteopenia, e suggerisce una osteoporosi; > 2,5 è diagnostica. Gli studi di DXA di solito sono effettuati a livello della colonna. Lo studio DXA dell'anca è generalmente migliore di quello della colonna poiché si

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Osteoporosi

pensa che dia informazioni sull'osso corticale e trabecolare, ma lo studio della colonna è più facile da effettuare e probabilmente più rapido.

Prevenzione e terapia Gli obiettivi del trattamento dell'osteoporosi sono di prevenire le fratture, di diminuire il dolore quando presente e di mantenere la funzionalità. I farmaci sono usati per minimizzare l'ulteriore perdita ossea. Il rischio di fratture è ridotto da misure non farmacologiche, compreso il mantenimento di un adeguato peso corporeo, l'aumento del camminare e altri esercizi di carico, l'evitare le benzodiazepine a lunga azione, l'assunzione minima di caffeina e alcol, la diminuzione del fumo e il trattamento di alterazioni della vista. Educare i pazienti circa i rischi di caduta e sviluppare programmi individualizzati per aumentare la stabilità fisica sono misure importanti. Le donne dovrebbero essere avvisate di consumare Š 1000 g di Ca elementare nella loro dieta giornaliera, ma se una forte storia familiare di osteoporosi è presente o se l'osteoporosi è già stata diagnosticata, l'apporto totale di Ca dovrebbe essere 1500 mg/24 h. Tipicamente, un piccolo supplemento giornaliero di vitamina D (400 UI) è raccomandato, a meno che il paziente non è ipercalciurico o ha anormali livelli di vitamina D. Si possono somministrare compresse di 600 mg di carbonato di Ca, 4-6 volte/die (pari a 1-1,5 g/die di Ca), ma il citrato di calcio è meglio assorbito nei pazienti acloridrici e può avere minori effetti collaterali GI. Per gli uomini affetti da osteoporosi si consiglia 1-1,5 g/die di Ca; quando è presente una riduzione dell'assorbimento del Ca (Ca urinario < 100 mg/die ovvero 2,5 mmol/dìe), si può aumentare l'assunzione di Ca fino a 3 g/die e può essere somministrata la vitamina D, 50000 UI PO 1-2 volte/sett. Con queste dosi bisogna monitorare attentamente il Ca sierico e urinario per evitare l'ipercalcemia, l'ipercalciuria e l'insufficienza renale. La 25-idrossivitamina D facilita l'assorbimento di Ca in alcuni pazienti. Le donne dovrebbero prendere in considerazione la terapia ormonale sostitutiva con estrogeni, con o senza progestinici, in aggiunta al Ca; p. es., estrogeni coniugati alla dose di 0,625-1,25 mg/die saltando 5 gg consecutivi per ogni mese, per aiutare a prevenire l'iperplasia endometriale dell'utero o progestinici come descritto oltre (v. anche la descrizione in Menopausa nel Cap. 236). Gli estrogeni possono arrestare o rallentare la progressione della malattia. È più efficace iniziarli 4-6 anni dopo la menopausa, ma possono ridurre la perdita ossea e l'incidenza di fratture anche se iniziati più tardi. In circa metà delle donne in menopausa trattate, la sospensione degli estrogeni provoca sanguinamento e può aumentare il rischio di tumore endometriale (la somministrazione di un progestinico come il medrossiprogesterone acetato alla dose di 5-10 mg/die negli ultimi 10 gg del ciclo, riduce il rischio del cancro endometriale, ma aumenta la frequenza dei sanguinamenti alla sospensione e altera, peggiorandolo, il profilo lipidico sierico). Gli estrogeni inoltre aumentano il rischio di patologia a carico delle vie biliari, ma possono prevenire le cardiopatie e gli ictus. Il rischio di neoplasie mammarie è leggermente aumentato. Il raloxifene, un farmaco simil estrogeno, diminuisce la perdita ossea senza effetti misurabili sull'utero, diminuisce i livelli sierici di LDL e non aumenta le HDL sieriche; i suoi effetti sulla mammella sono ancora sconosciuti. I difosfonati inibiscono il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti; l'alendronato è stato approvato per l'osteoporosi. La terapia con 10 mg/die diminuisce il rischio di fratture vertebrali e dell'anca nelle donne in postmenopausa con osteoporosi, e aumenta la densità minerale ossea in almeno 4 anni di costante trattamento. In più, nelle pazienti in postmenopausa senza osteoporosi, l'alendronato a dosi di 5 mg/die previene la perdita ossea. Un paziente che è resistente al supplemento di Ca e che non vuole o non può assumere terapia ormonale sostitutiva dovrebbe considerare la terapia con il solo alendronato. Il farmaco deve essere assunto a stomaco vuoto con un bicchiere d'acqua e il paziente deve rimanere in posizione eretta per Š 30 min dopo per

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Osteoporosi

diminuire il rischio di irritazione esofagea. Altri difosfonati sono in fase di studio. Per le donne che non tollerano gli estrogeni a causa degli effetti collaterali o per quelle che presentano una controindicazione alla terapia con estrogeni, può essere somministrata la calcitonina di salmone che è disponibile in forma parenterale e spray nasale. La dose parenterale è di 100 UI SC al giorno o a giorni alterni, mentre la dose di spray nasale è 200 UI/die nelle narici alternativamente (uno spray); entrambe le formulazioni richiedono adeguati supplementi di vitamina D e Ca. La calcitonina di salmone può essere utile come agente antiriassorbimento e come analgesico a breve termine (< 3 mesi) dopo una frattura acuta. L'associazione di 50 mg/die di fluoruro di sodio con 1 g di Ca sembra incrementare la massa ossea, ma l'osso rimane anormale (aumenta la densità dell'osso trabecolare ma diminuisce quella delle corticale) e più fragile. Così la terapia con fluoruro non viene consigliata. Il fluoruro a lento rilascio è ritenuto benefico; comunque, il beneficio a lungo termine di questa terapia è sconosciuto. Vi sono significative ricerche sull'uso di fattori di crescita come stimolanti nella produzione di nuovo osso. Piccole, intermittenti, quotidiane dosi di PTH stimolano la formazione ossea ma non il riassorbimento. Il dolore acuto lombare, secondario a crollo vertebrale, va trattato con tutori ortopedici, analgesici e (quando la contrattura muscolare è molto evidente) con calore e massaggi. Anche la terapia con calcitonina di salmone ha proprietà analgesiche. Nei pazienti affetti da osteoporosi da lungo tempo, si può instaurare una sintomatologia dolorosa cronica della colonna lombare, che può essere mitigata con l'uso di corsetti ortopedici o più fisiologicamente con esercizi di iperestensione per rafforzare la muscolatura paravertebrale. È fondamentale salvaguardare la colonna evitando sforzi per sollevare pesi o cadute. Tuttavia, l'immobilizzazione va utilizzata il meno possibile, incoraggiando l'esecuzione regolare di esercizi appropriati. Nelle gravi, incontrollabili fratture causate da osteoporosi, gli androgeni a breve termine (< 3 mesi) possono essere presi in considerazione nelle donne quando tutte le altre misure falliscono. Lo stanazololo e il nandrolone aumentano la densità ossea nelle donne, ma il loro uso è limitato perché essi abbassano la concentrazione sierica di lipoproteine ad alta densità, causano virilizzazione e rischio di epatotossicità. Anche gli uomini con osteoporosi richiedono una valutazione per deficit di androgeni, per il quale una terapia sostitutiva può essere presa in considerazione.

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Morbo di paget dell'osso

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 58. MORBO DI PAGET DELL'OSSO Malattia cronica dello scheletro adulto nella quale aree localizzate di tessuto osseo diventano iperattive, con sostituzione della normale matrice con osso più soffice e deformato.

Sommario:

Eziologia e incidenza Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

(Osteite deformante)

Eziologia e incidenza L'eziologia è sconosciuta. La presenza di un aspetto a "impronta digitale" nei nuclei degli osteoclasti pagetici alla microscopia elettronica dell'osso coinvolto, suggerisce una patogenesi virale. Il morbo di Paget talora è familiare, ma non è ancora chiaro il modello genetico specifico. Circa il 3% dei soggetti di età > 40 anni ha un morbo di Paget, con un rapporto di 3:2 tra maschi e femmine. È più frequente nell'Europa orientale e occidentale, in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda.

Fisiopatologia Il turnover dell'osso è iperattivo a livello delle aree interessate. Può essere colpito qualsiasi osso; quelli maggiormente interessati in questa patologia sono, in ordine decrescente: la pelvi, il femore, il cranio, la tibia, la clavicola e l'omero. Gli osteoclasti eccessivamente attivi si presentano di solito grandi, multinucleati. Anche la fase osteoblastica è iperattiva, con produzione di un tessuto grossolano formato di spesse lamelle e trabecole. La stratificazione a mosaico delle fibre collagene comporta la formazione di un osso strutturalmente slargato e indebolito, anche se notevolmente calcificato. L'anormale rimodellamento con cambiamento nella forma dell'osso può causare compressione nervosa. Osteoartrosi si può sviluppare nelle articolazioni contigue all'osso pagetico.

Sintomi e segni Abitualmente la malattia è asintomatica. L'inizio è di solito insidioso, con dolore, rigidità, astenia, deformità ossea, cefalea, ipoacusia e aumento delle dimensioni del cranio. Il dolore dato dall'osso pagetico di solito è opprimente, profondo e file:///F|/sito/merck/sez05/0580514.html (1 of 3)02/09/2004 2.20.31

Morbo di paget dell'osso

talvolta molto intenso, potendosi accentuare di notte. Il dolore può anche originarsi da una neuropatia compressiva o da un'osteoartrosi associata. Possono comparire, come segni clinici, ingrandimento bitemporale del cranio con formazione di una protuberanza frontale, dilatazione delle vene del cuoio capelluto, sordità nervosa mono- o bilaterale, strie angiomatose nel fondo dell'occhio, accorciamento cifotico del tronco con aspetto scimmiesco, andatura zoppicante, incurvamento anterolaterale della coscia o della gamba con ipersensibilità periostea. La comparsa di stenosi spinale, paresi o paraplegia, può essere in relazione a una mielopatia di tipo compressivo. Le lesioni pagetiche sono metabolicamente attive e altamente vascolarizzate e possono portare a un'insufficienza cardiaca ad alta gittata. Possono comparire deformazioni, in relazione all'incurvamento delle ossa lunghe o all'osteoartrosi delle articolazioni adiacenti. La malattia può esordire con una frattura patologica. Circa l'1% dei pazienti sviluppa una degenerazione sarcomatosa che può essere sospettata per la comparsa di dolore intenso.

Diagnosi La malattia di Paget può essere confusa con l'iperparatiroidismo, le metastasi ossee (in particolare di carcinoma della prostata o della mammella), il mieloma multiplo e la displasia fibrosa. Il morbo di Paget viene spesso scoperto incidentalmente sulla base di esami rx o di laboratorio eseguiti per altre ragioni. Gli aspetti radiologici caratteristici sono l'aumentata densità ossea, l'architettura alterata, l'ispessimento della corticale, l'incurvamento e l'accrescimento esagerato. Nella tibia o nel femore possono essere evidenziate microfratture. I dati di laboratorio caratteristici sono l'elevazione della fosfatasi alcalina sierica (o della fosfatasi alcalina ossea)e l'aumento dell'escrezione urinaria di piridinolina cross-link. I livelli sierici del Ca e del fosforo sono generalmente normali, ma il calcio sierico può aumentare durante il riposo notturno. La scintigrafia ossea con radionuclide, effettuata con tecnezio marcato evidenzia un incremento della localizzazione del nuclide a livello dei foci pagetici e può essere utile per valutare l'estensione della malattia.

Terapia La malattia localizzata o asintomatica non richiede alcun trattamento. I salicilati e gli altri FANS possono ridurre il dolore. Gli apparecchi ortopedici risultano utili per correggere l'andatura patologica causata dall'incurvamento degli arti inferiori. Alcuni pazienti necessitano di chirurgia ortopedica (p. es., protesi di anca o di ginocchio, decompressione di un canale vertebrale stenotico o sbrigliamento di altre strutture nervose). La terapia farmacologica influenza il flusso di ioni minerali e sopprime l'attività delle cellule ossee. È indicata: (1) quando il dolore è chiaramente correlato alla malattia e non a un altro processo patologico (p. es., l'osteoartrosi); (2) per prevenire o ridurre il sanguinamento intraoperatorio, in previsione di un intervento di chirurgia ortopedica; (3) per prevenire o ritardare la progressione delle complicanze (p. es., una paraparesi o una paraplegia in un soggetto con malattia di Paget della colonna vertebrale, con scarsa indicazione alla terapia chirurgica o altri deficit neurologici). Diversi difosfonati sono disponibili: la terapia con etidronato sodico alla dose di 510 mg/kg/die PO in unica somministrazione per 6 mesi, può essere ripetuta dopo 3-6 mesi, se necessario; dosi più alte (20 mg/kg/die PO per 3 mesi) possono essere richieste nella malattia marcatamente attiva. L'alendronato 40 mg/die PO per 6 mesi è assunto in singola dose al risveglio la mattina e almeno 30 minuti prima dei pasti. Il pamidronato da 30 a 90 mg/die EV è usato in infusione della durata di 4 ore, per 3 giorni consecutivi (dosi più alte possono essere usate in

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Morbo di paget dell'osso

pazienti con malattia molto attiva). Il tiludronato è somministrato a dosi di 400 mg/ die PO per 3 mesi. La calcitonina sintetica di salmone in dose da 50 a 100 UI (da 0,25 a 0,5 ml) /die SC o IM può essere ridotta a 50 UI a giorni alterni e forse a due volte o una volta a settimana dopo la risposta iniziale (spesso dopo 1 mese di terapia). La calcitonina può anche essere somministrata come spray nasale in pazienti che non hanno ricevuto terapia per il dolore.

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Reumatismi non articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 59. REUMATISMI NON ARTICOLARI TORCICOLLO SPASMODICO Contrazioni toniche involontarie o spasmi intermittenti dei muscoli del collo, che causano piegamento della testa rotatorio (torcicollo), laterale (laterocollo), in avanti (anterocollo) o indietro (retrocollo).

Sommario: Prevalenza ed eziologia Sintomi, segni e decorso Diagnosi Prognosi e terapia

Prevalenza ed eziologia Le distonie focali (tra le quali il torcicollo è la più comune) si verificano in > 3/10000 soggetti. Il torcicollo, destro o sinistro, ha una prevalenza di circa 3/10000 soggetti. Il torcicollo congenito (v. oltre Anomalie spinali nel Cap. 261) è raro. Si ritiene che sia associato a una lesione monolaterale del muscolo sternocleidomastoideo alla nascita, con successiva trasformazione del muscolo in un cordone fibroso che non può estendersi e seguire l'accrescimento del collo. Deformazioni minime possono essere osservate nei neonati; nel giro di alcune settimane si evidenzia una tumefazione dura in uno dei muscoli sternocleidomastoidei che quindi si contrae. Nel bambino la contrattura dei muscoli del collo può essere secondaria a compromissione dei muscoli oculari o a malformazioni della colonna o del sistema muscolare cervicale. L'esordio nell'adulto del torcicollo è molto più comune. Circa il 5% dei pazienti ha una storia familiare positiva. Discinesia tardiva, ipertiroidismo, patologia dei gangli basali, infezioni del SNC o tumori a carico delle ossa o dei tessuti molli del collo, possono occasionalmente mimare questa sindrome, ma l'eziologia del torcicollo spastico è sconosciuta.

Sintomi, segni e decorso Le distonie sono contrazioni sostenute dei muscoli che possono condurre a movimenti ripetitivi di torsione e a posture anormali. Il torcicollo è una distonia cronica, focale che è differente dalla contrattura dei muscoli del collo, che consiste invece in un attivo, doloroso, spasmo autolimitantesi del collo. L'esordio può verificarsi a qualsiasi età, sebbene si abbia più frequentemente negli adulti tra il terzo e il sesto decennio; le femmine sono colpite più frequentemente (4:1). I sintomi di solito iniziano gradualmente, ma possono essere improvvisi. Contrazioni toniche dolorose o spasmi intermittenti dei muscoli sternocleidomastoideo, trapezio e di altri muscoli del collo, si verificano di solito monolateralmente e causano abnorme posizione del capo. La contrazione del

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Reumatismi non articolari

muscolo sternocleidomastoideo provoca la rotazione della testa verso il lato opposto e la flessione laterale del collo dallo stesso lato. Il torcicollo può rappresentare una malattia lieve o grave. Può persistere per tutta la vita ed esitare in una marcata riduzione dei movimenti e deformormazioni posturali. Di solito la malattia progredisce lentamente in 1-5 anni e poi raggiunge un plateau. In circa il 10-20% dei casi si può verificare una risoluzione spontanea entro 5 anni dall'esordio(in genere nei casi più lievi a esordio giovanile). Un terzo dei casi presenta distonia in altri siti (p. es. palpebre, volto, mandibola, mano). I movimenti involontari scompaiono nel sonno (cioè gli spasmi attivi).

Diagnosi Nel lattante, è necessario ispezionare attentamente il collo per evidenziare eventuali asimmetrie o la presenza di strutture patologiche o di masse. Un ematoma del muscolo sternocleidomastoideo può apparire nel giro di vari giorni dal parto (di solito podalico) e organizzarsi in una struttura fibromatosa nei mesi successivi. Allo stesso modo, bisogna escludere gli altri processi patologici del collo se l'anamnesi risulta positiva per un trauma, per encefalite o malattia extrapiramidale, attraverso l'esame di ogni disfunzione; e attraverso i raggi-x, la TC o la RMN della colonna cervicale se si sospetta una anomalia. L'elettromiografia e gli esami neurologici e psicologici sono di solito negativi.

Prognosi e terapia Il torcicollo congenito deve essere trattato nei primi mesi di vita, iniziando con manovre fisioterapeutiche intensive, comprendenti gli stiramenti passivi giornalieri del muscolo accorciato, da effettuarsi per almeno un anno. Se la fisioterapia viene iniziata troppo tardi o se non ha dato risultati, può essere indicata l'asportazione chirurgica del muscolo sternocleidomastoideo e dei tessuti molli circostanti. Nel torcicollo a esordio in età adulta, la prognosi è buona per quel che riguarda le deformazioni del collo correggibili con la chirurgia ortopedica, ma gli spasmi secondari a disturbi neurologici o le forme idiopatiche sono molto più difficili da trattare e possono persistere per un tempo indefinito. Lo spasmo può talora essere temporaneamente inibito con la terapia fisica e con il massaggio, p. es., applicando una lieve pressione sulla mandibola, dallo stesso lato della rotazione del capo (tecniche di biofeedback sensoriale). I farmaci possono essere efficaci nel sopprimere i movimenti distonici in solo il 25-33% dei casi, ma ancor più nell'alleviare il dolore. I farmaci anticolinergici (p. es., triesifenidile, benztropina) e le benzodiazepine (soprattutto il clonazepam) sono preferiti. I miorilassanti (p. es., baclofene) e gli antidepressivi triciclici (p. es., l'amitriptilina) sono di dolito scarsamente efficaci. Tutti i farmaci dovrebbero essere iniziati a basso dosaggio e portati a una posologia efficace e tollerata, prestando attenzione agli effetti collaterali, in particolare nei pazienti più anziani. Iniezioni multiple di tossina botulinica di tipo A (Botox) nel muscolo distonico del collo hanno provocato un miglioramento della posizione del capo e ridotto gli spasmi dolorosi del muscolo per 1-3 mesi in circa il 70% dei pazienti. Questa terapia è anche disponibile negli USA per il blefarospasmo e per lo strabismo. Il trattamento può perdere efficacia se si sviluppano anticorpi contro la tossina. La chirurgia talamica non viene più consigliata. L'approccio chirurgico più efficace è la denervazione selettiva dei muscoli del collo. I nervi affetti sono separati, provocando un indebolimento permanente o una paralisi. Comunque, muscoli focali sono coinvolti e una eccessiva debolezza non è tipicamente un problema quando questa procedura è effettuata in centri con esperienza estensiva. La terapia psichiatrica può essere indicata raramente, se è evidente un problema di ordine emotivo; la prognosi è migliore se l'esordio è direttamente correlato a uno stress esogeno.

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Reumatismi non articolari

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE ANOMALIE SPINALI Il torcicollo congenito è una inclinazione del capo presente dalla nascita. La causa più comune è un danno traumatico a carico del collo verificatosi durante il parto (ma talvolta anche prima), con comparsa di un ematoma e successivamente di fibrosi e contrattura dello sternocleidomastoideo (SCM). Altre cause comprendono le anomalie vertebrali, come la sindrome di Klippel-Feil (fusione delle vertebre cervicali) o la fusione dell’atlante all’occipite. Le cause neurologiche più importanti, ma raramente presenti alla nascita, sono i tumori del SNC, le paralisi bulbari e le disfunzioni oculari (V. anche Torcicollo spasmodico al Cap. 59). Fratture, lussazioni o sublussazioni del tratto cervicale della colonna (interessanti specialmente C-1 e C-2) o anomalie del processo odontoide sono cause rare ma gravi, poiché possono determinare danni neurologici permanenti. Il torcicollo dovuto a un trauma da parto non è presente alla nascita, ma compare durante i primi giorni o settimane di vita, quando si evidenzia una massa non tesa, in corrispondenza del muscolo SCM, generalmente nel segmento centrale. Lo studio per immagini della regione cervicale è importante per escludere cause ossee, che possono richiedere stabilizzazione vertebrale. Quando il torcicollo è determinato da un trauma da parto, si consiglia un allungamento passivo del muscolo SCM (ruotando la testa e flettendo il collo dal lato opposto). I difetti vertebrali comprendono la rara scoliosi congenita e le più frequenti anomalie vertebrali isolate, come emispondilia, vertebra a cuneo e vertebra a farfalla. Si devono sospettare anomalie vertebrali, quando esistono anomalie cutanee sulla linea mediana posteriore o malformazioni congenite degli arti inferiori. Il trattamento con corsetto deve essere iniziato precocemente, poiché l’accrescimento può portare a gravi deformità. Se la scoliosi è progressiva, può essere necessario l’intervento chirurgico. Frequentemente si trovano anomalie renali associate, per cui sono indicate un’ecografia o un’urografia endovenosa (UEV).

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 59. REUMATISMI NON ARTICOLARI LOMBALGIA Dolore nella zona bassa lombare, lombosacrale o sacroiliaca, eventualmente associato a dolore irradiato a uno o a entrambi i glutei o le gambe nel territorio di distribuzione del nervo sciatico (sciatica).

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia Le lombalgie possono essere multifattoriali e in relazione a trazione acuta dei legamenti (distorsioni) o dei muscoli (stiramenti), situazioni che tendono all'autorisoluzione o alla progressione in forme croniche fibromuscolari, osteoartritiche o spondilitiche anchilosanti della regione lombosacrale. La prevalenza di lombalgia tende ad aumentare con l'età, coinvolgendo il 50% dei soggetti > 60 anni. La lombalgia può essere influenzata dal riposo insufficiente o di cattiva qualità, dall'affaticamento, dallo scarso allenamento fisico o da problemi e conflitti di ordine psicosociale che sono in grado di alterare la percezione del dolore, il comportamento, come pure il grado di infermità e la risposta alla terapia.

Sintomi, segni e diagnosi La lombalgia acuta autolimitantesi di solito si verifica in persone senza una storia di disagio cronico, ed è tipicamente correlata a eventi precedenti o a incidenti (p. es., eccessivo esercizio, sforzi, traumi, stress). Questi episodi raramente richiedono test diagnostici ulteriori che non siano una storia dettagliata e un esame fisico. Gli elementi di valutazione specifici vengono trattati più avanti. La diagnosi differenziale della lombalgia cronica può risultare difficile. Si inizia con l'accurata definizione delle circostanze che hanno portato all'esordio, del carattere e della precisa localizzazione del pattern di origine e irradiazione del dolore. Il dolore può essere associato a punti di dolenzia evocati alla palpazione decisa, che possono essere localizzati, come nelle sindromi dolorose miofasciali, p. es., la fibromialgia localizzata, o diffusi, come nella fibromialgia primaria. Il dolore può anche originare da un tessuto profondo, come nella lombalgia associata a osteoartrosi cronica del tratto lombare della colonna; può essere di carattere radicolare (come nella sciatica); oppure può essere riferito (dovuto a una patologia viscerale o spinale che ha in comune la stessa distribuzione metamerica dove è percepito il dolore, p. es., nella sierosite, nella pielonefrite, nell'osteoporosi, nelle fratture e nell'osteomielite). La limitazione dei movimenti file:///F|/sito/merck/sez05/0590517.html (1 of 5)02/09/2004 2.20.33

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del rachide legata al dolore, alla tensione e all'ipersensibilità dei muscoli paravertebrali o al restringimento di altre strutture perivertebrali, si verifica comunemente nelle condizioni che, a livello lombare, coinvolgono l'apparato muscolo-scheletrico e il sistema nervoso (dolore meccanico). Il dolore che peggiora durante l'inattività e che migliora con lo stiramento o l'attività è caratteristicamente di origine fibromuscolare. Il dolore riferito viscerale (dolore non meccanico), generalmente, non cambia con il movimento e non migliora con il riposo, essendo di solito un dolore continuo che peggiora di notte. Al contrario, le patologie che interessano le radici dei nervi spinali e il nervo sciatico sono generalmente caratterizzate da un dolore che si acuisce con la manovra di Valsalva (sforzo, tosse o starnuto), dalla difficoltà a sollevare le gambe distese, dalla perdita dei riflessi e dalle alterazioni della sensibilità. La sciatica è il dolore che si irradia lungo il decorso del nervo sciatico, localizzato il più delle volte posteriormente alla regione glutea e nella faccia posteriore dell'arto inferiore fin sotto il ginocchio. Esso può verificarsi con o senza lombalgia. È generalmente causata dalla compressione delle radici nervose periferiche da parte di un disco intervertebrale prolassato o di un tumore intraspinale. La compressione può essere esercitata dentro il canale vertebrale o il forame intervertebrale dalla protrusione del disco, da una massa neoplastica o da spicole ossee (p. es., osteoartrosi, spondilolistesi). I nervi possono anche essere compressi al di fuori della colonna vertebrale, nelle regioni pelvica e glutea. Una patogenesi di tipo tossico o metabolico (p. es., alcolismo, neuropatia diabetica) è rara. Tali processi patologici sono confermati dalla presenza di deficit sensitivi o motori e dai reperti clinici o elettromiografici (v. anche Malattie delle radici nel Cap. 183). La stenosi spinale è un meccanismo di sciatica piuttosto raro, che risulta dal restringimento del canale vertebrale nella sua porzione lombare, che determina la compressione delle radici del nervo sciatico (più raramente del midollo) prima che attraversino i forami intervertebrali. Essa può mimare una malattia vascolare simulando una claudicatio intermittens. Si verifica in pazienti di media età o anziani; può essere causata da osteoartrosi, morbo di Paget o spondilolistesi con edema della cauda equina e si manifesta con dolore a livello delle regioni glutee, delle cosce o dei polpacci durante la deambulazione, la corsa o nel salire le scale. Il dolore non si allevia rimanendo in piedi a riposo, ma con la flessione della schiena o assumendo la posizione seduta (sebbene le parestesie possano continuare). La deambulazione in salita è meno dolorosa di quella in discesa, poiché la schiena viene leggermente flessa. Nonostante la somiglianza con la claudicatio, l'insufficienza vascolare non è dimostrabile a meno che non si verifichi indipendentemente. Anomalie neurologiche possono o meno essere presenti all'esame fisico. Quando vi sono cause vascolari di claudicatio, i polsi sono spesso più deboli e la cute può essere atrofica. La valutazione del flusso ematico periferico con gli ultrasuoni può escludere le cause vascolari. La diagnosi della stenosi spinale può essere supportata dalla rx e dalla TC ma probabilmente meglio ancora dalla RMN. Vi può essere bisogno di una laminectomia decompressiva a diversi livelli per una terapia definitiva, se le misure conservative falliscono (p. es., una migliorata postura, la perdita di peso e un rafforzamento della muscolatura addominale). Vi sono innumerevoli altre cause di lombalgia: le malformazioni ossee congenite, le patologie di tipo degenerativo o l'instabilità ossea possono essere evidenziate radiologicamente, con l'esecuzione anche di rx in proiezione obliqua per evidenziare le faccette articolari intervertebrali. Le lesioni del disco, gli stiramenti dei legamenti e gli strappi muscolari, possono essere sospettati se l'esordio è improvviso. I sintomi iniziano generalmente dopo 24 h dal sollevamento di un corpo pesante. La presenza di dolorabilità distrettuale e di uno spasmo muscolare in una zona specifica, è significativa di un processo localizzato in regione lombare, piuttosto che nella pelvi o nel retroperitoneo. La TC o la RMN sono di grande aiuto per la valutazione di deformazioni del profilo della colonna e di processi patologici a livello dei visceri e dell'area retroperitoneale. Le fratture semplici e le fratture con lussazione articolare possono essere escluse con l'anamnesi; con la natura del trauma; e con la rx, la TC e la scintigrafia ossea con pirofosfato marcato con tecnezio-99m. L'artrite cronica delle articolazioni intervertebrali posteriori si associa di solito a una discopatia degenerativa; la prima è caratterizzata dai classici segni clinici e radiologici dell'osteoartrosi, la file:///F|/sito/merck/sez05/0590517.html (2 of 5)02/09/2004 2.20.33

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seconda dalla presenza di manifestazioni di tipo irritativo delle radici nervose. I movimenti di iperestensione di solito peggiorano il dolore nei casi di interessamento delle faccette articolari posteriori. Una lombalgia che insorge gradualmente in un giovane adulto può essere suggestiva della presenza di difetti scheletrici quali la spondilolistesi o la spondiloartropatia (p. es., spondilite anchilosante, sacroileite); un esordio nell'adolescenza o in giovani adulti, specialmente maschi, è altamente suggestivo di una spondiloartropatia. Patologie intrapelviche o retroperitoneali possono essere suggerite dalla presenza di sintomi associati e dall'assenza di segni localizzabili nella regione lombare. I tumori e le infezioni sono più difficili da diagnosticare e possono simulare la lesione di un disco. Una massa tumorale occupante spazio può essere diagnosticata di solito con la scintigrafia con radionuclidi, la TC, la RMN o la mielografia. L'esame del LCR non sempre permette di differenziare la rottura di un disco intervertebrale da una neoplasia, poiché le proteine liquorali possono risultare aumentate nelle due patologie. L'esame del LCR risulta indispensabile nella diagnosi di meningite spinale e di altre infezioni intradurali. La fibromialgia (v. oltre) può essere responsabile di lombalgia cronica e di rigidità, come parte di una sindrome localizzata (miofasciale) o diffusa (fibromialgia) e può essere riconosciuta per la presenza di strappi muscolari, astenia, sonno non ristoratore, ansia o stress, punti di moderata dolorabilità e per l'assenza di infiammazione e di anomalie alla rx. In alcuni soggetti fisicamente o psicologicamente predisposti, un trauma minimo può accompagnarsi a un dolore gravemente invalidante, non proporzionato e non associato a un danno o a una patologia significativi. Inoltre, sono spesso presenti ansia o depressione, che, quando persistenti, non sono giustificabili appieno sulla base della lombalgia. La descrizione accurata del dolore e le manifestazioni ricavate sulla base dell'esame obiettivo tendono a essere non specifiche o non connesse a processi patologici o a vie neuroanatomiche conosciute. I sintomi e la disabilità persistono o peggiorano anche dopo che siano stati esclusi un trauma o una malattia somatica. Molte di queste manifestazioni evolvono nella più tipica sindrome fibromialgica. La simulazione di malattia è relativamente poco comune ed è difficile da provare. È sospettata sulla base di una storia incoerente, obiettività negativa nel corso di esami ripetuti, dell'apparente esagerazione della disabilità e dell'enfasi sulla possibilità di ottenere guadagni secondari (cioè, l'abilità di dipendere dagli altri). Potenziali guadagni di denaro (p. es., retribuzione del lavoratore, altre assicurazioni) di solito facilitano il perdurare del problema. La diretta evidenza della simulazione della malattia può essere meglio acquisita da una stretta osservazione del paziente al di fuori dell'ambiente medico, da parte di un'altra persona che non sia il medico curante.

Terapia Quasi tutti coloro con un attacco acuto isolato di lombalgia guariscono in diversi giorni o in 1 sett., sebbene gli attacchi possano recidivare o i sintomi cronicizzare in persone predisposte, specie se impegnate in attività troppo gravose per le proprie capacità fisiche o psicologiche. La lombalgia acuta è trattata cercando di alleviare lo spasmo muscolare con riposo a letto in una posizione confortevole (anche e ginocchia flesse) per solo 1 o 2 giorni (se il dolore è intollerabile), calore locale, massaggi e analgesici orali (p. es., aspirina fino a 3,6 g/die o una dose paragonabile di altri FANS, narcotici PO q 4 h). I miorilassanti somministrati oralmente per 48-72 h (p. es., metocarbamolo 1-2 g qid; carisoprodol 350 mg da tid a qid; ciclobenzaprina 10 mg da tid a qid o diazepam 10 mg tid) possono essere utili in pazienti selezionati, durante gli spasmi acuti. Questi farmaci devono generalmente essere evitati negli anziani. Le trazioni non sono generalmente necessarie. Le manipolazioni possono alleviare il dolore causato dal solo spasmo muscolare, ma possono peggiorarlo in un'articolazione affetta da artrite o da una lesione discale e dovrebbero pertanto essere utilizzate con cautela. Il trattamento diatermico (calore profondo) può aiutare a ridurre lo spasmo muscolare e il dolore dopo la fase acuta. Possono essere effettuati esercizi di potenziamento dei muscoli file:///F|/sito/merck/sez05/0590517.html (3 of 5)02/09/2004 2.20.33

Reumatismi non articolari

addominali e di flessione lombosacrale (manovre che riducono la lordosi lombare e incrementano la pressione intra-addominale) accanto a esercizi posturali; queste metodiche sono indicate, ove la sintomatologia lo consenta, per rafforzare le strutture di supporto del rachide e diminuiscono la probabilità di recidive o la cronicizzazione. Il trattamento della lombalgia cronica (p. es., riduzione del peso corporeo, miglioramento del tono e della forza muscolare, miglioramento della postura) è diretto all'eliminazione delle cause predisponenti; l'artrite delle articolazioni intervertebrali può giovarsi di questo approccio. Gli esercizi di stiramento lombosacrale (v. Tab. 62-6) possono anche migliorare i sintomi da ispessimento muscolare e prevenire le recidive. Gli analgesici possono risolvere il dolore, sebbene l'uso cronico di narcotici dovrebbe essere evitato. Occasionalmente, allo scopo di ridurre la sensibilità dei punti dolorosi nella lombalgia cronica causata da sindrome miofasciale o fibromialgica, si può effettuare l'infiltrazione dei tessuti molli con desametasone acetato, metilprednisolone acetato, idrocortisone acetato o triamcinolone acetonide da 0,25 a 1 ml (a diverse concentrazioni e disponibili come preparazioni IM), associati a 2-5 ml di anestetico locale all'1% (p. es., lidocaina). Il trattamento chirurgico può rendersi necessario nei casi di dolore intrattabile o con altri sintomi neurologici da discopatia (v. Malattie delle radici nel Cap. 183) o da stenosi spinale. Questi pazienti presentano segni neurologici positivi. Un tentativo di trattamento conservativo deve, comunque, precedere quello chirurgico. La fusione vertebrale è indicata quando è presente instabilità o un processo artritico grave e ben localizzato a uno o due interspazi. Un'assoluta, emergente indicazione per l'escissione chirurgica del disco è l'erniazione lungo la linea mediana centrale, che causa un progressivo deficit neurologico con disfunzione vescicale o intestinale o la sindrome della cauda equina. Altre maggiori indicazioni sono (1) erniazione inequivocabile con debolezza muscolare e progressivo deficit neurologico e (2) intollerabile e intrattabile dolore che interferisce con il lavoro o le funzioni personali in un paziente emotivamente stabile. La classica discectomia con limitata laminectomia per l'ernia del disco intervertebrale è l'intervento standard e generalmente raccomandato. Se l'ernia è localizzata, la microdiscectomia può essere effettuata sotto ingrandimento, che consente una più piccola incisione della cute e la laminectomia. La chemionucleolisi, usando l'iniezione intradiscale di chimopapaina e la discectomia percutanea hanno indicazioni limitate, ma in generale nessuna delle due è raccomandata. Il trattamento chirurgico di un'avanzata stenosi spinale con gravi e intollerabili sintomi è l'adeguata decompressione dell'intrappolamento della radice nervosa da parte del canale vertebrale e dell'invasone dei forami, che talora richiede una laminectomia a due o tre livelli e delle foraminotomie. Il chirurgo deve porre particolare attenzione a non aumentare l'instabilità della colonna. Un paziente con distorsione cronica legamentosa o distorsione muscolare (p. es., un obeso o una paziente incinta) può avere beneficio nell'indossare un corsetto lombosacrale per fissare i muscoli affetti finché non venga riacquistata la forza con l'esercizio. Una significativa riduzione del peso può essere necessaria prima che possa essere raggiunto un beneficio. I fattori psichiatrici devono essere identificati come cruciali o come concause nelle fasi precoci della malattia. Quando si tratta di un problema di ansia oppure di un trauma emotivo, spesso è sufficiente la decisa rassicurazione del paziente. Altrimenti, i principi fondamentali sono rappresentati da ciò che non deve essere fatto. Il medico non deve mostrare un atteggiamento di indecisione né accusatorio; l'esecuzione di indagini appropriate (p. es., VES, raggi-x, elettromiografia) o di procedure necessarie ma pesanti (p. es., mielografia, laminectomia) non dovrebbe essere rinviata e non dovrebbero essere prescritti narcotici. È meglio essere scrupolosi, gentili ma decisi, permettendo al paziente

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di parlare dei suoi problemi, consigliandogli la fisioterapia e attendendo con pazienza i miglioramenti. Un antidepressivo triciclico a bassa dose può migliorare il sonno e alleviare il dolore cronico muscolare. Se non si ottengono in un tempo ragionevole miglioramenti dello stato psicologico, si deve discutere con il paziente l'eventualità di una consulenza psichiatrica.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO MALATTIE DELLE RADICI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L’erniazione dei dischi intervertebrali (v. oltre), associata o meno alle malattie degenerative del midollo spinale, è la causa più comune delle sindromi radicolari. Anche l’AR o l’osteoartrosi, soprattutto se localizzate a livello cervicale o lombare, possono comprimere isolate radici nervose. Meno frequentemente, la meningite cronica, soprattutto quella carcinomatosa, provoca disfunzioni radicolari multiple, a chiazze. Anche gli ascessi epidurali, i tumori, i meningiomi spinali e i neurofibromi possono manifestarsi con una sintomatologia di tipo radicolare (v. Cap. 177). Il diabete mellito può provocare un dolore toracico o una radiculopatia degli arti. In genere, l’herpes zoster provoca una radiculopatia dolorosa con perdita di sensibilità di tipo dermatomerico, con il caratteristico rash e può anche esitare in una radiculopatia, con debolezza di tipo miotonico e con perdita dei riflessi.

Sintomi e segni Le patologie radicolari, che sono di solito secondarie a una compressione cronica o a un’invasione della radice spinale, danno luogo a una tipica sindrome radicolare, con dolore e deficit neurologico segmentale. L’interessamento della radice ventrale (motoria) causa perdita di forza e atrofia dei muscoli innervati dalla radice stessa. Le anomalie della radice dorsale (sensitiva) causano alterazioni della sensibilità con distribuzione di tipo dermatomerico. I corrispondenti riflessi osteo-tendinei sono diminuiti o assenti. Le lesioni dovute a grandi masse occupanti spazio a livello cervicale, toracico o lombare, soprattutto nei pazienti con canale ristretto, possono comprimere sia la radice che il midollo spinale, dando luogo anche a una mielopatia. Il dolore radicolare è aggravato dai movimenti della colonna vertebrale, dalla tosse, dagli starnuti o dalla manovra di Valsalva, che trasmette la pressione liquorale aumentata alla radice nervosa, attraverso lo spazio subaracnoideo. Il dolore derivante dall’interessamento delle ultime radici lombari e delle prime sacrali, che formano il nervo sciatico, si localizza alla natica, sulla faccia posterolaterale della coscia, del polpaccio e del piede (sciatica). Le lesioni estese nella regione lombosacrale interessano più radici della cauda equina, producendo sintomi e segni bilaterali agli arti e alterazioni delle funzioni sessuali e sfinteriche. Le lesioni toraciche causano diestesia a fascia distribuita al torace e attorno ai fianchi. Le sindromi cervicali danno dolore irradiato alla spalla, al braccio, alla mano o all’occipite, a seconda del livello interessato.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Diagnosi Le rx della colonna possono mostrare alterazioni artritiche o una patologia metastatica, mentre la TAC evidenzia le dimensioni del canale osseo e le eventuali infiltrazioni laterali. La RMN fornisce immagini eccellenti delle lesioni spinali e può sostituire la mielografia in molti casi. La citologia del liquor, il contenuto di glucoso, di proteine e l’esame colturale differenzieranno le meningiti neoplastiche dalle altre forme croniche; l’elettromiografia e i potenziali evocati localizzano il livello di compromissione e determinano la gravità della lesione radicolare. Nei muscoli innervati da una o più radici spinali, interessate dalla lesione, la velocità di conduzione appare normale, ma sono presenti l’attività spontanea (onde positive e fibrillazioni) e il diminuito reclutamento motorio. Dopo stimolazione ripetuta del nervo mediano, peroneo o tibiale posteriore, i potenziali evocati possono risultare ritardati a livello dell’ingresso della radice.

Terapia Miorilassanti, analgesici, la stimolazione nervosa transdermica o i rimedi topici possono diminuire la sintomatologia. Il trattamento specifico dipende dall’eziologia della radicolopatia. I pazienti con tumori epidurali o meningei possono essere trattati con radioterapia, a livello dei segmenti midollari interessati dalla lesione e mediante corticosteroidi (desametasone alla dose di 10 mg EV in bolo, seguiti da 4 mg ogni 6 h). Se i segni e i sintomi continuano a progredire, potrà essere richiesta la decompressione chirurgica. Se esiste compressione midollare dovuta a deformità ossea, sarà in genere necessario il trattamento chirurgico. Il metotrexato per via intratecale può essere usato per cercare di rallentare la progressione del tumore nei pazienti con localizzazione meningea diffusa. Gli ascessi epidurali e subdurali richiedono l’immediato drenaggio chirurgico e un trattamento antibiotico per 6-8 sett. Controlli più frequenti della glicemia favoriscono il trattamento dei sintomi da diabete mellito. Una forma di herpes zoster grave deve essere affrontata con farmaci antivirali (acyclovir, vidarabina). I corticosteroidi somministrati acutamente nei pazienti > 60 anni possono ridurre l’incidenza di nevralgie post-erpetiche. I meningiomi e i neurofibromi richiedono l’escissione chirurgica.

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Reumatismi non articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 59. REUMATISMI NON ARTICOLARI BORSITE Infiammazione acuta o cronica di una borsa sierosa.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Le borse sono cavità sacciformi o potenziali che contengono liquido sinoviale, localizzate nei tessuti sottoposti a frizione (p. es., dove i tendini o i muscoli scorrono sulle prominenze ossee). Le borse facilitano i normali movimenti e riducono la frizione tra parti in movimento e possono comunicare con le articolazioni. Le borsiti abitualmente si verificano nella spalla (borsite sub-acromiale o subdeltoidea). Altre sedi includono l'olecrano (gomito del minatore), le strutture prepatellari (ginocchio della casalinga) o soprapatellari, retrocalcaneari (del tendine di Achille), ileopettinea (ileopsoas), ischiatica (gluteo del sarto), del grande trocantere e della testa del primo osso metatarsale ("bunion" per gli anglosassoni). Le borsiti possono essere causate da traumi, uso eccessivo e cronico, artriti infiammatorie (p. es., gotta, AR) o infezioni acute o croniche (p. es., microrganismi piogeni, in particolare lo Staphylococcus aureus; gli agenti tubercolari, ora raramente causano borsite).

Sintomi e segni La borsite acuta causa dolore, ipersensibilità locale e limitazione dei movimenti. La tumefazione e l'arrossamento locale sono presenti frequentemente quando la borsa interessata è superficiale (p. es., prepatellare od olecranica), poiché le pareti della borsa secernono un liquido sieroso se infiammate. L'infiammazione chimica (p. es., indotta da cristalli) o specialmente batterica è caratterizzata da dolore particolarmente intenso, da arrossamento e calore locale. La borsite cronica può essere secondaria a precedenti episodi di borsite acuta o a traumi ripetuti. Le crisi dolorose possono durare da alcuni giorni a diverse settimane e tendono a ricorrere spesso. Sintomi acuti possono seguire a un esercizio fisico eccessivo o a distorsioni. La parete della borsa si presenta ispessita, con proliferazione del rivestimento sinoviale. Possono col tempo costituirsi aderenze, formazioni villose e depositi calcarei. Il dolore, la tumefazione e l'ipersensibilità possono determinare atrofia muscolare e limitazione dei movimenti. La rx può dimostrare calcificazioni sub-deltoidee, particolarmente a livello del tendine del muscolo sopraspinato. Durante un attacco infiammatorio acuto di gotta, i cristalli possono essere isolati nelle borse olecranica e prepatellare.

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Reumatismi non articolari

La borsite sub-acromiale (borsite sub-deltoidea) esordisce con dolore localizzato e ipersensibilità della spalla, in modo particolare nei movimenti di abduzione che comportano la formazione di un arco di 50-130°. La borsite calcifica sub-acromiale può essere indistinta dalla tendinite calcifica del sopraspinato, sia dal punto di vista clinico che radiologico. La seconda può derivare da lacerazioni parziali o complete o dalla liberazione di cristalli di calcioapatite.

Diagnosi Bisogna sollecitare la dolorabilità locale a carico di una particolare borsa e valutare la presenza di una tumefazione o versamento in una borsa superficiale (p. es., olecranica o prepatellare). Bisogna escludere la presenza di infezione in caso di tumefazioni particolarmente dolorose, arrossate e calde. È necessario eliminare la possibilità di strappi muscolari o tendinei, borsite piogenica, sanguinamento nella borsa, sinovite, osteomielite e cellulite. Un processo patologico può coinvolgere simultaneamente una borsa sierosa e l'articolazione con la quale essa comunica.

Terapia >In caso di borsite acuta non infettiva possono essere utili il temporaneo riposo o l'immobilizzazione e la somministrazione di alte dosi di FANS talora con analgesici puri. I movimenti volontari aumenteranno con la scomparsa del dolore. Gli esercizi pendolari sono particolarmente utili per l'articolazione della spalla. Quando il riposo da solo non è sufficiente, il trattamento di scelta è quello di aspirare il liquido e iniettare nella borsa 0,5-1 ml di un preparato corticosteroideo depot (triamcinolone diacetato alla dose di 25-40 mg/ml), con 3-5 ml di anestetico, previa infiltrazione con anestetico locale all'1% (p. es. lidocaina). La dose del corticosteroide depot e il volume della miscela vengono scelti in base alle dimensioni della borsa. In caso di infiammazione resistente, può essere necessaria la riaspirazione del versamento e la successiva iniezione del farmaco. I corticosteroidi per uso sistemico (prednisone, 15-30 mg/die per 3 gg o un preparato equivalente) sono occasionalmente indicati nei casi acuti resistenti, dopo che sia stata esclusa la gotta o un processo infettivo. Il trattamento della borsite cronica è lo stesso di quella acuta, a eccezione del riposo e delle docce di posizione, che in questo caso non risultano particolarmente utili. Nella tendinite cronica calcifica del sopraspinato, soltanto raramente si rende necessaria la rimozione chirurgica o l'aspirazione con un grosso ago della calcificazione dimostrabile radiologicamente: si tratta di rari casi che non hanno trovato giovamento dall'infiltrazione locale di corticosteroidi. La capsulite adesiva della spalla può richiedere iniezioni ripetute di corticosteroidi in aree multiple intra- ed extrarticolari e una fisioterapia intensiva. La manipolazione sotto anestesia non migliora i risultati a lungo termine della capsulite adesiva, se non viene eseguito il trattamento indicato. L'atrofia muscolare deve essere corretta con esercizi adeguati a ristabilire il range di movimento e la forza. Un'eventuale infezione richiede trattamento antibiotico e il drenaggio o l'asportazione della borsa. La borsite tende a recidivare se la causa sottostante (p. es., AR, gotta o sollecitazioni croniche lavorative) non viene corretta.

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Reumatismi non articolari

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 59. REUMATISMI NON ARTICOLARI TENDINITE E TENOSINOVITE Infiammazione di un tendine (tendinite) e della guaina di rivestimento (tenosinovite) si manifestano, generalmente, in modo simultaneo.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Terapia

(v. anche Tendiniti poplitee, Tendinite achillea e Tendinite della cuffia dei rotatori nel Cap. 62. Per la tendinite digitale e la tenosinovite, v. Problemi tendinei nel Cap. 61.) La sede di massima infiammazione è il rivestimento sinoviale della guaina, ma la risposta infiammatoria può coinvolgere anche il tendine incluso (p. es., come risultato di deposito di Ca).

Eziologia La causa è spesso sconosciuta. Per lo più si verificano in persone di media età o in persone più anziane quando la vascolarizzazione dei tendini si attenua; microtraumi ripetuti possono aumentare il danno. In genere, sono implicati traumi ripetuti o eccessivi (prossimi alla rottura), strappi o esercizio eccessivo (non abituale). La tendinite può anche essere legata a malattie sistemiche (molto comunemente nell'AR, nella sclerosi sistemica, nella gotta, nella sindrome di Reiter, nel diabete e raramente nell'amiloidosi) o a livelli sierici di colesterolo marcatamente aumentati (iperlipoproteinemia Tipo II). Nei giovani adulti, in particolare nelle donne, l'infezione gonococcica disseminata può essere responsabile di una tenosinovite migrante acuta, con o senza sinovite localizzata.

Sintomi e segni Le sedi colpite più frequentemente nelle tendiniti e nelle tenosinoviti sono la capsula dell'articolazione della spalla e i tendini ad essa associati (cuffia dei rotatori), il flessore radiale e ulnare del carpo, il flessore delle dita, la capsula dell'articolazione dell'anca e i tendini ad essa associati, il tendine d'Achille, come pure l'abduttore lungo e l'estensore breve del pollice, che dividono una guaina fibrosa comune (sindrome di de Quervain). I tendini coinvolti sono generalmente dolenti durante il movimento; le loro guaine possono accumulare liquido ed essere visibilmente gonfie o possono rimanere secche ma causare frizione, che è avvertita o sentita con lo stetoscopio quando il tendine si muove all'interno della sua guaina. È presente una dolorabilità localizzata lungo il decorso del tendine,

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Reumatismi non articolari

talvolta molto spiccata e tale da rendere impossibile il movimento. Depositi di Ca possono essere evidenziati ai raggi-x nel tendine e nella sua guaina. La tendinite del bicipite deriva dall'infiammazione della guaina tendinea che circonda il capo lungo del muscolo bicipite, il quale si origina dal tubercolo sopraglenoideo e, estendendosi attraverso la capsula dell'articolazione scapoloomerale lungo il solco bicipitale dell'omero, si inserisce sul radio. La dolorabilità è evidente prossimalmente sul solco bicipitale dell'omero o più distalmente facendo "scorrere" il tendine del bicipite (sotto il dito dell'esaminatore). La flessione contro resistenza e la supinazione dell'avambraccio aggravano il dolore locale. La tenosinovite di De Quervain (tendini abduttore o estensore del pollice) è di solito diagnosticata per la dolorabilità localizzata, se non per la lieve tumefazione, lungo il corso del tendine (v. anche Problemi tendinei nel Cap. 61). Un chiaro dolore è evocato o accentuato quando il pollice ipsilaterale viene flesso sul palmo, racchiuso dalle dita e il polso è deviato in direzione ulnare per stirare i tendini e le guaine circostanti (segno di Finkelstein nella tenovaginite stenosante). La borsite trocanterica si verifica sulla prominenza laterale del grande trocantere del femore ed è di solito associata con traumatismi cronici che imprimono pressione o infiammazione in quel punto (p. es., la frizione da banda ileotibiale nell'AR). La dolorabilità localizzata, se non la tumefazione, su questa prominenza ossea caratterizza questa condizione.

Terapia Un sollievo sintomatico può essere procurato con il riposo o l'immobilizzazione (docce di posizione o corsetto) del tendine, con l'applicazione di caldo per l'infiammazione cronica o di freddo per l'infiammazione acuta (qualunque fattore arrechi beneficio al paziente dovrebbe essere usato), con la somministrazione di farmaci analgesici locali e di FANS per 7-10 giorni. La colchicina può essere utile in caso di depositi di urato (v. Gotta nel Cap. 55). Sono indicati appositi esercizi, da eseguire sotto controllo, diverse volte nel corso della giornata (in modo da diventare progressivamente più attivi, sempre in rapporto alla tollerabilità da parte del paziente); l'esercizio è particolarmente utile per prevenire la cosiddetta spalla congelata, dopo aver risolto l'infiammazione acuta. Può essere efficace l'iniezione nella guaina tendinea di un corticosteroide depot (p. es., il desametasone acetato o il metilprednisolone acetato o l'idrocortisone acetato) 0,5-1 ml mescolati a un uguale o doppio volume di anestetico locale all'1% (p. es. lidocaina), in rapporto alla gravità e alla sede del processo patologico. L'iniezione verrà effettuata alla cieca o appena prossimalmente nella sede di maggiore dolorabilità, qualora non si riuscisse a individuare il punto esatto della flogosi. Queste manovre devono essere eseguite con molta attenzione per evitare che il liquido venga iniettato nel tendine (che offre maggiore resistenza), poiché questo potrebbe causare un possibile indebolimento e rottura dello stesso, in soggetti attivi. Un successivo esame della zona interessata, effettuato dopo 3 o 4 gg quando la flogosi si è attenuata, può spesso consentire di individuare il punto preciso della flogosi e una seconda iniezione potrà essere praticata con maggior esattezza. Si consiglia poi di mettere a riposo la parte iniettata per diminuire il rischio di rotture tendinee. Il paziente deve essere avvertito sulla possibile, sebbene rara, comparsa di una infiammazione a seguito della iniezione: si tratta probabilmente di una forma di sinovite da cristalli, indotta dai preparati cortisonici depot; questo si verifica, generalmente, dopo diverse ore dall'iniezione e dura 24 h; tende a migliorare con l'applicazione di freddo e la somministrazione di analgesici a breve durata d'azione. Per la completa risoluzione del processo infiammatorio possono essere necessarie terapia sintomatica e infiltrazioni ogni 2-3 sett., per 1-2 mesi. Nei casi persistenti può essere presa in considerazione l'esplorazione chirurgica e la rimozione di depositi calcifici, seguita dalla fisioterapia graduale. L'approccio chirurgico è raramente necessario, eccetto per effettuare la scarcerazione da file:///F|/sito/merck/sez05/0590522.html (2 of 3)02/09/2004 2.20.36

Reumatismi non articolari

tunnel fibro-ossei (come nella sindrome di de Quervain) o la tenosinoviectomia nelle infiammazioni croniche (come nell'AR).

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT TENDINITE POPLITEA Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(V. anche Tendinite e tenosinovite nel Cap. 59.) Il muscolo popliteo origina dalla faccia laterale del condilo femorale laterale e si inserisce su un'area triangolare della superficie posteriore della tibia. Insieme al legamento crociato anteriore, limita la dislocazione anteriore del femore. La corsa in discese di grande pendenza e la pronazione eccessiva, tendono a esagerare la dislocazione anteriore del femore e ad aumentare così lo stress sul tendine popliteo.

Sintomi, segni e diagnosi Il dolore del tendine popliteo è accentuato dal correre su un pendio in discesa. Per la diagnosi si pone il paziente seduto e con la parte esterna del tallone della gamba lesa che poggia sul ginocchio dell'altra gamba. Egli avverte così un punto dolente subito anteriormente al legamento collaterale esterno.

Terapia Il paziente deve calzare scarpe con un cuneo a base interna (un cuneo rigido triangolare posizionato nella metà mediale dello spazio tra il tallone e la suola della scarpa) o con una ortesi che limiti la pronazione. La corsa va evitata finché provoca dolore e la corsa lungo i pendii deve essere evitata per alcune settimane.

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Disordini comuni della mano

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO PROBLEMI TENDINEI Sommario: Tendinite e tenosinovite delle dita Sindrome di De Quervain

Tendinite e tenosinovite delle dita Infiammazione dei tendini e delle guaine tendinee della mano. (Vedere anche Tendinite e tenosinovite nel Cap. 59.) I sintomi si sviluppano quando un tendine non può scorrere nella sua guaina a causa di un ispessimento o di un nodulo che afferra a livello della puleggia serrata del primo anulare, impedendo una facile estensione o flessione del dito. Il dito può bloccarsi o "scattare," improvvisamente, estendendosi con un colpo secco. La tenosinovite del tendine flessore digitale (dito a grilletto) si verifica comunemente in pazienti con AR e diabete mellito. Nel diabete, il dito a grilletto spesso coesiste con la sindrome del tunnel carpale e occasionalmente con cambiamenti fibrotici della fascia palmare. La terapia della tenosinovite digitale sintomatica comprende riposo locale o splint, calore umido e FANS. Se queste misure falliscono, l'iniezione locale di corticosteroidi nella guaina tendinea del flessore è relativamente semplice, sicura ed efficace. Il paziente può avere un rapido sollievo del dolore e un miglioramento funzionale. Il rilascio chirurgico può essere effettuato se la terapia corticosteroidea intrasinoviale fallisce.

Sindrome di De Quervain (Distorsione della lavandaia) Tenosinovite stenosante del tendine estensore breve (extensor pollicis brevis) e del tendine abduttore lungo (abductor pollicis longus) del pollice. Questo disordine di solito si verifica dopo uso ripetitivo (specialmente nello strizzare) del polso, sebbene sia occasionalmente associato ad AR. Il sintomo principale è un dolore acuto del polso e del pollice, aggravato dal movimento. Una dolorabilità è evocata appena distalmente al processo stiloide radiale sul sito della guaina tendinea coinvolta. La diagnosi è fortemente suggerita dal test di Finkelstein. Al paziente viene richiesto di addurre il pollice del lato colpito sul palmo e di avvolgere le dita sul pollice. Il movimento passivo del polso viene effettuato in tutti i range di movimento e se la forzata deviazione ulnare del polso provoca intenso dolore nel punto della guaina tendinea colpita, allora il test è considerato positivo.

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Disordini comuni della mano

Il riposo, i bagni caldi e i FANS sono efficaci con poca probabilità eccetto che nei casi molto lievi. Iniezioni intrasinoviali locali di corticosteroidi per la sindrome di de Quervain, possono essere utili nell'80-90% dei casi. Il rischio potenziale di rottura tendinea è raro e può essere prevenuto da una infiltrazione fatta con cautela della guaina tendinea, evitando l'introduzione del corticosteroide nella sostanza del tendine.

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Disordini comuni del piede e della caviglia

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA Sommario: Introduzione Esame fisico Terapia con corticosteroidi iniettabili

La diagnosi e il trattamento dei disordini del piede e della caviglia dipendono dal fatto che il problema sia articolare o extrarticolare (tendine, nervo, legamento o osso). I problemi possono essere locali (p. es., traumi, anormale struttura del piede o funzione) o un segno di una malattia sistemica.

Esame fisico La caviglia va esaminata per la sensibilità. Certe aree del piede sono normalmente sensibili (p. es., il sinus tarsi, le parti distali dell'avampiede tra i metatarsi). Il piede è anche osservato per l'eventuale presenza di edema e di cambiamenti della cute. Un danno del nervo peroniero superficiale (branche sensitive) e un intrappolamento possono essere valutati con un leggero colpo, che può evocare dolore o con un pizzico (segno di Tinel). Le vene e i tendini vengono ispezionati e palpati durante il movimento della caviglia e le articolazioni sono valutate con la palpazione profonda al movimento per eventuale tumefazione, range di movimento e dolorabilità. Un gonfiore localizzato inferiormente e anteriormente al malleolo laterale, indica la presenza di un versamento dovuto a una patologia intrarticolare (p. es., AR). Un rigonfiamento nella parte anteriore dell'articolazione fibulo-astragalica anteriore, è indice di un trauma del legamento fibulo-astragaleo anteriore. Rigonfiamenti duri, ampi, simmetrici, bilaterali in questa regione possono essere dovuti a lipomi iuxta malleolari, che sono frequenti nelle donne in menopausa. Queste tumefazioni possono essere dolenti, a causa dell'intrappolamento nervoso. Un gonfiore localizzato e generalmente dolente nella parte posteriore di uno o di entrambi i malleoli, suggerisce una tenosinovite. Il tallone è esaminato ponendo il piede ad angolo retto con la gamba. La base del tallone e i suoi margini devono essere palpati esercitando una pressione decisa. La presenza di calore e tumefazione deve essere notata (v. oltre, Disordini associati a talalgia). Il mediopiede è localizzato tra la caviglia e l'area del tallone e le dita. Le parti dorsale e plantare del mediopiede devono essere esaminate. Entrambi i piedi devono essere confrontati. Una tumefazione unilaterale diffusa con dolore limitato al mediopiede può essere causata da artrite o da una frattura del metatarso (p. es., una frattura da marcia). Una tumefazione diffusa (che può coinvolgere la caviglia) che alla pressione lascia una fovea e si estende alle dita bilateralmente, può essere causata da malattia venosa, scompenso cardiaco congestizio o malattia renale. L'edema tende ad accumularsi nella caviglia, a causa della compressione esercitata dalle scarpe. Una tumefazione unilaterale o bilaterale che non lascia la fovea alla pressione, indica la presenza di linfedema. Una dolorosa, calda tumefazione file:///F|/sito/merck/sez05/0600525.html (1 of 3)02/09/2004 2.20.40

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suggerisce la gotta o una flebite dell'arcata venosa dorsale. Tumefazioni localizzate dure circoscritte, di solito localizzate nella parte dorsolaterale del piede, sono comunemente causate da cisti gangliari (che devono essere differenziate dal ventre muscolare dell'estensore breve delle dita). Una malattia articolare deve essere valutata attraverso la palpazione e il range di movimento. L'esame per una tendinite dei tendini che si inseriscono e attraversano il mediopiede, deve essere effettuato ponendo il tendine in considerazione in contrazione e valutando la presenza di dolore e la forza contro resistenza. La RMN è utile nel dimostrare rotture tendinee e infiammazione occulta. La flessione plantare e l'inversione del piede accentuerà la sensibilità delle branche cutanee del nervo peroniero superficiale, che deve sempre essere valutato come sorgente di dolore dorsale del piede. La percussione dei nervi evocherà dolore (segno di Tinel) quando questi sono irritati. L'esame della parte plantare del mediopiede deve cominciare con la fascia plantare. La fascia è esaminata con il piede posto ad angolo retto con la gamba (dorsiflessione); una pressione decisa deve quindi essere applicata lungo il corso del margine interno della fascia per evidenziare la presenza di dolore (fascite plantare). La palpazione della fascia può evidenziare la presenza di noduli (fibromatosi plantare). L'avampiede è l'area principalmente composta dalle articolazioni metatarsofalangee, dai nervi interdigitali e dalle dita. L'esaminatore deve palpare ciascuna delle articolazioni metatarsofalangee ponendo il pollice sotto l'articolazione affetta e l'indice sopra. Se una netta pressione evoca dolore, è probabile un disordine articolare. La presenza di dolore con calore e tumefazione suggerisce una sinovite infiammatoria. Il range di movimento deve essere valutato in queste articolazioni flettendo ed estendendo le articolazioni. Un limitato range di movimento con dolore, di solito, si verifica a livello dell'articolazione dell'alluce (hallux limitus). La parte superiore e la pianta del piede devono essere esaminati per l'eventuale presenza di tilomi, calli o verruche. I nervi interdigitali devono essere valutati per la presenza di nevralgia o neuromi facendo una decisa pressione con il pollice tra le teste metatarsali. Tumefazioni dure isolate delle dita possono essere causate da problemi dei tessuti molli, come infezioni (p. es., unghia incarnita o sottostante osteomielite, specialmente in un paziente diabetico). Il melanoma maligno deve essere preso in considerazione in ogni paronichia di lunga durata, specialmente negli anziani. Altre cause di tumefazione digitale comprendono l'osteocondroma solitario (il più comune tumore osseo benigno delle falangi), l'artrite psoriasica (dito a salsicciotto) associata con calore e rossore e, meno frequentemente, tumefazione (p. es., fibroma della guaina tendinea). Tumefazioni soffici fluttuanti delle dita sono di solito causate da cisti mixoidi digitali.

Terapia con corticosteroidi iniettabili I corticosteroidi solubili hanno un rapido inizio d'azione con minimi effetti sul tessuto fibroconnettivo, mentre i corticosteroidi insolubili hanno una lunga durata d'azione e diminuiscono la fibrosi dei tessuti molli. I corticosteroidi insolubili devono essere iniettati con cautela, specialmente se somministrati in sequenza, a causa della scarsità del tessuto fibroconnettivo sul dorso del piede, specialmente sulle dita e nel tarso e nello spazio retrocalcaneare. Basse dosi e iniezioni non frequenti devono essere usate per evitare un danno della cute e dei tessuti molli (p. es., depigmentazione, atrofia, ulcerazione), specialmente negli anziani e in soggetti con malattie vascolari periferiche e quando si iniettano le piccole articolazioni del piede. I corticosteroidi insolubili devono essere somministrati in profondità nel piede in punti come il cuscinetto calcaneare, il canale del tarso, gli spazi intermetatarsali o l'articolazione della caviglia. Quando si iniettano i tendini del piede con corticosteroidi insolubili, l'area deve essere immobilizzata (l'iniezione diretta nel tendine di Achille deve essere evitata). I corticosteroidi solubili e insolubili possono essere utilizzati in combinazione, per associare gli effetti di rapido esordio d'azione con quelli di lunga durata. La dose abituale è di 1,5 ml di desametasone fosfato (4 mg/ml) con 0,125-0,25 ml di triamcinolone acetonide (40 mg/ml) e 1,5 ml al 2% di lidocaina in 1:100000 di file:///F|/sito/merck/sez05/0600525.html (2 of 3)02/09/2004 2.20.40

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epinefrina.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISTORSIONI DELLA CAVIGLIA Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia Complicanze

La caviglia è sostenuta lateralmente dal legamento talofibulare anteriore (LTA), dal legamento fibulocalcaneare (LFC) e dal legamento talofibulare posteriore (LTP). In un episodio distorsivo del collo-piede, il LTA è, generalmente, il primo a lacerarsi. Soltanto dopo la rottura di questo legamento si può verificare una lesione del LFC. Al contrario se c'è una rottura del LTA, si deve ricercare anche un'eventuale, concomitante lesione del LFC. Il 64% dei casi ha interessato il solo LTA, mentre il 17% anche il LFC. Il LTP raramente va incontro a rotture. I soggetti con lassità legamentosa, che presentano un ampio ambito di inversione dell'articolazione sottotalare, sono esposti a episodi distorsivi. La debolezza dei tendini peronieri è un occasionale fattore predisponente che si può verificare con la discopatia lombare. Il valgismo anteriore, condizione in cui l'avampiede tende a extraruotarsi, causando un varismo compensatorio dell'articolazione sottoastragalica, può essere un fattore predisponente. Alcuni individui hanno una tendenza ereditaria a sviluppare un retropiede varo e sono quindi predisposti alla distorsione della caviglia.

Sintomi, segni e diagnosi È necessario l'esame della struttura e della funzione del piede per escludere eventuali fattori predisponenti. La semplice palpazione della caviglia lateralmente consente di determinare il punto del danno legamentoso. Le distorsioni della caviglia di solito possono essere classificate clinicamente in base ai sintomi di danno dei tessuti molli (v. Tab. 60-1). Un test utile per determinare la rottura del LTA è la ricerca del segno del cassetto. Quando il LTA si lacera, lo spostamento in avanti dell'astragalo diviene possibile. Il paziente deve sedere sul bordo del lettino con la gamba pendente. Con la mano sinistra posta sulla faccia anteriore dell'estremità inferiore della tibia e con la destra che afferra il tallone posteriormente, si tira il calcagno (e l'astragalo) in avanti, mentre si spinge indietro la tibia.

Terapia Il controllo profilattico della motilità del retropiede con ortesi è indicato in questi pazienti. Le distorsioni della caviglia sono trattate in base alla loro classificazione (v. Tab. 60-1). La chirurgia è raramente indicata poiché l'estrema frammentazione dei legamenti rende la riparazione chirurgica difficile. Alcuni file:///F|/sito/merck/sez05/0600526.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.40

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chirurghi utilizzano apparecchi gessati per rotture isolate del LTA ma raccomandano la riparazione chirurgica se il LFC è rotto.

Complicanze Il corpo meniscoide: questo piccolo nodulo si trova a livello del LTA. Lo schiacciamento, fra il malleolo laterale e l'astragalo di questo legamento capsulare, rivestito dalla membrana sinoviale e causato da un trauma di grado II o III, esita in una sinovite persistente che porta, nel tempo, a una tumefazione permanente fibrotica. L'immobilizzazione è poco utile. L'infiltrazione di una miscela di corticosteroidi insolubili e solubili e di un anestetico locale fra l'astragalo e il malleolo laterale, dà spesso miglioramenti notevoli e duraturi. L'intervento chirurgico è raramente indicato. Nevralgia del nervo cutaneo dorsale intermedio: questa branca del nervo peroneale superficiale incrocia il LTA ed è spesso traumatizzata in seguito a una violenta inversione della caviglia. La percussione del nervo solleciterà il segno di Tinel (v. sopra). Il trattamento, utilizzando anestetici locali che bloccano la funzione nervosa, dà spesso buoni risultati. Tenosinovite peroneale: si tratta di una tumefazione cronica localizzata sotto il malleolo laterale, dovuta alla tenosinovite dei tendini dei peronieri. È causata delle distorsioni dolorose in inversione che evertono cronicamente l'articolazione sottoastragalica nella deambulazione. In alcuni casi, la lussazione dei tendini dei peronieri, dovuta a distorsioni gravi della caviglia, può anche causare gonfiore e dolorabilità. Distrofia riflessa post-traumatica (atrofia riflessa post-traumatica di Sudeck): è una tumefazione dolorosa del piede associata a osteoporosi a chiazze. Può derivare da un angiospasmo secondario a una distorsione dell'articolazione tibiotarsica. Talvolta l'edema deve essere differenziato da quello dovuto a lesione del legamento. Tipicamente, il dolore appare sproporzionato rispetto ai segni clinici. La presenza di zone "grilletto" dolorose, che si spostano da una sede all'altra, associate a cambiamenti nel colore della pelle, è caratteristica. Sindrome del seno del tarso: la patogenesi di questo dolore persistente del sinus tarsi dopo distorsioni della caviglia è poco chiara. Possono essere responsabili la rottura parziale del legamento talo-calcaneare interosseo o del corpo del legamento crociato inferiore della caviglia. Poiché il sinus tarsi è fisiologicamente dolorabile, vanno esaminate entrambe le caviglie. Poiché il LTA è dolorabile in prossimità del sinus tarsi, pazienti che lamentano dolore costante sul LTA sono spesso diagnosticati erroneamente come affetti da sindrome del sinus tarsi. Il trattamento consiste in un'infiltrazione del seno del tarso con 0,25 ml di triamcinolone [40 mg/ml]con 1 ml di lidocaina al 2% con adrenalina 1:100000.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA La diagnosi differenziale è spesso basata sulla localizzazione del dolore (v. Tab. 60-2).

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA SINDROME DELLO SPERONE CALCANEARE Talalgia localizzata nella zona del calcagno inferiore causata dallo stiramento della fascia plantare sul periostio, con o senza evidenza di uno sperone calcaneare ai raggi-x.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia Epifisite del calcagno Diagnosi e terapia

Gli speroni probabilmente sono il risultato di un eccessivo stiramento o strappo del periostio calcaneare da parte della fascia plantare. Lo stiramento può dar luogo anche a un dolore lungo la superficie interna della fascia plantare (fascite plantare). I piedi piatti e la contrazione dei tendini del tallone possono condurre alla formazione di speroni attraverso l'aumentata tensione sulla fascia plantare.

Sintomi, segni e diagnosi L'area inferiore del calcagno tende a essere dolente durante le prime fasi dello sviluppo di uno sperone a causa della pressione della fascia plantare sul periostio, anche quando ancora è poco o affatto evidenziabile radiologicamente. Una volta accresciutosi, spesso il dolore diminuisce, probabilmente a causa di modificazioni adattative del piede. Uno sperone può divenire improvvisamente doloroso dopo essere stato asintomatico, spesso in seguito a un trauma locale (p. es., traumi da sport, v. Cap. 62). Talvolta, si sviluppa una borsa avventiziale che si può infiammare (borsite calcaneare inferiore); il calcagno può quindi diventare caldo con dolore che diviene lancinante. All'esame obiettivo, una forte pressione del pollice al centro del calcagno produce un ulteriore dolore. Il dolore sollecitato applicando una forte pressione digitale lungo l'intero bordo interno della fascia mentre la caviglia è dorsiflessa, conferma la presenza di una associata fascite plantare. Sebbene la dimostrazione radiologica di uno sperone calcaneare confermi la diagnosi, una lastra negativa non può escluderne l'insorgenza precoce. Raramente, gli speroni calcaneari possono apparire mal definiti ai raggi-x, mostrando una neoformazione ossea di aspetto soffiato, suggerendo un'artopatia sieronegativa o HLA-B27 positiva (p. es., spondilite anchilosante, sindrome di Reiter). AR e gotta sono altre cause. Generalmente, queste artropatie possono essere distinte dalle cause locali di dolore localizzato al tallone, per la presenza di tumefazioni e flogosi lievi o gravi; esse sono descritte in altri capitoli del Manuale. file:///F|/sito/merck/sez05/0600528b.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.42

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Terapia Esercizi di stiramento del polpaccio e l'utilizzo di splint durante la notte sono spesso efficaci nell'eliminare o diminuire il dolore e vanno incoraggiati. La legatura con delle cinghie (simile al controllo ortesico) allevia la tensione lungo la fascia plantare e diminuisce lo stiramento doloroso del periostio. Devono anche essere usati FANS per via orale. Una iniezione nel tallone con anestetico locale senza corticosteroidi è spesso efficace. Quando anche sintomi e segni di infiammazione sono presenti (p. es., lieve calore, tumefazione, una storia di dolore lancinante [borsite calcaneare inferiore]), è indicato un misto di corticosteroidi solubili e insolubili. L'iniezione viene fatta perpendicolarmente al bordo mediale del tallone, dirigendosi verso il punto "grilletto".

Epifisite del calcagno (Morbo di Sever) Rottura dolorosa della cartilagine del tallone che colpisce i bambini. Il calcagno si sviluppa da due nuclei di ossificazione: uno inizia alla nascita, l'altro non prima degli 8 anni. Prima della completa calcificazione (di solito entro i 16 anni di età) le due ossa o le fibre dell'inserzione dei tendini sull'epifisi sono connesse da cartilagine. Un'eccessiva tensione prodotta da attività fisica intensa può a volte condurre alla rottura di questa cartilagine.

Diagnosi e terapia La diagnosi si basa sulla tipica localizzazione del dolore lungo i lati o margini del tallone (centri di crescita del tallone), sull'età del paziente e su una storia di coinvolgimento atletico. Sono a volte presenti calore ed edema. I raggi-x non sono utili. I rialzi di gomma riducono la trazione esercitata dal tendine di Achille sul tallone. L'immobilizzazione del piede in gesso è di solito efficace. È importante rassicurare il paziente e i genitori, dal momento che la sintomatologia può persistere per molti mesi.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA EPIFISITE DEL CALCAGNO Rottura dolorosa della cartilagine del tallone che colpisce i bambini.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

(Morbo di Sever) Il calcagno si sviluppa da due nuclei di ossificazione: uno inizia alla nascita, l'altro non prima degli 8 anni. Prima della completa calcificazione (di solito entro i 16 anni di età) le due ossa o le fibre dell'inserzione dei tendini sull'epifisi sono connesse da cartilagine. Un'eccessiva tensione prodotta da attività fisica intensa può a volte condurre alla rottura di questa cartilagine.

Diagnosi e terapia La diagnosi si basa sulla tipica localizzazione del dolore lungo i lati o margini del tallone (centri di crescita del tallone), sull'età del paziente e su una storia di coinvolgimento atletico. Sono a volte presenti calore ed edema. I raggi-x non sono utili. I rialzi di gomma riducono la trazione esercitata dal tendine di Achille sul tallone. L'immobilizzazione del piede in gesso è di solito efficace. È importante rassicurare il paziente e i genitori, dal momento che la sintomatologia può persistere per molti mesi.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA BORSITE POSTERIORE DEL TENDINE DI ACHILLE Infiammazione di una borsa situata sopra il tendine di Achille, causata da variazioni della posizione e della funzione del tallone.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

(Deformazione di Haglund) La borsite posteriore del tendine di Achille si riscontra soprattutto in donne giovani, ma può manifestarsi anche negli uomini. Il tallone tende a funzionare in inversione in tutto il ciclo deambulatorio, esercitando, quindi, un'eccessiva compressione del tessuto molle, tra la faccia laterale posteriore del calcagno e il contorno della scarpa. In questi casi, la porzione postero-laterale del calcagno diventa prominente, può essere facilmente palpata e spesso viene scambiata per un'esostosi.

Sintomi e segni Nelle prime fasi, sulla porzione postero-superiore del tallone, si può osservare soltanto una piccola zona sensibile eritematosa, lievemente indurita; in questa fase i pazienti spesso pongono alcuni cerotti sulla zona, per ridurre la pressione del contorno della scarpa. Quando la borsa infiammata si ingrossa, diventa una formazione rossa e dolorante sul tendine. Talvolta l'infiammazione si estende a entrambi i lati del tendine: ciò dipende dal tipo di scarpa portata dal soggetto. Nei casi cronici, la borsa diventa permanentemente fibrotica.

Terapia Consiste nel sollevare il tallone con un rialzo, di gomma o felpato, che elimina la contropressione esercitata dal contorno della scarpa. Le ortesi per le scarpe controllano un movimento anormale del tallone. Inoltre, allargando il contorno della scarpa o aprendone il bordo posteriore, è possibile, in alcuni casi, ridurre l'infiammazione. L'imbottitura della zona intorno alla borsa spesso riduce la pressione. I FANS orali offrono un temporaneo beneficio. L'infiltrazione di un corticosteroide solubile con un anestetico locale riduce la flogosi. Cautela deve essere posta quando si effettua un'iniezione vicino al tendine di Achille. Se la terapia conservativa non risultasse efficace, potrà essere indicata l'asportazione chirurgica della regione postero-laterale del calcagno.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA FRATTURA DEL TUBERCOLO POSTERO-LATERALE DELL'ASTRAGALO Frattura dovuta a un trauma in flessione plantare, in cui il margine posteroinferiore della tibia va a urtare contro il tubercolo dell'astragalo.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

La frattura del tubercolo postero-laterale di solito si verifica a causa di un balzo improvviso sull'avampiede, come si verifica in alcuni sport, quali la pallacanestro o il tennis oppure può verificarsi alzandosi da una sedia con forza. I soggetti che presentano tubercoli talari laterali allungati (processi di Stieda) sembrano predisposti a questo trauma.

Sintomi, segni e diagnosi Sono frequenti il dolore e la tumefazione, localizzati dietro la caviglia con difficoltà a camminare in discesa e a scendere le scale. La tumefazione può essere persistente, anche senza un chiaro evento traumatico. Può essere presente calore di lieve intensità. La flessione plantare del piede risveglierà il dolore; anche la dorsiflessione dell'alluce può produrre lo stesso dolore. L'esame rx in laterale della caviglia è necessario per confermare la diagnosi. L'esame comparativo è altrettanto necessario per poter escludere la presenza di un os trigonum.

Terapia L'immobilizzazione in gesso per 4-6 sett. è indicata. Se il dolore persiste ed è presente flogosi del tessuto molle, può essere efficace l'infiltrazione di corticosteroidi e un anestetico. Può rendersi necessaria l'asportazione chirurgica del tubercolo laterale.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA BORSITE ANTERIORE DEL TENDINE DI ACHILLE (Malattia di Albert) Infiammazione della borsa anteriore al punto di inserzione del tendine di Achille sul calcagno.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La borsite anteriore del tendine di Achille si verifica sia in seguito a traumi che in corso di un'artrite infiammatoria (generalmente l'AR). Qualsiasi condizione che aumenti le sollecitazioni o microtraumi ripetuti (scarpe strette o con bordi alti e rigidi) sul tendine d'Achille, può contribuire.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi di borsite causata da trauma hanno un esordio improvviso; quelli di una borsite causata da malattia sistemica hanno un esordio graduale. I sintomi più comuni sono dolore, tumefazione, infiammazione nello spazio retrocalcaneare e difficoltà alla deambulazione o nel portare le scarpe. Inizialmente, il gonfiore è localizzato in posizione anteriore al tendine d'Achille, ma nel tempo si estende medialmente e lateralmente. La tumefazione, l'infiammazione contigua al tendine di Achille e il dolore, localizzato soprattutto nel tessuto molle, differenziano questa patologia da una frattura del tubercolo postero-laterale. Per escludere la presenza di fratture o di alterazioni erosive reumatoidi del calcagno, è opportuno praticare gli accertamenti rx.

Terapia La terapia si fonda su iniezioni all'interno della borsa con un corticosteroide solubile con un anestetico. Attenzione deve essere posta a evitare di iniettare direttamente il tendine di Achille. Possono risultare utili le applicazioni di compresse calde e il riposo.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA NEVRALGIA DEL NERVO TIBIALE POSTERIORE Termine solitamente riferito a un dolore che si estende lungo il decorso del nervo tibiale posteriore (nevralgia).

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

A livello della caviglia, il nervo tibiale posteriore passa attraverso un canale osseo-fibroso, all'interno del legamento laciniato e si divide nel nervo plantare mediale e laterale. La sindrome del tunnel tarsale si riferisce alla compressione del nervo all'interno di questo canale, ma questa denominazione è stata utilizzata erroneamente per descrivere una nevralgia del nervo tibiale posteriore, dovuta a numerose cause. La tenosinovite dei flessori della caviglia, causata o da una disfunzione del piede o da un'artrite infiammatoria, può talvolta determinare una nevralgia secondaria da compressione del nervo tibiale posteriore come pure (meno frequentemente) un edema da stasi venosa.

Sintomi, segni e diagnosi Il dolore (raramente un bruciore e un formicolio) si presenta dentro e intorno alla caviglia e si irradia spesso alle dita. Il dolore si aggrava con la deambulazione e diminuisce con il riposo. Il dolore può comparire anche quando si sta in piedi oppure indossando scarpe di diversi tipi. La percussione o la palpazione del nervo tibiale posteriore sotto il malleolo mediale nel punto di compressione o del danno, produce spesso un formicolio distale (segno di Tinel). Gli esami elettrodiagnostici possono confermare la diagnosi e vanno effettuati in tutti i pazienti sottoposti a intervento chirurgico del piede e quando è presente gonfiore nella zona del nervo, si deve tentare di determinare la causa (p. es., malattia reumatica, flebite, frattura).

Terapia Una fasciatura in posizione neutra o in lieve inversione o un plantare, che mantenga in tale posizione il piede, riduce la tensione sul nervo. Se non è presente una compressione fibroossea del nervo all'interno del canale, l'infiltrazione locale di corticosteroidi insolubili con un anestetico locale può essere efficace. L'intervento chirurgico di decompressione può essere necessario in casi resistenti alla terapia conservativa.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA MALATTIE ASSOCIATE A METATARSALGIA Metatarsalgia è un termine generico usato per descrivere un dolore dell'avampiede, dovuto generalmente a un danno traumatico dei nervi interdigitali o a malattia delle articolazioni metatarsofalangee.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA MALATTIE ASSOCIATE A METATARSALGIA DOLORE DEI NERVI INTERDIGITALI

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Una nevralgia o neuromi benigni possono comparire a livello di qualunque nervo interdigitale. I nervi interdigitali del piede decorrono sotto e in mezzo ai metatarsi, diramandosi distalmente nell'avampiede, per innervare le dita. Il 3o nervo interdigitale plantare è una branca dei nervi plantari digitali, mediale e laterale. È in questa sede che si manifesta il neurinoma (neurinoma di Morton). La formazione del neurinoma è più spesso monolaterale che non bilaterale ed è più comune nelle donne.

Sintomi e segni La nevralgia interdigitale è caratterizzata da esordio improvviso di un dolore lungo uno o più nervi del piede che si irradia all'avampiede o alle dita. Questa può essere la conseguenza della perdita del cuscinetto di grasso che protegge i nervi interdigitali del piede, di traumi ripetitivi di scarsa entità o di calzature improprie. Il neurinoma interdigitale rappresenta un graduale, persistente, benigno ispessimento e allargamento della guaina che avvolge il nervo di uno (o, meno comunemente, due o più) dei nervi interdigitali del piede. Nelle prime fasi, i pazienti con il neurinoma possono avvertire soltanto dolore o dolorabilità dell'avampiede, soprattutto all'altezza della testa del 4o metatarso; talvolta senso di bruciore o di formicolio. I pazienti lamentano tali disturbi con tutti i tipi di scarpe e riferiscono di avvertire come una pallina, un sassolino nella punta del piede. I sintomi abitualmente sono più marcati a seconda del tipo di scarpe. Col progredire della malattia, tali sensazioni diventano più specifiche, con un bruciore costante che si irradia alla punta delle dita. Durante la deambulazione, i pazienti possono sentire la necessità di togliere le loro scarpe per avere un po' di sollievo.

Diagnosi e terapia La nevralgia interdigitale o il neurinoma si diagnosticano con l'anamnesi caratteristica e con la palpazione plantare dello spazio interdigitale. Una pressione esercitata con il pollice tra le teste del 3o e 4o osso metatarsale provoca dolore nei pazienti affetti da neurinoma. La nevralgia interdigitale di solito si risolve abbastanza prontamente con scarpe appropriate e solette. La lidocaina è spesso efficace nei casi di nevralgia

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semplice. Invece, la formazione di neurinomi può richiedere infiltrazioni perineurali di corticosteroidi depot con un anestetico locale. L'infiltrazione viene praticata con un'angolazione di 45° rispetto al piede, nell'interspazio dal lato dorsale delle articolazioni metatarso-falangee. Possono essere necessarie due o tre infiltrazioni a intervalli di 1-2 mesi. L'uso concomitante di ortesi del piede è utile. Una ortesi adeguatamente modellata e fabbricata è spesso efficace nel ridurre i sintomi. La terapia conservativa deve sempre essere tentata prima della chirurgia. Se la terapia conservativa si dimostrasse inefficace, l'asportazione chirurgica del neurinoma dà ottimi risultati.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA MALATTIE ASSOCIATE A METATARSALGIA DOLORE DELL'ARTICOLAZIONE METATARSOFALANGEA Dolore che coinvolge l'articolazione metatarsofalangea.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il dolore dell'articolazione metatarsofalangea è comune e generalmente proviene da un cattivo allineamento delle superfici articolari, che causa sublussazioni e urti capsulari e sinoviali con distruzione finale della cartilagine articolare (malattia degenerativa articolare). Tali sublussazioni sono presenti in pazienti che presentano rigidità dell'avampiede con deformazione del tipo dita a martello, piede cavo o fortemente arcuato, marcata rotazione esterna dell'articolazione sottotalare (rotazione delle caviglie [pronazione]) e alluce valgo (cosiddetta "cipolla"). La sovrapposizione del primo dito comporta, nei pazienti affetti da alluce valgo, sublussazioni traumatiche e dolore a carico della seconda articolazione metatarsofalangea. Dolore delle articolazioni metatarsofalangee può essere causato anche da artropatie sistemiche (p. es. l'AR.)

Sintomi, segni e diagnosi L'assenza di calore significativo e di tumefazione generalmente esclude le artropatie infiammatorie, tuttavia sono opportuni esami per individuare eventuali malattie reumatiche. Il dolore articolare può essere differenziato dalla nevralgia o dal neurinoma dei nervi interdigitali per l'assenza di sintomi, quali bruciore, insensibilità e formicolii. Inoltre, la palpazione e la mobilitazione passiva rivelano dolorabilità sia sulla superficie dorsale che su quella plantare dell'articolazione; i sintomi sono generalmente limitati alla superficie plantare.

Terapia Nei pazienti affetti da piede cavo o da dita a martello, vanno ricercate le cause; si devono escludere un'ipotonia del muscolo tibiale anteriore, tendine di Achille corto, affezioni neurologiche (p. es., l'atassia di Friedreich, il morbo di CharcotMarie-Tooth) o contratture delle dita, causate da accidenti vascolari. I supporti protesici ridistribuiscono e riducono la pressione a carico delle articolazioni colpite. Due o tre iniezioni a settimana di solo anestetico locale negli spazi interdigitali doloranti possono alleviare la sintomatologia a lungo. Invece, se un'infiammazione articolare è presente (sinovite), un anestetico deve essere combinato con un corticosteroide solubile o insolubile o con una combinazione di entrambi. Ciascuna iniezione deve essere somministrata con circa due mesi di file:///F|/sito/merck/sez05/0600531c.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.47

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intervallo. Con una eccessiva eversione subtalare o quando i piedi sono molto arcuati, deve essere prescritta un'ortesi per controllare il movimento abnorme e alleviare la pressione plantare. Il trattamento chirurgico può essere necessario se la terapia conservativa è inefficace.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA ALLUCE RIGIDO Osteoartrosi della prima articolazione metatarsofalangea.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Questa malattia estremamente comune, in genere, è il risultato di variazioni della posizione del 1o osso metatarsale, dovute a un'accentuata angolazione in varo delle caviglie (pronazione), alla deviazione laterale dell'alluce (alluce valgo), alla dorsiflessione del 1o osso metatarsale (metatarso elevato), all'aumento del 1o raggio e alla deviazione mediale del primo metatarso. Talvolta, un trauma può essere in causa.

Sintomi e segni Inizialmente, l'unico segno può essere dolore al movimento e una lieve tumefazione dell'articolazione dovuta all'ispessimento capsulare. L'articolazione è dolente e le scarpe peggiorano ancora di più questa condizione. Col peggioramento della manifestazione, il dolore aumenta e la formazione esostotica inizia a limitare il movimento articolare; il paziente non piega l'articolazione durante la deambulazione. Anche se l'infiammazione non è normalmente presente in questa zona, può svilupparsi nelle fasi successive, a causa della irritazione secondaria della membrana sinoviale.

Diagnosi e terapia La diagnosi viene posta dimostrando l'ingrossamento della 1a articolazione metatarsofalangea con limitazione del movimento, aumento della dorsiflessione della falange distale e rilevando il dolore alla palpazione della capsula articolare (particolarmente sulla superficie laterale). L'esame rx dorso-plantare e laterale evidenzia la presenza di restringimento e speroni ossei che partono dalla testa metatarsale. L'anamnesi deve includere domande su attacchi di artrite acuta come quella che si verifica nella gotta, poiché la gotta cronica può causare dolore e ingrandimento della prima metatarsofalangea. La terapia inizialmente comprende esercizi passivi e trazioni del dito per aumentare la motilità articolare. Lo spasmo muscolare e il dolore diminuiranno con le infiltrazioni periarticolari di un anestetico locale, permettendo una maggiore escursione articolare. L'infiltrazione intrarticolare di un corticosteroide insolubile con un anestetico nel punto dell'articolazione che scatena il dolore può essere efficace. La stabilizzazione precoce del piede consentirà il ripristino della

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funzione e dell'esatta posizione dei metatarsi. Nei casi più ostinati alla terapia conservativa può essere indicato limitare il movimento per diminuire il dolore (p. es., usando una ortesi o calzature speciali). Può essere necessario il trattamento chirurgico per diminuire il dolore e migliorare la motilità.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI Una volta che le deformazioni della mano diventano relativamente stabilizzate, esse non possono essere modificate significativamente dagli splint, dall'esercizio o da altre terapie non chirurgiche.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI DITO DI MALLET Deformazione in flessione dell'articolazione interfalangea terminale nella quale la punta del dito si piega e l'estensione diviene quindi impossibile. Questa deformazione può derivare da un danno tendineo o da una avulsione ossea, che causano una flessione forzata della articolazione interfalangea distale (IFD) (v. Fig. 61-1). Le contusioni possono essere trattate con uno splint che mantiene l'articolazione IFD in estensione e lascia libera l'articolazione interfalangea prossimale (IFP). Le fratture con avulsione vengono di solito ricomposte dopo 6 sett., ma i danni tendinei puri richiedono approssimativamente 8-10 sett. perché il collagene venga riparato sufficientemente.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI DEFORMAZIONE A COLLO DI CIGNO Flessione metacarpale, con iperestensione dell'articolazione IFP e flessione dell'articolazione IFD. Sebbene sia caratteristica dell'AR, la deformazione a collo di cigno ha varie cause, compresa la deformazione non trattata a mazzuolo, la lassità del piatto volare, la spasticità, la lassità legamentosa e la cattiva guarigione di una frattura della falange media. L'incapacità di vincere l'iperestensione della articolazione IFP rende impossibile la chiusura del dito e può causare grave disabilità. La vera deformazione a collo di cigno non colpisce il pollice, che è "mancante" di una articolazione falangea. Comunque, una grave iperestensione della articolazione interfalangea del pollice con flessione dell'articolazione metacarpofalangea (MCF), viene chiamata "a becco d'anatra", "a Z (zigzag)" o "deformazione ad angolo di 90°". Se associata a instabilità del pollice, la deformazione a collo di cigno può interferire grandemente con la prensione (pizzico). Questa deformazione può di solito essere corretta con una artrodesi interfalangea. La terapia è volta a correggere la causa sottostante ove possibile (correzione della deformazione a mazzuolo o di qualunque disallineamento osseo, riequilibrando il meccanismo estensore, rilasciando i muscoli intrinseci spastici).

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI DEFORMAZIONE EN BOUTONNIÈRE (Deformazione a occhiello) Flessione fissa dell'articolazione IFP, accompagnata da iperestensione dell'articolazione IFD. Questa può derivare da lacerazioni, lussazioni, frattura, osteoartrosi o AR. Classicamente, la deformazione è causata dalla distruzione della striscia centrale della base di attacco del tendine estensore della falange media, che crea il cosiddetto occhiello della falange prossimale tra le bande laterali del tendine estensore. La ricostruzione chirurgica dopo che si sono sviluppate deformazioni fisse, è spesso risultata insoddisfacente.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI OSTEOARTROSI EROSIVA (INFIAMMATORIA) Forma clinica di osteoartrosi a predisposizione genetica che, nella mano, colpisce primariamente l'articolazione IFD, alcune articolazioni IFP e le prime articolazioni carpometacarpali, con estesa sinovite e formazione di cisti. L'ingrandimento osseo delle articolazioni IFD (noduli di Heberden) e l'iperplasia ossea delle articolazioni IFP (noduli di Bouchard) sono presenti, spesso senza significativa tumefazione dei tessuti molli. Le articolazioni MCF e i polsi sono di solito risparmiate nell'osteoartrosi erosiva. Alla radiografia, le erosioni appaiono subcondrali, piuttosto che marginali (come si osserva di solito nell'AR). La base del pollice (articolazione carpometacarpale) è coinvolta frequentemente, con un aspetto squadrato. A differenza della AR, la VES e l'emocromo sono di solito normali, nonostante la gravità della malattia. La terapia può includere esercizi motori in acqua caldi, uno splint intermittente per prevenire la deformazione, l'uso di analgesici o FANS e occasionali iniezioni intrarticolari di corticosteroidi depot per le articolazioni sintomatiche per alleviare il dolore e prevenire la limitazione funzionale.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI CONTRATTURA DI DUPUYTREN Una contrattura progressiva della fascia palmare, che causa deformazioni in flessione delle dita.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e decorso Terapia

(Fibromatosi palmare) La contrattura di Dupuytren è comune; l'incidenza è più alta negli uomini e aumenta dopo i 45 anni. Questa condizione autosomica dominante con penetranza variabile si verifica più frequentemente in pazienti con diabete, alcolismo o epilessia. Comunque, il fattore che causa l'ispessimento della fascia palmare e la contrattura è sconosciuto. Alcuni casi sono familiari.

Sintomi, segni e decorso La più precoce manifestazione è di solito un nodulo dolente nel palmo (più spesso a carico del terzo o quarto dito) seguito da formazione di una corda superficiale pretendinea, che provoca la contrattura delle articolazioni MCF e delle articolazioni interfalangee delle dita. Il nodulo può inizialmente causare fastidio, ma diventa non dolente quando matura. Alla fine, la contrattura peggiora e la mano diventa arcuata. La malattia occasionalmente è associata a ispessimento fibroso del dorso delle articolazioni IFP (cuscinetti di Garrod), malattia di Peyronie (fibromatosi peniena) in circa il 7-10% dei pazienti e raramente noduli sulla superficie plantare del piede (fibromatosi plantare).

Terapia La terapia, se nella fase iniziale, comprende iniezioni locali di corticosteroidi nel nodulo, che aiutano ad alleviare la dolorabilità locale ed eventualmente ritardano la progressione delle alterazioni fibrotiche. La terapia chirurgica è di solito indicata quando la mano non può essere posta aperta su un tavolo o quando si sviluppa una contrattura significativa a livello delle articolazioni IFP, che limita la funzione della mano. L'escissione della fascia malata deve essere meticolosa, poiché essa circonda fasci neurovascolari e tendini. Una escissione incompleta o una recidiva comporterà contratture ricorrenti, specialmente in pazienti con esordio in giovane età, storia familiare, cuscinetti di Garrod, malattia di Peyronie o coinvolgimento della pianta del piede. L'articolazione IFP è particolarmente

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resistente alla correzione e un intervento chirurgico precoce è consigliato quando si verifica contrattura dell'articolazione IFP. Altrimenti, il trattamento consiste di un'attesa vigile. Alte dosi di vitamina E sono state raccomandate per ridurre la progressione della malattia, sebbene manchino dati per supportare questa raccomandazione.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO SINDROMI NEUROVASCOLARI SINDROME DEL TUNNEL CARPALE Compressione del nervo mediano, a livello del passaggiodello stesso attraverso il tunnel carpale del polso.

Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Terapia

(Per la malattia e il fenomeno di Raynaud, v. Cap. 212.) La sindrome del tunnel carpale è molto comune e si verifica con maggior frequenza in donne dai 30 ai 50 anni. Le cause comprendono l'AR (talora come sintomo d'esordio), il diabete mellito, l'ipotiroidismo, l'acromegalia, l'amiloidosi e la gravidanza (producendo edema nel tunnel carpale). Le attività o i lavori che richiedono flessione ed estensione ripetitiva del polso (p. es., l'uso di una tastiera) possono costituire un rischio occupazionale. Spesso, nessuna causa sottostante viene trovata.

Sintomi e diagnosi I sintomi comprendono dolore della mano e del polso associati a parestesie e torpore, classicamente distribuiti lungo il nervo mediano (lato palmare del pollice, indice e dito medio e la metà radiale del dito anulare) ma che possono coinvolgere anche l'intera mano. Tipicamente, il paziente si sveglia la notte con un dolore urente o con indolenzimento e con torpore e parestesie e deve scuotere la mano per ottenere sollievo e ristabilire la sensibilità. La diagnosi è confermata dalla positività del segno di Tinel, nel quale il formicolio (parestesia) è riprodotto percuotendo con un martelletto la superficie volare del polso a livello del nervo mediano e del tunnel carpale. Ulteriori test comprendono le manovre di flessione del polso (p. es., segno di Phalen). Atrofia del tenar e debolezza nell'elevare il pollice si possono sviluppare più tardi. La diagnosi è confermata da test elettrodiagnostici di velocità di conduzione del nervo mediano, che offre un accurato indice della conduzione motoria e sensitiva nel nervo.

Terapia La terapia comprende uno splint leggero del polso, specialmente di notte; possibilmente la piridossina (vitamina B6) 50 mg bid e leggeri analgesici (p. es., acetaminofene, FANS). Alcune persone trovano sollievo nel cambiare la file:///F|/sito/merck/sez05/0610535a.html (1 of 2)02/09/2004 2.20.52

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posizione delle tastiere del computer e nel fare altre correzioni ergonomiche. Se queste misure non riescono a controllare i sintomi, può essere iniettato un corticosteroide localmente nel tunnel carpale, proprio nel punto ulnare del tendine lungo palmare e prossimalmente alla piega distale del polso. Se dei sintomi noiosi persistono o recidivano o se la mano si indebolisce e progredisce la distruzione dell'eminenza tenar, si raccomanda la decompressione chirurgica del tunnel carpale utilizzando una tecnica a cielo aperto o l'endoscopia.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO SINDROMI NEUROVASCOLARI SINDROME DEL TUNNEL CUBITALE (Neuropatia ulnare) Compressione del nervo ulnare a livello del gomito, che causa torpore e parestesie dell'anulare e del mignolo. La sindrome del tunnel cubitale è meno comune della sindrome del tunnel carpale. I lanciatori, nel baseball, sono inclini alla sindrome del tunnel cubitale a causa della estrema torsione del braccio necessaria per eseguire lanci a effetto. I sintomi comprendono torpore e parestesie sul lato ulnare della mano e dolore a livello del gomito. Negli stadi avanzati, si può sviluppare debolezza delle dita anulare e mignolo. Si differenzia dall'intrappolamento del nervo ulnare al polso (cioè nel canale di Guyon) con i test di sensibilità, con la localizzazione del segno di Tinel e con l'elettromiografia e i test di velocità di conduzione del nervo. La debolezza interferisce con la presa del pollice e del dito indice. La terapia comprende lo splint notturno, con il gomito parzialmente esteso e la possibile somministrazione empirica di piridossina (vitamina B6) 50 mg PO bid. La decompressione chirurgica viene effettuata se la terapia conservativa fallisce.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO SINDROMI NEUROVASCOLARI SINDROME DEL TUNNEL RADIALE Compressione della branca superficiale del nervo radiale nell'avambraccio prossimale o dietro al braccio, che causa dolore lancinante nel dorso del avambraccio e nella mano. Lesioni a livello del gomito comprendono traumi, gangli, lipomi, tumori ossei e borsite radiale. Il dolore è precipitato dal tentativo di estendere il polso e le dita. Non vi è perdita di sensibilità, poiché il nervo radiale è principalmente un nervo motore. La localizzazione del segno di Tinel e la dolorabilità lungo il corso del nervo radiale devono essere distinti dall'epicondilite laterale. Evitare il forzato o ripetuto movimento di supinazione o dorsiflessione, riduce la pressione sul nervo e consente la risoluzione delle manifestazioni. Se si manifesta la caduta del polso, la decompressione chirurgica può essere necessaria.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO SINDROMI NEUROVASCOLARI MALATTIA DI KIENBÖCK Necrosi avascolare (osteonecrosi) dell'osso semilunare.

Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Terapia

Questa condizione relativamente rara è di eziologia sconosciuta. Si verifica coinvolgendo, più spesso, la mano dominante di uomini di età tra 20 e 45 anni.

Sintomi e diagnosi I sintomi generalmente cominciano con l'esordio insidioso di dolore al polso, localizzato alla regione dell'osso semilunare del carpo e i pazienti non si ricordano di un trauma. Esso è bilaterale nel 10% dei casi e molto spesso si verifica nelle persone che svolgono pesanti lavori manuali. La diagnosi può essere posta nello stadio precoce dalla RMN o dalla TC e confermata dalla comparsa alla rx di un osso semilunare sclerotico, che gradualmente sviluppa alterazioni cistiche e una frattura coronale e un collasso.

Terapia La terapia è mirata ad alleviare la pressione sull'osso semilunare con un intervento chirurgico che accorcia il radio o allunga l'ulna. Terapie alternative tentano di rivascolarizzare il semilunare. Procedure di recupero sono richieste una volta che il semilunare è collassato e ha prodotto la rotazione fissa dello scafoide e la susseguente degenerazione delle articolazioni del carpo. L'artrodesi totale del polso è effettuata come ultima risorsa per alleviare il dolore quando la condizione ha progredito a uno stadio avanzato.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO SINDROMI NEUROVASCOLARI GANGLI (Cisti gangliari) Tumefazioni cistiche che si verificano sulle mani, specialmente sul lato dorsale dei polsi.

Sommario: Introduzione Eziologia, patogenesi e diagnosi Terapia

I gangli costituiscono circa il 60% delle tumefazioni similtumorali dei tessuti molli della mano e del polso. Di solito si sviluppano spontaneamente in adulti di 2050 anni, con un rapporto donne: uomini di 3:1. Il ganglio dorsale del polso insorge dall'articolazione scafolunata e costituisce circa il 65% dei gangli del polso e della mano. Il ganglio volare del polso insorge sul lato distale del radio e costituisce circa il 20-25% dei gangli. I gangli della guaina del tendine flessore tengono conto del rimanente 10-15%. Un altro tipo di ganglio cistico del polso dorsale si verifica in pazienti con AR, ma è facilmente riconosciuto dal suo aspetto soffice e irregolare in associazione con altre evidenze di sinovite reumatoide dell'estensore.

Eziologia, patogenesi e diagnosi La causa è sconosciuta. Le strutture cistiche si trovano vicino o sono attaccate (spesso con un peduncolo) alle guaine tendinee e alle capsule articolari. La parete del ganglio è liscia, fibrosa e di spessore variabile. La cisti è ripiena di un liquido chiaro gelatinoso, filante o mucoso di alta densità. Il liquido viscoso della cisti è talora acido ialuronico quasi puro.

Terapia La maggior parte dei gangli non richiede terapia e la regressione spontanea è comune. Comunque, se il paziente è disturbato dalla presenza della cisti o se il ganglio è dolente o sensibile, l'aspirazione con o senza l'iniezione di un corticosteroide è efficace in circa il 70% dei pazienti con una sola aspirazione. Solo il 12% alla fine necessita dell'escissione chirurgica. La terapia tradizionale, che prevede il tentativo di rompere il ganglio colpendolo con un libro, non è consigliabile a causa del danno locale senza consistente beneficio. Se la terapia chirurgica fallisce, l'escissione chirurgica può essere indicata. Le percentuali di recidiva dopo rimozione chirurgica sono tra il 6 e il 50%.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO SINDROMI NEUROVASCOLARI DISTROFIA RIFLESSA SIMPATICA Dolore e limitazione funzionale della spalla e coinvolgimento ipsilaterale della mano.

Sommario: Introduzione Terapia

(Sindrome spalla-mano) Le cause comprendono traumi, insulti cardiovascolari, ictus e certi farmaci (p. es., barbiturici). Una predisposizione sottostante è stata postulata, ma la patogenesi non è completamente compresa. Ci sono tre stadi. Lo stadio 1 è caratterizzato dall'esordio acuto di edema diffuso e di dolorabilità del dorso della mano e da fenomeni palmari vasomotori con dolore della spalla e della mano, specialmente al movimento. Subito dopo, le radiografie delle mani mostrano frequentemente osteoporosi guttata della mano coinvolta. Nello stadio 2, l'edema e la dolorabilità locale si riducono; mentre il dolore della mano continua, ma meno intensamente. Lo stadio 3 è caratterizzato da risoluzione della tumefazione della mano, della dolorabilità alla palpazione e del dolore a riposo, ma la motilità della mano è limitata a causa della rigidità delle dita e delle contratture palmari fibrotiche in flessione, che somigliano alla contrattura di Dupuytren (v. sopra). I raggi-x a questo stadio mostrano diffusa osteoporosi.

Terapia Le cause precipitanti (p. es., barbiturici) devono essere eliminate. Le contratture possono di solito essere prevenute da una precoce riabilitazione e da un appropriato trattamento con blocco simpatico o un ciclo di corticosteroidi. Il blocco nervoso del ganglio simpatico stellare, seguito da terapia fisica, di solito allevia il dolore, consentendo il ritorno al lavoro o alle necessarie attività, ma possono essere necessari ripetuti blocchi nervosi nel corso di settimane o di mesi. In alternativa, si può tentare con alte dosi di corticosteroidi (p. es., prednisone 40-50 mg/die PO inizialmente, successivamente scalato a seconda della risposta e della tolleranza) .

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Disordini comuni della mano

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO TRAUMI Sommario: Introduzione Pollice del guardacaccia Rottura del legamento scafosemilunare Lussazione semilunare e perisemilunare Lussazioni dell'articolazione metacarpofalangea Traumi dell'articolazione interfalangea prossimale Fratture dell'osso uncinato Fratture "a ciuffo"

I traumi della mano causano tumefazione, che può rapidamente condurre a dolore e rigidità delle dita. La mano tumefatta, dolente assume una posizione di estensione delle articolazioni metacarpofalangee (MCF) e di flessione delle articolazioni interfalangee; i legamenti collaterali rapidamente si contraggono producendo contratture permanenti. Perciò, la mano traumatizzata deve essere posta in splint con le articolazioni MCF flesse, le articolazioni interfalangee estese e il pollice abdotto. La mobilizzazione deve cominciare prima possibile.

Pollice del guardacaccia Rottura del legamento ulnare collaterale del pollice causato dalla deviazione radiale forzata della articolazione MCF del pollice. Il pollice del guardacaccia fu originariamente descritto come un rischio occupazionale dei guardacaccia in Inghilterra, che usavano le mani per rompere il collo dei conigli. Quando osservato oggi, esso è di solito la conseguenza di una caduta nella quale il pollice è schiacciato contro una superficie dura. Frequentemente, il capo lacerato del legamento scivola fuori cosicché l'aponeurosi degli adduttori si interpone tra i capi e la guarigione non si può verificare senza intervento chirurgico. Se, sotto blocco digitale, la deviazione radiale è _ 15° di quella dello altro lato, la rottura del legamento ulnare collaterale è probabile. Il trattamento conservativo con uno splint è soddisfacente, ma l'intervento chirurgico precoce deve essere preso in considerazione se vi è considerevole deviazione o instabilità.

Rottura del legamento scafosemilunare Il legamento scafosemilunare si può rompere in seguito a caduta sulla mano estesa. Il trauma è spesso ritenuto una distorsione del polso; comunque, il dolore si localizza nella regione del legamento scafosemilunare. Un test di stiramento del legamento attraverso la deviazione radiale e ulnare del polso durante la palpazione dello scafoide e del semilunare conferma la diagnosi. Un esame rx in file:///F|/sito/merck/sez05/0610537.html (1 of 3)02/09/2004 2.20.56

Disordini comuni della mano

proiezione postero-anteriore del pugno chiuso mostra anormale slargamento dell'intervallo tra lo scafoide e il semilunare. La terapia di un trauma acuto è la riparazione del legamento. La rottura con dolore cronico del legamento scafosemilunare richiede la chirurgia ricostruttiva.

Lussazione semilunare e perisemilunare Spostamento anteriore del semilunare con allineamento del resto del carpo (lussazione semilunare) o spostamento del resto del carpo con allineamento del semilunare (lussazione perisemilunare). Un trauma significativo del polso può completamente rompere le due file carpali, causando la lussazione del semilunare (il semilunare è visto anteriormente al polso ai raggi-x in proiezione laterale) o la lussazione perisemilunare. Il risultato è dolore del polso e torpore lungo il territorio di distribuzione del nervo mediano. La lussazione perisemilunare è spesso associata a frattura dello scafoide. Le lussazioni del semilunare e del perisemilunare sono ridotte con la riparazione a cielo aperto e la stabilizzazione, specialmente dello scafoide fratturato.

Lussazioni dell'articolazione metacarpofalangea L'iperestensione del pollice può dislocare l'articolazione MCF e forzare la testa metacarpale attraverso il piatto volare, laddove diventa a occhiello tra i tendini del flessore lungo del pollice e del flessore breve del pollice. Le articolazioni MCF delle altre dita si possono anche dislocare, con la testa metacarpale che diventa a occhiello tra il tendine flessore e il muscolo lombricale. Le lussazioni MCF sono caratterizzate da dolore, limitazione funzionale e deformazione digitale. La riduzione a cielo aperto e la riparazione chirurgica sono frequentemente richieste.

Traumi dell'articolazione interfalangea prossimale Le articolazioni interfalangee prossimali (IFP) sono tra le articolazioni più frequentemente danneggiate della mano. Le lussazioni dorsali sono più comuni di quelle volari. Un esame rx in proiezione laterale deve essere effettuato per escludere una frattura. La maggior parte dei traumi del legamento collaterale è trattata con un bendaggio "fraterno" a un dito adiacente, ma se lo strappo è associato con significativa instabilità, il dito deve essere immobilizzato in uno splint dorsale. Lo splint per 4 sett. è di solito necessario. Se una flessione fissa della articolazione IFP persiste, si verificherà una deformazione "en boutonnière" (v. sopra).

Fratture dell'osso uncinato L'osso uncinato si può fratturare quando si colpisce il suolo con un bastone o quando si colpisce una zolla di terra sbagliando un colpo al gioco del golf. Clinicamente, questa frattura viene sospettata se vi è dolorabilità sull'osso uncinato nel palmo. È anche indicata da dolore alla flessione contro resistenza del mignolo, che si localizza alla regione dello osso uncinato. I raggi-x o la TC del tunnel carpale confermano la diagnosi. La terapia della frattura senza lussazione richiede la riduzione a cielo aperto e la fissazione o l'escissione del frammento.

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Fratture "a ciuffo" Le fratture "a ciuffo" della falange distale derivano da un trauma da schiacciamento della punta del dito (dito schiacciato). L'ematoma subungueale indica una lacerazione del letto ungueale. Queste fratture aperte richiedono irrigazione, riparazione del letto ungueale con suture fini e riposizionamento del piatto ungueale che agisce da splint. Le ampie fratture scomposte sono tenute con un filoguida a forma di K. L'iperestesia frequentemente persiste a lungo dopo che la frattura è guarita, richiedendo tecniche di analgesia.

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Disordini comuni della mano

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO INFEZIONI Sommario: Introduzione Infezioni causate da morsi Patereccio Ascesso palmare Infezioni della guaina tendinea Patereccio erpetico

(Per le infezioni paronichiali, v. Cap. 112.)

Infezioni causate da morsi La causa più comune è un trauma da denti alla articolazione MCF come risultato di un pugno alla bocca. Una piccola ferita da puntura può nascondere un significativo danno al tendine, alla capsula e alla cartilagine della articolazione. La flora orale degli esseri umani e degli animali contiene un misto di potenziali patogeni: l'Eikenella corrodens è frequentemente isolata dai morsi umani e la Pasteurella multocida da molti morsi animali, particolarmente quelli dei gatti. Questi organismi sono resistenti a molti antibiotici, ma sono generalmente sensibili alla ampicillina e alla penicillina. Tutti i traumi da morso sono potenzialmente pericolosi e possono causare significative infezioni. Essi devono essere puliti chirurgicamente, lasciando aperte le ferite. Antibiotici sistemici per germi anaerobi e aerobi (p. es., alte dosi di ampicillina e penicillina con un aminoglicoside) devono essere somministrati per prevenire l'artrite settica con permanente distruzione della articolazione MCF.

Patereccio Infezione del polpastrello della falange. Il più comune sito è il polpastrello distale, che può essere coinvolto centralmente, lateralmente e apicalmente. I setti tra gli spazi del polpastrello normalmente limitano la diffusione dell'infezione, causando la formazione di un ascesso, che crea pressione e necrosi dei tessuti adiacenti. L'osso sottostante, l'articolazione o i tendini flessori possono diventare infetti e un intenso dolore pulsante e un polpastrello tumefatto sono presenti. La terapia comprende la pronta incisione e il drenaggio (dividendo adeguatamente i setti fibrosi) e la somministrazione di appropriati antibiotici (di solito una cefalosporina).

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Disordini comuni della mano

Ascesso palmare (Ascesso a bottone di collare) Un ascesso si può verificare in qualsiasi compartimento palmare e diffondere tra i metacarpi, dallo spazio in mezzo al palmo al dorso, presentandosi come una infezione del dorso della mano. Gli ascessi palmari si presentano con intenso dolore pulsante con tumefazione e grave dolorabilità alla palpazione. L'incisione e il drenaggio (con colture), con cura nell'evitare le molte strutture importanti, sono richieste insieme ad appropriata terapia antibiotica (di solito una cefalosporina).

Infezioni della guaina tendinea Dolore e tumefazione con dolorabilità lungo una guaina tendinea e dolore all'estensione del dito indicano infezione della guaina del tendine flessore. Il pus può passare dal pollice prossimalmente attraverso il tunnel carpale e comunicare con il mignolo, formando un ascesso a ferro di cavallo. Le infezioni delle guaine tendinee possono talvolta assomigliare molto alle tendiniti acute calcifiche o a malattie reumatiche sistemiche con coinvolgimento della guaina tendinea. Le infezioni della guaina tendinea richiedono drenaggio chirurgico (cioè, irrigazione della guaina tendinea mediante inserimento di una cannula in uno dei suoi estremi e consentire al liquido di lavaggio di passare lungo la guaina tendinea fino all'altro estremo). Anche la terapia antibiotica è necessaria.

Patereccio erpetico Infezione virale della falange distale del dito, spesso scambiata per un giradito. L'Herpes simplex virus può provocare un'intensa, dolorosa infezione cutanea. Il polpastrello non è molto teso. La comparsa di vescicole sulla superficie volare o dorsale della falange distale è diagnostica. Il dolore che precede la comparsa delle vescicole può causare confusione. La condizione è autolimitantesi e la terapia chirurgica è controindicata.

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Disordini comuni della mano

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 61. DISORDINI COMUNI DELLA MANO DEFORMAZIONI CONGENITE La mancanza di formazione può dare luogo a deficit trasversali, in cui parti distalmente a un certo punto sono assenti o a deficit longitudinali, in cui la porzione radiale, ulnare o centrale è mancante. Il deficit radiale o preaassiale longitudinale provoca un'ipoplasia del pollice o, nei casi gravi, una mano torata radiale, in cui parte o tutto il radio è assente e i raggi radiali (predecessori nello sviluppo delle ossa matacarpali e le falangi del versante radiale) sono assenti. I deficit centrali provocano la perdita di una o più delle tre dita centrali e, se gravi, una mano con bidattilia. L'insufficiente differenziazione si verifica quando l'analogo omogeneo embrionale non riesce a separarsi. Il tipo più comune è la sindattilia, in cui le dita sono unite. Questa può essere semplice, interessando solo la cute, o complessa, coinvolgendo altre strutture (p. es., osso). Il simfalangismo è la mancata separazione delle articolazioni delle FIP, dando luogo ad articolazioni immobili, spesso unite. La camptodattilia è la curvatura con contrattura in flessione dei mignoli. La clinodattilia è una deformazione angolare delle dita, che può verificarsi nella sindrome di Down. La duplicazione causa polidattilia. Le dita soprannumerarie possono essere associate a qualsiasi dito, ma più comunemente con il pollice o con il mignolo. La duplicazione può coinvolgere segmenti più ampi o anche l'intero dito. L'accrescimento esuberante (macrodattilia, gigantismo) può interessare un singolo dito, parte di un arto o un intero arto. Allo stesso modo, un deficit della crescita (brachidattilia) può interessare parte o tutto l'arto. La sindattilia con un deficit della crescita è inquadrata nella brachisindattilia. La sindrome del fascio di restringemento congenito implica una costrizione circonferenziale degli arti. Questa deformazione sembra essere causata da fibre amniotiche e può provocare l'amputazione della porzione distale. Molte patologie congenite della mano sono associate a problemi congeniti più generalizzati (p. es., mano torta radiale alla VATER syndrome [Vertebral defects [difetto verebrale], Anus imperforate [ano imperforato], Tracheo Esophageal fistula [fistola tracheo-esofagea], Radial e Renal dysplasia [displasia radiale e renale], ipoplasia del tenar e anomalie spinali) o può far parte di una specifica sindrome (p. es., sindrome di Apert o di Poland). Queste spesso richiedono una terapia chirurgica.

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi Prevenzione Terapia

Ogni anno negli USA vengono curati > 10 milioni di traumi sportivi. Gli atleti e i non atleti hanno in comune molti traumi simili. Per esempio l'epicondilite laterale e mediale (gomito del tennista) può essere causata dal trasportare una valigia, girare un cacciavite o aprire una porta bloccata e il dolore patellofemorale (ginocchio del corridore), può essere causato da pronazione eccessiva durante la deambulazione. Così i principi della medicina dello sport possono essere applicati al trattamento di tutte le lesioni muscolo-scheletriche.

Eziologia Tutte le persone hanno tessuti suscettibili a traumi per l'inerente debolezza o per fattori biomeccanici. Per esempio, i pazienti con esagerata lordosi lombare sono a rischio di lombalgia quando battono al baseball e i pazienti con eccessiva pronazione dei piedi sono a rischio di gonalgia quando corrono lunghe distanze. Senza correzione, il rischio di trauma cronico è alto, poiché specifici movimenti sono effettuati ripetutamente in tutti gli sport. Il dolore di solito cessa quando l'attività è interrotta, ma recidiva ogni volta che viene raggiunto lo stesso carico di lavoro. Sovraccarico: la causa più frequente di lesione dei muscoli e delle articolazioni è il sovraccarico. Continuare l'esercizio quando si verifica dolore sostenuto esacerba il danno. Il sovraccarico può derivare dal non consentire ≥ 48 h di riposo dopo un esercizio intenso, nonostante questo sia raccomandabile. Ogni volta che i muscoli sono sottoposti a sforzo, alcune fibre vengono danneggiate e altre esauriscono le riserve disponibili di glicogeno. Poiché solo le fibre non lesionate o quelle con sufficiente glicogeno funzionano adeguatamente, uno sforzo massimale richiede lo stesso lavoro da parte di meno fibre, aumentando la probabilità che queste si lesionino. Occorrono 48 h alle fibre per recuperare e un tempo più lungo per rimpiazzare il glicogeno. Coloro che si allenano tutti i giorni devono alternare sport che stressino parti differenti del loro corpo. La maggior parte dei metodi di allenamento si basa sul principio del "faciledifficile", cioè su un intenso sforzo nell'arco di un giorno (p. es., correndo a una media di 1,5 km ogni 5 minuti) e a ritmi ridotti il giorno seguente (p. es., a una media di 1,5 km ogni 6-8 minuti). Se un atleta si allena due volte/die, bisogna far seguire ogni sforzo massimale da almeno tre leggeri. Solo i nuotatori possono sopportare un sforzo pesante e uno leggero ogni giorno. Presumibilmente, la galleggiabilità dell'acqua aiuta a proteggere i loro muscoli e le articolazioni.

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Traumi comuni da sport

Fattori biomeccanici: muscoli, tendini e legamenti possono essere lesi quando sono troppo deboli per il tipo di sforzo (essi possono essere rinforzati da esercizi di resistenza, usando carichi di lavoro progressivamente più pesanti). Le ossa si possono indebolire per osteoporosi. Le articolazioni si danneggiano più frequentemente se i muscoli e i legamenti che le sostengono sono deboli. Anormalità strutturali possono sovraccaricare alcune parti in maniera non bilanciata (p. es., una diseguale lunghezza delle gambe). La corsa su piste non lisce o su strade non pianeggianti, pone uno stress maggiore sull'anca della gamba che colpisce il terreno più in alto, aumentando il rischio di dolore o di trauma a quel livello. L'eccessiva pronazione (intrarotazione del piede dopo l'impatto con il terreno) durante la corsa è di gran lunga il più comune dei fattori biomeccanici che causa lesioni al piede, alla gamba e all'anca. Successivamente alla pronazione, il piede ruota verso la parte laterale della pianta (supinazione), poi si solleva sulle dita subito prima di staccarsi da terra e spostare il peso sull'altro piede. La pronazione aiuta a prevenire il trauma distribuendo la forza di impatto sul terreno. La pronazione eccessiva, può causare danni per via dell'eccessivo scivolamento mediale della parte inferiore della gamba che esita in dolori al piede, alla gamba, all'anca e al ginocchio. Le caviglie sono così flessibili che, durante la deambulazione o la corsa, le arcate plantari toccano il suolo dando l'impressione di una arcata plantare molto schiacciata o assente. Un piede con un arcata plantare molto alta viene definito cavo. Molte persone che hanno una evidenza di piede cavo hanno arcate plantari normali ma caviglie rigide, cosicché pronano molto poco. I piedi di questi soggetti assorbono poco i traumi, aumentando il rischio di sviluppare fratture da stress nelle ossa dei loro piedi e delle loro gambe.

Diagnosi Dopo che un esame fisico e un'anamnesi (p. es., esordio acuto o subacuto; posizione delle forze applicate; cambiamenti nell'allenamento, nell'equipaggiamento, nella superficie) sono stati effettuati, deve essere considerato il riferimento a uno specialista per vari test opportunamente scelti (p. es., rx, scintigrafia ossea, raggi-x sotto trazione in anestesia generale, TC, RMN, artroscopia, elettromiografia, test di fisiologia con l'ausilio del computer) .

Prevenzione Il riscaldamento comprende esercizi muscolari a un ritmo rilassato per pochi minuti prima del lavoro intenso. La temperatura del muscolo dopo alcuni minuti di esercizio, può salire a circa 38°C (101°F), rendendo il muscolo più elastico, forte e resistente alla lesione. Gli esercizi attivi di riscaldamento preparano i muscoli per un'esercizio intenso più efficacemente del riscaldamento passivo con acqua calda, termocoperte, ultrasuoni o lampade a infrarossi. Lo stiramento (stretching) non previene il danno ma può aiutare a migliorare le prestazioni, allungando i muscoli in modo che essi sviluppino una maggior tensione; lo stretching deve essere fatto dopo il riscaldamento o dopo l'esercizio. Per evitare un danno diretto, gli atleti non devono stirare oltre le loro capacità contando per 10 secondi. Il raffreddamento (graduale rallentamento prima della sospensione dell'esercizio) può prevenire i giramenti di testa e la sincope. In una persona che fa uno sforzo vigoroso e si ferma all'improvviso, il sangue può ristagnare nelle vene dilatate delle gambe, causando vertigini ed eventualmente svenimenti (v. anche il Cap. 200). Il raffreddamento mantiene la circolazione sostenuta e aiuta a rimuovere l'acido lattico dal circolo. Non è stato dimostrato che prevenga la file:///F|/sito/merck/sez05/0620540.html (2 of 4)02/09/2004 2.20.59

Traumi comuni da sport

dolenzia muscolare del giorno dopo, che è causata dal danno alle fibre muscolari.

Terapia Il trattamento del danno acuto dovrebbe comprendere la gestione del dolore (v. Cap. 167) e il riposo della parte traumatizzata (p. es., con una doccia). RICE: il trattamento immediato di quasi tutte le lesioni acute negli atleti è costituito da riposo, ghiaccio, compressione e sollevamento (Rest, Ice, Compression, Elevation: RICE). Il riposo va instaurato immediatamente per ridurre al minimo l'emorragia, la lesione e il gonfiore. Il ghiaccio limita l'infiammazione e riduce il dolore. La compressione e il sollevamento limitano l'edema. La parte lesa deve essere sollevata. Una borsa raffreddata chimicamente o riempita con ghiaccio tritato o frammentato (che si adatta ai contorni del corpo meglio del ghiaccio a cubetti) deve essere posizionata su di un asciugamano sopra la parte lesa. Un bendaggio elastico deve essere avvolto sopra la borsa del ghiaccio e intorno alla parte lesa, in modo abbastanza ampio da permettere la circolazione del sangue. Dopo 10 min il bendaggio e la borsa del ghiaccio devono essere rimossi, mantenendo la parte lesa sollevata. Bisogna alternare 10 min con e senza ghiaccio e bendaggio per 60-90 min varie volte durante le prime 24 ore. La vasodilatazione di rimbalzo compare dai 9 ai 16 min dopo l'applicazione del ghiaccio e termina dai 4 agli 8 min dopo la sua rimozione. Pertanto, il ghiaccio deve essere rimosso quando compare la vasodilatazione o dopo 10 min, ma può essere applicato nuovamente 10 min dopo la sua rimozione. Iniezioni locali di corticosteroide: iniezioni di corticosteroidi per via peri- o intrarticolare alleviano il dolore, riducono il gonfiore e sono un utile coadiuvante agli analgesici e al riposo. Tuttavia, essi inibiscono la funzione dei fibroblasti e la deposizione del collageno e così possono ritardare la riparazione. Le iniezioni di corticosteroidi riducono marcatamente l'irrorazione sanguigna dei tendini: ciò può causare necrosi, aumentando il rischio di rotture. L'iniezione va praticata nei pressi del tendine, non all'interno di esso. Tendini che caricano il peso una volta iniettati sono più deboli di quelli non iniettati per almeno 15 mesi. Ripetute iniezioni intrarticolari possono far perdere alla cartilagine il suo strato ialino e renderla molle e fibrillare. Questo fenomeno si può evitare con iniezioni occasionali. Sport alternativi: i pazienti devono evitare l'attività o lo sport finché non sono guariti. Va incoraggiato l'esercizio che non affatichi la parte lesa o causi dolore, p. es., scegliendo un sport alternativo appropriato (v. Tab. 62-1) Un tale esercizio aiuterà a prevenire la perdita di forma fisica. Ogni settimana di riposo di solito richiede � 2 sett. di esercizio per raggiungere lo stato di forma precedente alla lesione. Il paziente traumatizzato deve ristabilire la flessibilità, la forza e la resistenza prima di ritornare alla piena attività atletica. Ortesi: la pronazione eccessiva è spesso trattata con ortesi (plantari nelle scarpe). Questi possono essere flessibili, semirigidi o rigidi e possono estendersi prossimalmente alle teste metatarsali o prossimali o distali alle dita. La maggior parte delle ortesi per corridori è semirigida ed estesa prossimalmente alle dita. Buone scarpe da corsa devono avere i forti posteriori rigidi, per controllare il retropiede, un rilievo a sella per prevenire lo scivolamento mediale del piede sopra l'ortesi e la pronazione eccessiva e un collare imbottito per impedire l'eccessiva intrarotazione della caviglia. Esse devono avere spazio sufficiente per l'ortesi, che di solito riduce la grandezza della scarpa di una misura.

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Traumi comuni da sport

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT FRATTURA METATARSALE DA STRESS Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I corridori spingono molto sulle loro dita dei piedi, sottoponendo a grande stress le teste metatarsali, specialmente le prime due. Il 2o il 3o e il 4o metatarso sono particolarmente suscettibili a fratture a causa delle loro sottili diafisi. I fattori di rischio includono il piede cavo, le scarpe non adeguatamente capaci di assorbire gli urti e l'osteoporosi.

Sintomi, segni e diagnosi I pazienti di solito presentano dolore all'avampiede, spesso durante uno sforzo intenso o prolungato, che scompare pochi secondi dopo la sospensione dell'esercizio. Con l'esercizio successivo, l'esordio del dolore è progressivamente più precoce; il dolore può diventare così intenso da impedire l'esercizio e da persistere anche quando il paziente riposa a letto. La palpazione della zona gonfia provoca dolore. La rx di solito non diagnostica la frattura finché non si forma il callo osseo da 2 a 3 sett. dopo la lesione. Spesso è necessaria una scintigrafia ossea con tecnezio difosfonato.

Terapia La terapia comprende la sospensione della corsa; l'utilizzo di scarpe con un'adeguata capacità di assorbimento degli urti; dopo la guarigione, corsa sull'erba o su altre superfici morbide. Raramente si ricorre ad apparecchi gessati; se applicati essi devono essere portati solo per 1 o 2 sett. poiché possono causare una significativa atrofia muscolare e ritardare la riabilitazione. La guarigione richiede di solito da 3 a 12 sett. (può essere più lunga nei pazienti anziani o debilitati). Le donne con ricorrenti fratture da stress possono essere osteoporotiche e dovrebbero essere studiate e trattate.

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Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT SINDROMI DELLE LOGGE DELLA GAMBA Sommario: LOGGIA TIBIALE ANTEROLATERALE Sintomi, segni e diagnosi Terapia LOGGIA TIBIALE POSTERO- MEDIALE Sintomi, segni e diagnosi Terapia

LOGGIA TIBIALE ANTEROLATERALE I muscoli della loggia anteriore (tibiale anteriore, estensore lungo dell'alluce, estensore lungo delle dita) mantengono l'avampiede esteso durante la discesa del piede e si contraggono eccentricamente quando il tallone impatta il terreno. I muscoli gastrocnemio e soleo, assai più grandi, flettono l'avampiede. Gli enormi stress della contrazione eccentrica possono danneggiare i muscoli della loggia anteriore.

Sintomi, segni e diagnosi Il dolore nei muscoli della loggia anteriore inizia subito dopo che il tallone impatta il terreno durante la corsa. Se si continua a correre, il dolore diventa costante. Quando ci si rivolge a un medico, di solito è presente un dolore importante nei muscoli della loggia anteriore. La diagnosi si basa sui sintomi e segni.

Terapia La terapia comprende smettere di correre, lo stiramento dei muscoli del polpaccio e il rafforzamento del comparto anteriore muscolare dopo che essi cominciano a guarire, p. es., effettuando esercizi a "manico di secchio" a giorni alterni (v. Tab. 62-2).

LOGGIA TIBIALE POSTERO- MEDIALE I muscoli del loggia postero-mediale supinano il piede e sollevano ed estroflettono il tallone prima della spinta delle dita. Una trazione aumentata sui muscoli è causata dalla eccessiva pronazione e dal correre su piste sabbiose o strade sconnesse (aggravata dal calzare scarpe che non riducano efficacemente la pronazione). Una eccessiva pronazione causa l'abbassamento dell'arcata

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Traumi comuni da sport

plantare, aumentando la forza richiesta per sollevarla durante la supinazione. Si verifica una tendinite dei muscoli profondi del loggia posteriore (flessore lungo dell'alluce, flessore lungo delle dita, tibiale posteriore). Continuando a correre, il dolore può estendersi nei muscoli; la trazione del tibiale posteriore può sollevare il muscolo dalla sua inserzione ossea, causando emorragia subperiostale e periostite. Con una trazione continuata, si può verificare l'avulsione di porzioni dell'inserzione ossea tibiale.

Sintomi, segni e diagnosi Il dolore di solito comincia nei muscoli del loggia postero-mediale, da 2 a 20 cm al di sopra del malleolo mediale. Aumenta molto quando ci si solleva sulle dita o si estroflette il piede. Continuando a correre, il dolore si estende fino a coinvolgere la superficie mediale della tibia e può allora estendersi prossimalmente lungo la superficie mediale della tibia fino a essere avvertito a 510 cm dal ginocchio. Vi è dolorabilità puntiforme sulla parte mediale della tibia da appena sopra il malleolo mediale ad appena sotto il ginocchio. La scintigrafia ossea può essere necessaria a differenziare gli splint tibiali postero-mediali dalle fratture tibiali da stress.

Terapia La corsa deve essere interrotta finché non cessa di causare dolore. Può essere d'aiuto calzare scarpe con una suola rigida e uno speciale plantare di sostegno dell'arcata per limitare la pronazione, evitare di correre su piste sabbiose e strade sconnesse e rinforzare i muscoli postero- mediali lesi (v. Tab. 62-3). Se il muscolo flessore lungo delle dita e il muscolo tibiale posteriore vengono avulsi dalla loro inserzione tibiale posteriore, la terapia può comprendere evitare la corsa per lungo tempo. I difosfonati o la calcitonina di salmone spray nasale per 3-6 mesi possono talora guarire le lesioni tibiali che non rispondono agli altri trattamenti. Alcune volte non esiste un trattamento efficace.

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT TENDINITE ACHILLEA Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

(V. anche Tendinite e tenosinovite nel Cap. 59 e Borsite posteriore del tendine d'Achille nel Cap. 60.) Durante la corsa, i muscoli del polpaccio flettono l'avampiede a livello del terreno dopo l'appoggio del tallone e sollevano il tallone durante il balzo in avanti; l'infiammazione del tendine d'Achille è causata dall'azione sul tendine di forze ripetitive che causano l'infiammazione del tendine. Durante una corsa in discesa su un pendio, l'avampiede impatta il suolo con più forza che su un terreno piano, poiché si flette maggiormente e ha uno spazio maggiore per accelerare prima di impattare il suolo. Durante una corsa in salita su un pendio, il tallone è molto più in basso dell'avampiede per cui occorre una forza molto più grande da parte dei muscoli del polpaccio per sollevare il tallone prima della spinta delle dita. Un forte morbido consente un movimento eccessivo del tallone nella scarpa. Il retropiede non è stabile e il tendine di Achille esercita tensione su un'inserzione mobile, ponendo grande stress sul tendine e aumentando la possibilità di stiramento. Le scarpe a suola rigida che non si piegano appena dopo la prima articolazione metatarso-falangea, generano grande stress sul tendine di Achille subito prima della spinta delle dita. I fattori biomeccanici comprendono l'eccessiva pronazione, l'appoggiare il tallone a terra troppo indietro, il ginocchio varo, il piede cavo, tendini e muscoli del polpaccio corti e il varismo del retropiede.

Sintomi e segni Il tendine di Achille non possiede una vera e propria guaina sinoviale, ma è circondato da un tessuto paratendineo (tessuto adiposo areolare che separa il tendine dalla sua guaina). All'inizio, il dolore dell'infiammazione al tendine d'Achille è causato dal danno al tessuto paratendineo piuttosto che al tendine stesso. Il dolore è più intenso quando il paziente si alza la mattina e spesso migliora continuando a camminare (poiché il tendine si muove più liberamente all'interno del tessuto paratendineo). Allo stesso modo, il dolore aumenta all'inizio dell'allenamento, e spesso migliora durante l'allenamento. Il tendine è dolente se compresso tra le dita. Se il dolore viene ignorato e si continua a correre, l'infiammazione si estende al tendine, che alla fine viene sostituito dalla degenerazione mucoide e dalla fibrosi. Il dolore diviene, allora, costante, esacerbato dal movimento.

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Traumi comuni da sport

Terapia L'atleta deve smettere di correre; la tensione sul tendine può essere ridotta posizionando un rialzo per sollevare il tallone nella scarpa, facendo stretching per i muscoli posteriori della coscia non appena questo non provochi dolore e usando scarpe con suole che si pieghino facilmente in corrispondenza della 1a articolazione metatarso-falangea; il controllo del retropiede può migliorare inserendo una ortesi in scarpe con rinforzi aderenti e rigidi a livello del tallone, e facendo esercizi per rinforzare il tendine di Achille non appena questi esercizi non causino dolore. (v. Tab. 62-3). Il paziente deve evitare corse veloci in salita o in discesa sui pendii, fin quando il tendine guarisce.

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT DOLORE FEMOROROTULEO Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(Ginocchio del corridore) Il dolore femororotuleo è causato da patella alta (posizione alta congenita della rotula); tendini poplitei corti; legamenti del tallone troppo tesi; ipertono del vasto laterale, tensione eccessiva della fascia lata e del legamento laterale; insufficienza del vasto mediale; angolo Q (tra il tendine rotuleo e l'asse longitudinale della coscia) > 15°. Durante la pronazione, la parte inferiore della gamba subisce una intrarotazione, mentre 3 dei muscoli componenti il quadricipite femorale, tirano la rotula lateralmente e il vasto mediale tira la rotula medialmente. La più comune causa curabile è la combinazione tra l'eccessiva pronazione e la trazione laterale della rotula, che porta la rotula a strofinarsi contro il condilo laterale del femore (v. Fig. 62-1).

Sintomi, segni e diagnosi Spesso è presente dolore alla rotula in sede anteromediale, anterolaterale e posteriormente. Di solito esso si presenta solo quando il paziente corre in discesa, ma in seguito si presenta ogni volta che si corre e anche quando non si corre (specialmente quando si scendono le scale). Se la rotula è rivolta verso l'alto quando il paziente siede con il ginocchio piegato a 90°, in genere ci si trova di fronte a una patella alta.

Terapia La corsa deve essere interrotta finché non può essere espletata senza dolore; andare in bicicletta è accettabile se non causa dolore. Può aiutare stirare la muscolatura femorale posteriore e il quadricipite, inserendo dei supporti plantari (se il dolore continuasse, si renderebbero necessarie delle ortesi fatte su misura) e fare esercizi per rinforzare il vasto mediale (v. Tab. 62-4).

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Traumi comuni da sport

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT LESIONE DELLA MUSCOLATURA FEMORALE POSTERIORE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(Stiramento e strappo dei muscoli posteriori della coscia) I capi muscolari del quadricipite flettono l'anca ed estendono il ginocchio durante la corsa e il salto. La contrazione simultanea dei muscoli posteriori femorali e del quadricipite può causare uno strappo dei muscoli posteriori della coscia se questi hanno una forza < 60% del quadricipite.

Sintomi, segni e diagnosi Lo strappo dei muscoli posteriori della coscia si presenta di solito come dolore acuto nella parte posteriore della coscia quando i muscoli si contraggono improvvisamente e violentemente (p. es., quando il corridore parte dai blocchi di partenza o il saltatore in alto spicca il salto). Quando i muscoli del retro della coscia sono schiacciati, il paziente sente un dolore che non si estende sotto il ginocchio. Il dolore della sciatica di solito non causa dolorabilità puntiforme, e spesso si estende sotto il ginocchio. Il dolore femorale posteriore profondo può essere causato da fratture da stress del femore e spesso può essere diagnosticato solo con la scintigrafia.

Terapia Il RICE aiuta nel trauma acuto. È anche d'aiuto rassicurare il paziente, interrompere la corsa e il salto e rafforzare i muscoli danneggiati dopo che essi hanno cominciato a guarire (v. Tab. 62-5).

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT SINDROME PIRIFORME Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia Sciatalgia che può essere causata dalla compressione del nervo sciatico da parte del muscolo piriforme. Il muscolo piriforme si estende dalla superficie pelvica del sacro al bordo superiore del grande trocantere del femore e, durante la corsa o nello stare seduti, può schiacciare il nervo sciatico nel punto in cui il nervo emerge da sotto il piriforme a sopra il muscolo gemello e otturatore interno.

Sintomi e segni Un dolore cronico fastidioso o pungente, formicolio o torpore iniziano a carico dei glutei ma si può estendere lungo il corso del nervo sciatico, lungo l'intera parte posteriore del femore e della tibia e davanti alla tibia. Il dolore è di solito cronico e peggiora quando il piriforme è schiacciato contro il nervo sciatico (p. es., quando ci si siede su una toilet o in macchina o su un sedile stretto di bicicletta o mentre si corre). A differenza del dolore piriforme, la compressione discale del nervo sciatico è di solito associata a dolore lombare, particolarmente durante l'estensione lombare.

Diagnosi Un esame fisico completo è essenziale per la diagnosi: la manovra di Freiberg (rotazione interna forzata della coscia estesa) stira il muscolo piriforme, causando dolore. La manovra di Pace (abduzione della gamba affetta) evoca dolore nel paziente seduto. Per la manovra di Beatty, il paziente giace su un tavolo sul lato non colpito. La gamba colpita è posta dietro quella sana con il ginocchio piegato sulla tavola. Il sollevamento del ginocchio molto al di sopra del tavolo, causa dolore gluteo. Per il test di Mirkin, il paziente sta in piedi, con le ginocchia estese e lentamente si piega verso il pavimento. L'esaminatore preme sui glutei dove il nervo sciatico incrocia il muscolo piriforme, causando dolore che comincia nel punto di contatto e si estende in basso lungo il retro della gamba. Il dolore può anche verificarsi con l'esame pelvico o rettale.

Terapia

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Traumi comuni da sport

Il paziente deve smettere di correre, di andare in bicicletta o di fare qualunque attività che evoca dolore. Un paziente il cui dolore è aggravato dallo stare seduto deve immediatamente alzarsi o, se incapace di fare questo, cambiare posizione per sollevare l'area dolente dalla sedia. Gli esercizi di stiramento, sebbene spesso raccomandati, sono raramente di beneficio e qualunque movimento di sollevamento del ginocchio con forza spesso aggrava i sintomi. Una iniezione di un corticosteroide nel sito vicino a dove il muscolo piriforme incrocia il nervo sciatico spesso è utile, presumibilmente riducendo il grasso intorno al muscolo e così la probabilità che esso schiacci il nervo.

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT STRAPPI LOMBARI Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia (Schiena del sollevatore di pesi) Ogni forza di grande entità può strappare muscoli e tendini della regione lombare. Questa evenienza si verifica di frequente negli sport che richiedono lo spingere o il tirare contro grandi resistenze (p. es., sollevamento pesi, calcio) o improvvisa rotazione del tronco (p. es., basket, baseball, golf). I fattori di rischio comprendono un'esagerata lordosi lombare, una pelvi inclinata in avanti, muscoli paraspinali rigidi e deboli, muscoli posteriori della coscia rigidi, muscoli addominali deboli, una struttura lombare intrinsecamente debole (p. es. artriti, spondilolisi, spondilolistesi, rottura di disco, stenosi spinale, tumori, epifisite di Scheuermann).

Sintomi, segni e diagnosi Durante una rotazione, una spinta o una trazione il paziente avverte un improvviso dolore lombare. Dapprima, l'esercizio può spesso essere continuato, ma 2 o 3 h dopo, il sanguinamento prolungato stira i muscoli e i tendini strappati e lo spasmo muscolare risultante produce un dolore intenso, aggravato dal movimento della schiena. Il paziente, perciò, solitamente tende a rimanere immobile in posizione fetale, con le ginocchia piegate e il rachide lombare in cifosi (cioè con il tronco flesso). All'esame fisico, possono evidenziarsi dei punti dolenti o uno spasmo diffuso e una dolorabilità in regione lombare, aggravati da ogni movimento, in particolare la flessione anteriore. Un punto doloroso del rachide lombare, associato a un marcato aumento del dolore in estensione, va indagato per la possibilità di una spondilolisi (frattura della pars interarticularis o istmo).

Terapia Il più presto possibile dopo la lesione, il paziente va trattato con riposo, ghiaccio e compressione (il sollevamento non è praticabile per le lesioni del tronco). Una volta che la guarigione è cominciata, la maggior parte dei pazienti ottiene beneficio con esercizi che potenziano i muscoli addominali e allungano e potenziano i muscoli della schiena per ristabilire la flessibilità. Una esagerata lordosi lombare aumenta le tensioni che gravano sui muscoli e i

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Traumi comuni da sport

legamenti che sostengono la schiena. L'entità di queste tensioni è largamente determinata dall'inclinazione del bacino. Gli esercizi di retroversione della parte superiore del bacino diminuiscono la lordosi lombare. Pertanto, i muscoli retti dell'addome sono accorciati da esercizi di contrazione contro resistenza e i muscoli ischiocrurali e il quadricipite sono allungati da esercizi di stiramento. La terapia a lungo termine può comprendere esercizi lombari (v. Tab. 62-6).

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT EPICONDILITE LATERALE Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia (Gomito del tennista sul rovescio) È una sindrome da iperutilizzazione causata dallo stress continuato sui muscoli per la prensione (estensore radiale del carpo breve e lungo) e sui muscoli supinatori (supinatore lungo e breve) dell'avambraccio, che originano dall'epicondilo laterale del gomito. All'inizio, è presente dolore ai tendini estensori quando si estende il polso contro una resistenza (p. es., nell'avvitare). Con uno stress continuato, i muscoli e i tendini sono dolenti anche a riposo e il danno procede verso emorragie subperiostali, periostiti, calcificazioni e osteofitosi dell'epicondilo laterale. Durante l'esecuzione di un rovescio, il gomito e il polso vengono estesi, danneggiando i tendini estensori, in particolare l'estensore radiale breve del carpo, quando essi ruotano sopra l'epicondilo laterale e la testa del radio. Fattori contribuenti sono la scarsa tecnica, muscoli della spalla e del polso deboli, l'uso di una racchetta con le corde troppo tese o dal manico troppo corto, giocare con palle bagnate e pesanti e colpire la palla fuori dal centro della racchetta.

Sintomi, segni e diagnosi Il primo sintomo è il dolore all'epicondilo laterale quando il paziente sta effettuando un rovescio. Alla fine, il dolore diviene costante e può estendersi dall'epicondilo laterale al polso. All'esame fisico, se le dita sono estese contro resistenza a gomito disteso, si avvertirà dolore lungo il tendine dell'estensore comune. Altrimenti, si fa sedere il paziente su una sedia con il braccio appoggiato su di un tavolo. La mano è tenuta con il palmo verso il basso e il gomito disteso. Il medico pone una mano saldamente sopra quella del paziente che prova a sollevare la mano piegando il polso. Si presenta il medesimo dolore.

Terapia La terapia comprende il riposo, il ghiaccio, lo stiramento, il rafforzamento e la diminuzione dell'intensità per permettere cambiamenti adattativi. Qualunque attività che provoca dolore nell'estendere o pronare il polso deve essere evitata. Con la guarigione, si possono iniziare esercizi per rinforzare gli estensori del polso (v. Tab. 62-7). In genere, si raccomandano anche esercizi per potenziare i

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Traumi comuni da sport

flessori e i pronatori del polso (v. Tab. 62-8).

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Traumi comuni da sport

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 62. TRAUMI COMUNI DA SPORT EPITROCLEITE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia (Gomito del tennista sul diritto; gomito del giocatore di golf; gomito del baseball; gomito da valigia) Una flessione e una pronazione energica del polso possono danneggiare i tendini che si inseriscono sull'epicondilo mediale; queste forze devono essere impiegate quando si esegue, nel tennis, il servizio, particolarmente con il "top spin" (con una racchetta troppo pesante, palle pesanti, un manico piccolo o un servizio con effetto di rotazione o le corde troppo tese, unito a debolezza dei muscoli della spalla e della mano); nel "pitching" nel baseball; nel lancio del giavellotto; e nel trasportare una valigia pesante. Se il paziente continua a sollecitare i flessori del polso, i tendini possono essere strappati dall'inserzione sull'osso, causando una emorragia subperiostale, una periostite, osteofitosi e lacerazione del legamento collaterale mediale.

Sintomi, segni e diagnosi Il paziente lamenta dolore ai tendini flessori e pronatori (inseriti sull'epitroclea) e all'epitroclea quando flette o prona il polso contro resistenza o quando stringe nella mano una palla di gomma dura. Per confermare la diagnosi, l'esaminatore fa sedere il paziente facendogli poggiare l'avambraccio su di un tavolo. Con la mano in supinazione, il paziente cerca di sollevare la mano a pugno piegando il polso, mentre il medico la spinge verso il basso. Si avverte dolore all'epitroclea e ai tendini flessori e pronatori.

Terapia Il paziente deve evitare ogni attività che provochi dolore alla flessione o pronazione del polso. Il paziente deve imparare a colpire la palla applicando più forza con le spalle e fare degli esercizi per rinforzare i muscoli flessori e pronatori del polso (v. Tab. 62-7). In genere, devono anche essere fatti esercizi per rinforzare gli estensori del polso (v. Tab. 62-8). Per quelli con dolore prolungato, la chirurgia ha generalmente successo.

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Traumi comuni da sport

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Disordini comuni del piede e della caviglia

Manuale Merck 5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL TESSUTO CONNETTIVO 60. DISORDINI COMUNI DEL PIEDE E DELLA CAVIGLIA TENDINITE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(Spalla del nuotatore; spalla del giocatore di tennis; "spalla del lanciatore"; sindrome della spalla bloccata) La cuffia dei rotatori (sopraspinato, sottospinato, sottoscapolare e piccolo rotondo) mantiene la testa dell'omero nella cavità glenoidea della scapola. La lesione e l'infiammazione dei tendini di questi muscoli si verificano frequentemente negli sport nei quali si deve portare ripetutamente il braccio al di sopra della testa (p. es., baseball; nuoto a stile libero, dorso e farfalla; sollevamento pesi; sport con racchetta). La proiezione in avanti di una spalla anteposta causa l'urto della testa dell'omero con l'acromion e il legamento coracoacromiale, che nella rotazione entra in conflitto con il tendine del sopraspinato. L'irritazione cronica causa borsite subacromiale, infiammazione ed erosione dei tendini. Una forza acuta eccessiva, può strappare la cuffia dei rotatori. Se l'esercizio viene continuato nonostante il dolore, la lesione evolve in periostite e quindi nel distacco dei tendini dalla loro inserzione sulla tuberosità omerale.

Sintomi, segni e diagnosi All'inizio, il dolore si manifesta solo con gli sport che richiedono che il braccio sia sollevato sulla testa e spinto avanti con forza. Successivamente, il dolore può manifestarsi quando si antepone il braccio per stringere le mani. Di solito, il dolore è provocato dall'allontanare degli oggetti dal corpo, mentre non si avverte dolore nel tirarli verso di sé. Per palpare la cuffia dei rotatori, portare il braccio in retroposizione, abduzione e intrarotazione a gomito disteso. Il paziente lamenta dolore in corrispondenza dei tendini, specialmente quando il braccio viene sollevato al di sopra della spalla, ma spesso non quando il braccio è tenuto lungo il corpo. L'adduzione completa del braccio fino a incrociare il petto causa un forte dolore. L'abduzione dell'omero è debole a causa dell'atrofia da ridotta utilizzazione del deltoide. Una RMN di solito non diagnostica una lesione parziale della cuffia dei rotatori, ma è in grado di documentare una lesione completa.

Terapia I tendini lesi vanno messi a riposo e i muscoli della spalla non lesi andrebbero rinforzati (v. Tab. 62-9). Il paziente deve evitare movimenti di spinta e fare quelli file:///F|/sito/merck/sez05/0620551.html (1 of 2)02/09/2004 2.21.06

Disordini comuni del piede e della caviglia

di trazione, sempre che non causino dolore. La chirurgia può essere necessaria se il trauma è particolarmente grave, se vi è uno strappo completo della cuffia dei rotatori o se i tendini non guariscono entro 6 mesi.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.) L'apparato della deglutizione dell'uomo comprende il faringe, lo sfintere esofageo superiore (cricofaringeo), il corpo dell'esofago e lo sfintere esofageo inferiore. Il terzo superiore dell'esofago e le strutture a esso prossimali sono costituiti da muscoli striati; l'esofago distale e lo sfintere esofageo inferiore sono costituiti invece da muscolatura liscia. Questo complesso sistema integrato trasporta il materiale dalla bocca allo stomaco e previene il suo reflusso nell'esofago. Un'anamnesi che descrive con precisione i sintomi del paziente ha un'accuratezza diagnostica dell'80% circa. Gli unici reperti obiettivi nelle malattie esofagee sono: (1) una linfoadenopatia cervicale e sopraclavicolare dovuta alla diffusione metastatica di una neoplasia maligna,(2) una tumefazione del collo dovuta a un voluminoso diverticolo faringeo e (3) un tempo di deglutizione prolungato (il tempo che intercorre dall'atto della deglutizione al rumore prodotto dal bolo di fluido e aria che entra nello stomaco, auscultato ponendo lo stetoscopio al di sopra dell'epigastrio, normalmente 0; ≤12 s). I disordini motori dell'esofago sono associati a un prolungato tempo di deglutizione. Osservare il paziente mentre deglutisce può essere utile nella valutazione dei casi con disfagia pre-esofagea per la possibile presenza di un'inalazione o di un rigurgito nasale.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

Disfagia Sensazione soggettiva di difficoltà nella deglutizione causata da un'ostacolata progressione del materiale dal faringe allo stomaco. Solitamente il paziente riferisce che il cibo "si incastra" nella sua discesa verso lo stomaco, provocando, a volte, dolore. La disfagia è causata da un ostacolato trasporto dei liquidi e dei solidi, a causa di lesioni organiche del faringe, dell'esofago e degli organi adiacenti o di alterazioni funzionali del sistema nervoso e della muscolatura. La causa della disfagia deve essere sempre attentamente ricercata.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

Disfagia Disfagia pre-esofagea Difficoltà nel passaggio del bolo di materiale dall'orofaringe all'esofago. La disfagia pre-esofagea si verifica nei casi di alterata funzione del tratto prossimale all'esofago, più frequentemente nei pazienti con malattie neurologiche o muscolari che interessano i muscoli scheletrici (p. es., la dermatomiosite, la miastenia grave, la distrofia muscolare, il morbo di Parkinson, le crisi oculogire associate alla terapia con fenotiazina, la sclerosi laterale amiotrofica, la poliomielite bulbare, la paralisi pseudobulbare e altre lesioni del SNC). Il paziente presenta spesso un rigurgito nasale o un'inalazione tracheale seguiti dalla tosse.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

Disfagia Disfagia esofagea Difficoltà nel passaggio del cibo lungo l'esofago, possibile conseguenza di malattie ostruttive o di malattie motorie. La disfagia esofagea può essere associata a disordini ostruttivi (p. es., i carcinomi, le stenosi peptiche benigne e i restringimenti anulari dell'esofago inferiore). Questi causano solitamente una disfagia per i soli cibi solidi dovuta alla riduzione meccanica del lume esofageo. La carne e il pane vengono indicati come i cibi più irritanti, ma i pazienti possono tollerare anche solo i liquidi e nessun cibo solido. I pazienti che lamentano disfagia nel tratto inferiore dell'esofago di solito hanno localizzato correttamente la sede del disturbo, cosa che non avviene nei pazienti che lamentano una disfagia dell'esofago superiore. La disfagia può essere intermittente (p. es., dallo sfintere esofageo inferiore), progredire rapidamente entro settimane o mesi (p. es., nel cancro dell'esofago) o progredire nel corso di anni (p. es., per stenosi peptiche). Nel caso delle stenosi peptiche, la disfagia è preceduta da un'importante storia di reflusso gastroesofageo (RGE). La disfagia causata da patologie ostruttive ha delle cause estrinseche e intrinseche. Un'ostruzione estrinseca si verifica quando un tumore o un organo adiacente comprimono l'esofago, come succede per un aumento di volume dell'atrio di sx, un aneurisma aortico, un'arteria succlavia aberrante (cap. oltre Disfagia lusoria), una tiroide sottosternale, un'esostosi ossea o un tumore estrinseco, in genere di origine polmonare. Solitamente la diagnosi viene posta con l'esame rx e la prognosi dipende dalla causa. L'ostruzione intrinseca è di solito causata dal carcinoma dell'esofago (v. Tumori dell'esofago nel Cap. 34). L'ostruzione meccanica può essere causata anche dal coinvolgimento dell'esofago nel linfoma, nel leiomiosarcoma o nel cancro metastatico (molto raro). La disfagia esofagea può essere associata anche a dei disturbi della motilità (p. es., acalasia, spasmo esofageo diffuso sintomatico, sclerodermia). I disordini motori implicano una disfunzione della muscolatura liscia dell'esofago. Causano una disfagia sia per i cibi solidi che per i liquidi attraverso l'alterazione della peristalsi esofagea e del funzionamento dello sfintere esofageo inferiore e quindi interrompendo la normale progressione esofagea del bolo alimentare. La presenza di disfagia sia per i liquidi che per i solidi, differenzia in modo accurato le cause motorie da quelle ostruttive. La disfagia non va confusa con la sensazione del bolo (bolo isterico), che corrisponde alla sensazione di un bolo di cibo in gola, non è correlata alla deglutizione e si verifica senza un'alterazione del passaggio. Il bolo isterico, spesso notato in associazione a situazioni ansiose o dolorose, è principalmente di origine emotiva (v. anche Cap. 21).

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Patologie esofagee

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

DISORDINI OSTRUTTIVI (V. anche Tumori dell'esofago nel Cap. 34.) DISFAGIA LUSORIA Disfagia causata dalla compressione dell'esofago da parte di un'anomalia vascolare congenita (solitamente un'arteria succlavia dx aberrante che origina dalla parte sx dell'arco aortico). La disfagia si può manifestare nella prima infanzia o può comparire in seguito, a causa delle alterazioni arteriosclerotiche del vaso anomalo. Le rx dell'esofago mostrano la compressione estrinseca al di sopra dell'arco aortico, a livello della terza vertebra toracica. Per una diagnosi di certezza è necessaria un'arteriografia. Solo in pochi casi è indicata la correzione chirurgica.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

DOLORE TORACICO DI ORIGINE ESOFAGEA Il dolore toracico o dorsale, causato da una malattia esofagea, viene classificato come pirosi retrosternale, odinofagia o come dolore esofageo spontaneo da disturbo motorio. La pirosi retrosternale è un bruciore retrosternale che origina nel torace e che si può irradiare al collo, alla gola o anche alla faccia. La pirosi è causata da un aumento dell'acidità dell'esofago in seguito a RGE. Solitamente si verifica dopo i pasti o quando il paziente giace in posizione supina. La pirosi può essere accompagnata dal rigurgito del contenuto gastrico nella cavità orale e dalla successiva pirosi acquosa costituita dall'ipersalivazione che si verifica quando l'acido irrita l'esofago inferiore. L'odinofagia è il dolore che si manifesta durante la deglutizione. Si può verificare con o senza disfagia e può essere causato dalla distruzione della mucosa (p. es., esofagiti indotte da RGE); da infezioni batteriche, virali o micotiche; da neoplasie, agenti chimici o disturbi motori esofagei (p. es., l'acalasia e lo spasmo esofageo diffuso). Il paziente può descrivere il dolore come una sensazione urente o come un senso di oppressione retrosternale tipicamente provocato da cibi o da liquidi molto caldi o molto freddi. Il dolore insorge subito dopo la deglutizione. Un grave dolore toracico costrittivo, indotto dalla deglutizione di bevande fredde o calde e associato alla disfagia, è caratteristico dei disturbi motori esofagei. Il dolore spontaneo da disturbo motorio è difficile da differenziare dagli altri sintomi esofagei e dal dolore toracico di origine cardiaca. Può essere molto intenso e mimare un'angina pectoris. La diagnosi definitiva si può fare solo quando il disturbo motorio viene registrato in corso di manometria, eseguita durante l'episodio doloroso. La presenza di disfagia e di dolore toracico può indicare l'origine esofagea.

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Patologie esofagee

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INCOORDINAZIONE CRICOFARINGEA Nell'incoordinazione cricofaringea, il muscolo cricofaringeo (lo sfintere esofageo superiore) rimane chiuso o si apre in modo incoordinato. Ciò può portare alla formazione di un diverticolo di Zenker (v. oltre Diverticoli esofagei), mentre la ripetuta inalazione di materiale proveniente dal diverticolo può causare una malattia polmonare cronica. Questa condizione può essere trattata chirurgicamente con la sezione del muscolo.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

DISORDINI OSTRUTTIVI (V. anche Tumori dell'esofago nel Cap. 34.) DIAFRAMMA ESOFAGEO (Sindrome di Plummer-Vinson o di Paterson-Kelly; disfagia sideropenica) Sottile membrana mucosa che si forma nel lume esofageo. I diaframmi si formano, raramente, nei pazienti affetti da una grave anemia sideropenica non trattata o, ancora più raramente, in assenza di un chiaro stato anemico. Solitamente sono localizzati nell'esofago superiore e producono una disfagia per i cibi solidi. In genere non sono evidenziati nel corso di un normale studio rx baritato, ma possono essere dimostrati alla cinefluoroscopia. I diaframmi scompaiono con il trattamento dell'anemia, ma possono essere facilmente interrotti durante l'esofagoscopia.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

DISORDINI MOTORI ACALASIA (Cardiospasmo; aperistaltismo esofageo; megaesofago) Affezione neurologica dell'esofago di origine sconosciuta, caratterizzata da un'alterata peristalsi esofagea e dal mancato rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

L'acalasia può essere causata da un alterato funzionamento del plesso mioenterico dell'esofago che risulta in una denervazione della muscolatura esofagea.

Sintomi e segni L'acalasia si può manifestare a qualunque età, ma solitamente inizia tra i 20 e i 40 anni. L'inizio è subdolo e la progressione è graduale nell'arco di mesi o di anni. La disfagia sia per i cibi solidi che per i liquidi rappresenta il sintomo principale; gli altri sintomi includono il rigurgito, il dolore toracico e la tosse notturna. L'aumentata pressione a livello dello sfintere esofageo inferiore produce una ostruzione dell'esofago e una sua dilatazione secondaria. Il rigurgito notturno di cibo non digerito si verifica in circa il 33% dei pazienti e può causare la tosse e l'inalazione, con la formazione di ascessi polmonari, di bronchiettasie o di polmoniti. Il dolore toracico è meno frequente, ma si può presentare al momento della deglutizione o spontaneamente. Il calo ponderale è di solito lieve o moderato; quando è importante, soprattutto nel paziente anziano in cui i sintomi disfagici si sono manifestati da poco tempo, si deve pensare a un'acalasia secondaria a una neoplasia della giunzione gastroesofagea.

Diagnosi L'esofagogramma dimostra l'assenza delle contrazioni peristaltiche progressive durante la deglutizione. L'esofago appare dilatato e di frequente raggiunge proporzioni enormi, ma è stenotico, con un aspetto a coda di topo, a livello dello file:///F|/sito/merck/sez03/0200247b.html (1 of 2)02/09/2004 2.21.53

Patologie esofagee

sfintere esofageo inferiore. La manometria esofagea evidenzia la mancanza di peristalsi, un aumento della pressione dello sfintere esofageo inferiore e un incompleto rilasciamento dello sfintere durante la deglutizione. L'esofagoscopia mostra la dilatazione, ma non evidenzia alcuna lesione ostruttiva di tipo organico. L'esofagoscopio di solito passa facilmente nello stomaco; se questa manovra risulta difficile si deve pensare alla possibilità di una stenosi o di una neoplasia. Solitamente con la manometria si può dimostrare un'aumentata sensibilità delle strutture denervate agli stimoli farmacologici (p. es., metacolina), ma la somministrazione di queste sostanze si può associare a effetti collaterali dannosi ed è raramente necessaria per la diagnosi. L'acalasia deve essere differenziata da un carcinoma distale stenosante e da una stenosi peptica, particolarmente nel paziente affetto da sclerodermia in cui la manometria può mostrare una simile mancanza di peristalsi. La sclerodermia è solitamente accompagnata da un'anamnesi positiva per il fenomeno di Raynaud e per i sintomi da RGE. Per escludere la presenza di una neoplasia, si devono eseguire, in tutti i pazienti, una visualizzazione endoscopica in retroversione del cardias, biopsie multiple e un brushing per l'esame citologico.

Prognosi L'inalazione polmonare e le neoplasie secondarie sono i fattori prognostici determinanti. Un rigurgito notturno accompagnato da tosse indica la possibile inalazione. Le complicanze polmonari secondarie all'inalazione sono difficili da trattare. L'incidenza del carcinoma esofageo nei pazienti con acalasia sembra aumentata, ma non tutti sono d'accordo.

Terapia Lo scopo della terapia è quello di ridurre la pressione e quindi l'ostruzione a livello dello sfintere esofageo inferiore. Inizialmente è indicata una dilatazione forzata o pneumatica dello sfintere; i risultati sono soddisfacenti in circa l'85% dei pazienti, ma possono essere necessarie dilatazioni ripetute. In meno dell'1% dei casi si può verificare una rottura esofagea con mediastinite secondaria che rende necessario l'intervento chirurgico. I nitrati (p. es., 0,4 mg di nitroglicerina sublinguale prima dei pasti) oppure i Ca-antagonisti (p. es., nifedipina 10 mg PO qid) possono ridurre la pressione dello sfintere esofageo inferiore e prolungare l'intervallo tra le dilatazioni. L'acalasia può anche essere trattata con la denervazione chimica dei nervi colinergici dell'esofago distale attraverso l'iniezione diretta di 80 - 100 U di tossina botulinica nello sfintere esofageo inferiore. Il miglioramento clinico si verifica nel 70-80% dei pazienti, ma i risultati possono durare solo da 6 mesi a 1 anno. Una miotomia di Heller, in cui vengono sezionate le fibre muscolari dello sfintere esofageo inferiore, viene solitamente riservata ai pazienti che non rispondono alla dilatazione; la percentuale di successo è dell'85% circa. La terapia chirurgica può oggi essere eseguita con tecniche laparoscopiche videoassistite. Dopo l'intervento può insorgere un RGE nel 15% dei casi.

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DISORDINI MOTORI SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO SINTOMATICO (Pseudodiverticolosi spastica; esofago a corona di rosario o a cavaturacciolo) Affezione neurologica generalizzata della motilità esofagea nella quale la normale peristalsi viene sostituita da contrazioni fasiche non propulsive e, in alcuni casi, da un alterato funzionamento dello sfintere esofageo inferiore.

Sommario: Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Sintomi e segni Lo spasmo esofageo diffuso causa tipicamente un dolore toracico retrosternale associato a disfagia, sia per i liquidi che per i cibi solidi. Il dolore può essere intenso e risvegliare il paziente dal sonno notturno. I liquidi molto caldi o molto freddi possono aggravare il dolore. Nel corso degli anni questo disturbo può evolvere in acalasia. Lo spasmo esofageo può anche produrre un grave dolore senza disfagia, che è assolutamente indistinguibile dall'angina pectoris. Questo dolore viene spesso descritto come un dolore gravativo, retrosternale e si può verificare in occasione dell'esercizio fisico.

Diagnosi L'esofagogramma può mostrare una scarsa progressione del bolo alimentare, contrazioni simultanee o contrazioni terziarie. Gli spasmi gravi possono mimare un aspetto simil-diverticolare, ma con dimensioni e posizione che variano continuamente. La scintigrafia esofagea è un metodo sensibile per evidenziare un alterato trasporto del bolo, ma la manometria è l'esame che con maggiore sensibilità e specificità caratterizza gli spasmi. Le contrazioni solitamente sono simultanee, prolungate o multifasiche e di grande ampiezza. Nei pazienti in cui gli accertamenti di base sono risultati inconsistenti, i test di stimolazione con farmaci (p. es., cloruro di edrofonio, 10 mg EV) o con il cibo possono evidenziare la tendenza agli spasmi sintomatici. Degli studi mostrano un'alterazione della pressione o del rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore nel 30% dei pazienti.

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Patologie esofagee

Terapia Gli spasmi esofagei sono spesso difficili da trattare. Gli anticolinergici, la nitroglicerina e i nitrati ad azione prolungata hanno avuto uno scarso successo. I Ca-antagonisti, somministrati per via orale (p. es., verapamil 80 mg tid o nifedipina 10 mg qid) possono essere efficaci in pazienti selezionati. La dilatazione pneumatica e quella meccanica possono essere utili. Spesso è necessaria la somministrazione di analgesici narcotici che possono però causare assuefazione. Il trattamento medico solitamente è sufficiente, ma, nei casi intrattabili, può essere necessaria una miotomia chirurgica estesa a tutto l'esofago. L'iniezione della tossina botulinica nello sfintere esofageo inferiore è un nuovo approccio che viene usato in alcuni pazienti.

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Patologie esofagee

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DISORDINI MOTORI VARIANTI DELL'ACALASIA E DELLO SPASMO DIFFUSO Alcuni pazienti presentano dei quadri sintomatologici che non corrispondono né a quelli dell'acalasia classica né a quelli dello spasmo diffuso tipico. Alcuni di questi vengono chiamati "acalasia vigorosa", in quanto sono presenti sia la ritenzione dei liquidi e l'inalazione dell'acalasia sia l'importante dolore dello spasmo diffuso.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

STENOSI ED ESOFAGITE CORROSIVA (v. anche Ingestioni di caustici in Avvelenamenti, nel Cap. 263) Le lesioni da caustici dell'esofago derivano più frequentemente dall'ingestione, accidentale o a scopo suicida, di detersivi (v. Cap. 190 e Suicidio nei bambini e negli adolescenti, nel Cap. 274). La temporanea permanenza nell'esofago di certi farmaci, specialmente il potassio cloruro, le tetracicline e la chinidina, a seguito di un disturbo motorio o di una variante anatomica, possono causare un'odinofagia e meno frequentemente una stenosi esofagea

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

SUICIDIO IN BAMBINI E ADOLESCENTI (Psicosi maniaco-depressiva)

Sommario: Introduzione Prevenzione Terapia

(V. anche Cap. 190.) Il suicidio è aumentato tra i bambini, almeno fra i maschi, e specialmente tra gli adolescenti (rappresenta la seconda causa di morte dopo gli incidenti). Nell’età fra 15 e 24 anni, i casi di suicidio sono aumentati dal 1970 del 50% per i maschi e in modo trascurabile per le femmine. Negli anni ‘90 in USA l’incidenza media di suicidi tra i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni è stata di 12/100000 con un rapporto maschio:femmina di 4:1. L’incidenza di suicidio tra i bambini tra i 5 e i 14 anni continua a essere molto più bassa ma rappresenta una valutazione minima perché la designazione ufficiale di morte per suicidio generalmente richiede dimostrazione di intenzionalità. Perciò, molte morti attribuite a incidenti (p. es. automobilistici e con armi da fuoco) sono in realtà dei suicidi. Fattori predisponenti sono: una storia di suicidio tra i membri della famiglia o amici stretti, una morte recente in famiglia, abuso di sostanze e disturbi del comportamento (v. prima). I fattori precipitanti spesso implicano la perdita dell’autostima (p. es., durante discussioni in famiglia, per un episodio disciplinare umiliante, una gravidanza, un insuccesso a scuola), una delusione in amore, il venir meno dell’ambiente familiare (scuola, vicini di casa, amici) per trasferimenti. Altri fattori possono essere la perdita di struttura e limiti che conduce a una schiacciante sensazione di perdita di una guida, o l’intensa oppressione da parte dei genitori che determina la sensazione continua di non soddisfare le aspettative. Una frequente motivazione per un tentativo di suicidio è lo scopo di coinvolgere o punire gli altri con la fantasia "tu soffrirai dopo la mia morte". Si vede un aumento dei casi di suicidio dopo un suicidio molto pubblicizzato (p. es., quello di un cantante di fama) e tra una popolazione in cui ci si può identificare (p. es., in una singola scuola secondaria o nella casa dello studente), indicando l’importanza della suggestione. Può essere d’aiuto un intervento sociale precoce per portare supporto ai giovani in tali circostanze.

Prevenzione Identificazione del paziente suicida: Il suicidio spesso è preceduto da cambiamenti nel comportamento (p. es., umore depresso, mancata autostima, disturbi dell’appetito e del sonno, incapacità di concentrazione, svogliatezza a

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

scuola, disturbi somatici e preoccupazioni di suicidio) che spesso fanno ricorrere al consulto di un medico. Modi di dire come "vorrei non essere nato" o "mi piacerebbe andare a dormire e non svegliarmi più" devono essere considerati sul serio come possibili annunci di suicidio. Terapia del comportamento suicida: una minaccia o un tentativo di suicidio rappresentano un importante segnale dell’intensità della disperazione provata. Un precoce riconoscimento dei fattori di rischio ricordati prima può far prevenire un tentativo di suicidio. In presenza di indizi premonitori, di un tentato o minacciato suicidio o di assunzione di comportamenti ad alto rischio, bisogna istituire un vigoroso programma di terapia e i pazienti devono essere interrogati direttamente sulla loro infelicità o sul loro senso di autodistruzione; tali domande dirette riducono il rischio di suicidio. Il medico non deve rassicurare senza capire interamente la situazione, perché in questo modo può minare la propria credibilità e/o diminuire ulteriormente l’autostima del giovane.

Terapia Ogni tentato suicidio rappresenta un’urgenza medica. Una volta che il pericolo per la vita sia stato rimosso, si deve pensare a un’eventuale ospedalizzazione. Questa necessità dipende dalla valutazione del grado di rischio e dalla capacità della famiglia di fornire aiuto. La letalità del tentativo di suicidio può essere valutata dal grado di premeditazione (p. es., scrivere una lettera), dal metodo usato (le armi da fuoco sono abitualmente più letali dei medicinali), dalla gravità delle lesioni e dalle circostanze o dai fattori immediatamente precipitanti i tentativi. Una risposta negativa o non adeguata da parte dei genitori è un segno infausto. Se la famiglia mostra amore e interesse è maggiormente possibile un risultato buono. L’ospedalizzazione (anche in un reparto medico o pediatrico sotto sorveglianza da parte di infermieri specializzati) rappresenta la forma più sicura di protezione ed è indicata se si sospetta una forma grave di depressione e/o psicosi. La terapia farmacologica può essere indicata per la condizione sottostante (p. es., depressione, disturbo bipolare o impulsivo, psicosi) ma non può prevenire il suicidio di per sé. Si devono evitare farmaci potenzialmente letali (p. es., antidepressivi triciclici). Il trattamento psichiatrico avrà più successo se è possibile assicurare una continuità di cura con il medico di famiglia. Essenziale nella gestione del follow-up è la ricostruzione del morale e il recupero di un normale equilibrio emozionale all’interno della famiglia.

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISTURBI DELL’IDENTITA' DI GENERE Disturbi caratterizzati da una forte e persistente identificazione trans-genere, e da fastidio continuo per il proprio sesso anatomico (assegnato), oppure da un senso di inadeguatezza nel ruolo di genere corrispondente a tale sesso.

Sommario: Introduzione Diagnosi

L’identità fondamentale di genere è il senso soggettivo di consapevolezza del genere di appartenenza, cioè la consapevolezza che "io sono un maschio" oppure "io sono una femmina". L’identità di genere è il senso interiore di mascolinità o femminilità. Il ruolo di genere è l’espressione pubblica oggettiva dell’essere maschio, femmina o androgino (un misto). È tutto ciò che una persona dice e fa per indicare agli altri o a se stesso in che misura è maschio o femmina. Per la maggior parte delle persone l’identità e il ruolo di genere sono corrispondenti. I soggetti con disturbi dell’identità di genere, tuttavia, percepiscono una grave incongruenza tra il proprio sesso anatomico e l’identità di genere. Sebbene fattori biologici come gli attributi di genere e l’ambiente ormonale prenatale determinino largamente l’identità di genere, la formazione di un’identità di genere sicura e non conflittuale e del ruolo di genere è influenzata da fattori sociali, come il carattere del legame emotivo con i genitori e il rapporto di ognuno di essi con il bambino. Quando vi è confusione sull’attribuzione del sesso e sulla conseguente educazione, i bambini possono sviluppare un’incertezza circa la propria identità o il proprio ruolo sessuale. Tuttavia, quando l’attribuzione del sesso e la conseguente educazione sono chiare, di solito neanche la presenza di genitali ambigui influenza l’identità di genere di un bambino. I transessuali solitamente hanno avuto disturbi dell’identità di genere nella prima infanzia (v. oltre). Tuttavia, i bambini con dei conflitti riguardanti l’identità di genere per lo più non diventano degli adulti con un disturbo dell’identità di genere. I disturbi dell’identità di genere nell’infanzia si manifestano di solito a partire dai 2 anni di età. Un bambino con questo disturbo preferisce i vestiti dell’altro sesso, insiste sul fatto di appartenere all’altro sesso, desidera con insistenza partecipare ai giochi e alle attività tipici dell’altro sesso e ha sentimenti negativi verso i propri genitali. Per esempio, una bambina può affermare con insistenza che le crescerà un pene e diverrà un bambino; può stare in piedi per urinare. Un bambino può sedersi per urinare e desiderare di sbarazzarsi del suo pene e dei suoi testicoli. La maggior parte dei bambini con questi disturbi non viene valutata fino all’età di 6-9 anni.

Diagnosi La diagnosi richiede la presenza di una identificazione trans-genere (il desiderio file:///F|/sito/merck/sez15/1921673c.html (1 of 2)02/09/2004 2.21.56

Disturbi psicosessuali

o l’idea ostinata di appartenere dell’altro sesso) e un senso di disagio circa il proprio sesso o di inadeguatezza nel proprio ruolo di genere. L’identificazione trans-genere non deve essere semplicemente il desiderio di ottenere i chiari vantaggi culturali dell’appartenenza all’altro sesso. Per esempio, un maschietto che dice di voler essere una femminuccia, così da poter ricevere lo stesso trattamento speciale riservato alle sue sorelline, probabilmente non ha un disturbo dell’identità di genere. La diagnosi richiede anche la presenza di una sofferenza significativa o di una compromissione evidente nell’area di funzionamento sociale, professionale o in altre aree importanti. Il disturbo dell’identità di genere non viene diagnosticato se il soggetto si traveste o compie altre attività trans-genere senza una concomitante sofferenza psicologica o una compromissione del funzionamento, oppure se il soggetto ha una condizione fisica intersessuale (p. es., iperplasia surrenalica congenita, genitali ambigui, sindrome da insensibilità agli androgeni). I comportamenti legati al ruolo di genere rientrano in un continuum di mascolinità e femminilità tradizionali. Le culture occidentali tollerano maggiormente i comportamenti da maschietto nelle bambine (generalmente non associati a un disturbo dell’identità di genere) rispetto ai comportamenti femminili o effeminati nei maschietti. Molti maschietti giocano interpretando il ruolo di bambine o madri, anche provandosi i vestiti delle sorelle o della madre. Di solito questo comportamento fa parte dello sviluppo normale. Solo in casi estremi questo comportamento persiste, insieme al desiderio manifesto di appartenere all’altro sesso. In tali casi, va considerata la diagnosi di disturbo dell’identità di genere nell’infanzia.

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DELL’ATTENZIONE Tipo di disattenzione ingiustificata, persistente e frequente, associato a comportamento impulsivo con o senza iperattività.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Decorso clinico Diagnosi Prognosi Terapia

Questa definizione di disturbi dell’attenzione (DDA), derivante dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, quarta edizione (DSM-IV), sposta l’attenzione dall’eccessiva attività fisica. Sebbene non sia stato semplice stabilire l’esistenza dei DDA come diagnosi specifica, nessuno studio è stato in grado di affermare il contrario. I DDA sono coinvolti nei disturbi di apprendimento e possono influenzare il comportamento dei bambini ad ogni livello cognitivo, eccetto per il ritardo mentale da profondo a moderato. Si stima che i DDA interessino il 5-10% dei bambini in età scolastica e circa la metà dei casi pediatrici di consultazione presso centri specialistici. I DDA tendono a interessare gruppi familiari e sono frequenti nei parenti di primo grado. I DDA con ipercinesia e impulsività si osservano nei maschi con un rapporto 10 volte maggiore rispetto alle femmine. Attualmente molti ritengono i DDA una condizione di semplice diversità, più che un deficit vero e proprio, o un disordine nella biochimica cerebrale, che comporta una differenza nell’approccio all’apprendimento.

Eziologia L’eziologia è sconosciuta. Sono state proposte diverse teorie che ipotizzano l’esistenza di correlazioni biochimiche, senso-motorie, fisiologiche e comportamentali con le manifestazioni osservate. Poco meno del 5% dei bambini con DDA presenta sintomi e segni di danno neurologico; negli altri bambini non è stata documentata alcuna anomalia alla TAC, alla RMN e all’EEG. L’ipotesi principale suggerisce la presenza di anomalie dei neurotrasmettitori del sistema dopaminergico e noradrenergico, con diminuizione dell’attività o della stimolazione del sistema cerebrale superiore e del sistema nervoso medio frontale. È stato anche ipotizzato il ruolo di tossine, di una immaturità neurologica, di infezioni, di esposizione intrauterina a sostanze tossiche e di problemi ambientali.

Sintomi, segni e diagnosi I segni principali dei DDA, con o senza ipercinesia sono rappresentati da una file:///F|/sito/merck/sez19/2622418.html (1 of 5)02/09/2004 2.21.58

Problemi di sviluppo

grave e frequente disattenzione e impulsività. I DDA con ipercinesia vengono diagnosticati quando sono evidenti i segni della eccessiva vivacità e dell’impulsività comportamentale e sono stati di recente riferiti al deficit delle risposte inibitorie. Una inadeguata attenzione, p. es., un’attenzione poco sostenuta, provoca un aumento nel tasso di attività e una instabilità o riluttanza a partecipare o reagire. Sebbene i bambini affetti da DDA e senza ipercinesia possano non manifestare alti livelli di attività, nella maggior parte dei casi essi presentano irrequietezza o nervosismo e impulsività, mentre alcuni possono essere passivi o letargici. Queste caratteristiche sono qualitativamente differenti da quelle osservate nei disturbi del comportamento e nell’ansia. I criteri del DSM-IV per i DDA comprendono nove segni di disattenzione, sei segni di iperattività e tre segni di impulsività. Non tutti devono essere necessariamente presenti. I criteri del DSM-IV specificano anche che i sintomi devono essere presenti in due o più situazioni (p. es., a scuola e casa) e ostacolare le funzioni sociali o scolastiche del bambino. I segni di disattenzione sono (1) frequente incapacità a prestare stretta attenzione ai dettagli, (2) difficoltà a sostenere l’attenzione nel gioco o nel lavoro, (3) mancato ascolto in caso di interrogazione diretta, (4) non seguire le indicazioni e incapacità di portare a termine i compiti, (5) difficoltà frequente nell’organizzare compiti e attività, (6) evitamento o riluttanza frequenti nell’intraprendere compiti che richiedano uno sforzo mentale sostenuto, (7) perdita frequente degli oggetti, (8) distrazione frequente a causa di stimoli estranei e (9) dimenticanze frequenti. Segni di iperattività sono (1) agitare mani e piedi o contorcersi, (2) alzarsi spesso dalla sedia in classe, o altrove, (3) correre o arrampicarsi spesso in maniera esagerata, (4) avere difficoltà nel giocare o impegnarsi in attività tranquille nel tempo libero, (5) essere spesso sul punto di agire o agire come "guidati da un motore," e (6) essere spesso logorroici. I segni di impulsività sono (1) rispondere spesso prima che le domande siano state completate, (2) avere spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno e (3) interrompere spesso o intromettersi nelle attività/risposte altrui. Il DSM-IV distingue tre sottotipi di DDA: associazione di deficit di attenzione e iperattività, predominante disattenzione e predominante impulsività-iperattività. Per la diagnosi deve essere sempre presente una disattenzione non giustificata, così il terzo sottotipo deve essere interpretato con prudenza. La disattenzione primaria tende a comparire quando il bambino con DDA è coinvolto in compiti, che richiedono un rendimento continuo, vigilanza e tempi rapidi di reazione, ricerca visiva e percettiva, capacità di ascoltare sistematicamente e in maniera sostenuta e attenzione completa. La disattenzione e l’impulsività diminuiscono lo sviluppo delle capacità scolastiche, delle strategie del pensiero e del ragionamento, demotivano l’apprendimento scolastico e creano difficoltà nell’inserimento sociale. Si possono notare di frequente sintomi associati: incoordinazione motoria o goffagine, reperti neurologici "sfumati" non localizzati, disfunzioni percettivomotorie, anomalie EEGrafiche, labilità emotiva, opposizione, ansia, aggressività, bassa tolleranza alle frustrazioni e insoddisfacente abilità nella socializzazione e nelle relazioni con i coetanei, disturbi del sonno, autoritarismo, disforia e alternanza dell’umore.

Decorso clinico L’inizio dei DDA si verifica tipicamente prima dei 4 anni di età e sempre prima dei 7 anni. La maggiore richiesta di consulenze specialistiche è tra 8 e 10 anni. Comunque, i bambini con DDA primari spesso non sono individuati fino al periodo adolescenziale o successivamente.

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Problemi di sviluppo

I segni precoci variano, ma la maggior parte dei bambini in età scolare, affetti da DDA o impulsività, con o senza ipercinesia, presenta disturbi dello sviluppo motorio, tende ad avere periodi di attenzione brevi (p. es., non gioca con i giocattoli o lo fa soltanto per poco tempo) e solitamente ha livelli di attività estremi, al di sopra della norma durante l’età prescolare. I bambini con ipercinesia sono stati spesso descritti come ipereccitabili e difficili da controllare nella prima infanzia e nell’età prescolare. In età scolare questi segni persistono. La difficoltà nei compiti quali il copiare e lo scrivere a stampatello può diventare evidente. Sono frequenti errori di disattenzione. L’immaturità sociale ed emozionale è prevalente in tutti i tipi di DDA dopo i 7 anni. Alcuni bambini con DDA rispondono meno ai rinforzi sia positivi che negativi (p. es., lodi e punizioni). Molti bambini hanno problemi relativi al tempo; alcuni sono goffi. Spesso sembra che manchino di una motivazione intrinseca e non considerino le conseguenze a lungo termine delle loro azioni. In genere, i bambini con DDA in età scolare rappresentano un gruppo più omogeneo, rispetto a coloro che vengono inviati a consulto prima dei 6 anni. Molti segni di DDA presenti negli anni prescolastici stanno a indicare disturbi della comunicazione, ansia e disturbi del comportamento. Tuttavia, durante la tarda infanzia i segni di DDA sono specifici e qualitativamente distinti; p. es., tali bambini spesso presentano un movimento continuo degli arti inferiori, una incostanza motoria, quale il movimento irrequieto e senza scopo delle mani, linguaggio impulsivo e un’apparente mancanza di consapevolezza dell’ambiente che li circonda. Generalmente, non sono né aggressivi né oppositivi, ma spesso diventano poco accondiscendenti e spavaldi. Alcuni studi hanno documentato che circa il 30% dei casi presenta difficoltà di apprendimento come la dislessia; il 40% depressione in età adolescenziale; il 60% problemi come aggressività, attacchi d’ira, ansietà e una bassa tolleranza alla frustrazione e il 90% problemi scolastici o hanno scarso rendimento. La maggior parte dei bambini con DDA impara attività manuali ma ha difficoltà nelle situazioni di apprendimento passivo che richiedano un’esecuzione e adempimento continuativi nel tempo di compiti specifici. Le difficoltà scolastiche spesso non iniziano fino agli anni di mezzo della scuola, e i bambini intelligenti con disattenzione primaria possono spesso compensare il disturbo. I DDA sono strettamente dipendenti dal tipo di compito da eseguire e dall’ambiente, per cui le tradizionali classi scolastiche e la maggior parte delle attività scolastiche peggiora il disturbo. L’abuso di droghe è spesso la conseguenza secondaria della mancata individuazione e trattamento dei DDA. L’immaturità sociale e affettiva è cronica. La scarsa approvazione da parte dei coetanei e la solitudine tendono ad aumentare con l’età e con la comparsa di una franca sintomatologia. Bambini con disattenzione primaria tendono ad avere soltanto problemi scolastici. Sebbene l’ipercinesia tenda a diminuire con l’età, gli adolescenti e gli adulti possono continuare a presentare sintomi quali disattenzione e impulsività, nervosismo, irrequietezza, difficoltà nel portare a termine i lavori assegnati (p. es., i compiti a casa) e brevi periodi di attenzione.

Diagnosi La diagnosi spesso è difficile. Non esistono segni organici specifici e particolari o gruppi di sintomi neurologici e nessun test specifico è validato. Anche se i fattori organici possono avere un ruolo eziologico, i segni fondamentali sono comportamentali, variabili con le situazioni e con il tempo. Le scale di valutazione e le checklist, che rappresentano i più comuni metodi di identificazione, spesso non possono distinguere i DDA dagli altri disturbi comportamentali. Tali dati spesso si basano su osservazioni soggettive effettuate da personale non addestrato. In un ambiente medico la maggior parte dei comportamenti non è ovvia e, a meno che il bambino non sia eccessivamente ipercinetico o impulsivo, la diagnosi non è possibile senza ricorrere all’uso di esami specifici; p. es., i test di rendimento continuo, i test di vigilanza e dei tempi di reazione, i test di

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Problemi di sviluppo

apprendimento di associazioni accoppiate e i test che aumentano l’incertezza della risposta. È anche necessario usare delle tecniche che consentono all’osservatore di documentare obiettivamente e qualitativamente il tipo di iperattività, di disattenzione e di impulsività associato ai DDA. Sono essenziali per la diagnosi un’anamnesi clinica e sociale dettagliate, insieme ai giudizi scolastici del bambino.

Prognosi Gli studi di follow-up hanno mostrato che i bambini con DDA non superano le loro difficoltà. I problemi durante l’adolescenza e l’età adulta si presentano principalmente sotto forma di insuccessi accademici, di scarsa autostima e di difficoltà nell’acquisizione di un comportamento sociale appropriato. Gli adolescenti e gli adulti con storia di DDA con impulsività presentano un’alta incidenza di disturbi della personalità e di comportamenti antisociali; la maggior parte di essi continua a manifestare impulsività, nervosismo e comportamento antisociale. Persone affette da DDA con o senza iperattività sembrano adattarsi meglio al lavoro piuttosto che allo studio e alla vita casalinga. I problemi interpersonali e sociali spesso persistono nell’età adulta; depressione e tentativi di suicidio (da non riferire all’uso di metilfenidato) sono più frequenti rispetto alla popolazione normale. Un basso livello intellettivo, l’aggressività, i problemi sociali e interpersonali sono fattori predittivi di un’evoluzione negativa nell’adolescenza e nell’età adulta.

Terapia I farmaci psicostimolanti, associati alla psicoterapia, permettono un buon controllo dei sintomi. Usati da soli, gli psicostimolanti sono risultati efficaci principalmente nei bambini con DDA di tipo meno impulsivo e nei bambini con disattenzione primaria ma con stabilità dell’ambiente domestico. Il trattamento è meno efficace nei bambini con DDA con scarso controllo dell’impulsività rispetto a quelli con disattenzione primaria. Le diete di eliminazione, i trattamenti vitaminici, l’uso di antiossidanti o di altri composti, gli interventi nutrizionali o biochimici (p. es., la somministrazione di sostanze attive sul sistema nervoso) hanno mostrato una minore efficacia. L’utilità del biofeedback non è provata. Nella maggior parte degli studi è stata riscontrata una minima modificazione comportamentale e nessun beneficio sostanziale. Psicostimolanti: gli psicostimolanti si sono dimostrati più efficaci degli antidepressivi triciclici (p. es., imipramina), della caffeina e di altri farmaci psicoattivi (p. es., pemolina e deanol). Il metilfenidato, un agonista dopaminergico, è il farmaco di scelta e possiede minori effetti collaterali della destroanfetamina. I comuni effetti collaterali sono: i disturbi del sonno (p. es., insonnia), la depressione o la tristezza, la cefalea, l’epigastralgia, la riduzione dell’appetito, l’aumento della PA e, con dosi elevate e continue, la cronica riduzione dell’appetito e la compromissione della crescita. Le modificazioni del comportamento sono in rapporto al dosaggio; spesso l’apprendimento viene aumentato già con basse dosi (p. es., metilfenidato 0,3 mg/kg/dose somministrato prima della colazione e del pranzo) mentre un miglioramento del comportamento è spesso ottenuto con dosi più alte. Comunque, le capacità cognitive vengono frequentemente compromesse a dosaggi elevati. Il trattamento, spesso iniziato con basse dosi, viene poi aumentato sino a livelli ottimali (documentati dalla diminuzione dei sintomi, miglioramento nell’effettuazione dei lavori e nessun effetto collaterale). Spesso la risposta al farmaco è individuale e la dose che viene prescritta dipende dalla gravità del comportamento e dalla capacità del bambino a tollerare il farmaco. Il metilfenidato è disponibile in capsule da 5-10-20 mg e in capsule a effetto prolungato da 20 mg. Molti bambini presentano difficoltà di assorbimento o di tollerabilità con le dosi ritardo di metilfenidato. I prodotti contenenti miscele di file:///F|/sito/merck/sez19/2622418.html (4 of 5)02/09/2004 2.21.58

Problemi di sviluppo

anfetamina presentano i minori effetti sull’appetito ed effetti sul cervello più prolungati rispetto alle dosi standard di destroanfetamina o metilfenidato; così le dosi richieste sono più basse. Dosi giornaliere eccessive di psicostimolanti possono determinare reazioni rebound quando l’effetto del farmaco svanisce. Spesso i farmaci vengono prescritti solamente per aiutare il bambino nell’attività scolastica. È preferibile sospenderli per alcuni periodi, p. es., durante i fine settimana, durante le vacanze scolastiche o estive. Per valutare la necessità reale del farmaco sono indicati periodi di somministrazione di placebo (da 5 a 10 giorni scolastici per essere sicuri dell’affidabilità delle osservazioni). I benefici a lungo termine dei soli farmaci non sono stati dimostrati definitivamente. Comunque, è stato dimostrato che i farmaci permettono la partecipazione ad attività precedentemente impossibili a causa della scarsa attenzione e dell’impulsività del fanciullo. I farmaci spesso interrompono il ciclo del comportamento anomalo, potenziando gli interventi effettuati a livello comportamentale e scolastico, la motivazione e l’autostima. Psicoterapia: deve prevedere terapie comportamentali e cognitive (p. es., definizione dello scopo, automonitoraggio, creazione di modelli, attribuzione dei ruoli) e deve aiutare il bambino a comprendere i DDA. Le regole e la routine sono essenziali. Il comportamento in classe è spesso migliorato dalle modifiche del comportamento cognitivo, dalle tecniche di automonitoraggio, dal controllo ambientale e degli stimoli rumorosi e visivi, da compiti di durata adatta, dall’allenamento e dalla vicinanza dell’insegnante. Quando le difficoltà persistono a casa, i genitori vanno incoraggiati a chiedere l’assistenza professionale di specialisti e indirizzati a esercitarsi nelle tecniche comportamentali. Sono spesso efficaci le tecniche comportamentali e le prove di autocontrollo con rinforzo. I bambini affetti da DDA con ipercinesia e scarso controllo degli impulsi spesso vengono seguiti meglio a casa, una volta che siano ben stabilite le regole e i limiti e che sia certa l’acquisizione delle tecniche da parte dei genitori.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

DIVERTICOLI ESOFAGEI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Esistono diversi tipi di diverticoli esofagei, ciascuno con una differente origine. Un diverticolo di Zenker (faringeo) è un'estroflessione posteriore della mucosa e della sottomucosa, attraverso il muscolo cricofaringeo. Probabilmente è il risultato dell'incoordinazione tra la propulsione faringea e il rilassamento cricofaringeo. I diverticoli medio-esofagei (tradizionalmente detti da trazione) sono dovuti alla trazione esercitata da lesioni infiammatorie del mediastino o sono secondari a disturbi motori. Un diverticolo epifrenico, anch'esso probabilmente di origine propulsiva, si forma appena al di sopra del diaframma e solitamente si accompagna a una disfunzione motoria dell'esofago (acalasia, spasmo esofageo diffuso).

Sintomi e segni Il diverticolo di Zenker si riempie con il cibo, che può in seguito essere rigurgitato quando il paziente si flette in avanti o giace in posizione supina. Il rigurgito notturno può causare delle polmoniti da inalazione. In rari casi la tasca diverticolare si ingrandisce e causa disfagia. I diverticoli da trazione e quelli epifrenici raramente sono sintomatici.

Diagnosi e terapia Tutti i diverticoli sono diagnosticati mediante l'esofagogramma con video o cinefluoroscopia. Solitamente non è necessario un trattamento specifico, anche se a volte è necessaria la resezione chirurgica del diverticolo.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

ERNIA IATALE Protrusione dello stomaco al di sopra del diaframma.

Sommario: Eziologia e anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Eziologia e anatomia patologica L'eziologia è solitamente sconosciuta, ma l'ernia iatale può rappresentare un'anomalia congenita o essere secondaria a un trauma. Nell'ernia iatale da scivolamento, la giunzione gastroesofagea e una porzione dello stomaco si trovano al di sopra del diaframma. Un lato dello stomaco erniato è coperto dal peritoneo. Nell'ernia iatale paraesofagea, la giunzione gastroesofagea si trova nella sua normale posizione, ma una parte dello stomaco è risalita, lateralmente all'esofago.

Sintomi e segni L'ernia iatale da scivolamento è abbastanza comune e può essere osservata radiologicamente in > 40% della popolazione. La maggior parte dei pazienti è asintomatica, ma alcuni possono lamentare dolore toracico. Nonostante in alcuni casi si verifichi un RGE, non è certo se l'ernia ne rappresenti la causa perché un reflusso può essere presente anche in pazienti senza ernia iatale dimostrabile agli esami radiologici. Un'ernia iatale paraesofagea generalmente è asintomatica ma, diversamente dalle ernie iatali da scivolamento, si può incarcerare e strangolare. Con entrambi i tipi di ernia iatale si possono verificare emorragie GI occulte o massive.

Diagnosi e terapia Gli esami rx, di solito, dimostrano, con facilità, l'ernia iatale. Può essere necessario applicare una vigorosa compressione addominale per evidenziare un'ernia iatale da scivolamento, che di solito non necessita di alcuna terapia specifica, anche se si deve trattare il RGE eventualmente associato. L'ernia paraesofagea deve essere ridotta chirurgicamente per il rischio di strozzamento.

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Patologie esofagee

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

LACERAZIONI E ROTTURE ESOFAGEE Le lacerazioni e le rotture esofagee possono essere causate da lesioni iatrogene strumentali, da malattie esofagee intrinseche o da un'aumentata pressione intraesofagea causata dal vomito o dai conati di vomito.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

LACERAZIONI E ROTTURE ESOFAGEE SINDROME DI MALLORY-WEISS Lacerazione dell'esofago distale e della parte prossimale dello stomaco che si verifica durante il vomito, il singhiozzo o una distensione acuta dello stomaco. L'usuale presentazione clinica è rappresentata da un'emorragia GI di origine arteriosa. Inizialmente descritta negli alcolizzati, la sindrome di Mallory-Weiss si può manifestare in tutti i pazienti. Rappresenta la causa di un'emorragia GI superiore in circa il 5% dei pazienti. La diagnosi viene fatta con l'esame endoscopico o con l'arteriografia. La lesione non viene evidenziata dall'esame radiologico dell'apparato digerente. La maggior parte degli episodi di sanguinamento si arresta spontaneamente, ma in alcuni pazienti è necessaria la sutura della lacerazione. Il sanguinamento può essere controllato anche con l'infusione intra-arteriosa di pitressina o con l'embolizzazione dell'arteria gastrica sx in corso di arteriografia.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

LACERAZIONI E ROTTURE ESOFAGEE ROTTURA ESOFAGEA La rottura dell'esofago può essere iatrogena, in corso di procedure endoscopiche o di altre manovre strumentali. La rottura spontanea o sindrome di Boerhaave, rappresenta un evento catastrofico con un'elevata mortalità. La perforazione o la rottura dell'esofago portano a una mediastinite e a un versamento pleurico che richiedono l'immediata riparazione chirurgica e il drenaggio del mediastino.

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Patologie esofagee

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 20. PATOLOGIE ESOFAGEE (V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi sistemica nel Cap. 50.)

MALATTIE ESOFAGEE INFETTIVE La Candida albicans è un normale costituente della flora orale. Quando esistono delle condizioni che favoriscono la crescita fungina rispetto a quella batterica, si sviluppa una candidosi. Le condizioni che favoriscono la crescita fungina nell'esofago includono il trattamento con antibiotici ad ampio spettro, particolarmente le tetracicline; un'alta concentrazione salivare di glucoso (p. es., nel diabete mellito); un'immunità cellulare compromessa (p. es., AIDS, leucemia o dopo chemioterapia); la stasi esofagea (p. es., nell'acalasia o nella sclerodermia). I pazienti solitamente lamentano odinofagia e, meno comunemente, disfagia. L'esame dell'orofaringe può svelare le tipiche chiazze bianche, ma la loro assenza non esclude l'interessamento esofageo. L'esofagogramma può evidenziare la presenza di placche leggermente sollevate per tutta la lunghezza dell'esofago oppure solamente una anomalia motoria, ma l'endoscopia è più sensibile e specifica. L'esame istologico delle preparazioni con idrossido di potassio, mostra la presenza di masse di spore in gemmazione o di ife. Nei casi più lievi, una sospensione di nistatina (5 ml di una sospensione di 100000 U/ml qid) può essere agitata in bocca e quindi deglutita. Nei casi più resistenti, può essere necessario un trattamento sistemico con il fluconazolo, con il chetoconazolo o con l'amfotericina B (v. Principi generali di terapia nel Cap. 158). Il virus dell'herpes simplex (HSV) e il citomegalovirus (CMV) possono infettare l'esofago e causare una grave odinofagia nei pazienti immunosoppressi. Per la diagnosi è necessaria l'endoscopia e, molto utile, è l'esame citologico. Il trattamento del HSV non è di solito necessario nei casi lievi, ma quando i sintomi sono gravi e prolungati, si può tentare con la somministrazione di acyclovir (o vidarabina) EV. Il CMV è trattato con il ganciclovir, 5 mg/kg EV q 12 h per 1421 giorni e con una dose di mantenimento di 5 mg/kg per 5 giorni/sett. nei pazienti immunocompromessi.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 21. DISTURBI FUNZIONALI DELL'APPARATO GASTROINTESTINALE SUPERIORE Sintomi riferibili al sistema GI superiore in cui la condizione patologica è assente, scarsamente definita o, se presente, non spiega interamente il quadro clinico. Negli ambulatori di medicina di base i pazienti con disturbi del tratto superiore dell'apparato digerente sono molto frequenti, pari al 30-50% della popolazione inviata per consulenza al gastroenterologo. I medici di base e i gastroenterologi hanno delle difficoltà nell'interpretare e trattare questi disturbi e ciò può portare a uno stato di frustrazione, a un atteggiamento errato nei confronti del paziente e a ordinare esami inutili nel futile tentativo di accertare una causa biologica. Il più delle volte non si riesce a stabilire alcuna alterazione istopatologica; se viene trovata, è scarsamente correlata con i sintomi. L'evidenza può indicare un'alterazione della attività fisiologica (p. es., lo spasmo esofageo diffuso sintomatico [v. Cap. 20], il ritardato svuotamento gastrico, la sindrome del colon irritabile [v. Cap. 32]), la preoccupazione del paziente per le normali funzioni fisiologiche (p. es., borborigmi in ipocondrio) o una malattia psicologica (disordine di conversione, somatizzazione, depressione). In molti pazienti sono coinvolti diversi di questi fattori. I sintomi funzionali o aspecifici si possono anche presentare insieme a un'affezione medica (p. es., un'ulcera peptica, un'esofagite), ma i fattori psicologici o culturali possono contribuire in maniera più significativa alla definizione dei sintomi d'esordio, rendendo difficile la diagnosi e insufficiente il solo trattamento medico. Indipendentemente dall'eziologia, l'esperienza e la narrazione dei sintomi varia, a seconda della personalità del paziente, del significato psicologico da questi attribuito alla malattia e dell'influenza dell'ambiente socioculturale. I sintomi di nausea e vomito possono essere minimizzati o riferiti in modo indiretto, persino bizzarro, da un paziente gravemente depresso, ma possono essere presentati con notevole urgenza dal paziente istrionico. Anche se stressante, la malattia può soddisfare alcune necessità psicologiche di certi pazienti. I benefici secondari che derivano da una malattia cronica aiutano a spiegare perché molti di questi pazienti possono presentare degli inaspettati effetti collaterali ai farmaci e sembrano non migliorare. Infine, le influenze culturali possono condizionare il modo con cui i sintomi vengono riferiti. Approccio al paziente Per i pazienti con disturbi inspiegabili si deve seguire un approccio clinico molto personalizzato, considerando gli aspetti psicosociali della malattia (v. anche Cap. 185). L'anamnesi va raccolta con uno stile di intervista molto aperto. Il medico deve indagare sulla localizzazione e sulla qualità dei sintomi, quando e dove insorgono, sui fattori che li aggravano o che li alleviano e sulla comparsa di altri sintomi associati. Va preso in considerazione il ruolo di eventuali fattori di stress psicologico. Questi dati raramente emergono da un'interrogazione diretta. Un disturbo comportamentale ("funzionale") non esclude la presenza o il futuro sviluppo di una malattia medica. Anche quando l'anamnesi contiene sintomi vaghi, notevoli o bizzarri, i disturbi non devono essere minimizzati. I reperti fisici o i dati che indicano la presenza di una malattia (p. es., sangue nelle feci, febbre, file:///F|/sito/merck/sez03/0210252.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.02

Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

anemia o disturbi metabolici) devono condurre a un'ulteriore valutazione. In caso di dubbio, "non affrettarsi a fare qualcosa, ma temporeggiare". Si deve evitare di richiedere esami non necessari per i pazienti insistenti con disturbi inspiegabili. Quando un problema non è grave, il medico deve aspettare piuttosto che imbarcarsi in un programma diagnostico o terapeutico incerto. Nel frattempo, l'acquisizione di nuove informazioni può indirizzare la valutazione e il trattamento. Gli studi diagnostici possono non spiegare del tutto la condizione clinica di un paziente. L'endoscopia può stabilire la presenza di un'ulcera duodenale, ma non la variabilità nella comparsa e nella severità dei sintomi. L'eliminazione dei sintomi non è sempre sufficiente. I pazienti che raggiungono un adattamento psicologico nei confronti dei loro sintomi possono sviluppare altri tipi di sintomi, quando si risolvono quelli GI o possono ripresentare gli stessi. Gli adattamenti che derivano dalla patologia cronica possono richiedere che la malattia venga accettata e che il trattamento sia diretto a un miglioramento funzionale, nonostante il perdurare dei sintomi.

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Disordini funzionali dell'intestino

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 32. DISORDINI FUNZIONALI DELL'INTESTINO SINDROME DEL COLON IRRITABILE (Colon spastico) Un disturbo della motilità che coinvolge l'intero apparato GI, causando ricorrenti sintomi dei tratti GI superiore e inferiore, inclusi il dolore addominale di grado variabile, la costipazione e/o la diarrea e il meteorismo intestinale.

Sommario: Eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia

Eziologia La causa della sindrome dell'intestino irritabile (SII) è sconosciuta. Non si riesce a identificare alcuna causa organica. I fattori emozionali, la dieta, i farmaci o gli ormoni possono precipitare o aggravare l'aumentata motilità GI. Alcuni pazienti hanno dei disturbi d'ansia, in particolare una sindrome da panico, una sindrome depressiva maggiore e una sindrome da somatizzazione. Tuttavia, lo stress e il conflitto emozionale non sempre coincidono con l'inizio o con la riacutizzazione dei sintomi. Alcuni pazienti affetti dalla SII sembrano aver imparato il comportamento anormale della malattia; cioè, tendono a esprimere il conflitto emozionale come un disturbo GI, di solito come un dolore addominale. Il medico che valuta i pazienti con una SII, particolarmente quelli con sintomi refrattari, deve ricercare la presenza di problemi psicologici irrisolti, inclusa la possibilità di violenze sessuali o fisiche (v. anche Approccio al paziente nel Cap. 21).

Fisiopatologia Nella SII i muscoli circolari e longitudinali del piccolo intestino e del sigma sono particolarmente predisposti alle anomalie motorie. La parte prossimale del piccolo intestino sembra essere iperreattiva all'ingestione di cibo o ai farmaci parasimpaticomimetici. Il transito intestinale è variabile, spesso in modo non correlato ai sintomi. Gli studi della pressione intraluminale del sigma mostrano, infatti, che quando l'astrautura diventa iperreattiva (cioè, con un'aumentata frequenza e ampiezza delle contrazioni), si può verificare una costipazione funzionale; di contro, la diarrea è associata a una ridotta funzione motoria. L'eccessiva produzione di muco, che spesso si verifica nella SII, non è correlata a una lesione mucosa. La sua causa non è chiara, ma potrebbe essere correlata all'iperattività colinergica. Esiste un'ipersensibilità alla normale distensione addominale, con un'aumentata percezione del dolore in presenza di normali quantità e qualità del gas intestinale. file:///F|/sito/merck/sez03/0320336.html (1 of 5)02/09/2004 2.22.03

Disordini funzionali dell'intestino

Il dolore della SII sembra essere dovuto a contrazioni abnormemente violente della muscolatura liscia intestinale oppure a un'aumentata sensibilità alla distensione dell'intestino. Può essere presente anche un'ipersensibilità alla gastrina e alla colecistochinina. Tuttavia, le fluttuazioni ormonali non sono correlate ai sintomi clinici. Il contenuto calorico del cibo assunto può aumentare l'ampiezza e la frequenza dell'attività mioelettrica e della motilità gastrica. L'ingestione di grassi può provocare un ritardo del picco dell'attività motoria che può essere ancora più accentuato nella SII. Nei primi giorni delle mestruazioni si può verificare un aumento transitorio delle prostaglandine E2. Sono queste e non gli estrogeni o il progesterone a causare un aumento del dolore e della diarrea.

Sintomi e segni La SII tende a iniziare nella seconda e terza decade di vita, causando degli attacchi sintomatici che ricorrono a intervalli irregolari. L'inizio nella vita adulta è, invece, raro. I sintomi, di solito, si verificano nel paziente sveglio e, raramente, ne causano il risveglio notturno. Possono essere scatenati da uno stress o dall'ingestione del cibo. I reperti caratteristici della SII sono il dolore alleviato dalla defecazione, un alvo alternante, la distensione addominale, la presenza di muco nelle feci e la sensazione di incompleta evacuazione dopo la defecazione. È molto probabile che il paziente abbia una SII se sono presenti la maggior parte di questi sintomi. In generale, il carattere e la localizzazione del dolore, i fattori precipitanti e le caratteristiche della defecazione sono differenti in ciascun paziente. Variazioni o deviazioni dai sintomi abituali possono suggerire una malattia organica intercorrente che deve essere attentamente studiata. I pazienti con una SII possono avere anche dei sintomi extraintestinali (p. es., fibromialgia, cefalea, dispareunia, sindrome dell'articolazione temporomandibolare). Vengono descritte due forme cliniche di SII. Nella SII con costipazione predominante, la costipazione è frequente, ma l'alvo è variabile. La maggior parte dei pazienti presenta un dolore in corrispondenza di almeno un'area del colon in associazione alla costipazione periodica che si alterna con una normale frequenza di evacuazioni. Le feci spesso contengono muco chiaro o bianco. Il dolore è colico a crisi, oppure si presenta sotto forma di una dolenzia continua; può essere alleviato dall'evacuazione. L'assunzione del cibo comunemente scatena i sintomi. Si possono verificare anche borborigmi, flatulenza, nausea, dispepsia e pirosi. La SII con diarrea predominante è caratterizzata da una diarrea precipitosa che si verifica immediatamente dopo il risveglio mattutino, durante o subito dopo un pasto. La diarrea notturna è rara. Sono frequenti il dolore, i borborigmi e il tenesmo rettale o, a volte, si può verificare l'incontinenza. La diarrea senza dolore non è tipica e deve spingere il medico a considerare altre possibilità diagnostiche (p. es., il malassorbimento e la diarrea osmotica).

Diagnosi La diagnosi della SII si basa sulle caratteristiche del transito intestinale, sull'insorgenza e sui caratteri del dolore e sull'esclusione di altri processi patologici attraverso l'esame obiettivo e gli esami diagnostici di routine. Per la SII sono stati definiti dei criteri standardizzati. I criteri di Roma per la SII includono il dolore addominale alleviato dalla defecazione e un comportamento variabile dell'alterata frequenza delle defecazioni o della forma delle feci, della distensione addominale o del muco. La chiave per la diagnosi è la raccolta di un'accurata anamnesi, che richiede un'attenzione particolare all'elaborazione diretta, ma non controllata, dei sintomi alla presentazione, all'anamnesi della presente malattia, all'anamnesi patologica remota, all'anamnesi familiare, ai rapporti familiari, all'anamnesi farmacologica e alimentare. Altrettanto importanti sono

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Disordini funzionali dell'intestino

l'interpretazione che il paziente dà ai suoi problemi e in generale il suo stato emotivo. La qualità del rapporto che si stabilisce tra medico e paziente è essenziale per un'efficace diagnosi e trattamento. All'esame obiettivo, i pazienti con SII generalmente sembrano in buona salute. La palpazione dell'addome può rivelare una dolorabilità, particolarmente in corrispondenza del quadrante inferiore di sx, a volte associata con un sigma palpabile e dolorabile. Deve essere eseguita di routine un'esplorazione rettale in tutti i pazienti e, nelle donne, anche un'esplorazione vaginale. Va eseguito un esame delle feci alla ricerca del sangue occulto (preferibilmente ripetendolo per 3 gg). Gli esami di routine per le uova e i parassiti o un esame colturale delle feci sono raramente indicati senza una storia di viaggi recenti o di sintomi che possano far nascere il sospetto di una qualche infezione (p. es., febbre, diarrea ematica e inizio acuto di una grave diarrea). La proctosigmoidoscopia deve essere eseguita con uno strumento flessibile a fibre ottiche. L'introduzione del sigmoidoscopio e l'insufflazione dell'aria di frequente scatenano uno spasmo intestinale e il dolore. Di solito l'aspetto e la vascolarizzazione della mucosa sembrano normali. Nei pazienti con diarrea cronica, particolarmente nelle donne anziane, una biopsia della mucosa può escludere una possibile colite microscopica, che ha due varianti: la colite collagena, osservata alla colorazione tricromica come un'aumentata deposizione di collageno nella sottomucosa e la colite linfocitica, caratterizzata da un aumentato numero di linfociti nella mucosa. L'età media alla presentazione, per queste affezioni, è tra i 60 e i 65 anni, con una predominanza del sesso femminile. Come nella SII, la presentazione comprende una diarrea acquosa non ematica. La diagnosi può essere fatta attraverso una biopsia della mucosa rettale. Gli esami di laboratorio devono includere l'emocromo; la VES; un profilo biochimico a 6 o a 12 canali (6 e 12 analisi multiple sequenziali), inclusa l'amilasi sierica; l'analisi delle urine e la titolazione dell'ormone stimolante la tiroide. L'ecografia addominale, il clisma opaco, lo studio rx del tratto GI superiore, l'esofagogastroduodenoscopia o la colonscopia possono essere usati selettivamente, sulla base dell'anamnesi, dell'esame obiettivo, dell'età del paziente e delle valutazioni successive. Tuttavia, questi esami devono essere eseguiti solo quando gli studi meno invasivi e meno costosi mostrano delle anormalità oggettive. La diagnosi di SII non deve mai precludere il sospetto di una malattia intercorrente. Le modificazioni dei sintomi possono segnalare la presenza di un'altra patologia. Per esempio, possono essere clinicamente significativi un cambiamento nella sede, nel tipo o nell'intensità del dolore, un cambiamento nelle abitudini intestinali, la comparsa di costipazione e diarrea, o viceversa, e di nuovi sintomi o disturbi (p. es., diarrea notturna). Altri sintomi, che richiedono indagini mirate, includono la presenza di sangue fresco nelle feci, la perdita di peso, un dolore addominale molto intenso o un'insolita distensione addominale, una steatorrea o l'emissione di feci marcatamente maleodoranti, la febbre e/o i brividi, un vomito persistente, l'ematemesi, i sintomi che risvegliano il paziente dal sonno notturno (p. es., il dolore o lo stimolo a defecare con urgenza) o un costante e progressivo peggioramento dei sintomi. I pazienti con più di 40 anni o anche più giovani possono avere, frequentemente, delle malattie organiche intercorrenti.

Diagnosi differenziale Le comuni malattie che possono essere confuse con la SII comprendono l'intolleranza al lattoso, la malattia diverticolare, la diarrea indotta da farmaci, le malattie delle vie biliari, l'abuso di lassativi, le malattie parassitarie, le enteriti batteriche, le gastriti o le enteriti eosinofile, la colite microscopica (collagena) e le malattie infiammatorie intestinali in fase iniziale. La distribuzione bimodale dell'età dei pazienti con malattia infiammatoria dell'intestino rende imperativa la valutazione sia dei giovani che degli anziani con queste condizioni. Nei pazienti

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al di sopra dei 40 anni, con modificazione delle abitudini dell'alvo, particolarmente in quelli senza precedenti sintomi della SII, bisogna escludere la presenza di polipi e di tumori del colon attraverso la colonscopia. Nei pazienti con > 60 anni, deve essere presa in considerazione la colite ischemica. L'esplorazione vaginale nelle donne aiuta a escludere i tumori e le cisti ovariche o l'endometriosi, che possono simulare una SII. L'ipertiroidismo, la sindrome da carcinoide, il cancro midollare della tiroide, il vipoma e la sindrome di ZollingerEllison sono delle possibilità nei pazienti con diarrea. I pazienti affetti da stipsi senza lesioni anatomiche vanno valutati per quanto riguarda l'ipotiroidismo o l'iperparatiroidismo. Se l'anamnesi del paziente e gli esami di laboratorio indicano un malassorbimento, i test dell'assorbimento devono escludere la sprue tropicale, il morbo celiaco e la malattia di Whipple. Infine, i disordini dell'evacuazione (p. es., la dissinergia del pavimento pelvico) devono essere considerati come una possibile causa della costipazione nei pazienti che riportano un eccessivo sforzo alla defecazione.

Terapia La terapia è di supporto e palliativa. La comprensione del medico e i suoi consigli sono di enorme importanza. Il medico deve spiegare la natura della condizione di base e deve dimostrare in modo convincente al paziente che non è presente alcuna affezione organica. Questo richiede tempo per ascoltare e spiegare la normale fisiologia dell'intestino e l'ipersensibilità dello stesso allo stress, al cibo o ai farmaci. Queste spiegazioni rappresentano le premesse su cui cercare di ristabilire una regolare routine intestinale e di personalizzare la terapia. Devono essere enfatizzate la prevalenza, la cronicità e la necessità di cure continue per la SII. Gli stress psicologici e l'ansia o i disturbi dell'umore devono essere osservati, valutati e trattati (v. Cap. 187 e 189). Una regolare attività fisica aiuta a ridurre lo stress e facilita la funzione intestinale, particolarmente nei pazienti che hanno una stipsi. In genere, va seguita una dieta normale. I pazienti con distensione addominale e con un aumento della flatulenza possono trarre beneficio da restrizioni dietetiche, riducendo o eliminando l'assunzione di fagioli, di cavoli e di altri alimenti che contengono carboidrati fermentabili. Una ridotta assunzione di succo di mele e di succo d'uva, di banane, di noci e di uva passa può inoltre ridurre l'incidenza della flatulenza. I pazienti con segni di intolleranza al lattoso devono ridurre l'assunzione del latte e dei prodotti caseari. La funzione intestinale può, inoltre, essere disturbata dall'ingestione di sorbitolo, mannitolo, fruttoso o di una combinazione di sorbitolo e fruttoso. Il sorbitolo e il mannitolo sono dei dolcificanti artificiali usati nei cibi dietetici e come veicolo per i farmaci, mentre il fruttoso è un comune componente della frutta, delle bacche e delle piante. I pazienti con dolore addominale post-prandiale possono provare una dieta con un basso contenuto in grassi e con un maggior apporto proteico. L'aumento delle fibre nella dieta può aiutare molti pazienti con SII, particolarmente quelli con stipsi. Si può utilizzare un blando agente che aumenti la massa fecale (p. es., la crusca cruda, iniziando con 15 ml [1 cucchiaio da tavola]a ciascun pasto, insieme a una maggior assunzione di liquidi). In alternativa, la mucillagine idrofilica di psillio, con 2 bicchieri d'acqua, tende a stabilizzare il contenuto d'acqua dell'intestino e fornisce una buona massa fecale. Questi agenti servono a trattenere l'acqua nell'intestino e a prevenire la stipsi. Inoltre possono ridurre il tempo di transito colico e ammortizzano lo spasmo delle pareti intestinali. Le fibre aggiunte in piccole quantità possono anche aiutare a ridurre la diarrea indotta dalla SII assorbendo l'acqua e solidificando le feci. Tuttavia, l'eccessivo uso di fibre può causare una distensione addominale e diarrea. Le dosi delle fibre devono perciò essere aggiustate sulle necessità individuali del paziente. I farmaci anticolinergici (antispastici, p. es., la iosciamina, 0,125 mg assunti da 30 a 60 min prima dei pasti) possono essere usati in combinazione con le fibre. È scoraggiato l'uso di narcotici, dei sedativi ipnotici e degli altri farmaci che

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producono dipendenza. Nei pazienti con diarrea, si può somministrare, prima dei pasti, il difenossilato a dosi di 2,5-5 mg (1 o 2 cp) oppure la loperamide a dosi di 2-4 mg (1 o 2 capsule). L'uso cronico di antidiarroici è sconsigliato, perché si può sviluppare una tolleranza all'effetto antidiarroico. Gli antidepressivi (p. es., la desipramina, l'imipramina e l'amitriptilina 50-150 mg al giorno) sono utili in molti pazienti con entrambi i tipi di SII. Oltre alla stipsi e alla diarrea, il dolore addominale e la distensione sono alleviati dagli antidepressivi. Questi farmaci possono ridurre il dolore regolando in senso riduttivo l'attività del midollo spinale e delle afferenze corticali che provengono dall'intestino. Infine, in alcuni pazienti certi olii aromatici (carminativi) possono rilasciare la muscolatura liscia e alleviare il dolore causato dai crampi. L'essenza di menta piperita è l'agente di questa classe più frequentemente usato.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 21. DISTURBI FUNZIONALI DELL'APPARATO GASTROINTESTINALE SUPERIORE Sintomi riferibili al sistema GI superiore in cui la condizione patologica è assente, scarsamente definita o, se presente, non spiega interamente il quadro clinico.

DOLORE TORACICO FUNZIONALE DI PRESUNTA ORIGINE ESOFAGEA Episodi di dolore toracico mediano che si pensa derivino dall'esofago, ma in cui non è stata riscontrata alcuna anomalia organica (p. es., patologia cardiaca, esofagite).

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Questa frequente situazione è, talvolta, chiamata dolore toracico non cardiaco. Poiché il dolore è molto simile a quello anginoso, molti pazienti vengono sottoposti a una valutazione cardiologica, inclusa la coronarografia, per escludere una patologia cardiaca. Circa il 50% dei pazienti sottoposti a uno studio dell'esofago, per la presenza di questo dolore, ha una malattia da reflusso gastroesofageo (RGE) o un disturbo della motilità esofagea (v. Cap. 20). Tuttavia, questi reperti non sono sufficienti a spiegare il dolore perché, da una parte i sintomi possono verificarsi senza reflusso o alterazioni della motilità e dall'altra queste anomalie si verificano, spesso, senza sintomi. Un'aumentata sensibilità dei recettori dei nervi esofagei (ipersensibilità viscerale) e del midollo spinale o un'amplificazione neurologica centrale dei normali messaggi afferenti (allodinia) sono stati coinvolti nella patogenesi del dolore toracico funzionale, a supporto del ruolo svolto dal disturbo psicosociale. La valutazione psicologica dei pazienti con dolore toracico funzionale mostra frequentemente ansia, depressione, somatizzazione e scarsa sopportazione. Una sindrome da panico viene diagnosticata in più del 50% dei pazienti.

Diagnosi Poiché la valutazione diagnostica delle malattie cardiache ed esofagee può essere complessa, invasiva e costosa, bisogna valutare con attenzione quali test eseguire. Un paziente anziano può richiedere maggiori accertamenti cardiologici per escludere la malattia coronarica, mentre un paziente più giovane può essere trattato al meglio dal punto di vista sintomatico. La valutazione cardiaca può comprendere un ECG, il test da sforzo e probabilmente degli esami più invasivi. Per escludere le patologie esofagee, gli esami possono comprendere le rx con bario, eseguite con tecnica convenzionale o in scopia e l'esofagoscopia. Per identificare le patologie motorie si possono eseguire una manometria esofagea, con o senza edrofonio, e il monitoraggio ambulatoriale del pH per escludere il RGE. Quando disponibile, la manometria esofagea ambulatoriale può aumentare la sensibilità diagnostica per una patologia esofagea motoria. In alcuni centri, la valutazione delle soglie di sensibilità, con un palloncino barostato, può file:///F|/sito/merck/sez03/0210253a.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.04

Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

identificare i pazienti con ipersensibilità viscerale. È essenziale una valutazione psicosociale per identificare le patologie trattabili (p. es., la sindrome da panico, la depressione).

Terapia Devono essere trattate le patologie cardiache, esofagee e psicologiche. La terapia del dolore toracico non cardiaco può iniziare con trial empirici mirati sull'esofago (p. es., i calcioantagonisti per le alterazioni della motilità esofagea, gli anti-H2 per il RGE), anche se è difficile ottenere risultati brillanti. Le terapie psicologiche (p. es., le tecniche di rilassamento, l'ipnosi, la terapia cognitivocomportamentale) possono aiutare a ridurre l'ansia associata e a migliorare le strategie di sopportazione. Infine, se i sintomi sono frequenti o invalidanti, si può tentare con degli antidepressivi a basse dosi (p. es., l'amitriptilina, 25-50 mg la sera o la fluossetina, 20 mg die).

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 21. DISTURBI FUNZIONALI DELL'APPARATO GASTROINTESTINALE SUPERIORE Sintomi riferibili al sistema GI superiore in cui la condizione patologica è assente, scarsamente definita o, se presente, non spiega interamente il quadro clinico.

DISPEPSIA FUNZIONALE (Dispepsia non ulcerosa) Fastidio spesso descritto come indigestione, gonfiore, senso di ripienezza o come dolore di tipo urente o crampiforme, localizzato alla parte superiore dell'addome o al torace, che non ha una causa specifica alla valutazione diagnostica.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia

La dispepsia è frequente. L'evidenza endoscopica e radiologica delle anomalie organiche che possono spiegare i sintomi dispeptici è così variabile (dal 14 all'87%) che la stima della loro incidenza non ha alcun significato. I sintomi possono essere correlati a diverse malattie e quindi è difficile stabilire un rapporto tra loro e gli stati fisiopatologici. Un'associazione tra i sintomi e le alterazioni fisiopatologiche non implica necessariamente un rapporto causale. Le duodeniti radiologiche o istologiche, le disfunzioni piloriche con reflusso alcalino, i disturbi della motilità, le gastriti da Helicobacter pylori e le colelitiasi sono delle condizioni che possono esser presenti, ma che non sempre possono spiegare la sintomatologia clinica.

Sintomi e segni Spesso insieme al dolore o al bruciore epigastrico o retrosternale, i pazienti riferiscono un senso di sazietà precoce, una distensione addominale e borborigmi. L'assunzione del cibo può peggiorare o alleviare il dolore. Tra gli altri sintomi possono essere presenti l'anoressia e la nausea. Si possono verificare degli stati disforici (p. es., l'ansia, la depressione), particolarmente tra i pazienti con i sintomi più refrattari.

Diagnosi Non si può consigliare alcun protocollo di valutazione. L'anamnesi e l'esame obiettivo potranno stabilire se sono indicati o meno ulteriori studi. Devono essere eseguiti almeno un emocromo e una ricerca del sangue occulto nelle feci.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Se si sospetta un'ischemia cardiaca, è appropriato eseguire una valutazione cardiaca. Uno studio rx dell'apparato digerente può essere indicato se il paziente presenta anche disfagia, calo ponderale, vomito o una modificazione della sintomatologia in seguito all'assunzione del cibo. Nei pazienti che lamentano una sintomatologia persistente e inspiegabile, è consigliabile eseguire un'esofagogastroduodenoscopia per ottenere informazioni sulle alterazioni della mucosa. L'infezione da H. pylori può essere diagnosticata con una biopsia per via endoscopica o direttamente con la misurazione dell'idrogeno nell'aria espirata. Tuttavia, bisogna essere cauti nello spiegare la sintomatologia con questa diagnosi o con qualunque altro reperto aspecifico. La manometria esofagea è indicata solamente se la disfagia, il rigurgito o l'evidenza di un'inalazione indicano la presenza di un disturbo motorio dell'esofago.

Diagnosi differenziale La dispepsia funzionale è di solito una condizione benigna che, per definizione, non ha una correlazione anatomo-patologica. Tuttavia, i sintomi dispeptici possono indicare un'ischemia cardiaca (in cui lo sforzo fisico aumenta il fastidio), un RGE, una gastrite o una malattia ulcerosa peptica (p. es., causata dall'H. pylori o dai FANS) o una colecistite. Le cause psicologiche comprendono l'ansia, con o senza aerofagia, un disturbo di conversione, la somatizzazione nella depressione o l'ipocondria. L'intolleranza al lattoso può simulare questi sintomi (v. Intolleranza ai carboidrati nel Cap. 30). Una storia di stipsi alternata a diarrea suggerisce come eziologia un disturbo della motilità intestinale, come la sindrome del colon irritabile (v. Cap. 32). La colelitiasi è difficilmente la causa della dispepsia in assenza di altri reperti clinici. In questa situazione, se un'ecografia addominale evidenzia dei calcoli in una colecisti peraltro normalmente funzionante, la colecistectomia può non risolvere la dispepsia. Comunque, un'anamnesi e dei reperti obiettivi compatibili con una colecistite o con una coledocolitiasi (v. Cap. 48) richiedono una valutazione approfondita del sistema biliare.

Terapia Normalmente la dispepsia funzionale necessita per prima cosa della rassicurazione del paziente e di un trattamento sintomatico, con un attento controllo nel tempo. Per brevi periodi, si può tentare il trattamento dei sintomi legati al reflusso e al senso di fastidio epigastrico con gli antiacidi, con gli H2antagonisti o con gli inibitori della pompa protonica. Se viene posta la diagnosi di infezione da H. pylori, si può provare un trattamento con subsalicilato di bismuto e con un antibiotico. Una variazione dello stato clinico può richiedere una valutazione più estesa se insorgono nuovi problemi o se i sintomi persistono e diventano più invalidanti; tuttavia, per la maggior parte dei pazienti con dispepsia funzionale, può essere sufficiente una continua osservazione associata alla rassicurazione e al sostegno, con la riduzione al minimo degli studi diagnostici.

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BOLO ISTERICO ("Nodo in gola", globus hystericus) Sensazione soggettiva di un nodo o di una massa in gola.

Sommario: Introduzione Sintomi Diagnosi Terapia

Non è stato stabilito alcun meccanismo fisiologico o alcuna eziologia specifica. Alcuni studi suggeriscono l'esistenza, al momento della comparsa dei sintomi, di elevate pressioni cricofaringee (sfintere esofageo superiore) o di un'anormale motilità ipofaringea. La sensazione può derivare da un RGE o dalle frequenti deglutizioni e dalla secchezza delle fauci che si associano all'ansia e ad altri stati emozionali. Anche se non associato a uno specifico disturbo psichiatrico o a fattori stressanti, il globo può essere un sintomo di alcuni stati dell'umore (p. es., sentimenti di grande dolore, di orgoglio o persino di felicità per aver superato una difficoltà) e alcune persone possono avere una predisposizione innata o acquisita a rispondere in questo modo. Più frequentemente è coinvolta la repressione di sentimenti tristi.

Sintomi I sintomi assomigliano alla normale reazione che si ha quando ci si sente "strozzare". Con il globo, i sintomi non peggiorano durante la deglutizione, il cibo non si ferma in gola e l'alimentazione o le bevande spesso alleviano il disturbo. Non c'è dolore né calo ponderale. Nel corso di stati prolungati di angoscia non risolta o patologica si possono verificare dei sintomi cronici che a volte si risolvono con il pianto.

Diagnosi Un'anamnesi e un esame obiettivo attenti, di solito, escludono i disturbi che possono essere confusi con il bolo isterico, come i veli cricofaringei (esofago superiore), lo spasmo esofageo diffuso sintomatico, il RGE, i disturbi della muscolatura scheletrica (miastenia grave, miotonia distrofica, polimiosite) o le lesioni occupanti spazio nel collo o nel mediastino che provocano una compressione dell'esofago. Deve essere esclusa la vera disfagia, che indicherebbe un disturbo motorio od organico della faringe o dell'esofago.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Se vengono evidenziati dei fattori psicosociali e l'esame obiettivo è negativo, è verosimile la diagnosi di globo; se si è ancora in dubbio, un emocromo, una rx dell'esofago diretta o in cinefluoroscopia, una rx del torace e uno studio manometrico dell'esofago, come indicato dai dati clinici, possono escludere la presenza di altre malattie.

Terapia La terapia comprende la rassicurazione e una benevola comprensione. Nessun farmaco si è dimostrato utile. La depressione, lo stato ansioso o gli altri disturbi comportamentali di base devono essere trattati in modo da sostenere il paziente con l'esecuzione, se necessario, di una consulenza psichiatrica. A volte, può essere utile far notare al paziente l'associazione tra i suoi sintomi e lo stato d'animo.

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RUMINAZIONE DELL'ADULTO Rigurgito, solitamente involontario, di piccole quantità di cibo dallo stomaco (più frequentemente, 15-30 min dopo il pasto), che viene di nuovo masticato e, nella maggior parte dei casi, nuovamente deglutito.

Sommario: Introduzione Sintomi Diagnosi Terapia

La ruminazione è frequentemente osservata nei bambini. La vera incidenza negli adulti è sconosciuta, perché sembra un atto effettuato prevalentemente in privato (in passato, alcuni individui offrivano dimostrazioni pubbliche nelle quali oggetti ingoiati a caso venivano rigurgitati selettivamente). La fisiopatologia è scarsamente conosciuta. Nell'uomo non è stata dimostrata la peristalsi inversa che si verifica negli animali ruminanti. La malattia è probabilmente una cattiva abitudine appresa e può essere parte di un disturbo dell'alimentazione. L'individuo impara ad aprire lo sfintere esofageo inferiore e quindi a spingere il contenuto gastrico nell'esofago e poi in gola aumentando la pressione gastrica attraverso dei movimenti ritmici di contrazione e rilasciamento del diaframma.

Sintomi Di solito non ci sono sintomi e il paziente non riferisce nausea, dolore o disfagia. Durante i periodi di stress, il paziente può essere meno attento nel nascondere la ruminazione e, altre persone, notando per la prima volta questo disturbo, lo inviano dal medico.

Diagnosi La ruminazione è di solito diagnosticata tramite l'osservazione. L'approccio generale al paziente può mettere in evidenza delle difficoltà emozionali di base. È necessario uno studio rx dell'apparato digerente superiore per escludere le affezioni che possono causare un'ostruzione meccanica o un diverticolo di Zenker e una manometria esofagea per escludere un disturbo della motilità. Raramente gli studi radiologici con mezzi di contrasto baritati sono riusciti a dimostrare il disturbo.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

Terapia La terapia è di supporto. Sebbene la terapia farmacologica generalmente non sia utile, la somministrazione di 10-20 mg PO qid di cisapride, uno stimolante dell'attività motoria intestinale, ha avuto un successo variabile (Attenzione: rischio di gravi interazioni farmacologiche). Se motivato, il paziente può rispondere a tecniche comportamentali (p. es., rilassamento, biofeedback). La consulenza psichiatrica è necessaria quando il cibo viene rigurgitato di continuo e causa una perdita di peso.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

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ALITOSI Odore sgradevole del respiro. ALITOSI PSICOGENA Disturbo soggettivo di alito sgradevole, probabilmente basato su fattori psicologici, che non viene avvertito dagli altri.

Sommario: Introduzione Terapia

L'alitosi psicogena si può verificare come sintomo di varie sindromi psicologiche. Può essere associata anche all'ansia e può essere riferita dal paziente ipocondriaco che comunemente esagera le normali sensazioni corporee. A volte il sintomo può riflettere un grave disturbo mentale (p. es., delusione somatica). Il paziente ossessivo può avere un senso di sporcizia che lo pervade, mentre il soggetto paranoico può avere la sensazione che i suoi organi siano in disfacimento.

Terapia È efficace la rimozione o il trattamento delle cause specifiche, quando identificate. Non si devono intraprendere complesse valutazioni diagnostiche se l'anamnesi e l'esame obiettivo non suggeriscono la presenza di una malattia di base. La disponibilità ad ascoltare e un atteggiamento rassicurante da parte del medico aiutano la maggior parte dei pazienti con alitosi psicogena. La persistenza di questo disturbo nonostante le rassicurazioni, può rendere necessaria una consulenza psichiatrica.

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Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

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SINGHIOZZO (Singulto; singultus) Spasmo involontario ripetuto del diaframma, seguito dall'immediata chiusura della glottide, che controlla l'ingresso dell'aria e produce il caratteristico rumore.

Sommario: Eziologia Terapia

Eziologia Il singhiozzo fa seguito all'irritazione dei nervi afferenti o efferenti o dei centri midollari che controllano i muscoli respiratori, particolarmente il diaframma. I nervi afferenti possono essere stimolati dall'ingestione di sostanze calde o irritanti. Alte concentrazioni ematiche di CO2 inibiscono il singhiozzo; bassi valori di CO2 lo accentuano. Il singhiozzo è più frequente negli uomini e spesso accompagna la pleurite diaframmatica, la polmonite, l'uremia, l'alcolismo o gli interventi chirurgici sull'addome. Si può riuscire ad accertare la causa degli attacchi prolungati o ricorrenti, ma la causa degli altri episodi può non essere mai riconosciuta. Le cause comprendono le patologie dello stomaco e dell'esofago, le malattie intestinali, la pancreatite, la gravidanza, l'irritazione vescicale, le metastasi epatiche e le epatiti. Ne possono essere responsabili anche le lesioni toraciche e mediastiniche o gli interventi chirurgici. I tumori della fossa posteriore o gli infarti possono stimolare i centri nervosi nel midollo allungato.

Terapia Possono essere tentate molte misure semplici: si può aumentare la PaCO2 e inibire l'attività diaframmatica attraverso una serie di profondi respiri trattenuti o facendo respirare profondamente più volte dentro una busta di carta (Attenzione: non una busta di plastica, perché si può attaccare alle narici). Può funzionare anche la stimolazione vagale, bevendo rapidamente un bicchiere di acqua, ingoiando del pane secco o del ghiaccio tritato, inducendo il vomito o applicando una trazione sulla lingua o una pressione sui globi oculari. La compressione del seno carotideo (massaggio) può essere tentata con le opportune precauzioni. Una forte pressione digitale può essere applicata sopra il nervo frenico dietro l'articolazione sternoclavicolare. Altre manovre comprendono il lavaggio gastrico, la stimolazione galvanica del nervo frenico e la dilatazione dell'esofago con un piccolo sondino. La file:///F|/sito/merck/sez03/0210257c.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.08

Disturbi funzionali dell'apparato gastrointestinale superiore

sovradistensione gastrica può essere alleviata dall'aspirazione continua. L'inalazione del 5% di CO2 in O2 è utile, particolarmente durante il periodo postoperatorio. Nella pleurite diaframmatica, può essere utile uno stretto supporto adesivo della parete inferiore del torace. I farmaci che controllano il singhiozzo persistente includono la scopolamina, l'amfetamina, la proclorperazina, la clorpromazina, il fenobarbitale e i narcotici. La metoclopramide, 10 mg PO bid o qid, sembra essere utile in alcuni pazienti. Tuttavia, il trattamento con i farmaci è spesso elusivo. Nei casi refrattari e preoccupanti, si può eseguire un blocco del nervo frenico con piccole quantità di una soluzione di procaina allo 0,5%, facendo molta attenzione a non causare depressione respiratoria e il pneumotorace. Anche la frenicotomia bilaterale non riesce a curare tutti i casi.

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Emorragia gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 22. EMORRAGIA GASTROINTESTINALE Espulsione di sangue con il vomito (ematemesi) o attraverso il retto (ematochezia), oppure evacuazione di feci picee (melena) o sanguinamento cronico occulto dal tratto GI

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Un sanguinamento GI può originare in qualunque punto, dalla bocca all'ano, e può essere evidente od occulto. L'ematemesi, o vomito di sangue rosso, indica l'origine del tratto gastrointestinale superiore del sanguinamento (quasi sempre al di sopra del legamento di Treitz) che è spesso importante, di solito arterioso o da una varice. Il vomito "a posa di caffè" è dovuto a un sanguinamento che si è ridotto o si è interrotto, e alla conversione dell'Hb, da parte dell'acido gastrico, in ematina marrone. L'ematochezia di solito indica un sanguinamento del tratto GI inferiore, ma può derivare da un sanguinamento massivo del tratto GI superiore che si associa a un rapido transito del sangue attraverso l'intestino. La melena indica, più frequentemente, un sanguinamento del tratto GI superiore, ma può essere causata anche da un sanguinamento dell'intestino tenue o del colon dx. Perché si verifichi una melena, che può continuare per diversi giorni dopo una grave emorragia e non indica necessariamente un sanguinamento in atto, ci deve essere stata la perdita di circa 100-200 ml di sangue nel tratto GI superiore. Le feci nere, negative alla ricerca del sangue occulto, possono essere dovute all'ingestione di ferro, di bismuto o di diversi cibi e non devono essere scambiate per melena. Un sanguinamento cronico occulto può originare in qualunque punto del tratto GI e può essere evidenziato dall'esame chimico di un campione di feci. Le più comuni cause di emorragia gastrointestinale sono elencate nella Tab. 22-1.

Sintomi e segni Le manifestazioni di un sanguinamento GI dipendono dalla sede, dall'entità del sanguinamento e dalla malattia concomitante di base; p. es., un paziente con una cardiopatia ischemica, dopo un sanguinamento GI acuto può presentare un'angina o un infarto del miocardio. L'insufficienza cardiaca, l'ipertensione, le malattie polmonari, l'insufficienza renale e il diabete mellito possono essere aggravati da un'importante emorragia GI, che si può presentare con un quadro di shock (v. Cap. 204). Un'emorragia di grado minore si può manifestare come un'alterazione ortostatica del polso (una modificazione > 10 battiti/ min) e della PA (una caduta pressoria ≥0; 10 mm Hg). Queste alterazioni ortostatiche devono essere interpretate con cautela nei pazienti con concomitanti malattie cardiache, con affezioni vascolari periferiche o in quei pazienti che assumono farmaci noti per la loro influenza sulle resistente vascolari periferiche. I pazienti con una perdita cronica di sangue possono presentare i sintomi e i segni di un'anemia (p. es., debolezza, facile stancabilità, pallore, dolore toracico, vertigini) o di una cirrosi e di un'ipertensione portale. Un sanguinamento GI può precipitare un'encefalopatia epatica (alterazione dello stato mentale secondaria a

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un'insufficienza epatica) o una sindrome epatorenale (insufficienza renale secondaria a un'insufficienza epatica).

Diagnosi La stabilizzazione del paziente con delle trasfusioni e con qualsiasi altro tipo di trattamento è essenziale, prima o durante la valutazione diagnostica. Tutti i pazienti devono essere sottoposti a un'accurata raccolta anamnestica e a un esame obiettivo completo; agli esami ematochimici, incluso lo studio della coagulazione (conta delle piastrine, tempo di protrombina e tempo di tromboplastina parziale); agli esami di funzionalità epatica (bilirubinemia, fosfatasi alcalina, albuminemia, AST, ALT), con il monitoraggio dell'Hb e dell'Htc. Una storia di dolore epigastrico alleviato dal cibo e/o dagli antiacidi suggerisce una malattia ulcerosa peptica. Comunque, molti pazienti con ulcere sanguinanti non presentano alcuna storia di dolore. La perdita di peso e l'anoressia fanno pensare a una neoplasia GI. La disfagia indirizza verso un carcinoma o una stenosi esofagea. Il vomito e la nausea prima dell'inizio dell'emorragia possono indicare una lesione a tipo Mallory-Weiss dell'esofago, anche se circa il 50% dei pazienti con lesioni di questo tipo non lamenta tali disturbi. Una storia di emorragie (p. es., porpore, ecchimosi, ematuria) può indicare una diatesi emorragica (p. es., emofilia). Una diarrea ematica con febbre e dolore addominale è indicativa di una malattia infiammatoria dell'intestino (colite ulcerosa o morbo di Crohn) o di una colite infettiva (p. es., da Shigella, Salmonella, Campylobacter o da ameba). L'ematochezia o la presenza di sangue occulto nelle feci può essere il primo segno di un carcinoma o di un polipo del colon, particolarmente nei pazienti al di sopra dei 45 anni. Le cause più comuni di sanguinamento massivo, indolore, del tratto inferiore del sistema GI nei pazienti con età > 60 anni, sono l'angiodisplasia, la diverticolosi e un cancro o un polipo ulcerati. Il sangue fresco che vernicia le feci formate suggerisce un'origine distale del sanguinamento (p. es., emorroidi interne). Un'anamnesi farmacologica può rivelare l'uso di farmaci che ledono la barriera gastrica e danneggiano la mucosa (p. es., aspirina, FANS). È importante rilevare la quantità e la durata dell'assunzione di queste sostanze. Molti pazienti non sono consapevoli che molti prodotti da banco contro la tosse e gli analgesici, contengono aspirina. L'esame obiettivo, dopo la stabilizzazione dei segni vitali, comprende un attento esame del nasofaringe, per escludere un sanguinamento che origini dal naso e dalla gola. Bisogna ricercare i segni di un trauma, specie del capo, del torace e dell'addome. Gli angiomi stellati, l'epatosplenomegalia o la presenza di ascite indicano una malattia epatica cronica. Una valvulopatia cardiaca può essere associata con un'emorragia intestinale. Le malformazioni arterovenose, specie delle mucose, possono essere associate alla teleangectasia emorragica ereditaria (Sindrome di Rendu-Osler-Weber), in cui angiomi multipli del tratto GI si associano a emorragie episodiche ricorrenti. Le teleangectasie della matrice dell'unghia e dell'intestino possono essere associate anche con la sclerodermia o con le malattie del tessuto connettivo. L'esplorazione digitale del retto è necessaria per evidenziare tumefazioni, ragadi ed emorroidi. Va anche notato il colore delle feci (nere, rosse o marroni). Un esame chimico di un campione delle feci per la ricerca del sangue occulto completerà la valutazione. Tutti i pazienti con sospetta emorragia del tratto GI superiore vanno sottoposti ad aspirazione e lavaggio naso-gastrico. Un drenaggio nasogastrico ematico indica un sanguinamento del tratto GI superiore, anche se il 10% dei pazienti affetti da un tale sanguinamento ha un aspirato nasogastrico negativo. L'aspetto a posa di caffè indica che l'emorragia è lenta o si è interrotta, mentre la presenza di sangue rosso vivo indica un'emorragia attiva e vigorosa. Il sondino nasogastrico può essere utile anche per il monitoraggio continuo del sanguinamento.

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La panendoscopia (esame dell'esofago, dello stomaco e del duodeno con un endoscopio flessibile) è l'esame più attendibile per fare la diagnosi e stabilire la sede del sanguinamento. Nell'emorragia GI superiore acuta, l'rx con bario dell'apparato GI superiore non ha alcun ruolo, perché è meno accurato della panendoscopia superiore, non riesce a identificare la fonte emorragica tra due o più lesioni e può interferire con una successiva endoscopia o angiografia. Se non è disponibile la panendoscopia, lo studio rx con pasto baritato del tratto GI superiore può essere eseguito una volta che il paziente è stabile da ≥0; 36-48 h. Questo esame deve essere tenuto in considerazione anche in un paziente che presenta un'evidente emorragia dal tratto GI superiore, ma la cui panendoscopia è negativa o inconcludente. Prima dell'esame, il paziente deve essere adeguatamente stabilizzato e il volume di sangue ripristinato. In presenza di ematochezia, si ricerca la presenza di lesioni distali (p. es., emorroidi, malattie infiammatorie dell'intestino, cancri, polipi), di solito, con la sigmoidoscopia flessibile, che è il primo test diagnostico insieme all'anoscopia eseguita con uno strumento rigido. Se questi esami non permettono una diagnosi e l'emorragia attiva continua, è indicata un'ulteriore valutazione. Deve essere eseguita un'aspirazione nasogastrica per escludere un'origine GI superiore. Se l'aspirato non contiene bile o è positivo per sangue o ha l'aspetto a posa di caffè, va effettuata una panendoscopia del tratto GI superiore. Se l'aspirato nasogastrico è negativo per sangue o c'è bile, è indicata una colonscopia d'urgenza o di elezione, a seconda della gravità dell'ematochezia. La colonscopia d'urgenza, in mani esperte e dopo un'adeguata preparazione dell'intestino (p. es., una purga di solfato per via orale per pulire l'intestino dal sangue, dai coaguli e dalle feci), ha un'alta percentuale di successo nel diagnosticare le sedi del sanguinamento colico. L'angiografia e la scintigrafia con colloidi o GR marcati con il tecnezio possono avere un certo valore, ma l'entità del sanguinamento necessaria alla localizzazione del sanguinamento stesso, limita la loro utilità. L'angiografia, infatti, può mostrare uno stravaso del mezzo di contrasto solo se l'emorragia ha un flusso > 0,5 ml/min (alcuni dicono > 1 ml/ min). Nei pazienti in cui l'ematochezia si arresta, c'è l'indicazione a una colonscopia di elezione La diagnosi di un sanguinamento occulto spesso richiede un saggio utilizzo degli esami radiologici ed endoscopici per stabilire la diagnosi. La decisione di eseguire un clisma opaco invece di una colonscopia, dipende da numerosi fattori: la disponibilità locale, l'esperienza e l'approvazione da parte del paziente. Generalmente si preferisce la colonscopia nelle emorragie del tratto GI inferiore, ma la combinazione del clisma opaco a doppio contrasto e della sigmoidoscopia rappresenta una valida alternativa quando la colonscopia non è disponibile o viene rifiutata dal paziente. Se il paziente è anemico e presenta del sangue occulto nelle feci, la colonscopia può essere più efficace, a fini diagnostici, del clisma opaco. Se lo studio iniziale con il clisma opaco e la sigmoidoscopia è negativo o rivela solamente la presenza di diverticoli, deve essere eseguita una colonscopia. Se lo studio del tratto GI inferiore è negativo e il paziente presenta una persistente evidenza di un sanguinamento occulto all'esame delle feci o di sintomi suggestivi di una malattia del tratto GI superiore, si deve eseguire una panendoscopia. Se la panendoscopia e la colonscopia sono negative e persiste il sangue occulto nelle feci, si deve eseguire uno studio rx del tratto GI superiore e del piccolo intestino, un'endoscopia del piccolo intestino (enteroscopia) o una scintigrafia con colloidi o GR marcati con tecnezio.

Terapia L'ematemesi, l'ematochezia o la melena devono essere considerate, fino a prova contraria, un'emergenza. Si raccomanda il ricovero in un reparto di terapia intensiva per tutti i pazienti con una grave emorragia GI. L'équipe che deve trattare il paziente comprende un gastroenterologo, un chirurgo con esperienza in chirurgia GI e personale infermieristico esperto. Una delle cause principali di morbilità e di mortalità nei pazienti con un'emorragia GI attiva è rappresentata dall'inalazione del sangue con successiva compromissione respiratoria, particolarmente nei pazienti con riflessi inadeguati o che sono obnubilati o in file:///F|/sito/merck/sez03/0220258.html (3 of 5)02/09/2004 2.22.09

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stato di incoscienza. Per prevenire questa complicanza nei pazienti con uno stato mentale alterato, si deve prendere in considerazione l'intubazione endotracheale per proteggere le vie aeree. Stabilizzazione e ripristino della massa ematica: la maggior parte delle emorragie GI si arresta spontaneamente (p. es., i sanguinamenti del tratto GI superiore si arrestano spontaneamente in circa l'80% dei pazienti non affetti da un'ipertensione portale). Una perdita ematica importante si manifesta con una frequenza del polso > 110 pulsazioni/min, una PA sistolica < 100 mm Hg, una caduta ortostatica della pressione sistolica ≥0; 16 mm Hg, oliguria, estremità fredde e sudate e spesso alterazioni dello stato mentale dovute a una diminuita perfusione cerebrale (confusione, disorientamento, sonnolenza, perdita di coscienza, coma). L'Htc rappresenta un buon indice della perdita ematica, ma può non essere accurato se il sanguinamento si è verificato da poco, poiché il completo ripristino della volemia attraverso l'emodiluizione può impiegare diverse ore. Solitamente si eseguono delle trasfusioni per mantenere l'Htc intorno a 30 se c'è il rischio di un'ulteriore emorragia, se è presente una malattia vascolare di base, se sono presenti delle gravi malattie associate, se il malato è in condizioni critiche o se è anziano. La maggior parte dei medici che si occupa di trasfusioni raccomanda ora di trasfondere i singoli componenti ematici e non il sangue intero. Dopo il ripristino di un'adeguata volemia, il paziente deve essere continuamente osservato per la comparsa dei segni di un ulteriore sanguinamento (p. es., un aumento della frequenza cardiaca, una diminuita PA, una nuova ematemesi di sangue rosso vivo, la ricorrenza di feci liquide e picee). Se il paziente vomita o se si vuole monitorare un'emorragia continua o ricorrente si può usare l'aspirazione gastrica continua attraverso un sondino nasogastrico (preferibilmente una pompa di Salem). Il lavaggio attraverso una sonda di grandi dimensioni (Ewald) può essere utile nello svuotare lo stomaco dai coaguli, soprattutto prima di un'endoscopia diagnostica. La terapia specifica dipende dalla sede del sanguinamento. Per il trattamento dell'ulcera peptica, una volta che l'emorragia è sotto controllo, v. il Cap. 23. Raramente è necessario un intervento chirurgico d'urgenza per controllare un sanguinamento acuto o una nuova emorragia, anche se la coagulazione endoscopica (con l'elettrocoagulazione bipolare, con le iniezioni sclerosanti, con le sonde termiche o con il laser), disponibile nella maggior parte degli ospedali, è di solito in grado di arrestare l'emorragia, almeno temporaneamente. È particolarmente importante ottenere un controllo strumentale precoce del sanguinamento gastrico negli anziani, per ridurre al minimo le percentuali di mortalità. Al momento dell'endoscopia diagnostica, il corretto trattamento di un'ulcera attiva sanguinante o di un vaso visibile che non sta sanguinando, localizzato sul fondo dell'ulcera, è rappresentata dall'elettrocoagulazione eseguita per via endoscopica. Un'emorragia attiva da varici può essere trattata con la vasopressina o con l'octeotride, con la sonda di tamponamento esofagogastrica (Sengstaken-Blakemore) o gastrica (Linton), con la scleroterapia o la legatura endoscopiche, con lo shunt porto-sistemico intraepatico transgiugulare (TIPS) o, raramente, con lo shunt chirurgico porto-sistemico. Nessun metodo è nettamente superiore agli altri, anche se la maggior parte degli ospedali utilizza la terapia sclerosante o la legatura come trattamento primario delle emorragie da varici esofagee. In pazienti selezionati in cui la terapia sclerosante o la legatura hanno fallito, devono essere prese in considerazione una TIPS, uno shunt chirurgico o il trapianto di fegato. L'angiografia ha un ruolo limitato, ma potenzialmente importante, sia nella diagnosi che nel trattamento di un'emorragia del tratto GI superiore. Nel caso si riesca a identificare la lesione, il catetere può essere lasciato in sede per l'infusione di vasopressina o per la terapia embolizzante. La maggior parte delle emorragie del tratto GI inferiore non richiede una specifica terapia d'urgenza. Per una grave emorragia diverticolare in atto, può essere necessario un intervento chirurgico o un esame angiografico con l'infusione intraarteriosa di vasopressina. Nel caso di un sanguinamento abbondante o ricorrente da un angioma del colon, possono essere usate sia la coagulazione endoscopica con una sonda termica che l'elettrocoagulazione bipolare. Gli angiomi che non sono controllabili con il trattamento endoscopico, vengono trattati chirurgicamente. La polipectomia endoscopica o la laparotomia possono rimuovere le altre cause di emorragia del tratto GI inferiore (p. es., carcinomi,

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polipi). Il sanguinamento acuto o cronico dalle emorroidi interne può essere trattato, nella maggior parte dei casi, con la terapia medica. I fallimenti sono trattati per via anoscopica con la legatura mediante elastici, iniezioni, coagulazione o con la chirurgia.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 22. EMORRAGIA GASTROINTESTINALE Espulsione di sangue con il vomito (ematemesi) o attraverso il retto (ematochezia), oppure evacuazione di feci picee (melena) o sanguinamento cronico occulto dal tratto GI

MALFORMAZIONI ARTEROVENOSE Varie sindromi che hanno in comune la presenza di alterazioni dei piccoli vasi della mucosa o della sottomucosa, che variano da 1 a più di 30 mm in diametro.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L'eziologia delle malformazioni arterovenose GI (MAV) è sconosciuta, ma in molti pazienti queste sono associate ad alcune condizioni cliniche: significative malattie valvolari cardiache, insufficienza renale cronica, irradiazione dell'intestino, malattie epatiche croniche, collagenopatie vascolari e la teleangectasia emorragica ereditaria (sindrome di Rendu-Osler-Weber [ROW], v. anche Cap. 134). Le MAV GI più frequenti si verificano nell'anziano.

Sintomi, segni e diagnosi Quando si verifica un sanguinamento GI da MAV, l'evoluzione usuale è rappresentata dalla recidiva dell'emorragia GI, dall'anemia cronica o da un grave sanguinamento acuto. Le MAV sono comunemente localizzate nello stomaco, nel duodeno, nel tratto prossimale del piccolo intestino e nel colon dx. La sede delle teleangectasie emorragiche da radiazioni dell'intestino dipende dall'area precedentemente irradiata. Le comuni MAV del tratto GI superiore includono (1) la sindrome di ROW con teleangectasie dello stomaco, del duodeno o del tratto prossimale del piccolo intestino; (2) gli angiomi del tratto GI superiore senza altre caratteristiche della sindrome di ROW; (3) lo stomaco ad anguria (lesioni vascolari a strisce dell'antro). Queste lesioni del tratto GI superiore si presentano, spesso, con ematemesi e melena. Le MAV del tratto GI inferiore sono rappresentate (1) dall'angiodisplasia che, di solito, colpisce il colon dx; (2) dalle teleangectasie da radiazioni, di solito localizzate nel sigma-retto (perché questa è la sede più frequente di irradiazione a causa delle neoplasie pelviche); (3) dalle teleangectasie ROW del colon, che raramente causano un sanguinamento. Le MAV che sanguinano sono diagnosticate, più frequentemente, con un'endoscopia del tratto GI superiore, con una colonscopia, un'enteroscopia, un'endoscopia intraoperatoria o un'angiografia dei vasi viscerali (sulla base della localizzazione del sanguinamento e della sindrome). Spesso le MAV non sono evidenti all'angiografia selettiva o alla laparotomia esplorativa. Il loro rilievo endoscopico dipende dalla microcircolazione della mucosa dell'intestino, che può essere alterata da una ridotta volemia, dall'anestesia o da una ridotta gittata cardiaca. La scintigrafia con GR marcati col tecnezio è un metodo meno sensibile file:///F|/sito/merck/sez03/0220262.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.10

Emorragia gastrointestinale

e meno frequentemente diagnostico. L'angiodisplasia è una MAV acquisita, che può causare un'emorragia GI inferiore nei pazienti anziani. Quando il sanguinamento è massivo, di solito è causato da un'angiodisplasia o da una diverticolite. Le tipiche lesioni da angiodisplasia sono di 0,5-1,0 cm, rosso brillante, piatte o leggermente rilevate e coperte da un epitelio molto sottile. La maggior parte dei pazienti ha due o tre lesioni, che nel 70-90% dei casi sono nel colon destro. Il paziente tipico ha di solito più di 60 anni e si presenta con un'abbondante ematochezia o con delle feci rosso scuro. Il paziente di solito ha una lunga storia di episodi emorragici GI senza dolore e di molteplici indagini precedenti (compresa la laparotomia) senza una diagnosi specifica. Il sanguinamento può essere acuto e massivo senza ipotensione. Le lesioni vengono diagnosticate con l'endoscopia o con l'angiografia mesenterica, sebbene ognuno di questi esami possa dare dei risultati falsi-positivi.

Terapia La terapia definitiva di una condizione preesistente o predisponente (p. es., la valvuloplastica cardiaca, il trapianto renale) può permettere l'arresto del sanguinamento di un angioma del tratto GI superiore o di un'angiodisplasia colica. L'antrectomia può risolvere il problema dello stomaco ad anguria. La coagulazione endoscopica (con sonda termica, laser o elettrocoagulazione bipolare) è solo palliativa, perché nuove MAV si sviluppano entro 2 mesi nei pazienti ad alto rischio. Le combinazioni di estrogeni e progesterone possono essere utili in alcuni pazienti. La somministrazione di ferro è spesso necessaria nei casi di anemia da carenza di ferro. Le recidive delle MAV dell'intestino e i precoci risanguinamenti possono essere monitorati con l'esame del sangue occulto delle feci e con continui esami dell'Htc e del ferro sierico. Nella maggior parte dei pazienti, il sanguinamento GI e l'anemia sono controllati con una terapia cronica a base di ferro, con la coagulazione endoscopica periodica delle nuove MAV e con l'uso giudizioso della terapia chirurgica. Il trattamento è indicato per l'angiodisplasia che ha sanguinato, a causa della sua tendenza a causare emorragie croniche ricorrenti. Le emorragie attive e gravi possono essere controllate rapidamente dalla somministrazione intra-arteriosa o EV di vasopressina quando il paziente è stabilizzato, ma i risultati sono variabili. Le lesioni, poi, possono essere trattate in modo definitivo attraverso la coagulazione endoscopica o la chirurgia. L'aspetto più difficile del trattamento è l'esclusione delle altre potenziali cause di emorragia GI e la localizzazione di tutte le lesioni angiodisplastiche. Se le lesioni non sono grandi o numerose, sono da preferire la coagulazione endoscopica a caldo con le pinze da biopsia o la fotocoagulazione laser. Il trattamento chirurgico usuale è rappresentato dalla colectomia destra, a causa della predisposizione dell'angiodisplasia a coinvolgere il colon destro. Una recidiva emorragica può essere attesa in circa il 15-25% dei pazienti trattati chirurgicamente.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. GASTRITE ACUTA EROSIVA

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Le cause comprendono i farmaci (specialmente i FANS, cioè i farmaci antiinfiammatori non steroidei), l'alcol e gli stress acuti, che si verificano, per esempio, nei pazienti gravemente ammalati. Le cause meno comuni includono le radiazioni, le infezioni virali (p. es., citomegalovirus), le lesioni vascolari e i traumi diretti (p. es., sondini nasogastrici). Endoscopicamente, le lesioni superficiali appaiono come lesioni puntiformi della mucosa che non penetrano negli strati più profondi della parete gastrica. Sono frequentemente accompagnate da un'emorragia di grado variabile (di solito, petecchie sottomucose). La gastrite acuta da stress è una forma di gastrite erosiva dei pazienti gravemente ammalati che hanno un'aumentata percentuale di emorragie GI superiori derivanti da lesioni mucose dello stomaco e del duodeno. I fattori di rischio comprendono le ustioni gravi, i traumi del SNC, la sepsi, lo shock, l'insufficienza respiratoria con ventilazione meccanica, l'insufficienza epatica e renale e la disfunzione multiorgano. Altri fattori predittivi di gastrite acuta da stress comprendono la durata della permanenza nell'UTI e la durata del digiuno. In genere, più il paziente è gravemente ammalato, maggiore è il rischio di un'importante emorragia. La patogenesi della gastrite acuta da stress include probabilmente una riduzione delle reazioni di difesa della mucosa in un paziente gravemente ammalato. L'ipoperfusione della mucosa GI con un possibile aumento della secrezione di acido (p. es., negli ustionati, nei traumi del SNC o nella sepsi) provoca un'infiammazione della mucosa e la sua ulcerazione.

Sintomi, segni e diagnosi Tipicamente, il paziente sta troppo male per lamentarsi di un'evidente sintomatologia gastrica, che (se presente) è di solito lieve e aspecifica. Il primo segno chiaro può essere dato dalla presenza di sangue nell'aspirato nasogastrico, solitamente entro 2-5 giorni dall'importante stress iniziale. La diagnosi di gastrite acuta da stress viene fatta endoscopicamente; in alcuni pazienti (p. es., quelli con ustioni, shock, sepsi), le erosioni acute possono essere evidenziate già 12 h dopo l'insulto iniziale. Queste lesioni molto spesso iniziano

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

in corrispondenza del corpo sotto forma di petecchie o di ecchimosi che progrediscono sino a diventare piccole ulcere irregolari che variano da 2 a 20 mm, che raramente sanguinano e che istologicamente sono confinate alla mucosa. Possono guarire rapidamente alla rimozione o alla correzione dello stress. Le lesioni possono, però, anche progredire e invadere la sottomucosa e persino perforare la sierosa o, più comunemente, possono sanguinare, di solito da più punti del corpo. Anche l'antro può essere coinvolto. Nelle ustioni e nei traumi cranici, differentemente dalle altre situazioni, la secrezione acida è aumentata piuttosto che diminuita e le lesioni (l'ulcera di Cushing) possono interessare anche, o solamente, il duodeno.

Profilassi e terapia In caso di un sanguinamento massivo (in circa il 2% dei pazienti in UTI), la percentuale di mortalità riportata è > 60%. La trasfusione di molte unità di sangue può alterare ancora di più l'emostasi. Sono state usate numerose terapie mediche e chirurgiche (p. es., i farmaci antisecretori, i vasocostrittori; le procedure angiografiche come l'embolizzazione arteriosa; la coagulazione endoscopica), ma poche hanno migliorato l'esito della malattia. Il sanguinamento continuo è frequente, a meno che non si esegua una gastrectomia totale, con una mortalità operatoria che è uguale a quella che si osserva dopo il solo trattamento medico. Per queste ragioni, l'identificazione dei pazienti a rischio e la prevenzione del sanguinamento sono essenziali. L'alimentazione enterale precoce è stata invocata come un mezzo per ridurre l'incidenza del sanguinamento in questi pazienti. Sebbene la maggior parte degli esperti creda che il sanguinamento possa essere prevenuto con l'infusione EV di H2-antagonisti, di antiacidi o di entrambi (v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa, oltre), alcuni dubitano del valore di questi trattamenti. Nelle UTI si usa somministrare ai pazienti a rischio H2antagonisti EV o antiacidi PO, per alzare il pH intragastrico fino a > 4,0. Tuttavia, la neutralizzazione del pH gastrico nei pazienti gravemente ammalati può causare un aumento della crescita batterica nel tratto GI superiore e nell'orofaringe, portando a una maggiore incidenza di polmoniti nosocomiali, particolarmente nei pazienti ventilati. I dati su questo argomento sono controversi e sono necessari ulteriori studi.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. GASTRITE CRONICA EROSIVA Questa condizione è definita dalla presenza di lesioni multiple puntiformi o di ulcere aftose all'endoscopia. La gastrite cronica erosiva può essere idiopatica o causata da farmaci (specialmente aspirina e altri FANS, v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa, oltre), dal morbo di Crohn (v. Cap. 31) o dalle infezioni virali. L'Helicobacter pylori non sembra avere un ruolo principale nella sua patogenesi. I sintomi sono aspecifici e possono includere la nausea, il vomito e un dolore epigastrico, anche se i pazienti sono spesso asintomatici. L'endoscopia mostra delle lesioni puntiformi multiple sulla cresta di pliche rugose assottigliate, spesso con una placca bianca centrale o un'ombelicatura. Istologicamente, il grado di infiammazione è variabile. Nessuna terapia è universalmente efficace o radicale. La terapia è ampiamente sintomatica con l'uso di antiacidi, H2-antagonisti e inibitori della pompa protonica (v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa, oltre) ed evitando farmaci e cibi potenzialmente esacerbanti. Le remissioni e le riacutizzazioni sono frequenti.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. GASTRITE POST-GASTRECTOMIA A eccezione dei casi di gastrinoma, dopo una gastrectomia parziale o subtotale spesso si sviluppa un'atrofia gastrica con una metaplasia della restante mucosa del corpo. La gastrite è di solito più marcata a livello dell'anastomosi. Sono possibili diversi meccanismi: la vagotomia può causare una scomparsa dell'azione trofica vagale; la presenza di bile a contatto della mucosa gastrica può essere dannosa; l'assenza della gastrina antrale, l'ormone gastrotrofico, provoca una scomparsa delle cellule parietali e peptiche. Gli aspetti endoscopici e istologici non sempre coincidono e i sintomi solitamente non corrispondono all'entità della gastrite. La gastrite post-gastrectomia spesso progredisce fino all'atrofia grave e all'acloridria. Il fattore intrinseco può essere assente e alcuni pazienti possono diventare carenti di vitamina B12 (una crescita massiva di batteri nell'ansa afferente può contribuire alla carenza di vitamina B12). Il rischio relativo di adenocarcinoma gastrico sembra aumentare, 15 o 20 anni dopo una resezione gastrica; tuttavia, data la bassa incidenza di cancro post-gastrectomia, la sorveglianza endoscopica di routine probabilmente non è efficace dal punto di vista dei costi. Il medico deve sorvegliare attentamente questi pazienti e studiare aggressivamente ogni sintomo o segno GI (p. es., anemia).

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. ANEMIA PERNICIOSA (V. anche Anemia da carenza da Vitamina B12 nel Cap. 127.) L'anemia perniciosa è un'anemia megaloblastica causata dal malassorbimento della vitamina B12. In questa condizione, è presente una grave atrofia delle ghiandole gastriche, con la perdita delle cellule parietali e l'incapacità a secernere il fattore intrinseco, un cofattore necessario per l'assorbimento della vitamina B12. L'antro è risparmiato in > 80% dei pazienti (gastrite di tipo A). Diversi reperti indicano una base immunologica o ereditaria per questa malattia. Nell'anemia perniciosa, il 90% dei pazienti ha degli anticorpi contro le cellule parietali e i loro componenti, compresi gli anticorpi contro il fattore intrinseco e la pompa per i protoni H+, K+ -ATPasi. Questi anticorpi sono presenti in < 20% dei pazienti affetti dalle altre forme di atrofia gastrica. La metà dei pazienti presenta anche degli anticorpi antitiroide; per contro, gli anticorpi anticellule parietali sono osservati nel 30% dei pazienti affetti da una tiroidite. Il 10-20% dei parenti dei pazienti affetti da anemia perniciosa, presenta un'anemia perniciosa simil gastritica e un'atrofia, con il 65% che mostra anticorpi anticellule parietali e il 20% anticorpi antifattore intrinseco. All'anemia perniciosa può essere associata anche un'ipogammaglobulinemia. Alcuni dati indicano, poi, che l'anemia perniciosa in alcuni pazienti può derivare anche da un'infezione cronica da H. pylori. La gastrectomia, la cronica soppressione acida con H2-antagonisti o con gli inibitori della pompa protonica e il mixedema causano una secrezione, ugualmente insufficiente, di fattore intrinseco; raramente è congenita. Il rischio relativo di sviluppare un adenocarcinoma gastrico sulla base di un'anemia perniciosa è tre volte maggiore rispetto ai gruppi di controllo crociati per età, anche se non è stato ancora risolto il problema della sorveglianza endoscopica per lo screening del cancro. Finché non saranno disponibili ulteriori dati, è probabilmente ragionevole una valutazione endoscopica iniziale; le valutazioni durante il follow-up non sono, invece, necessarie se non sono presenti delle anomalie istologiche (p. es., la displasia) o non si sviluppano i sintomi. Poiché non c'è acido, la secrezione di gastrina non viene inibita e i suoi livelli sierici sono elevati (spesso > 1000 pg/ml). Non è necessaria alcuna terapia ad eccezione della somministrazione di vitamina B12.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA GASTRITE Infiammazione della mucosa gastrica. SINDROMI GASTRITICHE NON FREQUENTI Malattia di Ménétrier: questa rara malattia idiopatica si manifesta con delle pliche gastriche spesse che coinvolgono il corpo e probabilmente l'antro; con l'atrofia delle ghiandole e la marcata iperplasia foveolare, accompagnate spesso da una metaplasia ghiandolare mucosa, da una modesta infiammazione e da un aumentato spessore della mucosa; con l'ipoalbuminemia (l'anomalia di laboratorio più consistente) causata dalla perdita GI di proteine. Quando la malattia progredisce, diminuiscono la secrezione acida e della pepsina, causando ipocloridria. Clinicamente, la malattia colpisce gli adulti di età compresa tra i 30 e i 60 anni ed è più frequente tra gli uomini. I sintomi non sono specifici, ma di solito comprendono il dolore epigastrico, la nausea, la perdita di peso, l'edema e la diarrea. La diagnosi differenziale comprende il linfoma, in cui sono presenti delle ulcere gastriche multiple, il linfoma a tessuto linfoide associato alla mucosa (MucosaAssociated Lymphoid Tissue, MALT) (v. oltre) con estesa infiltrazione di linfociti B monoclonali, la sindrome di Zollinger-Ellison con un'associata ipertrofia delle pliche gastriche e la sindrome di Cronkhite-Canada, una sindrome con mucosa polipoide e perdita di proteine associata a diarrea. Sebbene la presenza di pliche marcatamente spesse e tortuose alle rx con contrasto possa suggerire la diagnosi, è, di solito, necessaria l'endoscopia con delle biopsie mucose profonde per confermare la presenza di un'iperplasia foveolare e la sostituzione delle ghiandole del fondo con delle ghiandole mucose. Sono state impiegate varie terapie a base di anticolinergici, farmaci antisecretori e corticosteroidi, ma nessuna si è dimostrata molto efficace. In caso di grave ipoalbuminemia può essere necessaria una resezione gastrica parziale o completa. Gastrite eosinofila: questa condizione è caratterizzata da un'estesa infiltrazione eosinofila della mucosa, della sottomucosa e degli strati muscolari, spesso localizzata all'antro. Di solito, è idiopatica, ma può essere dovuta a un'infestazione da nematodi. I sintomi comprendono la nausea, il vomito e la sazietà precoce. L'istologia dei prelievi bioptici delle zone coinvolte mostra l'infiltrazione eosinofila che di solito coinvolge gli strati più profondi della parete gastrica. La terapia con corticosteroidi può essere efficace nei casi idiopatici; tuttavia, se si sviluppa un'ostruzione pilorica, può essere necessario l'intervento chirurgico. Linfoma MALT (pseudolinfoma): questa rara condizione è caratterizzata da massivi infiltrati linfoidi della mucosa gastrica, che possono assomigliare alla malattia di Ménétrier. (V. la trattazione del cancro dello stomaco in Complicanze nella Malattia peptica ulcerosa, oltre.) Gastriti causate da patologie sistemiche: la sarcoidosi, la TBC, l'amiloidosi e le altre malattie granulomatose possono causare una gastrite, che raramente è importante. Gastriti causate da agenti fisici: l'ingestione di sostanze corrosive file:///F|/sito/merck/sez03/0230268.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.19

Gastrite e malattia ulcerosa peptica

(specialmente composti acidi) e le radiazioni possono causare una gastrite; 16 Gy provocano una gastrite molto profonda che di solito coinvolge l'antro piuttosto che il corpo. La stenosi pilorica e la perforazione sono delle possibili complicanze. Gastrite infettiva (settica): dopo l'ischemia, l'ingestione di sostanze corrosive o l'irradiazione, i batteri possono invadere la mucosa gastrica provocando una gastrite acuta flemmonosa. Alle rx, il gas delinea la mucosa. La condizione si può presentare come un addome acuto chirurgico e ha un'altissima mortalità. Spesso, è necessario l'intervento chirurgico. I soggetti debilitati o immunocompromessi possono sviluppare una gastrite virale o fungina, da Candida, istoplasmosi, citomegalovirus o mucormicosi; queste diagnosi devono essere sospettate nei pazienti con gastrite, esofagite o duodenite essudative.

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Bezoari e corpi estranei

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 24. BEZOARI E CORPI ESTRANEI Molte sostanze alimentari o altri oggetti possono raccogliersi sotto forma di masse solide all'interno del tratto GI.

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Bezoari e corpi estranei

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 24. BEZOARI E CORPI ESTRANEI BEZOARI Raccolte compresse di materiale parzialmente digerito o indigerito che rimane nello stomaco indefinitamente.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Gli agglomerati parzialmente digeriti di capelli o di fibre vegetali sono chiamati, rispettivamente, tricobezoari o fitobezoari. Il bolo di cibo (cioè, un aggregato di noccioli, semi, polpa di agrumi o coaguli di latte [lattobezoario]nei bambini piccoli) o le concrezioni di medicamenti (sucralfato, gel d'idrossido di alluminio) di gommalacca o di gomma da masticare possono mimare un vero bezoario e sono indicati come pseudobezoari.

Eziologia Il tricobezoario, che può pesare fino a 2,7 kg, si osserva più frequentemente in pazienti con disturbi neuropsichiatrici. Il fitobezoario si forma quasi sempre nei pazienti sottoposti a una resezione gastrica secondo Billroth I o II, specialmente quando associata a vagotomia. L'ipocloridria, la diminuita mobilità antrale e l'incompleta masticazione sono i fattori predisponenti più importanti. La gastroplastica con bendaggio verticale utilizzata nel trattamento dell'obesità patologica è stata associata ai bezoari gastrici. La gastroparesi diabetica è un'altra condizione caratteristica della formazione dei bezoari. In ultimo, il consumo di un particolare frutto, il cachi "non sbucciato", ha provocato epidemie di bezoari post-gastrectomia, che hanno richiesto il trattamento chirurgico in > 90% dei casi.

Sintomi e segni La maggior parte dei bezoari non causa alcun sintomo, anche se si possono manifestare senso di pienezza postprandiale, nausea e vomito, dolore di tipo peptico e sanguinamento GI. Occasionalmente, il bezoario post-gastrectomia può causare un'occlusione del piccolo intestino, per la mancata funzione di filtro da parte del piloro.

Diagnosi e terapia I bezoari, solitamente, sono scoperti con gli esami rx, ma possono essere file:///F|/sito/merck/sez03/0240275b.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.20

Bezoari e corpi estranei

scambiati per tumori. All'endoscopia, i bezoari hanno una superficie irregolare inequivocabile e possono variare nel colore dal giallo-verde al grigio-nero. Una biopsia endoscopica che evidenzia la presenza di capelli o di fibre vegetali, è diagnostica. I bezoari sono stati dimostrati anche dall'ecografia e dalla TC dell'addome. Un bolo di cibo non richiede alcun trattamento, le concrezioni simili alla pietra e i tricobezoari richiedono un trattamento chirurgico e i fitobezoari si trovano tra questi due estremi. Una dieta liquida, il drenaggio gastrico, il lavaggio e la frammentazione endoscopica con le pinze o con uno spruzzo a getto, possono rompere i bezoari. Un solvente chimico spesso dà migliori risultati: 1,2 l di soluzione di cellulasi (0,5 g/dl di acqua) somministrato per via orale nell'arco delle 24 h, per 2 gg. Il metoclopramide, alla dose di 40 mg/ 24 h EV o alla dose di 10 mg q 4 h IM per vari giorni, può aumentare la peristalsi accelerando lo svuotamento gastrico.

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Bezoari e corpi estranei

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 24. BEZOARI E CORPI ESTRANEI CORPI ESTRANEI (V. anche Corpi estranei nel retto nel Cap. 35.) Gli oggetti non digeribili possono essere ingoiati dai bambini e dagli adulti squilibrati o ubriachi. Quelli che portano la dentiera sono inclini a ingoiare le ossa del pollo o le lische di pesce. Gli spacciatori che ingoiano gli ovuli pieni di droga per sfuggire all'arresto possono sviluppare un ostruzione intestinale quando l'ovulo incontra una stenosi. Gli ovuli si possono anche rompere, causando un'overdose di droga. L'80-90% dei corpi estranei del tratto GI riesce a passare spontaneamente, il 1020% richiede un intervento non chirurgico e l'1% richiede un trattamento chirurgico. Allora, la maggior parte dei corpi estranei intragastrici può essere ignorata, anche se per gli endoscopisti la tentazione di recuperare un oggetto dall'esofago, dallo stomaco o dal duodeno è irresistibile. Gli oggetti più larghi di 5 × 2 cm raramente oltrepassano lo stomaco. Gli oggetti acuminati devono essere asportati perché nel 15-35% dei casi causano una perforazione intestinale, mentre quelli piccoli e rotondi (p. es., le monete) possono probabilmente essere tenuti sotto controllo senza un'inutile apprensione. Tuttavia, una batteria a forma di bottone alloggiata nell'esofago di un bambino può causare un danno corrosivo diretto, un'ustione a basso voltaggio e una necrosi da pressione e quindi richiede una pronta rimozione endoscopica. I corpi estranei che sono passati nel piccolo intestino, di solito, percorrono il tratto GI senza problemi, anche se possono essere necessari settimane o mesi. Tendono ad arrestarsi a livello dell'ileo, subito prima della valvola ileocecale o in qualunque punto ristretto, come nel morbo di Crohn. Un detector manuale per il metallo rappresenta un semplice metodo non invasivo che localizza i corpi estranei metallici nel tratto GI e fornisce informazioni equivalenti alle rx dirette. Talvolta oggetti come gli stuzzicadenti restano nel tratto GI per molti anni, per essere trovati all'interno di granulomi o di ascessi, magari in occasione dell'esame istologico.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI CORPI ESTRANEI NEL RETTO Sommario: Introduzione Terapia

I corpi estranei deglutiti, compresi gli stuzzicadenti, le ossa di pollo e le spine di pesce, i calcoli biliari o i fecalomi, possono localizzarsi a livello della giunzione anorettale. I calcoli urinari, i pessari vaginali, i tamponi chirurgici o alcuni strumenti possono erodere le pareti dell'intestino e farsi strada nel retto. Corpi estranei bizzarri, collegati alle attività sessuali, possono essere introdotti intenzionalmente nel retto, per rimanervi incastrati. Alcuni oggetti rimangono adesi alla parete rettale e altri rimangono intrappolati proprio sopra lo sfintere anale. Un dolore atroce e improvviso durante la defecazione deve far nascere il sospetto di un corpo estraneo penetrante, che solitamente si localizza a livello o subito sopra la giunzione anorettale. Le altre manifestazioni dipendono dalle dimensioni e dalla forma del corpo estraneo, dalla durata della sua permanenza in situ e dalla presenza di un'infezione o di una perforazione. Il corpo estraneo solitamente si localizza nella parte media del retto, dove non riesce a superare l'angolazione anteriore del retto stesso. Può essere apprezzato all'esplorazione digitale. Possono essere necessari l'esame dell'addome e una rx del torace per escludere una possibile perforazione rettale intraperitoneale.

Terapia Se l'oggetto può essere palpato, si effettua un'anestesia locale con un'iniezione sottocutanea e sottomucosa di lidocaina allo 0,5% o di bupivacaina contenente ialuronidasi, 150 U/ 15 ml. L'ano può essere dilatato con un divaricatore rettale e il corpo estraneo afferrato, deflesso anteriormente e rimosso. Se l'oggetto non può essere palpato, il paziente deve essere ospedalizzato. Generalmente la peristalsi spinge il corpo estraneo verso il basso nella parte media del retto, dopo di che si può eseguire la manovra suddescritta. Raramente, è coronata da successo la rimozione con l'uso di un proctoscopio o di un sigmoidoscopio e, anzi, la sigmoidoscopia, spesso, spinge il corpo estraneo in una posizione più prossimale, ritardando così la sua estrazione. Di rado, può essere necessaria un'anestesia regionale o generale e una laparotomia con la spremitura del corpo estraneo verso l'ano o una colotomia e l'estrazione del corpo estraneo stesso. Dopo l'estrazione, deve essere eseguita una sigmoidoscopia per escludere un significativo trauma rettale o una perforazione.

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Malattie anorettali

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA DOLORE ADDOMINALE Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi Diagnosi differenziale

Sebbene il dolore addominale sia frequente e spesso non significativo, il dolore acuto e importante è quasi sempre sintomo di una patologia intra-addominale. Può essere la sola indicazione a un intervento chirurgico. Si deve decidere rapidamente se il paziente ha un addome chirurgico. Non si deve perdere del tempo prezioso facendo esami inutili. La gangrena e la perforazione dell'intestino si possono verificare, infatti, entro 6 h dall'interruzione dell'irrorazione sanguigna per strangolamento o per embolia arteriosa. Il dolore addominale può essere acuto, nel quale caso si pone il problema dell'emergenza chirurgica, o può essere cronico, nel qual caso (almeno per un certo periodo di tempo) il trattamento è di tipo medico. Le descrizioni del dolore addominale che si trovano nei libri di testo hanno importanti limitazioni, perché ciascun individuo reagisce al dolore in maniera diversa. I bambini e i lattanti possono essere incapaci di localizzare il dolore. I pazienti obesi e gli anziani tendono a sopportare meglio il dolore rispetto agli altri, ma anche loro hanno difficoltà a localizzare il dolore. D'altra parte, i pazienti isterici tendono a esagerare i sintomi.

Eziologia Le cause comuni di dolore addominale sono elencate nella Tab. 25-1. Il dolore è il sintomo principale nelle seguenti emergenze chirurgiche: la cisti ovarica torta, la gravidanza ectopica, l'ostruzione intestinale, l'appendicite, la peritonite generalizzata da cause sconosciute, l'ulcera peptica perforata, la perforazione di diverticoli, la fissurazione di un aneurisma addominale e la trombosi o l'embolia mesenterica. La maggior parte dei pazienti con patologie della via biliare, pancreatite o calcolosi renale, riceve un trattamento d'urgenza. (V. anche Ostruzione intestinale meccanica e Peritonite acuta oltre, il Cap. 26 e Colecistite nel Cap. 48.) Il dolore addominale nei neonati, nei lattanti e nei bambini: il dolore addominale nei neonati, nei lattanti e nei bambini ha numerose cause che non si riscontrano nell'adulto (v. anche Dolori addominali ricorrenti nel Cap. 268). Esse includono la peritonite da meconio, le ostruzioni intestinali da atresia, le stenosi, le membrane esofagee, il volvolo dell'intestino con mesentere comune, l'ano imperforato e l'enterocolite (v. Difetti gastrointestinali nel Cap. 261 e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265). Dolore addominale nelle donne (v. anche Cap. 237): la dismenorrea può file:///F|/sito/merck/sez03/0250277.html (1 of 3)02/09/2004 2.22.23

Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

essere insignificante o invalidante (v. Cap. 235). Il dolore intermestruale è frequente, ma, di solito, non è grave a meno che non concomiti un sanguinamento tale da richiedere una laparotomia. Il più importante problema che si verifica nelle donne giovani è la malattia infiammatoria della pelvi (MIP), che viene trattata con antibiotici, anche se gli ascessi tubo-ovarici richiedono l'intervento chirurgico. Quando i sintomi sono confinati alla fossa iliaca dx, può essere difficile stabilire se una paziente ha una MIP o un'appendicite (v. anche Malattia infiammatoria della pelvi nel Cap. 238). Nei casi dubbi, la laparotomia esplorativa e l'appendicectomia sono le procedure più sicure. Alcune cisti ovariche sono piccole e scompaiono entro 3 mesi; altre sono grandi, possono contenere denti o altri elementi solidi e possono andare incontro a torsione o a gangrena. L'endometriosi è una comune causa di dolore (v. Cap. 239); spesso questo può essere controllato con una terapia ormonale, ma in altri casi può essere necessario l'intervento chirurgico. Una gravidanza ectopica è una minaccia per la vita se non si esegue una laparotomia d'emergenza. I dispositivi contraccettivi intrauterini possono migrare nella cavità peritoneale e provocare una peritonite e un'occlusione intestinale.

Diagnosi La terapia per il grave dolore addominale può procedere contemporaneamente alla diagnosi. La causa viene di solito stabilita attraverso l'anamnesi e l'esame obiettivo, che sono di primaria importanza e da alcuni esami di laboratorio. Anamnesi: in molti casi, l'anamnesi è sufficiente per una diagnosi appropriata. Deve essere dettagliata e alcune domande importanti devono sempre essere poste al paziente (v. Tab. 25-2). L'anamnesi dei sintomi precedenti può aiutare nel localizzare la sede del problema attuale. I precedenti sintomi di malattia ulcerosa, coliche biliare o malattia diverticolare sono di notevole aiuto. Anche una storia di reflusso gastroesofageo, diarrea, costipazione, ittero, melena, ematuria, ematemesi, calo ponderale, muco o sangue nelle feci può essere utile per stabilire la diagnosi. L'anamnesi farmacologica deve includere i dettagli sull'assunzione dei farmaci o sulla tossicodipendenza. Alcuni farmaci (p. es., le compresse di potassio) sono molto irritanti per l'intestino e possono causare una perforazione e una peritonite. Il prednisone e i farmaci immunosoppressivi possono aumentare le possibilità di perforazione di alcuni tratti dell'apparato GI con poco dolore o una minima leucocitosi. Gli anticoagulanti possono aumentare le possibilità di sanguinamento. La positività dell'anamnesi familiare per alcune malattie (p. es., la calcolosi biliare) può essere d'aiuto. Se i sintomi includono il dolore, il vomito e la diarrea e altri membri della famiglia si sono appena ripresi da attacchi simili, la causa più probabile è una gastroenterite. Esame obiettivo: l'esame obiettivo generale non deve essere trascurato. Lo shock, il pallore, la sudorazione o lo svenimento possono accompagnare il dolore addominale e indicano la gravità dell'evento patologico. La PA, il polso, lo stato di coscienza e il grado dello shock devono essere valutati nei casi gravi. L'addome è, comunque, la parte più importante della valutazione clinica. La presenza di una peristalsi valida con un ritmo normale suggerisce una malattia non chirurgica (p. es., una gastroenterite). Una peristalsi o dei borborigmi accentuati subentranti suggeriscono un'ostruzione intestinale. La presenza di un intenso dolore in un addome senza peristalsi, impone un'immediata esplorazione chirurgica. Sono importanti la presenza di una contrattura e di un dolore alla decompressione durante la palpazione dell'addome, il grado della distensione e la presenza di masse palpabili. La presenza di una cicatrice chirurgica

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

suggerisce possibili aderenze intestinali e un quadro di ostruzione, mentre porte muscolari anormali possono essere la sede di ernie esterne. L'esplorazione rettale e vaginale sono indispensabili. Il sanguinamento nei tessuti sottocutanei (p. es., l'emorragia retroperitoneale da pancreatite emorragica) può essere sospettato dalla presenza di un'alterazione cromica bluastra o di una franca ecchimosi a livello degli angoli costovertebrali (segno di Grey Turner) o intorno all'ombelico (segno di Cullen). Procedure diagnostiche: gli esami diagnostici includono gli esami del sangue e delle urine; gli esami ematochimici; le radiografie, incluse le proiezioni supina e in piedi; l'urografia EV; l'ecografia; la TC e l'arteriografia. Ciascun test ha delle indicazioni specifiche sulla base del tipo di malattia presente. Tuttavia, la misura diagnostica più importante nei pazienti con dolore addominale grave, spesso è la pronta laparotomia esplorativa.

Diagnosi differenziale Alcune malattie relativamente comuni devono essere considerate nella diagnosi differenziale del dolore addominale acuto. Una gastroenterite è verosimile se i membri della stessa famiglia hanno avuto disturbi simili. I sintomi includono il dolore colico, il vomito e la diarrea che si associano a una lieve difesa addominale che non diventa mai localizzata. La gastroenterite è autolimitantesi. Le malattie infiammatorie dell'intestino possono simulare un'appendicite acuta; la diverticolite può dare vita a dei sintomi simili (di solito, nel quadrante inferiore sinistro). L'Herpes zoster può causare un intenso dolore che precede il tipico rash cutaneo. Questo dolore può creare confusione, soprattutto se sono coinvolti i fasci nervosi della fossa iliaca dx, nei pazienti in cui l'appendice non è stata asportata. La polmonite può provocare un dolore addominale diffuso, ma senza una difesa localizzata. L'infarto miocardico acuto può essere accompagnato da un dolore addominale scarsamente localizzato. L'assunzione di droghe o l'astinenza da esse può causare intensi dolori a tipo colica che sembrano indicare la presenza di un'ostruzione intestinale. L'uso di anticoagulanti o la tosse grave possono provocare un ematoma della parete addominale o la rottura dell'arteria o della vena epigastrica profonda, situazioni che causano dolore locale e resistenza. L'anemia falciforme può causare degli attacchi di grave dolore addominale. La causa più frequente di dolore addominale nelle patologie del midollo spinale o del SNC è la radicolite, che di solito causa un dolore cronico invece che acuto. I disturbi somatici psicogeni spesso causano attacchi di grave dolore addominale in cui non possono essere identificate delle cause organiche (v. Cap. 186). A parte i casi in cui è presente un'ulcera peptica, il dolore a tipo bruciore solitamente resta inspiegato. La febbre tifoide può essere accompagnata da un dolore a livello della fossa iliaca destra; se sono presenti delle macchie cutanee rosa, deve essere presa in considerazione questa malattia.

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE COLECISTITE Sommario: Colecistite acuta Sintomi e segni Diagnosi Terapia Colecistite cronica

Colecistite acuta Infiammazione acuta della parete della colecisti, solitamente successiva all'ostruzione del dotto cistico da parte di un calcolo. Anche se la colecistite acuta è la conseguenza più comune della colelitiasi, la sua fisiopatologia non è ancora completamente compresa. La concentrazione delle diverse sostanze che compongono la bile, compresi i sali biliari, i fosfolipidi e persino il colesterolo, può essere alterata, causando un'infiammazione della mucosa. L'occlusione arteriosa e l'ischemia possono rappresentare delle alterazioni tardive. Raramente, la colecistite acuta è dovuta a un'iniziale infezione batterica e l'esame colturale della bile colecistica prelevata intraoperatoriamente, nei primi giorni di malattia, è positivo in meno del 33% dei casi. La colecistite acuta è accompagnata da una colelitiasi in 95% dei pazienti.

Sintomi e segni Nel 75% dei pazienti, la colecistite acuta inizia con un dolore acuto, ricorrente, tipo colica. Il dolore diventa poi intenso, si localizza al quadrante superiore destro e spesso si irradia all'angolo inferiore della scapola destra. La nausea e il vomito sono sempre presenti. Entro alcune ore si osserva una contrattura involontaria della muscolatura addominale di destra, senza dolorabilità alla decompressione rapida della parete. La colecisti diventa palpabile in < 50% dei casi. Spesso sono presenti un'interruzione dolorosa del respiro durante l'inspirazione profonda e vivo dolore alla palpazione del quadrante superiore di destra (segno di Murphy). La febbre è inizialmente modesta, così come la leucocitosi neutrofila. Un episodio tipico di colecistite acuta migliora in 2-3 gg e si risolve entro 1 sett. La mancata risoluzione suggerisce delle complicanze gravi. La febbre alta, la leucocitosi e i brividi, associati alla presenza di dolorabilità alla decompressione rapida o di ileo paralitico, suggeriscono la presenza di un empiema, di una gangrena o di una perforazione, eventi che richiedono tutti un trattamento chirurgico urgente. Quando una colecistite acuta è accompagnata da ittero o da colestasi, può essere presente un'ostruzione parziale del coledoco di origine calcolosa o causata dall'infiammazione contigua. L'aumento delle amilasi suggerisce (ma non conferma) una pancreatite di origine biliare. Infine, in rari casi, i grandi calcoli possono erodere la parete della colecisti e ostruire il piccolo intestino (ileo biliare).

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Diagnosi Il sospetto clinico di una colecistite acuta viene confermato con la massima accuratezza dalla colescintigrafia e dall'ecografia. La colescintigrafia comporta la somministrazione EV di composti dell'acido imminodiacetico marcati con tecnezio 99m radioattivo, che sono rapidamente captati e secreti dal fegato normale. La scintigrafia con isotopi è usata per visualizzare sequenzialmente il fegato, la via biliare extraepatica, la colecisti e il duodeno. La mancata visualizzazione della colecisti con una normale visualizzazione del fegato e della via biliare, indica la diagnosi di colecistite acuta, con una sensibilità del 97% e una specificità del 90%. Si possono verificare dei risultati falsi positivi a causa di una prolungata nutrizione parenterale totale (NPT), di una pancreatite, di gravi malattie o del digiuno. L'ecografia, sebbene sia l'esame preferito per la diagnosi della colelitiasi, non ha la stessa accuratezza per la diagnosi di colecistite acuta. È di aiuto la dimostrazione di un segno di Murphy ecografico, di un ispessimento della parete della colecisti o di un versamento pericolecistico. La diagnosi clinica di colecistite acuta può essere difficile quando i reperti sono atipici. La diagnosi differenziale comprende la colangite, la pancreatite, l'appendicite, l'ulcera peptica e la pleurite. Ognuna ha degli aspetti clinici caratteristici e, comunque, la scintigrafia epato-biliare e l'ecografia forniscono dei reperti chiari per la diagnosi di colecistite acuta.

Terapia La terapia consiste nella reidratazione con l'infusione EV di liquidi e di elettroliti. Si interrompe del tutto l'alimentazione per os e si posiziona un sondino nasogastrico in aspirazione. Gli antibiotici per via parenterale sono iniziati, di solito, quando si sospetta la diagnosi. La colecistectomia rappresenta il trattamento di scelta della colecistite acuta e della colica biliare in quasi tutti i pazienti. Quando la diagnosi è chiara e il paziente presenta un rischio chirurgico standard, l'intervento può essere programmato come un procedimento precoce, ma elettivo, durante il 1o o il 2o giorno della malattia. Quando l'ulteriore trattamento di patologie mediche associate (solitamente di tipo cardiorespiratorio) permette di ridurre il rischio chirurgico, la colecistectomia può essere posticipata e si può continuare il trattamento medico. Se l'episodio acuto regredisce, si può programmare una colecistectomia tardiva dopo _ 6 settimane. L'aumento del dolore addominale, la leucocitosi o la febbre possono indicare l'empiema, la gangrena o la perforazione e richiedono un trattamento chirurgico urgente. Nei pazienti con un rischio chirurgico molto elevato, si può ricorrere come alternativa alla colecistostomia percutanea. La colecistite acuta acalcolotica (cioè, una colecistite senza calcoli) è una grave malattia che tende a verificarsi negli adulti e nei bambini già malati per cause traumatiche, interventi, ustioni, sepsi o malattie gravi. Il prolungato uso della NPT predispone i pazienti alla stasi biliare ed è un'altra causa di questa malattia. È necessario un forte sospetto per diagnosticare una colecistite acuta acalcolotica nei pazienti critici con sepsi. I pazienti gravemente ammalati possono non essere in grado di riferire i sintomi e l'esame obiettivo e i risultati di laboratorio possono essere aspecifici. Una diagnosi tempestiva è importante perché il decorso clinico è spesso fulminante, con il verificarsi di una gangrena o di una perforazione. L'ecografia, la colescintigrafia e la TC possono aiutare nella diagnosi. Quando è presente questa malattia, è indicato un intervento tempestivo con una colecistostomia percutanea o con il trattamento chirurgico. Dopo la colecistectomia alcuni pazienti presentano un dolore biliare tipo colica, uguale o diverso da quello lamentato prima dell'intervento; la patogenesi e il decorso clinico di questo dolore post-colecistectomia sono scarsamente compresi. La stenosi papillare, che si può verificare sia prima che dopo la file:///F|/sito/merck/sez04/0480436.html (2 of 3)02/09/2004 2.22.24

Malattie delle vie biliari extraepatiche

colecistectomia, è un disturbo organico o funzionale della papilla di Vater, che interessa la parte terminale dei dotti e degli sfinteri e che causa dolore per l'ostacolato deflusso delle secrezioni biliari o pancreatiche. A volte, i pazienti hanno una fibrosi papillare dimostrabile dell'area sfinterica, forse dovuta a una precedente infiammazione o al trauma operatorio. Nei restanti casi dovuti a una disfunzione sfinterica, non si osserva alcuna anomalia organica, sebbene siano presenti periodicamente delle alterazioni funzionali e dei sintomi. Ambedue i gruppi di pazienti presentano un periodico dolore a tipo colica associato a reperti variabili, con transitoria elevazione della bilirubina o degli enzimi epatici, indicativa di colestasi, o con elevazione dei livelli sierici delle amilasi e delle lipasi. L'albero biliare e, meno frequentemente il dotto pancreatico, possono apparire dilatati a una colangiografia diretta e a una pancreatografia. La pressione dello sfintere può essere elevata quando misurata in corso di manometria duttale per via endoscopica. Pertanto, i risultati di una CPRE e, forse, quelli di una manometria dello sfintere, possono essere di grande utilità diagnostica. In alcuni pazienti si possono evidenziare piccoli calcoli residui. Il trattamento mediante sfinterotomia endoscopica può essere curativo nei pazienti con segni obiettivi, ma è controverso nei pazienti che presentano solo dolore. La disfunzione della papilla con dolori episodici, può essere stata responsabile dei sintomi che hanno portato alla colecistectomia e può essere la causa del dolore che continua dopo l'intervento chirurgico.

Colecistite cronica Dal punto di vista anatomopatologico, una colecisti contratta, fibrotica, a pareti ispessite; dal punto di vista clinico, una colecistopatia cronica caratterizzata da sintomi che includono le coliche ricorrenti. La mucosa può essere ulcerata e coperta da cicatrici e nel lume colecistico si possono trovare calcoli o fango biliare, che spesso ostruiscono il dotto cistico. Si cerca di ascrivere questi reperti ai danni e alle riparazioni di pregressi episodi di colecistite acuta, ma la storia clinica può non includere alcun evento di questo tipo. Le manifestazioni cliniche e anatomopatologiche sono scarsamente correlate. Entrambe sono quasi sempre associate alla presenza di calcoli nella colecisti.

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Patologia gastrointestinale

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 268. PATOLOGIA GASTROINTESTINALE DOLORI ADDOMINALI RICORRENTI Si parla di dolori addominali ricorrenti quando si hanno 3 o più episodi di dolore addominale in un periodo ≥ 3 mesi.

Sommario: Introduzione Incidenza Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Esami di laboratorio Prognosi e terapia

I tre tipi di dolori addominali ricorrenti (DAR) (psicogeno, organico e funzionale) si differenziano in base alla causa sottostante.

Incidenza L’incidenza nella popolazione pediatrica generale è leggermente > 10%; il rapporto femmine:maschi è 4:3. I DAR sono rari prima dei 4-5 anni e sono più comuni tra gli 8 e i 10 anni, con un secondo picco di incidenza nelle ragazze nella fase precoce dell’adolescenza. I DAR sono psicogeni nell’80-90% dei pazienti. I DAR organici e funzionali hanno più o meno la stessa incidenza (ciascuno dal 5 al 10%), anche se i valori precisi non si conoscono.

Eziologia e patogenesi Si pensa che i DAR psicogeni derivino dallo stress, dall’ansia o dalla depressione. La loro patogenesi è sconosciuta. Chiedere ciò che costituisca una situazione di stress è relativo; i pazienti suscettibili di DAR sembrano essere facilmente stressati da eventi familiari (p. es., malattia recente, problemi economici, separazione o perdita di un genitore) o scolastici (p. es., scarso rendimento, cattivi rapporti interpersonali con gli insegnanti o con i compagni). I DAR di per sé possono causare stress dando origine a nuovi problemi (p. es., assenteismo dalla scuola, isolamento dai coetanei), o aggiungendosi ad altri preesistenti (p. es., rivalità tra fratelli). I DAR organici sono dovuti a un disturbo organico, spesso alla malattia infiammatoria intestinale, all’appendicite cronica, all’ulcera peptica, all’infezione da Helicobacter pylori, a parassiti (soprattutto in aree endemiche), a uropatie e all’anemia falciforme. Nelle adolescenti, cause possibili sono la malattia infiammatoria pelvica e la presenza di una cisti ovarica. Altre cause comuni sono file:///F|/sito/merck/sez19/2682538.html (1 of 5)02/09/2004 2.22.25

Patologia gastrointestinale

elencate nella Tab. 268-1. I DAR funzionali partono da un organo alterato o non malato ma funzionalmente alterato, essendo il risultato dell’interazione tra fattori costituzionali e fattori ambientali. Non è chiaro perché in alcuni soggetti si verifichino dolori addominali mentre in altri no. Forse lo stato d’ansia altera le funzioni gastrointestinali e autonomiche, causando dolore nei soggetti suscettibili.

Sintomi e segni I DAR psicogeni possono presentarsi ogni giorno o diverse volte a settimana o al mese. Occasionalmente, il paziente è asintomatico per settimane o mesi. Il dolore è in genere vago e mal definito ma talvolta è crampiforme o a colica o, raramente, pungente. Alcuni pazienti si svegliano presto per il disagio; eccezionalmente il paziente si sveglia di notte per il dolore. Il dolore è molto spesso periombelicale. Tuttavia, l’ipotesi che più un dolore è lontano dall’ombelico maggiore è la possibilità di un disturbo organico non è utile da un punto di vista diagnostico, dato che i DAR psicogeni possono mimare qualsiasi complesso sintomatologico. Un dato significativo è che i sintomi progrediscono poco o per niente. Qualsiasi variazione nella localizzazione o nel tipo di dolore impone un’immediata valutazione, dal momento che può essere espressione di una malattia organica acuta. I DAR organici sono comunemente descritti come costanti o ciclici (associati a certe attività o correlati alla dieta e al mangiare); sono ben localizzati, specialmente in aree diverse dalla regione periombelicale e possono irradiarsi al dorso. Essi frequentemente svegliano il bambino. I reperti clinici associati, che dipendono dalla patologia sottostante, comprendono febbre ricorrente o persistente, ittero, modificazioni della consistenza, del colore e della frequenza di eliminazione delle feci, presenza di sangue nelle feci, vomito, ematemesi, distensione addominale, sintomi articolari, alterazioni dell’appetito e perdita di peso. I DAR funzionali dipendono dalla causa sottostante: nel deficit di lattasi sono comuni crampi e meteorismo; il dolore ovulatorio è comunemente crampiforme e localizzato in un quadrante addominale inferiore, mentre è talora presente dolorabilità per 1 o 2 ore in caso di rottura di una cisti ovarica benigna.

Diagnosi La persistenza, la ricorrenza e la cronicità differenzia i DAR dal dolore di un addome acuto. Tuttavia, può essere difficile determinare se i DAR sono psicogeni, organici o funzionali. L’anamnesi deve precisare il primo episodio di dolore e la frequenza degli attacchi, la natura e la localizzazione del dolore, le relazioni coi pasti, con la defecazione, le evacuazioni e i risultati ottenuti usando qualsiasi tipo di trattamento (p. es., variazioni di posizione, rimedi domestici, prodotti da banco e farmaci). Sarebbe utile ottenere i dati dai genitori (o da altre persone che si prendono cura del bambino). Le divergenze di percezione su cosa scatena il dolore e su come esso viene utilizzato forniscono un mezzo per valutare le dinamiche familiari, che possono essere utili per sviluppare un piano di trattamento che sia coerente ma anche comodo per i genitori. L’inclusione dei genitori sottolinea il ruolo potenziale di ognuno di loro nel precipitare, perpetuare e superare il dolore. La mancanza di importanti sintomi intestinali, di febbre, di perdita di peso o di ritardo dell’accrescimento fanno pensare ai DAR psicogeni; tuttavia, questi file:///F|/sito/merck/sez19/2682538.html (2 of 5)02/09/2004 2.22.25

Patologia gastrointestinale

sintomi non sono patognomonici. Quelli comunemente associati comprendono cefalea, capogiri (non vertigini), pallore del viso e diaforesi. L’astenia, l’anoressia, la nausea e il vomito, la diarrea, la stipsi e i dolori agli arti sono meno frequenti nella forma psicogena che nei DAR organici o funzionali. Le caratteristiche psicosociali del bambino con DAR psicogeni sono l’immaturità psichica, un’eccessiva dipendenza dai genitori, ansia, depressione, apprensione, tensione e perfezionismo. Spesso i genitori hanno una particolare predilezione per questi bambini, sia per la posizione nell’ambito nella famiglia (figlio unico, figlio più piccolo, unico maschio o unica femmina di una famiglia numerosa), sia a causa di problemi di natura medica (coliche o difficoltà nel mangiare). I genitori di questi bambini sono spesso ansiosi, iperprotettivi, autoritari e preoccupati. È necessario prestare attenzione a qualsiasi possibile fattore precipitante (p. es., malattia, disaccordo in famiglia, separazione o perdita di un genitore, stress correlato alla scuola), a un evidente tornaconto primario (cosa ha evitato il bambino a causa del dolore) o secondario (quali benefici psicologici possono derivare dall’essere malato) e alla personalità del bambino. I resoconti scolastici possono evidenziare l’effetto del dolore sull’attività quotidiana in classe. È comune il riscontro di una storia familiare di disturbi somatici o dolore cronici, malattia ulcerosa peptica, cefalee, "nervosismi" o depressione. L’anamnesi deve accertare l’eventuale presenza di disturbi simili o a essi correlati in altri membri della famiglia, specialmente nei genitori alla stessa età. La maggior parte dei bambini viene all’osservazione del medico quando è senza sintomi. Prima di fare diagnosi di DAR psicogeni, è necessario che l’esame obiettivo venga fatto durante un episodio di dolore per cercare una distensione addominale e per essere sicuri di non trascurare alcun segno di patologia organica. A parte una dolenzia periombelicale alla palpazione dell’addome, l’esame obiettivo è tipicamente negativo. Di solito nei bambini più piccoli l’esame obiettivo completo deve essere eseguito in presenza dei genitori, per farne notare l’accuratezza e la serietà. Nel caso di un preadolescente o di un bambino più grande, che lo desidera, il genitore dello stesso sesso dovrebbe assistere all’esame. Tra la prima visita e la successiva il bambino e la famiglia dovrebbero prender nota di ogni episodio di dolore, incluse la natura, l’intensità, la durata e i fattori scatenanti, della dieta, del tipo di defecazione e di ogni rimedio provato e dei risultati ottenuti. Questo tipo di diario spesso rivela modalità di comportamento inappropriate e risposte esagerate al dolore, elementi che convalidano la diagnosi. Una volta che la diagnosi è confermata, è necessario evitare esami obiettivi ripetuti perché possono ricordare o ingigantire il disturbo fisico o suggerire che il medico non sia sicuro della diagnosi. I DAR organici, se sospettati, richiedono esami adeguati (v. Tab. 268-1). L’ulcera peptica non viene spesso considerata perché la tipica relazione tra l’assunzione di cibo e dolore epigastrico negli adulti non è frequente nei bambini (v. Malattia ulcerosa, più avanti). Le IVU, che possono causare dolore addominale o pelvico senza nessuna irradiazione al fianco o all’uretra, verranno misconosciute se non ricercate con esami specifici. I DAR funzionali vengono diagnosticati soprattutto attraverso un’anamnesi accurata che ricerchi i sintomi associati o i fattori precipitanti (p. es., il cibo assunto nelle 24 ore precedenti al fine di evidenziare un’allergia o un’esagerazione dietetica; la storia mestruale). Le cause di DAR funzionali, da differenziare, comprendono una dieta inadeguata, un insufficiente addestramento all’uso della toilette e l’uso di un regolare vaso da toilette (che può essere troppo grande, facendo nascere nel bambino la paura di caderci dentro), cause che determinano stipsi o ritenzione fecale e incontinenza, la dismenorrea, l’ovulazione dolorosa e l’intolleranza al lattoso secondaria al fisiologico declino dell’attività della lattasi, che si verifica in molti pazienti tra i 10 e i 20 anni. L’intolleranza al lattoso può inizialmente non essere sospettata perché il dolore può non comparire fino a 2 ore dopo l’ingestione di latte o derivati.

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Patologia gastrointestinale

Esami di laboratorio Le indagini di laboratorio vanno richieste subito per alleviare l’ansia del bambino e dei genitori. Tuttavia, gli esami devono limitarsi a cercare le cause più comuni di DAR di origine organica o funzionale. Le analisi iniziali devono essere guidate dal sospetto clinico e possono comprendere l’Hb, l’ematocrito, lo striscio di sangue periferico, la conta dei GB, la VES, l’esame delle urine e l’urinocoltura, l’esame delle feci per la ricerca di parassiti e loro uova, dell’H. Pylori, di sangue, di sostanze riducenti e la determinazione del pH, un test alla tubercolina, i test di funzionalità epatica, la valutazione dei livelli sierici di amilasi e la radiografia in bianco dell’addome. Ulteriori indagini, come esami radiologici con mezzo di contrasto del tratto GI o urinario, EEG o esami endoscopici non devono essere effettuati senza un supporto di evidenza clinica (v. Tab. 268-1).

Prognosi e terapia Per i DAR psicogeni la prognosi a lungo termine deve essere cauta e non esiste un trattamento che abbia sempre successo. Alcuni bambini sviluppano successivamente altri disturbi somatici o difficoltà emotive. Nel caso di DAR organici o funzionali, la prognosi dipende dalla condizione sottostante. I DAR psicogeni richiedono un rapporto di fiducia tra il medico e la famiglia. Il medico deve spiegare al paziente e alla sua famiglia le indagini di laboratorio e il motivo per cui ognuna è richiesta; i risultati devono essere condivisi in dettaglio. Anche se il medico è del tutto convinto durante la prima visita che i DAR siano psicogeni, è prematuro suggerire un trattamento specifico. La maggior parte dei genitori è preoccupata che ci sia una causa organica e, finché non è rassicurata da esami diagnostici e dalla interpretazione dei risultati, difficilmente reagisce in modo favorevole o coerente a un programma di trattamento comportamentale. Non appena i risultati di laboratorio sono disponibili, devono essere programmati gli incontri per il follow-up. La famiglia deve essere rassicurata sul fatto che il bambino non ha un danno fisico e si deve badare alle preoccupazioni specifiche dei genitori e del bambino. Il medico deve spiegare i risultati degli esami di laboratorio e la natura del problema, descrivendo il meccanismo della genesi del dolore e della sua percezione da parte del bambino; cioè, che il bambino ha una tendenza costituzionale ad avvertire dolore in momenti di stress (come nel caso del dolore di schiena o della cefalea da tensione). Quasi sempre si individua un altro membro della famiglia che presenta un problema simile. Il primo passo nel trattamento dei DAR psicogeni è quello di evitare che continuino le conseguenze psicosociali negative del dolore cronico (p. es. assenze prolungate da scuola, l’escludersi dalle attività dei compagni) e promuovere le attività adatte all’età del bambino e un aumento dell’indipendenza e della fiducia in sé stesso. Questo tipo di strategie aiutano il bambino a controllare o tollerare i sintomi partecipando pienamente alle attività quotidiane. Tuttavia, quando i genitori smettono di trattare il bambino come speciale o malato, i sintomi possono peggiorare prima di cessare. La tappa successiva è quella di lavorare con la famiglia per rimuovere o ridurre lo stress inutile e aiutare il bambino a far fronte agli eventi stressanti inevitabili in un modo più efficace. Il coinvolgimento del personale scolastico è critico per quei bambini in cui i DAR interferiscono con la presenza o l’attività scolastica. Il bambino può riposarsi in infermeria durante la scuola, a condizione che ritorni in classe dopo 15-30 minuti. L’infermiera può essere autorizzata a somministrare un leggero analgesico (p. es. il paracetamolo) se necessario, può talora permettere al bambino di telefonare a un genitore che provvederà a incoraggiarlo a rimanere a scuola. Normalmente, il bambino si riposerà in infermeria >1 volta/die durante la prima o la seconda settimana del trattamento e in seguito la frequenza gradualmente verrà ridotta. Ad eccezione dell’uso occasionale di analgesici semplici privi di aspirina, i

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Patologia gastrointestinale

farmaci sono inefficaci e non raccomandati per i DAR psicogeni; essi possono rafforzare l’ipocondria o portare a dipendenza. Le visite di controllo periodiche vanno programmate (ogni settimana, ogni mese, ogni 2 mesi, a seconda dei bisogni della famiglia) fino ad alcuni mesi dopo la risoluzione del problema. Può essere necessaria una consulenza psichiatrica (in alcune casistiche in una proporzione che va fino al 50% delle famiglie) quando i sintomi persistono, soprattutto se il bambino è depresso o i genitori hanno conflitti coniugali cronici o gravi problemi psicologici. L’ospedalizzazione è di solito riservata a quei casi in cui i familiari hanno difficoltà ad accettare una diagnosi non-organica o in cui sono necessarie ulteriori indagini (p. es., una valutazione psicologica, un’osservazione delle interazioni familiari). L’ospedalizzazione deve essere breve e diretta all’obiettivo, per evitare di rafforzare i sintomi o di ingigantire eccessivamente un qualsiasi aspetto del problema. I DAR organici sono gestiti trattando la causa sottostante. La terapia dei DAR funzionali, una volta che la disfunzione sottostante è stata identificata, consiste consiste nel modificare le abitudini (p. es., defecazioni regolari alla stessa ora ogni giorno) o la dieta, o nella somministrazione di analgesici e nella educazione del paziente o della famiglia.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 268-1. CAUSE ORGANICHE DEI DOLORI ADDOMINALI RICORRENTI Eziologia

Approccio diagnostico

Patologie genitourinarie (GU) Anomalie congenite

Urografia EV, ecografia

Infezione delle vie urinarie (IVU)

Urinocoltura

Malattia infiammatoria pelvica

Esame della pelvi

Cisti ovarica, endometriosi Consulenza ginecologica Patologie gastrointestinali (GI) Ernia iatale

Esofagografia con bario, fluoroscopia

Epatite

Test di funzionalità epatica

Colecistite

Colangiografia, ecografia

Pancreatite

Livelli sierici di amilasi

Ulcera peptica

Rx del tratto GI superiore, endoscopia, colorazione d’argento per Helycobacter pylori, ricerca del sangue occulto nelle feci

Infestazione parassitaria (p. es., giardiasi)

Esame delle feci per ricerca di parassiti o loro uova

Diverticolo di Meckel

Scintigrafia con tecnezio

Enterocolite granulomatosa

VES, clisma opaco

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Manuale Merck - Tabella

TBC intestinale

Test alla tubercolina

Colite ulcerosa

Sigmoidoscopia, biopsia rettale

Aderenze postoperatorie

Rx del tratto GI superiore

Pseudocisti pancreatica

Ecografia

Appendicite cronica

Rx dell’addome, ecografia

Patologie sistemiche Intossicazione da piombo Livelli ematici di piombo, livelli di protoporfirina eritrocitaria libera Porpora di SchönleinHenoch

Anamnesi, esame delle urine

Anemia a cellule falciformi Provocazione della falcizzazione, elettroforesi dell’Hb Allergia alimentare

Dieta di eliminazione

Epilessia addominale

EEG

Porfiria

Livelli urinari di uroporfirina

Anemia mediterranea familiare, edema angioneurotico familiare, equivalente emicranico

Anamnesi familiare

Adattata da Barbero GJ: "Recurrent abdominal pain."Pediatrics in Review 4:30, 1982; riproduzione autorizzata.

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Patologia gastrointestinale

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 268. PATOLOGIA GASTROINTESTINALE MALATTIA ULCEROSA Si tratta di un’escoriazione di un segmento della mucosa gastroenterica, tipicamente nello stomaco (ulcera gastrica) o nei primi centimetri del duodeno (ulcera duodenale), che penetra attraverso la muscularis mucosae.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(V. Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23.) L’ulcera peptica generalmente non è diagnosticata nei lattanti e nei bambini, forse perché spesso non può essere raccolta un’anamnesi soddisfacente. L’ulcera duodenale è molto più comune di quella gastrica in questo gruppo di età.

Eziologia e patogenesi Come negli adulti con ulcera peptica, può essere presente l’Helicobacter pylori e in tal caso la sua eradicazione può far guarire l’ulcera, suggerendo che esso è la causa in questi pazienti. L’infezione da H. pylori è meno comune nei bambini che negli adulti con ulcera ed è più probabile che venga riscontrata nei figli di pazienti con ulcera peptica. L’H. pylori e i FANS possono alterare i normali meccanismi di difesa e riparazione della mucosa, rendendola più suscettibile all’attacco dell’acidità.

Sintomi, segni e diagnosi Nel periodo neonatale la perforazione e l’emorragia possono essere le prime manifestazioni. L’emorragia può anche essere il primo segno nel piccolo lattante e nella prima infanzia, sebbene vomiti ripetuti o l’evidenza di dolore addominale possano far pensare alla diagnosi. Esiste una storia familiare nel 50-60% dei bambini con ulcera duodenale. Il bambino in età scolare è in grado di localizzare e descrivere il dolore e di riferirne le relazioni coi pasti e l’insorgenza nei vari momenti della giornata. Suggeriscono la diagnosi di ulcera la relazione del dolore coi pasti e l’insorgenza notturna, sebbene questa presentazione tipica possa non verificarsi nel bambino. Per porre la diagnosi va effettuato prima un esame radiologico con bario. Se l’esito è negativo e si sospetta ancora un’ulcera, ci sono 2 alternative. La prima è l’endoscopia a fibre ottiche, indicata per la diagnosi definitiva ma che richiede narcosi o anestesia generale nei bambini al di sotto dei 10 anni. La seconda possibilità, da considerare se non è possibile l’endoscopia e dopo aver escluso

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Patologia gastrointestinale

altre possibili cause di dolore simil ulceroso (v. Dolori addominali ricorrenti, sopra), è di trattare il bambino sulla base di una diagnosi presuntiva di ulcera con un antiistaminico (H2)(v. schema successivo). In caso di emorragia o perforazione, si deve determinare il livello sierico di gastrina a digiuno, per escludere il gastrinoma. Per stabilire la presenza dell’H. pylori, il primo esame è la ricerca degli anticorpi specifici nel sangue, che presenta una specificità e sensibilità > 90%. Altri esami sono il breath test o test rapido dell’ureasi e l’esame istologico di biopsie dell’antro ottenute in endoscopia.

Terapia Se è presente l’H. pylori, si deve iniziare un trattamento due volte al giorno con un soppressore dell’acidità (inibitore della pompa protonica) associato a due antibiotici (p. es., metronidazolo più amoxicillina o tetraciclina nei bambini al di sopra degli 8 anni, o amoxicillina più claritromicina) in dosi adeguate al peso per 2 sett. Anche i genitori infetti devono essere trattati. L’antiacido deve essere continuato per 2 sett. dopo l’interruzione degli antibiotici. L’eradicazione dell’infezione da H. pylori deve essere confermata da un 1 3C-urea breath test. Per le ulcere H. pylori-negative, la terapia è simile a quella degli adulti (v. Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23). I FANS devono essere evitati, soprattutto perché possono essere coinvolti nella genesi dell’ulcera e nel sanguinamento. Dato che la secrezione gastrica basale e stimolata pro kg e per unità di tempo nei bambini non è diversa da quella negli adulti, così come la farmacocinetica e la farmacodinamica della ranitidina e della cimetidina, gli schemi di dosaggio per la somministrazione orale (o, dove necessario, EV) si basano su quelli raccomandati per gli adulti. I dosaggi per gli adulti degli anti-H2 devono essere usati, di norma, nei bambini che pesano 40 kg. Al di sotto di tale peso, la posologia della ranitidina per via orale è di 4 mg/kg/die e della cimetidina di 20 mg/kg; entrambi devono essere somministrati in 2 dosi q 12 h. La qualità della cicatrizzazione dell’ulcera peptica con una dose completa 1 volta al giorno piuttosto che mezza dose q 12 h non è stata ancora comprovata. La durata del trattamento è di 6-8 sett. per l’ulcera duodenale e 8 sett. per quella gastrica (12 sett. se l’ulcera è > 1 cm).

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 238. INFIAMMAZIONI E INFEZIONI GINECOLOGICHE INFEZIONI DEL TRATTO GENITALE SUPERIORE MALATTIA INFIAMMATORIA DELLA PELVI Infezione del tratto genitale femminile superiore, che include l’endometrite (infezione della cavità uterina), la salpingite (infezione delle tube di Falloppio), la cervicite mucopurulenta (infezione della cervice) e l’ooforite (infezione delle ovaie).

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Terapia

La malattia infiammatoria della pelvi (Pelvic Inflammatory Disease, PID) è una delle cause principali di morbilità ginecologica, quali l’infertilità, la gravidanza ectopica e il dolore pelvico cronico. La diagnosi e il trattamento devono essere solleciti per evitare queste sequele. La PID si verifica comunemente nelle donne < 35 anni. È raro che si verifichi prima del menarca, dopo la menopausa o durante la gravidanza. I fattori di rischio per la PID acuta includono i numerosi partner sessuali, una precedente PID, l’uso di un IUD, la presenza di una vaginosi batterica o di una STD, la nulliparità e una recente procedura invasiva a carico dell’utero (p. es., un aborto). I contraccettivi orali riducono il rischio di sviluppare una PID acuta. La PID è causata da microrganismi trasmessi durante il rapporto sessuale, le procedure invasive, l’aborto o il parto. L’infezione è, di solito, multifattoriale, coinvolgendo organismi aerobi e anaerobi. La N. gonorrhoeae è la causa più frequente di PID e può causare anche una sepsi, una poliartrite migrante, un’endocardite, un’infezione anale e un’uretrite; quest’ultima può essere asintomatica nelle donne (v. Gonorrea nel Cap. 164). La trasmissione maschio-femmina è più frequente della trasmissione femminamaschio. I fattori di rischio sono rappresentati dalla giovane età, dalla razza diversa dalla bianca, dal basso stato socioeconomico e i dai partner sessuali multipli o nuovi. La C. trachomatis ha 15 sierotipi, che causano uno spettro di infezioni che vanno dall’infezione della ghiandola del Bartolini alla congiuntivite e alle infezioni orofaringee. Infetta il 5% delle donne non gravide. La metà delle donne con un’infezione da Chlamydia è asintomatica e ha una cervice che sembra normale. I fattori di rischio sono simili a quelli della N. gonorrhoeae. La più frequente infezione clinica dovuta alla C. trachomatis è la cervicite. La N. gonorrhoeae e la C. trachomatis producono reperti fisici simili.

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Sintomi e segni La paziente si presenta con dolore ai quadranti inferiori dell’addome, febbre, perdite vaginali e/o un anomalo sanguinamento uterino. I sintomi si verificano frequentemente durante o dopo le mestruazioni. L’irritazione peritoneale produce un marcato dolore addominale con o senza dolore al rilascio della palpazione (l’addome deve essere palpato gentilmente per evitare la rottura dell’ascesso, v. oltre). Cervicite: la cervice è iperemica e sanguina facilmente (quando toccata con una spatola o con un bastoncino di cotone). La perdita mucopurulenta è verdegiallastra e contiene > 10 GB polimorfonucleati per campo con immersione a olio (usando la colorazione di Gram). Salpingite acuta: inizia, in genere, poco dopo le mestruazioni. Il dolore, localizzato ai quadranti inferiori dell’addome, diventa progressivamente più grave con la comparsa di una contrattura di difesa, dolorabilità di rimbalzo e ai movimenti del collo dell’utero. L’interessamento è, in genere, bilaterale. La nausea e il vomito si verificano durante le gravi infezioni. Nelle fasi precoci, i segni addominali acuti sono spesso assenti. La peristalsi è presente a meno che non si sia sviluppata una peritonite con un ileo paralitico. Sono frequenti la febbre, la leucocitosi e le perdite cervicali mucopurulente; il sanguinamento irregolare e la vaginosi batterica spesso accompagnano l’infezione pelvica. L’infezione pelvica dovuta alla N. gonorrhoeae è, di solito, più acuta e più tipica di quella dovuta alla C. trachomatis; l’inizio è rapido e causa un dolore pelvico che insorge subito dopo l’inizio delle mestruazioni. Anche se il dolore è spesso localizzato a un solo lato, entrambe le tube sono probabilmente infette. L’infezione produce un abbondante essudato che porta all’agglutinazione, alla formazione di aderenze e all’occlusione tubarica. Si può verificare una peritonite con dolore ai quadranti addominali superiori e la formazione di aderenze. La C. trachomatis causa dei sintomi che spesso sembrano lievi, ma che causano danni maggiori di quelli prodotti alla lunga dalla N. gonorrhoeae. La Chlamydia può rimanere nella mucosa tubarica per molti mesi prima che compaiano le manifestazioni cliniche della malattia acuta. Salpingite cronica: l’infezione acuta non trattata o trattata in modo inadeguato può causare una salpingite cronica, con la formazione di lesioni cicatriziali nelle tube e di possibili aderenze. Il dolore pelvico cronico, le irregolarità mestruali e l’infertilità rappresentano le sequele a lungo termine.

Complicanze L’ascesso tubo-ovarico si sviluppa in circa il 15% delle donne affette da una salpingite. Può accompagnare un’infezione acuta o cronica e può richiedere un’ospedalizzazione prolungata e talvolta il drenaggio chirurgico percutaneo. La rottura dell’ascesso rappresenta un’emergenza chirurgica, che si manifesta repentinamente con l’aggravamento del dolore ai quadranti addominali inferiori e la comparsa di nausea, vomito, i segni della peritonite generalizzata e dello shock settico (v. Cap. 156). Può essere presente anche un piosalpinge, in cui una o entrambe le tube di Falloppio sono piene di pus. Il liquido può essere sterile, ma con predominanza di GB. L’idrosalpinge (ostruzione della fimbria e distensione della tuba da parte di liquido non purulento) si sviluppa se il trattamento è tardivo o incompleto. La conseguente distruzione della mucosa causa l’infertilità. L’idrosalpinge è, di solito, asintomatica, ma può causare una compressione pelvica, un dolore pelvico cronico o una dispareunia. La sindrome di Fitz-Hugh-Curtis può essere una complicanza della salpingite gonococcica o da Chlamydia. È caratterizzata da un dolore localizzato al quadrante superiore di destra in associazione a una salpingite acuta, che indica la presenza di una periepatite. Può essere sospettata una colecistite acuta, ma i sintomi e i segni di una PID sono presenti o si sviluppano rapidamente. file:///F|/sito/merck/sez18/2382094b.html (2 of 3)02/09/2004 2.22.27

Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Diagnosi I criteri clinici più importanti sono la dolorabilità nei quadranti addominali inferiori, la dolorabilità annessiale unilaterale o bilaterale e la dolorabilità al movimento della cervice. I criteri minori includono una temperatura buccale > 38,3°C (> 100,9°F), delle perdite cervicali o vaginali anomale, una VES elevata, una proteina C-reattiva elevata e la documentazione di laboratorio dell’infezione cervicale dovuta alla N. gonorrhoeae o alla C. trachomatis; la VES e la proteina C-reattiva sono elevate in molti disturbi e non sono quindi specifiche per la PID. Tutti e tre i criteri maggiori e almeno uno dei criteri minori devono essere presenti per porre diagnosi di PID. La leucocitosi è tipica. Si può eseguire un’ecografia pelvica quando la paziente non può essere visitata in modo adeguato a causa della dolorabilità o del dolore, quando può essere presente una massa pelvica o quando non si verifica alcuna risposta alla terapia antibiotica per 48-72 h. La laparoscopia deve essere eseguita se la diagnosi è dubbia o se la paziente non migliora rapidamente con la terapia medica. In tutte le pazienti devono essere eseguiti l’esame colturale cervicale o la ricerca degli antigeni con sonde di DNA per la N. gonorrhoeae o la C. trachomatis, l’emocromo con una conta differenziale dei GB e un test di gravidanza. L’infezione cervicale dovuta alla N. gonorrhoeae può essere diagnosticata con la colorazione di Gram che mostra i diplococchi gram - intracellulari. Può essere utile per la diagnosi anche la biopsia endometriale con l’esame colturale per gli aerobi e gli anaerobi. Le diagnosi differenziali includono la gravidanza ectopica, l’appendicite acuta, l’endometriosi, la rottura sintomatica dell’ovaio, le neoplasie ovariche e i fibromi uterini.

Terapia Gli obiettivi terapeutici includono la completa risoluzione dell’infezione e la prevenzione dell’infertilità e della gravidanza ectopica. A questo scopo, l’immediato e vigoroso trattamento con la terapia antibiotica deve essere iniziato appena si conoscono i risultati degli esami colturali (v. Tab. 238-3). Le tradizionali indicazioni per il trattamento con il ricovero includono la nulliparità o la bassa parità, i sintomi gravi (p. es., una febbre importante, una leucocitosi, il dolore), una gravidanza sospetta e una tumefazione palpata all’esame della pelvi; in questi casi, la terapia EV deve continuare fino a quando la paziente è afebbrile da 24 h. Il drenaggio percutaneo o transvaginale dell’ascesso tubo-ovarico può essere eseguito sotto guida ecografica. Per le infezioni non complicate dovute alla N. gonorrhoeae, le opzioni includono il ceftriaxone, 125 mg IM, il cefixime, 400 mg PO, o la ciprofloxacina, 500 mg PO. Poiché la C. trachomatis spesso accompagna la N. gonorrhoeae, si può anche usare la doxicillina, 100 mg PO bid per 7 gg. L’azitromicina, 1 g PO in una singola dose o l’ofloxacina, 300 mg bid per 7 gg sono ugualmente efficaci. Gli esami per la C. trachomatis non devono essere ripetuti alla fine della terapia. Devono essere trattati anche i partner delle pazienti affette da un’infezione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 238-3. REGIMI TERAPEUTICI PER LA MALATTIA INFIAMMATORIA DELLA PELVI* In ospedale

A domicilio

Cefoxitina 2g EVq 6h

Cefoxitina 2g IM

più

più

Doxiciclina 100mg PO o EVq 12h†

Probenecid 1g PO (dose singola)

Cefotetan 2g EVq 12h

più

più

Doxiciclina 100mg POq 12h per 14gg

Doxiciclina 100mg PO o EVq 12h†

Ceftriaxone 250mg IM

Clindamicina 900mg EVq 8h

più

più

Doxiciclina 100mg POq 12h per 14gg

Gentamicina 2mg/kg (dose da carico) EV o IM, seguita da 1,5mg/kgq 8h‡

Ofloxacina 400mg POq 12h per 14gg più Metronidazolo 500mg POq 12h per 14gg Ofloxacina 400mg POq 12h per 14gg più Clindamicina 450mg PO qid

*Le raccomandazioni provengono dai Centers for Disease Control and Prevention: "Sexually transmitted diseases treatment guidelines." Morbidity and Mortality Weekly Report 42(RR-14):1102, 1993. †Questo regime è somministrato per almeno 48h dopo che la paziente ha mostrato un sostanziale miglioramento clinico; poi viene somministrata doxiciclina, 100mg POq 12h, per un totale di 14 gg di terapia. ‡Questo regime è somministrato per almeno 48h dopo che la paziente ha mostrato un sostanziale miglioramento clinico; poi viene somministrata doxiciclina, 100mg POq 12h, o clindamicina, 450mg PO qid, per un totale di 14gg di terapia.

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Manuale Merck - Tabella

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA OSTRUZIONE INTESTINALE MECCANICA Un blocco completo o una grave riduzione del passaggio del contenuto intestinale causata da un blocco meccanico.

Sommario: Introduzione Eziologia Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

A fini clinici, l'ostruzione meccanica è divisa in ostruzione del piccolo intestino, incluso il duodeno e del grosso intestino. Nell'ostruzione semplice non c'è alcuna interferenza con la vascolarizzazione; nello strangolamento è interrotta la vascolarizzazione arteriosa e venosa di un segmento intestinale.

Eziologia Le cause più frequenti di ostruzione meccanica sono le aderenze, le ernie, i tumori, i corpi estranei (inclusi i calcoli), le malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn), il morbo di Hirschsprung, i fecalomi e i volvoli. Ostruzione del piccolo intestino: l'ostruzione del piccolo intestino (digiunoileale) è frequentemente dovuta all'incarceramento nelle ernie o alle aderenze e meno comunemente a tumori (primitivi o metastatici), a corpi estranei, al diverticolo di Meckel o al morbo di Crohn. L'infestazione da ascaridi è rara negli USA, ma si verifica in alcuni paesi tropicali. Il volvolo dell'intestino medio è raro. L'invaginazione negli adulti è quasi sempre causata da tumori. Nei lattanti, l'ostruzione è causata, di solito, da un ileo da meconio, dal volvolo di un intestino malruotato, dall'atresia e dall'invaginazione (v. Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261). Ostruzione del duodeno: l'ostruzione del duodeno è di solito causata da un tumore, principalmente del duodeno o della testa del pancreas. Nei neonati, l'ostruzione del duodeno è più comunemente dovuta all'atresia, al volvolo, alle banderelle, alle membrane congenite dell'esofago e al pancreas anulare. In casi rari, le membrane congenite persistono nella vita adulta e portano a delle anomalie (p. es., i cosiddetti diverticoli intraluminali associati all'ostruzione). Ostruzione del grosso intestino: l'ostruzione del grosso intestino è causata da tumori, da diverticolite, da volvolo e da fecalomi. I tumori includono sia il carcinoma che ostruisce il lume, che le rare lesioni benigne (p. es. lipoma o grossi polipi) che possono portare all'invaginazione. L'ostruzione dovuta a un cancro si verifica più frequentemente a livello delle flessure splenica e sigmoidea, quella dovuta alla diverticolite causa, di solito, un'ostruzione del sigma e quella causata da un volvolo è più frequente nel sigma o nel ceco. file:///F|/sito/merck/sez03/0250280.html (1 of 4)02/09/2004 2.22.34

Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Fisiopatologia Nell'ostruzione meccanica semplice il blocco si verifica senza una compromissione vascolare o neurologica. Se l'ostruzione è completa, i liquidi e i solidi ingeriti, le secrezioni intestinali e i gas si accumulano in quantità eccessive. La parte di intestino prossimale all'ostruzione si distende mentre la parte distale collassa. Le normali funzioni secretiva e di assorbimento della mucosa sono ridotte e la parete intestinale diventa edematosa e congesta. La distensione intestinale grave si autoperpetua e progredisce, aumentando la peristalsi e lo sconvolgimento secretorio o, con un maggior rischio di disidratazione, ischemia, necrosi, perforazione, peritonite e morte. Nello strangolamento l'infarto dell'intestino è più frequentemente associato a un'ernia, un volvolo, un'invaginazione o un'ostruzione vascolare. Lo strangolamento di solito comincia con un'ostruzione venosa, che può essere seguita dall'ostruzione arteriosa e dalla rapida ischemia della parete intestinale. L'intestino diventa edematoso e infarcito, fino alla gangrena e alla perforazione.

Sintomi, segni e diagnosi Ostruzione del piccolo intestino: la diagnosi di ostruzione semplice è basata su una triade di segni: (1) i crampi addominali che sono localizzati nella regione periombelicale o all'epigastrio e che, se diventano gravi e continui, indicano un probabile strozzamento in atto. (2) Il vomito si manifesta precocemente nell'ostruzione del piccolo intestino e tardivamente nell'ostruzione del grosso intestino. (3) La chiusura completa dell'alvo alle feci e ai gas nell'ostruzione completa e la diarrea nelle ostruzioni parziali. In circa il 25% dei casi si verifica uno strozzamento del piccolo intestino che può progredire fino alla gangrena anche in sole 6 ore; si manifesta con un dolore addominale continuo e grave fin dall'inizio o che comincia alcune ore dopo l'inizio dei dolori crampiformi. In assenza dello strozzamento, l'addome non è dolorabile. Nello strozzamento, aumenta la distensione, l'addome diventa dolorabile e l'auscultazione rivela un addome silente o con peristalsi torpida. A volte è palpabile una massa. Tuttavia, solo la laparotomia può diagnosticare definitivamente lo strozzamento. Lo shock e l'oliguria sono segni molto gravi che indicano sia un'ostruzione semplice in fase avanzata che uno strozzamento e devono essere trattati prontamente. Se il punto dell'ostruzione non è conosciuto, si può, a volte, eseguire una colonscopia per completare l'esplorazione rettale e pelvica. Le rx addominali, sia in proiezione supina che in piedi, di solito confermano la diagnosi. La presenza di una serie di anse del piccolo intestino, disposte a scaletta, è, di solito, tipica, ma si può verificare anche in una lesione ostruttiva del colon dx. Alle rx eseguite in stazione eretta si possono osservare i livelli idroaerei. Le anse distese possono essere assenti se l'ostruzione interessa la porzione superiore del digiuno. In caso di un'ostruzione da strangolamento di un'ansa (come si può verificare con un volvolo), il radiologo può non trovare anse distese, ma può trovare una massa suggestiva di un infarto intestinale. Un clisma opaco di solito può escludere le lesioni del colon. Nei casi dubbi di ostruzione del piccolo intestino, si può somministrare del bario per bocca, ma è controindicato se si pensa che l'ostruzione sia nel colon. Ostruzione del colon: i sintomi, di solito, appaiono più gradualmente rispetto a quanto accade nell'ostruzione del piccolo intestino. La sempre più marcata costipazione conduce alla chiusura dell'alvo ai gas e alle feci e alla distensione addominale. Se la valvola ileocecale è continente, può non esserci il vomito; se invece è possibile il reflusso del contenuto colico nell'ileo, si può verificare il vomito (di solito varie ore dopo l'inizio dei sintomi). Sono presenti dei dolori crampiformi nei quadranti inferiori dell'addome, ma senza produzione di feci.

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

L'esame obiettivo mostra, tipicamente, un addome disteso con rumorosi borborigmi. Non c'è resistenza alla palpazione e il retto è vuoto. Può essere palpabile una massa in corrispondenza della sede del tumore occludente. A differenza di quanto accade nelle ostruzioni del piccolo intestino, le aderenze raramente occludono il colon. Anche lo strozzamento (a eccezione del volvolo) è raro. L'ostruzione può provocare una marcata distensione del tratto a monte con la rottura del ceco. Nella sede dell'ostruzione si può verificare anche la perforazione del tumore o del diverticolo. I sintomi sistemici sono meno gravi di quelli del piccolo intestino e lo squilibrio idroelettrolitico è meno frequente. Se l'ostruzione è dovuta a una neoplasia o a un diverticolo, la rx dell'addome mostra una distensione del tratto di colon prossimale alla lesione. Se il ceco è dilatato fino a un diametro di 13 cm, c'è il serio pericolo di una sua rottura ed è indicato l'intervento chirurgico. Un'endoscopia preliminare o un clisma con bario devono essere eseguiti per precisare il punto dell'ostruzione, dando sempre la precedenza all'endoscopia. Il volvolo ha spesso un inizio brusco. È sempre presente il rischio di uno strangolamento dei rami vascolari e della gangrena. Il volvolo del ceco può essere diagnosticato alla radiografia dell'addome per la presenza di una grossa bolla di gas al centro dell'addome o a livello del ipocondrio sx. Il volvolo del sigma di solito si verifica negli anziani. In entrambi i volvoli del sigma e del ceco, il clisma con bario mostra la sede dell'ostruzione con una tipica deformazione a becco d'uccello nel punto della torsione.

Terapia Ogni paziente con una possibile ostruzione intestinale deve essere ricoverato in ospedale. Il trattamento dell'occlusione intestinale acuta deve procedere simultaneamente con la diagnosi. La terapia deve essere basata sul fatto che l'intervento chirurgico è necessario per diagnosticare definitivamente l'ostruzione intestinale da strangolamento. Ostruzione del piccolo intestino: viene posizionato un sondino nasogastrico in aspirazione. Nel trattamento dell'ostruzione postoperatoria precoce o delle ostruzioni ripetute da aderenze, in assenza di segni di peritonismo, si può tentare il semplice posizionamento di un sondino, con un lungo tubo intestinale, invece di ricorrere all'intervento chirurgico. La maggior parte dei chirurghi è favorevole a una precoce laparotomia, sebbene questa possa essere ritardata di 2 o 3 h per migliorare le condizioni generali e ottenere una ripresa della diuresi in un paziente grave e disidratato. Un catetere vescicale è utile per monitorare la diuresi. Deve essere iniziata la somministrazione di liquidi ed elettroliti EV (preferibilmente una soluzione di Ringer lattato). In caso di vomito ripetuto, è probabile che la concentrazione sierica del Na e del K sia ridotta e debba essere ripristinata. Il bilancio dei liquidi deve essere continuamente aggiornato e gli elettroliti sierici devono essere titolati quotidianamente. Nei pazienti disidratati, è utile avere una misurazione diretta della pressione venosa centrale con il posizionamento di un catetere centrale. Con l'intervento chirurgico si rimuovono, quando possibile, le lesioni causali e si eseguono le procedure atte a prevenire le recidive, incluse la riparazione di ernie, la rimozione di corpi estranei e la completa lisi delle aderenze. I calcoli ostruenti vengono rimossi con la litotomia; la colecistectomia può essere eseguita sia durante lo stesso intervento che in seguito (v. Colelitiasi nel Cap. 48). I bezoari, un'altra causa di ostruzione, possono essere rimossi endoscopicamente (v. Cap. 24). Più frequentemente, essi vengono rimossi tramite un'enterotomia. La carcinosi intraperitoneale diffusa che coinvolge il piccolo intestino è la principale causa di morte da ostruzione intestinale negli adulti. Ogni tentativo di superare un'ostruzione con un bypass interno è probabilmente utile a breve termine. La terapia dell'ostruzione del duodeno negli adulti consiste nella resezione o, file:///F|/sito/merck/sez03/0250280.html (3 of 4)02/09/2004 2.22.34

Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

se la lesione non può essere rimossa, nella gastrodigiunostomia palliativa (per il trattamento nei bambini, v. in Difetti gastrointestinali nel Cap. 261). Ostruzione del grosso intestino: la terapia è essenzialmente identica a quella dell'occlusione del piccolo intestino. L'aspirazione nasogastrica, la somministrazione di liquidi ed elettroliti EV e il posizionamento di un catetere urinario sono necessari prima di un intervento chirurgico urgente. Le ostruzioni da neoplasie del colon possono essere trattate, in un unico tempo, con la resezione e l'anastomosi. Altre possibilità includono l'anastomosi con una colostomia di protezione. Raramente, è necessaria una colostomia derivativa con una successiva resezione. Quando l'ostruzione è causata dalla diverticolite, vi può essere anche una perforazione. L'asportazione del tratto malato può essere difficile, ma è indicata se c'è una perforazione e una peritonite generalizzata. In questo caso devono essere eseguite la resezione e la colostomia, rimandando l'anastomosi a un secondo momento. I fecalomi, di solito, si formano nel retto e possono essere rimossi manualmente. Tuttavia, è necessaria la laparotomia per le concrezioni fecali, da sole o con una mistura di bario o di antiacidi, che provocano un'ostruzione completa (di solito nel sigma). Il trattamento del volvolo del ceco consiste nella resezione e nell'anastomosi del segmento coinvolto o nella fissazione del ceco nella sua normale posizione, mediante una cecostomia. Nel volvolo del sigma, si può osservare, alla rx dell'addome, la tipica distensione dell'ansa del sigma. L'endoscopio o un lungo tubo rettale, di solito possono decomprimere l'ansa e la resezione e l'anastomosi possono essere rinviate di alcuni gg. Senza la resezione, la recidiva è quasi inevitabile.

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE COLELITIASI La formazione o la presenza di calcoli (calcoli biliari) nella colecisti.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La maggior parte delle affezioni cliniche del sistema biliare extraepatico è correlata alla presenza di calcoli. Negli USA, il 20% delle persone > 65 anni è affetto da calcoli biliari e ogni anno > 500000 persone si sottopongono all'intervento di colecistectomia. I fattori che aumentano le probabilità di una malattia calcolosa biliare sono il sesso femminile, l'obesità, l'età avanzata, l'etnia indiana nord americana, una dieta di tipo occidentale e un'anamnesi familiare positiva.

Fisiopatologia Il colesterolo, il principale componente della maggior parte dei calcoli biliari, è altamente insolubile in acqua, ma viene solubilizzato nella bile, sotto forma di micelle con sali biliari e fosfolipidi e in vescicole di fosfolipidi, che aumentano in maniera importante la capacità della bile di trasportare il colesterolo. Le micelle di sali biliari sono aggregati di sali biliari in cui le regioni idrosolubili (ioniche) delle molecole sono rivolte verso l'esterno e i nuclei steroidei, insolubili in acqua (nonpolari), sono rivolti verso l'interno. Il colesterolo è solubile all'interno di queste micelle sferoidali, la cui capacità di fungere da "carrier" del colesterolo viene ulteriormente aumentata dalla lecitina, un fosfolipide polare. La quantità di colesterolo trasportato nelle micelle e nelle vescicole varia in funzione della quantità di sali biliari secreti. Per la formazione dei calcoli di colesterolo è necessaria un'eccessiva saturazione del colesterolo nella bile, anche se questa non ne rappresenta l'unica causa, essendo frequente anche nella bile delle persone a digiuno che non sono affette dalla calcolosi biliare. L'altro fattore critico nella formazione dei calcoli biliari è la regolazione del processo iniziale, la formazione dei cristalli di colesterolo monoidrato. Nella bile colecistica, che è litogenica (cioè, incline alla formazione dei calcoli), c'è un'eccessiva saturazione di colesterolo e una formazione, relativamente rapida, di nuclei costituiti da cristalli di colesterolo. L'equilibrio dinamico tra le forze che agiscono pro e contro la nucleazione dei cristalli di colesterolo e la loro crescita nella colecisti, include l'azione di proteine o apoproteine specifiche, la mucina colecistica e la stasi colecistica. Praticamente tutti i calcoli biliari si formano all'interno della colecisti, ma dopo una colecistectomia si possono formare nel dotto biliare o a monte di una stenosi, a causa della stasi.

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Sintomi e segni Le conseguenze cliniche della formazione dei calcoli nella colecisti possono essere le più varie. La maggior parte dei pazienti resta asintomatica per lunghi periodi, di frequente per tutta la vita. I calcoli possono però passare attraverso il dotto cistico, causando o meno i sintomi di un'ostruzione. Un'ostruzione transitoria del cistico provoca un dolore di tipo colico, mentre un'ostruzione di tipo persistente solitamente produce un'infiammazione e una colecistite acuta. A differenza di altri tipi di colica, la colica biliare è tipicamente costante, con il dolore che aumenta progressivamente sino a raggiungere un plateau e quindi gradualmente recede, durando fino a diverse ore. Spesso si associano nausea e vomito. Nella colica colecistica non complicata sono assenti la febbre e i brividi. Il dolore è localizzato il più delle volte all'epigastrio o al quadrante superiore destro dell'addome e si irradia alla parte inferiore della scapola destra. Una sintomatologia dispeptica e un'intolleranza ai cibi grassi vengono spesso ascritti, in maniera imprecisa, alla litiasi della colecisti. Le eruttazioni, il meteorismo, il senso di ripienezza e la nausea sono tutti egualmente associati alla colelitiasi, alla malattia peptica ulcerosa o agli stati di distress funzionale. Tali sintomi possono scomparire dopo la colecistectomia, ma non devono rappresentare l'unica indicazione all'intervento. L'intolleranza postprandiale ai cibi grassi spesso è verosimilmente causata da una colelitiasi se i sintomi comprendono il dolore al quadrante superiore destro; comunque, la prevalenza del dolore funzionale postprandiale è così elevata nella popolazione generale che i sintomi da soli non sono sufficienti per la diagnosi di una patologia della colecisti in assenza di segni clinici e studi diagnostici di supporto.

Diagnosi Pochi sono i calcoli che non vengono evidenziati, ma l'accuratezza, la facilità, la sicurezza e i costi delle metodiche diagnostiche sono soggetti a variazioni, a discussioni e alla disponibilità e abilità locale. L'ecografia in tempo reale rappresenta il metodo di scelta per la diagnosi di possibili calcoli della colecisti. La sensibilità (probabilità di un test positivo quando è presente la malattia) è del 98%; la specificità (probabilità di un test negativo quando la malattia è assente) è del 95%. Anche l'ecografia B mode e la colecistografia orale sono sensibili e specifiche. Ulteriori informazioni su questi esami si possono trovare nel Cap. 37.

Terapia Litiasi biliare asintomatica: poiché i calcoli asintomatici sono spesso scoperti nel corso di una valutazione effettuata per altri motivi, si pone il problema di consigliare la sola osservazione clinica o l'intervento elettivo di colecistectomia. Nessuna delle due scelte può essere applicata in ogni circostanza. Anche se la storia naturale è imprevedibile, esiste una probabilità cumulativa (circa il 2%/ anno) di sviluppare i sintomi. La maggior parte dei pazienti con calcoli clinicamente silenti decide che il fastidio, la spesa e il rischio di un intervento elettivo non valgono il vantaggio derivante dalla rimozione di un organo che potrebbe non causare mai alcuna affezione clinica, anche se le potenziali complicanze possono essere gravi. Se compaiono i sintomi, è senz'altro consigliabile una terapia immediata. Litiasi biliare sintomatica: le coliche biliari recidivano, intervallate da periodi di benessere irregolari, di giorni o mesi. I sintomi spesso non aumentano di gravità o di frequenza, ma neppure scompaiono completamente. I pazienti sintomatici

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

hanno un aumentato rischio di complicanze e devono essere sottoposti a colecistectomia. Dopo l'intervento ci si può aspettare quasi certamente la scomparsa dei sintomi di chiara origine colecistica; anche i sintomi non specifici della dispepsia postprandiale generalmente cessano nei pazienti che hanno avuto coliche. Una colica biliare recidiva, anche a distanza di anni, richiede un'immediata valutazione nel sospetto di una calcolosi del dotto biliare comune (coledocolitiasi). La colecistectomia non causa problemi nutrizionali né sono necessarie restrizioni alimentari postoperatorie. L'intervento standard di rimozione della colecisti attraverso un'incisione sottocostale destra o mediana rappresenta la colecistectomia aperta. Quando la colecisti viene rimossa elettivamente in assenza di complicanze, l'intervento è relativamente sicuro con una mortalità dello 0,1-0,5%. Tuttavia, fin dalla sua introduzione nel 1988, la colecistectomia laparoscopica è diventata il trattamento di scelta per la calcolosi della colecisti sintomatica. Questa tecnica è molto popolare a causa della più breve convalescenza, dei ridotti disagi postoperatori e dei migliori risultati estetici. La procedura comporta l'inserimento di speciali strumenti chirurgici e di una videocamera nella cavità addominale attraverso delle piccole incisioni nella parete dell'addome. Dopo l'insufflazione della cavità, la colecisti viene rimossa in videoscopia. La colecistectomia laparoscopica è convertita in una procedura aperta in circa il 5% dei casi, di solito a causa dell'incapacità a identificare l'anatomia della colecisti o a gestire una complicanza. Per i pazienti che rifiutano il trattamento chirurgico o per quelli in cui il trattamento chirurgico è inappropriato, i calcoli della colecisti possono talvolta essere dissolti in vivo somministrando degli acidi biliari per via orale e per molti mesi. Perché questo trattamento funzioni, i calcoli non devono essere calcifici ed è essenziale la dimostrazione di una normale funzione della colecisti alla colecistografia orale. L'acido ursodesossicolico, 10 mg/ kg/die, riduce la secrezione biliare di colesterolo e diminuisce la saturazione in colesterolo della bile, causando una graduale dissoluzione dei calcoli contenenti colesterolo nel 30-40% dei pazienti. La ricorrenza dei calcoli è, comunque, frequente dopo la sospensione del farmaco. Metodi alternativi per la dissoluzione dei calcoli (metil-tert-butil etere) o la frammentazione dei calcoli (litotripsia extracorporea con onda d'urto) sono ora poco disponibili a causa del maggiore gradimento dei pazienti riguardo alla colecistectomia laparoscopica.

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA ILEO (Ileo paralitico; ileo adinamico; paresi) Un temporaneo arresto della peristalsi intestinale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia L'ileo è il più delle volte associato a un'infezione intra o retroperitoneale. L'ileo può essere dovuto a un'ischemia mesenterica, a un danno arterioso o venoso, a un ematoma intra o retroperitoneale, può presentarsi dopo un intervento di chirurgia addominale o può essere associato a una malattia renale o toracica e a disturbi metabolici (p. es., ipokaliemia). I disturbi della motilità gastrica e colica dopo un intervento di chirurgia addominale dipendono prevalentemente dalla manipolazione intestinale. Il piccolo intestino di solito non è interessato e la motilità e l'assorbimento tornano normali entro poche ore dall'intervento chirurgico. Lo svuotamento gastrico è alterato per circa 24 h, ma il colon può rimanere inerte per 48-72 h. Questi reperti sono confermati dalle rx giornaliere dell'addome eseguite dopo l'intervento chirurgico, che mostrano un accumulo di gas nel colon, ma non nel piccolo intestino. L'attività tende a ritornare prima nel ceco e poi nel sigma. Il ristagno di gas nel piccolo intestino, indica la presenza di una complicanza (p. es. ostruzione o peritonite).

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi e i segni includono la distensione addominale, il vomito, la costipazione e i crampi. L'auscultazione rivela un addome silente o con minima peristalsi. Le rx mostrano la distensione gassosa di segmenti isolati sia del piccolo che del grosso intestino. La maggiore distensione, generalmente, si osserva nel colon.

Terapia Di solito, il trattamento comprende l'aspirazione continua mediante sondino nasogastrico, il digiuno, la somministrazione EV di liquidi ed elettroliti e una minima dose di sedativi. Un adeguato livello sierico di K (> 4 mEq/l [> 4 mmol/l]) è particolarmente importante. In alcuni pazienti l'ileo colico può essere alleviato dalla decompressione mediante colonscopio; raramente è necessaria una cecostomia. L'ileo che dura per più di 1 sett. è probabilmente dovuto a un'ostruzione meccanica e deve essere presa in considerazione la laparotomia. file:///F|/sito/merck/sez03/0250283a.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.35

Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

La decompressione durante la colonscopia è utile nei casi di una pseudostruzione (sindrome di Ogilvie) che consiste nell'apparente ostruzione a livello della flessura splenica, in assenza di una causa organica per il mancato passaggio dei gas e delle feci, al clisma opaco o alla colonscopia.

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA APPENDICITE Infiammazione acuta dell'appendice vermiforme.

Sommario: Eziologia e incidenza Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Eziologia e incidenza Sebbene l'appendicite acuta sia la più frequente patologia dell'appendice, altre potenziali condizioni includono l'ingestione di corpi estranei, i parassiti, i coproliti, i carcinoidi, i tumori, gli adenomi villosi e i diverticoli. L'appendice può essere coinvolta anche nella colite ulcerosa idiopatica o nella ileocolite di Crohn. Negli USA, a eccezione dell'ernia, l'appendicite acuta è la causa più comune di un attacco di grave dolore addominale acuto che richiede il trattamento chirurgico. Poiché i sintomi e i segni sono molto variabili e poiché è rischioso ritardare l'intervento chirurgico, è accettato che in circa il 15% degli interventi eseguiti per un'appendicite acuta si osservino altri reperti alla laparotomia o che non si riscontri alcuna patologia.

Sintomi e segni I sintomi e i segni tipici di un'appendicite acuta si osservano in < 50% dei pazienti; essi consistono in un dolore epigastrico o periombelicale che inizia improvvisamente, seguito da nausea e vomito e che, dopo alcune ore, si localizza in fossa iliaca dx. Una dolorabilità alla palpazione diretta e un segno di Blumberg positivo in fossa iliaca dx, un dolore localizzato che insorge durante i colpi di tosse, una febbricola (temperatura rettale da 37,7 a 38,3°C) e una leucocitosi (da 12000 a 15000 ml) caratterizzano il quadro sintomatologico. La classica dolorabilità in fossa iliaca dx è localizzata nel punto di McBurney (giunzione del terzo medio e del terzo laterale di una linea che unisce l'ombelico alla spina iliaca antero-superiore). Il segno di Rovsing (dolore, avvertito in fossa iliaca dx, quando si esegue una palpazione profonda in fossa iliaca sx) suggerisce la possibilità di un'appendicite. La presenza del segno dello psoas (un aumento del dolore con l'estensione passiva dell'articolazione dell'anca che provoca uno stiramento del muscolo psoas) o del dolore dell'adduttore (dolore prodotto dalla rotazione interna passiva della coscia flessa) può indicare sia la localizzazione anatomica dell'appendice che la progressione del processo infiammatorio. Possono esistere molte varianti dei sintomi e dei segni. Il dolore può non essere file:///F|/sito/merck/sez03/0250284.html (1 of 3)02/09/2004 2.22.36

Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

localizzato, soprattutto nei lattanti e nei bambini. La dolorabilità può essere diffusa o avvertita solo all'esplorazione rettale o pelvica; in rari casi la dolorabilità può essere assente e il dolore addominale, la febbre persistente e la leucocitosi possono essere gli unici segni presenti. Le defecazioni sono di solito meno frequenti o assenti; se è presente diarrea, deve essere sospettata un'appendice retrocecale. Nelle urine possono essere presenti alcuni GR. I sintomi atipici sono frequenti anche negli anziani e nelle donne in gravidanza; in particolare, il dolore è meno grave e la dolorabilità locale meno acuta.

Diagnosi Di solito la diagnosi si basa sull'esame obiettivo. L'intervento chirurgico deve essere eseguito il prima possibile per evitare la perforazione e la peritonite generalizzata o diffusa. Nelle fasi iniziali dell'appendicite, le rx, l'ecografia e la TC non sono di aiuto per la diagnosi e il clisma opaco è pericoloso. Nelle fasi tardive, l'ecografia e la TC possono essere molto utili per la diagnosi degli ascessi, particolarmente nella pelvi e nella loggia subfrenica. La laparoscopia può essere utile in alcuni casi, particolarmente nelle donne con una malattia infiammatoria della pelvi. Devono essere prese in considerazioni alcune diagnosi alternative: l'intervento chirurgico immediato è necessario nel caso di ulcera peptica perforata, di colecistite gangrenosa acuta e di occlusione intestinale acuta. In una donna, se alla laparotomia l'appendice è normale, deve essere eseguita come prima cosa un'esplorazione attenta degli organi pelvici alla ricerca di una cisti ovarica, di una salpingite o di una gravidanza ectopica. Sia nelle donne che negli uomini, la porzione distale del piccolo intestino deve essere esaminata per una lunghezza di almeno 2 m per escludere la presenza di un diverticolo di Meckel o di un'ileite (morbo di Crohn o enterite da Yersinia). Un'adenite mesenterica (iperplasia dei linfonodi) può essere riscontrata nel mesentere dell'ileo terminale. L'intervento chirurgico deve essere evitato in caso di colica renale, rottura di un follicolo ovarico (a meno che non ci sia un importante sanguinamento), in caso di una MIP iniziale o di una gastroenterite acuta.

Prognosi Con un intervento chirurgico precoce, la mortalità è bassa, il paziente viene abitualmente dimesso dopo pochi gg e la convalescenza è normalmente rapida e completa. In caso di complicanze (rottura, formazione di un ascesso o peritonite localizzata o generalizzata) la prognosi è più grave; sebbene gli antibiotici abbiano ridotto la mortalità pressoché a zero in molti centri, spesso sono necessari ripetuti interventi chirurgici e una lunga convalescenza.

Terapia Poiché la perforazione si può verificare entro le 24 h dall'inizio della sintomatologia, la laparotomia è l'unica procedura sicura quando viene posto un ragionevole sospetto di appendicite. Il trattamento dell'appendicite acuta consiste nell'appendicectomia; il chirurgo può quasi sempre rimuovere l'appendice anche in presenza di una perforazione o di altre patologie. A volte l'appendice è difficile da localizzare; in questi casi, di solito, è dietro il ceco, l'ileo o il mesocolon dx. Una controindicazione all'appendicectomia è rappresentata da una malattia infiammatoria dell'intestino che coinvolge il ceco. Tuttavia, nei casi di ileite terminale con un ceco normale, l'appendice, di solito, viene rimossa. L'appendicectomia deve essere preceduta dalla somministrazione IM o EV di antibiotici, che sono somministrati anche durante l'intervento e poi continuati durante i primi giorni postoperatori. Le cefalosporine di 3a generazione sono gli file:///F|/sito/merck/sez03/0250284.html (2 of 3)02/09/2004 2.22.36

Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

antibiotici preferiti. L'appendicite acuta sospetta non deve essere trattata con i soli antibiotici a meno che sia impossibile eseguire l'intervento chirurgico. Quando si trova una grossa massa infiammatoria che coinvolge l'appendice, l'ileo terminale e il ceco, è preferibile la resezione dell'intera massa con un'anastomosi ileocolica. In alcuni casi avanzati, si è già formato un ascesso pericolico; questo può essere drenato o con un catetere percutaneo posizionato sotto guida ecografica o per via chirurgica a cui seguirà, in un secondo momento, l'appendicectomia. Se la procedura non è ostacolata da una diffusa infiammazione periappendicolare, il diverticolo di Meckel deve essere rimosso contemporaneamente all'appendice.

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA PERITONITE CRONICA Le cause della peritonite cronica includono le reinfezioni (p. es., ripetuti attacchi di malattia infiammatoria della pelvi), alcune infezioni postoperatorie (peritonite da talco, amido) e le infezioni croniche. La tubercolosi è la causa principale di peritonite cronica (v. Cap. 157).

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Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 25. ADDOME ACUTO E CHIRURGIA GASTROENTEROLOGICA PERITONITE CRONICA PERITONITI POSTOPERATORIE La peritonite postoperatoria ha molte cause. Il danno intraoperatorio a un viscere (vie biliari, uretere, vescica o tratto GI) richiede una correzione chirurgica. Anche la deiscenza anastomotica è un grave problema che richiede un reintervento immediato. I corpi estranei dimenticati (p. es., una garza) possono determinare gravi aderenze infiammatorie e una fibrosi che persiste fino alla loro rimozione chirurgica o raramente alla loro espulsione spontanea. Il talco o l'amido usato nei guanti può produrre una peculiare reazione granulomatosa che si manifesta con un protratto ileo postoperatorio, dolorabilità e febbre. Di solito è autolimitantesi e si risolve spontaneamente nell'arco di settimane. Questa reazione, di solito, è diagnosticata attraverso una nuova laparotomia che permette di escludere altre complicanze. L'amido può essere identificato per la presenza di granuli che hanno la forma della croce maltese alla luce riflessa. I farmaci antiinfiammatori (p. es., indometacina e prednisone) possono ridurre il periodo di convalescenza. Una peritonite micotica, di solito causata dalla Candida, si può verificare nei pazienti operati che hanno avuto una peritonite persistente trattata con gli antibiotici. La peritonite da candida può essere trattata con l'amfotericina B EV, ma la prognosi è grave. La dialisi peritoneale si complica frequentemente con una peritonite indicata dalla presenza di un liquido torbido. Un catetere a permanenza o degli shunt usati per l'ascite possono causare un'invasione batterica del peritoneo, in particolare da Staphylococcus epidermidis e Staphylococcus aureus. Il trattamento consiste nella somministrazione di antibiotici specifici identificati dalla coltura e dall'antibiogramma; nella rimozione degli shunt, se necessario; o nel ricorso all'emodialisi, come ultima possibilità.

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Pancreatite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 26. PANCREATITE Infiammazione del pancreas. La pancreatite è classificata in acuta o cronica. La pancreatite acuta è un'infiammazione acuta che si risolve sia clinicamente che istologicamente. La pancreatite cronica è caratterizzata da delle alterazioni istologiche che persistono anche dopo che la causa è stata rimossa. Le alterazioni istologiche che si verificano nella pancreatite cronica sono irreversibili e tendono a essere progressive, causando una grave perdita della funzione pancreatica esocrina ed endocrina e il deterioramento della struttura pancreatica. Tuttavia, delle possibili discordanze tra le componenti cliniche e quelle istologiche possono complicare la classificazione; p. es., la pancreatite alcolica può inizialmente presentarsi in una forma acuta, anche se può già essere una forma cronica dal punto di vista istologico.

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Pancreatite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 26. PANCREATITE Infiammazione del pancreas.

PANCREATITE ACUTA Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prognosi Terapia

Eziologia e fisiopatologia Una patologia delle vie biliari e l'alcolismo sono responsabili di ≥ 80% dei ricoveri ospedalieri per pancreatite acuta. Il restante 20% è causato dai farmaci (p. es., azatioprina, sulfasalazina, furosemide e acido valproico), dall'uso degli estrogeni associati a iperlipemia, da un'infezione (p. es., la parotite), dall'ipertrigliceridemia, dalla pancreatografia retrograda endoscopica, da anomalie strutturali del dotto pancreatico (p. es., stenosi, neoplasie, pancreas divisum), del coledoco e della regione ampollare (p. es., cisti coledocica, stenosi dello sfintere di Oddi), dagli interventi chirurgici (particolarmente a carico dello stomaco e della via biliare), dalle malattie vascolari (specialmente una grave ipotensione), dalle contusioni e dai traumi penetranti, dall'iperparatiroidismo e dall'ipercalcemia, dal trapianto renale, dalla pancreatite ereditaria, oppure da cause dubbie. Nelle affezioni della via biliare, gli episodi di pancreatite sono causati dal temporaneo arresto di un calcolo nello sfintere di Oddi, prima del suo passaggio nel duodeno. Il preciso meccanismo patogenetico non è chiaro; dati recenti indicano che l'ostruzione del dotto pancreatico può causare una pancreatite in assenza di reflusso biliare e, quindi, solo per un aumento della pressione duttale. L'assunzione di alcol in quantità > 100 g/die per diversi anni può causare la precipitazione della componente proteica degli enzimi pancreatici all'interno dei piccoli duttuli. Con il tempo, la deposizione di questi tappi proteici diviene più generalizzata e induce ulteriori anomalie istologiche. Dopo un periodo di 3-5 anni, si verifica il primo episodio di pancreatite, presumibilmente a causa dell'attivazione prematura degli enzimi pancreatici. L'edema o la necrosi e l'emorragia sono le alterazioni macroscopiche principali. La necrosi tissutale è causata dall'attivazione dei diversi enzimi pancreatici, compresa la tripsina e la fosfolipasi A2. L'emorragia è causata dall'attivazione generalizzata degli enzimi pancreatici, inclusa l'elastasi pancreatica, che dissolve le fibre elastiche dei vasi sanguigni. Nella pancreatite edematosa, l'infiammazione è, solitamente, limitata al pancreas e la mortalità è < 5%. Nella pancreatite con gravi necrosi ed emorragia, la risposta infiammatoria non è limitata al pancreas e la mortalità va da _ 10 al 50%. L'essudato pancreatico contenente le tossine e gli enzimi pancreatici attivati, infiltra il retroperitoneo e, a volte, la cavità peritoneale, inducendo un'ustione chimica e aumentando la permeabilità dei vasi. Questo causa il passaggio di file:///F|/sito/merck/sez03/0260289b.html (1 of 6)02/09/2004 2.22.49

Pancreatite

grandi quantità di liquido ricco di proteine dalla circolazione sistemica nel "terzo spazio", producendo ipovolemia e shock. Quando questi enzimi attivati e queste tossine entrano nella circolazione sistemica, causano un'aumentata permeabilità capillare in tutto il corpo e possono ridurre il tono vascolare periferico, aggravando, quindi, l'ipotensione. Gli enzimi circolanti attivati possono danneggiare direttamente i tessuti (p. es., si pensa che la fosfolipasi A2 determini delle lesioni delle membrane alveolari dei polmoni).

Sintomi e segni Nella pancreatite, gli enzimi pancreatici attivano il complemento e la cascata infiammatoria, producendo quindi delle citochine. I pazienti si presentano, tipicamente, con febbre e un'elevata leucocitosi. Può essere allora difficile stabilire se l'infezione è la causa o la conseguenza della pancreatite. La maggior parte dei pazienti lamenta un forte dolore addominale, che si irradia al dorso in circa il 50% dei pazienti; raramente, il dolore si localizza nei quadranti inferiori dell'addome. Di solito, questo si sviluppa improvvisamente nella pancreatite biliare e, nel corso di alcune settimane, nella pancreatite alcolica. Il dolore è molto intenso e richiede elevate dosi di narcotici per via parenterale. È costante e opprimente e persiste per molte ore o per diversi giorni senza attenuarsi. Normalmente il dolore non si riduce modificando la postura o eseguendo altre manovre, mentre è accentuato dalla tosse, dai movimenti vigorosi e dai respiri profondi. La maggior parte dei pazienti presenta nausea e vomito che, a volte, diventa alla fine un vomito non produttivo. Il paziente appare gravemente sofferente ed è sudato. La frequenza del polso solitamente è compresa tra i 100 e i 140 battiti/min. Il respiro è rapido e superficiale. La PA può essere transitoriamente alta o bassa, con una significativa ipotensione posturale. All'inizio la temperatura può essere normale o persino inferiore alla norma, ma entro poche ore può aumentare a 37,7-38,3°C. Il sensorio può essere obnubilato fino a raggiungere uno stato di semicoma. Occasionalmente è presente un ittero sclerale. L'esame dei polmoni può rivelare una limitata escursione diaframmatica con l'evidenza di un'atelettasia. In circa il 20% dei pazienti, è presente una distensione della parte superiore dell'addome, provocata da una distensione gastrica o da una grossa massa infiammatoria pancreatica che sposta lo stomaco anteriormente. La rottura del dotto pancreatico può causare ascite (ascite pancreatica). È sempre presente una dolorabilità addominale, spesso grave, nei quadranti superiori dell'addome e, meno pronunciata, nei quadranti inferiori. Vi può essere una contrattura muscolare lieve o moderata a carico della parte superiore dell'addome, ma raramente nella parte inferiore. È raro che l'intero addome mostri una grave irritazione peritoneale sotto forma di un addome a tavola. La peristalsi può essere torpida. Solitamente l'esplorazione rettale non mostra alcuna dolorabilità e il test delle feci per il sangue occulto è negativo.

Complicanze Solitamente, durante i primi gg di pancreatite acuta, la morte è causata dall'instabilità cardiovascolare (con uno shock refrattario e un'insufficienza renale), dall'insufficienza respiratoria (con ipossiemia e a volte con la sindrome da distress respiratorio dell'adulto) o, occasionalmente, dall'insufficienza cardiaca (secondaria a un fattore deprimente il miocardio non identificato). Si pensa che gli enzimi circolanti e le tossine giochino un ruolo importante nelle morti precoci. Dopo la prima settimana, la morte è, solitamente, causata da un'infezione pancreatica o da una pseudocisti. L'infezione pancreatica del tessuto retroperitoneale devitalizzato è, solitamente,

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Pancreatite

causata da microrganismi gram -. L'infezione deve essere sospettata se il paziente ha un aspetto settico generalizzato con temperatura e leucocitosi elevate o se dopo un iniziale periodo di stabilizzazione si verifica un peggioramento. La diagnosi viene fatta sulla base della positività delle emocolture e, in particolare, della presenza di bolle d'aria nel retroperitoneo a una TC dell'addome. L'aspirazione percutanea dell'essudato pancreatico, eseguita sotto guida TC, può svelare la presenza di microrganismi alla colorazione di Gram e/o all'esame colturale, che deve condurre a un immediato sbrigliamento chirurgico. La mortalità è, di solito, del 100% se non si procede a uno sbrigliamento chirurgico esteso del tessuto retroperitoneale infetto. La pseudocisti pancreatica è una raccolta di liquido pancreatico ricco di enzimi e di residui tissutali che origina da aree necrotiche o da piccoli dotti ostruiti. Non è circondata da una capsula vera e propria. La morte è causata da un'infezione, un'emorragia o una rottura secondarie.

Diagnosi La pancreatite acuta deve essere considerata nella diagnosi differenziale di ogni addome acuto. La sua diagnosi differenziale include la perforazione di un'ulcera gastrica o duodenale, l'infarto mesenterico, l'ostruzione intestinale con strozzamento, la gravidanza ectopica, l'aneurisma dissecante, la colica biliare, l'appendicite, la diverticolite, l'infarto della parete inferiore del miocardio e l'ematoma dei muscoli addominali o della milza. Nessun esame di laboratorio può confermare la diagnosi di pancreatite acuta, ma può supportarne il sospetto clinico. La concentrazione sierica dell'amilasi e della lipasi aumenta il primo giorno della pancreatite acuta e ritorna alla norma entro 3-7 gg. Entrambi possono restare normali se nel corso di precedenti episodi di pancreatite è stato distrutto tanto tessuto acinoso da poter liberare ora una quantità di enzimi insufficiente a innalzarne i livelli sierici. L'amilasi può anche risultare normale se coesiste un'ipertrigliceridemia (in questo caso può essere presente un inibitore circolante che deve essere diluito prima di poter rilevare l'aumento dell'amilasi sierica). Sia l'amilasi che la lipasi possono essere aumentate in altri disordini, come nell'insufficienza renale e in situazioni addominali che richiedono un trattamento chirurgico urgente (p. es., l'ulcera perforata, l'occlusione vascolare mesenterica e l'ostruzione intestinale associata a ischemia). Altre cause di aumento dell'amilasi sierica sono la disfunzione delle ghiandole salivari, la macroamilasemia e i tumori che secernono amilasi. Il rapporto amilasi/clearance della creatinina non sembra avere una sufficiente sensibilità o specificità per confermare la diagnosi di pancreatite. È generalmente usato per diagnosticare una macroamilasemia quando non esiste una vera pancreatite. Nella macroamilasemia, le amilasi legate alle immunoglobuline sieriche determinano una falsa iperamilasemia. Il frazionamento dell'amilasi sierica totale in isoamilasi di tipo pancreatico (tipo-p) e di tipo salivare (tipo-s) è ora possibile nella maggior parte dei laboratori commerciali. L'isoamilasi di tipo p aumenta nel primo giorno di pancreatite e, insieme alla lipasi sierica, resta elevata più a lungo rispetto all'amilasi sierica totale. Comunque, un aumento della amilasi di tipo p si verifica anche nell'insufficienza renale e in altre gravi condizioni addominali in cui è alterata la clearance dell'amilasi. La conta dei GB solitamente aumenta a 12000-20000/ml. Le perdite dei liquidi nel terzo spazio possono far aumentare l'ematocrito addirittura fino al 50-55%, indicando una grave infiammazione. Si può verificare un'iperglicemia. La concentrazione sierica del calcio diminuisce precocemente fin dal primo giorno a causa della formazione dei "saponi" di Ca, secondaria all'eccessiva generazione di acidi grassi liberi, specialmente dalla lipasi pancreatica. La concentrazione della bilirubina sierica aumenta nel 15-25% dei pazienti, perché il pancreas edematoso comprime il dotto biliare comune. Le rx standard dell'addome in posizione supina e in posizione eretta possono evidenziare la presenza di calcoli all'interno dei dotti pancreatici (prova

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Pancreatite

di una precedente infiammazione e quindi di una pancreatite cronica), di calcoli biliari calcifici oppure di un ileo localizzato nel quadrante superiore sx o nella parte centrale dell'addome ("un'ansa sentinella" dell'intestino tenue, una dilatazione del colon trasverso o un'ileo duodenale). La rx del torace può mostrare un'atelettasia o un versamento pleurico (solitamente dal lato sx o bilaterale, ma raramente limitato allo spazio pleurico dx). Deve essere eseguita un'ecografia che può evidenziare la presenza di calcoli biliari o di una dilatazione del coledoco che indica la sua ostruzione a valle. Può essere visualizzato l'edema del pancreas, ma spesso il gas soprastante rende difficile la valutazione del pancreas. La TC solitamente fornisce una migliore visualizzazione del pancreas (a meno che il paziente non sia molto magro). Questo esame è raccomandato se la pancreatite è grave o se insorge una complicanza (p. es., ipotensione o leucocitosi progressiva e aumento della temperatura). Anche se > 80% dei pazienti affetti da una pancreatite biliare elimina il calcolo spontaneamente, nelle prime 24 ore di ricovero, è indicata la CPRE con la sfinterotomia e la rimozione dei calcoli nei pazienti che non migliorano. I pazienti che migliorano spontaneamente, di solito sono sottoposti a una colecistectomia elettiva per via laparoscopica. L'esecuzione di una colangiografia in questi pazienti è ancora controversa. Tuttavia, la colangio-RMN può fornire delle immagini dell'albero biliare in modo semplice e non invasivo.

Prognosi Gli 11 segni prognostici di Ranson aiutano a stimare la prognosi di una pancreatite acuta. Cinque segni possono essere documentati al momento del ricovero: un'età maggiore di 55 anni, una glicemia > 200 mg/dl (> 11,1 mmol/l), una LDH > 350 UI/l, una AST > 250 UI e una leucocitosi > 16000/ml. I restanti segni vengono determinati entro 48 h dal ricovero: una riduzione dell'Htc > 10%, un aumento dell'azotemia > 5 mg/dl, un Ca sierico < 8 mg/ dl, una PaO2 < 60 mm Hg, un deficit di basi > 4 mEq/l e un sequestro di liquidi valutato > 6 l. La mortalità aumenta progressivamente con il numero dei segni positivi: se sono positivi meno di 3 segni, la mortalità è < 5%; se sono positivi 3 o 4 segni, la mortalità è del 15-20%. La pancreatite associata alla necrosi e all'emorragia ha una mortalità _ 10-50%. La diagnosi è indicata da una progressiva riduzione dell'Htc, dalla presenza di un'ascite emorragica, dalla riduzione del Ca sierico e dalla presenza dei segni di Grey Turner e di Cullen (che indicano lo stravaso dell'essudato emorragico, rispettivamente, ai fianchi o nella regione ombelicale). Se la TC mostra soltanto un lieve edema pancreatico, la prognosi è eccellente; un marcato edema pancreatico denota una prognosi più grave, specialmente quando è presente uno stravaso di liquidi (p. es., nello spazio retroperitoneale o nel piccolo omento) o è evidente una necrosi pancreatica. La somministrazione EV di un mezzo di contrasto aiuta a riconoscere la necrosi pancreatica, in quanto la mancata integrità della microcircolazione riduce la perfusione parenchimale; quindi, la lesione non concentra il contrasto. Tuttavia, se il pancreas aumentato di volume è solo edematoso e ha una microcircolazione intatta, si osserva un'uniforme enhancement del parenchima. La necrosi del pancreas è associata a un aumento della morbilità, della mortalità e della probabilità di un'infezione. I mezzi di contrasto EV devono essere usati con cautela se è presente un danno renale. Inoltre, dati sperimentali indicano che l'uso dei mezzi di contrasto EV durante le fasi iniziali della pancreatite acuta può causare la necrosi in aree scarsamente perfuse (cioè, ischemiche). La TC con mezzo di contrasto deve essere eseguita solo dopo che il paziente è stato adeguatamente idratato.

Terapia Il trattamento della pancreatite edematosa lieve ha l'obiettivo di mantenere il file:///F|/sito/merck/sez03/0260289b.html (4 of 6)02/09/2004 2.22.49

Pancreatite

paziente a digiuno fino a quando le manifestazioni dell'infiammazione acuta non si sono risolte (cioè, il dolore è cessato, l'amilasi sierica si è normalizzata, la fame è ritornata, così come lo stato di benessere) e di infondere una sufficiente quantità di liquidi EV per prevenire l'ipovolemia e l'ipotensione. È utile il posizionamento di un sondino nasogastrico e la rimozione dell'aria e del contenuto gastrico se persistono la nausea e il vomito o se è presente un ileo paralitico. La necessità di trattare la pancreatite acuta grave in una UTI può essere di solito decisa durante il primo giorno di ricovero sulla base della presenza di uno qualunque dei seguenti segnali di pericolo: ipotensione, oliguria, ipossiemia o emoconcentrazione (cioè, Htc > 50%, che riflette le importanti perdite nel terzo spazio). Nell'UTI i segni vitali e la diuresi sono monitorati almeno q 1 h; il bilancio metabolico accurato deve essere calcolato q 8 h; l'emogasanalisi arteriosa deve essere eseguita al bisogno; le misurazioni attraverso il catetere venoso centrale o il catetere di Swan-Ganz devono essere eseguite q 6 h; il pH gastrico va determinato q 6 h e deve essere neutralizzata l'acidità; q 6-8 h vanno controllati l'Htc, la glicemia e gli elettroliti; e giornalmente devono essere eseguiti l'emocromo completo, la conta delle piastrine, lo studio della coagulazione, la proteinemia totale con l'albuminemia, l'azotemia, la creatininemia e la titolazione sierica del Ca, del Mg, dell'amilasi e della lipasi. Il paziente deve rimanere a digiuno per almeno 2, ma possibilmente per 3-4 sett. Il sondino nasogastrico, di solito, allevia il vomito e l'ileo paralitico. Gli H2antagonisti devono essere somministrati per via parenterale. Non è stato dimostrato alcun vantaggio dai tentativi di ridurre la secrezione pancreatica con i farmaci (p. es., anticolinergici, glucagone e somatostatina). La reinfusione dei liquidi è essenziale; può essere necessaria la somministrazione di 6-8 l/die di liquidi contenenti un'appropriata quantità di elettroliti e di colloidi. L'emorragia retroperitoneale deve essere trattata con delle trasfusioni. L'adeguatezza della terapia infusionale e la funzione cardiaca devono essere controllate mediante le misurazioni ottenute con una via venosa centrale e, se possibile, con un catetere di Swan-Ganz. Se l'emogasanalisi arteriosa rivela la presenza di un'ipossiemia, va somministrato ossigeno umidificato in maschera o con i cateteri endonasali. Se l'ipossiemia non migliora, può essere necessaria una ventilazione assistita. Se l'ipossiemia persiste e la pressione arteriosa polmonare a catetere bloccato rimane normale, probabilmente si sta sviluppando una sindrome da distress respiratorio dell'adulto (v. Cap. 67) e può essere necessaria una ventilazione assistita con pressione positiva di fine espirazione. Il dolore grave va trattato con la meperidina, 50-100 mg IM q 3-4 h, nei pazienti con una normale funzione renale (la morfina causa una contrazione dello sfintere di Oddi e dovrebbe essere evitata). Una glicemia di 200-250 mg/dl non deve essere trattata, ma valori superiori devono essere trattati con cautela, mediante la somministrazione di insulina EV o SC e sulla base di un attento monitoraggio. L'ipocalcemia, di solito, non viene trattata. Se c'è irritabilità neuromuscolare, può essere somministrato Ca gluconato (soluzione al 10%) a dosi di 10-20 ml EV in 1 l di liquido di infusione e in un periodo di 4-6 h. Se coesiste un'ipomagnesiemia, va somministrato Mg (almeno 8 mEq, la quantità contenuta in una fiala da 2 ml di magnesio solfato al 50%) q 8-12 h, diluito, come sopra, nel liquido di infusione. Se è presente un'insufficienza renale, i livelli sierici di Mg devono essere monitorati e la somministrazione EV di Mg va eseguita con cautela. Con il ripristino dei normali livelli di Mg, devono tornare alla normalità anche i livelli sierici del Ca. L'insufficienza cardiaca deve essere trattata con un'appropriata correzione della volemia. L'insufficienza renale deve essere trattata aumentando la somministrazione di liquidi, se si tratta di un'iperazotemia prerenale. Può essere necessaria anche la dialisi (di solito peritoneale). L'uso degli antibiotici è controverso. Tuttavia, ci sono ora delle prove che la profilassi antibiotica con imipenem possa prevenire l'infezione di una necrosi pancreatica sterile, anche se la mortalità non ne risulta influenzata. Gli antibiotici file:///F|/sito/merck/sez03/0260289b.html (5 of 6)02/09/2004 2.22.49

Pancreatite

devono essere usati per trattare le infezioni specifiche (p. es., una sepsi biliare, un'infezione polmonare o un'infezione urinaria). Se si sospetta un'infezione pancreatica, si deve eseguire un agoaspirato sotto guida TC. Se la colorazione di Gram o la coltura risultano positive per i batteri, deve essere iniziata una terapia antibiotica ed eseguito un drenaggio chirurgico. Il valore del lavaggio peritoneale nell'eliminare gli enzimi pancreatici attivati e le tossine resta controverso; nonostante siano stati riportati dei miglioramenti almeno temporanei, il suo valore nel migliorare la sopravvivenza non è confermato. Il fabbisogno nutrizionale del paziente deve essere adeguatamente soddisfatto. Un paziente gravemente malato non deve essere alimentato prima di 2-3 sett. (spesso 4-6 sett.). Quindi, la NPT deve essere iniziata fin dai primi giorni (v. Supporto nutrizionale nel Cap. 1). L'intervento chirurgico precoce è giustificato nel caso di gravi traumi chiusi o penetranti. Altre indicazioni includono la sepsi biliare incontrollata e l'incapacità di distinguere la pancreatite acuta da un'urgenza chirurgica. Il valore della chirurgia durante i primissimi giorni della malattia, per combattere un progressivo decorso infausto, è ancora poco chiaro, anche se è riportato un marcato miglioramento dopo lo sbrigliamento pancreatico. Una volta si pensava che una pseudocisti pancreatica che persisteva per oltre 46 sett., che aveva un diametro > 5 cm e che causava sintomi addominali (specialmente dolore), richiedesse una decompressione chirurgica. Tuttavia, le pseudocisti ≤ 12 cm sono state trattate con la semplice osservazione. Una pseudocisti che si sta rapidamente espandendo, che è infetta o che è associata a un sanguinamento o a una rottura incipiente richiede comunque il drenaggio. La sua esecuzione per via percutanea, chirurgica o endoscopica, dipende dalla localizzazione della pseudocisti e dall'esperienza del centro.

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Diarrea e costipazione

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 27. DIARREA E COSTIPAZIONE Nessuna funzione corporea è più variabile e più soggetta a influenze estranee della defecazione. Le abitudini intestinali variano notevolmente da persona a persona e sono influenzate dall'età, da fattori fisiologici individuali, dalla dieta e dalle influenze sociali e culturali. Nella società occidentale, la normale frequenza delle defecazioni varia da 2-3 evacuazioni/die a 2-3 evacuazioni/ sett. Le variazioni nella frequenza, nella consistenza o nel volume delle feci e la presenza di sangue, muco, pus o di eccessivo materiale lipidico (p. es., olii, grassi, film) possono indicare la presenza di una malattia. Le preoccupazioni individuali sulle abitudini intestinali causano talvolta dei problemi ingiustificati.

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Diarrea e costipazione

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 27. DIARREA E COSTIPAZIONE DIARREA Aumento della frequenza, della fluidità o del volume delle evacuazioni. (V. anche Cap. 28, 30 e 31, Diarrea acuta infettiva neonatale nel Cap. 260 e Gastroenterite acuta infettiva nel Cap. 265.)

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Complicanze Diagnosi Terapia

Nelle società occidentali, il peso delle feci di un adulto in salute varia tra i 100 e i 300 g/die, sulla base della quantità di materiale non assorbibile contenuto nella dieta (principalmente carboidrati). La diarrea si verifica quando il peso delle feci è > 300 g/die e ciò non rappresenti la normalità (p. es., nelle persone la cui dieta è ricca in fibre vegetali). La diarrea è causata principalmente dall'eccessiva quantità di liquidi nelle feci (cioè, il 60-90% del peso fecale è costituito da acqua).

Eziologia e fisiopatologia La diarrea ha cause infettive, farmacologiche, alimentari, postchirurgiche, infiammatorie, correlate al transito e psicologiche. Tutte queste cause producono diarrea con quattro distinti meccanismi: aumentato carico osmotico, aumentata secrezione, infiammazione e ridotto tempo di assorbimento. La diarrea osmotica si verifica quando rimangono nell'intestino un eccesso di soluti non assorbibili, ma idrosolubili, che trattengono acqua. La diarrea osmotica si verifica nel caso di intolleranza allo zucchero, inclusa quella al lattoso, dovuta a un deficit di lattasi e nel caso dell'assunzione di sali scarsamente assorbibili (solfato di magnesio, fosfato di sodio) come lassativi salini o antiacidi. L'ingestione di grandi quantità di exitoli (p. es., sorbitolo, mannitolo) usati come sostituti dello zucchero, provoca una diarrea osmotica a causa del loro lento assorbimento e dall'accelerazione della peristalsi intestinale da loro indotta (diarrea da "alimenti dietetici" o da "chewing-gum"). Anche l'assunzione di un'eccessiva quantità di alcuni cibi, come alcuni frutti, può causare una diarrea osmotica. Una diarrea secretoria si verifica quando il piccolo e il grosso intestino secernono più acqua ed elettroliti di quanto non riescono, poi, ad assorbire. Le sostanze secretagoghe includono le tossine batteriche (p. es., nel colera), i virus enteropatogeni, gli acidi biliari (p. es., dopo una resezione ileale), i grassi alimentari non assorbiti (p. es., nella steatorrea), alcuni farmaci (p. es., i catartici antrachinoni, l'olio di castoro e le prostaglandine) e gli ormoni peptidici (p. es., il peptide intestinale vasoattivo prodotto dai tumori pancreatici). La colite file:///F|/sito/merck/sez03/0270296b.html (1 of 4)02/09/2004 2.22.50

Diarrea e costipazione

microscopica (colite collagenica o linfocitica) causa il 5% delle diarree secretorie. È 10 volte più frequente nelle donne e interessa di solito le persone _ 60 anni. Si possono avere nausea, vomito, dolore addominale, flatulenza e calo ponderale, anche se la diarrea è spesso l'unico sintomo. I sintomi sono spesso prolungati. La loperamide può essere usata per controllare la sintomatologia, mentre le alterazioni istologiche si possono risolvere con il prednisone o con la sulfasalazina. La diarrea essudativa si verifica in molte affezioni della mucosa (p. es., l'enterite regionale, la colite ulcerosa, la TBC, i linfomi e i carcinomi) che provocano un'infiammazione, un'ulcerazione e l'edema della mucosa. La risultante essudazione di plasma, proteine sieriche, sangue e muco aumenta la massa fecale e il contenuto liquido. L'interessamento della mucosa rettale può causare tenesmo e aumentare la frequenza delle defecazioni, perché il retto infiammato è più sensibile alla distensione. Il ridotto tempo di assorbimento si verifica quando il chimo non viene in contatto con un'adeguata superficie di assorbimento del tratto GI, per un tempo sufficientemente lungo e le feci rimangono molto acquose. I fattori che diminuiscono il tempo di contatto includono la resezione del piccolo o del grosso intestino, la resezione gastrica, la piloroplastica, la vagotomia, il bypass chirurgico di segmenti intestinali e alcuni farmaci (p. es., gli antiacidi contenenti il magnesio, i lassativi) o agenti umorali (p. es., le prostaglandine, la serotonina) che accelerano il transito stimolando la muscolatura liscia intestinale. Il malassorbimento (v. anche Cap. 30) produce diarrea attraverso meccanismi osmotici o secretori. Il meccanismo può essere osmotico quando il materiale non assorbito è abbondante, idrosolubile e di basso peso molecolare. I lipidi non sono osmotici, ma alcuni di loro (gli acidi grassi, gli acidi biliari) agiscono come secretagoghi e causano una diarrea secretoria. Nel malassorbimento generalizzato (p. es., sprue non tropicale), il malassorbimento dei grassi causa una secrezione colica e il malassorbimento dei carboidrati causa una diarrea osmotica. La diarrea dovuta al malassorbimento si può sviluppare anche quando il trasporto del chimo è molto lento e i batteri fecali proliferano nel piccolo intestino. I fattori che aumentano il tempo di transito e permettono una maggiore crescita batterica, includono la stenosi di alcuni segmenti intestinali, le manifestazioni intestinali della sclerodermia e le anse escluse create dagli interventi chirurgici. La diarrea paradossa è causata dal passaggio delle feci liquide intorno ai fecalomi nei bambini e negli adulti debilitati o dementi.

Complicanze Si può verificare un'eccessiva perdita di liquidi con disidratazione, perdita di elettroliti (Na, K, Mg, Cl) e collasso circolatorio. Quest'ultimo si può sviluppare rapidamente nei pazienti molto giovani, negli anziani o negli individui defedati o nei soggetti con diarrea grave (p. es., quelli affetti dal colera). La perdita dei HCO3 può causare un'acidosi metabolica. La sodiemia varia in base alla composizione della diarrea rispetto al plasma. Nella diarrea grave o cronica o se le feci contengono un eccesso di muco, si può avere un'ipokaliemia. L'ipomagnesiemia dopo una diarrea prolungata può causare una tetania.

Diagnosi L'anamnesi deve puntualizzare le circostanze di inizio della diarrea, inclusi i viaggi recenti, i cibi ingeriti, le sorgenti dell'acqua e l'uso di medicinali; la durata e la gravità; l'associazione dei dolori addominali e del vomito; la presenza di sangue nelle feci o la loro modificazione cromica; la frequenza e l'orario delle file:///F|/sito/merck/sez03/0270296b.html (2 of 4)02/09/2004 2.22.50

Diarrea e costipazione

evacuazioni; la consistenza delle feci; l'evidenza di steatorrea (feci grasse, oleose o maleodoranti); le modificazioni del peso corporeo e dell'appetito; e la presenza di tenesmo rettale. Deve essere valutato lo stato idroelettrolitico. Sono importanti l'esame obiettivo completo con particolare attenzione all'addome e l'esplorazione rettale. I pazienti con una diarrea prolungata o grave devono essere sottoposti a un esame proctoscopico e alla biopsia della mucosa rettale (in corso di sigmodoiscopia) per l'esame istologico (colite infettiva, ulcerativa o collagenopatica). Può essere utile l'esame macro e microscopico delle feci. Devono essere rilevati la consistenza, il volume e la presenza di sangue (evidente od occulto), muco, pus o di una quantità eccessiva di grassi nelle feci. L'esame microscopico può confermare la presenza di GB (indicando l'ulcerazione o l'invasione batterica), di grassi non assorbiti, di fibre carnee o di un'infestazione di parassiti (p. es., amebiasi, giardiasi). Il pH fecale, normalmente > 6,0, è ridotto dalla fermentazione batterica nel colon dei carboidrati e delle proteine non assorbite. L'alcalinizzazione delle feci può rivelare il colore rosa della fenolftaleina, un comune lassativo di cui si abusa spesso. Se il volume delle feci è abbondante, possono essere misurati gli elettroliti fecali per stabilire se la diarrea è osmotica o secretoria. Generalmente nelle affezioni del piccolo intestino, le feci sono voluminose e acquose o grasse. Nelle affezioni del colon, le evacuazioni sono frequenti, talvolta modeste in volume e probabilmente accompagnate dall'emissione di sangue, muco, pus e da un senso di fastidio addominale. Nelle malattie della mucosa rettale, il retto può essere più sensibile alla distensione e la diarrea può essere caratterizzata dalla frequente emissione di un volume ridotto di feci. La diarrea acuta causata da abusi alimentari o da un'infezione acuta si risolve spontaneamente; tuttavia, se i sintomi generali (febbre, dolore addominale) sono importanti, è opportuno eseguire un esame colturale delle feci, soprattutto prima di un trattamento empirico con gli antibiotici. Nei casi di diarrea cronica, l'esame colturale delle feci e l'esame microscopico permettono di identificare la necessità di una terapia specifica e dell'esecuzione della sigmoidoscopia e delle biopsie alla ricerca delle cause infiammatorie. Quando si sospetta un malassorbimento, deve essere misurata l'escrezione dei grassi nelle feci, seguita da una rx del piccolo intestino (malattie organiche) e dalla biopsia (malattie della mucosa). Se la valutazione è ancora negativa, è necessario lo studio della struttura pancreatica e della sua funzione (secrezione degli enzimi pancreatici, pancreatografia).

Terapia La diarrea è un sintomo; quando è possibile, si deve trattare in modo specifico la malattia di base, ma spesso è necessario un trattamento sintomatico. Il tempo del transito intestinale può essere aumentato dal difenossilato, 2,5-5 mg (compresse o sciroppo), tid o qid, dal fosfato di codeina, 15-30 mg bid o tid, dal paregorico (tintura di oppio canforato), 15 ml q 4 h o dal loperamide cloridrato, 24 mg tid o qid. Gli anticolinergici (p. es., la tintura di belladonna, l'atropina e la propantelina) possono ridurre la peristalsi. L'aumento della massa fecale è ottenuto con i composti dello psillio o della metilcellulosa; sebbene solitamente prescritti per la stipsi, questi agenti assunti in piccole dosi diminuiscono anche la fluidità delle feci liquide. Il caolino, la pectina e l'attapulgite attivata assorbono i liquidi. Una grave diarrea acuta può richiedere l'urgente somministrazione di liquidi e di elettroliti per correggere la disidratazione, lo squilibrio elettrolitico e l'acidosi. Per compensare l'acidosi può essere indicata la somministrazione di NaCl, KCl, glucoso e liquidi (lattato, acetato o bicarbonato di Na). Deve essere monitorato attentamente il bilancio idrico e va valutata la composizione dei liquidi corporei (v. Metabolismo dell'acqua e del sodio nel Cap. 12). Possono essere necessarie delle misure addizionali in presenza di vomito o di un sanguinamento GI.

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Diarrea e costipazione

Se la nausea e il vomito non sono gravi, può essere somministrata per via orale una soluzione elettrolitica con glucoso. I liquidi contenenti glucoso (o saccaroso, come il normale zucchero da tavola), NaCl e bicarbonato di sodio sono facili da preparare e sono rapidamente assorbiti: si aggiungono a 1 l d'acqua, 5 ml (1 cucchiaio) di sale da tavola, 5 ml di bicarbonato di sodio, 20 ml di zucchero da tavola e una qualunque essenza per aggiungere sapore. In caso di una diarrea più grave è, generalmente, necessaria la somministrazione di liquidi per via parenterale. Qualora siano presenti nausea o vomito, deve essere ridotta l'alimentazione per bocca. Comunque, quando è necessario reintegrare i liquidi e gli elettroliti in quantità massiva (p. es., nel colera epidemico), si può, talvolta, somministrare una soluzione elettrolitica con glucoso per via orale in aggiunta alla terapia EV convenzionale con elettroliti (bicarbonati) e liquidi (v. Colera nel Cap. 157). Le modificazioni della dieta possono aiutare le persone con sintomi cronici (v. Tab. 27-1).

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI DIARREA ACUTA INFETTIVA NEONATALE Sindrome causata generalmente da batteri o virus, caratterizzata dal passaggio di feci non formate con aumentata frequenza e spesso associata a vomito. (v. anche Cap. 28 e Gastroenterite acuta infettiva nel Cap. 265)

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prevenzione e terapia

Eziologia ed epidemiologia In epoca neonatale la diarrea e il vomito riconoscono molte cause non infettive (p. es., anatomiche, metaboliche, enzimatiche, infiammatorie), ma l’infezione è di gran lunga la causa più comune nel neonato. I neonati generalmente sopportano meglio le cure igieniche rispetto ai lattanti e bambini più grandi. L’allattamento al seno è anche protettivo. Tuttavia, in condizioni di scarsa igiene o presso famiglie indigenti e numerose, la diarrea è più frequente. Si possono verificare epidemie ospedaliere, soprattutto in Nidi sovraffollati. La trasmissione è quasi esclusivamente oro-fecale. I neonati vengono nella maggior parte dei casi infettati durante il passaggio attraverso un canale del parto contaminato o attraverso le mani di pazienti, parenti, fratelli o personale del Nido. Altre cause meno comuni sono letti infetti e latte contaminato. Gli agenti eziologici più comunemente segnalati comprendono alcuni batteri (p. es., Escherichia coli, Salmonelle, Campylobacter jejuni) e virus, soprattutto rotavirus (nonostante essi siano spesso ritrovati anche in neonati asintomatici). Gli agenti meno comunemente segnalati sono batteri (p. es., Shigella, Yersinia enterocolitica, Aeromonas Hydrophila) e virus (p. es., adenovirus fecali, enterovirus e coronavirus). Non è stabilito il ruolo dei virus Norwalk-simili e degli astrovirus e calicivirus nella diarrea neonatale. Sebbene il Clostridium difficile e le sue tossine si possano frequentemente isolare nei neonati durante le prime settimane di vita, il microorganismo è solo raramente associato alla diarrea postantibiotica (enterocolite pseudomembranosa) nei neonati (v. anche Diarrea indotta da C. difficile nel Cap. 157). I parassiti (p. es., Giardia lamblia, Entamoeba histolytica) sono rari agenti eziologici.

Sintomi e segni Le infezioni GI, che si presentano clinicamente con diarrea, spesso associata a

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Patologia del neonato e del lattante

vomito, possono causare nei neonati malattie gravi rapidamente progressive. L’esame macroscopico delle feci indica la natura del microorganismo responsabile (tuttavia le feci normali di neonati allattati al seno assomigliano a feci diarroiche). Sangue e muco nelle feci fanno pensare a colite, in genere causata dall’E. coli entroinvasivo (EIEC), dalla Salmonella sp, dalla Shigella sp o dal C. jejuni. Di contro, feci acquose e voluminose, che persistono anche durante il digiuno del bambino, fanno pensare a una diarrea secretoria causata da batteri enterotossici (p. es., E. coli [ETEC]) o da virus (p. es., rotavirus).

Complicanze La disidratazione può essere lieve ( 5% dei casi), manifestandosi esclusivamente con la secchezza delle mucose orali. In caso di disidratazione moderata (7-10% dei casi) si possono riscontrare una diminuita elasticità della cute, occhi infossati e fontanelle depresse. Una grave disidratazione (>10% dei casi) è generalmente accompagnata da shock ipovolemico. Dal momento che i meccanismi di concentrazione da parte del rene nei neonati sono immaturi, l’oliguria di solito non appare se non tardivamente nella disidratazione (v. anche Cap. 259). Lo squilibrio elettrolitico e l’acidosi metabolica possono causare modificazioni del comportamento (p. es., letargia o irritabilità) o altre più rare complicanze (p. es., aritmia, emorragia intracranica, trombosi della vena renale). Può verificarsi una batteriemia secondaria alla gastroenterite da patogeni enterici (p. es., Salmonella sp, Shigella sp, Campylobacter) o dalla normale flora batterica intestinale e provocare una setticemia o infezioni focali. I sintomi di setticemia sono spesso subdoli e non specifici (v. più avanti Sepsi Neonatale). Anche l’enterocolite necrotizzante può verificarsi come complicanza di una gastroenterite batterica o virale.

Diagnosi Per l’esame microscopico di campioni di feci a fresco, il muco fresco dalle feci deve essere mescolato con soluzione fisiologica e blu di metilene. I coproleucociti sono prodotti in risposta a batteri che invadono la mucosa del colon (p. es., Shigella, Salmonella, EIEC, Campylobacter, Y. enterocolitica); si possono riscontrare anche cisti o trofozoiti di G. lamblia. Le coprocolture devono essere eseguite sul paziente, sul personale medico e sugli altri contatti, compresi i genitori. Colture speciali sono utili per isolare Y. Enterocolitica, Vibrio cholerae, C. difficile, Aeromonas, e altri. Nei neonati gravemente malati devono essere effettuate le colture del LCR, del sangue e delle urine per valutare la presenza di infezioni sistemiche. Le sostanze riducenti e il pH fecale devono essere testati nelle feci acquose appena evacuate; un pH < 6 e la presenza di sostanze riducenti possono aiutare a diagnosticare un malassorbimento degli zuccheri dovuto a un danno della mucosa o, molto raramente, a un deficit primitivo di lattasi. Tuttavia, l’allattamento al seno o una terapia antibiotica possono inoltre determinare una riduzione del pH o una positività per le sostanze riducenti nelle feci. La conta dei GB e la formula leucocitaria possono suggerire un processo invasivo, ma non differenziano i diversi patogeni enterici. Gli elettroliti sierici, l’azotemia e la creatininemia sono importanti indicazioni per la terapia idroelettrolitica.

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Patologia del neonato e del lattante

Cause primitive o secondarie di diarrea prolungata non infettiva (p. es., fibrosi cistica, enteropatia allergica, intolleranza alle proteine) devono essere ricercate contemporaneamente al ripristino dell’alimentazione. Altri test comprendono test immunologici (p. es., ELISA, agglutinazione al latex) che possono identificare rotavirus, altri antigeni virali ed enterotossine. La sierotipizzazione di E. coli può aiutare a caratterizzare ETEC, EIEC, l’E. coli enteropatogeno (EPEC), l’E. coli enteroemorragico (EHEC) e la citotossicità su colture cellulari della tossina del C. difficile. La prova sul topo lattante, il test di ibridizzazione genetica, la microscopia elettronica e altri esami rivelano i diversi enteropatogeni e le enterotossine, ma non sono sempre disponibili. La proctosigmodoscopia permette di porre diagnosi di enterocolite pseudomembranosa.

Prevenzione e terapia La terapia idrica ed elettrolitica è il primo e il più urgente passo. I bambini che hanno un aspetto tossico o che hanno una diarrea profusa e vomito persistente, che rifiutano di bere, che hanno assistenza inadeguata da parte dei genitori o delle persone a cui sono affidati o che hanno una patologia sottostante, devono essere ospedalizzati e spesso richiedono una idratazione per via parenterale. Una infusione di liquidi in urgenza può essere effettuata per via intraossea, quando è impossibile utilizzare una via EV periferica o centrale. Nei bambini che non hanno questi problemi, una reidratazione orale rapida, per reintegrare le perdite accessorie, viene effettuata in ospedale o a casa durante i primi 1-2 giorni mediante una soluzione glucosata addizionata di elettroliti o una soluzione di reidratazione orale (SRO). Una SRO disponibile in commercio è preferibile rispetto a quelle preparate in casa. La soluzione reidratante orale formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO-ORS) contiene 90 mEq/l di sodio, 20 mEq/l di potassio e soluzione glucosata al 2% (v. in Gastroenterite acuta infettiva nel Cap. 265). Soluzioni in commercio (p. es., Pedialyte) in genere contengono minore quantità di sodio rispetto alla soluzione WHO-ORS, ma dosi equivalenti di potassio e carboidrati e quindi hanno una minore osmolarità. Poiché i reni del neonato presentano un deficit nella regolazione del sodio, queste soluzioni possono essere preferibili, soprattutto nelle prime 2 sett. di vita. L’allattamento materno può proseguire durante la somministrazione di SRO. Nei neonati con disidratazione media-grave o con un iniziale squilibrio elettrolitico (soprattutto nella disidratazione ipernatremica), bisogna monitorare il pH sierico, gli elettroliti e l’azotemia q 12-24 h durante la reidratazione. È importante un ripristino rapido dell’alimentazione per prevenire une malnutrizione acuta. Se la diarrea si ripresenta in un bambino non allattato al seno, si può provare una formula priva di lattoso. Se la diarrea si protrae (per 2 o più sett.) è necessario il più delle volte ricorrere a una formula elementare o a idrolisati di caseina, a volte associati alla nutrizione EV. Gli antibiotici non sono generalmente necessari, poiché la gastroenterite acuta infettiva spesso tende ad autolimitarsi. Tuttavia, è importante prevenire la diffusione sistemica dei patogeni enterici e la colonizzazione secondaria da parte della normale flora intestinale. La sensibilità ai farmaci dei patogeni enterici può variare nelle differenti aree geografiche e può cambiare nel tempo. Farmaci antiperistaltici o antidiarroici sono controindicati nelle gastroenteriti neonatali. La riduzione della motilità intestinale non soltanto favorisce la colonizzazione persistente di enteropatogeni, ma permette anche il sequestro significativo di liquidi a livello intestinale, mascherando così, con la diminuzione del numero delle scariche, la gravità della disidratazione e impedendo un’accurata registrazione del peso. Le misure di protezione intestinali devono essere messe in atto molto attentamente, in particolare il lavaggio delle mani e l’individuazione dei contatti. Queste precauzioni devono essere seguite anche nei casi di colture negative,

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Patologia del neonato e del lattante

poiché solo una piccola parte degli agenti patogeni viene identificata attraverso l’esecuzione delle normali procedure di laboratorio. Un’epidemia in un Nido richiede un’indagine epidemiologica. Le infezioni da Shigella nel neonato devono essere trattate con ampicillina per via parenterale 50-100 mg/kg/die per 5-7 giorni. Se viene isolato o sospettato un ceppo ampicillina-resistente prima che si conoscano le sensibilità, deve essere somministrata una cefalosporina di 3a generazione (p. es., cefotaxime). Per i neonati gravemente malati, nei quali si sospetta una sepsi, sono indicate cefalosporine di 3a generazione per via parenterale. Durante i primi giorni di vita, i sulfamidici possono essere controindicati poiché possono incrementare l’ittero. Nella gastroenterite da Salmonella gli antibiotici solitamente non migliorano il quadro. Tuttavia, poiché la Salmonella tende a determinare una batteriemia date le sue proprietà invasive, tutti i neonati con gastroenterite da Salmonella devono eseguire un trattamento antibiotico. Il cefotaxime EV può essere utilizzato finche non si conosce la sensibilità del ceppo agli antibiotici (per le dosi, v. Tab. 260-6). Nei neonati bisogna evitare il cloramfenicolo. Nelle infezioni sistemiche da Salmonella si preferiscono le cefalosporine di terza generazione . La terapia della gastroenterite va da 3 a 5 giorni; per le infezioni sistemiche 10-14 giorni. Molti neonati diventano portatori asintomatici dopo il trattamento. Sebbene un trattamento supplementare non è necessario in questi casi durante il ricovero, devono essere prese delle precauzioni che riguardano l’intestino (v. sopra) . La gastroenterite da Campylobacter in genere risponde all’eritromicina estolato per via orale alla dose di 30-40 mg/kg/die suddivisa in 3 dosi per 5 giorni, ma la somministrazione deve avvenire soltanto durante la fase iniziale della malattia. Quando si sospetta una batteriemia, si consiglia una dose addizionale di gentamicina per via parenterale 5-7,5 mg/kg/die. Non esistono dati certi sull’efficacia degli antibiotici su altri batteri invasivi (p. es., Yersinia, EIEC) nei neonati. Tuttavia, questi microorganismi sono in genere sensibili agli aminoglicosidi e alle cefalosporine di 3a generazione e ai neonati colpiti si devono somministrare antibiotici per via parenterale. Nelle diarree batteriche non invasive, come quelle provocate dall’EPEC o dall’ETEC, si può somministrare, durante le epidemie, colistina-solfato per via orale 10-15/mg/kg/die in 3 dosi refratte o gentamicina per via orale 5-7,5 mg/kg/ die in 3 dosi refratte (5 mg/kg/die in 2 dosi refratte per bambini di età inferiore ai 7 anni). Il trattamento si continua finche le coprocolture non diventano negative per EPEC o ETEC (di solito 3-5 giorni). Tuttavia, quando questi farmaci vengono somministrati in bambini con diarrea infiammatoria o ematica deve essere valutato il beneficio rispetto alla potenziale tossicità causata dall’assorbimento e passaggio nel torrente circolatorio.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO Sommario: Acqua Osmolalità Sodio

Acqua Il contenuto totale di acqua corporea (Total Body Water, TBW) si aggira in media intorno al 60% del peso corporeo nei maschi giovani. Il tessuto adiposo ha un contenuto di acqua più basso; perciò il rapporto tra TBW e peso corporeo è in media leggermente più basso nelle donne (55%) ed è sostanzialmente più basso nei soggetti obesi e negli anziani. Circa 2/3 dell'TBW sono intracellulari e 1/3 è extracellulare. Circa 3/4 del liquido extracellulare (ExtraCellular Fluid, ECF) si trovano nello spazio interstiziale e nei tessuti connettivi che circondano le cellule, mentre circa 1/4 è intravascolare. Apporto: la quantità di acqua ingerita può variare notevolmente da un giorno all'altro. L'ingestione è ampiamente influenzata dalle abitudini, da fattori culturali, dall'accessibilità e dalla sete. L'entità del volume di acqua che può essere ingerito è determinato dalla capacità del rene di concentrare e di diluire le urine. Un adulto medio con funzionalità renale normale ha bisogno di 400-500 ml di acqua per eliminare il carico giornaliero di soluti in urine concentrate al massimo. In aggiunta all'acqua ingerita, da 200 a 300 ml/ die di acqua vengono prodotti attraverso il catabolismo tissutale, rendendo perciò piuttosto basso l'apporto minimo di acqua necessario per prevenire l'insufficienza renale (da 200 a 300 ml/ die). Tuttavia, per rimpiazzare le perdite totali di acqua e mantenere l'equilibrio idrico (v. oltre) è necessario un apporto giornaliero fra i 700 e gli 800 ml. L'ingestione protratta nel tempo di un quantitativo < 700-800 ml determina un aumento della osmolalità e lo stimolo della sete. Il carico di soluti nel caso in cui venga escreto in urine diluite al massimo si avvicina a un volume di 25 l. L'ingestione cronica > 25 l di acqua al giorno determina alla fine la perdita dell'omeostasi dei liquidi corporei e una riduzione dell'osmolalità plasmatica. Perdite: le perdite insensibili di acqua dovute all'evaporazione avvengono attraverso l'aria espirata e la cute e ammontano a circa 0,4-0,5 ml/h/ kg di peso corporeo o a circa 650-850 ml/24 h in un adulto medio di 70 kg. Durante gli stati febbrili possono essere persi altri 50-75 ml/die per ogni grado di elevazione della temperatura al di sopra della norma. Le perdite legate alla sudorazione sono generalmente trascurabili, ma possono divenire significative in caso di febbre o nei climi più caldi. Anche le perdite idriche GI sono trascurabili in condizioni di salute, ma possono diventare significative in caso di diarrea grave o di vomito protratto.

Osmolalità Vi sono differenze significative nella composizione ionica del liquido intracellulare file:///F|/sito/merck/sez02/0120128b.html (1 of 4)02/09/2004 2.22.53

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

(IntraCellular Fluid, ICF) e del ECF. Il principale catione intracellulare è il potassio (K), con una concentrazione media di 140 mEq/l. La concentrazione extracellulare del K, sebbene sia molto importante e strettamente regolata, è molto più bassa, essendo compresa fra 3,5 e 5 mEq/l. Il principale catione extracellulare è il sodio (Na), con una concentrazione media di 140 mEq/l. La concentrazione intracellulare del Na è molto più bassa, circa 12 mEq/l. Queste differenze vengono mantenute dalla pompa ionica della Na+, K+-ATPasi localizzata nella membrana cellulare di pressoché tutte le cellule. Questa pompa che richiede energia accoppia lo spostamento del Na al di fuori della cellula con lo spostamento del K all'interno, utilizzando l'energia immagazzinata nell'ATP. Il movimento dell'acqua fra i compartimenti intracellulare ed extracellulare è controllato in larga misura dall'osmolalità di ciascun compartimento, poiché la maggior parte delle membrane cellulari è altamente permeabile all'acqua. In condizioni normali, l'osmolalità del ECF (290 mOsm/kg di acqua) è circa uguale a quella del ICF. Di conseguenza, l'osmolalità plasmatica è un indice pratico e accurato dell'osmolalità intracellulare. L'osmolalità dei liquidi corporei può essere calcolata approssimativamente mediante la formula seguente: Osmolalità plasmatica (mOsm/kg) = 2 [(Na) sierico ] + + dove il (Na) sierico è espresso in mEq/l e il glucoso e il BUN sono espressi in mg/dl. Come indicato da questa formula, la concentrazione di Na è il principale determinante dell'osmolalità plasmatica. Perciò, l'ipernatriemia indica di solito ipertonicità plasmatica e cellulare (disidratazione) e l'iponatriemia indica solitamente ipotonicità plasmatica e cellulare. Normalmente l'osmolalità plasmatica non risente in modo particolare della concentrazione del glucoso o del BUN. Tuttavia, l'iperglicemia o un'iperazotemia significativa possono in alcune situazioni determinare un incremento dell'osmolalità plasmatica. Nella iperglicemia marcata, l'osmolalità del ECF aumenta e supera quella del ICF, perché il glucoso penetra lentamente attraverso le membrane cellulari in assenza di insulina, dando luogo a un movimento di acqua al di fuori dalle cellule verso il ECF. La concentrazione sierica di Na si abbassa in proporzione alla diluizione del ECF, riducendosi di 1,6 mEq/l ogni 100 mg/dl (5,55 mmol/l) di aumento del glucoso plasmatico al di sopra della norma. Questa condizione è stata denominata iponatriemia di traslazione, poiché non si è verificata alcuna modificazione netta del contenuto totale di acqua corporea. Non è indicata alcuna terapia specifica, perché la concentrazione di Na ritorna alla norma una volta che la concentrazione plasmatica di glucoso viene ridotta. A differenza del glucoso, l'urea penetra facilmente all'interno delle cellule; poiché la concentrazione di urea intracellulare è uguale alla concentrazione di urea extracellulare, non si verificano modificazioni significative del volume cellulare. Così, nell'iperazotemia, sebbene l'osmolalità plasmatica sia aumentata, la tonicità plasmatica, od osmolalità plasmatica "effettiva", non è cambiata. Infine, modificazioni apparenti dell'osmolalità plasmatica possono derivare da errori nella determinazione del Na sierico. Una pseudoiponatriemia con osmolalità plasmatica normale si può verificare nell'iperlipidemia o nell'iperproteinemia estrema, dal momento che i lipidi o le proteine occupano spazio nel volume di plasma utilizzato per le analisi. I più recenti metodi di misurazione degli elettroliti plasmatici mediante elettrodi selettivi per i singoli ioni consentono di evitare questo problema. L'osmolalità plasmatica può essere misurata in maniera diretta. Esiste un gap osmolare quando l'osmolalità plasmatica misurata supera di un valore > 10 mOsm/l quella calcolata mediante la precedente formula. La presenza di un aumento del gap osmolare può essere dovuta a una o più sostanze osmoticamente attive non misurate presenti nel plasma. La Tab. 12-1 elenca diverse fra le più comuni cause di aumento del gap osmolare. Quando viene riscontrato un aumento del gap osmolare, devono essere eseguite immediatamente indagini di laboratorio più specifiche per determinarne la causa e istituire una terapia specifica. Il volume dell'TBW è regolato dal meccanismo della sete, dalla secrezione di file:///F|/sito/merck/sez02/0120128b.html (2 of 4)02/09/2004 2.22.53

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

ormone antidiuretico (ADH) e dai reni. Gli osmorecettori localizzati nella regione antero-laterale dell'ipotalamo vengono stimolati dall'innalzamento dell'osmolalità plasmatica e stimolano i centri della sete adiacenti. La stimolazione dei centri della sete ha come risultato la percezione cosciente della sete e il successivo aumento dell'ingestione di acqua. Gli osmorecettori rispondono inoltre all'iperosmolalità stimolando il rilascio di ADH dall'ipofisi posteriore. La secrezione di ADH determina a sua volta un aumento del riassorbimento di acqua nelle porzioni distali del nefrone attraverso un aumento della permeabilità di questo segmento altrimenti relativamente impermeabile all'acqua. L'osmolalità del ECF viene normalmente mantenuta entro limiti ristretti; un incremento del 2% conduce alla sete e al rilascio di ADH. In aggiunta all'aumento dell'osmolalità plasmatica, può verificarsi una stimolazione non osmotica della liberazione di ADH. Nei casi di grave deplezione di volume, l'ADH viene secreto per proteggere il volume del ECF, indipendentemente dall'osmolalità plasmatica. In questa situazione, l'acqua viene conservata a spese dell'osmolalità plasmatica.

Sodio Poiché il sodio (Na) è il principale catione osmoticamente attivo del compartimento extracellulare, le modificazioni del contenuto corporeo totale di Na vanno di pari passo con le modificazioni del volume del ECF. Quando il contenuto totale di Na è basso, il volume del ECF è diminuito. La deplezione di volume del ECF è avvertita dai recettori di pressione localizzati negli atri cardiaci e nelle vene toraciche e provoca un incremento della conservazione renale di Na. Quando il contenuto totale di Na è alto, si sviluppa un sovraccarico di volume. I recettori di alta pressione localizzati nel seno carotideo e nell'apparato iuxtaglomerulare del rene avvertono il sovraccarico e aumentano la natriuresi in modo tale che il volume possa essere riportato ai valori normali. Il contenuto totale corporeo di Na è regolato da un equilibrio tra apporto alimentare ed escrezione renale. Non si verifica una deplezione di Na significativa a meno che non vi siano perdite anomale di Na a livello renale o extrarenale dalla cute o dal tratto GI combinate con un inadeguato apporto dello ione. Difetti della conservazione renale di Na possono essere causati da malattie primitive del rene, insufficienza surrenalica o terapia diuretica. Allo stesso modo, il sovraccarico di Na esita in uno squilibrio fra l'apporto e l'escrezione ma, a causa della grande capacità di escrezione di Na da parte dei reni normali, un sovraccarico di Na implica generalmente un difetto dell'escrezione renale. L'escrezione renale di sodio può essere modificata ampiamente per bilanciare la sua assunzione. Il controllo dell'escrezione renale di Na comincia con il flusso ematico renale e la GFR. La quantità di Na che giunge al nefrone per il riassorbimento varia in maniera direttamente proporzionale alla GFR. Perciò, la ritenzione di Na può essere la conseguenza di un'insufficienza renale cronica. Inoltre, una riduzione del flusso ematico renale come quella che si osserva nello scompenso cardiaco diminuisce la GFR e il carico di Na filtrato, determinando la comparsa di edema. L'asse renina-angiotensina-aldosterone è probabilmente il principale meccanismo regolatore dell'escrezione renale di sale. Negli stati di deplezione di volume, la GFR e la quantità di Na che giunge al nefrone distale si riducono, causando il rilascio di renina da parte delle cellule dell'arteriola afferente dell'apparato iuxtaglomerulare. L'angiotensinogeno (il substrato della renina) viene clivato enzimaticamente dalla renina per formare il polipeptide inattivo angiotensina I. L'angiotensina I viene poi ulteriormente clivata dall'enzima di conversione dell'angiotensina (Angiotensin Converting Enzyme, ACE) per dar luogo all'ormone attivo angiotensina II. L'angiotensina II aumenta il riassorbimento di Na diminuendo il carico di Na filtrato e incrementando il riassorbimento di Na nel tubulo prossimale. Inoltre l'angiotensina II stimola le cellule della corteccia surrenale a secernere il mineralcorticoide aldosterone. L'aldosterone aumenta il riassorbimento di Na tramite un effetto diretto sull'ansa di Henle, sul tubulo distale e sul dotto collettore. I disturbi della regolazione dell'asse renina-angiotensina-aldosterone hanno come conseguenza diverse alterazioni del volume dei liquidi e degli elettroliti. La modificazione farmacologica file:///F|/sito/merck/sez02/0120128b.html (3 of 4)02/09/2004 2.22.53

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

del sistema renina-angiotensina-aldosterone rimane un caposaldo nel trattamento di molte di queste alterazioni. Di recente, sono stati identificati diversi fattori natriuretici, compresa una sostanza simile alla ouabaina che induce la natriuresi inibendo la Na+, K+ATPasi. È stato identificato anche un secondo gruppo di peptidi natriuretici atriali (Atrial Natriuretic Peptides, ANP). Sembra che l'ANP circolante attivo contenga 28 aminoacidi e derivi dalla porzione C-terminale di un peptide precursore. L'ANP si trova nei granuli secretori del tessuto atriale cardiaco e sembra che venga rilasciato in risposta a un aumento acuto della PA indotto da fattori pressori, a un carico di sale e a un'espansione di volume del ECF e ad altre cause di distensione atriale. Sono stati descritti livelli plasmatici elevati di ANP nei pazienti con sovraccarico di volume del ECF, iperaldosteronismo primitivo, scompenso cardiaco, insufficienza renale, cirrosi ascitogena e in alcuni pazienti con ipertensione essenziale. Al contrario, si sono riscontrati livelli plasmatici di ANP diminuiti in alcuni pazienti con sindrome nefrosica e una probabile diminuzione del volume circolante effettivo del ECF. In vitro, l'ANP contrasta gli effetti vasocostrittori dell'angiotensina II e inibisce il rilascio di aldosterone e la sua azione Na-ritentiva. Quando l'ANP viene infuso negli animali o nell'uomo, gli effetti sono variabili. Nell'uomo l'infusione di livelli fisiologici di ANP induce una lieve natriuresi, ma abbassa anche i livelli plasmatici di angiotensina II e di aldosterone e l'attività reninica plasmatica. Dosi maggiori di ANP aumentano la natriuresi e la GFR nonostante la riduzione del flusso plasmatico renale e della PA. L'ANP sembra avere un ruolo importante nella regolazione del volume del ECF, del metabolismo del Na e della PA. Tuttavia, il suo pieno significato fisiologico, fisiopatologico e terapeutico resta ancora da chiarire.

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Diarrea e costipazione

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 27. DIARREA E COSTIPAZIONE STIPSI Difficile o infrequente defecazione, con feci dure o una sensazione di evacuazione incompleta. (V. anche Encopresi e costipazione in Disturbi del comportamento nel Cap. 262.)

Sommario: Sintomi Diagnosi Terapia

Sintomi Un fecaloma, che può causare o essere causato dalla stipsi, è particolarmente frequente nel paziente anziano allettato o in seguito alla somministrazione di bario per bocca o con un clisma. Il paziente lamenta dolore rettale con tenesmo ed effettua ripetuti, ma inutili, tentativi di defecare. Può avere dolori crampiformi e si può verificare un passaggio di muco acquoso o di materiale fecale intorno al fecaloma, che simula la diarrea. L'esplorazione rettale evidenzia una massa dura, talvolta lapidea, ma spesso gommosa e pastosa. La costipazione acuta si verifica quando un cambiamento nelle abitudini intestinali produce una defecazione infrequente o delle feci dure che vengono eliminate con difficoltà. Un improvviso cambiamento suggerisce una causa organica: nei pazienti che si lamentano di una stipsi insorta da alcune ore o da alcuni gg, si deve pensare anche a un'ostruzione meccanica dell'intestino. Un ileo paralitico spesso accompagna una patologia intra-addominale acuta (p. es., una peritonite localizzata, una diverticolite) e può complicare varie condizioni traumatiche (p. es., traumi cranici, fratture spinali) o seguire un'anestesia generale. In tutte queste circostanze deve essere evitato l'uso di potenti lassativi. Una costipazione insorta acutamente è frequente anche nel paziente allettato (particolarmente negli anziani). Deve essere raccolta un'attenta anamnesi farmacologica, poiché la stipsi può essere causata da molti farmaci, compresi quelli che agiscono all'interno del lume intestinale (idrossido di alluminio, sali di bismuto, sali di ferro e colestiramina), gli anticolinergici, gli oppiacei, i bloccanti gangliari e molti tranquillanti e sedativi. Quando l'alterazione delle abitudini intestinali persiste per settimane o si verifica in modo intermittente con sempre maggiore frequenza e/o gravità devono essere sospettati i tumori del colon e le altre cause di ostruzione parziale. Una riduzione delle dimensioni delle feci indica la presenza di una lesione stenosante nel colon distale. Devono essere ricercate le condizioni locali anorettali che possono provocare dolore o sanguinamenti (p. es., ragadi anali); possono essere necessari una rx diretta dell'addome in posizione eretta, una proctosigmoidoscopia e, probabilmente, un clisma opaco. Se non si evidenzia nessuna patologia, il trattamento deve essere sintomatico (v. oltre). Le frequenti cause funzionali della costipazione cronica ostacolano i normali movimenti intestinali perché i meccanismi di deposito, trasporto ed evacuazione del colon sono alterati. La causa è, a volte, un disturbo sistemico, p. es., un'infezione debilitante, l'ipotiroidismo, l'ipercalcemia, l'uremia, la porfiria, ma più

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Diarrea e costipazione

frequentemente è rappresentata da disturbi neurogeni locali, p. es., la sindrome dell'intestino irritabile (v. Cap. 32), il colon ipocinetico (v. oltre) e il megacolon (v. Malattia di Hirschsprung in Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261). Alcuni disturbi neurologici (p. es., il morbo di Parkinson, la trombosi cerebrale, i tumori e le lesioni del midollo spinale) rappresentano importanti cause extraintestinali. I fattori psicogeni sono i più frequenti. La costipazione cronica è particolarmente frequente nell'anziano a causa di una riduzione, correlata all'età, dei riflessi colici intrinseci, di diete povere di fibre, della mancanza di esercizio e dell'uso di farmaci costipanti. Molte persone credono erroneamente che sia necessaria una defecazione giornaliera e pensano di essere affetti da stitichezza perché la frequenza non è quella che si aspettano. Altri possono essere preoccupati per l'aspetto (dimensioni, forma e colore) o per la consistenza delle feci, anche se, talvolta, il principale disturbo lamentato è la mancata soddisfazione all'atto della defecazione. Quale risultato, abusano di lassativi, supposte e clisteri. Un trattamento eccessivo con i lassativi può causare un colon da catartici (un colon "a tubo rigido" privo di austrature all'esame con clisma opaco e quindi simile a quello di una colite ulcerosa) e una melanosi colica (depositi di pigmento scuro nella mucosa, evidenziabili endoscopicamente e nelle biopsie del colon). I soggetti ossessivi-compulsivi cercano di controllare la loro ansia con un comportamento perfezionistico; la loro necessità di espellere dal corpo giornalmente i rifiuti "sporchi" può raggiungere esagerati livelli di importanza. Uno stato depressivo si può associare all'incapacità di defecare tutti i giorni. Il non defecare giornalmente può provocare un circolo vizioso nel quale la depressione riduce la frequenza delle evacuazioni e la mancata defecazione aumenta la depressione. Spesso questi soggetti diventano consumatori cronici di catartici o passano una notevole quantità del proprio tempo in bagno. Molti disturbi (dolore addominale, nausea, stanchezza, anoressia) dovuti spesso a una patologia sottostante (sindrome dell'intestino irritabile, depressione) vengono imputati alla costipazione. I pazienti non si devono aspettare che tutti i sintomi siano risolti da una defecazione quotidiana.

Diagnosi Prima di consigliare o di rassicurare un paziente sulle abitudini defecatorie, il medico deve escludere la presenza di una malattia grave con un'esplorazione rettale, con un esame sigmoidoscopico e con un clisma opaco, quando indicato. Ogni persona affetta da costipazione deve essere visitata completamente, eseguendo anche l'esplorazione rettale, per escludere la presenza di masse. In alcuni pazienti sono indicati anche l'emocromo e la titolazione dell'ormone stimolante la tiroide, della glicemia a digiuno e degli elettroliti. Quelli con sintomi resistenti, prolungati o inusuali possono aver bisogno di una colonscopia. Quando possibile, devono essere sospesi i farmaci che possono causare la costipazione. Devono, poi, essere prese in considerazione le necessità psicologiche individuali.

Terapia I farmaci utilizzati per trattare la costipazione sono riassunti nella Tab. 27-2. La dieta del paziente deve contenere una sufficiente quantità di fibre per assicurare un'adeguata massa fecale. Le fibre vegetali, che in larga parte non sono digeribili né assorbibili, aumentano la massa fecale; inoltre, alcuni componenti delle fibre assorbono liquidi, rendendo le feci più soffici e facilitandone il passaggio. Sono da consigliare la frutta e i vegetali, come i cereali, che contengono crusca, assunti a piacimento. Può essere preferita anche della crusca non raffinata (1620 g; 2-3 cucchiai da cucina bid o tid) sulla frutta o sui cereali.

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Diarrea e costipazione

I lassativi devono essere usati con cautela. Alcuni possono interferire con l'assorbimento di vari farmaci, legandosi a loro chimicamente (p. es., tetracicline, Ca, fosfati) o fisicamente (p. es., la digossina sulla matrice della cellulosa). Il rapido transito delle feci può portare alcuni farmaci e nutrimenti al di là del tratto ottimale per il loro assorbimento. Un dolore addominale acuto di origine sconosciuta, le malattie infiammatorie dell'intestino, un'ostruzione intestinale, un sanguinamento GI e un fecaloma rappresentano delle controindicazioni all'uso dei lassativi e dei catartici. Gli agenti che aumentano la massa fecale (p. es., la crusca, lo psillio, il policarbofil calcio e la metilcellulosa) forniscono anche delle fibre e sono i soli lassativi accettabili per un uso cronico. Agiscono lentamente e delicatamente e rappresentano il mezzo più sicuro per promuovere l'eliminazione delle feci. Un uso appropriato implica il graduale aumento dei dosaggi; la migliore assunzione è tid o qid con una sufficiente quantità di liquidi (aggiungendo 2-3 bicchieri/die di liquidi alla quantità assunta normalmente) per prevenire la compattazione delle sostanze ispissate, fino a quando non si ottengono delle feci più soffici e di massa aumentata. Questo approccio promuove degli effetti naturali e non causa assuefazione. Gli agenti che aumentano la massa fecale normalizzano sia la costipazione che la diarrea. Gli agenti imbibenti (lassativi detergenti [p. es., docusato]) ammorbidiscono le feci, rendendone più facile l'emissione. Essi rompono le barriere di superficie, consentendo all'acqua di penetrare all'interno della massa fecale, rendendola più soffice e aumentandone il volume. Questo può, poi, stimolare la peristalsi che muove più facilmente le feci soffici. Gli olii minerali rendono più soffice la sostanza fecale e ne agevolano il transito, ma possono diminuire l'assorbimento delle vitamine liposolubili. Gli olii minerali e i lassativi detergenti agiscono lentamente; possono essere utili dopo un infarto del miocardio o dopo un intervento chirurgico anorettale e quando è necessario un prolungato periodo di allettamento. Gli agenti osmotici sono usati per preparare i pazienti ad alcune procedure diagnostiche intestinali e occasionalmente nella terapia delle infestazioni parassitarie. Contengono degli ioni polivalenti scarsamente assorbiti (p. es., fosfato o solfato di Mg) o carboidrati (p. es., lattuloso, sorbitolo) che rimangono nell'intestino, aumentando la pressione osmotica intraluminale e richiamando acqua nell'intestino. L'aumentato volume stimola la peristalsi, che spinge più facilmente le feci, ammorbidite dall'acqua, nell'intestino. Questi farmaci agiscono di solito entro 3 h. Il fosfato e il magnesio sono parzialmente assorbiti e possono essere nocivi in alcune condizioni (p. es., nell'insufficienza renale). Il sodio (in alcune preparazioni) può influenzare negativamente un'insufficienza cardiaca. Questi farmaci possono anche alterare il bilancio idroelettrolitico in pazienti sani che ne ingeriscono dosi abbondanti o che ne fanno un uso frequente. Una recente metodica per pulire l'intestino prima di procedimenti diagnostici o di interventi chirurgici consiste nella somministrazione di grandi volumi di un agente osmotico bilanciato (p. es., soluzioni di glicole polietilenico ed elettroliti). I catartici secretori o stimolanti (p. es., la senna e i suoi derivati, la cascara, la fenolftaleina, il bisacodile e l'olio di ricino) sono spesso usati per pulire l'intestino prima di un esame diagnostico. Agiscono irritando la mucosa intestinale o stimolando direttamente la sottomucosa e il plesso mienterico. Alcuni di questi farmaci vengono assorbiti, metabolizzati nel fegato e poi ritornano nell'intestino con la bile. Aumentano sia la peristalsi che il liquido intraluminale, provocando dei dolori crampiformi e il passaggio di feci semisolide entro 6-8 h. Per effetto del loro uso continuo, si possono verificare una melanosi colica, una degenerazione neuronale del colon, la "sindrome dell'intestino pigro" e gravi alterazioni idroelettrolitiche. I fecalomi sono trattati con clisteri di 60-120 ml di olio di oliva o di olio minerale caldo (43,3°C) seguiti da un piccolo clistere (100 ml) di soluzione ipertonica, già pronto in commercio. Se questo fallisce, è necessaria la frammentazione e la rimozione manuale della massa. Queste procedure sono dolorose ed è, quindi, raccomandata l'applicazione peri e intrarettale di anestetici locali (p. es., pomata

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Diarrea e costipazione

di lidocaina al 5% o di dibucaina all'1%). Alcuni pazienti richiedono un'anestesia generale. Le spiegazioni sono importanti, ma è di poca utilità provare a convincere un paziente ossessivo-compulsivo che il suo atteggiamento nei confronti della defecazione è anormale, anche se la psicoterapia può aiutare a inculcare delle idee più razionali. I medici devono informare i pazienti che le evacuazioni giornaliere non sono essenziali, che si deve concedere all'intestino la possibilità di funzionare, che i frequenti lassativi o clisteri (> uno ogni 3 giorni) negano all'intestino questa possibilità e che il modo per "curare le feci" che sono "troppo sottili" o "troppo verdi" consiste nell'evitare di guardarle.

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DEL COMPORTAMENTO Sommario: Introduzione Valutazione Terapia

Spesso non è così semplice differenziare comportamenti difficili, ma normali, dai disturbi comportamentali veri e propri. È verosimile pensare a un disturbo comportamentale, quando il comportamento anomalo si ripete con una certa frequenza e persiste da tempo, quando più problemi comportamentali si associano e in particolare quando il comportamento anomalo interferisce con le funzioni cognitive e con la socialità dell’individuo. Si deve esaminare con attenzione un disturbo comportamentale, ritenuto grave da un genitore o da un insegnante. Molti disturbi comportamentali sono tipici di determinati stadi di sviluppo (p. es., comportamento oppositivo di un bambino di 2 anni) o di comuni atteggiamenti emotivi (p. es., irregolarità delle funzioni biologiche, intensità delle reazioni emotive, prevalenza di un umore negativistico e lentezza di un bambino "difficile" nell’adattarsi ai cambiamenti). Le percentuali di prevalenza variano in base alla definizione e determinazione dei disturbi comportamentali: diversi studi di popolazione riportano un tasso 10% in tutti i gruppi di età pediatrica, mentre le inchieste nazionali, basate sui dati dei servizi pediatrici di base, d’ufficio, riportano un tasso inferiore al 2%.

Valutazione Del bambino devono essere valutati lo stato di salute (pregresso e attuale), lo stadio di sviluppo e il carattere (p. es., "difficile," "tranquillo"). Dei genitori devono essere esaminati diversi fattori, tra cui l’erronea interpretazione di comportamenti tipici di determinati stadi di sviluppo del bambino; aspettative incompatibili con le caratteristiche proprie del bambino; depressione, disinteresse, rifiuto, e iperprotezione; discordie coniugali; disoccupazione e lutti gravi personali, in particolar modo se i sostegni sociali sono inadeguati. I sentimenti di colpevolezza e di incapacità, quasi universalmente presenti tra i genitori di bambini con disturbi comportamentali, vengono espressi con estrema difficoltà. Spesso può essere di aiuto associarsi alla frustrazione dei genitori e sottolineare la frequenza di questi disturbi, al fine di mitigare il loro senso di colpa e facilitare un approccio costruttivo. La cronologia delle attività del bambino in una giornata tipica fornisce dettagli precisi sul disturbo comportamentale. Si deve esaminare il contesto nel quale il bambino ha sviluppato il disturbo comportamentale, incluso il suo ambiente sociale. Inoltre si deve annotare la risposta del genitore al disturbo comportamentale. L’osservazione diretta dell’interazione genitore-bambino nel corso di una visita ambulatoriale fornisce informazioni di grande valore diagnostico. Quando possibile, queste osservazioni e la storia riportata dai genitori vanno integrate con file:///F|/sito/merck/sez19/2622406.html (1 of 3)02/09/2004 2.22.55

Problemi di sviluppo

le osservazioni di altre persone, inclusi parenti, insegnanti e infermiere. La qualità delle interazioni genitori-bambino nei primi mesi di vita è influenzata dallo sviluppo cognitivo e sociale del neonato. L’abilità di una madre a fronteggiare questo periodo può essere diminuita per l’effetto di una gravidanza o di un parto difficili, della depressione post-partum o di un inadeguato sostegno da parte del consorte, dei parenti o degli amici. Anche gli orari della poppata e del sonno di un neonato in genere sono imprevedibili nei primi mesi di vita. La maggior parte dei neonati con meno di 2-3 mesi non dorme durante la notte e presenta periodi di pianto frequente, prolungato e intenso (v. Le coliche sotto Patologia gastrointestinale e comuni errori alimentari nel Cap. 256). I periodi di veglia del neonato sono brevi, il che procura un feedback positivo nei confronti dei genitori. I problemi di interazione sono determinati da vari fattori riguardanti il bambino, i genitori e l’ambiente. Situazioni di circolo vizioso: le situazioni di circolo vizioso prevedono la reazione negativa del genitore al comportamento del bambino, a cui fa seguito una risposta avversa del bambino stesso, che a sua volta reitera la reazione negativa del genitore. Nelle più comuni situazioni di circolo vizioso, un genitore reagisce con rimproveri, urla e sculacciate a un bambino aggressivo e ribelle. Queste reazioni possono essere indotte dal negativismo tipico di un bambino di 2 anni o dalla repliche di un bambino di 4 anni, o possono essere la conseguenza di una incapacità a confrontarsi con un bambino, che presenta un carattere problematico sin dalla nascita. Si creano situazioni di circolo vizioso, nelle quali i bambini spesso reagiscono allo stress e al disagio emozionale con testardaggine, aggressività, repliche continue e con scatti di ira, piuttosto che con il pianto. In alternativa, un genitore può reagire nei confronti di un bambino pauroso, particolarmente insicuro o influenzabile con un atteggiamento superprotettivo o con eccessiva permissività. Inizialmente i problemi sono spesso di carattere medico, ma l’anamnesi rivela poi la presenza di conflittualità al momento dei pasti, di ansia di separazione (v. oltre), di incapacità dei genitori a limitare i comportamenti che disturbano gli altri e la tendenza da parte dei genitori a svolgere compiti che il bambino può eseguire autonomamente (p. es., vestirsi, alimentarsi). Di frequente, dall’anamnesi emergono eventi, che si pensa possano aumentare la vulnerabilità del bambino, tipo complicanze nel corso della gravidanza o una grave malattia familiare.

Terapia Tentare di modificare il solo disturbo comportamentale, senza comprenderne le motivazioni di base, elimina solamente i sintomi. È probabile che qualunque problema grave di base si manifesti come un sintomo. Individuata la causa del disturbo comportamentale, è preferibile intervenire rapidamente, in quanto i comportamenti di maladattamento sono più difficili da correggere se di vecchia data. La modificazione del comportamento è un processo di apprendimento, che necessita da parte dei genitori coerenza nello stabilire regole e limiti comportamentali. I genitori devono cercare di controllare la propria collera nel far rispettare le regole e aumentare i contatti positivi con il bambino. Per i disturbi semplici, spesso è sufficiente istruire i genitori, rassicurarli e fornir loro alcuni specifici suggerimenti. Fondamentali sono i controlli sequenziali effettuati nel tempo al fine di assicurarsi che il disturbo non sia più complesso, cosa che richiederebbe una valutazione più completa e possibilmente ulteriori visite. Un’anamnesi inizialmente confusa può essere chiarita, se i genitori ricostruiscono il disturbo comportamentale, incluse le attività immediatamente precedenti a esso e la loro reazione al problema. In casi estremi interazioni insufficienti nel rapporto genitori-bambino (irregolarità negli orari, mancata realizzazione di giochi di interazione positiva con il lattante dai 3 ai 4 mesi) possono comportare ritardo di crescita (v. Ritardo di crescita,

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Problemi di sviluppo

sopra) o pianto esagerato persistente. Per il trattamento è necessario istruire i genitori circa lo sviluppo del bambino e del suo carattere, rassicurarli se necessario e tentare di migliorare i sostegni disponibili (p. es., conforto emozionale, aiuto di una domestica, cura del bambino). È necessaria una genitore-lattante (v. sopra). In base alla natura del disturbo e all’esperienza del medico, può essere indicato la consultazione di uno psicologo, di uno psichiatra, di un neurologo o di un altro specialista. Disciplina: un comportamento anomalo può derivare da una disciplina inadeguata. I rimproveri o le punizioni corporali, usati con parsimonia, arginano per poco tempo il comportamento di un bambino, ma possono diminuire il suo senso di sicurezza e di autostima. Minacciare di abbandono o di inviare altrove il bambino è estremamente dannoso, mentre il rinforzo positivo per un comportamento appropriato rappresenta un potente strumento per controllare la condotta di un bambino, senza alcun effetto negativo. Un modello tipo fuori-gioco (vedi Tab. 262-3), nel quale il bambino deve sedere da solo per un breve periodo in un ambiente poco illuminato (una stanza, che non sia la stanza da letto, senza Tv o giocattoli, ma non buia o che possa spaventarlo), è un buon approccio per modificare comportamenti inaccettabili. Il fuori-gioco rappresenta un processo di apprendimento per il bambino, ed è meglio usarlo per un solo comportamento improprio o per pochi comportamenti alla volta. Terapia di situazioni di circolo vizioso I genitori vanno rassicurati sul fatto che il bambino è fisicamente sano e incoraggiati a limitare la sua ricerca di dipendenza o i comportamenti eccessivamente influenzabili, in modo da ristabilire il rispetto reciproco. Il circolo vizioso può essere interrotto se i genitori ignorano quel comportamento che non disturba gli altri (accesso d’ira, rifiuto di mangiare) e usano la distrazione o l’isolamento temporaneo per limitare una condotta che non può essere ignorata. Le situazioni conflittuali si possono anche risolvere, rinforzando con la lode il comportamento appropriato. I genitori e il bambino devono passare almeno 15-20 min/die assieme, coinvolti in un’attività per entrambi piacevole. Una madre casalinga va incoraggiata a passare regolarmente del tempo lontano dal bambino. In ogni situazione di conflittualità nel rapporto genitore-bambino, il medico deve essere deciso e i genitori devono cercare di modificare i loro schemi di risposta. È necessario rivalutare un problema che non si è modificato in 3 o 4 mesi; in questi casi è indicata una valutazione psicologica.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI COLICHE ADDOMINALI Sintomo complesso della prima infanzia, caratterizzato da crisi di pianto, dolore addominale e irritabilità. Il termine colica è descrittivo, ne suggerisce l’origine ma il meccanismo eziopatogenetico preciso è sconosciuto (v. anche Gas nel Cap. 32). La sintomatologia può cominciare poco dopo la dimissione dall’ospedale, più spesso qualche settimana dopo e persiste fino a 3-4 mesi. Tipicamente, il bambino che presenta coliche mangia bene e presenta un buon incremento ponderale. Egli può sembrare eccessivamente affamato e spesso presenta una suzione vigorosa nei confronti di quasi tutte le cose disponibili. Tuttavia, le crisi parossistiche di pianto possono portare il caos in una casa tranquilla e rompere la quiete familiare. Le coliche, di solito, ricorrono alla stessa ora del giorno o della notte, ma pochi bambini piangono incessantemente. Un pianto eccessivo provoca aerofagia, con conseguente flatulenza e distensione addominale e può essere una manifestazione precoce di una personalità insistente e impaziente. Prima di porre diagnosi di colica, deve essere esclusa una patologia identificabile mediante esame obiettivo, emocromo, esame delle urine o altre indagini, se necessarie. Un bambino affamato può piangere incessantemente ma presenterà uno scarso accrescimento ponderale. Un bambino oggetto di troppe cure può non dormire a sufficienza. Uno stato di malessere, quale febbre, raffreddore o infezione dell’orecchio, può provocare irritabilità. Un’anamnesi approfondita spesso rivela che il pianto non è il sintomo più importante, ma soltanto un pretesto dei genitori per sottoporre al medico altri problemi p. es., relativi alla morte di un altro figlio oppure al loro sentirsi incapaci di legare con il nuovo nato. I genitori devono essere rassicurati sul fatto che l’irritabilità del bambino non è dovuta a scarse cure. Il bambino che piange per brevi periodi di tempo può essere consolato se cullato, dondolato, accarezzato. Un bambino con un forte desiderio di succhiare subito dopo la poppata può essere aiutato con un pasto più lungo. Se la poppata dura 20 min o meno si può sostituire la tettarella con una dotata di buchi più piccoli. Si può adoperare anche un ciuccio. Un bambino iperattivo e irrequieto paradossalmente trova giovamento dall’essere avvolto piuttosto strettamente con un piccolo lenzuolo. Per escludere una intolleranza alle proteine del latte può essere utilizzata per un breve periodo una formula sostitutiva del latte. I genitori devono essere tranquillizzati che il loro bambino è sano, che il problema scomparirà nel giro di alcune settimane e che piangere troppo non è dannoso. In circostanze eccezionali si può utilizzare un sedativo come il fenobarbital (in forma liquida) al dosaggio di 1-2 mg/kg PO, 1 h prima del periodo critico.

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Disordini funzionali dell'intestino

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 32. DISORDINI FUNZIONALI DELL'INTESTINO GAS (Eruttazione; flatulenza)

Sommario: Fisiologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Fisiologia Il gas è presente nell'intestino quale risultato dell'aria deglutita e della produzione o diffusione dal sangue all'interno del lume intestinale. Normalmente l'aria viene deglutita in piccole quantità (aerofagia) mentre si deglutiscono il cibo e i liquidi, ma alcune persone deglutiscono aria inconsciamente e ripetutamente, mentre mangiano o in altre occasioni, specialmente quando sono ansiose. La maggior parte dell'aria deglutita viene in seguito eruttata e solamente una piccola quantità passa all'interno del piccolo intestino. La quantità di aria che passa sembra influenzata dalla posizione. L'esofago si svuota nella parte superoposteriore dello stomaco. In un individuo che sta in posizione eretta, l'aria sale al di sopra del contenuto liquido dello stomaco, viene a contatto con la giunzione gastroesofagea e quindi prontamente eruttata. In una persona che sta in posizione supina, l'aria intrappolata al di sotto del liquido gastrico tende a passare nel duodeno. Anche un'eccessiva salivazione può aumentare l'aereofagia e si può associare a vari disturbi GI (malattia da reflusso gastroesofageo), cosi come le protesi dentarie non idonee o la nausea di qualunque eziologia. L'eruttazione può essere associata anche all'uso di antiacidi. Attribuendo il sollievo dalla sintomatologia ulcerosa alle eruttazioni piuttosto che agli antiacidi, il paziente può continuare a eruttare per diminuire i fastidi. Il gas è prodotto nel lume intestinale attraverso diversi meccanismi. Il metabolismo batterico dà luogo a significativi volumi di idrogeno (H2), di metano (CH4) e di CO2. Quasi tutto l'H2 è prodotto per effetto del metabolismo batterico nel colon di sostanze ingerite fermentabili (carboidrati, amminoacidi) e quindi è trascurabile dopo un digiuno prolungato o dopo un pasto il cui contenuto viene completamente assorbito nel piccolo intestino. Anche alcuni fattori scarsamente conosciuti (p. es., le differenze della flora e della motilità colica) possono essere responsabili della variabile produzione del gas. Le persone normali assorbono in modo incompleto i carboidrati contenuti in alcuni alimenti comuni. Anche i normali polisaccaridi indigeribili, contenuti nella frutta e nelle verdure (p. es., fibre, raffinoso), possono causare un eccesso di gas. L'H2 viene prodotto in grandi quantità dopo l'ingestione di alcuni tipi di frutta e di verdura che contengono carboidrati indigeribili (p. es., fagioli bolliti) e nei pazienti con sindromi da malassorbimento. Nei pazienti con deficit di disaccaridasi (più comunemente il deficit di lattasi) grandi quantità di disaccaridi passano nel colon e vengono fermentate a H2 (v. Intolleranza ai carboidrati nel Cap. 30). Nei casi di eccessiva produzione di gas colico, il morbo celiaco, la sprue tropicale, l'insufficienza pancreatica e altre cause di malassorbimento dei carboidrati file:///F|/sito/merck/sez03/0320340.html (1 of 4)02/09/2004 2.22.56

Disordini funzionali dell'intestino

devono essere presi in considerazione. Il metano (CH4) è prodotto per effetto del metabolismo batterico delle sostanze endogene a livello del colon e la produzione di gas è solo minimamente influenzata dall'ingestione del cibo. Alcune persone producono costantemente grandi quantità di CH4, altre presentano una produzione minima o nulla. La tendenza a produrre grandi quantità di metano è familiare, compare durante l'infanzia e persiste per tutta la vita. La CO2 può essere prodotta anche per effetto del metabolismo batterico, ma la sorgente più importante è la reazione del HCO3 e degli ioni H2, da cui vengono liberati 22,4 ml di CO2 per ogni mEq di HCO3. Gli ioni H2, possono derivare endogenamente dall'acido cloridrico del succo gastrico o dagli acidi grassi liberati durante la digestione dei grassi, questi ultimi a volte prodotti in diverse centinaia di mEq. In linea teorica, possono essere liberati nel duodeno, dopo l'ingestione di un pasto normale, fino a 4 l di CO2. I prodotti acidi liberati dalla fermentazione batterica dei carboidrati non assorbiti nel colon possono anch'essi reagire con l'HCO3 per produrre CO2. Sebbene si possa verificare occasionalmente una distensione gassosa, la rapida diffusione di CO2 nel sangue impedisce una distensione intollerabile. I gas diffondono tra il lume e il sangue in una direzione che dipende dal gradiente della pressione parziale. La produzione di H2, CO2 e CH4 può ridurre la pressione parziale di N nel lume a livelli inferiori di quella ematica, giustificando la maggiore quantità di N presente nel lume. Il gas viene eliminato tramite l'eruttazione, la diffusione nel sangue dal lume con escrezione finale da parte dei polmoni, il catabolismo batterico e il passaggio attraverso l'ano (flatulenza).

Sintomi, segni e diagnosi Comunemente si pensa che un'eccessiva quantità di gas intestinali provochi dolore addominale, gonfiore, distensione, eruttazioni o eccessiva flatulenza. Tuttavia, l'eccessiva quantità di gas non è stata chiaramente correlata a questi disturbi; è probabile che molti sintomi siano erroneamente attribuiti al "troppo gas". Nella maggior parte delle persone normali, si può infondere 1 l di gas/h nell'intestino evocando una sintomatologia minima, mentre i pazienti con sintomi imputati al gas spesso non riescono a tollerare quantità inferiori. Ugualmente, la distensione retrograda del colon per effetto di una sonda a palloncino o durante la colonscopia, spesso provoca un grave senso di fastidio nei pazienti con SII, ma soltanto sintomi minimi negli altri pazienti. Pertanto, l'alterazione di base nei pazienti che lamentano disturbi per la presenza di gas, può essere l'ipersensibilità intestinale. Una motilità alterata può contribuire ulteriormente alla sintomatologia; il gas può essere l'agente scatenante o può non avere alcun ruolo nella patogenesi. Le eruttazioni ripetute indicano aerofagia. Alcuni pazienti affetti da questo disturbo sono in grado di produrre prontamente una serie di eruttazioni a comando. Quando si sospetta un'aereofagia, va intrapresa un'educazione e una modificazione comportamentale del paziente, invece di iniziare un'estesa valutazione medica e una terapia farmacologica. Nella sindrome della flessura splenica, il gas resta intrappolato a questo livello e può causare una distensione addominale diffusa. Ne può derivare un senso di pesantezza in corrispondenza del quadrante addominale superiore di sx e una pressione irradiata verso il lato sx del torace. Si ha un aumentato timpanismo nella porzione supero-esterna dell'emiaddome sx. Si ha un certo sollievo con la defecazione o con le flatulenze. La colica del lattante è una sindrome presumibilmente causata da dolore

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Disordini funzionali dell'intestino

addominale di tipo crampiforme. I lattanti soggetti a coliche sembrano avere un'eccessiva flatulenza. Tuttavia, gli studi non mostrano in questi lattanti un aumento della produzione di H2 o un aumento del tempo di transito dalla bocca al ceco. Quindi, la causa di questa sindrome è sconosciuta. Nei pazienti con flatulenza la quantità e la frequenza del passaggio dei gas presenta una grande variabilità. Così come avviene per la frequenza delle evacuazioni, le persone che si lamentano della flatulenza spesso hanno concetti errati su che cosa è normale. In uno studio condotto su 8 uomini normali di età compresa tra 25 e 35 anni, la media dei passaggi del gas in un giorno è stata di 13 ± 4/die con un massimo di 21/die, che è sovrapponibile a quella di molte persone che si lamentano di un'eccessiva flatulenza. Quindi, l'annotazione oggettiva della frequenza delle flatulenze (utilizzando un diario tenuto dal paziente) deve essere il primo passo nella valutazione di chi lamenta un'eccessiva flatulenza. Malgrado la natura infiammabile dell'H2 e del CH4 contenuti nel gas intestinale, non c'è alcun pericolo nel lavorare accanto a una fiamma durante le flatulenze. Si conoscono dei casi di bambini che hanno giocato con l'espulsione del gas sulla fiamma di un fiammifero. Tuttavia, è stata riportata l'esplosione del gas, raramente con conseguenze fatali, durante interventi chirurgici sul digiuno e sul colon e anche durante l'uso della diatermia in corso di procedure endoscopiche nei pazienti che avevano evacuato incompletamente. Poiché i sintomi di un eccesso di gas sono aspecifici e comunemente si sovrappongono a quelli della SII (v. sopra) e delle malattie organiche, è essenziale la raccolta di un'anamnesi accurata come guida alla valutazione medica da intraprendere. È improbabile che sintomi di lunga durata presenti in un soggetto giovane, peraltro sano, che non ha perso peso, possano essere provocati da una grave affezione organica. Le persone anziane, specialmente se lamentano sintomi di recente insorgenza, meritano un esame più approfondito prima che venga intrapreso il trattamento per un eccesso di gas, reale o immaginario. Non è raro per i pazienti affetti da disordini dell'alimentazione (anoressia nervosa e bulimia) di percepire erroneamente e di essere particolarmente stressati da sintomi quali la distensione addominale e l'eruttazione. Il medico deve ricercare la possibile presenza di un disordine dell'alimentazione nei pazienti che lamentano questi sintomi, particolarmente nelle giovani donne.

Terapia L'eruttazione, la distensione addominale e il senso di gonfiore sono difficili da risolvere, poiché la maggior parte dei disturbi è dovuta a un'aerofagia inconscia o a una esagerata sensibilità alla normale quantità di gas. Deve essere fatto un tentativo per ridurre l'aerofagia. Questa può essere causata da un'eccessiva salivazione e quindi il paziente dovrebbe evitare alcuni comportamenti come il masticare gomma americana o il fumare. Devono essere trattate le malattie del tratto GI superiore (p. es., l'ulcera peptica) che possono causare un'ipersalivazione e le sindromi che possono causare nausea e salivazione riflessa. Devono essere eliminate le bevande gassate o gli antiacidi, se si associano a eruttazione. Devono essere evitati i cibi che contengono carboidrati non assorbibili. I prodotti caseari devono essere esclusi dalla dieta dei pazienti con intolleranza al lattoso. Il meccanismo delle eruttazioni ripetute deve essere spiegato e dimostrato. Quando l'aerofagia rappresenta un problema, la terapia di biofeedback e di rilassamento può rieducare il paziente a deglutire e masticare in modo più efficace e rompere il ciclo vizioso aerofagia-fastidio-eruttazione-sollievo. Pochi studi ben controllati hanno dimostrato un chiaro beneficio dall'uso dei vari farmaci. Sono stati utilizzati il simeticone, un farmaco che scioglie le piccole bolle di gas incorporato in diverse preparazioni, e altri farmaci anticolinergici, tutti con risultati variabili. Alcuni pazienti con dispepsia e senso di ripienezza file:///F|/sito/merck/sez03/0320340.html (3 of 4)02/09/2004 2.22.56

Disordini funzionali dell'intestino

postprandiale nei quadranti superiori dell'addome, hanno tratto beneficio dagli antiacidi. La cisapride (10-20 mg 30 min prima dei pasti, Attenzione: rischio di gravi interazioni farmacologiche) può facilitare lo svuotamento gastrico e aumentare la pressione dello sfintere esofageo inferiore. Misure simili vengono usate per il trattamento dei disturbi dovuti all'eccessiva flatulenza per cercare di ridurre al minimo il volume di gas all'interno dell'intestino. Si possono aggiungere delle scorie (p. es., crusca, semi di psillio) alla dieta per cercare di aumentare il transito nel colon; comunque, in alcuni pazienti, si può avere un peggioramento della sintomatologia. Il carbone attivo può a volte aiutare a ridurre i gas e il fastidioso odore dovuto al solfuro di idrogeno prodotto nell'intestino. Tuttavia, la sua tendenza a colorare gli indumenti e la mucosa orale rende in qualche modo scomodo il suo uso. In generale, l'eruttazione funzionale, la distensione e la flatulenza presentano un decorso cronico intermittente, che viene soltanto parzialmente risolto dalla terapia. È importante che il paziente venga rassicurato sul fatto che questi problemi non sono nocivi per la sua salute.

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO RITARDO DI CRESCITA Peso costantemente al di sotto del 3o percentile per l’età; progressiva diminuzione del peso al di sotto del 3o percentile; peso < 80% del peso ideale per l’età staturale o una diminuzione nel tasso di crescita atteso, sulla base della curva di crescita precedentemente seguita dal bambino, anche se non inferiore al 3o percentile.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Diagnosi Prognosi Terapia

Due punti devono essere considerati quando si utilizza la suddetta definizione: (1) in base alla legge della distribuzione normale, il peso del 3% dei "normali" cadrà costantemente al di sotto del 3o percentile (al contrario, molti dei bambini con peso sotto al 3o percentile avranno un reale ritardo di crescita, RDC) e (2) il peso ideale per l’età staturale dovrà essere modificato per l’altezza attesa (come definita dalla curva di crescita in altezza precedentemente seguita dal bambino) piuttosto che per la statura attuale, se ci sono segni che la crescita lineare si è ridotta. Circa il 3-5% dei bambini ricoverati in centri di cura terziari e l’1% di tutti i bambini ospedalizzati presenta un ritardo di crescita.

Eziologia e fisiopatologia La base fisiologica del RDC, qualunque sia l’eziologia, è rappresentata da una nutrizione insufficiente a determinare l’aumento del peso. Con RDC organico si indica un ritardo di accrescimento, dovuto a un disordine acuto o cronico, che interferisce con un normale apporto, assorbimento, metabolismo o escrezione di sostanze nutritive o che comporta un aumento delle richieste energetiche per sostenere o promuovere la crescita (v. Tab. 262-1). Con RDC non organico si individua più comunemente un ritardo di accrescimento, dovuto a una situazione di abbandono (p. es., mancanza di cibo) o di deprivazione di stimoli ambientali, in assenza di un disordine fisiologico che sia responsabile dello scarso accrescimento. Fino all’80% dei bambini con ritardo di accrescimento, che non presenta un disordine, facilmente individuabile, inibente la crescita, ha un ritardo di crescita non organico. La carenza alimentare può essere dovuta all’impoverimento economico, all’insufficiente conoscenza delle tecniche di alimentazione, alla impropria preparazione del latte formulato (p. es., allungamento della diluizione dei latti formulati per problemi economici) o a una inadeguata quantità di latte materno.

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Problemi di sviluppo

In molti casi, la base psicologica del RDC non organico è simile a quanto si osserva nella sindrome da ospedalizzazione, una condizione osservata in lattanti che soffrono di depressione secondaria a carenza di stimoli; il bambino non stimolato diventa depresso, apatico e alla fine anoressico. Nel RDC non organico gli stimoli possono mancare, in quanto chi si prende cura del bambino (generalmente, la madre) è depresso o apatico, non presenta capacità genitoriali adeguate, è ansioso o indifferente riguardo l’adempimento del ruolo di cura, nutre un sentimento di ostilità verso il bambino o reagisce a stress esterni reali o percepiti tali (p. es., esigenze di altri bambini in famiglie numerose e caotiche, problemi coniugali, un grave lutto, difficoltà economiche). Comunque, la mancanza di cure materne non è l’unica causa del RDC non organico. Il carattere del bambino, le capacità e le reazioni aiutano a formare i modelli di educazione materni; p. es., il RDC non organico può essere considerato il risultato di un disordine di interazione tra madre e bambino. Dunque, il RDC non organico può essere la conseguenza di varie situazioni, che vanno dal caso di un bambino gravemente disturbato o malato, la cui cura rappresenta una prova impegnativa anche per i genitori più preparati, a quello di un bambino potenzialmente poco esigente e accondiscendente, allevato da un genitore malato di mente, senza adeguate risorse sociali, emotive, economiche, cognitive o fisiche. Tra questi casi estremi si collocano i "disturbi" del rapporto madre-bambino, nei quali le richieste del bambino, sebbene non patologiche, non possono essere adeguatamente soddisfatte dalla madre, che però potrebbe adempierle correttamente nei confronti di un altro bambino con diversi bisogni o anche con lo stesso bambino in differenti circostanze. Nel RDC misto il RDC organico e non organico si sovrappongono. Il medico deve individuare i contributi relativi di ciascun tipo di RDC all’anormale crescita del bambino. Il RDC misto è diagnosticato nei bambini, prematuri, che presentano un ritardo di crescita sproporzionato, comparso tardi nell’età infantile; nei bambini che presentano o hanno presentato un disturbo, che non spiega l’attuale ritardo di crescita (p. es., palatoschisi corretta) e nei bambini frustrati (p. es., a causa di un disturbo della suzione da problemi neurologici) o rifiutati (p. es., a causa di una deformità) da chi si dovrebbe prendere cura di loro.

Diagnosi I bambini con RDC organico possono presentare sintomi ad ogni età, a seconda della disfunzione in causa; la maggior parte dei bambini con RDC non organico presenta un ritardo di crescita entro il 1o anno di età e in molti casi dal 6o mese in poi. Il peso è l’indicatore più sensibile dello stato nutrizionale. Una riduzione della crescita in altezza di solito indica una malnutrizione più grave e prolungata. Il cervello è preferenzialmente risparmiato nella malnutrizione proteico-calorica (v. Cap. 2), cosicché la riduzione nella crescita della circonferenza cranica si verifica tardivamente e indica una malnutrizione molto grave e di lunga durata. Generalmente, quando viene notato un ritardo di crescita, è necessario eseguire un’anamnesi accurata (includendo l’anamnesi alimentare, v. Tab. 262-2), fornire dei consigli dietetici e controllare frequentemente il peso del bambino. Se il bambino non aumenta di peso in maniera soddisfacente, viene in genere ricoverato in ospedale in modo da poter essere osservato adeguatamente ed eseguire rapidamente tutte le valutazioni e i test diagnostici specifici. In mancanza di evidenze anamnestiche o obiettive di una specifica eziologia di base, non esiste un singolo criterio clinico o test che possa distinguere in maniera affidabile il RDC organico da quello non organico. Prima di porre diagnosi di RDC non organico, devono essere indagati contemporaneamente i problemi medici di base e le caratteristiche personali o familiari, che confermino un’eziologia psicosociale del RDC. La valutazione migliore è multidisciplinare, in quanto coinvolge il medico, l’infermiere, il nutrizionista, lo specialista nello sviluppo del bambino, l’assistente sociale e lo psichiatria o psicologo. Si devono osservare le abitudini alimentari del bambino con gli specialisti della salute e con

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Problemi di sviluppo

i genitori, sia in ambiente ospedaliero che ambulatoriale. È fondamentale coinvolgere i genitori nella ricerca delle varie cause. Questo incoraggia la loro autostima ed evita di colpevolizzarli, dato che possono già sentirsi frustrati o colpevoli a causa della percezione dell’incapacità ad allevare il bambino. La famiglia deve essere incoraggiata a recarsi in visita quanto più spesso e più a lungo possibile. I membri del personale devono mettere i genitori a loro agio sostenere i loro tentativi di nutrire il bambino, e fornire giochi e suggerimenti, che stimolino il gioco tra genitori e figlio e altre interazioni. I membri dello staff non devono accennare all’inadeguatezza dei genitori, all’irresponsabilità o ad altre loro colpe come possibili cause del RDC, per quanto, devono essere valutate l’adeguatezza dei genitori e il loro senso di responsabilità. I casi di sospetta incuria o abuso devono essere riferiti ai servizi sociali, per quanto, in molte situazioni, è più opportuno indirizzare la famiglia ai servizi preventivi, che hanno l’obiettivo di sostenere e istruire il nucleo familiare stesso (p. es., con buoni pasto addizionali, offrendo cure più accessibili per il bambino e corsi per i genitori). Durante l’ospedalizzazione, vengono attentamente osservate l’interazione del bambino con le persone dell’ambiente circostante e la comparsa di comportamenti autostimolanti (p. es., il dondolarsi, lo sbattere ripetutamente il capo). Bambini con RDC non organico sono stati descritti come ipervigili e restii a stabilire contatti stretti con le persone, preferendo interagire con oggetti inanimati. Sebbene il RDC non organico sia più frequente con genitori negligenti piuttosto che violenti, il bambino deve essere osservato da vicino per individuare ogni segno di abuso (v. Cap. 264). Si deve effettuare un test di screening che valuti lo stadio di sviluppo, e, se necessario, proseguire con accertamenti più sofisticati. Non sono utili approfonditi esami di laboratorio. Se l’anamnesi o l’esame clinico non suggeriscono test particolari, la maggior parte degli esperti in materia raccomanda di limitare gli esami di screening a: un emocromo, una VES, a un’analisi delle urine (compresa la capacità di concentrazione e di acidificazione), una determinazione dell’azoto ureico o del tasso di creatinina nel siero, a un’urinocoltura e un esame chimico delle feci (pH, odore, colore, consistenza e contenuto di grassi e presenza di sostanze riduttrici). In base alla prevalenza di specifici disturbi nella comunità di appartenenza, si devono effettuare una piombemia, un test specifico (ELISA) per il HIV, o una reazione di Mantoux. In altri casi possono essere effettuati accertamenti più specifici-p. es., la concentrazione degli elettroliti sierici, se il bambino ha una storia di vomito e diarrea importante; una tiroxinemia, se la crescita in altezza è più gravemente compromessa della crescita in peso e un test del sudore, se il bambino ha una storia di infezioni ricorrenti delle alte e basse vie respiratorie, un sapore salato quando viene baciato, un appetito vorace, feci voluminose e maleodoranti, epatomegalia o una familiarità positiva per fibrosi cistica. La ricerca di malattie infettive deve essere riservata ai bambini con sintomi di infezione (p. es., febbre, vomito, diarrea). Un esame radiologico deve essere eseguito nei bambini con sintomi di malattie organiche o funzionali (p. es., stenosi del piloro, reflusso gastroesofageo).

Prognosi Il 50-75% dei bambini di età > 1 anno, affetto da RDC non organico, raggiunge un peso stabile al di sopra del terzo percentile. Le funzioni cognitive, specialmente le capacità verbali, sono sotto i valori normali in circa il 50% dei bambini, in particolare in quelli in cui il RDC è esordito prima dell’anno di età e in specie per quelli con meno di 6 mesi, periodo del massimo tasso di crescita postnatale del cervello. I problemi generali del comportamento, individuati dagli insegnanti o dal personale specializzato nella valutazione della salute mentale, ricorrono in circa 50% dei bambini; i problemi specificamente collegati al mangiare (p. es., spizzicare, essere lenti) o alla escrezione fecale e urinaria sono altrettanto frequenti che nei bambini, in genere ,con altri disturbi del comportamento o della personalità.

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Problemi di sviluppo

Terapia Lo scopo della cura è quello di fornire uno stato di salute sufficiente e delle risorse ambientali tali da assicurare una crescita soddisfacente. Sono generalmente necessari una dieta nutriente e caloricamente adeguata al recupero della crescita (circa il 150% del normale fabbisogno kcal/kg di peso corporeo ideale/24 h) e un supporto medico e sociale individualizzato. La capacità di recuperare peso durante la permanenza in ospedale non distingue i lattanti con RDC non organico da quelli con RDC organico: tutti i bambini crescono quando viene loro garantita una nutrizione adeguata. Tuttavia, all’interno dell’ospedale alcuni bambini, con RDC non organico, perdono peso, suggerendo per il bambino è meglio ricevere le cure dai propri gnitori, anche se "inadeguati", piuttosto che esserne separati. Per i bambini con un RDC organico o misto, il disturbo di base deve essere trattato il più velocemente possibile. Per i bambini con RDC apparentemente non organico o misto, il trattamento consiste nel fornire un’educazione e un supporto affettivo, atti a correggere i problemi che interferiscono nella relazione genitoribambino. Poiché sono spesso richiesti un sostegno sociale a lungo termine o un trattamento psichiatrico, l’équipe di valutazione deve essere in grado solo di definire le necessità della famiglia, fornire gli insegnamenti iniziali e il sostegno e avviare le pratiche necessarie agli enti sociali. I genitori devono capire perché vengono effettuate le pratiche e, se c’è possibilità, prendere parte alle decisioni che riguardano gli enti coinvolti (p. es., alcune famiglie accettano e traggono vantaggio dall’intervento dell’infermiera di comunità, ma rifiutano l’aiuto di un assistente sociale). Se il bambino è ospedalizzato in un centro di cura di III livello, il medico curante deve essere consultato riguardo agli enti locali e al livello di competenza disponibile nella comunità. Prima della dimissione, deve essere effettuata routinariamente una riunione di pianificazione che coinvolga il personale ospedaliero, i rappresentanti degli enti territoriali che assicureranno i servizi continuativi e il medico curante del bambino. Devono essere chiaramente definite le aree di responsabilità, preferibilmente in una relazione scritta e fornita a ciascun interessato. I genitori devono essere invitati a un breve incontro, dopo la riunione, in modo che possano incontrare gli assistenti di comunità, porre domande ed, eventualmente, concordare gli appuntamenti successivi. In alcuni casi il bambino deve essere messo in comunità protette. Se si pensa che il bambino sarà alla fine restituito ai genitori naturali, si deve fornire loro un training, per migliorare le loro abilità nella cura del bambino e una terapia psicologica; inoltre i loro progressi devono essere valutati scrupolosamente. La restituzione ai genitori naturali deve essere basata sulle capacità e sulle risorse dimostrate dai genitori nel potersi prendere cura adeguatamente del figlio, non solo sul tempo trascorso.

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TABELLA 262-1. ALCUNE CAUSE DI RITARDO DI ACCRESCIMENTO ORGANICO Meccanismo Ridotta introduzione di nutrienti

Disturbo Labio o palatoschisi Reflusso gastroesofageo Ruminazione

Malassorbimento

Celiachia Fibrosi cistica Deficit di disaccaridasi (p.es. lattasi)

Disturbi del metabolismo

Intolleranza al fruttoso Galattosemia classica (deficit di transferasi)

Aumentata escrezione

Diabete mellito Proteinuria

Aumentato fabbisogno energetico

Displasia broncopolmonare Fibrosi cistica Ipertiroidismo

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TABELLA 262-2. DATI ESSENZIALI NELL'ANAMNESI DEL RITARDO DI CRESCITA ORGANICO Argomento

Commenti

Curva di crescita

Le misurazioni, incluse quelle alla nascita, se possibile, devono essere analizzate per individuare la curva di crescita. A causa delle ampie variazioni che rientrano nella norma, la diagnosi di RDC non si deve basare su una sola misurazione, eccetto nei casi di evidente malnutrizione

Anamnesi alimentare

L’anamnesi alimentare deve essere dettagliata, comprendendo le modalità di allattamento, di preparazione del latte, il tipo di formula utilizzata e l’adeguatezza dell’allattamento al seno. Al più presto possibile si deve esaminare il bambino al momento della poppata per valutare la tecnica dell’allattamento e la capacità di suzione del bambino. Un lattante che succhia bene può presentare problemi di intolleranza alimentare. L’eruttazione eccessiva o il rapido addormentamento durante l’allattamento possono determinare rigurgito eccessivo o perfino vomito. Un genitore può essere depresso o apatico, suggerendo un ambiente psicosociale carente nella stimolazione e interazione con il lattante.

Valutazione dell’escrezione del bambino

Perdite anomale attraverso le urine, le feci o il vomito devono essere analizzate per individuare problemi di base quali malattie renali, sindrome da malassorbimento, stenosi ipertrofica del piloro o reflusso gastroesofageo.

Anamnesi patologica

Riguardo al ritardo di crescita intrauterino o alla prematurità con ritardo di crescita, non compensato; a infezioni croniche, prolungate e non comuni; a malattie neurologiche, cardiache, polmonari o renali; a eventuali intolleranze alimentari.

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Anamnesi familiare

Compresi dati sulle modalità di crescita della famiglia, in particolar modo dei genitori e dei fratelli; sulla presenza di malattie familiari note che possano compromettere la crescita (p.es. fibrosi cistica) e su recenti malattie fisiche o disturbi psichiatrici presentati dai genitori, che possono comportare incapacità a garantire stimoli e nutrimento adeguati al bambino.

Anamnesi sociale

L’attenzione viene concentrata sulla composizione del nucleo familiare, sullo stato socioeconomico, sul desiderio e accettazione di questo bambino da parte della famiglia e sugli eventuali stress (p.es. cambiamenti di lavoro, spostamenti della famiglia, separazione, divorzio, decessi, altre perdite).

RDC = ritardo di crescita

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TABELLA 262-3. MODELLO DEL FUORI-GIOCO Il bambino si comporta male, in un modo che già in precedenza ha determinato un fuori-gioco

Mentre il bambino è seduto sulla sedia del fuori- gioco, o mentre lo si conduce verso di essa, si spiega il motivo (comportamento sbagliato) del fuori-gioco.

Il bambino deve rimanere seduto sulla sedia del fuori-gioco per 1 minuto per ogni anno di età (massimo, per 5 minuti)

Un bambino che si alza dalla sedia, prima del tempo stabilito, è ricondotto alla sedia e il tempo di fuori-gioco viene di nuovo iniziato. Un bambino che si alza dalla sedia ripetutamente deve essere trattenuto sulla sedia (non in grembo). Se il bambino va trattenuto sulla sedia per l’intero periodo di tempo di fuori-gioco stabilito, il tempo viene di nuovo iniziato. È proibito parlare e guardarsi.

Se il bambino rimane seduto ma non si calma nel tempo di fuori-gioco previsto, il tempo viene di nuovo iniziato.

Quando è il momento di alzarsi, il genitore chiede al bambino le ragioni del fuori-gioco senza arrabbiarsi o brontolare. A un bambino che non risponde correttamente si ricordano brevemente le ragioni.

Poco dopo il fuori-gioco il genitore chiede al bambino di comportarsi bene, cosa più facile da fare se si fa iniziare al bambino un altro gioco, lontano dal luogo dove prima si era comportato male.

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Diarrea e costipazione

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 27. DIARREA E COSTIPAZIONE INERZIA COLICA (Costipazione atonica; stasi colica; colon inattivo) Diminuita peristalsi colica o insensibilità del retto alla massa fecale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia L'inerzia del colon si verifica nei pazienti anziani o invalidi, specialmente se costretti a letto. Il colon non risponde ai normali stimoli che promuovono l'evacuazione o mancano gli stimoli accessori forniti da una normale alimentazione e attività fisica. Talvolta l'inerzia si verifica in pazienti la cui sensibilità rettale alla presenza del contenuto fecale viene ridotta da un'abituale trascuratezza nel rispondere allo stimolo della defecazione o da una prolungata dipendenza da lassativi o clisteri, spesso iniziata nell'infanzia. Frequentemente il problema viene complicato dall'uso di altri farmaci. La formazione di fecalomi è frequente.

Sintomi, segni e diagnosi Il sintomo principale è la stipsi, in assenza di disturbi addominali. Lo stimolo a defecare è diminuito e le feci sono spesso morbide o soffici e non sono scibale. L'esplorazione rettale spesso evidenzia un'ampolla piena di feci, ma il paziente non sente alcuno stimolo a defecare ed è incapace di farlo efficacemente, anche con degli sforzi. L'esame proctoscopico e il clisma opaco sono normali, sebbene l'evacuazione del mezzo di contrasto possa talvolta avvenire con difficoltà e il colon possa avere un aspetto insolitamente ridondante e capiente.

Terapia La terapia viene modulata sullo stato generale del paziente. Quando possibile, si deve fare dell'esercizio fisico. Poiché il fastidio addominale e gli altri segni di irritabilità intestinale sono minimi, nel paziente anziano o invalido non è dannoso l'uso dei lassativi osmotici (p. es., latte di magnesio, 15-30 ml o solfato di sodio, 15 g in 1/2 bicchiere di acqua). Può essere usato anche lo sciroppo di lattuloso (cominciando con 10-20 ml [2-4 cucchiai da tavola]una volta/die e aumentando sulla base della tolleranza e della formazione di feci soffici). La soluzione di sorbitolo allo stesso dosaggio è un'alternativa meno costosa. Il paziente deve cercare di defecare tutti i giorni alla stessa ora, preferibilmente 15-45 min dopo la colazione, poiché l'ingestione del cibo stimola la motilità del colon. I tentativi iniziali per raggiungere delle regolari defecazioni in assenza di stimolo impellente, file:///F|/sito/merck/sez03/0270301.html (1 of 2)02/09/2004 2.22.59

Diarrea e costipazione

possono essere aiutati dall'instillazione nel retto di 60-90 ml di olio di oliva caldo (43,3°C) o di soluzione fisiologica (v. sopra fecalomi) o possono essere usate delle supposte di glicerina.

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Diarrea e costipazione

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 27. DIARREA E COSTIPAZIONE DISCHESIA (Disordine dell'evacuazione; disfunzione del pavimento pelvico/sfintere anale) Difficoltà nella defecazione dovuta all'incoordinazione dei muscoli del pavimento pelvico e dello sfintere anale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia La costipazione è dovuta non soltanto a una pigra peristalsi colica, ma anche all'alterazione della coordinazione dei movimenti necessari per l'evacuazione. L'evacuazione richiede il rilasciamento dei muscoli del pavimento pelvico e dello sfintere anale; altrimenti, gli sforzi per defecare saranno inutili anche se intensi. La disfunzione del pavimento pelvico è una delle ragioni principali per cui i pazienti costipati non rispondono ai lassativi.

Sintomi, segni e diagnosi Il paziente percepisce la presenza delle feci, ma è incapace di defecare anche con sforzi prolungati e con l'evacuazione manuale. Anche le feci soffici possono avere difficoltà al passaggio. Gli esami del retto e della pelvi mostrano un'ipertonia dei muscoli della pelvi e dello sfintere anale, con un rilassamento volontario incompleto (anismus) o un rilasciamento eccessivo (perineo discendente). Possono essere associati un rettocele o un enterocele che però, di solito, non sono di primaria importanza patogenetica. Nelle fasi avanzate, possono essere presenti un'ulcera solitaria del retto o vari gradi di prolasso rettale dovuto allo sforzo eccessivo. Speciali rx (proctografia defecatoria) e test funzionali del pavimento pelvico possono localizzare le alterazioni anatomiche.

Terapia Il trattamento con lassativi non è soddisfacente. La dischesia deve essere presa in considerazione quando le misure standard per l'inerzia colica non hanno successo. Gli esercizi di rilassamento e di biofeedback possono aiutare, anche se può essere necessario un approccio di gruppo (fisioterapisti, dietisti, terapisti del comportamento e gastroenterologi).

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Diarrea e costipazione

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

INFEZIONE DA ESCHERICHIA COLI O157:H7 Sindrome tipicamente caratterizzata da diarrea ematica acuta che può causare una sindrome emolitica-uremica.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Epidemiologia Sintomi, segni e complicanze Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia e fisiopatologia L'E. coli O157:H7 e i ceppi simili di E. coli (detti E. coli enteroemorragici) producono degli elevati livelli di tossine che sono indistinguibili dalla potente citotossina prodotta dalla Shigella dysenteriae tipo 1. Queste tossine di Shiga sono prodotte nel grosso intestino dopo l'ingestione dell'E. coli enteroemorragico. Sembrano causare un danno diretto alla mucosa, hanno un effetto tossico sulle cellule endoteliali della parete dei vasi intestinali e, se assorbite, esercitano degli effetti tossici sull'endotelio vascolare (p. es., del rene).

Epidemiologia Anche se oltre 100 sierotipi di E. coli producono la tossina di Shiga, l'E. coli sierotipo O157:H7 è il più comune nel Nord America. In alcune parti degli USA e del Canada, l'infezione da E. coli O157:H7 può essere una causa di diarrea ematica più frequente della shigellosi o della salmonellosi. Si può verificare in persone di ogni età, anche se l'infezione grave è più frequente nei bambini e negli anziani. L'E. coli 0157:H7 ha un ospite di riserva bovino; le epidemie e i casi sporadici di colite emorragica possono verificarsi entrambi dopo l'ingestione di carne bovina mal cotta (specialmente carne di manzo) o di latte non pastorizzato. Possono trasmettere l'infezione anche i cibi o l'acqua contaminati con letame di mucca o la carne di manzo cruda tritata. L'organismo può anche essere trasmesso da una persona all'altra mediante la via orofecale (soprattutto tra i lattanti con i pannolini).

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Gastroenterite

Sintomi, segni e complicanze L'infezione da E. coli O157:H7 inizia tipicamente in modo acuto con gravi crampi addominali e diarrea acquosa che può diventare francamente ematica in 24 h. Alcuni pazienti riferiscono che la loro diarrea è "tutta sangue e niente feci," il che ha motivato il termine di colite emorragica. La febbre, di solito assente o lieve, può occasionalmente raggiungere i 39°C. Nelle infezioni non complicate, la diarrea può durare da 1 a 8 gg. La sigmoidoscopia può evidenziare la presenza di eritema e di edema e il clisma opaco può mostrare l'edema con le tipiche impronte digitali. Circa il 5% dei casi è complicato dalla sindrome emolitica-uremica (SEU), che è caratterizzata dall'anemia emolitica, dalla trombocitopenia e dall'insufficienza renale acuta. Questa sindrome è talvolta diagnosticata come porpora trombotica trombocitopenica (PTT) quando si verifica negli adulti. La PTT postdiarroica è probabilmente la stessa sindrome della SEU. Tuttavia, a differenza della SEU, la maggior parte dei casi di PTT non ha un prodromo diarroico (v. in Trombocitopenia nel Cap. 133). Queste sindromi si sviluppano tipicamente nella seconda settimana di malattia, possono essere annunciate da un aumento della temperatura e dei GB e sono molto più frequenti nei bambini < 5 anni e negli adulti > 60 anni. La morte si può verificare, specialmente negli anziani, con o senza queste complicanze.

Diagnosi L'infezione da E. coli O157:H7 deve essere distinta dalla dissenteria e dalle altre forme infettive di diarrea con feci ematiche, isolando l'organismo con l'esame colturale delle feci. Spesso, il medico deve chiedere specificatamente al laboratorio di ricercare l'organismo. Poiché la combinazione di una diarrea ematica e di un grave dolore addominale senza febbre indica diverse eziologie non infettive, l'infezione da E. coli O157:H7 deve essere presa in considerazione nei casi sospetti di colite ischemica, di invaginazione e di malattia infiammatoria dell'intestino.

Profilassi e terapia Il corretto smaltimento delle feci delle persone infette, una buona igiene e uno scrupoloso lavaggio delle mani con sapone può aiutare a limitare la diffusione dell'infezione. Le misure preventive che possono essere efficaci nell'ambito della scuola materna includono il mettere insieme i bambini riconosciuti infetti con l'E. coli O157:H7 o richiedere due esami colturali delle feci negativi prima di permettere ai bambini infetti di frequentare. La pastorizzazione del latte e la cottura delle carni previene la trasmissione con gli alimenti. È importante riferire i casi di colite emorragica alle pubbliche autorità sanitarie perché il loro intervento può prevenire ulteriori infezioni. La parte fondamentale del trattamento consiste in una buona terapia di supporto. Sebbene l'E. coli sia sensibile agli antimicrobici più comunemente utilizzati, gli antibiotici non sono stati in grado di migliorare la sintomatologia, di ridurre la diffusione del germe o di prevenire la SEU. Nella settimana successiva all'infezione, i pazienti ad alto rischio di sviluppare una SEU (p. es., bambini < 5 anni di età, anziani) devono essere tenuti sotto controllo per rilevare i segni precoci. I pazienti che sviluppano le complicanze è probabile che richiedano un trattamento intensivo, inclusa la dialisi e altre terapie specifiche presso centri specialistici.

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Gastroenterite

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

INTOSSICAZIONE ALIMENTARE DA STAFILOCOCCO Sindrome acuta con vomito e diarrea provocata dall'ingestione di cibo contaminato con l'enterotossina stafilococcica.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi, profilassi e terapia

Eziologia e fisiopatologia I sintomi dell'intossicazione alimentare da stafilococco sono causati dall'enterotossina stafilococcica e non dallo stafilococco in sé. È una causa comune di avvelenamento da cibo e il potenziale per delle epidemie è elevato quando le persone che preparano il cibo avendo un'infezione cutanea, contaminano il cibo stesso, lasciandolo, poi, a temperatura ambiente. Le crostate, la pasticceria ripiena di crema in genere, il latte, la carne lavorata e i pesci rappresentano un ottimo terreno di coltura dove gli stafilococchi coagulasipositivi crescono e producono le enterotossine.

Sintomi e segni L'inizio è, solitamente, improvviso. I sintomi, caratteristicamente rappresentati da una grave nausea e dal vomito, iniziano 2-8 h dopo l'ingestione del cibo contenente la tossina. Gli altri sintomi possono includere i dolori addominali crampiformi, la diarrea e, occasionalmente, la cefalea e la febbre. La diarrea, di solito, non è ematica perché la tossina non causa delle ulcerazioni mucose. Nei casi gravi si possono avere uno squilibrio acido-base, uno stato di prostrazione e uno shock. L'attacco è breve, durando spesso < 12 h e il recupero è, di solito, completo. I rari decessi si verificano a causa dello squilibrio idrico e metabolico, specialmente tra i pazienti molto giovani, anziani o cronicamente ammalati.

Diagnosi, profilassi e terapia

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Gastroenterite

La diagnosi si basa sul riconoscimento della sindrome clinica. Solitamente, diverse persone ne sono affette contemporaneamente, costituendo il nucleo di origine di un'epidemia. La conferma diagnostica, sebbene raramente necessaria, richiede l'isolamento degli stafilococchi coagulasi-positivi dal cibo sospetto. La colorazione di Gram dei campioni del vomito può mostrare gli stafilococchi. L'attenta preparazione dei cibi è indispensabile per la prevenzione. Le persone con la foruncolosi o l'impetigine non devono preparare i cibi per altre persone fino a che le loro lesioni non sono guarite. La terapia è trattata prima, nei Principi generali di terapia. La rapida reintegrazione EV della perdite idroelettrolitiche porta, spesso, a un drastico miglioramento.

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

GASTROENTERITE VIRALE (Influenza intestinale)

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi, prevenzione e terapia

Sindrome causata dall'infezione con uno tra diversi virus, di solito caratterizzata da vomito, diarrea acquosa e dolori addominali crampiformi.

Eziologia e fisiopatologia La gastroenterite virale è la causa più frequente di diarrea infettiva negli USA. Quattro categorie di virus sono ritenute responsabili della gastroenterite: i rotavirus, i calicivirus (incluso il virus di Norwalk), l'adenovirus enterico (sierotipi 40 e 41) e gli astrovirus. I virus causano la malattia infettando gli enterociti dell'epitelio villoso del piccolo intestino. La distruzione delle cellule di questo strato causa una trasudazione di liquidi e sali nel lume intestinale. Anche il malassorbimento dei carboidrati, che causa la diarrea osmotica, può avere un ruolo.

Epidemiologia I rotavirus sono la causa più frequente della grave diarrea disidratante nei bambini piccoli (picco d'incidenza, 3-15 mesi). Sono altamente contagiosi e la maggior parte delle infezioni avviene attraverso una via di trasmissione orofecale. Gli adulti si possono infettare dopo uno stretto contatto con un lattante infetto, ma la malattia negli adulti è generalmente lieve. Nei climi temperati, la maggior parte delle infezioni si verifica durante i mesi invernali. Ogni anno negli USA, un'ondata di infezioni da rotavirus inizia a SudEst in novembre e finisce a NordEst in marzo. L'incubazione dura da 1 a 3 giorni.

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Gastroenterite

Il virus di Norwalk, il prototipo dei calicivirus, infetta più frequentemente i bambini più grandi e gli adulti e l'infezione si verifica durante tutto l'anno. Il virus di Norwalk è la principale causa della gastroenterite epidemica virale; le epidemie trasmesse attraverso l'acqua o il cibo sono ben documentate. La trasmissione da persona a persona si verifica anche perché il virus è altamente contagioso. L'incubazione dura da 1 a 3 giorni. I sierotipi 40 e 41 dell'adenovirus sono la seconda causa più comune della gastroenterite virale dell'adolescenza. L'infezione si verifica durante tutto l'anno, con un lieve aumento in estate. I bambini < 2 anni sono maggiormente colpiti e la trasmissione si verifica da persona a persona attraverso la via di trasmissione orofecale. L'incubazione dura da 8 a 10 giorni. Si conosce meno a proposito dell'epidemiologia dei calicivirus non Norwalk e degli astrovirus. Entrambi possono infettare persone di tutte le età, ma di solito infettano i lattanti e i bambini piccoli. Le infezioni da calicivirus si verificano durante tutto l'anno, mentre le gastroenteriti causate dagli astrovirus sono più frequenti durante l'inverno. La trasmissione avviene attraverso la via orofecale. L'incubazione dura da 1 a 3 giorni per entrambi i virus.

Sintomi e segni La maggioranza delle infezioni causata da enteropatogeni virali è asintomatica. Nelle infezioni sintomatiche, la diarrea acquosa è il sintomo più frequente; le feci raramente contengono del muco o del sangue. I reperti obiettivi (p. es., le membrane mucose secche, la tachicardia) sono aspecifici e correlati al grado di disidratazione. I lattanti e i bambini piccoli affetti da una gastroenterite da rotavirus possono avere una grave diarrea acquosa che dura da 5 a 7 giorni e causa una disidratazione isotonica. Il vomito si verifica nel 90% dei pazienti e la febbre > 39°C si verifica in circa il 30% dei casi. Il virus di Norwalk causa tipicamente un vomito a inizio acuto, dei dolori addominali crampiformi e la diarrea, con sintomi che durano solo 1-2 giorni. Nei bambini, il vomito è più importante della diarrea, mentre negli adulti, la diarrea è, di solito, più grave. I pazienti possono avere anche febbre, cefalea e mialgie. Il segno di riconoscimento della gastroenterite da adenovirus è una diarrea che dura 12 sett. I lattanti e i bambini affetti possono presentare un vomito di lieve entità che inizia 1-2 giorni dopo l'inizio della diarrea. Una febbre moderata si verifica in circa il 50% dei pazienti. Le infezioni da calicivirus non Norwalk nei lattanti e nei bambini sono di solito indistinguibili dalle infezioni da rotavirus. Tuttavia, gli adulti possono sviluppare dei reperti clinici più tipici dell'infezione da virus di Norwalk. L'astrovirus causa una sindrome simile a una lieve infezione da rotavirus.

Diagnosi, prevenzione e terapia La gastroenterite virale viene spesso diagnosticata clinicamente. L'esame colturale delle feci per i batteri e la ricerca delle uova e dei parassiti saranno negativi, ma questi esami, spesso, non sono necessari nei pazienti che presentano i sintomi tipici della gastroenterite virale. Le infezioni da rotavirus e da adenovirus enterico possono essere rapidamente diagnosticate usando dei test disponibili in commercio che identificano l'antigene virale nelle feci. I test per identificare gli altri enteropatogeni virali sono disponibili solo nei laboratori di ricerca. La prevenzione dell'infezione è complicata dalla frequenza dell'infezione asintomatica e dalla facilità con cui questi virus sono trasmessi da persona a persona, specialmente tra i bambini con i pannolini. È probabile che l'allattamento al seno permetta una certa protezione dall'infezione. Il personale sanitario si deve lavare le mani a fondo con sapone e acqua dopo aver cambiato i pannolini e la zona dove si cambiano i pannolini deve essere disinfettata con candeggina diluita o con alcol al 70%. Durante le epidemie di rotavirus nei reparti pediatrici, tutti i bambini devono essere studiati per l'escrezione dell'organismo. I file:///F|/sito/merck/sez03/0280311b.html (2 of 3)02/09/2004 2.23.05

Gastroenterite

bambini infetti e quelli non infetti possono quindi essere trasferiti per essere curati in aree diverse e da personale sanitario differente. Diversi promettenti vaccini contro i rotavirus sono in fase di sviluppo. Il punto cardine della terapia è l'appropriata infusione di liquidi. Anche se vomita, la maggior parte dei pazienti può essere efficacemente reidratata con soluzioni reidratanti orali, diverse delle quali sono disponibili come prodotti da banco. Le bevande per sportivi e le bevande gassate non sono delle appropriate soluzioni reidratanti per i bambini con < 5 anni di età. La reidratazione EV è necessaria solo per i pazienti con una grave disidratazione (v. Principi generali di trattamento, sopra).

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

DIARREA DEL VIAGGIATORE (Turista) La gastroenterite dei viaggiatori è solitamente causata da batteri endemici nell'acqua locale.

Sommario: Eziologia, epidemiologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia, epidemiologia e fisiopatologia La diarrea del viaggiatore può essere causata da diversi batteri, virus o parassiti. Tuttavia, l'E. coli enterotossigenico è la causa più frequente. Gli organismi dell'E. coli sono frequentemente presenti nelle provviste d'acqua di aree che mancano di una sua adeguata purificazione. L'infezione è frequente nelle persone che viaggiano attraverso alcune aree del Messico e dell'America latina, del medioriente, dell'Asia e dell'Africa. I viaggiatori spesso evitano di bere l'acqua locale, ma si infettano lavandosi i denti con uno spazzolino sciacquato impropriamente, bevendo dei liquidi raffreddati con del ghiaccio fatto con acqua locale o mangiando cibi preparati con acqua locale.

Sintomi, segni e diagnosi La nausea, il vomito, i borborigmi, i dolori addominali crampiformi e la diarrea iniziano da 12 a 72 h dopo l'ingestione dei cibi o dell'acqua contaminati. La gravità è variabile. Alcune persone presentano febbre e mialgie. La maggior parte dei casi è lieve e autolimitantesi, anche se si può verificare una disidratazione, specialmente nei climi temperati.

Profilassi e terapia I viaggiatori devono servirsi di ristoranti noti per l'igiene ed evitare l'assunzione di cibi provenienti da venditori ambulanti. Devono mangiare soltanto cibi cotti che file:///F|/sito/merck/sez03/0280312.html (1 of 2)02/09/2004 2.23.06

Gastroenterite

sono ancora caldi, frutta che può essere sbucciata e bevande gassate in bottiglia senza ghiaccio; devono essere evitate le verdure non cotte. Le sospensioni di bismuto salicilato sono protettive se assunte in dosi abbondanti (60 ml qid). Il ruolo profilattico degli antibiotici è controverso. Questi devono probabilmente essere riservati ai pazienti particolarmente suscettibili alle conseguenze della diarrea del viaggiatore (p. es., pazienti immunocompromessi). Il punto chiave del trattamento è la reidratazione con l'infusione dei liquidi (v. Principi generali di terapia, sopra). Il trattamento sintomatico con il bismuto subsalicilato o con un agente antiperistaltico (difenossilato o loperamide) può essere utile. Questi farmaci devono essere sospesi se i sintomi persistono per > 4 giorni. Gli agenti antiperistaltici sono controindicati nei pazienti con febbre o con feci ematiche e nei bambini < 2 anni di età. La iodocloridrossichina, che può essere trovata in alcuni paesi in via di sviluppo, non deve essere usata perché può causare dei danni neurologici. Gli antibiotici sono, generalmente, controindicati per la diarrea lieve nei pazienti senza febbre o sangue nelle feci; questi farmaci possono alterare sfavorevolmente la flora intestinale e possono essere responsabili dello sviluppo di germi resistenti. Gli antibiotici possono essere indicati nei casi di diarrea più grave (tre o più scariche di diarrea nelle 8 h), specialmente se sono presenti il vomito, i crampi addominali, la febbre o le feci ematiche. Il trimetoprim-sulfametossazolo (una cp con doppia dose PO bid) e la ciprofloxacina (500 mg PO bid) hanno dimostrato di abbreviare il decorso della diarrea del viaggiatore. Di solito, è raccomandato un ciclo di 3 giorni di trattamento, anche se possono essere sufficienti cicli più brevi. La ciprofloxacina è controindicata nei bambini < 16 anni.

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Gastroenterite

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 28. GASTROENTERITE Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e vomito), diarrea e disturbi addominali. (V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel Cap. 265).

GASTROENTERITE DA FARMACI Molti farmaci producono, come effetti collaterali, la nausea, il vomito e la diarrea. Deve essere raccolta un'accurata anamnesi sui farmaci assunti. Nei casi lievi, l'interruzione seguita da una nuova assunzione del farmaco può stabilire una relazione causale. Comunemente i farmaci responsabili includono gli antiacidi che contengono il magnesio quale ingrediente principale, gli antibiotici, gli antielmintici, i citotossici (usati nella terapia del cancro), la colchicina, la digitale, i metalli pesanti, i lassativi e la terapia radiante. L'uso degli antibiotici può causare la diarrea da C. difficile (v. Diarrea indotta da Clostridium Difficile nel Cap. 157). Deve essere consultata la letteratura specialistica. L'avvelenamento iatrogeno, accidentale o intenzionale, con metalli pesanti, frequentemente, produce nausea, vomito, dolore addominale e diarrea. L'abuso di lassativi, talvolta negato dai pazienti, può portare a debolezza, vomito, diarrea, deplezione elettrolitica e disturbi metabolici. La sindrome del ristorante cinese è un fenomeno farmacologico, non allergico. Il glutammato monosodico, spesso usato nei cibi cinesi, produce una sindrome legata alla dose assorbita, che si manifesta con una sensazione di bruciore per tutto il corpo, senso di pressione facciale, ansia e dolore toracico. La dose soglia varia considerevolmente da un individuo all'altro.

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Colite da antibiotici

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 29. COLITE DA ANTIBIOTICI Infiammazione acuta del colon causata dal Clostridium difficile e associata all'uso degli antibiotici.

Sommario: Eziologia e patologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Eziologia e patologia Diversi antibiotici possono alterare l'equilibrio della normale flora batterica intestinale e permettere una crescita massiva di C. difficile, un bacillo anaerobio gram +. La colonizzazione si verifica per la via orofecale attraverso l'ingestione di spore resistenti al calore, che persistono nell'ambiente per un lungo periodo e sono specialmente prevalenti nei luoghi di assistenza sanitaria (p. es., ospedali, lungodegenze). La diarrea e la colite sono causate dalle tossine prodotte dai ceppi patogeni di C. difficile. Quasi ogni antibiotico può causare un'infezione da C. difficile, ma la clindamicina, le penicilline ad ampio spettro (p. es., l'ampicillina, l'amoxicillina) e le cefalosporine sono più frequentemente coinvolte. Altri farmaci causali includono l'eritromicina, i sulfamidici, le tetracicline e i chinolonici. Raramente, ne sono causa gli antibatterici che inibiscono il C. difficile in vitro (p. es., il metronidazolo). La diarrea è più frequente con gli antibiotici orali, ma può essere dovuta anche alla somministrazione parenterale. La sensibilità aumenta con l'età, sebbene possano essere colpiti i giovani adulti e persino i bambini. I pazienti ospedalizzati che assumono antibiotici sono a elevato rischio a causa della contaminazione nosocomiale con le spore del C. difficile. Nei casi lievi, la mucosa del colon può mostrare solamente un'infiammazione o un edema modesti o può apparire macroscopicamente normale. Nei casi più gravi, una diffusa fragilità e diffuse ulcerazioni possono simulare, macro e microscopicamente, la colite ulcerosa idiopatica. Nei casi estremi, si osservano placche essudative sollevate, giallastre, che tappezzano la mucosa del colon. Istologicamente, queste pseudomembrane consistono di fibrina, GB e cellule epiteliali necrotiche in sfaldamento. L'invasione batterica della mucosa non è stata, peraltro, mai osservata. La colite pseudomembranosa, con una ricerca positiva per la tossina del C. difficile nelle feci, si può occasionalmente verificare in assenza di un'esposizione agli antibiotici. In tali casi, una condizione predisponente specifica è spesso presente (p. es. un recente intervento di chirurgia intestinale, l'uremia, l'ischemia intestinale, la chemioterapia o il trapianto di midollo osseo).

Sintomi e segni

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Colite da antibiotici

I sintomi solitamente iniziano durante una terapia antibiotica, ma in 1/3 dei pazienti possono comparire da 1 a 10 gg dopo che il trattamento è stato sospeso. Pertanto, la diagnosi di colite associata all'uso di antibiotici deve essere presa in considerazione in qualunque paziente che sviluppi una diarrea, fino a 6 sett. dopo l'esposizione all'antibiotico. Le manifestazioni cliniche possono variare dalle semplici feci molli alla colite attiva con diarrea ematica, dolore addominale, febbre, leucocitosi ed enteropatia con perdita di proteine. Nei casi più gravi, si può verificare una disidratazione, un'ipotensione, un megacolon tossico e una perforazione del colon.

Diagnosi La diagnosi è, di solito, sospettata quando c'è una storia di diarrea dopo l'uso di un antibiotico. L'endoscopia di solito non è necessaria per la diagnosi, ma se eseguita, può mostrare una colite non specifica o, nei casi gravi, delle pseudomembrane patognomoniche. Poiché la maggior parte dei casi interessa il colon distale, la sigmoidoscopia flessibile, di solito, è sufficiente per la diagnosi; tuttavia, in alcuni casi il tratto distale è risparmiato e la malattia coinvolge un tratto più prossimale, che può essere valutato solo con una colonscopia. Una rx diretta dell'addome può evidenziare un edema della mucosa e un'abnorme disposizione australe. Sebbene un clisma opaco possa ulteriormente delineare i dettagli delle anomalie mucose, è controindicato nei casi attivi o gravi a causa del rischio di una perforazione. La diagnosi è confermata dall'identificazione delle tossine del C. difficile nelle feci. Il C. difficile patogeno produce due tossine, A e B, entrambe potenziali responsabili della malattia. Il gold standard per l'identificazione delle citotossine nelle feci è un esame colturale dei tessuti, che mostra l'azione della tossina B. Poiché questo esame colturale richiede un'incubazione di 24-48 h, sono spesso usati dei test immunoenzimatici più rapidi, anche se hanno una sensibilità in un certo modo inferiore e permettono l'identificazione della sola tossina A nella maggior parte dei casi. Risultati ottimali sono ottenuti quando il campione di feci diarroiche è testato, a fresco o entro 24 h dalla raccolta e refrigerato a 2-8°C. La frequenza dei test positivi per la tossina aumenta con l'aumentare della gravità della colite, variando dal 20% nella forma più comune di semplice diarrea postantibiotica, senza alcuna infiammazione visibile alla sigmoidoscopia, a > 90% nei casi di colite pseudomembranosa conclamata. Per contro, gli adulti sani presentano una percentuale di portatori di C. difficile del 2-3% e una prevalenza praticamente nulla di tossina del C. difficile. La causa della diarrea associata all'uso degli antibiotici in assenza di C. difficile è sconosciuta, ma può includere un profilo alterato degli acidi grassi o un ridotto assorbimento dei carboidrati in associazione con un'alterazione della microflora.

Profilassi Il miglior metodo per prevenire la colite associata con le terapie antibiotiche è quello di evitare l'uso indiscriminato degli antibiotici e di ridurre al minimo la durata del trattamento. Poiché sono stati segnalati, sempre più frequentemente, dei casi insorti contemporaneamente in ambiente ospedaliero, è essenziale seguire delle precauzioni per l'isolamento del materiale fecale dei pazienti affetti, con particolare attenzione al routinario e meticoloso lavaggio delle mani. Nei pazienti con una precedente infezione da C. difficile si deve evitare l'esposizione allo stesso antibiotico, sebbene non sia stato provato che dall'uso ripetuto risulti un secondo attacco. I tentativi di mantenere l'omeostasi della flora fecale durante la terapia antibiotica mediante l'uso di preparazioni orali con lattobacilli non sono stati utili. In uno studio, il microrganismo non patogeno Saccharomyces boulardii (capsule da 250 mg bid) ha mostrato un effetto protettivo. Somministrato contemporaneamente agli antibiotici, questo trattamento ha significativamente ridotto l'incidenza della diarrea, anche se l'isolamento del C. difficile non ne ha file:///F|/sito/merck/sez03/0290315.html (2 of 3)02/09/2004 2.23.07

Colite da antibiotici

risentito. Il preciso meccanismo di azione non è stato compreso e, comunque, questa preparazione non è disponibile negli USA.

Terapia Se si verifica una diarrea significativa durante la somministrazione degli antibiotici, questi devono essere sospesi immediatamente, a meno che il loro uso non sia assolutamente essenziale. Devono essere evitati i farmaci antiperistaltici (p. es., il difenossilato), poiché possono protrarre la malattia prolungando il tempo di contatto della mucosa colica con l'agente lesivo. Una diarrea non complicata indotta dall'uso degli antibiotici, senza evidenza di una colite franca o di una tossicità sistemica, solitamente cessa spontaneamente in 10-12 gg, dopo la sospensione dell'antibiotico; non è necessaria alcuna altra terapia specifica. Se persistono dei sintomi lievi, può essere efficace la somministrazione della colestiramina, una resina a scambio anionico, a dosi di 4 g PO tid per 10 gg, probabilmente perché si lega alla tossina del C. difficile. Nella maggior parte dei casi di colite franca associata all'uso degli antibiotici, il metronidazolo a dosi di 250 mg PO qid per 7-10 gg rappresenta il trattamento di scelta. Il metronidazolo è molto meno costoso e, di solito, è efficace quanto la vancomicina per via orale, che in passato rappresentava la terapia di scelta. La vancomicina per via orale a dosi di 125 mg qid viene riservata per i casi più gravi o resistenti. Sebbene non siano stati riportati casi di resistenza alla vancomicina, le recidive cliniche si possono verificare sino al 20% dei pazienti e possono richiedere un nuovo trattamento. Comunque, la persistenza asintomatica della tossina del C. difficile nelle feci, anche per diversi mesi dopo la risoluzione dei sintomi, non richiede un'ulteriore terapia. Una terapia antibiotica prolungata combinata con la somministrazione di lattobacilli o con l'istillazione rettale di batterioidi può essere necessaria in alcuni pazienti che hanno avuto delle recidive multiple. I pazienti affetti da una malattia intrattabile o fulminante, possono richiedere il ricovero in ospedale per il trattamento di supporto con la somministrazione EV di liquidi, elettroliti e trasfusioni di sangue, secondo gli stessi principi che governano il trattamento della colite ulcerosa idiopatica (v. Cap. 31). Il metronidazolo EV può essere efficace nei pazienti che non possono tollerare farmaci per via orale; tuttavia, la vancomicina somministrata EV non raggiunge degli adeguati livelli intraluminali e perciò non deve essere usata. Il valore dei corticosteroidi per via sistemica non è stato definito. Raramente, è stata necessaria una colectomia subtotale come estremo trattamento di salvataggio nei casi fulminanti.

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Malattie intestinali infiammatorie

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 31. MALATTIE INTESTINALI INFIAMMATORIE COLITE ULCEROSA Una malattia infiammatoria e ulcerosa cronica, che insorge nella mucosa del colon ed è caratterizzata il più delle volte da una diarrea ematica.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Anatomia patologica Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Diagnosi differenziale Prognosi Terapia

Eziologia ed epidemiologia La causa della colite ulcerosa è sconosciuta. L'evidenza suggerisce che una predisposizione genetica causi una sregolata risposta immunitaria dell'intestino ad agenti ambientali, alimentari e infettivi. Tuttavia, nessun antigene causale è stato identificato. L'evidenza di un'eziologia microbica specifica per la colite ulcerosa è ancora meno convincente di quella del morbo di Crohn e la tendenza familiare è meno pronunciata. A differenza del morbo di Crohn, il fumo abituale di sigarette sembra diminuire il rischio. Come la malattia di Crohn, la colite ulcerosa si può presentare in pazienti di qualunque età, ma la curva dell'età d'inizio mostra una distribuzione bimodale, con il picco maggiore all'età di 15-30 anni e un secondo picco più basso all'età di 50-70 anni; questo picco tardivo potrebbe però includere anche alcuni casi di colite ischemica.

Anatomia patologica Le alterazioni patologiche iniziano con la degenerazione delle fibre reticolari al di sotto dell'epitelio mucoso, con l'occlusione dei capillari sottoepiteliali e la progressiva infiltrazione della lamina propria con plasmacellule, eosinofili, linfociti, mastcellule e leucociti polimorfonucleati. Alla fine si sviluppano gli ascessi nelle cripte, la necrosi dell'epitelio e l'ulcerazione della mucosa. La malattia solitamente inizia nel tratto rettosigmoideo per poi, eventualmente, estendersi prossimalmente, fino a interessare l'intero colon o può includere fin dall'inizio la maggior parte del grosso intestino. La proctite ulcerosa, localizzata nel retto, è una forma molto comune e più benigna di colite ulcerosa. È spesso refrattaria alla terapia e va incontro a una diffusione prossimale tardiva in circa il 20-30% dei casi.

Sintomi e segni file:///F|/sito/merck/sez03/0310330.html (1 of 8)02/09/2004 2.23.10

Malattie intestinali infiammatorie

Gli attacchi di diarrea ematica, di diversa intensità e durata, sono separati da intervalli asintomatici. Di solito, l'attacco inizia in modo insidioso, con tenesmo rettale, con lievi dolori crampiformi nei quadranti inferiori dell'addome e l'emissione di sangue e muco nelle feci. Comunque, l'attacco può essere acuto e fulminante, con una violenta diarrea, febbre alta, segni di peritonite e una profonda tossiemia che si manifestano improvvisamente. Alcuni casi si sviluppano a seguito di una documentata infezione (p. es., amebiasi, dissenteria bacillare). Quando il processo ulcerativo è limitato al segmento rettosigmoideo, le feci possono essere normali o secche e dure, ma spesso delle secrezioni rettali di muco miste a GR e GB si associano alle feci o si presentano tra una defecazione e l'altra. I sintomi sistemici sono lievi o assenti. Se l'ulcerazione si estende prossimalmente, le feci diventano meno consistenti e il paziente può avere più di 10 scariche/die, spesso con gravi crampi e con un fastidioso tenesmo rettale, che non si interrompono neanche durante la notte. Le feci possono essere acquose, possono contenere muco e frequentemente sono costituite quasi per intero da sangue e pus. Nelle forme estese di colite ulcerosa acuta possono essere presenti malessere generalizzato, febbre, anemia, anoressia, perdita di peso, leucocitosi, ipoalbuminemia e una VES elevata.

Complicanze Il sanguinamento è la più frequente complicanza locale. Un'altra complicanza particolarmente grave è la colite tossica, che si verifica quando l'estensione transmurale dell'ulcerazione causa un ileo localizzato e una peritonite. Con il progredire della colite tossica, il colon perde il suo tono muscolare ed entro alcuni gg o alcune ore inizia a dilatarsi. Una rx diretta dell'addome mostra un accumulo intraluminale di gas in un lungo e ininterrotto segmento di colon paralizzato, dovuto alla perdita del tono muscolare. Il megacolon tossico (o dilatazione tossica) si verifica quando il diametro del colon trasverso supera i 6 cm. Il paziente gravemente malato presenta febbre a 40°C, leucocitosi, dolore addominale e dolorabilità alla decompressione della parete. Questa condizione di solito si verifica spontaneamente nel corso di coliti particolarmente gravi, ma alcuni casi possono essere scatenati dall'uso troppo sollecito di farmaci antidiarroici narcotici o anticolinergici. Il trattamento deve essere cominciato nelle fasi iniziali, preferibilmente prima che si verifichi un megacolon completo, per prevenire delle complicanze molto pericolose (p. es., la perforazione, la peritonite generalizzata e la setticemia). Con un trattamento pronto ed efficace, la mortalità può essere mantenuta al di sotto del 4%, ma può essere > 40% se si verifica una perforazione. Le complicanze perirettali maggiori, come quelle che si hanno nella colite granulomatosa (p. es., fistole e ascessi) qui non si verificano. L'incidenza del cancro del colon è aumentata quando è interessato l'intero colon e quando la malattia dura da più di 10 anni, indipendentemente dall'attività della malattia stessa. Dopo 10 anni, il rischio dell'insorgenza di un cancro in una colite ulcerosa generalizzata sembra essere di circa lo 0,5-1%/anno. Anche se l'incidenza del cancro è più alta nei casi di pancolite, il rischio è significativamente aumentato con l'estensione della colite al di sopra del sigma. Probabilmente non c'è un maggior rischio di cancerizzazione tra i pazienti in cui la colite è iniziata durante l'adolescenza, indipendentemente dalla lunga durata della malattia. La sopravvivenza a lungo termine dopo la diagnosi di cancro correlato alla colite è circa del 50%, una percentuale confrontabile con quella del cancro colorettale nella popolazione generale. Una regolare sorveglianza colonscopica, preferibilmente durante i periodi di remissione, è consigliata per alcuni pazienti in cui la durata della malattia (≥ 810 anni) e la sua estensione (al di sopra della giunzione rettosigmoidea) aumentano il rischio di insorgenza di un cancro del colon. Le biopsie

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endoscopiche devono essere eseguite in tutto il colon e devono essere esaminate da un patologo esperto. Il reperto confermato di una displasia mucosa di qualunque grado, rappresenta una forte indicazione alla colectomia, dato che la probabilità di un carcinoma colorettale concomitante o imminente può arrivare all'80%. In questi casi, è importante la conferma dell'interpretazione anatomopatologica, per distinguere tra una definita displasia neoplastica e un'atipia rigenerativa o reattiva secondaria all'infiammazione. Ritardare la colectomia in favore di ripetuti controlli al follow-up è poco saggio se la displasia è certa. I pseudopolipi non hanno un significato prognostico, ma può essere difficile distinguerli dai polipi neoplastici; così, ogni polipo sospetto deve essere sottoposto a biopsia escissionale. I problemi extracolici includono l'artrite periferica, la spondilite anchilosante, la sacroileite, l'uveite anteriore, l'eritema nodoso, il pioderma gangrenoso, l'episclerite e, nei bambini, un grave ritardo della crescita e dello sviluppo. L'artrite periferica, le complicanze cutanee e l'episclerite spesso hanno un decorso collegato a quello della colite, mentre la spondilite, la sacroileite e l'uveite solitamente seguono un decorso indipendente dalla malattia intestinale. La maggior parte dei pazienti con interessamento spinale o sacroileale presenta anche l'evidenza di un'uveite e viceversa. Queste ultime manifestazioni possono precedere la colite di molti anni e tendono a verificarsi più frequentemente nelle persone con l'antigene HLA-B27. Anche se sono comuni delle minime alterazioni nei test di funzionalità epatica, un'epatopatia clinicamente evidente si verifica solo nel 3-5% dei pazienti. La malattia epatica si può manifestare sotto forma di steatosi epatica o più gravemente come epatite autoimmune, colangite sclerosante primitiva o cirrosi. La colangite sclerosante primitiva (CSP) si verifica nel 5% dei pazienti con colite ulcerosa e più frequentemente in quelli in cui la colite è iniziata in giovane età. La CSP può precedere la colite ulcerosa sintomatica di molti anni ed è diagnosticata con maggiore attendibilità, attraverso la colangiografia retrograda endoscopica piuttosto che con la biopsia epatica. Alcuni ricercatori credono che i segni subclinici di colite ulcerosa se sistematicamente ricercati, possono essere osservati in tutti i pazienti affetti da una CSP. Una complicanza tardiva della CSP associata alla colite ulcerosa è il cancro della via biliare, che può manifestarsi anche 20 anni dopo la colectomia. Più della metà dei casi di CSP e di colangiocarcinoma nei paesi occidentali si verifica in pazienti con colite ulcerosa o con morbo di Crohn.

Diagnosi L'anamnesi e l'esame delle feci consentono una diagnosi di presunzione di colite ulcerosa che deve essere sempre confermata da una sigmoidoscopia che fornisce una diretta e immediata indicazione sull'attività del processo infiammatorio. Una colonscopia completa non è di solito necessaria prima del trattamento e può essere pericolosa durante le fasi attive della malattia a causa del rischio di perforazione. Nelle fasi precoci, la mucosa è finemente granulare e friabile, con la perdita del normale disegno vascolare e spesso con irregolari aree emorragiche; un trauma minimo (fragilità) causa un sanguinamento a nappo. Presto la mucosa si frastaglia in una superficie rossa, spugnosa, cosparsa da una miriade di piccole ulcerazioni che trasudano sangue e pus. Con il progressivo interessamento della mucosa, il processo infiammatorio ed emorragico si estende a interessare lo strato muscolare della parete intestinale. Le vaste ulcerazioni mucose con il copioso essudato purulento caratterizzano la forma grave della malattia. Isole di mucosa relativamente normale o con iperplasia infiammatoria (pseudopolipi) si proiettano al di sopra delle aree di mucosa ulcerata. Le biopsie possono essere aspecifiche e talvolta non permettono di escludere una colite infettiva acuta (autolimitantesi); tuttavia, i reperti che indicano la cronicità (p. es., la distorta architettura delle cripte, la loro atrofia e un infiltrato infiammatorio cronico) sostengono la diagnosi di colite ulcerosa. Anche durante gli intervalli asintomatici, la sigmoidoscopia è raramente normale; persiste quasi sempre un certo grado di fragilità o di granularità. È presente una perdita della normale vascolarizzazione e la biopsia mostra un quadro di infiammazione cronica. file:///F|/sito/merck/sez03/0310330.html (3 of 8)02/09/2004 2.23.10

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Le radiografie dirette dell'addome talvolta sono utili nel giudicare la gravità e l'estensione prossimale della colite, mostrando la scomparsa delle austrature, l'edema della mucosa e l'assenza di feci formate nel tratto di colon malato. Il clisma opaco e la colonscopia non sono, solitamente, necessari prima del trattamento e possono essere rischiosi nelle fasi attive a causa del pericolo di perforazione. Più tardi, comunque, l'intero colon deve essere studiato per determinare l'estensione della malattia. La pancolonscopia è il metodo più sensibile e più usato, anche se il clisma opaco può dare molte informazioni. L'esame contrastografico evidenzia la scomparsa delle austrature, l'edema della mucosa, le minime stenosi o le estese ulcerazioni nei casi gravi. Nei casi di lunga durata si osserva spesso un colon più corto, rigido e con una mucosa atrofica o pseudopolipoide. La colonscopia con biopsia è obbligatoria per valutare la natura delle stenosi. La biopsia può aiutare anche a distinguere la colite ulcerosa dalla malattia di Crohn nei casi in cui l'infiammazione sia molto localizzata o sia presente un granuloma.

Diagnosi differenziale È di fondamentale importanza escludere una causa infettiva della colite acuta, soprattutto durante il primo attacco. Deve essere eseguita la coprocoltura per la Salmonella, la Shigella e il Campylobacter, mentre l'Entamoeba histolytica deve essere esclusa con l'esame a fresco delle feci subito dopo l'evacuazione o dell'essudato colico aspirato durante la sigmoidoscopia. Le biopsie mucose possono fornire ulteriori informazioni eziologiche. Quando si sospetta l'amebiasi a causa dei dati anamnestici positivi dal punto di vista epidemiologico o dei viaggi, deve essere ottenuta, in aggiunta alle biopsie, la titolazione sierologica. L'anamnesi positiva per il precedente uso di un antibiotico impone l'esame delle feci alla ricerca della tossina del Clostridium difficile (v. Cap. 29). Una dettagliata anamnesi sessuale deve essere ottenuta, particolarmente nei maschi omosessuali, per escludere specifiche malattie trasmesse sessualmente, come la gonorrea, l'herpesvirus e la chlamydia (v. Cap. 164). Anche le infezioni opportunistiche (p. es., il cytomegalovirus, il Mycobacterium avium-intracellulare) devono essere tenute in considerazione nei pazienti immunosoppressi. Nelle donne che usano anticoncezionali orali, è possibile una colite indotta dai contraccettivi; di solito, si risolve spontaneamente dopo l'interruzione della terapia ormonale. Nei pazienti anziani, specialmente in quelli con una storia di cardiopatia aterosclerotica, deve essere considerata la possibilità di una colite ischemica. I reperti rx di impronte digitali e di una distribuzione segmentaria suggeriscono questa diagnosi. Il cancro del colon raramente causa febbre o una secrezione rettale purulenta, ma deve essere escluso come causa di una diarrea ematica. Una grave malattia perianale con un retto indenne, l'assenza di sanguinamento e l'asimmetrico o segmentario interessamento del colon indicano un Crohn piuttosto che una colite ulcerosa (v. Tab. 31-1).

Prognosi Di solito, la colite ulcerosa è cronica con ripetute esacerbazioni e remissioni. Un attacco iniziale, rapidamente progressivo, diventa fulminante in circa il 10% dei pazienti, complicandosi con un'emorragia massiva, una perforazione o una sepsi con tossiemia. La guarigione completa dopo un singolo attacco si può verificare in un altro 10% dei pazienti; comunque, c'è sempre la possibilità di un agente patogeno specifico non evidenziato. Quasi 1/3 dei pazienti con una colite ulcerosa estesa necessita di un intervento chirurgico. Una proctocolectomia totale è curativa: l'aspettativa e la qualità della vita ritornano normali e non c'è più il rischio di un cancro del colon.

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I pazienti con una proctite ulcerosa localizzata hanno la prognosi migliore. Le gravi manifestazioni sistemiche, le complicanze tossiche e le degenerazioni maligne sono molto improbabili e l'estensione tardiva della malattia si verifica solo nel 20-30% dei casi. L'intervento chirurgico raramente è necessario e l'aspettativa di vita è normale. I sintomi, tuttavia, si possono mostrare particolarmente ostinati e refrattari. Inoltre, poiché la colite ulcerosa estesa può iniziare nel retto e quindi diffondersi prossimalmente, non si deve fare una diagnosi definitiva di proctite localizzata fino a quando non è rimasta localizzata per ≥ 6 mesi. La malattia localizzata che in un fase successiva si estende, è spesso più grave e più refrattaria alla terapia.

Terapia Evitando la frutta e le verdure crude si può limitare il trauma meccanico sulla mucosa colica infiammata e ridurre i sintomi. Una dieta priva di latte può essere d'aiuto, ma non deve essere continuata se non se ne vedono i benefici. Un anticolinergico o la loperamide, alla dose di 2,0 mg o il difenossilato, alla dose di 2,5 mg PO bid o qid, sono indicati per una diarrea relativamente lieve; dosi orali maggiori di loperamide (4 mg la mattina e 2 mg dopo ciascuna evacuazione) o di difenossilato (5 mg tid o qid), di tintura di oppio raffinata, alla dose di 0,5-0,75 ml (10-15 gocce) q 4-6 h o di codeina, alla dose di 15-30 mg q 4-6 h, possono essere usate nei casi di diarrea più grave. Tutti questi farmaci antidiarroici devono essere usati con grande cautela nei casi più gravi, poiché possono precipitare una dilatazione tossica. Nelle forme lievi o moderate della malattia che non si estende prossimalmente al di là della flessura splenica, si può talvolta ottenere una remissione con l'instillazione di idrocortisone tramite clisteri al posto della terapia corticosteroidea orale. Inizialmente, viene somministrato idrocortisone, alla dose di 100 mg per via rettale, in 60 ml di una soluzione isotonica, 1 o 2 volte al di. Questa soluzione va trattenuta nell'intestino il più a lungo possibile; un'instillazione effettuata la sera, con le anche del paziente sollevate, può aiutare la ritenzione e permettere una maggiore distribuzione. Il trattamento, se si dimostra efficace, deve essere continuato, giornalmente, per circa 1 sett., quindi a gg alterni per 1-2 sett. e poi interrotto gradualmente in 1-2 sett. A causa degli effetti collaterali sistemici che si possono verificare con la somministrazione orale di corticosteroidi, viene sempre più frequentemente utilizzata, al di fuori degli USA, la somministrazione, sotto forma di clisteri, di preparazioni di nuovi analoghi dei corticosteroidi come il budenoside, che è potente topicamente, ma meno attivo per via sistemica. Anche la mesalamina può essere somministrata mediante clisteri medicati ed è efficace in molti casi di proctosigmoidite refrattaria e di coliti del colon sx. La dose standard di mesalamina è di 4 g in 60-100 ml di soluzione somministrata nelle ore serali, anche se studi recenti suggeriscono che 1 g possa essere ugualmente efficace. Anche le supposte di mesalamina da 500 mg sono efficaci nel trattamento delle proctiti o anche delle proctosigmoiditi e sono maggiormente accettate dai pazienti. Dopo che è stata ottenuta la remissione clinica ed endoscopica (di solito in poche settimane), la frequenza delle somministrazioni può essere ridotta, anche se un regime di mantenimento, topico od orale, a lungo termine è spesso richiesto per prevenire la recidiva. Una malattia più estesa in forma moderata o lieve così come una malattia localizzata, possono rispondere alla sulfasalazina per via orale. Poiché è comune un'intolleranza GI, il farmaco deve essere somministrato insieme al cibo e, se necessario, in una forma entero-protetta. Per ridurre al minimo gli effetti collaterali (p. es., la nausea, la dispepsia e la cefalea), il dosaggio deve essere inizialmente basso (p. es., 0,5 g PO bid) e poi gradualmente aumentato in diversi giorni fino a 3-6 g/die, in più dosi frazionate. Una riduzione reversibile nella conta degli spermatozoi e della motilità si può verificare fin nell'80% degli uomini. Gli effetti collaterali più gravi (p. es., le discrasie ematiche; l'anemia emolitica; le esacerbazioni paradosse della colite; raramente, l'epatite) possono limitare l'uso della sulfasalazina. Una volta ottenuta la remissione, è indicata una terapia di mantenimento a lungo file:///F|/sito/merck/sez03/0310330.html (5 of 8)02/09/2004 2.23.10

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termine con la sulfasalazina, 1-3 g/die, per prevenire le recidive. Il componente sulfapiridinico della sulfasalazina interferisce con l'assorbimento dell'acido folico e, quindi, si raccomanda, in genere, la somministrazione di folati, alla dose di 12 mg/die. I pazienti con una perdita cronica di sangue nelle feci possono aver bisogno della somministrazione di ferro per prevenire l'anemia. Sono stati introdotti dei nuovi analoghi orali della sulfasalazina per eliminare la molecola della sulfapiridina, che è responsabile dei più frequenti effetti collaterali, mentre è ancora permesso l'uso topico della mesalamina sulle aree interessate del piccolo intestino e del colon. I trial clinici hanno dimostrato che l'olsalazina, un dimero della mesalamina, è efficace non soltanto nel trattamento delle coliti lievimoderate, ma anche nel mantenere la loro remissione. Come la sulfasalazina, l'olsalazina ha un legame azotato che previene l'assorbimento prossimale della mesalamina e la trattiene nel lume intestinale fino all'idrolisi del legame azotato e al rilascio della mesalamina mediante l'azione enzimatica della flora batterica nel tratto più distale dell'ileo e nel colon. Il clivaggio batterico del composto rilascia 2 volte la quantità di mesalamina senza alcun sulfamidico. Anche un altro composto azotato basato sulla mesalamina, la balsalazide, si è dimostrato efficace ed è stato approvato in diversi paesi al di fuori degli USA. Altre forme di mesalamina hanno vari rivestimenti che ne permettono un rilascio ritardato. L'Asacol è un monomero della mesalamina ricoperto da un polimero acrilico la cui solubilità dipende dal pH, che ritarda il rilascio del farmaco fino all'arrivo nell'ileo distale e nel colon. Il Claversal e il Salofalk (non disponibili negli USA) sono preparati simili di mesalamina con un rivestimento acrilico, pH dipendente che permette il rilascio del farmaco in una zona un poco più prossimale. Il Pentasa è un tipo di formulazione della mesalamina, incapsulata in microgranuli di etilcellulosa che permette un rilascio a tempo del farmaco in una zona ancora più prossimale del piccolo intestino. I nuovi analoghi della mesalamina si sono dimostrati efficaci nel trattamento della malattia attiva, lieve o moderata, e nel mantenimento della remissione. L'olsalazina è somministrata in dosi frazionate di 1,5-3,0 g/die; l'asacol, in dosi di 2,4-4,8 g/die; e il pentasa, in dosi di 1,5-4,0 g/die. La forma moderatamente grave della malattia in pazienti trattati ambulatorialmente, necessita, di solito, di una terapia corticosteroidea sistemica. Una terapia relativamente intensiva con la somministrazione orale di prednisone, 40-60 mg/ die, in dose unica o in più dosi, induce frequentemente una remissione drastica. Dopo 1-2 sett., la dose giornaliera può essere gradualmente ridotta sino a circa 5-10 mg/sett. La sulfasalazina (2-4 g/ die in dosi frazionate) può essere aggiunta quando la colite è controllata con il prednisone, alla dose di circa 20 mg/die; può essere così possibile una graduale riduzione sino alla sospensione finale del corticosteroide. La forma grave della malattia, evidenziata da più di 10 evacuazioni ematiche al dì, dalla tachicardia, dalla febbre alta o da gravi dolori addominali, richiede l'ospedalizzazione. Se il paziente è già in trattamento corticosteroideo da ≥ 30 gg al momento del ricovero, deve essere somministrato l'idrocortisone alla dose di 300 mg/die in infusione EV continua. Nei pazienti che non sono stati trattati recentemente con corticosteroidi, la terapia iniziale riportata come leggermente più efficace è rappresentata dalla somministrazione di ACTH a dosi di 75-120 U/ die in infusione EV continua, anche se è stata riportata, come complicanza occasionale, l'emorragia surrenalica. In ogni caso, il trattamento è somministrato per 7-10 gg e la risposta viene monitorata registrando la natura e la frequenza delle evacuazioni. Inizialmente si deve eseguire una rx diretta dell'addome per determinare l'estensione e la gravità dell'interessamento colico e il paziente deve essere attentamente osservato per lo sviluppo di un megacolon tossico. A meno che non ci sia il rischio di un'imminente disidratazione dovuta alle perdite diarroiche, solitamente non è consigliabile somministrare l'idrocortisone o l'ACTH in infusione EV, diluito in soluzione fisiologica, poiché l'edema è una frequente complicanza. L'aggiunta di cloruro di potassio, alla dose di 20-40 mEq/l, ai liquidi somministrati EV, solitamente aiuta a prevenire l'ipokaliemia. L'anemia può richiedere delle trasfusioni. L'iperalimentazione parenterale è a volte usata come supporto nutrizionale, ma non ha valore come terapia primaria; infatti, la cosa migliore sarà ricominciare l'alimentazione orale appena possibile nei pazienti che possono tollerare il cibo.

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La somministrazione orale di prednisone, alla dose di 60 mg/die, può essere iniziata dopo che è stata ottenuta la remissione con un ciclo di terapia parenterale di 7-10 gg. Il paziente che è in buone condizioni dopo una terapia orale per 3-4 gg, può lasciare l'ospedale e il dosaggio dei corticosteroidi può essere gradualmente ridotto a casa sotto attenta osservazione medica. I farmaci immunomodulatori sono accettabili in alcuni pazienti con una colite ulcerosa refrattaria o dipendente dai corticosteroidi. L'azatioprina e la 6mercaptopurina inibiscono la funzione delle cellule T e una riduzione dell'attività sia delle cellule killer naturali che delle cellule T citotossiche è correlata alla risposta clinica. Non si può verificare il completo effetto dell'azatioprina, 2-3,5 mg/ kg/die o della 6-mercaptopurina, 1,5-2,5 mg/kg/die, prima di 3-6 mesi, perché questi farmaci sono a lenta azione. Le complicanze includono la pancreatite (una controindicazione assoluta all'uso continuativo) e una neutropenia reversibile, che richiede, semplicemente, una riduzione della dose con un costante monitoraggio dei GB. La ciclosporina agisce rapidamente ed è principalmente indicata nelle coliti ulcerose acute e gravi che non rispondono alle elevate dosi di corticosteroidi EV. L'infusione EV continua di ciclosporina può indurre la remissione ed evitare l'intervento chirurgico in circa l'80% di questi casi. Un ulteriore ciclo di 6 mesi di trattamento con la ciclosporina per via orale, sostituita alla fine con l'azatioprina o con la 6-mercaptopurina, può permettere delle remissioni a lungo termine nel 5060% dei casi. Poiché si possono verificare delle gravi e, a volte, fatali complicanze (p. es., la tossicità renale, le convulsioni e le infezioni opportunistiche), ai pazienti di solito non viene offerta la terapia con ciclosporina a meno che non sia disponibile o appropriata un'opzione terapeutica più sicura della colectomia. I candidati alla terapia con ciclosporina devono essere inviati presso i centri che sono esperti nel suo impiego. La colite tossica rappresenta una grave emergenza. Appena si evidenziano i segni di una colite tossica o di un imminente megacolon tossico, devono essere immediatamente presi i seguenti provvedimenti: (1) interrompere tutti i farmaci antidiarroici; (2) non somministrare nulla per bocca e posizionare un lungo sondino intestinale in aspirazione intermittente; (3) iniziare un'aggressiva terapia idroelettrolitica EV, con soluzione fisiologica allo 0,9%, cloruro di potassio, albumina e, se necessario, sangue; (4) somministrare ACTH alla dose di 120 U/ die o idrocortisone alla dose di 300 mg/die in infusione EV continua; e (5) somministrare antibiotici (p. es., ampicillina, 2 g EV q 4-6 h o cefazolina, 1 g EV q 4-6 h). Far girare il paziente nel letto, dalla posizione supina a quella prona, ogni 2-3 h, può aiutare a ridistribuire il gas colico e a prevenire la distensione progressiva. Anche l'introduzione di una sonda rettale morbida può essere utile, ma deve essere posizionata con estrema cautela per evitare la perforazione dell'intestino. Il paziente deve essere osservato attentamente alla ricerca dei segni di una peritonite progressiva o di una perforazione. È importante la percussione dell'area epatica, poiché la perdita dell'ottusità epatica può essere il primo segno clinico di una perforazione libera, specialmente quando i segni della peritonite sono soppressi dai massicci dosaggi dei corticosteroidi. Una rx diretta dell'addome deve essere eseguita ogni 1 o 2 giorni per seguire il decorso della distensione colica e per evidenziare la presenza di aria libera o intramurale. Se il trattamento medico intensivo non produce un miglioramento drastico entro 2448 h, è necessario l'immediato intervento chirurgico poiché il paziente può morire a causa della perforazione e della sepsi. Una colectomia di emergenza è indicata nel caso di un'emorragia massiva, di una colite tossica fulminante o di una perforazione. La colectomia subtotale con affondamento del moncone rettosigmoideo è solitamente la procedura di scelta, poiché la maggior parte dei pazienti gravi non può tollerare una proctocolectomia totale con resezione addominoperineale. Il moncone rettosigmoideo può essere rimosso elettivamente in seguito o può essere usato per un'anastomosi ileoanale con un reservoir intestinale intrapelvico, con o senza una mucosectomia rettale. In ogni caso, il moncone rettale intatto non può restare in situ per un tempo indefinito a causa dei rischi di riattivazione della malattia e di degenerazione file:///F|/sito/merck/sez03/0310330.html (7 of 8)02/09/2004 2.23.10

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maligna. Un trattamento chirurgico in elezione è indicato per una displasia mucosa o per un sospetto clinico di carcinoma, per tutte le stenosi sintomatiche, per un ritardo della crescita nei bambini o, più comunemente, per una malattia cronica intrattabile che causa un'invalidità grave o una dipendenza dai corticosteroidi. Raramente, anche le manifestazioni extraintestinali dipendenti da una grave forma di colite (p. es., il pioderma gangrenoso) possono rappresentare un'indicazione all'intervento chirurgico. La proctocolectomia totale guarisce in modo permanente la colite ulcerosa. L'ileostomia permanente è stato il tradizionale prezzo di questo trattamento, ma oggi sono possibili vari interventi alternativi (p. es., l'ileostomia continente, i reservoir pelvici e le pouch con anastomosi ileoanale). Nonostante ciò, deve essere riconosciuto il grave problema fisico ed emozionale imposto da una qualunque forma di resezione del colon e deve essere posta molta attenzione nell'accertarsi che il paziente riceva tutte le istruzioni logistiche e tutto il supporto psicologico che sono necessari sia prima che dopo l'intervento.

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Sindromi da malassorbimento

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

MALATTIA CELIACA (Sprue non tropicale; enteropatia da glutine; sprue celiaca) Un malassorbimento intestinale cronico causato dall'intolleranza al glutine.

Sommario: Eziologia e prevalenza Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e storia naturale Terapia

Eziologia e prevalenza Questo disturbo ereditario è causato da un'ipersensibilità alla frazione gliadinica del glutine, una proteina cereale che si trova nel grano e nella segale e, in minor quantità, nell'orzo e nell'avena. La gliadina agisce come un antigene e forma un immunocomplesso nella mucosa intestinale che promuove l'aggregazione di linfociti killer. Questi linfociti provocano un danno della mucosa con la scomparsa dei villi e la proliferazione delle cellule delle cripte. La prevalenza della malattia celiaca varia da circa 1:300 nell'Irlanda sud-occidentale a _ 1:5000 nel Nord America. Non esiste alcun marker genetico.

Sintomi e segni La malattia celiaca può essere asintomatica. La maggior parte dei pazienti ha una steatorrea che può essere lieve o massiva (7-50 g [20-150 mEq]di acidi grassi/die). La malattia celiaca può causare una bassa statura, la sterilità o la stomatite aftosa ricorrente o essere associata a una dermatite erpetiforme, talvolta senza diarrea. Non esiste una presentazione tipica. Molti sintomi (p. es., l'anemia, la perdita di peso, il dolore osseo, le parestesie, l'edema e le manifestazioni cutanee) sono secondari al grado del deficit. Se si verifica anche una chiara sintomatologia alimentare (p. es., diarrea, fastidio e distensione addominale), è difficile non fare la giusta diagnosi. Senza queste evidenze dirette, la malattia celiaca non può essere sospettata. I sintomi sono assenti nei bambini fino a quando non mangiano dei cibi contenenti il glutine. Il bambino non cresce; comincia ad avere feci chiare, maleodoranti, pastose e a soffrire di un doloroso meteorismo addominale. Si sviluppa un'anemia sideropenica e, se l'ipoproteinemia è abbastanza grave, compare l'edema. La malattia celiaca è fortemente sospetta in un bambino pallido, querulo, con i glutei afflosciati e con un ventre prominente, che segue una dieta adeguata (eliminando, allora, dalla diagnosi differenziale una malnutrizione proteico-calorica o il kwashiorkor).

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Sindromi da malassorbimento

L'età media della presentazione nelle donne è di circa 10-15 anni più precoce che negli uomini, poiché l'amenorrea o l'anemia in gravidanza possono far sorgere prima il sospetto clinico. L'incidenza familiare è un indizio molto importante. Inoltre, un paziente adulto può non ricordare la malattia dell'infanzia, anche se la malattia GI può aver causato una statura inferiore rispetto ai germani e un lieve arcuamento delle ossa lunghe. La malattia può essere scoperta dopo una gastrectomia parziale. Nei bambini tende a verificarsi un'anemia sideropenica, mentre negli adulti si verifica un'anemia da deficit di folati. A seconda della gravità e della durata, ci può essere una qualunque combinazione di bassi livelli di albumina, di Ca, di K e di Na e un aumento della fosfatasi alcalina (dovuto all'interessamento osseo) e del tempo di protrombina.

Diagnosi La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi e dei segni, suffragata dagli studi di laboratorio e dagli studi radiologici e confermata dalla biopsia che mostra una mucosa piatta e dai miglioramenti clinici e istologici prodotti da una dieta senza glutine. La biopsia digiunale può essere eseguita anche nei piccoli lattanti, ma, per ovviare al rischio di una perforazione intestinale, l'esame deve essere condotto solo da un ricercatore esperto. Se non può essere effettuata la biopsia, la diagnosi si può basare sulla risposta clinica e di laboratorio (incluso l'assorbimento del d-xiloso) a una dieta priva di glutine. I titoli anticorpali antimuscolo liscio (AML) mostrano elevate sensibilità e specificità e sono stati quindi proposti come test di screening per il morbo celiaco. Nei parenti sani dei pazienti affetti sono presenti le tipiche alterazioni mucose. Il test con 5 g di d-xiloso di solito è anormale. I pazienti non trattati hanno dei bassi livelli di C3 e C4, che risalgono con l'astensione dal glutine e dei livelli normali o aumentati di IgA sieriche; nel 33%-50% dei casi, le IgM sono ridotte.

Prognosi e storia naturale Anche se l'eliminazione del glutine ha trasformato la prognosi per i bambini celiaci e l'ha sostanzialmente migliorata per gli adulti, alcune persone ancora muoiono per questa malattia, principalmente tra gli adulti che hanno una malattia grave fin dall'inizio. Un'importante causa di morte è rappresentata dallo sviluppo di una malattia linforeticolare (specialmente il linfoma intestinale). Non è noto se questo rischio sia ridotto da una dieta priva di glutine. Alcuni pazienti possono tollerare la reintroduzione del glutine nella dieta dopo una prolungata astinenza. Ciò può significare che, in alcuni casi lievi, si può ottenere una remissione completa (molto improbabile) o che la tossicità del glutine è un effetto aspecifico su di una mucosa precedentemente danneggiata da un'enterite batterica o virale. In ogni caso, l'apparente remissione clinica è spesso associata a una recidiva istologica che viene evidenziata soltanto da nuove biopsie o da un aumento dei titoli degli AML.

Terapia Il glutine deve essere eliminato dalla dieta. L'ingestione anche di piccole quantità può ostacolare la remissione o indurre una recidiva. Il glutine viene così ampiamente usato (p. es., nelle minestre commerciali, nelle salse, nei gelati e negli hot dog) che i pazienti necessitano di un elenco dettagliato dei cibi da evitare e del consiglio di un dietologo esperto con la malattia celiaca.

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Sindromi da malassorbimento

Possono essere somministrati supplementi di vitamine, di minerali e di ematinici, in base all'entità del deficit. Nei casi lievi può non essere necessaria la somministrazione di supplementi. Nei casi gravi può essere necessaria un'ampia reintegrazione. Per gli adulti questa comprende il solfato di ferro, 300 mg/die PO, l'acido folico, 5-10 mg/die PO, il gluconato di Ca, 5-10 g/die PO e una qualunque preparazione multivitaminica standard. Solo se il tempo di protrombina è alterato si deve somministrare fitonadione (vitamina K) alla dose di 10 mg IM. Ai bambini vengono somministrate delle dosi proporzionate. A volte nei bambini (ma raramente anche negli adulti), che sono gravemente malati al momento della diagnosi iniziale, è necessario mettere a riposo l'intestino e ricorrere a un'alimentazione EV in accordo con i principi generali della NPT (v. Nutrizione parenterale in Supporto nutrizionale nel Cap. 1). Alcuni pazienti rispondono poco o affatto all'eliminazione del glutine o perché la diagnosi non è corretta o perché la malattia è entrata in una fase refrattaria. In quest'ultimo caso, si può indurre una risposta con la somministrazione orale di corticosteroidi (p. es., prednisone, 10-20 mg bid).

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Sindromi da malassorbimento

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

SPRUE TROPICALE Una malattia acquisita a eziologia sconosciuta caratterizzata da malassorbimento, da deficit nutrizionali multipli e da alterazioni della mucosa del piccolo intestino.

Sommario: Eziologia e incidenza Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi Terapia

Eziologia e incidenza La sprue tropicale si verifica principalmente nei Caraibi, nell'India del sud e nel sud-est dell'Asia, colpendo sia la popolazione indigena che i turisti. Le cause ipotizzate sono le infezioni batteriche, virali o parassitarie, i deficit vitaminici (specialmente di acido folico) o le tossine alimentari (p. es., nei grassi rancidi).

Sintomi, segni ed esami di laboratorio Una frequente presentazione è rappresentata dalla triade costituita da dolore alla lingua, diarrea e perdita di peso. Si possono sviluppare tutte le caratteristiche delle sindromi da malassorbimento. La steatorrea è comune e l'assorbimento del d-xiloso è alterato in > 90% dei casi. Si possono verificare deficit di albumina, di Ca, di protrombina e di ferro. I deficit di acido folico e di vitamina B12 causano un'anemia megaloblastica. L'esame rx dell'intestino tenue mostra le alterazioni aspecifiche del malassorbimento: flocculazione e segmentazione della colonna di bario, con dilatazione del lume e ispessimento delle pliche mucose.

Diagnosi La sprue tropicale deve essere sospettata in qualunque persona affetta da anemia megaloblastica e malassorbimento, che ha vissuto in un'area endemica. Deve essere esclusa la malattia celiaca. La biopsia digiunale mostra gradi variabili di allargamento e appiattimento dei villi e di allungamento delle cripte con alterazioni dell'epitelio di superficie e infiltrazione infiammatoria di linfociti, plasmacellule ed eosinofili. In alcuni pazienti le alterazioni possono essere minime o assenti; in altri c'è un'atrofia subtotale dei villi. Le biopsie devono essere confrontate con il tessuto normale di individui che provengono dalla stessa area geografica: ciò che rappresenta una lieve alterazione della mucosa intestinale negli europei e negli americani, è, infatti, normale nelle persone che

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vivono in India, in Africa e nel sud-est asiatico. Non è ancora chiaro se questa differenza sia razziale, genetica o dovuta a fattori ambientali (p. es., infezioni o infestazioni croniche).

Terapia La migliore terapia è rappresentata dalla somministrazione di tetracicline od ossitetracicline, alla dose di 250 mg qid per 1 o 2 mesi, seguita, poi, da dosi dimezzate per 6 mesi, a seconda della gravità della malattia e della risposta al trattamento. Quando necessario, possono essere somministrati acido folico (10 mg/die) e altre sostanze reintegrative.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

MALATTIA DI WHIPPLE (Lipodistrofia intestinale) Una rara malattia, predominante negli uomini di età compresa tra i 30 e i 60 anni, causata dal batterio Tropheryma whippelii e caratterizzata clinicamente da anemia, pigmentazione cutanea, sintomi articolari (poliartralgia e artrite), perdita di peso, diarrea e grave malassorbimento.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Sebbene questo disordine sistemico interessi molte parti del corpo (p. es., cuore, polmoni, cervello, cavità sierose, articolazioni, occhi e tratto GI), la mucosa del piccolo intestino viene sempre interessata gravemente e le lesioni osservate nelle biopsie della mucosa sono specifiche e diagnostiche.

Sintomi e segni Sono frequenti il dolore addominale, la tosse e il dolore pleuritico, la linfoadenopatia ilare, il versamento pleurico, l'anemia, la pigmentazione cutanea, i sintomi articolari (poliartralgia e artrite), il calo ponderale, la diarrea e il grave malassorbimento. Possono essere presenti anche sintomi cardiaci, epatici e neuropsichiatrici.

Diagnosi La biopsia linfonodale o dell'intestino permette la diagnosi, mostrando macrofagi schiumosi contenenti una glicoproteina che si colora con il PAS (i macrofagi schiumosi che sono PAS positivi possono essere ugualmente presenti nel corso di infezioni del piccolo intestino con il Mycobacterium avium intracellulare). Possono essere eseguiti anche degli esami colturali. Peraltro, il tessuto digiunale può essere normale o mostrare un aspetto a clava dei villi, la dilatazione dei vasi linfatici o anche una parziale atrofia villosa. La microscopia elettronica dimostra che il materiale PAS-positivo è costituito da masse di bacilli a forma di bastoncelli.

Terapia file:///F|/sito/merck/sez03/0300323b.html (1 of 2)02/09/2004 2.23.13

Sindromi da malassorbimento

La malattia, se non trattata, è progressiva e fatale. Molti antibiotici sono curativi (p. es., il cloramfenicolo, le tetracicline, la clortetraciclina, la sulfasalazina, l'ampicillina, la penicillina e il trimetroprim/sulfametossazolo). Uno dei trattamenti consigliati è costituito dalla penicillina G procaina, 1200000 U/die IM per 1014 gg, seguita dalla tetraciclina, 250 mg PO qid per 10-12 mesi. Raramente viene associata la streptomicina. Il miglioramento clinico si verifica rapidamente, ma la guarigione istologica può richiedere anche 2 anni ed è possibile la recidiva.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

LINFANGECTASIA INTESTINALE (Ipoproteinemia idiopatica) Una sindrome caratterizzata da teleangectasie dei linfatici intramucosi del piccolo intestino, che colpisce i bambini e i giovani adulti.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La malformazione dei vasi linfatici può essere congenita o acquisita. Nei casi acquisiti il difetto può essere secondario (p. es., a una fibrosi retroperitoneale, a una pancreatite e a una pericardite costrittiva).

Sintomi, segni e diagnosi Le manifestazioni iniziali includono l'edema massivo, spesso asimmetrico e una lieve diarrea intermittente con nausea, vomito e dolore addominale. Possono essere presenti soffusioni chilose e ascite. Si verifica una linfocitopenia, una marcata riduzione dell'albumina sierica e delle immunoglobuline IgA e IgG. La colesterolemia può essere bassa. Alcuni pazienti presentano una steatorrea lieve o moderata, ma l'assorbimento del d-xiloso è normale. La perdita delle proteine intestinali può essere dimostrata usando l'albumina marcata con Cromo 51. La biopsia digiunale mostra le caratteristiche dilatazioni e teleangectasie dei vasi linfatici che differenziano questa condizione dalle altre malattie che conducono a una perdita di proteine (p. es., il morbo di Crohn e la malattia di Whipple).

Terapia Il trattamento è di supporto poiché non esiste una terapia decisiva per correggere i linfatici addominali. Alcuni pazienti migliorano con una dieta a basso contenuto di grassi (< 30 g/die), con la somministrazione di trigliceridi a catena media e, occasionalmente, in caso di lesione localizzata, con la resezione.

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Sindromi da malassorbimento

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Sindromi da malassorbimento

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

SINDROME DELL'INTESTINO CORTO (Inadeguata superficie assorbente) La sindrome dell'intestino corto è spesso il risultato di un'estesa resezione intestinale. Un'altra causa è rappresentata dal bypass digiuno-ileale per l'obesità patologica. Una inadeguata superficie assorbente causa un inadeguato assorbimento calorico e un malassorbimento della vitamina B12 e delle altre vitamine, che a loro volta possono causare una grave malnutrizione con deficit neurologici. I gravi deficit di Ca e Mg possono causare un'encefalopatia, la tetania e le convulsioni. I carboidrati possono superare il piccolo intestino ed essere fermentati dai batteri presenti nel colon a l-e d-acido lattico. Poiché quest'ultimo non viene metabolizzato rapidamente quando arriva nel sangue, la risultante acidosi d-lattica può causare irritabilità, bizzarre alterazioni neurologiche o un chiaro stato encefalopatico. Una perdita GI di elettroliti può causare un'ipokaliemia e la NPT può causare un'ipofosfatemia, che a sua volta può essere responsabile di una paralisi muscolare.

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Sindromi da malassorbimento

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da parte del piccolo intestino.

INFEZIONI E INFESTAZIONI (Per la trattazione della giardiasi, dell'infezione da botriocefalo lato [difillobotriasi], l'ascariasi e l'anchilostomiasi, v. Cap. 161) Le infezioni acute batteriche e virali possono provocare un malassorbimento transitorio, probabilmente a causa di un danno temporaneo e superficiale dei villi e dei microvilli. Le infezioni batteriche croniche del piccolo intestino sono rare, a parte la sindrome dell'ansa cieca, la sclerodermia e i diverticoli. I batteri intestinali possono utilizzare la vitamina B12 contenuta nella dieta, interferire, forse, con i sistemi enzimatici e provocare un'infiammazione superficiale.

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Malattie intestinali infiammatorie

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 31. MALATTIE INTESTINALI INFIAMMATORIE Il morbo di Crohn e la colite ulcerosa sono caratterizzate da un'infiammazione cronica, variamente localizzata, del tratto GI. Entrambi causano diarrea, che può essere profusa ed ematica. Alcune differenze nelle caratteristiche delle due malattie giustificano una distinzione tra il morbo di Crohn e la colite ulcerosa, anche se la classificazione in gruppi e sottogruppi è in un certo senso artificiosa. Alcuni casi sono difficili, se non impossibili, da classificare. Il termine "colite" deve essere applicato solo alle malattie infiammatorie del colon (p. es., coliti ulcerosa, granulomatosa, ischemica, attinica o infettiva). La colite spastica o mucosa è un termine spesso erroneamente applicato a un disturbo funzionale più propriamente descritto dal termine di intestino irritabile (v. Cap. 32).

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Malattia diverticolare

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 33. MALATTIA DIVERTICOLARE Malattia causata dai diverticoli, estrusioni sacciformi acquisite di mucosa attraverso lo strato muscolare del tratto GI, che causano dei sintomi dovuti all'intrappolamento delle feci, alla comparsa di infezione, al sanguinamento o alla perforazione. (V. anche DIVERTICOLI ESOFAGEI nel Cap. 20.)

DIVERTICOLOSI Una condizione nella quale si sviluppano numerosi diverticoli nel colon

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I diverticoli si formano ovunque nel grosso intestino, di solito nel sigma, ma raramente al di sotto della riflessione peritoneale del retto. Variano da un diametro di 3 mm a più di 3 cm e possono essere molteplici. Sono rari nelle persone con età < 40 anni, ma diventano rapidamente più frequenti dopo questa età; essenzialmente tutte le persone di 90 anni hanno molti diverticoli. I diverticoli giganti, sono rari, hanno un diametro di 3-15 cm e possono essere singoli.

Eziologia e fisiopatologia Si crede che lo sviluppo dei diverticoli sia correlato a uno spasmo segmentale della muscolatura intestinale; il conseguente aumento della pressione determina un'estrusione della mucosa nei punti più deboli della tonaca muscolare dell'intestino, la zona vicina ai vasi intramurali. L'ipertrofia muscolare è un reperto frequente nel sigma. L'eziologia dei diverticoli giganti non è chiara; una teoria è che alla base del diverticolo esista un'anomalia di tipo valvolare, tale che i gas intestinali possono entrare, ma non uscire con la stessa facilità.

Sintomi, segni e diagnosi Un sanguinamento, a volte massivo, si può verificare nel lume del diverticolo, probabilmente a causa dell'erosione di un vaso adiacente, secondaria alla presenza di feci nel diverticolo stesso. Tranne che per il sanguinamento, i diverticoli di per sé sono inoffensivi. Tuttavia, a causa della ritenzione delle feci nel sacco diverticolare, si possono verificare un'erosione e un'infiammazione secondarie con le complicanze correlate. Una diverticolosi è sospettata quando sono presenti sintomi quali il sanguinamento rettale o la diverticolite. Sulla base di questo sospetto e in

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Malattia diverticolare

assenza di sintomi acuti, la diverticolosi può di solito essere diagnosticata mediante un clisma opaco, in particolare a doppio contrasto o mediante una colonscopia. Per diagnosticare la sede del sanguinamento può essere utilizzata la scintigrafia (v. Cap. 22) o ancora meglio l'arteriografia selettiva, soprattutto se il sanguinamento è _ 1 ml/min. Quando il sanguinamento si arresta, spontaneamente o dopo l'angiografia, si devono eseguire, nelle 2-3 sett. successive, ulteriori indagini per escludere altre cause di sanguinamento. La pancolonscopia è, a questo fine, la metodica migliore; se l'osservazione del colon dx non è soddisfacente, si può eseguire una sigmoidoscopia flessibile e un clisma opaco.

Terapia Il trattamento della diverticolosi mira a ridurre lo spasmo segmentario. Può essere utile una dieta a elevato contenuto di fibre, integrata con delle preparazioni di psillio o crusca. Le diete povere di scorie sono controindicate. In teoria, gli antispastici (p. es., la belladonna) dovrebbero essere utili; in pratica il loro valore è difficile da giudicare. L'uso cronico, specialmente nell'anziano, spesso causa degli effetti collaterali. Per la malattia diverticolare non complicata, il ricorso alla chirurgia non è giustificato. La resezione con reanastomosi del tratto di intestino interessato dalla colite spastica (una combinazione di diverticoli, spasmo e diarrea) ha risultati dubbi. Devono essere cateterizzate le arterie mesenterica superiore e inferiore. L'iniezione selettiva di vasopressina controlla il sanguinamento nel 70% dei pazienti. In alcuni casi, il sanguinamento recidiva entro pochi giorni e richiede l'intervento chirurgico. Una resezione segmentaria è possibile se si conosce il punto di origine del sanguinamento; in circa il 75% dei pazienti questo è localizzato in prossimità della flessura splenica, anche se i diverticoli sono situati soprattutto nel lato sinistro del colon. Se il punto di origine del sanguinamento non può essere determinato, è indicata una colectomia subtotale. I diverticoli giganti richiedono l'intervento chirurgico. Queste lesioni possono essere evidenziate con la rx diretta dell'addome o con un clisma opaco. Poiché il rischio di un'infezione o di una perforazione è elevato, si preferisce eseguire una resezione segmentaria del tratto di colon coinvolto.

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Malattia diverticolare

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 33. MALATTIA DIVERTICOLARE Malattia causata dai diverticoli, estrusioni sacciformi acquisite di mucosa attraverso lo strato muscolare del tratto GI, che causano dei sintomi dovuti all'intrappolamento delle feci, alla comparsa di infezione, al sanguinamento o alla perforazione. (V. anche Diverticoli esofagei nel Cap. 20.)

DIVERTICOLITE Infiammazione della mucosa diverticolare con complicanze quali la peridiverticolite, il flemmone della parete intestinale, la perforazione, l'ascesso o la peritonite, con o senza occlusione, fistole e sanguinamento.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Complicanze Terapia

La diverticolite è di solito grave nei pazienti con meno di 40 anni, ma è ancora più grave nell'anziano, soprattutto in quelli che assumono prednisone o altri farmaci che aumentano il rischio di infezioni. Nel 94% dei casi, la diverticolite grave interessa il sigma.

Sintomi, segni e diagnosi Di solito, i sintomi della malattia diverticolare alla presentazione sono il dolore, la dolorabilità localizzata nel quadrante inferiore sx dell'addome e la febbre. In presenza di una diverticolosi già conosciuta, la diagnosi di diverticolite è chiara. Questa si può presentare con una perforazione o con la formazione di un ascesso, che produce i sintomi e i segni della peritonite. L'appendicite acuta e il cancro del colon e dell'ovaio sono tra le patologie più frequentemente confuse con la malattia diverticolare. Per la diagnosi definitiva e la terapia appropriata può essere necessaria una laparotomia esplorativa. Le manifestazioni extracoliche della diverticolite associata agli ascessi pericolici includono l'artrite e il pioderma gangrenoso.

Complicanze Una complicanza della diverticolite è l'occlusione (v. Occlusione intestinale meccanica nel Cap. 25). Si possono verificare anche delle fistole. Quelle più comuni sono le sigmoidovescicali, che si formano soprattutto negli uomini o nelle donne sottoposte in precedenza a isterectomia. Si manifestano con i sintomi di un'infezione urinaria e con la pneumaturia; la cistoscopia è la metodica diagnostica più attendibile. Altre fistole si possono formare con il piccolo intestino,

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Malattia diverticolare

l'utero, la vagina, la parete addominale, la coscia o il mediastino. La terapia consiste nella resezione segmentaria del tratto di intestino da cui origina la fistola e nella reanastomosi, che di solito possono essere eseguite in un unico tempo.

Terapia Il paziente che non è settico, può essere trattato a domicilio con il riposo, la dieta liquida e la somministrazione di antibiotici orali (cefalessina 250 mg qid). I sintomi di solito scompaiono rapidamente. Il paziente potrà gradualmente passare a una dieta a basso contenuto di fibre con l'aggiunta giornaliera di una preparazione di psillio. Il clisma opaco, eseguito 2 sett. più tardi, potrà confermare la diagnosi. Dopo un mese si può assumere un regime alimentare ricco di fibre. I pazienti con sintomi gravi (dolore e spasmo localizzato), con le diverse complicanze (febbre, leucocitosi) o con i sintomi e i segni di un'occlusione intestinale, devono essere ospedalizzati. Circa l'80% dei pazienti può essere trattato con successo senza l'intervento chirurgico. I pazienti con dolore, spasmo localizzato e febbre sono trattati con il riposo a letto, il digiuno completo, i liquidi EV e gli antibiotici (sono preferibili le cefalosporine di terza generazione EV). Se la risposta è soddisfacente, il paziente rimane ricoverato fino alla scomparsa dei sintomi e poi riprende una dieta leggera. Il clisma opaco viene rinviato a 2 sett. dopo la risoluzione dei sintomi. L'aumento del dolore, della dolorabilità e della febbre è un segno pericoloso. Se la diagnosi differenziale comprende la possibilità di un'appendicite o di un ascesso si deve eseguire una TC. Anche l'ecografia è utile per diagnosticare un ascesso pelvico. Le opzioni chirurgiche includono la resezione del colon coinvolto in 1 o 3 tempi o, se è stato identificato un ascesso localizzato agli esami per immagini, può essere scelto come primo trattamento il drenaggio percutaneo. Le caratteristiche che indicano la necessità di un trattamento chirurgico includono: (1) due o più precedenti attacchi di infiammazione locale (o un attacco in un paziente < 50 anni); (2) la persistenza di una massa dolorabile; (3) una stenosi o una deformazione del sigma alla rx, principalmente perché potrebbe essere di natura maligna; (4) l'associazione di disuria e diverticolite negli uomini o nelle donne sottoposte a isterectomia, perché può evolvere in una perforazione nella vescica; (5) una rapida progressione dei sintomi fin dall'inizio e (6) dei segni clinici, endoscopici o radiologici che non permettono di escludere la presenza di un cancro. I pazienti trattati con prednisone sono anche a rischio di perforazione e peritonite generalizzata e devono essere strettamente sorvegliati. L'intervento chirurgico urgente è necessario nei pazienti con perforazione o peritonite generalizzata; il segmento perforato viene, di solito, resecato e viene eseguita una colostomia a canna di fucile o una colostomia prossimale con l'affondamento del moncone rettale, secondo Hartmann. La continuità intestinale sarà, poi, ripristinata in un secondo momento.

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Malattia diverticolare

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 33. MALATTIA DIVERTICOLARE Malattia causata dai diverticoli, estrusioni sacciformi acquisite di mucosa attraverso lo strato muscolare del tratto GI, che causano dei sintomi dovuti all'intrappolamento delle feci, alla comparsa di infezione, al sanguinamento o alla perforazione. (V. anche Diverticoli esofagei nel Cap. 20.)

MALATTIA DIVERTICOLARE DELLO STOMACO E DEL DUODENO I diverticoli raramente interessano lo stomaco, ma in alcune serie sono stati osservati nel duodeno fino al 25% dei casi. Di questi diverticoli, la maggior parte è solitaria ed è localizzata nella seconda porzione del duodeno vicino all'ampolla di Vater. I diverticoli duodenali sono asintomatici nel 90% dei casi e sono scoperti accidentalmente durante degli esami radiologici o endoscopici del tratto GI superiore per una malattia non correlata. Tuttavia, in circa il 10% dei casi, i diverticoli duodenali sono sintomatici (sanguinamento, dolore e nausea causati dalla distensione o dall'infiammazione) e devono essere presi in considerazione nella diagnosi differenziale dell'addome acuto. Le complicanze dei diverticoli duodenali sono rare, ma possono essere devastanti. La più frequente è la diverticolite con perforazione. Poiché i diverticoli sono di solito localizzati nel retroperitoneo, la comparsa dei sintomi è di solita insidiosa e la diagnosi è tardiva.

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Malattia diverticolare

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 33. MALATTIA DIVERTICOLARE Malattia causata dai diverticoli, estrusioni sacciformi acquisite di mucosa attraverso lo strato muscolare del tratto GI, che causano dei sintomi dovuti all'intrappolamento delle feci, alla comparsa di infezione, al sanguinamento o alla perforazione. (V. anche Diverticoli esofagei nel Cap. 20.)

MALATTIA DIVERTICOLARE DEL PICCOLO INTESTINO Il più frequente diverticolo del piccolo intestino è il diverticolo di Meckel, che è osservato in ≤ 3% dei pazienti. Questo diverticolo è congenito e di solito è localizzato entro 1 m dalla valvola ileocecale. Generalmente, può essere identificato mediante la scintigrafia con l'anione pertecnetato (tecnezio 99m) e con lo studio baritato dell'apparato digerente. Le complicanze del diverticolo di Meckel includono il sanguinamento, l'occlusione intestinale, la diverticolite, gli enteroliti e i tumori. Sebbene l'incidenza del diverticolo di Meckel sia uguale nei maschi e nelle femmine, i maschi sono da due a tre volte più soggetti alle complicanze. L'incidenza di queste ultime è correlato anche all'età; il 60% dei diverticoli di Meckel è asintomatico nei pazienti < 10 anni di età. Il sanguinamento è più frequente nei bambini e più raro nei pazienti che hanno più di 30 anni. L'occlusione del piccolo intestino si può verificare a qualunque età: nei bambini, l'occlusione è di solito dovuta all'invaginazione del diverticolo. La diverticolite si verifica in circa il 20% dei casi con un picco di incidenza nei bambini più grandi. L'incidenza degli enteroliti e dei tumori aumenta con l'età, verificandosi raramente nei bambini. A differenza del diverticolo di Meckel, gli altri diverticoli del piccolo intestino sono acquisiti e l'incidenza è fortemente correlata all'età. Circa il 90% è localizzato nel digiuno. I sintomi comprendono un vago dolore epigastrico o un dolore periombelicale, la distensione addominale e un senso di sazietà precoce; il segno caratteristico è rappresentato dalla triade formata da anemia, dolore epigastrico e livelli idroaerei alla rx diretta dell'addome. I diverticoli di solito possono essere identificati con lo studio contrastografico del piccolo intestino. Le complicanze sono simili a quelle dei diverticoli delle altre sedi dell'intestino e comprendono la diverticolite, l'emorragia e l'ostruzione. Possono causare anche una malnutrizione per la sindrome dell'ansa cieca o per la sindrome da stasi dell'intestino, in cui il ristagno del contenuto intestinale causa un'aumentato sviluppo batterico. Le conseguenze includono l'anemia causata dall'assorbimento batterico della vitamina B12 e la steatorrea causata dall'interferenza con il normale metabolismo dei sali biliari. Come con le altre complicanze dei diverticoli, il trattamento comprende la rimozione chirurgica del tratto di intestino coinvolto.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DELL'ESOFAGO CANCRO DELL'ESOFAGO (V. anche Cap. 89)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Il cancro dell'esofago si presenta solitamente con una disfagia rapidamente progressiva per i cibi solidi, associata a un marcato calo ponderale. Il cancro si può verificare in qualunque punto dell'esofago e può apparire come una stenosi, come una massa o come un placca. L'American Cancer Society ha stimato che negli USA, 8700 uomini e 2800 donne moriranno di cancro dell'esofago nel 1997. Carcinoma epidermoide (a cellule squamose): il carcinoma epidermoide dell'esofago è raro negli USA; è responsabile dell'1,5% di tutti i cancri e del 7% dei cancri GI. L'American Cancer Society ha stimato che nel 1997, ci saranno 9400 nuovi casi negli uomini e 3100 nelle donne. Tuttavia, l'incidenza è più alta in Cina, Puerto Rico, Singapore, Sud Africa, Svizzera, Francia e nella zona litoranea dell'Iran sul mar Caspio. Il carcinoma epidermoide è associato all'ingestione di alcol, al consumo di tabacco (sotto qualunque forma), al papillomavirus umano, all'ingestione di soluzioni alcaline (che causano stenosi), alla scleroterapia, alla sindrome di Plummer-Vinson, all'irradiazione dell'esofago, alle membrane esofagee, all'acalasia e al carcinoma epidermoide della testa e del collo. La tilosi (ipercheratosi palmare e plantare) e il papilloma a cellule squamose possono essere delle lesioni precancerose. Il carcinoma epidermoide è tre volte più frequente tra le persone di colore rispetto ai bianchi. La sopravvivenza a 5 anni per gli uomini di colore americani è del 4,1% contro quella del 6,5% degli uomini bianchi. Adenocarcinoma: l'incidenza dell'adenocarcinoma dell'esofago distale è in aumento, ma il tumore è raro nelle persone di colore. L'adenocarcinoma dell'esofago distale è difficile da distinguere dall'adenocarcinoma del cardias che invade l'esofago distale. Quasi tutti i pazienti con un adenocarcinoma primitivo dell'esofago distale hanno prima un esofago di Barrett, che è dovuto a una malattia cronica da reflusso gastroesofageo e all'esofagite da reflusso. Nell'esofago di Barrett, una mucosa colonnare e ghiandolare, simile a quella dello stomaco, sostituisce l'epitelio squamoso stratificato dell'esofago distale durante la fase di guarigione dell'esofagite acuta. La maggior parte degli adenocarcinomi dell'esofago distale origina da un esofago di Barrett. Il tabacco e l'alcol non sono importanti nell'eziologia di questo tumore. L'adenocarcinoma dell'esofago distale può anche originare nel fondo gastrico e diffondersi per via sottomucosa a tutto il terzo inferiore dell'esofago. file:///F|/sito/merck/sez03/0340345b.html (1 of 5)02/09/2004 2.23.19

Tumori del tratto gastrointestinale

Altri tumori maligni: i tumori maligni meno frequenti dell'esofago includono il carcinoma a cellule fusiformi (una variante scarsamente differenziata del carcinoma epidermoide), il carcinoma verrucoso (una variante ben differenziata del carcinoma epidermoide), lo pseudosarcoma, il carcinoma mucoepidermoide, il carcinoma adenosquamoso, il cilindroma (adenocarcinoma cistico), il carcinoma primitivo a piccole cellule, il coriocarcinoma, il carcinoide, il sarcoma e il melanoma maligno primitivo. Il carcinoma della laringe, del faringe, delle tonsille, del polmone, della mammella, dello stomaco, del fegato, del rene, della prostata, del testicolo, delle ossa e della cute possono metastatizzare all'esofago. Queste metastasi, di solito, interessano il tessuto connettivale lasso intorno all'esofago e crescono verso il lume, mentre i carcinomi primitivi dell'esofago iniziano nella mucosa o nella sottomucosa e si estendono sia verso l'esterno che verso l'interno.

Sintomi e segni Il carcinoma dell'esofago in stadio precoce può passare inosservato. Quando il lume dell'esofago si riduce a < 14 mm, si manifesta la disfagia (difficoltà alla deglutizione o sensazione che il cibo si arresti durante il passaggio nell'esofago) che è il sintomo più comune. Il paziente inizialmente ha difficoltà con i cibi solidi, poi con quelli semisolidi e infine con i cibi liquidi e la saliva; questa progressione nel tempo suggerisce la presenza di un processo maligno espansivo piuttosto che di uno spasmo, di un anello benigno o di una stenosi peptica. Il dolore toracico, di solito, si irradia al dorso. La perdita di peso è pressoché costante anche quando il paziente ha un buon appetito. La compressione del nervo laringeo ricorrente può causare la paralisi di una corda vocale e la raucedine. La compressione dei nervi simpatici può causare la sindrome di Horner e la compressione nervosa in altre sedi può provocare dolore spinale, singhiozzo o paralisi del diaframma. Il versamento pleurico maligno o le metastasi polmonari possono causare dispnea. L'interessamento intraluminale del tumore può causare odinofagia, vomito, ematemesi, melena, anemia sideropenica, inalazione, tosse, ascessi polmonari e polmoniti. Gli altri sintomi possono includere la sindrome della vena cava superiore, l'ascite maligna e il dolore osseo. Poiché l'esofago è drenato lungo tutta la sua lunghezza da un plesso linfatico, si può verificare una diffusione ai linfonodi giugulari interni, cervicali, sopraclavicolari, mediastinici e celiaci, con una linfoadenopatia apprezzabile a tali livelli. Il tumore di solito metastatizza al polmone e al fegato e probabilmente in sedi distanti (p. es., ossa, cuore, cervello, ghiandole surrenali, reni e peritoneo).

Diagnosi Sebbene lo studio rx con bario possa dimostrare una lesione ostruttiva dell'esofago, l'endoscopia con la biopsia e l'esame citologico è l'approccio diagnostico preferito. La biopsia è positiva in circa il 70% dei pazienti, mentre il risultato dell'esame citologico dopo brushing è positivo in più del 95% dei casi. I tumori sono più frequentemente dei carcinomi epidermoidi; tra quelli al di fuori della giunzione gastroesofagea, il 30-40% è rappresentato da adenocarcinomi. Lo studio rx con bario può essere eseguito prima dell'endoscopia; dimostra la localizzazione del tumore, riducendo il rischio di perforazioni esofagee involontarie o di traumi durante l'inserimento dell'endoscopio. Può indicare anche il grado dell'ostruzione tumorale e se la tosse e l'inalazione sono causate dall'ostruzione, dall'inalazione tracheale del cibo e della saliva o da una fistola tracheoesofagea.

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Tumori del tratto gastrointestinale

L'endoscopia permette di eseguire una biopsia diagnostica, il brushing e le misurazioni aggiuntive sulle dimensioni del tumore e sulla sua localizzazione (in relazione al cricofaringe e al diaframma). Permette anche la dilatazione e il posizionamento di uno stent per mantenere il calibro del lume esofageo o per chiudere una fistola tracheoesofagea. La TC del collo, del torace, dell'addome e della pelvi può aiutare nella stadiazione del tumore attraverso l'identificazione di linfonodi aumentati di volume, di metastasi in organi distanti e di raccolte liquide maligne (versamento pleurico, ascite) e può aiutare a definire la resecabilità, il centramento dell'irradiazione e la prognosi. La RMN è più costosa della TC, non offre particolari vantaggi ed è limitata dalla mancanza di un buon mezzo di contrasto per via orale. L'ecografia endoscopica è una nuova tecnica che può fornire una precisa valutazione dell'estensione intramurale del tumore (parete esofagea) e del coinvolgimento dei linfonodi adiacenti. Tuttavia, questa tecnica viene eseguita solo in pochi centri con speciali apparecchiature ed esperienza. La manometria esofagea e la scintigrafia con radioisotopi non sono molto utili nella diagnosi del carcinoma esofageo.

Prognosi e terapia La prognosi generale del carcinoma esofageo è infausta, con una sopravvivenza a distanza < 5%. La mortalità totale, corretta per l'età, è di 3,4 persone/100000, valore molto simile all'incidenza del tumore stesso corretta per l'età. Le decisioni terapeutiche dipendono dall'accurata stadiazione del tumore, dall'esatta misurazione delle sue dimensioni, dalla localizzazione e dalla volontà del paziente (molti scelgono di rinunciare al trattamento). Le opzioni terapeutiche del carcinoma epidermoide sono la resezione chirurgica o la radioterapia. L'adenocarcinoma dell'esofago distale viene, di solito, trattato con l'esofagectomia distale. La radioterapia è meno efficace in questo tumore che non è radiosensibile come il carcinoma epidermoide. L'esofago di Barrett risponde in modo contraddittorio alla terapia medica o chirurgica. Si raccomanda, spesso, una sorveglianza endoscopica della trasformazione maligna, a intervalli di 3-12 mesi sulla base del grado di metaplasia, ma l'efficacia dal punto di vista dei costi di tale protocollo è controversa. L'intervento chirurgico, quando fattibile, offre al paziente una prolungata palliazione. La chemioterapia può prolungare la sopravvivenza in alcuni pazienti. Altre misure palliative comprendono le procedure di dilatazione, le protesi (stent), la terapia radiante e la fotocoagulazione con il laser della massa intraluminale. La chemioterapia, quando usata nel postoperatorio, è simile a quella usata per l'adenocarcinoma dello stomaco medio o distale (v. Cancro dello stomaco, oltre). La terapia chirurgica è associata a una bassa percentuale di guarigione e a un'elevata percentuale di mortalità. Le percentuali di morbilità, di sopravvivenza a 5 anni e di mortalità sono molto dipendenti dalla selezione dei pazienti. La resezione in blocco ha minori probabilità di essere curativa in quelli (1) con > 75 anni, (2) con un tumore esteso oltre la parete esofagea, (3) con metastasi linfonodali, (4) con una frazione di eiezione cardiaca < 40% e (5) con un volume di espirazione forzata < 1,5 l. Tuttavia, la chirurgia palliativa raggiunge dei risultati molto importanti: > 90% dei pazienti è in grado, infatti, di assumere una dieta liquida o solida. La scelta dell'intervento dipende dalla localizzazione e dalle dimensioni del tumore, dall'esperienza del chirurgo e dall'intento chirurgico. La resezione in blocco a fini radicali richiede l'asportazione di tutto il tumore, di alcuni cm di tessuto normale prossimalmente e distalmente al tumore, di tutti i linfonodi

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potenzialmente maligni e della parte di stomaco prossimale che include i linfatici di drenaggio distale. È necessaria, poi, per la ricostruzione, la tubulizzazione dello stomaco con un'anastomosi esofagogastrica, l'interposizione del piccolo intestino o l'interposizione del colon. La piloroplastica è necessaria per assicurare un adeguato drenaggio gastrico dato che l'esofagectomia comporta una vagotomia bilaterale. Le complicanze dell'intervento includono le fistole anastomotiche e le stenosi, il reflusso biliogastroesofageo e la sindrome da svuotamento (dumping syndrome). Il dolore toracico urente causato dal reflusso biliare dopo un'esofagectomia distale può essere più fastidioso del sintomo disfagico originale e può richiedere una successiva digiunostomia secondo Roux-en-Y per la diversione biliare. Un segmento interposto di piccolo intestino o di colon ha un'esile vascolarizzazione e si possono verificare a suo carico la torsione, l'ischemia o la gangrena. La radioterapia esterna, di solito, è riservata, come terapia primaria, ai pazienti che non sono candidati all'intervento radicale, inclusi quelli che hanno una malattia avanzata. La radioterapia è controindicata nei pazienti con una fistola tracheoesofagea, poiché la distruzione del tumore ne causa l'allargamento. Nello stesso modo, i pazienti con tumori riccamente vascolarizzati possono andare incontro a emorragie massive quando la radioterapia distrugge il tessuto tumorale. Durante le prime fasi della radioterapia, l'edema può causare un peggioramento dell'ostruzione esofagea, la disfagia e l'odinofagia. Ciò può richiedere, all'inizio della radioterapia, la dilatazione dell'esofago o il posizionamento percutaneo ed endoscopico di una sonda gastrostomica per permettere una nutrizione enterale. Gli altri effetti collaterali della radioterapia includono la nausea, il vomito, l'anoressia, l'astenia, l'esofagite, l'eccessiva produzione esofagea di muco, la xerostomia, la stenosi, la polmonite attinica, la pericardite attinica, la miocardite e la mielite (lesione del midollo spinale). La chemioterapia è di solito utilizzata come terapia adiuvante dopo l'intervento chirurgico o dopo la radioterapia. Diversi farmaci hanno un'attività antineoplastica nei confronti del carcinoma epidermoide quando usati da soli, inclusi il fluorouracile (5-FU), la mitomicina, il cisplatino, la doxorubicina, la vindesina, la bleomicina e il metotrexato. Le percentuali di risposta (cioè, la percentuale di persone che hanno una riduzione del 50% in tutte le aree misurabili del tumore) variano dal 10 al 40%, ma nella maggior parte dei casi le risposte sono incomplete (minore riduzione del tumore) e temporanee. Nessun agente è significativamente più efficace di un altro quando si considerano la risposta, la sopravvivenza, il costo e la tossicità. Il cisplatino è il farmaco più frequentemente usato nella chemioterapia combinata perché ha effetti collaterali diversi rispetto ai farmaci con cui viene usato, di solito il 5-FU e meno frequentemente la bleomicina. La terapia multimodale (chirurgia, radioterapia e chemioterapia nello stesso protocollo di trattamento) è stata usata per controllare sia la malattia locale che le metastasi a distanza, ma è ancora sperimentale e di incerto beneficio. Trial controllati non hanno accertato se la radioterapia o la chemioterapia devono essere somministrate prima o dopo l'intervento chirurgico e, se così, quanto tempo prima o dopo. Tuttavia, la radioterapia preoperatoria è stata impiegata per ridurre la massa tumorale, aumentare la resecabilità del carcinoma epidermoide e distruggere le metastasi microscopiche locali e regionali, vicine all'area da resecare. Nello stesso modo, la chemioterapia preoperatoria è stata usata per ridurre la massa tumorale, aumentare la percentuale di resecabilità del carcinoma epidermoide e controllare le metastasi a distanza. Tuttavia, non ci sono evidenze che la terapia preoperatoria aumenti la percentuale di guarigione. La radioterapia preoperatoria associata alla chemioterapia necessita di ulteriori valutazioni. Sono state studiate diverse combinazioni di radioterapia preoperatoria e cisplatino, etoposide e 5-FU. Sebbene in alcuni casi sia stata prolungata la sopravvivenza mediana, il decorso postoperatorio è stato più lungo. Non ci sono molte prove che la radioterapia postoperatoria combinata con la chemioterapia, prolunghi la sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia. Tuttavia, alcuni dati dimostrano che la radioterapia combinata con il 5-FU e il cisplatino può determinare un aumento della sopravvivenza libera da malattia e di quella

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Tumori del tratto gastrointestinale

globale nei pazienti con cancro dell'esofago non resecato. I vantaggi sono stati osservati soprattutto per i pazienti con un cancro a cellule adenomatose o squamose e sono superiori a quelli ottenuti con la sola radioterapia. Il cateterismo (dilatazione esofagea) è un'importante terapia adiuvante per mantenere la pervietà del lume esofageo, in qualunque fase, durante il decorso della malattia. I dilatatori oggi disponibili sono fatti passare sotto diretta visione endoscopica o sotto controllo fluoroscopico e sono quindi più sicuri. L'effetto della dilatazione esofagea può essere temporaneo. Gli stent esofagei mantengono la pervietà del lume esofageo più a lungo e possono occludere il lume di una fistola tracheoesofagea. La terapia endoscopica con il laser a granato di neodimio, ittrio e alluminio è usata per il trattamento palliativo della disfagia attraverso la creazione di un canale centrale nella massa tumorale. Una tecnica distale-prossimale permette di alleviare l'ostruzione in una sola seduta di trattamento (percentuale di successo di circa il 90%). Il trattamento laser è palliativo, non curativo e può essere ripetuto. La percentuale di complicanze della laser-terapia è inferiore a quella del posizionamento degli stent (10% contro 20%). La terapia fotodinamica è un trattamento sperimentale che si propone di distruggere le cellule tumorali senza danneggiare i tessuti normali circostanti. Un derivato emoporfirinico che si localizza preferenzialmente nelle cellule tumorali viene iniettato EV; quando fotoattivato dal laser ad argon o dal laser al vapore d'oro, questa sostanza rilascia ossigeno molecolare ridotto, citotossico per le cellule tumorali. Nel bypass extracorporeo, l'esofago prossimale al tumore viene collegato a un tubo che è portato al di fuori della cute, fatto passare lungo la faccia anteriore del torace e poi fatto rientrare a livello dell'addome, dove la sua estremità distale viene collegata allo stomaco. Con questa tecnica, il tumore esofageo non viene resecato. Il supporto nutrizionale mediante l'alimentazione enterale o parenterale migliora la tollerabilità e la fattibilità di tutti i trattamenti. Poiché quasi tutti i casi di cancro dell'esofago sono fatali, le cure, nell'ultimo periodo della vita (v. Cap. 294) devono mirare a controllare i sintomi, specialmente il dolore e l'incapacità a deglutire le secrezioni. In questa fase, molti pazienti hanno bisogno di dosi massicce di analgesici narcotici per controllare questi sintomi (cioè, il dolore dovuto alla neoplasia che cresce).

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PICCOLO INTESTINO Tumori benigni

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Le neoplasie del digiuno e dell'ileo comprendono l'1-5% di tutti i tumori del tratto GI. Sono prevalentemente benigne e comprendono i leiomiomi, i lipomi, i neurofibromi e i fibromi; tutti possono causare una sintomatologia che rende necessario l'intervento chirurgico. I polipi sono più frequenti nel colon rispetto al piccolo intestino. I tumori vascolari del piccolo intestino sono multicentrici nel 55% dei casi. La teleangectasia emorragica ereditaria (sindrome di RenduOsler-Weber) è una tendenza congenita e progressiva a formare spazi endoteliali dilatati. Gli emangiomi possono sanguinare o dar luogo a invaginazioni. Le angiodisplasie o le malformazioni arterovenose, conseguenze dell'invecchiamento, tendono a verificarsi nella parte distale del piccolo intestino o nel ceco.

Diagnosi e terapia L'endoscopia del piccolo intestino con un enteroscopio pediatrico può essere impiegata per visualizzare e sottoporre a biopsia il tumore e coagulare le lesioni sanguinanti del duodeno e del tratto prossimale del digiuno. L'arteriografia o la scintigrafia con tecnezio possono aiutare a localizzare le sedi del sanguinamento; gli esami rx possono identificare le lesioni occupanti spazio nell'intestino tenue. Se un chirurgo è costretto a operare senza conoscere la sede dell'emorragia, la transilluminazione dell'intestino o l'esame endoscopico intraoperatorio può aiutare a localizzare la lesione nel piccolo intestino. Le alternative alla resezione possono essere rappresentate dall'elettrocoagulazione, dall'obliterazione termica o dalla fototerapia con il laser al momento dell'endoscopia o della chirurgia.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PICCOLO INTESTINO TUMORI MALIGNI L'adenocarcinoma è raro. Solitamente è localizzato nel digiuno prossimale e causa una sintomatologia minima. In presenza del morbo di Crohn, i tumori tendono a localizzarsi distalmente e nelle anse intestinali infiammate o escluse; l'adenocarcinoma si verifica più frequentemente nei pazienti con morbo di Crohn del piccolo intestino che in quelli con Crohn del colon. Un linfoma maligno primitivo, che si sviluppa nell'ileo, può dare vita a un lungo segmento intestinale rigido. Spesso, i linfomi del piccolo intestino si sviluppano nei pazienti con sprue celiaca. Il piccolo intestino, particolarmente l'ileo, rappresenta la seconda sede per frequenza dei tumori carcinoidi (dopo l'appendice). Tumori multipli sono presenti nel 50% dei casi. Tra quelli con diametro > 2 cm, l'80% si è già diffuso localmente o al fegato al momento dell'intervento. Circa il 30% dei carcinoidi del piccolo intestino causa occlusione, dolore, emorragia o la sindrome da carcinoide (v. Cap. 17). Il trattamento consiste nella resezione chirurgica, ma possono essere necessari più interventi. Il sarcoma di Kaposi, descritto inizialmente come una malattia degli uomini anziani ebrei e italiani, si verifica in forma molto aggressiva negli africani, nei trapiantati e nei pazienti con AIDS che presentano un interessamento del segmento GI nel 40-60% dei casi. Le lesioni si possono localizzare ovunque nel tratto GI, ma, di solito, sono osservate nello stomaco, nel piccolo intestino o nel colon distale. Le lesioni GI, di solito, sono asintomatiche, ma possono causare emorragie, diarrea, enteropatia con perdita di proteine e invaginazioni. Un secondo tumore maligno intestinale, primitivo, si verifica in ≤ 20% dei pazienti; più spesso si tratta di una leucemia linfocitica, di linfomi non Hodgkin, di linfomi di Hodgkin o di un adenocarcinoma del tratto GI.

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Tumori carcinoidi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 17. TUMORI CARCINOIDI SINDROME DA CARCINOIDE Sindrome caratterizzata da episodi di arrossamento cutaneo, cianosi, crampi addominali e diarrea in un paziente con valvulopatie cardiache (e meno comunemente asma e artropatia), causata di solito da tumori carcinoidi intestinali metastatici che secernono quantità eccessive di sostanze vasoattive, tra le quali serotonina, bradichinina, istamina, prostaglandine e ormoni polipeptidici.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia e prognosi

Eziologia e fisiopatologia I tumori funzionanti del sistema endocrino o paracrino periferico diffuso producono diversi polipeptidi e amine biogene che causano l'insorgenza dei corrispondenti segni e sintomi, compresa la sindrome da carcinoide. Questa sindrome è di solito associata a tumori maligni funzionanti che producono serotonina e derivano dalle cellule enteroendocrine situate nell'ileo, ma può insorgere in concomitanza con la presenza di tumori analoghi in qualsiasi altra sede del tratto GI, nel pancreas, nelle gonadi o nei bronchi. Raramente, possono esserne responsabili alcuni tumori altamente maligni, tra i quali il microcitoma polmonare, il carcinoma a cellule insulari del pancreas e il carcinoma midollare della tiroide. Un tumore carcinoide intestinale primitivo non produce di solito la sindrome, a meno che non siano già comparse metastasi epatiche, dato che i prodotti metabolici provenienti dal tumore vengono rapidamente distrutti dagli enzimi ematici ed epatici presenti nella circolazione portale; p. es., la serotonina viene distrutta dalla monoamino ossidasi epatica. Le metastasi epatiche, invece, liberano i prodotti meatabolici attraverso le vene epatiche direttamente nella circolazione sistemica. I tumori carcinoidi primitivi polmonari e ovarici scavalcano il circolo portale e possono produrre sintomi con un meccanismo analogo, come possono fare anche i rari carcinoidi intestinali con diffusione esclusivamente intraaddominale, che drenano direttamente nella circolazione sistemica o nei linfatici. La serotonina agisce sulla muscolatura liscia provocando diarrea, coliche e malassorbimento; l'istamina e la bradichinina, a causa dei loro effetti vasodilatatori, sono responsabili del flush cutaneo. Il ruolo delle prostaglandine e di diversi ormoni polipeptidici, che possono essere prodotti dalle cellule paracrine, deve ancora essere precisato da ulteriori ricerche; tuttavia, i livelli di gonadotropina corionica umana e di polipeptide pancreatico sono talvolta elevati in corso di tumori carcinoidi.

Sintomi e segni Il segno più comune e spesso più precoce è un fastidioso arrossamento, solitamente al capo e al collo, frequentemente scatenato dalle emozioni e dall'ingestione di cibo, di acqua calda o di alcol. Si possono osservare notevoli file:///F|/sito/merck/sez02/0170232b.html (1 of 3)02/09/2004 2.23.24

Tumori carcinoidi

variazioni di colore, che vanno dal pallore o dall'eritema alla cianosi. Spesso il disturbo principale riferito dal paziente è costituito dai crampi addominali con diarrea ricorrente. In alcuni casi è stata dimostrata una sindrome da malassorbimento. In molti pazienti si sviluppa fibrosi endocardica delle cavità destre, che determina stenosi polmonare e insufficienza tricuspidale. Le lesioni cardiache sinistre, che sono state descritte con i carcinoidi bronchiali, sono rare perché la serotonina viene distrutta durante il passaggio attraverso i polmoni. Alcuni pazienti hanno attacchi asmatici, mentre in altri si notano calo della libido e impotenza; raramente si sviluppa pellagra.

Diagnosi I carcinoidi non funzionanti possono essere identificati in maniera analoga alle altre lesioni occupanti spazio, p. es., mediante angiografia, TC o RMN, a seconda della sede. I carcinoidi dell'intestino tenue possono causare difetti di riempimento o altre anomalie visibili con le indagini radiografiche di contrasto. La diagnosi definitiva è istologica. I carcinoidi funzionanti vengono sospettati in base ai sintomi e ai segni, e la diagnosi viene confermata dalla dimostrazione di un aumento dell'escrezione urinaria di acido 5-idrossindolacetico (5-HydroxyIndoleAcetic Acid, 5-HIAA), un metabolita della serotonina. Si effettua un test colorimetrico dopo che il paziente per 3 gg si è astenuto dall'assunzione di cibi contenenti serotonina (p. es., banane, pomodori, prugne, avocado, ananas, melanzane e noci) per evitare risultati falsamente positivi. Interferiscono con il test anche alcuni farmaci, quali la guaifenesina, il metocarbamolo e le fenotiazine. Il terzo giorno si raccolgono le urine delle 24 h per l'esame. L'escrezione normale del 5-HIAA è < 10 mg/die (< 52 mmol/die); nei pazienti con sindrome da carcinoide essa è di solito > 50 mg/ die (> 260 mmol/die). Sono stati utilizzati test di provocazione con calcio gluconato, catecolamine, pentagastrina o alcol per indurre l'arrossamento. In alcuni pazienti essi possono essere utili per la diagnosi, ma devono essere eseguiti con cautela. La localizzazione del tumore può richiedere una valutazione estensiva, compresa la laparotomia. Per dimostrare le metastasi può essere sufficiente un'ecografia epatica. Mediante esami adeguati bisogna escludere la presenza dei tumori rari menzionati in precedenza.

Terapia e prognosi È possibile effettuare la resezione curativa dei carcinoidi primitivi del polmone. Per i pazienti con metastasi epatiche, la chirurgia è esclusivamente diagnostica o palliativa e la radioterapia non ha successo, in parte a causa della scarsa tolleranza del tessuto epatico normale. Finora non è stata identificata alcuna associazione chemioterapica convincente, ma la streptozocina e il 5-fluorouracile sono i più ampiamente utilizzati, a volte in associazione con la doxorubicina. Alcuni sintomi, tra i quali l'arrossamento, sono stati migliorati dalla somatostatina (che inibisce il rilascio della maggior parte delle secrezioni ormonali) senza riduzione del 5-HIAA o della gastrina nelle urine. Numerosi studi hanno suggerito che si possono ottenere buoni risultati con l'octreotide, un analogo a lunga durata d'azione della somatostatina. L'octreotide è il farmaco di scelta per il controllo della diarrea e degli arrossamenti. Alcune descrizioni di casi clinici indicano che il tamoxifene è stato occasionalmente efficace; l'interferon leucocitario (IFN-a) ha determinato benefici sintomatici temporanei. La diarrea può essere controllata anche con farmaci somministrati per via orale, come il fosfato di codeina 15 mg q 4-6 h, la tintura di oppio 0,6 ml q 6 h, il difenossilato 2,5 mg da 1 a 3 volte/die o gli antagonisti periferici della serotonina, come la ciproeptadina da 4 a 8 mg q 6 h o la metisergide da 1 a 2 mg qid.

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Tumori carcinoidi

Per prevenire la pellagra sono necessari la niacina e un adeguato apporto proteico, dato che il triptofano della dieta viene indirizzato dal tumore verso la sintesi di serotonina. Gli inibitori enzimatici che bloccano la conversione del 5idrossitriptofano in serotonina comprendono la metildopa da 250 a 500 mg PO q 6 h o la fenossibenzamina 10 mg/die. L'arrossamento può inoltre essere trattato con le fenotiazine (p. es., proclorperazina da 5 a 10 mg o clorpromazina da 25 a 50 mg PO q 6 h). Si possono utilizzare anche gli antagonisti dei recettori istaminici H2, come la cimetidina o la ranitidina. La fentolamina (un a-bloccante) da 5 a 15 mg PO ha prevenuto gli arrossamenti indotti sperimentalmente. I corticosteroidi (p. es., prednisone 5 mg PO q 6 h) possono essere utili negli arrossamenti gravi da carcinoidi bronchiali. Nonostante la presenza di una malattia metastatica, non sono rari tempi di sopravvivenza di 10-15 anni.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL GROSSO INTESTINO CANCRO COLORETTALE

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia e prognosi

Nei paesi occidentali, il colon e il retto rappresentano la sede del maggior numero di nuovi casi di cancro per anno, rispetto a qualunque altra sede anatomica a eccezione dei polmoni. Negli USA circa 75000 persone sono morte di questo cancro nel 1989; circa il 70% si è verificato nel retto e nel sigma e il 95% era costituito da adenocarcinomi. Il cancro colorettale rappresenta la più frequente causa di morte nell'ambito delle neoplasie maligne viscerali che interessano entrambi i sessi. L'incidenza comincia ad aumentare all'età di 40 anni e raggiunge il picco all'età di 60-75 anni. Il carcinoma del colon è più comune nelle donne; il carcinoma del retto è più frequente negli uomini. In circa il 5% dei pazienti si possono avere cancri sincroni del colon (cioè più di un cancro). Esiste una bassa predisposizione genetica al cancro del grosso intestino, ma sono state descritte delle "famiglie cancerose" e delle "famiglie con cancro del colon" (p. es., la poliposi familiare, la sindrome di Lynch) in cui il cancro colorettale si verifica per diverse generazioni, di solito presentandosi prima dei 40 anni e localizzandosi nel colon dx. Almeno quattro geni localizzati sui cromosomi 2, 3 e 7 sono risultati mutati in alcuni casi di sindrome di Lynch. Altri fattori predisponenti sono la colite ulcerosa cronica, la colite granulomatosa e la poliposi familiare (che comprende la sindrome di Gardner); in queste malattie, il rischio di cancro ad ogni età è correlato all'età di insorgenza e alla durata dell'affezione di base. Le popolazioni con un'elevata incidenza di cancro colorettale consumano una dieta povera di fibre e ricca di proteine animali, grassi e carboidrati raffinati. I carcinogeni possono essere ingeriti con la dieta, ma è più probabile che siano prodotti endogenamente dalle sostanze alimentari o dalle secrezioni biliari o intestinali, probabilmente per l'azione batterica. L'esatto meccanismo è sconosciuto. Il cancro del colon e del retto si diffonde per estensione diretta attraverso la parete intestinale, per via ematica con metastasi a distanza, per via linfatica con metastasi ai linfonodi, per diffusione perineurale e per via intraluminale.

Sintomi, segni e diagnosi L'adenocarcinoma del colon-retto cresce lentamente e necessita di un lungo intervallo di tempo prima di causare dei sintomi. La diagnosi precoce dipende dall'esecuzione di routine di alcuni esami. I sintomi dipendono dalla sede della lesione, dal tipo, dall'estensione e dalle complicanze. Il colon dx ha un grosso calibro e una parete sottile. Poiché il suo contenuto è liquido, l'ostruzione è un file:///F|/sito/merck/sez03/0340353.html (1 of 4)02/09/2004 2.23.25

Tumori del tratto gastrointestinale

evento tardivo. I tumori, che di solito sono vegetanti, possono diventare grandi e palpabili attraverso la parete addominale. Il sanguinamento è di solito occulto. L'astenia e la debolezza, causate dalla grave anemia, possono essere gli unici disturbi. Il colon di sx ha un lume più piccolo, le feci sono semisolide e il tumore tende a essere circolare, determinando un'alternanza di stipsi e di diarrea o comunque di un'aumentata frequenza della defecazione. Inizialmente si può manifestare con dei dolori addominali di tipo colico o con un'ostruzione completa. Le feci possono essere nastriformi o miste a sangue. Nel cancro del retto il sintomo iniziale più comune è il sanguinamento al momento della defecazione. Ogni qualvolta si verifica una rettorragia, anche in presenza di emorroidi o di malattia diverticolare, deve essere sempre esclusa la presenza di un cancro del retto. Può essere presente un tenesmo o una sensazione di evacuazione incompleta. Il dolore è assente fino a quando non viene interessato il tessuto perirettale. Il semplice ed economico esame delle feci per il sangue occulto viene consigliato come parte di un programma di screening e di sorveglianza nei soggetti ad alto rischio. Per una migliore accuratezza, il paziente deve assumere una dieta con più fibre, ma senza carni rosse, per almeno 3 gg prima dell'esame. Se il test risulta positivo, sono necessari ulteriori esami. Circa il 60% dei tumori del colon e del retto è localizzato in un tratto esplorabile con il sigmoidoscopio flessibile a fibre ottiche. La colonscopia a fibre ottiche deve essere eseguita quando si sospetta un cancro in una qualunque parte dell'intestino e quando i sintomi sono riferibili al colon. Se alla sigmoidoscopia viene evidenziata una lesione, si deve eseguire una pancolonscopia con l'asportazione di tutte le lesioni coliche. L'escissione endoscopica di polipi sincroni può ridurre la lunghezza del tratto di colon da resecare. Le biopsie endoscopiche frazionate dei polipi possono essere fuorvianti nel 25% dei casi e una biopsia negativa non esclude la possibile presenza di un cancro nel polipo. Se una lesione è sessile o non è possibile rimuoverla endoscopicamente, va presa in considerazione l'escissione chirurgica. Il clisma opaco spesso non è affidabile per evidenziare un cancro del retto, ma rappresenta la metodica di indagine iniziale più importante per diagnosticare un cancro del colon. Un esame a doppio contrasto con insufflazione anche di aria, può visualizzare un numero maggiore di piccole lesioni (< 6 mm) rispetto al clisma opaco, ma il pneumocolon non riesce a evidenziare le grandi lesioni (> 2 cm) con sorprendente frequenza (20-30%). Il punto essenziale di qualunque esame baritato o endoscopico del colon è rappresentato fondamentalmente da un intestino ben preparato, il che spesso richiede l'uso di catartici, di lavaggi per via orale o di clisteri multipli. Il bario non va somministrato per bocca quando si sospetta una lesione stenosante del colon, perché il riassorbimento colico dell'acqua contenuta nella sospensione di bario può precipitare il solfato di bario e produrre un'ostruzione completa del grosso intestino. La colonscopia deve essere eseguita anche quando la diagnosi rx è abbastanza sicura; il clisma opaco non evidenzia il 30% dei tumori e il 40% dei polipi, mentre la colonscopia permette di identificare le lesioni sincrone, aiutando a determinare la lunghezza del tratto di colon da resecare. L'aumento dell'Ag carcinoembrionario nel siero (CEA) non è specificatamente associato a un cancro colorettale, ma i suoi livelli sono elevati in circa il 70% dei pazienti. Se i livelli di CEA sono elevati prima dell'intervento e sono invece bassi dopo la rimozione di un tumore colico, il monitoraggio di questo marker può aiutare a evidenziare le recidive durante il follow-up. Anche il CA 19-9 e il CA 125, così come altri marcatori tumorali, possono essere elevati.

Terapia e prognosi Il trattamento del cancro del colon consiste in un'ampia resezione chirurgica del colon e del drenaggio linfatico regionale, dopo la preparazione dell'intestino. Per il cancro del retto, la scelta dell'intervento dipende dalla distanza del tumore dall'ano e dalla sua estensione macroscopica. La resezione addomino-perineale del retto necessita di una colostomia permanente eseguita con il sigma. Una file:///F|/sito/merck/sez03/0340353.html (2 of 4)02/09/2004 2.23.25

Tumori del tratto gastrointestinale

resezione anteriore bassa, con un'anastomosi rettosigmoidea, è la procedura curativa di scelta solamente se può essere resecato un tratto di almeno 5 cm di intestino normale al di sotto della lesione e se l'intervento è tecnicamente possibile. Le cucitrici meccaniche hanno permesso delle resezioni anteriori più basse con anastomosi al retto basso e quindi il risparmio del retto in un maggior numero di pazienti. La guarigione chirurgica è possibile nel 70% dei pazienti. La migliore percentuale di sopravvivenza a 5 anni nei casi di cancro limitato alla sola mucosa, si avvicina al 90%; quando è interessata la muscolare propria è circa dell'80%; con i linfonodi positivi, è del 30%. Quando il rischio chirurgico è inaccettabile, alcuni tumori possono essere controllati localmente con l'elettrocoagulazione. I risultati preliminari di studi condotti sull'uso della terapia radiante adiuvante dopo un intervento chirurgico radicale per cancro del retto (ma non del colon) suggeriscono che con questo regime si può controllare la crescita tumorale locale, si può ritardare le recidive e si può migliorare la sopravvivenza nei pazienti con un interessamento limitato dei linfonodi. Nei pazienti affetti da una cancro del retto e con 1-4 linfonodi positivi, si ottengono i maggiori benefici con l'associazione di radioterapia e chemioterapia; quando sono presenti più di 4 linfonodi coinvolti nel segmento asportato, la terapia combinata è meno efficace. Il trattamento studiato è costituito dal fluorouracile (5-FU) con o senza acido folico. Un'attenta programmazione da parte dei radioterapisti, con speciale cura nell'evitare le lesioni del piccolo intestino, è necessaria quando vengono utilizzati dei regimi combinati di chemioterapia e radioterapia. L'uso della radioterapia preoperatoria per migliorare la percentuale di resecabilità del cancro del retto è controverso; gli esperti non sono ancora d'accordo sul fatto che questo trattamento aumenti l'operabilità o diminuisca l'incidenza delle metastasi linfonodali regionali. Studi controllati stanno valutando l'uso preoperatorio della chemioterapia e della radioterapia, rispetto a quello postoperatorio, nei pazienti con cancro del retto. La chemioterapia con 5-FU combinata con il levamisolo o con l'acido folico non si è dimostrata efficace come adiuvante alla chirurgia in trial clinici accuratamente controllati sul cancro del colon con linfonodi positivi (stadio III, Duke C). La frequenza del follow-up dopo un intervento radicale per un cancro colorettale è tuttora controversa. La maggior parte degli esperti raccomanda due esami dell'intestino residuo con la colonscopia o con gli studi rx e, se questi sono negativi, degli esami ripetuti a intervalli di 2-3 anni. Quando la chirurgia non può essere radicale, c'è comunque l'indicazione a un intervento palliativo limitato; la sopravvivenza mediana è di 7 mesi. Il solo farmaco di comprovata efficacia per il cancro colorettale avanzato è il 5-FU, ma soltanto il 15-20% dei pazienti trattati con 5-FU ha sperimentato una dimostrabile riduzione del tumore e una maggiore sopravvivenza. I regimi con 5-FU più frequentemente utilizzati richiedono la somministrazione quotidiana del farmaco per 5 gg q 4-5 sett., ma i medici che non hanno esperienza con la chemioterapia e con il momento del nadir delle cellule ematiche non devono somministrare tali farmaci. Altri farmaci, da soli o con il 5-FU, generalmente non hanno permesso di raggiungere risultati migliori, sebbene alcuni oncologi credano che sia migliore la combinazione di 5-FU e leucovorin rispetto al solo 5-FU. Un nuovo farmaco, l'irinotecan (Camptosar), sembra essere attivo come agente singolo nel cancro avanzato del colon e sarà valutato in programmi di chemioterapia combinata. La chemioterapia per il cancro avanzato del colon deve essere condotta da oncologi esperti. Quando le metastasi sono limitate al fegato, un'infusione ambulatoriale nell'arteria epatica con la flossuridina o con delle microsfere radioattive, attraverso una pompa impiantabile nel sottocutaneo o attraverso una pompa esterna attaccata alla cintura, può offrire un beneficio maggiore rispetto alla chemioterapia sistemica; tuttavia, l'infusione nell'arteria epatica è costosa e il suo valore attende una conferma finale dagli studi clinici. Quando le metastasi sono anche extraepatiche, la chemioterapia arteriosa intraepatica con le pompe di file:///F|/sito/merck/sez03/0340353.html (3 of 4)02/09/2004 2.23.25

Tumori del tratto gastrointestinale

infusione, non offre alcun vantaggio rispetto alla chemioterapia sistemica. Quando il trattamento aggressivo diventa inappropriato, la terapia deve essere rivolta ad alleviare il dolore e le sofferenze (v. Cap. 294).

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS TUMORI ESOCRINI ADENOCARCINOMA DUTTALE

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Gli adenocarcinomi del pancreas esocrino originano dalle cellule duttali nove volte più frequentemente che dalle cellule acinose; l'80% di essi origina nella testa della ghiandola. Gli adenocarcinomi si manifestano a una età media di 55 anni e si verificano 1,5-2 volte più spesso negli uomini.

Sintomi e segni I sintomi si presentano tardivamente nel corso della malattia; al momento della diagnosi, il 90% dei pazienti ha un tumore che si è diffuso localmente coinvolgendo direttamente le strutture retroperitoneali, si è diffuso ai linfonodi regionali o ha metastatizzato al fegato o ai polmoni. Il calo ponderale e il dolore addominale si verificano nella maggior parte dei pazienti che presenta una malattia avanzata. Gli adenocarcinomi possono produrre un ittero ostruttivo e, se si localizzano nel corpo e nella coda, un'ostruzione della vena splenica, una splenomegalia, varici gastriche ed esofagee e un'emorragia GI. La maggior parte dei pazienti lamenta un forte dolore ingravescente, riferito ai quadranti superiori dell'addome, che di solito si irradia posteriormente, al dorso. Sebbene il dolore del cancro del pancreas possa essere alleviato piegando il tronco in avanti o assumendo una posizione fetale, tutti i pazienti richiedono alla fine una terapia con analgesici narcotici.

Diagnosi Gli esami di laboratorio sono spesso normali. Se sono presenti metastasi epatiche o un'ostruzione della via biliare, si può avere un aumento della fosfatasi alcalina e della bilirubinemia. Nel 25-50% dei pazienti si ha un'iperglicemia. Questa è in genere secondaria al cancro del pancreas, ma c'è un'aumentata incidenza di questo tumore nei pazienti affetti da diabete mellito di vecchia data, specialmente se donne. Gli antigeni pancreas-associati, inclusi gli anticorpi monoclonali Ca 19-9, CA 50, DU-PAN-2, SPAN-1, PCAA, l'antigene carcinoembrionario e l'antigene pancreatico oncofetale, non sono attendibili: spesso non sono elevati nel cancro del pancreas localizzato, non metastatico, mentre possono essere elevati in pazienti con cancri non pancreatici. Alcune volte, possono aiutare a confermare la diagnosi di cancro del pancreas, a file:///F|/sito/merck/sez03/0340356c.html (1 of 3)02/09/2004 2.23.26

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distinguere tra malattia pancreatica benigna e maligna e nel trattamento dei pazienti con cancro, poiché un loro aumento ingravescente durante il decorso della neoplasia diagnosticata, ne indica la progressione. La procedura diagnostica più accurata e più efficace dal punto di vista dei costi è la TC che permette anche la stadiazione del tumore. Se la TC dimostra una malattia non resecabile o metastatica, si esegue un agoaspirato, per via percutanea, per ottenere la diagnosi istologica. Se la TC mostra un tumore resecabile o non evidenzia alcun tumore, si esegue un'ecografia endoscopica (non sempre disponibile) per stadiare la malattia o identificare i piccoli tumori non visibili alla TC. Gli altri esami più comunemente usati sono l'ecografia e la pancreatografia retrograda endoscopica. La RMN non è più accurata della TC. L'arteriografia (per definire la resecabilità) e i test di funzionalità pancreatica sono raramente eseguiti. In situazioni insolite, ci può essere l'indicazione a una laparotomia esplorativa.

Prognosi e terapia La sopravvivenza complessiva a 5 anni è inferiore al 2%. Se il tumore è localizzato alla testa del pancreas (≤ 2 cm), come si verifica nel 10% dei pazienti, una pancreasectomia totale o un intervento di Whipple (pancreaticoduodenectomia) esitano in una sopravvivenza a 5 anni del 15-20%. La terapia adiuvante con fluorouracile (5-FU) e la radioterapia esterna dopo la resezione del cancro della testa aumentano la sopravvivenza. La sopravvivenza a due anni è circa del 40% per i pazienti che sono trattati con un tentativo di resezione radicale e che ricevono una chemioterapia adiuvante con 5-FU più radioterapia. Se all'intervento si trova un tumore non resecabile ed è presente o è incipiente un'ostruzione gastroduodenale o coledocica, viene effettuato, di solito, un intervento di doppio bypass gastrico e biliare. Nei pazienti con lesioni inoperabili e con ittero, il posizionamento endoscopico di una protesi biliare migliora l'ittero più del posizionamento percutaneo, eco o TC guidato. Il posizionamento di una protesi per via endoscopica è preferibile all'intervento chirurgico di bypass in questi pazienti se l'aspettativa di vita è di 1 o 2 mesi o se il rischio chirurgico è elevato. Tuttavia, il bypass chirurgico deve essere preso in considerazione, anche nei pazienti con lesioni non resecabili se l'aspettativa di vita è di 6-7 mesi, per l'ostruzione ricorrente del duodeno o delle vie biliari e le complicanze tardive associate alle protesi. La chemioterapia, mono o polifarmacologica, non prolunga né migliora la qualità della vita. I farmaci testati da soli sono il 5-FU, il metotrexato, l'actinomicina D, la doxorubicina, la carmustina, la semustina e la streptozocina. Le combinazioni farmacologiche testate includono la FAM (5-FU, doxorubicina, mitomicina C), la FAMMC (5-FU, doxorubicina, mitomicina C e semustina) e la SMF (streptozocina, mitomicina C e 5-FU). Al contrario, la combinazione di 5-FU e radioterapia (4000 a 5000 cGy) migliora la sopravvivenza rispetto alla sola radioterapia nei pazienti con malattia localmente non resecabile. Nuovi agenti (p. es., la gemcitabina) possono essere più efficaci della chemioterapia basata sul 5-FU. Per i pazienti con tumore localmente non resecabile, la radioterapia intraoperatoria (da 4500 a 5500 cGy) o l'impianto di 125I (120-210 cGy) possono limitare la progressione locale del tumore, ma non migliorano la sopravvivenza rispetto alla radioterapia esterna. La maggior parte dei pazienti con tumore localmente inoperabile viene trattata con una combinazione di chemio e radioterapia; quelli con metastasi epatiche vengono trattati con la sola chemioterapia. La maggior parte dei pazienti affetta da cancro del pancreas alla fine lamenta dolore e muore. Allora, il trattamento sintomatico è importante quanto il trattamento ispirato al controllo della malattia. L'appropriato trattamento dell'ultimo periodo di vita deve essere discusso con ogni paziente che può ancora partecipare attivamente (v. anche Cap. 294). Per il controllo di un dolore di lieve entità può essere efficace l'aspirina, 0,65 g o il paracetamolo. (Per il controllo del dolore, v. Cap. 167.) Il dolore moderato o

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grave può essere alleviato aggiungendo dei narcotici per via orale. Per il dolore cronico, sono di solito più efficaci i preparati a lunga durata d'azione (p. es., la morfina per via orale, il fentanil transdermico). Anche un blocco splancnico (celiaco), per via percutanea o chirurgica, è molto efficace per il controllo del dolore nella maggior parte dei pazienti. Nei casi di dolore intollerabile, la somministrazione di narcotici per via sottocutanea o EV o per via epidurale o intratecale, permette un ulteriore sollievo. Se la chirurgia palliativa o il posizionamento endoscopico di uno stent biliare non riescono a risolvere il prurito secondario all'ittero ostruttivo, si può ricorrere alla colestiramina (4 g PO una volta al giorno o qid). Anche il fenobarbitale (2-4 mg/ kg/die in tre o quattro dosi frazionate per mantenere un range terapeutico di 10-40 mg/ml [43-172 mmol/l] ed evitare un'eccessiva sonnolenza) è, talvolta, utile. L'insufficienza pancreatica esocrina deve essere trattata con 6-8 cp di enzimi pancreatici di suino (pancreolipasi) assunte ai pasti. Due cp devono essere assunte subito dopo aver iniziato a mangiare, 2 durante il pranzo e due alla fine. Il diabete mellito deve essere attentamente monitorato e controllato.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS TUMORI ESOCRINI CISTOADENOCARCINOMA Raro tumore pancreatico che origina da una degenerazione maligna di un cistoadenoma mucoso e si presenta con dolore ai quadranti superiori dell'addome e con una massa addominale palpabile. L'ecografia e la TC del pancreas mostrano il cistoadenocarcinoma come una massa cistica con detriti al suo interno, ma le scansioni possono essere falsamente interpretate come un adenocarcinoma necrotico o come una pseudocisti pancreatica. Diversamente dall'adenocarcinoma duttale, il cistoadenocarcinoma ha una prognosi relativamente buona. Solo il 20% dei pazienti ha delle metastasi al momento dell'intervento; la completa escissione del tumore con una pancreasectomia distale o totale o con l'intervento di Whipple permette una sopravvivenza a 5 anni del 65%.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS TUMORI ESOCRINI TUMORE INTRADUTTALE PAPILLARE-MUCINOSO Sindrome, recentemente descritta, caratterizzata dalla dilatazione del dotto pancreatico principale o dei suoi rami, con un'aumentata produzione di mucina. Il dolore episodico che sembra essere pancreatico in origine e le neoplasie mucinose (macrocistiche) (cistoadenoma, cistoadenocarcinoma) si possono associare ai tumori intraduttali papillari-mucinosi (TIPM). Più del 30% dei TIPM si rivelano maligni all'intervento, ma la storia naturale è sconosciuta. L'aspetto dei dotti agli esami per immagini spesso conduce alla diagnosi di pancreatite cronica, ma l'espulsione del muco dalla papilla o la presenza di difetti di riempimento (che corrispondono alle gocce di muco) nei dotti pancreatici alla CPRE sono quasi patognomonici della malattia. Poiché questi esami non possono distinguere la malattia maligna invasiva, l'asportazione chirurgica dell'area displastica rappresenta sicuramente il miglior trattamento.

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Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS INSULINOMA Raro tumore delle cellule insulari che ipersecerne insulina.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L'insulinoma è un tumore o, raramente, una diffusa iperplasia delle cellule b del pancreas. Di tutti gli insulinomi, l'80% è singolo e può essere resecato in modo radicale se identificato. Solo il 10% degli insulinomi è maligno. Si verifica in 1/250000 persone a un'età mediana di 50 anni o nel terzo decennio di vita quando fa parte di una neoplasia multiendocrina di tipo I (circa il 10% degli insulinomi). Gli insulinomi associati alla neoplasia multiendocrina di tipo I sono più frequentemente multipli.

Sintomi e segni L'ipoglicemia secondaria a un insulinoma si verifica durante il digiuno. I sintomi sono insidiosi e possono mimare un'ampia varietà di disturbi neurologici e psichiatrici. I disturbi a carico del SNC sono caratteristici: cefalea, confusione, disturbi visivi, debolezza motoria, paresi, atassia, marcate alterazioni della personalità con possibile progressione sino alla perdita di coscienza, convulsioni e coma. Si possono presentare, ma spesso sono assenti, i segni di una stimolazione simpatica (lipotimia, debolezza, tremito, palpitazione, sudorazione, rabbia e nervosismo).

Diagnosi Il primo passo è la conferma dell'ipoglicemia per cui è necessaria la dimostrazione del rapporto tra l'eccessiva insulinemia, misurata con il test radioimmunologico e i livelli plasmatici di glucoso. La procedura più utile è rappresentata da un digiuno stettamente controllato per 72 h. La concentrazione plasmatica di insulina si abbassa progressivamente negli individui normali; in quelli affetti da insulinoma coesistono alti valori di insulinemia e ipoglicemia. Inoltre, l'insulinoma, di solito, produce proinsulina e la presenza di proinsulina con l'ipoglicemia a digiuno è molto suggestiva per un insulinoma. La furtiva autosomministrazione di insulina deve essere tenuta in considerazione; può essere evidenziata dalla presenza di anticorpi circolanti contro l'insulina se è stata usata dell'insulina non umana (cioè suina o bovina).

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Tumori del tratto gastrointestinale

Solitamente entro le prime 24 h, l'ipoglicemia si dimostra essere la causa della sintomatologia con la triade di Whipple: (1) l'attacco si verifica durante il digiuno; (2) i sintomi si verificano in presenza di ipoglicemia (glicemia < 40 mg/dl [< 2,22 mmol/l]); (3) l'ingestione di carboidrati risolve la sintomatologia. Una simultanea iperinsulinemia > 6 mU/ml (> 42 pmol/l) è diagnostica di un'ipoglicemia insulino-mediata. Se non si osserva la triade di Whipple dopo un digiuno prolungato e se la glicemia plasmatica dopo il digiuno di una notte è > 50 mg/dl (> 2,78 mmol/l), si può ricorrere al test di stimolo con la tolbutamide che viene, però, raramente usato a causa della possibile improvvisa diminuzione della glicemia e dell'elevata frequenza con cui compaiono i sintomi durante il test. Di contro, se la diagnosi è difficile, può essere usato il test di soppressione del peptide C. Durante l'infusione di insulina (0,1 U/kg/h) i pazienti con insulinoma non riescono a riportare i livelli del peptide C a valori normali (� 1,2 ng/ml [� 0,40 nmol/l]). L'insulinoma viene localizzato mediante l'ecografia (sensibilità preoperatoria del 70% e intraoperatoria dell'80%). L'ecografia endoscopica ha una sensibilità preoperatoria ancora maggiore (> 90%). La TC non si è dimostrata utile e l'arteriografia o la cateterizzazione selettiva delle vene porta e splenica generalmente non si sono dimostrate utili nella localizzazione della sede di produzione dell'insulina.

Terapia Le percentuali globali di guarigione chirurgica si avvicinano al 90%. Un piccolo insulinoma singolo, localizzato in corrispondenza o in prossimità della superficie del pancreas, di solito, può essere enucleato chirurgicamente. Nel caso di un singolo adenoma di grandi dimensioni o localizzato in profondità nel corpo o nella coda del pancreas, nel caso di lesioni multiple del corpo o della coda (o di entrambi) o nel caso in cui non venga trovato alcun insulinoma (una circostanza insolita), si esegue una resezione pancreatica subtotale distale. In < 1% dei casi, l'insulinoma è localizzato in una sede ectopica, nel tessuto peripancreatico della parete duodenale o nell'area periduodenale e può essere trovato soltanto con una diligente ricerca. La pancreaticoduodenectomia (intervento di Whipple) viene eseguita nei casi di insulinoma maligno resecabile del pancreas prossimale. La pancreasectomia totale viene eseguita se una precedente resezione pancreatica subtotale non si è dimostrata adeguata. Se l'ipoglicemia continua, può essere somministrato, per via orale, il diazossido (3-8 mg/ kg/die in 2-3 dosi uguali q 8-12 h) in associazione a un natriuretico. La dose iniziale appropriata è di 3 mg/kg; le dosi successive possono essere aggiustate in base alle necessità. La combinazione di streptozocina (1 g/m2 ASC EV settimanale per 4 sett.) e il 5-FU giova al 50% dei pazienti, ma richiede il monitoraggio della funzionalità renale (proteine urinarie, creatininemia), della funzione epatica e dell'emocromo (potenziale tossicità ematopoietica) e non migliora la sopravvivenza. Un analogo della somatostatina a lunga azione, l'octreotide (100-500 mg SC bid o tid) ha un'efficacia variabile e deve essere tenuto in considerazione nel trattamento dei pazienti con insulinoma sintomatico e con ipoglicemia continua, che sono refrattari al diazossido.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS SINDROME DI ZOLLINGER-ELLISON (Sindrome Z-E; gastrinoma) Sindrome caratterizzata da marcata ipergastrinemia, da ipersecrezione gastrica e da ulcerazioni peptiche causate da un tumore del pancreas o della parete duodenale, che produce gastrina.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

A volte il gastrinoma è localizzato all'ilo splenico, nel mesentere, nello stomaco, nei linfonodi o nell'ovaio. La maggior parte dei pazienti ha dei tumori multipli, maligni nel 50% dei casi. Solitamente le neoplasie sono di piccole dimensioni (< 1 cm di diametro) e la loro crescita e diffusione sono lente. Si verificano particolarmente in pazienti con altre anomalie endocrine, particolarmente delle paratiroidi e, meno frequentemente, dell'ipofisi e dei surreni. Questa affezione polighiandolare, la neoplasia endocrina multipla, è trattata nel Cap. 10.

Sintomi e segni La sindrome di Zollinger-Ellison (Z-E) si presenta tipicamente come una diatesi aggressiva nei confronti dell'ulcera peptica, con ulcere che si verificano in sedi atipiche (fino al 25% sono localizzate distalmente al bulbo duodenale) o dopo il trattamento chirurgico per ulcerazioni peptiche considerate benigne. La diarrea è il sintomo iniziale nel 25-40% dei pazienti. La perforazione, l'emorragia e l'occlusione sono le possibili e frequenti complicanze che possono mettere a rischio la vita del paziente. In più del 50% dei pazienti i reperti clinici, rx ed endoscopici non sono distinguibili da quelli di un'ordinaria affezione peptica ulcerosa. Inoltre, le ulcere di Z-E possono andare incontro a guarigione senza lasciare traccia come le ulcere ordinarie e circa il 25% dei pazienti affetti dalla sindrome di Z-E può non presentare ulcere al momento della diagnosi. Pertanto, prima di qualunque intervento per ulcera peptica deve essere sempre misurata la gastrina sierica.

Diagnosi La Z-E è sospettata nei pazienti che presentano una storia clinica compatibile con l'affezione, con una evidenza alla rx di un'ulcera duodenale o postbulbare, associata alla presenza di pliche gastriche e duodenali edematose di notevoli dimensioni, con un importante ristagno liquido nello stomaco e un'eccessiva secrezione acida basale (cioè > 10 mEq/h nel paziente non operato o 5 mEq/h nel paziente già operato per ulcera o > 60% della quantità di acido secreto dopo file:///F|/sito/merck/sez03/0340359.html (1 of 3)02/09/2004 2.23.28

Tumori del tratto gastrointestinale

la somministrazione della dose massima stimolante di istamina, ametazolo o pentagastrina). Il test più affidabile per la Z-E è la misurazione radioimmunologica della gastrina sierica. Tutti i pazienti con Z-E presentano valori > 150 pg/ml; livelli sensibilmente elevati, > 1000 pg/ml, in un paziente con caratteristiche cliniche compatibili con la malattia e con un'ipersecrezione gastrica acida permettono la diagnosi. Tuttavia, l'ipergastrinemia può essere osservata anche negli stati di ipocloridria (p. es., nell'anemia perniciosa, nella gastrite cronica), nell'insufficienza renale con ridotta clearance della gastrina, nelle resezioni intestinali massive e nel feocromocitoma. Nei pazienti senza una marcata ipergastrinemia può essere utile un test di stimolazione con la secretina. La secretina (2 U/kg/h) è somministrata rapidamente EV, accompagnata dalla misurazione della gastrinemia. La risposta caratteristica nella Z-E è rappresentata da un aumento dei livelli di gastrina, l'opposto di quello che si verifica nei pazienti che non sono affetti dalla Z-E. Nei pazienti con iperplasia delle cellule G antrali c'è un aumento della concentrazione della gastrina nel tessuto antrale e nel siero e una riduzione dei livelli di gastrina con la secretina. Nell'usuale malattia peptica ulcerosa, la secretina non provoca un aumento paradosso. Con l'ecografia endoscopica, l'esame per immagini più sensibile, i gastrinomi duodenali vengono identificati in circa il 50% dei casi e i tumori pancreatici nel 7590% dei casi. Gli altri studi, inclusa la scintigrafia con octreotide (< 50%), l'ecografia dell'addome (20-30%) e la TC (20-30%) sono molto meno sensibili, ma possono essere utili per escludere la presenza di metastasi. Il prelievo selettivo portale e la misurazione dei gradienti gastrinici per localizzare il gastrinoma non sono raccomandati perché sono tecnicamente impegnativi e hanno la stessa sensibilità della TC. Durante l'intervento, la duodenotomia e la transilluminazione endoscopica o l'ecografia intraoperatoria sono utili per localizzare i tumori.

Terapia L'omeprazolo inibitore dell'H+, K+-ATPasi riduce drasticamente la secrezione di H + da parte delle cellule gastriche parietali. Allevia i sintomi, facilita la guarigione dell'ulcera ed è attualmente la terapia di scelta. Il dosaggio iniziale è di 60 mg/ die PO, ma dosi maggiori possono essere necessarie nel 30% dei pazienti, specialmente in quelli con grave esofagite da reflusso, precedenti interventi sullo stomaco, neoplasia multiendocrina di tipo I o tumori di grandi dimensioni o metastatici. I pazienti hanno bisogno di prendere l'omeprazolo indefinitivamente a meno che non vengano sottoposti al trattamento chirurgico, cosa possibile nel 20% dei pazienti che non hanno una Z-E familiare. Anche gli analoghi della somatostatina possono diminuire la produzione acida dello stomaco e possono essere palliativi nei pazienti che non rispondono bene all'omeprazolo. Se questi trattamenti falliscono, può esser necessaria una gastrectomia totale. Sebbene le complicanze dovute a un inappropriato apporto nutrizionale siano rare, è necessario un apporto supplementare di vitamina B12, 100 mg/mese IM, e giornalmente di ferro e Ca. Nei pazienti con malattia metastatica, la streptozocina con la doxorubicina, che rappresentano la chemioterapia preferita per i tumori insulari del pancreas, può ridurre sia la massa tumorale (dal 50 al 60%) che la concentrazione sierica della gastrina e può, quindi, essere molto utile in aggiunta all'omeprazolo o alla gastrectomia totale. I pazienti con tumori metastatici non sono curabili con la chemioterapia.

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Tumori del tratto gastrointestinale

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS Vipoma Tumore a cellule pancreatiche insulari non b che causa una sindrome con diarrea acquosa, ipokaliemia e acloridria.

Sommario: Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Sintomi e segni Tra questi tumori, il 50-75% è maligno e alcuni possono essere abbastanza grandi (7 cm) alla diagnosi. Possono essere individuati all'interno del pancreas con l'immunoistochimica. Il vipoma può essere parte di una neoplasia endocrina multipla (v. Cap. 10). Le principali caratteristiche cliniche sono rappresentate da una diarrea acquosa massiva e prolungata (volume delle feci con pazienti a digiuno > 750-1000 ml/die e volume durante la normale alimentazione, > 3000 ml/ die) e dai sintomi di ipokaliemia, acidosi e disidratazione. Circa il 50% dei pazienti presenta una diarrea relativamente costante, mentre la restante parte presenta un'alternanza di diarrea grave e moderata. Il 33% dei pazienti è affetto da diarrea da < 1 anno al momento della diagnosi, ma nel 25% dei casi la diarrea è presente da 5 anni o più. Sono frequenti la letargia, la debolezza muscolare, la nausea, il vomito e i dolori addominali crampiformi. L'iperglicemia e la ridotta tolleranza al glucoso si possono verificare nel 50% dei pazienti. Raramente, durante gli attacchi di diarrea, si può verificare un rash cutaneo simile a quello della sindrome da carcinoide.

Diagnosi La diagnosi richiede la dimostrazione di una diarrea secretoria (l'osmolarità delle feci è quasi identica a quella plasmatica e corrisponde al doppio della somma della concentrazione fecale di sodio e di potassio). Vanno escluse le altre cause di diarrea secretoria e, in particolare, l'abuso di lassativi (v. anche Diarrea nel Cap. 27). Devono essere eseguiti gli esami arteriografici ed ecografici, ma questi non riusciranno a visualizzare il tumore nel 66% dei pazienti. Livelli circolatori spiccatamente elevati di peptide intestinale vasoattivo alla radioimmunologia permettono la diagnosi, ma elevazioni meno marcate si possono verificare anche nella sindrome da intestino corto e nelle malattie infiammatorie. Sono possibili risultati falsi-negativi dovuti alla facile degradazione del peptide intestinale vasoattivo. La secrezione acida gastrica, solitamente, è bassa, ma valori normali non escludono la diagnosi. La secrezione pancreatica, la biopsia digiunale e i grassi fecali sono normali o soltanto leggermente alterati. La diagnosi viene di solito posta mettendo in evidenza, all'esplorazione chirurgica, un tumore del pancreas o del tessuto nervoso.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Terapia Inizialmente va reintegrata la perdita di liquidi e di elettroliti. Il bicarbonato deve essere somministrato per reintegrare le perdite fecali di questo ione ed evitare l'acidosi. Poiché le perdite fecali di acqua e di elettroliti aumentano con la reidratazione, può diventare difficile il loro continuo reintegro EV. L'octreotide controlla efficacemente la diarrea nella maggior parte dei pazienti, ma possono essere necessarie delle dosi elevate. Le resezione del tumore è curativa nel 50% dei pazienti con un tumore localizzato. In quelli con tumore metastatico, la resezione di tutto il tumore visibile può apportare un sollievo temporaneo alla sintomatologia. La combinazione di streptozocina e doxobrucina può ridurre la diarrea e la massa tumorale (nel 5060% dei casi). La chemioterapia non è, comunque, curativa.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE TUMORI DEL PANCREAS Glucagonoma Tumori pancreatici a cellule-α , secernenti glucagone; possono causare un'iperglicemia. I glucagonomi sono molto rari, ma sono simili agli altri tumori delle cellule insulari in quanto le lesioni primarie e quelle metastatiche sono a lenta crescita: una sopravvivenza a 15 anni è abbastanza comune. L'80% dei glucagonomi è maligno. L'età media dell'inizio della sintomatologia è di 50 anni. L'80% dei pazienti è rappresentato da donne. Poiché il glucagonoma produce glucagone, i sintomi sono simili a quelli del diabete. Spesso sono presenti calo ponderale, anemia normocromica, ipoamminoacidemia e ipolipidemia, ma il reperto clinico più caratteristico è un'eruzione cutanea cronica, spesso associata a una lingua di color vermiglio, liscia e lucida e a una cheilite. Si tratta di una lesione esfoliativa, eritematosa, rosso-brunastra, con una necrolisi superficiale che viene definita eritema necrolitico migrante. La diagnosi viene posta dimostrando gli elevati livelli di glucagone immunoreattivo circolante in presenza di un tipico aspetto angiografico di un tumore delle cellule insulari. Le diagnosi di certezza si fa alla laparotomia. La resezione del tumore allevia tutti i sintomi. I tumori non resecabili, metastatici o recidivi, sono trattati con combinazioni di streptozocina e doxorubicina, che possono diminuire i livelli circolanti di glucagone immunoreattivo, riducono i sintomi e migliorano le percentuali di risposta (50%), ma non possono migliorare la sopravvivenza. L'octreotide inibisce parzialmente la produzione di glucagone e può causare la scomparsa del rash, ma la tolleranza al glucoso può diminuire a causa del suo effetto sulla secrezione di insulina. L'octreotide può contrastare rapidamente l'anoressia e la perdita di peso dovuti all'effetto catabolico dell'eccesso di glucagone. Lo zinco applicato localmente, oralmente o per via parenterale può portare alla scomparsa dell'eritema, ma la risoluzione può verificarsi anche dopo la semplice idratazione o la somministrazione EV di ammine o di acidi grassi, indicando che l'eritema non è causato solamente dalla carenza di zinco.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI Il canale rettale è derivato da un'invaginazione dell'ectoderma, mentre il retto deriva da un'invaginazione dell'entoderma. Le differenze anatomiche che ne risultano sono importanti per la valutazione e il trattamento delle malattie anorettali. Il canale anale è rivestito dall'anoderma, una continuazione della cute esterna; il rivestimento del retto consiste, invece, in una mucosa ghiandolare rosso brillante. Il canale anale e la cute adiacente sono forniti di una ricca innervazione sensitiva somatica e sono altamente sensibili agli stimoli dolorosi; di contro la mucosa rettale è innervata dal sistema autonomo ed è relativamente insensibile al dolore. Al limite superiore del canale anale c'è la giunzione anorettale (linea pettinata, giunzione mucocutanea o linea dentata), dove sono localizzate da 8 a 12 cripte anali e da 5 a 8 papille. Gli ascessi e le fistole anorettali originano in corrispondenza delle cripte. L'anello sfinterico che circonda il canale anale è formato dalla fusione dello sfintere interno, della porzione centrale dell'elevatore dell'ano e di parte dello sfintere esterno. Anteriormente è più vulnerabile ai traumi che possono causare incontinenza. Il muscolo puborettale forma una "fionda" muscolare attorno al retto che svolge una funzione di sostegno e assistenza durante la defecazione. Il drenaggio venoso, al di sopra della giunzione anorettale, avviene attraverso il sistema portale; il canale anale viene drenato invece attraverso il sistema cavale. L'area della giunzione anorettale può drenare sia nel sistema della vena cava che nel sistema portale. I linfatici dal canale anale drenano nei linfonodi iliaci interni, nella parete posteriore della vagina (nelle donne) e nei linfonodi inguinali, mentre i linfatici del retto drenano lungo il peduncolo vascolare emorroidario superiore, fino alla mesenterica inferiore e ai linfonodi aortici. Il diverso drenaggio venoso e linfatico determina le modalità di diffusione delle affezioni maligne e delle infezioni. L'anamnesi deve comprendere una descrizione delle caratteristiche degli eventi emorragici, del dolore, della protrusione, delle secrezioni, della tumefazione, delle sensazioni anomale, della motilità intestinale, della natura delle feci, dell'uso di catartici e di clisteri e della sintomatologia addominale e urinaria. È importante indagare in tutti i pazienti, riguardo a eventuali rapporti anali o altri traumi anali da inserimento. L'esame obiettivo va condotto con delicatezza e con una buona illuminazione. Consiste nell'ispezione esterna della regione perianale e nella palpazione digitale intrarettale, nell'esame dell'addome e nella palpazione rettovaginale bimanuale (nelle donne). Vengono, spesso, eseguite l'anoscopia e la sigmoidoscopia con strumento rigido o flessibile, per ispezionare da 15 a 60 cm al di sopra del margine anale. L'ispezione, la palpazione, l'anoscopia e la sigmoidoscopia vengono effettuate meglio con il paziente in posizione laterale (di Sims) oppure con il paziente in posizione genupettorale classica o invertita in un tavolo reclinabile. Nel caso di lesioni anali dolorose, può essere necessaria un'anestesia locale (lidocaina 5% in pomata), regionale o a volte generale. Se viene tollerato, si può praticare un clistere di pulizia per facilitare la sigmoidoscopia. Se indicato, si possono effettuare biopsie, strisci e colture e possono essere ordinati esami rx.

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Malattie anorettali

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI EMORROIDI (Emorroidi) Varici delle vene del plesso emorroidario, spesso complicate da infezione, trombosi e sanguinamento.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Le emorroidi esterne sono localizzate al di sotto della linea dentata e sono ricoperte da epitelio malpighiano. Le emorroidi interne sono localizzate al di sopra della linea dentata e sono ricoperte dalla mucosa rettale. Le emorroidi si formano, tipicamente, sui versanti anteriore e posteriore di destra e laterale di sinistra e interessano, generalmente, sia gli adulti che i bambini.

Sintomi, segni e diagnosi Le emorroidi sono spesso asintomatiche ma possono causare sanguinamento, protrusione e dolore. Un'emorragia rettale va imputata alle emorroidi solo dopo che sono state escluse le altre patologie più gravi. Il sanguinamento emorroidario, che tipicamente si verifica dopo la defecazione e che viene notato sulla carta igienica, raramente conduce a un'anemia o a un'emorragia grave. Le emorroidi esterne e interne possono protrudere; possono ridursi spontaneamente o possono essere ridotte manualmente. Sono dolorose solo quando sono ulcerate o trombizzate. Una emorroide trombizzata si presenta come una protrusione perianale con un dolore che può essere completamente assente o molto intenso. Le emorroidi ulcerate, edematose o strangolate ("l'attacco acuto di emorroidi") possono causare un dolore molto intenso. Meno comunemente le emorroidi interne possono causare l'emissione di muco e una sensazione di evacuazione incompleta, mentre le emorroidi esterne possono causare difficoltà nella pulizia della regione anale. Il prurito anale non è un sintomo comune delle emorroidi. Le emorroidi trombizzate, ulcerate, edematose e strangolate possono essere diagnosticate, prontamente, all'ispezione del retto. Un esame, effettuato subito dopo la defecazione o dopo un clistere, spesso rivela l'estensione della patologia emorroidaria del paziente. L'anoscopia è essenziale per valutare le emorroidi non dolorose.

Terapia Le sostanze che ammorbidiscono le feci o che ne aumentano la massa (p. es., file:///F|/sito/merck/sez03/0350363.html (1 of 2)02/09/2004 2.23.31

Malattie anorettali

psillio) possono correggere la costipazione ed eliminare lo sforzo necessario per la defecazione, permettendo la risoluzione delle emorroidi. Il dolore causato da un'emorroide trombizzata può essere trattato rassicurando il paziente e ricorrendo a bagni tiepidi, unguenti anestetici topici o compresse fredde (hamamelis). Le emorroidi sanguinanti, possono essere trattate con la scleroterapia iniettiva, con fenolo al 5% in olio vegetale. Il sanguinamento deve arrestarsi, almeno temporaneamente. Le emorroidi interne più grandi, o quelle che non rispondono alla terapia sclerosante iniettiva, vengono trattate con la legatura elastica. Un elastico di circa 6 mm di diametro viene dilatato a circa 10 mm; l'emorroide interna viene afferrata in un'area che è insensibile al dolore e viene attirata all'interno dell'elastico che viene quindi liberato per legare l'emorroide di cui causa la necrosi e quindi la scomparsa. Poiché viene legata una emorroide ogni due settimane, possono essere necessari 3-6 trattamenti. In alcune circostanze, più emorroidi possono essere legate in una sola seduta. La fotocoagulazione a infrarossi è utile per eliminare le piccole emorroidi interne o le emorroidi che non possono essere legate con l'elastico a causa del dolore o che non si sono risolte con la legatura. Altre modalità, di efficacia non provata, comprendono l'eliminazione con il laser e vari tipi di elettrodistruzione. L'emorroidectomia viene eseguita di rado per le emorroidi sanguinanti. Le emorroidi procidenti interne vengono trattate con il metodo della legatura elastica. Nel caso di emorroidi interne ed esterne, la componente interna deve essere legata con elastici. Se non esiste alcuna componente interna significativa, è necessaria l'emorroidectomia. Raramente, la semplice incisione ed evacuazione dei coaguli può alleviare rapidamente il dolore. Le emorroidi edematose, ulcerate e strangolate (attacco acuto di emorroidi) possono essere trattate in modo conservativo, poiché il dolore e il gonfiore, di solito, si risolvono rapidamente; le trombosi sono riassorbite nell'arco di 4-8 sett. Il dolore invalidante che non riesce a essere alleviato dagli analgesici, dai bagni, dalle compresse per uso topico e da altre misure conservative, può essere trattato con (1) l'iniezione di un anestetico locale contenente la ialuronidasi, seguito dalla legatura con elastici delle emorroidi interne e da trombectomie multiple o (2) con l'emorroidectomia.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI RAGADE ANALE (Fissura nell'ano; ulcera anale) È una fissurazione longitudinale acuta o un'ulcera ovoidale cronica che si forma nell'epitelio malpighiano stratificato del canale anale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia Nonostante la precisa eziologia sia sconosciuta, si pensa che le ragadi anali siano dovute a una lacerazione traumatica derivante da feci dure o di grandi dimensioni e a un'infezione secondaria. Il trauma (p. es., rapporti anali) è una rara causa. La teoria è che la ragade coinvolga lo sfintere interno di cui causa lo spasmo, che a sua volta interferisce con l'apporto vascolare ed è, quindi, alla base del perpetuarsi della ragade.

Sintomi, segni e diagnosi La fissurazione acuta, solitamente, è localizzata in corrispondenza della linea mediana posteriore, ma si può verificare anche sulla linea mediana anteriore. All'estremità inferiore della ragade si può trovare un segno cutaneo esterno, "l'emorroide sentinella" e all'estremità superiore una papilla ingrandita (ipertrofica). I lattanti possono sviluppare ragadi acute. Le ragadi croniche vanno differenziate da varie patologie come il carcinoma, la sifilide primaria, la TBC e l'ulcerazione associata al morbo di Crohn. Le ragadi provocano dolore e sanguinamento alla defecazione. Il dolore, tipicamente, inizia durante o subito dopo la defecazione, dura per diverse ore e quindi cessa fino alla successiva evacuazione. L'esplorazione rettale deve essere delicata; un divaricamento completo dell'ano, rivela la presenza della ragade sulla linea mediana.

Terapia Le ragadi spesso rispondono a delle misure conservative che riducono al minimo i traumi durante la defecazione (p. es., ammorbidenti delle feci e agenti che aumentano la massa fecale). La guarigione spesso deriva dall'uso di supposte (p. es., di glicerina) che sciogliendosi agiscono come lubrificante ed emolliente della parte bassa del retto. I bagni tiepidi (non caldi) per 10-15 min dopo ciascuna defecazione o, quando necessario, per ridurre il dolore, forniscono un sollievo temporaneo. La nitroglicerina allo 0,2% è sperimentale ma, a quanto pare, rilassa file:///F|/sito/merck/sez03/0350364a.html (1 of 2)02/09/2004 2.23.32

Malattie anorettali

lo sfintere anale e riduce la pressione anale massima a riposo. Può essere una terapia valida, ma la sua sicurezza ed efficacia necessitano di ulteriori studi. La cefalea ne è un frequente effetto collaterale. Le supposte contenenti idrocortisone non si sono mostrate benefiche e teoricamente possono interferire con la guarigione della ferita. Quando le misure conservative falliscono, è necessario un intervento chirurgico per interferire con il ciclo dello spasmo dello sfintere anale e che, di solito, consiste nella sfinterotomia anale interna o nella dilatazione anale controllata.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI ASCESSI ANORETTALI Una raccolta di pus localizzata che deriva dall'invasione batterica degli spazi pararettali, a partenza da uno spazio intermuscolare (intersfinterico) in cui penetra una cripta anale.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

L'ascesso può essere sottocutaneo, ischiorettale, retrorettale, sottomucoso, pelvirettale (al di sopra dell'elevatore) o intermuscolare. La causa predominante è di solito un'infezione di tipo misto con Escherichia coli, Proteus vulgaris, streptococchi, stafilococchi e batteroidi (v. anche Cap. 155).

Sintomi e segni Gli ascessi superficiali possono essere molto dolorosi; caratteristici sono il gonfiore, l'arrossamento e la dolorabilità. Gli ascessi più profondi provocano una sintomatologia settica, ma il dolore localizzato può essere meno grave; il gonfiore esterno può essere assente, ma l'esplorazione rettale rivela una tumefazione dolorabile. Gli ascessi pelvirettali alti possono causare dolore in corrispondenza dei quadranti bassi dell'addome e febbre, che può presentarsi come una FUO senza sintomi rettali. La malattia infiammatoria del colon (p. es., il morbo di Crohn, soprattutto del colon) si associa, talvolta, ad ascessi anorettali.

Terapia Al momento della diagnosi la suppurazione è quasi sempre presente. Sono necessari una tempestiva incisione e un adeguato drenaggio e non si deve aspettare che l'ascesso si dreni spontaneamente all'esterno. Sebbene abbiano un valore limitato, gli antibiotici sono indicati per i pazienti febbrili o diabetici o quando le manifestazioni sistemiche dell'infezione possono essere dubbie. Dopo il drenaggio si può formare una fistola anorettale persistente.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI FISTOLA ANORETTALE (Fistula in ano) Canale di forma tubulare che si apre da una parte nel canale anale e dall'altra, solitamente, nella cute perianale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia Le fistole, di solito, si formano spontaneamente o sono secondarie al drenaggio di un ascesso perianale. Le cause predisponenti comprendono anche il morbo di Crohn e la TBC. La maggior parte delle fistole origina nelle cripte anorettali; le altre possono essere dovute a una diverticolite, a tumori o a traumi. Le fistole nella prima infanzia sono congenite e sono più comuni nei maschi. Le fistole rettovaginali possono essere secondarie alla malattia di Crohn, a lesioni ostetriche, alla radioterapia o a tumori.

Sintomi, segni e diagnosi È frequente una storia di ascessi ricorrenti seguiti da una secrezione intermittente o continua. All'ispezione si possono notare una o più aperture secondarie e spesso si può palpare un tratto cordoniforme. Una sonda inserita nel tramite può definirne la profondità e la direzione e un'anoscopia con la sonda può identificare l'apertura primitiva. Si deve, poi, eseguire una sigmoidoscopia. Le fistole criptogeniche devono essere differenziate dalle idroadeniti suppurative, dalle cisti pilonidali, dalle cisti dermiche suppurative e dalle fistole uretroperineali.

Terapia La sola terapia efficace è l'intervento chirurgico. Va aperto l'orifizio primario e l'intero tratto che va convertito in un "solco". Può essere necessaria la sezione parziale dello sfintere. Si può avere un certo grado di incontinenza se viene sezionata una parte estesa dell'anello sfinterico. A causa della ritardata guarigione della ferita, la fistulotomia non è raccomandabile in presenza di diarrea, colite ulcerosa attiva o morbo di Crohn. Il metronidazolo o altri antibiotici appropriati possono essere somministrati ai pazienti con morbo di Crohn che hanno fistole anorettali sintomatiche (v. Morbo di Crohn nel Cap. 31).

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Malattie anorettali

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI SINDROME DEI MUSCOLI ELEVATORI Dolore rettale episodico causato dallo spasmo dei muscoli elevatori dell'ano.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

La proctalgia fugace (dolore passeggero nel retto) e la coccidinia (dolore nella regione coccigea) sono delle varianti della sindrome degli elevatori, che si verifica sia nei maschi che nelle femmine. Il dolore è tipicamente indipendente dalla defecazione, di solito dura < 20 min ogni volta, può essere correlato alla posizione seduta, può verificarsi spontaneamente e può svegliare il paziente durante il sonno. È spesso descritto come un vago malessere nel retto alto. Può essere alleviato dal passaggio del gas o dalla defecazione e di solito diminuisce spontaneamente entro pochi minuti. Nei casi gravi, il dolore può persistere per molte ore ricorrendo più volte. A causa di questi sintomi, alcuni pazienti possono essere sottoposti a diversi interventi sul retto, senza alcun risultato.

Diagnosi e terapia L'esame obiettivo può escludere altre condizioni rettali dolorose (p. es., emorroidi, ragadi e ascessi). L'esame obiettivo è spesso normale, sebbene possano essere riscontrati la dolorabilità o l'ispessimento dei muscoli elevatori, di solito sulla sinistra. Casi sporadici sono causati da patologie della parte inferiore della colonna o della prostata. La terapia consiste nello spiegare al paziente la natura benigna della condizione. Un episodio acuto può essere alleviato dal passaggio di gas o dall'evacuazione, da un semicupio o da un blando analgesico. Quando i sintomi sono più intensi, possono essere tentati i miorilassanti o il massaggio dello sfintere anale in anestesia locale o regionale. La terapia fisica con stimolazioni elettrogalvaniche applicate al retto inferiore è di solito efficace.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI MALATTIA PILONIDALE Ascesso acuto o cronico drenato da più fistole nell'area sacrococcigea. La malattia pilonidale solitamente si verifica in giovani maschi di razza bianca, irsuti. In corrispondenza della cute della regione sacrale si possono avere uno o più solchi mediani o adiacenti alla linea mediana e pliche che possono condurre verso una cavità, spesso contenente dei peli. La lesione è solitamente asintomatica a meno che non diventi infetta, con la comparsa di dolore. La terapia è rappresentata dall'incisione e dal drenaggio. Di solito, persistono uno o più tramiti fistolosi che drenano cronicamente e che devono essere trattati con l'escissione, la chiusura primaria o, preferibilmente, con una tecnica aperta (p. es., cistotomia, marsupializzazione). Gli antibiotici di solito non sono necessari.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI PROLASSO E PROCIDENZA RETTALE Protrusione del retto attraverso l'ano.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Un prolasso minimo, transitorio, della sola mucosa rettale si verifica, spesso, in neonati peraltro normali. Negli adulti, il prolasso della mucosa è persistente e può aggravarsi progressivamente. La procidenza è il prolasso completo a tutto spessore del retto. Probabilmente la causa primaria è un anomalo scivolamento anteriore del retto che deriva da un allungamento del mesoretto. La maggior parte dei pazienti è rappresentata da donne al di sopra dei 60 anni.

Sintomi, segni e diagnosi Il dolore è tipicamente assente. Si può verificare un sanguinamento rettale ed è frequente l'incontinenza. Il sintomo più significativo è la protrusione, che si verifica solo durante lo sforzo nei casi non gravi o durante la deambulazione o la stazione eretta, nei casi più avanzati. Il paziente va esaminato in stazione eretta o accovacciata, sotto sforzo, per determinare l'entità del prolasso. Solitamente si nota una diminuzione del tono dello sfintere anale. Vanno praticati una sigmoidoscopia e un esame con clisma opaco alla ricerca di un'affezione intrinseca. Va esclusa la presenza di un disturbo neurologico primario. La procidenza rettale deve essere distinta dalle emorroidi.

Terapia Nei neonati e nei bambini il trattamento conservativo fornisce risultati soddisfacenti. Vanno corretti i disturbi nutrizionali concomitanti e vanno eliminate le cause di un eccessivo ponzamento. La ferma adesione dei glutei con un cerotto adesivo, nell'intervallo tra i movimenti intestinali, di solito, facilita la risoluzione spontanea del prolasso. Per il semplice prolasso mucoso negli adulti, la mucosa in eccesso può essere asportata o legata con gli elastici (v. Trattamento in Emorroidi, sopra). Per la procidenza, sono stati ottenuti buoni risultati con un intervento addominale di elevazione e di fissazione posteriore del retto al sacro per correggere il suo spostamento anteriore oppure con una resezione anteriore bassa. Nei pazienti molto anziani o in condizioni generali scadute, si può inserire un'ansa di metallo o di plastica che circondi l'anello sfinterico (procedura di Thiersch) o possono essere considerati altri interventi file:///F|/sito/merck/sez03/0350366c.html (1 of 2)02/09/2004 2.23.37

Malattie anorettali

perineali.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI INCONTINENZA FECALE Perdita del controllo volontario della defecazione. L'incontinenza fecale può derivare da una lesione o da una malattia del midollo spinale, da anomalie congenite, da lesioni accidentali del retto e dell'ano, da una procidenza, dal diabete, dalla demenza grave, da un fecaloma, da estesi processi infiammatori e da tumori; da lesioni ostetriche e da interventi invalidanti con la sezione o la dilatazione dello sfintere anale. L'esame obiettivo deve valutare macroscopicamente la funzione sfinterica e la sensibilità perianale ed escludere la presenza di un fecaloma. Possono essere utili anche l'ecografia dello sfintere anale, la RMN pelvica e perineale, l'elettromiografia del pavimento pelvico e la manometria anorettale. La terapia comprende un programma di rieducazione intestinale che tenti di attuare una prevedibile periodicità della defecazione. Il programma comprende l'assunzione di adeguate quantità di liquidi e di sostanze per aumentare la massa fecale. Stare seduti in bagno o le altre consuetudini che stimolano la defecazione (p. es., il caffè) promuovono la defecazione stessa. Possono essere utili le supposte (p. es., glicerina o bisacodile) o i clisteri di solfato. Se non si sviluppa una regolare periodicità defecatoria, una dieta a basso residuo ne può ridurre la frequenza. La loperamide ha questo effetto, oltre ad aumentare la funzione sfinterica. Semplici esercizi perianali, in cui il paziente ripetutamente contrae gli sfinteri, i muscoli perianali e i glutei, possono rafforzare e ipertrofizzare queste strutture e possono contribuire alla continenza, particolarmente nei casi lievi. Il biofeedback, usato per addestrare il paziente a usare al massimo gli sfinteri e ad apprezzare meglio gli stimoli fisiologici, deve essere preso in considerazione prima di consigliare l'intervento chirurgico nei pazienti ben motivati che possono capire e seguire le istruzioni e che hanno uno sfintere anale capace di riconoscere la sensazione di distensione del retto. Circa il 70% di questi pazienti risponde al biofeedback. Una riparazione postanale è variamente efficace quando il meccanismo sfinterico è fondamentalmente intatto e non presenta lesioni (di solito nelle donne _ 60 anni che hanno avuto un inizio spontaneo dell'incontinenza). Anche l'incremento dell'angolazione anteriore del retto può essere di aiuto. Nella sfinteroplastica, lo sfintere è suturato direttamente per ripararne il difetto. Quando lo sfintere residuo è insufficiente per la riparazione diretta, particolarmente nei pazienti < 50 anni, può essere trasposto il muscolo gracile. Sono in corso studi sperimentali, in cui un pacemaker viene applicato al muscolo gracile trasposto. Se questo approccio non è possibile, si possono usare le procedure di cerchiaggio anale con un filo di Thiersch o con un altro materiale. Quando tutti gli altri metodi falliscono, si deve considerare la possibilità di una colostomia.

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Malattie anorettali

Manuale Merck 3. MALATTIE GASTROINTESTINALI 35. MALATTIE ANORETTALI PRURITO ANALE Prurito anale e perianale. (V. anche Lichen simplex chronicus nel Cap. 111.)

Sommario: Eziologia Terapia

Eziologia La cute perianale tende a prudere. Il prurito anale riconosce molte cause: (1) i disturbi dermatologici (p. es., psoriasi e dermatiti atopiche); (2) le reazioni allergiche (p. es., le dermatiti da contatto dovute ad anestetici locali, come le preparazioni che terminano in "-caina", a vari unguenti o ad altre sostanze chimiche aromatiche usate nei saponi), un eczema che fa seguito all'ingestione di alcuni cibi (specialmente spezie, agrumi, compresse di vitamina C, caffè, birra e cola), anche se è dubbio che una vera allergia sia l'agente causale; (3) microrganismi, quali funghi (p. es., dermatofitosi e candidosi) e batteri (infezione secondaria dovuta al grattamento); (4) i parassiti (vermi intestinali e, meno comunemente, scabbia e pediculosi); (5) la somministrazione di antibiotici orali (specialmente le tetracicline); (6) i processi morbosi, quali le affezioni sistemiche (p. es., diabete mellito, malattie epatiche), le malattie proctologiche (p. es., ragadi, criptiti, fistole secernenti) e le neoplasie (p. es., malattia di Bowen, malattia di Paget extramammaria); (7) l'igiene, sia scarsa, con residui irritativi di feci, sia troppo meticolosa, con uso eccessivo di sapone e di detergenti; (8) il calore e l'iperidrosi, legati all'uso di collant troppo stretti, di pantaloni attillati e di una eccessiva quantità di coperte nel letto, all'obesità e al clima e (9) la risposta psicogena. Le emorroidi, di solito, non provocano prurito anale. Le alterazioni cutanee possono essere caratteristiche (p. es., insensibilità, ispessimento) o minime e possono essere mascherate dalle escoriazioni dovute al grattamento e all'infezione secondaria. Un striscio della cute locale può aiutare a scoprire le infezioni fungine e un campione di feci può aiutare a identificare i parassiti.

Terapia Poiché certi cibi possono causare il prurito anale, deve essere accertato l'effetto della loro eliminazione dalla dieta. Gli indumenti devono essere larghi e non aderenti e le coperte del letto leggere. Dopo ciascuna defecazione, l'area perianale deve essere pulita con del cotone assorbente inumidito con acqua. L'aspersione libera e frequente di talco in polvere del tipo non medicato aiuta a combattere l'umidità. L'acetato di idrocortisone all'1% sotto forma di emulsione, applicato in modo parco qid, solitamente è molto efficace. Si possono usare fungicidi topici (p. es. l'amfotericina B, la ciclopiroxolamina in crema all'1%). Le cause sistemiche e le infestazioni parassitarie devono essere trattate in modo specifico. Le biopsie delle lesioni refrattarie possono evidenziare una neoplasia file:///F|/sito/merck/sez03/0350368a.html (1 of 2)02/09/2004 2.23.38

Malattie anorettali

maligna. La radioterapia e l'intervento chirurgico o le iniezioni, per determinare una anestesia locale permanente, sono raramente indicati.

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

LICHEN SIMPLEX CRONICO Dermatite localizzata da grattamento (Neurodermite) Infiammazione cutanea cronica, superficiale e pruriginosa, caratterizzata da placche secche, squamose, ben delimitate, iperpigmentate, lichenificate (cute ispessita con accentuazione della normale quadrettatura) di forma ovale, irregolare o angolare.

Sommario: Eziologia, sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia, sintomi e segni La malattia è un circolo vizioso con prurito che suscita grattamento, che scatena a sua volta ulteriore prurito. Non vi giocano alcun ruolo i fenomeni allergici. Le donne sono colpite più frequentemente rispetto agli uomini, con un’età d’insorgenza compresa tra i 20 e i 50 anni. È raro il riscontro nella razza nera, mentre è comune negli asiatici e negli indiani d’America. Una zona cutanea può divenire pruriginosa a seguito di una irritazione primaria o senza causa apparente. Le aree più frequentemente coinvolte sono la zona occipitale, le braccia e le gambe. Il grattamento vigoroso induce un sollievo transitorio, oppure può esacerbare il prurito. Anche lo stress e la tensione aumentano il prurito, per cui il grattamento tende a divenire un’abitudine inconscia. Il decorso è abitualmente cronico.

Diagnosi La diagnosi solitamente può essere posta con la semplice ispezione, rilevando una placca completamente sviluppata, formata da un alone brunastro di papule con una zona centrale costituita dalla confluenza di lesioni papulose desquamanti. Vanno escluse le possibili cause latenti, in quanto un prurito generalizzato, senza apparenti lesioni della cute, può insorgere in corso di numerose patologie sistemiche (v. Prurito nel Cap. 109).

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Dermatiti

Terapia Il paziente deve essere avvertito che il prurito e lo sfregamento provocano modifiche cutanee, dovute alle lesioni da grattamento, causate dal prurito incessante. Quindi, il circolo vizioso di prurito e grattamento deve essere interrotto. Il prurito può essere controllato più efficacemente con cortisonici topici; si può applicare una pomata massaggiando fino ad assorbimento o, per evitare la possibilità di grattamento, delle bende chirurgiche impregnate con flurandrenolide (da applicare la mattina e sostituire la sera). Piccole aree possono essere infiltrate localmente con un cortisonico a lunga azione, come il triamcinolone acetonide 2,5 mg/ml (diluito in soluzione salina), alla dose di 0,3 ml/cm2 ripetuto q 3 o 4 sett. Può essere utile la somministrazione orale di H1-bloccanti antiistaminici oppure di doxepina (10 mg al momento di coricarsi; eventualmente aumentabili a 25-50 mg/die se ben tollerati).

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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE PRURITO (Pruritus) Sensazione che il paziente tenta di alleviare mediante grattamento o frizione.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Terapia

Eziologia Il prurito è un sintomo e non una malattia. Può accompagnare una patologia cutanea primitiva oppure un’affezione sistemica. Le dermatosi che causano prurito intenso e lesioni cutanee, includono la scabbia, la pediculosi, le punture d’insetto, l’orticaria, la dermatite atopica, la dermatite da contatto, il lichen ruber planus, la miliaria e la dermatite erpetiforme. La cute secca (specialmente negli anziani) è spesso causa di prurito intenso e generalizzato. Le malattie sistemiche che determinano un prurito generalizzato, solitamente senza alcuna lesione cutanea manifesta sono: l’ostruzione delle vie biliari, l’uremia (frequentemente associata a iperparatiroidismo), i linfomi, le leucemie e la policitemia rubra vera. Il prurito può manifestarsi anche durante gli ultimi mesi di gravidanza. Sono stati individuati molti farmaci (specialmente barbiturici e salicilati) in grado di determinare prurito. Al contrario, sono ancora poco note le associazioni del prurito generalizzato con l’ipertiroidismo, il diabete mellito e vari tipi di tumori viscerali. Il prurito ha raramente un’origine esclusivamente psicogena.

Sintomi e segni Il grattamento persistente può provocare eritema, papule orticarioidi lineari, escoriazioni di precedenti papule, fissurazioni e croste sierose indovate lungo le linee di sfregamento, che possono nascondere la patologia sottostante. La lichenificazione e la pigmentazione cutanea possono derivare dallo sfregamento e dal grattamento prolungati. Talvolta, i pazienti con prurito intenso generalizzato mostrano modesti segni cutanei di escoriazione o sfregamento.

Terapia È necessario individuare l’origine del prurito generalizzato e correggerla. In assenza di affezioni cutanee apparenti, si deve ricercare la causa in una reazione allergica da farmaci oppure in un’affezione sistemica.

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Diagnosi delle malattie cutanee

Se possibile, occorre sospendere tutti i medicamenti in atto o sostituirli con altri farmaci chimicamente differenti. Gli indumenti irritanti (p. es., quelli di lana) o stretti vanno evitati. Il bagno deve essere veloce, per non aggravare un prurito generalizzato, specialmente nei pazienti con cute secca; deve essere inoltre utilizzata acqua tiepida (non calda). I preparati emollienti (p. es., la vaselina o altri prodotti a base oleosa) sono buoni idratanti da applicare dopo il bagno mentre la cute è ancora umida (l’acqua in eccesso va tamponata). Gli anestetici comunemente utilizzati (xylocaina, marcaina ecc.) vanno evitati, mentre le lozioni o le creme, contenenti mentolo dallo 0,125% allo 0,25%, possono risultare efficaci. L’esposizione della cute ai raggi ultravioletti B e la somministrazione orale di colestiramina possono essere efficaci nell’uremia, nella colestasi e, a volte, nei casi a diagnosi sconosciuta. I corticosteroidi topici raramente possono alleviare il prurito generalizzato (in assenza di dermatite), ma occasionalmente possono essere utili nella cute secca senile, soprattutto in associazione con lubrificanti. Se un farmaco viene escluso come causa di prurito, può essere usata l’idrossizina (da 10 a 50 mg PO q 4 h al bisogno) o, in casi di maggiore gravità, si consigliano dosi minime e crescenti di trimeprazina oppure dell’antidepressivo doxepina. L’efficacia degli antiistaminici potrebbe essere legata al loro effetto sedativo, anche se, molto probabilmente, determinano l’instaurarsi di intollerabili effetti collaterali negli anziani. Nell’ultimo decennio, molti dei più nuovi antiistaminici con lieve azione sedativa sono diventati accessibili, inclusi l’astemizolo, la loratidina e la cetirizina. Questi farmaci sono stati utilizzati nella terapia del prurito con modesti risultati.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 265-3. CAUSE NOTE DI GASTROENTERITE* Batteri

Enterotossici Bacillus cereus Clostridium difficile Clostridium perfrigens Escherichia coli Staphylococcus aureus Vibrio cholerae 01 V. cholerae non-01 Invasivi Campylobacter jejuni E. coli Salmonella Shigella Yersinia enterocolitica Meccanismi sconosciuti Aeromonas hydrophila Vibrio parahaemolyticus

Virus

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Manuale Merck - Tabella

Astrovirus Calicivirus Coronavirus Adenovirus enterico Virus di Norwalk Rotavirus

Parassiti

Blastocystis hominis Cryptosporidium Cyclospora Entamoeba histolytica Giardia lamblia Isospora belli

*Non elencati in ordine di frequenza

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 265-4. SINTOMI E TRATTAMENTO DELLA DISIDRATAZIONE Grado di disidratazione

Sintomi*

Reidratazione Mantenimento Reintegrazione delle (< 4 h) perdite con le feci

Lieve (56 %)

Lieve secchezza delle mucose orali, aumento della sete

Soluzione reidratante orale 50 ml/kg somministrata in 4 h

Allattamento al seno, latte o latte formulato contenente lattoso puro o diluito, latte formulato senza lattoso non diluito, succhi, cereali, alimenti base

Soluzione reidratante orale 10 ml/kg o 1/2 tazza (120240 ml) per ogni scarica diarroica

Moderato (79 %)

Ipotonia dei globi oculari, depressione delle fontanelle, ridotto turgore cutaneo, secchezza delle mucose orali

Soluzione reidratante orale 100 ml/kg somministrata in 4 h

Come sopra

Come sopra

Liquidi EV Come sopra (Ringer lattato) 20 ml/kg/h fino alla normalizzazione del polso e dello stato di coscienza, poi soluzione reidratante orale 50100 ml/ kg

Come sopra

Grave (> 9 %) Disidratazione moderata più polso rapido, filiforme; cianosi; respirazione accelerata; letargia, coma

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Manuale Merck - Tabella

*Se non sono presenti segni di disidratazione, non è necessaria reidratazione; si proceda con reintegrazione delle perdite fecali e mantenimento. Il mantenimento deve seguire immediatamente la reidratazione. I bambini più grandi e gli adulti possono proseguire la propria dieta abituale. Adattata con autorizzazione da Santosham M, Greenough WB III: "Oral rehydration therapy: A global perspective." Jour nal of Pediatrics 118(4):S44-S51, 1991

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO DISORDINI DEL METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO Sebbene i disordini dell'equilibrio dell'acqua e del Na si verifichino spesso contemporaneamente, è utile considerarli in maniera distinta. Bilancio dell'acqua: l'acqua totale corporea è distribuita fra il ICF (2/3) e il ECF (1/3). I deficit o gli eccessi puri di acqua sono distribuiti fra il ICF e il ECF in misura pressoché equivalente. Perciò, i segni clinici dell'alterazione del volume del ECF solitamente non sono pronunciati nei disordini puri dell' TBW; al contrario, i segni clinici sono di solito correlati alle modificazioni dell'osmolalità del ECF. Poiché la concentrazione sierica del Na è il principale determinante dell'osmolalità del ECF, l'iperidratazione determina iponatriemia, mentre la disidratazione determina ipernatriemia. Il termine disidratazione viene spesso utilizzato in riferimento ai deficit combinati di Na e TBW, ma descrive meglio la deplezione pura dell'TBW. Il termine iperidratazione descrive meglio un incremento relativamente puro dell'TBW. Bilancio del sodio: poiché il Na è in larga parte confinato al ECF, i deficit o gli eccessi del contenuto totale corporeo di Na sono caratterizzati rispettivamente dai segni della deplezione di volume del ECF o del suo sovraccarico. La concentrazione sierica del Na non si modifica necessariamente di pari passo con i deficit o gli eccessi del Na totale corporeo. La determinazione dello stato del volume del ECF è basata esclusivamente sull'esame obiettivo. La pressione venosa centrale (Central Venous Pressure, CVP) può essere calcolata aggiungendo 5 mm Hg all'altezza della pulsazione della vena giugulare interna al di sopra del secondo spazio intercostale mentre il paziente è in posizione supina con la testa e il tronco sollevati di 30°. La CVP può essere misurata in modo diretto utilizzando un catetere venoso centrale posizionato nell'atrio destro o nella vena cava superiore. La CVP normale è compresa tra 1 e 8 cm H2O (tra 1 e 6 mm Hg). Questa misurazione indica in modo attendibile lo stato del volume intravascolare, a meno che il paziente non abbia un tamponamento pericardico, una disfunzione della valvola tricuspide, uno scompenso ventricolare sinistro acuto o uno scompenso cardiaco destro puro. Se queste condizioni sono presenti, la pressione di incuneamento capillare polmonare è un indicatore più accurato della pressione di riempimento del ventricolo sinistro e del volume intravascolare effettivo. La pressione di incuneamento capillare polmonare solitamente varia tra 6 e 13 cm H2O (tra 5 e 10 mm Hg). Oltre all'aumento della CVP, anche l'eccesso di volume del ECF determina edema. Perché un edema possa essere messo in evidenza con l'esame obiettivo, in un adulto medio di 70 kg si deve verificare un aumento del ECF di circa 3 l. Se si escludono le cause locali, come un'ostruzione venosa o linfatica, la presenza di edema è un segno attendibile di un eccesso di Na. La presenza di manifestazioni cliniche ulteriori dell'eccesso di Na, come l'edema polmonare, dipende in larga misura dalle condizioni cardiache e dalla distribuzione del ECF tra il compartimento vascolare e quello interstiziale.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI (V. anche Cap. 307) L’avvelenamento rimane la causa più comune di incidenti domestici, non fatali, in età pediatrica, nonostante i numerosi programmi educativi sulla prevenzione. L’avvelenamento può verificarsi con differenti modalità, incluse l’ingestione orale, l’inalazione, l’assorbimento dermico e l’istillazione oculare. In caso di avvelenamento si deve contattare il più vicino Centro Antiveleni, per sapere il contenuto del prodotto e la terapia adeguata all’ingestione accidentale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 307-1. SOSTANZE GENERALMENTE NON TOSSICHE IN CASO DI INGESTIONE* Acido laurico Acido linoleico Acido stearico Adesivi Alcol cetilico Batterie a secco Candele (quelle insetto-repellenti possono essere tossiche) Caolino Carbossimetilcellulosa (materiale deumidificante contenuto nelle confezioni di farmaci, pellicole e altri prodotti) Carbowax (glicol polietilenico) Contraccettivi Crema da barba Creta (per modellare) Detergenti, anionici e non anionici Dichloral (un erbicida) Dolcificanti Fiammiferi Gesso da lavagna (carbonato di calcio)

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Manuale Merck - Tabella

Giocattoli da bagno (galleggianti) Gliceril monostearato Glicerolo Glicol polietilenico stearato Glicoli polietilenici Gomme (acacia, agar, ghatti) Grafite Inchiostro (quantità contenuta in una penna a sfera) Lanolina Liquidi per termometri (compreso il mercurio liquido) Metilcellulosa Mine da matita (grafite) Olio di ricino Olio di semi di lino (non fritto) Olio minerale (se non viene aspirato) Ormoni Ossido di titanio Paraffina (clorurata) Pastelli (per bambini; marcati A. P., C.P., o C.S. 130-46) Pepe nero (tranne se inalato in grandi quantità)

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Manuale Merck - Tabella

Petrolato (vaselina) Play-Doh Polisorbato (Tween) Olio rosso (olio rosso turco, olio di ricino solfato) Rossetto Sali di bromo Sali di cloro Sali di iodio Sali ossidati Sego Silicato di magnesio (un antiacido) Silice (biossido di silicio) Solfato di bario Spermaceti Stucco Talco (tranne se inalato) Triacetina (gliceril triacetato) Vitamine (preparati multipli per bambini, con o senza ferro)

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Avvelenamenti

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 307. AVVELENAMENTI (Per l'avvelenamento dovuto alla presenza di tossine batteriche o di altra natura negli alimenti, v. Cap. 28. Per gli avvelenamenti nei bambini, v. AVVELENAMENTI nel Cap. 263.)

ELIMINAZIONE DEI VELENI Talvolta l’eliminazione può essere accelerata incrementando l’attività delle vie escretrici normali, oppure con la dialisi o l’emoperfusione. L’uso di queste metodiche dipende dalla natura dell’avvelenamento, dalla disponibilità di attrezzature idonee e dalle condizioni del paziente. Il "wash out" del veleno mediante l’aumento del volume urinario è efficace di rado, se non mai. Talvolta può essere di aiuto l’alcalinizzazione o l’acidificazione delle urine: in generale, gli acidi deboli vengono trattenuti ed escreti nelle urine alcalinizzate e le basi deboli nelle urine acidificate. Per esempio, nell’ingestione acuta di salicilati, il bicarbonato di sodio 2-3 mEq/kg EV aumenta significativamente l’escrezione. L’efficacia dell’emodialisi e della dialisi peritoneale è stata accresciuta dallo sviluppo della dialisi lipidica, che rimuove dal sangue le sostanze liposolubili, e dell’emoperfusione, che elimina dal sangue veleni specifici con più rapidità ed efficienza (v. Cap. 223). Tuttavia, queste tecniche sono inutili se il veleno ha un grande volume di distribuzione (cioè se viene accumulato nel tessuto adiposo) oppure se viene legato in maniera estensiva alle proteine tissutali. Per esempio, soltanto dal 3 al 5% della digossina totale corporea si trova nel sangue, cosicché l’emoperfusione risulta inefficace, nonostante assicuri una rapida clearance. Similmente, gli antidepressivi triciclici sono ampiamente confinati ai compartimenti extravascolari. Per trattare gli avvelenamenti dovuti a molti metalli e ad altre sostanze, vengono impiegati i farmaci chelanti (v. Tab. 307-2). Per gli agenti chelanti usati nel trattamento dell’avvelenamento da piombo, v. anche la Tab. 263-8.

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Avvelenamenti

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 307. AVVELENAMENTI (Per l'avvelenamento dovuto alla presenza di tossine batteriche o di altra natura negli alimenti, v. Cap. 28. Per gli avvelenamenti nei bambini, v. AVVELENAMENTI nel Cap. 263.)

VELENI SPECIFICI La Tab. 307-3 elenca veleni o gruppi di veleni con meccanismi d’azione correlati, oppure passibili di trattamento analogo. Tuttavia, la presenza di un veleno nello stesso gruppo di un altro (p. es., il toluene con il benzene) non indica necessariamente un’analogia di tossicità, ma piuttosto che i termini sono sinonimi, che i veleni sono chimicamente correlati tra loro o che un veleno è un componente o un’impurità dell’altro.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE SERPENTI VELENOSI Sommario: Introduzione Chimica e fisiopatologia del veleno Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Soltanto circa il 15% delle 3000 specie di serpenti velenosi di tutto il mondo è considerato velenoso per l’uomo (v. Tab. 308-1). Negli USA, circa 25 specie di serpenti sono velenose o possiedono secrezioni salivari tossiche. I serpenti velenosi fanno parte della fauna indigena di tutti gli stati degli USA, a eccezione dell’Alaska, del Maine e delle Hawaii. Nonostante negli USA vengano morse da serpenti velenosi più di 8000 persone ogni anno, si verificano meno di 6 decessi l’anno, soprattutto bambini, anziani, membri di sette religiose che maneggiano serpenti e casi non trattati o trattati in modo inadeguato. I serpenti a sonagli sono responsabili della maggior parte dei morsi di serpenti velenosi e di quasi tutti i decessi. La maggior parte degli altri morsi velenosi è dovuta ai testa di rame e, in misura minore, ai bocca di cotone (mocassini d’acqua). I serpenti corallo sono responsabili di meno dell’1% di tutte le morsicature. Le specie di serpenti velenosi importate, che si trovano negli zoo, nelle scuole, negli allevamenti di serpenti e nelle collezioni professionali e amatoriali, sono responsabili di circa 100 morsicature l’anno. La maggior parte delle vittime è costituita da giovani di sesso maschile, il 50% dei quali è ubriaco al momento del fatto e maneggia o molesta deliberatamente il serpente. Le morsicature avvengono per lo più a livello delle estremità.

Chimica e fisiopatologia del veleno I veleni di serpente sono sostanze complesse, principalmente proteine, dotate di attività enzimatica. Sebbene gli enzimi svolgano un ruolo importante, le proprietà tossiche del veleno possono essere dovute ad alcuni polipeptidi di dimensioni più ridotte. La maggior parte dei componenti del veleno sembra legarsi a siti recettoriali fisiologici multipli presenti nell’organismo della vittima. Pertanto, la qualificazione arbitraria dei veleni di serpente come "neurotossine", "emotossine" e "cardiotossine" è superficiale e può condurre a gravi errori di giudizio clinico. Il veleno della maggior parte dei crotalidi (vipere dalla fossetta) del Nord America contiene componenti proteiche tossiche, le quali producono effetti locali e sistemici. Questi effetti possono comprendere un danno tissutale locale, alterazioni vascolari, emolisi, una sindrome analoga alla coagulazione intravascolare disseminata (Disseminated Intravascular Coagulation, DIC) (sindrome da defibrinazione, v. oltre e alterazioni polmonari, cardiache, renali e neurologiche. Il veleno dei crotalidi altera la permeabilità vascolare capillare, causando la fuoriuscita di elettroliti, colloidi e GR attraverso le pareti vasali, sia nella sede di inoculazione sia in altri organi (p. es., i polmoni, i reni, il cuore, raramente il SNC). Inizialmente, si verificano edema, ipoalbuminemia ed emoconcentrazione. In seguito, la stasi del sangue e dei liquidi a livello della microcircolazione provoca shock, ipotensione e acidosi lattica. La caduta del

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Morsi e punture

volume ematico circolante effettivo può contribuire a peggiorare l’insufficienza cardiaca e renale. Nei casi gravi di morsicatura da serpenti a sonagli può comparire trombocitopenia (conta piastrinica < 20000/µl), isolata o in

associazione con altre coagulopatie. La coagulazione intravascolare indotta dal veleno può innescare la sindrome da defibrinazione, cui conseguono ematemesi, ematuria ed emorragie interne. L’insufficienza renale può essere dovuta a un deficit critico della GFR secondario all’ipotensione, all’emolisi o a una sindrome simil-DIC. In alcuni pazienti con gravi morsicature di serpenti a sonagli si possono osservare proteinuria, emoglobinuria e mioglobinuria. Il veleno della maggior parte dei crotalidi del Nord America provoca alterazioni molto lievi della trasmissione neuromuscolare, sebbene il veleno del mojave e del crotalo dal dorso di diamante dell’Est possa provocare gravi danni neurologici. Il veleno del serpente corallo (un elapide) contiene principalmente componenti neurotossiche, le quali provocano un blocco neuromuscolare. La mancanza di una significativa attività enzimatica proteolitica rende ragione dei sintomi e segni molto ridotti osservati nella sede del morso.

Sintomi, segni e diagnosi Tipo di serpente: i sintomi e i segni locali della maggior parte degli avvelenamenti da crotalidi sono: la presenza delle impronte dei denti del serpente, la comparsa immediata di dolore urente, l’edema (di solito entro 10 min, raramente dopo più di 30 min) e l’eritema o l’ecchimosi della sede del morso e dei tessuti adiacenti. Se non viene trattato, l’edema progredisce rapidamente ed entro poche ore può interessare l’intero arto. In corrispondenza della zona colpita, insieme all’aumento della temperatura, possono essere presenti linfangite e ingrossamento e dolenzia dei linfonodi regionali. L’ecchimosi è comune nell’avvelenamento moderato o grave da serpenti a sonagli e può comparire al di sopra della zona del morso entro 3-6 h. Essa è grave soprattutto in seguito ai morsi del crotalo dal dorso di diamante dell’Est e dell’Ovest e dei crotali della prateria, del Pacifico e del legno; è meno grave dopo i morsi dei testa di rame e dei mojave. La cute può apparire tesa e discromica; solitamente, nell’area del morso compaiono entro 8 h vescicole che spesso divengono emorragiche. Queste alterazioni sono di solito superficiali, poiché i morsi dei serpenti a sonagli del Nord America tendono a essere limitati al derma e ai tessuti sottocutanei. Nei casi non trattati è frequente la necrosi intorno alla zona del morso e i vasi superficiali circostanti possono divenire trombotici. La maggior parte degli effetti del veleno raggiunge il massimo entro 4 giorni dal morso. Le manifestazioni sistemiche possono comprendere nausea, vomito, sudorazione, febbre, astenia generalizzata, parestesie, fascicolazioni muscolari, alterazione dello stato mentale, ipotensione e shock. Le vittime dei morsi di serpenti a sonagli possono riferire la comparsa di un sapore metallico, gommoso o simile alla menta. Dopo il morso del mojave può verificarsi depressione respiratoria. Gli avvelenamenti da serpenti a sonagli possono provocare un’ampia varietà di alterazioni della coagulazione, compreso il prolungamento del tempo di protrombina (misurato mediante l’INR) o del tempo di tromboplastina parziale attivata (activated Partial Thromboplastin Time, aPTT), la trombocitopenia, l’ipofibrinogenemia, l’aumento dei prodotti di degradazione della fibrina o una combinazione di questi disordini, somigliante a una sindrome similDIC (da defibrinazione). Dalla sede del morso o dalle mucose può avere origine un’emorragia. Possono comparire ematemesi, melena ed ematuria. Nella maggior parte dei casi, un aumento improvviso dell’HTC è un reperto precoce secondario all’emoconcentrazione. In seguito, l’HTC può diminuire come conseguenza della reintegrazione dei liquidi e della perdita di sangue dovuta alla coagulopatia. Nei casi gravi, l’emolisi può provocare una rapida caduta dell’HTC. Nei morsi di serpente corallo, il dolore e il gonfiore possono essere minimi o assenti e sono spesso transitori. Le manifestazioni sistemiche possono comparire con un ritardo di 8-24 ore. Intorno al morso sono comuni le parestesie ed entro diverse ore può divenire evidente una certa debolezza dell’arto. Il paziente può riferire astenia marcata e letargia. Si possono osservare alterazioni file:///F|/sito/merck/sez23/3082829.html (2 of 6)02/09/2004 2.24.47

Morsi e punture

del sensorio, compresa l’euforia e la sonnolenza. Possono comparire paralisi dei nervi cranici, compresa la ptosi, la diplopia, l’offuscamento della vista, la disartria e la disfagia con scialorrea. Può seguire difficoltà respiratoria e flaccidità muscolare. Una volta che gli effetti neurotossici dell’avvelenamento da serpente corallo diventano evidenti, essi sono difficili da far regredire con l’antidoto e possono persistere per 3-6 giorni nonostante il trattamento. I pazienti non trattati possono morire per insufficienza respiratoria. Grado dell’avvelenamento: la gravità di qualsiasi avvelenamento da morso di serpente dipende dalle dimensioni e dalla specie del serpente, dalla quantità di veleno inoculato, dal numero dei morsi, dalla sede e dalla profondità del morso (p. es., i morsi alla testa e al tronco tendono a essere più gravi dei morsi alle estremità), dall’età, dalla corporatura e dalle condizioni di salute della vittima, dal tempo trascorso prima dell’inizio del trattamento e dalla suscettibilità (risposta) della vittima al veleno. Talvolta in letteratura è descritta una gradazione numerica quantitativa dell’avvelenamento; tuttavia, la suddivisione dei casi in minimi, moderati o gravi (v. Tab. 308-2), effettuata sulla base delle alterazioni locali, dei sintomi e dei segni sistemici, dei parametri coagulativi e delle indagini di laboratorio, è più pratica. La gradazione dell’avvelenamento va stabilita in base al più grave tra i sintomi, i segni o i reperti di laboratorio. Un avvelenamento può progredire rapidamente da un grado minimo a uno grave, e deve essere rivalutato continuamente. Impronte dei denti: le impronte dei denti possono suggerire il tipo di serpente responsabile, ma non ne assicurano l’identificazione certa. Le distribuzioni tipiche dei fori dei denti, basate sull’anatomia della mandibola del serpente, possono non essere individuabili sul posto. I serpenti a sonagli possono lasciare una o due impronte o graffi da morso e altre impronte dentarie; sono molto frequenti i fori singoli. Di solito i morsi dovuti a serpenti non velenosi mostrano impronte dentarie multiple.

Terapia I morsi di serpenti velenosi sono emergenze mediche che richiedono un’attenzione immediata. Prima di cominciare il trattamento, bisogna stabilire se il serpente è velenoso e se si è verificato l’avvelenamento, poiché un serpente velenoso può mordere e non inoculare il veleno ("morsi asciutti" si verificano in circa il 20-30% dei morsi di crotalidi e in circa il 50% dei morsi di serpente corallo). Quando l’avvelenamento non si verifica, oppure se il morso è opera di un serpente non velenoso, il morso va trattato allo stesso modo di una ferita da puntura. In tutti gli avvelenamenti, è buona norma contattare un centro antiveleni della zona. Sul posto: la vittima del morso deve spostarsi o essere spostata al di fuori della portata di attacco del serpente. La vittima deve evitare di compiere esercizi fisici ed essere rassicurata, tenuta al caldo e trasportata al più vicino centro medico il più presto possibile. La parte offesa deve essere immobilizzata senza costrizione in una posizione funzionale subito al di sotto del livello del cuore, e tutti gli anelli, gli orologi e i vestiti troppo stretti devono essere rimossi. Non devono essere somministrati stimolanti. I lacci emostatici, l’incisione e la suzione, la crioterapia e lo shock elettrico sono controindicati. Il metodo dell’immobilizzazione compressiva (bendaggio elastico) non è raccomandato negli USA per i morsi dei crotalidi, perché può aumentare la necrosi locale. L’estrattore di Sawyer, applicato direttamente sui fori dei denti, può essere utile nei morsi di crotalidi se viene applicato entro alcuni minuti dal morso e lasciato in sede per 30-60 min. I primi soccorritori (p. es., i paramedici) devono assicurare la pervietà delle vie aeree e la respirazione, somministrare O2, garantire un accesso EV e trasportare immediatamente la vittima al più vicino centro medico. Nel dipartimento di emergenza: bisogna raccolgiere un’anamnesi dettagliata file:///F|/sito/merck/sez23/3082829.html (3 of 6)02/09/2004 2.24.47

Morsi e punture

(momento del morso, descrizione del serpente, tipo di terapia praticato sul posto, condizioni di salute preesistenti, allergia al siero di cavallo, storia di precedenti morsi di serpente e terapia praticata) ed eseguire un esame obiettivo completo. Tutti i casi di morso di serpente, sia velenoso sia non velenoso, devono essere tenuti in osservazione per 12 ore. In tutti i morsi di crotalidi, tranne nei casi banali, all’arrivo del paziente devono essere eseguiti un emocromo completo (con conta piastrinica), un profilo coagulativo (tempo di protrombina, tempo di tromboplastina parziale, fibrinogeno, prodotti di degradazione della fibrina), un dosaggio degli elettroliti, dell’azoto ureico e della creatinina e un’analisi delle urine. Negli avvelenamenti gravi o moderati, bisogna eseguire la tipizzazione ematica, le prove crociate e i test per la CK, di solito ogni 4 h per 12 h e in seguito quotidianamente. Nei casi gravi, è indicata l’esecuzione di un ECG e di una rx del torace. Se non è stata praticata sul posto, deve essere cominciata un’infusione EV di soluzione fisiologica o di Ringer lattato in un arto non colpito e il paziente va posto sotto monitoraggio cardiaco. Nei morsi di serpente corallo, gli effetti neurotossici del veleno richiedono il monitoraggio della saturazione di O2 e della funzionalità polmonare (p. es., il flusso di picco, la capacità vitale), all’inizio del trattamento e a intervalli regolari. Trattamento iniziale: l’antidoto rimane il cardine della terapia per gli avvelenamenti moderati e gravi da morso di serpente. Esso viene somministrato ai pazienti che mostrano segni di avvelenamento e progressione della sintomatologia da 30 min a 8 h dopo il morso. Gli unici antidoti approvati presenti in commercio sono derivati di origine equina e un test cutaneo di ipersensibilità al siero di cavallo (incluso nella confezione) va eseguito esclusivamente se l’antidoto verrà somministrato. Un risultato negativo non esclude la possibilità di una reazione di ipersensibilità (v. Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo III nel Cap. 148). Se il risultato del test cutaneo è positivo e l’avvelenamento viene giudicato pericoloso per la vita o per l’incolumità dell’arto, va somministrato un pretrattamento con antagonisti H1 e H2, seguito dall’antidoto, in ambiente di terapia intensiva attrezzato per trattare l’anafilassi. Le reazioni precoci all’antidoto sono frequenti e di solito sono dovute a un’infusione troppo rapida. Se si verifica una reazione, l’infusione dell’antidoto deve essere interrotta immediatamente. Devono essere somministrati adrenalina, antagonisti H1 e H2 e liquidi isotonici. Solitamente, la somministrazione dell’antidoto può essere ripresa dopo un’ulteriore diluizione, a una velocità di infusione inferiore. L’efficacia dell’antidoto è correlata al tempo e alla dose; esso è più efficace entro le prime 4 h e meno efficace dopo 12 h, anche se può far regredire le coagulopatie dopo 24 h. La dose iniziale deve essere suggerita dalla gravità e dalla progressione delle alterazioni locali, dei sintomi e dei segni sistemici o dei reperti di laboratorio al momento della valutazione. La maggior parte dei casi di avvelenamento minimo da morso di serpente non necessita dell’antidoto, i casi di gravità moderata possono richiedere inizialmente da 10 a 15 fiale (da 100 a 150 ml) e i casi gravi possono necessitare all’inizio di almeno 15 fiale ( 150 ml). Ai pazienti con collasso circolatorio profondo vanno inizialmente somministrate 20 fiale (200 ml). L’avvelenamento da bocca di cotone (mocassino d’acqua) di solito richiede dosi più piccole. L’antidoto non è necessario per i morsi del testa di rame e del crotalo pigmeo, tranne nei bambini, negli anziani e nei pazienti affetti da patologie mediche debilitanti sottostanti (p. es., diabete mellito, coronaropatie). L’antidoto ricostituito deve essere diluito in 250-1000 ml di soluzione fisiologica sterile o di destroso al 5% e somministrato EV lentamente a 50-75 ml/h per i primi 10 min. Se non si verifica alcuna reazione, il rimanente può essere infuso in 1 ora. L’antidoto non deve mai essere iniettato nelle dita della mano o del piede. I liquidi EV devono essere ridotti al minimo nei pazienti pediatrici e geriatrici, salvo quando è presente shock o ipovolemia. La misurazione della circonferenza dell’estremità coinvolta (in tre punti diversi prossimalmente al morso) e la misurazione del margine in avanzamento dell’edema ogni 15-30 min può guidare il dosaggio addizionale dell’antidoto. Se i reperti locali, i sintomi e i segni sistemici o le alterazioni di laboratorio progrediscono, la dose di antidoto iniziale viene ripetuta ogni 1-2 h. Quando è stato diagnosticato un probabile avvelenamento da serpente corallo, devono essere somministrate 5 fiale di antidoto (Micrurus fulvius). Se la sintomatologia progredisce, possono essere indicate da 10 a 15 fiale aggiuntive. file:///F|/sito/merck/sez23/3082829.html (4 of 6)02/09/2004 2.24.47

Morsi e punture

Lo stato clinico del paziente va tenuto sotto controllo in un’unità di terapia intensiva nell’eventualità di una paralisi respiratoria. Il CroTab è un nuovo antidoto ottenuto dall’immunizzazione ovina con veleni di crotalidi del Nord America, la quale induce la produzione di IgG. Le IgG vengono quindi raccolte, frazionate chimicamente e digerite con papaina per ottenere frammenti Fab purificati. Trial clinici multicentrici eseguiti negli USA hanno mostrato che il CroTab è sicuro ed efficace e ha una bassa incidenza di reazioni di ipersensibilità di tipo immediato e ritardato. Un centro antiveleni della zona o il giardino zoologico locale costituiscono una risorsa eccellente quando si deve far fronte ai morsi di serpenti velenosi, compresi quelli dovuti a serpenti che non appartengono alla fauna indigena. Queste strutture possiedono un elenco dei medici ai quali rivolgersi, come pure l’Antivenin Index, il quale viene pubblicato e aggiornato periodicamente dalla American Zoo and Aquarium Association e dalla American Association of Poison Control Centers. Questo indice cataloga la localizzazione e il numero di fiale degli antidoti disponibili per tutti i serpenti velenosi locali e per la maggior parte delle specie non locali. Quando ve n’è indicazione, va somministrata la terapia antitetanica. Gli antibiotici vengono somministrati soltanto quando sono presenti i segni clinici di un’infezione; la scelta dell’antibiotico deve essere guidata dalla coltura del materiale della ferita. La comparsa di segni di shock ipovolemico richiede la reintegrazione con liquidi isotonici. I difetti gravi dell’emostasi (cioè una coagulazione anormale o la lisi di cellule o coaguli o un’alterata attività piastrinica) possono richiedere la reintegrazione con GR concentrati, plasma fresco congelato, crioprecipitato o piastrine. Gli emoderivati non vanno somministrati fino a che non è stata somministrata una dose adeguata di antidoto neutralizzante. I corticosteroidi sono inutili durante gli stadi acuti e sono controindicati. Al primo segno di difficoltà respiratoria, bisogna somministrare O2 e fornire assistenza respiratoria meccanica (v. Cap. 66). Può rendersi necessaria l’intubazione endotracheale o la tracheostomia, in particolare se è presente trisma, spasmo laringeo o salivazione eccessiva. Una lieve sedazione con una benzodiazepina EV è indicata negli avvelenamenti gravi quando l’insufficienza respiratoria non è un problema. Per il dolore può essere necessario un narcotico. Un’estremità non deve mai essere raffreddata. La pulizia chirurgica di bolle, vescicole ematiche o necrosi superficiale, se presente, deve essere eseguita fra la terza e la decima giornata e può presentare la necessità di un’esecuzione in più fasi. La zona colpita deve essere fasciata ed esaminata quotidianamente. Trattamento nella fase di controllo: la fasciotomia di solito non è necessaria, tranne nel caso in cui sia evidente una grave compromissione vascolare, evenienza dimostrata da pressioni locali 30 mm Hg dopo 1 h, che non rispondono al sollevamento dell’arto, al mannitolo EV (da 1 a 2 g/kg) e alla somministrazione di 10-15 fiale ulteriori di antidoto. La mobilità articolare, la forza muscolare, la sensibilità e la circonferenza devono essere valutate entro 2 giorni dal morso. Per evitare le contratture, l’immobilizzazione va interrotta con frequenti periodi di esercizio leggero, procedendo da passivo ad attivo. Il trattamento nella fase di controllo comprende anche il lavaggio con soluzione fisiologica sterile, lo sbrigliamento chirurgico secondo necessità e la pulizia quotidiana della ferita. Quest’ultima va coperta con una garza sterile e un bendaggio lasso quando il paziente rimane a letto, e con un bendaggio piuttosto saldo quando il paziente si alza. Da 7 a 21 giorni dopo la somministrazione di 5 fiale di antidoto, in una quota di pazienti che arriva al 75% si verifica una malattia da siero (reazione di ipersensibilità di tipo III, v. Cap. 148). Essa può manifestarsi con febbre, artralgie, eruzione cutanea, linfoadenopatia e neurite periferica occasionale. La malattia da siero di solito può essere trattata efficacemente, in regime ambulatoriale, con antagonisti H1 e corticosteroidi.

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Morsi e punture

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 308-1. SERPENTI VELENOSI Famiglia Crotalidae (vipere dalla fossetta)

Esempi Serpente a sonagli, testa di rame e bocca di cotone del Nord America Fer-de-lance e suruçucu del Centro e Sud America Vipere dalla fossetta asiatiche

Elapidae

Cobra, mamba, krait e serpenti corallo Tutti i serpenti velenosi dell'Australia

Viperidae

Vipere africane, europee e mediorientali

Hydrophiidae

Serpenti marini (acque costiere dell'Asia sudorientale e dell'Australia)

Colubridae

Serpente dei cespugli, serpente uccello e keelback

Laticaudidae

Krait marini

Atractaspididae

Mole vipers (Africa e Medio Oriente)

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 308-2. GRADAZIONE DELL'AVVELENAMENTO DA CROTALIDI Grado

Descrizione

Minimo

Limitazione alla sede del morso; assenza di sintomi, segni o reperti di laboratorio indicativi di un interessamento sistemico

Moderato

Estensione oltre la sede del morso, presenza di sintomi e segni significativi (p.es. nausea, vomito, parestesie) oppure di lievi alterazioni della coagulazione o degli esami di laboratorio

Grave

Interessamento dell'intera estremità o parte colpita, presenza di sintomi e segni sistemici gravi (p.es. dispnea, shock) o di notevoli alterazioni degli esami di laboratorio (p.es. coagulopatia grave)

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE LUCERTOLE VELENOSE Soltanto il mostro di Gila (Heloderma suspectum), che vive nel Sud Ovest degli USA e si trova anche in Messico, e la lucertola imperlata (H. horridum) del Messico, sono note come velenose. Il loro veleno, in qualche modo simile a quello dei crotalidi (v. sopra), contiene serotonina, arginina esterasi, ialuronidasi, fosfolipasi A2 e una o più callicreine salivari. Esso non possiede componenti neurotossiche o enzimi che interferiscono con la coagulazione. I sintomi e i segni del morso comprendono dolore, tumefazione ed edema di notevole intensità, ecchimosi, linfangite e linfoadenopatia. Nell’avvelenamento moderato o grave possono comparire manifestazioni sistemiche (p. es., astenia, sudorazione, senso di sete, cefalea, tinnito). Raramente, nei casi gravi si verifica un collasso cardiovascolare. I reperti clinici e il decorso sono generalmente simili a quelli di un caso di avvelenamento di gravità minima o moderata causato da un morso di crotalo dal dorso di diamante dell’Ovest. Il trattamento consiste in misure di supporto simili a quelle raccomandate per l’avvelenamento da crotalidi. In commercio non è disponibile alcun antidoto specifico. La ferita deve essere esplorata con un piccolo ago alla ricerca di denti dell’animale rotti o staccatisi, e quindi va pulita.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE RAGNI Sommario: Introduzione Chimica e fisiopatologia del veleno Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Quasi tutte le 20000 specie di ragni sono velenose. Tuttavia, i denti della maggior parte delle specie sono troppo corti o fragili per penetrare nella cute. Almeno 60 specie negli USA sono state considerate responsabili di morsi ai danni dell’uomo (v. Tab. 308-3). Il Pamphobeteus, il Cupiennius e la Phoneutria non sono specie native degli USA ma possono essere importate nel paese con i prodotti agricoli o altri materiali, oppure con il commercio dei ragni come animali domestici inusuali. Sebbene l’incidenza dei morsi di ragno negli USA sia sconosciuta, nel 1996, presso 67 centri antiveleni che servivano l’87% della popolazione, sono stati riportati 13167 morsi di ragno. Si ritiene che negli USA si verifichino meno di tre morti/anno, di solito tra i bambini.

Chimica e fisiopatologia del veleno Soltanto alcuni veleni di ragno sono stati studiati in dettaglio. I più importanti sono quelli che possiedono componenti velenose neurotossiche (vedove nere) e necrotizzanti (ragni bruni o violino e alcuni ragni domestici). La componente più tossica del veleno della vedova nera (Lactrodectus sp) sembra essere un peptide che interferisce con la trasmissione neuromuscolare. Il veleno del ragno bruno o violino (Loxosceles sp) ha un’attività enzimatica superiore a quella del veleno di vedova nera, ma non è stata isolata alcuna frazione del veleno che provochi l’intera sequenza di eventi che dà luogo alla caratteristica lesione necrotica. L’infiltrazione di PMN svolge un ruolo importante nella fisiopatologia della vasculite locale delle lesioni necrotiche, ma il meccanismo con cui agisce non è del tutto compreso.

Sintomi, segni e diagnosi I morsi di vedova nera in genere provocano un dolore acuto simil-puntorio, seguito da un dolore sordo, talora con intorpidimento, all’estremità colpita, e da dolore crampiforme e una certa rigidità muscolare all’addome o alle spalle, al dorso e al torace. Le manifestazioni associate possono comprendere irrequitezza, ansia, sudorazione, cefalea, vertigini, ptosi, edema palpebrale, eruzione e prurito cutanei, difficoltà respiratoria, nausea, vomito, salivazione, debolezza e aumento della temperatura cutanea in corrispondenza dell’area colpita. La PA e la pressione del LCR sono generalmente aumentate nei casi più gravi, negli adulti. file:///F|/sito/merck/sez23/3082833b.html (1 of 3)02/09/2004 2.24.49

Morsi e punture

I morsi di ragno bruno o violino possono provocare un’immediata sensazione di bruciore o un dolore immediato minimo o assente, sebbene un certo dolore localizzato si manifesti entro 30-60 min. La zona del morso diventa eritematosa ed ecchimotica e può essere pruriginosa. Può essere presente anche prurito generalizzato. Si forma una bolla, spesso circondata da un’area ecchimotica irregolare o da una lesione con aspetto più a bersaglio, simile a un "occhio di bue"; la bolla centrale aumenta di volume, si riempie di sangue, si rompe e lascia un’ulcera sulla quale si forma un’escara nera che alla fine cade, lasciando un’ampia perdita di sostanza che può interessare anche il muscolo. Il dolore può essere intenso e interessare l’intera area colpita. Si possono manifestare segni e sintomi sistemici (p. es., nausea e vomito, malessere generale, brividi, sudorazione, emolisi, trombocitopenia e insufficienza renale). I casi fatali sono rari. Negli USA non è stato riportato alcun decesso. Bisogna fare ogni tentativo per catturare e identificare il ragno responsabile. Le vedove nere sono identificabili da una macchia rossa o arancione a forma di clessidra sulla parte ventrale dell’addome. I ragni bruni o violino hanno una macchia a forma di violino sul cefalotorace. Se il paziente non è in grado di confermare che è stato vittima di un morso di ragno, vanno prese in considerazione diagnosi alternative. I morsi di pulce, di cimice dei letti, di zecca, di acaro e di tafano (v. oltre) vengono spesso confusi con morsi di ragno. Alcuni morsi di artropodi possono dare origine a lesioni bollose che si rompono e si ulcerano, ricordando quelle del ragno violino e di alcuni altri ragni. L’aracnidismo necrotico o gangrenoso attribuito ai ragni bruni o violino, soprattutto in zone dove questa specie non si trova, è probabilmente causato da ragni diversi dal Loxosceles o più probabilmente da altri artropodi: cimici vere della famiglia delle Reduviidae (cimici assassine, cimici ovali, cimici del bacio) e, in California e negli stati adiacenti, la zecca pajaroello, Ornithodoros coriaceus. Alcuni casi di cosiddetti morsi da ragni bruni o violino sono diagnosi errate di necrolisi epidermica tossica, eritema cronico migrante, eritema nodoso, sporotricosi, herpes simplex cronico o periarterite nodosa.

Terapia Un cubetto di ghiaccio può essere posto sopra un morso di vedova nera per ridurre il dolore. I pazienti con età < 16 anni o > 60 anni, quelli con malattia cardiovascolare ipertensiva o quelli con sintomi e segni di avvelenamento grave de vono essere ricoverati in ospedale e, quando la terapia sintomatica non ha successo, si deve somministrare loro 1 fiala (6000 U) di antidoto (Latrodectus mactans) EV (solitamente in 3-15 min) in 10-50 ml di soluzione fisiologica, dopo aver eseguito l’appropriato test cutaneo. Nei bambini può essere necessaria l’assistenza respiratoria. Si devono controllare spesso i parametri vitali nelle prime 12 h dopo il morso. Negli anziani, l’ipertensione acuta può richiedere un trattamento. Per il dolore e gli spasmi muscolari, si possono somministrare lentamente EV 10 ml di gluconato di calcio al 10%. Possono esserne necessarie diverse dosi a intervalli di 4 h. Negli adulti è talvolta efficace un rilassante, in particolare il metocarbamolo somministrato EV; il diazepam 10 mg PO tid ha mostrato gradi diversi di efficacia. I narcotici e i bagni caldi possono dare sollievo. Nel morso di ragno bruno o violino, per ridurre il dolore deve essere applicato temporaneamente del ghiaccio sulla zona colpita (avvolto in un panno per proteggere la cute dalle lesioni da freddo). Se il morso è a livello di un arto, quest’ultimo va tenuto sollevato fino a che il morso non è guarito. L’uso continuato di impacchi freddi (fino alla guarigione della lesione) contribuisce a ridurre il dolore. Finché l’infiammazione non si spegne, viene somministrato dapsone 100 mg/die

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Morsi e punture

PO. Poiché il dapsone può provocare agranulocitosi e anemia emolitica, che può essere esagerata nei pazienti che hanno un deficit di G6PD, prima di istituire la terapia devono essere eseguiti un test per la G6PD e un emocromo completo; l’emocromo deve essere controllato anche in seguito. L’impiego della terapia con O2 iperbarico ha prodotto un certo miglioramento clinico soltanto in alcuni pazienti. Le lesioni ulcerate devono essere pulite quotidianamente e sbrigliate secondo necessità. Prima di coricarsi può essere applicato un unguento a base di polimixina, bacitracina e neomicina. La maggior parte dei morsi richiede unicamente una terapia locale. La resezione chirurgica, se necessaria, deve essere rimandata fino a che l’area della necrosi non sia completamente delimitata. Le manifestazioni sistemiche vengono trattate in maniera sintomatica. I corticosteroidi per via generale non hanno mostrato benefici soddisfacenti o affidabili.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 308-3. RAGNI PERICOLOSI PRESENTI NEGLI USA Specie

Nome comune

Latrodectus mactans e specie correlate

Vedove nere

Loxosceles reclusa e specie correlate

Ragni bruni o violino (chiamati talvolta ragni bruni reclusi)

Tegenaria agrestis

Ragni domestici aggressivi (trovati a Ovest delle Montagne Rocciose, specialmente negli stati del NordOvest)

Phidippus sp

Ragni saltatori

Selenocosmia e Pamphobeteus sp

Tarantole

Bothriocyrtum e Ummidia sp

Ctenizidi (trap-door spider)

Cupiennius sp

Cosiddetti ragni delle banane

Lycosa sp

Ragni lupo

Heteropoda sp

Ragni granchio giganti

Misumenoides sp

Ragni granchio

Liocranoides e Chira canthium sp

Ragni corridori

Neoscona vertebrata, Araneus sp

Orb weavers

Argiope aurantia

Orange argiopes

Drassodes sp

Running o gnaphosid spiders

Peucetia viridans

Green lynx spiders

Steatoda grossa

Comb-footed o false vedove nere

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE API, VESPE, GIALLONI, CALABRONI, FORMICHE Sommario: Introduzione Terapia

Gli insetti che pungono sono membri dell’ordine Imenotteri della classe Insetti. Ne esistono due sottogruppi principali: apidi (api da miele, bombi) e vespidi (vespe, gialloni, calabroni). La formica rossa è un membro non alato degli Imenotteri. Gli apidi sono mansueti e solitamente non pungono a meno che non vengano provocati. Il pungiglione dell’ape da miele è dotato di barbigli multipli, i quali di solito si staccano dopo una puntura. Il veleno degli apidi contiene fosfolipasi A2, ialuronidasi, apamina, mellitina e chinine. I vespidi hanno pochi barbigli e possono infliggere punture multiple. Il loro veleno contiene fosfolipasi, ialuronidasi e una proteina chiamata antigene 5. I gialloni sono i principali responsabili delle reazioni allergiche alle punture di insetti negli USA. Un individuo medio può tollerare con sicurezza 10 punture/lb di peso corporeo; un adulto medio è in grado di resistere a > 1000 punture, mentre 500 punture possono uccidere un bambino. Tuttavia, anche una sola puntura può provocare una reazione anafilattica fatale in una persona ipersensibile. Negli USA, le punture causano un numero di decessi da 3 a 4 volte superiore a quelli dovuti ai morsi di serpenti velenosi. Le reazioni tossiche alle componenti del veleno possono comparire dopo 50-100 punture e manifestarsi clinicamente come un’anafilassi. Le api africane (le cosiddette api assassine) sono un tipo più aggressivo di ape da miele che è migrato dal Sud America in alcuni stati del sud degli USA. Il loro veleno non è più potente rispetto a quello delle altre api da miele, ma poiché attaccano le persone in sciami, le api assassine causano una reazione più grave. Le formiche rosse importate sono responsabili di migliaia di punture ogni anno nel Sud, in particolare nella regione del Golfo del Messico. Ne esistono diverse specie (p. es., la Solenopsis richteri), ma la Solenopsis invicta è quella prevalente ed è responsabile di un numero crescente di reazioni allergiche. Nelle aree urbane infestate, ogni anno può essere punto più o meno il 40% della popolazione. Il veleno delle formiche rosse possiede proprietà emolitiche, citolitiche, antimicrobiche e insetticide. Tre o quattro piccole frazioni proteiche idrosolubili sono probabilmente responsabili di una risposta allergica. Solitamente, il dolore è immediato e si sviluppa una lesione infiammatoria vescicolare, che spesso si risolve entro 45 min e dà luogo a una pustola sterile, la quale si rompe nel giro di 30-70 h. Talvolta la lesione si infetta e può provocare una sepsi. In certi casi, più che una pustola si sviluppa una lesione edematosa, eritematosa e pruriginosa. Spesso, una formica rossa morde per ancorarsi alla sua vittima e la punge ripetutamente muovendo il suo corpo lungo un arco intorno al morso, producendo un caratteristico morso centrale parzialmente circondato da una "linea di puntura" arrossata. L’anafilassi dovuta alle punture di formica rossa si verifica probabilmente in meno dell’1% dei pazienti. Sono state osservate mononeuriti e convulsioni.

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Morsi e punture

Terapia I pungiglioni di molti Imenotteri possono rimanere nella cute e devono essere rimossi il più rapidamente possibile senza particolare riguardo per il metodo di rimozione. Un cubetto di ghiaccio posto sulla zona della puntura ridurrà il dolore; l’aspirina 650 mg q 4 h e gli antagonisti H1 possono essere di aiuto. I soggetti con ipersensibilità nota a tali punture devono portare con sé un kit contenente adrenalina in una siringa preriempita quando si recano in zone endemiche. Gli antistaminici possono aiutare a ridurre l’orticaria e l’angioedema. I soggetti che presentano una grave sintomatologia anafilattica, che hanno test cutanei positivi per il veleno e che hanno un alto rischio di essere punti nuovamente devono essere sottoposti a immunoterapia, a prescindere dall’età o dal tempo trascorso dall’anafilassi. L’immunoterapia contro il veleno è molto efficace per la prevenzione di un’anafilassi successiva negli individui a rischio e può ridurre la probabilità di nuovi episodi anafilattici dal 50% a circa il 10% dopo 2 anni di terapia e a circa il 2% dopo 3-5 anni di terapia. L’immunoterapia contro il veleno sembra essere di impiego sicuro durante la gravidanza. è raccomandata la desensibilizzazione, che si può eseguire utilizzando una terapia con veleno singolo. Dopo l’immunoterapia iniziale, possono essere necessarie dosi di mantenimento per un periodo fino a 5 anni.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE ALTRI MORSI DA ARTROPODI (Per le zecche e gli acari, v. oltre) Negli USA i più comuni atropodi morsicanti comprendono le mosche della sabbia, le mosche cavalline, le mosche dei cervi, le mosche nere, le mosche del letame, le zanzare, le pulci, i pidocchi (v. Pediculosi nel Cap. 114), le cimici dei letti, le cimici ovali, le cimici del bacio e alcune cimici d’acqua. Tutti questi artropodi, tranne le cimici ovali e le cimici d’acqua, succhiano anche il sangue, ma nessuno è velenoso. La composizione della saliva di questi artropodi varia notevolmente e le lesioni provocate dai morsi variano da piccole papule a grandi ulcere con gonfiore e dolore acuto. Si può verificare anche dermatite. La maggior parte dei morsi gravi è complicata da reazioni di ipersensibilità o da infezioni; nei soggetti ipersensibili, essi possono essere fatali. La sede e la distribuzione delle vescicole e delle lesioni dovute al morso rivestono talvolta valore diagnostico. Per esempio, i morsi di mosca nera sono localizzati solitamente sul collo, sulle orecchie e sul volto; i morsi di pulce possono essere numerosi, per lo più ai piedi e alle gambe, e i morsi di cimice dei letti spesso hanno una distribuzione lineare, comunemente sul tronco. In alcuni soggetti, può verificarsi un’allergia respiratoria dovuta agli allergeni delle blatte o delle pulci presenti in casa. L’artropode responsabile deve essere rapidamente rimosso. Per alcuni artropodi, ciò si ottiene nella maniera migliore applicando direttamente un derivato del petrolio o un altro irritante, oppure estraendo lentamente l’artropode torcendolo con una pinzetta. Bisogna fare attenzione a non lasciare la testa all’interno della ferita, poiché essa può indurre infiammazione cronica o migrare nei tessuti più profondi e dare origine a un granuloma. Il morso deve essere pulito e vi deve essere applicata una crema antistaminica o corticosteroidea. Le reazioni gravi di ipersensibilità devono essere trattate come descritto nel Cap. 148.

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Infezioni parassitarie della cute

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 114. INFEZIONI PARASSITARIE DELLA CUTE (v. anche Cap. 161.)

PEDICULOSI Infestazione da pidocchi.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prevenzione e terapia

La pediculosi può colpire il cuoio capelluto (da Pediculus humanus capitis), il corpo (da P. humanus corporis) o l’area genitale (da Phthirus pubis). Il pidocchio del capo e quello del pube (piattola) vivono direttamente nell’ospite; inoltre, il pidocchio del corpo vive negli indumenti. L’infestazione si estende con facilità qualora si verifichino condizioni di promiscuità o inadeguata igiene della persona o degli indumenti. Il pidocchio del corpo è un importante vettore di alcuni microrganismi che causano tifo epidemico, febbre delle trincee e febbre ricorrente.

Sintomi, segni e diagnosi La P. humanus capitis viene trasmessa mediante il contagio diretto oppure tramite alcuni oggetti come pettini e cappelli. Si manifesta indipendentemente dallo stato sociale, è comune nei bambini in età scolare, mentre è rara tra i neri. Sebbene si localizzi soprattutto a livello del cuoio capelluto, in alcuni casi può colpire le ciglia, le sopracciglia e la barba. Il prurito è intenso e, a livello del capillizio, si possono osservare escoriazioni, talora con sovrainfezione batterica. È frequente una modesta linfoadenopatia regionale. Nei bambini, in seguito a una pediculosi del cuoio capelluto, si può determinare, raramente, una dermatite aspecifica generalizzata. È importante ispezionare il capillizio, preferibilmente con una lente d’ingrandimento: possono trovarsi, anche in gran numero, piccole uova (lendini) di forma ovoidale, di colorito bianco-grigiastro, fissate al fusto del capello. Diversamente dalle squame, le lendini si distaccano difficilmente e maturano in 3-14 giorni. I pidocchi si ritrovano, con minore frequenza rispetto alle lendini, a livello delle regioni occipitale e retroauricolari. La P. humanus corporis è meno comune nelle persone che curano la propria igiene personale. Sia il parassita che le uova si ritrovano con facilità negli indumenti, poiché i pidocchi si annidano principalmente nelle cuciture degli abiti a stretto contatto con la cute. Le lendini si ritrovano, a volte, sul fusto del pelo così come nella sua struttura. Il prurito è un sintomo costante. Le lesioni si rinvengono principalmente a livello delle spalle, dell’addome e dei glutei. Infatti, l’ispezione mostra piccole punture di colore rosso dovute ai morsi del parassita, associate a lesioni lineari da grattamento, a pomfi orticarioidi o a infezione batterica superficiale. La foruncolosi è una complicanza occasionale. In genere, la P. pubis si trasmette per via venerea. La piattola colpisce di preferenza i peli della regione ano-genitale, ma si può estendere anche ad altre file:///F|/sito/merck/sez10/1140871.html (1 of 2)02/09/2004 2.24.54

Infezioni parassitarie della cute

zone, specialmente negli individui molto pelosi. La regione ano-genitale deve essere ispezionata con cura, in quanto il parassita può trovarsi isolato con pochi elementi o mimare le piccole croste da lesioni da grattamento. Talvolta il pidocchio può essere notato sotto forma di una piccola macchia bluastra sulla cute, normalmente a livello del tronco. Diversamente, le uova sono generalmente attaccate alla cute, alla base dei peli stessi. Segno di infestazione è la presenza di piccoli detriti di color marrone (feci del parassita) nella biancheria intima a contatto con la regione ano-genitale. Inoltre, compaiono precocemente le escoriazioni e le dermatiti secondarie, specialmente in coloro che ricorrono ad automedicazione.

Prevenzione e terapia La prevenzione della pediculosi e della sua reinfestazione viene fatta insegnando a bambini e adulti le corrette pratiche igieniche, suggerendo di evitare la condivisione di pettini, spazzole, cappelli, sciarpe e indumenti. Negli adulti, un comportamento sessuale responsabile riduce il rischio di acquisizione delle piattole e delle malattie sessualmente trasmesse. Come nella scabbia, devono essere trattati i componenti della famiglia del paziente e coloro che entrano a stretto contatto con quest’ultimo. La crema di permetrina al 5% è, attualmente, la terapia di scelta: la sua sicurezza è stata ampiamente dimostrata nella cura della scabbia. In caso di pediculosi, va tenuta in sede per 6-12 ore prima del risciacquo ma, a basse concentrazioni, non ha la stessa efficacia della crema al 5%. Nella maggior parte dei casi, le uova e i pidocchi possono essere meccanicamente rimossi con un pettine. La resistenza alla permetrina è in aumento, ma l’ivermectina (200µg/kg in dose singola), che è ancora in fase sperimentale, sembra risultare efficace. I tassi di insuccesso del lindano sono significativi (γ-benzene-esacloridrato) e si riferiscono a una residua neurotossicità. La lozione di Malathion allo 0,5%, un efficace pediculocida, non è stata disponibile negli USA per molti anni. Shampoo o cheratolitici contenenti acido salicilico potrebbero risultare utili presidi nel trattamento della pediculosi del capo. L’infestazione delle ciglia e delle sopracciglia può essere più difficile da trattare; in genere, conviene rimuovere i parassiti con le pinzette. Le applicazioni di vaselina possono uccidere o indebolire i pidocchi localizzati a livello delle ciglia. Mezzi di contagio (pettini, cappelli, indumenti intimi, lenzuola, vestiti, ecc.) vanno decontaminati con la bollitura oppure con il lavaggio a secco o la stiratura a vapore. Le recidive sono frequenti.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE ALTRI MORSI DA ARTROPODI ZECCHE (V. anche Malattia di Lyme nel Cap. 157.)

Sommario: Introduzione Terapia Paralisi da zecca

Oltre alle reazioni già descritte per altri artropodi (v. sopra), le zecche sono anche responsabili di avvelenamenti. La maggior parte dei morsi di zecca negli USA è dovuta a varie specie di Ixodidae, le "zecche dure", che si attaccano alla vittima e si nutrono per diversi giorni se non vengono rimosse. Praticamente ogni zecca può essere un vettore di uno o più agenti patogeni, anche se la specie è un trasmettitore potenziale soltanto di un sottogruppo di agenti patogeni veicolati specificamente dalle zecche. I morsi di zecca vengono spesso inflitti durante la notte e la vittima non sa cosa abbia causato il morso. Alcune specie di zecche molli sono importanti agenti trasmissivi di febbre ricorrente. Il morso di alcune zecche Ornithodoros (pajaroello) causa la formazione locale di vescicole, pustole che si rompono, ulcerazioni e formazione di escare, con gradi diversi di gonfiore e dolore locale. Reazioni simili si sono verificate in seguito ai morsi di altre zecche.

Terapia Le zecche devono essere rimosse il più presto possibile per ridurre l’entità della risposta immune cutanea e la probabilità di trasmissione di malattie, nel caso la zecca fosse infetta. Sulla zecca non devono essere applicati gelatina di petrolio o agenti irritanti. La migliore possibilità di estrarre dalla cute la zecca e tutte le parti del suo apparato orale consiste nell’utilizzo di una pinza a punte curve. La pinza deve essere posizionata parallelamente alla cute per afferrare saldamente la zecca il più vicino possibile alla superficie cutanea. Bisogna fare attenzione a evitare di pungere la cute del paziente e il corpo dell’animale. La pinza deve essere tirata lentamente e fermamente, allontanandosi in linea retta dalla cute senza imprimere rotazioni. La pinza a punte curve è migliore perché la convessità della curva può essere appoggiata alla superficie cutanea mentre l’impugnatura rimane abbastanza lontana dalla cute da poter esercitare facilmente la presa. Le parti della bocca della zecca che rimangono infisse nella cute e sono facilmente visibili devono essere accuratamente rimosse. Tuttavia, se la presenza di parti della bocca è dubbia, i tentativi di rimozione chirurgica possono provocare un trauma tissutale maggiore di quanto non faccia la permanenza delle parti stesse nella cute, trauma che non ha influenza sulla trasmissione delle malattie e, tutt’al più, prolunga l’irritazione. Dopo la rimozione della zecca, bisogna applicare un antisettico. Il grado di congestione della zecca è indicativo della durata del periodo in cui essa è rimasta attaccata. Se sono presenti gonfiore e ipocromia locali, bisogna applicare un file:///F|/sito/merck/sez23/3082837.html (1 of 2)02/09/2004 2.24.57

Morsi e punture

antistaminico. La zecca deve essere conservata per poter eseguire analisi di laboratorio volte all’identificazione di agenti eziologici di malattie trasmesse da zecche nell’area geografica in cui il paziente è stato parassitato dall’animale. Le lesioni dovute alla zecca pajaroello devono essere pulite, immerse in soluzione di Burow 1:20 e sbrigliate quando necessario. I corticosteroidi sono utili nei casi gravi. Le infezioni sono comuni durante lo stadio ulcerativo, ma raramente richiedono qualcosa di più delle misure antisettiche locali.

Paralisi da zecca Paralisi flaccida ascendente che si verifica quando zecche tossino-secernenti del genere Ixodidae (dure) rimangono attaccate alla cute per diversi giorni. Nel Nord America, alcune specie di Dermacentor e Amblyomma causano la paralisi da zecca. I sintomi e i segni comprendono anoressia, letargia, debolezza muscolare, incoordinazione, nistagmo e paralisi flaccida ascendente. La paralisi da zecca può essere confusa con la sindrome di Guillain-Barré, il botulismo, la miastenia grave o un tumore del midollo spinale. Si può verificare paralisi bulbare o respiratoria. La tossina responsabile della paralisi da zecca non è presente nella saliva delle zecche durante gli stadi precoci della loro alimentazione. La paralisi da zecca, pertanto, si verifica solo quando una o più zecche si gonfiano per il sangue ingerito per alcuni giorni o più. La paralisi da zecca è rapidamente reversibile dopo la rimozione dell’artropode (o degli artropodi) e può richiedere soltanto un trattamento sintomatico. Se la respirazione è compromessa, può essere necessaria la terapia con O2 o l’assistenza respiratoria. Una sola zecca, specialmente se attaccata alla parte posteriore del cranio o vicino alla colonna vertebrale, può causare la paralisi, ma devono essere ricercate altre zecche che possono contribuire al quadro.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE ALTRI MORSI DA ARTROPODI ACARI

Sommario: Introduzione Terapia

I morsi di acaro sono frequenti. Le pulci penetranti (larve di acaro che si nutrono nella cute, provocando una dermatite intensamente pruriginosa) sono ubiquitarie nell’ambiente esterno, tranne nelle regioni aride. Diverse specie sono responsabili di varie forme di scabbia (strettamente ospite-specifiche), demodicidosi (una dermatite simil-scabbiosa causata dal genere Demodex, chiamata anche rogna) e diverse altre malattie. I morsi provocano vari gradi di reazione tissutale locale, con o senza sensibilizzazione. La dermatite è provocata da acari che occasionalmente mordono l’uomo ma che sono abitualmente ectoparassiti degli uccelli, dei roditori o degli animali domestici e da acari presenti nei materiali vegetali o nel cibo o negli alimenti immagazzinati. Il primo gruppo comprende: gli acari degli uccelli, i quali colpiscono le persone che maneggiano il pollame vivo o gli uccelli domestici oppure che hanno nidi di uccelli sulle loro abitazioni; gli acari dei roditori provenienti da gatti, cani (specialmente cuccioli) e conigli; gli acari della scabbia suina (Sarcoptes scabiei varietà suis) provenienti dagli allevamenti di maiali o dai maiali domestici. Diverse specie di acari associate ai prodotti cerealicoli immagazzinati, al formaggio e ad altri cibi hanno provocato dermatite allergica o "prurito del droghiere" (v. Cap. 111). Sebbene tali acari non mordano, le persone spesso acquisiscono ipersensibilità agli allergeni presenti sul loro corpo o sui loro escrementi. L’acaro della paglia (Pyemotes tritici) è spesso associato alle sementi, alla paglia, al fieno o ad altri materiali vegetali; è un parassita degli insetti a corpo molle che sono (o sono stati) presenti in tali materiali. Questi acari spesso mordono le persone che maneggiano i materiali infestati; p. es., sono particolarmente a rischio i lavoratori dei granai, coloro che maneggiano i semi delle graminacee o il loro fieno e coloro che costruiscono composizioni di piante essiccate. Gli acari si trovano di rado su un paziente, perché sull’uomo la loro presnza è transitoria. Inoltre, la reazione cutanea è solitamente ritardata e la maggior parte dei pazienti si rivolge a un medico soltanto dopo diversi giorni di fastidio. Le lesioni cutanee provocate da diversi acari possono essere indistinguibili le une dalle altre e possono somigliare superficialmente ad altre patologie cutanee, compresi i morsi di insetti, la dermatite da rhus, le follicoliti, le pulci penetranti e la scabbia. La diagnosi deve essere basata sull’anamnesi (che deve comprendere le abitudini di vita del paziente, il lavoro e gli ambienti ricreativi), sulla presentazione clinica e sull’identificazione microscopica. Gli acari della polvere domestica non mordono. Piuttosto, essi si nutrono sulle cellule cutanee desquamate presenti sui cuscini, sui materassi e sui pavimenti (specialmente sui tappeti). Molte persone hanno ipersensibilità agli allergeni degli acari della polvere domestica e dei loro escrementi, la quale si manifesta come allergia respiratoria. file:///F|/sito/merck/sez23/3082838.html (1 of 2)02/09/2004 2.24.58

Morsi e punture

La parassitosi deludente (una condizione nella quale il paziente o la paziente si crede vittima di un’infestazione da acari) si presenta più spesso nelle donne in età menopausale o più anziane; la causa rimane di solito sconosciuta. Sono comuni la "folie à deux" e perfino la "folie à famille". In casi recenti, l’uso voluttuario di cocaina o metamfetamina ne è spesso la causa, specialmente negli uomini e nelle donne più giovani. Il paziente può giungere a descrivere in dettaglio l’acaro immaginario e le sue attività. La condizione differisce dall’entomofobia (paura degli insetti) per il fatto che il paziente cerca di catturare gli acari e porta spesso con sé borse, fogli di carta velina o nastri adesivi che egli suppone contengano campioni dell’acaro responsabile del problema. La diagnosi richiede l’esclusione delle infestazioni vere ma latenti (un entomologo medico può essere di aiuto), l’esecuzione di test dirimenti per l’esistenza di malattie sistemiche e la raccolta di informazioni complete circa l’uso da parte del paziente di sostanze illecite e soggette a prescrizione.

Terapia (Per il trattamento della scabbia, v. Cap. 114.) I prodotti acaricidi, come quelli impiegati per il trattamento della scabbia, non sono utili per il trattamento dei morsi o delle reazioni allergiche agli acari o alle pulci penetranti che siano soltanto transitori. In caso di necessità, sulla cute va applicata una crema o un unguento a base di corticosteroidi fino a che non avviene la guarigione. Nei casi gravi, possono essere prescritti corticosteroidi per via generale. Analogamente, le reazioni cutanee di tipo allergico devono essere trattate sintomaticamente. Attraverso la spiegazione delle fonti possibili, il medico può aiutare il paziente a evitare l’esposizione ripetuta agli acari. Il trattamento della parassitosi deludente, dopo che siano state escluse altre diagnosi, può prevedere la terapia dell’abuso di sostanze stupefacenti, le medicazioni e la terapia psichiatrica. L’applicazione di uno scabicida ha, tutt’al più, soltanto un effetto placebo temporaneo.

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Infezioni parassitarie della cute

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 114. INFEZIONI PARASSITARIE DELLA CUTE (v. anche Cap. 161.)

SCABBIA (Prurito) Ectoparassitosi molto contagiosa, intensamente pruriginosa, caratterizzata dalla presenza di cunicoli superficiali e dalla tendenza all’impetiginizzazione

Sommario: Eziologia ed epidemologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia ed epidemologia La scabbia è causata dall’acaro Sarcoptes scabiei. Le femmine gravide scavano un tunnel (cunicolo) nello strato corneo e vi depositano le uova fecondate. Le larve maturano in pochi giorni. La trasmissione della scabbia è rapida, di frequente insorgenza nell’ambito dello stesso nucleo familiare, per contatto cutaneo con una persona infestata (p. es., nello stesso letto). La diffusione tramite indumenti o biancheria da letto è una bassa componente di rischio.

Sintomi, segni e diagnosi Una reazione di ipersensibilità ritardata (una eruzione papulare intensamente pruriginosa) è condizione tipica, esordendo 30-40 giorni dopo l’avvenuta contaminazione. Il prurito è molto intenso quando il paziente è a letto, ma questa periodicità notturna si manifesta in molte dermatosi pruriginose. Sebbene il paziente possa avere centinaia di papule pruriginose, spesso sono presenti meno di 10 cunicoli. Il cunicolo è un tunnel sottile, tortuoso e finemente squamoso di lunghezza variabile da pochi millimetri a 1 cm. Un piccolo acaro (0,3-0,4 mm) è spesso visibile alla fine del cunicolo. I cunicoli si trovano prevalentemente negli spazi interdigitali, sulle superfici flessorie dei polsi, sui gomiti e nelle pieghe ascellari, sulle areole mammarie delle donne e sui genitali dell’uomo, lungo la linea della cintura e sui glutei. Negli adulti, solitamente, il volto non è colpito. Nei pazienti immunocompromessi e nei lattanti, le manifestazioni cliniche possono essere atipiche, p. es., una desquamazione causata da miriadi di acari (in particolare, a livello palmo-plantare negli adulti e nel capillizio nei bambini), può non essere pruriginosa. La diagnosi richiede la ricerca del cunicolo, che può risultare difficoltosa per il numero esiguo dei tunnel o per l’alterazione cutanea data dalle lesioni da grattamento o da una dermatite secondaria sovrapposta. Se non vengono riscontrati cunicoli tra le dita, nei polsi e nei genitali maschili, deve venire file:///F|/sito/merck/sez10/1140870.html (1 of 2)02/09/2004 2.24.58

Infezioni parassitarie della cute

esaminata l’intera superficie cutanea. Una volta localizzato un sospetto cunicolo, la diagnosi viene confermata dall’esame microscopico del materiale prelevato raschiandone la superficie. Il materiale raschiato viene posto su un vetrino con glicerolo, olio minerale od olio da immersione e coperto con vetrino coprioggetti (l’idrossido di potassio viene evitato in quanto dissolve gli escrementi fecali dell’acaro). Il ritrovamento dell’acaro, delle uova o degli escrementi fecali conferma la diagnosi.

Terapia Il trattamento con medicazioni topiche (scabicidi) di solito è efficace e quindi la sostanza medicamentosa va applicata su tutta la cute, dal collo in giù, specialmente negli spazi interdigitali, sui genitali, nelle aree perianali e a livello del 1o dito dei piedi. La medicazione dovrà rimanere a contatto con la cute per 12 ore, preferibilmente per 24 h e poi venire risciacquata. Il miglioramento è lento, malgrado la rapida scomparsa degli acari. Il prednisone, 40 mg/die PO per 7-10 giorni, porta a rapido giovamento e previene una dermatite da sovradosaggio causata da ripetute applicazioni di scabicida da parte del paziente, convinto della persistenza dell’infestazione. La medicazione topica di scelta è la crema di permetrina al 5%, per pazienti di ogni età. La crema o la lozione di lindano resta principalmente di interesse storico, in quanto irritante e potenzialmente neurotossica e da evitare in lattanti e bambini piccoli. Anche l’unguento di zolfo al 5-10% è un trattamento obsoleto. Tutte le persone con cui si viene in contatto (p. es., i conoscenti o tutti i membri del nucleo familiare) vanno trattate contemporaneamente. Di solito la terapia non va ripetuta a meno che il soggetto non si reinfesti. Per il prurito persistente si possono applicare unguenti a base di corticosteroidi fluorurati due volte al giorno (v. Cap. 110), per 1-2 sett., associati a farmaci antipruriginosi(p. es., idrossizina cloridrata 25 mg PO qid). Eventuali lesioni nodulari possono persistere per 1-2 mesi. Le infezioni batteriche concomitanti possono richiedere un trattamento antibiotico sistemico, ma spesso guariscono spontaneamente dopo la risoluzione della scabbia. Inoltre, per la cura della scabbia viene riportata la terapia con un’unica somministrazione di ivermectina (200µg/kg), anche se ancora in fase sperimentale. Un’eccessiva pulizia o disinfezione degli indumenti o della biancheria del letto è ingiustificata, in quanto l’acaro non sopravvive a lungo nel corpo umano.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE CENTOPIEDI, MILLEPIEDI Alcuni dei centopiedi più grandi del genere Scolopendra possono infliggere un morso doloroso, con un certo gonfiore ed eritema localizzato. Sono comuni la linfangite e la linfoadenite. La necrosi è rara e l’infezione quasi sconosciuta. I sintomi e i segni persistono raramente per più di 48 h. Un’attenta ispezione del morso rivela due ferite da puntura, una per ogni mandibola del centopiedi, differenziando così il morso da quello di un ragno. I millepiedi non mordono ma, quando vengono toccati, possono secernere una tossina che può causare irritazione cutanea locale e, nei casi gravi, eritema marcato, formazione di vescicole e necrosi. Alcune specie non statunitensi possono spruzzare una secrezione repulsiva altamente irritante che può causare gravi reazioni congiuntivali. La diagnosi viene posta sulla base della storia di un riferito contatto con un millepiedi. La collocazione di un cubetto di ghiaccio sulla maggior parte dei morsi dei centopiedi è in grado di controllare il dolore. Le secrezioni tossiche dei millepiedi devono essere lavate dalla cute con abbondanti quantità di acqua e sapone; l’alcol non va usato. Se si sviluppa una reazione cutanea bisogna applicare un corticosteroide topico. Le lesioni oculari richiedono l’irrigazione immediata e l’applicazione di un unguento o di un collirio a base di corticosteroidi.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE SCORPIONI Il Centruroides exilicauda (sculpturatus), trovato in Arizona, Nuovo Messico e sulla sponda californiana del fiume Colorado, è responsabile di molte lesioni. Tutti gli altri scorpioni del Nord America sono relativamente innocui; le punture di solito causano soltanto un dolore localizzato con gonfiore minimo, una certa linfangite con ingrandimento delle linfoghiandole regionali e un aumento della temperatura cutanea e della sensibilità dolorifica intorno alla ferita. Il veleno del C. exilicauda causa un certo dolore immediato e talvolta intorpidimento o formicolio della parte interessata. Di solito il gonfiore è assente. I bambini diventano tesi e irrequieti e mostrano movimenti anomali e casuali della testa, del collo e degli occhi. Negli adulti possono prevalere tachicardia, ipertensione, aumento della frequenza respiratoria, astenia e disturbi motori. Possono manifestarsi difficoltà respiratorie nei bambini e negli adulti, spesso complicate da salivazione eccessiva. Le punture di C. exilicauda hanno provocato la morte in bambini al di sotto di 6 anni e in individui ipersensibili. Diverse specie di scorpioni diffusi nel commercio degli animali esotici hanno un aspetto simile alle specie straniere che possiedono veleni tossici pericolosi. La specie degli scorpioni domestici (conosciuta con nomi come cacciatore giallo della morte e scorpione nero della morte) viene riconosciuta di rado o, se pure lo è, può esserlo in modo inattendibile. Le punture di questi animali devono essere trattate come potenzialmente pericolose fino a che i segni o l’assenza di segni non indicano diversamente. Le punture della maggior parte degli scorpioni del Nord America non richiedono un trattamento specifico. Un cubetto di ghiaccio sulla puntura riduce il dolore. Per controllare l’ipertensione possono essere necessari farmaci EV. La maggior parte degli spasmi muscolari dovuti a C. exilicauda risponde di solito al gluconato di calcio. È indicato il riposo a letto e per le prime 8-12 h non bisogna far assumere cibo. In tutti i casi gravi che non rispondono, e in particolare nei bambini, bisogna impiegare l’antidoto. Informazioni sulla sua disponibilità e sul suo uso si possono richiedere contattando un centro antiveleni di zona.

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Morsi e punture

Manuale Merck 23. AVVELENAMENTI 308. MORSI E PUNTURE ANIMALI MARINI Sommario: Celenterati Razze lanceolate Molluschi Echinodermi e ricci di mare

Celenterati I celenterati sono responsabili di un maggior numero di avvelenamenti rispetto a qualunque altro animale marino. Delle 9000 specie, circa 100 sono tossiche per l’uomo. I celenterati, comprendenti i coralli, gli anemoni di mare, le meduse e gli idroidi (p. es., la caravella portoghese) sono muniti di un apparato pungente altamente evoluto (nematocisti) in grado di perforare la cute umana. Le nematocisti sono particolarmente abbondanti sui tentacoli dell’animale; in seguito al contatto, un tentacolo può scaricare nella cute migliaia di nematocisti. Le lesioni variano a seconda del tipo di celenterato. In genere, le lesioni iniziali appaiono come piccole eruzioni papulari lineari che si sviluppano rapidamente in una o più linee discontinue, a volte circondate da una zona eritematosa rilevata. Il dolore può essere intenso e il prurito è frequente. Le papule possono trasformarsi in vescicole ed evolvere verso la trasformazione in pustole, l’emorragia e la desquamazione. Le manifestazioni sistemiche comprendono debolezza, nausea, cefalea, dolore e spasmi muscolari, lacrimazione e rinorrea, aumento della traspirazione, alterazioni della frequenza del polso e dolore toracico pleuritico. Nelle acque del Nord America, la caravella portoghese ha causato diversi decessi. I membri dell’ordine delle Cubomedusae sono i più pericolosi tra tutti i celenterati, particolarmente la vespa di mare (Chrionex fleckeri) e la medusa quadrata (Chiropsalmus quadrigatus) e sono stati responsabili di diversi decessi nelle acque dell’oceano Indiano e del Pacifico. In alcune parti del mondo non è consigliato alcun trattamento. Tuttavia, per interrompere il meccanismo della puntura, vengono usati: l’aceto, per la medusa quadrata; la soda da cucina in un impasto 50:50, per le ortiche di mare, e l’acqua di mare, per la caravella portoghese. I tentacoli vengono rimossi, preferibilmente con pinze o con le mani protette da guanti. L’analgesia mediante l’impiego di aspirina, di un FANS o di un altro antidolorifico va cominciata immediatamente per le punture più lievi. I casi più gravi possono richiedere l’O2 o l’assistenza cardiorespiratoria. Gli spasmi muscolari dolorosi possono essere alleviati con 10 ml di gluconato di calcio al 10% EV. I narcotici sono i farmaci di scelta per il dolore intenso. Nei pochi casi in cui si verifica uno shock, possono essere necessari l’adrenalina e i liquidi EV. È disponibile un antidoto per le punture di alcune specie australiane di celenterati, ma esso è inutile per le punture delle specie del Nord America.

Razze lanceolate Le razze lanceolate un tempo causavano circa 750 punture/anno lungo le coste nordamericane, ma l’incidenza attuale è sconosciuta. Il veleno è contenuto in una file:///F|/sito/merck/sez23/3082840.html (1 of 3)02/09/2004 2.25.00

Morsi e punture

o più spine sulla superficie dorsale della coda dell’animale. Le lesioni solitamente si verificano quando un sommozzatore o un palombaro incauto calpesta la razza lanceolata mentre cammina sulla risacca, sulla sabbia o nell’acqua stagnante, inducendo la razza a proiettare verso l’alto e in avanti la coda, conficcando così la spina (o le spine) dorsale nel piede o nella gamba della vittima. Il guscio tegumentario che circonda la spina si rompe e il veleno si riversa nei tessuti della vittima, causando un intenso dolore immediato. Anche se è spesso limitato all’area colpita, il dolore può diffondersi rapidamente, raggiungendo la sua massima intensità in meno di 90 min e riducendosi gradualmente nel giro di 648 h. Sincope, astenia, nausea e ansia sono frequenti e possono essere dovute, in parte, a vasodilatazione periferica. Sono stati descritti linfangite, vomito, diarrea, sudorazione, crampi generalizzati, dolore ascellare o inguinale e difficoltà respiratoria. La ferita è di solito frastagliata, sanguina copiosamente ed è spesso contaminata da frammenti del rivestimento tegumentario. I suoi margini sono spesso discromici e si può verificare una certa distruzione tissutale localizzata. In genere sono presenti gonfiore ed edema. Le ferite aperte vanno soggette a infezioni. Le ferite degli arti devono essere irrigate con l’acqua salata a disposizione. Deve essere fatto un tentativo per rimuovere il guscio tegumentario, se è possibile vederlo. Quindi l’arto va immerso per 30-90 min nell’acqua più calda che il paziente riesce a tollerare senza riceverne danno. La ferita deve essere riesaminata per verificare l’eventuale presenza di residui del guscio e poi sbrigliata. Va somministrata un’adeguata terapia antitetanica e l’estremità colpita deve essere mantenuta sollevata per vari giorni. Può rendersi necessario l’uso di un antimicrobico e la chiusura chirurgica della ferita. Se le misure iniziali di primo soccorso vengono prese in ritardo o il dolore persiste, la ferita può essere anestetizzata localmente con lidocaina. Possono essere necessari i narcotici. Lo shock primario che talvolta segue immediatamente una puntura in genere risponde a semplici misure di supporto. Le punture a livello del tronco devono essere valutate con molta attenzione per la possibilità di perforazione di organi interni.

Molluschi I molluschi comprendono le conchiglie coniche, i polpi e le conchiglie bivalvi. Il Conus californicus è la sola conchiglia conica riconosciuta pericolosa delle acque del Nord America. La sua puntura provoca dolore localizzato, gonfiore, arrossamento e intorpidimento. I morsi dei polpi nordamericani sono di rado pericolosi. L’avvelenamento paralizzante da molluschi, causato dall’ingestione di alcuni bivalvi che a loro volta hanno ingerito dinoflagellati tossici, è trattato nel paragrafo Avvelenamento alimentare chimico nel Cap. 28. Il trattamento è in larga parte empirico. Le misure locali sembrano essere di scarso valore. È stata suggerita l’iniezione locale di adrenalina e il successivo uso di neostigmina. Le punture gravi da Conus possono richiedere la ventilazione meccanica e provvedimenti contro lo shock.

Echinodermi e ricci di mare Gli echinodermi comprendono diverse classi velenose. Alcuni ricci di mare possiedono organi veleniferi (Pedicellarie globose) con mascelle calcaree in grado di perforare la cute umana, ma le lesioni sono rare. Molto più comuni sono le lesioni da spine di riccio di mare, che si possono spezzare all’interno della cute e provocare reazioni tissutali locali. Se non vengono rimosse, le spine possono migrare nei tessuti più profondi, causando una lesione nodulare granulomatosa, oppure possono incunearsi in un osso o in un nervo. Si possono verificare anche dolore articolare e muscolare e una dermatite.

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Morsi e punture

Le punture di G. pedicellariae vengono trattate lavando la zona e applicando un balsamo mentolato. Le spine del riccio di mare devono essere rimosse immediatamente. Una discromia bluastra nella sede di ingresso può aiutare a localizzare la spina, che a volte è visibile ai raggi X. L’aceto discioglie la maggior parte delle spine superficiali; può essere sufficiente bagnare la ferita con aceto varie volte al giorno e applicare un impacco sempre a base di aceto. Raramente, va praticata una piccola incisione per estrarre la spina; bisogna fare attenzione, perché le spine sono molto fragili. Una spina che sia migrata nei tessuti più profondi può richiedere la rimozione chirurgica.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189-2. MANIFESTAZIONI CLINICHE DEGLI STATI DEPRESSIVI E MANIACALI Manifestazione Alterazioni dell'umore

Sindrome depressiva Depresso, irritabile o ansioso (tuttavia, alcuni pazienti possono apparire sorridenti e sminuire o negare l'alterazione soggettiva dell’umore, lamentando invece dolori oppure altri problemi o timori somatici)

Sindrome maniacale Euforico, irritabile o ostile Crisi di pianto momentanee (nel contesto di uno stato misto)

Crisi di pianto (tuttavia, alcuni pazienti possono lamentare l’incapacità di piangere o di provare emozioni) Disturbi cognitivi e psicologici

Perdita della fiducia in sé; bassa autostima; autoaccuse

Autostima esagerata; fanfaronate; idee di grandezza

Difficoltà di concentrazione; indecisione Accelerazione del flusso ideico (fuga delle idee); associazioni mentali bizzarre (nuovi pensieri stimolati dal Riduzione delle fonti di gratificazione; diminuzione di interesse nelle normali suono delle parole piuttosto che dal attività; perdita dei legami affettivi; ritiro loro significato); distraibilità sociale Aumento di interesse per nuove attività; coinvolgimento maggiore con Aspettative negative; disperazione; impotenza; aumento della dipendenza le persone (che tendono spesso a sfuggire per il comportamento invadente ed indiscreto del paziente); Pensieri ricorrenti di morte e di suicidio spese sconsiderate; frenesia sessuale; investimenti ed affari avventati Disfunzioni psicomotorie e vegetative

Ritardo psicomotorio; affaticamento Agitazione Anoressia e perdita o aumento di peso Insonnia o ipersonnia Alterazioni del ciclo; amenorrea Anedonia; perdita del desiderio sessuale

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Accelerazione psicomotoria ed eutonia (aumentato senso di benessere psicofisico) Possibile perdita di peso per l’aumento smodato di attività e per irregolarità nelle abitudini alimentari Diminuito bisogno di sonno Aumento del desiderio sessuale

Manuale Merck - Tabella

Sintomi psicotici

Deliri di colpa e di indegnità

Idee deliranti megalomaniche di talento eccezionale

Deliri di riferimento o di persecuzione Idee deliranti di malattia (nichilistiche, somatiche o ipocondriache) Deliri di rovina Allucinazioni depressive della sfera uditiva, visiva e (raramente) olfattiva

Idee deliranti di protezione da entità esterne, oppure di riferimento e di persecuzione Idee deliranti di capacità fisiche eccezionali Idee deliranti di ricchezza, di origini nobili, altra identità megalomanica Momentanee allucinazioni visive o uditive

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189-3. CARATTERISTICHE DELL'ANSIA E DELLA DEPRESSIONE Ansia

Depressione

Ipervigilanza

Ritardo psicomotorio

Grave tensione e panico

Tristezza grave

Percezione di pericolo

Percezione di perdita

Evitamento fobico

Perdita di interessi (anedonia)

Dubbi e incertezze

Disperazione, idee di suicidio

Insicurezza

Auto-deprezzamento

Ansia da prestazione

Perdita della libido Risvegli precoci Perdita di peso

Adattata da Akiskal HS : "Toward a clinical understanding of the relationship of anxiety and depressive disorders," in Comorbidity of Mood and Anxiety Disorders, edito da JP Maser e CR Cloninger. Washington, DC, American Psychiatric Press, 1990, p.597; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189-4. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA E DEMENZA PRIMARIA (DEGENERATIVA) Segni clinici

Pseudodemenza

Demenza primaria

Esordio

Acuto

Insidioso

Precedenti episodi affettivi

Frequenti

Non caratteristici

Autoaccusa

Frequente

Non caratteristica

Variazioni diurne

Accentuazione mattutina

Accentuazione notturna

Compromissione della memoria

Uguale per la memoria Maggiore per quella recente e per quella recente che per quella remota remota

Altri deficit cognitivi

Circoscritti

Globali

Risposte ai test cognitivi

"Non so"

Sbagliate

Reazione agli errori

Tendenza ad abbandonare

Catastrofica

Effetti dell’esercizio

Può fornire apprendimento

Costantemente scarsi

Risposta alla privazione Miglioramento del sonno

Peggioramento (?)

Modificata da Akiskal HS: "Mood disturbances", in Medical Basis of Psychiatry, ed.2, edito da G Winokur e P Clayton. Philadelphia, WB Saunders Company, 1994, pp.365-379; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189-5. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA PSICOSI AFFETTIVA E PSICOSI SCHIZOFRENICA Criteri Età di esordio

Psicosi affettiva Qualsiasi età

Psicosi schizofrenica Raramente dopo i 40anni

Tratti di personalità Ansioso, distimico, ciclotimico o premorbosi ipertimico

Schizoide o schizotipico

Inizio

Generalmente improvviso

Generalmente insidioso

Affettività

Generalmente "contagiosa"

Rigida, coartata, incongrua

Processi di pensiero

In genere comprensibili; rallentati o Tipicamente difficili da seguire accelerati (allentamento dei nessi associativi)

Deliri ed allucinazioni

In genere consoni con l’umore, ma Tipicamente idiosincrasiche, a volte possono anche comparire bizzarre e che coinvolgono molteplici aspetti della vita del paziente; sintomi schneideriani comunemente in forma schneideriana

Anamnesi familiare Disturbi dell’umore; alcolismo Decorso

In genere con remissioni o periodico; personalità generalmente conservata

Schizofrenia In genere senza remissioni; funzionamento sociale spesso deteriorato

Adattamento da Akiskal HS, Puzantian VR: "Psycotic forms of depression and mania", Psychiatric Clinics of North Amer ica 2(3): 419-439, 1979; riproduzione autorizzata.

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Disturbi dell'umore

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 189. DISTURBI DELL'UMORE DISTURBO DISTIMICO Sommario: Introduzione Terapia

Nel disturbo distimico, i sintomi depressivi esordiscono generalmente in maniera subdola, nell’infanzia o nell’adolescenza, e seguono un decorso intermittente o attenuato per molti anni o decenni; episodi depressivi maggiori possono costituirne una complicanza (depressione doppia). Nella distimia pura, le manifestazioni depressive insorgono a un livello subliminare e si sovrappongono largamente con quelle del temperamento depressivo: solitamente cupo, pessimista, privo d’umorismo o incapace di allegria, passivo e letargico, introverso, scettico, ipercritico o lamentoso, autocritico, autoaccusatore e autodenigratore, preoccupato per eventuali inadeguatezze, insuccessi, eventi negativi.

Terapia Gli SSRI sono il trattamento di scelta. Sono efficaci anche gli antidepressivi triciclici con struttura aminica secondaria, specialmente la desipramina, ma possono essere di uso più difficile perché la dose deve essere alta e gli effetti collaterali possono compromettere la compliance. Se il paziente ha una anamnesi familiare di disturbo bipolare, il litio da solo o associato a desipramina o buproprione è spesso efficace. Può essere utile un tentativo con la tranicilpromina; sembra che la moclobemide, un IMAO reversibile non disponibile negli USA, sia efficace e privo delle problematiche interazioni alimentari e farmacologiche degli IMAO classici. È stata riferita l’efficacia a basse dosi (da 25 a 50 mg/die) dell’antipsicotico amisulpride, un agonista della dopamina non disponibile negli USA. L’antipsicotico trifluoperazina alla dose di 1 mg/die è grosso modo equivalente e può essere usato nei casi refrattari di distimia grave, ma solo quando i suoi benefici sorpassano i rischi di discinesia tardiva legati all’uso a lungo termine. La consulenza professionale è importante, perché molti soggetti distimici sono particolarmente adatti a lavori che comportano zelo e accurata attenzione ai dettagli. Le psicoterapie interpersonali e cognitivo-comportamentali sono di uso crescente per combattere l’inerzia e l’assetto mentale di tipo autofrustrante di questi pazienti; queste terapie hanno la massima efficacia se associate alla farmacoterapia.

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Disturbi dell'umore

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 189. DISTURBI DELL'UMORE DISTURBI BIPOLARI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

La valutazione accurata di molti soggetti con depressione rivela tratti bipolari, e un paziente su 5 con un disturbo depressivo sviluppa anche una franca ipomania o una mania. La maggior parte dei viraggi dal disturbo monopolare al bipolare si verifica entro 5 anni dall’esordio delle manifestazioni depressive. Tra i predittori di viraggio vi sono: un esordio precoce della depressione (< 25 anni), una depressione post-partum, episodi depressivi frequenti, un miglioramento rapido dell’umore con trattamenti somatici (p. es., antidepressivi, fototerapia, deprivazione di sonno, terapia elettroconvulsiva), e un’anamnesi familiare di disturbi dell’umore per tre generazioni consecutive. Tra un episodio e l’altro, i pazienti con disturbo bipolare presentano un umore a colorito depressivo e, a tratti, grande attività ed energia; la compromissione del funzionamento evolutivo e sociale è più comune che nel disturbo monopolare. Nel disturbo bipolare, gli episodi sono più brevi (da 3 a 6 mesi), l’età d’esordio è più precoce, l’esordio degli episodi più acuto e i cicli (il periodo di tempo tra l’esordio di un episodio e quello del successivo) sono più brevi che nel disturbo monopolare. La ciclicità è particolarmente accentuata nelle forme a cicli rapidi del disturbo bipolare (di solito definite tali quando si manifestano 4 episodi per anno). Nel disturbo bipolare di tipo I, si alternano episodi conclamati di tipo maniacale e depressivo maggiore. Il disturbo bipolare di tipo I di solito esordisce con un episodio depressivo, e il suo decorso è caratterizzato da almeno un periodo maniacale o di eccitamento. La fase depressiva può essere il preludio o il postumo immediato della fase maniacale, oppure la depressione e la mania possono essere separate da mesi o anni. Nel disturbo bipolare di tipo II, gli episodi depressivi si alternano a episodi ipomaniacali (periodi relativamente lievi, senza sintomi psicotici, che di solito durano meno di 1 sett.). Nel corso del periodo ipomaniacale l’umore risale, il bisogno di sonno diminuisce e l’attività psicomotoria aumenta oltre il livello consueto per il paziente. Spesso il viraggio viene indotto da fattori circadiani (p. es., si va a letto depressi e ci si sveglia al mattino presto in stato ipomaniacale). L’ipersonnia e la sovralimentazione sono caratteristiche, e gli episodi possono recidivare stagionalmente (p. es., in autunno o in inverno); nella fase depressiva si manifestano insonnia e diminuzione dell’appetito. Per alcune persone i periodi ipomaniacali hanno carattere adattativo, perché si associano a grande energia e sicurezza, e a un funzionamento sociale superiore al normale. Molti pazienti che sperimentano un’elevazione piacevole dell’umore, di solito dopo una depressione, non lo riferiscono se non viene loro chiesto esplicitamente. Domande mirate possono rivelare segni patologici, come sperpero, avventure sessuali impulsive e abuso di sostanze stimolanti. Tali informazioni possono essere fornite più probabilmente dai familiari. I pazienti con episodi depressivi maggiori e un’anamnesi familiare di disturbi bipolari (chiamati ufficiosamente bipolari di tipo III) spesso denotano lievi file:///F|/sito/merck/sez15/1891652b.html (1 of 7)02/09/2004 2.25.54

Disturbi dell'umore

tendenze ipomaniacali; il loro temperamento è chiamato ipertimico (cioè, energico, ambizioso, competitivo).

Sintomi e segni I sintomi della fase depressiva sono simili a quelli della depressione monopolare (v. sopra, tranne per il fatto che il ritardo psicomotorio, l’ipersonnia e nei casi estremi lo stupor, sono più caratteristici. Nella psicosi maniacale conclamata l’umore di solito è euforico, ma l’irritabilità e la franca ostilità con litigiosità non sono rare. Generalmente, i pazienti maniacali sono esuberanti e appariscenti o vestiti con colori sgargianti; hanno modi autoritari con una parlantina rapida, inarrestabile. Tendono a credere di essere nel loro stato mentale migliore. La loro mancanza di consapevolezza e la capacità sregolata di attività possono portare a uno stato psicotico pericolosamente esplosivo. Ne risultano contrasti interpersonali che possono condurre a deliri paranoidi, come quelli di nocumento o di persecuzione. L’attività mentale accelerata è vissuta dal paziente sotto forma di pensieri che si rincorrono, è osservata dal medico come fuga delle idee e, nelle sue forme estreme, è difficilmente distinguibile dall’allentamento dei nessi associativi nei pazienti schizofrenici. Facilmente distraibili, i pazienti possono passare di continuo da un tema od occupazione a un’altra. I pensieri e le attività sono espansive e possono arrivare sino a una franca megalomania delirante (cioè, la convinzione erronea di essere ricchi, potenti, inventivi e geniali, oppure l’assunzione temporanea di un’identità megalomanica). Alcuni pazienti credono di essere assistiti da agenti esterni. A volte si manifestano allucinazioni uditive e visive. Il bisogno di sonno appare diminuito. I pazienti maniacali si imbarcano in svariate attività in maniera inesauribile, eccessiva e impulsiva, senza rendersi conto dei pericoli sociali cui possono andare incontro. Nei casi estremi, l’attività psicomotoria è talmente frenetica che non esiste più alcun legame comprensibile tra umore e comportamento; questa agitazione afinalistica è nota come mania confusa, che è la controparte dello stupor depressivo. Osservabile raramente nella pratica psichiatrica attuale, la mania confusa costituisce un’emergenza medica, perché i pazienti possono morire per vero e proprio esaurimento fisico. Gli stati misti sono una combinazione di manifestazioni depressive e maniacali (o ipomaniacali) e distinguono i disturbi bipolari dalla controparte monopolare. Gli esempi più tipici sono rappresentati dal pianto momentaneo al culmine dello stato maniacale o dalla fuga delle idee nel contesto di uno stato depressivo. In almeno 1/3 delle persone con disturbo bipolare, l’intero episodio (oppure una sequenza di episodi) si manifesta sotto forma di episodio misto. Una presentazione sintomatologica comune consiste in elevazione disforica dell’umore, pianto, diminuzione del sonno, fuga delle idee, megalomania, irrequietezza psicomotoria, ideazione suicida, deliri persecutori, allucinazioni uditive, perplessità e confusione. Questo quadro di presentazione è chiamato mania disforica, cioè con sintomi depressivi preminenti sovrapposti a una psicosi maniacale. La mania disforica spesso colpisce il sesso femminile e le persone con temperamento depressivo. L’abuso di alcol e di farmaci ipnotico-sedativi contribuisce allo sviluppo o all’aggravamento degli stati misti. Gli stati misti depressivi, che non sono descritti in maniera specifica nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IV edizione (DSM-IV), vanno considerati più precisamente come intromissioni di sintomi ipomaniacali o di tratti ipertimici in un episodio depressivo maggiore con ritardo psicomotorio. I farmaci antidepressivi possono aggravare questi stati producendo uno stato depressivo irritabile subacuto che dura molti mesi. Il quadro clinico è costituito da irritabilità, urgenza dell’eloquio sullo sfondo del ritardo, estrema stanchezza, rimuginazioni di colpa, ansia libera, attacchi di panico, insonnia intrattabile, aumento della libido, apparenza istrionica ma con espressione genuina di sofferenza depressiva e, nei casi estremi, ossessioni e impulsi al suicidio. I pazienti con stato misto depressivo e quelli con mania disforica sono ad alto rischio di suicidio e richiedono una gestione clinica esperta.

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La mortalità per cause cardiovascolari è lievemente maggiore nei pazienti con disturbo bipolare; questo aumento non è spiegato dalla cardiotossicità del litio o degli antidepressivi triciclici e tende a verificarsi anche nei parenti di primo grado che non hanno episodi affettivi conclamati. L’aumento è probabilmente correlato alla comorbilità con l’ipertensione, il diabete e la malattia coronarica, tutte aggravate dalla dipendenza alcolica e nicotinica, frequente nei pazienti con disturbo bipolare.

Terapia Gestione della fase acuta: la mania euforica classica spesso si manifesta come un’emergenza sociale, e va trattata preferibilmente in regime di ricovero. Il litio funziona meglio nella mania euforica non complicata. Dopo aver effettuato le analisi di laboratorio di routine (emocromo completo, analisi dell’urina, tiroxina, TSH, elettroliti sierici, creatinina, azoto ureico), si somministra carbonato di litio alla dose di 300 mg PO bid o tid, aumentando il dosaggio per un periodo di 710 gg, fino a raggiungere un livello sierico compreso tra 0,8 e 1,2 mEq/l. I pazienti con mania in fase acuta presentano un’elevata tolleranza al litio, generalmente con sua ritenzione nei primi 10 giorni, mentre il Na+ viene escreto. Si raccomanda una dieta regolare. I giovani, che hanno una funzionalità glomerulare eccellente, hanno bisogno di dosi maggiori di litio per raggiungere gli stessi livelli sierici; i pazienti anziani necessitano di dosi minori. Poiché l’inizio dell’azione del litio ha un periodo di latenza di 4-10 gg, è necessario talvolta somministrare inizialmente da 5 a 10 mg PO o IM di aloperidolo (fino a 30 mg/ die) o un altro antipsicotico; ne viene somministrata la quantità necessaria fino al controllo dello stato maniacale. Nel caso di pazienti psicotici estremamente iperattivi con scarsa assunzione di cibo e acqua, è preferibile somministrare un antipsicotico IM con sostegno delle funzioni vitali per una sett., prima di iniziare il trattamento col litio. Il lorazepam o il clonazepam a dosi di 2-4 mg tid IM o PO, somministrati precocemente nel trattamento della fase acuta, possono potenziare gli effetti dell’antipsicotico, la cui dose in tal modo può essere ridotta. Il litio è un metallo alcalino che si trova in natura. I suoi supposti meccanismi di azione terapeutica comprendono la riduzione della mobilizzazione del Ca++ intraneuronale, attraverso l’attivazione del sistema effettoriale di membrana del fosfoinositolo; l’iperpolarizzazione della membrana neuronale; l’aumento della deaminazione presinaptica della noradrenalina e la diminuzione del suo rilascio; il blocco dei recettori β-adrenergici che stimolano l’adenilciclasi; la riduzione del turnover della dopamina; l’aumento della captazione del triptofano con conseguente stabilizzazione delle dinamiche sinaptiche della 5-HT; l’inibizione della sintesi della prostaglandina E1; il rallentamento dei ritmi biologici. Sebbene il litio sia in grado di attenuare le fluttuazioni bipolari dell’umore, esso non ha alcun effetto sull’umore normale. Sembra inoltre avere un’azione antiaggressiva, ma non è chiaro se ciò avvenga anche nei pazienti non affetti dal disturbo bipolare. Non produce direttamente sedazione, né di solito compromissione cognitiva; se si verifica ciò, deve essere escluso un ipotiroidismo indotto dal litio. Due terzi dei pazienti con disturbo bipolare non complicato rispondono al litio. I fattori predittivi di una buona risposta sono un quadro di mania euforica nel contesto di un disturbo primitivo dell’umore, una frequenza di episodi < 2/anno, un’anamnesi personale e familiare positiva di risposta al litio. Il litio è meno efficace nei pazienti con stati misti, con forme di disturbo bipolare a cicli rapidi e con comorbilità per ansia, abuso di sostanze o un disturbo neurologico. Il litio, che in genere viene somministrato sotto forma di sale carbonato, è assorbito rapidamente e completamente nel tratto gastrointestinale e raggiunge il picco sierico in 90 min. Non viene trasformato; il 95% viene escreto a livello renale, con un processo accelerato dalla presenza di ioni Na+. Pertanto, l’uso di diuretici o la presenza di disturbi che portano a perdita di Na+ comportano il rischio di tossicità. L’emivita è di 24 h, ma tende ad aumentare con l’età. La stabilizzazione dei livelli plasmatici si ottiene in 4-6 gg, il che genera un ritardo nell’azione antimaniacale acuta. Durante un episodio maniacale, il paziente trattiene litio ed elimina Na+; i dosaggi PO e il livello ematico devono essere più file:///F|/sito/merck/sez15/1891652b.html (3 of 7)02/09/2004 2.25.54

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alti durante il trattamento acuto rispetto a quelli della profilassi di mantenimento. Il litio ha un margine terapeutico ristretto e i suoi livelli ematici devono essere monitorati con precisione. I più comuni effetti collaterali acuti lievi del litio consistono in tremori fini, fascicolazioni, nausea, diarrea, poliuria, sete, polidipsia e aumento di peso (parzialmente attribuibile all’assunzione di bevande ad alto contenuto calorico). Questi effetti sono di solito transitori e spesso rispondono a lievi abbassamenti della dose, al suo frazionamento (p. es., tid) oppure all’uso di formulazioni a rilascio prolungato. Non appena il dosaggio si sia stabilizzato, la dose intera va somministrata dopo la cena. Questo dosaggio può migliorare la compliance e si ritiene che le flessioni dei livelli sierici abbiano un’azione protettiva sul rene. Un βbloccante, come l’atenololo a dosi di 25 mg PO 1 volta/die o bid, può controllare un tremore invalidante. Gli effetti tossici si manifestano all’inizio con tremori grossolani, iperreflessia profonda, cefalea persistente, vomito e confusione mentale e possono portare a stupor, convulsioni e aritmie cardiache. A parte il sovradosaggio, la tossicità del litio è più probabile nei pazienti anziani e in quelli con ridotta clearance della creatinina, o con perdita di Na+ derivante da febbre, vomito, diarrea o uso di diuretici. Possono contribuire all’iperlitiemia anche FANS diversi dall’aspirina. Nessuna di queste situazioni è una controindicazione assoluta al litio. Tuttavia la funzione renale deve essere valutata all’inizio e monitorata di frequente (misurando il volume urinario nelle 24 ore, la concentrazione urinaria e la clearance della creatinina), e la litiemia va misurata spesso. Può essere necessario ridurre le dosi e somministrare una dose supplementare di sodio alimentare. Qualora si sospetti una malattia tiroidea, occorre saggiare la risposta del TSH al TRH e gli altri indici di funzionalità tiroidea. Nei pazienti con umore relativamente stabile, i livelli sierici di litio e il peso vanno misurati ogni tre mesi, la creatinina e il TSH due volte l’anno. Frequenti effetti collaterali cronici del litio sono l’esacerbazione dell’acne e della psoriasi, l’ipotiroidismo e il diabete insipido nefrogeno (che può migliorare con la diminuzione del dosaggio o con la provvisoria sospensione del farmaco). I pazienti con anamnesi di disturbi renali parenchimali possono presentare il rischio di danni strutturali a livello del tubulo distale. La psicosi maniacale acuta viene sempre più spesso trattata con gli antipsicotici atipici risperidone (di solito 4-8 mg/die PO) e olanzapina (di solito 5-10 mg/die PO), in ragione del loro minimo rischio di effetti collaterali extrapiramidali. Anche gli anticonvulsivanti, specialmente il valproato e la carbamazepina, sono di largo uso. Il loro meccanismo di azione preciso nel disturbo bipolare è sconosciuto, ma può coinvolgere meccanismi GABAergici e in via finale i sistemi di segnale di membrana mediati dalla proteina G. I loro principali vantaggi sul litio includono un margine terapeutico più largo e la mancanza di tossicità renale. Il valproato (soprattutto sotto forma di valpromide, che ha buona tollerabilità gastrointestinale) è approvato per la mania acuta. A differenza della carbamazepina, la valpromide non ha effetti di soppressione midollare, ma può causare danno epatico nei bambini. La valpromide può causare aumento di peso, alopecia e tremori nell’adulto. Gli effetti collaterali più comuni della carbamazepina sono sedazione, vertigini, atassia, diplopia e rash pruriginosi. La carbamazepina ha un effetto di autoinduzione sul proprio catabolismo, quindi necessita di frequenti aumenti di dosaggio nei primi mesi di trattamento; la valpromide non presenta tale induzione. La carbamazepina (sino a circa 28 mg/kg/die PO) è utile nei pazienti con caratteristiche psicotiche non congrue all’umore. La valpromide (sino a 60 mg/kg/die PO) è preferita da molti medici negli USA come stabilizzante dell’umore per il trattamento della fase acuta, in special modo per i pazienti maniacali ostili e irritabili. La "depakinizzazione" (aumento della dose in pochi giorni) può avere effetti rapidi. Sebbene la mania disforica possa essere trattata con un antipsicotico, la valpromide (sino a 60 mg/kg/die PO) è il trattamento di scelta, specialmente quando sono presenti caratteristiche psicotiche. L’antipsicotico atipico clozapina file:///F|/sito/merck/sez15/1891652b.html (4 of 7)02/09/2004 2.25.54

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può essere di grande beneficio per i pazienti con disturbo misto maniacale resistente, ma è associato al rischio di agranulocitosi; l’olanzapina può essere un’alternativa priva di tale rischio. La terapia elettroconvulsiva è riservata ai casi più gravi di mania e di stato misto. Nei pazienti con disturbo bipolare di tipo II, ogni antidepressivo efficace può causare un’ipomania iatrogena, ma il buproprione e la paroxetina sembrano quelli con minori probabilità di farlo. La tranilcipromina è riservata ai casi resistenti al bupropione o alla paroxetina. Questi antidepressivi possono essere usati come monoterapia per i pazienti relativamente stabili tra gli episodi, e che hanno ricadute infrequenti. Per la maggior parte degli altri pazienti con disturbo bipolare di tipo II, sono necessari anche gli stabilizzanti dell’umore. Il litio ha un modesto effetto antidepressivo acuto nella fase depressiva del disturbo bipolare, e può essere somministrato da solo o in associazione a qualsiasi antidepressivo, ma preferibilmente con uno che abbia le minori probabilità di indurre ciclicità. Le dosi di potenziamento del litio vanno da 600 a 1200 mg/die. Gli antidepressivi possono essere potenziati anche con la valpromide, da 500 a 1000 mg/die. Alcuni pazienti rispondono all’associazione di litio e valpromide. Terapia di mantenimento: il trattamento di un episodio maniacale isolato va proseguito per almeno 6 mesi. La maggior parte degli episodi maniacali recidiva, in quanto parte di un disturbo bipolare ricorrente. La terapia di mantenimento con litio va iniziata dopo due episodi bipolari classici separati da meno di 3 anni. I livelli vanno mantenuti tra 0,3 e 0,8 mEq/l, di solito somministrando da due a cinque capsule da 300 mg al dì. Gli antidepressivi non vanno usati in corso di profilassi, a meno che la depressione intercorrente non sia grave; se usati, vanno somministrati solo per 4-12 sett. Se si manifesta un’accelerazione psicomotoria disturbante o uno stato misto, la tioridazina da 50 a 300 mg/die PO per 1-4 sett. può stabilizzare nuovamente il paziente; l’olanzapina da 5 a 10 mg/die può essere un’alternativa praticabile. Nel caso del paziente maniacale non aderente alla terapia, oppositivo, di prassi si somministra una fenotiazina depot come la flufenazina decanoato 12,5-25 mg IM q 3-4 sett. Nei pazienti con disturbo bipolare e manifestazioni psicotiche incongrue con l’umore, oltrepassanti i limiti usuali del disturbo dell’umore "puro", sono spesso necessari cicli intermittenti di neurolettici depot. Gli anticonvulsivanti possono essere più facili da usare rispetto al litio. La carbamazepina, da 400 a 2000 mg/die PO (livello ematico: da 6 a 12 mg/l), è efficace. A causa del rischio di agranulocitosi, sarà utile avviare misure prudenziali quali la sorveglianza clinica e un emocromo periodico. La valpromide, da 400 a 2000 mg/die (livello ematico: da 40 a 140 mg/l) non causa alterazioni ematologiche, ma la funzionalità epatica va controllata periodicamente. Poiché la valpromide ha minori probabilità di causare ottundimento mentale, viene spesso preferita per la profilassi. L’anticonvulsivante lamotrigina (sino a 200 mg/die PO) è particolarmente utile per la fase depressiva del disturbo bipolare e per gli accessi affettivi gravi in alcuni pazienti con personalità borderline. Il trattamento va iniziato con 25 mg; la dose viene aumentata gradualmente per evitare rash pruriginosi, che si verificano precocemente nel 5-10% dei pazienti. La sospensione, appena insorge il rash, evita la rara ma grave sindrome di Stevens-Johnson. Il gabapentin sembra avere scarsi effetti collaterali, ma è da riservare ai casi resistenti come farmaco potenziante. Prevenzione dei cicli rapidi: gli antidepressivi possono indurre cicli rapidi in alcuni pazienti (p. es., i pazienti con disturbo bipolare di tipo II e temperamento ciclotimico), anche se somministrati in associazione con il litio. La strategia migliore è quella preventiva: limitare l’uso degli antidepressivi alla fase depressiva. Per un caso ormai istaurato di cicli rapidi, il medico deve sospendere gradualmente tutti gli antidepressivi con effetto sui cicli, gli stimolanti, la caffeina, le benzodiazepine e l’alcol. Può essere necessario il ricovero. Il litio (o la valpromide) può essere somministrato con il buproprione. Poiché anche l’ipotiroidismo borderline predispone ai cicli rapidi (specialmente nelle donne), spesso è utile il potenziamento degli stabilizzanti dell’umore con ormoni (p. es., lfile:///F|/sito/merck/sez15/1891652b.html (5 of 7)02/09/2004 2.25.54

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tiroxina da 100 a 200 µg/die PO). A volte può anche essere utile la carbamazepina. Alcuni esperti associano un anticonvulsivante al litio, cercando di mantenere ambedue i farmaci a 1/2-2/3 della loro dose abituale. Anche la nimodipina (90 mg bid), un calcioantagonista, può essere d’aiuto nei cicli ultrarapidi (cioè cicli di pochi giorni), ma questa non è ancora una strategia affermata. Per ottenere risultati ottimali è spesso necessaria l’associazione di diversi stabilizzanti dell’umore. Tuttavia, è meglio evitare associazioni tra carbamazepina e valpromide e tra valpromide e lamotrigina, per la possibilità di effetti tossici additivi. La fototerapia è un approccio relativamente nuovo per i pazienti con disturbo bipolare stagionale o di tipo II (con depressione in autunno-inverno e ipomania in primavera-estate). È probabilmente più utile come potenziante. Precauzioni in gravidanza: le donne che desiderano un figlio devono aver compiuto almeno 2 anni di terapia di mantenimento senza episodi del disturbo, prima che possa essere loro prescritta una sospensione del litio. Il litio deve essere sospeso nel primo trimestre per evitare il rischio di anomalia di Ebstein, un difetto cardiaco. La carbamazepina e la valpromide vanno inoltre sospesi nel primo trimestre, perché possono provocare difetti del tubo neurale. Per una recidiva grave nel corso del primo trimestre, la terapia elettroconvulsiva è più sicura. Gli stabilizzanti dell’umore, se assolutamente necessari, possono essere usati nel secondo e terzo trimestre, ma vanno sospesi 1-2 sett. prima del parto e ripresi pochi giorni dopo. Le madri che assumono stabilizzanti dell’umore non devono allattare perché questi farmaci passano nel latte. Psicoeducazione e psicoterapia: assicurarsi il sostegno di un familiare è di cruciale importanza per prevenire gli episodi maggiori. I pazienti e i loro cari vengono spesso visti in terapia di gruppo, nella quale acquisiscono conoscenze sul disturbo bipolare, sulle sue conseguenze sociali e sul ruolo centrale dei farmaci stabilizzanti dell’umore nel suo trattamento. I pazienti, particolarmente quelli con disturbo bipolare di tipo II, possono non adeguarsi ai regimi terapeutici con gli stabilizzanti, perché riferiscono che questi farmaci esercitano su di essi un controllo eccessivo e li rendono meno vigili e creativi. Il medico può spiegare che una diminuzione di creatività è relativamente rara, poiché gli stabilizzanti dell’umore generalmente offrono l’opportunità di prestazioni più costanti nelle occupazioni scolastiche, professionali e artistiche. È necessario un dosaggio "intelligente"; il medico deve tenere in considerazione la carriera del paziente, assicurandogli che non si verificheranno ricadute. La psicoterapia individuale può aiutare i pazienti ad affrontare meglio i problemi quotidiani e ad adattarsi alla loro nuova identità. I pazienti hanno la consapevolezza inconscia che la loro periodica tendenza a perdere il controllo comporta dei costi, ma provano risentimento per il controllo da parte del medico. Per tale ragione, quando opportuno, il medico deve valutare se soddisfare alcune delle richieste del paziente di ridurre lievemente la dose di stabilizzanti; il possibile maggior rischio di ricadute è bilanciato da una migliore compliance e da una relazione di fiducia. Se si manifestano imminenti segni di ricaduta, come la riduzione del bisogno di sonno, possono essere prescritte per qualche notte basse dosi di un antipsicotico (p. es., la tioridazina da 50 a 100 mg). Gli interventi sul coniuge o sulla famiglia del paziente possono aiutare ad attenuare le cisi interpersonali. Ai pazienti va consigliato di evitare farmaci stimolanti e alcol, per ridurre al minimo la deprivazione di sonno e per riconoscere i segni precoci di ricaduta. Se i pazienti tendono allo sperpero, il patrimonio va affidato a un familiare di fiducia. I soggetti con tendenza agli eccessi sessuali devono essere informati sulle conseguenze coniugali (divorzio) e sui rischi infettivi della promiscuità (in particolare l’AIDS).

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 189. DISTURBI DELL'UMORE DISTURBO CICLOTIMICO Sommario: Introduzione Terapia

Periodi ipomaniacali meno gravi e microdepressivi con decorso irregolare, ognuno con durata di pochi giorni. Il disturbo ciclotimico è generalmente un precursore del disturbo bipolare di tipo II, ma può anche presentarsi sotto forma di un’estrema instabilità dell’umore, senza essere complicato da disturbi dell’umore di tipo maggiore. In tali casi, brevi cicli di depressione con ritardo psicomotorio, associata a bassa fiducia in sé e ad aumento del sonno, si alternano con euforia o aumento dell’entusiasmo e diminuzione del sonno. In altre forme prevalgono aspetti depressivi attenuati; la tendenza bipolare è rivelata principalmente dalla facilità con cui gli antidepressivi inducono euforia o irritabilità. Nell’ipomania cronica, una variante clinica rara, predominano i periodi di euforia, con riduzione abituale del sonno a meno di 6 h. Le persone con questa forma di disturbo sono costantemente troppo allegre, sicure di sé, piene di energie e di piani, prodighe, iperimpegnate e intriganti; attaccano discorso con la gente in maniera impulsiva. Sebbene in alcune persone il temperamento ciclotimico e quello ipomaniacale cronico contribuiscano al successo negli affari, alla capacità di comando, alla carriera e alla creatività artistica, più spesso hanno gravi ripercussioni dannose sul piano interpersonale e sociale. L’instabilità ciclotimica tende a essere rivelata particolarmente da un’anamnesi di instabilità lavorativa e scolastica, da cambiamenti di domicilio improvvisi e frequenti, da ripetute rotture di legami sentimentali o coniugali e infine da una modalità episodica di abuso alcolico e di sostanze.

Terapia I pazienti devono essere addestrati a convivere con gli eccessi delle proprie tendenze comportamentali, sebbene non sia facile vivere con un disturbo ciclotimico a causa delle burrascose relazioni interpersonali che esso causa. Sono da preferire i lavori con orari flessibili. I pazienti con inclinazioni artistiche devono essere incoraggiati a portare avanti queste occupazioni, poiché gli eccessi e la fragilità della ciclotimia sono più tollerati in tali ambienti. La decisione di usare uno stabilizzante dell’umore dipende dal bilancio tra la compromissione funzionale prodotta dagli imprevedibili viraggi dell’umore e i vantaggi sociali o gli spunti creativi che il paziente può ricevere dai viraggi ipomaniacali. La valpromide da 500 a 1000 mg/die è più tollerata rispetto a dosi equivalenti di litio. Gli antidepressivi vanno evitati a causa del rischio di viraggio e di cicli rapidi.

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Comportamento suicida

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 190. COMPORTAMENTO SUICIDA (V. anche Cap. 189 e 274)

Sommario: Introduzione Incidenza Eziologia Metodi Prevenzione Trattamento del tentativo di suicidio Effetti del suicidio Eutanasia

Il comportamento suicida comprende i gesti suicidi, il tentativo di suicidio e il suicidio portato a termine. I piani e le azioni suicide che appaiono di riuscita improbabile sono spesso definiti gesti suicidi; hanno un valore prevalentemente comunicativo. Tuttavia, non dovrebbero mai essere sottovalutati; sono richieste di aiuto e richiedono un’accurata valutazione e un trattamento mirato ad alleviare l’infelicità e a prevenire ulteriori tentativi, soprattutto perché il 20% dei soggetti che hanno tentato il suicidio ripete il gesto entro l’anno e il 10% alla fine riesce nel proprio intento. Un tentativo di suicidio è un gesto suicida che non è stato fatale probabilmente perché l’intenzione autodistruttrice era incerta, vaga o ambigua, o perché l’azione intrapresa aveva un potenziale letale basso. La maggior parte delle persone che tentano il suicidio ha desideri di morte ambivalenti e il tentativo di suicidio può rappresentare una richiesta di aiuto e può fallire grazie a un forte desiderio di vivere. Il suicidio portato a termine ha come risultato la morte. La distinzione tra suicidio portato a termine e tentativo di suicidio non é assoluta, perché i tentativi di suicidio includono anche i gesti suicidi di persone la cui decisione di morire è impedita soltanto perché vengono scoperti immediatamente e soccorsi con successo; inoltre, un tentativo di suicidio può risultare fatale per un errore di valutazione del paziente. Il comportamento autodistruttivo può essere diretto (comprendente di solito idee di suicidio, tentativi di suicidio e suicidi portati a termine) oppure indiretto (caratterizzato dall’esposizione, in genere ripetuta e spesso inconscia, a rischi potenzialmente letali senza l’intenzione di morire, ma con conseguenze in grado di rivelarsi alla fine autodistruttive). Esempi del tipo indiretto sono il bere eccessivo e l’uso di sostanze, il fumare molto, la sovralimentazione, il trascurare la propria salute, l’automutilarsi, il sottoporsi a numerosi interventi chirurgici, gli scioperi della fame, il comportamento criminale e la guida imprudente.

Incidenza Le statistiche sul comportamento suicida sono basate principalmente sui certificati di morte e i rapporti investigativi, e sottostimano l’incidenza vera. Nondimeno, il suicidio è una delle prime 10 cause di morte tra gli adulti nelle comunità urbane. In Europa, il tasso urbano è più alto di quello rurale; negli USA, sono all’incirca uguali. Negli USA, circa 75 persone si suicidano ogni giorno. Il suicidio rappresenta il 10% delle cause di morte nei soggetti tra i 25 e i 34 anni e

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Comportamento suicida

il 30% di quelle tra gli studenti universitari. È inoltre la seconda principale causa di morte tra gli adolescenti (v. Cap. 274). L’aumento costante dei suicidi nell’adolescenza nel corso degli ultimi 10 anni è dovuto principalmente a un aumento dei suicidi nel sesso maschile, che si sono più che raddoppiati. Oltre il 70% dei soggetti che si suicida ha più di 40 anni e l’incidenza sale nettamente tra i soggetti oltre i 60 anni, soprattutto di sesso maschile. Circa il 65% dei soggetti che tentano il suicidio ha meno di 40 anni. Su circa 200000 tentativi di suicidio che avvengono ogni anno negli USA, il 10% ha un esito fatale. I tentativi di suicidio rappresentano circa il 20% delle emergenze di Pronto Soccorso e il 10% di tutti i ricoveri in ospedale. Le donne tentano il suicidio da 2 a 3 volte più frequentemente degli uomini, ma questi ultimi riescono più spesso a raggiungere il proprio obiettivo. Diversi studi hanno evidenziato un’incidenza di suicidi più elevata tra i familiari di pazienti che hanno tentato il suicidio. I soggetti sposati di ambo i sessi, soprattutto in caso di relazioni stabili, hanno un tasso di suicidio significativamente più basso delle persone sole. I tassi di tentativi di suicidio e di suicidi portati a termine sono più alti tra le persone rimaste sole in seguito a separazione, divorzio o morte del coniuge. L’incidenza del tentativo di suicidio é altissima tra le adolescenti sole ed é alto anche tra gli uomini soli intorno ai 30 anni. I suicidi nelle donne di colore sono aumentati dell’80% negli ultimi 20 anni, cosicché il tasso globale per la popolazione di colore è attualmente uguale a quello dei bianchi, soprattutto nelle aree urbane. Anche tra gli indiani americani il tasso è salito di recente; in alcune tribù è 5 volte la media nazionale. In prigione, commettono suicidio particolarmente i giovani di sesso maschile che non hanno commesso crimini violenti, di solito nel corso della prima sett. di reclusione. Il metodo abituale è l’autoimpiccamento. I suicidi di gruppo, sia di numerose persone che solo di due (come amanti o coniugi), rappresentano una forma estrema di identificazione personale con gli altri. I suicidi nei gruppi numerosi tendono a verificarsi in situazioni altamente emotive che superano il forte istinto di autoconservazione. I professionisti, come avvocati, dentisti, militari e medici, sembrano avere tassi di suicidi oltre la media. Il tasso tra i medici è alto, principalmente a causa dei medici di sesso femminile, il cui tasso annuo di suicidio è 4 volte quello della popolazione generale appaiata. Per i medici di età inferiore a 40 anni, il suicidio è la principale causa di morte. L’overdose da farmaci é più comune come mezzo di suicidio tra i medici di ambo i sessi rispetto alla popolazione generale, probabilmente perché i medici hanno facilità di accesso ai farmaci e ne conoscono le dosi letali. Tra le specializzazioni mediche, la frequenza più alta riguarda gli psichiatri. Il suicidio è meno comune tra i membri praticanti di molti gruppi religiosi (soprattutto cattolici) che in genere sono sostenuti dalla fede e sono protetti da stretti vincoli sociali contro i gesti autodistruttivi. Le percentuali riportate nei paesi cattolici non sono basse soltanto in ragione del fatto che i medici legali tendono a evitare referti di suicidio; le percentuali sembrano essere effettivamente più basse, come per gli ebrei. Tuttavia, né l’affiliazione religiosa né forti credenze religiose possono prevenire gli atti suicidiari individuali impulsivi e non premeditati compiuti durante periodi di frustrazione, rabbia e disperazione, specialmente quando sono accompagnati da deliri di colpa e indegnità. Un suicida su sei lascia uno scritto. Gli scritti spesso riguardano le relazioni interpersonali e gli eventi che faranno seguito alla morte del soggetto. Gli scritti lasciati dagli anziani spesso esprimono preoccupazione per coloro che lasciano, mentre quelli delle persone più giovani possono esprimere rabbia o persino vendicatività. Il contenuto può essere indicativo del disturbo mentale che ha condotto all’atto suicida. Nei tentativi di suicidio, un biglietto è meno comune: esso indica la premeditazione, oltre a un rischio elevato di ripetizione dei tentativi e di riuscita nell’intento.

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Comportamento suicida

Eziologia I meccanismi psicologici che sottendono il comportamento suicida somigliano a quelli spesso implicati in altre forme di comportamento autodistruttivo, come l’alcolismo, la guida imprudente, l’automutilazione e i comportamenti antisociali violenti. Il suicidio rappresenta spesso l’atto finale nel decorso di uno di tali comportamenti. Le esperienze traumatiche infantili, soprattutto le sofferenze derivanti da famiglie disgregate o dalla perdita dei genitori, sono significativamente più comuni tra le persone con una tendenza al comportamento autodistruttivo, forse perché queste persone sono più predisposte ad avere difficoltà a impostare rapporti stabili, sicuri, significativi. Il tentato suicidio é più probabile tra le mogli maltrattate e tra le vittime di abusi infantili, il che riflette una ciclicità di deprivazione e violenza all’interno della famiglia. Il suicidio è in genere il risultato di motivazioni multiple e complesse. I principali fattori causali sono rappresentati da disturbi mentali (depressione in primo luogo), fattori sociali (delusioni e perdite), anomalie di personalità (impulsività e aggressività) e disturbi fisici (v. anche Tab. 190-1). Spesso l’elemento scatenante è costituito da un unico fattore (di solito l’interruzione di una relazione importante). La depressione è implicata in oltre la metà di tutti i tentati suicidi. Può essere scatenata da fattori sociali come il disaccordo coniugale, le storie sentimentali infelici o finite bruscamente, i conflitti con i genitori (per i giovani), i lutti recenti (soprattutto tra gli anziani). Una depressione associata a un disturbo fisico può condurre a un tentativo di suicidio, ma le menomazioni fisiche, specialmente se croniche o dolorose, sono più comunemente associate al suicidio portato a termine. Un disturbo fisico, particolarmente se grave, cronico e doloroso, gioca un ruolo importante in circa il 20% dei suicidi tra gli anziani. L’alcol predispone ai gesti suicidi, sia aggravando una depressione dell’umore che riducendo l’autocontrollo. Circa il 30% dei soggetti che tentano il suicidio ha assunto alcol prima del tentativo e circa la metà di questi si trova in stato di intossicazione al momento in cui lo compie. Dal momento che l’alcolismo, soprattutto quello con episodi di potus compulsivo, nei periodi di astinenza spesso genera profondi sensi di rimorso, gli alcolisti sono predisposti al suicidio anche da sobri. In uno studio, il 10% dei pazienti alcolisti ha commesso suicidio. Dei programmi di trattamento per alcolisti che includessero misure tese a prevenire i suicidi, probabilmente ridurrebbero il tasso di suicidio. Alcuni pazienti con schizofrenia commettono il suicidio. Nella schizofrenia cronica, il suicidio può derivare dagli episodi di depressione cui questi pazienti sono predisposti. Il metodo usato è di solito bizzarro e spesso violento. Il tentativo di suicidio é raro, sebbene possa essere il primo segno evidente di disturbo psichico, presentandosi nelle fasi precoci della malattia, probabilmente quando il paziente comincia ad avere coscienza della disorganizzazione dei propri processi volitivi e di pensiero. Gli individui con disturbi della personalità sono predisposti ai tentativi di suicidio, soprattutto quelli immaturi da un punto di vista emotivo, con disturbo di personalità borderline o antisociale, che tollerano poco le frustrazioni e reagiscono allo stress impulsivamente con aggressività e violenza. Alcuni hanno un’anamnesi di eccessiva assunzione di alcol, di abuso di sostanze oppure di comportamento criminale. L’incapacità di creare relazioni mature e durature può portare alla riduzione delle opportunità sociali, a solitudine e a depressione, che probabilmente spiegano il gran numero di tentativi di suicidio tra le persone separate o divorziate. In tali persone, i fattori scatenanti sono gli stress causati inevitabilmente dalla rottura delle relazioni, anche se disturbate, e dalla fatica di stabilire amicizie e stili di vita nuovi. In alcuni tentativi di suicidio, ha un ruolo importante il meccanismo della roulette russa. Il soggetto decide che sia la sorte a determinare l’esito. Alcuni soggetti instabili traggono eccitamento da quest’ultimo aspetto delle attività rischiose che sfidano la morte, come la guida imprudente e gli sport pericolosi. file:///F|/sito/merck/sez15/1901658.html (3 of 7)02/09/2004 2.25.57

Comportamento suicida

Nel comportamento suicida è spesso evidente l’aggressività verso gli altri (particolarmente nell’omicidio-suicidio e nell’alta incidenza di suicidio tra i detenuti per crimini violenti). Se si considera l’impatto doloroso, il suicidio appare come un atto diretto verso altre persone significative. I disturbi cerebrali organici, come il delirium (p. es., dovuto a sostanze, infezioni o insufficienza cardiaca) o la demenza (v. Cap. 171), possono essere accompagnati da labilità emotiva. Nel corso di una profonda ma transitoria variazione depressiva dell’umore, possono verificarsi gravi atti violenti di tipo autolesivo. Poiché in tali circostanze la consapevolezza è di solito compromessa, il paziente può avere solo un vago ricordo dell’evento. I pazienti con epilessia, specialmente del lobo temporale, spesso hanno episodi depressivi brevi ma gravi. La prescrizione di farmaci adatti alla loro condizione li espone a un rischio di comportamento suicida superiore alla norma.

Metodi La scelta dei mezzi é determinata da fattori culturali e dalla loro disponibilità, e può riflettere la serietà dell’intenzione, dal momento che alcuni di essi (p. es., la precipitazione da grandi altezze) rendono praticamente impossibile la salvezza, mentre altri (p. es., l’ingestione di farmaci) danno una possibilità di scampo. Malgrado ciò, l’uso di un metodo che si dimostra non fatale non implica necessariamente che l’intenzione sia meno seria. Un metodo bizzarro suggerisce che alla base vi sia una psicosi. L’ingestione di farmaci è il metodo più comunemente usato nei tentativi di suicidio. L’uso di barbiturici é diminuito (a < 5% dei casi), ma é in crescita l’utilizzazione di altri farmaci psicotropi. L’uso di salicilato é diminuito da > 20% dei casi a circa il 10%, ma é aumentato l’uso del paracetamolo. La gente considera il paracetamolo un analgesico sicuro, ma un’overdose può essere molto pericolosa (v. Intossicazione da paracetamolo nel Cap. 263 e Tab. 307-3. Circa il 20% di coloro che tentano il suicidio utilizza due o più metodi o una associazione tra farmaci, aumentando così il rischio di morte, soprattutto quando vengono associati farmaci con interazioni pericolose. Quando sono stati assunti più farmaci, va ottenuto il livello ematico di tutti quelli possibili. Nei tentativi di suicidio, i metodi violenti come l’impiccagione o l’uso di armi da fuoco sono poco frequenti. Nei suicidi portati a termine, le armi da fuoco sono il mezzo più comune usato sia dagli uomini (74%) che dalle donne (31%). I tassi di suicidio con armi da fuoco variano con la disponibilità di armi e con i regolamenti sul porto d’armi.

Prevenzione Ogni atto o minaccia di suicidio va presa sul serio. Sebbene alcuni suicidi tentati o riusciti costituiscano una sorpresa e uno shock anche per familiari e conoscenti stretti, nella maggior parte dei casi vengono mandati chiari avvertimenti, in genere a familiari, amici, personale medico o ai volontari dei centri di prevenzione delle emergenze di suicidio, che offrono un servizio 24 ore su 24 alle persone in difficoltà. I volontari tentano di identificare la persona che potrebbe suicidarsi, mantengono la conversazione, valutano il rischio e offrono aiuto per i problemi immediati; di solito si mettono in contatto con altri soggetti (familiari, medici, polizia) per l’assistenza urgente durante la crisi, cercando di avviare la persona a rischio di suicidio alle strutture idonee per l’assistenza di follow-up. Malgrado questo sia un approccio razionale per aiutare gli individui a rischio di suicidio, non ci sono dati significativi indicanti che esso ne riduca l’incidenza. In media, i medici incontrano ogni anno nella propria pratica clinica 6 o più file:///F|/sito/merck/sez15/1901658.html (4 of 7)02/09/2004 2.25.57

Comportamento suicida

pazienti a rischio di suicidio. Più della metà delle persone che commettono suicidio ha consultato il proprio medico nei mesi immediatamente precedenti, e almeno il 20% si è sottoposto a trattamento psichiatrico durante l’anno precedente. Poiché la depressione é spesso implicata nel suicidio, il suo riconoscimento e il suo trattamento (v. Cap. 189) costituiscono il contributo più importante che un medico possa dare alla sua prevenzione. Ogni paziente depresso dovrebbe essere interrogato attentamente sugli eventuali pensieri di suicidio. La paura che tale indagine, anche se fatta in forma discreta e partecipe, possa inculcare nel paziente l’idea di autodistruggersi, è infondata. Il colloquio potrà aiutare il medico a ottenere un quadro più chiaro della gravità della depressione del paziente, incoraggerà la discussione costruttiva e rassicurerà il paziente che il medico comprende la sua profonda disperazione. La scale di valutazione per la depressione (p. es., il Beck Depression Inventory) possono aiutare a stabilire se il suicidio sia un rischio reale. Il rischio di suicidio aumenta nella prima fase del trattamento della depressione, quando c’è un miglioramento del rallentamento e dell’indecisione, ma l’umore depresso é ancora presente, o solo parzialmente attenuato. I risultati iniziali del trattamento, quindi, possono rendere il paziente capace di realizzare più efficacemente l’autodistruzione. I farmaci psicoattivi devono essere prescritti con attenzione e in quantità controllate. L’insonnia può essere un sintomo di depressione; se così é, trattarla con ipnotici senza curare la depressione sottostante è non soltanto inefficace ma anche pericoloso. Nei soggetti che minacciano un suicidio imminente (p. es., un paziente che dice di stare per assumere una dose letale di barbiturico o che minaccia di gettarsi dall’alto), il desiderio di morire é ambivalente e spesso passeggero. Il medico o altre persone cui il soggetto chiede aiuto devono sostenere il suo desiderio di vivere. La persona che minaccia il suicidio si trova nel pieno di una crisi e gli si deve offrire la speranza di una risoluzione. L’aiuto psicologico in una situazione di emergenza comporta l’instaurazione di un rapporto e di una comunicazione aperta con la persona; ricordargli la propria identità (vale a dire chiamandolo ripetutamente per nome); aiutarlo ad analizzare il problema che ha causato la crisi; offrire un aiuto costruttivo per il problema; incoraggiarlo a intraprendere azioni positive; ricordargli che la sua famiglia e i suoi amici si preoccupano per lui e vogliono aiutarlo. Se una persona chiama dicendo che ha già commesso un gesto suicida (p. es., che ha preso un farmaco o aperto il gas) o che sta per farlo, bisognerebbe ottenere il suo indirizzo, se possibile. Un’altra persona deve contattare immediatamente la polizia per rintracciare la chiamata e tentare un salvataggio, mentre il suicida é trattenuto al telefono fino all’arrivo della polizia. Per i pazienti che hanno tentato il suicidio, un adeguato trattamento successivo di tipo psichiatrico e sociale é il mezzo migliore per ridurre i tentativi ripetuti e quelli riusciti. Va eseguita una valutazione psichiatrica (v. oltre).

Trattamento del tentativo di suicidio Molte persone che hanno tentato il suicidio giungono al pronto soccorso in stato comatoso (v. Cap. 170). Se vi è conferma di un’overdose o della presenza di un farmaco potenzialmente letale, quest’ultimo deve essere rimosso dall’organismo del paziente, tentando di prevenirne l’assorbimento e di accelerarne l’escrezione; deve essere istituito un trattamento sintomatico di sostegno delle funzioni vitali; deve essere somministrato qualsiasi tipo di antidoto conosciuto, se il farmaco specifico può essere identificato (v. Cap. 307). Ogni persona che abbia commesso un atto autolesivo a rischio per la vita deve essere ricoverata, per trattare il danno fisico e ottenere una valutazione psichiatrica. La maggior parte dei pazienti si ristabilisce abbastanza da essere dimessa non appena il danno fisico é stato curato; va offerta a tutti un’assistenza di follow-up. La valutazione psichiatrica va eseguita il più presto possibile per tutti i pazienti file:///F|/sito/merck/sez15/1901658.html (5 of 7)02/09/2004 2.25.57

Comportamento suicida

che tentano il suicidio. Dopo il tentativo, il paziente può negare ogni problema, perché la grave depressione che porta al gesto suicida è seguita da un breve periodo di elevazione del tono dell’umore, un effetto catartico che probabilmente rende conto del fatto che i tentativi ulteriori di suicidio sono rari, immediatamente dopo quello iniziale. Tuttavia, il rischio che un altro tentativo riesca è alto, finché non si risolvono i problemi del paziente. Quest’ultimo ha bisogno di una fonte di aiuto forte, sicura, che si instaura quando il medico fornisce attenzione empatica ed esprime preoccupazione, impegno e comprensione rispetto alla sua sofferenza. La valutazione psichiatrica identifica alcuni dei problemi che hanno contribuito al tentativo e aiuta il medico a programmare un trattamento adeguato. Qust’ultimo è composto dai punti seguenti: stabilire una relazione; comprendere le ragioni del tentativo di suicidio, il suo contesto, gli eventi che lo hanno preceduto e le circostanze nelle quali si è verificato; valutare le difficoltà e problemi attuali; considerare adeguatamente le relazioni familiari e personali che spesso sono collegate al tentativo di suicidio; valutare in maniera completa lo stato mentale del paziente, con particolare riguardo alla rilevazione di una depressione o di altri disturbi mentali, nonché di abuso di alcol o di altre sostanze, che richiedono un trattamento specifico, oltre a quello della crisi; avere colloqui con il coniuge, con i parenti o gli amici stretti; infine contattare il medico di famiglia. La valutazione iniziale deve essere condotta da uno psichiatra, sebbene anche il personale non medico preparato alla gestione dei comportamenti suicidi possa trattare i pazienti a rischio in maniera soddisfacente. La durata del ricovero e il tipo di trattamento richiesto sono variabili. I pazienti con disturbi psicotici, con disturbi cerebrali organici o epilessia, nonché alcuni pazienti con depressione grave e una crisi non risolta, devono essere ricoverati in un reparto psichiatrico finché non avranno risolto i problemi di base o non saranno in grado di affrontarli. Se il medico di famiglia del paziente non è a conoscenza del caso, deve essere tenuto pienamente al corrente della situazione e devono essergli forniti suggerimenti specifici sulla gestione delle cure di follow- up.

Effetti del suicidio Ogni gesto suicida ha un marcato impatto emotivo su tutte le persone coinvolte. Il medico, la famiglia e gli amici possono provare sensi di colpa, vergogna e rimorso per non avere previsto un suicidio riuscito, così come rabbia contro il suicida stesso o altre persone. Tuttavia, devono rendersi conto di non essere onniscienti od onnipotenti, e che il suicidio in definitiva non si poteva evitare. Il medico può fornire un aiuto prezioso alla famiglia e agli amici del defunto che affrontano i propri sensi di colpa e il dolore della perdita. L’effetto del tentativo di suicidio è simile, ma i familiari e gli amici hanno l’opportunità di porre fine ai sensi di colpa rispondendo adeguatamente all’evidente richiesta di aiuto della persona in questione.

Eutanasia Questo termine descrive l’assistenza fornita da medici o altri professionisti a una persona che vuole porre termine alla propria vita. L’eutanasia è molto controversa perché è l’opposto dell’approccio abituale del medico ai pazienti. Un’assistenza sofisticata, competente e compassionevole può spesso alleviare il dolore e la sofferenza, aiutando i pazienti terminali a ottenere un buon controllo dei sintomi e a mantenere la propria dignità (v. Cap. 294). Tuttavia, a volte è impossibile ottenere un sollievo sufficiente, oppure determinati pazienti possono comunque chiedere di anticipare la propria morte come scelta individuale e voler quindi porre fine alla vita in modo indolore.

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Comportamento suicida

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 190-1. FATTORI DI ALTO RISCHIO PER IL SUICIDIO Fattori personali e sociali Sesso maschile Età > 55 anni Precedenti tentativi di suicidio Elaborazione di piani dettagliati e messa in atto di precauzioni per non essere scoperti Ricorrenze personali significative Anamnesi familiari di suicidi o di disturbo affettivo Disoccupazione o difficoltà finanziarie, particolarmente se provocano un peggioramento drastico della condizione economica Recente separazione, divorzio o vedovanza Isolamento sociale con atteggiamento non comprensivo, reale o immaginato, da parte di parenti o amici

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Caratteristiche cliniche Malattia depressiva, soprattutto all'esordio o in fase tardiva Agitazione motoria marcata, irrequietezza e ansia Forti sensi di colpa, di inadeguatezza e di disperazione; deliri di autoaccusa o nichilistici Gravi preoccupazioni ipocondriache; deliri o convinzioni semideliranti di malattie fisiche (p. es. cancro, malattie cardiache, malattie veneree) Allucinazioni a contenuto imperativo Personalità impulsiva ed ostile Abuso di alcol o di sostanze Una malattia fisica cronica, dolorosa, invalidante, soprattutto nei pazienti che hanno sempre goduto di buona salute Uso di farmaci che possono provocare una depressione grave (p.es. reserpina)

Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI Sommario: Introduzione Eziologia

I disturbi psicosessuali comprendono le disfunzioni sessuali (la più comune forma di disturbo psicosessuale osservato nella pratica medica), i disturbi dell’identità di genere e le parafilie. Le norme approvate di comportamento e di atteggiamento sessuale variano grandemente a seconda del contesto sociale e culturale. La masturbazione, un tempo considerata diffusamente come una perversione e come causa di disturbi mentali, oggi viene riconosciuta come un’attività sessuale normale durante tutta la vita; è da considerare un sintomo solo quando inibisce il comportamento sessuale con un partner, se è eseguita in pubblico o se è così compulsiva al punto da causare sofferenza. La sua incidenza è all’incirca del 97% nel sesso maschile e dell’80% in quello femminile. Sebbene la masturbazione non sia dannosa, il senso di colpa creato dalla disapprovazione e dagli atteggiamenti punitivi degli altri può arrecare notevole sofferenza e compromettere l’attività sessuale. Circa il 4-5% della popolazione è omosessuale per tutta la vita. Dal 1973, l’Associazione Psichiatrica Americana (APA) non ha più considerato l’omosessualità come un disturbo. Come l’eterosessualità, l’omosessualità deriva da fattori biologici e ambientali complessi, che conducono a una preferenza pressoché inevitabile nella scelta del partner sessuale. Per molti non è una questione di scelta. Nondimeno molte persone, medici compresi, comsiderano l’omosessualità immorale e peccaminosa, e un’intensa avversione per l’omosessualità da parte di un medico (omofobia) può interferire con la cura adeguata degli omosessuali. Un’attività sessuale frequente con molti partner, spesso occasionali, é indice di una diminuita capacità di sostenere il rapporto di coppia. La paura dell’AIDS ha provocato una diminuzione degli incontri sessuali casuali. La maggior parte delle culture scoraggia la sessualità extraconiugale, ma accetta i rapporti prematrimoniali come normali. Negli USA la maggior parte degli individui ha rapporti prematrimoniali, in linea con la tendenza verso una maggiore libertà sessuale nei paesi sviluppati. I medici ben aggiornati possono offrire una consulenza sensibile e seria in materia sessuale e non devono perdere l’opportunità di un intervento utile, ricordando che le pratiche sessuali sono diverse tra le culture e che la forza dell’istinto sessuale, i bisogni individuali e la frequenza dei rapporti sono molto variabili.

Eziologia L’eziologia dei disturbi psicosessuali è complessa e molto variabile. Probabilmente hanno un certo peso i fattori ereditari e costituzionali. Gli androgeni fetali aiutano a preparare il cervello all’attività sessuale successiva;

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Disturbi psicosessuali

un’interferenza con questo processo può non essere nociva per sé, ma può rendere una persona vulnerabile a influenze ambientali dannose durante lo sviluppo psicosessuale dell’infanzia. Gli atteggiamenti dei genitori nei confronti del comportamento sessuale sono un fattore importante (v. anche, Disturbi dell’Identità di Genere, oltre). Un rifiuto pregiudiziale e puritano della sessualità fisica, compreso il contatto fisico, da parte di un genitore, crea sensi di colpa e di vergogna nel bambino e inibisce la sua capacità di godere della propria sessualità e di sviluppare delle relazioni adulte sane. Il rapporto con i genitori può essere danneggiato da un eccessivo distacco emotivo e da atteggiamenti punitivi o eccessivamente seduttivi e utilitaristici. I bambini soggetti a ostilità, rifiuto e maltrattamenti sono predisposti all’insorgenza di disturbi della sessualità. I bambini hanno bisogno di sentirsi accettati e amati. (Uno degli obiettivi della terapia è quello di rendere una persona sicura della propria capacità di amare e di essere amata per ciò che è). I problemi nelle relazioni genitore-figlio possono contribuire all’insorgenza di disfunzioni sessuali, di disturbi dell’identità di genere (p. es., il transessualismo, il travestitismo) o di parafilie (v. oltre). L’amore e il desiderio possono subire una dissociazione, così che possono essere formati dei legami affettivi con persone della propria classe sociale o della propria levatura culturale, ma sono possibili rapporti sessuali fisici soltanto con persone considerate inferiori, come le prostitute, con le quali l’individuo non sente né affinità, né legami emozionali. Il rapporto sessuale con il coniuge si associa a sensi di colpa e di ansia, e la soddisfazione sessuale viene ottenuta solo in rapporti o pratiche in cui non vengono risvegliati sentimenti di tenerezza e affetto. Le modalità di eccitazione sessuale sono largamente ben sviluppate prima della pubertà; perciò, se si sviluppa un disturbo dell’identità di genere o una parafilia, le cause vanno ricercate negli anni prepuberali. Sono implicati tre meccanismi: l’ansia interferisce con il normale sviluppo psicosessuale; lo schema standard di eccitazione è sostituito da un altro, che consente al soggetto di provare piacere sessuale; la modalità di eccitazione sessuale spesso acquisisce sfaccettature simboliche e condizionanti (p. es., un feticcio simbolizza l’oggetto dell’eccitazione sessuale, ma può essere stato scelto perché associato in maniera casuale alla curiosità, al desiderio e all’eccitazione sessuale). È ancora controverso se tutti gli sviluppi di tipo transessuale o parafilico siano la conseguenza di tali processi psicodinamici.

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISFUNZIONI SESSUALI DISTURBI DELL'ORGASMO MASCHILE Persistente o ricorrente ritardo o assenza dell’orgasmo, dopo una eccitazione sessuale normale.

Sommario: Introduzione EIACULAZIONE PRECOCE DISTURBI DA DOLORE SESSUALE

I fattori attenuanti comprendono l’età e l’adeguatezza della stimolazione (per zona, intensità e durata). I disturbi dell’orgasmo possono essere dovuti a un disturbo fisico o all’uso di una sostanza (p. es., alcol, oppiodi, antiipertensivi, antidepressivi, antipsicotici). La depressione è una causa frequente di difficoltà orgasmiche, così come di diminuzione del desiderio e dell’eccitazione. I problemi nel raggiungimento dell’orgasmo di solito sono collegati a difficoltà nello sviluppo di un’eccitazione sufficiente. Lo stato emotivo dell’uomo (p. es., collera, ansia, sensi di colpa, noia) può inibire l’eccitazione e l’orgasmo. Tuttavia, l’eccitazione può essere sufficiente a conseguire un’erezione parziale o completa, ma non a produrre l’orgasmo. L’insufficienza erettile (v. il Cap. 220) può causare un disagio maggiore che non la difficoltà orgasmica.

EIACULAZIONE PRECOCE Orgasmo ed eiaculazione con una stimolazione sessuale minima, che si manifestano sempre o in maniera ricorrente prima, durante o subito dopo la penetrazione e prima che l’uomo lo desideri. L’eiaculazione precoce di solito è correlata al partner; la maggior parte degli uomini può ritardare l’orgasmo durante la masturbazione molto più a lungo di quanto sia possibile durante il coito. Il disturbo è probabilmente dovuto a una combinazione di fattori psicologici e fisiologici. Indipendentemente dalla causa, il trattamento con piccole dosi di un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina è di solito efficace. Il farmaco si assume quotidianamente oppure da 1 a 2 ore prima di un rapporto sessuale.

DISTURBI DA DOLORE SESSUALE Il dolore sessuale (dispareunia) negli uomini, quando è presente, di solito si manifesta durante il coito e raramente durante l’eccitazione. Le cause principali sono le prostatiti e un danno neurologico. Occasionalmente, in assenza di una causa fisica determinata, un possibile fattore è costituito dal senso di colpa. La dispareunia nelle donne è trattata nel Cap. 243.

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Disturbi psicosessuali

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISFUNZIONI SESSUALI Disturbi nella sequenza della reazione allo stimolo sessuale o dolore associato all’eccitazione o al rapporto sessuale. (V. anche i Cap. 220 e 243).

Sommario: Introduzione Eziologia

Il buon funzionamento sessuale nell’uomo e nella donna dipende dalla sequenza di risposta allo stimolo sessuale, che consiste in una "posizione" mentale anticipatoria (stato di motivazione sessuale o stato di desiderio), in un’efficace reazione vasocongestizia (erezione nel maschio; tumescenza e lubrificazione nelle donne), nell’orgasmo e infine nella fase di risoluzione. Nel maschio, la sensazione di orgasmo comprende la fase di emissione seguita da quella dell’eiaculazione. L’emissione, mediata da contrazioni della prostata, delle vescivole seminali e dell’uretra, produce una sensazione di inevitabilità eiaculatoria. L’orgasmo nel sesso femminile è accompagnato da contrazioni (non sempre percepite soggettivamente come tali) dei muscoli che rivestono la parete del terzo esterno del canale vaginale. In entrambi i sessi, si realizzano spesso una tensione muscolare generalizzata, contrazioni del perineo e spinte pelviche involontarie (ogni 0,8 sec.). L’orgasmo è seguito dalla risoluzione (un senso di piacere generale, di benessere e di rilassamento muscolare). Durante tale fase, i maschi sono fisiologicamente refrattari a una nuova erezione e a un nuovo orgasmo per un periodo di tempo variabile, ma le donne possono essere in grado di rispondere quasi immediatamente a un’ulteriore stimolazione. La sequenza di reazione allo stimolo sessuale è mediata da un’interrelazione delicata e bilanciata tra sistema nervoso simpatico e parasimpatico. La vasocongestione è largamente mediata dalla via parasimpatica (colinergica), l’orgasmo è mediato prevalentemente dalla via simpatica (adrenergica). L’eiaculazione avviene quasi completamente per via simpatica; l’emissione coinvolge una stimolazione simpatica e parasimpatica. Queste risposte risultano facilmente inibite da influenze corticali o da alterati meccanismi ormonali, nervosi o vascolari. I bloccanti α e β-adrenergici possono desincronizzare l’emissione, l’eiaculazione e le contrazioni dei muscoli perineali che si manifestano durante l’orgasmo, e gli agonisti serotoninergici spesso interferiscono con il desiderio e l’orgasmo. I disturbi della reazione sessuale possono coinvolgere una o più delle fasi del ciclo. Generalmente sono disturbati sia gli aspetti soggettivi del desiderio, dell’eccitazione e del piacere, che la componente oggettiva dell’atto, cioè vasocongestione e orgasmo, sebbene ciascun aspetto possa occasionalmente essere interessato in maniera isolata. Le disfunzioni sessuali possono essere permanenti (nessuna prestazione sessuale efficace, a causa di conflitti intrapsichici) o secondarie (acquisite dopo un periodo di funzione normale), generalizzate o limitate ad alcune situazioni o partner, e infine totali o parziali.

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Disturbi psicosessuali

La maggior parte dei pazienti riferisce ansia, senso di colpa, vergogna e frustrazione e molti sviluppano sintomi fisici. Sebbene la disfunzione si manifesti abitualmente durante l’attività sessuale con un partner, é utile indagare sulla funzione sessuale durante la masturbazione. Se questa non è colpita, la causa può attribuirsi a fattori interpersonali.

Eziologia Le disfunzioni permanenti e quelle acquisite possono avere cause simili. Di solito é presente una scarsa capacità di comunicazione con il partner. I fattori psicologici comprendono rabbia verso il partner; paura dei genitali del partner, dell’intimità, di perdere il controllo, della dipendenza o della gravidanza; senso di colpa per il piacere, depressione; ansia causata da disaccordo coniugale, situazioni di vita stressanti, invecchiamento, ignoranza delle norme sessuali (p. es., frequenza e durata dei rapporti, sesso orale o altre pratiche sessuali) e infine credenze in miti sessuali (p. es., i supposti effetti deleteri della masturbazione, dell’isterectomia o della menopausa). Le cause immediate di ansia sono rappresentate da paura di insuccesso, dalle esigenze rispetto alla prestazione, all’auto-osservazione (osservazione della propria risposta fisica), da un eccessivo desiderio di piacere al partner, dall’evitamento del sesso o del parlare di temi sessuali. Tali fattori compromettono ulteriormente l’atto sessuale e la soddisfazione, e il continuo evitamento dell’attività sessuale con peggioramento della comunicazione crea un circolo vizioso. I fattori inibitori correlati comprendono la scarsa conoscenza degli organi sessuali e delle loro funzioni (spesso perché ansia, vergogna o sensi di colpa ne hanno inibito l’apprendimento) eventi traumatici nell’infanzia o nell’adolescenza (p. es., incesto, stupro), sentimenti di inadeguatezza, educazione religiosa inappropriata, eccessivo pudore e avversione puritana ai rapporti sessuali. Fattori situazionali, compreso il disaccordo coniugale, la noia o emozioni negative (p. es., rabbia, paura, vergogna, colpa), possono essere legate a un determinato luogo, tempo o partner. I fattori fisici possono risiedere in un disturbo fisico oppure nell’uso di farmaci illegali o prescritti. Anche quando vengono identificati dei fattori fisici, sono quasi sempre presenti a complicare il quadro degli elementi psicogeni secondari.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISFUNZIONI SESSUALI DISTURBO DA DESIDERIO SESSUALE IPOATTIVO Disturbo in cui le fantasie sessuali e il desiderio di attività sessuale sono ridotte o assenti sempre o in maniera ricorrente, causando sofferenza marcata o difficoltà interpersonali.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo può essere permanente o acquisito, generalizzato (globale) o situazionale (partner-specifico). Si manifesta nel 20% delle donne e nel 10% degli uomini.

Eziologia Il desiderio sessuale è un processo psicosomatico complesso basato sull’attività cerebrale (il "generatore" o il "motore" che funziona in maniera ciclica reostatica), su un contesto ormonale mal definito e su un copione cognitivo che comprende l’aspirazione e la motivazione sessuale. La desincronizzazione di queste componenti causa il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo. La forma acquisita é di solito causata da noia o infelicità all’interno di una relazione duratura, da depressione (che conduce più spesso a una diminuzione dell’interesse verso il sesso piuttosto che a impotenza nel maschio o inibizione dell’eccitazione nella femmina), da dipendenza da alcol o da farmaci psicotropi, da effetti collaterali di farmaci (p. es., antiipertensivi, antidepressivi) e da deficit ormonali. Questo disturbo può essere secondario a una compromissione del funzionamento sessuale a livello delle fasi di eccitazione o di orgasmo della sequenza di reazione allo stimolo sessuale. La forma generalizzata permanente a volte é correlata a eventi traumatici nell’infanzia o nell’adolescenza, alla soppressione delle fantasie sessuali, a famiglie disfunzionali oppure, occasionalmente, a livelli deficitari di androgeni. Generalmente, livelli di testosterone < 300 ng/dl nel maschio e < 10 ng/dl nella femmina sono considerati delle potenziali cause. Sebbene il testosterone sia necessario all’integrità del desiderio nel sesso maschile e in quello femminile, da solo non è sufficiente, e la correzione di livelli bassi di questo ormone può non modificare il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo.

Sintomi e segni

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Disturbi psicosessuali

Il paziente riferisce perdita di interesse nel sesso anche in situazioni ordinariamente erotiche. Il disturbo è associato di solito a scarsa attività sessuale, la quale è spesso causa di gravi conflitti coniugali. Alcuni pazienti hanno rapporti sessuali abbastanza frequenti da riuscire a soddisfare i loro partner e possono non mostrare alcuna difficoltà nell’atto, ma continuano ad avere apatia sessuale. Quando la causa è la noia, la frequenza dei rapporti sessuali con il partner abituale diminuisce, sebbene il desiderio sessuale possa essere normale o anche intenso con altri partner (la forma situazionale).

Diagnosi e terapia Deve essere ottenuta un’anamnesi completa, poiché il problema può essere secondario a difficoltà coniugali, che possono comportare il soddisfacimento sessuale al di fuori del matrimonio. Quando i sintomi sono spiegati meglio da un altro disturbo psichiatrico (p. es., la depressione) o da un disturbo fisico (p. es., stati terminali, endocrinopatie), la diagnosi di disturbo da desiderio sessuale ipoattivo va esclusa. Se il paziente ha anche una disfunzione sessuale, il medico deve stabilire quale disturbo è precedente, poiché una disfunzione sessuale può condurre a una perdita di desiderio e viceversa. Il trattamento è diretto alla rimozione o all’attenuazione della causa di base, p. es., conflittualità coniugale, depressione, oppure un’altra disfunzione sessuale (specialmente difficoltà nell’eccitazione o nell’orgasmo). Può essere necessario un cambiamento di farmaci e, nel caso sporadico di una deficienza androgena, la somministrazione di testosterone IM.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISFUNZIONI SESSUALI DISTURBO DA AVVERSIONE SESSUALE Avversione persistente o ricorrente per tutti o quasi tutti i contatti sessuali genitali con un partner sessuale, con evitamento degli stessi, che causa sofferenza o difficoltà interpersonali marcate.

Sommario: Introduzione Eziologia e diagnosi Terapia

Il disturbo da avversione sessuale si presenta solo occasionalmente nel maschio, molto più spesso nella femmina. I pazienti riferiscono ansia, paura o disgusto in situazioni di tipo sessuale. Il disturbo può essere permanente (primario) o acquisito (secondario), generalizzato (globale) o situazionale (partner-specifico).

Eziologia e diagnosi Se è di tipo primario, l’avversione al contatto sessuale, specialmente al rapporto, può essere causata da un trauma sessuale, come un incesto, un abuso sessuale o uno stupro; da un’atmosfera familiare molto repressiva, a volte accentuata da un’educazione religiosa ortodossa e rigida; oppure da tentativi iniziali di avere dei rapporti che hanno prodotto una dispareunia moderata o grave. Anche quando la dispareunia é scomparsa, può restarne il ricordo doloroso. Se il disturbo é acquisito dopo un periodo di funzionamento normale, la causa può essere correlata al partner (causa situazionale o interpersonale) o dovuta a trauma o dispareunia. Se l’avversione produce una risposta fobica (fino al panico), possono essere presenti paure meno coscienti e irrealistiche di dominazione o di danno sul corpo. Un’avversione sessuale situazionale si può verificare nelle persone che tentano, o cui é richiesto, di avere rapporti sessuali discordanti con il proprio orientamento sessuale.

Terapia La terapia mira a rimuovere la causa di base, quando possibile. La scelta di una psicoterapia di tipo comportamentale o psicodinamico dipende dalla comprensione diagnostica. La terapia di coppia è indicata se la causa del disturbo è interpersonale. Gli stati di panico possono essere trattati con antidepressivi triciclici, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, inibitori delle monoaminossidasi o benzodiazepine.

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Disturbi psicosessuali

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISFUNZIONI SESSUALI DISFUNZIONE SESSUALE DOVUTA A UN DISTURBO FISICO Disfunzione sessuale clinicamente significativa che causa sofferenza personale o problemi interpersonali ed è con ogni probabilità spiegata pienamente dagli effetti fisiologici diretti di un disturbo fisico. Ogni specifica disfunzione sessuale (p. es., la disfunzione erettile, il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo, la dispareunia) può avere un’eziologia psicologica, fisiologica o combinata. In molti disturbi la distinzione tra "fisiologico" e "psicologico" non è netta. Per esempio, il diabete mellito può causare una disfunzione erettile senza l’intervento di fattori psicologici, ma spesso anche questi ultimi danno il proprio contributo. Svariati disturbi fisici possono causare una disfunzione sessuale (v. Tab. 192-1). La disfunzione sessuale dovuta a un disturbo fisico è di solito generalizzata (non specifica per un determinato partner o situazione). Viene diagnosticata se le evidenze anamnestiche, l’esame obiettivo o gli esami di laboratorio possono spiegare la disfunzione sul piano fisiologico e se possono essere esclusi disturbi mentali che potrebbero darne una spiegazione migliore. La risoluzione del disturbo fisico di base spesso determina la risoluzione o il miglioramento della disfunzione sessuale. Quando la causa della disfunzione sessuale è una combinazione di fattori psicologici e fisici, la diagnosi più appropriata è di disfunzione sessuale dovuta a fattori associati.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 192-1. Alcune possibili cause mediche di disfunzioni sessuali Disturbi

Farmaci

Vaginite atrofica

Alcol

Disturbi cardiovascolari

Steroidi anabolizzanti

Diabete mellito di tipoI e II

Antiipertensivi

Disturbi endocrini (p.es., iperprolattinemia, condizioni di ipogonadismo, malattie ipofisarie o surrenaliche)

Antipsicotici

Endometriosi

Oppiacei

Traumi genitali

Sedativi, ipnotici e ansiolitici

Malattie infettive (p.es., infezione da HIV)

Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina

Tumori maligni

Stimolanti

Disturbi neurologici (p.es., sclerosi multipla, neuropatie, lesioni midollari, ictus)

Antidepressivi triciclici

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Antagonisti del recettore H2istaminico

Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISFUNZIONI SESSUALI DISFUNZIONE SESSUALE INDOTTA DA SOSTANZE Disfunzione sessuale che causa sofferenza personale o problemi interpersonali e che è spiegata pienamente da abuso di sostanze, o si manifesta durante o entro un mese dall’intossicazione da tali sostanze. In questo disturbo può essere compromessa ogni fase della sequenza di reazione allo stimolo sessuale, eccetto la fase di risoluzione. Le sostanze che di solito causano una disfunzione sessuale sono elencate nella Tab. 192-1. La disfunzione sessuale indotta da sostanze può manifestarsi soltanto o prevalentemente in corso di intossicazione. Per esempio, l’intossicazione alcolica può causare disfunzione erettile o disturbi dell’orgasmo che scompaiono quando il paziente non è intossicato. I clinici devono stabilire se la disfunzione sessuale del paziente non sia meglio attribuibile a un altro disturbo psichiatrico o a un disturbo fisico concomitante. Poiché i pazienti spesso non associano la propria disfunzione sessuale all’uso di sostanze, specialmente di farmaci prescritti, possono essere necessarie domande dirette da parte del medico per stabilire il nesso eziologico.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI DISTURBI DELL'IDENTITA' DI GENERE TRANSESSUALISMO Disturbo dell’identità di genere in cui la persona ritiene di essere vittima di un incidente biologico, trovandosi imprigionato senza scampo in un corpo incompatibile con la propria identità di genere soggettiva. L’incidenza è stimata a circa 1 su 30000 nati maschi e 1 su 100000 nate femmine. Raramente, il transessualismo è associato a genitali ambigui o ad anomalie genetiche. La maggior parte dei transessuali che richiede trattamento è costituita da uomini che reclamano un’identità di genere femminile e vedono con ripugnanza la propria virilità e i propri genitali. L’obiettivo della loro richiesta di aiuto non é ottenere un trattamento psicologico, ma terapie ormonali e interventi chirurgici sui genitali che avvicinino il proprio aspetto fisico alla propria identità di genere. La diagnosi viene posta soltanto se il disturbo è stato continuativo (non limitato ai periodi di stress) per almeno 2 anni. La diagnosi differenziale, spesso difficile, deve distinguere i transessuali dai travestiti disturbati, dagli omosessuali che vestono abiti del sesso opposto, dagli schizofrenici con conflitti sull’identità di genere e dai soggetti con disturbo borderline di personalità primario. Il transessualismo maschile primario inizia nella prima infanzia con partecipazione ai giochi femminili, fantasie di essere donna, evitamento dei giochi violenti e competitivi e disagio durante i cambiamenti fisici della pubertà, spesso seguito dalla richiesta di trattamenti somatici femminilizzanti. Molti transessuali adottano un ruolo pubblico femminile convincente. Alcuni soggetti sono soddisfatti di acquisire un aspetto più femminile e un documento d’identità (p. es., la patente di guida) che consentano loro di lavorare e vivere nella società come donne. Altri non lo sono; possono acquisire un adattamento più stabile usando moderate dosi di ormoni femminilizzanti (p. es., etinilestradiolo 0,10 mg/die). Molti transessuali richiedono operazioni femminilizzanti malgrado i sacrifici implicati. La decisione di sottoporsi a intervento chirurgico spesso solleva importanti problemi sociali per il paziente e problemi etici per alcuni medici. Dagli studi di follow-up risulta che la chirurgia genitale ha aiutato dei transessuali selezionati a vivere vite più felici e produttive e quindi è giustificata per i transessuali altamente motivati, che abbiano ricevuto una diagnosi accurata, che abbiano referenze di stabilità sociale e lavorativa e che abbiano trascorso un periodo di prova di 1-2 anni di vita reale nel ruolo di genere opposto. Prima dell’intervento, i pazienti spesso hanno bisogno di aiuto per presentarsi in pubblico, anche per i movimenti e la modulazione vocale. La partecipazione a gruppi di sostegno di genere, disponibile nelle grandi città, è di solito utile. Alcuni omosessuali maschi affetti da schizofrenia e alcuni pazienti con gravi problemi di personalità possono richiedere questo intervento; in questi pazienti i risultati possono essere insoddisfacenti dal punto di vista medico, psichiatrico e sociale. Il transessualismo femminile è di crescente riscontro nella pratica medica e psichiatrica. La paziente richiede la mastectomia, l’isterectomia, l’ooforectomia e la somministrazione di ormoni (p. es., preparazioni IM di testosterone a dosaggi di 300-400 mg q 3 sett.) per cambiare permanentemente la sua voce e creare una distribuzione muscolare e adiposa più mascolina. Può anche richiedere la modellazione di un fallo artificiale (neofallo) con un intervento di chirurgia plastica. L’intervento chirurgico può aiutare determinati pazienti ad acquisire un adattamento e una qualità di vita migliori. Come avviene per gli uomini che file:///F|/sito/merck/sez15/1921674.html (1 of 2)02/09/2004 2.26.12

Disturbi psicosessuali

cambiano sesso, queste pazienti devono corrispondere ai criteri stabiliti dalla "Associazione Internazionale Harry Benjamin per la Disforia di Genere" e aver vissuto nel ruolo maschile per almeno 1 anno. I risultati anatomici delle procedure chirurgiche per un neofallo sono spesso meno soddisfacenti delle procedure per le neovagine nei casi di transessuali maschio-femmina. La complicanze sono comuni, specialmente per le procedure che comportano l’estensione dell’uretra nel neofallo.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE Disturbi caratterizzati da fantasie, impulsi o comportamenti sessualmente eccitanti, durevoli e intensi, che coinvolgono oggetti inanimati oppure che comportano la sofferenza o l’umiliazione reale o immaginaria di se stessi, del partner o di partner non consenzienti, e che sono associati a sofferenze o disabilità clinicamente significative.

Sommario: Introduzione Terapia

Questi schemi di eccitazione sono considerati devianti perché sono spesso indispensabili al funzionamento sessuale (cioè, l’erezione o l’orgasmo non si verificano senza lo stimolo), possono coinvolgere partner inadatti (p. es., bambini) e causano significativa sofferenza o compromissione nell’area di funzionamento sociale, professionale, o in altre aree importanti. Nei soggetti con parafilie (quelli il cui istinto sessuale si esplica quasi interamente nell’infliggere o nel sottomettersi alla flagellazione o a pratiche simili, è diretto verso capi di vestiario oppure si esprime prevalentemente attraverso l’esibizionismo o il voyeurismo) la capacità di un’intimità emotiva e sessuale affettuosa e reciproca con un partner è generalmente compromessa o inesistente, e sono compromessi anche altri aspetti dell’adattamento personale ed emozionale. Nella maggior parte delle culture, le parafilie sono molto più comuni nel sesso maschile che in quello femminile. Possono esistere motivi biologici per tale diversità di distribuzione, sebbene allo stato attuale siano mal definiti. Dal punto di vista evolutivo, gli uomini devono trasferire le proprie identificazioni infantili dalle madri ai padri durante il periodo prescolare o edipico, dai 3 anni circa ai 6, mentre le donne non devono trasferire la propria identificazione. La necessità di abbandonare tale identificazione in un periodo critico dello sviluppo psicosessuale rende il sesso maschile più vulnerabile, il che produce probabilmente l’incidenza molto più elevata delle parafilie nei maschi. Molte delle parafilie sono rare. Le più comuni sono la pedofilia, il voyeurismo e l’esibizionismo. I criminali sessuali possono avere parafilie multiple.

Terapia Di solito è necessaria una psicoterapia a lungo termine individuale o di gruppo, che può essere particolarmente utile quando è parte di un trattamento integrato che comprenda la riabilitazione sociale, il trattamento dei disturbi psichiatrici e fisici comorbosi (p. es., disturbi convulsivi, disturbo da deficit dell’attenzione, depressione) e i trattamenti ormonali. Si ritiene che il trattamento sia meno efficace quando viene imposto dal tribunale, sebbene molti criminali sessuali andati a giudizio abbiano tratto beneficio dai trattamenti, come la psicoterapia di gruppo e i farmaci antiandrogeni. Negli USA, il medrossiprogesterone acetato IM è il trattamento di scelta; in Europa viene usato il ciproterone acetato. Di solito, a un maschio con una parafilia da moderata a grave viene somministrato

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medrossiprogesterone 200 mg IM 2-3 volte a sett. per 2 sett., seguito da 200 mg 1-2 volte/sett. per 4 sett., quindi 200 mg q 2-4 sett. Il testosterone va monitorato e mantenuto nell’ambito dei livelli femminili normali. Il trattamento di solito è a lungo termine, poiché le modalità devianti di eccitazione sessuale di solito recidivano non appena i livelli di testosterone tornano normali. In aggiunta agli antiandrogeni, possono giovare gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (p. es., alte dosi di fluoxetina, da 60 a 80 mg/die, o di fluvoxamina, da 200 a 300 mg/die). I farmaci sono più efficaci quando vengono usati come parte di un trattamento integrato.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE FETICISMO Uso di un oggetto inanimato (il feticcio) come mezzo preferito per produrre l’eccitazione sessuale, che esordisce in genere nell’adolescenza.

Sommario: Introduzione FETICISMO DI TRAVESTIMENTO

I comuni feticci comprendono i vestiti, le scarpe, gli oggetti in pelle o in materiale sintetico e la biancheria intima femminile. Il feticcio può sostituire l’attività sessuale con il partner oppure può essere integrato nel comportamento sessuale con un partner consenziente, di solito come prerequisito per l’eccitazione sessuale. Le condotte feticistiche minori, in aggiunta alle condotte sessuali consensuali, non sono considerate un disturbo psichiatrico perché vi è assenza di disabilità di disfunzionalità clinicamente significative. Delle modalità di eccitamento feticistico più intense e obbligate possono causare problemi gravi all’interno di un rapporto. Quando il feticcio diventa il solo oggetto del desiderio sessuale, i rapporti sessuali vengono spesso evitati. Quando un uomo é stimolato e gratificato sessualmente indossando gli abiti femminili (in genere biancheria intima) piuttosto che accarezzandoli semplicemente, va posta diagnosi di feticismo di travestimento.

FETICISMO DI TRAVESTIMENTO L’indossare abiti femminili da parte di maschi eterosessuali, che esordisce in genere nella seconda infanzia e che almeno inizialmente è associato a eccitazione sessuale. Il feticismo di travestimento (travestitismo) è diagnosticato come disturbo psichiatrico soltanto nel momemto in cui le fantasie, gli impulsi o i comportamenti di travestimento vengono associati a sofferenza clinicamente significativa oppure a disfunzioni riconoscibili. I travestiti molto spesso affermano che le motivazioni importanti per travestirsi sono le proprietà di regolazione dell’umore e di espressività trans-genere proprie dell’atto. Il travestirsi non è un disturbo di per sé. I profili di personalità dei maschi che si travestono sono in genere simili alle norme corrispondenti all’età e alla razza. Quando i partner collaborano, questi uomini hanno i propri rapporti sessuali vestendosi parzialmente o completamente da donne. Quando i loro partner non sono consenzienti possono provare ansia, depressione, sensi di colpa e vergogna in associazione al desiderio di travestirsi. I travestiti in conflitto con il loro comportamento possono sbarazzarsi di tutti gli abiti, accessori e trucchi femminili, ma in genere riprendono le loro attività dopo qualche giorno o mese, da cui il detto clinico "travestito una volta, travestito sempre". La maggior parte dei travestiti non entra in trattamento. Quelli che lo fanno vi file:///F|/sito/merck/sez15/1921676.html (1 of 2)02/09/2004 2.26.13

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sono condotti dalle mogli scontente, vi sono inviati dai tribunali, oppure vi si presentano per la preoccupazione di essere arrestati e subire conseguenze sociali e lavorative negative. Alcuni si presentano per il trattamento di una comorbilità per disforia di genere, abuso di sostanze o depressione. I gruppi sociali e di supporto per travestiti generalmente sono di giovamento.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE PEDOFILIA Preferenza per l’attività sessuale ricorrente con bambini in età prepuberale. (v. anche Cap. 264) L’età di una persona con questo disturbo deve essere di almeno 16 anni, con una differenza di età rispetto alle vittime di almeno 5 anni. L’età dei bambini di solito è di circa 13 anni. Per i tardo-adolescenti con pedofilia, non è specificata alcuna differenza d’età precisa; ci si basa sul giudizio clinico. Quando la vittima ha superato il periodo puberale, il disturbo é spesso chiamato molestia ai bambini o efebofilia (attrazione verso i giovinetti), piuttosto che pedofilia. I pedofili preferiscono i bambini di sesso opposto rispetto a quelli dello stesso sesso, con un rapporto di 2:1. I maschi eterosessuali preferiscono le bambine di 8-10 anni; nella maggior parte dei casi l’adulto è una persona conosciuta dal bambino. Sembra che ci sia una prevalenza del guardare o del toccare rispetto al contatto genitale. I maschi con orientamento omosessuale preferiscono i ragazzi di 10-13 anni e la loro conoscenza è più frequentemente di tipo casuale, rispetto al caso dei maschi con orientamento eterosessuale. Gli adulti pedofili bisessuali di solito scelgono bambini minori di 8 anni. I pedofili esclusivi sono attratti soltanto dai bambini; il tipo non esclusivo può anche essere attratto dagli adulti. I pedofili possono limitare le loro attività sessuali ai propri figli o a parenti stretti (incesto) oppure possono vittimizzare anche altri bambini. I pedofili "predatori" possono usare la forza e minacciare di fare del male ai bambini o ai loro animali prediletti, se sveleranno l’abuso sessuale. Il decorso della pedofilia è cronico e può essere complicato da abuso o dipendenza da sostanze, depressione, conflitti coniugali o disturbo antisociale di personalità. Una parte significativa dei crimini a sfondo sessuale è rappresentata dalle violenze sessuali contro i bambini. La percentuale di recidive della pedofilia omosessuale é seconda solo a quella dell’esibizionismo, variando dal 13 al 28% dei casi di cui si ha notizia (all’incirca il doppio della percentuale per la pedofilia eterosessuale).

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE ESIBIZIONISMO Raggiungimento dell’eccitazione sessuale attraverso atti ricorrenti di esposizione dei genitali a un estraneo che non se l’aspetta. L’esibizionista (di solito maschio) può masturbarsi mentre si esibisce o mentre fantastica sull’esibirsi. Può essere consapevole del suo bisogno di sorprendere, scandalizzare o impressionare lo spettatore involontario. Quasi sempre la vittima è una donna adulta o un bambino. Quasi mai viene ricercato un contatto sessuale reale. L’età di esordio é di solito intorno ai 25 anni; raramente, il primo atto si verifica nella preadolescenza o nell’età media. Circa il 30% dei maschi arrestati per comportamento sessuale delittuoso è esibizionista. Tali soggetti hanno la più alta percentuale di recidivismo di tutti i soggetti con perversioni sessuali; una percentuale che varia dal 20 al 50% subisce più di un arresto. La maggior parte degli esibizionisti è coniugata, ma il matrimonio è spesso turbato da un adattamento sociale e sessuale carente, spesso con disfunzioni sessuali. Pochissime donne sono esibizioniste, sebbene la società sanzioni alcune tendenze esibizionistiche delle donne (attraverso i media e nei luoghi d’intrattenimento). Si dice comunemente che "le donne esibiscono tutto tranne i genitali; gli uomini soltanto quelli".

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE VOYERISMO Raggiungere l’eccitazione sessuale guardando a loro insaputa delle persone nude, che si spogliano o che compiono atti sessuali. Il voyeurismo di solito esordisce nell’adolescenza o nella prima età adulta. Le forme adolescenziali sono generalmente considerate con indulgenza; di rado questi giovani vengono arrestati. L’aspetto essenziale é la grande quantità di tempo speso nella ricerca ripetitiva di occasioni per poter spiare. Nei casi più gravi, ogni attività sessuale è collegata al voyeurismo. L’orgasmo é di solito ottenuto con la masturbazione durante o dopo l’attività voyeristica (peeping). Il voyeur non ricerca il contatto sessuale con chi sta guardando. Il disturbo deve essere differenziato dalla normale curiosità sessuale tra persone che si conoscono.

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE MASOCHISMO SESSUALE Partecipazione intenzionale a un’attività in cui si è umiliati, percossi, legati o fatti oggetto di altri tipi di abuso per provare l’eccitazione sessuale. Le fantasie masochistiche tendono a esordire nell’infanzia; il coinvolgimento di partner prende luogo a partire dalla prima età adulta. Le fantasie e il comportamento sessuale sadomasochistici tra adulti consenzienti sono molto comuni. L’attività masochistica tende a essere ritualizzata e cronica. Molti tra quelli che praticano tali attività mettono in atto umiliazioni e percosse soltanto a livello di simulazione, con partecipanti che sanno che si tratta di un gioco ed evitano accuratamente umiliazioni o lesioni reali. Tuttavia, alcuni masochisti aumentano la gravità delle proprie attività con il tempo, giungendo potenzialmente a lesioni gravi o alla morte. Le attività masochistiche possono essere il modo preferito o esclusivo di procurarsi l’eccitazione sessuale. I soggetti possono mettere in atto le proprie fantasie masochistiche da soli (p. es., legandosi, trafiggendosi la pelle, applicandosi scosse elettriche, procurandosi bruciature) o andando alla ricerca di un partner che possa essere un sadico. Le attività con il partner comprendono la sottomissione, la bendatura degli occhi, le sculacciate, la flagellazione, l’umiliazione orinando o defecando sulla persona, il travestimento forzato o lo stupro simulato. Una forma potenzialmente pericolosa comporta l’autoasfissia autoerotica parziale (ipossifilia), in cui una persona usa lacci, cappi o sacchetti di plastica per indurre uno stato di relativa ipossia cerebrale sino all’orgasmo. Per aumentare l’ipossia cerebrale possono essere inalati dei nitriti volatili ("popper"). Lo scopo è quello di intensificare l’orgasmo, ma questa attività a volte produce decessi accidentali.

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Disturbi psicosessuali

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 192. DISTURBI PSICOSESSUALI PARAFILIE SADISMO SESSUALE L’infliggere sofferenze fisiche o psicologiche (umiliazione, terrore) al partner sessuale per stimolare l’eccitamento sessuale e l’orgasmo. Il disturbo esordisce di solito nella prima età adulta, sebbene spesso anche durante l’infanzia si manifestino delle fantasie sadiche. In genere, il soggetto ha fantasie insistenti e persistenti in cui l’eccitamento sessuale è il risultato di sofferenze inflitte al partner. La diagnosi va posta sia in presenza che in assenza di un partner consenziente. Il sadismo é diverso dalle manifestazioni minori di aggressività che fanno parte di una attività sessuale normale. All’estremo dello spettro, il sadismo sessuale implica stupri brutali o tortura delle vittime. Ancora più estremo é l’omicidio con eccitazione, in cui la morte della vittima produce eccitazione sessuale. Il sadismo sessuale deve a volte essere distinto dallo stupro, una complessa miscela di sesso e dominazione sulla vittima. Viene diagnosticato in < 10% degli stupratori, sebbene per molti l’atto di costringere una persona non consenziente ad avere un rapporto aumenti l’eccitazione sessuale. Tuttavia, lo scopo della maggior parte degli stupratori non è quello di infliggere sofferenze, e la sofferenza della vittima di solito non aumenta l’eccitamento sessuale dello stupratore. Il sadismo sessuale é di solito cronico. Quando viene praticata con partner non consenzienti, questa attività criminale probabilmente continuerà sino a che il sadico non sarà arrestato. Questo disturbo è particolarmente pericoloso quando si associa a un disturbo antisociale di personalità (v. Cap. 191).

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Schizofrenia e disturbi correlati

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI In termini di costi individuali ed economici, la schizofrenia è stata classificata tra le peggiori malattie che affliggono l’umanità. La schizofrenia e i disturbi correlati inclusi in questo capitolo (disturbo psicotico breve, disturbo schizofreniforme, disturbo schizoaffettivo e disturbo delirante) sono caratterizzati da sintomi psicotici, che possono comprendere deliri, allucinazioni, pensiero e linguaggio disorganizzati e comportamento bizzarro e incongruo. Generalmente, questi disturbi colpiscono i pazienti nella tarda adolescenza o nella prima età adulta e sono spesso cronici. Il disturbo schizotipico di personalità può avere caratteristiche comuni con la schizofrenia (p. es., l’ideazione paranoide, il pensiero magico, l’evitamento sociale, l’eloquio impreciso e divagante), ma tali sintomi in genere non sono abbastanza gravi da soddisfare i criteri per una psicosi.

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Schizofrenia e disturbi correlati

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI SCHIZOFRENIA Disturbo mentale frequente e grave, caratterizzato da perdita del contatto con la realtà (psicosi), allucinazioni (false percezioni), deliri (convinzioni erronee), anomalie del pensiero, appiattimento affettivo (coartazione emotiva), riduzione motivazionale, disturbi del funzionamento sociale e lavorativo.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Sottotipi della schizofrenia Diagnosi Storia naturale Prognosi Terapia

Su base mondiale la prevalenza della schizofrenia sarebbe dell’1%, sebbene esistano sacche di prevalenza maggiore o minore. Negli USA i pazienti con schizofrenia occupano circa 1/4 di tutti i posti letto ospedalieri e rendono conto di circa il 20% dei giorni di invalidità a carico della sicurezza sociale. La schizofrenia ha una prevalenza più alta del morbo di Alzheimer, del diabete o della sclerosi multipla. La prevalenza della schizofrenia appare più alta tra le classi socioeconomiche inferiori delle aree urbane, forse perché i suoi effetti invalidanti portano a disoccupazione e povertà. Analogamente, la prevalenza più alta tra le persone sole può riflettere un effetto della malattia, oppure un suo precursore a livello del funzionamento sociale. La prevalenza è paragonabile nel sesso maschile e in quello femminile. Il picco di insorgenza è tra i 18 e i 25 anni nel sesso maschile, e tra i 26 e i 45 in quello femminile. Tuttavia non è infrequente l’esordio nell’infanzia, nella prima adolescenza o nell’età avanzata (v. Cap. 274).

Eziologia Sebbene la sua causa specifica sia sconosciuta, la schizofrenia ha una base biologica. Il modello di vulnerabilità-stress, in cui si ritiene che la schizofrenia si manifesti in persone con una vulnerabilità su base neurologica, è la spiegazione più largamente accettata. L’esordio, la remissione e la ricorrenza dei sintomi sono considerati prodotti di interazione tra questa vulnerabilità e i fattori stressanti ambientali. La vulnerabilità alla schizofrenia può implicare una predisposizione genetica, complicanze intrauterine, da parto o post-natali, oppure infezioni virali del SNC. L’esposizione materna alla denutrizione, l’influenza nel secondo trimestre di gravidanza e l’incompatibilità Rh nella seconda o in una successiva gravidanza, sono associate ad aumento del rischio di schizofrenia nei figli.

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Schizofrenia e disturbi correlati

Sebbene siano stati proposti numerosi indicatori clinici e sperimentali, nessuno di essi è presente invariabilmente. Sul piano psicofisiologico, possono essere indicatori di vulnerabilità dei deficit nell’elaborazione delle informazioni, nell’attenzione e nell’inibizione sensoriale. Sul piano psicologico e comportamentale la vulnerabilità può manifestarsi come una compromissione delle capacità sociali, come una disorganizzazione cognitiva o un’alterazione percettiva, come una riduzione della capacità di provare piacere e sotto forma di altri deficit generali dei meccanismi di difesa. Tali tratti, in particolar modo se gravi, possono compromettere il funzionamento sociale, scolastico e professionale nelle persone vulnerabili, ancor prima dell’esordio dei sintomi della schizofrenia. Queste disabilità premorbose spesso limitano il recupero funzionale quando il disturbo si è ormai instaurato. Sebbene la maggior parte dei soggetti con schizofrenia non abbia un’anamnesi familiare positiva per questo disturbo, si ritiene che dei fattori genetici vi siano implicati. Le persone che hanno un parente di primo grado affetto da schizofrenia hanno un rischio di manifestare il disturbo pari a circa il 15%, in confronto all’1% di rischio della popolazione generale. Un gemello monozigote il cui gemello corrispondente è affetto da schizofrenia, ha più del 50% di probabilità di manifestare tale disturbo. Test neurologici e neuropsichiatrici molto sensibili indicano spesso che nei pazienti con schizofrenia si manifestano più frequentemente rispetto alla popolazione generale anomalie dei movimenti oculari continui di inseguimento, compromissioni delle prestazioni ai test cognitivi e dell’attenzione e deficit della soppressione sensoriale. Questi indicatori psicofisiologici si manifestano anche nei parenti di primo grado delle persone con schizofrenia e possono indicare una vulnerabilità precedente l’esordio conclamato della malattia. Svariati fattori stressanti ambientali possono innescare l’esordio o la recidiva dei sintomi nelle persone vulnerabili. Alcuni esempi sono eventi vitali stressanti, come la fine di una relazione o l’allontanamento da casa per il servizio militare, per il lavoro o per l’università, e fattori stressanti di tipo biologico come l’abuso di sostanze. Le frequenti esacerbazioni della malattia possono provocare tensioni familiari o esserne provocate. I fattori protettivi che possono attenuare l’effetto dello stress sulla formazione o sull’esacerbazione dei sintomi vengono trattati oltre, in Terapia.

Sintomi e segni I sintomi della schizofrenia sono variabili per tipo e gravità. Generalmente sono classificati come sintomi positivi o negativi (di deficit). I sintomi positivi sono caratterizzati da un eccesso o un’alterazione delle funzioni normali; quelli negativi da una loro diminuzione o perdita. Nei singoli pazienti si possono manifestare sintomi di una o di entrambe le categorie. I sintomi positivi possono essere ulteriormente suddivisi in (1) deliri e allucinazioni e (2) disturbi del pensiero e comportamento bizzarro. I deliri e le allucinazioni sono talvolta definiti come la dimensione psicotica della schizofrenia. I deliri sono convinzioni erronee che di solito implicano l’interpretazione erronea dell’esperienza. Nei deliri persecutori, il paziente ritiene di essere tormentato, seguito, imbrogliato o spiato. Nei deliri di riferimento, il paziente crede che passi di libri, giornali, testi di canzoni o altri spunti ambientali siano diretti a lui. Nei deliri di furto o inserzione del pensiero, il paziente crede che altre persone possano leggere la sua mente, che i suoi pensieri vengano trasmessi agli altri o che i suoi pensieri e impulsi gli vengano imposti da forze esterne. Le allucinazioni possono manifestarsi attraverso ogni modalità sensoriale (uditiva, visiva, olfattiva, gustativa, tattile), ma le allucinazioni uditive sono di gran lunga le più comuni e sono caratteristiche della schizofrenia. Il paziente può udire voci che commentano il suo comportamento, che conversano tra loro oppure che fanno commenti critici e offensivi. Il disturbo del pensiero, associato al comportamento bizzarro, assume la denominazione di gruppo dei sintomi di disorganizzazione. Il disturbo del

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Schizofrenia e disturbi correlati

pensiero comporta un pensiero disorganizzato, evidenziabile innanzitutto nell’eloquio che è divagante, scivola da un tema all’altro e non è diretto allo scopo. L’eloquio può variare da una disorganizzazione lieve sino all’incoerenza e all’incomprensibilità. Il comportamento bizzarro può comprendere stolidità di tipo infantile, agitazione e inadeguatezza dell’aspetto, dell’igiene o del comportamento. Il comportamento motorio catatonico è una forma estrema di comportamento bizzarro che può comportare il mantenimento di una postura rigida e la resistenza ai movimenti passivi, oppure l’attuazione di un’attività motoria afinalistica e indipendente da stimoli. I sintomi negativi (di deficit) comprendono l’appiattimento affettivo, la povertà dell’eloquio, l’anedonia e l’asocialità. Nella coartazione affettiva (appiattimento delle emozioni) il volto del paziente può apparire immobile, con scarso contatto oculare e mancanza di espressività. Con povertà dell’eloquio si intende una diminuzione del flusso di pensiero che si riflette in una riduzione dell’eloquio e in risposte stringate alle domande, il che crea l’impressione di vacuità interiore. L’anedonia (diminuzione della capacità di provare piacere) può manifestarsi come mancanza di interesse nelle attività, con molto tempo trascorso in attività senza scopo. Con asocialità si intende una mancanza di interesse nelle relazioni umane. I sintomi negativi sono spesso associati a una perdita generale di motivazione e a una diminuzione del senso degli scopi e degli obiettivi. In alcuni pazienti con schizofrenia si manifesta un declino del funzionamento cognitivo, con compromissione dell’attenzione, del pensiero astratto e della capacità di risolvere problemi. La gravità della compromissione cognitiva è uno dei determinanti maggiori dell’invalidità globale in questi pazienti. I sintomi della schizofrenia compromettono in maniera tipica le capacità funzionali e spesso sono abbastanza gravi da interferire in modo marcato con il lavoro, le relazioni sociali e la cura di sé. Gli esiti comuni sono la disoccupazione, l’isolamento sociale, il deterioramento delle relazioni familiari e lo scadimento della qualità della vita.

Sottotipi della schizofrenia Alcuni ricercatori ritengono che la schizofrenia sia un disturbo unitario; altri ritengono che sia una sindrome comprendente numerose entità nosologiche sottostanti. I sottotipi classici usati per classificare i pazienti in gruppi più uniformi sono quello paranoide, il disorganizzato (ebefrenico), il catatonico, l’indifferenziato. La schizofrenia paranoide è caratterizzata da preoccupazione relativa a deliri o allucinazioni uditive, senza prevalenza di disorganizzazione dell’eloquio o incongruità affettiva. La schizofrenia disorganizzata è caratterizzata da disorganizzazione dell’eloquio e del comportamento e da appiattimento o incongruità affettiva. Nella schizofrenia catatonica sono predominanti i sintomi fisici, come l’immobilità o l’eccessiva attività motoria e l’assunzione di posture bizzarre. Nella schizofrenia indifferenziata i sintomi sono misti. I pazienti con schizofrenia paranoide tendono ad avere una minore invalidità e a essere più responsivi ai trattamenti disponibili. La schizofrenia può anche essere classificata sulla base della presenza e gravità dei sintomi negativi, come la coartazione affettiva, la mancanza di motivazione e la diminuzione del senso dello scopo. I pazienti con il sottotipo deficitario hanno prevalenti sintomi negativi non spiegabili da altri fattori (p. es., depressione, ansia, un ambiente ipostimolante, effetti collaterali dei farmaci). Questi pazienti sono tipicamente più invalidati, hanno una prognosi peggiore e sono più resistenti al trattamento di quelli con il sottotipo non deficitario, che possono avere deliri, allucinazioni e disturbi del pensiero ma sono relativamente privi di sintomi negativi. Nei singoli pazienti il sottotipo può cambiare nel tempo, in genere passando dal tipo paranoide a quello disorganizzato o indifferenziato, o dal tipo non deficitario a quello deficitario.

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Diagnosi Non esistono test patognomonici per la schizofrenia. La diagnosi si basa su una valutazione globale dell’anamnesi clinica, dei sintomi e dei segni. Le informazioni ottenibili da fonti ausiliarie come la famiglia, gli amici e gli insegnanti sono spesso importanti per stabilire la cronologia di esordio della malattia. Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta edizione (DSM-IV), per la diagnosi sono necessari due o più sintomi caratteristici (deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato, sintomi negativi), presenti per la maggior parte del tempo nell’arco di un mese, e devono essere evidenti dei segni prodromici o attenuati di malattia con compromissioni sociali, lavorative o della cura di sé presenti per un periodo di almeno 6 mesi, che includa 1 mese di sintomi attivi. Attraverso l’esame clinico e l’anamnesi devono essere esclusi disturbi psicotici dovuti a disturbi fisici o associati ad abuso di sostanze e disturbi primari dell’umore con caratteristiche psicotiche. Inoltre, le analisi di laboratorio possono escludere disturbi medici, neurologici ed endocrini soggiacenti che possono presentarsi come psicosi (p. es., deficienze vitaminiche, uremia, tireotossicosi, squilibri elettrolitici). Nei pazienti con schizofrenia si riscontrano notevoli anomalie cerebrali strutturali osservabili alla RMN o alla TC, che tuttavia non sono sufficientemente specifiche da avere valore diagnostico per i singoli pazienti. In generale, le anomalie del lobo temporale mediale e superiore sono associate a sintomi positivi; le anomalie corticali e ventricolari frontali, a sintomi negativi. Negli studi funzionali di utilizzazione regionale del glucoso o dell’ossigeno da parte del cervello, la diminuzione dell’attivazione della corteccia prefrontale e delle regioni mesolimbiche è associata a sintomi negativi e a disfunzioni cognitive nei pazienti con schizofrenia.

Storia naturale La vulnerabilità alla schizofrenia può manifestarsi prima dell’esordio di malattia sotto forma di un funzionamento premorboso inadeguato, di scarse abilità sociali, di comportamenti strani ed eccentrici e di isolamento o ritiro. L’esordio può essere acuto (nell’arco di giorni o settimane), oppure lento e insidioso (nell’arco di alcuni anni). La storia naturale della schizofrenia può essere descritta in fasi sequenziali. Nella fase premorbosa si può rilevare l’influenza di fattori di rischio e di vulnerabilità evolutive. Nella fase prodromica, segni e dei sintomi subclinici (come ritiro, irritabilità, sospettosità e disorganizzazione) si sviluppano prima della malattia manifesta, segnalando l’imminente scompenso. Nella fase precoce di malattia, l’esordio di sintomi positivi, di sintomi deficitari e di disabilità funzionali conduce alla diagnosi di schizofrenia. Nella fase centrale, i periodi sintomatici possono essere episodici (con esacerbazioni e remissioni ben identificabili) o continui (senza remissioni identificabili); i deficit funzionali peggiorano. Nella fase tardiva di malattia il decorso può stabilizzarsi, così come i livelli di disabilità, oppure possono manifestarsi miglioramenti tardivi. In definitiva, il 60-70% dei pazienti che ha avuto un episodio di schizofrenia presenta recidive. Il decorso può essere continuo o intermittente. Nei primi 5 anni di malattia il funzionamento può deteriorarsi e le abilità sociali e lavorative possono declinare, con negligenza progressiva della cura di sé; i sintomi negativi possono diventare più gravi e il funzionamento cognitivo può declinare, particolarmente nei pazienti con forme deficitarie. Da allora in poi, i livelli di disabilità tendono a stabilizzarsi. Alcune evidenze suggeriscono che la gravità della malattia può diminuire in tarda età, in particolare nelle donne. Nei pazienti che hanno sintomi negativi e disfunzioni cognitive gravi possono manifestarsi disturbi dei movimenti spontanei, anche quando non vengono usati farmaci file:///F|/sito/merck/sez15/1931679.html (4 of 8)02/09/2004 2.26.18

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antipsicotici. La schizofrenia è associata a un rischio di suicidio del 10% circa (v. Cap. 190). Il suicidio è la principale causa di morte prematura nelle persone con schizofrenia, e il disturbo riduce la durata di vita dei malati di 10 anni in media. I pazienti che hanno forme paranoidi con esordio tardivo e funzionamento premorboso buono (proprio i pazienti con la prognosi di remissione migliore) sono anche quelli con più alto rischio di suicidio. Poiché questi pazienti conservano la capacità di provare cordoglio e angoscia, possono con più probabilità passare all’atto per la disperazione che nasce dal riconoscimento realistico degli effetti del proprio disturbo. La schizofrenia è un fattore di rischio relativamente basso per il comportamento violento; il livello di rischio è molto minore di quello comportato dall’abuso di sostanze. Le minacce di violenza e gli scatti aggressivi minori sono di gran lunga più comuni del comportamento pericoloso che si manifesta quando un paziente obbedisce a voci allucinatorie o aggredisce un persecutore immaginario. Molto raramente, un soggetto gravemente depresso, isolato o paranoide aggredisce o uccide qualcuno che è percepito come la sola fonte delle sue difficoltà (p. es., un’autorità, una celebrità, il suo coniuge). I pazienti con schizofrenia possono presentarsi in pronto soccorso minacciando atti violenti per ottenere cibo, rifugio o le cure mediche o psichiatriche necessarie. La stima accurata e continua della pericolosità e del rischio di suicidio deve essere inclusa nella valutazione e nel trattamento dei pazienti con schizofrenia.

Prognosi La prognosi a un anno è legata strettamente all’adesione alla terapia psicofarmacologica prescritta. Per periodi più lunghi, la prognosi è variabile. Complessivamente, 1/3 dei pazienti consegue un miglioramento significativo e durevole; 1/3 ha un certo miglioramento ma con ricadute intermittenti e una disabilità residua; 1/3 ha invalidità gravi e permanenti. I fattori associati a prognosi favorevole comprendono: un funzionamento premorboso relativamente buono, un esordio di malattia tardivo e/o acuto, un’anamnesi familiare di disturbi dell’umore piuttosto che di schizofrenia, una compromissione cognitiva minima e l’appartenenza al sottotipo paranoide o non deficitario. I fattori associati a prognosi sfavorevole comprendono: un’età di esordio precoce, un funzionamento premorboso inadeguato, un’anamnesi familiare di schizofrenia e l’appartenenza al sottotipo disorganizzato o deficitario con numerosi sintomi negativi. Il sesso maschile ha una prognosi più sfavorevole di quello femminile; le donne hanno una risposta migliore al trattamento con i farmaci antipsicotici. La schizofrenia può associarsi ad altri disturbi mentali. Se è associata a sintomi ossessivo-compulsivi significativi (v. Disturbo Ossessivo-Compulsivo nel Cap. 187) ha una prognosi particolarmente sfavorevole; se è associata a sintomi del disturbo borderline di personalità (v. Cap. 191) ha una prognosi migliore. L’abuso di sostanze è un problema significativo in una percentuale fino al 50% dei pazienti con schizofrenia. La comorbilità per abuso di sostanze è un predittore significativo di esito sfavorevole e può portare a non-compliance farmacologica, a recidive ripetute, a ricoveri frequenti e a declino del funzionamento con perdita del supporto sociale, sino al barbonismo. Terapia I pazienti con schizofrenia tendono a manifestare sintomi psicotici per un periodo medio di 12-24 mesi prima di cercare le cure mediche. Il tempo tra l’esordio dei sintomi psicotici e il primo trattamento, definito "durata della psicosi non trattata", è correlato alla rapidità di risposta al trattamento iniziale, alla qualità di tale risposta e alla gravità dei sintomi negativi. Quando vengono trattati precocemente, i pazienti tendono a rispondere più rapidamente e in maniera più completa. Senza la prevenzione con i farmaci antipsicotici, il 70-80% dei pazienti che ha avuto un episodio schizofrenico manifesta un ulteriore episodio nei 12 mesi successivi. Il trattamento preventivo continuativo con farmaci antipsicotici può ridurre il tasso di ricadute in un anno sino a circa il 30%.

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Gli obiettivi generali del trattamento sono quelli di ridurre la gravità dei sintomi psicotici, di prevenire le recidive degli episodi sintomatici e il deterioramento funzionale a essi associato e di aiutare i pazienti ad acquisire il più alto livello funzionale possibile. I componenti principali del trattamento sono i farmaci antipsicotici, la riabilitazione attraverso i servizi di sostegno nella comunità e la psicoterapia. Farmaci antipsicotici: i farmaci antipsicotici classici (neurolettici) comprendono la clorpromazina, la flufenazina, l’aloperidolo, la loxapina, la mesoridazina, il molindone, la perfenazina, la pimozide, la tioridazina, il tiotixene e la trifluoperazina (v. Tab. 193-1). Questi farmaci sono caratterizzati da un’affinità per il recettore dopaminico di tipo 2 e possono essere classificati come ad alta, intermedia o bassa potenza. I diversi farmaci sono disponibili sotto forma di pillole, di liquido orale, e in formulazioni IM a durata d’azione breve e lunga. Il farmaco specifico viene scelto basandosi in primo luogo sugli effetti collaterali, sulla via di somministrazione richiesta e sulla precedente risposta del paziente al farmaco. Due farmaci antipsicotici convenzionali sono disponibili come preparazioni depot a lunga durata d’azione (v. Tab. 193-2). Queste preparazioni sono utili principalmente per escludere una non-compliance farmacologica nascosta quale causa delle esacerbazioni sintomatologiche e della mancanza di risposta al farmaco. Possono essere utili anche per i pazienti che non possono prendere i farmaci orali quotidianamente in maniera affidabile. I farmaci antipsicotici classici sono associati a effetti collaterali come sedazione, distonie e rigidità muscolare, tremori, elevazione dei livelli di prolattina e aumento di peso (per il trattamento degli effetti collaterali v. Tab. 194-2). L’acatisia (irrequietezza motoria) è particolarmente sgradevole ed è spesso associata a rifiuto del farmaco e a non-compliance da parte del paziente ambulatoriale. Questi farmaci possono anche causare la discinesia tardiva, un disturbo dei movimenti involontari caratterizzato per lo più da contrazione delle labbra e della lingua e/o da spasmi delle bracciao delle gambe. Nei pazienti che assumono antipsicotici convenzionali, l’incidenza della discinesia tardiva è circa del 5%/ anno di esposizione al farmaco. In circa il 2% dei pazienti, la discinesia tardiva è gravemente deturpante. A causa di tale rischio, i pazienti che ricevono una terapia di mantenimento a lungo termine vanno valutati almeno q 6 mesi. Possono essere usati strumenti di valutazione come la Abnormal Involuntary Movement Scale (v. Tab. 193-3). La sindrome maligna da neurolettici, un effetto avverso raro ma potenzialmente fatale, è caratterizzata da rigidità, febbre, labilità autonomica ed elevazione della creatina fosfochinasi (v. anche Emergenze che richiedono un intervento farmacologico più completo, nel Cap. 194). Circa il 30% dei pazienti con schizofrenia non risponde ai farmaci antipsicotici classici (pazienti resistenti al trattamento). Possono però rispondere ai farmaci antipsicotici atipici. Gli antipsicotici atipici hanno alcune o la maggior parte delle seguenti proprietà: alleviano i sintomi positivi; migliorano i sintomi negativi in maniera più marcata degli antipsicotici convenzionali; possono migliorare i deficit neurocognitivi; hanno una maggiore efficacia sulla schizofrenia resistente; hanno minori probabilità di causare effetti collaterali extrapiramidali (motori); hanno un rischio minore di causare discinesia tardiva; producono scarsa o nessuna elevazione della prolattina. Gli antipsicotici atipici probabilmente hanno un’affinità selettiva per le regioni cerebrali implicate nei sintomi schizofrenici e un’affinità ridotta per le aree associate a sintomi motori e a elevazione della prolattina. Influiscono su altri sistemi neurotrasmettitoriali, compresa la serotonina, oppure hanno un’affinità selettiva per alcuni specifici sottotipi di recettori della dopamina. La clozapina, il primo antipsicotico immesso sul mercato negli USA, è efficace in una percentuale fino al 50% dei pazienti resistenti ai farmaci antipsicotici convenzionali. La clozapina riduce i sintomi negativi, produce effetti avversi di file:///F|/sito/merck/sez15/1931679.html (6 of 8)02/09/2004 2.26.18

Schizofrenia e disturbi correlati

tipo motorio scarsi o nulli e non presenta il rischio di causare discinesia tardiva, ma produce altri effetti collaterali come sedazione, ipotensione, tachicardia, aumento di peso e aumento della salivazione. Anche la clozapina può causare convulsioni, con un meccanismo dose-dipendente. L’effetto collaterale più grave è l’agranulocitosi, che può manifestarsi in circa l’1% dei pazienti. Conseguentemente, è necessario il monitoraggio frequente dei globuli bianchi, e la clozapina generalmente si riserva ai pazienti che hanno risposto in maniera insoddisfacente agli altri farmaci. I nuovi farmaci antipsicotici (v. Tab. 193-4) disponibili al momento o tra breve sono il risperidone, l’olanzapina, la quetiapina, il sertindolo e lo ziprasidone. Per la maggior parte dei pazienti con schizofrenia, questi farmaci sono più efficaci e hanno meno effetti collaterali degli antipsicotici convenzionali. Forniscono molti dei benefici della clozapina senza il rischio di agranulocitosi e sono generalmente preferibili agli antipsicotici convenzionali per il trattamento dell’episodio acuto e per la prevenzione delle recidive. I nuovi antipsicotici hanno efficacia simile e si differenziano principalmente per gli effetti collaterali, quindi la scelta del farmaco si basa sulla risposta del paziente e sulla sua vulnerabilità a effetti collaterali specifici. Per valutare l’efficacia è di solito necessario un periodo di prova di 48 sett. La risoluzione rapida dei sintomi è l’obiettivo del trattamento acuto. Per il trattamento di mantenimento viene usata la più bassa dose efficace a prevenire i sintomi. Riabilitazione e servizi di sostegno comunitari: l’addestramento alle abilità psicosociali e la riabilitazione professionale aiutano molti pazienti a lavorare, fare la spesa, aver cura di se stessi, mandare avanti una casa, stare insieme agli altri e collaborare con gli operatori della salute mentale. Il lavoro assistito, in cui i pazienti vengono collocati in una situazione lavorativa non protetta con un tutor in loco per favorire l’adattamento al lavoro, può essere particolarmente utile. Con il tempo, il tutor serve solo come sostegno per la risoluzione dei problemi o per la comunicazione con gli altri. I servizi di sostegno consentono a molti pazienti con schizofrenia di vivere nella collettività. I pazienti possono necessitare di strutture residenziali assistite, con la presenza di un membro del personale per assicurare la compliance ai farmaci. I programmi assistenziali forniscono vari livelli di supervisione nelle diverse strutture residenziali, che vanno da un supporto 24 ore su 24 alle visite domiciliari periodiche. Questi programmi aiutano a promuovere l’autonomia del paziente pur fornendo cure sufficienti a rendere minima la possibilità di ricadute e a ridurre il bisogno di ricoveri. I programmi intensivi di trattamento nella comunità forniscono servizi al domicilio del paziente o in altre strutture residenziali, e si basano su un alto rapporto personale-pazienti; le équipe curanti forniscono direttamente tutte o quasi tutte le prestazioni necessarie. In corso di recidive gravi può rendersi necessario il ricovero oppure la gestione delle crisi in un ambiente alternativo a quello ospedaliero e può anche essere necessario il ricovero obbligatorio, se il paziente costituisce un pericolo per se stesso o per gli altri. Nonostante i miglioramenti dei servizi riabilitativi e di sostegno sul territorio, una piccola percentuale di pazienti, in particolare quelli con deficit cognitivi gravi e quelli resistenti alla terapia farmacologica, richiedono un’istituzionalizzazione a lungo termine o altri tipi di supporto assistenziale. Psicoterapia: l’obiettivo è sviluppare una relazione collaborativa tra il paziente, la sua famiglia e il medico, così che il paziente possa imparare a comprendere e a gestire la propria malattia, a prendere i farmaci secondo le prescrizioni e a gestire più efficacemente lo stress. La qualità della relazione medico-paziente è spesso il determinante principale dell’esito del trattamento. Sebbene l’approccio più comune sia costituito dalla psicoterapia individuale in associazione a una terapia farmacologica, sono disponibili scarse linee guida empiriche. La psicoterapia più efficace è probabilmente quella che prende avvio individuando i bisogni fondamentali del paziente rispetto ai servizi sociali, fornisce sostegno e informazioni sulla natura della malattia, promuove le attività adattative, si basa sull’empatia e su una profonda comprensione dinamica della schizofrenia. Molti pazienti hanno bisogno di un sostegno psicologico empatico per adattarsi a una malattia cronica, che può file:///F|/sito/merck/sez15/1931679.html (7 of 8)02/09/2004 2.26.18

Schizofrenia e disturbi correlati

limitare in modo sostanziale il funzionamento. Spesso il prerequisito per il perseguimento di altri obiettivi terapeutici è un programma di gestione individualizzata del caso, impostato in modo da assicurare che i pazienti possano usufruire dei propri diritti fondamentali, dei servizi di cura e di soluzioni abitative sicure e alla propria portata. Per i pazienti che vivono in famiglia, gli interventi psicoeducativi sulla famiglia stessa possono ridurre il tasso di recidive. I gruppi di sostegno e patrocinio, come l’Alliance for the Mentally Ill (Alleanza per il Malato Mentale), offrono alle famiglie informazioni sulle cure e misure di sostegno e fanno anche da patrocinanti.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 193-1. FARMACI ANTIPSICOTICI CLASSICI

Classe

Farmaco

Dose Dose equivalente a ordinaria 100mg di negli clorpromazina adulti (mg/ (mg) die)

Commenti

Fenotiazine Alifatiche

Clorpromazina* 100

30-800

Prototipo dei farmaci a bassa potenza

Piperidiniche

Tioridazina†

95

150-800

L'unico farmaco con dose massima assoluta (800mg/die), a dosi maggiori provoca una retinopatia pigmentaria; ha effetti anticolinergici significativi

Mesoridazina *

50

30-400

Metabolita di primo livello della tioridazina

Piperaziniche

Trifluoperazina* 5

2-40

Flufenazina*

2

0,5-40

Perfenazina*

10

12-64

Dibenzoxazepine

Loxapina*

15

20-250

Ha affinità per i recettori D2 e 5HT-2

Diidroindoloni

Molindone†

10

15-225

Probabilmente associato a diminuzione di peso

Tioxanteni

Tiotixene*

3

8-30

Ha un’altissima incidenza d’acatisia

Butirrofenoni

Aloperidolo*

1,6

1-15

Il prototipo di farmaco ad alta potenza; è disponibile la forma decanoato (depot IM)

1,3

1-10

Uso approvato soltanto per la sindrome di Tourette

Difenilbutilpiperidine Pimozide

Disponibile anche come decanoato ed enantato, preparati IM depot (le dosi equivalenti non sono disponibili)

*Disponibile in preparazione IM per il trattamento acuto Disponibile in forma orale concentrata D2=dopamina; 5-HT2=5-idrossitriptamina (serotonina)2

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 193-2. FARMACI ANTIPSICOTICI DEPOT Farmaco*

Dosaggio

Emivita plasmatica per dose unica

Tempo di raggiungimento del picco plasmatico dopo una dose singola

Flufenazina decanoato

12,5-50mg q 13 sett.

7gg

1 giorno

Flufenazina enantato

12,5-50mg q 12 sett.

4gg

2 gg

Aloperidolo decanoato

25-150mg q 15 sett.

21gg

7 gg

*Somministrato IM con tecnica "Z-track"

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 194-2. Trattamento degli effetti collaterali acuti degli antipsicotici Sintomi Reazioni distoniche acute (p. es., crisi oculogire, torcicollo)

Terapia Benztropina 2mg EV o IM q 20min × 2 Difenidramina 50mg EV o IM q 20min × 2

Commenti La benztropina 2mg PO può prevenire la distonia se somministrata con un antipsicotico

Distonia laringea

Lorazepam 4mg EV in 10min, poi 1-2 mg EV lentamente

Può essere necessaria l’intubazione

Acinesia, tremori parkinsoniani gravi, bradicinesia

Benztropina 1-2mg PO bid

Con l’acinesia, può essere necessario sospendere l’antipsicotico e usarne uno a bassa potenza

Acatisia (con altri sintomi extrapiramidali)

Amantadina 100-200mg PO bid

Difenidramina 25-50mg PO tid

Benztropina 1-2mg PO bid Biperidene 1-4mg PO bid Prociclidina 3-10mg PO bid Propanololo 10-30mg PO tid Triesifenidile 2-7mg PO bid Acatisia associata ad ansia grave

Lorazepam 1mg PO tid Clonazepam 0,5mg PO bid

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Il farmaco responsabile va sospeso oppure è necessario diminuirne la dose

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Tabella 193-3. Abnormal involuntary movement scale 1. Osservare l’andatura camminando nella stanza. 2. Controllare che il paziente abbia eliminato dalla bocca gomme da masticare o dentiere, se malmesse. 3. Stabilire se il paziente è consapevole di ogni movimento. 4. Fare sedere il paziente su una sedia stabile senza braccioli con le mani sulle ginocchia, le gambe leggermente aperte, e i piedi poggiati sul pavimento. Da questo momento e per tutta la durata dell’esame, osservare i movimenti di tutto il corpo. 5. Assicurarsi che il paziente sieda senza appoggiare le braccia, che devono invece ciondolare lateralmente. 6. Chiedere al paziente di aprire due volte la bocca. Notare eventuali movimenti della lingua. 7. Chiedere al paziente di protrudere due volte la lingua. 8. Chiedere al paziente di battere il pollice su ogni altro dito per 15 secondi con tutte e due le mani. Osservare il volto e le gambe. 9. Far alzare il paziente in piedi con le braccia in avanti. Valutare ogni voce con un punteggio da 0 a 4 per la maggiore gravità osservata. 0=nessuna; 1=minima, ai limiti del normale; 2=lieve; 3=moderata; 4=grave. I movimenti che si manifestano soltanto se attivati vanno valutati un punto in meno di quelli che si manifestano spontaneamente. Movimenti facciali e orali

Muscoli facciali espressivi

01234

Labbra e area periorale

01234

Mandibole

01234

Lingua

01234

Movimenti Braccia delle estremità Gambe

01234

Movimenti del tronco

01234

Collo, schiena, fianchi

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01234

Manuale Merck - Tabella

Valutazioni globali

Gravità dei movimenti anormali

01234

Compromissione funzionale dovuta ai movimenti anormali

01234 01234

Consapevolezza dei movimenti anormali da parte del paziente (0=inconsapevole; 4=disagio grave) Modificata da ECDEU Assessment Manual for Psychopharmacology by W Guy. Copyright 1976 by U.S. Department of Health, Education and Welfare.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 193-4. FARMACI ANTIPSICOTICI DI NUOVA GENERAZIONE

Classe

Farmaco

Dose equivalente a 100mg di clorpromazina (mg)

Dibenzodiazepine

Clozapina

50

Benzioxazoli

Risperidone 1-5

Dose ordinaria nell’adulto (mg/die PO) Commenti 300-900

Il primo antipsicotico atipico; efficace nei pazienti resistenti al trattamento. Necessari frequenti controlli dei globuli bianchi per rischio di agranulocitosi; aumentato rischio di crisi convulsive. Necessaria la titolazione del dosaggio

4-12

Può causare sintomi extrapiramidali con dosi > 6mg; aumento della prolattina dose-dipendente. Aumento di peso

Tienobenzodiazepine Olanzapina

4

10-25

Sonnolenza, aumento di peso e vertigini sono gli effetti collaterali più comuni

Dibenzotiazepine

Quetiapina

100

300-900

Bassa potenza che consente dosaggi ampi (bid); nessun effetto anticolinergico. Necessaria titolazione del dosaggio per antagonismo a

Imidazolici

Sertindolo

4

4-24

La più lunga emivita dei nuovi antipsicotici; tachicardia, diminuzione della frazione di eiezione, lieve prolungamento dell’intervallo QTc sono gli effetti collaterali più comuni. Necessariala titolazione della dose.

Benzisotiazolpiperazine

Ziprasidone 40

80-160

L’inibizione della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina può implicare proprietà antidepressive. La più bassa emivita tra tutti i nuovi antipsicotici; somministrazione bid. Disponibile la preparazione IM per il trattamento acuto

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Manuale Merck - Tabella

Intervallo QTc=intervallo QT corretto per la frequenza cardiaca

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Schizofrenia e disturbi correlati

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI DISTURBO PSICOTICO BREVE Disturbo in cui i sintomi psicotici durano almeno 1 giorno ma meno di 1 mese, con ritorno successivo al funzionamento premorboso normale. Il disturbo psicotico breve è raro. Alcuni disturbi di personalità preesistenti (p. es., paranoide, istrionico, narcisistico, schizotipico, borderline) predispongono alla sua insorgenza. Un evento stressante maggiore, come la perdita di una persona amata, può scatenare il disturbo. Quest’ultimo provoca almeno un sintomo psicotico: deliri, allucinazioni, disorganizzazione del linguaggio oppure comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico. Questa diagnosi non viene posta se i sintomi sono meglio attribuibili a un disturbo psicotico dell’umore, al disturbo schizoaffettivo, alla schizofrenia, a un disturbo fisico o agli effetti fisiologici di una sostanza (prescritta o illegale). Il trattamento è simile a quello di un’esacerbazione acuta della schizofrenia; possono essere necessari dei controlli ripetuti e un trattamento a breve termine con antipsicotici.

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Schizofrenia e disturbi correlati

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI DISTURBO SCHIZOFRENIFORME Disturbo con sintomi identici a quelli della schizofrenia ma che durano da 1 a 6 mesi. Alla prima visita, la diagnosi di solito è dubbia. Deve essere esclusa una psicosi secondaria ad abuso di sostanze o a un disturbo fisico. La persistenza dei sintomi o delle disabilità oltre i 6 mesi suggerisce che si tratti di schizofrenia, ma la l’episodio psicotico acuto può evolvere anche in un disturbo psicotico dell’umore, come il disturbo bipolare o quello schizoaffettivo. Spesso per stabilire la diagnosi e il trattamento appropriato, è necessaria un’osservazione longitudinale. È indicato un trattamento acuto con farmaci antipsicotici e una cura di sostegno psicosociale. Alla scomparsa dei sintomi, si raccomanda il proseguimento di un trattamento farmacologico profilattico per almeno 12 mesi, seguito da una graduale riduzione della dose accompagnata da uno stretto monitoraggio dell’eventuale ritorno di sintomi psicotici.

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Schizofrenia e disturbi correlati

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI DISTURBO SCHIZOAFFETTIVO Disturbo psicotico caratterizzato da sintomi significativi a carico dell’umore (depressione o mania) e sintomi di schizofrenia. La diagnosi richiede che i sintomi a carico dell’umore siano presenti per una parte considerevole della durata totale di malattia. La distinzione del disturbo schizoaffettivo dalla schizofrenia e dal disturbo affettivo può richiedere una valutazione longitudinale dei sintomi e del loro decorso. La prognosi è lievemente più favorevole di quella della schizofrenia, ma è peggiore di quella per i disturbi dell’umore. Poiché il disturbo schizoaffettivo è spesso associato a disabilità, è necessario un trattamento integrato (comprendente farmaci, psicoterapia e sostegno territoriale). Per il trattamento della forma bipolare (maniacale), l’associazione di antipsicotici e litio può essere più efficace degli antipsicotici da soli. Per il trattamento della forma depressiva, gli antipsicotici vengono comunemente associati agli antidepressivi, sebbene il beneficio dell’aggiunta di questi ultimi farmaci non sia stato dimostrato. Gli antipsicotici di nuova generazione possono avere maggiore efficacia di quelli classici.

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Schizofrenia e disturbi correlati

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 193. SCHIZOFRENIA E DISTURBI CORRELATI DISTURBO DELIRANTE Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Prognosi e terapia

La caratteristica centrale del disturbo delirante (in precedenza chiamato disturbo paranoide) è la presenza di una o più convinzioni erronee che persistono per almeno 1 mese. I deliri tendono a non essere bizzarri e coinvolgono situazioni verosimili, come essere seguiti, avvelenati, infettati, amati a distanza o ingannati dal proprio coniuge o dal proprio amante. A differenza della schizofrenia, il disturbo delirante è relativamente raro. L’esordio si manifesta generalmente nella media o tarda età adulta. Il funzionamento psicosociale non è compromesso come nella schizofrenia, e le menomazioni di solito derivano direttamente dalla convinzione delirante. Sono stati identificati diversi sottotipi di disturbo delirante. Nel sottotipo erotomanico, il/la paziente crede che un’altra persona sia innamorata di lui/lei. Sono comuni i tentativi di contattare l’oggetto del delirio con telefonate, lettere, controlli o appostamenti. I soggetti con questo sottotipo possono incorrere in problemi legali correlati a tali comportamenti. Nel sottotipo megalomanico, il paziente è convinto di avere un grande talento o di aver fatto una scoperta importante. Nel sottotipo di gelosia, il paziente è convinto che il suo coniuge o il suo amante sia infedele. Questa convinzione si basa su inferenze erronee sostenute da prove dubbie. L’aggressione fisica può essere un pericolo significativo. Nel sottotipo persecutorio, il paziente è convinto che si stia complottando contro di lui, che lo si spii, che si sparli di lui o che lo si perseguiti. Può tentare ripetutamente di ottenere giustizia attraverso appelli ai tribunali e ad altre istituzioni e può ricorrere alla violenza per vendicarsi della persecuzione immaginaria. Nel sottotipo somatico, il delirio è legato a una funzione corporea; p. es., il paziente può essere convinto di avere una deformità fisica, un cattivo odore o un parassita.

Sintomi e diagnosi Il disturbo delirante può insorgere nel contesto di un disturbo paranoide di personalità preesistente (v. Cap. 191). In tali persone, nella prima età adulta si manifestano una sfiducia e una sospettosità pervasive nei confronti degli altri e delle loro intenzioni, che si protrae per tutta la vita. I primi sintomi possono comprendere la sensazione di essere sfruttato, preoccupazioni per la lealtà o l’affidabilità degli amici, una tendenza a leggere significati minacciosi in osservazioni o eventi favorevoli, un rancore costante e una reattività immediata a quelli che vengono percepiti come affronti. La diagnosi dipende soprattutto dall’esecuzione della valutazione clinica, dalla raccolta di un’anamnesi accurata e dall’esclusione di altre condizioni specifiche associate a deliri. È molto importante la valutazione della pericolosità e file:///F|/sito/merck/sez15/1931687c.html (1 of 2)02/09/2004 2.26.22

Schizofrenia e disturbi correlati

specialmente della probabilità che il paziente metta in atto il delirio.

Prognosi e terapia Gli studi indicano che il disturbo delirante generalmente non conduce a un grave deterioramento o cambiamento della personalità, ma il coinvolgimento nelle preoccupazioni deliranti può gradualmente peggiorare. La maggior parte dei pazienti può restare disoccupata. Il trattamento mira a stabilire una buona relazione medico-paziente e a gestire le complicanze. Se il paziente è valutato come pericoloso, può essere necessario il ricovero. Non vi sono dati sufficienti a sostenere l’uso di alcun farmaco particolare, sebbene i farmaci antipsicotici possano a volte eliminare i sintomi. Lo spostamento della principale area di preoccupazione del paziente dal locus delirante a un’area più costruttiva e gratificante è un obiettivo difficile, ma ragionevole, del trattamento a lungo termine.

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Emergenze psichiatriche

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 194. EMERGENZE PSICHIATRICHE Sommario: Introduzione Emergenze che richiedono una valutazione medica generale Emergenze che richiedono ospedalizzazione o altro supporto medico istituzionale Emergenze che richiedono un intervento farmacologico minimo Emergenze che richiedono un intervento farmacologico piu' completo CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI

I pazienti con sintomi psichiatrici, che richiedono una immediata attenzione, giungono spesso al pronto soccorso, dove è necessario prendere decisioni riguardo le priorità, la valutazione e l’intervento terapeutico, senza disporre di informazioni complete. L’esame clinico psichiatrico va integrato attraverso i colloqui con i familiari o con altre persone che hanno accompagnato il paziente. Se il paziente è già in cura psichiatrica, ove possibile vanno ottenute delle informazioni dal suo medico. Le informazioni iniziali possono suggerire la necessità di esami di laboratorio o di altri esami diagnostici. Il medico deve decidere se un paziente va trattenuto contro la sua volontà per garantire la sua sicurezza immediata o quella di altre persone, oppure per consentire il completamento della valutazione di emergenza. Alcuni comportamenti pericolosi per sé o per gli altri possono richiedere una detenzione temporanea. Conclusa la valutazione, il medico deve decidere quale sia l’ambiente meno restrittivo verso il quale il paziente può essere dimesso in condizioni di sicurezza, per continuare la cura. Le emergenze psichiatriche possono necessitare di una valutazione medica generale prima che possa essere presa una decisione sul trattamento: ricovero o altra misura di tipo istituzionale, intervento psicoterapeutico, intervento farmacologico di tipo minimale o più globale.

Emergenze che richiedono una valutazione medica generale Bisogna operare una valutazione degli attacchi di panico per escludere altri disturbi associati all’ansia, tra cui psicosi, disturbi deliranti, fobie, abuso o astinenza da sostanze, tireotossicosi, infarto del miocardio, prolasso della valvola mitrale, feocromocitoma, iperventilazione e aritmie cardiache. Gli attacchi di panico possono essere trattati con propanololo da 10 a 30 mg/die PO per ridurre le manifestazioni periferiche dell’ansia, con il clonazepam (una benzodiazepina a emivita lunga) da 0,5 a 2 mg bid, oppure con l’alprazolam da 0,5 a 1,5 mg da bid a tid per il trattamento a breve termine. Il trattamento a lungo termine è trattato nel Cap. 187. La mania (v. il Cap. 189) può essere la manifestazione di un disturbo psichiatrico primario (disturbo bipolare) o di un disturbo fisico primario a carico del SNC (p. es., morbo di Cushing, lesione intracranica, insulti cerebrovascolari, ipertiroidismo). La mania può anche essere un effetto avverso di svariati farmaci, tra cui corticosteroidi, ciclosporina, altri agenti immunosoppressori, amfetamine,

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Emergenze psichiatriche

baclofene, bromocriptina, captopril, cimetidina, disulfiram, idralazina, isoniazide, levodopa, metilfenidato, metrizamide, oppiacei, procarbazina, prociclidina e yohimbina. I pazienti con disturbo bipolare possono avere una recidiva maniacale se la loro depressione viene trattata con antidepressivi o fototerapia. La psicosi si manifesta nella schizofrenia, nel disturbo bipolare, nei disturbi deliranti e nella depressione maggiore. Nel caso di un primo episodio o dell’esordio acuto di una psicosi, devono essere esclusi gli stessi disturbi fisici e gli stessi farmaci associati alla mania (v. sopra), ma quando si manifestano recidive in un paziente notoriamente affetto da un disturbo psicotico cronico, non è in genere necessaria una rivalutazione diagnostica globale. Il delirium (v. il Cap. 171) è causato da un’ampia varietà di condizioni tossiche e metaboliche, e la diagnosi richiede un’eziologia identificabile, nota o presunta. Gli episodi dissociativi (v. il Cap. 188) vanno presi in considerazione soltanto dopo l’esclusione di altre cause di alterazioni della memoria (p. es., trauma cranico, accidenti cerebrovascolari, disturbi convulsivi). La catatonia può essere diagnosticata soltanto dopo l’esclusione di altre cause di eccitamento psicomotorio o di stupor, come una intossicazione da sostanze che causano eccitamento psicomotorio, da antipsicotici o da antidepressivi che provocano acatisia (p. es., gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), uno stato maniacale, danni neurologici (p. es., insulti cerebrovascolari) oppure un grave morbo di Parkinson causante uno stupor psicomotorio, la sindrome maligna da neurolettici, una sindrome serotoninergica, un’overdose da benzodiazepine. I disturbi di conversione (v. Cap. 185 e 186) hanno una componente psicologica e imitano disturbi fisiopatologici, come cecità o paralisi; tuttavia, la distribuzione anatomica dei sintomi di solito riflette una conoscenza da profani della loro organizzazione. Prima di diagnosticare un disturbo di conversione, devono essere esclusi eventuali disturbi fisici. Le convulsioni (v. Cap. 172) che non siano di tipo tonico-clonico generalizzato possono essere difficili da distinguere da altri disturbi psichiatrici e fisici. Le crisi del lobo temporale e le assenze possono causare una dissociazione della coscienza. La valutazione di un comportamento bizzarro o stereotipato di recente insorgenza deve comprendere una valutazione neurologica e un EEG. Nei pazienti con sospetta astinenza alcolica (v. Alcolismo nel Cap. 195) deve essere valutata la funzionalità epatica, vanno eseguiti i test del metabolismo glicidico per escludere un diabete mellito, e deve essere eseguita una valutazione neurologica per escludere un possibile trauma cranico.

Emergenze che richiedono ospedalizzazione o altro supporto istituzionale Un paziente con un disturbo psichiatrico che costituisca un pericolo per sé stesso o per gli altri, o che sia talmente invalido da non poter badare a sé stesso, necessita di ricovero. Le persone che sono pericolose ma non hanno un disturbo psichiatrico, devono essere inviate alle forze dell’ordine. Il comportamento suicida (v. Cap. 190) richiede una valutazione del rischio di suicidio, che comprende una valutazione psichiatrica completa, un esame accurato dello stato mentale e un esame dettagliato delle circostanze associate al comportamento suicida e del supporto sociale disponibile. Generalmente, i tentativi di suicidio in cui sono state prese delle precauzioni per non essere scoperti, sono stati necessari atti preparatori (p. es., l’acquisto di una pistola) e sono stati previsti o usati mezzi violenti, letali o di facile disponibilità, sono da considerare i più gravi. I pazienti giudicati a rischio di suicidio non devono essere dimessi senza sorveglianza. file:///F|/sito/merck/sez15/1941688.html (2 of 7)02/09/2004 2.26.24

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La decisione sulla necessità del ricovero si basa sulla diagnosi del paziente; sulla gravità della depressione, della disperazione e dell’agitazione; sulla disponibilità di sostegno sociale; sulla presenza di altri fattori di rischio per suicidio, come un’anamnesi di tentativi di suicidio, di abuso di sostanze e di eventi vitali stressanti recenti. Se un paziente con un disturbo psichiatrico ha scarso controllo emozionale, è affetto da psicosi o manifesta impulsività con gravi minacce, idee o piani di suicidio o di omicidio, va trattato in una struttura protetta e se necessario va ricoverato obbligatoriamente. Se le minacce o gesti di suicidio non sono giudicati potenzialmente letali, i pazienti possono essere dimessi dopo la valutazione da parte di uno psichiatra. La condizione di rischio di omicidio non è necessariamente legata a un disturbo psichiatrico. La pericolosità per gli altri viene valutata nel corso di un esame psichiatrico completo che comprenda, se possibile, informazioni da terzi. La valutazione accurata della pericolosità per se stessi e per gli altri va documentata per tutti i pazienti valutati in una struttura di emergenza. La trascuratezza di sé può mettere in pericolo i pazienti con un disturbo psicotico, con delirium o con abuso di sostanze grave, a causa della compromissione della capacità di procurarsi cibo, vestiti e protezione adeguata dalle intemperie. I pazienti che si trascurano a causa di un disturbo psichiatrico e quelli psicotici ma non violenti di solito vengono ricoverati qualora la loro condizione sia suscettibile di peggiorare senza intervento psichiatrico e nel caso non siano disponibili alternative adeguate. Le crisi psicosociali possono essere la principale ragione per cui i pazienti con disturbi psichiatrici gravi, di vecchia data, privi di ogni altro mezzo di sostegno, chiedono aiuto al pronto soccorso. Tali pazienti spesso hanno una ridotta capacità di gestire gli stress psicosociali di ogni tipo. Le situazioni di crisi possono essere costituite da conflitti familiari, con il padrone di casa o con i coinquilini, da problemi economici e dalla solitudine. I pazienti possono usare lamentele giustificate sul piano medico, come allucinazioni o ideazione suicida, per ottenere assistenza per altri problemi psicosociali. La valutazione di emergenza deve comprendere il tentativo di determinare i fattori psicosociali precipitanti della visita attuale. La formulazione di un piano di trattamento in collaborazione con i medici ambulatoriali e i servizi di cura può facilitare la riduzione dell’uso inadeguato dei servizi di pronto soccorso.

Emergenze che richiedono un intervento farmacologico minimo I pazienti in crisi ma senza un disturbo psichiatrico maggiore, possono necessitare di un intervento farmacologico minimo, oppure di nessun intervento. Un disturbo dell’adattamento può richiedere un trattamento ambulatoriale a breve termine. A seconda dei sintomi prevalenti, possono essere usati per un breve periodo farmaci ansiolitici o antidepressivi. Gli antidepressivi generalmente richiedono 2-4 sett. per ridurre i sintomi, e quindi non possono essere usati senza un trattamento coordinato a breve termine. Il ripristino di un sonno normale è spesso uno degli obiettivi principali del trattamento. Il lutto acuto, una reazione di adattamento, può richiedere sedativi o ansiolitici. Le vittime di uno stupro o di un’aggressione fisica (v. Cap. 244) spesso traggono beneficio da una valutazione psicologica e da una terapia, come un ansiolitico usato per breve tempo. I reparti di pronto soccorso devono avere contatti con gli operatori specializzati nella gestione delle crisi legate allo stupro o alle aggressioni, i quali possono affiancare la vittima durante le procedure mediche e legali, possono fornire un sostegno e possono organizzare l’assistenza di follow-up. Il disturbo borderline o altri tipi di disturbi di personalità (v. Cap. 191), in

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reazione a fattori stressanti psicosociali, possono produrre sintomi psicotici transitori, impulsi suicidi o comportamenti aggressivi-impulsivi, come l’automutilazione e i tentativi di suicidio. Non appena giungono sotto osservazione nel reparto di pronto soccorso, i pazienti con tali disturbi spesso negano o minimizzano la gravità delle loro azioni, e fanno pressione energicamente e insistentemente per essere dimessi subito. Se possibile, il medico ambulatoriale del paziente deve essere consultato riguardo alle decisioni inerenti il trasferimento. Generalmente le terapie farmacologiche non vanno iniziate nel reparto di pronto soccorso; devono essere prescritte da uno specialista che sia in grado di osservare il paziente nel lungo periodo e di eseguire le necessarie rivalutazioni.

Emergenze che richiedono un intervento farmacologico più completo I farmaci prescritti in una situazione di pronto soccorso devono essere somministrati con giudizio e indirizzati a sintomi specifici. Se possibile, l’eziologia dell’alterazione psichica deve essere stabilita prima che vengano somministrati dei farmaci, perché i farmaci psicotropi sopprimono i sintomi psichiatrici secondari ai disturbi fisici di base. Nondimeno, i farmaci sono spesso necessari nell’immediato per controllare un comportamento disturbante, che ponga a rischio il paziente o altre persone. Bisogna tenere sotto controllo il comportamento aggressivo di questi pazienti, in modo che gli altri non subiscano danni. La contenzione fisica va eseguita solo da personale adeguatamente addestrato per proteggere i diritti e la sicurezza del paziente. Per controllare un comportamento pericoloso possono essere somministrati dei farmaci anche senza il consenso del paziente psichiatrico. I farmaci comunemente utilizzati a questo scopo sono elencati nella Tab. 194-1. La psicosi acuta (agitata), con comportamento aggressivo o violento, è un’emergenza comune. La diagnosi definitiva deve spesso essere preceduta da un trattamento sintomatico. Se vengono giudicati un pericolo per se stessi o per gli altri, i pazienti con psicosi acuta necessitano di ricovero o di un trattamento in una struttura residenziale per gruppi di crisi, oppure in altre strutture alternative all’ospedale. Le diagnosi più comuni in questi pazienti sono il disturbo bipolare tipo I, la schizofrenia, il disturbo psicotico breve, il delirium, la demenza e l’astinenza o l’intossicazione da sostanze. Il disturbo bipolare di tipo I (v. il Cap. 189) si manifesta sottoforma di mania o di depressione maggiore. Per controllare i sintomi maniacali acuti è spesso necessario un farmaco antipsicotico. Gli stabilizzanti dell’umore come il litio, la carbamazepina e il valproato, necessitano di diverse settimane per normalizzare l’umore e hanno anche efficacia preventiva. Se viene prescritto un antidepressivo per i pazienti con disturbo bipolare, per tentare di prevenire una mania iatrogena va prescritto in associazione uno stabilizzante dell’umore. La schizofrenia (v. Cap. 193) può manifestarsi con esacerbazioni acute o con recidive. La non-compliance con il trattamento di mantenimento prescritto rende conto di circa il 50% delle ricadute nei pazienti affetti da tale disturbo. I sintomi positivi (allucinazioni, allentamento dei nessi associativi, comportamento bizzarro e deliri) sono di solito prevalenti. La diagnosi differenziale comprende l’intossicazione da sostanze, i disturbi convulsivi (specialmente l’epilessia del lobo temporale), i tumori del SNC e i traumi cranici. Per il controllo dei pazienti schizofrenici agitati un tempo veniva sostenuto il trattamento rapido con alte dosi di antipsicotici (neurolettizzazione). Questo approccio ha tuttavia un rischio maggiore di effetti avversi, senza migliore efficacia rispetto al trattamento standard con aloperidolo e/o benzodiazepine, quindi non è consigliabile (v. Tab. 194-1).La scelta di un farmaco specifico e del dosaggio usato per il trattamento d’urgenza di una psicosi con agitazione, si basa sulla risposta precedente ai farmaci, sulla gravità della psicosi, sull’età e sulla presenza di disturbi fisici che influenzano il metabolismo dei farmaci. I bambini, file:///F|/sito/merck/sez15/1941688.html (4 of 7)02/09/2004 2.26.24

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gli anziani e i pazienti con insufficienza epatica o renale necessitano tipicamente di dosi più basse. La somministrazione concomitante di farmaci anticolinergici (p. es., la benztropina 0,5-2 mg PO o IM) può ridurre gli effetti collaterali extrapiramidali acuti degli antipsicotici. Il profilo di effetti collaterali degli antipsicotici atipici, relativamente benigno (p. es., risperidone, olanzapina, quetiapina, ziprasidone), favorisce il loro uso nel trattamento di mantenimento, ma l’indisponibilità di preparazioni IM limita il loro uso nei reparti di emergenza. Il disturbo psicotico breve (v. Cap. 193) ha un trattamento simile a un’esacerbazione acuta della schizofrenia, sebbene in genere siano necessarie dosi minori di farmaci. Il delirium (v. Cap. 171) va gestito con modificazioni ambientali che aiutino l’orientamento del paziente (p. es., lasciare una luce accesa di notte, riorientare spesso il paziente rispetto al tempo, allo spazio e alle persone) e con i farmaci. I farmaci devono essere prescritti solo dopo aver diagnosticato il disturbo di base, oppure dopo avere almeno iniziato il procedimento diagnostico. L’aloperidolo a basse dosi (0,5-2 mg) è spesso il farmaco di scelta. Il lorazepam da 0,5 a 2 mg può ridurre l’agitazione, ed è preferibile quando la causa è un’astinenza da sostanze. I farmaci anticolinergici (p. es., benztropina) vanno usati con cautela nei pazienti con delirium, specialmente se anziani, perché può manifestarsi una tossicità anticolinergica (psicosi atropinica). I pazienti con demenza (v. Cap. 171) possono manifestare uno stato di agitazione secondario a deliri paranoidi, che produce reazioni catastrofiche (p. es., resistenza violenta al personale curante) o una complicanza di tipo organico che causa delirium. L’agitazione può richiedere interventi per la protezione del paziente o di altre persone. Poiché questi pazienti sono estremamente sensibili agli effetti collaterali, devono essere usate dosi più basse di farmaci (v. Tab. 194-1). Se non è disponibile una sorveglianza extraospedaliera adeguata, per stabilizzare i pazienti può essere necessario il ricovero. Per il comportamento aggressivo, si può usare il propranololo, la carbamazepina, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina o il buspirone. L’intossicazione e l’astinenza da sostanze (v. Cap. 195) possono manifestarsi in associazione a un disturbo psichiatrico o come disturbo principale di presentazione. La fenciclidina (Phencyclidine, PCP), la cocaina e l’alcol sono le sostanze che più spesso conducono a un comportamento violento. I consumatori di PCP possono manifestare quasi tutti i sintomi psichiatrici. I pazienti con intossicazione da PCP vanno posti sotto osservazione in una stanza sicura, lontana da stimoli; non è consigliabile tentare di parlare subito con il paziente. Per i pazienti violenti può essere necessaria la contenzione o la sedazione. Per trattare l’agitazione è indicato il lorazepam da 2 a 4 mg PO oppure il diazepam da 10 a 20 mg PO. I pazienti che abusano di cocaina e assumono anche un inibitore delle monoaminossidasi o un altro psicostimolante sono a rischio di crisi ipertensiva. Per gestire una psicosi paranoide o una ricaduta schizofrenica secondaria ad uso di cocaina, può essere usato l’aloperidolo (v. Tab. 194-1). L’astinenza dai barbiturici, da altri sedativi e ipnotici (comprese le benzodiazepine) e dall’alcol sono clinicamente simili. Quando i sintomi sono gravi, il trattamento in ospedale è più sicuro, ed è imperativo qualora il paziente sia febbrile (> 38,3°C), non possa assumere liquidi per prevenire la disidratazione, o abbia un disturbo fisico di base grave. L’astinenza alcolica può essere potenzialmente letale. Possono insorgere crisi convulsive. Il delirium tremens, una sindrome di astinenza che inizia entro 7 giorni dalla sospensione (di solito entro 24-72 h), è un’emergenza medica e va trattata in un’unità di cura intensiva. La terapia è trattata alla voce Alcolismo nel Cap. 195. Anche l’overdose da farmaci psicoattivi prescritti può causare intossicazione. Se il paziente ha assunto una dose tossica ed è vigile, il trattamento consiste file:///F|/sito/merck/sez15/1941688.html (5 of 7)02/09/2004 2.26.24

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nell’induzione del vomito seguita dalla somministrazione di carbone attivo. L’overdose da antidepressivi triciclici o carbamazepina richiede il monitoraggio cardiaco. L’overdose da barbiturici o benzodiazepine e alcol può causare arresto respiratorio. L’overdose da paracetamolo richiede il monitoraggio dei livelli ematici; se questi ultimi indicano un probabile danno epatico, deve essere somministrata acetilcisteina secondo protocollo (v. Avvelenamento da paracetamolo nel Cap. 263). I farmaci antipsicotici, sia a dosi terapeutiche che tossiche, possono provocare effetti collaterali extrapiramidali acuti quali distonia, crisi oculogire, torcicollo e acinesia. L’acatisia è un effetto collaterale comune degli antipsicotici ad alta potenza; se grave, è accompagnata da ansia estrema o terrore. L’insorgenza acuta di distonie oculogire o orofacciali in una persona altrimenti in buona salute, può suggerire l’ingestione volontaria o involontaria di un antipsicotico. Per il trattamento degli effetti collaterali acuti degli antipsicotici, v. Tab. 194-2. La sindrome maligna da neurolettici è una reazione ipermetabolica agli antagonisti della dopamina, prevalentemente i farmaci antipsicotici, come le fenotiazine e i butirrofenoni. Di solito insorge nelle prime fasi di trattamento, più raramente durante il trattamento di mantenimento. Si manifesta in una percentuale che giunge al massimo fino al 3% dei pazienti che iniziano un trattamento con antipsicotici. Il rischio é maggiore nei pazienti maschi agitati che abbiano ricevuto dosi elevate e rapidamente crescenti di tali farmaci. Non è stata evidenziata alcuna componente genetica. La sua base fisiopatologica è ritenuta il blocco dei recettori centrali della dopamina. I segni caratteristici sono rigidità muscolare, iperpiressia, tachicardia, ipertensione, tachipnea, alterazione dello stato psichico e disfunzioni vegetative. Le anomalie di laboratorio comprendono acidosi respiratoria e metabolica, mioglobinuria, elevazione della CK e leucocitosi. La mortalità è vicina al 30%. Il trattamento comprende la sospensione dei farmaci antipsicotici, il sostegno delle funzioni vitali e il trattamento aggressivo della mioglobinuria, della febbre e dell’acidosi. Come rilassante muscolare può essere usato l’agonista dopaminergico bromocriptina, da 2,5 a 20 mg tid, o il dantrolene sino a 10 mg/kg EV q 4 h. Il trattamento si svolge di solito in un’unità di cura intensiva. Dopo la remissione, la reintroduzione del farmaco antipsicotico scatena nuovamente la sindrome in una percentuale fino a 1/3 dei pazienti. L’ipertermia maligna, indotta dall’inalazione di anestetici ad alta potenza o dalla succinilcolina, è clinicamente simile alla sindrome maligna da neurolettici; tuttavia, i meccanismi fisiopatologici e la predisposizione appaiono diverse nella maggior parte dei casi (v. Interazioni farmacodinamiche nel Cap. 301). Se i pazienti con sindrome maligna da neurolettici hanno bisogno di anestesia, vanno evitati gli agenti che possono scatenare l’ipertermia maligna, anche se in questi pazienti o nei loro familiari quest’ultima sindrome non è stata riferita.

CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI Nella maggior parte degli stati, quando un paziente esprime l’intenzione di fare del male a una determinata persona, il medico che lo valuta è obbligato ad avvertire la vittima designata e a informare un ufficio giudiziario specifico. Le disposizioni specifiche variano da stato a stato. Di solito i regolamenti statali richiedono anche di riferire i sospetti abusi sui bambini, sugli anziani e sulle mogli. I criteri e le procedure per il ricovero obbligatorio variano a seconda della giurisdizione. Di solito un medico oppure uno psicologo, più un altro medico, devono certificare che il paziente ha un disturbo psichiatrico, che è un pericolo per se stesso o gli altri e che rifiuta il trattamento.

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Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE ALCOLISMO Sviluppo di comportamenti devianti caratteristici, associati all’assunzione prolungata di eccessive quantità di alcol.

Sommario: Introduzione Eziologia e incidenza Fisiologia e anatomia patologica Tolleranza e dipendenza fisica Sindrome di astinenza Complicanze Terapia

L’alcolismo è considerato una malattia cronica a eziologia incerta, a esordio insidioso e con segni e sintomi caratteristici e proporzionali alla sua gravità. Il consumo di grandi quantità di etanolo in genere causa una significativa tossicità clinica, dei danni organici, una dipendenza fisica e una pericolosa crisi d’astinenza. Il termine alcolismo si riferisce anche al decadimento sociale degli alcolisti e delle loro famiglie. In genere questi due aspetti dell’alcolismo si ritrovano contemporaneamente, ma talvolta uno solo dei due può essere predominante, escludendo apparentemente l’altro. L’etanolo è pericoloso, in parte perché non è potente. Una dose adeguata si misura in bicchieri, non in microgrammi o milligrammi. Il consumo ripetuto espone molte cellule a effetti tossici. Un alcolista è identificato da una grave dipendenza o tossicomania e da un insieme di comportamenti caratteristici. Le intossicazioni frequenti sono evidenti e distruttive; esse interferiscono con le capacità lavorative e sociali. Alla fine, l’ubriachezza può condurre a dei fallimenti relazionali, così come alla perdita del lavoro per assenteismo. Gli alcolisti possono subire traumi fisici, essere fermati per guida in stato di intossicazione oppure arrestati per ubriachezza. Possono anche cercare un trattamento medico per il proprio problema. Infine, possono essere ricoverati in ospedale per un delirium tremens o una cirrosi. Quanto più precocemente si manifestano questi comportamenti, tanto più invalidante sarà il disturbo. Le donne alcoliste hanno in genere minori probabilità di bere in solitudine e di subire qualche forma di stigma sociale.

Eziologia e incidenza La causa è sconosciuta. Negli alcolisti sono comuni alcuni tratti di personalità come i tratti schizoidi (isolamento, solitudine, timidezza), la depressione, la dipendenza, l’impulsività ostile e autodistruttiva e l’immaturità sessuale. Gli alcolisti spesso hanno storie di famiglie disgregate e rapporti disturbati con i genitori. I fattori sociali (come gli atteggiamenti culturalmente trasmessi o l’educazione dei figli) influenzano le modalità di assunzione alcolica e i comportamenti conseguenti.

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Uso e dipendenza da sostanze

Non sono stati dimostrati difetti genetici o biochimici conducenti all’alcolismo. Sebbene l’incidenza dell’alcolismo sia maggiore nei figli biologici degli alcolisti rispetto ai propri figli adottivi, la percentuale di figli di alcolisti con problemi legati all’alcol è solo lievemente maggiore di quella della popolazione generale. Molti esperti ritengono che l’alcolismo solitamente insorga nel contesto di una necessaria predisposizione genetica o biochimica. Alcuni dati suggeriscono che gli individui che diventano alcolisti subiscono meno facilmente l’intossicazione, cioè hanno una soglia più alta per gli effetti sul SNC. Alcuni esperti del campo distinguono l’abuso di alcol, che può presentarsi in ogni forte bevitore, dalla sindrome cronica, che a loro avviso si presenta solamente negli individui geneticamente predisposti. L’incidenza della diagnosi di alcolismo tra le donne, i bambini, gli adolescenti e gli studenti è in aumento. Il rapporto tra uomini e donne è circa 4:1. Si presume che il 75% degli adulti americani faccia uso di bevande alcoliche e che circa il 10% di essi avrà prima o poi problemi di alcolismo o di abuso di alcol.

Fisiologia e anatomia patologica L’alcol è assorbito nel sangue principalmente a livello dell’intestino tenue. Nel sangue va incontro ad accumulo, dal momento che l’assorbimento è più rapido dell’ossidazione e dell’eliminazione. Dal 5 al 10% dell’alcol ingerito viene escreto immodificato con le urine, con il sudore, con l’aria espirata; la quota residua viene ossidata a CO2 e acqua a una velocità da 5 a 10 ml/h (di alcol assoluto); ogni ml fornisce circa 7 kcal. Principalmente, l’alcol deprime il CNS: un tasso alcolemico di 50 mg/dl (11 mmol/l) provoca sedazione o tranquillizzazione; da 50 a 150 mg/ dl (da 11 a 33 mmol/l), perdita della coordinazione; da 150 a 200 mg/dl (da 33 a 43 mmol/l), intossicazione (delirium); da 300 a 400 mg/dl (da 65 a 87 mmol/l), perdita della coscienza (v. anche Tab. 170-2). Tassi alcolemici > 400 mg/dl (> 87 mmol/l) possono essere fatali. Il tasso alcolemico permesso dalla legge americana per la guida degli autoveicoli è di 100 mg/dl (circa 22 mmol/l) nella maggior parte degli stati, e questo livello é spesso usato per stabilire la presenza di intossicazione. Una recente disposizione legislativa degli USA minaccia il ritiro della patente di guida alle persone minori di 21 anni con un tasso alcolemico > 20 mg/dl (> 4,3 mmol/l). (Negli USA l’alcol è proibito alle persone minori di 21 anni.) Il tasso alcolemico viene misurato raramente; può essere stimato attraverso la quantità di etanolo presente nell’aria espirata. Le più comuni forme di danno organico specifico negli alcolisti sono la cirrosi (v. Cap. 40), la neuropatia periferica, i danni cerebrali e la miocardiopatia, spesso accompagnata da aritmie. La gastrite è frequente e si può sviluppare anche una pancreatite. L’alcol sembra avere un effetto epatotossico diretto, sebbene l’insufficiente apporto nutrizionale secondario a un cospicuo consumo di alcol possa aggravare tale effetto. In alcuni alcolisti, la funzionalità epatica è irreversibilmente compromessa; ciò porta a un inadeguato accumulo di glicogeno con tendenza all’ipoglicemia, per l’impossibilità di mobilizzare il glucoso. Si può anche avere una ipoglicemia sintomatica da insufficiente apporto alimentare (v. anche Ipoglicemia nel Cap. 13). Sia l’azione tossica diretta dell’alcol che i deficit nutrizionali associati (in modo particolare di tiamina) sono considerati responsabili della frequente degenerazione dei nervi periferici e dei danni cerebrali. Dopo circa 10 anni di abuso alcolico massivo si può sviluppare una miocardiopatia alcolica, da attribuire a un effetto tossico diretto di questa sostanza sul muscolo cardiaco, indipendentemente dai deficit nutrizionali. Tale malattia si manifesta clinicamente con cardiomegalia e insufficienza cardiaca congestizia; da un punto di vista anatomopatologico si osservano in genere fibrosi del miocardio e ipertrofia con infiltrazione di glicoproteine. Anche il deficit di tiamina associato all’abuso di alcol può portare a una miocardiopatia (malattia cardiaca da beri-beri) v. Carenza e tossicità della tiamina nel Cap. 3), con marcata insufficienza eiettiva e disturbi della conduzione correlati a squilibri elettrolitici. L’eccesso di assunzione di alcol può causare anomalie elettrocardiografiche, aritmie e morti improvvise negli alcolisti giovani. La gastrite può essere in relazione all’effetto dell’alcol sulle secrezioni gastriche, che aumentano in volume e in contenuto acido, mentre la pepsina resta a livelli bassi.

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Uso e dipendenza da sostanze

Tolleranza e dipendenza fisica Le persone che bevono ripetutamente e per lungo tempo grandi quantità di alcol, talvolta possono diventare tolleranti ai suoi effetti (la tolleranza si verifica anche con altre sostanze che inducono depressione del SNC, p. es., barbiturici, meprobamato); le ultime assunzioni di alcol non hanno lo stesso effetto tossico delle prime. La tolleranza é causata da cambiamenti adattativi delle cellule del SNC (cosiddetta tolleranza cellulare o farmacodinamica). Le persone tolleranti all’alcol possono avere un tasso alcolemico incredibilmente alto; alcuni soggetti sono sopravvissuti a tassi alcolemici > 700 mg/dl (> 152 mmol/l). Tuttavia la tolleranza all’etanolo é incompleta e i bevitori manifestano sempre un certo grado di intossicazione e di danno con una dose abbastanza alta. Negli animali con tolleranza, la dose letale é solo di poco più alta di quella intossicante. Si può morire per la depressione respiratoria secondaria a overdose di alcol anche in presenza di tolleranza. La dipendenza fisica associata alla tolleranza è molto accentuata e la sospensione dell’assunzione produce effetti avversi che possono portare alla morte. I soggetti con tolleranza all’alcol presentano una tolleranza crociata con molte altre sostanze ad azione depressiva sul SNC (p. es., barbiturici, ipnotici non barbiturici e benzodiazepine).

Sindrome di astinenza Continuum di sintomi e segni che accompagna la sospensione dell’alcol, iniziando in genere da 12 a 48 h dopo l’ultima assunzione. Nella forma lieve della sindrome di astinenza si hanno tremori, debolezza, sudorazione, iperreflessia e sintomi gastrointestinali. Alcuni pazienti possono avere convulsioni tonicocloniche generalizzate, in genere non più di due in rapida successione (epilessia alcolica o "crisi da rum"). L’allucinosi alcolica fa seguito a un’improvvisa astinenza dopo un uso eccessivo e prolungato di alcol. I sintomi comprendono illusioni e allucinazioni uditive, frequentemente a contenuto accusatorio e minaccioso; il paziente è di solito angosciato e può essere terrorizzato dalle allucinazioni e da incubi. Tale sindrome ricorda la schizofrenia, ma in genere non vi sono disturbi del pensiero e la storia clinica non è quella tipica della schizofrenia. I sintomi non assomigliano al delirio confuso della sindrome organica cerebrale acuta, come accade invece nel delirium tremens o in altre reazioni patologiche legate all’astinenza. Lo stato di coscienza rimane lucido e i segni di labilità autonomica che si osservano in genere nel delirium tremens, sono per lo più assenti. Le manifestazioni allucinosiche di solito precedono il delirium tremens. Di solito l’allucinosi è transitoria. Normalmente la guarigione avviene in 1-3 sett., ma se il paziente ricomincia a bere sono possibili recidive. Il delirium tremens inizia di solito da 48 a 72 h dopo la sospensione dell’alcol, con attacchi d’ansia, stato confusionale crescente, disturbi del sonno (con incubi o illusioni notturne), sudorazione profusa e una profonda depressione. Sono comuni allucinazioni fugaci inducenti irrequietezza, paura e anche vero e proprio terrore. Tipico dello stato di delirium iniziale, con confusione e disorientamento, è il ritorno all’attività abituale; cioè, il paziente spesso immagina di essere tornato al lavoro e tenta di svolgere alcune attività a esso legate. La labilità autonomica, evidenziata dalla sudorazione e dall’aumento del battito cardiaco e della temperatura, accompagna il delirium e progredisce con esso. Il delirium lieve è in genere accompagnato da sudorazione profusa, da un polso con frequenza da 100 a 120 battiti/min e da una temperatura compresa tra 37,2 e 37,8°C. Il delirium grave, con disorientamento grossolano e gravi disturbi cognitivi, é associato ad agitazione evidente, con polso > 120 battiti/min, e temperatura > 37,8°C. Il paziente è suggestionabile da molti stimoli sensoriali, particolarmente dagli oggetti visti nella semioscurità. I disturbi vestibolari possono creare in lui

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Uso e dipendenza da sostanze

l’impressione che il pavimento si muova, che i muri stiano cadendo, oppure che la stanza ruoti attorno a se stessa. Man mano che il delirium progredisce si sviluppa un persistente tremore a riposo delle mani, che a volte si estende alla testa e al tronco. È presente atassia marcata; bisogna fare attenzione a prevenire gesti autolesivi. I sintomi sono molto variabili, ma in genere sono gli stessi in ogni paziente e a ogni recidiva. Un sensibile aumento della temperatura nel delirium tremens è un cattivo segno prognostico. Sebbene tale sindrome possa essere fatale, il decorso è in genere autolimitante e si conclude con un sonno prolungato. La remissione inizia in genere entro 12-24 h, e se non ci sono segni di un marcato miglioramento durante questo intervallo, vanno sospettate altre condizioni come un ematoma subdurale, un disturbo epatico o renale oppure altri disturbi mentali.

Complicanze Negli alcolisti possono manifestarsi la sindrome di Korsakoff e l’encefalopatia di Wernicke (v. "Amnesie" nel Cap. 169). Si può anche manifestare una degenerazione cerebellare (così come in altre persone malnutrite). Le sue caratteristiche anatomopatologiche e cliniche sono probabilmente identiche al coinvolgimento cerebellare dell’encefalopatia di Wernicke. Nel corso di alcune settimane o mesi si sviluppa un’atassia posizionale e motoria, che però può anche comparire in modo acuto. La TC mostra atrofia del verme superiore e dei lobi cerebellari anteriori. Il disturbo è migliorabile con tiamina e altre vitamine del gruppo B. La malattia di Marchiafava-Bignami è una rara demielinizzazione del corpo calloso che si manifesta negli alcolisti cronici, principalmente di sesso maschile. Sebbene attribuito originariamente a un vino rosso italiano, questo disturbo si è manifestato in svariati paesi e con bevande alcoliche diverse. É stata postulata un’eziologia nutrizionale, che però resta da individuare. Il quadro anatomopatologico e le circostanze fanno correlare questo disturbo a una mielinolisi pontina centrale, di cui può essere una variante (v. Iponatremia nel Cap. 12). I pazienti manifestano agitazione e confusione, con demenza progressiva e segni di disinibizione frontale. Alcuni pazienti guariscono dopo diversi mesi; in altri si manifestano convulsioni e coma, che possono precedere la morte. L’intossicazione patologica è una sindrome rara. È caratterizzata da movimenti automatici e ripetitivi e crisi d’eccitamento estremo con comportamento aggressivo, incontrollato e irrazionale dopo l’ingestione di quantità relativamente piccole di alcol. L’episodio può durare da alcuni minuti a diverse ore, ed é seguito da un sonno prolungato con amnesia al risveglio per ciò che è accaduto.

Terapia Astinenza: all’inizio è necessaria una valutazione medica per identificare malattie intercorrenti che potrebbero complicare l’astinenza e per escludere traumi del SNC che potrebbero imitare la sindrome di astinenza o esserne mascherati. È molto importante differenziare il delirium tremens dalle alterazioni mentali dell’insufficienza epatica acuta. I pazienti in delirium sono estremamente suggestionabili e responsivi alla rassicurazione. In genere non vanno sottoposti a contenzione fisica. Bisogna mantenere il bilancio dei liquidi e somministrare subito alti dosaggi di vitamine C e del complesso B, soprattutto tiamina. Per prevenire la sindrome di WernickeKorsakoff va somministrata tiamina 100 mg IM seguita da 50 mg PO al giorno, vitamina B12 e acido folico 1 mg/ die PO. Il paziente alcolista disidratato deve ricevere 1000 ml di destroso al 5% in una soluzione allo 0,9% di NaCl seguiti da 1000 ml di destroso al 10% in acqua distillata.

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Uso e dipendenza da sostanze

Alcuni farmaci frequentemente usati per trattare l’astinenza da alcol hanno effetti farmacologici simili all’alcol stesso; i più utili sembrano quelli per i quali l’alcol induce una tolleranza crociata. Tutti i pazienti in astinenza da alcol sono candidati all’assunzione di farmaci ad azione depressiva sul SNC, anche se non tutti ne hanno bisogno. Molti pazienti possono essere disintossicati senza farmaci, se si presta la dovuta attenzione al supporto psicologico e alla rassicurazione, e se l’approccio e l’ambiente non sono minacciosi. Tuttavia, questi metodi possono essere impossibili negli ospedali generali o nei reparti di emergenza. Le benzodiazepine sono il presidio terapeutico fondamentale. Il dosaggio dipende dai segni vitali e dallo stato psichico. Nella maggior parte delle situazioni, è indicato il clordiazepossido, inizialmente in dosi da 50 a 100 mg PO; le dosi possono dover essere ripetute q 3 h. Il diazepam, alla dose di 5 mg EV o PO ogni ora fino alla sedazione, rappresenta un’alternativa efficace. In confronto alle benzodiazepine a emivita breve (lorazepam, oxazepam), le benzodiazepine a emivita lunga (p. es., il clordiazepossido, il diazepam) comportano somministrazioni meno frequenti e una diminuzione più graduale dei livelli ematici quando la dose viene scalata. In caso di affezioni epatiche gravi, è preferibile una benzodiazepina a emivita breve (lorazepam) o che venga metabolizzata attraverso coniugazione con acido glucuronico (oxazepam). (Nota: le benzodiazepine negli alcolisti possono provocare intossicazione, dipendenza fisica e astinenza). I barbiturici ad azione rapida (pentobarbitale e secobarbitale) vengono usati di rado, ma il fenobarbitale è utile. Le fenotiazine non sono indicate per il delirium tremens grave, perché possono essere inefficaci e abbassano la soglia convulsiva; tuttavia, l’allucinosi risponde a dosi moderatamente elevate di fenotiazine (clorpromazina o tioridazina da 100 a 300 mg qid). Le crisi convulsive isolate non richiedono una terapia specifica; le crisi recidivanti rispondono al diazepam in dosi di 1-3 mg EV. Non è necessaria la somministrazione routinaria di fenitoina. La terapia ambulatoriale con fenitoina é quasi sempre uno spreco di tempo e di farmaco, dal momento che le crisi convulsive si presentano soltanto in seguito allo stress dell’astinenza da alcol e i pazienti in astinenza o che bevono molto, non assumono i farmaci anticomiziali. Disintossicazione: prima di tutto viene sospeso l’alcol. Dopo la correzione delle carenze nutrizionali da eccessivo uso di alcol (v. Carenza e tossicità della tiamina nel Cap. 3), bisogna modificare il comportamento del paziente per fargli raggiungere la sobrietà. Il mantenimento della sobrietà è difficile. Il paziente deve essere avvertito che dopo poche settimane, una volta ripresosi dall’ultima crisi, probabilmente cercherà una scusa per ricominciare a bere. Gli si dovrebbe dire, inoltre, che può essere capace di bere in maniera controllata per qualche giorno o, raramente, anche per qualche settimana, ma che poi probabilmente ricomincerà a bere senza controllo. Sono stati proposti vari tipi di psicoterapia, ma in linea generale si può affermare che le tecniche di gruppo sono superiori a quelle individuali. Alcolisti Anonimi (A.A.): nessun altro approccio ha portato beneficio a tanti alcolisti e così efficacemente quanto l’aiuto che essi offrono a se stessi attraverso gli A.A. Il paziente deve trovare un gruppo di A.A. nel quale si trovi a proprio agio, preferibilmente un gruppo in cui lui e gli altri membri condividano altri interessi. P. es., in alcune aree metropolitane ci sono gruppi di A.A. composti da medici e dentisti. Questi gruppi forniscono al paziente amici sobri sempre disponibili e uno spazio in cui socializzare (fuori dai bar). Il paziente inoltre ascolta gli altri raccontare di fronte al gruppo le stesse razionalizzazioni che lui stesso ha sempre usato, in privato, rispetto alle sue bevute. L’aiuto che egli dà agli altri alcolisti può donargli il rispetto e la fiducia in sé che prima trovava soltanto nell’alcol. Negli USA, a differenza che in altre nazioni, i gruppi di A.A. includono un’elevata proporzione di iscritti non volontari, la cui frequentazione è affidata in mandato dal tribunale o dall’ufficiale per la libertà vigilata. Questo compromesso rispetto alla tradizione volontaristica degli A.A. può inficiare la loro efficacia. Disulfiram: il disulfiram interferisce col metabolismo dell’acetaldeide (un prodotto intermedio dell’ossidazione dell’alcol) così che l’accumulo di tale sostanza produce sintomi tossici e un malessere grave. Bere alcol entro 12 h dopo file:///F|/sito/merck/sez15/1951696.html (5 of 6)02/09/2004 2.26.25

Uso e dipendenza da sostanze

l’assunzione di disulfiram provoca rossore facciale improvviso dopo 5-15 min, quindi vasodilatazione intensa della faccia e del collo con iperemia congiuntivale, cefalea pulsante, tachicardia, iperpnea e sudorazione. Entro 30-60 min compaiono nausea e vomito che possono condurre a ipotensione, vertigini e talvolta collasso e lipotimie. La reazione dura da 1 a 3 h. Il senso di malessere è talmente intenso che pochi pazienti si azzarderanno ad assumere alcol finché prendono il disulfiram. Il paziente deve anche evitare di assumere sostanze contenenti alcol (p. es., tinture, elisir, alcune preparazioni liquide da banco per la tosse o il raffreddore che contengono sino al 40% di etanolo). Il disulfiram può essere somministrato ambulatorialmente se il paziente non ha assunto alcol per almeno 4-5 gg. La dose iniziale è di 0,5 g PO una volta al giorno per 1-3 sett. La dose di mantenimento va regolata individualmente; sono di solito sufficienti 0,25-0,5 g una volta al giorno, anche se alcuni pazienti possono richiedere dosi più alte. Bisogna avvertire sia i pazienti che i familiari del fatto che gli effetti di questa sostanza possono persistere per 3-7 gg dall’ultima assunzione. Il paziente deve cooperare ed essere seguito periodicamente dal medico, per essere incoraggiato a prendere il disulfiram nell’ambito di un programma di disintossicazione. L’utilità generale di questo farmaco non é stata stabilita, e molti pazienti non collaborano. Tuttavia, alcuni pazienti usano il disulfiram con buon esito, e la mancanza di dati rigorosi probabilmente non dovrebbe interferire con il suo uso. Il disulfiram è controindicato in gravidanza e nei pazienti con scompenso cardiaco. Il naltrexone, un antagonista degli oppiacei (v. oltre), è stato approvato per il trattamento degli alcolisti. Si assume per via orale (50 mg/die) e sembra diminuire la percentuale di recidive.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 170-2. SEGNI CLINICI DELLE CAUSE PIU' FREQUENTI DELLO STATO DI INCOSCIENZA Condizioni

Manifestazioni

Intossicazione acuta da Alito alcolico; paziente di solito stuporoso, non comatoso, rispondente a alcol stimoli nocicettivi; volto e congiuntive iperemiche; temperatura normale o diminuita; pupille moderatamente dilatate, uguali, reagenti alla luce; respirazione profonda e rumorosa, non stertorosa; alcolemia >200mg/dl (>43mmol/l) Trauma cranico

Coma a esordio improvviso o progressivo; spesso segni locali o antecedenti di ferite (p.es., edema del cuoio capelluto al di sopra di fratture; sanguinamento di orecchio, naso o gola); temperatura normale o elevata; pupille di solito anisocoriche e lente o inattive; respirazione variabile (spesso lenta o irregolare); polso variabile (inizialmente rapido, poi lento); PA variabile; riflessi spesso alterati, spesso con incontinenza e paralisi; RMN o TAC rivelano emorragia intracranica o frattura del cranio

Acidosi diabetica

Esordio progressivo; pelle asciutta, faccia rossa, alito aromatico, temperatura spesso diminuita; disidratazione dei globi oculari; iperventilazione; glicosuria, chetonuria, iperglicemia; acidosi metabolica nel sangue

Farmaci

Causa del 70-80% dei casi di coma acuto a causa ignota (v. Tabella 307-3)

Epilessia

Storia di "crisi"; esordio convulsivo improvviso frequente; incontinenza frequente; TPR di solito normali (in alcuni casi elevati dopo convulsioni ripetute); pupille reagenti; morso della lingua o cicatrici da crisi precedenti

Ipoglicemia

L'esordio può essere acuto con convulsioni, di solito precedute da vertigini, sudorazione, nausea, vomito, palpitazioni, cefalea, dolore addominale, sensazione di fame; la pelle è umida e pallida; ipotermia; pupille reagenti; riflessi esagerati; segno di Babinski; ipoglicemia durante la crisi

Ictus (ischemia del tronco encefalico o emorragia cerebrale acuta)

Età >40anni, malattie cardiovascolari o ipertensione; esordio improvviso con segni di disfunzione del tronco encefalico; frequente asimmetria del volto; TPR variabili; pupille in genere anisocoriche e non reagenti; segni neurologici focali frequenti, compresa l'emiplegia; la RMN o la TAC evidenziano emorragia intracranica; se negative, è indicata la PL diagnostica

Sincope

Esordio improvviso, spesso associato a crisi emotiva o a blocco cardiaco; coma raramente profondo o prolungato; pallore; polso lento inizialmente, più tardi rapido e debole; risveglio rapido se il paziente è supino

Farmaci

Causa del 70-80% dei coma acuti a eziologia sconosciuta (v. Cap. 288 per gli agenti)

TPR= temperatura, polso, respirazione; PL= puntura lombare.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE CARENZA E TOSSICITÀ DELLA TIAMINA Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Terapia

Il coenzima tiamina-pirofosfato, che è la forma attiva della tiamina (vitamina B1), partecipa al metabolismo dei carboidrati attraverso la decarbossilazione degli achetoacidi. La tiamina partecipa anche al metabolismo del glucoso come coenzima dell'apoenzima transchetolasi nella via dei pentosomonofosfati. La sua carenza determina il beriberi con manifestazioni neurologiche periferiche, cerebrali, cardiovascolari e GI.

Eziologia Il deficit primario di tiamina è causato da un'assunzione inadeguata, particolarmente nelle popolazioni che si alimentano con riso altamente raffinato. La brillatura rimuove la cuticola che contiene la maggior parte della tiamina, anche se la bollitura, prima della rimozione della cuticola, disperde la tiamina all'interno dei chicchi, prevenendone la perdita. Il deficit secondario di tiamina è causato da un aumento del fabbisogno, come accade nell'ipertiroidismo, nella gravidanza, nell'allattamento e nella febbre; dall'alterato assorbimento, come nella diarrea di lunga durata e dall'alterata utilizzazione, come nelle gravi malattie epatiche. Nell'alcolismo si ha una combinazione di ridotta assunzione, alterati assorbimento e utilizzazione, aumentata richiesta e probabilmente un difetto dell'apoenzima. L'infusione frequente o altamente concentrata di soluzioni di glucoso per un lungo periodo di tempo, associata a un basso apporto di tiamina, può precipitare il deficit di tiamina.

Anatomia patologica Le alterazioni neurologiche più importanti si hanno nei nervi periferici, particolarmente degli arti inferiori. I segmenti distali sono caratteristicamente colpiti per primi e più gravemente. Si può verificare una degenerazione della guaina midollare in tutti i tratti del midollo spinale, specialmente nelle colonne posteriori e nelle radici nervose anteriori e posteriori. Si possono verificare anche file:///F|/sito/merck/sez01/0030047b.html (1 of 3)02/09/2004 2.26.27

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

delle alterazioni a carico delle cellule delle corna anteriori e dei gangli posteriori. Quando il deficit è grave si verificano nel cervello le lesioni caratteristiche della poliencefalite emorragica. Il cuore è dilatato e ingrossato; le fibre muscolari sono edematose, frammentate e vacuolizzate, con spazi interstiziali dilatati dai liquidi. Si osserva anche una vasodilatazione che può causare edemi prima che si verifichi una chiara insufficienza cardiaca ad alta gittata.

Sintomi e segni In fase precoce il deficit determina astenia, irritabilità, turbe della memoria, disturbi del sonno, dolore precordiale, anoressia, disturbi addominali e costipazione. La sindrome delle alterazioni neurologiche periferiche dovuta alla carenza di tiamina, è chiamata beriberi atrofico. Queste alterazioni sono bilaterali e simmetriche, coinvolgono prevalentemente gli arti inferiori e iniziano con parestesie alle dita dei piedi, bruciore ai piedi (particolarmente grave di notte), crampi ai muscoli dei polpacci e dolori alle gambe. I segni precoci sono la dolorabilità dei muscoli dei polpacci, la difficoltà nell'alzarsi da una posizione accovacciata, la riduzione del senso di vibrazione a livello dei piedi e la disestesia plantare. Può essere fatta una diagnosi di lieve neuropatia periferica quando sono assenti i riflessi achillei. Un deficit cronico determina la perdita dei riflessi rotulei, la perdita del senso di vibrazione e di posizione a livello delle dita dei piedi, l'atrofia dei muscoli dei polpacci e delle cosce e, infine, l'impotenza funzionale dei piedi e delle dita dei piedi. Dopo l'interessamento delle gambe, possono essere coinvolte anche le braccia. Il beriberi cerebrale (sindrome di Wernicke-Korsakoff) è causato da una grave carenza acuta che si sovrappone a un deficit cronico (v. Amnesie nel Cap. 169). Lo stadio precoce, detto sindrome di Korsakoff, è caratterizzato da confusione mentale, afonia e confabulazione. Il flusso cerebrale è notevolmente ridotto e le resistenze vascolari sono aumentate. L'encefalopatia di Wernicke è caratterizzata, invece, da nistagmo, oftalmoplegia totale, coma e, se non trattata, dalla morte. Il beriberi cardiovascolare (umido) (beriberi di Shoshin) si verifica nella carenza di tiamina quando è prevalente la cardiopatia. Questa causa un aumento della gittata cardiaca con vasodilatazione ed estremità calde. Prima che compaia l'insufficienza cardiaca si osserva tachicardia, polso ampio, sudorazione, cute calda e acidosi lattica. Quando compare l'insufficienza cardiaca, si verificano l'ortopnea e l'edema polmonare e periferico; la vasodilatazione continua, esitando a volte in un quadro di shock. Il beriberi infantile si verifica nei lattanti (generalmente tra il 2o e il 4o mese di vita) allattati al seno da madri affette da un deficit di tiamina. Sono caratteristiche l'insufficienza cardiaca, l'afonia e l'assenza dei riflessi tendinei profondi.

Esami di laboratorio Nel beriberi si osservano sempre degli elevati tassi ematici di piruvato e di lattato e una diminuita escrezione urinaria di tiamina (< 50 mg/die). L'attività della transchetolasi eritrocitaria è ridotta, ma aumenta subito dopo la somministrazione di tiamina pirofosfato (effetto TPP), rappresentando un sensibile indice delle riserve tissutali. In alcuni casi le variazioni dei livelli dell'apoenzima possono complicare l'interpretazione degli esami.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Diagnosi Nel diabete non controllato o di lunga durata e nell'alcolismo si ha una forma di polineuropatia che non risponde alla tiamina, ma che è clinicamente simile a quella da deficit di tiamina. Le altre forme di polineuropatia bilaterale e simmetrica, a partenza dagli arti inferiori, sono rare. Le neuropatie che interessano nervi singoli (mononeuropatie), come la sciatica e le polineuropatie che iniziano in altri distretti corporei non sono verosimilmente dovute a un deficit di tiamina. La diagnosi di beriberi cardiovascolare è difficile quando il deficit di tiamina è complicato dalla cardiopatia ipertensiva o degenerativa, dalla miocardiopatia virale o dalla febbre reumatica. Un trial terapeutico con la tiamina può essere utile per formulare la diagnosi.

Terapia Nelle polineuropatie lievi vengono somministrati 10-20 mg/die di tiamina in dosi frazionate, per 2 sett., seguiti da una dieta adeguata. Nelle neuropatie moderate o avanzate, la dose di 20-30 mg/die deve essere somministrata per diverse settimane dopo la scomparsa dei sintomi. L'edema e la congestione del beriberi di Shoshin rispondono entro poche ore a 100 mg/die di tiamina EV, che deve essere proseguita per diversi giorni, insieme al riposo a letto. L'insufficienza cardiaca dovuta al beriberi risponde poco alla digitale o ai diuretici. Per la sindrome di Wernicke-Korsakoff, devono essere somministrati 50-100 mg di tiamina IM o EV bid, di solito per diversi giorni, seguiti da 10 a 20 mg/die fino a che non si ottiene una risposta terapeutica. Le reazioni anafilattiche alla tiamina EV, non correlate alle dosi, sono rare. Il deficit di tiamina è spesso associato al deficit di altre vitamine del complesso B ed è, quindi, generalmente consigliabile una terapia plurivitaminica idrosolubile a un dosaggio di 5-10 volte l'RDA, per diverse settimane. Questo regime deve essere seguito indefinitamente con una dieta che fornisca da una a due volte l'RDA. Per correggere la resistenza alla tiamina e l'ipomagnesemia, frequentemente associata, bisogna somministrare, insieme alla tiamina, il magnesio, un cofattore per la transchetolasi, sotto forma di solfato di magnesio (1-2 ml IM di una soluzione al 50%). L'iponatriemia (v. Cap. 12) deve essere corretta lentamente, poiché una correzione rapida può determinare una mielinosi centrale del ponte. La guarigione dei deficit neurologici è spesso incompleta. Nel beriberi cerebrale, può residuare una mielinosi centrale del ponte. Dipendenza dalla tiamina: diversi errori congeniti del metabolismo rispondono a dosi farmacologiche di tiamina (5-20 mg/die). Questi includono l'anemia megaloblastica dovuta a un meccanismo patogenetico sconosciuto, l'acidosi lattica dovuta alla ridotta attività della piruvato-deidrogenasi epatica e la chetoaciduria dovuta alla ridotta attività della deidrogenasi dei chetoacidi a catena ramificata.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AMNESIE Alterazioni che causano la parziale o totale incapacità di ricordare esperienze passate. L’amnesia (perdita di memoria) può essere classificata come retrograda (amnesia degli eventi precedenti la malattia, il trauma o la degenerazione cerebrale), anterograda (incapacità di memorizzare dopo la malattia, il trauma o la degenerazione), globale (amnesia delle informazioni correlate a tutti i canali sensoriali e alle epoche precedenti), a modalità specifica (amnesia degli eventi elaborati mediante un singolo canale sensoriale, p. es., un’agnosia), transitoria (amnesia breve, come quella che insorge dopo un trauma cerebrale o nell’amnesia globale transitoria), stabile (fissa, come quella che insorge dopo un evento grave, p. es., encefalite, ischemia diffusa, arresto cardiaco) o progressiva (come quella presente nelle demenze degenerative, come il morbo di Alzheimer). In termini di espressione cognitiva, la memoria può anche essere classificata come fattuale (dichiarativa) o di esperienza (procedurale). Un’amnesia può conseguire a insufficienza diffusa di perfusione cerebrale, a lesioni bilaterali o a danni multifocali che compromettono le aree degli emisferi cerebrali deputate alla memorizzazione. Le vie principali per la memoria dichiarativa decorrono lungo la regione paraippocampale mediale e l’ippocampo, come anche nella parte infero-mediale dei lobi temporali, la superficie orbitaria dei lobi frontali e il diencefalo. Di queste, il giro ippocampale, l’ipotalamo e i nuclei del prosencefalo basale, nonché i nuclei talamici dorsomediali svolgono un ruolo critico. Il nucleo dell’amigdala contribuisce a dare contenuto emozionale alla memoria. Il nucleo talamico intralaminare e la formazione reticolare del tronco encefalico stimolano l’imprinting dei ricordi. La memoria recente e la capacità di produrre nuovi ricordi sono gravemente compromesse da lesioni bilaterali del talamo mediale e dorsale, la formazione reticolare e il sistema adrenergico; le cause maggiori sono la carenza di tiamina, le neoplasie ipotalamiche e l’ischemia. Il danno bilaterale della parte mediale dei lobi temporali, specialmente dell’ippocampo, può provocare un’amnesia dichiarativa semipermanente. Anche le amnesie post-traumatiche per i periodi immediatamente precedenti e successivi alla concussione, oppure quelle conseguenti a traumi più gravi, sembrano essere dovute a lesioni temporali mediali. Lesioni più gravi e molte patologie cerebrali diffuse che producono demenza, possono coinvolgere aree di memorizzazione più ampie. Con l’invecchiamento, molte persone sviluppano gradualmente evidenti problemi di memoria, inizialmente per i nomi, quindi per i fatti e talora per le relazioni con lo spazio circostante. Questa frequente amnesia, cosiddetta tendenza benigna a dimenticare dell’anziano, non è correlata in modo comprovato con la demenza, anche se presenta caratteri per alcuni aspetti simili. Le cause più comuni di grave, irreversibile perdita di memoria sono le demenze degenerative, il trauma cerebrale grave, l’anossia cerebrale o ischemia, la sindrome tossico-carenziale da alcol e le intossicazioni da vari farmaci (p. es., l’inalazione cronica di solventi, l’amfotericina B o l’intossicazione da litio). Dovrà essere trattato ogni agente causale di base. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti colpita da amnesia acuta acquisita, migliora spontaneamente. Per quelli che non migliorano, non vi sono misure specifiche che possano accelerare il

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

processo di guarigione o migliorare la prognosi.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO DISORDINI DEL METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO IPONATRIEMIA Diminuzione della concentrazione plasmatica di sodio al di sotto di 136 mEq/l causata da un eccesso di acqua rispetto al soluto.

Sommario: Incidenza, eziologia e patogenesi Sintomi e segni Prognosi Terapia

Incidenza, eziologia e patogenesi L'iponatriemia è il più comune degli squilibri elettrolitici, verificandosi in una percentuale che arriva all'1% di tutti i pazienti ricoverati in ospedale. Un'iponatriemia è stata descritta in oltre il 50% dei pazienti ospedalizzati affetti da AIDS. L'iponatriemia riflette un eccesso di TBW rispetto al contenuto totale corporeo di Na. Dal momento che il contenuto totale corporeo di Na si riflette sullo stato del volume del ECF, è utile classificare le cause di iponatriemia insieme con quelle di ipovolemia, isovolemia e ipervolemia. Le cause principali di iponatriemia sono riassunte nella Tab. 12-4. Perdite renali di liquidi che determinano iponatriemia possono verificarsi in caso di deficit di mineralcorticoidi, terapia diuretica, diuresi osmotica o nefropatia con perdita di sali. La nefropatia con perdita di sali comprende un gruppo mal definito di malattie renali intrinseche, caratterizzate principalmente da disfunzione interstiziale (tubulare). Esse comprendono la nefrite interstiziale, la malattia midollare cistica, l'ostruzione parziale delle vie urinarie e, occasionalmente, la malattia policistica renale. Le cause renali di iponatriemia ipovolemica possono solitamente essere distinte dalle cause extrarenali in base alla storia clinica. I pazienti affetti da perdite renali continue di liquidi possono essere distinti da quelli con perdite di fluidi di origine extrarenale grazie a una concentrazione urinaria di sodio inappropriatamente elevata (> 20 mEq/l). Un'eccezione a ciò si verifica nell'alcalosi metabolica (come accade in caso di vomito protratto) nella quale grandi quantità di HCO3 si riversano nelle urine, rendendo obbligata la secrezione di Na per mantenere la neutralità elettrica. Nell'alcalosi metabolica, la concentrazione urinaria di Cl consente spesso di distinguere le cause renali di deplezione di volume da quelle extrarenali (v. Alcalosi metabolica, oltre). I diuretici possono produrre anch'essi iponatriemia ipovolemica. I tiazidici, in particolare, alterano la capacità di diluizione renale mentre aumentano

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l'escrezione di Na. Una volta instauratasi la deplezione di volume, il rilascio non osmotico di ADH può provocare ritenzione idrica e aggravare l'iponatriemia. La concomitante ipokaliemia determina uno spostamento del Na nel compartimento intracellulare e incrementa il rilascio di ADH, peggiorando così l'iponatriemia. Questo effetto dei tiazidici può persistere fino a 2 settimane dopo la sospensione della terapia; tuttavia, l'iponatriemia solitamente risponde alla reintegrazione del deficit di K e di volume insieme alla cauta restrizione dell'apporto idrico finché l'azione del farmaco si esaurisce. I pazienti anziani possono essere particolarmente suscettibili all'iponatriemia indotta dai tiazidici, specialmente se preesiste un difetto dell'escrezione renale di acqua. Raramente, tali pazienti possono sviluppare un'iponatriemia grave, pericolosa per la vita, entro poche settimane dall'inizio della somministrazione di un diuretico tiazidico a causa dell'eccessiva natriuresi e della sottostante compromissione della capacità di diluizione urinaria. I diuretici dell'ansa determinano iponatriemia molto meno frequentemente. Esistono numerose cause potenziali di iponatriemia nell'AIDS a causa dei molti apparati interessati da questa malattia. L'iponatriemia può essere provocata dalla somministrazione di liquidi ipotonici in presenza di un'alterazione della funzionalità renale o di una secrezione di vasopressina su basi non osmotiche legata alla deplezione del volume intravascolare, con o senza somministrazione contemporanea di farmaci che alterano l'escrezione renale di acqua. In aggiunta, l'insufficienza surrenalica è divenuta sempre più comune nei pazienti con AIDS come conseguenza di un'adrenalite da cytomegalovirus, di un'infezione micobatterica o di un'interferenza del ketoconazolo con la sintesi dei glucocorticoidi e dei mineralcorticoidi surrenalici. Infine, la sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH) può verificarsi nei pazienti con AIDS a causa delle concomitanti infezioni polmonari o del SNC. L'iponatriemia ipovolemica è caratterizzata dal deficit sia di acqua sia di Na; tuttavia, in proporzione viene perso più Na che acqua. Un'iponatriemia può verificarsi quando le perdite di liquidi, come quelle che si osservano in caso di vomito protratto, diarrea grave o sequestro di liquidi nello spazio interstiziale, vengono rimpiazzate con l'ingestione di acqua libera o trattate con liquidi ipotonici EV. Le perdite significative di ECF esitano inoltre nel rilascio di ADH su base non osmotica, causando la ritenzione di acqua da parte del rene e il mantenimento o l'ulteriore peggioramento dell'iponatriemia. L'iponatriemia ipovolemica può essere la conseguenza di perdite di liquidi sia extrarenali sia renali. Le perdite extrarenali comprendono quelle GI e quelle interstiziali. Volumi di liquidi sorprendentemente elevati possono essere sequestrati nella pancreatite, nella peritonite e nell'ostruzione dell'intestino tenue, oppure essere persi nelle ustioni gravi ed estese. La risposta renale normale alla perdita di volume è la conservazione del Na. Nelle cause extrarenali di ipovolemia, si osserva solitamente una concentrazione urinaria di Na < 10 mEq/l. L'iponatriemia isovolemica si verifica quando la TBW è aumentata e non si assiste a modificazioni significative del contenuto totale corporeo di Na. La polidipsia primaria può determinare iponatriemia solo quando la quantità di acqua ingerita supera la capacità del rene di eliminarla. Dal momento che i reni normali sono in grado di eliminare fino a 25 l di urine/die, l'iponatriemia dovuta esclusivamente alla polidipsia deriva solo dall'ingestione di grandi quantità di acqua o da difetti della capacità di diluizione renale. Ciò si verifica solitamente solo nelle psicosi o nei pazienti con gradi più modesti di polidipsia e insufficienza renale. L'iponatriemia da diluizione può anche dipendere da un'eccessiva introduzione di acqua non accompagnata da ritenzione di Na in presenza di insufficienza renale, morbo di Addison, mixedema o secrezione non osmotica di ADH (p. es., stress, stati postoperatori e farmaci come la clorpropamide o la tolbutamide, gli oppioidi, i barbiturici, la vincristina, il clofibrato e la carbamazepina). L'iponatriemia postoperatoria si verifica in una percentuale che arriva al 4,5% dei pazienti come conseguenza di una combinazione di secrezione non osmotica di ADH e di somministrazione eccessiva di liquidi ipotonici dopo l'intervento. Alcuni farmaci, come la ciclofosfamide, i FANS e la clorpropamide, potenziano gli effetti renali dell'ADH endogeno, mentre altri, come l'ossitocina, hanno un effetto diretto ADH-simile sul rene. Un deficit dell'escrezione di acqua è comune in tutte queste condizioni. L'iponatriemia ipervolemica è caratterizzata da un incremento sia del contenuto file:///F|/sito/merck/sez02/0120135.html (2 of 6)02/09/2004 2.26.29

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totale corporeo di Na sia dell'TBW. Varie condizioni edemigene, compresi lo scompenso cardiaco e la cirrosi epatica, sono associate con iponatriemia ipervolemica. Raramente, l'iponatriemia si verifica nella sindrome nefrosica, ma deve essere presa in considerazione anche una pseudoiponatriemia dovuta all'interferenza con la determinazione del Na da parte degli elevati livelli di lipidi. In ognuna di queste patologie, una diminuzione del volume circolante effettivo provoca il rilascio di ADH e di angiotensina II. L'iponatriemia, se presente, è il risultato dell'effetto antidiuretico dell'ADH sul rene, come pure della compromissione diretta dell'escrezione renale di acqua da parte dell'angiotensina. La riduzione della GFR e la stimolazione del meccanismo della sete da parte dell'angiotensina II favoriscono lo sviluppo dell'iponatriemia. Oltre all'iponatriemia e agli edemi, in assenza di terapia con diuretici si verificano generalmente basse concentrazioni di Na (< 10 mEq/l) e un'elevata osmolalità urinaria (rispetto a quella plasmatica). Effetti sul SNC: sperimentalmente, il contenuto di acqua delle cellule cerebrali è elevato sia nell'iponatriemia acuta sia in quella cronica; tuttavia, come risultato della riduzione del contenuto di elettroliti delle cellule cerebrali, l'aumento del contenuto cerebrale di acqua nell'iponatriemia cronica è inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare in base al valore dell'osmolalità plasmatica. Nell'iponatriemia acuta, le cellule cerebrali non riescono a mantenere la loro tonicità intorno ai valori normali e si sviluppa edema. Perciò, nell'iponatriemia acuta i sintomi di disfunzione del SNC sono più comuni e la mortalità è sostanzialmemte più elevata, rispetto a quanto avviene in quella cronica. La sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH) viene definita come la presenza di urine diluite al di sotto del massimo in presenza di iposmolalità plasmatica e iponatriemia. In aggiunta, la diagnosi si basa sull'assenza di deplezione o di sovraccarico di volume, di stress emozionale o di dolore e dell'uso di diuretici o di altri farmaci che simulano la secrezione di ADH, oltre che sulla presenza di una normale funzionalità cardiaca, epatica, renale, surrenalica e tiroidea. La SIADH è associata con molte patologie diverse (v. Tab. 12-5). Nonostante la SIADH venga classicamente attribuita alla secrezione persistentemente elevata di ADH, sono stati identificati diversi pattern anomali di rilascio dell'ADH tramite metodi radioimmunologici per questo ormone. In alcuni pazienti, la secrezione di ADH è irregolare e apparentemente indipendente dal controllo osmotico. In un altro ampio sottogruppo, i livelli di ADH variano appropriatamente al variare dell'osmolalità plasmatica, ma la soglia osmotica per il rilascio di ADH è abnormemente bassa (una specie di reset osmostatico). Un piccolo sottogruppo di pazienti sembra avere un livello di secrezione di ADH costantemente basso; all'interno del range normale dell'osmolalità plasmatica, la secrezione di ADH è appropriata, ma quando il plasma diventa iposmolare il rilascio di ADH non viene soppresso. Un altro piccolo sottogruppo di pazienti è incapace di diluire al massimo le urine o di eliminare un carico di acqua, ma ha una secrezione di ADH normale. Questi pazienti hanno una sindrome da inappropriata antidiuresi piuttosto che una SIADH e possono essere identificati solamente con la determinazione dei livelli plasmatici di ADH.

Sintomi e segni I sintomi dell'iponatriemia generalmente si presentano quando l'osmolalità plasmatica efficace scende a valori _ 240 mOsm/kg indipendentemente dalla causa sottostante. La velocità della riduzione, tuttavia, può essere importante quanto la sua entità; i sintomi possono comparire al raggiungimento di osmolalità plasmatiche abbastanza più elevate se la variazione si instaura rapidamente. Le manifestazioni cliniche dell'iponatriemia possono essere sfumate e consistere principalmente in modificazioni dello stato mentale, tra le quali alterazioni della personalità, letargia e stato confusionale. Quando l'iponatriemia è accompagnata da alterazioni del contenuto totale corporeo di Na, sono anche presenti segni di deplezione o di sovraccarico di volume (v. sopra Deplezione di volume del liquido extracellulare ed Espansione di volume del liquido extracellulare). Quando i livelli plasmatici di Na scendono al di sotto di 115 mEq/l, possono manifestarsi stupor, iper-eccitabilità neuromuscolare, convulsioni, coma prolungato e morte. file:///F|/sito/merck/sez02/0120135.html (3 of 6)02/09/2004 2.26.29

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Raramente, un miglioramento iniziale in risposta alla terapia può essere seguito da una sintomatologia neurologica ritardata che culmina nel coma, in uno stato vegetativo persistente o nella morte. Sono state osservate diverse alterazioni anatomiche, compreso l'edema cerebrale, l'erniazione delle tonsille cerebrali e le lesioni demielinizzanti (sia pontine sia extrapontine). Sono state descritte le modificazioni neuropatologiche caratteristiche della mielinolisi pontina centrale associata con l'iponatriemia, in particolare nei pazienti con alcolismo, malnutrizione o altre malattie croniche debilitanti. La relazione della mielinolisi con la rapidità e il grado della correzione dell'iponatriemia o con l'anossia è controversa (v. Terapia, oltre). Dati recenti suggeriscono che le donne in pre- menopausa che hanno ancora il ciclo mestruale possono essere particolarmente predisposte all'edema cerebrale grave in associazione con l'iponatriemia acuta, forse a causa dell'inibizione della Na+, K+-ATPasi cerebrale esercitata dagli estrogeni e dal progesterone e della conseguente riduzione dell'eliminazione dei soluti dalle cellule cerebrali. Le sequele descritte comprendono l'infarto ipotalamico e neuroipofisario e l'erniazione del peduncolo cerebrale nei casi gravi.

Prognosi La mortalità è sostanzialmente più alta nell'iponatriemia acuta che nell'iponatriemia cronica a causa degli effetti sul SNC, come descritto sopra. Anche la presenza di malattie debilitanti sembra influenzare la sopravvivenza nell'iponatriemia. Di conseguenza, la mortalità è aumentata quando l'iponatriemia è associata con alcolismo, cirrosi epatica, scompenso cardiaco o neoplasie maligne.

Terapia La terapia dell'iponatriemia lieve, asintomatica (cioè con Na plasmatico > 120 mEq/l), è semplice, soprattutto se può essere riconosciuta ed eliminata la causa sottostante. Così, nei pazienti con iponatriemia indotta dalle tiazidi, può essere sufficiente la sospensione del diuretico e la correzione del deficit di Na e/o di K. Allo stresso modo, se un'iponatriemia lieve è dovuta a una somministrazione inadeguata di liquidi per via parenterale in un paziente con compromissione dell'escrezione di acqua, la semplice sospensione della terapia con liquidi ipotonici può essere sufficiente. La presenza di iponatriemia, iperkaliemia e ipotensione deve suggerire la presenza di un'insufficienza surrenalica e può richiedere la somministrazione di glucocorticoidi EV (da 100 a 200 mg di idrocortisone in 1 l di destroso al 5% e soluzione fisiologica somministrati in 4 h per il trattamento dell'insufficienza surrenalica acuta, v. anche Terapia in morbo di Addison nel Cap. 9). Quando la funzione surrenalica è normale ma l'iponatriemia è associata a deplezione di volume del ECF e a ipotensione, la somministrazione di soluzione fisiologica di solito corregge sia l'iponatriemia sia l'ipotensione. Se il disordine di base risponde lentamente o se l'iponatriemia è marcata (cioè con Na plasmatico < 120 mEq/l), è estremamente efficace la restrizione dell'ingestione di acqua a non più di 5001000 ml/24 h. La maggior parte dei pazienti nei quali l'iponatriemia da diluizione è associata a espansione di volume del ECF dovuta alla ritenzione renale di Na (p. es., nello scompenso cardiaco, nella cirrosi o nella sindrome nefrosica) presenta pochi sintomi provocati dall'iponatriemia. In questo caso, la restrizione idrica insieme al trattamento della causa sottostante ha spesso successo. Il captopril, un ACEinibitore, in associazione con un diuretico dell'ansa, può correggere l'iponatriemia refrattaria nei pazienti con scompenso cardiaco. Il captopril e altri ACE-inibitori possono essere efficaci anche in altre condizioni di espansione di volume del ECF caratterizzate dall'aumento di attività dell'asse renina-angiotensina-

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aldosterone, specialmente la sindrome nefrosica. Se è presente una SIADH, è necessaria una drastica restrizione idrica pari al 25-50% della quantità di mantenimento. La prosecuzione della correzione dipende dalla efficacia del trattamento del processo patologico di base. Quando la malattia di base non è più trattabile, come nel caso di un tumore metastatico del polmone, e la restrizione idrica drastica è inaccettabile per il paziente, può essere utile la demeclociclina (da 900 a 1200 mg/die); tuttavia, essa è stata associata a insufficienza renale acuta nei pazienti con cirrosi epatica. Sebbene la disfunzione renale di solito regredisca dopo la sospensione della demeclociclina, il farmaco deve essere evitato nei pazienti con cirrosi e usato con cautela nelle altre circostanze. Il trattamento dell'iponatriemia è più controverso quando sono presenti i sintomi di una grave intossicazione da acqua (cioè convulsioni) o quando l'iponatriemia è grave (Na plasmatico < 115 mEq/l; osmolalità efficace < 230 mOsm/ kg). La controversia riguarda essenzialmente la velocità e il grado della correzione dell'iponatriemia. Quando l'iponatriemia è grave ma asintomatica, la restrizione drastica dell'apporto idrico è di solito sicura e necessaria, sebbene alcuni esperti sostengano la somministrazione di una soluzione salina ipertonica. Una soluzione salina ipertonica (al 3%, contenente 513 mEq di sodio/l) è disponibile per il trattamento dell'iponatriemia grave sintomatica (come nel caso delle convulsioni generalizzate). A causa della possibilità di precipitare sequele neurologiche aggiuntive (in particolare la mielinolisi pontina centrale, v. oltre), la soluzione salina ipertonica deve essere usata con estrema cautela durante il controllo dell'iponatriemia. Gli esperti concordano sul fatto che l'ipercorrezione dell'iponatriemia è pericolosa; l'ipernatriemia e perfino la normonatriemia devono essere evitate. Molti esperti raccomandano che il Na plasmatico non venga innalzato più di 1 mEq/l/h e che l'incremento assoluto non sia superiore a 10 mEq/l/ 24 h. Lo schema seguente è un compromesso ragionevole: 250 mg di soluzione salina ipertonica (al 3%) devono essere infusi lentamente EV e quindi deve essere controllato il sodio sierico a distanza di10 h. Se i valori rimangono eccessivamente bassi, l'infusione può essere ripetuta, mantenendo l'incremento del Na sierico entro i 10 mEq/l/24 h. Nei pazienti con contemporanea espansione di volume del ECF (compresi quelli con SIADH), la somministrazione di un diuretico dell'ansa come la furosemide può essere combinata con quella di soluzione salina isotonica e KCl per reintegrare le perdite di K indotte dal diuretico. Nell'iponatriemia ipervolemica non responsiva ai diuretici, l'emofiltrazione intermittente o continua può essere necessaria per controllare il volume del ECF mentre l'iponatriemia viene corretta con soluzione salina ipertonica EV. La più importante sequela neurologica conseguente a una correzione troppo rapida dell'iponatriemia è la mielinolisi pontina centrale (demielinizzazione della porzione centrale basale del ponte). La demielinizzazione può colpire anche altre aree del cervello. Tetraparesi e astenia della porzione inferiore del volto e della lingua possono svilupparsi nel volgere di alcuni giorni o settimane. La lesione può estendersi dorsalmente fino a coinvolgere le vie della sensibilità e lasciare il paziente con una sindrome da deafferentazione (uno stato di vigilanza e di sensibilità conservate nel quale il paziente, a causa della paralisi motoria generalizzata, non può comunicare, tranne eventualmente con movimenti oculari codificati). Spesso il danno è irreversibile e possono sopraggiungere complicanze sistemiche. Se il Na viene rimpiazzato troppo rapidamente (p. es., quando grandi volumi di soluzione fisiologica vengono somministrati a un paziente ustionato), l'induzione di iponatriemia con l'impiego di liquidi ipotonici può talvolta mitigare lo sviluppo della mielinolisi pontina centrale.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE IPOFUNZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE MORBO DI ADDISON

Sommario: Introduzione Eziologia e incidenza Fisiopatologia Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

L'ipofunzione corticosurrenalica può essere primitiva (morbo di Addison) o secondaria. MORBO DI ADDISON (Insufficienza corticosurrenalica primitiva o cronica) Malattia insidiosa, solitamente progressiva, derivante dall'ipofunzione del corticosurrene.

Eziologia e incidenza Circa il 70% dei casi di morbo di Addison che si verifica negli Stati Uniti è dovuto ad atrofia idiopatica della corteccia surrenale, probabilmente a seguito di processi autoimmuni. I rimanenti sono la conseguenza della distruzione della ghiandola surrenale ad opera di granulomi (p. es., la TBC, che è divenuta recentemente sempre più frequente, soprattutto nei paesi in via di sviluppo), neoplasie, amiloidosi o necrosi infiammatoria. L'ipocorticosurrenalismo può inoltre essere causato dalla somministrazione, in assenza di problemi endocrinologici, di farmaci in grado di bloccare la sintesi degli steroidi, come il ketoconazolo (un antifungino). La prevalenzadell'ipocorticosurrenalismo nella popolazione generale è di circa 4/100000. Il morbo di Addison si presenta in tutti i gruppi di età, circa nella stessa proporzione nei due sessi e tende a divenire clinicamente evidente durante gli stress metabolici o i traumi.

Fisiopatologia Gli ormoni fondamentali prodotti dalla corteccia surrenale sono il cortisolo (idrocortisone), l'aldosterone e il deidroepiandrosterone (DHEA). Gli adulti secernono ogni giorno circa 20 mg di cortisolo, 2 mg di corticosterone (che ha un'attività simile) e 0,2 mg di aldosterone. Sebbene normalmente la corteccia file:///F|/sito/merck/sez02/0090107b.html (1 of 6)02/09/2004 2.26.30

Malattie del surrene

surrenale produca considerevoli quantità di androgeni (soprattutto DHEA e androstenedione), la loro principale azione fisiologica si svolge dopo la conversione in testosterone e diidrotestosterone. Nel morbo di Addison si assiste all'aumento dell'escrezione di Na e alla diminuzione dell'escrezione di K, specialmente nelle urine, che sono isotoniche, ma anche nel sudore, nella saliva e nel tratto GI. Ne risultano basse concentrazioni ematiche di Na e Cl e un'alta concentrazione sierica di K. L'incapacità di concentrare le urine, associata alle modificazioni dell'equilibrio elettrolitico, determina la comparsa di grave disidratazione, ipertonicità plasmatica, acidosi, riduzione del volume circolante, ipotensione e collasso circolatorio. Il deficit di cortisolo contribuisce all'ipotensione e causa alterazioni del metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine, nonché un notevole aumento della sensibilità all'insulina. In assenza di cortisolo, vengono sintetizzate quantità insufficienti di carboidrati a partire dalle proteine; ne risultano ipoglicemia e diminuzione del glicogeno epatico. A esse consegue astenia, dovuta in parte al deficit della funzione neuromuscolare. A causa della ridotta secrezione surrenalica diminuisce la resistenza alle infezioni, ai traumi e ad altri stress. L'astenia del muscolo cardiaco e la disidratazione determinano una riduzione della gittata cardiaca e può comparire insufficienza circolatoria. La riduzione dei livelli ematici di cortisolo comporta un aumento della produzione di ACTH ipofisario e un aumento dei livelli ematici di b-lipotropina, la quale ha attività melanocito-stimolante e produce l'iperpigmentazione della cute e delle mucose caratteristica del morbo di Addison.

Sintomi e segni L'astenia, l'affaticabilità e l'ipotensione ortostatica sono sintomi precoci. La pigmentazione è solitamente aumentata, salvo nell'insufficienza corticosurrenalica secondaria a deficit ipofisario. L'aumento della pigmentazione (iperpigmentazione) è caratterizzato da un diffuso imbrunimento sia delle parti esposte sia di quelle non esposte del corpo, specialmente nelle zone sottoposte a pressione (prominenze ossee), sulle pieghe cutanee, sulle cicatrici e sulle superfici estensorie. È comune la presenza di lentiggini scure sulla fronte, sul viso, sul collo e sulle spalle, di aree di vitiligine e di discromie nero-bluastre delle areole e delle mucose delle labbra, della bocca, del retto e della vagina. Spesso sono presenti anoressia, nausea, vomito e diarrea. Si può osservare una ridotta tolleranza alle basse temperature, associata a ipometabolismo. Possono presentarsi vertigini e attacchi sincopali. L'ECG può mostrare la presenza di bassi voltaggi e dell'allungamento degli intervalli PR e QT. L'EEG mostra un rallentamento generalizzato del ritmo a. L'insorgenza graduale e la natura non specifica dei sintomi iniziali portano spesso a un'errata diagnosi iniziale di nevrosi. Il calo ponderale, la disidratazione, l'ipotensione e la riduzione delle dimensioni cardiache sono caratteristiche peculiari degli stadi avanzati del morbo di Addison. La crisi surrenalica è caratterizzata da profonda astenia, forti dolori all'addome, ai lombi o alle gambe, collasso vascolare periferico e infine insufficienza renale acuta con iperazotemia. La temperatura corporea può essere al di sotto della norma, benché spesso si osservi grave ipertermia dovuta alle infezioni. La crisi nella maggior parte dei casi viene precipitata dalle infezioni acute (specialmente con setticemia), dai traumi, dagli interventi chirurgici e dalla perdita di Na per eccessiva sudorazione in presenza di elevate temperature ambientali.

Esami di laboratorio Le alterazioni dei livelli sierici degli elettroliti, comprendenti la riduzione del Na (< 130 mEq/l), l'aumento del K (> 5 mEq/l), la riduzione del HCO3 (da 15 a

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Malattie del surrene

20 mEq/l) e l'aumento dell'azoto ureico, associati a un quadro clinico caratteristico, suggeriscono la presenza del morbo di Addison (v. Tab. 9-1). I livelli plasmatici di renina e ACTH sono aumentati. Quando l'insufficienza corticosurrenalica è provocata da un'inadeguata produzione di ACTH da parte della ghiandola ipofisaria, i livelli degli elettroliti sono generalmente nella norma. L'insufficienza corticosurrenalica può essere diagnosticata dimostrando l'incapacità ad aumentare i livelli plasmatici di cortisolo o l'escrezione urinaria di cortisolo libero dopo la somministrazione di ACTH. L'escrezione urinaria di cortisolo libero in assenza di stimolazione con ACTH esogeno non è affidabile come indice di capacità funzionale corticosurrenale, dal momento che l'escrezione basale non permette di discriminare adeguatamente i valori ai limiti inferiori della norma da quelli patologicamente bassi. Una singola determinazione del cortisolo plasmatico o dell'escrezione urinaria di cortisolo libero nelle 24 h non è di aiuto e può trarre in inganno. Comunque, se il paziente è particolarmente sottoposto a stress o in stato di shock, il riscontro di un singolo valore di cortisolo plasmatico basso è fortemente suggestivo. L'innalzamento del livello plasmatico di ACTH associato a un basso livello plasmatico di cortisolo è diagnostico. Test di valutazione per l'insufficienza corticosurrenalica: il test si esegue iniettando da 5 a 250 mg di cosintropina EV. Prima dell'iniezione il cortisolo plasmatico normale è compreso fra 5 e 25 mg/dl (fra 138 e 690 nmol/l) e raddoppia fra i 30 e i 90 minuti, con un minimo di 20 mg/dl (552 nmol/l). I pazienti con morbo di Addison hanno valori bassi o normali che non subiscono incrementi. Distinzione tra insufficienza corticosurrenalica primitiva e secondaria: la maggior parte dei casi di ipocorticosurrenalismo secondario è provocata dalla distruzione dell'ipofisi. La TC o la RMN della sella possono quindi essere utili per escludere la presenza di tumori o atrofia. La sindrome della sella vuota (v. anche Cap. 7) non è, tuttavia, invariabilmente associata a insufficienza ipofisaria, per cui anche quando si rilevano alterazioni dell'immagine ipofisaria è necessaria l'esecuzione di test funzionali. Nei pazienti con una patologia primitiva del surrene, il livello plasmatico di ACTH è elevato (_ 50 pg/ml). I pazienti con insufficienza ipofisaria o con deficit isolato di ACTH hanno un basso livello dell'ormone. Se la determinazione dell'ACTH non è disponibile, bisogna effettuare un test al metirapone. I livelli plasmatici di cortisolo vengono diminuiti dal blocco della 11-idrossilazione dei precursori del cortisolo con metirapone. Nelle persone normali, la diminuzione del cortisolo stimola l'aumento della secrezione di ACTH e porta all'incremento della produzione dei precursori del cortisolo, in particolare dell'11-deossicortisolo ("composto S"), il quale viene secreto nelle urine nella forma del suo metabolita, il tetraidro-S. Il metodo migliore e più semplice è quello di somministrare a mezzanotte 30 mg/kg di metirapone PO insieme a una piccola quantità di cibo per evitare l'irritazione gastrica. Il cortisolo plasmatico alle 8 del mattino seguente deve essere < 10 mg/ dl (< 276 nmol/l) e l'11-deossicortisolo plasmatico deve essere tra 7 e 22 mg/dl (tra 0,2 e 0,6 mmol/l). Nei pazienti che non rispondono al metirapone, deve essere eseguito un test alla cosintropina. I pazienti con insufficienza corticosurrenalica primitiva hanno bassi livelli di entrambi gli steroidi e non rispondono alla cosintropina; quelli con ipopituitarismo rispondono alla cosintropina ma non al metirapone. Può essere necessario preparare il paziente con la somministrazione IM di 20 U di ACTH ad azione prolungata bid per 3 gg prima di eseguire il test alla cosintropina, al fine di prevenire l'assenza di risposta corticosurrenalica provocata dall'atrofia nei pazienti con insufficienza ipofisaria. La preparazione è consigliabile se si verifica una risposta inadeguata ma definita al metirapone. La risposta all'ormone di rilascio della corticotropina (CRH) può essere utilizzata per distinguere l'insufficienza ipotalamica da quella ipofisaria. Dopo la somministrazione EV di 100 mg (o 1 mg/kg) di CRH, la risposta normale consiste in un aumento dell'ACTH plasmatico compreso fra i 30 e i 40 pg/ml; i pazienti con insufficienza ipofisaria non rispondono, mentre quelli con malattia ipotalamica generalmente rispondono. I livelli di cortisolo nel plasma e nelle urine vengono solitamente determinati con metodi radioimmunologici.

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Malattie del surrene

Diagnosi La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi e dei segni e confermata dai test di laboratorio descritti precedentemente. È da notare che molti pazienti con funzione corticosurrenalica parzialmente conservata ma con riserve limitate appaiono in buone condizioni cliniche fino al momento in cui uno stress non scatena un'insufficienza acuta. Il morbo di Addison viene generalmente sospettato in seguito al riscontro di iperpigmentazione, sebbene in alcuni pazienti essa possa essere minima. Negli stadi iniziali della malattia l'astenia, benché pronunciata, viene alleviata dal riposo, a differenza delle astenie neuropsichiatriche che spesso sono peggiori al mattino che dopo attività fisica. La maggior parte delle miopatie può essere distinta in base alla loro distribuzione e all'assenza di pigmentazione e grazie ai caratteristici reperti di laboratorio. I pazienti con ipoglicemia da ipersecrezione insulinica possono avere crisi in ogni momento; di solito hanno aumento dell'appetito con aumento di peso e hanno una funzione corticosurrenalica normale. I pazienti con insufficienza del corticosurrene sviluppano ipoglicemia a digiuno a causa della loro diminuita capacità gluconeogenetica. I bassi livelli sierici di Na devono essere distinti da quelli dei pazienti edematosi con patologie cardiache o epatiche (specialmente quelli che assumono diuretici), dall'iponatriemia da diluizione della sindrome da inappropriata secrezione di ADH e dalla rara nefrite con perdita di sali. Questi pazienti verosimilmente non mostrano iperpigmentazione, iperkaliemia e iperazotemia, che sono caratteristiche dell'insufficienza corticosurrenalica. Va presa in considerazione l'iperpigmentazione dovuta a carcinoma broncogeno, all'ingestione di metalli pesanti come ferro o argento, a patologie croniche della cute e all'emocromatosi. La caratteristica pigmentazione della mucosa orale o rettale osservata nella sindrome di Peutz-Jeghers non deve creare confusione. Spesso all'iperpigmentazione è associata la vitiligine, il che può essere un'utile indicazione a favore del morbo di Addison, sebbene altre malattie possano provocare questa associazione.

Prognosi Con la terapia sostitutiva continua, la prognosi è eccellente e un paziente con morbo di Addison dovrebbe essere in grado di condurre una vita normale.

Terapia Oltre al trattamento adeguato delle complicanze infettive (p. es., la TBC), devono essere trattate le seguenti condizioni. Insufficienza corticosurrenalica acuta: non appena sia stata posta una diagnosi provvisoria di insufficienza del corticosurrene, la terapia deve essere istituita immediatamente. Se il paziente è in fase acuta, la conferma diagnostica mediante test di stimolazione con ACTH deve essere rimandata fino a che egli non si sia ristabilito. Si iniettano EV in 30 s 100 mg di idrocortisone come estere idrosolubile (di solito succinato o fosfato), seguiti dall'infusione di 1 l di destroso al 5% in soluzione fisiologica contenente 100 mg di idrocortisone estere, somministrato in 2 h. Si prosegue l'infusione di soluzione fisiologica finché la disidratazione e l'iponatriemia siano state corrette. Il K sierico può diminuire bruscamente durante la fase di reidratazione, richiedendo un'attenta reintegrazione. La terapia con idrocortisone viene proseguita in maniera continua fino a un dosaggio totale > 300 mg nelle 24 h. I mineralcorticoidi non sono necessari quando si somministra idrocortisone ad alte dosi. Il ripristino della PA e il miglioramento delle condizioni generali possono essere file:///F|/sito/merck/sez02/0090107b.html (4 of 6)02/09/2004 2.26.30

Malattie del surrene

attesi entro 1 h dopo la dose iniziale di idrocortisone. Possono essere necessari farmaci vasocostrittori finché l'effetto dell'idrocortisone non compare pienamente. Può essere somministrata un'infusione EV di metaraminolo bitartrato, 100 mg in 500 ml di soluzione fisiologica, a una velocità regolata per il mantenimento della PA. (Attenzione: nella crisi addisoniana acuta, un ritardo nell'inizio della terapia corticosteroidea può provocare la morte del paziente, specialmente se sono presenti ipoglicemia e ipotensione.) Se il paziente è sensibilmente migliorato, durante le seconde 24 h viene solitamente somministrata una dose totale di 150 mg di idrocortisone e 75 mg vengono somministrati il terzo giorno. Successivamente vengono somministrate giornalmente dosi orali di mantenimento di idrocortisone (30 mg) e di fludrocortisone acetato (0,1 mg), come descritto più avanti nel trattamento dell'insufficienza corticosurrenalica cronica. Il recupero dipende dal trattamento della causa scatenante (p. es., infezione, trauma, stress metabolico) e da un'adeguata terapia con idrocortisone. Il riconoscimento dei pazienti con morbo di Addison non è difficile. Tuttavia, un numero significativo di pazienti apparentemente sani con "ridotta riserva corticosurrenale" sviluppa un'insufficienza corticosurrenalica acuta in condizioni di stress. Gli unici segni presenti possono essere lo shock e la febbre. Non bisogna attendere che la diagnosi sia certa prima di istituire il trattamento; è invece necessario somministrare idrocortisone come descritto in precedenza. Il fabbisogno di sodio e di acqua può essere considerevolmente inferiore rispetto a quello dei pazienti con deficit totale. Trattamento delle complicanze: queste complicanze comprendono l'iperpiressia e le reazioni psicotiche. Occasionalmente il processo di reidratazione è accompagnato da una temperatura orale > 40,6°C (105°F). Tranne in presenza di una diminuzione della PA, possono essere somministrati con cautela antipiretici PO (p. es., aspirina 600 mg) q 30 min, fino a quando la temperatura comincia a scendere. Se dopo le prime 12 h di terapia si manifestano reazioni psicotiche, il dosaggio dell'idrocortisone deve essere ridotto al livello minimo compatibile con il mantenimento della PA e di una buona funzione cardiovascolare. Insufficienza corticosurrenalica cronica: uno stato di idratazione normale e l'assenza di ipotensione ortostatica costituiscono i criteri per un'adeguata terapia sostitutiva. L'adeguatezza della sostituzione dei mineralcorticoidi deve essere verificata anche con il ritorno alla norma degli alti livelli di attività reninica plasmatica. Di solito vengono somministrati 20 mg di idrocortisone PO al mattino e 10 mg nel pomeriggio; può essere necessario un dosaggio giornaliero di 40 mg. Bisogna evitare la somministrazione notturna, che può causare insonnia. Normalmente, la secrezione di idrocortisone ha un massimo nelle prime ore del mattino e un minimo durante la notte. In aggiunta, si raccomanda la somministrazione di fludrocortisone da 0,1 a 0,2 mg PO una volta al giorno. Questo mineralcorticoide sostituisce l'aldosterone normalmente secreto negli individui sani. Spesso è necessario ridurre il dosaggio iniziale del fludrocortisone a 0,05 mg ogni 2 giorni a causa della comparsa di edema perimalleolare, ma il paziente generalmente si adatta e può quindi assumere le dosi più elevate. In alcuni pazienti il fludrocortisone causa ipertensione; essa deve essere trattata riducendo il dosaggio o associando un antiipertensivo non diuretico. Comunque, il ripristino di un livello di renina normale è la prova migliore dell'adeguatezza del trattamento con fludrocortisone. C'è una tendenza a somministrare troppo poco fludrocortisone e a impiegare troppo poco i moderni farmaci ipotensivi. Le malattie intercorrenti (p. es., le infezioni) devono essere considerate come potenzialmente gravi e si deve raddoppiare il dosaggio dell'idrocortisone fino a quando il paziente non si sia ristabilito. Se la nausea e il vomito impediscono l'assunzione della terapia orale, deve essere immediatamente richiamata l'attenzione del medico e istituita una terapia parenterale. I pazienti che vivono o viaggiano in zone nelle quali l'assistenza sanitaria non è facilmente disponibile devono essere istruiti in merito all'autosomministrazione dell'idrocortisone per via parenterale. Morbo di Addison associato a diabete mellito: in questa frequente manifestazione di sindrome da insufficienza multighiandolare, il dosaggio dell'idrocortisone solitamente non deve essere > 30 mg/die; in caso contrario, aumenta il fabbisogno di insulina. In questa sindrome è spesso difficile tenere l'iperglicemia del tutto sotto controllo. Nel morbo di Addison associato a file:///F|/sito/merck/sez02/0090107b.html (5 of 6)02/09/2004 2.26.30

Malattie del surrene

tireotossicosi, la terapia definitiva per l'insufficienza corticosurrenalica deve essere istituita presto, senza attendere che il trattamento della patologia tiroidea dia i suoi risultati. In caso di surrenalectomia bilaterale totale per ipercorticosurrenalismo, carcinoma della mammella o ipertensione, il paziente deve assumere una terapia di mantenimento con 20-30 mg/die di idrocortisone per via orale. In aggiunta, deve essere somministrato un mineralcorticoide come descritto in precedenza.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AGNOSIA Deficit neuropsicologico poco comune nel quale un oggetto non può essere identificato nonostante la capacità di distinguerne gli elementi tattili o visivi. Risulta compromessa o perduta la memoria correlata alle caratteristiche tattili o visive dell’oggetto, precedentemente depositata nella corteccia associativa. Le persone colpite talvolta sono in grado di percepire la natura generale di un oggetto, ma non l’oggetto specifico. Un esempio è la prosopagnosia, l’incapacità di identificare i volti ben conosciuti, compresi gli amici intimi, nonostante si sia capaci di identificare le caratteristiche generali del viso. L’anosognosia è una grave forma di agnosia; la persona dimentica del tutto che una parte lesionata del corpo sia mai esistita. La sindrome classica deriva dal danno grave del lobo parietale destro non dominante, che lascia il paziente confuso e inconsapevole di aver mai posseduto le parti dell’emisoma sinistro ora paralizzate e insensibili nonché l’ambiente attorno a esso. I test clinici per l’agnosia comprendono quello di chiedere al paziente di riconoscere gli oggetti comuni che può vedere o sentire. L’agnosia grave può essere diagnosticata chiedendo al paziente affetto da emiplegia sinistra di identificare le parti paralizzate del proprio corpo, oppure gli oggetti localizzati nel suo campo visivo sinistro.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 194-1. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DEI PAZIENTI PSICHIATRICI AGITATI Farmaco

Dosaggio

Lorazepam 0,5-2mg qh PO, IM (deltoide) o EV, secondo necessità Diazepam

Commenti L’assorbimento IM può essere incompleto

2,5-10mg qh PO, IM L’assorbimento per iniezione IM può (deltoide) o EV, essere incompleto, molto più che con il lorazepam. L’assorbimento secondo necessità orale è più rapido rispetto al lorazepam

Aloperidolo 1-10mg bid PO o IM L’aloperidolo è di solito necessario solo se il paziente è chiaramente (deltoide) psicotico. Può peggiorare alcune intossicazioni da sostanze (p.es., PCP) e può causare distonia. La forma liquida concentrata può essere usata per il suo rapido assorbimento se il paziente può assumere il farmaco PO Droperidolo 5mg IM q 4h

PCP = Fenciclidina

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il droperidolo può essere usato al posto dell’aloperidolo per i pazienti acuti agitati

Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE (Disturbi da uso di sostanze; dipendenza da sostanze; abuso di sostanze; assuefazione)

Sommario: Introduzione Eziologia della dipendenza da sostanze

Non è possibile né utile stabilire un’unica definizione di dipendenza da sostanze. Alcuni tipi di uso illegale di sostanze, sebbene siano considerati abuso perché illegali, non comportano alcun tipo di dipendenza. Il concetto di dipendenza da una sostanza specifica (p. es., la dipendenza da cocaina) implica il fatto che droghe diverse producono effetti diversi, anche per ciò che riguarda il tipo di dipendenza e i rischi da essa prodotti. Due concetti contribuiscono alla definizione di dipendenza da sostanze: la tolleranza, che indica il bisogno di aumentare progressivamente la dose per produrre l’effetto ottenuto originariamente con dosi minori, e la dipendenza fisica, lo stato di adattamento fisiologico a una sostanza che si manifesta con una sindrome da sospensione (astinenza). Nella sindrome da astinenza, se la sostanza viene interrotta o se il suo effetto viene neutralizzato da un antagonista specifico che spiazza l’agonista dal suo sito di legame sui recettori cellulari, si manifestano alterazioni fisiologiche spiacevoli. La dipendenza fisica non accompagna ogni forma di dipendenza da farmaci. La dipendenza psicologica si associa a sensazioni di soddisfazione e al desiderio di ripetere l’esperienza della sostanza o di evitare il disagio di non averla. Questa anticipazione dell’effetto è un forte determinante dell’uso cronico di farmaci psicoattivi e per alcuni farmaci può essere l’unico fattore manifestamente associato al desiderio intenso della sostanza (craving) e a un chiaro uso di tipo compulsivo. Alla prima categoria appartengono la cocaina, la marijuana, le amfetamine, i bromuri e gli allucinogeni come la dietilamide dell’acido lisergico (LSD), la metilendiossiamfetamina (MDMA) e il peyote. Le sostanze che producono dipendenza fisica marcata (p. es., l’eroina e l’alcol) inducono abuso, e la corrispondente dipendenza è difficile da trattare. Se una sostanza non provoca dipendenza fisica, la sua sospensione non causa una sindrome di astinenza grave e tipica. Tuttavia, la maggior parte delle sostanze psicoattive induce tolleranza e in alcuni casi le reazioni da sospensione sono simili a una sindrome da astinenza (p. es., depressione e letargia dopo sospensione di cocaina o amfetamina; alterazioni caratteristiche nell’EEG dopo sospensione di amfetamina). Le sostanze psicoattive comunemente usate hanno potenziali variabili per tipi diversi di dipendenza (v. Tab. 195-1). Le sostanze che producono dipendenza agiscono sul SNC e hanno uno o più dei seguenti effetti: riducono l’ansia e la tensione; provocano eccitamento, euforia o altri cambiamenti d’umore vissuti piacevolmente da chi ne fa uso; danno la sensazione di maggiori capacità fisiche e psichiche; producono alterazioni delle percezioni e cambiamenti nel comportamento. Il concetto di tossicomania, cui non corrisponde una definizione coerente e universalmente accettata, viene qui usato per riferirsi a uno stile di vita caratterizzato dall’uso compulsivo di una droga e dal totale coinvolgimento in file:///F|/sito/merck/sez15/1951694.html (1 of 3)02/09/2004 2.26.32

Uso e dipendenza da sostanze

essa; può presentarsi anche senza dipendenza fisica. La tossicomania comporta il rischio di danni fisici e la necessità di interrompere il consumo della sostanza, con o senza la comprensione e il consenso del tossicomane. L’abuso di sostanze è definibile soltanto in termini di non accettazione da parte della società. Può implicare un uso sperimentale e ricreativo di sostanze, che di solito é illegale, con rischio di arresto; l’uso ingiustificato di sostanze psicoattive per alleviare problemi o sintomi; oppure un uso di sostanze che inizia per le ragioni di cui sopra, ma prosegue a causa della dipendenza e del bisogno di continuare almeno parzialmente l’assunzione, per prevenire le sofferenze dell’astinenza. L’abuso di sostanze prescritte e illegali si manifesta in tutti gli strati socioeconomici, anche tra le persone di livello culturale e professionale elevato. Tuttavia, l’uso più dannoso delle sostanze psicoattive si verifica tuttora in un contesto di povertà. L’uso ricreativo delle sostanze è diventato sempre più parte della cultura occidentale, sebbene in genere sia disapprovato dalla società e sia di solito illegale. Alcuni consumatori apparentemente non ne sono danneggiati; tendono a usare le droghe episodicamente con dosi relativamente ridotte, evitando l’insorgenza di tossicità clinica e lo sviluppo di tolleranza e dipendenza fisica. Molte sostanze assunte a scopo edonistico (p. es., l’oppio grezzo, le bevande alcoliche, i derivati della marijuana, il caffè e altre bevande a base di caffeina, i funghi allucinogeni, le foglie di coca) sono "naturali", cioè estratte da piante; contengono una mescolanza di composti psicoattivi in concentrazioni relativamente basse, e non sono sostanze psicoattive di sintesi. Le droghe ricreative vengono assunte principalmente per via orale, oppure inalate. L’assunzione di potenti composti attivi per via endovenosa è di solito difficile da controllare. L’uso ricreativo è spesso accompagnato da ritualizzazione, con una serie di ruoli accettati, e raramente viene praticato in solitudine. La maggior parte delle sostanze usate in questo modo è rappresentata da psicostimolanti o allucinogeni, assunti per ottenere uno "sballo" o un’alterazione dello stato di coscienza, piuttosto che per alleviare un malessere psichico; é difficile usare le sostanze deprimenti del SNC in questo modo controllato. Negli USA, la "Legge per la prevenzione e il controllo di tutti gli abusi di farmaci" del 1970 e le sue successive modifiche, richiedono all’industria farmaceutica di garantire la sicurezza fisica dei farmaci e la raccolta di una documentazione accurata per alcuni tipi di farmaci. I farmaci soggetti a controllo sono divisi in cinque tabelle (o classi) sulla base del loro potenziale di abuso, dell’uso medico comunemente accettato e della sicurezza approvata sotto supervisione medica. I farmaci in tabella I hanno un potenziale di abuso elevato, nessun uso medico accreditato e la loro sicurezza non è approvata. Dalla tabella I alla V, il potenziale di abuso diminuisce. La tabella in cui è collocato un farmaco stabilisce come ne avviene il controllo. Le ricette per i farmaci di tutte le tabelle devono recare il numero di licenza della "Drug Enforcement Administration" federale (DEA), ma alcuni farmaci in tabella V non hanno necessità di ricetta. Le tabelle nei diversi stati possono essere diverse da quelle federali.

Eziologia della dipendenza da sostanze La dipendenza da sostanze si sviluppa in maniera complessa e non del tutto chiarita. Tale processo è influenzato dalle proprietà delle sostanze psicoattive, dalle caratteristiche fisiche predisponenti del consumatore (compresa probabilmente la predisposizione genetica), dalla sua personalità e classe socioeconomica e dal suo contesto culturale e sociale. L’assetto psicologico del soggetto e la disponibilità della sostanza ne determinano la scelta, nonché le modalità e la frequenza di assunzione. In particolare, sono poco conosciuti i meccanismi che portano progressivamente dall’uso sperimentale a quello occasionale e quindi allo sviluppo della tolleranza e della dipendenza fisica. I fattori che conducono all’aumento dell’uso e alla dipendenza o alla tossicomania, possono includere la pressione dei coetanei o del gruppo, un disagio emotivo che viene alleviato sul piano sintomatologico dagli effetti specifici della sostanza, la tristezza, l’alienazione sociale e gli stress file:///F|/sito/merck/sez15/1951694.html (2 of 3)02/09/2004 2.26.32

Uso e dipendenza da sostanze

ambientali (in particolare se accompagnati da sentimenti di impossibilità di cambiare le cose o di conseguire i propri obiettivi). I medici possono contribuire inavvertitamente all’uso dannoso di farmaci psicoattivi, prescrivendoli con eccesso di zelo a pazienti con problemi di stress e subendo l’astuzia dei pazienti manipolativi. Molti fattori sociali e gli stessi mass media possono contribuire all’aspettativa che le droghe possano alleviare un disagio in modo sicuro, oppure che possano gratificare dei bisogni. In parole povere, l’esito del consumo di sostanze dipende dall’interazione tra la sostanza, il consumatore e il contesto. Non sono state dimostrate differenze tra la reattività biochimica, attitudinale o fisiologica delle persone che sviluppano una tossicomania o una dipendenza e quella delle persone che non la sviluppano, sebbene tali differenze siano state ricercate accanitamente. Tuttavia, i familiari astemi degli alcolisti hanno una ridotta reattività fisica all’alcol. Nei modelli animali è stato identificato un substrato neurale del rinforzo (la tendenza a cercare nuovamente la sostanza e altri tipi di stimoli). Negli studi sugli animali, l’autosomministrazione di sostanze come gli oppiacei, la cocaina, l’amfetamina, la nicotina e le benzodiazepine è associata a un aumento della trasmissione dopaminergica in specifici circuiti mesencefalici e corticali. Questo reperto suggerisce l’esistenza nel cervello dei mammiferi di una via cerebrale di ricompensa coinvolgente la dopamina. Tuttavia, le evidenze che le sostanze psichedeliche e i cannabinoidi attivino questo sistema sono insufficienti, e non tutti i soggetti che sperimentano queste "ricompense" diventano dipendenti o tossicomani. La personalità tossicomane è stata descritta in vario modo dai ricercatori comportamentalisti, ma vi sono scarse evidenze scientifiche che esistano tratti di personalità predisponenti caratteristici. Alcune persone descrivono i tossicomani come persone che cercano di evadere dalla realtà, cioè che non vogliono affrontarla e fuggono. Altri descrivono i tossicomani come soggetti schizoidi timorosi, isolati e depressi, con anamnesi di frequenti tentativi di suicidio e numerose lesioni autoinflitte. I tossicomani sono stati descritti anche come fondamentalmente dipendenti e avidi sul piano relazionale, caratterizzati spesso da manifesta rabbia inconscia e da sessualità immatura. Tuttavia, anteriormente all’insorgenza di una dipendenza da sostanze, essi non manifestano il comportamento deviante, orientato al piacere e irresponsabile di solito attribuito ai tossicomani. A volte i tossicomani giustificano l’uso della droga con una crisi, con pressioni lavorative o con una disgrazia familiare che produce temporaneamente ansia o depressione. I medici, i pazienti e la cultura corrente inquadrano l’abuso di sostanze nel contesto di una esistenza o di un episodio vitale disfunzionali, ma poi danno la colpa di tali disfunzioni esclusivamente alla sostanza o al suo uso. Nella maggior parte dei casi i tossicomani abusano di alcol insieme ad altre sostanze, e possono essere ricoverati più volte in ospedale per overdose, per reazioni avverse o per problemi di astinenza.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella195-1. Potenziale di dipendenza con le sostanze di uso Sostanza

Dipendenza fisica

Dipendenza psicologica

Tolleranza

Sedativi del SNC Alcol

+++

+++

++

Barbiturici

+++

+++

++

Etclorvinolo

+++

+++

++

Glutetimide

+++

+++

++

Metaqualone

+++

+++

++

Metiprilone

+++

+++

++

Oppiacei

++++

++++

++++

Oppioidi di sintesi

++++

++++

++++

Alprazolam, oxazepam, temazepam (a breve durata d’azione)

++

+++

+

Clordiazepossido, diazepam (a lunga durata d’azione)

+

+++

+

Amfetamina

?

+++

++++

Cocaina

0

+++

++

Metamfetamina

?

+++

++++

0

++

++

(a bassa concentrazione di D-9 THC)

0

++

0

(ad alta concentrazione di D-9 THC)

0

++

+

Mescalina, peyote

0

++

+

Ansiolitici

Stimolanti

Allucinogeni LSD Marijuana

LSD=dietilamide dell’acido lisergico; THC=tetraidrocannabinolo; 0=nessun effetto; +=lievi effetti; ++++= effetti marcati.

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Manuale Merck - Tabella

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Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA ANSIOLITICI E IPNOTICI Dipendenza psichica che può portare ad abuso periodico o continuo oppure a dipendenza fisica dai farmaci ansiolitici o ipnotici.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Quando l’assunzione viene ridotta al di sotto di un livello critico, ne deriva una sindrome da astinenza autolimitante. La tolleranza si sviluppa irregolarmente e in maniera incompleta, quindi anche in un consumatore abituale possono persistere considerevoli disturbi comportamentali e una psicotossicità variabile secondo il dosaggio e gli effetti farmacodinamici del farmaco. Esiste un certo grado di tolleranza reciproca ma incompleta tra l’etanolo, i barbiturici e gli ipnotici-sedativi non barbiturici, benzodiazepine comprese. (I barbiturici e l’alcol sono straordinariamente simili per quanto riguarda i sintomi da dipendenza e da astinenza e per l’intossicazione cronica che producono). Generalmente le persone dipendenti da sedativi e ipnotici preferiscono i farmaci ad azione rapida (p. es., il secobarbitale e il pentobarbitale). Il metaqualone, che è ovunque in disuso, è stato spostato nella tabella federale I e non è più disponibile legalmente negli USA. Il metaqualone contraffatto contiene antistaminici da banco o, raramente, alte dosi di diazepam. Il meprobamato, il primo tranquillante, è simile ai barbiturici e non deve essere considerato un sedativo più sicuro di questi.

Sintomi e segni I segni di un’intossicazione crescente da sedativi sono una diminuzione dei riflessi cutanei superficiali, un nistagmo laterale fine, una lieve diminuzione della vigilanza con nistagmo grossolano o rapido, atassia, eloquio impacciato e instabilità posturale. L’ulteriore progressione causa nistagmo dei movimenti oculari in avanti, sonnolenza, atassia marcata con cadute, confusione, sonno profondo, miosi pupillare, depressione respiratoria e infine la morte. I pazienti che assumono elevate dosi di sedativi spesso hanno difficoltà ideative, lentezza dell’eloquio e della comprensione (con un certo grado di disartria), perdita di memoria, compromissione del giudizio, diminuzione del tempo di attenzione e labilità emotiva. In generale, l’associazione di rallentamento del pensiero, eloquio impacciato e lividi da cadute alle estremità suggeriscono una dipendenza da sedativi. Effetti da sospensione: nei pazienti predisposti, la dipendenza psicologica dal farmaco si può sviluppare rapidamente, e dopo poche settimane i tentativi di interruzione dell’assunzione esacerbano l’insonnia e producono agitazione, incubi, risvegli frequenti e stati di tensione nelle prime ore della mattina. Il livello di dipendenza fisica è in relazione alla dose e alla durata dell’uso; p. es., il pentobarbitale in dosi di 200 mg/die assunto per molti mesi può non indurre una file:///F|/sito/merck/sez15/1951705.html (1 of 3)02/09/2004 2.26.40

Uso e dipendenza da sostanze

tolleranza significativa, ma 300 mg/die per > 3 mesi o 500-600 mg/die per 1 mese possono indurre una sindrome di astinenza alla sospensione del farmaco. La sospensione di barbiturici assunti in dosi elevate produce una brusca sindrome da astinenza sotto forma di un malessere grave, preoccupante e potenzialmente letale, analogo al delirium tremens. La sospensione va intrapresa in ospedale. Una volta iniziata, la sindrome di astinenza è difficilmente reversibile, anche se con un controllo accurato i sintomi possono essere ridotti al minimo. Ristabilizzare il SNC richiede circa 30 gg. Talvolta, persino dopo una sospensione gestita adeguatamente nel corso di 1-2 sett., si verificano delle convulsioni. Entro le prime 12-20 h successive alla sospensione di un barbiturico a breve durata d’azione, il paziente senza trattamento diventa sempre più irrequieto e presenta tremori e debolezza. In seconda giornata il tremore diventa più evidente, i riflessi tendinei profondi possono accentuarsi e il paziente diventa più debole. Durante la 2a e la 3a giornata il 75% dei pazienti che assumevano 800 mg/die o più di barbiturici manifesta convulsioni. Le convulsioni possono progredire sino a uno stato di male e alla morte. Dal secondo al quinto giorno la sindrome da astinenza non trattata si manifesta con delirio, insonnia, confusione, visioni terrorizzanti e allucinazioni uditive. Spesso si hanno iperpiressia e disidratazione. La sospensione delle benzodiazepine produce una sindrome di astinenza simile, sebbene raramente sia così grave. La sindrome può avere un esordio graduale, poiché il farmaco persiste a lungo nell’organismo. Una sindrome da astinenza di gravità variabile si può avere anche in soggetti che assumevano dosi terapeutiche, sebbene la prevalenza di questo raro fenomeno sia sconosciuta. L’astinenza nella sua forma più grave può manifestarsi nei soggetti che usavano farmaci ad assorbimento rapido e dismissione veloce (p. es., alprazolam, lorazepam, triazolam). Molti soggetti che abusano di benzodiazepine, sono stati o sono forti bevitori, e una sindrome ritardata di astinenza da benzodiazepine può complicare l’astinenza alcolica. L’antagonista del recettore per le benzodiazepine flumazenil è stato approvato per il trattamento della sedazione grave secondaria a overdose di benzodiazepine. La sua utilità clinica non è ben definita perché molte persone che vanno in overdose di benzodiazepine si ristabiliscono senza intervento. Occasionalmente, quando è usato per eliminare la sedazione, il flumazenil scatena delle crisi convulsive.

Terapia La procedura per il trattamento della dipendenza da sedativi, in particolare dai barbiturici, consiste nel "reintossicare" il paziente e successivamente sospendere il farmaco seguendo un programma rigoroso e monitorando i segni di astinenza. Prima di iniziare lo svezzamento, si può valutare la tolleranza ai sedativi con una dose test di pentobarbitale di 200 mg PO da somministrare a un paziente non intossicato, a digiuno; se il paziente non ha tolleranza, la dose provoca sonnolenza o sonno leggero 1-2 h dopo. Un paziente con livelli intermedi di tolleranza può presentare un certo grado di sedazione; un paziente tollerante a 900 mg può non mostrare alcun segno di intossicazione. Se la dose di 200 mg non ha effetto, il livello di tolleranza può essere determinato ripetendo il test q 3 o 4 h con dosi maggiori. Un grave stato d’ansia o di agitazione può aumentare la tolleranza del paziente. Una volta accertata la dose di tolleranza nelle 24 h, la stessa dose viene in genere somministrata qid per 2 o 3 giorni per stabilizzare il paziente, per poi ridurla del 10%/ die. In alternativa si può usare il fenobarbitale: questo farmaco non produce l’effetto "picco" di altri farmaci ad azione più rapida ed è l’anticonvulsivante di scelta. I barbiturici ad azione più rapida, altri farmaci sedativo-ipnotici o gli ansiolitici minori possono essere sostituiti da una dose di fenobarbitale equivalente a 1/3 della dose media giornaliera del farmaco da cui il paziente è dipendente (v. Tab. 195-2); p. es., per il secobarbitale in dosi di 1000 mg/die, la dose stabilizzante di fenobarbitale è di 300 mg/die o di 75 mg q 6 h. Il fenobarbitale va

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Uso e dipendenza da sostanze

somministrato PO qid e la dose iniziale va ridotta di 30 mg/die finché il paziente non viene disintossicato. Dal momento che la dose iniziale giornaliera deve essere stabilita in base alla storia del paziente, esiste un potenziale di errore e il paziente deve essere attentamente osservato per le prime 72 h. Se egli rimane agitato o ansioso la dose deve essere aumentata; se è sonnolento, disartrico o ha nistagmo, la dose va diminuita. Durante la disintossicazione del paziente si devono evitare altri farmaci sedativi o psicotropi. Tuttavia, se il paziente è anche in trattamento con antidepressivi, soprattutto triciclici, tali farmaci non devono essere interrotti bruscamente; la dose va ridotta nel giro di 3-4 giorni.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 195-2. Dipendenza fisica con alcuni sedativi ed ansiolitici di uso comune Farmaco

Dose che produce dipendenza (mg/ die)

Tempo necessario a causare dipendenza (gg)

Dose equivalente a 30mg di fenobarbitale (mg/ die)*

Amobarbital ("blues")

500-600

30

100

Amobarbital-secobarbital in combinazione ("rainbows")

500-600

30

100

Cloralo idrato

2000-2500

30

500

Clordiazepossido

200-300

60

25

Diazepam

60-100

40

10

Etclorvinolo

1500-2000

60

500

Glutetimide

1250-1500

60

500

Meprobamato

2000-2400

60

400

Metaqualone

1800-2400

30

300

Metiprilone

1200-1500

60

300

Pentobarbital ("yellow jackets")

500-600

30

100

Secobarbital ("reds")

500-600

30

100

*I farmaci da cui il paziente è dipendente possono essere sostituiti con una dose di fenobarbitale equivalente a 1/3 della loro dose media

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Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA CANNABIS (MARIJUANA) Uso cronico o periodico di cannabis che produce un certo grado di dipendenza psicologica senza dipendenza fisica.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni

Ogni sostanza che causa euforia e riduce l’ansia può provocare dipendenza, e la cannabis non fa eccezione. Tuttavia, il consumo intenso e le lamentele di incapacità a smettere sono rari. La cannabis può essere usata in maniera episodica senza evidenze di disfunzionalità sociale o psicologica. Il termine "dipendenza" probabilmente è usato in modo sbagliato da molti consumatori. Quando la sostanza viene sospesa non si manifesta una sindrome di astinenza, ma alcuni consumatori accaniti riferiscono disturbi del sonno e nervosismo alla sospensione. L’uso della cannabis è diffuso ovunque. Le indagini che avevano mostrato una diminuzione di prevalenza dal 1979 al 1991 mostrano un aumento dell’uso da parte delle persone tra i 12 e i 17 anni fino al 1995. La prevalenza può essersi stabilizzata di recente. Circa il 2-3% dei 65-70 milioni di americani che hanno sperimentato la cannabis ne fanno un uso pressoché quotidiano. Non tutti i consumatori cronici sono tossicomani. L’uso di cannabis costituisce effettivamente un problema di droga (come indica l’aumento della prevalenza e del numero di persone che chiedono aiuto per controllarne il consumo), sebbene la sua importanza tossicologica sia incerta. Il numero di consumatori che hanno chiesto un trattamento o una consulenza per essere aiutati a smettere può essere sovrastimato, poiché i soggetti che risultano positivi ai test sul posto di lavoro spesso sono obbligati a richiedere il trattamento e poi vengono seguiti con analisi obbligatorie. Negli USA, la cannabis è di solito fumata in sigarette fatte con le inflorescenze e le foglie della pianta essiccata o con l’hashish, la resina pressata della pianta. Il dronabinolo, un derivato sintetico del ∆-9-tetraidrocannabinolo (il principale principio attivo della marijuana), viene usato per trattare la nausea e il vomito associati alla chemioterapia per il cancro e per aumentare l’appetito nei pazienti con AIDS. Non è reperibile come sostanza da strada.

Sintomi e segni La cannabis produce uno stato di coscienza oniroide nel quale le idee appaiono sconnesse, incontrollabili e liberamente fluenti. Il tempo, i colori e le percezioni spaziali possono essere alterati. In genere si produce una sensazione di benessere e rilassamento ("sballo"). Questi effetti durano fino a 2-3 h dopo l’assunzione. Non vi sono evidenze convincenti di un effetto prolungato o di postumi. Si manifestano costantemente tachicardia, iperemia congiuntivale e bocca secca. Molti degli effetti psicologici appaiono correlati alla situazione in cui la droga viene assunta. Si sono verificate reazioni di panico, soprattutto nei

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consumatori alle prime esperienze, ma sono divenute meno frequenti con il crescere dell’accettazione sociale di questa droga. Si manifesta diminuzione delle capacità comunicative e motorie, compromissione della percezione della profondità e dei movimenti oculari di inseguimento dell’oggetto e alterazione del senso del tempo, con possibilità di rischio in certe situazioni (p. es., la guida, il lavoro con attrezzature pesanti). La marijuana può esacerbare sintomi di tipo schizofrenico, anche in pazienti trattati con farmaci antipsicotici (p. es., la clorpromazina). L’appetito spesso aumenta. Coloro che criticano l’utilizzo di marijuana citano numerosi dati scientifici sui suoi effetti avversi, ma molte delle affermazioni su un suo presunto grave impatto biologico non sono state dimostrate, anche nel caso di consumatori relativamente accaniti e per aree esaminate approfonditamente, come la funzione immunologica e riproduttiva. Tuttavia, i fumatori di alte dosi di marijuana possono manifestare sintomi a livello polmonare (episodi di bronchite acuta, affanno, tosse e catarro) e la loro funzione polmonare può risultare alterata. Ciò è reso evidente da estese alterazioni delle vie aeree, di significato sconosciuto. Neanche i fumatori quotidiani sviluppano malattie ostruttive polmonari. Il carcinoma polmonare non è stato osservato nei soggetti che fumano solo marijuana, probabilmente perché viene inalato meno fumo che con le sigarette. Tuttavia le biopsie dei tessuti bronchiali mostrano alterazioni precancerose, quindi un carcinoma può comunque insorgere. In alcuni studi caso-controllo, determinati test hanno rilevato una diminuzione della funzionalità cognitiva in piccoli campioni di consumatori di dosi elevate a lungo termine; questo risultato è in attesa di conferme. Gli studi sui neonati non hanno trovato evidenza di danni fetali dovuti all’uso di cannabis da parte della madre. É stata riportata una diminuzione del peso fetale, ma quando vengono stimati tutti i fattori (p. es., uso di alcol e tabacco da parte della madre), l’effetto sul peso fetale scompare. Il ∆-9tetraidrocannabinolo viene escreto nel latte materno. Sebbene non sia stato dimostrato alcun danno per i neonati allattati al seno, si raccomanda di evitare l’uso di cannabis da parte delle madri che allattano, così come da parte delle donne incinte. Poiché i metaboliti dei cannabinoidi restano evidenti a lungo, nei consumatori regolari le analisi delle urine dopo un’unica assunzione restano positive per diversi giorni o settimane dalla sospensione. Le analisi che identificano un metabolita inattivo accertano soltanto il consumo, non la disfunzione; il fumatore può non essere sotto l’effetto della droga nel momento in cui la sua urina viene analizzata. L’analisi può rivelare quantità estremamente piccole e quindi è di scarsa utilità nell’identificazione delle modalità d’uso.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA COCAINA Dipendenza psicologica, che a volte porta a un comportamento tossicomanico grave, prodotta dall’assunzione di alte dosi di cocaina, che può causare un eccitamento euforico.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Si sviluppa tolleranza, ma non è stata confermata la dipendenza fisica; quando la droga viene sospesa non si manifesta alcuna sindrome tipica di astinenza. Tuttavia, la tendenza a continuare l’assunzione della droga è forte. La maggior parte dei consumatori ne fa un uso episodico a scopo edonistico, limitandone volontariamente il consumo. Tuttavia, nel Nordamerica si è avuto un aumento dell’uso di cocaina e dello sviluppo di un comportamento tossicomanico in alcuni consumatori, sebbene sia stato registrato recentemente un declino di tale fenomeno. Sebbene negli USA la cocaina venga per lo più inalata per via nasale, ha avuto molta pubblicità l’assunzione di cocaina fumata sotto forma di crack. Il sale cloridrato importato viene convertito in forma più volatile, di solito aggiungendo bicarbonato di sodio o acqua e riscaldandolo. La sostanza trasformata viene accesa, e si inala il fumo che ne risulta. L’inizio dell’effetto é più rapido e l’intensità dello "sballo" é maggiore. L’uso del crack da parte degli strati sociali urbani più bassi e il suo traffico illegale sono divenuti i problemi più temibili nel campo dell’abuso di sostanze. Nonostante le frequenti previsioni in tal senso, l’uso di crack non si è diffuso nelle zone suburbane o nelle classi medie urbane. Il suo uso continuativo si verifica tuttora soprattutto negli americani indigenti.

Sintomi e segni Gli effetti variano a seconda delle modalità di assunzione. Se viene iniettata EV o fumata, la cocaina produce ipereccitazione, ipervigilanza, euforia e sensazione di capacità e potenza. L’eccitamento e lo "sballo" sono simili a quelli prodotti iniettandosi amfetamina. Queste sensazioni sono meno intense e dirompenti nei consumatori che inalano la cocaina per via nasale. Poiché la cocaina ha una durata d’azione molto breve, i consumatori accaniti possono iniettarsela EV o fumarla q 10-15 min. Questa somministrazione ripetuta produce effetti tossici come tachicardia, ipertensione, midriasi, contrazioni muscolari, insonnia e nervosismo molto accentuato. Se si manifestano allucinazioni, deliri paranoidi e comportamenti aggressivi, la persona può essere pericolosa. Le pupille si dilatano al massimo e gli effetti simpaticomimetici della droga aumentano la gittata cardiaca e polmonare e la frequenza cardiaca. L’overdose di cocaina può provocare tremori, convulsioni e delirium. La morte può sopravvenire per aritmie e insufficienza cardiovascolare. Poiché file:///F|/sito/merck/sez15/1951708.html (1 of 2)02/09/2004 2.26.42

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l’eliminazione parziale della cocaina dal sangue richiede l’integrità delle esterasi seriche, è probabile che i pazienti con estrema tossicità clinica possano avere delle colinesterasi ridotte (atipiche) su base genetica. L’uso associato di cocaina e alcol produce un prodotto di condensazione, il cocaetilene, che ha proprietà stimolanti e può contribuire alla tossicità. Nel consumatore accanito di tipo compulsivo, che spesso ha una storia di uso di eroina, si manifestano effetti tossici gravi. Eccezionalmente, le "sniffate" ripetute provocano perforazione del setto nasale. Fumare ripetutamente crack a dosi elevate ha gravi conseguenze tossiche cardiovascolari e comportamentali.

Terapia In genere non è necessario il trattamento dell’intossicazione acuta da cocaina, perché la droga ha una durata d’azione estremamente breve. Se è richiesto l’intervento per un’overdose, possono essere usati i barbiturici o il diazepam EV, ma l’approccio più adeguato è costituito da una stretta sorveglianza e dal sostegno delle funzioni vitali. Gli anticonvulsivanti non prevengono le crisi convulsive dovute a overdose di cocaina. É necessario trattare l’ipertermia o l’elevazione significativa della PA che raramente ne conseguono. La sospensione dell’uso protratto di cocaina richiede un’assistenza considerevole, e la depressione che ne può risultare richiede uno stretto controllo e un trattamento. Esistono molte terapie aspecifiche, tra cui i gruppi di sostegno e di auto-aiuto e i numeri verdi sulla cocaina. É disponibile una terapia estremamente costosa in regime di ricovero. Il trattamento dei neonati di madri con tossicomania da cocaina è descritto in Astinenza da cocaina alla voce Patologia metabolica nel neonato nel Cap. 260.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA AMFETAMINA Dipendenza psicologica prodotta dalle amfetamine, che provocano elevazione dell’umore, aumento del tempo di veglia, della vigilanza, della concentrazione, delle prestazioni fisiche e una sensazione di benessere.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

La sintesi e l’uso illecito di metamfetamina sono il principale tipo di abuso di amfetamine nel Nordamerica. L’amfetamina e la metamfetamina sono prescrivibili, ma è cessato l’uso un tempo diffuso dell’amfetamina per sopprimere l’appetito. La sua prescrivibilità per altre indicazioni (p. es., la narcolessia, il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività) è limitata. La metamfetamina fumabile ("ghiaccio") ha avuto molta pubblicità, sebbene il suo uso sia limitato alle Hawaii e, in grado minore, alla California; è il sale cloridrato a essere volatile, piuttosto che la sostanza base. Gli effetti sono intensi e persistono più a lungo del breve "sballo" da crack.

Sintomi e segni Gli effetti psicologici del consumo di amfetamina o metamfetamina sono simili a quelli prodotti dalla cocaina. Sebbene non si verifichi una sindrome di astinenza tipica, si manifestano alterazioni dell’EEG, che secondo alcuni soddisfano i criteri fisiologici per una dipendenza. La sospensione brusca di amfetamina può smascherare una depressione soggiacente o scatenare una reazione depressiva grave. In molte persone, la sospensione é seguita da 2 o 3 giorni di astenia intensa o sonnolenza e da depressione psichica. L’amfetamina induce una tolleranza che si sviluppa lentamente; l’aumento della dose può essere così progressivo, che alla fine possono essere ingerite o iniettate dosi svariate centinaia di volte maggiori di quella terapeutica originaria. La tolleranza ai vari effetti si sviluppa in maniera diversa, quindi la tachicardia e l’ipervigilanza possono diminuire, ma possono manifestarsi effetti psicotossici, come allucinazioni e deliri. Tuttavia, anche dosi massicce difficilmente sono fatali. Si ha notizia di consumatori cronici che hanno assunto fino a 15 mg di amfetamina EV in 24 h senza disturbi acuti visibili. I consumatori di amfetamina sono soggetti a incidenti, poiché la sostanza produce eccitamento e megalomania seguiti da affaticamento eccessivo e sonnolenza. Se assunta per via endovenosa, l’amfetamina può condurre a un grave comportamento antisociale e può scatenare un episodio schizofrenico. Alte dosi continuative di metamfetamina possono produrre reazioni d’ansia in cui il soggetto è angosciato, presenta tremori e é preoccupato dal suo benessere fisico; la psicosi da amfetamina, in cui il soggetto interpreta in modo erroneo le azioni degli altri, ha allucinazioni e diventa eccessivamente sospettoso; una file:///F|/sito/merck/sez15/1951709.html (1 of 2)02/09/2004 2.26.43

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sindrome da esaurimento, comprendente grande astenia e bisogno di sonno, dopo la fase di stimolazione; uno stato depressivo prolungato, durante il quale è possibile il suicidio. La conseguenza pressoché inevitabile dell’uso prolungato di alte quantità EV è una psicosi paranoidea, che tuttavia può anche essere provocata da un alto dosaggio PO. Eccezionalmente, la psicosi viene scatenata da una singola dose elevata o da dosi moderate ripetute. Gli aspetti tipici di tale psicosi comprendono deliri di persecuzione, idee di riferimento e sentimenti di onnipotenza. I soggetti che usano dosaggi elevati EV normalmente accettano l’idea che prima o poi diverranno paranoici e spesso non passano all’atto. Tuttavia, con un uso molto intenso della sostanza o dopo svariate settimane di assunzione, tale consapevolezza può venire a mancare e il consumatore può reagire ai deliri. È frequente il miglioramento nella psicosi da amfetamina anche dopo un uso prolungato. Anche i consumatori totalmente disorganizzati e paranoici possono guarire lentamente ma in maniera completa. I sintomi più floridi scompaiono in pochi giorni o settimane, ma spesso persistono per alcuni mesi confusione, perdita di memoria e ideazione delirante.

Terapia Lo stato psicotico acuto agitato, con deliri paranoidi e allucinazioni visive e uditive, risponde in modo marcato alle fenotiazine; la clorpromazina in dosi di 2550 mg IM fa regredire rapidamente questo stato, ma può produrre una grave ipotensione posturale. L’aloperidolo da 2,5 a 5 mg IM è efficace; provoca raramente ipotensione, ma può produrre una pericolosa reazione motoria acuta di tipo extrapiramidale. In genere la rassicurazione e un ambiente calmo e non minaccioso permettono al paziente di riprendersi. L’acidificazione delle urine con cloruro di ammonio in dosi di 500 mg PO q 4 h favorisce l’escrezione dell’amfetamina.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA ALLUCINOGENI Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Gli allucinogeni comprendono la dietilamide dell’acido lisergico (LSD), la psilocibina, la mescalina, la 2,5-dimetossi-4-metilamfetamina, la 3,4metilendiossimetamfetamina (MDMA) e altri derivati simil-anfetaminici di sostituzione. Il termine "allucinogeno" è ancora in uso, sebbene l’assunzione di tali farmaci possa anche non produrre allucinazioni. Termini alternativi come sostanze "psichedeliche" o "psicotomimetiche" sono ancora meno adatti. In Olanda, Gran Bretagna e Nordamerica si è diffuso l’uso di MDMA per ballare ("rave"). Possono essere consumati da 100 a 200 mg della sostanza da strada, ballando per ore su musica accompagnata da effetti di luce e altri effetti speciali. La MDMA ha effetti stimolanti di tipo amfetaminico accompagnati da una sindrome psichedelica che provoca sicurezza di sé, empatia ed euforia. In Europa, l’uso di MDMA ha provocato alcuni decessi, molto probabilmente dovuti a grave disidratazione accompagnata da coagulazione vasale disseminata, mioglobinuria e insufficienza renale. I sostenitori della riduzione del danno raccomandano di mettere a disposizione l’acqua nei "rave", e di predisporre stanze refrigerate di "smaltimento". Tali decessi non sono stati riscontrati in Nordamerica; la MDMA europea può essere più tossica perché contiene altre sostanze affini alla MDMA, ma questa spiegazione ha basi ipotetiche.

Sintomi e segni Gli allucinogeni inducono uno stato di eccitamento del SNC e un’iperattività autonomica centrale, che si manifesta con alterazioni percettive e dell’umore (in genere euforia, talvolta depressione). Le allucinazioni vere e proprie sono apparentemente rare. La dipendenza psichica dagli allucinogeni é molto variabile ma di solito non é intensa e, qualora tali sostanze vengano sospese improvvisamente, non può essere rilevata alcuna evidenza di dipendenza fisica. Per l’LSD si sviluppa un alto grado di tolleranza che scompare rapidamente. Coloro che utilizzano tali sostanze, con tolleranza per ognuna di esse, mostrano una tolleranza crociata alle altre. I principali rischi di queste sostanze sono gli effetti psichici e la compromissione della capacità di giudizio, che può condurre a decisioni pericolose o a incidenti. Le reazioni agli allucinogeni dipendono da numerosi fattori, tra cui le aspettative del consumatore, la sua abilità nell’affrontare le distorsioni percettive e il contesto di assunzione. Le reazioni avverse (crisi d’ansia, apprensività estrema, stati di panico) all’LSD sono rare. Per lo più, queste reazioni regrediscono rapidamente con un trattamento adeguato in un ambiente sicuro. Tuttavia, alcuni soggetti (soprattutto dopo aver usato LSD) continuano ad avere disturbi e possono manifestare uno stato psicotico persistente. Non è chiaro se l’uso della droga sia in grado di accelerare o di rendere palese un potenziale psicotico preesistente, o

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se possa produrre tale condizione in un soggetto precedentemente stabile dal punto di vista psichico. Alcuni soggetti, soprattutto i consumatori cronici o abituali di allucinogeni (particolarmente di LSD), possono manifestare gli effetti evidenti di tali sostanze anche dopo averne interrotto l’uso. Questi episodi (flashback) sono costituiti per lo più da illusioni visive, ma possono includere distorsioni sensoriali di ogni tipo (anche dell’immagine di sé o delle percezioni del tempo e dello spazio) e allucinazioni. Possono essere scatenati dall’assunzione di marijuana, alcol o barbiturici, dallo stress o dalla fatica, oppure possono avvenire senza ragioni apparenti. I meccanismi dei flashbak sono sconosciuti. Tendono a regredire in 612 mesi.

Terapia Generalmente, in caso di reazione negativa da allucinogeni, è sufficiente rassicurare il paziente che i pensieri strani, le visioni e le allucinazioni uditive sono dovute alla droga e non a un esaurimento nervoso. Le fenotiazine devono essere usate con estrema cautela a causa del pericolo di ipotensione, particolarmente nel caso di ingestione di fenciclidina (v. oltre). Gli ansiolitici come il clordiazepossido o il diazepam possono contribuire a ridurre l’ansia terrificante. Anche per i forti consumatori di allucinogeni, lo svezzamento dalla droga di solito si ottiene facilmente; alcuni di essi possono necessitare di un trattamento psichiatrico per problemi associati. Può essere di beneficio una relazione d’aiuto con un medico, con contatti frequenti. Gli stati psicotici persistenti o gli altri disturbi psichici richiedono un trattamento psichiatrico adeguato. I flashback transitori e non eccessivamente disturbanti per il paziente non richiedono un trattamento particolare. Tuttavia, quelli associati ad ansia e depressione possono richiedere una terapia simile a quella delle reazioni avverse acute.

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE USO DI FENCICLIDINA Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

L’uso di fenciclidina (PCP) non è più così frequente in Nordamerica, sebbene non sia del tutto scomparso. Questa sostanza non è facilmente classificabile e viene considerata come distinta dagli allucinogeni. Possiede un numero sconcertante di effetti sul SNC e la sua neurofarmacologia è ancora poco conosciuta. La ketamina, un anestetico dissociativo correlato alla PCP, a volte viene usata in modo improprio. La PCP, il cui nome é tratto da una sigla degli anni ‘60 (Peace Pill-Pillola della Pace), è stata introdotta alla fine degli anni ‘50 come anestetico nell’uomo perché é in grado di bloccare l’attenzione percettiva agli stimoli nocicettivi (anestesia dissociativa). Il suo uso è stato abbandonato perché i pazienti spesso manifestavano ansia grave, stati deliranti o una psicosi franca nel periodo postoperatorio. Non veniva riferito di pazienti violenti. In passato era disponibile come anestetico per uso veterinario, ma attualmente tutta la PCP da strada proviene dalla sintesi clandestina. Occasionalmente iniettata o ingerita, per lo più viene cosparsa su sostanze che vengono fumate (p. es., prezzemolo, foglie di menta, tabacco, marijuana) oppure viene combusta o inalata.

Sintomi e segni Alle dosi più basse si manifesta un’euforia con stordimento, sebbene questa sia spesso seguita da esplosioni d’ansia o da labilità dell’umore. Dosaggi più alti producono uno stato di ritiro catatonico, atassia, disartria, ipertono muscolare e scosse miocloniche. L’eccessiva salivazione distingue l’assunzione di PCP da quella di alte dosi di stimolanti del SNC (p. es., cocaina, amfetamina) che causano secchezza delle fauci. Spesso è presente un insolito nistagmo rotatorio e verticale, che é di ausilio alla diagnosi. Le condizioni cardiovascolari di solito non subiscono alterazioni. Con dosaggi molto alti possono manifestarsi coma, convulsioni e ipertensione grave; i decessi sono rari. Sono stati descritti stati psicotici prolungati dopo assunzione di PCP.

Terapia Il diazepam da 10 a 20 mg PO spesso è utile a ridurre l’ansia ed è di uso obbligato quando si manifestano crisi convulsive. Alcuni medici ritengono invece utile l’uso di aloperidolo. Sono stati inoltre descritti casi di ipotensione secondari all’uso di clorpromazina. In caso di ipertensione grave si può usare il diazossido. La PCP é altamente liposolubile e può restare nel SNC, assieme ai suoi metaboliti, per molto tempo. Poiché la PCP in soluzione è alcalina, ne vengono

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Uso e dipendenza da sostanze

escrete ampie quantità nello stomaco, che vanno eliminate con lavande gastriche prolungate. Le lavande possono essere più efficaci se accompagnate da acidificazione con cloruro di ammonio (oppure con altro agente).

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Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE DIPENDENZA DA SOLVENTI VOLATILI Stato di intossicazione ottenuto con l’inalazione di solventi industriali e spray. L’uso di solventi volatili continua a essere un problema endemico tra i giovani. Circa il 10% degli adolescenti negli USA li ha inalati. I solventi volatili (p. es., idrocarburi alifatici e aromatici, idrocarburi clorati, chetoni, acetati, etere, cloroformio e alcol) provocano una temporanea stimolazione del SNC seguita da depressione. Con l’uso frequente si può sviluppare una tolleranza parziale e una dipendenza psicologica, ma non si manifesta una sindrome da astinenza. Compaiono precocemente sintomi acuti quali stordimento, sonnolenza, difficoltà nell’eloquio e andatura incerta. Possono verificarsi impulsività, eccitamento e irritabilità. Con il progredire degli effetti sul SNC compaiono illusioni, allucinazioni e deliri. Il consumatore sperimenta uno "sballo" euforico-oniroide, che termina con un breve periodo di sonno. Si sviluppa un delirium con confusione, impaccio psicomotorio, labilità emotiva e disturbi del pensiero. Lo stato di intossicazione può durare da alcuni minuti a un’ora o più. Le complicanze possono essere secondarie all’effetto dei solventi o di altri loro componenti tossici, come il piombo nella benzina. Il tetracloruro di carbonio può essere responsabile di un quadro di insufficienza renale o epatica. In seguito a forte esposizione o a ipersensibilità possono comparire danni a livello cerebrale, epatico, renale e del midollo osseo. La morte per lo più é causata da arresto respiratorio, aritmie cardiache o da asfissia per occlusione delle vie aeree. Il trattamento dei bambini dipendenti dai solventi è difficile, e le ricadute sono frequenti. Tuttavia, la maggior parte dei consumatori sospende l’uso di solventi alla fine dell’adolescenza. Possono essere utili dei tentativi intensivi di migliorare complessivamente le abilità sociali del paziente e la sua condizione familiare, scolastica e sociale. Per i sintomi e il trattamento dell’intossicazione da solventi specifici, v. Tab. 307-3.

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Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE NITRITI VOLATILI Il nitrito d’amile (popper) può essere inalato per alterare lo stato di coscienza e aumentare il piacere sessuale. Il consumo è particolarmente diffuso tra gli omosessuali maschi nelle aree urbane. Vengono usati anche altri nitriti (butile, isobutile), p. es., il Locker Room ("spogliatoio") e il Rush ("orgasmo bollente"). Vi sono scarse evidenze di rischi significativi, sebbene i nitriti e i nitrati producano vasodilatazione, con ipotensione di breve durata, stordimento e vampate, seguiti da tachicardia riflessa (v. anche Clorati, nella Tab. 307-3).

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Disturbi del comportamento alimentare

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 196. DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE ANORESSIA NERVOSA Disturbo caratterizzato da percezione alterata dell’immagine corporea, da paura morbosa dell’obesità, dal rifiuto di mantenere un peso corporeo ai minimi normali e, nelle donne, da amenorrea.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L’eziologia è sconosciuta, ma sembrano importanti i fattori sociali. La desiderabilità della magrezza è presente in tutte le società occidentali e l’obesità viene considerata priva di attrattiva, malsana e indesiderabile. Circa l’80-90% dei bambini è consapevole di tali atteggiamenti, e più del 50% delle ragazze in età prepuberale segue una dieta o intraprende altre misure per controllare il peso. Tuttavia, poiché solo una piccola percentuale di essi sviluppa un’anoressia nervosa, devono essere importanti altri fattori. Alcune persone hanno una predisposizione al disturbo, probabilmente a causa di una mal definita vulnerabilità psicologica, genetica o metabolica. L’anoressia nervosa è rara nelle aree con una autentica crisi alimentare. Circa il 95% delle persone con questo disturbo è di sesso femminile. L’esordio di solito si manifesta nel corso dell’adolescenza, occasionalmente in epoca precedente e meno comunemente nell’età adulta. Molte pazienti appartengono alle classi socioeconomiche medie o superiori. Sono stati riscontrati tassi di mortalità dal 10 al 20%. Tuttavia, poiché molti casi lievi probabilmente non vengono diagnosticati, la prevalenza e i tassi di mortalità effettivi sono sconosciuti.

Sintomi e segni L’anoressia nervosa può essere lieve e transitoria oppure grave e cronica. Molti dei soggetti con questo disturbo sono meticolosi, compulsivi e intelligenti, con modelli molto alti di carriera e di successo. I primi indicatori dell’imminente disturbo sono la preoccupazione per il peso corporeo (anche in pazienti già magre, che sono la maggior parte) e la limitazione dell’assunzione di cibo. La preoccupazione e l’ansia riguardo al peso successivamente aumentano, anche se sopravviene il deperimento. La negazione del disturbo è una caratteristica rilevante. Le pazienti non si lamentano dell’anoressia o della perdita di peso, di solito fanno resistenza al trattamento e sono condotte all’attenzione del medico dalle proprie famiglie, da malattie intercorrenti, oppure da fastidi legati ad altri sintomi (p. es., gonfiore, dolore addominale, stipsi). "Anoressia" è un termine improprio, perché l’appetito si conserva anche se la paziente arriva a essere cachettica. Le pazienti sono assorbite dai pensieri riguardanti il cibo: meditano a lungo su diete e calorie; accumulano, nascondono e buttano via il cibo; collezionano ricette; preparano pasti elaborati per altre file:///F|/sito/merck/sez15/1961712.html (1 of 3)02/09/2004 2.26.46

Disturbi del comportamento alimentare

persone. Sono spesso manipolative, mentendo sull’assunzione di cibo e sui comportamenti adottati di nascosto, come l’induzione del vomito. Il 50% delle anoressiche presenta abbuffate seguite da vomito auto-indotto, e fa uso di lassativi e diuretici (comportamento di abbuffata-eliminazione, v. oltre, Bulimia nervosa. Il restante 50% delle pazienti riduce semplicemente l’assunzione di cibo. La maggior parte di esse, svolge attività fisica eccessiva per tenere sotto controllo il proprio peso. Le pazienti di solito perdono interesse riguardo al sesso. Altri reperti comuni comprendono PA bassa, ipotermia, lanugine o irsutismo lieve ed edemi. Anche le pazienti apparentemente cachettiche tendono a restare molto attive (anche mantenendo programmi impegnativi di esercizio fisico), non manifestano sintomi di deficienze nutrizionali e non hanno una particolare suscettibilità alle infezioni. La depressione è frequente. Le alterazioni endocrine comprendono schemi di secrezione di ormone luteinizzante tipici della fase prepuberale o puberale precoce, bassi livelli di tiroxina e triiodotironina e aumento della secrezione di cortisolo. In una paziente gravemente malnutrita, praticamente ogni apparato principale può avere disfunzioni, ma i disturbi cardiaci e idroelettrolitici sono i più pericolosi. La massa muscolare cardiaca, le dimensioni delle camere cardiache e la gittata diminuiscono. Possono manifestarsi disidratazione e alcalosi metabolica e bassi livelli ematici di potassio; tutto ciò è aggravato dal vomito auto-indotto e dall’uso di lassativi oppure diuretici. Possono verificarsi morti improvvise, per lo più dovute ad aritmie ventricolari. Alcune pazienti hanno un prolungamento dell’intervallo QT (anche se la valutazione viene corretta rispetto alla frequenza cardiaca), che insieme ai rischi imposti dai disturbi elettrolitici può predisporre ad aritmie.

Diagnosi L’anoressia nervosa si rende di solito evidente dalla costellazione di sintomi e segni descritta sopra, particolarmente la perdita 15% del peso corporeo in un soggetto giovane che teme l’obesità, sviluppa amenorrea, nega la malattia e per il resto sembra star bene. La chiave per la diagnosi è l’elicitazione della paura fondamentale dell’obesità, paura che non viene diminuita dalla perdita di peso. Nel sesso femminile, l’amenorrea è necessaria alla diagnosi. Nei casi gravi, può essere necessaria la diagnosi differenziale con una depressione grave o con sintomi che suggeriscono un altro disturbo, come la schizofrenia. Accade di rado che un disturbo fisico grave, come un’enterite regionale o un tumore cerebrale, venga diagnosticato erroneamente come anoressia nervosa.

Terapia Il trattamento ha due fasi: un intervento a breve termine per ristabilire il peso corporeo e salvare la vita, e una terapia a lungo termine per migliorare il funzionamento psicologico e prevenire le ricadute. Se la perdita di peso è stata grave o rapida oppure il peso è sceso sotto un determinato livello arbitrario (p. es., il 75% di quello ideale), diviene decisiva una rapida reintegrazione del peso e il ricovero è indispensabile. In caso di dubbio, la paziente va comunque ricoverata. Allontanare la paziente da casa a volte ha l’effetto di invertire un decorso ingravescente, sebbene sia spesso necessario un trattamento psichiatrico più attivo. Raramente è necessaria la nutrizione con sondino o parenterale. Non appena lo stato nutrizionale e l’equilibrio idroelettrolitico della paziente si è stabilizzato, ha inizio il trattamento a lungo termine. Quest’ultimo è complicato dall’avversione della paziente per l’aumento di peso, dal diniego della malattia e dai comportamenti manipolativi. Il medico deve cercare di fornire una relazione

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Disturbi del comportamento alimentare

serena, partecipe e stabile, incoraggiando contemporaneamente una ragionevole assunzione di calorie. Spesso è utile la gestione congiunta da parte del medico di famiglia e di uno psichiatra ed è cosa saggia la consulenza o l’invio a uno specialista in disturbi del comportamento alimentare. La psicoterapia individuale (comportamentale, cognitiva o psicodinamica) è di giovamento, così come risulta benefica la terapia familiare per le pazienti più giovani. La fluoxetina è utile a prevenire le ricadute dopo che il peso sia stato ristabilito.

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Disturbi del comportamento alimentare

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 196. DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE BULIMIA NERVOSA Disturbo caratterizzato da episodi ricorrenti (almeno due volte a settimana) di abbuffate compulsive durante le quali il paziente consuma grandi quantità di cibo e si sente incapace di smettere di mangiare, seguite da sforzi compensatori incongrui per evitare l’aumento di peso, come il vomito autoindotto, l’abuso di diuretici o lassativi, l’esercizio fisico eccessivo oppure i digiuni.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La bulimia nervosa, come l’anoressia nervosa, colpisce principalmente donne giovani, e le pazienti sono costantemente ed eccessivamente preoccupate per la figura corporea e per il peso. A differenza delle pazienti con anoressia nervosa, tuttavia, quelle con bulimia nervosa hanno di solito un peso normale. Circa l’1-3% delle donne in età giovanile è affetto da bulimia nervosa; una quota simile è affetta da varianti lievi del disturbo.

Sintomi e segni La maggior parte delle complicanze fisiche deriva dal comportamento di purificazione. Il vomito autoindotto conduce a erosione dello smalto dei denti incisivi e a ipertrofia non dolorosa delle ghiandole salivari. Occasionalmente si manifestano disturbi idroelettrolitici gravi, specialmente l’ipokaliemia. Molto raramente, durante le abbuffate, lo stomaco si rompe o l’esofago si lacera, portando a complicanze potenzialmente letali. L’abuso a lungo termine di sciroppo di ipecacuana per indursi il vomito può causare una cardiomiopatia. Le pazienti con bulimia nervosa tendono ad avere maggiore consapevolezza, rimorsi o sensi di colpa per i propri comportamenti rispetto a quelle con anoressia nervosa, e hanno più probabilità di ammettere le proprie preoccupazioni in un colloquio con un medico che vada loro a genio. Sono inoltre meno introverse e più inclini ai comportamenti impulsivi, all’abuso di sostanze e alcol e alla depressione conclamata.

Diagnosi Una bulimia nervosa può essere sospettata nelle pazienti che esprimono marcate preoccupazioni riguardo all’aumento del peso corporeo e che hanno ampie variazioni di peso, specialmente se vi sono evidenze di un uso eccessivo di lassativi o di ipokaliemia inspiegabile. Il sospetto è anche generato dalla tumefazione delle parotidi, da cicatrici sulle nocche (per il vomito autoindotto), e dalle erosioni dentarie. Tuttavia, la diagnosi si basa sulla descrizione del file:///F|/sito/merck/sez15/1961714a.html (1 of 2)02/09/2004 2.26.47

Disturbi del comportamento alimentare

comportamento di abbuffata-eliminazione da parte della paziente. Per la diagnosi sono necessari due episodi di abbuffate a settimana per almeno 3 mesi, secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta edizione (DSM-IV), ma il medico di buon senso non si farà costringere in tali rigidi criteri. Tipicamente, tali episodi comportano la consumazione rapida di cibo specialmente di tipo ipercalorico, come gelati e dolci. Le abbuffate variano per la quantità di cibo consumato, a volte contenente migliaia di calorie. Tendono a essere episodiche, sono innescate spesso da stress psicosociali, possono verificarsi fino a numerose volte al giorno e vengono compiute in segreto. Sebbene le pazienti bulimiche esprimano la preoccupazione di diventare obese e alcune lo siano, la maggior parte tende a oscillare intorno a un peso corporeo normale.

Terapia I due approcci al trattamento sono la psicoterapia (cognitivo-comportamentale o interpersonale) e l’uso di antidepressivi. La psicoterapia viene di solito condotta in circa 15-20 sedute individuali per 4-6 mesi e sembra avere benefici a breve e a lungo termine. Gli antidepressivi possono giovare anche in assenza di depressione, ma la psicoterapia ha risultati migliori a lungo termine. Vi sono alcune evidenze che l’associazione di terapia cognitivo-comportamentale e antidepressivi è superiore a ciascuno dei due metodi da solo. Poiché il trattamento richiede perizia ed esperienza, è consigliabile l’invio specialistico.

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Disturbi del comportamento alimentare

Manuale Merck 15. DISTURBI PSICHIATRICI 196. DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA Disturbo di nuova descrizione caratterizzato da abbuffate non seguite da comportamenti di eliminazione.

Sommario: Introduzione Terapia

In questo disturbo, le abbuffate contribuiscono a un’eccessiva assunzione di calorie. A differenza della bulimia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata si manifesta più comunemente nelle persone obese e la sua prevalenza aumenta con l’aumento del peso corporeo. I soggetti con disturbo da alimentazione incontrollata tendono a essere di età maggiore rispetto a quelli con anoressia nervosa o bulimia nervosa, e un maggior numero (quasi la metà) è di sesso maschile. I soggetti affetti soffrono per questo disturbo specialmente se stanno cercando di perdere peso. Circa il 50% degli individui soggetti ad abbuffate è affetta da depressione, in confronto a solo il 5% delle persone obese non soggette a tali attacchi. L’obesità associata al disturbo da alimentazione incontrollata può causare problemi fisici (v. il Cap. 5).

Terapia Non esistono schemi standard di trattamento. La maggior parte dei soggetti viene trattata con programmi tradizionali di dimagrimento per l’obesità, che prestano scarsa attenzione alle abbuffate (anche se il 10-20% dei soggetti inclusi in questi programmi ha questo disturbo). La maggior parte dei soggetti con questo disturbo accetta questa situazione perché è più preoccupata dell’obesità che del disturbo in sé. Sono in corso di sviluppo trattamenti specifici, sulla base di quello della bulimia nervosa; essi comprendono la psicoterapia e i farmaci (antidepressivi e inibitori dell’appetito). Sebbene ambedue i trattamenti siano abbastanza efficaci nel controllo degli attacchi, la psicoterapia sembra avere effetti più duraturi.

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI MALATTIE DEL NERVO FACCIALE La paresi unilaterale dei muscoli facciali è un segno neurologico frequente.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 165-1. DISTINZIONE TRA COMPROMISSIONE DEL PRIMO E DEL SECONDO MOTONEURONE Segni

Danno del primo motoneurone

Riflessi

Iperattivi

Diminuiti o assenti

Atrofia

Assente*

Presente

Fascicolazioni

Assenti

Presenti

Tono

Aumentato

Diminuito o assente

*Può insorgere per disuso prolungato dell’arto.

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Danno del secondo motoneurone

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 165-2. DISTINZIONE TRA IPOSTENIA NEUROGENA E MUSCOLARE Ipostenia neurogena

Ipostenia muscolare

Atrofia eccessiva rispetto alla debolezza

Debolezza eccessiva rispetto all’atrofia

Fascicolazioni

Assenza di fascicolazioni

Frequente assenza di riflessi, con ipostenia minima (la sclerosi laterale amiotrofica rappresenta un’eccezione)

Frequente elicitabilità dei riflessi, anche con marcata ipostenia

Eventuali alterazioni della sensibilità

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Assenza di alterazioni della sensibilità

Approccio al paziente neurologico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO PROCEDURE DIAGNOSTICHE IN NEUROLOGIA (V. anche la trattazione dell’elettronistagmografia nella Valutazione Clinica Dell’Apparato Vestibolare al Cap. 82) Le procedure diagnostiche, uno dei fattori maggiori di aumento dei costi sanitari, non devono essere usate come screening iniziale, salvo che in condizioni di emergenza, quando sia impossibile la valutazione neurologica completa. L’indicazione di ogni singola indagine dipende dal sospetto diagnostico. Puntura lombare: vengono determinate la pressione endocranica e la composizione del liquor (v. Tab. 165-3) e vengono somministrati mediante puntura lombare mezzo di contrasto radioopaco e farmaci intratecali. Le controindicazioni relative comprendono infezioni nella sede in cui si deve effettuare la puntura, la diatesi emorragica, l’aumento della pressione intracranica e la malformazione di Chiari I, la quale ostacola il circolo del liquor. Se sono presenti papilledema o deficit neurologici focali, deve essere esclusa, mediante TAC o RMN, una lesione occupante spazio, prima di effettuare la puntura lombare, per evitare di scatenare un’erniazione trans-tentoriale o cerebellare. Se si ha il sospetto di una meningite batterica, non si devono aspettare i risultati di laboratorio per somministrare il trattamento antibiotico (v. Diagnosi nel Cap. 176 sulle Meningiti batteriche acute). Nel caso di un’emorragia subaracnoidea, la TAC è spesso diagnostica ed evita la necessità di una puntura lombare, la quale può ridurre il tamponamento prodotto da un coagulo dell’aneurisma rotto, facilitando un risanguinamento. Il liquido cefalo rachidiano normale è chiaro e incolore; un numero ≥ 300 cellule/ µλ produce intorbidamento. Un liquor ematico può essere secondario a un prelievo traumatico o a un’emorragia subaracnoidea. Il prelievo traumatico è un’evenienza frequente (quando l’ago penetra nel plesso venoso della parete spinale anteriore) e si distingue per il graduale processo di chiarificazione del liquor (confermato dalla conta delle cellule nella prima e nella quarta provetta di liquor) e per la mancanza di xantocromia dopo centrifugazione. Nell’emorragia subaracnoidea intrinseca, il liquor rimane uniformemente ematico per tutta la durata della raccolta e, nel caso siano passate diverse ore dall’insorgenza dell’ictus, la lisi dei globuli rossi produce xantocromia e si apprezzano microscopicamente globuli rossi a margini irregolari. Un liquor debolmente giallo può essere dovuto a pigmenti senili, a sanguinamento non recente, a un ittero grave o a un aumento del contenuto delle proteine (> 100 mg/dl). La conta cellulare e il dosaggio differenziale del glucoso e delle proteine (rispetto al sangue) aiutano nella diagnostica di molte malattie neurologiche (v. Tab. 1653). In caso di sospetta infezione, il sedimento centrifugato del liquor viene sottoposto a colorazione mediante i coloranti specifici per batteri (colorazione di Gram), per la TBC (colorazione acido-resistente o immunofluorescenza) e per Cryptococcus (inchiostro d’India). Quantità maggiori di liquido (10 ml) aumentano la possibilità di individuare su strisci colorati e in coltura l’agente patogeno, specialmente se si tratta di batteri acido-resistenti (BAR) e di alcuni miceti. In un paziente affetto da meningite meningococcica in fase iniziale o da grave leucopenia, l’aderenza dei batteri al vetrino, durante la colorazione col Gram, causa un insufficiente incremento proteico nel liquor, producendo un falso negativo. Tale falso negativo si può correggere mescolando una goccia di siero sterile al sedimento del liquor. Se si sospetta una meningoencefalite emorragica, si effettua, mediante vetrino umidificato, la ricerca dell’ameba. Il test file:///F|/sito/merck/sez14/1651453.html (1 of 5)02/09/2004 2.27.20

Approccio al paziente neurologico

dell’agglutinazione di particelle di lattice e il test della coagglutinazione vengono effettuati per identificare rapidamente i ceppi batterici, soprattutto in caso di colorazioni e colture negative (p. es., nel caso di meningite trattata parzialmente). Per i BAR e i miceti il liquor deve essere coltivato in aerobiosi e in anaerobiosi. Eccetto gli enterovirus, i virus sono raramente isolati dal liquor. Linee di anticorpi virali sono disponibili in commercio. Vengono spesso effettuati di routine i test per la ricerca di malattie veneree e quelli per l’antigene criptococcico. Il normale rapporto tra glucoso ematico/glucoso del liquor è di circa 0,6 e tranne in casi d’ipoglicemia grave, in genere il glucoso del liquor è > 50 mg/dl (2,78 mmol/l). Un aumento delle proteine nel liquor (> 50 mg/dl) è un indice sensibile ma non specifico di malattia. Un aumento > 500 mg/dl è raro tranne che nella meningite purulenta, nella meningite TBC in stadio avanzato, nel blocco liquorale completo da tumore del midollo o nel caso di liquor francamente ematico. Per la diagnosi di malattie demielinizzanti, sono utili esami particolari per la ricerca delle globuline (normalmente < 15%), di bande oligoclonali, oltre che la ricerca delle proteine basiche della mielina. Tomografia computerizzata: la TAC permette una visualizzazione rapida e non invasiva dei solchi cerebrali, dei ventricoli, della sostanza grigia e della sostanza bianca nonché delle strutture ossee e di eventuali calcificazioni. La TAC evidenzia l’idrocefalo, l’atrofia corticale, le cisti poroencefaliche e le deformazioni cerebrali causate da masse occupanti spazio. La diminuita densità del tessuto si accompagna a edema, infarto, demielinizzazione, formazione di cisti e ascessi. Un’aumentata densità è invece caratteristica delle emorragie recenti e delle lesioni calcificate (p. es., craniofaringioma). La somministrazione di un mezzo di contrasto iodato EV permette la visualizzazione dei vasi ematici, delle malformazioni vascolari, dei tumori e delle zone con alterazioni della barriera ematoencefalica. Si possono esaminare il cranio e la colonna vertebrale per anomalie congenite, fratture, alterazioni osteo-artrosiche ed erosioni ossee da tumore. Con l’iniezione di metrizamide intratecale la TAC permette di rilevare le anomalie del tronco encefalico, del midollo, delle radici dei nervi spinali (p. es., carcinomatosi delle meningi, erniazioni dei dischi) e la siringomielia. Riguardo alla siringomielia, la RMN fornisce immagini migliori. La TAC può indicare l’adozione di un tipo di terapia (p. es., escludendo eventuali emorragie prima del trattamento anticoagulante nell’infarto acuto) o monitorare l’efficacia di una manovra terapeutica (p. es., degli shunt intraventricolari nell’idrocefalo, della terapia radiante nelle metastasi cerebrali o dei farmaci antimicrobici negli ascessi cerebrali). Risonanza magnetica nucleare (RMN): riguardo le strutture nervose, la RMN produce immagini con migliore risoluzione rispetto alla TAC e senza rischi per il paziente. La RMN è particolarmente utile per visualizzare le lesioni del tronco encefalico e altre anomalie della fossa cranica posteriore, mentre le immagini TAC di questa regione sono spesso inficiate da artefatti dovuti alle strutture ossee. La RMN può individuare placche demielinizzanti, l’infarto in fase precoce, l’edema encefalico non sintomatico, le contusioni cerebrali, l’ernia transtentoriale incipiente, le anomalie della giunzione craniocervicale e la siringomielia. Talvolta, lesioni infiammatorie, demielinizzanti e neoplastiche possono essere individuate dopo l’infusione EV di mezzi di contrasto paramagnetico (p. es., gadolinio). Gli svantaggi principali della RMN sono rappresentati dal costo e dalla necessità di ambienti specifici. La RMN è controindicata nei pazienti con pacemaker cardiaco, clip ferromagnetiche per aneurismi o protesi metalliche mobili. È utile specialmente per l’individuazione delle alterazioni spinali (tumore, ascesso) comprimenti il midollo spinale e che necessitano di un intervento urgente. L’angio-risonanza magnetica (angio-RMN) fornisce immagini delle arterie principali e dei loro rami, nel capo e nel collo. Sebbene la RMN non abbia sostituito l’angiografia, essa viene adottata per alcuni pazienti, qualora il rischio e i costi dell’angiografia cerebrale siano eccessivi (p. es., per un paziente che abbia un’improvvisa e recente cefalea invalidante e il sospetto di aneurisma cerebrale ma per il quale la TAC e la puntura lombare non hanno evidenziato sangue subaracnoideo; o per un paziente che rifiuti di sottoporsi all’angiografia). Come strumento diagnostico per l’ictus, la RMN tende a sopravvalutare la gravità della stenosi arteriosa e pertanto in genere non manca di individuare la patologia occlusiva delle grandi arterie.

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Approccio al paziente neurologico

L’angio-RMN fornisce immagini delle grandi vene e dei seni durali del cranio. Essa ovvia alla necessità dell’angiografia cerebrale nella diagnosi di trombosi venose ed è utile per controllare il riassorbimento dei trombi e per indicare la durata della somministrazione degli anticoagulanti. Ecoencefalografia: i tracciati grafici sono prodotti dall’eco di onde sonore dirette verso aree selezionate dell’encefalo. È una tecnica utile per evidenziare le emorragie e l’idrocefalo nei bambini < 2 anni, soprattutto nelle unità di terapia intensiva per neonati. Nei bambini più grandi e negli adulti, la TAC l’ha sostituita ampiamente. Tomografia a emissione di positroni: (PET) la PET è una tecnica di ricerca che utilizza l’assorbimento dei radioisotopi per misurare il flusso ematico, il metabolismo del glucoso e dell’O2 cerebrali. Sebbene fornisca importanti informazioni riguardo l’epilessia, i tumori e gli accidenti cerebrovascolari, ha un valore pratico limitato nella diagnosi clinica. Inoltre, la RMN funzionale, che fornisce immagini dinamiche e fisiologiche dell’encefalo, potrà rendere obsoleta la PET. Angiografia cerebrale: l’esame radiografico dopo iniezione di mezzo di contrasto visualizza i circoli arterioso e venoso nell’encefalo. Mediante l’elaborazione digitale dei dati (angiografia cerebrale digitale a sottrazione), piccole quantità di mezzo di contrasto possono dare immagini ad alta risoluzione. L’angiografia cerebrale è una tecnica supplementare alla TAC e alla RMN per l’identificazione del sito e della vascolarizzazione delle lesioni intracraniche e rappresenta l’indagine di scelta per la diagnosi di arterie stenotiche od occluse, dell’assenza congenita dei vasi, per localizzare aneurismi e malformazioni arterovenose. Dopo leggera sedazione del paziente e anestesia locale, si introduce, generalmente nell’arteria femorale, un catetere flessibile che viene fatto risalire fino all’arco aortico. L’iniezione del mezzo di contrasto delinea l’arco e l’origine dei vasi maggiori (durante questo tempo il paziente avverte uno spiacevole calore). È possibile incannulare le arterie carotidi e vertebrali per esaminare la pervietà, l’anatomia e il flusso attraverso il collo e il cranio. Possono essere visualizzati vasi piccoli del calibro di 0,1 mm. In alcuni centri, il neuroradiologo è anche un interventista che può, a seconda del processo patologico, far seguire all’angiografia l’angioplastica, l’applicazione di stent, la trombolisi intra-arteriosa o la chiusura di aneurismi. Ultrasonografia duplex Doppler: questa procedura non invasiva permette di valutare la dissecazione, la stenosi, l’occlusione e l’ulcerazione della biforcazione carotidea. È sicura e può essere effettuata rapidamente in ambulatorio ma non fornisce gli stessi dettagli dell’angiografia. È preferibile all’ultrasonografia doppler periorbitaria e all’oculoplatismografia per la valutazione di pazienti con attacchi ischemici transitori nel territorio carotideo ed è utile per seguire nel tempo le anomalie. L’ultrasonografia Doppler transcranica è utile nella valutazione del flusso ematico residuo nella morte cerebrale, del vasospasmo dell’arteria cerebrale media in seguito a emorragia subaracnoidea e dell’ictus vertebrobasilare. Mielografia: l’esame rx del midollo viene effettuato dopo la somministrazione nello spazio subaracnoideo di mezzo di contrasto (p. es., iohexolo, iopamidolo o un altro agente idrosolubile non ionico) mediante puntura lombare. La mielografia permette di visualizzare anomalie nel canale vertebrale (p. es., ernie del disco, becchi osteofitari, tumori midollari intrinseci ed estrinseci, malformazioni arterovenose, metastasi meningee e aracnoiditi). Questo mezzo di contrasto non necessita di rimozione, può aumentare la risoluzione (specialmente delle radici spinali) e insieme alla TAC può contribuire a chiarire diagnosi differenziali altrimenti problematiche (p. es., siringomielia versus tumore midollare). Le controindicazioni sono le stesse della puntura lombare (v. sopra). La mielografia può aggravare gli effetti di un blocco spinale completo, soprattutto se si rimuove troppo rapidamente un’eccessiva quantità di liquido. I radiologi devono porre sempre attenzione alla possibilità di un blocco completo. La RMN ha ampiamente sostituito la mielografia nella valutazione delle anomalie intraspinali.

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Approccio al paziente neurologico

Elettroencefalografia (EEG): tale metodica individua le alterazioni elettriche associate a epilessia, disturbi del sonno ed encefalopatie metaboliche od organiche. Viene registrato nel tempo il voltaggio delle correnti elettriche encefaliche. Si applicano simmetricamente in corrispondenza dell’encefalo venti elettrodi (più uno al vertice). L’EEG normale nella persona sveglia mostra onde alfa (8-12 Hz), di 50 µV, che aumentano e diminuiscono sui lobi parieto-occipitali e onde beta > 12 Hz, di 10-20 µV frontalmente, con interposte onde theta di 47 Hz. La registrazione viene esaminata per scoprire eventuali asimmetrie tra i due emisferi (lesioni focali), eventuali eccessivi rallentamenti (comparsa di onde delta da 1-4 Hz, 50-350 µV come si nota nelle alterazioni dello stato di coscienza, nelle encefalopatie e nelle demenze) e per analizzare infine quadri di onde anormali. Alcune anomalie EEG non sono specifiche (p. es., le onde puntute epilettiformi); altre sono diagnostiche (p. es., complesso onda-punta di 3 Hz delle assenze di piccolo male, complessi pseudoperiodici di 1 Hz della malattia di CreutzfeldtJakob). L’EEG è particolarmente utile per analizzare le alterazioni dello stato di coscienza, di eziologia incerta, che si presentano episodicamente. In caso di sospetta epilessia con normale registrazione di base, tutte le manovre in grado di attivare la corteccia (iperventilazione, stimolazione luminosa, induzione e deprivazione del sonno) possono talvolta evidenziare un disturbo comiziale. La registrazione con l’elettrodo naso-faringeo può inoltre servire a evidenziare un focus epilettogeno del lobo temporale che si presenti con EEG standard negativo. Il monitoraggio ambulatoriale continuo nelle 24 h dell’EEG (con o senza video-monitoraggio), può stabilire sovente se amnesie transitorie, auree soggettive o comportamenti episodici inusuali siano di origine comiziale. Potenziali evocati: stimoli visivi, uditivi o tattili vengono utilizzati per attivare le vie nervose e i nuclei corrispondenti, con conseguente produzione di piccoli potenziali d’onda a livello corticale. Normalmente questi piccoli potenziali si perdono nel rumore di fondo della registrazione EEG, ma una somma computerizzata di una serie di stimoli permette la loro individuazione. La latenza, la durata e l’ampiezza dei potenziali evocati riflettono l’integrità fisiologica della via sensitiva esaminata. Questo metodo è particolarmente utile per scoprire lesioni nascoste nelle malattie demielinizzanti, per valutare i sistemi sensitivi nei bambini poco collaborativi, per confermare i deficit nei pazienti con dubbia organicità e per seguire il decorso subclinico di una malattia. Per esempio, i potenziali evocati visivi sono in grado di rivelare un danno non sospettato del nervo ottico nella sclerosi multipla (v. Cap. 180). Quando è in questione l’integrità funzionale del tronco encefalico, i potenziali evocati uditivi (v. Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare al Cap. 82) costituiscono un test obiettivo. I potenziali evocati somatosensoriali sono in grado di localizzare con esattezza le alterazioni funzionali quando diversi livelli del nevrasse sono interessati da malattie organiche (p. es., metastasi da carcinoma interessanti un plesso e il midollo). Elettromiografia e studi sulla velocità di conduzione nervosa: quando è clinicamente difficile imputare il deficit di forza a un nervo, al muscolo o alla giunzione neuromuscolare, gli esami elettrofisiologici si rivelano spesso diagnostici, potendo inoltre stabilire quali nervi o muscoli siano clinicamente o asintomaticamente compromessi. Nell’elettromiografia si inserisce un elettrodo ad ago per registrare l’attività elettrica muscolare, che viene seguita attraverso un oscilloscopio e ascoltata mediante un amplificatore. L’attività viene registrata durante il riposo e la contrazione muscolare. Normalmente il muscolo a riposo è elettricamente silente; con una minima contrazione compaiono i potenziali di azione di singole unità motorie. Con l’aumento della contrazione il numero dei potenziali aumenta fino a formare un quadro di interferenza. Le fibre muscolari denervate si riconoscono per l’aumento di attività anormale durante l’inserzione degli aghi e di attività spontanea (fibrillazioni e fascicolazioni). Viene reclutato un numero minore di unità motorie per la contrazione (ridotto quadro di interferenza) e compaiono potenziali d’azione giganti (gli assoni superstiti innervano le fibre dei muscoli adiacenti ampliando così l’unità motoria). Nelle malattie muscolari le singole fibre sono colpite indipendentemente dalla loro unità motoria; l’ampiezza dei loro potenziali appare pertanto diminuita, mentre il quadro di interferenza rimane normale. file:///F|/sito/merck/sez14/1651453.html (4 of 5)02/09/2004 2.27.20

Approccio al paziente neurologico

Negli studi di velocità della conduzione nervosa si stimola un nervo periferico con impulsi elettrici lungo il suo decorso fino al muscolo e si registra il tempo necessario per l’inizio della contrazione. Il tempo che un impulso impiega per attraversare un determinato segmento del nervo determina la velocità di conduzione. Il tempo richiesto per attraversare il segmento del nervo più vicino al muscolo viene definito come latenza distale. Si possono effettuare simili misurazioni per i nervi sensitivi. Quando il deficit di forza è dovuto a una malattia muscolare la velocità di conduzione risulta normale. Nelle neuropatie la conduzione è spesso rallentata e la morfologia della risposta può mostrare una dispersione dei potenziali dovuta al coinvolgimento disomogeneo di assoni contenenti mielina e di assoni amielinici. La stimolazione ripetuta di un nervo può determinare la soglia di affaticabilità della giunzione neuromuscolare (p. es., nella miastenia grave si osserva un progressivo decremento della risposta).

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Neurotrasmissione

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 166. NEUROTRASMISSIONE Sommario: Introduzione Principi basilari della neurotrasmissione Principali neurotrasmettitori Principali recettori Trasporto dei neurotrasmettitori

Una cellula nervosa (neurone) svolge due funzioni principali: propaga un potenziale d’azione (impulso nervoso, segnale) lungo il proprio assone e trasmette questo segnale da un neurone all’altro, oppure a un effettore cellulare, per elicitarne la risposta. Gli effettori cellulari comprendono i muscoli scheletrici e quello cardiaco nonché le cellule esocrine ed endocrine regolate dal sistema nervoso. La conduzione di impulsi lungo un assone è di tipo elettrico ed è provocata dagli scambi di ioni Na+ e K+ attraverso la membrana neuronale. Per contro, la trasmissione di impulsi da un neurone a un altro neurone o a un effettore cellulare non neuronale dipende dall’azione di specifici neurotrasmettitori su specifici recettori. Un particolare neurone genera un identico potenziale d’azione dopo ogni stimolo e lo conduce a una velocità fissa lungo l’assone. La velocità dipende dal diametro assonale e dal grado di mielinizzazione. Per le fibre mieliniche, la velocità (m/s) è circa 3,7 volte il diametro (µ); p. es., per una grande fibra (20 µ), la velocità raggiunge quasi i 75 m/s. Per una fibra non mielinica, la velocità è di 1-4 m/s. Un neurone riceve simultaneamente molti stimoli positivi e negativi da altri neuroni e li integra in vari tipi di scariche. Gli impulsi nervosi viaggiano lungo gli assoni fino alla sinapsi successiva. Una volta iniziata la propagazione assonale, i farmaci o le tossine sono in grado di modificare la quantità del neurotrasmettitore rilasciato dall’assone terminale. Per esempio, la tossina botulinica blocca il rilascio di acetilcolina. Altri fattori chimici possono inoltre influenzare l’effetto della trasmissione mediante modificazioni di un recettore. Nella miastenia gravis, gli anticorpi bloccano il recettore nicotinico dell’acetilcolina. Le sinapsi si formano tra neurone e neurone e, perifericamente, tra neurone ed effettore (p. es., un muscolo). Nel SNC, l’organizzazione sinaptica è più complessa. Il contatto funzionale tra due neuroni può avvenire tra assone e corpo cellulare, assone e processo dendritico (la struttura di ricezione di un neurone), corpo cellulare e corpo cellulare o fra dendrite e dendrite. L’entità della neurotrasmissione varia a seconda delle condizioni fisiologiche. Molte malattie neurologiche e psichiatriche sono causate da iperattività o ipoattività patologiche della neurotrasmissione. Molti farmaci modificano la neurotrasmissione; alcuni (p. es., gli allucinogeni) provocano effetti indesiderati, mentre altri (p. es., i farmaci antipsicotici) correggono le condizioni patologiche. Le attività di sviluppo e di mantenimento cellulare nel sistema nervoso dipendono da molte proteine specifiche, come il fattore nervoso di crescita, il fattore neurotrofico cerebro-derivato e la neurotrofina-3.

Principi basilari della neurotrasmissione file:///F|/sito/merck/sez14/1661458.html (1 of 5)02/09/2004 2.27.27

Neurotrasmissione

Il corpo della cellula nervosa produce gli enzimi per la sintesi della maggior parte dei neurotrasmettitori. Gli enzimi agiscono sui precursori molecolari, raccolti dal neurone, che formeranno il neurotrasmettitore. Nella parte terminale del nervo, il neurotrasmettitore viene immagazzinato in vescicole (v. Fig. 166-1). La quantità di esso all’interno di ogni vescicola (in genere molte migliaia di molecole) è detta quantum. Alcune molecole neurotrasmettitoriali vengono liberate continuamente dalla parte terminale, ma tale quantità non è sufficiente per provocare una risposta fisiologica significativa. Un potenziale d’azione che raggiunge la parte terminale può attivare le correnti di calcio e scatenare il rilascio delle molecole di neurotrasmettitore da molte vescicole contemporaneamente, mediante la fusione della membrana vescicolare con quella della parte terminale dell’assone. Si forma così un’apertura attraverso la quale le molecole vengono espulse per esocitosi nel solco sinaptico. La quantità dei neurotrasmettitori a livello del terminale assonale è mantenuta relativamente costante e indipendente dall’attività nervosa, mediante la stretta regolazione della loro sintesi. Tale regolazione varia da un neurone all’altro e avviene mediante la modificazione della concentrazione dei precursori, dell’attività degli enzimi coinvolti nella sintesi del neurotrasmettitore, oppure mediante la sua degradazione. La stimolazione o il blocco dei recettori postsinaptici possono diminuire o aumentare la sintesi presinaptica del neurotrasmettitore.I neurotrasmettitori diffondono attraverso il solco sinaptico, si legano per breve tempo ai recettori, li attivano e provocano una risposta fisiologica. A seconda del recettore, la risposta può essere eccitatoria (cioè, che provoca un nuovo potenziale d’azione) o inibitoria (cioè, che inibisce un nuovo potenziale d’azione). L’interazione tra neurotrasmettitore e recettore deve essere rapidamente interrotta in modo che gli stessi recettori possano essere attivati in modo ripetuto. Il neurotrasmettitore viene prontamente riassorbito all’interno dei terminali nervosi presinaptici mediante un processo attivo (reuptake); viene quindi distrutto dagli enzimi situati vicino ai recettori, oppure diffonde nell’area circostante ed è inattivato. Le anomalie di sintesi del neurotrasmettitore, del suo immagazzinamento, rilascio e degradazione, oppure le alterazioni del numero e dell’affinità dei recettori, compromettono la neurotrasmissione e sono responsabili di patologie cliniche (v. Tab. 166-1).

Principali neurotrasmettitori Un neurotrasmettitore è un fattore chimico che viene selettivamente rilasciato da un terminale nervoso in seguito a un potenziale d’azione; esso interagisce con uno specifico recettore posto su di una struttura adiacente e, se rilasciato in quantità adeguate, provoca una risposta fisiologica specifica. Per essere un neurotrasmettitore, un agente chimico deve essere presente a livello del terminale nervoso, deve essere rilasciato dal terminale in seguito a un potenziale d’azione e, se fatto interagire sperimentalmente con il recettore, deve produrre sempre lo stesso effetto. Molti agenti chimici si comportano come neurotrasmettitori. Ci sono almeno 18 neurotrasmettitori principali, molti presenti in forme diverse. Gli aminoacidi glutammato e aspartato sono i principali neurotrasmettitori nel SNC. Essi sono presenti nella corteccia, nel cervelletto e nel midollo spinale. L’acido gamma-aminobutirrico (GABA) è il principale neurotrasmettitore inibitorio nell’encefalo. Il GABA deriva dall’acido glutammico, il quale viene decarbossilato dalla glutammato decarbossilasi. Dopo l’interazione con i propri recettori, il GABA viene riassorbito attivamente nei terminali assonali e quindi metabolizzato. La glicina, che presenta un’azione simile al GABA, si trova principalmente negli interneuroni del midollo spinale. Essa viene probabilmente metabolizzata dalla serina. file:///F|/sito/merck/sez14/1661458.html (2 of 5)02/09/2004 2.27.27

Neurotrasmissione

La serotonina (5-idrossitriptamina o 5-HT) è generata a livello dei nuclei del rafe e dai neuroni mediani del ponte e del tronco encefalico alto. Il triptofano viene idrossilato dalla triptofano idrossilasi in 5-idrossitriptofano e quindi decarbossilato in serotonina. I livelli di serotonina sono controllati mediante la captazione del triptofano e dalla monoamino ossidasi intraneuronale. L’acetilcolina rappresenta il principale neurotrasmettitore dei motoneuroni bulbospinali, delle fibre autonome pregangliari, delle fibre colinergiche postgangliari (parasimpatiche) e di molti neuroni del SNC (p. es., gangli della base, corteccia motoria). Viene sintetizzata dalla colina e dall’acetil coenzima A di derivazione mitocondriale, per mezzo della colina transferasi. Quando viene rilasciata, l’acetilcolina stimola specifici recettori colinergici, un’interazione che viene rapidamente interrotta mediante l’idrolisi locale dell’acetilcolina in colina e acetato da parte dell’acetilcolinesterasi. I livelli di acetilcolina sono regolati dalla colina acetiltransferasi e mediante la captazione della colina. La dopamina rappresenta il neurotrasmettitore di alcuni nervi periferici e di molti neuroni centrali (p. es., nella sostanza nera, nel mesencefalo, nell’area tegmentale ventrale e nell’ipotalamo). L’aminoacido tirosina viene captato dai neuroni dopaminergici e convertito dalla tirosino idrossilasi in 3,4diidrossifenilalanina (dopa), la quale viene decarbossilata dalla l-aminoacidodecarbossilasi aromatica in dopamina. Dopo il rilascio, la dopamina interagisce con i rettori dopaminergici; le molecole residue vengono riassorbite attivamente (reuptake) nei neuroni presinaptici. La tirosino idrossilasi e la monoamino ossidasi regolano i livelli di dopamina nei terminali assonali. La noradrenalina è il neurotrasmettitore della maggior parte delle fibre simpatiche post-gangliari e di molti neuroni centrali (p. es., nel locus caeruleus e nell’ipotalamo). Il precursore tirosina è convertito in dopamina, la quale viene idrossilata dalla dopamina γ-idrossilasi in noradrenalina. Quando viene rilasciata, la noradrenalina interagisce con i recettori adrenergici, un processo interrotto mediante il suo riassorbimento all’interno dei neuroni presinaptici e degradazione successiva ad opera della monoamino ossidasi e mediante l’azione della catecolO-metiltrasferasi (COMT), che è localizzata principalmente al di fuori dei neuroni. La tirosino idrossilasi e la monoamino ossidasi regolano i livelli intraneuronalici della noradrenalina. β-endorfina

e altre endorfine sono polipeptidi attivanti un gran numero di neuroni centrali (p. es., nell’ipotalamo, nell’amigdala, nel talamo e nel locus caeruleus). Nei corpi cellulari è presente il precursore di molti neuropeptidi (p. es., α-, β- e γendorfine), un grande polipeptide, denominato pro-opiomelanocortina. Questo polipeptide è trasportato lungo l’assone e diviso in frammenti specifici; uno di questi è la β-endorfina, costituita da 31 aminoacidi. Questa, dopo il rilascio e l’interazione con i recettori oppiodi, viene idrolizzata dalle peptidasi in peptidi più piccoli, non attivi e quindi in aminoacidi. La metencefalina e la leucoencefalina sono piccoli peptidi presenti in molti neuroni centrali (p. es., nel globo pallido, nel talamo, nel caudato e nel grigio centrale). Il loro precursore, la proencefalina, viene prodotto nel corpo cellulare e quindi suddiviso da peptidasi specifiche in peptidi più piccoli. I frammenti risultanti comprendono due encefaline, ognuna composta di cinque aminoacidi e contenente terminali di metionina o leucina. Dopo il rilascio e l’interazione con i recettori peptidergici, le encefaline sono idrolizzate in peptidi più piccoli, non attivi e aminoacidi, quali le dinorfine e la sostanza P. Le dinorfine sono un gruppo di sette peptidi con sequenze aminoacidiche simili. Coesistono geograficamente con le encefaline. La sostanza P è un peptide, che si trova nei neuroni centrali (abenula, sostanza nera, gangli della base, bulbo e ipotalamo) e in alta concentrazione nei gangli delle radici dorsali. Viene rilasciata mediante gli stimoli afferenti di dolore intenso. Neurotrasmettitori aventi un ruolo meno specifico sono l’istamina, la vasopressina, il peptide vasoattivo intestinale, la carnosina, la bradichinina, la colecistochinina, la bombesina, la somatostatina, il corticotropin releasing factor, la neurotensina e, probabilmente, l’adenosina. file:///F|/sito/merck/sez14/1661458.html (3 of 5)02/09/2004 2.27.27

Neurotrasmissione

Principali recettori I recettori per i neurotrasmettitori sono complessi proteici disposti lungo la membrana cellulare. I recettori accoppiati a un secondo messaggero sono generalmente monomerici e sono costituiti da tre parti: la parte extracellulare, dove avviene la glicosilazione; la parte transmembranosa, che forma una tasca dove sembra che agisca il neurotrasmettitore e la parte intracitoplasmatica, dove avviene il legame G-proteico o la regolazione mediante la fosforilazione del recettore. I recettori dei canali ionici sono multimerici. In alcuni casi, l’attivazione del recettore comporta la modificazione della permeabilità del canale ionico. In altri casi, l’attivazione di un secondo messaggero provoca alterazioni della conduttanza dei canali. I recettori stimolati continuamente dai neurotrasmettitori o da farmaci (agonisti) diventano iposensibili (down-regulated); quelli non stimolati dai propri neurotrasmettitori o cronicamente bloccati da farmaci (antagonisti) diventano ipersensibili (up-regulated). La up- o down-regulation dei recettori condiziona fortemente lo sviluppo della tolleranza e la dipendenza fisica. L’astinenza consiste in genere in un fenomeno di rimbalzo dovuto all’alterata affinità o concentrazione recettoriale. Questi concetti sono particolarmente importanti nei trapianti d’organo o di tessuti, nei quali i recettori sono privati dei neurotrasmettitori fisiologici a causa della denervazione. La maggior parte dei neurotrasmettitori interagisce principalmente con i recettori postsinaptici, ma alcuni recettori si localizzano sui neuroni presinaptici, per consentire un fine controllo del rilascio del neurotrasmettitore. I recettori colinergici sono classificati come nicotinici N1 (nella midollare surrenale adrenergica e nei gangli del sistema autonomo) o N2 (nel muscolo scheletrico) oppure muscarinici M1 (nel sistema nervoso autonomo, nello striatum, nella corteccia e nell’ippocampo) o M2 (nel sistema nervoso autonomo, nel cuore, nel muscolo liscio intestinale, nel rombencefalo e nel cervelletto). I recettori adrenergici sono classificati come α1 (postsinaptici nel sistema simpatico), α2 (presinaptici nel sistema simpatico e postsinaptici nell’encefalo), β1 (nel cuore) o β2 (in altre strutture a innervazione simpatica). I recettori dopaminergici vengono classificati come D1, D2, D3, D4 e D5. D3 e D4 hanno un ruolo nel controllo del pensiero (limitano i sintomi negativi nei processi schizofrenici), mentre l’attivazione dei recettori D2 controlla il sistema extrapiramidale. I recettori per il GABA sono classificati come GABAA (attivanti i canali del cloro) e GABAB (potenzianti la formazione dell’AMPc). Il recettore per il GABAA comprende diversi polipeptidi specifici e rappresenta il sito d’azione di molti farmaci neuroattivi, compresi le benzodiazepine, gli anticonvulsivanti di recente introduzione (p. es., la lamotrigina), i barbiturici, la picrotossina e il muscimolo. I recettori serotoninergici (5-HT) (con almeno 15 sottotipi) sono classificati come 5-HT1 (con quattro sottotipi), 5-HT2 e 5-HT3. I recettori 5-HT1A, localizzati in sede presinaptica nei nuclei del rafe (inibenti la reclutazione presinaptica del 5HT) e nell’ippocampo in sede postsinaptica, modulano l’adenilciclasi. I recettori 5HT2, localizzati nel quarto strato della corteccia, vengono coinvolti nell’idrolisi della fosfoinositide (v. Tab. 166-2). I recettori per il 5-HT3 risiedono in sede presinaptica nel nucleo del tratto solitario. I recettori per il glutammato vengono classificati come recettori NMDA ionotrofici (N-metil-d-aspartato), che legano l’NMDA, la glicina, lo zinco, il Mg++ e il fenciclide (il PCP, conosciuto anche come polvere degli angeli) e condizionano l’afflusso di Na+, K+, Ca++ e dei recettori non NMDA, che legano il quiscolato e il cainato. I canali non NMDA sono permeabili al Na+ e al K+ ma non al Ca++. file:///F|/sito/merck/sez14/1661458.html (4 of 5)02/09/2004 2.27.27

Neurotrasmissione

Questi recettori eccitatori mediano importanti effetti tossici mediante l’aumento del calcio, dei radicali liberi e delle proteinasi. Nei neuroni, in risposta al glutammato, aumenta la sintesi del monossido di azoto (NO), con coinvolgimento della NO sintetasi. I recettori per le endorfine encefaline (oppiacei) sono classificati come µ1 e µ2 (condizionanti l’integrazione sensorimotoria e l’analgesia), δ1 e δ2 (influenzanti l’integrazione motoria, la funzione cognitiva e l’analgesia) e κ1, κ2, e κ3 (condizionanti la regolazione dell’equilibrio idrico, l’analgesia e l’assunzione di cibo). I recettori sigma, attualmente classificati come non oppiacei e principalmente localizzati nell’ippocampo, legano la PCP.

Trasporto dei neurotrasmettitori Due tipi di trasportatori di neurotrasmettitori risultano essenziali nella neurotrasmissione. Il carrier di raccolta, localizzato nei neuroni presinaptici e nelle cellule plasmatiche, spinge i neurotrasmettitori dallo spazio extracellulare all’interno della cellula. Garantisce il rifornimento di neurotrasmettitori, aiuta a interrompere l’azione del neurotrasmettitore e, per quanto riguarda il glutammato, mantiene la quantità del neurotrasmettitore al di sotto dei livelli tossici. L’energia richiesta da queste pompe è fornita dall’ATP. L’altro tipo di trasportatore, localizzato sulla membrana delle vescicole, concentra il neurotrasmettitore all’interno delle vescicole stesse, rendendolo disponibile per la successiva esocitosi. Questi trasportatori sono potenziati dal pH citoplasmatico e dal gradiente elettrico della membrana vescicolare. Durante l’anossia o l’ischemia, si altera il gradiente ionico transmembranoso e il glutammato viene trasportato dalle vescicole all’interno del citoplasma, aumentando la concentrazione intracellulare di glutammato a livelli letali. I sistemi a secondo messaggero sono rappresentati da proteine G regolanti e da proteine catalitiche (p. es., l’adenilato ciclasi, la fosfolipasi C), che si legano ai recettori e agli effettori. Un secondo messaggero può rappresentare il trigger per una reazione a catena o il bersaglio di un sistema di regolazione (p. es., il calcio, v. Tab. 166-2).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 166-1. ESEMPI DI PATOLOGIE ASSOCIATE A DIFETTI NELLA NEUROTRASMISSIONE Patologia

Fisiopatologia

Trattamento

Squilibrio dei neurotrasmettitori Malattia di Alzheimer

Caratterizzata da perdita di neuroni nel sistema limbico, incluso l'ippocampo, e nell'area corticale associativa; alcune di queste aree sintetizzano e utilizzano l'acetilcolina.

Non esiste nessuna terapia farmacologica specifica approvata, sebbene i colinergici (p.es., benztropina) possano migliorare la funzione cognitiva.

Ansia

Può riflettere una ridotta attività del GABA, probabilmente per lo squilibrio degli inibitori endogeni o degli stimolatori del recettore GABA.

Le benzodiazepine aumentano la probabilità di apertura dei canali Clmodulata dal GABA attraverso l'attivazione del recettore GABAA.

Autismo

Possibile iperserotoninemia, presente nel 30-50% delle persone autistiche, senza evidenti anomalie della 5-HT centrale.

Non esiste terapia farmacologica specifica.

Danno cerebrale

Associato a crisi comiziali prolungate, trauma o ipossia-ischemia. Il danno stimola un rilascio eccessivo di glutammato, che comporta aumenti del calcio e del sodio e morte neuronale.

Gli agenti bloccanti i canali del calcio, la glicina e gli antagonisti dei recettori NMDA possono ridurre l'estensione della perdita cellulare nelle aree contenenti neuroni vitali.

Depressione

Caratterizzata da ridotti livelli di norepinefrina e di 5-HT nonché da un aumento del numero dei recettori βadrenergici e 5-HT2. I recettori presinaptici α2-adrenergici, che regolano il rilascio della norepinefrina, possono essere iperattivi, riducendo il livello di norepinefrina nel solco sinaptico. Sono stati implicati nella genesi della depressione l'acetilcolina e alcuni ormoni.

I farmaci antidepressivi producono una down-regulation dei recettori, indirettamente o direttamente, mediante l'inbizione della ricaptazione del 5-HT (come per gli SSRI) e della norepinefrina, o attraverso il blocco delle MAO. Nell'effetto antidepressivo è implicata anche l'attivazione dei recettori 5-HT2. (come per il nefazone).

Epilessia

Crisi consistenti in scariche sincrone ad alta frequenza da parte di gruppi di neuroni in determinate aree cerebrali, forse causate da ridotta attività del GABA.

La fenitoina stabilizza le membrane neuronali e riduce l'eccessivo rilascio di neurotrasmettitori. Il fenobarbital si lega al complesso recettore del GABAAcanale del cloro, aumentando il tempo di apertura del canale per il Cl- modulato mediante l'attivazione dei GABA4 recettori del GABA.

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Manuale Merck - Tabella

Corea di Huntington

Danno neuronale maggiore della corteccia e dello striato, dovuto a un'espansione della poliglutamina (codificata dalla ripetizione di CAG), prodotta da un gene anomalo sul cromosoma 4. Il gene anomalo produce in eccesso la proteina huntingtina, che si può combinare con molecole che inducono una stimolazione eccessiva di cellule mediante neurotrasmettitori aminoacidici eccitatori (come il glutammato), esacerbando l'apoptosi ossidativa.

Non esiste un trattamento specifico, ma si suppone che i farmaci che bloccano i recettori per l'NMDA possano bloccare gli effetti tossici dell'eccesso di glutammato. I farmaci GABA-mimetici sono inefficaci.

Mania

Dovuta ad aumentati livelli di norepinefrina, livelli ridotti di 5-HT e riduzione del numero dei recettori adrenergici.

Il litio è ancora considerato il farmaco di scelta. Riduce il rilascio di norepinefrina e la sintesi del secondo messaggero, provvedendo perciò a una up-regulation dei recettori. Tuttavia, il principale meccanismo d'azione sembra essere rappresentato dalla capacità che ha il litio a diminuire i PIP2. Il valproato è utile.

Dolore

Implica vari induttori (p.es., le bradichinine e le prostaglandine) e neurotrasmettitori nei tratti neuronali; i neurotrasmettitori possono essere stimolatori (p.es., la sostanza P, che tramette gli impulsi nervosi) o inibitori (p. es., le encefaline e le endorfine, che interferiscono con l'impulso nervoso).

I FANS inibiscono la sintesi delle prostaglandine e riducono la formazione dell'impulso doloroso, gli analgesici narcotici (p.es., la morfina) stimolano i recettori en dorfino-encefalina (µ,δ e κ) riducendo la trasmissione dell'impulso doloroso.

Parkinsonismo

Inibizione del sistema dopaminergico dovuta al blocco dei recettori dopaminergici da parte di farmaci antipsicotici.

Gli anticolinergici riducono l’attività colinergica ripristinando l’equilibrio tra i due sistemi.

Morbo di Parkinson

Degenerazione dei neuroni dopaminergici della pars compacta nella substantia nigra e in altre aree con riduzione dei livelli di dopamina e di metionina-encefalina, con conseguente iperfunzione del sistema colinergico.

La L-dopa raggiunge il solco sinaptico, viene captata dall'assone e viene decarbossilata in dopamina, la quale viene secreta all'interno del solco per attivare i recettori dendritici della dopamina. L'amantidina aumenta il rilascio presinaptico della dopamina; la pergolide, stimola i recettori D1 e D2. I farmaci anticolinergici riducono l'attività del sistema colinergico, ristabilendo l'equilibrio tra i due sistemi. Gli inibitori MAO-B prevengono la ricaptazione della dopamina, aumentandone il livello. La seligilina, un inibitore delle MAO-B, prolunga la risposta alla levodopa e consente una riduzione del dosaggio della carbidopa/levodopa.

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Manuale Merck - Tabella

Schizofrenia

Aumento del rilascio presinaptico o della sintesi di dopamina e/o aumentata sensi bilità o densità dei recettori postsinaptici per la dopamina.

I farmaci antipsicotici bloccano i recettori per la dopamina e riducono l'iperattività dopaminergica. L'aloperidolo blocca in modo preferenziale i recettori D2 e D3 (alta affinità) e i recettori D4 e 5-HT2, indicando il coinvolgimento del sistema 5HT nella patogenesi della schizofrenia e della sua sensibilità al trattamento. La clozapina presenta un rischio significativo di leucopenia. Anche l'olanzapina e il risperidone presentano un'alta affinità per i recettori 5-HT2 e per quelli D2, come l'aloperidolo.

Discinesia tardiva

Recettori dopaminergici ipersensibili per il blocco cronico mediante farmaci antipsicotici.

Si può ridurre l'ipersensibilità dei recettori per la dopamina diminuendo la dose dei neurolettici.

Neurotrasmettitori normali ma recettori non funzionanti Miastenia gravis

. Riflette l'inattivazione dei recettori per l'acetilcolina e alterazioni istochimiche post-sinaptiche a livello della giunzione neuromuscolare, a causa di reazioni autoimmuni.

L'anticolinesterasi inibisce l'acetilcolinesterasi, aumenta i livelli di acetilcolina nella giunzione e stimola i recettori rimanenti, aumentando l'attività muscolare.

Diminuzione della captazione neuronale dei neurotrasmettitori Sclerosi laterale amiotrofica

Possibile distruzione dei motoneuroni da aumentata stimolazione da glutammato, che induce la produzione di ossido d'azoto, con tossicità neuronale.

La gabapentina diminuisce la sintesi di glutammato dagli aminoacidi ramificati leucina, isoleucina e valina, potendo ridurre la tossicità del glutammato.

Neurotrasmettitori normali ma difetti nei canali ionici Atassia/mio chimia epi sodiche

Difetti dei canali voltaggio-dipendenti per La carbamazepina può essere utile nel il potassio, con miochimie distali e trattamento della miochimia. incoordinazione motoria.

Paralisi periodi ca iperkaliemica

Diminuita inattivazione dei canali del so dio, con conseguente ipostenia episodica.

Paralisi periodi Canali voltaggio-dipendenti per il calcio ca ipokaliemica difettosi, con prolungata depolarizzazione di membrana.

Le crisi possono essere interrotte mediante il calcio gluconato, il glucoso e l'insulina. L'acetazolamide può ridurre il numero delle crisi. Le crisi acute possono essere interrotte mediante i sali di potassio. L'acetazolamide è un buon farmaco per la profilassi.

Sindrome di Anticorpi, spesso generati dal carcinoma Sono efficaci corticosteroidi, Lambert-Ea ton polmonare a piccole cellule, che immunosoppressione, plasmaferesi e antagonizzano i canali del calcio della immunoglobuline somministrate EV. parte presinaptica della giunzione neuromuscolare, con conseguente riduzione del rilascio di acetilcolina.

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Manuale Merck - Tabella

Paramiotonia congenita

Canali voltaggio-dipendenti per il sodio difettosi, che causano una miotonia indotta dal freddo e ipostenia episodica.

L'idroclorotiazide previene le crisi. il calcio gluconato è utile durante le crisi gravi.

Encefalite di Rasmussen

Canali glutammato-dipendenti; distinta dall'epilessia parziale continua.

I corticosteroidi e i farmaci antivirali risultano in genere inefficaci. L'emisferectomia funzionale può controllare le crisi se non insorge la remissione spontanea.

Startle disease

Canali glicina-dipendenti; la malattia è caratterizzata da iperreflessia e tendenza a cadere.

Il valproato o il clonazepam possono portare un miglioramento.

Inibizione del rilascio di acetilcolina dai motoneuroni da parte della tossina del Clostridium botulinum.

Manca una specifica terapia farmacologica; vengono somministrate piccole quantità di tossina per il trattamento di alcune distonie o spasticità.

Avvelenamenti Botulismo

Avvelenamento Amanita muscaria: da funghi inibizione dell'anticolinesterasi e blocco dei recettori per l'acetilcolina da parte di derivati dell'isossazolo.

Terapia intensiva dell'insufficienza epatica e renale. L'atropina protegge i recettori muscarinici.

Sp. di Inocybe e Clitocybe: stimolazione dei recettori muscarinici da parte della muscarina e dei composti correlati. Fosfati organici Inibizione irreversibile dell'acetilcolineste Il pralidoxime rimuove la tossina rasi e notevole aumento dei livelli di dall'acetil colinesterasi; l'atropina acetilcolina nel solco simpatico. protegge i recettori dall'alto livello di acetilcolina. Veleno di serpente (Bungarus multicinctus)

Blocca i recettori dell'acetilcolina nella giunzione neuromuscolare per mezzo della tossina α-Bungarus.

È disponibile l'antitossina.

GABA=acido ϒ -aminobutirrico; 5-HT=serotonina; NMDA=N-metil-D-aspartato; SSRI=(Selective Serotonin Re uptake Inhibitors), inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina; PIP2=fosfatidilinositolo 4,5- bifosfato; MAO-B=monoamino ossidasi tipo B.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 166-2. ESEMPI DI SECONDI MESSAGGERI NEL SISTEMA NERVOSO Messaggero

Meccanismo

Nucleotidi ciclici (p. es., AMPc)

I nucleotidi ciclici hanno un ruolo nel controllo dell'apertura dei canali, specialmente nei neuroni olfattori e nei fotorecettori. L'AMPc è formato mediante l'associazione di una proteina G con un recettore, che determina la trasformazione della conformazione peptidica del canale dallo stato chiuso a uno stato aperto (p.es., i recettori M2 per l'acetilcolina, che aprono i canali per il K+ e depolarizzano la cellula). Un recettore di membrana attivato catalizza specifiche proteineG, le quali attivano o inibiscono l'adenilato ciclasi, modificando i livelli di AMPc. L'AMPc si lega alla proteinchinasi A, la quale fosforila una proteina che trasporta la risposta.

Calcio libero

Sono essenziali livelli intracellulari estremamente bassi di calcio ionizzato libero perché vi sia un'adeguata funzionalità. Piccole variazioni nei livelli di calcio comportano notevoli effetti. Il calcio facilita la fusione delle vescicole e il rilascio presinaptico dei neurotrasmettitori all'interno del solco sinaptico. Il calcio viene rimosso dal citoplasma mediante il legame con la calmodulina o per sequestro all'interno del reticolo endoplasmatico, oppure viene captato dal reticolo sarcoplasmatico nel muscolo scheletrico.

Ossido d'azoto

L'aumento del calcio stimola la nitrossido sintetasi che converte l'arginina in citrullina, con produzione di ossido d'azoto, che si diffonde in una cellula vicina e stimola il GMPc, con conseguente flusso di ioni all'interno della cellula stessa. Poiché l'emivita dell'ossido d'azoto è solo di qualche secondo, tale effetto è limitato; un'eccesso di ossido d'azoto è tossico per i neuroni.

Prodotti di idrolisi della fosfoinositde

I recettori legati a specifici agenti leganti (p.es., serotonina, recettori per l'acetilcolina M1 attivati) attivano una proteinaG che stimola la fosfolipasiC e idrolizza la PIP2 in due molecole di secondi messaggeri: IP3 e diacilglicerolo. L’IP3 rilascia il calcio, il quale attiva una chinasi, che a sua volta attiva una proteina bersaglio, producendo la risposta cellulare. Il diacilglicerolo attiva la proteinchinas iC, che provoca la fosforilizzazione di una proteina che trasporta la risposta.

AMPc=adenosin-monofosfato ciclico; GMPc=guanosin-monofosfato ciclico; PIP2=fosfatilinositol 4,5difosfato; IP3=inositol 1,4,5-trifosfato.

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Dolore

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 167. DOLORE DOLORE ACUTO POSTOPERATORIO Gli analgesici oppiacei sono molto utili nel trattamento del dolore acuto postoperatorio. Anche i FANS iniettabili (p. es., ketorolac) risultano utili e in alcuni casi sono adottate le tecniche di anestesia regionale (p. es., anestesia locale spinale). In sede epidurale, si potrà somministrare durante l’intervento chirurgico un oppiaceo, che verrà protratto per 2-3 giorni nel postoperatorio. Nella sala rianimazione, 2 mg di morfina solfato EV o 12,5 di meperidina rappresentano una ragionevole dose d’inizio per pazienti di 70 kg senza tolleranza agli oppiacei. La dose può dover essere ripetuta a intervalli brevi (p. es., q 15-30 min) finché il sollievo dal dolore si sarà stabilizzato. Di solito, 8-10 mg di solfato di morfina IM o SC q 3 h sono sufficienti per fornire sollievo al dolore. Dosi più alte assicurano un’analgesia più forte e una maggiore durata dell’effetto. L’analgesia controllata dal paziente stesso permette l’autosomministrazione di piccole dosi di oppiacei secondo necessità. Il dosaggio deve essere modificato in base alla risposta del paziente. La necessità di dosaggi individuali nel postoperatorio ha comportato lo sviluppo delle tecniche di analgesia controllate dal paziente.

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Dolore

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 167. DOLORE DOLORE NEOPLASTICO Le sindromi da dolore neoplastico possono essere indotte da tumori invadenti le ossa o i tessuti molli, che comprimono o infiltrano i nervi o i vasi ematici o che ostruiscono gli organi cavi; possono inoltre essere conseguenti al trattamento chirurgico, alla chemioterapia o alla terapia radiante. La diagnosi accurata del processo patologico di base è essenziale, in quanto il suo trattamento specifico potrà rendere più semplice il trattamento del dolore. Il dolore andrà comunque trattato in modo adeguato, anche durante il periodo in cui la sua causa non sia stata ancora determinata. Gli analgesici non oppiacei possono essere adottati quando il dolore è lieve o moderato (v. Tab. 167-1). Gli oppiacei sono spesso usati in combinazione con i non oppiacei (generalmente il propossifene, la codeina o l’ossicodone combinato con l’aspirina o paracetamolo). I farmaci vengono somministrati a orario, fino a raggiungere la dose massima sicura del farmaco non oppiaceo (p. es., 12 compresse di paracetamolo 325 mg e ossicodone 5 mg al giorno). Se tale dosaggio risulta inefficace, si dovrà somministrare un farmaco in combinazione; si protrae la somministrazione del farmaco non oppiaceo alla dose massima di sicurezza e si somministra un oppiaceo alla dose utile necessaria. La meperidina è controindicata per i suoi effetti indesiderati sul SNC. I farmaci agonistiantagonisti hanno un ruolo limitato in quanto presentano una dose massima per l’analgesia e perché possono indurre una sindrome acuta da astinenza nei pazienti con dipendenza fisica da oppiacei. Il dolore osseo sembra essere particolarmente sensibile ai FANS, che possono essere somministrati insieme a un oppiaceo. Molti farmaci che come principale indicazione non hanno l’analgesia (i cosiddetti analgesici coadiuvanti) possono in alcuni casi aumentare il sollievo al dolore; i corticosteroidi (p. es., il desametasone a 4 mg o più PO q 6 h) sono efficaci nel dolore osseo grave e nel dolore provocato dall’infiltrazione delle strutture nervose.

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Dolore

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 167. DOLORE DOLORE NEUROPATICO Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia SINDROME DA DOLORE REGIONALE COMPLESSO Terapia

Lesioni del sistema nervoso centrale o periferico possono provocare dolore cronico. Sono state identificate varie sindromi specifiche. La loro patogenesi è oscura e la loro incidenza e prevalenza non sono conosciute, ma sembrano essere basse, se rapportate agli eventi che ne sono la causa, fatta eccezione per i traumi da avulsione delle radici e il dolore da arto fantasma. Due ampie categorie di dolore neuropatico hanno meccanismi che sembrano coinvolgere la riorganizzazione somatosensoriale centrale: il dolore da deafferentazione (dovuto a interruzione parziale o completa dell’attività neurale afferente periferica o centrale) e il dolore simpatico-mediato (dipendente da attività del sistema simpatico efferente). Entrambi hanno una natura complessa e, sebbene siano correlati tra loro dal punto di vista patogenetico, presentano notevoli differenze. Per esempio, una lesione talamica che causa una sintomatologia dolorosa, senza alterazioni simpatiche o trofiche, i cui caratteri non si modificano con la stimolazione del sistema nervoso autonomo, si differenzia chiaramente da una lesione che produce una distrofia simpatica riflessa, in cui tutte le suddette caratteristiche possono essere presenti. Le sindromi dolorose da deafferentazione comprendono la nevralgia posterpetica, il dolore centrale (dolore da danno del SNC) e il dolore fantasma. Il dolore fantasma è percepito nella regione della parte corporea mancante in seguito a qualsiasi tipo di amputazione; il dolore da arto fantasma ne è l’esempio tipico. Il dolore neuropatico può interessare in modo preponderante i nervi periferici; le sindromi periferiche sono conseguenti alla formazione del neuroma e alla compressione nervosa (p. es., radicolopatia da patologia discale). Oltre ai provvedimenti descritti in seguito, possono essere utili le terapie primarie dirette sulla sede del focolaio periferico (p. es., la decompressione nervosa). Sebbene il dolore neuropatico possa causare un dolore profondo, a esso si possono aggiungere, spesso con una componente lancinante sovrapposta e con valore diagnostico maggiore, le disestesie, quali il dolore bruciante spontaneo o provocato. Possono inoltre essere presenti altre sensazioni, p. es., allodinia, iperestesia, iperalgesia, (dolore da stimolo non-nocivo) e iperpatia (una risposta al dolore particolarmente spiacevole ed esagerata).

Diagnosi e terapia Una diagnosi accurata è essenziale. Il dolore da deafferentazione, secondario al danno del nervo periferico, deve essere distinto da altre forme di dolore neuropatico, in cui la sofferenza nervosa è causata da patologie potenzialmente trattabili. Si dovrà distinguere il dolore che migliora dopo stimolazioni del sistema file:///F|/sito/merck/sez14/1671474c.html (1 of 3)02/09/2004 2.27.33

Dolore

nervoso simpatico (p. es., il dolore sostenuto dal simpatico) da quelli che non si giovano di tali manovre. Il trattamento che non tiene conto della diagnosi, della riabilitazione e dei problemi psicologici ha una probabilità di successo limitata. Nelle lesioni nervose è importante la mobilizzazione per la prevenzione delle alterazioni trofiche, dell’atrofia da non uso e dell’anchilosi articolare. I fattori psicologici devono essere costantemente presi in considerazione sin dall’inizio della terapia. L’ansia e la depressione devono essere trattate in modo appropriato. Qualora la disfunzione sia stabile, i pazienti potranno giovarsi di una terapia presso un centro di cura del dolore. Le sindromi da dolore neuropatico, fatta eccezione per la sindrome da dolore regionale complesso, in genere non rispondono al blocco del simpatico. Queste sindromi comprendono la neuralgia posterpetica (v. Herpes zoster nel Cap. 162), il dolore dell’arto fantasma, l’avulsione delle radici spinali, la mononeuropatia dolorosa di tipo traumatico, la polineuropatia dolorosa, le sindromi dolorose centrali (che possono essere causate da lesioni a qualsiasi livello del sistema nervoso centrale) e le sindromi dolorose postoperatorie (p. es., la sindrome postmastectomica, la sindrome post-toracotomica e il dolore del moncone). Per queste sindromi dovranno essere tentate tutte le terapie non farmacologiche (v. Sindrome da dolore regionale complesso, oltre) a eccezione del blocco del simpatico. Sono inoltre utili gli antidepressivi triciclici (p. es., amitriptilina o desipramina 1025 mg PO alla sera, aumentando a 75-150 mg in 1-2 sett). Dosi maggiori sono richieste qualora sia preminente la componente depressiva. La componente lancinante del dolore neuropatico può giovarsi di anticonvulsivanti o del baclofene. Le dosi di questi farmaci (eccetto la fenitoina) devono essere inizialmente basse ed essere aumentate gradualmente. Le dosi abituali sono baclofen 10-80 mg/die, carbamazepina 200-1200 mg/ die, clonazepam 1-10 mg/ die e valproato 750-2250 mg/die. Il trattamento con fenitoina deve iniziare alla dose di mantenimento abituale (p. es., 300 mg/die) o mediante una dose iniziale da carico (p. es., 500 mg PO q 6 h per 2 dosi, poi 300 mg/die). Altri approcci per i dolori neuropatici di qualsiasi tipo comprendono la somministrazione di un inibitore selettivo del reuptake della serotonina (p. es., fluoxetina, paroxetina), un anestetico locale per os (p. es., la mexiletina iniziando con 150 mg/die, quindi aumentando gradualmente fino alla dose massima abituale di 300 mg q 8 h) e un agonista alfa2-adrenergico (p. es., la clonidina iniziando con 0,1 mg/die, aumentando fino a che è tollerata). Vengono provate talvolta le creme ad uso topico, come gli anestetici al 5% di lidocaina e l’EMLA (mistura eutettica di anestetici locali) o la capsaicina topica allo 0,025% o allo 0,075%. La difenidramina a dosi relativamente elevate (p. es., 400-600 mg/ die PO in dosi frazionate) e le infusioni EV di naloxone sono state aneddoticamente riportate come efficaci negli stati di dolore centrale. Altri farmaci vengono talora impiegati per il dolore neuropatico (v. Sindrome da dolore regionale complesso, oltre). Sebbene la relazione tra effetto analgesico e i livelli ematici non sia stata determinata, il controllo dei livelli ematici, quando possibile, può aiutare a stabilire la compliance e a stabilire un livello di base di efficacia, cui riferirsi per applicazioni future.

SINDROME DA DOLORE REGIONALE COMPLESSO Stato di dolore cronico provocato da lesioni dei tessuti molli o dei tessuti ossei (sindrome da dolore regionale complesso [Complex Regional Pain Syndrome, CRPS] di tipo I o distrofia simpatica riflessa) o da lesione dei nervi (CRPS tipo II o causalgia) in cui il dolore è associato ad alterazioni vegetative (p. es., sudorazione o alterazioni vasomotorie) e/o alterazioni trofiche (p. es., atrofia cutanea ossea, alopecia, contratture articolari). (Distrofia simpatica riflessa e causalgia)

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Dolore

La scintigrafia ossea (che evidenzia un’aumentata captazione), la radiografia diretta degli arti (che dimostra l’osteopenia) e la termografia (che individua l’aumentata o diminuita temperatura cutanea) possono risultare utili nella diagnosi delle alterazioni vegetative o trofiche. La sindrome da dolore regionale complesso sembra essere correlata al dolore sostenuto dal simpatico piuttosto che ad altri tipi di dolore cronico. Pertanto, se tale sindrome è sospettata, dovrà essere tentato il trattamento volto al blocco della funzione del simpatico efferente, in genere mediante un blocco nervoso. Alcune osservazioni cliniche indicano che la prognosi è migliore se il blocco del simpatico si attua il più precocemente possibile.

Terapia Il blocco anestetico o farmacologico del sistema simpatico e la terapia fisica rappresentano i trattamenti più importanti delle sindromi sostenute dal simpatico. Se inefficaci, gli interventi sul sistema nervoso simpatico non dovranno essere protratti. Una regressione del dolore che superi l’effetto del blocco farmacologico ma che risulti transitoria, nonostante blocchi temporanei ripetuti, indica la necessità della simpaticectomia chirurgica o chimica. In pazienti selezionati può essere utile una speciale tecnica anestesiologica che produce il blocco regionale del sistema simpatico con guanetidina EV o reserpina EV o bretilio. Possono essere utili farmaci simpaticolitici quali la prazosina (1-8 mg/die PO in dosi frazionate) e la fenoxibenzamina (40-120 mg/die PO in dosi frazionate.) Altri farmaci indicati sono la nifedipina (10-30 mg PO tid), i corticosteroidi (p. es., prednisone 60-80 mg/die PO per 2-4 sett), gli antidepressivi triciclici e gli anticonvulsivanti, come anche altri farmaci adoperati per il trattamento di ogni tipo di dolore neuropatico (v. sopra). Rimane controverso l’uso prolungato degli analgesici oppiacei, ma questi si dimostrano comunque utili nei pazienti affidabili; tuttavia, tale terapia va presa in considerazione dopo il fallimento di altri ragionevoli approcci, laddove sia possibile uno stretto controllo medico. La terapia fisica è essenziale durante tutte le fasi del trattamento. Ove siano presenti "trigger point" lungo le fasce muscolari, può essere indicata l’iniezione di anestetici locali o di soluzione fisiologica. La stimolazione elettrica transcutanea del nervo (TENS) può essere utile, previa una prolungata fase di prova su diversi punti, con differenti parametri di stimolazione. I metodi alternativi di stimolazione del sistema nervoso (neuroaccrescimento) comprendono la controirritazione (vivace strofinamento della parte dolorante) e l’agopuntura. Non ci sono attualmente studi in grado di stabilire se una forma di terapia di neurostimolazione sia superiore all’altra o se il risultato insoddisfacente di una determinata metodica si estenda alle altre. Per tali motivi, questo trattamento rimane di tipo empirico. Le terapie psicologiche sono descritte più avanti.

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Dolore

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 167. DOLORE SINDROMI DOLOROSE PSICOGENE Sommario: Introduzione Terapia

Il dolore cronico con insufficiente o assente relazione con lesioni di tipo organico rappresenta un problema di frequente riscontro. Sindromi tipiche sono la cefalea cronica, il dolore lombare continuo, il dolore facciale atipico e quello addominale o pelvico di eziologia sconosciuta. Queste sindromi sono meglio comprensibili, se considerate come disturbi psicofisiopatologici piuttosto che di tipo organico, sebbene questi pazienti provino realmente dolore (e cioè non siano simulatori). La maggioranza di questi pazienti è effettivamente affetta da una patologia organica, ma in molti, le osservazioni cliniche indicano che il fattore predominante sull’intensità del dolore e sul grado di invalidità è quello psicologico. Altri pazienti sono affetti da dolore psicogeno, senza una patologia organica identificabile (v. anche Disturbo algico nel Cap. 186). Alcuni casi di dolore psicogeno possono essere successivamente classificati come disturbi da somatizzazione (numerosi e spesso marcati sintomi fisici, compreso il dolore che interessa diversi organi e apparati) o ipocondria (preoccupazione patologica per sintomi di scarsa rilevanza). I pazienti possono sviluppare un anomalo comportamento da malati, caratterizzato da inattività, isolamento sociale, preoccupazione sul proprio stato di salute e uso inadeguato di cure mediche. Nei pazienti che presentano dolore persistente ma che non sono affetti da cancro, l’evenienza di tale quadro è spesso chiamata sindrome da dolore cronico benigno. Un sottogruppo di questi pazienti è affetto da un dolore cronico non trattabile, con profonda compromissione psicologica e sociale, evidenziata da un habitus affettivo depresso e da una sostanziale perdita di attività. Questi pazienti rappresentano l’estremo di uno spettro clinico caratterizzato da una storia di dolori persistenti (spesso multifocali), di terapie mediche e chirurgiche inefficaci, di assunzione di molti farmaci (talvolta con abuso o dipendenza) e di disturbi del sonno. Sono impossibilitati a lavorare e le relazioni familiari sono compromesse. La depressione e l’astenia sono frequenti e l’insight è limitato. Questo comportamento può essere esasperato da vari fattori ambientali, come il comportamento degli altri membri della famiglia o delle persone vicine.

Terapia Sebbene sia necessario, mediante periodiche verifiche, stabilire con chiarezza il grado del disturbo fisico che contribuisce all’invalidità del paziente, qualora la malattia non presenti un carattere continuo, la terapia primaria consisterà nel mantenere e migliorare le attività del paziente nonché nel trattamento dei disturbi psicologici. Tali interventi possono anche essere molto importanti nei pazienti affetti da altre sindromi dolorose, comprese quelle provocate da una patologia organica chiaramente identificabile. Possono essere somministrati analgesici, ma questi risultano inefficaci se somministrati da soli.

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Dolore

Sebbene sia spesso necessaria una consulenza psicologica, il medico non specialista può organizzare un programma comportamentale che migliori le funzioni del paziente anche se non sia stata possibile la riduzione del dolore. I pazienti devono compilare un diario delle attività giornaliere per individuare quelle che dovranno essere cambiate. Il medico darà specifici consigli su come aumentare gradualmente l’attività fisica e la socialità. Le attività devono essere aumentate gradualmente nel tempo; il dolore pertanto non dovrà ostacolare il tentativo di migliorare le attività del paziente. Qualora le attività vengano aumentate con tale criterio, spesso diminuiranno le lamentele per il dolore. Possono essere inoltre utili diversi tipi di tecniche cognitive per il controllo del dolore (p. es., training di rilassamento, tecniche di distrazione, ipnosi e biofeedback). I pazienti devono essere istruiti in merito alle tecniche di distrazione, mediante l’immaginazione guidata (fantasie che evocano situazioni di calma e di comfort come p. es., immaginare di essere sdraiati su una spiaggia o dondolarsi su un’amaca). Altri approcci di tipo cognitivo-comportamentale (p. es., autoipnosi) necessitano di un training da parte dello specialista. Bisogna scoraggiare i comportamenti dei familiari o dei colleghi di lavoro che possano rafforzare il comportamento doloroso (p. es., le continue domande sullo stato di salute o le richieste di non svolgere faccende domestiche). Il medico deve evitare tali situazioni e disapprovare i comportamenti di cattivo adattamento, incoraggiando invece i progressi e il graduale riacquisire delle attività. Dovranno essere prese in considerazione le terapie non farmacologiche, compresa la TENS e la controirritazione, l’inoculazione sul trigger point, lo stiramento e la terapia fisica. I farmaci, quali i FANS (v. Tab. 167-1) e gli antidepressivi triciclici, risultano talora utili. Se fosse concomitante uno stato depressivo, le dosi degli antidepressivi possono essere incrementate. Pazienti responsabili beneficiano talora degli oppiacei (v. sopra e Tab. 167-2), sebbene il loro uso sia controverso. Un centro di trattamento del dolore consente un approccio multidisciplinare e ampio, più adeguato per i pazienti affetti da sindrome da dolore cronico benigno. I pazienti che presentano una marcata compromissione funzionale o che non rispondono al ragionevole tentativo di trattamento da parte del proprio medico si giovano spesso di tali centri.

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Cefalea

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 168. CEFALEA Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

La cefalea è un sintomo comune, spesso associato a invalidità, ma raramente risulta pericolosa per la vita. La cefalea può essere primitiva (emicrania, cefalea a grappolo o muscolotensiva) o essere secondaria a infezioni sistemiche o intracraniche, tumori, traumi cranici, ipertensione arteriosa grave, ipossia cerebrale e a molte patologie oftalmiche, del naso, della gola, dell’orecchio, dei denti, dell’orecchio e del rachide cervicale (v. Tab. 168-1). Talora nessuna causa è identificabile. La cefalea può essere infatti dovuta alla stimolazione, alla trazione o alla pressione esercitata sulle strutture della testa sensibili al dolore: tutti i tessuti che ricoprono il cranio, il 5o, il 9o e il 10o nervo cranico, i primi nervi cervicali, i grandi seni venosi intracranici, le grandi arterie della base dell’encefalo, le arterie durali e la dura madre della base del cranio. La dilatazione, o la costrizione della parete, dei vasi stimola le terminazioni nervose e causa quindi cefalea. La causa della maggior parte delle cefalee è extracranica. L’ictus, le patologie vascolari e le trombosi venose sono cause più rare di cefalea.

Diagnosi La frequenza, la durata e la gravità della cefalea, i fattori che la allievano o la peggiorano, i sintomi e segni associati, quali la febbre, la rigidità nucale, la nausea e il vomito, sono elementi che, insieme a speciali protocolli diagnostici, aiutano a identificare la causa della cefalea. Le cefalee secondarie possono avere caratteristiche specifiche. Una cefalea acuta grave interessante l’intero capo, associata a febbre, fotofobia e rigidità nucale è indicativa, fino a prova contraria, di un processo infettivo, come la meningite. Anche l’emorragia sub-aracnoidea provoca una cefalea acuta con sintomi e segni di irritazione meningea. Le lesioni occupanti spazio causano spesso una cefalea subacuta, progressiva. Una cefalea a insorgenza recente in un adulto > 40 anni richiede sempre una completa valutazione diagnostica. Nelle lesioni occupanti spazio, possono verificarsi le seguenti evenienze: cefalea al risveglio o durante la notte, oscillazione della cefalea con i cambiamenti posturali, nausea e vomito. Ulteriori disturbi neurologici, quali epilessia, disorientamento, deficit di forza o alterazioni della sensibilità, possono insorgere tardivamente e hanno prognosi infausta. Le cefalee dovute a tensione emotiva sono solitamente croniche e continue, prediligendo come localizzazione iniziale la regione bifrontale e quell’occipitale, estendendosi in seguito a tutto il capo. Il paziente in genere descrive il dolore come un senso di pressione o una morsa che stringe la testa. Le malattie febbrili, l’ipertensione arteriosa e l’emicrania causano generalmente un dolore pulsante che può insorgere in ogni parte del capo.

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Cefalea

Test diagnostici utili comprendono un emocromo completo, test sierologici per la lue, esami amatochimici, VES, l’analisi del liquor e, in caso di sintomatologia specifica, test oftalmologici (acuità, campimetria, rifrazione, pressione oculare) oppure radiografia dei seni paranasali. Se non è chiara l’origine di una cefalea recente, persistente o ricorrente, è giusto effettuare una RMN e/o una TAC, specialmente in presenza di sintomi neurologici.

Terapia Molti tipi di cefalea sono di breve durata e non richiedono terapia oltre ai blandi analgesici (p. es., l’aspirina, il paracetamolo) e al riposo. La terapia delle cefalee primitive viene trattata oltre, insieme alle patologie specifiche. Per questi disturbi sono stati proposti approcci alternativi, come il biofeedback, l’agopuntura, le prescrizioni dietologiche e alcuni provvedimenti meno convenzionali. Dopo studi rigorosi, nessuna di queste terapie ha però dimostrato benefici evidenti. Comunque, dal momento che il trattamento alternativo comporta pochi rischi, questo può essere tentato, alla luce del concetto che un trattamento efficace della cefalea è multidisciplinare. Il trattamento delle cefalee secondarie dipende dalla patologia di base. Per la meningite, è di cruciale importanza una tempestiva terapia antibiotica. In seguito, la sintomatologia può essere migliorata mediante analgesici, quali il paracetamolo, i FANS o i narcotici oppiacei. Alcune patologie richiedono terapie più specifiche; p. es., l’arterite temporale viene trattata con i corticosteroidi e la cefalea da ipertensione intracranica benigna viene trattata con acetazolamide o con diuretici e calo ponderale. L’ematoma subdurale o i tumori cerebrali sono trattati chirurgicamente (v. rispettivamente Cap. 175 e 177). Tecniche di controllo dello stress insegnate dallo psicologo sono spesso in grado di ridurre l’incidenza delle cefalee. Tuttavia, la maggioranza dei pazienti trae beneficio dal medico comprensivo che accetta il dolore come entità reale e che controlla regolarmente il paziente incoraggiandolo a esprimere le sue difficoltà emotive, sia che siano la causa o la conseguenza della cefalea cronica. Il medico rassicura il paziente escludendo lesioni organiche, consiglia gli opportuni cambiamenti ambientali e come eliminare le cause di irritazione e di stress. Per i problemi di particolare difficoltà, un’équipe composta da medico, psicoterapeuta e fisioterapista sarà la più idonea per il trattamento della cefalea cronica (v. anche Sindromi Dolorose Psicogene nel Cap. 167).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 168-1. CAUSE DI CEFALEA SECONDARIA Intracraniche Malformazione arterovenosa

Extracraniche Patologie vertebrali cervicali

Sistemiche Anemia Astinenza da caffeina

Ipertensione endocranica Patologie dentali benigna Arterite a cellule giganti Ascesso cerebrale

Febbre Ipercapnia

Encefalite

Glaucoma

Ipertensione

Ematoma intracerebrale

Neurite ottica

Ipossia

Meningite

Sinusite

Agenti chimici vasoattivi

Patologie dell’articolazione Viremia Emorragia subaracnoidea temporo-mandibolare Idrocefalo ostruttivo

Ematoma subdurale Ictus Vasculite

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Cefalea

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 168. CEFALEA EMICRANIA Cefalea che perdura per 4-72 h, è pulsante, d’intensità variante da moderata a grave, unilaterale, peggiora con l’esercizio fisico ed è accompagnata da nausea, vomito, ipersensibilità alla luce, al suono, agli odori.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Solo tre o quattro degli elementi suddetti dovranno essere presenti per una diagnosi accurata. Circa 24 milioni di statunitensi sono affetti da emicrania. L’emicrania è una malattia di tutte le età, ma in genere insorge tra i 10 e i 40 anni, con una frequenza maggiore nelle donne. Le cefalee hanno spesso una remissione parziale o completa dopo i 50 anni. Più del 50% dei pazienti ha una storia familiare di emicrania.

Eziologia e fisiopatologia La causa è ignota e la fisiopatologia non è stata completamente spiegata. Sono presenti alterazioni del flusso ematico cerebrale e arterioso dello scalpo, ma non è chiaro se la vasodilatazione e la vasocostrizione siano una causa o un effetto dell’emicrania. La depressione della diffusione elettrica corticale (alterazione fondamentale nella corteccia cerebrale che consiste in un picco di iperpolarizzazione seguito dalla depolarizzazione) può indurre un’infiammazione neurogena, con vasodilatazione, attivazione dei globuli bianchi e permeabilità dei capillari. L’infiammazione conduce all’irritazione delle fibre sensitive trigeminali perivascolari. Ne consegue una cascata di fenomeni, che causano le alterazioni nel flusso ematico e la forte cefalea. Le malformazioni vascolari intracraniche sono cause rare di cefalee simili all’emicrania. I meccanismi che conducono all’emicrania non sono ben definiti, ma sono stati identificati molti fattori scatenanti. L’estrogeno ciclico, riconosciuto come un significativo fattore scatenante, può spiegare perché il numero di donne affette da emicrania sia tre volte maggiore di quello degli uomini. Le prove che gli estrogeni siano un fattore scatenante sono le seguenti: durante la pubertà, l’emicrania è di gran lunga più prevalente nelle femmine rispetto ai maschi; le emicranie sono particolarmente difficili da controllare nel periodo successivo alla menopausa; i contraccettivi orali e la terapia sostitutiva estrogenica spesso peggiorano l’emicrania. Altri fattori scatenanti sono l’insonnia, i cambiamenti barometrici e la fame. L’associazione tra la dieta e l’emicrania è in genere sovrastimata. Nessuno studio prospettico ha infatti comprovato tale associazione.

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Cefalea

Sintomi, segni e diagnosi L’emicrania può essere preceduta da un breve periodo prodromico di depressione, irritabilità, irrequietezza, anoressia, potendo essere associata con un’aura (10-20% dei casi). Un’aura di solito precede non più di 1 h la cefalea, ma è spesso concomitante. Un’aura consiste in un deficit transitorio, reversibile, di tipo visivo, somatosensoriale, motorio o fasico. La maggior parte delle persone riferisce aure visive, come lampi di luce, scotomi scintillanti e spettri di fortificazione. La sintomatologia segue in genere uno schema definito per ogni paziente, ma i dolori unilaterali non sempre insorgono nello stesso lato. Il paziente può avere crisi emicraniche tutti i giorni o soltanto a diversi mesi di distanza. La diagnosi è basata sul quadro sintomatologico, una volta escluse le patologie intracraniche. La diagnosi di emicrania è più probabile quando sussiste una storia familiare, oppure in presenza di sintomi prodromici visivi. Nessun test diagnostico risulta essere utile, se non per escludere altre patologie.

Terapia Il trattamento dipende dalla frequenza delle crisi e dalla presenza di una patologia concomitante. In generale, il trattamento può essere classificato come profilattico, di interruzione o analgesico (v. Tab. 168-2). Se una persona presenta più di un episodio di emicrania a settimana, dovrà essere presa in considerazione la profilassi a lungo termine. Possono essere usati i betabloccanti, i calcioantagonisti, gli antidepressivi triciclici o gli anticomiziali. La scelta è empirica ma è guidata dalla presenza di una patologia concomitante. Per esempio, se coesiste ipertensione arteriosa, potrebbero dimostrarsi più efficaci i betabloccanti o i calcioantagonisti. Se coesiste depressione o un disturbo del sonno, devono essere prescritti in prima istanza gli antidepressivi triciclici. Nel trattamento in fase acuta, vengono adoperati farmaci in grado di interrompere la crisi. Una nuova classe di farmaci, attivanti i recettori della serotonina (gli agonisti 1B/1D della 5-idrossitriptamina [5-HT]), blocca l’infiammazione neurogena e può interrompere il dolore emicranico in circa il 70% dei pazienti. Il sumatripan, ne è un prototipo ed è disponibile sia per somministrazione orale che per iniezione sottocutanea. Il dosaggio sottocutaneo è più efficace ma presenta maggiori effetti indesiderati, quali arrossamenti, nausea, spasmi esofagei e, raramente, spasmo delle coronarie. Cautela viene consigliata nella prescrizione di sumatripan agli uomini > 55 anni, nelle donne in post-menopausa o nelle persone con storia di malattie cardiache. La generazione successiva degli agonisti 1B/1D del 5-HT (p. es., l’eletriptan, il naratriptan, il rizatriptan, lo zolmitriptan) ha lo scopo di aumentare i benefici e di ridurre gli effetti indesiderati. Inoltre, possono essere efficacemente adottati gli alcaloidi derivati dalla segale cornuta, quali l’ergotamina tartrato e la diidroergotamina, in preparazioni per somministrazione orale e parenterale. Gli antiemetici antagonisti della dopamina, come il metoclopramide e la proclorperazina, risultano efficaci anche quando la nausea non è un sintomo predominante. Gli analgesici devono essere usati con parsimonia. Essi sono efficaci in alcuni pazienti, ma in altri provocano una cefalea di rimbalzo con l’aumento del dosaggio. I FANS sono probabilmente più utili nelle cefalee lievi e moderate. Gli oppiacei devono essere evitati eccetto che in speciali circostanze e dietro stretto controllo.

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Cefalea

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 168-2. TRATTAMENTO DELL’EMICRANIA Farmaco

Dose giornaliera/via di somministrazione

Effetti indesiderati

Profilattici Amitriptilina

10-150mg PO

Secchezza delle fauci e delle congiuntive, sedazione, aumento ponderale, aritmie

Metisergide

4-8mg PO

Fibrosi retroperitoneale (è necessario un periodo di sospensione dopo 6 mesi)

Propranololo

60-320mg PO

Ipotensione, bradicardia, depressione, sedazione, impotenza

Valproato

250mg-2g PO

Disfunzione epatica, alterazioni gastrointestinali, trombocitopenia, alopecia, aumento ponderale

Verapamil

120-480mg PO

Ipotensione, astenia, stitichezza

Diidroergotamina

0,5-1mg IM/EV

Nausea/vomito, crampi, rischio minore di angina

Ergotamina

1mg PO

Nausea/vomito, crampi, ergotismo, angina

Di interruzione

2mg in supposta 1mg sublinguale Metoclopramide

10mg PO/IM

Ipotensione, sedazione, distonia

Naratriptan

2,5mg PO

Simili a quelli del sumatriptan

Proclorperazina

10mg EV/IM

Ipotensione, sedazione, distonia

25mg in supposta Rizatriptan

5 o 10mg PO (come compresse o solubili)

Torpore, sonnolenza, astenia, dolore, sensazione di peso

Sumatriptan

6mg sc

Vampate, nausea, spasmo esofageo, angina

25, 50, 100mg PO 20mg spray nasale Zolmitriptan

2,5, 5mg PO

Simili a quelli del sumatriptan

Paracetamolo

500-1000mg PO

Ipersensibilità, tossicità epatica

Aspirina

325-650mg PO

Dispepsia, emorragiaGI, nausea, diarrea, nefropatia

Analgesici*

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Manuale Merck - Tabella

FANS

50-200mg PO/rettale

Indometacina

375-1300mg PO

Dispepsia, emorragiaGI, nausea, diarrea, nefropatia

Naprossene Oppiacei

V. Tabella 167-2

Sedazione, stitichezza

*La cefalea da rimbalzo durante l’aumento della dose rappresenta il pericolo maggiore dell’uso degli analgesici.

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Cefalea

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 168. CEFALEA CEFALEA A GRAPPOLO Cefalea che perdura dai 15 ai 180 minuti, è grave, unilaterale, localizzata in sede periorbitaria e/o temporale, che si ripete fino a 8 volte al giorno ed è associata ad almeno uno dei seguenti sintomi: lacrimazione, arrossamento dell’occhio, naso chiuso, sudorazione del volto, ptosi o miosi. Gli uomini sono più frequentemente colpiti dalla cefalea a grappolo rispetto alle donne. Fattori scatenanti sono l’alcol, il sonno e i cambiamenti barometrici. La fisiopatologia è sconosciuta, ma può essere simile a quella dell’emicrania (v. sopra). La diagnosi è basata sul quadro clinico e sull’esclusione di patologie intracraniche. Il trattamento è di tipo preventivo, di interruzione o analgesico. Il calcioantagonista verapamil e l’antagonista della serotonina, metisergide, sono utilizzati nella prevenzione. Per il trattamento di interruzione vengono somministrati il sumatripan e i derivati della segale cornuta. L’indometacina risulta efficace solo nella cefalea a grappolo.

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Cefalea

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 168. CEFALEA CEFALEA MUSCOLOTENSIVA Cefalea che dura dai 30 minuti ai 7 giorni non pulsante, di grado lieve o moderato, bilaterale, non aggravata dall’esercizio fisico e non associata a nausea, vomito, fotofobia, rumore od odori. La cefalea muscolotensiva può essere ritenuta come uno stato di iperalgesia cranica, con ridotta modulazione endogena del dolore e con aumentato potenziamento del dolore stesso. È dovuta a molti fattori; contribuiscono a essa un’emicrania concomitante, le alterazioni dell’umore, i disturbi del sonno e gli stati di ansia. È utile il trattamento con blandi analgesici: il paracetamolo alla dose di 650 mg PO q 4 h, l’aspirina da 300 a 600 mg o altri FANS, come l’ibuprofene o il naprossene. Per la cefalea cronica o ricorrente, molti medici integrano empiricamente gli analgesici con antidepressivi triciclici (p. es., l’amitriptilina da 10 a 125 mg/die PO) o, talora, con le benzodiazepine (p. es., il diazepam da 2 a 5 mg PO qid), ma il loro uso regolare può causare assuefazione. Come già detto, i pazienti più invalidati necessitano di un trattamento multidisciplinare. È essenziale individuare un’eventuale malattia concomitante. L’emicrania è spesso associata a cefalee muscolotensive croniche; le terapie pertanto si sovrappongono.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE Disfunzioni e disturbi degli emisferi cerebrali possono essere di tipo organico (cioè per meccanismi metabolici, strutturali o chimici conosciuti) o di tipo non organico (da cause sconosciute). Queste ultime comprendono le psicosi maggiori e molte turbe del comportamento. Le patologie cerebrali organiche possono essere a distribuzione focale o diffusa. La maggior parte dei disturbi focali è causata da alterazioni strutturali (p. es., le lesioni occupanti spazio, gli accidenti cerebrovascolari, i traumi, le malformazioni e i residui cicatriziali); gran parte delle patologie diffuse è invece dovuta a cause di tipo chimico o metabolico o a lesioni strutturali disseminate (p. es., infiammazioni diffuse, vasculopatie, neoplasie maligne disseminate). Le lesioni diffuse alterano aspetti multipli delle funzioni sensoriali e comportamentali e coinvolgono spesso i sistemi sottocorticali, interferendo con il livello di vigilanza, con stupore o coma, oppure alterando la normale integrazione del pensiero, producendo stato confusionale acuto o demenza. Alcuni disturbi, come l’aprassia e l’amnesia, possono essere dovuti a disfunzione focale o diffusa dell’encefalo. La corteccia cerebrale contiene ampie aree associative e, in proporzione, piccole aree sensoriali primitive e motorie, esprimenti in modo specifico tali funzioni (v. Fig. 169-1). Le aree sensoriali ricevono stimoli diretti di tipo somestesico, uditivo, visivo e olfattorio dai recettori periferici e trasmettono le informazioni alle aree motorie. Queste, a loro volta, trasmettono segnali motori, per la regolazione dei movimenti volontari del corpo, ai muscoli striati. La parte restante della corteccia consiste nel sistema di associazione corticale e limbico, che integrano insieme le percezioni sensoriali con le memorie istintuali e acquisite, in modo da realizzare l’apprendimento, il pensiero, la funzione espressiva e il comportamento. Gli effetti clinici delle lesioni cerebrali focali dipendono principalmente dall’entità del danno. La guarigione dipende dal grado di ridondanza, adattamento, plasticità del rimanente encefalo, nonché dall’età del paziente. Nell’adulto, vi sono poche aree di ridondanza nelle zone corticali primarie per la ricezione, nelle vie per le funzioni somatiche e visive e in quelle per la motricità, le quali sono fortemente lateralizzate. Il danno diretto in queste strutture crea deficit permanenti in ogni età della vita. Dopo la prima infanzia le funzioni di linguaggio, e quelle di orientamento spaziale, diventano progressivamente lateralizzate e non ridondanti. Sebbene i segnali uditivi di entrambi gli orecchi raggiungano la corteccia di entrambi i lobi temporali, vi è prova che l’emisfero sinistro sia dominante. Molte aree della corteccia associativa hanno funzioni che tendono a sovrapporsi; questa ridondanza spesso permette a una parte dell’encefalo di compensare funzioni di parti che sono lesionate (detta adattamento). L’adattamento è più comune nelle persone < 40 anni d’età. La plasticità consiste nella capacità che alcune aree cerebrali (a seconda del tipo di stimolo ricevuto e dell’età della persona) hanno nel modificare la propria funzione. Per esempio, durante la vita, i processi ippocampali possono convertire nuovi concetti e percezioni in memoria permanente. In misura minore, in età adulta, la plasticità cerebrale contribuisce al riapprendimento dei pensieri, del movimento e delle funzioni sensitive, dopo una lesione cerebrale. Tuttavia, la plasticità cerebrale è più marcata nell’età dello sviluppo; p. es., se le aree del linguaggio dell’emisfero dominante sinistro si danneggiano gravemente prima degli 8 anni d’età, l’emisfero destro può in genere assumere capacità di linguaggio quasi normali.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Lobi frontali: i lobi frontali influenzano l’attività motoria acquisita e la pianificazione e l’organizzazione del comportamento. Il giro precentrale prerolandico insieme alle aree immediatamente anteriori a esso (aree premotoria e supplementare motoria) regolano le attività muscolari finalizzate dell’emicorpo controlaterale. La corteccia premotoria e quella supplementare controllano anche movimenti specializzati omolaterali, come quello di colpire una pallina da golf. Le crisi convulsive che interessano tali aree premotorie si manifestano in modo caratteristico con movimenti avversativi della testa, degli occhi, del tronco e degli arti verso il lato opposto; quelle originate dal giro precentrale causano le classiche crisi motorie focali jacksoniane. Più anteriormente, le anomalie comportamentali, prodotte da lesioni nell’area prefrontale, variano a seconda della localizzazione delle lesioni stesse, della loro estensione e dell’età di sviluppo. Le lesioni unilaterali di diametro < 2 cm sono quasi sempre asintomatiche, tranne quando causano crisi convulsive. Lesioni più estese possono essere asintomatiche a meno che presentino un rapido accrescimento (in settimane o in mesi, piuttosto che in anni) o che coinvolgano entrambi i lobi frontali. I pazienti con grandi lesioni fronto-basali sono apatici, disattenti alle stimolazioni, indifferenti alle proprie azioni, spesso incontinenti. Quelli con lesioni fronto-polari o antero-laterali sembrano non rendersi conto delle conseguenze di ciò che fanno e tendono a essere distratti, euforici, faceti, spesso volgari e indifferenti dal punto di vista sociale. Traumi acuti bilaterali delle aree prefrontali possono causare comportamenti scomposti, logorrea, agitazione, atteggiamenti socialmente invadenti, che spesso durano per diversi giorni o settimane e che in seguito regrediscono spontaneamente. Lobi parietali: l’area postrolandica dei lobi parietali integra gli stimoli somestesici per il riconoscimento e il ricordo di forme, strutture e pesi. Le aree più posterolaterali consentono accurate relazioni visuo-spaziali, nonché l’integrazione della propiocezione con le altre sensibilità, per rendere possibile la percezione delle traiettorie degli oggetti in movimento. In quest’area è anche generata la percezione della posizione delle varie parti del corpo. Nell’emisfero dominante, l’area parietale inferiore è preposta alle funzioni matematiche ed è strettamente correlata al riconoscimento del linguaggio e alla memoria per le parole. Il lobo parietale, non dominante, integra il lato sinistro del corpo con l’ambiente circostante. Piccole lesioni a livello della corteccia post-centrale causano astereognosia (perdita della capacità tattile di identificazione) della mano e dell’emicorpo controlaterali. Le ampie lesioni parietali inferiori dell’emisfero dominante (generalmente il sinistro) sono comunemente associate ad afasia grave. Lesioni meno estese a questo livello, causano aprassia, difficoltà di calcolo e talora disorientamento dx-sx e agrafia. Una lesione acuta del lobo parietale non dominante può abolire la percezione dell’emisoma sinistro e dell’ambiente circostante del paziente nonché la percezione della gravità della lesione da cui esso è affetto (anosognosia). Alcuni pazienti, particolarmente quelli anziani affetti da ampie lesioni parietali destre, negano addirittura l’esistenza della paralisi che colpisce l’emisoma sinistro. Alcuni di essi cadono in stati di confusione globale. Altri, affetti da piccole lesioni, sono confusi nell’effettuare le procedure manuali precedentemente apprese; il deficit manuale spaziale viene detto aprassia. Spesso questi pazienti non sono in grado di vestirsi né di svolgere altre attività ben apprese. Lobi temporali: i lobi temporali elaborano il riconoscimento visivo, la percezione uditiva, la memoria e l’affettività. Pazienti con lesione acquisita unilaterale del lobo temporale destro perdono in genere l’acuità per gli stimoli uditivi non verbali (p. es., per la musica). La lesione del lobo temporale destro compromette gravemente il riconoscimento, la memoria e la produzione del linguaggio. I pazienti con foci epilettogeni, nelle parti mediali limbico-emozionali del lobo temporale, vanno in genere incontro a crisi parziali complesse, caratterizzate da umore incontrollabile e funzioni cognitive, emotive e vegetative anomale. Talvolta, questi pazienti presentano alterazioni della personalità, caratterizzate da irritabilità, misticismo e ossessività. Negli uomini, può esserci calo della libido.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AFASIA Difetto o perdita della funzione del linguaggio, in cui la comprensione o l’espressione delle parole (o del loro equivalente non verbale) è compromessa in seguito a traumi nella corteccia cerebrale o a degenerazione dei centri del linguaggio.

Sommario: Introduzione Prognosi e terapia

La funzione del linguaggio risiede in modo predominante nel lobo temporale postero-superiore, nel lobo parietale inferiore adiacente, nel lobo frontale inferolaterale e nelle connessioni profonde tra queste strutture, generalmente dell’emisfero sinistro, anche nei soggetti mancini. Le lesioni che interessano quest’area di forma pressoché triangolare (p. es., infarti, tumori, traumi, malattie degenerative), interferiscono su alcuni aspetti del linguaggio. La disartria (incapacità ad articolare adeguatamente le parole) è conseguenza della compromissione delle vie motorie e non dell’area corticale del linguaggio. Le afasie recettive (sensoriali) causano una disfunzione nella comprensione delle parole e nel riconoscimento dei loro simboli fonetici, visivi o tattili. Un sottotipo è l’afasia di Wernicke: il paziente pronuncia fluentemente parole normali, includendo spesso fonemi privi di senso, ma non ne riconosce il significato o le relazioni. Il risultato risultante è un miscuglio di parole o insalata di parole. L’alessia consiste nell’incapacità di leggere le parole. Una lesione della circonvoluzione frontale inferiore situata proprio davanti alla corteccia motoria che controlla i movimenti (area di Broca) causa un’afasia di espressione (o motoria), in cui le capacità di comprendere e di ragionare sono relativamente conservate, ma risulta compromessa la capacità di formare parole. In genere sono alterate la parola (disfasia) e la capacità di scrivere (disgrafia, agrafia) con tremenda frustrazione del paziente. L’anomia, l’incapacità di dare un nome agli oggetti (con conservata sintassi e grammatica), può avere origine recettiva o espressiva. La prosodia, ovvero l’insieme delle qualità del ritmo e dell’enfasi che servono ad aggiungere ulteriore significato al discorso, è di solito governata da entrambi gli emisferi cerebrali, ma talvolta dal solo emisfero non dominante. Le lesioni dell’encefalo abbastanza estese da compromettere i centri del linguaggio raramente producono difetti selettivi; di conseguenza sarà raro il riscontro di un’afasia recettiva o di espressione isolata. Le grandi lesioni frontotemporali causano un’afasia globale con gravi deficit sia della comprensione che dell’espressione verbale. Sono disponibili test precisi per diagnosticare l’afasia (p. es., il Boston Diagnostic Aphasia Examination). Comunque, la valutazione clinica è in genere sufficiente. I discorsi non fluenti, le parole esitanti (afasia di Broca) depongono per la compromissione del lobo frontale. L’afasia di Wernicke indica l’alterazione della regione temporale postero-laterale sinistra e quella parietale-inferiore del linguaggio. L’anomia indica un’anomalia o degenerazione temporo-parietale file:///F|/sito/merck/sez14/1691485.html (1 of 2)02/09/2004 2.27.39

Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

posteriore. Un’afasia spontanea simile a quella di Wernicke, con capacità conservata di ripetere il linguaggio ascoltato, consegue a interruzioni delle vie di collegamento delle aree frontali e temporali del linguaggio.

Prognosi e terapia La guarigione dall’afasia dipende da vari fattori, compresi la dimensione e la sede della lesione, il grado di compromissione del linguaggio e, in misura minore, dall’età, dal livello culturale e dalle condizioni cliniche generali. I bambini < 8 anni di età riacquistano spesso la funzione fasica, dopo gravi lesioni di ognuno dei due emisferi. Dopo quest’età, la maggior parte delle guarigioni avviene entro i 3 mesi, ma il miglioramento procede, con un grado variabile, fino a un anno. Di regola, la comprensione migliora più della produzione del linguaggio. In circa il 15% della popolazione, l’emisfero destro è dominante per le funzioni manuali e la fasia. In queste persone, danni specifici a ognuno degli emisferi possono provocare afasia, ma quasi tutti guariscono rapidamente. Il trattamento risulta controverso. I dati indicano che i pazienti trattati sistematicamente, da parte di logopedisti qualificati, migliorano di più rispetto ai pazienti affetti dagli stessi deficit, non sottoposti a trattamento. In generale, hanno un grado maggiore di miglioramento i pazienti sottoposti a trattamento precoce.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE APRASSIA Incapacità a eseguire atti motori intenzionali, appresi in precedenza, nonostante la volontà e la conservata capacità fisica. L’aprassia è comune in molte malattie dismetaboliche e organiche interessanti diffusamente l’encefalo, particolarmente quelle che compromettono la funzione del lobo temporale. Tipicamente, il paziente non può eseguire un comando verbale sebbene ne capisca le parole e non può ricordare come effettuare azioni complesse apprese, nonostante il fatto che possa eseguire i singoli componenti del movimento. Il difetto sembra essere conseguente a una lesione delle vie neurali post-rolandiche, atte a conservare la memoria di modelli appresi di movimento, cosicché il paziente non è in grado di concettualizzare né di eseguire l’azione. Le aprassie selettive con perdita di movimenti specifici, p. es., l’aprassia costruttiva (incapacità di disegnare o di comporre costruzioni semplici) o l’aprassia dell’abbigliamento, possono accompagnare la demenza e, talvolta, le lesioni focali del lobo parietale. La maggior componente dell’aprassia del lobo parietale è in relazione alla perdita della capacità di distinguere nello spazio le azioni effettuate, anche se ben apprese. La degenerazione gangliare corticobasale colpisce in particolare i pazienti anziani e compromette le funzioni del lobo parietale. Come conseguenza, è talvolta perduta la coscienza del proprio braccio nello spazio e il braccio può non essere capace di effettuare le azioni motorie precedentemente apprese. I test per l’aprassia comprendono quello di chiedere al paziente di eseguire o imitare azioni come quella di salutare con la mano; fare segno di avvicinarsi, di fermarsi o di andare; aprire un lucchetto con una chiave; adoperare un cacciavite; usare le forbici o effettuare un’inspirazione profonda e trattenere l’aria.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AMNESIE ENCEFALOPATIA DI WERNICKE L’encefalopatia di Wernicke è causata dall’insufficiente assunzione o assorbimento di tiamina, combinate all’ingestione continua di carboidrati. La condizione precipitante più comune è rappresentata dall’alcolismo grave, ma anche la dieta liquida non addizionata di vitamine, protratta per molti giorni o settimane (come nel caso di dialisi frequenti, errori nell’assistenza postoperatoria, iperemesi in gravidanza o manie alimentari) può causare tale carenza. I sintomi e i segni si sviluppano acutamente. I pazienti possono diventare atassici, confusi, sonnolenti o stuporosi. Sono caratteristici il nistagmo e l’oftalmoplegia parziale. La soglia nocicettiva dei nervi periferici risulta spesso elevata e molti pazienti sviluppano una grave disfunzione del sistema autonomo caratterizzata da iperattività del simpatico (p. es., tremore, agitazione) oppure ipoattività dello stesso (p. es., ipotermia, ipotensione arteriosa posturale, sincope). In frequente associazione a tali sintomi insorge atassia cerebellare. La maggior parte dei pazienti presenta carenze nutrizionali di base. Sebbene l’encefalopatia di Wernicke sia diagnosticabile con relativa facilità, essa è spesso non riconosciuta, con conseguenze sfavorevoli. Il trattamento dei casi sospetti o borderline consiste nel somministrare immediatamente al paziente tiamina per via parenterale alla dose di 100 mg EV, specialmente prima di infondere liquidi contenenti glucoso. I passi successivi consistono nella reidratazione vòlta al reintegro del volume ematico, nella correzione delle anomalie elettrolitiche e in una terapia nutrizionale generale, completa di complessi multivitaminici. I casi più avanzati richiedono il ricovero e uno stretto controllo. Il delirium tremens (v. Cap. 195) insorge spesso entro alcuni giorni dal trattamento correttivo e dall’astinenza da alcol.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AMNESIE SINDROME DI KORSAKOFF La sindrome di Korsakoff insorge in circa l’80% dei pazienti con encefalopatia di Wernicke. La sindrome di Korsakoff spesso si manifesta dopo un grave e ripetuto attacco di delirium tremens post-alcolico, sia che si sia manifestato in precedenza un attacco di encefalopatia di Wernicke con caratteristiche cliniche tipiche, sia che questo non sia avvenuto. Può anche essere conseguente a emorragia subaracnoidea, emorragia talamica, ictus ischemico e, meno frequentemente, a neoplasie interessanti la regione talamica paramediana posteriore. I segni e i sintomi comprendono deficit della memoria, molto caratteristici. La memoria immediata è seriamente compromessa, meno quella per gli eventi lontani; le esperienze pregresse possono pertanto guidare le azioni e le reazioni del paziente, tanto che il deficit intellettivo è scarsamente percettibile. È gravemente compromessa la memoria degli eventi successivi all’insorgenza del disturbo, spesso insieme a quella di un periodo di settimane o mesi prima dell’insorgere della patologia; è altresì inevitabile il disorientamento temporale. La confabulazione si manifesta, spesso precocemente, in maniera drammatica, in associazione ai deficit mnesici recenti; essa è meno evidente nei casi di più lunga durata. Il paziente spaventato sostituisce esperienze confuse e immaginarie a quelle che non ricorda e ciò può essere così convincente da indurre il medico a considerare normale il suo stato mentale. Sono presenti anche alcune alterazioni dell’emotività: apatia, tristezza o lieve euforia con scarsa empatia con gli eventi, anche nei confronti di quelli paurosi. Il decorso di tale quadro è dipendente dalla causa di base e spesso è transitorio. La prognosi è abbastanza buona nei pazienti affetti da trauma cranico o da emorragia subaracnoidea. Per quelli che presentano carenza di tiamina, encefalite necrotica acuta o altre condizioni in cui i danni a livello ippocampale o diencefalico sono irreversibili, la prognosi è infausta e spesso sono necessari lunghi periodi di ricovero e cure. Tuttavia, può esserci un miglioramento anche a distanza di 12-24 mesi dall’inizio del quadro clinico e pertanto il paziente non deve essere prematuramente ricoverato in lunga degenza. Il trattamento precoce comprende la cura della carenza di tiamina e l’adeguata idratazione. Quando è richiesta una terapia prolungata con liquidi, particolare attenzione andrà posta al fabbisogno calorico e a quello vitaminico. Nessun trattamento specifico è risultato utile.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AMNESIE AMNESIA GLOBALE TRANSITORIA La grave confusione amnesica si manifesta improvvisamente e dura da 3060 min fino a 12 h e oltre. Le crisi insorgono improvvisamente e, durante l’insorgenza, sono presenti disorientamento totale, tranne che verso se stessi e un deficit della memoria retrograda, che può estendersi a diversi anni. Gradualmente, i deficit si risolvono con il cessare della crisi. Il recupero totale è la regola; solo il 10% circa dei pazienti presenta delle ricadute o ictus successivi. Sono assenti le crisi comiziali e altre anomalie focali. Si ritiene che la causa sia un’ischemia transitoria bilaterale del talamo postero-mediale o dell’ippocampo. Nei giovani la causa può essere legata all’emicrania. Un’altra forma di amnesia transitoria è rappresentata dalla breve amnesia per gli eventi simultanei conseguente all’ingestione di grandi quantità di alcol, di dosi moderatamente alte di barbiturici, di vari farmaci o talvolta di dosi relativamente piccole di benzodiazepine (specialmente il midazolam e il triazolam). Questa forma differisce dall’amnesia globale in quanto è retrograda in modo selettivo, è correlata in modo specifico all’assunzione di farmaci, non provoca confusione e recidiva solo se si ingeriscono simili quantità di farmaco.

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Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 169. FUNZIONI DEI LOBI CEREBRALI E PATOLOGIE CORRELATE AMNESIE AMNESIA FATTIZIA (PSICOGENA) La memoria recente o remota sembra compromessa, con modalità generalmente riconoscibili: l’amnesia tende a essere massima per crisi emotive, compromette i ricordi remoti come o più di quelli recenti e qualche volta comprende un riferito mancato riconoscimento del sé. Per contro, la perdita di memoria di tipo organico comprende il disorientamento, che è più marcato per il tempo, meno per i posti, le persone e per i fatti aventi carica emotiva e, tranne che nello stato confusionale acuto, mai per il sé.

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Stupor e coma

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 170. STUPOR E COMA Lo stupor è definito come quello stato di non responsività da cui il paziente può essere svegliato, soltanto per brevi periodi di tempo, con stimoli energici e ripetuti. Il coma è uno stato in cui il paziente non è risvegliabile e non è responsivo; la sola risposta a stimoli ripetuti è costituita dai riflessi primitivi di allontanamento. Nel coma profondo, tutti i riflessi del tronco e quelli miotattici possono essere assenti.

Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi Terapia STATO VEGETATIVO Diagnosi e terapia LOCKED-IN SINDROME MORTE CEREBRALE

Lo stato di veglia richiede funzioni cognitive intatte degli emisferi cerebrali e conservazione dei meccanismi di vigilanza propri del sistema reticolare (un’estesa rete di nuclei e fibre di interconnessione che occupa la sostanza grigia centrale del ponte, del mesencefalo e del diencefalo posteriore). Il sistema riceve impulsi afferenti da molte vie sensitive somatiche, viscerali, uditive e visive e trasmette questi impulsi ai nuclei intralaminari, paracentrali e talamici. Questi nuclei attivano aree ampiamente distribuite nella corteccia cerebrale. I circuiti di feedback neuronale provvedono a bilanciare, ad ogni livello, la normale attività. Le alterazioni di queste funzioni compromettono la vigilanza, in modo breve o prolungato, lieve o profondo. Lo stupore e il coma sono forme estreme. Una breve perdita di coscienza accompagna la sincope (v. Cap. 200). Nel caso di convulsioni epilettiche, la perdita di coscienza può talvolta essere più lunga, mentre in caso di leggera commozione cerebrale può durare fino a circa 1 h. La perdita totale di coscienza per più di alcune ore è in genere secondaria a patologie intracraniche e metaboliche. Un trauma di minore entità può comportare apatia, disattenzione e ipersonnia (sonno eccessivamente lungo e profondo dal quale il paziente può essere svegliato solo con stimoli molto energici). Anche lo stato confusionale acuto consiste in uno stato di vigilanza e attenzione compromesse; la demenza consiste in una cognitività gravemente compromessa, generalmente senza perdita della vigilanza (v. Cap. 171).

Eziologia La confusione insorta di recente, la grave apatia, lo stupor o il coma indicano disfunzioni degli emisferi cerebrali, del diencefalo e/o del tronco encefalico superiore (v. Tab. 170-1). Lesioni focali delle strutture sopratentoriali possono danneggiare estesamente entrambi gli emisferi o causare un rigonfiamento cerebrale talmente elevato che gli emisferi comprimono il diencefalo e il mesencefalo, producendo ernia transtentoriale e lesione del tronco encefalico. Lesioni primitive sottotentoriali (del tronco encefalico o cerebellari) possono file:///F|/sito/merck/sez14/1701489.html (1 of 5)02/09/2004 2.27.47

Stupor e coma

comprimere o danneggiare in modo diretto la formazione reticolare, a qualsiasi livello dal ponte medio (mediante pressione verso l’alto) al diencefalo. Malattie metaboliche o infettive possono deprimere le funzioni emisferiche e quelle del tronco encefalico, mediante alterazioni della composizione ematica o per la presenza di una tossina. Una riduzione del flusso ematico (come nelle sincopi o nell’insufficienza cardiaca grave) o una modificazione dell’attività elettrica cerebrale (come nell’epilessia) possono alterare la coscienza; la commozione cerebrale, i farmaci ansiolitici e gli anestetici alterano la coscienza, senza provocare evidenti alterazioni strutturali cerebrali.

Diagnosi Spesso è piuttosto difficile individuare immediatamente cosa possa aver provocato una perdita di coscienza, perciò è necessario, per formulare una diagnosi, procedere in modo ordinato; per prima cosa, viene assicurata la pervietà delle vie respiratorie; la pressione arteriosa e il polso vengono controllati e viene effettuato un ECG per stabilire se la gittata cardiaca sia adeguata. Si dovrà valutare immediatamente l’ipoglicemia, potenziale causa di morte neuronale. Dopo che una via venosa è stata stabilita, viene somministrata, per via deltoidea, tiamina 100 mg/IM e vengono misurati la glicemia, gli elettroliti e l’uremia. Quindi, 50 ml di glucoso al 50% vengono somministrati EV. Se il paziente si sveglia, l’ipoglicemia è stata la causa del coma. Se possibile, mentre si effettuano gli esami fisici e neurologici, si dovrà raccogliere un’anamnesi dettagliata. Si dovrà poi controllare se il paziente abbia indosso un cartellino o porti con sé un foglietto diagnostico. Si interrogheranno i parenti o i testimoni sulle modalità di insorgenza della patologia e sull’esistenza di fattori patogenetici come ingestione di farmaci, di alcol o di altre sostanze tossiche nonché sulla presenza di infezioni, convulsioni, cefalea o malattie precedenti (p. es., diabete, insufficienza cardiaca, ipertensione o nefrite). La polizia può essere utile nel rintracciare parenti o conoscenti. Sarà opportuno inoltre conservare e far esaminare contenitori nei quali sono stati contenuti cibo, alcol, farmaci o veleni (per analisi chimiche o eventuali procedimenti di natura legale). Si dovranno cercare segni di emorragia, di incontinenza e di traumi cranici; l’età del paziente può fornire degli indizi: farmaci, epilessia e infezioni cerebro-meningee sono cause comuni nelle persone di età < 40 anni. Malattie cardiovascolari (specialmente l’infarto) e patologie metaboliche (p. es., diabete mellito, ipoglicemia, coma epatico, alterazioni elettrolitiche, uremia) sono più comuni al di sopra dei 40 anni. L’esame obiettivo comprende (1) la temperatura rettale; (2) cute: colore, presenza di traumi o di segni di iniezione (narcotici, insulina), esantemi, petecchie; (3) cuoio capelluto: contusioni, ferite; (4) occhi: dimensione delle pupille, reattività alla luce, paralisi dei movimenti, riflesso corneale e riflessi oculocefalici (fenomeno degli "occhi di bambola" alla rotazione del capo, da effettuare se non vi sono fratture cervicali), esame del fondo alla ricerca di un edema della papilla, emorragie, sclerosi vascolari, retinite diabetica o uremica; (5) apparato ORL: perdita di liquor o sangue, lingua erosa o morsicata, odore dell’alito (alcol, paraldeide, acetone o l’aroma di mandorla amara del cianuro); (6) tipo di respirazione: iperventilazione, respiro periodico di Cheyne-Stokes; (7) segni cardiovascolari: ritmo, frequenza e carattere delle pulsazioni, PA ad ambedue le braccia, segni di scompenso, sclerosi dei vasi periferici, dita cianotiche o a bacchetta di tamburo alle mani e ai piedi; (8) addome: spasmi, rigidità e (9) segni neurologici: paresi, rigidità del collo, riflessi, contrazioni muscolari involontarie, convulsioni. L’esame neurologico può stabilire se la sede della lesione è sopratentoriale, sottotentoriale o se essa è di natura metabolica. Il respiro può essere periodico (Cheyne-Stokes) in una patologia che colpisce bilateralmente gli emisferi o nelle lesioni diencefaliche; può avere ritmo irregolare (inspirazione prolungata o atassica) nelle lesioni del ponte inferiore e del bulbo superiore. L’iperventilazione riflette in genere patologie metaboliche o polmonari, ma talvolta è espressione di un danno pontino alto o mesencefalico. Le pupille sono piccole e reattive alla file:///F|/sito/merck/sez14/1701489.html (2 of 5)02/09/2004 2.27.47

Stupor e coma

luce nella lesione ipotalamica, nella lesione pontina e nell’avvelenamento da narcotici; diventano areattive di media ampiezza quando è presente un danno mesencefalico o un sovradosaggio grave di glutetimmide. Le pupille sono dilatate nell’anossia o per la compressione del 3o nervo, ma rimangono normoreagenti nella maggior parte delle malattie metaboliche, nelle malattie emisferiche e nella mancata responsitività di tipo psicogeno. Nella compromissione emisferica, le risposte oculo-vestibolari alla stimolazione calorica mostrano una deviazione coniugata tonica bilaterale verso il lato dell’orecchio irrigato con acqua fredda. Le risposte oculovestibolari risultano assenti o disgiunte nella compromissione del tronco encefalico e mostrano solo un nistagmo minimo o movimenti disordinati nelle alterazioni della vigilanza di tipo psicogeno. Le lesioni emisferiche producono una risposta motoria di tipo emiplegico allo stimolo nocicettivo. La rigidità in decerebrazione (collo, schiena e arti estesi; mascelle serrate) si presenta nelle patologie diencefalo-mesencefaliche. Nelle lesioni ponto-bulbari è presente flaccidità. Nelle malattie metaboliche, specialmente l’anossia e le alterazioni neuronali diffuse provocate da tossicità farmacologica o dalla malattia di Creutzfeldt-Jacob, vi sono frequenti anomalie simmetriche della funzione motoria, come l’asterixis o il mioclono multifocale. I segni motori e i riflessi rimangono normali nelle alterazioni della vigilanza a causa psicogena. Di solito, quando lesioni espansive sopratentoriali causano stupor e coma, i segni e i sintomi neurologici indicano all’inizio il coinvolgimento di un emisfero cerebrale; in seguito, la massa si ingrandisce e le alterazioni pressorie comportano la dislocazione dei tessuti encefalici, lo sviluppo progressivo di deterioramento rostro-caudale che indica il coinvolgimento dapprima del diencefalo e infine del tronco encefalico. Se l’alterazione dello stato di coscienza è dovuta a lesioni primitive del tronco dell’encefalo, già all’inizio si troveranno anomalie della motilità pupillare e della oculomozione. Gli esami di laboratorio nei pazienti in stupor acuto o in coma da cause non conosciute iniziano con la misura della glicemia. I test ematologici devono comprendere l’Hct, l’emogasanalisi, il numero di GB, l’azotemia, il sodio, il potassio, i bicarbonati, il cloro, la concentrazione di alcol e di bromuro e se, non è ancora chiara una diagnosi, la spettroscopia per la sulfoemoglobina e la metemoglobina. Molteplici prelievi andranno effettuati per indagini tossicologiche o per la misurazione del livello ematico di eventuali farmaci anticonvulsivanti. Attraverso la cateterizzazione si raccoglierà l’urina che verrà esaminata per la ricerca del glucoso, dei corpi chetonici, dell’albumina e di farmaci sedativi. La lavanda gastrica è necessaria per la diagnosi e il trattamento in caso di sospetto avvelenamento; bisognerà porre attenzione al rischio di perforazione dell’esofago e dello stomaco in caso d’ingestione di sostanze caustiche (v. anche Cap. 307). Nei pazienti in coma profondo, per prevenire inalazioni polmonari, il lavaggio gastrico deve essere preceduto dall’intubazione endotracheale. La TAC o la RMN andranno effettuate quando la diagnosi rimane ancora dubbia; le radiografie dirette del cranio sono in genere inutili. In casi senza diagnosi, la PL sarà praticata appena possibile, salvo che non si sospetti un quadro di ipertensione endocranica da lesione espansiva. Un EEG effettuato dopo qualche ora di coma persistente può mostrare i segni elettrici di uno stato epilettico non convulsivante, punte, onde aguzze o punte e complessi lenti. I principali punti diagnostici dei casi più comuni di perdita di coscienza sono elencati nella Tab. 170-2. Le malattie specifiche sono trattate oltre in altre sezioni del Manuale

Terapia Misure d’emergenza: potranno essere necessari il controllo delle emorragie, la rianimazione cardiopolmonare, il mantenimento della pervietà delle vie aeree (mediante intubazione o tracheostomia), il trattamento dello shock, la somministrazione di O2 (in quanto l’ipossia complica tutte le perdite di coscienza), la cateterizzazione vescicale, il ripristino idroelettrolitico nonché la somministrazione di farmaci in grado di far regredire il coma indotto da narcotici. Parametri come temperatura, polso, respiro e PA dovranno essere controllati. Se

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Stupor e coma

non si riesce a porre subito una diagnosi, si può iniziare, previa misurazione della glicemia, un’infusione di 50 ml di soluzione ipertonica al glucoso. Nulla va somministrato per bocca. Gli stimolanti e i narcotici devono essere evitati; per il trattamento a lungo termine, sono essenziali la nutrizione per via parenterale e la prevenzione delle ulcere da decubito.

STATO VEGETATIVO Incapacità di attività mentale consapevole di sé, dovuta a danno o disfunzione molto gravi degli emisferi cerebrali, con sufficiente risparmio del diencefalo e del tronco encefalico nel mantenere i riflessi neurovegetativi e motori, come anche il normale ciclo sonno-veglia. Lo stato vegetativo compare in modo transitorio in seguito a molti tipi di lesioni cerebrali diffuse. Uno stato vegetativo che persista > 4 settimane è definito convenzionalmente come persistente. Lo stato vegetativo persistente è molto comune dopo un trauma cranico grave o in seguito ad anossia globale (p. es., da arresto cardiaco) e presenta una prognosi infausta per quanto riguarda il recupero della coscienza. Quando tale condizione perdura per più di qualche mese, pochi pazienti migliorano e nessuno guarisce del tutto. Gli adulti in stato vegetativo persistente presentano circa il 50% di probabilità di recuperare una coscienza interattiva nei primi 6 mesi dopo il trauma cranico. Ne deriva generalmente incapacità funzionale permanente dell’encefalo. Dopo questo periodo, sempre meno pazienti diventano in ogni modo coscienti dell’ambiente circostante. Solamente dal 10 al 15% di essi recupera la coscienza, dopo un arresto cardiaco in ospedale e forse non più del 5% dopo un arresto cardiaco fuori dall’ospedale. Circa il 60% dei bambini in stato vegetativo persistente da trauma cerebrale recupera la coscienza entro gli anni successivi, ma quelli con lesioni cerebrali da anossia presentano un decorso di poco migliore rispetto agli adulti. Solo un piccolo gruppo di pazienti che recupera la coscienza dopo 6 mesi guarisce in modo sufficiente per essere autosufficiente.

Diagnosi e terapia Estrema cura deve essere posta nel formulare la diagnosi di stato vegetativo persistente nonché nel confermarla nelle settimane o nei mesi successivi. Il trattamento non è specifico e consiste nel prevenire le patologie sistemiche, come le polmoniti, e nell’assicurare una buona nutrizione, un’assistenza efficace per prevenire ulcere del dorso e degli arti e una terapia fisica per prevenire le contratture negli arti. Le persone non coscienti non possono percepire il dolore. Quelle che mostrano segni di recupero della vigilanza rispondendo a domande o a stimoli specifici devono essere trattate con cura, evitando a esse ulteriori disagi, oltre quelli che già provano. Il mantenimento in vita, per un periodo superiore ai 6 mesi, dei pazienti in stato vegetativo persistente, comporta notevoli problematiche sociali ed etiche, specialmente in caso di persone che non abbiano precedentemente lasciato direttive circa la decisione di sospendere il trattamento rianimatorio.

LOCKED-IN SINDROME Condizione nella quale il paziente rimane vigile e cosciente, ma non è in grado di comunicare, tranne che talvolta mediante movimenti codificati degli occhi, per paralisi motoria di tutte le parti del corpo.

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Stupor e coma

Tale sindrome può conseguire a varie patologie causanti l’interruzione bilaterale delle vie cortico-spinali che decorrono tra il mesencefalo e il ponte o a patologie che compromettano in modo diffuso il motoneurone inferiore.

MORTE CEREBRALE La capacità degli strumenti di ventilazione di prolungare per molto tempo le funzioni cardiopolmonari, nonostante l’insufficienza degli altri organi, ha condotto a un accordo, largamente condiviso sia socialmente che legalmente, per cui la morte viene definita come la cessazione completa dell’attività cerebrale integrata, specialmente a livello del tronco encefalico. Perché il medico possa dichiarare la morte cerebrale, è necessario che sia presente una causa conosciuta di danno metabolico cerebrale e che sia escluso l’effetto di eventuali farmaci anestetici o paralizzanti, specialmente se assunti in modo autonomo dal paziente. L’ipotermia al di sotto dei 30°C deve essere corretta. Tutti i criteri sono riportati nella Tab. 170-3.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 170-1. CAUSE PIU' FREQUENTI DI STUPOR E COMA Cause

Esempi

Lesioni sopratentoriali

Trauma cerebrale Tumore o ascesso cerebrali Infarto o emorragia cerebrali Ematoma epidurale o subdurale

Lesioni sottotentoriali

Infarto del tronco cerebrale, tumore, emorragia o trauma Emorragia cerebrale

Patologie cerebrali diffuse o metaboliche

Anossia o ischemia (sincope, aritmie, infarto polmonare, insufficienza polmonare, avvelenamento da monossido di carbonio, malattie del collagene vascolare) Tossine e carenze endogene (uremia, coma epatico, acidosi diabetica, ipoglicemia, iposodiemia) Epilessia Tossine esogene (alcol etilico, barbiturici, morfina, eroina, alcol metilico, ipotermia, glutetimide) Stati post-ictali (dopo crisi comiziale) Stato di male epilettico psicomotorio Emorragia subaracnoidea Trauma (concussione, lacerazioni o contusioni cerebrali)

Adattata da Plum F.Posner JB: The Diagnosis of stupor and Coma, ed 3. Philadelphia, FA Davis Company, 1982, p. 2; riproduzione autorizzata

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 170-3. Linee guida per la determinazione della morte cerebrale (in pazienti > 1 anno d'età') Tutte e nove le voci devono essere confermate per dichiarare la morte cerebrale: 1.Sono stati effettuati tutti gli sforzi per avvertire i parenti prossimi o altre persone vicine al paziente. 2. La causa del coma è conosciuta e sufficiente per determinare l'irreversibile perdita di tutte le funzioni cerebrali. 3. Sono stati esclusi come responsabili i farmaci deprimenti le funzioni del SNC, l'ipotermia (25 µg/ml

Atassia, torpore, sonnolenza, (40-80µmol/ (>99 µmol/ cefalea, prurito, parestesie l) l)

Manuale Merck - Tabella

1mg/kg; massimo: 2mg/kg o 150mg Fenobarbital

Crisi tonicoNeonati: 3-4mg/ 150-300mg cloniche kg, quindi generalizzate aumentata* e parziali Bambini: 5-6mg/kg in 1 o 2 dosi

10-30 µg/ml (43-129 µmol/l)

>35µg/ml

Sopore, iperattività (>151µmol/ paradossa nei bambini, l) nistagmo, atassia, difficoltà d'apprendimento

1-5anni: 6-8mg/kg in 1 o 2 dosi

Idiosincrasia: anemia, rash cutanei

6-12anni: 4-6mg/ kg in 1 o 2 dosi Fenitoina

Crisi Neonati: 300-500mg generalizzate Inizialmente, 5mg/ e parziali kg in 2 dosi 1,5g EV suddivise. Per il EV nello stato mantenimento, generalmente 5-8 di male mg/kg, in 2 o epilettico 3dosi suddivise

10-20 µg/ml

>25µg/ml

Anemia megaloblastica, (40-80 µmol/ (>99µmol/l) iperplasia gengivale, l) osteopenia, irsutismo, adenopatia A livelli ematici elevati: nistagmo, atassia, disartria, letargia, irritabilità, vomito, confusione

0,5-3anni: 8-10mg/ kg 4-6anni: 7,5-9mg/ kg

Idiosincrasia: rash, dermatite esfoliativa, recrudescenza delle crisi (raramente)

7-9anni: 7-8mg/kg 10-16anni: 6-7mg/ kg

Primidone

Topiramato

Crisi tonicocloniche parziali e generalizzate

60anni

Aritmie

Storia familiare di ictus

Cardiomiopatia Iperviscosità ematica Diabete mellito Abuso di droghe

Sesso maschile Attacchi ischemici transitori o ictus precedenti

Abuso di etanolo

Uso di contraccettivi orali

Storia di emicrania

Uso di tabacco

Stato ipercoagulativo

Valvulopatie cardiache Vasculite

Iperlipidemia

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Malattie cerebrovascolari

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI SINDROMI ISCHEMICHE Disturbi cerebrovascolari causati da insufficienza circolatoria cerebrale. Le sindromi comprendono gli attacchi ischemici transitori (TIA) e l’ictus ischemico. In genere un adeguato flusso ematico cerebrale è assicurato da circoli collaterali efficienti: da un’arteria vertebrale all’altra, tra la carotide e le arterie vertebrali attraverso anastomosi al circolo di Willis e mediante la circolazione collaterale a livello degli emisferi. Anomalie congenite e l’aterosclerosi possono interrompere il flusso ematico arterioso intracranico o extracranico e compromettere il circolo collaterale, provocando l’ischemia cerebrale e i conseguenti sintomi neurologici. Se l’apporto ematico alla regione ischemica è prontamente ristabilito, il danno e i sintomi scompaiono rapidamente; se l’ischemia dura per più di 1 h insorgeranno l’infarto e danni neurologici permanenti. Trombi ed emboli da aterosclerosi o altre patologie (p. es., arteriti, malattia reumatica cardiaca) provocano comunemente l’ostruzione ischemica delle arterie. L’ateroma, che è alla base della maggior parte dei trombi, può localizzarsi in ognuna delle maggiori arterie cerebrali (v. Fig. 174-1). Ateromi estesi possono interessare la carotide comune e le arterie vertebrali alla loro origine, ma la biforcazione cervicale della carotide comune è la sede più frequente, dando origine a emboli che causano ictus. La trombosi intracranica può realizzarsi in una delle grandi arterie della base dell’encefalo, in un’arteria perforante profonda o in una piccola diramazione corticale, ma le sedi più frequenti sono il tronco principale e le diramazioni dell’arteria cerebrale media. Anche il sifone carotideo intracranico e l’arteria basilare prossimalmente all’origine dell’arteria cerebrale posteriore sono spesso coinvolti. L’ischemia e/o l’infarto si verificheranno in rapporto all’efficienza dei circoli collaterali; p. es., una stenosi concomitante di entrambe le vertebrali può compromettere i circoli collaterali e amplificare le conseguenze di una lesione carotidea. Meno frequentemente, possono essere causa di occlusioni trombotiche le vasculiti secondarie a meningiti acute o croniche, a malattie del collagene dei vasi o a lue. Gli emboli cerebrali possono localizzarsi transitoriamente o in modo permanente nell’albero arterioso cerebrale. Partono in genere da ateromi dei vasi extracranici o da trombi cardiaci, specialmente da vegetazioni sulle valvole cardiache nelle endocarditi batteriche o marantiche, da trombi murali durante la fibrillazione atriale dopo infarto miocardico o da coaguli dopo chirurgia a cuore aperto. Meno frequentemente gli emboli sono grassosi (fratture delle ossa lunghe), gassosi (malattia dei cassoni) o essere costituiti da coaguli venosi che passano dal cuore Dx al Sx, attraverso un forame ovale pervio (embolia paradossa). Emboli cerebrali possono provenire da aterosclerosi dell’arco aortico. Gli emboli possono anche prodursi spontaneamente o essere distaccati da una procedura cardiovasale invasiva (p. es., cateterizzazione aortica). Una causa relativamente poco frequente di ischemia e infarto è l’insufficienza circolatoria fisiologica. La riduzione della perfusione può essere un fatto isolato o essere sovrapposta a un’occlusione parziale già esistente. Una ridotta perfusione può riconoscere varie cause. Una grave anemia o un avvelenamento da monossido di carbonio (attraverso la riduzione della capacità di trasporto dell’O2

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del sangue) e una policitemia grave (attraverso l’incremento della viscosità del sangue), possono contribuire alla patogenesi dei disturbi vascolari cerebrali. Generalmente, una riduzione della pressione arteriosa dovrà essere marcata e duratura per compromettere il flusso ematico regionale ma, se sono presenti patologie delle arterie o ipossiemia, una minore diminuzione pressoria potrà causare ischemia e infarto. Un’ischemia può conseguire all’assunzione di farmaci simpaticomimetici (p. es., cocaina, anfetamina), presumibilmente attraverso un meccanismo vasculitico. L’ictus ischemico è stato messo in relazione con l’assunzione dei primi contraccettivi orali; l’associazione con i contraccettivi attuali, a dosaggi minori, risulta più debole. Molto raramente, le produzioni ossee vertebrali (osteofiti) provocano compressione arteriosa.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI SINDROMI ISCHEMICHE ATTACCHI ISCHEMICI TRANSITORI Anomalie neurologiche focali a esordio improvviso e di breve durata che riflettono una disfunzione del circolo cerebrale nei territori arteriosi della carotide interna, cerebrale media o sistema arterioso vertebro-basilare.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La maggior parte dei TIA è dovuta a emboli cerebrali che originano da placche aterosclerotiche ulcerate della carotide o nelle arterie vertebrali al collo o, meno spesso, da trombi murali patologici del cuore. Alcuni TIA sono dovuti a riduzione del flusso di breve durata in arterie stenotiche. L’ipertensione, l’aterosclerosi, le cardiopatie, la fibrillazione atriale, il diabete mellito e la policitemia predispongono ai TIA. I TIA sono più frequenti nelle persone di mezza età e negli anziani; occasionalmente possono avvenire nei bambini affetti da gravi malattie cardiovascolari emboligene o che provocano un aumento eccessivo dell’ematocrito. Nella rara sindrome da furto della succlavia, un’arteria succlavia stenotica prossimalmente all’origine della vertebrale "ruba" sangue all’arteria vertebrale omolaterale, qualora venga richiesto un aumento di flusso ematico al braccio, come durante l’esercizio fisico. Il reperto angiografico di flusso invertito tra arteria vertebrale e l’arteria succlavia stenotica non è mai diagnostico in assenza di segni clinici indicativi di ischemia vertebro-basilare provocata da movimento dell’arto interessato.

Sintomi e segni I TIA si manifestano improvvisamente, durano da 2 a 30 min o più (raramente > 12 h), quindi scompaiono senza lasciare anomalie neurologiche; la coscienza, durante tutto l’episodio, rimane integra. Quando un TIA dura per più di un’ora il paziente potrà sviluppare un infarto, evidenziato mediante successive TAC o RMN, anche senza anomalie neurologiche persistenti. I sintomi sono sovrapponibili a quelli dell’ictus, ma sono transitori. Nel coinvolgimento dell’arteria carotidea i sintomi sono di solito unilaterali. La sindrome classica è caratterizzata da cecità omolaterale o emiparesi controlaterale, spesso con parestesie, anche se sono più comuni quadri clinici meno completi. L’afasia indica il coinvolgimento dell’emisfero dominante. Quando c’è un coinvolgimento del sistema vertebro-basilare (che irrora il tronco encefalico, il cervelletto e parti dei lobi temporale e occipitale) si avranno sintomi di disfunzione del tronco cerebrale; possono essere presenti confusione, vertigine, ambliopia, diplopia e perdita di forza o parestesie degli arti, unilaterali o file:///F|/sito/merck/sez14/1741526.html (1 of 3)02/09/2004 2.28.01

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più spesso bilaterali. La difficoltà nella parola (disartria) può derivare da alterazioni del sistema carotideo o di quello vertebro-basilare. I "drop attack", nei quali le gambe del paziente in stato cosciente cedono, solitamente provocando una caduta, sono spesso attribuiti a un’ischemia vertebro-basilare, ma la causa reale di questa condizione comune è tuttora incerta. I pazienti possono avere parecchi TIA in un giorno oppure due o tre episodi in diversi anni. I sintomi sono in genere simili negli episodi carotidei successivi ma possono, in qualche modo variare, negli attacchi vertebro-basilari successivi. I pazienti affetti da TIA sono a rischio notevolmente elevato di ictus e devono essere urgentemente sottoposti alla valutazione delle possibili cause.

Diagnosi e terapia È necessaria una diagnosi differenziale con le crisi epilettiche, le neoplasie, l’emicrania, la malattia di Méniere e altre forme di vertigine o con l’iperinsulinismo nei diabetici. L’ecografia non invasiva, l’angio-risonanza magnetica o l’arteriografia invasiva possono confermare la presenza di una stenosi e identificare l’arteria lesionata; tale conferma diventa necessaria qualora sia contemplata l’ipotesi di una chirurgia dell’arteria carotide nel collo. L’occlusione concomitante dell’arteria succlavia si evidenzia con valori di PA del braccio interessato significativamente inferiori rispetto al controlaterale. Se è sospettata una fonte cardioembolica, dovrà essere effettuata l’ecografia. Dovranno essere identificati e trattati, se possibile, i fattori di rischio (v. Tab. 1742). Se i pazienti con TIA di origine carotidea presentano un’ostruzione documentata > 70% o una placca ulcerata nell’arteria ipsilaterale, la possibilità di malattia cerebrovascolare verrà ridotta più significativamente mediante l’endoarteriectomia rispetto alla sola terapia medica. La terapia medica è preferibile per ostruzioni < 30%. Per un’ostruzione fra il 30 e il 70%, la miglior terapia non è stata ancora definita. Vari trial multicentrici randomizzati indicano che l’endoarteriectomia riduce il rischio di TIA e di ictus nei pazienti asintomatici affetti da stenosi carotidea > 60%. Tuttavia, l’endoarteriectomia è controversa, in quanto il quoziente rischio/beneficio è basso e dipende dalla selezione dei pazienti, dalla morbilità chirurgica e dalla mortalità < 3%. Se il paziente non è iperteso, la terapia con antiaggreganti e anticoagulanti sarà scelta nel caso di occlusione intracranica o localizzata nel territorio vertebrobasilare, oppure se essa interessa contemporaneamente la carotide e la vertebrale. Negli attacchi recenti e in quelli con frequenza giornaliera, si userà per prima l’eparina; un derivato warfarinico andrà somministrato se la frequenza degli attacchi è minore. La durata della terapia con anticoagulanti è stabilita empiricamente; spesso, si prosegue la terapia con anticoagulanti dai 2 ai 3 mesi prima di provarne la sospensione. Per i pazienti che presentano occasionalmente TIA secondario ad aterotrombosi, la maggior parte degli autori propone una terapia con antiaggreganti piastrinici, prima di iniziare quella con gli anticoagulanti. A meno che non sia specificatamente controindicata, la terapia con gli antiaggreganti piastrinici dovrà essere continuata indefinitamente. L’aspirina alla dose di 650-1300 mg/ die rappresenta il farmaco di scelta; non è nota tuttavia la dose ottimale per questo farmaco (per molti autori è tra 100 e 300 mg n.d.t.). Non è stata stabilita l’utilità della terapia con sulfinpirazone, dipiridamolo e cofibrato. L’anastomosi chirurgica o il bypass tra la carotide esterna e l’arteria cerebrale media non hanno dato benefici, ma il bypass potrà giovare a pazienti selezionati che necessitano di occlusione carotidea immediata o a quelli che presentano un’occlusione con un circolo collaterale inadeguato e sintomi, nonostante la terapia con anticoagulanti.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI SINDROMI ISCHEMICHE ICTUS ISCHEMICO Ictus in evoluzione (evolving stroke): un infarto cerebrale in accrescimento che si manifesta con deficit neurologici che peggiorano in 24-48 h. Ictus completo: infarto cerebrale che si manifesta con deficit neurologici che indicano una lesione stabile.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia Riabilitazione

Solitamente, l’ictus è dovuto a stenosi arteriosclerotica o a stenosi ipertensiva, trombosi o embolia.

Sintomi e segni L’insorgenza è improvvisa. Nell’ictus in evoluzione l’alterazione neurologica unilaterale (che spesso inizia in un braccio e quindi si estende in modo progressivo ipsilateralmente) peggiora senza sintomatologia dolorosa, cefalea o febbre, nell’arco di diverse ore e nei primi uno o due giorni successivi. La progressione di solito è a scalini, interrotta da periodi di stabilità, ma può anche essere continua. L’ictus acuto completo è il più frequente. I sintomi si sviluppano rapidamente e raggiungono il massimo entro alcuni minuti. Un ictus in evoluzione può diventare un ictus completo. Durante le prime 48-72 h di un ictus in evoluzione o di un esteso ictus completo, i deficit possono aggravarsi e la coscienza può obnubilarsi per l’edema cerebrale o, meno frequentemente, per l’estendersi dell’infarto. Un edema cerebrale grave può causare uno spostamento fatale delle strutture intracraniche (ernia transtentoriale; v. Neoplasie Intracraniche nel Cap. 177). Tuttavia, a meno che l’infarto non sia esteso, le funzioni colpite di solito migliorano precocemente, con ulteriori miglioramenti graduali durante i giorni e i mesi successivi. L’arteria cerebrale media o uno dei suoi rami profondi penetranti rappresentano i vasi più frequentemente soggetti a occlusione. L’occlusione della parte prossimale dell’arteria, che vascolarizza grandi regioni dei lobi frontale, temporale e parietale comporta emiplegia controlaterale (di solito grave), emianestesia ed emianopsia omonima. In seguito al coinvolgimento dell’emisfero dominante si avrà afasia; quando l’alterazione interessa l’emisfero non dominante, insorgono aprassia e/o agnosia spaziale unilaterale. L’occlusione di uno dei rami profondi file:///F|/sito/merck/sez14/1741527.html (1 of 5)02/09/2004 2.28.02

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che riforniscono di sangue i gangli della base, la capsula interna ed esterna e il talamo può causare anch’essa un’emiplegia controlaterale del volto, del braccio e della gamba, talvolta con emianestesia. Se sono occlusi i rami terminali il danno motorio e sensitivo è di solito meno grave. L’occlusione dell’arteria carotide interna comporta l’infarto della porzione centro-laterale dell’emisfero cerebrale, con sintomi identici a quelli dell’occlusione dell’arteria cerebrale media, eccetto per occasionali sintomi oculari ipsilaterali alla carotide interna colpita. L’occlusione dell’arteria cerebrale anteriore è infrequente. Essa interessa i lobi frontale e parietale, il corpo calloso e talvolta il nucleo caudato e la capsula interna. Si può avere emiplegia controlaterale (particolarmente dell’arto inferiore), presenza del riflesso di prensione e talvolta incontinenza urinaria. Un’occlusione bilaterale può causare paraparesi spastica e disturbi psichici come apatia, confusione e talora mutismo. L’occlusione dell’arteria cerebrale posteriore può coinvolgere regioni dei lobi temporale e occipitale, la capsula interna, l’ippocampo, il talamo, i corpi mammillare e genicolato, il plesso coroideo e le porzioni superiori del tronco. Potranno insorgere emianestesia, emianopsia omonima controlaterale, dolore talamico spontaneo e improvviso emiballismo; un infarto nell’emisfero dominante può causare alessia. Per occlusioni del sistema vertebrobasilare si avrà quindi una combinazione di segni cerebellari, corticospinali, sensitivi e di danno dei nervi cranici. In caso di affezione unilaterale, le anomalie del nervo cranico sono spesso controlaterali al lato del corpo in cui si realizzano debolezza o alterazioni sensitive. L’occlusione completa dell’arteria basilare causa di solito oftalmoplegia, anomalie pupillari, segni corticospinali bilaterali (tetraparesi o tetraplegia) e modificazioni dello stato di coscienza; spesso si hanno segni pseudobulbari (disartria, disfagia e instabilità emozionale). Spesso ne consegue la morte.

Diagnosi L’ictus ischemico può essere generalmente diagnosticato clinicamente, specialmente in soggetti con più di 50 anni d’età, affetti da ipertensione, diabete mellito o segni di aterosclerosi, oppure in persone affette da condizioni predisponenti agli embolismi. La presenza di soffi e di fremiti vascolari carotidei a livello del collo è indicativa di stenosi e formazione di placche; i sintomi neurologici suggeriranno quale arteria è coinvolta, anche se la correlazione è inesatta. Più difficile può essere determinare la causa della lesione; l’insorgenza durante il sonno o al momento del risveglio suggerisce un infarto; l’insorgenza durante l’attività, un’emorragia. La cefalea, il coma, lo stupor, l’ipertensione marcata e le crisi convulsive sono più frequenti nell’emorragia. Segni concomitanti di infarto miocardico, fibrillazione atriale o endocarditi vegetanti depongono per l’embolia. Il dolore al collo associato a un nuovo deficit neurologico indica la dissezione; le dissezioni possono insorgere senza dolore. Un embolo esteso tende a provocare un ictus acuto completo, con insorgenza improvvisa e alterazioni focali che raggiungono il grado più elevato nel giro di minuti; la cefalea può precedere l’ictus. La trombosi, che è una causa meno frequente, è suggerita da un esordio più lento e da una graduale progressione dei sintomi (come nell’ictus in evoluzione), ma tale distinzione non è affidabile. Si dovranno eseguire indagini di laboratorio che permettano di evidenziare un’ipertensione o escludere un’anemia, una policitemia, ipercoagulabilità ematica o infezioni. Bisogna inoltre determinare i livelli plasmatici dei lipidi e la velocità di eritrosedimentazione per aiutare a escludere una vasculite. Un test del VDRL è indicato per le persone con aumentato rischio di lue. Un esame rx del torace sarà utile per la ricerca di un tumore polmonare primitivo o di patologie cardiovascolari, così come deve essere fatto un ECG. file:///F|/sito/merck/sez14/1741527.html (2 of 5)02/09/2004 2.28.02

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In tutti i tipi di ictus ischemico, il liquor è in genere normale, ma i globuli bianchi possono aumentare transitoriamente fino a 500/µl, il glucoso può lievemente diminuire e le proteine possono aumentare a 80 mg/dl. Il liquor è limpido dopo un infarto, ma è ematico e con pressione aumentata dopo un’emorragia intracranica. Il liquor può contenere globuli rossi dopo un infarto, ma questi sono di gran lunga meno numerosi rispetto all’emorragia. Generalmente una TAC o una RMN permettono di differenziare un accidente ischemico da un’emorragia intracerebrale, da un ematoma oda un tumore in rapida crescita o improvvisamente sintomatico. Una RMN generalmente individua le aree di infarto in evoluzione nel giro di alcune ore; la TAC è talvolta negativa per diversi giorni successivi a un infarto acuto. L’arteriografia viene effettuata solo quando la diagnosi è dubbia o un’ostruzione vascolare iatrogena (p. es., da chirurgia) è sospettata. Tuttavia, sono utili indagini non invasive, come l’ecoDoppler carotideo, il doppler transcranico o l’angiografia in RMN.

Prognosi Durante i primi giorni che seguono la lesione ischemica non sarà possibile fare previsioni sull’andamento clinico e neanche sulle possibilità di sopravvivenza; circa il 20% dei pazienti muore in ospedale; la mortalità aumenta con l’età. L’entità del recupero finale dipende dall’età del paziente e dalle sue condizioni generali di salute e dalla sede ed estensione dell’infarto. Una cattiva prognosi è suggerita da un’alterazione dello stato di coscienza, dal deterioramento mentale, da un’afasia o da segni gravi di interessamento del tronco encefalico. Una guarigione completa è piuttosto rara, ma tanto prima inizia la remissione tanto migliore sarà la prognosi. Circa il 50% dei pazienti con emiplegia grave o moderata, e la maggior parte di quelli con deficit minori, migliora prima della dimissione e riacquista la capacità di essere autosufficiente, con sensorio integro, riuscendo a camminare, sebbene vi possa essere una limitazione dell’arto coinvolto. Qualsiasi deficit che persista per più di 6 mesi deve essere considerato permanente, anche se alcuni pazienti tenderanno a migliorare lentamente. L’infarto cerebrale recidiva con una certa frequenza e ogni ricaduta di solito aumenta l’inabilità neurologica.

Terapia La terapia immediata di un paziente in stato comatoso comprende il mantenimento della pervietà delle vie aeree, un’adeguata ossigenazione, perfusioni EV per mantenere l’apporto nutritivo e di liquidi, la verifica delle funzioni vescicale e intestinale e i provvedimenti atti a evitare il formarsi di ulcere da decubito. I corticosteroidi non sono indicati nel trattamento dell’ictus ischemico. Dovranno essere trattate l’insufficienza cardiaca o eventuali aritmie, l’ipertensione grave, le infezioni respiratorie intercorrenti e l’ipertermia > 37,8°C. Nell’ipertensione maligna sono da preferire i farmaci spasmolitici EV (p. es., il nitroprussiato di sodio). I barbiturici e altri sedativi sono controindicati perché aumentano la possibilità di una depressione respiratoria e conseguentemente di broncopolmoniti. Ove possibile sarà utile iniziare al più presto la ginnastica passiva degli arti paralizzati e gli esercizi respiratori. L’attivatore ricombinante del plasminogeno tissutale (tPA), somministrato entro 3 h dall’insorgenza della sintomatologia, può migliorare la prognosi di pazienti selezionati affetti da ictus acuto (v. Tab. 174-3 per i criteri di esclusione). La dose del tPA ricombinante è di 0,9 mg/kg EV (dose massima, 90 mg); il 10% è somministrato rapidamente mediante infusione EV e il rimanente mediante un’infusione costante in 60 min. L’emorragia sintomatica e fatale è più frequente

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per i pazienti a cui è stato somministrato tPA rispetto a quelli che hanno ricevuto placebo, ma la mortalità complessiva tra i due gruppi non è diversa. Solo medici esperti nel trattamento dell’ictus devono somministrare il tPA nei pazienti affetti da ictus acuto. I parametri vitali devono essere strettamente controllati per 24 h dal trattamento e ogni complicanza emorragica dovrà essere trattata aggressivamente. Gli anticoagulanti e i farmaci antiaggreganti non devono essere assunti nelle 24 h successive al trattamento con tPA. L’anticoagulazione mediante eparina può stabilizzare i sintomi nei pazienti affetti da ictus in evoluzione non candidati al trattamento con tPA. Tuttavia, se gli anticoagulanti debbano essere somministrati prima che la causa dell’ictus sia stata determinata è oggetto di studio. Le linee guida per l’anticoagulazione nel prevenire ictus successivi, specialmente quelli conseguenti a embolia cardiaca o a uno stato ipercoagulativo, sono ben definite. I pazienti con piccoli infarti non emorragici di origine cardioembolica devono essere inizialmente trattati con eparina e quindi con warfarina, la quale dovrà essere protratta per almeno 6 mesi e, se persistono anomalie di ritmo o patologie valvolari, probabilmente in modo indefinito. L’infusione costante di eparina dovrà essere effettuata per aumentare il tempo parziale di tromboplastina a 1,5-2,0 i valori di controllo, fino a che il tempo di protrombina non raggiunge un INR di 2,0-3,0. L’anticoagulazione dovrà essere protratta per 5-7 giorni nei pazienti affetti da ampi infarti non ischemici di origine cardioembolica e per 2-4 settimane nei pazienti con infarti emorragici di origine cardioembolica. L’eparina (20000 U in 500 ml di soluzione di destroso al 5%) deve essere somministrata EV mediante una pompa di infusione continua; l’iniezione rapida per iniziare o mantenere la terapia eparinica non è raccomandata nell’ictus. I pazienti con condizione di ipercoagulabilità devono essere prontamente sottoposti a trattamento eparinico e warfarinico. L’eparina deve essere somministrata fino a che la warfarina abbia elevato l’INR a 3,0 nei pazienti con elevato titolo di anticorpo anticardiolipina o un test positivo per l’anticoagulante circolante da lupus. Se un farmaco antiaggregante piastrinico rappresenti la migliore profilassi per l’ictus da aterotrombosi è tuttora oggetto d’indagine. La chirurgia vascolare non riconosce indicazioni d’urgenza e va praticata dopo un ictus con emiplegia totale solo se esiste tessuto emisferico vitale a rischio di lesioni future e persiste deficit funzionale. Le indicazioni per la tromboendoarteriectomia profilattica sono le stesse di quelle per l’endoarteriectomia nei TIA (v. sopra).

Riabilitazione La riabilitazione è condotta mediante la valutazione rapida e ripetuta dello stato clinico del paziente da parte del medico, del fisioterapista e del personale infermieristico (v. anche Cap. 291). Di solito non sono necessari programmi molto elaborati; anche la logoterapia dà risultati non prevedibili, specialmente nei primi tempi del recupero. La riabilitazione è influenzata positivamente da fattori come l’età giovane del paziente, un deficit sensitivo e motorio limitati, una funzione mentale intatta e un ambiente familiare favorevole. Il trattamento precoce, l’incoraggiamento continuo, l’allenamento all’autosufficienza sono importanti. I parenti, gli amici del paziente e il paziente stesso devono comprendere la natura dell’invalidità e sapere che potranno esserci dei miglioramenti, ma solo con il tempo, la pazienza e la perseveranza. Alterazioni dell’umore possono essere dovute all’infarto e alla frustrazione del paziente per la propria condizione e devono essere previste; coloro i quali si prendono cura del paziente dovranno essere rassicuranti e comprensivi. Dopo che le condizioni del paziente si saranno stabilizzate, saranno utili tranquillanti o antidepressivi. La terapia fisica e occupazionale dovrà dare importanza all’uso degli arti lesi in modo da raggiungere l’autonomia nel mangiare, nel vestirsi, nel fare le pulizie personali e altre attività di base. Spesso saranno necessari strumenti (p. es., apparecchi acustici o stampelle). Nei luoghi dove vive il paziente saranno di aiuto reggimano (p. es., alla vasca da bagno o alla toilette) e piani inclinati. Alcuni pazienti sono talmente compromessi che la riabilitazione non sembra essere d’aiuto; l’assistenza a lungo termine sembra essere per loro più file:///F|/sito/merck/sez14/1741527.html (4 of 5)02/09/2004 2.28.02

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appropriata. Il paziente moribondo deve ricevere l’assistenza adeguata per evitare sofferenze (v. Cap. 294). La nutrizione enterale è trattata nel Cap. 1.

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TABELLA 174-3. CRITERI DI ESCLUSIONE PER LA SOMMINISTRAZIONE DELL'ATTIVATORE TISSUTALE DEL PLASMINOGENO NELL’ICTUS* Segni TAC di emorragia intracranica Pazienti con segni TAC o RMN di estesi infarti cerebrali acuti Sintomi minori di ictus (p.es.,22 della NIH Stroke Scale) Quadro clinico indicativo di emorragia subaracnoidea anche se la TAC è negativa Storia di emorragia intracranica, MAV, aneurisma, o tumore cerebrale Storia di ictus o trauma cranico occorsi nei precedenti 3 mesi Pressione arteriosa sistolica >185mmHg o diastolica >110mmHg (necessario un trattamento aggressivo per la riduzione della pressione arteriosa ai limiti specifici) Puntura arteriosa in una sede non comprimibile o puntura lombare nei 7 giorni precedenti Interventi chirurgici maggiori o trauma grave nei 14giorni precedenti Emorragie gastrointestinali o urinarie nei 21 giorni precedenti Piastrine15 o INR>1,7 Crisi comiziale durante l'insorgenza dell’ictus Glicemia 400mg/dl (22,2mmol/l) Infarto miocardico recente, endocardite batterica o pericardite Gravidanza certa o presunta *È necessario iniziare il trattamento entro 3h dall'inizio dell'insorgenza dei sintomi. NIH=National Institutes of Health; MAV=malformazione artero-venosa; PTT=tempo di tromboplastina parziale; PT=tempo di protrombina; INR=indice internazionale di normalizzazione. file:///F|/sito/merck/tabelle/17403.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.02

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI SINDROMI EMORRAGICHE Alterazioni cerebrovascolari causate da sanguinamento all’interno del tessuto cerebrale; lo spazio epidurale, subdurale o subaracnoideo o una combinazione di queste sedi.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI SINDROMI EMORRAGICHE EMORRAGIA INTRACEREBRALE

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

L’emorragia intracerebrale deriva di solito dalla rottura di un vaso arteriosclerotico esposto per lungo tempo all’insulto dell’ipertensione arteriosa o reso ischemico da un trombo locale. Meno frequentemente la causa è rappresentata da un aneurisma congenito o da altre malformazioni vascolari; l’angiopatia amiloidea può causare emorragia cerebrale polare. Altre cause occasionali possono essere gli aneurismi micotici, l’infarto cerebrale, le discrasie ematiche, le collagenopatie vascolari e l’abuso di cocaina o di altre droghe illecite. L’emorragia intracerebrale da ipertensione è di solito unica, estesa e catastrofica. Le emorragie intracerebrali possono insorgere in qualunque parte dell’encefalo. La maggior parte di quelle clinicamente gravi interessa i gangli della base, la capsula interna, il talamo, il cervelletto o il tronco cerebrale. Un ematoma disseca, comprime e sposta le strutture cerebrali adiacenti e, se esteso, aumenta la pressione endocranica. La pressione dell’ematoma sopratentoriale e dell’edema circostante può causare l’erniazione transtentoriale che comprime il tronco encefalico con possibili emorragie secondarie nel mesencefalo e nel ponte. Se l’emorragia si spande nel sistema ventricolare il sangue può raggiungere lo spazio subaracnoideo. Gli ematomi cerebellari possono espandersi a bloccare il sistema ventricolare, causando un idrocefalo acuto o possono dissecare il tessuto del tronco encefalico. Entrambe le condizioni possono produrre stupor e coma.

Sintomi e segni I sintomi insorgono di norma all’improvviso con cefalea, seguita da deficit neurologici rapidamente ingravescenti. Ampie emorragie, se localizzate negli emisferi, producono emiparesi; quando sono localizzate nella fossa cranica posteriore, producono sintomi di disfunzione cerebellare e del tronco encefalico (deviazione coniugata degli occhi od oftalmoplegia, respiro stertoroso, pupille puntiformi e coma). La perdita di coscienza è comune e può manifestarsi entro alcuni minuti o completarsi gradualmente. Altri sintomi comuni sono la nausea, il vomito, lo stato confusionale, le crisi epilettiche focali e generalizzate. Se l’emorragia è estesa, oltre il 50% dei pazienti muore nei primi giorni; in coloro che sopravvivono si ha un ripristino della coscienza e una graduale regressione dei danni neurologici, non appena il sangue stravasato viene riassorbito. Di solito permane un certo grado d’invalidità; vi sarà disfasia se è interessato l’emisfero dominante, ma molti pazienti riescono ad aver un buon recupero funzionale, specialmente dalle emorragie localizzate in aree silenti. Le emorragie più piccole portano a disturbi focali come quelli delle lesioni ischemiche. file:///F|/sito/merck/sez14/1741530b.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.03

Malattie cerebrovascolari

Diagnosi e terapia Clinicamente, distinguere le piccole emorragie intracerebrali da un ictus ischemico è spesso difficile (v. anche Ictus Ischemico, sopra). La tecnica di scelta è la TAC, poiché l’emorragia è facilmente vista come una zona di iperdensità. Anche la RMN è di aiuto nel distinguere tra accidenti emorragici e ischemici, ma la logistica della RMN e la necessità di interpretazione esperta delle immagini la rendono meno pratica della TAC. La puntura lombare andrà eseguita con cautela, soprattutto nei pazienti non coscienti o in quelli che peggiorano, visto che la modificazione della pressione del liquor che fa seguito al prelievo può far scatenare un’erniazione transtentoriale o cerebellare. Nelle emorragie estese il liquor è quasi sempre ematico (Htc > 1%) e con pressione aumentata. La terapia è simile a quella delle lesioni ischemiche, ma i trombolitici e gli anticoagulanti sono controindicati. Per mitigare la cefalea può essere necessario somministrare un ipnotico e una benzodiazepina per alleviare l’ansia. La comparsa di nausea e vomito può richiedere la somministrazione di liquidi EV e di proclorperazina 2,5-5 mg durante i primi giorni. L’evacuazione chirurgica di estese emorragie che comportano uno spiazzamento dell’encefalo salva spesso la vita dei pazienti con ematomi dell’emisfero cerebellare > 3 cm di diametro. L’evacuazione precoce di ematomi polari cerebrali può anch’essa salvare la vita, sebbene un nuovo sanguinamento avvenga di frequente nei pazienti anziani con angiopatia amiloide e l’inabilità neurologica conseguente possa essere anche maggiore. L’evacuazione precoce di ematomi cerebrali profondi è raramente giustificata poiché la mortalità operatoria è alta e l’inabilità neurologica usualmente grave. I pazienti che sopravvivono a un’emorragia acuta talvolta recuperano bene e in modo sorprendente, poiché l’emorragia distrugge in minor misura il tessuto cerebrale rispetto all’infarto.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI SINDROMI EMORRAGICHE EMORRAGIA SUBARACNOIDEA Improvviso sanguinamento nello spazio subaracnoideo.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Complessivamente, il trauma cranico è la causa più comune di emorragia subaracnoidea (v. Cap. 175). Un’emorragia subaracnoidea spontanea (primitiva) è di solito dovuta alla rottura di un aneurisma congenito intracranico. Meno di frequente, essa è dovuta ad aneurismi micotici o arteriosclerotici, malformazioni artero-venose o malattie emorragiche. L’emorragia da aneurisma può insorgere in ogni età, ma è più frequente tra i 40 e i 65 anni. La maggior parte degli aneurismi insorge lungo il decorso dell’arteria cerebrale media e cerebrale anteriore o lungo i rami comunicanti del poligono di Willis. Di solito nascono da rigonfiamenti a livello delle biforcazioni arteriose, dove la parete muscolare è scarsamente sviluppata; anche l’arteriosclerosi e l’ipertensione hanno probabilmente un ruolo patogenetico. Dopo un’emorragia subaracnoidea è frequente un aumento secondario della pressione endocranica, che può durare giorni o settimane. L’idrocefalo comunicante consegue con una certa frequenza all’emorragia e può contribuire alla cefalea, oppure all’ottundimento o alla demenza postemorragica.

Sintomi e segni Prima della rottura, gli aneurismi possono essere asintomatici, ma sanguinamenti d’avvertimento sono spesso associati a cefalee minori. Se i reperti TAC, RMN e gli esami del liquor rientrano nella normalità, le cefalee gravi e improvvise non sono associate a emorragia subaracnoidea; invece, le emorragie portano di frequente a cefalee tensive o di tipo emicranico. Comunque, una cefalea a insorgenza recente o i cambiamenti del carattere di una cefalea dovranno essere indagati per escludere emorragia subaracnoidea di origine aneurismatica o un aneurisma in accrescimento. Qualche aneurisma può manifestarsi per la compressione che esercita sulle strutture adiacenti. Paralisi oculare, diplopia, strabismo, dolore facciale indicano la compressione sul 3o, 4o, 5o o 6o nervo cranico. Un deficit bitemporale del campo visivo è segno di una compressione sul chiasma ottico. Compressioni del tratto ottico causano invece un’emianopsia omonima incongrua. Quando l’aneurisma si rompe, la cefalea è in genere acuta e grave. I pazienti possono manifestare solo cefalea o possono presentare vari gradi di deficit

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neurologici o alterazioni della coscienza. Il liquor misto a sangue irrita le meningi; ciò condiziona un aumento della pressione intracranica con conseguente cefalea, vomito, vertigini e alterazioni della frequenza cardiaca e respiratoria. Occasionalmente si presentano crisi epilettiche. Nelle prime fasi non c’è di solito rigidità del collo, a meno che non vi sia stata un’erniazione in basso delle tonsille cerebellari; tuttavia, entro 24 h si avrà una modesta o marcata rigidità del rachide cervicale, il segno di Kernig risulterà positivo, così come il segno di Babinski bilateralmente. Nei primi 5-10 gg si può avere rialzo termico, persistenza della cefalea e della confusione mentale. Nel 25% dei casi sono presenti segni focali (generalmente comprendenti l’emiplegia), risultato del sanguinamento nel tessuto cerebrale o del vasospasmo e dell’ischemia. Il risanguinamento è frequente nei pazienti aneurismatici che non sono trattati chirurgicamente.

Diagnosi La diagnosi può essere spesso fatta alla TAC, diminuendo così la necessità della puntura lombare. Se sangue subaracnoideo non è rilevabile alla TAC, il sanguinamento non è in genere esteso; la diagnosi viene effettuata mediante il rilievo alla puntura lombare di liquor ematico e sotto pressione. Dopo un periodo di 6 h o più si troverà un sopranatante xantocromico. Tranne che l’emorragia non si ripresenti, il liquor gradualmente si rischiara e la pressione in circa 3 sett torna ai valori normali, a meno che si sviluppi un idrocefalo. Occasionalmente un’emorragia subaracnoidea può simulare un infarto miocardico a causa dell’eventuale sincope associata e delle anomalie dell’ECG. L’emorragia subaracnoidea deve essere differenziata da un’emorragia cerebrale parenchimale (con la quale spesso si associa), da un sanguinamento originato da una malformazione artero-venosa, da una contusione o da una lacerazione cerebrale, da un ematoma subdurale e da emorragie nell’ambito di tumori cerebrali. La TAC e spesso l’angiografia cerebrale sono necessarie per la valutazione di queste evenienze. L’arteriografia deve essere eseguita appena possibile dopo l’episodio emorragico iniziale. Devono essere ispezionati tutti e quattro i vasi cerebrali perché vi possono essere aneurismi multipli.

Prognosi e terapia Circa il 35% dei pazienti muore dopo la prima emorragia aneurismatica; un altro 15% muore entro poche settimane per una successiva rottura. Una seconda rottura dopo 6 mesi si ha con una frequenza di 3%/anno. In genere, la prognosi è grave in caso di emorragia cerebrale da aneurismi, lievemente migliore nel caso di malformazione artero-venosa e migliore nel caso in cui non si rilevino lesioni con l’arteriografia dei quattro vasi; presumibilmente perché la fonte del sanguinamento è in questo caso piccola e si è collassata o trombizzata. Dovranno essere trattate le malattie vascolari di base, le discrasie ematiche, le malattie cardiache e la lue. Bisogna evitare lo sforzo fisico; l’allettamento è obbligatorio. Dovrà essere mantenuto il bilancio idroelettrolitico e nutritivo, se necessario per via parenterale. Andranno eventualmente somministrate benzodiazepine nei pazienti agitati, ma l’irrequietezza e l’aumento della PA possono essere dovuti all’aumento della pressione intracranica. Per alleviare la cefalea si possono somministrare degli ipnotici. Anche la costipazione induce irrequietezza e deve essere evitata. Gli anticoagulanti e gli antiaggreganti sono controindicati. I deficit ischemici possono essere causati da spasmo vascolare reattivo (vasospasmo) e possono essere diminuiti mediante trattamento precoce con il fattore bloccante i canali del calcio nimodipina 60 mg PO q 4 h (se la pressione arteriosa può essere mantenuta) per 21 giorni. La puntura lombare vòlta alla riduzione della pressione intracranica viene

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Malattie cerebrovascolari

raramente eseguita perché l’effetto è breve. I segni clinici di idrocefalo acuto devono indurre a considerare il drenaggio ventricolare (con uno shunt ventricolosistemico). L’acido ε-aminocaproico e i farmaci a esso correlati non riducono la mortalità poiché il loro utilizzo è associato ad aumentata incidenza di ischemia da vasospasmo. Il trattamento chirurgico di chiusura o intrappolamento dell’aneurisma riduce il rischio di un risanguinamento fatale. È preferibile il clippaggio dell’aneurisma, ma talvolta sono utilizzate altre procedure, p. es., la legatura della carotide prossimale per indurre trombosi all’interno dell’aneurisma o la copertura della sacca aneurismatica con materiali sintetici, garza o muscolo. La mortalità chirurgica è elevata nei pazienti stuporosi o in coma, a meno che l’alterazione dello stato di coscienza sia dovuto a un ematoma drenabile o a un idrocefalo acuto. Per i pazienti meno compromessi dal punto di vista neurologico, la maggior parte dei neurochirurghi consiglia l’intervento chirurgico nelle prime 72 h, anche se il timing rimane tuttora controverso. Un intervento chirurgico precoce riduce il rischio di nuova emorragia, potrebbe ridurre l’incidenza di infarto da vasospasmo postoperatorio e di altre complicanze sistemiche. Un rinvio dell’intervento ≥ 10 gg o più riduce i rischi operatori ma favorisce la ripresa del sanguinamento, aumentando la mortalità complessiva. Nonostante la terapia chirurgica, molti pazienti presentano danni neurologici residui. Per molte settimane dopo l’episodio, continuano ottundimento e confusione e il recupero motorio è tardivo, a causa dell’idrocefalo comunicante secondario. Se persiste questa condizione, in alcuni casi può essere necessario lo shunt ventricolare cerebrale.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 174. MALATTIE CEREBROVASCOLARI MALFORMAZIONI ARTERO-VENOSE Malformazioni congenite costituite da vasi sanguigni aggrovigliati e dilatati, nei quali l’arteria afferente fluisce direttamente nelle efferenze venose senza incontrare la resistenza di un letto capillare intermedio.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Il risultato è una malformazione vascolare che si ingrandisce progressivamente e che può produrre anomalie neurologiche per lesioni del tessuto nervoso adiacente mediante compressione, irritazione, storno di flusso ematico o sanguinamento. Le malformazioni arterovenose insorgono di solito alla giunzione dei letti arteriosi cerebrali e si riscontrano in genere entro il parenchima cerebrale della regione fronto-parietale, del lobo frontale o nel cervelletto laterale o nel sovrastante lobo occipitale. Queste malformazioni producono tre tipi di disturbi neurologici, relativamente distinti. (1) In quasi la metà dei casi esse sanguinano, producendo il quadro clinico dell’emorragia parenchimale o subaracnoidea. Le uniche caratteristiche distintive delle emorragie prodotte da queste malformazioni sono la tendenza a essere meno devastanti dal punto di vista neurologico rispetto a quelle causate dagli aneurismi ipertensivi o congeniti e una più alta percentuale di recidive durante gli anni. (2) Può insorgere epilessia focale; i sintomi sono correlati alla sede della malformazione (v. Tab. 172-2). (3) Possono essere presenti deficit sensitivo-motori focali progressivi, poiché la formazione in accrescimento si comporta come un tumore o provoca ischemia progressiva.

Diagnosi e terapia Alcuni pazienti hanno soffi arteriosi rilevabili all’auscultazione della volta cranica. La TAC evidenzia in genere malformazioni arterovenose di diametro > 1 cm o i loro vasi di alimentazione/ drenaggio, ma l’arteriografia è necessaria per una diagnosi definitiva e per determinare l’eventuale operabilità della lesione. La variante angioma cavernoso può essere diagnosticata mediante RMN. La terapia comprende i farmaci anticonvulsivanti per controllare le crisi epilettiche (v. Cap. 172). La rimozione chirurgica è in genere raccomandata per le malformazioni superficiali. La resezione di malformazioni profonde o molto ampie comporta un più alto rischio di mortalità o di morbilità postoperatorie. Queste lesioni possono essere trattate al meglio mediante la terapia endovascolare e la radiochirurgia stereotassica o la resezione microchirurgica. La resezione allontana il rischio di nuovi sanguinamenti e probabilmente abbassa la frequenza o il rischio di convulsioni. In casi selezionati non chirurgici, possono essere efficaci la trombizzazione intravasale con cateterismo intra-arterioso e la coagulazione mirata con fasci di protoni.

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Malattie cerebrovascolari

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Traumi del cranio

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 175. TRAUMI DEL CRANIO Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I traumi cranici causano più mortalità e inabilità di tutte le altre condizioni neurologiche prima dei 50 anni d’età e insorgono in più del 70% degli incidenti, che rappresentano la maggiore causa di mortalità in uomini e ragazzi al di sotto dei 35 anni. La mortalità da traumi gravi raggiunge il 50% ed è di poco ridotta dalla terapia. Il danno può risultare dalla penetrazione nel cervello di frammenti ossei del cranio o dalla rapida accelerazione e decelerazione cui viene sottoposto il parenchima cerebrale, con traumatismo dei tessuti nella sede dell’impatto e al polo opposto (contraccolpo), oppure diffusamente all’interno delle circonvoluzioni frontali e temporali. Il tessuto nervoso, i vasi e le meningi vengono recisi, strappati e spezzati, con distruzione neuronale, ischemia o emorragia intra- o extracerebrale ed edema cerebrale. L’emorragia e l’edema si comportano come una lesione espansiva intracranica, causando deficit neurologici focali o aumento della tumefazione e della pressione endocranica che può portare a un’erniazione fatale di tessuto cerebrale attraverso il tentorio o il forame magno. Le fratture del cranio possono lacerare le arterie meningee o i grandi seni venosi causando un ematoma epidurale o subdurale; le fratture, specialmente della base cranica, possono anche lacerare le meningi, causare la perdita di liquor attraverso il naso (rinorrea) o l’orecchio (otorrea) o l’ingresso di batteri o di aria nella teca cranica. I microrganismi infettanti possono raggiungere le meningi attraverso fratture occulte, specialmente se queste coinvolgono i seni paranasali (v. Cap. 211).

Sintomi, segni e diagnosi La concussione è caratterizzata da una perdita post-traumatica di coscienza o memoria che dura da qualche secondo ad alcuni minuti, senza che si verifichino lesioni strutturali macroscopiche nell’encefalo e senza gravi conseguenze neurologiche. I pazienti affetti da concussione raramente raggiungono gradi profondi di incoscienza. Le reazioni pupillari e gli altri segni di normale funzionalità del tronco cerebrale sono presenti; tuttavia, può essere presente per breve tempo una risposta al riflesso plantare in estensione, ma non appare mai né l’emiplegia né la risposta in decerebrazione agli stimoli nocicettivi. La puntura lombare è di solito controindicata in casi di trauma cranico, a meno che non si sospetti una meningite e deve comunque essere praticata dopo studi radiologici appropriati. La sindrome postconcussiva segue più frequentemente un trauma cranico lieve che un trauma grave. Essa comprende cefalea, vertigini, difficoltà di concentrazione, amnesia di grado variabile, depressione, apatia e ansia. Ne può esitare una considerevole invalidità. Non è ancora stato chiarito il ruolo giocato dal danno cerebrale; la sindrome postcommotiva è più frequente in pazienti con una premorbidità ai disturbi nevrotici. Comunque, gli studi indicano che anche un trauma lieve può causare danno neuronale. Sebbene tale situazione predisponga

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Traumi del cranio

di per sé alla simulazione nella speranza di risarcimento, molti pazienti presentano problemi reali. I benefici del trattamento farmacologico o psichiatrico sono incerti. Le contusioni e le lacerazioni cerebrali rappresentano traumi più gravi. A seconda della loro gravità, questi traumi sono di solito associati a gravi ferite cutanee e a frattura della base cranica o a fratture avvallate con compressione dei frammenti ossei (v. anche Fratture Dell’Osso Temporale nel Cap. 85). Sono di riscontro comune l’emiplegia e altri segni di disfunzione corticale. Traumi ancora più importanti possono causare un grave edema cerebrale, che determina rigidità da decorticazione (braccia flesse e addotte, gambe e spesso tronco in estensione) o rigidità decerebrata (mascelle serrate, collo in estensione, estensione degli arti). Coma, emiplegia, pupille unilateralmente o bilateralmente dilatate e areattive e irregolarità del respiro, possono essere l’esito del trauma iniziale oppure essere dovute a erniazione cerebrale interna e richiedono un intervento terapeutico immediato. L’ipertensione endocranica che determina compressione o distorsione del tronco encefalico causa talvolta un aumento e variabilità della PA associati a diminuzione della frequenza respiratoria (fenomeno di Cushing). Le immagini TAC possono rivelare liquor ematico. La puntura lombare è in genere controindicata. Il trauma non penetrante colpisce con più probabilità gli emisferi cerebrali e il sottostante diencefalo, in quanto sono più voluminosi e più esposti rispetto il tronco encefalico. Pertanto i segni di un trauma primitivo del tronco (coma, respiro irregolare, mancato riflesso pupillare alla luce, perdita dei riflessi oculovestibolari, flaccidità motoria diffusa) riflettono quasi sempre un trauma grave a prognosi infausta. Traumi toracici sono spesso associati ai traumi cranici gravi e sono causa di edema polmonare (di cui alcuni tipi sono neurogeni), ipossia e instabilità circolatoria. Il trauma alla colonna cervicale può causare lesioni midollari, con conseguenti paralisi respiratoria o una tetraplegia permanente. Un’immobilizzazione adeguata deve essere mantenuta fino a che la colonna cervicale non viene studiata dal punto di vista radiologico. Sono comuni nel trauma cranico grave gli ematomi sottodurali acuti (sangue tra la dura e l’aracnoide, in genere da sanguinamento delle vene a ponte) e gli ematomi intracerebrali. Essi, insieme al rigonfiamento cerebrale grave, sono responsabili della maggior parte delle morti. Tutte e tre le condizioni possono causare l’ernia transtentoriale, con approfondimento del coma, aumento della pressione arteriosa, pupille di media ampiezza o dilatate e non reagenti, emiplegia spastica con iperreflessia, tetraspasticità, rigidità decorticata o rigidità decerebrata (dovuta alla progressiva degenerazione rostrocaudale). La TAC o la RMN possono in genere identificare le lesioni suscettibili di trattamento chirurgico. L’asportazione di lesioni voluminose può salvare la vita, ma spesso alta è la morbilità post-traumatica. L’ematoma subdurale cronico può non determinare sintomi fino a varie settimane dopo il trauma. Sebbene la diagnosi precoce (da 2 a 4 settimane dopo il trauma) possa essere posta in relazione al deterioramento neurologico tardivo, la diagnosi nel periodo successivo può essere inficiata per il lasso di tempo intercorso dal trauma all’insorgenza della sintomatologia. Gli ematomi subdurali sono più comuni negli alcolisti e nei pazienti sopra i 50 anni e il trauma può essere stato anche relativamente banale, perfino dimenticato. Sintomi tipici sono una cefalea che aumenta giorno dopo giorno, la sonnolenza fluttuante o la confusione mentale (che può simulare una demenza precoce) e un’emiparesi lieve o moderata. Nei lattanti, gli ematomi subdurali cronici possono causare l’allargamento della circonferenza del capo, dando l’idea di un idrocefalo. La RMN è diagnostica; la TAC lo è in modo meno attendibile. Gli ematomi epidurali (sangue raccolto tra teca cranica e dura) sono provocati dal sanguinamento di arterie, più frequentemente da lesione dell’arteria meningea media. I sintomi insorgono abitualmente entro qualche ora dal trauma e consistono in cefalea ingravescente, deterioramento della coscienza, deficit motorio e alterazioni pupillari. Un intervallo lucido di normale quadro neurologico spesso precede i sintomi neurologici. L’ematoma epidurale è meno frequente file:///F|/sito/merck/sez14/1751534.html (2 of 5)02/09/2004 2.28.06

Traumi del cranio

dell’ematoma subdurale, ma la sua pronta evacuazione può prevenire la dislocazione e la rapida compressione dell’encefalo, che possono provocare deficit neurologici permanenti o fatali. La diagnosi viene suggerita dalla presenza nella radiografia del cranio di una rima di frattura temporale, che però non sempre è presente. Bisogna eseguire rapidamente la TAC, la RMN o delle scansioni angiografiche. Se le immagini radiologiche non sono disponibili, bisogna effettuare una trapanatura per la diagnosi e la rimozione del coagulo extradurale. L’epilessia post-traumatica, con crisi che insorgono anche a distanza di diversi anni dal trauma, è conseguente a circa il 10% dei traumi cranici chiusi e al 40% dei traumi penetranti. Uno stato vegetativo persistente cronico (PVS) può conseguire ai traumi cranici molto gravi che compromettono le funzioni cognitive del telencefalo, ma che risparmiano il tronco encefalico. Il PVS può persistere per molti anni. In esso, la capacità di attività mentale cosciente è assente, ma i riflessi autonomi e motori e i normali cicli di sonno-veglia sono preservati. Pochi pazienti emergono dallo stato vegetativo se esso persiste per più di 3 mesi dopo il trauma e quasi nessuno se perdura per più di 6 mesi (v. Stato Vegetativo nel Cap. 170).

Terapia Sul luogo dell’incidente: traumi multipli sono possibili in caso di incidenti del traffico, meno in caso di ferite da arma da fuoco o altri traumi cranici localizzati. Soltanto dopo che si sia assicurata la pervietà delle vie aeree e il controllo dell’emorragia, già sul posto, la vittima potrà essere trasportata, avendo particolare cura di evitare spostamenti della colonna o di altre ossa per non incorrere in traumi midollari o vascolari. Per l’assistenza del paziente con possibili lesioni midollari, v. Lesioni del midollo Spinale al Cap. 182. La morfina e gli altri depressori sono controindicati durante le fasi iniziali di trattamento del traumatizzato. In ospedale: in ospedale, una volta assicurata la pervietà delle vie aeree e incannulata una vena, si valuteranno e si tratteranno i sanguinamenti interni o altre complicanze acute. L’ipossia e l’ipercapnia possono aggravare rapidamente un trauma cranico e spesso necessitano di assistenza respiratoria. Si dovrà procedere a un attento esame dello stato di coscienza, del tipo di respirazione, delle dimensioni pupillari, della reazione alla luce, dell’attività oculomotoria e dell’attività motoria degli arti. Mediante la valutazione iniziale e successiva delle risposte mediante il Glagow Coma Scale (v. Tab. 175-1) e rilevando le eventuali alterazioni oftalmologiche, l’esaminatore può stimare la gravità del trauma e la sua prognosi. I segni neurologici, insieme alla PA, al polso e alla temperatura devono essere registrati almeno ogni ora, in quanto ogni modificazione richiederà un intervento immediato. La TAC e la RMN possono stabilire l’operabilità potenziale degli ematomi intracranici e, se possibile, devono essere ottenuti in tutti i pazienti rimasti incoscienti per > 2 h o con qualche anomalia neurologica focale. Se tali esami non sono disponibili, la migliore soluzione è quella di trasportare il paziente verso strutture mediche meglio equipaggiate. Solo quando è impossibile effettuare TAC o RMN, saranno indicati gli esami angiografici cerebrali. La scintigrafia cerebrale e l’EEG non hanno alcuna potenzialità diagnostica immediatamente dopo il trauma. Frequentemente, nei pazienti con trauma cranico grave si effettua una misurazione continua della pressione intracranica. I pazienti con concussione devono essere sottoposti a stretto controllo clinico per 24 h. Se la TAC non dimostra presenza di sanguinamento intracranico o fratture scomposte e il paziente è neurologicamente indenne, il ricovero non sarà necessario. Le radiografie del cranio sono inutili in questi casi. Le fratture craniche, se allineate, non richiedono trattamento; se si tratta di fratture con affossamento dei frammenti verrà richiesto l’intervento del file:///F|/sito/merck/sez14/1751534.html (3 of 5)02/09/2004 2.28.06

Traumi del cranio

neurochirurgo per una terapia d’urgenza, vista la possibilità di lacerazione dei vasi sanguigni. Va generalmente evitata la profilassi antibiotica, dato che essa favorisce lo sviluppo di microrganismi resistenti, ma è spesso usata se il paziente perde liquor dal naso e dalle orecchie. I pazienti devono essere strettamente controllati e protetti contro la perdita di calore (ipotermia), l’ipertermia, l’iponatriemia, lo squilibrio idrico e l’ostruzione delle vie aeree. Si dovrà minimizzare l’ipossia arteriosa con un’ossigenazione parziale (40%), combinata se necessario con respirazione a pressione positiva intermittente; la febbre dovrà essere controllata mediante coperte refrigeranti; la perdita di liquidi e di sangue dovrà essere immediatamente reintegrata. Va prevenuta l’insufficienza renale acuta. Le prescrizioni attuali prevedono la somministrazione di anticomiziali per 2 settimane; contro le crisi epilettiche si somministreranno anticonvulsivanti (p. es., fenitoina a dosi iniziali di carico di 50 mg EV/min fino a un totale di 1 g, seguito poi da 300-400 mg/die PO o EV). Se non insorgono crisi entro 2 settimane, gli anticomiziali devono essere sospesi, in quanto non è stata stabilita la loro validità nella prevenzione di future crisi. L’uso dei diuretici osmotici EV (urea, mannitolo e glicerolo), utile per ridurre l’edema cerebrale, deve essere riservato ai pazienti in peggioramento o, in fase preoperatoria, ai pazienti con ematoma. Per quelli con ematoma può essere somministrato il mannitolo, a dosi di 12,5-25 g EV in 15-30 min e ripetuto q 1-4 h. Andrà somministrato con molta cautela nei pazienti affetti da malattie cardiache o da congestione vascolare polmonare, a causa della rapida espansione del volume plasmatico. Poiché i diuretici osmotici aumentano l’escrezione renale di acqua in rapporto al sodio, il loro uso prolungato può esitare in deplezione idrica e ipernatriemia. Bisogna seguire l’evoluzione del bilancio idro-elettrolitico. I corticosteroidi sono controindicati nel trauma cranico. L’agitazione, che può manifestarsi nell’uscita dal coma, può richiedere sedazione (p. es., clorpromazina 50 mg IM o aloperidolo 2-5 mg IM). Se il paziente inizia a riacquistare la coscienza nell’arco di una settimana, migliora la prognosi per un recupero ottimale Durante la convalescenza: dopo un grave trauma cranico, può insorgere amnesia per i periodi immediatamente precedente e seguente il trauma. L’amnesia retrograda è generalmente breve. La durata dell’amnesia posttraumatica (valutata fino al periodo di completo ristabilimento) dà una buona stima dell’estensione del danno cerebrale nei traumi cranici chiusi. Le vertigini, la difficoltà a concentrarsi, l’ansia e la cefalea (sindrome post-traumatica, v. sopra) sono presenti per periodi variabili dopo il trauma, ma raramente richiedono più di una generica rassicurazione. L’invalidità residua dovrà essere valutata obiettivamente. I disturbi neuropsicologici e il deterioramento della concentrazione, dell’attenzione e della memoria e varie alterazioni lievi o moderate della personalità, sono le cause più comuni di invalidità nel lavoro, nelle relazioni sociali, piuttosto che gli specifici deterioramenti neurologici. L’anosmia post-traumatica è relativamente frequente, la cecità acuta post-traumatica, rara, difficilmente regredisce. L’afasia e l’emiparesi hanno di solito una buona remissione, tranne che negli anziani o in persone con grave lacerazione cerebrale. La maggior parte dei pazienti con trauma cranico grave (p. es., con punteggi iniziali alla Glasgow Coma Scale < 8 all’ammissione [v. Tab. 175-1]) beneficierà, durante la convalescenza, di una riabilitazione formale. Per gli adulti, la maggior parte delle remissioni dopo traumi cranici gravi si ha entro i primi 6 mesi. Miglioramenti minori continuano forse anche per 2 anni. I bambini mostrano un migliore recupero immediato e continuano a migliorare per più tempo.

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Traumi del cranio

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 175-1. GLASGOW COMA SCALE Test Apertura degli occhi

Risposta

Punteggio

Mai

1

Al dolore

2

Allo stimolo verbale

3

Spontaneamente

4

Miglior risposta Nessuna risposta verbale Parole incomprensibili Parole inappropriate

1 2 3

Disorientato ma conversa 4 Orientato e conversa

5

Miglior risposta Nessuna risposta motoria In estensione (rigidità decerebrata)

1 2 3

In flessione (rigidità decorticata) Risposta flessoria di allontanamento Localizza il dolore

4 5 6

Obbedisce ai comandi Punteggio totale

3-15

Quando adoperata inizialmente, la scala fornisce una stima della gravità del danno cerebrale. Un punteggio da 3 a 5 indica un danno potenzialmente fatale, specialmente se associato a pupille non reagenti o ad assente risposta oculovestibolare. Punteggi all’ingresso ≥8 si correlano alla probabilità di una buona prognosi.

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Manuale Merck - Tabella

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Infezioni del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 176. INFEZIONI DEL SNC (V. anche Cap. 163 e Infezione da Citomegalovirus sotto Infezioni da Herpesvirus e Malattie Virali del Sistema Nervoso Centrale nel Cap. 162.) Le infezioni del SNC comprendono le meningiti (infiammazione delle meningi dell’encefalo o del midollo spinale), le cerebriti (manifestazioni dell’invasione batterica del SNC), le encefaliti (manifestazioni cerebrali dell’invasione virale del SNC), gli ascessi e le infezioni elmintiche.

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Infezioni del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 176. INFEZIONI DEL SNC ASCESSO CEREBRALE Raccolta intracerebrale incapsulata di pus. (v. anche Ascesso ed Ematoma Subdurale o Epidurale al Cap. 182)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Un ascesso cerebrale può essere dovuto all’estensione diretta di un’infezione cranica (p. es., osteomieliti, mastoiditi, sinusiti, empiema subdurale); a una ferita penetrante o a una disseminazione ematica (p. es., endocarditi batteriche, bronchiectasie, malattie cardiache congenite con shunt Dx-Sx, abuso di droghe EV). Nel parenchima encefalico un’infiammazione, non ben localizzata, si necrotizza e si incapsula per l’azione delle cellule gliali e dei fibroblasti. Giorni o settimane dopo, l’edema circostante l’ascesso porta a un’accresciuta pressione, con sintomi e segni simili a quelli di una neoplasia encefalica. I batteri isolati dall’ascesso sono in genere anaerobi (e quindi il materiale suppurato deve essere coltivato in condizioni di anaerobiosi) e talvolta miste, comprendendo spesso streptococchi anaerobi o batteroidi. I funghi (p. es., gli aspergilli), i protozoi (p. es., il Toxoplasma gondii) e i parassiti (p. es., i cisticerchi) possono provocare infezioni intracraniche localizzate.

Sintomi, segni e diagnosi Cefalea, nausea, vomito, edema della papilla, sonnolenza, convulsioni, cambiamenti nella personalità e deficit neurologici focali si sviluppano nel giro di giorni o settimane. Febbre, brividi e leucocitosi possono presentarsi prima che l’infezione sia incapsulata e successivamente. L’ascesso andrà sospettato qualora vi sia stata una pregressa infezione o quando è presente un fattore di rischio. La TAC o la RMN sono solitamente diagnostiche e la maggior parte dei pazienti è trattata senza bisogno di una diagnosi batteriologica. La PL è controindicata poiché il procedimento può determinare un’erniazione transtentoriale e i segni rilevabili nel liquor (negli ascessi non ancora rotti) sono di solito non diagnostici (v. Tab. 117-1). È possibile trovare batteri nelle colture di liquor in < 10% dei casi, prima della rottura e nel 20% dopo rottura dell’ascesso. Nella diagnosi differenziale vanno esclusi neoplasie primitive o metastatiche dell’encefalo, essudati subdurali, malattie cerebrovascolari, meningiti subacute e croniche e malattie degenerative.

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Infezioni del snc

Terapia L’ascesso cerebrale non trattato è una malattia solitamente fatale. La penicillina G alla dose EV di 4 milioni U q 4 h o 6 milioni di U EV q 6 h è efficace contro gli streptococchi e la maggior parte degli anaerobi, ma non contro il Bacteroides fragilis, che richiede metronidazolo 750 mg EV q 6 h. Se si sospetta la presenza dello Staphylococcus aureus (p. es., dopo un trauma cranico, un’operazione di neurochirurgia o un’endocardite), si inizia la somministrazione di vancomicina 1 g q 12 h finché si stabilirà la sensibilità alla nafcillina (3 g q 6 h). Poiché sono state isolate di frequente le enterobacteriaceae negli ascessi cerebrali di origine otitica, in questi casi al regime terapeutico va aggiunta una cefalosporina di 3ª generazione (p. es., ceftizoxime 1,5 g q 6 h). La risposta agli antibiotici (assunti di continuo per un minimo di 4-8 sett.) può essere seguita al meglio tramite scansioni seriali TAC o RMN. Molti ascessi richiedono l’aspirazione e drenaggio (stereotassico o aperto) a seconda della localizzazione, del grado di effetto massa, della presenza di edema e della mancanza di risposta clinica rapida al trattamento medico. Tuttavia, la chirurgia non è utile negli stadi precoci di cerebrite. Quando l’aumentata pressione intracranica diventa sintomatica, essa deve essere trattata aggressivamente con iperventilazione controllata (PaCO2, 25-30 mm Hg), mannitolo (0,25–0,50 g/kg EV) e desametasone (4 mg EV q 4 h).

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE ASCESSO ED EMATOMA SUBDURALE O EPIDURALE Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

L’ascesso subdurale o epidurale spinale si manifesta spesso in pazienti portatori di infezioni, sia lontane (p. es., un foruncolo o un ascesso dentario) che contigue (p. es., osteomielite vertebrale, ulcere da decubito o ascessi retroperitoneali). Tuttavia, circa 1/3 dei casi si manifesta spontaneamente, senza causa apparente. Il microrganismo di più frequente riscontro è lo Staphylococcus aureus, seguito dall’Escherichia coli e da infezioni miste da anaerobi. Meno frequentemente, un ascesso tubercolare può svilupparsi insieme al morbo di Pott toracico. L’ematoma spinale epidurale o subdurale può essere la conseguenza di un trauma dorsale, di una terapia con anticoagulanti o antitrombotici o dopo la puntura lombare in pazienti con diatesi emorragica. L’ascesso e l’ematoma spinali insorgono con dolore localizzato al dorso e sensibilità alla percussione (generalmente in regione toracica o lombare), spesso gravi; a volte con irradiazione radicolare. La compressione del midollo o delle radici spinali comporterà debolezza nel territorio di distribuzione della cauda equina, di tipo paraplegico o quadriplegico. Negli ascessi, il deficit di forza evolve inizialmente in ore o giorni, spesso con brusco aggravamento in paraplegia o quadriplegia. Negli ematomi, il deficit di forza evolve in genere entro minuti o diverse ore. La presenza di deficit sensitivi o sfinterici dipende dalla sede e dall’estensione della lesione. La maggior parte dei pazienti con un ascesso è febbrile e il liquor presenta un alto contenuto di proteine e una pleiocitosi linfocitica; in circa 1/3 dei casi una rx della colonna mostrerà i segni di un’osteomielite.

Diagnosi e terapia Se si sospetta un ascesso si devono eseguire prontamente esami colturali di sangue. L’ascesso e l’ematoma sono diagnosticati in modo migliore mediante la RMN, tuttavia, in alcuni casi si effettua tuttora la mielografia con o senza TAC. Se la sede sospettata è lo spazio epidurale lombare, il mezzo di contrasto sarà iniettato nello spazio subaracnoideo per mezzo della puntura cisternale o cervicale alta, onde evitare di penetrare nella lesione. Il trattamento richiede la decompressione e la rimozione chirurgica urgenti; il pus raccolto da qualsiasi lesione dovrà essere colorato con il metodo di Gram ed esaminato con tecniche colturali. Sebbene gli antibiotici da soli siano stati efficaci per alcuni pazienti affetti da perdita parziale di funzionalità, qualsiasi paziente con un ascesso epidurale, anche se senza deficit, è a rischio di deterioramento precipitoso, irreversibile delle funzioni neurologiche e deve essere trattato con decompressione chirurgica. Dovrà essere inizialmente somministrata una penicillina penicillinasi-resistente. Nei pazienti in terapia con anticoagulanti

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Malattie del midollo spinale

dicumarolici e nei quali si sospetti un ematoma epidurale, si dovrà somministrare fitonadione (vitamina K1) alla dose di 2,5-10 mg SC o plasma fresco congelato. Ai pazienti affetti da trombocitopenia dovranno essere somministrate piastrine.

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Infezioni del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 176. INFEZIONI DEL SNC EMPIEMA SUBDURALE Raccolta di pus tra dura e aracnoide.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La maggior parte dei casi è rappresentata da una complicanza di sinusiti (specialmente frontali ed etmoidee), ma altre forme sono conseguenti a infezioni dell’orecchio, a traumi o chirurgia cranica e a batteriemia. I patogeni sono simili a quelli che causano gli ascessi cerebrali. Nei bambini < 5 anni, l’empiema subdurale è solitamente dovuto a meningite batterica (p. es., da Haemophilus influenzae o nei neonati, da batteri gram –).

Sintomi, segni e diagnosi La cefalea, la letargia, i deficit neurologici focali e le convulsioni evolvono nel giro di parecchi giorni e, senza trattamento, progrediscono rapidamente verso il coma e la morte. La puntura lombare fornisce poche informazioni utili e può scatenare un’erniazione transtentoriale. La TAC e la RMN hanno un significato diagnostico. Nei lattanti può essere diagnostica una puntura subdurale. Colture anaerobie del sangue e di campioni chirurgici migliorano la resa diagnostica e il trattamento antibiotico.

Terapia L’empiema subdurale è un’emergenza medica. Per evitare recidive, è necessario effettuare un immediato drenaggio chirurgico dell’empiema e del seno venoso sottostante. Possono essere necessari, anche dopo il drenaggio chirurgico, provvedimenti atti a ridurre la pressione intracranica (v. Ascesso Cerebrale, sopra). In attesa dei risultati delle colture, la copertura antibiotica è la stessa degli ascessi cerebrali eccetto che per i bambini piccoli, che richiedono antibiotici per la meningite che si accompagna all’empiema (v. Tab. 176-1).

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Infezioni del snc

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Infezioni del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 176. INFEZIONI DEL SNC INFEZIONI DA ELMINTI Nei paesi meno evoluti, l’infestazione del SNC da vermi può produrre una malattia infiammatoria cistica. L’eziologia più comune nell’emisfero occidentale e la cisticercosi (v. Infezione da Verme Solitario Suino in Cestodi al Cap. 161). Piccole larve incistate nel cervello provocano pochi sintomi finché la loro morte scatena un’infiammazione locale, con gliosi, edema e disfunzioni neurologiche focali, convulsioni o idrocefalo ostruttivo. La rottura di una cisti nel liquor induce una meningite subacuta eosinofila. Le crisi comiziali, la manifestazione più comune, sono controllate mediante anticomiziali. La necessità degli anticomiziali a lungo termine dipende dalla persistenza del parassita e dalla formazione di granulomi encefalici. La distruzione dei parassiti, mediante la risposta immunitaria dell’ospite o mediante farmaci, riduce notevolmente la frequenza delle crisi comiziali. L’albendazolo (15 mg/kg diviso q 12 h per 8-30 gg; dose massima giornaliera, 800 mg) rappresenta il farmaco di scelta. In alternativa, il praziquantel 50 mg/kg/die in 3 dosi frazionate può essere somministrato per 15 giorni. Il desametasone 8 mg/die EV o PO per i primi 2-4 giorni può diminuire la risposta infiammatoria acuta mentre i cisticerchi vengono distrutti. Nella schistosomiasi (v. oltre, Infezioni da Trematodi [Fluke] al Cap. 161), il granuloma eosinofilo necrotizzante nel cervello provoca convulsioni, aumento della pressione intracranica e sintomi neurologici diffusi e focali. Cisti da echinococco larghe, solitarie (v. Malattia Idatidea sotto Cestodi [Vermi Solitari]al Cap. 161) possono essere causa di sintomi focali e, occasionalmente, di crisi comiziali. La cenurosi, causata da larve del verme solitario, si presenta solitamente in forma di cisti a grappolo che possono ostruire il flusso del liquor nel 4o ventricolo.

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Neoplasie del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 177. NEOPLASIE DEL SNC (V. anche Cap. 89 e 142)

NEOPLASIE INTRACRANICHE (Tumori cerebrali)

Sommario: Introduzione Incidenza Anatomia patologica Sintomi e segni Sedi specifiche dei tumori e tipi Diagnosi Terapia

Una lesione espansiva endocranica può essere rappresentata da una neoplasia (primitiva o metastatica), un granuloma, una cisti parassitaria, un’emorragia (intracerebrale, extradurale o subdurale) un aneurisma o un ascesso. Le neoplasie intracraniche primitive possono essere classificate in base alla sede (v. Tab. 177-1) e/o al tipo istologico (p. es., meningioma, linfoma primitivo del SNC, astrocitoma). I tumori congeniti primitivi intracranici comprendono il craniofaringioma il cordoma, il germinoma, il teratoma, la cisti dermoide, l’angioma e l’emangioblastoma. Le metastasi possono colpire qualsiasi struttura endocranica. Dal momento che le neoplasie intracraniche sono comuni e spesso misconosciute, gli esami radiologici dovranno essere tempestivi.

Incidenza I tumori cerebrali si riscontrano nel 2% delle autopsie; sono i più frequenti nell’età adulta giovanile e media, ma possono insorgere ad ogni età e sembrano più comuni nell’anziano. I tumori primitivi cerebrali dell’infanzia sono spesso astrocitomi cerebellari, medulloblastomi, ependimomi, gliomi del tronco cerebrale e del nervo ottico, germinomi e tumori congeniti. I tumori metastatici più comuni dell’infanzia sono il neuroblastoma (di solito epidurale) e le lesioni leucemiche (meningee). I tumori primitivi degli adulti comprendono i meningiomi, gli schwannomi, i linfomi primitivi, i gliomi degli emisferi cerebrali (in particolare il glioblastoma multiforme e l’astrocitoma anaplastico e, più benigni, l’astrocitoma di basso grado e l’oligodendroglioma). I tumori metastatici degli adulti hanno di solito origine dal carcinoma broncogeno, dall’adenocarcinoma della mammella e dai melanomi. I gliomi rappresentano il 45% dei tumori intracranici; gli adenomi ipofisari il 15%; i meningiomi il 15%; gli schwannomi il 7%; i tumori congeniti il 3%; l’incidenza delle metastasi e di altri tipi di neoplasie è del 15%. L’incidenza globale dei tumori cerebrali è praticamente la stessa nei maschi e nelle femmine, ma il medulloblastoma cerebellare e il glioblastoma multiforme sono più frequenti negli uomini, mentre i meningiomi e gli schwannomi colpiscono con maggiormente le file:///F|/sito/merck/sez14/1771549b.html (1 of 8)02/09/2004 2.28.14

Neoplasie del snc

donne. L’incidenza di linfomi primari del SNC è in aumento, tanto nei pazienti affetti da AIDS quanto in quelli senza evidenza di infezione da HIV.

Anatomia patologica I tumori invadono e distruggono il tessuto cerebrale circostante, causando compromissione delle funzioni sensorimotorie e cognitive, aumento della pressione intracranica, edema cerebrale, compressione del tessuto encefalico, dei nervi cranici e dei vasi cerebrali. L’ipertensione intracranica può essere conseguenza di masse tumorali, edema cerebrale, ostacolato flusso liquorale (evenienza precoce in caso di tumori del 3o ventricolo e della fossa cranica posteriore), ostruzione dei seni venosi durali (specialmente da parte di tumori ossei o metastatici extradurali)e di compromissione dei meccanismi di riassorbimento del liquor (p. es., nell’interessamento leucemico o carcinomatoso delle meningi). Raramente, gli effetti neurologici a distanza si manifestano come sindromi paraneoplstiche (v. oltre). La gravità dei tumori cerebrali è determinata dalle dimensioni, dalla localizzazione, dal tasso di crescita e dal loro grado istologico. I tumori benigni crescono lentamente, presentano poche mitosi, assenza di necrosi o di zone di proliferazione vasale. Possono raggiungere dimensioni molto cospicue prima di diventare sintomatici, in parte perché non sempre provocano edema cerebrale. I tumori maligni crescono più rapidamente e sono più invasivi, ma raramente metastatizzano oltre il SNC; causano pertanto morte per crescita locale. Anche alcuni tumori benigni, per dimensioni o sede d’insorgenza, possono causare morte per crescita locale, qualora non possano essere rimossi totalmente. Dal punto di vista clinico, nei tumori cerebrali, la distinzione tra caratteri istologici benigni e maligni è meno importante se paragonata ai tumori di altri apparati, sebbene i tumori maligni siano associati a prognosi peggiore. I gliomi sono costituiti da cellule eterogenee. Dal punto di vista cariotipico, il contenuto cromosomico di ogni cellula può essere quasi diploide (2n) o essere ipotetraploide e ipertetraploide (4n); la distribuzione dei tipi cellulari varia a seconda del tumore. Nei gliomi sono stati identificati molti oncogeni aberranti, ma solo l’oncogene erbB (per il recettore del fattore di crescita epidermico, EGFR) risulta aumentato in modo apprezzabile. La perdita di uno qualsiasi dei cinque geni soppressori tumorali specifici, localizzati su autosomi differenti, può associarsi a crescita. L’anomalia più comune consiste nella perdita dell’informazione genetica del cromosoma 17p. Il gene soppressore tumorale p53, localizzato nel cromosoma 17, è frequentemente associato alla perdita di un allele, anche se molti gliomi maligni non presentano mutazioni del p53. Il murine double minute 2 (MDM2), una proteina cellulare, può formare un complesso con il p53. Essa è aumentata in alcuni gliomi, senza mutazioni del p53. Materiale genetico del cromosoma 10 può andare perduto, specialmente nel glioblastoma multiforme. Sono stati associati al glioma differenti fattori di crescita, con i loro relativi recettori. L’EGFR è espresso in modo aberrante (in genere amplificato) in molti gliomi. Il fattore di crescita trasformante-α (TGF-α), che presenta circa il 50% di omologia con l’EGF, è secreto da molti tumori, compresi i gliomi maligni ad alto grado. Il TGF-β inibisce alcune reazioni immunitarie e tale inibizione può influenzare la crescita del tumore. L’espressione aberrante di ligandine del fattore di crescita a derivazione piastrinica (PDGF), o dei recettori, fornisce alle cellule un vantaggio selettivo di crescita. Nei gliomi, è stata rilevata in vitro e in vivo un’espressione aberrante di ligandine del PDGF e dei recettori.

Sintomi e segni Manifestazioni cliniche generali sono espressione dall’aumento della pressione endocranica. Nel 25% dei pazienti affetti da tumori cerebrali maligni, i sintomi iniziali sono cefalea, vomito, alterazioni dello stato mentale, sopore, letargia, file:///F|/sito/merck/sez14/1771549b.html (2 of 8)02/09/2004 2.28.14

Neoplasie del snc

ottundimento, alterazioni della personalità, disordini comportamentali e compromissione delle facoltà mentali. Nei bambini l’aumento della pressione endocranica può far aumentare le dimensioni del capo. L’edema della papilla si manifesta nel 25% dei pazienti affetti da tumore cerebrale, ma la sua assenza non permette di escludere una lesione espansiva o l’ipertensione endocranica. Le modificazioni della temperatura, della PA, della frequenza respiratoria sono infrequenti, eccetto che nelle fasi terminali. Le crisi comiziali possono essere parziali o generalizzate. Sono più comuni nei meningiomi, negli astrocitomi e negli oligodendrogliomi a lento accrescimento, meno nei gliomi maligni. Le manifestazioni cliniche focali sono legate alla distruzione locale o alla compressione del tessuto nervoso, oppure ad alterata funzione endocrina e dipendono dalla localizzazione del tumore. La distribuzione delle crisi parziali è utile per determinare clinicamente la localizzazione del tumore. L’ipertensione endocranica persistente può manifestarsi con falsi segni di localizzazione, quali paralisi unilaterale o bilaterale dei retti laterali, per compressione del 6o nervo cranico; emiplegia omolaterale alla sede della lesione, per compressione del peduncolo cerebrale controlaterale contro il tentorio; deficit del campo visivo, anch’esso omolaterale, per compromissione dell’arteria cerebrale posteriore controlaterale. Le sindromi da ernia cerebrale possono insorgere durante l’accrescimento del tumore, che spinge il tessuto cerebrale attraverso le aperture intracraniche. La superficie mediale di un emisfero, p. es., può essere sospinta oltre la falce cerebrale. Quando il tessuto cerebrale è forzato attraverso l’incisura tentoriale, avviene un’erniazione transtentoriale. Nell’erniazione centrale, il tessuto viene spostato più o meno simmetricamente e bilateralmente. Nell’erniazione del lobo temporale, si verifica lo spostamento asimmetrico di un cono di tessuto del lobo temporale attraverso l’incisura del tentorio. In tutti i casi si verifica compressione delle strutture vitali del tronco cerebrale. L’erniazione centrale porta a coma, con pupille di media ampiezza non reagenti, alterazioni del respiro, perdita dei riflessi oculocefalici e oculovestibolari (incapacità degli occhi di seguire la rotazione del capo o di ruotare alla stimolazione calorica) nonché paralisi motoria bilaterale, con rigidità in decerebrazione o flaccidità. L’erniazione del lobo temporale può manifestarsi precocemente con una paralisi del 3o nervo cranico (pupilla dilatata non reagente unilaterale e paralisi extraoculare), oltre che con segni centrali di erniazione. Meno frequentemente, una porzione del cervelletto può essere forzata attraverso il forame magno, realizzando un arresto cardiorespiratorio improvviso.

Sedi specifiche dei tumori e tipi I tumori degli emisferi cerebrali, compresi quelli del lobo frontale (comunemente meningiomi o gliomi; meno frequentemente linfomi primitivi del SNC), interessanti la convessità frontale, causano frequentemente emiparesi progressiva, crisi comiziali focali o generalizzate, alterazioni mentali. Le crisi comiziali possono precedere gli altri sintomi di mesi o anni. L’afasia può accompagnare un tumore dell’emisfero dominante. Una tumore della base dei lobi frontali (p. es., un meningioma della doccia olfattoria) può causare anosmia ipsilaterale; un tumore localizzato sulla superficie mediale degli emisferi può causare minzione precipitosa o incontinenza. Le modificazioni mentali, in particolare l’inattenzione, l’apatia e l’andatura atassica sono comuni quando il tumore si espande attraverso il corpo calloso coinvolgendo entrambi i lobi frontali. Un meningioma del tubercolo sellare può comprimere il chiasma ottico causando un deficit del campo visivo simile a quello prodotto da un adenoma ipofisario (v. oltre). Un meningioma del terzo interno della piccola ala dello sfenoide può causare esoftalmo e cecità unilaterali; il meningioma della parte esterna dell’ala potrà invadere il lobo temporale (v. oltre). Quando il tumore è piccolo, la pressione intracranica è in genere normale. I tumori del lobo parietale possono provocare convulsioni generalizzate o attacchi epilettici sensoriali focali. La sensibilità cutanea tattile, dolorifica e

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termica sono normali, ma controlateralmente alla lesione è presente la compromissione della stereognosia e dell’integrazione corticale delle sensibilità (senso di posizione, discriminazione tra due punti). Possono anche riscontrarsi emianopsia omonima controlaterale, aprassia e anosognosia (mancato riconoscimento da parte del paziente delle parti lese del proprio corpo). È caratteristica la negazione di malattia da parte del paziente. Quando il tumore interessa l’emisfero dominante, si possono verificare disturbi della parola, agrafia e agnosia delle dita della mano. I tumori del lobo temporale, particolarmente quelli dell’emisfero non dominante, causano spesso crisi comiziali; un tumore situato profondamente nel lobo temporale può causare emianopsia controlaterale, crisi comiziali complesse parziali o crisi comiziali precedute da un’aura olfattiva oppure da allucinazioni visive, costituite da immagini complesse. I tumori localizzati alla superficie del lobo temporale dominante provocano un’afasia mista o una disfasia, ma principalmente un’afasia nominum. I tumori del lobo occipitale causano di solito un difetto a quadrante del campo visivo controlaterale, oppure un’emianopsia, con risparmio funzionale della macula. Le eventuali crisi comiziali possono essere precedute da fosfeni, ma non da immagini complesse. I tumori sottocorticali coinvolgono di solito la capsula interna e causano un’emiplegia controlaterale. Possono invadere ognuno dei lobi emisferici producendo i sintomi corrispondenti; un’estensione tumorale al talamo causa alterazione della sensibilità cutanea controlaterale. L’invasione dei gangli della base di solito non causa sintomi di tipo parkinsoniano ma, occasionalmente, provoca atetosi, tremori bizzarri o posture distoniche. I tumori dell’ipotalamo provocano disturbi della condotta alimentare o pubertà precoce nei bambini. I tumori metastatici cranici, extradurali o subdurali, invadendo e comprimendo la corteccia sottostante, possono produrre gli stessi segni focali causati da tumori corticali primitivi. I tumori dell’ipofisi e della regione soprasellare comprendono gli adenomi ipofisari, costituiti da masse intrasellari secernenti o non secernenti ormoni, masse con estensione extrasellare o, raramente, carcinomi ipofisari. Gli adenomi secernenti producono ormoni che causano specifiche endocrinopatie. Gli adenomi con particolari cromaffinità sono associati a sindromi endocrine caratteristiche; p. es., l’adenoma acidofilo secerne eccesso di GH, provocando gigantismo, se insorge prima della pubertà e acromegalia se insorge dopo la pubertà; gli adenomi basofili producono eccessivo ACTH, causando la sindrome di Cushing. Dei tumori ipofisari, gli adenomi cromofobi provocano la maggior parte delle endocrinopatie. L’endocrinopatia più comune è costituita dall’iperprolattinemia, caratterizzata da amenorrea e galattorrea nelle donne (v. Cap. 7) e, meno spesso, da impotenza e ginecomastia negli uomini. Molti microadenomi secernenti vengono scoperti soltanto dopo che sia stata evidenziata l’endocrinopatia. Gli adenomi ipofisari in crescita possono essere causa di cefalea, ma la pressione intracranica rimane in genere nella norma. Se il tumore si espande al di fuori della sella, può comprimere il nervo, il tratto o il chiasma ottico, l’ipotalamo, realizzando comunemente un’emianopsia bitemporale o, meno spesso, un’atrofia ottica unilaterale, un’emianopsia controlaterale o un’associazione di questi tre tipi di alterazioni; la compressione dell’ipotalamo è di solito causa di diabete insipido, per lesione del tratto sopraottico-ipofisario. Il tumore può distruggere il tessuto ghiandolare funzionante e causare un’insufficienza ipofisaria. Quale ausilio diagnostico, la RMN è preferibile alla TAC, in quanto evidenzia meglio i microadenomi e definisce meglio l’estensione della crescita del macroadenoma. La TAC è più utile quando in caso di tumori che si estendono oltre la sella. Può essere utilizzata la TAC ad alta risoluzione per diagnosticare i microadenomi, qualora non fosse possibile effettuare una RMN. Gli altri tumori della regione della sella turcica (p. es., meningiomi, craniofaringiomi, metastasi, cisti dermoidi) o gli aneurismi, possono comprimere il file:///F|/sito/merck/sez14/1771549b.html (4 of 8)02/09/2004 2.28.14

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chiasma ottico, invadere la sella e produrre sintomi simili. I tumori della regione pineale possono insorgere in qualsiasi età, ma sono più comuni nell’infanzia; soprattutto nei ragazzi, può derivarne una pubertà precoce. Il tumore può comprimere l’acquedotto di Silvio e causare idrocefalo, edema della papilla e altri segni d’ipertensione endocranica. Può altresì venire compressa la regione rostrale pretegmentale, sino al collicolo superiore, con paralisi dello sguardo verso l’alto, ptosi e perdita dei riflessi pupillari alla luce e all’accomodazione. Siccome questi tumori sono in genere neoplasie a cellule germinali, il test del liquor per β-gonadotropina corionica umana o α-fetoproteina potrà fornire dati decisivi per la diagnosi istologica. I tumori primitivi della pineale (pinealoma, pineocytoma) sono rari. I tumori del tronco encefalico sono in genere gliomi (abitualmente astrocitomi). Sintomi frequenti da distruzione delle strutture nucleari sono le paralisi mono o bilaterali del 5o, 6o, 7o e 10o nervo cranico e paralisi dello sguardo di lateralità. Un danno delle vie motorie o sensitive causa emiparesi, emianestesia o disturbi cerebellari (atassia, nistagmo, tremore intenzionale). La pressione intracranica aumenta tardivamente e solamente quando i tumori ostruiscono l’acquedotto di Silvio. I tumori della fossa cranica posteriore, compresi quelli del 4o ventricolo e del cervelletto (di solito medulloblastomi, gliomi, ependimomi e metastasi) interferiscono con la circolazione del liquor e causano precoci sintomi d’ipertensione endocranica. Successivamente, si manifesteranno i segni di disfunzione cerebellare con andatura atassica e tremore intenzionale. I tumori dell’angolo ponto-cerebellare, soprattutto neurilemmomi (schwannoma e neurinoma dell’acustico), sono caratterizzati da acufeni, diminuzione unilaterale dell’udito e, talvolta, vertigini. Se il tumore è voluminoso, la compressione sui nervi cranici adiacenti, sul tronco e sul cervelletto produce la perdita del riflesso corneale, paralisi e anestesia facciale, disfagia, segni di disfunzione cerebellare e, raramente, emiplegia ed emianestesia controlaterali. La RMN eseguita tempestivamente può individuare i tumori prima che si accrescano e comprimano i nervi e il tessuto nervoso adiacente. La perdita delle risposte vestibolari alle stimolazioni caloriche, l’ingrandimento del forame acustico evidenziato mediante rx, un alto contenuto di proteine del liquor, sono suggestivi per neurinoma dell’acustico (v. anche Cap. 85). I meningiomi sono tumori benigni che sembrano insorgere dalle cellule aracnoidali; possono quindi nascere dovunque lungo il rivestimento durale, più frequentemente sulle convessità, in prossimità dei seni venosi, lungo la base del cranio e nella fossa cranica posteriore. Raramente, i meningiomi possono insorgere all’interno dei ventricoli, presumibilmente da cellule migrate insieme ai plessi coroidei. I meningiomi < 2 cm di diametro sono tra i più comuni tumori a riscontro occasionale durante le autopsie. Rappresentano l’unico tipo di tumore cerebrale più comune nelle donne. Essi tendono a comparire tra i 40 e i 60 anni, ma possono presentarsi nell’infanzia. I meningiomi, specialmente l’emangiopericitoma, possono essere multipli e diventare maligni. Sono stati descritti vari tipi istologici; tutti con decorso clinico simile. I meningiomi producono sintomi differenti a seconda della loro localizzazione (v. Tab. 177-2). Il meningioma è uno dei pochi tumori con caratteristiche alterazioni ossee, talora dimostrabili mediante radiografie craniche. La maggior parte dei meningiomi può essere rilevata mediante la RMN, ma la TAC è in grado di individuare sia il tumore che le alterazioni ossee sottostanti. Il linfoma primitivo del SNC presenta un’incidenza aumentata, sia nei pazienti con i rischi legati ai trapianti d’organo, sia in quelli affetti da AIDS, sia in quelli con immunodeficienze congenite, sia in persone non immunocompromesse, specialmente se anziane. Il tumore insorge solitamente come una massa solitaria o sotto forma di masse multifocali, ma può anche insorgere a livello delle meningi, sotto forma di depositi uveali o del vitreo o come massa midollare. La maggior parte dei linfomi è a cellule B, frequentemente di tipo immunoblastico. Contrariamente al linfoma primitivo del SNC, il linfoma metastatico tende a

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localizzarsi nel canale spinale, in sede epidurale o meningea. Clinicamente, il linfoma primitivo del SNC tende a svilupparsi nel parenchima cerebrale, spesso vicino al sistema ventricolare. La RMN o la TAC possono indicare la diagnosi, ma è richiesta la conferma istologica. L’analisi del liquor può fornire la prova cellulare di un linfoma delle leptomeningi. Per i pazienti affetti da AIDS, la diagnosi differenziale principale è costituita dalla toxoplasmosi.

Diagnosi Si dovrà sospettare un tumore cerebrale nei pazienti che mostrano segni lentamente progressivi di disfunzione cerebrale focale, crisi comiziali persistenti o cefalee a insorgenza recente, oltre ad altre manifestazioni d’ipertensione endocranica (p. es., vomito, edema della papilla). Si dovrà eseguire un esame neurologico completo, indagini TAC o RMN e radiografie del torace (per la ricerca di fonti metastatiche). Possono essere utili test specialistici, quali la valutazione della campimetria, dell’acuità visiva e l’audiometria. La RMN evidenzia generalmente gli astrocitomi di basso grado ancora prima che essi si rendano visibili alla TAC. L’angiografia cerebrale è raramente necessaria per la diagnosi, ma può essere utile per la programmazione chirurgica. L’esame del liquor non sarà necessario se la diagnosi è certa, ma può essere utile se, dopo i primi accertamenti, non è stata ancora chiarita la natura della lesione. La valutazione del liquor è invece essenziale per la diagnosi di meningite neoplastica, subacuta o cronica o di ipertensione endocranica benigna (v. Pseudotumor cerebrale, v. oltre). La puntura lombare è controindicata se è presente papilledema o se altri sintomi o segni indicano un’aumentata pressione intracranica. La puntura lombare non deve essere praticata fino a che la TAC o la RMN non abbiano escluso lesioni con effetto massa, altrimenti l’improvviso cambiamento della pressione liquorale può scatenare un’ernia transtentoriale o nel forame magno.

Terapia Il trattamento dei tumori cerebrali dipende dalle loro caratteristiche anatomopatologiche e dalla loro localizzazione; è spesso di tipo multimodale. L’asportazione chirurgica deve essere praticata sia a scopo diagnostico sia per migliorare la sintomatologia. In caso di lesioni benigne, la chirurgia può comportare la guarigione. La terapia radiante è necessaria nei gliomi infiltranti e, per alcuni pazienti, è di aiuto la chemioterapia. Se possibile, i meningiomi devono essere sottoposti a rimozione chirurgica. Per i piccoli meningiomi, il trattamento chirurgico può essere rinviato, in quanto il rischio chirurgico può essere maggiore del danno provocato dalla lesione. Generalmente, i tumori di dimensioni medio-grandi possono essere asportati totalmente senza alcun rischio, ma l’escissione di tumori molto grandi può essere difficoltosa per l’infiltrazione di vasi ematici circostanti, specialmente quelli venosi. L’irradiazione può avere valore terapeutico per i meningiomi residui o per quelli recidivi. La radiochirurgia stereotassica, mediante gamma knife o acceleratore lineare, può essere indicata per i meningiomi chirurgicamente inaccessibili o per il trattamento dei residui postchirurgici. I neurinomi dell’acustico vanno rimossi chirurgicamente. La radiochirurgia stereotassica è sempre più praticata, con risultati comparabili alla chirurgia e con complicanze potenzialmente minori. Per i gliomi maligni, viene praticata una terapia multimodale, nel tentativo di ridurre la massa tumorale. La terapia multimodale comprende chirurgia, terapia radiante e chemioterapia. Inizialmente, si pratica la più ampia resezione

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chirurgica possibile, la quale dovrà produrre danni neurologici inferiori a quelli provocati dal tumore stesso. La resezione chirurgica consente la diagnosi istologica mentre il paziente è in vita. La biopsia stereotassica fornisce tessuto sufficiente per effettuare la diagnosi di glioma primitivo, ma talora non ne fornisce abbastanza per stabilirne il grado di malignità. La riduzione chirurgica, fino a piccole quantità residue, può prolungare la sopravvivenza e consentire ai pazienti di tornare a una vita attiva. Dopo la rimozione chirurgica il paziente dovrà ricevere una terapia radiante a pieno dosaggio tumorale (60 Gy). È necessario effettuare chemioterapia con una nitrosourea (p. es., carmustina a dosi di 200 mg/ m2 EV q 6-8 sett.; lomustina a dosi di 130 mg/m2 PO q 6-8 sett). È consigliata la chemioterapia combinata con lomustina 110 mg/m2 nel primo giorno, procarbazina 75 mg/m2/die dall’8o al 21o giorno, vincristina 1,4 mg/m2 nei giorni 8 e 29 di cicli di 6 settimane. Può essere proposto l’invio di questi pazienti a centri specializzati in programmi sperimentali di cura (p. es., impianto di semi radioattivi, nuove chemioterapie). Indipendentemente dall’approccio terapeutico, la prognosi per questo tipo di pazienti rimane infausta. La sopravvivenza mediana dopo la terapia chirurgica, quella radiante e la chemioterapia è di un solo anno e solamente il 25% dei pazienti sopravvive per due anni. Pertanto, è obbligatorio discutere per tempo con i pazienti circa le direttive che intendono lasciare per il trattamento degli stadi avanzati della propria patologia. Elementi prognostici favorevoli includono l’età (< 45 anni), il reperto anatomopatologico di astrocitoma anaplastico piuttosto che di glioblastoma multiforme, una migliore condizione clinica generale e l’assenza o la scarsità di residui tumorali dopo l’iniziale intervento di resezione. I gliomi a basso grado di malignità (astrocitomi, oligodendrogliomi) devono, se possibile, essere rimossi, sottoponendo successivamente il paziente a terapia radiante. Il periodo di applicazione della terapia radiante è dibattuto: la terapia precoce potrebbe essere più efficace, ma così l’encefalo sarebbe esposto prima del necessario al danno da radiazioni. Complessivamente, la prognosi è considerevolmente migliore rispetto ai gliomi maligni. L’aspettativa di vita dei pazienti è di 3-5 anni, prima della recidiva del tumore. Per il medulloblastoma, il trattamento consiste nella irradiazione whole-brain con circa 35 Gy, applicazione di 15 Gy nella fossa cranica posteriore e irradiazione del midollo spinale con 35 Gy. La chemioterapia può essere praticata come terapia coadiuvante e nei tumori recidivanti. Differenti farmaci, comprese le nitrosuree, la procarbazina, la vincristina da sola o in combinazione, il metotrexato intratecale, la polichemioterapia (p. es., MOPP), il cisplatino e il carboplatino, sono ritenuti efficaci nel trattamento del medulloblastoma recidivo, ma nessun regime chemioterapico aggiuntivo è risultato sostanzialmente efficace. Almeno il 50% dei pazienti sopravvive per 5 anni; circa il 40%, 10 anni. Gli ependimomi sono in genere trattati chirurgicamente, al fine di rimuovere tanto tumore quanto è possibile e per la liberazione delle vie liquorali. Il trattamento chirurgico è seguito da terapia radiante. Poiché gli ependimomi sono rari, la definizione delle varianti prognostiche risulta difficile. Molte revisioni della letteratura indicano l’estensione della resezione chirurgica come il fattore singolo più importante per il prolungamento della sopravvivenza. Il tasso complessivo di sopravvivenza a 5 anni è circa del 50%; tuttavia, per i pazienti che non presentano patologia residua alla valutazione radiologica post-operatoria, le quote di sopravvivenza a 5 anni sono > 70%. Negli ependimomi a basso grado la progressione tumorale è più frequente nella sede primitiva della neoplasia; pertanto, l’irradiazione può essere limitata alla sede primitiva, riservando l’irradiazione whole-brain ai tumori più maligni e l’irradiazione craniospinale in caso di ependimomi disseminati. Nei tumori metastatici, la terapia radiante presenta buoni risultati a breve termine. Può inoltre essere effettuata la radiochirurgia. Se la metastasi viene asportata prima della terapia radiante, i pazienti con lesioni uniche possono sopravvivere più a lungo, con un recupero neurologico più rapido. Il trattamento del linfoma primitivo del SNC comprende i corticosteroidi, la chemioterapia e la terapia radiante. Sono ritenuti efficaci diversi protocolli chemioterapici. I protocolli a base di metotrexato, somministrato sotto forma di infusioni EV ad alte dosi, intratecalmente o con la modifica della barriera

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ematoencefalica, sono stati quelli più ampiamente collaudati. La maggior parte dei protocolli chemioterapici comprende la terapia radiante, in genere applicata dopo 12-16 settimane di chemioterapia, ma, per ridurne la radiotossicità, la radioterapia può essere iniziata dopo la chemioterapia, fino a che non si documenti la recidiva tumorale. I protocolli a base di metotrexato migliorano la prognosi; la sopravvivenza mediana può raggiungere i 4 anni. Il mannitolo, 25-100 g infusi EV, può essere necessario per diminuire l’ipertensione endocranica e per la prevenzione delle ernie cerebrali. Esso dovrà essere associato a un corticosteroide (p. es., il desametasone 16 mg/die PO oppure per via parenterale o prednisone 60-80 mg/die PO in dosi frazionate). La puntura lombare è controindicata come metodo di riduzione dell’ipertensione endocranica di origine neoplastica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 177-1. CLASSIFICAZIONE PER SEDE DEI TUMORI PRIMITIVI DEL SNC Sede

Esempi

Tronco encefalico

Astrocitoma

Cervelletto

Astrocitoma, medulloblastoma

Cervello

Astrocitoma, oligodendroglioma, astrocitoma anaplastico, glioblastoma multiforme

Nervi cranici

Glioma del nervo ottico, schwannoma (neurinoma) del 5° e dell’8° nervo cranico

Ependima

Ependimoma

Meningi

Meningioma, sarcoma, glioma

Neuroglia

Glioma

Regione pineale

Tumore a cellule germinali, pinealoma

Ipofisi

Craniofaringioma Adenoma ipofisario

Cranio

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Granuloma, emangioma, osteite deformante, osteoma, xantoma

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 177-2. SINTOMI DEI MENINGIOMI A SECONDA DELLA SEDE Sede

Sintomi e segni

Convessità cerebrali

Crisi comiziali focali; tardivamente, segni di effetto massa negli emisferi; perdita simil-demenziale della funzione cognitiva; radiologicamente, atrofia delle ossa craniche, dilatazione dei vasi ematici, occasionalmente iperostosi

Parasagittale o falce

Ipostenia spastica o intorbidimento progressivi, con inizio in genere nell'arto inferiore controlaterale ma occasionalmente esteso anche all'altro; possono essere confusi con una lesione midollare; perdita simil-demenziale della funzione cognitiva

Base del cranio

Disturbi visivi, esoftalmo

Doccia olfattoria

Compromissione dell'odorato, talvolta papilledema e deficit della vista

Tuberculum sellae

Deficit della vista, alterazioni ossee

Ala dello sfenoide

Paralisi degli oculomotori, intorpidimento facciale

Mediale (con accrescimento nel seno cavernoso) Mediana (con accrescimento anteri ore all'interno dell'orbita) Laterale (talora con accrescimento nell'osso temporale)

Deficit visivo, esoftalmo

Massa globosa o meningioma a placca (cioè accrescimento nella dura, con ispessimenti durali e invasione dell'osso adiacente)

Fossa posteriore (presente come tumore tentoriale che si accresce sopra e sotto il tentorio)

Principalmente idrocefalo

Clivus e apice della rocca

Instabilità durante la marcia, atassia degli arti e alterazioni dei nervi cranici 5°, 7° e 8°

Forame magno

Dolore suboccipitale nella sede omolaterale e ipostenia caratteris tica che insorge nell'arto superiore omolaterale e si estende all'arto inferiore dello stesso lato, e quindi all'arto inferiore e superiore controlaterali; talore segno di Lhermitte e anomalie dei nervi cranici (disfagia, difficoltà dell'articolazione delle parole, nistagmo, diplopia, alterazioni delle sensibilità a livello del volto)

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 177. NEOPLASIE DEL SNC (V. anche Cap. 89 e 142)

IPERTENSIONE ENDOCRANICA BENIGNA (Pseudotumor cerebri) Disturbo caratterizzato da aumento della pressione endocranica, in assenza di lesioni intracraniche occupanti spazio, ostruzioni ventricolari o delle vie subaracnoidee, infezioni o encefalopatia ipertensiva. Nella maggior parte dei casi, l’eziologia è sconosciuta; la sindrome ha sicuramente molte cause ed è presente in molte patologie; lo pseudotumor è frequente soprattutto nelle donne fra i 20 e i 50 anni, specialmente se in sovrappeso. Nei bambini, può essere conseguente all’interruzione di una terapia corticosteroidea, all’eccessiva assunzione di vitamina A o di tetracicline. In genere, la guarigione è spontanea. I sintomi sono rappresentati da una cefalea di gravità variabile (di solito lieve), edema della papilla, in pazienti che altrimenti sembrano godere di buona salute; in circa il 5% dei casi si può avere calo del visus, parziale o completo, a carico di un occhio (è l’unico segno neurologico grave di questa condizione) con frequente ingrandimento delle macchie cieche. Le immagini TAC e RMN sono di solito normali o possono mostrare un sistema ventricolare lievemente diminuito di volume; l’EEG è normale. La pressione del liquor è aumentata, ma le sue caratteristiche cito-chimiche sono normali. Un quadro simile può essere causato dall’occlusione del terzo posteriore del seno sagittale, di uno dei seni trasversi o sigmoidei, da aumento della pressione endocranica secondaria a ritenzione cronica di CO2 e ipossiemia da patologia polmonare. Occasionalmente, la sintomatologia è dovuta ad anomalie meno definite, come l’anemia da carenza di ferro e l’ipoparatiroidismo. Il trattamento varia a seconda della causa. Lo pseudotumor generalmente non ha conseguenze gravi. Una volta posta la diagnosi, esso può essere trattato in modo sintomatico, rassicurando il paziente e somministrando blandi analgesici contro le cefalee. Circa il 10-20% dei pazienti ha una o più recidive e talora alcuni di essi vanno inesorabilmente incontro alla perdita della vista. Quando i sintomi persistono, si potrà somministrare l’acetazolamide PO in dosi frazionate, ammontanti a 750 mg/die. Per il drenaggio del liquor, possono essere efficaci le punture lombari seriate. I corticosteroidi sono inutili, specialmente perché contribuiscono all’aumento ponderale, mentre molti di questi pazienti sono già obesi; per tali pazienti la perdita di peso costituisce uno degli obiettivi terapeutici. Andrà effettuato l’esame del campo visivo, con controlli successivi regolari; se si presentano difetti del campo visivo diversi dall’allargamento della macchia cieca o se l’acuità visiva peggiora, bisognerà prendere in considerazione la riduzione chirurgica della pressione endocranica. Due procedure risultano efficaci: la derivazione lombo-peritoneale del liquor e la fenestrazione del nervo ottico. Quando insorge, la perdita della vista è irreversibile nonostante la terapia.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 177. NEOPLASIE DEL SNC (V. anche Cap. 89 e 142)

NEOPLASIE DEL MIDOLLO SPINALE Tumori che originano nel midollo, nelle radici, nelle meningi o nelle vertebre, che causano compressione sul midollo e sulle radici nervose.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

I tumori midollari primitivi sono meno frequenti rispetto ai tumori cerebrali. Circa 2/3 dei tumori primitivi midollari sono meningiomi e neurinomi; i restanti sono in genere gliomi e sarcomi. Circa il 10% dei tumori spinali è intramidollare. Le metastasi extradurali provengono frequentemente dai carcinomi polmonare, mammario, prostatico, renale, tiroideo oppure da linfomi (p. es., m. di Hodgkin, linfosarcoma, sarcoma a cellule reticolari).

Sintomi e segni I primi sintomi delle neoplasie extramidollari sono in genere dovuti alla compressione delle radici nervose: lungo il territorio di distribuzione delle radici affette insorgono dolore, parestesie, ipoestesia, perdita di forza e atrofia. Il tumore, crescendo, comprime il midollo fino a provocare una paralisi spastica progressiva, alterazioni della sensibilità cutanea e propiocettiva, al di sotto del livello della lesione, talvolta con associati disturbi del controllo sfinteriale. La perdita del controllo degli sfinteri può condurre a ritenzione o incontinenza urinaria e/o fecale. I sintomi descritti possono essere lievi o gravi in rapporto alla sede e alla natura della neoplasia e sono spesso asimmetrici. Qualora il tumore occluda i vasi spinali, ne deriverà una mielomalacia, la cui sintomatologia riproduce quella della sindrome da sezione midollare (v. Lesioni del Midollo Spinale nel Cap. 182). I tumori intradurali extramidollari (p. es., gli schwannomi, i meningiomi) causano dolore segmentale, con evoluzione verso il deficit segmentale di forza e infine paraparesi. Neoplasie intramidollari: si tratta di gliomi ed ependimomi che frequentemente si estendono lungo parecchi segmenti spinali, simulando la siringomielia. Insorgono paraparesi progressiva, perdita delle sensibilità e deficit sfinteriale. Un tumore localizzato a un segmento midollare può simulare una neoplasia extramidollare, ma il dolore è meno evidente e i deficit sfinteriali sono più precoci.

Diagnosi e terapia

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Neoplasie del snc

I tumori spinali vanno differenziati dalle altre patologie del midollo (p. es., malformazioni vascolari, sifilide, SM, siringomielia, anemia perniciosa, sclerosi laterale amiotrofica, anomalie della colonna cervicale e della base del cranio, spondilosi cervicale e fratture del disco intervertebrale). La rx della colonna può dimostrare zone di distruzione ossea, allargamento dei peduncoli vertebrali o deformazione dei tessuti paraspinali; la concentrazione proteica del liquor è di solito aumentata e l’esame manometrico mostra un blocco subaracnoideo. Nei casi di blocco completo, la puntura lombare non è esente da rischi; dovrà pertanto essere effettuata per prima una valutazione neuroradiologica. Il test diagnostico migliore per i tumori del midollo spinale è la RMN, sebbene possa risultare talvolta necessaria l’esecuzione di una TAC mielografica, specialmente per identificare i tumori extradurali. La mielografia TAC può essere orientativa, anche in caso di malformazioni artero-venose, nel qual caso l’indagine di scelta sarà un’arteriografia selettiva. I tumori primitivi extramidollari e intramidollari possono essere frequentemente rimossi chirurgicamente; la prognosi dipende dal grado del danno già provocato dal tumore nonché dall’esperienza del chirurgo. Il trattamento chirurgico fa regredire la sintomatologia in circa la metà dei pazienti. La somministrazione dei corticosteroidi permette la riduzione dell’edema midollare e il mantenimento della funzionalità motoria. In caso di tumori non completamente asportabili, si può effettuare la radioterapia, sia da sola sia dopo la decompressione chirurgica. I tumori metastatici epidurali vengono in genere trattati mediante la radioterapia, sebbene la resezione chirurgica possa essere necessaria qualora fosse presente compressione ossea o risultasse inefficace la radioterapia.

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Neoplasie del snc

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 177. NEOPLASIE DEL SNC (V. anche Cap. 89 e 142)

DANNI DA RADIAZIONI SUL SISTEMA NERVOSO Il sistema nervoso può subire danni dalla terapia radiante. Si possono sviluppare precocemente sintomi sia acuti che subacuti, ma danni progressivi, permanenti e spesso invalidanti, possono essere silenti per mesi o anni. Il danno da radiazioni è proporzionale alla dose totale somministrata, all’entità delle frazioni, alla durata della terapia e al volume del tessuto irradiato (v. anche Cap. 278). Una notevole variabilità individuale rende difficile determinare i dosaggi prevedibilmente sicuri per tutti i pazienti. L’encefalopatia acuta si manifesta, dopo la prima o la seconda irradiazione, con cefalea, nausea, vomito, sonnolenza e peggioramento dei segni neurologici, soprattutto quando l’ipertensione intracranica sia stata inadeguatamente trattata con corticosteroidi. L’encefalopatia si presenta con minor gravità dopo le irradiazioni successive e in seguito a trattamento con ormoni steroidei. L’encefalopatia precoce si manifesta dopo i primi 2-4 mesi di terapia radiante. Nei bambini sottoposti a irradiazione profilattica whole-brain, per il trattamento di una leucemia, si manifesta con sonnolenza; tale sindrome migliora spontaneamente nel giro di vari giorni o settimane, potendo inoltre essere controllata con trattamento corticosteroideo. Negli adulti deve essere differenziata, mediante la TAC e la RMN, dalle neoplasie cerebrali in accrescimento o recidivanti. La mielopatia precoce da radiazioni si manifesta dopo terapia radiante del collo o del torace ed è caratterizzata dal segno di Lhermitte (sensazione di scossa elettrica lungo la schiena fino alle gambe, alla flessione del collo). Tale quadro si risolve spontaneamente. Il danno tardivo da radiazioni all’encefalo può comparire nel bambino, a mesi o anni di distanza da un trattamento profilattico per la leucemia e, nell’adulto, dopo profilassi o trattamento di tumori cerebrali. La demenza progressiva, senza segni focali, ne costituisce il quadro tipico, con frequente instabilità della marcia negli adulti. Il reperto TAC è quello di un’atrofia cerebrale. Dopo l’irradiazione di neoplasie extracraniche o dopo il trattamento con alte dosi di neoplasie intracraniche (p. es., brachiterapia, radiochirurgia), i sintomi hanno un carattere focale. La TAC o la RMN dimostrano una massa, assumente mezzo di contrasto, difficile da differenziare da una recidiva del tumore primitivo. La biopsia a cielo aperto della massa spesso migliora il quadro sintomatologico e consente la differenziazione della lesione dalla recidiva tumorale. La mielopatia tardiva da radiazioni compare a distanza di mesi o anni dal trattamento di tumori extraspinali (p. es., morbo di Hodgkin). Essa è caratterizzata da deficit di forza progressiva e perdita di sensibilità, spesso tipo Brown-Séquard (debolezza e perdita della sensibilità propiocettiva in un lato del corpo con perdita della sensibilità termodolorifica nel lato opposto). La rapidità del decorso è variabile, ma la maggior parte dei pazienti andrà incontro a paraplegia. La mielopatia tardiva da radiazioni compare in genere a distanza di mesi o anni dopo il trattamento dei tumori extraspinali. Meno frequentemente, a distanza di anni dalla loro applicazione, le radiazioni possono provocare l’insorgenza di gliomi, meningiomi o tumori della guaina del nervo periferico.

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Neoplasie del snc

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE Esame del sistema visivo: deficit campimetrici caratteristici differenziano le lesioni retiniche, del nervo ottico, del chiasma, del tratto ottico, delle radiazioni genicolo-calcarine e della corteccia visiva. Lesioni del tronco encefalico, del 2o, 3o, 4o, 6o o 8o nervo cranico o del cervelletto possono causare disturbi specifici della motilità oculare e della reattività pupillare (v. Tab. 178-1). L’acuità visiva sarà valutata per ognuno dei due occhi con un’apposita tavola, oppure mediante uno schermo di Rosenbaum tenuto in mano dall’esaminatore; il paziente indosserà le proprie lenti correttive, poiché la valutazione neurologica necessita della migliore visione possibile. Si potrà ridurre il difetto di rifrazione facendo leggere il paziente attraverso un foro praticato su un cartoncino. Se non è possibile quantificare la visione con questi mezzi, ci si dovrà basare su prove descrittive dell’acuità visiva (p. es., la capacità di leggere un giornale posto a 35 cm, contare le dita o percepire la luce). Si stabilirà una condizione basale di controllo, dal momento che improvvise alterazioni dell’acuità visiva possono insorgere in alcune patologie vascolari o per lesioni comprimenti il nervo ottico. Lo studio dei campi visivi sarà realizzato attraverso un esame comparativo: ogni occhio deve essere esaminato separatamente mentre il paziente fissa un occhio o il naso dell’esaminatore. L’esecutore porta lentamente una piccola mira (p. es., un fiammifero con la capocchia rossa) dalla periferia visiva del paziente a ognuno dei 4 quadranti visivi. La testa del paziente deve essere ruotata lontano da ogni lineamento occludente del viso (p. es., ciglia folte, un grosso naso). Un’asimmetria della percezione iniziale della mira, o un altro difetto supposto, devono indurre l’esecuzione di una perimetria quantitativa, allo scopo di ottenere una mappa più accurata dei campi visivi. Mediante il reticolo di Amsler (una griglia finemente squadrata osservata da una distanza di 35 cm), possono essere rivelati difetti dei campi visivi centrali e paracentrali. I test mediante dischi pseudoisocromatici possono individuare la desaturazione cromatica quale segno iniziale di una patologia del nervo ottico. L’esame dei movimenti oculari estrinseci sarà effettuato chiedendo al paziente di fissare a capo fermo il dito dell’esaminatore, mentre questi lo muove orizzontalmente, in alto, in basso e in diagonale, dall’una e dall’altra parte. Si valuteranno la finezza e l’estensione dei movimenti oculari. Un deficit oculomotorio può spesso non essere evidente; si chiederà pertanto al paziente se abbia mai avuto diplopia. Infatti, questo disturbo insorge per compromissioni, nervose o muscolari, anche minime. Se c’è diplopia nello sguardo verso una direzione, si dirà al paziente di chiudere un occhio alla volta e di riferire se scompare l’immagine periferica o l’immagine centrale. Due regole aiutano a identificare quale muscolo (o afferenza nervosa) sia colpito: la distanza tra le immagini doppie aumenta quando lo sguardo si muove nella direzione mediata dal muscolo debole e l’immagine percepita dall’occhio colpito è sempre quella periferica. Per esempio, se la distanza tra le dita raddoppia quando il dito è

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

mosso orizzontalmente alla sinistra del paziente, sia il retto laterale sinistro che il retto mediale destro sono compromessi. Se l’immagine periferica scompare quando l’occhio sinistro è chiuso, il danno sarà a livello del retto laterale sinistro. Per diminuire la diplopia, il paziente tende a muovere il capo nella direzione del movimento dell’occhio compromesso. Mentre si esaminano i movimenti degli occhi, l’esaminatore nota se è presente nistagmo (oscillazione rapida involontaria del globo oculare in direzione orizzontale, verticale o rotatoria). Il nistagmo durante lo sguardo laterale estremo, che si esaurisce rapidamente, è in genere fisiologico e non ha rilievo clinico. Del nistagmo persistente devono essere descritte la direzione delle componenti veloce e lenta, le loro caratteristiche (p. es., regolare, irregolare, rotatoria), nonché il grado dell’interessamento di ciascun occhio (v. anche la Tab. 178-1, Valutazione Clinica dell’udito nel Cap. 82 e nel Cap. 85). Il nistagmo optocinetico è una reazione fisiologica durante l’osservazione di oggetti posti in movimento ripetitivo (p. es., fissare il passaggio dei pali del telegrafo dal finestrino di un’auto in movimento). Gli occhi inseguono lentamente gli oggetti in direzione del movimento (componente lenta), ma sono regolarmente interrotti da saccadi nella direzione opposta (componente veloce). Una lesione del lobo parietale (con o senza emianopsia) può interrompere le vie efferenti che vanno dalla corteccia visiva ai centri inferiori per il movimento coniugato degli occhi e abolire così il nistagmo optocinetico. La funzione è valutata mediante la rotazione di un tamburo striato o il passaggio di un tessuto a strisce (o striscia di misurazione standard) attraverso il campo visivo, verso la sede della lesione. Il nistagmo optocinetico è conservato nei casi di cecità isterica. L’ispezione delle pupille comprende la misurazione del diametro (p. es., sono a punta di spillo in caso di emorragia pontina o per uso di oppiacei o pilocarpina), la valutazione della simmetria (p. es., si presentano dilatate in caso di compressione del 3o nervo cranico da erniazione transtentoriale) e della regolarità dei margini (p. es., sono irregolari nel caso di pupilla di Argyll Robertson). Normalmente, le pupille si restringono prontamente e allo stesso modo, durante l’accomodazione alla luce diretta e quando viene applicata una fonte luminosa alla pupilla controlaterale (riflesso fotomotore consensuale). Se il riflesso fotomotore è diminuito in un occhio, un test, condotto con luce intermittente, distinguerà tra una lesione afferente (p. es., della retina o del nervo ottico) e una lesione efferente (p. es., del 3o nervo o della muscolatura pupillare). Una pupilla deafferentata si restringe in modo consensuale ma non reagirà se esposta alla luce diretta, mentre si dilaterà in modo paradosso quando la luce verrà rapidamente portata dall’occhio sano a quello affetto (pupilla di Marcus Gunn). Una lesione delle fibre efferenti abolirà nell’occhio affetto la reazione sia diretta che quella consensuale, mentre l’occhio non affetto le manterrà entrambe. Lesioni del ganglio ciliare possono provocare una pupilla tonicamente dilatata (pupilla di Adie). I riflessi diretto e consensuale alla luce sono assenti o notevolmente diminuiti. Nell’accomodamento su un punto fisso, la pupilla affetta si restringe e diventa più piccola di quella normale, impiegando inoltre maggior tempo per dilatarsi. I riflessi tendinei profondi potranno essere assenti, ma non vi sono altri segni neurologici. La maggior parte dei pazienti con pupilla di Adie è di sesso femminile, con età che varia tra i 20 e i 40 anni; l’insorgenza è in genere improvvisa. Come unici sintomi, si rilevano visione leggermente annebbiata e difficile adattamento al buio. Tale condizione patologica è permanente, ma non progressiva; La ptosi, se presente, va quantificata misurando la distanza tra i bordi palpebrali. La ptosi è un segno della sindrome di Horner, della paresi dell’oculomotore e della miastenia grave. Si può rilevare l’esoftalmo mediante l’ispezione degli occhi guardando il capo del paziente dall’alto. Si valuteranno il 5o e il 7o nervo, evocando il riflesso corneale e notando la capacità del paziente a chiudere gli occhi; spesso il primo segno di una patologia del 7o nervo è una diminuzione del riflesso di ammiccamento dal lato

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

colpito. In seguito all’abolizione del controllo esercitato dalle strutture cerebrali, nei pazienti con depressione dello stato di coscienza, la presenza del riflesso oculovestibolare indica l’integrità del tronco encefalico. Prima di eseguire una rapida rotazione del capo, dovranno essere escluse fratture cervicali. Una rapida rotazione impressa al capo del paziente evidenzia il ritardo del movimento dei globi oculari, come se vi fosse una fissazione dello sguardo (fenomeno degli occhi di bambola), con un lento ritorno alla fissità centrale al termine della rotazione. Nel test calorico, viene immessa acqua fredda (50 ml) nel canale uditivo (previa esclusione otoscopica di lesioni timpaniche); la risposta normale è rappresentata dalla deviazione coniugata degli occhi il canale uditivo irrigato. L’induzione di un nistagmo a scosse veloci, controlaterale alla deviazione, indica che il paziente è sveglio. Ambedue le manovre valutano l’integrità delle vie nervose (dal labirinto ai nuclei troncoencefalici) che controllano i movimenti degli occhi. L’esame del fondo dell’occhio consente una diretta visualizzazione del tessuto nervoso, dal quale possono essere dedotte analoghe alterazioni nell’encefalo (p. es., arteriolite necrotizzante). Esso fornisce inoltre dati circa la progressione o la risoluzione di determinate malattie locali, sistemiche e neurologiche (p. es., ipertensione endocranica da tumore). Per esempio, la malattia cerebrovascolare si può manifestare mediante alterazioni retiniche ipertensive o con embolia delle arterie retiniche. Si ispezionano il nervo ottico, i vasi e il fondo oculare per evidenziare papilledema, atrofia del nervo ottico, malattie vascolari, retiniti e altre patologie. In genere, l’edema della papilla è segno di ipertensione endocranica ed è caratterizzato da margini sfumati, elevazione a cupola del nervo, assenza di pulsazioni venose retiniche e, occasionalmente, emorragie. Dopo un ictus acuto è necessario ispezionare i vasi retinici, in quanto possono essere frequentemente rilevati piccoli emboli. I reperti fundoscopici delle varie patologie sono descritti altrove nel Manuale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 178-1. DISTURBI DELLA MOTILITÀ OCULARE Reperto clinico

Caratteristiche cliniche

Causa

Nistagmo pendolare

Rapide oscillazioni di uguale velocità, aumentate nello sguardo verso l'alto

Perdita della visione centrale in età precoce, sclerosi multipla, sindrome della testa di bambola (spasmus nutans) e torcicollo nell'infanzia

Nistagmo a scosse (vestibolare o labirintino)

In genere orizzontale ma può anche essere Labirintite infiammatoria acuta o verticale o obliquo, spesso con degenerativa componente rotatoria; la componente veloce è opposta alla sede della lesione. Il nistagmo aumenta nello sguardo verso il lato non colpito. Perdita dell'udito e tinnito associati, vertigine, nausea, vomito, dismetria, perdita della coordinazione motoria

Nistagmo da disfunzione del tronco encefalico

Nistagmo grossolano, dipendente dallo sguardo, orizzontale o verticale; assente a occhi chiusi. Vertigine incongrua, altri segni da danno del tronco encefalico

Sclerosi multipla, accidente cerebrovascolare a livello del tegmento pontino (nistagmo a scosse verso l'alto), malformazione di Chiari; tumore della giunzione cervicomidollare (nistagmo con scosse verso il basso); farmaci (p. es., fenitoina, barbiturici)

Nistagmo di convergenza

Abduzione lenta seguita da veloce adduzione

Sindrome di Parinaud, tumore della pineale, lesione tegmentale del tronco encefalico alto

Assenza del nistagmo optocinetico

Scomparsa della normale risposta dello Lesioni dei tratti di ricerca sguardo verso oggetti in movimento rapido nell'emisfero opposto ripetitivo (ricerca lenta dell'oggetto con interruzione involontaria da parte di saccadi nella direzione opposta)

Bobbing oculare

Scossa rapida verso il basso; lento ritorno verso l'alto in posizione media

Disfunzione o lesione estesa pontina

Dismetria oculare Superamento dell'oggetto da parte dello sguardo seguito da varie oscillazioni

Lesione dei tratti cerebellari

Rapide oscillazioni attorno a un punto di fissazione

Lesione dei tratti cerebellari

Flutter oculare

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE SINDROME DI HORNER Ptosi di grado variabile, miosi e anidrosi che si sviluppano dopo lesione delle fibre simpatiche omolaterali dell’ipotalamo, del tronco encefalico, del midollo spinale, delle radici ventrali spinali da C-8 a T-2, del ganglio cervicale superiore, guaina della diramazione della carotide interna all’iride e alla palpebra superiore. Lesioni a livello centrale (p. es., ischemia del tronco encefalico, siringomielia) interrompono le connessioni nervose simpatiche tra ipotalamo e midollo toracico superiore (da C-8 a T-3), laddove emergono le fibre simpatiche. Provocano tale sindrome le lesioni periferiche (p. es., tumori di Pancoast, adenopatia cervicale, traumi cranici e del collo), che danneggiano la catena cervicale simpatica, il ganglio cervicale superiore o il plesso simpatico aderente alle arterie carotide comune, carotide interna ed esterna. Nella sindrome di Horner congenita l’iride non si pigmenta e rimane blu-grigio.

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE OFTALMOPLEGIA INTERNUCLEARE Deficit di forza o paralisi dei movimenti oculari. Lo sguardo orizzontale è coordinato dal fascicolo mediale longitudinale del tronco encefalico. Questa via lunga (che connette il nucleo del 6o nervo di un lato con il subnucleo del retto mediale del nucleo del 3o nervo controlaterale) permette la coordinazione dell’abduzione di un occhio con l’adduzione di quello controlaterale, producendo lo sguardo laterale in una direzione. Questo fascicolo è inoltre composto da connessioni tra i nuclei vestibolari e il nucleo del 3o nervo. L’interruzione di queste fibre indebolisce la parte adduttoria dello sguardo laterale (funzione del retto mediale), ma risparmia la parte abducente (funzione del retto laterale). Quando guarda verso il lato opposto al retto mediale indebolito e al fascicolo longitudinale mediale danneggiato, il paziente percepisce una dislocazione orizzontale delle immagini; si associa frequentemente un nistagmo dell’occhio ruotato e, talvolta, un nistagmo verticale durante il tentativo di sguardo verso l’alto. La funzione di convergenza del retto mediale è spesso conservata. Una paralisi isolata del retto mediale indica un’oftalmoplegia internucleare monolaterale. Nell’anziano, l’oftalmoplegia internucleare è quasi sempre causata da ictus ed è in genere monolaterale. Nelle persone più giovani, l’oftalmoplegia internucleare unilaterale o bilaterale è frequentemente provocata dalla sclerosi multipla. Cause rare sono rappresentate da masse esterne o interne al tronco encefalico, assunzione di farmaci (p. es., il naloxone, l’amitriptilina), il LES e i traumi. Un deficit di forza dei muscoli oculari, simile a quello dell’oftalmoplegia internucleare, può essere presente nella miastenia gravis. Una lesione più ampia, interessante il fascicolo longitudinale mediale e il centro pontino dello sguardo laterale dello stesso lato, causa la sindrome dell’uno e mezzo, con paresi dello sguardo laterale verso il lato della lesione e la parte supplementare dello sguardo laterale verso il lato opposto. È conservata solo l’abduzione dell’occhio controlaterale. Le cause di questa rara condizione sono la sclerosi multipla, l’infarto, l’emorragia e i tumori. Tale quadro clinico può andare incontro a un miglioramento, ma non esiste alcun trattamento specifico.

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE PARALISI DELLO SGUARDO Condizioni nelle quali il paziente non è in grado di effettuare movimenti coniugati degli occhi in una direzione, verso l’alto, il basso, a destra o a sinistra. La più frequente paralisi dello sguardo interessa lo sguardo orizzontale; alcune interessano lo sguardo verso l’alto e, meno comunemente, quello verso il basso. Durante lo sguardo orizzontale, gli stimoli provenienti dagli emisferi, dal cervelletto, dai nuclei vestibolari e dal collo convergono sulla formazione reticolare del ponte. Qui, le varie componenti sono integrate in un comando finale al nucleo del 6o nervo, che controlla il retto laterale omolaterale e il retto mediale controlaterale, attraverso il fascicolo longitudinale mediale. L’alterazione più comune e invalidante dello sguardo orizzontale è conseguente a lesioni del ponte che danneggiano la formazione reticolare. Tali lesioni sono in genere secondarie a ictus, consistono in una marcata compromissione dello sguardo laterale ipsilaterale alla lesione. Lo sguardo orizzontale, così colpito, può essere resistente ad ogni stimolo. I casi lievi si manifestano con nistagmo o incapacità a mantenere la fissazione. L’ictus e i tumori sono le cause più frequenti di paralisi orizzontale dello sguardo. Una lesione nell’emisfero cerebrale controlaterale, rostrale al giro frontale, è la successiva causa più frequente di paralisi dello sguardo orizzontale. Questa lesione può essere secondaria a ictus e può provocare una paralisi temporanea dello sguardo. Gli stimoli non dipendenti dall’emisfero (p. es., stimolazione calorica con acqua fredda) possono ancora elicitare lo sguardo laterale. A causa della sua complessa anatomia, lo sguardo orizzontale può essere colpito da lesioni in altre aree. La fisiopatologia dello sguardo verticale è più complessa. Stimoli provenienti da almeno due nuclei oculomotori separati influenzano lo sguardo verticale. Una via di fibre sale dal sistema vestibolare attraverso il fascicolo longitudinale mediale di entrambi i lati, influenzando lo sguardo verso l’alto e verso il basso. Un sistema separato scende, presumibilmente dagli emisferi cerebrali, attraverso la zona pretettale del nucleo del 3o nervo. Le cause principali di paralisi dello sguardo verticale sono l’infarto e i tumori. Le lesioni sopranucleari possono causare disturbi dello sguardo verticale; p. es., nella sindrome di Parinaud, un tumore, o meno frequentemente, un infarto della regione pretettale causa una paralisi dello sguardo verso l’alto. Reperti associati sono costituiti da pupille ampie (circa 6 mm) che reagiscono poco alla luce ma meglio all’accomodazione e che presentano un nistagmo di convergenza durante il tentativo di guardare verso l’alto. La paralisi dello sguardo verso il basso è in genere dovuta a lesioni bilaterali del mesencefalo sotto il nucleo del 3o nervo. Gli stimoli provenienti dal sistema vestibolare possono ancora far alzare o abbassare

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

gli occhi, contrariamente al sistema dello sguardo orizzontale, nel quale una lesione della formazione reticolare può bloccare tutti gli stimoli per lo sguardo orizzontale. Nessun trattamento specifico è disponibile, ma talvolta si assiste a un miglioramento graduale.

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI I nervi cranici (tranne il nervo ottico e olfattivo e una parte dell’accessorio spinale) fuoriescono dal SNC a livello del tronco encefalico, nelle cui strutture profonde risiedono i nuclei motori; i nuclei sensitivi dei nervi cranici sono situati al di fuori del tronco encefalico, nei relativi gangli.

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Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI PARALISI DEL TERZO NERVO CRANICO Ipostenia parziale o completa dei muscoli innervati dal 3o nervo (oculomotore), con ptosi palpebrale, midriasi e deviazione laterale di un globo oculare nella posizione primaria dello sguardo. Quando il paziente tenta di ruotare l’occhio all’interno, questo si sposta lentamente solo fino alla linea mediana. Nell’occhio coinvolto, sono compromessi lo sguardo verso l’alto e quello verso il basso. Nel tentativo di guardare verso il basso, il muscolo obliquo superiore provoca l’intrarotazione dell’occhio. Le molteplici cause di paralisi del 3o nervo cranico comprendono le principali malattie del SNC. La scelta delle indagini diagnostiche deve pertanto basarsi sulle caratteristiche cliniche della paralisi. Le lesioni organiche intraorbitarie, causa di oftalmoplegia estrinseca e miopatie oculari, dovranno essere distinte dalle malattie del nervo cranico. Gli esoftalmi o gli enoftalmi, la storia di un trauma grave dell’orbita o un’orbita evidentemente infiammata, indicano una patologia, limitata all’orbita stessa, che potrà compromettere la motilità oculare. Le miopatie sono più difficili da diagnosticare, ma possono essere dedotte dalla presenza di paralisi parziale del 3o nervo. Nelle miopatie, la pupilla è sempre indenne. Il deficit completo delle fibre parasimpatiche (che provoca pupille dilatate non reagenti) è fortemente indicativo di compressione del nervo oculomotore. Le cause più comuni sono rappresentate da aneurismi (specialmente quelli dell’arteria comunicante posteriore), da traumi e da lesioni espansive intracraniche. La paralisi dell’oculomotore in un paziente che manifesta una progressiva compromissione della vigilanza, indica un’ernia transtentoriale e quindi una condizione clinica da trattare urgentemente. Se la pupilla è completamente risparmiata, ma tutti gli altri muscoli innervati dal 3o nervo sono compromessi (p. es., paresi diabetica del 3o nervo), la causa è probabilmente dovuta a un processo ischemico del nervo oculomotore o del mesencefalo, molto più raramente un processo demielinizzante. Circa il 5% degli aneurismi della comunicante posteriore, che provoca la paralisi dell’oculomotore, risparmia tuttavia la pupilla. Quando sono associate a cefalea grave o ad alterazioni della coscienza, le paralisi del 3o sono le più indicative di patologie gravi. È necessario un esame approfondito mediante TAC o RMN. La puntura lombare viene riservata ai casi di sospetta emorragia subaracnoidea, qualora la TAC non dimostri sanguinamento. L’angiografia cerebrale dovrà essere eseguita qualora si sospetti un aneurisma come causa di emorragia subaracnoidea, nei casi in cui la pupilla è colpita in modo evidente, in assenza di traumi cranici provocanti fratture craniche. file:///F|/sito/merck/sez14/1781564c.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.28

Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI PARALISI DEL QUARTO NERVO CRANICO Deficit del muscolo innervato dal 4o nervo (trocleare) (muscolo obliquo superiore). Queste paralisi sono spesso molto difficili da individuare, in quanto colpiscono in modo predominante la posizione verticale dell’occhio, quando esso è intraruotato. Il paziente vede immagini doppie, una al di sopra e leggermente laterale rispetto l’altra. Tuttavia, inclinando il capo verso il lato opposto a quello del muscolo paretico, il paziente può ottenere una completa o quasi completa motilità oculare, senza diplopia. Esistono poche cause note di paralisi del 4o nervo cranico; molte sono idiopatiche. Il trauma cranico chiuso senza fratture craniche è una causa comune di paralisi unilaterali e bilaterali; i pochi casi si presentano in genere dopo incidenti motociclistici. Aneurismi, tumori e sclerosi multipla sono cause rare. La valutazione delle paralisi del 4o nervo è simile a quella delle paralisi del 3o nervo. Generalmente, la diagnosi si pone mediante l’anamnesi e l’esame obiettivo. Gli esercizi di oculomozione possono risultare utili. Talvolta, per ristabilire la visione consensuale, è necessario il trattamento chirurgico.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI PARALISI DEL SESTO NERVO CRANICO Deficit dei muscoli innervati dal 6o nervo (abducente). L’occhio è intraruotato; si sposta all’esterno lentamente, raggiungendo al più la linea mediana. Le cause idiopatiche sono comuni, sebbene molte si manifestino nell’anziano o in pazienti diabetici, nei quali può essere sospettata una patologia dei piccoli vasi. Nei casi idiopatici, nessun altro nervo cranico è interessato e il miglioramento dovrà manifestarsi entro 2 mesi. Una causa identificabile è la compressione del 6o nervo nel seno cavernoso da parte di un tumore di origine nasofaringea. Tipicamente, insorgono anche cefalea grave e anestesia nel territorio di distribuzione della prima branca del 5o nervo. Qualsiasi lesione che dislochi l’encefalo è in grado di stirare il 6o nervo, a causa dell’angolo acuto che forma il suo decorso, prima di entrare nel canale di Dorello. Pertanto, le paralisi del 6o nervo possono essere dovute a voluminosi tumori che insorgono lontano dal nervo, a ipertensione endocranica o a puntura lombare. L’infarto diabetico rappresenta una delle cause più frequenti. Altre cause comprendono traumi senza fratture della base cranica, tumori meningei, l’encefalopatia di Wernicke, aneurismi e sclerosi multipla. Nei bambini, senza evidenza di ipertensione endocranica, queste paralisi possono essere conseguenti a infezioni respiratorie ed essere quindi ricorrenti. La diagnosi delle paralisi complete del 6o nervo cranico è semplice, ma la definizione della loro eziologia può esserepiù complicata. È importante escludere l’ipertensione endocranica e il papilledema (rilevando eventuali pulsazioni delle vene retiniche durante l’ispezione del fondo dell’occhio). La RMN o la TAC aiutano a escludere lesioni espansive endocraniche, idrocefalo, la compressione nervosa diretta da parte di lesioni orbitarie, del seno cavernoso e del basicranio. La puntura lombare misura la pressione del liquor e può individuare infiltrati infiammatori delle leptomeningi, infezioni o neoplasie che intrappolano il 6o nervo. Mediante l’esame del collagene vascolare si può escludere un processo vasculopatico. In molti casi, le paralisi del 6o nervo regrediscono in seguito al trattamento dell’affezione di base.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI NEVRALGIA DEL TRIGEMINO (Tic douloureux) Patologia a carico del nervo trigemino caratterizzata da crisi di dolore acuto, lancinante, della durata che varia da secondi a circa due minuti, localizzate lungo le zone di innervazione di una o più delle diramazioni sensitive del nervo, più frequentemente nel territorio della branca mascellare.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

All’osservazione chirurgica o autoptica sono stati riscontrati dei loop arteriosi, meno spesso venosi, comprimenti la radice nervosa trigeminale, alla sua entrata nel tronco encefalico, indicando così che il disturbo è dovuto a una neuropatia da compressione. Il disturbo colpisce in genere gli adulti, specialmente gli anziani. Spesso il dolore può essere scatenato da uno stimolo tattile portato su un "trigger point" (zona grilletto) o da alcune attività (p. es., masticare o spazzolarsi i denti). Sebbene gli episodi di dolore siano di breve durata, crisi subentranti possono invalidare notevolmente il paziente.

Diagnosi L’anamnesi è di solito tipica e diagnostica. Nessun segno clinico od organico accompagna la nevralgia del trigemino e pertanto il reperto di un’anomalia delle sensibilità o del nervo cranico richiederà procedure diagnostiche per l’identificazione, quali causa del dolore, di eventuali fattori organici, come una neoplasia, una placca di sclerosi multipla o un’altra lesione che comprima il nervo o le sue vie nel tronco encefalico. Le lesioni pontine si evidenziano, in genere, con alterazioni sia sensitive che motorie; una lesione midollare provoca una perdita solo della sensibilità dolorifica e termica, con perdita del riflesso corneale. La diagnosi differenziale comprende tumori, malformazioni vascolari del tronco, insulti vascolari e la sclerosi multipla (specialmente nei pazienti più giovani). Si potrà differenziare il dolore post-erpetico mediante il rilievo anamnestico di una precedente eruzione o di cicatrici e per la localizzazione della sintomatologia, che generalmente interessa il territorio della branca oftalmica. Nella sindrome di Sjögren e nell’AR si può avere una neuropatia trigeminale, che però di solito è associata a un deficit sensitivo periorale e nasale. L’emicrania può causare algie file:///F|/sito/merck/sez14/1781568a.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.30

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facciali atipiche, con reperti normali alla valutazione neurologica. In questi casi tuttavia il dolore è più prolungato ed è di tipo urente.

Terapia La carbamazepina, alla dose di 200 mg somministrata 3 o 4 volte al giorno, è di solito efficace con un effetto spesso prolungato nel tempo; è necessario controllare le funzioni ematopoietica ed epatica. Se la carbamazepina risulta inneficace o se causa reazioni tossiche, si potrà optare per la fenitoina alla dose di 300-600 mg/die, il baclofen 30-80 mg/die o l’amitriptilina da 25 a 200 mg/die da assumere alla sera (il gabapentin 400-1200 mg/die, n.d.t.). Il blocco periferico del nervo consente un miglioramento temporaneo. Nei casi resistenti, viene praticata una craniectomia nella fossa posteriore per separare le strutture arteriose che trasmettono la propria pulsazione sulla radice trigeminale (tecnica di Jannetta). Lesioni elettrolitiche, chimiche o compressive mediante cateteri a palloncino del ganglio di Gasser possono essere praticate per via percutanea, mediante ago introdotto mediante tecnica stereotassica. Talvolta, l’ultima risorsa per diminuire il dolore intrattabile è rappresentata dalla resezione chirurgica delle fibre del 5o nervo fra il ganglio di Gasser e il tronco encefalico.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI MALATTIE DEL NERVO FACCIALE Paralisi di Bell Paralisi facciale unilaterale a esordio improvviso.

Sommario: Introduzione Diagnosi Prognosi e terapia

L’eziologia è sconosciuta; si ritiene che una malattia virale o un disordine immunologico possano causare un rigonfiamento del nervo, con conseguente compressione e ischemia all’interno dello stretto canale nell’osso temporale. Un dolore retroauricolare può precedere il deficit di forza facciale. Nel giro di alcune ore, il disturbo di forza evolve talvolta fino alla paralisi totale; l’emivolto colpito appare appianato e privo di espressione, ma il paziente può lamentarsi invece della parte sana, che potrà sembrargli contratta. Nei casi più gravi, la rima palpebrale è ampia e il paziente non riesce a chiudere l’occhio. Il paziente può lamentare un senso di pesantezza o di intorpidimento al volto, tuttavia non sono dimostrabili perdite di sensibilità. Se la lesione è prossimale, si potrà avere alterazione della salivazione, del gusto, della lacrimazione e, talvolta, iperacusia.

Diagnosi La paralisi di tutti i muscoli di un’emivolto differenzia la paralisi di Bell dalle lesioni sopranucleari (p. es., per infarti, tumori cerebrali). In quest’ultime, la perdita di forza è parziale, interessa in minor misura i muscoli frontale e orbicolare dell’occhio e colpisce maggiormente i muscoli della parte inferiore del volto. La paralisi di Bell deve essere differenziata dalle ipostenie facciali causate da altre patologie del nervo facciale o del suo nucleo: principalmente, l’herpes del corpo genicolato (sindrome di Ramsay Hunt), le infezioni dell’orecchio medio e della mastoide, la malattia di Lyme, le fratture ossee, gli infiltrati leucemici o carcinomatosi del nervo, le meningiti croniche, i tumori dell’angolo pontocerebellare e del glomo giugulare. Le radiografie del cranio, la TAC e la RMN si effettuano quando la diagnosi è dubbia. La RMN può dimostrare un contrast enhancement del nervo faciale, ma la TAC e le radiografie del cranio risultano generalmente negative, ma comunque sono in grado evidenziare linee di frattura, erosioni ossee da infezioni o da tumori e ampliamenti del canale uditivo interno file:///F|/sito/merck/sez14/1781568c.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.30

Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

provocati da un tumore dell’angolo ponto-cerebellare. In caso di tumore dell’angolo ponto-cerebellare o del glomo, la TAC e la RMN evidenziano masse assumenti il mezzo di contrasto. La malattia di Lyme è diagnosticabile mediante un test ematico. Vengono praticati una radiografia del torace e il dosaggio del livello sierico dell’enzima di conversione, per individuare la sarcoidosi, che rappresenta una causa comune di paralisi del nervo faciale nei soggetti di colore.

Prognosi e terapia L’estensione del danno ne determina la prognosi; rimangono utili gli studi di conduzione nervosa e l’elettromiografia. Nei casi di paralisi facciale parziale acuta, si avrà una remissione completa nel giro di diversi mesi. La probabilità di una guarigione completa dopo una paralisi totale è del 90%, se i rami del nervo conservano una normale eccitabilità alle stimolazioni elettriche sopramassimali, ma è soltanto del 20% nel caso di assenza di elicitabilità. Una rigenerazione delle fibre nervose lungo una direzione sbagliata può portare all’innervazione contemporanea dei muscoli facciali inferiori con le fibre perioculari e viceversa, causando contrazione imprevista dei muscoli durante movimenti facciali volontari (sincinesie) o il fenomeno delle "lacrime di coccodrillo" durante la salivazione. Una perdita di forza di lunga durata può essere seguita da spasmo dei muscoli facciali. È necessario adottare alcuni rimedi per prevenire la disidratazione corneale. Essi comprendono l’uso frequente di lacrime artificiali, gocce di soluzione salina isotonica e di metilcellulosa e strisce di cerotto per favorire la chiusura dell’occhio. Possono bastare misure di supporto, quali il bendaggio temporaneo, per proteggere l’occhio esposto; se l’incapacità a chiudere l’occhio perdura a lungo, si potrà praticare una tarsorrafia. Alcuni studi indicano che la terapia con corticosteroidi (p. es., prednisone alla dose di 60-80 mg/die PO somministrato a 24-48 h dall’inizio della sintomatologia, proseguito per 1 sett. e quindi gradualmente diminuito durante la 2a sett.) dia un modesto contributo alla riduzione della paralisi residua e all’abbreviamento dei tempi di guarigione. Stimolazioni elettriche lievi del nervo e il massaggio dei muscoli facciali non danno benefici comprovati. Nel caso non vi siano miglioramenti dopo 6-12 mesi, si può praticare l’anastomosi tra nervo ipoglosso e facciale, con parziale recupero della funzione di quest’ultimo, ma tale intervento provoca difficoltà nel mangiare e nel parlare e, pertanto, il suo ruolo è limitato.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 178. MALATTIE NEURO-OFTALMOLOGICHE E DEI NERVI CRANICI (v. anche la trattazione delle patologie dell’8o nervo al Cap. 82: Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e Retrococleare; delle malattie del nervo olfattivo in Anosmia al Cap. 86; delle malattie del nervo ottico al Cap. 101 e della valutazione dei nervi cranici, Cap. 165.)

MALATTIE DEI NERVI CRANICI NEVRALGIA DEL GLOSSOFARINGEO Rara sindrome caratterizzata da attacchi ricorrenti di dolore grave localizzato nella parte posteriore della faringe, nelle tonsille, nella parte dorsale della lingua e nell’orecchio medio.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

L’eziologia è sconosciuta e non si sono riscontrate alterazioni anatomopatologiche (tranne che raramente, quando la sintomatologia sia dovuta a tumori dell’angolo ponto-cerebellare o del collo). Gli uomini sono colpiti più frequentemente delle donne; la malattia insorge di solito dopo i 40 anni. Come per la nevralgia del trigemino, il dolore compare con crisi di breve durata; è intenso, lancinante e insorge spontaneamente, potendo scatenarsi con il movimento (p. es., masticare, deglutire, parlare o starnutire). Tale dolore, che dura da alcuni secondi a pochi minuti, inizia di solito della regione tonsillare o nella base della lingua e può irradiarsi all’orecchio omolaterale. Il dolore è strettamente unilaterale. Nell’1-2% dei pazienti si manifestano episodi sincopali causati da iper-attività del nervo vago, con arresto degli impulsi del nodo del seno. Gli attacchi possono essere alternati a lunghi periodi di benessere.

Diagnosi e terapia La distinzione tra una nevralgia del glossofaringeo e una nevralgia trigeminale della branca mandibolare si basa sulla localizzazione e sulla presenza di condizioni scatenanti il dolore, come la deglutizione, toccare le tonsille con un abbassalingua o sulla possibilità di eliminarlo temporaneamente con lidocaina applicata localmente nella gola (dopo di che il dolore non potrà essere evocato neanche con la stimolazione). Dovranno inoltre essere esclusi, mediante indagini radiologiche, tumori tonsillari, faringei, dell’angolo ponto-cerebellare e lesioni metastatiche del triangolo cervicale anteriore. La carbamazepina rappresenta il farmaco di scelta. Qualora sia necessario, possono essere aggiunti fenitoina, baclofen, amitriptilina, alle stesse dosi adottate per la nevralgia del trigemino (v. sopra) o trazodone, da 150 a 400 mg/ die, suddivisi in tre dosi. Se questi farmaci si dimostrano inefficaci, si potrà procedere alla cocainizzazione del faringe, che ha però un effetto temporaneo o file:///F|/sito/merck/sez14/1781569.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.31

Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

alla terapia chirurgica. Se il dolore è limitato al faringe, si potrà sezionare il nervo nel tratto cervicale; se il dolore è diffuso, la sezione dovrà essere intracranica.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO Nella produzione del movimento volontario, sono coinvolti tre componenti fondamentali della parte sistema nervoso che controlla l’attività motoria: i fasci corticospinali (piramidali), che passano lungo le piramidi midollari per connettere la corteccia cerebrale ai centri motori inferiori del tronco cerebrale e del midollo spinale; i gangli della base (nucleo caudato, putamen, globus pallidus e substanzia nigra, sistema extrapiramidale, che formano il sistema extrapiramidale), un gruppo di strutture di connessione situate in profondità nel proencefalo, le cui efferenze sono principalmente dirette rostralmente attraverso il talamo verso la corteccia cerebrale; e il cervelletto che è il centro della coordinazione motoria. Le lesioni del sistema corticospinale si manifestano con deficit di forza e paralisi soprattutto a carico dei movimenti volontari distali, segno di Babinski e, spesso, spasticità (aumento del tono muscolare e dei riflessi tendinei profondi). L’aumento del tono muscolare è proporzionale al grado delle trazioni effettuate sul muscolo, fino a che la resistenza svanisce improvvisamente dando così il fenomeno del coltello a serramanico. La spasticità secondaria a traumi midollari o a sclerosi multipla, particolarmente fastidiosa, può essere spesso ridotta con la somministrazione di baclofen alla dose di 30-120 mg/die o diazepam 6-20 mg/ die, ambedue PO. Tuttavia tale trattamento non migliora la forza volontaria. I disturbi dei gangli della base (disturbi extrapiramidali) non provocano debolezza o alterazioni dei riflessi; l’aspetto fondamentale è rappresentato dai movimenti involontari (discinesia), che producono aumento (ipercinesia) o diminuzione (ipocinesia) dei movimenti e modificazioni del tono muscolare e della postura. I disturbi cerebellari provocano anomalie nell’ampiezza, nella velocità e nel vigore dei movimenti, mentre la forza viene coinvolta in misura minima.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO TREMORE Movimenti involontari, ritmici e oscillatori di una o più parti del corpo prodotti da contrazioni alternate di gruppi muscolari opposti.

Sommario: Introduzione Classificazione ed eziologia Terapia

I tremori sono classificati in base alla loro frequenza (lenta, da 3 a 5 Hz; rapida, da 6 a 12 Hz), all’ampiezza, al ritmo, alla distribuzione e alla distinzione della loro comparsa a riposo (tremori a riposo) o durante l’attività motoria volontaria (tremori intenzionali).

Classificazione ed eziologia Tremore fisiologico: in certe condizioni la maggior parte delle persone presenta un tremore fine e rapido delle mani quando le estendo. Un aumento del tremore fisiologico può insorgere in seguito a stress, affaticamento, a disordini metabolici (p. es., astinenza alcolica, tireotossicosi) o per l’uso di farmaci (p. es., la caffeina e gli altri inibitori della fosfodiesterasi, gli agonisti-adrenergici e i corticosteroidi). Tremore essenziale (ereditario benigno): un tremore a scosse fini o grossolane interessa generalmente le mani, la testa e la voce; tale disturbo sembra essere autosomico dominante nel 50% dei casi; il tremore può essere unilaterale. È minimo o assente a riposo, è elicitato dalle azioni complesse e può essere rafforzato da ogni fattore che intensifica il tremore fisiologico. Esso tende ad aumentare con l’età e talvolta viene definito incorrettamente come tremore senile. Il tremore a riposo del morbo di Parkinson: v. oltre. Tremore da disfunzione cerebellare: il tremore intenzionale (come si manifesta nella sclerosi multipla e nelle malattie cerebellari) compare o si accentua durante l’esecuzione di movimenti volontari di avvicinamento a un oggetto. Il tremore attitudinale si manifesta con movimenti rotatori della muscolatura prossimale ed è più evidente nel tentativo di mantenere una posizione fissa o di sollevare un peso; la titubanza è un grossolano tremore della testa e del corpo; è una forma di tremore attitudinale che compare quando il paziente è in ortostatismo, scompare quando il paziente è sdraiato. L’asterixis è un lento, grossolano movimento aritmico della mano, che si può evocare facendo estendere le braccia e dorsiflettere i polsi nei pazienti con malattie epatiche o altre encefalopatie metaboliche. Tale condizione è caratterizzata da episodici silenzi elettromiografici dei muscoli antigravitari, durante i tentativi di mantenimento di una postura fissa; il fenomeno è di tipo mioclonico e non un vero tremore. Nella malattia di Wilson (degenerazione epatolenticolare, v. Cap. 4), possono

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Disturbi del movimento

insorgere tremori sia a riposo (parkinsoniani) sia intenzionali; i più caratteristici sono i tremori a "flapping" degli arti distali o a "colpo d’ala" di quelli prossimali.

Terapia Il trattamento dell’aumentato tremore fisiologico dipende dalla causa iniziale. Il tremore da tireotossicosi o da astinenza alcolica migliora con il trattamento della condizione di base. Un uso appropriato di benzodiazepine PO tid o qid (p. es., diazepam 2-10 mg, lorazepam 1-2,5 mg od oxazepam 10-30 mg) può essere utile nei casi di tremore associati a stato d’ansia cronico. Bisognerà evitare l’abitudine a tali farmaci. Il propranololo alla dose di 20-80 mg PO qid è spesso efficace nel trattamento dei tremori essenziali benigni e nei tremori fisiologici che aumentano con l’uso di farmaci o negli stati d’ansia acuta. Nel caso il propranololo fosse inefficace o poco tollerato, si può somministrare il primidone alla dose di 50-250 mg PO tid. Per alcuni pazienti, affetti da tremore fisiologico, risulta efficace l’assunzione di una piccola quantità di alcol. Il trattamento del tremore in corso di Parkinson verrà descritto più avanti, mentre quello dell’encefalopatia porto-sistemica è trattato nel Cap. 38. Non ci sono farmaci efficaci nel trattamento del tremore cerebellare; talvolta possono essere utili misure fisiche (p. es., caricare l’arto affetto o educare il paziente a serrare l’arto prossimale durante l’attività).

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE Movimenti involontari, non ripetitivi, occasionalmente stereotipati, che colpiscono la muscolatura prossimale, assiale, distale in varie combinazioni. La maggior parte delle discinesie è conseguenza di alterazione dei gangli della base, sebbene manchino generalmente precise correlazioni neuroanatomiche. I vari tipi di discinesie formano come un continuum di sintomi che vanno dai lievi tremolii del mioclono alle contorsioni lente della distonia.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE MIOCLONO Breve, fulminea contrazione di un muscolo o di un gruppo di muscoli. Il mioclono si può manifestare fisiologicamente al momento dell’addormentamento (mioclono notturno). Anche il comune singhiozzo è una forma di mioclono che interessa il diaframma (v. Cap. 21). L’eziologia del mioclono patologico comprende disturbi metabolici (p. es., l’uremia), diverse malattie degenerative (p. es., il morbo di Alzheimer e l’epilessia mioclonica progressiva) e malattie da prioni o "virus lenti" (p. es., la malattia di Creutzfeldt-Jakob e la panencefalite sclerosante subacuta). Il mioclono può evidenziarsi in seguito a gravi traumi cranici chiusi, alterazioni ipossicheischemiche cerebrali e aumentare con i movimenti intenzionali; di qui il termine di mioclono di azione. Il mioclono palatale è una continua, ritmica contrazione dei muscoli posteriori della faringe secondaria a una lesione del circuito olivo-dentatocerebellare. Il trattamento deve iniziare con la correzione delle eventuali alterazioni metaboliche di base; spesso è efficace il clonazepam 0,5-2 mg PO tid. Il valproato può essere efficace e, raramente, gli altri anticomiziali. Molte forme di mioclono rispondono alla somministrazione del precursore della serotonina l-5idrossitriptofano (l-5HTP), che deve essere assunto insieme all’inibitore della decarbossilasi carbidopa.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE TIC Movimenti brevi, rapidi, involontari semplici o complessi, stereotipati e ripetitivi ma non ritmici. I tic semplici (p. es., ammiccare) insorgono spesso durante l’infanzia o più tardi, come atteggiamenti nervosi; regrediscono in modo spontaneo. I tic complessi somigliano spesso a componenti di azioni normali.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE TIC SINDROME DI TOURETTE (Sindrome di Gilles de la Tourette) Disturbo a tic multipli ereditario che insorge nell’infanzia.

Sommario: Introduzione Sintomi Terapia

La sindrome è di tipo autosomico dominante, con penetranza variabile e ha una prevalenza maggiore nei maschi rispetto alle femmine (3:1).

Sintomi Il disturbo del movimento può iniziare con semplici tic che evolvono in tic multipli e complessi, compresi quelli vocali e respiratori. I tic vocali possono iniziare con brontolii, sospiri rumorosi, grida, colpi di tosse e possono evolvere in compulsioni imprecative. Nel 50% dei pazienti è presente coprolalia (espressioni involontarie e sconce). I tic gravi e la coprolalia sono altamente invalidanti dal punto di vista psicologico e sociale. I tic tendono a essere più complessi del mioclono e meno fluenti dei movimenti coreici, dai quali devono essere differenziati. Il paziente può sopprimerli volontariamente per secondi o minuti.

Terapia I tic semplici possono rispondere al trattamento con benzodiazepine. In alcuni pazienti affetti da tic semplici e complessi, è efficace la clonidina 0,1-0,6 mg/die PO. La clonidina, usata per lunghi periodi, non determina discinesie tardive; il suo effetto collaterale limitante è invece l’ipotensione. Le benzodiazepine a emivita intermedia (p. es., il lorazepam alla dose di 0,5-2,5 mg tid o qid) possono essere somministrate come trattamento coadiuvante. Per i casi più gravi, saranno richiesti gli antipsicotici, quali l’aloperidolo 0,5-40 mg/die PO o la pimozide 110 mg/die PO. Effetti collaterali come disforia, parkinsonismo, acatisia e discinesia tardiva possono limitarne l’uso di questi farmaci. Per questo motivo, va usata una certa prudenza nell’istituire tali terapie e i pazienti devono essere informati delle potenziali reazioni avverse.

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Disturbi del movimento

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE COREA E ATETOSI La corea consiste in movimenti brevi, afinalistici e involontari della parte distale degli arti e del viso; questi movimenti possono essere concomitanti ad atti finalizzati o semi-finalizzati che hanno lo scopo di mascherare il movimento involontario. L’atetosi è rappresentata da movimenti contorti, spesso con posture alternanti degli arti prossimali, che si combinano variamente a formare un incessante fluire di movimenti. (v. anche Corea di Sydenham al Cap. 271) La corea e l’atetosi si possono presentare simultaneamente (coreoatetosi). La causa più importante di corea è la malattia di Huntington (v. oltre). Altre cause comprendono la tireotossicosi, le manifestazioni del LES sul SNC e l’effetto di alcuni farmaci (p. es., anti-psicotici). La corea e l’atetosi sono manifestazioni di iperattività dopaminergica nei gangli della base e rappresentano l’antitesi del morbo di Parkinson. Il ruolo del sistema colinergico e di altri sistemi, nella fisiopatologia delle discinesie, è meno chiaro che nel morbo di Parkinson. La corea gravidica consiste in movimenti coreiformi che compaiono durante la gravidanza, spesso in pazienti con storia di febbre reumatica. La corea inizia di solito durante i primi tre mesi e si risolve spontaneamente dopo il parto. Un disturbo simile può manifestarsi raramente nelle donne che usano contraccettivi orali. A causa della potenziale pericolosità per il feto degli altri farmaci, il trattamento viene attuato mediante sedazione con barbiturici. L’emiballismo si manifesta con movimenti prossimali violenti e impetuosi, limitati a un lato del corpo, che colpiscono più frequentemente le braccia che le gambe. È causato da una lesione, spesso un infarto, del nucleo sub-talamico del Luys controlaterale. La diagnosi differenziale è con l’emicorea acuta, causata in genere da un tumore o da un infarto del nucleo caudato e con l’epilessia focale. Sebbene invalidante, l’emiballismo è in genere autolimitato, durando in media 68 settimane. Spesso è efficace il trattamento con antipsicotici.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE COREA E ATETOSI Morbo di Huntington (Corea di Huntington; corea progressiva cronica; corea ereditaria) Patologia autosomica dominante caratterizzata da movimenti coreiformi e deterioramento intellettivo progressivo, generalmente a insorgenza nell’età media (35-50 anni). Entrambi i sessi vengono colpiti allo stesso modo. Il nucleo caudato si atrofizza, la popolazione delle piccole cellule va incontro a degenerazione e il livello dei neurotrasmettitori, quali l’acido aminobutirrico (GABA) e la sostanza P, diminuiscono. Tale degenerazione si evidenzia in maniera caratteristica alla TAC con l’immagine dei "ventricoli a garage". Il gene del morbo di Huntington (IT-15) è localizzato all’estremità del braccio corto del cromosoma 4. La mutazione genetica avviene nella regione di codificazione e causa una ripetizione espansa instabile trinucleotidica (citosinaadenosina-guanosina), risultando in una proteina con una sequenza espansa di glutammato. Le funzioni normali e anomale di tale proteina (denominata huntingtina) sono sconosciute. L’huntingtina sembra accumularsi nei nuclei dei neuroni dei ratti trans-genici, ma le relazioni causali di tale accumulo con la morte neuronale restano incerte. I sintomi progrediscono in maniera insidiosa. Demenza o disturbi psichiatrici, che vanno dall’apatia e irritabilità fino a quadri franchi di disturbo maniaco-depressivo o schizofrenia, possono precedere i disturbi dei movimenti o svilupparsi durante il loro decorso. L’anedonia e i comportamenti asociali possono rappresentare le prime manifestazioni comportamentali. Le manifestazioni motorie comprendono movimenti a scatto degli arti, andatura cadenzata e impersistenza motoria (incapacità di mantenere un atto motorio come la protrusione della lingua), smorfie, atassia e distonia. la malattia è inesorabilmente progressiva. Nelle fasi avanzate il paziente perde completamente le capacità fisiche e psichiche per badare a se stesso. Con il progredire del quadro demenziale, le difficoltà aumentano così come le difficoltà a deambulare e a inghiottire. Allo stadio finale della malattia, la maggior parte dei pazienti necessita di ricovero. Pertanto, è importante la trattazione tempestiva delle implicazioni dell’assistenza finale del paziente (v. Cap. 294). La guarigione non è possibile. I movimenti coreici e i comportamenti violenti possono essere controllati, anche se in modo parziale, con la somministrazione di antipsicotici (p. es., clorpromazina da 100 a 900 mg/die PO o aloperidolo da 10 a 90 mg/die PO) o di reserpina, iniziata con una dose di 0,1 mg/die PO e quindi aumentata fino a che insorgano effetti collaterali, quali letargia, ipotensione o parkinsonismo. I tentativi terapeutici per reintrodurre il GABA nei siti cerebrali si sono dimostrati inefficaci. Le terapie sperimentali sono vòlte alla riduzione della neurotrasmissione glutammatergica attraverso il recettore N-metil-d-aspartato e ad aumentare la produzione energetica mitocondriale. Sono necessari studi clinici a lungo termine per la valutazione di queste terapie.

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Disturbi del movimento

Sono di estrema importanza i test genetici, dal momento che 1/2 dei discendenti di un genitore affetto è a rischio; inoltre il disturbo non si evidenzia clinicamente che dopo l’infanzia. Le persone asintomatiche a rischio per lo sviluppo del morbo di Huntington devono sottoporsi a test genetici. Tuttavia, a causa delle complesse questioni di ordine pratico, etico e psicologico circa questi esami, le persone a rischio devono essere indirizzate a centri specializzati, con esperienza e servizi psicosociali appropriati.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISCINESIE DISTONIA Posture anomale sostenute e interruzione dei movimenti dovuti ad alterazioni del tono muscolare.

Sommario: Introduzione Terapia

Le distonie possono essere classificate come generalizzate, segmentali e focali. La distonia generalizzata (distonia muscolorum deformans) è una rara sindrome progressiva, caratterizzata da movimenti che esitano in posture sostenute nel tempo, spesso bizzarre. I sintomi insorgono in genere nell’infanzia con un’inversione e una fissazione plantare del piede durante il cammino. La distonia generalizzata è spesso ereditaria. Il modello di ereditarietà predominante sembra quello autosomico dominante a penetranza parziale e le persone "non affette" appartenenti alla parentela di un soggetto affetto, spesso mostrano forme fruste del disturbo. Nei vari gruppi di parentela recentemente studiati, il gene responsabile appare legato al cromosoma 9q. Non si conoscono tuttora i meccanismi fisiopatogenetici di tale patologia. Nella sua forma più grave, il disturbo può essere inesorabilmente progressivo. I pazienti gravemente affetti possono rimanere deformati in posture grottesche e fisse. L’intelligenza è in genere conservata. La distonia focale colpisce una sola regione del corpo. Raramente, i movimenti distonici si diffondono a una regione corporea adiacente (distonia segmentale) e ancora più raramente il processo si generalizza. Sono state definite e caratterizzate molte sindromi distoniche (v. Tab. 179-1).

Terapia Spesso è inefficace; per la distonia generalizzata, i farmaci più usati sono gli anticolinergici ad alte dosi (triexifenidile 6-30 mg/die PO; benzotropine 3-15 mg/ die) e/o il farmaco dopamino-depletore reserpina alla dose di 0,1-0,6 mg/die; in alcuni pazienti si sono mostrati efficaci la levodopa e la carbamazepina. Per le distonie segmentali o focali o per la distonia generalizzata che interessa gravemente una specifica regione corporea, il trattamento di scelta consiste nell’iniezione locale della tossina botulinica A purificata. La tossina viene iniettata all’interno del gruppo di muscoli affetti. Indebolisce le contrazioni involontarie ma non agisce sul meccanismo neurale causa fondamentale dei movimenti distonici. L’iniezione della tossina botulinica è particolarmente efficace nei pazienti con blefarospasmo e disfonia spasmodica. La dose è altamente individualizzata. I trattamenti devono essere ripetuti a intervalli di 3-6 mesi. Questo tipo di trattamento deve essere effettuato da medici esperti della tecnica terapeutica.

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Disturbi del movimento

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 179-1. SINDROMI DISTONICHE Sindrome

Descrizione

Sindrome di Meige (blefarospasmo , distonia oromandibolare)

Ammiccamento involontario, digrignamento dei denti e smorfie che in genere insorgono nella tarda media età; deve essere differenziata dai movimenti bucco-linguo- facciali della discinesia tardiva

Torcicollo

Insorge spesso con una sensazione di tensione seguita da una torsione e deviazione prolungate del capo e del collo; negli stadi precoci, può essere dominato volontariamente

Distonia spastica

È causata da contrazione simultanea anomala involontaria dei muscoli laringei, con risultante voce rauca, stridula e strascicata

Distonia occupazionale

Spasmi distonici che iniziano con l'esecuzione di azioni complesse (p. es., crampo dello scivano o del dattilografo)

Distonia sintomatica

Insorge in varie malattie degenerative e metaboliche del SNC (p.es., malattia di Wilson, malattia di Hallervorden-Spatz, varie lipidosi, paralisi cerebrale, ictus)

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO DISTURBI DEL MOVIMENTO INDOTTI DA FARMACI L’ampio uso di fenotiazine, tioxantene, antipsicotici butirrofenonici e degli antiemetici, ognuno dei quali produce un blocco dei recettori per la dopamina nel SNC, ha causato molteplici sindromi correlate a farmaci che simulano le alterazioni spontanee dei gangli della base. Queste sindromi comprendono il parkinsonismo (v. oltre), la distonia acuta e la sindrome maligna da neurolettici (v. Cap. 194). Gli effetti extrapiramidali degli antipsicotici più recenti (p. es., risperidone, clozapina, donepezil) sono molto meno pronunciati, ma possono essere presenti.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO PARALISI PROGRESSIVA SOPRANUCLEARE (Sindrome di Steele-Richardson-Olszewski) Rara patologia che si manifesta con deficit dei movimenti oculari volontari ma non di quelli riflessi, bradicinesia, rigidità muscolare assiale progressiva, paralisi pseudobulbare (deficit spastico della muscolatura faringea che causa disfagia e disartria, con labilità emotiva), nonché demenza. L’eziologia è sconosciuta. I neuroni dei gangli della base e nell’encefalo vanno incontro a degenerazione. Le alterazioni patologiche tipiche comprendono gli agglomerati neurofibrillari contenenti una proteina tau abnormemente fosforilata. I sintomi insorgono in genere nella tarda età media. Il disturbo oculomotorio inizia frequentemente con alterazioni dello sguardo verticale. I pazienti hanno difficoltà nel salire e scendere le scale e nel sollevare lo sguardo senza estendere il collo. Lo stato lacunare, un quadro clinico alquanto simile al precedente, si può avere in seguito alla presenza di piccoli infarti (lacune) nei gangli della base e, in profondità, nella sostanza bianca degli emisferi cerebrali. In questo caso la storia del paziente si correla alla tipica progressione a scalini dei deficit, propria degli ictus. Il trattamento non è soddisfacente. Occasionalmente, gli agonisti della dopamina e l’amantidina diminuiscono parzialmente la rigidità.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 179. DISTURBI DEL MOVIMENTO IPOTENSIONE ORTOSTATICA IDIOPATICA E SINDROME DI SHYDRAGER L’ipotensione idiopatica ortostatica è una sindrome costituita da sintomi conseguenti a degenerazione, limitata al sistema nervoso autonomo, dei neuroni simpatici postgangliari. La sindrome di Shy-Drager è una degenerazione multisistemica con un danno neurologico più esteso, che comprende disfunzione del sistema autonomo con atassia cerebellare, parkinsonismo, deficit dei tratti corticospinale e corticobulbare e amiotrofia. (v. anche Cap. 200.) Nella sindrome di Shy-Drager, la disfunzione bulbare e la paralisi laringea possono essere fatali. Talvolta, i reperti fisici e patologici sono quelli del morbo di Parkinson, con in più l’interessamento delle cellule delle colonne intermedie laterali del midollo. In entrambe le sindromi, l’insufficienza del sistema autonomo si esprime con l’ipotensione ortostatica, l’impotenza, la ritenzione urinaria, l’incontinenza fecale, l’ipoidrosi, l’atrofia iridea, la diminuita lacrimazione e salivazione. Il concetto di denervazione periferica è comprovato dall’assenza di reazioni pressorie all’infusione di tiramina e dall’ipersensibilità all’infusione di noradrenalina. Il trattamento prevede l’espansione del volume intravasale mediante fludrocortisone, somministrato nella misura di 0,1-0,6 mg/die PO, supplemento di sale nella dieta, applicazione di dispositivi di costrizione nella parte inferiore del corpo (compreso l’addome) e la stimolazione degli α-adrenorecettori mediante efedrina 25-50 mg PO tid. Tenere il capo rialzato durante il sonno potrà ridurre l’ipotensione ortostatica mattutina. Il metoclopramide 30-60 mg/die, la diidroergotamina somministrata per via parentale e l’indometacina, 25 mg da tid a qid, sono efficaci per alcuni pazienti. Il metoclopramide può esacerbare i sintomi parkinsoniani in alcuni pazienti e la sua somministrazione a lungo termine può condurre a discinesie tardive, distonia o acatisia.

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Malattie demielinizzanti

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 180. MALATTIE DEMIELINIZZANTI (V. anche Leucoencefalopatia progressiva multifocale sotto Infezioni da Virus Lenti nel Cap. 162). I rivestimenti mielinici, che coprono molte fibre nervose, sono composti da strati di lipoproteine che si formano nei primi giorni di vita. Nel SNC, la mielina formata dall’oligodendroglia differisce chimicamente e immunologicamente da quella formata dalle cellule di Schwann nel sistema nervoso periferico, ma entrambi i tipi hanno la stessa funzione: facilitare la trasmissione dell’impulso nervoso lungo l’assone. Molte malattie congenite metaboliche (p. es., fenilchetonuria e altre aminoacidurie; malattia di Tay-Sachs, di Niemann-Pick, di Gaucher, sindrome di Hurler; la malattia di Krabbe e altre leucodistrofie) alterano lo sviluppo della guaina mielinica, principalmente a livello del SNC. A meno che il difetto biochimico possa essere corretto o compensato, si realizzano deficit neurologici permanenti e diffusi. La demielinizzazione più tardiva, nel corso della vita, caratterizza molti disturbi neurologici. Può essere secondaria a danni ai nervi o alla mielina provocati da traumi locali, dall’ischemia, dagli agenti tossici o da malattie metaboliche. Un’estesa perdita di mielina è di solito seguita dalla degenerazione, potenzialmente irreversibile, dell’assone e, spesso, del corpo cellulare. Tuttavia, molto frequentemente, si hanno la rimielinizzazione, la riparazione, la rigenerazione e il recupero completo e rapido della funzione neuronale. La guarigione è frequente nelle demielinizzazioni segmentarie, che caratterizzano il decorso di molte neuropatie periferiche; questo processo può spiegare i peggioramenti e le remissioni della sclerosi multipla (SM). La demielinizzazione centrale (cioè, del midollo spinale, dell’encefalo e dei nervi ottici) è predominante nelle malattie demielinizzanti primitive, la cui eziologia è tuttora sconosciuta. La più conosciuta è la SM (v. oltre). Le altre verranno descritte in seguito. L’encefalomielite acuta disseminata (encefalite postinfettiva, v. anche Encefaliti Virali Acute e Meningiti Asettiche nel Cap. 176) consiste in una demielinizzazione perivascolare del SNC che può manifestarsi spontaneamente ma che, di solito, fa seguito a un’infezione o inoculazione virale (o, molto raramente, a una vaccinazione batterica), indicando pertanto una patogenesi immunitaria. Le neuropatie infiammatorie acute, conseguenti alla vaccinazione antivirale o la sindrome di Guillain-Barré (v. Cap. 183), sono malattie demielinizzanti simili, con la stessa immunopatogenesi presunta, ma interessano solamente le strutture periferiche. L’adrenoleucodistrofia e l’adrenomieloneuropatia rappresentano dei rari disturbi metabolici regressivi cromosoma X-dipendenti, caratterizzati da disfunzione delle ghiandole surrenali e da ampia demielinizzazione del sistema nervoso. L’adrenoleucodistrofia insorge nei ragazzi più piccoli; l’adrenomieloneuropatia negli adolescenti. Possono essere presenti deterioramento mentale, spasticità e cecità. L’adrenoleucodistrofia è invariabilmente fatale. Trattamenti dietologici e immunomodulatori sono oggetto di studio. L’atrofia ottica ereditaria di Leber e i disordini mitocondriali correlati, sono principalmente caratterizzati da perdita bilaterale della visione centrale, che colpisce in genere uomini giovani, alla fine dell’età adolescenziale o nei primi venti anni. L’atrofia ottica ereditaria di Leber può somigliare alla neurite ottica

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Malattie demielinizzanti

della SM. Sono state identificate mutazioni del DNA mitocondriale a trasmissione materna. La mielopatia HTLV-associata, una malattia lentamente progressiva del midollo spinale, associata a infezione da human T-cell lymphotrophic virus, è caratterizzata da deficit di forza spastica di entrambi gli arti inferiori (v. Cap. 162).

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Malattie demielinizzanti

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 180. MALATTIE DEMIELINIZZANTI SCLEROSI MULTIPLA Malattia lentamente progressiva del SNC, caratterizzata da placche di demielinizzazione disseminate nell’encefalo e nel midollo spinale, con conseguenti sintomi e segni neurologici diversificati e variegati, in genere con remissioni e riacutizzazioni.

Sommario: Eziologia e incidenza Anatomia patologica Sintomi e segni Decorso Diagnosi Terapia

Eziologia e incidenza L’eziologia è sconosciuta, ma si ipotizza un’alterazione immunologica. Una causa probabile è rappresentata dall’infezione da parte di un virus latente (probabilmente un herpesvirus umano o un retrovirus), in cui l’attivazione e l’espressione virale scatenano una risposta immunitaria secondaria. L’aumentata incidenza familiare e l’associazione con alcuni allotipi HLA suggeriscono una suscettibilità genetica. L’ambiente può costituire un fattore causale: la malattia è più frequente nei climi temperati (1/2000) che nei paesi tropicali (1/10000). La SM è stata correlata alla regione geografica in cui il paziente ha trascorso i primi 15 anni di vita. Il cambiamento di domicilio dopo i 15 anni non modifica il rischio di contrarre la malattia. L’età di insorgenza varia di solito dai 20 ai 40 anni e le donne sono lievemente più colpite degli uomini.

Anatomia patologica Le placche di demielinizzazione, associate a distruzione dell’oligodendroglia e a infiammazione perivascolare, sono disseminate in tutto il SNC, specialmente nella sostanza bianca, con una predilezione per i cordoni midollari laterali e posteriori (soprattutto nel midollo cervicale e toracico), per i nervi ottici e per le aree periventricolari. Sono coinvolte anche le vie mesencefaliche, pontine e cerebellari. Nell’encefalo e nel midollo spinale può essere colpita anche la sostanza grigia. Nelle lesioni in fase iniziale i corpi cellulari e gli assoni sono intatti. In seguito, gli assoni possono essere distrutti, specialmente nei tratti lunghi che assumono un aspetto sclerotico a causa della gliosi fibrosa. Nello stesso paziente possono essere riscontrate simultaneamente sia le lesioni recenti che quelle di vecchia data. All’interno, e intorno alle placche, avvengono modificazioni chimiche dei costituenti lipidici e proteici della mielina.

Sintomi e segni

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Malattie demielinizzanti

La malattia è caratterizzata da molti sintomi e segni a carico del SNC, con remissioni e riacutizzazioni ricorrenti; i sintomi più comuni all’esordio sono le parestesie a uno o più arti, al tronco o su una parte del volto; perdita di forza e impaccio di una gamba o di una mano o disturbi visivi, p. es., cecità parziale e dolore monoculare (neurite ottica retrobulbare), diplopia, indebolimento della vista, scotomi. Altri segni iniziali comuni comprendono la paralisi oculare migrante, che si manifesta con diplopia, perdita di forza transitoria di una o più arti, lieve rigidità o abnorme affaticabilità di un arto, disturbi lievi dell’andatura, disturbi del controllo del riflesso vescicale, vertigini, lievi disturbi psichici; tutti questi segni indicano un interessamento multifocale del SNC e spesso insorgono mesi o anni prima che la malattia venga diagnosticata. Il caldo eccessivo (stagione calda, un bagno caldo o la febbre) può accentuare i segni e i sintomi. Stato mentale: possono insorgere apatia, perdita della critica e labilità di attenzione. La labilità emotiva è comune e può dare un’erronea impressione iniziale di isteria. In molti pazienti è presente euforia; in altri, una depressione reattiva. Il riso e il pianto spastico (evidenza di sindrome pseudo-bulbare) suggeriscono il coinvolgimento delle vie corticobulbari preposte al controllo della mimica emozionale. Le crisi comiziali sono rare. Le gravi modificazioni della personalità (p. es., mania o demenza) sono tardive. Il linguaggio scandito (enunciazione lenta con la tendenza a esitare all’inizio della pronuncia di una parola o di una sillaba) è frequente nelle fasi avanzate, mentre i disturbi afasici sono rari. Nervi cranici: oltre alla neurite ottica iniziale, possono talvolta insorgere uno o più dei seguenti segni oculari: atrofia ottica parziale con pallore del margine temporale della papilla, alterazioni del campo visivo (scotoma centrale o restringimento del campo) od oftalmoplegia con diplopia transitoria (per il coinvolgimento del tratto tronco-encefalico che connette i nuclei del 3o, 4o e 6o nervo cranico). Nella neurite ottica, può insorgere papilledema, accompagnato da compromissione della visione. La pupilla colpita non si costringe alla luce, nello stesso modo dell’altra; comunque, altre alterazioni pupillari, la pupilla di Argyll Robertson e la cecità totale sono rare. Il nistagmo, di frequente riscontro, può essere legato a un danno cerebellare o del nucleo vestibolare. Sono rare le altre manifestazioni da coinvolgimento dei nervi cranici e, se presenti, sono generalmente secondarie a lesioni del tronco encefalico, a livello del nucleo del nervo cranico. La sordità è rara, mentre la vertigine è frequente. Occasionalmente, si può riscontrare un intorpidimento o una sindrome dolorosa (simile alla nevralgia del trigemino) del volto nonché paralisi o spasmo a carico di un emivolto. Sistema motorio: i riflessi profondi (p. es., patellare e achilleo) sono di solito aumentati; spesso sono presenti il segno di Babinski e il clono. I rilessi superficiali, in particolare gli addominali superiori e inferiori, sono deboli o assenti. Accade spesso che il paziente riferisca sintomi unilaterali e che l’esame neurologico evidenzi segni di coinvolgimento bilaterale dei tratti corticospinali. Frequente è il tremore intenzionale da lesioni cerebellari, accentuato dallo sforzo prolungato. L’andatura è atassica: vacillante, tremolante, irregolare e inefficace. Può essere presente tremore a riposo, evidente soprattutto quando la testa non è sostenuta. La perdita di forza e la spasticità muscolare, derivanti da un danno corticospinale, causano un’andatura claudicante e barcollante; in seguito, il combinarsi della spasticità e dell’atassia cerebellare renderà il paziente del tutto invalido. Le lesioni cerebrali possono provocare un’emiplegia, talvolta anche come sintomo d’esordio. Nelle fasi avanzate della malattia si possono riscontrare spasmi dolorosi in risposta a stimoli sensitivi anche minimi (p. es., le semplici coperte del letto). Una forma della malattia è costituita dalla neuromielite ottica, talvolta bilaterale, con demielinizzazione del midollo cervicale o toracico (neuromielite ottica), che provoca perdita del visus e paraparesi. La triade di Charcot (nistagmo, tremore intenzionale e parola scandita) è una manifestazione cerebellare di frequente riscontro negli stadi avanzati della malattia. Una lieve disartria può originare da danno cerebellare, da compromissione del controllo corticale o da lesioni dei nuclei bulbari. Sistema sensitivo: la perdita completa di ogni tipo di sensibilità cutanea è rara,

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Malattie demielinizzanti

mentre di riscontro più frequente sono le parestesie, l’intorpidimento, l’ottundimento delle sensibilità (p. es., ipoanalgesia o ipoestesia termica, alterazioni della sensibilità vibratoria o di posizione), spesso localizzati alle mani o alle gambe. Le modificazioni obiettive sono fluttuanti e spesso evidenziabili soltanto con un’indagine molto accurata. Può insorgere, specialmente nella demielinizzazione del midollo, una varietà di disturbi dolorosi (p. es., bruciori, dolori a scarica elettrica o parossistici). Sistema nervoso autonomo: nelle lesioni midollari è frequente la difficoltà nella minzione, la ritenzione parziale dell’urina o l’incontinenza lieve, l’impotenza sessuale negli uomini e l’anestesia genitale nelle donne. Nelle lesioni gravi e avanzate si potrà avere incontinenza urinaria e fecale.

Decorso Il decorso è molto variabile, non pronosticabile e, nella maggior parte dei pazienti, remittente. La durata della vita non è probabilmente abbreviata tranne che nei casi più gravi. All’inizio, i vari episodi possono essere separati da mesi o anni di remissione, soprattutto quando la malattia si presenta con la neurite retrobulbare. Si sono avute remissioni durate > 10 anni. Alcuni pazienti, comunque, presentano crisi frequenti, che li renderanno rapidamente inabili; per alcuni, particolarmente per i pazienti maschi, con insorgenza della malattia nell’età media, il decorso può essere rapidamente progressivo. L’esposizione all’alta temperatura, febbrile o ambientale, peggiora talvolta i sintomi.

Diagnosi La diagnosi è indiretta, posta per deduzione dai dati clinici e di laboratorio. Nei casi tipici, essa si può basare soprattutto sugli aspetti clinici. La diagnosi può essere sospettata dopo la prima crisi. In seguito, saranno dati particolarmente indicativi una storia di remissioni e di esacerbazioni e l’evidenza clinica di lesioni in una o più aree del SNC. Devono comunque essere considerate altre eventualità (v. Tab. 180-1). La RMN è lo strumento diagnostico più avanzato e sensibile, potendo evidenziare le placche. Può inoltre dimostrare le lesioni trattabili non demielinizzanti della zona di giunzione tra bulbo e midollo spinale (p. es., cisti subaracnoidee, tumori del foramen magnum), che talvolta possono causare una serie di sintomi sensitivi e motori fluttuanti molto variabili, simulanti la SM. Il contrast enhancement dopo Gadolinio potrà differenziare le aree di infiammazione attiva con le placche cerebrali meno recenti. Le lesioni da SM possono essere visibili mediante TAC con mezzo di contrasto; la sensibilità di tali immagini può essere aumentata raddoppiando la dose del mezzo di contrasto iodato e ritardando le scansioni delle immagini ("TAC a doppia dose ritardata"). Il liquor è alterato nella maggioranza dei pazienti. Le IgG possono aumentare oltre il 13%, mentre i linfociti e le proteine possono essere lievemente aumentati; tali rilievi non sono comunque patognomonici. Mediante elettroforesi del liquor su agaroso, si possono trovare, nel 90% dei pazienti affetti da SM, bande oligoclonali che indicano la sintesi di IgG all’interno della barriera ematoencefalica, ma la loro mancanza non esclude la SM. I livelli di IgG si correlano con la gravità della patologia. La proteina basica della mielina può aumentare durante le fasi attive della demielinizzazione. I potenziali evocati (v. Procedure Diagnostiche in Neurologia al Cap. 165) consistono nella registrazione dei potenziali elettrici di risposta a stimoli sul sistema sensitivo. Ci possono essere alterazioni dei potenziali evocati visivi, uditivi del tronco e somatosensoriali, che compaiono nelle fasi iniziali della malattia, per il rallentamento della conduzione di impulsi elettrici provocati dalla demielinizzazione.Tab. 180-1).

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Malattie demielinizzanti

Terapia Le remissioni spontanee e i sintomi oscillanti rendono difficile la valutazione dei trattamenti. I corticosteroidi (prednisone per os 60-100 mg/die diminuito in 23 settimane o metilprednisolone 500-1000 mg/die per 3-5 giorni) rappresentano la forma principale di trattamento. Possono abbreviare il periodo sintomatico durante le crisi, sebbene non controllino a lungo termine l’invalidità finale. I pazienti che manifestano neurite ottica acuta grave possono ritardare l’insorgenza della SM mediante l’assunzione di alte dosi EV di corticosteroidi. Il trattamento a lungo termine con corticosteroidi è raramente giustificato e può provocare molteplici complicanze mediche come l’osteoporosi, le ulcere e il diabete. In alternativa, è talvolta usato l’ACTH 40-80 U/die IM per 5 giorni scalato in 2-3 settimane. La terapia immunomodulatrice con interferone-β riduce la frequenza delle ricadute nella SM e può aiutare a ritardare l’invalidità finale. Il glatiramer acetato può presentare benefici simili nella SM iniziale, lieve. Le gamma globuline EV, somministrate mensilmente, possono facilitare il controllo della SM ricorrente, refrattaria alla terapie convenzionali. Nelle forme progressive più gravi, gli immunosoppressori (metotrexato, azatioprina, ciclofosfamide, cladribina) non risultano benefici in modo uniforme e presentano significativi rischi. Terapie sintomatiche possono aiutare ad alleviare la spasticità, l’esaurimento, le disfunzioni vescicali e i disturbi delle sensibilità. È consigliato un esercizio regolare (p. es., cyclette, treadmill, nuoto, esercizi di stretching), anche per i pazienti con malattia più avanzata, in quanto allena il cuore e i muscoli, riduce la spasticità e presenta benefici psicologici. I farmaci per la spasticità (baclofen 1020 mg PO tid a qid, tizanidina 4-8 mg PO tid) possono essere iniziati a basse dosi e cautamente aumentati, fino a che il paziente non risponde. Favoriscono la terapia fisica, la marcia ed esercizi per gli arti indeboliti e spastici. Molti farmaci, compresi l’amitriptilina 25-75 mg PO prima di coricarsi, la carbamazepina 200 mg PO tid e gli analgesici narcotici, possono essere necessari per le sindromi sensitive dolorose. Il paziente dovrà condurre una vita quanto più possibile normale e attiva, evitando però gli affaticamenti, il lavoro eccessivo e l’esposizione alle alte temperature. Non esistono dati adeguati riguardo i rischi di vaccinazione. Nei pazienti debilitati, le ulcere da decubito e le infezioni del tratto urinario dovranno essere prevenute e la necessità per l’autocateterizzazione intermittente dovrà essere attentamente valutata. Sarà molto utile rassicurare e incoraggiare continuamente i pazienti; la depressione andrà trattata mediante antidepressivi e psicoterapia.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 180-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLA SCLEROSI MULTIPLA Sclerosi laterale amiotrofica Anomalie spinali o del basicranio Artrite cervicale Invaginazione basilare Tumori del SNC, ascessi o altre lesioni con effetto massa Sindrome di Guillain- Barrè Atassie ereditarie Malattia di Lyme Anemia perniciosa Ernia del disco intervertebrale Piccoli infarti cerebrali Lue Siringomielia Lupus eritrematoso sistemico Mielite trasversa Malformazioni vascolari dell'encefalo o del midollo

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Anomalie della giunzione craniocervicale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 181. ANOMALIE DELLA GIUNZIONE CRANIOCERVICALE Anomalie ossee congenite o acquisite dell’osso occipitale, del forame magno o delle prime due vertebre cervicali che diminuiscono lo spazio potenziale per il tronco encefalico inferiore e per il midollo cervicale e che possono causare sintomi a carico delle funzioni cerebellari, dei nervi cranici inferiori e del midollo cervicale.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Data la flessibilità e quindi la suscettibilità del midollo spinale alla compressione intermittente, molti tipi di lesione a tale livello possono causare sintomi intermittenti che varieranno da paziente a paziente. La fusione tra l’atlante e osso occipitale dà luogo a sintomi di mielopatia cervicale, nel caso in cui il diametro antero-posteriore del canale spinale dietro il processo odontoide diminuisca fino a < 19 mm. La platibasia consiste in un appiattimento asintomatico del basicranio; cioè, su rx laterali del cranio, l’angolo formato dall’intersezione del piano del clivus e del piano della fossa anteriore è > 135°. L’invaginazione basilare (protrusione del processo odontoide nel forame magno) è caratterizzata da collo corto e da sintomi cerebellari, midollari, truncali e dei nervi cranici, variamente combinati tra di loro. La malformazione di Klippel-Feil (fusione delle vertebre cervicali) è in genere asintomatica, tranne che per una limitazione dei movimenti del collo, che appare deformato. La sublussazione atlanto-epistrofeica (spostamento dell’atlante anteriormente rispetto all’epistrofeo) può provocare una compressione midollare acuta o cronica.

Eziologia Le anomalie congenite comprendono l’os odontoideo, l’assimilazione o ipoplasia dell’atlante e le malformazioni di Chiari (tonsille cerebellari o il verme scendono nel canale spinale, v. Anomalie Encefaliche nel Cap. 261). L’acondroplasia può essere responsabile del restringimento del forame magno e della compressione neurale. La sindrome di Down, la sindrome di Morquio (mucopolisaccaridosi IV) e l’osteogenesi imperfetta possono causare instabilità atlantoassiale, con compressione sul midollo spinale. Anomalie acquisite possono essere conseguenti a traumi o malattie. Quando il complesso occipito-atlanto-assiale è colpito, la mortalità sul posto dell’incidente è alta. Queste lesioni possono essere ossee (fratture), legamentose (lussazioni) o complesse (sublussazione di C2, lesione transassiale della giunzione cervicomidollare e lesioni osteolegamentose). La metà è provocata da incidenti automobilistici o ciclistici, il 25% in seguito a cadute e il 10% durante attività ricreative, particolarmente tuffi. Traumi cervicali minori possono peggiorare i vari sintomi e segni progressivi nei pazienti affetti da un’anomalia di base della giunzione craniocervicale. L’artrite reumatoide e la patologia metastatica della colonna cervicale possono essere causa di lussazione atlantoassiale. Un tumore file:///F|/sito/merck/sez14/1811586.html (1 of 3)02/09/2004 2.28.49

Anomalie della giunzione craniocervicale

a lenta crescita (p. es., meningioma, cordoma) a livello della giunzione craniocervicale produce sintomi per compressione sul tronco encefalico e sul midollo spinale. L’artrite reumatoide e la malattia di Paget possono causare invaginazione basilare con compressione sul midollo o sul tronco encefalico. L’artrite reumatoide rappresenta la causa più frequente di instabilità craniocervicale, che può anche essere causata da traumi o da erosioni per tumori o malattia di Paget.

Sintomi e segni Le manifestazioni sono variabili, in quanto le anomalie del tessuto osseo e di quello molle, in varie combinazioni, possono comprimere il midollo cervicale, il tronco encefalico, i nervi cranici, le radici dei nervi cranici o le strutture vascolari. È comune una postura anomala del capo e, in alcuni pazienti, il collo è corto o palmato. Le manifestazioni più frequenti sono la cervicalgia e la compressione midollare (mielopatia). La compressione dei tratti motori causa deficit di forza, spasticità e iperreflessia nelle braccia e/o nelle gambe. L’interessamento del secondo motoneurone provoca atrofia muscolare e deficit di forza delle braccia e delle mani. Le anomalie delle sensibilità (comprese le alterazioni della propiocezione e della pallestesia) riflettono spesso una disfunzione dei cordoni posteriori. I pazienti possono descrivere parestesie lungo il dorso e spesso lungo le gambe, quando flettono il collo (segno di Lhermitte). L’interessamento del tratto spinotalamico (p. es., con ipoestesia dolorifica e termica) è poco frequenti, ma può riflettersi in parestesie a calza e a guanto o in intorpidimento. I deficit del tronco encefalico e dei nervi cranici comprendono l’apnea da sonno, l’oftalmoplegia internucleare (deficit di forza dell’adduzione dell’occhio omolaterale e nistagmo orizzontale nell’abduzione dell’occhio controlaterale durante lo sguardo di lateralità), il nistagmo a scosse inferiori (componente veloce verso il basso), raucedine e disartria nonché disfagia (dovute a deficit di forza e assenza di coordinazione della lingua, del palato molle, della faringe e della laringe). Il dolore al collo, che si estende alle braccia, e la cefalea suboccipitale che si irradia al vertice del cranio sono frequenti. I sintomi peggiorano con i movimenti del capo e possono essere aggravati dalla tosse o sporgendo in fuori il collo. Il dolore è dovuto alla compressione sulla radice di C2 e sul nervo grande occipitale nonché a compromissione muscoloscheletrica locale. I sintomi vascolari comprendono la sincope, drop attack, le vertigini, episodi ricorrenti di stato confusionale e alterazione della coscienza, deficit di forza episodica e alterazioni visive transitorie. L’ischemia vertebrobasilare può essere provocata da movimenti o cambiamenti di posizione del capo.

Diagnosi Dovrà essere ipotizzata un’anomalia craniocervicale, quando vi sono deficit neurologici stabili o progressivi riferibili al tronco encefalico inferiore, al midollo cervicale alto o al cervelletto. Le radiografie dirette (proiezione laterale del cranio che evidenzia la colonna cervicale, proiezione anteroposteriore e proiezioni oblique della colonna cervicale) vengono effettuate per individuare i fattori che influenzano il trattamento. Questi fattori comprendono la riducibilità dell’anomalia (capacità di ottenere un allineamento osseo normale, diminuendo in tal modo la compressione sulle strutture nervose), le erosioni ossee, i meccanismi di compressione e la presenza di centri di ossificazione anomala ed epifisi di accrescimento con sviluppo anomalo. La TAC dopo somministrazione intratecale di contrasto fornisce dettagli anatomici delle anomalie organiche nervose e le deformità ossea associate. La RMN nei piani sagittali identifica meglio le lesioni nervose (erniazione del rombencefalo, siringomielia e anomalie vascolari). La RMN è in grado di correlare la patologia ossea e quella dei tessuti molli e di definire il livello e l’estensione nonché il difetto neurale associato (p. es., file:///F|/sito/merck/sez14/1811586.html (2 of 3)02/09/2004 2.28.49

Anomalie della giunzione craniocervicale

malformazione di Chiari, siringomielia). L’angiografia vertebrale o l’angio-RMN sono usate in modo selettivo per individuare una compromissione vascolare stabile o dinamica.

Terapia Alcune anomalie della giunzione craniocervicale (p. es., le lussazioni traumatiche acute atlantoassiali e le lesioni legamentose acute) possono essere riallineate e ridotte, diminuendo la compressione sulle strutture nervose, mediante la sola postura del capo. La maggior parte dei pazienti necessità di trazione scheletrica mediante un halo con incrementi graduali di 3-4 kg per ottenere la riduzione. La trazione ottiene generalmente risultati in 5-6 giorni. Se si ottiene la riduzione, l’immobilizzazione con busto halo viene mantenuta per 8-12 settimane; devono quindi essere eseguite delle radiografie per confermare la stabilità. Se la riduzione non fosse in grado di diminuire la compressione, la decompressione chirurgica, mediante approccio anteriore o dorsale, sarà necessaria. Se l’instabilità persistesse dopo la decompressione, il fissaggio posteriore sarà necessario. Con le altre anomalie (quali l’artrite reumatoide), l’immobilizzazione esterna da sola è probabilmente insufficiente ad assicurare una riduzione permanente e il fissaggio posteriore (stabilizzazione) o la decompressione anteriore e stabilizzazione sono necessari. Vi sono differenti tecniche di fusione della regione craniocervicale. In generale, tutti i livelli instabili dovranno essere sottoposti a fusione. La strumentazione assicura una stabilità immediata fino allo sviluppo della fusione ossea e fornisce una stabilità a lungo termine. La radioterapia e il collare cervicale rigido spesso migliorano il decorso delle malattie metastatiche. La calcitonina, la mitamicina e i difosfonati sono di beneficio, se somministrati ai pazienti affetti da malattia di Paget.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO ANOMALIE CEREBRALI L’anencefalia, assenza degli emisferi cerebrali, è un’anomalia incompatibile con la vita. Alla massa cerebrale si sostituisce talvolta tessuto nervoso cistico, a volte ricoperto da cute. Varie porzioni del tronco cerebrale e del midollo spinale possono mancare o essere malformate. I tentativi diagnostici o terapeutici non sono efficaci e i neonati affetti nascono morti o muoiono entro alcuni giorni o settimane. Si possono verificare anche altre malformazioni degli emisferi cerebrali: questi ultimi possono essere grandi, piccoli o asimmetrici; le circonvoluzioni assenti, insolitamente larghe o multiple e piccole e le sezioni istologiche di sostanza cerebrale, macroscopicamente normale, possono mostrare disorganizzazione della struttura laminare dei neuroni. Ad esse si associa spesso una riduzione del volume del cranio (microcefalia) e un ritardo psicomotorio modesto o grave. La terapia è di supporto e include farmaci anticonvulsivanti, quando necessari per il controllo delle convulsioni. L’encefalocele, protrusione di tessuto cerebrale e meningeo attraverso un difetto del cranio, è associato a incompleta saldatura delle ossa della volta cranica (cranio bifido). Generalmente gli encefaloceli interessano la linea mediana e protrudono dalla regione occipitale o verso la cavità nasale, ma possono presentarsi anche in posizione asimmetrica nelle regioni frontale o parietale. Piccoli encefaloceli possono simulare un cefaloematoma: la presenza alla rx di una lacuna ossea alla base dell’encefalocele consente la diagnosi differenziale. La maggior parte degli encefaloceli deve essere corretta chirurgicamente. Perfino gli encefaloceli più grandi talvolta possono contenere soltanto tessuto nervoso eterotopico, che può essere rimosso senza gravi esiti funzionali. Quando coesistono altre gravi malformazioni, la decisione dell’intervento è più difficile. Spesso alla TAC o all’ecografia si riscontra, associato all’encefalocele, un idrocefalo (v. oltre) che, se progressivo, richiederà una derivazione liquorale chirurgica. Circa il 50% dei bambini colpiti da encefalocele presenta altre malformazioni congenite e in molti di essi la prognosi è buona. La poroencefalia, cisti o cavità a carico di un emisfero cerebrale, comunicante con un ventricolo, può insorgere nel periodo pre- e post-natale. Può essere causata da un’anomalia di sviluppo, da processi infiammatori o da accidenti vascolari, come un’emorragia intraventricolare estesa nel parenchima cerebrale. L’esame neurologico è di solito anormale e la diagnosi è confermata dalla TAC e dall’ECO. L’idrocefalo progressivo può richiedere il posizionamento di un sistema derivativo liquorale. La prognosi è varia: alcuni pazienti presenteranno soltanto segni neurologici lievi e intelligenza normale. L’idranencefalia è una forma gravissima di poroencefalia, in cui gli emisferi cerebrali sono quasi completamente assenti. Comunemente il cervelletto e il tronco cerebrale sono normali e i nuclei della base non sono coinvolti dall’anomalia. Anche le meningi, le ossa e la cute della scatola cranica sono normali. I risultati dell’esame neurologico neonatale sono di solito anormali, tuttavia i segni neurologici sono molto sfumati. Il bambino non avrà uno sviluppo normale. All’esame obiettivo il capo sembra normale, ma alla transilluminazione

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Anomalie congenite

non si evidenziano zone d’ombra. L’ECO o la TAC confermano la diagnosi. La terapia è soltanto sintomatica, la derivazione liquorale diviene necessaria solo se la crescita del cranio è eccessiva. L’idrocefalo, dilatazione ventricolare determinata da un eccessiva quantità di LCR, è la causa più comune di macrocrania neonatale. Si verifica quando la produzione di LCR eccede il suo riassorbimento: è dovuto di solito a una ostruzione a livello dell’acquedotto di Silvio, ma può essere anche determinato da una ostruzione a livello dei forami del IV ventricolo (forami di Luschka e Magendie), degli spazi subaracnoidei intorno al tronco o agli emisferi cerebrali. L’idrocefalo può essere comunicante o non comunicante. L’idrocefalo comunicante si verifica quando il LCR scorre liberamente nello spazio subaracnoideo. Può essere dovuto a un’ostruzione nello spazio subaracnoideo, tuttavia di solito è dovuto a un’eccessiva produzione di LCR (senza ostruzione al suo efflusso), secondaria a infiammazione meningea, conseguente a infezione o alla presenza di sangue nello spazio subaracnoideo. Nell’idrocefalo non comunicante, il blocco è da ricercare dentro il sistema ventricolare o fra esso e lo spazio subaracnoideo. Gli accertamenti diagnostici comprendono la rx del cranio, l’ECO transfontanellare, la TAC o la RMN. Questi esami mostrano suture allargate, aree di assottigliamento delle ossa o calcificazioni intracraniche (spesso associate a infezioni congenite). La rx del cranio può mostrare le cosiddette ossa "a metallo battuto" (comune nei lattanti con mielomeningocele e idrocefalo), a causa della prolungata ipertensione endocranica. La TAC evidenzia il grado di dilatazione ventricolare ed eventualmente la sede dell’ostruzione. L’ECO mostra il grado di dilatazione del sistema ventricolare e, ripetuta successivamente, documenta la progressione dell’idrocefalo. L’ECO è indicata dopo un’emorragia intraventricolare, poiché la dilatazione dei ventricoli può essere transitoria e richiedere solo terapia medica (v. oltre). Se si sospetta un’infezione congenita si devono eseguire esami sierologici per Toxoplasma gondii, virus della rosolia, Treponema pallidum, herpes virus e citomegalovirus. Se compaiono convulsioni è importante eseguire l’EEG. Ulteriori accertamenti possono includere l’esame del LCR. La diagnosi differenziale va fatta con altre lesioni intracraniche occupanti spazio (p. es., ematomi subdurali, poroencefalia), che possono essere evidenziate con la TC, e anche con il megaloencefalo (cervello abnormemente voluminoso e malfunzionante). Il trattamento dipende dall’eziologia. La terapia medica con acetazolamide e glicerolo o puntura lombare (se l’idrocefalo è comunicante) può essere talvolta utile per ridurre transitoriamente la pressione del LCR. Tuttavia, l’idrocefalo progressivo, specialmente se la circonferenza cranica aumenta molto rapidamente, necessita di una derivazione liquorale volta a ridurre la pressione. È importante accertarsi prima dell’intervento che l’idrocefalo sia progressivo, in quanto talvolta si stabilizza, non progredendo ulteriormente. Il tipo di derivazione liquorale dipende dall’esperienza e dalla scelta del neurochirurgo. Dal momento che le complicanze sono poche, la derivazione ventricolo-peritoneale si preferisce di solito a quella ventricolo-atriale. Dopo il posizionamento della derivazione liquorale bisogna seguire attentamente l’aumento della circonferenza cranica e lo sviluppo del bambino e prevenire le infezioni correlate al sistema derivativo. L’esecuzione periodica di TAC o di ECO (se è aperta la fontanella anteriore) è indicata per il monitoraggio della dimensione dei ventricoli. Sebbene in alcuni casi la derivazione liquorale non sia più necessaria con l’avanzare dell’età, raramente questa viene rimossa per la difficoltà di stabilire con precisione la sua effettiva utilità. Il trattamento in utero dell’idrocefalo congenito non ha avuto successo. L’idrocefalo è spesso associato con la cisti di Dandy-Walker o la malformazione di Arnold-Chiari, che sono malformazioni maggiori della fossa cranica posteriore. La cisti di Dandy-Walker è una malformazione evolutiva nella quale il IV ventricolo diventa una cavità cistica, che di solito è responsabile dell’idrocefalo. La diagnosi può essere confermata mediante TAC o ECO, con l’osservazione dello spostamento superiore del solco dei seni laterali alla rx o con la trans-illuminazione della fossa cranica posteriore. Di solito l’idrocefalo, che ne

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Anomalie congenite

consegue, richiede una derivazione liquorale. La malformazione di Arnold-Chiari è un anomalia di formazione delle strutture posteriori del cervello. La forma più grave consiste nell’allungamento delle tonsille cerebellari, che protrudono attraverso il foramen magnum; nell’accollamento dei collicoli e nell’ispessimento del tratto superiore del midollo spinale cervicale. Per la diagnosi occorre la TAC o la RMN. L’idrocefalo può essere causato dall’ostruzione dei forami del IV ventricolo o dalla stenosi dell’acquedotto di Silvio, che spesso vi si associa. In ambedue i casi può essere necessaria una derivazione liquorale per ridurre l’ostruzione. La malformazione di Arnold-Chiari è frequentemente associata con la spina bifida e la siringomielia (v. sotto Siringomielia nel Cap. 182) ma può presentarsi anche isolatamente.

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE SIRINGOMIELIA Cavità nevrogliale piena di liquor all’interno della struttura del midollo spinale (siringomielia) o del tronco encefalico (siringobulbia).

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Almeno la metà delle lesioni è in rapporto con anomalie congenite della colonna o del basicranio (Malformazione di Chiari, erniazione di tessuto cerebellare nel canale spinale) o con sindromi disrafiche (p. es., encefalocele, mielomeningocele, v. Anomalie Neurologiche al Cap. 261); per ragioni sconosciute, la lesione si sviluppa spesso durante l’adolescenza o nell’età adulta giovanile. Gli altri casi si associano generalmente a tumori intramidollari, conseguono a trauma o a cause ignote. La cavità siringomielica midollare, longitudinale e irregolare, paramediana, di solito origina nell’area cervicale ma può estendersi in basso lungo quasi tutto il midollo spinale. Circa il 30% degli individui con tumore midollare sviluppa alla fine una cavità siringomielica associata. La siringobulbia, una condizione rara, si manifesta di solito come una fenditura situata nella porzione inferiore del tronco encefalico, capace di interessare i nervi cranici inferiori o di comprimere o interrompere le vie sensitive ascendenti o le vie motorie discendenti.

Sintomi e segni La cavità siringomielica interrompe dapprima le fibre che s’incrociano nel midollo. Siccome le fibre conducono principalmente la sensibilità dolorifica e termica, il paziente non percepisce gli stimoli nocicettivi (p. es., ustione o ferita indolori). Il deficit inizia generalmente nelle dita (in quanto la lesione è generalmente cervicale) e quindi si estende. È comune un deficit sensitivo a tipo mantello a livello delle spalle e del dorso. L’alterazione dei tratti corticospinali insorge in genere tardivamente, portando a perdita di forza e spasticità degli arti inferiori; può esservi un interessamento delle corna anteriori a livello della cavità, con atrofia muscolare segmentale, deficit di forza e fascicolazioni. La siringobulbia può causare vertigini, nistagmo, ipoestesia facciale monolaterale o bilaterale, atrofia e deficit di forza linguale, disartria, disfagia, raucedine e, talvolta, disfunzioni motorie o sensitive più distali dovute alla compressione del midollo.

Diagnosi e terapia La siringomielia deve essere distinta dalle neoplasie e dalle malformazioni vascolari; si dovrà inoltre sempre pensare all’esistenza di una neoplasia file:///F|/sito/merck/sez14/1821590b.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.50

Malattie del midollo spinale

associata del parenchima midollare. La RMN con gadolinio è la metodica più appropriata per diagnosticare la presenza di cavità siringomielica o di tumori associati ad essa, oltre che di anomalie craniocervicali. Quando la RMN non è disponibile, la mielografia seguita da TAC ad analisi sequenziale può essere d’aiuto nella diagnosi se il mezzo di contrasto riempie e traccia il contorno della cavità. Se possibile, i problemi di base, quali le anomalie della colonna o del basicranio o una neoplasia spinale, devono essere risolti. Sono stati proposti il drenaggio chirurgico della cavità siringomielica, lo shunt o la sezione longitudinale del midollo spinale a livello del filum terminale, ma la valutazione dei risultati è resa difficile dalla grande variabilità di decorso tipica della siringomielia; i deterioramenti neurologici gravi possono non essere reversibili attraverso terapia chirurgica. La terapia radiante è inutile.

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE COMPRESSIONI MIDOLLARI Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Molte condizioni patologiche possono interessare il midollo attraverso una compressione meccanica che si presenta spesso secondo modalità stereotipate e che può essere trattata efficacemente se diagnosticata precocemente. La compressione acuta è generalmente traumatica, provocando segni di danno segmentale al livello della compressione, combinata generalmente con deficit del tratto corticospinale (p. es., iperreflessia, segno di Babinski, deficit di forza) e deficit sensitivi al di sotto del livello di compressione (v. Lesioni del Midollo Spinale, oltre). La compressione subacuta di solito riconosce come causa una neoplasia extramidollare (v. anche Neoplasie del Midollo Spinale nel Cap. 177), un ascesso o ematoma subdurale o epidurale (v. oltre) o la rottura di un disco cervicale (raramente toracico). I pazienti si presentano con un dolore spinale localizzato, spesso con distribuzione radicolare e alterazioni dei riflessi da deficit del tratto corticospinale. Seguono la perdita di forza (di solito prossimale) agli arti inferiori, deficit della sensibilità e infine perdita del controllo degli sfinteri. È comune nelle lesioni cervicali la perdita della motricità o della sensibilità a livello delle braccia. Il dolore e la lieve perdita di forza possono durare ore o giorni, ma la transizione verso la perdita di funzione irreversibile delle strutture sottostanti la sede della lesione può durare anche solo qualche minuto, una volta che si sia sviluppata una compromissione vascolare o una transezione del midollo. La compressione cronica del midollo spinale può essere secondaria a protrusioni ossee o cartilaginee all’interno del canale spinale cervicale o toracico (p. es., da osteofiti o spondilosi, soprattutto in pazienti con restringimenti congeniti del canale spinale, v. Spondilosi cervicale nel Cap. 183) o dei tumori extramidollari o intramidollari a lento accrescimento. Il decorso della compressione cronica è sostanzialmente più lento rispetto a quello della forma subacuta; i sintomi gravi necessitano di mesi o anni per svilupparsi. Il dolore è meno intenso, le anomalie motorie e sensitive evolvono di pari passo e la spasticità colpisce gli arti inferiori. Il deterioramento neurologico segmentale nelle braccia accompagna di solito le lesioni cervicali.

Diagnosi e terapia Inizialmente, la diagnosi si basa sui sintomi e sui segni clinici: la fragilità della colonna vertebrale (la fragilità alla percussione è particolarmente importante nei casi di carcinoma metastatizzato o di ascesso spinale o epidurale), paraparesi, deficit sensitivo del tronco o delle gambe e delle braccia e modificazioni dei riflessi corticospinali. Le radiografie della colonna sono raramente diagnostiche. La RMN risulta essere spesso diagnostica, mostrando erosioni ossee, gravi modificazioni ipertrofiche, collassi, fratture o sublussazioni a livello della lesione. file:///F|/sito/merck/sez14/1821588b.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.51

Malattie del midollo spinale

Se la RMN non fosse disponibile, dovranno essere effettuate la TAC o la mielografia del livello adeguato, per confermare la presenza di compressione midollare e per definire in modo ottimale il livello e l’estensione della lesione. Il trattamento dipende dalla patologia di base. Per il trattamento delle lesioni acute e delle patologie causanti compressione cronica, v. i capitoli di cui sopra. È essenziale un pronto intervento nelle compressioni subacute. Molti pazienti, se trattati prima che la perdita di forza sia divenuta notevole, recuperano in pieno la loro funzionalità; una volta che la paraplegia o i deficit autonomi si sono manifestati, pochi migliorano. Per le lesioni metastatiche, bisogna somministrare rapidamente alte dosi di corticosteroidi (desametazone PO o EV) e, se il tipo di tessuto tumorale risulta radiosensibile, può essere efficace l’irradiazione immediata. Se la terapia radiante non è disponibile o se i segni clinici peggiorano nonostante la terapia medica, bisogna eseguire una decompressione chirurgica, a meno che il paziente non sia ritenuto un candidato chirurgico. La chirurgia è ugualmente indicata in caso di necessità di un prelievo bioptico di tessuto, in caso di instabilità della colonna, in caso di recidive neoplastiche dopo radioterapia, oppure in caso di ascesso o ematoma subdurale o epidurale. In genere, dopo il trattamento chirurgico di metastasi epidurali, i pazienti dovranno sottoporsi a radioterapia.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO MALATTIE DELLE RADICI SPONDILOSI CERVICALE Alterazioni degenerative del disco intervertebrale e dell’annulus, con formazione di osteofiti, che restringono il canale cervicale o i forami intervertebrali.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

I pazienti con canale midollare congenitamente più stretto presentano un rischio maggiore. Ne risulta la compressione del midollo spinale. È presente una tipica mielopatia progressiva, con sviluppo di un’andatura spastica; il dolore può predominare con dei segni radicolari nel dermatomero più colpito, abitualmente tra D-5 e C-6 o C-6 e C-7. La compressione foraminale della radice provoca deficit di forza e atrofia, con perdita segmentale dei riflessi; la compressione del midollo spinale causa iperreflessia, aumento del tono, diminuzione della sensibilità di vibrazione e risposta in estensione plantare degli arti inferiori.

Diagnosi e terapia Le rx della colonna, con proiezioni oblique per i forami intervertebrali, evidenziano modificazioni degenerative, con osteofiti e restringimento dei dischi intervertebrali. Se il diametro sagittale del canale cervicale è < 10 mm, la compressione del midollo è particolarmente marcata. La TAC mostra il diametro del canale, ma la RMN rappresenta la tecnica diagnostica di scelta. Talvolta c’è un miglioramento o una stabilizzazione spontanea dei sintomi. La terapia conservativa comprende un collare soffice, farmaci antinfiammatori, miorilassanti e blandi analgesici. La laminectomia decompressiva è indicata se il paziente presenta mielopatia e compressione midollare confermate mediante indagini radiologiche. Qualora sia indicato il trattamento chirurgico, l’anatomia della patologia e i sintomi determineranno se sarà effettuato un approccio anteriore o posteriore.

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE MALATTIE VASCOLARI Sommario: Introduzione INFARTO MALFORMAZIONI ARTERO-VENOSE

L’apporto ematico al midollo ha origine, cranialmente, dalle arterie vertebrali e nel tratto cervicale basso e toracico, da rami diretti dell’aorta, spesso con un ramo toracico basso particolarmente importante e ampio. I rami dell’arteria spinale anteriore vascolarizzano i 2/3 del midollo, i rami dell’arteria spinale posteriore il 1/3 posteriore.

INFARTO Poiché la maggior parte della vascolarizzazione spinale è legata soltanto a due o tre rami arteriosi maggiori, i segmenti del midollo che si trovano nel "territorio di frontiera" tra questi letti vascolari, nella zona compresa tra il 2o e il 4o segmento toracico, sono potenzialmente particolarmente vulnerabili agli insulti ischemici. La trombosi vascolare è rara e una compressione vascolare (p. es., da tumori, da compressioni acute del disco) o un’occlusione dovuta a cause diverse (p. es., chirurgia dell’aorta, aneurisma dissecante) sono più spesso motivo di infarto piuttosto che delle malattie intrinseche delle arterie midollari. La poliarterite nodosa causa di rado occlusione delle arterie spinali. Un dolore improvviso alla schiena e distribuito in modo segmentale è seguito da una deficit di forza flaccida bilaterale e un’ipoestesia termica e dolorifica localizzate al di sotto del livello della lesione. Di solito è coinvolto il territorio di distribuzione dell’arteria spinale anteriore per cui le sensibilità tattile, propiocettiva e di vibrazione sono risparmiate dal momento che i loro impulsi viaggiano nelle colonne posteriori del midollo. Come in tutti gli infarti, il deficit è più evidente nei primi giorni e può andare incontro a parziale risoluzione col tempo. La mielite trasversa acuta autoimmune, la compressione midollare da tumore o da altro processo espansivo e la malattia demielinizzante danno reperti simili e devono essere esclusi mediante RMN o mielografia (se la RMN non è disponibile) nonché mediante esame del liquor. Il trattamento è sintomatico: particolare attenzione dovrà essere rivolta a evitare lesioni cutanee (v. Cap. 122), respiratorie e ad assicurare una terapia fisica e occupazionale. Se sono compromesse le funzioni vescicali sarà preferibile usare una cateterizzazione intermittente, con scrupolosa osservazione delle regole dell’antisepsi, piuttosto che un catetere a permanenza (v. anche Vescica Neurogena nel Cap. 216).

MALFORMAZIONI ARTERO-VENOSE Le malformazioni artero-venose del midollo sono costituite prevalentemente da file:///F|/sito/merck/sez14/1821591.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.53

Malattie del midollo spinale

grossi e tortuosi rami venosi; la sede più comune è la parte posteriore del midollo toracico. Talvolta un angioma cutaneo corrisponde a un angioma spinale sottostante. Le malformazioni possono essere piccole e limitate o interessare sino a metà del midollo; talvolta si comportano come una lesione espansiva comprimendo o sostituendo il tessuto midollare normale, oppure si possono rompere generando emorragie focali o generalizzate. L’emorragia può causare un dolore improvviso e una perdita delle funzioni neurologiche al di sotto del livello della lesione; un sanguinamento nello spazio subaracnoideo può causare rigidità nucale e febbre. Le malformazioni che comprimono o infiltrano il midollo causano mielopatie subacute o segni di malattie intrinseche midollari con danno sensitivo dissociato e diminuzione della forza a livello segmentale. La diagnosi viene confermata dalla RMN, dall’angio-RMN o dall’arteriografia selettiva. In quest’ultima, il contrasto viene iniettato nei rami toracici dell’aorta, fino a che si visualizza il ramo che porta sangue alla malformazione. Se le funzioni midollari sono minacciate può essere indicata una terapia microchirurgica che richiede però notevole esperienza. In alcuni centri si occludono le arterie che vascolarizzano la malformazione per mezzo di un’embolizzazione praticata con il cateterismo.

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE PARAPARESI SPASTICA EREDITARIA Rara, patologia ereditaria autosomica dominante caratterizzata da ipostenia spastica delle gambe a sviluppo graduale. La paraparesi spastica ereditaria colpisce entrambi i sessi; l’età di insorgenza varia dall’infanzia alla vecchiaia. I reperti anatomo-patologici comprendono la degenerazione dei tratti corticospinali discendenti e del fascicolo gracile, nonostante l’assenza di reperti sensitivi. È stata descritta la scomparsa delle cellule delle corna anteriori. La malattia può insorgere insieme ad altre anomalie neurologiche, compresi sintomi spino-cerebellari e oculari (sindrome di Ferguson-Critchley), sintomi extrapiramidali, atrofia ottica, degenerazione retinica (sindrome di Kjellin), ritardo mentale o demenza e polineuropatia. L’eziologia di queste sindromi è sconosciuta. I sintomi e i segni comprendono difficoltà progressive della marcia, iperreflessia, clono e segno di Babinski. Le funzioni sensitive e sfinteriche sono in genere risparmiate. Anche le braccia possono essere colpite. La diagnosi differenziale comprende la sclerosi multipla, la malformazione di Chiari e la compressione del midollo spinale alla giunzione craniocervicale da parte di tumori o anomalie ossee. Il trattamento per tutte le sindromi è sintomatico. Baclofen 10 mg bid, aumentato a 30-80 mg/ die, rappresenta il farmaco di scelta per ridurre la spasticità. Farmaci secondari sono il diazepam, il clonazepam, il dantrolene e la treonina. La treonina attiva il neurotrasmettitore inibitore glicina.

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Malattie del midollo spinale

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 182. MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE MIELITE ACUTA TRASVERSA Sindrome, non una malattia, nella quale un’infiammazione acuta colpisce la materia grigia e bianca in uno o più segmenti toracici adiacenti.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La causa è spesso sconosciuta ma alcuni casi sono secondari a malattie "virali" non specifiche, indicando una patogenesi autoimmune; altri casi sono associati a vasculiti, uso di anfetamine o di eroina EV, alla malattia di Lyme, alla lue, a TB, oppure ad agenti parassitari o micotici.

Sintomi e segni Generalmente, un deficit di forza ascendente e torpore dei piedi e delle gambe e difficoltà che si sviluppano in pochi giorni; tale situazione può aumentare d’intensità col passare di vari giorni e portare a una paraplegia sensitivo-motoria globale al di sotto della regione colpita, ritenzione urinaria, perdita del controllo della defecazione. Talvolta possono essere risparmiate, almeno inizialmente, le funzioni della colonna posteriore. Dolore locale del dorso, cefalea e rigidità nucale possono essere presenti. Tale sindrome può occasionalmente recidivare.

Diagnosi e terapia La mielite acuta trasversa deve essere differenziata dalla sindrome di GuillainBarré, dall’occlusione dell’arteria spinale anteriore e dalle compressioni midollari acute, soprattutto quelle dovute ad ascesso epidurale, ematoma o tumore. Le cause di mielite trasversa acuta trattabili che devono essere considerate sono la lue meningovasale, le infezioni da micoplasma e la sclerosi multipla. Il liquor può dimostrare la presenza di monociti e un lieve aumento delle proteine; la RMN potrà escludere lesioni espansive extramidollari. Sia la RMN che la mielografia possono dimostrare un edema del midollo e talvolta un blocco subaracnoideo al livello della lesione. Si dovrà eseguire l’esame mielografico in posizione prona e supina per escludere una malformazione vascolare. Gli esami sierologici mostrano alterazioni nei rari casi associati con malattie del collageno. Se non si trova una causa apparente, il trattamento sarà sintomatico. Condizioni associate, come le vasculiti, andranno trattate. I cortisonici non presentano benefici comprovati, tranne che nella mielite secondaria a sclerosi multipla, nella quale l’ACTH o i corticosteroidi possono far regredire la sintomatologia. Tuttavia, il prednisone è spesso somministrato in quanto il sistema immunitario può essere interessato nei casi idiopatici. Per la maggior parte dei pazienti, tranne quelli file:///F|/sito/merck/sez14/1821592b.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.54

Malattie del midollo spinale

affetti da meningoencefalite virale, l’invalidità è considerevole. Generalmente, più è acuto il decorso, migliore sarà la prognosi.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO Il sistema nervoso periferico comprende i nervi cranici e i nervi spinali dal loro punto di uscita dal SNC sino alle loro terminazioni nelle strutture periferiche. Vengono inclusi anche il nervo olfattivo e il nervo ottico, sebbene non siano veri nervi ma piuttosto tratti del SNC. I nervi cranici (tranne il nervo ottico e olfattivo e una parte dell’accessorio spinale) fuoriescono dal SNC a livello del tronco encefalico, nelle cui strutture profonde sono situati i loro nuclei motori; i loro nuclei motori sono situati profondamente nel tronco encefalico; i loro nuclei sensitivi sono localizzati nei gangli appena fuori di esso (v. Cap. 178). I nervi spinali (in 31 paia) emergono da un segmento midollare con una radice motoria anteriore (o ventrale) e una radice sensitiva posteriore (o dorsale). Le fibre motorie originano dalle cellule situate nelle corna anteriori della sostanza grigia midollare. I corpi cellulari delle fibre afferenti sensitive sono situati nei gangli delle radici dorsali. La radice dorsale e quella ventrale si uniscono a formare il nervo che fuoriesce attraverso un forame intervertebrale. Poiché il midollo è più corto della colonna vertebrale, i forami sono situati progressivamente più lontani dal segmento midollare di origine, tanto che nella regione lombo-sacrale le radici nervose degli ultimi segmenti midollari discendono unite in un fascio quasi verticale (la cauda equina). I nervi cervicali, brachiali e lombosacrali si anastomizzano perifericamente formando i plessi, quindi si diramano in tronchi nervosi (lunghi anche 1 m) che terminano nelle strutture periferiche. I nervi intercostali rimangono di tipo segmentario. Il termine nervo periferico è spesso usato per indicare la porzione del nervo spinale che rimane distale alle radici e al plesso. I nervi periferici sono fasci di fibre nervose con diametro compreso tra 0,3 e 22 µm. Le fibre più grandi veicolano gli impulsi motori o quelli della sensibilità tattile e propiocettiva; le fibre più piccole conducono gli impulsi della sensibilità dolorifica, termica e quelli neurovegetativi. Le cellule di Schwann formano un sottile tubo citoplasmatico intorno a ciascuna fibra e quindi avvolgono fibre più larghe in una membrana isolante multistratificata (guaina mielinica), che aumenta la conduzione degli impulsi. Le grosse fibre tendono a essere rapide conduttrici e le piccole fibre lente conduttrici. Le cellule di Schwann sono a loro volta ricoperte dalla membrana basale e dalle fibre collagene Le malattie dei nervi periferici possono essere conseguenza del danno alle fibre nervose, al corpo cellulare o alla guaina mielinica. Quando un trauma o un’ischemia interrompono il flusso assoplasmico della fibra nervosa, il nervo muore distalmente (degenerazione Walleriana); quando un insulto metabolico danneggia il corpo cellulare e altera i costituenti nutritivi dell’assoplasma, la porzione distale dell’assone è quella che ne risente prima; in seguito la degenerazione assonica ascende prossimalmente, causando il modello sintomatologico caratteristico (distale centrale) delle neuropatie metaboliche. La demielinizzazione è causata da un danno diretto o indiretto (mediato cioè da una lesione della cellula di Schwann o del neurone) della guaina mielinica e porta a una rallentamento della conduzione degli impulsi nervosi; ogni cellula di Schwann controlla la guaina mielinica di un unico segmento di una fibra nervosa, per cui un danno selettivo di queste cellule porta alla demielinizzazione segmentaria. Dopo il trauma la rigenerazione della fibra nervosa avanza, dentro il cilindro costituito dalla cellula di Schwann, di circa 1 mm/die. Se la rigenerazione va in file:///F|/sito/merck/sez14/1831594.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.55

Malattie del sistema nervoso periferico

una direzione sbagliata si ha un’innervazione aberrante (p. es., di fibre nervose in un muscolo sbagliato; di un recettore tattile in una sede sbagliata; di un recettore termico anziché tattile). La guaina mielinica può rigenerarsi rapidamente, soprattutto dopo una demielinizzazione segmentale, con competo recupero della funzionalità, sempre che non si sia avuta la distruzione dell’assone. Un’unità motoria consiste in una singola cellula delle corna anteriori, il suo assone efferente e tutte le fibre muscolari innervate da quell’assone. È utile classificare queste malattie rispetto alla porzione dell’unità motoria che è principalmente compromessa (v. Tab. 183-1). Pertanto, nelle malattie del motoneurone, il difetto più importante è la perdita dell’innervazione efferente causata dalla degenerazione delle cellule delle corna anteriori. In alcune di queste malattie possono essere compromessi anche il primo motoneurone dalla corteccia motoria al tronco encefalico (tratto corticobulbare) o al midollo (tratto corticospinale); in altre condizioni sono interessati a livello del tronco dell’encefalo i nuclei motori (bulbari) dei nervi cranici (paralisi bulbare). La giunzione neuromuscolare è colpita nella miastenia gravis e nelle sindromi miasteniche. Le fibre muscolari sono colpite nelle miopatie (v. Cap. 184). Altre condizioni capaci di provocare miopatia (p. es., polimiositi, dermatomiositi, trichinosi, malattie della tiroide e del surrene, ipercalcemia, ipofosfatemia) sono trattate nei relativi capitoli del Manuale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 183-1. CLASSIFICAZIONE DELLE PATOLOGIE DELL'UNITÀ MOTORIA Sede Motoneurone

Tipo

Esempi

Ereditaria

Atrofie dei muscoli spinali di tipo I, II, III

Acquisita

Poliomielite, infezioni da coxsackievirus e altri enterovirus

Acuta Cronica

Sclerosi laterale amiotrofica, sindrome paraneoplastica, sindrome post-poliomielitica, paralisi bulbare progressiva

Radice nervosa

Acquisita

Ernia discale, metastasi, neurofibroma, trauma

Plesso

Acquisita

Neurite brachiale acuta, diabete mellito, ematoma, metastasi, neurofibromatosi (occasionalmente), trazione da parto, trauma

Nervo periferico

Ereditaria

Neuropatie sensitive e motorie ereditarie di tipoI-VII, neuropatie sensitive e autonome ereditarie di tipoI-V

Infettiva

Neuropatia difterica, herpes, infezione da HIV, lebbra, malattia di Lyme, neuropatia parassitaria

Infiammatoria

Polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica, sindrome di Guillain-Barré, vasculite

Metabolica

Amiloidosi, neuropatia da malattia critica, diabete mellito, neuropatia disprotidemica, etanolo, leucodistrofie, insufficienza renale

Giunzione neuromuscolare

Botulismo, sindrome miastenica congenita, sindrome di Eaton-Lambert, miastenia gravis, patologie tossiche della giunzione neuromuscolare

Fibra muscolare

Distrofie

Distrofia di Duchenne, distrofia muscolare facioscapolomerale, distrofia dei cingoli, distrofia muscolare oculofaringea (rara), distrofia muscolare distale (rara)

Canalopatie (miotoniche)

Paralisi periodica familiare, miotonia congenita (malattia di Thom sen), distrofia miotonica (malattia di Steinert)

Congenita

Malattia del nucleo centrale, miopaptia centronucleare, miopatia filiforme

Endocrina

Acromegalia, sindrome di Cushing, ipotiroidismo, miopatia tire otossica

Infiammatoria

Infezione, polimiosite/dermatomiosite

Metabolica

Alterazioni del deposito di glicogeno, alterazioni del deposito dei lipidi

Modificata da TandanR, Bradley WA:"Amyotrophic lateral sclerosis. Part I: Clinical features, pathology and ethical issues in management". Annals of Neurology 18:271-280, 1985, riproduzione autorizzata della Little, Brown and Company.

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Manuale Merck - Tabella

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO MALATTIE DEL MOTONEURONE SUPERIORE E INFERIORE Malattie di causa ignota caratterizzate da degenerazione progressiva dei tratti corticospinali, dei neuroni delle corna anteriori midollari e/o dei nuclei motori bulbari.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

I sintomi e le denominazioni descrittive variano a seconda della parte del sistema nervoso che è principalmente colpita. L’età mediana di insorgenza è di 55 anni, con maggiore incidenza negli uomini; il 5% dei casi è di tipo familiare, con un’ereditarietà di tipo autosomico dominante. Sclerosi laterale amiotrofica: la debolezza muscolare, l’atrofia e il quadro clinico, espressione del coinvolgimento delle cellule delle corna anteriori, si notano inizialmente nelle mani e meno spesso nei piedi. La localizzazione dei primi segni è casuale e la progressione asimmetrica. Frequenti sono i crampi che possono precedere la debolezza muscolare; si accompagnano spesso ai segni di compromissione del motoneurone inferiore guizzi muscolari visibili (fascicolazioni), la spasticità, l’aumento dei riflessi tendinei, riflessi plantari in estensione e i segni del coinvolgimento del tratto corticospinale. La disartria e la disfagia sono dovute al coinvolgimento dei nuclei e delle vie del tronco. Il sistema sensitivo, la muscolatura volontaria degli occhi e gli sfinteri urinari vengono risparmiati. Raramente il paziente sopravvive per 30 anni, il 50% muore entro 3 anni dall’esordio della malattia, il 20% vive 5 anni, il 10% vive 10 anni. Paralisi bulbare progressiva: sono maggiormente interessati i muscoli innervati dai nervi cranici e i tratti corticobulbari. La masticazione, la deglutizione e la parola sono pertanto notevolmente compromesse; si può riscontrare anche una sintomatologia pseudobulbare, con stato psichico labile e reazioni emotive inappropriate. La disfagia indica una prognosi particolarmente infausta e la morte sopravviene in 1-3 anni (spesso per complicanze respiratorie). Atrofia muscolare progressiva: circa il 10% dei casi mostra un tipo di eredità autosomica dominante. La compromissione a carico delle cellule delle corna anteriori è più marcata di quella delle fibre corticospinali. L’evoluzione è più benigna. La perdita di forza e l’atrofia iniziano alle mani, progrediscono alle braccia, alle spalle, alle gambe e diventano infine generalizzate; le fascicolazioni possono costituire la manifestazione clinica più precoce della malattia. La malattia può insorgere in ogni età e i pazienti possono sopravvivere anche per ≥ 25 anni. Sclerosi laterale primitiva e paralisi progressiva pseudobulbare: la rigidità muscolare e i segni di deficit di forza motoria distale aumentano gradualmente, interessando gli arti, nella sclerosi laterale primitiva e i nervi cranici inferiori nella paralisi progressiva pseudobulbare. Fascicolazioni e atrofia muscolare possono insorgere molti anni dopo. Questi disturbi in genere evolvono per vari anni prima che si instauri un’invalidità totale.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Sindrome post-poliomielitica: le persone con pregressa poliomielite possono sviluppare una nuova affaticabilità, dolore e deficit di forza molti anni (almeno 15) dopo la guarigione dalla poliomielite. In alcuni casi, può anche insorgere l’atrofia muscolare a seguito di poliomielite, che può somigliare a un’atrofia muscolare progressiva. Nella maggior parte, tuttavia, i nuovi sintomi non sono dovuti alla progressione della pregressa poliomielite ma a una condizione secondaria sovrapposta, come diabete mellito, ernia discale o una patologia articolare degenerativa.

Diagnosi e terapia Le caratteristiche diagnostiche comprendono l’insorgenza in età media o avanzata e un coinvolgimento progressivo generalizzato del sistema motorio, senza compromissione del sistema sensitivo; le velocità di conduzione del nervo sono normali anche nella fase avanzata di malattia; l’elettromiografia rappresenta il test più utile, dimostrando le fibrillazioni, le onde positive, le fascicolazioni e le unità motorie giganti anche nell’arto non colpito. Dovranno essere escluse le miopatie a esordio tardivo, le atrofie causate da spondilosi cervicale, le fratture del disco intervertebrale, i tumori midollari, la siringomielia, le malformazioni congenite della colonna cervicale, le amiotrofie diabetiche. Per porre la diagnosi di sclerosi laterale primitiva e paralisi pseudobulbare progressiva, dovranno essere inoltre escluse la sclerosi multipla, la compressione spinale e il tumore cerebrale. Non esiste un trattamento specifico. Per conservare un certo grado di funzionalità muscolare può essere di aiuto la fisioterapia. I pazienti colpiti da disfagia devono essere alimentati con estrema attenzione e possono necessitare di una gastrostomia. Il baclofen può aiutare a ridurre la spasticità; possono essere utilizzati il chinino o la fenitoina per far diminuire i crampi. Un farmaco a forte azione anticolinergica, come l’amitriptilina 10 mg PO qid, potrà essere somministrato per diminuire la produzione salivare. Il trattamento chirurgico, volto a migliorare il rigonfiamento, presenta efficacia limitata nei pazienti con paralisi bulbare progressiva. In questo caso, la terapia è sintomatica (v. Cap. 294).

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO MALATTIE DEL MOTONEURONE SUPERIORE E INFERIORE ATROFIE MUSCOLARI SPINALI Disturbi che possono insorgere nella prima infanzia o nell’infanzia inoltrata, caratterizzati da degenerazione muscolo-scheletrica dovuta a degenerazione progressiva delle cellule delle corna anteriori del midollo spinale e dei nuclei dei nervi motori, nel tronco encefalico.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

La maggior parte dei casi è a trasmissione autosomica recessiva e sembra costituire mutazioni alleliche di un singolo locus genico sul cromosoma 5. Sono riconosciute quattro varianti principali. Atrofia spinale muscolare di tipo I (malattia di Werdnig-Hoffmann), che insorge in utero e diventa sintomatica tra il secondo e il terzo mese di vita. La maggior parte dei lattanti è ipotonica alla nascita. Tutti presentano un ritardo motorio a partire dal 6o mese. La morte avviene nel 95% dei casi entro l’età di 11/2 anni e nei restanti casi entro i 4 anni, in genere per insufficienza respiratoria. Nell’atrofia muscolare spinale di tipo II (intermedio) la maggior parte dei neonati e dei bambini diventa sintomatica tra il sesto e il dodicesimo mese circa e tutti comunque entro i due anni; meno del 25% impara a sedersi e nessuno di essi a camminare o gattonare. I pazienti sono ipotonici, con deficit di forza muscolare flaccida, assenza dei riflessi tendinei e con fascicolazioni, che possono essere difficilmente visibili nei bambini. Inoltre può essere presente disfagia. La malattia è spesso precocemente fatale, soprattutto per le complicanze respiratorie; tuttavia, un arresto spontaneo dei sintomi può lasciare il bambino in uno stato cronico e non progressivo di debolezza muscolare. L’atrofia muscolare tipo III (malattia di Wohlfart-Kugelberg-Welander) insorge tra i 2 e i 30 anni di età. I reperti anatomo-patologici e la modalità di trasmissione ereditaria sono simili alla forma acuta, ma il decorso della malattia è più lento e la sopravvivenza più lunga. La perdita di forza e l’atrofia sono maggiormente evidenti agli arti inferiori, insorgendo nei quadricipiti e nei muscoli del cingolo pelvico; le braccia vengono colpite più tardivamente e l’atrofia progredisce in senso centrifugo. Alcune forme familiari sono secondarie a specifici difetti enzimatici (p. es., carenza di esosoaminidasi). L’atrofia muscolare spinale di tipo IV presenta ereditarietà con modalità differenti (recessiva, dominante, X-legata), con insorgenza in età adulta (3060 anni d’età) e lenta evoluzione. Differenziarla dalla forma di sclerosi laterale amiotrofica da secondo motoneurone può risultare impossibile.

Diagnosi e terapia

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Malattie del sistema nervoso periferico

La diagnosi è in genere confermata principalmente con l’elettromiografia, che evidenzia denervazione senza coinvolgimento nervoso periferico. Le indagini sulla velocità di conduzione nervosa sono normali. Viene talvolta effettuata la biopsia muscolare. Gli enzimi sierici (CK, aldolasi) sono lievemente aumentati. L’amniocentesi non è diagnostica. Non esiste un trattamento specifico. La terapia fisica, le cure fortificanti e l’uso di apparecchi ortopedici potranno dare un sollievo sintomatico e talvolta rallentare il decorso della malattia, oltre che prevenire la comparsa di scoliosi e contratture.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO MALATTIE DELLE RADICI ERNIA DEL NUCLEO POLPOSO (Ernia, frattura o prolasso del disco intervertebrale)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

I corpi vertebrali sono separati da dischi cartilaginei, costituiti da un anello fibroso esterno e da un nucleo polposo interno. Le modificazioni degenerative (con o senza trauma) possono esitare in protrusione o rottura del nucleo attraverso l’anello fibroso a livello dell’area lombosacrale o cervicale; in tal modo il nucleo polposo si muove postero-lateralmente o posteriormente dentro lo spazio extradurale. La sciatalgia compare quando il nucleo erniato comprime o irrita la radice del nervo; la protrusione posteriore può comprimere o irritare la cauda equina, soprattutto nel paziente con un restringimento congenito del canale spinale (stenosi spinale). A livello lombare, oltre l’80% delle protrusioni discali comprime le radici a livello L5 o S1; a livello cervicale, le più comuni radiculopatie colpiscono i livelli C6 e C-7 (v. Tab. 183-2).

Sintomi e segni Il dolore, con tipica distribuzione radicolare, può presentarsi in modo improvviso e grave, oppure in modo insidioso. Peggiora con il movimento e con la manovra di Valsalva o con gli atti del tossire, ridere, del torchio addominale. Nelle sedi innervate dalla radice si potranno avere anche parestesie e sensazioni di intorpidimento; i riflessi profondi lungo la distribuzione della radice colpita sono diminuiti o assenti. Nelle ernie lombosacrali, il sollevamento di un arto inferiore esteso (che stira le radici del nervo) può provocare dolore alla schiena o all’arto stesso (v. Cap. 59). Nell’ernia cervicale, la flessione o l’inclinazione del collo sono dolorose. I muscoli innervati dalla radice lesionata si indeboliscono, diventano atrofici, flaccidi e possono mostrare fascicolazioni. La compressione del midollo cervicale può provocare una paresi spastica degli arti inferiori, mentre quella della cauda equina spesso comporta ritenzione e incontinenza urinaria, per perdita della funzione sfinteriale; questi segni necessitano di un trattamento urgente.

Diagnosi e terapia Le rx della colonna mostrano spesso un restringimento dello spazio intervertebrale. La TAC o la RMN possono evidenziare le dimensioni del canale e file:///F|/sito/merck/sez14/1831599.html (1 of 2)02/09/2004 2.28.59

Malattie del sistema nervoso periferico

mostrare la protrusione del disco. L’elettromiografia può essere utile per stabilire con esattezza la radice coinvolta. La terapia deve essere conservativa, poiché la maggior parte dei pazienti, con lombalgia o nevralgia grave, guarisce nel 95% dei casi in tre mesi, senza il trattamento chirurgico, a meno che non presenti dei deficit neurologici progressivi o invalidanti. Un senso acuto di disagio può cessare attraverso il riposo e il rilassamento. È invece controindicato il prolungato riposo a letto. Gli analgesici, i blandi tranquillanti e i miorilassanti possono essere d’aiuto nell’alleviare il dolore. Nella sintomatologia della radiculopatia lombare la trazione solitamente non è di alcun beneficio. Se permangono o si aggravano i segni obiettivi di danno neurologico (perdita di forza, deficit sensitivo) o se il dolore a livello della radice nervosa è grave o intrattabile, sarà necessario prendere in considerazione un trattamento di tipo invasivo. La discectomia microscopica, la laminectomia o rimozione chirurgica del materiale erniato sono le tecniche di scelta. Sono in corso di valutazione gli approcci percutanei per la rimozione del disco erniato. La lisi del materiale discale erniato mediante iniezioni locali di chimopapaina non è consigliata. Lesioni che comprimono in modo acuto il midollo spinale o la cauda equina (causando p. es., ritenzione urinaria, incontinenza) richiedono una terapia chirurgica immediata. Nelle radicolopatie cervicali, la decompressione chirurgica è in genere efficace, qualora non abbia avuto successo la terapia medica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 183-2. SINTOMI DELLE RADICOLOPATIE PIÙ COMUNI A SECONDA DEL LIVELLO MIDOLLARE Livello

Sintomi

C-6

Dolore al margine del trapezio e alla spalla, irradiantesi spesso al pollice, con parestesie e compromissione delle sensibilità nelle stesse aree; ipostenia e diminuzione dei riflessi a distrubuzione miomerica congrua

C-7

Dolore alla spalla e in sede ascellare, con irradiazione al dito medio; ipostenia e iporeflessia a distribuzione miomerica congrua

L-5

Piede cadente con ipostenia dei muscoli tibiale anteriore, tibiale posteriore e peronei; perdita della sensibilità della cresta tibiale e della superficie dorsale del piede

S-1

Ipostenia del gastrocnemio mediale, con compromissione della flessione plantare della caviglia, perdita del riflesso achilleo e perdita delle sensibilità sulla superficie laterale del polpaccio e del piede

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO PATOLOGIE DEI PLESSI Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Le malattie dei plessi brachiale e lombosacrale causano un disturbo misto motorio e sensitivo dell’arto corrispondente, con un modello di distribuzione che non corrisponde né alla radice né al nervo. Le patologie della porzione superiore del plesso brachiale causano una sintomatologia deficitaria delle spalle, quelle della parte inferiore provocano la mano. Nei neonati, la trazione durante il parto può causare una plessopatia, mentre negli adulti può essere un trauma o l’invasione di un cancro metastatizzato (in genere il plesso brachiale per i carcinomi del polmone o della mammella, quello lombosacrale per le neoplasie intestinali o genitourinarie). Se il plesso è stato compreso in una parte sottoposta a radiazione (p. es., per carcinoma della mammella), una plessopatia può conseguire alla fibrosi. I diabetici possono sviluppare una plessopatia lombare superiore dolorosa associata alla perdita di peso; il plesso lombosacrale può essere compresso da un ematoma, soprattutto nei pazienti in terapia anticoagulante. La neurofibromatosi (v. oltre) coinvolge occasionalmente il plesso. Le neuriti brachiali acute (amiotrofie di tipo nevralgico) sono più frequenti negli uomini, solitamente nei giovani adulti, ma possono insorgere a qualsiasi età. La causa è sconosciuta, ma si ipotizza l’intervento di fattori virali o immunologici. Dà origine a dolore sopraclavicolare, perdita di forza, diminuzione dei riflessi e anomalie sensitive di minor entità nel territorio di distribuzione del plesso brachiale. Dai 3 ai 10 giorni dall’esordio, la perdita di forza si fa marcata, per poi regredire nei mesi successivi. In 2/3 dei casi è coinvolta la parte rostrale del plesso con interessamento dei muscoli prossimali.

Diagnosi e terapia L’elettromiografia e gli studi di conduzione dei nervi aiutano a localizzare la lesione del plesso. Nel territorio di innervazione coinvolto, i potenziali d’azione del nervo sensitivo possono essere diminuiti in ampiezza o assenti e può essere riscontrata una denervazione dei muscoli innervati dalle branche del plesso colpite. La TAC o la RMN del plesso brachiale o lombosacrale è utile nella diagnosi di masse nei pazienti affetti da neoplasie o ematomi. L’estensione del tumore all’interno dello spazio epidurale può essere evidenziata mediante RMN o mielografie. La registrazione del potenziale evocato dopo stimolazione del nervo mediano può rivelare un ritardo di comparsa del potenziale al punto di Erb nelle lesioni metastatiche del plesso brachiale. La sede del danno nervoso può essere identificata per mezzo del segno di Tinel: alla percussione esercitata sulla sede della compressione fa seguito l’insorgenza di parestesie nelle porzioni distali del nervo. I corticosteroidi non presentano benefici comprovati nella neurite brachiale acuta.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Il trattamento chirurgico è occasionalmente indicato nei casi di trauma, di ematomi e di neoplasie benigne o metastatiche. Le lesioni metastatiche devono essere trattate con terapia radiante e/o chemioterapia; regolare il livello della glicemia aiuta nelle plessopatie diabetiche.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO SINDROMI DA COMPRESSIONE DELL'EGRESSO TORACICO Gruppo di sindromi cliniche definite caratterizzate da dolore e parestesie al collo, alla spalla, al braccio e alla mano.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Tali sindromi comprendono la sindrome da compressione neurovascolare del cingolo scapolare, la sindrome dello scaleno antico e la sindrome della costa cervicale. Sono più comuni nelle donne, generalmente in un’età compresa tra i 35 e i 55 anni. La patogenesi è incerta. Le alterazioni possono essere dovute alla compressione delle arterie e delle vene succlavie e, talvolta, della porzione inferiore o mediale del plesso brachiale, contro una costa cervicale o una 1ª costa toracica anomala o un’inserzione o posizione anomala dei muscoli scaleni. La distribuzione dei sintomi indica la sindrome. Sintomi di dolore e parestesie sono più frequentemente distribuiti medialmente nelle braccia e talvolta si estendono alla parete toracica anteriore. Molti pazienti presentano una compromissione sensitiva lieve o moderata con distribuzione C8-T1 dal lato doloroso e qualcuno presenta in modo predominante alterazioni vascolariautonome della mano, con cianosi, rigonfiamento e (raramente) fenomeno di Raynaud o gangrena distale.

Diagnosi e terapia Varie manovre sono state riportate per dimostrare la compressione di strutture vascolari (p. es., estendere il plesso brachiale), ma esse non hanno un valore comprovato. Sarà utile l’auscultazione di soffi alla clavicola o all’apice dell’ascella o il riscontro mediante rx di una costa cervicale. Con l’angiografia, si potranno evidenziare l’attorcigliamento o l’ostruzione parziale delle arterie o delle vene ascellari, ma tali rilievi non sono specifici delle condizioni suddescritte. La maggior parte dei pazienti risponde alla terapia fisica e all’esercizio. Se sono identificate coste cervicali od ostruzioni dell’arteria succlavia, uno specialista esperto dovrà decidere se è necessario il trattamento chirurgico.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO NEUROPATIE PERIFERICHE Sindromi che sono caratterizzate da perdita di sensibilità, debolezza e atrofia muscolare, diminuzione dei riflessi tendinei e sintomi vasomotori, presenti ognuno in modo isolato o in combinazione.

Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi Prognosi e terapia

La patologia può coinvolgere un unico nervo (mononeuropatia), oppure due o più nervi in sedi diverse (mononeuropatie multiple), o molti nervi contemporaneamente (polineuropatia). Può essere primitivamente coinvolto l’assone (diabete, malattia di Lyme, uremia, agenti tossici) o il rivestimento mielinico o le cellule di Schwann (polineuropatie infiammatorie acute e croniche, leucodistrofie o nella sindrome di Guillain-Barré). Il danno delle piccole fibre non mielinizzate e mieliniche conduce principalmente alla perdita della sensibilità termica e dolorifica; il danno alle grandi fibre mielinizzate comporta deficit motori o propiocettivi. Alcune neuropatie (p. es., quelle legate a tossicità da piombo, somministrazione di dapsone, puntura di zecca, porfiria o sindrome di GuillainBarré) colpiscono principalmente le fibre motorie; altre (p. es., dovute a infiammazione gangliare o a cancro, lebbra, AIDS, diabete mellito o intossicazione cronica da piridossina) colpiscono principalmente i gangli delle radici dorsali o le fibre sensitive, causando sintomi sensitivi. Talvolta vengono coinvolti anche i nervi cranici (Guillain-Barré, sindrome di Lyme, diabete mellito, difterite). Aiuta a stabilirne la causa la conoscenza dei caratteri particolari dei vari tipi di neuropatie.

Eziologia I traumi sono la causa più frequente di lesioni localizzate a un singolo nervo. Una nevrite focale può essere causata dalle attività muscolari violente o dall’iperestensione energica di un’articolazione, così come da piccoli traumi ripetuti (p. es., maneggiare in continuazione piccoli arnesi o le eccessive vibrazioni da martello pneumatico). La paralisi da compressione e intrappolamento da compressione interessa di solito i nervi superficiali (ulnare, radiale, peroneale) a livello delle sporgenze ossee (p. es., durante il sonno profondo o l’anestesia in persone magre o cachettiche e spesso negli alcolisti) o nei canali particolarmente stretti (p. es., nella sindrome del tunnel carpale). Le paralisi da compressione possono essere anche la conseguenza di tumori, di iperostosi, di movimenti rapidi, dell’uso di grucce o stampelle o di posture forzate prolungate (p. es., durante le attività del giardinaggio). Una neuropatia può essere provocata anche da un’emorragia interna del nervo o da un’eccessiva esposizione al freddo o alle radiazioni. Mononeuropatia può conseguire a invasione neoplastica diretta. Le mononeuropatie multiple sono in genere secondarie alle malattie del file:///F|/sito/merck/sez14/1831601b.html (1 of 4)02/09/2004 2.29.02

Malattie del sistema nervoso periferico

collageno (panarterite nodosa, LES, sindrome di Sjögren e AR), a malattie metaboliche (p. es., diabete mellito, amiloidosi) o ad agenti infettivi (malattia di Lyme, HIV). I microrganismi possono provocare mononeuropatie multiple per invasione diretta del nervo (p. es., lebbra). Le polineuropatie da malattie acute febbrili sono provocate da una tossina (difterite) o da una probabile reazione autoimmune (sindrome di Guillain-Barré); la polineuropatia che spesso fa seguito all’immunizzazione è anch’essa di probabile natura autoimmune (v. anche Encefaliti Virali Acute e Meningiti Asettiche al Cap. 176). Gli agenti tossici provocano in genere una polineuropatia, ma talvolta una mononeuropatia; questi comprendono l’emetina, l’esobarbitale, il barbitale, il clorbutanolo, i sulfamidici, la fenitoina, la nitrofurantoina, gli alcaloidi della vinca rosea, i metalli pesanti, il monossido di carbonio, triortocresilfosfato, l’ortodinitrofenolo, molti solventi, veleni industriali e alcuni farmaci anti-HIV (p. es., zalcitabina, didanosina). Le carenze nutrizionali e le malattie metaboliche possono determinare una polineuropatia. La carenza di vitamina B ne è spesso la causa (p. es., nell’alcolismo, nel beriberi, nell’anemia perniciosa, nella deficienza di piridossina indotta da isoniazide, nelle sindromi da malassorbimento e nell’iperemesi gravidica). Inoltre le polineuropatie si trovano in corso di ipertiroidismo, di porfiria, di sarcoidosi, di amiloidosi e di uremia. Il diabete mellito può dare diverse forme di neuropatie, andando da una polineuropatia distale sensitivo-motoria (la forma più comune), alle mononeuropatie multiple, alla mononeuropatia focale (p. es., dell’oculomotore o dell’abducente). I tumori maligni possono causare una polineuropatia mediante una gammopatia monoclonale (mieloma multiplo, linfoma) o per invasione amiloidosica dei nervi stessi, per carenze nutritive o come sindromi paraneoplastiche. Mononeuropatie specifiche: la mononeuropatia, isolata e multipla, si presenta con dolore, perdita di forza e parestesie localizzate nel territorio del nervo colpito. La mononeuropatia multipla è asimmetrica; i nervi possono essere interessati tutti contemporaneamente all’esordio oppure in modo progressivo. L’esteso interessamento di nervi diversi può configurare un quadro clinico simile a quello delle polineuropatie. La paralisi del nervo ulnare è spesso causata da un prolungato atteggiamento in iperflessione del gomito, con trauma del nervo nella doccia ulnare dell’epicondilo, oppure da una crescita asimmetrica dell’osso in seguito a una frattura avvenuta in età infantile (paralisi ulnare tardiva). La compressione del nervo ulnare può anche avvenire a livello del tunnel carpale. Insorgono parestesie e un deficit sensitivo nel 5o dito e la metà mediale del 4o dito; l’adduttore del pollice, l’abduttore del 5o dito e i muscoli interossei sono ipostenici e atrofici. Le gravi paralisi croniche possono portare alla deformità della mano detta "mano ad artiglio". Studi di conduzione del nervo possono identificare il sito di lesione dello stesso. Bisogna tentare un trattamento di tipo conservativo, prima della riparazione chirurgica. La sindrome del tunnel carpale (v. anche Cap. 61) si realizza per compressione del nervo mediano a livello della faccia volare del polso, tra il legamento trasversale superficiale e i tendini longitudinali dei muscoli dell’avambraccio. Può essere unilaterale o bilaterale. La compressione causa parestesie a livello della zona radiale palmare della mano e dolore al polso e al palmo; talvolta il dolore insorge prossimalmente alla sede della compressione nell’avambraccio e nella spalla. Il dolore può presentarsi con maggiore intensità nella notte. In seguito si potranno avere deficit sensitivi nella faccia palmare delle prime 3 dita; i muscoli che controllano l’abduzione del pollice e l’opposizione possono diventare deboli e atrofici. La diagnosi differenziale deve essere fatta con la compressione della radice C6 dovuta a radiculopatia cervicale. La paralisi del nervo peroneo è di solito dovuta alla compressione del nervo contro la parte laterale del collo del perone; è tipica dei pazienti non allettati e dei

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soggetti magri che sono soliti accavallare le gambe. Il sintomo caratteristico è la perdita della capacità di dorsiflettere il piede (piede cadente); occasionalmente, si ha un deficit sensitivo a livello della faccia antero-laterale della parte inferiore della gamba e del dorso del piede o nello spazio interdigitale tra il 1o e il 2o metatarso. Il trattamento è in genere conservativo per le neuropatie compressive (p. es., evitare di incrociare le gambe). Le neuropatie incomplete vengono in genere seguite clinicamente e in genere migliorano spontaneamente. Se non avviene la guarigione, l’esplorazione chirurgica può essere indicata. La paralisi del nervo radiale (paralisi del sabato notte) può essere dovuta, p. es., alla compressione del nervo contro l’omero, quando il braccio è appoggiato a lungo sullo schienale di una sedia, solitamente nel sonno profondo o nell’intossicazione alcolica. I sintomi comprendono la perdita di forza degli estensori del polso e delle dita (caduta del polso) e occasionalmente la perdita della sensibilità sulla porzione dorsale del 1o muscolo interosseo dorsale. Il trattamento è simile a quello della neuropatia da compressione del peroneo. Polineuropatie specifiche: le polineuropatie sono relativamente simmetriche, colpendo spesso fibre sensitive, motorie e vasomotrici in modo simultaneo. Possono colpire il cilindrasse o la guaina mielinica e, in ognuna delle forme, possono essere acute (p. es., sindrome di Guillain-Barré) o croniche (p. es., insufficienza renale). La polineuropatia da alterazioni metaboliche (p. es., diabete mellito) o da insufficienza renale ha un decorso lento, spesso di mesi o anni. Inizia frequentemente con anomalie sensitive, più gravi distalmente che prossimalmente, degli arti inferiori. Formicolii, intorpidimento, dolore urente, deficit della propiocezione e della sensibilità vibratoria sono i sintomi preminenti. Spesso il dolore peggiora di notte e viene aggravato da stimoli tattili o cambiamenti di temperatura. Nelle forme gravi si potrà obiettivare un deficit della sensibilità con la tipica distribuzione "a calza" o "a guanto". I riflessi osteotendinei, in particolar modo l’achilleo, saranno diminuiti o assenti. Se il deficit sensitivo è notevole, si possono sviluppare ulcere non dolorose o le osteoartropatie metatarso-falangee di Charcot. La perdita delle sensibilità superficiali e profonde può portare ad anomalie dell’andatura. Il coinvolgimento motorio esita in debolezza distale dei muscoli e atrofia. Il sistema nervoso autonomo può essere interessato da solo o unitamente al sistema periferico con segni caratteristici come diarrea notturna, incontinenza urinaria e fecale, impotenza, ipotensione ortostatica. I sintomi vasomotori sono di vario tipo. La pelle può presentarsi più pallida e secca del normale, talvolta con discromie di colore scuro. La sudorazione può essere eccessiva. I disturbi trofici (cute assottigliata e lucida, unghie fissurate) sono frequenti nei casi più gravi e di lunga durata. La polineuropatia da carenza nutrizionale è frequente sia negli alcolisti sia nei soggetti affetti da malnutrizione. Una sofferenza primitiva dell’assone porta alla demielinizzazione secondaria e alla distruzione completa dell’assone dei nervi più lunghi e grossi. Non è chiaro se tale processo sia dovuto alla carenza di tiamina o di altre vitamine (p. es., piridossina, acido pantotenico o acido folico). La neuropatia da carenza di piridossina insorge in genere nelle persone che assumono isoniazide per la TB; i neonati che risultano carenti o dipendenti da piridossina possono avere convulsioni. L’atrofia del tratto distale delle estremità è generalmente insidiosa, ma può progredire velocemente ed è talora accompagnata da perdita di sensibilità, parestesie e dolore. Il dolore, i crampi, il caldo o il freddo e l’intorpidimento ai polpacci e ai piedi possono peggiorare con la pressione. È appropriata la somministrazione di complessi vitaminici nei casi a eziologia oscura, ma non ne è stato comprovato il beneficio. Raramente, una polineuropatia esclusivamente sensitiva inizia con dolori e parestesie e progredisce centralmente verso una perdita di ogni forma di sensazione. Insorge come effetto a distanza del carcinoma (specialmente di quello broncogeno), dopo eccessiva somministrazione di piridossina (> 0,5 g/die) e nell’amiloidosi, ipotiroidismo, mieloma e uremia. La neuropatia indotta dalla piridossina guarisce quando la piridossina è sospesa.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Diagnosi Talvolta è possibile orientarsi verso una malattia sistemica in funzione dell’esame clinico o dell’anamnesi. Spesso alla base si troveranno condizioni come un’eruzione cutanea, delle ulcere cutanee, un dimagrimento, il fenomeno di Raynaud, una febbre, una linfoadenopatia o una massa tumorale. Gli esami di laboratorio sono molto utili e possono evidenziare un’anemia perniciosa e i GR punteggiati dell’avvelenamento da piombo. Le anomalie della funzione epatica e la fosfatasi alcalina suggeriscono la presenza di neoplasie maligne. La creatininemia può essere indicativa di l’insufficienza renale. La glicemia può indicare il diabete mellito. È necessario ricercare nelle urine la presenza di porfirina, porfobilinogeno e metalli pesanti. Le anomalie proteiche seriche e l’immuno-elettroforesi possono confermare la diagnosi di neuropatia associata a mieloma multiplo o gammopatia monoclonale, mostrandosi inoltre utili per la diagnosi di neuropatia demielinizzante. Bisogna inoltre cercare adeguatamente la presenza di crioglobuline e la fissazione del complemento; dovrà essere valutata la funzionalità tiroidea, specialmente nei pazienti con sindrome del tunnel carpale. L’elettromiografia e i test di velocità di conduzione del nervo possono confermare la neuropatia e determinare quali nervi sono coinvolti, quale tipo di fibre interessato (sensitivo o motorio) e se la patologia sia assonale o demielinizzante. Le lesioni demielinizzanti rallentano la conduzione nervosa, prolungando le latenze distali e le onde F; possono essere documentati blocchi focali da demielinizzazione. Un processo a livello dell’assone produce attività spontanea all’elettromiogramma e una bassa ampiezza dei potenziali evocati, con velocità di conduzione relativamente conservata. Nella sindrome del tunnel carpale, la conduzione rallenta attraverso il legamento carpale prolungando la latenza di risposta dell’abduttore breve del pollice o bloccandola del tutto. Similmente, saranno aumentate le latenze per i potenziali sensitivi distali. In particolari condizioni (p. es., trichinosi, sarcoidosi, panarterite) sarà decisiva per la diagnosi la biopsia muscolare. Le biopsie del nervo surale sono raramente indicate.

Prognosi e terapia Il trattamento della malattia sottostante (p. es., diabete, insufficienza renale, mieloma multiplo, tumore) può rallentare la progressione o migliorare i sintomi, ma la guarigione è lenta. Le lesioni traumatiche con sezione completa del nervo necessitano di un intervento di giustapposizione chirurgica. Le neuropatie da intrappolamento possono richiedere l’infiltrazione di corticosteroidi o la decompressione chirurgica. La terapia fisica e l’immobilizzazione potranno ridurre la probabilità e la gravità delle contratture.

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO NEUROPATIE PERIFERICHE SINDROME DI GUILLAIN-BARRE' Paralisi ascendente di Landry; poliradicoloneuropatia infiammatoria acuta demielinizzante) Forma di polineuropatia infiammatoria acuta, rapidamente progressiva, caratterizzata da debolezza muscolare e lieve perdita della sensibilità nei segmenti distali, che inizia, nei 2/3 dei casi, da 5 giorni a 3 settimane dopo una banale infezione, un intervento chirurgico o un’immunizzazione.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La sindrome di Guillain-Barré è la più frequente forma di neuropatia acquisita da demielinizzazione. La sua causa è tuttora ignota, ma è probabilmente autoimmune. Si ritrovano lungo il decorso dei nervi periferici aree focali di demielinizzazione segmentale con infiltrati perivascolari ed endoneurali di linfociti e monociti; tali aree si trovano anche sulle radici e sui nervi cranici. Nei casi più gravi è presente anche la degenerazione dell’assone e, in alcuni pazienti, l’anomalia primitiva consiste in una degenerazione assonale precoce piuttosto che in una demielinizzazione.

Sintomi e segni La debolezza, relativamente simmetrica e accompagnata da parestesie, esordisce in genere alle gambe, progredendo poi alle braccia. Nel 90% dei pazienti, il deficit di forza è massimo alla 3a settimana. La debolezza è sempre più evidente dei sintomi di tipo sensitivo ed è più frequente, inizialmente, a livello prossimale. C’è anche una perdita dei riflessi tendinei profondi. I muscoli sfinterici sono di solito risparmiati. Più del 50% dei pazienti con gravi quadri presenta debolezza muscolare a livello facciale e orofaringeo e circa il 5-10% deve essere intubato a causa dell’insufficienza respiratoria; in tali pazienti, inoltre, sono spesso presenti alterazioni neurovegetative (come fluttuazioni della PA), anomalie della secrezione di ADH, aritmie cardiache, modificazioni pupillari. La paralisi respiratoria e le modificazioni neurovegetative possono esporre il paziente a pericolo di vita. Circa il 5% dei pazienti muore. In un’insolita variante è presente soltanto oftalmoparesi, atassia e areflessia. La miastenia gravis, la carenza acuta di tiamina e, raramente, il botulismo devono essere esclusi.

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Diagnosi La diagnosi si basa sulla sindrome clinica. Nel liquor, le proteine sono aumentate ma non le cellule (dissociazione albumino-citologica, N.d.T.). I test evidenzianti le anomalie elettrofisiologiche confermano la diagnosi, ma in genere non sono necessari. Due terzi dei pazienti presentano un rallentamento della velocità di conduzione oltre che aspetti di demielinizzazione segmentale all’inizio della comparsa dei sintomi. La latenza dell’onda F, evidenzia la demielinizzazione prossimale, tende a essere prolungata. Diagnosi differenziale: alcune tossine (p. es., fosfati organici) agiscono a livello della giunzione neuromuscolare (v. Botulismo sotto Disturbi della Trasmissione Neuromuscolare, più avanti e Cap. 28). La poliomielite acuta, per la quale sono disponibili test sierologici, si manifesta in forma epidemica con febbre, malessere e pleiocitosi nel liquor. Nell’infestazione da zecche del cuoio capelluto si può avere una neuropatia motoria ascendente, soprattutto nei bambini, con perdita dei riflessi profondi e sensibilità conservata. Con l’allontanamento delle zecche, tutti i sintomi si risolvono.

Prognosi e terapia Molti pazienti migliorano in un periodo di alcuni mesi; circa il 30% degli adulti, e sempre più bambini, presenta debolezza muscolare residua a distanza di tre anni. I difetti residui possono richiedere l’applicazione di apparecchi ortopedici o la chirurgia correttiva. Circa il 10% dei pazienti presenta ricadute dopo un miglioramento iniziale, andando così incontro a polineuropatia recidivante cronica. Le caratteristiche anatomopatologiche e di laboratorio sono simili a quelle della forma acuta, nella quale però la debolezza muscolare è asimmetrica e progredisce molto più lentamente. I nervi possono diventare palpabili a causa di ripetuti episodi di demielinizzazione segmentale e rimielinizzazione. La sindrome di Guillain-Barré rappresenta un’emergenza medica e richiede un monitoraggio e un supporto costanti delle funzioni vitali. In particolare, si dovranno mantenere pervie le vie aeree, valutando frequentemente la capacità vitale, in maniera da poter assistere la respirazione, in caso di necessità. L’apporto di liquidi dovrà essere sufficiente per mantenere un volume urinario di almeno 1-1,5 l/die. Gli arti devono essere protetti contro i traumi o le compressioni dovuti alle lenzuola e alle coperte del letto. Il calore allevia il dolore e permette le prime terapie fisiche; deve essere evitata l’immobilizzazione che può causare anchilosi. Si dovranno praticare subito movimenti passivi ampi delle articolazioni e, non appena le condizioni cliniche lo permettano, anche gli esercizi attivi. L’eparina 5000 U SC bid può essere di beneficio per i pazienti allettati. I corticosteroidi peggiorano la prognosi della sindrome di Guillain-Barré e non devono essere utilizzati. La plasmaferesi (v. anche Cap. 129) è utile quando eseguita precocemente durante la malattia ed è il trattamento di scelta nei pazienti acuti. È una procedura relativamente sicura che abbrevia il decorso clinico della malattia, diminuisce la mortalità e l’incidenza delle paralisi permanenti. Infusioni giornaliere di immunoglobulina EV (γ-globulina) 400 mg/kg/ die, somministrata durante le prime due settimane, sono efficaci quanto la plasmaferesi e possono risultare più sicure. Pertanto, se il paziente non risponde alla plasmaferesi o se questa non è disponibile o non può essere effettuata (per difficoltà di accesso venoso o in caso di instabilità emodinamica), dovranno essere adottate le γ-globuline. Nella neuropatia ricorrente cronica, i corticosteroidi migliorano il deficit di forza e possono risultare necessari per molto tempo. I farmaci immunosoppressori (azatioprina) e la plasmaferesi giovano ad alcuni pazienti.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO NEUROPATIE PERIFERICHE NEUROPATIE EREDITARIE Le neuropatie ereditarie sono classificate in neuropatie sensitivomotorie o sensitive. (Per le neuropatie ereditarie di tipo motorio, v. Malattie del Motoneurone Superiore e Inferiore, sopra.) La malattia di Charcot-Marie-Tooth è la neuropatia sensitivomotoria più comune (v. oltre). Neuropatie meno comuni insorgono alla nascita e comportano invalidità grave. Nelle neuropatie sensitive, che sono rare, la perdita distale della sensibilità dolorifica e termica è maggiore della perdita della pallestesia e della propiocezione. Il problema maggiore è rappresentato dalla mutilazione del piede da insensibilità dolorosa, con infezioni frequenti e osteomieliti. La neuropatia sensitiva e motoria di tipo I e II (malattia di Charcot-MarieTooth, atrofia muscolare peroneale) è una malattia ereditaria piuttosto comune solitamente di tipo autosomico dominante, caratterizzata da perdita di forza e atrofia localizzate primariamente ai muscoli peroneali. I pazienti possono anche presentare altre patologie degenerative (p. es., atassia di Friedreich), oppure un’anamnesi familiare per esse. I pazienti affetti dal tipo I iniziano a presentare nella seconda infanzia la caduta del piede e un’atrofia muscolare distale, lentamente progressiva, che porta alla caratteristica "deformità a zampa di cicogna"; i muscoli intrinseci della mano si atrofizzano più tardivamente. La pallestesia, la sensibilità dolorifica e quella termica diminuiscono, con distribuzione a calza e a guanto. I riflessi tendinei profondi sono assenti. Nei familiari portatori del tratto genetico della malattia gli unici segni presenti possono limitarsi ad alcune deformità a carico del piede, cioè piede cavo e dita a martello. Le velocità di conduzione nervosa sono basse e le latenze distali prolungate. Insorgono demielinizzazioni e remielinizzazioni segmentarie. I nervi periferici ingrossati possono essere palpati. La malattia evolve lentamente ed è compatibile con una vita relativamente normale. La forma di tipo II evolve più lentamente, con deficit di forza a sviluppo in genere tardivo. I pazienti presentano velocità di conduzione normali, ma diminuzione dei potenziali evocati. La biopsia dimostra la degenerazione walleriana. La neuropatia sensitiva e motoria di tipo III (neuropatia ipertrofica interstiziale, malattia di Dejerine-Sottas) è una forma rara autosomica recessiva, si presenta durante l’infanzia con debolezza muscolare progressiva e perdita della sensibilità e dei riflessi tendinei. In fase iniziale è simile alla forma vista in precedenza, ma il quadro clinico evolve più rapidamente. Si tratta di una malattia con demielinizzazione-rimielinizzazione con nervi periferici aumentati di volume e aspetto "a bulbo di cipolla" alla biopsia. La diagnosi si basa sulla caratteristica distribuzione della debolezza muscolare, sulle deformità dei piedi, sulla storia familiare e sulle anomalie elettrofisiologiche. È possibile l’analisi genetica, ma non il trattamento specifico. Possono essere utili raccomandazioni sulla scelta professionale, in relazione alla progressione della malattia. Gli apparecchi ortopedici correggono la caduta del piede; è inoltre utile la chirurgia ortopedica per la stabilizzazione del piede.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO NEUROPATIE PERIFERICHE LA SINDROME DI PROTEO Disturbo a trasmissione genetica dominante caratterizzato da macrocefalia, lipomi, emangiomi, asimmetria delle braccia o delle gambe e piedi piatti (piedi a mocassino). Questa sindrome prende il nome dal dio greco che appariva in forme diverse. La causa è sconosciuta. Altre caratteristiche sono l’ipocalcemia, le crisi comiziali e l’atrofia muscolare. Il trattamento è sintomatico.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO DISTURBI DELLA TRASMISSIONE NEUROMUSCOLARE La miastenia gravis rappresenta l’alterazione più importante della trasmissione neuromuscolare (v. oltre). La sindrome di Eaton-Lambert è un disturbo presinaptico conseguente alla disfunzione del rilascio di acetilcolina dalle sinapsi (v. Sindromi Paraneoplastiche del SNC nel Cap. 177). Anche nel botulismo è presente una diminuita liberazione di acetilcolina dai terminali presinaptici (v. Cap. 28). La tossina prodotta dalle spore del Clostridium botulinum si lega in modo irreversibile alle placche colinergiche terminali dei nervi. La conseguenza è il profonda deficit di forza, talora con compromissione respiratoria, brevemente dopo l’ingestione di cibo contaminato. In tale malattia si osserva una diminuzione lieve della risposta alla stimolazione del nervo, ma insorge una risposta incrementata notevole dopo l’esercizio fisico o mediante stimolazioni nervose ripetute (20 Hz). Farmaci o agenti tossici possono bloccare la funzione della giunzione neuromuscolare. I farmaci colinergici usati per la miastenia grave, gli insetticidi organofosforici e la maggior parte dei gas nervini bloccano la trasmissione neuromuscolare depolarizzando i recettori postsinaptici con un eccesso di acetilcolina; si manifestano miosi, broncorrea e debolezza muscolare analoga a quella della miastenia. Gli aminoglicosidi e gli antibiotici polipeptidici diminuiscono sia la liberazione presinaptica di acetilcolina che la sensibilità della membrana postsinaptica a questo mediatore; soprattutto con alti livelli sierici tali antibiotici possono aumentare il blocco neuromuscolare nei pazienti con difetti latenti o manifesti della trasmissione neuromuscolare. I trattamenti a lungo termine con penicillinamina possono dare sindromi reversibili analoghe, da un punto di vista clinico ed elettromiografico, alla miastenia grave. Il trattamento consiste nella rimozione del farmaco dell’agente tossico e nell’assicurare il supporto respiratorio necessario. L’atropina PO alla dose di 0,4-0,6 mg/die tid diminuisce la secrezione bronchiale in pazienti con tono colinergico anormalmente elevato. La sindrome dell’uomo rigido è caratterizzata dalla insorgenza insidiosa di una rigidità progressiva del tronco e dell’addome nonché, in grado minore, delle gambe e delle braccia. I pazienti sono altrimenti normali e l’esame obiettivo evidenzia solo ipertrofia muscolare e rigidità. L’elettromiografia mostra solo attività elettriche di contrazioni normali. La sindrome può essere di tipo autoimmune. Autoanticorpi contro la decarbossilasi dell’acido glutammico sono stati individuati. Solo terapia sintomatica è disponibile. Il diazepam rappresenta l’unico farmaco che diminuisce in modo consistente la rigidità muscolare. I risultanti della plasmaferesi non sono univoci. La sindrome di Isaac è un disturbo a causa sconosciuta che produce principalmente sintomi localizzati agli arti. Le anomalie possono originare in un nervo periferico, in quanto sono abolite dal curaro ma persistono in genere dopo anestesia generale. Conditio sine qua non è la miochimia-guizzo muscolare continua descritta come i movimenti "di un sacco pieno di vermi". Anche presenti in genere sono gli spasmi carpo-podalici, crampi intermittenti, aumentata sudorazione e la pseudomiotonia (rilassamento compromesso dopo una forte contrazione muscolare ma senza il segno dell’"aereo in picchiata", l’anomalia elettromiografica caratteristica della vera miotonia). La carbamazepina o la

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fenitoina diminuiscono i sintomi.

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Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO DISTURBI DELLA TRASMISSIONE NEUROMUSCOLARE MYASTHENIA GRAVIS Malattia caratterizzata da episodi di faticabilità e debolezza causata da compromissione o disfunzione dei recettori per l’acetilcolina.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Un attacco autoimmune distrugge o compromette la funzione dei recettori per l’acetilcolina alla giunzione neuromuscolare postsinaptica, interferendo con la trasmissione neuromuscolare. Non si conosce l’evento iniziale che porta alla produzione di anticorpi. La malattia è più comune nelle donne; si sviluppa in genere nelle donne tra i 20 e i 40 anni, ma può evidenziarsi anche in altre età. La miastenia neonatale è una sindrome caratterizzata da debolezza muscolare generalizzata che si manifesta nel 12% dei lattanti di madri con miastenia grave, a causa del passaggio passivo di anticorpi attraverso la placenta. I sintomi regrediscono in giorni o settimane dalla diminuzione dei titoli anticorpali. La miastenia congenita è una rara malattia autosomica recessiva della giunzione neuromuscolare che inizia durante l’infanzia. Gli anticorpi anti-recettore colinergico sono assenti, la malattia non viene pertanto considerata autoimmune. L’oftalmoplegia è comune.

Sintomi e segni I segni più frequenti sono la ptosi palpebrale, la diplopia e l’affaticabilità dei muscoli dopo l’esercizio; i muscoli oculari sono interessati all’inizio nel 40 e infine nell’85% dei pazienti. Sono frequenti anche la disartria, la disfagia e la debolezza muscolare prossimale degli arti. I riflessi e la sensibilità rimangono in genere inalterati, mentre le manifestazioni cliniche presentano una notevole variabilità nel corso delle ore e dei giorni. Soprattutto durante le ricadute è frequente lo sviluppo di una grave tetraparesi generalizzata; alcuni pazienti si presentano con sintomi bulbari (p. es., alterazioni della voce, rigurgito nasale, soffocamento o disfagia). In circa il 10% dei pazienti ci può essere un coinvolgimento dei muscoli respiratori con grave pericolo di vita (crisi miasteniche). La miastenia oculare è un sottotipo della malattia generalizzata che coinvolge soltanto la muscolatura estrinseca.

Diagnosi La diagnosi di miastenia gravis può essere indicata dal fatto che tutti i sintomi file:///F|/sito/merck/sez14/1831608.html (1 of 3)02/09/2004 2.29.05

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descritti in precedenza migliorano con il test all’edrofonio (Tensilon, N.d.T.), un anticolinesterasico con breve durata d’azione (< 5 min.). Si prepara una siringa con 10 mg di soluzione, se ne somministrano 2 mg EV e se non ci sono reazioni dopo 30 s si somministra il resto. Se il paziente è affetto da miastenia gravis, la funzione muscolare migliora improvvisamente e per breve tempo. Il test può inoltre differenziare tra crisi miasteniche e colinergiche: i pazienti con crisi miasteniche migliorano, ma quelli con crisi colinergiche peggiorano. Durante l’esecuzione del test ci può essere una pericolosa depressione dell’attività cardiorespiratoria: per tale motivo è necessario avere a disposizione l’atropina da usare come antidoto. I test elettrofisiologici e le alterazioni sierologiche possono aiutare a dirimere i casi dubbi. Nel 60% dei pazienti miastenici lo studio della trasmissione neuromuscolare evidenzia una diminuzione della risposta di ampiezza del potenziale di azione muscolare composto dopo ripetuta stimolazione del nervo a 2 o 3 Hz. L’EMG delle singole fibre può migliorare il rendimento diagnostico fino al 95%. Gli anticorpi anti-recettori colinergici si trovano nel siero del 90% dei pazienti con miastenia generalizzata, ma solo nel 50% dei pazienti affetti dalla forma oculare; il livello degli anticorpi non si correla con la gravità della malattia. La TAC e la RMN del mediastino possono documentare in alcuni casi l’associazione di timomi.

Terapia La miastenia gravis può risultare difficile da trattare, così la maggior parte dei pazienti anche con malattia di moderata gravità migliora di più se trattata da uno specialista esperto. I farmaci inibitori della colinesterasi e la plasmaferesi sono in grado di controllare i sintomi, i corticosteroidi e gli immunosoppressori e la timectomia possono influire sul decorso della malattia interferendo con i meccanismi autoimmunitari. La piridostigmina alla dose di 60-240 mg PO q 3-4 h è il farmaco colinergico più usato. La dose deve essere individualizzata con accortezza; esacerbazioni anche lievi possono rendere necessario un suo aumento. I pazienti che presentano grave disfagia con difficoltà a inghiottire durante il mattino possono assumere capsule a lunga durata d’azione alla sera. Questi farmaci provocano coliche e diarrea, meno accentuate, in alcuni pazienti, con la piridostigmina rispetto alla neostigmina. L’atropina PO alla dose di 0,4-0,6 mg/die PO da bid a tid o la propantelina alla dose di 15 mg da tid a qid possono essere somministrate per alleviare gli effetti collaterali GI. Quando si rende necessaria la terapia parenterale (p. es., in caso di disfagia), la neostigmina potrà essere sostituita (1,0 mg equivalgono a 60 mg di piridostigmina). L’anticolinesterasi può non essere in grado di diminuire i sintomi, specialmente la paralisi dei muscoli extraoculari. Nel caso fossero inefficaci, si potrà tentare con la somministrazione di efedrina, 25 mg PO, come supplemento. L’assunzione dei farmaci e sintomi clinici devono essere attentamente controllati. I pazienti affetti da paresi respiratoria che non rispondono ai farmaci necessitano di un supporto respiratorio completo (v. Ventilazione meccanica nel Cap. 66). Il dosaggio eccessivo di neostigmina o di piridostigmina causa un deficit di forza che non può essere differenziato clinicamente dalla miastenia. La patologia può diventare refrattaria ai farmaci. Perciò, se un paziente che stava meglio comincia a peggiorare, la causa dovrà essere differenziata con il test EV di edrofonio. Se il paziente migliora, il dosaggio è inadeguato. Se il paziente peggiora, il dosaggio è eccessivo o la malattia è refrattaria al trattamento. I corticosteroidi sono utili per il trattamento a lungo termine e risultano di utilità più limitata durante le crisi. Il dosaggio a giorni alterni di prednisone 60-70 mg induce in genere un miglioramento in pochi mesi, dopo i quali la dose dovrà essere ridotta al minimo necessario. L’azatioprina 150-200 mg/die presenta lo stesso grado di beneficio. Questi farmci dovranno essere somministrati con le solite precauzioni.

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Malattie del sistema nervoso periferico

La timectomia è indicata nella maggior parte dei pazienti con malattia generalizzata; successivamente, l’80% andrà incontro a remissione o necessiterà di un dosaggio di mantenimento più basso. Il timoma, se presente, dovrà essere rimosso per prevenirne l’espansione nel mediastino. La plasmaferesi può essere utile prima della timectomia nei pazienti refrattari e durante le crisi.

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Patologie muscolari

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 184. PATOLOGIE MUSCOLARI DISTROFIE MUSCOLARI Gruppo di patologie muscolari ereditarie, progressive, distinte clinicamente dalla distribuzione selettiva del deficit di forza.

Sommario: Introduzione DISTROFIA DI DUCHENNE Diagnosi e terapia

La distrofia di Duchenne è la forma più comune e importante (v. oltre). La distrofia muscolare facioscapolomerale (Landouzy-Dèjerine) è una forma autosomica dominante caratterizzata da debolezza dei muscoli della faccia e del cingolo scapolare, che inizia soprattutto in un’età compresa tra i 7 e i 20 anni. Il gene è localizzato sul cromosoma 4q35 nella maggior parte delle famiglie, ma il difetto genetico non è stato identificato e la patogenesi è ignota. Insorge precocemente la difficoltà nel fischiare, nel chiudere gli occhi e nell’elevazione delle braccia, per il deficit di forza dei muscoli scapolari. In alcuni pazienti si sviluppa debolezza dei muscoli tibiale anteriore e peroneo. Anche se si instaura il piede cadente, la deambulazione è raramente perduta. L’aspettativa di vita è normale. Nella distrofia muscolare dei cingoli, il deficit di forza interessa un cingolo e la parte prossimale di un arto. Proteine strutturali (le glicoproteine distrofiaassociate) o non strutturali (p. es., le proteasi) possono essere colpite. Diversi loci cromosomici sono stati identificati nelle forme autosomiche dominanti (5q [ nessun prodotto genico conosciuto]) e recessive (2q, 4q [beta-sarcoglicano], 13q [gamma-sarcoglicano], 15q [calpaina, una proteasi attivata dal calcio e 17q [alpha-sarcoglicano o adalina]).

DISTROFIA DI DUCHENNE Disturbo recessivo legato al cromosoma X caratterizzato da deficit di forza muscolare progressiva prossimale con distruzione e rigenerazione delle fibre muscolari e sostituzione con tessuto connettivo. La distrofia di Duchenne è provocata da una mutazione nel locus Xp21, che comporta l’assenza di distrofina, una proteina trovata dentro la membrana cellulare muscolare. Colpisce 1 su 3000 maschi nati vivi. I sintomi insorgono di norma nei maschi dai 3 ai 7 anni d’età; comprendono l’andatura anserina, andatura steppante, lordosi, cadute frequenti e difficoltà ad alzarsi e a salire le scale. Il cingolo pelvico è colpito prima di quello della spalla. L’evoluzione è costante e si sviluppano contratture in flessione degli arti e scoliosi. Si sviluppa una pseudoipertrofia dura (sostituzione grassa e fibrosa di alcuni gruppi muscolari ingranditi e in modo notevole dei polpacci). La maggior parte dei pazienti finisce sulla sedia a rotelle dall’età di 10 o 12 anni e decede per complicanze respiratorie dall’età di 20 anni. L’interessamento cardiaco è in file:///F|/sito/merck/sez14/1841610.html (1 of 2)02/09/2004 2.29.06

Patologie muscolari

genere asintomatico, sebbene il 90% dei pazienti presenti anomalie ECG. Un terzo presenta una lieve, compromissione intellettuale non evolutiva che interessa la capacità verbale più che le altre funzioni. La distrofia muscolare di Becker è una variante meno grave, anch’essa legata a una mutazione nel loco Xp21. La distrofina è ridotta in quantità o nel peso molecolare. I pazienti rimangono in genere ambulatoriali e la maggior parte sopravvive fino ai 30-40 anni.

Diagnosi e terapia La diagnosi si basa sulle caratteristiche cliniche, sull’età di insorgenza, sull’anamnesi familiare e sul supporto dei rilievi bioptici muscolari, dell’EMG e della prova di immunoassorbimento per la distrofina. La CK sierica è notevolmente aumentata (fino a 50-100 volte i valori normali), iniziando nelle fasi presintomatica e precoce della malattia. La velocità di conduzione dei nervi è normale, mentre l’elettromiografia evidenzia un rapido recupero e brevi potenziali di unità motoria a bassa ampiezza. La biopsia muscolare evidenzia all’inizio necrosi e modificazioni di numero e di grandezza delle fibre muscolari. L’analisi della distrofina dei reperti muscolari rappresenta il test diagnostico di scelta; la distrofina è assente nei casi di distrofia di Duchenne. L’analisi delle mutazioni del DNA isolato dai leucociti del sangue periferico individua le delezioni o le duplicazioni nel gene della distrofina in circa il 65% dei pazienti e mutazioni puntiformi in circa il 25%. L’identificazione del portatore e la diagnosi prenatale sono possibili mediante studi convenzionali (quali l’analisi genealogica, la determinazione delle CPK e la determinazione del sesso del nascituro) e con tecniche di analisi del DNA ricombinante e di immunoassorbimento per la distrofina del tessuto muscolare. In questo caso si consiglia di far riferimento ai principali centri medici specializzati nel settore. Non esiste trattamento specifico. Tuttavia, il prednisone assunto giornalmente produce un significativo miglioramento clinico a lungo termine. Ma a causa degli effetti collaterali, il prednisone dovrà essere riservato ai pazienti con il maggiore declino funzionale. La terapia genica non è disponibile. Deve essere incoraggiato un moderato esercizio fisico, così come sarà molto utile la chirurgia correttiva nelle forme lentamente progressive. La fisioterapia passiva può allungare il periodo di autonomia deambulatoria del paziente anche nelle forme più gravi; si dovrà evitare l’obesità; la richiesta calorica deve essere considerata inferiore al normale. È indicata la consulenza genetica (v. Consulenza genetica al Cap. 286)

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Patologie muscolari

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 184. PATOLOGIE MUSCOLARI MIOPATIE Vi rientrano le miopatie congenite e metaboliche, comprese le tesaurismosi glicogeniche e le miopatie mitocondriali. Le miopatie congenite rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie che causano ipotonia nell’infanzia o deficit di forza e ritardato sviluppo motorio. Una forma autosomica dominante di miopatia nemalinica risulta legata al cromosoma 1 (gene dell’α-tropomiosina) e una forma recessiva al cromosoma 2. Altre forme sono causate da mutazioni nel gene del recettore della rianodina (il canale di rilascio del calcio del reticolo sarcoplasmatico) sul cromosoma 19q. Le anomalie scheletriche e le caratteristiche dismorfiche sono comuni. La diagnosi viene posta mediante l’esame istochimico e al microscopio elettronico di un campione di tessuto muscolare per l’individuazione delle alterazioni morfologiche. Le miopatie mitocondriali variano da forme lievi di deficit di forza progressiva dei muscoli extraoculari fino a gravi, fatali miopatie infantili ed encefalomiopatie multisistemiche. Alcune sindromi sono state definite, con alcune sovrapposizioni tra loro. Sindromi definite che colpiscono il muscolo comprendono l’oftalmoplegia esterna progressiva, la sindrome di Kearns-Sayre (con oftalmoplegia, retinopatia pigmentosa, difetti di conduzione cardiaca, atassia cerebellare e sordità sensorineurale), la sindrome MELAS (Mitochondrial Encephalomyopathy, Lactic Acidosis, and ictus-like episodes), la sindrome MERFF (Myoclonic Epilepsy and Ragged Red Fibers), deficit di forza dei cingoli degli arti e miopatia infantile (benigna o grave e mortale). I campioni di biopsia muscolare con colorazione Gomori modificata mostrano le fibre rosse frastagliate per l’eccessivo accumulo di mitocondri. I difetti biochimici nel trasporto del substrato e della sua utilizzazione, del ciclo di Krebs, della fosforilazione ossidativa o della catena respiratoria sono individuabili. Numerose mutazioni puntiformi del DNA mitocondriale e delezioni sono state descritte, trasmesse mediante ereditarietà materna, con modalità non mendeliana. Sono presenti mutazioni negli enzimi mitocondriali a codificazione mitocondriale. Le malattie da accumulo di glicogeno muscolare sono rare malattie autosomiche recessive caratterizzate da un accumulo abnorme di glicogeno nel muscolo scheletrico dovuto a uno specifico difetto biochimico del metabolismo dei carboidrati. Tali malattie possono essere clinicamente variabili come gravità (v. anche Malattie da accumulo di glicogeno al Cap. 269). Nella forma più grave, il deficit della maltasi acida, nella quale è assente la 1,4-glucosidasi (malattia di Pompe), si manifesta entro il primo anno di vita e ha un esito fatale entro il 2o anno; il glicogeno si accumula nel tessuto cardiaco, nel fegato, nei muscoli e nei nervi. In una forma meno grave, questo deficit può causare nei pazienti adulti una diminuzione prossimale di forza agli arti e al diaframma, con conseguente ipoventilazione. All’elettromiogramma sono osservabili le scariche miotoniche, ma la miotonia non si presenta a livello clinico. Altri deficit enzimatici (v. Tab. 2694) causano crampi dolorosi dopo l’esercizio, seguiti da mioglobinuria. La diagnosi si basa sulla dimostrazione di specifiche anomalie enzimatiche e da un test ischemico. Per prevenire l’insufficienza renale durante gli episodi di mioglobinuria è importante controllare la diuresi. La maggior parte dei pazienti impara a limitare la propria attività e ad assumere liquidi dopo gli esercizi.

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Patologie muscolari

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE ERRORI CONGENITI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI MALATTIE DI ACCUMULO DI GLICOGENO (Glicogenosi) Gruppo di malattie ereditarie causate dall’assenza di uno o più enzimi coinvolti nella sintesi o nel catabolismo del glicogeno e caratterizzate dal deposito di quantità o tipi abnormi di glicogeno nei tessuti. Le malattie da accumulo di glicogeno (GSD) possono coinvolgere preminentemente il fegato (GSD I, III, IV, VI) o il muscolo (GSD V, VII, v. Tab. 269-4). L’ereditarietà è autosomica recessiva in tutte le forme eccetto che nel tipo VI, a trasmissione legata al sesso. L’incidenza delle glicogenosi è di circa 1/25000, che può essere troppo bassa perché alcune forme causano solo minime alterazioni e possono rimanere non diagnosticate. I sintomi e i segni sono dovuti all’accumulo di glicogeno o di altri metaboliti intermedi, oppure alla mancanza dei prodotti finali della scissione del glicogeno, in particolare del glucoso. Le manifestazioni cliniche, la gravità e l’età di esordio variano a seconda dell’espressione organo-specifica del sistema enzimatico alterato (v. Tab. 269-4). La GSD II coinvolge tutti gli organi che hanno un’ampia struttura neuromuscolare, compreso il miocardio (v. Miopatie nel Cap. 184). Il glicogeno e alcuni metaboliti intermedi depositati nei tessuti possono essere misurati in modo non invasivo con la RMN. La diagnosi viene confermata dalla biopsia, che mostra l’assenza dell’enzima specifico nel tessuto patologico. La terapia delle GSD che interessano principalmente il fegato è diretta alla prevenzione dell’ipoglicemia e dell’acidosi lattica con la somministrazione di piccoli e frequenti pasti di carboidrati. La farina di mais cruda garantisce una glicemia stabile e riduce l’acidosi lattica, l’iperuricemia e l’iperlipidemia e questo può permettere una crescita di recupero. Alternativamente, la nutrizione continua notturna per sondino nasogastrico può garantire l’apporto di glucoso. La GSD IV è stata trattata con il trapianto epatico. L’allopurinolo può essere necessario per prevenire la gotta e i calcoli renali di urati. Le GSD che interessano soprattutto il muscolo vengono trattate limitando l’esercizio anaerobico (ischemico). Una dieta ricca di proteine è utile per alcuni pazienti.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 269-4. CARATTERISTICHE DELLE GLICOGENOSI Tipo

Età d’esordio tipica

Eponimo

Sistema enzimatico alterato

Organi o tessuti interessati

Segni clinici

IA

Periodo Malattia di Glucoso-6neonatale von Gierke fosfatasi o 3-4 mesi

Fegato, reni

Epatomegalia e nefromegalia,ritardo di crescita,grave ipoglicemia, acidosi, iperlipemia, iperuricemia.

IB

Periodo neonatale o 3-4 mesi

Glucoso-6fosfatasi translocasi

Fegato, leucociti

Simili ai precedenti, ma meno gravi; neutropenia, infezioni batteriche ricorrenti, ulcera GI

IC

Periodo neonatale o 3-4 mesi

Fegato, reni Trasporto microsomiale del fosfato o pirofosfato

Simili a quelli del tipo IA

ID

Periodo neonatale o 3-4 mesi

Trasporto Fegato, reni microsomiale del glucoso

Simili a quelli del tipo IA

II

Prima dei Malattia di Pompe 2 anni o tarda infanzia

Tutti gli organi Epatomegalia, α-glucosidasi cardiomegalia, acida lisosomiale grave ipotonia, cardiomiopatia

III

Infanzia

Enzima deramificante

Malattia di Forbes, malattia di Cori

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Fegato, Simili a quelli del muscoli, tipo IA, con cuore, leucociti debolezza muscolare progressiva in età adulta

Manuale Merck - Tabella

IV

≤18 mesi

Malattia di Andersen

Enzima ramificante

Fegato, muscoli, la maggior parte dei tessuti

Cirrosi progressiva nel tipo giovanile, miopatia e scompenso cardiaco nel tipo ad esordio tardivo

V

Età adulta Malattia di

Fosforilasi muscolare

Muscolo scheletrico

Crampi durante l’esercizio fisico senza incremento della lattacidemia

Fosforilasi epatica

Fegato

Epatomegalia, ipoglicemia a digiuno, spesso asintomatici

McArdle

VI

Prima infanzia

Malattia di Hers

VII

Età adulta Malattia di Tauri

Fosfofruttochinasi Muscolo scheletrico, globuli rossi

Crampi durante l’esercizio fisico senza incremento della lattacidemia, emolisi

Età adulta

Glicogeno sintetasi

Ipoglicemia a digiuno, chetosi, steatosi epatica

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Fegato

Patologie muscolari

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 184. PATOLOGIE MUSCOLARI PATOLOGIE DEI CANALI IONICI Patologie neuromuscolari con disturbi funzionali legati a difetti del sistema di conduzione di membrana, conseguenti a mutazioni interessanti i canali ionici. DISTURBI MIOTONICI Gruppo di alterazioni caratterizzate da anomala lentezza di rilasciamento, dopo contrazione muscolare volontaria, causata da anomalia della membrana muscolare. La distrofia muscolare miotonica (malattia di Steinert) è una patologia autosomica dominante multisistemica caratterizzata da ipostenia muscolare distrofica e da miotonia. Il difetto molecolare è rappresentata da un’espansione trinucleotidica (CTG) ripetuta nella regione non tradotta 3´ del gene della miotonina-protein chinasi sul cromosoma 19q. I sintomi insorgono a qualsiasi età e il grado di gravità è variabile. La miotonia è evidente nei muscoli delle mani; la ptosi è frequente anche nelle forme lievi. I casi più gravi mostrano una marcata perdita di forza soprattutto dei muscoli distali con un’alta incidenza di cataratta, atrofia testicolare, calvizie precoce, alterazioni nella conduzione del muscolo cardiaco, un volto caratteristico e anomalie endocrine, cioè diabete mellito. Di frequente si presenta il ritardo mentale. Le persone colpite in modo grave muoiono entro il 5o decennio. La miotonia congenita (malattia di Thomsen) è una rara forma di miotonia autosomica dominante che solitamente inizia in età infantile. In diverse famiglie, l’alterazione è stata legata alla regione del cromosoma 7 contenente un gene per un canale muscolare per il cloro. La miotonia produce i sintomi maggiormente invalidanti a livello delle mani, delle gambe e delle palpebre. La sintomatologia migliora con l’esercizio fisico. La perdita di forza è di solito minima. I muscoli possono ipertrofizzarsi. La diagnosi si basa in genere sul caratteristico aspetto fisico del paziente, sulla sua impossibilità a rilasciare la stretta rapidamente dopo aver aperto e chiuso la mano e sulla contrazione muscolare sostenuta dopo la percussione diretta del muscolo. La miotonia provoca un tipico rumore di aereo in picchiata all’elettromiografia; è importante lo studio della familiarità. Nella miotonia congenita la terapia orale con fenitoina 5 mg/kg/die o con chinino solfato 300-600 mg bid o tid o con procainamide a dosi inizialmente contenute e aumentate sino a raggiungere i 4-6 g/die può diminuire la rigidità e le contratture muscolari. Nella distrofia miotonica, la miotonia raramente necessita di trattamento; la chinina o il procainamide possono peggiorare i difetti di conduzione cardiaca. Il deficit di forza non risponde alla terapia, ma gli esercizi attivi e passivi possono risultare utili. La nifedipina è utile nel trattamento della miotonia resistente agli altri farmaci.

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Patologie muscolari

Manuale Merck 14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO 184. PATOLOGIE MUSCOLARI PATOLOGIE DEI CANALI IONICI Patologie neuromuscolari con disturbi funzionali legati a difetti del sistema di conduzione di membrana, conseguenti a mutazioni interessanti i canali ionici. PARALISI PERIODICA FAMILIARE Gruppo di rari disturbi autosomici dominanti caratterizzati da episodi di paralisi flaccida con perdita dei riflessi osteo-tendinei e mancata risposta muscolare alla stimolazione elettrica.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La forma ipopotassiemica è dovuta alla mutazione genica del recettore della diidropiridina (un canale associato al calcio sul cromosoma 1q). La forma iperkaliemica è dovuta a mutazioni nel gene sul cromosoma 17q che codifica la α-subunità dei canali per il sodio del muscolo scheletrico (SCN4A).

Sintomi e segni La coscienza non è alterata. Nella forma ipokaliemica gli attacchi iniziano in genere prima dei 16 anni. Il giorno seguente a una vigorosa attività muscolare, il paziente si sveglia spesso con un’astenia di grado lieve, limitata ad alcuni gruppi muscolari o coinvolgente tutti e quattro gli arti. Le crisi di deficit di forza sono scatenate dai cibi ricchi di carboidrati. La muscolatura orofaringea e respiratoria viene risparmiata. Nelle urine e nel siero si rileva una diminuzione di K; la paralisi dura in genere fino a 24 h. Nella forma iperkaliemica le crisi spesso iniziano in un’età più precoce e sono in genere più brevi, più frequenti e meno gravi; le crisi sono peggiorate dal riposo dopo l’esercizio fisico o dal digiuno. La miotonia è frequente. La miotonia palpebrale può essere l’unico sintomo.

Diagnosi e terapia La traccia migliore è rappresentata da una storia di attacchi tipici; durante un episodio è importante documentare i livelli sierici di potassio. Tali episodi possono essere provocati dal glucoso o dall’insulina (forma ipokaliemica) o dal KCl (forma iperkaliemica); ciò va effettuato da medici esperti, in appropriati centri, dal momento che possono verificarsi paralisi respiratorie o turbe della conduzione cardiaca. La diagnosi differenziale comprende le condizioni di ipokaliemia persistente e l’ipertiroidismo, soprattutto nei maschi orientali.

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Patologie muscolari

L’astensione dai cibi ricchi di carboidrati, il continuo esercizio e l’assunzione di acetazolamide 250-2000 mg/die per via orale aiutano a prevenire le crisi ipokaliemiche. Le crisi sono trattate mediante cloruro di potassio 2-10 g in soluzione orale non dolcificata. L’ingestione frequente di cibi ricchi di carboidrati e poveri di potassio e l’evitare il digiuno e l’esercizio continuo aiutano a prevenire le crisi iperkaliemiche. All’insorgenza, le crisi lievi sono interrotte con un esercizio moderato e con un carico di carboidrati di 2 g/kg. L’attacco insorto richiede tiazide, acetazolamide e/o l’inalazione di β-agonisti e le crisi gravi necessitano di calcio gluconato endovena.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE CATETERISMO CARDIACO ANGIOCARDIOGRAFIA

Sommario: Introduzione Procedura Effetti fisiologici e complicanze

Durante il cateterismo cardiaco, si esegue l’angiocardiografia per visualizzare ciascuna camera cardiaca, i grossi vasi e le arterie coronariche.

Procedura Quando si sospetta una particolare patologia, il mezzo di contrasto (di solito un composto iodato) viene iniettato in questo sito o nella camera con la pressione più alta. Di conseguenza, nelle insufficienze valvolari, il mezzo di contrasto viene iniettato nella camera a pressione più alta adiacente alla valvola. L’angiocardiografia con tecnica biplana consente di avere una visione tridimensionale del cuore e dei grossi vasi. A differenza delle immagini statiche, i cinecardiogrammi possono essere visualizzati in tempo reale durante l’iniezione e l’intera sequenza può essere contemporaneamente registrata su videocassetta e ritrasmessa fotogramma per fotogramma. L’angiografia a sottrazione digitale è usata per arterie non in movimento e per la cineangiografia delle cavità. Ventricolo destro e valvola polmonare: l’iniezione diretta del mezzo di contrasto a livello dell’apice del ventricolo destro consente di valutare la continenza della tricuspide e permette la visualizzazione della valvola polmonare, della regione sottovalvolare e delle arterie polmonari prossimali. Il tratto di efflusso del ventricolo destro si visualizza meglio con il paziente in decubito laterale; questa proiezione permette anche di evidenziare i rapporti fra l’arteria polmonare e l’aorta. Occasionalmente, si può visualizzare un difetto del setto interventricolare o una comunicazione tra il ventricolo destro e l’aorta. Arteria polmonare: l’angiografia polmonare è la tecnica più accurata per la diagnosi di embolia polmonare acuta; i difetti di riempimento intraluminali e l’amputazione della trama arteriosa sono diagnostici. Il mezzo di contrasto viene iniettato nell’arteria polmonare principale o nel tratto di efflusso del ventricolo destro, ma l’iniezione selettiva di una o di entrambe le arterie polmonari può fornire una migliore definizione con una minor quantità di mezzo di contrasto. Atrio sinistro: processi occupanti spazio (p. es., mixomi, trombi) sono di solito i motivi che inducono a visualizzare con mezzo di contrasto l’atrio sinistro, sebbene l’ecocardiografia rappresenti la tecnica diagnostica di prima scelta per la file:///F|/sito/merck/sez16/1981747.html (1 of 2)02/09/2004 2.29.53

Tecniche diagnostiche cardiovascolari

diagnosi di tali anomalie. In questi casi, l’iniezione diretta del mezzo radiopaco nell’atrio sinistro può comunque essere rischiosa; al contrario, si può utilizzare senza pericolo la fase venosa dell’angiografia polmonare (cioè la fase in cui il mezzo di contrasto riempie l’atrio sinistro a partire dalle vene polmonari). Ventricolo sinistro: una proiezione obliqua anteriore destra 30° - 45° evidenzia al meglio l’asse lungo del ventricolo sinistro e gli aneurismi ventricolari o le aree di asinergia della parete anteriore e permette di individuare il punto di passaggio fra l’atrio e il ventricolo sinistro, cosicché si può visualizzare l’insufficienza mitralica. La proiezione obliqua anteriore sinistra viene invece impiegata per individuare il tratto di efflusso del ventricolo sinistro e l’area aortica sottovalvolare, come anche per studiare il movimento del setto interventricolare e della parete posteriore del ventricolo sinistro. La cineangiografia permette di valutare il volume, la cinesi e la funzione del ventricolo sinistro. Dopo la determinazione della massa e del volume del ventricolo sinistro mediante angiocardiogrammi monoplani o biplani, è possibile calcolare i volumi telesistolico e telediastolico e la frazione di eiezione. Aorta: l’insufficienza aortica si evidenzia meglio in una proiezione obliqua anteriore sinistra 60° o laterale sinistra, iniettando il mezzo di contrasto nell’aorta ascendente. Dagli angiogrammi aortici si diagnosticano anche la coartazione aortica, il dotto arterioso pervio e la dissezione aortica. Arterie coronarie: le indicazioni per l’angiografia coronarica comprendono: l’angina instabile (inclusa l’angina post-IMA che non risponde ad adeguata terapia medica o è solo parzialmente risolta da essa); il dolore toracico atipico; le valvulopatie che possono essere corrette mediante sostituzione valvolare, specialmente in pazienti con storia di angina o di sincope; lo scompenso cardiaco da causa sconosciuta, che può essere dovuto ad aneurisma ventricolare sinistro.

Effetti fisiologici e complicanze Dopo l’iniezione, in genere i pazienti avvertono una transitoria sensazione di calore, specie al capo e al viso. La reazione del sistema cardiovascolare include tachicardia, leggera riduzione della pressione sistemica e aumento della GC. Effetti collaterali minori sono nausea, vomito e tosse. Complicanze più gravi (p. es., arresto cardiaco, reazioni anafilattiche, shock, convulsioni, cianosi, danno renale) sono rare. Pazienti con ematocrito elevato sono soggetti a trombosi; l’ematocrito deve essere < 65% prima dell’esecuzione dell’angiografia. L’orticaria e la congiuntivite sono reazioni di tipo allergico e rispondono abitualmente alla somministrazione di difenidramina alla dose di 50 mg EV. Reazioni rare sono costituite da broncospasmo, edema della laringe e dispnea e sono trattate con salbutamolo o adrenalina. Sono frequenti aritmie ventricolari se la punta del catetere tocca l’endocardio ventricolare, ma la fibrillazione ventricolare costituisce un’evenienza rara. Tutti i mezzi di contrasto sono ipertonici e vengono escreti dai reni.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI TECNICHE INVASIVE CATETERISMO CARDIACO ANGIOPLASTICA CORONARICA PERCUTANEA TRANSLUMINALE

Sommario: Introduzione Procedura Controindicazioni Complicanze

L’angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA) è indicata per la rivascolarizzazione di arterie coronarie ristrette da placche aterosclerotiche. La PTCA può essere superiore e può avere un miglior bilancio costi-benefici rispetto alla terapia trombolitica come terapia iniziale dell’IMA. Tuttavia, in molti centri viene utilizzata solo nei pazienti in cui la terapia trombolitica è controindicata. I pazienti infartuati con shock cardiogeno in atto o in via di sviluppo vanno trattati con la PTCA piuttosto che con la terapia trombolitica. La PTCA dopo trombolisi inefficace va riservata ai pazienti con ischemia subentrante o clinicamente compromessi. Infine, la PTCA può essere eseguita elettivamente in pazienti postIMA con ischemia ricorrente o inducibile prima della dimissione dall’ospedale.

Procedura Si incannula l’ostio della coronaria stenotica con un catetere guida, che permette la successiva introduzione nel vaso di un catetere dotato di un palloncino all’estremità distale. Il palloncino viene posizionato in corrispondenza della stenosi e quindi gonfiato per dilatare il vaso. Quando la procedura è stata completata, si ripete l’angiografia per documentare il cambiamento avvenuto. Per ridurre l’incidenza di trombosi nella sede della dilatazione, vengono usate diverse strategie terapeutiche a base di anticoagulanti. I calcioantagonisti e i nitrati possono ridurre lo spasmo coronarico. L’incidenza di restenosi è massima nei primi 6 mesi dopo l’angioplastica, con punte fino al 35% dei casi. Nella maggior parte dei pazienti, si ripete l’angioplastica e solo in qualche caso è necessaria la rivascolarizzazione chirurgica. Gli stent coronarici vengono utilizzati con sempre maggiore frequenza per ridurre il ricorso a ripetute procedure di rivascolarizzazione. Nelle stenosi primitive di un tratto breve (non restenosi) di arterie coronarie di buon calibro, l’impianto di stent ha ridotto il ricorso a ripetute procedure di rivascolarizzazione a breve termine. L’uso di stent nelle restenosi, nell’IMA, nelle stenosi lunghe, in caso di coronaropatia diffusa e nell’occlusione acuta è ancora in corso di studio.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Controindicazioni Controindicazioni assolute comprendono una stenosi significativa del tronco comune non protetta da un bypass pervio sulla discendente anteriore o sulla circonflessa e la mancanza di un’equipe cardiochirurgica di supporto. Controindicazioni relative comprendono una patologia della coagulazione o uno stato di ipercoagulabilità, vasi diffusamente malati in assenza di una stenosi localizzata suscettibile di dilatazione, malattia di un vaso che assicura l’apporto ematico a tutto il miocardio, occlusione totale, stenosi < 50% e vasi che perfondono aree non ischemiche in pazienti sottoposti ad angioplastica per IMA.

Complicanze Molte delle complicanze della PTCA sono simili a quelle dell’angiocardiografia (v. sopra), ma il rischio di morte, di IMA e di ictus è maggiore. Complicanze della sola PTCA comprendono l’occlusione improvvisa della coronaria e la restenosi. L’occlusione improvvisa del vaso può verificarsi fino al 4% dei casi; può essere secondaria a spasmo, dissezione o formazione di un trombo. Il trattamento comprende la terapia farmacologica (v. la terapia per queste condizioni altrove nel Manuale), l’impianto di uno stent o, in casi estremi, la contropulsazione aortica o l’intervento di bypass aorto-coronarico.

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Ipertensione arteriosa

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 199. IPERTENSIONE ARTERIOSA Aumento della PA sistolica e/o diastolica, sia primario che secondario. (Per l’ipertensione in gravidanza, v. Cap. 250.)

Sommario: Prevalenza Eziologia e patogenesi Anatomia patologica Emodinamica Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Prevalenza Si stima che negli USA ci siano circa 50 milioni di pazienti ipertesi (soggetti con PA sistolica 140 mm Hg e/o diastolica < 90 mm Hg o in terapia con farmaci antiipertensivi). Per ragioni sconosciute, sembra che la prevalenza dell’ipertensione sia in diminuzione negli USA (v. Tab. 199-1). L’ipertensione è più frequente negli adulti di razza nera (32%) piuttosto che di razza bianca (23%) o ispanici (23%) e anche la morbilità e la mortalità ad essa correlate sono maggiori nei neri. La PA diastolica aumenta con l’età sino a 55 o 60 anni. La prevalenza di ipertensione sistolica isolata (ISI, con pressione sistolica 140 mm Hg e diastolica < 90 mm Hg) aumenta con l’età fino ad almeno 80 anni. Se si considerano gli individui con ISI e ipertensione diastolica, > 50% degli uomini di razza bianca o nera e > 60% delle donne al di sopra di 65 anni sono ipertesi. L’ISI ha una prevalenza maggiore nel sesso femminile in entrambe le razze. I dati di prevalenza, rilevati principalmente da ampi programmi di screening come il "National Health and Nutrition Examination Survey", si basano su una determinazione singola o su più rilievi dei valori pressori, eseguiti in occasione di un’unica visita medica. Perciò, queste percentuali sono superiori rispetto a quelle che sarebbero state ottenute attraverso il controllo della PA nel tempo (regressione verso la media). Nell’85-90% dei casi, l’ipertensione è primitiva (essenziale); nel 5-10%, l’ipertensione è secondaria a nefropatia bilaterale e solo nell’1-2% dei casi è dovuta a condizioni potenzialmente curabili.

Eziologia e patogenesi Ipertensione primitiva: l’ipertensione primitiva (essenziale) ha un’eziologia ignota; è improbabile che le diverse alterazioni emodinamiche e fisiopatologiche che la caratterizzano derivino da una singola causa. L’ereditarietà è un fattore predisponente, sebbene il meccanismo esatto non sia chiaro. Fattori ambientali (p. es., apporto esogeno di Na, obesità, stress) sembrano agire soltanto in persone geneticamente predisposte. Reni perfusi isolati di ratti Dahl "salt

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Ipertensione arteriosa

sensitive" (geneticamente predisposti a sviluppare ipertensione quando sottoposti a una dieta ricca di sale) non eliminano liquidi o Na altrettanto rapidamente di reni di ratti Dahl "salt resistant", anche prima che si sviluppi ipertensione. I meccanismi patogenetici che sono alla base di tale patologia devono provocare un aumento delle resistenze vascolari periferiche totali (RPT) mediante vasocostrizione, un incremento della gittata cardiaca (GC), o entrambi, in quanto la PA è uguale alla GC (flusso) moltiplicata per le resistenze. Sebbene in genere si ritenga che l’espansione del volume intravascolare o extravascolare sia importante, in realtà essa può elevare i valori di PA solo provocando un aumento della GC (grazie all’aumento del ritorno venoso al cuore) o delle RPT (perché causa vasocostrizione) o entrambe le cose insieme; frequentemente, l’espansione di volume non ha nessuno di questi effetti. In alcuni casi di ipertensione, sono state descritte anomalie del trasporto di Na attraverso la parete cellulare per un difetto o per l’inibizione della pompa Na-K (ATPasi Na+, K+) o per un incremento della permeabilità al Na+. Il risultato netto di queste alterazioni è un incremento del Na intracellulare che rende la cellula più sensibile allo stimolo simpatico. Dal momento che il Ca segue il Na, si ritiene che l’accumulo intracellulare di Ca (e non il Na di per sé) sia responsabile dell’aumentata sensibilità allo stimolo simpatico. L’ATPasi Na+, K+ può anche essere responsabile del trasferimento della noradrenalina all’interno dei neuroni simpatici, dove tale neurotrasmettitore viene inattivato. Di conseguenza, l’inibizione di questo meccanismo potrebbe, in linea teorica, amplificare l’effetto della noradrenalina. Difetti nel trasporto di Na sono stati descritti in bambini normotesi, figli di ipertesi. La stimolazione del sistema nervoso simpatico induce un aumento della PA, di solito in misura maggiore nei pazienti ipertesi o nei soggetti che successivamente sviluppano ipertensione piuttosto che nei normotesi. Non è noto se tale iperresponsività dipenda direttamente dal sistema nervoso simpatico oppure dal miocardio e dal muscolo liscio vasale che il simpatico innerva, ma può essere spesso rilevata prima che si sviluppi un’ipertensione arteriosa persistente nel tempo. Un’elevata frequenza cardiaca a riposo, che può essere l’epifenomeno di un’aumentata attività simpatica, è un dato altamente predittivo dell’insorgenza di ipertensione arteriosa in futuro. Alcuni pazienti ipertesi hanno livelli di catecolamine plasmatiche più alti del normale, specialmente nelle fasi più precoci, quando incomincia a instaurarsi lo stato ipertensivo. I farmaci che riducono l’attività simpatica riducono frequentemente i valori pressori dei pazienti con ipertensione primaria. Tuttavia, tale osservazione non può essere considerata come la dimostrazione che il sistema nervoso simpatico sia il fattore causale dell’ipertensione primitiva. Nei pazienti ipertesi i riflessi barocettoriali tendono a sostenere anziché controbilanciare lo stato ipertensivo, fenomeno noto come "resetting del sistema di controllo della pressione", che comunque può costituire un effetto, piuttosto che una causa, dell’ipertensione. Un alterato sistema di deposito della noradrenalina con conseguente incremento dei suoi livelli circolanti è stato descritto in alcuni pazienti ipertesi. Nel sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’apparato iuxtaglomerulare contribuisce alla regolazione del volume circolante e della pressione arteriosa. La renina, enzima proteolitico sintetizzato nei granuli delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare, catalizza la conversione della proteina angiotensinogeno in angiotensina I, un decapeptide. Questo prodotto inattivo è a sua volta trasformato da un enzima di conversione, presente soprattutto nei polmoni ma anche nel rene e nel cervello, in un octapeptide, l’angiotensina II, che è un potente vasocostrittore e stimola anche il rilascio di aldosterone. È presente in circolo anche il des-ASP eptapeptide (angiotensina III), attivo quanto l’angiotensina II nella stimolazione del rilascio di aldosterone, ma molto meno attivo come agente vasocostrittore. La secrezione di renina è controllata da almeno quattro meccanismi che non si escludono l’un l’altro, ma possono coesistere: un recettore vascolare renale risponde alle modificazioni della tensione parietale dell’arteriola afferente; un recettore della macula densa rileva modificazioni nella velocità di escrezione o file:///F|/sito/merck/sez16/1991749.html (2 of 12)02/09/2004 2.29.56

Ipertensione arteriosa

nella concentrazione di NaCl nel tubulo distale; l’angiotensina circolante esercita un feedback negativo sul rilascio di renina; il sistema nervoso simpatico stimola la secrezione di renina attraverso i nervi renali, effetto mediato dai β-recettori. L’attività reninica plasmatica (ARP) risulta di solito normale nei pazienti affetti da ipertensione primitiva, sebbene possa essere ridotta in circa il 25% ed elevata in circa il 15% dei casi. È più probabile che l’ipertensione sia associata a bassi livelli di renina nei soggetti di razza nera e negli anziani. La fase accelerata (maligna) dell’ipertensione di solito si accompagna ad aumento della ARP (v. Nefrosclerosi arteriolare con ipertensione maligna nel Cap. 228). Sebbene generalmente si ritenga che l’angiotensina sia responsabile dell’ipertensione nefrovascolare (v. dopo), almeno nelle sue fasi iniziali, non c’è accordo circa il ruolo del sistema renina-angiotensina-aldosterone nei pazienti affetti da ipertensione primitiva, compresi quelli con elevata ARP. Secondo la teoria del mosaico, l’aumento della PA si mantiene nel tempo per la compartecipazione di diversi fattori, anche se solo uno di essi è inizialmente responsabile; p. es., il sistema nervoso simpatico e quello renina-angiotensinaaldosterone possono interagire contribuendo entrambi a perpetuare lo stato ipertensivo. L’innervazione simpatica dell’apparato iuxtaglomerulare renale libera renina; l’angiotensina stimola i centri autonomici cerebrali ad aumentare l’attività simpatica. L’angiotensina stimola anche la produzione di aldosterone, che causa ritenzione di Na; l’eccessivo livello di Na intracellulare aumenta la reattività della cellula muscolare liscia vasale alla stimolazione simpatica. L’ipertensione genera ipertensione. Quando uno stato ipertensivo dovuto a una causa identificabile (p. es., liberazione di catecolamine da un feocromocitoma, di renina e angiotensina per una stenosi dell’arteria renale, di aldosterone da un adenoma della corteccia surrenalica) persiste per un certo tempo, altri meccanismi vengono coinvolti. L’ipertrofia e l’iperplasia delle cellule muscolari lisce delle arteriole, dovute a uno stato ipertensivo di lunga durata, riducono il calibro del lume aumentando conseguentemente le RPT. Inoltre, l’accorciamento del muscolo liscio ipertrofico della parete arteriolare ispessita ridurrà il raggio del lume già ristretto di un valore di gran lunga superiore rispetto a quello che si avrebbe in caso di muscolo e lume vasale normali. Ciò può spiegare perché, più a lungo persiste uno stato ipertensivo, meno facilmente un intervento chirurgico correttivo in caso di ipertensione secondaria ripristinerà i valori pressori normali. La deficienza di un vasodilatatore piuttosto che l’eccesso di una sostanza vasocostrittrice (p. es., angiotensina, noradrenalina) può causare ipertensione. Si incomincia ora a studiare il sistema della callicreina, responsabile della produzione di bradichinina, un potente vasodilatatore. Estratti della regione midollare renale contengono sostanze vasodilatatrici, tra cui un lipide neutro e una prostaglandina; l’assenza di questi vasodilatatori per una nefropatia o per nefrectomia bilaterale indurrebbe uno stato ipertensivo. I soggetti anefrici presentano caratteristicamente una modesta ipertensione sensibile al bilancio di liquidi e di sodio (ipertensione renopriva). Le cellule endoteliali producono potenti vasodilatatori (ossido nitrico, prostaciclina) e il più potente vasocostrittore noto, l’endotelina. Di conseguenza, la disfunzione endoteliale può avere un importante effetto sulla PA. Sono in corso studi sul ruolo dell’endotelio nell’ipertensione. L’evidenza che soggetti ipertesi abbiano una ridotta attività dell’ossido nitrico è preliminare. Ipertensione secondaria: l’ipertensione secondaria si associa a nefropatie parenchimali (p. es., glomerulonefrite cronica o pielonefrite, rene policistico, collagenopatie che coinvolgono il rene, patologie ostruttive delle vie urinarie), feocromocitoma, sindrome di Cushing e iperaldosteronismo primario, ipertiroidismo, mixedema, coartazione dell’aorta o ancora patologie nefrovascolari (v. Ipertensione Nefrovascolare, oltre). Può anche essere associata all’abuso di alcol, all’assunzione di contraccettivi orali, farmaci simpatico-mimetici, corticosteroidi, cocaina o liquirizia. L’ipertensione associata con nefropatie parenchimali croniche risulta dalla combinazione di un meccanismo renina-dipendente e di un meccanismo volumedipendente. Nella maggior parte dei casi, non si può dimostrare l’aumento file:///F|/sito/merck/sez16/1991749.html (3 of 12)02/09/2004 2.29.56

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dell’attività reninica nel sangue periferico ed è necessario un attento controllo del bilancio dei liquidi per controllare la PA. La diagnosi e la terapia delle cause di ipertensione secondaria vengono trattate altrove nel Manuale. Il resto di questo capitolo sarà incentrato sull’ipertensione primitiva.

Anatomia patologica Nelle prime fasi dell’ipertensione primitiva, non si ha alcuna alterazione anatomopatologica. Successivamente, si sviluppa una sclerosi arteriolare generalizzata; essa è particolarmente evidente a livello renale (nefrosclerosi) ed è caratterizzata da ipertrofia e ialinizzazione della media. La nefrosclerosi è patognomonica dell’ipertensione primitiva. L’ipertrofia, e infine la dilatazione, del ventricolo sinistro si sviluppano gradualmente. L’aterosclerosi dei distretti coronarico, cerebrale, aortico, renale e periferico è più frequente e più grave negli ipertesi, perché l’ipertensione accelera l’aterogenesi. L’ipertensione costituisce un fattore di rischio più importante per l’ictus piuttosto che per la cardiopatia aterosclerotica. I microaneurismi di Charcot-Bouchard, frequenti nelle arterie perforanti (soprattutto dei gangli della base) dei soggetti ipertesi, possono essere all’origine di emorragie intracerebrali.

Emodinamica Non tutti i pazienti con ipertensione primitiva hanno una GC normale e RPT aumentate. Nella fase precoce, labile, dell’ipertensione primaria, la GC è aumentata e le RPT sono inappropriatamente normali per i valori di GC. Successivamente, le RPT aumentano e la GC torna a valori normali, probabilmente per l’intervento di meccanismi di autoregolazione. I pazienti con pressione diastolica persistentemente elevata hanno spesso una GC ridotta. Il ruolo delle grosse vene nella fisiopatologia dell’ipertensione primaria è stato ignorato, ma nelle fasi precoci della malattia la venocostrizione può contribuire all’aumento della GC. Il volume plasmatico tende a diminuire con l’aumento della PA, sebbene alcuni pazienti abbiano volumi plasmatici aumentati. Le variazioni delle condizioni emodinamiche, del volume plasmatico e dell’ARP dimostrano che l’ipertensione primaria è più di una singola entità nosologica o che diversi meccanismi sono coinvolti in diversi stadi della malattia. Il flusso ematico renale si riduce gradualmente a mano a mano che la PA diastolica aumenta e compare sclerosi arteriolare. La velocità di filtrazione glomerulare rimane normale fino a stadi avanzati della malattia e quindi la frazione di filtrazione è aumentata. Il flusso coronarico, cerebrale e muscolare permangono inalterati a meno che non siano presenti gravi alterazioni aterosclerotiche concomitanti in questi distretti vascolari. In assenza di scompenso cardiaco, la GC è normale o aumentata e le resistenze periferiche sono di solito elevate nell’ipertensione dovuta a feocromocitoma, iperaldosteronismo primario, patologia nefrovascolare e nefropatia parenchimale. Il volume plasmatico tende a essere elevato nell’ipertensione dovuta a iperaldosteronismo primario o a nefropatia parenchimale e può essere inferiore alla norma nel feocromocitoma. L’ipertensione sistolica (con pressione diastolica normale) non costituisce un’entità nosologica separata. Spesso è dovuta all’aumento della GC o della gittata sistolica (p. es., fase labile dell’ipertensione primitiva, tireotossicosi, fistola arterovenosa, insufficienza aortica); negli anziani con GC normale o bassa, è di solito espressione della perdita di elasticità dell’aorta e dei suoi rami maggiori (ipertensione arteriosclerotica).

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Sintomi e segni L’ipertensione primitiva è asintomatica finché non si sviluppano complicanze a livello degli organi bersaglio (p. es., insufficienza ventricolare sinistra, cardiopatia aterosclerotica, insufficienza cerebrovascolare con o senza ictus, insufficienza renale). Tuttavia, i sintomi dell’encefalopatia ipertensiva dovuta a ipertensione grave e l’edema cerebrale sono descritti più avanti. L’ipertensione non complicata non provoca vertigini, flush al volto, cefalea, affaticabilità o epistassi. La presenza di un quarto tono all’auscultazione e di un’onda P ampia e bifida all’ECG sono tra i segni più precoci di cardiopatia ipertensiva. Successivamente può aversi l’evidenza ecocardiografica di ipertrofia ventricolare sinistra. La rx del torace è spesso normale fino alla fase dilatativa della cardiopatia ipertensiva. La dissezione aortica o il sanguinamento di un aneurisma aortico possono costituire il primo segno di ipertensione o possono complicare l’ipertensione non trattata. La poliuria, la nicturia, la ridotta capacità di concentrazione delle urine da parte del rene, la proteinuria, la microematuria, la cilindruria e l’iperazotemia sono manifestazioni tardive della nefrosclerosi arteriolare. Modificazioni patologiche della retina comprendono essudati ed emorragie retiniche, edema della papilla e accidenti vascolari. In base alle alterazioni retiniche, Keith, Wagener e Barker hanno classificato i pazienti ipertesi in gruppi, con importanti implicazioni prognostiche: gruppo 1, solo costrizione delle arteriole retiniche; gruppo 2, costrizione e sclerosi delle arteriole retiniche; gruppo 3, emorragie ed essudati in aggiunta alle alterazioni vasali; gruppo 4 (ipertensione maligna), papilledema.

Diagnosi La diagnosi di ipertensione primaria va posta solo dopo ripetuti rilievi di valori di PA sistolica e/o diastolica più alti del normale e dopo aver escluso cause secondarie. Si devono eseguire almeno due determinazioni della PA in tre giornate diverse prima di etichettare un paziente come iperteso (v. Tab. 199-2). Un numero superiore di determinazioni della PA rispetto a questo limite minimo è necessario per quei pazienti che si trovano al limite inferiore dei valori considerati diagnostici di ipertensione e soprattutto per i pazienti con PA labile. I valori normali di PA sono molto più bassi per i lattanti e per i bambini (v. Screening nel Cap. 256). Valori sporadicamente più elevati in soggetti che siano stati a riposo per > 5 min sono indizio di una particolare labilità della PA che può precedere la comparsa di un’ipertensione stabile. Per esempio, l’ipertensione da "studio medico" o da"camice bianco" si riferisce a una pressione che è notevolmente aumentata nello studio medico, ma è normale se misurata a casa o mediante monitoraggio ambulatoriale della PA. Una valutazione di base o di minima per i pazienti ipertesi comprende l’anamnesi e l’esame obiettivo, l’emocromo completo, l’analisi delle urine, le analisi del sangue (creatininemia; K; Na; glicemia; colesterolo totale, LDL e HDL) e l’ECG. Quanto più grave è l’ipertensione e quanto più giovane è il paziente, tanto più completa deve essere la valutazione. Non sono necessari di routine la scintigrafia renale, la rx del torace, i test di screening per il feocromocitoma e la determinazione del profilo sodio-reninico. L’attività reninica plasmatica periferica non aiuta nella diagnosi o nella scelta dei farmaci, ma può essere un fattore di rischio indipendente per malattia coronarica (ma non per ictus o per mortalità cardiovascolare totale). Il feocromocitoma (v. anche Cap. 9) secerne catecolamine, che, oltre ad aumentare la PA, causano di solito dei sintomi (varia combinazione di cefalea,

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palpitazioni, tachicardia, eccessiva sudorazione, tremore e pallore) che devono suggerire al medico la possibile presenza di tale malattia. Le catecolamine (p. es., adrenalina e noradrenalina) vengono metabolizzate nell’organismo a un prodotto comune, l’acido 3-metossi-4-idrossi-mandelico, spesso chiamato acido vanililmandelico (VMA). La diagnosi si basa sulla dimostrazione di aumentate concentrazioni urinarie e plasmatiche di catecolamine o di un’aumentata concentrazione urinaria di metanefrine e VMA. L’ipopotassiemia non legata all’assunzione di diuretici deve far pensare all’iperaldosteronismo primario. Nelle fasi precoci dell’ipertensione, la proteinuria, la cilindruria o la microematuria, con o senza ritenzione di azoto, depongono fortemente a favore di una nefropatia primitiva alla base dell’ipertensione stessa. L’asfigmia o la grave iposfigmia delle arterie femorali in un paziente iperteso < 30 anni di età costituisce un elemento diagnostico presuntivo di coartazione aortica. Devono essere escluse la sindrome di Cushing, le collagenopatie, la tossiemia gravidica, la porfiria acuta, l’ipertiroidismo, il mixedema, l’acromegalia, alcune malattie del SNC e l’iperaldosteronismo primario. Queste patologie vengono descritte altrove nel Manuale.

Prognosi Un paziente iperteso non trattato ha un elevato rischio di andare incontro (anche in giovane età) a invalidità fisica o exitus per insufficienza ventricolare sinistra, IMA, emorragia o infarto cerebrale, insufficienza renale. L’ipertensione è inoltre il più importante fattore di rischio per ictus. È uno dei tre fattori di rischio (insieme con il fumo di sigaretta e l’ipercolesterolemia) che predispongono all’aterosclerosi coronarica. Quanto più elevati sono i valori pressori e più gravi le alterazioni retiniche, tanto peggiore è la prognosi. Meno del 5% dei soggetti appartenenti al gruppo 4, vale a dire con ipertensione maligna caratterizzata da edema della papilla, e < 10% dei pazienti appartenenti al gruppo 3 sopravvive a 1 anno senza terapia. Un efficace controllo dei valori pressori mediante terapia medica è in grado di prevenire o di arrestare la maggior parte delle complicanze e di prolungare la sopravvivenza dei pazienti con ISI o ipertensione diastolica. Tra i pazienti ipertesi sottoposti a trattamento, la più comune causa di morte è costituita dalla coronaropatia. La PA sistolica è un predittore di eventi cardiovascolari fatali e non più importante rispetto alla PA diastolica. In un followup di uomini selezionati per lo studio "Multiple Risk Factor Intervention Trial", la mortalità globale era correlata ai livelli sistolici della PA, indipendentemente dai valori diastolici.

Terapia L’ipertensione primaria non è curabile, ma la terapia può modificarne il decorso. Si stima che solo il 24% dei pazienti ipertesi negli USA abbia valori pressori in terapia < 140/90 mm Hg e che il 30% non sappia di essere iperteso. Modificazioni dello stile di vita: il riposo, ferie prolungate, una moderata riduzione di peso e un ridotto apporto di Na con la dieta non sono efficaci quanto la terapia antiipertensiva farmacologica. I pazienti con ipertensione non complicata non devono ridurre il proprio livello di attività finché è possibile tenere sotto controllo i valori pressori. Restrizioni dietetiche possono essere d’aiuto nel controllo del diabete mellito, dell’obesità e delle dislipidemie. Nel I stadio dell’ipertensione, la riduzione del peso corporeo a valori ideali, la restrizione dell’apporto dietetico di Na a < 2 g/die e la limitazione del consumo di alcol a < 25 cc/die possono rendere non necessaria la terapia farmacologica. Una blanda attività fisica va di solito incoraggiata. Il fumo di sigaretta deve essere assolutamente scoraggiato. Terapia farmacologica antiipertensiva: la maggior parte delle autorità in materia è d’accordo sul fatto che i pazienti con PA sistolica fra 140 e 159 mm Hg file:///F|/sito/merck/sez16/1991749.html (6 of 12)02/09/2004 2.29.56

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e/o PA diastolica fra 90 e 94 mm Hg devono essere sottoposti a terapia farmacologica, se le modificazioni dello stile di vita non sono sufficienti a normalizzare i valori pressori. Il beneficio della terapia farmacologica nei pazienti con ipertensione arteriosa al I stadio è inequivocabile. Non ci sono dati circa l’efficacia della terapia antiipertensiva per l’ipertensione borderline. Quando c’è già un danno d’organo o sono presenti altri fattori di rischio, o quando la PA sistolica è 160 mm Hg e/o la PA diastolica è 100 mm Hg, non bisogna ritardare l’inizio della terapia farmacologica in attesa degli incerti risultati derivanti dalle modificazioni dello stile di vita. Lo scompenso cardiaco, l’aterosclerosi coronarica sintomatica, la patologia cerebrovascolare e l’insufficienza renale richiedono un’urgente e razionale terapia antiipertensiva. Il "Systolic Hypertension in the Elderly Trial" ha dimostrato un beneficio significativo della terapia antiipertensiva. In pazienti con età 60 anni con PA sistolica 160 e PA diastolica < 90 mm Hg, il clortalidone (associato all’atenololo, se necessario) riduceva l’incidenza di ictus (del 36%) e di altri eventi cardiovascolari maggiori. Il beneficio è stato riscontrato sia nei pazienti molto anziani che in quelli relativamente più giovani. Lo scopo era abbassare la PA sistolica a < 160 mm Hg o di almeno 20 mm Hg per i pazienti i cui valori di PA sistolica pre-trattamento erano fra 160 e 179 mm Hg. Tranne che nei pazienti > 65 anni d’età, lo scopo della terapia deve essere quello di ridurre la PA a < 135/80 mm Hg, o a valori quanto più possibile vicini a questo, che possano essere tollerati dal paziente. Studi retrospettivi indicano che la mortalità coronarica può aumentare se la PA diastolica viene ridotta a < 85 mm Hg, specialmente per i pazienti con evidenza clinica di una preesistente cardiopatia aterosclerotica (cosiddetta curva a J). Tuttavia, altre osservazioni non hanno confermato questo dato e la maggior parte degli studi non ha mostrato una curva a J per la PA sistolica, anche quando si osservava una curva a J per la PA diastolica. È in genere vantaggioso che il paziente esegua delle misurazioni della PA a casa propria, a condizione che egli stesso o un familiare siano accuratamente istruiti e che lo sfigmomanometro sia calibrato con precisione a intervalli regolari. La terapia farmacologica va iniziata con un diuretico o un β-bloccante, a meno che questi farmaci non siano controindicati o sia indicata un’altra classe farmacologica. Se questi farmaci sono inefficaci, classi alternative utilizzabili per la terapia iniziale comprendono i calcioantagonisti, gli ACE inibitori, gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II, gli α bloccanti adrenergici e gli α-β-bloccanti (v. 1Tab. 199-3). Tuttavia, per nessuno di questi farmaci, eccetto che per la nitrendipina (un calcioantagonista diidropiridinico), è stata dimostrata una riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare in trial prospettici randomizzati; al contrario, i diuretici e i β-bloccanti come terapia iniziale hanno mostrato effetti positivi sulla morbilità e mortalità cardiovascolare e cerebrovascolare. La nitrendipina riduce in maniera significativa gli ictus fatali e non, ma non gli eventi coronarici in pazienti anziani con ipertensione sistolica isolata. La scelta del farmaco iniziale deve essere guidata dall’età e dalla razza del paziente e da patologie concomitanti o da condizioni che possono rappresentare controindicazioni per alcuni farmaci (p. es., asma e β-bloccanti) o indicazioni per altri farmaci (p. es., angina pectoris e β-bloccanti o calcioantagonisti). Nel "Veterans Administration Trial", in cui veniva valutata la monoterapia per l’ipertensione arteriosa negli uomini, i pazienti di razza nera rispondevano meglio al calcioantagonista (diltiazem). L’idroclorotiazide era più efficace negli uomini di razza bianca o nera d’età superiore a 60 anni piuttosto che nei pazienti più giovani. Il β-bloccante atenololo era più efficace nei pazienti di razza bianca piuttosto che in quelli di razza nera, indipendentemente dall’età. La razza e l’età costituiscono solo una guida per la terapia, ma esistono molte eccezioni. Se il farmaco iniziale è inefficace o causa effetti collaterali non tollerabili, si può sostituirlo con un altro farmaco (monoterapia sequenziale). Alternativamente, se il primo farmaco è solo parzialmente efficace ma ben tollerato, si può aumentarne la dose o si può aggiungere un secondo farmaco, che deve appartenere a una

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classe diversa (terapia a gradini). I farmaci che inibiscono il sistema nervoso simpatico a livello centrale non sono raccomandati come terapia iniziale a causa dei loro effetti collaterali. Tuttavia, essi sono efficaci e possono essere utilizzati a piccole dosi in associazione ad altri farmaci. Un vasodilatatore diretto (idralazina o minoxidil) può essere utilizzato in associazione con un diuretico per prevenire la ritenzione idrica o con un β-bloccante per prevenire la tachicardia riflessa. Preferibilmente, la terapia va iniziata con un solo farmaco, a meno che l’ipertensione non sia grave. Tuttavia, associazioni di un diuretico con un βbloccante o con un ACE-inibitore sono disponibili in compresse singole a dosi subterapeutiche di ciascun principio attivo; i due farmaci insieme sono efficaci nel controllo dei valori pressori con effetti collaterali minimi. Due di queste combinazioni sono disponibili negli USA per la terapia iniziale dello stadio 1 o 2 dell’ipertensione (v. Tab. 199-4). Tre o quattro farmaci in associazione possono essere necessari per l’ipertensione grave o resistente. Tutti i derivati tiazidici sono ugualmente efficaci a dosi equivalenti (v. Tab. 1995). Il metolazone, l’indapamide e i diuretici dell’ansa furosemide, bumetanide, acido etacrinico e torsemide non sono superiori ai tiazidici, ma vengono preferiti nei pazienti con insufficienza renale cronica. L’azione antiipertensiva dei diuretici sembra essere dovuta a una modesta riduzione del volume plasmatico e a una diminuzione della reattività vascolare, forse mediata da spostamenti del Na dal compartimento intracellulare a quello extracellulare. Supplementi di K, o diuretici risparmiatori di potassio, vanno associati ai diuretici kaliuretici nei pazienti che sono in terapia digitalica, che hanno una cardiopatia nota, un ECG anormale, extrasistoli o aritmie o che sviluppano extrasistoli o aritmie dopo l’instaurazione della terapia diuretica. I diuretici che agiscono sul tubulo distale e risparmiano potassio (spironolattone, triamterene e amiloride) non causano ipokaliemia, iperuricemia o iperglicemia, ma non sono efficaci quanto i tiazidici nel controllare l’ipertensione. Anziché i supplementi di K, per trattare o prevenire l’ipokaliemia, si possono associare alla terapia tiazidica: spironolattone 25-100 mg/die, triamterene 50-150 mg/die o amiloride 5-10 mg / die. Uno svantaggio dei diuretici è la disfunzione sessuale, che si verifica più comunemente che con alcuni degli altri farmaci proposti per la terapia iniziale. Gli effetti collaterali metabolici dei diuretici (ipokaliemia, ipomagnesiemia, iperuricemia, iperglicemia, ipercalcemia, iperlipidemia) sono dose-dipendenti e, se affrontati in modo appropriato, in genere non impediscono l’uso del diuretico. Lo spironolattone può causare ginecomastia; per questo, quando si sceglie un risparmiatore di K negli uomini, vengono preferiti l’amiloride o il triamterene. Non comunemente, i diuretici precipitano la manifestazione clinica di un diabete di tipo II o aggravano un diabete di tipo II preesistente in pazienti suscettibili. La maggior parte dei diabetici può tollerare un diuretico tiazidico a basse dosi con effetto scarso o nullo sul controllo del diabete, sebbene si possa aggravare l’iperinsulinemia. L’esercizio e la perdita di peso migliorano, ma non eliminano, questi effetti collaterali. I tiazidici e gli altri diuretici possono causare un aumento del colesterolo sierico (soprattutto LDL) e dei trigliceridi, sebbene la maggior parte degli studi a lungo termine non sia riuscita a dimostrare effetti avversi a > 1 anno. Inoltre, questo aumento dei lipidi circolanti sembra verificarsi solo nei pazienti suscettibili, si fa evidente nel giro di 4 settimane di terapia e può essere migliorato con una dieta a basso contenuto di grassi. Un’elevata concentrazione sierica di colesterolo o di trigliceridi non è una controindicazione assoluta all’uso dei diuretici nel trattamento dell’ipertensione, poiché è più probabile che l’effetto iperlipemizzante si verifichi in pazienti con normali concentrazioni di lipidi circolanti piuttosto che in pazienti con iperlipidemia. Una predisposizione ereditaria spiega probabilmente i pochi casi in cui l’iperuricemia indotta dai diuretici ha causato gotta clinicamente evidente. Nel

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Ipertensione arteriosa

"programma di individuazione e follow-up dell’ipertensione" condotto in America, sono stati registrati solo 15 casi di gotta in 5 anni su 3693 partecipanti a rischio. L’iperuricemia indotta dai diuretici, in assenza di gotta, non è un’indicazione alla terapia antiuricemica, né una controindicazione al proseguimento della terapia diuretica. I diuretici sono meno costosi degli altri farmaci utilizzati come terapia iniziale della ipertensione. Tutti i β-bloccanti (v. Tab. 199-6) si equivalgono in termini di efficacia antiipertensiva. È preferibile utilizzare un β-bloccante cardioselettivo (acebutololo, atenololo, betaxololo, bisoprololo, metoprololo) se il paziente è anche affetto da diabete mellito, arteriopatia periferica cronica occlusiva o COPD. Tuttavia, la cardioselettività è solo relativa e diminuisce con l’incremento della dose del βbloccante. Anche i β-bloccanti cardioselettivi sono controindicati in presenza di asma grave o BPCO con prevalente componente broncospastica. L’uso di un βbloccante cardioselettivo in assenza di una di queste indicazioni non offre alcun vantaggio rispetto a un β-bloccante non selettivo. I β-bloccanti con attività simpatomimetica intrinseca (ISA, p. es., acebutololo, carteololo, penbutololo, pindololo) non hanno effetti avversi sui lipidi sierici; rispetto ai β-bloccanti privi di ISA, è inoltre meno probabile che essi producano una bradicardia grave. Tuttavia, la bradicardia sinusale asintomatica, anche con frequenze intorno ai 40 min, non è solitamente pericolosa. I β-bloccanti senza ISA e senza proprietà α-bloccanti hanno un effetto cardioprotettivo nei pazienti con IMA; tali farmaci sono perciò indicati per questi pazienti. Gli svantaggi dei β-bloccanti comprendono un’elevata incidenza di effetti collaterali a livello del SNC (disturbi del sonno, affaticamento, letargia) e di controindicazioni (blocchi cardiaci superiori al 1o grado, asma, malattia del nodo del seno, insufficienza cardiaca). Similmente ai diuretici, i β-bloccanti possono causare disfunzione sessuale nell’uomo ed effetti collaterali di natura metabolica, quali una ridotta tolleranza glucidica, una riduzione del colesterolo HDL e un aumento del colesterolo totale e dei trigliceridi. Similmente ai β-bloccanti con ISA, l’α-β-bloccante labetalolo non riduce la frequenza a riposo nella stessa misura in cui la riducono i β-bloccanti senza ISA e non sembra avere effetti collaterali sui lipidi sierici. I calcioantagonisti (v. Tab. 199-7) sono potenti vasodilatatori periferici e riducono la PA riducendo le resistenze periferiche. Il verapamil, una fenilalchilamina, e il diltiazem, un derivato delle benzotiazepine, rallentano la frequenza cardiaca, rallentano la conduzione atrioventricolare e hanno un effetto inotropo negativo simile a quello dei β-bloccanti. Di conseguenza, non devono essere prescritti a pazienti con blocchi cardiaci superiori al primo grado o insufficienza ventricolare sinistra. In generale, i β-bloccanti e il verapamil o il diltiazem non devono essere prescritti alle dosi usuali in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra. I derivati delle diidropiridine (amlodipina, felodipina, isradipina, nicardipina, nifedipina, nisoldipina) hanno un effetto inotropo negativo minore rispetto ai calcioantagonisti non diidropiridinici, ma possono talvolta causare tachicardia riflessa. Questi farmaci sono vasodilatatori periferici più potenti rispetto ai calcioantagonisti non diidropiridinici e dovrebbero quindi essere più efficaci. Tuttavia, nella terapia antiipertensiva a lungo termine, non sembrano essere più potenti dei calcioantagonisti non diidropiridinici. La nifedipina a breve durata d’azione è stata associata, in studi caso-controllo o di coorte non randomizzati, con un’aumentata incidenza di IMA rispetto ad altre classi di farmaci e di conseguenza non va usata per trattare l’ipertensione (per la quale non è indicata). Anche il diltiazem a breve durata d’azione non è indicato nella terapia dell’ipertensione. Vanno preferiti i calcioantagonisti a lunga durata d’azione.

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Ipertensione arteriosa

In pazienti ipertesi con angina pectoris che hanno anche una malattia broncospastica o la malattia di Raynaud, va preferito un calcioantagonista rispetto a un β-bloccante. I calcioantagonisti non hanno effetti collaterali di natura metabolica, ma possono essere più costosi degli ACE-inibitori. Gli ACE-inibitori (v. Tab. 199-8) sono vasodilatatori che riducono la PA perché interferiscono con la formazione dell’angiotensina II a partire dall’angiotensina I e perché inibiscono la degradazione delle bradichinine, diminuendo così le resistenze vascolari periferiche senza provocare tachicardia riflessa. Riducono la PA in molti pazienti ipertesi, quale che sia l’attività reninica plasmatica. Uno dei vantaggi degli ACE-inibitori nella terapia dell’ipertensione è il basso profilo degli effetti collaterali. Una tosse secca irritativa è probabilmente il loro principale effetto collaterale. Gli ACE-inibitori non hanno effetti negativi sui lipidi sierici, sulla glicemia o sull’acido urico. Tendono ad aumentare il K sierico, specialmente in pazienti con insufficienza renale cronica o in pazienti che assumono anche diuretici risparmiatori di K, supplementi di K o FANS. È altamente improbabile che gli ACE-inibitori causino disfunzione sessuale nell’uomo. L’angioedema è un raro effetto collaterale degli ACE-inibitori e può mettere a rischio la sopravvivenza se coinvolge la regione orofaringea. Gli ACE-inibitori riducono la proteinuria nei pazienti con nefropatia diabetica e possono ritardare la glomerulosclerosi dilatando selettivamente le arteriole glomerulari efferenti (postglomerulari), con conseguente riduzione della pressione capillare glomerulare senza compromissione del flusso ematico. Essi ritardano la perdita della funzione renale nei pazienti con nefropatia dovuta al diabete di tipo I. Se gli ACE-inibitori vengono prescritti a pazienti con nefropatia cronica, soprattutto quando è presente iperazotemia, la creatininemia e i livelli di K devono essere controllati frequentemente. Gli ACE-inibitori possono causare insufficienza renale acuta in pazienti portatori di stenosi bilaterale dell’arteria renale o di stenosi grave dell’arteria di un rene unico, presumibilmente perché, nelle suddette condizioni, la velocità di filtrazione glomerulare è mantenuta dalla costrizione dell’arteriola efferente mediata dall’angiotensina II, che viene eliminata dall’inibizione dell’ACE. Per le stesse ragioni, essi possono provocare insufficienza renale acuta in pazienti ipovolemici e in pazienti con insufficienza cardiaca grave. Ciononostante, gli ACE-inibitori riducono la mortalità e il tasso di reospedalizzazione nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e frazione d’eiezione < 40%. I diuretici potenziano l’attività antiipertensiva di tutte le altre classi di farmaci antiipertensivi, ma mostrano un effetto sinergico particolarmente importante quando associati agli ACE-inibitori. Uno svantaggio della terapia con ACE-inibitori è rappresentato dall’ elevato costo. Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (v. Tab. 199-8) bloccano i recettori per l’angiotensina II e di conseguenza interferiscono con il sistema renina-angiotensina, probabilmente in maniera più incisiva rispetto agli ACEinibitori. Non contrastano la degradazione della bradichinina e questo forse spiega perché non causano tosse secca. Nella misura in cui la bradichinina può contribuire all’effetto antiipertensivo degli ACE-inibitori, gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II possono essere meno efficaci nel ridurre la PA. Tuttavia, nella misura in cui l’ACE tissutale non è contrastato dagli ACE-inibitori, gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II possono risultare più efficaci come antiipertensivi. Studi clinici hanno dimostrato che queste due classi di farmaci hanno un’efficacia equivalente come antiipertensivi. Sembra che gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II siano privi di effetti collaterali e sono stati ritenuti responsabili di meno casi di angioedema rispetto agli ACE-inibitori, ma tale effetto collaterale è molto raro con entrambe queste classi di farmaci. Presumibilmente, gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II hanno gli stessi effetti positivi degli ACE-inibitori nei pazienti con insufficienza ventricolare sinistra e nei diabetici di tipo I con nefropatia, ma non sono ancora stati pubblicati trial clinici controllati definitivi. Le precauzioni che vanno adottate nell’uso degli ACE-inibitori nei file:///F|/sito/merck/sez16/1991749.html (10 of 12)02/09/2004 2.29.56

Ipertensione arteriosa

pazienti con ipertensione nefrovascolare, ipovolemia e scompenso cardiaco grave sono valide anche per gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II. Gli inibitori adrenergici (v. Tab. 199-9) comprendono gli α -agonisti, che hanno 2 un’azione centrale e producono, con maggiore probabilità rispetto ad altri farmaci, sonnolenza, sopore e a volte depressione. La metildopa, la clonidina, il guanabenz e la guanfacina riducono l’attività simpatica stimolando i recettori α 2 adrenergici presinaptici a livello del tronco cerebrale. La clonidina è disponibile per somministrazione transdermica in sistemi adesivi da applicarsi una volta a settimana, da 2,5, 5 o 7,5 mg, che liberano rispettivamente 0,1, 0,2 o 0,3 mg di clonidina/die. Questa via di somministrazione sembra essere altrettanto efficace della via orale e presenta meno effetti collaterali. Tuttavia, circa il 20% dei pazienti sviluppa reazioni cutanee sul sito di applicazione, al punto da rendere necessaria la sospensione del farmaco. La prazosina, la terazosina e la doxazosina sono bloccanti α -adrenergici 1 postsinaptici periferici che agiscono sulle vene e sulle arteriole. Tutti questi farmaci alleviano i sintomi dell’iperplasia prostatica benigna e sono l’unico gruppo di farmaci antiipertensivi che ha un modesto effetto sulla riduzione del colesterolo sierico, specialmente la frazione legata alle LDL. La guanetidina e il guanadrel bloccano la trasmissione simpatica alla giunzione sinaptica e, similmente alla reserpina, riducono le riserve tissutali di noradrenalina. La guanetidina è particolarmente potente, ma è difficile da dosare in maniera precisa, cosicché il suo uso si è molto ridotto con l’avvento di nuovi farmaci. Il guanadrel è un farmaco ad azione più breve della guanetidina e produce meno effetti collaterali. La reserpina provoca deplezione di noradrenalina e di serotonina a livello cerebrale e provoca anche deplezione di noradrenalina a livello delle terminazioni nervose simpatiche periferiche. Eccetto che per i bloccanti dei recettori α , questi inibitori adrenergici non sono consigliati 1 come terapia iniziale di routine, poiché possono causare una ritenzione idrica non evidente che conduce a pseudotolleranza; inoltre, essi hanno un peggior profilo di effetti collaterali rispetto ai farmaci raccomandati come terapia iniziale. Tuttavia, gli α -agonisti e la reserpina sono eccellenti farmaci di seconda fase, 2 specialmente se associati a un diuretico. Il meccanismo d’azione dei vasodilatatori diretti (indipendente dal sistema nervoso vegetativo) è diverso da quello dei calcioantagonisti e degli ACE-inibitori (v. Tab. 199-11): il minoxidil è più potente dell’idralazina ma ha più effetti collaterali, compresi ritenzione idrica e sodica e irsutismo, scarsamente tollerato dalle donne; deve essere riservato all’ipertensione grave e resistente. L’idralazina è stata a lungo utilizzata (e lo è ancora) come farmaco di terza fase, poiché il suo effetto antiipertensivo è additivo rispetto a quello di altri farmaci vasodilatatori. La sindrome lupoide si ha raramente se il dosaggio è < 300 mg/die. Prostaglandine vasodilatatrici e composti che aumentano la produzione endoteliale di ossido nitrico, riducono il rilascio di endotelina da parte dell’endotelio o bloccano i recettori per l’endotelina possono offrire nuove possibilità nella terapia dell’ipertensione. Terapia farmacologica delle emergenze ipertensive: le crisi ipertensive possono essere classificate come vere emergenze che richiedono l’immediata riduzione della PA (p. es., encefalopatia ipertensiva, insufficienza ventricolare sinistra acuta con edema polmonare, eclampsia, dissezione aortica acuta, ipertensione grave durante una fase d’instabilità d’angina o in corso di IMA), di solito con somministrazione di farmaci per via parenterale (v. Tab. 199-10), e urgenze ipertensive, per le quali il medico è più preoccupato del paziente. Le urgenze ipertensive sono frequentemente trattate in maniera eccessiva. Una rapida riduzione dei valori pressori mediante farmaci somministrati per via parenterale è indicata nei pazienti che presentano encefalopatia ipertensiva, insufficienza ventricolare sinistra acuta o altre reali condizioni d’urgenza. A questo scopo, si utilizzano in genere il diazossido, il nitroprussiato di sodio, la file:///F|/sito/merck/sez16/1991749.html (11 of 12)02/09/2004 2.29.56

Ipertensione arteriosa

nitroglicerina, la nicardipina o il labetalolo. Poiché il diazossido è un derivato tiazidico non diuretico che può causare ritenzione idrica, va abitualmente associato con furosemide a dosi di 40-80 mg EV. Il diazossido viene somministrato mediante infusione EV rapida alla dose di 50-100 mg (1-1,5 mg/ kg, 100 mg/dose) q 5-10 min finché la PA non raggiunge un livello ottimale. Gli effetti collaterali comprendono nausea, vomito, iperglicemia, iperuricemia, tachicardia e, solo occasionalmente, ipotensione (generalmente senza shock). Il nitroprussiato di sodio viene somministrato mediante infusione EV continua in soluzione glucosata al 5%, alla dose di 0,25-10 µg/kg/ min (per 10 min, alla dose più alta possibile che però non comporti il rischio di tossicità da cianati) e può ridurre i valori di PA rapidamente nella crisi ipertensiva, ma il suo effetto di brevissima durata e la sua potenza richiedono un monitoraggio quasi continuo della PA in terapia intensiva. Contrariamente al diazossido, esso produce dilatazione venosa e arteriolare e quindi riduce il precarico e il postcarico; per questo è particolarmente utile per il trattamento dei pazienti ipertesi con scompenso cardiaco congestizio. Gli effetti collaterali comprendono nausea, vomito, agitazione, scosse muscolari e pelle d’oca, se la pressione viene abbassata troppo rapidamente. La terapia prolungata può provocare psicosi acute per intossicazione da tiocianato, soprattutto in pazienti con insufficienza renale. Il farmaco va sospeso se la concentrazione ematica del tiocianato supera i 12 mg/dl (206 µmol/dl). La nitroglicerina, similmente al nitroprussiato di sodio, rilascia i vasi di resistenza e le grosse vene di capacitanza. Rispetto al nitroprussiato di sodio, ha un effetto maggiore sulle vene che sulle arteriole. L’infusione EV di nitroglicerina è stata utilizzata nel trattamento dell’ipertensione durante e dopo interventi di bypass aorto-coronarico, in caso di scompenso cardiaco, di IMA, angina instabile ed edema polmonare acuto. Studi emodinamici indicano che la nitroglicerina EV è preferibile al nitroprussiato di sodio nel trattamento dell’ipertensione associata a grave insufficienza coronarica, in quanto la prima aumenta, mentre il secondo diminuisce il flusso coronarico alle aree ischemiche, forse a causa di un meccanismo di furto. Il più frequente effetto collaterale è la cefalea, che si osserva in circa il 2% dei pazienti; sono stati inoltri descritti: tachicardia, nausea, vomito, apprensione, agitazione, contratture muscolari e palpitazioni. Il labetalolo, alla dose di 20-40 mg EV q 10 min o in infusione continua, è efficace quanto il nitroprussiato di sodio, il diazossido o la nitroglicerina nel trattamento della crisi ipertensiva. A queste dosi non sono stati descritti episodi di grave ipotensione; anche gli altri effetti collaterali sono risultati di scarso rilievo. Per la sua attività β-bloccante, il labetalolo non deve essere usato per le emergenze ipertensive in pazienti con insufficienza acuta del ventricolo sinistro o in pazienti asmatici. Nonostante la nifedipina a breve durata d’azione somministrata PO riduca la PA rapidamente, essa è stata associata con eventi acuti cardiovascolari e cerebrovascolari (talvolta fatali) e non è raccomandata nella terapia delle emergenze e delle urgenze ipertensive. Non è indicata nella terapia dell’ipertensione.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 199-1. PREVALENZA DELLE’IPERTENSIONE ARTERIOSA IN UOMINI E DONNE NEGLI USA Prevalenza, % (ES)

Prevalenza in relazione all'età,* % (ES)

Popolazione stimata, n (ES)†

28,4 (1,4)

32,4 (1,1)

5672 (427)

Uomini Donne

29,9 (2,0) 27,3 (1,5)

34,0 (1,6) 31,0 (1,0)

2664 (209) 3008 (252)

Bianchi non ispanici

24,6 (1,0)

23,3 (0,7)

34697 (2746)

Uomini Donne

25,6 (1,3) 23,8 (1,1)

25,4 (1,2) 21,0 (0,9)

17259 (1642) 17438 (1334)

14,3 (1,3)

22,6 (0,8)

1143 (124)

14,6 (1,4) 14,0 (1,3)

23,2 (1,1) 21,6 (1,0)

604 (68) 539 (66)

24,0 (0,9)

24,2 (0,6)

43186 (2427)

24,7 (1,2) 23,4 (0,9)

25,9 (1,0) 22,2 (0,8)

21287 (1490) 21900 (1238)

Razza e gruppo etnico Neri non ispanici

Ispanici Uomini Donne Totale‡ Uomini‡ Donne‡

*Dati aggiustati per età in riferimento alla popolazione civile, non istituzionalizzata, del 1990 †In migliaia ‡Sono compresi anche razze e gruppi etnici non mostrati separatamente ES=errore standard Adattata da Burt VL, et al. :"Prevalence of hypertension in the US adult population: results from the Third National Health and Nutrition Examination Survey 1988-1991". Hypertension 25(3):305-313, 1995.

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Ipertensione arteriosa

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 199. IPERTENSIONE ARTERIOSA IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE Incremento acuto o cronico dei valori della PA sistemica prodotto dall’occlusione parziale o completa di una o entrambe le arterie renali o dei loro rami, spesso correggibile mediante chirurgia o angioplastica transluminale percutanea.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

La stenosi o l’occlusione di una o di entrambe le arterie renali principali o di un’arteria renale accessoria o dei suoi rami può causare ipertensione, stimolando la liberazione dell’enzima renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari del rene interessato. L’area di sezione del lume deve essere ridotta di 70% prima che la stenosi risulti emodinamicamente significativa. La causa più frequente di stenosi dell’arteria renale in pazienti > 50 anni di età (di solito uomini) è l’aterosclerosi; nei pazienti più giovani (di solito donne), è una delle forme di displasia fibrosa. Cause più rare di stenosi o di ostruzione dell’arteria renale sono emboli, traumi, legatura involontaria in corso di intervento chirurgico e compressione estrinseca del peduncolo renale da parte di un tumore. Sebbene la malattia nefrovascolare rappresenti la causa più frequente di ipertensione curabile (probabilmente con l’eccezione della terapia contraccettiva ormonale femminile e dell’eccessiva ingestione di etanolo), essa spiega < 2% di tutti i casi di ipertensione arteriosa.

Sintomi, segni e diagnosi L’ipertensione nefrovascolare va sospettata quando compare un’ipertensione diastolica ex novo in pazienti < 30 o > 55 anni di età o quando uno stato ipertensivo precedentemente stabilizzato si aggrava improvvisamente. L’evoluzione rapida verso l’ipertensione maligna nell’arco di 6 mesi suggerisce un’arteriopatia renale. Un soffio vascolare sisto-diastolico epigastrico, trasmesso in genere a uno o a entrambi i quadranti superiori dell’addome e talvolta al dorso, è un reperto obiettivo quasi patognomonico, ma sfortunatamente è assente in circa il 50% dei pazienti con forme di displasia fibrosa e si rileva raramente in pazienti con malattia nefrovascolare su base aterosclerotica. Traumi al dorso o ai fianchi o dolore acuto in tali regioni, con o senza ematuria, devono mettere in guardia il medico circa la possibilità di un’ipertensione nefrovascolare; tali dati anamnestici, tuttavia, si riscontrano solo di rado. L’ipertensione nefrovascolare è caratterizzata da un’elevata GC e da elevate resistenze periferiche. L’ipertensione nefrovascolare e quella essenziale sono di solito asintomatiche e soltanto l’anamnesi, la presenza di un soffio vascolare epigastrico o anomalie

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Ipertensione arteriosa

all’urografia o alla scintigrafia con acido pentetico marcato con tecnezio 99 (99TcDTPA) consentono la diagnosi differenziale. Vale certamente la pena eseguire una valutazione diagnostico-strumentale completa per la possibilità di rilevare lesioni trattabili chirurgicamente. Nessuna metodologia diagnostica disponibile è ideale. Tutte danno risultati falsipositivi o falsi-negativi, tutte sono costose e alcune pericolose. Il test più ampiamente utilizzato è la scintigrafia con 99Tc-DTPA, che ha soppiantato l’UEV a rapida sequenza. Un ritardo di perfusione o la ridotta funzione di un rene alla scintigrafia con 99Tc-DTPA suggerisce la presenza di ischemia. La sua sensibilità e specificità possono essere migliorate mettendo a confronto immagini realizzate prima e dopo la somministrazione orale di captopril. L’ecografia Doppler è una metodica non invasiva affidabile per stabilire la presenza o l’assenza di una stenosi significativa (p. es., > 60%) a livello delle arterie renali principali. La sensibilità e la specificità di questa tecnica raggiungono il 90% in mani esperte. Sfortunatamente, la presenza di una stenosi > 60% in una o entrambe le arterie renali di per sé non indica che questa è la causa dell’ipertensione, ma tale rilievo, associato al caratteristico quadro clinico, è altamente suggestivo di ipertensione nefrovascolare. Misurazioni della attività reninica nel sangue prelevato dalla vena renale spesso non sono necessarie e sono talvolta motivo d’errore nella diagnosi di ipertensione nefrovascolare. Prima di pianificare un intervento (p. es., chirurgia, angioplastica), va eseguita l’arteriografia. L’arteriografia a sottrazione digitale o secondo Seldinger con iniezione selettiva delle arterie renali può confermare la diagnosi e può rilevare lesioni di rami minori non identificabili mediante ecografia Doppler. L’arteriografia digitale EV a sottrazione di immagine non è affidabile quanto la tecnica di Seldinger nell’identificare lesioni dell’orifizio o dei rami secondari. Una normale UEV a rapida sequenza, una normale scintigrafia al 99Tc-DTPA o la mancata dimostrazione di una stenosi significativa mediante ecografia Doppler non escludono l’arteriografia, qualora esistano altre indicazioni che la motivino.

Prognosi e terapia Senza terapia, la prognosi è simile a quella dell’ipertensione primaria. La maggior parte dei ricercatori ha dimostrato che un appropriato intervento chirurgico risolverà l’ipertensione se il rapporto tra l’attività reninica delle due vene renali (lato coinvolto/lato sano) è > 1,5:1. Tuttavia, molti pazienti con rapporti di attività reninica delle vene renali < 1,5 sono guariti dall’ipertensione dopo la rivascolarizzazione o la rimozione del rene ischemico. È stato provato che la breve durata dell’ipertensione (< 5 anni) e le caratteristiche anomalie alla UEV a sequenza rapida o alla scintigrafia, qualora considerate insieme, forniscono, nella previsione dell’esito dell’intervento chirurgico, la stessa affidabilità del rapporto di attività reninica delle vene renali. Per aumentare l’affidabilità del rapporto di attività reninica delle vene renali, il sangue va prelevato dalle vene renali in condizioni di deplezione sodica, per stimolare il rilascio di renina. Questo si può ottenere facendo seguire a una dieta con 0,5 g di Na diuretici PO per 24 h, oppure mediante somministrazione di furosemide EV 40-80 mg, con prelievo dei campioni di sangue 30 min dopo. Le lesioni bilaterali, che si verificano in 35% dei casi, rendono l’UEV a rapida sequenza, la scintigrafia al 99Tc-DTPA e il rapporto di attività reninica delle vene renali meno affidabili. L’attività reninica del sangue venoso periferico, in assenza di una stimolazione, è spesso normale nell’ipertensione nefrovascolare, ma un rialzo brusco dell’attività reninica 60 min dopo la somministrazione orale di 50 mg di captopril a 150% del livello basale è suggestivo di ipertensione nefrovascolare e può essere usato sia come test di screening che come test prognostico per decidere circa la terapia chirurgica. Il captopril PO provoca anche una produzione sproporzionata di renina da parte del rene ischemico e migliora quindi il potere predittivo dei tassi di attività reninica delle vene renali. La rivascolarizzazione del rene interessato mediante angioplastica transluminale file:///F|/sito/merck/sez16/1991766.html (2 of 3)02/09/2004 2.29.58

Ipertensione arteriosa

percutanea viene consigliata nei pazienti giovani con displasia fibrosa dell’arteria renale. Solo quando l’angioplastica transluminale percutanea non è tecnicamente fattibile a causa di una malattia diffusa dei rami delle arterie renali, è raccomandata l’esecuzione di un intervento di bypass mediante un graft di vena safena. Talvolta, una rivascolarizzazione chirurgica completa richiede tecniche di chirurgia microvascolare che si possono realizzare solo ex vivo con l’autotrapianto del rene. La frequenza di guarigioni su pazienti adeguatamente selezionati è del 90% e la mortalità chirurgica è < 1%. La terapia medica è sempre preferibile alla nefrectomia nei pazienti giovani i cui reni non possono essere rivascolarizzati per motivi tecnici. Si è visto che, rispetto alle forme di displasia fibrosa, le lesioni di natura aterosclerotica rispondono meno bene alla chirurgia e all’angioplastica, presumibilmente perché i pazienti affetti da aterosclerosi sono più anziani e presentano lesioni vascolari più estese sia all’interno del rene che in tutto il sistema vascolare. L’ipertensione può persistere dopo l’intervento e le complicanze chirurgiche sono più comuni. La mortalità chirurgica è maggiore nei pazienti giovani con displasia fibrosa dell’arteria renale. La restenosi entro 2 anni dall’angioplastica transluminale percutanea si verifica fino al 50% dei pazienti con malattia nefrovasocolare, specialmente quando la placca è localizzata a livello dell’ostio dell’arteria renale. Il posizionamento di uno stent ha ridotto il rischio di restenosi. Poiché l’ipertensione nefrovascolare di solito risponde alla terapia farmacologica (v. sopra), il trattamento medico o l’angioplastica transluminale per via transcutanea con impianto di stent sono preferibili alla chirurgia nei pazienti anziani con lesioni aterosclerotiche, a meno che non sia evidente che i valori pressori non possono essere controllati o che l’interessamento bilaterale o la lesione dell’arteria del paziente monorene non mettano in serio pericolo la funzionalità renale. La decisione di eseguire l’intervento chirurgico deve essere basata sullo stato generale del paziente, sull’età e sulla precedente risposta alla terapia medica, nonché sulla localizzazione della lesione e sul rischio che essa comporta per la funzione renale. Quando possibile, l’intervento chirurgico deve mirare alla riparazione della lesione e alla rivascolarizzazione piuttosto che alla nefrectomia.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 199-2. CLASSIFICAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA NEGLI ADULTI* Classificazione

Sistolica (mmHg)

Diastolica (mmHg)

Ottimale

140 mm Hg. È di solito presente una retinopatia di grado 3 o 4 e la pressione endocranica è aumentata.

Diagnosi e terapia La diagnosi dipende dal quadro clinico caratteristico e dall’esclusione di altre possibili patologie. Vanno prese in considerazione le encefalopatie metaboliche, ma la maggior parte di esse di solito non si associa a valori pressori molto aumentati. Il trattamento (v. sopra, Terapia farmacologica delle emergenze ipertensive) consiste in una progressiva (sebbene non improvvisa) riduzione della PA fino a valori prossimi al range di normalità entro 4-6 ore. Il nitroprussiato di sodio è il farmaco di scelta.

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Ipotensione ortostatica e sincope

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 200. IPOTENSIONE ORTOSTATICA E SINCOPE IPOTENSIONE ORTOSTATICA Eccessiva riduzione della PA (di solito > 20/ 10 mm Hg) nel passaggio dal clinostatismo all’ortostatismo.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

L’ipotensione ortostatica non è un’entità nosologica a sé stante, ma è piuttosto la manifestazione di un’alterazione del normale processo di regolazione della PA, dovuta a diverse cause.

Eziologia e fisiopatologia La brusca assunzione della posizione eretta ("gravitational stress") determina normalmente un accumulo di sangue nei vasi venosi di capacitanza delle gambe e del tronco. La transitoria riduzione del ritorno venoso e della gittata cardiaca che ne consegue determina un abbassamento della PA. I barocettori dell’arco aortico e dei glomi carotidei attivano i riflessi autonomici, che inducono una rapida normalizzazione dei valori di PA inducendo una tachicardia transitoria. Queste modificazioni sono soprattutto la conseguenza dell’aumentato livello di catecolamine circolanti mediato dal simpatico; esso determina un aumento del tono vasomotorio dei vasi venosi di capacitanza e un aumento della frequenza e della contrattilità miocardica, con un conseguente aumento della gittata cardiaca; meccanismi simili provocano anche vasocostrizione arteriosa e venosa. Anche l’inibizione vagale contribuisce all’aumento della frequenza cardiaca. Con la stazione eretta prolungata, la secrezione di ADH e l’attivazione del sistema renina-angiotensina provocano ritenzione di Na e di liquidi ed espansione del volume ematico circolante. Quando la funzionalità delle vie afferenti, dei centri nervosi o delle vie efferenti dell’arco riflesso del sistema nervoso autonomo è compromessa a causa di un processo patologico o per effetto di un farmaco, quando la contrattilità miocardica o la capacità di risposta vascolare è ridotta o è presente ipovolemia o le risposte ormonali sono alterate, questi meccanismi omeostatici compensatori possono non essere in grado di riportare la PA a valori normali. Le prime manifestazioni cliniche della ridotta perfusione tissutale sono la conseguenza del danno al flusso cerebrale; tuttavia, modificazioni posturali dei valori pressori non riflettono in modo affidabile l’ipoperfusione cerebrale. L’ipovolemia è la causa più comune di ipotensione ortostatica. L’ipovolemia è spesso provocata dall’eccessivo uso di diuretici (p. es., diuretici dell’ansa come furosemide, bumetanide, acido etacrinico); l’ipovolemia relativa è dovuta a terapia con farmaci vasodilatatori come nitrati, calcioantagonisti (verapamil,

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nifedipina, diltiazem, amlodipina) o ACE-inibitori. L’ipovolemia e il ridotto tono vasomotorio provocati da lunghi periodi di allettamento sono spesso causa di ipotensione ortostatica. L’ipotensione ortostatica durante terapia antiipertensiva è più frequente nei pazienti diabetici rispetto ai non diabetici e si verifica anche secondariamente alla vasodilatazione che si ha durante stati febbrili. Una grave ipovolemia acuta o subacuta può determinare ipotensione ortostatica per la riduzione della gittata cardiaca nonostante l’integrità dei riflessi autonomici. L’emorragia, il vomito o la diarrea gravi, la sudorazione profusa o la diuresi osmotica del diabete mellito scompensato possono portare a una marcata deplezione di volume, a disidratazione e ipotensione ortostatica, a meno che non si proceda a un’adeguata reintegrazione di liquidi o elettroliti. L’ipokaliemia riduce la reattività del muscolo liscio vascolare e può limitare il fisiologico incremento delle resistenze vascolari periferiche che si ha nel passaggio dal clinostatismo all’ortostatismo. L’insufficienza corticosurrenalica del morbo di Addison può portare a un’ipotensione ortostatica ipovolemica, se non si introducono adeguate quantità di sale. Gli effetti dei diuretici e dei vasodilatatori sono trattati più avanti. Cause frequenti di ipotensione ortostatica sono anche i farmaci che danneggiano i riflessi autonomici e riducono la PA in ortostatismo, p. es., dosi eccessive di antiipertensivi (metildopa, clonidina, reserpina, agenti di blocco gangliare) e l’uso di associazioni farmacologiche. Raramente, l’ipotensione ortostatica è causata dai β-bloccanti e può anche essere causata dagli αbloccanti, come p. es., la prazosina, soprattutto all’inizio della terapia (effetto di prima dose). I farmaci che provocano ipotensione ortostatica devono essere inizialmente somministrati a piccole dosi, con successivi aumenti graduali. Altri farmaci che danneggiano in maniera reversibile i riflessi autonomici e riducono la PA in ortostatismo (importante effetto collaterale) comprendono molti dei farmaci utilizzati in psichiatria, quali gli inibitori delle monoamino-ossidasi (isocarbossazide, fenelzina, tranilcipromina), usati come antidepressivi; gli antidepressivi triciclici (nortriptilina, amitriptilina, desipramina, imipramina e protriptilina) o gli antidepressivi tetraciclici; le fenotiazine, farmaci antipsicotici (chlorpromazina, promazina e tioridazina). Anche la chinidina, la levodopa, i barbiturici e l’alcol possono causare ipotensione ortostatica. L’antiblastico vincristina può produrre un’ipotensione ortostatica grave e di durata protratta, legata al suo effetto neurotossico. Le neuropatie che coinvolgono il sistema nervoso autonomo possono interrompere l’arco riflesso simpatico con conseguente compromissione delle normali risposte adrenergiche all’assunzione della posizione eretta. Ciò avviene spesso nella neuropatia diabetica, nell’amiloidosi, nella porfiria, nella tabe dorsale, nella siringomielia, nella transezione del midollo spinale, nella neuropatia alcolica, nell’anemia perniciosa, nella sindrome di Guillain-Barré (polineuropatia postinfettiva) e nella sindrome di Riley-Day (disautonomia familiare). Anche la simpatectomia chirurgica, le patologie che provocano vasospasmo e l’insufficienza venosa periferica (soprattutto vene varicose significative) possono provocare ipotensione ortostatica. L’ipotensione posturale della malattia di Parkinson può essere aggravata dal trattamento con levodopa. L’ipotensione ortostatica può essere una componente della risposta vasomotoria della "dumping syndrome" post-gastrectomia. La sindrome di Shy-Drager e l’ipotensione ortostatica idiopatica sono due neuropatie primitive probabilmente correlate, comunemente associate a ipotensione ortostatica grave (v. anche Cap. 179). Nei pazienti con sindrome di Shy-Drager non si osserva un incremento dei livelli plasmatici di noradrenalina in posizione ortostatica; nei pazienti con ipotensione ortostatica idiopatica, si osserva una deplezione di noradrenalina dalle terminazioni nervose. In tali condizioni, il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, i gangli basali e i segmenti nervosi spinali risultano colpiti da estese lesioni e compaiono: rilevanti disfunzioni autonomiche, deficit nei meccanismi di vasocostrizione arteriolare e venosa; perdita della sudorazione; atonia intestinale, vescicale e gastrica; impotenza, ridotta salivazione e lacrimazione; midriasi; alterato riflesso di accomodazione visiva. Paradossalmente, la PA può essere elevata in posizione supina, anche quando è presente una grave ipotensione posturale, a causa della perdita della regolazione simpatica e parasimpatica dell’apparato cardiovascolare. L’ipotensione ortostatica è accentuata al mattino presto a causa

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della natriuresi notturna e può anche essere più importante dopo pranzo e dopo uno sforzo fisico. In molti casi di ipertensione arteriosa sistemica secondaria in cui la PA non è sotto il controllo dei meccanismi omeostatici abituali, il mettersi in posizione eretta può provocare ipotensione ortostatica; ciò è evidente nella maggior parte dei pazienti con feocromocitoma e si verifica anche nei pazienti affetti da iperaldosteronismo primario: questi pazienti, paradossalmente, hanno ipertensione in posizione supina e ipotensione ortostatica. Condizioni cardiache che possono provocare l’improvvisa comparsa di ipotensione posturale comprendono un IMA misconosciuto o un’aritmia cardiaca. Altre cause cardiache di ipotensione ortostatica che riflettono l’incapacità di aumentare la gittata cardiaca comprendono la cardiomiopatia dilatativa grave, la stenosi aortica, la pericardite costrittiva e l’insufficienza cardiaca avanzata da qualunque causa. Negli anziani, la diminuita efficienza dei barocettori, associata a una ridotta compliance arteriosa, è responsabile della frequente ipotensione ortostatica. La ridotta risposta barocettoriale ritarda la tachicardia riflessa. Sebbene l’ipotensione posturale venga descritta in circa il 20% della popolazione anziana non selezionata, la sua prevalenza è molto più bassa nelle persone anziane in buona salute e attive. Molteplici anomalie coesistenti spesso alterano l’omeostasi cardiovascolare in anziani istituzionalizzati.

Sintomi, segni e diagnosi Una riduzione del flusso cerebrale di entità lieve-moderata provoca sensazione di mancamento e lipotimia, confusione e obnubilamento del sensorio. Un’ipoperfusione cerebrale più grave può causare sincope o convulsioni generalizzate (v. anche Sincope, più avanti). Lo sforzo o un pasto pesante possono accentuare i sintomi. Altri fenomeni associati sono di solito correlati alla malattia di base. Si fa diagnosi di ipotensione ortostatica quando i sintomi suggestivi di ipotensione e una netta riduzione della PA sono provocati dall’ortostatismo e risolti dal clinostatismo. Una patologia sottostante deve essere sospettata in base alla presentazione clinica del paziente e a eventuali fenomeni associati (p. es., come descritto sopra per la sindrome di Shy-Drager).

Prognosi e terapia La prognosi dipende dalla malattia di base. L’ipotensione ortostatica dovuta a ipovolemia o ad abuso di farmaci regredisce rapidamente una volta risolti tali problemi. L’anemia e gli squilibri elettrolitici possono essere trattati in maniera specifica. L’incidenza di ipotensione ortostatica da allettamento protratto può essere ridotta permettendo al paziente di mettersi seduto ogni giorno per qualche tempo. I pazienti anziani devono mantenere un adeguato apporto di liquidi, limitare o evitare l’alcol e praticare un’attività fisica regolare quando possibile. La prognosi dei pazienti affetti da una malattia cronica di base dipende dal trattamento di questa malattia; p. es., l’ipotensione posturale sembra indicare una prognosi sfavorevole nei pazienti diabetici affetti anche da ipertensione arteriosa. Quando la malattia di base non può essere migliorata, il trattamento consiste nell’indurre vasocostrizione periferica e/o nell’aumentare la gittata cardiaca. Spesso, questo permette di mantenere la PA a un livello accettabile (ridotto, ma non tale da dare sintomi) anche in posizione ortostatica. Tuttavia, negli stadi avanzati della sindrome di Shy-Drager o dell’ipotensione ortostatica primaria, la terapia farmacologica è spesso insufficiente e può rendersi necessario l’impiego di apparecchiature atte a fornire alcune forme di contropressione o file:///F|/sito/merck/sez16/2001768.html (3 of 4)02/09/2004 2.30.27

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contropulsazione. Se l’ipotensione ortostatica è dovuta ad accumulo di sangue nelle vene, pantaloni elastici possono aumentare la gittata cardiaca e la PA in ortostatismo. In casi più avanzati, vestiti antigravità del tipo utilizzato dagli aviatori, sebbene spesso mal tollerati, possono essere necessari per produrre una contropressione sufficiente a livello dell’addome e delle gambe. Nell’ipotensione ortostatica lieve, l’efedrina, un agonista adrenergico periferico alla dose di 25-50 mg PO q 3-4 h, a paziente sveglio, può mantenere adeguati valori pressori. È stata anche usata la fenilefrina. Una terapia alternativa o concomitante consiste nell’espandere il volume plasmatico, inizialmente mediante un’aumentata assunzione di Na e successivamente mediante somministrazione di ormoni che trattengono Na. In assenza di insufficienza cardiaca, l’assunzione di Na può essere aumentata di 5-10 g oltre la quantità abitualmente assunta con la dieta, mediante l’uso libero di sale sui cibi o l’assunzione di compresse di cloruro di sodio. Il 9-α-fludrocortisone (0,1-0,5 mg/ die PO) aumenta la vasocostrizione periferica in risposta alla stimolazione simpatica, ma è efficace solamente se l’assunzione di Na è adeguata e provoca un aumento di peso di circa 1,3-2,2 kg, a seguito della ritenzione di Na e dell’espansione del volume intravascolare. Il rischio di tale terapia, in particolare nell’anziano o nei soggetti con ridotta funzione miocardica, è lo scompenso cardiaco; i soli edemi declivi, in assenza di insufficienza cardiaca, non controindicano la prosecuzione della terapia. Un’importante complicanza è l’ipokaliemia, dovuta agli effetti di deplezione potassica dei mineralcorticoidi e all’elevata introduzione di sodio. Possono essere necessari supplementi di K. Un ulteriore rischio è l’ipertensione in clinostatismo. È stato riportato che la terapia con propranololo può potenziare gli effetti benefici della terapia con Na e mineralcorticoidi. Il β-blocco ottenuto con il propranololo provoca una vasocostrizione periferica mediata dai recettori α-adrenergici e previene quindi la vasodilatazione che si verifica in alcuni pazienti in risposta all’ortostatismo. Il rischio è la riduzione dell’escrezione di Na con la successiva comparsa di insufficienza cardiaca. La diidroergotamina, un costrittore selettivo dei vasi periferici di capacitanza, ha mostrato solo un beneficio a breve termine. I rischi comprendono l’ipertensione in clinostatismo e la gangrena a livello degli arti. I FANS possono causare ritenzione di Na e possono inibire la vasodilatazione indotta dalle prostaglandine; l’indometacina (25-50 mg PO tid) può essere utile per aumentare le resistenze vascolari periferiche. Tuttavia, questi farmaci possono causare sintomi GI e reazioni vasopressorie indesiderate (descritte in pazienti trattati contemporaneamente con indometacina e farmaci simpatico-mimetici). La metoclopramide può inibire gli effetti vasodilatatori e natriuretici dell’eccesso di dopamina (una rara causa di ipotensione ortostatica), ma può accentuare il parkinsonismo. La stimolazione atriale rapida ha avuto un successo limitato, specialmente nei pazienti con bassa frequenza cardiaca. Nei pazienti con ipotensione ortostatica grave, che non risponde ad altri farmaci, si può provare la midodrina. Tuttavia, il suo rapporto rischi/benefici non è stato stabilito. I pazienti anziani devono essere incoraggiati a cambiare posizione lentamente;. a dormire con la testiera del letto sollevata (ciò può aiutare a risolvere i sintomi favorendo la ritenzione di Na e riducendo la diuresi notturna) e a evitare la stazione eretta prolungata. L’esercizio fisico regolare di intensità moderata promuove il tono vascolare totale e riduce il sequestro venoso di sangue.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 200. IPOTENSIONE ORTOSTATICA E SINCOPE SINCOPE (Svenimento) Improvvisa perdita di coscienza di breve durata, con perdita del tono muscolare.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Dati di laboratorio Prognosi e terapia

Eziologia e fisiopatologia La sincope può risultare da una grande varietà di cause cardiovascolari e non, e fino a 1/3 dei casi, è ricorrente. La base fisiopatologica più comune della sincope è l’improvvisa diminuzione del flusso vascolare cerebrale (con risultante ipossiemia cerebrale), secondaria a una ridotta gittata cardiaca; le aritmie cardiache, inclusi i difetti di conduzione, rappresentano la causa più frequente. Frequenze cardiache < 30-35 min o > 150-180 min possono causare sincope; se è presente una cardiopatia, la sincope può presentarsi per alterazioni del ritmo cardiaco meno rilevanti. In assenza di una cardiopatia di base, raramente si verifica una sincope aritmica. Una sincope dovuta a più di una causa è comune negli anziani. Le bradiaritmie (specialmente quelle a esordio improvviso) possono causare una sincope. Esse includono la malattia del nodo del seno, con o senza tachiaritmie, e il blocco atrioventricolare di alto grado. Sebbene le bradiaritmie possano verificarsi a ogni età, sono più frequenti nell’anziano e sono di solito causate da ischemia cardiaca e fibrosi del sistema di conduzione. Anche la digitale, i β-bloccanti (inclusi i β-bloccanti per uso oftalmico), i calcioantagonisti e altri farmaci possono causare bradiaritmie. Le tachiaritmie sopraventricolari o ventricolari che sono causa di sincope possono essere correlate all’ischemia, all’insufficienza cardiaca, all’intossicazione da farmaci (la più nota è la sincope da chinidina), a squilibri elettrolitici, a preeccitazione e ad altre patologie. La sincope che si verifica in presenza di dolore da ischemia miocardica è di solito correlata a un’aritmia o a un blocco cardiaco, sebbene raramente possa riflettere una significativa disfunzione ventricolare su base ischemica, con una ridotta gittata cardiaca. Nell’IMA in sede inferiore, la sincope può essere dovuta a un blocco atrioventricolare. Molti altri meccanismi, come per esempio una riduzione della PA sistemica dovuta a vasodilatazione periferica, un ridotto ritorno venoso al cuore, un’ipovolemia o un’ostruzione all’efflusso cardiaco, spesso in combinazione fra loro, possono ridurre la gittata cardiaca. La riduzione della perfusione cerebrale può anche essere causata da vasocostrizione cerebrale, p. es., indotta dall’ipocapnia.

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La sincope da sforzo suggerisce l’esistenza di un ostacolo all’efflusso ventricolare, più frequentemente dovuto a stenosi aortica. La sincope riflette un’ischemia cerebrale, dovuta all’impossibilità di aumentare la gittata cardiaca in combinazione con la vasodilatazione periferica provocata dallo sforzo. Una sincope prolungata può causare convulsioni. L’ipovolemia e i farmaci inotropi positivi (p. es., digitale) accentuano l’ostacolo all’efflusso in caso di cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva e possono provocare una sincope; la sincope spesso si verifica immediatamente dopo lo sforzo, a mano a mano che il ritorno venoso, la pressione atriale sinistra e il riempimento ventricolare si riducono. Le aritmie possono rappresentare fattori favorenti. Anche il malfunzionamento di una protesi valvolare cardiaca può esserne la causa. La sincope da sforzo può anche essere dovuta ad altre cause di ostruzione all’efflusso (p. es., ostruzione vascolare del piccolo circolo causata da embolia polmonare o ipertensione polmonare) o a un insufficiente riempimento del ventricolo sinistro per ridotta distensibilità o tamponamento cardiaco o ancora a un ostacolo al ritorno venoso (p. es., stenosi polmonare o tricuspidale gravi o mixoma endocavitario). Anche un mixoma può causare una sincope posturale, nel caso in cui un mixoma atriale peduncolato ostruisca l’orifizio mitralico. Una riduzione del ritorno venoso è la causa della sincope da colpo di tosse e postminzionale e della sincope che si verifica durante la manovra di Valsalva; l’aumento della pressione intratoracica riduce il ritorno venoso, diminuendo la gittata cardiaca e la pressione arteriosa sistemica. La vasodilatazione periferica con conseguente riduzione dei valori di PA sistemica spiega la sincope del seno carotideo (spesso associata a rallentamento della frequenza cardiaca), l’ipotensione posturale (inclusi il ridotto effetto cronotropo e la ridotta vasocostrizione da stimolo barocettoriale tipica dell’età avanzata) e la sincope dopo simpatectomia o in presenza di diverse neuropatie periferiche caratterizzate da incapacità di vasocostrizione riflessa. La vasodilatazione periferica è anche la causa iniziale del semplice svenimento (sincope da vasodepressione). La vasodilatazione, in senso finalistico, prepara alla fuga dopo un evento stressante. Quando la vasodilatazione è seguita da un rallentamento della frequenza cardiaca (piuttosto che dalla tachicardia preparatoria per la fuga), l’inadeguatezza della gittata cardiaca provoca la sincope. L’ansia della fase presincopale può essere accompagnata da iperventilazione; l’ipocapnia risultante provoca vasocostrizione cerebrale, che riduce ulteriormente la perfusione cerebrale (v. sincope da iperventilazione, più avanti, e anche Dispnea nel Cap. 63). La sincope da deglutizione in pazienti affetti da patologia esofagea è di solito dovuta a meccanismi riflessi vasovagali, che inducono bradicardia e ipotensione. La sincope posturale può essere dovuta a ipovolemia (spesso indotta da diuretici o da vasodilatatori, soprattutto nell’anziano, o dovuta a un’emorragia); caratteristicamente, dopo una sincope da ipovolemia o vasovagale, il paziente recupera completamente i sensi assumendo la posizione clinostatica. La sincope da iperventilazione è dovuta ad alcalosi respiratoria; la vasocostrizione indotta dall’ipocapnia riduce il flusso ematico cerebrale. Nella sincope del sollevatore di pesi, un’altra forma benigna, l’iperventilazione che precede il sollevamento dei pesi causa ipocapnia, vasocostrizione cerebrale e vasodilatazione periferica; la manovra di Valsalva che accompagna il sollevamento dei pesi riduce il ritorno venoso e la gittata cardiaca e l’accovacciamento riduce ulteriormente il ritorno venoso, potenzia la vasodilatazione sistemica e dunque riduce la PA. Raramente, la sincope può far parte di un attacco ischemico transitorio del sistema vertebro-basilare, ma, in tal caso, si verifica tipicamente un transitorio deficit motorio o sensitivo associato. La sincope si verifica nell’arterite di Takayasu e occasionalmente accompagna l’emicrania; può essere provocata da uno sforzo del braccio quando una sindrome del "furto" della succlavia coinvolge la circolazione cerebrale posteriore. Raramente, è il sintomo d’esordio della dissezione aortica acuta. Altre cause comuni non cardiache di sincope possono essere neurologiche o file:///F|/sito/merck/sez16/2001771.html (2 of 5)02/09/2004 2.30.29

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metaboliche. La sincope può verificarsi durante crisi epilettiche o nella fase postictale. Neuropatie periferiche da cause diverse possono causare ipotensione ortostatica. Anche l’ipoglicemia può provocare una sincope alterando il metabolismo cerebrale (v. sopra). Le alterazioni metaboliche dell’iperventilazione sono trattate in precedenza. Anche l’ipotensione associata a shock anafilattico da farmaci può provocare una sincope.

Sintomi e segni Quando si verifica una sincope, il paziente non risponde alla chiamata e perde il tono posturale. Senso di svenimento, vertigini o senso di stordimento indicano talvolta un’incipiente perdita di coscienza e più spesso hanno carattere progressivo, qualora il paziente sia in posizione eretta. Per definizione, un paziente che ha subito un episodio sincopale rinviene spontaneamente. La sincope di origine cardiaca ha tipicamente un inizio e una fine improvvisi e spontanei. È dovuta più comunemente a un’aritmia. La sincope di Stokes-Adams inizia di solito senza alcun segno premonitore, anche nel paziente seduto; la sincope dovuta ad altre aritmie si presenta invece dopo o durante un episodio di palpitazione (v. anche la sincope da sforzo, sopra). La sincope vasovagale (vasodepressoria) è provocata di solito da stimoli fisici ed emozionali sgradevoli (p. es., dolore, vista del sangue), in genere si verifica in ortostatismo ed è spesso preceduta da sintomi premonitori vagali quali nausea, debolezza, sbadigli, visione sfocata, sudorazione. La sincope ortostatica (v. Ipotensione Ortostatica, sopra), dovuta a un’ipovolemia o al sequestro di sangue nel distretto venoso, si osserva più comunemente nell’anziano che si rimette in piedi dopo un prolungato allettamento, oppure nei pazienti con importanti varici o anche dopo l’assunzione di vari tipi di farmaci. Il sequestro venoso con insufficiente riempimento ventricolare, anche in assenza di un improvviso cambiamento della postura, può causare sincope in persone sane che siano rimaste a lungo in posizione eretta senza muoversi (p. es., gli svenimenti nelle parate). La sincope dovuta ad attacchi epilettici ha un inizio brusco e si associa a scosse muscolari o convulsioni, incontinenza e morsi alla lingua (ne può risultare una lesione traumatica); può essere seguita da stato confusionale. Una sincope può anche verificarsi nella fase post-ictale. La sincope dovuta a embolia polmonare indica abitualmente un’ostruzione massiva del letto vascolare polmonare e si associa spesso a dispnea, tachipnea, fastidio toracico, cianosi e ipotensione. La sincope con inizio graduale (con segni premonitori) e lento recupero suggerisce squilibri metabolici, p. es., ipoglicemia o ipocapnia da iperventilazione; quest’ultima è spesso preceduta da parestesie e fastidio toracico.

Diagnosi L’anamnesi e l’esame obiettivo, con particolare attenzione alla presenza di patologie cardiovascolari e neurologiche, indicano generalmente l’iter diagnostico da seguire. È importante differenziare le sincopi da cause cardiovascolari rispetto a quelle da cause non-cardiovascolari o da causa ignota; le prime comportano un rischio di morte molto aumentato, in particolare di morte improvvisa, e richiedono una definizione precisa. Non è certo se sia la sincope di per sé o la patologia di base a causare l’aumento della mortalità. L’anamnesi può indirizzare verso la causa definendo età di insorgenza, relazione con la postura o con l’attività fisica, patologie associate, sintomi prodromici o file:///F|/sito/merck/sez16/2001771.html (3 of 5)02/09/2004 2.30.29

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presenza di fattori che peggiorano o che migliorano il quadro clinico. Queste caratteristiche possono comunque essere di difficile definizione in quanto l’episodio sincopale spesso non avviene in presenza di testimoni. È essenziale conoscere i farmaci assunti dal paziente (soprattutto antiipertensivi, diuretici, vasodilatatori e antiaritmici con effetto proaritmico o capaci di agire sulla conduzione atrioventricolare). All’esame obiettivo, il paziente viene spesso descritto come pallido, immobile, sudato, con le estremità fredde e con un polso debole o assente,. ipoteso, con un respiro rapido e superficiale. La frequenza cardiaca e la PA vanno rilevate in posizione ortostatica e clinostatica. Una causa cerebrovascolare della sincope è suggerita da un soffio vascolare carotideo o dalla riduzione del polso carotideo. Il soffio basale rude, in crescendo e irradiato alle carotidi della stenosi aortica, o il soffio sistolico della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, che scompare con l’accovacciamento e aumenta con la manovra del Valsalva, suggeriscono un’ostruzione all’efflusso cardiaco, sebbene in tali circostanze la sincope possa anche essere causata da concomitanti aritmie. Il click e il soffio da prolasso della mitrale (che si verificano anticipatamente nella sistole e assumono una maggiore intensità quando si passa dalla posizione clinostatica a quella ortostatica) suggeriscono una genesi aritmica. Un’ulteriore valutazione risulta necessaria in caso di sospetta emorragia o di altre forme di ipovolemia o in caso di deficit neurologici focali. Il quadro clinico può essere riprodotto domandando al paziente di iperventilare o applicando una pressione sul seno carotideo (sempre sotto controllo ECG e mai su entrambi i lati simultaneamente), il che può rendere evidente uno stato di ipersensibilità del seno carotideo. I pazienti con sincope legata ai colpi di tosse hanno una malattia polmonare e quelli con sincope minzionale hanno un’ipertrofia prostatica associata. Nello svenimento isterico mancano le anomalie della frequenza cardiaca e della PA, così come il pallore e la sudorazione.

Dati di laboratorio L’ECG a 12 derivazioni può evidenziare un’aritmia, anomalie di conduzione, ipertrofia ventricolare, preeccitazione, prolungamento del QT, malfunzionamento di un pacemaker, ischemia o IMA. In assenza di rilievi significativi che indirizzino la diagnosi, risulta prudente eseguire almeno un monitoraggio ECG 24-h secondo Holter. Ogni aritmia rilevata all’Holter deve essere messa in relazione con le alterazioni dello stato di coscienza riferite dal paziente perché possa essere considerata la causa della sincope, ma la maggior parte dei pazienti non ha una recidiva sincopale durante il monitoraggio. Se la sincope ha sintomi prodromici, può avere significato l’utilizzo di registratori di eventi. Il rilievo di potenziali tardivi può identificare i pazienti predisposti ad aritmie ventricolari. Se gli esami diagnostici non invasivi non riescono a chiarire una sincope ricorrente con sospetta base aritmica, va presa in considerazione l’esecuzione di uno studio elettrofisiologico invasivo. La validità dei test elettrofisiologici risulta ancora controversa, eccetto che per la sincope ricorrente da causa inspiegata; una risposta negativa individua un sottogruppo a basso rischio con un’alta probabilità di remissione. Il test da sforzo è meno valido, a meno che la sincope non sia scatenata dall’attività fisica. Il tilt test può identificare la sincope vasodepressoria o indotta da altri meccanismi riflessi. L’ecocardiografia può confermare una sospetta cardiopatia o una sospetta disfunzione di protesi valvolare. Per quest’ultima indicazione, anche la radioscopia con intensificazione dell’immagine è un’utile indagine diagnostica. L’ecocardiografia trans-esofagea è affidabile per diagnosticare una disfunzione di protesi valvolare, nel caso in cui l’ecocardiografia transtoracica non permetta di trarre conclusioni. L’ecocardiografia può anche identificare un versamento pericardico e suggerire un tamponamento cardiaco.

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Ipotensione ortostatica e sincope

Gli esami di laboratorio di routine hanno un valore limitato e gli esami addizionali devono essere mirati. La glicemia a digiuno può confermare il sospetto di ipoglicemia. L’ematocrito può rilevare un’anemia e gli esami ematochimici possono identificare un’ipokalemia o un’ipomagnesiemia, che costituiscono un fattore predisponente alle aritmie. L’aumento dei livelli sierici di troponina o di creatinfosfochinasi può identificare l’insolito caso di un IMA che si presenti con una sincope. Nell’embolia polmonare, la Po2 è ridotta e può esserci evidenza ECG di cuore polmonare acuto; la scintigrafia polmonare perfusionale e ventilatoria è una metodica eccellente per lo screening. Un EEG è obbligatorio se si sospetta una crisi epilettica; la TAC e la RMN della testa e del cervello sono indicate in presenza di un deficit neurologico focale o se, nella diagnosi differenziale, si sospetta un processo espansivo endocranico. I pazienti che riportano danni fisici in occasione degli episodi sincopali devono essere sottoposti a una valutazione più estensiva delle cause di sincope.

Prognosi e terapia Nelle persone giovani non affette da cardiopatie, la sincope da causa ignota ha una prognosi favorevole e raramente è richiesta una valutazione elaborata. Al contrario, nell’anziano la sincope può essere dovuta all’interazione di diversi problemi coesistenti che possono danneggiare i meccanismi compensatori del sistema cardiovascolare. Di solito, la sincope regredisce mettendo il paziente in clinostatismo; in tal caso non è necessario alcun trattamento ulteriore, a meno che non sia richiesto dalla malattia di base. Il sollevamento degli arti inferiori ristabilisce rapidamente la perfusione cerebrale. La sincope può ripresentarsi qualora il paziente riassuma troppo frettolosamente la posizione seduta; il problema talvolta si aggrava se si continua a tenere il paziente in posizione eretta o lo si fa passare dal clinostatismo all’ortostatismo. Le bradiaritmie possono richiedere l’impianto di un pacemaker, mentre le tachiaritmie si trattano mediante terapia farmacologica specifica. Per le aritmie ventricolari, possono essere necessari defibrillatori automatici impiantabili. L’ipersensibilità del seno carotideo può richiedere l’impianto di un pacemaker per le bradiaritmie; l’irradiazione del seno carotideo può essere utilizzata per trattare la componente vasodepressoria. Il trattamento di ipovolemia, ipoglicemia, anemia, squilibri elettrolitici o tossicità da farmaci è standard. L’età avanzata non costituisce una controindicazione alla chirurgia della valvola aortica, che rappresenta la forma più comune di chirurgia valvolare nell’anziano. La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva va trattata con β-bloccanti, verapamil o mediante miectomia settale; le aritmie associate possono rispondere a queste terapie e all’amiodarone.

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Arteriosclerosi

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 201. ARTERIOSCLEROSI ATEROSCLEROSI Forma di arteriosclerosi caratterizzata da un ispessimento subintimale localizzato (ateroma) delle arterie di medio e di grosso calibro, che può ridurre o impedire del tutto il flusso ematico.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e patogenesi Fattori di rischio Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

In generale, la prevalenza delle manifestazioni cliniche dell’aterosclerosi aumenta nelle donne in età postmenopausale e si avvicina a quella degli uomini della stessa età.

Anatomia patologica e patogenesi La placca aterosclerotica è costituita da un accumulo di lipidi intra ed extracellulari, di cellule muscolari lisce, tessuto connettivo e glicosaminoglicani. La lesione aterosclerotica più precocemente rilevabile è la stria lipidica (formata da cellule schiumose cariche di lipidi, che sono monociti circolanti che si sono spostati giungendo fino allo strato sottoendoteliale dell’intima e si sono trasformati in macrofagi), che si trasforma successivamente in placca fibrosa (fatta di cellule muscolari lisce intimali circondate da tessuto connettivo e da lipidi intracellulari ed extracellulari). I vasi aterosclerotici hanno un’espansione sistolica ridotta e un’onda di propagazione anormalmente rapida. Anche le arterie arteriosclerotiche dei soggetti ipertesi hanno una ridotta elasticità, che si riduce ulteriormente quando si sviluppa aterosclerosi. Sono state proposte due ipotesi principali per spiegare la patogenesi dell’aterosclerosi: l’ipotesi lipidica e l’ipotesi del danno endoteliale cronico. Esse sono probabilmente correlate. L’ipotesi lipidica postula che un aumento delle LDL plasmatiche provoca l’ingresso delle LDL nella parete arteriosa, con conseguente accumulo di lipidi nelle cellule muscolari lisce e nei macrofagi (cellule schiumose). Le LDL contribuiscono anche all’iperplasia delle cellule muscolari lisce e alla loro migrazione verso le regioni intimali e sotto-intimali in risposta a fattori di crescita. Le LDL vengono modificate od ossidate in tale ambiente e diventano così più aterogene. Le particelle di colesterolo contenute nelle LDL sono anche più

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Arteriosclerosi

suscettibili a essere modificate e ossidate. Le LDL modificate od ossidate sono chemiotattiche per i monociti e provocano la loro migrazione nell’intima, la loro precoce comparsa nelle strie lipidiche e la loro trasformazione e stabilizzazione come macrofagi nel compartimento sotto-intimale. Recettori posti sulla superficie dei macrofagi facilitano l’ingresso delle LDL ossidate all’interno di queste cellule, trasformandole in macrofagi carichi di lipidi e cellule schiumose. Le LDL ossidate sono anche citotossiche per le cellule endoteliali e possono essere responsabili della loro disfunzione o scomparsa dalle lesioni più avanzate. Un modello di aterosclerosi è stato studiato in scimmie nutrite con una dieta ricca di colesterolo. Entro 1-2 sett. dall’induzione dell’ipercolesterolemia, i monociti hanno aderito alla superficie dell’endotelio arterioso grazie all’espressione di recettori specifici, si sono spostati nello strato sottoendoteliale e hanno accumulato lipidi (diventando cellule schiumose). Anche le cellule muscolari lisce con fenotipo proliferativo accumulano lipidi. A mano a mano che le strie lipidiche e le placche fibrose si accrescono e sporgono nel lume, lo strato sottoendoteliale risulta esposto alla corrente ematica nelle sedi di danno endoteliale e si formano aggregati piastrinici e trombi murali. Il rilascio di fattori di crescita da parte delle piastrine aggregate può aumentare la proliferazione della muscolatura liscia a livello dell’intima. Alternativamente, l’organizzazione e l’incorporazione del trombo all’interno della placca aterosclerotica possono contribuire alla sua crescita. L’ipotesi del danno endoteliale cronico postula che il danno endoteliale dovuto a diversi meccanismi provoca una perdita di endotelio, con adesione delle piastrine allo strato sottoendoteliale, aggregazione piastrinica, chemiotassi di monociti e linfociti T e rilascio di fattori di crescita derivati dalle piastrine e dai monociti, che inducono la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla media nell’intima dove si replicano e sintetizzano tessuto connettivo e proteoglicani e formano una placca fibrosa. Anche altre cellule (p. es., macrofagi, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce arteriose) producono fattori di crescita che possono contribuire all’iperplasia delle cellule muscolari lisce e alla produzione di matrice extracellulare. Queste due ipotesi sono strettamente collegate e non si escludono a vicenda. Le LDL modificate sono citotossiche per le cellule endoteliali in coltura e possono indurre danno endoteliale, richiamare monociti e macrofagi e stimolare l’accrescimento delle cellule muscolari lisce. Le LDL modificate inibiscono anche la mobilità dei macrofagi, cosicché, una volta che si sono trasformati in cellule schiumose nella regione sottoendoteliale, i macrofagi possono restare intrappolati. Inoltre, le cellule endoteliali che si rigenerano (dopo una lesione) non sono perfettamente funzionanti e hanno un aumentato uptake di LDL dal plasma. La placca aterosclerotica può accrescersi lentamente e in vari decenni può dar luogo a una stenosi grave o può progredire fino all’occlusione totale dell’arteria. Con il tempo, la placca diventa calcifica. Alcune placche sono stabili, ma altre, specialmente quelle ricche di lipidi e di cellule infiammatorie (p. es., macrofagi) e coperte da un sottile cappuccio fibroso, possono andare incontro a fissurazione o rottura spontanee, esponendo il contenuto della placca al flusso ematico. Queste placche sono instabili o vulnerabili e sono più strettamente associate alla comparsa di un evento ischemico acuto. La rottura della placca stimola la trombosi; il trombo può embolizzare, occludere rapidamente il lume fino a provocare una sindrome coronarica acuta o diventare gradualmente parte della placca, contribuendo alla sua crescita.

Fattori di rischio I principali fattori di rischio non reversibili per l’aterosclerosi comprendono l’età, il sesso maschile e una storia familiare di aterosclerosi prematura. I principali fattori di rischio reversibili sono trattati più avanti. C’è anche una forte evidenza che l’inattività fisica sia associata con un aumentato rischio di malattia coronarica. Sebbene sia stato proposto che il tipo di personalità possa costituire un fattore di rischio, il suo ruolo è controverso.

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Arteriosclerosi

Anomalie dei livelli di lipidi sierici: elevati livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL) e ridotti livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL) predispongono all’aterosclerosi. C’è una diretta associazione fra i livelli di colesterolo totale e LDL e il rischio di coronaropatia. I livelli di HDL sono inversamente correlati con il rischio di coronaropatia. Le principali cause della riduzione delle HDL sono il fumo di sigaretta, l’obesità e l’inattività fisica. Un ridotto livello di HDL è anche associato con l’uso di steroidi androgeni e composti correlati (inclusi gli anabolizzanti), β-bloccanti, ipertrigliceridemia e fattori genetici. Il livello di colesterolo e la prevalenza di coronaropatia sono influenzati da fattori genetici e ambientali (inclusa la dieta). Persone con bassi livelli sierici di colesterolo che si spostano da un Paese a bassa prevalenza di coronaropatia verso un Paese ad alta prevalenza e che tendono a modificare le proprie abitudini alimentari sviluppano elevati livelli di colesterolo con un aumento del rischio di malattia coronarica. Ipertensione: una PA diastolica o sistolica elevata è un fattore di rischio per ictus, IMA e insufficienza cardiaca e renale. Il rischio associato con l’ipertensione è inferiore nelle società con bassi livelli medi di colesterolo. Fumo di sigaretta: il fumo aumenta il rischio di arteriopatia periferica, coronaropatia, vasculopatia cerebrale e occlusione di bypass dopo chirurgia arteriosa ricostruttiva. Il fumo è particolarmente pericoloso nelle persone che già hanno un aumentato rischio di patologie cardiovascolari. Esiste una relazione dose-risposta tra il numero di sigarette fumate al giorno e il rischio di malattia coronarica. Il fumo passivo può aumentare il rischio di coronaropatia. Uomini e donne sono entrambi suscettibili, ma il rischio può essere maggiore nelle donne. La nicotina e le altre sostanze chimiche derivate dal tabacco sono tossiche per l’endotelio vascolare. Il fumo di sigaretta aumenta le LDL e riduce le HDL, aumenta il monossido di carbonio ematico (e può quindi produrre un’ipossia endoteliale) e favorisce la vasocostrizione delle arterie già ristrette a causa della patologia aterosclerotica. Aumenta anche la reattività piastrinica (ciò può favorire la formazione di un trombo piastrinico) e aumenta la concentrazione ematica di fibrinogeno e l’ematocrito, con un conseguente aumento della viscosità ematica. Diabete mellito: sia il diabete insulino-dipendente che quello non insulinodipendente sono associati con fenomeni aterosclerotici più diffusi e a insorgenza più precoce, come parte di un diffuso squilibrio metabolico che comprende la dislipidemia e la glicosilazione del tessuto connettivo. L’iperinsulinemia danneggia l’endotelio vasale. Il diabete è un fattore di rischio particolarmente importante nelle donne e annulla l’effetto protettivo degli ormoni femminili. Obesità: alcuni studi hanno rilevato che l’obesità, in modo particolare l’obesità del tronco negli uomini, è un fattore di rischio indipendente per coronaropatia. L’ipertrigliceridemia è comunemente associata con l’obesità, il diabete mellito e l’insulino-resistenza e sembra essere un importante fattore di rischio indipendente nelle persone con bassi livelli di LDL o HDL e nelle persone più giovani. Non tutti i tipi di ipertrigliceridemia possono essere aterogeni. Le particelle più piccole e più dense delle lipoproteine a densità molto bassa comportano il rischio maggiore. Inattività fisica: diversi studi hanno associato uno stile di vita sedentario con un aumentato rischio di coronaropatia e altri studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico regolare può essere protettivo. Iperomocisteinemia: elevati livelli ematici di omocisteina, dovuti a una riduzione del suo metabolismo geneticamente determinata, possono causare un danno all’endotelio vascolare, che rende i vasi predisposti all’aterosclerosi (v. anche Cap. 202 e Iperomocisteinemia nel Cap. 132). Infezione da Chlamydia pneumoniae: l’infezione da Chlamydia pneumoniae o un’infezione virale possono avere un ruolo nel determinare il danno endoteliale e

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Arteriosclerosi

l’infiammazione vascolare cronica, che possono poi portare all’aterosclerosi.

Sintomi e segni L’aterosclerosi è caratteristicamente silente fino alla comparsa di una stenosi critica, di trombosi, aneurismi o embolie. Inizialmente, i sintomi e i segni riflettono l’impossibilità, da parte del flusso ematico del tessuto interessato, di aumentare in maniera proporzionale alla domanda (p. es., angina da sforzo, claudicatio intermittens). In genere, i sintomi e i segni si manifestano gradualmente, mentre l’ateroma oblitera il lume vasale lentamente. Tuttavia, quando un’arteria di grosso calibro va incontro a occlusione acuta, i sintomi e i segni possono essere drammatici. Le specifiche patologie ischemiche correlate all’occlusione sono descritte altrove in §16 e nel Cap. 174.

Diagnosi L’aterosclerosi va sospettata sulla base dei fattori di rischio e dei suoi sintomi e segni, che possono in realtà essere pochi. L’ostruzione aterosclerotica viene comunemente confermata mediante angiografia o ecocardiografia Doppler. La diagnosi delle manifestazioni specifiche (p. es., la malattia coronarica) è descritta altrove nel Manuale. L’iperlipidemia (v. anche Cap. 15) comunemente si presenta con i segni e i sintomi di un’aterosclerosi obliterativa prematura che colpisce il cervello (attacco ischemico transitorio o ictus), il cuore (angina pectoris o IMA), l’intestino e gli arti inferiori (claudicatio intermittens). Xantomi (nelle pieghe delle mani e dei gomiti e lungo le inserzioni tendinee) e xantelasmi sono talvolta associati a iperlipidemia, soprattutto nelle forme familiari. Attacchi ricorrenti di pancreatite acuta, associati o no ad alcolismo, suggeriscono un’ipertrigliceridemia. Una storia familiare di ipertrigliceridemia o l’esordio di una malattia cardiovascolare prima dei 60 anni d’età sono una ragione ulteriore per sospettare un’aterosclerosi precoce.

Prevenzione Il modo più efficace per prevenire le complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari dell’aterosclerosi e della trombosi arteriosa associata è la prevenzione dell’aterosclerosi stessa. I fattori di rischio reversibili per l’aterosclerosi sono alterati livelli di lipidi sierici, ipertensione, fumo di sigaretta, diabete mellito, obesità, sedentarietà, iperomocisteinemia e probabilmente infezione da C. pneumoniae. Una migliore comprensione di questi fattori di rischio e del loro ruolo nell’eziologia, nella patogenesi e nell’evoluzione dell’aterosclerosi porteranno a una prevenzione più mirata nei confronti dell’aterosclerosi preclinica o ingravescente e perciò contribuiranno all’ulteriore declino della morbilità e della mortalità. Anomali livelli di lipidi sierici: almeno 20 trial randomizzati dimostrano che la riduzione dei livelli di LDL-colesterolo rallenta la pregressione o induce una regressione della malattia coronarica e riduce gli eventi coronarici. I benefici sono massimi nei pazienti a più alto rischio di coronaropatia (p. es., quelli con altri fattori di rischio, come ipertensione, fumo di sigaretta) e in quelli con i più alti livelli di colesterolo. La riduzione delle LDL sieriche dà anche benefici nei pazienti con coronaropatia preesistente, perfino se i livelli di LDL di questi pazienti non sono aumentati. Trial recenti hanno mostrato una riduzione significativa della mortalità cardiovascolare e totale quando si utilizzano le statine per ridurre il colesterolo. Le statine inoltre rallentano la progressione della coronaropatia (come dimostrato da studi angiografici) nei pazienti con graft arteriosi ed elevati livelli di LDL-colesterolo. Le linee guida per lo screening e la terapia

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Arteriosclerosi

dell’ipercolesterolemia lieve, moderata e grave sono descritte nel Cap. 15. Ipertensione: il trattamento dei pazienti con elevati livelli di PA riduce l’incidenza di ictus e la mortalità totale, ma la riduzione degli eventi coronarici è meno incisiva. Metanalisi di tutti gli studi realizzati sul controllo dei valori pressori mostrano una riduzione del rischio di ictus del 40%, del rischio di IMA dell’8% e una riduzione della mortalità cardiovascolare del 10%. Fumo di sigaretta: il paziente va sempre incoraggiato a smettere di fumare. Il rischio nelle persone che smettono di fumare, indipendentemente dalla durata del periodo di tempo per il quale hanno fumato, è della metà rispetto a quello delle persone che continuano a fumare. Smettere di fumare diminuisce anche la morbilità e la mortalità nei pazienti con vasculopatia periferica e riduce la mortalità dopo intervento di bypass aorto-coronarico e nel post-IMA. Diabete mellito: sebbene uno stretto controllo dei valori glicemici riduca il rischio di complicanze microvascolari nel diabete, gli effetti sulla patologia dei vasi di maggior calibro e sull’aterosclerosi sono meno chiari. L’iperlipidemia e l’ipertensione sono più comuni nei diabetici e questi fattori di rischio, insieme con l’iperinsulinemia, possono contribuire all’aumento del rischio di coronaropatia. Obesità: il calo ponderale aumenta i livelli di HDL e deve essere incoraggiato quando possibile. Inattività fisica: diversi trial randomizzati hanno dimostrato che un’attività fisica moderata e costante nel tempo riduce le manifestazioni cliniche e la mortalità da coronaropatia nei pazienti ad alto rischio. È stato anche riportato che l’esercizio fisico regolare riduce l’incidenza di IMA e di morte, ma non è chiaro se fra le due cose vi sia un reale nesso causale oppure tale associazione sia semplicemente dovuta al fatto che le persone in migliori condizioni di salute sono più portate a eseguire una regolare attività fisica. L’esercizio fisico regolare aumenta i livelli di HDL e può abbassare la PA. Iperomocisteinemia: l’iperomocisteinemia in presenza o in assenza di basse concentrazioni plasmatiche di vitamina B12 può essere corretta mediante la somministrazione di folati con o senza supplementi di vitamina B. Tuttavia, non è chiaro se questo trattamento dia un reale beneficio. Infezione da Chlamydia pneumoniae: la comprensione del ruolo dell’infezione e dell’infiammazione nell’aterosclerosi e nelle sue complicanze sta migliorando. Sono in corso trial clinici per stabilire se la terapia antibiotica ha un reale impatto sulle manifestazioni cliniche dell’infezione.

Terapia Una volta che l’aterosclerosi si è instaurata, il trattamento è diretto verso le sue complicanze (p. es., angina pectoris, IMA, aritmie, scompenso cardiaco, insufficienza renale, ictus ischemico e occlusione di arterie periferiche). Tali argomenti vengono trattati altrove nel Manuale.

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Arteriosclerosi

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 201. ARTERIOSCLEROSI ARTERIOSCLEROSI NON ATEROMATOSA Nell’arteriosclerosi dell’aorta e dei suoi rami maggiori, con l’età si sviluppano fibrosi e un certo ispessimento intimale, con conseguente indebolimento e distruzione delle lamine elastiche. La media (lo strato di muscolatura liscia) va incontro a un certo grado di atrofia e il lume dell’aorta o di uno o più dei suoi rami aumenta (ectasia), con possibile formazione di un aneurisma. L’ipertensione gioca un ruolo di primo piano nell’aterosclerosi aortica e nella formazione di aneurismi. Un probabile danno intimale, l’ectasia e l’ulcerazione possono portare alla formazione di un trombo, con embolia oppure occlusione completa del vaso. La perdita di elasticità di tutta la parete vasale può indebolire il vaso e predisporre all’infiltrazione di sangue lungo i piani laminari del vaso in un processo chiamato dissezione aortica (v. Cap. 211). Con il termine di arteriolosclerosi, si indica l’ipertrofia della media e la fibrosi sottointimale con degenerazione ialina che si sviluppa nelle piccole arterie muscolari o nelle arteriole. L’ipertensione è un importante fattore predisponente. Nell’arteriosclerosi di Mönckeberg (sclerosi calcifica della media), in una fase tardiva si verifica una degenerazione focale della muscolatura liscia della media, con calcificazioni focali e perfino formazione di tessuto osseo. A volte il vaso diventa, per tutto un tratto, un tubo rigido calcifico, senza riduzione del lume e con scarse conseguenze cliniche.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI DISSEZIONE AORTICA (Aneurisma dissecante; ematoma dissecante) Lacerazione dell’intima aortica, attraverso cui il sangue penetra nella parete aortica, separando la media dall’avventizia.

Sommario: Introduzione Eziologia Classificazione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La dissezione aortica ha una mortalità elevata. La colonna di sangue che avanza forma una falso lume nell’aorta, che in genere si estende distalmente e, meno comunemente, in senso prossimale, a partire dall’iniziale lacerazione intimale. La dissezione si verifica all’interno della media e può rompersi verso l’avventizia o al contrario verso l’intima. Il falso lume può riconnetersi al vero lume aortico in ogni punto. L’apporto di sangue ad ogni arteria che nasce dall’aorta può essere compromesso e la valvola aortica può diventare insufficiente. La morte spesso avviene per rottura dell’aorta, abitualmente all’interno della cavità pericardica o della cavità pleurica sinistra. La dissezione dell’aorta può avere origine a qualunque livello, ma le sedi più comuni sono l’aorta ascendente prossimale entro 5 cm dalla valvola aortica e l’aorta discendente toracica appena al di sotto dell’origine dell’arteria succlavia sinistra. Raramente, la dissezione è confinata a singole arterie (p. es., le arterie coronarie o carotidi).

Eziologia Modificazioni degenerative della muscolatura liscia e del tessuto elastico della media dell’aorta, a volte con formazione di cisti (medionecrosi cistica) , sono alla base della maggior parte dei casi. La condizione clinica più comunemente associata alla degenerazione della media è l’ipertensione, che è presente in > 2/3 dei casi ed è particolarmente frequente in caso di dissezione distale. Altre cause comprendono: i disordini ereditari del tessuto connettivo, specie le sindromi di Marfan e di Ehlers-Danlos; le malformazioni congenite cardiovascolari (p. es., la coartazione dell’aorta, la pervietà del dotto arterioso, la valvola aortica bicuspide); l’arteriosclerosi; i traumi e l’arterite granulomatosa. Le dissezioni iatrogene sono secondarie al cateterismo arterioso e alle procedure chirurgiche cardiovascolari.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Classificazione La classificazione anatomica più largamente usata è quella di DeBakey, che riconosce tre tipi di dissezione aortica: il tipo 1 ha origine a livello dell’aorta prossimale e si estende oltre i vasi brachiocefalici, il tipo 2 ha origine nello stesso punto del precedente, ma è limitato all’aorta ascendente e il tipo 3 parte dall’aorta discendente toracica appena dopo l’origine dell’arteria succlavia sinistra. Un’altra classificazione anatomica definisce di tipo A la dissezione che coinvolge l’aorta ascendente e di tipo B quella limitata all’aorta discendente. Molti medici definiscono semplicemente la dissezione dell’aorta ascendente come prossimale e quella dell’aorta discendente come distale. La dissezione è considerata acuta se < 2 sett. e cronica se ≥ 2 sett.

Sintomi e segni Il sintomo principale è il dolore, presente in quasi tutti i pazienti con normale stato di coscienza. Il dolore insorge in maniera caratteristicamente brusca ed è di intensità insopportabile. Viene spesso definito come una sensazione di lacerazione o strappo. La localizzazione più comune è il precordio, ma è frequente un dolore nell’area interscapolare, soprattutto quando la dissezione coinvolge l’aorta discendente toracica. Il dolore della dissezione aortica migra frequentemente dalla sede di origine a mano a mano che la dissezione si estende lungo l’aorta. Occasionalmente, la dissezione si presenta con sintomi riferibili a occlusione arteriosa acuta (p. es., ictus, IMA o infarto intestinale, paraparesi o paraplegia per interruzione dell’apporto ematico al midollo spinale o ischemia di un arto). Tale quadro clinico può mimare un’embolia arteriosa. Nei 2/3 dei pazienti circa si riscontra una riduzione o la totale assenza dei principali polsi arteriosi, talora ad andamento intermittente. Un soffio da insufficienza aortica è rilevabile nei 2/3 dei pazienti portatori di una dissezione prossimale. Possono essere presenti i segni periferici dell’insufficienza aortica. Raramente, una grave insufficienza aortica acuta può causare insufficienza cardiaca. È comune un versamento pleurico sinistro, dovuto a una raccolta infiammatoria sierosa periaortica o a stravaso di sangue nella cavità pleurica sinistra. Le complicanze neurologiche comprendono ictus, paraparesi o paraplegia da ischemia del midollo spinale e neuropatie ischemiche periferiche da brusca occlusione dell’arteria che fornisce sangue all’arto. La fuoriuscita di sangue dalla dissezione all’interno della cavità pericardica può causare tamponamento cardiaco.

Diagnosi Sono comuni una leucocitosi e un’anemia di grado lieve, se si ha uno stravaso di sangue fuori dall’aorta (bisogna sempre considerare la possibilità che del sangue venga aspirato dalla pleura sinistra). L’AST e la CK sono solitamente normali. La LDH può essere aumentata per l’emolisi che può verificarsi all’interno del falso lume. L’ECG non si modifica, eccetto che nel caso di un IMA secondario alla dissezione. L’ECG e gli enzimi sierici sono d’aiuto nella diagnosi differenziale fra IMA e dissezione aortica, fatto cruciale se si prende in considerazione la terapia trombolitica. Nel 90% dei pazienti, la radiografia del torace mostra una dilatazione dell’aorta. Una sporgenza localizzata lungo il contorno dell’aorta indica di solito l’origine della dissezione. Sebbene l’aorta sia ingrandita, solitamente non è aneurismatica. È comune un versamento pleurico sinistro. L’aortografia con mezzo di contrasto, mediante un catetere inserito in aorta a partire da un’arteria periferica, è il metodo diagnostico definitivo per il rilievo di file:///F|/sito/merck/sez16/2111911.html (2 of 4)02/09/2004 2.30.51

Malattie dell’aorta e dei suoi rami

dissezione aortica ed è di solito essenziale se si prende in considerazione la terapia chirurgica. Tale procedura può identificare l’origine e l’estensione della dissezione, la gravità dell’insufficienza aortica e l’entità del coinvolgimento dei maggiori tronchi arteriosi che hanno origine dall’aorta. L’ecocardiografia transtoracica bidimensionale identifica in maniera assolutamente affidabile la dissezione dell’aorta ascendente, ma non quella dell’aorta discendente. L’ecocardiografia transesofagea è estremamente sensibile e specifica per la diagnosi di dissezione aortica, sia dell’aorta ascendente che di quella discendente. La TC con mezzo di contrasto è un’eccellente procedura di screening per la dissezione aortica e può essere eseguita rapidamente. Probabilmente la RMN è la migliore delle metodologie diagnostiche non invasive per l’imaging dell’aorta e consente di rilevare una dissezione cronica dell’aorta; tuttavia, la RMN è spesso inappropriata nei pazienti in fase acuta perché l’acquisizione delle immagini comporta tempi lunghi. Inoltre, i pazienti in condizioni critiche, che vanno monitorati con estrema attenzione, non possono essere correttamente assistiti quando si trovano all’interno della camera di acquisizione delle immagini.

Prognosi e terapia La sopravvivenza a lungo termine dei pazienti trattati che sopravvivono alla fase acuta è di circa il 60% a 5 anni e del 40% a 10 anni. Al contrario, il 75% dei pazienti non trattati muore entro 2 settimane. Circa 1/3 dei decessi tardivi sono dovuti alle complicanze della dissezione; i restanti 2/3 sono dovuti ad altre malattie. I pazienti con dissezione aortica devono essere tenuti in osservazione in un’unità di terapia intensiva. Un catetere intra-arterioso assicura il monitoraggio ottimale della PA e la diuresi deve essere controllata ogni ora mediante un catetere uretrale a dimora. Poiché la mortalità è più elevata nelle prime ore dall’inizio della dissezione, si deve iniziare il più presto possibile la terapia farmacologica finalizzata a ridurre la pressione arteriosa e la velocità di contrazione del ventricolo sinistro (dP/dT). In fase acuta, si usa generalmente l’associazione di nitroprussiato di sodio e di un βbloccante. Il nitroprussiato va somministrato in infusione EV continua, cominciando con 0,2-0,3 µg/kg/min e aumentando la dose come necessario per ottenere un controllo ottimale della PA. Sono spesso necessarie dosi elevate (200-300 µg/min). Lo scopo è ottenere una riduzione della PA ai più bassi livelli compatibili con un’adeguata perfusione cerebrale, coronarica e renale. Poiché il nitroprussiato da solo ha un effetto tachicardizzante e può aumentare il dP/dT, è obbligatoria la somministrazione contemporanea di un β-bloccante. A questo scopo, si utilizza il propranololo EV alla dose iniziale di 0,5 mg, seguita da 1-2 mg q 3-5 min fino a che la frequenza si abbassa a 60-70 battiti/min o fino a una dose totale di 0,15 mg/kg nell’arco di 30-60 min. La medesima dose può essere ripetuta q 2-4 h per mantenere il β-blocco. Nei pazienti che non tollerano il propranololo a causa di BPCO, asma bronchiale o cardiopatia, si possono somministrare β-bloccanti cardioselettivi (p. es., metoprololo) EV in dosi equivalenti. In alternativa, si può usare acutamente l’esmololo, un β-bloccante a breve durata d’azione, in infusione EV continua (50-200 µg/ kg/min). Se anche i βbloccanti selettivi non sono tollerati, un’alternativa ragionevole è rappresentata dal trimetafano camsilato, alla dose di 1-5 mg/min EV. Sebbene questo farmaco sia inizialmente efficace, si sviluppa rapidamente tachifilassi e il suo uso è limitato dalla comparsa di effetti collaterali simpatico-plegici (p. es., ritenzione urinaria, ileo paralitico e offuscamento della vista). Altri farmaci utili nel trattamento della fase acuta sono i calcioantagonisti (p. es., verapamil 0,05-0,1 mg/kg EV). Il labetalolo, che ha proprietà sia α che βbloccanti, viene somministrato alla dose iniziale di 5-20 mg EV; dosi addizionali di

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20-40 mg possono essere somministrate q 10-20 min, fino a ottenere un buon controllo dei valori pressori. La dose totale iniziale EV non deve essere 300 mg. Dosi simili di labetalolo possono essere somministrate q 4-8 h, al bisogno. In alternativa, il labetalolo può essere somministrato in infusione EV continua alla dose di 1-2 mg/min. La diagnosi deve essere confermata il più presto possibile e si deve quindi decidere tra il proseguimento della terapia medica in corso e la chirurgia. L’obiettivo della chirurgia è di resecare quanto più possibile l’aorta dissecata, chiudere l’ingresso del falso lume e ricostruire l’aorta con una protesi sintetica. Se presente, un’insufficienza aortica significativa va risolta con la risospensione dei lembi valvolari aortici o con la sostituzione valvolare. La chirurgia è indicata praticamente in tutti i casi di dissezione acuta che coinvolgano l’aorta prossimale. Solitamente, si raccomanda la terapia medica nei pazienti con dissezione aortica distale, eccetto che in caso di perdite, di ischemia viscerale o degli arti e di aneurismi sintomatici o che aumentino progressivamente di dimensioni. La mortalità chirurgica nei più importanti centri specializzati nel trattamento della dissezione aortica è di circa il 15% per la dissezione aortica prossimale e un po’ più alta per la dissezione distale. Tutti i pazienti, compresi quelli trattati chirurgicamente, devono essere sottoposti a terapia medica a lungo termine, che generalmente consiste in una combinazione di β-bloccanti o calcioantagonisti e altri farmaci antiipertensivi, soprattutto ACE-inibitori. Qualunque combinazione di farmaci antiipertensivi è accettabile, eccetto quelli che agiscono principalmente come vasodilatatori (p. es., idralazina, minoxidil) o β-bloccanti con attività simpatico-mimetica intrinseca (p. es., pindololo, acebutololo) Le complicanze tardive, più importanti, sono la recidiva della dissezione, la formazione di un aneurisma localizzato nell’aorta indebolita e l’insufficienza valvolare aortica progressiva. Una qualsiasi di queste complicanze può rendere necessaria la riparazione chirurgica.

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Coronaropatia

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 202. CORONAROPATIA ANGINA PECTORIS Sindrome clinica dovuta a ischemia del miocardio, caratterizzata da dolore precordiale a carattere oppressivo e costrittivo, di solito scatenata dallo sforzo e alleviata dal riposo o dalla nitroglicerina sublinguale.

Sommario: Eziologia Anatomia patologica e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Prognosi Terapia ANGINA INSTABILE ANGINA VARIANTE

Eziologia La causa è di solito una stenosi critica delle arterie coronarie dovuta all’aterosclerosi. Lo spasmo (idiopatico o dovuto alla cocaina) o, raramente, un’embolia coronarica possono esserne la causa (v. Infarto Miocardico, più avanti). Patologie diverse dall’aterosclerosi (p. es., la stenosi aortica calcifica, l’insufficienza aortica, la stenosi subaortica ipertrofica) possono causare angina di per sé (perché aumentano il lavoro cardiaco) o in associazione alla malattia coronarica.

Anatomia patologica e patogenesi Di solito, nei pazienti che hanno una storia d’angina di lunga durata, l’autopsia mostra un’aterosclerosi coronarica estesa e una fibrosi miocardica parcellare. Possono esserci evidenze macroscopiche o microscopiche di un vecchio IMA. Si ha angina pectoris quando il lavoro cardiaco e le richieste miocardiche di O2 superano la capacità di apporto di sangue ossigenato da parte delle coronarie. Frequenza cardiaca, tensione sistolica o pressione arteriosa e contrattilità sono i maggiori determinanti del fabbisogno miocardico di O2. L’aumento di uno qualsiasi di questi fattori in condizioni di flusso coronarico ridotto può indurre angina. Per questo, nel paziente che ha una stenosi coronarica critica, lo sforzo fisico provoca una crisi anginosa che si risolve poi con il riposo. Quando il miocardio diviene ischemico, il pH del sangue del seno coronarico si riduce, si ha perdita di K intracellulare, la produzione di lattato reintegra le quote utilizzate, compaiono alterazioni dell’ECG e la funzione ventricolare si riduce. La pressione diastolica del ventricolo sinistro (VS) spesso aumenta durante l’angina,

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Coronaropatia

talora sino a valori che determinano congestione polmonare e dispnea. Si ritiene che l’angina sia una diretta conseguenza dell’ischemia miocardica e del conseguente accumulo di metaboliti ipossici.

Sintomi e segni L’angina pectoris non è solitamente percepita come un vero e proprio dolore. Può essere un dolore vago, appena fastidioso, oppure può diventare rapidamente una sensazione di oppressione precordiale grave e molto intensa. Ha una localizzazione variabile, ma è più comunemente avvertita in sede retrosternale. Può irradiarsi alla spalla sinistra e giù lungo il braccio sinistro anche fino alle dita; direttamente alla schiena, alla gola, alla mandibola e ai denti e occasionalmente lungo il versante interno del braccio destro. Può anche essere avvertita a livello dei quadranti addominali superiori. Poiché il fastidio è raramente avvertito nella regione dell’apice cardiaco, il paziente che indica con precisione tale area o descrive il dolore come una sensazione evanescente, di calore o tipo fitta, di solito non ha un’angina. Fra una crisi e l’altra e perfino durante la crisi d’angina, possono non esserci segni di cardiopatia. Tuttavia, durante l’attacco, la frequenza cardiaca può aumentare leggermente, la PA è spesso elevata, i toni cardiaci si fanno più lontani e l’itto puntale diviene più diffuso. La palpazione del precordio può evidenziare un impulso sistolico localizzato o un movimento paradosso, espressione di ischemia segmentaria e di discinesia regionale. Il secondo tono può avere uno sdoppiamento paradosso, a causa del prolungamento dell’eiezione del VS durante l’episodio ischemico. È frequente un quarto tono. Si può apprezzare un soffio mesosistolico o telesistolico apicale, di tonalità piuttosto alta ma non particolarmente intenso, dovuto alla disfunzione localizzata di un muscolo papillare secondaria all’ischemia. L’angina pectoris è tipicamente scatenata dall’attività fisica, in genere non persiste più di alcuni minuti e regredisce con il riposo. La risposta allo sforzo è di solito prevedibile, ma in certi pazienti un’attività fisica ben tollerata un giorno può scatenare l’attacco anginoso il giorno successivo. L’angina peggiora quando lo sforzo fa seguito a un pasto. Inoltre, i sintomi sono esacerbati dal freddo: una crisi può essere scatenata anche da una passeggiata in una giornata con clima ventoso o dal primo contatto con l’aria fredda all’uscita da un ambiente riscaldato. L’angina può verificarsi di notte (angina notturna), preceduta da un sogno accompagnato da notevoli modificazioni del respiro, della frequenza cardiaca e della PA. L’angina notturna può anche essere un segno di insufficienza ventricolare sinistra ricorrente, un equivalente della dispnea notturna. Le crisi possono variare da più volte in un giorno a episodi occasionali, con periodi asintomatici di settimane, mesi o anni. Esse possono aumentare di frequenza (angina in crescendo) fino all’esito fatale, o possono gradualmente ridursi o scomparire se si sviluppa un circolo collaterale adeguato, se l’area ischemica va incontro a infarto o se sopravviene scompenso cardiaco o claudicatio intermittens che limitano l’attività fisica del paziente. L’angina può verificarsi spontaneamente a riposo (angina da decubito), di solito accompagnata da un modesto incremento della frequenza cardiaca e da un aumento della PA che può essere marcato. Se l’angina non si risolve, l’incremento dei valori pressori e l’elevata frequenza cardiaca aumentano il fabbisogno miocardico di O2 e rendono più probabile un IMA. Poiché le caratteristiche dell’angina per un dato paziente sono solitamente costanti, ogni modificazione dei sintomi (intensità aumentata, soglia ridotta, durata più lunga o comparsa quando il paziente sta seduto o al risveglio) deve essere considerata come un aggravamento della malattia. Tali cambiamenti della sintomatologia vengono descritti con il termine di angina instabile (v. oltre). Sindrome X: in alcuni pazienti con angina tipica, sensibile al riposo o alla nitroglicerina, il test da sforzo è patologico e si ha produzione miocardica di file:///F|/sito/merck/sez16/2021783.html (2 of 9)02/09/2004 2.30.53

Coronaropatia

lattato durante ischemia, mentre la coronarografia è normale. In alcuni pazienti, può essere dimostrata una vasocostrizione riflessa delle coronarie intramiocardiche e la riserva coronarica è ridotta. I dati disponibili suggeriscono una prognosi favorevole, sebbene i sintomi di ischemia possano ricorrere per anni. In molti pazienti, i sintomi migliorano con i β-bloccanti. Questa condizione non deve essere confusa con l’angina variante, dovuta a spasmo delle coronarie epicardiche (v. Angina Variante, più avanti).

Diagnosi La diagnosi si basa sul dolore toracico tipico, provocato dallo sforzo e alleviato dal riposo. La diagnosi è confermata se, durante un attacco spontaneo, si rilevano modificazioni ischemiche dell’ECG, reversibili con la regressione della sintomatologia. Possono comparire diverse modificazioni ECG: sottoslivellamento del tratto ST (di solito), sopraslivellamento del tratto ST, riduzione dell’altezza dell’onda R, turbe della conduzione intraventricolare o blocchi di branca tipici e aritmie (solitamente extrasistoli ventricolari). Tra gli attacchi, l’ECG (e di solito la funzione ventricolare) di base è normale in circa il 30% dei pazienti con una storia tipica di angina pectoris, perfino nel caso di una coronaropatia diffusa e di malattia trivasale (un ECG di base anormale, da solo, non permette di stabilire o escludere la diagnosi). Alternativamente, la diagnosi può essere confermata mediante una dose test di nitroglicerina sublinguale, che dovrebbe caratteristicamente far regredire la sintomatologia in 1,5-3 min. Test ergometrico: dal momento che la diagnosi d’angina si basa primariamente sull’anamnesi, il test ergometrico in un paziente con sintomi tipici viene generalmente utilizzato per determinare la risposta funzionale ed elettrocardiografica a uno sforzo graduale (per il test da sforzo associato a tecniche scintigrafiche, v. Cap. 198; per quanto riguarda il test da sforzo in soggetti asintomatici, al fine di determinare lo stato di salute o il grado di allenamento per programmi di esercizio, v. più avanti). Il paziente esegue lo sforzo fino al raggiungimento di un obiettivo prestabilito (p. es., 80-90% della frequenza cardiaca massima, che può essere approssimata a 220 meno l’età in anni), a meno che non compaiano sintomi che suggeriscono una disfunzione del sistema cardiovascolare (dispnea, ridotta resistenza, fatica, ipotensione o dolore toracico). La risposta ischemica all’ECG durante o dopo lo sforzo è caratterizzata da un sottoslivellamento orizzontale o discendente del tratto ST di 0,1 millivolt (1 mm all’ECG se si utilizza la calibrazione standard), che duri 0,08 s. Una depressione del punto J con un tratto ST ascendente è difficile da interpretare: molti dei pazienti che presentano tale quadro non hanno una coronaropatia. L’interpretazione del test da sforzo è ulteriormente complicata dall’aumentata incidenza della malattia coronarica con l’età; prove falsamente positive si hanno in 20% dei pazienti al di sotto dei 40 anni d’età, ma in < 10% dei soggetti al di sopra dei 60 anni. La frequenza di test veri-positivi aumenta con il numero di arterie coronarie ostruite e importanti sottoslivellamenti del tratto ST sono generalmente correlati con coronaropatie più estese. Il test da sforzo è massimamente predittivo di coronaropatia nei soggetti di sesso maschile con fastidio toracico suggestivo per angina (specificità, 70%, sensibilità, 90%). La prova da sforzo è più difficile da interpretare nelle donne di età inferiore ai 55 anni; un’alta incidenza di falsi-positivi, probabilmente correlata, almeno in parte, alla minore probabilità pre-test della malattia nella popolazione più giovane, ne riduce la specificità. Tuttavia, in presenza di una coronaropatia, è più probabile che una donna abbia un ECG patologico rispetto a un uomo (32% versus 23%). La frequenza di falsi-negativi nella popolazione femminile è paragonabile a quella rilevata nella popolazione maschile: ciò suggerisce che un test negativo indica in maniera affidabile l’assenza della malattia. In pazienti con sintomi atipici, un test ergometrico negativo permette generalmente di escludere l’angina pectoris e la coronaropatia. Un test positivo file:///F|/sito/merck/sez16/2021783.html (3 of 9)02/09/2004 2.30.53

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può indicare un’ischemia indotta dallo sforzo, ma non spiega i sintomi atipici, rendendo necessarie indagini ulteriori. I pazienti con angina instabile e quelli con un sospetto IMA recente non devono essere sottoposti alla prova da sforzo. Tuttavia, se le indicazioni sono appropriate e si attua uno stretto monitoraggio, la prova da sforzo in un paziente ischemico comporta un basso rischio. La risposta del paziente fornisce preziose informazioni prognostiche e aiuta a porre indicazione a un esame angiografico o a un possibile intervento di bypass aorto-coronarico nei pazienti in terapia medica massimale. Tutto l’occorrente per la rianimazione cardiorespiratoria, inclusi i farmaci d’emergenza, gli strumenti per il controllo delle vie aeree e un defibrillatore, devono essere immediatamente disponibili per ogni paziente sottoposto a un test da sforzo. L’angiografia coronarica documenta l’entità delle stenosi delle arterie coronarie (v. anche sotto Cateterismo cardiaco nel Cap. 198). I rilievi dell’angiografia coronarica correlano con i reperti autoptici, anche se l’estensione e la gravità delle lesioni vengono generalmente sottostimate. Con tecniche di alta qualità, possono essere visualizzati vasi fino a 1 mm. La presenza di coronaropatia viene riconosciuta dal rilievo di restringimenti, talora anche a corona di rosario, o dall’obliterazione dei vasi. L’ostruzione è ritenuta funzionalmente significativa quando il diametro del lume è ridotto di > 70%. Tale reperto correla bene con la presenza di angina pectoris; è meno probabile che ostruzioni di grado minore comportino ischemia, a meno che non vi si sovrappongano spasmo o trombosi. La valutazione della cinetica regionale per mezzo dell’angiografia del VS è importante, se non è controindicata per i potenziali effetti collaterali del mezzo di contrasto sulla funzione renale o ventricolare. L’ecocardiografia (v. anche nel Cap. 198) può essere utilizzata per l’analisi anatomica e funzionale del miocardio. L’anatomia valvolare è ben rappresentata e la pressione dell’arteria polmonare può essere stimata in maniera affidabile. I pazienti con una funzione ventricolare ridotta, conseguenza di una contrattilità depressa, hanno un’aspettativa di vita ridotta. Tuttavia, se la riduzione della funzione ventricolare è dovuta a coronaropatia, questi pazienti traggono grande beneficio dall’intervento di bypass aorto-coronarico, se sopravvivono all’intervento. La scintigrafia miocardica fornisce informazioni sull’anatomia cardiaca, sulla funzione cardiaca, sulla perfusione e sul metabolismo del miocardio. La ventricolografia radioisotopica permette di misurare i volumi sistolico e diastolico del ventricolo sinistro (e quindi la frazione d’eiezione) e, mediante le metodiche di primo passaggio, la frazione d’eiezione del ventricolo destro. La perfusione miocardica viene visualizzata mediante la tomografia computerizzata a emissione di fotone singolo (Single-Photon Emission Computer Tomography: SPECT) dopo iniezione di tallio-201 e tecnezio-99msestamibi. Le immagini che mostrano aree di ridotta captazione dopo esercizio fisico o stimolo farmacologico sono messe a confronto con le immagini realizzate a riposo, per valutare se sia presente un’ischemia distrettuale o un infarto. Le immagini realizzate mediante tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography, PET) dimostrano il flusso miocardico distrettuale assoluto o il metabolismo miocardico dopo somministrazione di un tracciante appropriato e dopo stimolazione farmacologica. Il medico deve decidere quale metodica è più adatta nel singolo caso.

Diagnosi differenziale Molte malattie causano dolore toracico e devono essere prese in considerazione nella diagnosi differenziale (p. es., alterazioni della colonna cervicale e dorsale, lussazioni costocondrali, dolori toracici aspecifici). Tuttavia, poche patologie simulano realmente l’angina: essa è talmente caratteristica che gli errori diagnostici risultano solitamente da un’inaccurata raccolta dell’anamnesi. Patologie GI: le difficoltà diagnostiche sorgono quando il pazienta presenta file:///F|/sito/merck/sez16/2021783.html (4 of 9)02/09/2004 2.30.53

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angina atipica, specialmente con sintomi gastrointestinali (p. es., meteorismo; eruttazione, che talvolta può alleviare i sintomi; dispepsia), che sono spesso attribuiti a un’indigestione. L’ulcera peptica, l’ernia iatale e le colecistopatie possono causare sintomi analoghi all’angina pectoris o possono provocare crisi anginose in pazienti con un’anamnesi di preesistente coronaropatia. Delle alterazioni aspecifiche dell’onda T e del tratto ST sono state descritte nell’esofagite, nell’ulcera peptica e nella colecistite e ciò può ulteriormente complicare la diagnosi. Dispnea: l’angina può essere confusa con la dispnea, in parte a causa dell’aumento improvviso e reversibile della pressione di riempimento del VS che spesso accompagna la crisi anginosa. La descrizione del paziente può essere imprecisa e può essere difficile stabilire se il problema è l’angina, la dispnea o entrambe. Una dispnea ricorrente per sforzi lievi può riflettere un’aumentata pressione di riempimento del VS secondaria a ischemia, con o senza dolore. Ischemia silente: il monitoraggio Holter delle 24 h ha rivelato un’incidenza sorprendentemente elevata (fino al 70% degli episodi) di anomalie dell’onda T e del tratto ST in assenza di dolore nei pazienti coronaropatici. Tali modificazioni sono rare in persone non affette da cardiopatia ischemica. Studi scintigrafici hanno rilevato ischemia miocardica in alcuni soggetti durante stress psichico (p. es., esercizi aritmetici mentali) e durante modificazioni spontanee dell’ECG. L’ischemia silente e l’angina pectoris possono coesistere nello stesso soggetto. Nell’ischemia silente, la prognosi è determinata dalla gravità della malattia coronarica. La rivascolarizzazione può migliorare la prognosi riducendo l’incidenza di IMA o di morte improvvisa.

Prognosi I rischi maggiori sono l’angina instabile, l’IMA, l’IMA ricorrente e la morte improvvisa aritmica. La mortalità annua è dell’1,4% circa in pazienti di sesso maschile con angina e senza pregresso IMA, con un ECG a riposo e una PA normali. La mortalità sale a circa il 7,5% se è presente ipertensione sistolica, all’8,4% quando l’ECG risulta alterato e al 12% se sono presenti entrambi questi fattori di rischio. Pazienti con lesioni del tronco comune della coronaria sinistra o della discendente anteriore prossimale sono particolarmente a rischio. Sebbene l’evoluzione clinica dipenda dal numero dei vasi interessati, in pazienti stabili la prognosi è sorprendentemente buona anche in caso di malattia trivasale, se la funzione ventricolare è normale. Una ridotta funzione ventricolare, spesso quantificata mediante la frazione di eiezione, influisce in maniera negativa sulla prognosi, soprattutto nei pazienti con malattia di tre vasi. La prognosi è anche correlata con i sintomi; è migliore nei pazienti con angina lieve o moderata (Classe I e II) rispetto ai pazienti con grave angina da sforzo (Classe III). L’età è un fattore di rischio di primo piano negli anziani.

Terapia L’obiettivo terapeutico principale consiste nel prevenire o ridurre l’ischemia e nel minimizzare i sintomi. La malattia di base, solitamente l’aterosclerosi, deve essere caratterizzata e i fattori di rischio devono essere ridotti il più possibile (v. Cap. 201). I fumatori dovrebbero smettere di fumare: dopo 2 anni dalla cessazione dell’abitudine del fumo, il rischio di IMA è ridotto agli stessi livelli di chi non ha mai fumato. L’ipertensione va trattata con attenzione, dato che anche file:///F|/sito/merck/sez16/2021783.html (5 of 9)02/09/2004 2.30.53

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una lieve ipertensione aumenta il lavoro cardiaco. Talora, trattando uno scompenso cardiaco di moderata entità, l’angina migliora notevolmente. Paradossalmente, in alcuni casi la digitale aggrava l’angina, presumibilmente perché l’incremento della contrattilità miocardica aumenta la domanda di O2 in presenza di un flusso coronarico fisso. La riduzione aggressiva del colesterolo totale e LDL (con terapia dietetica, associata, se necessario, a farmaci, v. Cap. 15) nei pazienti a rischio ritarda la progressione della malattia coronarica e può provocare la regressione di alcune lesioni. Un programma di esercizio fisico basato soprattutto sul camminare migliora spesso lo stato soggettivo di benessere, riduce il rischio del paziente e migliora la tolleranza allo sforzo. Tre classi di farmaci sono abitualmente efficaci, singolarmente o in associazione, nell’alleviare i sintomi: i nitrati, i β-bloccanti e i calcioantagonisti. La nitroglicerina è un potente rilassante della muscolatura liscia e ha un effetto vasodilatatore. La sua sede di azione più importante è il letto vascolare periferico, in particolare i vasi venosi di capacitanza e le coronarie. Anche i vasi gravemente aterosclerotici possono dilatarsi nelle zone prive di ateroma. La nitroglicerina riduce la PA sistolica e dilata le vene sistemiche, riducendo in tal modo la tensione della parete miocardica, una delle maggiori determinanti del fabbisogno miocardico di O2. Globalmente, il farmaco aiuta a bilanciare l’apporto e la domanda di O2 a livello miocardico. La nitroglicerina sublinguale alla dose di 0,3-0,6 mg è il farmaco più efficace per l’episodio acuto e per la profilassi prima dell’esercizio. Entro 1,5-3 min, si ha in genere una marcata riduzione del dolore, che scompare dopo circa 5 min; l’azione del farmaco persiste sino a 30 min. La dose può essere ripetuta dopo 45 min per tre volte, qualora il miglioramento iniziale risulti incompleto. I pazienti devono portare sempre con sé della nitroglicerina in compresse sublinguali o in spray per usarla prontamente all’inizio dell’attacco anginoso. Tale farmaco perde efficacia se non è conservato in bottigliette di vetro a chiusura ermetica e resistenti alla luce; il paziente deve rifornirsi di piccole quantità a intervalli frequenti. I nitrati ad azione prolungata sono disponibili in preparazioni orali o transcutanee. Essi migliorano la tolleranza all’esercizio per diverse ore nel paziente anginoso. L’isosorbide dinitrato alla dose di 10-20 mg PO qid è efficace entro 1-2 h dall’assunzione e il suo effetto persiste per 4-6 h. La dose iniziale può essere aumentata, a seconda della risposta, sino a 40 mg qid. Sono disponibili anche preparazioni a rilascio prolungato. L’isosorbide mononitrato, il metabolita attivo del dinitrato, viene somministrato alla dose di 20 mg PO bid, con un intervallo di 7 h fra la prima e la seconda dose. Compresse a lento rilascio (30 o 60 mg/die, aumentabili fino a 120 mg/die o, raramente, 240 mg/die se necessario) sembrano essere efficaci per tutto il giorno senza evidenza di tolleranza. L’unguento di nitroglicerina garantisce un buon assorbimento transcutaneo, soprattutto in ambiente umido. In commercio sotto forma di una preparazione al 2% (15 mg/2,5 cm), 1,25 cm di unguento vengono applicati sulla cute della parte superiore del dorso o sulle braccia ogni 6-8 h e ricoperti con della plastica. La dose può essere incrementata sino a 7,5 cm se tollerata. L’unguento va rimosso per diverse ore ogni giorno per impedire che si verifichi tolleranza (v. oltre) a causa dell’assorbimento continuo. I cerotti di nitroglicerina per applicazione cutanea garantiscono un effetto terapeutico prolungato, grazie alla lenta liberazione del farmaco. La risposta è correlata alle dimensioni del cerotto e alla concentrazione del farmaco; la capacità d’esercizio migliora circa 4 h dopo l’applicazione del cerotto, ma la maggior parte degli studi non evidenzia una persistenza dell’effetto dopo 18-24 h. Il cerotto va rimosso dopo 14-18 ore perché può svilupparsi tolleranza (v. più avanti).

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Coronaropatia

Può verificarsi tolleranza ai nitrati, di solito entro 24 h, quando le concentrazioni plasmatiche sono costanti. La tolleranza sembra in parte dovuta alla deplezione di gruppi sulfidrilici della muscolatura liscia, che provoca una ridotta attivazione del GMP ciclico. A causa delle variazioni circadiane del rischio di IMA (incidenza più alta nelle prime ore del mattino), è ragionevole prevedere un periodo di wash out dai nitrati nel pomeriggio o in prima serata, se le circostanze cliniche lo consentono. Per la nitroglicerina, 8 h sembrano sufficienti. L’isosorbide può richiedere un periodo di wash out di 12 h. I β-bloccanti interrompono la stimolazione simpatica sul cuore e riducono la pressione sistolica, la frequenza cardiaca, la contrattilità e la gittata cardiaca, riducendo pertanto le richieste miocardiche di O2 e aumentando la tolleranza allo sforzo. Inoltre, essi aumentano la soglia per la fibrillazione ventricolare. Poiché le richieste tissutali di O2 vengono soddisfatte da una maggiore estrazione di O2 dal sangue capillare, la differenza arterovenosa di O2 è aumentata. Questi farmaci sono estremamente utili nel ridurre i sintomi e sono ben tollerati dalla maggior parte dei pazienti. I calcioantagonisti rappresentano l’importante terzo braccio nel trattamento dell’angina pectoris e delle coronaropatie. Questi vasodilatatori sono utili nel trattamento dell’angina associata a ipertensione e risolvono lo spasmo coronarico, se presente. Essi risultano spesso efficacissimi nell’angina variante (v. più avanti), ma la loro efficacia può essere limitata dal loro effetto cronotropo e inotropo negativo (diltiazem, verapamil). Gli antiaggreganti piastrinici sono importanti perché si oppongono all’aggregazione delle piastrine, che ha un ruolo fondamentale nella genesi dell’IMA e dell’angina instabile. In studi epidemiologici, è stato dimostrato che l’aspirina, che si lega alle piastrine in maniera irreversibile e inibisce la cicloossigenasi e l’aggregazione piastrinica in vitro, riduce l’incidenza di eventi coronarici (IMA, morte improvvisa) nei pazienti coronaropatici. Per questo, da più parti si raccomanda la somministrazione di aspirina alla dose di 80-325 mg/die come profilassi in questi pazienti. Per i pazienti che non possono assumere aspirina, sono disponibili la ticlopidina (250 mg bid) e il clopidogrel (75 mg/die). Questi farmaci contrastano l’aggregazione piastrinica indotta dall’adenosina difosfato. La ticlopidina sembra essere più efficace dell’aspirina nei pazienti ad alto rischio per attacchi ischemici transitori, ictus, cardiopatia ischemica e vasculopatia periferica, ma comporta il rischio della soppressione del midollo osseo. L’angioplastica comporta l’inserzione di un catetere dotato di un palloncino a un’estremità all’interno di un’arteria, in corrispondenza di una lesione aterosclerotica parzialmente occlusiva. Quando il palloncino viene gonfiato, si possono provocare lacerazioni dell’intima e della media, con una notevole dilatazione dell’ostruzione. Circa il 20-30% delle ostruzioni recidiva in alcuni giorni o settimane, ma la maggior parte può essere sottoposta con successo a una nuova dilatazione. L’uso degli stent riduce in maniera significativa il tasso di riocclusione, che continua a diminuire con l’applicazione di tecniche ancora più nuove. L’angiografia ripetuta a 1 anno di distanza dimostra un lume apparentemente normale in circa il 30% dei vasi sottoposti a tale trattamento. L’angioplastica rappresenta un’alternativa all’intervento di bypass, nel caso in cui le lesioni siano anatomicamente suscettibili a tale tipo di terapia. Il rischio è paragonabile a quello della chirurgia: la mortalità è dell’1-3%; l’incidenza di IMA è del 3-5%; un bypass d’emergenza per dissezione intimale con occlusione del vaso è necessario in < 3% dei casi; la percentuale di successo iniziale è pari all’85-93% in mani esperte. I risultati continuano a migliorare con i progressi che si vanno compiendo nella metodica, nella progettazione dei cateteri e dei dispositivi di dilatazione e nella terapia farmacologica per mantenere la pervietà dopo la procedura. L’intervento di bypass aorto-coronarico costituisce un approccio terapeutico molto efficace in pazienti selezionati con angina. Il candidato ideale per tale intervento ha una grave angina pectoris, dimensioni cardiache normali, nessuna storia di IMA, malattia localizzata e pertanto aggredibile mediante bypass, buona funzione ventricolare e nessun fattore di rischio aggiuntivo. In questo tipo di paziente, la chirurgia elettiva comporta un rischio di IMA perioperatorio < 5% e file:///F|/sito/merck/sez16/2021783.html (7 of 9)02/09/2004 2.30.53

Coronaropatia

una mortalità 1%. L’85% circa di tali pazienti sperimenta la scomparsa o la notevole riduzione dei sintomi. Ad 1 anno, circa l’85% dei bypass risulta pervio. Il test da sforzo mostra una correlazione positiva tra la pervietà del graft e la migliorata tolleranza allo sforzo, sebbene alcuni pazienti mostrino un significativo miglioramento nonostante la chiusura del bypass. Il rischio operatorio è più alto nei pazienti con funzione ventricolare sinistra compromessa o con associata valvulopatia mitralica o aortica. La mortalità operatoria per un secondo intervento di bypass è di tre-cinque volte più alta che per il primo; è dunque importante scegliere il momento giusto per eseguire il primo bypass. La coronaropatia può progredire nonostante l’intervento di bypass. Nel postoperatorio, il rischio di occlusione prossimale del vaso sede di bypass aumenta. L’ostruzione di un graft venoso progredisce attraverso due fasi: dapprima si verifica una trombosi e, successivamente (diversi anni), una lenta degenerazione aterosclerotica della media e dell’intima. L’aspirina prolunga il periodo in cui i graft venosi si mantengono pervi. Il tasso di pervietà dei bypass realizzati con innesto dell’arteria mammaria interna è molto maggiore rispetto a quello dei graft venosi; dopo 10 anni, fino al 97% di tali condotti è funzionante e l’arteria si ipertrofizza per far fronte all’aumento del flusso ematico. La sopravvivenza dopo intervento di bypass è maggiore nei pazienti portatori di stenosi del tronco comune, in quelli con malattia di tre vasi e ridotta funzione del VS e in alcuni pazienti con malattia di due vasi. Tuttavia, nei pazienti con angina lieve o moderata (Classe I o II), malattia di tre vasi e buona funzione ventricolare, la sopravvivenza sembra solo marginalmente migliorata dalla chirurgia. Nei pazienti con malattia di un vaso, la prognosi è simile con terapia medica, angioplastica o intervento di bypass, eccetto che nel caso di malattia del tronco comune o della discendente anteriore prossimale, quando la rivascolarizzazione chirurgica appare vantaggiosa.

ANGINA INSTABILE (Insufficienza coronarica acuta; angina pre-infartuale; angina in crescendo; sindrome intermedia) Sindrome caratterizzata da un progressivo intensificarsi dei sintomi anginosi o dalla nuova comparsa di angina a riposo o notturna o dalla comparsa di episodi anginosi di durata protratta. L’angina instabile è provocata da un improvviso aumento del grado di ostruzione al flusso, dovuto alla rottura della placca fibrosa che ricopre un ateroma con conseguente adesione delle piastrine. Nell’angina instabile, 1/3 dei pazienti studiati angiograficamente presenta trombi parzialmente occludenti nel vaso che serve l’area ischemica. Tale percentuale è probabilmente sottostimata, a causa della difficoltà a individuare un trombo mediante angiografia. Rispetto all’angina stabile, il dolore dell’angina instabile è generalmente più intenso, dura più a lungo, insorge per sforzi lievi o si verifica spontaneamente a riposo (angina da decubito), è progressivo (crescendo) o è caratterizzato dalla combinazione di diversi fra questi aspetti. Circa il 30% dei pazienti con angina instabile andrà probabilmente incontro a un IMA entro 3 mesi dall’esordio; la morte improvvisa è meno comune. La presenza di significative modificazioni ECG durante dolore indica un aumentato rischio di IMA o di morte improvvisa. L’angina instabile è un’emergenza medica da trattare in unità coronarica (UTIC). Sia l’eparina che l’aspirina riducono l’incidenza di IMA. Per ridurre la coagulazione intracoronarica, si deve iniziare immediatamente terapia con aspirina PO (325 mg/die) ed eparina EV. Se l’aspirina non è tollerata o è controindicata, 250 mg bid di ticlopidina o 75 mg/die di clopidogrel sono una possibile alternativa. La ticlopidina rende necessario il monitoraggio dell’emocromo a intervalli regolari, per il rischio di neutropenia. file:///F|/sito/merck/sez16/2021783.html (8 of 9)02/09/2004 2.30.53

Coronaropatia

Bisogna ridurre il lavoro cardiaco rallentando la frequenza cardiaca e abbassando la PA con β-bloccanti e nitroglicerina EV, ristabilendo così l’equilibrio tra richieste di O2 e flusso ematico coronarico. Patologie favorenti (p. es., ipertensione, anemia) devono essere trattate in maniera intensiva. Risultano utili il riposo a letto, O2 per via nasale e nitrati. I calcioantagonisti possono essere utili nei pazienti con ipertensione e probabile spasmo coronarico. I trombolitici non sono utili e possono essere pericolosi. In un trial randomizzato su pazienti con angina instabile refrattaria, è stato dimostrato che l’uso dell’antagonista del recettore piastrinico glicoproteina IIb/IIIa abciximab (frammento Fab di un anticorpo monoclonale) migliora la prognosi. È stato dimostrato che il tirofiban previene gli eventi ischemici cardiaci nell’angina instabile e nell’infarto non-Q. Altri antagonisti del recettore IIb/IIIa sono in corso di valutazione nelle sindromi ischemiche acute. I sintomi del paziente devono essere tenuti sotto controllo per alcune ore con un trattamento intensivo. Se dopo 24-48 h la terapia non è efficace, può essere necessario un trattamento più aggressivo. La contropulsazione aortica riduce il postcarico sistolico e aumenta la pressione diastolica, che è la principale forza che determina la perfusione coronarica. Questa tecnica spesso riduce il dolore anginoso continuo e può essere usata per sostenere la circolazione durante un cateterismo cardiaco diagnostico in vista della rivascolarizzazione mediante bypass aorto-coronarico o angioplastica. L’angiografia può essere indicata nel paziente che risponde poco alla terapia medica, al fine di identificare la lesione colpevole e valutare l’estensione della malattia coronarica e la funzione del VS; tutte queste informazioni permettono di porre indicazione all’angioplastica transluminale o all’intervento di bypass aorto-coronarico, se tecnicamente realizzabili.

ANGINA VARIANTE (Angina di Prinzmetal) Angina pectoris solitamente secondaria a spasmo delle coronarie epicardiche, caratterizzata da dolore a riposo e sopraslivellamento del tratto ST durante gli attacchi. La maggior parte dei pazienti ha una stenosi fissa prossimale significativa di almeno un’arteria coronarica principale. Lo spasmo solitamente si verifica entro 1 cm dalla stenosi ed è spesso accompagnato da aritmie ventricolari. Al di fuori degli attacchi anginosi (che tendono a verificarsi con regolarità a una certa ora del giorno) l’ECG può essere normale o patologico, ma è comunque stabile nel tempo. L’ergonovina EV è stata utilizzata come test provocativo per indurre lo spasmo, ma tale prova va eseguita solo da personale specializzato in laboratorio di emodinamica. Nonostante la sopravvivenza media a 5 anni sia fra l’89 e il 97%, i pazienti con angina variante e una stenosi coronarica grave costituiscono una categoria a rischio aumentato. La nitroglicerina sublinguale risolve immediatamente il dolore dell’angina variante. I calcioantagonisti sembrano essere molto efficaci.

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO CARDIOMIOPATIE Tutte le anomalie strutturali o funzionali del miocardio ventricolare, con l’eccezione dei difetti congeniti, delle valvulopatie, delle malattie vascolari sistemiche o polmonari, delle affezioni isolate del pericardio, del sistema nodale o di conduzione e delle patologie delle coronarie epicardiche, tranne che nel caso di una disfunzione miocardica cronica diffusa. Le cardiomiopatie hanno molteplici cause (v. Tab. 203-2). All’inizio, risulta particolarmente utile la classificazione fisiopatologica della cardiomiopatia (dilatativa congestizia, ipertrofica o restrittiva), ottenuta mediante l’anamnesi, l’esame obiettivo e test invasivi o non-invasivi (v. Tab. 203-3). Se non si riesce a identificare alcuna causa, l’affezione viene considerata primitiva o idiopatica.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 203-3. DIAGNOSI E TERAPIA DELLE CARDIOMIOPATIE Dilatativa Congestizia Esame clinico Insufficienza cardiaca sinistra e destra Cardiomegalia Insufficienza funzionale della valvola AV

Ipertrofica

Restrittiva

Angina, dispnea da sforzo, Dispnea da sforzo e sincope, morte improvvisa affaticabilità Soffi eiettivi±soffi da insufficienza mitralica

Scompenso cardiaco sinistro ± destro

S4, polso carotideo bifido Rapida fase ascendente del polso carotideo

Insufficienza funzionale delle valvole A-V

S3 e S4 ECG

Anomalie Ipertrofia del ventricolo aspecifiche di ST e T sinistro

Ipertrofia del ventricolo sinistro o bassi voltaggi

Onde Q

Onde Q settali profonde

Cardiomegalia

Cardiomegalia assente

Cardiomegalia lieve o assente

Ecocardiogra Ventricoli dilatati e ipocinetici ± trombi fia murali

Ventricoli ipertrofici ± movimento sistolico anteriore della mitrale ± ipertrofia asimmetrica

Aumento degli spessori parietali ± obliterazione delle cavità

Emodinamica PTD normale o elevata, FE ridotta, ventricoli diffusamente ipocinetici e dilatati ± insufficienza delle valvole A-V

PTD elevata, FE elevata ± gradiente sottovalvolare ± insufficienza mitralica

PTD elevata, dipplateau diastolico nella curva di pressione del ventricolo sinistro

Rx

Congestione venosa polmonare

GC normale o ridotta

GC normale o rifotta

GC ridotta Fisiopatologia Disfunzione sistolica Disfunzione diastolica ± ostruzione all’efflusso Terapia

Riduzione del precarico e del postcarico, βbloccanti, agenti inotropi, anticoagulanti

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Riduzione della contrattilità con β-bloccanti o Ca antagonisti ± miotomia settale o miectomia, pacing sequenziale AV

Disfunzione diastolica Resezione endocardica Flebotomia nell’emocromatosi

Manuale Merck - Tabella

Prognosi

70% di mortalità a 5anni

Mortalità del4% per anno

70% di mortalità a 5anni

AV=atrioventricolare; ±=con o senza; PTD=pressione telediastolica; FE=frazione d’eiezione; GC=gittata cardiaca; S3=terzo tono; S4=quarto tono

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO CARDIOMIOPATIE CARDIOMIOPATIA DILATATIVA CONGESTIZIA Patologia della funzione miocardica con insufficienza cardiaca, in cui sono predominanti la dilatazione ventricolare e la disfunzione sistolica.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Eziologia e fisiopatologia La più comune causa identificabile nelle zone a clima temperato è la coronaropatia diffusa con una miopatia diffusa su base ischemica; per le altre cause, v. Tab. 203-2. Nella maggior parte dei casi, al momento della presentazione clinica, si rileva una fibrosi miocardica cronica con diffusa perdita di miociti. Si ritiene che, in alcuni pazienti, il processo patologico di base incominci con una miocardite acuta (probabilmente virale nella maggior parte dei casi), seguita da una fase di latenza di durata variabile e successivamente da una fase di fibrosi cronica e di perdita diffusa di miocardiociti, dovuta a una reazione autoimmunitaria contro i miociti modificati dal virus. Qualunque sia la causa, il risultato finale è la dilatazione, l’assottigliamento e l’ipertrofia compensatoria del restante miocardio (v. Fig. 2033) nell’ambito di una fibrosi diffusa. L’alterata geometria ventricolare spesso provoca un’insufficienza mitralica o tricuspidale secondaria di natura funzionale, con dilatazione atriale. Il risultato più immediato è la depressione della funzione sistolica ventricolare, che si riflette in una ridotta frazione di eiezione (FE). La gittata cardiaca viene mantenuta a spese della tachicardia e di un incremento del volume telediastolico, che provoca a sua volta un aumento della tensione di parete e della richiesta miocardica di O2. La distensibilità e la pressione diastolica si modificano solo tardivamente nel corso della malattia.

Sintomi e segni Si tratta di una patologia generalmente cronica, che si presenta con dispnea da sforzo e fatica, dovute all’elevata pressione diastolica del ventricolo sinistro e alla bassa gittata cardiaca. Siccome possono essere interessati entrambi i ventricoli, spesso sono evidenti anche i segni e i sintomi di insufficienza del ventricolo destro. Più raramente, quando è responsabile un agente infettivo, l’esordio è quello di file:///F|/sito/merck/sez16/2031818.html (1 of 4)02/09/2004 2.30.55

Scompenso cardiaco

una miocardite acuta associata a febbre. L’infezione da virus Coxsackie B è comune soprattutto nelle regioni temperate (v. Infezioni virali nel Cap. 265), mentre la malattia di Chagas dovuta al Trypanosoma cruzi è più comune nell’America Centrale e Meridionale (v. Protozoi extraintestinali nel Cap. 161). L’incidenza di cardiomiopatia dilatativa congestizia è in aumento nei pazienti con AIDS (v. Cap. 163). L’esame obiettivo rivela una PA normale o bassa, tachicardia sinusale, rantoli basali, turgore delle vene del collo con onde a e v prominenti (v. Fig. 197-1), reflusso epato-giugulare ed edemi periferici. Nei casi gravi, si sviluppano anche epatomegalia, ascite e ipotrofia muscolare. Si osserva spesso un diffuso sollevamento parasternale e si apprezza un impulso diastolico in concomitanza del terzo tono (S3); all’auscultazione è spesso rilevabile un soffio puntale da insufficienza mitralica. Lungo il margine sternale sinistro, nella sua parte inferiore, si può rilevare il soffio dell’insufficienza tricuspidale, che aumenta di intensità con l’inspirazione e si associa a onde di rigurgito nelle vene del collo e pulsazione sistolica del fegato. In alcuni pazienti, il processo patologico è limitato a un solo ventricolo (di solito il sinistro) e ciò modifica il quadro clinico. Una rara forma che coinvolge il solo ventricolo destro è caratterizzata da aritmie atriali e morte improvvisa per tachiaritmie ventricolari maligne. È frequente la formazione di trombi murali in ogni cavità cardiaca, una volta che la camera si sia dilatata in maniera significativa. Le aritmie cardiache spesso complicano la fase miocarditica acuta e la fase dilatativa cronica.

Diagnosi La diagnosi dipende dall’anamnesi, dall’esame obiettivo e dall’esclusione di altre cause di insufficienza ventricolare (p. es., ipertensione sistemica, valvulopatia primitiva, IMA). L’ECG può mostrare una tachicardia sinusale, complessi QRS di basso voltaggio e sottoslivellamenti non specifici del tratto ST, con onde T di basso voltaggio o invertite. A volte sono presenti onde Q patologiche nelle derivazioni precordiali, che simulano un pregresso IMA. Il blocco di branca sinistro è comune. In circa il 25% dei casi, la differenziazione da un pregresso IMA può essere ulteriormente complicata dalla presenza di un dolore toracico che può essere simile al dolore anginoso, sebbene sia più spesso atipico per carattere e per sede e sia privo di una chiara relazione con lo sforzo. L’esame radiologico del torace rivela una cardiomegalia che di solito coinvolge tutte le camere. L’aumento della pressione venosa polmonare e l’edema interstiziale sono spesso accompagnati da versamento pleurico, soprattutto destro. L’ecocardiografia M-mode e bidimensionale mostra camere cardiache dilatate e ipocinetiche con riduzione dell’accorciamento frazionario e permette di escludere una valvulopatia primitiva o la presenza di anomalie della cinesi segmentaria, che si osservano invece nell’IMA. L’esame ecocardiografico può inoltre rilevare la presenza di un trombo murale, che spesso complica la cardiomiopatia dilatativa congestizia. Gli studi scintigrafici mostrano camere cardiache dilatate e diffusamente ipocinetiche. Nella miocardite, la scintigrafia al gallio può identificare la fase infiammatoria acuta (v. Scintigrafia nel Cap. 198), mentre la RMN evidenzia le anomalie del tessuto miocardico. Il cateterismo cardiaco è riservato ai pazienti nei quali la diagnosi rimane dubbia dopo un’indagine non invasiva, particolarmente in presenza di dolore toracico. La gittata cardiaca può essere normale o bassa, ma la FE risulta depressa e l’angiografia mostra un’ipocinesia diffusa. Non si rilevano gradienti e calcificazioni valvolari e le arterie coronarie sono normali. La pressione telediastolica del ventricolo sinistro aumenta tardivamente nel corso della malattia. Durante il cateterismo, si può effettuare la biopsia del miocardio di entrambi i ventricoli. Quando studi specifici mostrano una gittata cardiaca inaspettatamente ridotta in altre forme di cardiopatia, va considerata la possibilità di una coesistente cardiomiopatia. file:///F|/sito/merck/sez16/2031818.html (2 of 4)02/09/2004 2.30.55

Scompenso cardiaco

Prognosi La prognosi è generalmente infausta: il 70% dei pazienti muore in < 5 anni. Il 50% dei decessi è improvviso: ciò suggerisce che la causa sia un’aritmia maligna. A meno che non sia individuata ed eliminata una causa primaria correggibile (p. es., alcol, un agente infettivo), non vi è alcuna terapia specifica che possa prolungare la sopravvivenza. La prognosi è migliore quando l’ipertrofia reattiva è adeguata e preserva lo spessore della parete ventricolare, mentre risulta peggiore in caso di marcato assottigliamento della parete ventricolare. Una prognosi infausta è correlata a una cattiva funzione ventricolare o ad aritmie ventricolari frequenti al monitoraggio ECG-24 h. Gli uomini sopravvivono per un periodo pari alla metà della sopravvivenza delle donne. I neri sopravvivono per un periodo pari alla metà della sopravvivenza dei bianchi.

Terapia Il trattamento è specifico per ciascuna malattia di base (p. es., toxoplasmosi, tireotossicosi, beriberi) e può comprendere l’eliminazione di potenziali tossine o di fattori che deprimono il miocardio, la terapia per la bassa gittata cardiaca e per l’insufficienza cardiaca e il trattamento delle complicanze. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non si individua alcun fattore causale. Se possibile, bisogna eliminare l’alcol e alcuni farmaci psicotropi e correggere gli squilibri elettrolitici. La terapia dello scompenso cardiaco e della bassa gittata dipende da un appropriato bilanciamento tra la riduzione del postcarico, l’uso di farmaci inotropi e la riduzione del precarico, al fine di ottimizzare la gittata cardiaca e risolvere la congestione venosa sistemica e polmonare. Una riduzione combinata del postcarico e del precarico con gli ACE-inibitori (p. es., captopril, enalapril, lisinopril) o con l’associazione idralazina-nitrati (p. es., isosorbide dinitrato) costituisce il presidio terapeutico fondamentale. Questi farmaci modificano favorevolmente la prognosi. Il carvedilolo, e probabilmente gli altri β-bloccanti prolungano la sopravvivenza e riducono la morbilità. I glicosidi digitalici, che riducono la morbilità, sono validi in quanto deboli inotropi positivi e perché controllano la frequenza ventricolare nei pazienti con fibrillazione atriale. I diuretici possono ridurre la pressione di riempimento dei ventricoli sinistro e destro, in modo da impedire l’edema polmonare o una significativa congestione epatica. Sono in corso di studio gli inibitori della fosfodiesterasi (p. es., amrinone, milrinone) e l’utilizzo di un’infusione di breve durata intermittente (48-72 h) di catecolamine (dopamina o dobutamina): tali presidi possono essere temporaneamente d’aiuto in alcuni pazienti. Non è stato dimostrato un effetto di queste terapie sulla sopravvivenza. I corticosteroidi, con o senza azatioprina, e le globuline equine antitimociti, possono abbreviare la fase acuta di alcune miopatie in cui sia stata dimostrata biopticamente la presenza di infiammazione a livello miocardico (p. es., miocardite acuta postvirale), ma non cambiano il decorso delle miopatie croniche e non sono più utilizzati. Di conseguenza, prima di intraprendere terapia con corticosteroidi o azatioprina, bisogna dimostrare biopticamente la presenza di una miocardite in fase attiva. Dato il rischio che si formino trombi murali, si ricorre alla profilassi con anticoagulanti orali per prevenire un’embolia sistemica o polmonare (v. Cap. 72). Le aritmie cardiache, che spesso complicano la fase miocarditica acuta della miopatia e la fase dilatativa cronica tardiva, vengono trattate con farmaci antiaritmici appropriati (v. Cap. 205). Attenzione: La maggior parte degli antiaritmici ha un effetto depressivo sulla contrattilità miocardica; pertanto, è meglio evitare farmaci con importante effetto inotropo negativo (p. es., disopiramide, procainamide). L’effetto proaritmico dei farmaci antiaritmici di classe I (p. es., encainide, flecainide) è tanto maggiore quanto peggiore è la funzione ventricolare. Se il blocco cardiaco complica la fase cronica dilatativa, può essere necessario un PM permanente. Tuttavia, il blocco atrioventricolare

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Scompenso cardiaco

che si verifica durante una miocardite acuta spesso si risolve e, di solito, non è necessario un pacemaker permanente. Nei pazienti con una diffusa coronaropatia di base associata a una miopatia ischemica diffusa, può essere indicata terapia antianginosa con nitrati, βbloccanti e calcioantagonisti (v. Cap. 202). Tuttavia, il beneficio dei calcioantagonisti nel controllo dell’angina va comunque valutato considerando il loro effetto inotropo negativo; è meglio evitare i calcioantagonisti, eccetto l’amlodipina e la felodipina. Alcuni studi suggeriscono che certi pazienti (caratterizzati da una significativa risposta adrenergica compensatoria, che causa una cronica down-regulation dei recettori β-adrenergici nella fibrocellula muscolare cardiaca) possono beneficiare di basse dosi di β-bloccanti. Si deve cominciare con dosi molto basse (p. es., carvedilolo 6,25 mg o metoprololo 5 mg bid) ed è essenziale, per tutta la durata della terapia, un’attenta valutazione del paziente al fine di rilevare prontamente i segni di un peggioramento del compenso emodinamico. Se le dosi iniziali sono tollerate, vanno poi aumentate fino a 25 mg bid per il carvedilolo e 50 mg bid per il metoprololo. I maggiori benefici si hanno nei giovani con cardiomiopatia dilatativa congestizia di recente insorgenza. Le donne traggono più beneficio degli uomini. La nifedipina a breve durata d’azione agisce normalmente come un vasodilatatore e riduce il postcarico; tuttavia, in presenza di scompenso cardiaco, la risposta riflessa simpatica alla vasodilatazione arteriolare può essere già massimale. In tal caso, può diventare evidente l’effetto inotropo negativo del farmaco, con un peggioramento dell’insufficienza cardiaca. Un appropriato riposo, il sonno e ridotti livelli di stress sono tutte cose importanti, ma il riposo prolungato a letto deve essere prescritto solo se la sintomatologia lo impone. L’esercizio fisico entro i limiti imposti dai sintomi migliora il generale stato di salute e può leggermente prolungare la sopravvivenza. A causa della prognosi infausta, questi pazienti rappresentano la maggior parte dei candidati al trapianto cardiaco. I pazienti selezionati per il trapianto non devono avere malattie sistemiche associate, disturbi psichici o un aumento irreversibile delle resistenze vascolari polmonari; in genere, devono avere meno di 60 anni, perché i pazienti più giovani sono i candidati preferiti, data la cronica carenza di organi. Una procedura chirurgica che comporta la rimozione di segmenti di miocardio per rimodellare il ventricolo dilatato si è dimostrata promettente in trial non controllati. Sono in corso trial controllati di confronto fra questa metodica e terapia medica ottimale. È stato dimostrato che un’altra procedura chirurgica, in cui il muscolo latissimus dorsi viene portato intorno al ventricolo insufficiente e stimolato mediante un pacemaker per la muscolatura scheletrica, non ha alcun valore. Diversi dispositivi di supporto per il ventricolo, dotati di una fonte di energia interna con o senza una fonte di energia esterna, vengono attualmente usati per mantenere il paziente in vita in attesa del trapianto cardiaco o come terapia a lungo termine al posto del trapianto.

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO CARDIOMIOPATIE CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA Gruppo di patologie miocardiche caratterizzate da pareti ventricolari rigide, non distensibili, che si oppongono al riempimento diastolico di uno o entrambi i ventricoli, più frequentemente il sinistro. Questa forma di cardiomiopatia è la meno prevalente.

Sommario: Eziologia e anatomia patologica Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e anatomia patologica Solitamente la causa è sconosciuta (per le cause individuabili, v. Tab. 203-2). L’amiloidosi che coinvolge il miocardio è di solito sistemica, così come il deposito di ferro nell’emocromatosi. La sarcoidosi e la malattia di Fabry interessano il miocardio e possono coinvolgere il tessuto di conduzione nodale. Una causa di cardiomiopatia restrittiva è la malattia di Löffler (un tipo particolare di sindrome ipereosinofila con coinvolgimento cardiaco primitivo). Si verifica ai tropici. Ha inizio con un’arterite acuta eosinofila, con successiva formazione di trombi a livello dell’endocardio, delle corde tendinee e delle valvole atrioventricolari e ulteriore progressione verso la fibrosi. La fibrosi endocardica si ha invece nelle zone temperate e coinvolge soltanto il ventricolo sinistro. La cardiomiopatia restrittiva è divisa in una varietà diffusa non obliterativa, in cui il miocardio è infiltrato da una sostanza anormale (p. es., amiloidosi) e una varietà obliterativa, in cui l’endocardio e il subendocardio sono fibrotici (p. es., fibrosi endomiocardica). Entrambe possono essere localizzate, se la patologia coinvolge una sola cavità o, più raramente, parte di una cavità.

Fisiopatologia Le conseguenze fisiopatologiche comprendono l’ispessimento dell’endocardio o l’infiltrazione del miocardio, con perdita di miociti, ipertrofia compensatoria e fibrosi. Ciascuna di queste può portare al malfunzionamento della valvola atrioventricolare con insufficienza mitralica o tricuspidale. L’interessamento del tessuto nodale e di conduzione causa una disfunzione del nodo senoatriale e, in alcuni casi, un blocco cardiaco di varia entità. L’amiloidosi può interessare le arterie coronarie. La conseguenza emodinamica principale di questa patologia è la disfunzione

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diastolica con un ventricolo rigido, non distensibile e con un’elevata pressione di riempimento. La funzione sistolica può deteriorarsi se l’ipertrofia compensatoria è inadeguata, nel caso di camere infiltrate o fibrose. La trombosi murale e l’embolia sistemica possono complicare la varietà restrittiva e quella ostruttiva.

Sintomi, segni e diagnosi Similmente alla cardiomiopatia ipertrofica, la principale disfunzione consiste nella compromissione della distensibilità durante il riempimento diastolico di uno (più comunemente il sinistro) o entrambi i ventricoli. I sintomi sono dovuti all’elevata pressione diastolica che dà origine a ipertensione venosa polmonare con dispnea da sforzo, ortopnea e, quando è coinvolto il ventricolo destro, edemi declivi. La scarsa tolleranza allo sforzo è una conseguenza dell’incapacità ad aumentare la gittata cardiaca, che è fissa a causa della resistenza al riempimento ventricolare. L’angina e la sincope sono infrequenti, ma risultano comuni le aritmie atriali e quelle ventricolari, nonché il blocco cardiaco. All’esame obiettivo non si rilevano pulsazioni precordiali; il polso carotideo è rapido e di ampiezza ridotta, sono presenti rantoli polmonari e un pronunciato turgore delle vene del collo con rapida discesa della y (v. Fig. 197-1). Praticamente in tutti i casi si rileva un S4; un S3, qualora presente, va differenziato da un "precordial knock". In genere, non sono presenti soffi. In alcuni casi, modificazioni della geometria ventricolare e delle corde tendinee, risultato dell’infiltrazione o della fibrosi del miocardio e dell’endocardio, sono responsabili di un soffio funzionale da insufficienza mitralica o tricuspidale. Pertanto, i sintomi e i segni clinici sono molto simili a quelli della pericardite costrittiva; test non invasivi (inclusa la TC) che dimostrano un pericardio normale possono aiutare a differenziare queste due patologie, ma, occasionalmente, neanche il cateterismo cardiaco è diagnostico ed è necessaria una toracotomia esplorativa per valutare il pericardio. L’ECG presenta di solito anomalie aspecifiche, soprattutto del tratto ST e dell’onda T, e talvolta bassi voltaggi. Si osservano a volte onde Q patologiche in assenza di IMA. Talvolta si ha un’ipertrofia ventricolare sinistra dovuta a un processo di compenso. Alla rx del torace, le dimensioni cardiache sono spesso normali o ridotte, ma possono essere aumentate nella fase avanzata dell’amiloidosi o dell’emocromatosi. L’ecocardiogramma mostra una normale funzione sistolica. Gli atri sono spesso dilatati. In caso di amiloidosi, si riscontrano echi particolarmente brillanti del miocardio. L’ecocardiografia aiuta nella diagnosi differenziale rispetto alla pericardite costrittiva, caratterizzata da ispessimento del pericardio, sebbene in entrambe le patologie possa osservarsi un movimento settale paradosso. In corso di miopatia restrittiva, si sviluppa spesso ipertrofia miocardica. Nelle malattie infiltrative del miocardio (p. es., amiloide o ferro), la RMN evidenzia una trama anormale del tessuto miocardico. Il cateterismo cardiaco e la biopsia miocardica sono spesso necessari. Le curve pressorie mostrano un’elevata pressione atriale con una prominente discesa della y e, nel tracciato ventricolare, una precoce depressione diastolica seguita da un plateau diastolico. A differenza di quanto accade nella pericardite costrittiva, solitamente la pressione diastolica è di pochi mm Hg più alta nel ventricolo sinistro rispetto a quello destro. L’angiografia rivela cavità cardiache di normali dimensioni con un accorciamento sistolico normale o ridotto. Un’insufficienza della valvola atrioventricolare può risultare dall’infiltrazione del miocardio e dei muscoli papillari o dall’ispessimento dell’endocardio. L’esame bioptico può dimostrare la fibrosi e l’ispessimento dell’endocardio, l’infiltrato miocardico contenente ferro o amiloide e la fibrosi cronica del miocardio. L’angiografia coronarica è normale, a eccezione dei rari casi di amiloidosi che coinvolgono le arterie coronarie epicardiche. La causa primaria della cardiomiopatia restrittiva va sempre ricercata con attenzione (p. es., biopsia rettale per l’amiloidosi, studi della cinetica del ferro o file:///F|/sito/merck/sez16/2031825.html (2 of 3)02/09/2004 2.31.04

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altri esami bioptici per l’emocromatosi).

Prognosi e terapia La prognosi è infausta (v. Tab. 203-3), simile a quella della cardiomiopatia dilatativa congestizia (v. sopra). Non esiste alcuna terapia per la maggior parte dei pazienti. I diuretici vanno usati con cautela perché possono ridurre il precarico, dal quale i ventricoli non distensibili dipendono per mantenere la gittata cardiaca. La digitale aiuta poco a migliorare l’emodinamica e può risultare pericolosa nella cardiomiopatia da amiloidosi, in cui è comune un’estrema sensibilità al farmaco. Gli agenti che riducono il postcarico possono causare un’ipotensione grave e non hanno alcuna utilità. L’emocromatosi può migliorare con regolari salassi al fine di ridurre i depositi di ferro, mentre i casi di sarcoidosi attiva dimostrata mediante biopsia si giovano della terapia corticosteroidea. Nella fase acuta della sindrome ipereosinofila, i pazienti possono rispondere ai corticosteroidi e ai farmaci citotossici (p. es. l’idrossiurea). Raramente, nella fase cronica, i pazienti affetti da fibroelastosi endocardica o malattia di Löffler migliorano dopo la riduzione chirurgica ("debridement") dell’ispessimento fibrotico e trombotico dell’endocardio, delle corde tendinee e delle valvole. A volte, la sostituzione delle valvole atrioventricolari si è dimostrata utile nei casi di grave insufficienza funzionale. In alcuni casi di ipertrofia compensatoria significativa, possono risultare utili i calcioantagonisti. In tali casi, è utile il monitoraggio emodinamico all’inizio della terapia per confermarne l’efficacia.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO CUORE POLMONARE Ingrandimento del ventricolo destro secondario a una patologia polmonare che produce ipertensione arteriosa polmonare (p. es., malattia del parenchima polmonare, alterazioni anatomiche della meccanica ventilatoria, depressione del drive respiratorio).

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il termine cuore polmonare non si riferisce all’ingrandimento del ventricolo destro (VD) secondario a scompenso del ventricolo sinistro (VS), a cardiopatie congenite o a cardiopatie valvolari acquisite. Di solito ha un decorso cronico, ma può essere acuto e reversibile.

Eziologia Il cuore polmonare acuto è generalmente causato da un’embolia polmonare massiva, ma spesso si verifica come riacutizzazione acuta reversibile di un cuore polmonare cronico in pazienti con BPCO, per lo più in corso di infezioni acute dell’apparato respiratorio. Il cuore polmonare cronico è causato solitamente dalla BPCO (bronchite cronica, enfisema) e, più raramente, dalla perdita di estese aree di parenchima polmonare per interventi chirurgici o traumi, da embolie polmonari croniche ricorrenti, ipertensione polmonare primitiva (v. oltre), malattia polmonare veno-occlusiva, sclerodermia, malattie che portano a fibrosi interstiziale diffusa dei polmoni, cifoscoliosi, obesità con ipoventilazione alveolare, malattie neuromuscolari che interessano i muscoli respiratori e ipoventilazione alveolare idiopatica.

Patogenesi Il cuore polmonare è causato direttamente da alterazioni del circolo polmonare che portano a ipertensione arteriosa polmonare e quindi aumentano il carico meccanico allo svuotamento del VD (postcarico). L’ipertensione polmonare (v. anche Ipertensione Polmonare Primitiva, più avanti) può essere causata da una riduzione irreversibile delle dimensioni del letto vascolare, come accade nelle malattie che primitivamente colpiscono i vasi polmonari (p. es., embolie [v. Cap. 72], sclerodermia), o dalla perdita di vaste aree di parenchima (p. es., da enfisema o interventi chirurgici).

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Tuttavia, il meccanismo più importante che porta all’ipertensione arteriosa polmonare è l’ipossia alveolare, che può derivare da un’insufficiente ventilazione di alveoli ben perfusi o da una riduzione generalizzata della ventilazione alveolare. L’ipossia alveolare, sia acuta che cronica, costituisce uno stimolo potente alla vasocostrizione polmonare; inoltre, l’ipossia alveolare cronica provoca l’ipertrofia della muscolatura liscia delle arteriole polmonari. Questi vasi ipertrofici rispondono alla successiva ipossia acuta. L’acidosi ipercapnica aumenta la vasocostrizione polmonare. Nell’ipossia cronica, l’ipertensione polmonare può essere peggiorata dall’aumento della viscosità ematica derivante dalla policitemia secondaria e dall’aumento della gittata cardiaca. Tuttavia, l’aumento della pressione capillare polmonare non contribuisce di per sé alla patogenesi dell’ipertensione arteriosa polmonare. L’ipossiemia e l’acidosi spesso aggravano una malattia indipendente del VS e peggiorano l’insufficienza respiratoria, se l’insufficienza del VS provoca un edema polmonare.

Sintomi, segni e diagnosi Va sospettato un cuore polmonare in tutti i pazienti affetti da una delle patologie che ne possono essere la causa (v. sopra, Eziologia). La dispnea da sforzo è il sintomo più comune dell’ipertensione polmonare. Alcuni pazienti riferiscono crisi sincopali o fatica durante sforzo fisico ed è comune il dolore retrosternale. I segni obiettivi consistono in una pulsazione sistolica parasternale sinistra e in un rinforzo del secondo tono. Possono aversi soffi da insufficienza funzionale della polmonare e della tricuspide. Questi segni di ingrandimento del ventricolo destro appaiono precocemente e sono facilmente riconoscibili nel cuore polmonare acuto. La rx del torace evidenzia un ingrandimento del VD e dell’arteria polmonare prossimale, con ridotta visualizzazione delle arterie più distali. I segni ECG di ipertrofia del VD si correlano bene con il grado di ipertensione polmonare presente. Nei pazienti con insufficienza del VD si possono rilevare un ritmo di galoppo del VD (S3 e S4), turgore delle giugulari (con onda a dominante, a meno che non sia presente un’insufficienza tricuspidale), epatomegalia ed edemi. È importante la valutazione ecocardiografica o scintigrafica della funzione del VS e del VD. Risulta utile l’emogasanalisi arteriosa, poiché nello scompenso sinistro è insolito rilevare un’ipossiemia, un’ipercapnia e un’acidosi di grado apprezzabile, a meno che non sia presente un edema polmonare franco. Poiché in questi pazienti l’iperinflazione polmonare e le bolle d’aria fanno sì che il cuore assuma una posizione più orizzontale, l’esame fisico, la rx del torace e l’ECG possono essere di scarsa utilità nella diagnosi di ingrandimento del VD. Per fare diagnosi di ipertensione polmonare può essere necessario il cateterismo destro. La valutazione ecocardiografica della pressione sistolica del VD è il miglior metodo non invasivo. Nel cuore polmonare dovuto a processi patologici a carico del parenchima polmonare, le manifestazioni cliniche della malattia di base mascherano di frequente quelle del cuore polmonare. I sintomi e i segni fondamentali (dispnea, tosse, cianosi e sibili) si osservano anche nello scompenso cardiaco sinistro e la diagnosi differenziale può richiedere test non invasivi o invasivi.

Terapia La terapia delle malattie polmonari primitive è descritta nella sezione 6. La terapia dell’insufficienza cardiaca destra è descritta oltre. Per l’ipossia da cuore polmonare è stato consigliato il salasso, ma gli effetti benefici della riduzione della viscosità ematica non compensano gli effetti negativi legati alla ridotta capacità di trasporto di O2 da parte del sangue; d’altra parte, nel cuore polmonare ipossico è poco frequente una poliglobulia marcata. La digitale non è efficace nel cuore polmonare ipossico. Molti pazienti che

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migliorano con la digitale e i vasodilatatori possono avere una disfunzione del VS passata inosservata. I diuretici possono migliorare gli scambi gassosi nel cuore polmonare ipossico, presumibilmente perché riducono l’accumulo di liquido extravascolare nei polmoni. Tuttavia, l’impiego di diuretici ad alte dosi può comportare un’alcalosi metabolica, che riduce l’efficacia della CO2 come stimolo del centro respiratorio. Quando vengono somministrati diuretici, devono essere scrupolosamente reintegrate le perdite di K e di Cl. L’O2-terapia continua riduce l’ipertensione polmonare, previene la poliglobulia nei pazienti ipossici e riduce la mortalità. Non è stato provato che i vasodilatatori polmonari (p. es., idralazina, calcioantagonisti, ossido nitroso, prostaciclina) siano efficaci. I pazienti affetti da cuore polmonare cronico o acuto hanno un aumentato rischio di tromboembolia venosa, che può essere ridotto dalla terapia anticoagulante a lungo termine.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 203. SCOMPENSO CARDIACO CARDIOMIOPATIE IPERTENSIONE POLMONARE PRIMITIVA Malattia ostruttiva poco frequente di causa ignota, che interessa le arterie polmonari di piccolo e medio calibro e che evolve verso un’insufficienza ventricolare destra o una sincope fatale 2-5 anni dopo la diagnosi.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Il sesso femminile è colpito cinque volte più frequentemente di quello maschile; l’età media al momento della diagnosi è di 35 anni. I pazienti più giovani hanno una prognosi peggiore. È sempre presente iperplasia dell’intima con conseguente restringimento del lume vasale. Nei casi più avanzati si osservano aree di ipertrofia e di iperplasia della media, lesioni plessiformi irreversibili e arteriti necrotizzanti (arteriopatia plessogenica). Simili lesioni anatomopatologiche e un analogo decorso clinico sono stati osservati in alcuni pazienti con cirrosi e in un ridotto numero di pazienti che assumono desfenfluramina e fentermina (farmaci anoressizzanti) in associazione; tali farmaci non sono più in commercio negli USA. In > 95% dei casi è presente una dispnea da sforzo progressiva. Le precordialgie e la sincope da sforzo sono meno frequenti. In molti pazienti sono presenti artralgie e il fenomeno di Raynaud, spesso anni prima dell’esordio evidente dell’ipertensione polmonare primitiva.

Diagnosi e terapia La diagnosi va sospettata sulla base delle manifestazioni cliniche, ma vanno escluse tutte le cause note di cuore polmonare (v. sopra), soprattutto quelle che possono essere modificate dalla terapia (p. es., embolia polmonare). L’esame obiettivo mostra, in misura variabile, i caratteri del cuore polmonare. L’ecocardiogramma, la scintigrafia ventilazione/perfusione, i test di funzionalità respiratoria e il cateterismo cardiaco risultano di solito necessari per escludere altre cause di ipertensione polmonare. Se la scintigrafia ventilazione/perfusione mostra deficit di perfusione segmentari non accompagnati da deficit di ventilazione, oppure evidenzia ampi deficit di perfusione, va eseguita l’angiografia polmonare. Il pattern di captazione descritto non si osserva nell’ipertensione polmonare primitiva, ma suggerisce un’occlusione cronica trombotica delle arterie polmonari dovuta a un’embolia polmonare che non si è risolta; in alcuni di questi casi, può essere d’aiuto la tromboendoarteriectomia. Un’angioscopia polmonare può rivelare un trombo murale cronico, anche quando l’arteriografia è negativa. L’utilità della biopsia polmonare a cielo aperto è controversa.

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Alcuni pazienti rispondono alla terapia con vasodilatatori (p. es., prostaciclina, nifedipina) con una drastica riduzione della pressione dell’arteria polmonare. Tuttavia, l’efficacia dei vasodilatatori deve essere dapprima dimostrata nel laboratorio di emodinamica. L’uso inappropriato di questi farmaci ha provocato drastici peggioramenti e decessi. Sempre più spesso, la nifedipina a lunga durata d’azione viene somministrata per via orale a dosi determinate in maniera empirica durante il cateterismo cardiaco. La somministrazione EV di prostaciclina (farmaco vasodilatatore e antiaggregante piastrinico) attraverso cateteri venosi e piccole pompe per infusione portatili si è dimostrata efficace se praticata per > 1 anno, migliorando la qualità della vita e riducendo il bisogno urgente di trapianto polmonare. Per prevenire l’embolia ricorrente silente o la trombosi in situ, e visto che la stasi venosa può essere una conseguenza dell’insufficienza cardiaca destra, solitamente si pratica terapia anticoagulante orale a lungo termine, se non è controindicata; il tempo di protrombina viene mantenuto tra 1,5 e 1,75 volte i valori normali (INR tra 2 e 3, v. Dati di Laboratorio sotto Emostasi nel Cap. 131). Il trapianto di polmone unilaterale o bilaterale è una procedura dall’utilità ormai comprovata nell’ipertensione polmonare primitiva.

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Aritmie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

Sommario: Anatomia Fisiologia del ritmo sinusale Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Anatomia Le cellule specializzate del sistema di conduzione costituiscono una piccola frazione della massa cardiaca. Alla giunzione fra la vena cava superiore e la parte alta dell’atrio destro, un gruppo di cellule, il nodo senoatriale o nodo del seno, forma il generatore elettrico primario (pacemaker) del cuore normale. Queste cellule producono una scarica ritmica modulata dall’innervazione autonomica e dalle catecolamine circolanti. L’attività del nodo senoatriale non è individuabile sull’ECG di superficie, ma si verifica 80-120 ms prima dell’inizio dell’onda P, che rappresenta la depolarizzazione delle cellule miocardiche atriali. La trasmissione dell’impulso dal nodo senoatriale lungo l’atrio verso il nodo atrioventricolare sembra avvenire attraverso cellule miocardiche normali non specializzate. Tuttavia, una via di conduzione preferenziale è determinata dalle fasce muscolari che formano l’atrio. Gli atri sono elettricamente isolati dai ventricoli, eccetto che a livello del nodo atrioventricolare, le cui tortuose vie di conduzione ritardano la trasmissione dell’impulso. Il periodo refrattario del nodo atrioventricolare è in genere più lungo di quello del restante tessuto cardiaco, è frequenza-dipendente ed è modulato dal tono neurovegetativo e dalle catecolamine, che regolano l’attivazione dei ventricoli in relazione a quella degli atri per massimizzare la gittata cardiaca per ogni data frequenza cardiaca. Il nodo atrioventricolare è situato sul versante atriale dell’anulus fibroso. Il tessuto specializzato di conduzione, il fascio di His, decorre lungo l’anello valvolare tricuspidale fino al trigono valvolare, penetrando l’anulus fibroso e proseguendo attraverso la porzione membranosa del setto interventricolare. Il fascio di His si divide nel punto in cui il setto membranoso lascia il posto al setto muscolare. La branca destra continua verso il basso sulla superficie endocardica del ventricolo file:///F|/sito/merck/sez16/2051836.html (1 of 10)02/09/2004 2.31.09

Aritmie

destro per raggiungere il miocardio anteriore e apicale del ventricolo destro. Gli impulsi decorrono all’interno della branca fino alle sue ramificazioni terminali. La branca sinistra del fascio attraversa la parte superiore del setto interventricolare muscolare per emergere nel versante sinistro del cuore appena al di sotto della cuspide non coronarica della valvola aortica. La branca sinistra si divide in modo variabile, ma funzionalmente dà origine a un fascicolo posteriore sinistro (che attiva il setto) e un fascicolo anteriore sinistro. Un disturbo riguardante questi fascicoli può produrre caratteristiche modificazioni dell’ECG (v. oltre, Emiblocco).

Fisiologia del ritmo sinusale Il nodo senoatriale, probabilmente il nodo atrioventricolare, e la maggior parte del tessuto di conduzione specializzato sono in grado di generare automaticamente (spontaneamente) la fase 4 della depolarizzazione diastolica. La frequenza intrinseca del pacemaker è più alta nel nodo senoatriale, che è dominante sui più bassi e più lenti pacemaker cardiaci latenti. Il ritmo sinusale varia notevolmente in registrazioni a breve e a lungo termine. L’aritmia sinusale respiratoria, mediata dalle oscillazioni del tono vagale, è comune soprattutto nei giovani. Tali oscillazioni si riducono con l’età, ma non scompaiono completamente. Lo sforzo fisico e l’emozione accelerano notevolmente il ritmo sinusale sotto l’azione del sistema simpatico e delle catecolamine. Una frequenza sinusale a riposo di 60-100 battiti/min rappresenta di solito i limiti della norma, ma si hanno frequenze cardiache molto più lente nei giovani, in particolar modo in quelli che svolgono regolarmente attività sportive (v. Cap. 213). Perciò, frequenze a riposo < 60 battiti/min (bradicardia sinusale) spesso non sono patologiche. Per tachicardia sinusale si intende una frequenza > 100 battiti/min. I soggetti normali hanno una marcata variabilità della frequenza cardiaca nel corso della giornata, con frequenze più basse appena prima del risveglio al mattino presto, quando l’accelerazione sinusale è notevole (v. Fig. 205-1). Un’assoluta regolarità del ritmo sinusale è patologica e avviene per denervazione delle fibre vegetative (p. es., nel diabete avanzato).

Patogenesi Le bradiaritrmie sono secondarie ad alterazioni dell’automatismo o della conduzione, soprattutto all’interno del nodo atrioventricolare e del sistema di HisPurkinje. Le tachiaritmie possono insorgere per un’alterazione dell’automatismo, per fenomeni di rientro o per un’automaticità triggerata; tali meccanismi sono stati identificati e caratterizzati da un punto di vista elettrofisiologico, ma possono raramente essere differenziati fra loro da un punto di vista clinico. Le tachiaritmie più significative dal punto di vista clinico sono probabilmente dovute a fenomeni di rientro. Alcune aritmie causano pochi o nessun sintomo, ma sono associate a una prognosi infausta. Numerosi argomenti suggeriscono che la prognosi non è necessariamente migliorata dalla loro soppressione. Le altre aritmie, benché sintomatiche, sono benigne. La natura e la gravità della cardiopatia di base spesso hanno un maggior significato prognostico che l’aritmia di per se stessa.

Sintomi e segni Esiste una grande variazione nella percezione delle aritmie da parte del paziente: si va dalle palpitazioni ai più importanti sintomi secondari a compromissione emodinamica. Le palpitazioni (percezione del battito cardiaco) sono spesso sgradevoli e

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Aritmie

possono comparire sia per l’aumento della forza contrattile che per un disturbo del ritmo. Devono essere studiate per definirne la causa e per alleviare l’ansia a esse connessa. Le aritmie che causano alterazioni emodinamiche sono di solito bradicardie o tachicardie sostenute e sono potenzialmente letali. In tali casi, sono comuni vertigini e sincopi, che possono impedire al paziente la guida o certi lavori (p. es., pilota di linea, conduttore di treno). Queste aritmie richiedono attenzione urgente e, spesso, l’ospedalizzazione.

Diagnosi L’anamnesi fornisce in genere informazioni sufficienti a formulare un’ipotesi diagnostica. I pazienti sono relativamente affidabili quando descrivono le palpitazioni rapide e totalmente irregolari della fibrillazione atriale (FA) parossistica e possono descrivere una tachiaritmia regolare con un’approssimazione di 10 battiti/min. L’anamnesi deve differenziare brevi episodi aritmici (p. es., battiti ectopici, blocco atrioventricolare di 2° grado) da eventi mantenuti nel tempo. Bisogna riuscire a ottenere dal paziente informazioni chiare circa l’inizio e la fine dell’aritmia e circa ogni altro sintomo. È piuttosto diffusa l’opinione (erronea) che una tachiaritmia ben tollerata debba essere una tachicardia sopraventricolare piuttosto che una tachicardia ventricolare (TV) e viceversa. Se esaminati durante un’aritmia, il polso periferico (che riflette l’attivazione ventricolare) e il polso venoso giugulare (o PVG, che riflette l’attivazione atriale e quella ventricolare) sono importanti ai fini della diagnosi e possono permettere di distinguere una TV (se è presente dissociazione atrioventricolare) dalle altre tachicardie regolari sostenute, dalla FA, dal flutter atriale, dai battiti ectopici ventricolari (BEV) e dal blocco cardiaco di 2° e 3° grado. Nonostante l’anamnesi e l’esame del polso durante aritmia possano fornire una diagnosi accurata, l’ECG resta la principale procedura diagnostica. L’ECG di superficie rappresenta la risultante delle forze elettriche della depolarizzazione miocardica. Sebbene ogni cellula cardiaca oscilli tra differenze di potenziale di circa 90-100 mV, i segnali ECG rilevati in superficie hanno tipicamente l’ampiezza di 1 mV. Non è rilevabile l’attivazione delle strutture più piccole (p. es., nodo senoatriale, nodo atrioventricolare, fascio di His). L’ECG standard a 12 derivazioni è cruciale per la caratterizzazione e la diagnosi delle varie tachicardie sostenute. Tuttavia, esso dà informazioni su un periodo di tempo molto limitato, specialmente se registrato mediante apparecchi multicanale simultanei. Il monitoraggio ambulatoriale dell’ECG è il metodo più idoneo per cogliere gli eventi aritmici e il suo valore è potenziato dal diario dei sintomi associati. I registratori ECG sono di vario tipo, p. es., quelli che effettuano registrazioni su 24 h (Holter 24 ore) o quelli che vengono attivati dal paziente o grazie all’individuazione automatica di un episodio aritmico. I registratori a stato solido possono eliminare i problemi dei sistemi di registrazione a trasporto meccanico. Il monitoraggio ECG ambulatoriale è meno utile quando le aritmie non sono frequenti. Nel sospetto di disturbi del ritmo che mettono a rischio la sopravvivenza, il paziente deve essere ricoverato per il monitoraggio, al fine di evitare un evento fatale in ambiente extraospedaliero. Studi elettrofisiologici invasivi sono indicati quando le aritmie spontanee sono poco frequenti e quando si sospetta una grave aritmia sostenuta. Usando tecniche di stimolazione programmata, le aritmie da rientro possono essere innescate e bloccate (v. Fig. 205-2). Tuttavia, le aritmie automatiche e ad automaticità triggerata spesso non rispondono a queste tecniche. La maggior parte delle aritmie di importanza clinica (TV, tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare, tachicardie file:///F|/sito/merck/sez16/2051836.html (3 of 10)02/09/2004 2.31.09

Aritmie

reciprocanti della sindrome da preeccitazione) rappresenta aritmie da rientro. La registrazione della media dei segnali dell’ECG di superficie (ECG "signal averaged") può individuare in maniera non invasiva le aree di attivazione ventricolare rallentata che sono parte del substrato per la TV. La presenza di tali zone è segnalata dal rilievo di post-potenziali (dopo il QRS) di basso voltaggio. Solitamente nascosti dal rumore di fondo, questi potenziali vengono messi in evidenza calcolando la media dei segnali e amplificandoli. La presenza di questi potenziali tardivi nei pazienti sopravvissuti a IMA è stata correlata con un aumento del rischio di morte improvvisa e con la tendenza a sviluppare TV (v. Fig. 205-3). Il rilievo di potenziali tardivi non è utile alla scelta di una terapia appropriata, ma identifica i pazienti che richiedono ulteriori indagini diagnostiche; non gioca nessun ruolo nell’iter diagnostico delle tachicardie a QRS stretto (v. oltre).

Terapia La rassicurazione è importante. La maggior parte delle aritmie cardiache non causa sintomi, non ha importanza emodinamica e non ha un significato prognostico, ma può causare ansia se il paziente comincia ad avvertirle. Alcuni pazienti con aritmie benigne continuano a sentirsi invalidi nonostante le rassicurazioni. Una terapia comportamentale spesso aiuta quando la rassicurazione è stata inefficace. In rari casi, può essere identificato e modificato un fattore precipitante (p. es., eccesso di caffeina o di alcol). Terapia farmacologica: la terapia farmacologica è la base del trattamento delle più importanti aritmie. Non esiste un farmaco efficace per tutte le aritmie; tutti hanno importanti limitazioni di sicurezza e possono aggravare o provocare delle aritmie (aritmogenicità, proaritmia). La scelta dei farmaci è difficile e spesso si fa per tentativi. I farmaci antiaritmici, sulla base dei loro effetti elettrofisiologici cellulari, sono stati classificati da Vaughan Williams (v. Tab. 205-1). Questa classificazione è internazionalmente riconosciuta e fornisce un criterio logico generale di classificazione dei farmaci, sebbene la sua utilità nella pratica clinica quotidiana sia limitata. I farmaci di classe I sono i bloccanti del canale del sodio, compresi i più vecchi antiaritmici (p. es., la chinidina). Tutti riducono la velocità massima di depolarizzazione del potenziale d’azione e dunque rallentano la conduzione. Sono molto efficaci nel sopprimere i BEV ma, in vario grado, deprimono la funzione ventricolare sinistra e sono stati tutti associati con effetti proaritmici. Sono divisi in sottoclassi in base alla cinetica dei loro effetti sul recettore: classe Ia, farmaci con effetti di durata intermedia; classe Ib, farmaci con effetti di breve durata; classe Ic, farmaci con effetti di lunga durata. La chinidina (classe Ia) prolunga il potenziale d’azione e la refrattarietà (che si traduce sull’ECG in un prolungamento del QT). Questo farmaco a largo spettro è efficace nella soppressione dei BEV e della TV e nel controllo delle tachicardie a QRS stretto, compresi flutter e fibrillazione atriale. È uno dei pochi farmaci che può convertire la FA in ritmo sinusale. L’emivita di eliminazione (t1/2) è di 6-7 h. Se una dose test iniziale di solfato di chinidina è ben tollerata, la dose di mantenimento è in genere di 200-400 mg PO q 4-6 h. La concentrazione plasmatica da raggiungere è di 2-6 µg/ml. Il dosaggio deve essere aggiustato in modo che la durata del QRS sia < 140 ms (a meno di un preesistente blocco di branca) e il QT sia < 550 ms. Circa il 30% dei pazienti sviluppa effetti collaterali. I più comuni sono disturbi GI (diarrea, coliche, flatulenza), ma possono anche verificarsi febbre, trombocitopenia e alterazioni della funzione epatica. La sincope da chinidina è un effetto idiosincrasico e non prevedibile potenzialmente pericoloso, causato dalla torsione di punta (v. oltre). La procainamide (classe Ia) ha un effetto molto minore sulla refrattarietà rispetto alla chinidina. Anche il suo principale metabolita, l’N-acetilprocainamide, ha effetti file:///F|/sito/merck/sez16/2051836.html (4 of 10)02/09/2004 2.31.09

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antiaritmici e contribuisce all’efficacia e alla tossicità della procainamide. Può essere somministrata EV con cautela a dosi di 100 mg in 1-2 min ripetute q 5 min, fino a un massimo di 600 mg (raramente fino a 1 g), con monitoraggio continuo della PA e dell’ECG. La procainamide orale ha una breve t1/2 (< 4 h), il che rende necessarie dosi frequenti o l’uso di preparazioni a rilascio controllato. Il dosaggio orale abituale va da 250 a 625 mg (raramente fino a 1 g) ogni 3-4 h. Vanno raggiunte concentrazioni plasmatiche di 4-8 g/ml. Un allargamento del QRS del 25% e un prolungamento del QT a 550 ms suggeriscono tossicità. Quasi tutti i pazienti che praticano terapia a lungo termine con procainamide (> 12 mesi) sviluppano anomalie sierologiche (in particolare, positività per il fattore antinucleo) e fino al 40% hanno sintomi e segni di ipersensibilità (artralgia, febbre, versamento pleurico). La disopiramide (classe Ia) produce piccole modificazioni del periodo refrattario. Ha una t1/2 di 5-7 h. Le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono 3-6 µg/ ml. La dose orale è abitualmente di 100-150 mg q 6 h. La somministrazione per via parenterale comprende una dose iniziale di 1,5 mg/kg in non meno di 5 minuti e una successiva infusione di 0,4 mg/kg/h. La disopiramide ha potenti effetti anticolinergici, che svolgono solo un ruolo minore nel trattamento dell’aritmia ma possono essere responsabili di ritenzione urinaria e di glaucoma; effetti collaterali meno importanti (p. es., bocca secca, difetti dell’accomodazione, stipsi) possono contribuire a una scarsa compliance da parte del paziente. La disopiramide ha effetti inotropi negativi, specie quando usata per via parenterale, e deve essere usata con cautela (o evitata) nei pazienti che hanno una funzione ventricolare sinistra significativamente ridotta. La lidocaina (classe Ib) ha un importante metabolismo epatico di primo passaggio. Produce una minima depressione miocardica e ha un leggero effetto sul nodo del seno, sugli atri o sul nodo atrioventricolare, ma ha una potente azione sul sistema di His-Purkinje e sul tessuto miocardico ventricolare. Può sopprimere le aritmie ventricolari che complicano l’IMA (BEV, TV) e riduce l’incidenza di fibrillazione ventricolare primaria (FV) quando somministrata preventivamente nelle fasi iniziali dell’IMA. Tuttavia, risultano aumentati gli episodi di asistolia, il che suggerisce un effetto sui nodi senoatriale e atrioventricolare. La t1/2 della lidocaina è di 30-60 min. La concentrazione plasmatica da raggiungere è di 2-5 ng/l. Viene usata solo per via parenterale. La dose abituale è di 100 mg EV in 2 min, seguiti da 50 mg EV dopo 5 min se l’aritmia non si è riconvertita. Successivamente, si incomincia un’infusione di 4 mg/min (2 mg/min nei pazienti > 65 anni). Se tale infusione viene mantenuta per > 12 h, si possono raggiungere livelli tossici. L’associazione di un β-bloccante aumenta il rischio di tossicità e la dose di lidocaina deve essere dimezzata. Gli effetti collaterali sono neurologici (tremori, convulsioni) più che cardiaci. Nel caso di una somministrazione troppo rapida, possono verificarsi vertigini, delirium e parestesie. La mexiletina (classe Ib) è un analogo della lidocaina con effetti elettrofisiologici simili, ma scarso o assente metabolismo epatico di primo passaggio. La mexiletina può sopprimere aritmie ventricolari sintomatiche, compresa la TV, ma ha un ruolo scarso o nullo nel trattamento delle aritmie a QRS stretto (sopraventricolari). La t1/2 della mexiletina è di 6-12 h e le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 1-2 µg/ml. Il dosaggio orale va dai 200 ai 250 mg q 8 h. Una preparazione a lento rilascio può essere somministrata in dosi di 360 mg q 12 h. La scelta delle dosi per la somministrazione EV è resa difficile dall’ampio volume di distribuzione della mexiletina. Una dose iniziale di 2 mg/kg alla velocità di 25 mg/min dovrebbe essere seguita da un’infusione di 250 mg in 1 h, un’infusione di 250 mg nelle 2 h successive e un’infusione di mantenimento di 0,5 mg/min. La mexiletina, similmente alla lidocaina, ha scarsi effetti collaterali a carico del sistema cardiovascolare, ma disturbi GI (nausea, vomito) e del SNC (tremore, convulsioni) possono limitarne l’accettabilità. La preparazione a lento rilascio (dove disponibile) è meglio tollerata. La tocainide (classe Ib) è un altro farmaco simile alla lidocaina, con scarso o nullo metabolismo epatico di primo passaggio. La t1/2 è di 11-15 h e le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 4-10 µg/ml. Il dosaggio orale è di 400 mg q 8 h. Per via parenterale, si possono somministrare fino a 750 mg in

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30 min. La somministrazione EV continua è possibile (1200 mg in 24 h), ma si raccomanda di passare rapidamente alla terapia orale. La cinetica e le indicazioni della tocainide sono simili a quelle della mexiletina, ma sono più probabili effetti collaterali gravi (p. es., l’agranulocitosi). La fenitoina è classificata in modo variabile, ma probabilmente appartiene alla classe Ib. Era largamente utilizzata nel trattamento delle aritmie, specie per la soppressione delle aritmie ventricolari da intossicazione digitalica, fino all’avvento di farmaci più recenti e al declino dell’intossicazione digitalica (che può essere meglio trattata mediante i frammenti Fab purificati da sieri immuni specifici antidigossina) Ha una lunga t1/2 (22 h). Gli effetti collaterali comprendono iperplasia gengivale e discrasie ematiche. I farmaci di classe Ic sono tra i più potenti antiaritmici, ma sono stati associati con un elevato rischio proaritmico e con depressione della contrattilità cardiaca. Questi effetti collaterali non sono comuni in pazienti con cuore emodinamicamente normale (p. es., sindrome di Wolff-Parkinson-White [WPW]), ma sono importanti in pazienti con esteso danno cardiaco, che sono a rischio di tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali. I farmaci della classe Ic vengono usati in pazienti di questo tipo solo quando l’aritmia non risponde ad altre terapie. È stato dimostrato che i farmaci di classe Ic sono efficaci per la cardioversione farmacologica della FA e per la profilassi degli episodi di FA. Queste indicazioni costituiscono il contesto clinico in cui tali farmaci sono più frequentemente utilizzati, soprattutto perché in questi pazienti il rischio proaritmico sembra essere relativamente basso. La flecainide è un potente antiaritmico di classe Ic. Ha un effetto significativo sul canale del sodio, per cui rallenta la conduzione in maniera significativa ma ha una scarsa influenza sulla refrattarietà. Può deprimere la funzione ventricolare sinistra. La flecainide può controllare i BEV sintomatici, la TV e le tachicardie reciprocanti della sindrome di WPW. La t1/2 è di 12-27 h e la concentrazione plasmatica da raggiungere è di 0,2-1 µg/ml. La flecainide va somministrata alla dose di 100 mg PO q 8-12 h. La dose iniziale della formulazione parenterale è di 150 mg EV in 10 min. La flecainide e l’encainide sono state associate con un aumento della mortalità (presumibilmente per effetto proaritmico) quando sono utilizzate nel trattamento dei BEV asintomatici e minimamente sintomatici dopo un IMA. Abitualmente, la flecainide è ben tollerata, ma sono state occasionalmente riportate alterazioni della vista e parestesie. Un prolungamento del QRS > 25% indica tossicità. Il propafenone (classe Ic) ha effetti simili a quelli della flecainide ed è probabile che presenti un simile effetto proaritmico. L’emivita è di 6-7 h. La concentrazione plasmatica da raggiungere è di 5-8 µg/ml. Nonostante la biodisponibilità ridotta e variabile, il metabolismo di primo passaggio saturabile e il legame variabile con le proteine plasmatiche, il dosaggio è semplice (450-900 mg/die in dosi frazionate). Le dosi iniziali dovrebbero essere basse (150 mg tid) e gli incrementi non dovrebbero essere > 50% della precedente dose. La somministrazione di dosi singole di 450 mg o 600 mg PO si è dimostrata utile per la cardioversione farmacologica della FA. Non è emerso nessun dato negativo circa la sicurezza del propafenone, ma gli studi sono stati condotti su piccoli numeri di pazienti e l’approccio sopra descritto va considerato sperimentale. I farmaci di classe II (β-bloccanti) possono essere considerati i farmaci meno tossici e più potenti che abbiamo a disposizione; il loro effetto antiaritmico, tuttavia, è spesso sottovalutato. Benché siano relativamente poche le aritmie causate primariamente da un’iperattività simpatica, la maggior parte delle aritmie è modulata dal sistema neurovegetativo. I β-bloccanti hanno un’efficacia limitata nei test antiaritmici convenzionali (p. es. soppressione di BEV), ma innalzano la soglia per la FV e possono risultare particolarmente potenti nella prevenzione della FV. I β-bloccanti sono β selettivi o non selettivi, possono avere attività 1simpatico-mimetica intrinseca (ISA) ed essere lipofili o idrofili. Queste differenze sembrano avere una scarsa importanza ai fini dell’effetto antiaritmico, sebbene l’ISA possa ridurre l’efficacia antiaritmica. In generale i β-bloccanti sono ben tollerati, ma possono deprimere la funzione ventricolare sinistra, specie alle dosi file:///F|/sito/merck/sez16/2051836.html (6 of 10)02/09/2004 2.31.09

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relativamente alte che sono necessarie per ottenere un effetto antiaritmico. Sono controindicati nelle malattie respiratorie a componente broncospastica e devono essere impiegati con cautela nelle altre pneumopatie. Possono provocare disturbi GI, insonnia e incubi. All’inizio della terapia è comune avvertire una particolare spossatezza, che però persiste raramente. I farmaci di classe III interferiscono con il canale del potassio, alterano il plateau del potenziale d’azione e aumentano la refrattarietà. Hanno una scarsa influenza sulla velocità di conduzione ma, teoricamente, riducono la frequenza di scarica dei foci automatici. Possono avere un effetto proaritmico. L’amiodarone è un potente antiaritmico di classe III. Ha pochi effetti collaterali sul sistema cardiovascolare e provoca una scarsa o nulla depressione ventricolare sinistra, forse per la sua modesta azione vasodilatatrice. Influisce in maniera marginale sull’attività del nodo senoatriale. L’amiodarone, prolungando il periodo refrattario può ridurre la disomogeneità delle diverse aree del miocardio. L’intervallo QT all’ECG è prolungato, ma non è stato stabilito un limite massimo oltre il quale la somministrazione di questo farmaco possa risultare pericolosa. La t1/2 è > 50 giorni, con un significativo ritardo nell’inizio della azione. Sono state raccomandate dosi di carico di 600-1200 mg/die PO per 7-10 giorni, ma con scarsa evidenza di un più rapido inizio dell’azione. Le dosi orali di mantenimento dovrebbero essere le minime necessarie per controllare le aritmie: l’ideale è 200 mg/ die. Per le aritmie potenzialmente letali, l’amiodarone va somministrato EV alla dose di 3-7,5 mg/kg nell’arco di 1 h. Il dosaggio dell’amiodarone per via parenterale non è stato studiato in maniera approfondita. È necessaria cautela. L’ECG va monitorato in maniera continua, poiché c’è il rischio di indurre un blocco atrioventricolare. La tossicità cardiovascolare è rara. L’amiodarone è troppo tossico per un’utilizzazione a lungo termine, tranne che nel caso di aritmie gravi (p. es., aritmie a QRS stretto che non rispondono a trattamenti alternativi e che causano una significativa morbilità). La fibrosi polmonare ha un’incidenza pari al 5% dei pazienti trattati per > 5 anni e può essere fatale. Test seriati di funzionalità polmonare possono individuare precocemente la fibrosi polmonare, consentendo l’interruzione dell’amiodarone. Altre complicanze comprendono la dermatite fotosensibilizzante, anomalie della funzione epatica, neuropatia periferica, microdepositi corneali (si verificano in quasi tutti i pazienti trattati, non compromettono seriamente la vista e sono reversibili con la sospensione della terapia), ipotiroidismo (in genere non grave; può essere somministrata terapia sostitutiva con ormone tiroideo mentre si prosegue l’amiodarone) e ipertiroidismo (più difficile da trattare; di solito rende necessaria la sospensione dell’amiodarone). Raramente l’amiodarone provoca una torsione di punta, che può mettere a rischio la sopravvivenza. A meno che non ci sia alternativa, l’amiodarone non deve essere somministrato nei bambini. Il sotalolo racemico (d-L) ha proprietà antiaritmiche di classe II e III, ma, sebbene gli effetti di classe III misurabili (prolungamento del QT, modificazioni del periodo refrattario) siano rilevabili nell’uso clinico, sono ampiamente mascherati dalle sue proprietà β-bloccanti. La maggior parte dell’attività di classe III è dovuta all’isomero d. Il sotalolo è somministrato alla dose di 80-160 mg PO q 12 h. Deprime la funzione ventricolare sinistra ed è stato associato a effetti proaritmici. Alla sua utilizzazione, vanno applicate le abituali controindicazioni dei β-bloccanti. In studi condotti con il d-sotalolo, la mortalità è risultata aumentata. Solo il sotalolo racemico è disponibile per l’uso clinico. L’ibutilide è un farmaco di classe III (prolunga la ripolarizzazione) approvato recentemente, molto diverso dall’amiodarone e dal sotalolo. Esso raggiunge i suoi effetti attivando una corrente lenta di Na in entrata piuttosto che bloccando la corrente di K in uscita. L’ibutilide può sbloccare la FA (con una percentuale di successo del 40%) e il flutter atriale (con un percentuale di successo del 65%). L’ibutilide va somministrata EV alla dose di 1 mg nell’arco di 10 min in pazienti che pesano 60 kg e alla dose di 0,01 mg/kg in pazienti che pesano 60 kg. Una seconda dose identica alla prima può essere somministrata dopo 10 min, se la prima non risulta efficace. Una torsione di punta si ha nel 2% dei pazienti. L’ibutilide va quindi utilizzata in pazienti monitorati e da personale esperto nel trattamento della torsione di punta (v. più avanti).

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Anche il bretilio ha effetti simpatico-antagonisti (di classe II) e di classe III. Esso può causare un’ipotensione significativa ed è indicato solo per il trattamento di tachiaritmie ventricolari refrattarie potenzialmente letali (TV intrattabile, FV ricorrente). Il bretilio è abitualmente efficace entro 30 min dall’iniezione. Le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 1-1,5 µg/ml. La dose EV iniziale è di 5 mg/kg, seguita da 1-2 mg/ min in infusione continua; i suoi effetti sul miocardio ventricolare possono essere ritardati di 10-20 min. La dose IM iniziale è di 5-10 mg/kg, ripetibile fino a una dose massima totale di 30 mg/kg; la dose di mantenimento è di 5 mg/kg IM q 6-8 h. I farmaci di classe IV sono i calcioantagonisti (bloccano l’ingresso del Ca). La nifedipina, similmente alle altre diidropiridine, è quasi completamente priva di effetti elettrofisiologici, ma il verapamil e il diltiazem agiscono sul nodo atrioventricolare e possono avere anche un effetto sulle cellule ischemiche Cadipendenti. Il verapamil agisce principalmente sul nodo atrioventricolare, rallentandone la conduzione. Usato EV, ha un ruolo nel trattamento acuto delle tachicardie a QRS stretto che coinvolgono il nodo atrioventricolare. È stato riportato che la frequenza con cui si ottiene l’interruzione dell’aritmia si avvicina al 100% con dosi di 5-15 mg EV in 10 min. Tuttavia, se il verapamil viene somministrato a pazienti con TV, possono verificarsi gravi effetti indesiderati, compresa la FV, l’ipotensione intrattabile e la morte. Di conseguenza, il verapamil è controindicato nelle tachicardie a QRS largo. Il verapamil, alla dose di 40-120 mg PO tid, è frequentemente prescritto per la profilassi delle aritmie, ma l’importante metabolismo epatico di primo passaggio può limitarne l’uso clinico. Il diltiazem ha un profilo elettrofisiologico simile al verapamil. Ha una lunga t1/2 (il che lo rende meno accettabile come terapia EV per le tachicardie a QRS stretto), ma ha uno scarso o nullo metabolismo epatico di primo passaggio e ciò lo rende più adatto alla prevenzione cronica delle aritmie. Vengono comunemente utilizzati anche farmaci non inclusi nella classificazione di Vaughan Williams. La digitale riduce il periodo refrattario atriale e ventricolare e rallenta la conduzione a livello del nodo atrioventricolare. Le concentrazioni plasmatiche da raggiungere sono di 0,8-1,6 ng/ml. Per ottenere una digitalizzazione rapida, una parte o tutta la dose di carico di 1 mg può essere somministrata EV lentamente e sotto controllo ECG, avendo a disposizione tutto l’occorrente per la rianimazione cardiorespiratoria. La dose di mantenimento è di 0,125-0,25 mg/die PO, a seconda del peso corporeo e della funzione renale. Benché non comune, la tossicità digitalica si manifesta con anoressia, nausea, vomito e spesso con aritmie importanti (BEV, battiti ectopici atriali, occasionalmente tachicardia atriale parossistica con blocco) o blocco atrioventricolare di secondo o terzo grado. Il trattamento di una grave intossicazione digitalica mediante gli anticorpi antidigossina è più sicura e più razionale dell’utilizzo di farmaci antiaritmici; in altre situazioni, la sospensione della terapia per 48 h e la sua ripresa a dosi inferiori dà solitamente risultati soddisfacenti. La digossina è controindicata nei pazienti con conduzione anterograda attraverso vie accessorie (sindrome di WPW manifesta), perché, in caso di FA, può verificarsi una risposta ventricolare facilitata, eccessivamente veloce, nella via accessoria. La digossina può essere utilizzata come profilassi in neonati e bambini < 10 anni con WPW (v. più avanti). L’adenosina è un nucleoside purinico che agisce attraverso recettori extracellulari per l’adenosina e rallenta o blocca la conduzione a livello del nodo atrioventricolare. Può arrestare le aritmie che coinvolgono il nodo atrioventricolare. L’adenosina può essere più sicura del verapamil per questa indicazione, grazie alla sua durata d’azione estremamente breve. Viene rapidamente metabolizzata dopo la somministrazione. La dose è di 6 mg, seguita da un massimo di 12 mg, in bolo EV rapido. Nel 30-60% dei pazienti, si verificano effetti collaterali di breve durata (dispnea, dolore toracico, flush cutaneo). L’adenosina può causare broncospasmo e non deve essere usata nei pazienti asmatici. Pacemaker: i progressi tecnici degli ultimi tempi sono stati spettacolari. Si sono

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diffuse tecniche sofisticate di stimolazione e di programmazione. Circuiti a bassa energia e nuovi tipi di batterie hanno aumentato la durata nel tempo degli apparecchi. La scelta di componenti e di circuiti resistenti alle interferenze hanno quasi eliminato il rischio di interruzione del funzionamento del pacemaker causato dall’accensione delle automobili, dalle antenne radar, dagli apparecchi a microonde e dai dispositivi di sicurezza degli aeroporti. La RMN e la diatermia operatoria possono, tuttavia, interferire con i pacemaker e devono essere evitate. I telefoni cellulari sono una fonte di energia elettromagnetica; i pazienti portatori di pacemaker devono evitare di tenere in funzione tali apparecchi nelle immediate vicinanze del generatore del pacemaker. Due importanti innovazioni nella tecnologia dei pacemaker sono l’utilizzazione di cavi rivestiti di corticosteroidi e la capacità del pacemaker di cambiare automaticamente la modalità di stimolazione ("switch" automatico). L’uso della prima riduce la soglia di pacing e aumenta la durata nel tempo del pacemaker. La seconda si è dimostrata importante per i pazienti con alterazioni della conduzione del nodo atrioventricolare (naturali o iatrogene) in cui si verificano occasionali disturbi del ritmo sinusale. Un pacemaker DDDR con possibilità di "switch" automatico (per la nomenclatura dei pacemaker e dei dispositivi impiantabili, v. Tab. 205-2) è in grado di riconoscere aritmie atriali quali la FA e di passare automaticamente alla modalità di stimolazione VVIR finché non si ripristina il ritmo sinusale. I pacemaker antibradicardia sono importanti per le bradiaritmie sintomatiche che possono essere causate da blocco atrioventricolare, depressione del nodo senoatriale, blocco della conduzione senoatriale o blocco sottohissiano. La gravità di tali aritmie dipende dalla frequenza e dall’affidabilità del ritmo di scappamento. Le bradicardie pericolose vengono trattate in modo ottimale con i pacemaker. Un semplice pacemaker VVI può essere adatto per bradiaritmie transitorie o poco frequenti. Per bradiaritmie frequenti o persistenti, la prolungata dipendenza dalla stimolazione ventricolare può rendere necessaria l’utilizzazione di un pacemaker "rate-responsive" (VVIR o DDDR) e, se non ci sono anomalie atriali o del nodo del seno, di un sistema bicamerale (DDD). I pacemaker antitachicardia bloccano le aritmie automaticamente mediante la stimolazione programmata. Questi dispositivi impiantabili, che possono essere non più grandi di un pacemaker convenzionale, scaricano una serie di sequenze di stimolazione preprogrammate quando si verifica un’aritmia. Gli attuali pacemaker antitachicardia non devono esser usati per le TV (benché queste possano rispondere) perché possono provocare una FV; in questo contesto, vanno utilizzati apparecchi con possibilità di eseguire una defibrillazione, in caso di insuccesso della stimolazione programmata. Le indicazioni comprendono le tachicardie reciprocanti della sindrome di WPW, preferibilmente quando non c’è conduzione anterograda attraverso la via accessoria o quando questa è lenta (in caso contrario, c’è il rischio che precipiti la FA e sia condotta rapidamente ai ventricoli) e la tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare (v. oltre). Altre modalità terapeutiche, specialmente l’ablazione con radiofrequenza (v. più avanti), stanno superando la terapia mediante pacemaker antitachicardia. I defibrillatori automatici impiantabili (Implantable Cardioverter Defibrillators, ICD) utilizzano shock a energia relativamente bassa (< 35 watt-s) applicati direttamente sul cuore per arrestare la FV. I sistemi disponibili scaricano automaticamente > 200 shock e forniscono una protezione dalle aritmie per più di 5 anni. L’impianto di un defibrillatore in passato rendeva necessaria una toracotomia, ma attualmente > 95% dei sistemi utilizzano elettrodi transvenosi. Nei moderni ICD, sono disponibili dispositivi di stimolazione antibradicardia e dispositivi di telemetria. Le attuali indicazioni per il ICD comprendono la morte improvvisa rianimata (eccetto che nelle primissime ore di un IMA) e la tachicardia ventricolare intrattabile potenzialmente letale. I defibrillatori non prevengono le aritmie sintomatiche e possono essere associati con terapia antiaritmica soppressiva. Ci sono ancora pochi studi controllati randomizzati circa la terapia con ICD. Due studi comprendono pazienti altamente selezionati ad alto rischio (sopravvissuti a morte cardiaca improvvisa); in entrambi, la mortalità totale era ridotta dalla terapia con ICD rispetto alla migliore terapia medica. Tuttavia, il ICD non è privo di problemi: è una terapia palliativa piuttosto che curativa. I pazienti

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avvertono gli shock, alcuni dei quali possono essere risposte inappropriate ad altri tipi di aritmia, come la FA. I ICD sono costosi e devono essere utilizzati con senso di responsabilità. Il pacing antitachicardia costituisce un ulteriore sviluppo del ICD. Molti episodi di TV sono causati da meccanismi di rientro e possono essere sbloccati con diverse sequenze di overdrive. Fino all’avvento del ICD, che offre la possibilità della defibrillazione nel caso in cui l’overdrive provochi una FV, questa terapia non è stata praticata. Per il follow-up e la programmazione di questi dispositivi, è necessario uno specialista. Ablazione mediante radiofrequenza (RF): l’ablazione mediante RF ha rivoluzionato l’approccio a molte aritmie. Le lesioni da RF si realizzano mediante il riscaldamento (di solito a 60°C [140°F]) di un catetere elettrodo con una punta larga. Generalmente, le lesioni hanno un diametro < 1 cm con una profondità fino a 1 cm. Perché l’ablazione risulti efficace, l’aritmia deve dipendere da un focus preciso o da una via che può essere eliminata mediante le lesioni provocate dalla RF. L’ablazione mediante RF ha aumentato l’interesse per il substrato anatomico di tutti i tipi di tachicardia a QRS stretto e a QRS largo. Percentuali di successo > 90% sono attese per le tachicardie da via accessoria, le tachicardie da rientro nella zona circostante il nodo atrioventricolare, le tachicardie atriali e le tachicardie del tratto di efflusso del ventricolo destro. L’ablazione del nodo atrioventricolare (usata per il controllo della frequenza ventricolare nella FA) è possibile in > 99% dei pazienti. Percentuali di successo dell’85% sono riportate per l’ablazione del flutter atriale, che implica una serie di lesioni da RF eseguite lungo una linea ideale, in modo tale da impedire la conduzione attraverso un sottile istmo di miocardio atriale vicino allo sbocco del seno coronarico. La FA (eccetto che nel caso di ablazione o modificazione del nodo atrioventricolare) e la TV su base ischemica sono attualmente oggetto di studio ma non costituiscono, allo stato attuale, indicazioni per questa tecnica. L’ablazione mediante RF è sicura. Decessi si sono verificati principalmente per rottura di cuore e tamponamento cardiaco (decessi, 1/2000; tamponamenti, 1/2400). Chirurgia delle aritmie: la base anatomica della sindrome di WPW e delle sue aritmie è ben conosciuta. Dopo un’accurata localizzazione mediante catetere o mediante mappaggio epicardico, la via accessoria può essere eliminata chirurgicamente (successo > 95%; mortalità operatoria, < 0,1%) utilizzando un approccio epicardico o endocardico. Tuttavia, l’ablazione mediante RF ha reso quasi obsoleta la chirurgia per il WPW. La TV postinfartuale di solito origina nel subendocardio; una volta localizzato il focus dell’aritmia mediante mappaggio intraoperatorio, lo si può rimuovere con procedure di resezione endocardica. La terapia chirurgica comporta una mortalità del 5-25% a seconda delle condizioni cliniche preoperatorie, ma coloro che sopravvivono hanno una probabilità del 90% di sopravvivere per un anno in assenza di recidive dell’aritmia.

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Aritmie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

EMIBLOCCO (Blocco fascicolare) Interruzione parziale o totale della conduzione elettrica nei fascicoli di divisione della branca sinistra. Le diramazioni funzionali della branca sinistra (il fascicolo anteriore e quello posteriore) possono essere interessate separatamente da un processo patologico. L’interruzione del fascicolo anteriore sinistro provoca l’emiblocco anteriore sinistro, caratterizzato da un modesto prolungamento del QRS (< 120 ms) e da un asse del QRS sul piano frontale > -30°. L’emiblocco posteriore sinistro è associato con un asse del QRS sul piano frontale > 120°. Un emiblocco sinistro può verificarsi in presenza di un BBD; la loro associazione riflette un danno cardiaco esteso e si osserva soprattutto come conseguenza di un IMA. I pazienti affetti da IMA antero-settale hanno un elevato rischio di FV nelle prime 6 sett. dopo l’infarto, ma in seguito il rischio diminuisce. L’associazione di BBD, emiblocco e anomala funzione del nodo atrioventricolare (blocco di primo o secondo grado) suggerisce un danno molto esteso del sistema di conduzione, con il conseguente rischio di blocco cardiaco completo. È comunemente indicata la profilassi del blocco cardiaco completo mediante pacing ventricolare, ma la prognosi complessiva dipende dalla cardiopatia di base più che dall’anomalia della conduzione.

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Sindrome del cuore d’atleta

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 213. SINDROME DEL CUORE D’ATLETA È l’insieme dei normali adattamenti anatomici e fisiologici del cuore nelle persone che praticano regolarmente esercizio fisico intenso (p. es., atleti che praticano sport di resistenza).

Sommario: Introduzione Fisiologia Sintomi e segni

Sono caratteristici: bradicardia sinusale a riposo, terzo e quarto tono, soffi sistolici, diverse anomalie all’ECG e un ingrandimento dell’ombra cardiaca alla rx del torace. Tale quadro, che sarebbe considerato patologico in una persona non allenata, costituisce un efficace adattamento all’esercizio e non va confuso con una cardiopatia organica.

Fisiologia Con l’allenamento a sport di resistenza, si verifica caratteristicamente l’aumento sia dei volumi che della massa del cuore, mentre con l’allenamento a sport di forza (isometrici) si ha solo un’ipertrofia del miocardio, accompagnata dall’ipertrofia della muscolatura scheletrica. Negli atleti allenati a sport di resistenza, la dilatazione di tutte e quattro le camere cardiache e l’aumento degli spessori parietali del ventricolo sinistro aumentano la capacità eiettiva del cuore. Le dimensioni endocavitarie raramente superano i limiti superiori della norma. L’aumento della gittata cardiaca è la conseguenza del sostanziale aumento della gittata sistolica. Nei soggetti non allenati, in risposta all’esercizio fisico la gittata cardiaca aumenta soprattutto grazie all’incremento della frequenza cardiaca. Nell’atleta allenato a prove di resistenza, la gittata cardiaca aumenta invece prevalentemente per l’incremento della gittata sistolica. Nell’atleta allenato alla resistenza, le pressioni intracardiache a riposo risultano normali e le pressioni intracardiaca, polmonare e vascolare periferica mostrano risposte normali all’esercizio. Anche il lavoro ventricolare per minuto è normale. L’aumento della gittata cardiaca e del rilascio di O2 ai tessuti, sia a riposo che per ogni livello di esercizio, è legato principalmente all’aumento della gittata sistolica. L’aumentato tempo di riempimento diastolico dovuto alla bradicardia incrementa ulteriormente la gittata sistolica e il flusso coronarico, che è prevalentemente diastolico. Negli atleti allenati a prove di resistenza sono anche aumentate l’emoglobina totale e la volemia, con ulteriore incremento del trasporto di O2. La frequenza cardiaca, sia a riposo che per ogni livello di esercizio submassimale, si riduce progressivamente con l’allenamento, soprattutto per aumento del tono vagale. Tuttavia, hanno un ruolo anche la riduzione dell’attività simpatica e probabilmente altri fattori che riducono la frequenza intrinseca del nodo del seno, indipendentemente dal sistema nervoso vegetativo. Malgrado l’aumento del lavoro sistolico ventricolare sinistro dovuto all’aumento del volume ventricolare, è

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Sindrome del cuore d’atleta

predominante l’effetto di risparmio di O2 dovuto alla bradicardia, cosicché la domanda miocardica di O2 per gli stessi livelli di lavoro esterno assoluto risulta ridotta. L’ingrandimento del cuore e la bradicardia regrediscono caratteristicamente quando l’allenamento viene interrotto.

Sintomi e segni È caratteristica la bradicardia sinusale, spesso con aritmia sinusale od occasionalmente con "wandering pacemaker". Fino a 1/3 degli atleti possono essere portatori di un blocco atrioventricolare di primo grado. Un blocco atrioventricolare di II grado di tipo 1 (blocco di Wenckebach), occasionalmente presente a riposo, regredisce caratteristicamente con lo sforzo. In atleti allenati, possono talora essere rilevati un ritmo atriale ectopico o un ritmo giunzionale. Le aritmie sono tipicamente asintomatiche e si riducono o scompaiono di solito quando la frequenza cardiaca aumenta con l’esercizio. Il voltaggio del QRS e dell’onda T risultano aumentati, spesso con un’onda U prominente, probabilmente legata alla bradicardia. Sono comuni alterazioni della ripolarizzazione (ST-T), che spesso si normalizzano con la tachicardia sinusale indotta dall’esercizio. La PA sistemica differisce di poco tra gli atleti allenati a sport di resistenza e le persone normali non allenate. I polsi carotidei sono iperdinamici. L’impulso ventricolare sinistro è spostato, ingrandito e di tipo iperdinamico. È frequentemente presente un terzo tono (dovuto al riempimento ventricolare rapido protodiastolico); è meno comune un quarto tono (più facilmente udibile con l’aumento del tempo di riempimento diastolico e un torace sottile). Un soffio sistolico eiettivo sul margine sinistro dello sterno (che probabilmente riflette il flusso non laminare attraverso le valvole aortica e polmonare, secondario all’aumento della gittata sistolica) spesso diminuisce d’intensità al passaggio dalla posizione supina a quella ortostatica. Alla rx del torace l’ombra cardiaca risulta ingrandita e globosa; alla fluoroscopia risultano evidenti e vivaci le pulsazioni del cuore. All’ecocardiografia, le dimensioni endocavitarie atriali e ventricolari e lo spessore delle pareti del ventricolo sinistro risultano aumentati. L’entità della bradicardia, l’aumento delle dimensioni cardiache e le alterazioni ECG non sono direttamente correlati con il livello di allenamento e con la funzione del sistema cardiovascolare. Non esistono prove che l’attività fisica, per quanto intensa, sia dannosa per la funzione cardiovascolare di una persona con cuore normale o predisponga a una malattia cardiovascolare più tardi nel corso della vita. Comunque, la morte improvvisa, sia a riposo che sotto sforzo, è un evento che talora si verifica in giovani atleti apparentemente sani, probabilmente legata ad aritmie cardiache; di solito, una cardiopatia passata inosservata è alla base di tali eventi. Sebbene l’aumento del periodo refrattario ventricolare che si ha con la bradicardia teoricamente favorisca la comparsa di ritmi ectopici ventricolari, la morte improvvisa da aritmie negli atleti è il più delle volte legata a cardiopatia aterosclerotica coronarica, a miocardiopatia ipertrofica, a miocardite o ad alterazioni congenite delle coronarie o dell’aorta non rilevate in precedenza.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 205-1. CLASSIFICAZIONE DI VAUGHAN WILLIAMS DEI FARMACI ANTIARITMICI Classe I a

b

c

Classe II

Classe III

Classe IV

Effetto farmacologico

Bloccanti dei Bloccanti canali del Na dei canali del Na

Bloccanti dei b-bloccanti canali del Na

Bloccanti dei canali del K

Agenti rappresentativi

Chinidina

Flecainide

Atenololo

Amiodarone Verapamil

Propafenone

Propranololo Sotalolo

Lidocaina

Procainamide Mexiletina Disopiramide Tocainide

Bloccanti dei canali del Ca

Diltiazem

Metoprololo Bretilio tosilato

Moricizina Fenitoina Effetto elettrofisiologico su: intervallo AH

↑↓

0



( ↑ )*





intervallo HV



0

↑↑

0



0

complesso QRS



0

↑↑

0

0

0

intervallo QT



0



0

↑↑

0

Tempo di conduzione lungo vie accessorie



↑o 0



0



0

PRE atriale



0

↑o 0

0



0

Principali indicazioni cliniche

Aritmie Aritmie ventricolari , ventricolari tachicardia a QRS stretto, FA

Aritmie ventricolari , tachicardia a QRS stretto, fibrillazione atriale

Aritmie ventricolari, fibrillazione atriale

Aritmie ventricolari, tachicardia a QRS stretto, fibrillazione atriale

*Effetto correlato alla frequenza. PRE: periodo refrattario effettivo; ↑=prolungato; ↓=accorciato; 0=nessun effetto; ↑↑ =significativamente prolungato; ↓↓=effetto variabile.

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Tachicar dia a QRS stretto

Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 205-2. CODICI INTERNAZIONALI PER I PACEMAKER E I DISPOSITIVI IMPIANTABILI 1a lettera: Camera stimolata

A=atrio

2a lettera: Camera la cui attività viene "sensata"

A=atrio

3a lettera: Risposta del dispositivo all’evento elettrico "sensato"

I=dispositivo inibito

V=ventricolo V=ventricolo T=dispositivo attivato ("triggerato" D=atrio e D=atrio e D=il dispositivo è inibito ventricolo ventricolo nel caso in cui "sensa" un’attività elettrica ventricolare, mentre è attivato e produce una stimolazione ventricolare nel caso in cui sensa un‘attività elettrica atriale 0=il dispositivo non risponde agli stimoli

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4a lettera 5a lettera (facoltativa): (per dispositivi Programmabilità impiantabili con funzioni più complesse rispetto al semplice PM): Funzioni diverse da quella antibradicardia 0=non programmabile

0=nessuna P="pacing" antitachicardia

P=semplice (p. es., frequenza e "output") M=multipla o complessa C=telemetrica R=con adattatore di frequenza (rateresponsive)

S=produzione di uno shock elettrico D="pacing" antitachicardia e produzione di uno shock elettrico

Aritmie

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Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

BATTITI ECTOPICI ATRIALI Battiti prematuri provocati da un focus elettrico patologico negli atri o da un rientro intraatriale. I battiti ectopici atriali (v. Fig. 205-4) sono frequenti in soggetti normali e raramente causano sintomi. Sono associati a malattie respiratorie; in particolar modo, si verificano in presenza di ipertensione polmonare. Se non si riescono a identificare fattori precipitanti (p. es., caffè, tè, alcol, farmaci simpatico-mimetici per la cura del raffreddore) e si rende necessaria una terapia, in genere un βbloccante è efficace, sicuro e ben tollerato. Battiti ectopici atriali molto frequenti possono preannunciare una FA, ma non sono predittori specifici o sensibili, sicché non è indicata una profilassi.

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Aritmie

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Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

FLUTTER ATRIALE Ritmo atriale rapido e regolare dovuto a un circuito di rientro ampio, ben definito e costante in atrio destro.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il flutter atriale è molto meno comune della FA, ma le sue conseguenze emodinamiche e la terapia sono simili. È dovuto a un ampio circuito di rientro (diversi centimetri), che coinvolge la porzione infero-laterale dell’atrio destro.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi dipendono principalmente dalla frequenza ventricolare. Se la frequenza è modesta (< 120 battiti/min) e regolare (p. es. conduzione atrioventricolare stabile 2:1), può darsi che ci sia asintomatico. Frequenze cardiache più elevate e una conduzione atrioventricolare variabile producono palpitazioni e la compromissione della gittata cardiaca che ne risulta può provocare vertigini e sincope (quest’ultima è soprattutto probabile se si verificano fasi di conduzione 1:1). Un’accurata ispezione del PVG può rivelare le onde di flutter. Comunque, di solito la diagnosi viene fatta mediante l’ECG, che mostra di solito le onde di flutter; queste (a seconda della frequenza) possono avere l’aspetto di onde P distinte o fondersi per formare il classico pattern "a denti di sega". Abitualmente i complessi QRS sono normali. La frequenza atriale è 250-350 battiti/min (v. Fig. 205-5). La frequenza ventricolare dipende dalla conduzione a livello del nodo atrioventricolare, ma di norma è di 150-220 battiti/min. Il blocco atrioventricolare può essere costante (2:1, 4:1, o raramente 3:1 o 5:1) o può variare. Di solito, il massaggio del seno carotideo aumenta il grado di blocco atrioventricolare e permette di evidenziare meglio le anomalie dell’ECG. Similmente, l’adenosina rivela l’origine atriale dell’aritmia ma non la sblocca.

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Aritmie

Terapia La terapia medica ha maggiori probabilità di ridurre la risposta ventricolare piuttosto che di ripristinare il ritmo sinusale. La digossina, il verapamil e i βbloccanti sono utili per il loro effetto di blocco sul nodo atrioventricolare. La digitale rappresenta l’approccio classico, ma ha un inizio d’azione lento, anche se somministrata EV. Di solito, la digossina riduce la risposta ventricolare, ma solo occasionalmente ripristina il ritmo sinusale. I bloccanti del canale del sodio (chinidina, procainamide e flecainide) hanno maggiori probabilità di convertire il flutter atriale, ma il loro uso non elimina la necessità di controllare la conduzione a livello del nodo atrioventricolare finché l’aritmia persiste. Tutti i farmaci di classe I, se usati da soli (soprattutto la disopiramide, probabilmente per i suoi effetti anticolinergici), possono aggravare la situazione, rallentando la frequenza del flutter e annullando il blocco atrioventricolare, così da permettere una conduzione atrioventricolare 1:1. Se si utilizzano i farmaci di classe I, si raccomanda un pre-trattamento con digossina. Il verapamil agisce più rapidamente della digossina, ma comporta il rischio di ipotensione; è raramente utilizzato come monoterapia per il controllo della frequenza, poiché la sua cinetica variabile (perfino nello stesso paziente) crea problemi di affidabilità. I β-bloccanti sono un’utile terapia aggiuntiva (di solito in associazione con la digossina) per il controllo della frequenza. L’ibutilide EV (v. sopra) può sbloccare il flutter atriale fino al 60% dei casi, ma con il rischio di una torsione di punta. Se si ha una conduzione 1:1 con un’elevata frequenza di risposta ventricolare, potenzialmente letale (> 220 battiti/min, ma la frequenza critica dipende dalla funzione cardiaca), è indicata l’immediata cardioversione elettrica. In situazioni meno critiche, la cardioversione elettrica elettiva a bassa energia (circa 50 wattsecondo) o la stimolazione programmata hanno maggiori probabilità di ripristinare il ritmo sinusale rispetto alla terapia medica. L’ablazione mediante RF sta emergendo come un approccio importante per il flutter atriale resistente alla terapia medica. Lesioni da RF eseguite lungo una linea interrompono la conduzione nella regione vicina allo sbocco del seno coronarico. La frequenza di successo di questo approccio è di circa l’85%. Alcuni pazienti sviluppano FA dopo la procedura.

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Aritmie

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Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

FIBRILLAZIONE ATRIALE CRONICA Ritmo atriale sostenuto, rapido e irregolare dovuto a piccoli fronti d’onda di rientro multipli che si sovrappongono continuamente. (V. anche Fibrillazione atriale e sindrome di Wolff-Parkinson-White, più avanti.)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Durante la FA, gli atri hanno un ritmo apparentemente rapido e caotico, prodotto da piccoli fronti d’onda di rientro multipli che si sovrappongono continuamente. Le registrazioni intra-atriali mostrano frequenze > 350 battiti/min (v. Fig. 205-6). La FA può verificarsi in assenza di una cardiopatia evidente (FA isolata), ma più frequentemente è presente un problema cardiovascolare sottostante (p. es., malattia reumatica, coronaropatia, ipertensione) o ipertiroidismo. L’assunzione di alcol (il bere occasionalmente quantità smodate di alcolici o l’abuso cronico) è associata alla FA. Il suo ruolo potenziale va preso in considerazione in ogni paziente con FA. Spesso, la FA si converte spontaneamente a ritmo sinusale regolare ma, successivamente recidiva.

Sintomi e segni La FA solitamente è sintomatica. I pazienti possono percepire il ritmo irregolare e rapido come palpitazioni spiacevoli o fastidio toracico. Le conseguenze emodinamiche della FA possono essere avvertite come debolezza, lipotimia e difficoltà respiratoria. I pazienti possono presentarsi con sintomi e segni di embolia sistemica (p. es., ictus dovuto alla formazione di un trombo nell’atrio fibrillante), specie quando è presente una stenosi mitralica.

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Aritmie

Terapia Una corretta strategia terapeutica richiede il trattamento di ogni patologia sottostante (causale), come per esempio l’ipertiroidismo (nonostante il trattamento delle malattie sottostanti raramente elimini la FA, con l’eccezione dell’ipertiroidismo), il controllo della frequenza della risposta ventricolare, il ripristino del ritmo sinusale e la prevenzione dell’embolia. La frequenza di risposta ventricolare viene solitamente tenuta sotto controllo con la digossina, che rallenta e blocca la conduzione atrioventricolare. Quando la digossina da sola è insufficiente, l’aggiunta di un β-bloccante o di un calcioantagonista (diltiazem, verapamil) può risultare efficace. Di solito, per evitare le aritmie postcardioversione dovute alla digossina, nella fase di preparazione alla cardioversione elettrica si controlla la frequenza ventricolare mediante un βbloccante o il verapamil. In una minoranza di pazienti, la FA può essere convertita in ritmo sinusale con i farmaci di classe Ia e Ic e con l’amiodarone. La strategia di maggior successo è la cardioversione elettrica. Quando la procedura è effettuata elettivamente e se la fibrillazione persiste per > 48 h, è necessario un periodo di terapia anticoagulante precedente alla cardioversione (> 3 sett.) per ridurre il rischio embolico. Lo shock elettrico (100-400 watt-s) va somministrato mediante piastre antero-posteriori. Il successo è tanto meno probabile quanto maggiore è la durata della FA (soprattutto se > 6 mesi), quanto più gli atri sono dilatati e quanto più grave è la malattia cardiaca di base. Se la cardiopatia rimane immodificata, la frequenza delle recidive è alta. Nonostante la chinidina e la procainamide vengano ampiamente utilizzate per mantenere il ritmo sinusale, c’è scarsa evidenza che possano prevenire le recidive della FA dopo cardioversione. La disopiramide, l’amiodarone e i farmaci di classe Ic possono essere più efficaci, ma il loro rapporto rischio-beneficio rende necessaria una valutazione caso per caso. Raramente, la frequenza di risposta ventricolare e la FA non sono sensibili alla terapia medica. L’ablazione del nodo atrioventricolare (ablazione mediante radiofrequenza [RF]) interrompe la conduzione atrioventricolare, rendendo necessario l’impianto di un pacemaker permanente. I pazienti con una ridotta funzione ventricolare sinistra possono trarre beneficio da questo approccio non farmacologico. La frequenza della risposta ventricolare può essere controllata mediante una lesione da RF erogata selettivamente nella zona di ingresso dell’impulso elettrico nel nodo atrioventricolare. Sono state riportate percentuali di successo del 75% circa, senza che si renda necessario l’impianto di un pacemaker permanente. Quando questa metodica non ha successo, si procede all’ablazione del nodo atrioventricolare (blocco atrioventricolare totale) e si impianta un pacemaker. Il rischio di embolia sistemica nella FA è massimo in caso di dilatazione atriale sinistra e patologie della valvola mitrale. Nondimeno, in tutti i pazienti con FA si deve prendere in considerazione una terapia anticoagulante a lungo termine con warfarin, sulla base di recenti studi che hanno dimostrato una riduzione della mortalità e della morbilità (INR tra 2 e 3). Né l’aspirina, né il warfarin a bassa dose offrono una protezione contro l’embolia sistemica paragonabile a quella della terapia anticoagulante a dosi piene, ma la prima può avere un ruolo nella vera FA isolata ("lone": FA in assenza di cardiopatia strutturale) e il secondo quando la terapia anticoagulante a dosi piene provoca sanguinamenti.

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Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

TACHICARDIE REGOLARI A QRS STRETTO TACHICARDIE RECIPROCANTI FIBRILLAZIONE ATRIALE E SINDROME DI WOLFF-PARKINSON-WHITE (V. anche le descrizioni relative a ciascuno di questi argomenti, sopra) La FA è considerata un’emergenza medica in caso di conduzione anterograda lungo una via accessoria, perché il fisiologico rallentamento della frequenza da parte del nodo atrioventricolare è bypassato e frequenze ventricolari troppo elevate possono portare a una FV (v. Fig. 205-13). La cardioversione elettrica è il trattamento di scelta. La terapia medica deve essere utilizzata con cautela, perché può inaspettatamente provocare un aumento della frequenza ventricolare. Il meccanismo può essere il seguente: i farmaci che bloccano la conduzione nodale atrioventricolare forzano la conduzione lungo la via accessoria e riducono la penetrazione retrograda occulta della via accessoria, in modo da aumentare ulteriormente o liberare la capacità di conduzione della via accessoria. Di conseguenza, il verapamil e gli altri calcioantagonisti sono controindicati nel trattamento della FA che complica il WPW. I farmaci di classe Ic e la procainamide sono i più efficaci per la somministrazione endovenosa, ma possono provocare o aggravare l’ipotensione a causa della loro azione inotropa negativa. Una terapia antiaritmica per via orale a lungo termine può essere scelta empiricamente ma, soprattutto per i pazienti che hanno sintomi intrattabili dovuti alla tachicardia reciprocante o alla FA, l’ablazione mediante RF rappresenta la terapia di scelta. Le percentuali di successo sono 95% con una morbilità minima. Occasionalmente, sono stati riportati decessi con l’ablazione mediante RF, soprattutto a causa di tamponamento cardiaco. Il rischio di morte è probabilmente 1/2000 ma, dal momento che i pazienti sono per altri versi sani e normali, questo rischio è significativo. Quasi tutte le vie accessorie possono essere localizzate e ablate mediante RF. Per le varianti settali, è necessaria un’abilità considerevolmente maggiore rispetto alle vie laterali sinistre. L’instabilità del catetere può rendere tecnicamente difficili da aggredire le vie accessorie delle sezioni destre. Ciononostante, la terapia chirurgica delle vie accessorie è limitata a situazioni

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Aritmie

molto rare, come p. es., il caso in cui la chirurgia venga eseguita per altre ragioni (p. es., l’anomalia di Ebstein). Anche in casi simili, tuttavia, è probabilmente preferibile affrontare la via accessoria mediante le tecniche di ablazione prima della chirurgia, che può poi essere limitata a scopi diversi dalla soppressione delle aritmie.

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Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

FIBRILLAZIONE ATRIALE PAROSSISTICA Ritmo atriale rapido e irregolare dovuto a piccoli fronti d’onda di rientro multipli.

Sommario: Introduzione Terapia

I sintomi della FA parossistica (v. Fig. 205-7) sono spesso drammatici, a causa delle significative modificazioni della frequenza e della regolarità del ritmo cardiaco. Sebbene sia comune il riscontro di una cardiopatia di base, i pazienti con FA parossistica hanno più frequentemente un cuore normale rispetto ai pazienti con FA cronica. L’aritmia può far parte del quadro delle sindromi braditachicardiche (malattia del nodo del seno, v. oltre).

Terapia La prevenzione farmacologica di queste crisi si è rivelata deludente. L’amiodarone è forse il farmaco più efficace, ma la sua tossicità ne limita l’uso. In alcuni pazienti, p. es. quando i parossismi si verificano a riposo o durante il sonno, un elevato tono vagale può costituire il fattore scatenante. In questi pazienti, si può provare una terapia vagolitica (p. es., disopiramide), che tuttavia risulta raramente efficace. I parossismi di FA modulati dal sistema simpatico sono più comuni (da sforzo, con incremento della frequenza cardiaca prima dell’evento) e sono trattati in maniera più efficace con un β-bloccante. La digossina ha solo un ruolo modesto; malgrado il trattamento a lungo termine, raramente abolisce i parossismi, che (nel momento in cui si verificano) hanno ancora una frequenza cardiaca iniziale elevata. Solo qualche ora dopo l’inizio dell’episodio, diviene evidente l’effetto di rallentamento della conduzione nodale atrioventricolare da parte della digossina. La spiegazione è sconosciuta, ma elevati livelli di catecolamine endogene possono annullare ogni iniziale effetto di depressione del nodo atrioventricolare da parte della digossina. I farmaci di classe Ic sono efficaci nella profilassi della FA parossistica e sono ben tollerati.

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Aritmie

Il rischio embolico può essere elevato almeno quanto quello della FA sostenuta (tenuto conto della presenza di una cardiopatia strutturale), a seconda della durata degli attacchi. Una profilassi mediante terapia anticoagulante deve essere presa in considerazione in tutti i pazienti. Tuttavia, studi clinici non hanno provato che la terapia con warfarin nella FA parossistica sia efficace tanto quanto nella FA sostenuta.

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Aritmie

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Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

DIFETTI NON SPECIFICI DELLA CONDUZIONE INTRAVENTRICOLARE Difetti non specifici della conduzione intraventricolare vengono diagnosticati quando il QRS è moderatamente prolungato (< 120 ms) con morfologia e asse non tipici di un emiblocco. Si ritiene che il ritardo della conduzione avvenga al di là delle cellule miocardiche di Purkinje e derivi da una rallentata conduzione cellula-cellula. Il fenomeno è comune nei pazienti con IMA. Non è indicata nessuna terapia.

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Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

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TACHICARDIA ATRIALE CAOTICA E MULTIFOCALE Ritmo atriale rapido e irregolare dovuto all’attività di foci ectopici. La tachicardia atriale caotica e multifocale si presenta in modo simile alla FA, ma non è provocata da piccoli fronti d’onda di rientro multipli che si sovrappongono continuamente (come nella FA), bensì da anomalie di un pacemaker focale. Rapide onde P anomale precedono i complessi QRS. Queste aritmie possono complicare la maggior parte delle cardiopatie, ma sono anche caratteristiche delle malattie polmonari croniche gravi e possono essere esacerbate dalla teofillina. Il trattamento deve essere mirato contro ogni causa individuabile. D’altro canto, il trattamento è lo stesso della FA (v. sopra), eccetto che per due aspetti: i β-bloccanti possono essere controindicati in presenza di una pneumopatia e la cardioversione elettrica non sembra avere successo se esiste una causa scatenante (una "spina irritativa").

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TACHICARDIE REGOLARI A QRS STRETTO (Tachicardie sopraventricolari) Tachiaritmie sostenute in cui il QRS appare normale e ha una durata < 120 ms. Il termine "QRS stretto" va preferito a "sopraventricolare" (nonostante l’uso di quest’ultimo sia diffusissimo), poiché queste aritmie possono coinvolgere il tessuto ventricolare. Una delle più comuni tachicardie a QRS stretto è la tachicardia reciprocante della sindrome di WPW (v. più avanti), che coinvolge le strutture sopraventricolari (atri, nodo atrioventricolare, vie accessorie) e i ventricoli. Una diagnosi descrittiva dell’ECG (piuttosto che una diagnosi anatomica) è accurata, non soggetta a controversie e ha dei vantaggi clinici. In questo modo, è possibile distinguere in maniera definitiva una tachicardia a QRS stretto (durata del QRS < 120 ms) e una tachicardia a QRS largo (QRS 120 ms). Le tre forme di tachicardia regolare a QRS stretto sono la tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare (sia all’interno ["intra"] che nei pressi ["para"] del nodo atrioventricolare), la tachicardia reciprocante associata con vie accessorie e la tachicardia atriale vera. Le prime due forme costituiscono > 90% di tutte le tachicardie regolari a QRS stretto.

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TACHICARDIE REGOLARI A QRS STRETTO TACHICARDIA DA RIENTRO NEL NODO ATRIOVENTRICOLARE (INTRANODALE E PARANODALE) Tachicardie parossistiche regolari dovute a un rientro attraverso una via anomala situata all’interno o nei pressi del nodo atrioventricolare.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Queste tachicardie a QRS stretto coinvolgono una via anomala, che può trovarsi all’interno del nodo atrioventricolare (intranodale, molto rara, se pure esiste) o accanto a esso (paranodale, più comune). La via anomala (lenta) può non mostrare le proprietà di conduzione decrementale caratteristiche della via rapida, costituita dal nodo atrioventricolare. In particolari circostanze (p. es., in presenza di battiti ectopici prematuri, a particolari frequenze cardiache o livelli di tono vegetativo), lungo queste vie può instaurarsi una tachicardia. La situazione più frequente (> 95%) è una tachicardia rapida-lenta (che usa il nodo atrioventricolare per la conduzione anterograda e la via anomala per la conduzione retrograda), in cui le onde P´ appaiono quasi simultaneamente ai complessi QRS e vengono mascherate da questi (v. Fig. 205-8). La tachicardia lenta-rapida, da rientro nel nodo atrioventricolare, molto più rara, produce onde P ´ prima del QRS seguente (RP´ > PR); questa aritmia si può presentare in forma incessante.

Sintomi, segni e diagnosi Di solito, la tachicardia è parossistica con esordio improvviso, spesso scatenata da un battito prematuro ectopico atriale con un intervallo PR critico (v. Fig. 2059). La frequenza tipica della tachicardia è di 160-200 battiti/min e le palpitazioni sono avvertite da tutti i pazienti, ma variamente tollerate. file:///F|/sito/merck/sez16/2051852b.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.18

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Terapia Le manovre vagotoniche (manovra di Valsalva, massaggio del seno carotideo, riflesso di immersione della faccia in acqua ghiacciata, assunzione di acqua ghiacciata), soprattutto se effettuate prima che l’aritmia diventi persistente, possono interrompere il parossismo. Se questi metodi sono inefficaci, le crisi spesso si arrestano durante il sonno, ma la maggior parte dei pazienti si sente ancora così male da dover consultare un medico. Le crisi acute abitualmente rispondono bene al verapamil o all’adenosina EV ma, se questi falliscono, deve essere presa in considerazione la cardioversione elettrica (pacing, shock a bassa energia). La profilassi è più difficile, ma la digossina (spesso ad alte dosi, p. es., 0,375-0,5 mg/die), associata a un β-bloccante o a un calcioantagonista oppure anche in monoterapia, può risultare efficace. La maggior parte dei pazienti affetti da quest’aritmia è candidata all’ablazione mediante RF della via accessoria. La maggior parte dei centri riporta percentuali di successo > 95% e l’impianto di un pacemaker permanente per un danno al nodo atrioventricolare si rende necessario in < 1% dei pazienti.

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TACHICARDIE REGOLARI A QRS STRETTO TACHICARDIE RECIPROCANTI (Tachicardie che coinvolgono vie accessorie) Tachicardie parossistiche regolari dovute a un circuito di rientro che utilizza una via accessoria.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Nella forma più comune, l’attivazione parte dagli atri e prosegue verso i ventricoli attraverso il normale nodo atrioventricolare, ritornando poi agli atri attraverso la via accessoria (tachicardia ortodromica). Ne risulta una tachicardia a QRS stretto, durante la quale le onde P si inscrivono dopo il complesso QRS (PR > RP, v. Fig. 205-10). Molto raramente, la conduzione avviene nella direzione opposta, dando luogo a una tachicardia reciprocante antidromica a QRS largo. Nella sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW), il substrato anatomico dell’aritmia è una via accessoria che collega gli atri ai ventricoli bypassando il nodo atrioventricolare. L’ECG tipico mostra un intervallo PR breve e un’incisura iniziale nel complesso QRS (onda delta, v. Fig. 205-11). È necessario che si abbia una conduzione anterograda lungo la via accessoria per avere l’intervallo PR corto e l’onda delta, ma è importante che si abbia una conduzione retrograda per sostenere la tachicardia reciprocante ortodromica. Di conseguenza, una via accessoria nascosta (PR normale, assenza di onda delta in ritmo sinusale) può essere la base dell’aritmia. Nella sindrome di Lown-Ganong-Levine (LGL), la via accessoria collega l’atrio con il tessuto del fascio di His, bypassando il nodo atrioventricolare. L’intervallo PR è breve, come nella sindrome di WPW, ma il complesso QRS è normale. I pazienti con la sindrome di LGL hanno lo stesso tipo di aritmie di quelli con la

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sindrome di WPW e il loro trattamento è simile (v. Fig. 205-12).

Sintomi e segni La tachicardia reciprocante si manifesta tipicamente durante il primo anno di vita, nel 2o e 3o decennio o nella mezza età (45-60 anni). Nel primo anno di vita, i bambini possono presentarsi con insufficienza cardiaca se la crisi è prolungata; altrimenti, sono stati riportati episodi occasionali di dispnea, letargia, disturbi dell’alimentazione o segni di una rapida pulsazione precordiale. Nei pazienti in cui tali aritmie si presentano nel 2o e all’inizio del 3o decennio di vita, le crisi hanno insorgenza improvvisa e sono spesso associate con l’esercizio fisico. Le crisi possono durare solo alcuni secondi o persistere per diverse ore (raramente > 12 h). Nei pazienti giovani e altrimenti sani, la tachicardia reciprocante è molto ben tollerata e può essere quasi asintomatica. La disorganizzazione del circuito della tachicardia reciprocante con insorgenza di FA è un fatto preoccupante: la FA può essere infatti seguita da una risposta ventricolare estremamente rapida e potenzialmente letale (> 250 battiti/min). Può sembrare sorprendente che la mezza età possa essere il momento della prima manifestazione di un’aritmia che coinvolge una via accessoria congenita. Eppure, molti di questi pazienti non riferiscono nessun episodio precedente. Si conosce poco delle modificazioni a lungo termine della funzione delle vie accessorie, ma in questo gruppo di età capita di trovare più spesso vie unidirezionali (solo conduzione ventricoloatriale) rispetto agli adolescenti sintomatici. Quindi, un’aumentata frequenza di presentazione della tachicardia reciprocante con l’età può essere più probabile nel caso di vie unidirezionali che nel caso di vie bidirezionali. Alternativamente, può darsi si verifichi un aumento età-dipendente dell’incidenza di battiti prematuri atriali e ventricolari che iniziano la tachicardia.

Terapia Nei neonati e nei bambini fino ai 10 anni, la FA è una complicanza rara; la digossina è utile per la profilassi, ma non deve essere continuata durante la pubertà senza considerare che, con il passare degli anni, tale farmaco può diventare rischioso per i suoi effetti facilitanti sulle vie accessorie. La digossina è controindicata in tutte le altre circostanze, perché può accorciare il periodo refrattario dell’atrio e della via accessoria e facilitare lo sviluppo di una FV. Una crisi già instaurata risponde frequentemente alle manovre vagotoniche (p. es. manovra di Valsalva, immersione del viso in acqua gelata), particolarmente se eseguite subito dopo l’inizio dei sintomi: esse rallentano la conduzione nel nodo atrioventricolare e destabilizzano il circuito di rientro. Se tali manovre non hanno successo, il verapamil o l’adenosina garantiranno con ogni probabilità un ritardo della conduzione nodale atrioventricolare sufficiente a interrompere l’attività di rientro. Una strategia alternativa consiste nell’utilizzo dei farmaci di classe Ia o Ic al fine di rallentare la conduzione nella via accessoria, che è potenzialmente il punto più debole del circuito di rientro. Nonostante i problemi di proaritmia osservati con i farmaci della classe Ic nel trattamento delle aritmie ventricolari, non c’è evidenza che questi farmaci causino effetti simili in persone soggette ad aritmie legate a vie accessorie, altrimenti sane. La flecainide PO o EV, il propafenone, la procainamide e la disopiramide sono efficaci e sicuri per la terapia in acuto. In pratica, una volta identificata una tachicardia a QRS stretto, la maggior parte dei pazienti viene trattata con adenosina o verapamil EV, che bloccano l’aritmia non perché agiscono sulla via accessoria, ma perché bloccano transitoriamente o rallentano la conduzione nel nodo atrioventricolare.

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La profilassi a lungo termine richiede farmaci con bassa tossicità, ma di eccezionale efficacia. Flecainide, propafenone e disopiramide riuniscono questi criteri. La procainide e la chinidina sono raramente usati in Europa, ma sono molto diffusi per la profilassi a lungo termine nel Nord America. L’amiodarone è efficace, ma il suo elevato rischio di tossicità richiede che venga usato solo in circostanze eccezionali (p. es., quando ogni altro mezzo fallisce).

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TACHICARDIE REGOLARI A QRS STRETTO TACHICARDIA ATRIALE VERA Ritmo atriale rapido e regolare dovuto a un rientro intra-atriale o a un automatismo anomalo nell’ambito delle cellule atriali.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

La tachicardia atriale vera è la forma meno comune (5%) di tachicardia a QRS stretto. Le cause più comuni sono uno stimolo irritativo atriale (p. es., tumore, pericardite) o un’intossicazione da farmaci (p. es., digossina) o da agenti chimici (p. es., alcol, inalazione di gas tossici). L’intossicazione digitalica è relativamente rara, grazie a formulazioni commerciali più affidabili e a prescrizioni più attente.

Diagnosi Caratteristicamente, l’onda P precede il complesso QRS (PR (RP, v. Fig. 20514). Siccome l’aritmia può avere origine ovunque negli atri, il vettore dell’onda P non ha alcuna importanza. Il massaggio del seno carotideo rallenta o blocca la conduzione nel nodo atrioventricolare e mette quindi in evidenza l’aritmia atriale sottostante suggerendo che il nodo atrioventricolare non fa parte del circuito dell’aritmia. La tachicardia atriale con blocco è stata considerata praticamente diagnostica di intossicazione digitalica, ma a seconda della frequenza dell’aritmia atriale e della capacità di conduzione del nodo atrioventricolare, qualunque tachicardia atriale può essere associata a blocco.

Terapia file:///F|/sito/merck/sez16/2051857.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.20

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Di solito, il massaggio del seno carotideo è inefficace. La terapia comprende il controllo della frequenza ventricolare (la digossina è indicata quando non è la causa dell’aritmia; altrimenti devono essere presi in considerazione i β-bloccanti o il verapamil) e la ricerca della causa primaria. Quando l’aritmia è secondaria a intossicazione digitalica, piuttosto che somministrare un altro agente antiaritmico, è preferibile prendere misure generali di supporto, normalizzare gli elettroliti e somministrare, se disponibili, gli Ab anti-digossina. La pretesa che i farmaci antiaritmici permettano il controllo specifico della tachicardia atriale da intossicazione digitalica ha scarso fondamento scientifico. Lo shock elettrico può essere utilizzato per interrompere i singoli episodi. Il mappaggio dell’atrio mediante catetere può localizzare il focus che genera l’aritmia o almeno parte del circuito di rientro intra-atriale che è alla base dell’aritmia. L’applicazione di RF in corrispondenza di tali aree comporta la risoluzione della maggior parte delle tachicardie atriali.

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ARITMIE A QRS LARGO Ritmo ventricolare rapido e regolare, con una durata del QRS ≥ 120 ms. Le aritmie a QRS largo includono i BEV, la TV e la torsione di punta. Raramente, le aritmie che non sono di origine ventricolare possono essere condotte con aberranza e si presentano con un QRS largo. L’aspetto che ne risulta può porre difficoltà diagnostiche, ma in genere alcune caratteristiche permettono una diagnosi precisa (p. es., onde P, evidenza di anomalie del sistema di conduzione). La conduzione aberrante non modifica il trattamento dell’aritmia, che è identico rispetto a quello praticato per la forma più usuale a conduzione normale. La tachicardia reciprocante antidromica è una tachicardia a QRS largo, in cui la conduzione dagli atri ai ventricoli avviene lungo una via accessoria con ritorno agli atri in modo retrogrado attraverso il nodo atrioventricolare (v. Tachicardia Reciprocante, sopra).

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ARITMIE A QRS LARGO BATTITI ECTOPICI VENTRICOLARI (Battiti prematuri ventricolari; contrazioni premature ventricolari) Battiti prematuri dovuti a un focus elettrico anomalo nel ventricolo.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Prognosi e terapia

I BEV (v. Fig. 205-15) possono causare sintomi o essere del tutto silenti e possono avere o no significato prognostico. Sebbene i BEV fossero una volta considerati sempre patologici, studi eseguiti mediante registrazioni ECG-24 h hanno documentato la loro presenza in persone apparentemente normali.

Sintomi e segni A meno che non siano estremamente frequenti, i BEV isolati causano poche alterazioni emodinamiche e sono solitamente asintomatici. I BEV sintomatici sono comunemente percepiti come un battito mancante, sebbene ciò sia probabilmente più in rapporto al successivo battito sinusale, più forte, che al BEV stesso.

Prognosi e terapia Non c’è evidenza che i BEV, quale che sia la loro frequenza, abbiano un significato prognostico in assenza di una cardiopatia di base. Tuttavia, i BEV hanno valore prognostico quando complicano la stenosi aortica, lo scompenso file:///F|/sito/merck/sez16/2051858b.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.21

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cardiaco e il decorso post-IMA tardivo (> 2 giorni). Le implicazioni prognostiche dipendono dalla frequenza dei BEV: nel post-IMA è stata individuata una soglia di > 10 /h; soglie simili esistono probabilmente in altri contesti clinici. Ciononostante, nessuno studio ha dimostrato un beneficio dalla soppressione dei BEV, qualunque sia la patologia a cui i BEV sono associati. Nel post-IMA, la mortalità è in genere più elevata nei soggetti trattati con farmaci antiaritmici rispetto a quelli trattati con placebo (specie con il farmaco di classe Ic flecainide). La prognosi per i pazienti ad alto rischio post-IMA, individuati sulla base del rilievo di BEV molto frequenti, può essere migliorata mediante i β-bloccanti o con interventi terapeutici mirati a correggere la coronaropatia di base (angioplastica, bypass coronarico), piuttosto che mediante farmaci antiaritmici di classe I. I BEV che complicano la fase acuta dell’IMA erano considerati premonitori di FV. Tuttavia, i BEV con fenomeno R-su-T che si verificano quasi esclusivamente entro le prime 6 h di un IMA sono correlati alla FV solo cronologicamente; non sono predittivi, né è rilevabile un nesso di causalità. Di conseguenza, trattare selettivamente i BEV nelle fasi precoci dell’IMA non ha un razionale e può aumentare il rischio di bradiaritmie. I pazienti con BEV associati a uno stato ansioso, a stress, alcol o caffeina (bevande a base di cola, caffè, tè, prodotti contro il raffreddore) possono rispondere all’eliminazione della causa scatenante e alla rassicurazione. La terapia antiaritmica deve essere prescritta solo se i sintomi sono insopportabili, con particolare attenzione agli effetti collaterali pericolosi. Salvo controidicazioni, i β-bloccanti devono essere provati in tutti i pazienti che necessitano di terapia. Una registrazione delle 24 h che documenti una correlazione positiva tra frequenza cardiaca e BEV permette di individuare i pazienti che più probabilmente trarranno beneficio dai β-bloccanti, ma non è abbastanza specifica per escludere gli altri pazienti da un tentativo di terapia con tali farmaci. Successivamente, in ordine decrescente di preferenza, ci sono la mexiletina e la disopiramide. Tocainide, chinidina, procainamide e amiodarone hanno una notevole tossicità a lungo termine e non sono in genere appropriati. La flecainide risulta molto efficace nel sopprimere i BEV, ma è stato dimostrato che peggiora la sopravvivenza nei pazienti post-IMA in cui i BEV sono solitamente asintomatici. Il suo ruolo nei pazienti con BEV sintomatici è in corso di valutazione.

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ARITMIE A QRS LARGO TACHICARDIA VENTRICOLARE Salva di tre o più battiti ventricolari consecutivi a una frequenza ≥ 120 battiti/min.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Salve ventricolari (v. Figg. 205-16 e 205-17) a più bassa frequenza sono definite ritmo idioventricolare accelerato (a volte, si utilizza una soglia alternativa di frequenza (> 100 battiti/min, così come il numero di battiti nella salva). Il ritmo idioventricolare è considerato benigno. A meno che non provochi alterazioni emodinamiche, abitualmente non è trattato. Si verifica in pazienti con riperfusione spontanea o dopo terapia trombolitica, situazione in cui si conoscono poco le implicazioni dell’aritmia e l’eventuale necessità di un trattamento. La TV può essere monomorfa o polimorfa, non sostenuta o sostenuta (di solito della durata di almeno 30 s o tale da richiedere l’attuazione di manovre rianimatorie). Brevi salve di TV non sostenuta sono comuni nell’IMA, ma non hanno un significato prognostico immediato o tardivo e non devono essere trattate, se asintomatiche. La TV sostenuta complica varie cardiopatie: più comunemente la fase tardiva dell’IMA (spesso associata ad aneurisma ventricolare sinistro), le cardiomiopatie del ventricolo sinistro (p. es., idiopatica, ipertrofica, alcolica) e la displasia aritmogena del ventricolo destro. L’associazione della TV con una cardiopatia organica di base, in genere grave, spiega la prognosi non favorevole.

Diagnosi Qualunque tachicardia a QRS largo (QRS ≥ 120 ms) deve essere considerata una TV fino a prova contraria. La diagnosi è supportata dai seguenti rilievi ECG: file:///F|/sito/merck/sez16/2051859.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.22

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un’onda P indipendente dal QRS (v. Fig. 205-17), battiti di fusione o di cattura, uniformità dei vettori QRS nelle derivazioni precordiali (concordanza), asse del QRS negativo sul piano frontale > -30°. Una tachicardia di origine non ventricolare (p. es., le tachicardie regolari a QRS stretto) può essere condotta con aberranza e dare luogo a una tachicardia a QRS largo. Nonostante sia una rara evenienza, viene ripetutamente ed erroneamente diagnosticata come TV. Deve essere evitata la somministrazione di una dose-test di un calcioantagonista (p. es., verapamil), poiché sono stati riportati casi di collasso emodinamico ed eventi fatali.

Terapia Il trattamento immediato della TV con ipotensione richiede uno shock elettrico sincronizzato. Spesso, un’energia > 50 watt-s ripristina il ritmo sinusale. Un’alternativa è la stimolazione programmata, ma di solito non si ha abbastanza tempo a disposizione; tale tecnica può provocare una FV e richiede la disponibilità di un defibrillatore e di personale esperto in tecniche di rianimazione. Il trattamento farmacologico della TV consiste nella somministrazione di lidocaina 100 mg EV in 2 min seguita da ulteriori 50 mg EV 5 min più tardi se l’aritmia non si è riconvertita. Si può cominciare un’infusione di 4 mg/min, ma, se si continua a questa dose per > 12 h, possono essere raggiunti livelli tossici. Per i pazienti > 65 anni è indicata un’infusione di 2 mg/min. Se la lidocaina è inefficace, solo raramente deve essere somministrato un altro antiaritmico; il rischio di collasso emodinamico e di effetto proaritmico è elevato. Se la cardioversione elettrica (o la stimolazione programmata) non è disponibile o se il paziente non è emodinamicamente compromesso e non ha sviluppato effetti collaterali dopo lidocaina, si può usare un secondo farmaco antiaritmico (flecainide, encainide, propafenone, procainamide, disopiramide, mexiletina, tocainide). Bisogna dosare il farmaco con cautela, sotto continuo monitoraggio ECG ed emodinamico. La profilassi a lungo termine della TV può essere effettuata con un qualunque farmaco di classe Ia, Ib, Ic, II o III. Nonostante sia in discussione il rapporto rischio-beneficio dei farmaci di classe Ic, se usati sulla base dell’efficacia verificata mediante ECG dinamico 24 h o (meglio) mediante studio elettrofisiologico, possono risultare sicuri ed efficaci. Eccetto che in rare circostanze (p. es., quando riducono l’ischemia), i farmaci di classe IV (calcioantagonisti) con effetti elettrofisiologici (verapamil, diltiazem) sono controindicati. Tutti i pazienti con TV sostenuta devono essere sottoposti a studio elettrofisiologico invasivo e trattati di conseguenza, nonostante questo punto sia controverso. Poiché la TV sostenuta di solito dipende da un substrato anatomico di rientro fisso all’interno dei ventricoli, identificabile elettrofisiologicamente, la terapia chirurgica può essere efficace nell’eliminare l’aritmia, specie dopo un IMA. L’ablazione mediante RF ha una percentuale di successo moderata, ma in progressivo aumento; è applicabile solo in pazienti altamente selezionati. Questo, tuttavia, può cambiare a mano a mano che aumentano le conoscenze circa il mappaggio del substrato anatomico proaritmico. I pacemaker antitachicardia possono arrestare la maggior parte delle TV sostenute, ma rischiano di far degenerare la TV in FV e sono controindicati, a meno che non ci sia disponibilità di defibrillazione (v. la trattazione sui pacemaker, oltre). I ICD offrono la possibilità di trattare la TV senza farmaci, con una varietà di sequenze antitachicardia e con la possibilità di eseguire cardioversioni e defibrillazioni di salvataggio.

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Aritmie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

ARITMIE A QRS LARGO TORSIONE DI PUNTA Tachiaritmia ventricolare caratterizzata da continue modificazioni del vettore del QRS. La torsione di punta (v. Fig. 205-18) causa sintomi e morte nei pazienti affetti da una delle rare forme della sindrome del QT lungo congenita. La sua importanza nella pratica clinica quotidiana deriva dal fatto che può essere scatenata da farmaci (soprattutto gli antiaritmici, che sono controindicati nella terapia di tale aritmia) o da squilibri elettrolitici. Il trattamento consiste nel sospendere tutti i farmaci attivi a livello cardiaco (p. es., gli antidepressivi, gli antiaritmici, le fenotiazine), nel normalizzare gli elettroliti (particolarmente K e Mg) e stabilizzare l’elettrofisiologia cardiaca, se necessario mediante pacing atriale (overdrive). Sono state individuate varie sindromi congenite del QT lungo. Le due più importanti sono la sindrome di Jervell e Lange-Nielsen (autosomica recessiva, associata a sordità) e la sindrome di Romano-Ward (autosomica dominante senza sordità). Questi pazienti mostrano anomalie molto evidenti del QT (di durata e di forma) e rischiano torsioni di punta che possono essere fatali. I βbloccanti, l’asportazione del ganglio stellato o entrambi questi provvedimenti migliorano la prognosi. Recentemente è stata individuata la base genetica di almeno tre sindromi congenite del QT lungo. Due coinvolgono i canali del K+, mentre la terza è un’anomalia del gene che codifica un canale del Na. Studi preliminari suggeriscono che pazienti con questo secondo tipo di sindrome del QT lungo possono rispondere alla mexiletina, antagonista del canale del Na. Sono necessari dati ulteriori, ma questa condizione deve essere trattata da specialisti che abbiano un’esperienza specifica nel settore.

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Aritmie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE Ritmo ventricolare rapido e irregolare dovuto a circuiti multipli di rientro e associato con una gittata cardiaca essenzialmente nulla. (V. anche Cap. 206.) La FV è dovuta a piccoli fronti d’onda di rientro multipli che si sovrappongono continuamente e si manifesta sull’ECG con un tracciato instabile (instabilità della lunghezza del ciclo, del tempo di attivazione e del vettore, v. Fig. 205-19). A livello cellulare, l’attività elettrica può essere organizzata ma, globalmente, non si hanno una contrazione meccanica e una gittata cardiaca in tutti i casi. La FV che complica l’IMA in assenza di shock o di insufficienza cardiaca e si verifica generalmente nelle prime ore dell’IM è stata chiamata FV primaria. Tanto per creare confusione, il termine FV primaria si può anche riferire alla FV che si verifica in assenza di IMA (p. es., la morte improvvisa al di fuori dell’ambiente ospedaliero). Questa situazione è solitamente correlata a una grave malattia coronarica di base ed è probabile che recidivi nei pazienti che sopravvivono. Tali pazienti devono essere sottoposti a un dettagliato approfondimento diagnostico, comprendente test da sforzo, coronarografia e studio elettrofisiologico invasivo. Un numero sempre crescente di vittime di arresti cardiaci extra-ospedalieri vengono salvate per l’aumentata disponibilità sul territorio di squadre di soccorso di paramedici [in USA; in Italia i paramedici non sono autorizzati a praticare la defibrillazione n.d.t.]. Anche questi pazienti necessitano di un dettagliato approfondimento diagnostico; nei numerosi pazienti a rischio di recidive, va preso in considerazione l’impianto di un ICD. Il rischio è basso solo quando c’è una chiara evidenza che l’arresto cardiaco è stata la complicanza di un evento acuto autolimitantesi (p. es., IMA). L’IM acuto con shock, con o senza scompenso cardiaco, è lo scenario più tipico per la comparsa di una FV secondaria, un’aritmia associata con un grave danno ventricolare di base. La FV può complicare la riperfusione del miocardio dopo terapia trombolitica (come nel caso del ritmo idioventricolare). Ciò è tanto più probabile quanto più precoce è la riperfusione. La FV è fatale, a meno che non venga convertita mediante shock elettrico (la

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Aritmie

defibrillazione con pugno toracico o per mezzo di farmaci antiaritmici è molto rara). Per il trattamento della FV, v. Cap. 206. La percentuale di successo della cardioversione elettrica nella FV primaria è del 95% e la prognosi a breve e a lungo termine è eccellente. Non esistono indicatori clinici o strumentali che permettano di prevedere una FV primaria. La lidocaina, il Mg e i β-bloccanti offrono una certa protezione da quest’evento, ma la lidocaina aumenta il rischio di asistolia. Nella FV secondaria, una percentuale di successo della rianimazione pari al 30% e una mortalità intra-ospedaliera dei sopravvissuti alla rianimazione pari al 70% indicano la gravità di quest’evento. Nella FV che segue alla riperfusione, la percentuale di successo della rianimazione è maggiore.

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Aritmie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

Fibrillazione ventricolare Tachicardia ventricolare Sindrome di Wolff-ParkinsonWhite

ARITMIE HISSIANE Battiti rapidi e regolari che hanno origine dal fascio di His o dalle sue diramazioni. Le aritmie hissiane insorgono probabilmente per un automatismo patologico e possono verificarsi nella maggior parte delle cardiopatie e come conseguenza dell’intossicazione digitalica. Le vere depolarizzazioni del fascio di His producono complessi QRS di forma normale non preceduti da onde P. Una depolarizzazione che origini più in basso lungo il sistema di conduzione specializzato produce complessi QRS che hanno una morfologia a blocco di branca variabile. Può essere difficile, se non impossibile, distinguere le vere depolarizzazioni del fascio di His dai battiti ectopici nodali atrioventricolari e distinguere la depolarizzazione che ha origine più in basso lungo il sistema di conduzione specializzato dai BEV. Una tachicardia hissiana sostenuta si verifica raramente. Si sa poco della strategia terapeutica ottimale, ma i farmaci antiaritmici di classe I hanno una certa efficacia.

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Aritmie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

RF t1/2

Radiofrequenza Emivita di eliminazione

BEV

Battiti ectopici ventricolari

FV TV WPW

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BLOCCO ATRIOVENTRICOLARE Sommario: Introduzione Terapia

Blocco cardiaco di I grado: l’ECG mostra un QRS per ogni onda P, ma l’intervallo PR è più lungo del normale (di solito > 0,22 s., v. Fig. 205-20A). Il blocco di I grado è asintomatico e può essere fisiologico. Si osserva spesso negli atleti ben allenati, nei giovani e nei soggetti con un elevato tono vagale. L’intervallo PR è prolungato nella febbre reumatica acuta e nella sarcoidosi cardiaca e può avere implicazioni medico-legali nel campo del lavoro e delle assicurazioni. Anche quando il blocco di primo grado si verifica nell’ambito di una patologia, il trattamento non è obbligatorio, ma la sua presenza suggerisce la necessità di ulteriori indagini diagnostiche. È una manifestazione frequente dell’effetto della digitale (ma non significa che ci si trovi di fronte a un’intossicazione digitalica). Blocco cardiaco di secondo grado: le onde P non sono sempre seguite dai complessi QRS (v. Fig. 205-20B). Ne sono riconosciuti tre tipi: il blocco di Wenckebach (Mobitz I), in cui, dopo un progressivo allungamento del PR, un complesso QRS viene a mancare, con ripresa di una normale conduzione atrioventricolare e ripetizione della sequenza; il blocco di Mobitz II, in cui l’intervallo PR è costante, ma il complesso QRS viene a mancare in modo inatteso e il blocco di grado elevato, in cui esiste una rapporto matematico tra le onde P e i complessi QRS, p. es., 2:1, 3:1. I sintomi sono rari. La sua importanza è collegata al rischio di progressione verso un blocco completo. Il blocco di grado elevato e il blocco tipo Mobitz II sono stati tradizionalmente considerati più gravi del blocco di Wenckebach. Tuttavia, in pazienti con cardiopatie croniche, si deve prendere in considerazione l’impianto di un pacemaker permanente come profilassi per tutti i blocchi di 2° grado. Blocco cardiaco di III grado (blocco cardiaco completo): nel blocco cardiaco di III grado, non c’è comunicazione elettrica tra gli atri e i ventricoli. Il paziente è mantenuto in vita da un pacemaker di scappamento giunzionale (nodo atrioventricolare o His) o ventricolare. Più alta è la sede del pacemaker, più stretto è il QRS. I pacemaker alti sono relativamente rapidi (> 40 battiti/min),

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Aritmie

producono complessi QRS stretti e sono relativamente affidabili. I pacemaker bassi sono lenti, producono complessi QRS larghi e non sono affidabili. Le onde P sono visibili sull’ECG ma non hanno alcuna relazione coi complessi QRS. Il blocco cardiaco di 3° grado ha importanti conseguenze emodinamiche (v. oltre, trattazione sul blocco cardiaco completo congenito). Sono frequenti sincope, vertigini e insufficienza cardiaca acuta. Quando la frequenza del pacemaker di scappamento è > 40 battiti/min, i sintomi sono meno acuti e comprendono sonnolenza, ipotensione ortostatica e difficoltà respiratoria. L’asistolia è un rischio costante.

Terapia Il blocco cardiaco completo dovuto alla digitale regredisce alla sospensione del farmaco e alla successiva ripresa della terapia a dosi inferiori; nel frattempo, può rendersi necessario il pacing temporaneo. Come complicanza di un IMA inferiore, il blocco cardiaco di terzo grado può rispondere all’atropina e di solito si risolve spontaneamente. Quando associato con un IMA anteriore, indica un IMA esteso con prognosi negativa a breve e lungo termine. La gittata cardiaca è di solito mantenuta da un pacemaker di scappamento ventricolare, la cui frequenza intrinseca può essere tuttavia molto bassa e la ritmicità inaffidabile. La terapia consiste nell’impianto d’urgenza di un elettrodo di stimolazione per via transvenosa. È possibile la stimolazione esterna applicando un impulso elettrico di lunga durata tramite larghi elettrodi adesivi e questo può essere utile in attesa che si inserisca un sistema endocardico. L’isoproterenolo va generalmente evitato. Il trattamento a lungo termine consiste nella stimolazione permanente. Una semplice unità VVI garantirà la sopravvivenza, ma la mancanza di un dispositivo di adattamento della frequenza può compromettere la capacità di esercizio in maniera significativa. I pacemaker con adattatore della frequenza o "rate responsive" (p. es., attivati dal movimento o dalla temperatura) sono molto efficaci e semplici da impiantare. Tuttavia, il nodo del seno, se è in buono stato e attiva gli atri in modo affidabile, è il sensore maggiormente in grado di adeguare la frequenza cardiaca alle diverse circostanze. Ci sono importanti benefici teorici e pratici nel pacing sequenziale atrioventricolare garantito da un pacemaker DDD. Quando il blocco completo si risolve con il superamento della fase acuta di un infarto inferiore, non è solitamente necessario un pacemaker permanente. La risoluzione dopo un IMA anteriore è un fatto inconsueto e richiede ulteriori indagini per confermare l’affidabilità della trasmissione attraverso il nodo atrioventricolare (p. es., studio elettrofisiologico, test da sforzo, ECG delle 24 h). Nel blocco cardiaco completo congenito, l’impianto di pacemaker permanente è in genere limitato ai bambini con frequenze cardiache che scendono al di sotto dei 55 battiti/min per > 30 s in varie occasioni, con sintomi associati; ai bambini con una frequenza cardiaca media giornaliera < 50 battiti/min; a quelli con sintomi attribuibili all’aritmia o con una cardiopatia associata.

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Aritmie

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Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

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BEV

Battiti ectopici ventricolari

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BLOCCO DI BRANCA Interruzione parziale o totale della conduzione elettrica in uno dei rami di divisione del fascio di His. Le alterazioni del sistema specializzato di conduzione infranodale possono dipendere da una qualsiasi patologia, inclusa la degenerazione intrinseca, con o senza altre cardiopatie associate. Il blocco di branca, gli emiblocchi e i difetti non specifici della conduzione intraventricolare non sono di per sé delle aritmie. Di solito, non causano sintomi e non richiedono un trattamento specifico, ma hanno spesso un significato prognostico negativo. Il blocco di branca destra (BBD, v. Fig. 205-21) può verificarsi in persone apparentemente normali. La sua associazione più importante è quella con l’IM anteriore, perché in questo caso indica un danno importante. La comparsa di un BBD ex novo può suggerire una malattia cardiaca progressiva (p. es., sarcoidosi). Nonostante modifichi la morfologia del QRS, la presenza di BBD non pregiudica seriamente la diagnosi di IMA. Un BBD transitorio può verificarsi dopo un’embolia polmonare. Una volta si riteneva che il blocco di branca sinistra (BBS, v. Fig. 205-22) fosse sempre patologico e implicasse una prognosi infausta, ma studi di popolazione suggeriscono che esiste un BBS benigno. La presenza di BBS preclude la possibilità di altre diagnosi ECG. Non è indicato nessun trattamento specifico. Sebbene sia sempre presente il pericolo di un blocco cardiaco completo, il pacing preventivo non offre alcun beneficio, a meno che il PR non sia prolungato.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 205. ARITMIE Abbreviazioni utilizzate in questo capitolo FA ICD ISA PVG BBS LGL BBD

Fibrillazione atriale Defibrillatore automatico impiantabile Attività simpaticomimetica intrinseca Polso venoso giugulare Blocco di branca sinistra Sindrome di Lown-GanongLevine Blocco di branca destra

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Radiofrequenza Emivita di eliminazione

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Battiti ectopici ventricolari

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MALATTIA DEL NODO DEL SENO Ampia varietà di anomalie della funzione del nodo del seno.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La malattia del nodo del seno comprende la bradicardia sinusale persistente, il blocco senoatriale che si manifesta come un Wenckebach senoatriale, il blocco senoatriale completo e l’arresto sinusale (l’impulso sinusale non riesce ad attivare gli atri). In quest’ultimo caso, può non emergere nessun pacemaker sussidiario di scappamento, con conseguente collasso emodinamico e sincope. Diversi fattori estrinseci possono provocare modificazioni della frequenza cardiaca e causare una sincope. La malattia del nodo del seno viene considerata un difetto intrinseco del nodo del seno. Tuttavia, molti pazienti hanno caratteristiche che suggeriscono che le anomalie non sono limitate al nodo del seno, ma coesistono anomalie del nodo atrioventricolare. La sindrome bradicardia-tachicardica è una variante importante della malattia del nodo del seno, in cui flutter e fibrillazione atriali si alternano con prolungati periodi di asistolia.

Sintomi, segni e diagnosi Molti tipi di malattia del nodo del seno non causano sintomi, ma quando la frequenza cardiaca è persistentemente e inappropriatamente bassa, sono comuni letargia e affaticabilità. L’asistolia prolungata causa sincope. Le fasi di tachicardia sono spesso avvertite come palpitazioni. Una pulsazione lenta, specie se irregolare, può suggerire la diagnosi. L’ECG, soprattutto una registrazione delle 24 h, in presenza di sintomatologia, può essere diagnostico (v. Fig. 205-23). I test elettrofisiologici non sono più consigliati file:///F|/sito/merck/sez16/2051866c.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.26

Aritmie

per fare diagnosi, vista la loro scarsa sensibilità e specificità. Le sincopi dovute a effetti cardioinibitori o vasodepressori possono essere individuate mediante tilt test.

Terapia I pazienti sintomatici necessitano di stimolazione permanente. Dati recenti suggeriscono che i sistemi a doppia camera (DDI, DDDR, DDIR, v. Tab. 205-2) possono ritardare o prevenire la comparsa di FA e devono essere presi in considerazione in tutti i pazienti. Quando la FA si è già instaurata, è indicato un VVI o VVIR. La terapia antiaritmica può essere indicata per prevenire tachiaritmie parossistiche. In molti pazienti con sincopi dovute a effetti cardioinibitori o vasodepressori, i β-bloccanti, sorprendentemente, hanno un ruolo importante almeno quanto il pacing.

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Valvulopatie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIE DELLA VALVOLA MITRALE PROLASSO VALVOLARE MITRALICO Protrusione di uno o entrambi i lembi della valvola mitrale all’interno dell’atrio sinistro durante la sistole, che provoca comunemente un netto tono o click sistolico e un soffio tardivo o telesistolico da insufficienza mitralica.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Protrusione di uno o entrambi i lembi della valvola mitrale all’interno dell’atrio sinistro durante la sistole, che provoca comunemente un netto tono o click sistolico e un soffio tardivo o telesistolico da insufficienza mitralica. Il prolasso valvolare mitralico (PVM) primario si associa a dilatazione dell’anulus mitralico, a inserzione anomala delle corde tendinee e a degenerazione mixomatosa della valvola, che provoca una ridondanza del tessuto dei lembi mitralici e l’allungamento delle corde. La completa degenerazione mixomatosa valvolare può portare a un’insufficienza mitralica (IM) grave, o sindrome della "floppy valve". Anche la valvola tricuspide e quella aortica possono andare incontro a una degenerazione mixomatosa, con conseguente prolasso valvolare tricuspidale o aortico. Il PVM è occasionalmente familiare, con trasmissione autosomica dominante. La prevalenza varia tra l’1 e il 6% della popolazione altrimenti sana. È più alta nei soggetti affetti dalla sindrome di Grave (Basedow), da ipomastia, distrofia muscolare di Duchenne, distrofia miotonica, drepanocitosi, difetto interatriale, sindrome di Marfan e cardiopatia reumatica. Circa il 25% dei pazienti ha anche lassità articolare, palato ogivale o altre anomalie scheletriche (p. es., scoliosi, torace a imbuto, colonna diritta). Deficit di carnitina e di Mg sono stati suggeriti come fattori eziologici; in pazienti con PVM sono stati riportati livelli medi di Mg linfocitario ed eritrocitario al di sotto della norma. Si può avere il prolasso di un solo lembo, per una sproporzione tra la lunghezza delle corde tendinee e dei muscoli papillari (p. es. disfunzione del muscolo papillare da coronaropatia) o tra l’area dei lembi mitralici e quella dell’orifizio valvolare (p. es., stenosi subaortica ipertrofica [cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva], v. oltre). Il prolasso di un lembo (di almeno 1 delle sue 3 parti) può riguardare il lembo posteriore, quello anteriore, o entrambi. L’IM risulta in parte dal prolasso e in parte dalla dilatazione dell’anulus.

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Valvulopatie

Sintomi e segni La maggior parte dei pazienti è asintomatica; tuttavia, i sintomi sono associati con un elevato tono adrenergico e spesso si manifestano con astenia neurocircolatoria (p. es., fatica, vertigini, ipotensione ortostatica, tetania latente, dispnea, palpitazioni, dolore toracico non anginoso). In alcuni pazienti, il dolore toracico può essere provocato dal pacing rapido o dall’infusione di fenilefrina (durata 10 min), che provoca un aumento della PA di 40 mm Hg nella maggior parte dei pazienti. In circa 1/3 dei pazienti, sono presenti aritmie in relazione a stress psicologici. La tachicardia ventricolare sintomatica nei pazienti giovani è abitualmente dovuta alla sovrapposizione di una miocardite acuta occulta, diagnosticata poi alla biopsia. I pazienti con dolore toracico invalidante o aritmie gravi hanno un’elevata incidenza di disfunzione ventricolare sinistra (VS), di anomalie segmentarie nell’uptake del tallio 201 e di anomalie ECG (p. es., vari gradi di blocco atrioventricolare, aritmie atriali e ventricolari, anomalie del tratto ST e/o dell’onda T a riposo o da sforzo), malgrado coronarie angiograficamente normali. All’auscultazione, è occasionalmente presente un reperto musicale sistolico (con simultanea vibrazione o "fluttering" del lembo mitralico all’ecocardiogramma), che è quasi sempre patognomonico di prolasso. Occasionalmente, si può rilevare all’auscultazione uno schiocco d’apertura della valvola prolassata che ritorna alla sua posizione normale in protodiastole. L’embolia cerebrale (associata a un aumento dell’attività procoagulante delle piastrine) è un evento raro. Si può avere una morte improvvisa (< 1%), di solito nei pazienti portatori della sindrome completa del click-soffio, che include la presenza di onde T piatte o negative in II, III, aVF e nelle derivazioni precordiali sinistre, soprattutto in presenza di un intervallo QT lungo, a riposo o solo durante sforzo (i pazienti con i più lunghi intervalli QT hanno i più alti livelli di catecolamine).

Diagnosi Il PVM è diagnosticato primariamente mediante l’auscultazione. Quando sono presenti il click e il soffio, l’IM è in genere lieve-moderata, l’angiografia mostra anomalie della contrazione ventricolare e l’ecocardiogramma mostra spesso un prolungamento e una riduzione della velocità di accorciamento circonferenziale nel tratto di afflusso. Il click è probabilmente un rumore valvolare prodotto dalla perdita di supporto durante la sistole di uno dei lembi da parte di quello del lato opposto. Ogni manovra atta a ridurre il volume del VS (p. es., sedersi o alzarsi in piedi o la manovra del Valsalva) aumenterà la sproporzione tra i lembi valvolari e l’anulus mitralico, sarà causa di un prolasso più precoce e più ampio e quindi produrrà un click più precoce e un soffio più prolungato. Possono essere rilevati soltanto il click, soltanto il soffio, oppure entrambi. Un click senza soffio è abitualmente associato al prolasso del solo lembo anteriore della valvola. Il click o il soffio possono non essere sempre presenti. La diagnosi può essere confermata mediante l’ecocardiografia monodimensionale in circa il 75% dei pazienti e mediante l’ecocardiografia bidimensionale in circa il 95%. Un leggero inarcamento dei lembi, evidente solo nella proiezione apicale 4-camere, non è un segno ecocardiografico affidabile di prolasso. L’affidabilità dell’ecocardiografia è un po’ più elevata se si esegue l’esame con il paziente in piedi.

Profilassi e terapia La profilassi contro l’endocardite è necessaria solo se è presente IM. Per prevenire la rottura occasionale delle corde, che può causare un’IM grave, si

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Valvulopatie

raccomanda talvolta ai pazienti che hanno un click e un soffio evidenti di evitare sport competitivi che richiedano il massimo dello sforzo, ma la reale utilità di questa raccomandazione è controversa. Sintomi da ipertono simpatico, palpitazioni, emicrania (non rara) e vertigini dovute a ipotensione ortostatica possono essere controllati con i β-bloccanti. Questi farmaci possono anche aumentare la soglia per la fibrillazione ventricolare nei pazienti con aritmie pericolose.

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Valvulopatie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIE DELLA VALVOLA MITRALE INSUFFICIENZA MITRALICA Flusso retrogrado dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro attraverso una valvola mitralica non continente.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Le cause più comuni nella popolazione adulta del Nord America sono: degenerazione mixomatosa con o senza PVM, disfunzione dei muscoli papillari, valvulopatia reumatica e rottura di corde tendinee. Cause rare sono: mixoma atriale sinistro, difetti dei cuscinetti endocardici con discontinuità del lembo anteriore, LES, significativa calcificazione dell’anulus mitralico (soprattutto nelle donne anziane) e terapia con fenfluramina. In età infantile, le cause più importanti sono: disfunzione dei muscoli papillari secondaria a un’arteria coronarica sinistra anomala che origina da un’arteria polmonare, fibroelastosi endocardica, miocardite acuta, discontinuità dei lembi valvolari con o senza difetto dei cuscinetti endocardici e degenerazione mixomatosa della valvola mitrale. L’IM pura di origine reumatica, che oggi è rara nel Nord America e nell’Europa Occidentale in assenza di stenosi mitralica o prolasso associati, è dovuta all’accorciamento delle cuspidi valvolari e dei muscoli papillari e delle corde tendinee, che diventano avviluppati e aderenti alla valvola. L’IM da disfunzione dei muscoli papillari è secondaria a un infarto miocardico recente o di vecchia data, con o senza aneurisma ventricolare e fibrosi dei muscoli papillari. L’infarto del ventricolo alla base dei muscoli papillari, o l’ischemia di quest’area durante una crisi anginosa, possono causare un IM grave, anche con un muscolo papillare normale. Un muscolo papillare che non riesce a contrarsi o ha alla sua base del miocardio infartuato risulterà più lungo rispetto al sistema muscolo papillare-corda tendinea controlaterale, che si contrae normalmente. Durante la sistole, il muscolo papillare normale spinge in basso il lembo valvolare mitralico omolaterale, mentre il muscolo papillare disfunzionante non riesce a farlo, facendo sì che il lembo prolassi in atrio sinistro.

Sintomi, segni e diagnosi Un’IM grave può essere causa di palpitazioni molto tempo prima che compaiano i sintomi dello scompenso cardiaco, probabilmente a causa dell’elevata frequenza di extrasistoli e della contrazione iperdinamica del VS dilatato in coincidenza del battito post-extrasistolico. Se l’IM è grave, l’elevata pressione atriale può

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Valvulopatie

provocare dispnea, a causa della rilevante onda di rigurgito (onda cV), anche prima della comparsa dei sintomi di scompenso dovuti alla riduzione della gittata cardiaca (GC); raramente si può verificare afonia dovuta alla sindrome di Ortner (v. sintomi della stenosi mitralica, più avanti); alla rx del torace, si può riscontrare la dilatazione delle vene polmonari superiori destre (dovuta a rigurgito selettivo all’interno di queste vene). La fibrillazione atriale è comune quando l’atrio sinistro è aumentato di volume ed è invariabilmente presente quando esso è estremamente ingrandito. L’esame obiettivo dell’IM moderata-grave evidenzia un polso vivace, un sostenuto movimento parasternale sinistro dovuto all’espansione dell’atrio sinistro dilatato e un itto sostenuto, di dimensioni aumentate e spostato verso sinistra. All’auscultazione, di solito il secondo tono (S2) risulta significativamente sdoppiato, a meno che non si sia sviluppata un’ipertensione polmonare grave; lo sdoppiamento di S2 aumenta normalmente con l’inspirazione, a meno che non si sia sviluppata un’insufficienza cardiaca grave. Il soffio olosistolico ha la sua massima intensità all’apice (v. Tab. 207-1). Un’IM grave silente, con un soffio non rilevabile o molto lieve, può verificarsi in associazione con un infarto miocardico acuto, un’endocardite, una grave cardiomiopatia dilatativa con scompenso congestizio o in caso di stenoinsufficienza mitralica. Il rilievo di un S4 in presenza di insufficienza mitralica grave è caratteristico della rottura di corde tendinee. All’apice si rileva un S3 intenso rispetto al grado di IM; esso può essere seguito o, solo in presenza di IM grave, rimpiazzato, da un breve rullio diastolico d’afflusso. Nelle forme più lievi di IM, il soffio sistolico è ad alta frequenza, dolce. A mano a mano che il flusso aumenta, il soffio diventa di frequenza medio-bassa. Un soffio ≥ grado 4 (con un fremito) o un impulso apicale palpabile contemporaneo a S3 indica un IM grave. La rx del torace, in caso di IM moderata o grave, mostra un ingrandimento dell’atrio e del ventricolo sinistro. Una congestione vascolare polmonare limitata al lobo superiore destro si verifica in circa il 10% dei pazienti con congestione polmonare dovuta a una IM grave e può essere confusa con una polmonite. Probabilmente questo tipo di congestione è causata dalla dilatazione delle vene polmonari di destra, secondaria a un rigurgito selettivo all’interno di queste vene. Nell’IM, l’ECG mostra vari gradi di ipertrofia atriale e ventricolare sinistra, con o senza ischemia. Di solito, l’ECG mostra un aumento dei voltaggi dell’atrio e del ventricolo di sinistra. Il rilievo di ritmo sinusale in presenza di IM sintomatica suggerisce fortemente la rottura acuta di corde tendinee; tale evenienza non lascia all’atrio il tempo di dilatarsi. Una netta separazione dell’eco settale da quello della valvola mitrale è fortemente suggestiva di dilatazione e ridotta contrattilità del VS. L’ecocardiografia Doppler, specialmente il color-Doppler, può quantificare l’IM. La classificazione visiva, semiquantitativa, dell’entità del rigurgito mediante ecocardiografia Doppler correla bene con misure quantitative. La ventricolografia e l’ecocardiografia transesofagea costituiscono il gold standard per la quantificazione dell’IM. Nel caso di jet eccentrici da IM, diretti contro la parete atriale, il color-Doppler può sottostimare la gravità del rigurgito. L’ecocardiografia permette di individuare molte delle cause di IM (p. es., dilatazione ventricolare, prolasso, mixoma, rottura di corde tendinee, anomalie della cinetica segmentaria, calcificazione dell’anulus). La ventricolografia sinistra permette di definire l’entità dell’insufficienza. Le pressioni del ventricolo destro (VD) misurate mediante ecocardiografia o cateterismo cardiaco indicano il grado di ipertensione polmonare, che si accompagna invariabilmente a elevate pressioni in atrio sinistro. I livelli di pressione atriale sinistra più elevati si hanno in caso di rottura di corde tendinee, perché a causa dell’improvviso instaurarsi di una IM grave, l’effetto restrittivo di un pericardio relativamente non distensibile impedisce che l’atrio sinistro e il VS si dilatino rapidamente sotto l’effetto del volume rigurgitante.

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Profilassi e terapia La profilassi contro l’endocardite è indicata in tutte le circostanze che comportano il rischio di batteriemia, come estrazioni o pulizia dei denti (v. Cap. 208). Se l’IM è di natura reumatica ed è almeno di grado moderato, è raccomandata la profilassi contro la febbre reumatica con somministrazioni quotidiane di penicillina sino all’età di circa 30 anni. La febbre reumatica è così rara dopo i 30 anni nel mondo occidentale da non rendere necessaria la profilassi. Per prevenire l’embolia polmonare o sistemica (v. Cap. 72), i pazienti con scompenso cardiaco grave o con fibrillazione atriale devono essere sottoposti a terapia anticoagulante. Sebbene l’IM grave sia in una certa misura protettiva nei confronti della trombosi per la sua tendenza a lavare via i trombi, la terapia anticoagulante è ancora raccomandata dalla maggior parte dei cardiologi. Se l’IM provoca scompenso cardiaco, la sostituzione valvolare precoce aumenta la probabilità di una prognosi favorevole e riduce la probabilità che la funzione del VS peggiori. Tuttavia, il rilievo ecocardiografico di un diametro telediastolico del VS > 7 cm, di un diametro telesistolico > 5 cm e di una frazione d’eiezione normale-bassa indica che la funzione ventricolare è diventata dipendente dalla riduzione del postcarico che l’IM comporta: in tal caso, all’intervento chirurgico seguirà una depressione marcata della frazione d’eiezione. Se un paziente con angina grave ha una IM di grado moderato, l’intervento di solo bypass comporta una mortalità perioperatoria dell’1,5%, mentre, se è associato a sostituzione valvolare, la mortalità perioperatoria sale al 25%. Un’alternativa valida è costituita dalla ricostruzione valvolare, che comporta una bassa mortalità perioperatoria e una buona prognosi a lungo termine. Se un paziente con una IM grave (p. es., rottura di un muscolo papillare o insufficienza valvolare paraprotesica) è in condizioni critiche, la riduzione dell’impedenza al flusso anterogrado (e la conseguente riduzione del volume ventricolare) con nitroprussiato o nitroglicerina diminuirà il volume rigurgitante e potrà essere di grande beneficio in preparazione all’intervento chirurgico correttivo.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIE DELLA VALVOLA MITRALE STENOSI MITRALICA Ostruzione al flusso diretto dall’atrio al ventricolo sinistro a causa del restringimento dell’orifizio mitralico.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

La stenosi mitralica (SM) dell’adulto è quasi sempre causata da una pregressa febbre reumatica (v. Cap. 270). La febbre reumatica può causare un processo cronico di fibrosi e fusione valvolare, così come può provocare la calcificazione della valvola, con accorciamento e ispessimento delle corde tendinee. Anche un mixoma dell’atrio sinistro può causare ostruzione dell’orifizio mitralico. I bambini con SM congenita isolata raramente superano i 2 anni d’età, a meno che la SM non sia sopravalvolare. La tachicardia dovuta a esercizio fisico, febbre o fibrillazione atriale riduce il tempo di riempimento diastolico; l’insufficiente flusso attraverso l’orifizio mitralico in diastole fa aumentare la pressione atriale sinistra e diminuire la GC. L’elevata pressione in atrio sinistro comporta dispnea da sforzo ed eccessiva vasocostrizione arteriolare polmonare riflessa, con ostacolo al circolo prossimale rispetto ai capillari polmonari. Sebbene questa vasocostrizione prevenga pericolosi incrementi pressori nei capillari polmonari e nell’atrio sinistro, l’elevata resistenza arteriolare polmonare comporta una riduzione della GC e una sindrome da bassa gittata con grave affaticamento. Alla fine, può portare a insufficienza del VD. Un paziente con dispnea da sforzo può avere un normale volume diastolico ma una frazione d’eiezione ridotta, a causa forse della distorsione o dell’immobilità dell’area postero-basale del VS o a causa di una malattia coronarica concomitante delle arterie principali e del microcircolo.

Sintomi, segni e diagnosi Nei climi temperati, superata la fase acuta della malattia reumatica, può aversi un periodo asintomatico di 10-20 anni; i sintomi della SM compaiono di solito tra i 30 e i 40 anni. Nei climi tropicali o subtropicali, la progressione è più rapida e spesso di verifica in età infantile. I primi sintomi della SM sono di solito dispnea da sforzo o astenia. Un improvviso incremento della pressione atriale sinistra (p. es., quando una fibrillazione atriale non controllata ha una frequenza ventricolare troppo rapida, che si aggiunge alla già grave perdita della contrazione atriale) provoca un edema polmonare franco. In gravidanza, per l’aumento del volume file:///F|/sito/merck/sez16/2071886.html (1 of 3)02/09/2004 2.31.29

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circolante che si verifica, si può avere un’emottisi, dovuta alla rottura di piccoli vasi polmonari, o un edema polmonare franco. Nel 15% dei pazienti, si può verificare un episodio di embolia, che di solito si associa a fibrillazione atriale, sebbene possa presentarsi anche in soggetti in ritmo sinusale. La paralisi della corda vocale sinistra, (sindrome di Ortner), secondaria alla compressione del nervo laringeo ricorrente di sinistra, da parte dell’atrio sinistro ingrandito contro un’arteria polmonare dilatata, provoca disfonia. Spesso si rileva una SM significativa in pazienti asintomatici o con sintomi minimi. L’assenza di sintomi può, tuttavia, essere dovuta a un’inconscia modificazione del proprio stile di vita. Un colorito violaceo degli zigomi ("facies mitralica") si osserva solo in presenza di una GC ridotta e di un’ipertensione polmonare grave. Può essere particolarmente evidente un impulso parasternale sinistro sostenuto (grado 2-4), dovuto alla ipertrofia e alla dilatazione del VD o a un VD normale dislocato in tale sede, più vicino alla parete toracica, a causa dell’aumentato volume dell’atrio sinistro. Possono essere palpabili un S1 all’apice e un S2; il secondo è dovuto all’ipertensione polmonare. L’auscultazione evidenzia una componente P2 lievemente aumentata con uno sdoppiamento fisiologico. Quando la valvola mitrale non è eccessivamente fibrotica o calcifica, si può rilevare uno schiocco d’apertura, di massima intensità tra l’apice e il margine sternale inferiore di sinistra (di solito non c’è schiocco d’apertura nella SM congenita). All’apice, si rileva un M1, o schiocco d’apertura, intenso e netto. Con il paziente in decubito laterale sinistro, in corrispondenza dell’itto della punta, l’esaminatore deve cercare di rilevare un rullio diastolico apicale, abitualmente con un crescendo presistolico (se il ritmo è sinusale). Il crescendo presistolico può essere presente anche in presenza di fibrillazione atriale, ma solo alla fine di una diastole breve, quando la pressione atriale sinistra è ancora elevata. (Il soffio di Austin Flint, v. Sintomi, segni e diagnosi, più avanti sotto Insufficienza Aortica, può mimare il soffio diastolico della SM.) In presenza di fibrillazione atriale, si può avere una SM silente (cioè, senza il rullio diastolico apicale). Un lieve soffio diastolico in decrescendo lungo la linea margino-sternale di sinistra può essere dovuto a un’insufficienza della valvola polmonare (soffio di Graham Steell) secondaria a una grave ipertensione polmonare. Tuttavia, la causa più comune di questo tipo di soffio è l’insufficienza aortica, che spesso accompagna la SM ed è dovuta al coinvolgimento della valvola aortica nella malattia reumatica. L’ECG mostra i segni del sovraccarico atriale sinistro: in V1 l’onda P ha un’ampia fase negativa terminale (area 1mm2, cioè un quadratino piccolo). Possono essere visibili onde P con ampie incisure in tutte le derivazioni; in passato, quest’aspetto veniva definito come "onda P mitralica" e ritenuto secondario al sovraccarico atriale sinistro; attualmente si sa che è in realtà dovuto a un blocco della conduzione intra-atriale. In derivazione I, il QRS ha un basso voltaggio; può inoltre essere evidente una deviazione assiale destra dovuta a ipertrofia del VD. Se in V1 è presente l’onda R alta tipica dell’ipertrofia del VD, l’ipertensione polmonare è grave. In presenza di fibrillazione atriale, in V1 si osserveranno onde f di fibrillazione piuttosto ampie, segno di sovraccarico atriale. Tuttavia, in presenza di importante danno atriale, le onde f potranno essere piccole. Alla rx del torace, il margine sinistro dell’ombra cardiaca appare rettilinearizzato, a causa della dilatazione dell’auricola sinistra. L’arteria polmonare principale, o il tronco, appariranno prominenti e, se l’ipertensione polmonare è significativa, il diametro dell’arteria polmonare destra sarà 16 cm. Le vene polmonari del lobo superiore possono essere dilatate per la redistribuzione del flusso ematico dai lobi inferiori verso quelli superiori, data la compressione delle vene del lobo inferiore. Lungo il margine destro dell’ombra cardiaca, è caratteristica l’immagine di un doppio contorno, dovuta a un atrio sinistro ingrandito e fibrotico. Le strie B di Kerley, linee orizzontali a livello dei campi polmonari postero-inferiori, sono diagnostiche di edema interstiziale associato a un’elevata pressione atriale sinistra. L’ecocardiografia mostra l’entità delle calcificazioni valvolari, permette di stabilire se la valvulotomia è tecnicamente fattibile e consente di misurare le dimensioni dell’atrio sinistro, necessarie per prevedere se il paziente trarrà beneficio dalla file:///F|/sito/merck/sez16/2071886.html (2 of 3)02/09/2004 2.31.29

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cardioversione. Rileva inoltre la presenza di un’insufficienza mitralica associata. L’ecocardiografia bidimensionale può consentire la misurazione dell’esatta area dell’orifizio mitralico. Il cateterismo cardiaco (v. Tecniche Invasive nel Cap. 198) permette di misurare la pressione arteriosa polmonare a catetere bloccato (Wedge Pressure, riflette la pressione in atrio sinistro) e indica la gravità dell’ipertensione polmonare, della SM e dell’insufficienza. In presenza di un’elevata pressione telediastolica del VS dovuta a patologie del miocardio indipendenti dalla malattia valvolare, si può rilevare un gradiente atrioventricolare falsamente basso.

Profilassi e terapia Nei pazienti asintomatici, per la profilassi delle infezioni streptococciche e nel caso di procedure chirurgiche, si utilizza la penicillina. Nei pazienti sintomatici, la terapia medica si basa sull’uso di β-bloccanti o di calcioantagonisti per rallentare la frequenza cardiaca; se il paziente è ancora sintomatico, si somministrano digitale e diuretici. In presenza di fibrillazione atriale, si raccomanda l’uso di piccole dosi di digitale associate a un calcioantagonista o a un β-bloccante. Si raccomanda sempre l’uso degli anticoagulanti orali, a eccezione delle forme più lievi di SM. Qualora sussistano controindicazioni all’uso del warfarin, sono indicati gli antiaggreganti piastrinici (p. es., aspirina). Non va utilizzato il dipiridamolo poiché si è rivelato utile solo in pazienti portatori di protesi valvolari. La chirurgia deve essere presa in considerazione nei pazienti che restano in Classe III (sintomi per livelli di attività fisica inferiori rispetto alle normali attività della vita quotidiana) nonostante terapia medica. Una SM critica che richiede la commissurotomia o la sostituzione valvolare si associa a un orifizio ovale di dimensioni 1,75 ⋅ 0,85 cm. Se l’ecocardiogramma e la presenza di un chiaro schiocco d’apertura indicano l’assenza di una massiva calcificazione valvolare, la valvuloplastica mediante catetere a palloncino è di solito il trattamento migliore, ma la commissurotomia e la valvuloplastica a cielo aperto costituiscono valide alternative. Se tali procedure non risultano indicate, si rende necessaria la sostituzione valvolare. Di solito, una seconda commissurotomia a cielo aperto in caso di restenosi è associata a una buona sopravvivenza a lungo termine e va presa in considerazione prima di porre indicazione alla sostituzione valvolare. In pazienti < 65 anni d’età, una valvola porcina non è affidabile a lungo termine, per cui va utilizzata una valvola meccanica a disco o a palla. Se, dopo l’intervento, il paziente rimane in fibrillazione atriale o è portatore di una protesi valvolare meccanica, è necessaria la terapia anticoagulante. La valvuloplastica con doppio palloncino è efficace quanto la valvulotomia chirurgica. Un difetto del setto interatriale secondario a valvuloplastica di solito non riduce la capacità funzionale del paziente; può persistere nel tempo solo se il rapporto fra il flusso polmonare e quello sistemico è > 4:1. Per tutti i tipi di protesi valvolare meccanica, è necessaria terapia con warfarin associata ad aspirina a basse dosi o dipiridamolo.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIA DELLE VALVOLE AORTICA E POLMONARE INSUFFICIENZA AORTICA Flusso retrogrado dall’aorta in ventricolo sinistro attraverso le cuspidi non continenti della valvola aortica.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

In età adulta, le cause più comuni di insufficienza aortica (IA) cronica grave sono la degenerazione idiopatica della valvola o della radice aortica, la cardiopatia reumatica, l’endocardite infettiva, la degenerazione mixomatosa e i traumi; in età pediatrica, la causa più comune è il difetto del setto interventricolare con prolasso della valvola aortica. Nell’adulto, le cause più comuni di IA lieve sono la valvola aortica bicuspide (in circa il 2% dei maschi e l’1% delle femmine) e l’ipertensione grave con pressione diastolica ≥ 110 mm Hg (in tal caso l’IA è dovuta probabilmente alla presenza di una valvola aortica bicuspide o fenestrata). Raramente, l’IA è causata da: spondilite anchilosante, sindrome di Reiter, AR o artropatia psoriasica, LES, artrite associata alla colite ulcerosa, aortite luetica, osteogenesi imperfetta, aneurisma aortico dissecante, stenosi aortica (SA) sopravalvolare, sindrome dell’arco aortico (malattia di Takayasu), rottura del seno di Valsalva, arterite a cellule giganti, sindrome di Ehlers-Danlos, trasformazione mixomatosa nella sindrome di Marfan, o uso di fenfluramina. Il volume e la gittata sistolica del VS risultano aumentati in quanto il VS deve accogliere il volume di sangue che rigurgita durante la diastole, oltre alla quota fisiologica che proviene dalle vene polmonari. Per mantenere nei limiti la pressione intraventricolare, si verifica un’ipertrofia del VS proporzionata al grado di dilatazione (legge di Laplace: pressione = tensione/raggio. Con l’aumentare del raggio, la tensione aumenta). Il "cor bovinum" dell’IA grave è il cuore più grande e più pesante di tutta la patologia cardiaca.

Sintomi, segni e diagnosi La tolleranza allo sforzo fisico rimane molto buona per anni, anche in presenza di un’IA grave, finché compaiono dispnea da sforzo, ortopnea e dispnea parossistica notturna. Si possono avvertire palpitazioni a causa della percezione dell’attività cardiaca dovuta all’ingrandimento del VS. In assenza di coronaropatia, si ha angina pectoris solo nel 5% dei pazienti e solo in presenza di un’IA massiva. L’angina è comune soprattutto durante le ore notturne, forse perché l’entità del rigurgito aumenta con basse frequenze cardiache.

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L’ispezione e la palpazione evidenziano un polso scoccante (celere e ampio). La bassa pressione diastolica è dovuta soprattutto alla vasodilatazione periferica (riflesso del seno carotideo) e al flusso retrogrado verso il VS. Il carattere celere e ampio del polso ha generato numerosi termini descrittivi ed eponimi. La tendenza del polso arterioso a raggiungere rapidamente l’acme e a scomparire altrettanto rapidamente ha creato il termine "polso a martello pneumatico" o "polso collassante"; il suono netto che si ausculta in corrispondenza del polso femorale è definito "suono a colpo di pistola" o "segno di Traube". Se si esercita una pressione sull’arteria femorale con un dito, si avverte un soffio sistolico distalmente al punto di compressione e un soffio diastolico prossimalmente; tale fenomeno è definito "doppio soffio di Duroziez". L’ampia pulsazione carotidea a livello del collo è definita "segno di Corrigan". La scossa del capo provocata dalla forza balistica della violenta gittata sistolica è il "segno di De Musset". L’impallidimento e l’arrossamento pulsatile che si osserva sul letto ungueale quando vi si applica una modesta pressione è chiamato polso capillare o "segno di Quincke". La pressione sistolica è maggiore del normale a causa dell’ampia gittata sistolica. È presente il "segno di Hill" quando la PA sistolica degli arti inferiori supera di > 20 mm Hg quella rilevata a livello del braccio. L’itto della punta è spostato, di ampia superficie e sostenuto, con un’ampia area di retrazione mediale (spesso l’intera area parasternale sinistra). All’auscultazione, un soffio olodiastolico in decrescendo ha la sua massima intensità sullo sterno e lungo la parte inferiore della linea margino-sternale sinistra. Il S2 è di solito singolo, netto e intenso per l’aumentata capacità di ritorno elastico dell’aorta. Se l’IA è grave, il soffio può avere delle componenti a bassa e media frequenza e il S2 può non essere udibile. Se l’IA è lieve, il soffio può essere solo protodiastolico e avere solo alte frequenze, con un carattere dolce. Se l’IA non è di natura reumatica, ma secondaria a rottura delle cuspidi valvolari o a uno spostamento a destra della radice dell’aorta (p. es. un aneurisma dell’aorta ascendente, arteriosclerosi), il soffio può avere la sua massima intensità lungo il margine sternale destro. Spesso il soffio si ausculta meglio in prossimità della regione ascellare o sull’emitorace destro ("soffio di Cole-Cecil"). Può anche essere rilevato un rullio diastolico simile a quello della stenosi mitralica in corrispondenza dell’apice cardiaco, dal momento che il flusso rigurgitante che proviene dall’aorta ascendente impedisce la completa apertura del lembo anteriore mitralico ("soffio di Austin Flint"). La riduzione della pressione aortica mediante somministrazione di nitrito di amile diminuisce l’entità del rigurgito aortico e quindi attenua o elimina il soffio di Austin Flint, mentre rende più intenso il soffio da stenosi mitralica. Un tono aggiunto eiettivo aortico (click da eiezione) è comune soprattutto in presenza di valvola aortica bicuspide. In presenza di un’IA grave con un polso bisferiens, si ha spesso un tono aggiunto meso-telesistolico di frequenza medio-bassa. Sul focolaio aortico solitamente si rileva anche un soffio eiettivo, dovuto all’eccessivo flusso anterogrado, che può mimare una SA. Il rilievo di un soffio eiettivo e di un soffio da rigurgito è definito soffio di va-e-vieni.

Profilassi e terapia La terapia definitiva dell’IA è la sostituzione valvolare. La profilassi contro l’endocardite (v. Cap. 208) è necessaria prima e dopo l’intervento di sostituzione valvolare. La terapia medica dei pazienti scompensati si basa sulla somministrazione di digitale e sulla riduzione del postcarico (p. es., con calcioantagonisti vasodilatatori, idralazina, ACE-inibitori o nitrati); infatti, nonostante vi sia una vasodilatazione periferica riflessa e una ridotta pressione diastolica (anche fino a 50 mm Hg), è stato dimostrato che questi pazienti traggono beneficio da un’ulteriore vasodilatazione (v. Scompenso Cardiaco nel Cap. 203). Tuttavia, l’idralazina non comporta alcun beneficio nei pazienti con IA asintomatica e può aumentare la massa del VS. Nell’IA grave anche la riduzione del precarico ha un effetto positivo. Nell’IA grave, soprattutto se insorta acutamente, risulta utile l’aumento della frequenza cardiaca mediante un pacing atriale ottimale. Prima dell’intervento chirurgico, va sempre effettuata una file:///F|/sito/merck/sez16/2071888.html (2 of 3)02/09/2004 2.31.30

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coronarografia, anche in assenza di angina, poiché circa il 20% dei pazienti con IA grave ha una malattia coronarica significativa. Se compaiono i sintomi dello scompenso cardiaco, oppure l’esame ecocardiografico mostra una riduzione della frazione d’eiezione e un diametro telesistolico ≥ 55 mm e il rapporto cardiotoracico alla rx è > 0,6, la sostituzione della valvola aortica rappresenta la terapia di scelta.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 207-1. CARATTERISTICHE DEL SOFFIO OLOSISTOLICO DA INSUFFICIENZA MITRALICA Causa

Caratteristiche

Disfunzione del muscolo papillare

Può avere un andamento in crescendo fino a S2

Prolasso della valvola mitrale

Può essere ritardato e preceduto da un click

Rottura di corde tendinee relative al lembo posteriore

Può irradiarsi al II spazio intercostale destro e alle carotidi e mimare una stenosi aortica

Rottura di corde tendinee relative al lembo an teriore

Può irradiarsi al dorso e perfino al capo

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIA DELLE VALVOLE AORTICA E POLMONARE INSUFFICIENZA DELLA VALVOLA POLMONARE L’insufficienza della valvola polmonare è dovuta all’elevata pressione che si ha nell’arteria polmonare in presenza di ipertensione polmonare oppure è secondaria alla stenosi o all’insufficienza mitralica. Di solito, la pressione dell’arteria polmonare è vicina ai livelli della pressione sistemica o > 80 mm Hg (la sistolica) a meno che l’arteria polmonare principale non sia dilatata in maniera significativa. Il soffio diastolico da rigurgito della valvola polmonare (soffio di Graham Steell) non è diverso dal soffio dell’insufficienza aortica eccetto che, se intenso, di solito aumenta con l’inspirazione. Un soffio di Graham Steell di intensità lieve può perfino ridursi con l’inspirazione, nonostante l’aumento del flusso in arteria polmonare: infatti, un soffio da insufficienza valvolare polmonare non particolarmente intenso si sente meglio a livello del secondo spazio intercostale sinistro, dove l’inspirazione allontana il fonendoscopio dal torace. Dopo la fine della manovra di Valsalva, il soffio dell’insufficienza polmonare riacquista immediatamente la sua intensità, mentre il soffio dell’insufficienza aortica ritorna alla sua precedente intensità solo dopo 4-5 battiti.

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Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIA DELLE VALVOLE AORTICA E POLMONARE STENOSI AORTICA Restringimento del tratto di efflusso aortico a livello valvolare, sopravalvolare o sottovalvolare, che causa ostruzione al flusso ematico diretto dal ventricolo sinistro in aorta ascendente e che provoca un gradiente pressorio ≥ 10 mm Hg.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi, profilassi e terapia

La stenosi valvolare aortica (SA) può essere congenita, oppure dovuta alla calcificazione idiopatica delle cuspidi aortiche o, ancora, secondaria al coinvolgimento della valvola aortica nella malattia reumatica. Nell’adulto, la SA valvolare è considerata congenita a meno che non sia presente una valvulopatia mitralica reumatica o il paziente abbia > 70 anni, età in cui una valvola aortica normale può diventare così sclerotica e calcifica da causare una SA significativa. La SA di natura reumatica è dovuta a fibrosi dei lembi e fusione delle commissure. Sia nel caso della SA congenita che di quella acquisita, una calcificazione massiva può rendere i lembi valvolari praticamente irriconoscibili. L’ipertrofia ventricolare è concentrica e riduce le dimensioni endocavitarie del VS. L’incidenza di emolisi, di sanguinamenti GI (di solito dal colon destro) e di dissezione aortica è lievemente aumentata nei pazienti con SA. In circa il 60% dei pazienti > 60 anni d’età con una SA significativa, si rilevano calcificazioni dell’anulus mitralico. Si ha una SA sopravalvolare se è presente una membrana o una costrizione da ipoplasia subito al disopra dei seni di Valsalva (tre rigonfiamenti alla radice dell’aorta). Una forma sporadica di SA sopravalvolare si associa a una facies caratteristica (viso alto, ampia fronte, ipertelorismo, strabismo, naso all’insù, lungo solco alla linea mediana del labbro superiore, bocca larga, anomalie dentarie, guance paffute, micrognatismo, orecchie a impianto basso). Questa patologia è conosciuta come sindrome di Williams, se si associa all’ipercalcemia idiopatica dell’infanzia. La SA sottovalvolare può essere dovuta a un anello membranoso o fibroso situato al disotto della valvola aortica. La stenosi subaortica ipertrofica è una forma di cardiomiopatia ipertrofica (v. sotto Cardiomiopatie nel Cap. 203). È spesso chiamata stenosi subaortica ipertrofica idiopatica, sebbene tale termine non sia necessario. È anche chiamata cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva (CMIO). È dovuta a un ispessimento asimmetrico del setto, che urta contro il lembo anteriore mitralico (raramente il posteriore) durante la sistole causando un’ostruzione all’efflusso. Il setto è ipertrofico in misura maggiore rispetto alla parete libera. Generalmente la stenosi aortica (sopravalvolare, valvolare o sottovalvolare) si file:///F|/sito/merck/sez16/2071889b.html (1 of 4)02/09/2004 2.31.32

Valvulopatie

associa a un certo grado di insufficienza aortica. La prima risposta all’ostacolato efflusso ematico è costituita dall’ipertrofia del VS, che avviene a spese del volume della camera ventricolare: ciò comporta una disfunzione diastolica del VS. Il ventricolo si ingrandisce e si ha anche una disfunzione sistolica solo se si verifica un danno miocardico.

Sintomi, segni e diagnosi La classica triade di sintomi è rappresentata da sincope, angina e dispnea da sforzo. Qualora la sincope si verifichi sotto sforzo, si ritiene conseguente alla fissità della GC (impossibilità ad aumentare la GC sotto sforzo) e sottintende una SA grave. La sincope, tuttavia, può essere dovuta a una fibrillazione ventricolare non correlata all’esercizio. L’angina pectoris può essere dovuta a un’aterosclerosi coronarica significativa, sebbene nel 50% dei casi sia dovuta a un’insufficiente irrorazione arteriosa subendocardica del VS ispessito, nonostante arterie coronariche di buon calibro e indenni da alterazioni aterosclerotiche. In caso di ostruzione fissa, il polso carotideo sale lentamente e si può rilevare un fremito, dovuto alla trasmissione del soffio cardiaco lungo i vasi del collo. Quando la insufficienza aortica è significativa, può essere presente un polso bisferiens (cioè, con un’incisura o depressione mesosistolica). Nei casi gravi, la PA è ridotta e la pressione differenziale è bassa (polso piccolo e tardo). Nei casi lievi o moderati, specialmente se si associa insufficienza aortica, la PA sistolica può anche essere elevata. L’itto della punta è sostenuto (inizia a decrescere con S2) e non è spostato, a meno che non vi sia una cardiomegalia dovuta a scompenso cardiaco da disfunzione sistolica o concomitante insufficienza aortica o mitralica. Il soffio eiettivo della SA presenta sempre frequenze miste e diventa particolarmente aspro quando il grado è 4/6. Più tardivo è l’acme del crescendo e più lungo il soffio, più grave è la stenosi. I soffi della SA valvolare si irradiano alle clavicole e al collo e sono spesso più intensi sulla carotide sinistra che su quella destra. Le componenti ad alta frequenza tendono a irradiarsi all’apice e mimano il soffio dell’insufficienza mitralica (fenomeno di Gallavardin). Nell’anziano, il soffio della SA calcifica assume spesso carattere musicale ed è udibile soprattutto o solamente all’apice, forse perché può non esserci fusione delle commissure e le cuspidi possono vibrare e produrre frequenze pure. Un click da eiezione o tono di eiezione, meglio udibile all’apice, indica che la sede della stenosi è principalmente valvolare e di natura congenita La rx del torace e l’ecocardiogramma possono mostrare calcificazioni delle cuspidi aortiche, ipertrofia del setto e delle pareti libere. La dilatazione del VS si verifica solo in caso di insufficienza del VS, dovuta a disfunzione sistolica con danno miocardico, oppure a una concomitante insufficienza valvolare. L’ECG mostra vari gradi di ipertrofia del VS; la presenza di sottoslivellamento del tratto ST con inversione dell’onda T (pattern da ipertrofia con sovraccarico del VS) è generalmente indicativa di una SA grave con fibrosi e ischemia subendocardica. L’ecocardiografia Doppler mostra i gradienti valvolari con soddisfacente accuratezza, a meno che non coesista un’insufficienza aortica significativa (che può portare a sovrastimare il gradiente). Il cateterismo cardiaco permette di misurare l’esatto gradiente valvolare e identifica la presenza di malattia coronarica (v. Tecniche Invasive nel Cap. 198). In presenza di una funzione miocardica normale, si considera significativo un gradiente attraverso la valvola aortica o polmonare di 70 mm Hg; se la funzione miocardica è depressa, oppure quando il flusso è ridotto per una concomitante stenosi mitralica, un gradiente di circa 50 mm Hg è già significativo. Il soffio della stenosi subaortica ipertrofica è accentuato da qualunque manovra

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Valvulopatie

atta a ridurre le dimensioni cardiache (squatting, handgrip, farmaci vasopressori) e quindi in grado di avvicinare il setto al lembo anteriore mitralico; la manovra di Valsalva rende il soffio più intenso, in quanto la riduzione del ritorno venoso rende il cuore più piccolo e aumenta il tono simpatico e l’inotropismo. Per la stessa ragione, il soffio diventerà più intenso dopo ogni manovra diretta a ridurre la pressione nel tratto di efflusso (p. es., il mettersi seduti o l’alzarsi in piedi, l’inalazione di nitrito di amile). Anche il massaggio del seno carotideo rende il soffio più intenso, perché abbassa la resistenza all’efflusso. Il punto di massima intensità del soffio è localizzato all’apice o tra l’apice e la linea margino-sternale sinistra. I polsi periferici e carotideo nella stenosi sub- aortica ipertrofica tendono a essere estremamente rapidi, in quanto l’ostruzione non si verifica se non dopo il primo quarto della sistole; dopo un’extrasistole ventricolare, la pressione differenziale non aumenta (effetto Brockenbrough), a differenza di quanto accade nell’ostruzione fissa. Nella SA sopravalvolare, i polsi carotideo e brachiale di destra hanno un volume e una pressione più elevati che a sinistra, per l’effetto legato all’ineguale distribuzione del flusso ("streaming"). Un tono eiettivo può essere udibile solo nei pazienti con SA valvolare.

Prognosi, profilassi e terapia Nei pazienti con SA, la sopravvivenza media dopo la comparsa d’angina è di circa 5 anni; dopo la comparsa di sincope, è di 4 anni; dopo la comparsa di sintomi dovuti a insufficienza cardiaca, è di 3 anni. Tuttavia, con un trattamento ottimale, è stata riportata una maggiore sopravvivenza dopo la comparsa di uno qualunque dei sintomi suddetti. Circa il 50% dei decessi si verifica all’improvviso. Un paziente con gradiente significativo attraverso la valvola aortica deve ridurre l’attività fisica per evitare la morte improvvisa. La riduzione del postcarico tramite farmaci è priva di rischi, a condizione che la SA non si accompagni a un’ostruzione subaortica. Anche i β-bloccanti sono in genere sicuri (a condizione che la funzione del VS sia normale) poiché il rallentamento della frequenza cardiaca migliora il flusso coronarico nei pazienti con SA. In presenza di uno dei sintomi della triade già descritta (v. sopra), bisogna procedere alla sostituzione valvolare, con impianto di una protesi valvolare a palla, a disco o di una protesi biologica. Se si ricorre a valvole biologiche, non è necessaria la terapia anticoagulante. Nei pazienti portatori di protesi valvolari, specialmente in quelli che hanno anche un’insufficienza aortica, è necessaria una copertura antibiotica per prevenire l’endocardite (v. Cap. 208) quando si ricorre a una qualunque procedura che può causare batteriemia. Nella stenosi valvolare pura, si verifica raramente un’endocardite. I nitrati, somministrati per l’angina, possono causare una sincope, perché il ventricolo, in presenza di una grave ostruzione all’efflusso, non riesce a compensare all’improvvisa riduzione della PA. È stato riportato che in circa il 50% dei pazienti che vengono sottoposti a sostituzione valvolare aortica, si verificano piccoli emboli provenienti da calcificazioni delle cuspidi coronariche, se gli osti coronarici non vengono protetti durante la manipolazione della valvola. La sostituzione valvolare aortica d’emergenza per edema polmonare intrattabile comporta una bassa mortalità ospedaliera e un’eccellente sopravvivenza a lungo termine. Una funzione ventricolare marcatamente depressa prima dell’intervento chirurgico può notevolmente migliorare con l’eliminazione dell’ostruzione. La valvuloplastica con palloncino è sicura ed efficace nei bambini. Negli adulti con bassa gittata cardiaca, la valvuloplastica con palloncino può ridurre notevolmente il gradiente, nonostante provochi solo un modesto aumento delle dimensioni dell’orifizio. Tuttavia, la percentuale di restenosi e la mortalità sono elevate. Perciò, questa tecnica non deve essere usata, se non nei pazienti anziani ad alto rischio che non possono essere sottoposti alla chirurgia, o come

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Valvulopatie

procedura d’emergenza per permettere poi successivamente la sostituzione valvolare. La tecnica a doppio palloncino è più efficace nel ridurre il gradiente transvalvolare rispetto a quella a palloncino singolo.

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Valvulopatie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIA DELLE VALVOLE AORTICA E POLMONARE STENOSI DELLA VALVOLA POLMONARE (V. anche Stenosi Valvolare Polmonare e Stenosi Polmonare Periferica nel Cap. 261.) Sebbene una stenosi polmonare significativa venga solitamente diagnosticata nell’età infantile a causa di un soffio intenso, il paziente può rimanere asintomatico e può non giungere all’osservazione di un medico fino all’età adulta.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE STENOSI DELLA VALVOLA POLMONARE Restringimento dell’ostio valvolare polmonare dovuto ad anomalie congenite della valvola polmonare, più frequentemente una valvola a cupola, occasionalmente bicuspide, con un’apertura ristretta.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La stenosi della valvola polmonare di vario grado costituisce circa il 10% delle cardiopatie congenite.

Sintomi, segni e diagnosi Nei neonati, la stenosi della valvola polmonare con grave ostruzione al deflusso destro può richiedere in emergenza uno shunt atriale destro-sinistro. Si tratta di un’anomalia che richiede diagnosi immediata, mediante ECG, che documenta una diminuzione dell’inotropismo del VD (di solito grave, se il VD è ipoplasico) o una ipertrofia del VD, esame rx, che evidenzia ipoafflusso polmonare, ecocardiografia che mostra una valvola gravemente ristretta con un movimento ridotto e possibilmente con cateterismo cardiaco e angiografia per valutare la funzione potenziale del VD. Nei bambini più grandi, non è presente cianosi, sebbene un alterazione del colorito dell’estremità possa essere la conseguenza di una circolazione rallentata e di una grande differenza arterovenosa di O2. Un soffio da eiezione, in genere con un evidente click eiettivo, si apprezza a livello del margine superiore di sinistra dello sterno con un picco progressivamente ritardato, all’aumentare del grado di ostruzione. La componente polmonare del II tono subisce un progressivo ritardo e riduzione. L’ECG mostra una ipertrofia del VD progressivamente più grave. La rx mostra un’ombra cardiaca normale e una prominenza del segmento principale dell’arteria polmonare, le cui dimensioni aumentano con il peggioramento dell’ostruzione. La trama vascolare polmonare è ridotta.

Terapia Nei neonati, la creazione immediata di un’anastomosi sistemico-polmonare (p. es. lo shunt di Blalock-Taussig) è necessaria per un adeguato flusso ematico

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Anomalie congenite

polmonare. In attesa di effettuare l’anastomosi sistemico-polmonare, si può attuare un trattamento palliativo temporaneo, rappresentato dal mantenimento della pervietà del dotto arterioso con la prostaglandina E1 (alprostadil), al dosaggio di 0,05-0,1 µg/kg/min EV, che può salvare la vita del neonato. Può essere indicata anche una valvulotomia polmonare. Si tratta di procedure palliative; in una fase successiva può essere necessario un ulteriore intervento chirurgico per migliorare il deflusso del ventricolo destro (VD). I lattanti con VD normale o quasi normale possono beneficiare di una valvuloplastica con catetere a palloncino. Nei bambini più grandi, l’approccio migliore è la valvuloplastica con catetere a palloncino, mediante cateterismo cardiaco per valutare il setto interatriale e ottenere misurazioni accurate della pressione transvalvolare polmonare. Per alcune valvole gravemente displastiche può essere necessaria la valvulotomia chirurgica. Se la stenosi non è grave, il trattamento può essere rinviato a subito prima dell’età prescolare.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE STENOSI DEI VASI POLMONARI PERIFERICI Aree multiple di restringimento del lume dei rami delle arterie polmonari. Molti neonati presentano un soffio sistolico eiettivo dolce nei rami delle arterie polmonari, senza evidenza di pressioni significativamente elevate nelle sezioni cardiache di destra. Questi soffi in genere scompaiono con la crescita entro il primo anno di vita. Tuttavia, in bambini con determinate patologie (p. es., rosolia congenita, sindrome ipercalcemica [sindrome di Williams]) e in alcuni bambini per il resto sani, il flusso attraverso i rami delle arterie polmonari è anatomicamente ostruito e può determinate soffi continui. Di conseguenza tali ostruzioni sono di rado aggredibili per via chirurgica; l’ostruzione interessa diversi segmenti arteriosi e i segmenti arteriosi distali a quelli ostruiti sono in genere ipoplasici. Tuttavia in alcuni bambini può essere utile posizionare stent endovascolari in queste aree stenotiche.

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Valvulopatie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIE DELLA VALVOLA TRICUSPIDE INSUFFICIENZA TRICUSPIDALE Flusso ematico retrogrado dal ventricolo all’atrio destro, dovuto all’inadeguata chiusura della valvola tricuspide

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L’insufficienza tricuspidale (IT) è di solito secondaria alla combinazione di dilatazione e aumento della pressione del VD, dovuti a ipertensione polmonare grave o a ostruzione del tratto di efflusso del VD. La sola dilatazione (p. es., nel caso di un ampio difetto del setto interatriale) o il solo aumento della pressione intraventricolare (p. es., nel caso di stenosi polmonare grave) non provocano IT. Più raramente, tale vizio valvolare può essere secondario a endocardite infettiva (in particolare in chi fa uso di sostanze stupefacenti EV), a disfunzione del muscolo papillare dopo infarto del VD o ad uso di fenfluramina. Occasionalmente, l’IT può essere primaria, cioè dovuta a una fissurazione ("cleft") della valvola tricuspide (p. es., nei difetti dei cuscinetti endocardici), a lesioni da contraccolpo, ad anomalia di Ebstein (cioè, spostamento in basso di una cuspide distorta della valvola tricuspide nel ventricolo destro) o a sindrome da carcinoide, condizione in cui la valvola può risultare fissa in posizione di semiapertura. Più raramente, l’IT è causata da una trasformazione mixomatosa che causa prolasso ed è in tal caso associata a PVM. Spesso si verifica un’IT moderata-grave poco dopo una commissurotomia mitralica riuscita per stenosi mitralica, in un paziente con IT preoperatoria scarsa o nulla. Probabilmente l’aumento del flusso smaschera un’IT latente.

Sintomi, segni e diagnosi Oltre a quelli legati alla bassa gittata (p. es., fatica, cute fredda, dispnea, edema), l’unico sintomo specifico di IT grave è la sensazione di pulsazione nella regione del collo, causata dalle onde di rigurgito giugulare (cV) trasmesse dal ventricolo destro. Il paziente può riferire un fastidio al quadrante addominale superiore destro, a causa della congestione epatica. La fibrillazione o il flutter atriale che si hanno di solito in corso di dilatazione atriale destra riducono ulteriormente la GC e possono causare un’insufficienza cardiaca improvvisa e grave. Il polso venoso giugulare può avere onde v e y di diversa ampiezza, a seconda della gravità dell’IT, e ciò si associa a una pulsazione sistolica del fegato di vario grado sincrona con le onde v.

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Valvulopatie

Nell’IT massiva, si rilevano spesso un soffio sistolico e un fremito sulla giugulare destra. Un soffio olosistolico da IT può avere una frequenza alta (nelle forme più comuni o secondarie a ipertensione polmonare) o media frequenza (nelle forme massive e primitive). Spesso aumenta con l’inspirazione (segno di Carvallo). Di solito si ausculta meglio a livello del IV e V spazio intercostale vicino allo sterno o in sede epigastrica, ma è più intenso all’apice, se il VD occupa quest’area e sul bordo libero del fegato, se secondario a cuore polmonare da enfisema. L’ECG può mostrare vari gradi di sovraccarico del VD, a seconda della gravità dell’IT e della sua natura (se secondaria a ipertensione polmonare). Si possono rilevare onde P alte e appuntite, dovute a sovraccarico atriale destro, e un QR in V1 (quadro caratteristico di un atrio destro dilatato in presenza di ipertrofia del ventricolo destro). La rx del torace mostra la dilatazione della vena cava superiore, dell’atrio destro (ingrandimento del profilo cardiaco verso destra) e del VD (ingrandimento del profilo cardiaco verso sinistra). Anche la proiezione laterale può mostrare un ingrandimento del VD. L’esame ecocardiografico mostra un aumento delle dimensioni dell’atrio e del ventricolo destro. L’esame Doppler e l’ecocardiografia bidimensionale possono confermare la diagnosi. Il cateterismo cardiaco e l’esame angiografico possono mostrare l’IT direttamente e, mediante la misurazione della pressione in VD, possono indicare se l’IT è primitiva o secondaria (v. Tecniche Invasive nel Cap. 198).

Terapia L’IT, anche se grave, risulta ben tollerata per anni (la valvola tricuspide viene spesso asportata negli eroinomani a causa di endocardite infettiva). Se l’IT è dovuta a scompenso cardiaco, il trattamento medico o chirurgico della causa dello scompenso può ridurre l’entità dell’insufficienza. L’ipertensione polmonare e l’elevata pressione del VD secondarie a una lesione valvolare del cuore sinistro (p. es. stenosi mitralica), possono essere risolte mediante terapia chirurgica. Questo tipo di IT viene spesso corretta per mezzo di un’anuloplastica al momento della chirurgia mitralica, per prevenire la morte da bassa GC.

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Valvulopatie

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 207. VALVULOPATIE (Per la descrizione delle patologie della valvola polmonare e delle altre cardiopatie congenite, v. Cardiopatie Congenite nel Cap. 261.)

PATOLOGIE DELLA VALVOLA TRICUSPIDE STENOSI TRICUSPIDALE Restringimento dell’orifizio tricuspidale che ostruisce il flusso ematico dall’atrio al ventricolo destro.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La stenosi tricuspidale (ST) è quasi sempre di natura reumatica e si associa costantemente a una stenosi mitralica dominante, sebbene occasionalmente possa assumere un carattere dominante. Cause rare comprendono il LES, la sindrome da carcinoide e il mixoma atriale destro. Più raramente, può essere congenita o causata da compressione estrinseca sull’anello tricuspidale da parte di un tumore, di un sarcoma infiltrante primario, di metastasi o di pericardite costrittiva localizzata. L’atrio destro va incontro a ipertrofia e dilatazione, mentre il VD rimane piccolo e non si riempie completamente.

Sintomi e segni I soli sintomi di una ST grave, oltre al senso di fastidio nella regione del collo causato da onde A giganti nel polso giugulare, sono il senso di fatica e la cute fredda secondari alla bassa GC e un fastidio nel quadrante addominale superiore destro legato all’epatomegalia. Il polso venoso giugulare mostra invariabilmente un’onda A gigante sostenuta, in caso di ritmo cardiaco normale. In caso di fibrillazione atriale, sarà prominente l’onda V del polso venoso giugulare. In ritmo sinusale, si sente solo un soffio presistolico lungo la linea margino-sternale di sinistra in corrispondenza del IV spazio intercostale o sull’epigastrio, che aumenta con l’inspirazione. Tuttavia, non c’è un crescendo verso S1 e nemmeno un rullio mesodiastolico (o è molto lieve), come accade invece nella stenosi mitralica, a meno che il paziente non sia in fibrillazione atriale.

Diagnosi e terapia L’ECG evidenzia onde P alte e appuntite, segno di sovraccarico atriale destro, nelle derivazioni inferiori e in V1. La rx del torace mostra una dilatazione dell’atrio file:///F|/sito/merck/sez16/2071893.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.35

Valvulopatie

destro e della vena cava superiore. L’ecocardiogramma mostra un ingrandimento dell’atrio destro e una ridotta pendenza EF (che indica un rallentato flusso dall’atrio al ventricolo destro). Il cateterismo cardiaco evidenzia un gradiente di pressione diastolico attraverso la valvola tricuspide (v. Tecniche Invasive nel Cap. 198). Solo raramente la ST risulta tanto grave da richiedere una valvulotomia.

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Endocardite

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 208. ENDOCARDITE ENDOCARDITE NON INFETTIVA (Endocardite trombotica non batterica) Sviluppo di un trombo sterile di piastrine e fibrina sulle valvole cardiache e sull’endocardio adiacente in risposta a trauma, locale turbolenza di flusso, immunocomplessi circolanti, vasculiti o stati di ipercoagulabilità.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e fisiopatologia Le vegetazioni possono essere clinicamente non evidenziabili e rappresentano un nido per la possibile colonizzazione da parte di microrganismi circolanti; possono inoltre dar luogo a emboli o danneggiare la funzione valvolare. I cateteri che passano attraverso il cuore destro possono danneggiare le valvole tricuspide e polmonare, con il conseguente deposito di piastrine e fibrina sul sito leso. L’incidenza di endocarditi secondarie a cateterismo nell’uomo è comunque più bassa di quanto ci si possa attendere sulla base di studi su animali. In corso di LES, vegetazioni friabili di piastrine e fibrina possono formarsi lungo la rima di chiusura dei lembi valvolari. All’esame autoptico, il 40% dei pazienti affetti da LES deceduti per una fase di attività della malattia presenta vegetazioni su una o più valvole. Tali lesioni di Libman-Sacks non si associano di solito a significativa stenosi o insufficienza valvolare, sebbene lievi soffi da insufficienza possano essere rilevati dall’auscultazione cardiaca. Anche i pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi ("lupus anticoagulant", trombosi venose ricorrenti, ictus, aborti spontanei, livedo reticularis) possono sviluppare vegetazioni endocarditiche sterili ed embolie sistemiche. Lesioni trombotiche più voluminose che producono importanti emboli cerebrali, renali, splenici, mesenterici, agli arti e alle arterie coronariche sono stati osservati in pazienti affetti da malattie croniche debilitanti; coagulazione intravascolare disseminata; carcinomi metastatici del polmone, dello stomaco e del pancreas che producono mucina; infezioni croniche (p. es., TBC, polmonite, osteomielite). Tali vegetazioni tendono a svilupparsi più frequentemente su una valvola cardiaca non normale, danneggiata dalla febbre reumatica o da una cardiopatia congenita; la localizzazione più frequente è la valvola mitrale, seguita dalla valvola aortica e da un interessamento combinato mitro-aortico.

Sintomi, segni e diagnosi Va sempre sospettata un’endocardite non infettiva quando un paziente affetto da una malattia cronica sviluppa sintomi suggestivi di embolia arteriosa. Tale file:///F|/sito/merck/sez16/2081898.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.38

Endocardite

patologia può anche essere sospettata quando l’ecocardiogramma mostra vegetazioni valvolari in assenza di mixoma atriale e l’emocultura risulta negativa. Può essere diagnosticata dall’esame dei frammenti degli emboli dopo l’embolectomia. La differenziazione di questa forma da un’endocardite infettiva a coltura negativa può essere difficoltosa, ma è importante, perché il trattamento con anticoagulanti orali in pazienti affetti da endocardite infettiva è associato a un’elevata incidenza di emorragie.

Prognosi e terapia La prognosi è generalmente infausta per la gravità delle condizioni predisponenti. La terapia anticoagulante con eparina o warfarin è il trattamento di scelta, nonostante i risultati di tale strategia non siano ancora stati valutati. Le condizioni predisponenti vanno trattate ogni volta che è possibile.

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Neoplasie cardiache

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 210. NEOPLASIE CARDIACHE I tumori cardiaci primitivi sono rari, rilevati in < 1/2000 persone all’esame autoptico; i tumori secondari sono 30-40 volte più frequenti. I tumori primitivi possono essere di origine epicardica, miocardica o endocardica; i sintomi e i segni che determinano possono avere caratteristiche legate alla loro localizzazione. Tuttavia, essi simulano altre malattie del cuore e può accadere facilmente che non vengano diagnosticati. La comparsa di sintomi e segni di cardiopatia in un paziente affetto da una neoplasia extracardiaca suggerisce l’esistenza di metastasi cardiache.

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Neoplasie cardiache

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 210. NEOPLASIE CARDIACHE TUMORI CARDIACI BENIGNI I tumori cardiaci benigni non trattati (p. es. i mixomi, i rabdomiomi, i fibromi, i teratomi, le cisti pericardiche, i lipomi) possono mettere a rischio la sopravvivenza. I mixomi, i tumori cardiaci endocavitari più comuni, costituiscono il 50% dei tumori cardiaci primitivi. I pazienti con mixomi cardiaci possono avere una storia familiare per tali tumori. Il 75% dei mixomi è localizzato nell’atrio sinistro; per il resto si verificano soprattutto nell’atrio destro e raramente nei ventricoli destro e sinistro. I mixomi sono semitrasparenti e gelatinosi, a superficie lobulare o villosa, oppure hanno l’aspetto di masse solide rotondeggianti. Le cellule del mixoma somigliano alle cellule endoteliali; sono allungate e fusiformi, con nuclei rotondi od ovali e nucleoli evidenti. Le cellule e i vasi del mixoma sono immersi in una matrice amorfa ricca di mucopolisaccaridi acidi. Il tumore è molto vascolarizzato, con capillari a parete sottile e la sua superficie è di solito endotelizzata e può essere ricoperta da trombi. I mixomi dell’atrio sinistro originano in genere dall’endocardio, sul margine della fossa ovale e sono solidi e peduncolati; quando peduncolati, possono prolassare attraverso l’orifizio della mitrale in diastole. Meno comunemente questi tumori sono sessili e a larga base d’impianto. I tumori dell’atrio, specialmente i mixomi dell’atrio destro, possono contenere depositi di Ca visibili alla rx del torace. Il complesso di Carney è una sindrome descritta recentemente che mima la sindrome dei mixomi familiari; consiste in mixomi cardiaci (o cutanei), lesioni cutanee pigmentate, tumori endocrini secernenti e schwannomi melanotici. I mixomi di entrambe queste sindromi sono diversi dai mixomi cardiaci sporadici: i pazienti che hanno una storia familiare sono più giovani al momento della presentazione clinica; hanno mixomi multipli, che coinvolgono soprattutto i ventricoli; hanno un maggior rischio di recidive dopo la rimozione chirurgica. Fra tutti i tumori cardiaci, i mixomi sono quelli con la presentazione clinica più varia; si possono osservare tre sindromi principali: sintomi costituzionali, fenomeni embolici e ostruzione al flusso ematico. I sintomi costituzionali sono molto vari (v. Tab. 210-1) e possono simulare un’endocardite batterica, una malattia collageno-vascolare e una neoplasia occulta. Frammenti tumorali (specialmente provenienti da un mixoma gelatinoso) o materiale trombotico possono embolizzare da tumori del cuore destro o del cuore sinistro, giungendo rispettivamente ai polmoni o agli organi periferici. I mixomi sono spesso diagnosticati per il rilievo di cellule tumorali in un embolo rimosso chirurgicamente. Il flusso ematico può essere ostruito a livello di ciascuno degli orifizi valvolari cardiaci, il più delle volte a livello della valvola mitrale. L’interferenza del tumore con la funzione valvolare simula i segni e i sintomi della valvulopatia reumatica. Così, i mixomi dell’atrio sinistro possono causare congestione polmonare e segni di stenosi mitralica (p. es., il tipico soffio, uno schiocco di apertura, un primo tono accentuato). Per effetto dell’insulto cronico nei confronti dei lembi valvolari o dell’interferenza con la chiusura della valvola da parte del tumore, possono essere presenti anche soffi da insufficienza mitralica. La differenziazione clinica fra un tumore dell’atrio sinistro e una valvulopatia mitralica primitiva può essere suggerita dall’influenza che la posizione del corpo ha sui sintomi (p. es. scompenso cardiaco e sincope) e sull’intensità dei soffi e dello schiocco d’apertura. Nei pazienti portatori di un mixoma, è probabile che le

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Neoplasie cardiache

dimensioni dell’atrio sinistro non siano aumentate tanto quanto nei pazienti affetti da una valvulopatia, per una data gravità dei sintomi. Circa il 25% dei pazienti portatori di un mixoma può avere sfregamenti; il meccanismo non è chiaro. I tumori dell’atrio sinistro possono produrre anche un rumore di "flop", che si produce quando la massa peduncolata protrude in diastole attraverso l’orifizio valvolare. Esso differisce dallo schiocco d’apertura della stenosi mitralica reumatica per la sua variabilità, per il momento della diastole in cui si verifica, l’intensità e il carattere, avendo spesso più di una componente. La diagnosi di mixoma cardiaco viene sospettata in base ai sintomi e ai segni ed è solitamente confermata dall’ecocardiogramma. Il cateterismo cardiaco e la biopsia endomiocardica sono occasionalmente utili; possono essere necessarie la scintigrafia, la TC, la RMN o, raramente, l’angiocardiografia. La rimozione chirurgica è di solito risolutiva. I rabdomiomi e i fibromi hanno origine dal miocardio o dall’endocardio; i rabdomiomi sono più frequenti dei fibromi e comprendono il 20% dei tumori cardiaci primitivi. La maggior parte dei casi si verifica nei bambini e si accompagna a sclerosi tuberosa, ad adenomi sebacei della cute, a tumori renali e ad aritmie. I rabdomiomi sono solitamente multipli, prevalentemente intramurali e si osservano nel setto interventricolare o nella parte libera del ventricolo sinistro. I fibromi si verificano sul tessuto valvolare e possono essere correlati a fenomeni di infiammazione. I sintomi e i segni a carico del cuore comprendono: blocco atrioventricolare e intraventricolare, tachicardie ventricolari e parossistiche sopraventricolari, cardiomegalia e manifestazioni secondarie all’ostruzione del tratto di efflusso di ciascuno dei due ventricoli (p. es. insufficienza cardiaca destra o sinistra, soffi come da stenosi polmonare o aortica). Questi reperti, insieme con i segni della sclerosi tuberosa, suggeriscono la diagnosi, che può essere confermata dall’ecocardiografia o dall’angiocardiografia. Il trattamento chirurgico dei noduli multipli è di solito inefficace e la prognosi è infausta oltre il primo anno di vita. In una serie, soltanto il 15% dei pazienti è sopravvissuto per 5 anni. I teratomi del pericardio, spesso adesi all’origine dei grandi vasi, sono più rari delle cisti o dei lipomi. Questi tumori si verificano solitamente in età infantile. Sono di solito asintomatici e vengono scoperti alla radiografia di routine. L’intervento chirurgico viene eseguito solo per escludere altre neoplasie più gravi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 210-1. SINTOMI E SEGNI DEI MIXOMI CARDIACI Febbre Calo ponderale Fenomeno di Raynaud Dita a bacchetta di tamburo Anemia (spesso emolitica) VES elevata Leucocitosi Piastrinopenia Positività per PCR Anomalie delle proteine plasmatiche (di solito, aumento delle gamma globuline)

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Neoplasie cardiache

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 210. NEOPLASIE CARDIACHE TUMORI CARDIACI MALIGNI I tumori cardiaci maligni si verificano prevalentemente nei bambini e possono originare da ciascuno dei vari tessuti del cuore. Dei sarcomi cardiaci, i più comuni tumori cardiaci maligni, il 30% sono angiosarcomi, che originano soprattutto dalle sezioni destre. Altri sarcomi cardiaci comprendono i fibrosarcomi, i rabdomiosarcomi e i liposarcomi. I sintomi possono comprendere l’improvvisa comparsa di scompenso cardiaco; il rapido accumulo di liquido pericardico emorragico, spesso con tamponamento e diversi tipi di aritmie o di blocco cardiaco. Rispetto ai tumori cardiaci benigni, quelli maligni comportano un deterioramento delle condizioni generali più acuto e più rapido e possono metastatizzare al midolo spinale, ai tessuti molli circostanti e agli organi principali. La prognosi è infausta e il trattamento è solitamente palliativo (radioterapia, chemioterapia, trattamento delle complicanze). Metastasi cardiache: i tumori maligni, quali carcinomi, sarcomi, leucemie e tumori reticoloendoteliali, possono metastatizzare al cuore e interessare qualsiasi tessuto cardiaco. I carcinomi polmonari e mammari invadono spesso il cuore. I melanomi maligni hanno un’incidenza fra le più alte di metastasi cardiache. Il sospetto di un tumore cardiaco secondario è suggerito dalla comparsa improvvisa di cardiomegalia, da modificazioni inconsuete del profilo del cuore alla rx del torace, da tamponamento cardiaco, aritmie o scompenso cardiaco apparentemente senza causa. La terapia è palliativa, come per le neoplasie primitive.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI ANEURISMI ANEURISMI AORTICI

Sommario: Introduzione Eziologia ANEURISMI DELL’AORTA ADDOMINALE Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia ANEURISMI DELL’AORTA TORACICA Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Un aneurisma dell’aorta può svilupparsi a qualunque livello del vaso, ma i 3/4 sono localizzati nel tratto addominale. Gli aneurismi dell’aorta toracica, compresi quelli che si estendono dall’aorta toracica discendente fino alla porzione superiore dell’aorta addominale (aneurismi toraco-addominali), rappresentano 1/4 degli aneurismi dell’aorta. Gli aneurismi aortici possono essere fusiformi o, più comunemente, sacculari. Gli aneurismi fusiformi sono caratterizzati dall’aumento del diametro dell’aorta, mentre gli aneurismi sacciformi rappresentano delle estroflessioni localizzate della parete aortica. Spesso un trombo stratificato riveste la parete dell’aneurisma aortico.

Eziologia L’aterosclerosi, la malattia più comunemente associata agli aneurismi dell’aorta, può indebolire la parete aortica, causandone l’espansione. L’ipertensione e il fumo di sigaretta contribuiscono al processo degenerativo. Traumi, arteriti e aneurismi micotici costituiscono cause meno frequenti. Gli aneurismi micotici si verificano in corrispondenza di infezioni micotiche o batteriche localizzate a livello della parete dell’aorta o di altre arterie. Questi siti di infezione sono generalmente il risultato di un’infezione metastatica nel corso di una setticemia, più comunemente causata da un’endocardite infettiva. L’infezione si può anche diffondere localmente alle pareti dei vasi sanguigni e preesistenti aneurismi aortici o arteriosi possono infettarsi, di solito per contaminazione da parte del flusso ematico. Sebbene praticamente tutti i funghi o batteri patogeni possano infettare un aneurisma, le Salmonelle hanno uno speciale tropismo per i tessuti vascolari.

ANEURISMI DELL’AORTA ADDOMINALE file:///F|/sito/merck/sez16/2111908b.html (1 of 4)02/09/2004 2.31.42

Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Il 90% degli aneurismi dell’aorta addominale (AAA) ha origine al di sotto delle arterie renali e, comunemente, si estende distalmente in una o entrambe le arterie iliache.

Sintomi, segni e diagnosi Gli AAA possono causare un dolore tipicamente profondo, lancinante e viscerale, avvertito principalmente nella regione lombosacrale. Il dolore è abitualmente stabile. Il paziente può percepire una pulsazione addominale anormalmente prominente. Tuttavia, spesso gli aneurismi diventano enormi e possono rompersi senza sintomi premonitori. La palpazione rivela spesso una pulsazione anormalmente ampia dell’aorta addominale (di solito percepita ai due lati della linea mediana). Tuttavia, anche un grande aneurisma può essere molto difficile da identificare all’esame obiettivo, specialmente nelle persone obese. Gli aneurismi che si ingrandiscono rapidamente e sono a rischio imminente di rottura sono frequentemente dolenti alla palpazione. In corrispondenza dell’aneurisma, si può udire un soffio. L’ecografia è il metodo di valutazione non invasivo che ha il miglior rapporto costi/ benefici. Abitualmente, fornisce un quadro chiaro dell’estensione e delle dimensioni dell’aneurisma. Anche la TC dell’addome, specie se eseguita con mezzo di contrasto EV, e la RMN possono determinare le dimensioni e l’anatomia dell’aneurisma, ma sono più costose. La RMN è raramente necessaria. Una radiografia dell’addome, soprattutto in proiezione laterale, può rivelare calcificazioni a livello della parete dell’aneurisma. L’aortografia addominale indica l’estensione dell’aneurisma ed evidenzia quali altri importanti vasi sono coinvolti. L’aortografia è indicata se si sospetta l’estensione dell’aneurisma al di sopra delle arterie renali (presente in circa il 10% dei casi). Dal momento che l’aortografia evidenzia solo il lume aortico, la vera dimensione dell’aneurisma può essere sottostimata se un trombo ne riveste la parete. Poiché molti pazienti con AAA hanno un’arteriosclerosi generalizzata, lo stato dell’apparato cardiovascolare deve essere valutato prima dell’intervento chirurgico. La miocardioscintigrafia al tallio 201 dopo sforzo o dopo dipiridamolo EV si è rivelata molto utile nello screening dei pazienti ad alto rischio cardiaco, nei quali è necessario valutare con attenzione i problemi legati alle coronarie prima dell’intervento chirurgico per AAA.

Prognosi e terapia La rottura di un AAA è solitamente preceduta dall’insorgenza di un dolore estremamente intenso nella parte inferiore dell’addome e alla schiena, con dolorabilità alla palpazione dell’aneurisma. Possono rapidamente verificarsi shock ipovolemico e morte, a seconda della gravità dell’emorragia. La rottura o la minaccia di rottura è un’emergenza chirurgica. Il rischio operatorio di un aneurisma in fase di rottura è di circa il 50%; l’insufficienza renale postoperatoria comporta una prognosi infausta. La storia naturale degli AAA è strettamente legata alle dimensioni. La rottura è rara se l’aneurisma non supera i 5 cm di larghezza, ma è sensibilmente più frequente se supera i 6 cm. Quindi, l’intervento chirurgico elettivo è di solito raccomandato per tutti gli aneurismi > 6 cm, a meno che la chirurgia non sia controindicata. In pazienti a basso rischio chirurgico, la riparazione elettiva è in genere consigliata per gli aneurismi tra i 5 e i 6 cm (mortalità circa 2-5%). La riparazione chirurgica consiste nell’asportazione dell’aneurisma e nel successivo posizionamento di un condotto sintetico; può essere necessario portare la protesi fino a una o a entrambe le arterie iliache, se l’aneurisma si estende fino a quel livello. L’estensione dell’aneurisma al di sopra delle arterie renali necessita il loro

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

reimpianto sulla protesi sintetica o la creazione di un bypass. Il trattamento di un aneurisma micotico consiste in un’intensa terapia antibiotica diretta contro il microrganismo specifico, seguita dalla resezione chirurgica dell’aneurisma. La diagnosi e il trattamento precoci influenzano favorevolmente la prognosi.

ANEURISMI DELL’AORTA TORACICA Le malattie congenite del tessuto connettivo (p. es., sindrome di Ehlers-Danlos, sindrome di Marfan, v. Patologie Ereditarie del Tessuto Connettivo nel Cap. 270) danno caratteristicamente luogo alla medionecrosi cistica, che coinvolge l’aorta prossimale e può dar luogo ad aneurismi (di solito fusiformi). Una forma comune di aneurisma dell’aorta toracica comporta la dilatazione dell’aorta prossimale e della radice aortica, con conseguente insufficienza aortica (ectasia anuloaortica). Circa il 50% dei pazienti con ectasia anuloaortica è affetto dalla sindrome di Marfan o da una sua variante; tale condizione è idiopatica nel restante 50%. La sifilide terziaria è una causa non comune di aneurismi (v. anche Sifilide nel Cap. 164). Gli aneurismi causati dalla sifilide sono solitamente localizzati a livello della radice aortica e dell’aorta ascendente. Gli aneurismi traumatici sono più frequentemente causati da traumi toracici non perforanti e sono di solito localizzati a livello dell’aorta toracica discendente, dove questa si fissa alla gabbia toracica posteriore. Tuttavia, si tratta in genere di falsi aneurismi, vale a dire che essi contengono degli ematomi che hanno avuto origine dal sangue passato attraverso la parete aortica danneggiata. Spesso si evidenziano alla rx del torace molto tempo dopo gravi traumi non penetranti del torace.

Sintomi e segni I sintomi sono in relazione alla pressione esercitata contro le strutture adiacenti o alla loro erosione da parte dell’aorta che si ingrandisce e consistono in dolore (specie al dorso, dove l’aneurisma entra in rapporto con la colonna vertebrale o con la gabbia toracica); tosse, sibili o emottisi (per compressione o erosione tracheale o bronchiale); disfagia (per compressione esofagea); afonia (per compressione del nervo laringeo ricorrente sinistro). La sindrome di Horner, una trazione o deviazione della trachea e pulsazioni anomale della parete toracica possono indicare la presenza di un aneurisma toracico. Comunque, come gli AAA, anche gli aneurismi toracici possono diventare enormi pur rimanendo asintomatici. L’insufficienza aortica e la stenosi infiammatoria degli osti coronarici sono comuni sequele degli aneurismi sifilitici della radice aortica e le calcificazioni delle pareti della aneurisma sono spesso massive.

Diagnosi Gli aneurismi dell’aorta toracica possono di solito essere individuati alla rx del torace. La TC e la RMN sono particolarmente utili nel documentare le loro dimensioni e la loro estensione. L’ecocardiografia transtoracica è accurata nella misurazione degli aneurismi dell’aorta ascendente ma non di quelli dell’aorta discendente, mentre l’ecocardiografia transesofagea è accurata nella misurazione di entrambi. L’aortografia con mezzo di contrasto o mediante RMN è file:///F|/sito/merck/sez16/2111908b.html (3 of 4)02/09/2004 2.31.42

Malattie dell’aorta e dei suoi rami

indicata per la maggior parte degli aneurismi toracici per i quali si stia valutando la possibilità di resezione chirurgica. In presenza di un aneurisma sifilitico, i test sierologici, soprattutto l’immunofluorescenza e il test di immobilizzazione del Treponema pallidum, sono spesso positivi.

Prognosi e terapia La mortalità della riparazione chirurgica degli aneurismi toracici è del 10-15%, sebbene il rischio aumenti significativamente negli aneurismi complicati (p. es., quelli che coinvolgono l’arco aortico o l’aorta toracoaddominale). Gli aneurismi toracici generalmente devono essere operati se misurano 6 cm. Tuttavia, gli aneurismi che si riscontrano nei pazienti con sindrome di Marfan vanno facilmente incontro a rottura; per questo, in tali pazienti si consiglia la correzione chirurgica elettiva per aneurismi di 5-6 cm. La riparazione chirurgica consiste nella resezione dell’aneurisma e nella sua sostituzione con una protesi sintetica. L’intervento di Bentall consiste nella resezione dell’aorta ascendente dilatata fino all’anello aortico, con escissione delle coronarie attorno a un bottone di parete aortica. Successivamente, una protesi composita (un condotto sintetico alla cui estremità può essere inserita una protesi valvolare aortica) viene abboccata distalmente a livello dell’aorta sezionata e prossimalmente a livello dell’anello aortico. Le arterie coronarie sono quindi reimpiantate sulla protesi. Alcuni chirurghi usano un omotrapianto dell’aorta prossimale e della valvola aortica al posto di materali sintetici. I pazienti con un aneurisma sifilitico devono essere sottoposti alla riparazione chirurgica dell’aneurisma e dell’insufficienza aortica e devono ricevere penicillinabenzatina 2,4 milioni U/ sett. per 3 sett. Se il paziente è allergico alla penicillina, le alternative più efficaci sono la tetraciclina o l’eritromicina 500 mg qid per 30 giorni. Gli aneurismi traumatici vanno facilmente incontro a rottura e vanno riparati chirurgicamente.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO DIFETTI EREDITARI DEL TESSUTO CONNETTIVO SINDROME DI MARFAN Una malattia del tessuto connettivo che determina alterazioni oculari, scheletriche e cardiovascolari.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

L’ereditarietà è autosomica dominante. Il difetto biomolecolare di base deriva da mutazioni del gene che codifica per una proteina della matrice extracellulare detta fibrillina-1. Un’anomalia della tunica media dell’aorta è il principale difetto di struttura e le alterazioni istologiche ricordano quelle della medionecrosi cistica di Erdheim. Sono varianti rare la sindrome marfanoide con ipermobilità e l’aracnodattilia congenita con contratture.

Sintomi e segni La gravità varia notevolmente. I pazienti sono più alti della norma rispetto all’età e ai familiari; la loro apertura di braccia supera l’altezza. Le dita sono sproporzionatamente lunghe e magre (aracnodattilia). È comune la deformità dello sterno con spostamento in avanti (pectus carinatum) o in dietro (pectus excavatum). Spesso sono presenti iperestensibilità delle articolazioni, ginocchio ricurvo (genu recurvatum), piede piatto e cifoscoliosi. Sono comuni le ernie. Il tessuto adiposo sottocutaneo è poco denso. Il palato è spesso ogivale. Le manifestazioni oculari comprendono sublussazione o lussazione del cristallino (ectopia lentis) e iridodonesi (tremore dell’iride). Si può osservare spesso il margine del cristallino lussato attraverso la pupilla non dilatata. Può esserci una miopia di alto grado e si può verificare, talvolta, un distacco spontaneo della retina. Le alterazioni cardiovascolari sono il risultato della debolezza della tunica media dell’aorta nelle zone soggette a maggiore stress emodinamico. L’aorta ascendente va incontro a una progressiva dilatazione con formazione di un aneurisma dissecante che inizia nei seni coronarici, a partire dal 1o fino al 5o decennio di vita. L’insufficienza aortica può precedere i segni radiografici della dilatazione aortica. Può sopravvenire un’endocardite batterica acuta. Si possono realizzare un prolasso mitralico o un’insufficienza mitralica per la presenza di cuspidi valvolari e corde tendinee ridondanti, che producono un rumore di click sistolico e un soffio telesistolico. Sono stati riferiti casi di malattia cistica del polmone e di pneumotorace spontaneo ricorrente.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Diagnosi La diagnosi può essere difficile poiché molti pazienti presentano poche manifestazioni cliniche maggiori, senza alterazioni istologiche o biochimiche specifiche e poiché non esistono test diagnostici obiettivi. La diagnosi si effettua riconoscendo le manifestazioni cardiovascolari, oculari e scheletriche, soprattutto se l’anamnesi familiare è positiva. Esistono numerosi casi parziali di sindrome di Marfan "parziale", in cui la diagnosi rimane incerta. L’omocistinuria può simulare in parte la sindrome di Marfan, ma può essere differenziata dimostrando la presenza di omocistina nelle urine. È indicata un’appropriata consulenza genetica. La diagnosi prenatale non è realizzabile.

Terapia Nelle ragazze molto alte, l’induzione a 10 anni di una pubertà precoce con estrogeni e progesterone può ridurre la statura terminale. I β-bloccanti riducono la forza di eiezione ventricolare e la progressione della dilatazione della radice aortica e il rischio di dissezione. La chirurgia preventiva viene proposta alle persone con diametri aortici che aumentano oltre i 5 cm. Questi interventi possono prolungare l’aspettativa di vita.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI ANEURISMI ANEURISMI POPLITEI, ILIACI E FEMORALI Gli aneurismi periferici più comuni sono quelli delle arterie poplitee. In questa sede, gli aneurismi sono bilaterali nel 50% dei casi e sono frequentemente associati agli AAA. Sebbene gli aneurismi poplitei raramente si rompano, possono fungere da focus per un’occlusione trombotica acuta dell’arteria poplitea interessata, mettendo in pericolo il piede omolaterale. La presenza di un trombo all’interno dell’aneurisma può provocare un’embolia distale. Gli aneurismi poplitei vengono abitualmente individuati mediante l’esame obiettivo e confermati dall’ecografia o dalla TC. Anche l’arteriografia può confermare la diagnosi e valutare la circolazione distalmente all’aneurisma. Si raccomanda la resezione chirurgica degli aneurismi poplitei con sostituzione protesica del segmento sezionato. Anche gli aneurismi delle arterie iliache e femorali vanno riparati, se hanno un’ampiezza pari al doppio del vaso normale o sono sintomatici.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI ANEURISMI ANEURISMI DEGLI ARTI SUPERIORI Gli aneurismi degli arti superiori sono rari. Gli aneurismi dell’arteria succlavia sono a volte associati a coste cervicali. Dopo che la costa cervicale è stata asportata, l’aneurisma viene resecato e sostituito con un graft.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI ANEURISMI ANEURISMI DELLE ARTERIE SPLANCNICHE Gli aneurismi arteriosi splancnici non sono frequenti. Coinvolgono più comunemente l’arteria splenica e più raramente le arterie epatica e mesenterica superiore. Gli aneurismi arteriosi splancnici abitualmente non vengono diagnosticati fino al momento della rottura, sebbene possano essere individuati accidentalmente alla rx se calcifici o alla TC o durante angiografia mesenterica. Gli aneurismi sintomatici devono essere operati, mentre la decisione di operare gli aneurismi asintomatici è basata sull’età del paziente, sul rischio chirurgico e sulle dimensioni e sulla localizzazione dell’aneurisma.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI ANEURISMI ANEURISMI ENDOCRANICI Gli aneurismi sacculari congeniti delle arterie intracraniche, particolarmente del circolo di Willis (aneurismi a bacca), possono presentarsi isolati o in associazione con altre anomalie congenite (p. es., coartazione aortica, rene policistico). Sono un’importante causa di gravi emorragie cerebrali subaracnoidee (v. Cap. 174). Gli aneurismi micotici delle arterie cerebrali sono complicanze particolarmente pericolose dell’endocardite infettiva: spesso sono causa di emorragie intracraniche. In genere possono essere sterilizzati mediante una terapia antibiotica intensiva; generalmente, vanno asportati chirurgicamente.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI PATOLOGIE INFIAMMATORIE DELL’AORTA L’aorta può essere affetta da diversi processi infiammatori. Le malattie infiammatorie dell’aorta in genere interessano tutti e tre gli strati della parete (cioè l’intima, la media e l’avventizia) e il tipo di infiltrato infiammatorio può variare, dalle cellule rotonde dell’arterite di Takayasu alle cellule giganti dell’arterite a cellule giganti. L’infiammazione può causare occlusione delle arterie interessate o indebolirne la parete vasale con conseguente formazione di un aneurisma. Sebbene l’arterite (temporale) a cellule giganti interessi di solito le arterie muscolari di medio calibro, l’aorta e i suoi rami sono coinvolti in 15% dei casi (v. anche Polimialgia Reumatica e Arterite Temporale nel Cap. 50).

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 211. MALATTIE DELL’AORTA E DEI SUOI RAMI OCCLUSIONE DELL’AORTA ADDOMINALE E DEI SUOI RAMI Sommario: Introduzione OCCLUSIONE ACUTA DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE OCCLUSIONE ACUTA DEL TRONCO CELIACO OCCLUSIONE ACUTA DELL’ARTERIA RENALE OCCLUSIONE ACUTA DELLA BIFORCAZIONE AORTICA OCCLUSIONE CRONICA DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE E DEL TRONCO CELIACO OCCLUSIONE CRONICA DELL’ARTERIA RENALE OCCLUSIONE CRONICA DELLA BIFORCAZIONE AORTICA

L’occlusione dell’aorta addominale e dei suoi rami maggiori (specialmente della mesenterica superiore, del tronco celiaco e delle arterie renali) può essere acuta o cronica. L’occlusione acuta è solitamente il risultato di un’embolia, di una trombosi acuta in un’arteria stenotica o di una dissezione aortica. L’occlusione cronica può spesso derivare dall’arteriosclerosi e più raramente dall’iperplasia fibromuscolare o dalla compressione da parte di masse esterne.

OCCLUSIONE ACUTA DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE L’occlusione acuta dell’arteria mesenterica superiore è di solito dovuta a un’embolia che provoca un’ischemia addominale. I pazienti appaiono in fin di vita, si lamentano di un dolore addominale terribile e diffuso e spesso sono agonizzanti. All’inizio sono comuni vomito e diarrea. Sebbene l’addome possa essere dolente alla palpazione, il dolore spontaneo è solitamente sproporzionato rispetto alla dolorabilità, che è diffusa e scarsamente localizzata. Può essere rilevata una lieve distensione addominale. L’iniziale rilievo di scarsi rumori sordi intestinali lascia presto il posto a un ileo paralitico. Sin dalle prime fasi è presente sangue occulto nelle feci e, in alcuni casi, le feci diventano poi francamente ematiche. È in genere rilevabile una leucocitosi (> 15000 µl). Si sviluppano rapidamente acidosi, ipotensione e shock, mentre l’intestino ischemico diventa necrotico. La rx dell’addome in bianco può mostrare anse dilatate a tratti con edema e anche aria nella parete dell’intestino ischemico. La sopravvivenza dell’intestino e del paziente dipende dall’immediato ristabilimento del flusso ematico dell’arteria mesenterica superiore occlusa. Sebbene si arrivi spesso alla diagnosi mediante angiografia mesenterica, si può perdere del tempo prezioso nell’effettuare questa procedura. Una laparatomia esplorativa senza arteriografia, al fine di ristabilire il flusso mesenterico, può essere giustificata in pazienti critici in cui il sospetto clinico sia particolarmente elevato. Nel trattamento dell’embolia splancnica è stata utilizzata la terapia trombolitica con streptochinasi o urochinasi per via intra-arteriosa, con un successo modesto;

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

tuttavia, tale terapia non rappresenta un’alternativa valida alla riperfusione chirurgica, a meno che il rischio chirurgico non sia molto elevato.

OCCLUSIONE ACUTA DEL TRONCO CELIACO Tale occlusione è solitamente dovuta a embolia nei rami del tronco celiaco. Possibili conseguenze sono l’infarto di una parte del fegato per embolia dell’arteria epatica e l’infarto splenico per embolia dell’arteria splenica: tali evenienze, tuttavia, raramente richiedono un intervento chirurgico. La prognosi è infausta.

OCCLUSIONE ACUTA DELL’ARTERIA RENALE L’occlusione dovuta a embolia dell’arteria renale è annunciata dall’improvvisa comparsa di dolore al fianco, seguito da ematuria. Un intervento chirurgico tempestivo (entro 2-4 ore) al fine di rimuovere l’embolo può preservare la funzione renale, nonostante sia spesso presente un infarto renale.

OCCLUSIONE ACUTA DELLA BIFORCAZIONE AORTICA L’occlusione acuta della biforcazione aortica è solitamente in relazione a un’embolia. È caratterizzata dalla brusca comparsa di dolore, pallore, paralisi e sensazione di freddo alle gambe. È indicata l’embolectomia d’urgenza, che può essere solitamente effettuata per via transfemorale.

OCCLUSIONE CRONICA DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE E DEL TRONCO CELIACO Poiché i circoli collaterali tra i maggiori tronchi splancnici sono molto sviluppati, l’insufficienza vascolare mesenterica cronica quasi invariabilmente comporta una stenosi di alto grado o un’occlusione sia del tronco celiaco che dell’arteria mesenterica superiore. La causa più comune è l’arteriosclerosi. Tuttavia, l’iperplasia fibromuscolare (o displasia) non è rara, soprattutto nelle donne giovani con ipertensione nefrovascolare. I sintomi dell’insufficienza vascolare mesenterica si hanno tipicamente nella fase post- prandiale (angina intestinale), perché la digestione richiede un aumento del flusso ematico mesenterico; il dolore comincia circa 30 min/1 h dopo il pasto ed è costante, intenso e abitualmente periombelicale. Il dolore può rispondere prontamente alla nitroglicerina sublinguale e questo aiuta a fare diagnosi. I pazienti hanno paura di mangiare e di solito si verifica una perdita di peso spesso importante. Il malassorbimento intestinale può contribuire alla perdita di peso. L’ecografia Doppler dell’arteria mesenterica superiore e del tronco celiaco può individuare con precisione la riduzione del flusso attraverso questi tronchi. L’arteriografia mesenterica è cruciale nel dimostrare la presenza e la gravità dell’ostruzione e la necessità di un intervento chirurgico. Talvolta la nitroglicerina allevia il dolore. Nei pazienti gravemente sintomatici, si può effettuare la rivascolarizzazione chirurgica dell’arteria mesenterica superiore e del tronco celiaco: solitamente si esegue un bypass dall’aorta sopraceliaca o infrarenale alle arterie splancniche, distalmente all’occlusione.

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Malattie dell’aorta e dei suoi rami

OCCLUSIONE CRONICA DELL’ARTERIA RENALE L’occlusione cronica di una o di ambedue le arterie renali può causare ipertensione nefrovascolare. Questa diagnosi è suggerita da elevati livelli di renina plasmatica, specialmente dopo somministrazione di captopril. L’urografia mostra in genere un rene più piccolo e con una ridotta escrezione del mezzo di contrasto dal lato affetto; anche i nefrogrammi eseguiti con radionuclidi possono mostrare differenze della perfusione e della funzione renale. L’arteriografia renale è importante per definire l’anatomia dell’occlusione; il confronto fra i livelli di renina nel sangue proveniente dalle vene renali può indicare quale sia il rene ischemico (quello dal quale proviene il sangue con più elevati livelli di renina). In casi accuratamente selezionati, la rivascolarizzazione dei reni ischemici ha un’elevata probabilità di risolvere l’ipertensione. Nel caso in cui sia anatomicamente fattibile, si può procedere alla rivascolarizzazione mediante angioplastica percutanea con palloncino, sebbene la maggior parte dei casi richieda l’intervento chirurgico. Per una trattazione più dettagliata sull’ipertensione nefrovascolare, v. Cap. 199.

OCCLUSIONE CRONICA DELLA BIFORCAZIONE AORTICA L’occlusione cronica della biforcazione aortica è di solito dovuta ad arteriosclerosi e si manifesta con claudicatio intermittens delle gambe e dei glutei e impotenza nell’uomo (sindrome di Leriche). I polsi femorali sono assenti. La claudicatio può essere risolta bypassando chirurgicamente la zona occlusa dell’aorta con una protesi aorto-iliaca o aortofemorale.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti. Le malattie vascolari periferiche possono riguardare le arterie (patologie ostruttive o funzionali), le vene o entrambi i vasi (p. es., fistole artero-venose) o i vasi linfatici. Le patologie arteriose ostruttive comprendono l’ostruzione arteriosa periferica e la tromboangioite obliterante. Le patologie funzionali delle arterie possono essere dovute a fenomeni di vasospasmo (fenomeno e malattia di Raynaud, acrocianosi) o di vasodilatazione (eritromelalgia). Possono essere secondarie a un alterato funzionamento locale dei vasi sanguigni o a disturbi del sistema nervoso simpatico, oppure ancora possono accompagnare patologie vascolari organiche. Le patologie venose comprendono la trombosi venosa e le varici; le patologie combinate artero-venose comprendono le fistole arterovenose; le patologie dei vasi linfatici comprendono il linfedema e il lipedema.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

OCCLUSIONE ARTERIOSA PERIFERICA Assenza di flusso ematico a livello degli arti per la presenza di placche aterosclerotiche (ateromi), trombi o emboli. (V. anche Arterite Temporale e Poliarterite Nodosa nel Cap. 50 e Arterite di Takayasu nel Cap. 211.)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Dati di laboratorio Profilassi e terapia

L’ostruzione arteriosa periferica può provocare un’ischemia acuta o cronica. L’ischemia acuta è causata dalla rottura di una placca aterosclerotica prossimale, dalla trombosi acuta su una preesistente malattia aterosclerotica; da un’embolia a partenza dal cuore, dall’aorta o da altri vasi di grosso calibro, o da un aneurisma dissecante. L’ischemia cronica è causata dal graduale accrescimento di una placca ateromasica. La maggior parte dei pazienti ha una malattia aterosclerotica di base (v. Cap. 201). I fattori di rischio più importanti comprendono l’ipertensione, elevati livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL), ridotti livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL), il fumo di sigaretta, il diabete mellito, l’obesità, il sesso maschile, elevati livelli di omocisteina e una storia familiare di aterosclerosi precoce. Elevati livelli ematici di omocisteina danneggiano le cellule endoteliali e, quindi, predispongono all’aterosclerosi precoce dell’aorta e dei suoi rami, vale a dire le arterie periferiche, le arterie cerebrali e probabilmente le arterie coronarie. Sebbene elevati livelli di omocisteina siano solitamente associati ad altri fattori di rischio, possono essere ridotti mediante la dieta e con l’assunzione di vitamina B.

Sintomi, segni e diagnosi Le manifestazioni cliniche dell’ostruzione arteriosa dipendono dal vaso coinvolto, dall’entità dell’ostruzione, dalla rapidità con cui l’ostruzione progredisce e dall’adeguatezza del flusso dei vasi collaterali. Diverse sindromi (malattie ischemiche miocardiche, patologie dell’aorta e dei suoi rami, patologie cerebrovascolari) sono trattate altrove nel Manuale. Occlusione acuta: l’anamnesi evidenzia l’improvvisa comparsa di dolore intenso, torpore, superficie fredda e pallore di un arto. L’arto è freddo e pallido e i polsi distali all’ostruzione sono assenti. L’occlusione acuta può essere causa di

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Malattie vascolari periferiche

ischemia grave, che si manifesta con deficit sensitivi e motori e successivamente (dopo 6-8 h) con indurimento muscolare alla palpazione. Nell’occlusione acuta dell’aorta (embolia o trombosi), sono assenti tutti i polsi degli arti inferiori. Caratteristicamente, l’occlusione acuta si verifica a livello delle biforcazioni, subito distalmente rispetto all’ultimo polso palpabile (p. es., in caso di occlusione alla biforcazione femorale, il polso femorale può essere palpabile; in caso di occlusione alla biforcazione poplitea, il polso popliteo può essere palpabile). Occlusione cronica: i sintomi sono correlati alla graduale comparsa di ischemia. Il sintomo iniziale è la claudicatio intermittens. I disturbi tipici della claudicatio (dolore, crampi o sensazione di fatica durante la deambulazione) sono più comuni a livello del polpaccio, ma si possono verificare anche a livello del piede, della coscia, dell’anca o dei glutei. La claudicatio è peggiorata dal camminare a passo svelto o in salita, ma solitamente si risolve con il riposo entro 1-5 min (non è necessaria la posizione seduta); il paziente può riprendere a camminare fino alla ricomparsa del dolore. Sintomi simili correlati allo sforzo possono verificarsi anche a livello delle braccia. La progressione della malattia è indicata dalla riduzione della distanza che il paziente può percorrere in assenza di sintomi. Alla fine, il dolore ischemico può verificarsi a riposo: insorge inizialmente a livello delle zone più distali dell’arto, è intenso, senza requie, è aggravato dalla posizione eretta e spesso impedisce il sonno; il paziente trova sollievo tenendo l’arto penzoloni fuori dal letto o rimanendo in posizione seduta. Quando l’unico sintomo è rappresentato dalla claudicatio intermittens, gli arti possono apparire normali, ma i polsi risultano ridotti o assenti. Il livello dell’occlusione arteriosa e la localizzazione della claudicatio intermittens sono strettamente correlati; p. es. la malattia aorto-iliaca causa frequentemente claudicatio dei glutei, delle anche e dei polpacci e i polsi femorali sono ridotti o assenti; nell’uomo, è comune l’impotenza, che dipende dalla localizzazione e dalla gravità dell’ostruzione. Nella malattia femoropoplitea, la claudicatio è di solito localizzata al polpaccio e tutti i polsi situati distalmente a quello femorale sono assenti. Nei pazienti con malattia dei piccoli vasi (p. es., tromboangioite obliterante, diabete mellito), i polsi femoropoplitei possono essere presenti, mentre quelli del piede risultano assenti. Il pallore del piede interessato dopo 12 min di mantenimento in una posizione elevata, seguito dall’arrossamento quando lo si abbassa, aiuta a confermare la presenza di un’insufficienza arteriosa. Il tempo di riempimento venoso quando l’arto viene abbassato, dopo essere stato tenuto sollevato, supera il limite normale di 15 s. Se si ha claudicatio in presenza di polsi distali validi, si deve prendere in considerazione una stenosi del canale spinale (v. sotto Lombalgia nel Cap. 59). Un piede gravemente ischemico è dolente, freddo e spesso intorpidito. Nei casi cronici, la cute può essere secca e squamosa, con una ridotta crescita di unghie e peli. A mano a mano che l’ischemia si aggrava, possono comparire delle ulcerazioni (di solito sulle dita dei piedi o sui talloni e, occasionalmente, sulle gambe), soprattutto dopo traumi localizzati. Non è solitamente presente edema, a meno che il paziente non abbia tenuto la gamba in giù per alleviare il dolore; tuttavia, una gamba gravemente ischemica può essere atrofica. Ostruzioni più estese possono compromettere la vitalità tissutale, portando a necrosi o gangrena. Un’ischemia associata ad arrossamento, dolore ed edema del piede può mimare una cellulite o un’insufficienza venosa. Esami diagnostici non invasivi a livello delle arterie possono chiarire la diagnosi.

Dati di laboratorio Sebbene un’ostruzione arteriosa a livello degli arti possa di solito essere diagnosticata clinicamente, i test non invasivi confermano la diagnosi e sono utili nel follow-up dei pazienti. I test invasivi possono documentare la localizzazione e la gravità della patologia e risultano utili quando vengono presi in considerazione l’angioplastica, la terapia fibrinolitica locale o l’intervento chirurgico di bypass.

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Malattie vascolari periferiche

Test diagnostici non invasivi: l’ecografia Doppler è la metodica più ampiamente utilizzata. La stenosi e l’occlusione arteriosa possono essere facilmente documentate mediante un rilevatore di velocità (sonda Doppler). Il segnale del color Doppler mostra la direzione del flusso. Il metodo più semplice per la valutazione del flusso ematico a livello degli arti inferiori consiste nel confrontare la PA sistolica misurata a livello delle caviglie con quella brachiale. Il bracciale va applicato alla caviglia, gonfiato fino a superare il livello della pressione sistolica brachiale e quindi sgonfiato lentamente. Il valore preciso della PA sistolica a livello delle caviglie può essere rilevato mediante l’esame Doppler del flusso dell’arteria pedidia dorsale o tibiale posteriore. La PA a riposo è normalmente 90% di quella brachiale; in caso di insufficienza arteriosa lieve, risulta tra il 70% e il 90%; con insufficienza moderata, tra il 50% e il 70%; con insufficienza grave, < 50%. Quando la diagnosi non è certa, il confronto fra i valori pressori rilevati prima e dopo test ergometrico standard aiuta a individuare la presenza di claudicatio. Quando la PA sistolica della caviglia è < 55 mm Hg in un paziente non diabetico o < 70 mm Hg in un paziente diabetico, le lesioni ischemiche non possono guarire spontaneamente; una PA 70 mm Hg aiuta ad assicurare la guarigione della cicatrice di amputazione dell’arto sotto al ginocchio. La PA a livello delle caviglie può risultare falsamente elevata nei pazienti affetti da diabete mellito, a causa della calcificazione delle pareti arteriose (arterie non comprimibili). Informazioni più precise riguardo al grado di inabilità e alla gravità e localizzazione delle lesioni arteriose si ottengono dalla valutazione della PA segmento per segmento (coscia, polpaccio, caviglia) e dalla registrazione pletismografica delle onde di volume di pulsazione prima e dopo esercizio. I gradienti pressori e le anomalie delle onde spesso permettono di distinguere la malattia aorto-iliaca isolata da quella femoro-poplitea o da quella che riguarda la gamba sotto al ginocchio, oppure di individuare la presenza di entrambe queste forme. L’angio-RMN è in grado di fornire immagini simili all’angiografia con mezzo di contrasto senza l’utilizzo di cateteri o radiazioni. Questa tecnologia sta facendo progressi continui e potrebbe soppiantare l’angiografia con mezzo di contrasto. La radiografia tradizionale degli arti ha un valore diagnostico minimo nelle patologie ostruttive. Eventuali calcificazioni dell’intima confermano semplicemente la presenza di aterosclerosi e le calcificazioni della media non sono correlate con la gravità dell’arteriosclerosi obliterante. Test diagnostici invasivi: l’angiografia, prerequisito per la correzione chirurgica o per l’angioplastica percutanea transluminale, fornisce dettagli sulla localizzazione e sull’estensione delle lesioni. I metodi angiografici per visualizzare l’aorta e le arterie distali fino a livello dei piedi includono l’aortografia translombare e il cateterismo transcutaneo attraverso l’arteria femorale (cioè arteriografia transfemorale) o un’arteria degli arti superiori, metodo oggi preferito e più sicuro. L’angiografia a sottrazione digitale rende più chiara l’immagine angiografica in casi selezionati. Tale metodo di amplificazione dell’immagine e di interpretazione numerica consente la visualizzazione del sistema vascolare "sottraendo" gli altri tessuti molli. È necessaria una minore quantità di mezzo di contrasto e ciò rende la metodica più sicura e meglio accettata da parte del paziente.

Profilassi e terapia Va eliminato il tabacco in ogni sua forma. Idealmente, i pazienti affetti da claudicatio intermittens devono camminare 3060 min/die; se si presenta il fastidio, il paziente deve fermarsi, attendere la scomparsa del dolore e ricominciare a camminare. Tale approccio aumenta la distanza che il paziente riesce a percorrere senza dolore; il meccanismo di file:///F|/sito/merck/sez16/2121916b.html (3 of 6)02/09/2004 2.31.53

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questo fenomeno non è noto, ma può darsi che sia la conseguenza dell’allenamento fisico e dell’aumento del circolo collaterale conseguente alle aumentate richieste muscolari. Per il dolore notturno a riposo, la testata del letto va sollevata di 10-15 cm. Questa posizione migliora la perfusione dei piedi durante il sonno, grazie all’effetto della gravità sul flusso ematico. Vengono comunemente prescritti farmaci vasodilatatori, sebbene la loro efficacia non sia stata provata. I calcioantagonisti e l’aspirina possono essere utili nei pazienti con arteriopatia occlusiva e vasospastica. La pentossifillina, alla dose di 400 mg tid ai pasti, può migliorare la claudicatio in casi selezionati migliorando il flusso ematico e aumentando l’ossigenazione tissutale delle aree affette. Dal momento che gli effetti collaterali della pentossifillina sono rari e lievi, va comunque effettuato un periodo di prova 2 mesi. Occasionalmente, i β-bloccanti peggiorano la claudicatio intermittens e, di conseguenza, il loro effetto va tenuto sotto controllo. La terapia chelante non ha un ruolo dimostrato e non è consigliata. La profilassi delle lesioni dei piedi è di primaria importanza, soprattutto nei diabetici. I pazienti devono osservare i propri piedi quotidianamente per rilevare fissurazioni, callosità, ferite o ulcere; i calli e le ferite devono essere trattati da un podologo. È bene lavare i piedi giornalmente in acqua tiepida e con sapone neutro e quindi asciugarli con attenzione e delicatamente. In caso di pelle squamosa e secca, va usata una sostanza ammorbidente (p. es., lanolina). In caso di sudorazione si deve far uso di polveri adatte non medicate. Le unghie vanno tagliate con cura non troppo vicino alla pelle. Quest’operazione può essere effettuata da uno specialista se la vista del paziente non è buona. Non vanno applicati sulla cute nastri adesivi, sostanze chimiche corrosive, rimedi per i calli, borse d’acqua calda o fredda o coperte elettriche. Le calze vanno cambiate giornalmente, evitando l’uso di elastici. Quando fa freddo, i piedi vanno tenuti al caldo facendo uso di morbide calze di lana. Le calzature devono essere comode, vanno evitate quelle con aperture posteriori o anteriori e inoltre vanno cambiate di frequente. Se il piede ha una particolare deformità (p. es., postumi di amputazione delle dita, dita a martello, calli voluminosi), vanno prescritte calzature speciali per ridurre il traumatismo. Occorre evitare di camminare a piedi nudi. Nei pazienti portatori di ulcere da neuropatia diabetica vanno evitati i cuscinetti di supporto o, se ciò non è possibile, occorre proteggere l’ulcera mediante adeguati dispositivi ortopedici. Siccome la maggior parte dei pazienti portatori di tali ulcere non ha una patologia ostruttiva rilevante delle grosse arterie, l’uso di antibiotici appropriati, oltre che l’attenta pulizia chirurgica, assicura in genere una buona cicatrizzazione. Il drenaggio dell’infezione può prevenire la necessità di una terapia chirurgica. Dopo la cicatrizzazione dell’ulcera, occorre utilizzare calzature appropriate. I casi refrattari, soprattutto in presenza di osteomielite, possono richiedere la rimozione chirurgica della testa del metatarso e l’amputazione delle dita interessate o l’amputazione transmetatarsale. La neuropatia articolare può essere adeguatamente trattata mediante tutori ortopedici (fasciature, calzature modellate, archi di supporto rivestiti di spugna o di gomma, stampelle e protesi). Terapia endovascolare transcutanea: molte nuove terapie per le patologie vascolari (ostruzioni e aneurismi) permettono di evitare l’intervento chirurgico. Queste terapie possono essere eseguite da radiologi interventisti, chirurghi vascolari o cardiologi. Il primo di questi nuovi approcci è l’angioplastica transluminale percutanea (Percutaneous Transluminal Angioplasty, PTA): un palloncino ad alta pressione è usato per riaprire un vaso ostruito. Tuttavia, a causa dell’elevata percentuale di recidive, possono rendersi necessarie metodiche alternative. All’interno del vaso, in corrispondenza dell’ostruzione, viene spesso impiantato uno stent (tubo metallico a rete). Gli stent sono molto resistenti e riescono a ristabilire la pervietà del vaso molto meglio che il palloncino da solo. Inoltre, la file:///F|/sito/merck/sez16/2121916b.html (4 of 6)02/09/2004 2.31.53

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percentuale di recidive è inferiore. Gli stent danno i risultati migliori nelle arterie di grosso calibro con un flusso elevato (iliache e renali). Funzionano meno bene nelle arterie di minor calibro o quando l’ostruzione è lunga. Sono in corso di realizzazione stent per le arterie carotidi. La PTA è utile nel trattamento di occlusioni arteriose localizzate di natura aterosclerotica. Con un’appropriata selezione dei pazienti, che dipende dall’esecuzione di un esame angiografico adeguato e completo, l’iniziale percentuale di successo si avvicina all’85-95% nelle arterie iliache e al 50-70% nelle arterie della coscia e del polpaccio. Una PTA riuscita evita l’intervento chirurgico e richiede solo 1-2 giorni di ricovero ospedaliero. Le indicazioni alla PTA delle arterie periferiche sono simili a quelle per la chirurgia e sono: claudicatio intermittens progressiva e limitante che rende il paziente inabile al lavoro, dolore a riposo, gangrena. Vari studi documentano un successo iniziale in lesioni ottimali 90%. Lesioni trattabili sono le stenosi iliache brevi che riducono il flusso o le stenosi brevi, singole o multiple, del segmento femoropopliteo superficiale. Sono state dilatate con successo occlusioni complete e lunghe ( 10-12 cm) dell’arteria femorale superficiale, sebbene i risultati migliori si ottengano in lesioni 5 cm. Una stenosi iliaca localizzata, prossimale rispetto a un bypass femoropopliteo realizzato in precedenza, è un’altra buona indicazione per la PTA. La percentuale di recidive dopo l’angioplastica (25-35% a 3 anni) è il principale problema a lungo termine; la ripetizione della PTA può avere successo. La decisione di eseguire una PTA deve essere presa in maniera congiunta da un chirurgo vascolare, un radiologo e un cardiologo. Controindicazioni alla PTA delle arterie periferiche sono rappresentate da forme diffuse, occlusioni lunghe e gravi calcificazioni arteriose. La trombosi sul sito della dilatazione, l’embolia distale, la dissezione dell’intima con occlusione provocata da "flap" intimale e complicanze dovute alla terapia eparinica richiedono l’intervento chirurgico. Negli aneurismi, sono in corso di studio graft endoluminali in alternativa all’intervento chirurgico. Graft sintetici vengono impiantati attraverso cateteri di piccole dimensioni nella sede dell’aneurisma e vengono poi dilatati per rivestire il segmento del vaso che si presenta aneurismatico. Queste procedure vengono effettuate nel laboratorio di radiologia o in sala operatoria. Nella maggior parte dei casi, si utilizza una sedazione blanda. Queste tecniche, ancora sperimentali, sono promettenti e possono abbreviare la durata della degenza ospedaliera (di solito < 24 h per una semplice angioplastica). Dopo la dimissione, il paziente dovrà assumere aspirina o ticlopidina. La terapia trombolitica, specialmente se somministrata localmente mediante cateterismo, è efficace soprattutto per le ostruzioni arteriose recenti (< 2 settimane). La trombolisi dell’arteria nativa o di un graft ostruito può chiarire la causa dell’ostruzione (p. es., stenosi aterosclerotica focale, stenosi cronica del graft). Questa caratterizzazione può permettere l’esecuzione di un intervento di rivascolarizzazione più mirato (PTA o chirurgia). Chirurgia ricostruttiva: In pazienti selezionati i sintomi vengono alleviati, le ulcere guariscono e si può evitare l’amputazione dell’arto. Le procedure chirurgiche consistono nella tromboendoarteriectomia, nei bypass (tubi protesici o segmenti venosi autologhi anastomizzati in modo termino-laterale sul vaso al di sopra e al di sotto della lesione) e nella resezione con successivo impianto di protesi (soprattutto in caso di aneurisma dell’aorta addominale e ateromasia arteriosa prossimale con embolizzazione periferica). Una chirurgia efficace dipende dall’esecuzione di un’adeguata angiografia (aortografia e arteriografia femorale bilaterale), che definisce il sito dell’occlusione e lo stato dell’arteria prossimalmente e distalmente. La tromboendoarteriectomia può essere usata per lesioni corte e localizzate del tratto aorto-iliaco, dell’arteria femorale comune o dell’arteria femorale profonda. I materiali più utilizzati per le protesi arteriose nei bypass del tratto aorto-iliaco sono il poliestere sintetico o il politetrafluoroetilene. Entrambi possono essere utilizzati per le ostruzioni femoropoplitee o tibiali, qualora non sia disponibile la file:///F|/sito/merck/sez16/2121916b.html (5 of 6)02/09/2004 2.31.53

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vena safena. Le indicazioni per la terapia chirurgica del tratto aorto-iliaco sono rappresentate dalla claudicatio intermittens disabilitante e dall’ischemia grave dovuta a un’arteriopatia distale associata. La chirurgia per l’arteriopatia femoropoplitea o tibiale va riservata ai pazienti affetti da ischemia grave con dolore a riposo, ulcerazioni o forme modeste di gangrena. I pazienti affetti solo da claudicatio intermittens vanno dapprima trattati in maniera conservativa; se la malattia progredisce verso una forma più grave di ischemia, diventa necessaria la terapia chirurgica. La simpatectomia può essere efficace quando il vasospasmo contribuisce all’ischemia; tale evenienza può essere determinata mediante un blocco simpatico di prova. La rivascolarizzazione è efficace per salvare l’arto e per alleviare la claudicatio, ma la comorbilità medica influisce sulla mortalità chirurgica e deve essere sempre presa in considerazione. Il successo della terapia chirurgica dipende direttamente dall’adeguatezza del flusso ematico verso la protesi e proveniente da essa. Solitamente si utilizzano vene autologhe (in genere la grande safena) per bypassare lesioni occlusive del tratto femoro-popliteo superficiale o dell’arteria tibiale. In caso di lesioni ischemiche del piede, qualora risultino inappropriate la rivascolarizzazione, la terapia endoarteriosa o la terapia trombolitica, altre misure terapeutiche possono prevenire l’amputazione. Nei pazienti diabetici, è fondamentale uno stretto controllo dei valori glicemici. Il riposo a letto con la testiera del letto sollevata può alleviare i sintomi. La lesione deve essere detersa quotidianamente con sapone neutro o soluzioni di NaCl e quindi fasciata con garze asciutte sterili. Si può usare una blanda pomata antibiotica. Vanno evitate soluzioni irritanti e sensibilizzanti. In caso di infezione franca, va eseguito l’esame colturale e gli antibiotici appropriati vanno somministrati per via sistemica. Il ricorso a preparati a base di enzimi può essere fonte di irritazione e di aumento del dolore. La pulizia chirurgica, in caso di ischemia grave, è molto dolorosa e provoca più danni che benefici. Occorre avvertire il paziente che la cicatrizzazione può essere molto lenta. La pentossifillina può migliorare il flusso attraverso i piccoli vasi, con miglioramento della sintomatologia e guarigione delle lesioni cutanee. L’amputazione per infezioni incontrollabili, dolore a riposo intrattabile e gangrena progressiva va effettuata il più distalmente possibile (p. es., amputazione sotto il ginocchio); è importante preservare il ginocchio per garantire al paziente la possibilità di utilizzare al meglio una protesi. Terapia genica e ormonale: sono in corso diversi studi circa la terapia genica nella malattia vascolare ostruttiva. Trial clinici con FGF ("Fibroblast Growth Factor") al fine di stimolare la crescita di nuovi vasi hanno dato risultati incoraggianti.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

TROMBOANGIOITE OBLITERANTE (Malattia di Buerger) Malattia obliterante caratterizzata da modificazioni infiammatorie di arterie e vene di piccolo e medio calibro.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

La tromboangioite obliterante si verifica nei fumatori di sigaretta, soprattutto uomini, d’età compresa tra 20 e 40 anni. Solo il 5% dei casi si verifica nelle donne. La frequenza con cui tale patologia viene diagnosticata è diminuita drasticamente in epoca recente, grazie alla sua migliore caratterizzazione clinica e angiografica rispetto all’arteriosclerosi obliterante. Nonostante alcuni ricercatori ritengano che tale patologia sia indistinguibile sul piano anatomopatologico dalle lesioni occlusive causate da alcuni tipi di aterosclerosi, di trombosi periferica idiopatica o embolia sistemica, la maggior parte dei medici è concorde nel ritenere che le caratteristiche cliniche della tromboangioite obliterante siano sufficientemente distintive per poterla considerare un’entità nosologica a sé stante. Nonostante la causa sia sconosciuta, non è documentato che la tromboangioite obliterante insorga in soggetti non fumatori, il che permette di ritenere il fumo di sigaretta come il fattore eziologico primario, forse per un meccanismo di ipersensibilità ritardata o di angioite tossica. La tromboangioite obliterante può costituire una reazione al tabacco da parte di soggetti con un fenotipo specifico, vista la prevalenza di HLA-A9 e HLA-B5 nella persone affette; essa può anche rappresentare una patologia autoimmune, con ipersensibilità cellulo-mediata verso il collagene umano di tipo I e III, costituenti della parete vasale. A differenza dell’aterosclerosi, la tromboangioite obliterante non coinvolge le arterie coronarie.

Anatomia patologica e fisiopatologia Tale affezione colpisce le arterie di piccolo e medio calibro e, frequentemente, anche le vene superficiali degli arti, in modo segmentario. Raramente, in uno stadio avanzato di malattia, sono colpiti anche vasi sanguigni localizzati in altre parti del corpo. L’aspetto anatomopatologico è quello di una panarterite non suppurativa o panflebite associata a trombosi dei vasi colpiti. Nella lesione acuta si ha proliferazione di cellule endoteliali e infiltrazione intimale da parte di linfociti, file:///F|/sito/merck/sez16/2121921.html (1 of 3)02/09/2004 2.31.53

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mentre la lamina elastica interna risulta intatta. Il trombo si organizza e successivamente si ricanalizza parzialmente. La media appare intatta, ma può essere infiltrata da fibroblasti. Poiché l’avventizia di solito è più ampiamente infiltrata da fibroblasti, le lesioni di più vecchia data mostrano una fibrosi periarteriosa che può anche coinvolgere la vena e il nervo adiacenti.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi e segni sono quelli dell’ischemia arteriosa e della tromboflebite superficiale. Una storia di flebiti migranti, di solito a carico delle vene superficiali del piede o della gamba, è presente in circa il 40% dei casi. L’esordio è graduale, a partire dai vasi più distali degli arti superiori e inferiori verso le zone più prossimali, fino alla gangrena distale. Il paziente può lamentarsi per una sensazione di freddo, torpore, formicolio o bruciore prima che la malattia diventi evidente. Comune è il fenomeno di Raynaud (v. oltre). Si ha claudicatio intermittens a carico dell’arto interessato (solitamente l’arcata plantare o la gamba, ma raramente la mano, il braccio o la coscia). In caso di ischemia più grave, come p. es., nello stadio pregangrenoso o in caso di ulcere o gangrena, il dolore diviene persistente. Frequentemente, si rileva un ipertono simpatico, indicato da sensazione di freddo e da eccessiva sudorazione e cianosi dell’arto interessato, causato probabilmente dal dolore grave e persistente. I polsi di una o più delle arterie del piede, e spesso dell’arteria radiale, sono ridotti o assenti. Si possono frequentemente osservare modificazioni posturali del colorito cutaneo (pallore se l’arto viene sollevato, rossore se viene abbassato) a carico delle mani, del piede o solo delle dita. L’ulcerazione ischemica e la gangrena, di solito a carico di una o più dita, si possono verificare precocemente nel corso della malattia, ma non in maniera acuta. Studi non invasivi dimostrano una grave riduzione del flusso ematico e della pressione a livello del piede o delle dita. La malattia progredisce coinvolgendo segmenti via via più prossimali. Di solito, si arriva alla diagnosi mediante l’esame clinico. L’arteriografia mostra occlusioni segmentarie delle arterie distali, specialmente a livello delle mani e dei piedi. Le arterie non colpite sono lisce e appaiono integre. Intorno all’occlusione si formano circoli collaterali, che possono apparire più tortuosi (aspetto a "cavaturaccioli") rispetto ai collaterali associati ad altre arteriopatie obliteranti.

Profilassi e terapia Va praticata una terapia di supporto per massimizzare l’apporto di sangue; bisogna eliminare il fumo ed evitare l’esposizione al freddo e ai farmaci che possono provocare vasocostrizione. Si deve fare particolare attenzione a evitare traumi termici, chimici o meccanici, specialmente da calzature strette o da piccoli interventi chirurgici alle dita e infezioni fungine. Il paziente deve camminare per almeno 15-30 min due volte al giorno se non ci sono gangrena, ulcere o dolore a riposo; se tali segni sono presenti, può essere necessario il riposo a letto. Il piede va protetto con bendaggi di materiale cicatrizzante o con gommapiuma. Vanno evitati dispositivi di riscaldamento, a meno che non siano provvisti di un termostato che impedisca l’aumento della temperatura al di sopra di quella corporea. La testata del letto deve essere sollevata di 10-15 cm per facilitare il flusso arterioso grazie alla gravità. Antibiotici, corticosteroidi e anticoagulanti sono inefficaci e i vecchi vasodilatatori risultano poco o affatto utili. Possono risultare utili la pentossifillina, i calcioantagonisti e gli inibitori del trombossano (v. Profilassi e terapia in Occlusione Arteriosa Periferica, più avanti), soprattutto nelle manifestazioni vasospastiche. La fase acuta progredirà senza remissioni se il paziente continua a fumare; a file:///F|/sito/merck/sez16/2121921.html (2 of 3)02/09/2004 2.31.53

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volte la compromissione tissutale è di entità tale da richiedere l’amputazione. Durante la remissione, l’insufficienza arteriosa residua può essere migliorata mediante la simpatectomia dorsale o lombare, a patto che ci sia una risposta al blocco simpatico e che il paziente abbia smesso di fumare. L’intervento di bypass è raramente indicato, dal momento che i grossi vasi (p. es., l’iliaca, la femorale, la succlavia e le arterie brachiali) sono raramente interessati.

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ACROCIANOSI Cianosi simmetrica, persistente e senza dolore delle mani e, meno comunemente, dei piedi, causata da vasospasmo dei piccoli vasi cutanei. Cianosi simmetrica, persistente e senza dolore delle mani e, meno comunemente, dei piedi, causata da vasospasmo dei piccoli vasi cutanei. L’eziologia è ignota, ma può essere correlata a un aumento del tono arteriolare associato a dilatazione capillare e venulare. Tale patologia si verifica di solito nel sesso femminile e non si associa ad arteriopatia ostruttiva. Le dita delle mani e dei piedi appaiono persistentemente fredde, bluastre, hanno una sudorazione profusa e possono apparire edematose. La cianosi si intensifica di solito con l’esposizione al freddo, mentre si riduce riscaldando l’estremità colpita. Tale condizione non si associa a modificazioni trofiche, a ulcerazioni o a dolore. I polsi sono normali. Oltre alla rassicurazione e alla protezione dal freddo, non è solitamente necessaria alcuna terapia. Si possono provare i vasodilatatori, sebbene risultino solitamente inefficaci. Infine, può risultare utile, sebbene raramente necessaria, la simpaticectomia.

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ERITROMELALGIA Rara sindrome da vasodilatazione parossistica caratterizzata da dolore urente, aumento della temperatura cutanea e arrossamento dei piedi e, più raramente, delle mani. La causa dell’eritromelalgia primaria è sconosciuta. L’eritromelalgia secondaria si può verificare in pazienti con patologie mieloproliferative, ipertensione arteriosa, insufficienza venosa, diabete mellito, LES, AR, lichen scleroso e atrofico, gotta, malattie del midollo spinale o sclerosi multipla. Tale condizione è caratterizzata dalla comparsa di attacchi di dolore urente, calore e arrossamento a livello dei piedi o delle mani. Nella maggior parte dei pazienti, l’episodio è scatenato da temperature ambientali comprese tra 29 e 32° C. Non si associano modificazioni trofiche. I sintomi possono restare lievi per anni o possono diventare tanto gravi da causare una totale inabilità. La diagnosi di eritromelalgia si basa sull’associazione tra l’aumento della temperatura cutanea e i sintomi. Le forme secondarie vanno differenziate dalla rara eritromelalgia primitiva, perché la correzione della malattia di base può portare alla regressione dei sintomi. La diagnosi differenziale comprende le distrofie riflesse post-traumatiche, la sindrome spalla-mano, la "causalgia" (sindrome di dolore regionale che si sviluppa dopo un danno a un nervo periferico, ndt), la malattia di Fabry e la cellulite batterica. Siccome l’eritromelalgia può precedere una malattia mieloproliferativa (anche di diversi anni), può essere indicata l’esecuzione di frequenti emocromi, per permettere diagnosi e trattamento precoci di quest’ultima. Si può impedire o interrompere l’attacco con il riposo a letto, il sollevamento degli arti e l’applicazione di garze fredde. La terapia non è sempre efficace. Nell’eritromelalgia primaria, l’aspirina (650 mg 1-4 volte/die) può produrre una rapida e prolungata remissione dei sintomi. È solitamente utile evitare i fattori che causano vasodilatazione, mentre un effetto benefico può essere prodotto dai vasocostrittori (p. es., efedrina 25 mg PO, propranololo 10-40 mg PO qid, metisergide 1 mg PO q 4 h). Nell’eritromelalgia secondaria, va trattata la patologia di base.

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TROMBOSI VENOSA Presenza di un trombo in un vaso venoso

Sommario: Classificazione ed eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Classificazione ed eziologia La trombosi può colpire le vene superficiali (tromboflebite superficiale) o le vene profonde (trombosi venosa profonda). Una trombosi venosa protratta nel tempo può causare insufficienza venosa cronica con edema, dolore, pigmentazione cutanea da stasi, dermatite da stasi e ulcere da stasi. La trombosi è quasi sempre accompagnata da flebite, cosicché i termini trombosi e tromboflebite vengono usati in maniera intercambiabile. La trombosi può verificarsi a causa di anomalie della coagulazione che possono essere familiari (v. Cap. 132) o correlate a una sottostante neoplasia. Il termine di tromboflebite iliofemorale si riferisce a una trombosi diffusa dell’arto coinvolto, che assume un colorito pallido simile al colore del latte. L’espressione "phlegmasia cerulea dolens" indica una trombosi venosa massiva, in cui la gamba ha spesso un colorito bluastro. Tale situazione spesso comporta una gangrena venosa e la morte a causa della patologia di base (p. es., una neoplasia diffusa). Altri termini vengono utilizzati per indicare trombosi in aree anatomiche specifiche (v. Tab. 212-1). La trombosi delle vene pelviche, mesenteriche, portali e renali sono trattate altrove nel Manuale. Un danno all’endotelio può esporre il collagene, provocando aggregazione piastrinica e rilascio di tromboplastina tissutale che, qualora siano presenti stasi o ipercoagulabilità, innescano la cascata coagulativa. Numerosi fattori possono contribuire alla genesi della trombosi venosa: danni all’endotelio venoso, quali quelli provocati da cateteri, iniezione di sostanze irritanti, tromboangioiti obliteranti o flebiti settiche; ipercoagulabilità associata a neoplasie maligne, discrasie ematiche, contraccettivi orali e tromboflebite idiopatica; stasi postoperatoria o post-partum, tromboflebiti varicose o che complicano lunghi periodi di allettamento per qualsiasi malattia cronica, scompenso cardiaco, ictus e trauma. L’immobilità prolungata con gli arti inferiori in posizione declive durante un viaggio (specialmente in voli di lunga durata) rappresenta un fattore di rischio, anche in individui normali. Anche lo sforzo fisico intenso a carico dei muscoli dell’arto affetto (p. es., un braccio) costituisce un fattore di rischio. Flebiti settiche sono possibili ogniqualvolta un processo settico è presente a file:///F|/sito/merck/sez16/2121924c.html (1 of 5)02/09/2004 2.31.56

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livello dell’arto che si trova a valle o a livello di un’ostruzione venosa. Trombi settici possono formarsi separatamente dal focus di infezione o per contiguità con l’area di flogosi, come parte di un processo cellulitico.

Fisiopatologia La maggior parte dei trombi venosi trae origine all’interno delle cuspidi valvolari delle vene profonde del polpaccio. Viene liberata tromboplastina tissutale, che rilascia trombina e fibrina, le quali a loro volta intrappolano i GR, generando in direzione prossimale il trombo fibrinico o rosso: esso rappresenta morfologicamente la lesione venosa predominante (il trombo piastrinico o bianco è invece caratteristico della lesione arteriosa). I farmaci ad azione anticoagulante (p. es., eparina, anticoagulanti orali) possono prevenire la formazione o l’estensione dei trombi. I farmaci antiaggreganti, nonostante siano stati molto studiati, non si sono dimostrati efficaci nella prevenzione.

Sintomi e segni I sintomi della tromboflebite acuta si fanno evidenti in un periodo di tempo variabile da ore a 1-2 gg. La malattia solitamente si autolimita e dura 1-2 sett., dopo di che il processo acuto si risolve e il dolore scompare. Nella tromboflebite superficiale, una vena superficiale trombizzata può essere rilevata alla palpazione come un cordone duro lineare. Può associarsi a una reazione infiammatoria di entità variabile, che si manifesta con dolore, dolorabilità alla palpazione, eritema, calore; tale condizione va differenziata dal linfedema secondario acuto infetto (v. più avanti). La palpazione di un cordone superficiale sulla gamba riflette l’occlusione di una vena superficiale; è raramente dovuto a trombosi venosa profonda. La trombosi venosa profonda (TVP) può decorrere in maniera asintomatica o può manifestarsi con la combinazione, in corrispondenza dell’area coinvolta, di dolorabilità alla palpazione, dolore spontaneo, edema, calore, discromie ed evidenza di vene superficiali prominenti. Se la TVP coinvolge i segmenti popliteo, femorale e iliaco, vi può essere dolorabilità, insieme con il rilievo di un cordone palpabile, in corrispondenza del vaso venoso interessato, a livello del triangolo femorale nella regione inguinale, nella regione media della coscia o nel cavo popliteo. In caso di trombosi venosa ilio-femorale, compaiono di solito collaterali venosi superficiali dilatati sulla gamba, sulla coscia e in corrispondenza dell’anca e dei quadranti inferiori dell’addome. Per la presenza di almeno tre vene principali di drenaggio a livello della gamba, la trombosi di una di esse non impedisce del tutto il deflusso venoso, per cui non si verifica edema, cianosi della cute o dilatazione delle vene superficiali. Il paziente accusa fastidio o dolore franco assumendo la posizione eretta e durante la deambulazione, sintomi che regrediscono con il riposo a gambe sollevate. L’esame obiettivo dimostra facile dolorabilità alla palpazione del polpaccio, ma il dolore della TVP è spesso difficile da differenziare dal dolore muscolare. Il dolore da problemi muscolari è assente o minimo alla dorsiflessione della caviglia a ginocchio flesso, mentre risulta intenso quando si effettua tale manovra a ginocchio esteso o durante sollevamento della gamba distesa (segno di Homans); perciò, questo test è inaffidabile per la diagnosi di TVP. La perdita dei polsi arteriosi periferici accompagna occasionalmente la TVP massiva, ma la trombosi venosa può anche essere secondaria a un’occlusione arteriosa acuta. L’insufficienza venosa cronica della gamba dopo TVP si manifesta con edema e dilatazione delle vene superficiali. Il paziente accusa senso di tensione, dolore persistente o facile stancabilità dell’arto, ma può anche non avere alcun disturbo. Tale sintomatologia si verifica assumendo la posizione eretta o durante la deambulazione e regredisce con il riposo e sollevando l’arto. Non si associa a

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dolorabilità in corrispondenza delle vene profonde come nel caso della tromboflebite acuta, ma va ricercata nell’anamnesi una storia di TVP. I segni e i sintomi della stasi periferica si verificano se l’edema non è controllato da un supporto elastico. Con il passar del tempo compare una pigmentazione cutanea sulla superficie mediale, e alle volte laterale, della caviglia e della gamba. Ulteriori complicanze sono la dermatite e l’ulcera da stasi delle aree colpite. Pazienti affetti da insufficienza venosa profonda possono sviluppare vene varicose (v. oltre), che sono secondarie a TVP, sono in genere lievi e assumono la funzione di vasi collaterali. Non devono essere operate se non in casi gravi.

Diagnosi La tromboflebite superficiale viene diagnosticata grazie ai sintomi e al rilievo di un cordone venoso superficiale, dolente all’esame clinico. L’esame obiettivo di solito permette di differenziare l’occlusione arteriosa acuta da quella venosa profonda. In più del 50% dei casi, la TVP acuta può non essere diagnosticata sulla base dei soli rilievi clinici; il segno di Homans non è affidabile per la diagnosi e l’edema può avere altre cause. Rilievi specifici a livello dell’arto interessato (p. es., edema, vene superficiali dilatate), la presenza di embolia polmonare e l’insieme del quadro clinico, inclusi i fattori di rischio (v. in Classificazione ed eziologia, sopra), permettono al medico di stimare la probabilità di una TVP. La diagnosi può essere confermata mediante test non invasivi o mediante venografia, se necessario. L’ecografia Doppler è diagnostica nella maggior parte dei casi in cui il trombo coinvolge le vene iliache, femorali e poplitee. Se la diagnosi è dubbia, si ricorre alla venografia. L’embolia polmonare si evidenzia con la scintigrafia o l’arteriografia polmonare (v. Cap. 72). Se non diagnosticata, la TVP può causare il decesso del paziente per embolia polmonare, ma la somministrazione di anticoagulanti senza la dimostrazione di un trombo intravascolare mediante ecografia, venografia o scintigrafia polmonare comporta il rischio di emorragie gravi. La pletismografia, come l’ecografia, può essere utilizzata con accettabile accuratezza per la diagnosi di ostruzioni trombotiche a livello delle vene prossimali maggiori degli arti o per il rilievo di un’insufficienza venosa cronica. Non è in grado di individuare la TVP del polpaccio. La pletismografia non è invasiva, è relativamente poco costosa, richiede una cooperazione minima da parte del paziente e può essere eseguita correttamente da un tecnico specializzato. È usata di frequente insieme all’eco-Doppler, in quanto la combinazione di queste tecniche aumenta l’accuratezza della diagnosi. I pazienti possono essere messi in terapia, qualora uno di tali test risulti positivo. In presenza di risultati negativi, se il sospetto di TVP rimane, si ricorre alla venografia.

Prognosi La TVP è di solito benigna, benché possa causare un’embolia polmonare letale o un’insufficienza venosa cronica. Le sole tromboflebiti superficiali, anche ricorrenti, non causano tali complicanze gravi, sebbene episodi di embolia polmonare non letale possano raramente avere origine da vene superficiali. Sebbene la tromboflebite superficiale e la TVP siano più frequenti nei pazienti affetti da cancro, il meccanismo alla base di questo dato non è noto. La maggior parte degli episodi di TVP individuati clinicamente non è associata a neoplasie. Tuttavia, se la neoplasia è l’unico fattore di rischio in un paziente con tromboflebite superficiale o TVP, essa è quasi invariabilmente in uno stadio avanzato.

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Terapia (Per la profilassi della TVP, v. Cap. 72.) La tromboflebite superficiale non richiede terapie specifiche oltre alle misure messe in atto per alleviare il dolore. Risultano utili garze calde sulle vene coinvolte e terapia con FANS. Non risulta necessaria l’ospedalizzazione né l’uso di antibiotici. In caso di TVP, l’obiettivo della terapia consiste nel prevenire l’embolia polmonare e l’insufficienza venosa cronica. Qualora venga diagnosticata una TVP acuta, il paziente può essere inizialmente ospedalizzato. Tuttavia, a causa dei progressi compiuti nella terapia eparinica, pazienti selezionati con una TVP possono essere trattati a domicilio, riducendo la durata o eliminando del tutto il ricovero ospedaliero. I piedi del letto vanno sollevati di qualche centimetro e il paziente va sottoposto a terapia eparinica; sia in ospedale che a casa, si può quindi permettere al paziente di usare il bagno. Farmaci quali fenilbutazone o corticosteroidi non sono indicati di routine e gli antibiotici vanno riservati a infezioni specifiche. Garze umide calde danno sollievo, ma sono solo un’aggiunta nei pazienti senza insufficienza arteriosa. Le eparine a basso peso molecolare vanno presto sostituite con warfarin per os, aggiustando il dosaggio in modo da raggiungere valori di INR fra 2 e 3. La durata della terapia anticoagulante orale va stabilita caso per caso. Un episodio isolato di tromboflebite che regredisce in 3-6 giorni in un paziente giovane, attivo e privo di fattori di rischio può richiedere 2 soli mesi di terapia, mentre un paziente con un’embolia polmonare dimostrabile e persistenti fattori di rischio può aver bisogno di 6 mesi di terapia. Dopo 2 episodi di TVP, la profilassi con anticoagulanti orali va continuata per tutta la vita. L’efficacia dei farmaci antitrombotici (p. es., farmaci derivati dai veleni di alcuni serpenti, antiaggreganti piastrinici, composti trombolitici) non è stata stabilita. Terapia trombolitica: la terapia trombolitica mediante attivatore tissutale del plasminogeno o urochinasi associata ad anticoagulanti costituisce una terapia efficace per la TVP acuta delle poplitee e delle vene più prossimali. I risultati migliori si hanno quando il trombolitico viene somministrato entro 48-72 ore dall’esordio della TVP. Tale terapia provoca la dissoluzione completa o parziale del trombo entro 24-48 ore. Una terapia efficace ripristina l’anatomia venosa e può così prevenire il danno al sistema valvolare e la conseguente insufficienza venosa cronica. Prima di ricorrere alla terapia trombolitica, la diagnosi va confermata mediante venografia. Bisogna inoltre tenere conto delle controindicazioni e degli effetti collaterali, soprattutto il sanguinamento, oltre che dei dettagli circa lo schema e il monitoraggio del trattamento. (Per i dettagli sulla somministrazione dei trombolitici e sull’interruzione chirurgica della vena cava inferiore, v. il Cap. 72.) Una volta regredito l’edema, il paziente deve indossare calze elastiche sino al ginocchio (che assicurino una pressione di 30-40 mm Hg) per il controllo dell’edema che si svilupperà durante la deambulazione. Le calze vanno indossate durante la deambulazione per prevenire le sequele postflebitiche dell’insufficienza venosa cronica: edema, dolore, stasi, pigmentazione cutanea con successiva dermatite e ulcere da stasi. Se si verificano queste complicanze, nella maggior parte dei casi le ulcerazioni guariranno con il ricorso allo stivale di Unna (v. sotto Dermatite da Stasi, nel Cap. 111) o con il riposo a letto con gli arti sollevati e compressi mediante appositi dispositivi. Si ricorre agli antibiotici solo quando l’ulcera è circondata da una grave cellulite acuta. Fasciature inumidite con NaCl possono facilitare la fluidificazione e la rimozione dell’essudato superficiale. Ampie ulcere refrattarie o ricorrenti possono richiedere l’incisione chirurgica, la legatura delle vene perforanti insufficienti e la copertura dell’area con trapianto cutaneo.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 212-1. TROMBOSI VENOSA IN RELAZIONE ALLA SEDE ANATOMICA Patologia

Descrizione

Malattia di Mon dor

Trombosi delle vene superficiali in corrispondenza della ghiandola mammaria o di una massa toracica

Sindrome di BuddChiari

Trombosi delle vene epatiche che causa epatomegalia, ascite e ipertensione portale (vedi Cap. 46)

Flebiti migranti

Trombosi venosa ricorrente, so prattutto superficiale ma occasionalmente anche a livello delle vene profonde degli arti o di altre aree, spesso causata da una sottostante neoplasia

Trombosi da sforzo

Trombosi della vena succlavia, secondaria a trauma della vena a livello dello stretto toracico durante uno sforzo fisico inconsueto, con le braccia completamente abdotte

Flebite chimica

Danno intimale indotto dall'introduzione di cateteri o sostanze irritanti direttamente all'interno della vena

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

DERMATITE DA STASI Infiammazione persistente della cute degli arti inferiori, frequentemente associata a insufficienza venosa. (v. anche Vene varicose nel Cap. 212)

Sommario: Introduzione Terapia

L’eruzione è generalmente localizzata a livello delle caviglie con edema, eritema, lieve desquamazione e colorazione brunastra. Edema e varici venose sono frequenti. Data la relativa assenza di sintomi, questa patologia viene spesso trascurata, il che può determinare un peggioramento dell’edema, un’infezione batterica secondaria e un’eventuale ulcerazione. I depositi perivascolari di fibrina e gli anormali riflessi vasocostrittori dei piccoli vasi possono esserne la causa, ma non la stasi venosa di per sé.

Terapia Sono necessari sia un trattamento locale che l’utilizzo di collant a compressione o il sollevamento degli arti inferiori durante il riposo al fine di migliorare il ritorno venoso e prevenire l’edema tissutale. Comunque, se non si instaura un miglioramento della circolazione sanguigna, questi accorgimenti risultano relativamente inefficaci. La scelta della terapia topica dipende dallo stadio evolutivo della patologia. In caso di dermatite acuta da stasi, persistente e successivamente intermittente, è consigliabile l’applicazione di bendaggi umidi. In presenza di lesioni essudative, il miglior trattamento è quello con medicazioni idrocolloidali assorbenti. Per le dermatiti in fase meno acuta, si applica una crema o un unguento cortisonico tre volte al giorno, eventualmente incorporati in una pasta all’ossido di zinco. Per le lesioni ulcerative si adopereranno impacchi e blande medicazioni (p. es., pasta all’ossido di zinco), oppure varie medicazioni altrettanto efficaci (p. es., il DuoDerm). Le ulcere possono essere trattate ambulatorialmente con gambaletto medicato con pasta di Unna (gelatina di zinco), oppure con bende medicate con poca gelatina di zinco o con una delle nuove medicazioni colloidali, tutti presidi facilmente reperibili in commercio. Le medicazioni assorbenti di tipo colloidale (più costose) applicate sotto un supporto elastico, sono più efficaci dello stivaletto con pasta di Unna. Inizialmente può essere necessario cambiare la medicazione ogni 2 o 3 giorni ma, con la scomparsa dell’edema e la guarigione dell’ulcera, è file:///F|/sito/merck/sez10/1110855.html (1 of 2)02/09/2004 2.31.57

Dermatiti

sufficiente sostituirla 1 o 2 volte/sett. Una volta ottenuta la guarigione, va applicato un bendaggio elastico al mattino, prima che il paziente si alzi dal letto. In caso di cellulite è utile la somministrazione di antibiotici per via orale, mentre gli antibiotici topici sono meno usati e spesso causano dermatite da contatto. Una volta diminuiti l’edema e l’infiammazione, possono risultare utili degli innesti cutanei a tutto spessore. Non vanno utilizzati farmaci topici singoli o multipli o rimedi non prescritti. La cute affetta da dermatite da stasi è più vulnerabile all’aggressione diretta e potenzialmente sensibile a molti agenti topici (antibiotici, anestetici, veicoli presenti in preparati topici, soprattutto lanolina o simili).

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

VENE VARICOSE Vene superficiali lunghe, dilatate, tortuose (abitualmente a livello delle gambe), con valvole insufficienti che permettono un flusso retrogrado.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Complicanze Prognosi e terapia TELEANGIECTASIE CUTANEE

Vene delle gambe dotate di valvole sono le vene profonde che drenano il sangue proveniente dai sinusoidi venosi muscolari (specialmente del polpaccio) nelle vene poplitea e femorale; le vene perforanti, le cui valvole permettono il flusso solo dalle vene superficiali verso quelle profonde (eccetto che nel piede, dove accade il contrario); e le vene superficiali, che formano una rete sottocutanea che drena nelle vene profonde attraverso i vasi perforanti oppure nelle vene piccola e grande safena (che terminano rispettivamente nella poplitea e nella femorale). Il flusso venoso raggiunge la sua massima efficienza quando il muscolo contratto comprime i sinusoidi e le vene profonde, pompando di conseguenza il sangue verso il cuore; la direzione di flusso è controllata dalle valvole venose.

Eziologia Le varici sono associate con una disfunzione valvolare. È comune in tale condizione una familiarità. Alcuni esperti ritengono che l’insufficienza valvolare sia la causa delle vene varicose. È stato teorizzato che l’insufficienza valvolare in corrispondenza della giunzione safeno-femorale permette il reflusso nella vena safena, con conseguente insufficienza valvolare sequenziale dalla coscia fino al polpaccio. Su tale teoria si basa l’idea della legatura della grande safena a livello inguinale e della sua successiva rimozione mediante "stripping", con o senza la piccola safena. Se l’insufficienza valvolare fosse il fattore patogenetico determinante, non dovrebbero successivamente svilupparsi nuove varici. Una teoria alternativa in contrasto con la precedente è che una o più vene perforanti della regione inferiore della gamba siano interessate da un flusso ad alta pressione con un aumentato volume di sangue diretto dalle vene profonde a quelle superficiali durante la contrazione muscolare. Con il tempo le vene superficiali si dilatano, l’allontanamento delle cuspidi valvolari previene la loro

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Malattie vascolari periferiche

corretta apposizione e il flusso ematico nei segmenti affetti si inverte. A mano a mano che si sviluppa insufficienza valvolare in altre vene perforanti, si ha reflusso ematico in altre zone. La progressione di questo fenomeno lungo la grande safena causa un’insufficienza secondaria della giunzione safeno-femorale. Tale teoria spiega l’iniziale formazione delle vene varicose e il successivo sviluppo di sempre nuove varici nonostante la terapia, ma non spiega perché le vene usate come bypass arteriosi (esposte alla pressione arteriosa) non diventano varicose. Studi recenti suggeriscono che una debolezza intrinseca della parete venosa è la causa principale della distensione venosa con conseguenti varicosità (dilatazione idiopatica primitiva della parete venosa) e questo spiega la natura incurabile delle vene varicose. Altri fattori eziologici comprendono le fistole artero-venose congenite. Nella sindrome di Klippel-Trenaunay, si hanno fistole arterovenose congenite, angiomi capillari cutanei diffusi e vene varicose a livello delle gambe. L’aumento del flusso venoso peggiora le varicosità, ma non ne è la causa. Altri tipi di fistole artero-venose (p. es., di natura traumatica) possono essere causa di dilatazione venosa, ma le vene ritornano alla normalità quando le fistole vengono riparate, dando una prova ulteriore del fatto che le vene varicose non sono causate da flussi ad alta pressione, a meno che la parete venosa non sia intrinsecamente debole. Fattori secondari comprendono modificazioni ormonali durante le prime fasi della gravidanza o pressione sulle vene pelviche più avanti nella gravidanza e tumori addominali. La stazione eretta prolungata (p. es., in alcune occupazioni) peggiora le vene varicose, ma non ne costituisce la causa. Una pregressa tromboflebite profonda con ricanalizzazione venosa, che abbia provocato insufficienza dei dispositivi valvolari delle vene profonde, può causare un’insufficienza secondaria delle vene perforanti, con possibile sviluppo di vene varicose.

Sintomi e segni I sintomi possono essere rappresentati da dolenzia, facile affaticamento o senso di calore che regrediscono sollevando la gamba o indossando calze elastiche. I sintomi non sono necessariamente correlati alle dimensioni o al grado delle varicosità: un importante interessamento delle gambe da parte di vene varicose può non comportare sintomi, mentre piccole varicosità possono dare dolore. I sintomi tendono a peggiorare durante il ciclo mestruale. Inizialmente, le vene superficiali affette da varici possono essere tese e palpabili, ma non necessariamente visibili. Successivamente si dilatano e protrudono, al punto da diventare chiaramente individuabili anche per il paziente.

Diagnosi Le vene varicose vengono solitamente diagnosticate dal paziente stesso, sebbene la loro estensione sia generalmente superiore rispetto a quella rilevabile mediante la semplice ispezione e la si valuti accuratamente solo mediante palpazione con il paziente in ortostatismo. Nei pazienti sintomatici, devono essere escluse altre possibili cause: l’irritazione delle radici dei nervi lombari può causare dolenzia a livello del polpaccio. Occorre inoltre escludere un’osteoartrosi dell’anca o del ginocchio o patologie dei legamenti del ginocchio. Un’insufficienza arteriosa si può presentare con claudicatio intermittens o dolore a riposo (è tipico un dolore urente a livello del piede quando si sta a letto, dovuto a grave insufficienza) e con modificazioni trofiche della gamba e diminuzione o assenza di uno o più polsi, specialmente alla caviglia. Se i polsi sono presenti o il piede è caldo, va ricercata una diagnosi diversa per spiegare il dolore a riposo. Il dolore urente può essere dovuto a una neuropatia periferica alcolica o diabetica. La caratteristica probabilmente più significativa nell’anamnesi del dolore dovuto alle

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vene varicose è la sua remissione con il sollevamento degli arti. La prova di Trendelenburg può evidenziare un flusso di sangue retrogrado attraverso le valvole insufficienti della vena safena in posizione eretta. Essa può determinare se la giunzione safeno-femorale è insufficiente e se la deconnessione safeno- femorale (intervento di Trendelenburg) è appropriata. Un manicotto applicato alla regione superiore della coscia mentre il paziente rimane supino con le gambe sollevate deve impedire il reflusso nelle safene e nelle vene superficiali inferiori quando il paziente assume la posizione eretta. Può risultare difficoltoso posizionare il bracciale in maniera corretta, specialmente in caso di cosce voluminose. La vena grande safena viene palpata in corrispondenza della regione inguinale mentre il paziente mantiene la posizione eretta. È difficile riconoscere la vena normale (mediale rispetto alla pulsazione dell’arteria femorale, a circa un dito da essa) con la palpazione. Essa può essere più facilmente individuata se, con il paziente in posizione eretta, si palpa con una mano la regione inguinale, mentre le dita dell’altra mano comprimono fermamente le varicosità inferiori; un fremito palpabile nella regione inguinale identifica la vena grande safena. Il paziente assume quindi la posizione supina mentre l’esaminatore mantiene una o due dita sulla vena grande safena, esercitando una compressione minima, tale da non occluderla. Con la mano libera l’esaminatore solleva la gamba del paziente a circa 45° per far sì che la vena si svuoti. A questo punto si applica una netta pressione sulla regione inguinale per occludere la vena grande safena; mentre si continua a mantenere la pressione, il paziente deve restare in piedi. Se il reflusso dalla regione inguinale verso le vene inferiori non è significativo, le varicosità inferiori non saranno visibili per almeno 10-20 s, allorquando si riempiranno fisiologicamente, dal basso. Un rapido riempimento delle varicosità dopo la rimozione della compressione venosa indica un flusso retrogrado in corrispondenza della giunzione safeno-femorale. L’insufficienza della vena piccola safena può essere solitamente evidenziata mediante la palpazione di un vaso turgido in corrispondenza o al di sotto della fossa poplitea mentre il paziente mantiene la posizione eretta (la sede in cui la vena piccola safena penetra la fascia muscolare profonda e il punto in cui si congiunge col sistema profondo possono variare). La prova realizzata con manicotti multipli per determinare il sito di insufficienza dei vasi perforanti è raramente necessaria ed è inaccurata. L’ecografia Doppler può confermare la presenza o l’assenza di insufficienza venosa profonda nel caso in cui si osservino alterazioni patologiche (p. es., edema, importanti alterazioni della cute) a livello delle caviglie.

Complicanze Possono verificarsi indurimento del tessuto sottocutaneo e ulcerazioni. Sebbene possano essere presenti pigmentazione cutanea (dovuta al passaggio di GR attraverso le pareti venose per diapedesi) ed eczema, in assenza di insufficienza del sistema venoso profondo non si verifica edema. Le ulcere causate dalle vene varicose (e non dall’insufficienza venosa profonda) sono solitamente di piccole dimensioni, superficiali e molto dolenti per l’esposizione delle terminazioni nervose. Si possono osservare varicosità venose in corrispondenza dell’ulcera, senza soluzione di continuità con essa oppure nelle sue immediate vicinanze. Nelle aree di indurimento, pigmentazione o eczema, traumi di entità minima possono causare la formazione di ulcere. A differenza delle ulcere dovute alle vene varicose, quelle dovute all’insufficienza venosa profonda sono solitamente croniche e hanno maggiori dimensioni al momento in cui vengono individuate. La tromboflebite superficiale si presenta con dolore localizzato, indurimento, periflebite con discromia cutanea (colore rosso-bruno) e occasionalmente febbre; l’embolia polmonare si verifica raramente, a meno che non ci sia anche un coinvolgimento delle vene profonde (più probabile se il paziente è allettato). L’uso di bendaggi compressivi o di calze elastiche e la somministrazione di FANS solitamente alleviano i sintomi. Se questo trattamento non è efficace, la trombectomia locale superficiale in anestesia locale può dare un immediato file:///F|/sito/merck/sez16/2121927.html (3 of 5)02/09/2004 2.31.58

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sollievo e può permettere una completa efficienza fisica. Se è interessata un’area di piccole dimensioni, i sintomi scompariranno spontaneamente in pochi giorni, ma l’ispessimento cutaneo potrà persistere per qualche settimana. Dilatazioni aneurismatiche a pareti molto sottili, comuni nei soggetti anziani, possono andare incontro a rottura ed emorragia in seguito a traumi minimi, se la cute sovrastante è molto sottile. Le vene varicose possono associarsi a iperestesia e, nel caso di varici di vecchia data dovute a pregresse flebiti, si possono avere calcificazioni od ossificazioni sottocutanee.

Prognosi e terapia Le vene varicose sono incurabili, qualunque sia il metodo di trattamento. Vene che sembrano normali quando si inizia il trattamento possono in seguito diventare varicose, ma queste non costituiscono vere recidive. Il trattamento è principalmente diretto ad alleviare i sintomi e a risolvere le complicanze. I pazienti con varici asintomatiche spesso chiedono una terapia puramente estetica. Calze a compressione leggera sono utili e spesso adeguate per il controllo di varici di piccole dimensioni o poco sintomatiche. Calze elastiche più pesanti, sino al ginocchio o alla coscia, possono essere indicate nei pazienti con varici in stadio avanzato che preferiscono non essere sottoposti a una terapia attiva o per i quali questa è controindicata. Non sono indicati bendaggi elastici, in quanto i pazienti possono stringerli troppo, specialmente nella zona del polpaccio, producendo un effetto tipo laccio emostatico; del resto, anche se correttamente applicati, tali bendaggi perdono rapidamente elasticità e diventano inefficaci. La scleroterapia può trattare praticamente tutte le varici. In mani esperte, la scleroterapia con compressione e con adeguata cura post-intervento dà risultati eccellenti e non richiede l’ospedalizzazione. Il successo della terapia sclerosante implica l’obliterazione totale della vena mediante fibrosi. La vena va iniettata mantenendola il più possibile vuota di sangue durante e dopo l’iniezione, mediante una tecnica "a vena vuota". La migliore soluzione sclerosante è il tetradecil solfato sodico all’1%, per la sua capacità di danneggiare l’intima della vena. Dopo l’iniezione, mantenendo ancora sollevate le gambe del paziente e dopo aver sistemato appositi bendaggi di gomma in corrispondenza delle vene trattate per comprimerle e per mantenerne giustapposte le pareti, si applica un bendaggio compressivo dalla base delle dita fino al sito di iniezione più prossimale. Si mantiene il bendaggio per 3 sett. (raramente è necessario un periodo maggiore), mentre il paziente continua a svolgere le sue normali attività. È essenziale camminare il più possibile per attivare la pompa muscolare e promuovere il drenaggio venoso dagli arti inferiori. Una compressione adeguata a livello della regione più prossimale della coscia può risultare difficile a causa della sua anatomia e del pannicolo adiposo sottocutaneo. In questi casi, se si può dimostrare l’insufficienza safeno-femorale, la terapia sclerosante distale e la compressione vanno combinate con la deconnessione safeno-femorale secondo Trendelenburg, in anestesia locale. Tale intervento non richiede l’ospedalizzazione e il paziente resta attivo e in grado di camminare. Come nel caso della chirurgia, le varici isolate andranno incontro a recidiva e richiederanno nuovo trattamento. Se varici di nuova comparsa sono rilevate precocemente, è sufficiente una singola iniezione e può non essere necessaria la compressione. La terapia sclerosante ha scarse complicanze. Le reazioni allergiche sono rare. Se entrambe le gambe devono essere trattate, è preferibile aspettare qualche ora perché la soluzione iniettata sia eliminata dalla prima gamba prima di trattare l’altra. L’iniezione extravascolare può danneggiare la cute sovrastante, con successiva formazione di una cicatrice. La trombosi venosa profonda con embolia è rara. Se possibile, le donne devono evitare i contraccettivi orali per 12 sett. prima e dopo il trattamento, per il loro potenziale effetto trombogeno. I pazienti vanno avvisati della possibile comparsa di una pigmentazione brunastra della cute; essa di solito scompare nel tempo, sebbene possa anche diventare permanente. Le indicazioni comunemente riportate per la terapia chirurgica comprendono

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dolore, tromboflebiti ricorrenti, modificazioni cutanee o ragioni estetiche. Dal momento in cui sono state ideate le tecniche del bypass aorto-coronarico e dei bypass delle arterie periferiche, si cerca di preservare il più possibile le vene safene. I medici che ritengono che la chirurgia sia la terapia di scelta raccomandano di ricorrere alla rimozione delle vene safene solo se patologiche lungo il loro intero decorso, dalla caviglia fino alla regione inguinale. Chi è a favore della chirurgia estesa, in genere usa rimuovere la vena grande safena e talvolta la piccola e, mediante dissezione, il maggior numero possibile di varici tortuose e sacculari. Il paziente deve essere messo in guardia circa l’eventualità che le varici persistano, ma possono essere spesso trattate con terapia sclerosante.

TELEANGIECTASIE CUTANEE Piccole angiectasie intracutanee che non hanno conseguenze serie, sebbene possano risultare estese ed esteticamente sgradevoli. Sebbene esse siano di solito asintomatiche, alcuni pazienti descrivono bruciore o dolore e molte donne considerano esteticamente inaccettabili persino le teleangiectasie più piccole. Le teleangiectasie possono di solito essere eliminate mediante iniezione intracapillare di una soluzione allo 0,3% di tetradecil solfato sodico con un ago di piccolo calibro. È stato proposto anche l’uso di soluzione salina ipertonica al 23,4%, sebbene essa provochi localmente un dolore temporaneo intenso e possa quindi richiedere, nel caso in cui siano coinvolte aree estese, diverse sedute di terapia. Tuttavia, usando la soluzione salina, non c’è il rischio di reazioni allergiche. Occorre fare attenzione a non rompere i capillari sottili con conseguente ulcerazione per stravaso intracutaneo. Si può anche sviluppare una pigmentazione cutanea che però solitamente scompare, spesso completamente. I migliori risultati si ottengono trattando l’intero arto in occasione della prima seduta e mantenendo un bendaggio compressivo sulla gamba durante la deambulazione (v. Vene Varicose, oltre) per ≥ 3 sett. dopo il trattamento. Piccole teleangiectasie possono persistere o recidivare dopo il trattamento iniziale. I risultati migliori si ottengono con il successivo trattamento nelle sedi residue. Le ridotte dimensioni delle teleangiectasie residue non richiedono solitamente una nuova compressione.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

LINFEDEMA Accumulo eccessivo di liquido linfatico ed edema sottocutaneo causato dall’ostruzione, dalla distruzione o dalla ipoplasia dei vasi linfatici. Il linfedema può essere primario o secondario. Il linfedema primario può essere presente dalla nascita (linfedema congenito) o può insorgere durante la pubertà (linfedema precoce), mentre è meno frequente più avanti negli anni (linfedema tardivo). È più comune nelle donne. Il paziente riferisce edema del piede, della gamba o dell’intero arto. Il linfedema è spesso monolaterale e si aggrava durante la stagione calda, prima delle mestruazioni e dopo aver tenuto a lungo le gambe in posizione declive. Non si associa generalmente ad alcun fastidio; all’esame obiettivo, l’edema è diffuso, causa un gonfiore tipico sul dorso del piede o della mano, su cui solo parzialmente si forma la fovea da compressione. Non vi sono di solito modificazioni cutanee o segni di insufficienza venosa. Il linfedema secondario è spesso il risultato di un’infezione, soprattutto della dermatofitosi del piede. Nelle persone più anziane, può essere dovuto a neoplasie della regione pelvica o inguinale e può insorgere in seguito alla radioterapia. Il linfedema può complicarsi con un’infezione (linfangite), che si manifesta con brividi, febbre alta, stato settico e flogosi dell’arto coinvolto (edema, arrossamento e calore). Sulla cute possono comparire strie linfangitiche e i linfonodi inguinali sono generalmente aumentati di volume e dolenti. Tali caratteristiche sono utili nella diagnosi differenziale con la tromboflebite acuta. Un’altra causa è rappresentata dall’ostruzione delle vie linfatiche dopo terapia chirurgica o radiante. Quando il linfedema è dovuto a un’infezione, la risposta alla terapia antibiotica antistreptococcica è spesso rapida. L’edema viene trattato con il sollevamento o la compressione pneumatica dell’arto e mediante l’applicazione di un supporto elastico da indossare durante la deambulazione. Occasionalmente risultano utili i diuretici.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck 16. MALATTIE DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE 212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

LIPEDEMA Sindrome caratterizzata da gambe dolenti e con notevole accumulo di adipe. Le donne ne sono affette più frequentemente. Il paziente si lamenta per l’edema e la dolorabilità dei tessuti. L’ispezione mostra che la maggior parte del grasso corporeo è localizzato a livello delle anche, delle cosce e delle gambe. Sebbene i piedi siano risparmiati, il tessuto adiposo è spesso evidente fino alle caviglie. La dolorabilità è generalizzata e non è localizzata lungo il decorso dei vasi venosi. L’unica terapia consiste nell’evitare un ulteriore aumento di peso. Un paziente obeso può beneficiare della riduzione di peso; tuttavia, il tessuto adiposo patologico localizzato agli arti inferiori non è mobilizzabile e la perdita di peso si verifica a carico del tronco, delle braccia e del volto.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-2. SCALA DEL COMA SECONDO GLASGOW MODIFICATA PER LATTANTI E BAMBINI Criteri Apertura degli occhi

Risposta verbale

Risposta motoria **

Lattante

Bambino

Punteggio*

Spontanea

Spontanea

4

Agli stimoli verbali

Agli stimoli verbali

3

Solo per stimolazione dolorosa

Solo per stimolazione dolorosa

2

Nessuna risposta

Nessuna risposta

1

Mormora

Orientata, adeguata

5

È irritabile e piange

Confusa

4

Piange per il dolore

Con parole inappropriate

3

Si lamenta per il dolore Con parole incomprensibili o suoni non specifici

2

Nessuna risposta

Nessuna risposta

1

Movimenti spontanei e finalizzati

Obbedisce ai comandi

6

Ritira l’arto se toccato

Localizza lo stimolo doloroso

5

Ritira l’arto in risposta al dolore

Ritira l’arto in risposta al dolore

4

Postura decorticata in risposta al dolore (anormale flessione)

Flessione dell’arto in risposta al dolore

3

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Manuale Merck - Tabella

Postura decerebrata in Estensione dell’arto in risposta al dolore risposta al dolore (anormale estensione)

2

Nessuna risposta

1

Nessuna risposta

*Un punteggio ≤ 12 suggerisce un trauma cranico grave. Un punteggio 90%) e una normale eliminazione di CO2 (PaCO2=2040mmHg)

Ragazzi Due respiri (di 11,5s ciascuno) dopo ogni ciclo di 5 compressioni alla frequ enza di 80100/min, con una frequenza respiratoria risultante di circa 30-40 respiri/min

Due respiri (di 11,5s ciascuno) dopo ogni ciclo di 5 compressioni alla fre quenza di 80-100/min, con una frequenza respiratoria risultante di circa 30-40 respiri/min

Respiri meno profondi che per gli adulti

Bambini Due respiri (di 11,5s ciascuno) dopo ogni ciclo di 5 compressioni alla frequenza di 100/ min, con una frequenza respiratoria risultante di circa 40 respiri/ min

Due respiri (di 11,5s ciascuno) dopo ogni ciclo di 5 compressioni alla frequenza di 100/min, con una frequenza respiratoria risultante di circa 40 respiri/min

Solo piccole espirazioni

Adulti

Due respiri (di 11,5s ciascuno) dopo ogni ciclo di 15 compressioni alla fre quenza di 80-100/min, con una frequenza respiratoria risultante di circa 12-15 respiri/min

Due soccorritori

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Reazioni e lesioni causate da radiazioni

Manuale Merck 20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI 278. REAZIONI E LESIONI CAUSATE DA RADIAZIONI Danni acuti, ritardati o cronici dei tessuti prodotti dall’esposizione a radiazioni ionizzanti.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi e prognosi Profilassi Terapia

Le radiazioni ionizzanti (p. es., raggi x, neutroni, protoni, particelle α o β, raggi γ) possono provocare un danno tissutale in maniera diretta o, tramite reazioni secondarie, indiretta. Alte dosi di radiazioni possono provocare effetti somatici, osservabili nell’arco di qualche giorno. Negli anni successivi, le mutazioni verificatesi a livello del DNA, per esposizioni a basse dosi, possono provocare patologie croniche nei soggetti esposti o difetti genetici nella loro progenie. La valutazione dei rapporti tra il livello di lesioni provocate e la morte o la sopravvivenza di una singola cellula è complessa. Le fonti di radiazioni ionizzanti nocive comprendono i raggi x a elevata energia, utilizzati in campo diagnostico e terapeutico, il radio e altri composti radioattivi presenti in natura (p. es., il radon), i reattori nucleari, i ciclotroni, gli acceleratori lineari, i sincrotroni a gradiente alternato, le sorgenti sigillate di cobalto e cesio per la terapia del cancro e numerosi altri composti radioattivi, prodotti artificialmente, utilizzati in campo medico e industriale. Si sono verificate fuoriuscite accidentali di notevoli quantità di radiazioni da reattori nucleari, come nel caso dei tristemente noti incidenti di Three Mile Island in Pennsylvania (USA) nel 1979 e di Chernobyl in Ucraina nel 1986. Quest’ultimo disastro ha provocato più di 30 morti oltre a numerosi danni da radiazioni; in quasi tutta l’Europa orientale e in parte dell’Europa occidentale, dell’Asia e degli USA, sono stati rilevati livelli di radioattività significativamente elevati. Le unità di misura comunemente usate sono il roentgen, il gray e il sievert. Il roengten (R) è la quantità di radiazioni ionizzanti x o γ presenti nell’atmosfera. Il gray (Gy) è la quantità di energia assorbita per unità di massa da un tessuto o da una sostanza e viene usato come unità di misura per tutti i tipi di radiazione. Il R e il centigray (cGy) sono praticamente equivalenti. Il sievert (Sv) equivale al Gy corretto in funzione di un fattore di qualità, in modo da tenere conto dell’effetto biologico, il suo utilizzo è dovuto al fatto che radiazioni di diverso tipo inducono effetti biologici differenti, a seconda della quantità di energia somministrata; p. es., i neutroni hanno l’effetto biologico più elevato. Per le radiazioni x e γ il Sv equivale al Gy. Il rad e il rem sono stati sostituiti dal Gy e dal Sv (Gy = 100 rad; Sv = 100 rem) nella nomenclatura attuale. Le radiazioni sono comunemente definite di basso livello (da 0,2 a 0,3 Gy) o di alto livello (> 0,3 Gy). Le dosi impiegate in campo medico sono di solito < 0,05 Gy e spesso < 0,01 Gy. I bassi livelli della radioattività di fondo della terra e dell’atmosfera terrestre non determinano effetti rilevabili (v. Tab. 278-1). Gli effetti somatici o genetici sono in funzione di numerosi fattori, tra i quali la

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Reazioni e lesioni causate da radiazioni

dose totale e il rateo di dose (dose/unità di tempo). La probabilità che si verifichino effetti misurabili aumenta all’aumentare della dose totale o del rateo di dose. Mentre una singola dose di diversi Gy può produrre un effetto osservabile, la stessa dose impartita nell’arco di settimane o mesi può essere tollerata con effetti acuti appena misurabili. Gli effetti delle radiazioni dipendono inoltre dall’estensione della superficie corporea esposta. L’intero corpo umano può probabilmente assorbire una singola dose fino a 2 Gy, senza effetti letali; tuttavia, man mano che la dose al corpo intero si avvicina a 4,5 Gy, la percentuale di mortalità si avvicina al 50% (dose letale [DL]50), mentre una dose al corpo intero > 6 Gy, impartita in un tempo molto breve, è quasi certamente fatale. Al contrario, possono essere tollerate decine di Gy quando impartite nell’arco di un lungo periodo di tempo su di una limitata superficie tissutale (p. es., nella terapia oncologica). È importante anche la distribuzione della dose all’interno del corpo. Generalmente, quanto più rapido è il turnover delle cellule, tanto maggiore è la loro sensibilità alle radiazioni. Gli elementi cellulari più sensibili sono i linfociti seguiti, in ordine decrescente, da: i gameti, le cellule staminali del midollo osseo, le cellule dell’epitelio intestinale, l’epidermide, gli epatociti, l’epitelio alveolare e dei dotti biliari, le cellule epiteliali renali, le cellule endoteliali (pleura e peritoneo), le cellule nervose, gli osteociti e le cellule muscolari e connettivali. In corso di terapia radiante, le aree vulnerabili (p. es., l’intestino, il midollo osseo) vengono schermate, allo scopo di somministrare dosi elevate al corpo intero, che altrimenti sarebbero fatali.

Fisiopatologia La necrosi cellulare avviene a dosi sufficientemente alte. Dosi elevate, ma non letali, provocano disturbi della proliferazione cellulare: la percentuale delle mitosi diminuisce e viene rallentata la sintesi del DNA, le cellule divengono poliploidi. Nei tessuti che normalmente sono sottoposti a rinnovamento continuo (p. es., la mucosa enterica, il midollo, le gonadi), le radiazioni provocano una progressiva ipoplasia dose-dipendente, un’atrofia e infine una fibrosi. Alcune cellule lese, ma ancora capaci di mitosi, possono passare attraverso uno o due cicli rigenerativi producendo, prima di morire, una progenie abnorme (p. es., metamielociti giganti, neutrofili ipersegmentati). Gli effetti somatici e genetici di dosi < 100 mGy sono stimati, di solito, attraverso estrapolazioni lineari di studi riguardanti dosi più elevate, perché sono tuttora scarsi i dati oggettivi disponibili riguardanti gli effetti di dosi molto basse. Alcuni ricercatori sostengono l’esistenza di un effetto soglia, che non è stato ancora del tutto compreso. Sono stati riportati studi in cui animali, sottoposti a livelli estremamente bassi di radiazioni aggiuntive, presentavano una sopravvivenza maggiore rispetto ad animali esposti alla sola radiazione naturale di fondo.

Sintomi e segni Sindromi da irradiazione acuta: si dividono in cerebrali, gastrointestinali ed ematopoietiche, a seconda della dose, del rateo, dell’area del corpo interessata e del tempo decorso dall’esposizione. La sindrome cerebrale, prodotta da dosi di radiazioni al corpo intero estremamente alte (> 30 Gy), è sempre fatale. Consiste in tre fasi: un periodo prodromico di nausea e vomito; svogliatezza e sonnolenza, che va dall’apatia alla prostrazione (probabilmente dovute a un focolaio infiammatorio cerebrale non batterico o agli effetti di sostanze tossiche prodotte dalle radiazioni); tremori, convulsioni, atassia e morte nello spazio di alcune ore o di pochi giorni. La sindrome GI, indotta da dosi al corpo intero 4 Gy, è caratterizzata da nausea file:///F|/sito/merck/sez20/2782612.html (2 of 6)02/09/2004 2.33.48

Reazioni e lesioni causate da radiazioni

intrattabile, vomito e diarrea, che portano a grave disidratazione, diminuzione del volume plasmatico e collasso vascolare. Tale sindrome è il risultato della necrosi tissutale ed è perpetuata dalla progressiva atrofia della mucosa; può inoltre sopravvenire una batteriemia, conseguente alla necrosi intestinale. Alla fine i villi intestinali sono privi di rivestimento epiteliale e si verificano perdite massive di plasma all’interno dell’intestino. Le cellule epiteliali GI possono rigenerare dopo 46 giorni se si interviene con una reintegrazione massiva di plasma; gli antibiotici possono mantenere in vita i pazienti durante questo periodo. Tuttavia, nell’arco di 2 o 3 sett. si instaura un’insufficienza ematopoietica che è generalmente fatale. La sindrome ematopoietica, provocata da dosi al corpo intero da 2 a 10 Gy, inizialmente provoca anoressia, apatia, nausea e vomito. Questi sintomi raggiungono la massima intensità in 6-12 h, scomparendo completamente 2436 h dopo l’esposizione; tuttavia, durante questo periodo di relativo benessere, i linfonodi, la milza e il midollo osseo cominciano ad atrofizzarsi fino a un quadro di pancitopenia. L’atrofia è il risultato della distruzione diretta di cellule radiosensibili e dell’inibizione della produzione di nuove. Nel sangue periferico, la linfopenia si sviluppa immediatamente raggiungendo il suo valore massimo entro 24-36 h, mentre la neutropenia si sviluppa più lentamente; entro 3 o 4 sett. anche la piastrinopenia diviene evidente. Nella sindrome ematopoietica, aumenta la suscettibilità alle infezioni (sia da saprofiti che da patogeni), le cui cause sono da ricercare in una diminuzione dose-dipendente di granulociti e linfociti circolanti, un danno dose-dipendente nella produzione di Ac, un’alterazione della migrazione dei granulociti e della fagocitosi, una diminuita capacità da parte del sistema reticolo- endoteliale di sopprimere i batteri fagocitati, una diminuita resistenza alla diffusione batterica nei tessuti sottocutanei e lo sviluppo di aree emorragiche a livello della cute e dell’intestino (causate principalmente dalla trombocitopenia), che favoriscono la penetrazione e la crescita di batteri. Malattia da irradiazione acuta: questa sindrome si verifica in una piccola percentuale di pazienti sottoposti a terapia radiante (particolarmente a livello dell’addome). La causa non è ancora stata compresa. Generalmente compaiono nausea, vomito, diarrea, anoressia, cefalea, malessere e tachicardia di varia gravità che si attenuano nel giro di poche ore o giorni. Effetti tardivi a medio termine: esposizioni prolungate o ripetute a basso rateo di dose, da sorgenti impiantate all’interno del corpo o da fonti esterne di radiazioni, possono provocare amenorrea e diminuzione della libido nelle donne, diminuita fertilità, anemia, leucopenia, trombocitopenia e cataratte in entrambi i sessi. Dosi più elevate o un’esposizione strettamente localizzata causano perdita dei capelli, atrofia e ulcerazioni della cute, cheratosi e teleangectasia. Si possono infine sviluppare carcinomi a cellule squamose. Può comparire un osteosarcoma alcuni anni dopo l’ingestione di radionuclidi che si accumulano nell’osso (p. es., sali di radio). Una terapia radiante prolungata, per il trattamento dei tumori, può causare occasionalmente gravi lesioni a carico degli organi sottoposti a tale terapia. Si può osservare una riduzione del tasso di filtrazione glomerulare (GFR) e della funzione tubulare renale se vengono irradiati i reni. Dosi estremamente elevate possono condurre alla comparsa di manifestazioni cliniche a insorgenza acuta (p. es., proteinuria, insufficienza renale di vario grado, anemia, ipertensione) dopo un periodo di latenza compreso tra 6 mesi e 1 anno. Quando l’esposizione cumulativa del rene è > 20 Gy in un tempo < 5 sett., si sviluppano una fibrosi da radiazione e un’insufficienza renale oligurica in circa il 37% dei pazienti, mentre nei rimanenti, si possono sviluppare alterazioni diverse nel corso di un prolungato periodo di tempo. Dosi notevoli accumulate nei muscoli potranno portare a dolorose miopatie con atrofia e calcificazione. Molto raramente, si verificano successive evoluzioni neoplastiche (p. es., un sarcoma). A seguito di una terapia radiante, per il trattamento del carcinoma polmonare, si può sviluppare una grave polmonite da radiazioni e una conseguente fibrosi, che può essere fatale se si raggiunge una dose cumulativa > 30 Gy senza distribuire il trattamento in un arco di tempo sufficientemente lungo. Una radioterapia prolungata a carico del mediastino può condurre allo sviluppo di pericardite e miocardite da radiazioni. Si può sviluppare una mielopatia con conseguenze catastrofiche dopo una dose

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Reazioni e lesioni causate da radiazioni

cumulativa > 50 Gy su un segmento di midollo spinale. Comunque, questo tipo di rischio può essere ridotto limitando il rateo di dose a 2 Gy/die. Se però il rateo è pari a 8 Gy/die, in quel caso osserveremo la comparsa di una mielopatia anche quando si raggiungano dosi cumulative pari a 16 Gy (dopo 2 giorni di trattamento). Successivamente a prolungata radioterapia dei linfonodi addominali (p. es., per seminoma, linfoma o carcinoma ovarico), si possono sviluppare ulcerazioni croniche, fibrosi e perforazioni intestinali. L’utilizzo di fotoni ad alta energia (che penetrano in profondità nei tessuti), in unità di cobalto-60 e acceleratori lineari, ha praticamente eliminato l’eritema cutaneo e le ulcerazioni che comparivano quando veniva ancora utilizzata la terapia con raggi x ortovoltaici. Effetti somatici e genetici tardivi: l’irradiazione delle cellule somatiche può portare a patologie, quali neoplasie (p. es., leucemia, tumore della tiroide, della cute o delle ossa), cataratte o, come suggerito da modelli animali, in un accorciamento aspecifico della vita. Il tumore della tiroide può insorgere 2030 anni dopo irradiazione con raggi x per il trattamento dell’ipertrofia adenoidea e tonsillare. Le radiazioni rilasciate esternamente sembrano avere un effetto biologico maggiore del radioiodio. L’irradiazione delle cellule germinali colpisce i geni, aumentando le mutazioni. La procreazione favorisce il perpetuarsi delle mutazioni, comportando un aumento del numero di difetti genetici nelle generazioni successive. La probabilità che si evidenzi un effetto genetico o somatico a lungo termine, che compaia in un dato individuo per esposizione a radiazioni, è valutata in circa 10-2/Gy.

Diagnosi e prognosi In presenza di sindrome cerebrale o GI, la diagnosi è semplice, ma la prognosi è grave, nel caso della sindrome cerebrale la morte compare nell’arco di ore o di pochi giorni, mentre in caso di sindrome GI generalmente in 3-10 giorni. Nella sindrome ematopoietica, la morte può avvenire in un lasso di tempo tra 850 giorni, nel giro di 2-4 sett. se subentra un’infezione o in 3-6 sett. se sopravviene un’emorragia massiva. La disfunzione GI o quella ematopoietica risultano fatali se la dose acuta al corpo intero è > 6 Gy, ma se è < 6 Gy, è possibile la sopravvivenza ed è inversamente correlata alla dose totale. La diagnosi è ovvia nelle persone trattate con radioterapia o esposte a radiazioni durante un incidente. La prognosi dipende dalla dose, dal rateo di dose e dalla sua distribuzione nel corpo. Sono necessari esami periodici ematologici e del midollo osseo per valutare la gravità del danno a livello midollare e per ottenere maggiori informazioni riguardanti la prognosi. Nei danni cronici da radiazioni, in cui l’esposizione esterna è sconosciuta o di basso livello, la diagnosi può essere difficile o impossibile. Devono essere ricercate eventuali esposizioni occupazionali. In Italia l’uso delle radiazioni e la protezione dei lavoratori sono regolate dal D. Lgs. n°230 del 17/03/95 e dalla normativa seguente. La sorveglianza fisica è l’insieme dei dispositivi adottati, delle valutazioni delle misure e degli esami effettuati, delle indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati dall’Esperto Qualificato, al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione. La sorveglianza sanitaria è l’insieme delle visite mediche, delle indagini specialistiche e di laboratorio, dei provvedimenti sanitari adottati dal Medico Autorizzato, al fine di garantire la protezione sanitaria dei lavoratori esposti (n.d.t.). Possono essere compiute analisi genetiche periodiche per individuare tipi e frequenza di anomalie cromosomiche, che si verificano con maggiore probabilità dopo esposizioni significative, pur potendo essere preesistenti o indotte da altre cause. Se gli occhi sono esposti abitualmente a radiazioni, specialmente ai neutroni, è corretto eseguire esami periodici per controllare l’eventuale comparsa di cataratte. I pazienti esposti possono essere monitorati utilizzando sonde portatili, che misurano la presenza di radiazione nelle varie parti del corpo, oppure sofisticate apparecchiature che misurano la dose al corpo intero. L’urina deve

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Reazioni e lesioni causate da radiazioni

essere analizzata per la ricerca di radionuclidi che emettono radiazioni non-γ, se si sospetta l’esposizione a questi agenti. Le analisi del radon nell’aria espirata possono essere eseguite se si sospetta ingestione di radio. In caso di presunta esposizione a radiazioni, è impossibile formulare una diagnosi certa, a meno che il soggetto non sia stato sottoposto a irradiazione esterna o interna documentata. Se i valori ematologici sono normali e non si evidenzia alcuna malattia clinica oggettiva, si possono tranquillizzare il paziente e gli altri interessati.

Profilassi Molti farmaci e sostanze chimiche (p. es., i composti sulfidrilici) aumentano la sopravvivenza negli animali, se somministrati prima dell’irradiazione, tuttavia, nessuna di queste sostanze ha validità pratica negli uomini. L’unico modo per ridurre al minimo le sovraesposizioni gravi o fatali è rafforzare rigorosamente le misure di protezione e rispettare i livelli di dose massima ammissibile. Tali livelli sono stabiliti dalla U.S. Nuclear Regulatory Commission, Code of Federal Regulations-Energy, Parte 20, Titolo 10 (10CFR20), livelli standard per la protezione da radiazioni, pubblicati dall’Office of the Federal Register, U.S. Government Printing Office Superintendent of Documents, Washington, DC 20452 (in Italia, dal D. Lgs. n°230 del 17/03/95, n.d.t.).

Terapia I materiali radioattivi che vengano a contaminare la pelle devono essere rimossi immediatamente con abbondanti lavaggi di acqua e speciali soluzioni chelanti contenenti acido etilendiaminotetracetico (EDTA p. es., Radiac Wash), quando disponibili. Lesioni di piccole dimensioni devono essere invece deterse energicamente, utilizzando l’irrigazione e lo sbrigliamento, finché la ferita non si presenti priva di radioattività. Il materiale radioattivo ingerito deve essere rimosso prontamente attraverso l’induzione di vomito oppure mediante lavanda gastrica, se l’esposizione è recente. Se è stato inalato o ingerito iodio radioattivo in grandi quantità, si deve somministrare una soluzione di Lugol (iodio forte) o soluzioni sature di ioduro di potassio, per un periodo variabile da alcuni giorni a qualche settimana, per bloccare la captazione della tiroide ed è inoltre necessario stimolare la diuresi. Nei pazienti allergici allo iodio non si deve mai somministrare la soluzione di Lugol. Dal momento che la sindrome cerebrale acuta ha un esito infausto, il trattamento è unicamente di tipo palliativo e mira al controllo dello shock e dell’anossia, ad alleviare il dolore e l’ansia e al controllo degli stati convulsivi mediante la somministrazione di sedativi. Nella sindrome GI, se l’esposizione è stata modesta, può essere sufficiente somministrare antiemetici, sedativi e antibiotici. Se è possibile alimentare il paziente per via orale, sarà meglio iniziare con una dieta blanda, in quanto meglio tollerata. Può essere necessario somministrare enormi quantità di liquidi, elettroliti e plasma, che verranno stabilite dai risultati degli esami ematochimici (specialmente elettroliti e proteine), dalla PA, dalla frequenza del polso, dal ricambio idrico e dal turgore della pelle. Per quanto concerne la sindrome ematopoietica, caratterizzata da infezioni potenzialmente letali, emorragia e anemia, il trattamento è simile alla terapia dell’ipoplasia midollare e della pancitopenia, indipendentemente dalla causa (v. Anemia aplastica nel Cap. 127). Gli antibiotici, le trasfusioni di sangue e di piastrine rappresentano i principali ausili terapeutici. L’asepsi deve essere mantenuta durante tutte le fasi delle terapie iniettive e il paziente deve essere tenuto in stretto isolamento, per prevenire l’esposizione a microrganismi patogeni.

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Reazioni e lesioni causate da radiazioni

Deve essere evitato l’uso contemporaneo di chemioterapia antineoplastica o di farmaci mielosoppressori, perché il midollo osseo potrebbe andare incontro a un ulteriore processo di soppressione, a meno che tali terapie non siano indispensabili per la presenza di una malattia preesistente o di improvvise complicanze. Se un soggetto è stato sottoposto a una dose > 2 Gy, va eseguita una tipizzazione tissutale e ricercato un donatore compatibile di midollo osseo. Un trapianto midollare tra gemelli omozigoti aumenta la probabilità di sopravvivenza. Se i granulociti e le piastrine diminuiscono rispettivamente al di sotto dei 500/µl e dei 20000/µl, va presa in considerazione l’opportunità di eseguire un omotrapianto di midollo, sebbene la possibilità di successo sia bassa e il trapianto possa essere seguito dalla reazione immunologica del trapianto contro l’ospite, potenzialmente fatale (v. Trapianto di midollo osseo nel Cap. 149). I sintomi della malattia da radiazioni, dovuta a radioterapia in sede addominale, possono essere mitigati con la somministrazione di un antiemetico (p. es., proclorperazina 5-10 mg PO o IM qid) e possono essere prevenuti con la somministrazione anticipata del farmaco. L’ondansetron e il granisetron, utilizzati nel trattamento dei sintomi causati dalla chemioterapia, possono essere utili nella malattia da radiazioni, ma presentano dei costi molto più elevati. Il radioterapista e il medico devono collaborare strettamente, ponendo attenzione alla nutrizione e al bilancio dei liquidi e un’attenta pianificazione della cura per tutta la sua durata (p. es., la dose, l’intervallo di tempo fra i trattamenti, la terapia di sostegno) può prevenire la maggior parte delle complicanze. Il primo passo da compiere, in caso di esposizioni croniche gravi, è l’allontanamento del paziente dalla sorgente di radiazioni. Se il radio, il torio o lo stronzio radioattivi si depositano nel corpo, si potrà aumentarne l’escrezione con una pronta somministrazione orale e parenterale di farmaci chelanti (p. es., EDTA), tuttavia, negli ultimi stadi, questi agenti non sono di alcuna utilità. Ulcere e tumori, conseguenti a esposizione a radiazioni, richiedono l’asportazione chirurgica e la riparazione per mezzo della chirurgia plastica. Una leucemia indotta da radiazioni deve essere trattata come ogni altra leucemia spontanea; la trasfusione di sangue intero può correggere l’anemia e quella di piastrine può ridurre il sanguinamento da trombocitopenia, tuttavia, l’efficacia di queste misure è soltanto temporanea, poiché è scarsa la probabilità che un midollo osseo ampiamente danneggiato si rigeneri. Non è disponibile alcun trattamento efficace per la sterilità o per le disfunzioni ovariche o testicolari, tranne che le integrazioni ormonali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 278-1. TASSI ANNUALI DI IRRADIAZIONE (DOSE-EQUIVALENTE) NEGLI USA Sorgente

Media (mSv/ anno)

Percentuale del totale

Fondo naturale (cosmico, ter restre, interno)

0,82

44,6

Radiazioni med iche Raggix

0,77

41,8

Radiofarmaci

0,14

7,6

Ricaduta nucleare 0,040,05 (esperimenti nucleari)

2,4

Industria nucleare

90%. L'O2 è solitamente sommistrato mediante cannule nasali. Per molti pazienti, l'O2 deve essere continuato fino a 8 h dopo la procedura. La lidocaina per via topica (nebulizzata o aerosolizzata) o il blocco del nervo laringeo superiore vengono utilizzati per anestetizzare il laringe e le corde vocali. Il broncoscopio flessibile viene introdotto attraverso la narice, lubrificata con gelatina di lidocaina al 2% o attraverso la bocca utilizzando un boccaglio. Dopo aver ispezionato il rinofaringe e il laringe, lo strumento è fatto passare attraverso le corde vocali durante un'inspirazione. Altra lidocaina viene instillata nel canale del broncoscopio secondo necessità durante la manovra, cercando di limitare la dose massima a 300 mg. Le procedure accessorie sono svolte, se necessarie, con o senza la guida fluoroscopica. Dopo la broncoscopia, il paziente rimane sotto attenta osservazione per un minimo di 4 h, il tempo complessivo dipende dalle procedure accessorie eseguite. Se si eseguono biopsie polmonari transbronchiali, il paziente viene controllato sotto il fluoroscopio per escludere il pneumotorace prima di lasciare la sala di broncoscopia. Tutti i pazienti devono fare una rx del torace antero-posteriore e laterale in posizione eretta 2-4 h dopo la broncoscopia. Il paziente deve rimanere digiuno per 4 h dopo la broncoscopia o finché non sia ritornata la sensibilità normale nel rinofaringe e durante la deglutizione. Le complicanze comprendono morbilità in 8-15 e morte in 1-4 pazienti ogni 10000. I pazienti a maggiore rischio sono gli anziani e i pazienti affetti da grave COPD, malattia coronarica, polmoniti con ipossiemia, neoplasie avanzate o disfunzione mentale. Molte complicanze (quali depressione respiratoria e, raramente, tossicità a livello del SNC o crisi epilettiche dovute all'assorbimento di lidocaina) sono correlate all'uso dei sedativi o degli anestetici. Altre complicanze sono il pneumotorace (nel 5% dei casi, con quote più alte dopo biopsia transbronchiale), l'emorragia (rara, a meno che non venga eseguita una biopsia); le aritmie cardiache (battiti atriali prematuri nel 32% e battiti ventricolari prematuri nel 20%); la febbre post-broncoscopia (16%), con polmonite raramente e senza batteriemia; il broncospasmo (che è insolito a meno che il paziente non sia affetto da asma mal controllato) e, raramente, il laringospasmo. Tecniche accessorie: i lavaggi con soluzione fisiologica e l'aspirazione di secrezioni possono essere usati per l'esame citologico senza rischi aggiuntivi. La biopsia bronchiale con spazzolamento e il raschiamento di alterazioni delle mucose aumenta l'efficacia dell'analisi citologica, con rischi minimi tranne che nei pazienti uremici. Per le infezioni polmonari batteriche, sensibilità e specificità sono alte solo quando i campioni vengono trattati con metodi di coltura quantitativa. La biopsia endobronchiale con pinza è la procedura da preferire per ottenere dei campioni da masse endobronchiali. Il rischio aggiuntivo è trascurabile, a meno che il paziente non abbia una coagulopatia. Il lavaggio broncoalveolare (BAL) equivale a una "biopsia liquida" delle vie aeree distali e degli alveoli. La punta del broncoscopio è incuneata in un bronco di 3a o 4a generazione; della soluzione salina sterile è infusa, poi riaspirata, raccogliendo così le cellule, le proteine e i microrganismi. Il liquido surnatante e gli ammassi cellulari ottenuti con questa manovra sono utili per la diagnosi delle patologie neoplastiche, delle infezioni (specie nei soggetti immunodepressi) e delle patologie polmonari interstiziali. La resa è molto elevata e i rischi sono minimi. (Nota: questa procedura non è uguale alla terapia di lavaggio con grandi quantità di liquido del polmone intero per la proteinosi alveolare polmonare, v. Cap. 79.) La biopsia transbronchiale polmonare, eseguita con pinze attraverso un broncoscopio flessibile, fornisce piccoli campioni di tessuto alveolare e di altri tessuti al di fuori delle vie respiratorie. È prevalentemente impiegata nei pazienti con infezioni polmonari, interstiziopatie polmonari diffuse, carcinomatosi linfangitiche o masse polmonari periferiche non diagnosticate di diametro > 2 cm e in soggetti immunocompromessi con infiltrati, febbre e turbe degli scambi

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Indagini speciali

gassosi. Può essere eseguita senza fluoroscopia, ma l'uso della fluoroscopia può ridurre il rischio di pneumotorace. Benché aumenti la mortalità a 12 ogni 10000 e la morbilità a 27 ogni 1000 pazienti, la biopsia transbronchiale ha una resa molto elevata così che spesso evita la toracotomia a cielo aperto, specie se combinata con il lavaggio bronchiale. Le controindicazioni maggiori comprendono i difetti della coagulazione non correggibili, l'ipertensione polmonare, l'instabilità cardiorespiratoria e la scarsa cooperazione del paziente. L'aspirazione sottomucosa e transbronchiale con ago fornisce materiale per l'esame citologico e colturale dalle neoplasie endobronchiali, dalle masse extrabronchiali e dai linfonodi sottocarenali, paratracheali e mediastinici. Non aggiunge nessun rischio significativo alla broncoscopia di base. Le complicanze sono principalmente correlate all'anestesia generale.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI AGOASPIRATO TORACICO PERCUTANEO Questa procedura è espletata per ottenere campioni citologici da lesioni polmonari e del mediastino, specialmente da noduli periferici intraparenchimali e della cavità pleurica. Meno di frequente si usa per ottenere strisci da aree infette del polmone per un esame batterioscopico e colturale per identificare specifici agenti patogeni. Una diagnosi di solito si ottiene in > 90% dei pazienti con tumori maligni e in > 85% con patologie benigne. Le controindicazioni comprendono la mancanza di cooperazione o la resistenza del paziente, l'instabilità cardiovascolare, il supporto ventilatorio, una pneumonectomia controlaterale, le sospette lesioni vascolari, una cisti idatidea, l'ipertensione venosa o arteriosa polmonare, la tosse non trattabile e i difetti della coagulazione. La malattia bollosa polmonare è una controindicazione relativa, specialmente se aree di polmone enfisematoso devono essere attraversate per raggiungere la lesione. La lesione da sottoporre a biopsia viene localizzata con la fluoroscopia biplanare, l'ecografia o la TC per guidare l'ago. Dopo aver preparato la pelle, viene iniettata lidocaina nella cute, nel tessuto sottocutaneo e nella pleura parietale. Un ago lungo, attaccato a una siringa riempita parzialmente con soluzione fisiologica, viene inserito nella lesione, sotto la guida delle immagini, mentre il paziente trattiene il respiro. Poi la lesione viene aspirata con o senza l'iniezione di 1 ml di soluzione fisiologica; vengono raccolti due o tre campioni per l'esame citologico e batteriologico. Dopo la procedura, si utilizzano la fluoroscopia e la rx del torace per escludere il pneumotorace e l'emorragia. Le complicanze comprendono l'emottisi, solitamente < 50 ml (nel 10-25% dei pazienti); il pneumotorace (nel 20-30%) e l'embolia gassosa (occasionalmente). La mortalità è < 1%. Una biopsia percutanea con ago tagliente di grosso calibro può essere eseguita per ottenere un frustolo di tessuto polmonare in caso di lesioni polmonari periferiche che obliterano lo spazio pleurico. In questa situazione, la procedura è sicura e ha un alto potere diagnostico. La biopsia polmonare percutanea con un ago trapanante viene eseguita raramente.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI MEDIASTINOTOMIA La mediastinotomia anteriore (procedura di Chamberlain) è l'ingresso chirurgico nel mediastino attraverso un incisione fatta attraverso il 2° spazio intercostale a sinistra adiacente allo sterno. Ciò permette un accesso diretto ai linfonodi della finestra aorto-polmonare, inaccessibili alla mediastinoscopia. I linfonodi della finestra aorto-polmonare sono un luogo di frequente metastatizzazione dei tumori del lobo superiore di sinistra. Le complicanze sono relative alla procedura chirurgica e comprendono il pneumotorace, le infezioni della ferita e, raramente, la lesione dei grandi vasi.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI TORACOTOMIA La toracotomia per la biopsia polmonare a cielo aperto con accesso al tessuto polmonare, alla pleura, all'ilo e al mediastino, rappresenta lo standard aureo diagnostico rispetto al quale tutte le altre tecniche vanno confrontate. Tuttavia, l'appropriato uso di altre procedure ha grandemente ridotto la necessità della toracotomia. La toracotomia è di maggiore aiuto per i pazienti con problemi polmonari focali o diffusi non diagnosticati, nei quali è verosimile che la diagnosi definitiva migliori il piano terapeutico. Viene usata in pazienti con problemi polmonari di eziologia ignota, quando una diagnosi non è stata ottenuta con l'uso di procedure meno invasive o quando altre metodiche sono più pericolose o probabilmente non in grado di fornire una diagnosi. Le controindicazioni consistono in uno stato sistemico (p. es., cardiopolmonare, nutrizionale, metabolico, renale) instabile, cioè nell'impossibilità di tollerare un intervento di chirurgia maggiore. Si utilizzano tre approcci di base. Tutti richiedono un'anestesia generale in una sala operatoria. Nelle toracotomie anteriori o laterali limitate, viene eseguita un'incisione intercostale di 6-8 cm; dopo insufflazione di un ampio volume corrente, il polmone fuoriesce attraverso l'incisione per essere sottoposto a biopsia. Quando questo approccio è utilizzato per la diagnosi delle pneumopatie interstiziali diffuse, di quelle periferiche localizzate e delle patologie infettive nei soggetti immunodepressi, la mortalità e la morbilità sono molto basse. I pazienti hanno bisogno del drenaggio intercostale per 24-48 h e spesso possono lasciare l'ospedale dopo 3-4 gg. La toracotomia estesa dà accesso alla pleura, all'ilo, al mediastino e all'intero polmone. Essa è molto utile quando si sospetta una neoplasia o quando sono necessari prelievi bioptici multipli in un polmone. La sternotomia mediana viene usata quando è necessario eseguire biopsie su lesioni polmonari bilaterali. Le complicanze sono maggiori di quelle di ogni altra procedura bioptica a causa del rischio dell'anestesia generale, del trauma chirurgico e dell'ospedalizzazione più lunga con maggiori problemi postoperatori. Emorragia, infezione, pneumotorace, fistola broncopleurica e reazioni agli anestetici rappresentano i rischi maggiori.

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Indagini speciali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI ASPIRAZIONE TRACHEALE Aspirazione della trachea e dei bronchi principali per rimuovere secrezioni e cellule. L'aspirazione tracheale è utilizzata più comunemente nei pazienti incapaci di liberare le vie aeree dalle secrezioni eccessive attraverso la tosse. Si esegue più facilmente e più spesso in pazienti con un tubo endotracheale o tracheostomico. Può essere comunque eseguita attraverso il naso o la bocca; più raramente si utilizza un approccio transtracheale. Le controindicazioni variano con l'approccio usato. L'edema laringeo controindica l'approccio translaringeo e la diatesi emorragica controindica l'approccio transtracheale. Indipendentemente dal tipo di approccio, queste procedure sono rischiose per i pazienti con aritmie cardiache, broncospasmo, ipossiemia o ipercapnia durante l'aspirazione. Con un approccio transorale o transnasale, si utilizza un catetere sterile monouso soffice e flessibile con un'apertura laterale prossimale, con un'aspirazione di 20-30 cm H2O di pressione negativa. Al catetere può essere collegato un raccoglitore se occorrono campioni per l'esame citologico e batteriologico. È necessario indossare i guanti e deve essere disponibile un piccolo recipiente con soluzione fisiologica sterile, per rimuovere le secrezioni che aderiscono al catetere. In generale, il flusso di O2 viene raddoppiato nei pazienti in O2-terapia e a quelli sotto ventilazione meccanica viene somministrato O2 al 100% prima dell'aspirazione. L'assistenza respiratoria con il pallone deve essere ripetuta prima di ogni aspirazione. Per l'approccio transnasale, il paziente deve stare eretto, piegato in avanti, con il collo leggermente esteso. L'operatore afferra la lingua con una garza e la tira in avanti e con l'altra mano fa avanzare lentamente il catetere attraverso le narici nella trachea durante l'inspirazione. L'aspirazione viene poi effettuata per 2-5 s in maniera intermittente. I bronchi possono essere aspirati girando la testa del paziente dal lato opposto al bronco principale da drenare mentre si introduce il catetere giù per la trachea. L'approccio transorale è più difficile e richiede un boccaglio o una cannula orofaringea. La testa del paziente va estesa completamente con il collo leggermente flesso. L'aspirazione tracheale mediante tubi nasotracheali, orotracheali o con tracheostomia richiede una meticolosa procedura asettica. Durante la somministrazione di O2 al 100%, appena prima dell'aspirazione, spesso vengono iniettati nel tubo alcuni millilitri di soluzione fisiologica sterile. Il catetere viene inserito per tutta la sua lunghezza; mentre viene tirato fuori lentamente, si applica l'aspirazione a intermittenza. Si aspira per prima la trachea, poi i bronchi principali di destra e di sinistra. L'aspirazione transtracheale percutanea può essere usata per ottenere dei campioni dalla trachea. Tale procedura è a volte indicata per identificare gli agenti patogeni microbici dal tratto respiratorio nei pazienti con infezioni gravi o potenzialmente letali. Per raggiungere sensibilità e specificità affidabili, essa deve combinarsi con tecniche di coltura batterica quantitativa. (Le aspirazioni da lobi o

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segmenti specifici per strisci, colture ed esami citologici possono essere meglio realizzate con un broncoscopio flessibile e le tecniche accessorie sopra esposte.) La pelle, il tessuto sottocutaneo e la membrana cricotiroidea vengono anestetizzati iniettando lidocaina, ma nessun anestetico o soluzione fisiologica viene immesso nella trachea. Un catetere armato viene inserito attraverso la membrana cricotirodea nella trachea; quindi si ritira l'ago, facendo attenzione a non recidere il catetere nella trachea. Le secrezioni delle vie aeree inferiori vengono aspirate attraverso un catetere con una siringa Luer-Lok da 30 ml. L'iniezione di soluzione salina per facilitare la raccolta dei campioni si rende raramente necessaria. Le complicanze comprendono il laringospasmo, il broncospasmo, l'arresto respiratorio, le aritmie cardiache o l'arresto cardiaco, l'erosione dell'epitelio respiratorio con sanguinamento e l'introduzione di infezioni. Con l'aspirazione transtracheale, possono verificarsi sanguinamenti (nel 10% dei pazienti), aria sottocutanea (nel 7%), embolia gassosa, lesione della parete posteriore, tosse incontrollabile, peggioramento degli scambi gassosi e ipotensione.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI DRENAGGIO POSTURALE Alcune posizioni specifiche del paziente ottimizzano l'uso del drenaggio gravitazionale delle secrezioni da lobi o segmenti di ciascun polmone. La posizione aiuta il paziente a evacuare le secrezioni raccolte, specie quando viene usata insieme a colpi di tosse tele-espiratori dopo un respiro profondo. Il drenaggio posturale comprende la vibropercussione, che utilizza delle percussioni sul torace con la mano forgiata a coppa e il polso sciolto oppure un vibratore meccanico, per allentare e mobilizzare le secrezioni ristagnanti che possono quindi essere espettorate o drenate. Diverse posizioni possono essere utilizzate durante un trattamento; la procedura è faticosa e il paziente raramente può tollerare > 2 o 3 trattamenti al giorno, ciascuno della durata _ 30-45 min. Il drenaggio posturale è indicato nelle macroatelettasie, dovute a ritenzione di secrezioni e di cellule; nell'incapacità prolungata a espettorare le secrezioni, spesso raccolte in un'anomalia strutturale (p. es., nelle bronchiettasie, nella fibrosi cistica o nell'ascesso polmonare); nelle infezioni acute in pazienti incapaci di espettorare a causa di limitati volumi espiratori forzati (p. es., nella COPD, nella fibrosi polmonare); quando la forza della tosse è ridotta (p. es., negli anziani; nei pazienti cachettici; nei pazienti con patologia neuromuscolare, dolore traumatico o postoperatorio o con tracheostomia). Le controindicazioni comprendono l'impossibilità di tollerare la posizione richiesta, l'incapacità di espettorare le secrezioni (in questo caso, la manovra produrrà ipossiemia), la terapia anticoagulante, le fratture della gabbia toracica o della colonna vertebrale, le emottisi massive recenti e l'osteoporosi avanzata.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI RIABILITAZIONE POLMONARE Benché gli esercizi di respirazione per il diaframma e per gli altri muscoli respiratori non migliorino la funzionalità polmonare, essi inducono un senso di benessere e migliorano la qualità della vita. Vengono impiegati nei programmi di riabilitazione e di rieducazione per pazienti sedentari affetti da COPD; l'ossigenoterapia è spesso utilizzata. Gli esercizi sono d'aiuto nel ricondizionamento e nello svezzamento dei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica per lungo tempo. Se eseguiti nel preoperatorio, riducono le complicanze respiratorie postoperatorie, specie nei pazienti con COPD in procinto di sottoporsi a un intervento cardiopolmonare o nell'addome superiore. In questi pazienti, spesso si integrano gli esercizi con l'istruzione all'uso di uno spirometro incentivatore per aiutarli a trattenere per un tempo prolungato respiri profondi nel periodo postoperatorio, al fine di ridurre le microatelettasie e la ritenzione di secrezioni. L'allenamento degli arti inferiori migliora la tolleranza allo sforzo, la percezione della dispnea e la qualità della vita nei pazienti con COPD. L'allenamento delle estremità superiori è anch'esso di beneficio. Un'allenamento specifico per la resistenza dei muscoli diaframmatici può aiutare i pazienti sotto ventilazione e un esercizio di tutto il corpo (p. es., camminare), calibrato sulle possibilità dell'individuo, è molto utile quando possibile. Un programma di esercizi può smascherare o accelerare altri problemi (p. es., l'angina o lo scompenso ventricolare sinistro) in pazienti con patologie croniche. Lo studio degli scambi gassosi sotto sforzo o il monitoraggio con un pulsossimetro, che permette di individuare quei pazienti che necessitano di ossigeno-terapia durante l'esercizio, devono essere eseguiti prima dell'avvio del programma riabilitativo.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 65. INDAGINI SPECIALI RESPIRAZIONE A LABBRA SOCCHIUSE Ai pazienti va insegnata la respirazione con labbra socchiuse praticando l'espirazione con le labbra chiuse parzialmente, come si fa per fischiare. Questa tecnica crea un sostegno pressorio all'interno delle vie aeree tracheobronchiali, evitando il collasso bronchiolare causato dalla perdita di trazione radiale e dalle alte pressioni intratoraciche. La tecnica prevede piccoli atti inspiratori e un'espirazione prolungata a labbra socchiuse. Una volta appresa, aiuta a controllare l'espirazione attraverso la prevenzione del collasso delle vie aeree. Anche se viene imparata a riposo, essa si può applicare anche durante l'esercizio fisico o un attacco di panico. La respirazione a labbra socchiuse è indicata nei pazienti con COPD avanzata i quali iperdistendono i polmoni durante attacchi di broncospasmo o di panico o durante esercizio fisico e, come strumento aggiuntivo, per i pazienti sottoposti a programmi di riabilitazione o di allenamento dei muscoli respiratori. Non vi è alcuna controindicazione.

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 68. MALATTIE OSTRUTTIVE CRONICHE DELLE VIE AEREE Malattie polmonari dovute a un'ostruzione cronica delle vie aeree funzionalmente accertata, indipendentemente dall'eziologia. In queste patologie, l'ostruzione al flusso aereo può essere cronica e persistente o episodica e ricorrente. L'ostruzione del flusso aereo è solitamente accertata con la spirometria espiratoria forzata, la registrazione del volume espirato nel tempo durante un'espirazione forzata massimale (v. Cap. 64). Normalmente, un'espirazione forzata completa dura tra i 3 e i 4 s, ma quando il flusso aereo è ostacolato, può durare fino a 15 o anche 20 s e può essere limitata dal tempo di apnea. Il normale volume espiratorio forzato nel primo secondo dell'espirazione (FEV1) è facilmente misurabile e accuratamente predetto in funzione dell'età, del sesso e dell'altezza. Il rapporto tra FEV1 e la capacità vitale forzata (FEV1/FVC) normalmente supera lo 0,75. È anche utile registrare il flusso aereo in funzione del volume durante un'espirazione forzata e una successiva inspirazione forzata (curva flusso-volume), soprattutto per differenziare il restringimento delle vie aeree superiori da quello delle vie aeree inferiori. Alcune delle malattie che possono essere causa di ostruzione cronica del flusso aereo sono elencate nella Tab. 68-1. L'enfisema e la bronchite cronica (trattate insieme in Broncopneumopatia cronica ostruttiva, v. oltre) e l'asma rendono conto di > 95% della morbilità e della mortalità dovuta all'ostruzione cronica delle vie aeree. Altre cause comprendono le lesioni bollose giganti, la bronchite asmatica, la bronchiolite, la linfangiomiomatosi e la panbronchiolite diffusa.

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 68. MALATTIE OSTRUTTIVE CRONICHE DELLE VIE AEREE BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA Una malattia caratterizzata da bronchite cronica o enfisema e ostruzione al flusso aereo che è generalmente progressiva, può essere accompagnata da iperreattività bronchiale e può essere parzialmente reversibile.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Fattori di rischio Anatomia patologica Fisiopatologia e patogenesi Sintomi e segni Complicanze Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e decorso Terapia

La bronchite cronica è caratterizata da una tosse cronica produttiva per almeno 3 mesi di 2 anni successivi, quando altre possibili cause, come le infezioni da Mycobacterium tuberculosis, il cancro del polmone o lo scompenso cardiaco cronico, sono state escluse.

L'enfisema è caratterizzato dalla dilatazione permanente degli spazi aerei distali ai bronchioli terminali con distruzione delle pareti e senza evidenza di fibrosi. La distruzione è definita come un'anormale dilatazione degli spazi aerei respiratori; l'aspetto ordinato dell'acino e dei suoi componenti è alterato e può essere perduto. L'asma è caratterizzato dall'infiammazione delle vie aeree che si manifesta con iperreattività bronchiale a diversi stimoli e ostruzione bronchiale, reversibile spontaneamente o per effetto del trattamento; la reversibilità può essere incompleta in alcuni pazienti. Il rapporto tra malattia polmonare cronica ostruttiva (Chronic Obstructive Pulmonary Disease, COPD) bronchite cronica, enfisema e asma è mostrato nella Fig. 68-1. I pazienti che manifestano segni di bronchite cronica o di enfisema senza ostruzione al flusso aereo hanno una di queste patologie o entrambe ma non la COPD. La maggior parte dei pazienti con COPD, che per definizione ha un'ostruzione al flusso aereo, ha segni sia di bronchite cronica che di enfisema. I pazienti affetti da asma caratterizzato da un'incompleta reversibilità dell'ostruzione bronchiale sono considerati affetti da una forma di COPD (chiamata bronchite asmatica o COPD asmatica negli USA), dal momento che spesso non possono essere differenziati dai bronchitici cronici ed enfisematosi con ostruzione bronchiale reversibile e iperreattività bronchiale. Quelli con ostruzione bronchiale completamente reversibile senza segni di bronchite cronica o di enfisema sono affetti da asma ma non da COPD. file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (1 of 15)02/09/2004 2.35.41

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Epidemiologia Negli USA, si stima che nel 1994 16 milioni di persone fossero affette da COPD, il 60% in più rispetto al 1982. Nel 1993, la COPD è stata la quarta causa di mortalità, causando 95910 decessi, più del doppio dei 47335 del 1979. Dal 1979 al 1993, la frequenza di mortalità della COPD standardizzata per l'età è aumentata quasi del 50% (dal 14 al 20%), la mortalità complessiva si è ridotta all'11% e i decessi per cause cardiovascolari sono diminuiti. Questi dati mostrano che contrariamente alla mortalità cardiovascolare, la mortalità per COPD è relativamente insensibile all'interruzione recente del fumo di sigaretta. La prevalenza, l'incidenza e la mortalità per COPD aumentano con l'età. La prevalenza e la mortalità sono più alte negli uomini che nelle donne e nei bianchi che nelle persone di colore. L'incidenza e la mortalità sono generalmente più alte nei lavoratori manuali che negli impiegati e maggiori in quelli con meno anni di istruzione rispetto a quelli più istruiti. La COPD sembra raggrupparsi in famiglie indipendentemente dal deficit di a1-antitripsina (inibitore dell'a1-antiproteasi) (v. oltre).

Fattori di rischio Il fumo di sigaretta e l'età spiegano > 85% del rischio di sviluppare la COPD negli USA. Paragonati ai non fumatori, i fumatori hanno una mortalità per COPD più alta e una prevalenza e un'incidenza di tosse produttiva e di altri sintomi respiratori più alte; l'ostruzione delle vie aeree dimostrata con la spirometria è correlata con la quantità di sigarette fumate. Per ragioni sconosciute, solamente il 15% dei fumatori sviluppa una COPD clinicamente significativa. Gli studi longitudinali dimostrano che la normale funzione ventilatoria nei non fumatori, misurata dal FEV1, si riduce di 25-30 ml/anno con un andamento curvilineo (a cominciare dai 30 anni), a differenza del più rapido declino dei fumatori, fino a 60 ml/anno (v. Fig. 68-2). Tuttavia, i fumatori di mezza età che hanno già un FEV1 basso, peggiorano con maggiore rapidità. All'età di 65 anni circa, essi avranno un FEV1 di 0,8 l, valore al quale la dispnea compare per le attività della vita quotidiana; le persone normali non raggiungono questo livello neanche dopo i 90 anni. Il fumo passivo (l'esposizione dei non fumatori al fumo di sigaretta) può produrre irritazione agli occhi e può causare respiro sibilante negli asmatici. La prevalenza dei sintomi respiratori e delle patologie aumenta e la funzione respiratoria si riduce lievemente nei figli dei fumatori rispetto ai figli dei non fumatori. Tuttavia è ignoto come questi dati influenzino lo sviluppo della COPD. Nondimeno, i bambini devono essere protetti dal fumo ambientale. L'inquinamento ambientale ad alti livelli è pericoloso per le persone con malattie cardiache o polmonari. Il ruolo dell'inquinamento ambientale nel causare la COPD è non perfettamente compreso ma è modesto se confrontato a quello del fumo di sigaretta. L'uso di combustibili solidi per cucinare e per il riscaldamento, senza un'adeguata aerazione, può causare alti livelli di inquinamento domestico e portare allo sviluppo della COPD. Lavorare in un ambiente contaminato da vapori chimici o da polveri biologicamente inerti porta a un aumento della prevalenza dell'ostruzione bronchiale, del declino del FEV1 e della mortalità per COPD. L'interazione tra fumo di sigaretta e l'esposizione a polveri pericolose, come la silice o la polvere di cotone, aumenta ulteriormente la frequenza della COPD (v. Cap. 75). In tutti gli studi, tuttavia, gli effetti del fumo sono molto maggiori di quelli da esposizione occupazionale.

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L'iperreattività bronchiale, lo stato atopico (allergico) o l'iperreattività bronchiale aspecifica (solitamente misurata come reattività all'inalazione di metacolina), può predisporre i fumatori allo sviluppo dell'ostruzione delle vie aeree. Tuttavia, gli studi non hanno dimostrato una relazione tra le manifestazioni della COPD nei fumatori senza asma e i livelli standardizzati di IgE, di eosinofilia o di reattività cutanea agli allergeni. Nei fumatori con COPD, l'iperreattività è inversamente correlata al FEV1 e predice un declino accelerato del FEV1. Tuttavia, non è chiaro se l'iperreattività bronchiale porti a ostruzione delle vie aeree o se sia una conseguenza dell'infiammazione e dell'ostruzione correlate con il fumo di sigaretta. L'iperreattività bronchiale aspecifica è più comune nelle donne che negli uomini.

Il deficit di a1-antitripsina nella sua forma omozigote è associato soprattutto con enfisema e meno frequentemente con epatopatia (v. anche Deficit a1-antitripsina nel Cap. 41). L'a1-antitripsina è una glicoproteina presente nei fluidi extracellulari e intracellulari di tutto il corpo, compresi i polmoni. Essa inibisce diverse proteasi sieriche, soprattutto l'elastasi dei neutrofili. Essa è codificata da un gene del cromosoma 14. Il fenotipo dell'inibitore delle proteasi (PI*) è determinato dall'espressione codominante di entrambi gli alleli genitoriali. Il gene dell'a1-antitripsina è altamente pleomorfico. I circa 75 alleli identificati sono classificati come normali (normali livelli sierici di a1-antitripsina normalmente funzionante), deficienti (livelli inferiori alla norma di a1-antitripsina normalmente funzionante), null (livelli sierici non rilevabili di a1-antitripsina) e disfunzionali (normali livelli sierici di a1-antitripsina malfunzionante). Gli alleli normali (M) si presentano in circa il 90% delle persone di origine europea con normali livelli sierici di a1-antitripsina; il loro fenotipo è PI*MM. I valori sierici normali di a1antitripsina sono pari a 150-350 mg/dl (standard commerciale) o 20-48 mmol (standard reali di laboratorio). Oltre il 95% delle persone con deficit grave a1-antitripsina è omozigote per l'allele Z (PI*ZZ). La maggior parte di questi è di razza bianca, di origine europea nordica. L'allele Z è raro negli asiatici e nei neri. Fenotipi rari comprendono il PI*SZ e due tipi con alleli inespressi, il PI*Z-null e il PI* null-null (v. Tab. 68-7).

Anatomia patologica Le modificazioni macroscopiche della bronchite cronica comprendono mucose eritematose ed edematose con abbondanti secrezioni mucose bronchiali e a volte pus. Alterazioni istologiche non specifiche per la COPD si manifestano nelle vie aeree dei fumatori da lunga data. Le ghiandole sottomucose sono ingrandite e i loro dotti dilatati. Aree di metaplasia squamosa sostituiscono focalmente l'epitelio colonnare pseudostratificato. I neutrofili e i linfociti infiltrano le membrane mucose ma restano poco numerosi. Il muscolo liscio delle vie aeree può essere ipertrofico. I bronchioli terminali e quelli respiratori mostrano vari gradi di ostruzione da secrezioni, metaplasia delle cellule caliciformi, infiammazione con predominanza di macrofagi, aumento della muscolatura liscia e distorsione da fibrosi e da perdita degli ancoraggi alveolari. All'autopsia, i polmoni enfisematosi sono grossolanamente iperdistesi e non collassano quando il torace viene aperto. Le bolle possono essere evidenti sulla superficie dei polmoni. Gli spazi respiratori non sembrano allargati né distrutti sulla superficie di taglio dei polmoni sezionati a fresco; questi devono essere fissati insufflati per rendere tali alterazioni evidenti. Classificazione dell'enfisema: l'enfisema è classificato secondo la parte file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (3 of 15)02/09/2004 2.35.41

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dell'acino (tessuto respiratorio distale rispetto a un singolo bronchiolo terminale) colpito dalla malattia in fase iniziale. L'enfisema panacinoso (PAE) colpisce tutto l'acino. L'enfisema centrolobulare (CLE) comincia nel bronchiolo respiratorio e si diffonde perifericamente. Questo è il tipo più comune di enfisema dei fumatori e coinvolge le parti superiori e posteriori dei polmoni più gravemente rispetto a quelle basali. L'PAE focale spesso accompagna l'CLE nei fumatori ed è predominante alle basi. Circa il 25% dei fumatori è affetto da un CLE puro; il 25%, da un PAE puro e circa il 50%, da entrambi. Nell'CLE lieve, il collagene aumenta; nelle forme gravi, l'elastina è anch'essa distrutta. Nell'PAE, l'elastina diminuisce in maniera consistente, ma il collagene è non interessato. Gli spazi aerei tendono ad avere minore compliance nelle forme lievi di CLE, ma aumentata compliance nell'PAE. L'enfisema acinoso distale (enfisema subpleurico o parasettale) si manifesta in sede sottopleurica o lungo i setti fibrosi interlobulari. Il resto del polmone è spesso risparmiato, cosicché la funzione polmonare può essere ben conservata nonostante molti aree di malattia localmente grave. Qusto tipo di enfisema, che interessa spesso gli apici, causa pneumotorace spontaneo nelle persone giovani e può produrre bolle giganti. Le bolle sono spazi aerei di diametro _ 1 cm. Esse possono diventare enormi, occupando un intero emitorace. Le bolle possono essere degli spazi completamente vuoti o delle aree di enfisema localmente grave attraversate da tralci di tessuto polmonare. Le bolle che non sono parte di un enfisema generalizzato raramente diventano ampie abbastanza da comprimere l'adiacente tessuto polmonare e da compromettere gravemente la funzione polmonare (v. Bolle giganti, oltre). L'allargamento degli spazi aerei con fibrosi, precedentemente chiamato enfisema paracicatriziale, può essere una lesione adiacente a una cicatrice adiacente priva di conseguenze, o può essere grave e clinicamente importante, come complicanza di una malattia fibrosante, p. es., la TBC, la silicosi o la sarcoidosi. La classificazione anatomica dell'enfisema ha scarso significato clinico. Tuttavia, la predilezione per differenti regioni del polmone e le differenze nella densità del tessuto connettivo e nella relazione pressione-volume suggeriscono differenze di eziologia e di patogenesi. L'enfisema, nelle sue varie forme, risulta essere una risposta stereotipata al danneggiamento polmonare.

Fisiopatologia e patogenesi La bronchiolite respiratoria lieve, la più precoce lesione respiratoria descritta nei fumatori, non ostruisce il flusso aereo fino a che la lesione non diventa più grave ed è accompagnata da bronchiolite terminale. L'enfisema diventa evidente all'incirca contemporaneamente alla bronchiolite terminale. Entrambi progrediscono immancabilmente in gravità con l'avanzare della COPD. L'enfisema è la lesione predominante nella maggior parte dei pazienti con una COPD terminale, mentre la bronchiolite contribuisce alla quota reversibile dell'ostruzione bronchiale attraverso fattori meccanici e produzione di mediatori che causano la contrazione della muscolatura bronchiale. L'ingrandimento delle ghiandole bronchiali restringe solo minimamente il lume delle vie aeree e quindi correla in maniera non significativa con l'ostruzione bronchiale. Nell'enfisema, le fibre di elastina nel parenchima polmonare sono rotte e logorate. Secondo l'ipotesi elastasi-antielastasi, l'enfisema è provocato dalla digestione delle fibre elastiche per l'azione incontrastata dell'elastasi dei neutrofili, normalmente frenata dall'a1-antitripsina. La comparsa precoce dell'enfisema è comune tra i pazienti omozigoti per il deficit di a1-antitripsina. Lo squilibrio elastasi-antielastasi può causare enfisema in fumatori che hanno dei livelli adeguatamente protettivi di a1-antitripsina. Il numero totale dei neutrofili che può essere estratto dal liquido di broncolavaggio polmonare è circa cinque volte maggiore nei fumatori che nei non fumatori, anche se la percentuale dei neutrofili file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (4 of 15)02/09/2004 2.35.41

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è simile (1-3%). In vitro, l'a1-antitripsina può essere inattivata per ossidazione dai radicali dell'ossigeno derivati dal fumo di sigaretta o dal sistema delle mieloperossidasi nei neutrofili. I livelli dei marker biologici della degradazione dell'elastina (desmosina urinaria, peptidi dell'elastina plasmatici o urinari) sono maggiori nei fumatori rispetto a chi non ha mai fumato e hanno i valori più alti nelle persone con COPD. Gli studi immunoultrastrutturali sembrano mostrare l'elastasi legata all'elastina nei polmoni dei fumatori. Quindi l'CLE, caratterizzato da un eccesso di collagene nelle forme lievi e da perdita di elastina solo nelle forme gravi, è probabilmente dovuto a una combinazione di infiammazione, fibrosi e squilibrio elastasi-antielastasi, mentre l'PAE, caratterizzato da perdita di elastina anche nelle forme lievi, è probabilmente dovuto solamente all'ultimo fattore. Le cellule infiammatorie non sono una caratteristica predominante della bronchite cronica, ma queste cellule sono presenti nella parete bronchiale e nel muco durante le esacerbazioni. Le serina-proteasi, derivate dai neutrofili e da altre cellule infiammatorie, sono dei potenti stimolanti delle secrezioni e possono causare danno bronchiale cronico; le serina-proteasi sono inibite dall'inibitore secretorio delle leucoproteasi, una proteina secreta dalle ghiandole bronchiali. Quindi, lo squilibrio proteasi-antiproteasi può verificarsi nella bronchite cronica come nell'enfisema.

Sintomi e segni I pazienti che hanno fumato _ 20 sigarette al giorno per > 20 anni possono sviluppare una tosse produttiva nel quinto decennio o nei primi anni del sesto decennio di vita. La dispnea da sforzo solitamente non diventa abbastanza grave da richiedere una visita medica fino a che i pazienti con COPD non hanno 5065 anni. La produzione di escreato ha un esordio insidioso, all'inizio comparendo solo al mattino. Il volume giornaliero raramente supera i 60 ml. L'espettorato è solitamente mucoso, ma diventa purulento durante un'esacerbazione. Un grave enfisema si sviluppa precocemente nei pazienti con deficit omozigote di a1-antitripsina (PI*ZZ); la bronchite cronica si sviluppa in circa la metà di questi pazienti. Il fumo accelera l'esordio della malattia; la dispnea comincia a un'età mediana di 40 anni nei fumatori contro i 53 anni dei non fumatori. Malattie toraciche acute, caratterizzate da aumento della tosse, escreato purulento, respiro sibilante e dispnea e, occasionalmente, febbre, possono presentarsi di volta in volta. (Una storia di respiro sibilante e dispnea possono portare a diagnosi errata di asma.) Con l'avanzare della COPD, gli intervalli tra le esacerbazioni tendono a essere più brevi. Nelle fasi terminali della malattia, un'esacerbazione può causare grave ipossiemia con cianosi, che è più accentuata in presenza di eritrocitosi. La cefalea mattutina può indicare ipercapnia. Nella malattia in fase terminale l'ipercapnia con ipossiemia più grave, a volte con eritrocitosi, è comune. In alcuni pazienti si verifica perdita di peso. Se si verifica un'emottisi, un carcinoma broncogeno, che si sviluppa con frequenza aumentata tra i fumatori con COPD, deve essere escluso mediante una rx del torace, una broncoscopia e altre indagini. Tuttavia, l'emottisi nella bronchite cronica è solitamente causata da erosioni della mucosa, la causa più frequente di emottisi negli USA. Nelle fasi precoci della COPD, l'esame fisico del torace può non essere significativo a eccezione del rilievo di sibili espiratori. Col progredire dell'ostruzione bronchiale, l'iperinflazione dei polmoni diventa evidente. Il diametro antero-posteriore del torace aumenta perché i polmoni sono vicini al livello di massima inspirazione e perché l'enfisema aumenta la capacità polmonare totale. Il diaframma è abbassato e i suoi movimenti sono limitati. I rumori respiratori sono diminuiti e il battito cardiaco si fa distante. I segni dell'ipertensione polmonare e dell'ipertrofia ventricolare destra non sono generalmente rilevabili perché il tessuto polmonare enfisematoso è interposto tra file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (5 of 15)02/09/2004 2.35.41

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il cuore e la parete anteriore del torace. Spesso sono udibili pochi crepitii grossolani alle basi polmonari. Un fegato ingrandito e dolente è indice di scompenso cardiaco. La distensione delle vene del collo, soprattutto durante l'espirazione, può verificarsi in assenza di scompenso cardiaco a causa dell'aumentata pressione intratoracica. L'asterissi (tremore a battito d'ala) può accompagnare l'ipercapnia grave. Il paziente con COPD in fase terminale è spesso ritto di fronte a un piano di sostegno e si sporge in avanti con le braccia iperestese e il peso caricato sulle palme delle mani. I muscoli respiratori accessori del collo e del cingolo scapolare sono tutti attivati. L'espirazione spesso avviene attraverso le labbra socchiuse. Il torace appare iperespanso, spesso con rientramento paradosso degli spazi intercostali più bassi. Può essere presente lacianosi.

Complicanze Una lieve diminuzione della ventilazione alveolare è normale durante il sonno, manifestandosi con un aumento di 5-6 mm Hg della PaCO2 e una diminuzione lievemente maggiore della PaO2. Questi cambiamenti sono di entità maggiore nei pazienti con COPD che nelle persone sane. In molti pazienti con COPD, la PaO2 durante la veglia è sul punto di flessione della curva di dissociazione ossiemoglobinica, cosicché la desaturazione di O2 durante il sonno è molto più marcata che nelle persone sane. La riduzione dei livelli di PaO2 è maggiore durante il sonno con movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement, REM), specialmente con il passare della notte, forse per la ritenzione di secrezioni e il peggioramento dei rapporti ventilazione/perfusione. I pazienti con COPD possono avere delle ipopnee, ma gli episodi di apnea non sono più comuni che negli individui sani. La qualità del sonno è scadente. La grave ipossiemia notturna si associa a policitemia, ipertensione polmonare e aumento dei battiti ectopici ventricolari, con modificazioni dell'ECG (prolungato intervallo QT, sottoslivellamento ST-T e blocco di branca). L'insufficienza respiratoria acuta nella COPD è definita come un'esacerbazione accompagnata da una PaO2 < 50 mm Hg o una PaCO2 > 50 mm Hg. Un'infezione acuta del tratto respiratorio inferiore, i farmaci che deprimono l'attività respiratoria, un intervento di chirurgia addominale o toracica o alcune complicanze come il pneumotorace ne rappresentano i fattori precipitanti. La PaCO2 raramente supera gli 80 mm Hg fino a che il paziente non riceve l'O2terapia. Lo stato clinico del paziente è variabile. Lo stato mentale va da un estremo di reazione di allerta, ansia, agitazione e sofferenza respiratoria fino all'estremo opposto con sonnolenza, stupore o coma. La cianosi è solitamente presente a meno che non si somministri l'O2-terapia. La sudorazione e una circolazione iperdinamica sono tipiche. La respirazione è difficoltosa e i muscoli respiratori accessori sono tutti attivati. Il cuore polmonare cronico è l'ipertrofia ventricolare destra causata dall'ipertensione polmonare (v. Cap. 203). Esso può manifestarsi con insufficienza del cuore destro ed edema in pazienti ipossiemici e ipercapnici. Sebbene la perdita di letto capillare dovuta all'enfisema possa contribuire all'ipertensione polmonare in corso di COPD, la causa principale è la vasocostrizione ipossica. Il pneumotorace nella COPD scatena spesso dispnea grave e insufficienza respiratoria acuta, a differenza dal più benigno pneumotorace spontaneo semplice che si verifica in un soggetto giovane con una bolla localizzata. Il pneumotorace deve essere sospettato in ogni paziente la cui situazione polmonare peggiori improvvisamente (v. Cap. 80).

Esami di laboratorio file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (6 of 15)02/09/2004 2.35.41

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Nelle fasi precoci della COPD, l'emogasanalisi arteriosa rivela un'ipossiemia lieve o moderata senza ipercapnia. Con il progredire della malattia, l'ipossiemia diventa più grave e compare l'ipercapnia. L'ipercapnia si manifesta più frequentemente quando il FEV1 scende sotto 1 l. Le anomalie emogasalitiche peggiorano durante le esacerbazioni acute e possono peggiorare durante l'esercizio e il sonno. La capacità funzionale residua e il volume residuo sono aumentati; la capacità vitale è diminuita. Nelle persone sane, la risposta eritropoietica è proporzionale alla PaO2, ma nei pazienti con COPD la risposta è variabile. P. es., a livello del mare, una policitemia clinicamente problematica è rara nei pazienti con COPD con PaO2 > 55 mm Hg, anche se è più frequente se la PaO2 scende sotto i 55 mm Hg. L'espettorato nei pazienti con bronchite cronica stabile è mucoso. Durante un'esacerbazione, l'escreato solitamente diventa purulento, con il sopraggiungere dei neutrofili. La colorazione di Gram solitamente mostra una miscellanea di microrganismi, spesso dei diplococchi gram + (caratteristici dello Streptococcus pneumoniae) e dei sottili bastoncini gram - pleomorfici (caratteristici dell'Haemophilus influenzae). Questi sono i patogeni più frequentemente isolati dall'espettorato. Altra flora commensale dell'orofaringe, come la Moraxella (Branhamella) catarrhalis, che in alcune occasioni causa delle esacerbazioni, può essere isolata. Nei pazienti ricoverati, le colorazioni di Gram e le colture possono evidenziare dei batteri gram - o, di rado, uno stafilococco.

Diagnosi La storia e l'esame obiettivo suggeriscono la possibile presenza della COPD. La rx del torace e le prove di funzionalità respiratoria aiutano a stabilire la diagnosi. I pazienti con un esordio precoce di COPD e i non fumatori affetti da COPD devono essere studiati per il deficit di a1-antitripsina, che è diagnosticato mediante misurazione del livello nel siero di a1-antitripsina, seguito dalla tipizzazione del fenotipo (PI*) per conferma. Una predominanza di enfisema alle basi alla rx del torace suggerisce una patologia genetica, come anche un asma non controllato in persone con < 50 anni o una cirrosi in un soggetto senza apparenti fattori di rischio. La diagnosi di ipertensione polmonare e di cuore polmonare in corso di COPD è difficile senza un cateterismo del cuore destro. All'ECG, un'onda R o R_ di ampiezza uguale o maggiore dell'onda S nella derivazione V1, un'onda R meno ampia della S nella derivazione V6 e una deviazione dell'asse a destra > 110° senza blocco di branca destro suggeriscono la diagnosi di cuore polmonare. L'ecocardiografia bidimensionale, specialmente con una sonda transesofagea, e la tecnica eco-Doppler per stimare la pressione arteriosa polmonare possono essere utilizzate per valutare l'ipertensione polmonare e la funzione ventricolare destra. Le dimensioni del ventricolo sinistro e la sua funzione sono generalmente normali nei pazienti con COPD e senza altre patologie cardiache associate. La frazione di eiezione ventricolare destra è spesso anormale, specialmente sotto esercizio. Una rx del torace aiuta a escludere altre diagnosi, come la TBC e il cancro del polmone, che possono dare gli stessi sintomi e fornisce il più chiaro reperto diagnostico di enfisema. Radiograficamente, l'enfisema è diagnosticabile chiaramente nelle forme gravi e nella metà circa dei pazienti moderatamente gravi, ma è non diagnosticabile nelle forme lievi. Nelle forme gravi, una persistente e marcata iperdistensione polmonare è indicata nella proiezione anteriore da un diaframma abbassato e appiattito e nella proiezione laterale da uno spazio restrostenale ampio e un aumento dell'angolo formato dallo sterno e dal diaframma, da acuto a _ 90°. L'ombra cardiaca tende a essere lunga e stretta. Un assottigliamento troppo rapido delle ombre vascolari è un segno di

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enfisema ma può essere difficile da identificare a meno che non si accompagni con un'evidente ipertrasparenza dei polmoni. Nei pazienti PI*ZZ, l'PAE predomina e solitamente comincia nelle basi polmonari. Le bolle, aree radiotrasparenti > 1 cm di diametro e circondate da sottili ombre arcuate a capello, sono segno di enfisema. Tuttavia, esse indicano solamente una malattia localmente grave e non indicano necessariamente un enfisema diffuso. La TC, specialmente la TC ad alta risoluzione (sezioni di 1-2-mm di spessore), mostra chiaramente le zone ipovascolarizzate e le bolle di enfisema, ma tali dettagli non sono necessari per il trattamento ordinario. L'ipertrofia ventricolare destra che complica la COPD (cuore polmonare) non aumenta il diametro trasverso del cuore alla rx del torace in modo marcato; però i confronti con esami precedenti possono mostrare che il diametro trasverso dell'ombra cardiaca, sebbene ancora entro i limiti di normalità, è più largo che in precedenza. L'ombra cardiaca può invadere lo spazio retrosternale dilatandosi anteriormente. Le immagini vascolari ilari sono prominenti. Le prove di funzionalità respiratoria (v. Cap. 64) sono utili per porre la diagnosi di COPD, per valutarne la gravità e per seguirne l'evoluzione. La spirometria forzata quantifica l'ostruzione delle vie aeree. L'ostruzione bronchiale è un indice importante dell'insufficienza respiratoria sintomatica e della probabilità di anormalità nell'emogasanalisi. Il FEV1 e il FEV1/FVC si riducono progressivamente con l'aggravarsi della COPD. Il FEV1 è meno variabile di altri indici della dinamica delle vie aeree e può essere predetto più accuratamente in relazione all'età, al sesso e all'altezza. Informazioni all'incirca comparabili possono essere ottenute dalla curva flusso-volume espiratorio forzato. Questi test non possono distinguere tra la bronchite cronica e l'enfisema. L'emogasanalisi arteriosa rileva l'ipossiemia e l'ipercapnia e ne determina la gravità. Dal momento che l'enfisema danneggia il letto capillare, la capacità di diffusione del monossido di carbonio al respiro singolo (DLCO) diminuisce in modo proporzionale alla sua gravità. Tuttavia questo test non è specifico e non è in grado di rilevare l'enfisema di grado lieve. La DLCO può essere usata per predire la desaturazione durante l'esercizio nei pazienti affetti da COPD. La desaturazione si verifica solamente quando la DLCO è < 55% del valore predetto. La misura della capacità di diffusione, dei volumi polmonari o delle risposte funzionali all'esercizio solitamente non aggiungono molto, a meno che la diagnosi sia dubbia o che si stia valutando il rischio chirurgico.

Prognosi e decorso La gravità dell'ostruzione bronchiale influenza la sopravvivenza nei pazienti con COPD. La mortalità nei pazienti con un FEV1 _ 50% del valore predetto è confrontabile con quella della popolazione generale. La mortalità a 10 anni è lievemente aumentata nei pazienti con un FEV1 tra 35 e 50% del valore predetto. In quelli con un FEV1 < 0,75 l (circa il 20% del valore predetto), la mortalità approssimata è del 30% a 1 anno e del 95% a 10 anni. L'ipercapnia è un fattore prognostico sfavorevole. Dati recenti suggeriscono che una netta reversibilità dell'ostruzione bronchiale è un fattore prognostico positivo. La morte dei pazienti con COPD è generalmente causata da una complicanza medica, come l'insufficienza respiratoria acuta, gravi polmoniti, un pneumotorace, un'aritmia cardiaca o un'embolia polmonare. Alcuni pazienti con grave ostruzione delle vie aeree sopravvivono per molti anni oltre la media, fino a 15 anni. La storia naturale dei pazienti con COPD con deficit di a1-antitripsina è file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (8 of 15)02/09/2004 2.35.41

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nota solo in parte. L'enfisema è comune nei pazienti PI*ZZ. I fumatori PI*ZZ hanno una attesa di vita minore dei non fumatori PI*ZZ, che hanno un'attesa di vita più breve dei non fumatori PI*MM e dei fumatori. La gravità della malattia polmonare varia notevolmente; la funzione polmonare è ben conservata in alcuni fumatori PI*ZZ e gravemente compromessa in alcuni non fumatori PI*ZZ. I casi PI*ZZ non indice (quelli identificati dagli studi di popolazione) tendono ad avere una migliore funzione polmonare, sia che fumino o no, rispetto ai casi indice (quelli identificati a causa della malattia polmonare) e possono vivere oltre ai 70 o 80 anni. L'ostruzione al flusso aereo si verifica più frequentemente negli uomini che nelle donne e nelle persone con asma, infezioni respiratorie ricorrenti e storia familiare di patologie polmonari. La principale causa di morte nel deficit di a1antitripsina è l'enfisema, seguito dalla cirrosi, spesso con carcinoma epatico.

Terapia Il trattamento ambulatoriale dei pazienti con COPD comprende la terapia specifica, sintomatica e secondaria. La terapia dipende dalla gravità. La stadiazione della gravità secondo l'American Thoracic Society è basata sul FEV1, che dimostra la migliore correlazione con la morbilità e con la mortalità nella COPD (v. Tab. 68-8). Terapia specifica: è rivolta alle cause della COPD. Per esempio, possono essere ricercati gli irritanti ambientali negli ambienti di lavoro o in altri luoghi, informando i pazienti su come evitarli. Il vaccino influenzale deve essere somministrato annualmente perché il rischio di gravi complicanze influenzali, in questi pazienti, è maggiore. Il vaccino antipneumococcico deve essere somministrato una volta e può essere ripetuto dopo 6 anni. Smettere di fumare è estremamente importante, specialmente se l'ostruzione delle vie aeree è lieve o moderata. Le strategie articolate sono le più efficaci; il fissare una data di cessazione, le tecniche di modificazione comportamentale, le sedute di gruppo e la nicotina somministrata per via transdermica, per via inalatoria o come gomma da masticare sono efficaci. Dei pazienti coinvolti in programmi di cessazione del fumo, il 25-40% non fuma più dopo un anno e fino al 22% non fuma più dopo 5 anni. Possono essere necessari diversi tentativi di cessazione del fumo. Dopo che i fumatori hanno abbandonato l'abitudine, il FEV1 aumenta leggermente per qualche anno, poi segue un cammino simile a quello dei non fumatori. Dopo aver smesso di fumare, la tosse e l'espettorato diminuiscono in pochi mesi; l'espettorato può diventare più fluido. La funzione polmonare persa non viene recuperata, ma la cessazione del fumo di sigaretta ritarda la comparsa della dispnea e diminuisce il rischio di morte per COPD. Terapia sintomatica: alcuni farmaci curano gli elementi reversibili dell'ostruzione delle vie aeree, che comprendono l'infiammazione delle vie aeree, le secrezioni endoluminali e lo spasmo della muscolatura liscia. Farmaci broncodilatatori: sebbene la maggior parte dell'ostruzione bronchiale nella COPD sia fissa e irreversibile, una reversibilità parziale ma modesta dopo somministrazione di un b2-agonista attraverso uno spray predosato è comune. La mancata risposta a una singola somministrazione di un broncodilatatore nel laboratorio non giustifica l'astensione dalla terapia broncodilatatrice. I pazienti con la maggiore risposta ai broncodilatatori mostrano il minor declino annuale del FEV1 e la più alta quota di sopravvivenza a 5 anni. Non ci sono prove a suffragio della tesi che una regolare terapia con broncodilatatori rallenti il deterioramento della funzione respiratoria. I b2-agonisti, come il metaproterenolo, il salbutamolo, la terbutalina e il file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (9 of 15)02/09/2004 2.35.41

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pirbuterolo, provocano meno tachicardia a parità di broncodilatazione ottenuta di quanto non facciano altri b-agonisti meno selettivi. Confrontata con la somministrazione orale, l'inalazione produce una più rapida comparsa di azione e un maggiore effetto di broncodilatazione con minori effetti collaterali, come i tremori muscolari. La via preferita di somministrazione è lo spray predosato. I pazienti devono essere addestrati a inalare lentamente lo spray, partendo da una posizione di riposo tele-espiratorio trattenendo brevemente il respiro alla fine di una piena inspirazione. I pazienti con poca coordinazione devono inalare lo spray dopo che questo viene spruzzato in una piccola camera di espansione (spaziatore). La modalità di azione dei farmaci anticolinergici non è ben compresa; essi sembrano agire attraverso l'inibizione del normale tono broncomotore mediato dalle fibre colinergiche. Il composto dell'ammonio quaternario, l'ipratropio bromuro, ha uno scarso assorbimento sistemico, non ostacola la clearance mucociliare e ha pochi effetti collaterali. Negli studi comparativi, l'ipratropio in genere ha nella malattia polmonare cronica ostruttiva un effetto broncodilatatore statisticamente maggiore rispetto a quello che hanno i b2-agonisti, forse dovuto ai dosaggi selezionati per lo studio. Esso deve essere prescritto secondo uno schema stabilito, 2-4 puff q 4-6 h. A causa della ritardata comparsa dell'azione dell'ipratropio, un b2-agonista deve essere associato al bisogno. Nella COPD, la prescrizione di un b2-agonista per primo sembra da preferirsi, a meno che non si manifestino effetti collaterali. La teofillina riduce lo spasmo della muscolatura liscia, promuove la clearance mucociliare, migliora la funzionalità ventricolare destra e diminuisce la resistenza e la pressione arteriosa del circolo polmonare. La sua modalità di azione è scarsamente compresa ma sembra diversa da quella dei b2-agonisti e degli anticolinergici. Il suo ruolo nel migliorare la funzione diaframmatica e la dispnea durante l'esercizio è controverso. La tossicità della teofillina è solo debolmente correlata con i suoi livelli ematici. L'insonnia e i disturbi GI si manifestano spesso a livelli ematici < 20 mg/l (< 111 mmol/l) ma tendono a diminuire con il tempo. Gli effetti collaterali più gravi, come l'aritmia sopraventricolare e ventricolare e le convulsioni, tendono a manifestarsi a livelli ematici > 20 mg/l. Tuttavia, alcuni pazienti hanno pochi effetti collaterali a > 30 mg/l (> 166 mmol/l); altri, specialmente i pazienti > 60 anni, possono avere gravi effetti collaterali a livelli solo leggermente > 20 mg/l. Gli effetti collaterali maggiori non sono necessariamente preceduti da quelli minori. L'eliminazione epatica della teofillina varia notevolmente, sotto l'influenza dei fattori genetici, dell'età, del fumo di sigaretta, dell'alimentazione, della disfunzione epatica, dell'ipossiemia grave e di alcuni farmaci. I livelli sierici di teofillina devono essere misurati dopo che è stato raggiunto uno stato di equilibrio, solitamente dopo 2-4 giorni, per essere sicuri che il livello sia compreso nel range terapeutico (10-12 mg/l [56-67 mmol/l]). Ripetute misurazioni dei livelli ematici sono raramente richieste nei pazienti ambulatoriali stabili ma sono necessari se lo stato clinico di un paziente o se lo schema terapeutico variano significativamente. I preparati a base di teofillina assorbiti lentamente per via orale, che richiedono delle somministrazioni meno frequenti, aumentano la compliance. La tossicità può essere minimizzata combinando una bassa dose di teofillina con un b2agonista inalatorio; l'effetto sulla broncodilatazione è additivo, senza potenziamento reciproco. I corticosteroidi non danno beneficio alla maggiore parte dei pazienti con COPD cronica stabile. Tuttavia, nel 15-20% dei pazienti, la funzione ventilatoria migliora sostanzialmente dopo la somministrazione dei corticosteroidi. I pazienti che rispondono sono in genere quelli il cui FEV1 migliora di _ 25% dopo inalazione di un b2-agonista. Un ciclo di corticosteroidi (p. es., di prednisone 0,5 mg/kg [o un equivalente] per 2-4 sett.) deve essere cominciato solamente in pazienti già sottoposti a un trattamento altrimenti ottimale. Il corticosteroide deve essere continuato solo se si verificano dei miglioramenti oggettivi confermati da prove di funzionalità polmonare. Il dosaggio deve quindi essere ridotto al livello minimo che mantiene il miglioramento. L'uso dei corticosteroidi inalatori nei pazienti con COPD, sebbene non definito, è oggetto di studio intensivo; molti medici

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prescrivono i corticosteroidi inalatori per i pazienti con COPD nel tentativo di minimizzare l'utilizzo di corticosteroidi PO. Dei cicli di corticosteroidi orali brevi (57 giorni) a dosaggio rapidamente scalato sono spesso utili nelle esacerbazioni acute della COPD. Antibiotici: in molte esacerbazioni della COPD, è incerto se l'infiammazione bronchiale manifestata dalla produzione di espettorato purulento sia causata da infezioni o da altri fattori (come l'esposizione ad aria fortemente inquinata per diversi giorni). Inoltre, rimane solitamente incerto se l'infezione sia batterica o virale, sebbene circa il 25% delle esacerbazioni siano ritenute di natura virale. Ciò nonostante, la maggioranza dei medici prescrive antibiotici per queste esacerbazioni. Negli studi controllati, le esacerbazioni trattate con antibiotici sono generalmente più brevi e meno spesso seguite da gravi conseguenze rispetto a quelle trattate con placebo. Gli esami colturali e quelli batterioscopici con la colorazione di Gram non sono indicati di routine prima di istituire il trattamento, specialmente per quei pazienti che hanno un aumento della tosse, della produzione di secrezioni, della dispnea o della febbre. I pazienti devono essere addestrati a riconoscere la variazione dell'espettorato da mucoso a purulento e a iniziare da soli un ciclo di terapia antibiotica per 10-14 giorni. La terapia antibiotica profilattica a lungo termine deve essere presa in considerazione solamente per quei pazienti che hanno frequenti esacerbazioni assumendo cicli intermittenti di antibiotici. Il trimetoprim-sulfametossazolo (TMP- SMX) 160 mg/800 mg bid è spesso preferito nella gestione di una COPD esacerbata per l'alta efficacia e il basso costo. L'ampicillina 250-500 mg qid, la tetraciclina 250 mg qid e la doxiciclina 100200 mg/die possono anche essere utilizzate. L'alta prevalenza dello S. pneumoniae resistente alle tetracicline e la bassa prevalenza, peraltro in aumento, dell'H. influenzae ampicillino-resistente (con meccanismo correlato o non con le b-lattamasi) sono ulteriori motivi per l'utilizzo del TMP-SMX. L'amoxicillina-clavulanato 250-500 mg tid, l'ofloxacina 400 mg bid e l'acetilcefuroxime 250-500 mg bid sono efficaci anche contro i ceppi di H. influenzae e di M. catarrhalis produttori di b-lattamasi, anche se questi farmaci sono molto più costosi del TMP-SMX e devono essere riservati ai pazienti più gravemente compromessi. Fluidificazione e mobilizzazione delle secrezioni: le secrezioni vischiose nelle vie aeree periferiche sono un importante meccanismo di ostruzione bronchiale nella COPD. Nessun farmaco, sia somministrato oralmente che per inalazione, fluidifica in modo efficace le secrezioni. La disidratazione ispessisce le secrezioni e pertanto i pazienti devono mantenere un'adeguata idratazione. È ragionevole suggerire ai pazienti di bere abbastanza da emettere delle urine chiare, a eccezione del primo mitto della mattina. L'inalazione di vapore d'acqua bollente dal lavandino del bagno può aiutare alcuni pazienti a espettorare le secrezioni. La tosse controllata, che consiste di due o tre colpi di tosse in successione dopo un'inalazione profonda, aiuta a mobilizzare l'escreato. La percussione del torace con coppettamento manuale o con un percussore elettromeccanico può anche aiutare a mobilizzare l'escreato nei casi difficili. Comunque, la sua efficacia nella COPD non è stata dimostrata. Terapia secondaria: migliorare la funzione globale del paziente è lo scopo di questa terapia; essa ha uno scarso effetto sulla patologia polmonare di fondo. Il paziente deve essere incoraggiato ad accettare la responsabilità di aderire al regime terapeutico. Ossigeno-terapia: la terapia a lungo termine con O2 prolunga la vita dei pazienti con COPD ipossiemici. Un regime di 24 h è migliore di uno di 12 h notturno. Questa terapia riporta l'ematocrito a livelli quasi normali, migliora leggermente gli aspetti neuropsicologici e allevia le anomalie dell'emodinamica polmonare. La tossicità polmonare da O2 non rappresenta un problema e l'aumento della PaCO2 è minimo nei pazienti con ipercapnia. Alla dimissione dall'ospedale, deve essere prescritta l'O2-terapia a lungo termine a tutti i pazienti che soddisfano i criteri (Tab. 68-9), p. es., quelli che desaturano durante un esercizio di lieve entità fino a una PaO2 _ 55 mm Hg (SaO2 _ 88%).

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Dopo 30 giorni, la PaO2 deve essere misurata nuovamente in aria ambiente per verificare se i pazienti rientrano ancora nei criteri. Uno studio del sonno deve essere preso in considerazione per quei pazienti con un'avanzata forma di COPD che non soddisfano i criteri per un'O2-terapia ma in cui la valutazione clinica mostra gli effetti indesiderati dell'ipossiemia. L'O2-terapia durante la notte può essere prescritta se lo studio del sonno mostra episodi di desaturazione _ 88% per 5 min; ritenere questi episodi innocui è imprudente. L'O2 è somministrato attraverso cannule nasali a un flusso sufficiente a raggiungere una PaO2 > 60 mm Hg (SaO2 > 90%), solitamente _ 3 l/min con il paziente a riposo. L'O2 è fornito da concentratori di O2 alimentati elettricamente, da sistemi di O2 liquido o in cilindri di gas compresso. I concentratori, che limitano gli spostamenti ma sono meno costosi, sono da preferire per quei pazienti che trascorrono la maggiore parte del loro tempo in casa. Questi pazienti richiedono piccoli contenitori di O2 di riserva in caso di un distacco elettrico e per l'uso portatile mentre camminano. Un sistema liquido è preferibile per i pazienti che trascorrono molto tempo fuori casa. I contenitori portatili di O2 liquido sono facili da trasportare e hanno maggiore capacità in O2 in confronto alle bombole di gas compresso. Le grandi bombole di gas compresso sono i sistemi di somministrazione di O2 più costosi e devono essere utilizzati solo se nessun'altra fonte è disponibile. Tutti i pazienti devono essere avvertiti del pericolo costituito dal fumare durante l'O2-terapia. Vari dispositivi sono in grado di conservare la quantità di O2 utilizzata dal paziente, sia attraverso l'utilizzo di un sistema a serbatoio sia erogando il flusso di O2 solamente durante l'inspirazione. Questi sistemi correggono l'ipossiemia con la stessa efficacia dei dispositivi a erogazione continua. Durante i voli aerei, alcuni pazienti con COPD necessitano di O2 supplementare. Dal momento che la pressione nella cabina di volo nelle linee commerciali è equivalente a un'altitudine di 1500-3000 metri, i pazienti con COPD che volano provano lo stress aggiuntivo di una pressione parziale di O2 significativamente ridotta. La frazione inspiratoria di O2 (FiO2) è del 17,1% a 1500 metri e del 13,9% a 3000 metri. Una bassa FiO2 può sostanzialmente peggiorare l'ipossiemia perché i pazienti con COPD hanno una scarsa possibilità di aumentare la loro ventilazione a riposo. I pazienti con COPD eucapnici con una PaO2 > 68 mm Hg a livello del mare generalmente hanno una PaO2 > 50 mm Hg durante il volo e non hanno bisogno di O2 supplementare. Tutti i pazienti affetti da COPD con ipercapnia, anemia significativa (ematocrito < 30) o con coesistente cardiopatia o patologia cerebrovascolare devono usare O2 supplementare durante i voli lunghi e devono informare la compagnia aerea al momento della prenotazione. Ai pazienti non è consentito l'utilizzo del proprio O2; le compagnie aeree forniscono sistemi che producono O2 per via chimica. I pazienti devono portare le proprie cannule nasali, dal momento che le compagnie aeree forniscono solamente maschere facciali. Attività fisica: i pazienti sedentari, in quanto dispnoici durante esercizio o perché soggetti a prolungati ricoveri per insufficienza respiratoria, sviluppano una grave compromissione della muscolatura scheletrica. Come risultato, le richieste ventilatorie e cardiovascolari sono aumentate sotto esercizio. Questi effetti possono essere alleviati mediante un programma di progressivo allenamento. Pazienti gravemente decondizionati con forme terminali di COPD in genere richiedono l'ossigeno-terapia supplementare. L'allenamento dei muscoli respiratori sembra avere pochi vantaggi sull'allenamento globale del paziente. Poiché l'esercizio delle braccia senza allenamento provoca dispnea e affaticamento a un consumo di O2 minore di quello provocato dalle gambe, gli esercizi con le braccia sembrano utili nel ridurre la dispnea. I pazienti con COPD devono essere addestrati a risparmiare energia durante le attività quotidiane. Le difficoltà della sfera sessuale devono essere affrontate, file:///F|/sito/merck/sez06/0680615.html (12 of 15)02/09/2004 2.35.41

Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

consigliando l'uso di posizioni che risparmino energie durante il rapporto o gratificazioni sessuali alternative al coito. Alimentazione: molti pazienti con forme avanzate di COPD vanno soggetti a un dimagrimento importante ma lentamente progressivo e alcuni diventano francamente cachettici. In altri, la perdita di peso avviene per gradi, verosimilmente scatenata da una malattia acuta sovrapposta o da un ricovero. Questi pazienti non mostrano segni di malnutrizione proteica; la massa corporea magra è conservata e l'albumina plasmatica è normale. Tuttavia, la forza dei muscoli respiratori è ridotta a causa dell'eccessiva perdita di peso. La causa dell'eccessivo calo ponderale è soprattutto un aumento del consumo energetico a riposo del 15-25%, forse dovuto al notevole aumento del lavoro respiratorio. Un notevole aumento del metabolismo e della produzione di calore dopo un pasto (termogenesi indotta dall'alimentazione), un maggiore dispendio energetico per le attività quotidiane e un apporto calorico ridotto rispetto al bisogno sembrano giocare un ruolo importante. Una migliore alimentazione può ripristinare la forza e la resistenza muscolare respiratoria e generale. Tali miglioramenti si verificano solamente dopo un chiaro aumento di peso, raggiunto solamente all'interno di un ambiente ospedaliero controllato, con scarsi successi tra i pazienti domiciliari. Trapianto polmonare: la maggior parte dei pazienti con COPD che è stata sottoposta a trapianto di polmone ha un deficit di a1-antitripsina. Dal 1989, il trapianto polmonare singolo, una procedura molto più semplice, ha largamente soppiantato il trapianto polmonare doppio in questi pazienti. Rispetto al trapianto polmonare doppio, il trapianto polmonare singolo comporta una minore morbilità intraoperatoria, a breve e a lungo termine; una minore mortalità e valori minori di FVC, FEV1 e PaO2 durante la respirazione in aria ambiente. La circolazione extracorporea non è di solito necessaria. È necessaria l'immunosoppressione per tutta la vita. Chirurgia di riduzione del volume polmonare: la riduzione del volume polmonare nell'enfisema attraverso una resezione bilaterale delle aree relativamente non funzionali è tuttora sperimentale. Gli studi preliminari in pazienti altamente selezionati indicano una mortalità operatoria di circa il 5%. Nella maggior parte dei pazienti, la procedura offre un modesto miglioramento del FEV1 con una riduzione della capacità polmonare totale e miglioramenti più significativi nella tolleranza all'esercizio, nella dispnea e nella qualità della vita. Molti pazienti non necessitano più dell'O2-terapia a lungo termine. Il miglioramento, minore di quello dopo trapianto polmonare, è stato dimostrato durare fino a 1 anno. Il meccanismo di miglioramento è ritenuto essere l'aumento del ritorno elastico e il miglioramento della funzione diaframmatica e dei rapporti ventilazione/perfusione. Attualmente, la procedura è non rimborsata dal Medicare negli USA. Programmi di riabilitazione respiratoria: questi programmi sono volti a migliorare la funzione dell'intero organismo quando è stato fatto tutto il possibile per migliorare la funzione polmonare. Essi comprendono molte componenti della terapia secondaria. Il paziente e la famiglia vengono istruiti sulla natura della COPD e delle cure del paziente e il paziente viene indotto ad assumersi la maggiore responsabilità possibile per la cura personale. Un programma di riabilitazione attentamente integrato aiuta il paziente con una grave COPD ad adattarsi alle limitazioni funzionali fornendo al contempo aspettative di miglioramento realistiche. I benefici della riabilitazione consistono in un miglioramento in temini di indipendenza, di qualità di vita e di capacità di esercizio e in minori giorni di ospedalizzazione. La funzione polmonare non viene migliorata. Il trattamento delle forme terminali di COPD deve comprendere un programma riabilitativo personalizzato. Molti ospedali e organizzazioni sanitarie forniscono dei programmi di riabilitazione multidisciplinari formali con un approccio mirato intensivo. Questi programmi sono particolarmente importanti per i pazienti che rimangono collegati al ventilatore dopo un'insufficienza respiratoria acuta. Molti di questi possono trascorrere qualche ora al giorno lontani dal ventilatore e possono

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

essere addestrati a partecipare attivamente alla propria cura; alcuni possono essere anche mandati a casa con il ventilatore. Terapia del deficit di a1-antitripsina: nelle forme gravi, questo deficit può essere trattato con a1-antitripsina umana purificata (60 mg/kg EV una volta alla settimana), che può mantenere la concentrazione plasmatica a1-antitripsina sopra il livello protettivo da raggiungere di 80 mg/dl (35% del normale). Questo livello è stato scelto perché le persone PI*SZ, la cui concentrazione plasmatica dei a1-antitripsina supera gli 80 mg/ dl, non sviluppano enfisema. Dal momento che l'enfisema produce delle modificazioni strutturali permanenti, questa terapia non può migliorare la struttura del polmone o la funzione ma teoricamente può arrestare la progressione dell'enfisema. Tipicamente, il costo del medicinale per 1 anno per un paziente di 70-kg è di circa 25000 US $. La terapia con a1antitripsina deve essere riservata ai pazienti con patologie polmonari e con una concentrazione plasmatica di a1-antitripsina < 80 mg/dl; non è indicata per i pazienti che hanno un enfisema correlato con il fumo di sigaretta e fenotipi normali o eterozigoti. Le persone PI*ZZ con normale funzione polmonare devono essere seguite ma non trattate; la terapia con a1-antitripsina deve essere presa in considerazione quando la funzione polmonare è anormale, soprattutto se studi ripetuti mostrano un deterioramento. Per i soggetti gravemente compromessi < 50 anni, il trapianto polmonare deve essere preso in considerazione. Il ruolo della chirurgia di riduzione del volume polmonare nel trattamento dell'enfisema da a1-antitripsina deficit non è stabilito. La terapia genica per i pazienti con questo deficit è in studio. Terapia delle complicanze: nei pazienti con cuore polmonare, la patologia di fondo deve essere trattata. L'ipossiemia deve essere corretta con una O2-terapia a lungo termine. I diuretici possono controllare l'edema. La digitale deve essere riservata al trattamento delle aritmie sopraventricolari. Nell'insufficienza respiratoria acuta in corso di COPD, il primo obiettivo è il miglioramento dell'ipossiemia e la prevenzione dell'ipossia tissutale. Tale obiettivo può essere rapidamente raggiunto con la somministrazione di O2 a concentrazioni basse controllate sufficienti a innalzare la PaO2 a 60 mm Hg (SaO2 90%), prevenendo l'ipossia tissutale ma senza abolire completamente lo stimolo respiratorio ipossico. Il piccolo aumento della PaO2 si verifica nella parte ripida della curva di dissociazione dell'ossiemoglobina, risultando in un notevole incremento della saturazione in O2. Si possono utilizzare una maschera Venturi che eroga O2 al 24-28% o le cannule nasali con un flusso di O2 di 1-2 l/min. La PaCO2 può aumentare lievemente, ma dal momento che i bicarbonati sono aumentati in risposta all'ipercapnia cronica, l'acidemia peggiora solo lievemente ed è tollerabile se il pH non scende sotto 7,25. Come passo successivo, viene iniziato il trattamento sulla componente reversibile dell'ostruzione bronchiale. Esso comprende l'idratazione, l'aminofillina EV, i corticosteroidi e la terapia inalante con un b2-agonista o con ipratropio bromuro. Un'adeguata terapia antibiotica deve essere cominciata dopo aver raccolto un campione di espettorato per la colorazione di Gram e l'esame colturale. Il paziente deve essere rivalutato clinicamente e i gas del sangue vanno misurati almeno ogni 4 h. Il pH e la PaCO2 devono essere attentamente monitorizzati. Un ampio gruppo di pazienti può essere gestito in maniera conservativa. Un lieve peggioramento dell'ipossiemia e dell'acidemia non è un'indicazione alla ventilazione meccanica fintanto che lo stato clinico è stabile o in miglioramento. Il ruolo dei metodi di ventilazione meccanica non invasiva con una pressione positiva a due livelli (BiPAP) attraverso una maschera nasale o facciale è oggetto di studi. Il peggioramento dei livelli dei gas e dello stato clinico, soprattutto il progressivo affaticamento e la difficoltà a collaborare, indicano la necessità di un'intubazione endotracheale e di una ventilazione meccanica. Il quesito se un paziente con COPD desideri essere ventilato meccanicamente e rischi di trovarsi tracheostomizzato e dipendente da un ventilatore deve essere risolto prima che si verifichi l'insufficienza respiratoria acuta. Alcuni preferiscono l'ospedalizzazione

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

in una struttura per pazienti terminali e una morte confortevole (v. Cap. 294). I pazienti a maggior rischio di dipendenza da ventilatore sono quelli fortemente limitati nell'esercizio e costretti a casa, quelli con episodi ingravescenti di insufficienza respiratoria e quelli con il FEV1 più basso (< 0,5 l) e con i gas del sangue più alterati (livelli stabili di PaO2 in aria ambiente a riposo a livello del mare < 50 mm Hg con PaCO2 > 60 mm Hg). Anche la grave cachessia è indice di una prognosi sfavorevole. La ventilazione meccanica non deve essere tanto energica da causare un rapido aumento della PaCO2. Dal momento che i livelli di bicarbonato sono solitamente elevati, una rapida diminuzione della PaCO2 può causare una grave alcalemia, con convulsioni, coma e morte. Un'adeguata nutrizione è essenziale. I tubi endotracheali possono essere utilizzati per 3-4 settimane, dopo di che si rende necessaria la tracheostomia. Tuttavia, il paziente deve essere svezzato dal ventilatore meccanico il più presto possibile, di solito entro pochi giorni. Con un buon programma riabilitativo, molti pazienti sono in grado di ritornare alla loro precedente livello di attività.

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Epatopatia cronica

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 41. EPATOPATIA CRONICA DEFICIT DI A1-ANTITRIPSINA Sommario: Introduzione Sintomi e diagnosi Terapia

L'a1-antitripsina, una glicoproteina prodotta dal fegato, fornisce la maggior parte della capacità del siero di inibire gli enzimi proteolitici (p. es., la tripsina). L'a1antitripsina è presente nella saliva, nel liquido duodenale, nelle secrezioni polmonari, nelle lacrime, nelle secrezioni nasali e nel LCR. Il gene per l'a1antitripsina è sul cromosoma 14. Gli oltre 70 alleli possono determinare livelli normali, ridotti o nulli di questo inibitore delle proteasi (iP). L'iPZZ è la combinazione più grave, che determina dei livelli molto bassi. Questi pazienti hanno una marcata tendenza a sviluppare un enfisema panacinare in età adulta e possono sviluppare una grave epatopatia. La causa delle lesioni epatiche in caso di iPZZ è sconosciuta. L'epatopatia si verifica solo quando l'a1-antitripsina si accumula negli epatociti. Può essere dovuta alla ritenzione di un materiale simile all'a1-antitripsina, in realtà la proteina ZZ polimerizzata. Verosimilmente è dovuta all'azione non più inibita delle proteasi, specialmente dell'elastasi, che porta alla distruzione cellulare. Nel deficit di a1-antitripsina, l'azione non contrastata delle proteasi generalmente colpisce i polmoni. Più bassi sono i valori sierici dell'a1-antitripsina e più è probabile che si verifichi un enfisema (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68), specialmente in presenza di fattori ambientali come il fumo. I sintomi polmonari tendono a manifestarsi nei pazienti di età compresa tra i 30 e i 40 anni.

Sintomi e diagnosi Il deficit di a1-antitripsina si può presentare come un'epatopatia nei bambini, come un enfisema nei giovani o come una cirrosi nell'anziano. Molti pazienti presentano i segni della colestasi e dell'epatite già nei primi pochi mesi di vita. Alcuni muoiono, ma la maggior parte sopravvive, presentando una epatomegalia residua nella tarda fanciullezza che, poi, progredisce a cirrosi e alle sue sequele nella prima adolescenza. La maggior parte dei pazienti con iPZZ, alla fine, sviluppa o presenta l'evidenza di un'epatopatia. L'epatite neonatale è la presentazione più precoce del deficit di a1-antitripsina da iPZZ. Fino al 25% dei pazienti sviluppa una cirrosi con ipertensione portale e muore per le complicanze prima dei 12 anni di età, il 25% muore entro i 20 anni e il 25% ha una fibrosi con una minima disfunzione epatica e diventa adulto, mentre il 25% non mostra segni di una malattia progressiva. L'esito di questi pazienti con iPZZ, ma senza epatite neonatale, non è chiaro.

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Epatopatia cronica

Il deficit adulto di a1-antitripsina, anche se raro, porta a un enfisema polmonare cronico (nel 60%) e a una cirrosi (nel 12%). Queste due condizioni, di solito, non coesistono. La cirrosi sintomatica può progredire da una forma micronodulare a una macronodulare e, alla fine, complicarsi con lo sviluppo di un carcinoma epatocellulare. I pazienti affetti da un'epatopatia che si manifesta per la prima volta nell'età adulta, di solito, hanno un'anamnesi positiva per un ittero neonatale. Sono caratteristici un basso livello di globuline sieriche e, in particolare, un ridotto livello di a1-antitripsina (10% del valore normale). La diagnosi è confermata dal reperto di corpuscoli sferoidali eosinofili alla colorazione con ematossilina-eosina nel campione bioptico epatico. Questi corpuscoli sono anche PAS-positivi. I neonati con colestasi possono avere un danno epatocellulare senza un marcato infiltrato di cellule infiammatorie, una fibrosi portale con proliferazione duttale o un'ipoplasia duttale. La cirrosi è un reperto tardivo. La diagnosi prenatale di deficit di a1-antitripsina viene fatta identificando l'allele Z nelle cellule ottenute con l'amniocentesi o con la biopsia dei villi coriali. Questo reperto non è, comunque, predittivo dell'esito per quanto riguarda la comparsa dell'enfisema o della cirrosi.

Terapia La terapia standard deve essere rivolta alla malattia polmonare: l'educazione a non fumare, l'eliminazione di ogni componente reversibile di ostruzione delle vie aree, l'eliminazione e la prevenzione delle infezioni broncopolmonari e le misure igieniche generali. Non esiste una terapia medica che sia riuscita, in modo documentato, a stimolare la produzione di a1-antitripsina o a sostituirla. In caso di grave danno epatico, l'unico trattamento terapeutico efficace è il trapianto di fegato. In questo caso il fenotipo del ricevente diventa quello del donatore e il nuovo fegato produce una normale a1-antitripsina.

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Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 69. MALATTIE OSTRUTTIVE CRONICHE DELLE VIE AEREE BOLLE GIGANTI Le bolle giganti, che coinvolgono � 1/3 di uno o di entrambi gli emitoraci, possono compromettere gravemente la funzione polmonare dell'emitorace interessato e possono anche invadere il polmone controlaterale; l'asportazione chirurgica può migliorare notevolmente i sintomi e la funzione respiratoria. In generale, la resezione è efficace soprattutto nei pazienti che hanno delle bolle che coinvolgono > 1/3 di un emitorace e un FEV1 pari a metà circa del valore predetto. I miglioramenti funzionali sono correlati alla quantità di tessuto polmonare normale o minimamente compromesso che era compresso dalla bolla asportata. Ripetute rx e TC del torace sono le procedure più utili per determinare se lo stato funzionale di un paziente è dovuto a compressione di polmone sano da parte di un bolla o se è dovuto a un enfisema generalizzato. Raramente, le bolle vengono infettate da piogeni o da miceti, come l'Aspergillus sp, causando un micetoma. Le infezioni da piogeni devono essere trattate con adeguati antibiotici. I micetomi raramente richiedono una terapia a meno che si dimostri un'invasione tissutale da parte del fungo (in tal caso la terapia antimicotica è appropriata) o si associno a emottisi pericolose per la vita; allora devono essere considerate la resezione chirurgica o l'embolizzazione delle arterie bronchiali.

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Bronchite acuta

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 69. BRONCHITE ACUTA Infiammazione acuta dell'albero tracheobronchiale, generalmente autolimitantesi e con guarigione finale completa e ripristino della normale funzione.

Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Sebbene sia comunemente di lieve entità, la bronchite acuta può essere grave in pazienti debilitati e in quelli con affezioni croniche polmonari o cardiache. L'ostruzione del flusso aereo è una conseguenza comune e la polmonite è una complicanza critica. La bronchite cronica è trattata in Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68.

Eziologia La bronchite infettiva acuta, che ha la massima incidenza in inverno, è generalmente parte del quadro di una IRS acuta. Essa può svilupparsi in conseguenza di un comune raffreddore o di altre infezioni virali del nasofaringe, della gola o dell'albero tracheobronchiale, spesso con superinfezione batterica. I virus responsabili di una bronchite acuta comprendono gli adenovirus, i coronavirus, i virus dell'influenza A e B, il virus parainfluenzale, il virus respiratorio sinciziale, il virus coxsackie A21, i rhinovirus e i virus che causano la rosolia e il morbillo. Anche il Mycoplasma pneumoniae, la Bordetella pertussis e la Chlamydia pneumoniae causano delle bronchiti acute infettive, spesso nei giovani. La malnutrizione e l'esposizione a inquinanti aerei costituiscono fattori predisponenti o concausali. Le bronchiti spesso ricorrono in pazienti con malattie broncopolmonari croniche che deprimono il meccanismo di clearance e possono ricorrere in quelli con sinusiti croniche, bronchiettasie, forme allergiche broncopolmonari o COPD e nei bambini con tonsille e adenoidi ipertrofiche. La bronchite acuta irritativa può essere causata da diverse polveri minerali e vegetali; da esalazioni contenenti acidi forti, ammoniaca, alcuni solventi organici volatili, cloro, acido solfidrico, anidride solforosa o bromo; dagli irritanti ambientali ozono e diossido di azoto; dal fumo di tabacco o di altra origine. L'asma variante tosse, dove il grado di broncocostrizione non è sufficiente a produrre un respiro sibilante evidente, può essere causata in un individuo atopico dall'inalazione di un allergene o in un individuo con un'iperreattività relativamente lieve dall'esposizione cronica a irritanti. Il suo trattamento è simile a quello dell'asma comune.

Anatomia patologica e fisiopatologia file:///F|/sito/merck/sez06/0690630.html (1 of 3)02/09/2004 2.35.45

Bronchite acuta

L'iperemia delle mucose è l'alterazione più precoce, seguita dalla desquamazione, l'edema, l'infiltrazione leucocitaria della sottomucosa e la produzione di essudato vischioso e mucopurulento. Le funzioni protettive dell'epitelio ciliato bronchiale, dei fagociti e dei linfatici sono compromesse e i batteri possono invadere i bronchi normalmente sterili con conseguente accumulo di detriti cellulari ed essudato mucopurulento. La tosse è essenziale per l'eliminazione delle secrezioni bronchiali. L'ostruzione delle vie aeree può essere conseguenza dell'edema delle pareti bronchiali, del ristagno delle secrezioni e, in qualche caso, dello spasmo della muscolatura bronchiale.

Sintomi e segni La bronchite infettiva acuta è spesso preceduta dai sintomi di un'infezione delle prime vie respiratorie: corizza, malessere, sensazione di freddo, lieve rialzo termico, mal di schiena e mialgie, mal di gola. L'insorgenza di una tosse estenuante segnala di solito l'inizio della bronchite. La tosse è all'inizio secca e non produttiva, ma piccole quantità di escreato vischioso vengono prodotte nel giro di qualche ora o qualche giorno; più tardi, l'escreato può diventare più abbondante e mucoso o mucopurulento. Un escreato francamente purulento suggerisce una sovrainfezione batterica. Alcuni pazienti hanno dolore urente retrosternale, aggravato dalla tosse. In caso di forme gravi non complicate, può essere presente febbre fino a 38,3-38,8°C (101-102°F) per 3-5 gg, dopo di che i sintomi acuti regrediscono (sebbene la tosse possa persistere per diverse sett.). La febbre persistente è suggestiva di una complicazione polmonitica. La dispnea si può presentare secondariamente all'ostruzione delle vie aeree. I segni polmonari sono scarsi nella bronchite acuta non complicata. Possono essere auscultati ronchi sparsi di intensità alta o bassa o sonori come pure, occasionalmente, crepitii o rantoli alle basi. Il respiro sibilante, specialmente dopo i colpi di tosse, è comune. La persistenza di segni localizzati, evidenziati durante l'esame obiettivo del torace, suggerisce lo sviluppo di una broncopolmonite. Complicanze gravi di solito si verificano solo in pazienti con una patologia respiratoria cronica di base. In tali pazienti, una bronchite acuta può causare gravi alterazioni emogasanalitiche (insufficienza respiratoria acuta).

Diagnosi La diagnosi è di solito possibile sulla base dei sintomi e dei segni clinici, ma una rx del torace è indicata per escludere altre affezioni o complicanze se la sintomatologia è di grave entità e prolungata. Vanno eseguiti controlli emogasanalitici arteriosi quando sia presente una grave affezione cronica respiratoria di base. Per i pazienti che non rispondono agli antibiotici o che sono in condizioni cliniche particolari (p. es., in caso di immunodepressione), va eseguita una colorazione di Gram e una coltura dell'escreato per identificare l'agente eziologico responsabile.

Terapia Il paziente deve rimanere a riposo fino a quando non regredisce la febbre. Liquidi PO (fino a 3 o 4 l/die) vanno prescritti durante il decorso febbrile. Un analgesico antipiretico (p. es., per gli adulti, aspirina 650 mg o paracetamolo 650 mg q 4-6 h; per i bambini il paracetamolo 10-15 mg/kg q 4-6 h) allevia il malessere e riduce la febbre. La terapia sintomatica della tosse è trattata nel Cap. 63.

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Bronchite acuta

Gli antibiotici sono indicati in caso di una COPD concomitante (v. Broncopenumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68), in presenza di escreato purulento o quando persista febbre alta e il paziente stia piuttosto male. Per la maggior parte degli adulti, le tetracicline o l'ampicillina PO 250 mg q 6 h rappresentano una ragionevole prima scelta; in alternativa, può essere usato il trimetoprim-sulfametossazolo 160/800 mg PO bid. Le tetracicline non devono essere somministrate nei bambini < 8 anni; si può dare invece l'amoxicillina 40 mg/kg/die in dosi frazionate tid. Quando la sintomatologia persiste o recidiva o quando la malattia è insolitamente grave, sono indicati lo striscio e la coltura dell'escreato. La terapia antibiotica viene quindi scelta in base al germe predominante e alla sua sensibilità. Se si sospetta che l'agente eziologico sia il M. pneumoniae o la C. pneumoniae, si può somministrare l'eritromicina 250500 mg PO qid. Nel corso di un'epidemia causata dal virus dell'influenza A, può essere presa in considerazione la terapia con rimantadina.

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Bronchiettasie

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 70. BRONCHIETTASIE Dilatazioni irreversibili focali dei bronchi, solitamente accompagnate da infezione cronica e associate a diverse condizioni, alcune congenite o ereditarie.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Le bronchiettasie possono essere localizzate e limitate a un singolo segmento o lobo di un polmone o possono essere diffuse e coinvolgere più lobi in uno o entrambi i polmoni.

Eziologia e fisiopatologia Le bronchiettasie congenite sono un rara condizione in cui la periferia del polmone non si sviluppa con conseguente dilatazione cistica dei bronchi già sviluppati. Le bronchiettasie acquisite sono il risultato di (1) una distruzione diretta della parete bronchiale, a causa di infezioni, inalazione di sostanze chimiche dannose, reazioni immunologiche o anomalie vascolari che interferiscono con la nutrizione bronchiale o di (2) alterazioni meccaniche, secondarie ad atelettasia o a perdita di volume parenchimale con aumentata trazione sulle pareti delle vie aeree, con conseguente dilatazione bronchiale e infezione secondaria. Le endotossine e proteasi batteriche; le proteasi derivate dalle cellule infiammatorie circolanti o polmonari; i radicali superossidi e i complessi Ag-Ac possono mediare il danno alla parete bronchiale. La quantità di elastasi neutrofile, di catepsina G e di metallo-proteinasi MMP-8 della matrice neutrofila funzionalmente attive, reperibile nel liquido di lavaggio broncoalveolare, aumenta con la gravità della malattia nelle bronchiettasie di grado da moderato a grave. Inoltre, le antiproteasi a1-antitripsina e antichimotripsina possono essere proteoliticamente od ossidativamente smembrate in forme molecolari a minore peso, che danno una protezione minore contro la distruzione enzimatica della matrice extracellulare. Il rinvenimento delle citochine proinfiammatorie interleuchina-1b (IL-1b), IL-8 e dell'alfa tumor necrosis factor nell'espettorato e la dimostrazione delle interazioni tra chemochine e citochine delle cellule bronchiali hanno portato all'ipotesi che tali interazioni possano provocare il reclutamento e l'attivazione di determinate cellule infiammatorie, influenzare la loro sopravvivenza e modulare la progressione dell'infiammazione, un elemento cardine delle bronchiettasie. L'ossido nitrico, che influenza la risposta immunitaria, la comunicazione intercellulare e l'essudazione plasmatica nelle zone di infiammazione, può contribuire a perpetuare la risposta infiammatoria nelle bronchiettasie. L'ossido nitrico espirato è aumentato nei pazienti affetti da bronchiettasie rispetto ai soggetti sani e ai bronchiettasici che assumono corticosteroidi inalatori. Condizioni che comunemente portano alle bronchiettasie sono rappresentate da: file:///F|/sito/merck/sez06/0700632.html (1 of 8)02/09/2004 2.35.47

Bronchiettasie

polmoniti gravi (specialmente quando complicano il morbillo, la pertosse o particolari infezioni da adenovirus nei bambini); infezioni polmonari necrotizzanti dovute a Klebsiella sp, stafilococchi, virus influenzale, funghi, micobatteri e, in rari casi, micoplasmi e ostruzioni bronchiali di qualunque origine (p. es., da corpi estranei, linfonodi aumentati di volume, tappi di muco, cancro polmonare o altre neoplasie polmonari). Svariate affezioni polmonari croniche fibrosanti (p. es., quelle che seguono a polmonite ab ingestis o da inalazione di gas nocivi o di particelle, p. es., silicio, talco o bachelite) predispongono anch'esse alle bronchiettasie. Le deficienze immunologiche, compresa la AIDS e altre diverse anomalie acqusite, congenite ed ereditarie che aumentano la suscettibilità dell'ospite alle infezioni o che compromettono le difese respiratorie, sono fattori predisponenti meno comuni ma importanti. Sebbene l'incidenza e la mortalità si siano ridotte con il largo uso di antibiotici e delle vaccinazioni nei bambini, sono ancora comuni le bronchiettasie come manifestazione della fibrosi cistica (v. Cap. 267). Le bronchiettasie, insieme al situs inversus e la sinusite, sono una caratteristica della sindrome di Kartagener, un sottogruppo della discinesia ciliare primitiva (Primary Ciliary Dyskinesia, PCD). In queste sindromi, le alterazioni strutturali o funzionali degli organelli ciliari comportano una difettosa clearance mucociliare con conseguenti infezioni bronchiali suppurative e bronchiettasie come anche riniti croniche, otiti sierose dell'orecchio medio, sterilità maschile, alterazioni corneali, algie dei seni paranasali e iposmia. Le bronchiettasie possono manifestarsi in pazienti con sindrome di Young, che è caratterizzata da azoospermia ostruttiva, da infezioni croniche senopolmonari, da normale spermatogenesi, da dilatazione della testa dell'epididimo ripiena di spermatozoi e da materiale amorfo, con assenza di spermatozoi nella regione del corpo. Sono assenti le anomalie ciliari viste nella sindrome PCD, le anomalie genetiche ed elettrolitiche caratteristiche della fibrosi cistica e le mutazioni genetiche riscontrate nell'assenza congenita dei vasi deferenti, responsabile del 6% delle azoospermie ostruttive. Un quadro bronchiettasico insolito si realizza nella micosi broncopolmonare allergica (v. Aspergillosi broncopolmonare allergica nel Cap. 76): sono dilatati i bronchi prossimali piuttosto che quelli di medio calibro o quelli subsegmentari o periferici come nelle bronchiettasie idiopatiche. Si pensa che le lesioni della parete bronchiale siano dovute a una risposta immunologica a un fungo colonizzatore produttore di proteasi, in genere l'Aspergillus fumigatus, che permette al microrganismo di sopravvivere e all'infiammazione e alla distruzione di mantenersi. L'associazione riportata tra bronchiettasie e probabili o possibili malattie autoimmuni, come l'artrite reumatoide, la sindrome di Sjögren, la tiroidite di Hashimoto e la colite ulcerosa, non è stata spiegata in maniera esauriente.

Fisiopatologia Le bronchiettasie possono essere unilaterali o bilaterali; sono presenti più frequentemente nei lobi inferiori, sebbene spesso siano interessati il lobo medio destro e la porzione lingulare del lobo superiore sinistro. La tradizionale classificazione in cilindriche, varicose o sacciformi si basa sull'aspetto anatomopatologico o broncografico. Tuttavia, queste distinzioni hanno poco valore clinico e le attuali correlazioni anatomo-patologiche con le caratteristiche alla TC ad alta risoluzione ed elicoidale stanno rendendo questa classificazione obsoleta. Dal punto di vista anatomo-patologico, le pareti bronchiali mostrano un'estesa distruzione flogistica, un'infiammazione cronica, un aumento del muco e una perdita delle ciglia. Dove l'interstizio e le aree alveolari adiacenti sono distrutte, la riorganizzazione tissutale e la fibrosi portano a una perdita di volume. Le bronchiettasie si associano generalmente alla bronchite cronica e/o all'enfisema e ad alcune fibrosi. L'estensione e le caratteristiche delle modificazioni patologiche determinano le anomalie funzionali ed emodinamiche, che spesso comprendono la riduzione dei volumi polmonari e dei flussi espiratori, gli squilibri ventilazione/perfusione e

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Bronchiettasie

l'ipossiemia. Possono crearsi estese anastomosi tra arterie bronchiali e polmonari con notevole dilatazione delle arterie bronchiali. Anche le anastomosi fra vene bronchiali e polmonari si dilatano. Il risultante aumento del flusso sanguigno, dello shunt destro-sinistro e dell'ipossiemia porta all'ipertensione polmonare e al cuore polmonare nelle fasi avanzate della malattia.

Sintomi e segni Le bronchiettasie, che possono manifestarsi a qualsiasi età, più spesso cominciano durante l'infanzia, ma i sintomi possono manifestarsi solo molto più tardivamente. La gravità e le caratteristiche dei sintomi variano ampiamente da paziente a paziente, come pure di volta in volta in uno stesso individuo, in base all'estensione dell'affezione e alla presenza e alla diffusione delle infezioni croniche secondarie. La maggiore parte dei pazienti ha tosse cronica e produzione di escreato, i sintomi più caratteristici e comuni, ma occasionalmente il paziente è asintomatico. I sintomi spesso iniziano in maniera insidiosa, di solito dopo un'infezione respiratoria e tendono a peggiorare gradualmente nel giro di anni. Una grave polmonite con incompleta remissione dei sintomi e con il residuo di tosse persistente e produzione di escreato rappresenta una modalità comune di insorgenza. Col progredire dell'affezione, la tosse tende a diventare più produttiva. Di solito, essa si presenta regolarmente al risveglio mattutino, nel tardo pomeriggio e al momento di coricarsi; molti pazienti restano relativamente liberi dalla tosse nelle ore intercorrenti. L'escreato di solito è simile a quello della bronchite e non è caratteristico. Meno frequentemente, nei casi inveterati, l'escreato è abbondante e può sedimentarsi in 3 strati: schiumoso in superficie, verdastro e torbido in mezzo e denso e purulento al fondo. L'emottisi da erosione dei capillari, ma proveniente a volte dalle anastomosi tra il sistema arterioso polmonare e quello bronchiale, è frequente e può rappresentare il primo e unico sintomo. Sono pure comuni febbri o dolori pleuritici ricorrenti, con o senza evidenti polmoniti; le indagini su questi sintomi possono portare alla diagnosi di bronchiettasie. Il respiro sibilante, la dispnea e le altre manifestazioni di insufficienza respiratoria e il cuore polmonare (v. Cap. 203) possono presentarsi nei casi avanzati con bronchite cronica ed enfisema associati. I rilievi obiettivi non sono specifici, ma crepitii persistenti in qualunque parte dei polmoni suggeriscono la presenza di bronchiettasie. I segni di ostruzione al flusso aereo (riduzione dei rumori respiratori, espirazione prolungata, o respiro sibilante) tendono a essere più pronunciati nei fumatori che nei non fumatori. Le dita a bacchetta di tamburo si osservano talora quando la patologia sia estesa e ci sia un'infezione cronica persistente (Fig. 63-1).

Diagnosi Le bronchiettasie devono essere sospettate in ogni paziente con i segni e i sintomi sopra descritti. La rx del torace standard può mostrare un aumento della trama broncovascolare per fibrosi peribronchiale e secrezioni intrabronchiali, che confluiscono da un polmone atelettasico, immagini "a binario" (linee parallele che disegnano le dilatazioni bronchiali dovute all'infiammazione e alla fibrosi peribronchiale), aree a nido d'ape o aree cistiche con o senza livelli liquidi, ma occasionalmente la rx risulta normale. La TC ad alta risoluzione (High Resolution Computerized Tomography, HRCT) del torace (tagli da 1-2 mm) ha ampiamente sostituito la broncografia. Con tagli da 10 mm, la dilatazione dei piccoli bronchi può non vedersi, ma la migliore risoluzione della HRCT fornisce risultati comparabili o preferibili a quelli della broncografia. Il suo uso più diffuso indica che le bronchiettasie sono probabilmente più comuni di quanto possa essere diagnosticato con i segni clinici e la sola rx del torace standard. Caratteristici reperti TC sono le vie aeree dilatate, indicate dalle linee a binario, da un'immagine ad anello con sigillo con un diametro interno > 1,5 volte quello di un vaso adiacente in sezione trasversa o da immagini a grappolo nelle zone colpite più gravemente. Questi bronchi di medio calibro dilatati possono file:///F|/sito/merck/sez06/0700632.html (3 of 8)02/09/2004 2.35.47

Bronchiettasie

estendersi quasi fino alla pleura a causa della distruzione del parenchima polmonare. Altri reperti sono l'ispessimento delle pareti bronchiali, l'ostruzione delle vie aeree (evidenziata da un'opacizzazione, p. es., per un tappo di muco o da intrappolamento dell'aria) e, a volte, gli addensamenti. La TC spirale può essere presa in considerazione per i pazienti candidati a interventi chirurgici perché almeno uno studio ha dimostrato la sua superiorità rispetto alla HRCT nell'identificazione dell'estensione delle bronchiettasie e della distribuzione all'interno di un dato segmento, ma la maggiore esposizione radiante le ha impedito di sostituire la HRCT nell'uso comune. La HRCT può essere eseguita con o senza contrasto; l'esatto protocollo va individualizzato sulla situazione clinica del paziente. Un'eccessiva quantità di secrezioni o di sangue nell'albero bronchiale o una broncopolmonite acuta possono portare a erronee interpretazioni. La dilatazione reversibile che si realizza con l'addensamento degli spazi aerei (p. es., la polmonite) non va confusa con le vere bronchiettasie. La bronchite cronica spesso accompagna e può simulare le bronchiettasie, ma le emottisi ricorrenti, la febbre e il dolore pleuritico insieme alle anomalie alla rx aiutano a distinguere le bronchiettasie dalla sola bronchite cronica. Deve essere esclusa la presenza di infezioni da micobatteri o da funghi, perché queste sono curabili. Le colture dell'espettorato, il lavaggio bronchiale, gli studi sierologici per antigeni o anticorpi fungini o anche biopsie parenchimali mirate (ma non sulle bronchiettasie riccamente vascolarizzate) possono essere indicati. Quando la TC mette in evidenza dei piccoli noduli con bronchiettasie in un ospite non immunocompromesso senza fibrosi cistica, le colture del Mycobacterium Avium-Intracellulare complex (MAIC) sono spesso positive e, in alcuni pazienti, i granulomi del MAIC suggeriscono la presenza di malattia piuttosto che una semplice colonizzazione. Quando l'affezione è unilaterale o di recente insorgenza, la broncoscopia a fibre ottiche è indicata per escludere un tumore, un corpo estraneo o altre alterazioni endobronchiali localizzate. La HRCT viene spesso eseguita per prima per dare la massima informazione in anticipo al broncoscopista, ma la broncoscopia è in genere ugualmente necessaria per una precisa diagnosi patologica. Bisogna ricercare eventuali condizioni associate, in particolare la fibrosi cistica, le immunodeficienze e le alterazioni congenite predisponenti. Tale ricerca è soprattutto importante nei soggetti sintomatici giovani e nei pazienti con infezioni particolarmente gravi o frequentemente ricorrenti. Si deve sospettare la fibrosi cistica se le alterazioni sulla rx sono in prevalenza negli apici o nei lobi superiori. L'insufficienza pancreatica è caratteristica nei bambini ma non è frequente negli adulti, nei quali predominano le manifestazioni polmonari. La diagnosi di fibrosi cistica è basata sui risultati del test del sudore (v. Cap. 267). I test genetici possono dare delle informazioni in pazienti fertili che hanno delle bronchiettasie inspiegate con una funzione pancreatica ed elettroliti nel sudore normali. La sindrome di Young, più frequente delle sindromi PCD o della fibrosi cistica, va sospettata negli uomini con sintomi sinusopolmonari cronici ricorrenti e con infertilità. La normalità degli permatozoi, degli esami della funzionalità dei testicoli e del test del sudore la distinguono dalla fibrosi cistica tipica o dalle sindromi PCD. Alcuni pazienti con anomalie del dotto deferente hanno delle mutazioni nel gene della fibrosi cistica, ma tali mutazioni non sono ancora state dimostrate in quelli con la sindrome di Young. Le sindromi PCD colpiscono l'11% dei bambini con affezioni respiratorie croniche. La diagnosi viene confermata dall'esame dell'ultrastruttura e della funzionalità (motilità, frequenza del battito) delle ciglia nasali o di altre mucose respiratorie, ottenute attraverso una biopsia o un raschiamento, e dalla misura del tempo di clearance delle ciglia nasali, tempo necessario al paziente per sentire il sapore della saccarina dopo che questa è stata instillata sopra il turbinato inferiore del naso (normale: 12-15 min). L'interpretazione delle alterazioni ciliari comprende l'esclusione di difetti ciliari aspecifici, che possono essere presenti nel 10% delle ciglia nei pazienti con patologia polmonare acquisita e nelle persone normali; la considerazione che le infezioni possono causare una discinesia transitoria; e che le caratteristiche delle ciglia di pazienti e di persone sane possono sovrapporsi. L'ultrastruttura delle ciglia può essere normale nei pazienti con sindromi PCD, forse per via delle anormalità

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Bronchiettasie

biochimiche e molecolari che compromettono la funzione ma non l'ultrastruttura. Le deficienze delle immunoglobuline (Ig) possono essere identificate da determinazioni delle Ig del siero (v. Cap. 146 e 147). Se l'elettroforesi proteica rileva bassi livelli di g-globuline, le IgG, le IgA e le IgM del siero devono essere misurate. Anche quando i livelli totali di IgG o di IgA sono normali, alcune deficienze di sottoclassi delle IgG sono state associate a infezioni sinusopolmonari; le sottoclassi delle IgG devono essere misurate nei pazienti con bronchiettasie inspiegate. Il deficit di a1-antitripsina (inibitore dell'a1-antiproteasi), che occasionalmente si associa alle bronchiettasie, può essere sospettato quando le a1-globuline sono basse e può essere confermato dall'esame del fenotipo con immunoelettroforesi crociata (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68). Le alterazioni congenite della cartilagine bronchiale o tracheale e del tessuto connettivo sono abitualmente osservabili alla rx. Nella tracheo-broncomegalia (sindrome di Mounier-Kuhn), la larghezza della trachea è circa il doppio del normale. Nella rara sindrome di Williams-Campbell, l'assenza parziale o totale di cartilagine oltre i bronchi segmentali principali produce sibili e dispnea nei primi anni dell'infanzia; la broncoscopia, la TC o le tecniche di imaging più recenti possono mostrare un rigonfiamento inspiratorio e un collasso espiratorio dei bronchi interessati. La sindrome delle unghie gialle, che si crede sia dovuta a ipoplasia congenita del sistema linfatico, si riconosce da unghie ispessite, curvate, giallo-verdognole e da linfedema primario; alcuni pazienti presentano versamenti pleurici essudativi e bronchiettasie. L'aspergillosi broncopolmonare allergica può essere sospettata in presenza di una reazione con pomfo ed eritema ad Ag fungini, di alte IgE sieriche, di un'elevazione delle precipitine sieriche per Aspergillus fumigatus o altri funghi e di un quadro clinico suggestivo. L'eosinofilia del sangue e dell'escreato è spesso presente.

Profilassi La consapevolezza e l'identificazione precoce delle condizioni associate di frequente con le bronchiettasie possono permettere una terapia immediata che può evitare il loro sviluppo o ridurre il loro aggravarsi. Più della metà dei casi di bronchiettasie pediatriche possono essere accuratamente diagnosticate e prontamente trattate per ridurre la morbilità. Quando c'è un'anamnesi familiare di fibrosi cistica, la diagnosi prenatale con test del DNA per identificare le specifiche mutazioni può permettere un precoce trattamento e guidare il consulto genetico. La vaccinazione in età pediatrica contro la pertosse e il morbillo, l'uso diffuso degli antibiotici e il miglioramento delle condizioni di vita e dell'alimentazione hanno aiutato a ridurre la prevalenza, la morbilità e la mortalità delle bronchiettasie. La vaccinazione influenzale annuale e il vaccino pneumococcico una tantum (o con richiami dopo 6 anni per soggetti particolarmente a rischio e con alta probabilità di risposta) possono essere utili e stanno assumendo crescente importanza clinica. (V. Cap. 152 e Vaccinazioni nell'infanzia nel Cap. 256.) Il trattamento precoce dell'infezione da virus respiratorio sinciziale con ribavirina per aerosol e il tempestivo trattamento delle polmoniti possono diminuirne la potenziale pericolosità. Il trattamento appropriato delle polmoniti è basato sull'età del paziente, sulla presenza di comorbilità, sulla gravità dell'infezione, sulla possibile causa e sui patogeni probabilmente responsabili (v. Cap. 73). Il supplemento di Ig nelle condizioni di deficit, il riconoscimento precoce e la rimozione dei corpi estranei e delle ostruzioni bronchiali localizzate, il trattamento delle sinusiti ricorrenti (v. anche Cap. 86) e la prevenzione e il tempestivo trattamento delle condizioni predisponenti all'aspirazione di materiali infetti o file:///F|/sito/merck/sez06/0700632.html (5 of 8)02/09/2004 2.35.47

Bronchiettasie

tossici (v. Polmonite da inalazione nel Cap. 73) possono prevenire le infezioni respiratorie ricorrenti o il danno che porta alle bronchiettasie. Il supplemento di Ig, che sembra ridurre il numero e la gravità delle infezioni respiratorie negli stati di immunodeficienza, può essere particolarmente utile nei pazienti con una documentata inadeguatezza della produzione anticorpale dopo stimolazione specifica. Le immunoglobuline vengono somministrate IM al dosaggio sufficiente a mantenere il paziente libero da infezioni. Sono anche disponibili le immunoglobuline EV (IGEV). Livelli sierici di IgG > 500 mg/dl sono associati a minori infezioni e a una migliore funzione polmonare. Le IVIG possono far più che sostituire passivamente gli anticorpi. Esse possono neutralizzare alcune tossine di origine batterica o adiuvare in altri modi le difese antiinfiammatorie dell'ospite. Il dosaggio e la posologia devono essere individualizzati per il paziente. (Per i dettagli sulla terapia sostitutiva, v. Immunodeficienze primarie e secondarie nel Cap. 147.) L'inalazione di gas e di particolati nocivi, compreso il fumo di sigaretta, deve essere evitata o ridotta al minimo attraverso l'utilizzo di efficaci controlli ambientali o attraverso mezzi di protezione personale. Quando si verifica un danno da inalazione acuta, il rapido trattamento dell'infezione sovrapposta e l'attento uso di corticosteroidi possono ridurre il danno flogistico. (v. Malattie da gas irritanti e altre sostanze chimiche nel Cap. 75.)

Terapia Il trattamento è diretto contro le infezioni, le secrezioni, l'ostruzione delle vie aeree e le complicanze (p. es., l'emottisi, l'ipossiemia, l'insufficienza respiratoria, il cuore polmonare). Il trattamento delle infezioni comprende gli antibiotici, i broncodilatatori e la fisioterapia per favorire il drenaggio bronchiale. L'escreato contiene solitamente microrganismi gram + e gram - (p. es., lo Streptococcus pneumoniae, l'Haemophilus influenzae, lo Staphylococcus aureus, la Moraxella [Branhamella] catarrhalis, lo Pseudomonas sp); gli anaerobi colonizzano comunemente le bronchiettasie cistiche. Un antibiotico a largo spettro (p. es., ampicillina 250500 mg PO q 6 h per gli adulti o 50-100 mg/kg/die in dosi frazionate q 6-8 h nei bambini, con una dose massima di 2-3 g/die nei bambini più grandi; l'amoxicillina 250-500 mg PO q 8 h per gli adulti o 40 mg/kg/die in dosi frazionate per i bambini; o, solo per gli adulti, la tetraciclina 250-500 mg PO q 6 h), viene spesso prescritto fino a quando l'espettorato non perde il carattere purulento e diventa meno abbondante, per circa 1-2 sett. Il trimetoprim-sulfametossazolo (TMP/SMX) 320/ 1600 mg PO q 12 h per 14 gg può anche ridurre il volume dell'escreato ed eliminare i patogeni; per i bambini, il TMP/SMX (da 6/30 a 12/60 mg/kg/ die) viene somministrato in dosi frazionate q 12 h, a seconda della taglia del bambino e della gravità dell'infezione. La tetraciclina o il trimetoprim possono inibire l'aumento dell'assorbimento di sodio delle vie aeree in vitro e potrebbe esercitare un duplice effetto benefico in una patologia come la fibrosi cistica, in cui l'aumentato assorbimento di sodio nelle vie aeree sembra importante nell'ispessire le secrezioni. Una possibile alternativa è un macrolide più recente, come la claritromicina o l'azitromicina o una cefalosporina di 2a generazione. Gli antibiotici vanno ripetuti al primo segno di infezione recidivante (aumento del volume o della purulenza dell'escreato). Se l'infezione recidiva spesso, una chemioprofilassi prolungata con ampicillina, amoxicillina o tetraciclina può essere tentata, ma è generalmente deludente. È stato riportato che, nei casi gravi, l'amoxicillina ad alte dosi (3 g PO bid) raggiunge nel siero e nell'escreato concentrazioni più elevate di quanto facciano uguali dosi di ampicillina. Un trattamento antimicrobico soppressivo o profilattico può ridurre la carica batterica (associata con la produzione di pus e in alcuni casi con l'attività distruttiva delle elastasi), ma manca un consenso sulla terapia a lungo termine rispetto a quella intermittente o sui trattamenti specifici. Con una terapia a breve termine (1-2 sett.), la produzione di pus e l'attività delle elastasi rapidamente tornano ai livelli precedenti il trattamento. Un obiettivo è prevenire lo sviluppo di microrganismi resistenti e delle condizioni favorevoli all'infezione da file:///F|/sito/merck/sez06/0700632.html (6 of 8)02/09/2004 2.35.47

Bronchiettasie

Pseudomonas sp, particolarmente difficile da eradicare. Gli schemi terapeutici comprendono un antibiotico orale per 7-10 giorni al mese, 7-10 giorni di trattamento alternati con uguali periodi di riposo, un trattamento continuo a lungo termine a dosaggi ridotti o alti dosaggi di un antibiotico (come l'amoxicillina) per 36 mesi. Un fluorochinolonico, come la ciprofloxacina 500-750 mg PO bid, può essere efficace e può essere dato per un lungo periodo, ma si sviluppano frequentemente fenomeni di resistenza dopo uno o due cicli di trattamento. Nei casi gravi, possono essere necessari trattamenti aerosolici o EV, ma la resistenza è sempre un problema. L'alternanza dei farmaci può evitare la resistenza precoce e la persistenza degli pneumococchi, che tende a verificarsi con la ciprofloxacina. In caso di broncopolmoniti o di gravi infezioni respiratorie, sono indicati antibiotici per via parenterale scelti sulla base dello striscio colorato con il Gram, di colture e di antibiogrammi. Il cefuroxime 750 mg EV tid per 48-72 h seguito dall'acetilcefuroxime 500 mg PO bid per 5 giorni è efficace quanto l'amoxicillina 1,2 g EV tid associata all'acido clavulanico seguita dall'amoxicillina 625 mg PO tid. L'amoxicillina penetra nelle secrezioni polmonari, specialmente in presenza di un'infiammazione attiva, ma può verificarsi un certo grado di inattivazione locale, in relazione ai livelli di b-lattamasi. Per una copertura a più ampio spettro che comprenda il Mycoplasma, la Legionella e lo Pseudomonas sp, possono essere prescritti un macrolide più una cefalosporina di terza generazione (come il ceftazidime o il cefoperazone) più un aminoglicoside o la piperacillina o l'azlocillina con un aminoglicoside quando lo Pseudomonas è predominante. (V. anche Cap. 153.) Il trattamento della fibrosi cistica è trattato nel Cap. 267. Quando le colture per il Mycobacterium tuberculosis risultano positive, è richiesta un'appropriata terapia antitubercolare basata sulla storia clinica e sugli esami di laboratorio, ma il MAIC colonizza comunemente i polmoni di pazienti con bronchiettasie, cosicché la terapia specifica va riservata ai pazienti in cui la malattia sia fortemente sospetta o provata (v. Cap. 157). Un trattamento multifarmacologico empirico per il MAIC può includere la claritromicina 500 mg PO bid, l'etambutolo 25 mg/ kg PO al giorno, la clofazimina 200 mg PO al giorno e la streptomicina 10-12 mg/kg/die IM o l'amikacina 12-15 mg/kg IM tre volte alla settimana per 1-2 mesi, seguiti dalla claritromicina 750 mg PO al giorno, l'etambutolo 15 mg/kg PO al giorno e la clofazimina 50-100 mg PO al giorno per 3-24 mesi, proseguiti di solito finché le colture non sono negative per 12 mesi. Comunque, è importante basare la terapia sui test di sensibilità farmacologica. I pazienti che presentano bronchiettasie devono evitare il fumo di sigaretta e altri irritanti e trattenersi dall'uso di sedativi e di soppressori della tosse. Il drenaggio posturale, le percussioni e le vibrazioni (v. Drenaggio posturale nel Cap. 65) eseguiti con regolarità possono facilitare l'espettorazione in alcuni pazienti. La bronchite cronica diffusa, che spesso si accompagna alle bronchiettasie, va trattata conformemente (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68). I b2-agonisti, la teofillina e i corticosteroidi possono ridurre l'ostruzione delle vie aeree, facilitare la clearance ciliare e ridurre l'infiammazione. Se sono inoltre presenti asma o aspergillosi broncopolmonare allergica, i corticosteroidi possono dare particolari benefici nel ridurre l'infiammazione e nei bambini piccoli, che sono i più esposti alle allergie da micosi, possono agevolare l'eliminazione dei funghi. L'itraconazolo 200-400 mg/die PO riduce la richiesta di corticosteroidi, riduce le IgE sieriche e migliora i flussi nelle vie aeree in un piccolo numero di pazienti con aspergillosi broncopolmonare allergica, ma i farmaci antimicotici sono riservati alle infezioni invasive da Aspergillus. Altri farmaci come il mucolitico N-acetilcisteina e la deossiribonucleasi umana ricombinante (rhDNasi), che frammenta il DNA nell'espettorato purulento, possono essere utili in pazienti selezionati ma non sono di beneficio dimostrato nelle bronchiettasie. I FANS, come l'indometacina, sono stati provati sperimentalmente. Nonostante lievi riduzioni del volume dell'escreato e modificazioni della funzione dei neutrofili periferici, le elastasi nell'espettorato e i livelli di mieloperossidasi non si sono ridotti e la carica batterica vitale nelle secrezioni bronchiali non è stata modificata. file:///F|/sito/merck/sez06/0700632.html (7 of 8)02/09/2004 2.35.47

Bronchiettasie

L'ipossiemia cronica deve essere trattata con O2, particolarmente se la PaO2 nel paziente stabile è < 55 mm Hg in aria ambiente o se vi sono segni di ipertensione polmonare o policitemia secondaria. L'insufficienza respiratoria e il cuore polmonare devono essere trattati come negli altri pazienti con patologia ostruttiva cronica delle vie aeree (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel. Cap. 68). L'intubazione e la ventilazione meccanica devono essere evitate, se possibile, poiché si perde la capacità di tossire e aumenta il rischio di non riuscire a eliminare adeguatamente le secrezioni con la sola aspirazione e di favorire nuove infezioni. Il trapianto di polmone può essere eseguito in pazienti con fibrosi cistica e con bronchiettasie in fase avanzata. Il trapianto polmonare doppio è solitamente la procedura di scelta (v. Cap. 149). Per il trattamento specifico dell'insufficienza respiratoria acuta, v. index.html. La resezione chirurgica è raramente necessaria, ma deve essere presa in considerazione quando la risposta al trattamento conservativo porta a polmoniti ricorrenti, infezioni bronchiali invalidanti o frequenti emottisi e l'affezione è sufficientemente localizzata e stabile. In caso di emorragia polmonare massiva, una resezione d'emergenza o un'embolizzazione del vaso sanguinante (abitualmente un'arteria bronchiale) può salvare la vita.

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA GAS IRRITANTI E ALTRE SOSTANZE CHIMICHE Sommario: Introduzione Esposizione acuta Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi e segni Profilassi e terapia Esposizione cronica

L'esposizione a gas e ad altre sostanze chimiche irritanti può essere acuta o cronica. La malattia che ne risulta varia in relazione al tipo di esposizione come pure in relazione all'irritante specifico.

Esposizione acuta Il cloro, il fosgene, l'anidride solforosa, l'acido sulfidrico, il biossido d'azoto e l'ammoniaca sono alcuni dei gas irritanti ai quali i lavoratori possono essere esposti durante gli incidenti industriali. Può determinarsi una grave esposizione acuta a causa di valvole o pompe difettose oppure durante il trasporto dei gas.

Anatomia patologica e fisiopatologia Le lesioni dell'apparato respiratorio dipendono da diversi fattori, fra i quali la solubilità dei gas. Quelli relativamente solubili (p. es., il cloro, l'ammoniaca) determinano inizialmente un'irritazione mucosa delle membrane delle vie aeree superiori e raggiungono le vie aeree periferiche e il parenchima polmonare solo se la vittima non può allontanarsi dalla fonte del gas. I gas meno solubili (p. es., il biossido d'azoto) non producono i segni di allarme a carico delle porzioni superiori dell'albero respiratorio e determinano più facilmente edema polmonare, grave bronchiolite o entrambi. Nell'intossicazione da biossido d'azoto (che può colpire gli addetti al riempimento dei silos e i saldatori) possono intercorrere fino a 12 h prima che si sviluppino i sintomi dell'edema polmonare; talora una bronchiolite fibrosa obliterante, che evolve fino all'insufficienza respiratoria, si sviluppa 10-14 gg dopo l'esposizione acuta.

Sintomi e segni I gas irritanti più solubili causano gravi ustioni e altre manifestazioni irritative degli occhi, del naso, della gola, della trachea e dei bronchi principali. Sono comuni la tosse violenta, l'emottisi, il respiro sibilante, i conati di vomito e la dispnea. La loro gravità è generalmente correlata con la dose. Dopo un'intensa esposizione, addensamenti alveolari a chiazze o confluenti possono essere rilevabili alla rx del file:///F|/sito/merck/sez06/0750676b.html (1 of 2)02/09/2004 2.35.50

Malattie respiratorie occupazionali

torace e di solito indicano edema polmonare. La maggior parte delle persone guarisce completamente dopo un'esposizione acuta anche intensa. Le infezioni batteriche, comuni durante la fase acuta, rappresentano le complicanze più gravi. Occasionalmente, esposizioni massicce portano a ostruzione delle vie aeree persistente ma probabilmente reversibile, la cosiddetta sindrome da disfunzione reattiva delle vie aeree. L'ostruzione può persistere per uno o più anni e poi risolversi lentamente.

Profilassi e terapia La misura profilattica più efficace è rappresentata dal prestare attenzione quando si lavora con gas e con sostanze chimiche. Anche la disponibilità di idonee protezioni respiratorie (p. es., maschere antigas provviste di riserva autonoma di aria) è di grande importanza nell'eventualità di esposizioni accidentali. Il trattamento delle gravi intossicazioni acute è diretto a mantenere gli scambi dei gas e ad assicurare una ossigenazione e una ventilazione alveolare adeguate. La ventilazione meccanica attraverso una via aerea artificiale (p. es., un tubo endotracheale) si renda a volte necessaria. Sono indicati broncodilatatori, leggeri sedativi, liquidi e antibiotici EV e O2-terapia, in genere sufficienti nei casi meno gravi. L'aria inspirata deve essere adeguatamente umidificata. L'efficacia della terapia corticosteroidea (p. es., da 45 a 60 mg/die di prednisone per 1 o 2 sett.) è difficile da dimostrare ma i corticosteroidi sono spesso utilizzati empiricamente.

Esposizione cronica L'esposizione cronica a basse dosi, continua o intermittente, a gas irritanti o a vapori chimici può essere importante nell'avviare o nell'accelerare lo sviluppo di una bronchite cronica, benché sia difficile determinare il ruolo di tali esposizioni in un fumatore. Un altro importante meccanismo di malattia è l'esposizione a sostanze chimiche cancerogene; queste entrano attraverso i polmoni e possono causare sia tumori del polmone, da esposizione all'etere diclorometilico o a certi metalli, sia tumori in altri distretti dell'organismo (p. es., angiosarcomi del fegato dopo l'esposizione a monomeri di cloruro di vinile).

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Atelettasia

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 71. ATELETTASIA Condizione di collasso e di mancata aerazione di parte o di tutto un polmone.

Sommario: Introduzione Eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

L'atelettasia può essere acuta o cronica. Nell'atelettasia cronica, l'area interessata è spesso composta da un complesso insieme di parenchima non aerato, infezione, bronchiettasie, distruzione e fibrosi.

Eziologia Negli adulti, la causa principale di atelettasia acuta o cronica è l'ostruzione bronchiale intraluminale, spesso dovuta a tappi di essudato bronchiale vischioso, tumori endobronchiali, granulomi o corpi estranei. Altre cause comprendono le stenosi, la distorsione o l'inginocchiamento dei bronchi; le compressioni bronchiali esterne da parte di linfonodi ingrossati, di una neoplasia o di un aneurisma; le compressioni polmonari esterne da parte di liquido o gas pleurici (p. es., da versamento pleurico o da pneumotorace) e i deficit del surfattante. Il surfattante, una complessa miscela di fosfolipidi e di lipoproteine, ricopre la superficie degli alveoli, riduce la tensione superficiale e contribuisce alla stabilità alveolare. Il danno ai pneumociti produttori di surfattante, lo stravaso di proteine plasmatiche inibitorie, la presenza di mediatori dell'infiammazione e il possibile assorbimento di componenti del surfattante nella fibrina in via di polimerizzazione (durante la formazione delle membrane ialine) possono interferire con la produzione e l'efficacia del surfattante. Questi fattori possono favorire le atelettasie in condizioni diverse come la tossicità da O2, da farmaci o da sostanze chimiche; l'edema polmonare; la sindrome da distress respiratorio dell'adulto o del neonato (v. Cap. 67 e Disordini respiratori nel Cap. 260); l'embolia polmonare (v. index.html); l'anestesia generale; e la ventilazione meccanica. L'atelettasia massiva acuta è di solito una complicanza postoperatoria dopo chirurgia dell'addome superiore, dopo resezioni polmonari e dopo cardiochirurgia con bypass cardiopolmonare (le lesioni da ipotermia delle cellule endoteliali e la soluzione cardioplegica intravascolare possono contribuire all'atelettasia). Anche forti dosi di oppiacei o sedativi, alte concentrazioni di O2 durante l'anestesia, bendaggi stretti, la distensione addominale e l'immobilizzazione del corpo favoriscono l'atelettasia perché limitano i movimenti toracici, sollevano il diaframma, causano l'accumulo di secrezioni bronchiali vischiose e sopprimono il riflesso della tosse. La respirazione superficiale, che interferisce con la tosse e l'efficienza del drenaggio delle secrezioni, può verificarsi in presenza di affezioni che comportano depressione del SNC, alterazioni della gabbia toracica, dolore,

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Atelettasia

spasmi muscolari e malattie neuromuscolari. L'iperosmolalità ematica nei diabetici con chetoacidosi può anche contribuire all'atelettasia, presumibilmente aumentando la viscosità delle secrezioni delle vie aeree con formazione di tappi di muco. Nella sindrome del lobo medio (una forma di atelettasia cronica), il lobo medio collassa, talvolta per una compressione bronchiale esterna da parte di linfonodi circostanti o per ostruzione endobronchiale. Tuttavia, la sindrome può presentarsi senza reperti broncoscopici anormali; un bronco del lobo medio destro relativamente lungo e di piccolo calibro e una ventilazione collaterale dalle aree limitrofe inefficace predispongono all'atelettasia. L'infezione con un'ostruzione bronchiale parziale può portare a un'atelettasia cronica e, infine, a una polmonite cronica a causa dello scarso drenaggio.

Fisiopatologia A seguito di un'improvvisa ostruzione di un bronco, il sangue circolante negli alveoli capillari riassorbe il gas presente negli alveoli distali, causando una condizione di non aerazione e retrazione polmonare nel giro di poche ore; in assenza di infezione, il polmone può ridursi di volume o collassare completamente. Negli stadi precoci il sangue perfonde il polmone non aerato causando ipossiemia arteriosa. Se l'ipossia capillare e tissutale determinano una trasudazione di liquidi ed edema polmonare, gli spazi alveolari si riempiono di secrezioni e cellule, impedendo così il collasso completo del polmone atelettasico. La distensione delle aree sane del polmone circostanti può in parte compensare la perdita di volume. Comunque, in casi di collasso esteso, il diaframma può sollevarsi, la parete toracica può rientrare e il cuore e il mediastino possono spostarsi verso il lato colpito. La dispnea è causata da una varietà di stimoli che interessano i centri respiratori e la corteccia cerebrale. Gli stimoli possono venire dai chemocettori, quando un'ampia area atelettasica causa un considerevole decremento della PaO2, o dal polmone e dai recettori dei muscoli respiratori, quando il polmone perde l'aria, diventando meno distensibile (più rigido) e aumentando il lavoro respiratorio. La PaO2 spesso migliora durante e dopo le prime 24 h, presumibilmente col ridursi del flusso ematico verso l'area atelettasica. La PaCO2 è di solito normale o bassa a causa dell'iperventilazione del restante parenchima polmonare normale. Se l'ostruzione si risolve, l'aria entra, ogni complicanza infettiva regredisce e il polmone può ritornare infine al suo stato normale, a seconda dell'estensione dell'infezione. Se l'ostruzione persiste ed è presente un'infezione, l'assenza di aereazione e di perfusione dà inizio a modificazioni che portano allo sviluppo della fibrosi e delle bronchiettasie. Anche in assenza di ostruzione, le modificazioni della tensione superficiale alveolare, la riduzione delle dimensioni degli alveoli e le modificazioni delle relazioni pressorie tra vie aeree e pleura possono portare a una ventilazione regionale insufficiente e a piccole aree di atelettasia a chiazze o a microatelettasia diffusa. Possono risultarne disturbi degli scambi gassosi lievi o gravi. L'atelettasia da accelerazione, che si verifica nei piloti militari, è causata dal riassorbimento del gas alveolare intrappolato quando le forti accelerazioni chiudono e fanno rimanere chiuse le vie aeree declivi.

Sintomi e segni I sintomi e i segni dipendono da quanto rapidamente il bronco si occlude, dall'ampiezza della zona del polmone colpita e dall'eventuale presenza di infezione. Un'occlusione rapida con collasso massivo, specialmente se in presenza di infezione, causa dolore dal lato interessato, comparsa improvvisa di dispnea e cianosi, caduta della PA, tachicardia, febbre elevata e a volte shock. file:///F|/sito/merck/sez06/0710638.html (2 of 6)02/09/2004 2.35.51

Atelettasia

La percussione toracica fa rilevare ottusità e appiattimento sopra l'area colpita e l'auscultazione rileva riduzione o assenza del murmure vescicolare. L'escursione delle parete toracica nella stessa zona risulta ridotta o assente e la trachea e il cuore sono deviati verso il lato colpito. Un'atelettasia a lento sviluppo può essere asintomatica o causare sintomi respiratori di scarso rilievo. La sindrome del lobo medio è spesso asintomatica, sebbene una tosse stizzosa violenta e non produttiva può comparire a causa dell'irritazione dei bronchi dei lobi inferiore e medio destri. Si può sviluppare una polmonite acuta, di solito con risoluzione incompleta e ritardata. L'esame del torace può rilevare ottusità e riduzione o scomparsa del murmure vescicolare in corrispondenza del lobo medio di destra o può essere normale. Le microatelettasie diffuse, una manifestazione precoce di tossicità da O2 e della sindrome da distress respiratorio degli adulti e dei neonati, causano dispnea; respiri rapidi e superficiali; ipossiemia arteriosa; diminuzione della compliance polmonare e ridotto volume polmonare. L'auscultazione del polmone può essere normale o possono essere uditi crepitii, ronchi e respiro sibilante. Le altre manifestazioni dipendono dalla causa del danno polmonare acuto e dalla gravità delle alterazioni emodinamiche e metaboliche concomitanti e dallo scompenso sistemico degli organi.

Diagnosi La diagnosi viene di solito formulata sulla base dei segni clinici associati al reperto rx di una riduzione del volume polmonare (indicata dalla retrazione costale; dal sollevamento del diaframma; dall'attrazione tracheale, cardiaca e mediastinica verso il lato colpito e dall'iperdistensione del polmone sano) e di un'area solida, priva d'aria. Se è colpito solo un segmento, l'ombra è triangolare, con apice verso l'ilo. Quando sono interessate piccole aree, la distensione del parenchima polmonare circostante fa apparire la zona atelettasica con una curiosa forma discoidale, specialmente in caso di atelettasia subsegmentale dei lobi inferiori. Può essere interessato un intero lobo (atelettasia lobare). Quando il lobo perde aria, la scissura interlobare si sposta e il lobo diventa più densamente opaco mentre i bronchi, i vasi sanguigni e i linfatici risultano affastellati. I reperti specifici della rx dipendono da quale lobo è coinvolto e da come le altre strutture compensano il volume perduto. Le proiezioni postero-anteriore e laterale facilitano la diagnosi. La sindrome del lobo medio è generalmente riconoscibile dalle caratteristiche alterazioni della rx: in proiezione postero-anteriore, un lieve offuscamento del profilo cardiaco laterale destro e, in proiezione laterale, l'ombra triangolare o rettangolare che corre dal margine cardiaco posteriore alla parete anteriore del torace. Va sempre ricercata la causa di un'ostruzione, indipendentemente dall'età del paziente. Con il broncoscopio a fibre ottiche, si possono visualizzare sia le diramazioni lobari che quelle segmentali e subsegmentali. La TC del torace può aiutare a chiarire il meccanismo del collasso; un esperto refertatore può distinguere tra le cause di atelettasia: ostruzione endobronchiale, compressione da parte di liquidi o di aria intrapleurici e cicatrici conseguenti a infiammazioni croniche. Le microatelettasie diffuse sono all'inizio solitamente non visualizzabili alla rx. In seguito, le microatelettasie diffuse progrediscono verso un quadro reticolonodulare disomogeneo o diffuso, poi in un quadro simile all'edema polmonare e infine in un massivo opacamento bilaterale nei casi gravi. Una forma insolita di collasso lobare periferico, l'atelettasia rotonda (sindrome del polmone piegato) viene spesso scambiata per un tumore. Il più delle volte è una complicanza della malattia pleurica da asbesto, ma può anche essere causata da altre malattie pleuropolmonari. La sua caratteristica presentazione alla rx la differenzia dal tumore: l'addensamento polmonare è rotondo e immediatamente file:///F|/sito/merck/sez06/0710638.html (3 of 6)02/09/2004 2.35.51

Atelettasia

sottopleurico, con un angolo acuto tra esso e la pleura e spesso con una "coda di cometa" che si estende verso l'ilo, interpretata quale espressione di vasi e bronchi compressi che entrano nell'area atelettasica. La TC può rendere la diagnosi più affidabile e, nella maggior parte dei casi, rende superflua una toracotomia diagnostica. L'agobiopsia generalmente non è indispensabile ma può essere eseguita quando è dubbia la distinzione fra l'atelettasia rotonda e un tumore sottopleurico. Un versamento massivo può causare anche dispnea, cianosi, astenia, ottusità alla percussione a livello dell'area coinvolta e assenza di murmure vescicolare, ma lo spostamento del mediastino e del cuore controlaterale alla zona coinvolta e il mancato appiattimento del torace lo distinguono dall'atelettasia massiva. Il pneumotorace spontaneo produce segni clinici simili, ma alla percussione si rileva un suono timpanico, il cuore e il mediastino risultano spostati verso il lato opposto e la rx che mostra aria nella cavità pleurica è diagnostica.

Profilassi L'atelettasia massiva acuta può essere evitata. Dal momento che la bronchite cronica preesistente e la condizione di forte fumatore aumentano il rischio di un'atelettasia postoperatoria, devono essere incoraggiati l'eliminazione del fumo nel periodo preoperatorio e l'adozione di misure atte a migliorare la pulizia bronchiale (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68 e Riabilitazione polmonare nel Cap. 65). Bisogna evitare l'uso di anestetici a lunga durata e i narcotici devono essere impiegati con attenzione dopo l'intervento chirurgico poiché essi deprimono il riflesso della tosse. Al termine dell'anestesia, i polmoni devono essere lasciati pieni di una miscela di aria e di O2 perché l'N2, essendo scarsamente assorbito, favorisce la stabilità alveolare. Il paziente deve cambiare posizione ogni ora e deve essere incoraggiato a tossire e a respirare profondamente; è importante una precoce deambulazione. Della massima efficacia è un approccio combinato, consistente nell'incoraggiamento a tossire e a respirare profondamente associato all'uso di broncodilatatori per nebulizzazione e di aerosol di acqua o soluzione fisiologica per fluidificare le secrezioni e facilitarne la rimozione, con aspirazione tracheale se necessario. L'efficacia dei mucolitici nella prevenzione o nel trattamento delle bronchiettasie non è stata dimostrata. La terapia ventilatoria a pressione positiva intermittente (Intermittent Positive Pressure Breathing, IPPB) o uno spirometro incentivatore (che utilizza un semplice dispositivo per incoraggiare gli esercizi di inspirazione massimale volontaria protratta [3-5 s]) con terapia fisica (percussioni, vibrazioni, drenaggio posturale e respirazione profonda) possono essere utili. Per la massima efficacia, ciascun presidio deve essere impiegato in modo appropriato con le procedure convenzionali. La percussione toracica nel paziente in fase postoperatoria può aumentare il rischio di un'atelettasia se aumenta il dolore e l'immobilizzazione muscolare. Altre misure preventive comprendono la pressione positiva di fine espirazione (PEEP), un sistema che mantiene la pressione in un intervallo solitamente di 5-15 cm H2O, nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica e la pressione positiva continua nelle vie aeree (CPAP) applicata con una maschera facciale occlusiva o attraverso il naso in via continuativa o intermittente per 5-10 min q 1-2 h. I pazienti che tendono a ipoventilare o ad avere un respiro superficiale prolungato a causa di un'eccessiva sedazione, di alterazioni della gabbia toracica, di paralisi o debolezza neuromuscolare o di affezioni del SNC e quelli che sono sotto ventilazione meccanica prolungata sono ad alto rischio di atelettasie.

Terapia Atelettasie acute: la causa dell'atelettasia acuta (compresa l'atelettasia postoperatoria massiva acuta) deve essere corretta. Quando si sospetta un'ostruzione meccanica, la tosse, l'aspirazione o un ciclo di intense misure

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Atelettasia

terapeutiche respiratorie e fisiche per 24 h, comprese la PEEP o la CPAP, possono portare un miglioramento. Se questi presidi falliscono o se il paziente non è in grado di cooperare, deve essere eseguita una fibrobroncoscopia (v. Broncoscopia nel Cap. 65). Una volta che l'ostruzione bronchiale è stata confermata, il trattamento va diretto all'ostruzione e all'infezione di solito presente. Spesso, tramite il broncoscopio possono essere rimossi tappi di muco o secrezioni dense e quindi il polmone coinvolto si riespande; tuttavia, una vigorosa fisioterapia respiratoria e le altre misure sopra menzionate devono essere continuate. Se si sospetta l'inalazione di un corpo estraneo, la broncoscopia deve essere eseguita prontamente; la rimozione del corpo estraneo può richiedere l'uso di un broncoscopio rigido. I pazienti con atelettasia confermata devono giacere sul lato opposto a quello colpito per favorirne il drenaggio (drenaggio posturale), essere sottoposti a un'appropriata fisioterapia ed essere incoraggiati a tossire. Successivamente devono essere incoraggiati a rigirarsi da un lato all'altro e a respirare profondamente. L'uso frequente (q 1-2 h) di IPPB sotto supervisione o di uno spirometro incentivatore sono utili nell'assicurare l'effettuazione di respiri profondi. Se l'atelettasia si verifica fuori l'ospedale e se si sospetta l'infezione, un antibiotico ad ampio spettro (p. es., ampicillina 500 mg PO o 1 g per via parenterale q 6 h; per i bambini, 50-100 mg/ kg/die in dosi refratte q 6-8 h) deve essere cominciato empiricamente all'esordio clinico. Una cefalosporina di seconda generazione, un macrolide più recente (come l'azitromicina o la claritromicina) o il trimetoprim-sulfametossazolo sono delle alternative possibili. Ogni volta che sia possibile, i pazienti ospedalizzati in gravi condizioni devono ricevere una terapia antibiotica basata sui patogeni identificati localmente e sui loro antibiogrammi. Può essere necessario modificare la dose di antibiotico negli anziani e in pazienti con gravi disturbi renali o epatici. Se successivamente viene isolato dall'escreato o dalle secrezioni bronchiali un patogeno specifico, l'antibiotico deve essere modificato di conseguenza. I pazienti con atelettasia ricorrente, come p. es., nella patologia neuromuscolare, possono trarre beneficio da un trial con CPAP a 5-15 cm H2O con maschera nasale o facciale o con PEEP, se sono sottoposti a ventilazione meccanica. La causa del danno polmonare deve essere eliminata, l'ossigenazione mantenuta e le altre alterazioni fisiopatologiche emodinamiche e metaboliche corrette, se possibile. In relazione alla gravità dell'atelettasia, la terapia comprende l'O2 supplementare, la CPAP o la ventilazione meccanica con la PEEP insieme ai liquidi, all'apporto nutrizionale e agli antibiotici. La terapia con il surfattante è salvavita per alcuni neonati e una determinazione della maturità del polmone fetale attraverso la misurazione del surfattante nel liquido amniotico migliora la gestione dei feti e dei neonati ad alto rischio. Atelettasie croniche: tanto più il polmone rimane inespanso, tanto maggiore è la possibilità di sviluppo di alterazioni distruttive, fibrotiche e bronchiettasiche. Dal momento che solitamente l'infezione accompagna le atelettasie indipendentemente dalla causa, deve essere somministrato un antibiotico ad ampio spettro (l'ampicillina, le tetracicline o altri basati sugli strisci colorati con il Gram e sulle colture) quando la quantità e la purulenza dell'espettorato aumentano. La resezione chirurgica del segmento o del lobo atelettasico deve essere presa in considerazione se il paziente ha avuto infezioni respiratorie invalidanti recidivanti o emottisi ricorrenti dalla zona colpita. Quando un tumore causa l'ostruzione, il suo tipo cellulare, l'estensione e le condizioni generali del paziente e la sua funzione respiratoria indicano se l'ostruzione può essere meglio risolta con la chirurgia, con la radioterapia o con la chemioterapia. In pazienti selezionati, la laser-terapia ha ridotto efficacemente l'ostruzione da parte di lesioni endobronchiali.

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Atelettasia

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE Infezione acuta del parenchima polmonare che interessa gli spazi alveolari e il tessuto interstiziale.

Sommario: Introduzione Eziologia ed epidemiologia Sintomi Diagnosi e terapia

La polmonite può coinvolgere un intero lobo (polmonite lobare), un segmento di un lobo (polmonite segmentale o lobulare), gli alveoli contigui ai bronchi (broncopolmonite) o il tessuto interstiziale (polmonite interstiziale). Queste distinzioni si basano generalmente sulle osservazioni radiografiche. (V. anche le trattazioni della polmonite tularemica in Tularemia e della peste polmonare in Peste nel Cap. 157 e della polmonite da rickettsie in Febbre Q nel Cap. 159.); le polmoniti nei neonati vengono trattate nel Cap. 260, Polmoniti neonatali .)

Eziologia ed epidemiologia Negli USA, circa 2 milioni di persone si ammalano di polmonite ogni anno e da 40000 a 70000 decedono; la polmonite rappresenta la sesta categoria di patologie causa di mortalità ed è la più comune infezione letale nosocomiale (contratta in ambiente ospedaliero). Nei paesi in via di sviluppo, le infezioni del tratto respiratorio inferiore sono solitamente la maggiore causa di morte o si posizionano al secondo posto solamente dietro alla diarrea infettiva. I batteri sono la causa più comune di polmoniti negli adulti > 30 anni. Di questi, lo Streptococcus pneumoniae è il più comune. Altri patogeni comprendono i batteri anaerobi, Staphylococcus aureus, Haemophilus influenzae, Chlamydia pneumoniae, C. psittaci, C. trachomatis, Moraxella (Branhamella) catarrhalis, Legionella pneumophila, Klebsiella pneumoniae e altri bacilli gram -. Il Mycoplasma pneumoniae, un organismo simil-batterico, è una causa particolarmente comune nella tarda infanzia e nei giovani, tipicamente in primavera. I principali patogeni polmonari nella prima e nella seconda infanzia sono i virus: il virus respiratorio sinciziale, il virus parainfluenzale e i virus dell'influenza A e B. Questi agenti possono causare polmoniti anche negli adulti; tuttavia, i virus comuni negli adulti sani sono solamente l'influenza A, occasionalmente l'influenza B e raramente la varicella-zoster. Tra le altre cause ci sono batteri più evoluti quali Nocardia e Actinomyces sp; i micobatteri, come il Mycobacterium tuberculosis e i ceppi atipici (principalmente il M. kansasii e il M. avium intracellulare); i funghi, come l'Histoplasma capsulatum, il Coccidioides immitis, il Blastomyces dermatitidis, il Cryptococcus neoformans, l'Aspergillus fumigatus e il Pneumocystis carinii e le rickettsie, principalmente la Coxiella burnetii (febbre Q). Il meccanismo abituale di diffusione è l'inalazione di goccioline abbastanza piccole da raggiungere gli alveoli e l'aspirazione di secrezioni dalle alte vie aeree. Altre vie sono la disseminazione ematogena o linfatica e la propagazione diretta da zone infette vicine. I fattori predisponenti sono rappresentati dalle infezioni file:///F|/sito/merck/sez06/0730650.html (1 of 2)02/09/2004 2.35.52

Polmonite

delle alte vie respiratorie, l'alcolismo, l'ospedalizzazione, il fumo di sigarette, l'insufficienza cardiaca, le patologie ostruttive croniche delle vie aeree, le età estreme della vita, la debilitazione, le immunodepressioni (come nel diabete mellito o nell'insufficienza renale cronica), la compromissione dello stato di coscienza, la disfagia e l'esposizione ad agenti trasmissibili.

Sintomi I sintomi tipici sono la tosse, la febbre e la produzione di espettorato, che di solito si sviluppa in alcuni giorni e talvolta si accompagna a pleurite. L'esame fisico può rilevare tachipnea e segni di consolidamento, come i crepitii associati a soffio bronchiale. Questa sindrome è comunemente causata dai batteri, come lo S. pneumoniae e l'H. influenzae.

Diagnosi e terapia La diagnosi è basata sui sintomi caratteristici associati a un infiltrato alla rx del torace. In circa il 30-50% dei pazienti non è identificabile l'agente patogeno nonostante l'impressione clinica di una polmonite batterica. Sebbene il metodo di identificazione dei batteri patogeni più consacrato dall'uso sia la coltura dell'escreato, tali campioni sono spesso causa di confusione per la contaminazione da parte della normale flora orofaringea durante il passaggio lungo le vie aeree superiori. I campioni più rappresentativi sono ottenuti dai siti normalmente sterili, come il sangue in pazienti con una batteriemia pneumonica o il versamento pleurico in pazienti con empiema. Sono necessarie particolari tecniche di coltura, colorazioni speciali, dosaggi sierici o biopsie polmonari per identificare alcuni patogeni: micobatteri, micoplasmi, batteri anaerobi, clamidie, virus, funghi, legionelle, rickettsie e parassiti. La terapia consiste nel supporto respiratorio, compreso l'O2 se indicato, e negli antibiotici, che vengono selezionati sulla base degli strisci colorati con il Gram. Se la colorazione di Gram non è eseguita o non consente una diagnosi, gli antibiotici vanno selezionati su basi probabilistiche in relazione all'età, all'epidemiologia, ai fattori di rischio dell'ospite e alla gravità della malattia.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE STAFILOCOCCICA Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Lo S. aureus è responsabile di circa il 2% delle polmoniti contratte nelle comunità e del 10-15% delle polmoniti nosocomiali. Persone a rischio aumentato sono i lattanti e gli anziani; i pazienti ospedalizzati e debilitati, in particolare quelli con tracheostomia, intubazione endotracheale e immunosoppressione o sottoposti di recente a intervento chirurgico; i bambini e i giovani con fibrosi cistica o malattia cronica granulomatosa; i pazienti con una sovrainfezione batterica complicante una polmonite virale, specialmente quelle da virus influenzali A e B e i tossicodipendenti, predisposti all'endocardite stafilococcica della valvola tricuspide con polmonite embolica.

Sintomi e segni Sebbene la polmonite stafilococcica sia spesso fulminante, gli stafilococchi possono essere responsabili della polmonite in pazienti che non sembrano particolarmente gravi; occasionalmente il decorso è piuttosto subdolo, talvolta con polmoniti croniche o con ascessi polmonari cronici. I sintomi e i segni in generale mimano quelli della polmonite pneumococcica (v. sopra). Caratteristiche distintive sono i brividi ricorrenti, la necrosi tissutale con formazione di ascessi, gli pneumatoceli (più comuni nei lattanti e nei bambini) e un decorso fulminante con marcata prostrazione. L'empiema è relativamente comune; lo S. aureus è particolarmente prevalente negli empiemi post-toracotomici e negli empiemi che complicano il drenaggio di un emotorace dopo un trauma della parete toracica.

Diagnosi La diagnosi va sospettata nei pazienti in cui si ritrova lo S. aureus nell'espettorato ed è stabilita dall'isolamento dello S. aureus delle emocolture, del liquido empiematico o dell'aspirato transtracheale o transtoracico. La falsa negatività delle colture per lo stafilococco, a differenza dello pneumococco, è rara. Il più comune quadro rx è una broncopolmonite, con o senza formazioni ascessuali o versamento pleurico; l'addensamento lobare è raro. Gli pneumatoceli indicano fortemente un'infezione da stafilococco. La polmonite stafilococcica embolica è caratterizzata da infiltrati multipli che si manifestano in sedi non contigue e che tendono a escavarsi; questo quadro suggerisce un'origine endovascolare (p. es., endocarditi del cuore destro o tromboflebiti settiche).

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Prognosi e terapia Generalmente il tasso di mortalità è del 30-40%, in parte dovuto alle gravi condizioni associate che la maggior parte dei pazienti presenta. Tuttavia, un decorso fulminante con esito letale si verifica a volte in adulti sani che contraggono questa infezione dopo un'influenza. La risposta agli antibiotici tende a essere lenta e la convalescenza è prolungata. La maggior parte dei ceppi di S. aureus produce penicillinasi e la resistenza alla meticillina è in aumento. La terapia di prima scelta è una penicillina resistente alla penicillinasi (p. es., l'oxacillina o la nafcillina 2 g EV q 4-6 h). La migliore alternativa è una cefalosporina, preferibilmente la cefalotina o il cefamandolo 2 g EV q 4-6 h, la cefazolina 0,5-1 g EV q 8 h o il cefuroxime 750 mg EV q 6-8 h. Le cefalosporine di terza generazione sono alquanto meno attive rispetto alle cefalosporine di prima o seconda generazione. La clindamicina 600 mg EV q 68 h è efficace contro il 90-95% dei ceppi. I ceppi meticillino-resistenti vengono considerati resistenti a tutti gli antibiotici blattamici. Questi ceppi possono rappresentare fino al 30-40% degli stafilococchi isolati nelle polmoniti nosocomiali di molti ospedali ma < 5% di quelle acquisite in comunità. La vancomicina è il farmaco di scelta quando una meticillino-resistenza sia sospettata o sia stata confermata per mezzo dell'antibiogramma. La dose abituale è 1 g EV q 12 h, da ridurre in caso di insufficienza renale.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE STREPTOCOCCICA Sommario: Introduzione Sintomi e segni Prognosi e terapia

Gli streptococchi b-emolitici di gruppo A di Lancefield sono una causa relativamente rara di polmonite. Le maggiori epidemie colpirono i soldati durante la prima guerra mondiale; da allora, si sono manifestati casi sporadici poco frequentemente. Rari casi complicano l'influenza, il morbillo, la varicella e la pertosse.

Sintomi, segni e diagnosi Come nelle altre polmoniti batteriche, l'insorgenza di febbre, dispnea, tosse e dolore toracico è di solito improvvisa, ma i brividi si verificano meno spesso che nella polmonite pneumococcica, forse per la scarsa frequenza della batteriemia. La pleurite è molto caratteristica. La polmonite streptococcica si deve sospettare in caso di pazienti con malattia acuta, con polmonite precocemente complicata da un versamento pleurico o associata a morbillo, a varicella, a pertosse, a influenza, a faringite streptococcica, a scarlattina o a sindrome da shock tossico. Il quadro rx è solitamente rappresentato da una broncopolmonite interstiziale con un abbondante versamento pleurico. La toracentesi può mostrare un liquido sieroso, sieroematico o purulento. Occasionalmente, si osserva una polmonite lobulare con una formazione ascessuale. La colorazione di Gram dell'espettorato mostra molti cocchi gram + a catena, distinguibili dallo S. pneumoniae per la forma e per la negatività della reazione di rigonfiamento capsulare. Tuttavia, questi microrganismi assomigliano agli streptococchi a-emolitici, la normale flora batterica del cavo orale. L'infezione streptococcica può essere stabilita sierologicamente mediante la dimostrazione di un incremento significativo del titolo antistreptolisinico-O con dosaggi seriati.

Prognosi e terapia Nella polmonite streptococcica, a differenza che nella polmonite pneumococcica, la risposta alla terapia tende a essere lenta, ma la mortalità globale è molto bassa. La penicillina G 500000-1 milione U EV q 4-6 h rappresenta la terapia di prima scelta. In alternativa ci sono le cefalosporine, l'eritromicina o la clindamicina. Le tetracicline mostrano un'attività irregolare contro gli streptococchi emolitici e non devono essere impiegate. Gli abbondanti versamenti pleurici sono di solito trattati file:///F|/sito/merck/sez06/0730655.html (1 of 2)02/09/2004 2.35.53

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con ripetute toracentesi o con posizionamento di un tubo di drenaggio. Le raccolte purulente e i versamenti saccati devono essere drenati con un tubo di drenaggio toracico.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITI CAUSATE DA BACILLI GRAM Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

I bacilli gram - rappresentano < 2% delle polmoniti acquisite in comunità a eccezione della maggior parte delle polmoniti nosocomiali e di quelle a esito fatale. Il patogeno più importante è la Klebsiella pneumoniae, che causa la polmonite di Friedländer. Altri patogeni comuni sono lo Pseudomonas aeruginosa, l'Escherichia coli, l'Enterobacter sp, il Proteus sp, la Serratia marcescens e l'Acinetobacter sp. Lo P. aeruginosa è un patogeno comune nei pazienti con fibrosi cistica, con neutropenia, con AIDS in fase avanzata, con bronchiettasie e con polmoniti contratte nelle terapie intensive. Le polmoniti batteriche da gram - sono rare negli ospiti sani e, di solito, si manifestano nei bambini piccoli, negli anziani, negli alcolisti, negli ospiti debilitati o immunocompromessi, soprattutto quelli con neutropenia. Il meccanismo fisiopatologico abituale è rappresentato dalla colonizzazione dell'orofaringe, seguita dalla microaspirazione delle secrezioni delle vie aeree superiori. I bacilli gram - colonizzano le vie aeree superiori nei pazienti con gravi patologie sottostanti con una frequenza direttamente correlata con la gravità della malattia.

Sintomi e segni La maggior parte dei pazienti con infezioni polmonari da K. pneumoniae o da altri bacilli gram - presenta una broncopolmonite simile alle altre infezioni batteriche del polmone, a eccezione del fatto che è associata a un'alta mortalità. Tutti questi microrganismi, in particolare la K. pneumoniae e lo P. aeruginosa, possono causare la formazione di ascessi. La polmonite di Friedländer frequentemente coinvolge i lobi superiori e produce un escreato simile a gelatina di ribes, necrosi tissutale con precoce ascessualizzazione e un decorso fulminante.

Diagnosi I bacilli gram - devono essere sospettati nei pazienti con broncopolmonite che si trovino in una delle categorie a rischio suindicate, specialmente in caso di neutropenia o di polmonite nosocomiale. La colorazione di Gram sull'escreato di solito mostra un elevato numero di bacilli gram -; tuttavia, è impossibile distinguere le varie specie e i vari generi del gruppo sulla base delle caratteristiche morfologiche. Dalla coltura degli escreati di solito si sviluppano i germi patogeni; il problema principale è quello delle colture false positive per lo sviluppo di microrganismi che colonizzano le vie aeree superiori, specialmente in

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pazienti precedentemente trattati con un antibiotico per una polmonite batterica di altra natura. (La "sovrainfezione dell'escreato" deve essere distinta dalla "sovrainfezione del paziente".) Si considerano diagnostiche le colture positive di sangue, di liquido pleurico o di aspirato transtracheale ottenute prima del trattamento.

Prognosi e terapia La mortalità per polmoniti batteriche da gram - è del 25-50% circa, nonostante la disponibilità di antibiotici efficaci. La maggior parte degli autori preferisce una cefalosporina (cefotaxime 2 g EV q 6 h o ceftazidime 2 g EV q 8 h), l'imipenem 1 g EV bid o la ciprofloxacina 500750 mg PO bid. Ciascuno di questi farmaci può essere prescritto da solo o in associazione con un aminoglucoside (gentamicina o tobramicina alla dose di 1,7 mg/kg EV q 8 h o 5-6 mg/kg una volta al giorno oppure l'amikacina 5 mg/kg q 8 h). Gli aminoglicosidi non devono essere utilizzati da soli. Altri farmaci che possono essere associati con un aminoglicoside sono una cefalosporina (ceftriaxone 1-2 g EV q 12 h o altre cefalosporine di terza generazione), una penicillina anti pseudomonas (ticarcillina 3 g EV q 4 h, ticarcillina + acido clavulanico 3 g EV q 4 h, piperacillina 3 g EV q 4 h o piperacillina + tazobactam 3 g q 6 h) o un monobattamico (aztreonam 1-2 g EV q 8 h). Una cefalosporina ad ampio spettro può essere usata anche da sola, anche se questo schema rischia di selezionare germi resistenti durante il trattamento, soprattutto con lo P. aeruginosa. La maggior parte delle infezioni da P. aeruginosa viene trattata con un aminoglicoside in associazione con una penicillina anti pseudomonas, con il ceftazidime o con il cefoperazone, scelti sulla base dell'antibiogramma. Queste linee guida di trattamento possono richiedere modificazioni quando si sospettino patogeni multipli; le colture sull'espettorato spesso rilevano una flora polimicrobica. Per ottimizzare gli schemi terapeutici si può ricorrere a prove di sinergia in vitro. Le dosi sopra indicate si riferiscono solo agli adulti e vanno modificate in caso di insufficienza renale.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE CAUSATA DA HAEMOPHILUS INFLUENZAE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

L'H. influenzae, erroneamente chiamato in causa come responsabile dell'influenza durante la pandemia del 1889, rappresenta una causa relativamente comune di polmonite batterica, secondo solo allo S. pneumoniae nella maggior parte degli studi sulle infezioni polmonari acquisite in comunità. I ceppi contenenti il polisaccaride capsulare di tipo b (Hib) sono i più virulenti e quelli più spesso responsabili delle forme gravi come la meningite, l'epiglottite e la polmonite batteriemica. Queste infezioni sono quasi scomparse negli USA e in altri paesi sviluppati grazie all'uso del vaccino Hib. I ceppi di H. influenzae che comunemente colonizzano le vie aeree degli adulti sono solitamente non capsulati (non di tipo b). Questi ceppi possono colonizzare le basse vie respiratorie in pazienti con bronchite cronica e sono spesso coinvolti nelle esacerbazioni di questa malattia.

Sintomi, segni e diagnosi La polmonite da Hib colpisce di solito i bambini (età mediana: 1 anno). Nella maggior parte dei casi viene preceduta da corizza; un precoce versamento pleurico si verifica in circa il 50% dei casi. La batteriemia e l'empiema sono infrequenti. La maggior parte degli adulti presenta infezioni in cui risultano coinvolti ceppi non capsulati con una broncopolmonite simile ad altre polmoniti batteriche. La colorazione di Gram dell'escreato mostra numerosi, piccoli cocchi bacilli gram -; il microrganismo è relativamente esigente e frequentemente colonizza le prime vie aeree cosicché le colture false negative e false positive sono comuni

Profilassi e terapia La profilassi con il vaccino H. influenzae coniugato di tipo b (Hib) è consigliato per tutti i bambini e va somministrato in tre dosi a 2, 4 e 6 mesi di vita. Circa il 30% dei ceppi di H. influenzae produce b-lattamasi ed è resistente all'ampicillina. Perciò il trattamento di scelta è il trimetoprim/sulfametossazolo (TMP-SMX) alla dose di 8/ 40 mg/kg/ die PO o EV per i bambini o di 1-2 tavolette da 160/800 mg bid per gli adulti; il cefuroxime 0,25-1 g EV q 6 h; il cefaclor 40 mg/ kg/die PO in tre dosi frazionate per i bambini o 500 mg PO q 6 h per gli adulti; la doxacillina 100 mg PO bid (controindicata nei bambini con _ 8 anni). L'ampicillina 100 mg/kg/die EV frazionata in 4 dosi (dose massima 2-3 g/die) per i bambini < 20 kg o 250 mg-1 g q 6 h per i bambini > 20 kg e per gli adulti, può

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essere usata per trattare i ceppi non resistenti. Schemi alternativi sono l'amoxicillina 20-40 mg/kg PO tid per i bambini < 20 kg o 250-500 mg PO tid per i bambini > 20 kg e per gli adulti. I fluorochinolonici e l'azitromicina sono anche efficaci.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE DELLA MALATTIA DEI LEGIONARI Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Diagnosi Prognosi e terapia

Gli studi su un'epidemia di pneumopatia acuta febbrile tra membri della Legione Americana nel 1976 a Filadelfia portarono alla scoperta del batterio oggi denominato Legionella pneumophila. Successivamente, studi retrospettivi hanno identificato casi di legionellosi sin dal 1943 e per una varietà di microrganismi correlati è stata proposta la classificazione in questo genere. Ci sono > 30 specie proposte di Legionella. Almeno 19 specie sono state indicate come responsabili di polmonite nell'uomo: tra queste, l'agente più comune è la L. pneumophila (dall'85 al 90% dei casi), seguita dalla L. micdadei (dal 5 al 10%), dalla L. bozemanii e dalla L. dumoffii. Tali microrganismi sono morfologicamente simili, condividono caratteristiche biochimiche e causano malattie simili. Lo spettro delle forme patologiche comprende (1) la sieroconversione asintomatica (2) una malattia simil-influenzale autolimitantesi senza polmonite, talora denominata febbre di Pontiac; (3) la malattia dei legionari, la forma più seria e più frequentemente riconosciuta caratterizzata da polmonite; e (4) rare infezioni localizzate dei tessuti molli. La malattia dei legionari è responsabile dell'1-8% di tutte le polmoniti acquisite in comunità che necessitano di ospedalizzazione e del 4% circa delle polmoniti nosocomiali letali; di solito la maggior parte dei casi è sporadica, con una predilezione per la tarda estate o l'inizio dell'autunno. La trasmissione da persona a persona non è stata dimostrata. Le epidemie di L. pneumophila tendono a verificarsi in edifici, soprattutto ospedali e alberghi o in certe aree geografiche quando l'approvvigionamento idrico viene contaminato e i microrganismi vengono diffusi dai condensatori dei sistemi di condizionamento d'aria o da docce contaminate. La malattia dei legionari può colpire a qualunque età, ma la maggior parte dei pazienti è di sesso maschile e di mezza età. I fattori di rischio identificati sono il fumo, l'abuso di alcol e l'immunosoppressione, soprattutto da corticosteroidi.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione è di regola di 2-10 gg. La maggior parte dei pazienti presenta una fase prodromica simile all'influenza con malessere generale, febbre, cefalea e mialgie; successivamente compare la tosse, inizialmente non produttiva e successivamente produttiva di un espettorato mucoso. Un aspetto caratteristico è la febbre alta, a volte con bradicardia relativa. Meno frequente è l'alterazione dello stato mentale con confusione, letargia o delirio. La rx del torace in fase precoce mostra generalmente un infiltrato a chiazze file:///F|/sito/merck/sez06/0730657b.html (1 of 2)02/09/2004 2.35.56

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unilaterale a delimitazione segmentale o lobare. In fase più avanzata, molti pazienti vanno incontro a un coinvolgimento bilaterale dei polmoni e sono relativamente comuni i versamenti pleurici. Occasionalmente si sviluppano ascessi polmonari e addensamenti multipli rotondi suggestivi di emboli settici. Nei pazienti con alterazione dello stato mentale il LCR risulta normale; nei pazienti con diarrea la ricerca del sangue e dei GB nelle feci risulta negativa. La maggior parte dei pazienti presenta una moderata leucocitosi con conta dei GB da 10000 a 15000/µl. Altri reperti di laboratorio comuni sono l'iponatriemia, l'ipofosfatemia e gli indici di funzione epatica alterati. Occasionalmente i pazienti presentano una ematuria microscopica, talora con alterata funzione renale.

Diagnosi Le indagini diagnostiche per l'identificazione delle specie di Legionella sono quattro: la coltura del microrganismo, l'immunofluorescenza diretta (IFD) sull'essudato, l'immunofluorescenza indiretta (IFI) sul siero e i test per gli Ag nelle urine. Tutte sono ragionevolmente specifiche, ma nessuna è particolarmente sensibile. Il microrganismo può essere isolato dall'espettorato, dagli aspirati transtracheali, da aspirati o da spazzolamenti in corso di broncoscopia, da biopsie polmonari, dal liquido pleurico o dal sangue. Dal momento che le specie di Legionella non fanno parte della flora normale, le colture positive sono diagnostiche, ma la positività delle colture di escreato nei casi confermati con procedure alternative è solo del 30-70% circa. Sia la coltura che la colorazione diretta con anticorpi flurescenti richiedono una grande esperienza tecnica. I campionamenti degli antigeni urinari sono relativamente facili da eseguire e sono positivi a lungo dopo l'inizio della terapia, ma rilevano solamente il sierogruppo 1 della L. pneumophila (70% di tutti i casi). La diagnosi sierologica si basa sulla dimostrazione dell'aumento di almeno 4 volte del titolo che deve essere _ 1:128. Una singola determinazione sierica di un soggetto convalescente, che abbia un titolo _ 1:256 con un quadro clinico compatibile, è fortemente significativa. L'aumento diagnostico del titolo, di solito osservabile 3-6 sett. dopo l'inizio della malattia, non è in genere disponibile quando si devono prendere le decisioni terapeutiche. Prognosi e terapia Anche con un adeguato trattamento, la mortalità è _ 15% nei casi contratti in comunità ed è più alta nei pazienti immunodepressi od ospedalizzati. I pazienti che rispondono necessitano di un tempo di convalescenza lungo e le alterazioni rx di solito persistono per _ 1 mese. L'eritromicina è il farmaco più usato; è di solito iniziata alla dose di 1 g EV q 6 h. I pazienti meno gravi possono assumere eritromicina 500 mg PO qid. Alcuni autori preferiscono la ciprofloxacina 750 mg PO bid o l'azitromicina 500 mg seguita da 250 mg una volta la giorno. Nei pazienti con forme gravi l'eritromicina deve essere associata alla rifampicina alla dose di 300 mg bid PO o EV. Il trattamento deve essere continuato per _ 3 sett. per prevenire le ricadute, anche se la terapia EV può essere sostituita da quella orale con eritromicina 500 mg q 6 h dopo che la febbre è scomparsa e che i sintomi acuti si sono risolti.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE DA MICOPLASMA Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Il Mycoplasma pneumoniae è il patogeno più comune nelle infezioni polmonari nelle persone di età compresa tra i 5 e i 35 anni. Questo agente trasmissibile può essere responsabile di epidemie che si sviluppano lentamente perché il periodo di incubazione varia da 10 a 14 gg. Il contagio coinvolge i contatti ravvicinati o gruppi segregati (scuole, caserme e nuclei familiari). La polmonite da Mycoplasma è anche detta polmonite atipica primaria o polmonite dell'agente di Eaton. Il M. pneumoniae attacca e distrugge le cellule epiteliali ciliate della mucosa del tratto respiratorio. Microscopicamente esso causa polmoniti interstiziali, bronchiti e bronchioliti. Le aree peribronchiali sono infiltrate da plasmacellule e piccoli linfociti; all'interno del lume bronchiale ci sono neutrofili, macrofagi, filamenti di fibrina e detriti di cellule epiteliali.

Sintomi e segni I sintomi iniziali ricordano l'influenza con malessere generale, mal di gola e tosse secca, di intensità crescente con il progredire della malattia. Si possono presentare episodi parossistici di tosse, con produzione di un escreato mucoso, mucopurulento o striato di sangue. Diversamente dalla tipica polmonite pneumococcica, questa malattia progredisce gradualmente. La sintomatologia acuta di solito persiste da 1 a 2 sett. ed è seguita da una graduale regressione, sebbene molti pazienti continuino a lamentare una sintomatologia sistemica con astenia e malessere generale per diverse settimane. La malattia di solito non è grave e la risoluzione spontanea è la regola. Tuttavia, alcuni pazienti presentano delle gravi polmoniti, che talora portano a una sindrome da distress respiratorio dell'adulto (v. anche Cap. 67). Le complicanzioni extra-polmonari sono frequenti e comprendono anemia emolitica, complicanze trombo-emboliche, poliartrite o sindromi neurologiche, quali la meningoencefalite, la mielite trasversa, le neuropatie periferiche o l'atassia cerebellare. I segni obiettivi tendono a essere poco significativi in contrasto con i sintomi lamentati dal paziente e le alterazioni rx. Nel 10-20% dei pazienti si osservano eruzioni maculopapulari che possono rappresentare un importante elemento diagnostico se presenti; alcuni pazienti sviluppano un eritema multiforme o la sindrome di Stevens-Johnson.

Diagnosi file:///F|/sito/merck/sez06/0730659.html (1 of 2)02/09/2004 2.35.57

Polmonite

Il M. pneumoniae può essere isolato da colture dell'espettorato o da tamponi faringei, ma l'isolamento e l'identificazione richiedono generalmente da 7 a 10 gg e la maggior parte dei laboratori ospedalieri non esegue tale indagine. La colorazione di Gram dell'espettorato mostra scarsi batteri, leucociti polimorfonucleati e cellule mononucleate e ammassi di cellule epiteliali respiratorie desquamate. Le modificazioni alla rx variano, ma più frequentemente si rileva una broncopolmonite a chiazze dei lobi inferiori; l'addensamento lobare e i versamenti pleurici non sono frequenti. La conta dei GB periferici di solito è normale o può essere poco aumentata. La reazione di agglutinazione a freddo si considera positiva in caso di un aumento del titolo di 4 volte in campioni sequenziali o in caso di un unico titolo _ 1:64; tuttavia, questo test, considerato alquanto aspecifico, risulta positivo soltanto nel 50-75% dei pazienti. Il metodo più pratico di conferma della diagnosi è rappresentato dalle indagini sierologiche (più spesso un isolato aumento delle IgM o un aumento del titolo di 4 volte con un valore di picco _ 1:64 a 2-4 sett. dall'inizio della sintomatologia)

Prognosi e terapia Quasi tutti i pazienti guariscono con o senza trattamento. Poiché i micoplasmi non hanno una parete cellulare, essi non sono sensibili agli antibiotici che interferiscono nella struttura della parete cellulare, compresi gli antibiotici blattamici. I farmaci di scelta sono le tetracicline o l'eritromicina 500 mg PO q 6 h per gli adulti o l'eritromicina 30-50 mg/kg/die per i bambini con < 8 anni. La claritromicina e l'azitromicina sono anch'esse efficaci. Il trattamento antibiotico riduce il periodo febbrile e gli infiltrati polmonari e accelera la risoluzione dei sintomi. Tuttavia, gli antibiotici non provocano una guarigione microbiologica; i pazienti trattati continuano a essere portatori del microrganismo per diverse settimane.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE DA CLAMIDIA Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il microrganismo eziologico fu originariamente chiamato agente respiratorio acuto di Taiwan, ma è stato rinominato Chlamydia pneumoniae(v. Cap. 160). La C. pneumoniae è antigenicamente diversa dalla C. psittaci. Le infezioni respiratorie causate dalla C. pneumoniae sono distinguibili clinicamente dalla psittacosi (v. oltre) e non hanno una correlazione epidemiologica con i volatili. La trasmissione avviene presumibilmente fra gli umani tramite la respirazione. La C. trachomatis è una causa frequente di polmonite nei lattanti di 3-8 sett., ma non è una causa importante nei bambini più grandi e negli adulti. La C. pneumoniae è stata isolata nel 5-10% degli adulti più anziani con polmonite contratta in comunità e spesso produce un quadro sufficientemente grave da richiedere il ricovero ospedaliero. Questo microrganismo è stato implicato anche nel 5-10% di casi di polmonite nosocomiale, ma si sa relativamente poco sulla sua epidemiologia.

Sintomi, segni e diagnosi Le caratteristiche cliniche della polmonite da chlamydia ricordano quelle della polmonite da micoplasma, compresa la faringite, la bronchite e la polmonite, principalmente nei bambini più grandi e nei giovani. La maggior parte dei pazienti ha tosse, febbre e produzione di escreato, ma non è gravemente malata. Le caratteristiche cliniche negli anziani non sono facilmente distinguibili dalla polmonite causata da altre cause a eccezione del fatto che quasi tutti i pazienti hanno sintomi respiratori delle prime vie, quali laringiti o faringiti. La tosse persistente è uno dei segni più evidenti. La C. pneumoniae sembra anche ricoprire un ruolo nel provocare l'asma. La C. pneumoniae può essere individuata mediante colture in uova fecondate (come le altre clamidie), attraverso colorazioni dirette usando una procedura di immunofluorescenza o una reazione di polimerasi a catena o con prove sierologiche ripetute per mostrare la sieroconversione. Tuttavia, questi test non sono solitamente disponibili nella maggiore parte dei laboratori clinici. La diagnosi va sospettata in un paziente che presenta sintomi tipici, che non ha una diagnosi alternativa confermata e che non risponde agli antibiotici b-lattamici.

Prognosi e terapia La risposta al trattamento è più lenta rispetto alla polmonite da micoplasma e i sintomi tendono a recidivare se la terapia è interrotta troppo presto. I giovani file:///F|/sito/merck/sez06/0730660a.html (1 of 2)02/09/2004 2.35.59

Polmonite

adulti solitamente hanno un decorso favorevole, ma la mortalità negli anziani è del 5-10%. Il farmaco di scelta è la tetraciclina o l'eritromicina, somministrata per 10-21 giorni alle stesse dosi utilizzate per la polmonite da micoplasma. I farmaci b-lattamici sono inefficaci.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE PSITTACOSI Una polmonite atipica ad eziologia infettiva causata dalla Chlamydia psittaci trasmessa all'uomo da alcuni uccelli.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi ed esami di laboratorio Profilassi e terapia

La C. psittaci si ritrova soprattutto negli uccelli dell'ordine psittaciforme (pappagalli, parrocchetti, pappagallini verdi), meno frequentemente nel pollame, nei piccioni e nei canarini e occasionalmente nelle egrette e in alcuni uccelli marini (p. es., gabbiani, procellarie e fulmari). Nell'uomo, la psittacosi (ornitosi, febbre del pappagallo) è di solito causata dall'inalazione di polvere di penne o di escrementi di uccelli infetti o in seguito alla beccata di un uccello infetto; di rado, si verifica per inalazione di goccioline emesse con la tosse da pazienti infetti o per via venerea. La trasmissione uomo-uomo può avvenire in caso di ceppi aviari particolarmente virulenti. I reperti anatomopatologici sono quelli di una polmonite con un essudato a cellule mononucleate, come nelle altre polmoniti atipiche primarie (v. Polmonite da Micoplasma, sopra, Polmonite virale, oltre e Febbre Q nel Cap. 159).

Sintomi e segni Dopo 1-3 sett. di incubazione, l'inizio può essere insidioso o brusco, con febbre, brivido, malessere generale e inappetenza. La temperatura aumenta gradualmente e si sviluppa tosse, all'inizio secca poi a volte mucopurulenta. Durante la seconda sett. si può avere un netto addensamento polmonare per infezione secondaria purulenta. La temperatura rimane elevata per 2 o 3 sett., per scendere poi lentamente. Il decorso può essere di lieve o di grave entità, in relazione all'età del paziente e all'estensione della polmonite. Un aumento progressivo e marcato della frequenza del polso e degli atti respiratori rappresenta un segno infausto. Si può raggiungere una mortalità del 30% nei casi gravi non trattati; percentuali anche maggiori sono state riscontrate con ceppi particolarmente virulenti. La convalescenza è graduale e può essere prolungata, specie nei casi gravi. Diagnosi ed esami di laboratorio La diagnosi clinica differenziale nei confronti delle altre polmoniti atipiche è difficile. All'inizio la psittacosi può essere confusa con un'influenza, una febbre tifoide, una polmonite da micoplasma, con la malattia dei legionari o la febbre Q. La psittacosi viene suggerita dal dato anamnestico di contatti con uccelli ed è confermata dall'isolamento dell'agente e da test sierologici di fissazione del complemento. La rx del torace durante la prima settimana mostra una polmonite

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Polmonite

che s'irradia dall'ilo; possono essere presenti focolai migranti. Negli USA i campioni di siero prelevati nella fase precoce della malattia e successivamente durante la convalescenza possono essere inviati ai "Centers for Disease Control and Prevention" tramite il responsabile del laboratorio dello stato.

Profilassi e terapia Devono essere evitati i piccioni infetti nelle piccionaie da allevamento (p. es., di piccioni da gara o viaggiatori), altri uccelli malati e la polvere di penne e di materiale contenuto nelle gabbie. Il contagio da parte degli uccelli psittaciformi importati è prevenuto mediante un ciclo obbligatorio di 45 gg con mangimi addizionati con clortetraciclina, che generalmente, ma non sempre, elimina tutti i microrganismi patogeni dal sangue e dalle feci degli uccelli. Queste misure possono essere utili anche nel controllare la malattia nei tacchini allevati per la vendita. Poiché altre persone possono essere infettate inalando le goccioline emesse con la tosse e l'escreato, si deve provvedere a un rigido isolamento del paziente quando si sospetti la diagnosi sulla base di elementi clinici ed epidemiologici (cioè, esposizione a possibili fonti di contagio). La tetraciclina 1-2 g/die PO in dosi frazionate somministrate q 6 h o la doxicillina 100 mg PO bid risultano efficaci. Di solito si riesce a controllare la febbre e gli altri sintomi entro 48-72 h, ma si deve continuare la somministrazione di antibiotici per almeno 10 gg. Sono indicati il riposo assoluto a letto, l'O2 se necessario e il controllo della tosse.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE VIRALE Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Molti virus possono causare bronchiti e alcuni causano delle polmoniti. I più comuni nella prima e nella seconda infanzia sono il virus sinciziale respiratorio, il virus parainfluenzale e i virus dell'influenza A e B. Negli adulti altrimenti sani, i soli patogeni virali riscontrati frequentemente sono i virus dell'influenza A e B. Raramente, le polmoniti degli adulti sono causate dagli adenovirus, dal virus varicella-zoster, dal virus di Epstein-Barr, dai Coxsackievirus e dagli Hantavirus. Tra i patogeni importanti negli anziani vanno annoverati i virus dell'influenza, della parainfluenza e il virus sinciziale respiratorio. I pazienti con compromissione dell'immunità cellulo-mediata sviluppano frequentemente infezioni polmonari causate da virus latenti, specialmente dal citomegalovirus (CMV). Con questa eccezione, la maggior parte delle infezioni virali trae origine dall'esposizione di una persona non immune a persone infette che diffondono il virus implicato.

Anatomia patologica I virus invadono l'epitelio bronchiolare, causando una bronchiolite; l'infezione può estendersi all'interstizio polmonare e agli alveoli, causando una polmonite. Le aree colpite sono congeste e a volte emorragiche; si ha un'intensa reazione infiammatoria costituita da cellule mononucleate. Gli alveoli possono contenere fibrina, cellule mononucleate e, occasionalmente, alcuni neutrofili. Nelle forme gravi si possono formare membrane ialine. Si possono ritrovare inclusioni virali intracellulari caratteristiche per l'adenovirus, il CMV, il virus sinciziale respiratorio o il virus della varicella-zoster.

Sintomi, segni e diagnosi Le infezioni virali delle basse vie aeree comprendono la bronchite, la bronchiolite e la polmonite. La maggior parte dei pazienti presenta cefalea, febbre, mialgie e tosse, di solito produttiva di un espettorato mucopurulento. Il reperto rx più comune è quello di una polmonite interstiziale o di un ispessimento peribronchiale. L'addensamento lobare e i versamenti pleurici non sono frequenti ma possono presentarsi con la sovrainfezione batterica. I GB periferici sono di solito pochi, ma possono risultare normali o moderatamente elevati; sono solitamente elevati quando si verificano delle sovrainfezioni. La diagnosi è supportata dal rilievo di pochi batteri e di una predominanza di monociti negli strisci di escreato nonché dall'esito negativo della ricerca di un file:///F|/sito/merck/sez06/0730661.html (1 of 2)02/09/2004 2.36.00

Polmonite

possibile patogeno batterico. L'identificazione del virus è di solito difficile, ma può essere importante durante le epidemie, nei pazienti gravi e in quelli con virus trattabili. Le polmoniti che complicano le infezioni virali esantematiche (p. es., morbillo, varicella o herpes) possono essere diagnosticate empiricamente sulla base dei segni clinici associati, compresa l'eruzione cutanea. Una diagnosi specifica nella maggior parte delle infezioni respiratorie virali richiede l'isolamento del virus dal liquido di lavaggio del faringe o dai tessuti, l'identificazione delle inclusioni tipiche nei campioni citologici o bioptici o le indagini sierologiche. La maggior parte dei laboratori ospedalieri non è in grado di mettere in coltura i virus. La diagnosi di influenza viene di solito formulata sulla base della presenza dei sintomi tipici durante un'epidemia della malattia e sulla base dei test sierologici eseguiti in fase acuta e durante la convalescenza o delle colorazioni con immunofluorescenza delle secrezioni respiratorie.

Terapia L'aciclovir 5-10 mg/kg q 8 h per gli adulti o 250-500 mg/m2 di ASC q 8 h per i bambini viene indicato per le infezioni polmonari da Herpes simplex, Herpes zoster o varicella. La polmonite da CMV può essere trattata nei riceventi di un organo trapiantato con ganciclovir 5 mg/ kg EV bid e immunoglobuline (immunoglobuline EV o immunoglobuline CMV-specifiche), ma questa terapia ha uno scarso beneficio documentabile nei pazienti con AIDS. (La profilassi e la terapia dell'influenza sono trattati in Influenza nel Cap. 162.) Alcuni pazienti, specialmente quelli con influenza, sviluppano sovrainfezioni batteriche che richiedono gli antibiotici. I maggiori patogeni coinvolti in queste situazioni sono lo Streptococcus pneumoniae e lo Staphylococcus aureus; meno frequentemente i patogeni responsabili delle sovrainfezioni sono l'Haemophilus influenzae, gli streptococchi b-emolitici di gruppo A e la Neisseria meningitidis. La prognosi varia ampiamente in rapporto al microrganismo in causa, all'età del paziente e alle patologie associate; la terapia è mirata sul germe responsabile.

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITI MICOTICHE La polmonite micotica primaria è causata più frequentemente dal Blastomyces dermatitidis, dall'Histoplasma capsulatum o dal Coccidioides immitis e meno frequentemente dallo Sporothrix schenckii o da Cryptococcus, Aspergillus o Mucor sp (v. Cap. 158). Le polmoniti fungine possono essere una complicanza della terapia antibatterica, soprattutto nei pazienti con alterati meccanismi di difesa dell'ospite causati da malattie o da terapie immunosoppressive e in quelli con AIDS (v. Cap. 151).

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE POSTOPERATORIA E POST-TRAUMATICA Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi

L'ipoventilazione, la limitata escursione degli emidiaframmi, la compromissione o l'inibizione del riflesso della tosse, il broncospasmo e la disidratazione possono causare ritenzione di secrezioni bronchiali con conseguente atelettasia segmentale e successiva polmonite. L'incidenza di tali infezioni è più alta in caso di interventi chirurgici sul torace o sull'addome. Una polmonite si presenta con pari frequenza dopo anestesia inalatoria o spinale; solo il 10% circa di tali infezioni segue interventi condotti in anestesia locale o EV. Il patogeno abituale dell'empiema dopo chirurgia del torace è lo Staphylococcus aureus. Circa il 40% delle polmoniti post-traumatiche rappresenta una complicanza di fratture costali o di traumi del torace; il resto va pressoché equamente distribuito tra fratture o altre lesioni craniche, altre fratture, ustioni e contusioni gravi.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi e i segni sono gli stessi di quelli di altre polmoniti batteriche causate dagli stessi microrganismi. La rx del torace può mostrare infiltrati e/o aree di atelettasia e talora segni di embolia e infarti polmonari; gli infarti si associano di solito a espettorato ematico. Un escreato purulento è spesso indice di infezione, ma talvolta l'escreato è denso o mucoso con abbondanti microrganismi. Nelle indagini batteriologiche sull'escreato e sulle secrezioni bronchiali risultano spesso bacilli gram -, lo S. aureus, gli pneumococchi, l'Haemophilus influenzae o una combinazione di questi.

Prognosi La prognosi dipende dall'età del paziente e dal precedente stato di salute, nonché dalla natura della patologia per la quale è richiesto l'intervento chirurgico o dalla natura, dalla localizzazione e dall'entità del trauma. Le complicanze ricordano quelle di altre polmoniti causate dagli stessi batteri, ma gli empiemi possono essere più frequenti in caso di polmoniti secondarie a traumi o a interventi chirurgici sui polmoni e sul mediastino.

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Polmonite

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Polmonite

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 73. POLMONITE POLMONITE DA INALAZIONE Conseguenza patologica di un anomalo ingresso di liquidi, particelle solide o secrezioni all'interno delle vie aeree inferiori. Le persone sane inalano frequentemente, ma i normali meccanismi di difesa di solito rimuovono l'aspirato senza conseguenze. La polmonite da inalazione comprende tre sindromi differenti basate sulla natura dell'aspirato. La polmonite chimica si verifica allorquando il materiale inalato ha un effetto tossico diretto sui polmoni. La forma più studiata e probabilmente più frequente è la polmonite acida da inalazione di succo gastrico acido (sindrome di Mendelson). Perché si manifestino i sintomi, è necessaria l'inalazione di una quantità relativamente abbondante di liquido con un pH < 3. Il paziente si presenta con dispnea, tachipnea e tachicardia acute. Segni comunemente associati sono rappresentati da cianosi, broncospasmo, febbre ed escreato spesso rosa e schiumoso. La rx del torace mostra sempre la presenza di infiltrati di solito in uno o entrambi i lobi inferiori. L'emogasanalisi arteriosa dimostra ipossiemia. Il più importante approccio terapeutico è rappresentato dal supporto respiratorio, di solito mediante intubazione e ventilazione a pressione positiva. Va eseguita un'aspirazione tracheale (v. Aspirazione tracheale nel Cap. 65) se il paziente giunge all'osservazione precocemente; tuttavia, il danno si realizza in pochissimo tempo, come in un'ustione da fiammata e l'acido viene così rapidamente neutralizzato dalle secrezioni polmonari che la possibilità di antagonizzare il danno chimico è minima. Lo scopo principale dell'aspirazione tracheale è quello di liberare le vie aeree da particelle solide che possono essere state aspirate. I corticosteroidi non devono essere somministrati e gli antibiotici devono essere prescritti solamente se si sviluppano delle infezioni polmonari secondarie. Questa forma di polmonite si manifesta in tre diversi quadri: a rapida risoluzione, come in quella descritta da Mendelson; a evoluzione verso la sindrome da distress respiratorio acuto o con sovrainfezione batterica. La mortalità è del 3050%. L'infezione batterica delle vie aeree inferiori rappresenta la forma più comune di polmonite da inalazione. I patogeni abituali sono i batteri anaerobi che colonizzano l'orofaringe. La presentazione e la progressione della sintomatologia sono più insidiose rispetto a quelle della polmonite da acido gastrico. I rilievi abituali sono quelli di un'infezione polmonare batterica con tosse, febbre ed espettorato purulento. La rx del torace mostra un infiltrato in un segmento polmonare declive, determinato in qualche misura dalla posizione del paziente durante l'inalazione. I segmenti più esposti all'aspirazione in posizione semisdraiata sono il segmento superiore del lobo inferiore o il segmento posteriore del lobo superiore, mentre in posizione eretta sono più colpiti i lobi inferiori. Complicanze comuni quando sono coinvolti i batteri anaerobi sono rappresentate dalla necrosi polmonare con formazione di una cavità (cioè un ascesso polmonare) o un piopneumotorace conseguente a una fistola broncopleurica. Frequentemente si verifica anche un empiema. Il principale presidio terapeutico è rappresentato dagli antibiotici mirati sui patogeni responsabili. Poiché l'espettorato è inadeguato per la ricerca dei batteri anaerobi, i campioni da preferire sono l'aspirato transtracheale, le colture quantitative sugli aspirati broncoscopici o il liquido empiematico. I pazienti che vanno incontro a un'aspirazione al di fuori dell'ospedale, presentano di solito file:///F|/sito/merck/sez06/0730665.html (1 of 2)02/09/2004 2.36.02

Polmonite

un'infezione da anaerobi; mentre la polmonite da aspirazione contratta in ambiente ospedaliero, tende a coinvolgere diversi microrganismi rappresentati da bacilli gram - e dallo Staphylococcus aureus oltre che da batteri anaerobi. Per le infezioni da anaerobi il farmaco di prima scelta è la clindamicina 600 mg EV q 68 h. Il metronidazolo associato alla penicillina è un'alternativa ragionevole. Per i pazienti con polmonite da inalazione nosocomiale, si temono soprattutto i bacilli gram - e lo S. aureus come componenti di infezioni miste. Questi microrganismi sono facilmente isolati con le colture dell'espettorato e l'antibiogramma viene usato per indirizzare la scelta degli antibiotici. L'antibioticoterapia empirica nei malati gravemente compromessi è rappresentata da un aminoglicoside o dalla ciprofloxacina in associazione con un altro dei seguenti: una cefalosporina di terza generazione, l'imipenem, una penicillina contro lo pseudomonas o un'associazione b-lattamico/inibitore della b-lattamasi, come la ticarcillina/acido clavulanico. Un'alternativa alla penicillina per i pazienti allergici è l'aztreonam più la clindamicina. L'ostruzione meccanica delle vie aeree inferiori può essere causata dall'inalazione di liquidi inerti o da materiale particolato (p. es., in vittime da annegamento o in pazienti con grave compromissione della coscienza che aspirano contenuti gastrici non acidi, cibo, ecc). Tali pazienti possono avere necessità di un'immediata aspirazione tracheale (v. Aspirazione tracheale nel Cap. 65). Le particelle solide possono incunearsi nelle vie aeree inferiori. Le sostanze più comunemente ritrovate sono di natura vegetale (p. es., arachidi). Questo tipo di incidente si verifica di solito nei bambini durante la fase orale dello sviluppo ma può verificarsi anche negli adulti, in particolare con cibi inalati durante un pasto: la cosiddetta "café coronary syndrome" (v. Rianimazione cardiopolmonare nel Cap. 206). La sintomatologia dipende dal calibro sia dell'oggetto che delle vie aeree. Un'ostruzione alta a livello della trachea può causare un'apnea acuta, spesso con afonia e morte rapida. L'ostruzione delle vie aeree a livello più distale causa tosse cronica stizzosa e, talora, infezioni ricorrenti distalmente all'ostruzione. Un'atelettasia o un'iperdistensione del polmone interessato è meglio visibile alla rx del torace eseguita durante l'espirazione; una ostruzione parziale con intrappolamento dell'aria causa un allontanamento dell'ombra cardiaca dal polmone compromesso durante questa fase della respirazione. Un altro indizio di questa diagnosi è rappresentato da infezioni parenchimali ricorrenti nello stesso segmento del polmone. La terapia consiste nell'estrazione dell'oggetto, di solito mediante broncoscopia.

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Ascesso polmonare

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 74. ASCESSO POLMONARE Cavità localizzata contenente pus, conseguente a necrosi del tessuto polmonare, circondata da un'area di flogosi polmonare.

Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Un ascesso polmonare può essere putrido (dovuto a batteri anaerobi) o non putrido (dovuto ad anaerobi o aerobi). Il termine "gangrena del polmone" indica un processo simile, ma più diffuso e di maggiore estensione, nel quale predomina la necrosi.

Eziologia e anatomia patologica Gli ascessi polmonari sono causati in genere da materiale infetto inalato dal tratto superiore delle vie aeree da pazienti non coscienti od obnubilati dall'alcol, da altre droghe, da malattie del SNC, dall'anestesia generale, dal coma o da un eccesso di sedativi. Gli organismi responsabili sono di solito degli anaerobi. Gli ascessi polmonari sono spesso associati a periodontopatia, dove gli anaerobi sono comunemente presenti. I batteri isolati dagli ascessi polmonari sono rappresentati dai germi comuni e dalla flora nasofaringea, in particolare dagli anaerobi e meno spesso da batteri aerobi o da funghi. Il carcinoma broncogeno è occasionalmente la causa sottostante nei fumatori più anziani. La TBC cavitaria non è considerata un ascesso polmonare, ma deve essere ricordata nella diagnosi differenziale. Le polmoniti da Klebsiella pneumoniae (bacillo di Friedländer), da Staphylococcus aureus, da Actinomyces israelii, da streptococco b-emolitico, da Streptococcus milleri (e da altri streptococchi aerobici o microaerofili), da Legionella sp o da Haemophilus influenzae sono talvolta complicate da un ascesso polmonare. Gli ascessi polmonari nei pazienti defedati sono di solito causati da specie di Nocardia, Cryptococcus, Aspergillus, Phycomyces, micobatteri atipici (principalmente M. avium-intracellulare o M. kansasii) o da bacilli gram -. La blastomicosi, l'istoplasmosi e la coccidioidomicosi possono anch'esse causare ascessi polmonari acuti o cronici e devono essere sospettate in caso di ascessi non putridi in aree endemiche. Cause meno comuni di ascessi polmonari sono gli emboli settici polmonari, la suppurazione secondaria di infarti polmonari e la diretta estensione al lobo inferiore del polmone di ascessi amebici o batterici del fegato attraverso il diaframma. Gli ascessi polmonari singoli sono i più frequenti. Gli ascessi multipli sono di solito unilaterali; essi possono insorgere simultaneamente o per diffusione da un singolo focolaio. Negli ascessi da inalazione, sono più spesso interessati il segmento superiore del lobo inferiore e il segmento posteriore di un lobo superiore. Un ascesso solitario, secondario a ostruzione bronchiale o a un embolo infetto, origina come necrosi di un'estesa porzione del segmento file:///F|/sito/merck/sez06/0740666.html (1 of 4)02/09/2004 2.36.03

Ascesso polmonare

broncopolmonare interessato. La base del segmento è di solito prossima alla parete del torace e lo spazio pleurico in quell'area è spesso obliterato da aderenze infiammatorie. La diffusione embolica dell'infezione, il più delle volte dovuta a un'endocardite tricuspidalica da S. aureus in coloro che fanno uso di droghe EV, è diventata più frequente ed è caratterizzata di solito da lesioni polmonari multiple in siti non contigui. Le tromboflebiti venose suppurative dovute a batteri aerobi o anaerobi possono anch'esse causare degli ascessi embolici del polmone. Un ascesso di solito si apre in un bronco e il suo contenuto viene espettorato, lasciando nel polmone una cavità con livello idroaereo. Occasionalmente un ascesso si svuota nella cavità pleurica, dando origine a un empiema, a volte con fistola broncopleurica. Similmente, lo svuotamento di un ascesso esteso in un bronco o dei tentativi vigorosi di drenaggio possono causare una disseminazione estesa del pus per via bronchiale, con polmonite diffusa e un quadro simile alla sindrome da distress respiratorio dell'adulto. (V. anche la trattazione dell'empiema in Versamento pleurico nel Cap. 80.)

Sintomi e segni L'esordio può essere acuto o insidioso. I sintomi precoci sono spesso quelli della polmonite, cioè malessere, inappetenza, tosse produttiva, sudorazione e febbre. Può essere presente una grave prostrazione con febbre a 39,4°C e oltre. Febbre, anoressia, astenia e debolezza sono talora minimi se l'infezione è limitata o torpida. Fino a quando l'ascesso non si è completamente delimitato, l'espettorato è purulento e può essere striato di sangue. Un ascesso può non essere sospettato fino a quando non si apre in un bronco, allorché può essere emessa una grossa quantità di escreato purulento, fetido o non fetido, nell'arco di poche ore o di diversi giorni. L'escreato può contenere tessuto polmonare gangrenoso. Un odore putrido (penetrante e disgustoso) è diagnostico di un'eziologia da batteri anaerobi. L'espettorato putrido si verifica nel 30-50% di tutti i pazienti con ascesso polmonare, ma circa il 40% dei pazienti con ascessi da anaerobi non presenta un escreato putrido e di conseguenza la sua assenza non esclude questa diagnosi. Il dolore toracico, se presente, indica di solito un interessamento pleurico. I segni fisici comprendono una piccola area di ottusità che indica un addensamento pneumonico localizzato e, di regola, un'abolizione del murmure vescicolare piuttosto che un soffio bronchiale. Possono essere presenti rantoli a piccole o medie bolle. Se la cavità è estesa (raramente con l'odierna terapia), possono essere presenti rumori respiratori timpanici e anforici. I segni della suppurazione polmonare in genere scompaiono con un'appropriata terapia antibiotica, ma la loro scomparsa non significa necessariamente guarigione. Se l'ascesso si cronicizza, può instaurarsi anemia, perdita di peso e osteoartropatia polmonare ipertrofica. L'esame obiettivo del torace può essere negativo nella fase di cronicizzazione, ma sono generalmente presenti rantoli e ronchi.

Diagnosi La presenza di un ascesso polmonare viene suggerita dai sintomi e dai segni sopra descritti. All'inizio del decorso, la rx del torace può mostrare un addensamento segmentale o lobare, che a volte assume la forma sferica quando è disteso dal pus. Quando l'ascesso si svuota in un bronco appare alla rx una cavità con un livello idroaereo. Se la rx torace fa sospettare un tumore o un corpo estraneo sottostante, oppure se la presentazione clinica è atipica, la TC può consentire una migliore definizione anatomica. Le secrezioni bronchiali devono essere sottoposte a strisci ed esami colturali per

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Ascesso polmonare

batteri, funghi e micobatteri. Le secrezioni espettorate non sono invece idonee poiché la bocca contiene normalmente microrganismi anaerobi che contaminano il campione durante il passaggio attraverso le vie aeree superiori. L'attribuzione della malattia agli anaerobi richiede di solito un campione ottenuto tramite aspirazione transtracheale, aspirazione transtoracica o broncoscopia a fibre ottiche con spazzola protetta e colture quantitative, ma queste procedure non vengono eseguite spesso. Tali metodiche invasive devono essere riservate ai casi che hanno una presentazione atipica o che non rispondono alla terapia con antibiotici; comunque, una volta iniziati gli antibiotici, non vi è nessun metodo affidabile per ottenere campioni utili per la coltura batterica. La broncoscopia non è necessaria se la risposta agli antibiotici è adeguata e se non si sospetta un corpo estraneo né una neoplasia. Le lesioni che mimano l'ascesso polmonare batterico sono il carcinoma broncogeno cavitario, le bronchiettasie, l'empiema secondario a fistola broncopleurica, la TBC, la coccidioidomicosi e altre infezioni micotiche polmonari, le bolle polmonari o le cisti aeree infette, il sequestro polmonare, i noduli silicotici con area centrale di necrosi, gli ascessi subfrenici o epatici (amebici o idatidei) con perforazione in un bronco e la granulomatosi di Wegener. Ripetute valutazioni cliniche e le procedure sopra descritte possono di solito differenziare tali patologie dal semplice ascesso polmonare.

Prognosi e terapia La pronta e completa guarigione di un ascesso polmonare dipende da un adeguato trattamento antibiotico. La maggior parte dei pazienti guarisce senza ricorrere alla chirurgia. Il trattamento antibiotico deve essere istituito subito dopo aver prelevato campioni di escreato e di sangue per le indagini colturali con antibiogramma. Il farmaco di scelta è la clindamicina, iniziando con una dose di 600 mg EV tid, poi di 300 mg PO qid. Uno schema terapeutico alternativo è la penicillina G 2-10 milioni U/die EV, seguita da penicillina V 500-750 mg PO qid; gli antibiotici vengono somministrati PO quando il paziente è sfebbrato e riferisce una sensazione di miglioramento. Alcuni esperti preferiscono combinare la penicillina con il metronidazolo 500 mg PO qid. Qualora sia implicato un microrganismo gram -, lo S. aureus o altri patogeni aerobi, la scelta dell'antibiotico dipende dai risultati dell'antibiogramma. Il trattamento va continuato finché la polmonite non si sia risolta e la cavità non sia scomparsa lasciando solo una lesione residua stabile, una cisti con pareti sottili o campi polmonari chiari. La risoluzione di solito richiede molte settimane o mesi di trattamento antibiotico, gran parte del quale viene somministrato per via orale dopo la dimissione. Il drenaggio posturale può essere un utile trattamento aggiuntivo, ma può anche causare il passaggio di materiale infetto in altri bronchi con estensione dell'infezione od ostruzione acuta. Quando il paziente è molto debole o paralizzato può rendersi necessaria la tracheostomia e l'aspirazione. Di rado, l'aspirazione broncoscopica aiuta a promuovere il drenaggio. Il drenaggio chirurgico è raramente necessario poiché le lesioni rispondono in genere bene alla terapia antibiotica. Pazienti con ampie cavità che non rispondono ai farmaci possono essere candidati al drenaggio per via percutanea; i pazienti con empiema lo esigono. La resezione polmonare è il trattamento di scelta per gli ascessi resistenti alla terapia farmacologica, specie nel sospetto di un carcinoma broncogeno. La lobectomia è l'intervento più comune; la resezione segmentale è di solito sufficiente per le piccole lesioni. La pneumonectomia va riservata invece ai casi di ascessi multipli o in caso di gangrena polmonare insensibile al trattamento farmacologico. L'indice di mortalità dopo pneumonectomia è del 5-10%; è molto minore dopo resezioni più limitate.

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Ascesso polmonare

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI INORGANICHE Le malattie parenchimali causate da inalazione cronica di polveri inorganiche (minerali) sono denominate pneumoconiosi. Alcune polveri inorganiche, come quelle che contengono silice, carbone, asbesto o berillio, sono fibrogene. Raramente, la polvere di metalli duri e di alluminio si associa con lo sviluppo di una fibrosi polmonare diffusa; le modificazioni cliniche, radiologiche e funzionali sono simili a quelle di altre malattie determinate dall'inalazione di polvere e caratterizzate dalla fibrosi polmonare diffusa. Diverse polveri inerti, compresi l'ossido di ferro, il bario e lo stagno, non sono fibrogene e possono produrre condizioni rispettivamente denominate siderosi, baritosi e stannosi. Le alterazioni rx in queste condizioni riflettono la radioopacità dei materiali depositati e non indicano malattia perché non esistono né sintomi né alterazioni funzionali.

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI INORGANICHE SILICOSI Pneumoconiosi di solito causata dall'inalazione di polveri di cristalli liberi di silicio (biossido di silicio, quarzo) e caratterizzata da fibrosi polmonare a noduli distinti e, in stadi più avanzati, da fibrosi a noduli confluenti e da compromissione della funzione respiratoria.

Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Eziologia La silicosi, la malattia professionale respiratoria conosciuta da più tempo, insorge in genere dopo inalazione prolungata di piccole particelle di silice cristallina libera nelle miniere di metalli (di piombo, antracite, rame, argento, oro), nelle fonderie, nelle fabbriche di ceramica e nelle industrie estrattive delle rocce arenarie e del granito. I cristalli di silice liberi sono una delle forme di silice libera, una forma relativamente pura di silice non combinata con l'acido silicidico. Di solito, sono necessari 20-30 anni di esposizione prima che la malattia si renda manifesta, sebbene si sviluppi in < 10 anni quando l'esposizione alle polveri è molto alta, come nella costruzione di gallerie, nelle fabbriche di sapone abrasivo e durante le operazioni di sabbiatura. Il limite attuale per la silice libera nell'aria degli ambienti industriali è 100 mg/m3, una media tempo-ponderata di 8 h basata sulla percentuale della silice nella polvere. La formula per accertare se il limite viene superato è mg/m3

Anatomia patologica e fisiopatologia Le particelle di silice libera respirabili sono fagocitate dai macrofagi alveolari ed entrano nei linfatici e nel tessuto interstiziale. I macrofagi causano il rilascio di enzimi citotossici che inducono fibrosi del parenchima polmonare. Quando un macrofago muore, le particelle di silice vengono liberate e fagocitate da altri macrofagi e il processo può ripetersi. La tipica lesione iniziale è la formazione di noduli silicotici ialini distinti in entrambi i polmoni. I macrofagi che muoiono liberano silice nel tessuto interstiziale attorno alla seconda generazione di bronchioli respiratori, dove si forma un nodulo. In seguito, la fusione dei noduli fibrotici dà luogo a masse confluenti, con retrazione

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delle porzioni superiori del polmone ed enfisema e con marcata distorsione dell'architettura polmonare. La ventilazione e gli scambi gassosi sono compromessi. La riduzione di tutti i volumi polmonari distingue il quadro fisiopatologico globale della silicosi confluente da quello dell'enfisema polmonare avanzato. Negli stadi avanzati della silicosi confluente si verificano gravi alterazioni funzionali e l'insufficienza respiratoria, la loro estrema conseguenza, può progredire insieme a un peggioramento del quadro rx per un tempo limitato (cioè, 2-5 anni) anche dopo l'interruzione della esposizione. Quando l'esposizione alla polvere è estremamente elevata e si sviluppa una silicoproteinosi, gli spazi alveolari si riempiono di un materiale proteinaceo simile a quello riscontrabile nella proteinosi alveolare (v. Cap. 79) e le cellule mononucleate infiltrano i setti.

Sintomi e segni I pazienti con silicosi nodulare semplice non presentano né sintomi né, solitamente, compromissione respiratoria. Essi possono lamentare tosse ed espettorazione, ma tali sintomi sono dovuti alla bronchite industriale e si presentano con la stessa frequenza nei soggetti con rx normale. Sebbene la silicosi semplice comprometta la funzione respiratoria in scarsa misura, i pazienti con stadio di malattia 2 o 3 (v. diagnosi, oltre) occasionalmente hanno una leggera riduzione dei volumi polmonari, ma i valori scendono di rado al di sotto dei limiti di riferimento. La silicosi a noduli confluenti, al contrario, può determinare grave dispnea, tosse ed espettorato. La gravità dell'affanno è correlata alla dimensione delle masse confluenti nei polmoni. Quando le masse sono molto estese, il paziente raggiunge una grave invalidità. Man mano che le masse invadono e obliterano il letto vascolare, si instaurano ipertensione polmonare e ipertrofia ventricolare destra. Negli stadi avanzati possono essere presenti segni obiettivi di consolidamento e di ipertensione polmonare. Il cuore polmonare non ipossiemico è infine causa di morte. Nella silicosi confluente (complicata), soprattutto nelle fasi terminali, le alterazioni della funzione respiratoria sono comuni. Queste comprendono la diminuzione dei volumi polmonari e della capacità di diffusione e l'ostruzione delle vie aeree, spesso con ipertensione polmonare e, occasionalmente, lieve ipossiemia. È rara la ritenzione di CO2. In molti pazienti silicotici il siero contiene autoanticorpi antipolmone e fattori antinucleo. Gli individui esposti alla silice nell'ambiente di lavoro e che hanno un test alla tubercolina positivo hanno un rischio maggiore di sviluppare la TBC. In genere, tanto maggiore è la quantità di silice presente nei polmoni, tanto più elevato è il rischio.

Diagnosi La diagnosi si basa sulle caratteristiche alterazioni rx e sulla storia di esposizione alla silice libera. La silicosi semplice si riconosce per la presenza di numerose piccole opacità tondeggianti o regolari alla rx del torace e si classifica in base alla loro diffusione nelle categorie 1, 2 e 3. La silicosi a noduli confluenti è rivelata dalla presenza di un'opacità di diametro > 1 cm su uno sfondo di silicosi semplice di categoria 2 o 3. Tra le numerose altre malattie che possono simulare la silicosi semplice vi sono la TBC miliare, la siderosi dei saldatori, la sarcoidosi, l'emosiderosi e la pneumoconiosi dei minatori di carbone. Tuttavia, la presenza di calcificazioni "a guscio d'uovo" nei linfonodi ilari e mediastinici distingue la silicosi dalle altre malattie respiratorie occupazionali. La silico-tubercolosi ricorda alla rx la silicosi a noduli confluenti. La differenziazione può essere fatta con l'esame colturale dell'escreato.

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Profilassi e terapia Un efficace controllo delle polveri può prevenire la silicosi. Poiché i sistemi di riduzione delle polveri non sono in grado di diminuire il rischio nei lavoratori addetti alla sabbiatura, si devono indossare maschere alimentate con aria esterna. Queste misure possono però non essere disponibili per il personale presente nella zona e dedito ad altre attività (p. es., verniciatori, saldatori). Pertanto è preferibile sostituire la sabbia con altri materiali abrasivi. Il controllo di tutti i lavoratori esposti è rappresentato da periodiche rx del torace q 6 mesi per i sabbiatori e q 2-5 anni per gli altri lavoratori esposti. Non si conosce altro trattamento efficace all'infuori del trapianto polmonare. I soggetti con ostruzione delle vie aeree devono essere trattati come per l'ostruzione cronica delle vie aeree (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68). Quelli esposti alla silice che hanno una reazione tubercolinica positiva ma con un esame colturale dell'escreato negativo per TBC dovrebbero assumere isoniazide per almeno 1 anno. Alcuni esperti consigliano un trattamento a vita perché la funzione dei macrofagi alveolari può essere permanentemente compromessa dalla silice. Una profilassi a vita con isoniazide può essere indicata per chi è stato precedentemente trattato per una TBC attiva. I pazienti con silicosi e con TBC polmonare attiva necessitano di un prolungamento della terapia standard multifarmacologica di almeno 3-6 mesi.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI INORGANICHE PNEUMOCONIOSI DEI LAVORATORI DEL CARBONE Deposizione nodulare diffusa di polvere nei polmoni in seguito a esposizione prolungata a polvere di carbone bituminoso o antracitico nell'industria mineraria del carbone.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

La pneumoconiosi dei lavoratori del carbone (Coal Workers' Pneumoconiosis, CWP) è anche detta pneumoconiosi del minatore di carbone, malattia del polmone nero o antracosi.

Anatomia patologica e fisiopatologia Nella CWP semplice, la polvere di carbone è diffusamente depositata per tutto l'ambito polmonare, con conseguente sviluppo di "macchie di carbone" attorno ai bronchioli respiratori. Successivamente si origina anche una lieve dilatazione nota come enfisema focale da polvere; tuttavia, essa non si estende agli alveoli e non si associa a ostruzione delle vie aeree. Poiché il carbone ha uno scarso potere fibrogeno, si rileva solo un minimo scompaginamento dell'architettura polmonare e una modesta compromissione funzionale. Tuttavia, ogni anno circa l'1-2% dei minatori con CWP semplice sviluppa una fibrosi massiva progressiva (Progressive Massive Fibrosis, PMF), nota anche come CWP complicata, definita dallo sviluppo di un'opacità _ 1 cm di diametro in presenza di una CWP semplice. Solo di rado, la PMF si manifesta dopo che l'esposizione è cessata e può evolvere anche senza ulteriori esposizioni. Come un'amorfa massa nera, la PMF (come nella silicosi complicata) invade e distrugge i vasi sanguigni e le vie aeree. L'evoluzione verso una PMF non è di solito correlata alla quantità di silice contenuta nel carbone; tuttavia, nel siero delle persone affette, come accade nella silicosi, possono riscontrarsi Ac antinucleo e antipolmone. Sindrome di Caplan: un minatore di carbone che ha o che sviluppa l'AR, può produrre noduli multipli tondeggianti nei polmoni in un tempo relativamente breve. Tali noduli a volte si sviluppano in assenza della CWP semplice. Dal punto di vista istologico, essi assomigliano ai noduli reumatoidi ma hanno una zona periferica di infiammazione più acuta. Questi noduli rappresentano una risposta immunopatologica correlata alla diatesi reumatica.

Sintomi, segni e diagnosi

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La CWP semplice non si associa ad alcun sintomo respiratorio. Si verificano poche lievi anomalie nella distribuzione dei gas inspirati, ma queste non sono associate a sintomi. La tosse e l'espettorato sono presenti ma non più spesso di quando le rx del torace risultino normali. Se presente, l'ostruzione delle vie aeree, talvolta con dispnea da sforzo, è da attribuire al concomitante enfisema polmonare da fumo, alla bronchite industriale o alla presenza di PMF, l'unica forma invalidante di CWP. La diagnosi si fonda su una storia di esposizione significativa, che è attualmente di almeno 20 anni di lavoro nel sottosuolo, e sui caratteristici segni radiologici di piccole opacità tondeggianti in entrambi i polmoni per la CWP semplice, o di un'ombra di diametro > 1 cm, su un reperto di fondo di una CWP semplice, per la PMF.

Profilassi e terapia La CWP può essere prevenuta eliminando la polvere sul fronte di scavo. La terapia non è specifica, di rado necessaria, per la maggior parte dei casi inutile, comunque simile a quella della patologia cronica ostruttiva aspecifica delle vie aeree (v. Broncopneumopatia cronica ostruttiva nel Cap. 68). A molti pazienti vengono somministrati senza necessità dei broncodilatatori, spesso a loro danno.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI INORGANICHE BERILLIOSI Malattia sistemica granulomatosa con manifestazioni polmonari, causata dall'inalazione di polvere o fumi contenenti composti o prodotti a base di berillio.

Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi, profilassi e terapia

Questa malattia è chiamata a volte malattia da berillio, avvelenamento da berillio o granulomatosi da berillio.

Eziologia L'esposizione al berillio era frequente in molte industrie, tra le quali quella estrattiva del berillio, le industrie elettroniche, gli stabilimenti chimici e quelli per la lavorazione delle lampade a fluorescenza. Oggi la sua principale utilizzazione è nell'industria aerospaziale. La berilliosi differisce dalla maggior parte delle altre pneumoconiosi: sembra essere una malattia da ipersensibilità e insorge soltanto nel 2% circa degli individui esposti. I sintomi possono manifestarsi acutamente o possono non manifestarsi che 10-20 anni dopo l'esposizione, che può essere stata breve.

Anatomia patologica e fisiopatologia La berilliosi acuta è una polmonite chimica, ma può interessare anche altri organi (p. es., la cute e la congiuntiva). Le alterazioni anatomo-patologiche a livello del polmone sono rappresentate da infiltrati infiammatori diffusi nel parenchima e da un edema intraalveolare aspecifico. La caratteristica anatomo-patologica della berilliosi cronica è una reazione granulomatosa diffusa dei polmoni e dei linfonodi ilari, istologicamente indistinguibile dalla sarcoidosi. Si può anche riscontrare la formazione precoce di un granuloma con cellule mononucleate e cellule giganti.

Sintomi, segni e diagnosi I pazienti affetti da berilliosi acuta presentano spesso dispnea, tosse, perdita di peso e quadri rx molto variabili, che dimostrano di solito un diffuso addensamento alveolare. Questa malattia è estremamente rara nell'America del file:///F|/sito/merck/sez06/0750674.html (1 of 2)02/09/2004 2.36.08

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Nord. I pazienti con forme croniche lamentano dispnea da sforzo insidiosa e progressiva, tosse, dolore toracico, perdita di peso e astenia. I sintomi possono non manifestarsi fino a 20 anni dopo che l'esposizione è cessata. La rx torace mostra i segni di un'infiltrazione diffusa, spesso con adenopatia ilare, che ricorda il quadro della sarcoidosi. Si osservano anche quadri di diffusione miliare. La diagnosi si basa sui dati anamnestici dell'esposizione e sulle tipiche manifestazioni cliniche. Tuttavia, se non si utilizzano speciali tecniche immunologiche, è spesso impossibile differenziare la berilliosi dalla sarcoidosi.

Prognosi, profilassi e terapia La forma acuta può essere fatale, ma i pazienti che sopravvivono hanno una prognosi eccellente. Le manifestazioni cliniche in coloro che sopravvivono sono di solito di breve durata e completamente reversibili. La forma cronica esita spesso in una riduzione progressiva della funzione respiratoria. Si può arrivare al sovraccarico ventricolare destro, con morte per cuore polmonare. L'eliminazione della polvere industriale costituisce la base della prevenzione all'esposizione al berillio, ma la sua efficacia non è assoluta. La malattia (sia acuta che cronica) deve essere riconosciuta prontamente e i lavoratori colpiti devono essere allontanati da ulteriori esposizioni al berillio. Il trattamento della berilliosi acuta è generalmente sintomatico. I polmoni diventano spesso edematosi ed emorragici e la ventilazione meccanica si rende necessaria nei pazienti colpiti gravemente. Nei pazienti sintomatici con anomalie della funzionalità polmonare, va somministrato prednisone 60 mg/die PO o l'equivalente EV per un periodo di 2-3 sett., con riduzione scalare del dosaggio nelle successive 3-4 sett. fino a 10-15 mg/die. Sebbene i corticosteroidi siano stati impiegati nella berilliosi cronica, la risposta è di solito insoddisfacente. Un miglioramento netto, prolungato, indica probabilmente che il paziente è affetto da sarcoidosi piuttosto che da berilliosi.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI ORGANICHE La deposizione di polveri organiche antigeniche nel parenchima polmonare può portare allo sviluppo delle polmoniti da ipersensibilità (v. Polmonite da ipersensibilità nel Cap. 76).

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Malattie polmonari da ipersensibilità

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 76. MALATTIE POLMONARI DA IPERSENSIBILITÀ POLMONITE DA IPERSENSIBILITÀ Una malattia granulomatosa interstiziale diffusa del polmone, determinata da una reazione allergica all'inalazione di polveri organiche inalate o, meno frequentemente, di sostanze chimiche semplici.

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

Le polmoniti da ipersensibilità (alveoliti allergiche estrinseche) comprendono numerose forme causate da antigeni specifici. Il polmone del contadino, associato all'inalazione ripetuta di polvere di fieno contenente actinomiceti termofili, ne rappresenta il prototipo.

Eziologia e patogenesi Il numero delle sostanze specifiche in grado di determinare una polmonite da ipersensibilità è in continuo aumento. Più di frequente, l'agente è un microrganismo o una proteina estranea di origine animale o vegetale. Tuttavia, semplici sostanze chimiche, se inalate in considerevole quantità, possono anch'esse causare la malattia. La Tab. 76-2 elenca gli Ag responsabili con esempi delle malattie associate. La polmonite da ipersensibilità è considerata immunologicamente mediata, sebbene la patogenesi non sia completamente chiarita. Di solito si dimostrano Ac precipitanti contro gli Ag responsabili, il che depone per una reazione allergica di tipo III, sebbene la vasculite non sia un reperto frequente. La risposta granulomatosa primaria del tessuto e i riscontri nei modelli animali indicano una reazione di ipersensibilità di tipo IV. Soltanto una piccola parte delle persone esposte sviluppa dei sintomi e soltanto dopo sett. o mesi di esposizione, il tempo necessario per indurre la sensibilizzazione. L'esposizione continua o frequente a basse dosi dell'Ag può determinare una malattia cronica e progressiva del parenchima polmonare. È rara la preesistenza di malattie allergiche (p. es., asma, febbre da fieno) e queste non costituiscono un fattore predisponente. Una polmonite interstiziale granulomatosa diffusa è caratteristica ma non diagnostica né specifica. Gli infiltrati linfocitari e plasmacellulari compaiono nelle vie aeree e nei setti alveolari ispessiti; i granulomi sono singoli, non necrotizzanti e diffusi casualmente nel parenchima senza coinvolgimento delle pareti vascolari. Il grado di fibrosi è di solito lieve ma dipende dallo stadio della malattia. Una bronchiolite di gravità variabile è riscontrabile in circa il 50% dei pazienti affetti dal polmone del contadino.

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Malattie polmonari da ipersensibilità

Sintomi e segni Nella forma acuta si manifestano episodi di febbre, brividi, tosse e dispnea in un soggetto già sensibilizzato, tipicamente 4-8 h dopo la riesposizione all'Ag. Possono essere presenti anche anoressia, nausea e vomito. All'auscultazione si possono rilevare rantoli inspiratori a piccole o medie bolle. I sibili sono rari. Quando si allontana l'Ag, i sintomi in genere si alleviano entro poche ore, sebbene la completa remissione possa richiedere sett. e la fibrosi polmonare può seguire a ripetuti episodi. La forma subacuta può insorgere in maniera insidiosa con tosse e dispnea in un periodo di giorni o sett., con una progressione che richiede talvolta il ricovero d'urgenza. Nella forma cronica, si possono sviluppare nel giro di mesi o anni dispnea da sforzo ingravescente, tosse produttiva, astenia e perdita di peso; la malattia può evolvere fino all'insufficienza respiratoria. I reperti rx variano dalla normalità alla fibrosi interstiziale diffusa. Possono essere presenti infiltrati irregolari o nodulari, il rinforzo della trama broncovascolare oppure un leggero interessamento acinoso, suggestivo di edema polmonare. L'adenopatia ilare e il versamento pleurico sono rari. La TC, soprattutto la TC ad alta risoluzione, può essere superiore nella determinazione del tipo e dell'estensione delle anormalità, ma mancano caratteristiche TC patognomoniche. Le prove di funzionalità respiratoria mostrano un quadro restrittivo con volumi polmonari ridotti, una capacità di diffusione del CO diminuita, ipossiemia e rapporti ventilazione/perfusione anormali. L'ostruzione delle vie aeree è infrequente nella malattia acuta, ma può svilupparsi nella forma cronica. L'eosinofilia non è comune.

Diagnosi La diagnosi si basa su una storia di esposizione ambientale e su rilievi clinici, rx e di funzionalità respiratoria compatibili. La presenza nel siero di Ac precipitanti specifici contro l'Ag sospetto aiuta a confermare la diagnosi, sebbene non si ritenga decisiva né la loro presenza né la loro assenza. Una storia di esposizione può fornire indizi suggestivi (p. es., una persona esposta sul posto di lavoro può diventare asintomatica ogni fine settimana o i sintomi possono riapparire 4-8 h dopo la riesposizione). La storia di esposizione agli antigeni responsabili può non essere raccolta facilmente, in particolare per il polmone da condizionatore (umidificatore) d'aria e un sopralluogo ambientale da parte di esperti può essere utile nei casi difficili. Nei casi intricati o in quelli senza storia di esposizione ambientale può rendersi necessaria la biopsia polmonare a cielo aperto. Il lavaggio broncoalveolare è spesso utilizzato come ausilio nella diagnostica delle malattie polmonari interstiziali, ma il suo valore non è ancora stabilito. Il numero dei linfociti, in particolare delle cellule T, può essere aumentato nelle polmoniti da ipersensibilità (e nella sarcoidosi). La sottopopolazione delle cellule T CD8+ (suppressor/citotossiche) può essere predominante in alcune fasi della polmonite da ipersensibilità, mentre la sottopopolazione CD4+ (helper/induttiva) può prevalere nella sarcoidosi attiva. La biopsia transbronchiale ha valore molto limitato e può essere confondente per le piccole dimensioni del campione. Il polmone del contadino atipico (micotossicosi polmonare) si riferisce a una sindrome consistente in febbre, brividi e tosse che si verifica entro alcune ore dopo esposizione intensa al foraggio ammuffito (p. es., all'apertura un silos); non si riscontrano le precipitine, il che suggerisce un meccanismo non immunologico. Gli infiltrati polmonari sono abitualmente presenti. Tale condizione, associata a un vecchio silaggio contaminato dall'aspergillo, deve essere distinta dalla malattia dei riempitori dei silos, causata dagli ossidi di azoto tossici prodotti da un silaggio fresco. La sindrome da polveri organiche tossiche è caratterizzata da febbre transitoria e dolori muscolari, con o senza sintomi respiratori e senza sensibilizzazione dimostrabile dopo esposizione a polveri agricole (p. es., la febbre da fieno). La febbre da umidificatore si riferisce a casi associati a

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Malattie polmonari da ipersensibilità

impianti di riscaldamento, di raffreddamento e di umidificazione contaminati (v. Sindrome dell'edificio malato nel Cap. 75). Si ritiene che l'endotossina giochi un ruolo eziologico nella sindrome da polveri organiche tossiche e nella febbre da umidificatore. La polmonite da ipersensibilità può essere differenziata dalla psittacosi, dalla polmonite virale e da altre polmoniti infettive sulla base delle indagini colturali e sierologiche. A causa della similitudine dei riscontri clinici, delle rx e delle prove di funzionalità respiratoria, può essere difficile differenziare la fibrosi polmonare idiopatica (sindrome di Hamman-Rich, alveolite fibrosante criptogenetica, polmonite interstiziale comune di Liebow) dalla polmonite da ipersensibilità, quando non si ottenga la tipica storia di un'esposizione seguita da un episodio acuto. Alcune varianti di bronchiolite dell'adulto (p. es., la bronchiolitite obliterante con polmonite produttiva [Bronchiolitis Obliterans with Organizing Pneumonia, BOOP]) possono manifestarsi come malattia restrittiva (interstiziale) e possono essere difficilmente distinte in mancanza di una anamnesi significativa o dei rilievi tipici ottenuti da una biopsia a cielo aperto. Segni di autoimmunità, come la positività agli anticorpi antinucleo o al test di fissazione al latex o la presenza di patologie vascolari del connettivo (collagenopatie), suggeriscono una forma idiopatica o secondaria di polmonite interstiziale comune. Le polmoniti eosinofile croniche sono spesso accompagnate da eosinofilia nel sangue periferico. La sarcoidosi determina spesso l'ingrandimento dei linfonodi ilari e paratracheali e può interessare altri organi. Le sindromi polmonari caratterizzate da vasculite e granulomatosi (la granulomatosi di Wegener, quella linfomatoide e quella allergica [sindrome di Churg-Strauss]) sono accompagnate di solito dall'interessamento delle vie aeree superiori o dei reni. L'asma bronchiale e l'aspergillosi broncopolmonare allergica causano eosinofilia e ostruzione delle vie aeree piuttosto che alterazioni restrittive.

Profilassi e terapia La terapia più efficace è evitare ulteriori esposizioni all'agente causale. La forma acuta è autolimitante, se si evitano altre esposizioni. Fattori socio-economici possono impedire un cambiamento ambientale completo. Il controllo della polvere o l'uso di maschere protettive per filtrare le polveri lesive nelle aree contaminate possono essere efficaci. Talvolta, si possono usare metodi chimici per prevenire lo sviluppo di microrganismi antigenici (p. es., nel fieno). In alcune situazioni è efficace anche la pulizia accurata dei sistemi di ventilazione umida e delle corrispondenti aree di lavoro. I corticosteroidi possono essere utili nei casi acuti gravi o subacuti ma non si sono dimostrati capaci di alterare le eventuali sequele nella malattia cronica. Si somministra prednisone, 60 mg/die PO per 1-2 sett., poi si scala gradualmente nelle 2 sett. successive a 20 mg/die, per poi diminuire di 2,5 mg alla settimana fino alla sospensione completa. La ricomparsa o l'aggravamento dei sintomi richiedono la modificazione di questo schema. Gli antibiotici non sono indicati a meno che non ci sia un'infezione sovrapposta.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI SINDROME DELL'EDIFICIO MALATO La sindrome dell'edificio malato comprende una varietà di condizioni causate dall'esposizione a vari agenti nocivi. Generalmente colpisce persone che lavorano in ufficio o altri edifici che ospitano molti lavoratori ravvicinati. Più di frequente, essa si manifesta nei nuovi edifici "chiusi ermeticamente", progettati per non disperdere calore, con finestre che non si aprono e di solito con condotte del riscaldamento e del condizionamento che originano da una fonte comune. La CO2 elevata, che si verifica più comunemente in queste costruzioni, è una frequente causa di sindrome degli edifici malati. Le persone colpite diventano ansiose, iperventilano e possono sviluppare tetania e dispnea grave. Altri problemi possono essere causati dai camion e da altri veicoli che emettono gas di scarico vicino alle prese d'aria, causando un'eccessiva esposizione al monossido di carbonio e ai fumi prodotti da motori diesel. Questi ultimi contengono monossido di carbonio, ossidi di azoto, varie aldeidi e altre sostanze nocive. Polmone da aria condizionata: epidemie possono essere causate dagli stessi microrganismi che provocano il polmone del contadino (Thermoactinomyces vulgaris, Micropolyspora faeni). Gli actinomiceti termofilici possono contaminare gli umidificatori e i condotti dei condizionatori d'aria. Come risultato, il condizionatore d'aria pompa l'aria fredda contenente le spore in tutto l'edificio. Poiché i sintomi del polmone da aria condizionata sono gli stessi di quelli del polmone del contadino (v. Polmonite da ipersensibilità nel Cap. 76), è possibile la confusione con la febbre da umidificatore, che riconosce altre cause. Febbre da umidificatore: questa malattia febbrile acuta compare di solito di lunedì o nei primi giorni lavorativi della settimana. Oltre alla febbre, la persona colpita spesso ha crampi muscolari, dolore e lieve dispnea. Vari agenti, quali amebe, endotossine, batteri e funghi, possono causare vari tipi di febbre da umidificatore. Questa solitamente si risolve una volta che il paziente non è più esposto all'agente causale. Quando non si riesce a identificare alcun agente responsabile, le indagini portano spesso a sospettare che attacchi d'ansia o di isteria di massa siano la causa.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI MALATTIE DA POLVERI ORGANICHE BISSINOSI Broncocostrizione che colpisce i lavoratori del cotone, del lino e della canapa. La bissinosi si manifesta quasi esclusivamente in lavoratori che vengono in contatto con il cotone in forma grezza (cioè, cotone non lavorato e non purificato), specialmente quelli che aprono le balle e lavorano alla cardatura. Gli studi suggeriscono che un qualche agente presente nella corolla del cotone induce broncocostrizione. Una volta si pensava che l'esposizione prolungata alla polvere di cotone inducesse enfisema e ostruzione irreversibile, ma ora questi effetti sembrano improbabili alla luce di una serie di studi post-mortem che hanno evidenziato un certo grado di bronchite ma non un aumento della frequenza di enfisema o di alterazioni distruttive del parenchima. La costrizione toracica compare nel primo giorno di ritorno al lavoro dopo il fine settimana o dopo le ferie. In molte persone che lamentano costrizione toracica, la capacità ventilatoria scende durante il primo turno di lavoro. Nella bissinosi, a differenza dell'asma che peggiora con ripetute esposizioni agli allergeni, la sintomatologia e la costrizione toracica diminuiscono con l'esposizione ripetuta e, di solito, alla fine della settimana il soggetto diviene asintomatico. Comunque, con l'esposizione ripetuta e prolungata per anni, la costrizione toracica tende a ripresentarsi e a persistere per tutto il martedì e il mercoledì e occasionalmente anche fino alla fine della settimana o anche costantemente, finché il soggetto continua a lavorare. Dati limitati suggeriscono che occasionalmente, una lieve ostruzione delle vie aeree può comparire e persistere.

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Malattie polmonari da ipersensibilità

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 76. MALATTIE POLMONARI DA IPERSENSIBILITÀ Le malattie del polmone da ipersensibilità (allergiche) comprendono la polmonite da ipersensibilità (alveolite allergica estrinseca), l'aspergillosi broncopolmonare allergica e molte reazioni a farmaci. Si sospetta che le polmoniti eosinofile e alcune granulomatosi polmonari non infettive siano di origine allergica. L'asma bronchiale è trattato nel Cap. 68; l'asma occupazionale nel Cap. 75. Le reazioni da ipersensibilità (v. anche il Cap. 148) possono essere classificate in 4 tipi, sulla base dei loro meccanismi patogenetici (v. Tab. 76-1). Sebbene la classificazione sia stata criticata per l'eccessiva semplificazione, essa è utile nella comprensione delle risposte immuno-mediate dannose per i tessuti dell'ospite. III.

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Sindrome di Goodpasture

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 77. SINDROME DI GOODPASTURE Malattia da ipersensibilità (v. il Cap. 148) a eziologia sconosciuta, caratterizzata dalla presenza nel sangue di Ac circolanti anti-membrana basale del glomerulo e dalla deposizione lineare di immunoglobine e di complemento a livello della membrana basale glomerulare e che causa emorragie polmonari con glomerulonefrite grave e progressiva.

Sommario: Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Anatomia patologica Le alterazioni osservate alla biopsia renale sono simili a quelle riscontrabili in ogni glomerulonefrite rapidamente progressiva, con formazione di semilune da parte delle cellule epiteliali, con aderenze glomerulari e con essudati infiammatori interstiziali. Nei polmoni sono presenti emorragie intra-alveolari, macrofagi ripieni di emosiderina e fibrosi dei setti. La colorazione all'immunofluorescenza mostra la deposizione lineare di immunoglobine e di complemento nella membrana basale glomerulare e, in alcuni casi, nella membrana basale alveolocapillare. Nei polmoni e nei reni, il bersaglio primario degli anticorpi anti-membrana basale glomerulare è il dominio non collagenoso (NC-1) della catena a3 nel collageno di tipo IV (della membrana basale). Le infezioni, il fumo di sigarette e il danno da inalazione sono ritenuti i fattori che predispongono i capillari alla lesione da parte di questi anticorpi. L'eredità può anche giocare un ruolo: l'HLA-DRw2 è associato con la malattia antimembrana basale glomerulare.

Sintomi, segni e diagnosi La sindrome di Goodpasture è rara. Il paziente, in genere un giovane, presenta in maniera caratteristica emottisi grave, dispnea e insufficienza renale rapidamente evolutiva. In alcuni casi, l'emorragia polmonare può precedere la malattia renale di settimane o mesi. Sono presenti nel sangue Ac circolanti antimembrana basale glomerulare. Sono comuni l'ematuria e la proteinuria e, nel sedimento urinario, cellule e cilindri granulosi. Le rx torace possono mostrare bilateralmente addensamenti sfumati progressivi, asimmetrici e migranti. È comune l'anemia da carenza di ferro. L'associazione tra emorragia polmonare e insufficienza renale può anche presentarsi in alcune malattie vascolari del collageno (p. es., LES, AR), nella glomerulonefrite idiopatica rapidamente progressiva, nella poliarterite microscopica, nella granulomatosi di Wegener e nella crioglobulinemia mista essenziale. Tuttavia, queste malattie possono essere in genere distinte dalle caratteristiche di laboratorio (p. es., la presenza di Ac anti-membrana basale glomerulare, di autoanticorpi anticitoplasma dei neutrofili [ANCA] o di

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Sindrome di Goodpasture

crioglobuline nel siero) e dalla biopsia renale. É stato documentato di recente che la sindrome dell'emorragia polmonare e della nefrite è più spesso dovuta a una condizione associata agli ANCA (poliarteriti microscopiche, granulomatosi di Wegener con capillarite), piuttosto che alla sindrome di Goodpasture. La deposizione lineare di immunoglobuline è stata descritta occasionalmente nella nefrite lupica e nella glomerulosclerosi diabetica, ma gli Ac estratti dai reni in queste situazioni non presentano attività anti-membrana basale glomerulare.

Prognosi e terapia La sindrome di Goodpasture può essere rapidamente fatale. La causa di morte è di solito l'emorragia polmonare con insufficienza respiratoria. L'intubazione, la ventilazione assistita e l'emodialisi sono spesso necessarie durante la fase acuta. Il successivo trattamento si basa sull'uso di corticosteroidi ad alte dosi (metilprednisolone da 7 a 15 mg/kg/die EV in dosi frazionate), sull'immunosoppressione con ciclofosfamide e su ripetute plasmaferesi per rimuovere dal circolo gli Ac anti-membrana basale glomerulare. La durata della terapia immunosoppressiva varia considerevolmente e può essere necessaria per più di 12-18 mesi in alcuni pazienti. Il ricorso precoce a tali misure, utilizzate in associazione, può preservare la funzione renale. La patologia renale in fase terminale può essere trattata con l'emodialisi a lungo termine o con il trapianto renale.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA Infiammazione cronica delle pareti alveolari con fibrosi progressiva a eziologia sconosciuta.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia Terapia

La fibrosi polmonare idiopatica (Idiopathic Pulmonary Fibrosis, IPF), o alveolite criptogenica fibrosante, causa il 50-60% di tutti i casi di malattia polmonare interstiziale idiopatica. La IPF ha specifiche caratteristiche cliniche e anatomopatologiche, perciò questo termine non deve essere utilizzato per descrivere tutte le malattie interstiziali polmonari di eziologia ignota. La polmonite interstiziale comune (Usual Interstitial Pneumonia, UIP), un particolare quadro istopatologico di polmonite interstiziale, è il classico quadro osservato alla biopsia polmonare nella IPF. A basso ingrandimento, il tessuto sembra eterogeneo, con alternanza di aree di polmone normale, infiammazione interstiziale, fibrosi e aree a nido d'ape. Queste modificazioni coinvolgono più gravemente il parenchima periferico sottopleurico. L'infiammazione interstiziale consiste di infiltrati nei setti alveolari di linfociti, di plasmacellule e di istiociti associati con iperplasia dei pneumociti di tipo II. Le zone fibrotiche sono composte soprattutto di collageno denso acellulare, anche se zone sparse di proliferazione fibroblastica (foci fibroblastici), le zone di malattia precoce e attiva, possono anche essere individuate, solitamente in sede intra-alvolare. Le aree a nido d'ape sono formate da spazi aerei fibrotico-cistici, frequentemente rivestiti da epitelio bronchiolare e riempiti di muco. I neutrofili possono accumularsi nel muco. L'iperplasia del muscolo liscio si manifesta nelle aree con fibrosi e a nido d'ape. La distribuzione sottopleurica e parasettale, il carattere disomogeneo e l'eterogeneità temporale sono le caratteristiche più utili per identificare la UIP. Un quadro identico di infiammazione interstiziale e di fibrosi si verifica nelle malattie vascolari del collageno (p. es., l'AR, il LES, la sclerosi sistemica progressiva, la connettivite mista e nel diabete mellito), nelle pneumoconiosi (p. es., l'asbestosi), nei danni da radiazioni e in certe patologie polmonari indotte da farmaci (p. es., da nitrofurantoina). Comunque, in questi casi, il quadro non deve essere definito UIP, termine da riservare a una patologia idiopatica non associata ad altre condizioni. La UIP deve anche essere differenziata dalla polmonite interstiziale desquamativa, dalla bronchiolite respiratoria con pneumopatia interstiziale associata, dalle polmoniti interstiziali croniche non classificabili o non specifiche, dalla bronchiolite obliterante idiopatica con polmonite produttiva, dalle polmoniti da ipersensibilità e dal granuloma eosinofilo polmonare.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Sintomi e segni Le manifestazioni cliniche della IPF comprendono la dispnea da sforzo, la tosse non produttiva e i crepitii inspiratori simili al suono del velcro all'auscultazione del torace. Nelle fasi avanzate della malattia, possono comparire i segni del cuore polmonare, l'ippocratismo digitale (v. Fig. 63-1) e la cianosi.

Esami di laboratorio I test di laboratorio di routine sono spesso inutili. Un'elevata VES e l'ipergammaglobulinemia sono comuni. In molti pazienti vengono identificati anticorpi antinucleo, fattori reumatoidi e immunocomplessi circolanti, anche in assenza di una malattia del tessuto connettivo definita. L'LDH può essere aumentato, ma tale rilievo è aspecifico. L'ECG è di solito normale in assenza di ipertensione polmonare o di coesistente malattia cardiologica. La rx torace nella IPF tipicamente mostra delle opacità reticolari diffuse nei campi polmonari inferiori. Possono essere osservati una tenue opacità a vetro smerigliato diffusa o a chiazze, piccole lesioni cistiche (a nido d'ape), segni di volumi polmonari ridotti e segni di ipertensione polmonare. I reperti alla HRCT comprendono le opacità a vetro smerigliato; le opacità degli spazi aerei a chiazze, prevalentemente periferiche; un aumento sfumato della densità polmonare (cioè, che non oscura il sottostante parenchima polmonare). Nei campi polmonari inferiori predomina un quadro reticolare, consistente in gran parte in setti interlobulari e in linee intralobulari ispessiti. Le aree a nido d'ape, le bronchiettasie da trazione e la fibrosi sottopleurica possono anch'esse comparire a seconda dello stato della malattia. Le prove di funzionalità polmonare spesso documentano un quadro restrittivo. Il coefficiente di retrazione elastica (massima pressione transpolmonare statica / capacità polmonare totale) è aumentato. La capacità di diffusione del monossido di carbonio (DlCO) è ridotta. L'emogasanalisi arteriosa mostra ipossiemia e bassi livelli arteriosi di CO2 (PaCO2), spesso aggravati o scatenati dall'esercizio.

Diagnosi La diagnosi di IPF (e di molte altre malattie polmonari interstiziali) generalmente richiede una biopsia polmonare a cielo aperto o in toracoscopia videoassistita (VATS) perché la quantità di tessuto ottenuto dalla biopsia transbronchiale è di solito insufficiente. Tuttavia, la biopsia polmonare non è indicata quando la rx mostra una diffusa ristrutturazione a nido d'ape.

Prognosi e terapia Il decorso clinico della IPF è progressivo; la sopravvivenza media è di 4-6 anni dopo la diagnosi. Empiricamente, il prednisone viene di solito cominciato a 10 mg/kg come dose singola giornaliera orale, proseguito per 3 mesi, quindi scalato nell'arco di 3 mesi a 0,5 mg/kg e somministrato per altri 3 mesi. La terapia di mantenimento a 0,25 mg/kg è prescritta per i successivi 6 mesi. Ad ogni riduzione del dosaggio, si valuta la risposta clinica, radiografica e funzionale. I farmaci citotossici, in particolare la ciclofosfamide o l'azatioprina 1-2 mg/kg/die, sono i farmaci di seconda scelta utilizzati più comunemente. La risposta al trattamento è variabile,

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

ma i pazienti con malattia in fase più precoce, in cui la cellularità prevale ancora rispetto alla cicatrizzazione, migliorano con maggior probabilità con i corticosteroidi o con una terapia citotossica. La terapia viene interrotta se manca una risposta obiettiva. Il trattamento di supporto e palliativo comprende l'O2 ad alte concentrazioni per migliorare l'ipossiemia e, se si verificano infezioni batteriche, gli antibiotici. Il trapianto polmonare ha avuto successo nei pazienti con patologia polmonare in fase terminale.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE POLMONITE INTERSTIZIALE DESQUAMATIVA Infiammazione cronica del polmone caratterizzata da un'infiltrazione dello spazio aereo da parte di cellule mononucleate. La polmonite desquamativa interstiziale (Desquamative Interstitial Pneumonia, DIP) è unentità clinica e patologica distinta. Colpisce i fumatori di sigarette tra i 30 e i 50 anni. Molti pazienti si presentano con dispnea. La DIP differisce istopatologicamente dalla polmonite interstiziale comune (UIP) in quanto tende a essere diffusa e uniforme nell'aspetto. Vi è un aumento di volume lieve-moderato dei setti alveolari per tessuto fibroso, con infiltrazione moderata dell'interstizio da parte di linfociti, plasmacellule e occasionalmente eosinofili. Le pareti alveolari sono rivestite da pneumociti cuboidali arrotondati. La caratteristica che più colpisce è la presenza di numerosi macrofagi nella maggior parte degli spazi aerei distali. Il quadro a nido d'ape può essere presente, ma non è solitamente così diffuso o predominante come nella UIP. Alcuni esperti considerano la differenziazione tra DIP e UIP artificiosa, dal momento che entrambi i quadri patologici di frequente si ritrovano nello stesso polmone (rappresentando probabilmente differenti fasi dello stesso processo). Tuttavia, le alterazioni reattive tipiche della DIP nella UIP sono di solito minime e non hanno il coinvolgimento uniforme del parenchima polmonare visto nella DIP. Le prove di funzionalità respiratoria mostrano un quadro restrittivo con ridotta DlCO e l'emogasanalisi mostra un'ipossiemia. La rx torace può essere normale fino al 20% dei casi e le anormalità, se presenti, sono meno gravi di quelle della fibrosi polmonare interstiziale. La HRCT mostra opacità a vetro smerigliato sottopleuriche a chiazze. L'identificazione clinica della DIP è importante perché essa ha una prognosi migliore (la sopravvivenza complessiva è circa pari al 70% dopo 10 anni) e una migliore risposta alla cessazione del fumo di sigaretta e ai corticosteroidi sistemici rispetto alla UIP.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE POLMONITE INTERSTIZIALE ACUTA Una rara forma di danno polmonare a decorso rapidamente fulminante. La polmonite acuta interstiziale (Acute Interstitial Pneumonia, AIP) o sindrome di Hamman-Rich, si manifesta solitamente in una persona precedentemente sana e colpisce gli uomini e le donne in pari misura. La maggioranza dei pazienti ha > 40 anni (età media 50 anni; range da 7 a 83 anni). La AIP è simile nella presentazione alla sindrome da distress respiratorio dell'adulto (ARDS) e probabilmente costituisce una sottospecie di questa (v. Cap. 67). Il quadro anatomo-patologico della AIP è un danno alveolare diffuso di tipo produttivo, una reazione aspecifica a diverse cause di danno polmonare. Le caratteristiche fondamentali sono l'aspecificità e le tipiche fasi temporali, che sono la fase acuta, la produttiva e la riparativa, ciascuna con un aspetto istologico diverso. Lo stadio acuto essudativo si osserva di rado poiché le biopsie sono solitamente eseguite più tardivamente nel decorso clinico. La fase produttiva è caratterizzata da marcato ispessimento dei setti alveolari per edema interstiziale, infiltrazione delle cellule infiammatorie, proliferazione dei fibroblasti nell'interstizio e negli spazi aerei, iperplasia delle cellule di tipo II, collasso e apposizione di setti alveolari adiacenti, membrane ialine (più evidenti durante la fase acuta) in aree circoscritte lungo i setti alveolari e trombi nelle piccole arterie. L'esordio è solitamente improvviso, sebbene sia comune una sindrome prodromica, spesso presente per 7-14 giorni prima dell'esordio. I sintomi più comuni sono la febbre, la tosse e l'affanno. I test di laboratorio sono aspecifici e generalmente non utili. I reperti alla rx torace sono simili a quelli della ARDS. L'opacizzazione diffusa bilaterale degli spazi aerei è evidenziata dalla rx torace. La TC mostra delle aree simmetriche di tenue opacizzazione a vetro smerigliato bilateralmente a chiazze e a volte aree di consolidamento bilaterale degli spazi aerei. La distribuzione può essere prevalentemente sottopleurica. Può essere presente un modesto quadro a nido d'ape, che interessa di solito meno del 10% del polmone. La maggiore parte dei pazienti ha un'ipossiemia da moderata a grave e va incontro a insufficienza respiratoria. Si pone diagnosi di AIP quando un paziente presenta un quadro clinico di ARDS idiopatica e un diffuso danno alveolare produttivo documentato all'esame istologico mediante una biopsia polmonare toracoscopica o a cielo aperto. La mortalità è > 60%; la maggiore parte dei pazienti muore entro 6 mesi dalla presentazione (v. Cap. 294). In coloro che migliorano, la malattia solitamente non recidiva; la maggiore parte recupera la funzione respiratoria in buona parte o completamente. Non è certo che la terapia con corticosteroidi sia efficace nell'AIP. Il trattamento principale è la terapia di supporto. La ventilazione meccanica è spesso necessaria.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE BRONCHIOLITE RESPIRATORIA ASSOCIATA A PNEU-MOPATIA INTERSTIZIALE Una sindrome clinica distinta che si manifesta nei fumatori e negli ex fumatori di sigaretta. Il principale reperto anatomo-patologico è un processo infiammatorio che coinvolge i bronchioli membranosi e respiratori. Sono caratteristici i macrofagi dal pigmento bruno chiaro. I bronchioli possono essere dilatati con ristagno di secrezioni e le loro pareti sono lievemente ispessite. La presenza di epitelio bronchiale metaplastico che si estende negli alveoli adiacenti si ritrova frequentemente. La presentazione clinica ricorda quella delle altre malattie polmonari interstiziali: tosse, dispnea da sforzo e crepitii all'auscultazione del torace. I test di laboratorio di routine non sono utili. Alla rx torace sono presenti opacità interstiziali diffuse, finemente reticolate o raramente nodulari, solitamente con normali volumi polmonari. Altre caratteristiche sono l'ispessimento delle pareti bronchiali, l'ispessimento dell'interstizio peribroncovascolare, opacità piccole regolari e irregolari e piccole ombre periferiche ad anello. La HRCT spesso mostra delle opacità sfumate. Un quadro misto ostruttivo-restrittivo è comunemente evidenziato dalle prove di funzionalità respiratoria. Può essere presente un aumento isolato del volume residuo. L'emogasanalisi mostra un'ipossiemia lieve. Il decorso clinico e la prognosi della bronchiolite respiratoria sono sconosciute. La cessazione del fumo di sigaretta è importante per la guarigione ed è descritta una risposta positiva ai corticosteroidi.

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Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE BRONCHIOLITE OBLITERANTE CON POLMONITE PRODUTTIVA IDIOPATICA Una sindrome clinico-patologica specifica a eziologia sconosciuta nella quale si sviluppano delle zone di polmonite produttiva e un tessuto fibroso di granulazione ostruisce i bronchioli e i dotti alveolari. La bronchiolite obliterante con polmonite produttiva idiopatica (Idiopathic Bronchiolitis Obliterans with Organizing Pneumonia, BOOP idiopatica), o polmonite produttiva criptogenetica, colpisce in pari misura gli uomini e le donne, di solito iniziando a un'età tra i 40 e i 60 anni. In circa 3/4 dei pazienti, i sintomi durano < 2 mesi; pochi hanno sintomi per > 6 mesi prima della diagnosi. Una patologia similinfluenzale, caratterizzata da tosse, febbre, malessere, astenia e perdita di peso, annuncia l'inizio di questa malattia nei 2/5 dei pazienti. I crepitii inspiratori sono spesso udibili all'esame del torace. Gli esami di laboratorio effettuati di routine sono aspecifici. Una leucocitosi senza eosinofilia si verifica in circa metà dei pazienti. La VES all'esordio è frequentemente aumentata. Le prove di funzionalità polmonare mostrano di solito un deficit restrittivo, anche se un'alterazione ostruttiva (volume espiratorio forzato in 1 secondo espresso in percentuale della capacità vitale forzata [FEV1/ FVC] < 70%) si ritrova nel 21% dei pazienti e la funzionalità polmonare è a volte normale. L'ipossiemia a riposo e da sforzo è frequente. La rx torace mostra opacità alveolari bilaterali diffuse con normali volumi polmonari. Si può anche osservare una distribuzione periferica delle opacità, simile a quella considerata patognomonica per la polmonite eosinofila cronica. Di rado, le opacità alveolari sono unilaterali. Opacità polmonari recidivanti e migranti sono frequenti. Di rado, opacità nodulari lineari irregolari o interstiziali o aree a nido d'ape sono visibili alla presentazione. La HRCT mostra degli addensamenti degli spazi aerei polmonari a chiazze, delle opacità a vetro smerigliato, piccole opacità nodulari e ispessimento e dilatazione delle pareti bronchiali. Le opacità a chiazze sono più comuni nella periferia del polmone, spesso nei campi inferiori. La TC può mostrare una malattia molto più estesa di quanto ci si aspetti dall'esame della rx torace. La biopsia polmonare mostra una proliferazione eccessiva di tessuto di granulazione all'interno delle piccole via aeree e dei dotti alveolari, con infiammazione cronica degli alveoli circostanti. I foci di polmonite produttiva (cioè, con un quadro da BOOP) rappresentano una reazione non specifica al danno polmonare e possono manifestarsi secondariamente ad altre patologie, compresa la criptococcosi, la granulomatosi di Wegener, il linfoma, le polmoniti da ipersensibilità e le polmoniti eosinofile. La terapia con corticosteroidi produce la remissione clinica nei 2/3 dei pazienti.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE POLMONITE INTERSTIZIALE LINFOCITICA Un raro processo di proliferazione benigna di linfociti maturi nell'interstizio e negli spazi alveolari del polmone. La polmonite interstiziale linfocitica (Lymphocytic Interstitial Pneumonitis, LIP) è rara negli adulti, ma più frequente nei bambini. La sua origine è sconosciuta. Fino ai 3/4 dei pazienti hanno un'anormalità nelle proteine del siero, più frequentemente una gammopatia policlonale e, soprattutto nei bambini, un'ipogammaglobulinemia. La sindrome di Sjögren è associata con 1/4 dei casi riportati di LIP. La malattia polmonare può precedere o seguire la diagnosi del processo sottostante. La LIP può essere il problema d'esordio in metà dei lattanti e dei bambini con HIV. La tosse e la dispnea, lentamente progressiva nell'arco di mesi o, in alcuni casi, di anni, sono i più comuni sintomi di presentazione. Altri sono la perdita di peso, la febbre, le artralgie e il dolore toracico di tipo pleuritico. L'esame del torace può mettere in evidenza dei crepitii. Il riscontro di un'epatosplenomegalia, di artrite e di linfoadenopatie dipende dalla malattia di base. Le prove di funzionalità polmonare mostrano la riduzione dei volumi polmonari e della capacità di diffusione del monossido di carbonio (DlCO) con conservazione dei flussi aerei. Una marcata ipossiemia può essere presente. Il lavaggio broncoalveolare può rilevare un aumentato numero di linfociti. La LIP può manifestarsi alla rx torace con delle opacità interstiziali lineari basali o come un processo nodulare. La HRCT del torace aiuta a stabilire l'estensione della patologia, a definire l'anatomia ilare e a identificare il coinvolgimento pleurico. Con il progredire della LIP, compare la fibrosi con aree a nido d'ape e il parenchima polmonare va perduto. La diagnosi è stabilita dalla dimostrazione di un infiltrato interstiziale (di linfociti e di plasmacellule), della formazione di centri germinativi e di cellule giganti multinucleate con granulomi non caseificanti. Gli infiltrati appaiono occasionalmente lungo i bronchi e i vasi, ma più comunemente lungo i setti alveolari. L'infiltrato nella LIP è policlonale (cellule sia T che B), a differenza dal linfoma polmonare, che di solito si manifesta con infiltrati monoclonali. La storia naturale e la prognosi della LIP sono scarsamente note. Può seguire la risoluzione spontanea, la risoluzione dopo trattamento con corticosteroidi o altri farmaci immunosoppressivi, la progressione verso un linfoma o lo sviluppo di una fibrosi polmonare con insufficienza respiratoria. La terapia con corticosteroidi da sola o in associazione con altri farmaci è stata usata per trattare i pazienti affetti da LIP sintomatici, sebbene la sua efficacia non sia stata dimostrata.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE GRANULOMA EOSINOFILO Il granuloma eosinofilo del polmone (istiocitosi X polmonare) è una rara malattia polmonare correlata al fumo che colpisce prevalentemente gli adulti tra i 20 e i 40 anni. È più comune negli uomini. Istologicamente è caratterizzata da flogosi peribronchiolare con aggregati di cellule di Langerhans, linfociti, plasmacellule, neutrofili ed eosinofili. La presentazione clinica varia da quella asintomatica (circa il 16% dei pazienti) a quella rapidamente progressiva. La maggior parte dei pazienti ha una malattia persistente o progressiva. I sintomi iniziali più comuni sono la tosse, la dispnea, il dolore toracico, la perdita di peso e la febbre. Il pneumotorace si verifica nel 25% circa dei pazienti ed è occasionalmente la prima manifestazione della malattia. L'emottisi e il diabete insipido sono complicanze rare. L'esame fisico è di solito normale. Gli esami di laboratorio non sono utili. I reperti alla rx variano in relazione allo stadio di malattia. L'associazione di noduli (da 2 a 10 mm) maldefiniti o stellati, infiltrati reticolo-nodulari, cisti o aree a nido d'ape nei campi superiori, volumi polmonari conservati, senza interessamento dell'angolo costo-frenico, è considerata altamente specifica per il granuloma eosinofilo. Tuttavia, la diagnosi differenziale tra questa malattia e le altre malattie fibrosanti del torace con i soli riscontri radiologici è difficoltosa. Una HRCT del polmone, che mostra l'associazione di noduli e di cisti a parete sottile, è praticamente diagnostica. L'anormalità della funzione polmonare più comune ed evidente è la riduzione marcata della DlCO, sebbene possano essere presenti vari gradi di alterazione restrittiva, di limitazione al flusso aereo e di diminuita tolleranza allo sforzo. La cessazione del fumo di sigaretta è la terapia più importante ed è causa di miglioramento nel 33% dei pazienti. Circa il 10% dei pazienti muore per insufficienza respiratoria.

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Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 78. MALATTIE INTERSTIZIALI IDIOPATICHE DEL POLMONE EMOSIDEROSI POLMONARE IDIOPATICA Rara malattia a eziologia sconosciuta caratterizzata da episodi di emottisi, emorragie endopolmonari, infiltrazione polmonare e anemia sideropenica secondaria. L'emosiderosi polmonare idiopatica deve essere distinta dalla sindrome di Goodpasture (v. Cap. 77) e dall'emorragia polmonare del LES o, più raramente, dalla granulomatosi di Wegener. La malattia è più frequente nei bambini più piccoli, ma colpisce anche gli adulti. Un'infiltrazione diffusa con macrofagi contenenti emosiderina è caratteristica, sebbene i depositi di emosiderina si possano presentare in molte altre patologie. La capillarite polmonare (un'infiltrazione neutrofila dei setti alveolari) può essere presente. Le emorragie polmonari sono il più delle volte lievi e continue ma possono essere gravi. Lo stravaso di sangue negli spazi interstiziali porta alla fibrosi polmonare. I pazienti possono vivere per diversi anni, sviluppando fibrosi polmonare e insufficienza respiratoria con anemia secondaria cronica. La terapia è sintomatica e di sostegno. Spesso la morte sopraggiunge per una massiva emorragia polmonare.

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Proteinosi alveolare polmonare

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 79. PROTEINOSI ALVEOLARE POLMONARE Rara malattia a eziologia sconosciuta, caratterizzata dal punto di vista anatomopatologico dalla deposizione negli spazi alveolari di materiale granulare positivo all'acido periodico di Schiff (PAS), costituito in massima parte da fosfolipidi e proteine.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Profilassi Terapia

La proteinosi polmonare alveolare (PAP) insorge prevalentemente in uomini o donne in buona salute tra i 20 e i 60 anni. Occasionalmente, la PAP è comparsa in pazienti dopo esposizione a polveri inorganiche (p. es., silice, alluminio, titanio) e in pazienti affetti da infezioni croniche dovute allo Pneumocystis carinii, vari tumori ematologici, malattie mieloproliferative o immunosoppressione. Il significato di queste associazioni è incerto. Le alterazioni anatomo-patologiche sono limitate ai polmoni. Il rivestimento alveolare e le cellule interstiziali sono tipicamente normali, ma gli alveoli appaiono ripieni di granuli amorfi PAS-positivi contenenti varie proteine sieriche e non sieriche. La concentrazione dei lipidi negli spazi alveolari è elevata, forse a causa di un'alterazione della clearance dei fosfolipidi a livello alveolare. Raramente si ha fibrosi interstiziale. Il processo patologico può presentarsi diffuso o localizzato; interessa più frequentemente le regioni polmonari basali e posteriori ma in alcuni casi colpisce solamente i segmenti anteriori. La pleura e il mediastino non sono interessati

Sintomi e segni Il decorso naturale della PAP è ignoto e il quadro clinico varia enormemente. La condizione può progredire, rimanere stabile o guarire spontaneamente. Alcuni pazienti sono asintomatici; altri presentano grave insufficienza respiratoria. La maggior parte dei pazienti presenta dispnea da sforzo progressivamente ingravescente e tosse solitamente non produttiva. Coloro che fumano sigarette di solito producono espettorato. L'esame dell'escreato non fornisce alcun contributo. Raramente si sviluppano infezioni secondarie non batteriche (p. es., da Nocardia, Mycobacteria, Aspergillus e Cryptococcus sp). Sebbene il paziente sia febbrile all'esordio o subito dopo, una febbre persistente è rara a meno che non si verifichi un'infezione secondaria. I sintomi extrapolmonari sono insoliti. I reperti obiettivi sono limitati ai polmoni, ma possono essere assenti nonostante un interessamento parenchimale diffuso visibile alla rx del torace. Fini crepitii inspiratori sono in genere rilevabili sulle aree polmonari interessate.

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Proteinosi alveolare polmonare

Diagnosi Una diagnosi specifica impone una biopsia polmonare o una broncoscopia con lavaggio broncoalveolare segmentale. Il liquido di lavaggio richiede speciali procedure di colorazione. Reperti caratteristici sono osservabili al microscopio ottico o elettronico nel tessuto e nel liquido di lavaggio. Le anormalità di laboratorio tipiche comprendono la policitemia, l'ipergammaglobulinemia e gli elevati livelli sierici di LDH. La rx torace mostra di solito un quadro di opacità a "farfalla" che ricorda quello dell'edema polmonare; il cuore appare normale. I linfonodi ilari non sono aumentati di volume. La TC ad alta risoluzione mostra opacità a vetro smerigliato e ispessimento delle strutture intralobulari e dei setti interolobulari con tipico aspetto poligonale, definito "pavimentazione pazza". Sono in genere lievemente ridotti la capacità vitale, il volume residuo, la capacità residua funzionale, la capacità polmonare totale e la capacità di diffusione del monossido di carbonio misurata mediante respiro singolo. La disfunzione polmonare ostruttiva non è una caratteristica della malattia. L'ipossiemia può essere presente a riposo o, se la malattia è lieve, soltanto durante uno sforzo leggero o moderato. La PaO2 si mantiene di solito bassa respirando O2 al 100%, segno di uno shunt intrapolmonare destro-sinistro.

Prognosi e terapia L'invalidità da insufficienza respiratoria è comune, ma raramente sopraggiunge la morte se la terapia con lavaggio broncopolmonare viene eseguita nei pazienti che ne hanno necessità. Le infezioni secondarie devono essere subito riconosciute e trattate. I pazienti asintomatici o con una sintomatologia minima non richiedono alcun trattamento, ma vanno tenuti in osservazione per le esacerbazioni che possono portare all'insufficienza respiratoria. Il trattamento è indicato solo per i pazienti con sintomi e ipossiemia significativi. Con il paziente in anestesia generale, i polmoni di solito vengono lavati uno per volta e a distanza di 3-5 gg l'uno dall'altro. La terapia più efficace è il lavaggio di un intero singolo polmone attraverso un tubo endotracheale a doppio lume, con ripetuti cicli di riempimento e di svuotamento, usando 1-2 l di soluzione riscaldata di NaCl 0,9%. Alcuni pazienti richiedono solamente un lavaggio perché i sintomi e gli infiltrati non recidivano; altri individui necessitano di lavaggi q 6 o 12 mesi per molti anni. Molti farmaci, compresi lo ioduro di potassio e gli enzimi proteolitici (p. es., la tripsina e la streptochinasi-streptodornasi), sono stati provati con successo variabile. I corticosteroidi per via sistemica sono stati usati senza successo e possono aumentare l'incidenza delle infezioni secondarie. Qualunque schema terapeutico è difficile da valutare poiché possono verificarsi remissioni spontanee e perché il numero di casi studiabili dai singoli ricercatori è limitato.

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Malattie della pleura

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 79. MALATTIE DELLA PLEURA FIBROSI E CALCIFICAZIONI DELLA PLEURA La fibrosi pleurica si può manifestare quando la reazione infiammatoria va incontro a risoluzione. Anche con infiammazioni gravi o di vecchia data, dopo la completa guarigione di solito non rimane che un sottile deposito di tessuto cicatriziale, sebbene in certi casi il polmone rimanga ingabbiato da uno spesso strato fibroso che limita la mobilità della gabbia toracica, attira il mediastino verso il lato colpito e ostacola la funzionalità polmonare. Differenziare tra l'ispessimento pleurico localizzato e il liquido pleurico saccato può essere impossibile se non eseguendo una toracentesi, benché differenze caratteristiche possano essere rivelate dalla TC e dall'ecografia. La fibrosi pleurica deve essere ridotta al minimo trattando tempestivamente la malattia pleurica. Le calcificazioni della pleura si presentano come placche localizzate, irregolari, in genere fenestrate, sulle superfici costali, in seguito a emorragie o infezioni intrapleuriche, sebbene spesso non sia riferita all'anamnesi alcuna pleuropatia acuta. Una fibrosi pleurica focale simile a una placca, a volte calcificata, insorge 20 o più anni dopo l'esposizione all'asbesto, interessando il più delle volte la pleura diaframmatica; questo reperto può rappresentare la sola traccia di un'esposizione relativamente breve all'inalazione di fibre di asbesto.

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Malattie della pleura

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 80. MALATTIE DELLA PLEURA PNEUMOTORACE Aria libera tra la pleura viscerale e la pleura parietale.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e fisiopatologia Pneumotorace traumatico: in condizioni normali, la pressione nello spazio pleurico è minore di quella atmosferica a causa della retrazione elastica del polmone. Dopo un trauma l'aria può raggiungere la cavità pleurica per diverse vie. Il pneumotorace aperto si ha quando una ferita pen etrante nel torace produce una comunicazione continua tra l'esterno e la cavità pleurica che permette all'aria esterna di entrare nello spazio pleurico, determinando il collasso del polmone. Nel pneumotorace chiuso la parete del torace ritorna "a tenuta" dopo la penetrazione dell'aria (p. es., a causa di un ago da toracentesi, di un catetere venoso centrale percutaneo attraverso le vene succlavie, di una costola fratturata o di un coltello), oppure l'aria può continuare a entrare (p. es., quando questa penetra da un polmone leso da una costola fratturata). L'aria può anche infiltrarsi nel mediastino e di qui nello spazio pleurico in seguito alla rottura di un bronco o alla perforazione dell'esofago. La TBC attiva o altri granulomi infettivi determinano (raramente) il pneumotorace quando una cavità si apre nello spazio pleurico. Il barotrauma polmonare è un'importante causa di pneumomediastino e di pneumotorace nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica. Insorge il più delle volte nella sindrome da distress respiratorio dell'adulto, particolarmente tra i pazienti che richiedono alti livelli di pressione inspiratoria massima o di pressione positiva tele-espiratoria (PEEP). Pneumotorace spontaneo: l'aria entra nella cavità pleurica in assenza di un trauma antecedente. La maggior parte dei casi di pneumotorace spontaneo insorge senza uno sforzo fisico. A volte si verifica in occasione di tuffi o di voli ad alta quota ed è apparentemente causato da variazioni della pressione ambientale, trasmesse in maniera non omogenea alle varie porzioni del polmone. Il pneumotorace spontaneo è detto semplice quando si verifica in una persona precedentemente sana. Abitualmente è causato dalla rottura di una piccola bolla, localizzata e di solito apicale. Può verificarsi come complicanza di una perdita di aria dall'interstizio polmonare e di uno pneumomediastino, che può essere spontaneo. L'incidenza è maggiore negli uomini alti e con età < 40 anni, e la prognosi è eccellente. Il pneumotorace spontaneo è detto complicato quando si verifica in persone con una pneumopatia diffusa sottostante. Il più delle volte è causato dalla rottura di una bolla in una persona con enfisema grave generalizzato ed è perciò file:///F|/sito/merck/sez06/0800700.html (1 of 3)02/09/2004 2.36.22

Malattie della pleura

prevalentemente una patologia delle persone di mezza età e degli anziani. Può anche presentarsi in soggetti con altre malattie polmonari croniche, quali l'asma, il granuloma eosinofilo, l'ascesso polmonare con fistola broncopleurica ed empiema e la fibrosi cistica. A causa della patologia polmonare sottostante, le alterazioni funzionali sono molto maggiori e la prognosi è molto peggiore di quelli con pneumotorace spontaneo semplice. Pneumotorace ipertensivo (a pressione positiva): un meccanismo a valvola in una fistola broncopleurica permette all'aria di entrare ma non di uscire dalla cavità pleurica causando l'aumento della pressione intrapleurica oltre quella atmosferica. Il risultato è il collasso completo del polmone e lo spostamento del mediastino verso il lato opposto, con grave compromissione della funzionalità polmonare e cardiaca. Pneumotorace indotto: si può usare l'aria per sostituire il liquido prima della toracoscopia o, di rado, per una migliore visualizzazione alla rx di masse o di strutture intratoraciche.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi vanno da un disturbo minimo alla dispnea grave, allo shock e all'insufficienza respiratoria con collasso circolatorio potenzialmente letali. Aprono il quadro un dolore toracico acuto e improvviso, la dispnea e talvolta una tosse secca e stizzosa. Il dolore può essere riferito alla spalla omolaterale, a tutto il torace o all'addome; può simulare un IMA o un addome acuto. I sintomi tendono a essere meno gravi nel pneumotorace a lenta insorgenza e in genere si attenuano con il progressivo adattamento alla situazione patologica. Una piccola raccolta di aria può manifestarsi senza alcun segno obiettivo o solamente con la diminuzione della voce e dei suoni respiratori. Un pneumotorace ampio o ipertensivo è causa di una minore mobilità del lato colpito, di timpanismo alla percussione e di fremito vocale tattile diminuito o assente. Lo spostamento del mediastino può essere evidenziato dal dislocamento dell'ottusità cardiaca e dell'itto verso il lato colpito. Il murmure vescicolare è fortemente diminuito o assente. L'ipossiemia è minima o assente nel pneumotorace spontaneo semplice, ma può essere grave e associarsi a ipercapnia nel pneumotorace complicato. La rx torace in genere mostra lateralmente aria senza trama polmonare periferica, delimitata dal sottile margine della pleura viscerale, con la trama polmonare disposta medialmente, a indicare la posizione del polmone collassato. Un piccolo pneumotorace può sfuggire alla rx torace inspiratoria di routine, ma è ben evidente alla rx eseguita in espirazione perché le dimensioni e la densità del polmone (ma non dello spazio aereo pleurico) variano durante l'espirazione. Il mediastino si sposta verso il lato opposto, specialmente in presenza di un pneumotorace esteso. La diagnosi differenziale comprende le bolle enfisematose, gli ascessi polmonari estesi e l'ernia diaframmatica dello stomaco, del colon o, molto più raramente, del piccolo intestino. Nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica per sindrome da distress respiratorio dell'adulto, il pneumotorace può presentarsi subdolamente in forma saccata in sede sottopolmonare o paracardiaca. Aria interstiziale all'interno del polmone e uno pneumomediastino possono precedere lo sviluppo di un pneumotorace.

Prognosi e terapia Un pneumotorace spontaneo di modeste dimensioni non richiede alcun trattamento speciale; l'aria si riassorbe in alcuni giorni. Il riassorbimento completo di un ampio spazio aereo può richiedere da 2 a 4 sett., durante le quali non si

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Malattie della pleura

può essere sicuri che la lesione di continuo della pleura si sia chiusa né escludere lo sviluppo di un versamento pleurico con un essudato fibrinoso epipleurico. Il decorso può essere abbreviato dalla sempice aspirazione di aria attraverso una piccola agocannula. Se questa è insufficiente, deve essere introdotto un tubo toracico con un drenaggio a valvola d'acqua o con una valvola undirezionale. Sia nel pneumotorace traumatico che in quello spontaneo, il tramite aereo di solito si chiude e si rimargina prontamente con il collasso del polmone. La riespansione del polmone può anche favorire la chiusura della perdita aerea per via della sinfisi tra pleura viscerale e pleura parietale. Se la perdita d'aria continua, può essere usato un drenaggio toracico sotto aspirazione nella speranza di riespandere rapidamente il polmone. Dopo l'applicazione dell'aspirazione, un rischio è l'edema polmonare da riespansione, specialmente se il pneumotorace è ampio, di lunga durata e si utilizza un'alta pressione di aspirazione. Se è presente una fistola ampia e persistente o se il pneumotorace diventa saccato, può rendersi necessaria la riparazione della fistola o l'escissione del segmento polmonare interessato. Agenti sclerosanti, come la doxiciclina o il talco, possono essere usati in caso di pneumotorace persistente o ricorrente nei pazienti per i quali sia rischiosa la toracotomia (p. es., quelli con fibrosi cistica o con enfisema). Nel pneumotorace ipertensivo, la pronta evacuazione dell'aria può salvare la vita. L'aria può essere rimossa semplicemente introducendo nel torace un ago di calibro 19 o anche maggiore attaccato a un raccordo a tre vie collegato a una grossa siringa. L'ago può essere inserito sulla parete anteriore o laterale del torace, in un'area con assenza del murmure vescicolare e con suono iperfonetico. Quando c'è tempo per eseguire una rx torace, bisogna evitare quelle zone nelle quali il polmone è mantenuto a contatto con la parete toracica da aderenze. Alternativamente si aspira l'aria dallo spazio pleurico e la si espelle dalla siringa fin quando non sia stata praticata una toracostomia con tubo e non sia stato posto un drenaggio nell'emitorace con valvola ad acqua. Per evacuare l'aria può essere anche usata una valvola collegata a un catetere inserito nello spazio pleurico. Un pneumotorace ricorrente può causare un notevole grado di invalidità. L'intervento chirurgico è in genere indicato dopo due episodi di pneumotorace spontaneo nella stessa sede. Le tecniche preferite sono la toracotomia, nella quale le bolle sono suturate con un sopraggitto o escisse e la pleura abrasa sfregando con una garza o la pleurectomia parietale quando la malattia bollosa è estesa. Le procedure possono essere eseguite mediante la toracoscopia videoassistita.

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Tumori del polmone

Manuale Merck 6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO 81. TUMORI DEL POLMONE CARCINOMA BRONCOGENO Un tumore primitivo ad alta malignità che rappresenta la maggiore parte dei casi di cancro del polmone e ha una prognosi molto sfavorevole.

Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Prognosi e profilassi Terapia

Il carcinoma broncogeno è responsabile di oltre il 90% dei tumori al polmone. È il secondo cancro per frequenza negli uomini (13%) e il terzo cancro per frequenza nelle donne (13%). Esso rappresenta la principale causa di morte per cancro per gli uomini (32%) e per le donne (25%) e la sua incidenza appare in crescita più rapida tra le donne. È più frequente tra i 45 e i 70 anni.

Eziologia Il fumo di sigaretta è la causa principale del carcinoma broncogeno, essendo responsabile di più del 90% dei casi nell'uomo e di circa l'80% nella donna; circa l'87% di tutti i cancri del polmone è attribuito al fumo di tabacco. Una stretta relazione dose-risposta si rileva nei tre tipi più comuni di carcinoma broncogeno: epidermoidale, a piccole cellule e adenocarcinoma; la pendenza della curva è massima per il carcinoma a piccole cellule e minima per l'adenocarcinoma. Recenti studi epidemiologici confermano i dati precedenti che suggerivano che la cessazione del fumo di sigaretta può ritardare la comparsa del cancro del polmone e ridurre il rischio di particolari sottotipi istologici di cancro del polmone. Una piccola quota di cancri polmonari (il 15% negli uomini e il 5% nelle donne) è in relazione ad agenti occupazionali, che spesso si sovrappongono al fumo: asbesto, radiazioni, arsenico, cromati, nickel, eteri clorometilici, iprite (gas velenoso usato in guerra) ed emissioni di forni a carbone. Il ruolo esatto dell'inquinamento dell'aria non è chiaro. L'esposizione al gas radon dentro casa è stata ritenuta rilevante in un piccolo numero di casi ma, un ampio studio casocontrollo annidato in Finlandia non ha dimostrato un rischio aumentato di cancro del polmone da esposizione domestica al radon. Occasionalmente, i carcinomi broncogeni, in particolare l'adenocarcinoma e il carcinoma bronchiolo-alveolare, risultano associati a cicatrici polmonari. Si pensa che i danni al DNA, l'attivazione di oncogeni cellulari e la stimolazione da parte dei fattori di crescita siano di primaria importanza nella fisiopatologia del cancro al polmone.

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Tumori del polmone

Anatomia patologica Si distinguono di solito 4 tipi istologici di carcinoma broncogeno: il carcinoma epidermoidale (o squamoso), che insorge frequentemente nei grossi bronchi e si diffonde per estensione diretta e con metastasi linfonodali; il carcinoma indifferenziato a piccole cellule, spesso associato con metastatizzazione ematogena precoce; il carcinoma indifferenziato a grandi cellule, che si diffonde generalmente attraverso il torrente circolatorio e l'adenocarcinoma, di solito periferico, spesso a diffusione ematogena. Tutti i tipi si disseminano comunemente anche per via linfatica. Il carcinoma bronchiolo-alveolare, un sottotipo dell'adenocarcinoma, occupa gli spazi aerei e spesso non si diffonde oltre i polmoni. Sebbene esista una forma solitaria, questo cancro a volte si distingue dagli altri tipi di carcinoma broncogeno per la sua origine multifocale.

Sintomi e segni Il quadro clinico dipende dalla localizzazione del tumore e dalle modalità di diffusione. Poiché la maggior parte dei carcinomi broncogeni è endobronchiale, i pazienti presentano tipicamente tosse, con o senza emottisi. Nei pazienti con bronchite cronica, l'accentuazione della tosse, che si fa più intensa e intrattabile, suggerisce una neoplasia. L'espettorato associato a un tumore bronchiale ulcerato non è di regola abbondante (sebbene occasionalmente l'espettorato possa essere profuso e acquoso nei carcinomi bronchiolo-alveolari), ma contiene un essudato infiammatorio ed è spesso striato di sangue. L'emottisi è rara nel carcinoma polmonare a piccole cellule. Un abbondante sanguinamento non è frequente e fa sospettare fortemente l'invasione di grossi vasi sottostanti. Il restringimento bronchiale può causare intrappolamento di aria con sibili localizzati e provoca comunemente atelettasia con spostamento mediastinico, diminuita espansione, ottusità alla percussione e scomparsa del murmure vescicolare nel lato colpito. L'infezione di un polmone ostruito provoca febbre, dolore toracico e perdita di peso. Il dolore toracico localizzato e persistente può indicare l'invasione neoplastica della parete toracica. I tumori nodulari periferici sono asintomatici finché non invadono la pleura o la parete toracica, causando dolore, o finché non metastatizzano a organi distanti. I sintomi tardivi comprendono l'affaticabilità, l'astenia, la diminuzione dell'attività, il peggioramento della tosse, la dispnea, la diminuzione dell'appetito, la perdita di peso e il dolore. Sono frequenti i versamenti pleurici sieroematici, spesso abbondanti e recidivanti. La sindrome di Horner (dovuta a infiltrazione dei nervi simpatici toracocervicali) consiste in enoftalmo, miosi, ptosi e anidrosi facciale omolaterale. La sindrome di Pancoast (dovuta a infiltrazione del plesso brachiale e delle coste e vertebre adiacenti) è caratterizzata da dolore, paresi e debolezza dell'arto coinvolto. Le due sindromi possono coesistere. Il tumore può estendersi direttamente all'interno dell'esofago, determinandone l'ostruzione, talvolta complicata da una fistola. L'interessamento del nervo frenico di solito causa paralisi diaframmatica. Le caratteristiche cliniche dell'interessamento cardiaco comprendono le aritmie, la cardiomegalia e il versamento pericardico. L'ostruzione della vena cava superiore e la paralisi del nervo ricorrente laringeo sinistro (con conseguente disfonia) sono causate dalla crescita diretta del tumore o dall'interessamento neoplastico dei linfonodi regionali. Nella sindrome della vena cava superiore, l'ostruzione del drenaggio venoso determina dilatazione delle vene collaterali nella parte superiore del torace e del collo; edema e congestione del volto, del collo e della parte superiore del tronco, incluse le mammelle; soffusione ed edema delle congiuntive; dispnea in posizione supina e sintomi a carico del SNC (p. es., cefalea, disturbi della vista, alterazioni dello stato di coscienza). Sebbene rappresenti una situazione clinica file:///F|/sito/merck/sez06/0810702b.html (2 of 7)02/09/2004 2.36.23

Tumori del polmone

drammatica, questa sindrome richiede un trattamento urgente ma non d'emergenza. È della massima importanza ottenere una diagnosi istologica in presenza di una massa mediastinica non diagnosticata. Le sindromi paraneoplastiche del cancro del polmone, che sono numerose, sono effetti extrapolmonari a distanza del tumore (v. Tab. 81-1). Esse sono causa di disturbi metabolici e neuromuscolari che non sono riconducibili al tumore primitivo né alle metastasi. Possono essere il primo segno di malattia o di recidiva, ma non indicano necessariamente che il tumore si è diffuso al di fuori del torace. Nell'osteoartropatia polmonare ipertrofica, la sindrome più conosciuta, si ha deformazione a bacchetta di tamburo delle dita delle mani e dei piedi e ispessimento periosteo a livello delle porzioni distali delle ossa lunghe. Tutti i livelli del sistema nervoso possono essere interessati, più spesso causando encefalopatia, degenerazione cerebellare subacuta, encefalomielite, la sindrome di Eaton-Lambert (v. Cap. 177) e neuropatie periferiche (v. Cap. 183). Si possono sviluppare polimiosite e dermatomiosite o sindromi metaboliche dovute alla produzione di sostanze con attività ormonale (v. Cap. 10). I carcinomi a piccole cellule possono secernere ectopicamente ACTH, causando la sindrome di Cushing o ADH, causando ritenzione di acqua e iponatriemia e sono anche associati alla sindrome da carcinoide (accessi di rossore, dispnea sibilante, diarrea e lesioni delle valvole cardiache). I tumori epidermoidali possono secernere sostanze simili al paratormone che provocano ipercalcemia. Altre sindromi endocrine associate ai carcinomi primitivi del polmone sono la ginecomastia, l'iperglicemia, la tireotossicosi e la pigmentazione della cute. Possono anche rilevarsi disordini ematologici come la porpora trombocitopenica, la reazione leucemoide, l'anemia mieloftisica, la policitemia e la trombosi marantica.

Diagnosi Le principali fonti di informazione per la diagnosi sono l'anamnesi, che induce a sospettare una neoplasia e fornisce informazioni precoci per la localizzazione, e la rx del torace, che mostra la lesione, la sua posizione e i suoi effetti anatomici. Tuttavia, studi su larga scala in diversi centri oncologici non hanno dimostrato alcuna utilità dello screening per il cancro del polmone con la rx torace e l'esame dell'espettorato. Sebbene alcuni cancri siano stati occasionalmente individuati in anticipo con tali metodi, la diagnosi precoce non si è mostrata capace di modificare la sopravvivenza complessiva dei pazienti. Quando si sospetta il cancro del polmone, il passo successivo alla rx torace è quello di ottenere del tessuto per la conferma istologica della diagnosi. L'esame obiettivo è solitamente aspecifico. Occasionalmente si possono riscontrare segni di diffusione metastatica (linfonodi ingrossati o epatomegalia). Altri reperti fisici extrapolmonari sono stati trattati sopra. Il quadro rx è in relazione alla sede interessata. In pazienti asintomatici, si trova in genere una massa nodulare periferica alla rx del torace. Le lesioni non sono visibili se il loro diametro è < 5-6 mm. Le rx precedenti forniscono dati preziosi per distinguere una nuova formazione. In caso di noduli solitari più piccoli, la rx a raggi duri e la TC del torace possono mostrare delle calcificazioni; l'estensione delle calcificazioni deve essere maggiore di una piccola opacità per porre la diagnosi di un tumore benigno o di un processo granulomatoso cronico e per escludere un cancro polmonare. La TC può anche mostrare piccole lesioni non rilevabili con altre procedure e può essere utile nella stadiazione indicando la presenza o l'assenza di disseminazioni nodulari. La RMN del torace è necessaria solo in alcune situazioni; essa è soprattutto utile nella visualizzazione della parete toracica e dell'interessamento del corpo vertebrale nei tumori di Pancoast dell'apice. Nei pazienti sintomatici, la rx torace può mostrare restringimenti e irregolarità bronchiali, infiltrazioni parenchimali o atelettasia. Un'escavazione può rilevarsi in un'area ostruita o nell'ambito di un tumore periferico. L'enfisema ostruttivo è raro. Talvolta, la rx rivela zone di infiltrazione od ostruzione in lobi distanti, non

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Tumori del polmone

giustificate da un singolo focus neoplastico, ma causate da una diffusione linfatica sottomucosa dell'albero bronchiale. I versamenti pleurici si associano spesso a tumori infiltranti o a neoplasie periferiche; l'esame citologico del liquido pleurico o la biopsia pleurica possono permettere la diagnosi. Raramente, l'escreato è positivo per la presenza di cellule neoplastiche in assenza di un focolaio dimostrabile della malattia. L'uso della RMN del torace è ancora sperimentale nella diagnostica e nel trattamento del cancro del polmone. La RMN può fornire una definizione più accurata dei piani tissutali prima della chirurgia di resezione nel cancro del polmone. La broncoscopia viene utilizzata per visualizzare e sottoporre a biopsia i tumori bronchiali. Col broncoscopio rigido la visualizzazione è limitata ai bronchi principali e alle loro divisioni primarie, ma l'estensione del tumore può essere determinata efficacemente con biopsie della carena e randomizzate; può essere valutata anche la resistenza offerta da masse extrabronchiali. Con il broncoscopio flessibile, si possono esplorare i bronchi subsegmentali per dimostrare il tumore e per prelevarne dei campioni con il lavaggio, con lo spazzolamento e con la biopsia. Molti chirurghi eseguono una mediastinoscopia preoperatoria per valutare i linfonodi mediastinici e ilari, per confermare la diagnosi e per distinguere i tumori operabili da quelli inoperabili. Una toracotomia esplorativa è necessaria in < 10% dei casi per stabilire la diagnosi e la resecabilità del cancro del polmone. Le controindicazioni sono rappresentate dalle metastasi a distanza o mediastiniche e dall'insufficienza cardiorespiratoria. L'esplorazione non è necessaria quando si evidenziano delle metastasi alla mediastinoscopia o alla mediastinotomia parasternale (che ha rimpiazzato largamente l'esplorazione dei linfonodi scalenici) o per mezzo della biopsia pleurica o epatica (v. Cap. 65). I linfonodi palpabili e i noduli cutanei metastatici forniscono importante materiale diagnostico. La stadiazione del cancro del polmone è utile sia dal punto di vista prognostico che per la valutazione e la scelta del tipo di trattamento. La stadiazione può essere fatta sulla base dei rilievi clinici, ma è più accurata se si utilizzano procedure che forniscono informazioni sull'estensione locale e sistemica dell'affezione, in particolare la toracotomia. La TC può rilevare metastasi epatiche, cerebrali e surrenaliche. La scintigrafia può indicare un coinvolgimento scheletrico dovuto a metastasi. Una rx convenzionale o una RMN dell'osso è spesso usata per confermare i reperti anomali della scintigrafia. L'esame citologico dell'espettorato e la biopsia tissutale possono stabilire direttamente la presenza di tumori primari e di metastasi. Il sistema TNM (tumore, linfonodi, metastasi) rappresenta una classificazione standardizzata della stadiazione per il cancro polmonare non a piccole cellule (v. Diagnosi e stadiazione nel Cap. 142). Di solito il cancro polmonare a piccole cellule ha già metastatizzato quando viene diagnosticato; è stadiato come limitato (confinato in un emitorace con o senza coinvolgimento dei linfonodi mediastinici e sopraclavicolari omolaterali) o come esteso (diffusione della malattia oltre questo livello).

Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale dei noduli polmonari comprende i corpi estranei, la polmonite non segmentale e le manifestazioni polmonari endobronchiali e focali della tubercolosi, delle micosi sistemiche, delle malattie autoimmuni e delle metastasi da un cancro primitivo extratoracico. I noduli polmonari solitari sono particolarmente difficili da diagnosticare. Un nodulo polmonare solitario è una singola lesione, la cui dimensione è ininfluente, circondata da parenchima polmonare su almeno 2/3 della sua circonferenza, che non tocca l'ilo o il mediastino e senza atelettasia o versamento pleurico associati. Le cause principali comprendono le neoplasie, le file:///F|/sito/merck/sez06/0810702b.html (4 of 7)02/09/2004 2.36.23

Tumori del polmone

infezioni e le malattie vascolari del collageno. Circa il 40% dei noduli polmonari solitari è maligno; il 90% di questi è rappresentato da carcinomi broncogenici. La causa infettiva più comune varia tra il Coccidioides immitis, l'Histoplasma capsulatum e il Mycobacterium tuberculosis, a seconda della localizzazione geografica. L'AR e la granulomatosi di Wegener sono le cause più frequenti tra le collagenopatie. I noduli polmonari solitari devono essere in primo luogo valutati attraverso il confronto con le rx torace precedenti (se disponibili). Una lesione che non si è estesa in _ 2 anni suggerisce un'eziologia benigna. La TC aiuta a individuare le calcificazioni (di solito un segno di eziologia benigna) e i noduli associati. Per determinare l'eziologia di lesioni nuove o in espansione si impone un esame colturale e istologico. Campioni per colture di tessuto possono essere ottenuti mediante agoaspirazione transtoracica, biopsia transbronchiale, toracoscopia o toracotomia. Una lesione deve essere considerata benigna solo quando si ottiene una diagnosi specifica. Le patologie benigne causano di rado una sindrome della vena cava superiore (v. sopra), sebbene la TBC, le infezioni da miceti, una tiroide retrosternale e un aneurisma aortico possano esserne a volte responsabili. I tumori maligni, compreso il linfoma, il morbo di Hodgkin, il carcinoma a piccole cellule, il carcinoma epidermoidale, i tumori a cellule germinali e i tumori della mammella, causano la sindrome frequentemente.

Prognosi e profilassi Il carcinoma broncogeno ha una prognosi sfavorevole. In media, i pazienti con carcinoma broncogeno non trattato sopravvivono 8 mesi; il 10-35% circa dei tumori è resecabile, ma la sopravvivenza a 5 anni di distanza è approssimativamente del 13%. Nei pazienti con tumori ben circoscritti e a lenta crescita, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni dall'asportazione chirurgica si aggira fra il 15% nei pazienti con un tumore non a piccole cellule allo stadio IIIA e il 70% nei pazienti con un tumore non a piccole cellule allo stadio I. I risultati migliori si ottengono in pazienti con noduli periferici trattati con la lobectomia. Nuovi cancri polmonari primitivi si sviluppano nel 6-12% di coloro che sopravvivono. Poiché il cancro polmonare a piccole cellule è quasi sempre diffuso oltre il sito originario al momento della diagnosi, esso solitamente è inoperabile. Raramente, il carcinoma a piccole cellule in fase precoce può essere asportato chirurgicamente, ma dal momento che i tumori possono facilmente recidivare, una chemioterapia adiuvante con cisplatino ed etoposide è solitamente raccomandata. Un nuovo tumore primario si sviluppa dopo il trattamento del carcinoma a piccole cellule in fase precoce nel 25-50% dei casi. La prevenzione del cancro del polmone include l'eliminazione del fumo di sigaretta e dell'esposizione a sostanze potenzialmente carcinogene nell'industria. Sono in corso studi di chemioprofilassi sulla comparsa di nuovi tumori primitivi.

Terapia La chirurgia è il trattamento di scelta del carcinoma non a piccole cellule allo stadio I e II; i pazienti con carcinoma allo stadio IV o IIIB con un versamento pleurico neoplastico non sono candidati per l'intervento. Per i pazienti con tumori classificati come T3N0M0 o T3N1M0 (a causa dell'invasione della gabbia toracica) si deve prendere in considerazione la resezione chirurgica. Essa deve essere eseguita in assenza di controindicazioni, che sono i segni sicuri di disseminazione all'infuori del polmone, una localizzazione endobronchiale del tumore troppo prossima alla trachea e altre gravi condizioni (p. es., una coronaropatia oppure un'insufficiente funzione respiratoria da broncopneumopatia cronica ostruttiva). Una TC del torace e dell'addome

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Tumori del polmone

superiore (fegato e ghiandole surrenali inclusi) deve essere eseguita in tutti i pazienti candidati all'intervento. Una RMN o una TC cerebrale deve essere eseguita in tutti i pazienti chirurgici in presenza di segni e sintomi di anomalie neurologiche, come paralisi del nervo faciale, modificazioni del campo visivo, diminuito livello di coscienza o deficit della concentrazione. Una scintigrafia ossea è necessaria se il paziente lamenta dolore o dolorabilità alle ossa o se la fosfatasi alcalina del siero è elevata per aumento dell'isoenzima osseo. La resezione non deve essere preclusa ai pazienti anziani. Il cancro polmonare è un tumore molto aggressivo negli anziani. I pazienti con cancro del polmone non trattato solitamente sopravvivono < 8 mesi, in confronto a una normale speranza di vita media negli USA di 11,1 e 14,8 anni rispettivamente per gli uomini e per le donne al di sopra dei 70 anni. Il fattore che limita la sopravvivenza è il tumore, non l'età. Le lesioni endobronchiali centrali solitamente richiedono una pneumonectomia e la rimozione dei linfonodi regionali per fornire un livello sicuro di divisione bronchiale prossimale al tumore. I tumori che si estendono fino alla parete toracica possono essere rimossi in blocco; è stata riportata l'utilità dell'irradiazione preoperatoria per i tumori apicali di Pancoast. L'uso della chemioterapia neoadiuvante nello stadio II, IIIA e IIIB del carcinoma non a piccole cellule è promettente. Se somministrata prima della chirurgia nello stadio II o IIIA e prima della terapia radiante definitiva nello stadio IIIA o IIIB, la chemioterapia neoadiuvante può ridurre significativamente la massa del tumore e aumentare lo stato libero da malattia e la sopravvivenza complessiva. Alcuni studi di chemioterapia adiuvante danno speranze; tuttavia, risultati variabili hanno impedito la formazione di un consenso sul suo ruolo nei carcinomi non a piccole cellule resecati chirurgicamente o definitivamente irradiati. La valutazione della funzione respiratoria non fornisce una risposta netta al quesito della operabilità, ma esistono alcune semplici regole per eseguire una toracotomia. Il medico deve tenere a mente che l'estensione della resezione può essere stabilita solamente durante l'intervento e che la pneumonectomia può rendersi necessaria. I criteri funzionali per la pneumonectomia sono un volume espiratorio forzato in 1 s (FEV1) > 2 l e uguale a > 50% della capacità vitale forzata, misurata con una pressione parziale di CO2 (PaCO2) normale a riposo. Se qualcuno di questi criteri non è soddisfatto, la funzione polmonare regionale va valutata con una scintigrafia perfusionale differenziale quantitativa. (Il FEV1 predetto postoperatorio è uguale alla percentuale della perfusione del polmone non resecato moltiplicato per il FEV1 preoperatorio.) Se queste valutazioni indicano che il FEV1 del paziente sarà ancora > 800 ml o > 30-40% del FEV1 predetto dopo la pneumonectomia, allora il rischio può considerarsi accettabile; più questo valore si avvicina a uno di questi due criteri, più limitata sarà l'attività del paziente. La terapia radiante è di beneficio dimostrato nel controllo del dolore osseo, in alcuni tipi di tumore nella sindrome della vena cava superiore (v. oltre), nella compressione del midollo spinale, nelle metastasi cerebrali, nell'emottisi e nell'ostruzione bronchiale. L'uso della terapia radiante postoperatoria non sembra dare benefici né essere giustificata nei pazienti con carcinoma allo stadio I o II. A volte la radioterapia è utilizzata in sostituzione della chirurgia quando la toracotomia è controindicata per insufficienza cardiorespiratoria o per altra grave malattia. Per i 3 mesi successivi all'irradiazione, il paziente deve essere frequentemente visitato in cerca di segni radiologici e clinici di polmonite da raggi (comprendenti tosse, dispnea e febbre), che possono essere controllati somministrando prednisone 60 mg/die PO per circa 1 mese, scalandolo poi gradualmente. La radioterapia profilattica del cranio deve essere riservata ai pazienti con carcinoma a piccole cellule che hanno mostrato una risposta completa al trattamento. Essa diminuisce le metastasi cerebrali successive ma non è stato dimostrato che prolunghi la sopravvivenza complessiva. La brachiterapia può essere efficace nel trattamento delle lesioni endobronchiali e nella loro palliazione quando queste ostruiscono i bronchi principali. La chemioterapia con più farmaci, in particolare il cisplatino e gli inibitori delle

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Tumori del polmone

topoisomerasi, con o senza radioterapia, ha ottenuto percentuali maggiori di sopravvivenza rispetto alla chirurgia nei pazienti con carcinoma a piccole cellule; le guarigioni sono rare (v. Tab. 144-1). Sono stati riportati alcuni miglioramenti dei risultati della chemioterapia, ma le ricerche per definire la combinazione di chemioterapici più efficace sul carcinoma broncogeno sono ancora in corso. La chemioterapia negli stadi IIIA, IIIB o IV dei carcinomi non a piccole cellule non resecabili sembra migliorare la sopravvivenza mediana di 6-12 sett. in media e può effettivamente migliorare i sintomi della malattia nei pazienti che rispondono. I farmaci efficaci in questa malattia comprendono i composti del platino (il cisplatino e il carboplatino), gli alcaloidi della vinca (la vinorelbina, la vincristina e la vinblastina), le tassine (docetaxel e paclitaxel) e vari inibitori delle topoisomerasi. I farmaci broncodilatatori, l'O2, la broncoscopia laser e la fisioterapia possono rendersi necessari per l'ostruzione delle vie aeree. Gli antibiotici vanno riservati al trattamento delle infezioni sovrapposte. Metastasi polmonari solitarie, od occasionalmente multiple, sono state escisse dopo la rimozione del tumore primitivo; la sopravvivenza a 5 anni è di circa il 10%. L'ansia e il dolore persistente sono comuni nei pazienti con cancro del polmone inguaribile. In questo caso si rendono necessari sedativi, narcotici e altri farmaci in associazione (v. Dolore neoplastico nel Cap. 167). Poiché molti pazienti con cancro del polmone decedono, deve essere prevista l'assistenza terminale(v. Cap. 294). Un'infusione EV di morfina ad alte dosi può essere necessaria per alleviare l'affaticante sensazione di fame d'aria e di dolore nelle fasi terminali. Progressi nel trattamento palliativo, tra i quali lo sviluppo di potenti farmaci transdermici (come il fentanile), hanno portato a un miglioramento delle cure terminali, con un numero crescente di pazienti che possono morire serenamente a casa. Se la diagnosi istologica di sindrome della vena cava superiore è accertata, la terapia consiste nella chemioterapia (per il carcinoma a piccole cellule, il linfoma o per i tumori a cellule germinali) o nella radioterapia (per il cancro della mammella, per il carcinoma epidermoidale o per il linfoma). Quando la sindrome è causata dal cancro del polmone, i corticosteroidi sono meno utili di quando è dovuta ad altre malattie, come il linfoma, ma possono essere comunque di un certo aiuto. I tumori bronchiali benigni devono essere resecati chirurgicamente a causa dei disturbi relativi alla localizzazione, alla possibilità di accrescimento e alla potenziale trasformazione maligna. La maggiore parte dei tumori benigni periferici resta senza diagnosi fino all'esplorazione e all'escissione escissione chirurgica.

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Disturbi della pigmentazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 123. DISTURBI DELLA PIGMENTAZIONE IPERPIGMENTAZIONE Anomalo aumento della pigmentazione. Le iperpigmentazioni sono dovute a un aumentato deposito di melanina, conseguente a disturbi ormonali (p. es., in corso di morbo di Addison, gravidanza o terapia anticoncezionale). L’iperpigmentazione può anche derivare dal deposito di ferro nelle emocromatosi o di sali d’argento (p. es., in caso di argirosi). Raramente, l’applicazione a lungo termine (anni) di idrochinone è causa di una ocronosi locale. L’esposizione alla luce solare accentua la pigmentazione cutanea. Il melasma (cloasma) è caratterizzato da chiazze iperpigmentate, ben marginate, di colore bruno scuro, quasi simmetriche, localizzate al viso (solitamente alla fronte, alle tempie e in sede malare). Il melasma si manifesta principalmente nelle donne in gravidanza (melasma gravidico, "maschera gravidica") e in donne che assumono pillole anticoncezionali. Può essere anche idiopatico, in donne non gravide e in uomini dalla carnagione scura. L’iperpigmentazione da gravidanza svanisce, lentamente e parzialmente, dopo la nascita del bambino o se associato a terapia a base di estrogeni o a cessazione della produzione o dell’utilizzo di ormoni. La terapia per la riduzione dell’iperpigmentazione, si basa sull’uso locale di preparati a base di idrochinone al 2-4% veicolati in alcol glicolico oppure in creme base, applicate due volte al giorno in rigorosa associazione con fotoprotettori (schermo solare con FPS 15, evitando eccessiva esposizione solare). L’idrochinone va testato dietro l’orecchio o in un tratto dell’avambraccio una sett. prima dell’utilizzo sul viso, perché può causare una dermatite. L’isotretinoina allo 0,1% per uso topico potenzia l’effetto dell’idrochinone. La melanosi epidermica, e in minor misura la pigmentazione dermica, possono essere ridotte. L’iperpigmentazione indotta da farmaci è comune. L’iperpigmentazione postinfiammatoria può seguire a dermatosi infiammatorie indotte o meno da farmaci; inoltre, segue spesso il lichen planus e le reazioni lichenoidi da farmaci. L’eritema fisso da medicamenti lascia un tipico focolaio anulare di iperpigmentazione. Altri farmaci possono determinare iperpigmentazione incluso amiodarone, tetraciclina, minociclina, bleomicina, ciclofosfamide e gli antimalarici clorochina e chinacrina. La clorpromazina e altre fenotiazine possono determinare un colorito blu-grigiastro della cute nelle zone fotoesposte. I farmaci a contenuto d’argento, oro (crisiasi), mercurio (idrargirismo) e bismuto (argiria), possono causare un’alterata pigmentazione della cute da deposito di metallo pesante. Ad eccezione dell’oro e del bismuto, gli altri composti non vengono più usati.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 269-3. ALTERAZIONI ENZIMATICHE NELL'IPERPLASIA SURRENALICA CONGENITA Enzima mancante Colesterolo desmolasi

Carenza

Tutti gli ormoni steroidei

Eccesso

Iperplasia lipoide surrenalica

Fenotipo

Insufficienza surrenalica

Mineralcorticoidi Pregnenolone; 3β17-OHidrossisteroide deidrogenasi Glucocorticoidi pregnenolone; DHEA

Maschi: ipovirilizzazione; femmine: lieve virilizzazione

17α-idrossilasi Steroidi sessuali

Maschi: ipovirilizzazione; ipertensione; ipokaliemia

DOC; corticosterone

Glucocorticoidi 21-idrossilasi

Mineralcorticoidi Progesterone; 17OH Glucocorticoidi progesterone; androgeni

Femmine: virilizzazione; insufficienza surrenalica; perdita di sali

11β-idrossilasi Glucocorticoidi

DOC; androgeni

Femmine: virilizzazione; ipertensione

Corticosterone Aldosterone 18metilossidasi tipo II

18-OHcorticosterone

Perdita di sali

OH = idrossi; DHEA = deidroepiandrosterone; DOC = desossicorticosterone. Modificata da Metabolic Control and Disease, ed. 8, edited by PK Bondy e LE Rosenberg, Philadelphia, WB Saunders Company, 1980; uso autorizzato.

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Manuale Merck - Tabella

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE IPERFUNZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE VIRILISMO SURRENALICO

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Qualunque sindrome, congenita o acquisita, nella quale la secrezione eccessiva di androgeni surrenalici provoca virilizzazione.

Sintomi e segni Gli effetti dipendono dal sesso e dall'età del paziente all'esordio della malattia e sono più marcati nelle donne che negli uomini. Nelle donne adulte, il virilismo surrenalico è causato dall'iperplasia surrenalica o da un tumore surrenalico. In entrambi i casi, i sintomi e i segni comprendono irsutismo, calvizie, acne, abbassamento del tono della voce, amenorrea, atrofia dell'utero, ipertrofia del clitoride, diminuzione di volume del seno e aumento delle masse muscolari. Può essere presente un aumento della libido. Nei casi lievi l'irsutismo (v. Cap. 116 e 235) può essere la sola manifestazione clinica.

Diagnosi e terapia La TC o la RMN dei surreni è utile per escludere un tumore come causa del virilismo. Se viene rinvenuto un tumore, notevoli informazioni si possono ottenere da una biopsia per aspirazione con ago sottile sotto guida radiografica o ecografica. L'iperplasia surrenalica virilizzante tardiva è una variante dell'iperplasia surrenalica congenita ed entrambe sono causate da un difetto dell'idrossilazione dei precursori del cortisolo. Il deidroepiandrosterone (DHEA) urinario e il suo derivato solfato (DHEAS) sono elevati, l'escrezione di pregnantriolo è spesso aumentata e il cortisolo libero urinario è diminuito. Il DHEA, il DHEAS, il 17idrossiprogesterone, il testosterone e l'androstenedione plasmatici sono elevati. La diagnosi viene confermata mediante la soppressione della escrezione del DHEAS e del pregnantriolo urinari con desametasone 0,5 mg PO q 6 h. La terapia raccomandata consiste nella somministrazione di desametasone da 0,5 a 1 mg PO al momento di coricarsi, ma anche queste piccole dosi possono indurre la comparsa dei segni della sindrome di Cushing in alcuni pazienti. Possono essere usati anche il cortisolo (25 mg/die) o il prednisone (da 5 a 10 mg/die). Benché la maggior parte dei sintomi e dei segni di virilismo scompaia, l'irsutismo e la calvizie regrediscono lentamente, la voce può rimanere profonda e la fertilità può essere compromessa.

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Malattie del surrene

Negli adenomi o negli adenocarcinomi virilizzanti, contrariamente a quanto avviene nell'iperplasia surrenalica, la somministrazione di desametasone non sopprime o sopprime solo parzialmente l'escrezione di androgeni. La localizzazione del tumore può essere determinata mediante la TC. La terapia richiede la surrenectomia. In alcuni casi, il tumore secerne un eccesso sia di androgeni sia di cortisolo, cui consegue una sindrome di Cushing con soppressione della secrezione di ACTH e atrofia del surrene controlaterale. In questo caso si deve somministrare idrocortisone prima e dopo l'intervento chirurgico come descritto in precedenza. Nella sindrome dell'ovaio policistico (di Stein-Leventhal) si possono osservare virilizzazione e irsutismo di grado lieve, con ipomenorrea e aumento del testosterone plasmatico.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

MALFORMAZIONI RENALI E GENITOURINARIE RENE Anomalie di fusione: le anomalie di fusione (nelle quali i reni sono uniti ma gli ureteri entrano nella vescica ognuno dal proprio lato) aumentano il rischio di ostruzioni del giunto pieloureterale, di reflusso vescico-ureterale, di displasia renale multicistica e di danno conseguente a trauma addominale. Il rene a ferro di cavallo è la più comune anomalia di fusione. Il parenchima renale su ogni lato della colonna vertebrale è unito al controlaterale in corrispondenza dei poli (di solito inferiori), attraverso un istmo di tessuto renale o fibroso localizzato sulla linea mediana. Gli ureteri decorrono medialmente e anteriormente sopra questo istmo e in genere drenano bene. L’ostruzione, se presente, è di solito secondaria a una inserzione alta dell’uretere nella pelvi renale e non è determinata dall’istmo. La pieloplastica può essere effettuata senza resezione dell’istmo. Il rene unico è la seconda più comune anomalia di fusione. Il parenchima renale (rappresentando entrambi i reni) è dallo stesso lato della colonna vertebrale. Uno degli ureteri attraversa la linea mediana ed entra nella vescica dal lato opposto al rene unico. Nel caso in cui sia presente l’ostruzione del giunto pieloureterale, la pieloplastica è il trattamento di scelta. Il rene pelvico (rene a focaccia) è un’anomalia di fusione molto meno comune, nella quale una massa renale in sede pelvica è servita da due sistemi di drenaggio e da due ureteri. In caso di ostruzione al deflusso di urina, è indicata la ricostruzione chirurgica. Ectopia renale: l’ectopia renale (posizione anomala del rene) è la conseguenza della mancata migrazione di un rene, dalla zona di formazione nella pelvi vera e propria, o della sua migrazione eccessiva, nella regione toracica. Nei reni non completamente migrati, ma non in quelli migrati in regione toracica, si riscontra un incidenza maggiore di ostruzione del giunto pieloureterale, di reflusso vescicoureterale e di displasia renale multicistica. La correzione chirurgica viene effettuata quando vi sia un’indicazione specifica. Malrotazioni: generalmente questo difetto minore dell’asse renale può apparire come un reperto anomalo all’urografia. Deve essere differenziato dalla vera patologia ostruttiva o da masse renali. Agenesia: l’agenesia renale bilaterale (assenza di entrambi i reni o sindrome di Potter) è incompatibile con la vita. È associata con oligoidramnios, ipoplasia polmonare e impianto basso delle orecchie. L’agenesia renale unilaterale non è infrequente e può essere accompagnata da agenesia ureterale, assenza del trigono vescicale e dell’orifizio ureterale omolaterale. L’ipertrofia compensatoria dell’unico rene mantiene normale la funzione renale. Anomalie di duplicazione: i sistemi escretori sovrannumerari possono essere uni o bilaterali e coinvolgere la pelvi renale e gli ureteri (rene pelvico accessorio, doppia o tripla pelvi e ureteri), i calici o l’orifizio uretrale. Il rene duplicato (rene doppio) è una singola massa renale che ha più di un sistema collettore. Nei file:///F|/sito/merck/sez19/2612385d.html (1 of 3)02/09/2004 2.38.11

Anomalie congenite

sistemi doppi si riscontra un rischio aumentato di ectopia ureterale con o senza ureterocele. Il trattamento dipende dall’anatomia e dalla funzione di ogni segmento di drenaggio separatamente. Può essere necessario un intervento chirurgico per correggere l’ostruzione o il reflusso vescico-ureterale. Displasie renali: si tratta di anomalie parenchimali con conseguente disfunzione renale, che possono derivare da un anomalo sviluppo della vascolarizzazione renale, dei tubuli renali, dei dotti collettori o del sistema di drenaggio. Per la diagnosi può essere necessario effettuare la biopsia. Displasia renale multicistica: si tratta di unità renali non funzionanti costituite da cisti non comunicanti con interposto tessuto solido costituito da tessuto fibroso, tubuli primitivi e foci di tessuto cartilagineo. Di solito si associa ad atresia ureterale. Si riscontra un basso rischio di tumore, di infezioni e di ipertensione. Alcuni esperti consigliano di asportare i reni mentre altri di osservare nel tempo il paziente. Ipoplasia renale: un rene poco sviluppato è di solito associato a una inadeguata ramificazione dell’abbozzo ureterale. Il rene è piccolo e presenta nefroni istologicamente normali. Nella ipoplasia segmentale si può riscontrare ipertensione, e può essere necessaria l’ablazione chirurgica. Malattia policistica renale autosomica recessiva: sebbene rara (1/10000 nati), la malattia policistica renale autosomica recessiva è la più comune malattia cistica renale dell’infanzia geneticamente determinata (coinvolgendo entrambi i reni e il fegato) e spesso causa di insufficienza renale in età infantile. La forma autosomica dominante di malattia policistica renale è trattata nel Cap. 230. Quando la malattia diviene sintomatica in età infantile, i sintomi sono principalmente renali, mentre le forme a esordio adolescenziale si presentano principalmente con sintomi epatici. Queste differenze probabilmente riflettono una variante fenotipica dello stesso disordine genetico. I neonati gravemente compromessi presentano di solito una ipoplasia polmonare secondaria agli effetti intrauterini della disfunzione renale, associata a oligoidramnios, mentre quelli meno gravemente compromessi hanno un addome voluminoso con reni simmetrici enormi, solidi, a superficie liscia. Il fegato è ingrossato, presenta fibrosi periportale, proliferazione dei dotti biliari e rare cisti. Il resto del parenchima epatico è normale. Tali alterazioni sono responsabili della ipertensione portale perisinusoidale con lieve o assente alterazione della funzionalità epatica. L’ecografia è il miglior mezzo diagnostico e di solito consente di effettuare diagnosi presuntiva già in utero a gravidanza inoltrata. I segni dell’ipertensione portale, come varici gastriche ed esofagee e iperplenismo (leucopenia, trombocitopenia), compaiono fra i 5 e 10 anni. Se i sintomi compaiono nel periodo adolescenziale la nefromegalia è meno marcata. L’insufficienza renale può essere lieve o moderata. I sintomi principali sono collegati alla fibrosi epatica evolutiva (ipertensione portale, varici gastriche ed esofagee, insufficienza epatica, ipersplenismo). La diagnosi è difficile specialmente in assenza di un’anamnesi familiare positiva. L’ecografia può dimostrare la presenza di cisti renali o epatiche, ma la diagnosi definitiva può richiedere l’accertamento bioptico. Molti neonati muoiono nei primi giorni o nelle prime settimane di vita per insufficienza polmonare, mentre i bambini che sopravvivono presentano insufficienza renale progressiva durante i primi anni di vita. I pazienti con compromissione renale meno grave sviluppano progressivamente ipertensione portale. Gli shunt portocavali o splenorenali riducono la morbilità, ma non la mortalità. L’esperienza trapiantologica in questi pazienti è limitata. Se si esegue il trapianto, si deve controllare l’ipersplenismo per prevenire l’immunosoppressione, che può causare leucopenia con rischio aumentato di infezioni sistemiche. La dialisi (v. Cap. 223) è effettuata come negli altri bambini con insufficienza renale cronica.

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Anomalie congenite

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI La determinazione del sesso è controllata nella specie umana dai cromosomi X e Y. I soggetti di sesso femminile hanno due cromosomi X, mentre i soggetti di sesso maschile hanno un X e un Y. Il cromosoma Y è uno tra i più piccoli dei 46 cromosomi e la sua funzione principale sembra correlata alla determinazione del sesso maschile. Al contrario, il cromosoma X è uno dei cromosomi più grandi e contiene centinaia di geni, la maggior parte dei quali non ha niente a che fare con la determinazione del sesso. Ipotesi di Lyon (inattivazione del cromosoma X): la donna normale ha 2 loci per ogni gene legato al X, rispetto all’unico locus presente nel maschio. Ciò sembra produrre un problema di "dose" genetica. In accordo con l’ipotesi di Lyon, nella donna viene geneticamente inattivato uno dei due cromosomi X delle cellule somatiche nelle fasi embrionali precoci. Il Corpuscolo di Barr, o cromatina sessuale, all’interno del nucleo delle cellule somatiche femminili, rappresenta il II cromosoma X inattivato. Il gene responsabile dell’inattivazione dei geni del cromosoma X è stato individuato (XIST). Studi di genetica molecolare hanno dimostrato che non tutti i geni sul II cromosoma X sono inattivati, ma la maggior parte lo è. Infatti, qualunque sia il numero dei cromosomi X nel genoma, soltanto uno presenta la maggior parte dei geni in forma inattiva. L’inattivazione di un cromosoma X presenta interessanti implicazioni cliniche. Per esempio, le anomalie del cromosoma X sono relativamente benigne se paragonate ad analoghe anomalie degli autosomi. Le donne con tre cromosomi X sono di solito fisicamente e mentalmente normali e fertili. Al contrario, tutte le trisomie autosomiche note comportano manifestazioni gravissime. Analogamente, l’assenza di un X, sebbene comporti una sindrome specifica (sindrome di Turner), è una condizione relativamente benigna, mentre l’assenza di un autosoma è invariabilmente letale. L’esistenza di portatrici asintomatiche di malattie a carattere recessivo legate al sesso può essere spiegata con l’inattivazione del cromosoma X. Le donne eterozigoti per l’emofilia o per la distrofia muscolare sono in genere asintomatiche, ma talvolta mostrano, rispettivamente, una certa tendenza all’emorragia o alla debolezza muscolare. L’ipotesi di Lyon suggerisce che l’inattivazione del X è un evento casuale; così, in ogni persona, si verifica l’inattivazione del 50% dei cromosomi X materni e del 50% di quelli paterni. Tuttavia, poiché questo processo casuale segue una curva di distribuzione normale, in alcune femmine potrà essere inattivata, in uno specifico tessuto, la maggior parte di cromosomi X di origine materna, mentre in altri soggetti potranno essere inattivati quelli di origine paterna. Se per caso in un eterozigote, in un qualche tessuto, quasi tutte le cellule avessero l’allele normale inattivato, in quell’individuo si avrebbe una malattia simile a quella del maschio emizigote affetto.

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Anomalie congenite

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ ALTERAZIONI DEL LIQUIDO SEMINALE Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

La spermatogenesi è continua e richiede circa 72-74 giorni per la maturazione della cellula germinale (spermatogonio) a spermatozoo. La maggiore efficacia è a 34°C e quindi l’esposizione a un calore eccessivo o a una febbre prolungata possono influire negativamente sulla conta, la motilità e la morfologia degli spermatozoi per 2-3 mesi. All’interno dei tubuli seminiferi, le cellule del Sertoli danno sostegno e regolano la maturazione, mentre le cellule di Leydig producono il testosterone necessario per il mantenimento della spermatogenesi. La regolazione endocrina dei testicoli è trattata in Ipogonadismo maschile nel Cap. 269. L’azoospermia (assenza di spermatozoi nello sperma) può essere dovuta all’ostruzione o all’assenza congenita dei vasi deferenti o a dei disturbi testicolari primitivi. La presenza del fruttoso nello sperma (che è normalmente secreto dalle vescicole seminali) indica la pervietà dei dotti eiaculatori. Il varicocele (anomala dilatazione delle vene del plesso pampiniforme che drenano i testicoli) è la più frequente alterazione anatomica nell’uomo infertile (25% versus 10-15% nella popolazione generale). È molto più frequente sul lato sinistro, dove la vena spermatica drena nella vena renale sinistra. Causa un ristagno del sangue e un aumento della temperatura scrotale. L’eiaculazione retrograda nella vescica si può verificare soprattutto nell’uomo che ha una disfunzione neurologica o che è stato sottoposto a una dissezione retroperitoneale (p. es., per una malattia di Hodgkin) o a una prostatectomia. Le malattie endocrine associate a un’alterata spermatogenesi sono poco frequenti. Includono l’iperprolattinemia, l’ipotiroidismo, i disturbi surrenalici, le alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e l’ipogonadismo (v. Ipogonadismo maschile nel Cap. 269). I disturbi genetici associati a una difettosa spermatogenesi includono la sindrome di Klinefelter e la disgenesia gonadica (v. Cap. 261).

Diagnosi Si deve raccogliere l’anamnesi ed eseguire l’esame obiettivo alla ricerca delle cause dell’infertilità. Devono essere esclusi l’orchite da virus della parotite, il criptorchidismo, i traumi testicolari, l’esposizione ad agenti tossici industriali o ambientali, l’esposizione al caldo eccessivo, le malattie acute o le febbri prolungate nei 3 mesi precedenti, l’uso voluttuario di droghe, l’assunzione di alcolici e l’esposizione al dietilstilbestrolo o agli

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Infertilità

steroidi anabolizzanti. L’esame obiettivo deve concentrarsi sulle anomalie anatomiche, p. es., un ridotto volume testicolare (valore normale da 20 a 25 ml), una prostatite, l’ipospadia o un varicocele. L’analisi dello sperma è il test principale per la valutazione dell’infertilità maschile. Deve essere effettuato dopo 2-3 gg di astensione dai rapporti sessuali. Si devono valutare almeno due o tre eiaculati, ottenuti a intervalli di non meno di 1 sett., perché la conta degli spermatozoi è variabile; ciascun eiaculato è ottenuto con la masturbazione in un recipiente di vetro pulito, preferibilmente nei locali del laboratorio. Per gli uomini che hanno difficoltà con questo metodo, possono essere usati speciali profilattici privi di lubrificanti o sostanze tossiche per lo sperma. Dopo che l’eiaculato si è liquefatto a temperatura ambiente per 20-30 min, devono essere valutati i seguenti parametri: volume dell’eiaculato (normale, 2-6 ml), viscosità (normalmente liquefa entro 1 h), aspetto macro- e microscopico (normalmente opaco, color crema, 1-3 leucociti/ campo ad alto potere di risoluzione), pH (normale, 7-8), conta degli spermatozoi (normale, > 20 milioni/ml), mobilità degli spermatozoi dopo 1 h e 3 h (normale, > 50%) e morfologia degli spermatozoi (normale, > 60%). Sono disponibili delle ulteriori misurazioni realizzate con il computer, della motilità degli spermatozoi (p. es., la velocità lineare); tuttavia, la correlazione tra velocità e fertilità è poco chiara. Dei test specialistici della funzionalità e della qualità dello sperma sono disponibili nei più importanti centri di terapia dell’infertilità e possono essere appropriati prima di ricorrere alla fertilizzazione in vitro o al trasferimento intratubarico dei gameti (v. Tecniche di riproduzione assistita oltre). Il test delle immunosferule, il test più comunemente usato per l’individuazione degli anticorpi anti-sperma, utilizza delle piccole sferule rivestite di anticorpi che legano le IgG e le IgA presenti sulla testa, sulla porzione intermedia o sulla coda dello spermatozoo. Il test del rigonfiamento ipo-osmolare, che misura l’integrità strutturale della membrana plasmatica dello spermatozoo, viene eseguito ponendo lo sperma in un mezzo di coltura ipo-osmolare. Normalmente, l’acqua extracellulare in eccesso fluisce all’interno della testa dello spermatozoo, causandone il rigonfiamento mentre la coda si attorciglia. Questi cambiamenti non si verificano nello sperma anomalo. Due test possono misurare la capacità degli spermatozoi di fecondare la cellula uovo in vitro. Il test dell’emizona valuta il legame dello spermatozoo ai recettori proteici posti sulla superficie dell’involucro isolato (zona pellucida) dell’oocita umano. Il test della penetrazione spermatica valuta la penetrazione dello spermatozoo nell’uovo di hamster dopo la rimozione della zona pellucida. Può essere necessaria una biopsia testicolare per valutare la funzionalità dei tubuli seminiferi.

Terapia Il varicocele, di solito, viene trattato. In studi non controllati, la legatura delle vene spermatiche interne determina una percentuale di gravidanze del 30-50%, ma sono necessari studi controllati e randomizzati per confermare queste percentuali. Negli uomini con una moderata oligospermia (da 10 a 20 milioni/ml), ma senza difetti endocrini, la conta degli spermatozoi può essere migliorata con la somministrazione di clomifene citrato (25-50 mg/die per 25 gg al file:///F|/sito/merck/sez18/2452134b.html (2 of 3)02/09/2004 2.38.17

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mese, per 3-4 mesi). Tuttavia, la motilità e la morfologia degli spermatozoi non sembrano migliorare significativamente e non ci sono studi controllati che indichino un aumento della fertilità. Inseminazione artificiale: questa tecnica si basa sulla selezione degli spermatozoi. L’uso di eiaculati interi, ottenuti con l’uso di un diaframma cervicale, non sembra aumentare l’incidenza di gravidanze. Quando i volumi dell’eiaculato sono abbondanti, l’uso di una frazione dell’eiaculato (la prima, a maggiore densità e mobilità di spermatozoi) può aumentare lievemente l’incidenza di gravidanze. L’inseminazione intrauterina con campioni di seme lavato può essere eseguita quando l’infertilità è associata con un muco cervicale anormale. L’eiaculato viene lavato diverse volte con un mezzo di coltura tissutale; gli spermatozoi mobili "nuotano" verso la superficie del campione di sperma e vengono selezionati nel sovranatante per l’inseminazione. Questo approccio sembra essere più efficace quando l’uomo ha una conta spermatica ridotta e una motilità normale e quando il muco cervicale è alterato; la maggior parte delle gravidanze si ottiene entro il 6o ciclo di trattamento. Nei casi di oligospermia, di diminuita motilità degli spermatozoi e di anticorpi antispermatozoi possono essere utilizzate l’iperstimolazione ovarica controllata con l’inseminazione intrauterina e/o la fertilizzazione in vitro e altre tecniche di riproduzione assistita. In alcuni casi, può essere usata l’iniezione intracitoplasmatica degli spermatozoi (v. oltre). Nell’azoospermia, è possibile l’inseminazione con lo sperma di donatori. La scelta del momento è critica ed è basata sul monitoraggio dell’ovulazione. Dato che le malattie a trasmissione sessuale, compreso l’AIDS, rappresentano un problema, devono essere usati dei campioni di seme congelato da banche dello sperma sicure, piuttosto che campioni di seme fresco.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI SINDROME DI KLINEFELTER (Sindrome di Klinefelter; 47,XXY) Anomalia dei cromosomi sessuali nella quale ci sono due o più cromosomi X e un Y, con conseguente sviluppo di un fenotipo maschile. La sindrome di Klinefelter si osserva in circa 1/ 800 maschi nati vivi. L’extra cromosoma X è di origine materna nel 60% dei casi. Le persone affette tendono a essere alte, con braccia e gambe sproporzionatamente lunghe. Spesso hanno testicoli piccoli, atrofici e circa 1/3 sviluppa ginecomastia. La pubertà si presenta di solito all’età normale, ma spesso la crescita dei peli sul viso è scarsa. Si riscontra una certa difficoltà di apprendimento e in molti casi deficit specifici nel linguaggio, nel processo auditivo e nella lettura. La variabilità clinica è notevole e molti maschi 47,XXY sono normali per aspetto e intelligenza e vengono individuati nel corso di indagini effettuate per la sterilità (probabilmente tutti i maschi 47,XXY sono sterili) o di screening citogenetici eseguiti sulla popolazione normale. I maschi appartenenti a quest’ultimo gruppo sono stati seguiti nel corso dello sviluppo. L’incidenza dell’omosessualità non è aumentata. Lo sviluppo testicolare varia dalla presenza di tubuli ialinizzati e non funzionali, fino a una certa produzione di spermatozoi, mentre l’escrezione urinaria dell’ormone follicolo-stimolante è frequentemente aumentata. Varianti: il mosaicismo si riscontra nel 15% dei casi. Alcuni individui affetti hanno 3, 4, o perfino 5 cromosomi X insieme al cromosoma Y. In generale con l’aumento del numero dei cromosomi X aumenta anche la gravità del ritardo mentale e delle malformazioni.

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ TECNICHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA La fecondazione in vitro viene usata sempre più frequentemente, p. es., nella patologia tubarica, nell’endometriosi, nell’oligospermia, in presenza di anticorpi anti-sperma e nell’infertilità da cause sconosciute. La metodica prevede l’iperstimolazione ovarica, la raccolta degli oociti, la fecondazione, la coltura dell’embrione e il suo trasferimento. L’iperstimolazione ovarica con il clomifene citrato e le HMG, con le sole HMG o con un agonista dell’GnRH e con le HMG causa la maturazione di 1-20 oociti, in base all’età della paziente e alla riserva ovarica. Dopo aver raggiunto un sufficiente sviluppo dei follicoli, vengono somministrate le hCG per indurre la maturazione follicolare finale. Circa 34 h dopo la somministrazione delle hCG, gli oociti vengono raccolti per puntura diretta del follicolo, di solito per via transvaginale sotto guida ecografica o, meno frequentemente, in laparoscopia. Gli oociti vengono inseminati in vitro con sperma lavato e gli embrioni sono tenuti in coltura per circa 40 h, dopo le quali 34 embrioni vengono trasferiti nella cavità uterina. Altri embrioni possono essere congelati in azoto liquido per essere trasferiti in un ciclo successivo. Nonostante il trasferimento di embrioni multipli, l’incidenza media di gravidanze è di circa il 2025% per tentativo. Il trasferimento di un gamete nelle tube di Falloppio (Gamete Intrafallopian Tube Transfer, GIFT) può essere utilizzato nelle donne che hanno una normale funzione ovarica e un’infertilità inspiegata o un’endometriosi. Come nella fecondazione in vitro vengono raccolti numerosi oociti e lo sperma, ma essi vengono trasferiti, per via laparoscopica o per via vaginale sotto guida ecografica, nella porzione distale delle tube di Falloppio, dove avviene la fecondazione. Le percentuali di successo sono pari al 25-35% nella maggior parte dei centri per l’infertilità. Altre procedure includono una combinazione della fecondazione in vitro e della GIFT, il trasferimento intratubarico degli zigoti, l’uso di oociti da donatrice e il trasferimento di embrioni congelati in una madre delegata. Alcune di queste tecniche sollevano dei problemi morali ed etici, p. es., le disposizioni circa gli embrioni conservati (specialmente nei casi di morte o di divorzio), la maternità legale nella maternità delegata e la riduzione selettiva del numero di embrioni impiantati nelle gravidanze multiple. L’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo è il metodo principale per ottenere una gravidanza quando le altre tecniche non hanno esitato nella fecondazione o quando l’analisi dello sperma identifica delle marcate anormalità. Gli spermatozoi sono iniettati nell’oocita, superando le anomalie che interessano l’adesione o la penetrazione dell’oocita.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE BASSA STATURA DA IPOPITUITARISMO (Nanismo ipofisario) Si intende per nanismo ipofisario una crescita abnormemente lenta e una statura bassa con proporzioni normali dovuta a ipofunzione dell’ipofisi anteriore.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L’altezza è al di sotto del 3o percentile e la velocità di crescita è < 6 cm/anno prima dei 4 anni, < 5 cm/anno dai 4 agli 8 anni e < 4 cm/ anno prima della pubertà. La maturazione scheletrica, stabilita mediante la determinazione dell’età ossea, è in ritardo di più di 2 anni rispetto all’età cronologica. La maggior parte dei bambini con altezza al di sotto del 3o percentile e ritardo dell’età ossea ha livelli normali in circolo di ormone della crescita (GH) e di fattore di crescita simil-insulina I (IGF-I) e non sembra avere un deficit di GH. Per esempio, i bambini e gli adolescenti con una storia familiare evidente di bassa statura possono essere affetti da bassa statura ereditaria o familiare. Quelli che presentano un’anamnesi familiare positiva per pubertà ritardata possono avere un ritardo costituzionale della pubertà; essi deviano tipicamente dalla curva di crescita normale durante la prima infanzia, crescono successivamente con una velocità normale e presentano un picco di accrescimento puberale ritardato. Alcuni bambini particolarmente bassi possono appartenere a entrambi i gruppi. I bambini di entrambi i gruppi mostrano normali risposte secretorie di GH agli stimoli farmacologici e hanno livelli di IGF-I normali per l’età ossea. Essi sono talora descritti come bambini con variante normale di bassa statura o bassa statura non-GH dipendente. Le cause di bassa statura sono elencate nelle Tab. 269-1 e 269-2. Spesso non è possibile individuare una causa specifica. L’ipopituitarismo nei bambini è in genere dovuto a una neoplasia ipofisaria (spesso un craniofaringioma) o è idiopatico. L’associazione di lesioni litiche dell’osso o del cranio a diabete insipido è suggestiva di istiocitosi a cellule di Langerhans (v. il Cap. 137). Il deficit ormonale ipotalamico o ipofisario, così come il deficit isolato di GH, può presentarsi insieme a difetti della linea mediana, come la palatoschisi o la displasia setto-ottica, che si associa all’assenza del setto pellucido, all’atrofia del nervo ottico e a ipopituitarismo. Il deficit di GH, sia da solo che in associazione ad altre anomalie, è raramente ereditario. La radioterapia eseguita sul SNC per varie neoplasie maligne causa un rallentamento della crescita lineare, che può essere spesso collegato al conseguente deficit di GH. L’irradiazione del midollo spinale, sia profilattico che terapeutico, può bloccare ulteriormente la crescita potenziale delle vertebre e compromettere la crescita in altezza.

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Malattie endocrine e metaboliche

Sintomi, segni e diagnosi Nonostante la bassa statura, un bambino affetto da ipopituitarismo mantiene una proporzione normale tra i segmenti superiore e inferiore del corpo ma non riuscirà a iniziare lo sviluppo puberale. Tuttavia, un bambino con deficit isolato di GH può presentare uno sviluppo puberale ritardato. La diagnosi di deficit di GH si basa su rilevazioni fisiche e criteri di laboratorio. Se la riduzione della secrezione di GH è confermata, sarà necessario allora valutare anche quella degli altri ormoni ipofisari. I dati dell’accrescimento in altezza e peso devono essere rappresentati su una curva di crescita (valutazione auxologica) per tutti i bambini. L’età ossea deve essere calcolata da un esame radiologico della mano sinistra (per convenzione). Nel deficit di GH, la maturazione scheletrica presenta di solito un ritardo sovrapponibile a quello dell’altezza; la sella turcica è abnormemente piccola nel 10-20% dei pazienti. È indicata la valutazione dell’ipofisi e della sella con la TC o la RMN per escludere la presenza di calcificazioni o di una neoplasia. Si deve dosare l’IGF-I, precedentemente chiamato somatomedina C, per evidenziare un deficit di GH. Tuttavia, i livelli di IGF-I aumentano in modo significativo dall’infanzia alla pubertà, così che nei lattanti e nei bambini più piccoli la concentrazione di IGF-I è normalmente bassa e non consente una discriminazione affidabile tra il normale e l’anormale. Nelle bambino più grande, i livelli normali di IGF-I aiutano a escludere il deficit di GH. Le concentrazioni di IGF-I sono basse in condizioni differenti dal deficit di GH, così come la deprivazione psico-affettiva, la malnutrizione e l’ipotiroidismo. Si può anche determinare il livello circolante della proteina legante l’IGF di tipo 3 (IGFBP-3), che è il veicolo principale dei peptidi IGF. L’IGFBP-3 dipende dall’età e dal GH ma è meno correlata allo stato nutrizionale rispetto all’IGF-I e aiuta nella diagnosi del deficit di GH. La diagnosi del deficit di GH è in genere confermata dalla determinazione della risposta del GH a stimoli farmacologici, come l’arginina, la levodopa o la clonidina, in quei bambini che hanno bassi livelli di IGF-I e IGFBP-3. Il test di provocazione è necessario, perché i livelli basali normali di GH, a eccezione del periodo che segue l’addormentamento, sono generalmente bassi o non dosabili e quindi non utili per indicare un deficit ormonale. Comunque, il test di provocazione non è fisiologico, è soggetto all’errore di laboratorio ed è scarsamente riproducibile e l’interpretazione dei dati si basa su definizioni arbitrarie di "normale" che variano per età e sesso.

Terapia Il GH sintetico, ottenuto mediante la tecnica del DNA ricombinante, è indicato per tutti i bambini con bassa statura in cui è stato evidenziato un deficit di GH. Il dosaggio generalmente va da 0,03 a 0,05 mg/kg/die SC. Con la terapia, la velocità di crescita in altezza spesso aumenta a 10-12 cm/ anno durante il primo anno e, anche se successivamente l’incremento è più lento, si mantiene al di sopra dei valori pre-trattamento. La terapia viene continuata fino a che non si raggiunge un’altezza accettabile o la velocità di crescita non scende al di sotto di 2,5 cm/anno. Gli effetti collaterali della terapia con GH sono pochi, ma comprendono pseudotumor cerebri (ipertensione endocranica idiopatica), epifisiolisi femorale e lieve edema periferico transitorio. È controverso se i bambini bassi con i segni clinici di deficit di GH ma con normale secrezione ormonale e livelli normali di IGF-I devono essere trattati con GH. Molti specialisti raccomandano in questi bambini un tentativo di terapia con GH per 6-12 mesi, continuando solo se si verifica un raddoppiamento della velocità di crescita in altezza o un incremento di 3 cm/anno in più rispetto al valore pre-trattamento. Altri rifiutano questo approccio perché è costoso, è sperimentale, medicalizza un bambino altrimenti sano e fa nascere file:///F|/sito/merck/sez19/2692546.html (2 of 3)02/09/2004 2.38.19

Malattie endocrine e metaboliche

preoccupazioni morali e psicosociali che alimentano il pregiudizio dell’"importanza dell’altezza" Nei pazienti bassi per nanismo ipofisario il cortisolo e l’ormone tiroideo devono essere forniti per tutta l’infanzia e l’adolescenza, quando i livelli in circolo di questi ormoni sono ridotti (v. i Cap. 7 e 8). È importante garantire un attento monitoraggio e l’adeguamento della supplementazione ormonale. Quando la pubertà non compare come di norma, è indicato il trattamento con steroidi sessuali gonadici. La terapia con GH nei bambini con bassa statura da irradiazione terapeutica dell’ipofisi per neoplasia comporta un rischio teorico di recidiva neoplastica. Gli studi non hanno mostrato un’incidenza di nuovi tumori maggiore di quella attesa o un tasso di ricorrenza più elevato. L’opinione corrente è che la terapia sostitutiva con GH possa essere iniziata con sicurezza almeno 1 anno dopo che la terapia antitumorale sia terminata con successo.

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Asse ipotalamo-ipofisario

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 6. ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO FUNZIONE DELL'IPOFISI ANTERIORE Le cellule del lobo anteriore (che costituisce l'80% in peso dell'ipofisi e origina da una estroflessione dell'ectoderma della cavità orale) sintetizzano e rilasciano diversi ormoni proteici necessari per l'accrescimento e lo sviluppo normali e stimolano inoltre l'attività di diverse ghiandole bersaglio. L'ormone adrenocorticotropo (ACTH), conosciuto anche come corticotropina, è un polipeptide a catena singola costituito da 39 aminoacidi. L'attività biologica risiede nei 20 aminoacidi N-terminali. Il CRH è il fattore principale che stimola il rilascio di ACTH e l'ACTH stimola a sua volta la corticale del surrene a secernere cortisolo e diversi androgeni deboli. Il cortisolo e altri corticosteroidi circolanti nel plasma (compresi gli steroidi somministrati a scopo terapeutico) esercitano un feedback negativo sulla secrezione di CRH e ACTH. L'asse CRH-ACTH-cortisolo è fondamentale nella risposta allo stress. In assenza di ACTH, la corteccia surrenale si atrofizza e la secrezione di cortisolo cade praticamente a zero. Diversi ormoni peptidici vengono sintetizzati a partire da un precursore comune, la pro-opiomelanocortina (POMC), dalla quale originano l'ACTH, la blipotropina (b-LPH), l'ormone melanocito-stimolante (Melanocyte-Stimulating Hormone, MSH) a e b, le encefaline e le endorfine. La POMC è presente nel lobo anteriore e nelle cellule derivate dal lobo intermedio dell'ipofisi, oltre che nell'ipotalamo, ma gli ormoni attivi che si formano a partire dalla POMC sono differenti in ciascuna sede in cui essa è presente, in relazione a differenze nell'elaborazione enzimatica. Quindi, l'ACTH e la b-LPH (con una piccola quota di elaborazione aggiuntiva per la formazione di a-LPH e b-endorfina) sono gli ormoni prevalenti sintetizzati nel lobo anteriore. Quasi tutta la b-LPH viene scissa per formare a-LPH e b-endorfina e l'ACTH viene scisso per formare peptide corticotropino-simile del lobo intermedio (corrispondente alla sequenza aminoacidica 18-39 dell'ACTH) e a-MSH (corrispondente alla sequenza aminoacidica 1-13 dell'ACTH) nelle cellule derivate dal lobo intermedio. Inoltre, la sintesi della POMC da parte delle cellule del lobo intermedio sembra essere regolata principalmente dalla dopamina e dalla serotonina, mentre il CRH è l'agente regolatore fondamentale nel lobo anteriore. La POMC e l'MSH possono determinare iperpigmentazione della cute e acquistano importanza clinica esclusivamente nelle patologie in cui i livelli di ACTH sono marcatamente elevati (cioè nel morbo di Addison e nella sindrome di Nelson). Le encefaline e le endorfine sono considerate oppioidi endogeni e si legano ai recettori per gli oppioidi in tutto il SNC, attivandoli. Gli ormoni glicoproteici ipofisari (cioè l'ormone tireo-stimolante [TSH], l'ormone luteinizzante [LH] e l'ormone follicolo-stimolante [FSH]) e l'ormone placentare gonadotropina corionica umana sono formati ciascuno da una subunità a e una subunità b. Le subunità a di tutti questi ormoni sono identiche, mentre le sequenze delle subunità b sono differenti. Il TSH regola la struttura e la funzione della tiroide e stimola la sintesi e il rilascio degli ormoni tiroidei. La sintesi e la secrezione del TSH sono controllate dall'azione stimolatoria del TRH ipotalamico e dall'azione di feedback negativo svolta dagli ormoni tiroidei circolanti periferici. La sintesi e la secrezione dell'LH e dell'FSH sono stimolate da un unico neurormone ipotalamico, il GnRH (o LHRH), e possono essere soppresse dagli estrogeni. Nella donna, l'LH e l'FSH sono necessari per stimolare lo sviluppo follicolare ovarico e l'ovulazione, come viene descritto nel Cap. 234. Nell'uomo, l'FSH agisce sulle cellule di Sertoli ed è essenziale per la spermatogenesi, mentre l'LH agisce sulle cellule di Leydig del testicolo per stimolare la biosintesi del testosterone. Questi effetti sono descritti nel Cap. 269. file:///F|/sito/merck/sez02/0060071.html (1 of 2)02/09/2004 2.39.26

Asse ipotalamo-ipofisario

L'ormone della crescita umano (GH) è un polipeptide a catena singola strutturalmente simile all'ormone placentare somatomammotropina corionica umana, chiamata anche lattogeno placentare umano, e in misura minore alla prolattina. Il GHRH è il principale stimolatore della sintesi e della secrezione del GH e la somatostatina ne è il principale inibitore. Le azioni fondamentali del GH sono la stimolazione dell'accrescimento somatico e la regolazione del metabolismo. L'accrescimento è mediato in larga misura dalla somatomedina C (denominata anche fattore di crescita insulino-simile I [Insulin-like Growth Factor I, IGF-I]), la cui sintesi è controllata dal GH. Nonostante l'IGF-I sia presente in molti tessuti, il fegato è una delle fonti principali dell'ormone. Gli effetti metabolici del GH sono bifasici. Esso esercita inizialmente effetti insulino-simili, aumentando la captazione del glucoso nei muscoli e nel tessuto adiposo, stimolando la captazione degli aminoacidi e la sintesi proteica nel fegato e nei muscoli e inibendo la lipolisi nel tessuto adiposo. Diverse ore dopo la somministrazione del GH questi effetti scompaiono e si manifestano gli effetti metabolici più profondi dell'ormone. Questi effetti più tardivi, che persistono in presenza di un innalzamento prolungato del GH plasmatico, sono anti-insulino simili. La captazione e l'utilizzazione del glucoso vengono inibite, causando un aumento della glicemia e della lipolisi e conseguentemente degli acidi grassi liberi plasmatici. Il GH, i cui livelli aumentano durante il digiuno, è importante nell'adattamento dell'organismo alla mancanza di cibo. Insieme con il cortisolo, l'adrenalina e il glucagone, il GH mantiene il livello di glucoso ematico necessario per l'utilizzazione da parte del SNC e mobilizza i grassi come combustibile metabolico alternativo. I livelli di ormone della crescita diminuiscono con l'età e possono rendere conto in qualche misura della perdita di massa e di forza muscolare che si verifica con l'invecchiamento (sarcopenia). Le cellule lattotrope secernenti prolattina costituiscono circa il 30% delle cellule dell'ipofisi anteriore. L'ipofisi raddoppia di dimensioni durante la gravidanza, in gran parte a causa dell'iperplasia e dell'ipertrofia di queste cellule. Nel genere umano la funzione principale della prolattina è la regolazione della produzione di latte, ma l'ormone viene rilasciato anche in risposta allo stress e all'attività sessuale. Sebbene la prolattina abbia molti altri effetti in specie diverse, non è chiaro se abbia qualche altra azione fisiologica significativa nell'uomo. La prolattina è l'ormone che più frequentemente viene prodotto in eccesso dai tumori ipofisari.

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Asse ipotalamo-ipofisario

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 6. ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO FUNZIONE DELL'IPOFISI POSTERIORE L'ipofisi posteriore secerne l'ormone antidiuretico (ADH, vasopressina) e l'ossitocina. Entrambi gli ormoni sono peptidi costituiti da nove aminoacidi e vengono sintetizzati in cellule distinte localizzate nel nucleo sopraottico e in quello paraventricolare dell'ipotalamo. Ciascun ormone peptidico viene sintetizzato come parte di un precursore proteico di maggiori dimensioni e rimane legato a una porzione del precursore denominata neurofisina, insieme alla quale viene trasportato lungo gli assoni e depositato in granuli secretori a livello delle terminazioni nervose dell'ipofisi posteriore. L'ADH e l'ossitocina vengono secreti in risposta a impulsi neuronali, si dissociano rapidamente dalle loro neurofisine e vengono prontamente rimossi dalla circolazione, con emivita di circa 10 min. Le neurofisine non esercitano alcun effetto fisiologico conosciuto. L'ADH e l'ossitocina vengono sintetizzati attraverso la formazione di precursori proteici codificati da geni in singola copia localizzati in posizione contigua sul cromosoma 20. Il proormone per l'ADH, noto come propressofisina o vasopressina neurofisina II, è costituito da quattro porzioni distinte: un peptide di segnale all'estremità amino-terminale, la vasopressina, la sua neurofisina associata e un peptide glicosilato conosciuto come copeptina all'estremità carbossi-terminale. Il proormone per l'ossitocina è simile, ma manca della porzione copeptinica e termina con un singolo residuo di istidina. Con tutta probabilità i proormoni vengono scissi da enzimi proteolitici all'interno dei granuli neurosecretori per dare origine all'ormone attivo e alla rispettiva neurofisina. L'azione principale dell'ADH è quella di promuovere la ritenzione idrica da parte del rene. Ad alte concentrazioni esso determina anche vasocostrizione. Come l'aldosterone, l'ADH svolge un ruolo importante nel mantenimento dell'omeostasi dei liquidi e del contenuto idrico vascolare e cellulare. Lo stimolo principale per il rilascio di ADH è l'aumento della pressione osmotica dei liquidi corporei, rilevata da osmocettori situati nell'ipotalamo. La deplezione di volume, rilevata da barocettori situati nell'atrio sinistro, nelle vene polmonari, nel seno carotideo e nell'arco aortico, è il secondo maggior stimolo per la secrezione dell'ormone; i segnali di deplezione di volume vengono trasmessi al SNC attraverso il nervo vago e il glossofaringeo. Altri stimoli per il rilascio di ADH sono il dolore, lo stress, l'emesi, l'ipossia, l'esercizio fisico, l'ipoglicemia, gli agonisti colinergici, i bbloccanti, l'angiotensina e le prostaglandine. Tra gli inibitori della secrezione di ADH vi sono l'alcol, gli a-bloccanti e i glucocorticoidi. Il diabete insipido è la conseguenza di una carenza di ADH (diabete insipido centrale) o di un'incapacità del rene a rispondere normalmente all'ADH (diabete insipido nefrogenico). Questi disordini sono trattati in maggior dettaglio nei Cap. 7 e 229. L'ipofisectomia (rimozione della ghiandola pituitaria) generalmente non dà luogo a un diabete insipido permanente, perché un gran numero di neuroni contenenti ADH termina nell'eminenza mediana dell'ipotalamo e continua a funzionare. Per evitare l'insorgenza del diabete insipido è sufficiente la sola presenza di un piccolo numero di neuroni funzionanti contenenti vasopressina. I due principali organi bersaglio dell'ossitocina sono le cellule mioepiteliali della mammella, che circondano gli alveoli della ghiandola mammaria, e le cellule muscolari lisce dell'utero. In risposta al rilascio di ossitocina stimolato dalla suzione, le cellule mioepiteliali della ghiandola mammaria si contraggono e il latte passa dagli alveoli agli ampi seni lattiferi per essere poi espulso all'esterno (riflesso dell'emissione lattea delle madri che allattano). L'ossitocina stimola la contrazione delle cellule muscolari lisce dell'utero e la sensibilità dell'utero file:///F|/sito/merck/sez02/0060072.html (1 of 2)02/09/2004 2.39.26

Asse ipotalamo-ipofisario

all'ormone aumenta con il procedere della gravidanza, ma le sue concentrazioni plasmatiche non aumentano decisamente durante il parto; il ruolo dell'ossitocina nell'avvio del travaglio non è chiaro. Non è stato identificato alcuno stimolo per la secrezione di ossitocina nel maschio.

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Malattie dell'ipofisi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 7. MALATTIE DELL'IPOFISI La struttura e la funzione dell'ipofisi e le relazioni tra ipotalamo e ipofisi sono descritte nel Cap. 6. I pazienti con disordini ipotalamo-ipofisari si presentano con combinazioni variabili di (1) sintomi o segni di una lesione occupante spazio (p. es., cefalea, difetti del campo visivo) o (2) ipersecrezione o iposecrezione di uno o più ormoni ipofisari. Possono risultare alterate anche altre funzioni ipotalamiche. I sintomi di ipo- o di ipersecrezione ipofisaria sono i disturbi più comuni nei pazienti che si presentano con neoplasie ipofisarie o ipotalamiche, ma i sintomi possono riconoscere altre cause. La presenza di una massa ipotalamica o ipofisaria deve essere sospettata anche nel caso in cui la sella turcica appaia allargata alla rx del cranio o se i sintomi e i segni neurologici suggeriscono la presenza di una compressione del chiasma ottico (in particolare l'emianopsia bilaterale). L'allargamento della sella può essere indicativo della sindrome della sella vuota, se non sono presenti disturbi endocrini o visivi. La diagnosi può essere confermata dalla TC o dalla RMN. La funzione ipofisaria nei pazienti con sindrome della sella vuota è spesso normale, ma può essere presente un ipopituitarismo. Il paziente tipico affetto da questa sindrome è una donna (più dell'80% dei casi), obesa (circa 75%) e ipertesa (30%), e può avere un'ipertensione endocranica benigna (10%) e una rinoliquorrea (10%). Possono essere presenti cefalea e difetti del campo visivo. Occasionalmente, i pazienti presentano piccoli tumori ipofisari concomitanti che secernono ormone della crescita, prolattina o ACTH. Per la sindrome della sella vuota non è necessaria alcuna terapia specifica.

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Malattie dell'ipofisi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 7. MALATTIE DELL'IPOFISI MALATTIE DELL'IPOFISI ANTERIORE IPOSECREZIONE DEGLI ORMONI DELL'IPOFISI ANTERIORE

Sommario: Introduzione Ipopituitarismo generalizzato nell'adulto Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia Deficit selettivi degli ormoni ipofisari

L'iposecrezione può essere generalizzata (ipopituitarismo) o causata dal deficit selettivo di uno o più ormoni ipofisari. L'ipopituitarismo nei bambini [nanismo ipofisario] è trattato nel Cap. 269.

Ipopituitarismo generalizzato nell'adulto Sindromi da deficit endocrino dovute alla perdita parziale o completa della funzione del lobo anteriore dell'ipofisi. Le cause più frequenti di ipopituitarismo sono elencate nella Tab. 7-1. Si noti che la riduzione della secrezione di ormone luteinizzante (LH) e di ormone follicolostimolante (FSH) può essere provocata da un'eccessiva secrezione di prolattina e portare a ipogonadismo secondario.

Sintomi e segni I sintomi e i segni dell'ipopituitarismo sono legati alla causa sottostante e agli specifici ormoni ipofisari interessati dal deficit. L'esordio è di solito insidioso e il paziente può non ravvisarne l'anormalità, ma occasionalmente questo può essere improvviso o drammatico. Viene spesso affermato che le gonadotropine si riducono solitamente per prime, seguite dall'ormone della crescita (GH) e infine dall'ormone tireo-stimolante (TSH) e dall'ACTH, ma non è chiaro se questa sequenza sia reale. Il deficit di ADH è raro nelle malattie ipofisarie primitive, ma è comune nelle lesioni del peduncolo e in quelle ipotalamiche. Quando tutti gli ormoni sono carenti si assiste a una riduzione della funzione di tutte le ghiandole bersaglio (panipopituitarismo). La carenza di LH e di FSH nella donna provoca amenorrea, regressione dei caratteri sessuali secondari e infertilità. La sintomatologia nelle donne sterilizzate o in post-menopausa è quella tipica della loro condizione di agonadismo. La carenza di gonadotropine nell'uomo porta a impotenza, atrofia testicolare, regressione dei caratteri sessuali secondari e riduzione della spermatogenesi con conseguente infertilità. Il deficit di GH in genere non è clinicamente identificabile negli adulti. Il deficit di TSH porta a file:///F|/sito/merck/sez02/0070074.html (1 of 6)02/09/2004 2.39.28

Malattie dell'ipofisi

ipotiroidismo e il deficit di ACTH provoca ipocorticosurrenalismo con conseguente astenia, ipotensione e ridotta resistenza agli stress e alle infezioni. Le persone affette da deficit di ACTH non hanno l'iperpigmentazione caratteristica dell'insufficienza corticosurrenalica primitiva. Nella sindrome di Sheehan, che colpisce le donne, la lattazione può non avvenire dopo il parto in conseguenza della necrosi ipofisaria dovuta all'ipovolemia e allo shock verificatisi nell'immediato periodo peripartum. La paziente può accusare astenia e perdere i peli pubici e ascellari. I deficit selettivi (isolati) degli ormoni ipofisari (v. oltre) vengono generalmente identificati nei bambini o negli adolescenti con accrescimento insufficiente o pubertà ritardata. L'apoplessia ipofisaria è un complesso sintomatologico causato dall'infarto emorragico di una ghiandola altrimenti normale o, più comunemente, di un tumore. La sintomatologia acuta può comprendere cefalea intensa, rigidità nucale, febbre e disturbi visivi. Gradi variabili di ipopituitarismo possono svilupparsi improvvisamente e il paziente può presentarsi in condizioni di collasso circolatorio a causa di un deficit della secrezione di ACTH e cortisolo. Spesso il LCR appare emorragico e una RMN documenterà la presenza dell'emorragia.

Diagnosi La diagnosi di ipopituitarismo deve essere stabilita con certezza prima di impegnare il paziente in una terapia ormonale sostitutiva che va proseguita per tutta la vita. Deve essere ricercata la presenza di anomalie strutturali ipofisarie e di deficit ormonali. La rx del cranio per lo studio della sella turcica e l'esame del campo visivo dimostreranno la presenza di tumori. La TC ad alta risoluzione o la RMN con mezzo di contrasto, quando necessario, sono le procedure di scelta nella diagnosi degli adenomi ipofisari. La politomografia della sella turcica può essere utilizzata qualora non sia disponibile la TC ad alta risoluzione. La tomografia a emissione di positroni è uno strumento di ricerca utilizzato in alcuni centri specializzati. L'angiografia cerebrale è indicata esclusivamente quando altre tecniche di immagine suggeriscono la possibilità di anomalie vascolari o di aneurismi perisellari. Una semplice rx laterale della sella turcica rimane una procedura di screening ragionevole per i macroadenomi ipofisari con diametro > 10 mm qualora non siano disponibili le più recenti apparecchiature neuroradiologiche. Quando si sospetta un panipopituitarismo, la valutazione iniziale deve essere rivolta all'identificazione dei deficit di TSH e di ACTH, dal momento che entrambe le condizioni sono potenzialmente letali. Valutazione della funzione tiroidea: i livelli di tiroxina (T4), triiodotironina (T3) e TSH possono essere determinati con metodi radioimmunologici. Tutti questi livelli devono risultare bassi, poiché livelli di TSH elevati indicano un'anomalia primitiva della tiroide (v. Cap. 8). La somministrazione EV di 200-500 mg di TRH sintetico in 15-30 s può essere di aiuto per differenziare i pazienti con disfunzione ipotalamica da quelli con disfunzione ipofisaria primitiva. Il picco del TSH in risposta al TRH si osserva generalmente 30 min dopo l'iniezione. Nei pazienti con patologie ipotalamiche può verificarsi un ritardo dell'aumento dei livelli plasmatici di TSH. Sfortunatamente, anche alcuni pazienti con patologie primitive ipofisarie presentano questo tipo di risposta anomala del TSH. Altri pazienti con patologie ipofisarie possono non presentare alcun aumento dei livelli di TSH in risposta al TRH. Valutazione della secrezione di ACTH: alcuni pazienti con ipocorticosurrenalismo hanno livelli sierici basali di cortisolo compresi nel range di normalità ma possiedono una ridotta riserva ipofisaria, con risposte subnormali a uno o più test di stimolazione dell'asse ACTH-surreni. Il metodo più affidabile per la valutazione della riserva di ACTH (come anche di quella di GH e di prolattina) è il test di tolleranza all'insulina. Si somministra insulina regolare EV alla dose di 0,1 U/ kg di peso corporeo in 15-30 s e si prelevano campioni di sangue venoso per determinare i livelli di GH, cortisolo e glucoso al tempo zero (prima della somministrazione di insulina) e 20, 30, 45, 60 e 90 min più tardi. Se i

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Malattie dell'ipofisi

risultati non mostrano una caduta dei livelli di glucoso sierico pari ad almeno il 50%, fino a valori < 40 mg/dl (< 2,22 mmol/l), il test deve essere ripetuto. (Attenzione: questo test è rischioso nei pazienti con panipopituitarismo grave documentato o diabete mellito e nei pazienti anziani ed è controindicato in presenza di cardiopatia ischemica o epilessia. Durante l'esecuzione del test deve essere presente un assistente medico.) Generalmente si osservano solo sudorazione, tachicardia e irritabilità transitorie. Se il paziente lamenta palpitazioni, perde coscienza o ha una crisi comiziale, il test deve essere interrotto immediatamente somministrando soluzione glucosata al 50% EV. Un test di tolleranza all'insulina da solo non permette di distinguere l'insufficienza corticosurrenalica primitiva (morbo di Addison) da quella secondaria (ipopituitaria). I test per distinguere queste condizioni e per valutare la funzione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene sono descritti alla voce Esami di laboratorio del paragrafo Morbo di Addison nel Cap. 9. Valutazione dei livelli di prolattina: i livelli di prolattina non sono invariabilmente ridotti nei pazienti con panipopituitarismo. Infatti, si possono avere livelli elevati nelle malattie ipotalamiche, che liberano le cellule lattotrope ipofisarie dagli effetti inibitori della dopamina. L'iperprolattinemia che ne deriva è spesso associata a diminuzione delle gonadotropine e ipogonadismo secondario. Valutazione dei livelli di GH: negli adulti l'esecuzione di routine di esami di screening per il deficit di GH non è raccomandata, perché il deficit non viene abitualmente trattato neanche quando è stato individuato, a meno che non sia presente una bassa statura e non si sia ancora verificata la saldatura delle cartilagini epifisarie. Negli adulti, la presenza di livelli normali del fattore di crescita insulino-simile I (IGF-I) suggerisce che il deficit di GH non sussiste; tuttavia, valori bassi non dimostrano il contrario. I dosaggi del GH sono generalmente utili nei bambini, ma solo se eseguiti dopo uno dei diversi stimoli provocativi. Dal momento che le risposte del GH sono generalmente alterate nei pazienti con ridotta funzione tiroidea o surrenalica, i test provocativi devono essere eseguiti solo dopo aver istituito una terapia ormonale sostitutiva adeguata. Il test di tolleranza all'insulina può essere lo stimolo più efficace per il rilascio di GH. Meno pericolosi, ma anche meno attendibili, sono i test di rilascio del GH con infusione di arginina (500 mg/kg EV in 30 min), con somministrazione orale di levodopa (500 mg negli adulti; 10 mg/ kg nei bambini), con il sonno o con 20 min di esercizio fisico intenso. La clonidina (4 mg/kg PO) è un altro potente stimolatore della secrezione di GH e rappresenta una promettente alternativa al test all'insulina. Gli effetti collaterali sono costituiti soltanto da sonnolenza e da una riduzione minima della PA. Generalmente, livelli di GH > 10 ng/ml o un incremento > 5 ng/ml dopo un test di stimolo sono sufficienti per escludere un deficit di GH. Gli aumenti del GH < 5 ng/ml o fino a livelli < 10 ng/ml sono di difficile interpretazione. Stabilire quali valori costituiscano una risposta normale è arbitrario e tutti i test di provocazione della secrezione di GH forniscono occasionalmente risultati ingannevoli. Poiché nessun singolo test è efficace al 100% nella stimolazione del rilascio di GH, in assenza di una risposta del GH bisogna eseguire almeno due test differenti. Generalmente i livelli di GH raggiungono il picco da 30 a 90 min dopo la somministrazione di insulina e l'inizio dell'infusione di arginina, da 30 a 120 min dopo la somministrazione di levodopa, da 60 a 120 min dopo l'inizio del sonno e la somministrazione di clonidina e dopo 20 min di esercizio fisico intenso. La validità del GHRH esogeno per la valutazione della secrezione di GH non è stata stabilita. Nei soggetti normali, una dose di 1 mg/kg di GHRH somministrata EV in 15-30 s evoca una secrezione di GH massimale ma variabile, che solitamente raggiunge un picco circa 60 min dopo l'iniezione dell'ormone di rilascio. Questa variabilità della capacità ipofisaria di risposta al GHRH è coerente con l'ipotesi che la secrezione intermittente di somatostatina da parte dell'ipotalamo sia responsabile della modulazione della secrezione ipofisaria di GH. È presumibile che incrementi del GH ridotti o assenti in risposta al GHRH consentano di identificare i soggetti con deficit di GH, ma non è chiaro se il pattern della risposta possa permettere di distinguere una patologia ipotalamica primitiva da una patologia ipofisaria. Nei bambini con deficit di GH, probabilmente file:///F|/sito/merck/sez02/0070074.html (3 of 6)02/09/2004 2.39.28

Malattie dell'ipofisi

secondario a deficit di GHRH, sono state segnalate risposte del GH all'ormone di rilascio notevolmente variabili. Si noti che i test provocativi possono non essere in grado di rivelare difetti più fini della regolazione del rilascio di GH. Per esempio, nei bambini con bassa statura secondaria a disfunzioni secretorie del GH, i test provocativi per il rilascio di GH sono di solito normali. Tuttavia, le determinazioni seriate dei livelli di GH nell'arco di 12 o 24 h dimostrano che questi bambini hanno una secrezione complessiva di GH abnormemente bassa in questi lassi di tempo. Valutazione dei livelli di LH e FSH: la determinazione dei livelli di questi ormoni in condizioni basali è utile soprattutto nella valutazione dell'ipopituitarismo nelle donne in periodo postmenopausale che non assumono estrogeni esogeni, nelle quali le concentrazioni di gonadotropine circolanti sono normalmente alte (> 30 mUI/ml). La misurazione dei livelli basali di LH e FSH è meno utile in altri pazienti. Nonostante nel panipopituitarismo i livelli di gonadotropine siano bassi, esiste una sovrapposizione con i valori normali dei due ormoni. Entrambi devono aumentare in risposta al GnRH sintetico alla dose di 100 mg EV, con il picco dell'LH circa 30 min dopo la somministrazione del GnRH e quello dell'FSH circa 40 min dopo. Tuttavia, nelle disfunzioni ipotalamo-ipofisarie si può osservare una risposta al GnRH normale, ridotta o assente. Il normale aumento dell'LH e dell'FSH in risposta al GnRH è piuttosto variabile. La somministrazione di GnRH esogeno non si è dimostrata di alcuna utilità per la distinzione tra disordini primitivi ipotalamici e disordini primitivi ipofisari. Valutazione simultanea di più ormoni: la valutazione simultanea della riserva ipofisaria per diversi ormoni costituisce il metodo più efficace per valutare la funzione della ghiandola. Si possono somministrare insieme EV in 15-30 s insulina (insulina regolare 0,1 U/kg), TRH (200 mg) e GnRH (100 mg). Per i successivi 180 min vengono misurati a intervalli frequenti il glucoso, il cortisolo, il GH, il TSH, la prolattina, l'LH, l'FSH e l'ACTH. In alternativa, può essere somministrata insulina da sola seguita dalla somministrazione contemporanea di TRH e di GnRH 120 min più tardi. È stato suggerito che il GHRH (1 mg/kg) e il CRH (1 mg/kg) possono essere somministrati EV insieme con il TRH e il GnRH e che l'insulina non è più necessaria come componente di un test combinato di funzionalità anteroipofisaria. L'utilità di questi ormoni di rilascio nello studio della funzione ipofisaria rimane ancora da stabilire; in ogni caso, le risposte normali sono uguali a quelle esposte in precedenza.

Diagnosi differenziale Il panipopituitarismo deve essere differenziato anche da molti altri disordini, tra i quali l'anoressia nervosa, le epatopatie croniche, la miotonia distrofica e la malattia autoimmune polighiandolare. Le caratteristiche cliniche dell'anoressia nervosa (che generalmente si manifesta nelle donne) di solito sono diagnostiche. Esse comprendono la cachessia, l'alterazione dei concetti di cibo e di immagine corporea e la conservazione dei caratteri sessuali secondari nonostante l'amenorrea. I livelli basali di GH e di cortisolo sono generalmente aumentati. Poiché le lesioni ipotalamiche possono danneggiare i centri che controllano l'appetito, nei pazienti con sospetta anoressia nervosa è opportuna una valutazione radiologica della sella turcica (v. anche Anoressia nervosa nel Cap. 196). Un ipopituitarismo viene spesso sospettato nei soggetti di sesso maschile con epatopatia alcolica o con emocromatosi quando all'atrofia testicolare si associa astenia generalizzata. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, con le indagini di laboratorio è possibile identificare la malattia primitiva sottostante ed escludere l'ipopituitarismo. In queste patologie è raro trovare i segni morfologici di un'estesa disfunzione ipofisaria all'esame autoptico. Le persone affette da miotonia distrofica lamentano astenia muscolare progressiva, sviluppano precocemente calvizie e cataratta e hanno tratti del volto che fanno pensare a un invecchiamento accelerato; gli uomini possono

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Malattie dell'ipofisi

sviluppare atrofia testicolare. L'ipopituitarismo viene escluso valutando la funzione endocrina. Nella malattia autoimmune polighiandolare sono frequenti i deficit ormonali a carico di due o più ghiandole endocrine. Se esse sono ghiandole sottoposte al controllo da parte dell'ipofisi, viene spesso presa in considerazione una causa ipofisaria. Le determinazioni degli ormoni relativi dimostreranno che la funzione pituitaria è normale, a meno che un'ipofisite linfocitaria non faccia parte del quadro della sindrome (v. anche Cap. 11).

Terapia La terapia è volta alla sostituzione degli ormoni delle ghiandole bersaglio ipofunzionanti, come viene esposto nei relativi capitoli di questa sezione e in altre parti del Manuale. Il deficit di GH negli adulti non necessita di terapia. Quando l'ipopituitarismo è dovuto a un tumore ipofisario, il trattamento specifico deve essere rivolto sia al tumore sia alla terapia ormonale sostitutiva. Sul trattamento più adeguato per tali neoplasie non c'è uniformità di vedute. Se il tumore è piccolo e non secerne prolattina, i più preferiscono la rimozione transsfenoidale della neoplasia. La maggior parte degli endocrinologi considera la bromocriptina il trattamento iniziale di scelta dei prolattinomi, indipendentemente dalle loro dimensioni (v. Galattorrea, oltre). Vi sono alcune prove che i soggetti con macroadenomi > 2 cm che hanno livelli circolanti di prolattina estremamente elevati richiedano il trattamento chirurgico o la terapia radiante in aggiunta alla bromocriptina. Può essere utilizzata anche l'irradiazione ad alto voltaggio dell'ipofisi. In presenza di tumori più grandi e di estensione soprasellare, la resezione totale della neoplasia può non essere attuabile, né per via transsfenoidale né trans-frontale, e può essere giustificata l'irradiazione aggiuntiva ad alto voltaggio. Sia il trattamento chirurgico sia l'irradiazione possono essere seguiti dalla perdita di altre funzioni ormonali ipofisarie. I pazienti irradiati possono perdere la funzione endocrina lentamente, nel corso di anni, e sviluppare problemi visivi legati alla fibrosi del chiasma ottico. Di conseguenza, lo stato ormonale post-trattamento deve essere valutato a intervalli ravvicinati, preferibilmente a 3 e a 6 mesi e poi una volta l'anno. Quanto questa valutazione debba essere completa è un problema ancora in discussione, ma devono esservi compresi lo studio della funzione tiroidea e surrenalica, la valutazione radiologica della sella turcica e un esame del campo visivo. Nell'apoplessia ipofisaria, è giustificato il trattamento chirurgico immediato se compaiono improvvisamente disturbi del campo visivo o paralisi dell'oculomotore, oppure se la sonnolenza progredisce verso il coma a causa di fenomeni compressivi sull'ipotalamo. Sebbene in alcuni casi il trattamento medico con corticosteroidi ad alte dosi e la terapia di supporto generale possano essere sufficienti, di regola va eseguita prontamente la decompressione trans-sfenoidale del tumore, che risulta spesso emorragico.

Deficit selettivi degli ormoni ipofisari I deficit selettivi degli ormoni ipofisari possono rappresentare uno stadio precoce nello sviluppo di un ipopituitarismo più generalizzato. Nei pazienti vanno ricercate le manifestazioni del deficit di altri ormoni ipofisari e la sella turcica va controllata radiograficamente a intervalli regolari per cogliere i segni di un tumore ipofisario. Il deficit isolato di GH è responsabile di molti casi di nanismo ipofisario (v. Cap. 269). Sebbene una forma autosomica dominante di deficit completo di GH sia associata a una delezione a carico del gene strutturale per il GH, questo tipo di difetti genici sembra essere responsabile di una minoranza dei casi. Il normale declino del GH legato all'invecchiamento ha un ruolo nella sarcopenia.

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Malattie dell'ipofisi

Il deficit isolato di gonadotropine colpisce sia gli uomini sia le donne e deve essere distinto dall'ipogonadismo primitivo. È generalmente presente un habitus eunucoide. I pazienti con ipogonadismo primitivo hanno livelli elevati di LH e di FSH, mentre quelli con deficit di gonadotropine hanno livelli bassi o indosabili. Sebbene nella maggior parte dei casi di ipogonadismo ipogonadotropo sia coinvolto un deficit sia di LH sia di FSH, in rari casi è compromessa la secrezione di una sola gonadotropina. Il deficit isolato di gonadotropine deve essere distinto anche dall'amenorrea ipogonadotropa secondaria all'attività fisica, alla dieta o agli stress psicologici. Sebbene l'anamnesi possa essere d'aiuto, in alcuni casi la diagnosi differenziale può essere impossibile. Nella sindrome di Kallmann la carenza specifica di GnRH è spesso associata a difetti della linea mediana del volto, che comprendono anosmia, cecità per i colori, labioschisi o palatoschisi (v. Ipogonadismo maschile nel Cap. 269). L'eziologia della sindrome di Kallmann è stata ormai stabilita. Studi embriologici hanno mostrato che i neuroni producenti GnRH si sviluppano in origine a livello dell'epitelio del placode olfattorio e migrano precocemente durante lo sviluppo nella regione settale-preottica dell'ipotalamo. Almeno in alcuni casi, a carico delle proteine di adesione che facilitano questa migrazione neuronale sono stati identificati difetti genici localizzati a livello del cromosoma X nelle forme legate al sesso della malattia e denominati geni KALIG-1 (KALlmann's syndrome Interval Gene 1). Il deficit isolato di ACTH è una condizione clinica rara. La diagnosi viene suggerita da sintomi quali astenia, ipoglicemia, perdita di peso e riduzione dei peli ascellari e pubici. I livelli plasmatici e urinari degli steroidi sono bassi e ritornano ai valori normali dopo il trattamento con ACTH. Manca l'evidenza clinica e di laboratorio di altri deficit ormonali. Il deficit isolato di TSH è un'evenienza probabile quando esistono segni clinici di ipotiroidismo, i livelli di TSH non sono elevati e mancano altri deficit ormonali ipofisari. I livelli plasmatici dell'ormone, misurati con metodi radioimmunologici, non sono sempre inferiori alla norma, suggerendo che il TSH secreto è biologicamente inattivo. La somministrazione di TSH bovino aumenta i livelli degli ormoni tiroidei (v. anche Ipotiroidismo nel Cap. 8). Il deficit isolato di prolattina è stato notato raramente in donne nelle quali dopo il parto non avviene la lattazione. I livelli basali di prolattina sono bassi e non aumentano in risposta agli stimoli provocativi come il TRH.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE IPOTIROIDISMO Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Risposta clinica caratteristica al deficit di ormone tiroideo nell'adulto. L'ipotiroidismo primitivo, la forma più comune, è probabilmente una malattia autoimmune, che si presenta di solito come conseguenza di una tiroidite di Hashimoto ed è spesso associata a un gozzo di consistenza dura o, più tardivamente nell'evoluzione della malattia, a una ghiandola tiroidea fibrosa e grinza con funzionalità ridotta o assente. La seconda forma più frequente è l'ipotiroidismo post-terapeutico, specialmente successivo a terapia con iodio radioattivo o a intervento chirurgico per ipertiroidismo. L'ipotiroidismo che si verifica in caso di eccesso di terapia con propiltiouracile, metimazolo e ioduro solitamente regredisce dopo l'interruzione della terapia. Un lieve ipotiroidismo è comune nelle donne anziane. La maggior parte dei pazienti con gozzo non dovuto a tiroidite di Hashimoto è eutiroidea o ipertiroidea, ma un ipotiroidismo con gozzo può manifestarsi nel gozzo endemico. Il deficit di iodio riduce l'ormonogenesi tiroidea; viene secreto TSH, la tiroide si ingrandisce sotto lo stimolo dell'ormone, capta avidamente lo iodio e compare il gozzo. Se il deficit di iodio è grave, il paziente diviene ipotiroideo, ma questa malattia è praticamente scomparsa negli USA dal momento dell'introduzione del sale iodato. Il cretinismo endemico è la più comune causa di ipotiroidismo congenito nelle regioni gravemente carenti di iodio e la principale causa di deficienza mentale in tutto il mondo. Rari deficit enzimatici ereditari possono alterare la sintesi degli ormoni tiroidei e causare ipotiroidismo con gozzo (v. anche Gozzi congeniti nel Cap. 269). L'ipotiroidismo secondario si verifica quando esiste un'insufficienza dell'asse ipotalamo-ipofisario dovuta a un deficit della secrezione di TRH da parte dell'ipotalamo o della secrezione di TSH da parte dell'ipofisi.

Sintomi e segni I sintomi e i segni dell'ipotiroidismo primario generalmente sono in evidente contrasto con quelli dell'ipertiroidismo e possono avere un esordio alquanto sfumato e insidioso. L'espressione del volto è ottusa; la voce è roca e l'eloquio è lento; il gonfiore facciale e periorbitale è causato dall'infiltrazione da parte dei mucopolisaccaridi acido ialuronico e condroitin-solfato; l'intolleranza al freddo può essere notevole; le palpebre sono abbassate a causa della diminuzione del tono adrenergico; i capelli sono radi, crespi e secchi, la pelle è ruvida, secca, squamosa e ispessita. L'aumento di peso è modesto ed è in gran parte dovuto

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Malattie della tiroide

alla riduzione del metabolismo alimentare e alla ritenzione di liquidi. I pazienti hanno un deficit di memoria e mostrano altri segni di compromissione delle funzioni intellettive, con una graduale modificazione della personalità. Alcuni appaiono depressi e può essere presente una psicosi franca ("follia mixedematosa"). C'è spesso ipercarotenemia, particolarmente evidente alle palme delle mani e alle piante dei piedi, a causa del deposito di carotene negli strati epidermici ricchi di lipidi. Il deposito di sostanze proteinacee nella lingua può produrre macroglossia. La riduzione sia degli ormoni tiroidei sia della stimolazione adrenergica provoca bradicardia. Il cuore può essere ingrandito, in parte a causa di dilatazione, ma principalmente per l'accumulo di un versamento sieroso ad alto contenuto proteico nel sacco pericardico. Si possono rilevare versamenti pleurici o peritoneali. I versamenti pleurici e pericardici si sviluppano lentamente e solo raramente provocano difficoltà respiratorie o emodinamiche. I pazienti generalmente accusano stipsi, che può essere grave. Sono comuni le parestesie delle mani e dei piedi, spesso dovute alla sindrome del tunnel carpale-tarsale causata dal deposito di una sostanza amorfa proteinacea nei legamenti intorno al polso e alla caviglia, con conseguente compressione dei nervi. I riflessi possono essere di grande aiuto dal punto di vista diagnostico, a causa della vivacità di contrazione e della lentezza dei tempi di rilassamento. Le donne con ipotiroidismo manifestano spesso menorragia, in contrasto con l'ipomenorrea dell'ipertiroidismo. Si osserva frequentemente ipotermia. Spesso è presente anemia, di solito normocromica normocitica e a eziologia sconosciuta, ma essa può essere ipocromica a causa della menorragia e talvolta macrocitica a causa dell'associata anemia perniciosa o del ridotto assorbimento di acido folico. In genere, l'anemia è raramente grave (Hb > 9 g/dl). Essa recede con la correzione dello stato ipometabolico, richiedendo talvolta da 6 a 9 mesi. Il coma mixedematoso è una complicanza dell'ipotiroidismo potenzialmente letale. Le sue caratteristiche comprendono un ipotiroidismo di fondo di lunga durata, uno stato di coma con ipotermia estrema (temperature da 24 a 32,2°C [da 75,2 a 90°F]), areflessia, convulsioni, ritenzione di CO2 e depressione respiratoria. L'ipotermia grave può non essere riconosciuta, a meno che non vengano impiegati termometri speciali con scala di lettura per le basse temperature. È imperativo porre la diagnosi rapidamente basandosi sul giudizio clinico, sull'anamnesi e sull'esame obiettivo, perché c'è la probabilità di un decesso precoce. I fattori precipitanti comprendono l'esposizione al freddo, le malattie, le infezioni, i traumi e i farmaci che deprimono il SNC.

Diagnosi È importante distinguere l'ipotiroidismo secondario da quello primitivo; anche se l'ipotiroidismo secondario non è frequente, spesso coinvolge altri organi endocrini sotto il controllo dell'asse ipotalamo-ipofisario. In una donna con ipotiroidismo noto, gli indizi che orientano verso l'ipotiroidismo secondario sono una storia di amenorrea piuttosto che di menorragia e alcune differenze indicative all'esame obiettivo. Nell'ipotiroidismo secondario la cute e i capelli sono secchi, ma non altrettanto ruvidi; spesso si osserva depigmentazione cutanea; la macroglossia non è così pronunciata; le mammelle sono atrofiche; il cuore è piccolo, senza accumulo di versamenti sierosi nel sacco pericardico; la PA è bassa e spesso si rileva ipoglicemia a causa della concomitante insufficienza corticosurrenalica o del deficit di ormone della crescita. Le indagini di laboratorio dimostrano la presenza di un basso livello di TSH circolante nell'ipotiroidismo secondario (benché il TSH sierico possa essere normale alla misurazione con tecniche immunologiche, ma abbia ridotta attività biologica), mentre nell'ipotiroidismo primitivo manca la retroinibizione sull'ipofisi normale e i livelli sierici di TSH sono elevati. Il dosaggio del TSH sierico è l'esame più semplice e più sensibile per la diagnosi di ipotiroidismo primitivo. In quest'ultimo il colesterolo sierico è generalmente elevato, mentre lo è meno in quello secondario. Altri ormoni ipofisari e i corrispondenti ormoni dei loro tessuti bersaglio possono essere diminuiti nell'ipotiroidismo secondario.

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Malattie della tiroide

Il test al TRH (v. sopra Valutazione di laboratorio della funzione tiroidea) può essere utile ai fini della distinzione tra ipotiroidismo secondario a un'insufficienza ipofisaria e ipotiroidismo dovuto a insufficienza ipotalamica. In quest'ultimo, viene rilasciato TSH in risposta al TRH. La determinazione dei livelli sierici totali di T3 nell'ipotiroidismo merita una menzione. Oltre all'ipotiroidismo primitivo e a quello secondario, altre condizioni sono caratterizzate dalla riduzione dei livelli circolanti di T3 totale; esse comprendono la riduzione della TBG sierica, gli effetti di alcuni farmaci (v. sopra) e della euthyroid sick syndrome dovuta a patologie acute e croniche, l'inanizione e le diete povere di carboidrati (v. sopra per la trattazione della euthyroid sick syndrome). Nell'ipotiroidismo di gravità maggiore, sono diminuiti i livelli sierici sia di T3 sia di T4. Tuttavia, molti pazienti con ipotiroidismo primitivo (elevato TSH sierico, basso livello sierico di T4) possono avere normali livelli circolanti di T3, probabilmente a causa della prolungata stimolazione da parte del TSH sulla tiroide insufficiente, che determina la sintesi e la secrezione preferenziale dell'ormone biologicamente attivo T3.

Terapia Sono disponibili diverse preparazioni di ormoni tiroidei per la terapia sostitutiva, le quali comprendono le preparazioni sintetiche di T4 (l-tiroxina), la triiodotironina (liotironina), le associazioni dei due ormoni sintetici e la tiroide animale essiccata. Vengono preferite le preparazioni sintetiche di T4 (l-tiroxina); il dosaggio medio di mantenimento va da 75 a 125 mg/die PO, ma le dosi iniziali devono essere molto più basse, specialmente negli anziani, nei pazienti cardiopatici e in quelli con ipotiroidismo di vecchia data o di particolare gravità (tranne per il coma mixedematoso). L'assorbimento è abbastanza costante, intorno al 70% della dose. La T3 viene generata a partire dalla T4 nei tessuti periferici. In generale, la dose di mantenimento può essere diminuita nell'anziano e aumentata nelle donne in gravidanza. La dose può anche dover essere aumentata se vengono somministrati contemporaneamente farmaci che riducono l'assorbimento della T4 o aumentano la sua escrezione biliare. Per le dosi medie nella prima e nella seconda infanzia, v. Ipotiroidismo nel Cap. 269. La dose impiegata deve essere la dose minima in grado di riportare alla norma i livelli sierici di TSH (benché questo criterio non possa essere utilizzato nei pazienti con ipotiroidismo secondario). La T3 (liotironina sodica) non deve essere usata da sola per la terapia sostitutiva a lungo termine, perché il suo rapido turnover richiede che essa venga assunta due volte al giorno. La somministrazione di quantitativi sostitutivi standard di T3 (da 25 a 50 mg/die) determina un rapido innalzamento dei livelli sierici di T3 fino a valori compresi fra 300 e 1000 ng/dl (fra 4,62 e 15,4 nmol/l) entro 2-4 ore, grazie al suo assorbimento pressoché completo; questi livelli ritornano alla norma entro 24 h. Pertanto, nella valutazione dei livelli sierici di T3 nei pazienti sottoposti a questo regime terapeutico, il medico deve conoscere il momento in cui l'ormone è stato somministrato. In aggiunta, i pazienti che assumono T3 sono chimicamente ipertiroidei per almeno alcune ore al giorno e così possono essere esposti a maggiori rischi cardiaci. Un andamento simile dei livelli sierici di T3 si osserva quando vengono assunte per via orale miscele di T3 e T4, benché i livelli di picco del T3 siano alquanto più bassi dal momento che ne viene somministrata una quantità inferiore. I regimi sostitutivi con preparazioni sintetiche di T4 mostrano un andamento differente nella risposta della T3 sierica. Gli aumenti della T3 avvengono gradualmente e, quando vengono somministrate dosi adeguate di T4, i livelli si mantengono normali. Le preparazioni di tiroide animale essiccata contengono quantità variabili di T3 e di T4 e non devono essere prescritte a meno che il paziente non abbia file:///F|/sito/merck/sez02/0080099b.html (3 of 4)02/09/2004 2.39.38

Malattie della tiroide

risposto bene a questa terapia per anni. Il coma mixedematoso viene trattato con un'alta dose iniziale di T4 (da 200 a 500 mg EV) o di T3 (40 mg EV). La dose di mantenimento per la T4 va da 50 a 100 mg/die EV, e per la T3 da 10 a 20 mg/ die EV, fino a quando non si può somministrare T4 per via orale. Vengono somministrati anche corticosteroidi, perché inizialmente non può essere esclusa la possibilità di un ipotiroidismo di natura centrale. Il paziente non deve essere riscaldato rapidamente, per evitare il pericolo di aritmie cardiache. L'ipossiemia è comune, perciò all'inizio del trattamento deve essere misurata la Pao2. Se la ventilazione alveolare è compromessa, è necessaria l'assistenza ventilatoria meccanica immediata. La malattia precipitante deve essere prontamente e appropriatamente trattata, e la reintegrazione idrica condotta con prudenza, perché i pazienti ipotiroidei non eliminano l'acqua in maniera adeguata. Infine, tutti i farmaci devono essere somministrati con cautela poiché, vengono metabolizzati più lentamente di quanto avviene nelle persone normali.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE GOZZO CONGENITO Si intende per gozzo congenito la presenza alla nascita di una tiroide ingrossata con o senza ipotiroidismo. Il tipo 1 è dovuto a un difetto del trasporto dello ioduro, probabilmente secondario a un’alterazione della sintesi delle proteine della superficie cellulare necessarie per il trasporto. Il tipo 2 è causato da parecchi difetti del meccanismo della iodazione all’interno della tiroide. Uno dei difetti consiste nell’assenza dell’enzima perossidasi, necessario per l’organificazione dello iodio, e può dare cretinismo con gozzo. Un altro difetto, trasmesso come carattere autosomico recessivo, sembra interessare la produzione di perossido di idrogeno ed è associato a sordomutismo (sindrome di Pendred). I pazienti con questa sindrome sono di solito eutiroidei; quindi, la sordità non è secondaria all’ipotiroidismo. Un terzo difetto, associato alla presenza di una perossidasi anomala, consente una compensazione sufficiente per il mantenimento di uno stato eutiroideo. I gozzi congeniti di tipo 3 si riscontrano in pazienti con difetti della dealogenasi. Benché non sia chiara la precisa alterazione biochimica, i pazienti mostrano difetti completi o totali della deiodazione della monoiodotirosina e della diiodotirosina nell’ambito della tireoglobulina. I gozzi congeniti di tipo 4 sono associati a difetti della sintesi della tireoglobulina. Un gozzo congenito può causare la deviazione o la compressione della trachea e quindi compromettere il respiro. Anche se la terapia varia a seconda del tipo e sottotipo, i gozzi associati a ipotiroidismo sono in genere trattati con ormone tiroideo. La compressione tracheale e l’ipertiroidismo possono essere trattati chirurgicamente.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE IPOTIROIDISMO Condizione risultante dal deficit di produzione di ormone tiroideo. Nei lattanti e nei bambini i segni e i sintomi sono diversi da quelli degli adulti. Un ipotiroidismo non trattato o non riconosciuto nella prima infanzia ha delle gravi conseguenze sullo sviluppo del SNC, con ritardo di maturazione da moderato a grave e successivamente nell’età infantile mette in pericolo la crescita somatica. L’ipotiroidismo neonatale o congenito si riscontra in circa 1/4000 nati vivi. La causa più frequente è l’assenza congenita della tiroide (atirosi), che richiede una terapia per tutta la vita. I segni e i sintomi possono essere cianosi, ittero prolungato, difficoltà ad alimentarsi, pianto rauco, ernia ombelicale, difficoltà respiratoria, macroglossia, fontanelle diastasate e ritardo di maturazione scheletrica. Raramente l’ipotiroidismo neonatale è transitorio. Esso viene rilevato di routine mediante esami di screening neonatali su carta da filtro prima che i segni clinici siano evidenti. Gli esami di laboratorio sono la determinazione della tiroxina sierica (T4) e dell’ormone stimolante la tiroide (TSH). La terapia con l tiroxina deve essere iniziata immediatamente e mantenuta sotto stretto controllo. La dose iniziale adeguata (intesa come utile a normalizzare rapidamente il T4 sierico) è pari a 10-15 µg/kg/die PO, da variare successivamente in modo da mantenere la concentrazione sierica di T4 tra 10 e 15 µg/dl (129 e 193 nmol/l) durante l’infanzia. Dopo il primo anno di vita, la dose è in genere di 4-6 µg/kg/die, titolata per mantenere le concentrazioni sieriche di T4 e TSH entro i livelli normali. Bisogna essere attenti nell’evitare un trattamento eccessivo che può determinare ipertiroidismo. Nella maggior parte dei lattanti trattati lo sviluppo mentale e motorio sarà normale. L’ipotiroidismo giovanile, o ipotiroidismo acquisito, è generalmente il risultato di una tiroidite autoimmune (tiroidite di Hashimoto). Alcuni dei segni e sintomi sono simili a quelli dell’adulto e comprendono incremento ponderale, stipsi, capelli fragili e secchi e cute ruvida, chiazzata, fredda e giallastra. Segni specifici dell’infanzia sono il ritardo di crescita, la maturazione scheletrica rallentata e di solito la pubertà ritardata. Per la terapia, la dose adeguata iniziale di l -tiroxina è di 5-6 µg/kg/die nei bambini piccoli, ridotta a 2-3 µg/kg/die nell’adolescenza.

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Malattie dell'ipofisi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 7. MALATTIE DELL'IPOFISI MALATTIE DELL'IPOFISI ANTERIORE IPERSECREZIONE DEGLI ORMONI DELL'IPOFISI ANTERIORE

Sommario: Introduzione Gigantismo e acromegalia Sintomi e segni Diagnosi Terapia Galattorrea Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

(Iperpituitarismo) Gli ormoni dell'ipofisi anteriore che vengono più comunemente secreti in eccesso sono il GH (come nell'acromegalia e nel gigantismo), la prolattina (come nella galattorrea) e l'ACTH (come nella forma ipofisaria della sindrome di Cushing; v. anche Sindrome di Cushing nel Cap. 9).

Gigantismo e acromegalia Sindromi caratterizzate da eccessiva secrezione di GH (ipersomatotropismo), quasi sempre dovuta a un adenoma ipofisario delle cellule somatotrope. Molti adenomi secernenti GH contengono una forma mutante della proteina GS, che è un regolatore dell'adenilato ciclasi ad attività stimolatoria. Le mutazioni a carico della proteina GS delle cellule somatotrope rendono queste ultime indipendenti dal GHRH per la stimolazione della secrezione di GH. Sono stati descritti anche alcuni casi di tumori secernenti GHRH ectopico, particolarmente del pancreas e del polmone.

Sintomi e segni Raramente, l'ipersecrezione di GH ha inizio durante l'infanzia, prima della saldatura delle cartilagini epifisarie, e porta a un accrescimento scheletrico esagerato denominato gigantismo ipofisario. L'eccesso di GH può cominciare a qualsiasi età, ma il più delle volte ha inizio fra il terzo e il quinto decennio di vita. Nei bambini, la velocità di accrescimento è aumentata ma le deformità ossee sono lievi. Tuttavia, vi sono ispessimento dei tessuti molli e ingrossamento dei nervi periferici. Spesso sono presenti anche pubertà ritardata o ipogonadismo file:///F|/sito/merck/sez02/0070079.html (1 of 5)02/09/2004 2.39.55

Malattie dell'ipofisi

ipogonadotropo, che determinano un habitus eunucoide. Quando l'ipersecrezione di GH comincia dopo la saldatura delle epifisi, la manifestazione clinica più precoce è la trasformazione dei lineamenti, che diventano grossolani, e l'ispessimento dei tessuti molli delle mani e dei piedi. I tratti somatici del paziente si modificano e diventano necessari anelli, guanti e scarpe di misura più grande. Le immagini fotografiche del paziente sono importanti per delineare il decorso della malattia. L'aumento di dimensioni delle estremità ha portato al termine di acromegalia. Negli adulti con acromegalia si osservano anche altre alterazioni. Aumentano i peli corporei di tipo completo e la cute si ispessisce e frequentemente diviene più scura. Aumentano le dimensioni e la funzione delle ghiandole sebacee e sudoripare, per cui i pazienti si lamentano frequentemente di un'eccessiva traspirazione e di un odore corporeo sgradevole. L'eccessivo accrescimento dell'osso mandibolare porta alla protrusione della mandibola (prognatismo) e a malocclusione dentaria. La proliferazione delle cartilagini laringee determina una voce profonda e rauca; la lingua è frequentemente ingrossata e solcata. Nell'acromegalia di lunga durata l'accrescimento costale causa torace a botte. In risposta all'eccesso di GH si verifica precocemente la proliferazione delle cartilagini articolari, che possono andare incontro a necrosi ed erosione. I sintomi articolari sono frequenti e si può avere un'artrite degenerativa deformante. Le neuropatie periferiche sono frequenti a causa della compressione dei nervi da parte del tessuto fibroso circostante e della proliferazione fibrosa endoneurale. è comune la cefalea, dovuta alla presenza del tumore ipofisario. Se si verifica l'estensione soprasellare con compressione del chiasma ottico, può svilupparsi emianopsia bitemporale. Cuore, fegato, reni, milza, tiroide, paratiroidi e pancreas sono anch'essi di dimensioni superiori alla norma. L'interessamento cardiaco si riscontra forse in 1/3 dei pazienti e provoca un raddoppiamento del rischio di morte per cardiopatia. Fino a 1/3 dei pazienti sviluppa ipertensione. Il rischio di tumori maligni, particolarmente del tratto GI, è aumentato da due a tre volte. Il GH aumenta il riassorbimento tubulare dei fosfati e induce una lieve iperfosfatemia. In quasi la metà dei casi di acromegalia, come anche nel gigantismo, si ha diminuita tolleranza al glucoso, ma un diabete mellito clinicamente significativo si sviluppa soltanto in circa il 10% dei pazienti. In alcune donne con acromegalia si osserva galattorrea, solitamente associata a iperprolattinemia (v. oltre). Comunque, la lattazione anomala può verificarsi anche con il solo eccesso di GH, dal momento che l'ormone è di per sé un potente lattogeno. In associazione con i tumori secernenti GH si assiste spesso a una riduzione della secrezione di gonadotropine. Come detto in precedenza, l'immaturità sessuale è di riscontro comune nel gigantismo. Circa 1/3 degli uomini con acromegalia sviluppa impotenza e quasi tutte le donne vanno incontro a irregolarità mestruali o amenorrea.

Diagnosi La diagnosi può essere posta sulla base dei reperti clinici caratteristici descritti precedentemente. La rx del cranio svela l'ispessimento della corticale ossea, l'ingrandimento dei seni frontali e l'allargamento e l'erosione della sella turcica. La rx delle mani mostra la presenza di escrescenze ossee sul margine delle falangi terminali e l'ispessimento dei tessuti molli. La tolleranza al glucoso è solitamente alterata e i livelli sierici di fosfato sono generalmente elevati. I livelli plasmatici di GH, misurati con metodi radioimmunologici, sono solitamente elevati nell'acromegalia e costituiscono il modo più semplice per valutare l'ipersecrezione di GH. Il sangue deve essere prelevato in condizioni basali prima che il paziente faccia colazione; nei soggetti normali i livelli basali di GH sono < 5 ng/ml. Aumenti transitori del GH sono normali e devono essere distinti dalle ipersecrezioni patologiche. La risposta a un carico orale di glucoso rimane il test standard per la diagnosi di acromegalia. Nei soggetti normali la secrezione viene soppressa a < 5 ng/ml 90 min dopo la somministrazione di 75 g di glucoso PO. Livelli compresi tra 5 e 10 ng/ml non sono dirimenti e valori più alti confermano la diagnosi di un eccesso di GH. La maggior parte dei pazienti file:///F|/sito/merck/sez02/0070079.html (2 of 5)02/09/2004 2.39.55

Malattie dell'ipofisi

acromegalici presenta valori considerevolmente più elevati. I livelli plasmatici basali di GH sono importanti anche per seguire nel tempo la risposta alla terapia. In tutti i pazienti con sospetta acromegalia deve essere misurata la concentrazione plasmatica del fattore di crescita insulino-simile I (IGF-I), conosciuto anche come somatomedina C. Solitamente, i livelli di IGF-I sono notevolmente elevati (da tre a dieci volte) negli acromegalici e inoltre possono essere utilizzati per controllare la risposta alla terapia. I livelli normali di IGF-I negli adulti variano per lo più da 125 a 460 ng/ml (da 400 a 2000 UI/l) e si riducono con l'età. Se alla TC o alla RMN non si evidenzia alcun tumore, l'eccessiva secrezione di GH ipofisario può essere dovuta a una neoplasia che secerne un eccesso di GHRH ectopico. La dimostrazione di un innalzamento del GHRH plasmatico è in grado di confermare questa diagnosi.

Terapia È generalmente indicata la terapia ablativa con intervento chirurgico o irradiazione. Attualmente si tende a preferire la resezione del tumore per via trans-sfenoidale, ma le scelte sono diverse tra le varie istituzioni. L'irradiazione ad alto voltaggio con tecnica stereotassica, inviando sull'ipofisi circa 5000 cGy, è anch'essa una possibilità, ma i livelli di GH possono non tornare normali per diversi anni. Il trattamento con protoni accelerati (irradiazione con particelle pesanti) permette di inviare all'ipofisi dosi più alte di radiazioni (equivalenti a 10000 cGy); tuttavia esiste un rischio più elevato di provocare danni ai nervi cranici e all'ipotalamo e questo tipo di terapia è disponibile soltanto in un numero limitato di centri. Lo sviluppo di un ipopituitarismo vari anni dopo l'irradiazione è un evento comune. Poiché il danno da radiazioni è cumulativo, la terapia con fascio di protoni non deve essere utilizzata dopo una terapia radiante convenzionale con raggi gamma. Nei pazienti con interessamento extrasellare progressivo da parte di un tumore ipofisario e in quelli in cui il tumore non può essere escisso completamente, è indicato un approccio combinato chirurgia/ irradiazione. Dopo la rimozione chirurgica del tumore, se i livelli di GH dopo test di tolleranza al glucoso scendono a < 2 ng/ml, con tutta probabilità è stata ottenuta una "guarigione", mentre livelli > 10 ng/ ml indicano la necessità di ulteriori provvedimenti terapeutici. L'acromegalia scarsamente controllata è associata a ipertensione, scompenso cardiaco e un tasso di mortalità doppio rispetto ai controlli. Livelli di GH < 5 ng/ml sono invece associati a una mortalità pari a quella dei controlli. In generale, la terapia medica è indicata nel caso in cui la chirurgia e la radioterapia siano controindicate o non siano riuscite a ottenere la guarigione, oppure in attesa degli effetti della radioterapia. In tali circostanze, la bromocriptina mesilato in dosi frazionate (fino a 15 mg/die PO) può ridurre efficacemente i livelli di GH in una piccola percentuale di pazienti. Un analogo ad azione prolungata della somatostatina, l'octreotide, sopprime con successo la secrezione di GH nei pazienti che non sono in grado di tollerare la bromocriptina, l'intervento chirurgico o l'irradiazione, ma deve essere iniettato SC. Considerati la sua facilità di somministrazione e il suo costo inferiore rispetto all'octreotide, la bromocriptina in genere deve essere provata per prima.

Galattorrea Secrezione di latte in individui di sesso maschile o in donne al di fuori del periodo dell'allattamento.

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Malattie dell'ipofisi

Eziologia In entrambi i sessi, i più comuni tumori ipofisari secernenti sono i prolattinomi, i quali producono quantità eccessive di prolattina. Nelle donne, al momento della diagnosi, la maggior parte dei tumori è costituita da microadenomi (< 10 mm di diametro), ma in una piccola percentuale di casi si tratta di macroadenomi (> 10 mm). Negli uomini la frequenza dei microadenomi è molto più bassa, forse a causa del riconoscimento più tardivo. Iperprolattinemia e galattorrea possono essere causate anche dall'ingestione di alcuni farmaci, tra i quali le fenotiazine, alcuni anti-ipertensivi (specialmente l'ametildopa) e gli oppioidi. L'ipotiroidismo primitivo può provocare iperprolattinemia e galattorrea, poiché l'aumento dei livelli di TRH stimola l'aumento della secrezione sia del TSH sia della prolattina. Non è chiaro il motivo per cui l'iperprolattinemia sia associata a ipogonadotropismo e ipogonadismo. Le cause di iperprolattinemia sono elencate nella Tab. 7-2.

Sintomi e segni Nelle donne, alla galattorrea si associa comunemente l'amenorrea. Sono state descritte tre forme della sindrome amenorrea-galattorrea: (1) amenorreagalattorrea persistente dopo la gravidanza (sindrome di Chiari-Frommel), (2) amenorrea-galattorrea non associata alla gravidanza (sindrome di Ahumadadel Castillo) e (3) amenorrea-galattorrea causata da un adenoma cromofobo dell'ipofisi (sindrome di Forbes-Albright). Poiché anche le prime due tra queste sindromi possono essere associate a tumori ipofisari, queste distinzioni non sono utili dal punto di vista clinico. Gli uomini con tumori ipofisari secernenti prolattina accusano cefalea o disturbi visivi. Circa i 2/3 degli uomini affetti notano un calo del desiderio e della potenza sessuale. Come già osservato, l'aumento della prolattina in qualche modo porta a diminuzione dei livelli di LH e FSH e a ipogonadismo. Le donne con amenorrea-galattorrea si presentano frequentemente con sintomatologia legata al deficit di estrogeni, comprese le vampate di calore e la dispareunia. Nondimeno, la produzione di estrogeni può essere normale e in alcune donne iperprolattinemiche sono stati osservati segni di un eccesso di androgeni. Inoltre l'iperprolattinemia può essere associata ad altri disturbi del ciclo mestruale oltre all'amenorrea, tra i quali l'ovulazione rara (o oligoovulazione) e le disfunzioni del corpo luteo.

Diagnosi Il primo obiettivo diagnostico è la dimostrazione dell'iperprolattinemia in condizioni basali. In genere i livelli basali di prolattina sembrano essere correlati con le dimensioni del tumore ipofisario e possono essere utilizzati per seguire i pazienti nel tempo. I livelli sierici delle gonadotropine e dell'estradiolo sono entrambi bassi o normali nelle donne iperprolattinemiche. In assenza di un'elevazione del TSH, l'ipotiroidismo primitivo viene escluso con facilità. Sebbene per escludere neoplasie ipofisarie di grandi dimensioni possa essere impiegata la rx laterale della sella turcica in unica proiezione, il metodo di scelta per l'identificazione dei microadenomi è la TC ad alta risoluzione o la RMN. L'esame del campo visivo è indicato in tutti i pazienti con macroadenomi e in ogni paziente che decide di sottoporsi al trattamento medico o alla sola sorveglianza.

Terapia Il trattamento dei tumori ipofisari associati a iperprolattinemia è controverso. I

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Malattie dell'ipofisi

pazienti con livelli di prolattina < 100 ng/ml e con TC o RMN normali, o quelli che hanno solo microadenomi, possono essere trattati con bromocriptina o essere tenuti in osservazione. Il trattamento con bromocriptina è raccomandato anche per le pazienti senza tumore, perché le donne iperprolattinemiche sono spesso ipoestrogeniche e sembrano andare incontro a un aumento del rischio di sviluppare osteoporosi. La bromocriptina deve essere raccomandata alle donne che prevedono la possibilità di una gravidanza e ai pazienti messi a disagio dall'entità della galattorrea. Poiché meno del 5% delle donne con microadenomi presenta un aumento di dimensioni del tumore, alle pazienti ipoestrogeniche si possono somministrare estrogeni esogeni. In tutti i pazienti con iperprolattinemia sono indicati il controllo periodico dei livelli basali di prolattina e la valutazione radiografica della sella turcica. La durata di tale periodo di sorveglianza è controversa. I pazienti devono essere valutati almeno ogni tre mesi e devono essere sottoposti annualmente alla TC o alla RMN per almeno altri 2 anni. La frequenza delle rx della sella può quindi essere ridotta se i livelli basali di prolattina non aumentano. I pazienti con macroadenomi generalmente devono essere trattati con bromocriptina o con l'intervento chirurgico soltanto dopo una valutazione completa della funzione ipofisaria e dopo aver consultato un endocrinologo, un neurochirurgo e un radioterapista. La bromocriptina è considerata il trattamento iniziale di scelta dalla maggioranza degli endocrinologi. Se i livelli di prolattina scendono e i sintomi e i segni di compressione da parte del tumore si risolvono, può non essere necessaria alcun'altra terapia. La bromocriptina viene frequentemente impiegata con un certo successo anche per ridurre la massa del tumore prima dell'intervento chirurgico. Vi è una certa evidenza che la bromocriptina da sola sia sufficiente per i pazienti con macroadenomi di diametro < 2 cm e con livelli di prolattina circolante estremamente elevati. La radioterapia deve essere utilizzata solo nei pazienti con malattia progressiva che non rispondono ad altre forme di terapia. Il problema principale dell'irradiazione consiste nel fatto che spesso, diversi anni dopo la terapia, insorge un ipopituitarismo. Dopo il trattamento per un macroadenoma, sono indicati l'esecuzione di controlli frequenti (almeno annuali) della funzione endocrina e una valutazione delle immagini della sella turcica per tutta la vita del paziente.

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE IPERFUNZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE SINDROME DI CUSHING

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia

Costellazione di anomalie cliniche dovute all'esposizione cronica a livelli eccessivi di cortisolo (il più importante degli adrenocorticoidi) o di corticosteroidi a esso correlati.

Eziologia L'iperfunzione della corteccia surrenale può essere ACTH-dipendente oppure indipendente dalla regolazione dell'ACTH, p. es., nel caso della produzione di cortisolo da parte di un adenoma o di un carcinoma corticosurrenalico. La somministrazione a scopo terapeutico di quantità superiori al fisiologico di cortisolo esogeno o di suoi analoghi sintetici sopprime la funzione corticosurrenalica e mima l'iperfunzione ACTH-indipendente. L'iperfunzione ACTH-dipendente della corteccia surrenale può essere dovuta a (1) ipersecrezione di ACTH da parte della ghiandola ipofisaria; (2) secrezione di ACTH da parte di un tumore non ipofisario, come un carcinoma polmonare a piccole cellule (sindrome da ACTH ectopico); o (3) somministrazione di ACTH esogeno. Mentre il termine sindrome di Cushing è stato applicato al quadro clinico derivante da un eccesso di cortisolo indipendentemente dalla sua causa, l'iperfunzione della corteccia surrenale dovuta all'eccesso di ACTH ipofisario è stata spesso indicata come morbo di Cushing, sottintendendo così una specifica anomalia fisiologica. I pazienti con morbo di Cushing possono avere un adenoma basofilo o cromofobo della ghiandola ipofisaria.

Sintomi e segni Le manifestazioni cliniche comprendono una facies arrotondata "lunare" e un aspetto pletorico. È presente obesità del tronco con pannicoli adiposi pronunciati in sede sopraclaveare e dorsale cervicale ("gibbo a dorso di bufalo"); le estremità distali e le dita sono di solito piuttosto assottigliate. È presente atrofia e astenia muscolare. La cute è sottile e atrofica, con scarso potere di cicatrizzazione e facilità alle ecchimosi. Sull'addome possono comparire strie color porpora. Sono comuni l'ipertensione, i calcoli renali, l'osteoporosi, l'intolleranza al glucoso, la riduzione della resistenza alle infezioni e i disturbi psichiatrici. Nei bambini è caratteristica l'interruzione dell'accrescimento lineare; le donne hanno di solito file:///F|/sito/merck/sez02/0090113.html (1 of 5)02/09/2004 2.39.56

Malattie del surrene

irregolarità mestruali. Nei tumori surrenalici, un aumento della produzione di androgeni, in aggiunta a quella di cortisolo, può portare a ipertricosi, calvizie temporale e altri segni di virilismo nelle donne.

Diagnosi Il cortisolo plasmatico varia normalmente da 5 a 25 mg/dl (da 138 a 690 nmol/l) nelle prime ore del mattino (tra le 6 e le 8) e diminuisce gradualmente a < 10 mg/ dl (< 276 nmol/l) verso sera (dalle 18 in poi). I pazienti con sindrome di Cushing hanno di solito livelli elevati di cortisolo al mattino e perdono il normale declino diurno della produzione dell'ormone, per cui i livelli plasmatici serali di cortisolo sono più alti della norma e la produzione totale di cortisolo nelle 24 h è elevata. Le determinazioni singole del cortisolo plasmatico possono essere di difficile interpretazione a causa della secrezione episodica responsabile dell'ampia variabilità dei valori normali. Il cortisolo plasmatico può essere falsamente elevato nei pazienti con aumento congenito della globulina legante i corticosteroidi, ma in questi soggetti le variazioni diurne sono normali. Il cortisolo urinario libero, il parametro migliore per la valutazione dell'escrezione urinaria (valori normali da 20 a 100 mg/24 h [da 55,2 a 276 nmol/24 h]), è aumentato > 120 mg/24 h (> 331 nmol/24 h) nei pazienti con Cushing ed è solo minimamente aumentato nei pazienti obesi, nei quali è < 150 mg/24 h (< 414 nmol/ 24 h). Tradizionalmente, il test al desametasone, nel quale viene somministrato 1 mg di desametasone per via orale tra le 23 e le 24 e viene misurato il cortisolo plasmatico tra le 7 e le 8 del mattino successivo, è stato utilizzato come test di screening per la sindrome di Cushing. Dopo questo test la maggior parte dei soggetti normali sopprime il proprio cortisolo plasmatico del mattino a un livello 5 mg/dl (_ 138 nmol/l), mentre la maggior parte dei pazienti con sindrome di Cushing non ipofisaria mostra un livello di cortisolo plasmatico del mattino di almeno 9 mg/dl (248 nmol/ l) e lo mantiene poi al suo livello iniziale. La somministrazione orale di 0,5 mg di desametasone q 6 h per 2 giorni ("bassa dose") ai soggetti normali provoca l'inibizione della secrezione di ACTH. Di conseguenza, il cortisolo libero urinario generalmente diminuisce al 50% o meno rispetto ai valori precedenti al trattamento ma, in ogni caso, a valori < 10 mg/24 h (< 27,6 nmol/ 24 h) al secondo giorno. Nei pazienti con morbo di Cushing, la secrezione ipofisaria di ACTH è relativamente resistente alla soppressione, pertanto il cortisolo libero urinario non diminuisce in maniera normale. Quando la dose orale di desametasone viene aumentata a 2 mg q 6 h per 2 giorni ("alta dose"), il cortisolo libero urinario solitamente diminuisce almeno del 50% rispetto ai valori di partenza nei pazienti con morbo di Cushing, il quale è dipendente dall'ACTH ipofisario. Nei pazienti con tumori surrenalici la produzione di cortisolo è indipendente dall'ACTH, pertanto il desametasone non ha effetti soppressivi. Nei pazienti con sindrome da ACTH ectopico, la produzione di ACTH da parte del tumore non ipofisario non viene quasi mai modificata dal desametasone, quindi gli steroidi urinari rimangono invariati. Il test al desametasone è in grado di distinguere un'alterazione ipofisaria da altre forme di sindrome di Cushing. Una variante più accurata del test consiste nel somministrare 1 mg/h di desametasone EV in infusione continua per 7 h. Nei pazienti con morbo di Cushing la concentrazione di cortisolo plasmatico si riduce di almeno 7 mg/dl (193 nmol/l) entro la settima ora. I pazienti con tumori surrenalici o con sindrome da ACTH ectopico non mostrano alcuna risposta. La soppressione da desametasone viene inibita dalla rifampicina, pertanto i test di questo tipo risultano inutili nei pazienti che assumono il farmaco. Il test al metirapone effettuato durante la notte è utile per determinare l'eziologia della sindrome di Cushing. I pazienti con morbo di Cushing dipendente dall'ipofisi hanno un notevole aumento dell'11-deossicortisolo plasmatico, mentre i pazienti con tumori surrenalici o con sindrome da ACTH ectopico non mostrano questo incremento. Deve essere determinata la quantità totale di steroide prodotto (dato

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Malattie del surrene

che il metirapone inibisce la 11-idrossilazione del cortisolo). Di conseguenza, vengono misurati i livelli di cortisolo totale e di 11-deossicortisolo per valutare se si è verificato un aumento degli steroidi totali e non soltanto una sostituzione del cortisolo da parte dell'11-deossicortisolo nel plasma. Meno utile per la valutazione dei pazienti con sindrome di Cushing è il test di stimolazione con ACTH. L'infusione di 50 U di ACTH in 8 h produce un aumento da 2 a 5 volte del cortisolo urinario nei pazienti con morbo di Cushing, nel quale i surreni mostrano iperplasia bilaterale e iperresponsività dovuta all'eccesso cronico di ACTH endogeno. In circa il 50% dei casi di adenoma surrenalico la stimolazione con ACTH produce un evidente e talvolta notevole aumento del cortisolo plasmatico e urinario. I carcinomi surrenalici generalmente non rispondono all'ACTH. I microadenomi ipofisari solitamente possono essere individuati con la TC, ma la RMN è superiore, soprattutto se si utilizza una tecnica ad alta risoluzione potenziata dal gadolinio. Alcuni microadenomi sono difficili da individuare perfino con queste tecniche. In alcuni casi non si rinviene alcuna alterazione istologica nella ghiandola pituitaria, nonostante la chiara evidenza di un'iperproduzione di ACTH.

Diagnosi differenziale Se il test al desametasone mette in evidenza che la causa della malattia è un tumore surrenalico o la sindrome da ACTH ectopico, l'accertamento diagnostico può essere eseguito con la misurazione del livello plasmatico di ACTH. Tale livello è notevolmente elevato nella sindrome da ACTH ectopico (solitamente > 200 pg/ml), ma è troppo basso per essere dosabile nella sindrome di Cushing provocata da un tumore surrenalico, tranne nei rari casi in cui il tumore surrenalico produce ACTH. I pazienti con morbo di Cushing di solito hanno livelli plasmatici di ACTH moderatamente elevati (da 75 a 200 pg/ml). Esami di laboratorio che depongono anch'essi a favore della produzione di ACTH ectopico come causa della sindrome di Cushing includono un'alcalosi ipokaliemica con K sierico < 3,0 mEq/l e HCO3 > 30 mEq/l, un livello sierico di cortisolo > 200 mg/dl (> 5520 nmol/l) alle 9 del mattino e un'escrezione di cortisolo libero urinario > 450 mg/24 h (> 1242 nmol/24 h). Il test al CRH (v. sopra Esami di laboratorio in Morbo di Addison) generalmente permette di distinguere l'ipercorticosurrenalismo associato con la secrezione di ACTH ectopico e i tumori surrenalici ipersecernenti, nei quali non si osserva alcuna risposta, dalla forma ipofisaria del morbo di Cushing, in cui la risposta è normale o aumentata. Tuttavia, questo test è talvolta ingannevole a causa dell'ampia sovrapposizione tra risposte normali e patologiche. Esso ha più valore quando viene eseguito in combinazione con un test di soppressione al desametasone positivo. Una volta stabilita la presenza di iperfunzione surrenalica, la valutazione del paziente con sindrome di Cushing deve includere anche una TC o, preferibilmente, una RMN per ricercare un eventuale tumore ipofisario. Se la presenza o la localizzazione di un tumore ipofisario è incerta, è utile determinare contemporaneamente il livello di ACTH nel plasma proveniente dai due seni petrosi inferiori prima e dopo la somministrazione di 1 mg/kg di CRH. Normalmente, entrambi i lati rispondono in maniera uguale; il seno che drena il sangue proveniente da un adenoma ha un livello più elevato prima della stimolazione rispetto al lato senza tumore e ha una risposta più elevata al CRH. Nei pazienti con ACTH ectopico, entrambi i lati presentano livelli uguali ed elevati e non rispondono al CRH. In aggiunta, devono essere attentamente ricercati i segni di una neoplasia non ipofisaria secernente ACTH. La scintigrafia surrenalica, eseguita dopo che il paziente ha ingerito colesterolo marcato con iodio radioattivo, può distinguere l'iperplasia da un adenoma o un carcinoma; tuttavia, la TC della regione surrenalica (in questo caso la RMN non è migliore della TC) è la procedura di scelta qualora i test biochimici suggeriscano la presenza di un tumore del surrene.

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Malattie del surrene

Le procedure diagnostiche e i criteri per la diagnosi sono gli stessi per i bambini e per gli adulti, a eccezione del fatto che la RMN è da preferire nelle donne in gravidanza al fine di evitare l'esposizione del feto alle radiazioni. Ipercorticosurrenalismo nelle epatopatie: in alcuni pazienti con epatopatie croniche, specialmente se associate all'alcolismo, può comparire un quadro clinico simile alla sindrome di Cushing. I test di laboratorio rivelano un livello plasmatico di cortisolo elevato, con variazioni circadiane ridotte. I tassi di secrezione del cortisolo sono normali. Gli elevati livelli plasmatici di cortisolo sono in parte una conseguenza della ridotta capacità del fegato di ossidare il cortisolo nel suo metabolita inattivo, il cortisone, ma la persistenza di livelli plasmatici di cortisolo elevati implica anche una riduzione della sensibilità del meccanismo di feedback ipotalamo-ipofisi-surrene, il quale dovrebbe ridurre (senza riuscirci) la secrezione di ACTH. Il miglioramento della funzione epatica può correggere l'alterazione. I farmaci che inibiscono l'attività dei corticosteroidi, come il ketoconazolo, possono essere di aiuto.

Terapia La terapia è volta alla correzione dell'iperfunzione ipofisaria o corticosurrenalica; l'approccio specifico dipende dalla patologia sottostante. Inizialmente, bisogna sostenere le condizioni generali del paziente mediante la somministrazione di quantità adeguate di K e un alto apporto di proteine. Se le manifestazioni cliniche sono gravi, può essere giustificata l'inibizione della secrezione steroidea con aminoglutetimide (250 mg PO bid) o ketoconazolo (400 mg/die, aumentando fino a un massimo di 1200 mg/die). Quando la fonte dell'eccessiva secrezione di ACTH è l'ipofisi, l'approccio standard è quello di eseguire una esplorazione trans-sfenoidale dell'ipofisi con exeresi del tumore, se ne viene trovato uno. Questa procedura chirurgica è impegnativa e va eseguita solo in centri con vasta esperienza. L'intervento ha successo in circa il 70% dei casi e funziona meglio con i microadenomi < 1 cm di diametro. Circa il 20% dei tumori recidiva e i tumori più grandi hanno più probabilità di recidivare rispetto a quelli di piccole dimensioni. Il reintervento per la recidiva di un tumore ha spesso successo. La gravidanza non è una controindicazione all'intervento. Se non si trova un tumore, alcuni medici procedono all'ipofisectomia, ma la maggior parte ritiene che il passo successivo sia l'irradiazione con supervoltaggi dell'ipofisi, con invio di 40-50 Gy. Nei bambini, l'irradiazione dell'ipofisi può ridurre la secrezione di ormone della crescita e può occasionalmente indurre una pubertà precoce. In centri specializzati, l'irradiazione con un fascio di particelle pesanti che fornisce circa 100 Gy è spesso coronata da successo. La risposta alla terapia radiante può richiedere diversi mesi. La surrenectomia bilaterale viene riservata ai pazienti con ipercorticosurrenalismo ipofisario che non rispondono all'esplorazione dell'ipofisi (con eventuale adenomectomia) né alla terapia radiante, le quali solitamente riportano alla norma la funzione ipofisaria. La surrenectomia richiede necessariamente la terapia sostitutiva con steroidi per il resto della vita del paziente, con lo stesso schema necessario per l'insufficienza corticosurrenalica primitiva. Esiste anche un notevole rischio di sviluppare la sindrome di Nelson, che si verifica nel 5-10% dei pazienti sottoposti a surrenectomia per morbo di Cushing. Il rischio è minore se il paziente è stato sottoposto a irradiazione dell'ipofisi ed è molto basso nei pazienti di età > 35 anni al momento dell'intervento. Nella sindrome di Nelson, la ghiandola ipofisaria continua ad aumentare di volume, provocando un marcato aumento della secrezione di ACTH e di ormone melanocito-stimolante b, cui consegue una grave iperpigmentazione. Sebbene la terapia radiante possa arrestare la continua crescita ipofisaria in questi pazienti, in molti di essi è necessaria anche l'ipofisectomia. Le indicazioni all'ipofisectomia sono le stesse di qualunque tumore ipofisario: un aumento di dimensioni tale da produrre invasione delle strutture circostanti, con difetti del campo visivo, compressione dell'ipotalamo o altre complicanze. Spesso dopo l'ipofisectomia si file:///F|/sito/merck/sez02/0090113.html (4 of 5)02/09/2004 2.39.56

Malattie del surrene

procede di routine all'irradiazione. I tumori corticosurrenalici vengono asportati chirurgicamente. Ai pazienti devono essere somministrate dosi supplementari di cortisolo durante l'intervento e nel periodo postoperatorio, poiché la corteccia surrenale non interessata dal tumore sarà atrofica e soppressa. Gli adenomi benigni possono essere asportati con successo per via laparoscopica. Nel caso di un'iperplasia surrenalica multinodulare, può essere necessaria la surrenectomia bilaterale. Anche dopo una surrenectomia presumibilmente totale, in circa un terzo dei pazienti si verifica una riattivazione funzionale. Quando è possibile, il trattamento della sindrome da ACTH ectopico consiste nell'asportazione del tumore non ipofisario secernente ACTH. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il tumore è diffuso e non può essere escisso. Gli inibitori surrenalici, come il metirapone 250 mg qid associato ad aminoglutetimide 250 mg bid PO, aumentando le dosi fino a un massimo di 2 g/ die, oppure il mitotano (o,p´-DDD) 0,5 g qid PO, aumentando la dose fino a un massimo di 8-12 g/die, sono solitamente in grado di controllare le gravi alterazioni metaboliche (p. es., l'ipokaliemia) dovute all'iperfunzione della corteccia surrenale. Quando si usa il mitotano bisogna aggiungere al regime terapeutico 20 mg/die di cortisolo, per proteggere il paziente dagli effetti della soppressione completa della secrezione di corticosteroidi. Tuttavia, il ketoconazolo (da 400 a 1200 mg/die) probabilmente inibisce in maniera più efficace la sintesi steroidea, sebbene comporti un certo rischio di tossicità epatica e, come il mitotano, possa causare la comparsa di una sintomatologia addisoniana. In alternativa, i recettori per i corticosteroidi possono essere bloccati con il mifepristone (RU 486). Esso aumenta il livello plasmatico di cortisolo, ma blocca gli effetti dello steroide. A volte i tumori che causano la sindrome da ACTH ectopico rispondono agli analoghi ad azione prolungata della somatostatina, come l'octreotide da 100 a 125 mg SC tid. La somministrazione di octreotide protratta per più di 2 anni richiede un attento controllo, dato che può essere associata alla comparsa di gastrite moderata, colelitiasi, colangite, ittero e malassorbimento di vitamina B12.

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Malattie dell'ipofisi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 7. MALATTIE DELL'IPOFISI MALATTIE DELL'IPOFISI POSTERIORE DIABETE INSIPIDO

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Diagnosi differenziale Terapia

(Diabete insipido centrale; diabete insipido sensibile alla vasopressina) Disordine temporaneo o cronico del sistema neuroipofisario dovuto al deficit di vasopressina (ADH), caratterizzato dall'escrezione di quantità eccessive di urine molto diluite (ma altrimenti normali) e da sete esagerata. Il diabete insipido centrale o sensibile alla vasopressina (ADH), che è un disordine ipotalamo-ipofisario, viene qui indicato semplicemente come diabete insipido (DI) per distinguerlo dal diabete insipido nefrogenico (Nephrogenic Diabetes Insipidus, NDI), nel quale il rene è resistente all'ADH (v. Cap. 229). Una poliuria può essere dovuta a DI (un deficit di ADH), a NDI oppure all'ingestione compulsiva o abituale (psicogena) di acqua (soppressione fisiologica dell'ADH, detta anche polidipsia primaria o diabete insipido dipsogenico).

Eziologia e fisiopatologia Il DI può essere completo o parziale, permanente o temporaneo. Tutte le lesioni anatomopatologiche associate con il DI interessano i nuclei sopraottico e paraventricolare dell'ipotalamo o una porzione considerevole del peduncolo ipofisario. La semplice distruzione del lobo posteriore dell'ipofisi provoca un DI temporaneo, non protratto. Il lobo posteriore è la sede principale dell'immagazzinamento e della secrezione dell'ADH, ma l'ormone viene sintetizzato nell'ipotalamo. L'ADH appena sintetizzato può continuare a essere immesso in circolo fino a quando i nuclei ipotalamici e parte del tratto neuroipofisario rimangono intatti. Per evitare l'insorgenza del DI centrale è sufficiente che rimanga intatto soltanto circa il 10% dei neuroni neurosecretori. Il DI può essere primitivo, caratterizzato da una marcata riduzione dei nuclei ipotalamici del sistema neuroipofisario, o secondario (acquisito), dovuto a una varietà di lesioni patologiche, tra le quali l'ipofisectomia, i traumi cranici (in particolare le fratture della base cranica), i tumori soprasellari e intrasellari (primitivi o metastatici), l'istiocitosi a cellule di Langerhans (malattia di HandSchüller-Christian), i granulomi (sarcoidosi o tubercolosi), le lesioni vascolari (aneurismi e trombosi) e le infezioni (encefalite o meningite). Anomalie genetiche a carico del gene per la vasopressina localizzato sul cromosoma 20 sono responsabili delle forme autosomiche dominanti di DI primitivo, ma molti casi di file:///F|/sito/merck/sez02/0070083.html (1 of 4)02/09/2004 2.39.57

Malattie dell'ipofisi

DI primario rimangono idiopatici.

Sintomi e segni L'esordio può essere insidioso o improvviso e può verificarsi a qualunque età. Nel DI primitivo gli unici sintomi sono la polidipsia e la poliuria. Nelle forme acquisite sono presenti anche i segni e i sintomi delle lesioni associate. Possono essere ingerite enormi quantità di liquidi e vengono escreti volumi notevoli (da 3 a 30 l/die) di urine molto diluite (con peso specifico solitamente < 1,005 e osmolalità < 200 mOsm/l). La nicturia è quasi sempre presente sia nel DI sia nel NDI. Se le perdite urinarie non vengono rimpiazzate continuamente, possono svilupparsi rapidamente disidratazione e ipovolemia.

Diagnosi Il DI deve essere differenziato da altre cause di poliuria (v. Tab. 7-3). Tutti i test per il DI sono basati sul principio che l'aumento dell'osmolalità plasmatica nei soggetti normali conduce alla contrazione della diuresi e all'aumento dell'osmolalità urinaria. Il test di disidratazione è il metodo più semplice e più attendibile per diagnosticare la malattia, ma deve essere eseguito soltanto tenendo il paziente sotto continua osservazione. Nei pazienti con DI questo test può essere rischioso, mentre i pazienti con polidipsia psicogena possono non essere in grado di evitare di bere, a meno che non venga loro impedito di farlo. Il test viene cominciato al mattino pesando il paziente, prelevando un campione di sangue venoso per determinarvi le concentrazioni elettrolitiche e l'osmolalità e misurando l'osmolalità delle urine. Le urine emesse vengono raccolte ogni ora e viene misurato il loro peso specifico o (preferibilmente) la loro osmolalità. La disidratazione viene proseguita fino a che (1) compaiono ipotensione ortostatica e tachicardia posturale, (2) è stato perso il 5% o più del peso corporeo iniziale, oppure (3) la concentrazione delle urine smette di aumentare di un valore superiore a 0,001 unità di peso specifico o a 30 mOsm/l in campioni consecutivi. A questo punto vengono misurati di nuovo gli elettroliti e l'osmolalità del siero e vengono iniettate SC 5 U di vasopressina in soluzione acquosa. Sessanta minuti dopo l'iniezione vengono raccolte un'ultima volta le urine per la determinazione del peso specifico o dell'osmolalità e il test viene concluso. Viene considerata normale una risposta nella quale la massima osmolalità urinaria dopo disidratazione (spesso pari a un peso specifico > 1,020 o a 700 mOsm/l) è maggiore dell'osmolalità plasmatica e non aumenta ulteriormente di un valore superiore al 5% dopo iniezione di vasopressina. I pazienti con DI sono generalmente incapaci di concentrare le urine fino a un valore superiore all'osmolalità plasmatica e l'osmolalità delle loro urine aumenta di un valore > 50% dopo la somministrazione di vasopressina. I pazienti con DI parziale sono spesso in grado di concentrare le urine al di sopra dell'osmolalità plasmatica, ma mostrano un aumento dell'osmolalità urinaria > 9% dopo la somministrazione di vasopressina. I pazienti con NDI sono incapaci di concentrare le urine al di sopra dell'osmolalità plasmatica e non mostrano alcuna risposta addizionale alla somministrazione di vasopressina. Come test per il DI è stata usata anche l'infusione di soluzione salina ipertonica. Tuttavia questo test è pericoloso nei pazienti che non sono in grado di sopportare un carico salino (p. es., quelli con riserva cardiaca limitata) e non può essere interpretato correttamente nei pazienti che sviluppano una diuresi da sali. Pertanto il test non può essere raccomandato. Il dosaggio radioimmunologico dei livelli di ADH circolante è forse il metodo più diretto per la diagnosi di DI. Tuttavia il test è di difficile esecuzione e non è disponibile per l'impiego di routine. In aggiunta, il test di disidratazione è così

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Malattie dell'ipofisi

accurato che il dosaggio diretto dell'ADH non è necessario. I livelli plasmatici di vasopressina sono diagnostici dopo disidratazione o dopo infusione di soluzione salina ipertonica.

Diagnosi differenziale L'ingestione compulsiva (psicogena) di acqua può costituire un problema difficile per la diagnosi differenziale. I pazienti possono ingerire ed eliminare fino a 6 l di liquidi al giorno e presentano spesso disturbi emotivi. A differenza dei soggetti con DI e con NDI, essi di solito non hanno nicturia, né si svegliano per la sete durante la notte. La polidipsia porta all'aumento dell'assunzione di acqua e alla soppressione dell'ADH endogeno, con conseguente poliuria. Poiché l'assunzione cronica di acqua riduce il tono osmotico della midollare del rene, si sviluppa anche una resistenza all'ADH. Sebbene alcuni pazienti abbiano una risposta normale alla disidratazione, in altri l'osmolalità delle urine aumenta fino a livelli ipertonici ma submassimali, una risposta simile a quella dei pazienti con DI parziale. Per contro, i soggetti con ingestione compulsiva (psicogena) di acqua, analogamente ai pazienti con NDI, non mostrano alcuna risposta ulteriore alla vasopressina esogena somministrata dopo la disidratazione. L'ingestione prolungata di grandi volumi di acqua può portare in questa situazione a un'iponatriemia pericolosa per la vita (v. Iponatriemia nel Cap. 12). Dopo una prolungata restrizione idrica di 2 l/die o meno, la capacità di concentrazione ritorna normale, anche se ciò può richiedere alcune settimane.

Terapia Terapia ormonale: il DI centrale può essere trattato con la terapia ormonale sostitutiva, ma essa deve essere preceduta o accompagnata da un trattamento specifico della causa organica responsabile della malattia. Se non si istituisce un trattamento adeguato del DI, può svilupparsi un danno renale irreversibile. Essendo un peptide di piccole dimensioni, la vasopressina è inefficace quando viene somministrata per via orale. La vasopressina in soluzione acquosa può essere somministrata SC o IM in dosi di 5-10 U per ottenere una risposta antidiuretica che dura generalmente 6 h o meno. Questo farmaco trova pertanto scarso utilizzo nel trattamento cronico, ma può essere impiegato nella terapia iniziale dei pazienti in stato di incoscienza e nei soggetti affetti da DI che devono essere sottoposti a un intervento chirurgico. Può essere somministrata anche vasopressina sintetica sotto forma di spray nasale da bid a qid, con dosi e intervalli di somministrazione personalizzati per ciascun paziente. La DDAVP (desmopressina acetato, 1-deamino-8-d-arginina vasopressina), un analogo sintetico dell'arginina vasopressina, ha un'attività antidiuretica prolungata che nella maggior parte dei pazienti si protrae per 12-24 h e può essere somministrata per via intranasale, SC o EV. La desmopressina acetato è la preparazione di scelta sia per gli adulti sia per i bambini ed è disponibile come soluzione intranasale in due forme. Un flacone con contagocce, munito di un erogatore nasale graduato, ha il vantaggio di consentire l'assunzione di dosi crescenti da 5 a 20 mg, ma è poco agevole da usare. Un flacone spray che rilascia 10 mg di desmopressina in 0,1 ml di liquido è più semplice da usare, ma eroga una quantità di farmaco fissa. Per ogni paziente è necessario stabilire la durata d'azione di una determinata dose, perché la variabilità tra un individuo e l'altro è notevole. La durata d'azione può essere determinata seguendo i volumi e l'osmolalità delle urine a intervalli di tempo regolari. La dose notturna deve essere quella minima sufficiente a prevenire la nicturia; le dosi della mattina e della sera vanno adattate separatamente. Il range di dosaggio abituale negli adulti va da 10 a 40 mg e la maggior parte dei soggetti necessita di 20 mg/die in due dosi frazionate. Per i bambini da 3 mesi a 12 anni il range di dosaggio abituale va da 5 a 30 mg/die. Il sovradosaggio può provocare ritenzione idrica e riduzione dell'osmolalità plasmatica, che possono scatenare convulsioni nei bambini piccoli. In tali casi, per indurre la diuresi si può usare la furosemide. Alcuni medici raccomandano di ritardare la somministrazione di desmopressina file:///F|/sito/merck/sez02/0070083.html (3 of 4)02/09/2004 2.39.57

Malattie dell'ipofisi

una o due volte alla settimana per permettere l'eliminazione di ogni eccesso di acqua che può essersi accumulato a causa dell'antidiuresi continua. La cefalea può essere un effetto collaterale fastidioso, ma generalmente scompare se si riduce il dosaggio. Raramente, la desmopressina acetato può causare un lieve aumento della PA. L'assorbimento attraverso la mucosa nasale può essere irregolare, specialmente in presenza di un'infezione delle vie respiratorie superiori o di rinite allergica. Quando il rilascio intranasale di desmopressina acetato è inadeguato, essa può essere somministrata SC utilizzando circa 1/10 della dose intranasale. La desmopressina acetato può essere usata anche EV in situazioni acute. La lipressina (lisina-8-vasopressina), una molecola sintetica, viene somministrata per spray nasale secondo necessità a intervalli di 3-8 h. La vasopressina tannato in sospensione oleosa può essere somministrata IM in una dose di 0,3-1 ml (1,55 U) e può tenere sotto controllo la sintomatologia fino a 96 h. Terapia non ormonale: per la riduzione della poliuria sono utili almeno due tipi di farmaci: (1) diversi diuretici, soprattutto tiazidici e (2) farmaci stimolanti il rilascio di ADH, come la clorpropamide, la carbamazepina e il clofibrato. Questi farmaci si sono dimostrati particolarmente utili nel DI parziale ed evitano le reazioni di ipersensibilità e le potenziali conseguenze vascolari dell'ADH esogeno. Paradossalmente i tiazidici riducono il volume urinario nel DI parziale e completo e nel NDI, soprattutto in conseguenza della riduzione del volume del liquido extracellulare e dell'aumento del riassorbimento tubulare prossimale. Durante la somministrazione giornaliera di dosi abituali di tiazidici (p. es., 15-25 mg/kg di clorotiazide) i volumi urinari possono ridursi del 25-50%. Anche la restrizione dell'apporto di sale con la dieta può essere utile, perché riduce il volume urinario riducendo il carico di soluti. La clorpropamide, la carbamazepina e il clofibrato sono in grado di ridurre o eliminare del tutto il fabbisogno di vasopressina in alcuni pazienti con DI parziale, qualora esista una produzione residua di ADH. Nessuno di essi è efficace nel NDI. La clorpropamide (da 3 a 5 mg/kg PO 1 o 2 volte/die) non soltanto induce un certo rilascio di ADH, ma potenzia altresì l'azione dell'ADH sul rene. Il clofibrato (da 500 a 1000 mg PO bid) o la carbamazepina (da 100 a 400 mg PO bid) sono consigliabili soltanto per gli adulti. Poiché gli effetti della clorpropamide, della carbamazepina e del clofibrato sono diversi da quelli dei tiazidici, l'uso di uno di questi farmaci insieme con un diuretico può produrre effetti additivi e far sì che i due farmaci abbiano un effetto terapeutico complementare. Tuttavia, un importante effetto collaterale della terapia con clorpropamide può essere l'ipoglicemia. Inoltre, con la carbamazepina si sono verificati disturbi ematologici, compresa l'anemia aplastica, e con il clofibrato è stata osservata la comparsa di tumori maligni nei roditori. Tali reazioni avverse impongono che questi farmaci vengano usati con cautela. Gli inibitori delle prostaglandine come l'indometacina (da 1,5 a 3,0 mg/kg/die PO in dosi frazionate) possono essere moderatamente efficaci nella contrazione del volume urinario (generalmente non più del 10-25%), probabilmente grazie alla riduzione del flusso ematico renale e della velocità di filtrazione glomerulare. Insieme all'indometacina, alla restrizione sodica e a un diuretico tiazidico, essi aiutano a ridurre il volume urinario anche nel NDI.

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Sindromi da anomalie del trasporto renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 229. SINDROMI DA ANOMALIE DEL TRASPORTO RENALE DIABETE INSIPIDO NEFROGENO (DIN) Incapacità a concentrare l’urina, dovuta a una mancanza di risposta dei tubuli renali all’ADH, con una funzione renale altrimenti normale. (V. anche Diabete Insipido nel Cap. 7)

Sommario: Introduzione Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il diabete insipido nefrogeno (DIN) è una malattia ereditaria, probabilmente recessiva, legata al cromosoma X. Gli omozigoti (tutti maschi) non rispondono affatto all’ormone antidiuretico ADH (vasopressina). Le femmine eterozigoti mostrano una risposta normale o leggermente alterata all’ADH. Un DIN acquisito può verificarsi anche in disordini che distruggono la midollare o i nefroni distali e diminuiscono la capacità di concentrare l’urina, facendo sembrare il rene insensibile all’ADH: la malattia midollare e la malattia policistica; la nefropatia drepanocitica; la remissione di fibrosi periureterale ostruente; il rene a spugna midollare; la pielonefrite; le nefropatie ipokaliemica e ipercalcemica; l’amiloidosi, la sindrome di Sjögren e il mieloma. Altre cause sono costituite anche da alcune nefrotossine, il litio e la demeclociclina.

Fisiopatologia Normalmente il rene modifica la concentrazione dell’urina per mantenere costanti l’osmolarità plasmatica e il volume del ECF. Alla presenza di ADH e di un gradiente osmotico midollare (stabilito dal meccanismo controcorrente), il riassorbimento di acqua da parte dei tubuli collettori è aumentato e vengono escrete urine concentrate. In assenza di ADH, vengono escrete grandi quantità di urine diluite. Nel DIN, la formazione e la secrezione di ADH da parte dell’ipofisi posteriore sono normali, ma il nefrone non risponde all’ormone.

Sintomi, segni e diagnosi Di solito i sintomi compaiono subito dopo la nascita. Si verificano poliuria, polidipsia e ipoosmolarità urinaria, ma poiché l’infante non può rendere palese la sua sete, ne può risultare una grave deplezione di acqua, con ipernatremia, febbre, vomito e convulsioni. Se la terapia non viene iniziata precocemente, si può avere un danno cerebrale con ritardo mentale permanente. L’osmolarità urinaria (solitamente da 50 a 100 mOsm/ kg) può aumentare fino a 280 mOsm/kg durante una diuresi di soluti. Mancano altre evidenze di anomalie della funzione tubulare e la GFR è normale. L’accrescimento fisico è spesso ritardato a causa di file:///F|/sito/merck/sez17/2292040b.html (1 of 2)02/09/2004 2.39.58

Sindromi da anomalie del trasporto renale

frequenti episodi di disidratazione. Il DIN deve essere differenziato dal diabete insipido ipofisario. Il DIN è diagnosticato con un test di privazione idrica, che valuta la capacità massima di concentrare le urine e la risposta all’ADH esogeno. Con la privazione idrica (per la durata di tutta una notte), l’osmolarità massima delle urine nei pazienti con DIN risulta abbassata in maniera anomala (< 800 mOsm/kg) e aumenta soltanto di poco (di < 50 mOsm/kg) dopo somministrazione di ADH esogeno (vasopressina). Questa indagine è potenzialmente pericolosa e richiede uno stretto controllo medico.

Terapia La terapia consiste nell’assicurare al paziente un’adeguata assunzione di acqua libera. Le complicanze serie sono rare se il paziente è in grado di aumentare l’assunzione di acqua in risposta alla sete. Si possono verificare poliuria e polidipsia; possono essere utili i diuretici tiazidici e l’indometacina o la tolmetina. Alcuni pazienti possono avere una minore poliuria quando viene aggiunta la desmopressina.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE Sommario: Introduzione Sintesi e secrezione degli ormoni tiroidei Effetti degli ormoni tiroidei Valutazione di laboratorio della funzione tiroidea

I disordini della tiroide comprendono il gozzo eutiroideo, la euthyroid sick syndrome, l'ipertiroidismo, l'ipotiroidismo, le tiroiditi e i tumori tiroidei. Un breve accenno alla sintesi e alla fisiologia degli ormoni tiroidei e alle indagini di laboratorio per lo studio della funzione tiroidea è indispensabile per una completa comprensione di queste patologie.

Sintesi e secrezione degli ormoni tiroidei Lo schema generale della biosintesi degli ormoni tiroidei è riportato nella Fig. 8-1. Lo ioduro ingerito con i cibi e con l'acqua viene concentrato attivamente dalla tiroide, convertito in iodio organico dalla perossidasi tiroidea e incorporato nella tirosina della tireoglobulina intrafollicolare all'interno della colloide, presso la superficie basale delle cellule follicolari della ghiandola. Le tirosine vengono iodate a livello di un solo sito molecolare (monoiodotirosina) oppure di due (diiodotirosina) e quindi vengono condensate per formare gli ormoni attivi (diiodotirosina + diiodotirosina tetraiodotironina [tiroxina, T4]; diiodotirosina + monoiodotirosina triiodotironina [T3]). Un'altra fonte di T3 all'interno della ghiandola tiroidea è l'ormone che deriva dalla deiodazione dell'anello esterno della T4 ad opera di un selenoenzima: la 5´-deiodasi di tipo I (5 ´D-I). La tireoglobulina, una glicoproteina contenente T3 e T4 all'interno della propria matrice, viene captata dall'interno del follicolo come goccioline di colloide da parte delle cellule tiroidee. Lisosomi contenenti proteasi separano la T3 e la T4 dalla tireoglobulina, con conseguente liberazione di T3 e T4 libere. Anche le iodotirosine (monoiodotirosina e diiodotirosina) vengono liberate dalla tireoglobulina, ma soltanto quantità molto piccole raggiungono il torrente circolatorio. Lo iodio viene rimosso dalle loro molecole ad opera delle deiodasi intracellulari e viene riutilizzato dalla tiroide. La T4 e la T3 rilasciate dalla tiroide in seguito alla proteolisi raggiungono la circolazione, dove vengono associate a proteine sieriche leganti gli ormoni tiroidei per essere trasportate. La principale proteina che lega gli ormoni tiroidei è la globulina legante la tiroxina (Thyroxine-Binding Globulin, TBG), la quale ha un'alta affinità ma una bassa capacità per la T4 e la T3. La TBG normalmente veicola circa il 75% degli ormoni legati. Le altre proteine leganti gli ormoni tiroidei (soprattutto la prealbumina legante la tiroxina, detta anche transtiretina, la quale ha alta affinità ma bassa capacità per la T4, e l'albumina, dotata di bassa affinità ma alta capacità per la T4 e la T3) trasportano il resto degli ormoni tiroidei sierici legati. Circa lo 0,03% della T4 sierica totale e lo 0,3% della T3 sierica totale sono liberi e in equilibrio con gli ormoni legati. Soltanto la T4 e la T3 libere sono

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Malattie della tiroide

disponibili per i tessuti periferici per l'azione ormonale. Tutte le reazioni necessarie per la sintesi della T3 e della T4 sono influenzate e controllate dall'ormone tireo-stimolante ipofisario (TSH), detto anche tireotropina, che stimola le cellule follicolari della ghiandola tiroidea. Il TSH si lega al proprio recettore di membrana tiroideo posto sulla superficie esterna delle cellule follicolari e attiva l'enzima adenil-ciclasi, aumentando così la formazione della adenosina 3´:5´-fosfato ciclico (cAMP), il nucleotide che media gli effetti intracellulari del TSH. La secrezione ipofisaria di TSH è controllata da un meccanismo di feedback negativo modulato dai livelli circolanti di T4 e di T3 libere e dalla conversione della T4 in T3 nelle cellule tireotrope ipofisarie. La T3 è la iodotironina metabolicamente attiva. L'aumento dei livelli degli ormoni tiroidei liberi (T4 e T3) inibisce la secrezione di TSH da parte dell'ipofisi, mentre la riduzione dei livelli di T3 e di T4 determina un aumento del rilascio di TSH. La secrezione di TSH è influenzata anche dall'ormone di rilascio della tireotropina (TRH), un peptide di 3 aminoacidi sintetizzato nell'ipotalamo. Il TRH, immesso nel sistema portale interposto tra l'ipotalamo e l'ipofisi, si lega a uno specifico recettore sulle cellule tireotrope dell'ipofisi anteriore e determina la successiva secrezione di TSH. L'esatta regolazione della sintesi e del rilascio del TRH non è del tutto chiara, anche se gli ormoni tiroidei vi svolgono certamente un ruolo. Circa il 20% della T3 circolante viene prodotto dalla tiroide. Il restante 80% deriva dalla monodeiodazione dell'anello esterno della T4 (5´D-I), principalmente nel fegato. Nel fegato e in tessuti extraepatici avviene anche la monodeiodazione dell'anello interno della T4 (5-deiodasi [5D-III]), che porta alla formazione di 3,3´,5 ´-T3 (T3 inversa o reverse T3, rT3). Questa iodotironina ha un'attività metabolica minima ma è presente nel siero umano normale e, in quantità trascurabili, nella tireoglobulina. Circa il 99% della rT3 circolante deriva dalla deiodazione dell'anello interno della T4 nei tessuti periferici. I livelli di rT3 aumentano in molte circostanze nelle quali i livelli sierici di T3 si abbassano a causa della riduzione di attività della 5´D-I dell'anello esterno (p. es., nelle malattie croniche epatiche e renali, negli stati di malattia acuti e cronici, nell'inanizione e con le diete povere di carboidrati). Questo aumento della rT3 si verifica soprattutto a causa della riduzione di attività della deiodasi dell'anello esterno (5´D-I), che riduce marcatamente la clearance della rT3. Tali stati di malattia cronica, pertanto, determinano una riduzione della produzione dell'ormone attivo, la T3, e un aumento dei livelli sierici della rT3 dovuti alla riduzione della clearance della rT3. La riduzione della produzione di T3 potrebbe costituire una risposta adattativa alla malattia.

Effetti degli ormoni tiroidei Gli ormoni tiroidei hanno due effetti fisiologici principali: (1) aumentano la sintesi proteica praticamente in ogni tessuto corporeo. (La T3 e la T4 penetrano nelle cellule, dove la T3, che proviene dalla circolazione e dalla conversione della T4 in T3 all'interno della cellula stessa, si lega a recettori nucleari specifici e influenza la sintesi dell'mRNA.) (2) la T3 incrementa il consumo di O2 aumentando l'attività della Na+, K+-ATPasi (pompa del Na), soprattutto nei tessuti responsabili del consumo basale di O2 (cioè fegato, rene, cuore e muscolo scheletrico). L'aumento dell'attività della Na+, K+-ATPasi è secondario all'aumento della sintesi di questo enzima; di conseguenza, l'aumento del consumo di O2 è probabilmente correlato anche al legame nucleare degli ormoni tiroidei. Comunque, non è stato escluso un effetto diretto della T3 sui mitocondri. La T3 viene ritenuta l'ormone tiroideo attivo, benché la T4 di per sé possa essere biologicamente attiva.

Valutazione di laboratorio della funzione tiroidea file:///F|/sito/merck/sez02/0080086.html (2 of 5)02/09/2004 2.39.59

Malattie della tiroide

Determinazione dell'ormone tireo-stimolante (TSH) sierico: la misurazione del TSH sierico è il metodo migliore per definire una disfunzione tiroidea. Il riscontro di valori normali esclude in sostanza la presenza di ipertiroidismo o ipotiroidismo, tranne in caso di ipertiroidismo secondario a un adenoma ipofisario secernente TSH o a resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei e in alcuni pazienti affetti da ipotiroidismo centrale dovuto a una patologia dell'ipotalamo e/o dell'ipofisi. Queste condizioni sono trattate brevemente più avanti. Il livello sierico del TSH distingue anche le sindromi con ipertiroidismo subclinico (TSH sierico soppresso) da quelle con ipotiroidismo subclinico (TSH sierico elevato), entrambe associate con livelli sierici normali di T4, T4 libera, T3 e T3 libera. I nuovi test per il TSH sierico che si avvalgono di metodi immunometrici sono molto più sensibili e accurati rispetto ai test di prima generazione basati sulle tecniche radioimmunologiche. Questa sensibilità rende possibile la differenziazione tra i livelli estremamente bassi o indeterminabili riscontrati nell'ipertiroidismo vero e i livelli inferiori alla norma osservati in alcuni pazienti, p. es., i pazienti con euthyroid sick syndrome (v. oltre). I test immunometrici di seconda generazione (IEMA, IFMA e ICMA) hanno una sensibilità funzionale compresa tra 0,1 e 0,2 mU/l. I test di terza generazione (alcuni tipi di ICMA) hanno una sensibilità funzionale compresa tra 0,01 e 0,02 mU/l. I test di quarta generazione attualmente in via di sviluppo hanno una sensibilità funzionale compresa tra 0,001 e 0,002 mU/l. Determinazione della T4 totale sierica: la T4 totale sierica viene misurata per lo più con tecniche immunometriche che impiegano traccianti isotopici (ImmunoRadioMetric Assay, IRMA) o non isotopici, tra i quali un enzima (ImmunoEnzymoMetric Assay, IEMA), un fluoroforo (ImmunoFluoroMetric Assay, IFMA) o un composto chemioluminescente (ImmunoChemiluminoMetric Assay, ICMA). Le tecniche immunometriche misurano la T4 totale, cioè sia l'ormone legato sia quello libero, benché quasi tutta la T4 sia legata alle proteine. Queste indagini sono semplici, poco costose e di rapida esecuzione. La T4 totale è una misura diretta della T4, non alterata dalla presenza di iodio non T4. Tuttavia, variazioni dei livelli sierici della proteina di trasporto producono variazioni corrispondenti della T4 totale, anche se laT4 libera fisiologicamente attiva rimane invariata. In questo modo un paziente può essere fisiologicamente normale nonostante abbia un livello di T4 totale sierica alterato. La TBG aumenta per lo più durante la gravidanza, in corso di terapia con estrogeni o con contraccettivi orali e nella fase acuta delle epatiti infettive. Essa può anche essere aumentata geneticamente, a causa di un'anomalia legata al cromosoma X. La TBG viene diminuita principalmente dagli steroidi anabolizzanti, compreso il testosterone, e da quantità eccessive di corticosteroidi; anche la diminuzione può avere origine genetica. Infine, dosi elevate di farmaci come la fenitoina e l'aspirina e i loro derivati spiazzano la T4 dai suoi siti di legame sulla TBG, riducendo così in modo fittizio il livello di T4 totale sierica. Misurazione diretta della T4 libera: poiché gli ormoni tiroidei disponibili per i tessuti periferici sono quelli liberi, la misurazione diretta della T4 libera sierica evita le insidie legate all'interpretazione dei livelli totali di T4, i quali sono influenzati dai livelli delle proteine leganti. Quindi, i livelli di T4 libera sierica delineano in modo più accurato la reale funzione tiroidea rispetto alla T4 totale. La misurazione diretta del livello di T4 libera sierica viene eseguita con la massima precisione con il metodo della dialisi all'equilibrio, il quale richiede tempo, è costoso, è tecnicamente impegnativo e non è disponibile nella maggior parte dei laboratori comuni. Questo metodo separa l'ormone legato da quello libero. Il gold standard per la misurazione della T4 libera sierica è la dialisi all'equilibrio con incubazione notturna del siero contenente 125I-T4; la percentuale di T4 libera viene calcolata determinando i conteggi totali nel dializzato, divisi per la 125I-T4 totale aggiunta al siero, moltiplicata per la concentrazione della T4

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Malattie della tiroide

totale. Una versione semplificata è disponibile in kit; la T4 libera viene misurata nel dializzato con un metodo immunologico. Calcolo indiretto della T4 libera: queste misurazioni sono facilmente accessibili, sono più semplici e forniscono risultati molto ben sovrapponibili a quelli dei metodi per la misurazione diretta della T4 libera descritti in precedenza. I metodi di indice richiedono l'esecuzione di due test indipendenti, uno che misura la T4 totale sierica e l'altro che misura la capacità di legame dell'ormone tiroideo o la captazione della T3 su resina. L'indice di T4 libera viene quindi calcolato utilizzando la T4 totale e il livello di TBG, la capacità di legame dell'ormone tiroideo o la captazione della T3 su resina. Esso è direttamente proporzionale al livello di T4 libera. I metodi immunologici sono standardizzati per la misurazione diretta della T4 libera con la dialisi all'equilibrio, perciò i risultati vengono riportati in unità assolute (ng/dl o pmol/l). Le due metodiche più comunemente utilizzate sono un metodo immunologico in due passaggi e uno in un solo passaggio, che impiegano entrambi un analogo della T4. Queste analisi non sono completamente scevre dall'influenza delle proteine leganti o di sostanze contenute nel siero che possono provocare falsi aumenti o diminuzioni dei livelli di T4 libera. Determinazione della T3 totale sierica e della T3 libera: poiché la T3 è legata saldamente alla TBG (anche se in una quota 10 volte inferiore alla T4) ma non alla transtiretina, i livelli sierici totali della T3 misurati con le stesse metodiche descritte sopra per la T4 totale saranno influenzati dalle modificazioni del livello sierico della TBG e dai farmaci che alterano il legame alla proteina. I livelli sierici di T3 libera vengono misurati con gli stessi metodi diretti e indiretti descritti sopra per la T4. Test al TRH: il TSH sierico viene misurato prima e dopo un'iniezione EV di 500 mg di TRH sintetico. Normalmente si assiste a un rapido incremento dei livelli di TSH variabile tra 5 e 25 mU/ ml, che raggiunge un picco in 30 min e ritorna alla norma entro 120 min. L'incremento è esagerato nell'ipotiroidismo primitivo. Il test al TRH può essere utile per distinguere l'ipotiroidismo ipofisario da quello ipotalamico. I pazienti con ipotiroidismo secondario a un deficit ipofisario hanno una risposta del TSH al TRH diminuita o assente. I pazienti con disordini ipotalamici che hanno una scarsa riserva di TRH e una normale riserva ipofisaria rilasciano di solito quantità normali di TSH in risposta al TRH, nonostante il fenomeno possa essere ritardato e prolungato, con il risultato di uno slittamento del tempo di rilascio. Nell'ipertiroidismo la secrezione di TSH rimane soppressa, anche in risposta all'iniezione di TRH, a causa degli effetti inibitori esercitati dagli alti livelli di T4 e T3 libere sulle cellule tireotrope ipofisarie. Comunque, con i più recenti test analitici per il TSH, il test al TRH è di rado necessario per la diagnosi di disfunzione tiroidea, dal momento che i livelli sierici basali di TSH sono proporzionali alla risposta del TSH al TRH. Determinazione degli autoanticorpi tiroidei: autoanticorpi contro la perossidasi tiroidea e, meno frequentemente, contro la tireoglobulina sono presenti in quasi tutti i pazienti con tiroidite di Hashimoto e autoanticorpi contro la perossidasi tiroidea vengono solitamente dimostrati nei pazienti con morbo di Graves. Entrambi questi anticorpi vengono comunemente misurati con metodi immunoenzimatici; un test per gli autoanticorpi antiperossidasi tiroidea ha preso il posto del meno recente test di agglutinazione su globuli rossi con acido tannico per gli autoanticorpi antimicrosomiali (M). L'ipertiroidismo nel morbo di Graves è causato da un autoanticorpo diretto contro il recettore per il TSH delle cellule follicolari della tiroide (TSH Receptor Antibody, TRAb). Per misurare il TRAb vengono usati due metodi generali. Il test di inibizione del legame del TSH determina la capacità delle IgG sieriche di inibire il legame del 125I-TSH al recettore per il TSH in forma solubile. Il test agli anticorpi tireo-stimolanti misura la capacità di queste IgG di stimolare la formazione di cAMP o la captazione di 125I in differenti sistemi biologici, cioè le colture monostratificate di cellule tiroidee isolate, le cellule follicolari tiroidee di ratto in coltura (FRTL-5) o le cellule tiroidee estratte dal tessuto umano o suino. Infine, anticorpi contro la T4 e la T3 si possono rinvenire nei pazienti con malattie autoimmuni della tiroide e possono

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Malattie della tiroide

influenzare le determinazioni dei due ormoni, ma non sono quasi mai significativi dal punto di vista clinico. Misurazione della tireoglobulina: la tiroide è l'unica fonte di questa glicoproteina iodata ad alto peso molecolare, la quale è facilmente dimostrabile nei pazienti normali ed è solitamente elevata nei pazienti con gozzo tossico e non tossico. La tireoglobulina sierica viene utilizzata principalmente per la valutazione dei pazienti dopo tiroidectomia totale o subtotale con o senza ablazione con 131I per i tumori tiroidei differenziati. Valori di tireoglobulina sierica normali o elevati indicano la presenza di tessuto tiroideo residuo normale o maligno nei pazienti che ricevono dosi TSH-soppressive di l-tiroxina oppure dopo la sospensione del farmaco. Il problema principale degli attuali metodi di analisi immunometrica e radioimmunologica per la misurazione della tireoglobulina sierica è rappresentato dalla presenza di anticorpi anti-tireoglobulina, che generalmente portano a una sottostima dei livelli della proteina. Test di captazione dello iodio radioattivo: questo test è svantaggioso in termini di costo, durata e disagio per il paziente. L'isotopo di scelta è lo 123I, il quale espone il paziente a una piccola dose di radiazioni che si esaurisce rapidamente. È molto utile nella diagnosi differenziale dell'ipertiroidismo, trattata nelle pagine seguenti. La captazione tiroidea dello 123I varia notevolmente a seconda dell'apporto alimentare di iodio ed è più bassa nei pazienti esposti a un eccesso dell'elemento. La captazione tiroidea dello 123I può essere utile per il calcolo della dose di 131I nel trattamento dell'ipertiroidismo. Scintigrafia della tiroide: la scintigrafia con radioiodio o tecnezio 99m non viene impiegata di routine. È utile per evidenziare anomalie strutturali della ghiandola e per la valutazione di una malattia tiroidea nodulare, specialmente un nodulo solitario, per stabilire il suo stato funzionale, cioè se sia caldo o freddo.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE GOZZO EUTIROIDEO Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(Gozzo semplice, diffuso non tossico, nodulare non tossico) Ingrandimento della ghiandola tiroidea senza evidenza clinica o laboratoristica di disfunzione tiroidea, a meno che la causa non sia un deficit di iodio (gozzo endemico [colloideo]). Il gozzo eutiroideo è la causa più comune di ingrandimento della tiroide e si osserva più frequentemente nella pubertà, durante la gravidanza e in menopausa. Le numerose altre cause includono i difetti intrinseci della produzione degli ormoni tiroidei e, nei paesi sottosviluppati con carenza di iodio, l'ingestione di alimenti gozzigeni, i quali contengono sostanze antitiroidee che inibiscono la sintesi ormonale. Molti farmaci, tra i quali l'acido aminosalicilico, il litio, e perfino lo iodio ad alte dosi, possono ridurre la sintesi degli ormoni tiroidei. La carenza di iodio non si osserva nel Nord America, ma rimane la più comune causa di gozzo in tutto il mondo. Possono verificarsi piccoli aumenti compensatori del TSH, che prevengono l'ipotiroidismo, ma la stimolazione da parte del TSH provoca la formazione di gozzo. Cicli ricorrenti di stimolazione e involuzione possono avere come conseguenza un gozzo nodulare non tossico. Tuttavia, la vera eziologia della maggior parte dei gozzi non tossici nelle aree in cui l'apporto di iodio è sufficiente è sconosciuta.

Sintomi, segni e diagnosi Negli stadi iniziali, la diagnosi dipende dalla presenza di un gozzo di consistenza molle, simmetrico e a superficie liscia. Può esserci una storia di ridotto apporto di iodio oppure di ingestione di alimenti gozzigeni, ma non in Nord America. La captazione tiroidea di iodio radioattivo può essere normale o alta, con scintigrafia tiroidea normale. I risultati dei test di funzionalità tiroidea sono di solito normali. In seguito, possono svilupparsi cisti e noduli multipli. Gli anticorpi tiroidei devono essere misurati per escludere la tiroidite di Hashimoto come causa del gozzo eutiroideo. Nel gozzo endemico, il TSH sierico può essere lievemente elevato e la T4 sierica può essere ai limiti inferiori della norma o lievemente ridotta, mentre la T3 sierica risulta normale o leggermente elevata.

Terapia Nelle aree con carenza di iodio, la supplementazione del sale con iodio, la somministrazione orale o intramuscolare di olio iodato una volta l'anno e la file:///F|/sito/merck/sez02/0080090.html (1 of 2)02/09/2004 2.40.00

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iodazione dell'acqua, dei raccolti agricoli o del foraggio per gli animali elimineranno il gozzo da carenza di iodio. L'eventuale ingestione di sostanze gozzigene deve essere interrotta. In altre situazioni, la soppressione dell'asse ipotalamo-ipofisario con ormoni tiroidei bloccherà la stimolazione da parte del TSH, che svolge un ruolo considerevole nella formazione del gozzo. Dosi piene di l-tiroxina nel range di soppressione del TSH sono utili nei pazienti più giovani: da 100 a 150 mg/die PO a seconda del TSH sierico. La l-tiroxina è controindicata nei pazienti più anziani con gozzo nodulare non tossico, perché questo genere di gozzi raramente si riduce di dimensioni e può alimentare aree di autonomia funzionale che esitano in una tireotossicosi factitia. I gozzi di grandi dimensioni occasionalmente richiedono l'intervento chirurgico o il trattamento con 131I per impedire interferenze con la respirazione o la deglutizione, oppure per risolvere il problema estetico.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE EUTHYROID SICK SYNDROME Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Sindrome caratterizzata dalla presenza di test di funzionalità tiroidea alterati in pazienti clinicamente eutiroidei affetti da gravi patologie sistemiche non tiroidee. Pazienti con molte diverse patologie acute o croniche non tiroidee possono avere test di funzionalità tiroidea alterati, di solito secondariamente alla riduzione della conversione periferica della T4 in T3, alla riduzione della clearance della rT3 prodotta a partire dalla T4 e alla riduzione del legame degli ormoni tiroidei alla TBG. Le condizioni comunemente associate con questa sindrome comprendono gli stati di malattia acuta e cronica, il digiuno, l'inanizione, la malnutrizione proteico-calorica, i traumi chirurgici generali, l'infarto del miocardio, l'insufficienza renale cronica, la chetoacidosi diabetica, l'anoressia nervosa, la cirrosi, le lesioni da agenti termici e la sepsi. L'interpretazione dei risultati alterati dei test di funzionalità tiroidea osservati nella euthyroid sick syndrome è ulteriormente complicata da (1) gli effetti di numerosi farmaci, tra i quali i mezzi di contrasto ricchi di iodio e l'amiodarone, che contribuiscono a compromettere la conversione periferica della T4 in T3, e (2) farmaci come la dopamina e i corticosteroidi, i quali riducono la secrezione ipofisaria di TSH, provocando un abbassamento dei livelli sierici dell'ormone e la conseguente diminuzione della secrezione tiroidea di T4. I pazienti sono eutiroidei e l'insieme delle caratteristiche cliniche e di laboratorio è stato denominato euthyroid sick syndrome. Le caratteristiche alterazioni della funzione tiroidea riscontrate nella euthyroid sick syndrome comprendono una riduzione della T3 totale sierica, un aumento della rT3 sierica, una captazione normale o aumentata della T3 su resina, una T4 totale sierica normale o ridotta e livelli sierici di TSH variabili.

Diagnosi e terapia Il problema diagnostico fondamentale è quello di stabilire se il paziente è affetto da ipotiroidismo o dalla euthyroid sick syndrome. Il più sensibile indicatore di ipotiroidismo dovuto a insufficienza primitiva della ghiandola tiroidea è una marcata elevazione del TSH sierico. Al contrario, i pazienti con euthyroid sick syndrome hanno livelli sierici di TSH soppressi, normali o lievemente aumentati, a seconda del decorso della malattia. Nei pazienti con malattie sistemiche acute o croniche, un ipotiroidisimo coesistente è suggerito anche dalla presenza di un livello sierico di rT3 basso o ai limiti inferiori della norma. Una diagnosi differenziale che offre maggiori difficoltà è quella di ipotiroidismo di origine centrale. I livelli sierici di cortisolo possono facilitare la diagnosi, perché essi sono elevati nei pazienti con euthyroid sick syndrome e bassi o ai limiti inferiori nei pazienti con malattia ipotalamo-ipofisaria. L'alterazione del metabolismo della T4 che si verifica nelle malattie acute può file:///F|/sito/merck/sez02/0080091.html (1 of 2)02/09/2004 2.40.04

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inoltre rendere difficoltosa la diagnosi laboratoristica di ipertiroidismo, riducendo il livello della T3 totale sierica. Pertanto il medico, quando si accinge a interpretare i risultati alterati dei test di funzionalità tiroidea nei pazienti con malattie acute o croniche, deve spesso fare affidamento sul solo giudizio clinico, basato su una meticolosa raccolta dell'anamnesi e su un accurato esame obiettivo. A meno che non venga seriamente sospettata una disfunzione tiroidea, i test di funzionalità tiroidea non devono essere richiesti per i pazienti delle unità di terapia intensiva. La terapia è quella della malattia sottostante.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE IPERTIROIDISMO Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

(Tireotossicosi) Condizione clinica comprendente diverse malattie specifiche, caratterizzata da ipermetabolismo ed elevazione dei livelli sierici degli ormoni tiroidei liberi. C'è ancora un certo disaccordo sull'uso dei termini ipertiroidismo e tireotossicosi. Alcuni esperti preferiscono usare il termine tireotossicosi in riferimento alla condizione clinica che comprende l'ipertiroidismo (definito quindi come l'aumento della sintesi e della secrezione di ormone tiroideo) tra le sue cause. In questo capitolo, ipertiroidismo viene usato come sinonimo di tireotossicosi.

Eziologia L'ipertiroidismo può essere il risultato di un aumento della sintesi e della secrezione degli ormoni tiroidei (T4 e T3) da parte della ghiandola, causato da sostanze stimolanti presenti nel sangue oppure da un'iperfunzione tiroidea autonoma. Esso può inoltre essere causato dal rilascio eccessivo di ormone tiroideo dalla ghiandola alla circolazione periferica senza un aumento della sintesi ormonale. Ciò è comunemente causato da modificazioni distruttive della tiroide secondarie a varie cause di tiroidite. L'ultima importante causa di ipertiroidismo è l'ingestione volontaria o accidentale di quantità eccessive di ormone tiroideo, definita tireotossicosi factitia. Le cause di ipertiroidismo possono essere considerate sulla base della captazione tiroidea dello iodio radioattivo e della presenza o dell'assenza di stimolatori tiroidei circolanti (v. Tab. 8-1 e 8-2) . Morbo di Graves (gozzo tossico diffuso): il morbo di Graves è caratterizzato da ipertiroidismo e uno o più dei segni seguenti: gozzo, esoftalmo e mixedema pretibiale. Il morbo di Graves è la causa più frequente di ipertiroidismo, è una malattia autoimmune e ha un decorso cronico con remissioni e recidive. L'eziologia del morbo di Graves è rappresentata da un anticorpo diretto contro il recettore tiroideo per il TSH, il quale dà luogo a una stimolazione continua della ghiandola per la sintesi e la secrezione di quantità eccessive di T4 e T3. Il morbo di Graves

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(come la tiroidite di Hashimoto) è talvolta associato con altri disordini autoimmuni, tra i quali il diabete mellito insulino-dipendente, la vitiligine, la canizie prematura, l'anemia perniciosa, le malattie del collagene e la sindrome da deficit polighiandolare. La patogenesi dell'oftalmopatia infiltrativa (riscontrata nel morbo di Graves) è scarsamente compresa, ma essa viene più frequentemente osservata nelle fasi attive dell'ipertiroidismo. Può anche presentarsi prima della insorgenza dell'ipertiroidismo oppure da 15 a 20 anni dopo e frequentemente peggiora o migliora indipendentemente dal decorso clinico dell'ipertiroidismo. L'oftalmopatia infiltrativa può essere causata da immunoglobuline dirette contro antigeni specifici dei muscoli extraoculari e dei fibroblasti orbitari. Gli anticorpi sono diversi da quelli che danno inizio all'ipertiroidismo di tipo Graves. Un'oftalmopatia tipica in presenza di funzione tiroidea normale è chiamata morbo di Graves eutiroideo. Inappropriata secrezione di TSH: tutti i pazienti con ipertiroidismo hanno livelli sierici di TSH essenzialmente indosabili, tranne quelli con un tumore anteroipofisario secernente TSH o quelli con resistenza ipofisaria all'ormone tiroideo. In entrambe queste condizioni il TSH è biologicamente più attivo del TSH normale e un aumento della subunità a del TSH nel sangue è un marker della presenza di un tumore ipofisario secernente l'ormone. Gravidanza molare, coriocarcinoma e iperemesi gravidica: queste tre condizioni comportano l'elevazione dei livelli sierici di gonadotropina corionica umana, la quale è un debole stimolatore della tiroide. La gonadotropina corionica umana raggiunge i livelli massimi durante il primo trimestre di gravidanza e determina il leggero aumento della T4 libera sierica e la diminuzione del TSH sierico che a volte si osservano durante le fasi precoci della gravidanza. I valori della gonadotropina corionica umana sono solitamente più elevati nelle donne con gravidanza molare e nelle pazienti con coriocarcinoma, mentre sono generalmente normali nelle donne con iperemesi gravidica. Recentemente, è stato ipotizzato che l'aumento dell'attività stimolatoria sulla tiroide nel siero delle pazienti affette da queste condizioni sia causato dall'aumento dei livelli di asialogonadotropina corionica umana, la quale sembra essere uno stimolatore tiroideo più potente. Gozzo tossico solitario o multinodulare (morbo di Plummer): il gozzo multinodulare tossico è più comune nell'età avanzata. Del tutto recentemente, mutazioni puntiformi con effetto attivante a livello del recettore per il TSH, le quali determinano una stimolazione tiroidea continua, sono state descritte nei noduli solitari. Questa scoperta potrebbe spiegare, almeno in alcuni pazienti, la patogenesi dei noduli iperfunzionanti. Ipertiroidismo autosomico dominante non autoimmune: questo disordine, che è una sindrome familiare autosomica dominante di ipertiroidismo, si manifesta durante la prima infanzia. L'eziologia è costituita da mutazioni a carico del gene per il recettore del TSH, le quali hanno come effetto l'attivazione costitutiva del recettore e la stimolazione continua della tiroide a sintetizzare e secernere ormoni in eccesso. Gozzo indotto dal litio: la somministrazione di litio può indurre gozzo con o senza ipotiroidismo, specialmente nei pazienti con tiroidite di Hashimoto, forse a causa del suo effetto inibitorio sul rilascio dello ioduro dalla tiroide. Sebbene i pazienti che assumono litio possano sviluppare anche ipertiroidismo, è stato recentemente suggerito che questa associazione sia casuale e non dovuta alla somministrazione di litio. Malattie infiammatorie (tiroiditi): le forme di tiroidite comprendono la tiroidite linfocitica silente, la tiroidite subacuta e la tiroidite di Hashimoto (tutte e tre sono trattate sotto Tiroiditi, oltre). La tiroidite linfocitaria sporadica è poco frequente e le segnalazioni più recenti provenienti dal Midwest riguardo all'aumento della sua frequenza potrebbero essere state confuse con l'ingestione di carni bovine contaminate con tessuto tiroideo degli animali. L'ipertiroidismo è il risultato delle modificazioni distruttive della ghiandola e del rilascio dell'ormone immagazzinato, non dell'aumento della sintesi.

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La terapia radiante ad alte dosi sui tessuti del collo eseguita per patologie maligne non tiroidee può causare una tiroidite dolorosa e un ipertiroidismo transitorio. L'incidenza di ipotiroidismo permanente dopo tale terapia radiante è alta e la funzione tiroidea (TSH sierico) deve essere valutata a intervalli di 612 mesi. Un'oftalmopatia di Graves può presentarsi anni dopo la terapia radiante. L'amiodarone e l'interferone a è stato segnalato che inducono un'ampia varietà di disordini funzionali della tiroide; la loro trattazione va oltre gli scopi di questa breve panoramica. Comunque, entrambi i farmaci possono indurre tiroiditi con ipertiroidismo e i pazienti che li assumono devono essere strettamente controllati. Tireotossicosi factitia: i pazienti con questo disordine ingeriscono volontariamente o accidentalmente quantità eccessive di ormone tiroideo, il quale provoca l'insorgenza di ipertiroidismo senza gozzo. Contrariamente a quanto avviene in tutte le altre cause di ipertiroidismo, la tireoglobulina sierica non è elevata ed è quasi sempre bassa o ai limiti inferiori della norma. Ipertiroidismo dovuto a ingestione di iodio: l'ingestione di iodio è la principale causa di ipertiroidismo con bassa captazione tiroidea di iodio radioattivo, il quale è considerato un ipertiroidismo vero e proprio, cioè con aumento con sintesi e della secrezione di ormone tiroideo in eccesso da parte della tiroide. Esso si osserva più spesso nei pazienti con gozzo nodulare non tossico sottostante (soprattutto gli anziani) ai quali vengono somministrati farmaci che contengono iodio (p. es., l'amiodarone o gli espettoranti contenenti iodio) oppure che vengono sottoposti a indagini radiologiche e cardiologiche con impiego di mezzi di contrasto ricchi di iodio. Poiché la captazione tiroidea dello iodio radioattivo è inversamente proporzionale all'assunzione di iodio, la bassa captazione di iodio radioattivo si spiega facilmente. Esso è molto più comune nelle aree del pianeta con bassa o marginale assunzione di iodio dall'ambiente (Europa occidentale continentale), ma può verificarsi anche negli USA, dove l'apporto di iodio è adeguato. Tuttavia, l'eziologia dell'ipertiroidismo indotto dallo iodio non è chiara, ma potrebbe essere rappresentata dalla fornitura di iodio in eccesso a piccole aree di tessuto tiroideo autonomo. L'ipertiroidismo normalmente persiste finché è presente l'eccesso di iodio in circolo ed è più difficile da controllare rispetto alle altre cause di ipertiroidismo. Carcinoma tiroideo metastatizzato: la sovraproduzione di ormone tiroideo si verifica eccezionalmente a partire da un carcinoma follicolare metastatizzato, particolarmente ai polmoni. Struma ovarii: raramente, i teratomi ovarici contengono una quantità di tessuto tiroideo sufficiente a provocare un vero e proprio ipertiroidismo, solo che la sua localizzazione è nella pelvi e la captazione di iodio radioattivo da parte della tiroide ne risulta soppressa.

Sintomi e segni La maggior parte dei sintomi e dei segni dell'ipertiroidismo è uguale per tutte le forme, con alcune eccezioni come l'oftalmopatia infiltrativa (comune) e la dermopatia (rara), che sono manifestazioni autoimmunitarie del morbo di Graves e non vengono osservate in caso di eziologia diversa. La presentazione clinica dell'ipertiroidismo può essere drastica o subdola. Segni e sintomi comuni sono: il gozzo; la tachicardia; l'aumento della pressione differenziale; la cute calda, sottile e umida; il tremore; i segni oculari (v. oltre); la fibrillazione atriale; l'irritabilità e l'iperattività; l'aumento della sudorazione; l'intolleranza al caldo; le palpitazioni; la stanchezza; l'aumento dell'appetito; la perdita di peso; l'insonnia; la debolezza e l'accentuazione della peristalsi (occasionalmente la diarrea). Molti sintomi dell'ipertiroidismo sono simili a quelli dell'iperstimolazione simpatica. Le persone più anziane, in particolare quelle con gozzo nodulare tossico, possono esordire atipicamente con un ipertiroidismo silente o mascherato (v. Cap. 293).

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I segni oculari osservati nei pazienti con ipertiroidismo comprendono sguardo fisso, rarità dell'ammiccamento, retrazione palpebrale e iperemia congiuntivale di grado lieve. Questi segni oculari sono prevalentemente dovuti alla stimolazione adrenergica eccessiva e solitamente scompaiono con un trattamento efficace. L'oftalmopatia infiltrativa costituisce uno stadio evolutivo più avanzato ed è specifica del morbo di Graves. È caratterizzata da dolore orbitario, lacrimazione, irritazione, fotofobia, aumento del tessuto retrorbitario, esoftalmo e infiltrazione linfocitaria dei muscoli extraoculari, che può provocare astenia muscolare oculare portando spesso a diplopia. La dermopatia infiltrativa, chiamata anche mixedema pretibiale (termine fuorviante, dato che il mixedema fa pensare all'ipotiroidismo), è caratterizzata da un'infiltrazione senza fovea da parte di una sostanza proteinacea amorfa, di solito nella zona pretibiale. Essa raramente si presenta in assenza dell'oftalmopatia di Graves. La lesione è spesso pruriginosa ed eritematosa nelle sue fasi iniziali, per poi divenire successivamente ispessita e dura. Come l'oftalmopatia, la dermopatia infiltrativa può comparire con anni di anticipo o di ritardo rispetto all'ipertiroidismo. L'ipertiroidismo della gravidanza molare, del coriocarcinoma e dell'iperemesi gravidica è transitorio, e una funzione tiroidea normale si ristabilisce quando la gravidanza molare viene eliminata, il coriocarcinoma viene adeguatamente trattato o l'iperemesi gravidica scompare. I pazienti con gozzo nodulare tossico non hanno alcuna delle manifestazioni di tipo autoimmune, né gli anticorpi circolanti osservati nei pazienti con morbo di Graves. Infine, contrariamente al morbo di Graves, che può recedere spontaneamente, il gozzo tossico uninodulare e quello multinodulare solitamente non recedono. La crisi tireotossica è caratterizzata dall'insorgenza improvvisa di una sintomatologia ipertiroidea più accentuata, con esacerbazione di alcuni sintomi e presenza di segni atipici. Vi sono compresi febbre, astenia e deperimento muscolare marcati, irrequietezza estrema con ampie oscillazioni dell'umore, confusione, psicosi o perfino coma ed epatomegalia con ittero lieve. Il paziente può presentarsi con collasso cardiocircolatorio e shock. La crisi tireotossica, che è rara nei bambini, è il risultato di un ipertiroidismo non trattato o trattato inadeguatamente e può essere precipitata da un'infezione, un trauma, un intervento chirurgico, un'embolia, un'acidosi diabetica o una tossiemia gravidica o da parto. La crisi tireotossica è un'emergenza che mette in pericolo la vita e che richiede un trattamento immediato e specifico (v. Tab. 8-3). Nell'ipertiroidismo gli aumenti della T3 sierica sono di solito alquanto superiori a quelli della T4, probabilmente a causa dell'aumento sia della secrezione tiroidea di T3 sia della conversione periferica della T4 in T3. In alcuni pazienti ipertiroidei è elevata soltanto la T3; questa condizione è chiamata T3-tossicosi. La T3-tossicosi si può verificare in ognuno dei disordini abituali che determinano ipertiroidismo, tra i quali il morbo di Graves, il gozzo multinodulare e il nodulo tiroideo solitario autonomamente funzionante. Se la T3-tossicosi non viene trattata, il paziente di solito sviluppa le tipiche alterazioni di laboratorio dell'ipertiroidismo, cioè l'innalzamento della T4 e della captazione dello 123I. Ciò suggerisce che la T3-tossicosi è una manifestazione precoce dell'ipertiroidismo abituale e che deve essere trattata come tale. Le varie forme di tiroidite hanno generalmente una fase ipertiroidea. Alcune sono state esposte in precedenza e altre verranno trattate oltre alla voce Tiroiditi.

Diagnosi

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La diagnosi di ipertiroidismo solitamente non offre difficoltà e si basa su un'anamnesi e un esame obiettivo accurati, su un forte indice di sospetto e sui consueti test di funzionalità tiroidea. Un dosaggio del TSH sierico è il miglior test da eseguire per primo, poiché il TSH è sempre soppresso nei pazienti ipertiroidei, tranne quando la causa è un tumore ipofisario secernente TSH o una resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei. Deve quindi essere misurata la T4 libera e se essa risulta normale deve essere determinata la T3 sierica (v. sopra). Con l'aiuto delle indagini di laboratorio di conferma, le cause principali di ipertiroidismo possono spesso essere diagnosticate clinicamente. Tuttavia, l'eziologia non è sempre evidente ed è indicata l'esecuzione di ulteriori indagini. Un possibile approccio per la distinzione delle cause di ipertiroidismo è quello di eseguire un test di captazione tiroidea di iodio radioattivo con 123I. In quasi tutte le situazioni in cui l'ipertiroidismo è dovuto alla sovraproduzione ormonale, la captazione tiroidea di iodio radioattivo è elevata. La T3-tossicosi è difficile da diagnosticare perché la T3 di solito non viene misurata quando si valuta la funzione tiroidea, a meno che il paziente non abbia un TSH sierico soppresso e livelli di T4 libera normali. I criteri per porre la diagnosi sono (1) la presenza di sintomi e segni sfumati di ipertiroidismo, (2) un livello di T4 libera normale e (3) un livello sierico di TSH soppresso. Nel morbo di Graves, gli anticorpi contro il recettore tiroideo per il TSH possono essere misurati con la tecnica dello spiazzamento del TSH marcato con 125I da membrane cellulari tiroidee purificate, oppure mediante la stimolazione della sintesi di AMP ciclico da parte di cellule tiroidee in coltura (test per gli anticorpi tireo-stimolanti). Il dosaggio degli anticorpi contro il recettore per il TSH è raramente necessario, tranne durante l'ultimo trimestre di gravidanza, per prevedere la possibile insorgenza di un morbo di Graves neonatale; gli anticorpi contro il recettore per il TSH attraversano facilmente la placenta per stimolare la tiroide fetale. Sebbene questi anticorpi possano ridursi durante il trattamento con farmaci antitiroidei dei pazienti con morbo di Graves in fase di remissione, questo metodo viene impiegato raramente per prevedere la remissione. La maggior parte dei pazienti con morbo di Graves possiede anticorpi circolanti antiperossidasi tiroidea e un numero minore possiede anticorpi antitireoglobulina. Dal momento che le determinazioni quantitative di questi anticorpi sono facilmente eseguibili nella maggior parte dei laboratori, esse possono essere di aiuto per stabilire se l'ipertiroidismo ha una causa autoimmune. L'inappropriata secrezione di TSH è infrequente e la diagnosi è confermata quando l'ipertiroidismo si presenta con innalzamento delle concentrazioni di T4 e T3 libere e con livelli sierici di TSH normali o elevati. Un nodulo "caldo" singolo concentra tutto lo 123I con soppressione del resto della tiroide alla scintigrafia e aree multiple di aumento e di riduzione della captazione di 123I vengono osservate nei pazienti con noduli multipli.

Terapia Per l'ipertiroidismo esiste un gran numero di trattamenti, impiegati a seconda dell'eziologia. Iodio: lo iodio in dosi farmacologiche inibisce il rilascio di T3 e T4 in poche ore e impedisce l'organificazione dello iodio, un effetto transitorio che dura da pochi giorni a una settimana (fenomeno della fuga). Lo iodio viene usato per il trattamento di emergenza della crisi tireotossica, per i pazienti ipertiroidei che devono essere sottoposti a interventi chirurgici non tiroidei d'urgenza e (dal momento che esso riduce la vascolarizzazione della tiroide) per la preparazione preoperatoria dei pazienti ipertiroidei che devono essere sottoposti a tireoidectomia subtotale. Generalmente lo iodio non viene impiegato di routine per la terapia dell'ipertiroidismo. La dose usuale è di due o tre gocce di una file:///F|/sito/merck/sez02/0080092.html (5 of 8)02/09/2004 2.40.06

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soluzione satura di ioduro di potassio PO da tid a qid (da 300 a 600 mg/die), o 0,5 g di ioduro di sodio in 1 l di soluzione fisiologica somministrati lentamente EV q 12 h. Le complicanze della terapia con iodio sono costituite dall'infiammazione delle ghiandole salivari, dalla congiuntivite e dalle eruzioni cutanee. Inoltre, nei pazienti con gozzi non tossici, si può osservare l'induzione di un ipertiroidismo transitorio (malattia di Jod-Basedow) in seguito alla somministrazione di farmaci o mezzi di contrasto contenenti iodio. Paradossalmente, questi ultimi sono utili per la preparazione rapida dei pazienti per gli interventi sulla tiroide quando le procedure standard non ottengono effetto. Il sodio ipodato e l'acido iopanoico forniscono un eccesso di iodio e sono potenti inibitori della conversione della T4 in T3. La combinazione di questi agenti con il desametasone, anch'esso un potente inibitore della conversione della T4 in T3, può risolvere i sintomi dell'ipertiroidismo e riportare la concentrazione sierica della T3 ai valori normali entro una settimana. Propiltiouracile e metimazolo: sono farmaci antitiroidei che riducono l'organificazione dello ioduro e impediscono la reazione di condensazione. Sebbene le segnalazioni non siano univoche, sembra che dal 16 al 40% dei pazienti con morbo di Graves rimanga in stato di remissione dopo la sospensione di un ciclo terapeutico di 1 o 2 anni condotto con uno dei due farmaci. Il ritorno alla normalità o la marcata riduzione delle dimensioni della ghiandola, il ripristino di un normale livello sierico di TSH e la presenza di un ipertiroidismo di gravità minore prima dell'inizio della terapia sono segni prognostici favorevoli per la remissione a lungo termine del morbo di Graves. L'impiego concomitante della terapia farmacologica antitiroidea e della l-tiroxina per migliorare il tasso di remissione nei pazienti con morbo di Graves rimane controverso. Poiché il gozzo nodulare tossico va di rado incontro a remissione, la terapia farmacologica antitiroidea viene somministrata esclusivamente in preparazione al trattamento chirurgico o a una terapia con 131I. Il propiltiouracile (ma non il metimazolo) ad alte dosi inibisce anche la conversione periferica della T4 in T3. La dose di partenza abituale per il propiltiouracile va da 100 a 150 mg PO q 8 h e per il metimazolo da 15 a 30 mg PO giornalmente. Quando il paziente diviene eutiroideo il dosaggio viene ridotto alla dose minima efficace, di solito da 100 a 150 mg/die di propiltiouracile in due o tre dosi frazionate o da 10 a 15 mg/die di metimazolo. In genere, si ottiene il controllo in circa tre mesi. Un controllo più rapido può essere ottenuto aumentando la dose di propiltiouracile tra 450 e 600 mg/die. Dosi di propiltiouracile di questa entità o maggiori (da 800 a 1200 mg/ die) sono in genere riservate ai pazienti più gravi, tra i quali quelli con crisi tireotossica. Le dosi di mantenimento possono essere continuate per uno o molti anni a seconda della situazione clinica. Il carbimazolo, ampiamente usato in Europa, viene rapidamente convertito in metimazolo in vivo. La dose iniziale abituale è simile a quella del metimazolo; la dose di mantenimento è di 10-15 mg/ die. Gli effetti collaterali di questi farmaci comprendono reazioni allergiche, nausea, perdita del gusto e, in meno dell'1% dei pazienti, agranulocitosi reversibile. Se il paziente è allergico a un farmaco, è lecito fare un tentativo con l'altro, ma esiste la possibilità di una sensibilità crociata. Se si verifica agranulocitosi, passare a un altro farmaco è inaccettabile e va intrapresa una terapia più risolutiva, come la somministrazione di radioiodio o l'intervento chirurgico. È difficile stabilire quale farmaco sia preferibile. Il metimazolo ha una durata d'azione più prolungata e può essere somministrato una volta al giorno, il che migliora la compliance del paziente. Inoltre, quando il metimazolo viene utilizzato in dosi < 40 mg/die, l'agranulocitosi è meno comune; con il propiltiouracile, l'agranulocitosi può insorgere con qualunque dosaggio. Il propiltiouracile può essere preferito se la terapia farmacologica antitiroidea deve essere intrapresa durante la gravidanza o l'allattamento, poiché esso passa attraverso la placenta e nel latte molto meno del metimazolo. Comunque, il metimazolo è stato usato con successo nelle gestanti e nelle donne in allattamento senza la comparsa di complicanze fetali o neonatali. Il propiltiouracile viene preferito anche per il trattamento della crisi tireotossica perché i dosaggi utilizzati (da 800 a 1200 mg/

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Malattie della tiroide

die) bloccano parzialmente la conversione periferica della T4 in T3. b-bloccanti: i sintomi e i segni di ipertiroidismo dovuti all'ipertono adrenergico possono rispondere ai b-bloccanti. Il propranololo è stato quello maggiormente usato. Le manifestazioni che migliorano e quelle che non migliorano con il propranololo sono mostrate nella Tab. 8-4. Il propranololo non è utile come si riteneva in passato per la fissità dello sguardo e la retrazione palpebrale, facendo pensare che entrambi possano essere effetti prevalentemente di tipo a (o almeno una mescolanza di effetti a e b). Il propranololo è indicato nella crisi tireotossica (v. Tab. 8-3). Esso riduce rapidamente la frequenza cardiaca, di solito entro 2 o 3 h quando viene somministrato PO ed entro pochi minuti quando viene somministrato EV. Il propranololo è altresì indicato per il trattamento immediato della tachicardia presente in altre forme di ipertiroidismo (comprese le tiroiditi) e particolarmente nei pazienti anziani senza storia di scompenso cardiaco congestizio, dal momento che solitamente sono necessarie diverse settimane per ottenere un'attenuazione della sintomatologia con i farmaci antitiroidei. I calcioantagonisti possono essere utili per controllare le tachiaritmie nei pazienti nei quali i bbloccanti sono controindicati. Per i particolari sulla terapia con propranololo, v. Cap. 199. Sodio iodio radioattivo (131I): questa è la più comune forma di terapia utilizzata negli USA per i pazienti con ipertiroidismo. Non esiste alcuna prova che il radioiodio aumenti l'incidenza dei tumori, della leucemia, del carcinoma tiroideo o delle malformazioni congenite nei figli delle donne che hanno avuto una gravidanza in un momento successivo. Il radioiodio è raccomandato da molti come trattamento di scelta per il morbo di Graves e il gozzo nodulare tossico in tutti i pazienti, compresi i bambini. Il dosaggio dello 131I è difficile da calibrare e la risposta della ghiandola non può essere prevista esattamente. Se viene somministrata una dose di 131I sufficiente a indurre l'eutiroidismo, circa il 25% dei pazienti diverrà ipotiroideo 1 anno più tardi e l'incidenza continuerà ad aumentare ogni anno. Quindi, la maggioranza di questi pazienti diventerà ipotiroidea. D'altra parte, se vengono impiegate dosi più basse, vi è una maggiore incidenza di recidiva dell'ipertiroidismo. Trattamento chirurgico: il trattamento chirurgico è indicato per i pazienti giovani con morbo di Graves la cui malattia è recidivata dopo un ciclo di terapia farmacologica antitiroidea e che rifiutano la terapia con 131I, nei pazienti che non sono in grado di tollerare altri farmaci a causa di ipersensibilità o altri problemi, nei pazienti con gozzi di dimensioni molto grandi e in alcuni pazienti più giovani con adenoma tossico e gozzo multinodulare. Il trattamento chirurgico può essere eseguito nei pazienti anziani con gozzi nodulari giganti. Esso offre buone prospettive di recupero di una funzione normale. Le recidive postoperatorie variano tra il 2 e il 9%; il rischio di ipotiroidismo è direttamente correlato all'estensione del trattamento chirurgico. Complicanze non comuni, ma difficili da trattare, sono la paralisi delle corde vocali e l'ipoparatiroidismo. Prima dell'intervento, per ridurre la vascolarizzazione della ghiandola, va somministrata per 2 sett. una soluzione satura di ioduro di potassio, 3 gocce PO tid (circa 300500 mg/die). Inoltre devono essere somministrati propiltiouracile o metimazolo, poiché il paziente deve essere eutiroideo prima di poter somministrare lo ioduro. Come è stato notato precedentemente, l'aggiunta di desametasone e di mezzi di contrasto iodati può essere utilizzata per ripristinare rapidamente uno stato di eutiroidismo. Le procedure chirurgiche sono più difficoltose nei pazienti già sottoposti in precedenza a tiroidectomia o terapia con radioiodio. Crisi tireotossica: un regime terapeutico per la crisi tireotossica è riportato nella Tab. 8-3. Dermopatia e oftalmopatia infiltrativa: nella dermopatia infiltrativa riscontrata nel morbo di Graves i corticosteroidi topici possono talvolta attenuare il prurito. La dermopatia di solito si risolve spontaneamente dopo alcuni mesi o anni. L'oftalmopatia deve essere trattata congiuntamente dall'endocrinologo e dall'oculista e può richiedere i FANS, i corticosteroidi, l'irradiazione orbitaria e file:///F|/sito/merck/sez02/0080092.html (7 of 8)02/09/2004 2.40.06

Malattie della tiroide

l'intervento chirurgico.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE IPERTIROIDISMO IPERTIROIDISMO SUBCLINICO Assenza di sintomatologia o presenza di sintomatologia minima di ipertiroidismo con concentrazioni sieriche normali di T4 e di T3 libere e basse concentrazioni sieriche di TSH. L'ipertiroidismo subclinico è molto meno frequente dell'ipotiroidismo subclinico (v. oltre), ma è stato associato con un aumento dell'incidenza di fibrillazione atriale negli anziani. Non è chiaro se in queste condizioni la terapia farmacologica antitiroidea sia indicata e sono necessari ulteriori studi. I test di funzionalità tiroidea devono essere strettamente seguiti nel tempo e si deve istituire una terapia se si verifica un'elevazione anche minima dei valori di T4 o di T3 libera sierica oppure una fibrillazione atriale.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE IPOTIROIDISMO IPOTIROIDISMO SUBCLINICO Assenza di sintomatologia o presenza di sintomatologia minima suggestiva di ipotiroidismo con normali livelli sierici di T4 e di T3 libere e concentrazioni sieriche di TSH elevate. La disfunzione tiroidea subclinica è divenuta relativamente comune negli ultimi anni, perché adesso sono diffusamente disponibili test di laboratorio per il TSH molto sensibili. L'ipotiroidismo subclinico è particolarmente comune nelle donne anziane, soprattutto in quelle con una sottostante tiroidite di Hashimoto, raggiungendo anche il 15% in alcune casistiche. In tutti i pazienti con ipotiroidismo subclinico devono essere misurati gli anticorpi antiperossidasi tiroidea. La terapia con l-tiroxina è raccomandata nei pazienti con positività anticorpale, poiché essi presentano il massimo rischio di progressione verso l'ipotiroidismo conclamato. In assenza di positività degli anticorpi, la terapia con ltiroxina è più discutibile ma potrebbe essere opportuna in presenza di sintomi anche solo suggestivi di ipotiroidismo. Da ultimo, la funzione tiroidea deve essere tenuta sotto stretto controllo per individuare lo sviluppo di un ipotiroidismo di maggiore gravità.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TIROIDITE TIROIDITE LINFOCITARIA SILENTE

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia e prognosi

Infiammazione della tiroide. Disordine subacuto che si presenta più frequentemente nelle donne in periodo post-partum. Questo disordine è responsabile della maggior parte dei casi di disfunzione tiroidea post-partum (v. anche Malattie della tiroide nel Cap. 251). Si verifica in una percentuale variabile tra il 5 e il 10% delle donne in post-partum. Benché l'eziologia della tiroidite linfocitaria silente sia oscura, dati recenti suggeriscono che essa sia una patologia autoimmunitaria.

Sintomi e segni La tiroidite linfocitaria silente è caratterizzata da ingrossamento tiroideo di grado variabile, assenza di dolorabilità tiroidea e una fase di ipertiroidismo autolimitantesi di diverse settimane, spesso seguita da un ipotiroidismo transitorio dovuto alla deplezione delle riserve di ormone tiroideo, ma solitamente con ritorno definitivo allo stato eutiroideo (come descritto più avanti per la tiroidite subacuta dolente). La fase ipertiroidea può essere breve o passare inosservata e molte donne con questo disordine vengono riconosciute quando diventano ipotiroidee, condizione che occasionalmente è irreversibile.

Diagnosi La tiroidite linfocitaria silente rimane frequentemente non diagnosticata. In alcuni pazienti la diagnosi viene fatta soltanto durante la fase ipotiroidea poiché, l'ipertiroidismo può essere lieve o di breve durata o può non presentarsi affatto. Le biopsie rivelano un'infiltrazione linfocitaria analoga a quella osservata nella tiroidite di Hashimoto, ma senza follicoli linfoidi e fenomeni di cicatrizzazione. Gli autoanticorpi contro la perossidasi tiroidea e, meno frequentemente, gli anticorpi anti-tireoglobulina sono quasi sempre positivi durante la gravidanza e nel periodo post- partum. Così, questo disordine sembrerebbe essere una variante della tiroidite di Hashimoto (v. oltre). Gli elevati livelli sierici di T3 e T4 e il TSH soppresso della tiroidite linfocitaria silente si presentano in associazione con una

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Malattie della tiroide

bassissima captazione tiroidea di iodio radioattivo. Questi reperti di laboratorio sono simili a quelli osservati nei pazienti con tiroidite subacuta, tireotossicosi factitia e ipertiroidismo indotto dallo iodio. La conta dei GB e la VES sono normali. Mancano i segni oculari e il mixedema pretibiale.

Terapia e prognosi Poiché la tiroidite linfocitaria silente è un disordine transitorio autolimitantesi della durata di pochi mesi, la terapia è conservativa e di solito richiede soltanto un bbloccante, come il propranololo, durante la fase ipertiroidea (v. sopra Ipertiroidismo). I farmaci antitiroidei, il trattamento chirurgico e la terapia con radioiodio sono controindicati. La fase transitoria di ipotiroidismo può richiedere la terapia sostitutiva con ormoni tiroidei. La maggior parte dei pazienti recupera la funzione tiroidea normale, sebbene alcuni possano rimanere stabilmente ipotiroidei; di conseguenza, la funzione tiroidea deve essere rivalutata dopo 612 mesi. Questa malattia quasi sempre recidiva dopo le gravidanze successive.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIE DELLA TIROIDE (V. anche Cap. 8.) Generalmente, i valori sierici della tiroxina (T4) sono aumentati di 2-4 µg/dl (da 26 a 51 nmol/l) e quelli della triiodiotironina (T3) sono aumentati di 20-50 ng/dl (da 0,3 a 0,8 nmol/l) nel corso della gravidanza, mentre il T4 libero e l’ormone stimolante la tiroide (TSH) sono normali. L’assunzione di contraccettivi orali può produrre le stesse variazioni che non sono clinicamente significative. I sintomi di ipo- e di ipertiroidismo, nelle donne gravide non differiscono da quelli presenti nelle donne non gravide. Il trattamento del morbo di Graves in corso di gravidanza differisce nei diversi centri medici. In genere il trattamento di scelta consiste nella dose più bassa possibile di propiltiouracile orali (da 50 a 100 mg q 8 h). Tuttavia, questo farmaco attraversa la placenta e può provocare l’insorgenza di uno struma e di ipotiroidismo a carico del feto. La risposta a questa terapia si verifica gradualmente entro 3-4 sett.. e in genere il dosaggio non necessita di essere riadattato a intervalli più brevi. La somministrazione contemporanea di l-tiroxina o di l-triiodiotironina è controindicata, perché questi ormoni possono mascherare gli effetti delle dosi eccessive di propiltiouracile sulla madre e possono causare un ipotiroidismo nel feto. Lo stato tiroideo della madre è monitorato con la visita e con la determinazione del T4 libero e del TSH. È frequente un miglioramento del morbo di Graves nel 3o trimestre e quindi il propiltiouracile può, spesso, essere ridotto a 25-50 mg/die o addirittura interrotto. Nei centri in cui lavorano dei chirurghi esperti in chirurgia tiroidea, si può considerare l’eventualità di una tiroidectomia nel corso del 2o trimestre, se la madre è diventata eutiroidea con la terapia farmacologica. Se si decide per questo trattamento, la madre deve ricevere una dose piena sostitutiva di l-tiroxina (da 0,15 a 0,2 mg/ die), iniziando 24 h dopo l’intervento. La somministrazione di iodio radioattivo (con fini diagnostici o terapeutici) e di soluzioni iodate è controindicata in corso di gravidanza, a causa degli effetti nocivi sulla ghiandola tiroidea fetale. Il trattamento con agenti β-bloccanti (p. es., il propanololo) è sconsigliato (a meno che non si riscontrino reazioni al propiltiouracile o al metimazolo, un farmaco antitiroideo simile), a causa degli effetti collaterali sul feto e sul neonato, quali il possibile ritardo di crescita intrauterina, la bradicardia e l’ipoglicemia grave. Anche il feto può sviluppare un ipertiroidismo. Nel morbo di Graves lo stato tiroideo della madre non è correlato con la funzione tiroidea fetale. Le donne affette dalla malattia di Graves o con un’anamnesi positiva per essa possono essere clinicamente eutiroidee, iper- o ipotiroidee; indipendentemente dal loro stato, le loro immunoglobuline stimolanti la tiroide (TSI) attraversano la placenta. Anche le immunoglobuline bloccanti la tiroide, se presenti, attraversano la placenta; pertanto, lo stato della tiroide fetale riflette la concentrazione relativa delle immunoglobuline, stimolanti e bloccanti, ricevute. La misurazione delle TSI può essere effettuata nei laboratori d’analisi e deve essere richiesta per le donne gravide affette dalla malattia di Graves o con un’anamnesi positiva. La tachicardia fetale (> 160 battiti/min) e il ritardo di accrescimento intrauterino, documentato con l’ecografia, possono indicare un ipermetabolismo del feto. I feti possono sviluppare un gozzo, che può causare un polidramnios e un travaglio pre-termine. Nei neonati di donne in terapia con propiltiouracile, il morbo di Graves congenito può non manifestarsi prima di 7-10 gg dopo la nascita, quando si attenua l’effetto del farmaco. Pertanto le madri e i neonati devono essere seguiti con attenzione dopo il parto per monitorare il loro stato metabolico.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Le donne con ipotiroidismo possono diventare gravide perché hanno frequentemente dei normali cicli mestruali. Se la diagnosi è stata fatta prima della gravidanza, si deve continuare la terapia sostitutiva abituale con l-tiroxina. Mano a mano che la gravidanza progredisce, può essere necessario aumentare o ridurre di poco la dose. Se l’ipotiroidismo viene scoperto in corso di gravidanza, si deve iniziare la somministrazione standard sostitutiva con l-tiroxina 0,1 mg/die PO. La risposta alla terapia viene controllata ripetendo la misurazione del TSH dopo diverse settimane e ottimizzando la dose in base ai risultati ottenuti. La tiroidite di Hashimoto e un precedente trattamento per la malattia di Graves sono le cause più comuni di ipotiroidismo. L’immunosoppressione materna che si associa alla gravidanza spesso migliora l’andamento della tiroidite cronica. In alcune donne, tuttavia, si può avere ipo- o ipertiroidismo e può essere necessario istituire un trattamento per mantenere lo stato di eutiroidismo. La tiroidite acuta (subacuta), un problema comune in corso di gravidanza, è spesso confuso con il morbo di Graves. La presenza di uno struma dolorabile è osservato in concomitanza o dopo un’infezione respiratoria. Sintomi transitori di ipertiroidismo si associano a livelli sierici di T4 al di sopra dei normali valori in gravidanza. In genere, non è necessario alcun trattamento. La disfunzione tiroidea materna del post-partum è stata riportata nel 4-7% delle donne, durante i primi 6 mesi dopo il parto. L’incidenza sembra essere aumentata nelle donne gravide con gozzo, con una tiroidite di Hashimoto, un’anamnesi familiare fortemente indicativa di patologia tiroidea autoimmune o con un diabete mellito di tipo I (insulino-dipendente). Durante il 1o trimestre, deve essere presa in considerazione, in queste donne, la misurazione degli autoanticorpi contro l’antigene microsomale tiroideo (AMT). La disfunzione tiroidea materna del post-partum raramente si sviluppa nelle donne con titolo di emoagglutinazione per gli AMT 1:100, ma è più frequente tra quelle con un titolo di 1:6400. In quelle con titoli intermedi, l’esito è incerto. Nel post-partum, l’ipo- o l’ipertiroidismo sono generalmente transitori, ma possono richiedere un trattamento. Nelle pazienti affette da morbo di Graves, si può avere una recidiva di ipertiroidismo, transitoria o persistente dopo il parto. La tiroidite indolore con ipertiroidismo transitorio, un’entità clinica del postpartum di recente individuazione, ha probabilmente una genesi autoimmune. Si sviluppa improvvisamente nelle prime settimane dopo il parto, si associa a una scarsa captazione di iodio radioattivo ed è caratterizzata istologicamente da un infiltrato linfocitario. Contrariamente alla tiroidite subacuta, questa alterazione può persistere o progredire, con episodi ricorrenti e transitori di ipertiroidismo.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TIROIDITE TIROIDITE SUBACUTA

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e prognosi Diagnosi Terapia

(Tiroidite granulomatosa, a cellule giganti, di de Quervain) Patologia infiammatoria acuta della tiroide probabilmente causata da un virus. Spesso l'anamnesi è positiva per una precedente infezione virale delle vie respiratorie superiori. Gli esami istologici mostrano un'infiltrazione linfocitaria della ghiandola meno pronunciata rispetto alla tiroidite di Hashimoto e alla tiroidite silente, ma è presente un caratteristico infiltrato di cellule giganti e leucociti polimorfonucleati e uno scompaginamento della struttura follicolare.

Sintomi, segni e prognosi Le caratteristiche cliniche comprendono l'insorgenza di "mal di gola" (in realtà si tratta di dolore al collo) con dolorabilità crescente al collo e febbre di grado non elevato (da 37,8° a 38,3°C [da 100° a 101°F]). Il dolore al collo si sposta solitamente da un lato all'altro e può fissarsi in una sola zona, spesso irradiandosi alla mandibola e alle orecchie. Esso viene frequentemente confuso con il dolore dentario, la faringite o l'otite e aumenta di intensità con la deglutizione o la rotazione del capo. Nelle fasi precoci della malattia l'ipertiroidismo è comune a causa del rilascio di ormoni dai follicoli danneggiati. La debolezza e lo stato di debilitazione sono più pronunciati che negli altri disordini tiroidei. All'esame obiettivo, la tiroide è asimmetricamente ingrandita, indurita e dolente. La tiroidite subacuta è autolimitata, risolvendosi generalmente nel giro di qualche mese; occasionalmente recidiva e può portare a un ipotiroidismo permanente qualora la distruzione follicolare sia molto estesa.

Diagnosi I reperti di laboratorio negli stadi iniziali della malattia comprendono un aumento della T4 e della T3, una riduzione del TSH e della captazione tiroidea di iodio radioattivo (spesso pari a 0) e una VES elevata. Dopo diverse settimane, la tiroide ha esaurito le riserve di T4 e T3 e ne consegue un ipotiroidismo transitorio accompagnato da una riduzione della T4 e della T3, da una risalita del TSH e dal file:///F|/sito/merck/sez02/0080102b.html (1 of 2)02/09/2004 2.40.30

Malattie della tiroide

ripristino della captazione tiroidea di iodio radioattivo. Durante il decorso della malattia può essere presente una debole positività degli anticorpi tiroidei.

Terapia Il trattamento si avvale di alte dosi di aspirina o di FANS. Nei casi più gravi e con decorso più prolungato, sono raccomandati i corticosteroidi (p. es., prednisone da 30 a 40 mg/die, scalando gradualmente la dose in 6 sett.), che portano alla scomparsa di tutti i sintomi entro 24-48 h. Il trattamento deve essere interrotto quando la captazione tiroidea di iodio radioattivo ritorna normale o raggiunge livelli elevati.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TIROIDITE TIROIDITE DI HASHIMOTO

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

(Tiroidite linfocitaria cronica; struma di Hashimoto; tiroidite autoimmune) Infiammazione cronica della tiroide con infiltrazione linfocitaria della ghiandola, causata da fattori autoimmuni. Questo disordine è considerato la causa più comune di ipotiroidismo primitivo nel Nord America. Ha una maggiore prevalenza nelle donne rispetto agli uomini (8:1) e la sua incidenza aumenta con l'età. È frequente un'anamnesi familiare positiva per disordini tiroidei e l'incidenza è più alta fra i pazienti con anomalie cromosomiche, comprese le sindromi di Turner, di Down e di Klinefelter. Gli esami istologici mettono in evidenza un'estesa infiltrazione linfocitaria della tiroide, con presenza di follicoli linfoidi.

Sintomi e segni I pazienti lamentano ingrandimento senza dolore della ghiandola o senso di pienezza alla gola. L'esame obiettivo mostra un gozzo non dolente, liscio o nodulare, solido e più gommoso rispetto alla tiroide normale; molti pazienti sono ipotiroidei quando vengono visitati per la prima volta. Sono comuni altre forme di patologia autoimmune, tra le quali l'anemia perniciosa, l'AR, il LES e la sindrome di Sjögren. Possono coesistere altri disordini endocrini autoimmuni, tra i quali il morbo di Addison (insufficienza corticosurrenalica), l'ipoparatiroidismo e il diabete mellito insulino-dipendente. La sindrome di Schmidt è l'associazione tra il morbo di Addison e l'ipotiroidismo secondario alla tiroidite di Hashimoto (v. anche Cap. 11). Si può avere un aumento di incidenza delle neoplasie tiroidee, in particolare il carcinoma papillare e il linfoma della tiroide (v. anche Neoplasie endocrine multiple di tipo IIa nel Cap. 10).

Diagnosi I dati di laboratorio, all'inizio della malattia, mostrano livelli di T4 e di TSH normali e alti titoli degli anticorpi antiperossidasi tiroidea e più di rado degli anticorpi antitireoglobulina. La captazione di iodio radioattivo può essere aumentata, forse a causa di un difetto di organificazione dello ioduro in presenza di una ghiandola che continua a catturare iodio. Più avanti nel corso della malattia, i pazienti

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Malattie della tiroide

sviluppano ipotiroidismo con diminuzione della T4 e della captazione di iodio radioattivo e aumento del TSH.

Terapia Il trattamento della tiroidite di Hashimoto richiede solitamente la terapia sostitutiva con ormone tiroideo per tutta la vita, al fine di ridurre le dimensioni del gozzo e di trattare l'ipotiroidismo. Occasionalmente, l'ipotiroidismo è transitorio. La dose orale media sostitutiva con l-tiroxina va da 75 a 150 mg/die.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE Esistono quattro tipi generali di tumori maligni della tiroide: papillare (compreso il papillare-follicolare misto), follicolare, midollare (solido, con struma amiloideo) e indifferenziato e anaplastico (raro). La maggior parte dei noduli della tiroide è benigna e i carcinomi tiroidei in genere non sono altamente maligni e sono compatibili con una normale aspettativa di vita se vengono trattati adeguatamente. Di solito, il paziente o il medico notano una tumefazione del collo, per il resto del tutto asintomatica. Raramente, le metastasi originatesi da un piccolo carcinoma della tiroide sono responsabili di una sintomatologia d'esordio legata alla linfoadenomegalia, a problemi polmonari o a lesioni osteolitiche. Il sospetto di un carcinoma è aumentato in dipendenza dei seguenti fattori: (1) età (i pazienti giovani sono più predisposti); (2) sesso, se il paziente è un uomo (il carcinoma della tiroide è più frequente nelle donne con un rapporto di 2:1, ma nelle donne è più frequente la patologia tiroidea in generale con un rapporto di circa 8:1; quindi, un uomo con un nodulo tiroideo deve essere considerato con maggiore sospetto); (3) presenza di un nodulo singolo (le lesioni multinodulari sonLagunaLLo di solito benigne, a meno che non vi sia un nodulo freddo dominante alla scintigrafia tiroidea); (4) presenza di un nodulo freddo alla scintigrafia tiroidea (i noduli caldi sono raramente cancerosi); (5) storia di esposizione alle radiazioni alla testa, al collo o al torace, specialmente durante la prima e la seconda infanzia (p. es., per ipertrofia timica o tonsillare, acne o linfoma); (6) evidenza radiologica di fini calcificazioni puntiformi di tipo psammomatoso (carcinoma papillare) o di calcificazioni dense, omogenee (carcinoma midollare); (7) recente o rapido ingrandimento della ghiandola e (8) consistenza duro-lignea. La biopsia con agoaspirato è il miglior approccio diagnostico per distinguere i noduli benigni da quelli maligni, purché sia eseguita da un operatore e da un citologo esperti.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE CARCINOMA PAPILLARE

Sommario: Introduzione Terapia

Il carcinoma papillare è il più frequente tra i tumori maligni della tiroide (60-70% di tutti i carcinomi tiroidei). Le donne ne vengono colpite da due a tre volte più spesso degli uomini. È più frequente nei giovani, ma negli anziani ha maggiore malignità. È più comune nei pazienti con una storia di esposizione alle radiazioni e si diffonde per via linfatica. Si possono rinvenire residui tiroidei laterali aberranti che sono in realtà metastasi occulte con un aspetto istologico benigno. Questi carcinomi ben differenziati possono essere TSH-dipendenti e possono svilupparsi nel contesto di gozzi secondari alla tiroidite di Hashimoto. Molti carcinomi papillari contengono elementi follicolari, ma ciò non modifica la biologia di base del tumore.

Terapia La terapia dei piccoli tumori (< 1,5 cm) incapsulati e localizzati in un solo lobo consiste di solito nella lobectomia e nell'istmectomia, sebbene alcuni esperti raccomandino un trattamento chirurgico più esteso. Gli ormoni tiroidei in dosi soppressive per il TSH vengono somministrati per ridurre al minimo le possibilità di una nuova crescita o per indurre la regressione di ogni residuo microscopico di carcinoma papillare; il trattamento chirurgico è quasi sempre risolutivo. I tumori di grandi dimensioni (> 1,5 cm) o ampiamente diffusi richiedono spesso la tiroidectomia totale o sub-totale, con scintigrafia postoperatoria con radioiodio e successiva ablazione del tessuto tiroideo residuo con dosi adeguatamente elevate di 131I somministrate quando il paziente risulta ipotiroideo. In alternativa, può essere somministrato TSH ricombinante (non ancora disponibile) per 2 giorni prima dello 131I della scintigrafia diagnostica eseguita per individuare i residui di tessuto tiroideo o del tumore, evitando in questo modo la necessità di far divenire il paziente ipotiroideo prima della scintigrafia stessa. Può essere necessaria la ripetizione del trattamento ogni 6-12 mesi per ottenere l'ablazione completa del tessuto tiroideo residuo. Dopo il trattamento vengono somministrate dosi TSHsoppressive di l-tiroxina e la determinazione della tireoglobulina sierica è utile per rivelare la recidiva o la persistenza della malattia.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE CARCINOMA FOLLICOLARE

Sommario: Introduzione Terapia

Il carcinoma follicolare rappresenta circa il 15% dei tumori maligni della tiroide ed è più frequente negli anziani. È più maligno del carcinoma papillare, diffondendosi per via ematica con metastasi a distanza. Anch'esso è occasionalmente associato con una storia di esposizione alle radiazioni e colpisce più spesso le donne che gli uomini.

Terapia La terapia del carcinoma follicolare di qualsiasi dimensione richiede la tiroidectomia sub-totale con ablazione postoperatoria con radioiodio del tessuto tiroideo residuo, come avviene per il carcinoma papillare. Le metastasi sembrano essere più sensibili alla terapia con radioiodio rispetto a quelle del carcinoma papillare. Dosi TSH-soppressive di l-tiroxina e determinazioni della tireoglobulina sierica devono seguire il trattamento.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE CARCINOMA ANAPLASTICO Il carcinoma anaplastico rappresenta il 10% o meno dei tumori maligni della tiroide e si osserva principalmente negli anziani e nelle donne leggermente più spesso che negli uomini. Il tumore è caratterizzato da un accrescimento rapido e doloroso e circa l'80% dei pazienti muore entro 1 anno dalla diagnosi. Un rapido ingrandimento della ghiandola può anche essere indicativo di linfoma della tiroide, in particolare se in associazione con alti livelli di anticorpi antiperossidasi tiroidea e con la tiroidite di Hashimoto.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE CARCINOMA MIDOLLARE

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Il carcinoma midollare (solido) può presentarsi in forma sporadica (di solito monolaterale) o familiare (spesso bilaterale), trasmessa come carattere autosomico dominante. Dal punto di vista anatomopatologico si osserva una proliferazione delle cellule parafollicolari (cellule C) che producono quantità eccessive di calcitonina, un ormone che può abbassare i livelli sierici di Ca e di fosfato (PO4), ma che raramente è presente in concentrazioni sufficientemente elevate da avere tali effetti. Si osservano inoltre caratteristici depositi di amiloide che si colorano con il rosso Congo.

Sintomi e segni La presentazione clinica abituale è quella di un nodulo tiroideo asintomatico, sebbene molti casi vengano diagnosticati attualmente nel corso dello screening di routine tra i familiari dei soggetti con neoplasie endocrine multiple di tipo IIA o IIB, prima che il tumore divenga palpabile (v. Cap. 10). Il carcinoma midollare può avere una presentazione drammatica dal punto di vista biochimico quando è associato alla produzione ectopica di altri ormoni o peptidi, come l'ACTH, il polipeptide intestinale vasoattivo, le prostaglandine, le callicreine e la serotonina. Questo tumore è una componente della sindrome di Sipple, che è caratterizzata dalla presenza di carcinoma midollare della tiroide, feocromocitoma e iperparatiroidismo (v. Neoplasie endocrine multiple di tipo IIa nel Cap. 10). Questi tre disordini non sono sempre tutti presenti nello stesso paziente. Il feocromocitoma è presente nel 50-75% dei pazienti e l'iperparatiroidismo nel 50%. Reperti addizionali non associati in maniera regolare con questa sindrome comprendono i disordini del neuroectoderma, come i neurinomi mucosi; il megacolon; il pectus excavatum; l'ipotrofia muscolare e l'habitus marfanoide, con braccia e dita lunghe. Quando sono presenti anche queste condizioni associate, la sindrome è classificata come neoplasia endocrina multipla di tipo IIB; in questo sottogruppo manca l'iperparatiroidismo. Le metastasi si diffondono per via linfatica ai linfonodi cervicali e mediastinici, ma talvolta anche al fegato, ai polmoni e alle ossa. Nei pazienti con carcinoma midollare e neoplasie endocrine multiple di tipo IIA è frequente una lunga sopravvivenza, con più dei 2/3 dei soggetti colpiti che sopravvivono a 10 anni. Il carcinoma midollare che si presenta in forma sporadica ha una prognosi peggiore.

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Malattie della tiroide

Diagnosi La scintigrafia tiroidea dimostra la presenza di un nodulo non funzionante (freddo) che non concentra il radioiodo. Le rx possono mostrare calcificazioni conglomerate, omogenee e dense. Il miglior test diagnostico per il carcinoma midollare è la presenza di un elevato livello sierico di calcitonina, dato che soltanto raramente tale livello è normale. Un test di provocazione con calcio (15 mg/kg EV in 4 h) o pentagastrina (0,5 mg/kg EV in 5 s) induce una secrezione eccessiva di calcitonina. Gli esatti valori di riferimento per i livelli di calcitonina variano tra i diversi laboratori. Il carcinoma midollare ereditario può essere ora diagnosticato rivelando la presenza di mutazioni somatiche puntiformi a carico del proto-oncogene Ret sul cromosoma 10, le quali sono presenti in quasi tutti questi pazienti.

Terapia Trova indicazione la tiroidectomia totale, anche se non risulta evidente il coinvolgimento bilaterale. Vengono asportati anche i linfonodi. In presenza di iperparatiroidismo, è necessaria la rimozione delle paratiroidi iperplastiche o adenomatose. Se è presente un feocromocitoma, esso è di solito bilaterale; di conseguenza, per l'intervento viene preferito un accesso addominale anteriore. I feocromocitomi devono essere identificati e rimossi prima della tiroidectomia a causa del pericolo di provocare una crisi ipertensiva durante l'operazione (v. anche Feocromocitoma nel Cap. 9). A causa dell'incidenza familiare del carcinoma midollare, è importante controllare i parenti del paziente con analisi cromosomiche per identificare le mutazioni del proto-oncogene Ret e determinare periodicamente i livelli della calcitonina in condizioni basali e sotto stimolo. I parenti nei quali si dimostri la presenza di un livello elevato di calcitonina, pur in assenza di una massa tiroidea palpabile, devono essere sottoposti a tiroidectomia, poiché in questo stadio si ha una maggiore probabilità di ottenere la guarigione completa. Alcuni esperti raccomandano il trattamento chirurgico nei parenti che hanno una calcitonina normale sia in condizioni basali sia sotto stimolo, ma che presentano la mutazione del proto-oncogene Ret.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE CARCINOMA INDIFFERENZIATO DELLA TIROIDE Questa è una forma particolarmente aggressiva di carcinoma tiroideo. Si presenta in età avanzata e ha diversi aspetti anatomopatologici, comprendenti cellule fusate, squamose e anaplastiche. Sebbene la prognosi non sia buona, è stata sostenuta la validità di un recente approccio consistente nella chemioterapia e nell'irradiazione prima della tiroidectomia e in un altro ciclo dopo il trattamento chirurgico. Questo schema ha fatto ottenere alcune remissioni prolungate.

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Malattie della tiroide

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 8. MALATTIE DELLA TIROIDE TUMORI DELLA TIROIDE CARCINOMA DELLA TIROIDE INDOTTO DA RADIAZIONI L'irradiazione interna della tiroide da parte di isotopi radioattivi liberati dalle esplosioni atomiche (in Giappone e nelle isole Marshall) e dall'incidente del reattore di Chernobyl ha avuto come risultato un notevole aumento del rischio di cancro della tiroide, soprattutto nei bambini. Inoltre, il cancro della tiroide è stato il risultato dell'irradiazione esterna della testa, del collo e del torace superiore effettuata in passato per trattare una varietà di affezioni minori, tra le quali le tonsilliti ricorrenti, le adenoiditi, l'acne, la tinea capitis e l'ingrandimento del timo, come anche patologie gravi come il morbo di Hodgkin e la leucemia. Nel corso di queste procedure la tiroide veniva irradiata accidentalmente. Benché non vengano riconosciute sul momento, dosi relativamente piccole di radiazioni nel corso della prima e della seconda infanzia accrescono il rischio che si sviluppino neoplasie tiroidee benigne e maligne. Un'alterazione della tiroide si può sviluppare dopo circa 5 anni dall'esposizione, ma il paziente mantiene un rischio aumentato per almeno 30 o 40 anni dopo l'esposizione. Probabilmente non più di 1/3 dei soggetti irradiati sviluppa un tumore della tiroide; la maggior parte è benigna. Tuttavia, circa il 7% del gruppo dei soggetti irradiati sviluppa un carcinoma della tiroide; per lo più si tratta di carcinomi papillari o misti follicolaripapillari, generalmente a crescita lenta e relativamente non aggressivi. I tumori sono spesso multicentrici e la scintigrafia tiroidea non sempre individua le aree coinvolte. Sono stati spesso osservati foci cancerosi microscopici all'interno di aree considerate clinicamente normali. La valutazione iniziale di tutti i pazienti sottoposti a irradiazione esterna e interna della ghiandola tiroide deve comprendere una scintigrafia tiroidea con 123I, probabilmente un'ecografia tiroidea, e un esame obiettivo della ghiandola per mettere in evidenza qualunque anomalia palpabile. In assenza di qualsiasi alterazione, molti medici raccomandano dosi di ormoni tiroidei che riducano il TSH, con lo scopo di sopprimere la funzione tiroidea e la secrezione di tireotropina per ridurre la probabilità di sviluppare un tumore tiroideo. La dimostrazione di un'anomalia scintigrafica o ecografica in assenza di alterazioni palpabili richiede una decisione clinica circa l'esecuzione di una biopsia con agoaspirato, la necessità di un periodo di terapia soppressiva con ormoni tiroidei o l'opportunità di un trattamento chirurgico. In aggiunta, nel corso della valutazione iniziale devono essere misurati gli autoanticorpi tiroidei, dato che un ingrandimento diffuso o irregolare della ghiandola può essere dovuto alla tiroidite di Hashimoto (linfocitaria). Occorre effettuare l'esame obiettivo del collo una volta l'anno. La scintigrafia non viene ripetuta di routine. Quando è richiesto l'intervento chirurgico, il trattamento di scelta è la tiroidectomia subtotale o totale seguita, nel caso si identificasse un tumore maligno, dall'ablazione con radioiodio del tessuto tiroideo residuo a seconda delle dimensioni, del tipo istologico e dell'invasività. L'intervento deve essere eseguito da un chirurgo di provata esperienza nella chirurgia tiroidea, dati i rischi connessi con tale procedura, che comprendono l'ipoparatiroidismo e la resezione del nervo laringeo ricorrente.

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Malattie della tiroide

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE La corteccia surrenale produce androgeni, glicocorticoidi (p. es., cortisolo) e mineralcorticoidi (p. es., aldosterone). La fisiologia del sistema ipofisi-surrene è descritta nei Cap. 6 e 7. Qui di seguito sono trattate le diverse sindromi cliniche causate dall'ipofunzione o dall'iperfunzione della corteccia surrenale.

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE IPOFUNZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE INSUFFICIENZA CORTICOSURRENALICA SECONDARIA

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Ipofunzione del corticosurrene dovuta a una carenza di ACTH. L'insufficienza corticosurrenalica secondaria può verificarsi nel panipopituitarismo, nel deficit isolato della produzione di ACTH, nei pazienti in trattamento con corticosteroidi o dopo l'interruzione di una terapia corticosteroidea. Il panipopituitarismo (v. Malattie dell'ipofisi anteriore nel Cap. 7) si presenta più comunemente nelle donne con sindrome di Sheehan, ma può anche essere secondario ad adenomi cromofobi, a un craniofaringioma nei soggetti giovani e a una varietà di tumori e granulomi e di rado a infezioni o traumi che causano la distruzione del tessuto ipofisario. I pazienti che sono stati trattati con corticosteroidi per più di 4 sett. o che ne hanno interrotta l'assunzione dopo un periodo variabile da settimane a mesi, durante gli stress metabolici possono avere una secrezione di ACTH insufficiente a stimolare i surreni a produrre quantità adeguate di corticosteroidi, oppure possono avere surreni atrofici che non rispondono all'ACTH. Questi problemi possono persistere fino a 1 anno dopo l'interruzione della terapia steroidea. L'adeguatezza funzionale dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene durante il trattamento corticosteroideo a lungo termine può essere determinata con l'iniezione EV di una dose da 5 a 250 mg di cosintropina. Trenta minuti dopo, i livelli plasmatici di cortisolo dovrebbero essere > 20 mg/dl (> 552 nmol/l). Il deficit isolato di ACTH è idiopatico ed estremamente raro.

Sintomi e segni I pazienti con insufficienza corticosurrenalica secondaria non hanno iperpigmentazione come quelli con morbo di Addison. Essi hanno livelli di elettroliti relativamente normali; l'iperkaliemia e l'iperazotemia generalmente non sono presenti, a causa della secrezione pressoché normale di aldosterone in questi pazienti. Si può verificare un'iponatriemia da diluizione. I soggetti con panipopituitarismo, tuttavia, hanno una funzione tiroidea e gonadica ridotta nonché ipoglicemia e può sopravvenire il coma quando si verifica un'insufficienza corticosurrenalica secondaria sintomatica.

Diagnosi Le indagini per distinguere l'insufficienza corticosurrenalica primitiva da quella file:///F|/sito/merck/sez02/0090111.html (1 of 2)02/09/2004 2.40.36

Malattie del surrene

secondaria sono trattate sopra, nel paragrafo dedicato al Morbo di Addison. L'adeguatezza funzionale dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene durante il trattamento corticosteroideo a lungo termine può essere determinata mediante l'iniezione EV di una dose da 5 a 250 mg di cosintropina. Trenta minuti dopo, i livelli plasmatici di cortisolo dovrebbero essere > 20 mg/dl (> 552 nmol/l). Il riscontro di una massa o di un'atrofia ipofisaria suggerisce decisamente la possibilità di un'insufficienza corticosurrenalica secondaria.

Terapia Il trattamento dell'insufficienza corticosurrenalica secondaria è simile a quello del morbo di Addison. Ogni singolo caso varia quanto a tipo e grado dei deficit specifici degli ormoni corticosurrenalici. Generalmente, il fludrocortisone non è necessario poiché la produzione di aldosterone è conservata. Questi pazienti possono beneficiare maggiormente di dosi di idrocortisone più basse rispetto ai pazienti con insufficienza primitiva. Durante le malattie febbrili acute o dopo i traumi, nei pazienti in trattamento con corticosteroidi per disturbi non endocrini può essere necessario un supplemento di dosaggio per aumentare la produzione di idrocortisone endogeno. Nel panipopituitarismo devono essere trattati adeguatamente gli altri deficit ipofisari (v. Malattie dell'ipofisi anteriore nel Cap. 7).

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE IPERFUNZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE L'ipersecrezione di uno o più ormoni corticosurrenalici produce sindromi cliniche differenti. La produzione eccessiva di androgeni porta al virilismo surrenalico; l'ipersecrezione di glucocorticoidi produce la sindrome di Cushing e l'eccessiva secrezione di aldosterone conduce all'iperaldosteronismo (aldosteronismo). Queste sindromi spesso presentano caratteristiche sovrapposte. L'iperfunzione corticosurrenalica può essere compensatoria, come nell'iperplasia surrenalica congenita, oppure può essere dovuta a iperplasia acquisita, adenomi o adenocarcinomi. (V. anche Iperplasia surrenalica congenita nel Cap. 269.)

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE IPERFUNZIONE DELLA CORTECCIA SURRENALE IPERALDOSTERONISMO

Sommario: Introduzione Iperaldosteronismo primitivo Sintomi e segni Diagnosi Terapia Iperaldosteronismo secondario

(Aldosteronismo) Sindrome clinica risultante dall'eccessiva secrezione di aldosterone. L'aldosterone è il più potente mineralcorticoide prodotto dai surreni. Esso determina ritenzione di Na e perdita di K. Nel rene, l'aldosterone provoca lo spostamento del Na dal lume del tubulo distale al citoplasma delle cellule tubulari in scambio con il K e l'idrogeno. Lo stesso effetto si verifica nelle ghiandole salivari, nelle ghiandole sudoripare e nelle cellule della mucosa intestinale, nonché negli scambi tra i liquidi intracellulari e quelli extracellulari. La secrezione dell'aldosterone è regolata dal sistema renina-angiotensina e in misura minore dall'ACTH. La renina, un enzima proteolitico, si trova depositata nelle cellule iuxtaglomerulari del rene. La secrezione di renina è indotta dalla riduzione del volume e del flusso ematico nelle arteriole renali afferenti. La renina causa la trasformazione epatica dell'angiotensinogeno (una a2-globulina) in angiotensina I, un polipeptide a 10 aminoacidi, che viene a sua volta convertita in angiotensina II, un polipeptide a 8 aminoacidi. L'angiotensina II provoca la secrezione di aldosterone e, in misura molto minore, di cortisolo e deossicorticosterone. La ritenzione di Na e acqua derivante dall'aumento della secrezione di aldosterone fa aumentare la volemia e riduce la secrezione di renina. L'aldosterone viene misurato con metodiche radioimmunologiche.

Iperaldosteronismo primitivo (Sindrome di Conn) L'iperaldosteronismo primitivo è dovuto a un adenoma, di solito monolaterale, delle cellule della zona glomerulare della corteccia surrenale o, più raramente, a un carcinoma o a iperplasia surrenalica. Gli adenomi sono estremamente rari nei bambini, ma la sindrome entra talvolta a far parte del quadro del carcinoma surrenalico o dell'iperplasia surrenalica dell'infanzia. Il quadro clinico è inoltre mimato da quello dell'iperplasia surrenalica congenita da deficit di 11b-idrossilasi. Nei bambini, l'ipokaliemia e l'iperaldosteronismo della sindrome di Bartter si distinguono dalla sindrome di Conn grazie all'assenza di ipertensione.

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Malattie del surrene

Sintomi e segni L'ipersecrezione di aldosterone può produrre ipernatriemia, ipercloridria, ipervolemia e alcalosi ipokaliemica, che si manifestano con fenomeni episodici di astenia, parestesie, paralisi transitorie e tetania. Sono comuni l'ipertensione diastolica e una nefropatia ipokaliemica con poliuria e polidipsia. L'escrezione di aldosterone in presenza di un alto apporto di Na (> 10 g/die) è solitamente > 200 mg/die se è presente un tumore. La restrizione di Na causa ritenzione di K. Occasionalmente si osservano disturbi della personalità, iperglicemia e glicosuria. In molti casi la sola manifestazione clinica è un'ipertensione da lieve a moderata.

Diagnosi Un test utile consiste nel somministrare spironolattone, da 200 a 400 mg/die PO, poiché esso fa regredire le manifestazioni cliniche della malattia, compresa l'ipertensione, entro 5-8 sett. (Questa regressione si verifica raramente nei pazienti con ipertensione non dovuta all'aumento dell'aldosterone.) Il dosaggio della renina plasmatica è utile per la diagnosi e si effettua solitamente misurando il livello plasmatico della renina al mattino, con il paziente in posizione supina, somministrando 80 mg di furosemide PO e ripetendo quindi la determinazione dopo che il paziente ha mantenuto la stazione eretta per 3 ore. I soggetti normali mostrano un sensibile aumento della renina in stazione eretta, mentre nei pazienti con iperaldosteronismo ciò non accade. Circa il 20% dei pazienti con ipertensione essenziale, che non ha necessariamente un iperaldosteronismo, ha una renina bassa che non risponde alla stazione eretta. Possono essere utili i dosaggi dell'aldosterone plasmatico, eseguiti su sangue periferico o dopo cateterizzazione delle vene surrenaliche. La diagnosi dipende quindi dalla dimostrazione dell'elevata secrezione di aldosterone nelle urine o nel sangue, dell'espansione dello spazio extracellulare dimostrata dal mancato aumento della renina plasmatica in posizione eretta e dalle alterazioni del K notate sopra. La TC dimostra spesso in questi casi la presenza di un piccolo adenoma. La RMN non aumenta la capacità diagnostica. Le differenze principali tra iperaldosteronismo primitivo e secondario sono presentate nella Tab. 9-2.

Terapia Una volta stabilita la diagnosi di iperaldosteronismo primitivo, entrambe le ghiandole surrenali devono essere esplorate alla ricerca di possibili adenomi multipli. Per dimostrare la presenza di un tumore può essere necessario sezionare la ghiandola. La prognosi è buona nell'iperaldosteronismo conclamato quando può essere individuato un adenoma solitario. In tali casi, può essere realizzabile l'asportazione per via laparoscopica. Dopo l'asportazione di un adenoma secernente aldosterone, in tutti i pazienti si registra un abbassamento della PA; la remissione completa si verifica in una percentuale variabile dal 50 al 70% dei casi. Nell'iperplasia surrenalica con iperaldosteronismo, circa il 70% dei pazienti rimane iperteso, benché nella maggior parte di essi si realizzi un abbassamento della PA. L'iperaldosteronismo in questi pazienti può essere generalmente controllato dallo spironolattone, cominciando con 300 mg/die e diminuendo fino a una dose di mantenimento solitamente intorno ai 100 mg/die nell'arco di un mese, oppure dal canrenoato di potassio, cominciando con 200 mg/die e scalando nell'arco di 3 mesi fino a una dose di mantenimento intorno ai 100 mg/die. Un trattamento antiipertensivo aggiuntivo è necessario in circa la metà dei pazienti (v. Cap. 199). Raramente è necessaria la surrenectomia bilaterale. Nell'iperaldosteronismo normokaliemico la diagnosi e l'inquadramento sono difficili e l'esplorazione chirurgica può risultare senza esito. file:///F|/sito/merck/sez02/0090116.html (2 of 3)02/09/2004 2.40.38

Malattie del surrene

Iperaldosteronismo secondario L'iperaldosteronismo secondario, un aumento della produzione di aldosterone da parte della corteccia surrenale causato da stimoli originati al di fuori dei surreni, somiglia a quello primitivo ed è correlato all'ipertensione e ai disordini edemigeni (p. es., lo scompenso cardiaco, la cirrosi ascitogena, la sindrome nefrosica). L'iperaldosteronismo secondario che si verifica in coincidenza con la fase accelerata dell'ipertensione viene considerato una conseguenza dell'ipersecrezione di renina secondaria alla vasocostrizione renale. Iperaldosteronismo si osserva anche nell'ipertensione dovuta alla patologia ostruttiva delle arterie renali (p. es., ateromi, stenosi). Esso è conseguenza della riduzione del flusso ematico nel rene interessato. L'ipovolemia, che è comune nelle malattie edemigene, specialmente durante la terapia diuretica, stimola il sistema renina-angiotensina portando all'ipersecrezione di aldosterone. Nello scompenso cardiaco i tassi di secrezione possono essere normali, ma il flusso ematico al fegato e il metabolismo epatico dell'aldosterone sono ridotti, per cui i livelli circolanti dell'ormone sono elevati.

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE FEOCROMOCITOMA Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Tumore delle cellule cromaffini che secernono catecolamine, il quale causa ipertensione. In circa l'80% dei casi i feocromocitomi sono localizzati nella midollare surrenale, ma essi si possono trovare anche in altri tessuti derivati dalle cellule della cresta neurale (v. Anatomia patologica, oltre). Quelli situati nella midollare del surrene compaiono in ugual misura in entrambi i sessi, sono bilaterali nel 10% dei casi (nel 20% nei bambini) e solitamente benigni (95%). I tumori extrasurrenalici sono più spesso maligni (30%). Sebbene i feocromocitomi possano presentarsi a qualunque età, l'incidenza massima si osserva tra il terzo e il quinto decennio di vita.

Anatomia patologica I feocromocitomi hanno dimensioni variabili, ma oscillano in media solo fra i 5 e i 6 cm di diametro. Essi pesano generalmente dai 50 ai 200 g, ma sono stati descritti tumori del peso di diversi chili. Raramente, sono abbastanza grandi da potersi palpare o da causare sintomi dovuti a compressione od ostruzione. Il tumore di solito consiste in un nido ben incapsulato di cellule cromaffini che appaiono maligne all'esame microscopico. Le cellule presentano molte forme bizzarre con nuclei picnotici, grandi o multipli. Indipendentemente dall'aspetto istologico, il tumore può essere considerato benigno se non ha invaso la capsula e se non si rinvengono metastasi. Oltre che nel surrene, i tumori possono essere localizzati nei paragangli della catena simpatica, nel retroperitoneo lungo il decorso dell'aorta, nel glomo carotideo, nell'organo di Zuckerkandl (alla biforcazione aortica), nell'apparato genitourinario, nel cervello, nel sacco pericardico e nelle cisti dermoidi. I feocromocitomi fanno parte della sindrome delle neoplasie endocrine multiple familiari di tipo IIA (sindrome di Sipple) e possono essere associati al carcinoma midollare della tiroide e agli adenomi delle paratiroidi (v. Cap. 10). È stata descritta una sindrome di tipo III che comprende il feocromocitoma, i neurinomi delle mucose (orale e oculare) e il carcinoma midollare della tiroide. Esiste un'associazione significativa (10%) con la neurofibromatosi (malattia di von Recklinghausen) e il feocromocitoma può trovarsi associato agli emangiomi, come nella malattia di von Hippel-Lindau.

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Malattie del surrene

Sintomi e segni La caratteristica clinica più rilevante è l'ipertensione, che può essere parossistica (45%) o persistente (50%) ed è raramente assente (5%). Circa 1/1000 dei pazienti con ipertensione ha un feocromocitoma. L'ipertensione è dovuta alla secrezione di uno o più degli ormoni catecolaminici o dei loro precursori: noradrenalina, adrenalina, dopamina o dopa. Segni e sintomi comuni sono la tachicardia, la sudorazione, l'ipotensione posturale, la tachipnea, le vampate, la cute fredda e sudaticcia, la cefalea intensa, l'angina, le palpitazioni, la nausea, il vomito, le epigastralgie, i disturbi visivi, la dispnea, le parestesie, la stipsi e un senso di morte imminente. Gli attacchi parossistici possono essere scatenati dalla palpazione del tumore, dai cambiamenti di posizione, dalla compressione o dal massaggio addominale, dall'induzione di un'anestesia, dai traumi emotivi, dai b-bloccanti e dalla minzione se il tumore è localizzato a livello vescicale. L'esame obiettivo, eccetto per il rilevo comune di ipertensione, è di solito normale, a meno che non venga eseguito durante un attacco parossistico. La gravità della retinopatia e della cardiomegalia è spesso inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare per il grado di ipertensione presente.

Diagnosi I principali prodotti metabolici urinari dell'adrenalina e della noradrenalina sono le metanefrine, l'acido vanilmandelico (VanillylMandelic Acid, VMA) e l'acido omovanillico (HomoVanillic Acid, HVA). Le persone normali eliminano soltanto piccolissime quantità di queste sostanze con le urine. I valori normali nelle 24 h sono i seguenti: adrenalina e noradrenalina libere < 100 mg (< 582 nmol), metanefrina totale < 1,3 mg (< 7,1 mmol), VMA < 10 mg (< 50 mmol) e HVA < 15 mg (< 82,4 mmol). Nel feocromocitoma e nel neuroblastoma l'escrezione urinaria di adrenalina e noradrenalina e dei loro prodotti metabolici aumenta in maniera intermittente. Comunque, l'escrezione di questi composti può essere elevata anche negli stati di coma, di disidratazione o di stress estremo, nei pazienti in trattamento con alcaloidi della rauwolfia, metildopa o catecolamine, oppure dopo l'ingestione di alimenti contenenti grandi quantità di vaniglia, specialmente in presenza di insufficienza renale. Tutti questi composti possono essere misurati nello stesso campione di urine. I metodi per la determinazione del VMA e delle metanefrine prevedono la conversione in vanillina, l'estrazione della vanillina in toluene e la determinazione spettrofotometrica finale della vanillina a 360 mm. Le catecolamine (principalmente adrenalina e noradrenalina) vengono misurate con metodi fluorometrici dopo estrazione e assorbimento su gel di ossido di alluminio. Nella valutazione dei risultati eventualmente alterati devono essere tenute presenti le interferenze dovute ai medicinali adrenalino-simili, agli antiipertensivi (p. es., la metildopa) e ad altri farmaci che producono fluorescenza (p. es., le tetracicline e il chinino). Sono disponibili anche tecniche di cromatografia in fase liquida ad alta risoluzione, come pure procedure radioenzimatiche, sebbene di solito vengano utilizzate come strumenti di ricerca. I livelli plasmatici delle catecolamine di solito non hanno valore, a meno che il sangue non venga prelevato durante un attacco parossistico o dopo la somministrazione di un farmaco come il glucagone, che provoca il rilascio di catecolamine, o la clonidina, che abbassa i livelli delle catecolamine nei soggetti normali (v. oltre). A causa del loro stato ipercinetico, questi pazienti possono sembrare ipertiroidei pur essendo eutiroidei. Il volume ematico è ridotto e può provocare un falso innalzamento dei valori dell'Hb e dell'HTC. Possono essere presenti iperglicemia, glicosuria o diabete mellito franco, con alti livelli plasmatici di acidi grassi liberi e di glicerolo a digiuno. I livelli plasmatici di insulina sono inappropriatamente bassi rispetto ai valori della glicemia determinati in contemporanea. Dopo l'asportazione del feocromocitoma, può comparire ipoglicemia, specialmente se il paziente era stato trattato con farmaci ipoglicemizzanti orali.

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Malattie del surrene

I test di provocazione con istamina o tiramina sono rischiosi e devono essere evitati. Il glucagone (da 0,5 a 1 mg iniettato EV in bolo) provoca entro 2 min un aumento della PA > 35/25 mm Hg nei pazienti normotesi con feocromocitoma. Per far fronte ad ogni eventuale crisi ipertensiva deve essere disponibile la fentolamina mesilato. Se un paziente con feocromocitoma è iperteso, 5 mg di fentolamina iniettati EV producono una caduta della PA > 35/25 mm Hg entro 2 min. Nei pazienti con uremia, accidenti cerebrovascolari e ipertensione maligna, nonché in quelli che assumono determinati farmaci, tra i quali i diuretici (probabilmente a causa della diminuzione del volume plasmatico) e le fenotiazine (probabilmente per il blocco del reuptake delle catecolamine) si verificano risultati falsamente positivi; le fenotiazine possono anch'esse provocare crisi ipertensive. È stata sviluppata una variante di questo test, che si avvale dell'inibizione della secrezione di insulina da parte delle catecolamine. Trenta minuti prima dell'iniezione di fentolamina viene cominciata un'infusione EV di soluzione glucosata al 10% (2 ml/min). (Il sangue viene prelevato due volte per la determinazione della glicemia e dell'insulina prima dell'inezione.) Dopo la somministrazione di fentolamina, la PA viene misurata a intervalli di 30 s per 3 min, quindi viene prelevato nuovamente il sangue. La presenza di un feocromocitoma è indicata da un calo della PA 35/25 mm Hg, da un calo della glicemia > 18 mg/dl (> 1 mmol/l) o da un aumento dell'insulina > 13 mU/ml (> 90 pmol/l). È stato descritto un test che utilizza la clonidina per via orale. Quarantotto ore dopo la sospensione di tutti i farmaci che agiscono sul sistema nervoso simpatico, al paziente vengono somministrati 0,3 mg di clonidina. Prima della somministrazione della clonidina e 3 h dopo, vengono prelevati campioni di sangue per il dosaggio delle catecolamine plasmatiche. La risposta normale consiste in una riduzione dei livelli plasmatici di noradrenalina fino ai valori normali (< 400 pg/ml [< 2364 pmol/l]) e in una riduzione di almeno il 40% rispetto ai livelli basali. I pazienti con feocromocitoma mantengono valori elevati. I tentativi per localizzare radiologicamente i tumori devono essere limitati a proiezioni multiple del torace e dell'addome. La TC o la RMN possono essere utili, con e senza mezzo di contrasto. È stata anche impiegata con successo la tomografia a emissione di positroni. La pielografia EV con tomografia delle zone perirenali deve essere impiegata soltanto se le tecniche suddette non sono disponibili. La flebografia, l'aortografia e l'insufflazione retroperitoneale di gas sono controindicate, potendo scatenare una crisi grave o fatale. È stata ottenuta la localizzazione del livello del tumore mediante determinazioni ripetute della concentrazione delle catecolamine plasmatiche durante la cateterizzazione della vena cava, ma anche questa procedura è potenzialmente pericolosa. Recentemente sono stati impiegati farmaci marcati con isotopi radioattivi per localizzare i feocromocitomi con tecniche di medicina nucleare. La 131Imetaiodobenzilguanidina (MIBG) è il composto più studiato; si iniettano 0,5 mCi EV e si sottopone il paziente a scintigrafia nei giorni 1, 2 e 3. Il tessuto surrenale normale capta raramente questo isotopo, ma il 90% dei feocromocitomi lo capta.

Terapia Il trattamento di scelta è la rimozione chirurgica del tumore. Di solito è possibile ritardare l'intervento fino a quando il paziente non ha recuperato condizioni fisiche ottimali, usando un'associazione di farmaci a- e b-bloccanti (rispettivamente fenossibenzamina da 40 a 160 mg/die e propranololo da 30 a 60 mg/die, PO in dosi frazionate). L'infusione di trimetafano camsilato o di nitroprussiato sodico può venire utilizzata per le crisi ipertensive pre- o intraoperatorie. Quando si usano farmaci antagonisti adrenergici, i composti a vengono solitamente cominciati per primi. Quando viene sospettata o documentata la presenza di tumori bilaterali (come nei pazienti con neoplasie endocrine multiple, v. Cap. 10), prima e durante l'intervento chirurgico bisogna somministrare una quantità di idrocortisone (100 mg EV bid) bastevole a evitare l'insufficienza glucocorticoidea.

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Malattie del surrene

La metirosina può essere usata da sola o in associazione con un a-bloccante (fenossibenzamina); il dosaggio efficace ottimale della metirosina, da 1 a 4 g/die in dosi frazionate, deve essere somministrato per almeno 5-7 giorni prima dell'intervento. Il labetololo, un farmaco con proprietà bloccanti sia a- che badrenergiche, può essere somministrato per via orale, a partire da 200 mg/die in dosi frazionate. Raramente, il labetalolo aggrava l'ipertensione nei pazienti con feocromocitoma. Il chirurgo deve utilizzare un accesso addominale anteriore, anche se il tumore è stato localizzato nella loggia renale, in modo da rendere possibile la ricerca di altri feocromocitomi. La PA deve essere tenuta costantemente sotto controllo tramite cateterizzazione arteriosa ed è necessario misurare continuamente la pressione venosa centrale per evitare una caduta del volume circolatorio. L'anestesia deve essere indotta con un farmaco non aritmogeno, come il tiobarbiturato, e proseguita con enflurano. Durante l'intervento le crisi ipertensive devono essere controllate con immediate iniezioni EV di fentolamina da 1 a 5 mg o con l'infusione di nitroprussiato (da 2 a 4 mg/kg/h sono di solito sufficienti) e le tachiaritmie con propranololo da 0,5 a 2 mg EV. L'ectopia ventricolare deve essere trattata con lidocaina, da 50 a 100 mg somministrati per iniezione EV rapida, seguiti dall'infusione di 2-4 mg/min secondo le necessità. Se è necessario un miorilassante, il farmaco di scelta è il pancuronio, che non provoca liberazione di istamina. Si deve evitare l'uso preoperatorio di atropina. Da una a due unità (da 500 a 1000 ml) di sangue devono essere somministrate prima che il tumore venga asportato, in previsione della probabile perdita ematica intraoperatoria. Se la PA è stata ben controllata prima dell'intervento, è raccomandata una dieta ad alto contenuto di sale per aumentare la volemia. Ogniqualvolta compare ipotensione si deve cominciare un'infusione di levarterenolo da 4 a 12 mg/l. Alcuni pazienti la cui ipotensione risponde scarsamente al levarterenolo possono trarre beneficio dall'aggiunta di 100 mg di idrocortisone EV. Il feocromocitoma maligno metastatico deve essere trattato con a- e bbloccanti e con metirosina. Quest'ultima inibisce la tirosina idrossilasi, che catalizza la prima reazione della biosintesi delle catecolamine. In questo modo, i livelli di VMA e la PA si abbassano. La PA può essere mantenuta sotto controllo anche se la crescita tumorale procede e finisce poi per causare la morte. La polichemioterapia con impiego di ciclofosfamide, vincristina e dacarbazina è il trattamento migliore per le metastasi. In via sperimentale, per il trattamento delle metastasi estese è stata utilizzata la 131I-MIBG. La radioterapia può ridurre il dolore osseo ma è generalmente inefficace.

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Malattie del surrene

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 9. MALATTIE DEL SURRENE MASSE SURRENALICHE NON FUNZIONANTI Sommario: Introduzione Sintomi, segni e terapia

Lesioni occupanti spazio delle ghiandole surrenali che non possiedono attività ormonale. Gli adenomi surrenalici, identificati con la TC addominale o con la RMN, sono le più comuni tra queste masse. Nei neonati, l'emorragia surrenale spontanea può produrre grandi masse surrenaliche che simulano il neuroblastoma o il tumore di Wilms. Negli adulti, un'emorragia surrenale massiva bilaterale può essere la conseguenza di una malattia tromboembolica o di una coagulopatia. Cisti surrenali benigne sono osservabili negli anziani e possono dipendere da degenerazione cistica, accidenti vascolari, infezioni batteriche o infestazioni parassitarie (Echinococcus). I surreni possono venire infettati dai batteri della tubercolosi per via ematogena, con formazione di masse surrenaliche. Il raro carcinoma surrenalico non funzionante produce un diffuso e infiltrante processo espansivo retroperitoneale. La più comune massa surrenalica non funzionante negli adulti è l'adenoma (55%), seguito dai tumori metastatici (30%). Cisti e lipomi costituiscono la maggior parte dei casi rimanenti.

Sintomi, segni e terapia Le masse surrenaliche non funzionanti vengono di solito scoperte incidentalmente nel corso di indagini eseguite per altri motivi. Con qualunque tipo di massa surrenale, l'insufficienza surrenalica viene osservata raramente, a meno che non siano coinvolte entrambe le ghiandole. I piccoli adenomi surrenalici (< 2 cm) solitamente non sono funzionanti, non provocano sintomi e non richiedono alcun trattamento specifico, ma vanno tenuti sotto osservazione per controllarne la crescita o l'eventuale sviluppo di capacità secretoria. Se esiste la possibilità di una malattia metastatica, una biopsia con ago sottile può essere diagnostica. Se il tumore è solido, di origine surrenalica e > 6 cm, esso deve essere asportato, perché la biopsia non riesce sempre a distinguere i tumori benigni da quelli maligni. I segni più importanti di emorragia surrenale bilaterale massiva sono il dolore addominale, la caduta dell'HTC, i segni dell'insufficienza surrenalica acuta e la presenza di masse soprarenali alla TC o alla RMN. La tubercolosi dei surreni può causare calcificazioni e insufficienza surrenalica (morbo di Addison). Il carcinoma surrenalico non funzionante si manifesta solitamente come malattia metastatica e non è suscettibile di trattamento chirurgico, sebbene il mitotano offra la possibilità di un controllo chemioterapico quando viene usato in associazione con i corticosteroidi esogeni di sostegno.

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Malattie del surrene

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Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 10. SINDROMI DA NEOPLASIE ENDOCRINE MULTIPLE (MEN) (Adenomatosi endocrina multipla; adenomatosi endocrina familiare)

Sommario: Introduzione Neoplasie endocrine multiple di tipo i (men i) Sintomi e segni Diagnosi Terapia Neoplasie endocrine multiple di tipo iia (men iia) Sintomi e segni Diagnosi Terapia Neoplasie endocrine multiple di tipo iib (men iib) Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Gruppo di malattie familiari geneticamente distinte caratterizzate da iperplasia adenomatosa e sviluppo di tumori maligni nel contesto di diverse ghiandole endocrine. Sono state identificate tre sindromi differenti; ciascuna di esse viene ereditata come carattere autosomico dominante con un alto grado di penetranza, espressività variabile e un significativo pleiotropismo. La relazione tra l'anomalia genetica e la patogenesi dei diversi tumori non è del tutto compresa. I segni e i sintomi si possono osservare fin dal primo o anche al nono decennio di vita e dipendono dal tipo dei tumori endocrini presenti. Il trattamento appropriato comprende l'identificazione precoce degli individui affetti all'interno di una famiglia, la rimozione chirurgica dei tumori ove possibile e lo screening biochimico continuo di questi soggetti. Sebbene le varie sindromi siano di solito considerate come entità distinte, occasionalmente si possono notare sovrapposizioni significative (v. Tab. 10-1).

Neoplasie endocrine multiple di tipo i (men i) (Adenomatosi endocrina multipla di tipo I; sindrome di Wermer) Sindrome caratterizzata dalla presenza di tumori delle ghiandole paratiroidi, delle cellule insulari pancreatiche e della ghiandola ipofisaria. Il gene che provoca la MEN I è stato recentemente identificato sul cromosoma 11 e sembra funzionare come un gene onco-soppressore.

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Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

Sintomi e segni Le caratteristiche cliniche della sindrome MEN I dipendono dal quadro del coinvolgimento tumorale nel singolo paziente. L'iperparatiroidismo è presente in almeno il 90% dei pazienti affetti. La manifestazione più comune è l'ipercalcemia asintomatica; circa il 25% dei pazienti mostra evidenza di nefrolitiasi o nefrocalcinosi. Contrariamente ai casi sporadici di iperparatiroidismo, l'iperplasia diffusa o gli adenomi multipli si osservano più frequentemente degli adenomi solitari. I tumori delle cellule insulari pancreatiche sono stati riferiti in una percentuale variabile dal 30 al 75% dei pazienti affetti. Circa il 40% di questi tumori origina dalle cellule b, secerne insulina ed è associato a ipoglicemia a digiuno. In circa il 60% dei casi, i tumori delle insule pancreatiche derivano da elementi cellulari non b. I tumori a cellule b sono più comuni nei pazienti al di sotto dei 40 anni di età e i tumori a cellule non b nei pazienti al di sopra dei 40 anni. La gastrina è l'ormone più comunemente secreto dai tumori a cellule non b ed è associata a ulcera peptica intrattabile e complicata (sindrome di Zollinger-Ellison, v. Tumori endocrini nel Cap. 34). Più del 50% dei pazienti affetti da MEN I soffre di malattia ulcerosa peptica; nella maggior parte dei casi le ulcere sono multiple o a localizzazione atipica e l'incidenza di emorragia, perforazione e ostruzione è corrispondentemente alta. L'estrema ipersecrezione di acido gastrico in questi pazienti può essere associata con l'inattivazione della lipasi pancreatica, con conseguenti diarrea e steatorrea. Sebbene in passato si pensasse che nei pazienti con MEN i gastrinomi originassero solo dal pancreas, sono stati identificati anche gastrinomi del duodeno, come segnalato di recente. Quando i pazienti la cui presentazione clinica iniziale è la sindrome di Zollinger-Ellison vengono valutati a distanza, una percentuale variabile dal 20 al 60% si dimostra affetta dalla sindrome MEN I. In altri casi, i tumori delle cellule insulari non b sono stati associati a una grave diarrea secretoria che porta a deplezione di liquidi e di elettroliti. Questo complesso sintomatologico, denominato sindrome WDHA (da Watery Diarrhea, Hypokalemia e Achlorydria, cioè diarrea acquosa, ipokaliemia e acloridria) o colera pancreatico (v. Vipoma nel Cap. 34), in alcuni pazienti è stato attribuito al polipeptide intestinale vasoattivo, benché possano contribuirvi altri ormoni intestinali o secretagoghi, comprese le prostaglandine. Molti pazienti con tumori delle cellule insulari pancreatiche hanno livelli aumentati di polipeptide pancreatico, i quali possono alla fine risultare utili per la diagnosi di sindrome MEN I, ma le manifestazioni cliniche associate con l'iperproduzione di questo ormone non sono state chiaramente definite. In alcuni pazienti con tumori a cellule non b sono state osservate anche l'ipersecrezione di glucagone, somatostatina, cromogranina e calcitonina, la secrezione ectopica di ACTH (con l'induzione di una sindrome di Cushing) e la secrezione dell'ormone di rilascio della somatotropina (con acromegalia clinicamente evidente). Sia i tumori a cellule b sia quelli a cellule non b sono solitamente multicentrici in origine e gli adenomi multipli o l'iperplasia diffusa delle cellule insulari sono di comune riscontro. In circa il 30% dei pazienti i tumori delle cellule insulari sono maligni, con metastasi locali o a distanza, ma questi tumori nell'ambito della sindrome MEN I seguono spesso un decorso più benigno rispetto ai carcinomi insulari sporadici. L'incidenza di malignità sembra essere più alta nei tumori a cellule non b. Tumori ipofisari sono stati osservati in una percentuale variabile dal 50 al 65% dei pazienti con sindrome MEN I. Circa il 25% di questi tumori secerne ormone della crescita oppure ormone della crescita e prolattina. Le persone colpite hanno acromegalia, la quale è clinicamente indistinguibile dalla forma sporadica della malattia. Alcune segnalazioni indicano che dal 25 al 90% dei tumori secerne prolattina. Il 3% circa secerne ACTH, che dà origine al morbo di Cushing. La maggior parte dei rimanenti è non funzionante. La diffusione locale del tumore può causare disturbi visivi e cefalea nonché ipopituitarismo. Adenomi e iperplasia adenomatosa della tiroide e dei surreni sono stati descritti meno frequentemente nei pazienti con sindrome MEN I. Entrambi sono file:///F|/sito/merck/sez02/0100122.html (2 of 6)02/09/2004 2.40.41

Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

raramente funzionanti e il loro significato nel contesto della MEN I è incerto. Tumori carcinoidi, particolarmente quelli derivanti dall'intestino primitivo embrionario, sono stati osservati in casi isolati di sindrome MEN I. Possono anche trovarvisi associati lipomi multipli sottocutanei e viscerali.

Diagnosi Circa il 40% dei casi segnalati presenta tumori delle paratiroidi, del pancreas e della ipofisi. È possibile praticamente ogni combinazione dei tumori e dei complessi sintomatologici sopra descritti. In una linea familiare affetta, un paziente che manifesti una qualunque delle caratteristiche tipiche della sindrome è a rischio di sviluppare gli altri tumori associati. L'età all'esordio è stata descritta come variabile dai 4 agli 81 anni, ma la diagnosi è più comune tra il terzo e il quinto decennio di vita. In linee familiari selezionate, lo screening genetico mediante analisi del DNA con la tecnica del polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione è oggi in grado di identificare lo stato di portatore con un'accuratezza del 99,5%. Lo screening periodico dei portatori genetici deve essere eseguito ogni anno a partire dai 15 anni di età e deve comprendere i punti seguenti: esame retrospettivo della storia clinica del paziente per la presenza di sintomi suggestivi di malattia ulcerosa peptica, diarrea, nefrolitiasi, ipoglicemia e ipopituitarismo; esame obiettivo per evidenziare difetti del campo visivo, segni di acromegalia e lipomi sottocutanei; dosaggio del Ca sierico, dell'ormone paratiroideo integro, della gastrina e della prolattina. Se indicati, devono essere eseguiti anche esami di laboratorio e test diagnostici aggiuntivi e una TC o una RMN della sella turcica. La diagnosi di tumore pancreatico a cellule b insulino-secernenti viene stabilita dimostrando la presenza di ipoglicemia a digiuno congiuntamente a elevati livelli plasmatici di insulina. La diagnosi di tumore pancreatico a cellule non b gastrinosecernenti viene stabilita dimostrando la presenza di elevati livelli plasmatici basali di gastrina, di un'esagerata risposta gastrinica all'infusione di Ca e di un aumento paradosso dei livelli di gastrina dopo infusione di secretina. Un elevato livello basale di polipeptide pancreatico o di gastrina, o un'eccessiva risposta di questi ormoni a un pasto standard, possono essere i segni più precoci di coinvolgimento pancreatico nei pazienti con sindrome MEN I. La diagnosi di acromegalia viene stabilita in base alla presenza di elevati livelli di ormone somatotropo che non vengono soppressi dalla somministrazione di glucoso e alla presenza di alti livelli di somatomedina C (denominata anche fattore di crescita insulino-simile I o IGF-I).

Terapia Il trattamento delle lesioni paratiroidee e ipofisarie è principalmente chirurgico. I tumori insulari sono più difficili da trattare, dal momento che le lesioni sono spesso piccole e di difficile individuazione e che le lesioni multiple sono comuni. Se non si riesce a individuare un tumore singolo, per ottenere un controllo adeguato dell'iperinsulinismo può essere necessaria la pancreasectomia totale. Il diazossido può essere un utile strumento terapeutico nel trattamento dell'ipoglicemia, mentre la streptozocina e altri farmaci citotossici possono migliorare la sintomatologia riducendo la massa tumorale. Il trattamento dei tumori a cellule non b gastrino-secernenti è complesso. In tutti i pazienti deve essere fatto un tentativo per localizzare e asportare il tumore. Se ciò è impossibile, il trattamento con omeprazolo, un inibitore della pompa protonica, può frequentemente alleviare la sintomatologia dell'ulcera peptica. Gli anti-H2 possono essere utilizzati anch'essi, ma sono meno efficaci. Da quando sono disponibili questi farmaci, la gastrectomia, un tempo l'unica terapia possibile per le ulcere intrattabili di questi pazienti, è oggi raramente necessaria.

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Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

Neoplasie endocrine multiple di tipo iia (men iia) (MEN II; adenomatosi endocrina multipla di tipo II; sindrome di Sipple) Sindrome caratterizzata dalla presenza di carcinoma midollare della tiroide, feocromocitoma e iperparatiroidismo. Studi genetici recenti hanno consentito di mappare i difetti genetici presenti nella MEN IIA, nella MEN IIB, nella forma familiare del carcinoma midollare della tiroide e nella malattia di Hirschsprung (v. oltre) a livello della regione pericentromerica del cromosoma 10 e hanno permesso di identificare le mutazioni in un gene che codifica per una specifica tirosin chinasi recettoriale, il ret, suggerendo che questo oncogene dominante sia responsabile delle alterazioni associate con queste condizioni.

Sintomi e segni Le caratteristiche cliniche della MEN IIA dipendono dal tipo di tumore presente. Quasi tutti i pazienti affetti dalla sindrome hanno un carcinoma midollare della tiroide (v. Tumori della tiroide nel Cap. 8). Il feocromocitoma è presente in circa il 50% dei pazienti all'interno di una linea familiare con MEN IIA e in alcune famiglie è responsabile del 30% dei decessi. Rispetto ai casi sporadici di feocromocitoma (v. Cap. 9), la varietà familiare che compare nell'ambito della sindrome MEN IIA ha inizio con un'iperplasia midollare surrenale ed è multicentrica e bilaterale in più del 50% dei casi; i feocromocitomi a localizzazione extrasurrenalica sono rari nella MEN IIA. I feocromocitomi della MEN IIA di solito producono adrenalina e un aumento dell'escrezione di adrenalina può essere l'unica alterazione presente nelle fasi precoci della malattia. Una crisi ipertensiva secondaria al feocromocitoma è una presentazione clinica comune e molte delle linee familiari descritte giungono per la prima volta all'attenzione del medico dopo la diagnosi di feocromocitomi bilaterali nel probando. L'ipertensione dei pazienti con feocromocitoma nella sindrome MEN IIA è più spesso parossistica che persistente, contrariamente a quanto avviene di solito nei casi sporadici. I feocromocitomi sono quasi sempre benigni, ma in alcune delle linee familiari descritte è stata osservata una tendenza alla recidiva locale. L'iperparatiroidismo è meno comune del carcinoma midollare della tiroide o del feocromocitoma. Circa il 25% dei pazienti colpiti in una linea familiare con MEN IIA presenta evidenza clinica di iperparatiroidismo (che può essere presente da molto tempo), con ipercalcemia, nefrolitiasi, nefrocalcinosi o insufficienza renale. In un ulteriore 25%, senza evidenza clinica o biochimica di iperparatiroidismo, l'iperplasia delle paratiroidi viene scoperta incidentalmente durante il trattamento chirurgico del carcinoma midollare della tiroide. Come nella sindrome MEN I, l'iperparatiroidismo spesso coinvolge più di una ghiandola, come iperplasia diffusa o come adenomi multipli. Sebbene i tumori delle cellule insulari pancreatiche non facciano parte della sindrome MEN IIA, nei pazienti senza altre manifestazioni della sindrome è stata descritta un'associazione dei tumori insulari (frequentemente non funzionanti) con il feocromocitoma bilaterale (spesso familiare). Nei bambini con almeno un parente affetto da MEN IIA è stato osservato un aumento dell'incidenza della malattia di Hirschsprung, un disordine congenito che compromette la motilità intestinale. Alcune caratteristiche cliniche tipiche della MEN I, come la sindrome di ZollingerEllison, possono di rado presentarsi nei pazienti con MEN IIA.

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Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

Diagnosi Poiché il feocromocitoma può essere asintomatico nei pazienti con MEN IIA, può essere difficile escluderlo con certezza. Il metodo più sensibile per porre diagnosi di MEN IIA è il dosaggio delle catecolamine libere in un campione di urine delle 24 h, con ricerca specifica dell'adrenalina. L'escrezione di acido vanilmandelico è spesso normale nelle prime fasi della malattia. La TC o la RMN sono utili ai fini della localizzazione del feocromocitoma o dell'accertamento della presenza di lesioni bilaterali. È improbabile che la scintigrafia esterna con 131Imetaiodobenzilguanidina fornisca informazioni aggiuntive. Il carcinoma midollare della tiroide viene diagnosticato misurando la calcitonina plasmatica dopo infusione provocativa di pentagastrina e Ca. Nella maggior parte dei pazienti con lesioni tiroidee palpabili i livelli basali della calcitonina sono elevati; nelle fasi precoci della malattia i livelli basali possono essere normali e il carcinoma midollare può essere diagnosticato soltanto grazie a un'esagerata risposta al Ca e alla pentagastrina. L'iperparatiroidismo viene diagnosticato mediante il rilievo di ipercalcemia, ipofosfatemia e aumento del livello di ormone paratiroideo integro. Lo screening genetico per la MEN IIA può adesso essere eseguito con un alto grado di accuratezza. Nei portatori genetici identificati, è consigliabile eseguire una tiroidectomia profilattica durante la prima infanzia o all'inizio della seconda infanzia, perché il carcinoma midollare della tiroide alla fine risulta fatale se non viene trattato. Uno screening annuale per l'iperparatiroidismo e il feocromocitoma deve cominciare presto durante l'infanzia e proseguire indefinitamente. La storia clinica del paziente deve essere riesaminata alla ricerca di sintomi indicativi di feocromocitoma (cefalea parossistica, sudorazione o palpitazioni) e di coliche renali. Deve essere controllata la PA e devono essere eseguite indagini di laboratorio come descritto sopra. Nei pazienti che non sono stati sottoposti a tiroidectomia profilattica, la diagnosi precoce di carcinoma midollare della tiroide rimane di importanza fondamentale, in modo che il tumore possa essere rimosso quando è ancora localizzato all'interno della ghiandola.

Terapia In un paziente che si presenta sia con feocromocitoma sia con carcinoma midollare della tiroide o iperparatiroidismo, il feocromocitoma deve essere rimosso per primo perché, anche se asintomatico, esso aumenta notevolmente il rischio dell'intervento chirurgico per il carcinoma midollare della tiroide o per l'iperparatiroidismo. La chemioterapia si è dimostrata inefficace per il trattamento del carcinoma midollare della tiroide metastatico o residuo, mentre la radioterapia può prolungare la sopravvivenza.

Neoplasie endocrine multiple di tipo iib (men iib) (MEN III; adenomatosi endocrina multipla di tipo IIB; sindrome dei neurinomi mucosi) Sindrome caratterizzata dalla presenza di neurinomi mucosi multipli, carcinoma midollare della tiroide e feocromocitoma, spesso associati con habitus marfanoide. Benché circa il 50% dei casi descritti sia stato sporadico piuttosto che familiare, non è chiaro se sia stato eseguito uno screening completo delle famiglie in tutti i casi riportati. La reale incidenza della sindrome MEN IIB sporadica è pertanto sconosciuta. A differenza che nella MEN I e nella MEN IIA, l'iperparatiroidismo si osserva raramente nella MEN IIB. Come sottolineato in precedenza a proposito della MEN IIA, nei pazienti con MEN IIB studi genetici hanno identificato file:///F|/sito/merck/sez02/0100122.html (5 of 6)02/09/2004 2.40.41

Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

mutazioni a carico dell'oncogene ret localizzato sul cromosoma 10.

Sintomi e segni La caratteristica distintiva della sindrome MEN IIB è la presenza di neurinomi mucosi nella maggior parte dei soggetti colpiti, se non in tutti. I neurinomi appaiono come piccoli rigonfiamenti lucenti a livello delle labbra, della lingua e della mucosa orale. Anche le palpebre, la congiuntiva e la cornea vengono frequentemente interessate. Sono caratteristici l'ispessimento delle palpebre e la diffusa ipertrofia delle labbra. I disturbi GI legati all'alterazione della motilità (stipsi, diarrea e, occasionalmente, megacolon) sono di comune riscontro e si pensa che siano causati da una ganglioneuromatosi intestinale diffusa. Sebbene i neurinomi, le caratteristiche facciali e i disturbi GI siano presenti già in giovane età, la sindrome spesso non viene riconosciuta fino al manifestarsi di un carcinoma midollare della tiroide o di un feocromocitoma, in età più avanzata. Oltre all'habitus marfanoide, sono comuni le anomalie scheletriche della colonna vertebrale (lordosi, cifosi, scoliosi), il piede cavo e il piede talo-equino-varo. Circa la metà dei casi descritti presenta la sindrome completa con neurinomi mucosi, feocromocitomi e carcinoma midollare della tiroide. Meno del 10% dei pazienti presenta solo neurinomi e feocromocitomi, mentre i rimanenti hanno neurinomi e carcinoma midollare della tiroide senza feocromocitoma. Il carcinoma midollare della tiroide e il feocromocitoma sono simili alle corrispondenti patologie presenti nella sindrome MEN IIA; entrambi tendono a essere bilaterali e multicentrici. Il carcinoma midollare della tiroide, tuttavia, tende a essere particolarmente aggressivo nella MEN IIB e può essere presente nei bambini molto piccoli.

Diagnosi e terapia Le implicazioni per la diagnosi, lo screening familiare e la terapia sono le stesse descritte in precedenza per la sindrome MEN IIA. Lo screening genetico per la MEN IIB può adesso essere eseguito con un elevato grado di accuratezza. Nei portatori genetici identificati è consigliabile eseguire una tiroidectomia profilattica nel periodo neonatale o nella prima infanzia e tutti i pazienti affetti devono essere sottoposti a tiroidectomia totale non appena sia stata stabilita la diagnosi. Il feocromocitoma, se presente, deve essere asportato prima di eseguire la tiroidectomia.

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Sindromi da deficit polighiandolare

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 11. SINDROMI DA DEFICIT POLIGHIANDOLARE (Sindromi polighiandolari autoimmuni; sindromi da deficit poliendocrino) Ipofunzione contemporanea di diverse ghiandole endocrine.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia e patogenesi Il deficit endocrino può essere causato da un'infezione, un infarto o un tumore che comportino la distruzione di tutta una ghiandola endocrina o di una gran parte di essa. Tuttavia, l'attività di una ghiandola endocrina risulta il più delle volte depressa come risultato di una reazione autoimmune che determina infiammazione, infiltrazione linfocitaria e distruzione parziale o completa della ghiandola. Una malattia autoimmune che colpisce una ghiandola è frequentemente seguita dalla compromissione di altre ghiandole, dando luogo a un'insufficienza endocrina multipla. Sono stati descritti due quadri principali di insufficienza (v. Tab. 11-1). Nel tipo I l'esordio si verifica di solito nell'infanzia o prima dei 35 anni. L'ipoparatiroidismo è il più frequentemente riscontrato (79%), seguito dall'insufficienza corticosurrenalica (72%). L'insufficienza gonadica si verifica dopo la pubertà nel 60% delle donne e in circa il 15% degli uomini. È comune la presenza di candidosi mucocutanea cronica. Raramente è presente diabete mellito. Questo quadro può essere associato ai fenotipi HLA A3 e A28 o a un locus situato sul cromosoma 21. La trasmissione ereditaria solitamente segue una modalità autosomica recessiva. Nel tipo II l'insufficienza ghiandolare si verifica generalmente negli adulti, con un picco di incidenza a 30 anni di età. Essa interessa sempre la corteccia surrenale e frequentemente la tiroide (sindrome di Schmidt) e le insule pancreatiche, producendo diabete mellito insulino-dipendente (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM). Sono frequentemente presenti anticorpi contro le ghiandole bersaglio, specialmente contro gli enzimi del citocromo P-450 della corteccia surrenale. Tuttavia, il loro ruolo nella patogenesi del danno ghiandolare è poco chiaro. Alcuni pazienti hanno anticorpi stimolanti la tiroide e si presentano inizialmente con segni e sintomi di ipertiroidismo. La distruzione ghiandolare è principalmente un risultato dell'autoimmunità cellulo-mediata, conseguenza di una depressione della funzione delle cellule T suppressor oppure di qualche altro tipo di danno mediato dalle cellule T. Inoltre, è comune la riduzione dell'immunità sistemica mediata dalle cellule T, rivelata da una scarsa risposta ai test cutanei con antigeni standard, come la candidina (dalla Candida), la tricofitina (dal Trichophyton) e la tubercolina. Una riduzione della reattività si dimostra anche nel 30% circa dei parenti di primo grado con funzione endocrina normale. È stato suggerito che gli specifici tipi HLA caratteristici del tipo II siano associati con una suscettibilità ad alcuni virus che inducono la reazione distruttiva. Un gruppo ulteriore, il tipo III, si presenta negli adulti e non interessa la corteccia surrenale, ma comprende almeno due delle seguenti condizioni: deficit funzionale tiroideo, IDDM, anemia perniciosa, vitiligine e alopecia. Poiché la caratteristica distintiva del quadro di tipo III è l'assenza di insufficienza corticosurrenalica, esso file:///F|/sito/merck/sez02/0110126.html (1 of 2)02/09/2004 2.40.51

Sindromi da deficit polighiandolare

potrebbe essere semplicemente un "cestino per i rifiuti" di una malattia combinata che viene convertita in tipo II se si sviluppa insufficienza del corticosurrene.

Sintomi, segni e diagnosi La presentazione clinica dei pazienti con sindromi da deficit polighiandolare è la somma dei quadri clinici dei singoli deficit. Non esiste una sequenza specifica per la comparsa delle singole distruzioni ghiandolari. La determinazione dei livelli di anticorpi circolanti diretti contro le ghiandole endocrine o i loro componenti non sembra essere utile, poiché tali anticorpi possono persistere per anni senza che il paziente sviluppi un'insufficienza endocrina. Tuttavia, il rilievo della presenza di anticorpi è di aiuto in alcune situazioni, come per la distinzione di un iposurrenalismo su base autoimmune da un iposurrenalismo tubercolare e per la determinazione della causa di un ipotiroidismo. La presenza di deficit endocrini multipli può essere indicativa di un'insufficienza ipotalamo-ipofisaria. In quasi tutti i casi, i livelli elevati delle tropine ipofisarie dimostreranno la natura periferica del difetto; tuttavia, sono stati riportati anche rari casi di insufficienza ipotalamoipofisaria come parte della sindrome di tipo II.

Terapia La terapia dei diversi singoli deficit ghiandolari è trattata in altri capitoli del Manuale; tuttavia, l'interazione reciproca dei deficit multipli (p. es., l'insufficienza corticosurrenalica combinata con il diabete mellito) può rendere complicato il trattamento. I pazienti con ipofunzione di una sola ghiandola endocrina devono essere tenuti in osservazione per anni al fine di evidenziare l'eventuale sviluppo di deficit addizionali. L'insufficienza gonadica non risponde al trattamento con ormoni gonadotropi e la candidosi mucocutanea cronica è solitamente resistente alla terapia. Se somministrate precocemente nel corso della insufficienza endocrina, dosi immunosoppressive di ciclosporina A possono essere di giovamento in alcuni pazienti.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE Il volume dei liquidi corporei, la concentrazione degli elettroliti e l'equilibrio acidobase vengono normalmente mantenuti entro limiti molto ristretti nonostante le ampie variazioni dell'apporto alimentare, dell'attività metabolica e dello stress ambientale. L'omeostasi dei liquidi corporei viene mantenuta in primo luogo dai reni ed è controllata da vari meccanismi fisiologici fra loro correlati. Questo capitolo riassume molti aspetti di questi meccanismi in condizioni di salute, le loro risposte agli stress omeostatici e la diagnosi e il trattamento di diversi disordini dell'equilibrio idro-elettrolitico e acido-base di comune riscontro.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO DISORDINI DEL METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO DEPLEZIONE DI VOLUME DEL LIQUIDO EXTRACELLULARE Diminuzione del volume del ECF causata da una riduzione netta del contenuto totale corporeo di sodio.

Sommario: Patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Patogenesi Le perdite di Na dall'organismo sono sempre combinate con le perdite di acqua. Il risultato finale della deplezione di Na, quindi, è la deplezione di volume del ECF. Il fatto che la concentrazione plasmatica del Na aumenti, diminuisca o rimanga immodificata con la deplezione di volume dipende in larga parte dalla via attraverso la quale avviene la perdita di volume (p. es., GI, renale) e dal tipo di reintegrazione dei liquidi, a seconda che essi vengano ingeriti dal soggetto o che gli vengano somministrati. Altri fattori possono inoltre influenzare la concentrazione plasmatica del Na nella deplezione di volume, compresa la secrezione di ADH o la riduzione della quantità di soluti che giunge al tubulo distale, con conseguente ritenzione idrica. Le cause più frequenti di deplezione di volume del ECF sono elencate nella Tab. 12-2.

Sintomi, segni e diagnosi Una deplezione di volume del ECF va sospettata nei pazienti con una storia di apporto inadeguato di liquidi (specialmente nei pazienti comatosi o disorientati), vomito, diarrea (o perdite GI iatrogene, p. es., aspirazione nasogastrica, ileostomia o colostomia), terapia diuretica, sintomatologia riferibile a diabete mellito e patologie renali o surrenaliche. A volte si può raccogliere un'anamnesi positiva per una recente perdita di peso. Nella deplezione di volume del ECF di grado lieve, gli unici segni clinici possono essere la diminuzione del turgore cutaneo e della pressione intraoculare. La secchezza delle mucose è spesso un segno poco attendibile, specialmente negli anziani o in chi tende a respirare con la bocca. L'ipotensione ortostatica (riduzione della pressione sistolica > 10 mm Hg all'assunzione della posizione eretta), la tachicardia e una bassa CVP sono segni più attendibili, anche se modificazioni ortostatiche possono verificarsi in pazienti allettati in condizioni di scarsa adattabilità circolatoria in assenza di una deplezione di volume del ECF. file:///F|/sito/merck/sez02/0120132.html (1 of 2)02/09/2004 2.40.52

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Quando il volume del ECF si è ridotto circa del 5% o di una quota maggiore, sono generalmente presenti tachicardia e/o ipotensione in ortostatismo. Una grave deplezione di volume può determinare disorientamento e shock conclamato. I reni normalmente funzionanti rispondono alla deplezione di volume trattenendo Na. Quando la deplezione di volume è sufficientemente grave da determinare la riduzione del volume urinario, la concentrazione di Na nelle urine è abitualmente < 10-15 mEq/l; l'escrezione frazionata del Na (rapporto Na urinario/Na sierico diviso per il rapporto creatinina urinaria/creatinina sierica) è solitamente < 1%; l'osmolalità urinaria è spesso elevata. Nel caso in cui in aggiunta alla deplezione di volume sia presente un'alcalosi metabolica, la concentrazione urinaria di Na può essere elevata e, quindi, fuorviante come misura dello stato del volume; una bassa concentrazione urinaria di cloruri (Cl) (< 10 mEq/l) è un indice più affidabile della deplezione di volume, del ECF in questa circostanza. Se le perdite di Na sono dovute a patologia renale, diuretici o insufficienza surrenalica, la concentrazione urinaria di Na è generalmente > 20 mEq/l. I parametri di laboratorio come l'ematocrito sono spesso aumentati nella deplezione di volume ma sono difficili da interpretare a meno che non sia noto il valore di partenza. Una significativa deplezione di volume del ECF determina frequentemente anche un aumento da lieve a moderato dell'azotemia e dei livelli plasmatici di creatinina (iperazotemia prerenale; rapporto BUN/creatinina > 20:1)

Terapia La deplezione di volume del ECF da lieve a moderata può essere corretta aumentando l'introduzione orale di Na e acqua se il paziente è cosciente e non ha disturbi GI. Deve essere corretta la causa sottostante di deplezione di volume, per esempio sospendendo la somministrazione di diuretici o trattando la diarrea. Quando la deplezione di volume è grave e accompagnata da ipotensione o quando non è possibile la somministrazione orale di liquidi, la soluzione salina EV rappresenta il fluido di prima scelta (v. le precauzioni descritte più avanti). Quando l'escrezione renale dell'acqua è normale, i deficit di Na e di acqua possono essere corretti senza pericoli con soluzione fisiologica. Quando esiste un disturbo associato del metabolismo dell'acqua, la reintegrazione idrica viene modificata come descritto nelle sezioni seguenti. Quando la deplezione di volume del ECF è causata o complicata da disturbi metabolici come la cheto-acidosi diabetica o il morbo di Addison, si deve porre attenzione alla correzione di questi problemi oltre che alla reintegrazione del volume. (V. anche Cap. 9 e 13.)

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO DISORDINI DEL METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO ESPANSIONE DI VOLUME DEL LIQUIDO EXTRACELLULARE

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Aumento del volume del ECF causato da un aumento netto nel contenuto totale corporeo di Na associato con la formazione di edema.

Patogenesi Poiché il Na è in larga parte confinato al ECF, gli aumenti del contenuto totale corporeo di Na si riflettono in aumenti conseguenti del volume del ECF. Gli incrementi del volume intravascolare determinano solitamente rapidi incrementi dell'escrezione renale di Na e acqua. Quindi, il mantenimento del sovraccarico di volume e la formazione dell'edema comportano il sequestro di liquido all'interno dello spazio interstiziale. Il movimento del liquido fra lo spazio interstiziale e quello intravascolare dipende dalle forze di Starling che agiscono a livello capillare. L'aumento della pressione idrostatica capillare (come si verifica nello scompenso cardiaco), la diminuzione della pressione oncotica plasmatica (come si verifica nella sindrome nefrosica) o una loro combinazione (come accade nella cirrosi epatica grave) hanno come conseguenza uno spostamento netto di liquidi nello spazio interstiziale e la formazione di edema. In queste condizioni, la successiva deplezione del volume intravascolare determina l'aumento della ritenzione di Na da parte dei reni e il mantenimento della condizione di sovraccarico. Le cause più frequenti di sovraccarico di volume sono elencate nella Tab. 12-3.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi precoci del sovraccarico di volume del ECF sono del tutto aspecifici e possono presentarsi prima che si formi un edema evidente. Essi comprendono l'aumento ponderale e l'astenia. Dispnea da sforzo, riduzione della tolleranza all'esercizio fisico, ortopnea e dispnea parossistica notturna possono anch'esse presentarsi precocemente quando il sovraccarico di volume è causato da una disfunzione ventricolare sinistra.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Sintomi come il gonfiore oculare al risveglio mattutino e le scarpe che risultano strette alla fine della giornata si presentano precocemente negli stati edemigeni. L'edema è spesso secondario allo scompenso cardiaco e può essere accompagnato da una miriade di reperti obiettivi, tra i quali i rantoli polmonari, l'innalzamento della CVP, un galoppo S3 e una dilatazione cardiaca con edema polmonare e/o versamenti pleurici alla radiografia del torace. L'edema è frequentemente limitato alle estremità inferiori e accompagnato da ascite nei pazienti affetti da cirrosi epatica. Sono spesso presenti i segni di accompagnamento della cirrosi, che comprendono gli angiomi a ragno, la ginecomastia, l'eritema palmare e l'atrofia testicolare. Al contrario, l'edema è spesso diffuso nella sindrome nefrosica ed è accompagnato occasionalmente da anasarca generalizzato con versamenti pleurici e ascite. L'edema periorbitario viene frequentemente ma non invariabilmente osservato nella sindrome nefrosica.

Terapia La terapia iniziale deve essere volta alla correzione della causa sottostante dell'espansione di volume dell'ECF. Devono essere trattate la disfunzione ventricolare sinistra, l'ischemia miocardica e le aritmie cardiache. L'uso della digitale, degli agenti inotropi e della riduzione del postcarico per migliorare la funzione cardiaca può ridurre o rendere inutile il ricorso ai diuretici migliorando l'apporto di Na ai reni e diminuendo così la ritenzione renale di Na. La terapia delle cause sottostanti di sindrome nefrosica è variabile e dipende dallo specifico quadro istopatologico renale presente. Diverse delle cause all'origine della sindrome nefrosica non rispondono alla terapia; ad ogni modo, il livello della proteinuria può spesso essere ridotto mediante l'uso di un ACE-inibitore. Gli ACEinibitori devono sempre essere utilizzati con cautela nei pazienti con compromissione della funzionalità renale, i quali devono essere tenuti sotto controllo per identificare un aggravamento dell'insufficienza renale e un'iperkaliemia. I diuretici sono i più utili per il sovraccarico di volume del ECF. I diuretici dell'ansa, come la furosemide, inibiscono il riassorbimento del Na nella porzione ascendente spessa dell'ansa di Henle. I diuretici tiazidici inibiscono il riassorbimento del Na nel tubulo distale. Sia i diuretici dell'ansa sia i tiazidici determinano una perdita di K, che in alcuni pazienti può essere problematica. I diuretici risparmiatori di K come l'amiloride, il triamterene e lo spironolattone inibiscono il riassorbimento del Na nel nefrone distale e nel dotto collettore. Quando vengono usati da soli, essi hanno modesti effetti natriuretici. Sia il triamterene sia l'amiloride sono stati usati in associazione con un diuretico tiazidico per prevenire la deplezione di K. La resistenza ai diuretici è un fenomeno comune; la causa è frequentemente multifattoriale. Il trattamento inadeguato della sottostante causa del sovraccarico di volume, la scarsa compliance del paziente (in particolare riguardo alla restrizione del sodio nella dieta), la deplezione di volume e l'insufficienza renale sono i principali fattori che contribuiscono alla resistenza nella maggior parte dei casi. L'incremento progressivo delle dosi dei diuretici dell'ansa è spesso efficace nel promuovere la diuresi. L'associazione di un diuretico dell'ansa e di un tiazidico si è rivelata anch'essa utile nel trattamento dei pazienti resistenti al tentativo di indurre la diuresi con uno solo dei due tipi di farmaci. Una volta che il sovraccarico di volume è stato corretto con la natriuresi, il mantenimento dello stato euvolemico richiede la restrizione del Na nella dieta (in primo luogo tramite la modificazione delle abitudini alimentari) a meno che la condizione sottostante non possa essere eliminata completamente. Spesso è difficile stabilire l'entità dell'assunzione di Na basandosi sull'anamnesi, ma l'apporto di Na con la dieta può essere valutato efficacemente misurando la concentrazione del Na urinario in un campione delle 24 ore una volta che sia stata ottenuta la stabilizzazione del quadro clinico (cioè, nessuna recente variazione di peso o modificazione della dose dei diuretici). Diete contenenti da 2 a 3 g/die di Na sono piuttosto ben tollerate e funzionano ragionevolmente bene in tutti i casi di sovraccarico di volume, tranne i più gravi. I sali di potassio vengono

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generalmente utilizzati come sostituti del sale per aiutare i pazienti a tollerare la dieta a basso contenuto di Na; tuttavia, in particolare nei pazienti che assumono diuretici risparmiatori di K o ACE inibitori e in quelli con insufficienza renale, bisogna essere molto cauti perché ne può derivare un'iperkaliemia potenzialmente fatale.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO DISORDINI DEL METABOLISMO DELL'ACQUA E DEL SODIO IPERNATRIEMIA

Sommario: Introduzione Incidenza, patogenesi ed eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Elevazione della concentrazione plasmatica del sodio al di sopra di 145 mEq/l causata da un deficit di acqua rispetto al soluto. L'ipernatriemia nei neonati viene trattata nel paragrafo Problemi metabolici nel neonato nel Cap. 260).

Incidenza, patogenesi ed eziologia L'ipernatriemia è meno comune dell'iponatriemia, verificandosi in < 1% dei pazienti ricoverati nelle unità ospedaliere di terapia intensiva; tuttavia, l'ipernatriemia del paziente adulto è tra i più gravi squilibri elettrolitici, con una mortalità riferita compresa fra il 40 e il 60%. Poiché il Na è il determinante principale dell'osmolalità del ECF, l'ipernatriemia implica l'iperosmolalità del compartimento del ECF. L'ipertonicità del ECF rispetto al ICF determina uno spostamento di acqua al di fuori dello spazio intracellulare finché la tonicità cellulare raggiunge il valore di quella del ECF. Gli aumenti dell'azotemia possono anch'essi condurre a iperosmolalità del ECF, ma poiché il BUN attraversa liberamente le membrane cellulari, ciò non conduce allo spostamento di acqua al di fuori del compartimento del ICF o ai sintomi a esso associati. L'ipernatriemia si verifica generalmente quando una perdita di acqua dall'organismo non viene adeguatamente reintegrata. Le perdite di acqua possono essere isolate o verificarsi in associazione con perdite di Na. Di conseguenza, l'ipernatriemia può essere associata a una deplezione di volume, a un'isovolemia o a un sovraccarico di volume del ECF. Indipendentemente dallo stato del volume, l'ipernatriemia implica solitamente un'alterazione del meccanismo della sete o una limitazione della possibilità di accedere all'acqua. La gravità dei processi patologici di base che solitamente provocano un'incapacità ad assumere acqua è ritenuta parzialmente responsabile dell'elevata mortalità osservata nell'ipernatriemia. La cause comuni di ipernatriemia sono elencate nella Tab. 126. L'ipernatriemia associata con deplezione di volume si verifica nel caso di una perdita di Na accompagnata da una perdita relativamente maggiore di acqua file:///F|/sito/merck/sez02/0120139.html (1 of 5)02/09/2004 2.40.54

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dall'organismo. Le cause extrarenali comuni includono la maggior parte di quelle che determinano iponatriemia e deplezione di volume (v. sopra). Sia l'ipernatriemia sia l'iponatriemia possono svilupparsi con una grave perdita di volume, a seconda della quantità relativa di sale e acqua perduti e della quantità di acqua introdotta prima della presentazione clinica. Le cause renali di ipernatriemia e di deplezione di volume includono la terapia con diuretici dell'ansa. I diuretici dell'ansa inibiscono il riassorbimento di Na nella porzione di concentrazione del nefrone e possono determinare un aumento della clearance dell'acqua. La diuresi osmotica può inoltre determinare un'alterazione della capacità renale di concentrazione a causa del contenuto ipertonico presente nel lume tubulare del nefrone distale. Il glicerolo, il mannitolo e occasionalmente l'urea possono causare una diuresi osmotica con conseguente ipernatriemia. La causa probabilmente più comune di ipernatriemia da diuresi osmotica è l'iperglicemia che si verifica in concomitanza con il coma iperglicemico-iperosmolare non chetosico nei pazienti diabetici. Poiché il glucoso non penetra nelle cellule in assenza di insulina, l'iperglicemia riduce ulteriormente il volume del ICF. Il grado dell'iperosmolalità può essere mascherato dalla riduzione fittizia del Na plasmatico derivante dallo spostamento di acqua al di fuori delle cellule nel ECF (v. Osmolalità, sopra). Le patologie renali intrinseche come l'insufficienza renale cronica possono inoltre impedire l'escrezione di un'urina concentrata al massimo e predisporre all'ipernatriemia. Quando esiste un deficit puro di acqua, l'ipernatriemia si verifica in assenza di alterazioni del bilancio del Na. Le cause extrarenali di perdita di acqua, come la sudorazione eccessiva, determinano una certa perdita di Na, ma poiché il sudore è ipotonico, l'ipernatriemia si può sviluppare prima che si stabilisca un'ipovolemia significativa. Un deficit puro di acqua si verifica anche nel diabete insipido centrale o in quello nefrogenico. Il diabete insipido ipofisario o centrale consiste in un difetto della produzione o del rilascio di ADH dall'ipofisi posteriore. Come nel diabete insipido, i pazienti con diabete insipido centrale solitamente non sono in grado di eliminare urine concentrate. Poiché il meccanismo della sete è intatto, una grave ipernatriemia si sviluppa nel diabete insipido centrale soltanto quando l'assunzione di acqua viene impedita. Il difetto di concentrazione nel diabete insipido centrale è generalmente responsivo alla somministrazione di ADH esogeno (p. es., vasopressina, 1-desamino-8-d-arginina vasopressina e altre, v. sotto Malattie dell'ipofisi posteriore nel Cap. 7). Il diabete insipido nefrogenico determina un difetto della capacità di concentrazione renale nonostante la presenza di adeguati livelli circolanti di ADH. Come nel caso del diabete insipido centrale, i pazienti con diabete insipido nefrogenico non sono in grado di concentrare l'urina in maniera appropriata. Il meccanismo della sete previene l'ipernatriemia grave nei pazienti in grado di assumere acqua, ma, a differenza di quanto avviene nel diabete insipido centrale, la risposta all'ADH esogeno è assente (v. sotto Diabete insipido nefrogenico nel Cap. 229). L'ipernatriemia essenziale o ipodipsia primaria si verifica occasionalmente nei bambini con danno cerebrale e negli adulti anziani affetti da malattie croniche. Essa è caratterizzata da un'alterazione del meccanismo della sete e da uno stimolo osmotico al rilascio di ADH. Il rilascio non osmotico dell'ADH appare integro e questi pazienti sono generalmente euvolemici. L'ipernatriemia è inoltre associata al sovraccarico di volume. Generalmente, l'ipernatriemia è secondaria a un'assunzione di Na marcatamente elevata associata a una limitata assunzione di acqua. Un esempio è fornito dalla somministrazione eccessiva di NaHCO3 ipertonico durante la CPR o nell'acidosi lattica. L'ipernatriemia può anche essere causata dalla somministrazione di soluzione salina ipertonica o dall'iperalimentazione. L'ipernatriemia è particolarmente comune negli anziani. I motivi comprendono la difficoltà a procurarsi l'acqua, la riduzione del meccanismo della sete, l'alterazione della capacità di concentrazione del rene (dovuta ai diuretici o alla

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perdita di nefroni che si accompagna all'invecchiamento o ad altre patologie renali) e l'aumento delle perdite insensibili. Il rilascio di ADH è aumentato in risposta agli stimoli osmotici, ma è diminuito in risposta alle modificazioni di volume e di pressione nell'anziano. Inoltre, alcuni pazienti anziani hanno una compromissione della produzione di angiotensina-II, che può contribuire direttamente alla riduzione del meccanismo della sete, del rilascio di ADH e della capacità di concentrazione del rene. L'ipernatriemia negli anziani è particolarmente frequente nei pazienti postchirurgici e in quelli sottoposti a nutrizione enteòale, alimentazione parenterale o altre soluzioni ipertoniche.

Sintomi e segni Uno dei sintomi principali dell'ipernatriemia è la sete. L'assenza di sete in un paziente cosciente affetto da ipernatriemia suggerisce un'alterazione del meccanismo della sete. I pazienti con difficoltà di comunicazione possono essere incapaci di esprimere la necessità di bere e quindi di avere accesso all'acqua. I segni clinici fondamentali dell'ipernatriemia derivano dall'alterazione delle funzioni del SNC dovuta alla disidratazione delle cellule cerebrali. Possono derivarne stato confusionale, ipereccitabilità neuromuscolare, convulsioni o coma; un danno cerebrovascolare con emorragia subcorticale o subaracnoidea e le trombosi venose sono reperti autoptici frequenti nei pazienti deceduti con una grave ipernatriemia. In condizioni sperimentali, le sostanze osmoticamente attive presenti all'interno del liquido intracellulare nel SNC raggiungono concentrazioni elevate in risposta all'ipernatriemia cronica. Così, il grado di disidratazione delle cellule cerebrali e la conseguente sintomatologia a carico del SNC sono meno gravi nell'ipernatriemia cronica rispetto a quella acuta. Quando l'ipernatriemia si verifica in associazione con squilibri del bilancio del Na, è presente la sintomatologia tipica della deplezione o del sovraccarico di volume (v. Deplezione di volume del liquido extracellulare ed Espansione di volume del liquido extracellulare, sopra). Nei pazienti con difetti di concentrazione renale viene solitamente eliminato un grande volume di urine ipotoniche. Quando le perdite sono extrarenali, la via attraverso la quale l'acqua viene perduta è spesso evidente (p. es., vomito, diarrea, sudorazione profusa) e la concentrazione urinaria di Na è bassa.

Diagnosi Un test di sottrazione idrica può permettere di distinguere tra loro diversi stati poliurici. Poiché esso può determinare una pericolosa iperosmolalità, questo test deve essere eseguito solo in condizioni di stretto controllo delle concentrazioni elettrolitiche, dell'osmolalità plasmatica e urinaria e delle condizioni di volume. L'apporto di acqua viene limitato finché il paziente non perde dal 3 al 5% del peso corporeo o finché tre determinazioni orarie consecutive dell'osmolalità urinaria forniscono valori che non si discostano più del 10% l'uno dall'altro. Si deve essere prudenti per evitare la disidratazione eccessiva. Dopo che è stata raggiunta la massima osmolalità urinaria, vengono somministrate 5 U di vasopressina in soluzione acquosa per via sottocutanea e l'osmolalità urinaria viene misurata a distanza di un'ora. La risposta normale alla restrizione idrica consiste nell'elevazione dell'osmolalità urinaria a valori > 800 mOsm/l con uno scarso o nessun ulteriore incremento dopo la somministrazione di vasopressina. Nel diabete insipido centrale completo, l'osmolalità urinaria massima in condizioni di restrizione idrica è < 300 mOsm/l; questo valore aumenta sostanzialmente dopo la somministrazione di vasopressina. Nel diabete insipido centrale parziale, l'osmolalità urinaria massima è compresa fra 300 e 800 mOsm/l dopo la restrizione idrica; dopo la somministrazione di vasopressina è atteso un incremento > 10% dell'osmolalità urinaria. Nel diabete insipido nefrogenico, l'osmolalità urinaria massima in condizioni di restrizione idrica è compresa fra 300 file:///F|/sito/merck/sez02/0120139.html (3 of 5)02/09/2004 2.40.54

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e 500 mOsm/l; questo valore si modifica molto poco in risposta alla vasopressina. Anche nel diabete insipido nefrogenico, i livelli plasmatici di ADH ottenuti dopo la restrizione idrica, sono piuttosto elevati (> 5 pg/ml). I pazienti affetti da polidipsia primaria hanno risposte simili alla restrizione idrica e alla somministrazione di vasopressina a causa dell'attenuazione del gradiente di concentrazione midollare renale. Questi pazienti possono essere distinti da quelli con diabete insipido nefrogenico in base alla presenza di livelli plasmatici di ADH soppressi (< 5 pg/ ml) dopo la restrizione idrica.

Prognosi La mortalità dell'ipernatriemia acuta è sostanzialmente più elevata di quella dell'ipernatriemia cronica. La mortalità dell'ipernatriemia in generale rimane elevata a causa degli effetti dell'iperosmolalità del SNC e della gravità della patologia di base necessaria per determinare l'incapacità a rispondere allo stimolo della sete.

Terapia La reintegrazione idrica è l'obiettivo principale del trattamento. L'acqua è efficace se viene somministrata per bocca nei pazienti coscienti in assenza di una disfunzione GI significativa. Nell'ipernatriemia grave o nei pazienti incapaci di bere a causa del vomito continuo o delle alterazioni dello stato di coscienza, l'idratazione EV è da preferire. Sebbene nella maggior parte dei pazienti possa essere somministrata una soluzione glucosata al 5%, un'infusione troppo rapida può determinare glicosuria, aumentando di conseguenza l'escrezione di acqua priva di sali e aumentando ulteriormente l'ipertonicità. Se le alterazioni di volume sono così gravi da produrre uno stato di shock, possono essere necessari colloidi e soluzione fisiologica per aumentare il volume prima che vengano somministrate la soluzione salina ipotonica o l'acqua libera per correggere l'ipernatriemia. Se la durata dell'ipernatriemia è < 24 h, essa deve essere corretta entro 24 h. Tuttavia, se l'ipernatriemia è cronica o di durata sconosciuta, essa deve essere corretta nel giro di 48 h e l'osmolalità plasmatica deve essere ridotta con una velocità non superiore a 2 mOsm/l/h per evitare l'edema cerebrale causato dall'eccesso intracerebrale di soluti. La quantità di liquidi necessaria per reintegrare i deficit esistenti può essere calcolata mediante la formula seguente: Deficit di acqua libera = TBW × [(Na plasmatico/140)-1] Dove l'TBW è espressa in litri e viene calcolata moltiplicando il peso in chilogrammi per 0,6 e il Na plasmatico è espresso in mEq/l. Questa formula assume come costante il contenuto totale corporeo di Na. Nei pazienti con deplezione del contenuto totale corporeo di Na (cioè con deplezione di volume), il deficit di acqua libera è maggiore di quello calcolato con la formula. Nei pazienti con iponatriemia e sovraccarico di volume (eccesso di contenuto totale corporeo di Na), si può somministrare un diuretico dell'ansa e le perdite urinarie in aggiunta al deficit di acqua esistente possono essere reintegrate con soluzione glucosata al 5%. Dovrebbe essere somministrato KCl sulla scorta della concentrazione plasmatica di K. Nel diabete insipido centrale, la somministrazione di ADH corregge la perdita renale di acqua. Il tipo e la via di somministrazione dell'ADH dipendono dalla gravità dell'ipernatriemia e dalle condizioni cliniche del paziente. Quando l'ipernatriemia è moderata e il paziente è vigile, può essere somministrata desmopressina (1-desamino-8-d-arginina vasopressina sintetica) per via intranasale da 10 a 20 ml q 12-24 h. La vasopressina in soluzione acquosa viene utilizzata meno frequentemente a causa dei dubbi sui potenziali effetti collaterali, come il vasospasmo coronarico, mediati dal recettore V1. Tuttavia, la breve

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

durata d'azione della vasopressina in soluzione acquosa somministrata per via sottocutanea può essere vantaggiosa e permette una riduzione più controllata del Na plasmatico nei pazienti con malattia grave, in particolare quando i deficit di acqua sono notevoli. Il trattamento a lungo termine del diabete insipido centrale con vasopressina e altri farmaci (p. es., la clorpropamide) è trattato nel Cap. 7. Nel diabete insipido nefrogenico acquisito, il miglior approccio al trattamento consiste nel rimuovere la causa di base. Devono essere corrette l'ipokaliemia e l'ipercalcemia e devono essere eliminati il litio, la demeclociclina e altre cause potenziali di mancata responsività dell'ADH. Occasionalmente, la sospensione del litio non risolve rapidamente il diabete insipido nefrogenico. È stato dimostrato che l'amiloride riduce in parte la poliuria latente dovuta al diabete insipido nefrogenico indotto dal litio. è utile anche la somministrazione di un diuretico tiazidico insieme con una modesta restrizione di Na. In aggiunta ai diuretici, possono essere utili i FANS, in particolare nelle forme congenite di diabete insipido nefrogenico. Nei pazienti con ipernatriemia e ipovolemia, in particolare nei diabetici con coma iperglicemico non chetosico, per reintegrare il Na e l'acqua libera può essere somministrata una soluzione salina allo 0,45%. Quando è presente un'acidosi grave (pH < 7,20), alla soluzione salina allo 0,45% può essere sostituita una soluzione ipotonica di NaHCO3. I pazienti diabetici con iperosmolarità rispondono solitamente a piccole dosi di insulina. L'insulina regolare deve essere somministrata EV o IM in modo che la glicemia scenda a 250 mg/dl (13,88 mmol/ l) entro le prime ore di trattamento. La glicemia deve essere controllata di frequente durante il trattamento, per evitare una caduta troppo rapida del glucoso ematico o l'ipoglicemia. Le alte dosi di insulina richieste per trattare la chetoacidosi diabetica di solito non sono necessarie nei pazienti con iperglicemia non chetosica o coma iperosmolare e possono in realtà essere dannose, poiché possono essere associate a una caduta troppo rapida del glucoso plasmatico e a edema cerebrale.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL POTASSIO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL POTASSIO IPOKALIEMIA

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

Diminuzione della concentrazione sierica del potassio al di sotto di 3,5 mEq/l causata da un deficit dei depositi corporei totali di potassio o da uno spostamento abnorme del potassio verso il compartimento intracellulare.

Eziologia e patogenesi L'ipokaliemia può essere causata dalla riduzione dell'assunzione di K, ma è solitamente secondaria a perdite eccessive di K con le urine o dal tratto GI. Perdite GI abnormi di K si verificano nella diarrea cronica e comprendono quelle dovute all'abuso cronico di lassativi o alla diversione intestinale. Altre cause di perdite GI di K includono il picacismo, il vomito e l'aspirazione gastrica. Raramente, un adenoma villoso del colon può causare perdita massiva di K dal tratto GI. Le perdite GI di K possono essere aggravate da concomitanti perdite renali dello ione dovute all'alcalosi metabolica e alla stimolazione della secrezione di aldosterone in seguito alla deplezione di volume. Anche lo spostamento transcellulare del K verso l'interno delle cellule può causare ipokaliemia. Ciò si può verificare nella glicogenesi durante la nutrizione parenterale totale o l'iperalimentazione enterale oppure dopo la somministrazione di insulina. La stimolazione del sistema nervoso simpatico, particolarmente con b2-agonisti come l'albuterolo o la terbutalina, può determinare ipokaliemia a seguito della captazione cellulare di K. Allo stesso modo, una grave ipokaliemia si verifica occasionalmente nei pazienti tireotossici a causa di un'eccessiva stimolazione b-adrenergica (paralisi periodica tireotossica ipokaliemica). La paralisi periodica familiare è una rara malattia autosomica dominante, caratterizzata da episodi transitori di ipokaliemia marcata, che si ritiene sia dovuta a improvvisi spostamenti anomali di K verso l'interno delle cellule (v. Iperkaliemia, più avanti). Gli episodi sono frequentemente associati con gradi variabili di paralisi. Essi vengono solitamente precipitati da un pasto ricco di carboidrati o dall'esercizio fisico massimale, ma sono state descritte varianti prive di queste caratteristiche. Vari disordini possono determinare un aumento dell'eliminazione di K. Una kaliuresi può verificarsi nell'eccesso di steroidi surrenalici conseguente agli effetti diretti dei mineralcorticoidi sulla secrezione di K nel nefrone distale. La sindrome

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di Cushing, l'iperaldosteronismo primitivo, i rari tumori secernenti renina, l'iperaldosteronismo sensibile ai glucocorticoidi (un raro disordine ereditario) e l'iperplasia surrenalica congenita sono tutti in grado di determinare ipokaliemia secondaria a eccessiva sintesi di mineralcorticoidi. L'inibizione dell'enzima 11bidrossisteroido deidrogenasi (11b-HSDH) impedisce la conversione del cortisolo, che possiede una parziale attività mineralcorticoide, in cortisone, che non la possiede. Sostanze come l'acido glicirizinico (presente nella liquirizia e nel tabacco da masticare) inibiscono la 11b-HSDH, con conseguenti alti livelli intrarenali di cortisolo e notevole eliminazione renale di K. La sindrome di Liddle (v. anche Cap. 229) è un raro disordine autosomico dominante caratterizzato da ipertensione grave e ipokaliemia. Essa è causata dal riassorbimento non limitato di Na nel nefrone distale secondario a una fra diverse mutazioni riscontrate nei geni che codificano per le subunità dei canali epiteliali del Na. Un riassorbimento inappropriatamente elevato di Na determina sia ipertensione sia una marcata eliminazione renale di K. La sindrome di Bartter (v. anche Cap. 229) è un raro disordine a eziologia incerta caratterizzato da marcata eliminazione renale di K e Na, eccessiva produzione di renina e di aldosterone e normotensione. Infine, un'eccessiva eliminazione renale di K può essere causata da numerose malattie tubulari renali congenite e acquisite, come l'acidosi tubulare renale e la sindrome di Fanconi, una rara malattia cui consegue una massiccia eliminazione renale di K, glucoso, fosfato, acido urico e aminoacidi. Tra i farmaci che causano ipokaliemia, i diuretici sono di gran lunga quelli più comunemente usati. I diuretici K-disperdenti bloccano il riassorbimento del Na prossimalmente al nefrone distale e comprendono le tiazidi, i diuretici dell'ansa e i diuretici osmotici. Lo spironolattone, l'amiloride e il triamterene bloccano il riassorbimento del Na nel tubulo distale e nel dotto collettore e quindi non sono associati alla dispersione renale di K. Poiché possono indurre diarrea, i lassativi, specialmente quando se ne abusa, possono determinare ipokaliemia. L'abuso surrettizio di diuretici e/o lassativi è una causa frequente di ipokaliemia persistente, in particolare tra i pazienti che desiderano perdere peso e nell'ambito del personale sanitario con accesso ai farmaci con obbligo di prescrizione. Altri farmaci che sono in grado di causare ipokaliemia comprendono l'amfotericina B, le penicilline antipseudomonas (come la carbenicillina) e la penicillina ad alte dosi. Infine, ipokaliemia si osserva sia nella forma acuta sia in quella cronica dell'intossicazione da teofillina.

Sintomi, segni e diagnosi L'ipokaliemia grave (K plasmatico < 3 mEq/l) può causare debolezza muscolare e condurre alla paralisi e all'insufficienza respiratoria. Altri disturbi muscolari comprendono i crampi, le fascicolazioni, l'ileo paralitico, l'ipoventilazione, l'ipotensione, la tetania e la rabdomiolisi. L'ipokaliemia persistente può compromettere la capacità di concentrazione renale, producendo poliuria con polidipsia secondaria. Spesso è presente alcalosi metabolica, sebbene l'ipokaliemia possa verificarsi anche con acidosi metabolica, come nella diarrea o nell'acidosi tubulare renale. Generalmente, la GFR, l'acqua e il bilancio del Na non risentono dell'ipokaliemia. Tuttavia, in caso di grave deplezione di K può verificarsi una condizione che somiglia al diabete insipido nefrogenico. Gli effetti cardiaci dell'ipokaliemia sono solitamente di minima entità fino a che i livelli plasmatici di K non scendono a < 3 mEq/l. L'ipokaliemia può causare battiti prematuri ventricolari e atriali, tachiaritmie ventricolari e atriali e blocco atrioventricolare di secondo o terzo grado. I pazienti con preesistenti cardiopatie significative e/o quelli in trattamento digitalico sono a rischio di anomalie della conduzione cardiaca anche in seguito a ipokaliemia decisamente lieve. Le caratteristiche modificazioni ECG del sottoslivellamento del tratto ST, dell'aumento di ampiezza dell'onda U e dell'ampiezza dell'onda T inferiore file:///F|/sito/merck/sez02/0120145.html (2 of 4)02/09/2004 2.40.55

Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

all'ampiezza dell'onda U (nella stessa derivazione) sono mostrate nella Fig. 12-1. La diagnosi di ipokaliemia viene posta in base alla presenza di un livello plasmatico o sierico di K < 3,5 mEq/l (v. Metabolismo del potassio, sopra).

Profilassi e terapia Nella maggior parte dei pazienti che assumono diuretici la reintegrazione di routine del K non è necessaria. Tuttavia, è particolarmente importante evitare l'ipokaliemia nei pazienti in terapia digitalica, nei pazienti asmatici in terapia con b2-agonisti e nei diabetici non insulino-dipendenti. Tali pazienti devono ricevere la più bassa dose efficace di un diuretico con durata d'azione media; il loro apporto di Na con la dieta deve essere limitato (< 2 g/die) e il loro K plasmatico deve essere strettamente controllato dopo l'inizio della terapia. Una volta che sia stata documentata una concentrazione di K stabile, è sufficiente un controllo meno frequente a meno che la dose non venga aumentata o si presentino sintomi di ipokaliemia o altri problemi. Se si sviluppa ipokaliemia, è indicato un apporto supplementare di K e, se possibile, la sospensione della terapia diuretica. L'aggiunta di triamterene 100 mg/die o di spironolattone 25 mg qid può essere di aiuto in pazienti sporadici che diventano ipokaliemici con la terapia diuretica, ma deve essere evitata nei pazienti con insufficienza renale, diabete o altre malattie interstiziali renali associate con iper-kaliemia dovuta a ipoaldosteronismo iporeninemico (acidosi tubulare renale di tipo 4). Il deficit di K deve essere corretto molto cautamente nei pazienti con insufficienza renale. La correzione della causa sottostante può essere sufficiente quando l'ipokaliemia è lieve. Quando il deficit e l'ipokaliemia sono più gravi (K plasmatico < 3 mEq/l) o quando è necessaria una terapia continua con agenti che determinano deplezione di K, si può somministrare KCl PO (cloruro di potassio al 10%). Solitamente, un surplus da 20 a 80 mEq/die rispetto alle perdite di K in corso, somministrato in dosi frazionate per diversi giorni, corregge il deficit di K. Tuttavia, la necessità di una supplementazione di K può continuare per diverse settimane durante la fase di rialimentazione che segue una defedazione prolungata. è disponibile una varietà di supplementi di K per via orale. Il cloruro di potassio liquido somministrato per via orale è scarsamente tollerato in dosi superiori a 2550 mEq a causa del sapore amaro. È stato visto che le preparazioni di K enteroprotette possono causare ulcerazioni dell'intestino tenue. Le preparazioni di cloruro di potassio impregnato con cera sembrano essere sicure e ben tollerate. I sanguinamenti GI possono essere ancora meno comuni con l'uso di preparazioni di cloruro di potassio microincapsulate; sono disponibili diverse preparazioni contenenti 8 o 10 mEq/capsula. Quando l'ipokaliemia è grave, sintomatica o non responsiva alla terapia orale, il K deve essere reintegrato per via parenterale. La velocità della correzione dell'ipokaliemia è limitata a causa del ritardo con cui il K si dispone all'interno delle cellule. In caso di deficit di K con alta concentrazione plasmatica di K, come nella chetoacidosi diabetica, prima di somministrare K EV bisogna attendere che il K plasmatico cominci a scendere. Anche se i deficit di K sono gravi, raramente è necessario somministrare nelle 24 h una quantità > 80-100 mEq di potassio in eccesso rispetto alle perdite in corso. Pompe per l'infusione EV moderne e accurate hanno diminuito il rischio connesso con la somministrazione di soluzioni altamente concentrate di KCl. Tuttavia, nella maggior parte delle situazioni, la concentrazione di potassio delle soluzioni EV non è necessario che superi i 60 mEq/l e la velocità di infusione non deve superare i 10 mEq/h. Occasionalmente, può essere necessario somministrare soluzioni EV di KCl più velocemente per prevenire un'ipokaliemia grave progressiva. L'infusione di cloruro di potassio a velocità > 40 mEq/h deve essere intrapresa soltanto sotto monitoraggio cardiaco continuo e determinazioni orarie della kaliemia per evitare una grave iperkaliemia e/o l'arresto cardiaco. Le soluzioni glucosate non sono la scelta ideale per la somministrazione di KCl, poiché il successivo innalzamento del livello plasmatico dell'insulina del paziente potrebbe provocare un

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

peggioramento transitorio dell'ipokaliemia, con conseguente peggioramento della sintomatologia particolarmente nei pazienti in trattamento digitalico. Infine, quando l'ipokaliemia è associata a ipomagnesiemia, è solitamente necessario correggere il deficit di magnesio per fermare la perdita renale di K e facilitare la sua reintregazione (v. Ipomagnesiemia, più avanti).

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Sindromi da anomalie del trasporto renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 229. SINDROMI DA ANOMALIE DEL TRASPORTO RENALE SINDROME DI LIDDLE Una rara alterazione, autosomica dominante, del trasporto epiteliale renale che ricorda clinicamente l’iperaldosteronismo primario con ipertensione e alcalosi metabolica ipokaliemica. (v. anche iperaldosteronismo nel Cap. 9.) Malgrado bassi livelli di renina e aldosterone e livelli normali di cortisolo, si verifica un accelerato assorbimento di Na e secrezione di K nel dotto collettore. La causa è l’aumentata attività della membrana luminale dei canali del Na. Il triamterene o l’amiloride (a causa della chiusura dei canali del Na) costituiscono una valida terapia, mentre non lo è lo spironolattone.

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Sindromi da anomalie del trasporto renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 229. SINDROMI DA ANOMALIE DEL TRASPORTO RENALE SINDROME DI BARTTER È una combinazione di anomalie di liquidi, degli elettroliti e degli ormoni caratterizzata da perdita renale di K, Na e Cl, ipokaliemia, iperaldosteronismo, iperreninemia e PA normale. La sindrome si manifesta generalmente nell’infanzia, come disordine sporadico o familiare, di solito autosomico recessivo. Le cause sono l’alterato trasporto di NaCl nell’estremità ascendente spessa dell’ansa di Henle e nel tubulo distale. La perdita di K, Na e Cl contribuisce alla stimolazione della liberazione di renina, accompagnata da iperplasia delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare. I livelli di aldosterone sono elevati. La deplezione di potassio non viene eliminata dalla correzione dell’iperaldosteronismo. La perdita di Na provoca una diminuzione cronica del volume plasmatico, che si traduce in una PA normale malgrado gli alti livelli di renina e di angiotensina e in una risposta pressoria alterata all’infusione di angiotensina. Spesso si sviluppa alcalosi metabolica. È presente inibizione dell’aggregazione delle piastrine. Possono manifestarsi iperuricemia e ipomagnesiemia. Il sistema chinina-prostaglandine viene stimolato e l’escrezione urinaria di prostaglandine e callicreina è aumentata. I bambini colpiti hanno bassi tassi di crescita e appaiono malnutriti. Possono essere presenti debolezza muscolare, polidipsia, poliuria e ritardo mentale. La sindrome di Bartter si differenzia dalle altre malattie associate a iperaldosteronismo per l’assenza di ipertensione (presente nell’iperaldosteronismo primario) e di edema (presente nell’aldosteronismo secondario). Nei pazienti adulti, devono essere escluse quali possibili cause, la bulimia nervosa, il vomito o l’uso surrettizio di diuretici o di lassativi. In queste condizioni, il cloro urinario è di solito basso (< 20 mmol/l). L’integrazione di potassio più spironolattone, il triamterene, l’amiloride, un ACEinibitore oppure l’indometacina correggeranno la maggior parte degli aspetti, ma non vi è alcun farmaco che elimini completamente la perdita di potassio. L’indometacina da 1 a 2 mg/kg/die mantiene solitamente il livello di potassio plasmatico vicino ai limiti inferiori della norma.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL POTASSIO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL POTASSIO IPERKALIEMIA

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Aumento della concentrazione sierica del K al di sopra di 5,5 mEq/l (potassio plasmatico al di sopra di 5,0) causato da un eccesso dei depositi corporei totali di potassio o da uno spostamento abnorme del potassio verso il compartimento extracellulare.

Eziologia e patogenesi Poiché in condizioni normali i reni alla fine eliminano i carichi di K, un'iperkaliemia protratta implica abitualmente una riduzione dell'escrezione renale del K. Inoltre l'iper-kaliemia può essere causata dal movimento transcellulare del K verso il compartimento extracellulare nell'acidosi metabolica, dalla iperglicemia in presenza di un deficit di insulina, dall'esercizio fisico moderatamente pesante, particolarmente in presenza di un blocco b-adrenergico, dall'intossicazione digitalica, dalla lisi tumorale acuta, dall'emolisi intravascolare acuta o dalla rabdomiolisi. La paralisi periodica familiare iperkaliemica è un raro disordine ereditario caratterizzato da iperkaliemia episodica secondaria all'improvvisa fuoriuscita del K dalle cellule, solitamente precipitata dall'esercizio fisico. L'iperkaliemia da eccesso di K totale corporeo è particolarmente comune negli stati oligurici (specialmente nell'insufficienza renale acuta) ed è associata a rabdomiolisi, ustioni, emorragie dei tessuti molli o del tratto GI e insufficienza surrenalica, che sempre più frequentemente viene riscontrata nei pazienti con AIDS (v. Iponatriemia, sopra). Nell'insufficienza renale cronica l'iperkaliemia è rara fino a che la GFR non scende al di sotto di 10-15 ml/min, a meno che l'apporto di K con la dieta non sia eccessivo o non sia presente un'altra causa di carico eccessivo di K, come una terapia orale o parenterale con K, un sanguinamento GI, un danno tissutale o un'emolisi. Altre cause potenziali di iperkaliemia nell'insufficienza renale cronica sono l'ipoaldosteronismo iporeninemico (acidosi tubulare renale di tipo 4), gli ACE-inibitori, i diuretici risparmiatori di K, il digiuno (soppressione della secrezione di insulina), i bbloccanti e i FANS. Se viene ingerita per via orale o somministrata per via parenterale una quantità sufficiente di KCl, si può verificare un'iperkaliemia grave anche in presenza di una funzione renale normale. Ciò nonostante, un'iperkaliemia iatrogena viene osservata per lo più nei pazienti con un certo grado di compromissione renale. Altri farmaci che possono limitare l'escrezione

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renale di K, producendo così iper- kaliemia, comprendono la ciclosporina, il litio, l'eparina e il trimetoprim.

Sintomi, segni e diagnosi Sebbene occasionalmente si verifichi una paralisi flaccida, l'iperkaliemia è di solito asintomatica fino a che non sopravviene la tossicità cardiaca (v. Fig. 12-1). Le prime alterazioni dell'ECG osservate nell'iperkaliemia progressiva (K plasmatico > 5,5 mEq/l) sono un accorciamento dell'intervallo QT e la presenza di onde T alte, simmetriche e appuntite. L'ulteriore progressione dell'iperkaliemia (K plasmatico > 6,5 mEq/l) determina aritmie nodali e ventricolari, slargamento del complesso QRS, prolungamento dell'intervallo PR e scomparsa dell'onda P. Infine, il complesso QRS degenera in un aspetto di onda sinusale e ne consegue asistolia o fibrillazione ventricolare Nella paralisi periodica familiare iperkaliemica, durante gli attacchi si sviluppa frequentemente astenia che può progredire fino alla paralisi franca. La diagnosi di iperkaliemia viene posta in base a un livello di K plasmatico o sierico > 5,5 mEq/l (nel plasma > 5,0 mEq/l) (v. Metabolismo del potassio, sopra).

Terapia L'iperkaliemia lieve (K plasmatico < 6 mEq/l) può rispondere a una riduzione dell'apporto di K o alla sospensione dei farmaci come i diuretici risparmiatori di K, i b-bloccanti, i FANS o gli ACE-inibitori. L'aggiunta di un diuretico dell'ansa può inoltre incrementare l'escrezione renale di K. Un K plasmatico > 6 mEq/l richiede una terapia più aggressiva. Tuttavia, nell'insufficienza renale acuta o cronica, specialmente in presenza di ipercatabolismo o di danno tissutale, il trattamento deve essere iniziato quando la concentrazione plasmatica del K supera i 5 mEq/l. Se non ci sono anomalie dell'ECG e il K plasmatico non è fortemente elevato (< 6 mEq/l), si può somministrare sodio polietilene sultanato in sorbitolo (da 15 a 30 g in 30-70 ml di sorbitolo al 70% PO q 4-6 h). Il Na polietilene sultanato agisce come una resina a scambio cationico e rimuove il K attraverso la mucosa GI. Insieme alla resina viene somministrato sorbitolo, in modo da assicurare il passaggio attraverso il tratto GI. Ai pazienti che non sono in grado di assumere farmaci per via orale a causa di ileo o per altre ragioni, si possono somministrare dosi analoghe mediante un clistere a ritenzione rettale. Per ogni grammo di resina somministrato viene rimosso circa 1 mEq di K. La terapia con le resine è lenta e spesso non riesce a ridurre il K plasmatico in maniera significativa negli stati ipercatabolici. Poichè, quando si usa il Na polistirene sulfonato, il Na viene scambiato con il K, si può verificare un sovraccarico di Na, in particolare nei pazienti oligurici con preesistente sovraccarico di volume. In casi di emergenza come la tossicità cardiaca o un livello plasmatico di K > 6 mEq/l, i tre provvedimenti seguenti devono essere adottati immediatamente in rapida successione senza aspettare di ripetere la determinazione del K plasmatico dopo ognuno di essi: 1. somministrazione EV di 10-20 ml di calcio gluconato al 10% (o di 5-10 ml di calcio glucoeptonato al 22%) in 5-10 minuti. Si deve usare cautela quando si somministra calcio a pazienti in trattamento digitalico a causa del rischio di precipitare aritmie legate all'ipokaliemia. Se l'ECG si è alterato fino all'aspetto di onda sinusale o all'asistolia, il calcio gluconato può essere somministrato EV rapidamente (da 5 a 10 ml in 2 min). 2. Somministrazione EV di 5-10 unità di insulina regolare in bolo, seguita immediatamente dall'infusione rapida di 50 ml di soluzione glucosata al 50%. Essa deve essere seguita da una soluzione glucosata al 10% a una velocità di file:///F|/sito/merck/sez02/0120148.html (2 of 3)02/09/2004 2.41.01

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50 ml/h per prevenire l'ipoglicemia. Un effetto sul K plasmatico si verifica entro 15 minuti. 3. Inalazione di un b-agonista ad alte dosi come l'albuterolo (da 10 a 20 mg) in 10 minuti (a una concentrazione di 5 mg/ml). Ciò si è dimostrato efficace e sicuro nel trattamento dell'iperkaliemia. L'inizio dell'azione si verifica entro 30 minuti. La durata dell'effetto è di 2-4 h. Nota: il NaHCO3 è stato omesso di proposito da questo algoritmo. L'efficacia della somministrazione empirica di NaHCO3 per il trattamento dell'iperkaliemia acuta minacciosa per la vita è stata recentemente messa in discussione. In aggiunta alle strategie su indicate per abbassare il K spostandolo nel compartimento intracellulare, durante il trattamento dell'iper-kaliemia grave o sintomatica devono inoltre essere eseguite precocemente manovre per rimuovere il K dall'organismo. La rimozione del K può essere ottenuta attraverso il tratto GI mediante la somministrazione di Na polistirene sulfonato o con l'emodialisi. L'emodialisi deve essere intrapresa rapidamente dopo le misure di emergenza nei pazienti con insufficienza renale o se il trattamento di emergenza risulta inefficace. La dialisi peritoneale è relativamente inefficace per la rimozione del K, ma può beneficiarne il paziente acidotico, specialmente se è probabile che si verifichi un sovraccarico di volume con il NaHCO3.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL FOSFATO Il fosforo è uno degli elementi più abbondanti dell'organismo umano. La maggior parte del fosforo corporeo è complessato con l'ossigeno sotto forma di fosfato (PO4). Circa l'85% degli approssimativi 500-700 g di PO4 presenti nell'organismo è contenuto nell'osso, dove è un importante costituente dei cristalli di idrossiapatite. Nei tessuti molli, il PO4 si trova principalmente nel compartimento intracellulare. Esso costituisce una componente integrale di diversi composti organici, compresi gli acidi nucleici e i fosfolipidi delle membrane cellulari. Il PO4 è inoltre intimamente coinvolto nel metabolismo energetico aerobico e anaerobico. Il 2,3-difosfoglicerato (2,3-DPG) contenuto nei GR svolge un ruolo cruciale nel rilascio di O2 ai tessuti. Il PO4 inorganico è uno degli anioni intracellulari principali, ma è presente anche nel plasma. La concentrazione plasmatica normale del PO4 inorganico negli adulti è compresa tra 2,5 e 4,5 mg/ dl (tra 0,81 e 1,45 mmol/l). Il PO4 è fino al 50% più elevato nei neonati e fino al 30% più elevato nei bambini, probabilmente a causa delle maggiori richieste di fosfato per l'accrescimento. La dieta tipica americana contiene circa 800-1500 mg di PO4. Questa quantità viene eliminata con le feci in misura variabile, dipendente dalla quantità di composti che legano il PO4 (in primo luogo il Ca) presenti nella dieta. Come accade per il Ca, anche l'assorbimento gastrointestinale del PO4 è aumentato dalla vitamina D. L'escrezione renale di PO4 è circa uguale all'assorbimento GI, in modo da mantenere il bilancio dello ione. Una deplezione di PO4 può verificarsi in molte condizioni patologiche e induce la conservazione del PO4 da parte del rene. Il PO4 osseo serve come deposito, il quale può tamponare le modificazioni dei livelli plasmatici e intracellulari del composto.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL FOSFATO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL FOSFATO IPOFOSFATEMIA Diminuzione della concentrazione plasmatica di fosfato al di sotto di 2,5 mg/dl (0,81 mmol/l).

Sommario: Incidenza, eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Incidenza, eziologia e patogenesi L'ipofosfatemia viene osservata nel 2% dei pazienti ospedalizzati, ma è maggiormente prevalente in alcune popolazioni, p. es., gli alcolisti, fra i quali viene osservata in una percentuale che raggiunge il 10% dei pazienti ospedalizzati. Le situazioni cliniche in cui si verifica comunemente un'ipofosfatemia acuta grave includono la fase di recupero dalla chetoacidosi diabetica, l'intossicazione acuta da alcol e le ustioni gravi. Ipofosfatemia può anche verificarsi nei pazienti sottoposti a nutrizione parenterale totale e nell'alcalosi respiratoria cronica grave. L'ipofosfatemia ha numerose cause, ma un'ipofosfatemia clinicamente significativa si verifica in un numero relativamente ristretto di circostanze. L'ipofosfatemia cronica dipende nella maggior parte dei casi da una riduzione del riassorbimento renale di PO4 e non è associata a deplezione del PO4 intracellulare. Le cause comprendono l'iperparatiroidismo, altri disturbi ormonali come la sindrome di Cushing e l'ipotiroidismo, gli squilibri elettrolitici come l'ipomagnesiemia e l'ipokaliemia, l'intossicazione da teofillina e la somministrazione cronica di diuretici. L'ipofosfatemia cronica grave dipende generalmente da un prolungato bilancio negativo del PO4. Tra le cause sono compresi gli stati di defedazione o il malassorbimento, in particolare se combinati con vomito o diarrea profusa o con l'ingestione cronica di grandi quantità di alluminio legante il PO4, solitamente sotto forma di antiacidi. Quest'ultimo è particolarmente incline a produrre deplezione di PO4 quando è associato con una riduzione dell'apporto alimentare e con le perdite da dialisi nei pazienti con insufficienza renale allo stadio terminale. L'ipofosfatemia acuta con fosforo plasmatico < 1 mg/dl (< 0,32 mmol/l) è per lo più causata dai movimenti transcellulari del PO4, spesso sovrapposti all'ipofosfatemia cronica e alla deplezione di PO4.

Sintomi, segni e diagnosi file:///F|/sito/merck/sez02/0120163.html (1 of 2)02/09/2004 2.41.03

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Sebbene l'ipofosfatemia sia solitamente asintomatica, nella deplezione cronica grave si possono osservare anoressia, debolezza muscolare e osteomalacia. Possono comparire disturbi neuromuscolari, tra i quali encefalopatia progressiva, coma e morte. L'astenia muscolare dell'ipofosfatemia marcata può essere accompagnata da rabdomiolisi, specie nell'intossicazione acuta da alcol. I disturbi ematologici tipici dell'ipofosfatemia marcata comprendono l'anemia emolitica, la riduzione della liberazione dell'O2 dall'Hb e l'alterazione della funzione leucocitaria e piastrinica.

Terapia La terapia è empirica e dettata dalla causa di fondo e dalla gravità dell'ipofosfatemia. Per la deplezione cronica di PO4 lieve o moderata, è disponibile il fosfato di sodio o di potassio per via orale, ma solitamente è poco tollerato a causa della diarrea. L'ingestione di circa un litro di latte scremato o parzialmente scremato fornisce 1 g di PO4 e può essere più gradevole. Quando è possibile, è preferibile la rimozione della causa dell'ipofosfatemia, come la sospensione degli antiacidi leganti il PO4 o dei diuretici, o la correzione dell'ipomagnesiemia. La reintegrazione del PO4 per via orale è di solito sufficiente nei pazienti asintomatici, anche quando la concentrazione plasmatica è di 1,5-2 mg/dl (0,486,5 mmol/l). Il fosfato per via orale può essere somministrato in dosi massime di 3 g/die sotto forma di compresse contenenti fosfato di sodio o di potassio. In ogni caso, bisogna somministrare PO4 per via parenterale quando il PO4 plasmatico scende al di sotto di 0,5 mEq/l (0,16 mmol/l); quando sono presenti rabdomiolisi, emolisi o sintomi a carico del SNC, o quando la reintegrazione orale non è attuabile a causa della malattia di base. In questi pazienti, la somministrazione EV di fosfato di potassio (come miscela tamponata di K2HPO4 e KH2PO4) è relativamente sicura, sempre che la funzione renale sia ben conservata. La dose parenterale abituale è di 2 mg/kg somministrati EV in 6 h. Gli alcolisti possono necessitare di _ 1 g/die nel corso della nutrizione parenterale. Nella chetoacidosi diabetica sono richiesti fino a 3 g o più di PO4 nelle prime 24 h; i supplementi di PO4 vengono sospesi quando si ripristina l'alimentazione orale. In ogni caso, ma particolarmente quando il PO4 viene somministrato EV o a pazienti con funzionalità renale compromessa, durante la terapia è necessario tenere sotto controllo i livelli plasmatici di Ca e di PO4. Nella maggior parte dei casi non si devono somministrare più di 7,0 mg/kg (circa 500 mg per un adulto di 70 kg) di PO4 in 6 h. L'ipocalcemia, l'iperfosfatemia, le calcificazioni metastatiche e l'iperkaliemia possono essere evitate mediante un controllo accurato ed evitando velocità di somministrazione del PO4 eccessivamente elevate. Nei pazienti con funzionalità renale compromessa, generalmente devono essere utilizzate preparazioni di fosfato di sodio (piuttosto che di fosfato di potassio).

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL FOSFATO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL FOSFATO IPERFOSFATEMIA Aumento della concentrazione plasmatica di fosfato al di sopra di 4,5 mg/dl (1,46 mmol/l).

Sommario: Incidenza, eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Incidenza, eziologia e patogenesi L'iperfosfatemia è generalmente il risultato di una riduzione dell'escrezione renale di PO4. Un'insufficienza renale di grado avanzato (GFR < 20 ml/min) determina una riduzione dell'escrezione sufficiente a provocare un aumento dei livelli plasmatici di PO4. Difetti dell'escrezione renale di PO4 in assenza di insufficienza renale si verificano inoltre nello pseudoipoparatiroidismo e nell'ipoparatiroidismo. Iperfosfatemia si può anche osservare in seguito all'eccessiva somministrazione orale di PO4 e occasionalmente a causa dell'uso esagerato di clisteri contenenti fosfato. Un'iperfosfatemia può anche verificarsi come risultato di un movimento transcellulare del PO4 verso lo spazio extracellulare. Ciò si verifica con maggior frequenza nella chetoacidosi diabetica (nonostante la deplezione corporea totale di PO4), nei traumi da schiacciamento e nella rabdomiolisi non traumatica, così come nelle infezioni sistemiche e nella sindrome da lisi tumorale. L'iperfosfatemia svolge inoltre un ruolo decisivo nello sviluppo dell'iperparatiroidismo secondario e dell'osteodistrofia renale nei pazienti sottoposti a dialisi cronica.

Sintomi, segni e diagnosi La maggioranza dei pazienti con iperfosfatemia è asintomatica, sebbene possano presentarsi sintomi di ipocalcemia, compresa la tetania, nel caso in cui essa sia contemporaneamente presente. Le calcificazioni dei tessuti molli sono comuni nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica, specialmente se il prodotto delle concentrazioni plasmatiche del Ca e del PO4 si mantiene superiore a 70 (in mEq/l) per un tempo prolungato.

Terapia

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Il cardine del trattamento dell'iperfosfatemia nei pazienti con insufficienza renale cronica consiste nella riduzione dell'apporto di PO4. Ciò si ottiene solitamente evitando gli alimenti ad alto contenuto di PO4 e assumendo insieme ai pasti antiacidi che legano il fosfato. In passato, ai pazienti dializzati venivano frequentemente prescritti grandi quantitativi di antiacidi contenenti alluminio da assumere con i pasti proprio per questo scopo. In conseguenza delle preoccupazioni sull'insorgenza di osteomalacia da alluminio, il carbonato di calcio ha sostituito altri composti come chelante di prima scelta del PO4.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL MAGNESIO Il magnesio (Mg) è il quarto catione più abbondante dell'organismo. Un adulto di 70 kg ha approssimativamente un contenuto corporeo di 2000 mEq di Mg. Circa il 50% si trova sequestrato nell'osso e non è prontamente scambiabile con gli altri compartimenti. Il ECF contiene soltanto circa l'1% del Mg totale corporeo; la quota rimanente si trova nel compartimento intracellulare. Le concentrazioni plasmatiche normali del Mg variano tra 1,4 e 2,1 mEq/l (0,70-1,05 mmol/l). Il mantenimento della concentrazione plasmatica di Mg è in larga misura una funzione dell'apporto alimentare e di un meccanismo di conservazione renale e intestinale estremamente efficace. Entro 7 giorni dall'inizio di una dieta carente di Mg, sia l'escrezione renale sia quella fecale di Mg scendono a circa 1 mEq/24 h (0,5 mmol/24 h). Circa il 70% del Mg plasmatico viene ultrafiltrato dal rene; il rimanente è legato alle proteine. Come per il Ca, il legame proteico del Mg è pH-dipendente. La concentrazione plasmatica di Mg non è strettamente correlata al contenuto totale corporeo né al contenuto intracellulare di Mg. Tuttavia, una grave ipomagnesiemia può riflettere una diminuzione dei depositi corporei di Mg. Un'ampia varietà di enzimi viene attivata dal Mg o dipende da esso per il suo funzionamento. Il Mg è necessario per tutti i processi enzimatici che coinvolgono l'ATP ed è inoltre indispensabile a molti degli enzimi coinvolti nel metabolismo degli acidi nucleici. Esso è indispensabile per l'attività del cofattore tiamina pirofosfato e sembra stabilizzare la struttura delle macromolecole come il DNA e l'RNA. Il Mg è inoltre legato, in modo intimo ma ancora scarsamente compreso, al metabolismo del Ca e del K.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO DEL MAGNESIO DISORDINI DEL METABOLISMO DEL MAGNESIO Ipermagnesiemia Concentrazione plasmatica di magnesio superiore a 2,1 mEq/l (1,05 mmol/l).

Sommario: Introduzione Terapia

L'ipermagnesiemia sintomatica è un fenomeno piuttosto raro, ma quando si verifica accade di solito nei pazienti con insufficienza renale dopo l'ingestione di farmaci contenenti Mg, come gli antiacidi o i lassativi. A concentrazioni plasmatiche di Mg comprese tra 5 e 10 mEq/l (tra 2,5 e 5 mmol/ l), l'ECG mostra un prolungamento dell'intervallo PR, un allargamento del complesso QRS e un aumento di ampiezza dell'onda T. I riflessi tendinei profondi scompaiono quando il Mg plasmatico si avvicina a 10 mEq/l (5,0 mmol/l); con il progredire dell'ipermagnesiemia si sviluppano ipotensione, depressione respiratoria e narcosi. Quando i livelli di Mg nel sangue superano i 12-15 mEq/l (6,0-7,5 mmol/ l), si può avere arresto cardiaco.

Terapia La terapia dell'intossicazione grave da Mg consiste nel supporto circolatorio e respiratorio, con somministrazione EV di 10-20 ml di calcio gluconato al 10%. Quest'ultimo può far regredire molte delle alterazioni indotte dal Mg, compresa la depressione respiratoria. La somministrazione di furosemide EV può aumentare l'escrezione di Mg se la funzionalità renale è adeguata e viene mantenuta la volemia. L'emodialisi può essere preziosa nell'ipermagnesiemia grave, dal momento che una frazione relativamente grande (circa il 70%) del Mg plasmatico è ultrafiltrabile. Se l'ipermagnesiemia è associata con una compromissione emodinamica e l'emodialisi è impraticabile, la dialisi peritoneale può costituire una valida alternativa.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO ACIDO-BASE La concentrazione ematica dello ione idrogeno (H+) viene mantenuta entro limiti molto ristretti. La concentrazione plasmatica arteriosa di H+ è compresa fra 37 e 43 nmol/l (fra 37 × 10-6 e 43 × 10-6 mEq/l). Il mantenimento dell'H+ a questi livelli così bassi è essenziale per la funzione cellulare normale, a causa dell'alta reattività fra l'H+ e altri composti, specialmente le proteine. Il pH (logaritmo negativo della concentrazione di H+) è una misura molto meno scomoda rispetto alle concentrazioni fisiologiche di H+ ed è ampiamente utilizzato in medicina clinica. Il pH normale del sangue arterioso è compreso fra 7,37 e 7,43. Sia la funzione polmonare sia quella renale mantengono il pH ematico entro questi limiti. Le variazioni respiratorie della ventilazione/minuto si verificano rapidamente in risposta ai disturbi dell'equilibrio acido-base e modificano prontamente il pH ematico variando la concentrazione dell'acido carbonico mediante modificazioni della Pco2 del sangue. I reni variano l'escrezione degli equivalenti acidi o basici e in definitiva modificano la concentrazione del HCO3per determinare una variazione del pH ematico. Gli adattamenti renali alle modificazioni dell'equilibrio acido-base si verificano nel volgere di diversi giorni, mentre le modificazioni indotte dalla respirazione si verificano generalmente nel giro di alcuni minuti o di ore. Sia la funzione polmonare sia quella renale agiscono in modo da compensare i disturbi dell'equilibrio acido-base, al fine di mantenere il pH ematico all'interno dei valori normali. Le ampie fluttuazioni della concentrazione di H+ sono inoltre prevenute dalla presenza di diversi sistemi tampone per il pH. Questi tamponi sono costituiti da acidi deboli che si trovano in equilibrio con le basi corrispondenti al pH fisiologico. I tamponi rispondono alle modificazioni della [H+] modificando le concentrazioni relative del tampone e della base corrispondente per smorzare le modificazioni del pH. I fosfati, l'ammoniaca, le proteine (compresa l'emoglobina) e l'osso contribuiscono tutti alla capacità di tamponamento del pH, ma il principale tampone del pH nel sangue, e quello che riguarda più da vicino i disturbi clinici dell'equilibrio acido-base, è il sistema bicarbonato/acido carbonico. L'enzima anidrasi carbonica converte rapidamente l'acido carbonico presente nel sangue in CO2 e acqua. La pressione parziale del gas CO2 (Pco2) viene misurata facilmente nei campioni di sangue ed è direttamente proporzionale al contenuto di CO2 del sangue; di conseguenza, la Pco2 viene utilizzata per rappresentare la concentrazione dell'acido nel sistema. La concentrazione della base nel sistema può essere determinata direttamente misurando la concentrazione del HCO3-. Le concentrazioni plasmatiche di bicarbonato e di CO2 e il pH sono correlati fra loro dal punto di vista chimico dall'equazione di Henderson-Hasselbalch:

dove 6,1 è il pKa (logaritmo negativo della costante di dissociazione acida) per l'acido carbonico e il fattore 0,03 correla la Pco2 alla quantità di CO2 disciolta nel plasma. Sebbene sia macchinosa e piuttosto difficile da utilizzare al letto del paziente, l'equazione di Henderson-Hasselbalch costituisce una correlazione

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molto importante. Essa indica che è il rapporto fra l'HCO3-e la CO2 disciolta, piuttosto che le loro concentrazioni effettive, a determinare il pH ematico. Questo sistema tampone ha un'importanza fisiologica, perché sia i meccanismi polmonari sia quelli renali per la regolazione del pH funzionano attraverso regolazioni di questo rapporto. La Pco2 può essere modificata rapidamente mediante modificazioni della ventilazione/minuto respiratoria, mentre la [HCO3-] plasmatica può essere variata attraverso la regolazione della sua escrezione a livello renale. I disturbi clinici del metabolismo acido-base vengono classicamente definiti in relazione al sistema tampone HCO3-/CO2. Gli aumenti o le diminuzioni del HCO3sono denominati rispettivamente alcalosi metabolica o acidosi metabolica. Gli aumenti o le diminuzioni della Pco2 sono denominati rispettivamente acidosi respiratoria o alcalosi respiratoria. I disturbi semplici dell'equilibrio acido-base comprendono sia l'alterazione primitiva sia una reazione compensatoria prevedibile. Per esempio, nell'acidosi metabolica si osservano una riduzione primitiva della concentrazione plasmatica di HCO3- e una riduzione secondaria della Pco2 dovuta al compenso respiratorio. La Tab. 12-8 illustra le modificazioni primitive dei quattro disturbi semplici dell'equilibrio acido-base e i meccanismi di compenso previsti. I disturbi misti dell'equilibrio acido-base sono disordini più complessi nei quali coesistono due o più alterazioni primitive. I meccanismi compensatori esistono anche nei disturbi misti dell'equilibrio acido-base. I disturbi misti vengono identificati generalmente quando si osserva una compensazione di entità minore o maggiore rispetto al previsto per un determinato disturbo primitivo dell'equilibrio acido-base. I nomogrammi permettono la rappresentazione grafica simultanea del pH, del HCO3- e della Pco2 e semplificano molto il riconoscimento dei disturbi misti. Il trattamento deve essere rivolto a ciascun disturbo primitivo. La determinazione del pH, della Pco2 e del HCO3- del sangue arterioso, insieme con il riconoscimento del processo patologico di base, è di solito sufficiente per risolvere in modo corretto la maggior parte dei disturbi clinici dell'equilibrio acidobase. I disturbi dell'equilibrio acido-base possono influenzare notevolmente il trasporto di O2 e l'ossigenazione tissutale. Le variazioni acute della concentrazione di H+ modificano rapidamente la curva di dissociazione dell'ossi-emoglobina (effetto Bohr); l'acidemia sposta la curva verso destra (riduzione dell'affinità dell'Hb per l'O2 e facilitazione del rilascio di O2 ai tessuti) e l'alcalemia sposta la curva verso sinistra (aumento dell'affinità dell'Hb per l'O2 e riduzione del rilascio di O2 ai tessuti). Tuttavia, quando l'acidosi o l'alcalosi sono croniche, questi effetti acuti sul legame Hb-O2 vengono modificati da variazioni che si sviluppano più lentamente nella concentrazione eritrocitaria di 2,3-difosfoglicerato (2,3-DPG). Di conseguenza, un aumento cronico dello ione H+ inibisce la formazione di 2,3DPG (portando a un aumento dell'affinità dell'Hb per l'O2) e una riduzione cronica dello ione H+ aumenta i livelli di 2,3-DPG (portando a una diminuzione dell'affinità dell'Hb per l'O2). Tali modificazioni acute del trasporto di O2 e dell'ossigenazione tissutale possono avere un ruolo nella produzione delle manifestazioni a carico del SNC dell'alcalemia acuta, ma la loro importanza clinica nell'acidosi rimane incerta. Il rene svolge un ruolo di primo piano nella regolazione della concentrazione del HCO3- nel ECF. Praticamente tutto il HCO3- plasmatico viene filtrato dal glomerulo. Grandi quantità di ione H+ vengono secrete nel lume del tubulo renale prossimale in scambio con il Na. Per ogni ione H+ secreto, viene richiamato nel ECF uno ione HCO3-. In questo modo si verifica un riassorbimento netto del HCO3- filtrato. Poiché il pH del liquido che lascia il tubulo prossimale è circa 6,5, la maggior parte del HCO3- viene riassorbita nel tubulo prossimale. Nel tubulo distale, la secrezione di ione H+ è parzialmente dipendente dal riassorbimento del Na mediato dall'aldosterone. Il riassorbimento del HCO3- può continuare nel nefrone distale su un gradiente notevole, dal momento che il pH urinario in

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questo segmento del nefrone può essere ridotto fino a 4,5-5,0. In tutto il nefrone, lo ione H+ secreto viene neutralizzato dai tamponi urinari come il PO4 (acidità titolabile) e l'ammoniaca. In questa maniera, il HCO3- filtrato dal punto di vista operativo viene riassorbito e può essere generato nuovo HCO3-, per rimpiazzare quello consumato nelle reazioni tampone dell'organismo. Poiché il Na filtrato viene riassorbito in associazione con il Cl oppure per scambio cationico con lo ione H+ o in minor misura con il K, il Na totale riassorbito corrisponde approssimativamente alla somma del Cl riassorbito e dello ione H+ secreto. Esiste pertanto una relazione inversa tra il riassorbimento del Cl e la secrezione dello ione H+, che è altamente dipendente dal livello esistente di riassorbimento del Na. Il riassorbimento renale di HCO3- è influenzato anche dai depositi corporei di K. Esiste una relazione reciproca generale tra il contenuto intracellulare di K e la secrezione di ioni H+. Pertanto, la deplezione di K è associata con l'aumento della secrezione di ioni H+ e la contemporanea generazione di HCO3-, che porta a un aumento del HCO3- nel ECF e ad alcalosi metabolica. Infine, il riassorbimento renale di HCO3- è influenzato dalla Pco2 e dallo stato del bilancio dei cloruri. L'aumento della Pco2 conduce a un aumento del riassorbimento di HCO3-. La deplezione di Cl conduce a un aumento del riassorbimento di Na e alla generazione di HCO3- da parte del tubulo prossimale. Sebbene una deplezione di Cl possa essere prodotta sperimentalmente senza deplezione di volume del ECF, in situazioni cliniche la deplezione di Cl è generalmente sinonimo di deplezione di volume del ECF.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO ACIDO-BASE DISTURBI DEL METABOLISMO ACIDO-BASE ALCALOSI METABOLICA Condizione caratterizzata da innalzamento del pH arterioso, aumento della concentrazione plasmatica del HCO3- e solitamente ipoventilazione alveolare compensatoria, cui consegue un aumento della PCO2

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Esami di laboratorio Terapia

Eziologia e patogenesi L'alcalosi metabolica è dovuta a una perdita netta di acidi o a un guadagno netto di basi del ECF. Se l'alcalosi supera la capacità del sangue di tamponare il pH, ne deriva alcalemia (pH arterioso > 7,45). La perdita delle secrezioni gastriche contenenti acido attraverso il vomito protratto o l'aspirazione nasogastrica, le perdite eccessive di acidi con le urine o le feci e il movimento transcellulare degli ioni H+ verso il compartimento intracellulare causano una perdita netta di acidi dal ECF. Un guadagno netto di basi può verificarsi con la somministrazione eccessiva acuta o cronica di alcali, specialmente nei pazienti con insufficienza renale o grave deplezione di volume. Qualunque sia la causa, i reni tendono a correggere prontamente l'alcalosi eliminando rapidamente l'eccesso di HCO3-. Perché si sviluppi un'alcalosi metabolica, devono essere presenti fattori che inibiscono l'escrezione renale di HCO3-. L'infusione di NaHCO3 può provocare un'alcalosi metabolica, ma solo se l'infusione è rapida e viene somministrata una grande quantità di HCO3-. L'alcalosi si sviluppa perché la somministrazione di alcali supera l'escrezione di HCO3-; ciò si verifica di solito dopo la somministrazione di NaHCO3 nella CPR. La somministrazione cronica di alcali in eccesso può anch'essa causare alcalosi metabolica. La milk-alkali syndrome è causata dall'ingestione cronica di quantità eccessive di carbonato di Ca. I reperti clinici comprendono ipercalcemia, nefrocalcinosi, insufficienza renale e alcalosi metabolica. Si ritiene che in questa condizione l'alcalosi metabolica sia dovuta all'alterazione dell'escrezione del HCO3- correlata all'insufficienza renale (v. Ipocalcemia, sopra). In assenza di un'ingestione eccessiva di alcali, l'alcalosi metabolica implica la presenza di un difetto dell'escrezione renale di HCO3-. Deplezione di volume, deficit di K e/o eccesso di mineralcoricoidi sono le più comuni situazioni cliniche che inibiscono l'escrezione di HCO3-. Le condizioni che comunemente causano alcalosi metabolica sono elencate nella Tab. 12-9.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Forse la più frequente e importante di queste condizioni è la deplezione di volume del ECF. Il deficit di volume (o la deplezione di cloruri) ha come conseguenza il rilascio di renina e di aldosterone, che determina un avido riassorbimento renale di Na in corrispondenza del nefrone distale. Ciò conduce alla successiva eliminazione massiva di ione H+ e di K, che può mantenere o aggravare l'alcalosi. La perdita dell'HCl gastrico attraverso un drenaggio nasogastrico o il vomito protratto produce inizialmente alcalosi metabolica dovuta alla perdita netta di acido. L'alcalosi viene mantenuta dalla concomitante perdita di Cl (e di volume) e dallo sviluppo di ipokaliemia. L'uso eccessivo di lassativi può anch'esso causare alcalosi metabolica attraverso la perdita di acidi e di volume dal tratto GI. Un abuso surrettizio di lassativi deve essere sospettato nei pazienti altrimenti sani con ipokaliemia persistente e alcalosi metabolica, particolarmente in quelli preoccupati di perdere peso. Quando l'ipoventilazione (ipercapnia) perdura per più di qualche giorno, i meccanismi renali compensano l'acidosi respiratoria trattenendo HCO3-. Quando l'ipercapnia viene prontamente corretta, più comunemente durante la ventilazione meccanica, può derivarne alcalosi metabolica (alcalosi metabolica postipercapnica). Questa condizione risponde generalmente all'aggiustamento della ventilazione/minuto a un livello più adeguato per il paziente. Spesso l'alcalosi persiste nonostante il ritorno a una ventilazione appropriata fino a che il Cl (cioè il volume) non viene reintegrato. I diuretici sono cause frequenti sia degli stati Cl-responsivi sia di quelli Clresistenti (v. Tab. 12-9). I diuretici possono causare una contrazione acuta di volume del ECF e un ipermineralcorticoidismo secondario, entrambi i quali rispondono alla somministrazione di Cl (volume). Tuttavia, uno stato di resistenza al Cl può verificarsi con una prolungata terapia diuretica, a causa delle elevate perdite urinarie di Cl e alla concomitante deplezione di K. L'alcalosi metabolica Cl-resistente può essere definita dal punto di vista funzionale come un'alcalosi metabolica che non risponde alla somministrazione di Cl (volume). Una grave carenza di Mg o di K può causare un aumento dell'escrezione renale di ione H+ e una conseguente alcalosi non responsiva alla reintegrazione di volume fino a che i deficit elettrolitici non vengano corretti. Negli stati di persistente eccesso di steroidi surrenalici, l'alcalosi è il risultato del riassorbimento di Na mediato dai mineralcorticoidi a livello del tubulo distale. Il riassorbimento di Na nel tubulo distale porta a espansione di volume del ECF e a secrezione persistente degli ioni K e H+. Le cause di aumento dell'attività mineralcorticoide comprendono l'iperaldosteronismo primitivo, la sindrome o il morbo di Cushing, i tumori secernenti renina, la stenosi dell'arteria renale e i difetti enzimatici surrenalici congeniti. L'acido glicirizinico inibisce la conversione enzimatica del cortisolo in metaboliti meno attivi. Poiché il cortisolo possiede un'attività mineralcorticoide intrinseca, l'ingestione di sostanze che contengono acido glicirizinico, come la liquirizia e alcuni tipi di tabacco da masticare, può mimare l'ipermineralcorticoidismo. Da ultimo, le sindromi di Bartter e di Gitelman sono rare patologie ereditarie associate con elevati livelli di renina e di aldosterone e con alcalosi metabolica ipokaliemica. La sindrome di Gitelman può essere distinta dalla sindrome di Bartter per la presenza di ipomagnesiemia e ipocalciuria. Inoltre la sindrome di Gitelman si presenta più comunemente nei giovani adulti, mentre la sindrome di Bartter si osserva con maggior frequenza nella prima infanzia con notevole perdita renale di sali e deplezione di volume.

Sintomi, segni e diagnosi Le più comuni manifestazioni cliniche dell'alcalosi metabolica sono l'irritabilità e l'ipereccitabilità neuromuscolare, forse dovute all'ipossia secondaria a un transitorio spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell'ossiemoglobina. L'alcalosi provoca un aumento del legame proteico del Ca ionizzato, nonostante il Ca totale plasmatico rimanga immodificato; l'alcalosi grave può determinare una riduzione del Ca ionizzato così marcata da provocare file:///F|/sito/merck/sez02/0120173.html (2 of 4)02/09/2004 2.41.09

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tetania (v. Ipocalcemia, sopra). Poiché l'ipokaliemia accompagna di frequente l'alcalosi metabolica, possono verificarsi anche segni di concomitante deplezione di K, come debolezza muscolare, crampi, ileo e poliuria. L'alcalosi metabolica deve essere sospettata quando l'anamnesi o l'esame obiettivo suggeriscono la presenza di una deplezione di volume, di una perdita cronica di volume dal tratto GI o una delle altre situazioni cliniche tratteggiate nella Tab. 12-9.

Esami di laboratorio La diagnosi clinica di alcalosi metabolica richiede la determinazione del livello plasmatico del HCO3- e del pH arterioso. Il pH arterioso è > 7,45 e il HCO3- > 40 mEq/l nell'alcalosi metabolica primitiva (elevazioni meno evidenti nella concentrazione plasmatica di HCO3- possono essere dovute alla compensazione di un'acidosi respiratoria cronica). Con l'ipoventilazione compensatoria, specialmente nei pazienti con lieve insufficienza renale, può aversi un incremento della Pco2 fino a livelli di 50-60 mm Hg. Nell'alcalosi metabolica semplice, ci si deve attendere un aumento della Pco2 di circa 67 mm Hg per ogni 10 mEq/l di aumento del HCO3- plasmatico. Un incremento della Pco2 maggiore o minore di quanto atteso suggerisce la coesistenza rispettivamente di acidosi respiratoria primitiva oppure di alcalosi respiratoria o di altri disturbi metabolici primitivi. In aggiunta all'aumento della concentrazione plasmatica di HCO3-, il pattern elettrolitico che si verifica solitamente nell'alcalosi metabolica comprende ipocloruremia, ipokaliemia e occasionalmente ipomagnesiemia. Quando l'alcalosi metabolica è associata a deplezione di volume del ECF, il Cl urinario è quasi sempre basso (< 10 mEq/l), mentre il Na urinario può superare i 20 mEq/l negli stadi iniziali. Di converso, l'alcalosi metabolica associata all'eccesso primitivo di steroidi surrenalici ed espansione di volume è caratterizzata da un'alta concentrazione urinaria di cloruri. Nell'alcalosi metabolica il pH delle urine è alcalino, tranne in presenza di una grave deplezione di K, nel qual caso si può osservare un'aciduria paradossa.

Terapia Quando è lieve, l'alcalosi metabolica solitamente non richiede alcuna terapia specifica. Il trattamento più efficace consiste nella correzione del difetto sottostante che causa l'alterazione dell'escrezione renale del HCO3-. L'alcalosi metabolica abitualmente si risolve quando il deficit di cloruri (e di volume) del ECF viene reintegrato con la somministrazione orale o EV di soluzione salina. Nello stato post-ipercapnico, l'alcalosi metabolica persistente risponde anche alla somministrazione di Cl, più comunemente sotto forma di soluzioni di KCl o NaCl. Il NaCl deve essere somministrato con cautela oppure evitato nei pazienti inclini a sviluppare un sovraccarico di volume. In questi pazienti, il KCl è di solito un'alternativa sicura a meno che non sia presente anche una grave alterazione renale. Una soluzione di HCl diluito è anch'essa efficace, ma può causare una vivace emolisi. Anche la somministrazione di cloruro di ammonio per via orale è efficace, ma deve essere evitata nei pazienti con epatopatia. Nel deficit di K grave o nei pazienti affetti da ipermineralcorticoidismo, l'alcalosi è resistente al Cl e non può essere corretta finché non viene reintegrato anche il K. Una terapia più specifica deve essere rivolta alla sottostante causa di ipermineralcorticoidismo. Le sindromi di Bartter e di Gitelman sono spesso difficili da trattare; la correzione dell'ipokaliemia è il cardine della terapia. L'inibizione dell'asse renina-angiotensina-aldosterone mediante l'uso di ACE-inibitori o spironolattone ha incontrato un successo limitato.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E ACIDO-BASE METABOLISMO ACIDO-BASE DISTURBI DEL METABOLISMO ACIDO-BASE ACIDOSI RESPIRATORIA Condizione caratterizzata da diminuzione del pH arterioso, ipoventilazione con conseguente innalzamento della PCO2 e solitamente aumento compensatorio della concentrazione plasmatica di HCO3-.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Esami di laboratorio Terapia

Eziologia e patogenesi L'acidosi respiratoria si verifica in caso di depressione dei centri respiratori superiori (causata da farmaci, anestesia, malattie neurologiche, alterata sensibilità alla CO2), alterazioni del mantice toracico (poliomielite, miastenia grave, sindrome di Guillain-Barré, traumi da schiacciamento del torace), grave riduzione dell'area della superficie alveolare deputata agli scambi gassosi (condizioni caratterizzate da alterazione del rapporto ventilazione/perfusione come la BPCO, la polmonite grave, l'edema polmonare, l'asma o lo pneumotorace) e ostruzione laringea o tracheale. Il contenuto ematico di CO2 è una funzione dei tassi di produzione ed eliminazione della CO2. La produzione di CO2 varia in base alla percentuale di calorie derivate dai carboidrati, mentre il tasso di ventilazione alveolare controlla la cessione della CO2 da parte del polmone. La pressione parziale della CO2 gassosa (Pco2) è direttamente proporzionale alla quantità totale di CO2 contenuta in una soluzione di sangue. Ogni incremento della Pco2 dovuto all'aumento della produzione di CO2 viene rapidamente controllato da un aumento della ventilazione alveolare. Nello stesso modo, una riduzione della ventilazione alveolare conduce a una ritenzione polmonare di CO2 e causa acidosi respiratoria. L'acidosi respiratoria è frequentemente associata con alterazioni neurologiche. Tali alterazioni possono essere esacerbate dallo sviluppo di un'acidosi del LCR o del compartimento intracellulare cerebrale, da un'ipossiemia concomitante e da un'alcalosi metabolica.

Sintomi, segni e diagnosi

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L'alterazione più caratteristica è l'encefalopatia metabolica con cefalea e sonnolenza, che progredisce fino allo stupor e al coma. Essa si sviluppa di solito lentamente con il progredire dell'insufficienza respiratoria, ma un'encefalopatia improvvisa e florida può essere precipitata dai sedativi, dalle infezioni polmonari o da un'alta frazione di O2 inspirato (Fio2) nei pazienti con insufficienza respiratoria di grado avanzato. Possono inoltre presentarsi asterissi e mioclono multifocale. Occasionalmente, dilatazione delle venule retiniche e papilledema sono il risultato di un aumento della pressione intracranica. L'encefalopatia può essere reversibile se non si è verificato un danno cerebrale ipossico.

Esami di laboratorio Nell'acidosi respiratoria acuta, il basso pH è dovuto all'innalzamento acuto della Pco2. Il HCO3- può essere normale o lievemente aumentato. Un improvviso aumento della Pco2 è associato con un incremento del HCO3- plasmatico non superiore a 3-4 mEq/l, come risultato del potere tampone cellulare. Quando il compenso renale si è stabilito pienamente, come nell'acidosi respiratoria cronica, la riduzione del pH viene smorzata grazie alla ritenzione renale del HCO3- e all'elevazione del HCO3- plasmatico. L'aumento compensatorio atteso del HCO3plasmatico è approssimativamente di 3-4 mEq/l per ogni 10 mm Hg di aumento della Pco2 (v. Tab. 12-8). Un incremento maggiore o minore del HCO3- rispetto a quanto atteso indica rispettivamente la coesistenza di un'alcalosi metabolica primitiva o di un'acidosi metabolica primitiva.

Terapia La terapia deve essere volta alla correzione dei disturbi polmonari sottostanti. L'insufficienza respiratoria grave con marcata ipossiemia spesso richiede la ventilazione meccanica assistita. Devono essere evitati i sedativi (narcotici, ipnotici) tranne nei casi in cui siano necessari per facilitare la ventilazione meccanica. Sebbene la maggior parte dei pazienti con ritenzione cronica di CO2 e ipossia tolleri un leggero aumento della Fio2, alcuni rispondono con una significativa caduta del volume minuto respiratorio e con un ulteriore innalzamento acuto della Pco2. Presumibilmente, tali pazienti si sono adattati all'ipercapnia cronica in maniera tale che il loro principale stimolo alla ventilazione è l'ipossiemia. Di conseguenza, deve essere somministrata la minima concentrazione di O2 necessaria per innalzare la Pao2 a livelli accettabili (> 50 mm Hg). Ciò può essere ottenuto con la somministrazione di O2 con la maschera, cominciando con una concentrazione di O2 del 24%. La Pco2 deve essere strettamente controllata; se comincia a salire, e particolarmente se si associa ad alterazioni neurologiche o all'evidenza di instabilità emodinamica, deve essere presa in considerazione la ventilazione meccanica assistita. Se la ventilazione meccanica viene utilizzata in pazienti con insufficienza respiratoria cronica, la Pco2 deve essere fatta diminuire lentamente, specialmente se è presente una compensazione renale ben stabilizzata o un'alcalosi metabolica concomitante riconosciuta in base a un alto HCO3- e a un pH normale o alcalino. Un rapido abbassamento della Pco2 può determinare una grave alcalosi (v. Alcalosi metabolica, sopra). Il conseguente spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell'ossiemoglobina e la vasocostrizione cerebrale possono portare a convulsioni e coma. Tali conseguenze neurologiche possono essere prevenute fornendo un'adeguata concentrazione di O2 inspirato, abbassando la Pco2 più lentamente e correggendo i deficit sia di K sia di Cl. Nell'acidosi respiratoria associata con alcalosi metabolica primitiva o con acidosi metabolica primitiva, come in tutti i disturbi misti dell'equilibrio acido-base, il trattamento adeguato è affidato alla corretta identificazione e trattamento di ciascun disturbo primitivo dell'equilibrio acido-base. file:///F|/sito/merck/sez02/0120175.html (2 of 3)02/09/2004 2.41.10

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI CHETOACIDOSI DIABETICA Acidosi metabolica secondaria all'accumulo di corpi chetonici dovuto alla grave riduzione dei livelli di insulina.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La chetoacidosi diabetica (DKA) deriva da un marcato deficit della disponibilità di insulina, che causa uno spostamento da un metabolismo basato sull'ossidazione del glucoso a un metabolismo ossidativo lipidico (v. oltre). Nei pazienti affetti da DM di tipo I, la DKA viene comunemente precipitata da un'interruzione della terapia insulinica o da un'infezione, un trauma o un infarto acuti che rendono insufficiente il dosaggio insulinico abituale. Sebbene i pazienti affetti da DM di tipo II raramente presentino una DKA, molti possono presentare formazione di chetoni e acidosi (solitamente di grado lieve) a causa di una riduzione dell'apporto alimentare e di una notevole riduzione della secrezione insulinica dovute alla grave e persistente iperglicemia (tossicità da glucoso). Questi pazienti di solito non necessitano di insulina dopo che l'evento metabolico acuto è stato corretto. Nella DKA, la spiccata iperglicemia causa diuresi osmotica, eccessive perdite urinarie di acqua, Na e K, e contrazione di volume con acidosi dovuta all'aumento della sintesi e del rilascio di corpi chetonici da parte del fegato. I principali corpi chetonici, l'acido acetoacetico e l'acido b-idrossibutirrico, sono acidi organici forti; l'iperchetonemia provoca un'acidosi metabolica con compenso respiratorio e il marcato aumento dell'escrezione urinaria di acido acetoacetico e bidrossibutirrico rende obbligata la perdita di quote addizionali di Na e K. L'acetone derivato dalla decarbossilazione spontanea dell'acido acetoacetico si accumula nel plasma e viene lentamente eliminato con la respirazione; esso è un anestetico del SNC, ma l'effettiva causa del coma nella DKA è sconosciuta. L'alterazione della chetogenesi nella DKA origina dalla perdita del normale effetto regolatorio dell'insulina sugli acidi grassi liberi (Free Fatty Acids, FFA) rilasciati dal tessuto adiposo, dalla loro ossidazione nel fegato e dalla chetogenesi epatica. I livelli plasmatici di FFA e la loro captazione da parte del fegato sono fortemente aumentati. Nel fegato, l'insulina normalmente regola l'ossidazione degli FFA e la chetogenesi tramite l'inibizione indiretta del trasporto dei derivati degli FFA a catena lunga coniugati con coenzima A attraverso la membrana mitocondriale interna fino alla matrice mitocondriale. Il glucagone stimola il trasporto e l'ossidazione epatica degli acidi grassi a catena lunga coniugati con coenzima A e la chetogenesi nei mitocondri e nella DKA viene perso il normale effetto controregolatorio dell'insulina. Nel plasma il rapporto tra acido bidrossibutirrico e acido acetoacetico è normalmente di 3:1; questo rapporto è solitamente aumentato nella DKA, raggiungendo talvolta il valore di 8:1. Le striscie e le compresse reattive reperibili in commercio reagiscono con l'acido acetoacetico (e debolmente con l'acetone), ma non con l'acido b-idrossibutirrico. Di conseguenza, esse possono sottostimare in maniera significativa la quantità di file:///F|/sito/merck/sez02/0130191.html (1 of 3)02/09/2004 2.41.17

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corpi chetonici presenti.

Sintomi e segni I sintomi iniziali sono poliuria, nausea, vomito e, particolarmente nei bambini, dolore addominale. In seguito è frequente lo sviluppo di letargia o sonnolenza; nei pazienti non trattati, essa può progredire fino al coma. In una piccola percentuale di pazienti, il coma costituisce la manifestazione di esordio. Nei pazienti senza un DM di tipo I precedentemente noto, è possibile che inizialmente la DKA non venga presa in considerazione, poiché il soggetto può non riferire spontaneamente una storia di poliuria. Nei bambini la DKA può essere confusa con un quadro di addome acuto chirugico, a causa del dolore addominale intenso e della leucocitosi. Nella DKA non complicata la temperatura corporea è di solito normale o bassa. Sono usualmente presenti segni di disidratazione e alcuni pazienti sono ipotesi. Può essere presente respiro di Kussmaul (un quadro respiratorio peculiare caratterizzato da atti respiratori lenti e profondi) e nell'aria espirata si può dimostrare la presenza di acetone.

Diagnosi La diagnosi richiede la dimostrazione di iperglicemia, iperchetonemia e acidosi metabolica. Tuttavia, una diagnosi presuntiva al letto del paziente trova sostegno se le urine o il sangue risultano fortemente positivi al glucoso e ai corpi chetonici. Il livello iniziale del glucoso plasmatico è di solito di 400-800 mg/dl (22,244,4 mmol/ l), ma può essere più basso. Il pH e i bicarbonati plasmatici sono diminuiti e il gap anionico calcolato è aumentato. Il livello iniziale del Na sierico è di solito lievemente diminuito, mentre il K sierico è inizialmente elevato o ai limiti superiori della norma. Livelli di K intorno a 4,5 mEq/l indicano una marcata deplezione di K, per la quale è necessaria un'attenzione immediata. L'azotemia in principio è frequentemente aumentata a valori compatibili con l'iperazotemia prerenale. L'amilasi sierica è caratteristicamente elevata, ma la pancreatite viene osservata di rado in associazione con la DKA. Bisogna ricercare molto accuratamente l'eventuale presenza di un'infezione trattabile.

Terapia Gli obiettivi principali del trattamento sono (1) la rapida espansione del volume dei liquidi, (2) la correzione dell'iperglicemia e dell'iperchetonemia, (3) la prevenzione dell'ipokaliemia durante il trattamento e (4) l'identificazione e il trattamento di qualunque infezione batterica associata. Nella maggior parte dei pazienti (quelli con pH plasmatico > 7), la correzione rapida del pH con somministrazione di bicarbonati non è necessaria e tale trattamento comporta un rischio significativo di indurre alcalosi e ipokaliemia. Durante il trattamento per la DKA è richiesta una stretta osservazione da parte del medico, poiché sono necessarie frequenti valutazioni cliniche e di laboratorio e opportune modificazioni della terapia. Il tasso di mortalità è circa del 10%; la presenza di ipotensione o coma al momento del ricovero peggiora la prognosi. Le principali cause di morte sono il collasso circolatorio, l'ipokaliemia e le infezioni. L'edema cerebrale acuto, una complicanza rara e frequentemente fatale, insorge soprattutto nei bambini e meno frequentemente negli adolescenti e nei giovani. Non è stato dimostrato che il trattamento della DKA ne modifichi significativamente il rischio. Alcuni medici ritengono che per ridurre al minimo il rischio di variazioni osmotiche improvvise debba essere evitata una riduzione troppo rapida della glicemia (> 50 mg/ dl/h [> 2,78 mmol/l/h]). Alcuni pazienti hanno sintomi premonitori (p. es., cefalea improvvisa, rapida riduzione del livello di coscienza), ma in altri la manifestazione iniziale è l'arresto respiratorio acuto. Nonostante siano stati utilizzati l'iperventilazione, i corticosteroidi e il mannitolo, file:///F|/sito/merck/sez02/0130191.html (2 of 3)02/09/2004 2.41.17

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essi sono di solito inefficaci dopo che l'arresto respiratorio si è instaurato; tuttavia, sono stati descritti casi isolati di recupero, spesso con deficit neurologici permanenti. Espansione di volume dei liquidi corporei: negli adulti, si esegue un'infusione rapida di soluzione fisiologica (p. es., 1 l in 30 min), ridotta poi a circa 1 l/h se la PA è stabile e il flusso urinario è adeguato. Di solito, il deficit di liquidi varia da 3 a 5 l e il deficit di acqua è superiore a quello degli elettroliti. Quando la PA è stabile e il flusso urinario adeguato, viene comunemente utilizzata una soluzione di NaCl allo 0,45% con l'aggiunta di K, al fine di fornire acqua libera e dare inizio al rimpiazzo del K perduto. Il deficit di K è compreso di solito fra le 3 e le 5 mmol/l di ECF. Nella maggior parte dei pazienti, il K sierico iniziale è elevato o ai limiti superiori della norma e l'inizio della reintegrazione di K (da 20 a 40 mmol/h) di solito può essere differito di 2 h, sulla scorta di determinazioni orarie della sua concentrazione. Poiché l'insulina determina uno spostamento del K all'interno delle cellule, nei pazienti in cui il K sierico iniziale è _ 4,5 mEq/l nonostante la condizione di acidosi metabolica, la reintegrazione di K deve essere cominciata non appena si sia ottenuto un flusso urinario adeguato. La concentrazione sierica di K deve essere tenuta sotto stretto controllo. (V. anche Cap. 12 e 259.) Insulina: la somministrazione iniziale di 10-20 U EV di insulina regolare viene fatta seguire dall'infusione EV continua di 10 U/h in soluzione fisiologica. Tale trattamento è sufficiente nella maggior parte degli adulti, ma alcuni richiedono dosi significativamente più alte. Nella maggior parte dei bambini si esegue un'iniezione EV d'attacco di insulina regolare (0,1 U/kg), seguita dall'infusione EV continua di insulina regolare in soluzione fisiologica alla velocità di 0,1 U/kg/h; l'infusione di insulina deve essere regolata in base alla risposta alla terapia. La glicemia deve essere controllata ogni ora per valutare l'efficacia del dosaggio insulinico e operare le opportune modificazioni al fine di indurre una riduzione graduale dei livelli plasmatici di glucoso. Il livello della chetonemia risulterà corretto entro alcune ore se l'insulina viene somministrata in dosi sufficienti a ridurre la glicemia. Il pH e i bicarbonati plasmatici di solito migliorano significativamente entro 6-8 h, ma il ritorno a livelli plasmatici normali di bicarbonati può richiedere 24 h. Quando la glicemia scende a 250-300 mg/dl (13,88-16,65 mmol/l), ai liquidi EV si aggiunge soluzione glucosata al 5% per ridurre il rischio di ipoglicemia. A questo punto si può ridurre il dosaggio dell'insulina, ma l'infusione EV continua di insulina regolare deve essere proseguita fino alla conseguente scomparsa dei corpi chetonici dal plasma e dalle urine. Il paziente può allora passare alla somministrazione sottocutanea di insulina regolare q 4-6 h. Ogni sospensione della terapia insulinica durante le prime 24 h dalla remissione di una DKA può esitare in una rapida ricomparsa dell'iperchetonemia. Se il paziente li tollera, si possono somministrare liquidi per via orale.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI CHETOACIDOSI ALCOLICA Chetoacidosi accompagnata da una lieve iperglicemia e dall'assenza di un'alcolemia elevata. Questa sindrome viene attribuita agli effetti combinati del digiuno e della sospensione dell'ingestione di alcol sulla secrezione endogena di insulina e sugli stimoli all'aumento del rilascio di FFA e della chetogenesi, in pazienti che probabilmente hanno una compromissione sottostante della secrezione di insulina. Alcuni alcolisti cronici sono predisposti a gravi e ripetuti episodi di vomito e dolore addominale. La storia clinica tipica è quella di un'ubriacatura conclusasi con un episodio di vomito e alla quale consegue l'interruzione dell'ingestione di alcol o cibo per un periodo _ 24 h. Durante questo periodo di digiuno, il vomito continua e compare dolore addominale intenso, che infine porta il paziente dal medico. L'entità dell'iperglicemia rende chiaramente improbabile la DKA (p. es., glucoso plasmatico < 150 mg/dl [< 8,33 mmol/ l]). Nella maggior parte dei pazienti vi sono segni di pancreatite, e molti mostrano una riduzione della tolleranza al glucoso o un DM di tipo II di grado lieve dopo la risoluzione dell'episodio acuto. Il trattamento inizia con un'infusione EV di glucoso al 5% in soluzione fisiologica, con l'aggiunta di tiamina e altre vitamine idrosolubili e con la supplementazione di K secondo le necessità. La chetoacidosi e la sintomatologia GI di solito rispondono rapidamente. (L'uso dell'insulina è indicato nei pazienti per i quali esiste il dubbio di una DKA atipica.)

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI COMA IPERGLICEMICO- IPEROSMOLARE NON CHETOSICO Sindrome caratterizzata da iperglicemia, disidratazione estrema e iperosmolarità plasmatica che conducono alla compromissione dello stato di coscienza, talvolta accompagnata da convulsioni.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il coma iperosmolare-iperglicemico non chetosico (NKHHC) è una complicanza del DM di tipo II e ha un tasso di mortalità superiore al 50%. Esso di solito si sviluppa dopo un periodo di iperglicemia sintomatica, durante il quale l'apporto di liquidi è inadeguato a prevenire la disidratazione estrema dovuta alla diuresi osmotica indotta dall'iperglicemia. I fattori precipitanti possono essere un'infezione acuta concomitante o qualche altra circostanza (p. es., pazienti anziani che vivono da soli).

Sintomi, segni e diagnosi In alcuni pazienti, l'evento scatenante è costituito da un'infezione, più frequentemente una polmonite o una sepsi da gram - negativi; tuttavia il NKHHC può verificarsi anche quando pazienti con DM di tipo II non diagnosticato o trascurato assumono farmaci che riducono la tolleranza al glucoso (p. es., i glucocorticoidi) o aumentano le perdite di liquidi (p. es., i diuretici). Il NKHHC può essere indotto anche dalla dialisi peritoneale o dall'emodialisi, dalla nutrizione enterale e dagli eccessivi carichi EV di glucoso. Le caratteristiche cliniche che conseguono al NKHHC e ne consentono la diagnosi sono le alterazioni del SNC, l'iperglicemia intensa, la disidratazione e l'iperosmolarità, l'acidosi metabolica lieve senza iperchetonemia marcata e l'iperazotemia prerenale (o la preesistente insufficienza renale cronica). Lo stato della coscienza alla presentazione clinica varia dall'obnubilamento mentale al coma. Al contrario di quanto avviene nella DKA, è possibile la comparsa di convulsioni focali o generalizzate. Può insorgere un'emiplegia transitoria. Il glucoso plasmatico è di solito nell'ambito dei 1000 mg/dl (55,5 mmol/ l) (molto più alto che nella maggior parte dei casi di DKA). L'osmolarità sierica calcolata al momento del ricovero è di circa 385 mOsm/kg, mentre i valori normali sono di circa 290 mOsm/kg (v. Cap. 12). I livelli iniziali dei bicarbonati plasmatici sono leggermente ridotti (da 17 a 22 mmol/l) e il plasma generalmente non dà una reazione fortemente positiva ai chetoni. I livelli sierici di Na e K sono solitamente normali, ma l'azotemia e la creatininemia sono marcatamente aumentate. La deplezione media di liquidi è di circa 10 l e il collasso circolatorio acuto è un evento terminale comune nel NKHHC. La trombosi in situ generalizzata è un reperto autoptico frequente e in alcuni casi è stata osservata la presenza di sanguinamenti attribuibili a coagulazione intravascolare disseminata o di dita con aspetto gangrenoso. file:///F|/sito/merck/sez02/0130193b.html (1 of 2)02/09/2004 2.41.18

Disordini del metabolismo dei carboidrati

Terapia Lo scopo più immediato del trattamento è quello di risolvere rapidamente la contrazione del volume intravascolare al fine di stabilizzare la PA e migliorare la circolazione e il flusso urinario. Il trattamento viene iniziato con l'infusione di 2-3 l di soluzione fisiologica in 1 o 2 h. Se ciò è sufficiente a stabilizzare la PA e la circolazione e a ripristinare una buona diuresi, l'infusione EV può essere sostituita con NaCl allo 0,45% per fornire acqua libera addizionale. La velocità di infusione della soluzione di NaCl allo 0,45% deve essere regolata sulla scorta di frequenti valutazioni della PA, dello stato cardiocircolatorio e del bilancio idrico. La reintegrazione del K viene di solito cominciata aggiungendo 20 mmol/l di potassio come sale fosfato al primo litro di NaCl allo 0,45% infuso EV, purché il flusso urinario sia adeguato e la conseguente velocità iniziale dell'infusione di K non sia superiore a 2040 mmol/h. Il trattamento con insulina non deve essere aggressivo e può non essere necessario, perché un'idratazione adeguata abitualmente riduce i livelli plasmatici di glucoso. I pazienti con NKHHC sono spesso molto sensibili all'insulina e dosi elevate possono far diminuire la glicemia in tempi estremamente rapidi. Una riduzione troppo rapida dell'osmolalità può condurre all'edema cerebrale. Tuttavia, molti pazienti obesi con DM di tipo II in stato di NKHHC necessitano di dosi maggiori di insulina per ridurre la loro marcata iperglicemia. Se viene somministrata insulina, quando la glicemia raggiunge approssimativamente i 250 mg/dl (13,88 mmol/l) bisogna aggiungere ai liquidi EV una soluzione glucosata al 5%, in modo da evitare l'ipoglicemia. Dopo la risoluzione dell'episodio acuto, ai pazienti viene di solito modificata la terapia nel senso della somministrazione di adeguate dosi di insulina regolare sottocutanea a intervalli di 4-6 h. Molti pazienti che nella fase iniziale vengono trattati efficacemente con insulina per il NKHHC, possono poi mantenere un adeguato controllo glicemico con la dieta o con gli ipoglicemizzanti orali.

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Le porfirie

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE Gruppo di disordini dovuti a deficit enzimatici a carico della via biosintetica dell'eme.

Sommario: Introduzione La via biosintetica dell'eme Controllo della biosintesi dell'eme Eziologia e patogenesi Classificazione Indagini di laboratorio

Vengono prodotti livelli eccessivamente elevati di porfirine o dei loro precursori (p. es., l'acido d-aminolevulinico [d-AminoLevulinic Acid, ALA] e il porfobilinogeno [PBG]), i quali si accumulano nei tessuti e vengono escreti nelle urine e nelle feci. Le manifestazioni patologiche dipendono pressoché interamente dai loro effetti sul sistema nervoso e sulla cute.

La via biosintetica dell'eme L'eme, un pigmento contenente ferro, è il componente funzionale non proteico delle emoproteine, le quali sono presenti in tutti i tessuti. La via biosintetica dell'eme è illustrata nella Fig. 14-1. Gli otto differenti enzimi che catalizzano le tappe sequenziali di questa via metabolica sono numerati da 1 a 8 nella Fig. 14-1 e vengono brevemente descritti qui di seguito. Il primo enzima e gli ultimi tre si trovano nei mitocondri; gli enzimi intermedi sono localizzati nel citosol. 1. L'ALA sintetasi, il primo enzima della via biosintetica dell'eme, catalizza la condensazione della glicina e del succinil-coenzima A per formare ALA. L'enzima è localizzato nella membrana mitocondriale interna e richiede la presenza del cofattore 5´ piridossal-fosfato. Geni differenti codificano per l'ALA sintetasi eritroide e per quella non eritroide. 2. L'ALA deidratasi, un enzima citosolico, converte due molecole di ALA in un monopirrolo, il PBG, mediante la rimozione di due molecole di acqua. Il piombo inibisce l'attività dell'ALA deidratasi allontanando lo zinco (metallo essenziale per l'attività enzimatica) dall'enzima. Il più potente inibitore di questo enzima è il succinilacetone, un analogo strutturale dell'ALA che si trova nelle urine e nel sangue dei pazienti affetti da tirosinemia ereditaria. 3. La PBG deaminasi catalizza la condensazione di quattro molecole di PBG per formare un tetrapirrolo lineare, l'idrossimetilbilano (HydroxyMethylBilane, HMB). Esistono due isoenzimi della PBG deaminasi; uno è presente esclusivamente nelle cellule eritroidi e l'altro si trova in quelle non eritroidi. Le due isoforme della PBG deaminasi sono codificate da differenti RNA messaggeri (mRNA) che vengono trascritti da un singolo gene tramite trascrizione e splicing alternati.

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Le porfirie

L'uroporfirinogeno III cosintetasi catalizza la formazione di uroporfirinogeno III dall'HMB. Questo passaggio prevede un riarrangiamento intramolecolare che inverte l'orientamento dell'anello D (l'anello pirrolico terminale situato all'estremità destra della molecola dell'HMB mostrata nella Fig. 14-1), seguito dalla chiusura della molecola macrociclica con formazione di uroporfirinogeno III. Quando questo enzima è carente, l'HMB può andare incontro alla chiusura spontanea del macrociclo senza inversione dell'anello D, con formazione di uroporfirinogeno I. 4. L'uroporfirinogeno decarbossilasi, un enzima citosolico, catalizza la decarbossilazione sequenziale delle quattro catene laterali carbossimetiliche dell'uroporfirinogeno III (una porfirina octacarbossilica) per formare eptacarbossilporfirina, esacarbossilporfirina, pentacarbossilporfirina e, infine, coproporfirinogeno III (una tetracarbossilporfirina). Questo enzima può inoltre metabolizzare l'uroporfirinogeno I in coproporfirinogeno I. 5. La coproporfirinogeno ossidasi, un enzima mitocondriale delle cellule dei mammiferi, catalizza la rimozione del gruppo carbossilico e di due atomi di idrogeno dai gruppi propionici degli anelli pirrolici A e B del coproporfirinogeno III per formare gruppi vinilici nelle medesime posizioni, così da ottenere il protoporfirinogeno. Questo enzima non è in grado di metabolizzare il coproporfirinogeno I. 6. L'ossidazione del protoporfirinogeno IX a protoporfirina IX è mediata dalla protoporfirinogeno ossidasi, che catalizza la rimozione di sei atomi di idrogeno dal nucleo del porfirinogeno. 7. La ferrochelatasi catalizza l'inserimento del ferro nella molecola della protoporfirina, il passaggio finale della via biosintetica dell'eme. L'enzima non è specifico per il ferro e può catalizzare l'inserimento nella molecola anche di altri metalli, come lo zinco. 8. I prodotti intermedi di questa via metabolica sono contenuti all'interno delle cellule e quindi in condizioni normali vengono escreti solo in piccole quantità. Essi differiscono notevolmente l'uno dall'altro per dimensioni molecolari, solubilità e altre caratteristiche. L'ALA, il PBG e i porfirinogeni (esaidroporfirine, cioè porfirine allo stato chimico ridotto) sono incolori e privi di fluorescenza. La protoporfirina, l'intermedio finale della via metabolica, è l'unico intermedio a essere una porfirina ossidata. Le porfirine allo stato ossidato appaiono rossastre ed emanano fluorescenza quando vengono esposte alla luce ultravioletta a elevata lunghezza d'onda. I porfirinogeni che fuoriescono nel liquido extracellulare vanno incontro ad autossidazione e vengono escreti principalmente come porfirine. Tuttavia, nelle urine possono essere escreti quantitativi apprezzabili di coproporfirinogeno non ossidato. L'ALA, il PBG, l'uroporfirina e le epta-, esa- e pentacarbossilporfirine sono idrosolubili e vengono escrete principalmente con le urine. La coproporfirina (una tetracarbossilporfirina) viene escreta con le urine e con la bile. L'arderoporfirina (una porfirina tricarbossilica) e la protoporfirina (una porfirina dicarbossilica) sono scarsamente idrosolubili e perciò non possono essere escrete dai reni. Se si accumulano nel midollo osseo o nel fegato, esse compaiono nel plasma, vengono captate dal fegato e vengono escrete nella bile e nelle feci.

Controllo della biosintesi dell'eme L'eme viene sintetizzato per la maggior parte nel midollo osseo, dove viene incorporato nell'emoglobina (che è una proteina di trasporto dell'ossigeno), e nel fegato, dove viene incorporato nei citocromi (che sono proteine di trasporto degli elettroni). I citocromi più abbondanti nel fegato sono gli enzimi del citocromo P450 deputati alla metabolizzazione dei farmaci e di numerose altre sostanze chimiche endogene ed esogene (v. Cap. 43). La biosintesi dell'eme è controllata in maniera diversa nel fegato e nel midollo osseo. Nel fegato, essa ha velocità limitata ed è regolata principalmente dal suo primo enzima, l'ALA sintetasi (v. Fig. 14-1, enzima 1). L'attività di questo enzima file:///F|/sito/merck/sez02/0140200.html (2 of 4)02/09/2004 2.41.19

Le porfirie

nelle cellule epatiche è normalmente molto bassa, ma aumenta drasticamente in seguito all'induzione della sua sintesi che si verifica quando il fegato deve produrre una maggiore quantità di eme. La sintesi dell'enzima è sottoposta inoltre al sensibile meccanismo di retrocontrollo rappresentato dal contenuto cellulare di eme libero e si riduce quando quest'ultimo è alto. Alcuni farmaci e ormoni hanno la capacità di indurre gli epatociti a sintetizzare maggiori quantitativi di ALA sintetasi, eme e citocromo P-450. Nel midollo osseo, l'eme viene sintetizzato negli eritroblasti e nei reticolociti che ancora possiedono i mitocondri, mentre gli eritrociti circolanti non contengono mitocondri e non possono sintetizzarlo. La biosintesi dell'eme nelle cellule eritroidi è regolata almeno in parte dal processo di captazione cellulare del ferro. Le cellule del midollo osseo esprimono forme eritroido-specifiche di alcuni enzimi della via biosintetica. L'ALA sintetasi eritroido-specifica è regolata da un elemento dell'mRNA responsivo al ferro e ciò spiega in parte la regolazione tessuto-specifica della sintesi dell'eme per la formazione di emoglobina.

Eziologia e patogenesi I geni per tutti gli otto enzimi della via biosintetica dell'eme sono stati clonati e sequenziati ed è stata identificata la loro localizzazione cromosomica (v. Tab. 141). Mutazioni della forma eritroido-specifica dell'ALA sintetasi sono state identificate in alcuni casi di anemia sideroblastica legata al cromosoma X. Le porfirie e i disordini a esse correlati sono dovuti a deficit degli altri sette enzimi e le mutazioni a carico dei geni per questi enzimi sono state caratterizzate in dettaglio. Sebbene ciascun tipo di porfiria ereditaria sia associata con il deficit di uno specifico enzima, i soggetti affetti da una determinata carenza enzimatica sono probabilmente portatori di mutazioni diverse nel gene per l'enzima, a meno che essi non appartengano alla stessa linea familiare. In altre parole, queste malattie sono eterogenee a livello molecolare. Quando un enzima della sintesi dell'eme è carente, il suo substrato specifico e altri precursori dell'eme si possono accumulare nel midollo osseo o nel fegato. Questi precursori compaiono quindi in quantità eccessive nel sangue, vengono trasportati in altri tessuti e vengono escreti nelle urine e nelle feci. Alcune porfirie, soprattutto quelle che causano un aumento dei precursori precoci ALA e PBG, danneggiano i nervi, provocando la comparsa di sintomi molteplici come il dolore addominale e la debolezza muscolare, la quale può progredire fino alla paralisi. I meccanismi patogenetici alla base dei disturbi neurologici sono stati soltanto ipotizzati, così come gli effetti dell'eccesso di prodotti intermedi della via biosintetica dell'eme o della riduzione della sintesi dell'eme a livello del sistema nervoso. Non è stato dimostrato che l'ALA e gli altri composti della via biosintetica dell'eme siano neurotossici e la carenza di eme all'interno del sistema nervoso in queste malattie è anch'essa ancora da dimostrare. Di conseguenza, la causa esatta rimane tuttora sconosciuta. Le porfirie in cui si ha un aumento delle porfirine come l'uroporfirina, la coproporfirina e la protoporfirina nei tessuti e nel plasma provocano fotosensibilità. Quando le porfirine vengono illuminate a una lunghezza d'onda di circa 400 nm in presenza di O2, esse generano una forma carica instabile dell'ossigeno, chiamata ossigeno singoletto, che è in grado di danneggiare i tessuti. La cute è particolarmente suscettibile al fenomeno, essendo il tessuto più esposto alla luce.

Classificazione Le porfirie vengono classificate nel modo più accurato sulla base dei deficit file:///F|/sito/merck/sez02/0140200.html (3 of 4)02/09/2004 2.41.19

Le porfirie

enzimatici specifici. Altri tipi di classificazione sono basati sulle caratteristiche cliniche principali; essi sono utili dal punto di vista clinico, ma possono presentare sovrapposizioni. Le porfirie acute provocano l'insorgenza di sintomi neurologici che generalmente hanno un andamento intermittente. Le porfirie cutanee causano fotosensibilità della cute. La porfiria acuta intermittente, la porfiria da deficit di ALA deidratasi, la coproporfiria ereditaria e la porfiria variegata costituiscono le porfirie acute. La porfiria cutanea tarda, la coproporfiria ereditaria, la porfiria variegata, la protoporfiria eritropoietica, la porfiria eritropoietica congenita e la porfiria epato-eritropoietica costituiscono le porfirie cutanee. Nelle porfirie epatiche e in quelle eritropoietiche, i precursori in eccesso provengono rispettivamente soprattutto dal fegato e dal midollo osseo. In questo capitolo vengono trattate per prime le tre porfirie più comuni, seguendo l'ordine degli enzimi carenti della via biosintetica dell'eme (v. Tab. 14-2). Le porfirie meno comuni vengono discusse separatamente e in maniera più sintetica, anch'esse in base all'ordine della carenza enzimatica.

Indagini di laboratorio I sintomi delle porfirie sono simili a quelli di molte altre patologie. Alcuni test di laboratorio sono sensibili e specifici per la diagnosi delle porfirie e i loro risultati sono notevolmente alterati quando queste malattie si trovano in fase attiva. Tuttavia, per poter fornire informazioni diagnostiche accurate nel caso si sospetti una porfiria, i test devono essere adeguatamente selezionati e interpretati. La cosa migliore è fare affidamento su un numero ristretto di test di screening sensibili e specifici (v. Tab. 14-3). Nella maggior parte delle situazioni, i test di screening per una porfiria acuta possono essere ridotti al dosaggio dell'ALA e del PBG nelle urine. Il test di Watson-Schwartz è di tipo qualitativo e viene ancora ampiamente utilizzato per individuare un eccesso urinario di PBG. Un metodo che ha incontrato grande favore per l'identificazione rapida di un eccesso di PBG nelle urine prevede l'impiego di un kit costituito da una siringa di plastica contenente una resina a scambio anionico. Il metodo quantitativo della colonna ionica di Mauzerall e Granick deve essere utilizzato per sottoporre a verifica i risultati positivi di un test di screening per il PBG e per identificare l'eccesso di ALA. Quando si ha il sospetto di una porfiria cutanea, si può misurare la porfirina plasmatica. Le determinazioni degli enzimi eritrocitari sono test di secondo livello che non vengono eseguiti di routine, a meno che uno dei test di screening non sia risultato alterato. Anche i dosaggi delle porfirine urinarie, fecali ed eritrocitarie sono da considerare come test di seconda linea; essi non sono specifici (cioè risultano alterati anche in altre condizioni cliniche) e di conseguenza non sono molto adatti per lo screening (v. Tab. 14-3).

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Le porfirie

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE PIÙ COMUNI Le tre porfirie più comuni sono la porfiria acuta intermittente, la porfiria cutanea tarda e la protoporfiria eritropoietica, le quali sono dovute rispettivamente a deficit del terzo, quinto e ottavo enzima della via biosintetica dell'eme. Queste malattie sono ben distinte e differiscono considerevolmente quanto a sintomatologia, approccio diagnostico e terapia. La Tab. 14-2 evidenzia le caratteristiche principali di queste tre condizioni. La porfiria acuta intermittente e la porfiria cutanea tarda condividono alcune caratteristiche con altre porfirie meno comuni.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE PIÙ COMUNI PORFIRIA ACUTA INTERMITTENTE (Porfiria intermittente acuta; porfiria svedese; pirroloporfiria) Malattia autosomica dominante, è la più comune porfiria acuta nella maggior parte dei paesi ed è dovuta a un deficit di PBG deaminasi (HMB sintetasi).

Sommario: Introduzione Incidenza Fattori precipitanti Sintomi e segni Diagnosi Terapia, prevenzione e prognosi

L'attività della PBG deaminasi (v. Fig. 14-1, enzima 3) è pari a circa il 50% del normale, di solito in tutti i tessuti dei pazienti con porfiria acuta intermittente (Acute Intermittent Porphyria, AIP). La maggior parte di coloro che ereditano questo tratto non sviluppa mai la sintomatologia e vengono definiti portatori di AIP latente.

Incidenza La AIP si osserva in tutte le razze, ma è leggermente più comune nel Nord Europa. La prevalenza della AIP e delle altre porfirie acute negli Stati Uniti e nella maggior parte degli altri paesi è probabilmente di circa 5/100000. La prevalenza può essere più alta nelle popolazioni psichiatriche. La malattia si manifesta clinicamente dopo la pubertà ed è più frequente nelle donne che negli uomini; in alcune donne, gli attacchi si manifestano durante la seconda metà del ciclo mestruale. Sono stati descritti alcuni casi di AIP omozigote, con sintomatologia che esordisce durante l'infanzia.

Fattori precipitanti La malattia viene scatenata da fattori addizionali, compresi ormoni, farmaci e alimentazione. Tra i molti farmaci implicati ci sono i barbiturici, altri farmaci antiepilettici e gli antibiotici sulfonamidici (v. Tab. 14-4). Le diete a basso contenuto calorico e glucidico, grandi quantità di alcol, il progesterone e gli steroidi a esso correlati possono anch'essi precipitare la sintomatologia. La maggior parte dei farmaci e degli ormoni che risultano dannosi in questa e in altre porfirie acute è induttrice dell'ALA sintetasi epatica e degli enzimi del citocromo P450. Talora vi è implicato lo stress dovuto a infezioni, altre patologie, trattamenti chirurgici e problemi psicologici. I singoli attacchi sono generalmente dovuti a file:///F|/sito/merck/sez02/0140204b.html (1 of 5)02/09/2004 2.41.21

Le porfirie

fattori molteplici, alcuni dei quali spesso non sono identificabili.

Sintomi e segni La sintomatologia si manifesta in forma di accessi che si sviluppano nell'arco di ore o giorni e possono persistere per giorni, settimane o talvolta anche più a lungo. I sintomi sono dovuti agli effetti della patologia sul sistema nervoso; la cute non viene interessata. Il dolore addominale, il sintomo più comune, può essere così intenso che si può giungere a considerare erroneamente la possibilità di un addome acuto di interesse chirurgico. Altre manifestazioni addominali comprendono nausea, vomito, stipsi e diarrea. Si può sviluppare distensione addominale dovuta a un ileo paralitico. Le manifestazioni addominali sono dovute agli effetti sui nervi viscerali. Con lo stesso meccanismo può essere coinvolta la vescica e si possono osservare ritenzione urinaria, incontinenza, disuria e pollachiuria. Dal momento che non è presente un'infiammazione, la dolorabilità palpatoria addominale e la dolorabilità di rimbalzo non sono particolarmente pronunciate e la temperatura corporea è normale o solo modicamente aumentata. Pertanto, i reperti obiettivi possono essere piuttosto scarsi rispetto alla gravità dei sintomi. Tachicardia, ipertensione, sudorazione profusa e irrequietezza sono comuni; esse possono essere dovute agli effetti sul sistema nervoso autonomo e agli eccessivi livelli ematici di catecolamine. È frequente la presenza di neuropatia motoria, specialmente in coincidenza con attacchi gravi o prolungati, ed essa è indicativa di un danno agli assoni dei neuroni motori. La debolezza muscolare generalmente inizia alle spalle e alle braccia e può coinvolgere ogni motoneurone, compresi i nervi cranici. Si possono verificare paralisi gravi, insufficienza respiratoria e, raramente, la morte. Possono essere presenti tremori e convulsioni. Altre manifestazioni a carico del SNC comprendono sintomi psichiatrici come l'agitazione e le allucinazioni. Un'inappropriata secreazione di ADH, presumibilmente dovuta al coinvolgimento dell'ipotalamo, può portate a ritenzione idrica e iponatriemia e può contribuire all'insorgenza delle convulsioni. La risoluzione di un attacco si può verificare nel giro di pochi giorni, ma una grave debolezza muscolare può permanere per mesi o anni, soprattutto se la diagnosi e la terapia vengono ritardate. L'ipertensione può essere persistente e può associarsi a compromissione della funzionalità renale. Le alterazioni epatiche croniche sono frequenti e si manifesta un aumento inspiegato del rischio di carcinoma epatocellulare.

Diagnosi Gli attacchi costituiti da grave sintomatologia addominale e neurologica sono simili alle manifestazioni di molte altre patologie di riscontro più comune. Di conseguenza, la diagnosi di AIP e delle altre porfirie acute deve essere sospettata ed esclusa più frequentemente di quanto non venga confermata. I livelli di ALA e PBG nelle urine o nel plasma sono molto elevati durante gli attacchi (il PBG urinario generalmente varia da 50 a 200 mg/die [da 221 a 884 mmol/die], con intervallo di riferimento da 0 a 4 mg/die [da 0 a 17,7 mmol/ die]; l'ALA varia da 20 a 100 mg/die [da 145,2 a 726,2 mmol/die], con intervallo di riferimento da 0 a 7 mg/die [da 0 a 53,4 mmol/die]), e rimangono elevati nei pazienti che hanno attacchi ripetuti. Tali incrementi sono praticamente diagnostici per la presenza di una delle porfirie acute, mentre il riscontro di valori normali in corrispondenza o in prossimità dell'accesso sintomatologico esclude completamente la possibilità di una patologia del genere. L'ALA e il PBG sono incolori. Tuttavia, il PBG in soluzioni concentrate forma uroporfirina per via non enzimatica e inoltre si degrada spontaneamente formando sostanze chiamate porfobiline. L'ALA che viene prodotto in eccesso nel fegato può essere metabolizzato con formazione di porfirine in altri tessuti. L'urina può essere rossastra o bruna, rispettivamente a causa dell'eccesso di porfirine o porfobiline, soprattutto dopo l'esposizione alla luce. Ma poiché molte altre sostanze presenti file:///F|/sito/merck/sez02/0140204b.html (2 of 5)02/09/2004 2.41.21

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nelle urine cambiano colore con il passare del tempo, la diagnosi non può essere basata semplicemente sull'aspetto delle urine. Le porfirine fecali sono generalmente normali o minimamente aumentate, il che distingue questa malattia dalla coproporfiria ereditaria e dalla porfiria variegata. L'uroporfirina e la coproporfirina urinarie e la protoporfirina eritrocitaria possono essere aumentate, ma questi reperti non sono specifici. A differenza di quanto avviene nella porfiria variegata, nella AIP le porfirine plasmatiche sono normali o solo modicamente aumentate. Il tentativo di far aumentare il PBG a scopo diagnostico mediante un carico di glicina o la somministrazione di un induttore enzimatico come il fenobarbital può essere pericoloso, e in ogni caso non è dirimente. La PBG deaminasi eritrocitaria è pari a circa il 50% del normale nella maggior parte dei pazienti con AIP. Questo reperto aiuta a confermare la diagnosi nei pazienti con aumento del PBG nel plasma o nelle urine. Tuttavia, la determinazione della PBG deaminasi eritrocitaria non è utile come test di primo livello per i pazienti malati in cui si sospetti la AIP, per svariate ragioni: (1) L'intervallo di valori dei pazienti con AIP e dei soggetti normali è alquanto sovrapponibile. (2) L'attività enzimatica è alta negli eritrociti giovani e diminuisce durante i 120 giorni di vita degli eritrociti circolanti. Di conseguenza, l'enzima può risultare falsamente aumentato quando è presente un'emolisi concomitante o quando un'altra causa di aumento dell'eritropoiesi fa sì che gli eritrociti circolanti siano, in media, più giovani del normale. (3) Alcune mutazioni che causano la AIP si verificano in una regione particolare del gene per la PBG deaminasi (all'interno o in prossimità del primo dei suoi 15 esoni) in modo che la forma eritroido-specifica dell'enzima risulta normale, mentre l'enzima risulta carente in tutti i tessuti non eritroidi, compreso il fegato. (4) Differenze metodologiche tra i vari laboratori possono influenzare la specificità del test e problemi di trasporto e di preparazione del campione possono portare a valori falsamente bassi. (5) L'enzima non è carente nelle altre porfirie acute, le quali è importante che vengano anch'esse tenute in considerazione quando si ha il sospetto di una AIP. (6) La presenza di una bassa PBG deaminasi eritrocitaria in un paziente con quadro clinico suggestivo di porfiria non stabilisce con certezza che la sintomatologia sia dovuta alla porfiria, perché l'enzima può essere basso sia nelle forme clinicamente latenti sia in quelle attive di AIP. Il dosaggio della PBG deaminasi eritrocitaria è utile nello screening dei membri della famiglia dopo che sia stato confermato che un soggetto affetto presenta valori bassi dell'enzima. A differenza dei pazienti con sintomatologia di recente insorgenza, i familiari che hanno bassi livelli di PBG deaminasi eritrocitaria ma che non hanno mai manifestato sintomi è molto improbabile che abbiano livelli aumentati di PBG urinario. Durante lo screening dei familiari devono essere dosati sia la PBG deaminasi eritrocitaria sia il PBG urinario, perché nessuno dei due test è in grado di identificare in maniera affidabile i portatori dell'anomalia. Le indagini sul DNA rappresentano i più sensibili e specifici mezzi per la ricerca dei familiari che hanno ereditato una mutazione associata alla AIP, ma queste indagini sono possibili soltanto dopo che la mutazione esatta è stata identificata nel soggetto indice. La diagnosi intrauterina è possibile, ma è indicata di rado a causa della prognosi favorevole per la maggior parte delle persone con deficit di PBG deaminasi.

Terapia, prevenzione e prognosi La terapia di tutte le porfirie acute è sostanzialmente identica. Gli attacchi acuti generalmente richiedono il ricovero ospedaliero per il trattamento della sintomatologia (v. oltre). I pazienti vengono esaminati alla ricerca di complicanze neurologiche. Gli attacchi gravi vengono trattati con eme, il quale può essere somministrato solo per via endovenosa. Il regime standard è di 3 mg/ kg di peso corporeo ogni giorno, per 4 giorni. L'eme viene assorbito nel fegato, dove sopprime la sintesi dell'enzima limitante ALA sintetasi, e abbassa rapidamente i livelli ematici e urinari di ALA e PBG. I sintomi regrediscono, solitamente entro alcuni giorni. Se la terapia con eme viene ritardata, il danno nervoso progredisce verso stadi più avanzati e il recupero è più lento e può essere incompleto.

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L'eme è disponibile in USA per la somministrazione EV come ematina liofilizzata (eme idrossido) che deve essere ricostituita con acqua sterile. L'ematina è instabile quando viene ricostituita in questa maniera e si formano rapidamente prodotti di degradazione che causano frequentemente flebiti nella sede di infusione e un effetto anticoagulante transitorio. Viene quindi solitamente raccomandato di stabilizzare l'ematina ricostituendola con albumina umana (in modo da formare eme albumina). L'eme arginato è un prodotto dell'eme il quale è stabile come soluzione concentrata e viene diluito per l'uso EV con soluzione fisiologica sterile; esso è in commercio in alcuni paesi, ma non negli USA. L'eme albumina e l'eme arginato sono raramente associati a flebite e non possiedono effetti anticoagulanti. La terapia con eme deve essere iniziata precocemente, ma solo dopo che la diagnosi di un accesso di porfiria viene confermata mediante la dimostrazione di un marcato aumento del PBG urinario. La diagnosi diventa più difficile per diversi giorni dopo l'inizio della terapia, a causa della pronta riduzione dei livelli di PBG. La terapia sintomatica è importante. Il dolore viene controllato con gli analgesici narcotici. La nausea, il vomito, l'ansia e l'agitazione vengono trattati con dosi di fenotiazine da piccole a moderate. (Dopo la risoluzione del quadro, il trattamento continuato con fenotiazine è indicato di rado.) Per l'insonnia può essere impiegato il cloralio idrato. Le benzodiazepine a durata d'azione breve a basse dosi sono probabilmente sicure per ottenere una sedazione più leggera. (Tuttavia i barbiturici e molti altri farmaci non lo sono.) La distensione vescicale può richiedere la cateterizzazione. La somministrazione di farmaci dannosi (v. Tab. 14-4) deve essere sospesa e, se possibile, deve essere identificato e corretto ogni altro fattore che contribuisca all'esacerbazione dell'attacco. Se l'alimentazione per via orale è scarsamente tollerata o controindicata a causa della distensione addominale e dell'ileo, può essere necessario somministrare glucoso EV (300 g/die) o assicurare una nutrizione parenterale più completa. Il ricovero in ospedale può non essere necessario per i pazienti che presentano attacchi ricorrenti e corrispondentemente lievi. Alcuni pazienti con porfiria acuta sviluppano dolore cronico e altri sintomi a carattere continuo. La terapia con eme e il carico glucidico generalmente non sono efficaci per questi soggetti. La terapia degli attacchi convulsivi è problematica, perché praticamente tutti i farmaci anticonvulsivanti (eccetto i bromuri e forse la gabapentina) possono esacerbare le porfirie acute. Le convulsioni che compaiono durante gli accessi della malattia possono essere la conseguenza diretta della porfiria oppure possono essere provocate dall'iponatriemia. In alcuni pazienti, porfiria e convulsioni idiopatiche coesistono. Se si ritiene che le convulsioni siano legate alla presenza di un attacco acuto, gli anticonvulsivanti possono essere sospesi una volta ottenuta la risoluzione del quadro. I b-bloccanti possono controllare la tachicardia e l'ipertensione negli attacchi di porfiria acuta, ma il loro impiego può essere rischioso nei pazienti ipovolemici, nei quali l'aumento della secrezione di catecolamine può essere un importante meccanismo compensatorio. La prevenzione degli attacchi di porfiria è importante; essa deve essere individualizzata e comprende i provvedimenti seguenti: (1) i familiari devono essere sottoposti a screening per identificare i casi latenti e istituire misure preventive. (2) Devono essere evitati i farmaci dannosi (v. Tab. 14-4). (3) Devono essere evitate le diete drastiche e anche brevi periodi di digiuno (p. es., dopo gli interventi chirurgici o nel corso di malattie intercorrenti). I regimi alimentari per l'obesità devono assicurare una perdita di peso graduale durante le fasi di remissione clinica della porfiria. (4) La terapia con eme può prevenire la recidiva frequente degli accessi, ma non esistono in proposito regimi posologici standardizzati. Attualmente gli studi suggeriscono che una singola infusione di eme una volta o due alla settimana può essere efficace. (5) Gli attacchi frequenti in periodo premestruale possono essere prevenuti con l'impiego associato di un analogo dell'ormone di rilascio delle gonadotropine e di una terapia estrogenica sostitutiva a basse dosi, anche se questo genere di utilizzo è ancora in fase file:///F|/sito/merck/sez02/0140204b.html (4 of 5)02/09/2004 2.41.21

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sperimentale. Talvolta vengono impiegati con successo i contraccettivi orali, ma esiste il rischio che il progestinico aggravi la porfiria. Dal momento che l'ovariectomia è una procedura irreversibile, essa non deve essere considerata un mezzo di prevenzione per gli attacchi che ricorrono in coincidenza con il ciclo mestruale, a meno che non sia contemporaneamente presente un'altra indicazione clinica. La prognosi dei pazienti con deficit di PBG deaminasi è eccellente. La grande maggioranza di essi non sviluppa mai la sintomatologia, soprattutto se sono presenti concentrazioni urinarie normali dei precursori della porfirina. Sebbene queste persone siano meno sensibili alla somministrazione di farmaci induttori enzimatici di quanto non siano i pazienti con precedente sintomatologia conclamata e livelli costantemente elevati di ALA e PBG, esse devono seguire le medesime precauzioni dei pazienti con porfiria che hanno avuto attacchi acuti. La AIP latente non deve essere considerata una condizione di rischio per la salute che riduce le possibilità di fruizione di assicurazioni sulla vita o sulla salute per gli individui che ne sono portatori. La prognosi per coloro che manifestano gli attacchi è migliorata negli ultimi 20 anni. Gli accessi di porfiria sono adesso raramente fatali, grazie a una diagnosi più precoce, a un trattamento migliore e al riconoscimento e all'eliminazione dei fattori scatenanti. Sebbene in alcuni pazienti si verifichino attacchi di porfiria ricorrenti e invalidanti, essi non compaiono durante tutto il corso della vita adulta e il decorso della malattia raramente è progressivo.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE PIÙ COMUNI PORFIRIA CUTANEA TARDA (Porfiria sintomatica; porfiria cutanea sintomatica; porfiria idiosincrasica) La più comune di tutte le porfirie, causata da un deficit di uroporfirinogeno decarbossilasi.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Fattori precipitanti Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Il segno caratteristico della porfiria cutanea tarda (PCT) è la fotosensibilità, che provoca la formazione cronica di vesciche a carico della cute esposta alla luce solare. La maggior parte dei pazienti con PCT sembra non avere mutazioni a livello del gene della uroporfirinogeno decarbossilasi (v. Fig. 14-1, enzima 5). L'enzima è notevolmente ridotto, ma solo nel fegato, in questi pazienti, i quali vengono a volte classificati come affetti da PCT di tipo I. Il deficit dell'enzima epatico è probabilmente acquisito, sebbene il meccanismo non sia stabilito e una base genetica sia comunque possibile. Una minoranza di pazienti (fino al 20%) ha un deficit ereditario di uroporfirinogeno decarbossilasi, che porta l'enzima a essere circa la metà del normale in tutti i tessuti fin dalla nascita. Sebbene questi soggetti vengano classificati come affetti da PCT di tipo II, dal punto di vista clinico essi non sono diversi dai pazienti con il tipo I, salvo per il fatto che l'esordio della sintomatologia può essere più precoce e che altri familiari possono essere stati colpiti dalla stessa malattia. I medesimi fattori precipitanti sono importanti sia nel tipo I sia nel tipo II e la terapia è la stessa. L'attività dell'uroporfirinogeno decarbossilasi deve essere notevolmente inferiore alla metà del normale nel fegato, prima che il tipo I o il II della PCT si manifestino clinicamente. In aggiunta al deficit di uroporfirinogeno decarbossilasi, l'ossidazione dei substrati di questo enzima (uro-, epta-, esa- e pentacarbossilporfirinogeni) che dà luogo alle loro corrispondenti porfirine può essere un meccanismo che contribuisce all'insorgenza della PCT.

Epidemiologia Sebbene la PCT sia probabilmente la più comune di tutte le porfirie, la sua prevalenza non è stata stimata in maniera definitiva. La malattia è presente in tutto il mondo e colpisce tutte le razze. Essa è più comune nel sesso maschile, anche se la sua frequenza nelle donne è aumentata a causa dell'aumento dell'uso di contraccettivi orali, estrogeni postmenopausali e alcol. In alcune aree geografiche, circa l'80% dei casi è associato con l'infezione cronica da virus dell'epatite C.

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Fattori precipitanti I fattori che contribuiscono all'insorgenza della PCT sono in gran parte differenti da quelli che esacerbano la porfiria acuta intermittente. Essi comprendono il ferro (in quantità normali o aumentate), l'alcol, il virus dell'epatite C, gli estrogeni e occasionalmente gli idrocarburi clorurati (p. es., l'esaclorobenzene). Il fumo può essere un fattore associato. Un'associazione meno comune è quella con l'HIV. Questi fattori, soprattutto in combinazione con il ferro, possono causare la formazione a livello epatico di specie reattive dell'ossigeno responsabili del danno, le quali inattivano l'uroporfirinogeno decarbossilasi oppure ossidano il suo substrato. Enormi quantità di porfirine si accumulano progressivamente nel fegato e vengono trasportate nel plasma fino alla cute.

Sintomi e segni Sulle aree esposte al sole come il volto, le braccia e il dorso delle mani si formano vescicole e bolle. La cute, soprattutto quella delle mani, appare inoltre fragile e vulnerabile ai minimi traumi. A queste alterazioni fa seguito la formazione di croste e cicatrici. La cicatrizzazione è lenta e spesso seguita da iper- e ipopigmentazione, ipertricosi (soprattutto facciale) e alterazioni pseudosclerodermiche. Generalmente si sviluppa un danno epatico, il quale può essere in parte dovuto alle porfirine, all'infezione cronica da virus dell'epatite C o all'abuso di alcol. Il quadro istopatologico epatico comunemente comprende siderosi, steatosi, necrosi e modificazioni infiammatorie croniche. Alla fine si possono sviluppare cirrosi e carcinoma epatocellulare. I depositi di ferro sono normali o aumentati nella PCT. I soggetti eterozigoti od omozigoti per l'emocromatosi familiare possono avere una predisposizione nei confronti della PCT.

Diagnosi Le lesioni cutanee croniche vescicolari e crostose a carico delle zone esposte alla luce solare sono caratteristiche della PCT. Le biopsie cutanee sono di supporto alla diagnosi, ma non sono specifiche. Altre porfirie (specialmente la porfiria variegata) possono causare lesioni identiche. Alcuni farmaci e sostanze fotosensibilizzanti sconosciute possono causare una pseudoporfiria le cui lesioni somigliano a quelle della PCT, ma in questo caso le porfirine non sono aumentate. Le analisi delle porfirine sono essenziali per la diagnosi: tutte le porfirie che causano lesioni cutanee presentano elevati livelli plasmatici di porfirine. Nella PCT, le porfirine sono aumentate anche nelle urine e in minor misura nelle feci, con un pattern caratteristico. Le porfirine presenti nelle urine sono per lo più uroporfirine ed eptacarbossilporfirine, con un aumento minore delle coproporfirine e delle 5-e 6-carbossilporfirine. Piccole quantità di isocoproporfirine possono essere identificate nel siero o nelle urine, ma nelle feci esse rappresentano spesso le porfirine predominanti; l'aumento delle isocoproporfirine nelle feci (o un aumento del rapporto isocoproporfirine/coproporfirine) è praticamente diagnostico di PCT. Queste tetracarbossilporfirine inusuali si formano quando il pentacarbossilporfirinogeno si accumula a causa del deficit di uroporfirinogeno decarbossilasi e viene quindi parzialmente metabolizzato dalla coproporfirinogeno ossidasi formando isocoproporfirinogeno. La PCT di tipo II viene diagnosticata sulla base del reperto di una riduzione dell'uroporfirinogeno decarbossilasi negli eritrociti, associata a un pattern di eccesso di porfirine caratteristico della PCT. Questo enzima deve essere dosato

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prima di eseguire la flebotomia, perché l'aumento dell'eritropoiesi può aumentare la quantità di enzima presente negli eritrociti e rendere più difficoltosa l'identificazione di un deficit. Il riscontro di una riduzione dell'attività enzimatica non modifica il trattamento. Sono state descritte famiglie con apparente ereditarietà per PCT che avevano un'uroporfirinogeno decarbossilasi eritrocitaria normale; questo fenomeno viene a volte classificato come PCT di tipo III, ma la natura del difetto genetico non è conosciuta.

Terapia La PCT è la porfiria più facilmente trattabile. L'identificazione e l'allontanamento dei fattori precipitanti sono i primi provvedimenti da prendere, anche se il beneficio clinico è inconsistente. La flebotomia è solitamente efficace nell'induzione delle remissioni cliniche ed è la più diffusamente raccomandata. Viene rimosso circa mezzo litro di sangue ogni 1 o 2 settimane e solitamente sono necessari solo da 5 a 6 salassi. Questo provvedimento impoverisce il fegato di ferro inducendo nel paziente una lieve carenza marziale. Quando il livello sierico della ferritina (un indicatore dei depositi corporei di ferro) scende lievemente al di sotto della norma, la flebotomia viene interrotta. In seguito a salassi eccessivi può svilupparsi anemia. Esistono prove convincenti che gli effetti benefici della flebotomia derivano dalla riduzione dei depositi corporei di ferro. Le porfirine plasmatiche e urinarie diminuiscono gradualmente con il trattamento, un po' in ritardo ma parallelamente alla diminuzione della ferritina. Le lesioni cutanee migliorano e alla fine scompaiono. Dopo la remissione, non è necessario proseguire il trattamento o mantenere bassi i livelli di ferritina. Ulteriori salassi si rendono necessari solo nel caso di una recidiva. L'astinenza dall'alcol aiuta a mantenere lo stato di remissione. La terapia estrogenica può essere ripresa dopo la flebotomia qualora sia di beneficio, come nelle donne in postmenopausa, e raramente provoca recidive. La clorochina o l'idrossiclorochina a basse dosi, metà di una compressa standard (corrispondente rispettivamente a 125 o 100 mg PO due volte alla settimana), costituiscono un'utile alternativa quando il salasso non è praticabile. Questi farmaci rimuovono l'eccesso di porfirine dal fegato. Dosi più alte rimuovono le porfirine troppo rapidamente, causando un peggioramento transitorio della porfiria e un danno epatico. Il regime a basse dosi può essere interrotto dopo aver ottenuto la remissione. L'efficacia della terapia con clorochina e quella della flebotomia sono probabilmente sovrapponibili. Sia la forma familiare sia quella non familiare della PCT rispondono bene sia al salasso sia alla clorochina a basse dosi, ma per altri tipi di porfiria non è così. Pertanto, è fondamentale porre una diagnosi accurata prima di dare inizio al trattamento. La diagnosi e il trattamento della PCT sono difficili nei pazienti affetti da una concomitante malattia renale allo stadio terminale. I livelli plasmatici delle porfirine spesso sono molto più alti a causa della riduzione o dell'assenza della loro escrezione renale e le porfirine vengono scarsamente eliminate dalla dialisi. Le lesioni cutanee possono essere molto più gravi, a causa dei livelli molto elevati di porfirine. La diagnosi viene posta principalmente sulla base della determinazione delle porfirine plasmatiche e urinarie. Il salasso è solitamente controindicato a causa dell'anemia (generalmente dovuta al deficit di eritropoietina) e la clorochina e l'idrossiclorochina non sono efficaci. In questi pazienti la terapia sostitutiva con eritropoietina può stimolare l'eritropoiesi, mobilizzare l'eccesso di ferro, sostenere la flebotomia e portare alla remissione della PCT.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE MENO COMUNI DEFICIT DI ACIDO DELTA-AMINOLEVULINICO DEIDRATASI (Porfiria da carenza di ALA deidratasi) Malattia autosomica recessiva, è la porfiria più rara ed è dovuta a un deficit di ALA deidratasi. In pazienti non imparentati è stato descritto un certo numero di mutazioni differenti a carico del gene per l'ALA deidratasi (v. Fig. 14-1, enzima 2). La malattia è stata identificata per la prima volta in Germania, ma probabilmente è presente in tutti i paesi. Essa causa sintomi neurologici e talvolta anemia. I sintomi e i segni somigliano a quelli delle porfirie acute, ma possono comprendere anche emolisi e anemia. La sintomatologia può esordire durante l'infanzia o l'età adulta. L'ALA urinario, la coproporfirina III e la protoporfirina eritrocitaria complessata con lo zinco sono marcatamente aumentati. In questo e in altri disordini nei quali è presente un accumulo di ALA, il composto in eccesso può essere metabolizzato in coproporfirina III a livello di tessuti diversi da quello dal quale proviene l'ALA in eccesso. L'escrezione di porfirina fecale è normale o solo lievemente aumentata. I pazienti affetti da porfiria da deficit di ALA deidratasi (ALA Dehydratase-deficient Porphyria, ADP) mostrano una scarsa attività dell'enzima sia negli eritrociti sia nelle cellule non eritroidi, mentre i loro genitori mostrano un'attività enzimatica pari a circa il 50% del normale. La diagnosi viene posta mediante la dimostrazione di un eccesso di ALA e di coproporfirina nelle urine e di un deficit di ALA deidratasi negli eritrociti. Devono essere escluse altre cause di carenza di questo enzima, come l'avvelenamento da piombo e la tirosinemia. Queste condizioni possono presentarsi anche con sintomatologia (dolore addominale, ileo e neuropatia motoria) straordinariamente simile a quella della porfiria acuta. Nell'avvelenamento da piombo, l'ALA deidratasi eritrocitaria difettosa può essere fatta tornare alla norma in vitro con il reagente sulfidrilico ditiotreitolo, mentre un deficit genetico di questo enzima non può essere risolto in questo modo. Nella tirosinemia ereditaria, un deficit genetico di fumarilacetoacetasi provoca l'accumulo di succinilacetone (acido 2,3diossoeptanoico). Questo analogo strutturale dell'ALA è un potente inibitore della deidratasi. Anche l'esposizione ad altri metalli pesanti o allo stirene può inibire l'ALA deidratasi. L'esperienza con la terapia della ADP è limitata, ma la malattia può essere trattata in maniera analoga alla porfiria acuta intermittente.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE MENO COMUNI PORFIRIA ERITROPOIETICA CONGENITA (Malattia di Günther; porfiria eritropoietica; porfiria congenita; ematoporfiria congenita; uroporfiria eritropoietica) Malattia autosomica recessiva rara e solitamente grave dovuta a un deficit di uroporfirinogeno III cosintetasi.

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia e prevenzione

Sono stati descritti meno di 200 casi di porfiria eritropoietica congenita (Congenital Erythropoietic Porphyria, CEP). Non esiste alcuna chiara prevalenza di razza o di sesso. Questa porfiria si manifesta raramente negli animali (p. es., nel bestiame). È interessante notare che tutti gli scoiattoli volpe sono affetti da questa condizione, la quale non sembra avere effetti negativi su di essi, anche se le porfirine sono notevolmente aumentate.

Patogenesi Sono state identificate molte mutazioni diverse del gene per l'uroporfirinogeno III cosintetasi umana (v. Fig. 14-1, enzima 4). La maggior parte dei pazienti ha genitori non imparentati e ha ereditato una mutazione diversa da ciascuno di essi. Anche nei casi più gravi persiste una certa attività residua della cosintetasi. La produzione di eme è effettivamente aumentata in risposta all'anemia emolitica, ma ciò avviene a spese di un considerevole accumulo di idrossimetilbilano (HMB), il substrato dell'enzima carente. L'HMB in eccesso viene convertito (ciclizzato) non enzimaticamente in uroporfirinogeno I e poi enzimaticamente in coproporfirinogeno I. I porfirinogeni di tipo I non sono precursori dell'eme e quando si accumulano vengono ossidati spontaneamente nelle corrispondenti porfirine. Le porfirine in eccesso si accumulano nel midollo osseo principalmente allo stadio maturativo di cellula eritroide, quando la sintesi dell'emoglobina è più attiva. Ciò provoca emolisi e inoltre accorcia la sopravvivenza degli eritrociti circolanti.

Sintomi e segni La formazione di vesciche cutanee è di solito grave, comincia precocemente dopo la nascita ed è accompagnata da anemia e colore rossastro delle urine.

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Alcuni casi sono relativamente lievi, con esordio della sintomatologia in età adulta. La gravità dipende dalle mutazioni presenti in ogni paziente e dall'entità del deficit enzimatico. Casi particolarmente gravi si sono presentati come idrope non immunitaria prenatale, condizione che necessita di trasfusioni intra-uterine e (se la malattia non era stata riconosciuta prima o subito dopo la nascita) come marcata fotosensibilità sviluppantesi con l'inizio della fototerapia per l'ittero neonatale. Tali casi possono avvantaggiarsi della diagnosi intrauterina. Il liquido amniotico può essere rossastro a causa dell'alto contenuto di porfirina. Le alterazioni cutanee sono simili a quelle della PCT, ma solitamente sono più gravi. La formazione di vesciche sulle zone cutanee esposte al sole spesso esita in cicatrizzazione, infezione e alterazione dei lineamenti del volto e della forma delle dita. Le alterazioni della pigmentazione e l'ipertricosi sono di comune riscontro. La cicatrizzazione corneale può essere grave. Le porfirine si depositano nei denti (determinandone una colorazione bruno-rossastra definita eritrodonzia) e nell'osso. La demineralizzazione dell'osso può essere notevole. Sono quasi sempre presenti anemia emolitica e splenomegalia; la splenomegalia può contribuire all'anemia e causare leucopenia e trombocitopenia (ipersplenismo). L'anemia stimola il midollo osseo a produrre una maggior quantità di cellule eritroidi cariche di porfirine, aumentando così la produzione di porfirine e perpetuando l'emolisi e la fotosensibilità. Farmaci, ormoni (diversi dall'eritropoietina endogena) e fattori nutrizionali (diversi dalle carenze vitaminiche che possono danneggiare il midollo osseo) hanno scarsa influenza sulla malattia. Non sono presenti manifestazioni neurologiche.

Diagnosi La diagnosi di CEP è suggerita dalla presenza di urine di colore variabile dal rosa al marrone scuro e/o dalla comparsa di una grave fotosensibilità durante l'infanzia (oppure, raramente, in età adulta). Essa può anche presentarsi in utero come idrope non immunitaria. Le porfirine sono aumentate nel midollo osseo, negli eritrociti, nel plasma, nelle urine e nelle feci con un pattern caratteristico, solitamente con livelli molto più alti rispetto a quelli osservati in altre porfirie. L'uroporpfirina I e la coproporfirina I sono le porfirine prevalenti nelle urine, nel plasma e negli eritrociti, mentre la coproporfirina I è prevalente nelle feci. Talvolta gli eritrociti contengono grandi quantità di protoporfirina, come in altre porfirie omozigoti. La dimostrazione di un deficit dell'attività dell'uroporfirinogeno cosintetasi conferma la diagnosi. L'ALA e il PBG non sono aumentati. La porfiria epato-eritropoietica è clinicamente simile, ma i pattern delle porfirine sono differenti. Le manifestazioni cutanee e i pattern porfirinici della protoporfiria eritropoietica sono diversi da quelli della CEP e di altre porfirie.

Terapia e prevenzione Il trattamento non è molto efficace. Di conseguenza, è di fondamentale importanza evitare la luce solare e indossare indumenti protettivi. (Diverse industrie sono specializzate nella produzione di stoffe e indumenti protettivi per le persone ipersensibili al sole.) Evitare ogni minimo trauma della cute e trattare prontamente le infezioni batteriche secondarie aiutano a prevenire la formazione di cicatrici e le lesioni sfiguranti. La splenectomia può migliorare l'anemia emolitica. Le trasfusioni di eritrociti per correggere l'anemia possono ridurre la produzione di porfirine. Il trapianto di midollo osseo e, in futuro, la terapia genetica, rappresentano altre possibilità. Gli eterozigoti possono essere individuati nelle famiglie colpite ed è possibile la diagnosi prenatale in utero. Quindi, esistono diverse possibilità per prevenire la trasmissione genetica.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE MENO COMUNI PORFIRIA EPATO- ERITROPOIETICA Malattia molto rara, solitamente grave, autosomica recessiva, dovuta a un deficit di uroporfirinogeno decarbossilasi. Il deficit di uroporfirinogeno decarbossilasi (v. Fig. 14-1, enzima 5) è presente in tutti i tessuti e viene dimostrato più facilmente negli eritrociti. Sebbene l'entità del deficit sia notevole, è ancora presente una certa attività enzimatica residua. La condizione è meno grave nei casi con maggiore attività residua. Meno di 20 casi di porfiria epato-eritropoietica (HepatoErythropoietic Porphyria, HEP) sono stati descritti in tutto il mondo. Le vesciche cutanee, il colorito rossastro delle urine e l'anemia sono manifestazioni frequenti. Sebbene la HEP sia clinicamente molto simile alla porfiria eritropoietica congenita, queste condizioni differiscono per i loro diversi pattern di accumulo delle porfirine. Il pattern della HEP è simile a quello della porfiria cutanea tarda, a parte il fatto che è aumentata anche la protoporfirina eritrocitaria complessata con lo zinco. I segni diagnostici comprendono l'aumento delle isocoproporfirine fecali o urinarie e della protoporfirina eritrocitaria legata allo zinco. Il salasso può essere di beneficio nei casi più lievi di HEP. Il trattamento dei casi più gravi è simile a quello della porfiria eritropoietica congenita.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE MENO COMUNI COPROPORFIRIA EREDITARIA Malattia autosomica dominante dovuta a un deficit di coproporfirinogeno ossidasi.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La coproporfiria ereditaria (Hereditary CoproPorphyria, HCP) è simile alla porfiria acuta intermittente, anche se è meno comune, è spesso lieve e occasionalmente è associata a fotosensibilità. Ne sono stati descritti alcuni casi omozigoti. Come altre porfirie, la HCP è geneticamente eterogenea a livello del gene per la coproporfirinogeno ossidasi (v. Fig. 14-1, enzima 6). Questo enzima catalizza la decarbossilazione in due tempi del coproporfirinogeno III in protoporfirinogeno IX. Durante la reazione si forma un porfirinogeno tricarbossilico intermedio denominato arderoporfirinogeno. In una variante biochimica della HCP, chiamata arderoporfiria, una mutazione causa un'alterazione strutturale dell'enzima che ne riduce l'affinità per il substrato, con conseguente accumulo di arderoporfirina e di coproporfirina.

Sintomi e segni Gli attacchi acuti con sintomatologia addominale e neurologica vengono precipitati dai medesimi fattori che hanno importanza nella porfiria acuta intermittente, compresi certi farmaci (p. es., i barbiturici, i sulfamidici) e gli steroidi (specialmente il progesterone). La fotosensibilità talvolta è presente, ma meno frequentemente che nella porfiria variegata.

Diagnosi e terapia La diagnosi si basa sul riscontro di quantità aumentate di ALA, PBG e coproporfirine nelle urine, e sull'eccesso di coproporfirina nelle feci. Una presenza predominante o esclusiva di coproporfirina fecale suggerisce più una HCP che una porfiria variegata (v. oltre), nella quale le concentrazioni di coproporfirina e protoporfirina nelle feci sono generalmente quasi uguali. Durante gli attacchi acuti le concentrazioni urinarie di ALA, PBG e uroporfirina possono essere aumentate. Esse ritornano ai valori normali tra una attacco e l'altro più frequentemente di quanto non accada nella porfiria acuta intermittente. Il deficit di coproporfirinogeno ossidasi può essere dimostrato anche in cellule diverse dagli eritrociti, ma ciò non è raccomandato per la diagnosi di routine. La terapia degli attacchi acuti è la stessa adottata per la porfiria acuta intermittente.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE MENO COMUNI PORFIRIA VARIEGATA (Protocoproporfiria; porfiria genetica del Sud-Africa) Malattia autosomica dominante dovuta a un deficit di protoporfirinogeno ossidasi.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La porfiria variegata (Variegate Porphyria, VP) è prevalente in Sudafrica, dove la maggior parte dei casi è stata fatta risalire a una coppia immigrata dall'Olanda verso la fine del XVII secolo, un membro della quale era portatore dell'anomalia. La maggior parte dei pazienti con VP del Sudafrica discende da questa persona e quindi possiede la stessa mutazione specifica. La VP si manifesta anche in molte altre razze. Gli eterozigoti hanno approssimativamente un deficit del 50% della protoporfirinogeno ossidasi (v. Fig. 14-1, enzima 7) e la maggior parte di essi non sviluppa mai la sintomatologia. Sono stati descritti pochi casi con deficit omozigoti dell'enzima. La protoporfirinogeno ossidasi è stata l'ultimo enzima della via biosintetica dell'eme a essere stato clonato e sequenziato, e molte mutazioni differenti sono state identificate recentemente in famiglie non imparentate. Com'era da prevedere, una singola mutazione è particolarmente comune in Sudafrica.

Sintomi e segni I sintomi e i segni della VP sono analoghi a quelli della porfiria acuta intermittente, salvo per il fatto che alcuni pazienti sviluppano fotosensibilità. Le lesioni cutanee sono indistinguibili da quelle della porfiria cutanea tarda. Gli stessi fattori che risultano dannosi nelle altre porfirie acute sono in grado di scatenare gli attacchi della VP. Le manifestazioni cutanee spesso compaiono indipendentemente dai sintomi neuroviscerali e si verificano meno frequentemente nei climi freddi piuttosto che nei climi caldi dove la luce solare è più intensa. I livelli di ALA e PBG sono aumentati, specialmente durante gli attacchi acuti. Questo aumento è il riflesso dell'induzione dell'ALA sintetasi epatica da parte di fattori come gli steroidi endogeni, i farmaci e le alterazioni nutrizionali. Quando ciò si verifica, la PBG deaminasi, la cui attività nel fegato è normalmente bassa almeno quanto quella dell'ALA sintetasi, può diventare la tappa limitante, cosicché il PBG si accumula. In questa condizione, il protoporfirinogeno in eccesso presente nel fegato può inibire la PBG deaminasi. L'accumulo di coproporfirinogeno è comprensibile, poiché esiste un'associazione funzionale tra

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Le porfirie

la coproporfirinogeno ossidasi e la protoporfirinogeno ossidasi carente all'interno dei mitocondri. Inoltre, il coproporfirinogeno viene perduto più rapidamente dalle cellule epatiche rispetto agli altri porfirinogeni e il suo deficit aumenta quando viene stimolata la sintesi dell'eme.

Diagnosi La VP deve essere tenuta presente nella diagnosi differenziale delle porfirie acute, specialmente se l'attività della PBG deaminasi è normale. Come nella coproporfiria ereditaria, i precursori della porfirina e l'uroporfirina nelle urine sono aumentati durante gli attacchi acuti. Quando un attacco si risolve, questi parametri si normalizzano più rapidamente di quanto non avvenga nella porfiria acuta intermittente. La coproporfirina urinaria è notevolmente e di solito persistentemente aumentata. Mentre un marcato aumento isolato della coproporfirina fecale è caratteristico della coproporfiria ereditaria, nella VP la coproporfirina e la protoporfirina sono aumentate più o meno nella stessa misura. Lo spettro di fluorescenza delle porfirine plasmatiche (dopo diluizione del plasma a pH neutro) è caratteristico e molto utile per distinguere rapidamente la VP dalle altre porfirie. (Il massimo di emissione probabilmente corrisponde a caratteristici coniugati porfirina-peptide.) Negli adulti, compresi i casi latenti, questo test costituisce probabilmente il metodo più sensibile per identificare la malattia.

Terapia Il trattamento degli attacchi acuti è lo stesso impiegato per la porfiria acuta intermittente. Sono utili le misure precauzionali che proteggono la cute dalla luce solare. La colestiramina può talvolta ridurre la fotosensibilità. I salassi e la clorochina non sono efficaci.

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Le porfirie

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 14. LE PORFIRIE PORFIRIE MENO COMUNI PORFIRIE DOPPIE Malattie dovute a deficit di più di un enzima della via biosintetica dell'eme. Sebbene le mutazioni a carico degli enzimi della via biosintetica dell'eme siano rare, occasionalmente un singolo individuo può ereditare un deficit a carico di più di uno di questi enzimi. Per esempio, sono stati descritti pazienti con deficit sia di uroporfirinogeno decarbossilasi sia di protoporfirinogeno ossidasi. Le persone che hanno ereditato un deficit sia di PBG deaminasi sia di uroporfirinogeno decarbossilasi possono avere sintomi di porfiria acuta, di porfiria cutanea o di entrambe. Sono state anche descritte porfirie doppie dovute al deficit contemporaneo di coproporfirinogeno ossidasi, uroporfirinogeno III cosintetasi, PBG deaminasi e coproporfirinogeno deaminasi.

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Iperlipidemia

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

Sommario: Introduzione Diagnosi Metodi di laboratorio e interpretazione dei risultati Terapia

I principali lipidi plasmatici, tra cui il colesterolo (o colesterolo totale [Total Cholesterol, TC]) e i trigliceridi, non circolano liberamente disciolti nel plasma, ma sono legati ad alcune proteine e trasportati come complessi macromolecolari denominati lipoproteine. Le principali classi di lipoproteine-chilomicroni, le lipoproteine a bassissima densità (pre-b; Very Low Density Lipoproteins, VLDL), le lipoproteine a bassa densità (b; Low Density Lipoproteins, LDL) e le lipoproteine ad alta densità (a; High Density Lipoproteins, HDL) sebbene strettamente correlate, vengono in genere classificate in base alle proprietà fisicochimiche (p. es., la mobilità elettroforetica e la densità dopo separazione con ultracentrifuga). I principali lipidi trasportati nel sangue sono i trigliceridi; ogni giorno entrano ed escono dal plasma tra 70 e 150 g di trigliceridi, contro 1 o 2 g di colesterolo o di fosfolipidi. I chilomicroni, le lipoproteine più grandi, trasportano i trigliceridi esogeni dall'intestino al sistema venoso attraverso il dotto toracico. Nei capillari del tessuto adiposo e muscolare, il 90% dei trigliceridi contenuti nei chilomicroni viene rimosso da uno specifico gruppo di lipasi. Gli acidi grassi e il glicerolo, derivati dall'idrolisi dei chilomicroni, entrano negli adipociti e nelle cellule muscolari per essere utilizzati o immagazzinati come forma di energia. Il fegato rimuove poi le particelle residue dei chilomicroni, denominate remnant. Le VLDL trasportano i trigliceridi endogeni principalmente dal fegato agli stessi siti periferici (adipociti e cellule muscolari) per l'immagazzinamento o per l'uso. Le stesse lipasi che agiscono sui chilomicroni degradano rapidamente i trigliceridi endogeni delle VLDL, dando origine alle lipoproteine a densità intermedia (Intermediate Density Lipoproteins, IDL), che vengono private di gran parte dei loro trigliceridi e delle apoproteine di superficie. Entro 2-6 h queste IDL vengono degradate ulteriormente attraverso la rimozione di altri trigliceridi formando le LDL, che a loro volta hanno un'emivita plasmatica di 2-3 giorni. Le VLDL sono quindi la fonte principale delle LDL plasmatiche. Il destino successivo delle LDL non è chiaro: il fegato ne rimuove circa il 70% e sulla superficie degli epatociti e di altre cellule sono stati trovati siti recettoriali attivi che legano specificamente l'apolipoproteina B (apo B, il ligando associato alle LDL che si lega ai recettori per le LDL) e rimuovono dal circolo la maggior parte delle LDL. Una piccola ma importante quota delle LDL sembra essere rimossa dal circolo mediante vie diverse dal recettore per le LDL, tra cui la captazione da parte di recettori "spazzini" situati sui macrofagi, i quali ultimi possono migrare nel contesto delle pareti arteriose, e ivi trasformarsi nelle cellule schiumose delle placche aterosclerotiche. L'ipercolesterolemia può essere il risultato di un'iperproduzione o di un'alterazione della clearance delle VLDL, oppure di un aumento della conversione delle VLDL in LDL. L'iperproduzione di VLDL da parte del fegato può essere causata dall'obesità, dal diabete mellito, dall'eccessivo consumo di alcol, dalla sindrome nefrosica o da disordini genetici; ciascuna condizione può portare file:///F|/sito/merck/sez02/0150216.html (1 of 5)02/09/2004 2.41.28

Iperlipidemia

a un aumento dei livelli di LDL e TC ed è frequentemente associata a ipertrigliceridemia. L'alterazione della clearance delle LDL può essere dovuta a difetti strutturali geneticamente determinati delle apo B (il ligando), i quali riducono il legame di queste proteine ai recettori per le LDL, di per sé normali. In alternativa, la riduzione della clearance può essere dovuta alla diminuzione del numero o all'alterazione della funzione (bassa attività) dei recettori per le LDL, a loro volta dovute a cause genetiche o alimentari. Un'alterazione geneticamente determinata della funzione dei recettori per le LDL ha origine di solito da difetti molecolari della struttura proteica dei recettori, il che costituisce il meccanismo abituale delle malattie genetiche descritte più avanti. Quando il colesterolo alimentare (come costituente dei remnant dei chilomicroni) giunge al fegato, gli elevati livelli di colesterolo intracellulare che ne derivano (o di un suo metabolita nell'epatocita) sopprimono la sintesi dei recettori per le LDL; questa soppressione avviene a livello della trascrizione del gene per le LDL. Una riduzione del numero dei recettori comporta un aumento dei livelli plasmatici di LDL e quindi di TC. Anche gli acidi grassi saturi determinano un aumento dei livelli di LDL e TC plasmatici; il meccanismo d'azione è legato a una riduzione dell'attività dei recettori per le LDL. Negli USA, l'apporto alimentare di colesterolo e di acidi grassi saturi è alto e si ritiene che possa rendere conto di un incremento medio dei livelli ematici di LDL che arriva a 25-40 mg/ dl (0,651,03 mmol/l), abbastanza da aumentare significativamente il rischio di malattia coronarica (Coronary Artery Disease, CAD).

Diagnosi Per la diagnosi di iperlipoproteinemia, è difficile stabilire un livello normale di TC plasmatico. Studi prospettici hanno dimostrato che l'incidenza di CAD aumenta in maniera continua con il TC plasmatico e che i valori che un tempo negli USA venivano considerati normali sono più alti di quelli osservati tra le popolazioni con una bassa incidenza di aterosclerosi. Inoltre, prove sperimentali (ottenute da trial clinici prospettici ben disegnati) dimostrano che la riduzione anche solo dei livelli medi americani di TC (e di LDL) nei pazienti coronaropatici rallenta o inverte la progressione della CAD. Il valore ottimale del TC plasmatico per un adulto di media età non coronaropatico è probabilmente ≤ 200 mg/dl (≥ £ 5,18 mmol/l). L'ipercolesterolemia è stata tradizionalmente definita come un valore al di sopra del 95° percentile per la popolazione, che per gli americani varia da 210 mg/dl (5,44 mmol/l) nei soggetti con < 20 anni di età a > 280 mg/dl (> 7,25 mmol/l) nei soggetti con > 60 anni di età. Tuttavia, questi valori sono chiaramente eccessivi, a causa del noto alto rischio di malattia cardiovascolare che si osserva in loro presenza. Un accordo del National Cholesterol Education Program (NCEP) definisce come auspicabili i livelli di TC minori di 200 mg/dl (< 5,18 mmol/l), come valori borderline alti i livelli compresi tra 200 e 240 mg/dl (tra 5,18 e 6,22 mmol/l) e come elevati i livelli > 240 mg/ dl(> 6,22 mmol/l). Per i pazienti senza evidenza clinica di coronaropatia o di altre vasculopatie aterosclerotiche, il NCEP raccomanda una valutazione dello stato di salute, comprendente la determinazione del TC e del colesterolo HDL, almeno una volta ogni 5 anni. Ulteriori indagini vengono eseguite nei pazienti con TC elevato, in quelli con colesterolo HDL basso (< 35 mg/dl [< 0,91 mmol/l]), o in quelli con TC borderline che hanno almeno due fattori di rischio per CAD (età > 45 anni per gli uomini o > 55 anni per le donne [o stato postmenopausale senza terapia estrogenica sostitutiva], ipertensione, fumo, diabete, HDL < 35 mg/dl o anamnesi familiare positiva per CAD prima dei 55 anni in un parente maschio di primo grado o prima dei 65 anni in una parente femmina di primo grado). Tali indagini devono comprendere i livelli a digiuno di TC, trigliceridi e HDL. I livelli di LDL vengono poi calcolati applicando la seguente formula: colesterolo LDL = TCcolesterolo HDL-trigliceridi/5. (Questa formula è valida soltanto quando la trigliceridemia è < 400 mg/dl [< 4,52 mmol/l].) Un livello di HDL elevato (> 60 mg/

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Iperlipidemia

dl [> 1,55 mmol/l]) viene considerato un fattore protettivo e riduce di uno il numero dei fattori di rischio. Il NCEP raccomanda che le decisioni riguardo al trattamento vengano prese sulla base del livello calcolato di LDL. Per i pazienti con LDL elevate (≥ 160 mg/dl [≥ 4,14 mmol/l]) che hanno meno di due fattori di rischio oltre a questo e che non hanno evidenza clinica di patologia aterosclerotica, l'obiettivo del trattamento è di raggiungere un livello di LDL < 160 mg/dl. Per coloro che hanno almeno altri due fattori di rischio, l'obiettivo del trattamento è di raggiungere un livello di LDL < 130 mg/dl (< 3,37 mmol/l). Quando i livelli di LDL rimangono > 160 mg/dl nonostante le misure dietetiche e il paziente ha due o più fattori di rischio (oltre alle LDL elevate), o quando i livelli di LDL rimangono > 190 mg/dl (> 4,92 mmol/l) anche in assenza di fattori di rischio aggiuntivi, si deve prendere in considerazione l'associazione di una terapia farmacologica. Per i pazienti affetti da CAD, vasculopatia periferica o vasculopatia cerebrale, l'obiettivo del trattamento è di raggiungere un livello di LDL < 100 mg/dl (< 2,59 mmol/l). Tutti i pazienti con evidenza clinica di coronaropatia o altre patologie aterosclerotiche devono essere valutati mediante un prelievo di sangue a digiuno per il dosaggio del TC, dei trigliceridi e delle HDL. Le LDL vengono di nuovo calcolate come descritto in precedenza. Al contrario del TC plasmatico, non è chiaro se i trigliceridi plasmatici costituiscano variabili di rischio indipendenti; come il TC, anch'essi variano con l'età. Un livello di trigliceridi < 200 mg/dl (< 2,26 mmol/l) viene considerato normale, un livello da 200 a 400 mg/dl (da 2,26 a 4,52 mmol/l) è borderline alto e un livello > 400 mg/dl (> 4,52 mmol/l) è elevato. L'ipertrigliceridemia è stata associata al diabete, all'iperuricemia e alla pancreatite (quando i livelli sono > 600 mg/dl [> 6,78 mmol/l]). Come viene descritto più avanti, si possono ottenere informazioni più precise sul rischio di CAD considerando il TC plasmatico come soltanto una delle diverse unità di trasporto dei lipidi, le lipoproteine. Dal 60 al 75% del TC plasmatico viene trasportato dalle LDL, il livello delle quali è direttamente correlato al rischio cardiovascolare. Le HDL, che normalmente ammontano al 20-25% del TC plasmatico, sono correlate in maniera inversa al rischio cardiovascolare. I livelli di HDL sono correlati positivamente con l'esercizio fisico, con il consumo moderato di alcol e con la terapia estrogenica sostitutiva, e negativamente con il fumo, l'obesità e l'uso della maggior parte dei contraccettivi contenenti progestinici. Gli studi mostrano che la prevalenza di CAD in presenza di livelli di HDL di 30 mg/dl (0,78 mmol/l) è più che doppia rispetto a quella osservata in presenza di livelli di 60 mg/dl, e che elevati livelli di LDL o ridotti livelli di HDL sono associati in maniera indipendente con l'aumento del rischio di CAD. Pertanto, bisogna sempre stabilire se gli eventuali alti livelli di TC siano dovuti a un aumento delle LDL o delle HDL. Nei paesi o nei gruppi (p. es., lattovegetariani, Avventisti del Settimo Giorno) in cui i livelli di TC e di colesterolo LDL sono bassi a causa delle abitudini alimentari (notevole riduzione dell'assunzione di grassi saturi totali e colesterolo), i livelli di HDL sono spesso relativamente ridotti e il rischio di CAD è basso. Tuttavia, nello studio di Framingham basato sulla popolazione USA, uomini e donne (che seguivano la tipica dieta americana ad alto contenuto di grassi) con livelli relativamente normali di LDL (da 120 a 160 mg/dl [da 3,11 a 4,14 mmol/l]) e HDL < 30 mg/dl sono risultati ad alto rischio per CAD.

Metodi di laboratorio e interpretazione dei risultati Un'utile valutazione clinica dell'assetto lipidico si può generalmente eseguire dosando i livelli plasmatici di TC, colesterolo HDL e trigliceridi dopo che il paziente è rimasto a digiuno per ≥ 12 h. Il campione di sangue deve inoltre essere osservato dopo essere stato lasciato per una notte in frigorifero a 4°C (39,2°F), per notare l'eventuale comparsa di uno strato lattescente determinato dai chilomicroni. Il TC plasmatico può essere determinato con metodi

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Iperlipidemia

colorimetrici, con la cromatografia gas-liquido, con metodi enzimatici o con altri metodi "diretti" automatizzati. I metodi enzimatici sono generalmente i più accurati e sono standardizzati praticamente in tutti i laboratori clinici. I trigliceridi plasmatici vengono di solito misurati come glicerolo mediante metodi colorimetrici, enzimatici o fluorimetrici dopo idrolisi alcalina o enzimatica a glicerolo e formaldeide. I livelli di HDL vengono dosati con metodi enzimatici dopo precipitazione delle VLDL, delle IDL e delle LDL dal plasma. (Per il calcolo delle LDL, v. sopra.) L'elettroforesi delle lipoproteine è utile soltanto nelle dislipidemie ed è stata ormai soppiantata dall'analisi delle apolipoproteine. La maggior parte degli aumenti del TC e/o dei trigliceridi è modesta e dovuta principalmente agli eccessi alimentari. Iperlipemie più gravi sono dovute a un gruppo eterogeneo di disordini che differiscono per caratteristiche cliniche, prognosi e risposta alla terapia. L'innalzamento del livello plasmatico di ciascuna delle lipoproteine può determinare ipercolesterolemia. Analogamente, l'ipertrigliceridemia può essere la conseguenza di un aumento dei livelli dei chilomicroni, delle VLDL o di entrambi. Quindi, la definizione dell'esatto pattern lipoproteico è importante, specialmente per la scelta di una dieta e di una terapia farmacologica appropriate. La Tab. 15-1 descrive i cinque tipi di iperlipoproteinemia. Poiché ogni classe di lipoproteine ha una composizione relativamente fissa per quanto riguarda il TC e i trigliceridi, e poiché i due tipi più grandi di particelle (chilomicroni e VLDL) rifrangono la luce e determinano una torbidità del plasma, il tipo specifico di iperlipoproteinemia può spesso essere determinato con la semplice osservazione di un campione di plasma lasciato 24 h a 4°C (39,2°F), seguita da una determinazione più accurata del TC e dei trigliceridi. Un plasma torbido o velato sarà causato da un aumento delle VLDL; se il plasma è limpido, un TC elevato sarà causato da un aumento delle LDL o delle HDL. Se si è formato uno strato cremoso superficiale, esso sarà il risultato di un aumento dei chilomicroni. L'analisi delle apolipoproteine o l'elettroforesi di solito non sono necessarie. La determinazione del pattern lipoproteico non conclude il processo diagnostico. L'iperlipoproteinemia può essere secondaria ad altri disordini che devono essere esclusi (p. es., l'ipotiroidismo, l'alcolismo o una malattia renale), oppure può essere primitiva (generalmente familiare), nel qual caso deve essere eseguito uno screening per identificare gli altri membri della famiglia (spesso asintomatici) con iperlipoproteinemia. Nella valutazione dei dosaggi dei lipidi o delle lipoproteine, bisogna tenere in considerazione i punti seguenti: (1) i livelli dei lipidi e delle lipoproteine aumentano con l'età. Un valore accettabile per un adulto di età media potrebbe essere allarmante in un bambino di 10 anni. (2) Poiché i chilomicroni normalmente compaiono nel sangue da 2 a 10 h dopo un pasto, i prelievi di sangue devono essere eseguiti a digiuno (12-16 h). (3) I livelli delle lipoproteine sono sottoposti a un controllo metabolico dinamico e vengono facilmente modificati dalla dieta, dalle malattie, dai farmaci e dalle variazioni di peso. Le analisi sui lipidi devono essere eseguite durante un periodo di equilibrio. Se i risultati sono alterati, devono essere valutati almeno altri due campioni prima di scegliere la terapia. (4) Quando l'iperlipoproteinemia è secondaria a un altro disordine, il trattamento di quest'ultimo di solito corregge anche l'iperlipoproteinemia.

Terapia Il trattamento della maggior parte dei pazienti con iperlipidemia è quello descritto più avanti per l'iperlipoproteinemia primitiva di tipo II.

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Iperlipidemia

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Iperlipidemia

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

IPERLIPOPROTEINEMIA DI TIPO I (Ipertrigliceridemia esogena; lipemia familiare indotta dai grassi; iperchilomicronemia) Deficit ereditario relativamente raro dell'attività della lipoprotein-lipasi o della proteina apo C-II attivante la lipasi, che determina un'incapacità a rimuovere efficacemente dal sangue i chilomicroni e i trigliceridi delle VLDL.

Sommario: Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Sintomi, segni e diagnosi Questa malattia si manifesta nei bambini o nei giovani causando dolori addominali simili a quelli della pancreatite; depositi cutanei papulari giallo-rosacei di grasso (xantomi eruttivi), specialmente nei punti sottoposti a pressione e sulle superfici estensorie; lipemia retinica ed epatosplenomegalia. I segni e i sintomi vengono esacerbati dall'aumento dell'apporto di grassi alimentari, che si accumulano nella circolazione come chilomicroni. Livelli eccezionalmente elevati di trigliceridi plasmatici causano una marcata lattescenza del plasma. I chilomicroni, che rifrangono la luce e producono la lattescenza, si accumulano come uno strato cremoso galleggiante in un campione di plasma incubato a 4°C (39,2°F) per una notte. Questo strato cremoso che si deposita sulla superficie di un plasma altrimenti limpido è spesso diagnostico, così come lo è il mancato aumento dell'attività della lipoprotein-lipasi dopo iniezione EV di eparina (attività lipolitica post-eparinica). Se il plasma al di sotto dello strato cremoso è torbido, allora sono elevati anche i trigliceridi delle VLDL (v. Iperlipoproteinemia di tipo V, più avanti).

Prognosi e terapia L'obiettivo è quello di ridurre i chilomicroni circolanti per evitare gli episodi di pancreatite acuta, che è la sequela principale. Il dolore addominale ricorrente che si presenta durante i periodi di eccessivo consumo alimentare di grassi può essere contrassegnato da episodi di pancreatite emorragica gravi e a volte fatali. Poiché l'ipertrigliceridemia è favorita dall'ingestione di grassi sia saturi, sia insaturi, sia polinsaturi, è efficace una dieta fortemente restrittiva nei confronti di tutte le comuni fonti alimentari di grassi. È possibile aumentare l'apporto calorico e migliorare il gradimento della dieta utilizzando 20-40 g di trigliceridi a catena media (C12 o meno) al giorno. Questi acidi grassi non vengono trasportati mediante la formazione di chilomicroni, ma vengono legati all'albumina e passano direttamente nel fegato attraverso il sistema portale. Non esistono prove che questa forma di iperlipoproteinemia predisponga all'aterosclerosi. file:///F|/sito/merck/sez02/0150219a.html (1 of 2)02/09/2004 2.41.28

Iperlipidemia

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

IPERLIPOPROTEINEMIA DI TIPO II Innalzamento delle lipoproteine a bassa densità (LDL), che può essere primitivo o secondario. AUMENTI PRIMITIVI DELLE LDL (Iperlipoproteinemia primitiva di tipo II)

Sommario: Introduzione IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE Sintomi, segni e diagnosi Prognosi Terapia IPERLIPIDEMIA COMBINATA FAMILIARE DEFICIT FAMILIARE DELL'APOLIPOPROTEINA B IPERCOLESTEROLEMIA POLIGENICA

L'iperlipoproteinemia primitiva di tipo II comprende diverse condizioni genetiche che portano all'innalzamento delle LDL, tra le quali l'ipercolesterolemia familiare, l'iperlipidemia combinata familiare, il deficit familiare di apolipoproteina B e l'ipercolesterolemia poligenica.

IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE Comune disordine genetico del metabolismo dei lipidi caratterizzato da elevati livelli di TC sierico associati a xantelasmi, xantomi tendinei e tuberosi, arco corneale giovanile, aterosclerosi accelerata e morte precoce per IMA. Questo disordine si presenta per lo più con il quadro familiare di un gene dominante a penetranza completa ed è molto più grave nella forma omozigote che in quella eterozigote. Esso è causato dall'assenza o da un difetto dei recettori cellulari per le LDL, che dà luogo a ritardo della loro clearance, ad aumento dei loro livelli plasmatici e ad accumulo di colesterolo LDL nei macrofagi in corrispondenza delle articolazioni, delle zone sottoposte a pressione e dei vasi sanguigni.

Sintomi, segni e diagnosi Il paziente può essere asintomatico o può avere una qualunque delle

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manifestazioni descritte sopra. Gli xantomi si trovano abitualmente a livello dei tendini achillei, rotulei e degli estensori delle dita. A volte è presente un'anamnesi familiare positiva per CAD prematura (prima dei 55 anni). L'aumento del TC plasmatico nel presunto eterozigote può arrivare a 2-3 volte i valori normali, secondariamente all'aumento delle LDL. Il plasma è generalmente traslucido perché le LDL non rifrangono la luce, indipendentemente dal loro livello, e i livelli di trigliceridi sono normali o modicamente aumentati. Nei rari presunti omozigoti affetti da questa malattia si osservano livelli di TC da 500 a 1200 mg/dl (12,95-31,1 mmol/l), solitamente associati a comparsa di xantomi prima dei 10 anni di età. La presenza di valori normali del rapporto tra colesterolo libero ed esteri del colesterolo e dei livelli di fosfolipidi differenzia questo disordine dalla marcata ipercolesterolemia (con plasma limpido) che si osserva nelle epatopatie ostruttive (v. più avanti e alla voce Colestasi nel Cap. 38).

Prognosi Nei presunti eterozigoti, l'incidenza degli xantomi e degli altri segni obiettivi aumenta ogni decennio. A volte, specialmente nelle donne, l'infiammazione del tendine di Achille diventa un problema ricorrente. L'aterosclerosi, specialmente a carico dei vasi coronarici, è fortemente accelerata, particolarmente negli uomini. Un maschio su sei con iperlipoproteinemia di tipo II avrà un infarto entro i 40 anni di età e due su tre lo avranno entro i 60 anni. Gli omozigoti possono sviluppare una CAD e morire a causa di essa e delle sue complicanze prima dei 20 anni e addirittura durante l'infanzia.

Terapia Per la terapia, v. Terapia dell'innalzamento delle LDL, più avanti.

IPERLIPIDEMIA COMBINATA FAMILIARE Disordine genetico del metabolismo lipidico caratterizzato da innalzamento del TC sierico e da diversi pattern lipoproteici (eccesso di LDL, di VLDL o di entrambe). L'iperlipidemia combinata familiare viene talvolta confusa con l'ipercolesterolemia familiare. Essa viene trasmessa con modalità autosomica dominante, ma spesso non diviene chimicamente manifesta fino a dopo l'adolescenza. È probabile che un elevato numero di geni provochi alterazioni a livello di varie tappe del trasporto delle lipoproteine, che possono essere alla base di questo fenotipo. La causa della malattia in molti pazienti è probabilmente costituita da una combinazione di difetti genetici. Tale disordine sembra essere dovuto all'eccessiva produzione epatica di apo B. Poiché l'apo B è la proteina principale delle VLDL e delle LDL, questo disordine può portare a un eccesso di LDL, di VLDL o di entrambe, a seconda della clearance. Spesso si riscontrano pattern lipoproteici differenti in diversi membri affetti della stessa famiglia. Gli xantomi sono molto rari nell'ipercolesterolemia combinata familiare, ma vi è una spiccata predisposizione alla CAD precoce.

DEFICIT FAMILIARE DELL'APOLIPOPROTEINA B Il deficit familiare dell'apolipoproteina B (apo B) è una condizione molto rara causata da mutazioni a carico del gene per l'apo B (la porzione proteica delle LDL), che rende la proteina scarsamente riconoscibile o non riconoscibile da file:///F|/sito/merck/sez02/0150219b.html (2 of 3)02/09/2004 2.41.29

Iperlipidemia

parte del recettore per le LDL. I livelli di LDL sono più bassi che nell'ipercolesterolemia familiare e gli xantomi sono rari. Tali pazienti hanno un aumento del rischio di CAD.

IPERCOLESTEROLEMIA POLIGENICA L'ipercolesterolemia poligenica è probabilmente costituita da un gruppo eterogeneo di disordini ed è responsabile del maggior numero di pazienti con modesto aumento delle LDL di origine genetica. La maggior parte dei pazienti con ipercolesterolemia poligenica mostra un'alterazione della clearance delle LDL.

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Iperlipidemia

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

IPERLIPOPROTEINEMIA DI TIPO II Innalzamento delle lipoproteine a bassa densità (LDL), che può essere primitivo o secondario. AUMENTI SECONDARI DELLE LDL

Sommario: Introduzione TERAPIA DEGLI AUMENTI DELLE LDL

Nel Nord America e in Europa, il colesterolo alimentare e i grassi saturi sono le cause più comuni di aumento delle LDL di grado lieve o moderato. L'ipercolesterolemia è comune nella cirrosi biliare, come lo sono un marcato aumento dei fosfolipidi sierici e un aumento del rapporto tra colesterolo libero ed esteri del colesterolo (> 0,2). Il plasma non è lattescente, perché le lipoproteine in eccesso (lipoproteina X) sono di piccole dimensioni e non rifrangono la luce. Gli xantomi piani e gli xantelasmi sono frequenti nei casi di iperlipemia prolungata e grave. L'ipercolesterolemia dovuta all'aumento dei livelli di LDL può essere associata alle endocrinopatie (ipotiroidismo, ipopituitarismo, diabete mellito) e viene generalmente risolta dalla terapia ormonale. Anche le ipoprotidemie come nella sindrome nefrosica, le alterazioni metaboliche come la porfiria acuta o gli eccessi alimentari con i cibi ricchi di colesterolo possono determinare un aumento dei livelli di LDL. Essi cominciano ad aumentare dopo la menopausa e si riducono in risposta alla terapia estrogenica sostitutiva. I livelli di TC possono essere elevati in seguito all'aumento delle HDL nelle donne in postmenopausa o nelle donne giovani che assumono contraccettivi orali o terapie ormonali sostitutive, soprattutto a base di estrogeni.

TERAPIA DEGLI AUMENTI DELLE LDL L'obiettivo principale della terapia è quello di prevenire lo sviluppo precoce dell'aterosclerosi e di ridurre così la probabilità della CAD e dell'IMA. Inoltre, riducendo il colesterolo, gli xantomi di aspetto sgradevole cessano di accrescersi e regrediscono o scompaiono. In generale, per aumenti lievi o moderati del colesterolo LDL, è di solito sufficiente modificare la dieta e ciò rappresenta il primo provvedimento terapeutico. Le modificazioni dietetiche di solito devono essere provate per almeno 6 mesi prima di decidere che è necessaria l'aggiunta di un farmaco. Per l'ipercolesterolemia grave (LDL > 220 mg/dl [> 5,70 mmol/l]o evidenza clinica di CAD o di vasculopatia periferica o cerebrale), la terapia farmacologica deve

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Iperlipidemia

essere aggiunta più precocemente. Per l'ipercolesterolemia familiare, la terapia farmacologica è quasi sempre indicata, spesso fin dall'infanzia. A seconda del tipo di lipoproteina presente in eccesso, l'iperlipidemia combinata familiare risponde bene alla riduzione di peso e alla restrizione dei grassi saturi e del colesterolo, seguite quando necessario da niacina 3 g/die, una statina (v. oltre) o una combinazione di colestiramina con niacina o gemfibrozil. Alcuni pazienti con ipercolesterolemia poligenica rispondono alla restrizione dietetica dei grassi saturi e del colesterolo. Quando questa misura è inefficace, la terapia con un inibitore della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi (cioè con una statina), con colestiramina o con niacina di solito riporta i livelli delle LDL alla norma. Dieta: l'ingestione di grassi saturi e di colesterolo sopprime l'attività del recettore epatico per le LDL, ritardando così la loro clearance e portando a un aumento dei loro livelli plasmatici. I grassi saturi della dieta possono essere ridotti in quattro modi: (1) Sostituzione dei grassi saturi con grassi monoinsaturi; ciò riduce i livelli di LDL senza alterare significativamente quelli di HDL. (2) Sostituzione dei grassi saturi con grassi polinsaturi. Sebbene apparentemente possiedano un certo effetto indipendente sull'ulteriore riduzione dei livelli di LDL, i grassi polinsaturi possono ridurre significativamente i livelli di HDL quando vengono consumati in quantità eccessive. (3) Sostituzione dei grassi saturi con carboidrati, che in alcuni casi aumentano i livelli di trigliceridi e spesso riducono i livelli di HDL. (4) Raccomandazione di un regime dietetico per la riduzione di peso nei pazienti sovrappeso. L'obesità e l'assunzione di calorie in eccesso riducono i livelli di HDL e possono inoltre innalzare i livelli di LDL aumentando la velocità di secrezione delle VLDL, i precursori delle LDL. Spesso la scelta è dettata da preferenze culturali individuali. Dieta di livello 1: il divieto assoluto di consumare cibi contenenti colesterolo e acidi grassi saturi è il modo più efficace per ridurre le LDL e il TC nel siero. Nella dieta di livello 1, raccomandata dall'American Heart Association e dal NCEP, la quantità totale di grassi per un adulto medio deve essere limitata a _ 30% dell'apporto calorico delle 24 h. L'apporto di colesterolo deve essere ridotto a 300 mg/die e i grassi saturi a non più del 10% delle calorie. Carne (specialmente frattaglie e ovviamente carne grassa), tuorli d'uovo, latte intero, panna, burro, formaggi, lardo e altri grassi saturi da cucina devono essere eliminati e sostituiti con alimenti a basso contenuto di grassi saturi e di colesterolo (p. es., pesce, verdura, pollame). I cibi fritti devono essere limitati; quando si preparano fritture, bisogna usare gli olii vegetali, come l'olio di oliva, l'olio di semi di mais e l'olio di girasole, che contengono pochi grassi saturi e hanno un contenuto relativamente alto di grassi monoinsaturi e polinsaturi. I grassi animali e gli olii vegetali relativamente ricchi di grassi saturi, come l'olio di cocco e l'olio di palma, non devono essere usati. Dieta di livello 2: nella dieta di livello 2 l'apporto di colesterolo è ridotto a 200 mg/ die e i grassi saturi al 5% delle calorie. Questa dieta più rigorosa è raccomandata per i pazienti i cui livelli di LDL rimangono elevati dopo aver seguito la dieta di livello 1. Per facilitare la comprensione e la compliance del paziente è utile rivolgersi a un dietologo professionista. Terapia farmacologica: i farmaci riducono i livelli del colesterolo LDL mediante diversi meccanismi conosciuti (v. Tab. 15-2). (1) I sequestranti degli acidi biliari (colestiramina e colestipolo) e (2) gli inibitori della HMG-CoA reduttasi, noti anche come statine, stimolano la clearance delle LDL soprattutto attraverso meccanismi mediati da recettori, sebbene in alcuni gruppi di pazienti trattati con statine sia stata dimostrata anche una riduzione della secrezione di VLDL e IDL. (3) L'acido nicotinico (niacina) riduce la velocità di sintesi delle VLDL, precursori delle LDL. (4) I derivati dell'acido fibrico (gemfibrozil e clofibrato negli USA e fenofibrato e bezafibrato in Europa) accelerano la clearance delle VLDL. Nei trial clinici pubblicati, i sequestranti degli acidi biliari, le statine, l'acido nicotinico e il gemfibrozil hanno dimostrato di prevenire la CAD e l'acido nicotinico e le statine hanno dimostrato di ridurre la mortalità cumulativa. La colestiramina e il colestipolo riducono efficacemente le LDL sieriche, specialmente se associati alla terapia dietetica, riducendo così il numero di eventi legati alla CAD (p. es., sviluppo di un test da sforzo positivo, episodi anginosi,

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morte improvvisa cardiaca). Un dosaggio di colestiramina di 8-32 g/die PO in 24 dosi frazionate riduce i livelli di LDL del 15-30%. Gli effetti collaterali (p. es., la stitichezza) e il sapore sgradevole possono limitarne l'accettazione completa da parte del paziente. Gli inibitori della HMG-CoA reduttasi (statine) possono ridurre in maniera notevole i livelli di LDL. Una riduzione aggressiva del colesterolo con le statine si è dimostrata in grado di prevenire l'angina instabile e l'IMA e di ridurre la necessità di interventi di rivascolarizzazione coronarica. Le statine sembrano esser simili per quanto riguarda gli effetti collaterali e differiscono solamente per la loro potenza massima. Alle dosi più alte, la simvastatina (80 mg) può ridurre i livelli di LDL dal 45 al 50%. La loro efficacia può essere ulteriormente aumentata se vengono combinate con la colestiramina e/o con la niacina (però v. oltre). Con le statine, gli effetti collaterali evidenti non sono frequenti, ma includono l'epatite e la miosite. Attenzione: il rischio di miosite e rabdomiolisi che può portare a insufficienza renale aumenta quando le statine vengono somministrate in associazione con la ciclosporina, il gemfibrozil, il clofibrato o la niacina. Pertanto, queste associazioni devono essere usate solo in circostanze particolari che giustificano il rischio e quindi solo con una supervisione accurata e controlli ripetuti. La niacina (acido nicotinico) può essere utile per gli aumenti delle LDL, ma le alte dosi necessarie (2-9 g/die PO in dosi frazionate ai pasti), insieme con i suoi effetti collaterali (p. es., irritabilità gastrica, iperuricemia, iperglicemia, arrossamenti e prurito), limitano spesso il suo utilizzo. La niacina ha la massima efficacia quando è combinata con la colestiramina negli individui eterozigoti con ipercolesterolemia familiare grave. Gli analoghi tiroidei come la d-tiroxina riducono efficacemente i livelli di LDL, ma sono controindicati nei pazienti con patologia cardiaca accertata o sospetta. I derivati dell'acido fibrico hanno pochi effetti sui livelli plasmatici del TC o delle LDL nell'iperlipoproteinemia di tipo II, possono determinare la formazione di calcoli biliari e possono essere alla base di altri problemi metabolici, ragion per cui non sono di solito indicati. Altri farmaci sono generalmente meno efficaci rispetto a un regime dietetico rigoroso.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

IPERLIPOPROTEINEMIA DI TIPO III (Malattia della banda beta allargata; disbetalipoproteinemia) Disordine familiare meno comune caratterizzato dall'accumulo nel plasma di VLDL migranti in regione b, ricche di trigliceridi e TC, associato a xantomi piani (palmari) patognomonici e xantomi tubero-eruttivi e a una notevole predisposizione all'aterosclerosi precoce grave.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

L'iperlipoproteinemia di tipo III è quasi sempre associata ad anomalie dell'apolipoproteina E (apo E) e a un difetto della conversione delle VLDL e della loro rimozione dal plasma. Questo tipo di iperlipoproteinemia, ritenuto generalmente familiare, si può riscontrare anche nelle disprotidemie e nell'ipotiroidismo.

Sintomi, segni e diagnosi La malattia esordisce generalmente in età adulta negli uomini e 10-15 anni più tardi nelle donne. I primi segni possono essere una vasculopatia periferica che si manifesta con claudicatio o la comparsa di xantomi tubero-eruttivi ai gomiti e alle ginocchia. Il plasma può avere un aspetto da opaco a grossolanamente torbido, spesso con un sottile strato di chilomicroni. I livelli di TC e di trigliceridi sono aumentati, spesso in ugual misura. Può essere presente una lieve alterazione della tolleranza ai glucidi e un'iperuricemia. La diagnosi esatta di questa anomalia è oggi possibile grazie alla fenotipizzazione o alla genotipizzazione dell'apo E, con presenza di un pattern noto come apo E2 /E2, che è diagnostico. Un'alternativa è costituita dall'ultracentrifugazione e dall'elettroforesi, che dimostrano la presenza di VLDL ricche di colesterolo migranti in regione b.

Prognosi e terapia Esiste una marcata predisposizione all'insorgenza precoce di CAD e di arteriopatie periferiche di grave entità. Con la terapia, l'iperlipidemia può essere quasi sempre ricondotta a livelli praticamente normali e la vasculopatia periferica può risolversi.

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Iperlipidemia

La riduzione di peso fino al raggiungimento del peso ideale e la restrizione dietetica del colesterolo, dei grassi saturi e dei carboidrati possono essere sufficienti a ridurre i livelli plasmatici sia di TC sia di trigliceridi e a determinare una notevole regressione o la scomparsa degli xantomi. In coloro che non rispondono adeguatamente, è molto efficace l'aggiunta di niacina 2-3 g/die PO, gemfibrozil 1,2 g/die PO, clofibrato 2 g/die PO o un inibitore della HMG-CoA reduttasi, che generalmente normalizzano i livelli ematici dei lipidi.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

IPERLIPOPROTEINEMIA DI TIPO IV (Ipertrigliceridemia endogena; iperprebetalipoproteinemia) Disordine comune, spesso a distribuzione familiare, caratterizzato da aumenti variabili dei trigliceridi plasmatici contenuti prevalentemente nelle lipoproteine a bassissima densità (pre-b) e da possibile predisposizione all'aterosclerosi.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

A causa dei livelli di trigliceridi endogeni utilizzati come soglia per la definizione dell'iperlipoproteinemia di tipo IV, il disordine risulta comune negli americani di media età di sesso maschile.

Sintomi, segni e diagnosi Questa iperlipidemia è frequentemente associata a una lieve alterazione della tolleranza al glucoso (insulino-resistenza) e a obesità, e può essere accentuata dalla restrizione dei grassi alimentari e dalla concomitante aggiunta di carboidrati alla dieta (mantenendo costante l'apporto calorico). Il plasma è torbido e i livelli di trigliceridi sono sproporzionatamente elevati. Il TC può essere normale o modicamente aumentato (spesso a causa di stress, alcolismo ed eccessi alimentari) e può essere associato a iperuricemia. La riduzione dei livelli di HDL è dovuta all'innalzamento dei trigliceridi e spesso si normalizza quando i livelli di trigliceridi si riducono.

Prognosi e terapia La prognosi è incerta. La malattia può essere associata alla CAD precoce. La riduzione del peso corporeo e la limitazione del consumo di alcol, quando sono possibili, costituiscono il trattamento più efficace e spesso normalizzano i livelli dei trigliceridi. Sono importanti il mantenimento del peso corporeo ideale e la restrizione dei carboidrati e dell'alcol. Nei pazienti i cui livelli non vengono controllati dalla sola dieta, la niacina 3 g/die PO o il gemfibrozil 0,6-1,2 g/die PO in dosi frazionate riducono ulteriormente la lipemia. Grandi quantità di olii somatici di pesce (da 8 a 20 g/die) sono frequentemente di notevole efficacia nel trattamento dell'ipertrigliceridiemia secondaria agli elevati livelli di VLDL.

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IPERLIPOPROTEINEMIA DI TIPO V (Ipertrigliceridemia mista; iperlipemia mista; iperprebetalipoproteinemia con chilomicronemia) Disordine raro, a volte familiare, associato a un difetto della clearance dei trigliceridi esogeni ed endogeni e al rischio di sviluppare pancreatite minacciosa per la vita.

Sommario: Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Sintomi, segni e diagnosi Questo disordine esordisce spesso in età adulta precoce con numerosi xantomi eruttivi sulle superfici estensorie degli arti, lipemia retinica, epatosplenomegalia e dolore addominale. I sintomi vengono esacerbati dall'aumento dell'ingestione di grassi alimentari o di alcol. I livelli plasmatici di trigliceridi sono marcatamente elevati con aumento solo modesto del TC. Il plasma è da torbido a opaco con un distinto strato cremoso superficiale. I livelli di lipoproteinlipasi sono generalmente normali. Sono frequenti l'iperuricemia, l'intolleranza al glucoso e l'obesità. Questo quadro può essere secondario a consumo di alcol, nefrosi, rialimentazione dopo digiuno prolungato o grave diabete insulinopenico.

Prognosi e terapia Il rischio principale è rappresentato dalla pancreatite. Indulgendo al consumo di grassi, si possono verificare attacchi ricorrenti che portano a formazione di pseudocisti, a emorragie e morte. Può presentarsi una neuropatia periferica caratterizzata principalmente da disestesie; sia la neuropatia sia la pancreatite possono di solito essere prevenute dalla restrizione dei grassi alimentari. L'iperlipoproteinemia di tipo V, come quella di tipo I, mostra una scarsa prediposizione all'aterosclerosi. Come nei tipi III e IV, la riduzione di peso è estremamente efficace e deve essere ottenuta con una dieta di mantenimento che riduca tutti i grassi a < 50 g/die e con l'astinenza dall'alcol. Sono efficaci 3-6 g/die di niacina PO. Possono essere utili anche 1,2 g/die di gemfibrozil PO.

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Iperlipidemia

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Iperlipidemia

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

IPERTRIGLICERIDEMIA SECONDARIA Le forme più comuni di ipertrigliceridemia che si osservano nella pratica clinica non sono di tipo primitivo (familiare), ma sono secondarie ad altri disordini come il consumo di alcol, il diabete mellito grave scarsamente controllato (lipemia diabetica), la nefrosi e le glicogenosi, oltre che ai farmaci (p. es., estrogeni, contraccettivi orali, retinoidi, tiazidici, corticosteroidi). I sequestranti degli acidi biliari colestipolo e colestiramina possono anch'essi causare o esacerbare l'ipertrigliceridemia. La malattia può simulare o aggravare qualunque iperlipoproteinemia di tipo familiare. La terapia dipende dalla correzione del disordine di base o dalla sospensione dei farmaci responsabili.

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Iperlipidemia

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 15. IPERLIPIDEMIA (Iperlipoproteinemia) Presenza di elevati livelli di lipoproteine nel plasma, che può essere primitiva o secondaria. (v. anche Aterosclerosi nel Cap. 201.)

DEFICIT FAMILIARE DI LECITINA COLESTEROLO ACILTRANSFERASI Raro disordine, ereditato come carattere recessivo, caratterizzato dalla mancanza dell'enzima che normalmente esterifica il colesterolo nel plasma e che si manifesta con marcata ipercolesterolemia e iperfosfolipidemia (colesterolo libero e lecitina), associate a ipertrigliceridemia. Nel deficit familiare di lecitina colesterolo aciltransferasi sono comuni l'insufficienza renale ed epatica, l'anemia e le opacità del cristallino. Il trattamento con una dieta povera di grassi riduce la concentrazione dei complessi lipoproteici nel plasma e può essere utile per prevenire il danno renale. Per l'insufficienza renale, ha dato buoni risultati il trapianto di rene.

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI IPOLIPIDEMIA (Ipolipoproteinemia) Presenza di bassi livelli di lipoproteine nel plasma, osservati come rari disordini familiari oppure secondari a ipertiroidismo, malassorbimento e malnutrizione. Bassi livelli di lipoproteine a bassa densità (b; LDL) si possono riscontrare nell'AIDS, nelle neoplasie maligne ematologiche (come la leucemia mieloide cronica e la leucemia mielocitica cronica) e nei disordini con splenomegalia, come la malattia di Gaucher.

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI IPOLIPIDEMIA (Ipolipoproteinemia) IPOALFALIPOPROTEINEMIA (Bassi livelli di HDL)

Sommario: Introduzione Terapia

In molti studi epidemiologici, i bassi livelli di lipoproteine ad alta densità (a; HDL) sono stati associati a un aumento del rischio di coronaropatia (Coronary Artery Disease, CAD). Essi sono spesso dovuti a fattori genetici. Inoltre, i livelli di HDL vengono ridotti dall'obesità, dalla sedentarietà, dal fumo di sigaretta, dal diabete mellito, dall'uremia, dalla sindrome nefrosica e da diversi farmaci (diuretici tiazidici, retinoidi, b-bloccanti, steroidi androgenici, la maggior parte dei progestinici e probucolo).

Terapia Nonostante non siano stati disegnati trial clinici specifici per studiare gli effetti delle modificazioni dei livelli di HDL, sembra che quasi tutti ritengano buona norma adottare misure non farmacologiche per aumentare i livelli di HDL. Tali misure comprendono la cessazione del fumo di sigaretta, la riduzione del peso corporeo per gli obesi e l'aumento dell'attività fisica. In aggiunta, è ragionevole il tentativo di evitare l'assunzione di farmaci che riducono le HDL nei pazienti che già hanno bassi livelli di queste lipoproteine. I livelli di HDL possono spesso essere aumentati in maniera sostanziale dal trattamento con acido nicotinico e, nel caso di ipertrigliceridemia, con derivati dell'acido fibrico. Incrementi minori dei livelli di HDL (circa il 10%) si verificano quando i derivati dall'acido fibrico vengono utilizzati nei soggetti normotrigliceridemici e quando gli inibitori della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi vengono impiegati ad alte dosi. Per i pazienti che necessitano di terapia per ridurre i livelli di LDL, un preesistente basso livello di HDL (< 35 mg/dl [< 0,91 mmol/l]) può influenzare la scelta del farmaco per la riduzione delle prime. In tali pazienti, l'acido nicotinico può essere il farmaco di prima scelta. Bassi livelli di HDL isolati, in assenza di CAD o di fattori di rischio per CAD, si osservano spesso nelle popolazioni vegetariane, nelle quali i livelli di LDL e il tasso di CAD sono ridotti. Quindi, il paziente con una riduzione isolata dei livelli di HDL e senza altri fattori di rischio per CAD non deve essere trattato farmacologicamente con il solo scopo di aumentare i livelli di HDL.

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Ipolipidemia e lipidosi

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI IPOLIPIDEMIA (Ipolipoproteinemia) IPOBETALIPOPROTEINEMIA Raro disordine ereditato come carattere autosomico codominante e caratterizzato da ridotti livelli di b-lipoproteine (LDL). L'ipobetalipoproteinemia è causata da mutazioni a carico del gene per l'apo B. La condizione è di solito asintomatica. I lipidi plasmatici sono bassi, con livelli di colesterolo totale (Total Cholesterol, TC) nel plasma compresi tra 70 e 120 mg/dl (tra 1,81 e 3,11 mmol/l), nonostante un normale apporto alimentare; le HDL sono da normali a elevate e le LDL sono comprese tra 20 e 70 mg/dl (tra 0,52 e 1,81 mmol/l), di solito < 60 mg/dl (< 1,55 mmol/l). L'assorbimento dei grassi è normale. Nelle rarissime forme omozigoti si osserva la maggior parte delle manifestazioni descritte per la abetalipoproteinemia (v. oltre). L'ipobetalipoproteinemia familiare e l'iperalfalipoproteinemia familiare (anch'essa trasmessa come carattere dominante) sono associate a una ridotta incidenza di CAD e di altre complicanze aterosclerotiche e sono state definite "sindromi della longevità". Non è necessario alcun trattamento.

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI IPOLIPIDEMIA (Ipolipoproteinemia) ABETALIPOPROTEINEMIA (Acantocitosi; sindrome di Bassen-Kornzweig) Raro disordine congenito generalmente trasmesso come carattere recessivo, caratterizzato dall'assenza completa delle b-lipoproteine e da steatorrea, presenza di acantociti (GR con estroflessioni spinose della membrana), retinite pigmentosa, atassia e ritardo mentale. La abetalipoproteinemia è causata da mutazioni a carico del gene per la proteina di trasporto microsomiale dei trigliceridi. L'assorbimento dei grassi è fortemente alterato. Non si formano chilomicroni né lipoproteine a bassissima densità (pre-b; VLDL). Tutti i lipidi plasmatici sono significativamente ridotti e non può essere dimostrata alcuna lipemia post-prandiale. Non esiste un trattamento specifico. La somministrazione parenterale e orale di dosi massive di vitamina A ed E può ritardare o rinviare le sequele neurologiche. (v. anche Degenerazioni spinocerebellari nel Cap. 179.)

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI IPOLIPIDEMIA (Ipolipoproteinemia) MALATTIA DI TANGIER (Deficit familiare di a-lipoproteina) Raro disordine familiare caratterizzato da polineuropatia ricorrente, linfoadenopatia, iperplasia tonsillare giallo-arancio ed epatosplenomegalia (accumulo di esteri del colesterolo nelle cellule reticoloendoteliali), associate a una marcata riduzione delle HDL. Le basi genetiche della malattia di Tangier sono ignote. Il TC plasmatico è molto basso; i trigliceridi sono normali o elevati. La malattia può manifestarsi in età adulta, con epatosplenomegalia o polineuropatia ricorrente. Non esiste una terapia specifica.

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. MALATTIA DI GAUCHER (Lipidosi glucocerebrosidica) Raro disordine familiare a carattere autosomico recessivo del metabolismo lipidico, che determina accumulo di glucocerebrosidi anomali nelle cellule reticoloendoteliali e che si manifesta clinicamente con epatosplenomegalia, alterazioni della pigmentazione cutanea, alterazioni scheletriche e pinguecole.

Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi, segni e prognosi Diagnosi Terapia

Sebbene sia rara, la malattia di Gaucher è la lipidosi osservata più di frequente nella pratica clinica.

Eziologia e anatomia patologica Il difetto di base sembra essere una mancanza di attività della glucocerebrosidasi, che normalmente idrolizza i glucocerebrosidi a glucoso e ceramide. L'esordio generalmente è infantile, ma può verificarsi anche nei lattanti o negli adulti. Il reperto anatomopatologico tipico è una diffusa iperplasia delle cellule reticoloendoteliali. Le cellule sono infarcite di glucocerebrosidi e hanno un citoplasma fibrillare, di forma variabile, e uno o molti piccoli nuclei disposti eccentricamente. Esse si trovano nel fegato, nella milza, nei linfonodi e nel midollo osseo.

Sintomi, segni e prognosi Sono state sistematizzate tre forme cliniche principali della malattia, in base ai diversi deficit enzimatici cellulari. Il tipo I, la forma cronica non neuropatica degli adulti, è il più frequente e si manifesta soprattutto con ipersplenismo, splenomegalia e lesioni ossee. Il tipo II, la forma neuropatica infantile acuta, è associata a splenomegalia, gravi alterazioni neurologiche e morte, di solito entro i primi 2 anni di età. Il tipo III, la forma giovanile, può manifestarsi a volte nell'infanzia e combina le caratteristiche della forma cronica degli adulti con una disfunzione neurologica lentamente progressiva, ma generalmente lieve. I

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Ipolipidemia e lipidosi

pazienti che sopravvivono fino all'adolescenza possono vivere per molti anni. Il reperto fondamentale è la splenomegalia (v. anche Sindromi splenomegaliche nel Cap. 141). Si osservano epatomegalia e occasionalmente linfoadenopatia. L'interessamento osseo può provocare dolore e a volte compare una tumefazione delle articolazioni adiacenti. Possono essere presenti pinguecole e pigmentazione bruna della cute. L'esordio nei lattanti è più acuto (forma cerebrale) rispetto agli adulti e si possono notare rigidità nucale e opistotono. L'interessamento della milza e del midollo porta frequentemente a pancitopenia. Possono aversi epistassi e altre emorragie dovute a trombocitopenia. Alla radiografia si osservano uno svasamento delle estremità delle ossa lunghe e un assottigliamento della corticale.

Diagnosi Le cellule tipiche si riscontrano nel midollo osseo, nell'aspirato splenico o nei campioni delle biopsie epatiche e la diagnosi può essere confermata dimostrando l'assenza di attività glucocerebrosidasica nelle cellule in coltura. La malattia di Gaucher può essere diagnosticata prima della nascita tramite l'amniocentesi o il prelievo dei villi coriali. Le tecnologie basate sul DNA possono permettere la dimostrazione dell'allele specifico della malattia. Il gene che codifica per la bglucosidasi acida è situato sul cromosoma 1 ed è stato mappato nella regione 1q21.

Terapia La terapia sostitutiva con glucocerebrosidasi placentare purificata (alglucerasi), modificata per permettere un efficiente trasporto ai lisosomi dei macrofagi e somministrata EV, ha prodotto miglioramenti clinici evidenti nei pazienti con malattia di tipo I. Sebbene venga attualmente somministrata per infusione EV in un periodo di 1-2 h, di solito 1 volta q 2 sett. (la dose viene individualizzata, con una dose iniziale fino a 60 U/kg per infusione), si stanno ancora mettendo a punto schemi di dosaggio definitivi (dose, frequenza e velocità di somministrazione). Tuttavia, è sufficiente un dosaggio considerevolmente inferiore a quello approvato dalla FDA di 60 U/kg ogni 2 sett. Nei pazienti con anemia, leucopenia o trombocitopenia, o quando le dimensioni della milza determinano disturbi, può essere indicata la splenectomia. I pazienti anemici possono avere bisogno anche di trasfusioni di sangue.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. MALATTIA DI NIEMANN-PICK I Tipi A e B sono patologie familiari da accumulo lisosomiale, caratterizzate da un deficit dell'attività della sfingomielinasi acida che determina un accumulo di sfingomielina (ceramide fosforilcolina) nelle cellule reticoloendoteliali. Il tipo C è una malattia da accumulo lisosomiale non familiare, causata da un errore nello smistamento cellulare del colesterolo esogeno e caratterizzata dall'accumulo lisosomiale di colesterolo non esterificato.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

I tipi A e B (chiamati anche lipidosi sfingomieliniche) vengono ereditati come caratteri autosomici recessivi e compaiono più frequentemente nelle famiglie ebraiche. Il tipo A è caratterizzato da epatosplenomegalia, alterazioni dell'accrescimento e degenerazione nervosa rapidamente progressiva che porta a morte entro i 2 o 3 anni di età. I pazienti di tipo A hanno meno del 5% dell'attività sfingomielinasica normale. Il tipo B è fenotipicamente più variabile rispetto al tipo A. Possono comparire xantomi, alterazioni della pigmentazione cutanea, epatosplenomegalia e linfoadenopatia. La pancitopenia è frequente. L'attività sfingomielinasica varia tra il 5 e il 10% del normale. La maggior parte dei pazienti con il tipo B della malattia ha un interessamento neurologico lieve o assente e sopravvive fino all'età adulta. Nei casi gravi del tipo B, gli infiltrati polmonari progressivi causano l'insorgenza di complicanze maggiori. Il tipo C è autosomico recessivo, si verifica in tutti i gruppi etnici e si ritiene che compaia con la stessa frequenza dei tipi A e B combinati. Le manifestazioni cliniche comprendono epatosplenomegalia di grado variabile, atassia progressiva, convulsioni, distonia, demenza e talvolta epatopatie neonatali fatali. L'esordio avviene di solito nella tarda infanzia e il decesso avviene nel secondo decennio di vita. Le varianti dell'adulto portano a psicosi e demenza.

Diagnosi e terapia Il tipo B viene di solito diagnosticato durante l'infanzia a causa dell'epatosplenomegalia. Nei tipi A e B si deve eseguire una biopsia tissutale e la diagnosi deve essere confermata dal test per la sfingomielinasi acida. I prelievi bioptici e le colture tissutali possono dimostrare l'assenza dell'enzima. I lipidi plasmatici sono generalmente normali. La diagnosi prenatale per i tipi A e B viene fatta tramite amniocentesi o prelievo dei villi coriali. La diagnosi del tipo C richiede la misurazione dell'esterificazione del colesterolo cellulare e la dimostrazione del classico pattern di colorazione per il colesterolo nei fibroblasti in coltura durante l'esposizione alle LDL. La terapia di tutte le forme della malattia file:///F|/sito/merck/sez02/0160230a.html (1 of 2)02/09/2004 2.41.41

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è di supporto e non specifica.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. MALATTIA DI FABRY (Angiocheratoma corporeo diffuso generalizzato; deficit di a-galattosidasi A) Raro disordine familiare, legato al cromosoma X, del metabolismo lipidico, in cui si accumulano glicolipidi (galattosil-galattosil-glucosil-ceramide) in molti tessuti.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

La malattia di Fabry è dovuta a un deficit dell'attività dell'enzima lisosominale agalattosidasi A, che è indispensabile per il normale catabolismo della triesosilceramide.

Diagnosi La diagnosi nei maschi è basata sulla comparsa delle tipiche lesioni cutanee (angiocheratomi) sulla parte inferiore del tronco. I pazienti possono avere opacità corneali, episodi febbrili e dolori urenti agli arti. La morte è dovuta a insufficienza renale o a complicanze cardiache o cerebrali dell'ipertensione o di altre patologie vascolari. La diagnosi prenatale è possibile tramite il dosaggio dell'attività della galattosidasi nelle cellule amniotiche o nei villi coriali. Le femmine eterozigoti sono solitamente asintomatiche, ma possono avere una forma attenuata della malattia, spesso caratterizzata da opacità corneali.

Terapia La terapia è di supporto, specialmente nei pazienti con febbre o dolore. È in via di sperimentazione la terapia sostitutiva tramite trasfusioni dell'enzima difettoso. I risultati dei trial ne suggeriscono l'utilità, ma un trattamento efficace necessita della disponibilità di grandi quantitativi dell'enzima. Il trapianto di rene si è dimostrato efficace per il trattamento dell'insufficienza renale.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. MALATTIA DI WOLMAN (Deficit di colesteril-estere idrolasi acida) Malattia autosomica recessiva caratterizzata da epatosplenomegalia, steatorrea, distensione addominale e calcificazioni surrenaliche, che compaiono nelle prime settimane di vita. La malattia di Wolman e la malattia da accumulo di esteri del colesterolo (v. oltre) sembrano essere alleliche (fenotipi principali del medesimo disordine genetico), dal momento che entrambe coinvolgono mutazioni del gene che codifica per le idrolasi acide degli esteri del colesterolo. Nei tessuti corporei si accumulano grandi quantità di lipidi neutri, specialmente esteri del colesterolo e gliceridi. La diagnosi è basata sulle caratteristiche cliniche e sulla dimostrazione del deficit di lipasi acida nei fibroblasti cutanei in coltura, nei linfociti o in altri tessuti. Non esiste una terapia specifica e la morte si verifica di solito prima dei 6 mesi di età.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. MALATTIA DA ACCUMULO DI ESTERI DEL COLESTEROLO (Deficit di colesteril-estere idrolasi acida) Malattia autosomica recessiva estremamente rara, caratterizzata da epatomegalia e accumulo di esteri del colesterolo e di trigliceridi soprattutto nei lisosomi a livello del fegato, della milza, dei linfonodi e di altri tessuti. Questa malattia sembra essere intimamente correlata alla malattia di Wolman (v. sopra). L'iperbetalipoproteinemia è comune e l'aterosclerosi precoce può essere grave. La diagnosi è basata sulle caratteristiche cliniche e sulla dimostrazione del deficit di lipasi acida nei campioni bioptici epatici o nei fibroblasti cutanei, nei linfociti o in altri tessuti posti in coltura. La diagnosi prenatale è basata sull'assenza di attività lipasica acida nei villi coriali in coltura. I pazienti possono essere asintomatici. Non esiste alcun trattamento efficace. Di recente, la soppressione della sintesi del colesterolo per mezzo degli inibitori della HMGCoA reduttasi ha mostrato di poter ridurre i livelli plasmatici di LDL. La colestiramina associata con una dieta a basso contenuto di colesterolo sembra migliorare gli altri segni.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. XANTOMATOSI CEREBROTENDINEA (Malattia di van Bogaert) Raro disordine recessivo del metabolismo lipidico caratterizzato da atassia progessiva, demenza, cataratta e xantomi tendinei. Il colestanolo (diidrocolesterolo), che generalmente è appena dosabile nell'organismo, si trova in concentrazioni aumentate nel SNC, nei polmoni, nel sangue e negli xantomi. Il difetto alla base di questo disordine è il deficit di un enzima epatico (la 27-idrossilasi) che catalizza l'idrossilazione di uno sterolo intermedio della via biosintetica degli acidi biliari, causando così l'accumulo di colesterolo nella maggior parte dei tessuti, compreso il cervello, e nella bile e la formazione di xantomi. Sebbene i livelli plasmatici di TC siano generalmente bassi o normali, si verifica aterosclerosi prematura. L'invalidità è progressiva ma solitamente non si manifesta se non dopo i 30 anni. La terapia con chenodiolo (acido chenodeossicolico) 0,5-1,5 g/die PO, che inibisce la sintesi normale degli acidi biliari, riduce la formazione di colesterolo e può prevenire l'ulteriore progressione della malattia.

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Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. B-SITOSTEROLEMIA E XANTOMATOSI (Fitosterolemia) Rara malattia familiare recessiva caratterizzata dall'accumulo di steroli vegetali nel sangue e nei tessuti e da presenza di xantomi tendinei e tuberosi, aterosclerosi prematura e alterazioni dei GR. Sono stati descritti un aumento dell'assorbimento intestinale e una riduzione dell'escrezione biliare e fecale del b-sitosterolo alimentare. Il difetto biochimico di base non è stato definito. La terapia consiste nel ridurre l'apporto dei cibi ricchi in steroli vegetali (p. es., gli olii vegetali) e nella somministrazione di colestiramina per promuovere l'escrezione degli steroli.

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Ipolipidemia e lipidosi

Manuale Merck 2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE 16. IPOLIPIDEMIA E LIPIDOSI LIPIDOSI (Malattie da accumulo lipidico) Malattie da accumulo lisosomiale, caratterizzate dal deposito di lipidi in eccesso nelle cellule reticoloendoteliali. MALATTIA DI REFSUM (Malattia da accumulo di acido fitanico) Raro disordine familiare recessivo del metabolismo dell'acido fitanico, caratterizzato da neuropatia periferica, atassia cerebellare, retinite pigmentosa, iperproteinorrachia e meno frequentemente alterazioni ossee e cutanee. Il disordine è dovuto a un deficit di acido fitanico a-ossidasi, un enzima che metabolizza l'acido fitanico, ed è associato a un notevole accumulo di acido fitanico nel plasma e nei tessuti (v. anche Tab. 179-4). Un trattamento che mantenga bassi i livelli di acido fitanico nel plasma, come una dieta priva di acido fitanico (priva di clorofilla), aiuta ad arrestare la progressione della malattia e a prevenire le recidive. Anche le plasmaferesi ripetute aiutano ad abbassare i livelli plasmatici di acido fitanico.

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Menopausa

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 236. MENOPAUSA Interruzione fisiologica delle mestruazioni dovuta a una ridotta funzione ovarica.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Di solito, diminuisce la frequenza del sanguinamento (oligomenorrea), con una successiva amenorrea completa; tuttavia, per molte donne, il sanguinamento è più frequente, più importante o prolungato prima dell’inizio dell’oligomenorrea. I cicli mestruali possono variare di durata. La menopausa è confermata quando non si sono verificate mestruazioni per un anno. (Qualunque sanguinamento vaginale in una donna che non ha sanguinato per 6 mesi deve essere studiato). La menopausa può essere naturale, artificiale o prematura. Si verifica naturalmente a un’età media di 50-51 anni negli USA. Mano a mano che l’ovaio invecchia, la risposta alle gonadotropine ipofisarie (ormone follicolostimolante [FSH]e ormone luteinizzante [LH]) diminuisce, causando inizialmente delle fasi follicolari più brevi (quindi con cicli mestruali più brevi), delle ovulazioni meno frequenti, una ridotta produzione di progesterone e una maggiore irregolarità dei cicli. Infine, il follicolo cessa di rispondere e non produce più estrogeni. Senza il feedback degli estrogeni, i livelli circolanti di LH e di FSH aumentano in modo sostanziale. I livelli circolanti di estrogeni e di progesterone si riducono, invece, notevolmente. L’androgeno androstenedione è ridotto alla metà, mentre il testosterone diminuisce soltanto di poco perché lo stroma dell’ovaio postmenopausale ne continua a secernere una discreta quantità (come fa il surrene). Gli androgeni sono convertiti in estrogeni a livello periferico, specialmente nelle cellule adipose e nella cute, spiegando la maggior parte degli estrogeni circolanti nelle donne in post-menopausa. Questa fase di transizione, durante la quale una donna esce dallo stato riproduttivo, inizia prima della menopausa. È chiamata climaterio o peri-menopausa, anche se molte persone la considerano già menopausa. La menopausa precoce si riferisce a un’insufficienza ovarica di origine sconosciuta che si verifica prima dei 40 anni. Può essere associata al fumo, al vivere a un’elevata altitudine o a un cattivo stato nutrizionale. La menopausa artificiale può essere causata da una ovariectomia, dalla chemioterapia, dall’irradiazione della pelvi o da qualunque processo che alteri la vascolarizzazione dell’ovaio.

Sintomi e segni I sintomi del climaterio possono essere inesistenti o gravi. Le vampate di calore (vampate) e la sudorazione, secondarie all’instabilità vasomotoria, interessano il 75% delle donne. La maggior parte ha vampate per > 1 anno e il 25-50% per > 5 anni. La donna si sente accaldata in misura minore o maggiore e può sudare, a volte anche abbondantemente. La cute, specialmente quella della testa e del collo, diventa rossa e calda. La vampata, che può durare da 30 secondi a 5 minuti, può essere seguita da brividi. I sintomi vasomotori delle vampate

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Menopausa

coincidono con l’inizio dei picchi di LH, anche se non tutti gli aumenti dell’LH si associano a vampate, suggerendo che il controllo ipotalamico del rilascio pulsato dell’LH è indipendente da quello delle vampate. Questa indipendenza è confermata dal verificarsi delle vampate anche nelle donne che hanno avuto un’insufficienza ipofisaria e non secernono LH né FSH. I sintomi psicologici ed emotivi, inclusi l’affaticamento, l’irritabilità, l’insonnia, l’incapacità a concentrarsi, la depressione, la perdita di memoria, la cefalea, l’ansia e il nervosismo, possono essere correlati alla deprivazione degli estrogeni e allo stress dovuto al passare degli anni e al cambiamento dei ruoli. L’interruzione del sonno, dovuta alle vampate ricorrenti, contribuisce ad aumentare l’affaticamento e l’irritabilità. Si possono verificare vertigini intermittenti, parestesie, palpitazioni e tachicardia. Sono comuni anche la nausea, la stipsi, la diarrea, le artralgie, le mialgie, il senso di freddo alle mani e ai piedi e l’aumento del peso. L’importante riduzione nella produzione di estrogeni causa dei profondi cambiamenti a livello della parte inferiore dell’apparato genitale; p. es., la mucosa vaginale e la cute vulvare diventano più sottili, la normale flora batterica si modifica e le piccole labbra, il clitoride, l’utero e le ovaie diminuiscono di dimensioni. L’infiammazione della mucosa vaginale (vaginite atrofica) può conferire alla mucosa un aspetto a fragola e una pollachiuria con tenesmo urinario, secchezza vaginale e dispareunia. Le donne tendono a perdere il tono dei muscoli pelvici e a sviluppare un’incontinenza urinaria, cistiti e vaginiti. La riduzione della libido è un disturbo frequente. La malattia cardiovascolare, incluso l’ictus, diventa prevalente dopo la menopausa. La terapia estrogenica sostitutiva deve essere presa in considerazione perché le donne che la assumono hanno una riduzione del 50% del rischio di cardiopatia. L’osteoporosi è un altro dei principali fattori di rischio per la salute correlato alla menopausa (v. Cap. 57). Sono a maggior rischio le donne magre (con ossa piccole) e bianche, le forti bevitrici di bevande alcoliche, le fumatrici, le donne che assumono corticosteroidi, quelle che assumono la levotiroxina e quelle che fanno una vita sedentaria. La massa ossea si riduce, in media, dell’1-2%/ anno dopo la menopausa; la perdita più rapida si verifica durante i primi 2 anni di deficit estrogenico. Circa il 25% delle donne in post-menopausa ha una grave osteoporosi e il 50% delle donne che non assumono estrogeni subirà una frattura ossea nel corso della vita.

Diagnosi e terapia La menopausa è, in genere, ben riconoscibile. Nelle pazienti più giovani la diagnosi è sostenuta dall’aumento dei livelli sierici di FSH. Devono essere escluse le malattie endocrine, come le malattie della tiroide e il diabete mellito. Il colloquio con la paziente circa le cause fisiologiche della menopausa e le preoccupazioni, le paure e gli stress relativi a questa fase della vita, è importante. Quando predominano i sintomi psicologici, è indicata la psicoterapia e può essere appropriato l’uso degli antidepressivi e dei tranquillanti minori. La terapia estrogenica sostitutiva allevia le vampate e gli altri sintomi e riduce il rischio di osteoporosi e di cardiopatia. Tuttavia, nelle donne che hanno l’utero, una terapia estrogenica non bilanciata aumenta il rischio di neoplasia dell’endometrio (che è quasi sempre annunciata da un sanguinamento vaginale, fornendo, quindi, l’opportunità del trattamento chirurgico in quasi tutti i casi, v. Cap. 241). Per le donne con l’utero, il trattamento appropriato è rappresentato dalla terapia combinata con estrogeni e progestinici, che riduce questo rischio. Alle donne che sono state sottoposte a isterectomia possono essere somministrati gli estrogeni da soli perché non c’è più il rischio di sviluppare un cancro dell’endometrio. La dose degli estrogeni è aumentata o diminuita sulla base dei sintomi. Ci sono delle evidenze che correlano l’uso degli estrogeni con il file:///F|/sito/merck/sez18/2362081.html (2 of 4)02/09/2004 2.42.04

Menopausa

cancro della mammella, ma non sono conclusive. La maggior parte delle evidenze indica che se gli estrogeni aumentano il rischio di cancro della mammella, lo fanno in un piccolo gruppo non definito di donne. Le basse dosi sono le più sicure. Il medico deve parlare dei rischi e dei benefici della terapia con la paziente e se la terapia viene scelta, un esame obiettivo completo, una mammografia e un test di Papanicolaou devono essere eseguiti prima di iniziarla. Il controllo nel tempo, con esami obiettivi regolari e mammografie annuali, è necessario indipendentemente dal fatto che venga utilizzata una terapia ormonale sostitutiva. L’uso di estrogeni per via orale o vaginale può far regredire l’atrofia vaginale sintomatica, la vaginite, l’atrofia delle basse vie urinarie (specialmente dell’uretra e del trigono della vescica), la pollachiuria, la disuria e talvolta l’incontinenza. Gli estrogeni sono di solito somministrati in modo continuativo. Sono assunti oralmente una volta al giorno, ogni giorno del mese (estrogeni equini coniugati, 0,3-1,25 mg/die, estradiolo micronizzato, 0,05-2 mg/die, estropipato, 0,6252,5 mg/die o estrogeni esterificati, 0,3-2,5 mg/die) o possono essere somministrati per via transdermica (estradiolo transdermico, 0,0375-0,1 mg). La dose viene aumentata sulla base dei sintomi. Se la paziente ha l’utero, un progestinico (p. es., il medrossiprogesterone acetato, 2,5 mg o il noretindrone acetato 2,5-5 mg PO) viene somministrato con gli estrogeni ogni giorno. In commercio è disponibile una compressa di estrogeni equini coniugati combinati con il medrossiprogesterone, per una terapia ciclica o continua. Un sanguinamento irregolare si può verificare durante il primo anno della terapia continua, ma alla fine scompare. Durante il primo anno di terapia è indicata una biopsia endometriale se si verifica un sanguinamento importante e irregolare; il sanguinamento che continua dopo un anno richiede una biopsia, ma la biopsia ha uno scarso significato nelle donne altrimenti asintomatiche. Un orifizio cervicale ristretto o stenotico può precludere l’esecuzione di una biopsia endometriale. In tali casi, può essere d’aiuto l’ecografia; se lo spessore endometriale è 5 mm, la probabilità di un’iperplasia o di un cancro è bassa. In alternativa, gli estrogeni possono essere somministrati ogni giorno e il progestinico somministrato solo in alcuni giorni del ciclo (medrossiprogesterone acetato, 5 mg per 14 gg/mese, 10 mg per 10-12 gg/mese o 2,5 mg dal giorno 1 al giorno 25). Il sanguinamento si deve verificare solo durante il periodo di sospensione. La paziente che non può tollerare il sanguinamento irregolare durante la fase di correzione della terapia continua, può essere una candidata per la terapia ciclica, anche se uno dei suoi svantaggi è rappresentato da un sanguinamento da deprivazione regolare e mensile. I modulatori dei recettori selettivi degli estrogeni potranno prima o poi essere usati per trattare le vampate, proteggere le ossa e possibilmente il cuore e ridurre il rischio di un cancro della mammella. Sebbene descritti come "estrogeni leggeri", questi farmaci (p. es., il raloxifene) agiscono come gli estrogeni in alcune donne e come anti-estrogeni (simili al tamoxifene) in altre. Indicati per la prevenzione dell’osteoporosi, possono ridurre il colesterolo totale e inibire la crescita del tessuto mammario. A causa degli sconosciuti effetti sugli altri tessuti (p. es., il cervello), questi farmaci sono i più appropriati per le donne che hanno una storia di cancro della mammella o per quelle che non possono prendere o non prenderanno estrogeni. Il raloxifene può peggiorare le vampate. Gli estrogeni topici (p. es., estrogeni coniugati o equini o la crema di estradiolo) possono essere usati per le modificazioni atrofiche della vagina e per la dispareunia sia che la paziente assuma o meno degli estrogeni orali; 1 dose applicata ogni notte per 14 gg, poi 1-2 dosi ogni notte per 1 mese, seguita da 12 dosi 2 o 3 volte/sett. inverte le modificazioni atrofiche e mantiene un sano epitelio vaginale corneificato. Gli estrogeni sono prontamente assorbiti in circolo dalla mucosa vaginale e possono causare dei sanguinamenti nelle donne che hanno l’utero. Se queste donne usano per un lungo periodo degli estrogeni topici, deve essere associato un progestinico. Gli estrogeni iniettabili sono raramente indicati; dopo l’intervento, un cerotto transdermico può essere applicato prima che siano tollerati i farmaci somministrati per via orale.

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Menopausa

Le controindicazioni alla terapia estrogenica includono una storia di neoplasia estrogeno-dipendente dell’endometrio (solo gli stati avanzati) o della mammella, ricorrenti tromboflebiti o tromboembolie, un sanguinamento uterino da causa non diagnosticata e la presenza o la storia di una grave epatopatia. Le controindicazioni relative includono una storia di tromboflebite e di intolleranza alla terapia estrogenica. Quando gli estrogeni sono controindicati, il trattamento per ridurre i fastidi legati alle vampate include la clonidina transdermica, 0,1 mg o i progestinici (p. es., il medrossiprogesterone acetato, 10 mg/die PO o depot, 150 mg/mese IM, il megestrolo acetato, 10-20 mg/die PO). Gli ipnotici-sedativi possono essere provati, ma la paziente deve essere avvertita della potenziale assuefazione.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO SINDROME PREMESTRUALE (Tensione premestruale) Condizione caratterizzata da nervosismo, irritabilità, instabilità emotiva, ansietà, depressione e talora cefalea, edema e mastodinia, che si verificano durante i 710 giorni prima del ciclo e che, di solito, scompaiono poche ore dopo l’inizio delle mestruazioni.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Terapia

Eziologia La sindrome premestruale (SPM) sembra essere correlata alle fluttuazioni degli estrogeni e del progesterone. Gli estrogeni e il progesterone possono causare una transitoria ritenzione di fluidi, che sembra spiegare alcuni sintomi della SPM. Dati recenti indicano che le donne con SPM metabolizzano il progesterone in maniera differente, producendo minori quantità di allopregnenolone (un neurosteroide che amplifica la funzione dei recettori GABAA nel cervello e che ha effetti ansiolitici). La produzione di pregnenolone, che ha un effetto opposto sul cervello, può essere, invece, aumentata.

Sintomi e segni Il tipo e l’intensità dei sintomi variano da donna a donna e da ciclo a ciclo. In molte donne i sintomi sono significativi, ma di breve durata e non invalidanti; in altre, si verifica un disturbo delle normali funzioni. I sintomi possono durare da poche ore a 10 giorni e di solito cessano con l’inizio delle mestruazioni; tuttavia, nelle donne in epoca perimenopausale, i sintomi possono persistere per tutto il periodo delle mestruazioni e anche dopo. Quando cominciano le mestruazioni, alcune donne presentano una dismenorrea. Una dismenorrea significativa è più comune tra le adolescenti e tende a diminuire con l’età. I disturbi più frequentemente lamentati sono le alterazioni dell’umore e gli effetti psicologici: irritabilità, nervosismo, perdita del controllo, agitazione, collera, insonnia, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, depressione e grave affaticabilità. La ritenzione idrica causa l’edema, il transitorio aumento di peso, l’oliguria, la tensione mammaria e la mastodinia. I sintomi neurologici e vascolari includono la cefalea, le vertigini, la sincope, le

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

parestesie agli arti, la facile formazione di lividi e le palpitazioni. In caso di epilessia ci può essere un peggioramento della sintomatologia. I sintomi GI includono la stipsi, la nausea, il vomito e le variazioni dell’appetito. Si possono avere un senso di peso o di tensione in sede pelvica e mal di schiena. Si può verificare, l’insorgenza di acne e neurodermatiti e l’aggravamento di altre patologie cutanee. I problemi respiratori (p. es., le allergie e le infezioni) e le affezioni a carico dell’occhio (p. es., i disturbi visivi e le congiuntiviti), possono peggiorare.

Terapia Il trattamento comporta l’eliminazione dei sintomi. La ritenzione di liquidi può essere eliminata riducendo l’assunzione di sodio e usando un diuretico (p. es., idroclortiazide 25-50 mg/die PO), iniziando subito prima di quando sono attesi i sintomi. I diuretici provocano l’escrezione del sodio e dell’acqua, ma non alleviano tutti i sintomi e possono non avere alcun effetto. I consigli del medico possono aiutare la donna e il suo partner a far fronte alla SPM e le attività della donna possono essere modificate per ridurre lo stress. Per alcune donne, la terapia ormonale è efficace. Questa include l’uso dei contraccettivi orali; il progesterone sotto forma di ovuli per via vaginale (200-400 mg/die) o per iniezione (5-10 mg IM in soluzione oleosa) per 10-12 giorni prima delle mestruazioni; un progestinico a lunga azione (p. es., il medrossiprogesterone acetato 200 mg IM q 2-3 mesi); un agonista dell’ormone per il rilascio della gonadotropina (p. es., leuprolide 3,75 mg IM o goserelin 3,6 mg IM al mese), seguito da una terapia estroprogestinica a basso dosaggio per eliminare le alterazioni del ciclo. I tranquillanti (p. es., una benzodiazepina) possono essere usati per l’irritabilità, il nervosismo e la perdita del controllo, specialmente se le pazienti non possono modificare gli stress ambientali. La modificazione della dieta (p. es., aumentando le proteine e riducendo gli zuccheri) e i supplementi di vitamine del complesso B (specialmente la piridossina, a volte con il magnesio) possono aiutare. Lo spironolattone, la bromocriptina e gli inibitori delle monoaminossidasi non hanno alcun effetto. Gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (p. es., la fluoxetina 20 mg/die PO, la sertralina 50 mg/die PO) sono i farmaci più efficaci per il trattamento dei sintomi psicologici e fisici della SPM.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO DISMENORREA PRIMARIA (Dismenorrea funzionale) Dolore periodico associato ai cicli ovulatori, senza alterazioni dimostrabili a carico dell’apparato riproduttivo.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

Il dolore sembra derivare dalle contrazioni e dall’ischemia dell’utero, probabilmente mediate dalle prostaglandine prodotte dall’endometrio secretivo; pertanto, la dismenorrea primaria è praticamente sempre associata ai cicli ovulatori. Fattori predisponenti possono includere il passaggio di materiale attraverso il canale cervicale, la presenza di un orifizio uterino stretto, la malposizione uterina, la mancanza di esercizio fisico e l’ansia nei riguardi delle mestruazioni. Questo comune disturbo inizia, in genere, durante l’adolescenza e tende a diminuire con l’età e dopo la gravidanza.

Sintomi e segni Il dolore, localizzato ai quadranti inferiori dell’addome è, in genere, crampiforme o a tipo colica, ma può essere anche un dolore sordo, costante che si irradia alla schiena o alle gambe. Il dolore può iniziare prima o contemporaneamente alle mestruazioni, tende a raggiungere l’acme dopo 24 h e, in genere, recede dopo 2 gg. A volte sono espulsi frammenti di endometrio (dismenorrea membranosa) o coaguli. Sono frequenti la cefalea, la nausea, la stipsi o la diarrea e la pollachiuria; talora si ha il vomito. I sintomi della SPM (v. sopra) possono persistere per parte o per tutto il periodo mestruale.

Terapia La donna deve essere rassicurata circa la normalità dei propri organi riproduttivi. Molte donne non hanno bisogno di farmaci, ma per quelle con sintomi fastidiosi, i farmaci più efficaci sono gli inibitori della prostaglandina-sintetasi (p. es., ibuprofene, naprossene, acido mefenamico). Un farmaco può essere più efficace se iniziato 24-48 h prima e continuato per 1 o 2 giorni dopo l’inizio delle mestruazioni. Se il dolore continua a interferire con le normali attività, è consigliabile ottenere la soppressione dell’ovulazione con i contraccettivi orali estroprogestinici a basso dosaggio. Si possano usare degli antiemetici. Possono essere d’aiuto un adeguato riposo, il sonno e un regolare esercizio fisico.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO DISMENORREA SECONDARIA (Dismenorrea acquisita) Dolore che accompagna le mestruazioni, causato da una patologia dimostrabile.

Sommario: Introduzione Terapia

L’endometriosi è una frequente causa di dismenorrea; anche l’adenomiosi ne può essere responsabile. Alcune donne hanno un orifizio uterino estremamente stretto (secondariamente a una conizzazione o a una crio- o termocauterizzazione); il dolore si manifesta quando l’utero tenta di espellere il tessuto attraverso l’orifizio. Un fibroma peduncolato sottomucoso o un polipo endometriale possono, occasionalmente, causare dolore crampiforme quando sono estrusi dall’utero. Una malattia infiammatoria della pelvi può causare un dolore diffuso e continuo ai quadranti inferiori dell’addome, che tende ad aumentare durante le mestruazioni. A volte, non può essere riscontrata alcuna causa.

Terapia Il trattamento iniziale è di tipo medico (p. es., gli inibitori della prostaglandinasintetasi, i contraccettivi orali, il danazolo, i progestinici). Per il trattamento dell’endometriosi, v. Cap. 239. Se possibile, vengono corretti il disordine di base o l’alterazione anatomica, con il miglioramento dei sintomi. La dilatazione di un orifizio cervicale stenotico può dare sollievo per 3-6 mesi (e permette una revisione diagnostica della cavità uterina, se necessaria). Possono essere necessarie la miomectomia, la polipectomia o la dilatazione e la revisione. L’interruzione dell’innervazione uterina mediante una neurectomia presacrale e la sezione dei legamenti sacro-uterini può essere di beneficio in pazienti selezionate. Anche l’ipnosi può essere utile.

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO AMENORREA INSUFFICIENZA OVARICA PREMATURA (Menopausa prematura) Disturbi in cui le donne con meno di 40 anni presentano sintomi e segni dovuti a un deficit di estrogeni e hanno elevati livelli di gonadotropine circolanti (specialmente di FSH) e bassi livelli di estradiolo.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Diversi disturbi possono causare un’insufficienza prematura dell’ovaio (v. Tab. 235-2).

Diagnosi I livelli delle gonadotropine sono elevati in tutte le pazienti. Il cariotipo deve essere determinato nelle pazienti al di sotto dei 30 anni che hanno una diagnosi di insufficienza ovarica sulla base degli elevati livelli di gonadotropine. La presenza di un cromosoma Y pone indicazione a una laparotomia o a una laparoscopia e all’asportazione di tutto il tessuto gonadico per prevenire la formazione di tumori, che si verifica nel 25% di queste donne. La valutazione genetica non è necessaria nelle donne > 35 anni con elevati livelli di gonadotropine perché le neoplasie gonadiche non sono state osservate in questo gruppo di pazienti; in queste donne si suppone la presenza di una menopausa prematura. Gli esami ematochimici per controllare le malattie autoimmuni, includono la VES, la ricerca del fattore reumatoide e degli anticorpi antinucleo. Altri test includono il dosaggio sierico del calcio e del fosforo per escludere la presenza di un ipoparatiroidismo, i test di funzionalità tiroidea e la ricerca degli anticorpi antitiroidei per escludere una tiroidite e una misurazione del cortisolo al mattino per escludere un iposurrenalismo, così come un emocromo completo e una proteinemia totale con il rapporto albumina/globuline. I livelli di gonadotropine e di estradiolo sono misurati settimanalmente, per 2-4 sett.; se i valori dell’LH sono sempre maggiori di quelli dell’FSH o se l’estradiolo è costantemente > 50 pg/ml devono essere presenti dei follicoli ovarici.

Terapia

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Alle donne che hanno un’insufficienza ovarica prematura e non desiderano avere una gravidanza deve essere prescritta una terapia estrogenica sostitutiva (come per le donne affette da un’anovulazione cronica e che non desiderano avere una gravidanza, v. sopra). Queste donne devono essere avvertite del fatto che la mancanza di sanguinamento in risposta alla somministrazione del progestinico può indicare una gravidanza (in circa il 5-10% dei casi). Per quelle che desiderano una gravidanza, una possibilità è rappresentata dalla donazione degli oociti, con la stimolazione di cicli artificiali utilizzando estrogeni e progesterone esogeni, in modo che gli oociti fecondati in vitro possano essere trasferiti in un endometrio opportunamente stimolato.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 235-2. CAUSE DI INSUFFICIENZA OVARICA PREMATURA Causa

Esempi

Difettosa azione o secrezione di gonadotropine

Difetti delle subunità α o β Difetti recettoriali o postrecettoriali delle gonadotropine (p.es., sindrome dell’ovaio resistente) Insufficienza ovarica prematura idiopatica Secrezione di gonadotropine biologicamente inattive

Difetti enzimatici

Deficit di 17α-idrossilasi Galattosemia

Alterazioni genetiche Precoce atresia dei follicoli ovarici ( idiopatica) Disgenesia gonadica (p.es., sindrome di Turner [45,X], disgenesia gonadica pura [46, XX o 46,XY] o mista) Distrofia miotonica Ridotto numero di cellule germinali Trisomia X, con o senza mosaicismo cromosomico Disturbi immunologi ci

Disordini autoimmuni, più frequentemente tiroidite, morbo di Addison, ipoparatiroidismo, diabete mellito, miastenia grave, vitiligine, anemia perniciosa e candidiasi mucocutanea Aplasia timica congenita Insufficienza ovarica isolata

Cause fisiche e ambientali

Farmaci chemioterapici (specialmente alchilanti) Fumo di sigaretta Irradiazione delle gonadi Asportazione chirurgica delle gonadi o degli annessi Infezioni virali

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO Eccessiva durata (menorragia) e/o quantità (menorragia o ipermenorrea) delle mestruazioni; mestruazioni troppo frequenti (polimenorrea); sanguinamenti non mestruali o intermestruali (metrorragia) o sanguinamenti postmenopausali (ogni perdita ematica che si verifica 6 o più mesi dopo l’ultimo ciclo mestruale normale alla menopausa). Il sanguinamento uterino anomalo è dovuto a cause organiche in circa il 25% delle pazienti e ad alterazioni funzionali dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio (sanguinamento uterino disfunzionale) nei restanti casi. L’età è il fattore più importante; le cause organiche, incluse le neoplasie ginecologiche, diventano più frequenti mano a mano che aumenta l’età. Il sanguinamento uterino disfunzionale (v. oltre) è la causa più frequente di sanguinamento uterino anomalo. Infanzia e adolescenza: le neonate possono avere delle perdite ematiche della durata di pochi giorni, a causa della stimolazione dell’endometrio da parte degli estrogeni placentari nel corso della vita intrauterina. Ogni altra perdita ematica, proveniente dal tratto genitale durante l’infanzia, è rara e deve essere studiata. Le cause più comuni sono le lesioni traumatiche accidentali della vulva e della vagina. Anche le vaginiti (spesso dovute a un corpo estraneo), il prolasso del meato uretrale e le neoplasie ginecologiche possono causare un sanguinamento. I tumori ovarici generalmente non provocano un sanguinamento uterino a meno che non siano endocrinologicamente attivi. La pubertà precoce (v. anche Cap. 275) deve sempre essere considerata nei sanguinamenti dell’infanzia e può, di solito, essere riconosciuta dallo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie. La causa del sanguinamento è sconosciuta in molti casi, ma può essere dovuta all’ingestione di farmaci, a lesioni del SNC, a ipotiroidismo o a tumori ovarici o surrenalici. Il sanguinamento e le perdite vaginali sono i sintomi iniziali in oltre l’80% dei casi di adenosi vaginale e di adenocarcinoma a cellule chiare della vagina e della cervice. Queste lesioni sono state correlate all’esposizione al dietilstilbestrolo nel corso della vita intrauterina e vengono diagnosticate con lo striscio citologico e con le biopsie mirate, previa colposcopia, delle zone sospette. A meno che non sia presente una neoplasia, la maggior parte delle lesioni non richiede alcun trattamento, ma deve essere periodicamente controllata. Età riproduttiva: i disturbi ematologici primitivi o secondari, con anomalie della coagulazione, possono causare dei sanguinamenti atipici nel corso dell’età riproduttiva. Una valutazione ematologica è indicata nelle adolescenti e nelle donne che hanno un’anamnesi suggestiva di alterazioni della coagulazione. Per esempio, il sanguinamento uterino disfunzionale è la più frequente presentazione della malattia di von Willebrand nelle donne. Le complicanze della gravidanza sono le più frequenti cause organiche di sanguinamenti atipici nelle donne in età riproduttiva. Circa metà delle pazienti con sanguinamento uterino e sintomi di gravidanza o che si trovano con certezza nelle prime fasi della gravidanza, abortiscono spontaneamente. Le importanti diagnosi differenziali includono la gravidanza ectopica (v. Cap. 252) e la malattia trofoblastica gestazionale (v. Cap. 241). Le endometriti e l’aborto settico incompleto provocano, in genere, un’emorragia subito dopo il parto o l’aborto, anche se occasionalmente si possono presentare 2 sett. dopo (v. Cap. 254). file:///F|/sito/merck/sez18/2352079.html (1 of 3)02/09/2004 2.42.33

Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Il sanguinamento vulvare nell’età riproduttiva è quasi sempre dovuto a un trauma. Le lesioni vaginali che causano un sanguinamento includono l’adenosi vaginale e le neoplasie (v. Cap. 241). Le vaginiti causano un sanguinamento più frequentemente nelle bambine e nelle donne in post-menopausa, dato che in tali periodi la loro mucosa vaginale è più sottile, ma nei casi gravi possono causare delle perdite ematiche anche durante l’età riproduttiva. Il tessuto granulomatoso che si forma in seguito a interventi chirurgici (specialmente l’isterectomia), può essere causa di sanguinamento, ma deve essere bioptizzato per poter escludere una neoplasia. Anche se la cauterizzazione con il nitrato d’argento o con la crioterapia può arrestare il sanguinamento nella maggior parte dei casi, in caso di lesioni estese può essere necessaria l’escissione chirurgica. Le lesioni cervicali che causano dei sanguinamenti includono il cancro della cervice (v. Cap. 241), le lesioni cervicali benigne, la cervicite (causa raramente un sanguinamento, tranne quando associata a un ectropion cervicale, ma può causare delle perdite vaginali con tracce di sangue), i polipi cervicali o endometriali (che causano un sanguinamento postcoitale), i miomi sottomucosi (che causano un sanguinamento intermestruale, una metrorragia o una polimenorrea) e i condilomi acuminati della cervice. L’adenomiosi (l’invasione benigna dell’endometrio nel miometrio) è un’affezione comune che causa una sintomatologia solo in una piccola percentuale di pazienti, in genere tardivamente durante la vita riproduttiva. La menorragia e i sanguinamenti intermestruali sono i disturbi più comuni, seguiti da dolori pelvici aspecifici e dal tenesmo rettale e vescicale. All’esame della pelvi, l’utero può apparire ingrandito, globoso e di consistenza diminuita rispetto alla norma e possono essere presenti dei fibromi (leiomiomi). Una RMN aiuta a fare la diagnosi prima dell’intervento chirurgico. L’isterectomia allevia i sintomi in tutte le pazienti se la diagnosi era stata accurata. Gli steroidi contraccettivi e gli agonisti del GnRH non sono molto efficaci. In circa il 40% delle donne intorno ai 40 anni sono presenti dei fibromi nell’utero; solo alcuni sono sintomatici e richiedono un trattamento. Possono causare qualunque tipo di sanguinamento anomalo (v. Cap. 240). Le cisti ovariche funzionali sono relativamente comuni e in più del 50% delle pazienti si presentano con irregolarità mestruali, che vanno dall’amenorrea alla menorragia. Nelle giovani donne, le masse annessiali cistiche possono scomparire spontaneamente. Le masse annessiali di diametro > 5 cm che persistono per > 1 mese richiedono l’esplorazione chirurgica per poter escludere la presenza di una neoplasia. Qualunque tumore ovarico può provocare un sanguinamento uterino, ma il sanguinamento è frequente solo nelle neoplasie endocrinologicamente attive (v. Cap. 241). Anche le disfunzioni tiroidee possono associarsi a irregolarità mestruali. Sebbene siano più comuni l’oligomenorrea e l’amenorrea, si può avere anche una menorragia. Post-menopausa: in ogni donna in post-menopausa che riferisca un sanguinamento uterino, deve essere esclusa la presenza di una neoplasia ginecologica (v. Cap. 241). Le più frequenti condizioni benigne che causano un sanguinamento in post-menopausa sono la vaginite atrofica, l’atrofia dell’endometrio, i polipi endometriali e l’iperplasia dell’endometrio. La causa del sanguinamento nell’atrofia dell’endometrio non è chiara. I polipi endometriali non necessitano di ulteriore terapia dopo il raschiamento diagnostico, ma le pazienti devono essere tenute sotto controllo per le possibili recidive. L’iperplasia endometriale, di solito, deve essere trattata con un progestinico o con l’isterectomia (v. oltre).

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252.ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA GRAVIDANZA ECTOPICA Gravidanza in cui l’impianto si verifica al di fuori dell’endometrio e della cavità uterina, cioè a livello della cervice, delle tube, dell’ovaio o della cavità addominale o pelvica.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L’incidenza (1 ogni 100-200 gravidanze accertate) è in aumento ed è più alta nelle donne di razza non bianca. Il rischio di una gravidanza ectopica aumenta in caso di pregresse affezioni tubariche, di pregresse gravidanze ectopiche (dal 10 al 25%), di esposizione al DES o di aborti provocati. Il rischio di una gravidanza (incluse le ectopiche) con un dispositivo intrauterino in sede è piccolo (v. Cap. 246); tuttavia, se si verifica la gravidanza, il rischio che sia ectopica è molto più alto del normale. La sede di impianto ectopico più comune è la tuba. Nel 50% dei casi, l’impianto tubarico è secondario a una pregressa infezione della tuba stessa. Le gravidanze cervicali, ovariche e addominali sono rare. Il tasso di mortalità a seguito di una gravidanza ectopica è diminuito, ma meno rapidamente di quello della mortalità materna in generale. Negli USA è calcolato pari a 1 su 826. La gravidanza ectopica non trattata ha, in genere, un esito fatale.

Sintomi, segni e diagnosi In una gravidanza tubarica, insorgono delle perdite ematiche e un dolore crampiforme, in genere poco tempo dopo la prima mestruazione mancata. I sintomi sono, quindi, simili a quelli che si hanno nella minaccia d’aborto. L’emorragia graduale dalle tube causa dolore e senso di tensione pelvica; l’emorragia rapida dovuta alla rottura della tuba causa ipotensione o shock. Spesso, il sanguinamento uterino precede il dolore crampiforme e l’emorragia tubarica. L’esame obiettivo evidenzia i segni della emorragia, dello shock e dell’irritazione peritoneale nei quadranti inferiori dell’addome, che può essere riferita a un solo lato. Alla visita ginecologica, l’utero è ingrandito (ma è più piccolo rispetto all’epoca di amenorrea), il collo è dolorabile alla mobilizzazione e si può palpare una massa dolente in uno degli annessi. Il Douglas può apparire rigonfio. Se una gravidanza ectopica non è scoperta per 6-8 sett., si può avere un dolore improvviso e acuto ai quadranti inferiori dell’addome, seguito da una perdita di coscienza. Questi sintomi indicano, in genere, la rottura della tuba con la conseguente emorragia intra-addominale. Le gravidanze interstiziali (angolari, cornuali), rimangono vitali più a lungo,

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Anomalie della gravidanza

perché la parete dell’utero è più resistente e quindi ritarda la rottura. L’utero è, di solito, asimmetrico e, talvolta, dolorabile alla palpazione. I segni più comuni comprendono il dolore crampiforme e le perdite ematiche. Le gravidanze angolari si interrompono tra la 12a e la 16a sett. e la rottura è spesso catastrofica, con uno shock rischioso per la vita della paziente; può essere necessaria l’esecuzione di un’isterectomia. Se il test per le β-hCG nel siero o nelle urine è positivo e si sospetta una gravidanza ectopica, si deve eseguire un’ecografia. Le titolazioni seriate delle βhCG possono essere d’aiuto nei casi dubbi. Nella gravidanza normale il loro titolo raddoppia q 48-72 h; nella gravidanza ectopica può risultare inferiore rispetto a quanto ci si aspetterebbe per l’epoca gestazionale e, di solito, non raddoppia normalmente. Quando il titolo delle β-hCG è pari a 6500 mUI/ml in una gravidanza normale, l’ecografia transvaginale o addominale identifica una camera gestazionale nell’utero; un utero vuoto indica, molto verosimilmente, una gravidanza ectopica. Se, in aggiunta, si riscontra la presenza di una massa in sede annessiale, la diagnosi è verosimile. La culdocentesi può essere d’aiuto; il sangue aspirato dal cul-de-sac, in genere, non coagula. La laparoscopia conferma la diagnosi.

Terapia Anche se una gravidanza tubarica viene diagnosticata prima che avvenga la rottura, il trattamento è, di solito, chirurgico. Tuttavia, se la gravidanza tubarica non ha causato rotture ed è < 3,5 cm di diametro e se non è presente un’attività cardiaca fetale, può essere impiegato un trattamento medico con metotrexato, 50 mg/m2 IM in una singola dose. Il monitoraggio con il titolo delle β-hCG e con l’ecografia è obbligatorio. Circa il 10-30% di questi casi richiede l’intervento chirurgico. Quando si ricorre all’intervento chirurgico, bisogna fare di tutto per conservare la tuba eseguendo una salpingotomia e l’evacuazione del prodotto del concepimento, con o senza la riparazione della tuba. Nella maggior parte dei casi la laparoscopia con elettrocauterio o con il laser può permettere una salpingotomia con buon esito, senza dover ricorrere a una laparotomia. Se si deve resecare una parte della salpinge danneggiata, bisogna cercare di salvarne il più possibile. Un eventuale intervento ricostruttivo può in futuro consentire una successiva gravidanza. Dopo una gravidanza interstiziale, la tuba e l’ovaio coinvolti possono, di solito, essere risparmiati; l’utero può essere riparato, ma può essere necessario il reimpianto della tuba. Raramente, la riparazione è impossibile e si deve, quindi, eseguire un’isterectomia.

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Assistenza nel post-partum

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 254. ASSISTENZA NEL POST-PARTUM EMORRAGIA NEL POST-PARTUM Perdita di sangue > 500 ml durante o dopo il 3o stadio del travaglio.

Sommario: Introduzione Terapia

Dopo l’infezione, l’emorragia del post-partum è la causa più frequente di mortalità materna. Le cause variano e per la maggior parte sono evitabili. L’emorragia dalla sede di inserzione placentare è associata a un utero atonico, risultato della sovradistensione, del travaglio prolungato o disfunzionale, della grande multiparità e di un’anestesia miorilassante. L’emorragia può essere dovuta anche a delle lacerazioni, alla ritenzione del prodotto del concepimento o all’ipofibrinogenemia. Le emorragie nel post-partum dovute a una subinvoluzione dell’inserzione placentare si verificano, in genere, precocemente, ma possono verificarsi anche dopo un mese dal parto.

Terapia Il trattamento, come per le infezioni, inizia con la prevenzione. La correzione, prima del parto, dell’anemia; il riconoscimento dei fibromi uterini, dell’idramnios o delle gravidanze multiple e l’identificazione di un gruppo sanguigno raro o l’anamnesi di una pregressa emorragia puerperale sono utili. È sempre prudente eseguire i parti con attenzione, senza fretta e con la minima invasività. Dopo il distacco della placenta, 10 U di ossitocina IM o di ossitocina diluita in infusione (10 o 20 U/1000 ml a una velocità di 100-125 ml/ h per 1-2 ore) assicurano, in genere, la contrazione uterina e riducono l’inevitabile perdita di sangue. La placenta deve essere attentamente esaminata per accertarsi che sia completa. Se è incompleta, la cavità uterina deve essere esplorata manualmente e i frammenti mancanti devono essere rimossi. Se la placenta non si distacca spontaneamente entro 45-60 minuti dal parto, è opportuno eseguire il secondamento manuale. Raramente si deve effettuare un raschiamento per rimuovere dei frammenti di placenta infetti e di decidua. Le contrazioni uterine e la quantità del sanguinamento vaginale devono essere controllate per un’ora dopo il completamento del 3o stadio del travaglio. Se si verifica un’emorragia, è necessario eseguire un massaggio bimanuale e iniziare un’infusione EV di ossitocina. Se il sanguinamento persiste, si deve reintegrare il sangue perduto e si deve esplorare l’utero per individuare eventuali lacerazioni o frammenti di placenta ritenuti. Anche il collo e la vagina devono essere esaminati. L’iniezione di carboprost trometamina, 250 µg, direttamente nel miometrio, deve essere tentata se continua un sanguinamento eccessivo durante la somministrazione di ossitocina. Se le contrazioni non possono essere stimolate in un utero refrattario e atonico, può essere necessario effettuare la legatura delle arterie ipogastriche o l’isterectomia.

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Assistenza nel post-partum

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Fibromi uterini

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 240. FIBROMI UTERINI (Leiomiomi; miomi; fibromiomi) Tumori uterini benigni di origine muscolare liscia.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e trattamento

I fibromi uterini sono le più frequenti neoplasie pelviche, verificandosi in un 1/4 delle donne bianche e in 1/2 quelle nere. Nell’utero, le sedi più frequenti sono quelle sottomucosa, intramurale e sottosierosa. A volte, i fibromi si localizzano nel legamento largo (intralegamentosi) o nelle tube uterine; il 5% interessa la cervice. I fibromi sono, di solito, multipli. Alcuni sono peduncolati. I fibromi sono monoclonali, originando probabilmente da una singola cellula muscolare liscia. Avendo dei recettori per gli estrogeni, tendono ad aumentare di dimensioni durante il corso della vita riproduttiva e regrediscono dopo la menopausa. La degenerazione inizia con la riduzione della vascolarizzazione ed è descritta come ialina, mixomatosa, calcifica, cistica, grassa, rossa (di solito solo durante la gravidanza) o necrotica. Sebbene le pazienti siano spesso preoccupate della presenza di una degenerazione neoplastica, la trasformazione sarcomatosa è estremamente rara.

Sintomi e segni I fibromi sono spesso asintomatici, ma possono provocare una menorragia, una menometrorragia, importanti compressione e dolore (per la crescita, la degenerazione, l’emorragia o la torsione di un fibroma peduncolato), disturbi urinari o intestinali (p. es., pollachiuria o tenesmo vescicale, stipsi), aborti ricorrenti e infertilità. La degenerazione o la crescita di un fibroma causa un dolore acuto che può diventare cronico con il perdurare della degenerazione. I fibromi, di solito, non interferiscono con la possibilità di avere una gravidanza; tuttavia, possono complicare la gravidanza, causando prematuramente delle contrazioni o il travaglio o una malpresentazione e possono anche obbligare al parto cesareo.

Diagnosi e trattamento La diagnosi è fatta all’esame obiettivo della pelvi e può essere confermata dall’ecografia, dalla TC o dalla RMN. Un esame della pelvi viene poi ripetuto dopo 4-6 mesi per accertare la velocità di crescita del fibroma. Per i fibromi stabili, è sufficiente un controllo annuale.

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Fibromi uterini

Per le pazienti asintomatiche, non è richiesto alcun trattamento. Per le pazienti con sintomi, le opzioni mediche, che prevedono la soppressione della secrezione estrogenica per arrestare il sanguinamento, non sono ottimali e sono, comunque, limitate. La terapia preoperatoria con l’ormone per il rilascio delle gonadotropine (GnRH) è utile per il trattamento dell’anemia prima dell’intervento chirurgico. La menorragia o la menometrorragia devono essere trattate prima che l’intervento venga preso in considerazione (v. Sanguinamenti uterini anomali nel Cap. 235). I progestinici esogeni possono sopprimere, in parte, la stimolazione estrogenica della crescita del fibroma uterino. Il medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO o il megestrolo acetato, 10-20 mg/die PO, somministrati per 10-14 gg durante ogni ciclo mestruale, possono limitare i sanguinamenti importanti già dopo uno o due cicli. In alternativa, la terapia orale può essere somministrata continuativamente (ogni giorno del mese); può causare una riduzione del sanguinamento globale, ma spesso provoca dei sanguinamenti irregolari o delle perdite ematiche, che la paziente accetta meglio se ne è stata informata prima dell’inizio della terapia. Il medrossiprogesterone acetato depot, 150 mg IM q 3 mesi, controlla il sanguinamento come la terapia orale continua, ma fornisce anche una contraccezione. Prima della somministrazione IM, i progestinici devono essere provati per via orale in modo da assicurarsi che la paziente possa tollerarne gli effetti collaterali (p. es., l’aumento di peso, la depressione, il sanguinamento irregolare). Il danazolo, un agonista androgenico, può sopprimere la crescita del fibroma, ma ha un’elevata incidenza di effetti collaterali (p. es., aumento di peso, acne, irsutismo, edema, perdita dei capelli, abbassamento della tonalità della voce, vampate, sudorazione, secchezza vaginale) ed è perciò meno gradito dalla paziente. Gli agonisti dell’GnRH somministrati per iniezione IM, sottocutanea o per spray nasale sono più utili quando usati preoperatoriamente per ridurre il volume del fibroma e dell’utero. In genere, questi farmaci non devono essere usati per il trattamento continuativo perché è frequente una crescita di rebound fino alle dimensioni pre-trattamento entro 6 mesi, spesso con un aumento del sanguinamento e del dolore. La terapia a lungo termine con l’GnRH è associata anche a una rapida perdita di tessuto osseo ed è perciò sconsigliata. Complessivamente, le donne < 35 anni recuperano la massa ossea dopo l’interruzione della terapia con GnRH, ma lo stesso non succede nelle donne 35 anni. La contemporanea somministrazione di estrogeni è in studio per accertare se il suo uso prolungato possa prevenire la perdita di tessuto osseo. Le opzioni chirurgiche sono la miomectomia e l’isterectomia; entrambi sono degli interventi maggiori. La chirurgia è, di solito, riservata alle donne che hanno una massa pelvica in rapida crescita, un sanguinamento uterino ricorrente che non risponde al trattamento medico, un dolore o una compressione persistenti o intollerabili o dei disturbi urinari o intestinali. La miomectomia può essere utile nelle donne che hanno aborti ricorrenti o sono infertili e che vogliono avere una gravidanza quando nessun’altra causa di infertilità viene identificata. Le indicazioni per l’isterectomia sono le stesse della miomectomia, ma l’isterectomia è eseguita solo se la donna non vuole più avere delle gravidanze. La miomectomia multipla può essere molto più difficile dell’isterectomia. Quando i fibromi vengono rimossi, può rimanere solo una piccola quantità di miometrio sano, rendendo impossibile la ricomposizione di un utero normale. La scelta della paziente è importante, ma deve essere basata su informazioni complete circa le anticipate difficoltà e sequele della miomectomia rispetto all’isterectomia.

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Dolore pelvico

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 237. DOLORE PELVICO Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia DOLORE PELVICO CICLICO DOLORE PELVICO NON CICLICO

Il dolore pelvico è un sintomo comune. Può originare in organi pelvici o extrapelvici o può essere secondario a una malattia sistemica. A volte non viene trovata alcuna causa. Il dolore pelvico può essere dovuto a un’emergenza chirurgica (p. es., la torsione di una cisti ovarica, una gravidanza ectopica, la rottura di un ascesso tuboovarico, un’appendicite, una perforazione intestinale). Il dolore pelvico cronico (che dura 6 mesi) può richiedere un intervento chirurgico e può essere debilitante.

Diagnosi Stabilire se il dolore è ciclico o non ciclico può essere d’aiuto nell’accertarne la causa. Tuttavia, i disturbi che causano un dolore ciclico occasionalmente causano un dolore non ciclico e viceversa. Anamnesi: un’anamnesi completa, che includa il tipo, la localizzazione, l’irradiazione, lo stato (stabile o d’intensità crescente o decrescente) e l’inizio (le circostanze e la repentinità) del dolore, può aiutare a identificare la causa (v. Tab. 237-1). La paziente deve essere interrogata su qualunque fattore che aumenti o allevi il dolore e se il dolore è correlato alle mestruazioni, al movimento, alla minzione, alla defecazione, all’attività sessuale, al sonno o al mangiare. L’anamnesi deve includere i pregressi interventi chirurgici e gli episodi di malattia infiammatoria della pelvi. La paziente deve essere interrogata circa il precedente trattamento del dolore e circa la sua efficacia. Deve essere raccolta una dettagliata anamnesi mestruale (che includa l’età del menarca, la regolarità dei cicli e la loro lunghezza, la durata delle mestruazioni e la quantità del sangue perduto). Si deve accertare se il dolore è iniziato con il menarca o se è relativamente nuovo. Esame obiettivo: l’esame obiettivo generale può essere utile dal punto di vista diagnostico; p. es., un’alterata postura e le difficoltà alla deambulazione suggeriscono una causa muscolo- scheletrica. L’addome è esaminato per la dolorabilità o per la presenza di masse. Se viene identificata una zona dolorabile, si deve chiedere alla paziente se il dolore è lo stesso del disturbo primitivo. Esame pelvico: l’esame dell’introito vaginale include l’esame colturale di un file:///F|/sito/merck/sez18/2372084.html (1 of 6)02/09/2004 2.42.41

Dolore pelvico

campione ottenuto con un tampone di cotone per identificare agenti (p. es., Candida sp) responsabili delle sindromi del dolore vulvare, inclusa la vestibolite vulvare, una causa di dispareunia. Un esame digitale sequenziale per via vaginale della vescica, dell’uretra, della cervice, dei fornici, del retto e dei muscoli elevatori può aiutare a differenziare il dolore pelvico da un dolore dei muscoli dell’addome inferiore. Il dolore vescicale e uretrale, associato a disturbi come la cistite interstiziale, può essere evocato quando viene palpata la parete anteriore della vagina. Lo spasmo dei muscoli elevatori è presente se il dolore è avvertito quando sono palpati i muscoli elevatori dietro la parete posteriore della vagina. La valutazione della dolorabilità al movimento della cervice, del dolore nei fornici vaginali e della dolorabilità annessiale può aiutare a differenziare la malattia infiammatoria della pelvi o l’endometriosi dalle aderenze. Durante l’esame bimanuale sono valutate le dimensioni dell’utero, la sua dolorabilità e mobilità. Un utero marcatamente ingrandito e voluminoso suggerisce la presenza di fibromi; un utero moderatamente ingrandito, pastoso e simmetrico suggerisce la presenza di un’adenomiosi. La fissità dell’utero può indicare la presenza di aderenze o di un’endometriosi. Una nodularità uterosacrale (confermata dall’esame rettale) suggerisce la presenza di un’endometriosi. L’esplorazione rettale deve sempre essere eseguita e le feci devono essere esaminate per la presenza del sangue occulto. Procedure speciali: i test di laboratorio sono di valore limitato nella valutazione delle pazienti con dolore pelvico. Deve essere eseguito un test di gravidanza sul siero o sulle urine. Nelle pazienti con sanguinamenti, la misurazione dell’Hb o dell’Htc identifica la presenza di uno stato anemico. La misurazione della VES o della proteina C-reattiva può aiutare a identificare un processo infiammatorio o infettivo. L’ecografia può essere d’aiuto se l’esame fisico è difficile (p. es., se la paziente ha dolore) o se si sospetta una massa annessiale. Tuttavia, risultati ecografici inconcludenti possono confondere ulteriormente la diagnosi, causando il ricorso a test addizionali e/o a un intervento chirurgico non necessario. La laparoscopia diagnostica è appropriata se la paziente ha un dolore importante e la diagnosi non è chiara, se una patologia è sospettata sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo o se la paziente non risponde o risponde scarsamente alla terapia medica (p. es., i contraccettivi orali, i FANS). La laparoscopia può confermare la diagnosi e fornire la documentazione istologica. Può confermare anche la presenza di un’anomalia anatomica della pelvi o degli organi addominali.

Terapia Il trattamento deve essere mirato, se possibile, alla causa specifica del dolore. Tuttavia, il trattamento sintomatico con i FANS è spesso la sola possibilità. Le pazienti che hanno una scarsa o parziale risposta a un FANS possono rispondere bene a un altro. L’ipnosi aiuta ad alleviare il dolore pelvico dovuto a cause funzionali non suscettibili di trattamento chirurgico. L’asportazione dei nervi utero-sacrali è riservata alle pazienti con un dolore pelvico centrale o una dismenorrea che non rispondono alla terapia medica. Le complicanze a lungo termine sono sconosciute. La neurectomia presacrale è riservata alle pazienti con dolore pelvico centrale, dismenorrea, dispareunia profonda o dolore sacrale che non rispondono alla terapia conservativa. L’isterectomia è riservata alle pazienti con dolore pelvico cronico che non risponde al trattamento medico o chirurgico conservativo. Le pazienti senza malattia pelvica conosciuta devono essere informate che il dolore può permanere o anche peggiorare dopo l’isterectomia. Il blocco dei nervi o la loro sezione possono essere di aiuto nelle neoplasie inoperabili, ma sono di scarsa utilità se sono presenti delle metastasi. Il blocco file:///F|/sito/merck/sez18/2372084.html (2 of 6)02/09/2004 2.42.41

Dolore pelvico

nervoso può essere eseguito, dopo gli esami, anche in alcune donne con sindromi dolorose croniche gravi di origine sconosciuta.

DOLORE PELVICO CICLICO Il dolore pelvico ciclico si verifica nel 30-50% delle donne in età riproduttiva; è grave abbastanza da interferire con le normali attività nel 10-15% dei casi. Il dolore ciclico può suggerire una causa pelvica, ma non tutti i dolori che si verificano durante il ciclo mestruale hanno un’origine pelvica. Può essere dovuto a disturbi che interessano altri organi addominali, a disturbi psicosomatici o a disturbi muscolo-scheletrici. La sindrome premestruale (SPM) può causare un senso di peso pelvico o un senso di pressione e dolore al dorso, che si verifica 7-10 gg prima e scompare dopo l’inizio delle mestruazioni (v. Cap. 235). Il dolore intermestruale (importante dolore a metà del ciclo dovuto all’ovulazione) si verifica frequentemente. La rottura del follicolo e la conseguente irritazione del peritoneo (da parte del fluido e/o sangue proveniente dal follicolo rotto) può causare il dolore. Il dolore, sebbene talvolta grave, si risolve spontaneamente. Le pazienti devono essere monitorate e devono assumere dei FANS. La dismenorrea (dolore correlato al ciclo mestruale) può essere primaria o secondaria (v. Cap. 235). La maggior parte delle donne ha una dismenorrea primaria in un qualche momento nel corso della vita. Il dolore è crampiforme o trafittivo ed è presente nei primi giorni del periodo mestruale. Può irradiarsi al dorso, alle cosce o profondamente nella pelvi. Occasionalmente, si verificano nausea o vomito. La dismenorrea secondaria può essere dovuta all’endometriosi o a una stenosi cervicale o, se associata con un flusso mestruale abbondante, alla presenza di fibromi (v. Cap. 240), di un’adenomiosi o di grossi polipi endometriali. L’uso degli agonisti per il rilascio delle gonadotropine al fine di arrestare la dismenorrea secondaria associata con la SPM può essere d’aiuto per la diagnosi, ma il suo uso a lungo termine (> 6 mesi) richiede cautela e la somministrazione contemporanea di estrogeni esogeni. L’associazione di antidepressivi allevia il dolore attraverso un blocco nervoso periferico e una stimolazione centrale. L’endometriosi può causare un dolore lieve o grave, probabilmente per l’irritazione delle fibre dolorose peritoneali (v. Cap. 239). Nelle sue fasi precoci, l’endometriosi causa un dolore ciclico, che inizia diversi giorni prima delle mestruazioni e continua nei primi giorni del ciclo. Tuttavia, quando il disturbo diventa cronico, il dolore si verifica, di solito, in momenti diversi non correlati alle mestruazioni.

DOLORE PELVICO NON CICLICO Di origine pelvica: un improvviso, importante dolore pelvico associato a una massa pelvica indica un grave disordine sottostante. Un utero incarcerato può causare un dolore pelvico acuto nelle fasi precoci della gravidanza ed è, di solito, associato con la retroversione e con aderenze pelviche. Anche la crescita improvvisa o la degenerazione acuta di un mioma uterino possono causare un dolore acuto. Una gravidanza ectopica si manifesta con un dolore pelvico acuto, irregolarità mestruali e una massa annessiale (v. Cap. 252). Le cisti e le masse ovariche sono frequentemente asintomatiche, ma possono causare un senso di pressione, dolore o pesantezza. Un improvviso dolore acuto

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Dolore pelvico

può indicare la rottura, la torsione annessiale o l’emorragia. L’emorragia in una cisti o la filtrazione nella pelvi è molto comune e produce un dolore importante. La rottura di una cisti dermoide può causare una grave peritonite chimica. Nel caso della torsione di una cisti ovarica, il peduncolo può essere detorto se sembra vitale. Una vena ovarica trombizzata dopo una torsione prolungata richiede l’asportazione dell’ovaio interessato per prevenire una successiva tromboembolia. La malattia infiammatoria acuta della pelvi (salpingite, endometrite) è, di solito, bilaterale ed è associata a un grave dolore addominale basso e a una dolorabilità al movimento della cervice (v. Cap. 238). Di solito, accompagnano il dolore la febbre, la leucocitosi e una secrezione cervicale mucopurulenta. La nausea e il vomito sono poco frequenti. L’ascesso tubo-ovarico è una complicanza tardiva e la sua rottura può causare una temporanea riduzione del dolore, che è però seguita da un improvviso, grave e incessante dolore e da un deterioramento delle condizioni generali che richiedono il trattamento chirurgico. La sindrome da congestione pelvica si manifesta con un dolore che insorge 710 giorni prima delle mestruazioni. Il dolore è più grave quando la donna è seduta o sta in piedi ed è alleviato dalla posizione supina. Si pensa che questa sindrome sia causata dalla congestione vascolare o dalla varicosità delle vene pelviche. È spesso associata a un dolore localizzato nella parte inferiore del dorso, nelle gambe, alla dispareunia e, meno frequentemente, a sintomi simili a quelli della SPM, quali la stanchezza, la labilità dell’umore, la cefalea e la distensione addominale. All’esame obiettivo, l’utero è, di solito, dolorabile e il dolore è uguale a quello provato durante il rapporto sessuale. Solitamente, risponde ai FANS. La retroversione dell’utero è una rara causa di dolore pelvico. I sintomi includono il senso di pressione pelvica e il dolore al dorso. Il tentativo coronato da successo con un pessario predice la buona risposta alla chirurgia. Possono essere eseguite in base al desiderio della paziente di avere dei bambini, un’isterectomia vaginale o la sospensione dell’utero. Le aderenze dovute a un precedente intervento o a un’infezione pelvica possono causare dolore. Le pazienti devono essere avvertite del fatto che la rimozione delle aderenze (adesiolisi) può peggiorare il dolore e che anche se l’intervento ha successo, le aderenze possono riformarsi e causare ulteriore dolore. La dispareunia da penetrazione profonda (v. Cap. 243) senza anomalie intrinseche è frequente. Istruire il partner a ridurre la profondità della penetrazione durante il rapporto sessuale può essere di aiuto. La neoplasia pelvica è una rara causa di dolore pelvico (v. Cap. 241). La vulvodinia (dolore vulvare) è un dolore senza una causa apparente. La cicatrice di un’episiotomia ne può essere responsabile. Deve essere esclusa la vestibolite e devono essere prese in considerazione le cause psicogene. Di origine extrapelvica: il dolore può essere riferito dagli organi extrapelvici alla pelvi. Il dolore pelvico può essere dovuto a problemi GI in oltre il 60% dei casi. Poiché l’intestino e gli organi pelvici condividono l’innervazione viscerale, il dolore ai quadranti addominali inferiori di origine GI è spesso confuso con quello di origine pelvica. La peritonite dovuta a un’infezione pelvica è di difficile distinzione da quella dovuta a un’appendicite. Il rapporto del dolore con i pasti o con la defecazione indicano la presenza di un problema GI. L’alternarsi della stipsi e della diarrea, l’attenuazione del dolore dopo la defecazione, l’improvvisa necessità di defecare dopo un pasto o il peggioramento del dolore con lo stress indicano una sindrome dell’intestino irritabile o del colon spastico. La dispareunia può essere legata alla sindrome dell’intestino irritabile. Feci dure e rare, con dolore durante o dopo l’evacuazione, un senso di pienezza rettale o una sensazione di evacuazione incompleta file:///F|/sito/merck/sez18/2372084.html (4 of 6)02/09/2004 2.42.41

Dolore pelvico

indicano una stipsi cronica. Un dolore ricorrente nel quadrante inferiore di sinistra con febbre, specialmente in una donna > 40 anni, indica una diverticolite. La malattia infiammatoria dell’intestino, indicata da una dolorabilità del retto e il cancro sono poco frequenti, ma devono essere esclusi. Le emergenze chirurgiche, come l’appendicite, di solito, si manifestano più acutamente, ma devono essere prese in considerazione. Se il dolore non aumenta, è indicata un’ulteriore ricerca delle cause, prima di iniziare il trattamento. L’ecografia durante l’episodio può rivelare una calcolosi della colecisti o dei calcoli ureterali. In pazienti selezionate, sono appropriati una sigmoidoscopia, una colonscopia o un clisma opaco. I sintomi tipici dei problemi delle vie urinarie includono la pollachiuria, la disuria, il bruciore, la febbre, i brividi, l’ematuria e il dolore a tipo colica ureterale. A volte, l’unico reperto è una dolorabilità sovrapubica o in corrispondenza dell’area del trigono. L’analisi delle urine, la cistouretroscopia e gli studi urodinamici sono utili per la diagnosi. Difficoltà a urinare dopo il coito indicano la sindrome uretrale (disuria e pollachiuria senza batteriuria), con o senza un’uretrite cronica. Questa sindrome può richiedere una dilatazione uretrale. Una volta che i sintomi sono migliorati, la donna deve urinare regolarmente dopo il coito per ridurre il rischio di recidiva. Il dolore che si irradia in basso alle gambe o che è peggiorato dal movimento indica la presenza di un problema muscolo-scheletrico. Anche una postura errata, un’andatura anormale, una scoliosi, lo stare in piedi su di un solo lato, una lordosi lombare marcata, una discrepanza nella lunghezza degli arti inferiori, un pregresso intervento chirurgico con una diagnosi di pelvi normale o una storia di un trauma basso del dorso indicano una causa muscolo-scheletrica. Il rilassamento pelvico sintomatico (cistocele, rettocele o prolasso uterino) o i tumori pelvici possono causare sintomi da compressione, senso di peso pelvico o una sensazione di "organi che protrudono dalla vagina." La lombalgia, un disturbo frequente, è causato, più spesso, da una errata postura, dalla mancanza di esercizio, dal trauma o da una malattia scheletrica (p. es., osteoporosi, rottura di un disco intervertebrale, osteoartrite, tumore osseo) che da un disordine ginecologico. La diastasi della sinfisi pubica è una rara causa di dolore pelvico, più frequentemente secondaria a una gravidanza. Una storia di dolore pubico che insorge durante la deambulazione e il dolore alla pressione dell’osso pubico durante l’esame obiettivo dell’addome o durante l’esame della pelvi, permettono la diagnosi. La paziente è trattata con il riposo e, se non sta allattando, con dei FANS. Il disordine può impiegare fino a 6 mesi per risolversi. I punti dolorosi della parete addominale possono causare dolore pelvico e possono essere identificati all’esame dell’addome sui margini laterali del muscolo retto. Nei punti dolorosi si può iniettare un anestetico locale ( 10 ml di bupivacaina allo 0,25%), con la completa risoluzione del dolore. Se i punti dolorosi non vengono anestetizzati direttamente, l’iniezione può essere meno efficace, ma può comunque ridurre la dolorabilità, rilasciare lo spasmo muscolare e diminuire il dolore alla palpazione del muscolo retto. La fisioterapia, i FANS, i miorilassanti e l’applicazione del calore sono utili associazioni al trattamento. Gli esami di laboratorio sono necessari per escludere le cause organiche del dolore. Il disordine da somatizzazione è un frequente disturbo psicogeno nelle pazienti con dolore pelvico cronico (v. Cap. 186). I problemi emotivi si possono manifestare come disturbi fisici. Spesso la paziente ha molti disturbi per i quali non può essere identificata alcuna causa organica. In questi casi è raccomandata la consulenza psichiatrica. Le vittime di un abuso fisico o sessuale nell’adolescenza o nell’età adulta possono lamentare un dolore pelvico cronico. Queste pazienti sono ad alto rischio per altri disturbi psicologici o psichiatrici. Il colloquio deve essere comprensivo, ma deve essere chiesto alla paziente se è mai stata toccata da

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Dolore pelvico

qualcuno contro la propria volontà, da bambina o da adulta. L’invio per una consulenza e per partecipare a un gruppo di supporto psicologico può essere d’aiuto.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 237-1. TIPI DI DOLORE PELVICO Sintomo

Possibile causa

Dolore colico, spesso senza dolorabilità

Contrazione di un viscere cavo ostruito (p.es., intestino, uretere, colecisti, appendice)

Dolore pelvico generalizzato a insorgenza improvvisa

Improvvisa interruzione della vascolarizzazione (p.es., torsione ovarica) o perforazione di un viscere e successiva filtrazione del suo contenuto nella cavità peritoneale

Dolore a inizio Infiammazione di un viscere (p.es., salpingite, appendicite) insidioso, nel corso di diverse ore Dolore localizzato

Problema a livello di un ovaio, una tuba o una parte dell’utero

Dolore diffuso a tutto l’addome

Infiammazione generalizzata della cavità peritoneale (p.es., secondaria alla filtrazione di sangue, pus o contenuto intestinale)

Dolore con una massa annessiale dolorabile

Cisti ovarica, gravidanza ectopica o ascesso

Dolore con vomito

Appendicite acuta, colecistite o, raramente, salpingite o pielonefrite (il vomito è precoce) Ostruzione intestinale (il vomito è tardivo)

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Disfunzione sessuale nelle donne

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 243. DISFUNZIONE SESSUALE NELLE DONNE DISPAREUNIA Coito o tentativo di coito doloroso.

Sommario: Eziologia Diagnosi Profilassi e trattamento

Eziologia La dispareunia si verifica di solito al momento della penetrazione, ma può verificarsi anche prima, durante o dopo il rapporto sessuale. La causa può essere psicogena o può dipendere da traumi locali (p. es., lacerazioni dell’imene o della forchetta vulvare o contusione del meato uretrale). In seguito alla lesione, possono svilupparsi ulcerazioni superficiali dolorose. Le altre possibili cause includono un’inadeguata lubrificazione, di solito secondaria a un’impropria o insufficiente stimolazione precoitale; una forte pressione contro una parete uretrale particolarmente sensibile durante il coito; un’impropria penetrazione; lesioni durante la penetrazione legate a condizioni infiammatorie (p. es., una vestibulite); infezioni (p. es., ascessi delle ghiandole o dei dotti del Bartolini); infiammazione delle ghiandole sudoripare labiali; irritazione dovuta all’uso di profilattici impropriamente conformati o inadeguatamente lubrificati; reazioni allergiche alle sostanze contenute nelle schiume e gelatine contraccettive e nei profilattici; anomalie dell’apparato genitale femminile (p. es., setto congenito, imene rigido); affezioni dermatologiche (p. es., il lichen sclerosus). La più frequente causa psicologica è il vaginismo (v. oltre). La dispareunia secondaria non è correlata al primo rapporto coitale, ma spesso si sviluppa dopo diversi anni. Le cause comprendono l’involuzione dell’apparato genitale dopo la menopausa, con secchezza e assottigliamento della mucosa, un introitus stretto secondario a una perineorrafia dopo episiotomia o a un intervento di plastica vaginale, la marcata retroflessione dell’utero con prolasso delle ovaie nello sfondato, l’endometriosi, le vaginiti, i diverticoli sottouretrali e la malattia infiammatoria della pelvi. Anche la radioterapia per il trattamento di neoplasie maligne può causare la dispareunia. I fattori psicologici e gli altri fattori correlati sono simili a quelli coinvolti nei disordini dell’orgasmo femminile (v. sopra). Un’inadeguata stimolazione o un’inibizione psicologica dell’eccitazione possono essere causa di un’inadeguata lubrificazione vaginale e, quindi, del dolore durante il coito.

Diagnosi Il dolore durante o dopo il coito rappresenta il disturbo principale. La localizzazione e la natura del dolore possono essere utili per la diagnosi; p. es., un dolore durante una penetrazione profonda può indicare delle file:///F|/sito/merck/sez18/2432127.html (1 of 2)02/09/2004 2.42.42

Disfunzione sessuale nelle donne

lesioni dell’utero e/o del legamento largo. Un’anamnesi generale e sessuale e un esame obiettivo generale e pelvico, di solito, permettono di identificare il fattore eziologico. Le lesioni locali dell’introitus e le anomalie di posizioni dell’utero o le altre patologie pelviche possono essere evidenziate all’esame obiettivo, per cui è a volte necessaria un’anestesia (v. Vaginismo, oltre).

Profilassi e trattamento Possono prevenire l’insorgenza del disturbo un esame di entrambi i partner prima del matrimonio o prima dei rapporti sessuali; una chiara illustrazione degli organi sessuali e riproduttivi e delle loro funzioni, nonché dei fattori fisiologici e psicologici coinvolti nell’atto sessuale e la spiegazione delle adeguate tecniche sessuali. La cosa più importante è ascoltare le preoccupazioni dei partner e rispondere alle loro domande. Le lesioni o i difetti preesistenti devono essere, se possibile, corretti. Per esempio, un anello imenale ristretto deve essere dilatato ambulatorialmente. Prima di ogni trattamento si devono applicare degli unguenti a base di anestetici locali (p. es., lidocaina all’1%). La terapia delle lesioni non complicate è semplice. È importante prescrivere una temporanea astensione dai rapporti sessuali. Gli unguenti lenitivi (p. es., dibucaina all’1% o lidocaina all’1 o al 2%) possono essere applicati esternamente. Anche i semicupi possono indurre sollievo al dolore vulvare. L’uso abbondante di lubrificanti idrosolubili subito prima del coito può, di solito, prevenire l’insorgenza del dolore e dello spasmo. A volte, un’introduzione più posteriore che eviti la pressione su di una uretra sensibile riduce il dolore. Per il trattamento del vaginismo, v. oltre. L’applicazione locale di una preparazione a base di estrogeni o una terapia estrogenica sostitutiva (v. Cap. 236) è utile nelle donne con una vaginite postmenopausale. Le cisti e gli ascessi devono essere trattati chirurgicamente; le grandi labbra infiammate devono essere tenute pulite e asciutte. Per il trattamento delle vulvovaginiti, v. Cap. 238. Qualora la vulva sia edematosa e dolente, si può applicare localmente una soluzione diluita di acetato di alluminio. Un analgesico, quale la codeina, 30-60 mg PO con acetaminofene, 500 mg PO q 4 h, è indicato se il dolore è importante. Un diaframma non adatto, che provoca una lesione dei legamenti uterosacrali, può essere sostituito o eliminato. Sono raccomandati dei colloqui educativi con entrambi i partner. Comunque, i casi di dispareunia di lunga durata o i casi in cui i fattori psicologici di base non possono essere corretti, devono essere indirizzati dallo psichiatra.

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Disfunzione sessuale nelle donne

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 243. DISFUNZIONE SESSUALE NELLE DONNE VAGINISMO Contrazione (spasmo) condizionata e involontaria dei muscoli vaginali inferiori, conseguente all’inconscio desiderio della donna di evitare la penetrazione.

Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi e trattamento

Il dolore del vaginismo può prevenire la penetrazione, spesso causando una mancata consumazione del matrimonio. Alcune donne affette da vaginismo raggiungono l’orgasmo attraverso la stimolazione clitoridea.

Eziologia Il vaginismo è una risposta acquisita, spesso dovuta alla dispareunia che causa dolore se si tenta di avere un rapporto. Il vaginismo può essere provocato anche dal solo ricordo del coito doloroso, dopo che la causa della dispareunia è stata rimossa. Altre cause sono la paura di una gravidanza, di essere sotto il controllo dell’uomo, di perdere il controllo o di essere ferita durante il coito (una concezione erronea del rapporto sessuale come un processo necessariamente violento). Se la donna ha queste paure, il vaginismo è di solito primario (dura tutta la vita).

Diagnosi e trattamento Una reazione elusiva da parte della paziente è spesso notata quando l’esaminatore si avvicina. L’osservazione di uno spasmo vaginale involontario durante l’esame pelvico conferma la diagnosi. L’anamnesi e l’esame obiettivo possono accertare le cause fisiche o psicologiche. Può essere necessaria un’anestesia locale o generale per vincere lo spasmo indotto anche dalla più delicata visita vaginale. Deve essere corretta qualsiasi affezione fisica che causi dolore (v. Dispareunia, sopra). Qualora il vaginismo persista, possono essere utilizzate con successo delle tecniche per l’eliminazione dello spasmo vaginale, come la tecnica di dilatazione graduale. Con la paziente in posizione ginecologica, vengono introdotti nella vagina e lasciati in sede per 10 min, dei dilatatori ben lubrificati, di gomma o di vetro, di dimensioni progressivamente maggiori, iniziando dal più piccolo. Possono essere usati anche i dilatatori rettali di Young che sono più corti e causano quindi minore disagio. Può essere preferibile che la paziente introduca da sola i dilatatori in vagina. Eseguire gli esercizi di Kegel mentre il dilatatore è in file:///F|/sito/merck/sez18/2432128.html (1 of 2)02/09/2004 2.42.43

Disfunzione sessuale nelle donne

posizione, aiuta la paziente a sviluppare un controllo dei muscoli vaginali superiori. La paziente contrae i muscoli perivaginali il più a lungo possibile e poi li rilascia, facendo attenzione alla sensazione provata quando avviene il rilassamento. È utile chiedere alla paziente di mettere una mano sulla faccia interna della coscia e di contrarre e rilasciare questi muscoli perché generalmente rilascia sia le cosce che i muscoli paravaginali. La dilatazione graduale deve essere eseguita a casa o supervisionata dal medico almeno 3 volte/sett. La paziente deve eseguire una procedura simile con le sue dita bid. Il rapporto viene tentato dopo che la paziente ha tollerato l’inserimento dei dilatatori più grandi, senza dolore. Questo procedimento deve essere accompagnato da sedute di tipo educativo. È spesso utile eseguire un esame sessuologico prima di cominciare la dilatazione graduale; in presenza del partner della paziente, il medico indica le regioni anatomiche della paziente, dando modo alla donna di esaminarsi con l’aiuto di uno specchio. Questa procedura spesso diminuisce l’ansia in entrambi i partner e incoraggia la comunicazione interpersonale sulle tematiche sessuali.

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Disfunzione sessuale nelle donne

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 243. DISFUNZIONE SESSUALE NELLE DONNE DISORDINI DELL’ORGASMO FEMMINILE Persistente o ricorrente ritardo o assenza di orgasmo dopo una normale fase di eccitazione dell’attività sessuale che è valutato come adeguato in concentrazione, intensità e durata.

Sommario: Introduzione Eziologia Terapia

La maggior parte delle pazienti ha un disturbo sia dell’eccitazione sessuale che dell’orgasmo; in questi casi, la diagnosi non è di un’anomalia dell’orgasmo. Questa è diagnosticata solo quando l’eccitazione (eccitamento) è normale o lievemente ridotto. I disordini dell’orgasmo possono esistere da sempre o essere acquisiti, generali o legati a una particolare situazione. Circa il 10% delle donne non ha mai raggiunto l’orgasmo indipendentemente dalla stimolazione o dalla situazione. La maggior parte delle donne può raggiungere l’orgasmo con la stimolazione del clitoride, ma solo il 50% circa delle donne raggiunge regolarmente l’orgasmo durante il coito. Quando una donna risponde alla stimolazione non coitale del clitoride, ma non riesce a raggiungere l’orgasmo durante il coito, è necessaria una completa valutazione sessuale, talvolta con un trial di psicoterapia (individuale o di coppia), per giudicare se l’incapacità a raggiungere l’orgasmo durante il coito sia una normale variazione della risposta o sia dovuta a una psicopatologia individuale o interpersonale. Una volta che la donna impara come raggiungere l’orgasmo, generalmente non perde più questa capacità a meno che non intervengano una scarsa comunicazione sessuale, un conflitto nella relazione, un’esperienza traumatica, un disturbo dell’umore o un disturbo fisico.

Eziologia L’eziologia è simile a quella del disordine dell’eccitazione sessuale (v. sopra). Inoltre, la fine del rapporto sessuale prima del raggiungimento dell’orgasmo femminile (p. es., per inadeguati preliminari, mancata conoscenza dell’anatomia del clitoride e della vagina e della loro funzione o per un’eiaculazione prematura) produce frustrazione, può causare rancore e disfunzioni o anche avversione sessuale. Alcune donne che hanno un’adeguata congestione possono aver paura "di lasciarsi andare", specialmente durante il rapporto sessuale. Questa paura può essere dovuta al senso di colpa dopo un’esperienza piacevole, alla paura di abbandonarsi al piacere che dipende dal partner o alla paura di perdere il controllo. I farmaci, in particolare gli inibitori selettivi della captazione serotoninica, file:///F|/sito/merck/sez18/2432126.html (1 of 2)02/09/2004 2.42.44

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possono inibire l’orgasmo. La depressione è una delle cause principali della ridotta eccitazione sessuale e dell’orgasmo e quindi deve essere sempre valutato lo stato dell’umore della paziente.

Terapia I disturbi fisici devono essere trattati. Quando predominano i fattori psicologici è utile una consulenza sessuologica al fine di rimuovere o ridurre le cause; di solito devono partecipare entrambi i partner. Gli esercizi di focalizzazione sensoriale a 3 stadi di Masters e Johnson, in cui la coppia attraversa fasi successive, dalla sperimentazione di un piacere non genitale, al piacere genitale e al coito senza finalità, sono, di solito, efficaci nelle donne indipendentemente dal livello di inibizione sessuale. A volte è utile una psicoterapia individuale o di gruppo. La donna deve conoscere la funzione dei propri organi sessuali e le proprie reazioni, incluso il metodo migliore di stimolare il clitoride e aumentare le sensazioni vaginali. Gli esercizi di Kegel rinforzano il controllo volontario dei muscoli pubococcigei. Il muscolo viene stimolato a contrarsi 10-15 volte, tid. Nel giro di 2 o 3 mesi il tono del muscolo perivaginale migliora, così come il senso di controllo da parte della donna e la qualità dell’orgasmo. Le donne affette da un’inibizione dell’orgasmo che dura da sempre devono essere inviate dallo psichiatra. Con ogni paziente, il medico non specialista deve limitare il numero delle sedute a 6 circa, inviando i casi complessi a un terapista sessuale o a uno psichiatra.

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Disfunzione sessuale nelle donne

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 243. DISFUNZIONE SESSUALE NELLE DONNE DISTURBI DELL’ECCITAZIONE SESSUALE Persistente o ricorrente incapacità a raggiungere o mantenere fino alla fine dell’atto sessuale la lubrificazione in risposta all’eccitazione sessuale.

Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi e trattamento

Questo disturbo si verifica nonostante la concentrazione, l’intensità e la durata della stimolazione sessuale. Il disordine può durare tutta la vita o, più frequentemente, essere acquisito e limitato al partner. I disturbi della paziente sono di solito collegati alla mancanza dell’orgasmo, anche se alcune donne riferiscono di non aver raggiunto l’eccitazione.

Eziologia Una ridotta capacità di eccitazione sessuale, che dura tutta la vita, può essere collegata alla mancata conoscenza dell’anatomia e del funzionamento degli organi genitali, in particolare della funzione del clitoride e delle efficaci modalità e tecniche di eccitazione. L’ignoranza e l’ansia si rinforzano mutuamente: l’ansia genera ignoranza e l’ignoranza aumenta l’ansia. È frequente l’associazione del sesso con un fatto immorale e del piacere sessuale con un senso di colpa. La paura dei rapporti intimi può essere un fattore significativo. Se il disordine compare dopo un periodo di normale funzione sessuale, deve essere valutata la natura dell’attuale rapporto sessuale. Di solito, un ridotto desiderio sessuale precede la ridotta eccitazione sessuale, nel qual caso la diagnosi primaria è quella di un disordine da scarso desiderio sessuale. La causa è di solito, rappresentata da un conflitto coniugale e dal disaccordo. La depressione può essere una causa e le situazioni di vita stressanti possono contribuire. Le cause fisiche includono i disturbi localizzati (p. es., l’endometriosi, la cistite, la vaginite), i disturbi sistemici (p. es., l’ipotiroidismo, il diabete mellito, che ha un’influenza maggiore sull’uomo), i disturbi neurologici periferici o centrali (p. es., la sclerosi multipla), i disturbi muscolari (p. es., la distrofia muscolare), i farmaci (p. es., i contraccettivi orali, gli antiipertensivi, gli antidepressivi; i tranquillanti che hanno effetti variabili) e la chirurgia demolitiva (p. es., l’isterectomia, la mastectomia) che possono influenzare negativamente l’immagine che la donna ha di sé stessa. Sebbene le donne possano raggiungere l’orgasmo per tutta la vita, l’attività sessuale spesso diminuisce dopo i 60 anni a causa della relativa mancanza di partner e delle variazioni fisiologiche non trattate (p. es., file:///F|/sito/merck/sez18/2432125b.html (1 of 2)02/09/2004 2.42.44

Disfunzione sessuale nelle donne

l’atrofia della mucosa vaginale, con risultanti secchezza e coito doloroso). In circa il 15% delle donne in post-menopausa, il desiderio sessuale diminuisce in modo significativo; a volte una combinazione di testosterone e di estrogeni rappresenta un trattamento efficace.

Diagnosi e trattamento L’anamnesi e l’esame obiettivo aiutano a stabilire la causa prevalentemente psicologica, fisica o mista della malattia e il grado della disfunzione. Il medico deve discutere i problemi sessuali con la paziente e ottenere dati precisi, di solito ponendo domande che gradualmente indaghino dagli aspetti più generali a quelli più delicati del problema. I fattori organici sono ulteriormente studiati attraverso l’esame obiettivo e gli appropriati esami di laboratorio. Poiché il disturbo dell’eccitazione sessuale quasi invariabilmente causa un disordine dell’orgasmo, il trattamento è simile in entrambi i disturbi (v. oltre).

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 238. INFIAMMAZIONI E INFEZIONI GINECOLOGICHE MALATTIE DEL TRATTO GENITALE INFERIORE INFEZIONI VULVOVAGINALI

Sommario: Introduzione VAGINOSI BATTERICA Sintomi, segni e diagnosi Terapia VAGINITI DA CANDIDA Sintomi, segni e diagnosi Terapia VAGINITE DA TRICHOMONAS Terapia ULCERE GENITALI DA HERPES SIMPLEX Terapia VERRUCHE GENITALI DA PAPILLOMAVIRUS UMANO Terapia

Introduzione Le infezioni vulvovaginali interessano principalmente la mucosa vaginale e secondariamente la vulva. Le comuni infezioni vaginali sono trattate oltre e nella Tab. 238-1. Le cause meno frequenti includono alcuni batteri come la N. gonorrhoeae, la Chlamydia trachomatis, il Mycoplasma hominis, gli streptococchi, l’E. coli e gli stafilococchi; i corpi estranei; alcuni virus (p. es., l’herpes simplex); le fistole; le radiazioni; e le neoplasie del tratto genitale. Una perdita acquosa, specialmente se ematica, indica una neoplasia maligna. Le altre cause non infettive di sanguinamento includono i polipi cervicali (dopo il coito) e l’atrofia vaginale (tipica dopo la menopausa).

VAGINOSI BATTERICA La vaginosi batterica rappresenta il 60% di tutte le infezioni vulvovaginali. La concentrazione dei patogeni anaerobi (Bacteroides sp, Peptostreptococcus sp, Gardnerella vaginalis e G. mobiluncus) aumenta da dieci a cento volte. I fattori di rischio per lo sviluppo di questa infezione includono la presenza di una STD, i numerosi partner sessuali e l’uso di un dispositivo intrauterino (IUD).

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Sintomi, segni e diagnosi Il sintomo più comune è costituito dalle perdite maleodoranti; sono frequenti anche il prurito e l’irritazione. L’odore amminico (di pesce) spesso diventa molto forte quando si verifica un’alcalinizzazione delle perdite, dopo il coito e le mestruazioni. L’arrossamento e l’edema sono rari. La diagnosi viene fatta durante l’esame della pelvi. Il medico osserva la vagina, misura il pH e, usando uno speculum lubrificato con acqua, ottiene un campione con un bastoncino che ha la punta di cotone. Gli indizi iniziali sono rappresentati da una perdita grigiastra e omogenea e da un pH > 4,5. Si preparano dei vetrini bagnati con una soluzione salina e con una soluzione di potassio: il campione prelevato viene diviso tra i due vetrini e diluito con cloruro di sodio allo 0,9% su un vetrino e con idrossido di potassio sull’altro; quest’ultimo campione viene testato per l’odore di pesce (test dell’odore). All’esame microscopico, la presenza di cellule indiziarie (batteri aderenti alle cellule epiteliali di cui oscurano i margini cellulari) indica la vaginosi batterica. La presenza di tre dei quattro criteri (perdite grigiastre, pH > 4,5, odore di pesce e cellule indiziarie) è diagnostica. La presenza di GB su un vetrino indica un’infezione concomitante, come la gonorrea o l’infezione da chlamydia e richiede un esame colturale. Quest’ultimo non è consigliato di routine perché il 50-60% delle donne è portatore della G. vaginalis ed è asintomatico.

Terapia Il metronidazolo per via orale, 250 mg tid o 500 mg bid per 7 gg, è efficace e ha rappresentato la terapia standard per anni. Tuttavia, il gel vaginale di metronidazolo allo 0,75%, applicato giornalmente per 5 gg o la crema vaginale di clindamicina al 2%, applicata giornalmente per 7 gg hanno meno effetti collaterali sistemici e un’uguale efficacia. Le donne che usano la crema alla clindamicina non possono usare i prodotti di lattice (cioè, i profilattici o il diaframma) per la contraccezione perché il farmaco indebolisce il lattice e aumentano le probabilità di una gravidanza. Il trattamento dei partner sessuali non è raccomandato dai Centers for Disease Control and Prevention. Sebbene la vaginosi batterica sia, di solito, considerata un’infezione non consequenziale, è sempre più frequentemente associata a una malattia pelvica infiammatoria, a un’endometrite postabortiva, all’infezione del fondo vaginale dopo intervento di isterectomia, a una corioamnionite, a una endometrite postpartum, alla rottura prematura delle membrane, al travaglio pre-termine e alla nascita pre-termine. La profilassi preoperatoria riduce l’incidenza di endometriti postabortive. Il trattamento in corso di gravidanza non ha dimostrato di migliorare l’esito della gravidanza.

VAGINITI DA CANDIDA Le infezioni da funghi o da lieviti rappresentano il 30-35% delle infezioni vaginali; la maggior parte di esse è dovuta alla Candida albicans. I lieviti colonizzano il 1520% delle donne non gravide e il 20-40% delle donne gravide. L’infezione da Candida è più comune tra le donne affette dal diabete, che usano un IUD, che hanno usato recentemente un antibiotico (p. es., la tetraciclina per l’acne), che usano regolarmente i corticosteroidi o che sono immunodeficienti.

Sintomi, segni e diagnosi

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

I sintomi tipici includono il prurito vaginale, con o senza prurito vulvare, bruciore o irritazione (che possono peggiorare con i rapporti sessuali) e una spessa, bianca perdita vaginale (simile a un formaggio fresco) che aderisce alle pareti vaginali. I sintomi aumentano nella settimana che precede le mestruazioni. Sono frequenti l’eritema, l’edema e le escoriazioni. Il pH è < 4,5 e su di un vetrino bagnato, specialmente utilizzando una preparazione di idrossido di potassio, si possono osservare le gemmazioni di lieviti, le pseudoife o le micelie. L’esame colturale non viene eseguito di routine. Quando i sintomi persistono o peggiorano durante la terapia topica, deve essere presa in considerazione l’ipersensibilità agli antifungini topici.

Terapia I farmaci per via orale o per uso topico sono molto efficaci (v. Tab. 238-2). I nuovi regimi monodose aumentano la compliance della terapia. Il miconazolo e il clotrimazolo sono disponibili come prodotti da banco. L’infezione che recidiva frequentemente richiede una terapia soppressiva a lungo termine con i farmaci orali (fluconazolo o chetoconazolo).

VAGINITE DA TRICHOMONAS La vaginite dovuta al Trichomonas vaginalis, una STD, rappresenta circa il 5-10% delle infezioni vaginali. Il 50% circa delle donne che ospitano l’organismo è asintomatica. I più comuni disturbi sono una profusa secrezione vaginale (che può essere schiumosa, verde giallastra e alcalina), la disuria e la dispareunia. È presente un eritema vaginale. I sintomi compaiono, spesso, dopo le mestruazioni. La secrezione può avere un odore di pesce a causa dei coesistenti organismi anaerobi. L’infiammazione acuta può causare un aspetto a fragola della cervice e della vagina. Sui vetrini bagnati si osservano i protozoi mobili e flagellati.

Terapia Può essere usato il metronidazolo, 500 mg bid per 7 gg o in una singola dose di 2 g PO. Gli effetti collaterali includono la nausea e un gusto metallico; la nausea grave con il vomito è più comune dopo una dose singola. Deve essere trattato anche il partner sessuale della paziente.

ULCERE GENITALI DA HERPES SIMPLEX Il virus Herpes simplex (HSV) causa delle ulcere genitali e richiede una diagnosi differenziale con la sifilide e l’ulcera venerea (v. anche Cap. 164). La maggior parte delle infezioni genitali da HSV è dovuta al tipo 2. La causa dell’infezione è più frequentemente dovuta a un contatto intimo con qualcuno che diffonde il virus. Il periodo di incubazione è di 5-7 gg, dopo il quale compaiono delle piccole vescicole. Durante l’iniziale infezione, il HSV risale lungo i nervi periferici fino al plesso sacrale, dove poi risiede a permanenza. L’infezione iniziale è, di solito, associata a malessere, linfoadenopatia regionale e febbre, che si risolve in 1 sett. Le lesioni sono estremamente dolorose e guariscono in circa 21 gg. Le infezioni ricorrenti, che tendono a essere più lievi e localizzate, sono precedute da prodromi costituiti da parestesie o formicolio nel lato interessato. La diffusione virale dalle lesioni ricorrenti dura 4 gg e le lesioni guariscono in circa 10 gg.

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Terapia I trattamenti antivirali abbreviano la diffusione virale di 1 giorno. Per l’infezione iniziale, il trattamento è tradizionalmente costituito dall’acyclovir, 200 mg PO 5 volte/die per 10 gg. Le recidive possono essere trattate con 200 mg 5 volte/die, 400 mg tid, o 800 mg bid. I nuovi farmaci orali antivirali per il trattamento delle infezioni ricorrenti includono il famcyclovir, 125 mg bid per 5 gg e il valacyclovir, 500 mg bid per 5 gg. Circa il 70% delle donne ha una ricorrenza all’anno. La soppressione a lungo termine con acyclovir, 400 mg bid per 1 anno (dopo di che viene sospesa e vengono valutate le eventuali ricorrenze) deve essere considerata per le donne con ricorrenze multiple.

VERRUCHE GENITALI DA PAPILLOMAVIRUS UMANO (V. anche Verruche genitali nel Cap. 164.) Le verruche genitali sono la più frequente STD virale. L’incidenza riportata dell’infezione da papillomavirus umano (HPV) è del 6% nelle donne di età compresa tra i 20 e i 34 anni. I principali sottotipi di HPV che infettano l’epitelio vulvare includono i tipi 6 e 11. I tipi 16, 18, 31, 33, 35, 39, 41, 42, 43, 44, 51, 52 e 56 sono meno frequenti nelle malattie vulvari, ma sono coinvolti nella displasia cervicale e nel cancro invasivo della cervice, in cui giocano un ruolo patogenetico. Molte pazienti con HPV anche hanno altre infezioni trasmesse sessualmente.

Terapia Il trattamento delle verruche è basato sulla sede e sull’estensione. I farmaci topici autoapplicati includono l’imiquimod al 5%, applicato 3 volte/ sett. fino alla risoluzione e fino a un massimo di 16 sett. (in caso di ricorrenza, il trattamento può essere ripetuto per altre 16 sett.) e il podofilox allo 0,5% applicato bid per 3 gg seguito da 4 gg senza terapia (questa sequenza può essere ripetuta altre tre volte). L’acido tricloroacetico al 75-90% può essere applicato settimanalmente da un operatore sanitario. Se la risoluzione non è evidente dopo sei applicazioni, possono essere usate la crioterapia, l’elettrocoagulazione o la laserterapia. Queste opzioni richiedono un’anestesia. Se non si verifica la risoluzione dell’infezione deve essere eseguita una biopsia. Deve essere effettuato anche uno striscio di Papanicolaou per escludere una displasia cervicale. Le verruche recidivano nel 65% delle pazienti.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 238–1. TIPI DI VAGINITE Patologia

Segni e sintomi

pH

Test dell’odore (Ammine)

Reperti microscopici

Diagnosi differenziale

-

-

Vaginite atrofica

Secrezioni scarse, > 6 secchezza e assottigliamento vaginale, dispareunia

Vaginosi batterica

Secrezioni > 4,5 Positivo maleodoranti, spesso con prurito e irritazione; dispareunia assente

Cellule indiziarie; bastoncelli assenti; coccobacilli aumentati

Non raccomandata di routine

Vaginite da Trichomonas

Vaginite da Candida

Secrezioni spesse 4-4,5 Negativo e biancastre; prurito con o senza bruciore e irritazione vulvare, o dispareunia

Lieviti in gemmazione, pseudo-ife, o micelie

Indicata se i reperti microscopici sono negativi e i sintomi persistono

Irritazione da contatto o vulvite allergica, irritazione chimica, vulvodinia

Protozoi flagellati, mobili; PMN aumentati

Indicata se i reperti microscopici sono negativi

Vaginosi batterica, vaginite infiammatoria purulenta o desquamante, vaginite con infezione secondaria, lichen planus erosivo

Vaginite da Secrezioni Trichomonas abbondanti e maleodoranti; disuria; dispareunia; eritema

5-6

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Negativo

Positivo

PMN aumentati; bastoncelli assenti; cocci e coliformi aumentati; cellule parabasali

Colture

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 238-2. FARMACI PER LA VAGINITE DA CANDIDA Tipo

Farmaco

Topico Butoconazolo o Clotrimazolo vaginale

Dosaggio Crema al 2%, 5g/die per 3gg Crema all’1%, 5g/die per 7-14gg Tavolette vaginali da 100mg/die per 7gg o bid per 3gg o da 500mg, una volta sola

Miconazolo

Crema al 2%, 5g/die per 7gg Ovuli vaginali da 100mg/die per 7gg, da 200mg/die per 3gg, o da 1200mg, una sola volta

Nistatina

Tavolette vaginali da 100000U/die per 14 gg

Terconazolo

Crema allo 0,4%, 5 g/die per 7gg o crema allo 0,8%, 5 g/ die per 3 gg Ovuli vaginali da 80 mg/die per 3 gg

Orale

Tioconazolo

Crema al 2%, 5g/die per 3gg o crema al 6,5%, 5 g una sola volta

Fluconazolo

150 mg in una dose singola

Itraconazolo

200 mg bid per 1 giorno o una volta/die per 3 gg

Chetoconazolo 400 mg bid per 5gg

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 238. INFIAMMAZIONI E INFEZIONI GINECOLOGICHE MALATTIE DEL TRATTO GENITALE INFERIORE Infezioni e altri disturbi infiammatori che interessano la mucosa vaginale e, talvolta, la vulva, e che, di solito, causano delle perdite vaginali.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Quando si cerca di stabilire l’eziologia dei sintomi vaginali o vulvari, si deve tentare di prendere in considerazione l’età della paziente. Nelle neonate, una perdita vulvovaginale, mucoide e sterile può essere secondaria agli estrogeni materni trasferiti prima della nascita; le perdite scompaiono 2 sett. circa dopo la nascita. Questa privazione estrogenica può causare anche un modesto sanguinamento. Nelle bambine, la vulvite è più frequentemente dovuta all’infezione da Escherichia coli; gli streptococchi, gli stafilococchi e le specie della Candida sono cause meno frequenti. Occasionalmente, le infezioni possono essere dovute agli elminti. Se la Neisseria gonorrhoeae è presente nella coltura, l’abuso sessuale è confermato. I prodotti chimici contenuti nei bagnoschiuma o nei saponi possono provocare un’irritazione. Se sono presenti delle perdite vaginali, soprattutto se miste a sangue, si deve escludere la presenza di un corpo estraneo. La scarsa igiene e il toccarsi con le dita, una pratica comune tra le bambine di 2-6 anni, contribuiscono all’infezione. Una normale perdita fisiologica si può presentare o può aumentare quando la bambina si avvicina al menarca perché la aumenta la produzione di estrogeni. Nelle donne in età riproduttiva, una normale perdita fisiologica può essere scambiata per il segno di un’infezione. La perdita è, di solito, lattescente o mucoide, originando dalla cervice o dalla vagina come un trasudato epiteliale. Il Lactobacillus e il Corynebacterium sono, di solito, presenti. La colonizzazione della vagina da parte del Lactobacillus mantiene il pH normale (3,8-4,2), prevenendo l’eccessiva crescita di batteri e lieviti. Il sangue mestruale, alcune infezioni o lo sperma rendono spesso il pH vaginale alcalino. Gli spray o i profumi per l’igiene intima, gli assorbenti esterni, i saponi da bucato, le candeggine, gli ammorbidenti, i coloranti dei tessuti, le fibre sintetiche, le sostanze che si aggiungono all’acqua del bagno e la carta igienica possono causare un’ipersensibilità vulvare. La biancheria intima stretta, che impedisce la traspirazione, così come la scarsa igiene, possono favorire la crescita di miceti e di batteri. Occasionalmente, l’intolleranza verso gli spermicidi, i lubrificanti, le creme vaginali o il lattice dei diaframmi o dei profilattici può causare un’irritazione che può essere confusa con un’infezione. Inoltre, le frequenti lavande con sostanze irritanti (p. es., povidone-iodio) possono causare un’eccessiva crescita di patogeni vaginali e, quindi, un’infezione. Nell’età feconda, la vulvite è, in genere, secondaria a delle infezioni vaginali, mentre nelle donne in età premenarcale e postmenopausale le vulviti sono,

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

frequentemente, isolate. La diagnosi differenziale per la vulvite include le anomalie epiteliali, i tumori le vulviti allergiche o le dermatiti. Dopo la menopausa (che si verifica naturalmente o è dovuta all’annessiectomia, all’irradiazione della pelvi o alla chemioterapia), il deficit di estrogeni causa una riduzione di spessore della mucosa vaginale. Di conseguenza, questa è più vulnerabile al trauma e all’infezione. Occasionalmente, l’assottigliamento della mucosa causa un’irritazione senza infezione (vaginite atrofica, v. Tab. 238-1). Le perdite sono scarse e alcaline. Le infezioni da Candida, si verificano raramente nelle donne non diabetiche in post-menopausa a meno che non stiano assumendo una terapia ormonale sostitutiva. Tuttavia, le infezioni dovute alla Candida glabrata sono frequenti nelle donne che assumono una terapia ormonale sostitutiva o il tamoxifene. La vaginosi batterica è meno frequente, a eccezione delle donne confinate a letto (p. es., quelle nelle case di riposo). Anche i corpi estranei, come i pessari vaginali dimenticati, possono causare delle perdite.

Diagnosi Deve essere raccolta un’anamnesi completa (inclusi i sintomi e il colore, la consistenza, l’odore e la durata delle perdite) e deve essere eseguito un esame obiettivo completo. Bisogna chiedere alla paziente se la secrezione è in rapporto con le mestruazioni; se è ricorrente; come ha risposto a un precedente trattamento; se si associano prurito vulvare, bruciore, dolore o se sono presenti delle lesioni; e che cosa la preoccupa di più. Deve essere raccolta anche l’anamnesi sessuale (uso di contraccettivi e storie di malattie trasmesse per via sessuale [Sexually Transmitted Diseases, STD]) e si devono porre domande circa la presenza di secrezioni uretrali, del prurito, di un’irritazione postcoitale e di un’infezione vaginale e su eventuali lesioni peniene e sul trattamento delle infezioni del partner. Sono pertinenti le domande su quali prodotti di igiene intima usa, se ha recentemente cambiato i detersivi per il bucato e se c’è qualcun altro tra i conviventi che lamenta prurito genitale. Dopo l’esame obiettivo generale deve essere eseguito un esame della pelvi iniziando dalla vulva. L’arrossamento, l’edema, le escoriazioni e le lesioni anomale indicano la necessità di un’ulteriore valutazione. Le lesioni vulvari sospette devono essere bioptizzate. Poiché il test al blu di toluidina (che aiuta a scegliere il punto dove eseguire la biopsia) ha un’elevata incidenza di risultati falsi positivi e falsi negativi, è stato quasi completamente sostituito dalla colposcopia delle aree affette. Il medico deve ricercare la presenza di linfonodi ingrossati, eseguire un esame colturale delle ulcere alla ricerca di virus e annotare eventuali secrezioni dall’uretra o dalle ghiandole del Bartolini. Le bambine devono essere controllate per la presenza di corpi estranei e di ossiuri. Se è presente una secrezione, può essere ottenuto un campione per l’esame colturale dalla forchetta vulvare.

Terapia Le ragazze in età prepuberale devono essere educate circa l’igiene perineale (p. es., pulirsi da davanti a dietro dopo la defecazione e la minzione). Per il trattamento delle bambine affette da un’infestazione da ossiuri, v. Cap. 265. Per le bambine con aderenze labiali (che sono rare), una crema vaginale a base di estrogeni applicata giornalmente per 7-10 gg, di solito, separa le labbra. I corpi estranei devono essere rimossi, se necessario, usando un anestetico.

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Le perdite fisiologiche sono fastidiose perché sporcano gli indumenti e per la sensazione di bagnato, ma a meno che non siano presenti prurito, irritazione o cattivo odore, sono indicate le sole rassicurazioni senza alcun trattamento. Le lavande occasionali con acqua tiepida possono ridurre le secrezioni e le perdite, dando sollievo. Le lavande frequenti devono essere scoraggiate, perché possono associarsi a una malattia pelvica infiammatoria. Anche un gel con acido propionico può alleviare i sintomi. Per le vulviti acute, deve essere eliminata la causa; devono essere adottate delle misure per ridurre l’irritazione (p. es., portare larghi indumenti di cotone non assorbenti che permettono la circolazione dell’aria; tenere pulita la vulva). Devono essere evitati i saponi. L’uso intermittente di impacchi di ghiaccio o di semicupi tiepidi con o senza bicarbonato di sodio può ridurre l’irritazione e il prurito. I corticosteroidi per uso topico riducono il prurito e sono indicati quando non c’è infezione. Gli antiistaminici orali riducono il prurito e causano sonnolenza, aiutando il paziente a dormire. La xilocaina al 2% in gel determina un’anestesia e il sollievo dal prurito. Le pazienti in post-menopausa affette da una vaginite atrofica sono trattate con gli estrogeni. Gli estrogeni coniugati, 0,625 mg, l’estradiolo micronizzato, 1 mg o gli estrogeni esterificati, 0,625 mg, usati giornalmente, causano la regressione dell’atrofia. Le donne che hanno l’utero devono essere trattate con il medrossiprogesterone acetato, megestrolo acetato o progesterone micronizzato con estrogeni per prevenire l’iperplasia endometriale. Le pazienti che non vogliono prendere estrogeni per via orale o che hanno bisogno di un trattamento addizionale possono usare una crema vaginale, 1 g ogni giorno o a giorni alterni per 1 mese, poi ridotta a due volte alla settimana. La scarsa igiene può causare una infiammazione vulvare cronica. Le pazienti che sono incontinenti o allettate migliorano con una maggiore pulizia. Le malattie croniche della cute, come la psoriasi e la tinea versicolor, possono interessare la vulva e devono essere trattate in modo appropriato.

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Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 238. INFIAMMAZIONI E INFEZIONI GINECOLOGICHE INFEZIONI DEL TRATTO GENITALE SUPERIORE La cervice è considerata il confine tra il tratto genitale inferiore e quello superiore. Le infezioni del tratto genitale superiore interessano principalmente la cervice, l’utero o le tube di Falloppio; delle gravi infezioni possono interessare anche una o entrambe le ovaie.

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE CANCRO DELL’OVAIO Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il cancro dell’ovaio è la seconda neoplasia maligna ginecologica più diagnosticata, quella gravata da maggiore mortalità nonché la quarta causa principale di morte correlata al cancro nelle donne degli USA. Circa 1 donna su 70 sviluppa un cancro dell’ovaio e 1 su 100 muore a causa di esso. Il cancro dell’ovaio interessa principalmente le donne in peri-menopausa e in postmenopausa.

Eziologia e anatomia patologica L’incidenza è maggiore nei paesi industrializzati in cui l’assunzione dei grassi con la dieta è elevata. Una storia di nulliparità, di infertilità, di gravidanza tardiva e di ritardata menopausa aumenta il rischio. L’uso dei contraccettivi orali, invece, diminuisce significativamente il rischio. Una storia personale o familiare di cancro dell’endometrio, della mammella o del colon aumenta il rischio. Probabilmente più del 5% dei casi di cancro dell’ovaio è correlato a un gene autosomico dominante ereditato, il gene BRCA. Le femmine con una disgenesia gonadica del tipo XY sono predisposte ai tumori ovarici maligni delle cellule germinali (v. oltre). I tumori ovarici sono il gruppo di tumori più eterogenei dal punto di vista istologico. Almeno l’80% dei tumori maligni dell’ovaio origina dall’epitelio celomatico. Il tipo più comune è il cistoadenocarcinoma sieroso, che è responsabile del 75% dei casi di cancro epiteliale dell’ovaio. Gli altri includono i carcinomi mucinoso, endometrioide, a cellule transizionali, di Brenner, a cellule chiare e quelli non classificati. Il rimanente 20% dei tumori maligni dell’ovaio è rappresentato dai tumori delle cellule germinali e delle cellule stromali dei tubuli seminiferi primitivi, che sono di origine non epiteliale, e dai carcinomi metastatici dell’ovaio (più frequentemente, mammella e carcinomi dell’apparato GI). I tumori delle cellule germinali, che originano dalle cellule germinali primitive dell’ovaio, si sviluppano nelle donne giovani e sono rari nelle donne > 30 anni. I tumori maligni delle cellule germinali includono i disgerminomi, i teratomi immaturi, i tumori del seno endodermico, i carcinomi embrionali, il coriocarcinoma e i poliembriomi. Le neoplasie stromali includono i tumori delle cellule della granulosa-teca e i tumori delle cellule del Sertoli-Leydig. Il cancro dell’ovaio si diffonde per estensione diretta, per impianto peritoneale dovuto all’esfoliazione delle cellule nella cavità peritoneale, per disseminazione linfatica nella pelvi e nella regione para-aortica e, meno comunemente, per via ematogena al fegato o ai polmoni.

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Neoplasie ginecologiche

Sintomi, segni e diagnosi La maggior parte delle donne (75%) presenta una malattia in stadio avanzato e la maggior parte di esse ha dei sintomi vaghi e aspecifici, quali la dispepsia, la distensione addominale, l’anoressia con sazietà precoce, dei dolori dovuti al gas intestinale e una lombalgia. Il più frequente reperto precoce è una massa annessiale, che è spesso solida, irregolare e fissa. Una paziente può essere asintomatica fino a quando si scopre una massa addominale durante una visita di routine della pelvi o fino a quando la malattia non è in uno stadio avanzato. A volte, una paziente si presenta con un importante dolore addominale secondario alla torsione della massa ovarica. Più tardi nel decorso della malattia, si manifestano il dolore pelvico, l’anemia, la cachessia e il gonfiore addominale dovuto all’aumento di volume dell’ovaio o alla formazione di liquido ascitico. Gli impianti nodulari notati all’esame retto-vaginale suggeriscono una malattia pelvica diffusa. Gli effetti funzionali dei tumori delle cellule germinali o dei tumori stromali includono l’ipertiroidismo, la femminilizzazione e la virilizzazione. Comunque, nelle giovani donne sono frequenti anche delle cisti funzionali benigne che devono essere differenziate dai tumori mediante un’ecografia vaginale o una visita a distanza di 6 sett. L’intervento chirurgico è indicato quando una massa persiste o è sospetta; devono essere misurati i marker tumorali per le neoplasie maligne delle cellule germinali, inclusi la subunità β della gonadotropina corionica umana (β−ηΧΓ), la LDH, l’α-fetoproteina e l’antigene neoplastico 125 (CA 125). La probabilità che un ovaio ingrandito sia sede di un cancro dell’ovaio è direttamente proporzionale all’età della paziente. Le ovaie delle donne in postmenopausa sono piccole e di solito non palpabili, ma possono contenere delle cisti benigne, evidenziate dall’ecografia vaginale. Una massa pelvica complessa in una donna in post-menopausa, specialmente con un CA 125 elevato, è indice di un cancro dell’ovaio. Il CA 125 è una glicoproteina cellulare di superficie, evidenziabile nell’80% dei casi di cancro epiteliale dell’ovaio. Tuttavia, non è specifica per le pazienti con un cancro dell’ovaio e, tra le pazienti in premenopausa, può essere leggermente elevata in diverse malattie benigne, incluse l’endometriosi, la malattia infiammatoria della pelvi, la gravidanza e la fibromatosi uterina. Anche altre neoplasie maligne e condizioni infiammatorie del peritoneo possono causare un aumento del CA 125. Una massa pelvica e l’ascite indicano, di solito, la presenza di un tumore maligno dell’ovaio; tuttavia, nella sindrome di Meigs sono presenti un fibroma benigno con ascite e un idrotorace destro. Il CA 125 e l’ecografia pelvica sono poco efficaci per lo screening delle donne asintomatiche della popolazione generale.

Terapia Stadiazione chirurgica: una massa annessiale benigna può essere trattata con l’asportazione della cisti con l’ovariectomia o l’isterectomia con ovarosalpingectomia bilaterale, sulla base dell’età della paziente e del suo desiderio di avere una gravidanza. Se si sospetta o si ha la conferma di una neoplasia maligna, è indicata una completa stadiazione chirurgica. Una cospicua parte delle pazienti affette da una malattia apparentemente in stadio precoce, ha già una diffusione extraovarica. Un’accurata stadiazione chirurgica migliora l’accuratezza prognostica e permette di scegliere l’appropriata terapia postoperatoria. La stadiazione è basata sui reperti chirurgici (v. Tab. 241-2). Quando si sospetta una neoplasia maligna, si deve eseguire un’incisione addominale, di solito mediana, che permetta un adeguato accesso all’addome superiore. Quando il cancro appare confinato alla pelvi, il tumore deve essere rimosso intatto, evitandone la rottura. Tutte le superfici peritoneali, gli emidiaframmi e i visceri addominali e pelvici devono essere ispezionati e palpati.

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Neoplasie ginecologiche

Il liquido di lavaggio deve essere prelevato dalla pelvi, dalle docce addominali e dai recessi diaframmatici e devono essere eseguite delle biopsie multiple della pelvi e del peritoneo addominale. Si deve eseguire un’omentectomia e si devono esaminare in maniera random i linfonodi pelvici e para-aortici. Di solito, è indicata un’isterectomia con un’ovarosalpingectomia bilaterale. Un’eccezione è rappresentata dalle giovani pazienti affette da una lesione epiteliale unilaterale di basso grado o da una neoplasia maligna non epiteliale. In questo caso la capacità riproduttiva può essere conservata asportando solo l’ovaio interessato; il resto della stadiazione chirurgica deve essere però eseguito normalmente. Per le pazienti affette da un cancro epiteliale dell’ovaio in stadio avanzato, è consigliabile un intervento citoriduttivo (massima asportazione possibile del tumore) per migliorare l’efficacia delle terapie successive. L’obiettivo è quello di ridurre la massa tumorale in modo che il diametro massimo degli impianti rimanenti sia < 1 cm. La chirurgia citoriduttiva, di solito, include l’isterectomia totale, l’ovarosalpingectomia bilaterale, l’omentectomia e l’asportazione del tumore da qualunque altra sede. Può essere necessario eseguire la resezione retto-sigmoidea (di solito, con reanastomosi primaria), l’asportazione radicale del peritoneo, la resezione del peritoneo diaframmatico o la splenectomia. La prognosi per le pazienti affette da una malattia avanzata è direttamente correlata al successo della chirurgia citoriduttiva. Terapia postoperatoria: le pazienti con un adenocarcinoma epiteliale in stadio IA o B di grado 1, non richiedono alcuna terapia addizionale. La loro percentuale di sopravvivenza a 5 anni non migliora, infatti, con il ricorso alla terapia adiuvante. Le pazienti con tumori allo stadio IA o B, di grado 2 o 3 e le pazienti con una malattia in stadio II richiedono da tre a sei cicli di chemioterapia adiuvante. Il paclitaxel è combinato con il cisplatino o con il carboplatino. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni è del 70-100% per le pazienti affette da una malattia in stadio I, in base al grado del tumore, e del 50-70% per le pazienti affette da una malattia in stadio II. Le pazienti affette da una malattia in stadio III o IV richiedono sei cicli di chemioterapia con paclitaxel e cisplatino. La sopravvivenza mediana per le pazienti affette da una malattia microscopica residua all’inizio della chemioterapia è di 30-40 mesi rispetto ai 12-20 mesi delle pazienti sottoposte a una chirurgia citoriduttiva non ottimale. Diversi trial clinici stanno valutando la chemioterapia intraperitoneale o la chemioterapia ad alte dosi con trapianto del midollo osseo. La radioterapia viene raramente utilizzata. I cancri dell’ovaio in stadio avanzato, di solito recidivano. La risposta alla chemioterapia può essere valutata misurando il CA 125. Dopo aver completato la chemioterapia, una laparotomia di controllo (second-look) può essere necessaria perché circa i 2/3 delle pazienti con una malattia in stadio III o IV hanno una malattia residua, istologicamente provata, anche dopo una risposta completa alla chemioterapia. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni è del 5-40%. Le pazienti con un cancro dell’ovaio ricorrente o progressivo possono essere trattate con il cisplatino se hanno precedentemente risposto a questo farmaco. Altri farmaci utili includono il topotecan, l’esametilmelamina, l’ifosfamide, la doxorubicina e l’etoposide. La maggior parte delle pazienti affette da neoplasie delle cellule germinali in stadio avanzato o da una malattia in stadio precoce, ma ad alto rischio, può essere trattata con una chemioterapia combinata. La bleomicina, l’etoposide e il cisplatino sono i farmaci più comunemente usati.

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Neoplasie ginecologiche

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-2. STADIAZIONE CHIRURGICA DEL CARCINOMA DELL’OVAIO* Stadio I

Limitato alle ovaie IA

Limitato a un’ovaia; assenza di tumore sulla superficie esterna; capsula intatta

IB

Limitato a entrambe le ovaie; assenza di tumore sulla superficie esterna; capsula intatta

IC

Stadio IA o IB, ma con il tumore che affiora alla superficie di una o di entrambe le ovaie, con rottura della capsula o con ascite o con cellule neoplastiche nel liquido di lavaggio peritoneale† Interessa una o entrambe le ovaie, con estensione alla pelvi

II IIA

Estensione e/o metastasi all’utero e/o alle tube

IIB

Estensione agli altri tessuti pelvici

IIC

StadioIIA oIIB, ma con il tumore che affiora alla superficie di una o di entrambe le ovaie, con rottura della capsula o con ascite o con cellule neoplastiche nel liquido di lavaggio peritoneale Interessa una o entrambe le ovaie con impianti peritoneali istologicamente confermati al di fuori della pelvi e/o linfonodi retroperitoneali o inguinali positivi

III

IV

Descrizione

IIIA

Macroscopicamente limitato alla pelvi con linfonodi negativi, ma con tumore microscopico istologicamente confermato al di fuori della pelvi

IIIB

Interessa una o entrambe le ovaie con impianti istologicamente confermati sulla superficie peritoneale, diametro2cm e/o linfonodi retroperitoneali o inguinali positivi Interessa una o entrambe le ovaie con metastasi a distanza. Lo stadioIV è indicato dalla presenza di metastasi epatiche o dalla positività per cellule neoplastiche dell’eventuale versamento pleurico all’esame citologico

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Manuale Merck - Tabella

Special category Casi non esplorati che si pensa siano carcinomi ovarici *Riportata dalla International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO), 1991. †Per gli stadi IC e IIC, è utile sapere, per stabilire la prognosi, se la rottura della capsula è stata spontanea o provocata dall’intervento e se le cellule neoplastiche erano presenti nel liquido ascitico o nel liquido di lavaggio peritoneale.

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE CANCRO DELLA VULVA Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Prognosi Terapia

Il cancro della vulva è responsabile di circa il 3-4% di tutte le neoplasie ginecologiche maligne negli USA. Circa 3300 nuovi casi sono stati diagnosticati nel 1996. L’età media alla diagnosi è di circa 70 anni e l’incidenza aumenta con l’età. I fattori di rischio includono il prurito vulvare cronico, l’infezione da papillomavirus umano, la distrofia vulvare e la neoplasia vulvare intraepiteliale (Vulvar Intraepithelial Neoplasia, VIN). Le pazienti con una storia di neoplasia maligna a cellule squamose della cervice o della vagina hanno una maggiore incidenza di cancro della vulva.

Anatomia patologica Circa il 90% dei cancri della vulva sono carcinomi a cellule squamose, seguiti da melanomi (circa il 5%). I restanti casi includono gli adenocarcinomi e i carcinomi a cellule transizionali, gli adenoidi cistici e gli adenosquamosi, che possono tutti originare dalle ghiandole del Bartolini. Si possono riscontrare anche dei sarcomi e dei carcinomi a cellule basali insorti su di un adenocarcinoma. La VIN è una condizione premaligna della vulva. Anche se era originariamente considerata un precursore del carcinoma invasivo a cellule squamose della vulva, il suo potenziale maligno è relativamente basso. La VIN può avere una localizzazione multifocale. La malattia di Paget della vulva è una lesione eczematoide caratterizzata da grosse cellule epidermiche pallide. In circa il 20% dei casi, la VIN e la malattia di Paget sono associate con un adenocarcinoma sincrono o metacrono della vulva, della mammella o della ghiandola del Bartolini. Il cancro della vulva si può diffondere per estensione diretta nelle strutture adiacenti (p. es., all’uretra, alla vescica, alla vagina, al perineo, all’ano, al retto), attraverso i vasi linfatici ai linfonodi inguinali (diffusione embolica) o per via ematica. Se i linfonodi inguinali sono coinvolti, il cancro si può diffondere ai linfonodi pelvici e para-aortici.

Sintomi, segni e diagnosi Il più frequente disturbo è la presenza di una lesione palpabile della vulva. La

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Neoplasie ginecologiche

paziente spesso ha una lunga storia di prurito, con o senza trattamento. La diagnosi è spesso ritardata perché le pazienti non si fanno visitare da un medico, per imbarazzo o per paura. Circa il 20% delle pazienti è asintomatico e la lesione è identificata durante un esame di routine della pelvi. Se la lesione diventa necrotica o ulcerata, si può verificare un sanguinamento o una perdita vaginale acquosa. Una semplice biopsia del derma eseguita usando un anestetico locale, di solito permette una diagnosi definitiva del cancro vulvare. A volte, è necessaria un’estesa escissione locale per differenziare una lesione preinvasiva dal carcinoma invasivo. Le lesioni mal definibili possono essere delineate colorando la vulva con il blu di toluidina o usando la colposcopia. La diagnosi differenziale comprende le malattie veneree (granuloma inguinale, cancroide, linfogranuloma venereo e sifilide), il carcinoma a cellule basali ("ulcus rodens"), la VIN, la malattia di Paget e il condiloma acuminato. Il melanoma si presenta spesso come una lesione di colore nero-bluastro o papillare.

Prognosi La prognosi è correlata allo stadio della malattia, che è basato sulle dimensioni e sulla localizzazione del tumore e allo stato dei linfonodi regionali (v. Tab. 241-5). Le percentuali di sopravvivenza a 5 anni sono > 90% per lo stadio I, dell’80% per lo stadio II, del 50-60% per lo stadio III e del 15% per lo stadio IV. Il rischio di diffusione ai linfonodi è proporzionale alle dimensioni del tumore e alla profondità dell’invasione. Nei melanomi maligni della vulva, il rischio di metastasi è elevato. Il rischio, in questo caso, dipende principalmente dalla profondità dell’invasione, ma anche dalle dimensioni del tumore.

Terapia Il trattamento di scelta è l’asportazione radicale del tumore locale (spesso con una vulvectomia radicale) con una dissezione unilaterale o bilaterale dei linfonodi inguinali e femorali. Per le piccole lesioni (< 2 cm) con una profondità d’invasione < 1 mm, può essere eseguita un’ampia escissione locale. Per le lesioni lateralizzate < 2 cm, possono essere eseguite l’emivulvectomia radicale monolaterale e la dissezione monolaterale dei linfonodi inguino-femorali. Le lesioni in prossimità della linea mediana richiedono una dissezione bilaterale dei linfonodi inguino-femorali. Le lesioni > 2 cm, di solito richiedono una vulvectomia radicale e una dissezione bilaterale dei linfonodi inguinale e femorali. Per i cancri vulvari localmente avanzati (stadio III), viene utilizzata la radioterapia preoperatoria esterna, spesso insieme alla chemioterapia (p. es., il 5fluorouracile, il cisplatino). Di solito, la dissezione bilaterale dei linfonodi inguinofemorali viene eseguita per prima, seguita dalla radioterapia e poi dall’escissione locale radicale del tumore o del letto tumorale. Questo approccio combinato può evitare un intervento ultraradicale o con eviscerazio.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-5. STADIAZIONE DEL CARCINOMA VULVARE* Stadio

Classificazione TNM

Descrizione

0

Tis

Carcinoma in situ, carcinoma intraepiteliale

I†

T1N0M0

Lesioni ≤2 cm confinate alla vulva o al perineo; metastasi linfonodali assenti

Ia

Lesioni ≤2 mm confinate alla vulva o al perineo con invasione stromale1mm; metastasi linfonodali assenti

Ib

Lesioni ≤2 cm confinate alla vulva o al perineo con invasione stromale>1mm; metastasi linfonodali assenti

II

T2N0M0

Tumore >2 cm nella dimensione maggiore confinato alla vulva o al perineo; metastasi linfonodali assenti

III

T3N0M0 T3N1M0 T1N1M0 T2N1M0

Tumore di qualunque dimensione con diffusione all’uretra inferiore, alla vagina, o all’ano o con metastasi ai linfonodi regionali unilaterali

IVa

T1N2M0 T2N2M0 T3N2M0 T4 Any N M0

Tumore che invade qualunque dei seguenti organi: uretra superiore, mucosa vescicale, mucosa rettale, ossa pelviche o linfonodi regionali bilaterali

IVb

Any T Any T M1

Qualunque metastasi a distanza, inclusi i linfonodi pelvici

*Come definita dall’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO). †Modificata nel 1995 (Creasman WT: "New gynecologic cancer staging." Gynecologic Oncology 58:157, 1995). ‡La profondità dell’invasione corrisponde alla misurazione del tumore dalla giunzione epitelio-stromale della papilla dermica adiacente e più superficiale, al punto più profondo dell’invasione. Tis=tumore in situ; T=tumore (indica le dimensioni o l’interessamento); N=linfonodi (indica l’interessamento dei lin fonodi regionali); M=metastasi (indica l’estensione). file:///F|/sito/merck/tabelle/24105.html (1 of 2)02/09/2004 2.43.16

Manuale Merck - Tabella

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE CANCRO DELLA VAGINA Sommario: Introduzione Sintomi e segni Prognosi e trattamento

Il cancro della vagina è responsabile dell’1% delle neoplasie maligne ginecologiche negli USA. L’età media alla diagnosi è di 60-65 anni. Le pazienti con una storia di infezione da papillomavirus umano o di cancro della cervice o della vulva hanno un rischio aumentato. L’esposizione al dietilstilbestrolo in utero è associata nelle donne giovani con lo sviluppo di un adenocarcinoma a cellule chiare della vagina; l’età media alla diagnosi di questa rara neoplasia maligna è di 19 anni. La maggior parte (95%) delle neoplasie maligne vaginali è rappresentata da carcinomi a cellule squamose. I restanti includono gli adenocarcinomi primari e secondari, il carcinoma a cellule squamose secondario (nelle donne anziane), l’adenocarcinoma a cellule chiare (nelle donne giovani) e il melanoma. Il più comune sarcoma vaginale, il sarcoma botrioide (rabdomiosarcoma embrionale), ha un picco di incidenza all’età di 3 anni. Il cancro della vagina si può diffondere per estensione diretta nei tessuti locali paravaginali, nella vescica o nel retto; attraverso i linfonodi inguinali dalle lesioni della parte inferiore della vagina; attraverso i linfonodi pelvici dalle lesioni della parte superiore della vagina o per via ematogena.

Sintomi e segni Il più comune disturbo è un sanguinamento anomalo dalla vagina, che può essere post-coitale, intermestruale o postmenopausale. Le pazienti si possono presentare anche con delle perdite vaginali acquose o con dispareunia. Le fistole vescico- vaginali o retto-vaginali sono manifestazioni tardive del cancro vaginale. Alcune pazienti sono asintomatiche; una lesione può essere scoperta durante un esame pelvico di routine o con un Pap test anormale. Una biopsia a cuneo, di solito, permette la diagnosi, ma a volte è necessaria un’ampia escissione locale con l’uso di un anestetico. La maggior parte delle lesioni si verifica nel 1/3 superiore della vagina, sulla parete posteriore. Il sistema di stadiazione è clinico, principalmente basato sull’esame obiettivo, sull’endoscopia e sulle rx dello scheletro (v. Tab. 241-6).

Prognosi e trattamento La sopravvivenza a 5 anni è correlata allo stadio (stadio I, 65-70%; stadio II, 47%; stadio III, 30%; stadio IV, 15-20%). I fattori prognostici negativi includono le file:///F|/sito/merck/sez18/2412111.html (1 of 2)02/09/2004 2.43.17

Neoplasie ginecologiche

grosse dimensioni del tumore primitivo e la sua scarsa differenziazione. Il trattamento dipende dalla localizzazione e dallo stadio della malattia. Per la maggior parte dei tumori vaginali primitivi, il trattamento con la radioterapia, di solito con una combinazione di irradiazioni esterne e di brachiterapia, è il migliore. Per i piccoli tumori vaginali localizzati al 1/3 superiore della vagina, si può fare ricorso all’isterectomia radicale con colpectomia superiore e alla dissezione dei linfonodi pelvici. Se la radioterapia è controindicata per la presenza di fistole vescico-vaginali o retto-vaginali, viene eseguita un’evisceratio.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-6. SISTEMA DI STADIAZIONE CLINICA DEL CARCINOMA VAGINALE* Stadio

Descrizione

0

Carcinoma in situ, carcinoma intraepiteliale

I

Limitato alla parete vaginale

II

Interessa il tessuto perivaginale, ma non si estende alla parete della pelvi

III

Estensione alla parete pelvica

IV

Estensione oltre la pelvi o con interessamento clinico della mucosa vescicale o rettale; l‘edema bolloso non indica uno stadio IV IVa

Diffusione agli organi adiacenti o estensione diretta oltre la pelvi

IVb

Diffusione a organi distanti

*Come definita dall’International Federation of Gynecol ogy and Obstetrics (FIGO).

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE CANCRO DELLE TUBE DI FALLOPPIO Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi

Il cancro primitivo delle tube di Falloppio è raro. L’età media delle pazienti affette da questo tumore è di 50-60 anni. I fattori di rischio non sono ben definiti; tuttavia, la salpingite cronica o un’altra malattia infiammatoria (come la TBC) sono fattori eziologici possibili. Le pazienti talvolta hanno una precedente storia di infertilità. Più del 95% dei cancri delle tube di Falloppio è rappresentato da adenocarcinomi papillari sierosi; alcuni sono sarcomi. Le modalità di diffusione sono simili a quelle del cancro dell’ovaio. Il cancro delle tube di Falloppio si può diffondere per estensione diretta, per impianto peritoneale o attraverso i linfatici. La stadiazione è simile a quella del cancro dell’ovaio (v. Tab. 241-7).

Sintomi, segni e diagnosi La maggior parte delle pazienti presenta una massa annessiale o con vaghi disturbi addominali o pelvici, quali fastidio, distensione o dolore addominale. Meno di 1/3 delle pazienti presenta con una hydrops tubae profluens, una triade sintomatologica costituita da dolore pelvico, abbondanti perdite acquose e una massa annessiale. La diagnosi e il trattamento sono chirurgici. Il trattamento di scelta consiste di una laparotomia esplorativa, di un’isterectomia totale per via addominale, di un’ovarosalpingectomia bilaterale e della stadiazione chirurgica, che include l’esame citologico del liquido di lavaggio della pelvi, delle docce addominali e dei recessi diaframmatici. Devono essere eseguite anche delle biopsie multiple del peritoneo pelvico e addominale, l’omentectomia e la dissezione dei linfonodi pelvici e para-aortici. La chirurgia citoriduttiva è indicata per le malattie in stadio avanzato. Di solito, è necessaria una terapia postoperatoria, identica a quella per il cancro dell’ovaio. La radioterapia esterna sulla pelvi e sull’addome è utile in pazienti selezionati.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-7. STADIAZIONE CHIRURGICA E ANATOMO-PATOLOGICA DEL CARCINOMA DELLE TUBE DI FALLOPPIO* Stadio

Descrizione

0

Carcinoma in situ (limitato alla mucosa tubarica)

I

Limitato alle tube di Falloppio

II

Ia

Limitato a una tuba con estensione alla sottomucosa o alla muscolare, ma non alla superficie sierosa; no ascite

Ib

Limitato a entrambe le tube con estensione alla sottomucosa o alla muscolare, ma non alla superficie sierosa; no ascite

Ic

Stadio Ia o b con estensione del tumore alla o sulla sierosa delle tube o con ascite o liquido di lavaggio peritoneale positivi per la presenza di cellule neoplastiche Interessa una o entrambe le tube di Falloppio con estensione alla pelvi

IIa Estensione e/o metastasi all’utero o alle ovaie IIb Estensione agli altri tessuti pelvici IIc Stadio IIa o b con ascite o liquido di lavaggio peritoneale positivi per la presenza di cellule neoplastiche III

Interessa una o entrambe le tube di Falloppio con impianti peritoneali al di fuori della pelvi o linfonodi retroperitoneali o inguinali positivi; la presenza di metastasi epatiche superficiali indica lo stadio III. Sembra limitato alla pelvi, ma con estensione neoplastica, confermata istologicamente, al piccolo intestino o all’omento IIIa Macroscopicamente limitato alla pelvi con linfonodi negativi, ma con impianti microscopici, confermati istologicamente, sulla superficie peritoneale dell’addome IIIb Interessa una o entrambe le tube con impianti, confermati istologicamente, sulla superficie peritoneale dell’addome, nessuno con diametro>2cm; linfonodi negativi IIIc Impianti addominali con diametro>2cm o linfonodi retroperitoneali o inguinali positivi

IV

Interessa una o entrambe le tube di Falloppio con metastasi a distanza. Se è presente un versamento pleurico, questo indicherà uno stadio IV se l’esame citologico è positivo per cellule neoplastiche. La presenza di metastasi epatiche parenchimali indica uno stadioIV

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Manuale Merck - Tabella

*Come definita dall’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO). I dati chirurgici, utilizzati per la stadiazione, sono definiti prima dell’asportazione della massa.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA Il cancro della mammella è il più frequente cancro nelle donne e i sintomi suggestivi di questa neoplasia sono ancora più frequenti. Negli USA, circa 15 milioni di donne si rivolgono al medico ogni anno perché preoccupate dell’insorgenza di un cancro della mammella e > 190000 nuovi casi sono diagnosticati annualmente. Per ogni donna a cui viene diagnostica la malattia, altre 5-10 sono sottoposte a biopsie che dimostrano una patologia benigna. Anche altri disturbi della mammella, quali la mastodinia (associata a una cisti sottostante o non correlata ad alcun reperto nella mammella) e la secrezione del capezzolo, sono causa della richiesta di una visita medica.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA MALATTIE BENIGNE DELLA MAMMELLA MASTODINIA, CISTI, NODULI MULTIPLI La mastodinia, le cisti mammarie e la presenza di noduli multipli non classificabili sono condizioni frequenti che spesso si presentano insieme; nessuna di queste condizioni è di per sé anormale. La combinazione è frequentemente descritta con il termine unico di mastopatia fibrocistica, una condizione importante soprattutto per la modesta correlazione con il rischio di insorgenza di un cancro della mammella (v. oltre). Non ci sono prove che il trattamento della mastodinia, delle cisti o delle nodularità, riduca il rischio di insorgenza di un cancro della mammella. La mastodinia è la condizione mammaria benigna più comune. Nelle donne in pre-menopausa, il dolore si può manifestare in occasione del ciclo mestruale come una variante più intensa della sindrome premestruale. In alcuni casi il dolore è associato a delle cisti facilmente palpabili e può essere alleviato dall’aspirazione della cisti con un ago sottile. Il fluido aspirato non necessita di esame citologico nelle donne di età < 30 anni, ma se ne devono annotare il colore e la quantità così come la scomparsa o la recidiva della cisti dopo l’aspirazione. Un tumore nella parete di una cisti, sebbene estremamente raro, può essere sospettato se il liquido è ematico o si riforma rapidamente (entro 12 sett.) dopo l’aspirazione. In questi casi, l’intera cisti deve essere asportata. Le altre cause di mastodinia si pensa siano di natura ormonale. La riduzione dell’assunzione di sostanze contenenti metilxantina (p. es., il caffè) è inefficace. Nella maggior parte delle pazienti la mastodinia si risolve spontaneamente dopo mesi o anni. Il danazolo (un androgeno attenuato che ha, di solito, modesti effetti collaterali androgenici), 100-400 mg/die PO per 3-6 mesi, o il tamoxifene (un antiestrogeno con pochi effetti collaterali) 10 mg bid PO per 3-6 mesi, possono migliorare la mastodinia. Poiché questi farmaci hanno effetti collaterali a lungo termine, il loro uso deve essere limitato a un breve periodo nelle pazienti con una sintomatologia particolarmente grave; il tamoxifene, probabilmente, può essere somministrato senza problemi, specialmente alle donne in post-menopausa, anche per 5 anni. Qualunque sanguinamento inspiegato deve essere studiato per escludere la presenza di un cancro dell’endometrio.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA CANCRO DELLA MAMMELLA (V. anche Cap. 142, 143 e 144.)

Sommario: Introduzione Fattori di rischio Sintomi, segni e diagnosi Screening Terapia primaria Terapia adiuvante sistemica Terapia della malattia metastatica CANCRO DELLA MAMMELLA NELL’UOMO

Il carcinoma in situ è localizzato interamente all’interno del dotto mammario, senza invasione dei normali tessuti adiacenti. Una volta eccezionale, rappresenta ora più del 15% di tutti i casi di carcinoma mammario diagnosticati negli USA e la percentuale è ancora più alta nei gruppi di donne più giovani. Questo incremento è il risultato di uno screening migliore. Il carcinoma duttale in situ (CDIS) è responsabile del 43% dei cancri della mammella diagnosticati nelle donne di età compresa tra i 40 e i 49 anni e del 92% dei casi diagnosticati nelle donne di età compresa tra i 30 e i 39 anni. Il CDIS si sviluppa nelle donne in pre-menopausa e in quelle in post-menopausa, dà luogo a una massa palpabile ed è più frequentemente localizzato in un quadrante della mammella. Inoltre, è frequentemente la causa delle microcalcificazioni evidenziate alla mammografia. Le pazienti hanno buone probabilità di sviluppare un cancro invasivo se non vengono trattate. Il CDIS è considerato un precursore del cancro invasivo ma, poiché è localizzato, può essere completamente rimosso con l’intervento chirurgico. Il carcinoma lobulare in situ (CLIS), o neoplasia lobulare, si verifica preferenzialmente nelle donne in pre-menopausa e viene di solito riscontrato incidentalmente, poiché non dà vita a masse palpabili. Dal punto di vista microscopico, il CLIS sembra chiaramente diverso dal CDIS. Il 25-35% delle pazienti con un CLIS sviluppa un cancro mammario invasivo dopo una latenza che può essere anche di 40 anni. Questi tumori invasivi si sviluppano bilateralmente con uguale frequenza. Molti specialisti collegano il CLIS all’iperplasia atipica, considerandola un indice di predisposizione al cancro della mammella piuttosto che un vero precursore. I tumori invasivi lobulari e duttali sono i tipi istologici più frequenti tra i tumori invasivi (circa il 90%). Le pazienti con istotipi meno comuni (p. es., le lesioni tubulari o midollari) hanno una prognosi relativamente migliore.

Fattori di rischio

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Malattie della mammella

Negli USA, il rischio cumulativo di sviluppare un carcinoma mammario è del 12,64% (1 su 8) all’età di 95 anni e quello di morire per questa patologia è di circa il 3,6%. Il rischio maggiore si verifica dopo i 75 anni di età (v. Tab. 242-1). Queste statistiche possono essere ingannevoli, perché il rischio cumulativo di sviluppare la malattia in un qualsiasi intervallo di 20 anni è considerevolmente più basso. La storia familiare di carcinoma della mammella in un parente di primo grado (genitori, germani, figli) raddoppia o triplica il rischio di sviluppare la malattia, ma la familiarità in parenti più lontani aumenta il rischio solo di poco. In alcuni studi, il rischio è risultato più alto nelle donne con parenti affetti da un cancro bilaterale della mammella o il cui cancro sia stato diagnosticato prima della menopausa. Quando due o più parenti di primo grado hanno un tumore della mammella, il rischio può essere maggiore di 5 o 6 volte. Circa il 5% delle donne affette da un cancro della mammella è portatore di uno dei due geni del cancro della mammella, BRCA1 o BRCA2. Il rischio di sviluppare un cancro della mammella aumenta se anche una parente di queste donne è portatrice del gene. Anche gli uomini portatori del BRCA2 hanno un aumentato rischio di sviluppare una neoplasia della mammella. La quantificazione del rischio è ancora incerta, ma può essere addirittura del 50-85% all’età di 80 anni. Tuttavia, le donne con BRCA1 o BRCA2 non sembrano avere un maggior rischio di morire per un cancro della mammella dopo la sua diagnosi rispetto alle donne senza questo gene. Le donne che hanno il BRCA1 hanno un rischio similmente aumentato di sviluppare un cancro dell’ovaio. Le donne che non hanno una storia familiare di cancro della mammella nei parenti di primo grado di almeno due generazioni, probabilmente non sono portatrici di questo gene. Per questa ragione, la maggior parte delle organizzazioni professionali non incoraggia lo screening diffuso per il BRCA1 e per il BRCA2. Le donne con una storia di cancro della mammella in situ o invasivo sono un altro gruppo ad alto rischio. Il rischio di sviluppare un cancro nella mammella controlaterale dopo una mastectomia è di circa lo 0,5-1% all’anno. Il rischio è aumentato anche per le donne con un menarca precoce, una menopausa tardiva o una prima gravidanza tardiva. Le donne che hanno avuto la prima gravidanza dopo i 30 anni sono a maggior rischio rispetto alle donne nullipare. Un’anamnesi positiva per la mastopatia fibrocistica aumenta il rischio, ma questa condizione è una diagnosi istologica imprecisa spesso assegnata a una biopsia della mammella che mostra alcune cisti con tessuto mammario normale o con una minima proliferazione; quindi, la diagnosi ha poco significato. Tra le donne con una pregressa biopsia per una patologia mammaria benigna, l’aumento di rischio sembra limitato a quelle con una proliferazione duttale e, anche in queste, il rischio è moderato, fatta eccezione per le donne con un’iperplasia atipica. Per quelle con un’iperplasia atipica e un’anamnesi familiare positiva in un parente di primo grado, infatti, il rischio è aumentato di quasi 9 volte. Le donne con noduli mammari multipli, ma senza una conferma istologica di un quadro ad alto rischio, non devono essere considerate a rischio aumentato. Le donne che usano i contraccettivi orali hanno un modesto aumento del rischio di insorgenza di un cancro della mammella; tra queste donne si verificano, infatti, circa 5 casi in più di cancro della mammella ogni 100000. Il rischio aumenta principalmente durante gli anni in cui le donne assumono i contraccettivi e diminuisce progressivamente nei 10 anni successivi alla loro sospensione. Il rischio è anche correlato all’età in cui i

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Malattie della mammella

contraccettivi sono stati assunti per la prima volta. Le donne che iniziano ad assumere i contraccettivi prima dei 20 anni hanno il maggiore incremento proporzionale del rischio di insorgenza del cancro che, comunque, è ancora molto basso. Similmente, l’uso della terapia estrogenica sostitutiva nella postmenopausa sembra aumentare in misura modesta il rischio dopo 1020 anni di assunzione (v. anche Cap. 236). Nonostante l’uso prolungato, anche in questo caso il rischio è aumentato, comunque, meno di due volte. Non è noto se l’uso ciclico o continuo degli estro-progestinici abbia degli effetti maggiori o minori sul rischio, rispetto all’uso dei soli estrogeni. I modulatori selettivi dei recettori estrogenici possono prevenire la cardiopatia e l’osteoporosi e trattare le vampate senza effetti dannosi sulla mammella. I fattori ambientali, come la dieta, possono avere un ruolo nel causare o promuovere la crescita di un cancro della mammella, ma mancano prove definitive sull’effetto di diete particolari (p. es., di una ricca di grassi). Le donne obese in post-menopausa hanno un rischio aumentato, ma non c’è alcuna prova che il cambiamento della dieta riduca il rischio. Per le donne obese che hanno ancora le mestruazioni, il rischio può essere diminuito. L’esposizione alle radiazioni, prima dei 30 anni, aumenta, invece, il rischio.

Sintomi, segni e diagnosi Più dell’80% dei carcinomi della mammella viene scoperto dalla paziente stessa per la presenza di un nodulo. Meno comunemente, le pazienti si presentano con una storia di dolore in assenza di masse, con un aumento di volume o con un indefinito aumento di consistenza del seno. Un reperto tipico all’esame obiettivo è la presenza di una massa dominante, un nodulo chiaramente distinto dal tessuto mammario circostante. Alterazioni fibrotiche diffuse in un quadrante del seno, di solito il quadrante superoesterno, sono più caratteristiche di affezioni benigne, ma un ispessimento lievemente più fisso, non notato nel seno controlaterale, può essere un segno di cancro. Cancri della mammella più avanzati sono caratterizzati dalla fissità della massa alla parete toracica o alla cute sovrastante, dalla presenza di una linfoadenopatia satellite o di ulcerazioni della cute o dall’accentuazione dei segni cutanei causati dal linfedema (cute a buccia d’arancia). Se sono presenti dei linfonodi ascellari confluenti o fissi e/o una linfoadenopatia sotto- o sopraclaveare, l’intervento chirurgico ha poche probabilità di essere radicale. Il carcinoma mammario infiammatorio è particolarmente virulento, caratterizzato da un’infiammazione e un aumento di volume del seno diffusi, spesso senza un massa definita. Se all’esame obiettivo c’è il sospetto di un cancro, si deve programmare una biopsia. Una mammografia effettuata prima della biopsia può aiutare a evidenziare altre aree del seno che devono essere bioptizzate e serve come esame di confronto per i controlli successivi. Tuttavia, il risultato della mammografia non deve modificare la decisione di eseguire la biopsia. L’agoaspirato con esame citologico può essere sufficiente per confermare il cancro, ma deve essere eseguito solo da persone di elevata esperienza nella tecnica. Se l’aspirato di una lesione sospetta è negativo, deve essere effettuato un esame più sensibile: un’agobiopsia o una biopsia a cielo aperto oppure una biopsia escissionale se il tumore è piccolo. Sempre più frequentemente, si ricorre alle biopsie stereotassiche (un’agobiopsia eseguita durante la mammografia) per migliorare l’accuratezza file:///F|/sito/merck/sez18/2422116c.html (3 of 11)02/09/2004 2.43.22

Malattie della mammella

diagnostica. Le prove indicano che questo metodo è accurato e sicuro almeno quanto i metodi bioptici tradizionali. La maggior parte delle biopsie può essere eseguita utilizzando un anestetico locale. Il campione bioptico può essere posto in inchiostro di china prima della sezione così da evidenziare con maggior precisione i margini del tessuto normale che circonda la lesione. Una parte del campione bioptico deve essere esaminata, di routine, per la presenza dei recettori per gli estrogeni e per il progesterone. Queste proteine citoplasmatiche possono essere misurate mediante il dosaggio delle proteine leganti gli steroidi, che richiede circa 1 g di tessuto tumorale fresco polverizzato per formare un omogenato di cellule tumorali, o con un test immunochimico (Estrogen Receptor Immunochemical Assay, ER-ICA), che richiede quantitativi più piccoli di tessuto fresco. Un ER-ICA eseguito su sezioni di tessuto fissato è meno attendibile. Circa i 2/3 delle pazienti hanno un tumore positivo per i recettori degli estrogeni (RE+) con un’incidenza maggiore tra le donne in post-menopausa rispetto a quelle in pre-menopausa. Le pazienti con i recettori degli estrogeni hanno una prognosi in un certo qual modo migliore e una maggiore probabilità di trarre beneficio dalla terapia endocrina. Un recettore per il progesterone si pensa che si comporti dal punto di vista funzionale come un recettore per gli estrogeni. La presenza di recettori per gli estrogeni e per i progestinici indica una maggior probabilità di risposta rispetto alla presenza dei recettori per i soli estrogeni. La conoscenza dello stato recettoriale al momento della diagnosi può essere utile nella scelta della terapia adiuvante (dopo escissione o terapia radiante) e della terapia palliativa se si sviluppa una malattia metastatica. Il campione bioptico può essere valutato per la ploidia e la frazione di cellule in fase S. Le pazienti che hanno dei tumori aneuploidi o dei tumori con un’alta percentuale di cellule in fase S hanno una prognosi peggiore. Questi test sono eseguiti in molti laboratori commerciali, ma non sono stati stabiliti dei valori standard per identificare una cattiva prognosi, né sono stati istituiti programmi di controllo della qualità per assicurare la comparabilità dei risultati. Infine, questi test possono aiutare a determinare la prognosi nelle pazienti che non hanno un coinvolgimento dei linfonodi ascellari. Il trattamento può essere ritardato da una a diverse settimane dopo la biopsia in modo da poter eseguire una valutazione completa dell’eventuale malattia metastatica. Questa deve comprendere almeno l’esame obiettivo per accertare la presenza di una linfoadenopatia, di metastasi cutanee e di un’epatomegalia; una radiografia del torace; lo studio della funzione epatica e un emocromo. L’antigene carcinoembrionario (CEA) e l’antigene tumorale 15-3 sono elevati in più del 50% delle pazienti con malattia metastatica. Una scintigrafia ossea deve essere effettuata di routine in tutti le pazienti con tumori di grandi dimensioni o con linfoadenopatia. La scintigrafia ossea è, infatti, raramente positiva nelle pazienti senza linfoadenopatia e con tumori di diametro inferiore ai 2 cm. Comunque, questo esame fornisce un valido termine di confronto se si sviluppano i segni della malattia metastatica (p. es., il dolore muscolo-scheletrico). La scintigrafia epatica è raramente positiva nelle pazienti con esami di funzionalità epatica normali, un normale CEA e assenza di epatomegalia all’esame obiettivo.

Screening L’esame obiettivo delle mammelle effettuato dalla paziente o dal medico, comincia con l’ispezione, per la ricerca di asimmetrie nelle dimensioni delle

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Malattie della mammella

mammelle, di inversioni, protrusioni o retrazioni del capezzolo. La Fig. 2421 A e B mostra la posizione usuale per l’ispezione. Un tumore sottostante viene, a volte, messo in evidenza facendo premere alla paziente entrambe le mani contro i fianchi o le palme l’una contro l’altra davanti alla fronte (v. Fig. 242-1 C e D). In queste posizioni i muscoli pettorali sono contratti e può apparire una piccola retrazione della cute se il tumore, crescendo, è rimasto intrappolato in un legamento di Cooper. I linfonodi ascellari e sopraclaveari sono esaminati meglio con la paziente seduta o in piedi (v. Fig. 242-1 E). Offrendo un supporto al braccio della paziente durante l’esame dell’ascella, il braccio è completamente rilasciato e si possono palpare i linfonodi ascellari profondi. Sebbene l’esame delle mammelle con la paziente seduta possa evidenziare una lesione non palpabile in altro modo, un esame più sistematico deve essere effettuato a paziente supina con il braccio dello stesso lato sollevato sopra la testa e un cuscino sotto la spalla omolaterale al seno da esaminare (v. Fig. 242-1 F). Questa posizione viene usata anche per l’autoesame del seno; la paziente esamina la mammella con la sua mano controlaterale. Il seno deve essere palpato con la superficie palmare del secondo, terzo e quarto dito, spostandosi sistematicamente con piccoli movimenti circolari dal capezzolo verso i margini esterni (v. Fig.242-1 G). Le dimensioni (misurate con un calibro) e la localizzazione esatte di ogni reperto anomalo devono essere annotate su uno schema del seno che deve diventare parte della documentazione della paziente. Deve essere inclusa anche la descrizione, per iscritto, della consistenza dell’anomalia riscontrata e del grado di delimitazione rispetto al tessuto mammario circostante. La scheda deve indicare se l’alterazione è stata considerata un reperto benigno o potenzialmente maligno, poiché la presenza di reperti anormali all’esame obiettivo è il criterio più importante per decidere se effettuare o no una biopsia, anche se una mammografia successiva non evidenzia l’area sospetta. La paziente deve essere istruita sull’autopalpazione del seno durante il controllo senologico annuale da parte di un medico o di un’infermiera specializzata. La paziente deve eseguire questo esame ogni mese. L’autoesame eseguito di routine non ha dimostrato di poter ridurre la mortalità del cancro della mammella né di essere utile quanto lo screening mammografico; tuttavia, i tumori riscontrati con questa tecnica sono solitamente più piccoli, sono associati a una prognosi migliore e vengono più facilmente trattati con un intervento chirurgico conservativo (v. oltre). La mammografia sistematica riduce la mortalità per cancro della mammella del 25-35% nelle donne asintomatiche 50 anni di età e, probabilmente, in minor misura in donne asintomatiche con < 50 anni. In studi di screening, circa il 40% dei tumori è stato scoperto con la mammografia e non con l’esame fisico. La mammografia, nelle donne > 50 anni, deve essere eseguita ogni anno. Tuttavia, c’è un notevole disaccordo circa l’opportunità dello screening nelle donne di età compresa tra i 40 e i 50 anni. Le raccomandazioni per questo gruppo di età includono la mammografia annuale (The American Cancer Society), la mammografia ogni 1-2 anni (The National Cancer Institute) e nessuna mammografia periodica (The American College of Physicians, che considera incerti i benefici della mammografia per questo gruppo di età). I segni iniziali di un cancro della mammella, identificati dalla mammografia, includono le microcalcificazioni, le sottili distorsioni dell’architettura della mammella e le lesioni a forma di granchio che non possono essere palpate. Tuttavia, queste alterazioni non sono sempre osservate nelle pazienti che presentano una massa o altri segni suggestivi e l’incidenza di risultati falsamente negativi può superare il 15%, in funzione, in parte della tecnica usata e in parte dell’esperienza del mammografista. Le aree file:///F|/sito/merck/sez18/2422116c.html (5 of 11)02/09/2004 2.43.22

Malattie della mammella

sospette alla mammografia che non possono essere evidenziate all’esame obiettivo possono essere localizzate posizionando 2 aghi o fili metallici sotto guida radioscopica, rendendo così possibile la biopsia della lesione. I campioni bioptici devono essere radiografati e la radiografia confrontata con la mammografia eseguita prima della biopsia per accertarsi che l’area sospetta sia stata rimossa. La mammografia è ripetuta quando il seno non è più dolorabile, solitamente 6-12 sett. dopo la biopsia, per confermare la rimozione dell’area sospetta. L’ecografia è utile per distinguere una cisti della mammella da una massa solida. Una cisti, di solito, non richiede alcun trattamento se la paziente è asintomatica (anche se alcuni medici credono che tutte le cisti debbano essere aspirate e il liquido debba essere inviato per l’esame citologico), mentre una massa solida, di solito, deve essere sottoposta a biopsia. L’ecografia non è usata nello screening di routine per il cancro. Anche la termografia e la diafanografia (transilluminazione), che hanno un’incidenza di risultati falsi positivi e falsi negativi molto alta, non sono considerati utili nello screening.

Terapia primaria Cancro invasivo: le percentuali di sopravvivenza delle pazienti trattate con una mastectomia radicale modificata (mastectomia semplice più dissezione linfonodale) e di quelle trattate con chirurgia conservativa (tumorectomia, escissione allargata, mastectomia parziale o quadrantectomia) più radioterapia sembrano essere identiche, almeno per i primi 20 anni. Le preferenze delle pazienti giocano un ruolo principale nella scelta del trattamento. Il vantaggio principale della chirurgia conservativa associata alla radioterapia è di natura estetica con il conseguente senso di integrità corporea. Tuttavia, questo vantaggio può venire a mancare se il tumore è grande rispetto alla mammella, dal momento che è necessaria la completa rimozione della massa tumorale e di una porzione di tessuto normale limitrofo per il controllo a lungo termine del cancro mammario. Alcuni medici utilizzano la chemioterapia preoperatoria per ridurre le dimensioni del tumore prima di eseguire la tumorectomia e la radioterapia. I primi dati indicano che questo approccio non compromette la sopravvivenza e può permettere ad alcune donne di scegliere l’intervento conservativo invece della mastectomia. In circa il 15% delle pazienti trattate con chirurgia conservativa e radioterapia può essere difficile distinguere quale seno sia stato operato. Più spesso, comunque, si verifica una qualche retrazione nella mammella trattata ed eventualmente si possono verificare degli ispessimenti o interruzioni del contorno nell’area della escissione allargata. Queste alterazioni possono essere ridotte al minimo facendo attenzione ai dettagli estetici durante la biopsia iniziale e durante l’escissione, eventualmente necessaria. Gli altri effetti negativi della radioterapia sono generalmente transitori e lievi; includono l’eritema e la formazione di vescicole cutanee durante la terapia, le lievi polmoniti, 3-6 mesi dopo la fine della radioterapia, in circa il 10-20% delle pazienti e le fratture costali asintomatiche in meno del 5% delle pazienti. La maggior parte dei tumori invasivi presenta una o più piccole aree di cancro intraduttale (in situ); alcuni studi hanno dimostrato che i tumori caratterizzati da un’estesa (> 25%) componente intraduttale (CID+), sia nel contesto del tumore invasivo che nel tessuto circostante, hanno un elevata percentuale di recidive locali dopo chirurgia conservativa e radioterapia. Tuttavia, le percentuali di metastasi a distanza e le percentuali di sopravvivenza dopo chirurgia conservativa della mammella sono le stesse

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nei tumori CID+ o CID-. Il miglior controllo locale dei tumori CID+ è, comunque, ottenuto con la mastectomia o con una nuova escissione dell’area tumorale originaria, in modo da escludere ulteriori focolai di tumore rimasto in sede. Con la mastectomia radicale modificata si asporta tutto il tessuto mammario, ma si preserva il muscolo grande pettorale e si evita la necessità di un innesto cutaneo; questo intervento ha sostituito la mastectomia radicale secondo Halsted. La sopravvivenza dopo mastectomia radicale modificata è equivalente a quella che si ha dopo una mastectomia radicale, ma la ricostruzione del seno è considerevolmente più facile. La radioterapia eseguita come terapia adiuvante dopo una mastectomia, riduce significativamente l’incidenza delle recidive locali sulla parete toracica e nei linfonodi regionali, ma non migliora la sopravvivenza globale e viene, quindi, usata sempre meno frequentemente. Le procedure per le ricostruzione includono il posizionamento di una protesi salina o in silicone, al di sotto del piano muscolare o, meno frequentemente nel sottocute; l’uso di un espansore tissutale con il successivo posizionamento della protesi; il trasferimento del muscolo e della vascolarizzazione dal muscolo grande dorsale o dalla parte inferiore del muscolo retto dell’addome nonché la creazione di un lembo libero anastomizzando i vasi del muscolo grande gluteo ai vasi mammari interni. La scelta della procedura dipende dall’estensione del precedente intervento chirurgico o della radioterapia, dall’esperienza del chirurgo plastico e dalla determinazione della paziente nell’andare incontro a procedure chirurgiche più impegnative o ad avere una debolezza muscolare nelle aree da cui sono rimossi i muscoli. La ricostruzione subito dopo la mastectomia comporta un’anestesia prolungata e la coordinazione tra il chirurgo generale e il chirurgo plastico. La dissezione o la biopsia dei linfonodi può essere eseguita come parte della mastectomia radicale modificata o con un’incisione ascellare distinta durante l’intervento conservativo. Alla procedura è associata una morbilità considerevolmente inferiore se la dissezione linfonodale viene limitata medialmente e inferiormente ai vasi succlavi. Interventi più estesi probabilmente non sono giustificati, perché il ruolo principale della rimozione dei linfonodi è diagnostico e non terapeutico. Lo stato dei linfonodi si correla con la sopravvivenza libera da malattia e con la sopravvivenza globale meglio di qualunque altro fattore prognostico. Nelle pazienti con linfonodi negativi la percentuale di sopravvivenza senza malattia a 10 anni supera il 70% e la sopravvivenza globale supera l’80%. Al contrario, le percentuali sono rispettivamente del 25% e del 40% nelle pazienti con linfonodi positivi. La prognosi è peggiore per ogni linfonodo positivo in più, ma tradizionalmente vengono considerati 3 gruppi: linfonodi negativi, 1-3 linfonodi positivi e 4 o più linfonodi positivi. Per le pazienti dell’ultimo gruppo, la percentuale di sopravvivenza libera da malattia a 10 anni è circa del 15% e la percentuale di sopravvivenza globale è circa del 25%. Le lesioni più estese hanno più frequentemente dei linfonodi positivi. Le dimensioni del tumore hanno anche un valore prognostico indipendente con un peggioramento della prognosi per ogni incremento delle dimensioni di 1 cm. Alcuni esperti credono che un tumore < 1 cm sia associato a una prognosi eccellente e che non sia necessaria alcuna terapia adiuvante e alcuni pensano che un tumore di dimensioni superiori ai 5 cm richieda una terapia adiuvante sistemica prima della mastectomia o della chirurgia conservativa. Le pazienti con tumori scarsamente differenziati hanno una prognosi peggiore; tuttavia, anatomopatologi diversi tendono a valutare in maniera differente gli stessi vetrini. Carcinoma in situ: il CLIS viene trattato con l’osservazione stretta o con la mastectomia bilaterale. La maggior parte delle pazienti con CDIS è file:///F|/sito/merck/sez18/2422116c.html (7 of 11)02/09/2004 2.43.22

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trattata con la mastectomia semplice, che è stato il trattamento standard per questo tipo di cancro. Tuttavia, un numero crescente di pazienti viene trattato o con la sola escissione allargata (specialmente se la lesione è più piccola di 2,5 cm e le caratteristiche istologiche sono favorevoli) o con l’escissione allargata più la radioterapia quando le dimensioni e le caratteristiche istologiche sono meno favorevoli. Studi randomizzati hanno dimostrato che l’associazione della radioterapia riduce la possibilità che un cancro invasivo della mammella si sviluppi almeno per 5-10 anni dopo il trattamento. Non ci sono prove che la radioterapia migliori la sopravvivenza, che, comunque, supera il 98-99% indipendentemente dal trattamento usato. Cancri infiammatori: il trattamento iniziale è rappresentato dalla terapia sistemica, solitamente la chemioterapia, seguita dalla radioterapia. Anche se circa i 2/3 dei cancri infiammatori della mammella sono RE+, il ruolo dell’ormonoterapia, da sola o associata alla chemioterapia, non è ben definito.

Terapia adiuvante sistemica La chemioterapia e la terapia endocrina, iniziate subito dopo la fine della terapia primaria e continuate per mesi o anni, ritardano la comparsa delle recidive in quasi tutte le pazienti e prolungano la sopravvivenza in alcune. Non c’è nessuna prova che queste terapie guariscano le pazienti che non sono state guarite dalla mastectomia o dalla radioterapia. La chemioterapia adiuvante riduce le probabilità annuali di morte del 2535% nelle donne in pre-menopausa con linfonodi positivi, almeno durante i primi 15 anni di follow-up. A 10 anni, più del 10% delle pazienti trattate è ancora in vita e il tempo mediano di sopravvivenza delle pazienti in premenopausa con linfonodi positivi trattate con la chemioterapia adiuvante è in media di 1,5-3 anni più lungo di quello delle pazienti trattate con la sola mastectomia. La chemioterapia riduce anche le probabilità annuali di morte nelle donne in pre-menopausa che sono a rischio inferiore di ricorrenza (p. es., quelle senza interessamento linfonodale) del 25-35%. Tuttavia, la differenza assoluta nella sopravvivenza a 10 anni è più piccola (1-9%) di quella osservata nelle pazienti con linfonodi positivi. L’effetto della chemioterapia adiuvante nelle donne in post-menopausa è circa la metà di quello ottenuto nelle donne in pre-menopausa: una riduzione del 9-19% nella probabilità annuale di morte e un beneficio assoluto ancora più piccolo nella sopravvivenza a 10 anni. Le donne in post-menopausa affette da tumori RE-, traggono il massimo beneficio dalla chemioterapia adiuvante. I regimi di chemioterapia combinata, quali la ciclofosfamide, il metotrexato e il 5-fluorouracile (CMF) o la ciclofosfamide e la doxorubicina (CA), sono più efficaci rispetto all’uso di un solo farmaco. I regimi somministrati per 46 mesi sono i più efficaci, o comunque, sono efficaci quanto i regimi somministrati per 6-24 mesi. Gli effetti collaterali acuti dipendono dal protocollo usato, ma, in genere, includono la nausea e raramente il vomito, le mucositi, una facile stancabilità, l’alopecia lieve o grave, la mielosoppressione e la trombocitopenia. Gli effetti collaterali a lungo termine si verificano infrequentemente con la maggior parte dei protocolli e il decesso per infezione o sanguinamento è raro (< 0,2%). Nelle donne con tumori RE+ la terapia adiuvante con tamoxifene fornisce quasi gli stessi benefici della chemioterapia nella donne in pre-menopausa. Il tamoxifene adiuvante per 5 anni riduce le probabilità annuali di morte di circa il 25% nelle donne in pre-menopausa e in post-menopausa e nelle file:///F|/sito/merck/sez18/2422116c.html (8 of 11)02/09/2004 2.43.22

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donne con o senza interessamento dei linfonodi ascellari. L’aumento assoluto della sopravvivenza è di poco inferiore al 10% a 10 anni. Il trattamento per 5 anni è superiore a quello per soli 2 anni, ma il trattamento per > 5 anni non porta alcun vantaggio. Il tamoxifene non ha praticamente effetti collaterali acuti, specialmente nelle donne in postmenopausa, ma ha degli effetti antiestrogenici sul tessuto mammario ed effetti estrogenici su altre parti dell’organismo. Allora, il tamoxifene riduce l’incidenza del cancro nella mammella controlaterale (un effetto antiestrogenico) e riduce il colesterolo sierico (un effetto estrogenico). La terapia con tamoxifene può ridurre la mortalità per affezioni cardiovascolari e osteoporosi, ma aumenta significativamente il rischio di sviluppare un cancro dell’endometrio. Tuttavia, il miglioramento della sopravvivenza per il cancro della mammella supera di gran lunga l’aumento del rischio di morte per il cancro dell’utero. Il tamoxifene può causare una depressione in 10% delle pazienti. Alcune forme di chemioterapia adiuvante (p. es., la CMF per 6 mesi, la CA per 4 mesi) devono essere eseguite di routine dopo la mastectomia o dopo la tumorectomia più radioterapia in tutte le pazienti in pre-menopausa con linfonodi positivi. Il tamoxifene può essere usato al posto della chemioterapia nelle donne in pre-menopausa con un tumore RE+, specialmente in quelle con tumori a basso rischio, ma la somministrazione sia del tamoxifene che della chemioterapia non ha dimostrato vantaggi nelle donne in pre-menopausa. Dopo la terapia locale, la terapia adiuvante con tamoxifene deve essere eseguita di routine per almeno 5 anni nelle donne in post-menopausa con tumori RE+. La chemioterapia adiuvante può essere somministrata alle donne in post-menopausa con tumori RE-, e la somministrazione sia della chemioterapia che del tamoxifene in questo gruppo di donne ha mostrato un modesto vantaggio. Comunque, non tutti sono d’accordo sul fatto di somministrare la terapia adiuvante con tamoxifene per ottenere solo un modesto beneficio in certi gruppi di pazienti (p. es., le pazienti senza interessamento linfonodale o le donne in post-menopausa a cui è stata somministrata chemioterapia). Dibattuto è anche il trattamento con alte dosi di chemioterapici e trapianto del midollo osseo, ancora in fase di studio.

Terapia della malattia metastatica Il cancro della mammella può metastatizzare praticamente in tutti gli organi; più comunemente, metastatizza ai polmoni, al fegato, alle ossa, ai linfonodi e alla cute. Sono frequenti anche le metastasi al SNC. Circa il 10% delle pazienti con metastasi ossee, alla fine, sviluppa un’ipercalcemia. La maggior parte delle metastasi cutanee si verifica nella regione del pregresso intervento chirurgico; sono frequenti anche le metastasi al cuoio capelluto. Poiché le metastasi si manifestano, di solito, anni o decenni dopo la diagnosi e dopo il trattamento iniziale del cancro della mammella, la comparsa di nuovi sintomi richiede un’immediata valutazione. Il trattamento delle metastasi aumenta la sopravvivenza mediana di 36 mesi. Anche le terapie relativamente tossiche (p. es., la chemioterapia) alleviano i sintomi e migliorano la qualità della vita. La scelta della terapia dipende dallo stato dei recettori ormonali del tumore primitivo o della lesione metastatica, dalla lunghezza dell’intervallo libero da malattia (dalla diagnosi alla comparsa delle metastasi), dal numero delle sedi metastatiche e degli organi interessati e dallo stato menopausale della paziente. Quando vi è una metastasi, di solito, ve ne sono anche delle altre, magari non evidenti al momento. Perciò, la maggior parte delle pazienti con malattia metastatica è trattata con un’endocrinoterapia o con

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una chemioterapia sistemica. È possibile, comunque, che le pazienti con un lungo intervallo libero da malattia (p. es., 2 anni) e una singola metastasi non mostrino i segni delle altre metastasi per mesi o anni; in queste pazienti può essere usata la sola radioterapia per trattare le lesioni ossee sintomatiche e isolate o le recidive cutanee locali non suscettibili di resezione chirurgica. La radioterapia è il trattamento più efficace per le metastasi cerebrali, permettendo, a volte, un lungo controllo della malattia. Le pazienti con metastasi multiple al di fuori del SNC devono essere trattate inizialmente con una terapia sistemica; la radioterapia è, di solito, evitata fino a quando non ci sono le prove del fallimento del trattamento sistemico. Non ci sono prove che il trattamento delle pazienti con metastasi asintomatiche aumenti in modo sostanziale la sopravvivenza. La terapia endocrina viene preferita alla chemioterapia nelle pazienti con tumori RE+, un intervallo senza malattia superiore ai 2 anni o una malattia che non mette a rischio la vita della paziente. La terapia endocrina è particolarmente efficace nelle donne quarantenni in pre-menopausa e nelle donne in post-menopausa che hanno avuto la loro ultima mestruazione da oltre 5 anni. Comunque, nessuno di questi fattori deve essere considerato un criterio esclusivo per preferire la terapia endocrina alla chemioterapia. Per esempio, una donna di 70 anni con un tumore RE-, un intervallo libero da malattia superiore ai 5 anni e una malattia metastatica limitata a diverse ossa, può essere trattata con la terapia endocrina. Al contrario, una donna di 35 anni in pre-menopausa con un tumore RE+, un intervallo libero da malattia di 6 mesi e un interessamento epatico massivo può essere una candidata alla chemioterapia. Il tamoxifene rappresenta, di solito, la prima terapia endocrina impiegata, a causa della sua relativa assenza di tossicità. Nelle donne in premenopausa, l’ablazione delle ovaie con l’intervento chirurgico, la radioterapia o l’uso dell’antagonista dell’ormone luteinizzante rappresentano ragionevoli alternative. Le pazienti che rispondono inizialmente alla terapia endocrina, ma che hanno una progressione della malattia mesi o anni dopo, devono essere trattate con cicli addizionali di terapia endocrina fino a quando non si osserva più alcuna risposta. I progestinici (il medrossiprogesterone acetato o il megestrolo acetato) sono privi di effetti tossici quasi quanto il tamoxifene e sono spesso usati come trattamento endocrino di seconda scelta. Gli inibitori delle aromatasi che riducono la disponibilità degli estrogeni necessari per mantenere la crescita tumorale, possono essere usati come farmaco di 2a o 3a scelta nelle donne in post-menopausa. Fino a poco tempo fa, l’aminoglutetimmide (somministrato con l’idrocortisone) era il solo inibitore dell’aromatasi disponibile; oggi lo stanno rapidamente sostituendo degli analoghi (p. es., il letrozolo) che sono più potenti e che non richiedono la terapia sostitutiva con idrocortisone. Sebbene gli estrogeni e gli androgeni siano anch’essi efficaci, non vengono usati frequentemente perché danno più effetti collaterali rispetto alle altre forme di terapia endocrina. Per la stessa ragione, l’adrenalectomia e l’ipofisectomia vengono usate raramente. I farmaci citotossici più efficaci per il trattamento delle metastasi da tumore mammario sono la ciclofosfamide, la doxorubicina, il paclitaxel, il docetaxel, il navelbina, la capecitabina e la mitomicina-C. La percentuale di risposta a una combinazione di farmaci è superiore a quella a un singolo farmaco. La maggior parte delle pazienti che necessitano di un trattamento palliativo con una chemioterapia combinata è inizialmente trattata con ciclofosfamide, metotrexato e 5-fluorouracile (CMF) oppure con ciclofosfamide, doxorubicina e 5-fluorouracile (CDF). Le percentuali di risposta alle terapie che contengono la doxorubicina sono più alte di quelle ottenute con il CMF, così come con questo farmaco c’è un piccolo effetto benefico addizionale sulla sopravvivenza. Tuttavia, i regimi con la doxorubicina sono associati con più gravi alopecia e cardiotossicità. La somministrazione di prednisone con la CMF aumenta la percentuale di file:///F|/sito/merck/sez18/2422116c.html (10 of 11)02/09/2004 2.43.22

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risposta al trattamento e riduce la mielosoppressione e la tossicità gastrointestinale, ma aumenta l’incidenza di infezioni secondarie e di fenomeni tromboembolici. Nessun’altra combinazione (p. es., una combinazione con il paclitaxel) ha dimostrato di essere superiore al CAF. Nelle pazienti refrattarie alla ciclofosfamide e alla doxorubicina, la palliazione può essere ottenuta con il taxane, la navelbina, la mitomicina-C o la vinblastina, ma raramente sono ottenute delle remissioni prolungate. L’uso di nuovi farmaci o strategie terapeutiche, come gli immunomodulatori, deve essere preso in considerazione durante le fasi precoci della malattia, prima che venga intrapresa una chemioterapia estesa, se si vuole che sia benefico. L’interferone, l’intereuchina-2, i linfociti-killer attivati, il tumor necrosis factor e gli anticorpi monoclonali non hanno ancora un ruolo chiaro nella terapia del cancro della mammella. Tuttavia, gli anticorpi monoclonali contro il recettore del fattore della crescita HER-2/neu (trastuzumab) possono indurre la remissione nelle pazienti con cancro metastatico della mammella e aumentare il valore della terapia citotossica in alcune pazienti. In queste pazienti è in studio anche il trattamento con elevate dosi di chemioterapia e con il trapianto del midollo osseo. Alcuni risultati sono promettenti, ma non è chiaro se questo approccio possa migliorare sostanzialmente la sopravvivenza nelle donne che non rispondono alla chemioterapia con dosi standard.

CANCRO DELLA MAMMELLA NELL’UOMO L’incidenza del cancro della mammella negli uomini è pari all’1% di quella osservata nelle donne. Questo tumore è spesso diagnosticato in uno stadio più avanzato negli uomini perché la diagnosi è sospettata raramente, ma la prognosi è identica a quella delle donne nello stesso stadio di malattia. Anche il trattamento è praticamente uguale, sebbene si ricorra raramente alla chirurgia conservativa e non siano disponibili dati certi sul valore della terapia adiuvante. I tumori metastatici rispondono a tutte le terapie endocrine usate per il trattamento del cancro della mammella femminile e all’orchiectomia. Negli uomini con malattia metastatica refrattaria alla terapia endocrina può essere ottenuta una palliazione con la polichemioterapia.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 242-1. RISCHIO DI TUMORE DELLA MAMMELLA Età (anni)

Rischio di insorgenza (o di morte*) di cancro della mammella (%) In 10anni

In 20anni

In 30anni

30

0,4 (0,1)

2,0 (0,6)

4,3 (1,2)

40

1,6 (0,5)

3,9 (1,1)

7,1 (2,0)

50

2,4 (0,7)

5,7 (1,6)

9,0 (2,6)

60

3,6 (1,0)

7,1 (2,0)

9,1 (2,6)

70

4,1 (1,2)

6,5 (1,9)

7,1 (2,0)

*Il rischio di morire della malattia è uguale al rischio di insorgenza diviso 3,5. Basato su Feuer EJ, Wun LM, et al: "The Lifetime Risk of Developing Breast Cancer," Journal of the National Cancer Institute 85(11): 892897, 1993; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA MALATTIE BENIGNE DELLA MAMMELLA FIBROADENOMI Questi tumori benigni si sviluppano di solito in donne giovani, spesso in adolescenti e possono essere scambiati per un cancro. Tuttavia, essi tendono a essere più mobili e circoscritti e, alla palpazione, possono sembrare una piccola biglia sfuggente. Solitamente i fibroadenomi possono essere asportati in anestesia locale, ma recidivano di frequente. Dopo aver fatto asportare diversi fibroadenomi risultati benigni, una paziente può decidere di non farne asportare altri in seguito. Le altre masse mammarie solide e benigne includono la steatonecrosi e l’adenosi sclerosante che possono essere diagnosticate solo con la biopsia.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA MALATTIE BENIGNE DELLA MAMMELLA SECREZIONE DEL CAPEZZOLO La secrezione del capezzolo non è necessariamente anormale, anche nelle donne in post-menopausa. Il cancro è la causa in meno del 10% delle pazienti (v. Malattia di Paget, oltre). L’aspetto macroscopico della secrezione è di scarso ausilio per la diagnosi di un cancro; in uno studio, solo le secrezioni guaiacopositive sono state associate a un cancro della mammella. La causa più comune di secrezione ematica è il papilloma intraduttale. In alcuni casi, il tumore benigno o maligno, responsabile della secrezione, può essere palpato. In altri, la mammografia, con o senza galattografia, può essere utile per localizzare la lesione. Se questi esami non evidenziano un cancro della mammella, la causa della secrezione è probabilmente benigna e una resezione duttale con trasposizione del capezzolo, di solito effettuata ambulatorialmente usando un anestetico locale, può eliminare il sintomo e risolvere le preoccupazioni della paziente. Una secrezione lattescente (galattorrea) in una donna che non ha partorito recentemente, deve richiedere una valutazione endocrinologica immediata (v. Galattorrea in Malattie dell’ipofisi anteriore nel Cap. 7).

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA MALATTIA DI PAGET La malattia di Paget del capezzolo si presenta come un’ulcera crostosa e desquamante oppure come una secrezione, di solito così innocua che viene ignorata dalla paziente con un ritardo nella diagnosi di un anno o più. La diagnosi definitiva viene ottenuta con una biopsia del capezzolo, anche se, spesso, è sufficiente un esame citologico della secrezione del capezzolo. Più della metà delle pazienti presenta una massa palpabile all’atto della diagnosi. Il tumore può essere invasivo o in situ. Il trattamento standard è identico a quello delle altre forme di cancro della mammella e la prognosi dipende dall’invasività e dalle dimensioni del tumore e dalla presenza o dall’assenza del coinvolgimento istologico dei linfonodi. Raramente, le pazienti sono trattate con successo mediante un’escissione limitata del capezzolo con una porzione di tessuto sano circostante.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA MALATTIE BENIGNE DELLA MAMMELLA INFEZIONI Le infezioni della mammella sono estremamente rare eccetto che nel puerperio o dopo un trauma. Se l’infezione si verifica in altre circostanze, si deve ricercare con celerità un disordine causale, come un cancro.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA MALATTIE BENIGNE DELLA MAMMELLA GINECOMASTIA L’aumento di volume delle mammelle maschili è normale durante la pubertà ed è solitamente transitorio. Cambiamenti simili si possono verificare nell’età senile. La ginecomastia, in entrambi i sessi, può essere causata da diverse malattie (specialmente del fegato), da trattamenti farmacologici (p. es., con estrogeni, reserpina, digitale, isoniazide, spironolattone, calcioantagonisti, chetoconazolo, teofillina, cimetidina, metronidazolo, metadone, farmaci antineoplastici), dall’uso della marijuana e, meno frequentemente, da malattie endocrine. L’ecografia dei testicoli può identificare la presenza di tumori testicolari estrogeno-secernenti, mentre la TC o la RMN dell’addome possono mettere in evidenza dei tumori surrenalici. La ginecomastia può essere unilaterale o bilaterale. La maggior parte dell’aumento di volume è dovuta alla proliferazione dello stroma e non dei dotti. Il paziente può avvertire una certa dolorabilità, che è di solito, associata a cause benigne. Nella maggior parte dei casi non è necessario alcun trattamento specifico, dal momento che la ginecomastia si riduce o scompare dopo la sospensione del farmaco o dopo il trattamento della patologia di base. Le terapie ormonali non sono state riconosciute efficaci. L’asportazione chirurgica del tessuto mammario in eccesso (p. es., la sola liposuzione o con la chirurgia plastica) è, a volte, il solo trattamento efficace.

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Malattie della mammella

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 242. MALATTIE DELLA MAMMELLA CISTOSARCOMA FILLOIDE Il cistosarcoma filloide presenta molte delle caratteristiche cliniche di un fibroadenoma, ma in generale deve essere trattato come un sarcoma. Il trattamento abituale è costituito dall’escissione allargata, ma la mastectomia semplice può essere più appropriata se la massa è grande in rapporto alla mammella. Il 20-35% di questi tumori recidiva localmente e nel 10-20% delle pazienti si hanno delle metastasi a distanza. La prognosi è buona a meno che non siano presenti delle metastasi.

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Disfunzione sessuale nelle donne

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 243. DISFUNZIONE SESSUALE NELLE DONNE I disturbi da scarso desiderio sessuale, il più frequente tipo di disfunzione sessuale nelle donne, sono trattati nel Cap. 192. L’anedonia sessuale (piacere diminuito o assente all’atto sessuale) non è una diagnosi ufficiale. È quasi sempre classificata come un disordine da scarso desiderio sessuale, perché la perdita del piacere quasi sempre causa una perdita del desiderio (sebbene la perdita del desiderio si possa verificare prima). La causa è probabilmente rappresentata dalla depressione o dai farmaci nei casi acquisiti e globali (con tutti i partner e in tutte le situazioni); da fattori interpersonali se l’anedonia è limitata a un solo partner o a una sola situazione o da fattori repressivi (p. es., senso di colpa, vergogna) dovuti a un problema familiare o a un trauma nell’infanzia se l’anedonia dura tutta la vita. L’avversione sessuale è la probabile diagnosi nei casi che durano per tutta la vita.

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Esame medico della vittima di violenza carnale

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 244. ESAME MEDICO DELLA VITTIMA DI VIOLENZA CARNALE Sommario: Introduzione Valutazione Terapia

Si può definire violenza carnale l’illegale penetrazione sessuale di un qualsiasi orifizio corporeo. La definizione non include il palpeggiamento senza la penetrazione; in alcune giurisdizioni può comprendere la penetrazione degli orifizi corporei attuata con oggetti inanimati. Ad eccezione di quando un bambino è sedotto con offerte di affetto o di doni, la violenza carnale è di solito un atto sessuale commesso dopo minacce o con l’uso della forza contro una persona non consenziente. Lo stupro "per appuntamento" è una variante della violenza sessuale in cui la vittima accetta un appuntamento, ma lo stupratore (di solito, maschio) successivamente la costringe al rapporto sessuale senza il suo consenso. La corruzione di minorenne è un rapporto sessuale con un minore; la definizione di "minore" varia da stato a stato. Negli USA, sono denunciati ogni anno 75000 atti di violenza carnale eseguiti su donne; la stima dei casi non denunciati è di 2-10 volte superiore. Circa il 90% dei violentatori colpisce individui della stessa razza; il 50% è conosciuto dalle vittime ed è spesso un membro della famiglia allargata. Ciò è particolarmente importante per i bambini e i ragazzi e ha notevoli implicazioni per il controllo e la prevenzione dell’abuso sui minori (v. anche Cap. 264). La maggior parte degli episodi di violenza carnale è premeditata (non il risultato di un impulso improvviso) e più della metà dei violentatori fa uso di un’arma, di solito un coltello. Circa il 50% delle donne vittime di violenza carnale mostra i segni di un trauma fisico; > 10% richiede un intervento medico d’urgenza. Alcune vittime di violenza carnale sono maschi. Lo stupro degli uomini non è limitato a quelli detenuti nelle prigioni. È più probabile che la vittima maschile presenti dei traumi fisici rispetto alle donne, che sia vittima di diversi assalitori e che sia meno disposta a denunciare il crimine. Negli ultimi anni sono stati riportati alcuni casi di violenza carnale su uomini eseguiti da donne. Per entrambi i sessi, comunque, la violenza sessuale è un’espressione di aggressione, di collera o del bisogno di potere; rappresenta più un atto di violenza che non un atto sessuale.

Valutazione Sebbene i provvedimenti medici e il supporto psicologico per la vittima di una violenza carnale rappresentino il primo intervento sanitario, occorre ricordare che la violenza carnale è un crimine e che la medicina legale prescrive alcuni accorgimenti per la valutazione medica e per la raccolta dei dati. La Tab. 244-1 può servire come guida per le procedure di valutazione e per il referto medico; queste devono essere adattate alla legislazione locale. Tale documentazione è a volte utilizzata durante il

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Esame medico della vittima di violenza carnale

procedimento giudiziario e può essere di aiuto per ricordare i fatti qualora sia richiesta la testimonianza. A meno che non venga richiesta dal giudice, la relazione non deve essere mai rilasciata senza il consenso scritto della paziente. Ogni qualvolta sia possibile, la paziente deve essere trattata in un centro specializzato per il trattamento delle vittime di violenza carnale, centro che è separato dal pronto soccorso e utilizza personale specificamente preparato e motivato. Anamnesi ed esame obiettivo: un breve racconto dell’episodio da parte della paziente fornisce l’indicazione per le zone che devono essere oggetto di valutazione medica e di trattamento; il racconto dell’episodio è spesso fonte di agitazione per la paziente e una completa descrizione può essere rimandata a un secondo tempo, dopo aver affrontato gli aspetti terapeutici più urgenti. Le ragioni delle domande poste e delle procedure di valutazione non risultano spesso chiare alla paziente; p. es., può essere necessario dire a una paziente che il conoscere la data dell’ultima mestruazione o l’uso di mezzi contraccettivi aiuta a stabilire il rischio di una gravidanza o che l’informazione relativa alla data dell’ultimo rapporto sessuale è importante per stabilire la validità dell’analisi dello sperma. Poiché queste pazienti hanno vissuto una esperienza senza il proprio consenso, è importante avere la loro collaborazione e il permesso di effettuare la visita. Devono essere descritti i dettagli dell’esame pelvico, annotando mano a mano il suo svolgimento e i risultati devono essere rivisti insieme alla paziente. La vittima di una violenza carnale potrebbe non sentirsi a proprio agio se esaminata da un medico di sesso opposto ed è quindi necessaria la presenza di un infermiere o un volontario dello stesso sesso della vittima per prestarle assistenza e rendere più efficace la visita. Gli indizi raccolti durante l’esame e tutti i campioni di laboratorio devono essere conservati singolarmente e attentamente siglati, datati e sigillati. In caso di spedizione dei campioni alla polizia o in laboratorio va conservata la ricevuta. Non vengono prelevati, sistematicamente, campioni per l’identificazione dell’aggressore con l’esame del DNA, ma questo dipende dalla legislazione locale. L’esame è di difficile attuazione e alcuni esperti ritengono che, negli USA, possa essere effettuato correttamente solo dal Federal Bureau of Investigation (FBI). L’aiuto del FBI può essere richiesto, anche se questo organismo non si può occupare di tutti i casi di violenza carnale. Inoltre, l’uso legale dei risultati del test è controverso e dipende di nuovo dalla legislazione locale. Valutazione psicologica: la violenza carnale pone problemi sia psicologici che sociali per la vittima, la quale deve spesso far fronte da un lato al proprio stato d’animo e dall’altro alle frequenti reazioni negative (p. es., un atteggiamento inquisitorio o derisorio) degli amici, della famiglia e dei funzionari. Bisogna considerare le pazienti come affette da uno stress posttraumatico (v. Cap. 187) che solitamente ha una fase acuta che dura da pochi giorni a poche settimane, seguita da un processo a lungo termine di riorganizzazione e recupero. Le frequenti reazioni intermedie sono la paura e la rabbia; le reazioni esteriori della paziente variano dalla loquacità, tensione nervosa, pianto e tremore, allo shock e all’incredulità, con calma, quiescenza e sorriso. Queste ultime risposte raramente indicano che la vittima è indifferente all’accaduto; possono, invece, essere reazioni elusive o possono riflettere la spossatezza fisica o un modo di fronteggiare la situazione controllando le proprie emozioni. Le pazienti sono, in genere, notevolmente impaurite e imbarazzate e si sentono umiliate. La reazione di rabbia di molte delle

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vittime si può scaricare sul personale dell’ospedale, che deve esserne consapevole e non darvi peso. Gli effetti a lungo termine della violenza carnale comprendono il rivivere le sensazioni dell’aggressione (flashback), l’avversione per il sesso, l’ansia, le fobie, la diffidenza, la depressione, gli incubi e i disturbi del sonno, i sintomi somatici e l’isolamento sociale. Alcune donne diventano disordinate e agiscono in modo difforme dal loro carattere. I sensi di colpa e la vergogna compaiono allorquando le pazienti ritengono, generalmente in modo irrazionale, di essere state in qualche modo responsabili dell’episodio o che avrebbero potuto evitare l’aggressione o che la violenza subita rappresenti una punizione per qualche immaginaria trasgressione commessa. Il rapporto medico può includere un breve racconto dell’episodio di violenza, descritto con le parole riferite dalla paziente stessa, e una relazione sulle lesioni riportate e sul tipo di rapporto sessuale. Non è necessario attestare se vi sia stata o meno violenza carnale, in quanto ciò rientra nella competenza medico-legale, ma occorre riportare una diagnosi comprensiva di tutti i problemi probabili o possibili sia fisici che psichici.

Terapia Trauma fisico: la maggior parte delle lesioni è generalmente di tipo minore e viene trattata in modo conservativo, ma possono essere presenti lesioni più gravi che richiedono un trattamento chirurgico. La lacerazione della parte superiore della vagina può richiedere una laparoscopia per stabilire la profondità della lesione, specialmente nelle bambine. Trauma psichico: nell’insieme, gli aspetti psicosociali sono quelli potenzialmente più a rischio e richiedono un’attenta gestione. È molto importante trattare le pazienti con rispetto, accertarsi che non siano lasciati sole, rassicurarle sul fatto che non corrono pericoli, dimostrare comprensione ed empatia e spiegare in dettaglio come procederà la valutazione. Un medico tranquillo, non inquisitorio e disposto ad ascoltare è già terapeutico. Dato che le pazienti sono traumatizzate e molti dettagli possono risultare imbarazzanti, spesso vengono omessi particolari importanti. Quindi, i dettagli specifici sull’aggressione, le minacce, il comportamento violento e gli atti sessuali commessi devono essere ottenuti con caute domande. Può essere dimostrata empatia riconoscendo che le domande possono essere imbarazzanti o possono aumentare le paure della paziente. Appropriatamente condotto, un tale colloquio, potenzialmente doloroso, può essere l’inizio del processo terapeutico. L’impatto psicologico complessivo non può essere accertato alla prima visita e quindi devono essere programmate delle visite di controllo. Durante la prima visita, devono essere spiegate alla paziente le possibili sequele psicologiche e sociali e deve essere organizzata la presentazione a una persona esperta nel trattamento d’urgenza dello stupro. Qualora persistano le manifestazioni di stress acuto o appaiano probabili i problemi psicologici di lunga durata, è indicato l’intervento dello psichiatra. Alcune pazienti sembrano adattarsi velocemente negando inconsciamente la violenza subita e tornando rapidamente alle normali attività, ma più tardi manifestano i sintomi e i segni del disordine da stress post-traumatico. Supporto ambientale: il medico, spesso, si deve occupare delle intense reazioni della famiglia e degli amici, che possono essere fonte sia di aiuto che di stress aggiuntivo. In un primo momento, il medico deve parlare con file:///F|/sito/merck/sez18/2442129.html (3 of 5)02/09/2004 2.43.37

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queste persone e tentare di ridurre le loro forti sensazioni di ansia, rabbia o colpa, dal momento che queste abitualmente aumentano l’intensità delle reazioni emozionali della paziente. Bisogna spiegare ai familiari e agli amici come ascoltare la paziente in modo da aiutarla: questo è possibile soltanto se riescono a controllare le loro emozioni in sua presenza. Un sostegno da parte dei sanitari, degli amici e della famiglia insieme al trattamento a lungo termine è di vitale importanza. Profilassi delle malattie sessualmente trasmesse (STD): dal momento che il rischio di contagiarsi con una delle STD (p. es., la gonorrea, la sifilide, le infezioni da chlamydia) è quasi sempre una grossa preoccupazione, devono essere prese delle misure preventive. Il test per l’epatite B e quello rapido per le reagine plasmatiche sono appropriati. Nella maggior parte dei centri specializzati per gli stupri, si indaga sulle eventuali reazioni di ipersensibilità alla penicillina presentate dalla paziente. La profilassi consiste nella somministrazione di ceftriaxone, 250 mg IM in singola dose, metronidazolo, 2 g PO in singola dose e doxicillina, 100 mg PO bid per 7 gg. I test per la gonorrea, la chlamydia, la sifilide e l’epatite devono essere ripetuti entro 6 sett. I test per la sifilide e per l’epatite devono essere ripetuti dopo 6 mesi. La trasmissione del HIV è sempre una preoccupazione, nonostante la scarsa probabilità di acquisire l’infezione in un solo incontro. Dopo la consulenza e con il consenso informato della paziente, il medico deve consigliare di eseguire il test durante la valutazione iniziale e dopo 90 e 120 gg. Se uno dei test risulta positivo, deve essere iniziato immediatamente il trattamento con la terapia antivirale (v. Cap. 163). Profilassi della gravidanza: la gravidanza dopo uno stupro è molto rara. I fattori che determinano la possibilità di una gravidanza includono la data dell’ultimo ciclo mestruale e l’eventuale uso dei contraccettivi. Con i test per le gonadotropine corioniche umane, la gravidanza può essere scoperta precocemente con facilità (v. Cap. 249); il test dovrebbe essere eseguito entro 6 sett. Tuttavia, deve essere offerta la contraccezione del giorno dopo. Due compresse di un contraccettivo orale contenente 50 µg di etinilestradiolo sono somministrate subito, seguite da 2 compresse 12 h dopo; questo trattamento è efficace nel 99% dei casi se somministrato entro 72 h dallo stupro. Se le compresse da 50 µg non sono disponibili, possono essere somministrate 4 compresse contenenti 30 µg di etinilestradiolo seguite da altre 4 compresse dopo 12 h. I farmaci antiemetici, come l’idrossizina orale, eliminano la nausea e il vomito dovuti al contraccettivo. Qualora sia possibile una gravidanza preesistente, non bisogna somministrare estrogeni fino al momento della certezza diagnostica. Se la gravidanza è conseguenza dello stupro, deve essere accertata l’attitudine della paziente nei confronti della gravidanza e dell’aborto e, se appropriata, deve essere offerta la possibilità di un’interruzione elettiva. Considerazioni aggiuntive: è necessario riserbo per la visita e per la consulenza. Si deve offrire alla paziente la disponibilità di servizi igienici (molte pazienti desiderano prima di tutto lavarsi, alcune sono sporche delle urine dell’assalitore o sono state violentate all’aperto, alcune vogliono lavarsi la bocca). Può essere necessario del denaro o accompagnare la paziente a casa. In più, qualora nell’area esista un centro per l’assistenza alle vittime della violenza carnale, è bene indirizzarvi la paziente che vi troverà un sostegno medico, psicologico e legale. Deve essere avvertita la polizia.

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Maltrattamento e incuria verso il bambino

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 264. MALTRATTAMENTO E INCURIA VERSO IL BAMBINO Violenza fisica, mentale o sessuale, incuria o maltrattamento di un bambino di età < 18 aa.

Sommario: Introduzione Eziologia Manifestazioni del maltrattamento Manifestazioni dell'incuria Prevenzione Terapia

L’abuso fisico si riferisce al maltrattamento fisico di un bambino. L’abuso emotivo si riferisce al maltrattamento emotivo o mentale di un bambino, di cui spesso danneggia la crescita emotiva e il senso di autostima. Gli abusi sessuali o le molestie comprendono l’esposizione dei genitali, la loro manipolazione, la sodomia, la fellatio e il coito. La penetrazione vaginale da parte di una persona che non sia un parente è uno stupro; spesso, lo stupratore è un amico intimo di famiglia. Se l’adulto è un parente si parla d’incesto. Quando il bambino che subisce l’abuso è piccolo, di solito la violenza è ripetitiva e può essere tenuta nascosta all’interno della famiglia. L’incuria include il mancato appagamento dei bisogni fisici e medici primari, la deprivazione affettiva e l’abbandono di un bambino. L’abuso e l’incuria sono presenti in tutte le classi sociali e le razze, ma i bambini delle classi sociali più basse ne soffrono 12 volte più frequentemente degli altri. Circa il 25% dei casi di abuso e incuria interessa i bambini < 2 anni di età. Entrambi i sessi vengono colpiti allo stesso modo. Nel 1994 negli USA, sono stati denunciati complessivamente 2 milioni di casi tra abuso e incuria, di cui 1 milione è stato confermato. Dei casi confermati, il 53% comprendeva l’incuria; il 26%, il maltrattamento; il 14%, l’abuso sessuale e il 5% l’abuso emotivo. Circa il 20% dei bambini maltrattati fisicamente riporta lesioni permanenti e ogni anno negli USA muoiono dai 1000 ai 1200 bambini per questo problema. La legge richiede al medico di denunciare i casi di sospetta violenza o incuria in ogni bambino che visita o cura, garantendogli l’immunità dall’essere denunciato e sollevato dalla responsabilità per aver segnalato il caso. La segnalazione di solito è fatta presso strutture specifiche per la protezione dei bambini.

Eziologia Il maltrattamento e l’incuria dipendono da un complicato e problematico rapporto genitore-figlio; spesso coesistono ed è difficile differenziarle. Abuso: generalmente il maltrattamento deriva dalla perdita di controllo da parte dei genitori o dei tutori del bambino. Sono stati identificati 4 fattori principali: 1. Caratteristiche della personalità del familiare: l’infanzia del genitore può essere stata povera di affetto e di calore, segnata forse dal maltrattamento, e non

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ha consentito lo sviluppo di un’adeguata stima di sé e della maturità affettiva. Non avendo avuto un contesto familiare adeguato, questi genitori possono ritenere il proprio bambino come fonte dell’amore e del sostegno che essi non hanno mai ricevuto, per cui possono avere aspettative irreali, alle quali il bambino deve supplire per loro; spesso sono dei frustrati, perdono il controllo di sé e sono incapaci di dare o offrire ciò che non hanno mai avuto. L’uso di alcol o droghe può scatenare dei comportamenti impulsivi e incontrollati nei confronti del bambino. Più raramente un genitore può essere francamente psicotico. 2. Un bambino "difficile": irritabile, esigente o ipercinetico può provocare l’ira dei genitori, come succede per molti bambini handicappati, che spesso necessitano di maggiori attenzioni. Fra i prematuri, o i bambini molto malati, precocemente separati dai genitori, e i bambini adottati (p. es. figliastri) può svilupparsi un legame affettivo non molto forte nei riguardi dei genitori o dei tutori. Anche in assenza di queste situazioni, i genitori possono avere aspettative irreali circa le capacità del loro bambino e possono punirlo severamente senza motivo. 3. Supporto inadeguato: i genitori possono sentirsi isolati, non protetti e vulnerabili in assenza del sostegno fisico e psicologico di parenti, amici, vicini di casa o colleghi, in particolar modo nei periodi di stress. 4. Una crisi: una situazione di particolare stress può indurre i genitori a maltrattare il loro bambino, quando non vi è alcun sostegno disponibile. Incuria: Spesso l’incuria nei confronti dei figli si ritrova nei nuclei familiari in cui sono presenti disturbi fisici, psicologici o legati all’abuso di sostanze. Spesso è presente una sindrome depressiva acuta o cronica, alla quale possono contribuire problemi cronici di salute. L’uso di alcol o di droga da parte di uno o entrambi i genitori determina frequentemente una condizione economica precaria e una distorsione delle priorità familiari. Frequentemente l’abbandono della famiglia da parte del padre, egli stesso incapace, inetto o non disponibile ad assumersi le responsabilità familiari, può essere all’origine dell’incuria. I bambini nati da madre cocainomane sono particolarmente a rischio di abbandono.

Manifestazioni del maltrattamento Anamnesi: Segni suggestivi di maltrattamento sono: (1) la riluttanza dei genitori a rivelare la dinamica del trauma o delle lesioni riportate dal bambino; (2) un racconto che appare non correlato con lo stadio clinico di guarigione delle lesioni, inconsistente e che varia a seconda della fonte delle informazioni; (3) la presenza di lesioni incompatibili con lo stadio di sviluppo del bambino; (4) una inappropriata reazione dei genitori alla gravità delle lesioni; (5) il ritardo nella denuncia delle lesioni. Esame clinico: segni comuni sono le lesioni della pelle, come ecchimosi, ematomi, ustioni, abrasioni in vari stadi di guarigione (p. es. ustioni rotonde da sigaretta, ecchimosi arcuate da frustate, scottature simmetriche degli arti superiori o inferiori). Si possono avere danni permanenti per lesioni gravi a carico del cavo orale, occhi, organi addominali, SNC e fratture. Le fratture possono essere singole o multiple e un esame dell’apparato scheletrico può rilevare lesioni ossee in diversi stadi di guarigione. Nei bambini piccoli si possono avere fratture metafisarie o tumefazioni sottoperiostali delle ossa lunghe. Le più importanti osservazioni diagnostiche durante la visita sono: (1) lesioni multiple a stadi differenti di guarigione o di sviluppo; (2) lesioni cutanee specifiche di un particolare tipo di violenza; (3) lesioni recidivanti, che sono suggestive di maltrattamento o inadeguata assistenza. I segni fisici di abuso sessuale possono comprendere difficoltà nella deambulazione o nell’assumere la posizione seduta, trauma genitale, perdite vaginali o prurito, ricorrenti IVU o infezioni trasmesse per via sessuale. D’altra parte i sintomi fisici della violenza possono anche non essere presenti. Qualsiasi malattia sessualmente trasmessa, riscontrata in un bambino di età < 12 o 13 aa, deve far sospettare un atto di violenza sessuale. file:///F|/sito/merck/sez19/2642464.html (2 of 5)02/09/2004 2.43.38

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Manifestazioni psichiche: le manifestazioni psichiche del maltrattamento sono meno definite di quelle fisiche. Si può osservare precocemente un ritardo di crescita (v. anche Ritardo di crescita nel Cap. 262). Lo sviluppo ritardato di competenze sociali e linguistiche è spesso determinato da una inadeguata stimolazione e interazione con i genitori. Il bambino piccolo può essere diffidente, superficiale nelle relazioni interpersonali, passivo e troppo preoccupato di piacere agli adulti. I suoi deficit si manifestano nell’età scolare, quando mostra difficoltà a instaurare rapporti col maestro e con i compagni. Spesso le conseguenze psichiche possono essere valutate soltanto quando il bambino viene inserito in un altro ambiente, nel momento in cui diminuiscono i comportamenti aberranti. In caso di abuso sessuale il comportamento del bambino (p. es., irritabilità, paura di tutto, insonnia) può essere la sola prova per la diagnosi. L’unico modo per ottenere ulteriori dettagli consiste nel far interrogare con prudenza il bambino da una persona esperta. I bambini più grandi possono essere minacciati con lesioni fisiche in caso di rivelazione, nascondendo così le ripetute aggressioni.

Manifestazione dell'incuria La malnutrizione, l’inerzia e la carenza di igiene o di vestiario inadeguato sono comunemente dovute a un inadeguato approvvigionamento di cibo, vestiario o protezione, nonostante il sostegno degli istituti di supporto. In casi estremi si può verificare la fuga dalla famiglia o la morte per fame. Circa la metà dei ritardi dell’accrescimento è causata da una situazione di abbandono e di incuria. Nella prima infanzia si può avere un ritardo dello sviluppo affettivo, che determina freddezza di carattere e mancanza d’interesse per l’ambiente circostante. Questa situazione accompagna spesso il ritardo di accrescimento fisico e può essere diagnosticata erroneamente come ritardo mentale o come malattia organica. Nel bambino più grande i segni di deprivazione affettiva comprendono scarsa attenzione, insufficienza dei risultati scolastici e cattivi rapporti con coetanei e adulti. L’inadeguatezza della famiglia si esprime anche nella mancata richiesta di quelle forme di medicina o di odontoiatria preventiva, come le vaccinazioni o le visite di controllo routinarie, e nella richiesta tardiva di un intervento medico in caso di malattia.

Prevenzione Conoscere quali ambienti predispongono al maltrattamento e all’incuria aiuta a identificare le famiglie a rischio. I genitori che sono stati vittime di violenza o incuria sono particolarmente inclini a interagire in modo simile con i propri figli. Questi genitori spesso verbalizzano l’ansietà rispetto al proprio passato di sevizie e sono disponibili all’assistenza. Sono ugualmente a rischio i genitori al loro primo figlio e le madri adolescenti che contestano i propri genitori. I problemi medici verificatisi durante la gravidanza, il parto o nei primi anni di vita possono minare lo stato di salute del bambino e indebolire il legame genitore-figlio (v. anche legame figlio-genitore: Il neonato malato nel Cap. 257). Durante questi periodi è importante rilevare i sentimenti di inadeguatezza dei genitori nei confronti del proprio bambino e il loro stato di benessere. Come possono tollerare un bambino piccolo o malaticcio in casa? Il padre fornisce un aiuto morale e materiale alla madre? Ci sono parenti o amici per aiutarli nei momenti di bisogno? Il medico attento a cogliere i primi indizi e capace di fornire sostegno a questo tipo di situazione previene gli eventi tragici ad essa correlati.

Terapia file:///F|/sito/merck/sez19/2642464.html (3 of 5)02/09/2004 2.43.38

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Le misure terapeutiche prevedono strategie a lungo raggio, poiché i fattori eziologici molto frequentemente dipendono dal tipo di disturbo nei rapporti reciproci, stabilitisi anni prima. In entrambi i casi di maltrattamento e di incuria l’approccio alla famiglia deve essere di tipo assistenziale e non punitivo. L’attento esame della situazione familiare e la valutazione delle carenze e dei bisogni dei genitori sono importanti dal punto di vista diagnostico e rappresentano il primo passo del trattamento. Di solito non è necessaria l’ospedalizzazione del bambino (emergenza temporanea per allontanarlo dalla famiglia), che dipende dal rapporto stabilito con i genitori. Quando l’ospedalizzazione diviene necessaria, bisogna informare i genitori che verranno esaminati riguardo alla situazione personale e familiare e che il bambino verrà sottoposto a test diagnostici. Consultazione con il servizio di assistenza sociale: l’adeguata comprensione della personalità dei genitori richiede di solito l’intervento del medico e dell’assistente sociale. Un consulente del servizio sociale può essere di aiuto nell’eseguire interviste e colloqui con la famiglia. Segnalazione al centro di servizio sociale o al dipartimento della salute: quando si segnalano casi di maltrattamento o incuria bisogna fare un consulto faccia a faccia, se possibile, con un rappresentante dei servizi sociali che proteggono il bambino, per stabilire accordi chiari e per definire il piano d’intervento. Il medico deve riferire in anticipo ai genitori che è stata fatta una relazione conforme alla legge. Programmazione dell’assistenza: molte comunità hanno un’equipe multidisciplinare formata da operatori sociali, psichiatri, pediatri e personale, che fornisce sostegno assistenziale di base nelle fasi diagnostiche e guida la programmazione di un piano organico di intervento. È fondamentale un servizio che eroghi le cure mediche primarie; esse devono essere ben accette alla famiglia e al medico che ha segnalato il caso. Occorrono inoltre contatti periodici con i servizi sociali. Spesso è indicata l’assistenza psichiatrica per valutare i disturbi della personalità e per trattare condizioni specifiche come la depressione. Terapia delle conseguenze della violenza sessuale: la violenza sessuale può determinare effetti psicologici permanenti sullo sviluppo del bambino e sul futuro adattamento sessuale, in particolar modo tra i bambini più grandicelli e tra gli adolescenti. La psicoterapia del bambino e dell’adulto coinvolto può diminuire tali conseguenze. Provvedimenti terapeutici di tipo sociale: centri di assistenza diurna e unità di terapia domiciliare per i bambini possono dar sollievo a una madre stressata dalle responsabilità familiari, permettendole per alcune ore al giorno di provvedere soltanto a se stessa. In alcune comunità sono stati sviluppati programmi di aiuto per i genitori, che impiegano personale addetto non specializzato, che segue i genitori che maltrattano e abusano dei propri figli. Hanno avuto successo anche i cosiddetti gruppi di "Genitori Anonimi". Allontanamento temporaneo dalla famiglia: se per il bambino il restare in famiglia è dannoso, se il bambino che ha subito l’abuso ha < 1 anno di età o se i rapporti familiari non migliorano, è indicato un allontanamento temporaneo del bambino, specialmente se ha identificato la persona responsabile dell’abuso e deve tornare sotto le sue cure o chi si occupa del bambino non crede alle sue affermazioni. Per l’allontanamento occorre una richiesta al tribunale dei minori presentata dall’avvocato dell’ente assistenziale (USA). La procedura varia da Stato a Stato, ma di solito implica un resoconto sulla famiglia da parte del medico. Quando il tribunale decide di allontanare il bambino dalla famiglia, si stabilisce un piano operativo, alla cui stesura deve partecipare il medico di famiglia, altrimenti bisogna chiedere il suo consenso circa il programma stabilito. Nel periodo in cui il bambino è in temporaneo affidamento, il medico deve mantenere possibilmente il contatto con i genitori e deve assicurare loro che si sta facendo di tutto per aiutarli. Egli deve anche dare il suo consenso, quando si decida di riportare il bambino in famiglia. Quando la dinamica dei rapporti familiari migliora, il bambino potrà ritornare in famiglia. Tuttavia, gli episodi di file:///F|/sito/merck/sez19/2642464.html (4 of 5)02/09/2004 2.43.38

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maltrattamento tendono a ripetersi, perciò in alcuni casi può essere indicato l’allontanamento permanente del bambino dalla propria famiglia. Decorso: le famiglie dei bambini maltrattati e trascurati cambiano spesso residenza e rendono difficoltosa la continuità del trattamento. Il mancare agli appuntamenti è un’evenienza comune; sono necessarie così le visite domiciliari degli assistenti sociali o degli infermieri per verificare i progressi complessivi del bambino.

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Trattamento del bambino malato e della sua famiglia

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 257. TRATTAMENTO DEL BAMBINO MALATO E DELLA SUA FAMIGLIA LEGAME GENITORE-FIGLIO: IL NEONATO MALATO Il legame si riferisce all’intenso attaccamento psicologico che si instaura fra i genitori e il loro bambino prima della nascita e che viene sostenuto nelle prime ore e nei primi giorni di vita. Il legame è influenzato dall’esperienza personale dei genitori riguardo all’infanzia, dalla loro propensione culturale e sociale nei confronti dell’allevamento del bambino, dalla loro personalità, dal desiderio di avere un figlio e dalla precedente preparazione psicologica all’arrivo del bambino. Il legame assicura un precoce supporto psicologico allo sviluppo della personalità del bambino (v. anche Cure iniziali nel Cap. 256). Quando un neonato è malato o prematuro, devono essere dati ai genitori spiegazioni e incoraggiamenti realistici. Bisogna incoraggiarli a vedere subito e di frequente il loro bambino e a partecipare pienamente alle sue cure. Questi accorgimenti ridurranno la loro ansia e faciliteranno l’instaurarsi dell’"attaccamento". Le difficoltà possono sorgere quando il neonato, gravemente malato, deve essere trasferito in un centro di terapia intensiva presso un ospedale distante. I genitori vengono allora separati dal loro bambino per giorni o settimane e lo sviluppo del normale legame potrebbe non avvenire a causa della distanza e dell’ansia. I genitori e i parenti più stretti sono incoraggiati a visitare il neonato frequentemente e appena possibile subito dopo la nascita. Dopo un accurato lavaggio delle mani, essi sono invitati a toccarlo e a tenerlo in braccio, se le sue condizioni lo permettono. Nessun neonato, anche se attaccato al respiratore, può essere ritenuto così malato che i genitori non possano vederlo e toccarlo. Il legame sarà rafforzato, se i genitori possono alimentare il neonato, fare il bagno, applicare creme e cambiarlo e se la madre potrà fornire al figlio malato il suo latte, anche se inizialmente viene alimentato con sondino. (V. anche più avanti Invalidità permanenti nel bambino). Quando il neonato presenta una malformazione congenita, deve essere subito visto dai genitori, indipendentemente dalle sue condizioni. Altrimenti essi possono pensare che il suo aspetto e la sua condizione siano peggiori della realtà. È essenziale un supporto psicologico intensivo; per i genitori sono necessari molti colloqui per comprendere la condizione del loro figlio e le cure di cui ha bisogno e per accettarlopsicologicamente. Il medico deve enfatizzare ciò che il neonato ha di sano e quale potenziale egli abbia, senza soffermarsi sulle anomalie.Quando il bambino muore e i genitori non lo hanno mai visto né toccato, essi possono in seguito avere la sensazione di non aver mai avuto un figlio. Tali genitori presentano un esagerato senso di vuoto; possono presentare una prolungata sindrome depressiva, poiché non possono provare dolore per la perdita di un "bambino vero". Non verrà quindi vissuta dai genitori una vera condizione di lutto. I genitori che non hanno potuto vedere o entrare in contatto con il proprio bambino vivo, potranno essere aiutati a lungo termine, dopo la morte del bambino, solo se ciò viene accettato. In tutti i casi, risultano utili visite frequenti con il medico e con l’assistente sociale per riesaminare le circostanze della malattia e della morte del bambino, per rispondere a domande che possono insorgere successivamente e per valutare e alleviare un improprio senso di colpa. Il medico, inoltre, può valutare il dolore dei genitori e, se questo assume connotazioni patologiche, può fornire consigli utili e precise indicazioni al fine di assicurare un sostegno psicologico più valido. Se esiste un aumentato rischio di complicanze nelle gravidanze future, è opportuna la consulenza genetica e/o perinatologica dei genitori. file:///F|/sito/merck/sez19/2572265a.html (1 of 2)02/09/2004 2.43.39

Trattamento del bambino malato e della sua famiglia

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI CURE INIZIALI Alla nascita, il neonato normale respira spontaneamente, una volta che le sue vie aeree vengono delicatamente liberate dalle secrezioni e dai detriti mediante un aspiratore di muco. Il cordone ombelicale viene legato e reciso subito dopo il primo respiro; sulla superficie tagliata di fresco devono essere visibili la vena ombelicale e le due arterie ombelicali. Il bambino viene asciugato delicatamente e posto su una coperta asciutta e sterile o sul ventre materno; è indispensabile il mantenimento della temperatura corporea. Tutto il personale deve adottare adeguate tecniche di lavaggio delle mani, poiché i meccanismi di difesa dei neonati nei confronti delle infezioni non sono pienamente sviluppati (v. sopra Situazione immunologica del feto e del neonato). Vengono adottate delle precauzioni universali e il neonato viene toccato con guanti isolanti finché non ha eseguito il primo bagnetto. Deve essere identificata qualunque malformazione pericolosa per la vita o malformazione maggiore, come grosse deformità (p. es., on falocele, mielomeningocele, labio e palatoschisi) e anomalie ortopediche (p. es., piede equino, anomalie del numero delle dita delle mani e dei piedi). Altre possibili anomalie sono l’addome a barca, come si verifica nell’ernia diaframmatica e asimmetrie o aumento del diametro antero-posteriore del torace, come si verifica in caso di ernia diaframmatica e di pneumotorace spontaneo. Le condizioni generali del neonato vengono valutate usando il punteggio di Apgar (v. Tab. 263-13). Molti neonati normali presentano una cianosi transitoria che scompare entro il 5o min, quando viene valutato nuovamente l’indice di Apgar. Una cianosi generalizzata indica una importante patologia cardiaca o polmonare o una più grave depressione del SNC; una cianosi differenziale suggerisce alterazioni cardiache specifiche. Vengono effettuate l’auscultazione cardiaca e polmonare e la palpazione dell’addome. Viene calcolata l’età gestazionale (v. metodo in Fig. 256-1); ogni neonato con età gestazionale < 37 sett. o > 42 sett. o con peso inadeguato per l’età gestazionale stimata necessita di cure particolari (v. Cap. 260). Tranne che nelle manovre rianimatorie, non devono essere usati sondini per valutare la pervietà delle vie digestive fino a che il bambino non si è adattato (un minimo di 5-10 min dopo la nascita), poiché ciò può determinare, in un neonato peraltro normale, una grave apnea da riflesso vaso-vagale. Dopo 10 min di vita può essere introdotto un sondino per verificare la pervietà delle narici e dell’esofago in bambini nati da madre con polidramnios o diabete, in quelli nati in presentazione podalica o con taglio cesareo e in ogni neonato con secrezioni aumentate, per escludere una fistola tracheoesofagea e altre anomalie dell’esofago e dello stomaco. Se viene raggiunto lo stomaco, esso viene aspirato e ne viene misurato il suo contenuto. Nei neonati in presentazione cefalica può essere rimasto poco liquido nello stomaco, ma ciò non esclude un’ostruzione. Il normale volume gastrico nei neonati pretermine varia da 5 ml in un bambino di 1,0 kg a 12-15 ml in un bambino di 2,5 kg di peso. Vengono instillate in ciascun occhio due gocce di nitrato di argento all’1% o, preferibilmente, un collirio antibiotico contenente p. es., eritromicina. Il più presto possibile o almeno nella prima 1/2 h di vita, il neonato deve essere dato alla file:///F|/sito/merck/sez19/2562232.html (1 of 3)02/09/2004 2.43.40

Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

madre per tenerlo e attaccarlo al seno, facendo attenzione al mantenimento della temperatura corporea sia nella madre che nel neonato (v. Allattamento al seno, più avanti). Quando è pronto per essere messo nel lettino, il neonato viene fasciato per mantenere un’adeguata temperatura corporea, avendo cura di coprire la testa, ampia area della superficie corporea capace di disperdere considerevoli quantità di calore. Se la temperatura corporea del neonato è < 35,5°C, si richiede l’uso di una incubatrice. Normalmente il lettino viene lasciato in posizione orizzontale e il bambino viene posto sul fianco per facilitare il drenaggio del muco. Si somministra IM 1 mg di Fitonadione (vitamina K1) per prevenire l’ipoprotrombinemia che determina la malattia emorragica del neonato (v. in Deficit di vitamina K nel Cap. 3). Il cordone viene clampato con una molletta monouso e si può applicare un po’ di mercurocromo con uno zaffo di cotone sul cordone reciso di fresco e sull’area periombelicale per prevenire infezioni; è sufficiente una sola applicazione. In un punto nascita, il neonato rimane nella stanza della madre. Se non si tratta di un punto nascita e se la madre è sveglia e vigile, il neonato può rimanere con la madre oppure può essere trasferito al nido nel tradizionale reparto del postpartum. Il bagno non viene fatto nelle prime 6 h o comunque finché la temperatura del neonato non sia stabile a 37°C per 2 h. Il bagno non deve rimuovere tutta la vernice caseosa (materiale biancastro grasso che copre alla nascita la maggior parte del corpo), poiché essa fornisce una certo grado di protezione antibatterica. Si può usare un sapone neutro, come a esempio il Dove, risciacquando a fondo. Non devono essere usati sistematicamente olii, polveri e unguenti. Poiché normalmente madri e neonati vengono dimessi entro 48 ore, è necessario, nei primi giorni dopo il rientro a casa, un adeguato follow-up o per via telefonica o mediante visita domiciliare organizzata dalla clinica pediatrica o dall’ambulatorio. L’American Academy of Pediatrics raccomanda che tutti i neonati siano visitati in ambulatorio entro 7 giorni. Iniziale interazione genitore-figlio: sebbene durante la gravidanza la donna possa prepararsi psicologicamente al nuovo nato e condividere con il marito tale stato d’animo, durante e dopo la nascita avvengono importanti eventi che rafforzano il legame genitore-figlio. La partecipazione al parto di una donna e del suo compagno, preparati e consapevoli, permette di adattarsi in modo più tranquillo al nuovo ruolo di genitori. Un ambiente esterno ottimale, che renda la coppia più sicura e fiduciosa, aiuta anche la madre a rilassarsi e a partecipare con il proprio corpo al travaglio e al parto. Ciò che provano i genitori subito dopo la nascita del loro bambino va da una sensazione di estasi a una di delusione; per alcune coppie questi momenti vengono completamente dimenticati per il sopraggiungere di eventi, come complicanze ostetriche nella madre o complicanze nel bambino che richiedono la rianimazione. (Il legame genitore-figlio con il neonato malato è trattato nel Cap. 257.) Si è ipotizzato che un precoce contatto fisico con il bambino, compreso il guardarsi negli occhi, fa sì che si stabilisca una precoce intesa, essenziale per un duraturo e intimo rapporto. Tuttavia, nell’uomo, tale periodo critico potrebbe non esistere. Indiscutibilmente, le madri possono instaurare un buon legame con il proprio bambino anche quando le prime ore non vengono trascorse insieme. Subito dopo un parto normale, si deve aiutare la madre a prendere e a stringere al seno il proprio bambino. Il padre deve avere l’opportunità di condividere questi momenti, che richiedono, da parte sua, una certa preparazione e un qualche supporto da parte del personale, specialmente se egli appare insicuro e a disagio. I primi giorni dopo la nascita rappresentano il momento ideale per istruire i genitori riguardo all’alimentazione, il bagnetto e l’abbigliamento del neonato. Il ritorno a casa è meno traumatico quando il neonato trascorre tutto il giorno accanto al letto della madre e i genitori possono familiarizzare con le sue attività e i suoni che emette.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

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Trattamento del bambino malato e della sua famiglia

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 257. TRATTAMENTO DEL BAMBINO MALATO E DELLA SUA FAMIGLIA INVALIDITA' PERMANENTI NEL BAMBINO Le invalidità permanenti sono definite come condizioni fisiche che probabilmente o sicuramente colpiscono le funzioni vitali quotidiane per > 3 mesi/anno e determinano un’ospedalizzazione complessiva > 1 mese/anno. Tali invalidità comprendono asma, paralisi cerebrale, fibrosi cistica, cardiopatia congenita, diabete mellito, mielomeningocele, malattia infiammatoria intestinale, insufficienza renale, epilessia, tumori, artrite giovanile, emofilia e anemia drepanocitica. Le invalidità fisiche, come amputazioni, deformità e lesioni cutanee estese, rovinano inoltre l’immagine di sé e lo sviluppo del bambino. Sebbene ciascuna invalidità sia rara, tutte insieme colpiscono circa il 10% dei bambini e possono costituire una parte importante dell’assistenza pediatrica. Effetti dell’invalidità permanente sul bambino: nonostante molte differenze, i bambini con invalidità permanenti presentano in comune dolori, sconforto, crescita e sviluppo limitati, ospedalizzazioni frequenti, visite in ambulatorio, terapie dolorose e fastidiose, l’impossibilità di partecipare alle attività dei coetanei, un significativo carico di cure quotidiane e un decorso imprevedibile. Il basso numero di adulti disabili che possono rappresentare modelli di riferimento (p. es., personaggi televisivi) rende difficile per i bambini determinare la propria identità. Le differenze fisiche possono portare al rifiuto sociale da parte dei coetanei e a un indebolimento di motivazioni. L’invalidità può inoltre interferire con la capacità del bambino di raggiungere obiettivi (p. es., indipendenza del bambino che non può fisicamente allontanarsi dai suoi genitori) e può modificare il temperamento del bambino, portando a un disadattamento (p. es., nel bambino distratto di natura che è affetto anche da sordità). Effetti delle invalidità permanenti sulla famiglia: per quanto riguarda la famiglia, l’invalidità permanente porta alla perdita della speranza di avere un "bambino ideale", a trascurare i fratelli, a maggiori spese e impegno di tempo, a metodi di cura confusi, perdita di opportunità (p. es., la madre che non può tornare al lavoro) e all’isolamento sociale. Tale stress può provocare una disgregazione familiare, soprattutto quando esistono altri problemi coniugali e familiari. Condizioni che danneggiano l’aspetto fisico di un bambino, p. es., labioschisi e/o palatoschisi o idrocefalia, possono alterare l’attaccamento tra questi bambini e la famiglia o chi se ne prende cura. Una volta formulata la diagnosi di anormalità, i genitori possono affliggersi per la perdita del "bambino ideale" manifestando segni di shock, rifiuto, rabbia, tristezza o depressione, senso di colpa e ansia. Ciò può verificarsi in qualunque momento dello sviluppo del bambino e ciascun genitore può essere in un differente stadio di accettazione dell’anormalità, tale da rendere difficile la comunicazione tra loro. Essi possono esprimere la loro collera al personale sanitario o il loro rifiuto può portarli a cercare molteplici pareri riguardo la condizione del loro bambino. Le esigenze a carico della famiglia e la compassione per il bambino, possono rendere impossibile la disciplina e forse portare a difficoltà comportamentali. Uno dei genitori (spesso la madre) può lasciarsi coinvolgere in maniera eccessiva dai problemi del bambino, trascurando così le normali responsabilità familiari. L’altro

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Trattamento del bambino malato e della sua famiglia

genitore può divenire isolato; gli orari di ambulatorio di molti medici possono impedire ai genitori di essere presenti insieme alle visite mediche, lasciando uno dei due genitori non informato. Effetti delle invalidità permanenti sulla comunità: un problema nell’ambito della comunità è rappresentato dalla scarsa comprensione, da parte di molte persone, il cui unico contatto con le invalidità croniche dell’infanzia avviene durante i telethon destinati a incrementare la simpatia e il denaro. Altre aggravanti del problema sono politiche e investimenti inconsistenti, inadeguati accessi alle facilitazioni (incluse barriere fisiche agli accessi) e scarsa comunicazione e coordinazione tra i sistemi sanitario, educativo e di supporto della comunità. Coordinazione delle cure mediche: senza coordinazione dei servizi, le cure mediche saranno deficitarie; alcuni interventi saranno raddoppiati, mentre altri saranno trascurati. Il coordinamento terapeutico richiede la conoscenza delle condizioni del bambino, della famiglia e della comunità nella quale opera. Il coordinamento dei servizi viene descritto nella Tab. 257-1. Tutti i professionisti che provvedono alla cura di un bambino cronicamente malato devono assicurarsi che qualcuno coordini l’assistenza. In termini ideali, i coordinatori devono essere i genitori del bambino. Tuttavia, i sistemi che devono essere trattati sono spesso così complessi che anche i genitori più capaci necessitano di aiuto. Altri possibili coordinatori sono il medico generico, gli specialisti della équipe di direzione del programma, l’infermiere, e i rappresentanti dell’assicurazione e dello stato. Indipendentemente da chi opera nella coordinazione dei servizi, la famiglia e il bambino devono essere coinvolti attivamente.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 257-1. ELEMENTI DI COORDINAMENTO DELLE CURE NEL BAMBINO CON INVALIDITÀ CRONICA Stabilire le necessità del bambino e della famiglia (mediche, educazionali, sociali, psicologiche) Pianificare una cura comprensiva per servizi medici e non medici* Coordinare i servizi, compresa la formazione degli assistenti sociali Monitorare i servizi e i progressi del paziente e della famiglia Consigliare, educare, formare e supportare il paziente e la famiglia (p. es., gruppi di genitori volontari, e intervento diretto con le scuole o con i finanziatori *La comunicazione tra il medico curante e i consulenti deve definire chiaramente i ruoli e le responsabilità di ognuno.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 244-1. ESAME DELLA PRESUNTA VITTIMA DI VIOLENZA CARNALE Nome della paziente:

Data dell’esame:

Indirizzo:

Ora:

Telefono:

Località:

Età: Sesso: Nome del tutore se la paziente è minorenne: Indirizzo: Telefono: Nome della persona che accompagna la paziente in ospedale: Indirizzo: Telefono: Nome dell’ufficiale di polizia, numero di matricola e dipartimento: Anamnesi Circostanze dell’aggressione: Data e ora: Località (conosciuta dalla paziente?): Assalitore (i): Numero: Nome (i), se conosciuto: Descrizione (i): Arma: Tipo di contatto sessuale (vaginale, orale, rettale): file:///F|/sito/merck/tabelle/24401.html (1 of 4)02/09/2004 2.43.41

Manuale Merck - Tabella

È stato usato un profilattico? Attività della paziente dopo l’aggressione: Doccia:

Medicazione:

Bagno:

Altro:

Cambio degli abiti: Data dell’ultima mestruazione: Data e ora del precedente coito, se recente: Anamnesi contraccettiva (orale, IUD, ecc): Esame obiettivo Traumi sistemici (extragenitali): Cranio:

Torace:

Arti superiori:

Faccia:

Addome:

Arti inferiori:

Gola:

Dorso:

Altro:

Perineo:

Vulva:

Cervice:

Imene:

Vagina:

Ano:

Traumi genitali:

Materiale estraneo sul corpo (macchie, capelli, fango, ramoscelli, ecc): Evidenza dell’assunzione di alcol o di droghe: Evidenza di una gravidanza in corso: Valutazione psicologica Stato emotivo o mentale della paziente: Reperti di laboratorio

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Manuale Merck - Tabella

Vestiti:

Campioni di capelli:

Annotare le condizioni (danni, macchie, materiale estraneo adeso) Prelevare piccoli campioni, incluso un frammento non macchiato, o mandare i vestiti alla polizia o in laboratorio Capelli adesi al corpo o agli abiti della paziente Peli pubici incrostati di sperma Peli pubici della vittima prelevati con una pinza, almeno 10 (per confronto)

Altri campioni, sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo: Sostanze testate Sperma

Test Papanicolaou

Provenienza Cervice

Sospensione salina dalla vagina*

Vagina Retto

Fosfatasi acida† Bocca Altro (p.es., colture batteriche)

Cosce

Per stabilire Mobilità e immobilità degli spermatozoi Morfologia degli spermatozoi Presenza di antigeni dei gruppi sanguigni A, B, o H‡ Gonorrea e chlamydia Sifilide

Altro

Sangue (inclusi campioni VDRL e RPR secchi sul corpo della paziente e sui vestiti)

Gruppo sanguigno Tracce di farmaci, alcol Gravidanza

Urine

Tracce di farmaci, alcol Gravidanza

Trattamento Consulenza

Commenti clinici del medico Firma: Testimone presente durante la visita medica Firma:

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N. della licenza del medico:

Manuale Merck - Tabella

Referto clinico Rilasciato da: Ricevuto da:

Data: Data:

Ora Ora:

*Deve essere eseguito dal medico esaminatore se fatto in tempo per evidenziare degli spermatozoi mobili. †Un test utile, perché non saranno trovati spermatozoi se l’assalitore è stato sottoposto a una vasectomia, è oligospermico, o ha usato un profilattico. Se il test non può essere eseguito immediatamente, un campione deve essere posto nel congelatore. ‡Nell’80% dei casi, gli antigeni dei gruppi sanguigni sono riscontrabili nel seme. IUD=(Intrauterine Device) Dispositivo intrauterino; VDRL=(Venereal Disease Research Laboratories) Test di laboratorio per le malattie veneree; RPR=(Rapid Plasma Reagin) Reazione rapida della reagina plasmatica. Modificata da Root I, Ogden W, Scott W: "The medical examination of alleged rape." The Western Journal of Medicine 120(4):329333, 1974; riproduzione autorizzata dal Western Journal of Medicine.

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ Incapacità di concepimento in una coppia dopo 1 anno di rapporti sessuali non protetti. L’infertilità interessa circa 1 coppia ogni 5 negli USA; la sua incidenza, in aumento, riflette in parte il differimento del matrimonio e della nascita del primo figlio. Le cause più comuni sono le anomalie dello sperma (35% delle coppie), le disfunzioni ovulatorie (20%), le disfunzioni tubariche (30%), un’anomalia del muco cervicale (5%) e fattori non identificati (10%). La diagnosi e il trattamento richiedono una completa valutazione di entrambi i partner; la durata e il tipo di trattamento devono essere individualizzati (p. es., più rapidi se la donna ha > 35 anni). L’impossibilità di concepire spesso crea frustrazione, stress emotivo, sentimento di inadeguatezza, rabbia, senso di colpa e risentimento. Il peso economico e l’impegno di tempo per le procedure diagnostiche e terapeutiche per l’infertilità possono causare tensione tra i coniugi. Di conseguenza, la consulenza e il supporto psicologico sono importanti accessori del trattamento. Gruppi di supporto per le coppie infertili (p. es. "Resolve" negli USA) sono stati organizzati a livello sia locale che nazionale. A dispetto di tutti gli sforzi, alcune coppie non riescono a ottenere una gravidanza. Si deve consigliare loro quando interrompere i trattamenti e quando prendere in considerazione un’adozione.

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ DISFUNZIONE TUBARICA Una disfunzione tubarica può essere associata a una storia di malattia infiammatoria della pelvi, all’uso di dispositivi intrauterini, a un’appendicite perforata, alla chirurgia del basso addome o a una gravidanza ectopica. La pervietà delle tube è accertata eseguendo un’isterosalpingografia sotto controllo fluoroscopico, 2-5 gg dopo la fine del flusso mestruale. L’isterosalpingografia può dimostrare anche delle sinechie intrauterine (sindrome di Asherman), delle anomalie, dei difetti di riempimento e delle aderenze pelviche. Dato che la fertilità sembra essere lievemente aumentata dopo una normale isterosalpingografia, gli ulteriori test diagnostici della funzione tubarica possono essere differiti di vari cicli. Se è osservata un’anomalia intrauterina può essere eseguita un’isteroscopia. La lisi delle aderenze per via isteroscopica aumenta la fertilità. La laparoscopia permette un’ulteriore valutazione della funzione tubarica e talvolta la contemporanea folgorazione o ablazione con il laser dell’endometriosi pelvica o la lisi delle aderenze pelviche.

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ ALTERAZIONE DEL MUCO CERVICALE Il muco cervicale agisce come un filtro biologico prevenendo l’ingresso della flora batterica vaginale e aumentando la sopravvivenza degli spermatozoi. Durante la fase follicolare del ciclo mestruale, i livelli di estradiolo aumentano stimolando un’aumentata produzione di muco chiaro e filante. Con il post-coital test si misurano la recettività del muco e la capacità dello sperma di sopravvivere e accedere alla porzione superiore dell’apparato riproduttivo. Sebbene questo test sia eseguito frequentemente, il suo valore è stato messo in discussione in quanto alcuni studi non hanno trovato alcuna correlazione tra la presenza o l’assenza di spermatozoi vitali nel muco e la successiva fertilità. A metà del ciclo, quando i livelli di estradiolo sono al loro valore massimo, un campione di muco endocervicale viene prelevato con un paio di pinze per polipi nasali o con una siringa per tubercolina, entro 2-8 ore dal rapporto sessuale. Il muco normale è chiaro, può essere filato per 8-10 cm (con bacchette di vetro), essiccato su vetrino assume una disposizione a felce e contiene almeno 5 spermatozoi mobili per campo. L’agglutinazione dello sperma può indicare la presenza di anticorpi contro gli spermatozoi; l’aumentata viscosità del muco cervicale può indicare un’errata scelta del tempo di esecuzione dell’esame; l’assenza dello sperma può indicare l’eiaculazione al di fuori della vagina o in un profilattico. Il trattamento deve essere individualizzato e può includere l’inseminazione intrauterina artificiale o l’uso di agenti mucolitici.

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Infertilità

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 245. INFERTILITÀ INFERTILITÀ INSPIEGATA Per le coppie con infertilità inspiegata è stata raccomandata la somministrazione di clomifene citrato per 3-4 cicli mestruali per favorire l’ovulazione, insieme a quella di hCG per stimolare l’ovulazione e all’inseminazione intrauterina nei 2 gg successivi. Se non si verifica alcuna gravidanza, alla donna vengono somministrate delle gonadotropine IM o SC ogni giorno, iniziando il 3° o il 5° giorno del ciclo mestruale. Quando sono presenti da uno a quattro follicoli di 17 mm, come accertato all’ecografia, le hCG sono somministrate per indurre l’ovulazione, che si verifica da 36 a 48 h più tardi. La donna è sottoposta a inseminazione nei 2 gg successivi alla somministrazione di hCG. Può essere necessario un supporto luteinico con la somministrazione di progesterone. Il giorno del ciclo in cui si inizia e il dosaggio delle gonadotropine può variare in funzione dall’età della paziente e della riserva ovarica. La probabilità mensile della gravidanza con il clomifene e le gonadotropine per le coppie con un’infertilità inspiegata, è del 10-15% per ciclo. Se non si verifica alcuna gravidanza dopo 3 o 4 cicli di terapia con le gonadotropine, sono raccomandate delle tecniche di riproduzione assistita.

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Pianificazione familiare

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 246. PIANIFICAZIONE FAMILIARE Per prevenire la nascita di un figlio indesiderato, uno o entrambi i membri di una coppia possono usare la contraccezione o la sterilizzazione per impedirla temporaneamente o in modo permanente. L’aborto provocato (interruzione elettiva della gravidanza) può essere usato quando la contraccezione fallisce. La decisione di una coppia di iniziare, prevenire o interrompere una gravidanza può essere influenzata dalla diagnosi prenatale o dalla consulenza genetica (v. Cap. 247 e 286). La sterilità è trattata nel Cap. 245.

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Pianificazione familiare

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 246. PIANIFICAZIONE FAMILIARE STERILIZZAZIONE Negli USA, uno dei due partner di circa un terzo delle coppie sposate che attuano la pianificazione familiare, è sterilizzato. La sterilizzazione è il metodo più diffuso tra le coppie in cui la moglie ha una età > 30 anni. La sterilizzazione deve essere considerata sempre come una soluzione permanente. Entrambi i partner andrebbero informati dei rischi e dell’irreversibilità delle procedure. L’intervento di ricostruzione (reanastomosi) è molto più difficile dopo la vasectomia che dopo la legatura delle tube. Le percentuali di gravidanza sono del 45-60% dopo la reanastomosi del dotto deferente e del 50-80% dopo la reanastomosi delle tube uterine. La sterilizzazione maschile si attua con la vasectomia, un intervento ambulatoriale che dura circa 20 minuti e richiede soltanto un’anestesia locale. I vasi deferenti vengono isolati e sezionati; le loro estremità sono chiuse per legatura o per diatermocoagulazione e poi sono riposte nel sacco scrotale prima della sutura dell’incisione. In genere, sono necessarie 15 o 20 eiaculazioni, prima che si raggiunga la sterilità. Dopo l’intervento si deve eseguire l’analisi dello sperma; l’uomo non è considerato sterile fino a quando non produce due eiaculati senza spermatozoi. Le complicanze della vasectomia includono l’ematoma ( 5%), i granulomi spermatici (risposta infiammatoria alla fuoriuscita di piccole quantità di sperma) e le reanastomosi spontanee che si hanno, in genere, a breve distanza dall’intervento. La sterilizzazione femminile si attua con la legatura delle tube, un intervento più complicato che richiede un accesso intraperitoneale o una piccola incisione sottoombelicale e un’anestesia generale o locale. Le tube uterine sono sezionate e chiuse con la legatura, la diatermocoagulazione o con vari dispositivi meccanici (fettucce elastiche e clip a molla). Poiché i dispositivi meccanici causano una minore distruzione tissutale, la sterilizzazione attuata in questo modo è potenzialmente più reversibile ma, anche utilizzando delle tecniche di microchirurgia, la percentuale di gravidanze dopo la ricostruzione è solo di circa il 75%. La legatura tubarica post-partum è, di solito, eseguita immediatamente dopo il parto in sala operatoria o il giorno seguente, senza prolungare, in tal modo, la degenza in ospedale. In altri momenti, la sterilizzazione, detta legatura tubarica a caldo, può essere eseguita in un ambulatorio chirurgico attraverso una minilaparotomia (usando un’incisione sovrapubica di 2 cm) o in laparoscopia. Per la mini-laparotomia è, di solito, impiegata un’anestesia generale, ma può essere usato un anestetico locale. La percentuale di gravidanze in caso di legatura tubarica è di circa lo 0,4% durante il primo anno dopo l’intervento, ma aumenta a 1,85% dopo 10 anni. La percentuale di gravidanze è maggiore dopo la diatermocoagulazione o l’applicazione di una fettuccia e minore dopo l’asportazione chirurgica di una parte della tuba. Circa il 30% delle gravidanze che si verificano dopo la legatura tubarica è ectopico. L’incidenza delle complicanze dopo una folgorazione laparoscopica è dell’1-6%; l’incidenza delle complicanze più importanti come l’emorragia o la perforazione o la coagulazione di un’ansa intestinale, è dello 0,6%. Dato che l’incidenza di lesioni a carico dell’intestino è minore con la coagulazione bipolare rispetto a quella unipolare, deve essere usata sempre la prima. La morbilità della legatura tubarica è pari al 5%; la mortalità è inferiore a 4 casi ogni 100000.

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Pianificazione familiare

L’isterectomia elettiva per via vaginale è accettata, per la sola sterilizzazione, in alcune comunità. Se la donna ha altri problemi cronici che interessano l’utero (p. es., una menorragia, una displasia cervicale, una dismenorrea grave), l’isterectomia per via addominale o per via vaginale può rappresentare il metodo di scelta per la sterilizzazione. La morbilità e la perdita di sangue sono maggiori e la degenza ospedaliera è più lunga dopo un’isterectomia che dopo una legatura tubarica, ma l’isterectomia comporta dei benefici a lungo termine, quali il 100% di efficacia, la fine dei disturbi mestruali e la prevenzione della possibile insorgenza di fibromi (leiomiomi) o di carcinomi dell’utero.

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Pianificazione familiare

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 246. PIANIFICAZIONE FAMILIARE ABORTO PROVOCATO Sommario: Introduzione Complicanze Aspetti psicologici

Durante tutto il corso della storia, le donne sono ricorse all’aborto per porre fine a gravidanze indesiderate. Circa i 2/3 delle donne nel mondo hanno la possibilità di abortire legalmente; circa un 1/12 di tutte le donne vive in Paesi in cui esistono rigide proibizioni al riguardo. Negli USA l’aborto è consentito, dietro richiesta, nel 1o trimestre; dopodiché l’aborto è regolato autonomamente da ogni stato. Negli USA, il numero degli aborti riferiti è rimasto relativamente stabile durante l’ultimo decennio; ogni anno sono eseguiti circa 1,5-1,6 milioni di aborti. Nel 1994, ci sono state circa 6 milioni di gravidanze negli USA; circa il 25% è terminato con un aborto. Circa il 25% delle donne che abortisce ha un’età inferiore ai 20 anni, il 35% ha tra i 20 e i 24 anni e il rimanente 40% ha 25 anni. Circa il 90% degli aborti viene eseguito durante il primo trimestre ( 12 sett.) e di questi più del 50% 8a sett. I metodi abortivi attualmente in uso sono lo svuotamento strumentale per via vaginale; l’induzione farmacologica, con stimolazione delle contrazioni uterine; gli interventi chirurgici sull’utero (isterotomia o isterectomia). Il tipo di intervento scelto varia a seconda dell’epoca gestazionale. Un’anestesia locale è, di solito, preferita per gli aborti del 1o trimestre; un’anestesia generale può essere necessaria per gli aborti più tardivi. Lo svuotamento strumentale è utilizzato in circa il 97% degli aborti. Nelle gravidanze prima delle 12 sett., la revisione della cavità uterina è, praticamente, l’unico metodo impiegato. L’isterosuzione, che si attua alla 4a-6a sett. di gestazione, richiede una minima o nulla dilatazione della cervice. La cannula, collegata a un aspiratore, viene inserita attraverso il canale cervicale. La cavità uterina viene vuotata completamente e con delicatezza. Gli insuccessi nell’interruzione della gravidanza si possono avere più di frequente in queste prime settimane, piuttosto che in seguito. Dopo la 7a sett. di gestazione, di solito, sono eseguite la dilatazione e la revisione della cavità uterina (D & R); in genere, la cervice deve essere dilatata per permettere il passaggio delle cannule da suzione di diametro maggiore, necessarie a evacuare la maggiore quantità di prodotto del concepimento. La cervice può essere dilatata, con delicatezza, adoperando dei dilatatori calibrati di diametro progressivamente crescente fino al raggiungimento della dilatazione desiderata. La misura della cannula è, generalmente, correlata all’epoca gestazionale. Le laminaria (alghe marine essiccate) o altri dilatatori osmotici sono frequentemente utilizzati perché riducono le potenziali lesioni della cervice dovute alla dilatazione meccanica. Vengono inseriti nel canale cervicale fino all’orifizio uterino interno e lasciati in sede per almeno 4 ore, in genere durante la notte; l’espansione della laminaria e/o lo stimolo alla secrezione di prostaglandine fanno dilatare la cervice.

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Pianificazione familiare

Nelle gravidanze superiori alle 12 sett., la dilatazione e lo svuotamento (D & S) è il metodo più comunemente usato; in questa procedura il canale cervicale viene dilatato (in genere con più laminarie o con altri dilatatori osmotici). Con la pinza ad anelli si frantuma e si rimuove il feto e si usa una cannula di 14-16 mm (circa 1,5 cm) per aspirare il liquido amniotico, la placenta e i residui fetali. Nelle gravidanze più avanzate, si possono usare più laminarie per dilatare delicatamente il canale cervicale fino a 3-4 cm, allo scopo di rendere lo svuotamento più semplice e più sicuro. L’esecuzione di una D & S richiede una maggiore esperienza rispetto allo svuotamento mediante isterosuzione. Anche se la D & S ha una percentuale inferiore di complicanze minori entro la 20a sett., l’induzione farmacologica è ancora utilizzata, specialmente dopo la 18a sett., perché dopo quest’epoca la D & S ha un maggior rischio di morbilità (comprese le lesioni a carico dell’intestino e dell’utero che richiedono l’esecuzione di un’isterectomia). L’aborto si può provocare, specialmente nel secondo trimestre, con l’induzione farmacologica. Negli USA l’instillazione di una soluzione salina ipertonica non viene più utilizzata a causa delle complicanze materne come l’ipernatremia, la coagulopatia, l’emorragia, l’infezione e le lesioni della cervice. Le prostaglandine stimolano le contrazioni uterine. Possono essere usati sia gli ovuli vaginali di prostaglandina E2 (dinoprostone) che le tavolette vaginali di un analogo della prostaglandina E1 (misoprostolo) o le iniezioni IM di prostaglandina F21 (dinoprost-trometamina). Il posizionamento intravaginale di due tavolette da 100 µg di misoprostolo q 12 h ha gli stessi risultati della prostaglandina E2, ma ha minori effetti collaterali e un costo inferiore. La percentuale di successo dopo 48 ore di trattamento è quasi del 90%. Queste tecniche provocano verosimilmente l’aborto di un feto vivo. L’uso di ossitocina EV accelera il processo, ma aumenta il rischio di lacerazioni della parte inferiore dell’utero. Nel secondo trimestre l’impiego di laminarie o di altri dilatatori osmotici, da soli o in associazione, prima di eseguire l’induzione farmacologica, abbrevia, in genere, il travaglio e diminuisce l’incidenza di lacerazioni cervico-vaginali. Gli effetti collaterali delle prostaglandine includono la nausea, il vomito, la diarrea, l’ipertermia, le vampate, i sintomi vaso-vagali e il broncospasmo. Le prostaglandine possono provocare un’asma bronchiale acuta nelle pazienti predisposte; nelle donne con gravi patologie epatiche o renali si può avere una ridotta attivazione del farmaco. Le donne affette da epilessia possono avere convulsioni. Il mifepristone (RU 486), un bloccante del recettore per il progesterone, è molto efficace nell’interruzione della gravidanza < 7 sett. quando associato a una prostaglandina. Attualmente, questo farmaco è disponibile solo in alcuni paesi europei e in Cina. L’isterotomia, che consiste in pratica in un taglio cesareo, è raramente indicata. La cicatrice uterina aumenta il rischio di rottura uterina nelle gravidanze successive. L’isterectomia si deve riservare alle donne che avevano avuto un’indicazione per questa procedura e che sono consapevoli che ne seguirà una sterilità permanente. La mortalità di questi interventi è di 44 volte superiore rispetto a un raschiamento del primo trimestre.

Complicanze Nel complesso, la contraccezione ha un numero di complicanze molto minore rispetto all’aborto, specialmente nelle donne più giovani. L’incidenza di complicanze gravi, per l’aborto, è < 1% e l’incidenza di decessi è < 1/ 100000 casi. L’incidenza delle complicanze è direttamente correlata all’età gestazionale e al metodo usato. Aumenta con l’aumentare dell’età gestazionale. Un file:///F|/sito/merck/sez18/2462147.html (2 of 3)02/09/2004 2.43.50

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esame ecografico deve essere eseguito se esiste qualche dubbio circa l’età gestazionale; p. es., il sanguinamento dopo il concepimento può essere scambiato come l’ultimo periodo mestruale e un utero retroverso, così come quello di una paziente obesa, può essere difficile da valutare. Le gravi complicanze precoci includono la perforazione uterina (0,1%) da parte di uno degli strumenti che si usano per eseguire l’aborto; a volte sono lesi anche l’intestino o gli altri organi. Le emorragie maggiori (0,06%) si possono verificare come conseguenza di traumi o di un utero atonico. Le lacerazioni cervicali (0,1-1%) possono variare da lacerazioni superficiali a fistole cervico-vaginali (associate a iniezioni intrauterine nel secondo trimestre). Si possono avere anche effetti indesiderati legati all’anestesia locale o generale. Le complicanze tardive più frequenti comprendono le emorragie postabortive legate alla ritenzione di frammenti di placenta; le tromboflebiti; le infezioni (0,1-2%), che vanno dall’endometrite di grado lieve all’infiammazione pelvica grave, alla peritonite e alla setticemia. La sterilità può conseguire alle infezioni pelviche o alla formazione di sinechie nella cavità uterina. Si può verificare un’isoimmunizzazione da fattore Rh nelle donne Rh negative, se non si usano le immunoglobuline Rh (v. Prodotti ematici nel Cap. 129 ed Eritroblastosi fetale nel Cap. 252). Gli effetti dell’aborto elettivo sulle successive gravidanze continuano a essere oggetto di discussione. Recenti studi eseguiti su larga scala non riportano un aumento significativo del rischio. La dilatazione forzata della cervice nelle gravidanze più avanzate può predisporre all’incontinenza cervicale. La percentuale di complicanze, compresa la mortalità, è progressivamente diminuita, specialmente dal 1972. Eseguire un aborto per aspirazione nel 1o trimestre è più sicuro che porre fine a una gravidanza attraverso la D & S, l’uso delle prostaglandine o l’isterotomia nel 2o trimestre.

Aspetti psicologici Per la maggior parte delle pazienti, l’aborto non è una minaccia al benessere mentale e non dà sequele psicologiche negative. Prima che tale intervento fosse facilmente e legalmente eseguibile, le difficoltà psicologiche erano, verosimilmente, dovute più che altro ai problemi e allo stress che le donne dovevano affrontare per riuscire a realizzare il loro intento. Le pazienti più soggette alle sequele di ordine psicologico sono quelle che hanno sofferto di sintomi psichiatrici già prima di rimanere gravide, quelle che hanno dovuto interrompere una gravidanza desiderata per ragioni mediche (materne o fetali), quelle dotate di una notevole instabilità oppure le giovanissime o quelle che hanno avuto un aborto tardivo.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 247. VALUTAZIONE E CONSULENZA GENETICA PRENATALI PRINCIPI DELLA CONSULENZA GENETICA Durante la consulenza genetica, il medico deve utilizzare termini facilmente comprensibili, senza condiscendenza. Spiegare brevemente le cause principali dei disturbi genetici, citogenetici, da gene singolo (mendeliani), poligenici/ multifattoriali (o "complessi") e ambientali, può essere utile. Scrivere le parole poco familiari o usare dei diagrammi rinforza i concetti importanti. La ripetizione è essenziale. Deve essere dato del tempo alle coppie per fare domande e per discutere privatamente così da poter esprimere i propri timori e le proprie decisioni. Nei casi complessi, si possono usare delle lettere che rappresentano delle relazioni permanenti tra il consulente e la coppia, evitano fraintendimenti e migliorano la comunicazione con i parenti. Per i problemi più comuni (p. es., l’età materna avanzata, gli aborti spontanei ripetuti, figli precedenti con difetti di chiusura del tubo neurale o con trisomie) si possono usare degli opuscoli o dei prestampati che danno rilievo al fatto che il problema non è solo loro. Una delle indicazioni alla diagnosi prenatale è la possibilità di poter tranquillizzare i genitori sul fatto che il loro feto non è affetto da una patologia particolare. Alcune coppie credono che la gravidanza debba essere interrotta se viene identificata un’anomalia; questo concetto errato deve essere chiarito. Nel caso di coppie con gravidanze anormali, si può parlare prima del parto del probabile esito della gravidanza (cioè, le anomalie attese e i verosimili effetti sulla vita del bambino) per aiutare i genitori a prendere delle decisioni informate. Appropriati riferimenti, che possono ottimizzare la gravidanza e il trattamento neonatale, possono essere fatti prima del parto. Per le situazioni non ancora trattabili o identificabili prima della nascita, può essere decisa la prevenzione della gravidanza per mezzo della contraccezione. L’adozione o la donazione di un gamete sono altre opzioni. Un consulente deve fornire delle informazioni oggettive e non deve raccomandare una specifica decisione. Tuttavia, una consulenza completamente oggettiva è una chimera. Per esempio, una paziente può interpretare un’espressione del viso o un’inflessione della voce involontarie da parte del consulente. La semplice proposta della diagnosi prenatale presuppone il consenso e quindi il consulente deve chiarire che la diagnosi prenatale non è obbligatoria.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO Il primo segno della gravidanza e la prima ragione per cui la maggior parte delle donne in stato di gravidanza consulta un medico, è l’assenza di un ciclo mestruale. In una paziente che ha dei cicli in genere regolari ed è sessualmente attiva, l’assenza delle mestruazioni, protratta per 1 sett., è un segno presuntivo di gravidanza. Si possono, inoltre, notare ingorgo mammario e nausea, accompagnati occasionalmente dal vomito. Il turgore mammario è dovuto all’aumento dei livelli degli estrogeni (principalmente) e del progesterone ed è una continuazione della congestione mammaria premestruale. La nausea e il vomito possono essere causati dalle gonadotropine corioniche umane (hCG) e dagli estrogeni, che le cellule sinciziali della placenta iniziano a produrre in quantità crescenti già 10 giorni dopo il concepimento. Il corpo luteo dell’ovaio è stimolato dalle hCG a continuare a secernere alti livelli di estrogeni e di progesterone, per sostenere la gravidanza. Molte donne, in questo periodo, si sentono affaticate e qualche paziente nota un aumento di volume dell’addome (distensione). L’epoca gestazionale è, in genere, calcolata in sett. a partire dal 1o giorno dell’ultima mestruazione. Quindi se i cicli della paziente erano regolari e se l’ovulazione è avvenuta al 14o giorno del ciclo, le date ostetriche sono più lunghe di 2 sett. rispetto a quelle embriologiche. Se i cicli sono irregolari, la differenza è maggiore o minore di 2 sett. In genere, 2 sett. dopo la mancata mestruazione, la paziente è considerata gravida di 6 sett. e l’utero è ingrandito in misura corrispondente. La visita ginecologica rivela un aumento di volume dell’utero compatibile con la gravidanza. La cervice uterina è più soffice e l’utero è irregolarmente diminuito di consistenza e aumentato di volume. La cervice diventa, di solito, di colorito bluastro o rosso porpora, a causa dell’aumento del flusso ematico uterino. Il test del sangue o delle urine risulta generalmente positivo. Il dosaggio immunoenzimatico delle hCG (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay, ELISA) può permettere delle determinazioni rapide e precise della presenza, anche di piccole quantità, di questo ormone nelle urine. Alcuni dei test di gravidanza più sensibili che usano questo metodo (p. es., ICON, TestPack) possono fornire risultati positivi in circa 1/2 h con livelli di hCG pari anche a sole 50 mUI/ml di urine; tali livelli si osservano spesso diversi giorni prima della mancata mestruazione. Con i metodi radioimmunologici, che fanno uso di anticorpi specifici per la subunità β dell’hCG (β-hCG), possono essere rilevati livelli di hCG ancora più bassi (un minimo di circa 0,05 mUI/ml di siero con la maggior parte di questi test). In tal modo, la gravidanza può esser diagnosticata diversi giorni dopo il concepimento. Nel corso dei primi 60 giorni di una normale gravidanza singola, i livelli di hCG raddoppiano all’incirca ogni 2-3 giorni, aumentando in modo esponenziale. Anche se nella gravidanza normale i livelli di hCG si correlano con l’età gestazionale, l’uso di standard diversi per la misura della hCG, le variazioni tra i diversi test e la variabilità biologica, impediscono di stabilire, sulla base di un solo valore di hCG, se il feto stia crescendo normalmente. Il metodo migliore consiste nel confrontare due valori di hCG sierica, ottenuti a 48-72 h di distanza l’uno dall’altro e misurati dallo stesso laboratorio; un raddoppio dei valori della hCG è altamente predittivo del normale sviluppo del feto. Nella gravidanza patologica (p. es., l’aborto spontaneo, il "blighted ovum", cioè l’assenza dell’embrione con sacco gestazionale vuoto, la gravidanza ectopica), i livelli di hCG sono inferiori a quelli normali e non raddoppiano ogni 2-3 giorni.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Alla 6a sett. di gestazione l’utero può, a volte, essere facilmente flesso sull’istmo che risulta notevolmente ammorbidito. Alla 12a sett. l’utero è più grande della cavità pelvica e risale dalla pelvi nell’addome, diventando palpabile al di sopra della sinfisi pubica. Alla 20a sett. di gestazione, il fondo dell’utero ha raggiunto la linea ombelicale trasversa (dal fondo dell’utero alla sinfisi pubica misura circa 20 cm); alla 36a sett. il fondo si trova in prossimità dell’apofisi xifoide dello sterno. La prova di certezza della gravidanza è, ovviamente, la nascita di un feto. Tradizionalmente, altri 3 segni sono considerati di certezza: il battito cardiaco fetale ascoltato dal medico, direttamente o attraverso uno strumento Doppler a ultrasuoni (in genere, i toni cardiaci fetali possono essere rilevati con uno stetoscopio alla 18a-20a sett. di gestazione e addirittura alla 10a-12a sett. con un Doppler, se l’utero è raggiungibile per via addominale); i movimenti fetali percepiti o uditi dal medico che esegue la visita; l’identificazione radiologica dello scheletro fetale, in genere dopo la 16a sett. Anche l’evidenziazione ecografica di una camera gestazionale intrauterina e dell’attività cardiaca fetale rappresentano delle prove di certezza. La presenza di una cavità all’interno dell’utero, compatibile con la gravidanza, può essere evidenziata all’incirca alla 5a-6a sett. (4 sett. dopo l’ovulazione) con un’ecografia. Il movimento del cuore fetale può essere visualizzato con l’ecografia "in tempo reale" al più presto alla 5a-6a sett. e alla 7a-8a sett. in > 95% dei casi. La donna gravida, in genere, comincia a sentire i movimenti fetali tra la 16a e la 20a sett. di gestazione. La gravidanza si considera compiuta al 266o giorno dal concepimento o al 280o dal primo giorno dell’ultima mestruazione, se i cicli erano regolari e di 28 giorni. La regola di Nägele calcola la data stimata del parto sottraendo 3 mesi dal 1o giorno dell’ultima mestruazione e aggiungendo 7 giorni. Questo calcolo è solo approssimativo; 10% delle pazienti partorisce il giorno stabilito, mentre il 50% lo fa entro 1 sett. e quasi il 90% entro 2 sett. Pertanto le pazienti devono essere informate sul fatto che partorire fino a 2 sett. prima o dopo la data stimata è normale. Una donna in gravidanza viene definita come una gravida. Ogni gravidanza (quella multipla viene considerata una sola gravidanza), aumenta il numero da affiancare al termine "gravida", cosicché una paziente che abbia avuto due gravidanze confermate è una II gravida. La parità descrive l’esito della gravidanza. Il termine para si riferisce ai parti avvenuti dopo la 20a sett., che sono numerati successivamente, cosicché la paziente sarà definita come para 1, 2, 3 e così via (il parto gemellare, il parto trigemellare o il parto multiplo vengono considerati 1 para). L’aborto si riferisce a una nascita che avviene prima della 20a sett. ed è numerato progressivamente come aborto 1, 2, 3 e così via. La somma dei para (parità) e degli aborti dà il numero totale delle gravidanze. Più spesso, la parità è indicata da 4 numeri: il primo indica il numero delle nascite a termine (dopo la 37a sett.); il 2o il numero delle nascite premature (> 20 e < 37 sett.); il 3o indica il numero degli aborti e il 4o il numero dei figli vivi. Pertanto, una donna che è gravida e ha avuto una gravidanza a termine, una coppia di gemelli nati alla 32a sett. e due aborti, si deve definire come gravida 5, para 1-1-2-3.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO FISIOLOGIA La gravidanza comporta in tutti gli organi e i sistemi materni una serie di variazioni fisiologiche, di cui la maggior parte regredisce dopo il parto. Sistema cardiovascolare: la gittata cardiaca (GC) aumenta dal 30 al 50% a partire dalla 6a sett. di gestazione e raggiunge il massimo tra la 16a e la 28a sett. (in genere alla 24a circa). La GC resta elevata sino a dopo la 30a sett., quindi può leggermente diminuire perché l’utero, aumentato di volume, comprime la vena cava. Durante il travaglio la GC aumenta di un altro 30%. Dopo il parto l’utero si contrae e la GC scende drasticamente a un valore che è del 15-25% superiore alla norma, poi diminuisce lentamente nel corso della 3a-4a sett. post-partum fino a quando, alla 6a sett., raggiunge i livelli di prima della gravidanza. L’aumento della GC è dovuto, verosimilmente, ai cambiamenti che si verificano nella circolazione utero-placentare. Mano a mano che la placenta e il feto si sviluppano, l’utero necessita di un flusso di sangue sempre maggiore. Al termine della gravidanza il flusso ematico che giunge all’utero è pari a circa 1 l/min, ovvero al 20% della normale GC. Poiché c’è un marcato aumento del volume della circolazione utero-placentare, si ha bisogno di una maggiore quantità di sangue. Inoltre, la circolazione nell’ambito dello spazio intervilloso agisce in parte come uno shunt arterovenoso, aumentando ulteriormente la necessità di un maggiore volume ematico e di un’aumentata GC. L’aumento della GC si accompagna a un aumento della frequenza cardiaca, dai normali 70 battiti/min a 80-90 battiti/min, e a un proporzionale aumento della gittata sistolica. La PA diminuisce, in genere (con un aumento della differenziale) non appena si espande la circolazione utero-placentare nel corso del 2o trimestre, ma può ritornare a valori normali nel corso del 3o trimestre. L’attività fisica provoca un aumento della GC, della frequenza cardiaca, del consumo di O2 e del volume respiratorio/minuto più durante la gravidanza che nel post-partum. La circolazione iperdinamica della gravidanza, aumenta la frequenza dei soffi funzionali e accentua i suoni cardiaci. Una rx o un ECG possono mostrare che il cuore è dislocato in una posizione orizzontale, ruotato verso sinistra e con un diametro trasverso aumentato. I battiti prematuri di origine atriale o ventricolare sono di comune riscontro durante la gravidanza. Tutte queste modificazioni sono fisiologiche e non devono indurre a una diagnosi errata di cardiopatia; si possono, in genere, gestire semplicemente rassicurando la paziente. Tuttavia, la tachicardia atriale parossistica si verifica con maggior frequenza nelle donne gravide e può richiedere una digitalizzazione profilattica. Sangue: la volemia aumenta proporzionatamente alla GC, ma l’aumento del volume plasmatico è maggiore (vicino al 50%) di quello della massa dei GR (25% circa) e la concentrazione di Hb può essere diminuita, per diluizione, da 13,3 a 12,1 g. La conta dei GB (da 5000 a 7000 µl) aumenta leggermente sino a 900012000 µl. La massa totale dei GB deve aumentare anche per compensare l’aumento della volemia. La causa dell’aumento dei GB è sconosciuto. Una marcata leucocitosi ( 20000 µl) si verifica in corso di travaglio e nei primi giorni del post-partum. La necessità di ferro aumenta fino a un totale di circa 1 g durante l’intera gravidanza ed è più elevata durante la seconda metà della gestazione (6-7 mg/ file:///F|/sito/merck/sez18/2492163.html (1 of 3)02/09/2004 2.43.53

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die). Il feto e la placenta usano circa 300 mg di ferro e l’aumentata concentrazione materna di GR richiede un ulteriore apporto di 500 mg. L’escrezione incide in ragione di 200 mg. È necessario un apporto supplementare di ferro (v. oltre), perché la quantità assorbita con la dieta più quella prelevata dalle riserve (in media, 300-500 mg) risulta, in genere, insufficiente a soddisfare il fabbisogno della gravidanza. Sistema urinario: le modificazioni della funzione renale si affiancano a quelle della funzione cardiaca. La VFG aumenta dal 30 al 50%, raggiunge il massimo tra la 16a e la 24a sett. di gestazione e permane a tali livelli fino quasi al termine quando può leggermente diminuire a causa della stasi da posizione dovuta alla compressione sulla vena cava. Il flusso plasmatico renale aumenta in maniera corrispondente. Questo aumento della funzione renale provoca una caduta dell’azotemia a valori, di solito, minori di 10 mg/dl (< 3,6 mmol urea/l), mentre i valori della creatinina scendono contestualmente a 0,7 mg/dl (62 µmol/l). Gli ureteri sono molto dilatati a causa delle influenze ormonali (soprattutto del progesterone) e per l’ostacolo esercitato dalla pressione esercitata dall’utero aumentato di volume sugli ureteri. La funzionalità renale, come quella cardiaca, è molto influenzata dalla postura in corso di gravidanza. Normalmente, la funzione renale è maggiore nella posizione supina e diminuisce in quella eretta; queste modificazioni sono accentuate durante la gravidanza. Le funzioni renale e cardiaca sono marcatamente aumentate anche nella posizione laterale, perché questa posizione elimina la compressione dell’utero gravido sui grossi vasi che si verifica quando la donna è in posizione supina, provocando una stasi negli arti inferiori. Questo incremento posturale della funzione renale è una delle ragioni per cui la donna gravida ha bisogno di urinare spesso quando sta cercando di addormentarsi. Sistema respiratorio: le variazioni della funzione respiratoria in corso di gravidanza sono dovute in parte al progesterone e in parte ai problemi posturali provocati dall’aumento di volume dell’utero. Il volume corrente e il volume minuto, la frequenza respiratoria, il pH plasmatico e il consumo di O2 aumentano; le riserve inspiratoria ed espiratoria, il volume e la capacità residue e la Pco2 plasmatica diminuiscono. La capacità vitale e la Po2 plasmatica non subiscono variazioni. La circonferenza toracica aumenta di circa 10 cm. Si verificano una considerevole iperemia e un considerevole edema delle vie respiratorie. A volte, si determinano un’ostruzione nasofaringea asintomatica e una rinite, le trombe di Eustachio sono temporaneamente bloccate e il tono e la qualità della voce si modificano. Si nota compatibilmente una modesta dispnea da sforzo e gli atti respiratori profondi diventano più frequenti. Sistemi gastrointestinale ed epatobiliare: mano a mano che la gravidanza procede, la compressione esercitata dall’utero sul retto e sull’ultimo tratto del colon può causare stipsi. Inoltre, si ha una diminuzione della motilità GI perché gli elevati livelli di progesterone determinano il rilassamento della muscolatura liscia. La pirosi gastrica e le eruttazioni sono di riscontro comune, dovute, verosimilmente, al ritardato svuotamento gastrico e al reflusso gastroesofageo a sua volta causato dal rilassamento dello sfintere esofageo inferiore e dello iato diaframmatico. L’ulcera peptica è poco frequente in gravidanza e le ulcere preesistenti spesso migliorano; la produzione di HCl diminuisce. L’incidenza di affezioni a carico della colecisti è in qualche modo aumentata; le donne che hanno avuto gravidanze, hanno più frequentemente problemi a carico di questo organo rispetto alle nullipare. La gravidanza ha un indefinibile effetto nocivo sulla funzione epatica, specialmente sul trasporto di bile. I valori degli esami della funzionalità epatica eseguiti di routine sono normali, ma il livello della fosfatasi alcalina aumenta progressivamente durante il 3o trimestre e può essere 2 o 3 volte quello normale al termine della gravidanza; l’aumento è dovuto alla produzione placentare di questo enzima piuttosto che a una disfunzione epatica. Sistema endocrino: la gravidanza altera la funzione della maggior parte delle ghiandole endocrine, in parte perché la placenta produce degli ormoni e in parte perché la maggior parte degli ormoni circola in una forma legata alle proteine e tale legame aumenta in gravidanza. La placenta produce un ormone (simile all’ormone stimolante la tiroide) che aumenta la funzione tiroidea. L’importante aumento della funzione tiroidea può simulare un ipertiroidismo, spesso file:///F|/sito/merck/sez18/2492163.html (2 of 3)02/09/2004 2.43.53

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producendo dei sintomi e segni simili, come la tachicardia, le palpitazioni, l’eccessiva traspirazione, l’instabilità emotiva e l’aumento di volume della tiroide. Comunque, un ipertiroidismo vero si verifica solo nello 0,08% delle gravidanze. La placenta può produrre una forma di ACTH che aumenta la funzione del surrene. I livelli degli ormoni surrenalici aumentano ed è questa, probabilmente, la causa delle strie cutanee rosate conosciute come smagliature, e uno dei fattori che contribuiscono dell’edema. Gli aumentati livelli di glicocorticoidi, di estrogeni e di progesterone alterano il metabolismo del glucoso e aumentano il fabbisogno di insulina sommandosi allo stress derivante dalla gravidanza e, verosimilmente, all’aumentata increzione di lattogeno placentare umano. L’insulinasi prodotta dalla placenta può anche aumentare il fabbisogno di insulina, cosicché le pazienti affette da una condizione prediabetica sviluppano spesso forme manifeste di malattia diabetica (v. anche Diabete mellito nel Cap. 251). La placenta produce un ormone stimolante i melanociti che aumenta la pigmentazione cutanea e l’hCG, un ormone trofico che agisce praticamente come gli ormoni follicolostimolante e luteinizzante nel sostenere il corpo luteo e, quindi, nel prevenire l’ovulazione. Cute: il cloasma (maschera della gravidanza), una pigmentazione a macchie di colorito brunastro, si manifesta sulla fronte e sugli zigomi. Comunemente, aumenta la pigmentazione delle areole mammarie e compare una linea scura longitudinale al centro dell’addome. Aumenta anche l’incidenza di teleangectasie (in genere soltanto al di sopra della vita) e di capillari dilatati con pareti sottili (specialmente a livello degli arti inferiori).

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO GESTIONE DEL TRAVAGLIO FISIOLOGICO Sommario: Introduzione MONITORAGGIO DEL FETO

Il travaglio consiste in una serie di contrazioni uterine ritmiche e progressive che producono l’appianamento e la dilatazione del collo dell’utero. Lo stimolo che produce il travaglio è sconosciuto. L’ossitocina circolante, prodotta dall’ipofisi posteriore, provoca l’inizio del travaglio. Il travaglio inizia, in genere, entro 2 sett., prima o dopo la data presunta del parto. Nel caso della prima gravidanza, il travaglio dura al massimo 12 o 14 h; i travagli successivi sono spesso più brevi, durando da 6 a 8 h. Una perdita ematica (una piccola quantità di sangue mista a una perdita mucosa dalla cervice) può precedere l’insorgenza del travaglio di circa 72 h. La fase attiva del travaglio è sempre preceduta da una fase latente durante la quale delle contrazioni irregolari di intensità variabile sembrano provocare la maturazione e l’ammorbidimento della cervice. Mano a mano che il travaglio progredisce, le contrazioni aumentano di durata, intensità e frequenza. Occasionalmente, le membrane (il sacco amniotico e corionico) si rompono prima dell’inizio del travaglio e il liquido amniotico defluisce attraverso la cervice e la vagina. Quando le membrane della donna si rompono, la paziente deve immediatamente contattare il proprio medico. Circa l’80-90% delle donne con rottura delle membrane entra in travaglio spontaneamente entro 24 h. Se ciò non avviene e la gravidanza è a termine, il travaglio viene indotto per il rischio di infezioni. Alcune donne preferiscono partorire a casa, ma la maggior parte degli ostetrici non lo raccomanda perché si possono verificare delle complicanze inattese durante il travaglio e il parto. Le complicanze includono il distacco prematuro della placenta, la sofferenza fetale durante il travaglio e le inattese complicanze del post-partum (p. es., la depressione o le anomalie neonatali, l’emorragia materna). Alcuni ospedali hanno risposto ai desideri delle pazienti offrendo sale da parto che si avvicinano all’ambiente domestico, con minori formalità e regole rigide, ma con la disponibilità di attrezzature e personale per le situazioni di emergenza. I centri per le nascite possono essere autonomi o collocati all’interno dell’ospedale, con simili o identiche facilitazioni di cura in entrambe le sedi. In alcuni ospedali, delle ostetriche diplomate provvedono a buona parte del trattamento nelle gravidanze a basso rischio. Le ostetriche lavorano con un medico, che è continuamente disponibile per consultazioni e parti operativi. Tutte le opzioni per il parto devono essere chiarite. Per molte donne, la presenza del padre o di altre persone durante il travaglio può essere d’aiuto e deve essere incoraggiata. Il sostegno morale, l’incoraggiamento e le dimostrazioni d’affetto diminuiscono l’ansia e rendono il travaglio meno preoccupante e spiacevole. I corsi di psicoprofilassi al parto possono preparare i genitori ad affrontare un travaglio e un parto normali o complicati. La condivisione dello stress del travaglio, la vista del proprio bambino e ascoltare il suo pianto tendono a creare un forte legame tra i genitori e tra i genitori e il bambino. La coppia deve essere informata esaurientemente di ogni eventuale complicanza.

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Al momento del ricovero si devono annotare la PA della paziente, la sua frequenza cardiaca e respiratoria, la temperatura corporea e il peso e la presenza o l’assenza di edemi. Si deve raccogliere un campione di urine per la ricerca della proteinuria e della glicosuria e uno di sangue per un esame emocitometrico completo e per la tipizzazione sanguigna. Si deve eseguire un esame obiettivo. Mentre si esamina l’addome, il medico valuta la grandezza, la posizione e la presentazione del feto (manovra di Leopold) e annota la presenza o l’assenza dei suoni cardiaci fetali. Sono anche annotate le valutazioni preliminari della qualità delle contrazioni e della loro durata e frequenza. Se il travaglio è attivo e la gravidanza è a termine, un’ostetrica o un medico esegue una visita vaginale con guanto sterile per valutare la progressione del travaglio. Se è presente un importante sanguinamento, questa visita viene ritardata fino a quando non è confermata la sede della placenta. Se le membrane sono rotte, viene eseguita una visita con lo speculum per documentare la dilatazione e la scomparsa del collo e per valutare la posizione; tuttavia, la visita manuale è ritardata fino a quando non si verificano la fase attiva del travaglio o dei problemi (p. es., riduzione della frequenza cardiaca fetale). Si deve ricercare anche l’eventuale presenza di meconio (che produce una colorazione verdastra), perché può essere un segno di sofferenza fetale. Se il travaglio è prematuro (< 37 sett.) o non è iniziato, devono essere eseguiti solo un esame con lo speculum sterile e un prelievo per l’esame colturale e per la ricerca dei gonococchi, della chlamydia e degli streptococchi di gruppo B. Si devono annotare il grado di dilatazione e di appianamento del collo e la posizione del feto (la discesa della parte presentante) nello scavo pelvico. La dilatazione è indicata in centimetri, come il diametro di un cerchio. L’appianamento del collo è calcolato in percentuale dallo 0 (assenza di appianamento) al 100% (appianamento completo della cervice). Il livello è espresso in centimetri, al di sopra o al di sotto del piano delle spine ischiatiche. Sono annotate anche la presentazione, che descrive la parte del feto all’orifizio cervicale (p. es., podalica, di vertice, di spalla) e la posizione, che descrive il rapporto esistente tra la parte presentata e la pelvi (p. es., occipito-sinistra anteriore [OSA]o sacro destro posteriore [SDP]). Durante questo esame il medico può accertare se le membrane sono integre o meno. Va annotata, nella relazione del travaglio, una breve descrizione delle forze (qualità del travaglio, frequenza e durata delle contrazioni), del canale (pelvimetria) e del feto (p. es., dimensioni, posizione, frequenza cardiaca). La paziente deve essere portata in sala travaglio per essere frequentemente controllata fino al momento del parto. Deve, inoltre, alimentarsi in quantità molta ridotta, per prevenire il vomito e l’inalazione durante il parto. Non è necessario eseguire un clistere; non vi è alcuna prova che esso stimoli il travaglio mentre di certo contamina la vulva e il perineo per l’intera durata del travaglio e del parto. Radere (o tagliare) i peli vulvari non è indicato perché la rasatura è irritante e può causare un’infezione. Si può infondere EV una soluzione di Ringer, inserendo un’ago-cannula di grosso calibro, a permanenza, in una vena della mano o della piega del gomito. Nel corso di un normale travaglio di 6-10 h, la paziente deve ricevere da 500 a 1000 ml di soluzione. Questa infusione previene la disidratazione e la conseguente emoconcentrazione durante il travaglio, assicurando al contempo una volemia adeguata. La cannula venosa permette anche un accesso immediato per la somministrazione di farmaci o di sangue in caso di emergenza o, se necessario, di farmaci per stimolare le contrazioni uterine. Un’adeguata idratazione è utile anche nel caso si debba effettuare un’anestesia epidurale o spinale. Gli analgesici possono essere somministrati durante il travaglio, secondo le necessità, ma devono essere somministrati in quantità minime perché possono deprimere la respirazione del neonato. La preparazione e le spiegazioni circa la nascita del bambino diminuiscono l’ansia, riducendo marcatamente la necessità di un analgesico. La meperidina (fino a 25 mg) o la morfina solfato (fino a 5 mg) somministrate EV q 60-90 min sono usati frequentemente e forniscono una buona analgesia con una piccola dose totale. Anche se entrambi i narcotici attraversano la placenta e hanno un effetto deleterio sul feto, il naloxone 0,01 mg/ kg può essere somministrato IM, EV o SC al neonato come antagonista specifico, se necessario. I farmaci "sinergici" (p. es., la prometazina), che sono più suppletivi che sinergici, sono popolari perché riducono la nausea provocata dai narcotici; devono essere usate piccole dosi perché non esiste un antidoto

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disponibile se viene somministrata una dose eccessiva o se insorgono dei problemi. Quindi, se è necessaria un’ulteriore analgesia, si preferisce aggiungere meperidina o morfina, oppure usare un’anestesia epidurale (v. gestione del parto fisiologico, oltre). Il primo stadio del travaglio, dall’inizio del travaglio stesso alla dilatazione completa del collo (circa 10 cm), ha due fasi. Durante la fase latente, le contrazioni diventano progressivamente più coordinate, il fastidio è meno intenso e il collo si appiana e si dilata sino a 4 cm. La durata della fase latente è difficile da definire esattamente, oscillando dalle 8 h e 1/2 nelle nullipare alle 5 h nelle pluripare. Questa fase è considerata patologica se dura > 20 h in una primigravida o > 12 h in una multigravida. Durante la fase attiva, il collo dell’utero si dilata completamente e la parte presentata discende nella pelvi. In media, questa fase dura 5 h nelle nullipare e 2 h nelle pluripare. La cervice si deve dilatare 1,2 cm/h nelle nullipare e 1,5 cm/h nelle pluripare. La paziente può cominciare a sentire il bisogno di spingere verso il basso appena la parte presentata discende nella pelvi. Comunque, la paziente deve essere dissuasa dallo spingere fino a che il collo non è completamente dilatato per prevenire la lacerazione della cervice ed evitare di sprecare energie. Il secondo stadio del travaglio è il periodo che va dal momento della dilatazione completa del collo fino all’espulsione del feto. In media, dura 2 h nelle nullipare e l h nelle pluripare. Può durare un’altra ora se è stata fatta un’analgesia epidurale. Per il parto spontaneo, la paziente deve aiutare le contrazioni uterine spingendo con forza in maniera espulsiva. La frequenza cardiaca e la PA materne, così come la frequenza cardiaca fetale, devono essere controllate continuamente con il monitor elettronico o almeno q 15 min con l’auscultazione durante il primo stadio del travaglio. Nel corso del secondo stadio, la paziente deve essere seguita costantemente e il battito cardiaco fetale deve essere rilevato continuamente o dopo ogni contrazione o q 3 minuti, a seconda di quello che si verifica prima. Le contrazioni uterine possono essere monitorate anche mediante l’auscultazione o elettronicamente.

MONITORAGGIO DEL FETO Il monitoraggio elettronico esterno della frequenza cardiaca fetale è usato di routine nel corso di tutti i travagli da molti ostetrici, perché il 30-50% dei feti che presentano un distress fetale o che muoiono durante il parto non presenta alcun segno premonitore che induca a un’osservazione più stretta e il monitoraggio elettronico può salvare la vita a tali bambini. Tuttavia, il valore di questa pratica è controverso. Sempre più dati dimostrano che l’incidenza dei parti cesarei è maggiore tra le pazienti monitorate con il cardiotocografo rispetto a quella delle donne monitorate con l’auscultazione. L’impiego della determinazione del pH del cuoio capelluto fetale per confermare la necessità di un parto cesareo può contribuire a ridurne la percentuale, ma questa procedura richiede apparecchiature sofisticate. Per monitorare le pazienti a basso rischio durante un parto normale, è affidabile l’auscultazione con un Doppler q 15 min nel 1o stadio e ogni 3 min o dopo ogni contrazione nel 2o stadio. L’auscultazione intermittente è associata con una più bassa percentuale di falsi positivi e una più bassa incidenza di intervento cesareo rispetto al monitoraggio continuo con cardiotocografo e rappresenta un’opportunità per un più intenso contatto personale con la partoriente. La cardiotocografia può essere riservata alle pazienti ad alto rischio o a quelle nelle quali l’auscultazione risulta difficoltosa o identifica una frequenza potenzialmente anormale. Per la cardiotocografia si applicano alcuni sensori sull’addome materno, per rilevare e registrare il battito cardiaco fetale e le contrazioni uterine. Per il monitoraggio interno le derivazioni sono posizionate attraverso la cervice, file:///F|/sito/merck/sez18/2492173.html (3 of 4)02/09/2004 2.43.54

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con un elettrodo applicato sul cuoio capelluto del feto e un catetere inserito nell’utero per misurare la pressione del liquido amniotico. Di solito, i dispositivi esterni sono usati nelle gravidanze normali e i metodi interni sono usati quando quelli esterni non forniscono sufficienti informazioni circa lo stato di benessere del feto o sull’intensità delle contrazioni uterine. Il monitoraggio fetale esterno può essere impiegato come parte di un "NonStress Test" (NST) o di un "contraction stress test" (chiamato, a volte, "test di stimolazione con l’ossitocina" [Oxytocin Challenge Test, OCT]). Il battito cardiaco fetale è continuamente registrato e confrontato con i movimenti fetali (NST) o con le contrazioni indotte dall’ossitocina (OCT) o con la stimolazione della mammella o con le contrazioni spontanee. Questi test sono spesso usati per monitorare le gravidanze che presentano qualche problema. Se è stato identificato un problema prima del travaglio o se esso viene evidenziato con l’auscultazione o con il monitoraggio esterno, si ricorre al monitoraggio interno allo scopo di ottenere informazioni più dettagliate circa le modalità del battito cardiaco fetale e della contrattilità uterina. Quando si identifica o si conferma un problema con il monitoraggio elettronico interno, la necessità di intervento può essere confermata determinando il pH ematico fetale da campioni prelevati dallo scalpo dopo un’amniotomia. Un valore 7,25 è rassicurante, valori tra 7,0 e 7,24 sono preoccupanti e indicano che la determinazione deve essere ripetuta dopo aver somministrato O2 e liquidi EV e aver fatto cambiare posizione alla mamma; valori < 7,0 indicano la necessità di un parto urgente.

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO GESTIONE DEL PARTO FISIOLOGICO Molte unità ostetriche usano una sola sala per il travaglio, per il parto, per il trattamento intensivo successivo e per il post-partum (LDRP), così che la madre, le persone di supporto e il bambino rimangono nella stessa stanza per tutto il ricovero. Altri centri usano la tradizionale sala del travaglio e la sala del parto, in cui la paziente viene trasferita per il parto. In condizioni ideali, quando il parto è imminente, la paziente viene portata in sala parto con l’infusione EV di Ringer ancora in corso. Al padre o alle altre persone che le sono vicine deve essere offerta l’opportunità di accompagnarla. Nella sala parto, il perineo viene lavato e coperto con telini sterili e il parto viene espletato. Anestesia: possono essere usati il blocco pudendo, l’anestesia regionale o quella generale. Indipendentemente dal metodo utilizzato, per un’anestesia sicura ed efficace sono necessarie esperienza e abilità di esecuzione. Il blocco pudendo consiste nell’iniettare un anestetico locale attraverso la parete della vagina, in modo da raggiungere il nervo con l’anestetico, nel punto in cui incrocia la spina ischiatica. La distribuzione del nervo è tale che la parte inferiore della vagina, il perineo e la parte posteriore della vulva risultano anestetizzati; la porzione anteriore della vulva è innervata dai dermatomeri lombari e non viene anestetizzata. Il blocco pudendo è utile nei parti non complicati, durante i quali la paziente desideri cooperare spingendo e non vi siano controindicazioni. Il blocco dei gangli paracervicali è raramente indicato perché associato a un’elevata incidenza (> 15%) di bradicardia fetale. L’infiltrazione del perineo è frequentemente usata, anche se l’anestesia che si ottiene con questo metodo non è efficace come quella di un blocco pudendo ben fatto. Il metodo dell’anestesia regionale più frequentemente usato per il travaglio e il parto, è rappresentato dall’iniezione lombare epidurale di un anestetico locale. Possono essere somministrati narcotici (p. es., fentanile, sufentanile) per infusione continua nello spazio epidurale. L’iniezione nella cauda (nel canale sacrale) è raramente utilizzata. L’anestesia spinale (iniezione nello spazio subaracnoideo paraspinale) può essere usata per il taglio cesareo, ma, a causa della sua breve durata (che ne previene l’uso durante il travaglio) e un modesto rischio di cefalea spinale successiva, viene eseguita meno di frequente. In ogni caso, bisogna attuare un controllo continuo, con il rilevamento dei parametri vitali q 5 minuti, per evidenziare e trattare una possibile ipotensione. L’anestesia generale con potenti farmaci inalatori (p. es., l’isoflurano) può deprimere notevolmente sia la madre che il feto e, quindi, non è raccomandata per i parti di routine. Tuttavia, è spesso la metodica di scelta in caso di un parto cesareo di emergenza perché il tempo che intercorre tra l’inizio dell’anestesia e il parto è molto breve. Il protossido d’azoto al 40% può essere utilizzato per l’analgesia purché si mantenga un contatto verbale con la paziente. Una maggiore diffusione della psicoprofilassi al parto ha diminuito l’impiego di questi farmaci, tranne che nei casi di parti con il forcipe, parti podalici, gemellari o con taglio cesareo. Procedure del parto: si esegue un’esplorazione vaginale per determinare la posizione e il livello della testa. Successivamente, la paziente viene invitata a spingere verso il basso ad ogni contrazione, in modo da spingere la testa attraverso la pelvi e dilatare progressivamente l’ostio vaginale così che la testa sia progressivamente visualizzata. Quando circa 3-4 cm della testa fetale sono ben visibili, durante una contrazione, in una primipara (poco prima in una pluripara), le manovre successive possono facilitare il parto e ridurre il pericolo di file:///F|/sito/merck/sez18/2492176.html (1 of 3)02/09/2004 2.43.55

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una lacerazione perineale. Il medico (se destrorso) pone il palmo della mano sinistra sulla testa del bambino, durante la contrazione, per controllare e, se necessario, ritardare leggermente la sua progressione, mentre poggia le dita della mano destra contro il perineo che va dilatandosi e attraverso il quale si avvertono la fronte o il mento del bambino. Applicando una pressione sulla fronte o sul mento con le dita ricurve si aiuta la testa a progredire. Il medico controlla la progressione della testa per eseguire un parto lento e sicuro. Il forcipe è spesso usato per il parto quando la madre è esausta e non riesce a spingere in modo adeguato. Il forcipe è sicuro e può essere necessario quando l’anestesia epidurale preclude le vigorose spinte verso il basso della madre. L’anestesia locale non interferisce con le spinte verso il basso, limitando l’insorgenza delle complicanze e l’uso del forcipe. Se si prevede che il secondo stadio del travaglio si prolunghi perché la paziente ha difficoltà a spingere, può essere usato il forcipe o una ventosa ostetrica. L’episiotomia (incisione chirurgica del perineo) deve essere eseguita solo se il perineo non si dilata appropriatamente e ostacola il parto. L’episiotomia è di solito necessaria solo per il primo parto a termine. Questa procedura previene l’eccessivo stiramento e la possibile lacerazione dei tessuti perineali. Infatti, l’incisione è più facilmente riparabile rispetto alla lacerazione e può diminuire l’incidenza delle lacerazioni anteriori. Il tipo più comune di episiotomia consiste in un’incisione mediana eseguita con le forbici, dal punto di mezzo della forchetta posteriore direttamente verso il retto. Con questo tipo di incisione, c’è il rischio di prolungare il taglio nello sfintere del retto o nel retto stesso, ma se diagnosticato subito può essere riparato con successo e guarisce bene. L’episioproctotomia (che consiste in un’incisione prolungata intenzionalmente all’interno del retto), non è raccomandabile per il rischio di fistole retto-vaginali. Le lacerazioni o l’interessamento del retto si possono evitare, in genere, mantenendo la testa del nascituro ben flessa fino a che l’occipite non abbia oltrepassato l’arcata sottopubica. Un altro tipo di episiotomia consiste in un’incisione medio-laterale, eseguita con le forbici, a partire dal punto di mezzo della forchetta con un angolo di 45°, lateralmente verso uno dei due lati. Anche se con questo tipo di incisione, di solito, non si corre il rischio di interessare lo sfintere o il retto, il dolore nel postoperatorio e il tempo di cicatrizzazione sono maggiori rispetto all’episiotomia mediana. Quindi, è raccomandata l’episiotomia mediana. Subito dopo l’espulsione della testa, il corpo del feto ruota, cosicché le spalle si portano in una posizione antero-posteriore; una delicata pressione verso il basso, esercitata sulla testa del feto, fa disimpegnare la spalla anteriore al di sotto della sinfisi pubica. Se il cordone è avvolto intorno al collo, il cordone stesso può essere clampato e sezionato. A questo punto, la testa viene delicatamente sollevata affinché la spalla posteriore scivoli al di sopra del perineo, seguita senza difficoltà dal resto del corpo del bambino. Il naso, la bocca e la faringe del neonato devono essere aspirati con un siringa apposita per rimuovere il muco e i liquidi e aiutare la respirazione. Il cordone ombelicale deve essere clampato con due pinze e tagliato tra di esse, dopo di che si applica una clip di plastica. Il neonato è, quindi, posto in una culla termostatica o sull’addome della madre. Il trattamento del neonato è descritto nel Cap. 256. Il terzo stadio del travaglio inizia dopo la nascita del bambino e finisce con la fuoriuscita della placenta. Dopo l’espulsione del bambino, il medico appoggia delicatamente la mano sul fondo dell’utero per percepirne le contrazioni; il distacco della placenta si verifica, in genere, durante la prima o la seconda contrazione, spesso con la fuoriuscita del sangue che si raccoglie dietro la placenta in via di distacco. La paziente stessa è, in genere, in grado di aiutare l’espulsione della placenta, spingendo. Se non è in grado e se si ha una perdita ematica abbondante, la placenta può essere espulsa esercitando una decisa pressione verso il basso sul fondo dell’utero; questa procedura viene eseguita solo se l’utero è duro di consistenza, perché la pressione esercitata su di un utero flaccido ne può provocare l’inversione. Se questa manovra non dovesse essere sufficiente, si deve tenere il cordone teso verso il basso, mentre si sospinge l’utero verso l’alto, allontanandolo dalla placenta. Se la placenta non è stata espulsa entro 45-60 min dal parto, può essere necessario il secondamento manuale; l’intera mano è inserita nella cavità uterina, per distaccare la placenta dalla sua inserzione e quindi estrarla.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

La placenta deve essere esaminata per vedere se è completa, dato che eventuali frammenti lasciati all’interno dell’utero possono provocare emorragie o infezioni tardive. Se la placenta non è stata rimossa completamente, la cavità uterina deve essere esplorata manualmente. Alcuni ostetrici preferiscono esplorare sistematicamente l’utero dopo ogni parto. Tuttavia, l’esplorazione è fastidiosa e non è raccomandata di routine. Immediatamente dopo l’espulsione della placenta, si somministra un farmaco ossitocico (10 UI di ossitocina IM o, se è in corso un’infusione EV, 10-20 mU/l) per agevolare una valida contrazione dell’utero. L’ossitocina non deve, però, essere somministrata sotto forma di un bolo EV, perché potrebbe causare un’aritmia cardiaca. Dopo un’accurata ispezione per escludere o riparare eventuali lacerazioni della cervice o della vagina e assicurarsi che l’utero sia ben contratto e dopo aver eseguito l’episiorrafia, la paziente, se tutto è a posto, può essere portata nella stanza di degenza con il bambino. Molte madri desiderano iniziare ad allattare al seno a breve distanza dal parto e questo desiderio deve essere incoraggiato. La madre, il neonato e il padre devono stare insieme in un ambiente caldo e riservato per un’ora o più perché questa esperienza può rafforzare i legami emozionali tra genitori e figlio. Il neonato va, quindi, portato nel nido. La madre deve essere tenuta sotto controllo per circa un’ora, per rilevare la presenza di sanguinamenti o alterazioni della PA e per vegliare sul suo stato generale. Il periodo di tempo che va dalla espulsione della placenta a 4 ore dopo il parto è stato definito il quarto stadio del travaglio; la maggior parte delle complicanze, specialmente l’emorragia, si verifica in questa fase e il frequente controllo è obbligatorio.

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Gravidanza ad alto rischio

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 250.GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO Gravidanza in cui la madre, il feto o il neonato sono o saranno ad aumentato rischio di morbilità o mortalità, prima o dopo la nascita. Tutte le gravidanze devono essere valutate per determinare se vi sono o vi saranno dei fattori di rischio. Sono coinvolti molti fattori di rischio; poter quantificare per ogni fattore, il possibile incremento del rischio richiede un’analisi sistematica e l’uso di un sistema di punteggio (v. Tab. 250-1). Considerare una gravidanza ad alto rischio aiuta a fare in modo che la paziente riceva maggiori attenzioni. La valutazione del rischio permette di trasferire prima del parto le pazienti con un rischio elevato a un centro di medicina perinatale, diminuendo in tal modo, significativamente, la morbilità e la mortalità neonatale, in confronto a quelle di neonati di pari età gestazionale e peso che vengono trasportati in questi centri dopo il parto. Le pazienti possono essere identificate come ad alto rischio prima del parto o durante il travaglio, quando degli eventi acuti modificano lo stato del rischio stesso. La ragione più frequente per il trasferimento è il rischio di parto pre-termine, spesso associato alla rottura prematura delle membrane (v. Cap. 253). La mortalità materna ha un’incidenza di 6/ 100000 nascite negli USA. La causa principale è costituita dagli incidenti stradali, seguiti dalla malattia tromboembolica, dalle complicanze dell’anestesia, dall’emorragia, dalle infezioni e dalle complicanze dell’ipertensione. La mortalità perinatale negli USA è di 17/ 1000 parti. Poco più del 50% di queste morti è costituito da morti intrauterine; le altre si verificano nei primi 28 giorni di vita. La maggior parte dei decessi perinatali, che non è direttamente correlabile ad anomalie congenite, è associata a prematurità spesso accompagnata da un distacco placentare, gravidanze multiple, preeclampsia ed eclampsia, placenta previa, polidramnios o da una presentazione anomala.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 250-1. VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN GRAVIDANZA Fattori di rischio

Punteggio*

Preesistenti Disordini cardiovascolari e renali Preeclampsia moderata o grave (tossiemia)

10

Ipertensione cronica

10

Nefropatia moderata o grave

10

Cardiopatia grave (classi II-IV, sec. la classificazione della New York Heart Association)

10

Storia di eclampsia

5

Storia di pielite

5

Cardiopatia lieve (classe I, sec. la classificazione della New York Heart Association)

5

Preeclampsia lieve

5

Pielonefrite acuta

5

Storia di cistite

1

Cistite acuta

1

Storia di preeclampsia

1

Disordini metabolici Diabete insulino-dipendente

10

Precedente asportazione di ghandole endocrine

10

Malattia tiroidea

5

Prediabete (diabete gestazionale controllato con la dieta)

5

Storia familiare di diabete

1

Antecedenti ostetrici Exsanguinotrasfusione per incompatibilità Rh

10

Morte intrauterina

10

Postmaturità (>42sett.)

10

Neonato prematuro

10

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Manuale Merck - Tabella

Neonato piccolo per l’epoca gestazionale

10

Posizione fetale anomala

10

Polidramnios

10

Gravidanza multipla

10

Morte neonatale

10

Parto cesareo

5

Aborto abituale

5

Neonato>4,5kg (>10lb)

5

Multiparità>5

5

Epilessia o paralisi cerebrale

5

Anomalie del feto

1

Altri disordini Citologia cervicale anormale

10

Anemia falciforme

10

Risultati sierologici positivi per le STD

5

Anemia grave (Hb42sett.)

5

Preeclampsia lieve

5

Rottura prematura delle membrane>12h

5

Travaglio prematuro

5

Anomalia primaria del travaglio

5

Arresto secondario della dilatazione

5

Meperidina>300mg

5

Solfato di magnesio>25g

5

Travaglio>20h

5

Seconda fase>2,5h

5

Pelvi piccola (valutazione clinica)

5

Induzione medica del travaglio

5

Travaglio precipitoso (30min

10

Presentazione podalica, estrazione totale

10

Prolasso del cordone ombelicale

10

Peso del feto 2, insieme alla presenza di fosfatidilglicerolo. Quando un feto deve nascere prematuramente, la somministrazione alla madre per via sistemica di betametasone, per almeno 24 ore prima del parto, induce la produzione di surfactante da parte del feto e solitamente riduce il rischio di RDS o ne diminuisce la severità (v. anche Travaglio pre-termine nel Cap. 253).

Prognosi e terapia Se non si interviene, l’ipossiemia grave esiterà in insufficienza d’organo multipla e nel decesso. Comunque, se la ventilazione del neonato è adeguatamente supportata, inizierà la produzione di surfactante e la RDS si risolverà in 4 o 5 giorni. La durata del ricovero viene accorciata grazie al trattamento con surfactante polmonare. Il surfactante polmonare somministrato per via intratracheale riduce la severità della RDS, come si può vedere dal rapido miglioramento dell’emogasanalisi e della rx del torace e dalla possibilità di ridurre rapidamente i parametri del supporto ventilatorio. file:///F|/sito/merck/sez19/2602291.html (2 of 4)02/09/2004 2.43.58

Patologia del neonato e del lattante

Il surfactante può essere somministrato preventivamente subito dopo la nascita ai neonati pretermine giudicati a rischio molto elevato di sviluppare la RDS. Altrimenti, esso viene somministrato, come trattamento estremo, ai pazienti con diagnosi di RDS appena le loro condizioni si sono stabilizzate. Dosi ripetute di Survanta (estratto naturale da polmone di bovino che contiene proteine B e C, colfosceril palmitato, acido palmitico e tripalmitina) possono essere somministrate q 6 h (fino a 4 dosi), oppure dosi di Exosurf (un surfactante privo di proteine, contenente colfosceril palmitato, alcol cetilico e tilosapolo) possono essere ripetute al bisogno, a distanza di 12 ore (fino a 3 dosi). Il paziente deve essere strettamente monitorato durante e dopo la terapia con il surfactante per assicurarsi che la terapia venga tollerata e che ci sia una risposta rapida alle variazioni nell’ossigenazione, ventilazione o PA sistemica. Dopo la somministrazione di surfactante, la compliance polmonare può migliorare rapidamente, e così, può essere necessario ridurre il picco della pressione inspiratoria del ventilatore per annullare il rischio di intrappolamento d’aria polmonare. Possono essere ridotti anche gli altri parametri ventilatori (p. es., FiO2, frequenza). Il surfactante non annulla il rischio di complicanze della RDS o di altri problemi legati alla prematurità, né assicura una buona prognosi; i pazienti trattati devono inoltre essere ricoverati in un’Unità di Terapia Intensiva Neonatale (TIN). Il surfactante migliora la sopravvivenza poiché il rischio di sviluppare intrappolamento d’aria a livello polmonare (p. es., pneumotorace iperteso, enfisema polmonare interstiziale) e l’incidenza e la severità della displasia broncopolmonare sono ridotti (v. più avanti). Devono essere strettamente monitorate la situazione respiratoria e circolatoria per assicurarsi che il trattamento rimanga appropriato quando si modifica la funzionalità polmonare. I saturimetri attraverso una luce collocata a livello di un dito permettono di monitorare continuativamente la saturazione di O2 dell’Hb. Gli apparecchi che possono continuativamente e in modo non invasivo monitorare la tensione di O2 e CO2 per via transcutanea possono anche ridurre la necessità di frequenti prelievi ematici. Nei pazienti con malattia respiratoria da moderata a grave viene solitamente posizionato un catetere in arteria ombelicale (Umbilical Artery Catheter, UAC); come quelli che richiedono una percentuale di O2 inspirato (FiO2) di 40%. Se un UAC non può essere posizionato, può essere utilizzato un catetere percutaneo in arteria radiale, per il monitoraggio continuo della PA e per l’esecuzione dell’emogasanalisi. Nei neonati prematuri 50-70 mm Hg rappresenta un’accettabile PaO2; queste tensioni di O2 determinano una saturazione dell’Hb quasi completa poiché questi neonati hanno Hb fetale, che presenta una più elevata affinità per l’O2. Il mantenimento di una maggiore PaO2 può incrementare il rischio di retinopatia del prematuro. Come negli adulti, una normale PaCO2 è pari a 40-50 mm Hg. I bambini con una RDS lieve possono migliorare con supplementazioni di O2 mediante cappetta; i bambini con RDS più grave possono migliorare con la pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP), mantenendo il bambino in respirazione spontanea; i bambini più gravi richiedono il supporto ventilatorio (v. sopra Uso della ventilazione meccanica). Quando viene utilizzata una mascherina per O2 o quando l’O2 viene somministrato mediante cannula nasale, l’O2 viene combinato con aria mediante un miscelatore; la percentuale di O2 da somministrare deve essere misurata con l’ossimetro e registrata regolarmente. L’erogazione di ossigeno non può essere accuratamente misurata né supposta come direttamente proporzionale al flusso L/min. L’O2 deve essere riscaldato (a 36-37°C) e umidificato per evitare che le secrezioni si raffreddino e si secchino e per prevenire il broncospasmo. La pressione continua positiva delle vie aeree (CPAP) è indicata nei neonati con RDS in respirazione spontanea che richiedono una FiO2 40% per mantenere una PaO2 di 50-70 mm Hg. La CPAP può essere avviata più precocemente se il

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paziente è in rapido peggioramento. La pressione positiva mantiene espansi gli alveoli durante il ciclo respiratorio e migliora l’ossigenazione riducendo la quota di shunt attraverso le aree atelettasiche.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO EMORRAGIE ENDOCRANICHE

Sommario: Introduzione Diagnosi Prognosi Terapia

L’emorragia intra o pericerebrale può mettere a rischio la vita dei neonati, soprattutto dei prematuri. Il danno ipossico-ischemico, variazioni della PA e le pressioni esercitate sulla testa durante il travaglio rappresentano le maggiori cause di emorragia intracranica. La presenza della matrice germinale (una massa di cellule embrionali situate nel nucleo caudato e presenti solo nel feto) aumenta il rischio di emorragia. Le emorragie possono interessare i vari distretti del SNC. Piccole emorragie a livello dello spazio subaracnoideo, della falce e del tentorio sono frequenti reperti incidentali all’esame autoptico. Emorragie più estese a livello encefalico, degli spazi subaracnoideo o subdurale o ventricolari sono meno comuni, ma solitamente più gravi. Circa il 20% dei prematuri con peso < 1500 g va incontro a emorragia cerebrale. Emorragia subaracnoidea: l’emorragia subaracnoidea rappresenta probabilmente il più comune tipo di emorragia intracranica. Spesso nel LCR dei neonati a termine sono presenti alcuni GR. L’emorragia subaracnoidea può presentarsi con apnea, convulsioni, letargia o un esame neurologico alterato. In caso di estese emorragie, un’associata meningite può determinare, con l’accrescimento del bambino, la formazione di un idrocefalo comunicante. Emorragia subdurale: l’emorragia subdurale, ora che le tecniche ostetriche sono migliorate, è diventata meno frequente e le cause di essa sono lacerazioni della falce, del tentorio, delle vene superficiali. Queste lesioni si hanno più di frequente in neonati di madri primipare, nei macrosomi e nelle distocie. In tutte queste condizioni si esercitano pressioni elevate sui vasi sanguigni endocranici. I sintomi sono: convulsioni, rapido aumento della circonferenza cranica o un alterato esame neurologico con ipotonia, riflesso di Moro debole o emorragie retiniche estese. Emorragie intraventricolari e/o intraparenchimali: le emorragie intraventricolari o parenchimali generalmente si verificano durante i primi 3 giorni di vita e rappresentano le emorragie intracraniche più gravi. Le emorragie si verificano generalmente nei neonati prematuri, sono spesso bilaterali e di solito originano nella matrice germinale, che si trova sulla parete laterale dei ventricoli laterali. La maggior parte degli episodi emorragici è subependimale o intraventricolare ed è coinvolta una piccola quantità di sangue. Nelle emorragie gravi si ha sanguinamento nel parenchima o interessamento del sistema ventricolare con grandi quantità di sangue nella cisterna magna e nelle cisterne basali. Il danno ipossico-ischemico spesso precede il sanguinamento intraventricolare e subaracnoideo. Il danno ipossico-ischemico danneggia l’endotelio capillare, il meccanismo di autoregolazione vascolare cerebrale e può incrementare il flusso ematico cerebrale e la pressione venosa, elementi che aumentano il rischio di emorragia. La maggior parte delle emorragie file:///F|/sito/merck/sez19/2602287.html (1 of 3)02/09/2004 2.43.59

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intraventricolari sono asintomatiche, ma le emorragie più estese possono causare apnea, cianosi o collasso improvviso.

Diagnosi Quando si sospetta un’emorragia intracranica bisogna escludere petecchie o eventuali manifestazioni emorragiche a carico di altri organi, segni che indicano un disordine ematologico e vascolare sistemico (p. es., deficit di vitamina K, emofilia, coagulazione intravascolare disseminata). Sia l’ecografia cerebrale che una TC possono evidenziare l’emorragia e sono di aiuto. Le indagini di laboratorio nel sospetto di un’emorragia intracranica devono iniziare con un’ecografia cerebrale, che è priva di rischi e può facilmente evidenziare il sangue all’interno dei ventricoli o della sostanza cerebrale. Tuttavia, le sottili falde di sangue subaracnoidee o subdurali, che si estendono al di sopra degli emisferi sono meglio evidenziate alla TC. Se la diagnosi è dubbia, può essere esaminato il LCR per ricercare la presenza di GR; solitamente si evidenzia la presenza macroscopica di sangue. Devono essere eseguiti le prove emocoagulative, un esame emocromocitometrico e indagini sul metabolismo per identificare altre cause di disfunzione neurologica (ipoglicemia, ipocalcemia, diselettrolitemia). L’EEG può aiutare a stabilire la prognosi nei bambini sopravvissuti all’episodio emorragico acuto. La diagnosi di emorragia subaracnoidea deve essere sospettata in ogni bambino che presenta crisi di apnea, convulsioni, letargia o un esame neurologico alterato ed è confermata dalla TC o dall’esame del LCR. Nell’emorragia subdurale, una TC o una RMN cerebrali possono identificare il problema. La transilluminazione del cranio è di aiuto nella diagnosi, dopo che il sangue si è emolizzato.

Prognosi La prognosi per i bambini con emorragia subaracnoidea è generalmente buona. Per i bambini con emorragie subdurali è riservata, anche se qualche bambino può recuperare bene. La maggior parte dei bambini con emorragie intraventricolari di lieve entità sopravvive all’episodio acuto di sanguinamento e vanno bene. La prognosi nei bambini con importante emorragia intraventricolare è infausta, soprattutto se l’emorragia interessa anche il parenchima. Molti bambini hanno esiti neurologici di varia entità.

Terapia Il trattamento è sintomatico nella maggior parte dei casi a meno che un’alterazione ematologica non abbia contribuito al sanguinamento. Il bambino deve ricevere vitamina K se essa non era stata precedentemente somministrata. Devono essere somministrati piastrine o fattori della coagulazione in caso di deficit. L’ematoma subdurale deve essere trattato con aspirazione quotidiana bilaterale, se il neonato presenta sintomi o la circonferenza cranica va aumentando rapidamente. Inizialmente bisogna aspirare da ciascun lato contemporaneamente 10-15 ml di liquido subdurale, poiché aspirazioni maggiori potrebbero precipitare lo shock. Se i sintomi persistono dopo 2 sett. di drenaggio giornaliero deve essere presa in considerazione l’opportunità di inserire uno shunt subdurale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-1. ALTERAZIONI RADIOLOGICHE NELLA SINDROME DEL DISTRESS RESPIRATORIO RDS I Grado Pattern reticologranulare del parenchima polmonare con le aree areate (dotti neri) maggiori rispetto alle aree atelettasiche (dotti bianchi) RDS II Grado Aree reticologranulari nel parenchima polmonare con aree atelettasiche in eccesso rispetto alle aree areate (più numerosi dotti bianchi rispetto ai neri) RDS III Grado

Come il II grado con broncogramma aereo notevole

RDS IV Grado

Scomparsa quasi totale dei margini cardiaci a causa della grave e diffusa atelettasia

RDS = Respiratory Distress Syndrome, sindrome del dis tress respiratorio

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA USO DELLA VENTILAZIONE MECCANICA L’indicazione al respiratore artificiale si impone nel paziente che presenta una insufficienza respiratoria progressiva con una pressione arteriosa di CO2 (PaCO2) marcatamente elevata, nel paziente che presenta apnea o nel paziente che non si riesce a ossigenare adeguatamente anche se sottoposto a pressione positiva continua delle vie aeree (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP). Spesso, neonati molto immaturi (p. es., < 28 sett. di gestazione o < 1000 g) se diventano apnoici, bradicardici e ipossici vengono connessi a un supporto ventilatorio immediatamente dopo la nascita, a causa dell’aumentato rischio di emorragia intraventricolare . I tubi endotracheali comunemente utilizzati sono di 2,5 mm di diametro (i più piccoli) per bambini di peso < 1250 g; 3 mm nei bambini di peso compreso fra 1250 e 2500 g; 3,5 mm per quelli di peso > 2500 g. L’intubazione è più sicura se, durante la procedura, viene insufflato O2 nelle vie aeree del bambino. I ventilatori possono erogare gas o a una determinata pressione o a un determinato volume; ciascun tipo di ventilazione presenta specifici vantaggi e indicazioni. Molte unità di terapia intensiva neonatale trovano facili da usare, soprattutto nei neonati pretermine, i ventilatori a pressione controllata, tempo limitato e a flusso continuo. La percentuale dell’O2 inspirato (FiO2), il tempo inspiratorio (TI), il tempo espiratorio (TE), il picco di pressione inspiratorio (Peak Inspiratory Pressure, PIP) e la pressione positiva di fine espirazione (Positive End-Expiratory Pressure, PEEP) sono determinati in modo indipendente. La ventilazione volume-controllata può essere utile soprattutto nei bambini di peso più elevato, con una compliance polmonare o una resistenza variabili, come si verifica nella displasia broncopolmonare; l’erogazione di un volume controllato di gas a ogni atto respiratorio assicura una ventilazione adeguata. I parametri ventilatori iniziali sono stabiliti in base al giudizio della gravità del distress respiratorio. Il programma tipico per un neonato con distress respiratorio moderato è FiO2 = 40%; TI = 0,4 s.; TE = 1,1 s; la frequenza in ventilazione intermittente mandatoria (Intermittent Mandatory Ventilation, IMV) = 40 atti respiratori/min; PIP = 25 cm H2O; PEEP = 5 cm H2O. Questi parametri vengono rapidamente modificati in relazione all’ossigenazione del neonato, ai rientramenti della parete toracica, ai rumori respiratori e alla dispnea, insieme ai dati dell’emogasanalisi. La PaCO2 si riduce aumentando la ventilazione/minuto con ognuna delle seguenti manovre: aumentando il volume corrente (aumentando il PIP o riducendo la PEEP) o aumentando la frequenza. La PaO2 aumenta sia aumentando la FiO2 sia aumentando la pressione media nelle vie aree (aumentando la PIP, aumentando la PEEP, aumentando la frequenza o prolungando il TI). I ventilatori con sensore di trigger sono spesso utilizzati per sincronizzare l’impulso del ventilatore a pressione positiva con l’inizio della respirazione spontanea del paziente. Questo sembra accorciare la durata della ventilazione meccanica e può ridurre il barotrauma. Un sensore di pressione costituito da un pallone riempito d’aria, collegato a un trasduttore di pressione (capsula di Graseby) e posizionato sull’addome del bambino subito sotto il processo xifoideo, può evidenziare l’inizio della contrazione diaframmatica oppure un sensore di flusso o un sensore termico posto a livello del raccordo del tubo endotracheale possono evidenziare l’inizio della inspirazione spontanea.

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Per il trattamento di patologie polmonari meno gravi o per il divezzamento dal ventilatore, quest’ultimo può essere regolato nella funzione di controllo assistito per fornire un piccolo incremento di pressione nelle vie aeree o un piccolo volume di gas a ogni atto respiratorio spontaneo. Per ridurre al minimo il rapporto pressione/volume del ventilatore (che può determinare un barotrauma con intrappolamento d’aria a livello polmonare o displasia broncopolmonare), viene consigliata la tecnica dell’ipercapnia permissiva (si tollera un’elevata PaCO2 finche il pH rimane 7,25). Similmente, una PaO2 pari a 40 mm Hg è raccomandata se la PA è normale e non è presente acidosi metabolica. Se le condizioni del bambino peggiorano acutamente (variazioni repentine nell’ossigenazione, nell’emogasanalisi, nella PA o nella perfusione), il tubo endotracheale deve essere subito controllato per valutarne la posizione e la pervietà. La punta del tubo è ben posizionata quando può essere palpata attraverso la parete toracica anteriore, a livello dell’incisura soprasternale; essa deve essere visualizzata, dalla rx del torace, circa a metà strada tra le clavicole e la carena. Se c’è qualche dubbio riguardo la sua posizione o pervietà, bisogna rimuovere il tubo e supportare il bambino mediante una ventilazione con maschera e pallone finché non viene inserito un altro tubo endotracheale. Quando l’attività respiratoria migliora, il neonato può essere svezzato dalla ventilazione intermittente mandatoria (IMV) riducendo la FiO2, la pressione inspiratoria e la frequenza. I respiratori a pressione positiva con flusso continuo permettono al bambino di respirare spontaneamente contro una PEEP mentre la frequenza del ventilatore viene progressivamente ridotta. Dopo che la frequenza è stata ridotta a 10 atti/min, il neonato in genere sopporterà l’estubazione. Lo stadio finale del divezzamento dal ventilatore comprende l’estubazione e, possibilmente, un supporto con CPAP, tramite cannule nasali o (rinofaringee) e quindi l’uso di una tenda o di una cannula nasale per somministrare O2 umidificato o aria umidificati. I bambini con una malattia polmonare restrittiva meno grave (p. es., atelettasia diffusa, sindrome del distress respiratorio, edema polmonare) se sono posti in CPAP possono avere un miglioramento dell’ossigenazione e possono evitare l’esigenza di ricorrere alla ventilazione a pressione positiva. In CPAP, che può essere effettuata utilizzando cannule nasali o un tubo endotracheale, i bambini respirano spontaneamente contro una pressione positiva del gas, di solito regolata a 5-7 cm di H2O. Possono essere utilizzati vari tipi di sistemi per fornire la pressione positiva o essa può essere ottenuta utilizzando un ventilatore convenzionale con la frequenza regolata a zero. La CPAP mantiene gli alveoli distesi durante l’espirazione e quindi migliora l’ossigenazione. I neonati di peso molto basso possono essere divezzati con successo se è stata iniziata la somministrazione di una metilxantina, p. es., l’aminofillina (8 mg/kg EV in bolo e mantenimento con 2,0 mg/kg EV q 8 h, variando il dosaggio, se necessario, per mantenere un livello ematico di teofillina tra 7 e 12 µg/ml [39-67 µmol/l]). La medesima dose di aminofillina può essere somministrata anche PO o mediante sondino gastrico Le metilxantine sono degli stimolanti dell’attività respiratoria mediata dal SNC, che aumentano lo sforzo respiratorio e possono ridurre gli episodi di apnea e bradicardia, possibili ostacoli a un buon divezzamento dal respiratore. L’ossigenazione extracorporea di membrana (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation, ECMO) può essere eseguita in un centro specializzato per mantenere in vita un bambino che non può essere adeguatamente ossigenato e ventilato con un ventilatore convenzionale. L’ECMO viene continuata finche la sottostante malattia polmonare non raggiunge lo stadio in cui il bambino può sopravvivere senza il suo ausilio. Ogni centro ha dei criteri per l’esecuzione dell’ECMO in neonati di età gestazionale > 34 sett. con insufficienza respiratoria, basati sulla probabilità del bambino di non sopravvivere se trattato con un ventilatore convenzionale. L’ECMO non viene effettuata in bambini di età gestazionale < 34 sett. a causa dell’alto rischio di emorragia intraventricolare derivante dall’uso di sangue eparinizzato.

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L’ECMO veno-venosa utilizza una cannula a doppio lume posta in una vena giugulare interna; l’ECMO artero-venosa utilizza una cannula in un’arteria carotide comune e un’altra in una vena giugulare interna. Il sangue viene deviato dalla vena giugulare attraverso la membrana ossigenante, che serve da polmone artificiale per rimuovere CO2 e apportare O2. Il sangue ossigenato viene quindi riportato nella vena giugulare interna o nell’arteria carotide. L’ECMO può mantenere la PaO2 e la PaCO2 a qualunque livello desiderato. L’ECMO venoarteriosa è anche in grado di sostenere la PA sistemica e il circolo e può salvare la vita di bambini con insufficienza circolatoria, come si verifica nella sepsi fulminante. L’ECMO salva la vita di alcuni neonati critici di età gestazionale > 34 sett. (p. es., quelli con ipertensione polmonare persistente, ernia diaframmatica congenita e polmonite fulminante), ma una parte di questi bambini avrà un danno neurologico. Un ventilatore ad alta frequenza può migliorare l’ossigenazione in alcuni bambini con grave enfisema interstiziale polmonare o con atelettasia diffusa o edema polmonare (v. più avanti in Enfisema polmonare interstiziale). Lo scopo è quello di mantenere i gas ematici vicini ai valori normali; bassi valori di PaO2, intorno a 40 mm Hg e un’elevata PaCO2, intorno a 50 mm Hg, possono essere considerati accettabili. Sono stati introdotti diversi tipi di ventilatori ad alta frequenza, inclusi quelli jet, gli oscillatori e i ventilatori a interruzione di flusso. Essi possono effettuare 400-900 atti respiratori/min. La paralisi muscolare (p. es., utilizzando vancuronio o bromuro di pancuronio 0,1 mg/kg EV, da ripetere quando necessario, per prevenire i movimenti volontari) può aiutare a stabilizzare alcuni neonati estremamente critici, ma è un metodo a cui fare ricorso in casi selezionati; i neonati sottoposti a paralisi possono aver bisogno di un maggiore sostegno respiratorio, che può favorire il barotrauma. Altri bambini possono beneficiare della sedazione con fentanyl o midazolam. Non è definito l’utilizzo ottimale di sedativi e agenti paralizzanti. Studi recenti hanno dimostrato che l’inalazione di ossido nitrico, uno specifico vasodilatatore polmonare, migliora l’ossigenazione nei bambini in cui la vasocostrizione polmonare contribuisce all’ipossia. Questi bambini possono avere una ipertensione polmonare idiopatica, una polmonite o un’ernia diaframmatica congenita. Alcuni possono non necessitare di ECMO se trattati con ossido nitrico. L’uso dell’ossido nitrico non è stato ancora approvato dalla FDA.

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Gravidanza ad alto rischio

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 250.GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO FATTORI DI RISCHIO Età materna: le madri di 15 anni hanno un rischio maggiore di avere una preeclampsia e un’eclampsia e di partorire neonati con basso peso alla nascita o con deficit nutrizionali. Quelle 35 anni hanno un rischio maggiore di sviluppare un’ipertensione cronica o indotta dalla gravidanza, un diabete gestazionale, miomi uterini e una distocia. Il rischio di anomalie cromosomiche fetali aumenta dallo 0,9% all’età di 35 anni al 7,8% all’età di 43 anni (v. Tab. 247-1); alle pazienti con più di 35 anni deve essere proposto il prelievo dei villi coriali o l’amniocentesi per l’analisi cromosomica (v. Cap. 247). Peso materno: le donne che pesano < 45 kg prima della gravidanza hanno un rischio più alto di partorire dei neonati piccoli per l’epoca gestazionale (Small for Gestational Age, SGA) (v. Cap. 260). Se a questo iniziale peso inadeguato si aggiunge un insufficiente aumento di peso (< 7 kg), durante la gravidanza, l’incidenza di neonati SGA raggiunge il 30%. All’opposto, l’obesità materna è un fattore di rischio per la macrosomia fetale, il diabete gestazionale e l’ipertensione. Altezza materna: per le donne < 150 cm, il rischio di sproporzione feto-pelvica, di parto pre-termine e di ritardo di crescita intrauterino è aumentato. Aborto abituale: il rischio di aborto ricorrente dopo tre consecutive interruzioni spontanee precoci di gravidanza è di circa il 35%. Le donne che hanno aborti ricorrenti hanno buone probabilità che si verifichi una morte intrauterina durante il 2o trimestre e la parte iniziale del 3o trimestre e un travaglio pre-termine. Le traslocazioni cromosomiche bilanciate nei genitori, le anomalie uterine e cervicali, le infezioni, le malattie del tessuto connettivo e le anomalie ormonali devono essere escluse prima di tentare una nuova gravidanza. Precedente nascita di feti morti o precedenti decessi neonatali: un’anamnesi di morte perinatale indica la possibilità di anomalie citogenetiche fetali o dei genitori, di diabete materno, di una patologia cronica nefrovascolare, di ipertensione, di una malattia del connettivo o dell’abuso di droga. Gli anticorpi anticardiolipina e/o il lupus anticoagulante possono essere aumentati nelle donne con decessi perinatali ricorrenti. L’uso dell’aspirina per il trattamento di una patologia simil-lupoide ha dato risultati incerti per quanto riguarda il decesso perinatale. Precedenti nascite premature o di neonati SGA: più alto è il numero delle precedenti nascite pre-termine e maggiore è il rischio di un parto pre-termine nella gravidanza in corso. Una donna con un solo precedente ostetrico terminato con la nascita di un neonato < 1500 g, ha una probabilità del 50% di avere un parto pre-termine nella gravidanza successiva. Una donna che ha avuto un figlio SGA deve essere studiata per escludere la presenza di ipertensione, di nefropatie, di un insufficiente incremento ponderale, di infezioni, del fumo di sigaretta o dell’abuso di alcol o droghe. Precedenti neonati macrosomi: un parto precedente di un neonato macrosomia (> 4500 kg) suggerisce un diabete materno. Se questa diagnosi viene sospettata, la paziente deve essere studiata alla 10a, 20a e 28a sett. di gravidanza con un test da carico eseguito 1 ora dopo l’assunzione di 50 g di glucoso; livelli anomali di glicemia devono essere verificati con un classico test da carico eseguito nelle 3 ore successive.

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Gravidanza ad alto rischio

Multiparità: le donne che hanno avuto 5 o più gravidanze, hanno un rischio aumentato di ipocinesia uterina durante il travaglio e di emorragie nel postpartum, secondarie all’atonia uterina. Le pluripare possono avere anche un travaglio precipitoso, con un aumentato rischio di emorragie e di embolie di liquido amniotico. La placenta previa è più frequente nelle pazienti pluripare. Precedenti preeclampsia ed eclampsia: un’anamnesi positiva per queste complicanze aumenta il rischio di ipertensione in una successiva gravidanza, particolarmente se la paziente ha un’identificabile vasculopatia cronica di base. Precedenti neonati con disordini genetici o anomalie congenite: devono essere proposti dei test (p. es., l’ecografia, il prelievo dei villi coriali, l’amniocentesi, l’analisi del DNA) per determinare la presenza di anomalie congenite che hanno probabilità di recidivare. Anamnesi familiare di una condizione genetica: un’anamnesi familiare positiva per un ritardo mentale o per patologie familiari aumenta il rischio dello stesso disordine nel neonato. È familiare anche la tendenza ad avere una gravidanza gemellare. Precedenti lesioni alla nascita: se la donna ha una storia di un parto difficile o ha avuto neonati che hanno richiesto un trattamento intensivo, una distocia di spalla o qualora si sia verificato un travaglio prolungato, può avere un aumentato rischio di un parto operativo nelle gravidanze successive. Anomalie del tratto genitale: un utero setto o bicorne può causare un aborto o un parto prematuro. Un’isteroscopia o un’isterosalpingografia possono essere indicate per fare la diagnosi di queste condizioni e possono essere utili per confermare l’incompetenza cervicale, che può essere documentata anche da una serie di ecografie della cervice durante il 1o trimestre. Fibromi uterini (leiomiomi): queste lesioni sono più frequenti nelle donne anziane e possono essere associate a un aumentato rischio di travaglio pretermine, di distocia, di presentazione fetale anomala, di placenta previa e di aborto abituale. Una degenerazione rossa (infarcimento del leiomioma) si può verificare, causando un addome acuto. L’isteroscopia o l’isterosalpingografia possono essere indicate per fare la diagnosi dei leiomiomi. La diagnosi differenziale include la torsione o la rottura di un annesso e l’appendicite. Il trattamento della degenerazione rossa consiste nella somministrazione di liquidi, nel riposo e nella remissione del dolore. Isoimmunizzazione: il più comune tipo di sensibilizzazione è quella all’antigene Rh0 (D) (v. Eritroblastosi fetale nel Cap. 252 e Anemie emolitiche del neonato nel Cap. 260). Se una donna ha avuto un neonato con una significativa malattia emolitica, deve essere accertato il gruppo sanguigno di entrambi i genitori e la donna deve essere esaminata, appena possibile, per la presenza di anticorpi per i gruppi sanguigni. Ci sono chiari ed efficaci protocolli per il trattamento della gravidanza nella donne non sensibilizzate che sono Rh negative e nelle donne con anticorpi atipici. Ipertensione: l’ipertensione è indiscutibilmente associata a un aumentato rischio di morbilità e mortalità materna e fetale. Gli effetti comuni sono le complicanze cerebrali, cardiache e renali nella madre; la morte intrauterina del feto; il distacco placentare; e, nel feto, il ritardo di crescita intrauterino e l’ipossia dovuta alla sovrapposta ipertensione indotta dalla gravidanza (v. Cap. 251). Infezioni cervicali e vaginali: durante la gravidanza, queste infezioni possono causare un travaglio pre-termine o una rottura prematura delle membrane. Gli agenti responsabili includono gli streptococchi di gruppo B, la Chlamydia trachomatis e le specie di Mycoplasma, di Ureaplasma e gli organismi associati alla vaginosi batterica (v. Cap. 238). L’appropriata terapia antibiotica può prevenire la rottura prematura delle membrane e può arrestare un travaglio pretermine.

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Gravidanza ad alto rischio

Pielonefrite: in tutte le donne gravide deve essere effettuata, precocemente nel corso della gravidanza, un’urinocoltura su un campione prelevato al mitto intermedio. L’urinocoltura deve essere ripetuta se si manifestano i sintomi. Le pazienti con una significativa batteriuria devono essere trattate con antibiotici per ridurre al minimo il rischio di pielonefrite, che è associato al parto pre-termine e alla rottura prematura delle membrane. Un’urinocoltura di controllo deve essere eseguita per verificare la risposta alla terapia. Febbre: una temperatura > 39,5°C nel 1o trimestre è associata all’aborto e a un aumentato rischio di anomalie del SNC. Una temperatura simile nella gravidanza avanzata è associata al travaglio pre-termine se la causa della febbre è una pielonefrite o un’infezione del liquido amniotico. Problemi chirurgici acuti: un intervento chirurgico eseguito in urgenza, in corso di gravidanza, è associato al rischio di parto prematuro. Dal momento che è difficile diagnosticare una patologia specifica (p. es., un’appendicite, una colecistite, un’ostruzione intestinale) per le variazioni fisiologiche della gravidanza, spesso l’affezione è in fase più avanzata quando viene posta la diagnosi di certezza, aumentando il rischio di morbilità e di mortalità materna. Esposizione a teratogeni: le infezioni che possono essere teratogene includono l’herpes simplex, l’epatite virale, la parotite, la rosolia, la varicella, la sifilide, la toxoplasmosi e le infezioni causate da virus coxsackie e citomegalovirus (v. Malattie infettive nel Cap. 251). Molti farmaci, inclusi l’alcol, la fenitoina, gli antagonisti dell’acido folico, il litio, la streptomicina, le tetracicline, la talidomide e il warfarin, sono teratogeni (v. Farmaci in gravidanza, nel Cap. 249). Ma di particolare importanza è l’effetto del fumo di sigaretta, dell’assunzione di alcol e dell’abuso di sostanze stupefacenti. Un’anamnesi dettagliata sull’uso di farmaci e sull’esposizione a malattie infettive deve essere raccolta il più presto possibile. Il fumo di sigaretta è probabilmente la forma di dipendenza più comune tra le donne gravide negli USA. Nonostante la sempre maggiore pubblicità sui rischi del fumo per la salute, la percentuale globale di donne che fumano e delle forti fumatrici è aumentata nel corso degli ultimi 20 anni. Il numero delle ragazze adolescenti che fumano è sostanzialmente aumentato e supera quello dei ragazzi adolescenti. Sebbene fumare sia dannoso sia per il feto che per la madre, solo il 20% circa delle fumatrici che iniziano una gravidanza smette di fumare. L’effetto del fumo osservato con maggiore frequenza è la riduzione del peso alla nascita. Il peso medio alla nascita dei neonati le cui madri fumano durante la gravidanza è di 180 g inferiore a quello dei neonati le cui madri non fumano. Questo effetto è direttamente correlato all’entità del fumo e sembra essere più accentuato nelle fumatrici di vecchia data, che hanno una maggiore probabilità di partorire neonati che hanno un peso e una lunghezza inferiori. Le gestanti che fumano hanno una maggiore incidenza di distacco placentare, di placenta previa, di aborto spontaneo, di nascite di feti morti, di nascite pretermine, di rottura prematura delle membrane e di amnionite. L’anencefalia, i difetti cardiaci congeniti e le schisi orofacciali sono più frequenti nei neonati delle fumatrici che in quelli delle non fumatrici. Vari studi hanno riportato che il fumo materno è associato con la SIDS e vi sono prove che mostrano come i figli di madri fumatrici presentino deficit lievi, ma misurabili, nell’accrescimento fisico, nello sviluppo intellettivo e nel comportamento. Si pensa che questi effetti siano mediati dal monossido di carbonio, che può causare un’ipossia cronica tissutale, e dalla nicotina, che stimola il rilascio delle catecolamine che causano la vasocostrizione utero-placentare. L’effetto del fumo passivo sui bambini è aggiuntivo. L’alcol è il principale teratogeno conosciuto. L’alcol assunto durante la gravidanza, può produrre un ampio spettro di difetti, che vanno dall’aborto spontaneo a gravi effetti sul comportamento in assenza di anomalie fisiche. Il rischio di aborto spontaneo aumenta quasi del doppio, particolarmente in caso di un forte consumo (> 3 bicchieri/die). La riduzione del peso alla nascita è l’indicatore più attendibile dell’esposizione prenatale all’alcol, con un peso medio di questi neonati alla nascita di circa 2000 g (4,4 lb); il peso medio alla nascita per tutti i neonati a termine è di circa 3300 g (7,3 lb). L’incidenza della sindrome feto-alcolica, una delle più importanti conseguenze file:///F|/sito/merck/sez18/2502180.html (3 of 5)02/09/2004 2.44.01

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dell’assunzione di alcol in gravidanza, è di circa 2,2 ogni 1000 nati vivi. Questa sindrome comprende un ritardo di sviluppo intra- ed extrauterino, delle anomalie facciali (p. es., fessure palpebrali più corte) delle contratture articolari; dei difetti cardiovascolari e delle disfunzioni del SNC comprendenti la microcefalia, il ritardo mentale di vario grado e l’anomalo sviluppo neurocomportamentale. La sindrome è una riconosciuta causa principale di ritardo mentale; la sua incidenza è superiore a quella della sindrome di Down e alla paralisi cerebrale. In generale, l’entità del ritardo mentale è correlata positivamente con la gravità della dismorfogenesi. La microcefalia, un reperto frequente, è probabilmente il risultato della riduzione globale della crescita del cervello. Si può verificare una mortalità perinatale o il neonato può non crescere. Il volume critico dell’alcol ingerito che produce questa sindrome non è conosciuto. In uno studio, l’incidenza delle alterazioni non è aumentata fino all’assunzione di > 45 ml/ die di alcol (3 bicchierini/die) (v. anche Sindrome feto-alcolica in Problemi metabolici nel neonato nel Cap. 260). La dipendenza da farmaci e droghe durante la gravidanza include la dipendenza cronica dall’eroina e la sperimentazione di una varietà di farmaci stimolanti, sedativi e modificatori del tono dell’umore, che produce una complessa sindrome di abuso polifarmacologico. L’ultima è più frequente tra gli adolescenti. L’uso della cocaina e dei suoi derivati (p. es., il crack) è diventato endemico negli ultimi anni, diffondendosi tra tutte le classi sociali. Si stima che circa il 25% degli adulti abbia usato marijuana o cocaina almeno una volta ed è stato riportato che > 5 milioni di persone negli USA sono consumatori abituali di cocaina, molti dei quali sono donne in età fertile. Le irregolarità mestruali, che rendono difficile stabilire la data dell’ultima mestruazione, si verificano nel 60-90% delle donne con dipendenza da eroina, ma queste irregolarità non sono specifiche; piuttosto, sono correlate a fattori associati quali la malnutrizione, l’epatite, le infezioni pelviche e gli stress dovuti all’ambiente sociale, economico ed emozionale instabile nel quale vive la donna. L’uso di amfetamine, di diazepam e di cocaina ha uno scarso effetto sul ciclo mestruale e non interferisce con il concepimento. Numerose gravidanze sono associate con l’uso concomitante di droghe. La cromatografia a strato sottile è un metodo pratico, economico e sensibile per individuare nelle urine droghe come l’eroina, la morfina, le amfetamine, i barbiturici, la codeina, la cocaina, il metadone, il metaqualone e le fenotiazine. Le leggi dello stato circa l’uso consentito delle droghe sono variabili. Una volta accertata una tossicodipendenza, ne devono essere valutati gli effetti sulla madre e sul feto. Per esempio, i consumatori di droghe EV hanno un rischio aumentato di avere un’anemia, una batteriemia, un’endocardite, una cellulite, un’epatite acuta e cronica, una flebite, una polmonite, il tetano, le malattie veneree e l’AIDS. Circa il 75% dei bambini che hanno l’AIDS nasce da donne che sviluppano la malattia per l’uso di droghe EV o per la trasmissione eterosessuale. Questi bambini sono a rischio di sviluppare un’epatite, altre malattie veneree e la sepsi; inoltre, sono più frequenti il ritardo di crescita intrauterino e la prematurità. Circa il 14% di tutte le donne gravide consuma marijuana. Dal momento che il ∆9 tetraidrocannabinolo (il principale costituente attivo della marijuana) può attraversare la placenta, esiste il rischio potenziale di un danno del concepito. Tuttavia, pochi studi sull’uomo hanno osservato un aumento del rischio di anomalie congenite, di ritardo di crescita o di effetti sullo sviluppo neurocomportamentale post-natale derivante dall’uso della marijuana (v. anche Dipendenza da cannabis [Marijuana] nel Cap. 195). L’abuso di cocaina durante la gravidanza è associato a vari problemi materni e fetali. La cocaina, uno stimolante del SNC, ha effetti sia anestetici locali che vasocostrittori (v. Dipendenza da cocaina nel Cap. 195). Nella placenta umana isolata, la cocaina causa un’intensa vasocostrizione, potenziando la risposta pressoria indotta dalla bradichinina. Questa osservazione indica che la cocaina riduce significativamente il flusso ematico al feto, con conseguenti periodi di ipossia. Inoltre, può essere aumentata l’esposizione del feto ad altre sostanze chimiche, normalmente innocue, ma rese pericolose dalla successiva vasodilatazione di rimbalzo. Molte delle donne che usano la cocaina usano altri farmaci; quindi il feto può essere esposto a molti farmaci, con un aggravamento file:///F|/sito/merck/sez18/2502180.html (4 of 5)02/09/2004 2.44.01

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dei problemi. Nelle donne che usano cocaina per tutta la durata della gravidanza, è stata riportata una frequenza di parto pre-termine del 31%, di ritardo di crescita intrauterino del 19% e di distacco placentare del 15%. L’incidenza degli aborti spontanei e delle nascite di feti morti è aumentata. Nelle donne che interrompono l’assunzione di cocaina dopo il primo trimestre, l’incidenza di parto pre-termine e di distacco placentare è comunque aumentata, ma lo sviluppo fetale sembra normale. Se una donna gravida è affetta da un’ipertensione acuta non proteinurica e presenta i segni di un distacco placentare o la nascita inspiegata di un feto morto, le sue urine devono essere esaminate alla ricerca della cocaina. Nei casi in cui la cocaina è stata usata regolarmente durante la gravidanza, sono state riportate numerose anomalie fetali, come le malformazioni del SNC e GU; molte sono state correlate alla compromissione circolatoria. Particolarmente importanti sono quindi i difetti scheletrici e le atresie isolate nei neonati. Inoltre, i neonati di queste madri interagiscono meno con gli altri e hanno dei disturbi neurocomportamentali esemplificati dall’iperreattività, dai tremori e dai significativi deficit di apprendimento che possono durare fino all’età di 4 o 5 anni. Sanguinamento del 3o trimestre: le cause più comuni del sanguinamento del 3o trimestre sono la placenta previa, il distacco placentare e le patologie del tratto genitale inferiore. Tutte le pazienti che sanguinano nel corso del 3o trimestre devono essere considerate a rischio e necessitano di una valutazione completa, comprendente un’ecografia, un’esame dell’area cervicale e un test di Papanicolaou. Polidramnios (idramnios) e oligoidramnios: il polidramnios può causare una grave dispnea nella madre e un parto pre-termine. È associato a un diabete materno non controllato, a delle anomalie fetali (p. es., l’atresia dell’esofago, l’anencefalia, la spina bifida), alle gravidanze multiple e all’isoimmunizzazione. In circa la metà dei casi la causa è sconosciuta. L’oligoidramnios è associato ad anomalie congenite del tratto urinario del feto, a un grave ritardo di crescita intrauterino e alla morte fetale. La sindrome di Potter, caratterizzata da una marcata ipoplasia dei polmoni e da anomalie di superficie da compressione, è frequentemente associata. Parto pre-termine: le malformazioni uterine, l’incontinenza cervicale, i pregressi interventi chirurgici sull’utero, lo stress materno, le gravidanze multiple e il sanguinamento prima del parto sono tutti associati a un travaglio pre-termine. Le infezioni materne (polmonite, batteriuria asintomatica, appendicite) possono anch’esse causare un travaglio pre-termine. Circa il 30% delle pazienti che vanno incontro a un parto pre-termine, presenta un’amnionite con membrane intatte; il ruolo della terapia antibiotica in queste pazienti non è chiaro. Gravidanze multiple: l’incidenza del parto pre-termine, delle malformazioni fetali e delle complicanze del travaglio e del parto aumenta in tutte le forme di gravidanza multipla. Gravidanza prolungata: l’incidenza della mortalità neonatale e delle morti intrauterine nelle gravidanze prolungate (che durano > 42 sett.) triplica. Il nonstress test e un profilo biofisico ottenuto con l’ecografia possono identificare il feto a rischio.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA IPERTENSIONE (V. anche Cap. 199 e Preeclampsia ed Eclampsia nel Cap. 252.)

Sommario: Introduzione Diagnosi e trattamento

Il trattamento dell’ipertensione durante la gravidanza è uno degli argomenti di terapia più controversi nella pratica ostetrica, nonostante la relativa frequenza di questa patologia (1,5-2%). Il punto controverso è se il trattamento dell’ipertensione lieve o moderata riduca la frequenza e la gravità delle complicanze e, nel caso lo faccia, se i farmaci usati per il trattamento possano rappresentare un pericolo per il feto. Nel 1o trimestre, la mortalità può essere aumentata nelle pazienti che hanno una PA > 180/ 110 mm Hg o una clearance della creatinina < 60 ml/min o una creatininemia > 2 mg/dl (> 180 µmoli/l), o entrambe. La morte è dovuta all’encefalopatia ipertensiva o a un accidente cerebrovascolare, che possono essere secondari a una grave ipertensione indotta dalla gravidanza (con o senza eclampsia), all’insufficienza renale, all’insufficienza ventricolare sinistra o alla sindrome emolitico-uremica microangiopatica. Circa il 45% dei decessi dovuti all’eclampsia si verifica in pluripare attempate affette da una preesistente ipertensione, anche se più dell’80% delle eclampsie si verifica in giovani primigravide. Il destino dei feti delle donne ipertese è direttamente correlato alla riduzione del flusso ematico effettivo del circolo utero-placentare. La morte fetale è generalmente dovuta a ipossia, spesso acuta e secondaria a un distacco placentare o a un vasospasmo, ed è generalmente preceduta da un ritardo di crescita intrauterino. Il mantenimento della PA ai normali livelli della gravidanza dipende in ultima analisi dall’equilibrio tra la gittata cardiaca e le resistenze vascolari periferiche, entrambe significativamente alterate durante la gravidanza. La gittata cardiaca aumenta gradualmente del 30-50% per l’aumento sia della frequenza cardiaca che della gittata sistolica. Sebbene la renina e l’angiotensina circolanti aumentino significativamente nel 2o trimestre, la PA tende a scendere, indicando una riduzione nelle resistenze vascolari sistemiche. La riduzione è dovuta a una diminuzione della viscosità del sangue e della sensibilità vascolare all’angiotensina, determinata per lo più dalle prostaglandine vasodilatatrici. Lo sviluppo dello spazio intervilloso, che ha una bassa resistenza, riduce ulteriormente la PA.

Diagnosi e trattamento Quando si fa la diagnosi di ipertensione per la prima volta in gravidanza, si dovrebbe ricercare, se possibile, la causa specifica. Per l’ipertensione di recente insorgenza, scoperta prima della 28a sett. di gravidanza e non associata a file:///F|/sito/merck/sez18/2512187.html (1 of 2)02/09/2004 2.44.05

Gravidanza complicata dalla malattia

gravidanze multiple o a una malattia trofoblastica, devono essere presi in considerazione gli esami per escludere una stenosi dell’arteria renale, una coartazione dell’aorta, una sindrome di Cushing, un LES e un feocromocitoma. I farmaci antiipertensivi che sono efficaci e appropriati nelle pazienti non gravide possono danneggiare, direttamente o indirettamente, il feto. Poiché la circolazione placentare è massimamente dilatata ed è incapace di autoregolazione, un’incauta riduzione della PA materna fino all’ipotensione potrebbe essere molto pericolosa per il feto. I diuretici riducono la volemia effettiva materna e poiché la crescita fetale è direttamente correlata al volume ematico, una sua significativa riduzione aumenta i rischi per il feto. Il farmaco di prima scelta per l’ipertensione in gravidanza è la metildopa. I farmaci di seconda scelta includono gli α- e i β-bloccanti, che sembrano essere efficaci come ausilio alla terapia di prima scelta, riducendo molti effetti avversi associati al trattamento con alti dosaggi. Le pazienti con ipertensione lieve preesistente (da 140/90 a 150/100 mm Hg) devono interrompere la terapia antiipertensiva prima del concepimento o non appena la gravidanza viene confermata. Per le pazienti con una PA labile, una drastica riduzione dell’attività fisica sembra spesso ridurre la PA ed essere positiva per la crescita fetale. In queste pazienti, l’esito perinatale è generalmente simile a quello delle pazienti non ipertese. Tuttavia, una PA che non diminuisce nel 2o trimestre è un segno prognostico sfavorevole. Nelle pazienti con ipertensione moderata preesistente (da 150/100 a 180/110 mm Hg), la terapia deve essere sostituita con la metildopa. La metildopa può essere iniziata con dosi di 250 mg PO bid, aumentabili a 2 g/die o più mentre la paziente è in osservazione, così da evitare l’insorgenza di una sonnolenza eccessiva, della depressione o di un’ipotensione ortostatica sintomatica. Queste pazienti devono essere istruite a controllare da sole la PA e devono eseguire mensilmente i test della funzionalità renale. L’ecografia deve esser eseguita per monitorare la crescita fetale. Gli esami per la valutazione della maturità del feto devono essere eseguiti precocemente e il feto va fatto nascere alla 38a sett. o anche prima. Le pazienti con ipertensione grave preesistente ( 180/110 mm Hg) richiedono una valutazione immediata. Devono essere misurati i valori dell’azotemia, della creatininemia, della clearance della creatinina e della proteinuria totale e deve essere eseguito uno studio del fondo dell’occhio come base per poter consigliare la paziente. La prognosi è sfavorevole sia per la madre che per il feto. Se la prosecuzione della gravidanza è fortemente desiderata e considerata meritevole dei rischi, è spesso necessario aggiungere un farmaco antiipertensivo di secondo livello α- o β-bloccante (p. es., propanololo, 40 mg bid). Queste pazienti instabili, con feti a rischio, di solito necessitano del ricovero per la maggior parte del secondo periodo della gravidanza. Se le condizioni della paziente peggiorano, la gravidanza deve essere interrotta. Gli ACE-inibitori sono controindicati nel 2o e 3o trimestre.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIE INFETTIVE Le malattie infettive diverse dalle IVU e dalle comuni malattie virali non rappresentano, di solito, un importante problema, durante la gravidanza. Tuttavia, alcune infezioni virali possono provocare degli effetti specifici sul feto. Queste malattie sono trattate, qui, molto brevemente in rapporto alla gravidanza; per maggiori dettagli, v. le infezioni specifiche nelle altre parti del Manuale. La rosolia è la causa principale di anomalie congenite, in particolare a carico del sistema cardiovascolare e dell’orecchio interno. L’infezione da citomegalovirus può causare dei danni epatici nel feto, in quanto il virus è in grado di attraversare la placenta. La toxoplasmosi può danneggiare il cervello del feto e, quindi, le donne gravide devono evitare i contatti con i gatti a meno che non siano rigidamente confinati in casa e non abbiano contatti con i gatti di strada. Le infezioni da Chlamydia in corso di gravidanza possono portare alla rottura prematura delle membrane e al travaglio pre-termine, ma la vaginosi batterica ne può rappresentare una causa più importante. La presenza di una cervicite mucopurulenta o di un’uretrite ricorrente, con esami colturali negativi, impone l’esecuzione dei test per la ricerca della Chlamydia, incluso l’uso delle sonde di DNA. L’esame colturale e l’antibiogramma, anche se complessi e costosi, costituiscono il mezzo migliore per porre la diagnosi in popolazioni ad alto rischio. Per il trattamento, il farmaco di scelta è l’azitromicina, 500 mg il 1o giorno e 250 mg/die dal 2o giorno al 5o. L’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) durante la gravidanza è uno dei maggiori problemi ostetrici (v. Infezione da virus dell’immunodeficienza umana nei bambini nel Cap. 265). La trasmissione eterosessuale della malattia e l’abuso di droghe EV stanno causando un aumento significativo della sua incidenza tra le donne. La gravidanza non sembra accelerare il decorso dell’infezione da HIV nella madre. Il rischio di infezione di un neonato che ha la madre sieropostiva per il HIV è stimato essere pari al 1339%. La maggior parte dei bambini affetti sopravvive oltre i 5 anni di età. A causa dell’alto rischio di trasmissione dell’infezione al feto, un’eventuale interruzione della gravidanza deve essere presa in considerazione con i genitori; comunque, la somministrazione di zidovudina durante tutta la gravidanza riduce l’incidenza di trasmissione fetale del 68%. Sono in corso dei trial clinici con gli inibitori delle proteasi. Le infezioni da Herpesvirus comportano implicazioni perinatali importanti per la possibile trasmissione dell’infezione al feto durante il parto (v. Cap. 162). Bisogna interrogare specificamente le pazienti gravide e i loro partner sulle infezioni erpetiche ricorrenti. Le colture seriate nelle pazienti asintomatiche, effettuate nel periodo antecedente il parto, non aiutano a identificare le madri che sono a rischio di trasmettere l’infezione al neonato. Il rischio di trasmissione maternofetale da parte delle pazienti con infezioni ricorrenti che non abbiano lesioni visibili, è estremamente basso. Una paziente che non ha lesioni erpetiche né prodromi, anche se è stata affetta in passato da infezioni ricorrenti, non deve necessariamente essere sottoposta a un parto cesareo a meno che non siano presenti le comuni indicazioni ostetriche. Possono costituire un’eccezione le pazienti che abbiano un episodio di herpes primario alla fine del 3o trimestre e che continuino a dismettere il virus erpetico dalla cervice al termine della gravidanza. Nelle pazienti che hanno avuto infezioni erpetiche ricorrenti durante la gravidanza, il parto deve essere effettuato a termine, in un intervallo libero da

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Gravidanza complicata dalla malattia

malattia; può essere necessaria l’induzione del travaglio. Quando il parto avviene per via vaginale, devono essere prelevati dei campioni per esame colturale dalla madre e dal neonato, i cui risultati possono essere importanti per il trattamento del neonato. Alle pazienti a termine con lesioni in fase eruttiva o con chiari prodromi, deve essere proposta l’opportunità di un parto cesareo indipendentemente dal tempo passato dalla rottura delle membrane.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO SINDROME FETO-ALCOLICA (V. anche Cap. 250) L’abuso materno di alcol durante la gravidanza sembra essere la più comune causa di teratogenesi indotta da farmaci. La conseguenza più seria è il grave ritardo mentale dovuto all’alterato sviluppo cerebrale, che si pensa sia dovuto alla teratogenesi alcolica, dato il numero di bambini da madri alcolizzate che presentano un ritardo. I bambini gravemente colpiti presentano ritardo di accrescimento e microcefalia. Le malformazioni possono includere microftalmia, ristrettezza delle rime palpebrali, ipoplasia della porzione centrale del volto, solchi palmari anomali, difetti cardiaci e contratture articolari; nessun segno isolato è patognomonico e la diagnosi dei casi meno gravi può essere difficile se c’è esclusivamente una parziale espressione. La diagnosi è solitamente posta nei neonati da madri alcoliste croniche, che hanno bevuto molto durante la gravidanza. Gradi minori di abuso alcolico comportano manifestazioni meno gravi del disordine. Poiché non è noto in quale momento della gravidanza l’etanolo arrechi più facilmente danno al feto e se c’è un livello minimo di assunzione di etanolo che è da considerare sicuro, si deve proibire alla donna l’uso di alcol in gravidanza. I fratelli di un bambino con sindrome feto-alcolica devono essere esaminati per evidenziare manifestazioni anche minime della patologia.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA Le normali modificazioni fisiologiche che si verificano durante la gravidanza sono trattate in Fisiologia nel Cap. 249 e l’uso dei farmaci durante la gravidanza in Farmaci in gravidanza nel Cap. 249.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIE CARDIACHE Negli USA, l’incidenza della malattia cardiaca durante la gravidanza non si è modificata in 25 anni ed è poco frequente, soprattutto a causa della marcata riduzione della malattia cardiaca reumatica. Le alterazioni cardiache in corso di gravidanza, sono rappresentate principalmente, dalle cardiopatie congenite che, spesso, sono già state precedentemente corrette chirurgicamente. La gravidanza impone un prevedibile sforzo al sistema cardiovascolare (v. Cap. 249). Sapere che la paziente ha una storia di cardiopatia è utile perché una diagnosi di lesioni cardiache, durante la gravidanza, è complicata dalla presenza dei frequenti soffi sistolici funzionali, dalla distensione venosa, dalla tachicardia e dalle alterazioni delle rx del torace che sono riferibili alla gravidanza e non alla malattia. Comunque, l’inaspettata scoperta di un soffio diastolico o presistolico in corso di gravidanza richiede ulteriori indagini. In circa il 25% delle donne affette da una stenosi mitralica, i sintomi compaiono per la prima volta durante la gravidanza. Nelle donne con una preesistente malattia cardiaca, la mortalità materna è dell’1% circa, che corrisponde al 10% circa della mortalità materna globale. Una gravidanza con esito positivo non accorcia la vita né riduce in modo permanente la capacità funzionale delle donne affette da una cardiopatia. Durante la gravidanza, le condizioni cardiologiche della paziente si possono complicare, nonostante i frequenti controlli medici, il riposo, l’eliminazione dello stress o dell’anemia, la profilassi con la penicillina e il controllo ponderale. Un’aritmia o i segni di una congestione polmonare richiedono il ricovero e il riposo a letto. Periodi particolarmente delicati sono quelli tra la 28a e la 34a sett., durante il travaglio e immediatamente dopo il parto, quando il cuore è sottoposto al massimo sovraccarico fisiologico. Il feto condivide l’aumentato rischio dovuto alla malattia cardiaca materna. Può, infatti, morire durante un episodio di insufficienza cardiaca della madre o può nascere prematuramente. Il travaglio e il parto sono pericolosi per una paziente cardiopatica, a causa dello stress del travaglio, dello sforzo durante il 2o stadio e dell’aumentato ritorno venoso al cuore dall’utero in contrazione, che interferiscono marcatamente con l’emodinamica cardiaca. La gittata cardiaca aumenta di circa il 20% durante ogni contrazione uterina. Un anestesista esperto di fisiologia cardiaca e di malattie in gravidanza deve essere presente al travaglio. L’anestesia di conduzione è da preferirsi nelle pazienti affette da una valvulopatia mitralica. Poiché le pazienti con alterazioni della valvola aortica non sono in grado di tollerare la transitoria stasi circolatoria e l’occasionale caduta della PA che si possono verificare in corso di un’anestesia di conduzione, devono essere sottoposte ad anestesia locale o, se necessario, a quella generale. Si deve evitare qualunque sforzo nel 2o stadio del travaglio dato che uno sforzo prodotto in questa fase blocca l’ossigenazione e la paziente può diventare anossica nel giro di pochi secondi. Se possibile, si deve espletare il parto con il forcipe o, se c’è l’indicazione, si deve eseguire il taglio cesareo (v. Cap. 253); il parto con il forcipe è preferibile, perché è meno pericoloso per la paziente. Nel periodo del post-partum la paziente deve essere strettamente monitorata, perché la mobilizzazione dei liquidi produce ampie oscillazioni nella funzione file:///F|/sito/merck/sez18/2512184b.html (1 of 3)02/09/2004 2.44.08

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cardiaca. Le pazienti cardiopatiche non devono essere considerate fuori pericolo per diverse settimane e devono essere tenute sotto controllo da un cardiologo. Per le donne che hanno un’insufficienza cardiaca di classe I e II (The New York Heart Association), il rischio di morte in gravidanza non è aumentato, neanche quando la loro lesione principale è costituita dalla stenosi mitralica, anche se le donne con stenosi mitralica possono, a volte, passare nella classe di rischio superiore. Per le pazienti in classe III e IV (sintomatiche con dispnea, affaticamento e tachicardia dopo un’attività fisica limitata o a riposo) il rischio di morte materna e fetale è aumentato; queste donne non dovrebbero iniziare una gravidanza fino a quando non sono state completamente studiate e mostrano il massimo miglioramento con il trattamento medico e chirurgico. Praticamente tutte le morti dovute a insufficienza cardiaca in corso di gravidanza si verificano in pazienti appartenenti alle classi III o IV. Le pazienti appartenenti alla classe III possono aver bisogno di una terapia digitalica e di riposo a letto a partire dalla 20a sett. di gestazione. Quelle appartenenti alla IV classe possono essere considerate candidate a un aborto terapeutico precoce. Nelle pazienti gravide affette da una cardiopatia reumatica, i rumori dovuti alla stenosi mitralica o a quella aortica sono amplificati; quelli dovuti all’insufficienza mitralica o aortica sono ridotti. Le pazienti affette da un’insufficienza mitralica o aortica asintomatica o soltanto moderatamente sintomatica, in genere tollerano la gravidanza senza problemi; quelle che presentano sintomi gravi, sono spesso consigliate di sottoporsi a una sostituzione valvolare prima di iniziare la gravidanza. Le percentuali di mortalità materna e fetale riportate tra le pazienti con stenosi aortica sono elevate e alle pazienti che presentano una stenosi di grado elevato, deve essere consigliato di sottoporsi a un intervento chirurgico correttivo prima di intraprendere una gravidanza. La stenosi mitralica è particolarmente pericolosa perché la tachicardia, l’aumento della volemia e l’aumento della gittata cardiaca in gravidanza, interagendo con questa lesione, aumentano la pressione capillare a livello polmonare; anche la fibrillazione atriale è frequente. L’insieme di questi fattori aumenta il rischio di edema polmonare, che è la complicanza più letale della stenosi mitralica. La stenosi mitralica spesso porta a un’ipertensione capillare polmonare prima della menopausa, mentre l’insufficienza del ventricolo sinistro, secondaria al reflusso mitralico o alle alterazioni della valvola aortica, è poco frequente durante l’età feconda. La valvulotomia mitralica può essere eseguita nel corso della gravidanza, ma gli interventi a cuore aperto aumentano il rischio di aborto e di danno fetale. Nelle pazienti con malattia cardiaca reumatica si deve ottenere il massimo miglioramento con il trattamento medico o chirurgico, prima del concepimento. La terapia profilattica con antibiotici deve essere continuata durante la gravidanza. Il trattamento medico è basato sulla limitazione della attività fisica, dell’affaticamento e dell’ansia; sulla prevenzione o sulla tempestiva correzione dell’anemia e sul pronto trattamento delle infezioni. Nelle pazienti affette da una stenosi mitralica, si somministrano 0,25 mg/die di digossina PO, se si sviluppa una fibrillazione atriale. Il travaglio e il parto sono sopportati meglio al termine della gravidanza ed è essenziale porre una costante attenzione all’analgesia e al controllo dell’ansia. A volte, si possono verificare nel periodo post-partum degli episodi improvvisi di congestione polmonare, ma generalmente il periodo più pericoloso è durante il momento del picco massimo della gittata cardiaca (dalla 20a alla 34a sett.). Gli antibiotici vanno sempre usati nell’immediato periodo postpartum, così come quando maggiore è il pericolo di infezioni, p. es., quando si verifica la rottura prematura delle membrane. Il prolasso della valvola mitrale si verifica più frequentemente in donne giovani e tende a essere familiare. È generalmente un’anomalia isolata, ma può associarsi alla sindrome di Marfan o a un difetto del setto interatriale. Le donne con un prolasso della valvola mitrale generalmente sopportano bene la gravidanza. L’aumento relativo delle dimensioni ventricolari durante la gravidanza diminuisce la discrepanza tra la mitrale, sproporzionatamente larga, e il ventricolo. Le pazienti asintomatiche non richiedono alcun trattamento oltre alla profilassi antibiotica durante il parto, quando l’endocardite batterica è una possibile complicanza. Nelle pazienti con un’aritmia ricorrente, sono indicati i βbloccanti. Raramente, le pazienti gravide presentano un’embolia sistemica o polmonare e necessitano una terapia anticoagulante. Poiché il decorso del

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prolasso della mitrale è generalmente benigno, le pazienti devono essere rassicurate sul fatto che questa anomalia minore di sviluppo non deve essere causa di preoccupazioni immotivate. La maggior parte delle pazienti affette da una cardiopatia congenita non corre un rischio aumentato in gravidanza. Tuttavia, le pazienti affette dalla sindrome di Eisenmenger e da un’ipertensione polmonare primitiva (e forse da una stenosi polmonare isolata) possono essere soggette a un collasso improvviso e morire durante il travaglio o nel post-partum; questo pericolo esiste anche dopo gli aborti che si verificano oltre la 20a sett. di gestazione. La causa della morte in queste pazienti non è chiara, ma il rischio è tale da sconsigliare una gravidanza. Se si verifica una gravidanza, il parto si deve espletare nelle migliori condizioni possibili, con particolare attenzione all’anestesia, con la disponibilità di una rianimazione cardiologica e si deve prevenire lo shunt destro-sinistro mantenendo le resistenze vascolari periferiche e riducendo al minimo quelle polmonari. Il ritorno venoso deve essere sostenuto. Le pazienti affette dalla sindrome di Marfan sono esposte a un rischio maggiore di dissezione dell’aorta e di rottura di aneurismi aortici in corso di gravidanza che è pertanto sconsigliata. La cardiopatia congenita è più comune tra i figli di madri che ne sono affette. A volte una cardiomiopatia inizia verso il termine della gravidanza o nel periodo post-partum. Questa sindrome, chiamata cardiomiopatia del peripartum, colpisce maggiormente le pluripare, le donne con più di 30 anni, quelle con gravidanze gemellari e quelle affette da una preeclampsia gravidica. La cardiomiopatia del peripartum è associata a una mortalità del 50% a 5 anni e ha un’elevata probabilità di recidivare nelle gravidanze successive che sono, quindi, controindicate.

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIA TROMBOEMBOLICA Sommario: Introduzione Diagnosi e trattamento

Negli USA, la tromboembolia è la causa principale della mortalità materna dovuta a complicanze mediche, essendo diventata negli ultimi 10 anni più frequente delle emorragie, delle infezioni e della malattia ipertensiva. L’aumento di incidenza è correlato in parte all’aumento della frequenza dei parti cesarei e in parte al miglioramento della diagnosi di trombosi. Durante la gravidanza, il rischio di trombosi è significativamente più alto a causa dell’aumento della capacità venosa e della pressione delle vene degli arti inferiori, che determina una riduzione del flusso (stasi). Sebbene il sangue delle gestanti sia ipercoagulabile, il maggior numero di episodi di tromboembolia si verifica nel post-partum ed è dovuto al traumatismo vascolare del parto. Durante la gravidanza, i sintomi di tromboflebite sono scarsamente correlati alla gravità della patologia e al rischio di embolizzazione; gli arti inferiori sono spesso edematosi e i crampi e la dolorabilità ai muscoli del polpaccio (un evento fisiologico della gravidanza) possono essere erroneamente interpretati come un segno di Homans positivo.

Diagnosi e trattamento La diagnosi si basa sui risultati dell’ultrasonografia Doppler e della pletismografia degli arti inferiori. Nel post-partum, la TC con mezzo di contrasto è utile per fare la diagnosi di trombosi delle vene iliache, delle vene ovariche e di altre vene pelviche. La terapia con warfarin durante la gravidanza è stata associata alla morte e all’insorgenza di anomalie fetali e non ci sono prove che il destrano a basso peso molecolare e i FANS siano sicuri; quindi, l’anticoagulante di scelta è l’eparina a basso peso molecolare. A causa delle sue dimensioni molecolari, l’eparina non attraversa la placenta. Nelle pazienti con una trombosi venosa profonda (TVP) o con un’embolia polmonare (EP) confermate, la terapia con eparina va instituita immediatamente (v. Cap. 72 e Trombosi venosa nel Cap. 212). Se le pazienti hanno una storia documentata di TVP o di EP durante una precedente gravidanza, la profilassi anticoagulante deve essere iniziata 4-6 sett. prima del periodo in cui si era verificato il precedente episodio. Il sistema venoso deve essere studiato con un esame eco-Doppler alla 20a e alla 28a sett. Se il flusso venoso è ostacolato, si deve iniziare, senza ritardo, una terapia profilattica con eparina a basso peso molecolare, 5000 U SC q 12 h. Se non ci sono segni di ostacolo venoso, la terapia profilattica può essere ritardata fino alla 34a sett. di gravidanza, a meno che la paziente non sia considerata a rischio di parto pretermine; la terapia è continuata nel periodo post-partum fino a quando la paziente non deambula normalmente. Se si sospetta un’EP, si può effettuare senza rischi una scintigrafia polmonare ventilatoria/perfusionale, perché la dose di radiazioni a cui è esposto il feto è file:///F|/sito/merck/sez18/2512186.html (1 of 2)02/09/2004 2.44.08

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< 0,2 Gy. Difetti di perfusione si rilevano nel 20% delle pazienti nel post-partum, probabilmente a causa di una embolizzazione trofoblastica durante il parto. Se la diagnosi di EP non è certa, è necessario eseguire l’angiografia polmonare. Il trattamento acuto, accanto all’eparina EV, prevede la lisi enzimatica con l’urochinasi o con l’attivatore tissutale del plasminogeno. Le embolie ricorrenti, che si verificano nonostante una adeguata terapia anticoagulante, richiedono un trattamento chirurgico che prevede il posizionamento percutaneo di un filtro cavale, come l’ombrello di Greenfield, subito al di sotto dei vasi renali.

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA INFEZIONE DELLE VIE URINARIE (V. anche Cap. 227.) Le infezioni delle vie urinarie (IVU) sono di riscontro frequente in corso di gravidanza, apparentemente a causa della stasi urinaria dovuta alla dilatazione ormonale e all’ipoperistaltismo degli ureteri e alla compressione dell’utero gravido su tali organi. La batteriuria asintomatica si verifica in circa il 15% delle gravidanze e, talora, progredisce sino a provocare cistiti e pielonefriti sintomatiche. Un’IVU franca non è sempre preceduta da una batteriuria asintomatica. La diagnosi e il trattamento delle IVU sono gli stessi nelle pazienti gravide e in quelle non gravide, tranne che per l’esclusione dei farmaci che possono essere dannosi per il feto (v. Farmaci in gravidanza nel Cap. 249). L’IVU, la batteriuria asintomatica e le pielonefriti sono associate a un’aumentata incidenza di parto pre-termine e di rottura prematura delle membrane. Nelle pazienti con un’anamnesi di parto pre-termine o di rottura prematura delle membrane, devono essere eseguite mensilmente delle urinocolture e il trattamento va impostato sulla base dell’antibiogramma. Sono necessarie urinocolture di controllo per essere sicuri dell’avvenuta guarigione; le reinfezioni sono trattate al meglio con una terapia soppressiva a lungo termine. Qualsiasi paziente che abbia avuto una pielonefrite durante la gravidanza deve essere trattata con una terapia soppressiva specifica per il resto della gravidanza, di solito con il trimetoprim-sulfametossazolo.

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Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIE EPATICHE L’ittero può essere dovuto alle comuni affezioni epatiche o a condizioni esclusivamente legate alla gravidanza. Può essere causato da farmaci prescritti per malattie intercorrenti in corso di gravidanza o da una colecistite acuta con ostruzione biliare da calcoli che sembra essere più frequente in gravidanza, probabilmente perché la litogenicità della bile è aumentata e la contrattilità della colecisti è diminuita. L’epatite virale è la causa più comune di ittero in gravidanza (v. anche Cap. 42). L’andamento in genere non è preoccupante, anche se nelle pazienti dei paesi sottosviluppati la forma epidemica dell’epatite non-A, non-B (epatiti C o E) può essere insolitamente grave, probabilmente a causa della malnutrizione. L’incidenza del parto pre-termine è aumentata. Non c’è una chiara evidenza sull’effetto teratogeno dell’epatite nel 1o trimestre. Il virus dell’epatite B (HBV) può essere trasmesso al neonato immediatamente dopo il parto o, più di rado, al feto attraverso la placenta. La trasmissione è particolarmente probabile se la madre è positiva per l’antigene E e se è una portatrice cronica dell’antigene di superficie dell’epatite B (HBsAg) o ha contratto l’epatite nel corso del 3o trimestre. I neonati affetti diventano spesso portatori del HBV e presentano una disfunzione epatica sub-clinica, anche se raramente sviluppano un’epatite neonatale franca. Tutte le donne gravide devono essere testate di routine per l’HBsAg al fine di ridurre al minimo la trasmissione verticale. La profilassi prenatale con le immunoglobuline e la vaccinazione dei neonati esposti al rischio di contrarre l’epatite B è trattata in Infezione neonatale dal virus dell’epatite B nel Cap. 260. Una disfunzione epatica di minore importanza e aspecifica, può essere osservata nelle pazienti affette da un’iperemesi gravidica. L’ittero che compare in occasione di un aborto settico è multifattoriale e deriva da un danno settico epatocellulare, dall’emolisi e dall’ipossia. La preeclampsia grave può essere associata a livello epatico con la deposizione di fibrina, la necrosi e l’emorragia e si può manifestare con dolore addominale, nausea, vomito e un lieve ittero. La rottura spontanea del fegato, dovuta a un ematoma sottocapsulare con emorragia intra-addominale, è un evento raro in gravidanza, ma rischioso per la vita. La sua patogenesi è sconosciuta, ma si associa, in genere, alla preeclampsia e può rappresentare una complicanza vascolare estrema di questa malattia. Talora, le donne con preeclampsia, per altri versi relativamente lieve, sviluppano una sindrome mal compresa, la sindrome HELLP (Hemolysis, Elevated Liver enzymes and Low Platelet) caratterizzata da emolisi, elevati valori degli enzimi epatici e bassa conta piastrinica, con variabili sintomi addominali e sistemici; la causa è sconosciuta. La preeclampsia può anche essere associata con la steatosi epatica della gravidanza (v. oltre). La colestasi (prurito) della gravidanza è un’affezione relativamente frequente, apparentemente dovuta a un’esagerazione su base idiosincrasica dei normali effetti degli ormoni sul trasporto della bile. Un prurito intenso, che è la prima manifestazione della colestasi, si manifesta nel 2o o 3o trimestre; seguono, a volte, urine ipercromiche e ittero. Non c’è un’infiammazione epatica e non si hanno sintomi sistemici. Questo disordine è benigno e si risolve dopo il parto; tuttavia, tende a ripresentarsi ad ogni gravidanza successiva e le donne che ne sono colpite spesso sviluppano la stessa sindrome quando assumono contraccettivi orali (v. Cap. 43). Se il prurito è grave, la somministrazione di

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colestiramina, 8-12 g/die PO, in 2-3 dosi frazionate, di solito allevia il fastidio. A volte, si può sviluppare un sanguinamento dovuto all’ipoprotrombinemia, che è prontamente risolto con una terapia a base di vitamina K (fitonadione in dosi di 510 mg/die IM per 2-3 gg). La steatosi epatica della gravidanza (atrofia giallo-acuta gravidica) è una malattia rara e scarsamente conosciuta che insorge verso la fine della gravidanza, talora associata alla preeclampsia. All’inizio, la paziente lamenta improvvisamente nausea e vomito, dolore addominale e ittero, spesso seguiti da un’insufficienza epatocellulare rapidamente progressiva. I reperti clinici e di laboratorio ricordano quelli dell’epatite virale fulminante; tuttavia, i livelli di aminotransferasi < 500 U/l e l’iperuricemia sono indici caratteristici di questa patologia. La biopsia epatica mostra piccole e diffuse gocce di grasso a livello degli epatociti, generalmente con una necrosi minima, anche se in alcuni casi l’aspetto ricalca quello delle epatiti virali. La causa è sconosciuta. Nei casi di malattia florida la mortalità è elevata sia per la madre che per il feto. I casi meno gravi sono sempre più frequentemente diagnosticati. Di solito, viene consigliata l’immediata interruzione della gravidanza, anche se non è sicuro che ne alteri l’esito. Se la paziente sopravvive, la guarigione è completa e la malattia non si ripresenta nel corso delle gravidanze successive. Un disordine apparentemente simile si può presentare in ogni momento della gravidanza se si somministrano alte dosi di tetracicline EV. Nelle donne affette da un’epatite cronica attiva, in particolare da una cirrosi (v. Cap. 41), la fertilità è spesso diminuita. La gravidanza è relativamente rara in caso di gravi epatopatie. Quando si verifica, il suo esito è imprevedibile, ma la perdita del feto è molto frequente a causa di aborti spontanei e parti prematuri. Tuttavia, la prognosi per la madre è, in genere, favorevole e la mortalità materna non è sostanzialmente aumentata. La somministrazione di corticosteroidi in corso di epatite cronica attiva non deve essere sospesa durante la gravidanza, dal momento che non è stato dimostrato un rischio per il feto. Il fabbisogno di azatioprina e degli altri farmaci immunosoppressori deve essere regolato in base ai possibili rischi per il feto. Anche se la gravidanza può temporaneamente aggravare la colestasi nella cirrosi biliare primitiva e nelle altre malattie colestatiche, non è di per sé nociva per le pazienti affette da un’epatopatia cronica (v. Cap. 41). L’aumentato volume plasmatico del 3o trimestre aumenta il rischio di emorragie da varici esofagee nelle pazienti affette da cirrosi, ma questo evento è relativamente raro. La maggior parte delle pazienti è in grado di sopportare il parto cesareo.

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Epatopatia cronica

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 41. EPATOPATIA CRONICA CIRROSI Diffusa alterazione della normale architettura della struttura epatica da parte di noduli di rigenerazione che sono circondati da tessuto fibroso.

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Sintomi e segni Complicanze Diagnosi Prognosi e terapia

I noduli contengono solitamente delle cellule epatiche, organizzate in lamine, spesse da 2 a 4 cellule, scarsamente vascolarizzate. Nella cirrosi le alterazioni patologiche coinvolgono tutto il fegato. L'estesa fibrosi con i noduli di rigenerazione (cioè la cirrosi), è in genere irreversibile, anche se nell'animale se ne può osservare la regressione in funzione del modello sperimentale adottato. Nell'uomo, il danno è permanente e i noduli di rigenerazione sono il vano tentativo di riparare proprio tale danno. La fibrosi non è sinonimo di cirrosi, dal momento che la cirrosi comporta anche la presenza dei noduli e un processo di cicatrizzazione sufficiente a causare un deterioramento della funzione epatica. La parziale trasformazione nodulare o l'iperplasia rigenerativa nodulare (cioè, noduli senza fibrosi) e la fibrosi epatica congenita (cioè, la fibrosi diffusa senza noduli di rigenerazione) non sono, quindi, delle vere cirrosi.

Eziologia Nel mondo occidentale, la cirrosi è la terza causa principale di morte nei pazienti di età compresa tra i 45 e i 65 anni (dopo le malattie cardiovascolari e il cancro); la maggior parte dei casi è secondaria a un abuso cronico di alcol. In molte parti dell'Asia e dell'Africa, invece, una delle maggiori cause di morte è la cirrosi dovuta, però, a epatite virale cronica di tipo B. L'eziologia della cirrosi è multifattoriale e simile a quella della fibrosi, essendo dovuta a infezione, all'azione delle tossine, a un'alterata risposta immunitaria, all'ostruzione biliare e ai disturbi circolatori. Ne sono responsabili l'epatite C e le altre forme di epatite cronica (epatite cronica attiva autoimmune, alcuni farmaci) e, tra le cause metaboliche, l'emocromatosi, la malattia di Wilson, il deficit di a1antitripsina, la galattosemia, la tirosinosi congenita e sembra anche il diabete mellito. Possibili cause sono, poi, l'ostruzione biliare prolungata (cirrosi biliare secondaria), l'ostruzione cronica dell'outflow venoso (p. es., la sindrome di BuddChiari) e la malnutrizione. La diagnosi di cirrosi criptogenetica, cioè a eziologia sconosciuta, viene fatta sempre meno frequentemente, mano a mano che diventano disponibili diagnosi più specifiche (p. es., l'infezione cronica da virus file:///F|/sito/merck/sez04/0410404.html (1 of 4)02/09/2004 2.44.16

Epatopatia cronica

dell'epatite C). La cirrosi biliare primitiva è trattata oltre, mentre la colangite sclerosante primitiva è trattata nel Cap. 48.

Patogenesi La cirrosi è lo stadio finale di molte forme di danno epatico caratterizzato inizialmente dalla fibrosi. L'evoluzione dalla fibrosi alla cirrosi e la morfologia della cirrosi stessa, dipendono dall'estensione del danno, dalla presenza di lesioni evolutive e dalla reazione del tessuto epatico al danno. La cirrosi è correlata non tanto ai singoli agenti causali, quanto al tipo di lesione indotta e alla risposta del fegato. La lesione può essere grave e acuta (come nella necrosi subtotale da epatite) o di moderata entità, ma protratta per mesi o per anni (come nell'ostruzione delle vie biliari e nell'epatite cronica attiva) o ancora lieve, ma continua (come nell'alcolismo). Le citochine e i fattori di crescita epatici (p. es., fattore di crescita epidermico) sono presumibilmente responsabili della risposta al danno che è costituita dalla fibrosi e dai noduli di rigenerazione. Durante il processo di riparazione, si formano dei nuovi vasi nella lamina fibrosa che circonda i noduli delle cellule epatiche sopravvissute, che mettono in comunicazione l'arteria epatica e la vena porta con le venule epatiche, ripristinando la circolazione intraepatica. Questi vasi che drenano i sinusoidi, formano un sistema di drenaggio a bassa portata, ma ad alta pressione, meno efficiente del circolo normale. Questo sistema è responsabile dell'aumento della pressione venosa portale (ipertensione portale) insieme al disordinato afflusso di sangue ai noduli e alla compressione delle venule epatiche da parte dei noduli di rigenerazione. La cirrosi non è un processo statico; le sue caratteristiche dipendono dallo stadio e dall'attività della malattia. La sua classificazione morfologica non è indicativa della causa. Classificazione istopatologica: la cirrosi micronodulare è caratterizzata da piccoli noduli uniformi (< 3 mm di diametro) e da fasci regolari di tessuto connettivo. Generalmente, i noduli non hanno un'organizzazione di tipo portale ed è difficile identificare le vene epatiche terminali (centrali) e gli spazi portali. La cirrosi macronodulare è caratterizzata da noduli di varie dimensioni (da 3 mm a 5 cm di diametro), contenenti alcune delle normali strutture lobulari (spazi portali, vene epatiche terminali). Bande fibrose grossolane, di vario spessore, circondano i grossi noduli. Il collasso della normale struttura epatica è indicato dalla concentrazione degli spazi portali all'interno della cicatrice fibrosa. La cirrosi mista (cirrosi settale incompleta) è una combinazione degli elementi delle cirrosi micro e macronodulare. La rigenerazione epatica può trasformare, in 2 anni, la cirrosi micronodulare nelle forme macronodulare o mista.

Sintomi e segni Nella cirrosi sono presenti alcuni reperti caratteristici delle diverse cause (p. es., il prurito nella cirrosi biliare primitiva) e si verificano alcune complicanze maggiori, quali l'ipertensione portale con sanguinamento dalle varici, l'ascite o l'insufficienza epatica che può causare insufficienza renale e coma. Molti pazienti affetti da cirrosi sono asintomatici per anni. Altri presentano astenia generalizzata, anoressia, malessere e calo ponderale. L'ittero, il prurito e gli xantelasmi diventano importanti in presenza di un ostacolato deflusso biliare. La malnutrizione è frequente, secondaria all'anoressia con la scarsa assunzione di cibo, al malassorbimento dei grassi e al deficit di vitamine liposolubili dovuti agli effetti della ridotta secrezione dei sali biliari. Nell'epatopatia correlata all'assunzione dell'alcol, un fattore ancora più importante può essere rappresentato dall'insufficienza pancreatica. Una presentazione ancora più drammatica è l'emorragia massiva del tratto GI superiore, dovuta alla rottura

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Epatopatia cronica

delle varici esofagee secondarie all'ipertensione portale. Occasionalmente, la presentazione può essere quella dell'insufficienza epatocellulare con ascite o encefalopatia porto-sistemica (v. Cap. 38). È caratteristico il reperto palpatorio di un fegato duro, a superficie liscia e a margine smusso, anche se a volte l'organo si presenta piccolo e difficile da palpare. Di solito i noduli di rigenerazione non sono palpabili. L'ascite può essere presente insieme all'ipertensione portale, alla splenomegalia e a circoli collaterali evidenti. Altri segni clinici possono suggerire un'epatopatia cronica, particolarmente negli alcolisti, ma nessuno è specifico: l'atrofia muscolare, l'eritema palmare, la retrazione di Dupuytren dell'aponeurosi palmare, gli spider vascolari (< 10 può essere normale), la ginecomastia, l'aumento di volume della parotide, la perdita dei peli ascellari, l'atrofia testicolare e la neuropatia periferica.

Complicanze Molte delle gravi complicanze della cirrosi sono secondarie all'ipertensione portale, che causa lo sviluppo di un circolo collaterale tra la circolazione portale e quella sistemica. L'ipertensione portale è associata alla splenomegalia e quindi all'ipersplenismo (v. Cap. 141); lo sviluppo dei circoli collaterali nello stomaco e nell'esofago dà luogo alla formazione delle varici. Le varici esofagee e, più raramente quelle gastriche, sono particolarmente esposte al rischio di sanguinamento che spesso è massivo. Un'altra complicanza è l'ipossiemia con riduzione della saturazione arteriosa dell'O2, secondaria alla formazione di shunt intrapolmonari, a un cattivo rapporto ventilazione-perfusione e alla riduzione della capacità di diffusione dell'O2. Inoltre, si possono sviluppare ittero, ascite, insufficienza renale ed encefalopatia epatica a causa dell'ipertensione portale, della presenza di shunt porto-sistemici, di altri disturbi circolatori e del deterioramento della funzione metabolica epatica. Infine, il carcinoma epatocellulare complica spesso la cirrosi associata all'epatite cronica di tipo B e C, all'emocromatosi e alle malattie croniche da deposito di glicogeno.

Diagnosi Nella cirrosi, i test di laboratorio della funzione epatica, eseguiti di routine, possono risultare normali. La riduzione dell'albumina sierica e l'aumento del tempo di protrombina riflettono direttamente il deterioramento della funzione epatica. Le globuline sieriche aumentano in molte epatopatie croniche. Le transaminasi sono spesso moderatamente aumentate, mentre la fosfatasi alcalina può essere normale o elevata, specie in presenza di un'ostruzione biliare. La bilirubina è in genere normale. L'anemia è abbastanza comune e di solito è normocitica, ma può essere microcitica, ipocromica per un sanguinamento GI cronico, macrocitica per un deficit di acido folico (nell'alcolismo) o emolitica per l'ipersplenismo. L'alcol deprime direttamente il midollo osseo. L'ipersplenismo può causare anche una leucopenia e una trombocitopenia. La scintigrafia con zolfo colloidale marcato con tecnezio-99m mostra un'irregolare captazione epatica e un'aumentata captazione del tracciante da parte della milza e del midollo osseo. L'ecografia può mostrare le alterazioni strutturali suggestive della cirrosi, conferma l'epatosplenomegalia e identifica i reperti dell'ipertensione portale: l'aumento delle dimensioni o l'ostruzione delle vena porta e delle vene spleniche e la presenza delle varici esofagee. L'ultrasonografia Doppler può identificare il flusso portale. La TC valuta meglio le dimensioni e la struttura del fegato e, in caso di emocromatosi, la densità. L'endoscopia è l'esame migliore per la diagnosi di varici esofagee.

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Epatopatia cronica

Prognosi e terapia La prognosi per i pazienti affetti da cirrosi è di difficile valutazione per le diverse eziologie possibili. In generale, la prognosi non è buona se sono presenti delle complicanze maggiori (p. es., ematemesi, ascite, encefalopatia epatica). Per i pazienti affetti da una cirrosi avanzata, il trapianto di fegato ha modificato in molti casi la prognosi a lungo termine. In generale, il trattamento della cirrosi è di supporto: sospensione delle sostanze tossiche, attenzione alla dieta (compresi i supplementi vitaminici) e trattamento delle complicanze mano a mano che insorgono. Sono in fase di studio delle terapie specifiche per modificare la produzione di collagene: i corticosteroidi diminuiscono i livelli di mRNA del procollagene e hanno un'azione antiinfiammatoria; la penicillamina interferisce con il legame crociato del collagene; la colchicina inibisce la polimerizzazione dei microtubuli del collagene. I corticosteroidi e la penicillamina sono probabilmente troppo tossici per un uso cronico, mentre è controversa l'efficacia della colchicina nel ridurre la formazione del collagene. I farmaci più recenti (p. es., gli analoghi dell'interferone-g,2ossoglutarato, gli analoghi delle prostaglandine) sembrano promettenti nel ridurre la produzione del collagene con minimi effetti tossici. Altri farmaci antinfiammatori (p. es., l'azatioprina) producono alcuni benefici, specialmente nei danni epatici immunomediati. Comunque, nessuna di queste sostanze ha prodotto successi sufficienti per farne considerare l'uso di routine in ogni forma di cirrosi.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ENCEFALOPATIA PORTO-SISTEMICA (Encefalopatia epatica; Coma epatico) Sindrome neuropsichiatrica secondaria a un'epatopatia e generalmente associata a uno shunt venoso porto-sistemico.

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Terapia

Il termine "encefalopatia porto-sistemica" descrive la situazione fisiopatologica meglio di "encefalopatia epatica" o di "coma epatico", ma clinicamente i 3 termini vengono usati indifferentemente.

Eziologia L'encefalopatia porto-sistemica si può verificare nell'epatite fulminante causata da virus, farmaci o tossine, ma, più comunemente, si verifica nella cirrosi o in altri processi cronici quando, in seguito all'ipertensione portale, si è sviluppata un'estesa rete di anastomosi porto-sistemiche. La sindrome è anche secondaria alle derivazioni porto-cavali o ad altre anastomosi chirurgiche porto-sistemiche. Nei pazienti con un'epatopatia cronica, l'encefalopatia è, di solito, scatenata da cause specifiche, potenzialmente reversibili (p. es., sanguinamento GI, infezione, squilibrio elettrolitico (specialmente ipokaliemia), abuso di alcol) o da cause iatrogene (tranquillanti, sedativi, analgesici, diuretici).

Patogenesi Il fegato metabolizza e disintossica i prodotti originati dalla digestione e provenienti dall'intestino attraverso la vena porta. Nelle epatopatie, tali prodotti raggiungono inalterati il circolo sistemico, o perché il sangue portale non viene a contatto con gli epatociti o perché la funzionalità di queste cellule è gravemente compromessa. Gli effetti tossici che ne derivano sul sistema nervoso centrale sono responsabili della sindrome clinica. Le sostanze tossiche non sono del tutto conosciute e la sindrome è verosimilmente multifattoriale. L'ammoniaca, che è un prodotto della digestione delle proteine, probabilmente riveste un ruolo importante, ma anche le amine biologiche, gli acidi grassi a catena corta o altri prodotti di origine intestinale file:///F|/sito/merck/sez04/0380393.html (1 of 3)02/09/2004 2.44.17

Aspetti clinici delle malattie del fegato

possono essere responsabili o possono agire insieme all'ammoniaca. Solitamente, i livelli sierici degli aminoacidi aromatici sono elevati e quelli degli aminoacidi a catena ramificata sono bassi, ma non è detto che questo rappresenti un fattore causale. Anche la patogenesi del quadro tossico a livello dell'encefalo non è chiara. Le alterazioni della permeabilità cerebrovascolare e dell'integrità cellulare possono svolgere un ruolo, specialmente nell'epatite fulminante. Il sistema nervoso centrale dei pazienti epatopatici appare particolarmente sensibile alle alterazioni metaboliche. È possibile che si verifichino delle alterazioni a carico del metabolismo energetico cerebrale e una qualche inibizione nei processi di trasmissione degli impulsi nervosi da parte delle ammine tossiche che agiscono come falsi trasmettitori. Decisive evidenze chiamano in causa anche l'acido gaminobutirrico (GABA), il principale neurotrasmettitore cerebrale di tipo inibitorio; sembra che la sua sintesi sia aumentata e che vi possa essere un'alterazione sia dei recettori cerebrali del GABA che di quelli delle benzodiazepine endogene correlate. Le alterazioni anatomopatologiche solitamente sono limitate all'iperplasia degli astrociti con un danno neuronale nullo o trascurabile, anche se nell'epatite fulminante è comune il riscontro di un edema cerebrale.

Sintomi e segni Le modificazioni della personalità (p. es., comportamenti inappropriati, alterazioni dell'umore, senso critico alterato), rappresentano le comuni manifestazioni iniziali che possono precedere la comparsa di chiare alterazioni dello stato di coscienza. Sofisticate indagini psicomotorie possono svelare queste alterazioni quando clinicamente non sono neppure sospettate. Abitualmente, si verificano dei disturbi della coscienza. Inizialmente possono essere presenti lievi alterazioni del ritmo del sonno, dei movimenti fini e delicati e della parola. Manifestazioni come la sonnolenza, lo stato confusionale o stuporoso e il coma franco sono indicativi di uno stadio avanzato di encefalopatia. Un caratteristico segno precoce è l'aprassia costruttiva, in cui il paziente non è in grado di riprodurre disegni semplici (p. es., una stella). Si rileva spesso un tipico odore dolciastro del respiro, detto fetor hepaticus. Quando il paziente stende le braccia in avanti con i polsi in flessione dorsale, si manifesta un caratteristico tremore a scosse ritmiche, a battito d'ali (flapping tremor o asterixis); con il progredire dello stato comatoso, il segno scompare e si possono avere iperreflessia e positività del segno di Babinski. Nei casi ad andamento fulminante e nei bambini possono comparire agitazione e stato maniacale, segni altrimenti poco frequenti. Sono di rara osservazione le convulsioni e i segni neurologici focali che, se presenti, devono far pensare a un'altra causa (p. es., un ematoma sottodurale).

Diagnosi La diagnosi è clinica. Non esiste alcuna correlazione con gli esami della funzionalità epatica. Il tracciato EEG evidenzia, anche nei casi lievi, un'attività a onde lente, diffuse e può essere utile nell'encefalopatia iniziale di dubbia diagnosi. Il LCR non presenta alterazioni particolari, a eccezione di un modesto aumento delle proteine. L'ammoniemia è di solito elevata, ma i valori sono scarsamente correlati alla gravità dello stato clinico; l'osservazione clinica del malato è più utile.

Prognosi Di solito l'encefalopatia nell'epatopatia cronica risponde al trattamento, specialmente se la causa scatenante è reversibile. Nella maggior parte dei casi, file:///F|/sito/merck/sez04/0380393.html (2 of 3)02/09/2004 2.44.17

Aspetti clinici delle malattie del fegato

la sindrome regredisce senza esiti neurologici permanenti. Alcuni pazienti, specialmente quelli portatori di uno shunt porto-cavale, necessitano di un trattamento continuo e possono raramente andare incontro a una paraparesi spastica o ad altri segni extrapiramidali permanenti. Il coma secondario a un'epatite fulminante risulta fatale in più dell'80% dei pazienti, nonostante la terapia intensiva; i pazienti con un'insufficienza epatica avanzata spesso muoiono di encefalopatia porto-sistemica.

Terapia Va individuata e trattata ogni causa scatenante; nei casi lievi, la terapia causale è di solito sufficiente. L'eliminazione dei prodotti tossici di origine enterica è l'altra parte fondamentale della terapia: (1) l'intestino deve essere pulito con dei clisteri. (2) Le proteine alimentari devono essere eliminate (nei casi lievi si può consentire l'assunzione di 20-40 g/die) e devono essere somministrati dei carboidrati PO o EV per reintegrare le calorie perse. (3) Deve essere somministrato lattulosio PO (può essere somministrato attraverso una sonda per alimentazione ai pazienti in coma): questo sciroppo, a base di un disaccaride sintetico, altera la flora batterica e il pH del colon, oltre ad agire come purgante osmotico. La dose iniziale di 30-45 ml tid, deve essere successivamente regolata per consentire 2 o 3 evacuazioni giornaliere di feci morbide. Molti pazienti preferiscono, per il gusto, il lattilolo, un analogo del lattuloso, che sembra ugualmente efficace, ma che non è attualmente in commercio negli USA. (4) La neomicina, somministrata PO alla dose di 4-6 g/die in 4 dosi frazionate, è utile nel ridurre la quota di tossine formate dai batteri nell'intestino e può essere usata al posto del lattuloso. Tuttavia, la nefrotossicità e l'ototossicità limitano il suo valore, specialmente per un uso a lungo termine; di solito è preferibile il lattuloso. Gli antibiotici per via parenterale sono di solito inefficaci. I sedativi rendono l'encefalopatia più grave e vanno evitati, anche se il paziente è agitato. Il trattamento del coma da epatite fulminante con alte dosi di corticosteroidi o con un'exsanguino-trasfusione e con altre complesse procedure volte alla rimozione delle tossine circolanti, non si è rivelato efficace. Per contro, una meticolosa assistenza infermieristica e un'accurata attenzione alle complicanze associate, forniscono le migliori probabilità di sopravvivenza. I pazienti che peggiorano, affetti da un'insufficienza epatica fulminante devono essere prontamente inviati a un centro di trapianti perché un trapianto epatico d'emergenza può salvargli la vita. Altre possibili terapie comprendono l'uso della levodopa, un precursore dei neurotrasmettitori fisiologici, della bromocriptina, un agonista della dopamina, di aminoacidi a catena ramificata o di analoghi chetonici di aminoacidi essenziali, del flumazenil, un antagonista delle benzodiazepine, del sodio benzoato, per aumentare la secrezione urinaria di azoto, di prostaglandine e lo sviluppo di un fegato artificiale. Comunque, nessuna di queste terapie si è dimostrata efficace.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA MALATTIE AUTOIMMUNI Le malattie autoimmuni sono 5 volte più frequenti nelle donne e tendono a raggiungere un picco di incidenza nel corso della vita riproduttiva. Quindi, si verificano frequentemente anche nelle donne gravide. Il lupus eritematoso sistemico (LES) può esordire durante la gravidanza o, se già presente, può peggiorare (v. Cap. 50). Se la malattia è attiva al momento del concepimento, la remissione durante la gravidanza è poco probabile. Il suo decorso durante una particolare gravidanza non può essere previsto sulla base dell’andamento nelle gravidanze precedenti o della durata della remissione. Il periodo in cui è più probabile la riacutizzazione è l’immediato periodo postpartum. La preesistenza di coinvolgimenti renale o cardiaco significativi è associata a una maggiore morbilità e a un maggior rischio di morte per la madre. Le donne in cui la diagnosi di LES è successivamente confermata, spesso hanno una storia di aborti abituali, di morti intrauterine nel 2o trimestre, di un ritardo di crescita intrauterino e di un parto pre-termine. Una nefrite diffusa, l’ipertensione o la presenza di anticorpi antifosfolipidi circolanti sono associate con un ulteriore aumento della mortalità perinatale. Il trattamento di prima scelta è costituito dal prednisone; gli immunosoppressori sono riservati ai casi refrattari. La profilassi con corticosteroidi prima del parto riduce l’incidenza delle riacutizzazioni post-partum. Il neonato può avere dei test positivi per gli anticorpi antinucleo e può mostrare una trombocitopenia, un’anemia emolitica o una leucopenia. Queste stimmate sierologiche del LES sono transitorie e sono dovute all’immunizzazione passiva dovuta alle IgG che attraversano la placenta. Il blocco cardiaco congenito può essere dovuto all’interruzione del sistema di conduzione settale da parte di un anticorpo diretto contro le ribonucleoproteine tissutali. L’anticorpo anticardiolipina (lupus anticoagulante), presente in circa il 5-15% delle pazienti, è associato a un aumento significativo del rischio di aborto, di morte intrauterina e di malattia tromboembolica nella madre (v. Disordini della coagulazione da anticoagulanti circolanti nel Cap. 131). I corticosteroidi ad alte dosi (p. es., prednisone 50 mg/die) e l’aspirina a basse dosi (80 mg/die), che agiscono sulla sintesi piastrinica di trombossano, possono annullare l’effetto del lupus anticoagulante. L’artrite reumatoide può iniziare durante la gravidanza (v. anche Cap. 50) ed è particolarmente probabile che s sviluppi nel periodo post-partum. Il suo decorso generalmente migliora durante la gravidanza, forse in risposta agli aumentati livelli circolanti di cortisolo libero. Il feto non viene coinvolto specificamente, ma il parto può essere difficoltoso se sono interessati il rachide lombare o le anche della madre. La miastenia grave ha un decorso variabile durante la gravidanza (v. anche Cap. 183). Frequenti episodi di miastenia acuta possono richiedere un aumento delle dosi dei farmaci anticolinesterasici (p. es., la neostigmina). I segni colinergici di sovradosaggio (p. es., il dolore addominale, la diarrea, il vomito) si possono manifestare e può essere necessaria la somministrazione di atropina. In alcune pazienti la miastenia diviene resistente alla normale terapia e sono necessari i corticosteroidi o gli immunosoppressori per controllare i sintomi. Durante il travaglio, queste pazienti possono avere bisogno di una ventilazione file:///F|/sito/merck/sez18/2512199b.html (1 of 2)02/09/2004 2.44.18

Gravidanza complicata dalla malattia

assistita; sono estremamente sensibili ai sedativi, agli analgesici, ai narcotici e al solfato di magnesio. Poiché le IgG attraversano la placenta, la miastenia si verifica nel 20% dei neonati e anche più frequentemente se la madre non è stata sottoposta a timectomia. La porpora trombocitopenica idiopatica (PTI), di solito inizia prima dei 30 anni ed è 3 volte più frequente nelle donne (v. anche Cap. 133). La PTI in gravidanza tende a essere più grave ed è associata a un’aumentata morbilità materna. Di particolare importanza è il passaggio al feto degli anticorpi antipiastrine, che causa una trombocitopenia fetale e neonatale. C’è il rischio di un’emorragia intracranica fetale durante il travaglio e durante il parto, con un aumento della mortalità neonatale e della morbilità a lungo termine. L’interessamento fetale non può essere previsto sulla base del livello degli anticorpi antipiastrine nel plasma materno (misurazione diretta o indiretta) e non è correlato all’assenza di una trombocitopenia materna in seguito a una terapia corticosteroidea o a una precedente splenectomia. Il prelievo di sangue dal cordone ombelicale può permettere l’identificazione dei feti affetti e l’esecuzione di un parto cesareo per prevenire un sanguinamento intracranico. Di solito, i feti non affetti possono nascere per via vaginale. I corticosteroidi riducono il livello di IgG e producono una remissione transitoria nella maggior parte delle pazienti con PTI, ma determinano un miglioramento duraturo solo nel 50% dei casi. L’immunosoppressione e la plasmaferesi riducono ulteriormente il titolo delle IgG, causando un aumento della conta piastrinica. Un’infusione di alte dosi di IgG esogene produce un aumento nella conta piastrinica di breve durata ma significativo, rendendo possibile la programmazione dell’induzione del travaglio e del parto per via vaginale. Le trasfusioni di piastrine sono indicate solo quando il parto cesareo è richiesto per motivi ostetrici e la conta piastrinica materna è < 50000 µl. Raramente, per casi clinici refrattari, è necessaria la splenectomia; questa va preferibilmente eseguita nel 2o trimestre, quando determina una remissione duratura in circa l’80% delle pazienti.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA PATOLOGIE CHE NECESSITANO DI INTERVENTO CHIRURGICO In genere, quando deve essere eseguito un intervento, la madre e il feto lo sopportano bene se l’assistenza pre- e postoperatoria è buona e se gli anestetici sono somministrati con cautela, in modo da non provocare ipotensione e ipossia. Alcuni disturbi presentano dei particolari problemi di diagnosi in corso di gravidanza. L’appendicite causa un dolore crampiforme che assomiglia al dolore che si può verificare in corso di gravidanza e la conta dei GB delle pazienti gravide è già normalmente elevata. Inoltre, poiché l’appendice risale nell’addome mano a mano che la gravidanza procede, il dolore nel quadrante inferiore destro non è un segno affidabile per porre questa diagnosi. Se si sospetta un’infezione appendicolare, si deve eseguire una laparotomia senza perdere tempo (la percentuale di morti da perforazione appendicolare in corso di gravidanza è alta). Nell’immediato periodo post-partum (quando l’appendicite è più frequente), il ritardo comporta un’incidenza di decessi ancora più alta a causa della perforazione. Durante la gravidanza si possono formare anche delle cisti ovariche benigne. A meno che la cisti non sia chiaramente di natura maligna, l’intervento deve essere ritardato, se possibile, fino a dopo la 14a o la 16a sett. di gravidanza perché la neoformazione potrebbe essere un corpo luteo. Tuttavia, se la cisti continua a crescere o se c’è dolorabilità è necessario eseguire una laparotomia esplorativa. Dopo la 12a sett. di gestazione, qualunque tumore ovarico è difficile da diagnosticare perché le ovaie si portano al di fuori della pelvi insieme all’utero e si repertano con difficoltà. La loro torsione o infarcimento possono simulare l’appendicite e vengono diagnosticate alla laparotomia. Le affezioni della colecisti si verificano occasionalmente e devono, se possibile, essere trattate in maniera conservativa; ma se la paziente non migliora è necessario l’intervento immediato. L’ostruzione intestinale può essere devastante in corso di gravidanza. Si può verificare la perdita del bambino se è presente una gangrena intestinale, con associata peritonite. Una pronta laparotomia esplorativa è quindi giustificata in una paziente con i segni o i sintomi di occlusione dell’intestino tenue o crasso e l’anamnesi positiva per un precedente intervento o per un’infezione intraaddominale, condizioni queste che possono predisporre all’occlusione.

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252.ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA ABORTO SPONTANEO Sommario: Introduzione Incidenza ed eziologia Classificazione Terapia

L’aborto viene generalmente definito come l’eliminazione o la perdita del prodotto del concepimento prima della 20a settimana di gestazione (che corrisponde al peso fetale di circa 500 g). Il parto che avviene tra la 20a e la 38a settimana viene considerato un parto prematuro (v. Travaglio pre-termine nel Cap. 253).

Incidenza ed eziologia Circa il 20-30% delle donne riferisce sanguinamenti o dolori crampiformi in un qualche momento durante le prime 20 settimane di gestazione; metà di queste donne va incontro a un aborto spontaneo. In una percentuale di aborti spontanei che arriva al 60%, il feto è assente o macroscopicamente malformato e, nel 2560%, presenta anomalie cromosomiche incompatibili con la vita; allora, l’aborto spontaneo in > 90% dei casi può essere il naturale rigetto di un feto malformato. Circa l’85% degli aborti spontanei si verifica nel corso del 1o trimestre ed è dovuto, in genere, a cause di origine fetale; quelli che si verificano nel 2o trimestre hanno più frequentemente delle cause materne. Le possibili cause materne includono una cervice incompetente, le anomalie congenite o acquisite della cavità uterina, l’ipotiroidismo, il diabete mellito, le nefriti croniche, le infezioni acute, l’uso di cocaina (specialmente del crack), i problemi immunologici e i gravi shock emotivi. Molti virus, in particolare il citomegalovirus, l’herpesvirus e il virus della rosolia, sono stati implicati come cause. L’importanza di un utero retroverso, dei fibromi uterini e dell’insufficienza del corpo luteo sembra essere stata sopravvalutata. Non è stata, inoltre, provata una correlazione tra l’aborto e i traumi fisici (ad eccezione dei traumi maggiori con lesioni di più organi o fratture maggiori multiple).

Classificazione L’aborto viene distinto in precoce (prima della 12a sett. di gestazione) e tardivo (tra la 12a e la 20a sett.) perché in quest’ultimo sono presenti molti più problemi. Dopo la 12a sett. di gravidanza, ha cominciato a formarsi la placenta definitiva con una vascolarizzazione più organizzata e più ricca, e quindi il sanguinamento è più probabile. Anche le ossa fetali hanno cominciato a formarsi e le ossa lunghe degli arti possono perforare l’utero durante lo svuotamento. Inoltre, è difficile dilatare una cervice per far passare un feto di > 12 sett. L’aborto può essere classificato come spontaneo, indotto (v. Cap. 246) o terapeutico, minaccia

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Anomalie della gravidanza

d’aborto o aborto inevitabile, incompleto o completo, abituale, ritenuto o settico (v. Tab. 252-1). L’aborto abituale richiede un’estesa valutazione diagnostica, inclusi gli studi genetici e cromosomici. Devono essere escluse le endocrinopatie e le alterazioni metaboliche (p. es., l’ipo- e l’ipertiroidismo, il diabete mellito, le malattie renali croniche). Devono essere ricercate le cause immunologiche (p. es., il lupus anticoagulante). Si deve sempre sospettare un difetto di funzionamento del corpo luteo. Eventuali anomalie anatomiche dell’utero (p. es., polipi, fibromi, difetti congeniti) devono essere valutate con l’ausilio dell’isterosalpingografia, della dilatazione e della revisione della cavità uterina (D&R) o dell’isteroscopia. Può essere necessario eseguire trattamenti specifici, come la somministrazione di farmaci per prolungare la fase luteinica, la correzione di un utero doppio, l’asportazione di un setto o una miomectomia. Si deve sospettare un aborto ritenuto quando l’utero non cresce come dovrebbe, quando il battito cardiaco fetale non viene rilevato nel periodo appropriato mediante il Doppler o quando il battito cardiaco, prima presente, non viene più ascoltato. In un aborto ritenuto, il test eseguito sul siero o sull’urina per la ricerca delle β-subunità della gonadotropina corionica umana (β-hCG) si negativizza prima del previsto o non raddoppia nell’arco di 72 ore; l’assenza di un’attività cardiaca all’ecografia fornisce la diagnosi più precoce. Un aborto ritenuto può causare la sindrome del feto morto, caratterizzata da coagulazione intravascolare disseminata (CID), ipofibrinogenemia progressiva e possibile emorragia massiva quando, alla fine, si ha l’espulsione. La sindrome si verifica, in genere, soltanto quando la morte fetale avviene nel 2o trimestre o più tardi. Con un aborto settico, la paziente si ammala improvvisamente, con i segni e i sintomi dell’infezione (brividi, febbre, setticemia e peritonite) e della minaccia d’aborto o dell’aborto incompleto. È presente una leucocitosi (GB da 16000 a 22000 µl). Le pazienti gravemente colpite possono mostrare i segni di uno shock settico o endotossinico con collasso vasomotorio, ipotermia, ipotensione, oliguria o anuria e insufficienza respiratoria. Gli agenti patogeni causali comprendono l’Escherichia coli, l’Enterobacter aerogenes, il Proteus vulgaris, gli streptococchi emolitici, gli stafilococchi e alcuni microrganismi anaerobi, come il Clostridium perfringens. Se la sepsi è dovuta al C. perfringens si può avere un’emolisi intravascolare (anuria, anemia, ittero, emoglobinemia, emoglobinuria ed emosiderinuria) con trombocitopenia ed ecchimosi. Negli USA, prima della legalizzazione dell’aborto, gli aborti settici erano spesso dovuti ad aborti provocati, eseguiti da persone inesperte con tecniche non sterili (comunemente definiti aborti criminosi). Attualmente negli USA l’incidenza dell’aborto settico è diminuita drasticamente.

Terapia Il trattamento della minaccia d’aborto è conservativo; si deve consigliare il riposo a letto perché sembra ridurre il sanguinamento e i dolori crampiformi, anche se raramente modifica l’esito. La diagnosi deve essere confermata con l’ecografia. Se si osserva una camera gestazionale vuota o la scomparsa dell’attività cardiaca, è indicato lo svuotamento della cavità uterina. Si devono evitare i rapporti sessuali; sebbene non ci sia prova che siano pericolosi, i complessi di colpa che possono insorgere in seguito ad aborti intervenuti dopo un rapporto sessuale, sono un motivo sufficiente per consigliare l’astensione. Si deve incoraggiare la paziente a non lavorare e a rimanere tranquilla a casa. Non ci sono prove che gli ormoni siano in grado di salvare gravidanze, tranne che in casi selezionati, ma essi possono provocare anomalie congenite, in particolare la trasposizione dei grossi vasi cardiaci. Anche il tumore della vagina e altre anomalie genitali delle neonate sono stati associati all’uso di estrogeni per le minaccie d’aborto. Gli aborti inevitabili e incompleti devono essere completati con l’isterosuzione o a volte con la D & R. Molti medici considerano necessario eseguire sempre una revisione per essere certi che un aborto spontaneo sia completo; altri

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Anomalie della gravidanza

preferiscono controllare la paziente per alcuni giorni e, se non insorgono altri sanguinamenti, evitare la revisione della cavità uterina. Negli aborti spontanei dovuti all’incontinenza dell’orifizio uterino interno, la cervice appare incapace a sostenere la progressiva pressione esercitata da una gravidanza in evoluzione e si comincia, quindi, a dilatare. La debolezza del tessuto connettivo cervicale può essere congenita (anche per gli effetti dell’esposizione al dietilstilbestrolo [DES] in utero) o secondaria a lacerazioni profonde del collo o a pregresse dilatazioni strumentali eccessive. Il cerchiaggio cervicale può consentire alla gravidanza di giungere fino al termine. L’aborto incompleto deve essere completato strumentalmente non appena è stata formulata la diagnosi di certezza; per mezzo dell’ecografia, la morte del feto può essere ora identificata molto più precocemente, di solito in 1 o 2 sett. Fino alla 28a sett. di gestazione, l’aborto interno è, spesso, trattato con l’inserimento di un ovulo da 20 mg di dinoprostone (prostaglandina E2), in vagina q 3-4 h, per il tempo necessario a indurre le contrazioni uterine. L’uso di questo farmaco non è stato approvato oltre il limite della 28a sett. di gestazione. Un pretrattamento del collo con laminarie riduce le complicanze. Nei casi di aborto settico, un energico trattamento antibiotico e un precoce svuotamento dell’utero sono essenziali per prevenire il pericolo di vita dovuto alla sepsi. Gli aborti ritenuti tardivi possono essere completati mediante l’infusione EV di ossitocina diluita, che provoca le contrazioni uterine e l’espulsione del prodotto del concepimento. Dopo che l’utero si è contratto ed è stato espulso il feto, può essere necessaria una revisione della cavità uterina per rimuovere i frammenti di placenta. Attualmente si usa l’isterosuzione per le gravidanze fino alle 18 sett. Dopo questo periodo, vengono impiegati la dilatazione e l’evacuazione o i farmaci ossitocici. Problemi psicologici possono insorgere nelle donne che hanno avuto un aborto spontaneo in occasione della loro prima gravidanza o che hanno avuto un secondo o un terzo aborto spontaneo consecutivo. Un qualche disagio psicologico si ha probabilmente in tutte le pazienti che hanno avuto un aborto, sia esso spontaneo, terapeutico o elettivo. Di solito, un colloquio e una consulenza amichevoli possono essere d’aiuto nel rassicurare una coppia e nel ridurre le loro difficoltà. In molte città esistono dei gruppi di supporto attivi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 252-1. TERMINOLOGIA DELL‘ABORTO Tipo

Definizione

Precoce

Espulsione del feto prima delle 12 sett. di gravidanza

Tardivo

Espulsione del feto tra la 12ª e la 20ª sett. di gravidanza

Spontaneo

Espulsione del feto senza induzione e non strumentale

Indotto

Interruzione della gravidanza per ragioni mediche o elettive

Terapeutico

Interruzione della gravidanza per preservare la vita o la salute della madre o per la presenza di malformazioni fetali incompatibili con la vita

Minaccia di aborto

Qualunque sanguinamento o dolore crampiforme a carico dell’utero durante le prime 20 sett. di gravidanza

Inevitabile

Sanguinamento o rottura delle membrane associati a dolore e dilatazione della cervice

Incompleto

Espulsione di parte del prodotto del concepimento o rottura delle membrane

Completo

Espulsione di tutto il prodotto del concepimento

Abituale

Tre o più aborti spontanei consecutivi

Mancato

Ritardo prolungato nell’espulsione di un feto morto

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 252. ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA PLACENTA PREVIA Impianto della placenta al di sopra o in prossimità dell’orifizio uterino interno.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

La placenta può ricoprire l’orifizio uterino interno completamente (placenta previa totale) o parzialmente (placenta previa parziale) o lo può invadere (impianto basso o placenta previa marginale). La placenta previa si verifica in un parto ogni 200, in genere nelle pluripare, nelle pazienti che hanno avuto un parto cesareo o nelle pazienti con anomalie dell’utero (p. es., i fibromi) che ostacolano il normale impianto. L’ecografia iniziale durante la gravidanza può evidenziare un impianto basso della placenta o una placenta previa, ma nella maggior parte dei casi, la condizione si risolve appena l’utero aumenta di dimensioni.

Sintomi, segni e diagnosi Il sanguinamento vaginale, improvviso e indolore, inizia tardivamente nel corso della gravidanza, allorché il segmento inferiore dell’utero comincia ad allungarsi e ad assottigliarsi; può essere seguito da un sanguinamento massivo, indolore e rosso vivo. Spesso la placenta previa non può essere distinta dall’abruptio placentae (v. sopra) sulla base dei rilievi clinici. La distinzione è però necessaria perché la visita vaginale, indicata nell’abruptio placentae, è controindicata nella placenta previa totale o parziale, in cui causa un peggioramento dell’emorragia. L’ecografia rappresenta il modo migliore per distinguere le due patologie.

Terapia Se il sanguinamento è modesto e la gravidanza non è vicina al termine, è raccomandato il riposo a letto. L’eccitazione sessuale, i rapporti sessuali o l’orgasmo possono scatenare le contrazioni, così come il trauma della cervice, e devono quindi essere evitati. Se il sanguinamento cessa si può permettere alla paziente di camminare. La paziente può essere dimessa dall’ospedale se il sanguinamento non ricomincia e se può tornare rapidamente in ospedale. Il parto è indicato quando il sanguinamento è importante e incontrollato o quando è raggiunta la maturità fetale, di solito alla 34a sett. Una volta che si è deciso di espletare il parto, è quasi sempre indicato un parto cesareo. Se la paziente ha una placenta previa marginale o un impianto basso della placenta e se la testa del feto comprime effettivamente la placenta, viene preferito il parto vaginale. Si deve, comunque, avere a disposizione sangue da trasfondere, qualora ve ne sia la necessità.

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Anomalie della gravidanza

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO INDUZIONE O STIMOLAZIONE DEL TRAVAGLIO L’induzione elettiva (cioè non necessaria dal punto di vista medico) del travaglio è rara e si usa, in genere, solo nelle pazienti che abitano molto lontano dall’ospedale o che potrebbero avere difficoltà ad arrivarvi in tempo per il parto. Alcune di queste pazienti devono essere ricoverate quando sono prossime al termine della gravidanza. La definizione dell’epoca gestazionale deve essere accurata (v. Cap. 249) e può essere opportuno eseguire un’amniocentesi per valutare il rapporto lecitine/sfingomieline (L/S). Quando l’induzione del travaglio è indicata a causa di patologie mediche od ostetriche, queste devono essere sotto controllo; le motivazioni per l’induzione devono essere precise e vanno annotate. Il metodo più adeguato e sicuro per indurre il travaglio è la somministrazione di ossitocina diluita in infusione EV, utilizzando una pompa per ottenere un controllo più accurato. Il travaglio inizia, in genere, a un flusso di 0,5-2 mU/min; se le contrazioni non sono adeguate, la dose viene aumentata di 0,5-2 mU ogni 20-30 min. Non si deve superare o mantenere per > 30 min, la velocità di infusione di 40 mU/min, poiché oltre questo limite ci può essere il rischio di un’importante ritenzione idrica. Raramente é necessario superare le 10-12 mU/min. Il monitoraggio fetale esterno è essenziale. Il monitoraggio fetale interno deve essere istituito non appena sia possibile effettuare l’amniorexi con tranquillità. La stimolazione o il potenziamento del travaglio con ossitocina è indicato quando le contrazioni sono inadeguate; prima di procedere alla stimolazione, la diagnosi deve essere ragionevolmente accurata. Se la paziente si trova nella fase latente del travaglio (cioè ha un minimo appianamento del collo, una dilatazione minima e contrazioni irregolari) il riposo, la deambulazione o il sostegno psicologico sono preferibili all’uso dell’ossitocina. Dopo l’inizio del vero e proprio travaglio (una dilatazione di 4 cm con appianamento quasi completo del collo), la cervice deve dilatarsi > 1 cm/h. Se il travaglio non inizia, si dice che la paziente presenta una disfunzione ipotonica dell’utero. Il trattamento migliore è rappresentato dalla stimolazione con ossitocina diluita fino al raggiungimento di un normale quadro di contrazioni. Alcune pazienti presentano un travaglio disfunzionale ipertonico, in cui le contrazioni sono troppo forti, troppo ravvicinate l’una all’altra o entrambe le cose. Questa modalità di contrazione è difficilmente controllabile. La somministrazione di qualunque ossitocico deve essere immediatamente interrotta. Può essere di aiuto tranquillizzare la paziente e somministrare analgesici. Un agente tocolitico, come la ritodrina, può essere efficace.

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO ROTTURA PREMATURA DELLE MEMBRANE Rottura delle membrane ≥ 1 h prima dell’inizio del travaglio. Non si esegue più un parto d’urgenza rapido dopo la rottura prematura delle membrane (PROM), a causa del rischio di infezioni neonatali, a meno che la gravidanza non sia giunta a termine. Anche l’esame manuale della cervice non viene più eseguito, perché può causare un’infezione intrauterina (dovuta ai patogeni che risalgono dalla vagina). Piuttosto, viene eseguito l’esame con uno speculum sterile per verificare l’avvenuta rottura, valutare la dilatazione e raccogliere il liquido amniotico per eseguire gli studi sulla maturità fetale. La diagnosi di PROM è confermata quando si vede il liquido amniotico che fuoriesce dal collo dell’utero o quando si osserva la presenza della vernice caseosa o del meconio; altri test meno attendibili sono la determinazione del pH con una cartina alla Nitrazina (il liquido amniotico è alcalino e vira la cartina al blu) e la rilevazione al microscopio della microcristallizzazione a foglia di felce del liquido essiccato su un vetrino (ferning). Se il rapporto L/S o altri test eseguiti sul liquido amniotico indicano che i polmoni del feto non sono maturi e se la madre e il feto stanno bene, si deve tentare di rimandare il parto sino al raggiungimento della maturità. In alcune pazienti è efficace il riposo a letto; in altre è necessario somministrare il magnesio solfato. Se non si eseguono visite manuali e non si ripetono quelle con lo speculum, il rischio di infezione è minimo. La paziente deve essere mantenuta a riposo a letto e se ne devono controllare il polso e la temperatura almeno due volte al giorno. Il parto deve essere provocato se si sospetta un’infezione o se le osservazioni sul liquido amniotico indicano l’avvenuto raggiungimento della maturità fetale.

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO PROLASSO DEL CORDONE OMBELICALE Questa rara complicanza può essere occulta o manifesta. Il prolasso occulto si ha a membrane integre, quando il funicolo viene espulso davanti alla parte presentata o è intrappolato davanti a una spalla. La diagnosi si fa, in genere, sulla base di uno specifico quadro che si ottiene con il monitoraggio elettronico del feto. Modificare la posizione della paziente o sollevare il feto allevia la pressione sul funicolo. A volte è necessario ricorrere al taglio cesareo. Il prolasso manifesto si verifica a membrane rotte, quando il funicolo si dispone davanti alla parte presentata. Ciò si verifica più frequentemente in maniera spontanea con la presentazione podalica, ma si può verificare anche nelle presentazioni di vertice, in particolare quando si ha la rottura delle membrane e la parte presentata non è ancora impegnata. La causa può essere iatrogena ed è questa una delle ragioni per cui le membrane non vanno rotte fino a che la testa non è ben impegnata a livello della pelvi. Il trattamento consiste nell’espletare immediatamente il parto, di solito col taglio cesareo, per evitare un danno fetale. Un assistente o l’ostetrico deve mantenere la parte presentata lontano dal funicolo prolassato per prevenire un’ulteriore prolungata compressione del funicolo. Il funicolo deve essere tenuto nella vagina per prevenirne l’essiccamento.

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO EMBOLIA DI LIQUIDO AMNIOTICO L’embolia di liquido amniotico, un’evenienza estremamente rara, si può verificare in ogni epoca gestazionale, di solito in occasione di un travaglio laborioso e della rottura delle membrane, ma si può verificare anche durante un parto cesareo. Il liquido amniotico embolizza nel circolo polmonare e la paziente presenta un collasso, uno shock, una tachicardia, un’aritmia, un arresto cardiaco e, in genere, la morte. L’autopsia rivela la presenza di cellule squamose e capelli fetali nella circolazione polmonare. Se la paziente sopravvive, una frequente complicanza è rappresentata dall’insorgenza di una coagulazione intravascolare disseminata (v. Cap. 131).

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO GRAVIDANZA PROTRATTA E POST-MATURITÀ Gravidanza protratta: gravidanza che continua oltre le 42 sett. Post-maturità: una sindrome rara di insufficienza placentare e di rischio fetale che si verifica dopo le 42 sett. Poiché il calcolo della data presunta del parto è soggetto a errore, anche la diagnosi di gravidanza protratta è incerta. (La datazione della gravidanza è trattata nel Cap. 249.) Se i cicli mestruali della donna erano ≥ 35 gg, il parto può essere ritardato per definizione anche se, in realtà, il feto è a termine. I segni della post-maturità sono la riduzione del volume dell’utero e la riduzione dei movimenti fetali in una gravidanza che dati da > 42 sett. di gestazione. La post-maturità può essere confermata dal riscontro di un fluido di colore giallastro in corso di amniocentesi, secondario alla colorazione del liquido amniotico da parte del meconio. Spesso, comunque, la quantità del liquido amniotico è marcatamente diminuita nelle gravidanze post-termine e può essere difficile eseguire l’amniocentesi. La gravidanza protratta può essere trattata in maniera conservativa fin tanto che non si presentano i segni della post-maturità. Se la gravidanza prosegue oltre la 42a sett., si può eseguire uno "non stress test" con la valutazione del liquido amniotico o uno "stress test" con contrazioni per poter valutare le condizioni fetali. Alcuni medici raccomandano di iniziare il test alla 41a sett. e di includere un profilo biofisico (p. es., il volume del liquido amniotico, i movimenti fetali, lo stato respiratorio, i rumori cardiaci fetali). Se i risultati sono anormali, si deve indurre il parto. Se il collo non è maturo, si deve eseguire un taglio cesareo. I problemi associati alla nascita di un neonato post-maturo sono trattati nel Cap. 260.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE IL POSTMATURO Ogni bambino nato dopo le 42 sett. di gestazione.

Sommario: Eziologia e segni Complicanze

Eziologia e segni La causa di parto post-termine non è generalmente conosciuta. Molto raramente,, anomalie fetali dell’asse ipofisi-surrene (p. es., anencefalia o agenesia surrenalica) possono indurre la postmaturità. I bambini postmaturi sono vigili e appaiono maturi, ma hanno una diminuita quantità di tessuto molle, soprattutto grasso sottocutaneo, cosicché la pelle può apparire floscia sugli arti e spesso secca e desquamata. Le unghie delle dita di mani e piedi sono lunghe. Le unghie e il cordone ombelicale possono essere tinti di meconio, espulso nel liquido amniotico.

Complicanze Il problema principale è rappresentato dal fatto che, oltrepassato il termine, la placenta va incontro a involuzione e gli infarti multipli e la degenerazione dei villi inducono una sindrome da insufficienza placentare. Il feto riceve dalla madre inadeguate quantità di sostanze nutritive e ciò causa una riduzione del tessuto adiposo. I neonati postmaturi sono predisposti a sviluppare, durante il travaglio, asfissia secondaria all’insufficienza placentare (v. più avanti Asfissia e rianimazione); la sindrome da aspirazione di meconio (v. più avanti Patologia respiratoria) che può essere insolitamente grave poiché, oltrepassato il termine, la quantità di liquido amniotico è diminuita cosicché il meconio inalato è meno diluito; l’ipoglicemia neonatale dovuta alle insufficienti riserve di glicogeno presenti alla nascita. Poiché il metabolismo anaerobio consuma rapidamente le ultime riserve di glicogeno, l’ipoglicemia è aggravata dall’asfissia perinatale (v. più avanti Patologia metabolica nel neonato).

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO PRIMO E SECONDO STADIO DEL TRAVAGLIO Sommario: Introduzione PRESENTAZIONI ANOMALE DISTOCIA DI SPALLA PARTO CON IL FORCIPE TAGLIO CESAREO

La maggior parte dei problemi che si possono avere al momento del parto può e deve essere anticipata. La mancata diagnosi dei problemi potenziali al momento della prima osservazione mette in pericolo la madre e il feto. I segni di pericolo durante il 1o stadio del travaglio includono i sanguinamenti vaginali (v. Distacco prematuro della Placenta e Placenta previa nel Cap. 252) e una frequenza cardiaca fetale anormale. Gli altri problemi includono le presentazioni e le posizioni fetali anomale. Tutti questi problemi devono essere accuratamente diagnosticati all’inizio del 1o stadio del travaglio, affinché si possa iniziare un appropriato trattamento. L’evento principale nel 2o stadio del travaglio è la discesa della parte presentata nella pelvi. In genere, sia la dilatazione che la discesa della testa all’interno della pelvi devono procedere alla velocità di circa 1 cm/h; se ciò non accade, è verosimile che vi sia una sproporzione feto-pelvica. La sproporzione feto-pelvica richiede un parto con il forcipe, la ventosa o il taglio cesareo (v. oltre). Quando il tentativo di applicazione del forcipe dovesse rivelarsi troppo difficoltoso, l’ostetrico deve optare per il taglio cesareo. Se non vi è sproporzione tra il feto e la pelvi, ma il travaglio non procede normalmente con una valida progressione del bambino, si deve tentare con l’infusione di ossitocina EV (v. Induzione o stimolazione del travaglio sopra). Se anche l’ossitocina non ha successo, si deve procedere con il parto cesareo. Il battito cardiaco fetale deve essere monitorato; ogni alterazione significativa della frequenza cardiaca richiede l’immediato espletamento del parto con il forcipe o mediante taglio cesareo. A volte, per varie ragioni, un neonato nasce apnoico anche se non vi erano problemi prima del parto. In questo caso si devono attuare subito tutte le adeguate misure rianimatorie. Quindi, oltre all’ostetrico, devono essere presenti durante il parto delle persone esperte in rianimazione, che non debbano somministrare l’anestesia od occuparsi dei problemi della madre.

PRESENTAZIONI ANOMALE Quando l’occipite fetale è situato posteriormente nella pelvi (la presentazione anormale più comune) invece che anteriormente, il collo del feto è generalmente alquanto deflesso e un maggiore diametro della testa si confronta con la pelvi materna. Qualsiasi grado di sproporzione può prolungare il travaglio e rendere il file:///F|/sito/merck/sez18/2532214.html (1 of 4)02/09/2004 2.44.26

Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

parto difficoltoso. L’ostetrico deve valutare questo problema e decidere se eseguire un parto con il forcipe o con il taglio cesareo (v. oltre). Nella presentazione di faccia, la testa è iperestesa e si presenta di mento. Se il mento è posteriore e tale rimane, è impossibile espletare il parto per via vaginale. La presentazione di fronte raramente persiste, ma in questo caso è impossibile espletare il parto per via vaginale a termine. Nella presentazione podalica, la seconda anomalia più comune, la parte presentata è costituita dalle natiche invece che dalla testa. Ci sono diverse varietà di presentazioni podaliche: nella presentazione podalica "franca", le cosce del feto sono flesse, ma le ginocchia sono estese. Nella presentazione podalica completa, il feto sembra seduto con le cosce e le ginocchia flesse. Una presentazione di piede, singola o doppia, si verifica quando una o entrambe le gambe sono completamente estese e si presentano prima del podice. Il problema principale delle presentazioni podaliche è che la parte che si presenta non ha un peso che possa causare la dilatazione, rendendo il passaggio della testa difficile. Pertanto, una sproporzione fetopelvica può non manifestarsi fino a che il corpo non è stato espulso, mentre la testa non riesce a uscire. Come conseguenza, il bambino può risultare seriamente traumatizzato o addirittura morire. L’incidenza di morti perinatali dovute alla presentazione podalica è 4 volte maggiore rispetto a quella delle presentazioni cefaliche; in questo la prematurità e le anomalie congenite sono i fattori più importanti. L’incidenza dei danni nervosi, dovuti allo stiramento del plesso brachiale o a carico del midollo spinale e del cervello, causati dall’anossia, è maggiore nelle presentazioni podaliche. Quando il cordone ombelicale è visibile all’introitus, viene compresso tra la testa fetale e la parete pelvica per cui si ha un diminuito scambio di O2 che determina ipossia. Questi problemi sono maggiori nelle primigravide perché i tessuti pelvici non sono stati dilatati dalle gravidanze precedenti. Le complicanze possono essere prevenute soltanto diagnosticando e correggendo la presentazione podalica prima del parto (p. es., il feto può essere ruotato nella presentazione cefalica dall’esterno, prima del travaglio, abitualmente alla 37a-38a sett., o può essere programmato un parto cesareo). Molti ostetrici raccomandano il parto cesareo nella maggior parte delle presentazioni podaliche nelle primigravide e in tutte le presentazioni podaliche premature. Si possono avere anche altre presentazioni anomale. Occasionalmente il feto può presentare per prima una spalla con una posizione trasversa in cui il maggior asse è obliquo o perpendicolare piuttosto che parallelo all’asse maggiore materno. Questi feti, a parte i secondi gemelli, devono essere fatti nascere con un parto cesareo. La gravidanza gemellare si verifica in ogni 70-80 parti e può essere diagnosticata prima del parto con l’ecografia, con una radiografia o con la registrazione di due differenti tracciati in corso di ECG fetale. I gemelli si possono presentare in molti modi e le presentazioni anomale possono complicare il parto. La morbilità e la mortalità sono maggiori per il secondo gemello perché l’utero si può contrarre dopo la nascita del primo gemello, provocando il distacco della placenta del secondo gemello. I gemelli sono spesso piccoli e prematuri poiché un utero sovradisteso tende a entrare in travaglio prima del termine. In alcuni casi, l’utero sovradisteso non si contrae adeguatamente dopo il parto, causando un’emorragia materna. Il parto cesareo viene eseguito per le usuali indicazioni.

DISTOCIA DI SPALLA Evenienza non frequente in cui la spalla anteriore, nella presentazione di vertice, urta contro la sinfisi pubica. La testa, dopo il disimpegno, viene tirata indietro contro la vulva. Il neonato non è in grado di respirare poiché il torace è compresso dal canale vaginale e la bocca è tenuta chiusa dalla pressione esercitata contro la vulva, impedendo all’ostetrico di inserire qualsiasi tipo di tubo. L’ipossia si instaura nel giro di 4-5 minuti. Questa condizione è più frequente nei lattanti di peso normale o aumentato; l’unico elemento prognostico è la necessità di applicare il forcipe a metà del canale del

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

parto. Quando si verifica una distocia di spalla, dopo aver chiamato tutto il personale disponibile in sala parto, le cosce della madre vengono iperflesse per aumentare il diametro dello stretto inferiore della pelvi. Con una pressione sovrapubica si cerca di ruotare la spalla anteriore. Si deve evitare la pressione sul fondo perché può peggiorare la situazione o causare la rottura dell’utero. Se questa manovra fallisce, si deve infilare una mano nella parte posteriore della vagina ed esercitare una pressione sulla faccia anteriore o su quella posteriore della spalla posteriore, in modo da ruotare il bambino nella direzione più agevole. Con questa rotazione, la spalla anteriore deve liberarsi. Se neanche questo espediente dovesse riuscire, la spalla posteriore viene spinta in alto nella concavità sacrale, la mano dell’ostetrico afferra il gomito del feto e lo flette, e la mano fetale viene afferrata e tirata all’esterno per estrarre l’intero braccio. Il braccio viene quindi usato (come una manovella) per ruotare l’intero corpo del bambino e liberare la spalla anteriore. Quando tutte le manovre falliscono, la testa del bambino viene flessa e spinta all’indietro nella vagina; il bambino viene poi fatto partorire mediante un taglio cesareo.

PARTO CON IL FORCIPE Il parto con il forcipe è elettivo quando usato per facilitare il disimpegno o per ottenere un maggiore controllo della testa; è indicato quando esiste una sofferenza o una malposizione fetale o per abbreviare il 2o stadio del travaglio quando non sono presenti complicanze, ma si vuole abbreviare un parto vaginale troppo lungo. La progressione del 2o stadio si blocca, a volte, quando l’uso dell’anestesia epidurale impedisce alla paziente di spingere in modo conveniente. La decisione di applicare il forcipe deve essere presa dall’ostetrico, poiché il taglio cesareo può rappresentare un’alternativa migliore. Le controindicazioni all’applicazione del forcipe comprendono la sproporzione feto-pelvica, l’incompleta dilatazione della cervice, il mancato impegno, la presentazione e/o posizione indeterminate e un’insufficiente esperienza dell’operatore. Un’alternativa all’applicazione del forcipe è la ventosa ostetrica. Le complicanze più gravi che si possono verificare con l’uso del forcipe e della ventosa sono le lesioni alla madre e al feto. Soltanto una preparazione specialistica, la cautela e l’esperienza possono prevenire queste complicanze.

TAGLIO CESAREO Parto chirurgico attraverso un’incisione dell’utero. Il taglio cesareo deve essere eseguito ogni qualvolta lo si ritiene più sicuro per la madre o per il feto rispetto al parto per via vaginale. Circa il 15-20% dei parti è espletato mediante taglio cesareo, in base al centro e alla popolazione trattata. Molti centri stanno cercando di ridurre questa percentuale. La decisione e l’esecuzione dell’intervento richiedono un ostetrico esperto e l’anestesia e la rianimazione del neonato necessitano di un anestesista e di un neonatologo o di qualcuno che sia esperto in rianimazione neonatale. Questa procedura è sicura grazie all’uso delle attuali tecniche anestesiologiche, delle terapie EV, degli antibiotici, delle trasfusioni e della mobilizzazione precoce. Tuttavia, è meno sicura rispetto al parto vaginale, con percentuali di morbilità e mortalità di molto superiori. Per eseguire questo intervento si usano due tipi di incisione dell’utero: quella classica e quella sul segmento inferiore. L’incisione classica è eseguita longitudinalmente sulla parete anteriore, in direzione del fondo. È, in genere, riservata alle pazienti che presentano una placenta previa o una posizione fetale trasversa. La parete dell’utero è più vascolarizzata in questa zona, pertanto la file:///F|/sito/merck/sez18/2532214.html (3 of 4)02/09/2004 2.44.26

Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

perdita ematica è maggiore rispetto all’incisione del segmento inferiore, ma la cicatrice non è altrettanto importante nel corso delle gravidanze successive. L’incisione sul segmento inferiore viene eseguita trasversalmente o longitudinalmente nella porzione inferiore dell’utero, assottigliata e allungata, al di dietro della riflessione vescicale. L’incisione longitudinale si deve usare nella maggior parte delle presentazioni anomale e nel caso di feti eccessivamente grandi, per evitare l’estensione laterale di un’incisione trasversa fino alle arterie uterine che causa una maggiore perdita di sangue. Le incisioni trasversali sono più facili da ricoprire con un lembo di vescica, ma le incisioni longitudinali che si estendono fino al segmento superiore per 1-2 cm possono essere coperte altrettanto facilmente e non presentano maggiori rischi rispetto alle incisioni trasversali. La nascita per via vaginale dopo un parto cesareo ha una percentuale di successo che si avvicina al 75% e deve essere offerta a tutte le donne che hanno avuto un parto cesareo con un’incisione sul segmento inferiore. Il miglior trattamento per il taglio cesareo ripetuto consiste nel corretto trattamento del travaglio precedente.

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Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 253. ANOMALIE E COMPLICANZE DEL TRAVAGLIO E DEL PARTO TERZO STADIO DEL TRAVAGLIO Nel corso del terzo stadio del travaglio, quando viene espulsa la placenta, l’ostetrico deve prevenire le emorragie materne. In genere si perdono dai 400 ai 500 ml di sangue durante il parto; se la perdita è maggiore, se ne devono cercare le cause. Le possibili cause di sanguinamento comprendono: l’atonia uterina, le lacerazioni vaginali o cervicali o la ritenzione di frammenti di placenta. Se l’utero non si contrae si ha un’emorragia, dato che il principale meccanismo di emostasi è dato dalla contrazione del miometrio. L’esplorazione della cavità uterina e del canale del parto, per evidenziare lacerazioni o frammenti di placenta ritenuti, è presa in esame in gestione del travaglio fisiologico nel Cap. 249. Durante il terzo stadio del travaglio, la paziente deve essere controllata da un membro esperto dello staff, preferibilmente un anestesista; la PA, la frequenza cardiaca, la respirazione e il grado di coscienza devono essere monitorati. Quando la placenta cade nel segmento uterino inferiore e protrude dalla cervice, il corpo può essere spinto verso il basso per aiutare il passaggio della placenta in vagina. Tuttavia, se questa manovra non è attuata in maniera corretta, si può causare l’inversione uterina, specialmente se viene esercitata una trazione sul funicolo prima che la placenta sia completamente distaccata.

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Assistenza nel post-partum

Manuale Merck 18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA 254. ASSISTENZA NEL POST-PARTUM Sommario: Introduzione Trattamento in ospedale Trattamento domiciliare

Le manifestazioni cliniche del puerperio (il periodo di 6 sett. dopo il parto), che riflettono, generalmente, la regressione dei cambiamenti fisiologici avvenuti durante la gravidanza, sono modeste e temporanee e non devono essere confuse con condizioni più gravi. Nelle prime 24 ore, la frequenza del polso materno diminuisce sensibilmente e la temperatura corporea può essere leggermente aumentata. Dal momento che i GB aumentano durante il travaglio, nelle prime 24 h dopo il parto si ha una marcata leucocitosi (fino a 20000 µl). Dapprima, la perdita vaginale è francamente ematica (lochia rubra) per 3 o 4 giorni, ma poi cambia nell’arco di 10-12 gg in marrone chiaro (lochia serosa) e infine bianco-giallastra (lochia alba). Il volume totale è di circa 250 ml; per assorbirla si possono impiegare tamponi vaginali (cambiati di frequente) o assorbenti esterni. La diuresi è temporaneamente aumentata e le urine possono contenere proteine e zuccheri. La riduzione dei liquidi circolanti fa aumentare l’Htc e la VES per alcuni giorni. L’utero va incontro a una progressiva involuzione: dopo 5-7 gg è di consistenza compatta e non più dolorabile e si dispone a metà strada tra la sinfisi pubica e l’ombelico. Entro 2 sett. non è più palpabile dall’addome. Le contrazioni dell’utero in involuzione sono spesso dolorose e possono richiedere l’uso di analgesici.

Trattamento in ospedale Si deve ridurre al minimo il rischio di infezioni materne, emorragie e dolori. La madre deve essere osservata per un’ora dopo la fine del terzo stadio del travaglio e fare periodicamente un massaggio dell’utero per essere sicuri che l’utero si contragga e rimanga contratto per evitare un sanguinamento eccessivo. Se l’utero non rimane contratto con il solo massaggio, si somministra ossitocina, 10 U IM od ossitocina diluita in infusione EV (10 o 20 U/1000 ml di liquidi EV) a 125-200 ml/h per 1-2 h subito dopo l’espulsione della placenta. Se è stata utilizzata l’anestesia generale per un parto operativo, la madre viene monitorata (preferibilmente in una sala di risveglio o nella sala da travaglio, da parto, di risveglio o post-partum); devono essere disponibili l’O2, del sangue compatibile o di gruppo O Rh negativo e dei liquidi per infusione EV per 2-3 h dopo il parto. Dopo le prime 24 h, il decorso del post-partum è rapido. Si deve somministrare un vitto adeguato non appena la paziente ne faccia richiesta, talora anche a breve distanza dal parto. Si deve incoraggiare la paziente a camminare il più presto possibile. Si devono, inoltre, far iniziare esercizi di rinforzo della muscolatura addominale già dopo un giorno. Le flessioni del busto eseguite a letto con le anche e le ginocchia flesse fanno contrarre soltanto gli addominali e, di solito, non provocano dolori di schiena. La doccia è consigliata mentre le irrigazioni vaginali sono proibite durante il primo periodo del puerperio. Il dolore provocato da un’episiotomia può essere alleviato da semicupi caldi eseguiti varie volte al giorno; può essere necessario somministrare 30 mg di codeina e 650 mg di aspirina q 4 h (se la donna sta allattando, può essere usato l’acetominofene, in dosi di 650 mg). file:///F|/sito/merck/sez18/2542216.html (1 of 3)02/09/2004 2.44.28

Assistenza nel post-partum

La cura della vescica è importante. Si devono, se possibile, evitare la ritenzione urinaria, la sovradistensione della vescica e la cateterizzazione. Si può avere un aumento della diuresi quando si sospende la somministrazione di ossitocina. La donna deve essere incoraggiata a urinare e monitorata per prevenire una sovradistensione asintomatica della vescica. La paziente deve essere incoraggiata a evacuare prima di lasciare l’ospedale anche se, in caso di dimissione precoce, la paziente spesso va a casa prima che sia ripresa la normale motilità intestinale. In caso di stipsi possono essere necessari dei lassativi. Se dopo tre giorni non c’è stata l’evacuazione, è bene somministrare un blando catartico. La comparsa delle emorroidi può essere prevenuta mantenendo una buona funzione intestinale e, comunque, può essere trattata con semicupi caldi. L’anestesia regionale (spinale o epidurale) ritarda la deambulazione e può ritardare la minzione spontanea. Si deve eseguire un emocromo prima della dimissione, per verificare che la donna non sia anemica. Le donne sieronegative devono essere immunizzate contro la rosolia il giorno della dimissione. Se la madre è Rh negativa, non è sensibilizzata e ha un bambino Rh positivo, si devono somministrare 300 µg di immunoglobuline Rh0(D) entro 72 ore dal parto, per prevenire la sensibilizzazione; questo farmaco produce un elevato titolo di anti-Rh. Durante il primo periodo dell’allattamento, quando la quantità di latte comincia ad aumentare, si può verificare un ingorgo mammario che può essere doloroso. Il trattamento dell’ingorgo nella madre che allatta è descritto in Nutrizione del lattante nel Cap. 256). Se la madre non ha intenzione di allattare al seno, la lattazione può essere soppressa sostenendo la posizione del seno, poiché la gravità stimola il riflesso della discesa del latte e ne favorisce la fuoriuscita. Molte donne trovano che il bendaggio stretto dei seni, la restrizione dell’assunzione di liquidi per via orale e l’aspirina al bisogno, seguiti da un supporto stabile, sono efficaci, con sintomi che durano solo per 3-5 gg. La depressione post-partum ("baby blues") può comparire, in genere, entro 24 ore dal parto, ha una durata di solito limitata (36-48 ore) ed è molto comune. Se dura più di 72 h o è associata a scarso interesse per il bambino, a pensieri suicidi od omicidi, ad allucinazioni o psicosi, può essere necessario un trattamento specialistico. La psicosi vera è probabilmente l’esacerbazione di una preesistente malattia mentale, in risposta allo stress psichico e fisico della gravidanza e del parto; in questo caso c’è bisogno di una psicoterapia.

Trattamento domiciliare La madre e il neonato possono essere dimessi già 24 h dopo il parto; molte unità ostetriche dimettono le pazienti 6 ore dopo il parto, se non è stata usata anestesia generale e non si sono avute complicanze. Si possono prescrivere farmaci antidolorifici, a seconda della necessità, ma devono essere limitati nelle madri che allattano, dato che la maggior parte dei farmaci è secreta nel latte (v. anche Farmaci nelle madri che allattano nel Cap. 256). Le normali attività possono essere riprese non appena la paziente lo desidera. Raramente si hanno problemi gravi, ma in ogni caso è necessario che le pazienti vengano visitate a domicilio o che si esegua un accurato follow-up. È nell’interesse della donna prevenire nuove gravidanze per diversi mesi al fine di consentire una ripresa completa. La vaccinazione contro la rosolia impone di evitare nuove gravidanze nei successivi 3 mesi. Quindi, anche se i rapporti sessuali possono essere ripresi non appena lo si desidera e se non ci sono problemi, è necessaria la contraccezione perché è possibile andare incontro a una nuova gravidanza. I contraccettivi orali possono essere iniziati già alla dimissione. Il diaframma può essere applicato soltanto dopo la completa involuzione dell’utero, alla 6a-8a sett.; nel frattempo si possono usare gelatine e schiume anticoncezionali e il profilattico. Nelle donne che non allattano, la prima ovulazione si ha all’incirca 4 sett. dopo il parto, 2 sett. prima delle prime mestruazioni. Tuttavia, vi sono dati su concepimenti avvenuti già nella 2a sett. file:///F|/sito/merck/sez18/2542216.html (2 of 3)02/09/2004 2.44.28

Assistenza nel post-partum

post-partum e quindi l’ovulazione può avvenire prima. Le madri che allattano hanno l’ovulazione e le mestruazioni in genere dopo 10-12 sett. dal parto. A volte, una mamma che allatta ha l’ovulazione e le mestruazioni (e rimane gravida) come una che non allatta.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI LA NUTRIZIONE NEL LATTANTE Sommario: Introduzione Fabbisogni alimentari ALLATTAMENTO AL SENO ALLATTAMENTO ARTIFICIALE INIZIO DELL’ALIMENTAZIONE CON CIBI SOLIDI E DIVEZZAMENTO

La malnutrizione è poco frequente negli USA, a meno che non sia associata a disturbi che alterino l’introduzione degli alimenti, il loro assorbimento o metabolismo; quindi, le opinioni sulla nutrizione spesso non sono fondate su dati oggettivi. Dal momento che lo stomaco non è in grado di fare discriminazioni, quasi ogni tipo di dieta può soddisfare il bambino, ma non è detto che quella particolare formula sia ottimale per lo sviluppo e l’accrescimento. Per il lattante, il bere e il mangiare sono esperienze intense, rappresentano gran parte della sua socializzazione e sono parte integrante dei suoi progressi nello sviluppo. Pertanto, l’alimentazione provoca benefici emozionali e psicologici, cosicché è opportuno soddisfare sia il bisogno di succhiare che quello nutrizionale. I problemi causati dalla mancata soddisfazione di questi bisogni vengono trattati più avanti in Patologia gastrointestinale e comuni errori alimentari. Il neonato normale presenta dei vivaci riflessi di suzione e dei punti cardinali e può essere alimentato per via orale immediatamente dopo la nascita. Di solito l’alimentazione non deve essere ritardata per più di 4 h. L’emissione dalla bocca e il rigurgito di muco sono comuni il primo giorno di vita, ma devono scomparire spontaneamente. Se persiste un rigurgito eccessivo, lo stomaco può essere svuotato mediante una leggera aspirazione attraverso un sondino per alimentazione numero 5 o numero 8 French e mediante lavaggio con SG 5%, finché il muco non viene eliminato. Questa procedura risolve la maggior parte di tali problemi, rendendo non necessarie variazioni nell’alimentazione. Se il muco persiste, è necessaria una completa valutazione del tratto GI e respiratorio superiori.

Fabbisogni alimentari Rispetto all’adulto, i fabbisogni nutrizionali giornalieri sono più importanti nel bambino (v. Tab. 1-3, 1-4 e 256-8) Il tasso di crescita diminuisce rapidamente durante il primo anno di vita e, in seguito, diminuisce più gradualmente fino all’inizio dello scatto di crescita adolescenziale. Il picco della velocità di crescita in altezza viene raggiunto a 12,1 ± 0,9 anni di età nelle ragazze e a 14,1 ± 0,9 anni di età nei ragazzi. I relativi fabbisogni di proteine ed energia (grammi o kcal/kg di peso corporeo) si riducono progressivamente dalla fine dell’infanzia durante l’adolescenza (v. Tab. 256-9).

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Viceversa, a causa dell’incremento ponderale, i fabbisogni assoluti aumentano con l’età. La quantità di proteine prevista dal Food and Nutrition Board diminuisce da 1,2 g/kg/die a 1 anno fino a 0,9 g/kg/die a 18 anni. Il fabbisogno relativo medio di energia diminuisce da 100 kcal/kg a 1 anno fino a 40 kcal/kg nella tarda adolescenza. Il fabbisogno vitaminico dipende dall’apporto di calorie, proteine, grassi, carboidrati e aminoacidi.

ALLATTAMENTO AL SENO (V. anche più avanti Farmaci e allattamento materno.) Il latte umano, fra tutti i latti dei mammiferi, ha il più alto contenuto di lattoso fornendo energia rapidamente utilizzabile e compatibile con il corredo enzimatico neonatale; ha un grande quantitativo di vitamina E che può essere di aiuto nella prevenzione dell’anemia, incrementando la durata di vita degli eritrociti ed è un importante fattore antiossidante. Il latte umano presenta un rapporto calcio/ fosforo di 2:1, che previene la tetania da deficit di calcio (tale rapporto nel latte vaccino è quasi invertito). Il latte materno favorisce la modificazione del pH fecale e della flora batterica intestinale, proteggendo così il bambino da enteriti batteriche; esso inoltre (soprattutto il colostro) trasferisce anche anticorpi dalla madre al bambino. Infatti tutte le malattie infettive sono meno frequenti nel lattante allattato al seno rispetto a quello allattato artificialmente. Un obiettivo da perseguire secondo alcuni esperti di salute, è che il 75% delle donne lasci l’ospedale allattando al seno e almeno il 50% stia ancora allattando al seno i propri bambini a 6 mesi di vita. Se la dieta materna è adeguata, non è necessario un supplemento dietetico nel bambino allattato al seno, eccetto nei paesi poco soleggiati, dove nei lattanti, specialmente di pelle più scura, è consigliabile somministrare, soprattutto in inverno, 400 U di vitamina D al giorno. L’American Academy of Pediatrics (AAP) non raccomanda più la supplementazione con fluoro, tranne nel caso in cui l’acqua della zona ne fosse carente. Quasi tutte le madri possono produrre un buon latte anche se la loro dieta non è perfetta. Il latte umano, a prescindere dalla dieta materna, contiene acidi grassi omega-3, colesterolo e taurina, che sono importanti per un buon accrescimento cerebrale. La dieta materna deve essere ben bilanciata e la madre deve evitare alimenti che possono causare coliche, come aglio, cipolle, legumi, cavolo, cioccolata ed eccessive quantità di frutta esotica o di stagione (melone, rabarbaro, pesche), a meno che non venga testata la toleranza del bambino. L’affaticamento materno e lo stress emotivo, più di ogni altra cosa, causano insoddisfazione nel bamibno allattato al seno. Durante l’allattamento al seno l’apporto alimentare materno deve aumentare; necessitano 600 kcal in più, di queste 20 g devono essere proteine; vanno anche addizionati 400 mg di Ca (i derivati del latte ne rappresentano una ottima fonte). Se questi non vengono tollerati, bisogna abbondare in noci e verdure fresche oppure bisogna assicurare l’apporto di Ca mediante somministrazione di capsule di Ca gluconato. Con una dieta ben bilanciata (contenente vitamina C e proteina animale per la B6 e la B12), la supplementazione vitaminica non è necessaria. La dieta media statunitense contiene basse quantità di B6, e la dieta vegetariana inoltre può contenere basse quantità di B12. Può essere somministrato un supplemento vitaminico giornaliero pari a quello precedente la nascita, ma non è solitamente necessario. Il medico deve parlare con la madre di allattamento al seno prima della nascita, presentando i numerosi benefici di cui gode il bambino allattato al seno (benefici nutrizionali e psicologici e la protezione nei confronti di infezioni, allergie e altre malattie croniche). Il beneficio di cui gode la madre comprende una ridotta fertilità, un più rapido ritorno alla normale condizione antecedente il parto e un ridotto rischio di obesità, osteoporosi e di tumore al seno.

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Le tecniche di allattamento al seno devono diventare familiari alla madre prima del parto. I medici che parlano con le madri che allattano al seno devono conoscere bene la letteratura riguardo a questo argomento, prima di raccomandare qualsiasi lettura alle loro pazienti. Il medico deve spiegare alle madri la fisiologia della lattazione. Spesso è di aiuto il fatto che la madre parli con una donna che ha già allattato con successo e ne osservi le modalità. La preparazione del capezzolo non è necessaria prima del parto e la spremitura manuale del seno pre-partum, che può provocare mastite o un parto prematuro, non è consigliabile. Un lubrificante viene secreto dalle ghiandole di Montgomery per proteggere la superficie dell’areola e del capezzolo; questo lubrificante non deve essere asportato con l’asciugamano o durante gli esercizi sul capezzolo. Se nella madre è stata effettuata una leggera medicazione e se essa ha eseguito un parto normale e il bambino è sveglio e attivo, l’allattamento al seno può iniziare immediatamente, e durare pochi minuti, finché il neonato non è sazio. Il neonato riceverà un piccolo quantitativo di colostro, liquido giallo pallido altamente calorico e ad alto contenuto di proteine, presente nella mammella prima della nascita e nei primissimi giorni di vita, che contiene anticorpi, linfociti, macrofagi e sostanze nutritive e che protegge dalle infezioni. Il colostro stimola anche il transito del meconio. Il neonato che sia stato o no allattato in sala parto, può essere riportato alla madre entro le prime 4 h di vita. La madre deve assumere una posizione confortevole, rilassata, p. es. sdraiandosi in posizione semisupina e ruotando da un lato all’altro per offrire ciascun seno. Il neonato deve essere posto di fronte alla madre, in modo tale che le loro superfici ventrali vengano a contatto. La madre deve sostenere il proprio seno con il pollice e l’indice sopra il capezzolo e le altre dita al di sotto, per garantire che sia ben centrato nella bocca del neonato, rendendo minimo ogni dolore. Il centro del labbro inferiore del neonato deve essere stimolato dal capezzolo, cosicché egli lo cercherà e la bocca sarà bene aperta e prenderà il capezzolo e la areola. La lingua del neonato comprime il capezzolo contro il palato duro. La suzione deve essere interrotta prima di staccare il bambino dalla mammella. L’allattamento deve essere iniziato da destra e da sinistra alternativamente. Inizialmente, ci vogliono almeno 2 minuti perché si instauri il riflesso di rilascio del latte (v. Fig. 256-6). Deve essere inizialmente evitata un’eccessiva alimentazione. Le ragadi sono di solito dovute a un’errata posizione e sono più facili da prevenire che da curare. Tuttavia, la produzione di latte è dipendente da un adeguato tempo di suzione. I tempi di allattamento vengono progressivamente aumentati fino a che il latte "maturo" non sostituisce il colostro. Sono necessari almeno 10 minuti perché dal primo seno defluisca il latte ricco di grassi. Il bambino deve continuare l’allattamento finché non è pronto a fare il ruttino. Se il bambino ha ancora fame, può essere offerto il secondo seno. Nelle primipare, la lattazione si stabilisce completamente fra le 72 e le 96 h; molto prima nelle multipare. Se la madre è affaticata la prima o la seconda notte in ospedale, i 2 pasti mattutini possono essere sostituiti con un supplemento di acqua finché non si ha la montata lattea, ma mai con più di 6 h di intervallo tra una poppata e l’altra nei primissimi giorni. I pasti devono essere somministrati a domanda, piuttosto che a orario e la loro durata dipende dall’esigenza del neonato. Nella maggior parte delle donne, un totale di 90 min/ die di allattamento al seno è il minimo per la produzione di latte in quantità sufficiente. I neonati dimessi entro 48 ore, soprattutto quelli allattati al seno, devono essere visitati dal medico entro 7 giorni per valutare i progressi, in particolare se la madre è primipara. Lunghi periodi di sonno negli intervalli tra le poppate possono essere segno di un buon apporto di latte, ma anche di un inadeguato apporto nutritivo e di fame. Un neonato normale bagna dai 6 agli 8 o più pannolini al giorno, evacua giornalmente almeno 3 volte, ha un pianto vigoroso, un buon turgore cutaneo e un valido riflesso di suzione. L’incremento ponderale conferma la adeguata alimentazione. In 7 giorni, il peso si stabilizza, e in 10-14 giorni deve raggiungere il valore della nascita. L’incremento ponderale deve essere di 30 g/ die nei primi mesi. Il peso della nascita deve raddoppiarsi entro i 4 mesi. L’ingorgo mammario, che si presenta durante le prime fasi della lattazione e può durare 24-48 h, può essere ridotto al minimo mediante l’allattamento precoce e frequente. Un reggiseno confortevole, specifico per l’allattamento, indossato 24 h/ die come supporto può evitare l’ingorgo mammario; bisogna evitare reggiseni di file:///F|/sito/merck/sez19/2562254.html (3 of 6)02/09/2004 2.44.29

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plastica. La spremitura manuale del latte, insieme a impacchi di acqua calda possono essere di beneficio. La madre può dover utilizzare impacchi caldi e spremere il latte manualmente subito prima di attaccare il bambino per permettergli di afferrare con la bocca l’areola rigonfia. L’eccessiva spremitura di latte negli intervalli tra le poppate favorisce l’ingorgo continuo e deve essere effettuata solamente per alleviare il fastidio. In caso di ragadi la posizione del bambino deve essere mantenuta come sopra consigliato. Talvolta il neonato porta all’interno il proprio labbro inferiore e lo succhia; ciò può irritare il capezzolo. La madre con il proprio pollice può sollevargli il labbro esterno. Nell’intervallo tra i pasti la madre può utilizzare, per 5 min, un asciugacapelli al minimo per far asciugare i proprio capezzoli, lasciandovi seccare il latte. Dopo l’allattamento, garze fresche ridurranno l’ingorgo e porteranno ulteriore sollievo. Generalmente, a casa, lo schema migliore è quello a libitum, che consente al bambino di dormire il più a lungo possibile durante la notte. I lattanti non devono essere alimentati con una frequenza superiore a 2 h. Alcuni bambini, d’altra parte, presentano periodi regolari giornalieri di agitazione e possono avere bisogno di essere attaccati più frequentemente. I bambini allattati al seno non necessitano di aggiunte di acqua. L’AAP raccomanda un allattamento al seno esclusivo per 6 mesi, continuando l’allattamento al seno insieme a cibi solidi per 1 anno e, in seguito, per quanto tempo si desidera (v. più avanti Inizio della somministrazione di cibi solidi e divezzamento,).

ALLATTAMENTO ARTIFICIALE Quando un bambino deve essere alimentato con latte artificiale, il primo alimento offerto deve essere una formula per lattanti di corretto potere calorico, in accordo con le istruzioni del pediatra. Una poppata di prova con acqua o SG 5% non è solitamente necessaria, a meno che la capacità di suzione e deglutizione del bambino non sia in dubbio, p. es., come indicato da un’eccessiva quantità di muco rigurgitato. Se questo pasto non viene rigurgitato, si deve continuare a somministrare al bambino il latte artificiale, a ogni pasto successivo. I bambini allattati artificialmente vengono alimentati a libitum e tendono a svegliarsi ogni 34 ore per mangiare. La quantità consumata nella prima poppata arriva fino a 15 ml. La quantità offerta nelle successive 48 ore viene gradualmente aumentata fino a circa 60-75 ml per poppata. I latti artificiali preconfezionati sono disponibili negli ospedali (negli USA, ndt) in contenitori sterili di 115 g che assicurano 0,7 kcal/g (potere calorico intero) e un adeguato apporto vitaminico per il neonato normale. Il neonato a termine può tollerare, appena nato, 0,7 cal/g. La madre non deve super-alimentare il bambino, semplicemente per il fatto che sono presenti nel biberon circa 110 g di latte artificiale. Le poppate devono aumentare gradualmente durante la prima settimana di vita, approssimativamente da 30 a 60 g fino a 90 o 120 g per 6 volte/ die, fornendo così circa 120 kcal/kg a 1 sett. di vita. Bisogna dare al bambino un po’ di acqua fra i pasti, specialmente durante la stagione calda o in ambienti caldi e secchi. Se il bambino mangia in eccesso rispetto all’apporto calcolato di latte, deve essere offerta acqua, per evitare la sovralimentazione. Il neonato deve ricevere almeno 65 ml di liquidi/kg durante le prime 24 h, 75 ml/kg in seconda giornata e fino a 100 ml/kg in terza giornata. Ai bambini che assumono quantità minori bisogna somministrare EV glucoso al 5% in NaCl allo 0,25%, a goccia lenta, per colmare il deficit. Bisogna eventualmente ricercare le cause di una scarsa alimentazione. Nel momento in cui viene dimesso dall’ospedale, il neonato è abituato all’allattamento mediante biberon e solitamente mangia circa 60-90 g, approssimativamente ogni 3-4 ore. L’assunzione totale giornaliera è di 120-150 g/ kg di peso corporeo. Uno schema a libitum è in genere adeguato per la maggior parte dei bambini. Se è necessario un quantitativo di liquidi maggiore, può essere sufficiente somministrare acqua, specialmente nella stagione calda. Un lattante deve essere tenuto in braccio semidiritto a ogni poppata; il biberon non deve mai essere sostenuto da guanciali o similari. Questa tecnica fornisce una protezione file:///F|/sito/merck/sez19/2562254.html (4 of 6)02/09/2004 2.44.29

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nei confronti della tuba di Eustachio e permette anche un buon contatto visivo e la socializzazione durante l’allattamento. Le formule per l’infanzia, disponibili in commercio come polvere, liquido concentrato e liquido prediluito, hanno reso un evento raro la preparazione a casa dei latti artificiali. Esse sono tutte da preferire al latte vaccino intero. L’AAP raccomanda che il latte vaccino intero non venga utilizzato nel primo anno di vita. Affinché la formula standard fornisca 20 kcal/30 g è necessario un cucchiaino di polvere per ogni 60 g di acqua, 30 g di liquido concentrato ogni 30 g di acqua e nessuna modificazione nei latti liquidi prediluiti. Devono essere messe per iscritto dal medico le istruzioni per formule speciali. Ogni prodotto contiene il fabbisogno minimo giornaliero di vitamine e alcuni prodotti contengono un quantitativo di Fe di 8,8-10,6 mg/l, che rappresenta una dose di mantenimento. L’AAP raccomanda che tutti i bambini allattati artificialmente ricevano una formula contenente ferro. Un bambino allattato artificialmente, che non riceve latte addizionato con ferro, può richiedere un apporto supplementare di questo elemento sotto forma di gocce di solfato ferroso alla dose di 15 mg/die, per il mantenimento, poiché nei bambini non allattati al seno i depositi neonatali cominciano a esaurirsi verso l’età di 4 mesi e 1/2 di vita. Sono disponibili anche latti speciali ipoallergenici o privi di carboidrati, come le formule semialimentari con trigliceridi, aminoacidi e monosaccaridi. Queste formule possono presentare un diverso contenuto di vitamine e un diverso metodo di preparazione. Se non si vuole ricorrere a specialità farmaceutiche, la formula più affidabile, di semplice preparazione, nonché di impiego versatile, si ottiene aggiungendo a 390 g di latte evaporato 1-3 cucchiai da tavola di zucchero (per fornire calorie in più) e 540 g di acqua. Il latte così ottenuto fornisce circa 20-21 kcal/30 g in relazione al quantitativo di zucchero addizionato. Si ricorda che ogni bambino deve ricevere un apporto calorico quotidiano di 110-120 kcal/kg e idrico di 130-160 ml/kg. Sebbene non raccomandati dall’AAP, quando si usa un latte evaporato, scremato o intero, il lattante deve ricevere anche un supplemento giornaliero di vitamina A, C e D per tutto il primo anno di vita e nell’inverno del secondo anno, nei climi freddi. Nella preparazione del latte può essere utilizzata l’acqua fluorurata; oppure possono essere somministrati sali di fluoro in gocce (0,25 mg/die PO) quando l’acqua non è fluorurata o quando i latti prediluiti non contengono fluoro.

INIZIO DELL’ALIMENTAZIONE CON CIBI SOLIDI E DIVEZZAMENTO Il momento in cui iniziare la somministrazione di cibi solidi dipende dai bisogni del bambino e dalla sua maturità, generalmente non prima dei 6 mesi di vita. Lo sviluppo neurologico adeguato per il movimento della lingua e della bocca, in caso di alimentazione con cibi solidi, viene raggiunto dal neonato a termine a 4 mesi circa. Il lattante può inghiottire cibi solidi prima di questa età, se l’alimento viene posto sulla parte posteriore della lingua, ma il rifiuto è un comportamento comune. Alcuni genitori fanno assumere al bambino cibi solidi nel tentativo di prolungare il sonno durante la notte; ma non esiste alcuna dimostrazione scientifica a sostegno di questa pratica. Alcuni lattanti che sono stati alimentati in modo forzato si ribellano molto presto e presenteranno in seguito problemi alimentari. Non esiste un’esigenza nutrizionale di cibi solidi in bambini al di sotto dei 6 mesi di vita, soprattutto in quelli allattati al seno. Lo svezzamento di un lattante allattato al seno dipende dalle necessità sia della madre che del lattante. L’allattamento esclusivo fino a 6 mesi, cioè fino all’introduzione dei cibi solidi nella dieta, è considerato da molti ideale. Nel momento in cui si decide di iniziare lo svezzamento, esso sarà più facile se effettuato gradualmente in un periodo di settimane o mesi. All’età di circa 7 mesi, un pasto di latte materno al giorno deve essere sostituito da un biberon o una tazza di succo di frutta o di latte artificiale. L’alimentazione in tazza potrà avvenire in modo completo a 10 mesi; alcuni bambini continuano a prendere 1-2 poppate di latte materno al giorno fino all’età di 18-24 mesi. Alcuni vengono allattati anche per periodi più lunghi, ma devono ricevere anche un’alimentazione completa con cibi solidi e liquidi. A molti bambini vengono offerti cibi solidi dopo l’allattamento con il biberon, il che soddisfa il loro bisogno di succhiare ma non è in grado di saziarli a lungo. I cibi file:///F|/sito/merck/sez19/2562254.html (5 of 6)02/09/2004 2.44.29

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solidi devono essere somministrati con il cucchiaio e introdotti singolarmente per valutarne la tolleranza. Molti prodotti commerciali, soprattutto le pappe pronte, sono ricchi di amido, che non contiene vitamine o sali minerali, ha un alto potere calorico e contiene molta cellulosa, che viene scarsamente digerita dal bambino. Alcuni prodotti hanno un elevato contenuto di sodio (oltre 200 mg/vasetto) e devono essere evitati. (Il fabbisogno giornaliero di Na nel lattante è di 17,6 mg/ kg). I passati preparati a casa con alimenti genuini sono adeguati. La carne deve essere introdotta al posto di cibi ricchi in carboidrati, ma poiché molti bambini tendono a rifiutare la carne, questa deve essere introdotta con precauzione e attenzione. Farina, uova e cioccolata devono essere evitati prima dell’anno di vita per prevenire forme di allergia alimentare.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 256-8. MEDIA DEI FABBISOGNI DI ACQUA NEI BAMBINI ALLE DIFFERENTI ETÀ IN CONDIZIONI NORMALI Età

Media peso Acqua totale in corporeo (kg) 24 h (ml)

Acqua/kg peso corporeo in 24 h (ml)

3 gg

3,0

250-300

80-100

10 gg

3,2

400-500

125-150

3 mesi

5,4

750-850

140-160

6 mesi

7,3

950-1100

130-155

9 mesi

8,6

1100-1250

125-145

1 anno

9,5

1150-1300

120-135

2 anni

11,8

1350-1500

115-125

4 anni

16,2

1600-1800

100-110

6 anni

20,0

1800-2000

90-100

10 anni

28,7

2000-2500

70-85

14 anni

45,0

2200-2700

50-60

18 anni

54,0

2200-2700

40-50

Da Barness LA: "Nutrition and nutritional disorders," in Nelson Textbook of Pediatrics, ed 13, edited by RE Behr man, VC Vaughan III e WE Nelson (Senior Editor). Phila delphia, WB Saunders Company, 1987, p 115. Riproduzione autorizzata.

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TABELLA 256-9. FABBISOGNI CALORICI ALLE DIVERSE ETÀ* Età

Fabbisogno Kcal/kg/die

Kcal/kg/die

12 mg/dl (> 205 µmol/l) nel neonato a termine (è ancora più rilevante a livelli più bassi in un neonato prematuro e in altre circostanze, v. Iperbilirubinemia in Patologia metabolica nel neonato nel Cap. 260). Minzione: le prime urine emesse sono concentrate e spesso contengono urati, che colorano il pannolino di rosa. La mancata minzione entro le prime 24 h di vita deve trovare una spiegazione precisa. La ritardata minzione è più comune nei maschi e può essere dovuta a un prepuzio stretto o a edema e tumefazione del pene, in bambini circoncisi da poco tempo. Defecazione: ogni bambino deve emettere il meconio entro le prime 24 h di vita, sebbene in un neonato, tinto di meconio alla nascita, la defecazione possa essere ritardata. Una ritardata defecazione è più comunemente il risultato di un tappo di meconio ispessito (v. in Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261).

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO IPERBILIRUBINEMIA Concentrazione sierica di bilirubina > 10 mg/dl nei neonati pretermine o > 15 mg/ dl nei neonati a termine. (V. anche Cap. 38)

Sommario: Introduzione Epidemiologia, eziologia e fisiopatologia Diagnosi e complicanze Profilassi Terapia

L’iperbilirubinemia può essere fisiologica o legata a uno specifico disordine sottostante. Deve sempre essere ricercata una causa specifica di iperbilirubinemia neonatale, p. es., sepsi o atresia biliare extraepatica, perché queste richiederanno uno specifico trattamento.

Epidemiologia, eziologia e fisiopatologia Nel 50% dei neonati a termine e in un’alta percentuale di neonati prematuri l’iperbilirubinemia fisiologica sufficiente a determinare un ittero lieve, compare dopo le 24 h di vita. L’esatta eziologia dell’iperbilirubinemia fisiologica non è conosciuta; la ridotta captazione della bilirubina da parte dell’epatocita, la ridotta coniugazione con l’acido glicuronico, la ridotta escrezione con la bile, come anche il circolo enteroepatico della bilirubina, sono tutti fattori implicati (v. anche Escrezione della bilirubina in Fisiologia perinatale nel Cap.256). Il ritardo nell’iniziare l’alimentazione e le condizioni che impediscono l’alimentazione enterale (p. es., atresia intestinale) sono spesso accompagnati da una iperbilirubinemia non coniugata, perché la β- glucuronidasi presente nel apparato GI del neonato attua una deconiugazione della bilirubina- diglicuronide, determinando il circolo enteroepatico della bilirubina quando il tempo di transito GI è prolungato. L’iperbilirubinemia neonatale può risultare da un’aumentata produzione di bilirubina (p. es., per aumentata concentrazione di Hb da ipertrasfusione, malattia emolitica, ematomi), una ridotta escrezione (p. es., ridotta attività di glicuroniltransferasi nel neonato prematuro, epatite, atresia biliare) o da entrambe. Perciò, la comparsa di ittero può essere la spia di vari disturbi. L’iperbilirubinemia neonatale è generalmente di tipo non coniugato e l’eccessivo accumulo di bilirubina non coniugata può portare al kernittero. L’iperbilirubinemia coniugata (iperbilirubinemia diretta) può occasionalmente verificarsi a causa della colestasi che complica l’alimentazione parenterale. Un elenco completo delle file:///F|/sito/merck/sez19/2602310.html (1 of 3)02/09/2004 2.45.11

Patologia del neonato e del lattante

cause di iperbilirubinemia è dato nella Tab. 260-3. Le patologie ostruttive si presentano con una iperbilirubinemia coniugata, ma la sepsi neonatale e l’eritroblastosi fetale grave possono presentarsi anch’esse con una iperbilirubinemia coniugata. L’ittero da latte materno è una forma di iperbilirubinemia non coniugata neonatale i cui meccanismi non sono stati compresi. A volte, in un neonato a termine allattato al seno, si presenta durante la prima settimana un innalzamento progressivo della bilirubina non coniugata; questo tende a ripresentarsi anche nelle gravidanze successive.

Diagnosi e complicanze In ogni neonato un ittero che compare in prima giornata e un livello di bilirubinemia > 10 mg/dl (> 170 µmol/l) nel neonato prematuro o > 15 mg/ dl (>256 µmol/l) nel neonato a termine giustificano esami più approfonditi. L’ittero diventa visibile quando la bilirubinemia è circa 4-5 mg/dl (68-86 µmol/l). Con l’aumentare della bilirubinemia l’ittero cutaneo progredisce in senso craniocaudale. Oltre a un’accurata anamnesi e un esame obiettivo, la valutazione include il test di Coombs diretto, la determinazione dell’Htc, lo striscio di sangue, la conta dei reticolociti, la determinazione della bilirubinemia totale e diretta e la determinazione del gruppo sanguigno del bambino e della madre. L’anamnesi, l’esame obiettivo o i primi esami di laboratorio possono indurre a eseguire altri accertamenti, come: emocoltura, urinocoltura e liquorcoltura e la determinazione dei livelli enzimatici dei GR. L’ittero da latte materno è diagnosticato per esclusione. Perciò, è importante per il medico valutare nel neonato altre possibili cause di iperbilirubinemia che possono necessitare di terapie specifiche (v. anche sopra Il prematuro). L’accumulo eccessivo di bilirubina a prescindere dalle sue cause, può determinare il kernittero (v. più avanti), soprattutto nei prematuri o nei neonati malati.

Profilassi L’alimentazione precoce e frequente riduce l’incidenza e la gravità dell’iperbilirubinemia, aumentando la motilità del tratto GI e la frequenza delle evacuazioni, riducendo quindi il circolo enteroepatico della bilirubina. Il tipo di alimentazione non sembra importante nell’aumentare l’escrezione della bilirubina.

Terapia L’ittero fisiologico solitamente non è clinicamente significativo e si risolve entro 1 sett. Nell’ittero da latte materno, se la bilirubina continua ad aumentare fino a 1718 mg/dl, può essere corretto sostituire temporaneamente il latte materno con un latte artificiale; può essere indicata la fototerapia (v. sopra). Sospendere il latte materno è necessario solamente per 1 o 2 giorni e la madre deve essere incoraggiata a usare regolarmente il "tiralatte" in modo da rioffrire il suo latte al bambino, appena la bilirubinemia inizia a ridursi. Essa deve inoltre essere rassicurata dal fatto che l’iperbilirubinemia non ha causato alcun danno e che potrà tornare, senza correre rischi, all’allattamento materno. Fototerapia: la fototerapia si è dimostrata finora sicura ed efficace nel file:///F|/sito/merck/sez19/2602310.html (2 of 3)02/09/2004 2.45.11

Patologia del neonato e del lattante

trattamento dell’iperbilirubinemia e ha ridotto di molto la necessità di exsanguinotrasfusione (v. più avanti). L’effetto maggiore viene ottenuto esponendo il neonato a una luce visibile nell’intervallo del blu. Tuttavia, la luce blu non permette di evidenziare la cianosi e così spesso si preferisce in fototerapia l’uso di luce bianca ad ampio spettro. Poiché l’esposizione alla luce fredda può indurre molti effetti biologici, la fototerapia deve essere usata solo quando viene specificamente indicata. La fototerapia induce, a livello della cute e del sottocutaneo, la formazione di fotoisomeri dalla bilirubina; questi sono maggiormente idrosolubili e possono essere rapidamente escreti dal fegato senza glicuronoconiugazione. La fototerapia è controindicata in caso di ostruzione delle vie biliari o ostruzione intestinale, poiché non possono essere escreti i fotoisomeri. A volte si può avere una colorazione bronzina del siero e della cute (sindrome del bambino bronzino), ma non si sa se tale manifestazione sia dannosa per il neonato. La fototerapia può aver inizio quando la bilirubina sierica raggiunge valori vicini di 3 o 4 mg/dl (circa 55-65 µmol/l) a quelli in cui deve essere praticata un’exsanguinotrasfusione (v. più avanti). Deve essere posta tra la lampada della fototerapia e il neonato una lamina protettiva di plexiglas trasparente per proteggerlo dalle radiazioni ultraviolette e inoltre il neonato deve essere bendato per prevenire il danno oculare (stando attenti a non provocare un’ostruzione nasale). Durante i pasti si deve interrompere la fototerapia e togliere la benda sugli occhi. La valutazione del colore della cute non può più essere utilizzata per stabilire la gravità dell’ittero, in quanto l’ittero visibile può scomparire durante la fototerapia ma la bilirubinemia rimanere elevata. Il sangue prelevato per le determinazioni della bilirubinemia deve essere protetto dalla luce, in quanto la bilirubina nei capillari può fotossidarsi rapidamente. Exsanguinotrasfusione: tradizionalmente, quando si hanno livelli pericolosi di bilirubina, si esegue l’exsanguinotrasfusione mediante catetere posto in vena ombelicale. La mortalità totale è < 1% quando eseguita da personale esperto e deve essere più bassa quando è eseguita su neonati a termine, altrimenti sani. Poiché non esiste un esatto test per determinare il rischio di ittero nucleare e poiché è necessario individuare i livelli di bilirubinemia ai quali è indicata l’exsanguinotrasfusione, la seguente regola è un’utile guida: il livello di bilirubina (in mg/ dl) al quale è indicata l’exsanguinotrasfusione nei neonati pretermine è rappresentato dal loro peso espresso in grammi diviso per 100. Dunque un neonato di 1000 g di peso sarà sottoposto a exsanguinotrasfusione a livelli di bilirubina di 10 mg/ dl, un neonato di 2000 g a livelli di 20 mg/dl. È raro dover eseguire un’exsanguinotrasfusione se la bilirubinemia totale è < 10 mg/dl. Tradizionalmente, nel neonato a termine, l’exsanguinotrasfusione viene eseguita per valori di bilirubina che raggiungono 20 mg/dl. Attualmente, in assenza di sintomi o segni di malattia emolitica, si ritiene che la bilirubinemia possa senza rischi arrivare a valori di circa 25 mg/dl prima che diventi necessaria la exsanguinotrasfusione. È necessario ridurre di 1-2 mg/dl il livello se il neonato presenta condizioni che possono incrementare il rischio di ittero nucleare (p. es., digiuno, sepsi, acidosi). Dal momento che solamente la bilirubina non coniugata può causare ittero nucleare, se la bilirubina coniugata è significativamente elevata, il livello di bilirubina non coniugata, piuttosto che di bilirubina totale, è significativo per porre indicazione all’exsanguinotrafusione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-3. CAUSE DI IPERBILIRUBINEMIA NEONATALE Iperproduzione

Ridotta secrezione

Incompatibilità di gruppo maternofetale: Rh, ABO, altre

Cause metabolico-endocrine

Sferocitosi ereditaria (ellissocitosi)

Ittero familiare non emolitico tipo 1 e 2 (sindrome di Crigler-Najjar)

Anemie emolitiche non sferocitiche

Malattia di Gilbert

Deficit di G6PD e da farmaci

Ipotiroidismo

Deficit di piruvato chinasi

Tirosinosi

Deficit di altri enzimi dei GR

Ipermetioninemia

a talassemia

Farmaci e ormoni

b-d talassemia

Novobiocina

Emolisi indotta da vitamina K3, nitrofurantoina, antimalarici, penicillina, sulfamidici, ossitocina?, bupivacaina o infezioni

Pregnandiolo Sindrome di Lucey-Driscoll

Diabete materno Presenza di sangue extravascolarepetecchie; ematomi; emorragie Prematurità cerebrali, polmonari e occulte Policitemia Trasfusione materno-fetale o fetofetale Ritardato clampaggio del cordone ombelicale

Ipopituitarismo e anencefalia Cause ostruttive Atresia biliare* Sindromi di Dubin-Johnson e di Rotor

Aumentata circolazione enteroepatica

Cisti del coledoco*

Stenosi pilorica*

Fibrosi cistica* (bile spessa)

Atresia intestinale o stenosi, incluso

Tumore o stenosi (ostruzione da cause estrinseche)

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Manuale Merck - Tabella

il pancreas anulare Deficit di a1-antitripsina* Malattia di Hirschsprung Nutrizione parenterale Ileo da meconio o sindrome del tappo di meconio

Miste

Digiuno o altre cause di ipoperistalsi Sepsi Ileo paralitico indotto da farmaci (esametonio) Sangue ingerito

Infezioni intrauterine Toxoplasmosi Rosolia Infezione da citomegalovirus Herpes simplex Sifilide Epatite Sindrome del distress respiratorio Asfissia Figlio di madre diabetica Eritroblastosi fetale grave

*L’ittero può non comparire nel periodo neonatale. Adattata da RL Poland e EM Ostrea Jr, "Neonatal hyperbilirubinemia", in Care of the High-Risk Neonate, ed. 3, edited by MH Klaus e AA Fanaroff. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986. Riproduzione autorizzata.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI CONTROLLO DEL BAMBINO SANO Gli obiettivi delle visite di un bambino sano sono la prevenzione delle malattie mediante vaccinazioni di routine (v. più avanti Vaccinazioni nell’infanzia,) e mediante l’educazione sanitaria (p. es., consigli sulla nutrizione, la prevenzione degli incidenti e le norme igieniche); la diagnosi e il trattamento precoce delle malattie mediante l’anamnesi, l’esame obiettivo e i test di screening; e la guida dei genitori nell’allevamento del bambino, per rendere ottimale il suo sviluppo emotivo e intellettuale. I bambini vengono quindi visitati regolarmente durante l’infanzia, insieme ai genitori. La frequenza e la tipologia delle visite dipendono dall’età del bambino, dal tipo di utenza, e dall’opinione del medico e dei genitori riguardo al loro valore. Il medico deve valutare lo sviluppo intellettuale e psicosociale del bambino. L’anamnesi e l’osservazione possono essere utilizzate per completare il Test di Screening per lo Sviluppo di Denver e con ciò determinare lo sviluppo di adattamento del bambino (comportamento sociale, linguaggio, attività motoria grossolana e fine). La valutazione della conoscenza che i genitori hanno del bambino e l’interazione tra genitore e figlio non possono essere determinate facilmente con alcun test, per quanto idoneo e standardizzato; si richiede piuttosto un’anamnesi attenta e sensibile, che inizia durante il primo incontro in ospedale. Alcuni genitori e alcuni medici preferiscono incontrarsi prima della nascita del bambino, di solito all’inizio del terzo trimestre, per discutere delle aspettative dei genitori e delle cure durante l’infanzia e la fanciullezza. Successivamente, il medico può cercare di valutare con tatto come i genitori vivano la cura del loro nuovo bambino, come superino le situazioni difficili, come ottimizzare il coinvolgimento paterno nella cura del bambino e come facilmente possano ottenere aiuto quando sono stanchi o facilmente irritabili. Tali discussioni possono continuare nell’ambito delle visite successive. Un interesse cordiale, autentico dimostrato dal medico, non solo nei confronti del bambino, ma nei confronti dell’intera famiglia, rafforza grandemente la fiducia dei genitori. La famiglia porrà più liberamente domande sui comportamenti e potrà ricevere suggerimenti riguardo all’educazione dei bambini. L’American Academy of Pediatrics (AAP) ha raccomandato l’uso di programmi di medicina preventiva (v. Fig. 256-2) per i bambini che non hanno significativi problemi di salute e che presentano uno sviluppo fisico e psichico normale. Quelli che non possiedono tali requisiti devono essere sottoposti a controlli più frequenti e intensivi. Se un bambino si sottopone al primo controllo in ritardo rispetto al programma o se nessun elemento del programma viene eseguito all’epoca suggerita, il programma deve essere aggiornato il più presto possibile.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI ACCRESCIMENTO E SVILUPPO FISICO L’accrescimento è un normale processo di aumento di dimensioni; lo sviluppo fisico è un normale processo di accrescimento e differenziazione (modificazione progressiva delle funzioni e/o della morfologia). L’accrescimento e lo sviluppo fisico sono processi multifattoriali in cui sono coinvolti fattori genetici, nutrizionali, e ambientali (fisici e psicologici). La modificazione di ognuno di questi fattori può comportare un’alterazione dell’accrescimento e dello sviluppo. Un accrescimento e uno sviluppo ottimali richiedono un perfetto stato di salute. L’accrescimento dalla nascita all’adolescenza avviene con due diverse modalità. La prima (dalla nascita fino a circa 2 anni di età) è una crescita rapida con progressivo rallentamento. La seconda (dall’età di 2 anni circa fino all’inizio della pubertà) mostra incrementi annuali più consistenti. L’altezza di un bambino nei confronti dei suoi coetanei tende a rimanere uguale. Un’eccezione si può verificare durante il primo anno di vita, quando alcuni bambini crescono più rapidamente o più lentamente rispetto ai loro coetanei, prima che si stabilizzi la loro curva di crescita, che è geneticamente predisposta. La variazione della crescita durante il primo anno è dovuta in parte a fattori materni (p. es., volume uterino). Durante il periodo che va dall’infanzia alla fanciullezza, esiste una piccola differenza tra soggetti di sesso maschile e soggetti di sesso femminile per quanto riguarda altezza e velocità di crescita. Altezza/lunghezza: l’accrescimento lineare viene misurato come lunghezza (bambino supino) al di sotto dei 2 anni di età e come altezza (bambino in posizione eretta) dopo tale età. Generalmente, la lunghezza aumenta di circa il 30% a 5 mesi e del 50% o più all’età di 1 anno; l’altezza a 5 anni è circa il doppio della lunghezza alla nascita. L’accrescimento lineare continua a diminuire lentamente fino all’inizio della pubertà. Se la pubertà è ritardata, tale crescita può praticamente cessare. (V. anche Figg. 256-3 e 256-4.) Gli arti crescono più velocemente rispetto al tronco, causando un cambiamento delle proporzioni corporee. Il rapporto testa-pube/pube-tallone è pari a 1,7 alla nascita, 1,5 a 1 anno, 1,2 a 5 anni e 1 a 10 anni. Peso: l’incremento ponderale segue una curva simile a quella staturale. Il lattante raddoppia il suo peso a 5 mesi di età, lo triplica a 1 anno e lo quadruplica a circa 2 anni. Fra 2 e 5 anni l’incremento ponderale annuale è simile. In seguito aumenta lentamente fino all’inizio della pubertà. Apparati e sistemi: il sistema linfoide, l’apparato riproduttivo e il sistema nervoso centrale non seguono i modelli generali di crescita per peso e altezza. Il sistema linfoide si sviluppa consistentemente e rapidamente durante tutta l’infanzia, raggiungendo un picco subito prima della pubertà. La massa del tessuto linfoide successivamente diminuisce, così che un adulto presenta approssimativamente il 50% di quella di un preadolescente. L’apparato riproduttivo, eccetto che per un breve periodo di tempo dopo la nascita, presenta uno scarso sviluppo fino alla seconda infanzia e alla pubertà. Il SNC si sviluppa, quasi esclusivamente, durante i primi anni di vita. Alla nascita, il cervello ha un peso pari al 25% di quello dell’adulto. A 1 anno, ha completato per metà il suo file:///F|/sito/merck/sez19/2562244.html (1 of 2)02/09/2004 2.45.27

Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

accrescimento postnatale e il suo volume è il 75% di quello dell’adulto. All’età di 3 anni raggiunge l’80% del volume definitivo e il 90% a 7 anni. Lo sviluppo funzionale dei vari organi, a prescindere dal loro volume, si realizza per lo più durante i primi anni, eccezion fatta, ovviamente, per l’apparato riproduttivo. Le modificazioni più evidenti si verificano per le funzioni renali, immunitarie (v. sopra Situazione immunologica del feto e del neonato) e del SNC. Alla nascita, la funzionalità renale è solitamente ridotta. Tuttavia, subito dopo, le capacità di acidificazione e di concentrazione sono simili a quelle dell’adulto. Entro l’età di 1 anno, la VFG, la clearance dell’urea e la clearance tubulare massima raggiungono i livelli dell’adulto. Le modificazioni funzionali del SNC si hanno maggiormente e più rapidamente durante i primi 4-5 anni di vita e sono ben evidenti nello sviluppo psicomotorio e intellettivo del bambino. Composizione corporea: le modificazioni più importanti che si verificano prima della pubertà riguardano la quantità di grasso e di acqua corporei. Alla nascita, il grasso rappresenta quasi il 12% del peso corporeo. Aumenta rapidamente fino al 25% a 6 mesi e poi un po’ più lentamente fino al 30% a 1 anno, determinando il tipico aspetto paffuto del lattante a questa età. Successivamente si verifica una lenta riduzione fino all’età di 5-6 anni, quando la percentuale di grasso corporeo si avvicina a quella del neonato. In seguito, si verifica nuovamente un lento aumento fino alla pubertà. Dopo la pubertà, l’incremento continua generalmente nel sesso femminile mentre nei maschi tende a essere presente una leggera riduzione del grasso corporeo. L’acqua corporea, misurata come percentuale del peso corporeo, rappresenta il 75% alla nascita, si riduce fino al 60% a 1 anno (circa uguale alla percentuale nell’adulto). Ciò è dovuto fondamentalmente a una riduzione del liquido extracellulare, dal 45 al 28% del peso corporeo. Il liquido intracellulare rimane per lo più costante. Dopo l’anno di età, si realizza un lento e variabile calo del liquido extracellulare e un aumento del liquido intracellulare fino ai livelli adulti, rispettivamente di circa il 16% e il 47%. Il quantitativo di acqua relativamente più abbondante, il rapido turnover e le elevate perdite cutanee (dovute a una superficie corporea relativamente grande) rendono il lattante maggiormente a rischio di disidratazione rispetto al bambino più grande e all’adulto. Dentizione decidua: l’epoca di eruzione dei primi denti (v. Tab. 256-5) è più variabile rispetto ad altri parametri di sviluppo ed è influenzata soprattutto da fattori genetici. Raramente, è significativamente ritardata a causa dell’ipotiroidismo. L’eruzione dei denti decidui avviene in ugual modo in entrambi i sessi; quelli permanenti erompono più precocemente nei soggetti di sesso femminile. I denti decidui sono più piccoli dei corrispondenti definitivi. La presenza di denti soprannumerari o l’assenza di qualche dente si verifica infrequentemente.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI SVILUPPO PSICOMOTORIO E INTELLETTIVO Lo sviluppo psicomotorio comprende la maturazione degli elementi psicologici e muscolari che costituiscono il comportamento; lo sviluppo intellettivo comprende la maturazione della memoria, della capacità di ragionamento e dei procedimenti del pensiero. Lo sviluppo psicomotorio e intellettuale sono processi continui, essenzialmente dipendenti dalla maturazione del SNC, che avvengono, nella stessa sequenza, in tutti i bambini. Tuttavia, la velocità di sviluppo varia; anche nello stesso bambino, possono verificarsi rallentamenti in uno o più ambiti (p. es., il linguaggio). Lo sviluppo procede dalla testa in giù (lo sviluppo funzionale mentale e manuale precede quello delle gambe e dei piedi) e dalla risposta universale e generalizzata a quella specifica (cioè la motilità grossolana si sviluppa prima della motilità fine). Il processo di sviluppo può essere rallentato dalla mancanza di una sufficiente attività (p. es., in un bambino affetto da malattia di lunga durata), ma non può essere significativamente accelerato da un’eccessiva stimolazione. Lo sviluppo psicomotorio e quello intellettuale sono influenzati dall’intelligenza (in genere, più alto è il quoziente intellettivo, più rapido è lo sviluppo); da fattori ereditari (p. es., il camminare e parlare in ritardo e un controllo tardivo degli sfinteri si possono verificare tutti insieme in una determinata famiglia); da fattori ambientali (p. es., la mancanza di una stimolazione adeguata può impedire un normale sviluppo); da fattori fisici (p. es., l’ipotonia o la sordità possono alterare un normale sviluppo). Le maggiori acquisizioni, in termini di sviluppo, dalla nascita fino ai 5 anni sono riassunte nella Tab. 256-6.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 256-6. TAPPE DI SVILUPPO Età

Comportamento

Nascita

Dorme per la maggior parte del tempo; è in grado di mangiare, liberare le vie aeree e rispondere alle situazioni di discomfort e alle intrusioni con il pianto

6 setti mane

Guarda gli oggetti posti nel proprio campo visivo, inizia a sorridere quando gli si parla, giace disteso sulla sua pancia e la sua testa è in ritardo quando viene tirato in posizione seduta

3 mesi

Sorride spontaneamente, vocalizza e segue con gli occhi un oggetto in movi mento. Mantiene la testa in posizione eretta quando è seduto e stringe gli oggetti posti nella sua mano

6 mesi

Sta seduto con un supporto e si rotola, si sostiene da solo in posizione eretta, trasferisce un oggetto da una mano all’altra e chiacchiera con i giocattoli

9 mesi

Sta seduto bene, gattona e si solleva in posizione eretta; dice "mamma" e "pa pà"; gioca a "batti-batti le manine"; fa ciao con le mani e tiene il suo biberon

1 anno

Cammina aggrappandosi con la mano, dice diverse parole e aiuta quando viene vestito

18 mesi

Cammina bene, è in grado di salire le scale tenendosi ad esse; volta numerose pagine per volta di un libro, dice circa 10 parole, tira i giocattoli col filo e mangia parzialmente da solo

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Manuale Merck - Tabella

2 anni

Corre bene, sale e scende le scale da solo, gira una pagina per volta, indossa da solo gli indumenti più semplici, compone frasi di 2 o 3 parole e verbalizza il bisogno di andare in bagno

3 anni

Va sul triciclo, si veste bene da solo, eccetto bottoni e lacci, conta fino a 10 e usa il plurale, fa domande continuamente e mangia bene da solo

4 anni

Alterna i piedi salendo e scendendo le scale, lancia una palla con le mani, salta su un piede, copia una croce, conosce almeno un colore, si lava le mani e il viso e va in bagno da solo

5 anni

Salta, prende una palla rimbalzata, copia un triangolo, conosce quattro colori e si veste e si spoglia senza aiuto

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI La maggior parte dei problemi alimentari e gastrointestinali non è importante e può essere risolta rassicurando le madri, utilizzando pochi farmaci e pochi interventi dietetici. Comunque, questo genere di problemi riveste molta importanza per i genitori e si consiglia sempre la valutazione del bambino e dell’interazione con i genitori. Se l’accrescimento (staturale e ponderale) risulta normale rispetto alle curve di crescita standard, e l’apprensione dei genitori appare sproporzionata relativamente al dato obiettivo, la loro eccessiva preoccupazione può essere la spia di stati ansiosi più profondi e di problemi di rapporto genitore-figlio che dovrebbero essere indagati. I problemi alimentari nei bambini più grandi sono trattati in Disturbi del comportamento nel Cap. 262 e in Obesità nel Cap. 275.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA OBESITÀ Eccessivo accumulo di grasso corporeo. L’obesità è una delle cause più comuni di visite presso divisioni per adolescenti. La maggior parte dei casi di obesità è dovuta all’assunzione di cibo in quantità superiore a quella necessaria. Le influenze genetiche sono comuni e sono in atto ricerche sui geni responsabili (v. anche il Cap. 5). Le cause primitive endocrinologiche (p. es., ipersurrenalismo corticale, ipotiroidismo) o metaboliche non sono comuni. L’ipotiroidismo deve essere escluso. Se il bambino è basso e presenta ipertensione, si deve prendere in considerazione la sindrome di Cushing. Frequentemente, un bambino lievemente obeso ingrassa rapidamente durante l’adolescenza e diviene obeso in modo significativo. L’adolescente obeso spesso sviluppa una scarsa immagine di sé e diviene disinteressato all’esercizio fisico, più sedentario e probabilmente isolato dalla società. I problemi medici secondari comuni comprendono ipertensione e i disturbi del ginocchio e della schiena. Se non trattata, l’obesità può continuare per tutta l’età adulta; spesso i genitori non si sentono all’altezza di aiutare i propri figli. Nonostante la disponibilità di molti approcci terapeutici, l’obesità è uno dei più difficili e scoraggianti problemi da trattare e le percentuali di successo a lungo termine sono basse. La scuola è un luogo appropriato per programmi nutrizionali e fisici specializzati anche se ne esistono pochi. Gli approcci chirurgici che riducono la dimensione dello stomaco sono riservati agli obesi più gravi. Possono essere utili la riduzione dell’introduzione di calorie con una dieta ben bilanciata e l’aumento dell’attività fisica (p. es. camminare, andare in bicicletta, nuotare, ballare). I cambiamenti permanenti delle abitudini alimentari devono essere incoraggiati attraverso un supporto psicologico.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI RIGURGITO I neonati generalmente rigurgitano piccole quantità di latte (circa 5-10 ml) durante o subito dopo il pasto, spesso durante il ruttino. Un’alimentazione troppo rapida, con introduzione di aria, può essere la causa di tale sintomo; in tal caso si può consigliare l’uso di un biberon con tettarella più salda e buchi più piccoli, nonché cercare di favorire più spesso l’eruttazione del bambino. Di solito non è necessario approfondire ulteriormente tale problema né ha senso cambiare il tipo di latte. La presenza di rigurgiti frequenti e abbondanti può essere dovuta a un’eccessiva alimentazione (v. più avanti).

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI VOMITO Il vomito può essere spia di condizioni più serie. Un vomito a getto ripetuto di quantità crescenti di latte può indicare una stenosi pilorica o un reflusso gastroesofageo. Ostruzioni del tratto superiore del piccolo intestino, per briglie o stenosi duodenali o volvoli, provocano vomito biliare. Disturbi del metabolismo (p. es., la sindrome adreno-genitale e la galattosemia) possono manifestarsi con vomito. Il vomito con febbre e/o letargia può essere segno di infezione (p. es., sepsi o meningite).

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI SOTTOALIMENTAZIONE Un lattante alimentato in modo adeguato si tranquillizza e si addormenta subito dopo la poppata. Il lattante sottoalimentato spesso rimane irrequieto, sembra quasi volgere lo sguardo intorno, alla ricerca di cibo, si sveglia 1-2 h dopo il pasto e sembra affamato. Questi chiari segni di sottoalimentazione non sono sempre presenti o possono non essere correttamente valutati dai genitori. Un incremento ponderale < 200-250 g/ sett. è insufficiente per un lattante di età inferiore o uguale a 4 mesi. In tal caso è necessario raccogliere un’accurata anamnesi alimentare, per discriminare se il problema sia limitato a una sottoalimentazione oppure se non siano implicati disordini sistemici o metabolici più gravi. Devono essere ricontrollati i costituenti e la concentrazione della formula. La sottoalimentazione può essere anche segno di un’incapacità dei genitori (p. es., mancanza di interesse o negligenza). I bambini allattati al seno che non crescono adeguatamente vanno pesati prima e dopo diverse poppate, per stabilire accuratamente il quantitativo di latte introdotto. La dieta di questi lattanti può essere integrata con una formula adeguata e con cereali; nel caso del bambino allattato artificialmente si può modificare la concentrazione della formula e aumentare la quantità totale. I genitori devono essere informati su quanto e quanto spesso il bambino debba essere alimentato. Inoltre è necessario predisporre successivi controlli del peso.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI SOVRALIMENTAZIONE Il peso del bambino registrato periodicamente sulle tavole auxologiche può rilevare facilmente un incremento ponderale troppo rapido. Altri segni di sovralimentazione sono il pianto e il rigurgito abbondante dopo i pasti. Dal momento che l’obesità riconosce quale fattore eziopatogenetico una sovralimentazione durante i primi anni di vita, il controllo regolare del peso è di grande aiuto, soprattutto se il bambino ha i due genitori obesi (e quindi circa l’80% di probabilità di diventare tale). È necessario correggere l’apporto nutritivo giornaliero del lattante sovrappeso e incoraggiare i genitori a ridurre la quantità di cibo. Supplementi di cibi solidi devono essere introdotti in momenti appropriati e in quantità modiche.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI DIARREA Nel lattante normale si possono avere frequenti evacuazioni (4-6/die); esse non rivestono carattere patologico a meno che non siano associate ad anoressia, vomito, perdita di peso, mancato accrescimento o presenza di sangue nelle feci. I bambini allattati al seno presentano evacuazioni frequenti di feci schiumose, specialmente se non ricevono cibi solidi. L’improvvisa comparsa di diarrea con vomito, feci ematiche, febbre, anoressia o apatia può essere segno di infezione. Una diarrea di bassa intensità, che si protragga per settimane o mesi, può risultare da numerose condizioni patologiche, comprese l’enteropatia da glutine, la fibrosi cistica, l’intolleranza ai carboidrati e una gastroenteropatia allergica. Nella enteropatia da glutine (malattia celiaca) la frazione proteica della farina di grano, contenente glutine, causa malassorbimento dei grassi alimentari, con conseguente malnutrizione, anoressia ed emissione di feci abbondanti e maleodoranti (v. anche Malattia celiaca nel Cap. 30). Escludendo il glutine dalla dieta, mediante l’eliminazione di tutti i prodotti a base di farina di grano e di segale, si ha la guarigione della malattia. Può occasionalmente essere necessario escludere anche orzo e avena. Nella fibrosi cistica l’insufficienza pancreatica per produzione deficitaria di tripsina e lipasi, causa elevate perdite fecali di proteine e grassi con conseguente malnutrizione e ritardo di crescita. Le feci sono abbondanti e maleodoranti. La somministrazione orale di enzimi pancreatici attenua questi aspetti della malattia (v. anche Cap. 267). Nell’intolleranza ai carboidrati gli enzimi della mucosa intestinale, come la lattasi, che scinde il lattoso in glucoso e galattoso, possono essere congenitamente assenti o presentare un deficit temporaneo dopo un’enterite infettiva (v. anche Intolleranza ai carboidrati nel Cap. 30). Il miglioramento dopo l’esclusione dalla dieta di lattoso (o altri carboidrati) o mediante uso di latte privo di lattoso conferma la diagnosi. Nella gastroenteropatia allergica le proteine del latte possono provocare diarrea, spesso con vomito e sangue nelle feci, ma deve essere sospettata anche una intolleranza ai carboidrati. I sintomi spesso scompaiono rapidamente sostituendo l’alimentazione tradizionale con latti di soia e ricompaiono alla reintroduzione del latte vaccino. I bambini intolleranti al latte vaccino sono comunemente intolleranti alla soia, in tal caso può essere necessaria una formula elementare(definita chimicamente) (p. es., Nutramigen, Pregestimil), che è non costituita da carboidrati. Generalmente si verifica un miglioramento spontaneo alla fine del primo anno di vita.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI SANI PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI STIPSI È difficile fornire una definizione di stipsi a causa della variabilità nella frequenza delle evacuazioni nei lattanti. Lo stesso bambino, che presenta generalmente 4 evacuazioni/die, può effettuarne, in un altro periodo, una sola ogni 2 giorni. La maggior parte dei lattanti emette feci dure e abbondanti con minimo disturbo, mentre alcuni piangono anche per l’emissione di feci molli. I lattanti di età < 2-3 mesi presentano comunemente un basso grado di stenosi anale che causa uno sforzo persistente e il passaggio di feci di piccolo calibro. Una delicata esplorazione rettale identifica facilmente tale condizione, evidenziando le bande circumanali che causano la stenosi. La dilatazione anale eseguita per una o due volte è in grado di alleviare i sintomi. Una stipsi ostinata, soprattutto se iniziata prima di 1 mese di vita, può essere sintomo di megacolon congenito (v. Ostruzione dell’ileo e del colon in Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261). Una ragade anale può essere causata da ampi movimenti intestinali. La ragade si manifesta con dolore alla defecazione e presenza saltuaria di piccole quantità di sangue rosso vivo nelle feci. La lesione può essere evidenziata all’ispezione del canale anale con un anoscopio o con un otoscopio dotato di uno speculum piuttosto grande. In genere, queste lesioni guariscono rapidamente senza alcun intervento; tuttavia, si possono utilizzare prodotti in grado di ammorbidire la massa fecale, come il sodio dioctyl sulfosuccinato al dosaggio di 10-40 mg/die suddivisi in 1-4 dosi, per 7-10 giorni. Non è stata dimostrata l’utilità dell’applicazione locale di pomate a base di corticosteroidi.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE GASTROINTESTINALI OSTRUZIONE DELL’ILEO E DEL COLON

Sommario: Introduzione SINDROME DA TAPPO DI MECONIO ILEO DA MECONIO Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia ATRESIA INTESTINALE ANOMALIE DI POSIZIONE DELL’INTESTINO DOVUTE A MALROTAZIONE MALATTIA DI HIRSCHSPRUNG Diagnosi e terapia ENTEROCOLITE TOSSICA ATRESIA ANALE

In molti casi l’anamnesi è negativa per polidramnios, in quanto molto del liquido amniotico ingerito è stato assorbito dall’intestino fetale a monte dell’ostruzione. Di solito, i primi pasti sono ben tollerati, ma in genere, in I-II giornata di vita, si comincia a sviluppare distensione addominale, spesso accompagnata da vomito biliare o fecaloide. Inizialmente il bambino può emettere un po’ di meconio, ma successivamente l’alvo si chiude. Il meconio può essere esaminato al microscopio per ricercare cellule squamose e lanugine (test di Farber), che si riscontrano in condizioni normali a causa della deglutizione del liquido amniotico. La loro presenza rende improbabile l’ostruzione intestinale completa, ma non esclude l’atresia intestinale, dal momento che un intestino precedentemente pervio può ostruirsi successivamente durante la gravidanza (p. es., a causa di un volvolo). L’approccio diagnostico generale e il trattamento preoperatorio prevedono la sospensione dell’alimentazione orale, il posizionamento di un sondino nasogastrico a doppio lume per impedire l’ulteriore distensione addominale e prevenire la possibile inalazione del vomito, la correzione dello squilibrio idroelettrolitico e la valutazione radiologica completa, iniziando da rx normali, seguite da clisma opaco, per stabilire la situazione anatomica.

SINDROME DA TAPPO DI MECONIO Ostruzione dell’intestino di un lattante causata da meconio denso, che forma un calco del colon.

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Anomalie congenite

La sindrome da tappo di meconio di solito si riscontra in neonati per il resto normali, ma è più frequente nel neonato figlio di madre diabetica e di madre con tossiemia gravidica, trattata con solfato di magnesio. Il meconio denso, ispessito, appiccicoso, forma un calco del colon e può determinare una ostruzione completa, con ostacolo al passaggio delle feci, distensione addominale, e vomito. Il clisma opaco con metilglucamina dell’acido diamino triiodobenzoico diluita evidenzia il tappo di meconio e di solito consente di separarlo dalla parete intestinale e di espellerlo. Sebbene la maggior parte dei bambini per il resto sia in buona salute, può essere indicato eseguire approfondimenti diagnostici per individuare una sottostante malattia di Hirschprung (v. avanti) o una fibrosi cistica (v. anche Cap. 267), suggerite dalla presenza di altri reperti o di familiarità positiva.

ILEO DA MECONIO Ostruzione intestinale causata dalla presenza di meconio nell’ileo terminale estremamente tenace e aderente alla mucosa ileale. L’ileo da meconio è quasi sempre una manifestazione precoce della fibrosi cistica (v. anche Cap. 267). Il meconio vischioso, che si riscontra nell’ileo da meconio, è facilmente distinguibile da quello gommoso della sindrome da tappo di meconio. Il meconio anomalo aderisce alla mucosa intestinale e causa un’ostruzione a livello dell’ileo terminale. Distalmente all’ostruzione ileale, il colon è di calibro ridotto e contiene grumi di meconio secco. Il colon relativamente vuoto e di piccolo calibro è detto "microcolon." Le anse distese del piccolo intestino possono talvolta essere palpate attraverso la parete addominale ed essere facilmente individuate per la caratteristica pastosità.

Sintomi, segni e diagnosi Le anse del piccolo intestino, distese per il meconio denso, possono dare origine a un volvolo già in utero. Se poi l’intestino perde la sua vascolarizzazione e diventa ischemico, ne consegue una peritonite sterile da meconio, spesso documentata dal reperto radiologico di calcificazioni di meconio disposte a rivestire la superficie peritoneale e perfino lo scroto. Le anse intestinali infartuate possono essere riassorbite, determinando un’area o delle aree di atresia intestinale, oppure possono dare origine a una grossa cisti ripiena di liquido. La presenza nel meconio di proteine non digerite è di supporto per la diagnosi. (Una miscela di meconio e acqua [1:1]viene agitata e centrifugata e al liquido sopranatante viene aggiunto acido tricloroacetico al 10%. La formazione di un precipitato bianco, pesante, indica la presenza di albumina non digerita.) In commercio sono disponibili strisce reattive adatte anche a individuare la presenza di albumina nel meconio. Alla rx dell’addome il contenuto endoluminale potrà apparire granuloso, a causa di piccole bolle d’aria intrappolate nel meconio anomalo. La positività del test del sudore conferma la diagnosi di fibrosi cistica. Per individuare una delle mutazioni genetiche frequentemente associate con la fibrosi cistica può essere utilizzata una sonda per la fluoro-ibridizzazione in situ (Fluorescent In Situ Hybridization, FISH). Tuttavia, non tutte le mutazioni genetiche possono essere evidenziate, perciò, la sola negatività del test del sudore può definitivamente escludere la diagnosi di fibrosi cistica

Prognosi e terapia Coloro che sopravvivono con un ileo da meconio, secondario a fibrosi cistica, non hanno una patologia polmonare più grave rispetto agli altri pazienti affetti da fibrosi cistica. Nei casi certi o fortemente sospetti di ileo da meconio non complicato (p. es., senza perforazioni, volvolo o atresia) si può eliminare file:///F|/sito/merck/sez19/2612372.html (2 of 5)02/09/2004 2.45.46

Anomalie congenite

l’occlusione sotto scopia, con uno o più clismi eseguiti con mezzo di contrasto diluito (p. es., una soluzione diluita di metilglucamina dell’acido diamino triiodobenzoico). La perdita di acqua a livello del grosso intestino, a causa del liquido di contrasto ipertonico, deve essere contemporaneamente bilanciata con infusione di liquidi EV, per evitare disidratazione improvvisa e shock. Se il clisma non risolve l’ostruzione, si ricorre alla laparotomia. Per liquefare e rimuovere il meconio anomalo e risolvere l’ostruzione è di solito necessaria una ileostomia a "canne di fucile", con lavaggio ripetuto con N- acetilcisteina delle anse intestinali prossimali e distali.

ATRESIA INTESTINALE L’atresia intestinale interessa più frequentemente l’ileo, seguito dal duodeno, dal digiuno e dal colon (le ostruzioni duodenali e digiunali sono trattate sopra). In genere l’atresia dell’ileo si manifesta tardivamente, durante il I o il II giorno di vita. Si ha distensione addominale progressiva, alvo chiuso e vomito. L’approccio diagnostico generale e il trattamento preoperatorio sono simili a quelli adottati per le ostruzioni dell’ileo e del colon (v. sopra). La prognosi è buona. Durante l’intervento bisogna esaminare tutto l’intestino per assicurarsi che non siano presenti altre zone di atresia. Il tratto atresico viene resecato, di solito creando un’anastomosi primaria. Se la porzione prossimale dell’ileo è estremamente dilatata e difficilmente anastomizzabile con il tratto distale, è talvolta più prudente effettuare un’ileostomia a canne di fucile e differire l’anastomosi fino a quando il calibro dell’intestino prossimale dilatato non si riduca. Diverse tecniche chirurgiche possono essere utilizzate per anastomizzare le anse intestinali di calibro diverso.

ANOMALIE DI POSIZIONE DELL’INTESTINO DOVUTE A MALROTAZIONE Durante lo sviluppo embrionale, l’intestino primitivo protrude all’esterno della cavità addominale. Quando rientra in addome, il grosso intestino normalmente ruota in senso antiorario, con il cieco che si situa a livello del quadrante inferiore di destra. In caso di rotazione incompleta, nella quale il cieco si trova in posizione ectopica (di solito nel quadrante superiore destro o a metà epigastrio), può verificarsi ostruzione da briglie retroperitoneali, che stirano il duodeno o da volvolo del piccolo intestino che, senza il normale sostegno peritoneale, ruota sul suo esile peduncolo mesenterico. La sintomatologia all’inizio è simile a quella che si ha nelle altre forme di ostruzione intestinale. Il neonato inizia a vomitare bile con progressiva compromissione delle condizioni generali. Se le radiografie dell’addome mostrano una scarsa quantità di aria intestinale distalmente al duodeno, suggerendo un volvolo dell’intestino medio, la diagnosi e il trattamento devono essere effettuati rapidamente. Il clisma con bario mostra che il cieco non si trova a livello del quadrante addominale inferiore di destra. La rx delle prime vie digestive, con pasto baritato, di un paziente con volvolo mostrerà la tipica torsione dell’intestino (cioè la sede dell’occlusione) a livello del legamento del Treitz. Il volvolo è un’emergenza chirurgica, perché il tratto di intestino coinvolto può andare in gangrena se l’ostruzione non è prontamente rimossa.

MALATTIA DI HIRSCHSPRUNG (Megacolon congenito) Anomalia congenita di innervazione del piccolo intestino, di solito limitata al colon, che comporta una ostruzione funzionale parziale o totale.

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Anomalie congenite

La malattia di Hirschsprung è causata dall’assenza congenita dei plessi autonomici di Meissner e Auerbach, a livello della parete intestinale, di solito limitata al colon distale. A livello del segmento anomalo, la peristalsi è assente o anomala, con spasmo continuo della muscolatura liscia, ostruzione intestinale parziale o completa con ristagno di materiale fecaloide e abnorme dilatazione del tratto intestinale prossimale normalmente innervato. L’ostruzione, per lo più anale, può estendersi prossimalmente ai vari segmenti del colon, all’intero colon o, raramente, all’ileo terminale o perfino all’intero tratto GI. Di rado si vedono "lesioni a tratti". I bambini con megacolon congenito presentano stipsi, distensione addominale e, in ultimo, vomito, come nelle altre forme di ostruzione intestinale bassa. Nei casi in cui l’assenza dei gangli è limitata all’ano, si riscontrano soltanto stipsi lieve o intermittente, spesso con interposti episodi di diarrea, per cui la malattia non viene diagnosticata fino alla tarda infanzia. Tuttavia, è importante fare la diagnosi corretta, quanto più precocemente possibile, durante la prima infanzia. Quanto più tardivo è il trattamento, tanto maggiore è la possibilità di sviluppare un’enterocolite tossica (megacolon tossico), che può evolvere in maniera fulminea e risultare fatale. La maggior parte dei casi di megacolon congenito può essere diagnosticata nella prima infanzia. I bambini più grandi possono presentare anoressia, perdita del normale stimolo alla defecazione, ampolla vuota all’esplorazione rettale, colon palpabile, peristalsi visibile e anche ritardo di accrescimento.

Diagnosi e terapia Il clisma con bario mostra una modificazione di diametro tra il colon dilatato, a monte dell’ostruzione, e il segmento distale di calibro ridotto, privo della normale innervazione. I segni caratteristici possono non essere presenti nel periodo neonatale. La biopsia rettale, documentando la mancanza dei plessi gangliari e l’aumento della concentrazione tissutale di colinesterasi, conferma la diagnosi. Il trattamento in età neonatale prevede una colostomia a monte del segmento agangliare. La resezione dell’intera porzione di colon agangliare e l’intervento definitivo con la tecnica del "pull-through" possono essere differiti al momento in cui il colon e l’ano aumentino di dimensioni. Tuttavia, alcuni chirurghi pediatri eseguono uno dei vari interventi definitivi già nel periodo neonatale. Dopo l’intervento definitivo, la prognosi del megacolon congenito è buona: la maggior parte dei bambini raggiungerà un controllo soddisfacente della peristalsi intestinale.

ENTEROCOLITE TOSSICA (Megacolon tossico) L’enterocolite tossica può essere causata da stipsi cronica da malattia di Hirschprung, che determina contaminazione batterica dell’intestino dilatato con produzione di enterotossine batteriche. Il conseguente e improvviso richiano e intrappolamento di acqua nel lume intestinale o la sua perdita all’esterno con scariche diarroiche possono determinare un importante depauperamento idroelettrolitico, che in tempi brevi può causare grave stato di disidratazione con rischio di morte. In questi casi la somministrazione di liquidi e antibiotici è importante, ma non può evitare il decesso se non si rimuove prontamente l’ostruzione, attraverso una colostomia. Per stabilizzare il paziente, prima di effettuare la colostomia può essere utile il lavaggio del colon con soluzione fisiologica mediante un catetere rettale.

ATRESIA ANALE L’atresia anale può essere facilmente diagnosticata, in quanto l’ano è file:///F|/sito/merck/sez19/2612372.html (4 of 5)02/09/2004 2.45.46

Anomalie congenite

visualizzabile con il semplice esame obiettivo. Se non si fa diagnosi e il bambino comincia a essere alimentato, compariranno presto i segni dell’ostruzione intestinale bassa. Spesso è presente un tramite fistoloso, che nei maschi si estende dalla tasca anale al perineo o all’uretra, mentre nelle femmine dalla tasca anale alla vagina, alla forchetta vaginale o raramente alla vescica. L’ano cieco e la pelle del perineo possono essere distanti diversi centimetri o separati solo da una sottile membrana cutanea che oblitera l’orifizio anale. È necessario filtrare ed esaminare le urine per evidenziare la presenza di meconio, che documenta l’esistenza di una fistola con le vie escretrici. La rx diretta addome e la "fistolografia" con il paziente in posizione prona laterale possono individuare il livello della atresia. La presenza della fistola indica un’atresia bassa. In tal caso è possibile effettuare l’intervento definitivo per via perineale. Se non è presente una fistola perineale è propabile che si tratti di una lesione alta e l’intervento definitivo viene di solito differito fino a quando il bambino sarà più grande e le strutture anatomiche su cui intervenire di dimensioni maggiori. Fino ad allora viene confezionata una colonstomia per alleviare l’ostruzione.

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Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 258. TERAPIA FARMACOLOGICA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI (V. anche sezione 22 e Farmaci e allattamento materno nel Cap. 256). Una terapia farmacologica efficace e non dannosa nel neonato, nel lattante e nel bambino richiede che si conoscano le variazioni che intervengono con l’età nel meccanismo d’azione, nel metabolismo e nella disponibilità dei farmaci. Praticamente quasi tutti i parametri farmacocinetici si modificano con l’età. Il dosaggio dei farmaci in pediatria (in mg/kg) deve essere dunque variato a seconda delle caratteristiche cinetiche dei singoli farmaci, dell’età (la variabile maggiore), della condizione patologica, del sesso (nel bambino postpubere) e del fabbisogno individuale. Altrimenti, il trattamento può risultare inefficace o tossico. Assorbimento dei farmaci: l’assorbimento GI dei farmaci può risultare più lento rispetto all’adulto, soprattutto nel neonato che presenta un ritardo di svuotamento gastrico e nel bambino affetto da malattia celiaca. Nel neonato l’assorbimento di alcuni farmaci somministrati per via intramuscolare (p. es., digossina, fenitoina) può essere incostante. L’assorbimento per via dermica e sottocutanea è marcatamente aumentata nel neonato e nel lattante; p. es. l’adrenalina somministrata per via topica può causare ipertensione arteriosa e l’assorbimento dermico di coloranti e antibatterici (p. es. esaclorofene) può indurre avvelenamento. La teofillina somministrata per via sottocutanea al neonato prematuro con crisi di apnea è assorbita bene e vengono mantenuti nel plasma livelli terapeutici. Distribuzione del farmaco: le modificazioni nella distribuzione del farmaco durante la crescita variano parallelamente alla variazione della composizione corporea (v. Fig. 258-1). La quantità di acqua è maggiore nel neonato (rappresenta almeno l’80% del peso corporeo nel neonato prematuro e circa il 70% nel neonato a termine) riapetto all’adulto (55-60%). Quindi, per mantenere un’uguale concentrazione plasmatica, i farmaci idrosolubili devono essere somministrati a dosi decrescenti (per chilogrammo di peso corporeo) con l’avanzare dell’età. È interessante notare che questa diminuzione della quantità globale di acqua nell’organismo prosegue in età adulta. Legame alle proteine plasmatiche: il legame dei farmaci alle proteine plasmatiche è minore nel neonato rispetto all’adulto, ma diventa simile all’adulto dopo pochi mesi dalla nascita. Questo ridotto legame alle proteine può dipendere da una differenza qualitativa e quantitativa nelle proteine plasmatiche neonatali e anche dalla presenza nel plasma di substrati esogeni ed endogeni. Una riduzione del legame alle proteine può alterare la risposta farmacologica e la clearance del farmaco, ma ciò raramente viene preso in considerazione nei bambini più grandi. L’aumentata sensibilità del neonato nei confronti di alcuni farmaci, p. es., la teofillina, è stata attribuita in parte a una diminuzione del legame alle proteine che provoca un aumento della frazione libera disponibile a reagire con i siti recettoriali e determina un maggior effetto farmacologico. Per questo motivo si possono avere effetti collaterali con concentrazioni plasmatiche molto più basse di quelle considerate sicure nell’adulto. Metabolismo ed escrezione dei farmaci: la dose di mantenimento di un farmaco dipende molto dalla clearance che, a sua volta, è funzione del metabolismo ed escrezione del farmaco. Questi processi tendono a essere molto lenti nel neonato, la loro velocità aumenta progressivamente durante i primi mesi di vita e supera quella degli adulti entro i primi anni di vita. Il processo di eliminazione dei farmaci rallenta durante l’adolescenza e probabilmente

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Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

raggiunge i livelli adulti nella pubertà avanzata. I cambiamenti nel metabolismo e nelle caratteristiche del farmaco a seconda dell’età sono molto variabili e dipendono anche dal substrato e di tipo di farmaco. La maggior parte dei farmaci, inclusi fenitoina, barbiturici, analgesici, glicosidi cardioattivi, presenta nel neonato, un’emivita due-tre volte superiore rispetoo all’adulto. Altri farmaci vengono eliminati molto lentamente nel neonato e nel bambino piccolo; p. es., l’emivita plasmatica media della teofillina è di 30 h nel neonato e di 6 h nell’adulto. Mentre per alcuni farmaci (p. es., barbiturici, fenitoina) si può ottenere la stessa velocità di eliminazione dell’adulto in 2-4 sett. dopo la nascita, per altri (p. es., teofillina) sono richiesti mesi. Il metabolismo e l’eliminazione dei farmaci mostrano ampie variazioni tra paziente e paziente e sono condizionati da situazioni fisiopatologiche. Inoltre, nel neonato si può avere l’attivazione di vie alternative di biotrasformazione (p. es., la conversione della teofillina in caffeina). Queste osservazioni hanno indotto a modificare i dosaggi nei lattanti e nei bambini. Questi principi vengono illustrati nella Fig. 258-2 per la teofillina, un broncodilatatore e uno stimolante del SNC, comunemente usati in pediatria. La teofillina viene eliminata molto lentamente nel neonato, raggiunge la velocità di eliminazione dell’adulto in alcuni mesi e la supera all’età di 1-2 anni. Così, per mantenere la concentrazione nel plasma entro i livelli terapeutici, la dose per kg di peso corporeo è bassa nel periodo neonatale ma aumenta e supera i dosaggi degli adulti nel periodo di età compreso fra 6 mesi e 4 anni. La via di eliminazione più importante per gli antibiotici, i farmaci più usati nel neonato e nel lattante, è quella renale. Essa è condizionata dalla VFG e dalla secrezione tubulare. Entrambe le funzioni sono ridotte nel neonato e maturano durante i primi 2 anni di vita. La VFG nel neonato è circa il 30% di quella dell’adulto ed è molto influenzata dall’età gestazionale alla nascita. Il flusso ematico renale (FER) effettivo è responsabile della quota di farmaco che viene eliminata dal rene. Il FER effettivo è basso durante i primi 2 giorni di vita (34-99 ml/min/1,73 m2), aumenta fino a 54-166 ml/min/1,73 m2 fra 14 e 21 giorni e aumenta ancora di più fino a raggiungere i livelli adulti pari a circa 600 ml/ min/1,73 m2 all’età di 1-2 anni. La clearance plasmatica dei farmaci aumenta significativamente nella prima infanzia dopo 1 anno di vita; questo è in parte dovuto all’aumentata escrezione epatica e renale nella prima infanzia rispetto all’adulto e soprattutto rispetto all’anziano. Viene modificato di conseguenza il dosaggio degli aminoglicosidi e degli altri antibatterici.

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Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 258. TERAPIA FARMACOLOGICA IN NEONATI, LATTANTI E BAMBINI (V. anche sezione 22 e Farmaci e allattamento materno nel Cap. 256).

DOSAGGI DEI FARMACI Nessuna regola garantisce l’efficacia e la sicurezza dei farmaci nei bambini, soprattutto nei neonati. L’approccio più razionale è offerto da dosaggi basati sui dati farmacocinetici per un gruppo di età specifica, modificati in base alla risposta desiderata e alla capacità individuale di interagire con il farmaco. Molti farmaci utilizzati in pediatria non sono stati studiati adeguatamente o completamente nei bambini. Molte formule sono state suggerite per estrapolare dal dosaggio degli adulti quello pediatrico (p. es., le formule di Clark, di Cowling e di Young), assumendo erroneamente che il dosaggio stabilito per gli adulti sia sempre corretto e che il bambino sia un adulto miniaturizzato. Come mostra la Fig. 258-2, il dosaggio deve essere variato costantemente a seconda dell’età. Determinare il dosaggio in base al peso corporeo è pratico ma non ideale. Le attuali raccomandazioni riguardo ai dosaggi sono solitamente basate sul peso corporeo o sull’età del bambino. Comunque, anche in un dato gruppo di popolazione, così come i neonati, i dosaggi di un farmaco differiscono a causa del diverso grado di immaturità della clearance del farmaco. Per esempio, la dose e l’intervallo tra dosi degli antibiotici comunemente usati nel periodo neonatale (gentamicina e vancomicina) vengono solitamente regolati come funzione dell’età gestazionale e dell’età postnatale (v. Tab. 258-1). Considerazioni farmacocinetiche e monitoraggio terapeutico: molti farmaci presentano nel neonato e nel bambino più grande una curva di scomparsa plasmatica di tipo biesponenziale; p. es., il logaritmo della concentrazione plasmatica del farmaco decresce linearmente in funzione del tempo, con una breve ma veloce fase di distribuzione(α) e una più lenta fase di eliminazione(β). Questo esemplifica un modello a 2 compartimenti e una cinetica di primo ordine, nella quale una certa frazione del farmaco (non il totale), permanendo nell’organismo, viene eliminata per unità di tempo e, dopo la fase di distribuzione, la concentrazione plasmatica diventa proporzionale alla concentrazione del farmaco in altre regioni dell’organismo. Questo è un modello applicabile a molti farmaci utilizzati nel neonato e nel bambino più grande, sebbene alcuni (p. es., gentamicina, diazepam, digossina) possano adattarsi a un modello multicompartimentale; altri (p. es., salicilati) presentano una cinetica di saturazione (cioè una certa quota, non una frazione, del farmaco viene eliminata per unità di tempo). Nel bambino molto piccolo e nel soggetto prepubere la fase αpuò essere molto breve relativamente alla fase β e il suo contributo all’eliminazione totale e al calcolo della dose può non essere significativo. Similmente, farmaci somministrati comunemente nel neonato presentano una fase β estremamente prolungata nei confronti della fase α. Pertanto, per il calcolo del dosaggio, l’intero organismo del neonato può essere considerato come un singolo compartimento. Per la maggior parte dei farmaci che seguono una cinetica di primo ordine, le modificazioni di dosaggio si possono basare sulla concentrazione plasmatica del farmaco che in uno stato di equilibrio è proporzionale alla dose. Ad esempio, se la concentrazione plasmatica di fenobarbital è soltanto 5 mg/l con una dose di 10 mg/kg/die, raddoppiando il dosaggio a 20 mg/kg/die deve anche raddoppiare la concentrazione plasmatica del farmaco a 10 mg/l.

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Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

Quando si richiede una pronta azione del farmaco può essere utile raggiungere rapidamente una certa concentrazione plasmatica somministrando una dose carico (mg/kg). Per molti farmaci, nel neonato e nel bambino piccolo si richiedono boli (mg/kg) generalmente maggiori che nel bambino più grande e nell’adulto. D’altra parte, l’eliminazione prolungata dei farmaci nelle prime settimane di vita giustifica dosi di mantenimento più basse e intervalli di somministrazione più lunghi, onde prevenire effetti tossici. Il monitoraggio della concentrazione del farmaco nel siero o in altri liquidi biologici (p. es., saliva, urine, LCR) è utile quando non si raggiunge l’azione desiderata o quando si verificano effetti collaterali. Ciò è anche importante nel valutare la compliance. Vie di somministrazione dei farmaci: esse dipendono dalle necessità cliniche e dalle circostanze. Nel neonato prematuro patologico quasi tutti i farmaci vengono somministrati per via endovenosa poiché l’assorbimento GI è ridotto e anche poiché la via intramuscolare è controindicata in quanto questi neonati hanno una ridotta massa muscolare. La via orale viene utilizzata soprattutto nel prematuro dopo qualche giorno di vita, nel neonato a termine e nei bambini più grandi. Nei neonati (v. sopra) l’assorbimento del farmaco per via cutanea è aumentato ed è in corso di valutazione. Tuttavia per i bambini con gravi patologie e per quelli affetti da vomito, diarrea o da altri problemi gastrointestinali si raccomanda la via parenterale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 258-1. EFFETTO DELLA MATURITÀ FETALE E DELL'ETÀ SUL DOSAGGO DEI FARMACI NEI NEONATI Farmaco

Età postconcezionale* (sett.)

Dose (mg/ kg)

Intervallo tra le dosi (h)

Gentamicina

37

2,5

q-12

150 mEq/l induce a sottovalutare il grado di disidratazione; [Na] < 130 mEq/l induce a sopravalutarlo clinicamente. PPP = perdita di peso presunta; [Na] = concentrazione di Na sierico.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 259-2. APPROCCIO ALLE ALTERAZIONI DELL'EQUILIBRIO IDROELETTROLITICO Problema

Volume (liquidi)

Composizione (elettroliti)

Deficit

Rapida perdita di peso

V. Tab. 259-4

Valutazione cli nica (v. Tab. 259-3) Perdite in atto

Misurare

V. Tab. 259-5 o misurare

Fabbisogno Calcolato V. Tab. 259-8 liquidi di mediante mantenimento metodo della ASC o metodo delle calorie

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 259-4 DEFICIT ABITUALI DI ELETTROLITI IN CORSO DI DISIDRATAZIONE Causa

In caso di digiuno e di sete

Sodio Potassio (mEq/l) (mEq/l) 50

10

Disidratazione isotonica

80

80

Disidratazione ipotonica

100

80

Disidratazione ipertonica

20

10

Stenosi pilorica

80

100

Chetoacidosi diabetica

80

50

Diarrea

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 259-5. COMPOSIZIONE APPROSSIMATIVA DEI LIQUIDI COSTITUENTI LE PERDITE ANOMALE ESTERNE Liquidi

Sodio (mEq/l)

Potassio (mEq/l)

Cloro (mEq/l)

Gastrico

20-80

5-20

100-150

Pancreatico

120-140

5-15

40-80

Piccolo intestino

100-140

5-15

90-130

Bile

120-140

5-15

80-120

Da ileostomia

45-135

10-80

10-10

Normale

10-30

3-10

10-35

Fibrosi cistica

50-130

5-25

50-110

Da ustioni (v. Cap. 276)

140

5

110

Sudore

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 259-8. PERDITE APPROSSIMATIVE E PROPORZIONATE DI LIQUIDI ED ELETTROLITI Sede di perdita

Acqua (ml)

Sodio (mEq/l)

Potassio (mEq/l)

Polmoni

150

0

0

Cute

300

1

2

Feci

50

1

2

Urine

500

30

20

Totale

100 0

32

24

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Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 259. SQUILIBRI IDRO-ELETTROLITICI NELL’INFANZIA DEFICIT Perdite di liquidi ed elettroliti prima del trattamento.

Sommario: Quantità di liquidi Composizione della soluzione reidratante Somministrazione della soluzione reidratante PERDITE ACCESSORIE Quantità di liquidi Composizione dei liquidi persi Somministrazione della soluzione reidratante

Quantità di liquidi La quantità di liquidi può essere al meglio determinata direttamente in base alle variazioni di peso corporeo, qualora si conoscano. Si può parlare di perdita di liquidi, quando la recente perdita di peso è stata giornalmente superiore o uguale all’1% del peso corporeo. Se non si conosce il peso iniziale del bambino si deve effettuare una valutazione clinica del deficit di liquidi, sebbene questa possa trarre in inganno (v. Tab. 259-3). Per esempio, le alterazioni della natriemia influenzano la valutazione clinica del grado di disidratazione.

Composizione della soluzione reidratante La composizione della soluzione reidratante dipende dall’entità della disidratazione, dal tipo di disidratazione e dalla elettrolitemia attuale. Se la perdita di liquidi si realizza in pochissimo tempo, cioè minuti o poche ore, la composizione della soluzione da somministrare sarà come quella sierica. Comunemente, tuttavia, la disidratazione si instaura in 2-3 giorni ed è disponibile più tempo per ottenere un riequilibrio tra liquido extracellulare e liquido intracellulare; perciò occorre somministrare meno Na e più K. La Tab. 259-4 indica i deficit abituali di elettroliti in corso di disidratazione. Dopo la correzione dello shock la scelta dei liquidi da somministrare viene effettuata in base alla concentrazione elettrolitica sierica attuale del paziente (in particolare di Na) (v. anche Iponatremia e ipernatremia nel Cap.12).

Somministrazione della soluzione reidratante La velocità di correzione del deficit dipende dalla gravità della disidratazione e dalla velocità di perdita dei liquidi. In genere, quando compaiono segni di insufficienza circolatoria, si somministrano EV 20 ml/kg di una soluzione simile al LEC (p. es., Ringer lattato o una soluzione di NaCl allo 0,9%), in 30-60 min, per restaurare un’adeguata perfusione (fase di correzione dello shock). Se lo stato di

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Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

shock non migliora apprezzabilmente, bisogna somministrare rapidamente una maggiore quantità di liquidi. La necessità di ricorrere a queste misure, deve indurre il medico a prevenire le numerose possibili complicanze di uno shock acuto (v. Cap. 204). La rimanente parte del recupero delle perdite può essere somministrato in 8-48 h, a seconda delle necessità cliniche del paziente.

Quantità di liquidi Quantificare le perdite anomale (p. es., drenaggio gastrico, flusso dall’ileostomia) può essere a volte semplice e a volte difficoltoso. Durante una laparotomia o una toracotomia, per esempio, la perdita di liquidi mediante evaporazione può essere considerevole (4-6 ml/kg/h o più), ma difficile da determinare. Il terzo spazio si riferisce a un accumulo di liquidi oltre il LEC o il LIC, che non serve nel mantenimento del circolo, ma che rimane all’interno dell’organismo (p. es., nel lume intestinale durante un ileo). Dal momento che non c’è una perdita evidente di liquidi né c’è una riduzione di peso contemporaneamente alla riduzione del LEC, si può sviluppare una grave nonché insidiosa disidratazione. Il paziente deve essere strettamente monitorato quando si sospetta la presenza del terzo spazio (v. sopra)

Composizione dei liquidi persi La composizione delle perdite accessorie può essere stimata (v. Tab. 259-5), ma deve essere determinata mediante analisi chimica del liquido, soprattutto se la perdita è abbondante o persistente per parecchi giorni.

Somministrazione della soluzione reidratante Il modo più semplice per compensare le perdite accessorie, consiste nell’addizionare liquidi ed elettroliti all’infusione di mantenimento e/o al deficit di liquidi (pompa peristaltica); questo evita il mescolamento di soluzioni particolari e permette una maggiore flessibilità nello schema della reintegrazione.

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Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 259. SQUILIBRI IDRO-ELETTROLITICI NELL’INFANZIA IPERIDRATAZIONE Alcuni problemi riguardanti liquidi ed elettroliti derivano da una iperidratazione (soprattutto se dovuta a un disordine della funzione renale e cardiaca) o da un’eccessiva somministrazione di elettroliti o da entrambi. Il medico deve considerare le fonti addizionali di liquidi e di elettroliti, come i solventi per ricostituire i farmaci, p. es., l’acqua distillata vs. NaCl per infusione. Vengono valutati la quantità di liquidi e la composizione dei liquidi in eccesso e l’apporto di liquidi viene appropriatamente ristretto.

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Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 259. SQUILIBRI IDRO-ELETTROLITICI NELL’INFANZIA FABBISOGNO IDRICO DI MANTENIMENTO Sommario: Introduzione Quantità di liquidi Composizione dei liquidi Velocità di somministrazione ESEMPIO PRATICO

Nel momento in cui si è raggiunto l’equilibrio idrico, sono richiesti liquidi per mantenere l’omeostasi, per disperdere il calore prodotto dall’attività metabolica e per espellere le scorie del metabolismo cellulare. Le perdite di acqua per evaporazione attraverso la cute e l’apparato respiratorio (in proporzione 2:1) incidono per il 50% circa del fabbisogno di liquidi di mantenimento. L’altro 50% è rappresentato dalle urine, in cui sono escreti soluti, in modo che esse non siano né concentrate né diluite (cioè 300 mOsm/l, peso specifico circa 1,010).

Quantità di liquidi Essa dipende dall’indice metabolico, determinandosi così una complessa relazione con il peso: il bambino più piccolo presenta una maggiore attività metabolica/kg di peso (50-65 cal/kg nel neonato, 26-28 kcal/kg nell’adulto). Per calcolare la quantità di liquidi per il mantenimento si utilizzano molto frequentemente tre metodi: uno è basato sulla ASC, gli altri sul dispendio energetico, che può essere correttamente tradotto in millilitri di liquidi (v. Tab. 2596). Determinazione mediante il metodo della ASC: la superficie corporea, come l’indice metabolico, non è una funzione lineare del peso e, per essere calcolata, è richiesto l’uso di una tabella o di un nomogramma (v. Fig. 259-1). Per gli individui di tutte le età, i liquidi di mantenimento che occorrono sono circa 1500-2000 ml/ m2/die. Determinazione mediante il metodo delle calorie basali: il dispendio energetico si calcola con le tavole del metabolismo basale, apportando delle appropriate modifiche in base alla situazione specifica, p. es., l’attività muscolare e le alterazioni della temperatura corporea (v. Tab. 259-7). Determinazione mediante la formula di Holliday-Segar: questa formula, facile da ricordare, ideata per calcolare i fabbisogni di un "paziente ospedalizzato medio" allettato (v. Fig. 259-2), può essere utilizzata per calcolare la spesa calorica senza tabelle o nomogrammi. Questa formula comprende una quota per l’attività muscolare (come il metodo che si basa sulla superficie corporea). Prevede, per il lattante molto piccolo ospedalizzato, un’attività normale o quasi e un’attività più ridotta per il bambino più grande. Sebbene ogni metodo sia utile, essi non forniscono però esattamente lo stesso risultato. Il metodo delle calorie basali, mediante il quale si stabilisce la più bassa file:///F|/sito/merck/sez19/2592275b.html (1 of 4)02/09/2004 2.46.02

Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

quantità di liquidi raccomandata, è più preciso quando l’attività fisica è ridotta o quando è presente una iperidratazione. Comunque, il metodo più facile da utilizzare è la formula di Holliday-Segar poiché non richiede l’uso di tavole. Il medico deve familiarizzare completamente con uno dei metodi.

Composizione dei liquidi Poiché praticamente tutta la perdita di elettroliti avviene con le urine (v. Tab. 2598), il paziente anurico non richiede la reintegrazione elettrolitica. Nel paziente con normale funzionalità renale, il mantenimento richiede soluzioni contenenti 32 mEq/l di Na e 24 mEq/l di K, soluzione che si avvicina a una soluzione standard costituita da glucoso al 5% e NaCl 0,2%, con aggiunte di K.

Velocità di somministrazione Convenzionalmente, quando liquidi di mantenimento vengono somministrati per via parenterale, il volume totale viene distribuito uniformemente nell’arco delle 24 h. Comunque, gli individui sani non soddisfano i loro fabbisogni per il mantenimento bevendo continuamente e neanche i pazienti ospedalizzati hanno bisogno di soddisfare il loro fabbisogno idrico regolarmente ogni ora.

ESEMPIO PRATICO Un lattante presenta da 3 giorni diarrea e un calo ponderale da 10 a 9 kg. Presenta segni clinici che fanno presumere una perdita di liquidi del 10%: secchezza delle mucose, ridotto turgore della pelle, marcata oliguria e tachicardia, ma normale PA e normale perfusione periferica, valutata mediante compressione-decompressione del letto ungueale. I livelli sierici di Na sono136 mEq/l; di K, 4 mEq/l; di Cl, 104 mEq/l e di HCO3, 20 mEq/l. Calcolo Recupero perdite Quantità di liquidi (dalla Tab. 259-3): 1 l Composizione dei liquidi (perdite elettrolitiche dalla Tab. 259-4; diarrea [disidratazione isotonica]): 80 mEq di Na, 80 mEq di K. Perdite accessorie Quantità e composizione dei liquidi: si determina a seconda del decorso Fabbisogno idrico di mantenimento Quantità di liquidi: Metodo della ASC (v. Fig. 259-1): ⋅

0,47 m2 1500 a 2000 ml/m2/die = 705-940 ml/die Se calcolata mediante il metodo delle calorie basali (v. Tab. 259-7): 550 kcal basali + 20% (110 kcal) per l’attività = 660 kcal (≅ 60 ml/ die) Formula di Holliday-Segar (v. Fig. 259-2);

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Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

100 kcal/kg ×10 kg = 1000 kcal (≅ 1000 ml/ die) Composizione dei liquidi: glucoso 5% e NaCl 0,2% + 20 mEq/l di acetato di potassio o di KCl. Procedimento Quota di liquidi calcolata per il recupero delle perdite Quantità di liquidi: 20 ml/kg ⋅ 10 kg = 200 ml Composizione dei liquidi: soluzione Ringer Lattato contenente 130 mEq/l di Na e 4 mEq/l di K Velocità di somministrazione: 20 ml/kg ⋅ 1 h Deficit rimanente Quantità di liquidi: 1000 ml (perdita totale) - 200 ml (già somministrati) = 800 ml Concentrazione di Na: 80 mEq (deficit) - 26 mEq (somministrati con la soluzione di Ringer) = 54 mEq. I 54 mEq in 800 ml danno una concentrazione di 68 mEq/l, che è approssimativamente simile alla concentrazione di Na della soluzione disponibile in commercio, costituita da glucoso 5% e NaCl 0,45% (77 mEq/l). Velocità di somministrazione: arbitraria; p. es., 100 ml/h ⋅ 8h Perdite accessorie Da rimpiazzare a seconda del quantitativo perso. Fabbisogno idrico di mantenimento Quantità di liquidi: da 660 a 1000 ml Composizione dei liquidi: glucoso 5% e NaCl 0,2% Velocità di infusione: se iniziata dopo il recupero delle perdite, allora la quota di liquidi richiesta nel primo giorno deve essere somministrata in 15 h piuttosto che in 24 h

Dopo il primo giorno, i liquidi per il mantenimento possono essere distribuiti uniformemente nelle 24 h

Riassunto Quota di liquidi calcolata per il recupero delle perdite

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Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

Ringer lattato, 200 ml/h ⋅ 1 h, successivamente Deficit rimanente destroso 5% e soluzione salina 0,45%, 100 ml/h ⋅ 8 h, successivamente Perdite accessorie Da rimpiazzare a seconda del quantitativo perso. Fabbisogno idrico di mantenimento destroso 5% e soluzione salina 0,2%, 50-60 ml/h ⋅ 15 h, successivamente destroso 5% e soluzione salina 0,2%, 30-40 ml/h successivamente Note In questo esempio viene calcolato esclusivamente il fabbisogno di Na: la velocità e la quantità di somministrazione di K sono regolate da motivi di sicurezza e non si richiede subito la reintegrazione totale. Quando viene ripristinata la diuresi, allora si aggiungeranno, alla soluzione per il recupero delle perdite, 20-40 mEq/l di K. In questo esempio vengono mostrate le fasi di recupero delle perdite e di mantenimento. Molti medici, tuttavia, preferiscono combinare le 2 fasi suddette e procedere più lentamente, il che rappresenta la procedura di scelta nella disidratazione ipernatremica (v. Ipernatremia nel Cap. 12). La terapia reidratante orale deve essere presa in considerazione per i bambini che accettano liquidi per via orale, a meno che non sia resa impossibile dal vomito; essa è efficace, sicura, conveniente e poco dispendiosa rispetto alla terapia EV. La soluzione reidratante orale deve contenere carboidrati complessi o 2% di glucoso e 50-90 mEq/l di Na (v. in Gastroenterite acuta infettiva nel Cap. 265). Una volta reintegrate le perdite, si deve utilizzare una soluzione di mantenimento per via orale contenente un quantitativo di Na più basso.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 259-6. RAPPORTO FRA CONSUMO CALORICO E FABBISOGNO PER IL MANTENIMENTO Sede di perdita d’acqua

Perdite abituali (ml H2O/100 kcal metabolizzate)

Polmoni

15-20

Cute

30-40

Feci

5

Urine

55-65

Totale

115

Acqua generata mediante il metabolismo (CH2O + O2 H2O + CO2)

-15

Netto

100

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 259-7. VALORI DI RIFERIMENTO PER IL METABOLISMO BASALE Peso (kg)

kcal/24 h*

Maschi

Entrambi i sessi Femmin e

3

140

5

270

7

400

9

500

11

600

13

650

15

710

17

780

19

830

21

880

25

1020

960

29

1120

1040

33

1210

1120

37

1300

1190

41

1350

1260

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Manuale Merck - Tabella

45

1410

1320

49

1470

1380

53

1530

1440

57

1590

1500

61

1640

1560

*1. Si aggiunge o si sottrae il 12% al valore del metabolis mo basale (valore metabolico generale in kcal/24 h) per cias cun C° (8% per ogni °F) di temperatura rettale superiore o inferiore a 37,8°C (100°F). 2. Si aggiunge 0-30% al valore del metabolismo basale per l’attività abituale; stati ipo o ipermetabolici richiedono mag giori aggiustamenti.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE IL PREMATURO Ogni bambino nato prima di 37 sett. di gestazione.

Sommario: Introduzione Eziologia e segni Complicanze Prevenzione

In passato, ogni bambino con peso < 2,5 kg era definito prematuro; questa definizione appariva inappropriata, poiché numerosi neonati con peso < 2,5 kg sono a termine o post-termine ma piccoli per l’età gestazionale; essi hanno un aspetto differente e presentano problemi diversi rispetto ai bambini prematuri.

Eziologia e segni La causa di un parto prematuro, preceduta o no dalla rottura prematura delle membrane, non è nota. Comunque, l’anamnesi materna evidenzia comunemente un basso livello socio-economico, cure mediche prenatali inadeguate, nutrizione insufficiente, insufficiente educazione igienico- sanitaria, stato civile nubile e malattie o infezioni intercorrenti non trattate. Altri fattori di rischio sono rappresentati da vaginosi batteriche materne non trattate e precedente figlio prematuro. Il bambino prematuro è piccolo, solitamente di peso < 2,5 kg e con cute sottile, lucida, rosea, attraverso la quale sono visibili le esili vene sottostanti. Ha uno scarso grasso sottocutaneo, pochi capelli e un padiglione auricolare con poca cartilagine. L’attività spontanea e il tono sono ridotti e gli arti non assumono la posizione flessa (v. Fig. 256-1). Nei maschi, lo scroto può avere poche pieghe e i testicoli possono non essere discesi. Nelle femmine, le grandi labbra non coprono ancora le piccole labbra.

Complicanze La maggior parte delle complicanze è correlata all’immaturità dei vari organi. Polmoni: la produzione del surfactante spesso non è adeguata a prevenire il collabimento alveolare e l’atelettasia, situazione che può provocare distress respiratorio (v. più avanti in Patologia respiratoria). SNC: essendo inadeguata la coordinazione dei riflessi di suzione e deglutizione nei bambini nati prima di 34 sett. di gestazione, può essere necessario alimentare il bambino EV o mediante gavage. L’immaturità del centro respiratorio bulbare comporta apnee di breve durata (apnea centrale, v. più avanti Apnea

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Patologia del neonato e del lattante

della prematurità in Patologia respiratoria). Le crisi di apnea possono anche dipendere esclusivamente dall’ostruzione delle strutture dell’ipofaringe (apnea ostruttiva) o in combinazione a un’apnea centrale (apnea mista). Nei neonati prematuri, le strutture periventricolari sono suscettibili a emorragie, che possono estendersi ai ventricoli cerebrali (emorragia intraventricolare). Si verificano anche infarti a carico della sostanza bianca periventricolare (leucomalacia ventricolare), ma le ragioni di ciò non sono completamente conosciute. Forse l’ipotensione, una perfusione cerebrale inadeguata o instabile o picchi ipertensivi (che si possono verificare per la somministrazione rapida di liquidi o colloidi EV) possono contribuire a determinare infarti o emorragie cerebrali. Infezioni: la sepsi o la meningite sono circa 4 volte più frequenti nel prematuro rispetto al neonato a termine. L’aumentata frequenza di queste infezioni è dovuta alla necessità di impiantare cateteri intravascolari e tubi endotracheali, alla presenza di aree di cute lese e alla riduzione dei livelli di immunoglobuline sieriche nei bambini prematuri. (V. più avanti Infezioni neonatali, e Situazione immunologica del feto e del neonato nel Cap. 256). I bambini pretermine presentano un alto rischio di avere una l’enterocolite necrotizzante (v. più avanti Enterocolite necrotizzante,). Termoregolazione: i bambini prematuri hanno una notevole estensione della superficie corporea rispetto alla massa corporea; per tale ragione, essi perdono rapidamente calore e hanno difficoltà a mantenere la normale temperatura corporea quando sono esposti a temperature più basse dell’ambiente termoneutrale (v. anche più avanti Ipotermia). Tratto GI: nel prematuro lo stomaco piccolo e l’immaturità dei riflessi di suzione e deglutizione impediscono un’adeguata alimentazione per via orale o mediante sondino naso-gastrico e rappresentano un costante rischio di aspirazione. La maggior parte dei bambini prematuri tollera il latte materno, latti in polvere adattati oppure formule speciali per neonati pretermine che contengono 85-95 kcal/100 g. Prematuri particolarmente piccoli sono stati alimentati con successo, tramite sondino naso-gastrico, con il latte materno, che contiene fattori immunologici e nutritivi che sono assenti nelle formule adattate da latte vaccino. Tuttavia, il latte materno non fornisce al lattante di peso molto basso alla nascita (< 1,5 kg) la quantità sufficiente di calcio, fosforo e proteine, per cui si deve aggiungere al latte materno prima della poppata uno dei vari integratori disponibili. In prima e seconda giornata, se, a causa delle condizioni del bambino, non possono essere somministrati per bocca o tramite sondino naso- gastrico o nasoduodenale liquidi e calorie in quantità adeguate, si può ricorrere alla somministrazione EV di una soluzione glucosata al 10% addizionata di elettroliti di mantenimento, allo scopo di prevenire la disidratazione e la malnutrizione. Nel prematuro particolarmente piccolo, in cattive condizioni, soprattutto se sono presenti disturbi respiratori o crisi di apnea ricorrenti ,l’alimentazione continua con latte umano o latti in polvere, tramite sondino naso-duodenale o gastrico, può raggiungere un soddisfacente l’apporto calorico . L’alimentazione viene iniziata con piccole quantità di latte diluito a metà; se viene ben tollerato, in 7-10 giorni si aumentano le quantità e progressivamente la concentrazione. Nei bambini molto piccoli o in quelli gravemente malati, si può attuare una iperalimentazione parenterale totale tramite una vena periferica o catetere centrale collocato per via chirurgica o percutanea, finche non è tollerata un’alimentazione enterale completa. Per la trattazione della suscettibilità del neonato all’ipoglicemia e all’iperglicemia, v. più avanti in Patologia metabolica nel neonato. Rene: la funzionalità renale è immatura nel neonato pretermine, così che il potere di concentrazione e di diluizione delle urine sono più bassi rispetto a quelli del neonato a termine. L’incapacità del rene immaturo a eliminare gli acidi fissi, che si accumulano per l’uso di latti in polvere a elevato contenuto proteico e come risultato dell’accrescimento osseo, può causare acidosi metabolica tardiva e un ritardo di crescita. Come risultato, sodio e bicarbonato si perdono con le urine. Può essere necessario la somministrazione di bicarbonato di sodio per via orale (1-2 mEq/kg/die in 4-6 dosi refratte) per diversi giorni.

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Patologia del neonato e del lattante

Iperbilirubinemia (v. anche più avanti Patologia metabolica nel neonato): i bambini prematuri sviluppano iperbilirubinemia più spesso dei neonati a termine e l’ittero nucleare può presentarsi nei prematuri piccoli, patologici, già a livelli di bilirubina sierica di 10 mg/DL (170 µmol/l). I livelli di bilirubina più elevati, tipici del prematuro, possono essere dovuti in parte all’inadeguato sviluppo, a livello epatico, dei meccanismi di escrezione, includendo anche una difettosa captazione della bilirubina sierica, coniugazione epatica ed escrezione nelle vie biliari. Una ridotta motilità intestinale permette una maggiore deconiugazione della bilirubina diglicuronide nel lume intestinale a opera di un enzima luminale, la β-glicuronidasi, permettendo così un aumentato riassorbimento della bilirubina libera (circolo entero-epatico della bilirubina). Viceversa, l’alimentazione precoce aumenta la motilità intestinale e riduce il riassorbimento di bilirubina e può perciò ridurre significativamente l’incidenza e la severità dell’ittero fisiologico. Raramente, anche la ritardata legatura del cordone ombelicale può aumentare il rischio di iperbilirubinemia significativa, permettendo la trasfusione di una grande quantità di GR; si ha così un’aumentata distruzione dei GR e un’aumentata produzione di bilirubina.

Prevenzione Il rischio di parto prematuro, che rappresenta una delle cause principali di morbilità e mortalità neonatali, può essere ridotto assicurandosi che tutte le donne, in particolare quelle appartenenti a gruppi a rischio elevato, possano godere di precoci e appropriate cure prenatali. L’uso di tocolitici per arrestare un travaglio prematuro e per guadagnare del tempo utile per la somministrazione prenatale di corticosteroidi, che accelerano la maturazione polmonare, viene trattato in Travaglio pre-termine nel Cap.253.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA APNEA DELLA PREMATURITA'

Sommario: Introduzione Terapia

Molti neonati ≤ 34 sett. di età gestazionale presentano l’apnea della prematurità, che spesso inizia 2-3 giorni dopo la nascita. L’incidenza è più elevata a età gestazionali più basse. Anche condizioni patologiche come ipoglicemia, ipocalcemia, sepsi, emorragia intracranica e, occasionalmente, reflusso gastroesofageo possono causare apnea; quindi, neonati prematuri che sviluppano apnea devono essere valutati per escludere queste condizioni sottostanti. Il respiro periodico (rapidi atti respiratori con pause brevi) è causato dall’immaturità dei centri di controllo del respiro troncoencefalici. Si definiscono apnea le pause respiratorie che durano più di 20 s. Possono quindi verificarsi ipossiemia e bradicardia ed è richiesto un intervento di stimolazione della respirazione. L’ipossiemia stimola brevemente nel neonato l’attività respiratoria, ma, dopo pochi secondi, deprime la respirazione. Viene fatta una distinzione tra apnea centrale e apnea ostruttiva. L’apnea centrale è dovuta al mancato invio di impulsi nervosi dal centro respiratorio midollare ai muscoli respiratori; il bambino smette di respirare. L’ostruzione delle vie aeree superiori (apnea ostruttiva) causa un’interruzione del flusso respiratorio d’aria a causa dell’opposizione dei tessuti molli dell’ipofaringe: il neonato compie sforzi respiratori ma l’aria non penetra nei polmoni a causa dell’ostruzione, per cui diventa presto ipossico e bradicardico. Poiché sono presenti movimenti toracici, l’apnea ostruttiva può non essere rivelata da un’apnea-monitor di tipo impedenziometrico, ma è diagnosticata, se viene monitorato il flusso aereo nasale, come assenza di flusso d’aria. Nei neonati di basso peso alla nascita a rischio di apnea devono essere monitorate la frequenza respiratoria e cardiaca. Molti bambini vengono anche monitorati con un pulsiossimetro per determinare gli episodi di desaturazione di O2. Le infermiere devono intervenire rapidamente se si verificano apnea, bradicardia o desaturazione.

Terapia Per prevenire l’ostruzione delle vie aeree superiori può essere di aiuto porre il bambino con la testa sulla linea mediana e il collo in posizione neutrale o leggermente esteso. Se le crisi di apnea continuano, soprattutto se sono associate a cianosi o bradicardia, il neonato può essere trattato con aminofillina (per le dosi, v. sopra Prognosi e terapia in Sindrome del distress respiratorio,). Se

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Patologia del neonato e del lattante

il neonato è sottoposto ad alimentazione enterale, la teofillina può essere somministrata per bocca o con sondino gastrico alla stessa dose, oppure si può passare alla somministrazione di caffeina per os (con un carico di 10 mg/kg e un mantenimento di 5 mg/kg PO q 24 h). La caffeina ha un più alto indice terapeutico e meno effetti collaterali rispetto alla teofillina. Può essere aggiunto un altro stimolante del respiro, il doxapram, in infusione EV continua alla dose di 0,5-2,0 mg/kg/ h, ma l’esperienza riguardo al suo utilizzo è minore nei neonati prematuri. Se l’apnea continua, nonostante il trattamento con stimolanti del respiro, il bambino può essere trattato con la CPAP, che può essere fornita attraverso cannule nasali o un tubo endotracheale, iniziando con una pressione di 5-8 cm H2O. Le crisi di apnea intrattabili richiedono il supporto del ventilatore (v. sopra Uso della ventilazione meccanica). Il trattamento con una metilxantina (aminofillina, teofillina o caffeina) viene sospeso dopo 7 giorni dalla scomparsa delle crisi di apnea. Il neonato può essere dimesso se non si sono verificati episodi di apnea o di bradicardia nei 7 giorni successivi all’interruzione del trattamento xantinico. La maggior parte dei neonati prematuri non ha più crisi di apnea quando si avvicina alle 37 sett. di età gestazionale; tuttavia, le crisi di apnea o di bradicardia possono continuare per diverse settimane in un bambino nato a un’età gestazionale estremamente bassa (p. es., 23-27 sett.). Uno pneumogramma delle 24 h può aiutare nella valutazione degli episodi di apnea, bradicardia e desaturazione. I genitori devono essere informati esaurientemente (comprese le istruzioni sulla CPR e i programmi per la valutazione e il sostegno familiare). Un bambino ritenuto a rischio aumentato di apnea pericolosa per la vita, ma che effettivamente non presenta più crisi di apnea o bradicardia, può essere dimesso con una terapia metilxantinica e con un monitoraggio a domicilio. I monitor utilizzati a casa suonano se la durata dell’apnea supera un limite di tempo (solitamente 15-20 s) o se la frequenza cardiaca scende al di sotto di un limite più basso (di solito 80 o 100 battiti/min). Una batteria li mantiene in funzione, in caso di mancanza di corrente. Molti monitor possono registrare informazioni da scaricare e analizzare in seguito, permettendo con ciò al medico di determinare il tipo e la frequenza degli eventi e di compararli con gli eventi riportati e registrati dai genitori. Questo processo aiuta a stabilire se sono necessari altri trattamenti o se il monitoraggio può essere interrotto. Il monitoraggio a domicilio viene spesso utilizzato nei bambini ritenuti a più alto rischio di SIDS. In alcuni bambini sono stati evidenziati eventi acuti a rischio per la vita e sono stati rianimati con successo, ma altri bambini sono morti durante il monitoraggio a domicilio. L’American Academy of Pediatrics ha stabilito che il monitoraggio a domicilio non previene la SIDS (v. anche più avanti Sindrome della morte improvvisa del lattante).

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO IPOTERMIA Temperatura corporea anormalmente bassa.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Profilassi e terapia

Eziologia e fisiopatologia L’ambiente termico del neonato è condizionato dalla umidità relativa, dalle correnti d’aria, dal contatto con superfici fredde (in tal caso il calore viene perso per irradiazione) e dalla temperatura ambientale. I neonati, in ambienti freddi, sono a rischio di ipotermia, cui possono conseguire ipoglicemia, acidosi metabolica e morte. La perdita di calore per irradiazione si verifica rapidamente a causa di un elevato rapporto superficie corporea/peso corporeo, che è più pronunciato nei neonati di basso peso alla nascita, rendendoli particolarmente vulnerabili. Le perdite di calore per evaporazione (p. es., il neonato in sala parto bagnato di liquido amniotico) e quelle per conduzione e convezione possono determinare importanti perdite di calore e condurre all’ipotermia, anche in una stanza abbastanza calda. Poiché le richieste di O2 del neonato (metabolismo) aumentano con il freddo, l’ipotermia può anche determinare, nei neonati con insufficienza respiratoria (p. es., il neonato prematuro con RDS), ipossia tissutale e danno neurologico. Una prolungata e non riconosciuta condizione di stress da freddo può determinare un dispendio calorico per produrre calore, riducendo l’accrescimento. I neonati rispondono al raffreddamento con una scarica di noradrenalina dal sistema nervoso simpatico del "grasso bruno". Questo tessuto specializzato del neonato, situato in regione nucale, interscapolare, perirenale e perisurrenale, risponde con una lipolisi, seguita da ossidazione e riesterificazione degli acidi grassi rilasciati. Queste reazioni producono calore localmente e l’aumentato flusso ematico al grasso bruno aiuta a trasportare il calore prodotto al resto dell’organismo. Questa reazione può indurre un aumento del metabolismo e del consumo di O2 di 2-3 volte rispetto ai valori basali.

Profilassi e terapia L’ipotermia può essere prevenuta asciugando il neonato rapidamente in sala parto (per evitare la perdita di calore per evaporazione) e poi coprendolo con panni caldi (anche la testa). Se il neonato è rimasto scoperto per la rianimazione, per l’osservazione o se posto a contatto con la madre, deve essere riscaldato mediante lampada radiante. Per i neonati malati deve essere mantenuta la condizione di neutralità termica-

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Patologia del neonato e del lattante

condizione ambientale e temperatura alle quali il dispendio metabolico del neonato è minimo, mantenendo una temperatura corporea normale (37°C). Ciò può essere ottenuto modificando la temperatura dell’incubatrice come riportato in Tab. 260-2 in relazione al peso alla nascita del neonato e all’età postnatale. In alternativa, il calore può essere prodotto utilizzando una incubatrice o una sorgente di calore radiante con controllo automatico, atto a mantenere la temperatura cutanea a 36,5°C. L’ipotermia viene trattata con il riscaldamento del neonato in un’incubatrice o mediante lampada radiante. Il neonato deve essere monitorato per ipoglicemia e apnea. L’ipotermia non causata da una bassa temperatura ambientale può essere dovuta a condizioni patologiche come sepsi o emorragia intracranica e richiederà un trattamento specifico.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-2. AMBIENTE TERMONEUTRALE*

Età e peso

Temperatur Range di a iniziale (° temperatura C) (°C)

0-6 h

Età e peso

Temperatura Range di iniziale (°C) temperatura (°C)

72-96 h

< 1200 g

35,0

34,0-35,4

< 1200 g

34,0

34,0-35,0

1200-1500 g

34,1

33,9-34,4

1200-1500 g

33,5

33,0-34,0

1501-2500 g

33,4

32,8-33,8

1501-2500 g

32,2

31,1-33,2

> 2500 g (e > 36 sett)

32,9

32,0-33,8

> 2500 g (e > 36 sett)

31,3

29,8-32,8

6-12 h

4-12 gg

< 1200 g

35,0

34,0-35,4

< 1500 g

33,5

33,0-34,0

1200-1500 g

34,0

33,5-34,4

1501-2500 g

32,1

31,0-33,2

1501-2500 g

33,1

32,2-33,8

> 25 g (e > 36 sett)

> 2500 g (e > 36 sett)

32,8

31,4-33,8

4-5 gg

31,0

29,5-32,6

5-6 gg

30,9

29,4-32,3

12-14 h < 1200 g

34,0

34,0-35,4

6-8 gg

30,6

29,0-32,2

1200-1500 g

33,8

33,3-34,3

8-10 gg

30,3

29,0-31,8

1501-2500 g

32,8

31,8-33,8

10-12 gg

30,1

29,0-31,4

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Manuale Merck - Tabella

> 2500 g (e > 36 sett)

32,4

31,0-33,7

24-36 h

12-14 gg

< 1500 g

33,5

32,6-34,0

< 1200 g

34,0

34,0-36,0

1501-2500 g

32,1

31,0-33,2

1200-1500 g

33,6

33,1-34,2

> 2500 g (e > 36 sett)

29,8

29,0-30,8

1501-2500 g

32,6

31,6-33,6

2-3 sett

> 2500 g (e > 36 sett)

32,1

30,7-33,5

< 1500 g

33,1

32,2-34,0

1501-2500 g

31,7

30,0-33,0

36-48 h < 1200 g

34,0

34,0-35,0

3-4 sett

1200-1500 g

33,5

33,1-34,1

< 1500 g

32,6

31,6-33,6

1501-2500 g

32,5

31,4-33,5

1501-2500 g

31,4

30,0-32,7

> 2500 g (e > 36 sett)

31,9

30,5-33,3

4-5 sett

< 1500 g

32,0

31,2-33,0

30,9

29,5-32,3

48-72 h < 1200 g

34,0

34,0-35,0

1501-2500 g

1200-1500 g

33,5

33,0-34,0

5-6 sett

1501-2500 g

32,3

31,2-33,4

< 1500 g

31,4

30,6-32,3

> 2500 g (e > 36 sett)

31,7

30,1-33,2

1501-2500 g

30,4

29,0-31,8

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Manuale Merck - Tabella

*Queste sono le temperature ideali nelle incubatrici se la stanza è calda e se la temperatura delle pareti dell’incubatrice è en tro un grado rispetto a quella interna dell’incubatrice stessa. In una stanza fredda si aggiunge 1°C alla temperatura dell’incu batrice indicata in tabella per ogni 7°C che la stanza ha in meno rispetto alla temperatura dell’incubatrice. Modificata da MH Klaus, AA Fanaroff, "The Physical Environment" in Care of the High-Risk Neonate, ed. 3, edited by MH Klaus e AA Fanaroff. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986. Riproduzione autorizzata.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE IL NEONATO PICCOLO PER L’ETA' GESTAZIONALE (Dismaturità; ritardo di accrescimento intrauterino) Ogni bambino il cui peso è inferiore al 10o percentile per l’età gestazionale.

Sommario: Eziologia e segni Complicanze Prognosi

Eziologia e segni Un bambino può essere piccolo alla nascita a causa di fattori genetici. I fattori non genetici che possono ritardare l’accrescimento intrauterino, solitamente, non sono presenti prima delle 32-34 sett. di gestazione e comprendono l’insufficienza placentare, che spesso dipende da malattie materne dei piccoli vasi (come la preeclampsia, l’ipertensione arteriosa primitiva, le malattie renali o un diabete che data da molto tempo); l’involuzione placentare che si accompagna alla postmaturità e agenti infettivi come il citomegalovirus, il virus della rosolia o il Toxoplasma gondii. Un bambino può anche essere piccolo per l’età gestazionale (Small for Gestational Age, SGA) se la madre è dedita alla droga o all’alcol o, in grado minore, se ha fumato durante la gravidanza. Nonostante il loro peso, gli SGA hanno caratteristiche fisiche e comportamentali simili ai bambini di peso normale , della stessa età gestazionale. Quindi, un bambino di 1,4 kg, nato tra le 37 e le 42 sett. di gestazione, può avere la cute, le cartilagini dell’orecchio esterno, le pieghe plantari, lo sviluppo genitale, lo sviluppo neurologico, la vigilanza, l’attività spontanea e l’interesse per il cibo a pari a un bambino nato a termine. Se il ritardo di crescita è dovuto a una insufficienza placentare e, quindi, malnutrizione, l’accrescimento del cervello e delle ossa lunghe viene relativamente risparmiato; il peso del bambino viene coinvolto in misura maggiore, con risparmio della circonferenza cranica e dell’altezza (ritardo di crescita asimmetrico). Al contrario, molti difetti genetici e infezioni congenite portano a un ritardo di crescita simmetrico, in cui altezza, peso e circonferenza cranica sono colpiti circa in egual misura. Se il ritardo di crescita intrauterino è stato causato da malnutrizione placentare cronica, i bambini SGA possono presentare un considerevole "recupero" dell’accrescimento dopo il parto, se supportati da un’adeguata nutrizione.

Complicanze Nonostante il loro peso, i neonati a termine SGA non presentano le complicanze relative all’immaturità d’organo che presentano i neonati prematuri. Essi sono, tuttavia, a rischio di asfissia perinatale, aspirazione di meconio e ipoglicemia.

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Patologia del neonato e del lattante

Asfissia perinatale: se il ritardo di accrescimento intrauterino è dovuto a una insufficienza placentare (con perfusione placentare appena adeguata), il bambino è a grave rischio di asfissia durante il travaglio e il parto, poiché ogni contrazione uterina rallenta o interrompe la perfusione placentare a causa della compressione delle arterie spirali. Per questa ragione, quando si sospetta una insufficienza placentare, si deve valutare la condizione del feto prima del travaglio e monitorare continuamente la frequenza cardiaca durante il travaglio. Se viene diagnosticata una sofferenza fetale, è indicato un parto rapido, spesso mediante taglio cesareo. Il bambino SGA che ha avuto asfissia presenta alla nascita un basso indice di Apgar e acidosi mista. Inalazione di meconio: durante l’asfissia perinatale, i bambini SGA, specialmente quelli post- termine (v. sopra) possono emettere meconio nel liquido amniotico e iniziare profondi movimenti di gasping. La conseguente aspirazione di meconio può, verosimilmente, indurre dopo il parto la sindrome da aspirazione di meconio (spesso più grave nei neonati con ritardo di crescita o post- termine, poiché il meconio è contenuto in un minore volume di liquido amniotico; v. più avanti in Patologia respiratoria). Ipoglicemia: i neonati SGA sono predisposti all’ipoglicemia nelle prime ore e nei primi giorni di vita a causa della mancanza di adeguate riserve di glicogeno (v. più avanti in Patologia metabolica nel neonato). Policitemia: i feti SGA possono essere sottoposti a una lieve ipossia cronica, legata all’insufficienza placentare. La secrezione di eritropoietina è aumentata e ciò porta a un aumentato tasso di produzione eritrocitaria. Il bambino con policitemia alla nascita appare rubizzo e può essere tachipnoico o soporoso.

Prognosi L’asfissia perinatale rappresenta la più grave complicanza potenziale per i neonati che sono SGA a causa dell’insufficienza placentare e la prognosi neurologica è per questi bambini abbastanza buona se si riesce a evitarla. I neonati che sono SGA, a causa di fattori genetici, infezioni congenite o assunzione materna di farmaci, spesso hanno una prognosi peggiore, che dipende dalla diagnosi specifica.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE IL NEONATO GRANDE PER L’ETA' GESTAZIONALE Ogni bambino il cui peso è superiore al 90o percentile per l’età gestazionale.

Sommario: Eziologia e segni Complicanze

Eziologia e segni Oltre al peso geneticamente determinato, la causa principale di bambino grande per l’età gestazionale (Large for Gestational Age, LGA) è il diabete mellito materno. La macrosomia deriva dall’esposizione a un elevato tasso di glucoso e di insulina nel sangue durante la gestazione. Peggiore è il controllo del diabete materno durante la gravidanza, più grave sarà la macrosomia del feto. Il bambino figlio di madre diabetica è generalmente grande, obeso e pletorico; è spesso apatico e ipotonico e si alimenta svogliatamente. Una rara causa non genetica di macrosomia è la sindrome di BeckwithWiedemann (caratterizzata da macrosomia, onfalocele, macroglossia e ipoglicemia).

Complicanze Durante il parto: poiché sono neonati grandi, il parto per via vaginale può essere difficoltoso e occasionalmente può verificarsi un trauma alla nascita. Si può avere distocia per disimpegno delle spalle, fratture della clavicola o degli arti e asfissia perinatale. Perciò, si deve considerare l’eventualità di effettuare un taglio cesareo quando si ritiene che il feto sia LGA, soprattutto se c’è sproporzione feto-pelvica. Ipoglicemia: il figlio di madre diabetica può molto probabilmente essere ipoglicemico nelle prime 2 h dopo il parto, a causa della condizione di iperinsulinismo e dell’improvviso mancato apporto di glucoso dalla madre, quando si recide il cordone ombelicale. L’ipoglicemia neonatale si può prevenire, controllando adeguatamente il diabete materno durante la gravidanza e mediante infusione preventiva EV di soluzione glucosata al 10% al bambino, fino al momento in cui non possano essere assunti pasti precoci e frequenti. Si deve monitorare frequentemente la glicemia in questo periodo di transizione. Vengono spesso utilizzate strisce reattive alla glucoso-ossidasi per lo screening dell’ipoglicemia nei neonati. Ogni basso valore dubbio deve essere verificato mediante analisi di laboratorio del glucoso sierico. (V. anche più avanti in Patologia metabolica nel neonato). Iperbilirubinemia: i bambini figli di madre diabetica frequentemente vanno incontro a iperbilirubinemia a causa della loro intolleranza nei confronti dell’alimentazione per via orale nei primi giorni di vita, che aumenta così il circolo enteroepatico della bilirubina. L’iperbilirubinemia può anche risultare dall’elevato Htc del bambino (un altro problema presente nei figli di madre diabetica). (V.

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anche più avanti in Patologia metabolica nel neonato). Sindrome del distress respiratorio: Nei bambini figli di madre diabetica la maturazione polmonare e la produzione del surfactante è molto ritardata durante la gravidanza; per questo motivo, questi bambini possono sviluppare la malattia delle membrane ialine, anche se nascono solamente alcune settimane prima del tempo. Nel liquido amniotico, dopo esecuzione dell’amniocentesi, si può determinare il rapporto lecitina/sfingomielina e soprattutto la presenza di fosfatidilglicerolo per valutare la maturità polmonare e per stabilire il tempo ottimale per un parto sicuro. La maturità polmonare può essere dichiarata esclusivamente se è presente il fosfatidilglicerolo.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO Sebbene gli sforzi del travaglio e del parto possano determinare un trauma fisico per il bambino (tutto ciò è evidente nel rimodellamento che subisce la testa nelle presentazioni di vertice) tuttavia i gravi rimodellamenti non danno solitamente problemi né richiedono un trattamento e l’incidenza di traumi neonatali derivanti da parti difficoltosi o traumatici è in diminuzione. La migliorata assistenza ostetrica durante il travaglio è stata di aiuto nel prevenire i danni, neurologici e non, del neonato. Inoltre, il taglio cesareo può sostituire i difficoltosi rivolgimenti, le estrazioni con ventosa e le applicazioni di forcipe medie o alte. Un parto distocico è prevedibile nella madre con diametri pelvici ridotti, quando il bambino è macrosoma (spesso in caso di madre diabetica) o in presentazione podalica o in altra presentazione anomala, soprattutto nella primipara. In tali situazioni, bisogna monitorare attentamente il travaglio e le condizioni del feto. Se viene evidenziato un distress fetale, la madre deve essere messa a riposo e le deve essere somministrato O2. Se il distress fetale persiste, deve essere eseguito immediatamente un taglio cesareo.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO TRAUMI DEL CAPO (v. anche Paralisi cerebrali nel Cap. 271) Un trauma lieve può causare un caput succedaneum, edema della parte di cuoio capelluto presentata, a causa della compressione di questa parte contro la cervice uterina. Un trauma più severo può causare un’emorragia sottogaleale caratterizzata da una sensazione di molle su tutto lo scalpo, compresa la regione temporale. Il cefaloematoma, o emorragia sottoperiostea, può essere differenziata da una raccolta di sangue più superficiale perché, nel primo caso, la raccolta non supera i confini dell’osso sottostante poichè il periostio rimane aderente alle suture. Il cefaloematoma di solito è unilaterale e localizzato a livello parietale. Una piccola percentuale di bambini presenta, a livello dell’osso sottostante, una linea di frattura associata. Non richiede trattamento, ma può avere raramente come conseguenza anemia o iperbilirubinemia. Le fratture depresse del cranio sono rare e dipendono in genere dall’applicazione del forcipe; raramente, sono causate dalla testa che preme su una prominenza ossea, in utero. Le fratture depresse del cranio o gli altri traumi del capo possono essere associati a lacerazioni della sottostante corteccia cerebrale e a emorragie subaracnoidee o subdurali (v. più avanti Emorragie endocraniche). Le fratture depresse del cranio appaiono alla vista e al tatto come depressioni e si differenziano dalle depressioni dovute a un bordo periostale rilevato, come si verifica nel cefaloematoma. La rx conferma la diagnosi; talvolta, può essere necessario un intervento neurochirurgico di sollevamento.

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Malattie neurologiche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 271. MALATTIE NEUROLOGICHE PARALISI CEREBRALI Termine usato ampiamente per descrivere molti disordini motori caratterizzati da disturbi della motilità volontaria, risultanti da anomalie dello sviluppo prenatale o da lesioni del SNC in epoca perinatale o postnatale, che si verificano prima dei 5 anni.

Sommario: Introduzione Eziologia Classificazione, sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Il termine paralisi cerebrale (PC) non è una diagnosi, ma identifica i bambini con spasticità non progressiva, atassia o movimenti involontari. Lo 0,1-0,2% dei bambini ha una paralisi cerebrale; sono colpiti fino all’1% dei neonati prematuri o piccoli per l’età gestazionale.

Eziologia Spesso è difficile stabilire una causa, ma rivestono un ruolo importante la prematurità, le patologie intrauterine, l’ittero neonatale, i traumi da parto e l’asfissia perinatale. Il trauma da parto e l’asfissia perinatale probabilmente causano 15% dei casi. La paraplegia spastica è più frequente nei prematuri, la tetraparesi spastica nell’asfissia perinatale; le forme atetosiche e distoniche sono più frequenti dopo asfissia perinatale o ittero nucleare. Traumi del SNC o gravi malattie sistemiche della prima infanzia (p. es. meningiti, sepsi, disidratazione) possono causare paralisi cerebrale.

Classificazione, sintomi e segni Le PC sono suddivise in quattro categorie principali: forme spastiche, atetosiche, atassiche e miste. Le sindromi spastiche si verificano in circa il 70% dei casi. La spasticità è legata al coinvolgimento del motoneurone superiore e può inficiare in modo grave la funzione motoria. La sindrome può comportare emiplegia, paraplegia, tetraplegia o diplegia. Gli arti colpiti mostrano di solito un deficit di sviluppo e un aumento dei riflessi tendinei profondi, ipertono muscolare, diminuzione di forza e tendenza alle contratture. Sono caratteristiche un’andatura "a forbice" e una deambulazione sulle punte. Nei casi più lievi le limitazioni funzionali possono essere evidenziate soltanto durante l’esecuzione di alcune attività (p. es. la corsa). Frequentemente

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Malattie neurologiche

si associa alla tetraplegia un coinvolgimento cortico-bulbare con alterazione dei movimenti orali, linguali e palatali e conseguente disartria. In circa il 20% dei casi si riscontrano delle sindromi atetosiche o discinetiche, derivanti da un danno dei gangli della base. I movimenti involontari, lenti e contorti possono colpire gli arti (forma atetosica) o le parti prossimali degli arti e il tronco (forma distonica); si possono avere anche movimenti distali bruschi e a scatto (forma coreica). I movimenti aumentano con la tensione emotiva e scompaiono durante il sonno. È presente disartria spesso grave. Le sindromi atassiche si hanno in circa il 10% dei casi: esse sono dovute ad alterazione del cervelletto o delle sue connessioni. La diminuzione di forza, la perdita di coordinazione e il tremore intenzionale provocano instabilità, andatura a base allargata e difficoltà nell’eseguire movimenti rapidi o fini. Le forme miste sono frequenti, costituite spesso da spasticità e atetosi; meno spesso c’è atassia e atetosi. Disturbi associati: nel 25% dei pazienti si hanno crisi epilettiche, più spesso negli spastici; si possono avere strabismo e altri deficit visivi. Nei casi di atetosi dovuti a ittero nucleare si hanno di solito sordità e paralisi dello sguardo verso l’alto. I bambini con emiplegia o paraplegia spastica hanno in genere un’intelligenza normale; la tetraplegia spastica e le forme miste sono solitamente associate a un ritardo mentale grave. Si osservano comunemente riduzione delle capacità di concentrazione e iperattività.

Diagnosi Le PC di rado possono essere diagnosticate con certezza durante la prima infanzia e le sindromi specifiche spesso non sono caratteristiche fino a 2 anni. I bambini ad alto rischio, inclusi quelli con evidenza di traumi da parto, asfissia, ittero, meningiti o con una storia neonatale di crisi epilettiche, ipertonia, ipotonia o abolizione dei riflessi neonatali, devono essere seguiti con grande attenzione. Prima che si sviluppi la sindrome tipica, i bambini mostreranno un ritardo dello sviluppo motorio e spesso persistenza dei riflessi infantili, iper-reflessia e alterazione del tono muscolare. Quando la diagnosi o la causa non sono certe, possono essere utili la TAC o la RMN cerebrale. Le PC devono essere distinte dai disturbi neurologici ereditari e progressivi o da quelli che richiedono trattamenti chirurgici o altri specifici trattamenti neurologici. Le forme atassiche, poco frequenti, sono particolarmente difficili da diagnosticare; spesso alla fine si riscontra una malattia progressiva degenerativa cerebellare. La sindrome di Lesch-Nyhan può essere indicata dalla presenza, in maschi, di atetosi, automutilazioni e iperuricemia. Anomalie cutanee od oculari possono suggerire la presenza della sclerosi tuberosa, di una neurofibromatosi, dell’atassia teleangectasica, della malattia di von Hippel-Lindau o della sindrome di Sturge-Weber. L’atrofia muscolare spinale infantile, le degenerazioni spinocerebellari e le distrofie muscolari generalmente non presentano segni di malattia cerebrale. L’adrenoleucodistrofia insorge nella seconda infanzia. I test di laboratorio sono utili per escludere disturbi biochimici che interessano il sistema motorio (p. es. la malattia di Tay-Sachs, la leucodistrofia metacromatica e le mucopolisaccaridosi). Altre malattie progressive (p. es. la distrofia neuroassonale infantile) non possono essere escluse con i presidi di laboratorio, ma devono essere diagnosticate per mezzo di criteri clinici o anatomo-patologici. I bambini con evidente ritardo mentale e alterazioni motorie simmetriche dovranno essere valutati per aminoacidopatie o altre anomalie metaboliche.

Prognosi e terapia file:///F|/sito/merck/sez19/2712584.html (2 of 3)02/09/2004 2.46.10

Malattie neurologiche

L’obiettivo è di far raggiungere ai pazienti la massima indipendenza nei limiti della loro disfunzione motoria e degli handicap associati; con trattamenti appropriati; molti pazienti, soprattutto quelli con emiplegia o paraplegia spastica, riescono a condurre una vita quasi normale. Quelli con emiplegia o paraplegia spastica e intelligenza normale hanno una buona prognosi per quanto riguarda l’indipendenza sociale. Potranno essere necessari la terapia fisica, l’ergoterapia, l’uso di sostegni, la chirurgia ortopedica e la logoterapia. Quando i deficit fisici e intellettivi non sono gravi, i bambini devono frequentare la scuola dell’obbligo. L’indipendenza sociale completa non è un risultato realistico per altri che richiederanno gradi variabili di sorveglianza e assistenza per tutta la vita. Se possibile, questi bambini devono frequentare scuole speciali. Anche i malati più gravi possono beneficiare di un addestramento nelle attività giornaliere (p. es. lavarsi, vestirsi, mangiare), che aumenta l’indipendenza e l’autostima e tutto ciò comporta anche un notevole sollievo per i familiari o per chi è addetto alle cure a lungo termine del paziente. Inoltre, anche i genitori dei bambini portatori di handicap hanno bisogno di una guida e di un’assistenza continua per poter meglio comprendere le condizioni e le potenzialità del bambino e anche per poter alleviare le proprie problematiche (v. Invalidità permanenti nel bambino nel Cap. 257). Questi bambini raggiungeranno il loro massimo potenziale soltanto con le cure sensibili e continue dei genitori e con l’assistenza di strutture pubbliche e private (p. es., strutture di salute pubblica, organizzazioni volontarie di riabilitazione e organizzazioni legali per la salvaguardia della salute come la "Unite Cerebral Palsy Association"). Gli anticomiziali vengono utilizzati per controllare le convulsioni (v. Cap. 172).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO TRAUMI DEI NERVI CRANICI Il nervo facciale è quello più spesso colpito. Sebbene attribuiti frequentemente ad applicazione di forcipe, spesso la maggior parte di questi danni dipendono dalla compressione del nervo in utero a causa della posizione fetale (p. es., testa giacente contro le spalle) o per la pressione esercitata contro il nervo da parte del promontorio sacrale o di un fibroma uterino. La lesione a carico del nervo facciale solitamente si verifica distalmente o a livello della sua uscita dal forame stilomastoideo e comporta un’asimmetria facciale, soprattutto durante il pianto. L’identificazione del lato del viso coinvolto può essere difficile, ma i muscoli facciali dal lato della lesione del nervo non possono muoversi. La lesione può anche verificarsi a carico di una delle branche del nervo, generalmente la mandibolare. Un’altra causa di asimmetria facciale è la asimmetria mandibolare derivata da una pressione intrauterina. Tuttavia, l’innervazione muscolare è conservata ed entrambi i lati del viso possono muoversi. Il raffronto delle superfici occlusali mascellare e mandibolare, che devono essere parallele, differenzia questa forma da quella dovuta a interessamento del facciale. Non è richiesto alcun esame o trattamento per la paralisi periferica del facciale o per l’asimmetria mandibolare; esse si risolvono generalmente nei primi 2-3 mesi di vita.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO LESIONI DEL PLESSO BRACHIALE L’interessamento del plesso brachiale è dovuto a uno stiramento per distocia di spalla, presentazione podalica o iperabduzione del collo nella presentazione cefalica. I danni possono essere dovuti a semplice stiramento, emorragia del nervo, lacerazione di esso o della radice o avulsione delle radici con interessamento del midollo cervicale. Si possono verificare danni traumatici associati (p. es., fratture della clavicola, dell’omero o sublussazioni della spalla o delle vertebre cervicali). La paralisi del plesso brachiale superiore (C5- C6) interessa i muscoli delle spalle e del gomito, mentre quella del plesso inferiore (C7-8 e T1) interessa principalmente i muscoli dell’avambraccio e della mano. La prognosi dipende dal tipo di danno della radice del nervo e dalla parte interessata. La paralisi di Erb, causata da una lesione a carico del plesso brachiale superiore, è caratterizzata da adduzione e rotazione interna della spalla con pronazione dell’avambraccio; è frequente la paralisi omolaterale del diaframma. Il trattamento prevede la protezione della spalla dai movimenti eccessivi, mediante l’immobilizzazione del braccio al di sopra dell’addome e la prevenzione delle contratture mediante esercizi delicati e quotidiani di mobilità passiva sulle articolazioni coinvolte, a partire da 1 sett. di vita. La paralisi di Klumpke deriva da un danno del plesso inferiore e comporta la paralisi della mano e del polso, spesso associata omolateralmente alla sindrome di Horner (miosi, ptosi, anidrosi facciale). Gli esercizi di mobilità passiva rappresentano l’unico trattamento richiesto. Solitamente né la paralisi di Erb né quella di Klumpke sono associate a un’evidente perdita di sensibilità (che suggerisce uno stiramento o un’avulsione). Tali condizioni, generalmente, migliorano rapidamente, ma i deficit possono persistere. Se persiste un deficit motorio per più di 3 mesi, può essere utile l’esecuzione di una RMN per determinare l’estensione della lesione del plesso, delle radici e del midollo spinale cervicale. L’esplorazione chirurgica e il trattamento sono stati a volte di aiuto. Quando è interessato tutto il plesso brachiale è presente immobilità dell’arto superiore interessato e di solito anche perdita della sensibilità. Segni piramidali ipsilaterali indicano l’interessamento contemporaneo del midollo spinale. Deve essere eseguita una RMN. Può essere coinvolto l’accrescimento successivo dell’arto interessato. La prognosi per la guarigione è sfavorevole. Il trattamento può comprendere un’esplorazione neurochirurgica. Gli esercizi di mobilità passiva possono prevenire l’insorgenza di contratture.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO TRAUMI DI ALTRI NERVI PERIFERICI I traumi degli altri nervi periferici (p. es., il radiale, lo sciatico e l’otturatore) sono rari nel neonato e di solito non sono correlati al travaglio e al parto. Essi sono solitamente secondari a traumi locali (p. es., iniezioni eseguite sul nervo sciatico o vicino a esso o necrosi del grasso che circonda il nervo radiale). Il trattamento prevede che i muscoli antagonisti di quelli paralizzati vengano messi a riposo fino a guarigione ottenuta. Raramente si richiede l’esplorazione neuro-chirurgica del nervo. Nella maggior parte delle lesioni dei nervi periferici si ha la guarigione completa.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO TRAUMI DEL MIDOLLO SPINALE

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il trauma del midollo spinale è raro e può causare diversi tipi di lacerazioni spinali, spesso con emorragia; l’interruzione completa del midollo spinale è molto rara. I traumi si verificano di solito nella presentazione podalica e per trazioni longitudinali eccessive sulla colonna. Può anche derivare da un’iperestensione del collo fetale in utero ("feto ondeggiante"). La lesione generalmente è a carico della regione cervicale più bassa (C5-7). Quando la lesione è più alta, le lesioni sono generalmente fatali, poiché la respirazione è compromessa. Spesso al momento del parto si avverte uno schiocco.

Sintomi, segni e diagnosi Di solito, si osserva una irregolare conservazione della sensibilità o della motilità al di sotto della lesione. Inizialmente si verifica shock spinale con flaccidità della parte sottostante alla lesione. Entro pochi giorni o settimane si instaura una spasticità. La respirazione è di tipo diaframmatico, poiché il nervo frenico origina più in alto (C3-5). Nel caso in cui la lesione del midollo spinale sia completa, si ha paralisi dei muscoli intercostali e addominali e non si sviluppa il controllo degli sfinteri rettale e vescicale. Negli organi situati al di sotto della lesione mancano la sensibilità e la sudorazione, per cui si ha fluttuazione della temperatura corporea per modificazioni della temperatura ambientale. Una RMN del midollo spinale cervicale può accertare la lesione ed esclude le lesioni trattabili chirurgicamente, come tumori congeniti o ematomi comprimenti il midollo. Il LCR di solito è emorragico.

Prognosi e terapia Con le cure appropriate la maggior parte dei bambini sopravvive per diversi anni. Le cause abituali di morte sono le polmoniti recidivanti e una progressiva insufficienza renale. Il trattamento comprende la prevenzione delle ulcerazioni cutanee, il pronto trattamento delle infezioni delle vie urinarie e del tratto respiratorio e l’esecuzione degli esami per identificare prontamente un’eventuale uropatia ostruttiva (v. Cap. 217).

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Patologia del neonato e del lattante

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO FRATTURE La frattura della clavicola è la più comune frattura che si verifica alla nascita e si verifica di solito con la distocia di spalla. Il bambino all’inizio appare irritabile e non muove il braccio interessato né spontaneamente né quando viene stimolato con il riflesso di Moro. Queste fratture sono per lo più a legno verde e guariscono rapidamente senza complicanze. Entro 1 sett. si forma nella sede della frattura un grosso callo ed entro un mese si ha il rimodellamento. L’importanza clinica della frattura clavicolare è la sua tendenza a determinare una paralisi del plesso brachiale e/o un pneumotorace per lacerazione della pleura apicale. Nei parti distocici si può riscontrare la frattura dell’omero e del femore. Molte di queste sono fratture a legno verde, a metà diafisi, in cui c’è solitamente un buon rimodellamento dell’osso anche se con un iniziale moderato grado di angolazione. Nelle ossa lunghe, spesso le fratture si hanno a livello dell’epifisi; ma, anche per queste, la prognosi è buona nel neonato.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE TRAUMI DA PARTO TRAUMI DELLE PARTI MOLLI Ogni tessuto molle, se costituiva la parte presentata o se rappresentava il fulcro della forza delle contrazioni uterine, può essere soggetto a trauma. Nelle presentazioni di faccia si hanno frequentemente edema ed ecchimosi dei tessuti facciali e periorbitari e nella presentazione di podice sono traumatizzati lo scroto e le grandi labbra. Ogni qualvolta, in seguito a un trauma, si forma un ematoma, si ha infiltrazione di sangue nei tessuti e degradazione dell’eme in bilirubina. La quota aggiunta di bilirubina nei casi limite può determinare una iperbilirubinemia neonatale tale da richiedere un’exsanguino trasfusione (v. più avanti Iperbilirubinemia in Patologia metabolica nel neonatoy). Non sono necessari altri trattamenti.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA DISPLASIA BRONCOPOLMONARE Patologia polmonare cronica che determina un distress respiratorio persistente, alterazioni caratteristiche alla rx del torace, con strie parenchimali e iperdistensione e una persistente necessità di ventilazione meccanica in neonati di età gestazionale corretta pari a 36 sett., che sono stati trattati per un distress respiratorio di qualunque origine con ventilazione intermittente mandatoria.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e complicanze Prevenzione e terapia

Epidemiologia e fisiopatologia Il danno polmonare deriva da una ripetuta iperdistensione degli alveoli e dei dotti alveolari dovuta alla ventilazione meccanica (volotrauma), elevate concentrazioni di inspirazione di O2 e intubazione endotracheale; essa è più comune nei bambini di bassa età gestazionale. È spesso sequela di una RDS e del suo trattamento e si sviluppa con maggiore probabilità quando si verifica un enfisema polmonare interstiziale (v. più avanti). Il passaggio da una RDS a una displasia broncopolmonare (DBP) è graduale. Negli stadi precoci di DBP, sono presenti infiammazione polmonare ed essudato. Più avanti, si verificano la rottura della parete alveolare e la cicatrizzazione. Alla rx del torace si alternano aree di enfisema con iperaereazione e aree di cicatrizzazione polmonare e atelettasia che conducono a un aspetto patologico, a bulletta di scarpa e a un aspetto cistico iperdisteso. Può anche essere presente una ipertrofia della muscolatura liscia peribronchiale e arteriolare e una metaplasia squamosa dell’epitelio bronchiale.

Sintomi, segni e complicanze Spesso non è possibile divezzare il bambino dalla ventilazione intermittente mandatoria (IMV) o sospendere la somministrazione di O2. L’epitelio alveolare desquama e nell’aspirato tracheale si ritrovano i macrofagi, i neutrofili e i mediatori dell’infiammazione. Alla rx del torace può essere presente un diffuso opacamento dei campi polmonari dovuto all’accumulo di essudato. Più tardi, è presente un aspetto multicistico con molte strie grossolane e insufflazione esagerata. Questi bambini sono a rischio, durante i primi anni, di infezioni delle basse vie respiratorie, specialmente infezioni virali; se sopraggiunge l’infezione, si può avere un rapido scompenso della funzionalità respiratoria. Se si manifestano i segni di un’infezione respiratoria o se aumenta il distress respiratorio, il bambino file:///F|/sito/merck/sez19/2602293.html (1 of 3)02/09/2004 2.46.15

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deve essere riospedalizzato. I bambini con DBP devono essere candidati all’immunizzazione passiva nei confronti di infezioni delle più basse vie aeree causate dal virus respiratorio sinciziale. Un anticorpo monoclonale, il palivizumab e le immunoglobuline EV specifiche per il virus respiratorio sinciziale hanno entrambi dimostrato di ridurre la frequenza di riospedalizzazioni, in caso di polmonite e bronchiolite da VRS e di ridurre il numero di giorni di ricovero in TIN e i giorni di ventilazione meccanica dovuti a questa infezione. Le immunizzazioni sono ripetute mensilmente durante la stagione di maggiore incidenza di infezioni da VRS.

Prevenzione e terapia Poiché la DBP è causata, almeno in parte, dall’uso del ventilatore, è importante divezzare i bambini fino ai più bassi parametri ventilatori tollerati e al più presto sospendere completamente la IMV (v. sopra Uso della ventilazione meccanica) In un bambino con RDS che non può essere divezzato dal ventilatore nel tempo previsto, bisogna sospettare e trattare tempestivamente le possibili patologie sottostanti, come p. es., il dotto arterioso pervio, polmoniti da germi ospedalieri. Il trattamento precoce con aminofillina, come stimolante del centro del respiro, può aiutare a divezzare i neonati pretermine dalla IMV. Studi recenti hanno dimostrato che l’uso precoce di desametasone aiuta i bambini di peso alla nascita molto basso con RDS a essere portati a parametri ventilatori più bassi, a tollerare più precocemente l’estubazione e ad avere un rischio inferiore di sviluppare una DBP. In ogni studio è stato utilizzato un differente regime terapeutico, ma devono essere utilizzate la più bassa dose efficace e la minore durata possibile di trattamento, poiché il desametasone impedisce temporaneamente, nei neonati prematuri, l’accrescimento. Il desametasone può anche determinare altre complicanze, come sepsi batteriche o fungine, ipertrofia miocardica reversibile e, raramente, sanguinamento o perforazione intestinale. Il trattamento con desametasone dei bambini con DBP stabilizzata spesso favorisce il divezzamento dal ventilatore e una più precoce estubazione. Il suo meccanismo d’azione non è conosciuto, ma probabilmente è importante la prevenzione della flogosi. In un bambino con DBP in stadio avanzato può essere necessario per settimane o mesi un supporto ventilatorio e/o un supplemento di O2. Bisogna ridurre ai livelli tollerati la pressione di ventilazione e la FiO2, evitando però che il bambino diventi ipossiemico. L’ossigenazione arteriosa può essere monitorata con un pulsiossimetro e deve essere mantenuta a una saturazione uguale o superiore all’88-90%. In questi bambini cronici, che spesso hanno un aumentato fabbisogno calorico in rapporto all’aumentato lavoro respiratorio, è essenziale per la guarigione polmonare e lo sviluppo, garantire una nutrizione ottimale. Se vengono somministrati liquidi in eccesso possono svilupparsi congestione polmonare e edema. L’apporto giornaliero di liquidi può dover essere ridotto a circa 120 ml/ kg/ die; questo comporta che il contenuto nutrizionale dell’alimentazione sia aumentato. A causa della tendenza a sviluppare congestione ed edema polmonare, si fa a volte ricorso alla terapia diuretica a lungo termine che consiste, a volte, nell’associazione di clorotiazide al dosaggio di 10-20 mg/kg/die e spironolattone al dosaggio di 1-2 mg/kg/die, entrambi somministrati PO bid. La furosemide (1 mg/kg EV o IM o 2 mg/kg PO) può essere usata da 1 volta/die a tid, per brevi periodi, poiché un uso prolungato determina ipercalciuria con conseguente osteoporosi, fratture e calcolosi renale. Durante la terapia duiretica bisogna sempre monitorare l’equilibrio idroelettrolitico. Quando compare un’acidosi respiratoria compensata, a causa di una malattia polmonare cronica, la PaCO2 deve poter aumentare, durante il divezzamento dal ventilatore, oltre i valori normali finche il pH rimane > 7,25 e il bambino non sviluppa un grave distress respiratorio. file:///F|/sito/merck/sez19/2602293.html (2 of 3)02/09/2004 2.46.15

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Una volta divezzato dal respiratore, il neonato può aver bisogno per settimanemesi di un’integrazione di O2. L’O2 può essere somministrato mediante nasocannula riducendone gradualmente la percentuale o il flusso. Nei bambini che sopravvivono, il distress respiratorio si risolve gradualmente, sebbene possa persistere per diversi anni una ridotta compliance polmonare e un’aumentata resistenza delle vie aeree.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA TACHIPNEA TRANSITORIA DEL NEONATO (Sindrome del polmone umido neonatale) Distress respiratorio caratterizzato da tachipnea e ipossiemia, causato da un ritardato riassorbimento del liquido polmonare fetale, che richiede un supplemento di O2. I neonati affetti sono spesso a termine. Di solito sono nati da parto cesareo e possono avere avuto un distress perinatale. Tale patologia può anche verificarsi in neonati prematuri con RDS. Respiri rapidi, gemiti e rientramenti iniziano appena dopo il parto e può svilupparsi una cianosi. La rx del torace mostra polmoni iperespansi con rinforzo della trama perilare, conferendo ai margini cardiaci un aspetto irsuto, mentre la periferia polmonare è pulita. Spesso è visibile liquido nelle scissure. Il meccanismo mediante il quale si riassorbe il liquido polmonare fetale è descritto in Fisiologia perinatale nel Cap. 256. Di solito la guarigione si verifica in 2-3 giorni. La terapia è di supporto e consiste nella somministrazione di O2 in tendina, controllando la concentrazione dei gas ematici con prelievi arteriosi o con monitoraggio transcutaneo e pulsiossimetria. Alcuni pazienti richiedono la CPAP e occasionalmente la ventilazione intermittente mandatoria (v. sopra Uso della ventilazione meccanica).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA IPERTENSIONE POLMONARE PERSISTENTE DEL NEONATO (Circolazione fetale persistente) Ritorno alla circolazione di tipo fetale con grave riduzione del flusso ematico polmonare, dovuta alla costrizione delle arteriole polmonari.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia, sintomi e segni Diagnosi Terapia

Come succede nella vita fetale, quando un bambino sviluppa l’ipertensione polmonare primitiva del neonato (Persistent Pulmonary Hypertension of the Newborn, PPHN), il sangue viene deviato da destra a sinistra nel torrente circolatorio, sia attraverso un forame ovale pervio sia attraverso una pervietà persistente del dotto arterioso o entrambi. (Per la descrizione della circolazione fetale e dell’instaurarsi di una PPHN, v. Fisiologia perinatale nel Cap. 256.) Lo shunt destro-sinistro determina una grave ipossiemia, che persiste anche quando il neonato respira O2 al 100%.

Fisiopatologia, sintomi e segni La PPHN si verifica generalmente in neonati a termine o post-termine che hanno presentato un’asfissia o una ipossia perinatale o post-natale. L’ipossia determina il ritorno (o la persistenza) a una intensa costrizione delle arteriole polmonari, situazione che è normale nel feto. Come conseguenza di una pressione arteriosa polmonare a valori sistemici o soprasistemici, si verifica uno shunt destro-sinistro attraverso un dotto arterioso pervio (dall’arteria polmonare all’aorta) o attraverso un forame ovale pervio (dall’atrio di destra a quello di sinistra); il risultato è una ipossiemia sistemica intrattabile. L’esame autoptico dei polmoni di alcuni bambini con PPHN evidenzia uno sviluppo anomalo della muscolatura e una ipertrofia della parete delle piccole arterie polmonari e delle arteriole, presumibilmente dovuti a ipossiemia cronica in utero. Gli stessi reperti possono essere presenti se la madre assume durante la gravidanza ampie dosi di inibitori della sintesi delle prostaglandine (aspirina, indometacina); presumibilmente questi farmaci vasocostringono il dotto arterioso fetale, portando a un anomalo incremento di flusso ematico polmonare; secondariamente, la muscolatura polmonare delle arteriole si ipertrofizza. L’ipertrofia della muscolatura liscia delle arteriole polmonari si verifica spesso quando è presente un’ernia diaframmatica congenita. Si presume che questo si verifichi secondariamente a un aumento anomalo del flusso polmonare in utero (poiché il polmone sinistro è solitamente gravemente ipoplasico e la maggior file:///F|/sito/merck/sez19/2602296.html (1 of 3)02/09/2004 2.46.16

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parte del sangue polmonare deve defluire attraverso il polmone destro).

Diagnosi La diagnosi si basa sull’anamnesi, i reperti obiettivi, la rx del torace e i dati di laboratorio. Il paziente può rimanere ipossiemico nonostante una ventilazione a pressione positiva con il 100% di O2. Se il bambino presenta una ipertensione polmonare primitiva, i polmoni appaiono completamente normali alla rx del torace, ma possono essere presenti una malattia del parenchima polmonare (p. es., sindrome dell’aspirazione di meconio o polmonite neonatale) o un’ernia diaframmatica congenita. Una valutazione cardiaca mediante ecocardiogramma può escludere cardiopatie congenite e confermare la presenza in arteria polmonare di una pressione soprasistemica. L’aumentata resistenza vascolare polmonare, che determina ipertensione polmonare e shunt destro-sinistro, viene peggiorata dall’ipossiemia e dall’acidosi e migliorata dall’aumento della tensione di O2 e del pH. Quindi, la PPHN deve essere sospettata in ogni neonato a termine o quasi a termine con ipossiemia arteriosa e il trattamento deve essere iniziato appena possibile per prevenirne la progressione. Poiché alcuni di questi pazienti hanno un ampio shunt destro-sinistro attraverso il dotto arterioso pervio, la PaO2 può essere significativamente più alta nell’arteria brachiale destra rispetto all’aorta discendente; se il pulsiossimetro posto simultaneamente sulla mano destra e su un’estremità inferiore evidenzia che la saturazione di O2 è più bassa a livello del piede, viene identificato uno shunt destro-sinistro a livello del dotto arterioso.

Terapia Il trattamento consiste nella ventilazione meccanica (v. sopra Uso della ventilazione meccanica) con O2 al 100%, dato che l’O2 è un potente vasodilatatore polmonare. Anche l’alcalinizzazione può aiutare a indurre una dilatazione delle arteriole polmonari. L’alcalinizzazione si ottiene mediante infusione EV lenta di bicarbonato di sodio, al dosaggio di 0,5-2 mEq/kg/h. Il dosaggio viene regolato per mantenere il pH intorno ai valori di _7,45- 7,5. Poiché l’espansione meccanica degli alveoli determina anche una vasodilatazione, può anche essere di aiuto una ventilazione con maschera e pallone per qualche minuto con O2. In molti pazienti, l’ossido nitrico inalato migliora rapidamente l’ossigenazione inducendo una vasodilatazione arteriolare polmonare. L’ossido nitrico è un "fattore di rilascio endoteliale", normalmente prodotto dalle cellule endoteliali, che determina il rilasciamento della muscolatura liscia arteriolare; si ritiene che la sintesi sia abnormalmente bassa nei bambini con PPHN. Quando i pazienti respirano basse concentrazioni di ossido nitrico attraverso il circuito del ventilatore, l’ossido nitrico diffonde nella parete delle arteriole polmonari, dove determina il rilasciamento della muscolatura liscia e aumenta il flusso ematico polmonare. L’ossido nitrico è strettamente legato all’Hb (e con ciò inattivato); perciò la circolazione sistemica non viene coinvolta e non si verifica ipotensione sistemica. La tolazolina (un α-bloccante), somministrata in bolo alla dose di 1-2 mg/kg EV in 5-10 min, poi 0,5-2 mg/kg/h EV, può aiutare a determinare una vasodilatazione polmonare e a migliorare l’ossigenazione. Poiché la tolazolina può anche indurre una vasodilatazione sistemica e ipotensione, deve essere somministrata attraverso una via che permetta la massima distribuzione nel circolo polmonare; nella PPHN con shunt destro-sinistro a livello atriale, ciò è ottenuto mediante infusione in una vena degli arti superiori o in una vena epicranica o direttamente

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in arteria polmonare. Se si sviluppa una ipotensione sistemica, l’ipossia sistemica peggiora, ma può essere trattata inizialmente con un plasma-expander (p. es., soluzione fisiologica o albumina umana al 5%, 10-15 ml/kg in 10 min). Se la PA o la perfusione sistemica rimangono ridotte, si somministra al neonato dopamina alla dose di 5-20 µg/kg/min EV e/o dobutamina alla dose di 5-20 µg/kg/min EV (nessuna delle due viene somministrata per via arteriosa). Spesso, tuttavia, l’ipotensione causata dalla tolazolina è refrattaria al trattamento, limitando con ciò l’utilità del farmaco. La tolazolina determina anche una liberazione di istamina ed è stata associata al suo utilizzo un’emorragia a livello del tratto GI superiore; può essere somministrato preventivamente l’antagonista del recettore H2. L’ossigenazione extracorporea di membrana può essere utilizzata in bambini di età gestazionale > 34 sett. che, nonostante la terapia medica, non possono essere ossigenati adeguatamente e altrimenti non sopravviverebbero (v. sopra Uso della ventilazione meccanica). Bisogna inoltre porre molta attenzione nel mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico e dell’omeostasi di glucoso e del Ca. I neonati devono essere posti in ambienti a temperatura neutra e trattati con antibiotici per eventuali sepsi finche non si conoscono i risultati delle indagini colturali. Quando la PaO2 si è stabilizzata a 100 mm Hg, si inizia il divezzamento, riducendo la FiO2 del 2-3%, molto lentamente. Più tardi, si riduce alternativamente la FiO2 e la pressione del respiratore. Lo scopo è di evitare grossi cambiamenti, poiché una rapida caduta della PaO2 può determinare nuovamente una vasocostrizione polmonare e una PPHN.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA SINDROME DA ASPIRAZIONE DI MECONIO Aspirazione di meconio da parte del feto, che determina dopo la nascita una polmonite chimica e una ostruzione meccanica dei bronchi.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Complicanze Prevenzione e terapia

La sindrome da aspirazione di meconio (SAM) è solitamente una complicanza di una insufficienza placentare (p. es., in caso di preeclampsia materna, ipertensione o postmaturità). In risposta a uno stress, il feto emette meconio e respira affannosamente, inalando così nei polmoni meconio misto a liquido amniotico. La SAM è spesso più grave nei neonati post-termine che hanno una ridotta quantità di liquido amniotico, poiché il meconio meno diluito causa più facilmente ostruzione delle vie aeree.

Sintomi, segni e diagnosi Può verificarsi un distress respiratorio da lieve a estremamente grave. Se avviene una completa ostruzione bronchiale si verifica un’atelettasia; un’ostruzione parziale determina un intrappolamento d’aria in espirazione, che determina iperespansione dei polmoni e intrappolamento d’aria nei polmoni (p. es., pneumomediastino, pneumotorace). L’intrappolamento d’aria causato dalla parziale ostruzione bronchiale da parte del meconio, o un pneumotorace iperteso secondario, possono singolarmente incrementare il diametro toracico antero-posteriore, conferendo al torace un aspetto a botte. Il neonato può apparire postmaturo e il cordone ombelicale e le unghie possono essere tinte di meconio. La rx del torace mostra un’insufflazione esagerata enfisematosa con aree variabili di atelettasia. Un intrappolamento d’aria progressivo può determinare un enfisema interstiziale polmonare, uno pneumomediastino o un pneumotorace. Può essere evidenziato del liquido a livello delle scissure polmonari o negli spazi pleurici.

Complicanze I neonati con SAM, soprattutto se post-termine, sono a rischio di sviluppare una ipertensione polmonare persistente del neonato (v. sopra). Se l’emogasanalisi del bambino è solo parzialmente corretta viene dall’O2-terapia in maschera o è in peggioramento, la cosa più sicura da fare può essere iniziare la ventilazione file:///F|/sito/merck/sez19/2602298.html (1 of 3)02/09/2004 2.46.17

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meccanica per evitare l’ipossiemia o l’ipercarbia, che possono portare alla PPHN.

Prevenzione e terapia La cosa più importante da fare per prevenire la SAM è rappresentata dall’aspirazione immediata del meconio e delle secrezioni dalla bocca e dal nasofaringe, utilizzando un apparato di aspirazione DeLee, non appena la testa del bambino sia fuoriuscita. Fino a poco tempo fa, tutti i neonati, in presenza di liquido amniotico tinto di meconio, venivano intubati immediatamente dopo il parto per consentire l’aspirazione di meconio dalla trachea. Tuttavia, l’intubazione e l’aspirazione tracheale possono non essere necessarie in quei bambini che sono forti, soprattutto se c’è poco meconio. Questo è ancora in qualche modo controverso. Si conviene che se è presente meconio il personale specializzato debba immediatamente intubare e iniziare l’aspirazione tracheale di tutti i bambini depressi. L’aspirazione è più efficace se effettuata prima che il bambino respiri e pianga, poiché, nel momento in cui lo fa, il meconio diffonde attraverso l’albero bronchiale. Un tubo endotracheale di 3,5 o 4 mm viene posto nella trachea del bambino e un aspiratore di meconio viene connesso direttamente al tubo endotracheale che poi viene impiegato come catetere di suzione. L’aspirazione viene continuata mentre il tubo endotracheale viene rimosso. Completata l’aspirazione, se l’attività respiratoria del bambino è depressa, si inizia una ventilazione a pressione positiva. Se non si è aspirato meconio e se il neonato appare in buone condizioni, deve essere estubato e tenuto in osservazione. Se si sospetta una significativa SAM, il neonato viene trasferito presso una TIN per il trattamento. La percussione toracica intermittente, seguita dall’aspirazione endotracheale e dalla somministrazione di aria o O2 umidificati può aiutare anche ad allontanare e a rimuovere il restante meconio dalle vie respiratorie. È necessario un attento monitoraggio di questi bambini per evidenziare lo sviluppo di un distress respiratorio e di ipossia. La terapia respiratoria viene effettuata in base alla gravità della polmonite; le richieste variano da una terapia di supporto con fisioterapia toracica, fino alla erogazione di O2 in tenda o alla ventilazione meccanica (v. sopra, Uso della ventilazione meccanica). Il neonato con SAM intrappola aria al di fuori dei bronchi che risultano parzialmente ostruiti dal meconio inalato. Durante i primi giorni si può sviluppare una sindrome da infiltrazione d’aria (pneumomediastino e pneumotorace). Per individuare queste complicanze sono importanti un regolare controllo eseguito con l’auscultazione dei rumori respiratori, la transilluminazione del torace e la rx del torace. Bisogna subito sospettare e trattare un pneumotorace a valvola o un’ostruzione del tubo endotracheale da parte del meconio quando la PA del bambino, la perfusione o i valori dell’emogasanalisi peggiorano improvvisamente (v. più avanti Sindrome dell’air - Leak polmonare). Poiché il meconio può favorire la proliferazione batterica e una polmonite batterica è difficile da escludere, è necessario eseguire emocolture e colture dell’aspirato tracheale e iniziare una terapia antibiotica (ampicillina e un aminoglicoside). Sindromi correlate: durante il parto il neonato può aspirare anche vernice caseosa, liquido amniotico o sangue di origine materna o fetale. Sviluppa allora una sindrome da distress respiratorio e i segni, alla radiografia del torace, di una polmonite da aspirazione. Come nell’aspirazione di meconio, il trattamento è sintomatico; se si sospetta una infezione batterica, è necessario eseguire colture e iniziare la terapia antibiotica.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA RESPIRATORIA SINDROME DELL’AIR-LEAK POLMONARE Infiltrazione di aria al di fuori dei normali spazi polmonari.

Sommario: Introduzione Enfisema polmonare interstiziale Pneumomediastino Pneumopericardio Pneumoperitoneo Pneumotorace

Dopo la nascita, nell’1-2% dei neonati normali, si verifica un’infiltrazione di aria, forse come risultato della forte pressione negativa intratoracica che si determina quando il neonato inizia a respirare. Molti di questi neonati sono asintomatici o lievemente tachipnoici. I vari tipi di intrappolamento d’aria dipendono dalla sede in cui si trova l’aria che è fuoriuscita dai normali spazi aerei del polmone e comprendono enfisema polmonare interstiziale, pneumomediastino, pneumotorace, pneumopericardio, pneumoperitoneo e enfisema sottocutaneo. Un’infiltrazione d’aria clinicamente significativa si verifica di solito nei neonati affetti da malattie polmonari, che ne sono predisposti a causa della ridotta compliance polmonare e della necessità di una pressione elevata per distendere il parenchima (p. es., un neonato con RDS in ventilazione meccanica) o a causa delle aumentate resistenze delle vie aeree (p. es., ostruzione parziale dei bronchi da parte del meconio nella SAM).

Enfisema polmonare interstiziale Infiltrazione di aria dagli alveoli nell’interstizio polmonare, nei linfatici o nello spazio subpleurico. Un enfisema polmonare interstiziale si verifica di solito in neonati con ridotta compliance polmonare, come quelli che presentano una RDS, che sono trattati con ventilazione meccanica, ma a volte si può instaurare spontaneamente. Possono essere interessati uno o ambedue i polmoni e, nell’ambito di ciascun polmone, può essere localizzato o generalizzato. Se l’intrappolamento d’aria è diffuso, la situazione respiratoria può acutamente peggiorare, poiché la compliance polmonare si riduce improvvisamente. La rx del torace evidenzia nei campi polmonari un numero variabile di immagini radiotrasparenti cistiche o di strie lineari. Alcune immagini sono allungate; altre sembrano cisti subpleuriche e possono avere da pochi millimetri fino a vari centimetri di diametro. L’enfisema polmonare interstiziale si può risolvere drasticamente in 1 o 2 giorni o file:///F|/sito/merck/sez19/2602299.html (1 of 3)02/09/2004 2.46.18

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persistere alla rx per settimane. Alcuni pazienti con gravi disturbi respiratori ed enfisema polmonare interstiziale sviluppano una displasia broncopolmonare (DBP) e l’aspetto cistico dell’enfisema polmonare interstiziale si confonde poi con il quadro radiologico della DBP. Il trattamento mira a ridurre quanto più possibile la pressione inspiratoria fornita dal ventilatore, per permettere al polmone di guarire. Un’adeguata ossigenazione può spesso essere ottenuta aumentando la FiO2 mentre si riduce al minimo la pressione inspiratoria; questo approccio però può essere difficile o impossibile se i polmoni con enfisema polmonare interstiziale diffuso presentano una ridotta compliance. Ventilatori ad alta frequenza di vario tipo sono stati utilizzati nei bambini con intrappolamenti d’aria pericolosi per la vita o intrattabili (v. sopra Uso della ventilazione meccanica). Se l’enfisema polmonare interstiziale è significativamente più grave in uno dei polmoni, il bambino deve giacere sul lato del polmone più gravemente colpito per aiutare a comprimerlo. Questa posizione può migliorare la ventilazione a livello dell’altro polmone(che si trova più in alto). Se un polmone è colpito molto gravemente e l’altro lo è in modo lieve o affatto, si può anche tentare un’intubazione bronchiale differenziale. Un tubo endotracheale viene fatto avanzare nel bronco principale del polmone normale o meno colpito; il tubo endotracheale viene fatto avanzare oltre la carena mentre si gira la testa e il collo del bambino verso il lato opposto del bronco che deve essere intubato. Quando l’intubazione bronchiale unilaterale è stata effettuata, si perderanno i rumori respiratori nel polmone con l’enfisema polmonare interstiziale. La posizione del tubo endotracheale viene confermata dalla rx del torace e si verifica presto la totale atelettasia del polmone non intubato. Poiché adesso viene ventilato solamente un polmone, i parametri ventilatori e la FiO2 possono dover essere modificati. Dopo 24- 48 h, momento in cui l’intrappolamento d’aria può essersi interrotto, il tubo endotracheale viene tirato indietro in trachea.

Pneumomediastino Infiltrazione d’aria nel tessuto connettivo lasso del mediastino. Nello pneumomediastino, il bambino solitamente non sviluppa segni addizionali di distress respiratorio. Tuttavia, la transilluminazione del torace può risultare positiva e, all’esame rx (soprattutto nella proiezione laterale), si nota che l’aria penetrata nel mediastino allontana i lobi del timo dalla silhouette cardiaca. L’aria può dissecare inoltre il tessuto sottocutaneo del collo e del cuoio capelluto; l’enfisema sottocutaneo è inoltre asintomatico e si riassorbe spontaneamente. Il trattamento non è necessario, ma la riduzione delle pressioni di ventilazione può favorire la guarigione polmonare e può prevenire un pneumotorace.

Pneumopericardio La ventilazione meccanica può causare l’infiltrazione d’aria nel sacco pericardico e causare uno pneumopericardio. Se l’aria è sotto tensione, si verificano un tamponamento cardiaco e un collasso circolatorio acuto con un improvviso calo delle pulsazioni, una ridotta pressione arteriosa differenziale e una scarsa perfusione periferica. Una rapida evacuazione dell’aria con ago per epicranica, seguita dalla inserzione chirurgica di un tubo idoneo, può salvare la vita.

Pneumoperitoneo

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A volte può penetrare aria dal polmone nello spazio retroperitoneale e poi nella cavità peritoneale, dando origine allo pneumoperitoneo. Questa complicanza è solitamente non grave e regredisce spontaneamente, ma è necessario distinguerla dallo pneumoperitoneo dovuto a perforazione intestinale, che rappresenta un’urgenza chirurgica. Un pneumoperitoneo che si verifica in un bambino in ventilazione a pressione positiva, che presenta altri segni di intrappolamento aereo polmonare, è probabilmente dovuto a infiltrazione d’aria dal polmone.

Pneumotorace Dissezione di aria nello spazio pleurico causata dalla rottura di una bolla subpleurica o da uno pneumomediastino. Sebbene sia a volte asintomatico, il pneumotorace a valvola (v. anche Cap. 80) può essere pericoloso per la vita nei neonati con grave patologia polmonare (p. es., RDS, SAM) sottoposti a ventilazione meccanica. La positività della transilluminazione di un emitorace con una sorgente di luce a fibre ottiche, eseguita in un ambiente buio, suggerisce fortemente la presenza di aria libera nel torace. L’esecuzione di una rx del torace, se le condizioni cliniche del bambino sono stabili, può confermare la diagnosi prima di iniziare il trattamento. Nei bambini con patologia polmonare o in ventilazione meccanica, bisogna effettuare un’aspirazione immediata dell’aria libera dal cavo pleurico. In caso di emergenza, possono essere utilizzati provvisoriamente una siringa e un ago epicranico o un catetere vascolare per evacuare l’aria libera dal cavo pleurico. Il trattamento definitivo consiste nell’inserzione di un tubo toracico di 8-10 French, collegato a un sistema di aspirazione continua. Il controllo mediante esame obiettivo, transilluminazione e radiografia può confermare il giusto posizionamento del tubo. Nel bambino senza malattie polmonari concomitanti, il pneumotorace può determinare soltanto una lieve tachipnea o essere asintomatico. Se il bambino non presenta distress, può essere tenuto in stretta osservazione, in attesa della risoluzione spontanea.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PROBLEMI EMATOLOGICI Durante la prima settimana di vita, i disordini ematologici neonatali vengono diagnosticati mediante prelievo ematico da una vena o da catetere centrale; l’Htc ottenuto da sangue capillare del calcagno può essere più elevato del normale del 15%, in seguito all’impilamento del sangue nei capillari cutanei. La pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso dopo il parto è considerevolmente più alta rispetto alla vita fetale. Come risultato, la produzione di eritropoietina è diminuita e la produzione di eritrociti quasi si arresta. Durante i primi 2-3 mesi, la concentrazione di Hb del bambino si abbassa gradualmente; questo abbassamento è lievemente esagerato dalla più bassa durata di vita dei globuli rossi neonatali (90 giorni contro i 120 giorni negli adulti). Questa normale riduzione dell’Hb è denominata anemia fisiologica del lattante, e non richiede trattamento. Quando la tensione di ossigeno tissutale si abbassa, raggiungendo un determinato livello, la produzione di eritropoietina si ristabilisce come anche la produzione di globuli rossi. Il tasso di riduzione dell’Hb e il nadir del suo abbassamento sono maggiori nei prematuri- anemia della prematurità. Questa condizione è principalmente dovuta al tasso di accrescimento molto elevato dei prematuri, in cui la volemia in espansione eccede rapidamente la massa eritrocitaria in diminuzione. Inoltre, i prelievi ematici per gli esami di laboratorio dei neonati prematuri malati aumenta la riduzione, che è più pronunciata nei bambini più immaturi. Il nadir della concentrazione di Hb viene spesso raggiunto in circa 6 sett. nei bambini nati pretermine, nella metà del tempo nei neonati a termine. L’anemia è stata ritenuta responsabile di alcuni problemi comuni nei neonati pretermine, come tachipnea, tachicardia, acidosi metabolica, respiro periodico, apnea e insufficiente accrescimento ponderale. Tuttavia, gli studi che dimostrano il momento in cui diventa utile una trasfusione sono ampiamente incompleti e i criteri specifici per effettuare trasfusioni non possono essere stabiliti eccetto che nel caso dei bambini con patologie cardiorespiratorie più gravemente malati, che solitamente ricevono più trasfusioni per mantenere costanti i loro livelli emoglobinici. Negli ultimi anni, è stato evidenziato che i neonati prematuri stabilizzati vanno bene con concentrazioni di Hb a livelli di 8-10 mg/dl e sono state effettuate meno trasfusioni per abbassare al minimo il rischio di infezioni virali da trasfusione. Recentemente, l’eritropoietina somministrata ai bambini pretermine anemici, ha dimostrato di indurre una normale risposta del midollo osseo, ma il suo utilizzo non è ancora routinario. L’anemia fisiologica del lattante o l’anemia della prematurità non sono causate dalla carenza di ferro, né rispondono alla somministrazione di ferro. Tuttavia, i neonati devono ricevere ferro supplementare se sono alimentati artificialmente. La loro formula deve contenere 2 mg di ferro elementare/kg/die. Altrimenti, i bambini pretermine consumano le loro riserve di ferro entro 10-14 sett. e i bambini a termine entro i 5 mesi. A meno che essi non abbiano ricevuto ferro con l’alimentazione, essi sviluppano allora una tipica anemia sideropenica ipocromica, microcitica (v. anche Cap. 127).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PROBLEMI EMATOLOGICI ANEMIA NEONATALE DA SANGUINAMENTO

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Terapia

Eziologia e fisiopatologia Un’emorragia importante si può avere: per un anomalo distacco di placenta (abruptio placentae) o per placenta previa; per lacerazione traumatica del cordone o dei vasi ombelicali in caso di inserzione velamentosa del cordone sulla placenta; per incisione della placenta situata anteriormente mentre si esegue il parto cesareo. Se è presente un giro di cordone stretto attorno al collo o al corpo durante il parto, il sangue arterioso del bambino può essere pompato verso la placenta, mentre la compressione del cordone impedisce al flusso ematico di ritornare al bambino attraverso la vena ombelicale; la legatura immediata del cordone al momento del parto può allora determinare un ridotto apporto di sangue al neonato, non visibile (sangue che rimane nella placenta). Può verificarsi in utero un sanguinamento occulto di gravità variabile, come risultato di una trasfusione feto-materna. La trasfusione può essere acuta o prolungata e lenta e può ripresentarsi. Se il feto compensa la trasfusione, il suo Htc avrà il tempo per diminuire (mentre la volemia si riespande). L’emorragia prenatale acuta conduce allo shock fetale o neonatale e ci vorranno diverse ore perché l’Htc diminuisca. La trasfusione feto- materna è confermata dalla positività del test di Kleihauer su sangue materno, grazie al quale possono essere identificati nella circolazione materna, mediante striscio ematico, i globuli rossi fetali, che sono resistenti all’eluzione acida. La trasfusione cronica gemello-gemello si può avere nei gemelli identici che hanno un vaso anastomotico tra le proprie porzioni dell’unica placenta. Questa rappresenta un’altra causa di sanguinamento occulto in utero (nel gemello donatore).

Sintomi e segni Se si è verificata un’emorragia prenatale massiva si può avere shock ipovolemico e asfissia grave prima del parto o alla nascita. Il bambino è ipoteso e molto pallido, ha i polsi deboli o assenti, compie pochi atti respiratori e non risponde bene alla rianimazione cardiorespiratoria. Un Htc normale alla nascita non esclude una perdita massiva acuta di sangue poiché l’Htc del neonato può non aver avuto tempo di equilibrarsi. Al contrario, un bambino che ha avuto una trasfusione feto-materna cronica è pallido e ha un basso Htc ma ha un normale polso e una buona perfusione. In una trasfusione gemello-gemello, il donatore di solito è piccolo per l’età file:///F|/sito/merck/sez19/2602302a.html (1 of 2)02/09/2004 2.46.25

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gestazionale e anemico, presenta inoltre una diuresi ridotta, che determina un oligoidramnios. Il gemello ricevente è più grande e pletorico e presenta una diuresi elevata, che comporta un polidramnios.

Terapia La perdita acuta di sangue con shock ipovolemico deve essere corretta mediante una immediata trasfusione di sangue intero o di emazie concentrate attraverso incannulamento della vena ombelicale; bisogna somministrare 15 ml/kg in 5-10 min e continuare con dosi ripetute finché il circolo non è ripristinato. Qualora il sangue non sia disponibile subito, si può sostenere inizialmente il circolo con una infusione di colloidi (albumina umana al 5% o plasma fresco congelato) o soluzione fisiologica. Se lo shock persiste devono essere effettuate ripetute infusioni di sangue, colloidi o soluzione fisiologica. Bisogna monitorare la pressione venosa centrale mediante cateterismo della vena ombelicale (dopo aver controllato radiologicamente la posizione del catetere, che deve trovarsi al di sopra del diaframma) per rendersi conto di quando sia stata corretta la perdita ematica. In caso di trasfusione gemello-gemello, per far innalzare l’Hb nel gemello donatore è necessario eseguire un’exsanguinotrasfusione o una semplice trasfusione di sangue, mentre il gemello ricevente, che può essere policitemico (v. più avanti), necessita di un’exsanguinotrasfusione parziale di riduzione (exsanguinoflebotomia) con colloidi per ridurre l’Htc a livelli normali (solitamente < 65%).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PROBLEMI EMATOLOGICI EMOGLOBINOPATIE Difetti genetici della molecola emoglobinica, evidenziati mediante alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o di altre proprietà fisiche. (V. anche Anemie causate da difetti della sintesi emoglobinica nel Cap. 127.) La maggior parte delle emoglobinopatie coinvolge la catena β-dell’Hb (anemia falciforme, β- talassemia). Poiché il neonato ha un’alta percentuale di Hb fetale (α2, γ-2), questi disordini non sono clinicamente evidenti alla nascita, ma la maggior parte di essi si manifesta più tardi, solitamente nel corso dei primi 6 mesi di vita. Comunque, il raro difetto α-talassemia determina idrope fetale con morte fetale o neonatale precoce per una gravissima e intrattabile anemia. Gli screening neonatali di routine per le emoglobinopatie vengono eseguiti, in molti stati degli USA.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PROBLEMI EMATOLOGICI IPERVISCOSITA' DOVUTA ALLA POLICITEMIA Aumentata viscosità dovuta all’alto Htc (di solito 70%), che può determinare stasi sanguigna intravascolare, congestione polmonare, cardiomegalia e probabilità di trombosi vascolari. Il neonato colpito può apparire pletorico o può presentare segni neurologici (p. es., convulsioni, letargia, scarsa alimentazione) o distress cardiorespiratorio (p. es., tachipnea, tachicardia, cianosi). Il neonato sintomatico con Htc venoso centrale > 65% deve essere sottoposto a un’exsanguinotrasfusione parziale, mediante la quale una parte del sangue è rimossa e sostituita con un uguale volume di plasma o di soluzione fisiologica per ridurre l’Htc a livelli di sicurezza. Attenzione: la semplice flebotomia, da sola, non deve essere utilizzata, poiché determina ipovolemia e la sintomatologia può peggiorare. La supposta associazione fra policitemia neonatale e successivo ritardato sviluppo non è stata provata.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO IPERGLICEMIA Una glicemia nei neonati > 120 mg/dl (6,7 mmol/l).

Sommario: Introduzione Terapia

L’iperglicemia si verifica meno frequentemente dell’ipoglicemia. Comunque, i neonati VLBW (< 1,5 kg) possono presentare una iperglicemia significativa dopo rapide infusioni EV di glucoso nei primissimi giorni di vita. Anche i neonati con grave asfissia o settici possono andare incontro a iperglicemia, che è stata in particolare associata a sepsi fungine. Il diabete mellito transitorio del neonato è una rara, auto-limitante causa di iperglicemia, che solitamente si verifica nei neonati di basso peso per l’età gestazionale. L’iperglicemia può causare glicosuria con diuresi osmotica e disidratazione e una grave iperglicemia con importante aumento della osmolarità sierica può determinare un danno neurologico.

Terapia Se la condizione è iatrogena, il trattamento consiste inizialmente nel ridurre l’apporto di glucoso (o modificando la concentrazione della soluzione dal 10 al 5% o riducendo la velocità di infusione EV). Le perdite idriche ed elettrolitiche derivate da una diuresi osmotica vengono reintegrate per via endovenosa. Una iperglicemia persistente anche a basse velocità di infusione (p. es., 4 mg/kg/ min) può indicare una carenza insulinica relativa o una resistenza all’insulina. Può essere aggiunta insulina umana alla soluzione glucosata al 10% EV a una velocità uniforme di 0,01-0,1 U/kg/h e in seguito ridotta finche la glicemia non si è normalizzata. L’insulina può essere addizionata a una soluzione separata di glucosata al 10% EV e infusa mediante pompa peristaltica parallelamente ai liquidi di mantenimento in modo che il livello di insulina possa essere modificato senza cambiare l’intera velocità di infusione EV. È inoltre estremamente importante il frequente controllo della glicemia dal momento che la risposta alla terapia insulinica è imprevedibile ed è estremamente importante monitorare la glicemia e titolare attentamente l’infusione insulinica. Nel diabete mellito transitorio neonatale, devono essere attentamente mantenuti l’omeostasi del glucoso e l’idratazione finche l’iperglicemia non si risolve spontaneamente, cosa che solitamente avviene entro qualche settimana.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO IPOCALCEMIA Concentrazione di calcio sierico totale (Ca) < 8 mg/dl (< 2 mmol/l) nei neonati a termine o < 7 mg/dl (< 1,75 mmol/l) nei neonati pretermine; anche definita come Ca++ ionizzato < 3,0-4,4 mg/dl (< 0,75-1,10 mmol/l), a seconda del metodo (tipo di elettrodo) utilizzato. (V. anche Cap. 12)

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L’ipocalcemia neonatale si verifica abbastanza spesso nei reparti di TIN. I gruppi ad alto rischio comprendono i prematuri e i neonati di peso basso per l’età gestazionale, i figli di madre diabetica e i neonati che hanno avuto un’asfissia perinatale.

Eziologia L’eziologia dell’ipocalcemia precoce (che si verifica nelle prime ore di vita) non è ben conosciuta. Alcuni prematuri o neonati patologici sembra abbiano un periodo transitorio di ipoparatiroidismo relativo dopo la nascita; quando si interrompe il passaggio costante di Ca ionizzato attraverso la placenta il tasso sierico del Ca si riduce. Questo effetto può essere esagerato nei neonati di madre diabetica o iperparatiroidea, poiché queste donne hanno livelli di Ca ionizzato più alti del normale durante la gravidanza; quindi, alla nascita, le paratiroidi del neonato non funzionano adeguatamente per mantenere una normale calcemia. In altri neonati vi può essere la mancanza della normale risposta fosfaturica renale al paratormone. L’asfissia perinatale può inoltre indurre un’aumentata secrezione di calcitonina, che inibisce il rilascio di Ca dall’osso e provoca ipocalcemia. L’ipocalcemia tardiva (che si verifica dopo i primi 3 giorni di vita), che è rara, è solitamente causata da alimentazione con latte vaccino o con formule a contenuto di fosfato (PO4) troppo elevato; elevati livelli ematici di PO4 conducono all’ipocalcemia. Alla fine, pochi bambini, che presentano un ipoparatiroidismo, avranno anche una ipocalcemia prolungata. Questo si vede soprattutto nella sindrome di DiGeorge (v. Difetto di DiGeorge nel Cap. 147) in cui i bambini possono presentare difetti cardiaci conotruncali, anomalie facciali, ridotta immunità cellulare e ipoparatiroidismo.

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Sintomi, segni e diagnosi I neonati con ipocalcemia sono spesso asintomatici, ma possono presentare ipotonia, apnea, turbe dell’alimentazione, irritabilità, tetania e convulsioni. Sintomi simili possono verificarsi in caso di ipoglicemia o crisi di astinenza. L’allungamento del tratto QT (QTc) all’ECG è indicativo di ipocalcemia. Compaiono raramente i segni di una ipocalcemia, a meno che i livelli di Ca non siano < 7 mg/dl o i livelli di Ca ionizzato non siano < 3,0 mg/dl. Dopo 3 giorni di vita, i neonati con ipocalcemia tardiva possono presentare tetania o convulsioni.

Terapia L’ipocalcemia precoce di solito regredisce in alcuni giorni e i bambini asintomatici non hanno solitamente bisogno di trattamento. I neonati con calcemia > 7 mg/dl o con Ca ionizzato > 3,5 mg/ dl raramente richiedono un trattamento. Ai neonati con calcemia < 7 mg/dl bisogna somministrare Ca gluconato in soluzione al 10%, 200 mg/ kg (2 ml/kg di una soluzione al 10%) mediante infusione lenta EV in 30 min. Una soluzione di Ca gluconato al 10% contiene 100 mg di Ca gluconato/ml e 9 mg di Ca elementare/ml. Una rapida infusione può causare bradicardia, pertanto, durante la somministrazione, bisogna monitorare l’attività cardiaca. Il luogo dell’infusione EV va osservato attentamente perché l’infiltrazione tissutale da parte di una soluzione di Ca è irritante e può causare localmente danno tissutale. Dopo la correzione rapida dell’ipocalcemia, il calcio gluconato può essere addizionato all’infusione EV e somministrato continuamente. Iniziando con 400 mg/kg/die di calcio gluconato, la dose può essere aumentata gradualmente fino a 800 mg/kg/die, se necessario, per prevenire una nuova caduta della calcemia. Quando si inizia l’alimentazione enterale, il latte artificiale può essere supplementato, se necessario, con la stessa dose giornaliera di calcio gluconato mediante l’aggiunta di una soluzione di gluconato di calcio al 10% nel latte. Questo è solitamente richiesto per pochi giorni soltanto. Il trattamento dell’ipocalcemia tardiva si prefigge di apportare Ca al latte in quantità tale da ripristinare il rapporto Ca:PO4 normale di 4:1. Ciò determinerà la precipitazione del fosfato di calcio nel tratto GI, bloccando l’assorbimento di PO4 e aumentando l’assorbimento del Ca dal tratto GI.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO IPERNATREMIA Concentrazione sierica di sodio > 150 mEq/l. (V. anche Capp. 12 e 259)

Sommario: Introduzione Eziologia Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Diagnosi e profilassi Terapia

L’ipernatremia si verifica quando la perdita di acqua è maggiore della perdita di sali (disidratazione ipernatremica) o per eccessiva introduzione di sali (intossicazione da sali) o per entrambe le cause.

Eziologia Una perdita di acqua in eccesso si verifica comunemente in condizioni come diarrea, vomito o febbre elevata ma la disidratazione ipernatremica si sviluppa soltanto quando l’apporto di liquidi è insufficiente a riparare le perdite. Inoltre, la perdita di liquidi può essere sottostimata o può sfuggire. Una perdita eccessiva di acqua libera (disidratazione ipertonica) si verifica comunemente nei neonati VLBW a causa di una rapida evaporazione d’acqua attraverso la cute (perdita insensibile di acqua) in associazione a una funzionalità renale immatura e a una ridotta capacità di produrre urine concentrate. La cute dei neonati VLBW, di 24-28 sett. di età gestazionale non ha uno strato corneo maturo ed è estremamente permeabile all’acqua. Il flusso ematico cutaneo e la perdita insensibile di acqua sono anche significativamente aumentati se il neonato viene posto sotto lampada radiante o in fototerapia; così un neonato può richiedere fino a 200-250 ml/kg/die di acqua EV nei primi giorni; in seguito lo strato corneo si sviluppa e la perdita insensibile d’acqua si riduce. Durante i primi giorni dopo la nascita il peso corporeo, gli elettroliti sierici, il volume di urine e il peso specifico devono essere controllati regolarmente in modo che la somministrazione di liquidi possa essere appropriatamente modificata. Un sovraccarico di soluti deriva più comunemente dall’aggiunta eccessiva di sale nella preparazione delle formule o dalla somministrazione di soluzioni iperosmolari. Quando il plasma fresco congelato o l’albumina umana (entrambi isotonici) vengono somministrati ripetutamente a neonati molto prematuri, la quantità di Na in essi presente, può determinare una ipernatremia, se l’apporto di Na risultante eccede la perdita urinaria.

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Fisiopatologia Una volta che si instaura l’ipernatremia, il Na extra non penetra nella cellula ma rimane uno ione obbligatoriamente extracellulare. L’acqua, allora, fuoriesce dalla cellula ed entra nello spazio extracellulare a causa della elevata osmolarità del LEC. Questo spostamento d’acqua sostiene il volume intravascolare ma a spese del volume e della funzionalità cellulare.

Sintomi, segni e diagnosi Poiché il volume intravascolare è relativamente mantenuto, l’esame obiettivo può sottostimare il grado di disidratazione. Il rilievo di una cute e un tessuto sottocutaneo pastosi rappresenta un segno clinico suggestivo di disidratazione iponatremica, come anche la discrepanza fra gravità della disidratazione (giudicata in base alla perdita di peso e alla secchezza delle mucose) e il grado relativamente lieve di compromissione della circolazione. Le maggiori complicanze della disidratazione ipernatremica sono le emorragie intracraniche e la necrosi tubulare renale acuta.

Diagnosi e profilassi La diagnosi si pone facilmente misurando la concentrazione del Na nel siero. Altri dati di laboratorio sono l’aumento dell’azoto ureico, un modesto aumento della glicemia e, se la potassiemia è bassa, una riduzione della calcemia. La profilassi richiede attenzione al volume e alla composizione di insolite perdite di liquidi e delle soluzioni utilizzate per il mantenimento dell’omeostasi. Nel neonato e nel piccolo lattante, che non riescono a segnalare efficacemente la sete e a rimpiazzare le perdite volontariamente, il rischio di disidratazione è maggiore; i fattori che aumentano la perspiratio insensibilis (incluse le sorgenti di calore radiante e le lampade da fototerapia) aumentano il rischio di ipernatremia. Bisogna porre molta attenzione alla composizione degli alimenti da preparare (p. es., alcune formule per lattanti e miscele concentrate per alimentazione enterale) specialmente quando il rischio di disidratazione è alto, come durante episodi di diarrea, ridotto apporto di liquidi, vomito o febbre alta.

Terapia La correzione dell’ipernatremia deve avvenire in 2-3 giorni per evitare una rapida caduta dell’osmolalità sierica, che determina un rapido passaggio di acqua all’interno della cellula e può causare edema cerebrale. Il volume di liquidi equivalente al deficit calcolato viene somministrato lentamente in 2-3 giorni, mentre i liquidi di mantenimento vengono somministrati contemporaneamente. La composizione dei liquidi somministrata è costituita da glucoso al 5% con circa 70 mEq/l di Na. All’inizio il catione è il Na; quando si ripristina la diuresi, viene aggiunto il K. La grave ipernatremia (Na > 200 mEq/l) dovuta a intossicazione da sali deve essere trattata mediante dialisi peritoneale.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO ITTERO NUCLEARE Danno cerebrale dovuto alla deposizione di bilirubina nei gangli basali e nei nuclei del tronco encefalico.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Profilassi e terapia

La bilirubina è saldamente legata all’albumina sierica e non può attraversare la barriera ematoencefalica e causare ittero nucleare finché ci sono siti di legame della bilirubina con l’albumina sierica liberi. Il rischio di ittero nucleare è perciò maggiore nei neonati che hanno una concentrazione sierica notevolmente alta di bilirubina, una bassa concentrazione sierica di albumina o sostanze nel siero che entrano in competizione con i siti dell’albumina leganti la bilirubina, inclusi acidi grassi liberi, ioni idrogeno e alcuni farmaci come sulfisossazolo, ceftriaxone e aspirina. Le concentrazioni di albumina sierica sono più basse nei neonati prematuri e li espongono a rischi maggiori. Le molecole che entrano in competizione (p. es., acidi grassi liberi e gli ioni idrogeno) possono facilmente essere elevate nel siero di neonati a digiuno o settici o che hanno acidosi respiratoria o metabolica. Queste condizioni esporranno perciò il neonato a un elevato rischio per qualunque concentrazione sierica di bilirubina.

Sintomi, segni e diagnosi I segni precoci nel neonato a termine sono letargia, scarsa alimentazione e vomito. Possono seguire opistotono, deviazione degli occhi verso l’alto, convulsione e morte. Nei neonati prematuri, l’ittero nucleare può non dare segni clinici riconoscibili. L’ittero nucleare può determinare, più tardivamente nell’infanzia, ritardo mentale, paralisi cerebrale coreoatetosica, ipoacusia neurosensoriale e paralisi dello sguardo fisso verso l’alto. Non si sa se gradi minori di encefalopatia bilirubinica possano determinare sequele neurologiche meno gravi (p. es., handicap percettivo- motori e disturbi dell’apprendimento). Non esistono test sicuri che indichino il rischio di ittero nucleare in un neonato particolare. Una diagnosi definitiva può essere posta con l’esame autoptico.

Profilassi e terapia La prevenzione comprende il non raggiungimento di livelli di bilirubina pericolosamente elevati, come descritto sopra nel trattamento dell’iperbilirubinemia. L’exsanguinotrasfusione è eseguita ai livelli sierici di bilirubina stabiliti clinicamente (v. sopra) o più precocemente se appare un file:///F|/sito/merck/sez19/2602313a.html (1 of 2)02/09/2004 2.46.35

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qualunque segno clinico suggestivo di kernittero precoce. Non esiste un trattamento risolutivo per il kernittero; il trattamento è sintomatico.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO SINDROME DI ASTINENZA DA COCAINA (V. anche Cap. 195 e 250) La cocaina inibisce la ricaptazione dei neurotrasmettitori noradrenalina e adrenalina. Inoltre, producendo una sensazione di euforia, ciò determina forti effetti simpatomimetici, comprese vasocostrizione e ipertensione. Nel feto, la cocaina attraversa la placenta e si ritiene che si verifichino gli stessi effetti simpatomimetici. L’abuso di cocaina durante la gravidanza è accompagnato da una più elevata frequenza di aborti spontanei, di morte fetale e di distacco placentare. Quest’ultimo può portare a una morte fetale intrauterina o, se il bambino sopravvive, a danno neurologico. Il distacco può essere causato dal ridotto flusso di sangue materno nel letto vascolare placentare. I neonati da madri tossicodipendenti presentano un basso peso alla nascita, una ridotta lunghezza e circonferenza cranica e un basso indice di Apgar. Diverse anomalie sono (raramente) state associate all’uso di cocaina nella fase precoce della gravidanza; tutte causate da ostruzioni vascolari, probabilmente secondarie a una ischemia locale per vasocostrizione intensa delle arterie fetali prodotta dalla cocaina. Queste comprendono amputazione degli arti; malformazioni genito-urinarie, compresa la sindrome prune-belly e atresia o necrosi intestinale. Gli infarti cerebrali diagnosticati alla nascita possono a volte essere causati da una insufficienza cerebro-vascolare secondaria agli effetti della cocaina in utero. Alcuni neonati possono manifestare sintomi di astinenza, se la madre ha fatto uso di cocaina poco prima del parto, ma i sintomi sono diversi e meno gravi rispetto all’astinenza da narcotici. I segni della crisi di astinenza e la terapia sono uguali a quelli delle crisi di astinenza da oppio (v. più avanti). La prognosi per la crescita futura e lo sviluppo del bambino nato da madre che ha assunto cocaina non è conosciuta, ma la maggior parte sembra andare abbastanza bene nei primi anni.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO SINDROME DI ASTINENZA DA ALTRI FARMACI Oppioidi: il neonato da donna dedita agli oppiacei (p. es., eroina, morfina o metadone) deve essere tenuto in osservazione per la sindrome da astinenza, che solitamente si verifica entro 72 h dopo il parto. Segni caratteristici di astinenza sono l’irritabilità, i tremori, l’ipertono, il vomito, la diarrea, la sudorazione, le convulsioni e l’iperventilazione che determina alcalosi respiratoria. I sintomi di media gravità sono trattati fasciando il bambino e somministrandogli frequenti pasti per ridurre l’agitazione. I sintomi gravi si possono controllare con la tintura di oppio che contiene 10 mg di morfina/ml, diluita 1:25 con acqua, somministrando 2 gocce/kg PO q 4-6 h, al bisogno. Anche il fenobarbital, alla dose di 5-7 mg/kg/ die suddivisa in 3 dosi PO o IM, può anche controllare i sintomi da astinenza. Il trattamento viene ridotto e sospeso dopo vari giorni o settimane, quando i sintomi si riducono. Va fatta una valutazione della situazione a domicilio, per sapere se il neonato sarà accudito in maniera sicura dopo la dimissione. Con l’aiuto di parenti, amici e infermieri a domicilio la madre sarà in grado di occuparsi del suo bambino. Altrimenti, l’inserimento in un piano di assistenza sociale a domicilio o di altro tipo può essere la soluzione migliore. L’incidenza della SIDS è maggiore nei lattanti nati da madri tossicomani, ma rimane comunque inferiore o uguale a 10/1000 bambini, di conseguenza l’uso routinario di monitor cardiorespiratori non è indicato in questo tipo di bambini. Barbiturici: l’abuso prolungato da parte della madre può creare una sindrome di astinenza neonatale con tremori, irritabilità, e agitazione che spesso non si sviluppa fino a 7-10 giorni dopo il parto, quando il neonato è stato dimesso dal Nido. La sedazione con fenobarbital 5-7 mg/kg/die PO o IM suddivisi in 3 dosi può essere necessaria, riducendo poi le dosi in alcuni giorni o settimane, a seconda della durata dei sintomi.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI POLMONITE NEONATALE

Sommario: POLMONITE A ESORDIO PRECOCE Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi e terapia POLMONITE A ESORDIO TARDIVO Sintomi e segni Diagnosi e terapia POLMONITE DA CLAMIDIA

POLMONITE A ESORDIO PRECOCE Polmonite facente parte del quadro di una sepsi generalizzata che si manifesta alla nascita o entro qualche ora dalla nascita.

Eziologia e patogenesi Lo streptococco di gruppo B (GBS) è l’agente più frequentemente responsabile delle polmoniti a esordio precoce, ma a volte possono esserne responsabili la Listeria monocytogenes, l’Haemophilus influenzae, l’Escherichia coli, la Klebsiella, e altri germi gram + e gram -. La polmonite a esordio precoce spesso si verifica in associazione con amnionite e dopo una prolungata rottura delle membrane. Il feto è circondato da liquido amniotico infetto e lo sforzo respiratorio determina aspirazione, nei polmoni, di microrganismi responsabili di sepsi e polmoniti. La polmonite nella prima settimana di vita è associata a bassi punteggi di Apgar e a un’anamnesi positiva per complicanze perinatali-(p. es., travaglio prematuro, distacco di placenta e parto distocico).

Sintomi e segni Le condizioni cliniche del neonato dipendono dalla gravità della sepsi e della polmonite, variando dalla tachipnea alla insufficienza respiratoria e shock settico dalla nascita.

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Diagnosi e terapia La storia del parto (p. es., amnionite) può suggerire la diagnosi, ma una polmonite non può essere distinta clinicamente o radiologicamente da altre cause di distress respiratorio, come la sindrome del distress respiratorio (RDS), la tachipnea transitoria del neonato (TTN), l’aspirazione di meconio o l’ipertensione polmonare persistente. La rx può mostrare infiltrati diffusi, liquido interstiziale o, raramente, addensamenti lobari, o può simulare i reperti della RDS, TTN o della sindrome da aspirazione di meconio. Gli esami da effettuare sono gli stessi di quelli richiesti in caso di sepsi (v. sopra Sepsi neonatale,). Sono importanti l’emocoltura, la coltura dell’aspirato tracheale e del LCR. Anche l’emocromo con conta piastrinica è importante. Può essere di aiuto un test di agglutinazione al latex sulle urine per lo streptococco di gruppo B. La terapia è la stessa di quella consigliata per la Sepsi neonatale, descritta precedentemente.

POLMONITE A ESORDIO TARDIVO Polmonite che solitamente si verifica dopo 7 giorni di vita, più comunemente in neonati ricoverati in TIN che richiedono intubazione endotracheale prolungata a causa di una malattia polmonare cronica. Lo stafilococco coagulasi-negativo, resistente all’oxacillina, costituisce la causa più frequente di polmoniti a esordio tardivo. Nei bambini che probabilmente sono stati trattati con numerosi antibiotici a largo spettro, possono essere ritrovati molti altri patogeni, inclusi lo stafilococco coagulasi-positivo, E. coli, Klebsiella, Pseudomonas, Proteus, e Serratia, come pure la Candida albicans e altri funghi (v. sopra Sepsi neonatale,).

Sintomi e segni La polmonite a esordio tardivo può iniziare gradualmente, con aumento delle secrezioni aspirate dal tubo endotracheale e la richiesta di parametri ventilatori più elevati. Altri bambini possono presentare un esordio acuto, con instabilità della temperatura e neutropenia. La rx del torace può evidenziare nuovi infiltrati, ma, se il bambino ha anche una grave displasia polmonare, sarà molto difficile evidenziarli.

Diagnosi e terapia Gli esami da richiedere sono l’emocoltura e la coltura dell’aspirato tracheale. Il trattamento iniziale di prima scelta è rappresentato dalla vancomicina, ma può essere sostituita da antibiotici meno nefrotossici appena sono disponibili i risultati dell’antibiogramma. Le terapia è uguale a quella della Sepsi neonatale, sopra.

POLMONITE DA CLAMIDIA La contaminazione da clamidie durante il parto può evolvere in polmonite da clamidia a 2-6 sett di vita. I bambini sono tachipnoici, ma non si presentano in condizioni critiche e possono presentare una congiuntivite associata, causata dallo stesso organismo. Può essere presente eosinofilia e gli esami rx evidenziano infiltrati interstiziali. Il trattamento con eritromicina porta a una rapida risoluzione.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI EPATITE NEONATALE DA VIRUS B Malattia infiammatoria diffusa a carico degli epatociti causata da un’infezione da virus dell’epatite B (HBV), solitamente acquisita durante il parto. (V. anche Cap. 42.)

Sommario: Introduzione Eziologia e epidemiologia Sintomi, segni e diagnosi Profilassi Terapia

Delle varie forme di epatite virale riconosciute (epatite A, epatite B ed epatite C), solo l’HBV è riconosciuto come causa importante di epatite neonatale. Lo spettro delle manifestazioni è ampio, con la maggior parte dei neonati che sviluppa un’epatite cronica subclinica.

Eziologia e epidemiologia L’HBV è un virus a DNA, a doppia elica. L’antigene di superficie (HBsAg) si trova sulla superficie del virus ed è accompagnato da particelle sferiche e tubulari più piccole che rappresentano l’eccesso di materiale capsulare virale. Negli USA dove la frequenza di portatori sani di HBsAg nella popolazione è abbastanza basso (circa 0,1%), la principale sorgente di infezione neonatale è la madre infetta durante il parto. (Lo screening dei donatori sul sangue per l’HBsAg ha praticamente eliminato il rischio di esposizione a derivati del sangue contaminati). Nella madre l’epatite acuta di tipo B, durante il 3o trimestre o nei 2 mesi dopo il parto, è associata al 70% di rischio di trasmissione; d’altra parte il rischio da madri con epatite acuta di tipo B durante il primo o secondo trimestre è solo del 5%. C’è anche un alto rischio di trasmissione dell’HBV dalla madre al bambino se la madre è portatrice cronica asintomatica di HBsAg e di antigene e. I portatori privi dell’antigene e o che possiedono anticorpi anti HBe (v. Cap. 42) trasmettono meno facilmente la malattia. La trasmissione dalla madre al bambino si ha in primo luogo per una microtrasfusione materno- fetale durante il travaglio o per contatto del neonato con i secreti vaginali infetti nel canale del parto. La trasmissione transplacentare è rara. La trasmissione post-partum si può avere se il bambino viene a contatto col sangue materno infetto, con la saliva, con le feci, con le urine o con il latte materno. L’infezione neonatale da HBV può essere importante in alcune comunità nel mantenere il serbatoio virale.

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Sintomi, segni e diagnosi La grande maggioranza dei neonati infetti da HBV sviluppa un’epatite cronica, subclinica caratterizzata dalla persistenza dell’antigenemia HBsAg e da una variabile elevazione dell’attività transaminasica. Istologicamente, questa patologia ha un quadro simile all’epatite cronica che si verifica negli adulti (v. nel Cap. 42). Molti bambini nati da donne con epatite acuta di tipo B durante la gravidanza, sono di basso peso, a prescindere dal fatto che siano infettati da HBV. La diagnosi viene trattata nel Cap.42. La prognosi a lungo termine non è conosciuta, sebbene lo stato di portatore di HBsAg, fin dalle prime epoche della vita, sembra aumentare significativamente il rischio di successive malattie epatiche (p. es., epatite cronica, cirrosi, carcinoma epatocellulare). Raramente, i neonati infetti da HBV possono sviluppare epatite acuta di tipo B, che è di solito lieve e autolimitata, con ittero, letargia, accrescimento stentato, distensione addominale e feci color argilla. In qualche caso, i bambini sono colpiti gravemente, con epatomegalia, ascite e iperbilirubinemia (principalmente di tipo coniugato); raramente la malattia è fulminante e anche fatale. L’epatite fulminante si ha più frequentemente in bambini nati da portatrici sane che da quelli nati da madri con epatite acuta di tipo B.

Profilassi Tutte le donne in gravidanza devono effettuare sistematicamente in ogni gravidanza un test di ricerca dell’HBsAg, in occasione di una visita prenatale precoce, altrimenti esse devono essere testate al momento del ricovero per il parto. Ai bambini nati da madri HBsAg positive deve essere somministrata 1 dose di 0,5 ml IM di immunoglobuline specifiche per l’epatite B (HBIG) entro le 12 h dalla nascita. Deve essere somministrato IM, in una serie di 3 dosi, un vaccino ricombinante contro il virus dell’epatite B (Recombivax 5 µg/0,5 ml o Engerix B 10 µg/0,5 ml). La prima dose va somministrata contemporaneamente alle HBIG, ma inoculata in altra sede; comunque, la prima dose può essere somministrata entro i primi 7 giorni di vita. La 2a e la 3a dose devono essere somministrate a 1 mese e a 6 mesi di intervallo dalla prima. Si raccomanda poi, a 12 e a 15 mesi, di eseguire la ricerca dell’HBsAg e degli anti-HBs. In particolare dove l’infezione da epatite B è altamente endemica o la ricerca dell’HBsAg nella madre è irrealizzabile, la più efficace strategia per controllare l’epatite B è rappresentata dalla vaccinazione di tutti i neonati (utilizzando 5 µg/0,5 ml di Recombivax o 10 µg/0,5 ml di Engerix B). Non è raccomandato separare il figlio dalla madre HBsAg-positiva e l’allattamento al seno non sembra aumentare il rischio di trasmissione postnatale dell’HBV, in particolare se il neonato ha ricevuto le HBIG e il vaccino anti-epatite B. Tuttavia se la madre ha ragadi o ascessi del capezzolo o altra patologia del seno, allora l’allattamento potrebbe determinare la trasmissione dell’HBV.

Terapia Nell’epatite B acuta sono necessari il trattamento sintomatico e una nutrizione adeguata; non sono utili né i corticosteroidi né le IG specifiche per l’HBV. Non esiste trattamento per l’epatite cronica subclinica, ma a causa del rischio di sviluppare una malattia importante, la funzionalità epatica deve essere periodicamente controllata.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE INFEZIONI NEONATALI TOXOPLASMOSI CONGENITA Infezione causata dall’acquisizione transplacentare del protozoo del gruppo dei coccidi Toxoplasma gondii. (V. anche Toxoplasmosi nel Cap.161.)

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi e decorso Profilassi e terapia

Questo parassita, diffuso in tutto il mondo, determina un’infezione congenita in 1/10000 a 8/ 1000 nati vivi.

Eziologia e patogenesi Si ritiene che l’infezione da T. gondii si verifichi primariamente per ingestione di carne poco cotta contente cisti o per ingestione di oocisti, derivate da escrementi di gatto. Con rare eccezioni, la toxoplasmosi congenita è secondaria a una primaria infezione materna durante la gravidanza. La frequenza di trasmissione al bambino è più alta nelle donne colpite nell’ultimo periodo di gravidanza. Tuttavia, nei bambini infettati precocemente durante la gravidanza, la malattia è in genere più grave. Complessivamente, il 30-40% delle donne infettate durante la gravidanza avrà un bambino congenitamente infetto.

Sintomi e segni Le donne in gravidanza infettate da T. gondii non presentano in genere segni clinici. Allo stesso modo, i neonati infettati sono di solito asintomatici alla nascita, ma le manifestazioni possono includere la prematurità, il ritardo di crescita intrauterino, l’ittero, l’epatosplenomegalia, la miocardite, la polmonite e diversi tipi di esantemi. Il coinvolgimento neurologico, spesso predominante, comprende corioretinite, idrocefalia, calcificazioni intracraniche, microcefalia e convulsioni. Associati reperti di laboratorio sono la trombocitopenia, la linfocitosi, la monocitosi, l’eosinofilia, l’innalzamento delle transaminasi e l’anormalità nel LCR (xantocromia, pleiocitosi o aumento della concentrazione proteica).

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Diagnosi e decorso I test sierologici sono importanti nella diagnosi dell’infezione materna e congenita, ma i medici devono avere familiarità con le caratteristiche dei test e i metodi laboratoristici di standardizzazione; alcuni test sono praticati esclusivamente in laboratori specializzati. Gli esami più affidabili per misurare gli anticorpi IgG diretti contro il T. gondii comprendono il dye-test di Sabin-Feldman, la immunofluorescenza indiretta (IFA) e la prova di agglutinazione diretta. Un’infezione materna acuta viene rivelata da una sieroconversione o da un aumento del livello delle IgG di 4 o più volte tra i campioni prelevati allo stadio acuto e di convalescenza. Individuare le IgG è spesso difficile dal momento che gli anticorpi materni IgG si possono riscontrare durante i primi anni di vita. Le IgM contro T. gondii possono essere individuate mediante ELISA a doppio sandwich, che è il test preferito, l’immunofluorescenza indiretta per le IgM (IgM- IFA) e altri test di immunoassorbimento. Nei paesi con un’alta prevalenza di toxoplasmosi sono stati fatti dei tentativi di diagnosticare l’infezione congenita nel periodo prenatale. Sono stati prelevati campioni di sangue fetale e di liquido amniotico per la ricerca del DNA di Toxoplasma mediante PCR (polymerase chain reaction) e inoculati in ratti o in colture tissutali per isolare il germe. Nelle toxoplasmosi congenite sospette, devono essere praticati test sierologici, indagini radiologiche sul cranio (RMN o TC), un’analisi del LCR e un attento esame oculare da parte di un oculista. Può essere utile l’analisi della placenta per rintracciare segni di infezione da T. gondii. L’esito in questi bambini è variabile. Alcuni hanno un decorso fulminante con morte precoce, mentre altri hanno sequele neurologiche a lungo termine. Le indagini fanno pensare che le manifestazioni neurologiche (p. es., la corioretinite, il ritardo mentale, la sordità, le convulsioni) si possono sviluppare diversi anni più tardi nei bambini che appaiono normali alla nascita. Di conseguenza, bisogna analizzare attentamente i bambini con toxoplasmosi congenita anche oltre il periodo neonatale.

Profilassi e terapia L’educazione di tutte le donne in età feconda e l’identificazione di donne in gravidanza colpite di recente sono i metodi migliori per prevenire la toxoplasmosi congenita. Le donne devono evitare contatti con escrementi di gatto e altre aree contaminate con feci di gatto. È necessario cuocere completamente la carne prima di consumarla e lavarsi le mani dopo aver toccato carne cruda o prodotti alimentari non lavati. Le donne a rischio di infezione primaria devono essere controllate durante la gravidanza. Quelle contagiate nel 1o o 2o trimestre devono essere consigliate riguardo ai metodi di terapia disponibili e anche a una possibilità di interruzione di gravidanza. Dati limitati indicano che la terapia delle donne infettate durante la gravidanza può avere effetti benefici sul feto. La spiramicina (disponibile negli USA distribuita dal FDA) è stata usata per prevenire la trasmissione dell’infezione materna al feto. La pirimetamina e i sulfamidici sono stati usati in gravidanze avanzate per curare il feto contagiato. Gli studi suggeriscono che il trattamento dei bambini sintomatici e asintomatici può migliorare la prognosi, se comparati con i controlli. Quindi, il trattamento con pirimetamina (1 mg/ kg/die PO, dose massima 25 mg), sulfadiazina (85-100 mg/ kg/die per os, dose massima 4 g in 2 dosi refratte), insieme alla leucovorina (10 mg per os 3 volte a settimana) è raccomandato insieme alla consulenza da parte di un esperto. L’uso dei corticosteroidi in presenza di infiammazione è controverso e deve essere stabilito caso per caso.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE SINDROME DELLA MORTE IMPROVVISA Morte improvvisa e inaspettata di ogni lattante o bambino piccolo il cui scrupoloso esame autoptico non evidenzia cause adeguate.

Sommario: Introduzione Eziologia, diagnosi e prevenzione Management

La SIDS (Sudden Infant Death Syndrome) è la causa più comune di morte fra le 2 sett. e l’anno di vita rappresentando circa 1/3 di tutte le cause di morte in questo gruppo di età. La distribuzione è diffusa in tutto il mondo, verificandosi in 1,5/ 1000 nati vivi negli USA. Il picco di incidenza massimo è fra il 2o e il 4o mese di vita. L’incidenza è aumentata nei mesi freddi, negli strati di popolazione a più basso livello socio-economico, nei bambini prematuri, nei bambini che hanno presentato gravi crisi di apnea che abbiano richiesto l’intervento di rianimazione, nei fratelli di bambini colpiti da SIDS e nei nati da madri dedite al fumo durante la gravidanza. Molti fattori di rischio per SIDS sono validi anche per le morti di bambini non dovute a essa. Quasi tutti i soggetti muoiono durante il sonno.

Eziologia, diagnosi e prevenzione La causa resta sconosciuta, sebbene si pensi a una disfunzione dei meccanismi di controllo neuro-cardio-respiratorio. La disfunzione che causa la morte può essere soltanto intermittente o transitoria e probabilmente vi concorrono diversi fattori. Una percentuale minore del 5% dei bambini deceduti per SIDS ha avuto un episodio prolungato di apnea prima della morte, cosicché la coincidenza fra i soggetti deceduti per SIDS e quelli con apnea prolungata ricorrente è bassa. Molti studi attribuiscono alla posizione prona durante il sonno un aumentato rischio di SIDS. Altri fattori di rischio comprendono coperte soffici (lana), materassi ad acqua, fumo dentro casa e un ambiente sovrariscaldato. La diagnosi è di esclusione e non può essere formulata senza l’autopsia che escluda le altre cause di morte improvvisa e inspiegabile (p. es. emorragia cerebrale, meningite e miocardite). L’American Academy of Pediatrics raccomanda che i bambini dormano in posizione supina a meno che altri problemi clinici (p. es., reflusso GE) non lo impedisca. Inoltre, ogni sforzo deve essere effettuato per evitare un sovrariscaldamento dell’ambiente; per evitare di coprire eccessivamente il bambino; rimuovere coperte soffici come pelli di pecora, cuscini, o piumini dalla culla; ed evitare di fumare durante e dopo la gravidanza.

Management

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I genitori che hanno perso un figlio per SIDS sono provati dal dolore e colti impreparati dalla tragedia; poiché non può essere definitivamente stabilita una causa della morte del loro bambino, essi sono afflitti da un eccessivo senso di colpa, che può essere peggiorato dalle indagini della polizia, degli assistenti sociali o altri. I membri della famiglia hanno bisogno di un sostegno non solo immediatamente dopo la morte del bambino, ma per almeno diversi mesi, per essere aiutati a convivere con il loro dolore e allontanare il loro senso di colpa. Tale supporto comprende, quando possibile, una pronta visita a domicilio per parlare con i genitori del loro panico iniziale ed evitare che si precipitino in ospedale con gli altri figli, mettendo a repentaglio la propria e l’altrui incolumità; per rilevare le circostanze in cui si è verificata la SIDS; e per informare i genitori sulla natura e sulle cause della morte. L’autopsia va fatta il più presto possibile; non appena sono noti i risultati preliminari (generalmente entro 8-12 h) deve essere fatta una seconda visita a domicilio per continuare il discorso precedentemente intrapreso. Un terzo incontro 2-3 giorni più tardi approfondisce la prima conversazione e risponde alle domande poste. A distanza di un mese circa, nel corso di un quarto incontro, si forniranno i risultati finali (microscopici) dell’autopsia, si valuterà l’adattamento dei genitori alla perdita subita e soprattutto il desiderio di avere altri figli. Molti dei consigli e il supporto possono essere dati anche da infermiere appositamente addestrate o da persone che abbiano vissuto personalmente la tragedia o comunque che abbiano avuto a che fare con la SIDS (p. es., in America, membri della sezione locale della National Foundation for Sudden Death Syndrome o della International Guild for Infant Survival).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE SINDROME DELLO SHOCK EMORRAGICO ED ENCEFALOPATIA (Sindrome di Newcastle) Patologia estremamente rara, caratterizzata da esordio improvviso di grave shock, encefalopatia e altri sintomi in bambini che precedentemente godevano di buona salute, che porta a morte o si associa a una terribile prognosi neurologica.

Sommario: Introduzione Eziologia e anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi e prognosi Terapia

La sindrome dello shock emorragico ed encefalopatia (HSES) si verifica soprattutto in bambini di 3-8 mesi (età media 5 mesi), ma è stata segnalata in un bambino di 15 anni.

Eziologia e anatomia patologica La causa è sconosciuta. È stato ipotizzato che la HSES rappresenti una forma di infarto dovuta a un’eccessiva copertura del neonato con malattia febbrile. Comunque, la HSES è stato riscontrata raramente nel periodo neonatale e un sovrariscaldamento non è registrato come fattore consistente. Altre ipotesi eziologiche includono una reazione a tossine intestinali, a una tossina presente nell’ambiente, a un rilascio di tripsina da parte del pancreas o a un virus o batterio non identificato. Esistono testimonianze di un aumento delle proteasi plasmatiche e una diminuzione degli inibitori della proteasi nel plasma. Non si sa se tale diminuzione sia primaria (un disturbo della sintesi o dell’emissione) o secondaria (dovuta a un aumento dell’utilizzazione o a una deattivazione). Un edema cerebrale diffuso con erniazione cerebrale e emorragie focali e infarti a livello della corteccia cerebrale e di altri organi sono dei reperti autoptici frequenti. Altri reperti non specifici sono descritti, quali un rigonfiamento a chiazze e una degenerazione epatocitaria ma senza la degenerazione grassa compatibile colla sindrome di Reye.

Sintomi e segni Nella maggior parte dei pazienti si manifestano sintomi prodromici di febbre, sintomi respiratori (alte vie aeree), vomito e diarrea. Le maggiori caratteristiche sono un esordio acuto di encefalopatia (che si manifesta con convulsioni, coma e ipotonia) e un grave shock. Altre alterazioni comuni comprendono iperpiressia (temperatura rettale fino a 43,9°C), coagulazione intravasale disseminata (CID),

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Patologia del neonato e del lattante

edema cerebrale, diarrea ematica, acidosi metabolica, elevati livelli di transaminasi, insufficienza renale acuta, trombocitopenia e caduta dei livelli dell’Htc. Un coinvolgimento primitivo polmonare o miocardico è raro. Le analisi di laboratorio spesso rivelano leucocitosi, ipoglicemia, ipercalemia e una normale ammoniemia. Le colture virali e batteriologiche risultano negative.

Diagnosi e prognosi La diagnosi viene effettuata rilevando gli elementi sopra descritti. Nella diagnosi differenziale sono compresi shock settico, sindrome di Reye, sindrome dello shock tossico, sindrome uremico- emolitica, collasso da calore e febbri emorragiche virali; queste condizioni vengono escluse a causa del loro decorso clinico o dei risultati di laboratorio. In ogni caso la maggior parte dei pazienti (>60%) muore e circa il 70% o più di quanti sopravvivono hanno gravi sequele neurologiche.

Terapia La terapia è esclusivamente di supporto. Infusioni di soluzioni isotoniche e derivati del sangue (fino a 300 ml/kg) insieme a un supporto inotropico (p. es., dopamina, adrenalina) sono necessari per mantenere la circolazione. Un aumento della pressione intracranica causata dall’edema cerebrale richiede intubazione e iperventilazione. Una CID spesso progredisce nonostante l’uso di plasma fresco congelato.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Le anomalie congenite possono essere singole o multiple, ereditarie o sporadiche, apparenti o nascoste, grossolane o microscopiche. Quasi la metà delle morti neonatali sono ascrivibili ad anomalie congenite. Una malformazione maggiore si riscontra nel 3-4% delle nascite e inoltre entro i 5 anni il 7,5% dei bambini presenterà un difetto congenito. L’incidenza varia con il tipo di difetto; l’area geografica, verosimilmente a causa di fattori genetici e/o ambientali (la spina bifida ha una incidenza di 3-4/1000 nascite in alcune zone dell’Irlanda, ma si riscontra in 1/1000 nascite negli Stati Uniti) e le abitudini culturali (i matrimoni tra consanguinei aumentano il rischio di malformazioni congenite). L’età materna avanzata (e, in minor misura, quella paterna) può aumentare il rischio di anomalie cromosomiche, specialmente di sindrome di Down (v. Tab. 247-1). L’eziologia delle anomalie congenite può includere cause genetiche e/o teratogeniche. Diversi fattori attivi nello stesso periodo dell’organogenesi possono causare gli stessi difetti. I fattori genetici possono causare diverse singole anomalie e sindromi. Questi fattori possono agire attraverso eredità mendeliana semplice o multifattoriale. Alcune sindromi, come la sindrome di Down, sono la conseguenza di anomalie cromosomiche (v. dopo sotto Anomalie cromosomiche). I fattori teratogeni includono tossine ambientali, radiazioni, dieta, farmaci, infezioni e disordini metabolici.

Diagnosi La diagnosi prenatale può essere effettuata mediante l’ecografia, l’amniocentesi, o il prelievo dei villi coriali (v. Cap. 247). I fattori ostetrici che possono suggerire un’anomalia congenita comprendono: la presentazione podalica; il polidramnios, che può essere la conseguenza di una difficoltà di deglutizione (p. es., dovuta a gravi disordini del SNC, come l’anencefalia) o di una ostruzione del tratto digerente (p. es., conseguente ad atresia esofagea) e l’oligoidramnios, che può essere causato da un basso flusso urinario, conseguente ad anomalie del tratto GU.

Terapia Se un difetto congenito viene individuato prima della nascita ed è grave, i genitori possono decidere se interrompere la gravidanza. La terapia prenatale è in teoria attuabile per i disordini ostruttivi (uropatie e idrocefalo), ma è sperimentale. file:///F|/sito/merck/sez19/2612355.html (1 of 2)02/09/2004 2.46.47

Anomalie congenite

Quando un’anomalia viene individuata alla nascita o successivamente, i genitori devono esserne prontamente messi al corrente, rimandando ulteriori chiarimenti alla consultazione con medici specialisti. È necessario presentare alla famiglia un quadro realistico della gravità della malattia, della sua prognosi, e delle cure mediche disponibili e coinvolgere attivamente i genitori nelle decisioni (v. anche Cap. 257). Se si sospettano fattori genetici, è necessario che i genitori eseguano una consulenza genetica (v. Cap. 247).

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE DIFETTI DEL SETTO INTERATRIALE Pervietà del setto interatriale.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I difetti del setto interatriale rappresentano dal 6 al 10% circa delle cardiopatie congenite e si riscontrano con maggiore frequenza nelle femmine (2:1) e in circa 1 su 1500 nati vivi. I difetti del setto interatriale (v. Fig. 261-2) comprendono difetti tipo ostium secundum e tipo seno venoso.

Sintomi, segni e diagnosi Il tipico soffio eiettivo di grado 2-3/6 è apprezzabile nella parte superiore della linea parasternale sinistra associato a sdoppiamento, fisso, del secondo tono (S2). Il soffio in genere compare sopra l’anno di età, quando il flusso ematico polmonare aumenta in maniera significativa. Un ampio shunt sinistro-destro (rapporto tra flusso polmonare e flusso sistemico 2:1) determina un soffio diastolico di tono grave prodotto dal flusso transtricuspidalico. La rx mostra cardiomegalia con dilatazione dell’atrio destro, del ventricolo destro (VD) e dell’arteria polmonare, associata ad aumento del flusso ematico polmonare. L’ECG mostra moderata deviazione dell’asse cardiaco verso destra, un moderato incremento del carico di volume ventricolare destro, normale inotropismo del ventricolo sinistro (VS) e, talvolta, un intervallo PR leggermente allungato o anomalie dell’onda P. Si possono anche riscontrare aritmie atriali. Un difetto del setto interatriale tipo seno venoso si associa comunemente con un’anomalia parziale della connessione venosa polmonare; inoltre si può riscontrare persistenza della vena cava superiore sinistra. Le possibili complicanze comprendono l’ipertensione polmonare in età adulta e la formazione di trombi atriali, con il rischio sia di embolizzazione sistemica che di potenziale shunt destro-sinistro, con possibile embolia sistemica. La diagnosi di solito si basa sui dati clinici e il difetto viene documentato dall’ecocardiogramma bidimensionale e dall’eco-Doppler. Tuttavia, prima dell’intervento, viene talvolta effettuato il cateterismo cardiaco, per stabilire l’entità dello shunt, documentare la presenza di vene anomale, sistemiche o polmonari, e valutare la funzione del ventricolo sinistro.

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Anomalie congenite

Terapia Si consiglia la correzione chirurgica elettiva tra i 2 e i 6 anni, nei bambini che presentano un rapporto tra flusso polmonare e flusso sistemico maggiore di 1,5:1, sebbene la maggior parte dei bambini sottoposti a chiusura del difetto atriale presenti un rapporto compreso tra 2,5:1 e 3:1. L’intervento chirurgico può essere effettuato più precocemente nel caso siano presenti ampi shunt o aritmie atriali. Invece, nei bambini con shunt minore, asintomatici e senza cardiomegalia, cui si possa garantire un’assistenza medica continua, è indicata la semplice osservazione clinica. Tuttavia, le ragioni che giustificano un intervento correttivo anche di piccoli difetti interatriali, risiedono nell’impossibilità a tutt’oggi di individuare con certezza quei bambini, che, in assenza di correzione, svilupperanno ipertensione polmonare in età adulta e nella prevenzione dello shunt destro-sinistro con possibile embolizzazione sistemica.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE DIFETTI COMPLETI DEL CANALE ATRIOVENTRICOLARE Pervietà del setto interatriale e/o interventricolare a livello delle valvole atrioventricolari, in genere associata ad anomalie della valvola mitralica o tricuspidale. I difetti settali atrioventricolari costituiscono circa il 5% delle cardiopatie congenite. In questo ambito sono compresi i difetti del setto interatriale tipo ostium primum e i difetti completi del canale atrioventricolare (difetti dei cuscinetti endocardici, difetti del setto atrioventricolare); questi ultimi si riscontrano comunemente nei lattanti con sindrome di Down. I difetti completi del canale atrioventricolare (v. Fig. 261-3) possono presentarsi con cianosi alla nascita, dovuta a uno shunt destro-sinistro a livello atriale o ventricolare, a volte associati a soffi sistolici da insufficienza mitralica o tricuspidale. Si può verificare una insufficienza cardiaca precoce, a causa di shunt di notevole entità, di insufficienza delle valvole atrioventricolari oppure di ambedue le cause. Inoltre si può riscontrare vasculopatia polmonare stabilizzata, se la correzione chirurgica è effettuata dopo i 6-12 mesi di vita. La diagnosi si basa sul tracciato ECGrafico che mostra una marcata deviazione dell’asse cardiaco a sinistra e in alto; un vettore ruotato in senso antiorario, dovuto all’assenza congenita della divisione anteriore del fascio [A-V] sinistro; allungamento frequente dell’intervallo PR e ipertrofia ventricolare sinistra o destra. L’esame radiologico evidenzia una cardiomegalia, con una tipica prominenza dell’ombra della parte superiore dell’AD, un ingrandimento ventricolare sia destro che sinistro, una prominenza dell’arteria polmonare e un iperafflusso polmonare. La diagnosi può essere confermata con l’ecocardiografia bidimensionale, mentre il cateterismo cardiaco e l’angiografia del VS preoperatori raramente sono utili. La necessità di una correzione chirurgica dipende delle condizioni generali del bambino. I difetti completi del canale atrioventricolare devono essere corretti entro i 2 anni di età (in molti centri pediatrici non appena raggiunto il 3-4o mese) per impedire lo sviluppo di una vasculopatia polmonare irreversibile.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE DIFETTI PARZIALI DEL CANALE ATRIOVENTRICOLARE (Difetti parziali del canale atrioventricolare; persistenza dell’ostium primum) Alterazione del setto interatriale proprio al di sopra della cresta del setto interventricolare. I difetti parziali del canale atrioventricolare comprendono le stesse anomalie delle valvole mitrale e tricuspide, che si riscontrano nel difetto completo del canale atrioventricolare. Clinicamente si evidenzia aumento del flusso ematico polmonare con soffio polmonare da eiezione, sdoppiamento persistente del II tono, e di frequente associazione con un soffio da rigurgito mitralico o tricuspidale. I reperti ECG documentano un asse superiore, con loop antiorario e un sovraccarico di volume destro o sinistro, proporzionato all’aumento del flusso ematico polmonare e al rigurgito valvolare. La rx del torace mostra cardiomegalia, prominenza dell’atrio destro, prominenza del tratto principale dell’arteria polmonare e aumento del flusso ematico. L’ecocardiogramma in genere fornisce dati adeguati ai fini di una correzione chirurgica e non richiede un ulteriore approfondimento diagnostico mediante il cateterismo cardiaco. La correzione chirurgica del difetto del setto interatriale, generalmente mediante un patch di tessuto pericardico, e delle valvole atrioventricolari, se necessario, viene effettuata nella seconda infanzia.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE DIFETTI DEL SETTO INTERVENTRICOLARE Una o più pervietà del setto interventricolare che possono andare incontro a chiusura spontanea nella fanciullezza, condurre a scompenso cardiaco, richiedere correzione chirurgica, e/o essere accompagnate a vasculopatia polmonare.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

L’incidenza complessiva è compresa tra 2 e 4/ 1000 nati vivi.

Sintomi, segni e diagnosi Piccoli difetti del setto ventricolare (v. DSV Fig. 261-4) di frequente si apprezzano auscultatoriamente come soffi olosistolici aspri ad alta tonalità, in corrispondenza del segmento inferiore della linea parasternale di sinistra, durante i primi mesi di vita e non sono associati ad alterazioni emodinamiche. I DSV più importanti spesso si riscontrano a un età compresa tra le 2 e le 3 sett, quando cadono le resistenze polmonari e aumentano gli shunt sinistro-destri. Si apprezzano un soffio olosistolico alto, aspro, di grado 3-4/ 6 in corrispondenza del tratto inferiore della linea parasternale sinistra, un soffio mesodiastolico apicale da flusso transmitralico, se è presente un ampio shunt (rapporto tra flusso polmonare e flusso sistemico 2:1) e l’accentuazione del suono di chiusura della polmonare, se la pressione nell’arteria polmonare è elevata. I segni di scompenso cardiaco, se presente, compaiono a un età compresa tra 6 e 8 sett, quando cadono le resistenze polmonari. I lattanti con larghi shunt o con insufficienza cardiaca scarsamente compensata vanno considerati ad alto rischio di grave compromissione per polmoniti virali o batteriche, che spesso richiedono ventilazione meccanica di supporto. Si possono verificare cardiomegalia, scompenso cardiaco, scarso accrescimento o endocarditi infettive. La rx documenta cardiomegalia, aumento delle dimensioni dell’atrio sinistro e del ventricolo sinistro e aumento del flusso ematico polmonare. I reperti ECG sono inizialmente quelli di sovraccarico di volume del VS, ma possono comprendere ipertrofia del VD e aumento delle pressioni del VD e dell’arteria polmonare. Per individuare il DSV, valutare le resistenze polmonari e la presenza di anomalie associate, talvolta mascherate, non sono necessari, in genere, il cateterismo cardiaco e l’angiocardiografia. L’ecocardiografia, con esame Doppler, fornisce appropriate indicazioni preoperatorie.

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Anomalie congenite

Terapia La digitale, il controllo della diuresi, la restrizione del sale nella dieta e/o la riduzione del postcarico e il trattamento delle infezioni respiratorie possono garantire il controllo dell’insufficienza cardiaca e consentire al bambino una crescita e uno sviluppo normali. L’insufficienza cardiaca di solito scompare entro il 1o o il 2o anno di vita, quando il difetto interventricolare diventa meno grave e tale da non richiedere un trattamento chirurgico. I lattanti che rispondono male o non rispondono affatto alla terapia medica dell’insufficienza cardiaca o che presentano larghi shunt, vanno incontro alla correzione chirurgica già nei primi mesi di vita. I DSV, emodinamicamente significativi, che determinano cardiomegalia, scarso accrescimento, o altri sintomi, ma non insufficienza cardiaca, possono essere corretti dopo il periodo infantile. Tutti i bambini con DSV devono effettuare la profilassi per le endocarditi infettive (v. Tab. 270-1 e 270-2).

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Anomalie congenite

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CARDIOPATIE CONGENITE SINDROME DEL VENTRICOLO SINISTRO IPOPLASICO Ipoplasia grave del VS. L’improvvisa comparsa in un neonato sano di 2 o 3 giorni di vita di una grave insufficienza cardiaca con assenza dei polsi periferici e grave compromissione della perfusione sistemica suggerisce verosimilmente la presenza di un’atresia aortica o mitralica con dotto-dipendenza del flusso ematico sistemico e conseguente collasso cardiovascolare alla sua chiusura. Suggeriscono la diagnosi la presenza di cardiomegalia, la congestione venosa polmonare, e l’assenza di attivazione del VS all’ECG, documentata dall’assenza di onde Q settali o di onde R positive nelle precordiali di sinistra all’ECG. La diagnosi viene confermata dalla ecocardiografia, che evidenzia la grave ipoplasia delle strutture sinistre del cuore. Sempre più efficaci si dimostrano gli interventi chirurgici più recenti, come la procedura di Norwood (una conversione in più stadi delle strutture del cuore destro, in modo da farle funzionare come strutture del cuore sinistro).

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CARDIOPATIE CONGENITE TETRALOGIA DI FALLOT Anomalia anatomica con grave o completo ostacolo del tratto di efflusso del VD e difetto del setto ventricolare, che consente al sangue non ossigenato del VD di bypassare l’arteria polmonare e di entrare nel VS e nell’aorta. Nei neonati affetti da tetralogia di Fallot (v. Fig. 261-5), alla nascita o poco dopo, si apprezza un soffio di eiezione da ostacolato deflusso ventricolare destro, a livello del segmento superiore della linea margino sternale di sinistra, seguito dalla progressiva comparsa di cianosi. Tuttavia, i neonati con atresia della valvola polmonare e dotto-dipendenza del flusso ematico polmonare presentano cianosi grave e un soffio continuo derivante dal flusso duttale. I bambini più grandi presentano un soffio da eiezione e all’ECG una deviazione assiale destra e un’ipertrofia del VD; gli esami rx evidenziano un cuore piccolo e un tronco dell’arteria polmonare concavo, con una diminuzione del flusso ematico polmonare. Nel 25% dei casi si visualizza lo spostamento a destra dell’arco aortico. In alcuni neonati e nei bambini più grandi, si possono verificare crisi di cianosi, di solito scatenate dall’attività fisica, caratterizzate da ansia, fame d’aria, distress respiratorio, cianosi ingravescente e alterazione dello stato di coscienza. Nei neonati con cianosi dovuta alla chiusura del dotto, l’infusione di prostaglandina E1 al dosaggio di 0,05-0,1 µg/kg/min EV, di solito, consente di mantenere il flusso ematico attraverso il dotto, fino al momento in cui può essere effettuato l’intervento palliativo di anastomosi sistemico-polmonare (tra arteria succlavia e arteria polmonare o una sua variante). L’infusione di prostaglandine può portare a un arresto respiratorio, pertanto deve essere sempre disponibile l’attrezzatura per la rianimazione (v. Rianimazione Cardio-Polmonare nel Cap. 263). Appena possibile l’infusione di prostaglandine deve essere progressivamente ridotta fino alla dose minima efficace. Il trattamento delle crisi di cianosi consiste nell’apporto di O2, nel porre il bambino nella posizione genupettorale e nella somministrazione di morfina, alla dose di 0,1-0,2 mg/kg IM. La somministrazione di propranololo, al dosaggio di 0,251,0 mg/kg PO q 6 h, può prevenire ulteriori crisi. In questi casi è necessario effettuare urgentemente il cateterismo cardiaco, l’angiografia e l’intervento chirurgico correttivo o palliativo. La correzione chirurgica precoce consente una migliore protezione della funzione del VD e garantisce esiti più favorevoli. Alcuni lattanti necessitano di incrementi palliativi del flusso polmonare mediante anastomosi sistemico-polmonari.

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CARDIOPATIE CONGENITE TRASPOSIZIONE DEI GROSSI VASI Anomalia anatomica in cui l’aorta nasce direttamente dal VD e l’arteria polmonare dal VS, causando una grave ipossiemia sistemica. La trasposizione dei grossi vasi rappresenta il 5-7% di tutte le malformazioni cardiache congenite. I neonati affetti da trasposizione dei grossi vasi (v. Fig. 261-6), per il resto sani, presentano una grave cianosi immediatamente dopo la nascita, che rapidamente progredisce verso l’acidosi metabolica, dovuta a scarsa ossigenazione tissutale, con alcalosi respiratoria compensatoria. La rx del torace mostra una base del cuore stretta, dal momento che i grossi vasi sono sovrapposti più che affiancati; il tronco principale dell’arteria polmonare non si trova nella sua solita sede e il cuore assomiglia a un uovo visto di lato. Si può sviluppare rapidamente congestione venosa polmonare. Il tracciato ECG è normale . La diagnosi deve essere immediatamente confermata mediante l’ecocardiografia. Per migliorare il mescolamento del sangue a livello atriale e decomprimere l’atrio sinistro è necessaria una settostomia atriale palliativa con catetere a palloncino. In quei neonati con un’ipossiemia tale da minacciare la vita, la somministrazione di prostaglandina E1 determina l’apertura del dotto, provocando l’aumento del flusso ematico polmonare e un temporaneo miglioramento dell’ossigenazione sistemica. Tuttavia in questi casi può anche rendersi necessaria una settostomia atriale d’urgenza. La correzione chirurgica mediante la tecnica di scambio arterioso con reimpianto delle arterie coronarie viene effettuata nei primi 710 giorni di vita.

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Anomalie congenite

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CARDIOPATIE CONGENITE CARDIOPATIA CONGENITA CIANOTIZZANTE COMPLESSA Anomalie cardiache complesse cianotizzanti. Le anomalie più complesse (p. es., ventricolo unico con o senza stenosi polmonare, atresia tricuspidale con grossi vasi in posizione normale o trasposta, atresia tricuspidale e polmonare, atresia mitralica, tronco arterioso) sono meno frequenti. La diagnosi anatomica è di solito possibile con le normali tecniche d’immagine, ma deve essere confermata dall’angiografia. Il trattamento iniziale di solito deve assicurazione un adeguato flusso ematico polmonare, con un’anastomosi sistemico-polmonare o la protezione del letto vascolare polmonare, e il controllo dell’aumento del flusso ematico polmonare, attraverso il bendaggio dell’arteria polmonare. In alcuni bambini il flusso ematico normale può essere ristabilito separando il sangue non ossigenato da quello ossigenato, attraverso la tecnica di Fontan modificata, in cui il flusso ematico viene diretto dall’atrio destro all’arteria polmonare con l’esclusione del ventricolo dal piccolo circolo. La correzione del tronco arterioso è talvolta possibile mediante la rimozione dell’arteria polmonare dal tronco e l’inserzione di un condotto valvolato, che direziona il flusso dal ventricolo destro verso l’albero arterioso polmonare.

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Anomalie congenite

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CARDIOPATIE CONGENITE STENOSI VALVOLARE AORTICA Restringimenti dell’orifizio valvolare aortico dovuti ad anomalie congenite della valvola aortica, in genere bicuspide.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Le stenosi valvolari aortiche ammontano a circa il 5% dei difetti cardiaci apprezzabili clinicamente, ma la reale prevalenza di valvole aortiche bicuspidi non diagnosticate è probabilmente più elevata. Si tratta probabilmente della più comune cardiopatia congenita. L’ostruzione può essere valvolare, subvalvolare (subaortica) o sopravalvolare. L’ostruzione sopravalvolare aortica non è comune, ma spesso si riscontra in associazione con l’ipercalcemia (sindrome di Williams) e può associarsi a stenosi periferica dell’arteria polmonare. I sintomi sono primariamente quelli della malattia di base, sebbene le ostruzioni gravi si possano accompagnare a dolore toracico, lipotimia o sincope da sforzo. Le valvole aortiche congenitamente bicuspidi occasionalmente determinano gravi ostruzioni in giovane età, ma più comunemente divengono ostruttive in età adulta.

Sintomi, segni e diagnosi Di rado, una stenosi valvolare si manifesta in età infantile e può determinare un grave ostacolo al deflusso del ventricolo sinistro (VS), con grave disfunzione dello stesso VS, insufficienza cardiaca, segni di ischemia (documentati dall’ECG) e bassa gittata sistemica. Più spesso, l’anomalia si manifesta nella tarda infanzia, come una valvola aortica bicuspide stenotica e talvolta insufficiente. In genere non sono presenti sintomi e si percepisce un soffio sistolico di eiezione, aspro, a livello del segmento superiore della linea margino sternale destra, di solito accompagnato da un click sistolico di eiezione; si può riscontrare, anche, un’accentuazione del tono di chiusura aortico. Può essere presente un soffio protodiastolico, dolce, da insufficienza aortica. L’endocardite o l’endoarterite infettive sono una complicanza della valvola aortica bicuspide. L’ostruzione sottovalvolare, dovuta a una cresta fibrosa o a una ipertrofia muscolare, determina essenzialmente gli stessi reperti, tranne per l’assenza del click da eiezione, per la maggior intensità del soffio, in corrispondenza della parte centrale dello sterno e per la mancanza della dilatazione post-stenotica. In genere è asintomatica.

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Anomalie congenite

L’ECG mostra segni di ipertrofia del VS e di ischemia quando la disfunzione del VS peggiora, anche se questi reperti non sono ben correlati con il grado di ostruzione. L’esame rx può mostrare la dilatazione post-stenotica dell’aorta ascendente e l’ipertrofia del VS in caso di ostruzione di lunga data. Se vi sono segni di grave ostruzione o se compaiono sintomi (p. es., dolore toracico indotto dall’attività fisica, sincope) può essere necessaria la valutazione completa con l’ecocardiografia, con il cateterismo cardiaco e con l’angiocardiografia.

Terapia La comparsa di scompenso cardiaco, rischioso per la vita in età infantile, richiede una valvulotomia aortica immediata, mediante valvulopastica con palloncino o valvulotomia chirugica, per prevenire l’exitus. I risultati non sono sempre buoni e può residuare una insufficienza della valvola aortica. Di solito è necessaria una sostituzione valvolare quando il bambino diventa più grande, talvolta nella IIIII infanzia. Tuttavia, l’intervento può talvolta essere differito fino all’età adulta. L’intervento palliativo di valvulotomia aortica è indicato quando sono presenti sia un significativo gradiente VS-aorta ( 50 mm Hg), che segni e sintomi di disfunzione del VS. La valvulotomia aortica è palliativa piuttosto che terapeutica, per la frequente incidenza di restenosi, che renderà necessaria la sostituzione della valvola. Anche una significativa insufficienza aortica postchirurgica può rendere necessaria la sostituzione valvolare. I pazienti affetti da bicuspidia aortica congenita, sintomatici in età adulta, possono richiedere la sostituzione valvolare. La correzione chirurgica di un ostruzione sopravalvolare aortica, sebbene possibile, è difficile. La correzione di una ostruzione subvalvolare, causata da un anello fibroso, richiede la rimozione completa del tessuto anomalo. Tuttavia, a seguito dell’intervento si riscontrano comunemente la ricrescita dell’anello e l’ostruzione ricorrente, che rendono necessarie ripetute resezioni. L’ostruzione subaortica causata da cardiomiopatia può richiedere un intervento di β-blocco, una miotomia o miectomia. Un’appropriata profilassi antibiotica delle endocarditi o delle endoarteriti infettive è indicata in ogni paziente con un’ostruzione al deflusso ventricolare sinistro di qualsiasi tipo (v. Tab. 270-1 e 270-2).

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE PERVIETA' DEL DOTTO ARTERIOSO Difetto di chiusura del dotto tra l’arteria polmonare e l’aorta.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Si riscontra in almeno l’80% dei bambini nati prima delle 28 sett. di gestazione e in circa 1 su 2000 nati vivi a termine di gravidanza. La sua frequenza subisce un progressivo decremento all’aumentare dell’età gestazionale.

Sintomi, segni e diagnosi Nel prematuro, la pervietà del dotto arterioso (PDA, v. Fig. 261-7) si presenta frequentemente con iperafflusso polmonare e ulteriore compromissione degli scambi gassosi, in particolar modo nel neonato con sindrome da distress respiratorio. Il lattante presenta polsi scoccanti, un precordio iperdinamico, e un aumento del suono di chiusura della valvola polmonare. Tipicamente, si apprezza un soffio sul focolaio polmonare, che può essere continuo, sistolico con minima componente diastolica oppure esclusivamente sistolico. In alcuni bambini non si ha alcun soffio, ma sono presenti gli altri reperti. L’ECG in genere è normale per il grado di prematurità (cioè, mostra ipertrofia ventricolare sinistra), ma il carico di volume ventricolare sinistro può essere aumentato. L’esame rx mostra una cardiomegalia e, quando il reperto polmonare della sindrome da distress respiratorio non è grave, anche un iperafflusso polmonare. L’ecocardiografia può documentare l’aumento del diametro atriale sinistro, che risulta superiore al diametro della radice aortica. L’ecocolor Doppler in genere mostra il flusso arterioso polmonare invertito in diastole o l’immagine del dotto in tutta la sua lunghezza. Nei neonati a termine, la pervietà del dotto arterioso viene in genere diagnosticata dopo 6-8 sett. di vita sulla base di un soffio continuo a livello del margine superiore sinistro dello sterno. I polsi periferici sono pieni, con un aumento della pressione del polso; l’ECG può evidenziare il sovraccarico ventricolare sinistro. L’esame rx mostra una prominenza dell’atrio sinistro, del ventricolo sinistro, e dell’aorta ascendente e un iperafflusso polmonare, quando il dotto ha un flusso significativo. Bisogna assicurarsi che il dotto non costituisca il compenso di un’atresia polmonare e che il soffio non derivi da una fistola arterovenosa sistemica, da una stenosi di un ramo dell’arteria polmonare o da una finestra aorto-polmonare. È necessaria la valutazione dei polsi femorali e della PA a livello degli arti inferiori per escludere una coartazione nascosta.

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Anomalie congenite

Terapia Nei prematuri con compromissione respiratoria, la chiusura del dotto deve essere ottenuta attraverso la restrizione dei liquidi (90-100 ml/kg/ die), l’aumento della diuresi, il mantenimento di una buona ossigenazione, i farmaci (p. es., l’indometacina) oppure con la legatura chirurgica. Alla modica restrizione dei liquidi, effettuata per 2-3 giorni, dovrebbe seguire un loro aumento graduale e costante. In assenza di ittero pronunciato (bilirubina indiretta superiore a 10 mg/dl [> 170 µmol/l]), di insufficienza renale (creatinina superiore a 1,4 mg/dl [> 120 µmol/l], BUN superiore a 35 mg/dl [> 12,5 mmol urea/l]) o di trombocitopenia (piastrine inferiori a 100000/µl), si può usare l’indometacina, che, in genere, dopo 1 o 2 dosi da 0,2 mg/kg EV a 12 h di distanza l’una dall’altra, determina una rapida chiusura del dotto. Sebbene nei prematuri un dotto poco significativo si chiuda frequentemente in maniera spontanea o con la sola restrizione dei fluidi, alcuni dotti rimangono pervi e richiedono la legatura chirurgica a 1,5-2,5 anni. Nei neonati a termine, la legatura o la sezione chirurgica sono indicate quando compare scompenso cardiaco. L’intervento chirurgico di elezione può essere effettuato tra 6 mesi e 3 anni per eliminare il rischio di endocardite infettiva.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE COARTAZIONE AORTICA Restringimento localizzato del lume dell’aorta.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Trattamento

La coartazione dell’aorta rappresenta il 7-8% delle cardiopatie congenite.

Sintomi, segni e diagnosi I lattanti con coartazione aortica possono presentare una improvvisa insufficienza cardiaca, collasso cardiovascolare e grave acidosi metabolica alla chiusura del dotto, con compromissione della perfusione distale. I bambini più grandi presentano una pressione più elevata agli arti superiori rispetto agli arti inferiori e possono avere anche una ipertensione arteriosa generalizzata. Spesso si percepisce un soffio dolce, apprezzabile sull’area polmonare, ma meglio auscultabile sul dorso, in corrispondenza della coartazione. I polsi femorali, sebbene spesso palpabili, sono diminuiti e ritardati rispetto ai polsi brachiali. Le erosioni costali dovute all’aumento del flusso ematico e alla conseguente dilatazione delle arterie mammarie interne si possono individuare alla rx, ma non si riscontrano in genere prima dei 10-12 anni. In tutti i bambini, di solito sono palpabili vasi arteriosi collaterali dilatati a livello del margine della scapola. L’ECG è in genere normale ma può documentare un’ipertrofia ventricolare sinistra, e gli esami rx mostrano un cuore di dimensioni normali, con la coartazione visibile nella proiezione leggermente obliqua anteriore sinistra. Il cateterismo e l’angiografia sono inutili a meno che non siano presenti difetti associati di grado significativo (p. es., stenosi aortica, insufficienza aortica, malattie della valvola mitralica, pervietà del setto interventricolare) o sia evidente che il segmento ristretto non è nella solita sede, subito distalmente all’arteria succlavia sinistra, oppure che il tratto stenotico sia più lungo del normale.

Trattamento I bambini necessitano di un trattamento immediato con farmaci di sostegno (come la dobutamina 5-15 µg/kg/min, la furosemide 1-2 mg/kg EV, meno frequentemente l’adrenalina), intubazione e respirazione assistita se necessario, e infusione di prostaglandina E1 alla dose di 0,05-0,1 µg/kg/ min EV per

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Anomalie congenite

mantenere pervio il dotto arterioso. La risposta all’infusione di prostaglandina E1 è graduale e di solito si verifica dopo alcune ore. Tuttavia la maggior parte dei lattanti si stabilizza con l’aumento della perfusione distale e del flusso ematico renale e anche per la correzione dell’acidosi metabolica, consentendo in tal modo la riparazione chirurgica della coartazione e la chiusura del dotto. Nei bambini più grandi, è raccomandata la correzione chirurgica tra i 4 e i 6 anni o prima se persistono ipertensione alle estremità superiori, scompenso cardiaco o altre complicanze, mediante resezione e anastomosi diretta, tecniche di "copertura" dell’arteria succlavia di sinistra o di trapianto, se necessario. È necessario effettuare profilassi per l’endocardite infettiva (v. Tab. 270-1 e 270-2).

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

CARDIOPATIE CONGENITE PERSISTENZA DEL TRONCO ARTERIOSO Anomalia nella quale il tronco primitivo non si divide in due tronchi separati, in modo che le arterie polmonari nascono dall’aorta e non dal ventricolo destro. I reperti clinici in genere divengono evidenti da giorni a settimane dopo la nascita e sono caratterizzati dalla comparsa di scompenso cardiaco e di moderata desaturazione. Sono caratteristici anche un precordio iperdinamico, l’aumento della pressione di pulsazione, un I tono normale con un frequente click di eiezione, e un II tono alto, in genere singolo. I soffi cardiaci variano e possono comprendere un soffio da eiezione alla base, un soffio ad alta tonalità da rigurgito in corrispondenza del segmento inferiore della parasternale sinistra e un soffio mitralico mesodiastolico da eiezione. Quando la valvola truncale è insufficiente, si apprezza un soffio diastolico accentuato sul precordio. L’ECG comunemente mostra ipertrofia ventricolare combinata. La rx mostra cardiomegalia con aumento del flusso polmonare, arco aortico destro (approssimativamente in 1/3 dei casi) e arterie polmonari in posizione relativamente alta. La diagnosi è confermata all’ecocardiogramma e in genere richiede il cateterismo cardiaco e l’angiografia prima della correzione chirurgica. La correzione chirurgica precoce è indicata in caso di scompenso cardiaco, mediante posizionamento di un condotto valvolato tra il ventricolo destro e le arterie polmonari, chirurgicamente rimosse dal tronco arterioso. L’intervento va eseguito precocemente per impedire la comparsa di vasculopatia polmonare.

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CARDIOPATIE CONGENITE ANOMALIE MENO COMUNI Cardiopatie congenite meno comuni (p. es.,, malformazione di Ebstein della valvola tricuspide), cardiopatie conseguenti a fetopatia (p. es., anemia prolungata in utero, aritmia fetale), cardiopatie gravi associate con la sindrome asplenica e cardiopatie secondarie a malattia non cardiaca (p. es., ipotiroidismo) richiedono un trattamento individualizzato. Molte anomalie rare (p. es., ostruzione cardiaca congenita completa; errori congeniti del metabolismo, che in genere determinano grave acidosi e disfunzione miocardica secondaria; sindrome del QT lungo con rischio di gravi aritmie, a volte fatali) e difetti rari (p. es., cuore triatriato) richiedono diagnosi e trattamenti specialistici.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

VASCULOPATIA POLMONARE (Reazione di Eisenmenger) Ipertensione polmonare conseguente ad anomalie vascolari polmonari determinata da cardiopatia congenita di vecchia data. La vasculopatia polmonare può essere un fattore limitante nel trattamento dei neonati e dei bambini con cardiopatie congenite (p. es. la pervietà del setto interventricolare, difetti del canale atrioventricolare, tronco arterioso comune), in cui intervengono shunt ad alta pressione (ventricolari, aorto-polmonari). Si può presentare isolatamente come ipertensione polmonare primitiva. Le resistenze vascolari polmonari vengono mantenute a livelli elevati per effetto dell’ipertrofia dello strato muscolare medio delle arteriole polmonari e dell’occlusione di molti rami più piccoli. Quando le resistenze vascolari polmonari si avvicinano ed equivalgono le resistenze vascolari sistemiche, lo shunt sinistro-destro diminuisce e lo shunt destro-sinistro porta a una desaturazione sistemica e a una cianosi visibile. La persistenza e l’aumento dello shunt destro-sinistro conduce a ipossiemia periferica e a policitemia ingravescenti. La capacità di trasporto dell’O2 è aumentata in seguito a un Htc che arriva al 65%. A valori superiori l’aumento della viscosità causa una diminuzione della cessione di O2 ai tessuti. La correzione chirurgica è di solito controindicata quando le resistenze vascolari polmonari sono > 1/2 delle resistenze vascolari sistemiche calcolate. Viceversa si deve considerare attentamente la correzione chirurgica, quando le resistenze vascolari polmonari sono al di sopra della norma. In un paziente sintomatico (p. es., un paziente con alterazioni del linguaggio, problemi visivi, facile affaticamento) possono essere utili flebotomie eseguite con prudenza, assicurando una volemia adeguata, ma riducendo i livelli dell’Htc da > al 65% a circa il 60%. Non esistono terapie specifiche per la vasculopatia polmonare, sebbene sono in corso ricerche sull’uso di farmaci come la prostaciclina.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE GASTROINTESTINALI OSTRUZIONI INTESTINALI ALTE

Sommario: Introduzione ATRESIA ESOFAGEA Diagnosi Terapia ERNIA DIAFRAMMATICA Diagnosi Terapia STENOSI IPERTROFICA DEL PILORO OSTRUZIONI DUODENALI IMMUNITA' ANTICORPALE

Le ostruzioni intestinali alte (esofagee, gastriche, duodenali, digiunali) devono essere sospettate quando viene diagnosticato un polidramnios (un eccesso di volume del liquido amniotico). Il polidramnios si verifica quando il feto presenta vomito o non è in grado di deglutire o assorbire il liquido amniotico. Subito dopo la nascita si deve posizionare un sondino nasogastrico. La presenza di una quantità di liquido nello stomaco superiore a 30 ml, specialmente se commisto a bile, conferma la diagnosi di ostruzione intestinale alta, mentre l’impossibilità a far avanzare il sondino naso-gastrico fino allo stomaco suggerisce la presenza di atresia esofagea.

ATRESIA ESOFAGEA L’atresia esofagea è associata nell’86% dei casi a fistola tracheo-esofagea, più comunemente di tipo III B (una fistola che va dalla carena tracheale al segmento più basso dell’esofago, v. Fig. 261-8). I segni caratteristici sono le secrezioni eccessive, la tosse e la cianosi, che si verificano in seguito ai tentativi di alimentazione orale e la polmonite da aspirazione. Una lesione di tipo III B porta rapidamente alla distensione addominale poiché appena il bambino piange, l’aria viene aspirata in trachea e spinta attraverso la fistola nell’esofago inferiore e nello stomaco.

Diagnosi L’impossibilità a far arrivare un sondino nasogastrico nello stomaco del neonato suggerisce la diagnosi, mentre la sede dell’atresia può essere localizzata alla rx file:///F|/sito/merck/sez19/2612369b.html (1 of 5)02/09/2004 2.46.58

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mediante un sondino nasogastrico radiopaco. Nei casi atipici può essere necessario introdurre, in fluoroscopia, una piccola quantità di materiale di contrasto idrosolubile nella tasca esofagea superiore per definire l’anatomia. Il materiale di contrasto deve essere rapidamente rimosso in quanto l’aspirazione nelle vie aeree può causare polmonite chimica. La rx con mezzo di contrasto deve essere effettuata da radiologi esperti nel centro pediatrico presso il quale sarà eseguito l’intervento chirurgico.

Terapia Lo scopo del trattamento preoperatorio è di far arrivare il lattante nelle migliori condizioni all’intervento chirurgico e di prevenire la polmonite da inalazione, che potrebbe rendere l’intervento più rischioso. L’alimentazione PO è proscritta. Inoltre per la prevenzione dell’aspirazione della saliva deglutita deve essere effettuata un’aspirazione continua attraverso un sondino a doppio lume, posizionato a livello della tasca superiore dell’esofago. Il lattante deve essere posizionato prono con la testa sollevata a 30o-40o e verso il lato destro per facilitare lo svuotamento gastrico e ridurre il rischio di aspirazione acida gastrica attraverso la fistola. Quando l’intervento definitivo viene differito, a causa della grave prematurità o dell’insorgenza di polmonite da aspirazione o perché coesistono altre malformazioni congenite, viene eseguita una gastrostomia decompressiva. L’aspirazione attraverso la gastrostomia riduce il rischio di reflusso, attraverso la fistola, del succo gastrico nell’albero tracheo-bronchiale. Quando le condizioni generali del lattante sono stabili, si può procedere alla correzione chirurgica dell’atresia esofagea e della fistola tracheoesofagea per via extrapleurica. A volte, la distanza fra i segmenti esofagei è troppo grande per un intervento in un solo tempo: un leggero stiramento dei due tratti esofagei prima della successiva anastomosi può essere utile, oppure può essere richiesta l’interposizione di un tratto di colon tra i due segmenti esofagei. Le più comuni complicanze acute sono il cedimento nella sede dell’anastomosi e la formazione di stenosi. Dopo la correzione chirurgica, le difficoltà di alimentazione sono frequenti, a causa della scarsa motilità del segmento distale dell’esofago o di un reflusso gastroesofageo. Se la terapia medica fallisce, può essere necessaria la fundoplicatio secondo Nissen, prima che l’alimentazione orale venga tollerata.

ERNIA DIAFRAMMATICA Protrusione del contenuto addominale nel torace attraverso un difetto del diaframma. L’ernia diaframmatica di solito interessa la porzione postero-laterale del diaframma (ernia di Bochdalek) e nel 90% dei casi si riscontra sul lato sinistro. Le anse intestinali, come la maggior parte del contenuto intestinale, possono protrudere nell’emitorace omolateralmente alla parte del diaframma interessato dall’ernia. Se l’ernia è di grandi dimensioni il polmone omolaterale ad essa (ovvero il sinistro) è ipoplasico. Subito dopo la nascita, con il pianto e la deglutizione dell’aria, le anse intestinali rapidamente si riempiono di aria e si distendono, determinando compromissione della funzione respiratoria acuta, in quanto spingono il cuore e le strutture mediastiniche controlateralmente all’ernia (verso il lato destro), comprimendo il polmone destro, che non era compromesso. Nei casi gravi il distress respiratorio è immediato; si può riscontrare la presenza di un addome scafoide (dovuto alla erniazione dei visceri addominali nel torace). Sull’emitorace coinvolto si possono apprezzare rumori intestinali (e l’assenza di rumori respiratori). Nei casi meno gravi, dopo qualche ora o qualche giorno dalla nascita si sviluppa una lieve difficoltà respiratoria, conseguente alla progressiva erniazione del contenuto addominale nel torace attraverso un piccolo difetto diaframmatico. La combinazione di un polmone ipoplasico e di uno atelettasico e la conseguente ipertensione polmonare persistente comportano l’aumento delle resistenze vascolari polmonari con diminuzione del flusso ematico polmonare. Si verifica file:///F|/sito/merck/sez19/2612369b.html (2 of 5)02/09/2004 2.46.58

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shunt destro-sinistro sia al livello del forame ovale che attraverso la pervietà del dotto arterioso, con grave ipossiemia. Di recente si è riscontrata l’associazione tra l’ernia diaframmatica congenita e l’ipoplasia con anomalo ispessimento dei vasi arteriolari di entrambi i polmoni. Questi fattori (ipoplasia/ispessimento arteriolare) determinano un’aumento della resistenza al flusso ematico polmonare (ipertensione polmonare persistente), che impedisce un’adeguata ossigenazione. Il flusso ematico polmonare è così diminuito che il lattante rimane ipossico perfino se ventilato meccanicamente. L’ipertensione polmonare persistente è una delle più frequenti cause di morte tra i lattanti con ernia diaframmatica congenita.

Diagnosi Se il difetto diaframmatico è molto piccolo, può essere individuato solo alla rx del torace, che mostra solo poche anse intestinali erniate nel torace. Se il difetto è ampio la rx mostra tipicamente numerose anse intestinali distese dall’aria, che occupano un emitorace, e lo spostamento controlaterale del cuore e delle strutture mediastiniche. Se la rx è eseguita immediatamente dopo il parto, prima che il bambino abbia ingerito aria, il contenuto addominale appare come una massa radiopaca priva di aria localizzata nell’emitorace interessato.

Terapia Il lattante deve essere immediatamente intubato e ventilato mediante tubo endotracheale già nella sala parto, in quanto la ventilazione con maschera e palloncino può peggiorare la compromissione polmonare, a causa del passaggio di aria nei visceri intratoracici. L’aspirazione continua dallo stomaco attraverso un sondino naso-gastrico a doppio lume impedisce all’aria ingerita di progredire nel tratto GI e di provocare ulteriore compromissione della funzione respiratoria. Se necessario, possono essere utilizzati miorilassanti come norcuron o pancuronio, per facilitare la ventilazione e impedire l’ingestione di aria. Con l’intervento chirurgico si riporta l’intestino nella cavità addominale e si chiude il difetto diaframmatico. La vasocostrizione polmonare può essere ridotta con l’alcalinizzazione attraverso la somministrazione di bicarbonato di sodio EV. L’inalazione di ossido nitrico può aiutare a dilatare le arterie polmonari e a migliorare l’ossigenazione sistemica; tuttavia questa terapia è ancora sperimentale. Alcuni lattanti con ernia diaframmatica e ipertensione polmonare intrattabile e persistente, non responsiva al supporto respiratorio e all’alcalinizzazione, possono trarre giovamento dall’ossigenazione extracorporea delle membrane (Extracorporeal Membrane Oxygenation, ECMO v. alla voce Ipertensione polmonare persistente del neonato nel Cap. 260). Tuttavia lattanti con grave ipoplasia polmonare ancora oggi non riescono a sopravvivere. Il trattamento chirurgico deve essere eseguito una volta stabilizzate le condizioni generali del bambino e non in urgenza. Per stabilizzare il paziente devono essere utilizzati tutti i presidi medici disponibili, inclusa la somministrazione per via inalatoria di ossido nitrico, la ventilazione ad alta frequenza, e l’ECMO, se necessario. È molto difficile effettuare con successo, in condizioni critiche, il trasporto di un neonato con ernia diaframmatica congenita e ipertensione polmonare persistente. Di conseguenza, se la diagnosi di ernia diaframmatica congenita è prenatale, è opportuno organizzare il parto in un centro fornito di ECMO e programmare l’intervento chirurgico correttivo.

STENOSI IPERTROFICA DEL PILORO Ostruzione del lume pilorico dovuta a ipertrofia della tonaca muscolare del piloro.

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La stenosi ipertrofica del piloro può causare un ostacolo quasi completo allo svuotamento gastrico. L’ipertrofia raramente è presente alla nascita, ma si sviluppa dopo le prime 4-6 sett. di vita, mentre i segni di ostruzione intestinale alta di solito compaiono prima. Di solito, verso la fine del primo mese, si ha vomito alimentare a getto, non biliare. A volte si possono vedere onde peristaltiche gastriche a livello epigastrico da sinistra a destra. Una diagnosi tardiva può condurre a vomiti ripetuti, disidratazione, arresto dell’accrescimento e sviluppo di un’alcalosi metabolica ipocloremica (per la perdita di acido cloridrico). La diagnosi può essere effettuata mediante palpazione profonda della regione epigastrica destra, dove si apprezza una massa solida, mobile, del diametro di circa 2-3 cm, simile a una oliva ("oliva pilorica" n.d.t.), o attraverso la documentazione ecografica dell’ipertrofia della muscolatura pilorica. Se la diagnosi è dubbia una rx del digerente con pasto baritato, mostrerà un ritardato svuotamento gastrico e il tipico "segno del cordone" a carico del lume pilorico, notevolmente ristretto e allungato. Il trattamento di scelta è la piloromiotomia longitudinale, che lascia integra la mucosa e separa le fibre muscolari incise. Dopo l’intervento, il bambino riesce in genere a trattenere il cibo entro alcuni giorni.

OSTRUZIONI DUODENALI Cause possibili includono l’atresia, la stenosi duodenale e la compressione estrinseca da parte di una massa occupante spazio. Dopo l’ileo, il duodeno è la sede più frequente di atresia intestinale congenita (v. oltre). L’atresia duodenale si riscontra con maggior frequenza nei bambini affetti da sindrome di Down. I neonati con anomalie di posizione dell’intestino (v. oltre) possono avere briglie peritoneali (briglie di Ladd), che si tendono attraverso il duodeno e causano una occlusione parziale o totale. Questi bambini sono a rischio di sviluppare un volvolo dell’intestino medio, che è un’emergenza chirurgica (v. avanti). Le cisti del coledoco o il pancreas anulare possono determinare ostruzione duodenale da compressione estrinseca. I bambini con cisti del coledoco possono presentare anche un ittero ostruttivo di vario grado.

IMMUNITA' ANTICORPALE Poiché l’ostruzione è alta, c’è di solito una storia di polidramnios e di vomito biliare a getto dopo i primi pasti. La rx diretta mostra il caratteristico segno della doppia bolla: una grossa bolla è lo stomaco e una seconda bolla rappresenta l’aria nella parte di duodeno dilatata a monte dell’ostruzione. Distalmente all’ostruzione l’aria è assente o presente in piccole quantità. Una rx delle prime vie digestive con materiale di contrasto può evidenziare il punto stenotico e un’eventuale compressione estrinseca da cisti del coledoco. Un clisma opaco permette di individuare, invece, una malrotazione intestinale, nella quale bande peritoneali determinano l’ostruzione duodenale (v. oltre). Quando si sospetti un’ostruzione duodenale, bisogna sospendere l’alimentazione e posizionare un sondino naso-gastrico a doppio lume in aspirazione continua, per decomprimere lo stomaco ed evitare il vomito e l’aspirazione del vomito. Il trattamento chirurgico correttivo viene effettuato dopo un’accurata valutazione diagnostica.

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ANOMALIE GASTROINTESTINALI DIFETTI DELLA PARETE ADDOMINALE

Sommario: ONFALOCELE GASTROSCHISI

ONFALOCELE Protrusione di una parte più o meno ampia d’intestino attraverso un difetto mediano della parete addominale alla base dell’ombelico. Nell’onfalocele la massa erniata è coperta da una sottile membrana e può essere di piccolo volume (soltanto poche anse intestinali) o contenere la maggior parte dell’intestino (intestino, stomaco e fegato). Conseguenze immediate sono la perdita di acqua da parte dell’intestino, l’ipotermia dovuta alla perdita di calore e alla disidratazione da evaporazione dell’acqua a livello delle anse intestinali scoperte e le infezioni della sierosa peritoneale. I bambini con onfalocele hanno un rischio più alto del normale di presentare altre anomalie associate, comprese le atresie intestinali e le anomalie cardiache e renali, che devono essere ricercate e individuate prima di effettuare l’intervento chirurgico. Alla nascita, l’intestino erniato deve essere immediatamente coperto con garze bagnate di soluzione fisiologica sterile e successivamente deve essere confezionato un bendaggio occlusivo che mantenga la sterilità ed eviti l’evaporazione, impedendo così anche l’ipotermia causata dalla perdita di calore per evaporazione. Inoltre si può bloccare l’evaporazione dai visceri erniati ponendo il corpo del bambino in una sacca contente soluzione salina sterile calda. Prima di eseguire il trattamento chirurgico è necessario escludere eventuali anomalie associate, in particolar modo quelle potenzialmente fatali. Appena possibile è necessario effettuare un primo intervento chirurgico. In un grosso onfalocele, la cavità addominale può essere troppo piccola per accogliere i visceri erniati. In questo caso il contenuto addominale deve essere posto in un apposita borsa o "sacca" costituita da polimeri di silicone (Silastic). Questo contenitore viene progressivamente ridotto di dimensioni man mano che aumenta il volume della cavità addominale, fin quando tutta la massa erniata possa essere contenuta all’interno della cavità addominale.

GASTROSCHISI Protrusione dei visceri addominali attraverso un difetto della parete addominale, di solito a destra dell’ombelico.

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Nella gastroschisi, non è presente il rivestimento viscerale dell’intestino, che è marcatamente edematoso e iperemico e spesso ricoperto da uno strato di fibrina. Questi segni indicano un’infiammazione di lunga data, prodotta dalla esposizione diretta dell’intestino al liquido amniotico (peritonite chimica). I bambini con gastroschisi non presentano un aumento di incidenza di altre anomalie associate, escluse l’inevitabile malrotazione intestinale e altre possibili anomalie intestinali, compresa l’atresia. Di solito non è necessaria una valutazione diagnostica approfondita. Questi pazienti possono essere sottoposti a trattamento chirurgico, una volta che siano stati stabilizzati. L’approccio chirurgico è simile a quello utilizzato per l’onfalocele. Spesso sono necessarie diverse settimane prima che si recuperi una buona funzionalità gastrointestinale e sia possibile l’alimentazione PO. Tuttavia a volte i bambini possono presentare disturbi intestinali a distanza causati dalla alterata motilità intestinale.

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ANOMALIE GASTROINTESTINALI EMERGENZE CHIRURGICHE VARIE L’ernia inguinale si riscontra con maggior frequenza nei maschi, specialmente se prematuri. Dal momento che l’ernia inguinale può strozzarsi, bisogna intervenire presto, di solito non appena il prematuro raggiunge un peso 2,2 kg. Al contrario, l’ernia ombelicale raramente va incontro a strangolamento; si chiude spontaneamente dopo diversi anni e non richiede di solito correzione chirurgica. L’intussuscezione (prolasso di una segmento di intestino in un altro), sebbene rara nei neonati, rappresenta un’urgenza chirurgica per il rischio di necrosi intestinale. In casi estremamente rari si può verificare un esteso infarto intestinale per occlusione dell’arteria mesenterica, dovuta a trombi intramurali o a emboli causati dal posizionamento alto del catetere vascolare nell’arteria ombelicale. Le perforazioni gastriche nel neonato sono spesso spontanee e possono essere dovute a difetti congeniti nella parete dello stomaco, di solito lungo la grande curvatura. Si verifica rapida distensione addominale e alla rx dell’addome si riscontra un pneumoperitoneo massivo. I prematuri trattati con corticosteoridi per atresia broncopolmonare presentano un rischio aumentato di ulcera peptica con emorragia delle prime vie digestive o perforazione gastrica o duodenale. Con la somministrazione di un anti H2 (p. es., ranitidina), inibendo la produzione di HCl, aumenta il pH gastrico e si riduce il rischio di perforazione. Dopo il trattamento chirurgico della perforazione la prognosi di solito è buona. Le perforazioni ileali nei prematuri sono state documentate dopo trattamento con indometacina per la chiusura di un dotto arterioso pervio; ciò è probabilmente determinato da un’ischemia localizzata, conseguente alla vasocostrizione indotta dalla indometacina.

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ATRESIA BILIARE ED EPATITE NEONATALE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Trattamento

L’atresia biliare si verifica in presenza di una ostruzione dell’albero biliare determinata da una progressiva sclerosi del dotto biliare comune. Nella maggior parte dei casi, l’atresia biliare si sviluppa diverse settimane dopo la nascita, probabilmente a seguito della flogosi e cicatrizzazione del dotto biliare extraepatico (e talvolta intraepatico). Si riscontra raramente nei nati morti o alla nascita. La causa della reazione infiammatoria è sconosciuta; di rado è implicato un virus specifico. La sindrome epatitica neonatale (epatite a cellule giganti) è di solito a eziologia sconosciuta, sebbene raramente sia conseguente a infezione da citomegalovirus o da virus dell’epatite B o al deficit di α1-antitripsina.

Sintomi, segni e diagnosi L’atresia delle vie biliari e l’epatite neonatale rappresentano con molta probabilità un continuum di disordini più che due entità distinte. In entrambe le condizioni l’ittero colostatico con l’iperbilirubinemia mista, le urine ipercromiche (biluribina coniugata), le feci acoliche e l’epatomegalia compaiono circa 2 sett. dopo la nascita. All’età di 2-3 mesi possono essere presenti ritardo di accrescimento, irritabilità conseguente al prurito e segni di ipertensione portale. L’atresia biliare e l’epatite neonatale sono difficili da differenziare. In entrambi i casi, i test di funzionalità epatica evidenziano colestasi e infiammazione epatocellulare. Con esami specifici di solito vengono escluse altre cause di ittero ostruttivo neonatale (p. es. infezioni specifiche, deficit di α1-antitripsina, galattosemia, fibrosi cistica). I valori della bilirubina totale e diretta, delle transaminasi AST e ALT, della fosfatasi alcalina e i livelli sierici degli acidi biliari spesso non sono dirimenti per la diagnosi differenziale fra atresia biliare ed epatite neonatale con grave colostasi. La mancata visualizzazione ecografica della colecisti e delle vie biliari extraepatiche è molto suggestiva di atresia biliare. In alternativa, l’ecografia può documentare la presenza di una cisti del coledoco che comprime e ostruisce il dotto biliare comune. Un prelievo di succo duodenale, ottenuto per gravità attraverso un sondino naso-duodenale, può rilevare la presenza di bile (anche la bilirubina può essere dosata). L’escrezione di bile depone fortemente contro la diagnosi di atresia biliare completa. La scintigrafia epatica con tecnezio 99m-PIPIDA (N-acido paraisopropil-acetaniliminodiacetico) si è dimostrata utile per evidenziare il flusso biliare extraepatico. Nei casi dubbi, il test diagnostico più accurato per la diagnosi differenziale, tra epatite neonatale e atresia biliare, è una biopsia epatica percutanea (v. Cap. 37), che deve essere sempre interpretata da un patologo pediatra esperto. file:///F|/sito/merck/sez19/2612376b.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.00

Anomalie congenite

Trattamento Nel sospetto di atresia biliare, la laparotomia deve essere effettuata prima dei 2 mesi di età in quanto, se l’intervento chirurgico viene differito, può svilupparsi cirrosi biliare irreversibile. Durante la laparotomia vengono eseguite una colangiografia intraoperatoria, per visualizzare l’albero biliare, e una biopsia epatica, sulle cui sezioni congelate viene eseguito l’esame istologico. Soltanto nel 5-10% dei casi i dotti biliari atresici possono essere rianastomizzati con successo. Nei rimanenti casi, una modificazione della tecnica di Kasai (un’epatoportoenterostomia) spesso consente di ripristinare il flusso biliare. Comunque, molti bambini continueranno ad avere disturbi cronici importanti come colestasi, colangiti ascendenti recidivanti, ritardo di crescita e un numero significativo di essi andrà incontro a morte dopo qualche tempo. Il trapianto di fegato è stato un intervento salvavita per alcuni bambini con insufficienza epatica. L’atresia biliare è la più comune indicazione pediatrica al trapianto di fegato. La colestasi dovuta all’epatite neonatale di solito si risolve lentamente, ma può residuare un danno epatico, in alcuni casi fatale. La terapia di supporto è trattata nel Cap. 38.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE ANOMALIE CRANIO-FACCIALI Le diverse malformazioni cranio-facciali derivano da un alterato sviluppo del I e II arco branchiale che, intorno al 2o mese di gestazione, danno origine alle ossa facciali e alle orecchie. Queste malformazioni includono la labioschisi e la palatoschisi; le sindromi di Treacher Collins (disostosi mandibulo-facciale), di Goldenhar (displasia oculo-auricolo-vertebrale), di Pierre Robin e di Waardenburg; l’ipertelorismo e le deformità dell’orecchio esterno e dell’orecchio medio. Le più comuni sindromi sono descritte nella Tab. 261-3. La maggior parte dei bambini con anomalie craniofacciali ha un’intelligenza e uno sviluppo normali. La labioschisi e la palatoschisi sono i più comuni difetti del I arco branchiale, riscontrandosi con una frequenza di 1 a 700-800 nascite. Tra le cause ipotizzate vi è l’uso delle benzodiazepine nei primi periodi della gravidanza. La schisi può interessare soltanto il palato molle o anche il palato duro o perfino il processo alveolare della mandibola e il labbro. La forma più leggera è un’ugula bifida. Una labioschisi isolata è principalmente un problema estetico. Al contrario, una palatoschisi interferisce con l’alimentazione e con lo sviluppo del linguaggio. Il trattamento precoce della palatoschisi consiste nell’uso di tettarelle speciali o di protesi, che chiudono il palato in modo da consentire la suzione e di una tettarella con la quale possa essere somministrato il latte con una leggera pressione (p. es., con un biberon di plastica). Il trattamento definitivo è la chiusura chirurgica della schisi; tuttavia, il trattamento chirurgico può interferire con lo sviluppo dei nuclei di accrescimento mascellari. La chirurgia plastica può significativamente migliorare questo disturbo, ma con un trattamento inadeguato può verificarsi voce nasale, compromissione dell’aspetto, dovuta a un deficit della zona centrale del viso e la tendenza a regurgitare. Possono essere necessarie anche particolari cure dentali, ortodontiche e psichiatriche, oltre alla logoterapia. I difetti associati a mandibole di piccole dimensioni (sindromi di Pierre Robin e di Treacher Collins) possono determinare difficoltà alimentari e crisi di cianosi, per la posizione posteriore della lingua, che può provocare ostruzione del faringe. I problemi di alimentazione possono essere risolti con alimentazione attraverso sondino naso-gastrico. Se persistono la cianosi o i problemi respiratori, si deve ricorrere alla tracheostomia o a un intervento chirurgico di fissazione della lingua in avanti. Dal momento che queste sindromi possono coinvolgere l’orecchio, è indicata anche una valutazione uditiva.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE ANOMALIE DELL’ANCA, DELLE GAMBE E DEI PIEDI (Per il metatarso addotto e il metatarso varo, v. sotto Disordini dei piedi nel Cap. 270.) La lussazione congenita dell’anca è più comune nel sesso femminile e nei bambini con presentazione podalica. Sembra dovuta a lassità dei legamenti dell’articolazione coxo-femorale o alla posizione intrauterina. Può essere mono o bilaterale. Se è unilaterale, l’arto interessato è più corto, e posteriormente, a livello delle cosce, si può riscontrare asimmetria delle pliche cutanee. Il segno più importante di lussazione o sublussazione è l’impossibilità ad abdurre completamente la coscia quando l’anca e il ginocchio sono flessi. Questo segno è dovuto allo spasmo dei muscoli adduttori della coscia, spesso presente, anche se, al momento dell’esame, l’anca non è realmente lussata. Se l’anca è lussata, la manovra di abduzione e di rotazione esterna del femore produce un particolare rumore udibile o uno "scatto" palpabile quando la testa del femore rientra nella cavità acetabolare (segno di Ortolani). Più frequentemente sono apprezzabili "click" minori. Questi reperti possono risolversi entro 1 o 2 mesi, ma devono essere attentamente valutati nel tempo. È consigliabile valutare periodicamente l’entità della abduzione durante il primo anno di vita, poiché alla nascita si può non essere in grado di diagnosticare la lussazione o la sublussazione. L’ecografia dell’anca è un esame accurato e utile per una diagnosi precoce. Inoltre, una rx dell’anca, eseguita nei primi mesi, può essere di difficile interpretazione e di aiuto solo se conferma il sospetto clinico. Il trattamento precoce è efficace, in quanto l’anca può essere ridotta subito dopo la nascita e con l’accrescimento l’acetabolo diventerà quasi normale. Tuttavia, se il trattamento è ritardato, la possibilità di correzione del difetto senza intervento chirurgico si riduce progressivamente. Il trattamento consiste nell’applicazione di dispositivi (p. es., stecche, cinghie, divaricatore o doppio pannolino) che mantengono l’anca displasica in abduzione e in rotazione esterna, inducendo la corretta formazione della cavità acetabolare, man mano che il bambino cresce. La torsione del femore, sia interna (antiversione-ginocchia che si guardano l’un l’altra) che esterna (retroversione-ginocchia in posizione opposta), è tipica nel neonato, in cui ambedue le condizioni sono particolarmente evidenti. La correzione spontanea di torsioni femorali anche gravi di solito si ha quando il bambino sta in piedi o inizia a camminare. Dormire in posizione prona può prolungare la retroversione. Per escludere una lussazione si deve eseguire una rx dell’anca o un’ecografia. Sono indicati esercizi passivi e posturali. La lussazione anteriore del ginocchio con iperestensione è rara alla nascita, ma richiede un trattamento immediato. Può essere correlata a patologia muscolare (se presente mielodisplasia o artrogriposi) o a posizione intrauterina. È spesso associata alla dislocazione dell’anca omolaterale. Se il bambino non presenta altri problemi, il trattamento immediato con esercizi quotidiani di flessione passiva e steccaggio in flessione, in genere rende il ginocchio funzionante. L’incurvamento e la torsione della tibia sono frequenti alla nascita e raramente patologici. L’incurvamento e la presenza all’esame rx di un canale intramidollare

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Anomalie congenite

sclerotico e ristretto (malattia di Blount o tibia vara) è un’eccezione e comporta un grosso rischio di fratture e pseudoartrosi. È necessaria una ortesi protettiva. Il piede torto equino-varo, tipo più comune di anomalia del piede, si presenta in flessione plantare, supinazione e marcata adduzione. Le deformità del piede da posizione intrauterina possono simulare il piede torto, ma sono correggibili passivamente, a differenza di quest’ultimo. Per normalizzare la posizione del piede, alla nascita bisogna iniziare la terapia ortopedica con l’applicazione di gessi correttivi, riconfezionati ogni 7-10 giorni. Nei casi gravi bisogna ricorrere all’intervento chirurgico, specialmente se l’applicazione di gessi correttivi non ha avuto successo. Il piede torto calcaneo-valgo è piatto o convesso, flesso dorsalmente e può essere facilmente avvicinato alla parte inferiore della tibia. Di solito la guarigione si ottiene con l’ingessatura precoce del piede in posizione equinovara o con scarpe correttive.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE MISCELLANEA DI ANOMALIE DELL’OSSO E DELLA CARTILAGINE (Le osteocondrodisplasie, le osteopetrosi e le osteocondrosi sono trattate nel Cap. 270.) Le condrodistrofie (v. sotto Le Osteocondrodisplasie nel Cap. 270) sono malattie che interessano il modo in cui la cartilagine si trasforma in osso. Fra queste la forma più conosciuta è l’acondroplasia. Sono tutte caratterizzate da nanismo (di solito con tronco di normali dimensioni ma con arti corti), a cui sono spesso associate varie altre anomalie. Lo sviluppo mentale di solito è normale. Per la diagnosi accurata di molte delle condrodistrofie è importante la rx delle ossa lunghe. Deve essere escluso l’ipotiroidismo. Il trattamento è sintomatico. Le mucopolisaccaridosi (v. sotto Difetti ereditari del tessuto connettivo nel Cap. 270) sono malattie simili alle condrodistrofie, ma alcune forme presentano un interessamento viscerale e del SNC con ritardo mentale. Sono spesso presenti brevità del tronco e contratture degli arti. Le alterazioni a carico dell’osso non sono evidenti nei neonati, ma compaiono con l’accrescimento. L’osteogenesi imperfetta, anomala fragilità del tessuto osseo, è una grave malattia del neonato, che interessa diffusamente le strutture ossee. Sono state descritte varie forme, ma quella a insorgenza neonatale (congenita) è la più grave. I bambini nascono con fratture multiple, che comportano un mancato accrescimento degli arti. Il cranio è molle, presenta molte ossa wormiane e quando si palpa sembra un "sacco pieno d’ossa". Le sclere sono molto sottili, translucide e bluastre perché, essendo ridotto il tessuto connettivo, traspare il colore dei vasi sottostanti. Le sclere blu si possono anche riscontrare come una variante normale. Alcuni bambini hanno anche ipoacusia, forse per l’otosclerosi dovuta alla presenza di tessuto connettivo anomalo intorno alla catena degli ossicini dell’orecchio medio. A causa della morbidezza del cranio, un trauma durante il parto può determinare un’emorragia intracranica con decesso poco dopo la nascita. I bambini nati vivi possono morire improvvisamente durante i primi giorni o nelle prime settimane, mentre quelli che sopravvivono diventano nani deformi. Lo sviluppo mentale è normale, a meno che non intervenga un trauma cranico con compromissione del SNC. È indicato il trattamento ortopedico. Non esiste una terapia medica efficace. La ipofosfatasia congenita è dovuta all’assenza nel siero di fosfatasi alcalina, che determina una mancanza diffusa di depositi di Ca nelle ossa. Si hanno vomito, scarso accrescimento ponderale e slargamento delle epifisi come nel rachitismo. I pazienti che superano l’infanzia presentano nanismo e deformità ossee, ma lo sviluppo mentale è normale. Non esiste terapia efficace.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOCONDRODISPLASI (Displasie scheletriche genetiche) Disturbi in cui le anomalie dell’accrescimento osseo e cartilagineo portano a uno sviluppo alterato dello scheletro; il nanismo è una caratteristica frequente.

Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Il collagene di tipo II è stato coinvolto in alcune forme rare, ma l’anomalia di base è ancora sconosciuta nella maggior parte di queste condizioni; alterazioni istologiche specifiche sono state identificate in qualcuna di esse. I sintomi e i segni dei tipi più importanti sono riassunte nella Tab. 270-5. L’acondroplasia è la forma più comune e più nota, ma sono stati descritti molti altri tipi rizomelici, che si diversificano ampiamente per trasmissione genetica, decorso e prognosi ed è essenziale la precisione diagnostica. Le osteocondrodisplasie possono presentarsi nel neonato con un nanismo ad arti corti letale (o potenzialmente letale) (v. Tab. 270-6).

Diagnosi e terapia Le alterazioni radiologiche caratteristiche hanno un valore diagnostico e si dovrebbe effettuare uno studio radiologico dell’intero corpo in ogni neonato affetto. Questo aspetto è importante anche se il bambino è nato morto, dal momento che la precisione diagnostica è essenziale per una consulenza genetica. In alcuni casi è possibile la diagnosi prenatale mediante fetoscopia ed ecografia (compresi i casi di grave brevità degli arti fetali). Le nuove tecniche radiologiche e molecolari sembrano promettenti. Per alcune forme non letali, l’intervento chirurgico (p. es., posizionamento di protesi d’anca) ha fornito buoni risultati. L’ipoplasia del processo odontoide è un’anomalia apparentemente insignificante di molti tipi, che però predispone alla sublussazione della 1a e della 2a vertebra cervicale e alla conseguente compressione del midollo spinale. Pertanto, si dovrebbe valutare radiologicamente, prima di un intervento chirurgico, il processo odontoide e, se anormale, durante l’anestesia, sarà necessario sostenere accuratamente il capo del paziente, nel momento in cui verrà iperesteso per l’intubazione endotracheale. Poichè la modalità di trasmissione della maggior parte delle forme è nota, può essere utile la consulenza genetica. Organizzazioni come la "Little People of America" provvedono ai contatti sociali delle persone affette e ne difendono gli interessi. Simili organizzazioni sono attive file:///F|/sito/merck/sez19/2702577.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.04

Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

anche in Australia e in Inghilterra.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 270-6. TIPI DI NANISMO LETALE AD ARTI CORTI* Malattia

Sintomi e segni

Acondrogenesi

Estrema brevità degli arti; idrope della testa e del tronco; eterogenea

Displasia tanatoforica

Nelle radiografie AP le vertebre hanno forma a "H" ed i femori hanno una configurazione a "ricevitore telefonico"

Modalità di trasmissione AR

Poligenica

Displasia toracica Ristrettezza della parte superiore del torace; talora polidattilia; prognosi variabile asfissiante (sindrome di Jeune)

AR

Sindromi coste corte- polidattilia

Ristrettezza del torace; polidattilia; sempre letale; eterogenea

AR

Displasia campomelica

Marcata curvatura degli arti inferiori; eterogenea

AR

Osteogenesi imperfetta congenita

Deformità degli arti dovuta a fratture multiple (v. anche alterazioni muscolo-scheletriche nel Cap. 261)

AR/AD

Ipofosfatasia letale

Fratture multiple

AR

Fibrocondrogenesi Arti brevi; le ossa tubulari hanno una configurazione "a manubrio"; platispondilia con clivaggio vertebrale

AR

Ipocondrogenesi

Ritardo della ossificazione vertebrale e pelvica

AR

Atelosteogenesi

Arti corti; piede torto; schisi palatina

?

Displasia dissegmentaria

Arti corti; rigidità articolare; estrema malsegmentazione vertebrale

AR

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Manuale Merck - Tabella

Displasia a boomerang

Arti corti; incurvamento delle ossa lunghe

Displasia De la Chapelle

Micromelia grave; incurvatura degli arti; schisi palatina

Displasia di Pelvi a "forma di lumaca", ossa lunghe a forma di Schneckenbecken manubrio

?

AR

AR

*Per la condrodisplasia puntata (forma rizomelica grave), v. tabella 270-5. Ad eccezione della displasia tanatoforica, che è relativamente comune, il numero dei casi riportati per ciascuna malattia è di 50 o inferiore. AR = autosomico recessivo; AP = antero-posteriore; AD = autosomico dominante.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE AMPUTAZIONI CONGENITE Difetti trasversali o longitudinali degli arti dovuti a una inibizione primitiva dello sviluppo intrauterino o a una distruzione secondaria, intrauterina, di tessuto embrionale normale. L’eziologia spesso non è nota, ma si conoscono due agenti eziologici certi: agenti teratogeni (p. es., talidomide) e briglie amniotiche. Nei difetti trasversali sono assenti tutti gli elementi oltre un certo livello e gli arti sono ridotti a monconi. Nei difetti longitudinali si ha anomalo sviluppo di certi segmenti; p. es. assenza completa o parziale di radio, ulna o tibia. I bambini con difetti trasversali o longitudinali degli arti possono anche avere ossa ipoplasiche o bifide, sinostosi, duplicazioni, lussazioni o altri difetti ossei. Possono essere interessati uno o più arti e le alterazioni possono essere diverse in ciascun arto. La rx è fondamentale per scoprire quali ossa siano interessate. Raramente si associano anomalie del SNC. Il trattamento è altamente individualizzato e si basa essenzialmente su apparecchi protesici, particolarmente utili nei difetti a carico degli arti inferiori o nei deficit completi o quasi di un arto superiore. Se c’è qualche attività a livello del braccio o della mano, qualunque sia la gravità della malformazione, bisogna valutare accuratamente la capacità funzionale di base prima di consigliare l’intervento o l’applicazione protesica. L’amputazione terapeutica dell’arto colpito o di una parte di esso deve essere presa in considerazione soltanto dopo aver valutato le implicazioni funzionali e psicologiche dell’amputazione e quando risulti necessaria per il posizionamento della protesi. La protesi dell’arto superiore deve essere tale da poter assolvere a più funzioni possibili, in modo da ridurre al minimo il numero degli apparecchi protesici aggiuntivi. Il bambino riesce a usare con molto successo la protesi quando la si monta precocemente, in quanto in tal modo essa può diventare parte integrante del suo corpo durante gli anni dello sviluppo. Con un efficace supporto ortopedico, la maggior parte dei bambini con amputazioni congenite conduce una vita normale.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE ARTROGRIPOSI CONGENITA MULTIPLA (Contratture multiple congenite) Sindrome complessa caratterizzata da contratture articolari multiple (specialmente a carico degli arti superiori e del collo) senza altre gravi anomalie congenite e con una intelligenza relativamente normale.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia ed eziologia Sintomi e segni Diagnosi, prognosi e terapia

L’artrogriposi è la fissazione prenatale delle articolazioni in flessione (contrazione). Quando si verifica una fissazione generalizzata o anchilosi delle articolazioni alla nascita, la malattia si definisce artrogriposi multipla congenita (AMC), tuttavia può anche presentarsi come un difetto isolato.

Fisiopatologia ed eziologia Lo sviluppo delle articolazioni si verifica durante il II mese di gestazione, e i disordini che impediscono i movimenti in utero (malformazioni uterine, gravidanze multiple, oligoidramnios) possono determinare artrogriposi. L’AMC può essere determinata da disordini neurogenici, miopatici o del tessuto connettivo. Le miopatie congenite, la malattia del motoneurone inferior e la miastenia gravis materna sono state proposte come cause della amioplasia associata. L’AMC non è una malattia genetica, sebbene alcuni disordini genetici (p. es, la trisomia 18, la spina bifida) presentino un’aumentata incidenza di artrogriposi.

Sintomi e segni Le spalle sono generalmente addotte e intraruotate, i gomiti estesi e i polsi e le dita flesse. Le anche possono essere lussate e sono, di solito, lievemente flesse. Le ginocchia sono estese e i piedi sono spesso in posizione equino-vara. I muscoli delle gambe sono di solito ipoplasici e gli arti tendono ad assumere una forma a tubo senza altre caratteristiche. Una membrana di tessuto molle talvolta si trova sulla superficie ventrale delle articolazioni flesse. La colonna può essere scoliotica. A parte l’assottigliamento delle ossa lunghe, lo scheletro appare

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Anomalie congenite

normale all’esame rx. Gli handicap fisici possono essere gravi. L’intelligenza di solito non è compromessa o lo è solo moderatamente. Altre anomalie associate all’artrogriposi comprendono la microcefalia, la palatoschisi, il criptorchidismo, le malformazioni cardiache e del tratto urinario.

Diagnosi, prognosi e terapia Deve essere effettuata una valutazione approfondita per ogni anomalia associata. L’elettromiografia e la biopsia muscolare sono utili nell’individuare disordini neuropatici e miopatici. La biopsia muscolare mostra amioplasia, con sostituzione del tessuto muscolare con tessuto fibroso e grasso. Le deformità peggiori si riscontrano alla nascita. L’AMC non è progressiva. Molti bambini, 2/ 3 dei quali seguiti solo ambulatorialmente, hanno una prognosi favorevole. Sono indicate valutazioni ortopedica e fisioterapica precoci. Le manipolazioni articolari nei primi mesi di vita possono dare un notevole miglioramento. La valutazione ortottica può essere di aiuto. Il trattamento chirurgico può essere richiesto più tardivamente per allineare l’angolo dell’anchilosi, ma raramente il movimento viene migliorato.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE ANOMALIE MUSCOLARI Si può verificare l’assenza congenita di un muscolo o di gruppi di muscoli. Una delle forme più comuni è l’agenesia parziale o completa del grande pettorale, che può essere isolata o associata ad anomalie omolaterali della mano (anomalia di Poland). Possono essere assenti alla nascita uno o più strati della muscolatura addominale (p. es., sindrome del ventre a prugna, che spesso è associata ad altre gravi anomalie dell’apparato GU, particolarmente all’idronefrosi). L’incidenza è maggiore nei bambini di sesso maschile, che spesso presentano criptorchidismo. La prognosi è riservata anche se la rimozione dell’ostruzione delle vie urinarie viene effettuata precocemente. All’agenesia della muscolatura addominale spesso si associano malformazioni dei piedi e del retto.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO Alcune delle più gravi anomalie del sistema nervoso (p. es., l’anencefalia, l’encefalocele, la spina bifida) si sviluppano durante i primi 2 mesi di gestazione e rientrano nelle anomalie di sviluppo del tubo neurale (disrafia). Altre (p. es., l’idranencefalia e la poroencefalia) si sviluppano più tardi e sembrano essere secondarie a processi distruttivi, che si verificano dopo la formazione del sistema nervoso. Alcuni difetti sono relativamente benigni (p. es., il meningocele). Attualmente è possibile effettuare la diagnosi intrauterina di molte malformazioni mediante l’amniocentesi e l’ecografia (v. anche Cap. 247). Per i genitori di bambini con gravi malformazioni neurologiche è importante eseguire una consulenza genetica, perché il rischio di avere un secondo figlio malato è alto. Questi genitori hanno anche bisogno di un supporto psicologico. Le donne, che hanno avuto un precedente feto o neonato con difetto del tubo neurale, devono essere avvisate del fatto che l’integrazione con acido folico (4 mg/die), prima del concepimento e durante le prime settimane della gravidanza, può ridurre notevolmente il rischio di difetti del tubo neurale.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE DEL SISTEMA NERVOSO SPINA BIFIDA Difetto di chiusura della colonna vertebrale. La spina bifida è uno dei più gravi difetti del SNC compatibili con la vita. La gravità della lesione va da una forma lieve, spina bifida occulta asintomatica, alla forma più grave in cui il canale vertebrale rimane completamente aperto (rachischisi), con gravi deficit neurologici e morte. Nella spina bifida cistica, il sacco protrudente può contenere soltanto meningi (meningocele), midollo (mielocele) o entrambi (mielomeningocele). La spina bifida si riscontra con maggior frequenza nel tratto toracico basso, nella regione lombare o sacrale e di solito si estende per 3-6 segmenti vertebrali. Nel mielomeningocele il sacco è di solito costituito da meningi con una placca nervosa centrale e, se non completamente coperto da cute, può rompersi facilmente, con alto rischio di meningite. Quando nella spina bifida sono coinvolti, come accade spesso, il midollo spinale o le radici nervose lombosacrali, si ha paralisi nervosa di vario grado sotto il livello della lesione. Poiché la paralisi nervosa compare già nel feto, possono essere evidenti già alla nascita problemi ortopedici (p. es., piede torto, artrogriposi, lussazione congenita dell’anca, v. alla voce Patologie muscoloscheletriche, sopra). La paralisi interessa in genere le funzioni rettali e vescicali e i disordini del tratto GU, che ne risultano, portano alla fine a gravi danni renali. La cifosi, talvolta associata alla spina bifida, può ostacolare la plastica del mielomeningocele e impedire al paziente la posizione supina. L’idrocefalo si riscontra comunemente e può essere conseguente alla stenosi dell’acquedotto di Silvio o a malformazione di Arnold-Chiari (v. sopra). Possono coesistere altre anomalie congenite. Gli accertamenti da eseguire in maniera prioritaria sono: rx della colonna, del cranio, delle anche e, se risultano malformati, degli arti inferiori. È indispensabile anche effettuare valutazione delle vie escretrici mediante: esame delle urine, urinocoltura, azotemia, creatininemia, UEV ed ECO. L’esecuzione di ulteriori indagini dipende dalla presenza di malformazioni associate e comprende valutazione una neuroradiologica (TAC, ECO) e un esame del LCR. La diagnosi prenatale di spina bifida aperta può essere effettuata mediante il riscontro di livelli elevati di α-fetoproteina nel siero materno o nel liquido amniotico. L’ecografia può mostrare difetti ossei spinali e masse di tessuto molle. La prognosi dipende dal numero e dalla gravità delle malformazioni: è più grave nei pazienti con paralisi completa dei segmenti sottostanti la lesione, cifosi, idrocefalo, idronefrosi precoce e altre anomalie congenite. Comunque molti bambini, con cure appropriate, riescono a vivere bene. L’insufficienza renale e le complicanze relative al sistema derivativo sono responsabili delle morti in età adulta dei pazienti affetti da spina bifida. La prevenzione della spina bifida include la supplementazione durante la gravidanza con acido folico (v. Anomalie neurologiche, sopra). Il trattamento richiede la collaborazione di più specialisti. Gli interventi di primaria importanza file:///F|/sito/merck/sez19/2612384.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.08

Anomalie congenite

sono neurochirurgico, urologico, ortopedico, pediatrico e assistenziale. Prima dell’intervento di solito bisogna valutare il bambino e sentire il parere della famiglia. È importante accertare il tipo, il livello e l’estensione della lesione; lo stato generale di salute del bambino; i deficit associati; i desideri, le forze e le risorse della famiglia; le risorse sociali disponibili, anche riguardo al programma terapeutico stabilito. Una volta completata la valutazione, si potrà prendere una decisione riguardo all’aggressività del trattamento. Se si ha perdita di LCR dal sacco del mielomeningocele, gli antibiotici e l’intervento neurochirurgico urgente ridurranno il rischio di meningiti e di ventricoliti infettive. L’idrocefalo può richiedere il posizionamento di una derivazione liquorale. Bisogna controllare da vicino la funzione renale e trattare prontamente le infezioni delle vie urinarie. Le uropatie ostruttive vescicali o ureterali devono essere trattate precocemente, in particolare quando compare una complicanza infettiva. Anche il trattamento ortopedico deve essere iniziato precocemente. Il piede torto, se presente, deve essere trattato. Le articolazioni dell’anca devono essere valutate accuratamente per evidenziare eventuali dislocazioni. Sono inoltre richieste cure ortopediche per correggere la scoliosi, per ridurre le fratture patologiche, per trattare le compressioni dolorose, la debolezza e lo spasmo muscolare, che possono causare ulteriori deformità.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

DIFETTI CONGENITI DEGLI OCCHI GLAUCOMA CONGENITO (Glaucoma infantile; buftalmo; idroftalmo) Rara condizione dovuta a un difetto congenito dell’angolo iridocorneale della camera anteriore, che ostruisce il drenaggio dell’umor acqueo, con conseguente aumento cronico della pressione endoculare. Il disordine interessa lattanti e bambini e di solito è bilaterale. Il globo oculare si ingrandisce notevolmente; la cornea, di diametro aumentato, è assottigliata, talvolta offuscata, e può essere sporgente (osservare sempre attentamente il diametro e la trasparenza della cornea nei bambini); la pupilla è larga e fissa e la camera anteriore è profonda. Se il glaucoma progredisce, il nervo ottico viene danneggiato progressivamente fino alla cecità completa. L’intervento chirurgico precoce (goniotomia, goniopuntura, trabeculotomia, trabeculectomia) è il trattamento di scelta.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

DIFETTI CONGENITI DEGLI OCCHI CATARATTA CONGENITA Opacità della lente presente alla nascita. (Per la cataratta giovanile e dell’adulto, v. Cap. 97). La cataratta congenita può derivare da alterazioni cromosomiche, da malattie metaboliche (p. es., galattosemia), da infezioni intrauterine (p. es., rosolia) o da altre malattie materne verificatesi durante la gravidanza. La cataratta può essere nucleare o corticale e può non essere diagnosticata, se non si esegue alla nascita l’esame del fondo oculare. Se la cataratta è abbastanza densa da nascondere alla vista la papilla ottica e i vasi, deve essere richiesto un controllo oculistico per valutare l’eventuale effetto sulla funzione visiva del bambino. La rimozione della cataratta entro i primi mesi di vita consente un appropriato sviluppo della fissazione retinica e della risposta corticale visiva. La rimozione chirurgica della cataratta è tecnicamente semplice, e in alcuni pazienti può essere posizionata una lente intraoculare. La correzione visiva postoperatoria con occhiali, lenti a contatto o epicheratofachia (la sutura di una cornea umana, trattata come una lente a contatto, dentro la cornea del ricevente) è difficile, ma necessaria per riacquistare una buona visione. Dopo la rimozione di una cataratta unilaterale, la qualità dell’immagine nell’occhio operato è inferiore a quella dell’occhio normale. Dal momento che l’occhio normale è di solito favorito, il cervello sopprimerà la qualità dell’immagine deficitaria, con conseguente compromissione di sviluppo del sistema visivo dell’occhio operato (ambliopia). Una meticolosa e aggressiva profilassi dell’ambliopia è perciò necessaria per consentire lo sviluppo di una vista normale nell’occhio operato. Al contrario, nella rimozione bilaterale della cataratta, in cui la qualità dell’immagine è equivalente in ciascun occhio, il sistema visivo si sviluppa bilateralmente in maniera bilanciata, senza prevalenza dell’una o dell’altra via visiva.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

MALFORMAZIONI RENALI E GENITOURINARIE Le malformazioni anatomiche congenite dell’apparato GU sono più frequenti di quelle che interessano ogni altro organo o sistema. Le complicanze (p. es ostruzione o stasi urinaria) possono comportare insufficienza renale, infezioni e facilità nella formazione di calcoli, impotenza o sterilità. Spesso il trattamento è chirurgico.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

MALFORMAZIONI RENALI E GENITOURINARIE URETERE Le anomalie ureterali sono frequentemente associate ad anomalie renali, ma si possono presentare anche isolatamente. Le complicanze includono l’ostruzione, le infezioni, talvolta la formazione di calcoli da stasi urinaria e l’incontinenza urinaria, nei casi in cui l’uretere supera la vescica e si apre nell’uretra, nel perineo o, nelle femmine, in vagina. Anomalie di duplicazione: la duplicazione parziale o completa di uno o entrambi gli ureteri può associarsi a duplicazione della pelvi renale omolaterale. L’uretere del polo renale superiore si apre in un punto più caudale allo sbocco dell’uretere proveniente dal polo inferiore. Si può verificare ectopia o stenosi di uno o di entrambi gli orifizi (v. avanti), reflusso vescicoureterale nell’uretere inferiore o in entrambi gli ureteri o ureterocele. Per correggere il reflusso vescicoureterale, l’ostruzione, o l’incontinenza urinaria, può essere necessario il trattamento chirurgico. Uretere retrocavale: L’anomalo sviluppo della vena cava inferiore (vena cava preureterica) favorisce lo sviluppo del tratto infrarenale della vena cava anteriormente all’uretere. Sul lato sinistro si riscontra un uretere retrocavale con persistenza del solo sistema venoso cardinale sinistro o con la completa trasposizione degli organi (situs inversus). Questa anomalia di sviluppo può causare ostruzione ureterale. Nel caso di ostruzione ureterale importante, il trattamento chirurgico consiste nella divisione dell’uretere con creazione di un’anastomosi uretero-ureterale anteriormente alla cava o ai vasi iliaci. Orifizi ectopici: Sbocchi anomali di ureteri singoli o doppi si possono aprire sulla parete vescicale laterale, distalmente al trigono vescicale, a livello del collo vescicale, nell’uretra femminile distalmente allo sfintere uretrale (comportando incontinenza), a livello dell’apparato genitale (prostata e vescicola seminale nel maschio, utero o vagina nella femmina) o esternamente. Gli orifizi ureterali ectopici laterali sono frequentemente associati con reflusso vescico-ureterale, mentre gli orifizi ureterali ectopici distali sono più spesso associati con uropatia ostruttiva e incontinenza. Il trattamento chirurgico è indicato in caso di uropatia ostruttiva e di incontinenza ed è talvolta richiesto per il reflusso vescico-ureterale. Stenosi: Il restringimento può interessare ciascun tratto dell’uretere ma più comunemente si localizza a livello della giunzione pieloureterale e meno frequentemente della giunzione uretero-vescicale (megauretere primario). La stenosi spesso migliora con il tempo e la crescita, ma la plastica ureterale e il reimpianto possono rendersi necessari quando si verificano un aumento della dilatazione ureterale e frequenti infezioni. La presenza di ostruzione è un’altra indicazione al trattamento chirurgico. Ureterocele: il rigonfiamento dell’estremità inferiore dell’uretere nella vescica può determinare una progressiva dilatazione da ostruzione, causando ectasia ureterale, idronefrosi, infezioni, occasionale formazione di calcoli e possibile compromissione della funzione renale. Il trattamento comprende l’incisione transuretrale endoscopica o la correzione a cielo aperto. Quando l’ureterocele coinvolge il polo superiore di un uretere duplice, il trattamento può dipendere

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Anomalie congenite

dalla funzione del segmento renale interessato, a causa della significativa incidenza di displasia renale associata. La rimozione del segmento renale interessato e dell’uretere ectopico può essere preferibile alla riparazione dell’ostruzione, se non si riscontra alcuna funzione renale segmentaria o se si sospetta una displasia renale importante. Reflusso vescico-ureterale: il reflusso di urina dalla vescica nell’uretere può determinare danno alle vie urinarie superiori per infezioni batteriche e talvolta per l’aumentata pressione idrostatica. Il reflusso vescicoureterale è per lo più dovuto a un anomalo sviluppo congenito della giunzione ureterovescicale. Lo sviluppo incompleto del tratto intramurale dell’uretere provoca il mancato funzionamento del meccanismo a valvola della giunzione ureterovescicale e permette il reflusso di urina dalla vescica verso l’uretere e la pelvi renale. Il reflusso può riscontrarsi anche in presenza di un tunnel intramurale di calibro sufficiente, ma in condizioni di ostacolo all’efflusso vescicale, con aumento delle pressioni intravescicali o in presenza di vescica neurogena. I batteri del tratto urinario inferiore, in seguito al reflusso, possono facilmente contaminare il tratto urinario superiore, causando una infezione parenchimale con possibile evoluzione cicatriziale e perdita della funzione renale. Un riempimento vescicale, cronicamente elevato, o elevate pressioni di svuotamento (> 40 cm H2O) determinano, nella maggior parte dei pazienti, un danno idrostatico progressivo ai reni anche in assenza di infezione o reflusso. Il dolore addominale o al fianco, l’infezione ricorrente o persistente delle vie urinarie, la disuria o il dolore al fianco durante la minzione, la pollachiuria o i segni di insufficienza renale possono essere tutti secondari al reflusso vescicoureterale. Si possono riscontrare piuria, ematuria, proteinuria e batteriuria. La cistouretrografia in fase di riempimento e svuotamento documenta il reflusso e rappresenta il metodo migliore per diagnosticare un ostacolo all’efflusso vescicale, che può essere trattato chirurgicamente. La UEV può mostrare dilatazione dei calici renali, ureteri a "nastro" e ureterectasia con dilatazione del sistema collettore superiore. Il reflusso può anche essere diagnosticato mediante cistografia con radioisotopi. La compromissione infettiva o cicatriziale della corticale renale può essere individuata precisamente, se necessario, mediante scintigrafia renale statica con acido dimercaptosuccinico (DMSA). Il reflusso vescico-ureterale è di solito da lieve a moderato (senza o con piccola dilatazione caliceale) e spesso si risolve spontaneamente entro un periodo che va da alcuni mesi a diversi anni. Fino alla sua scomparsa deve essere effettuata profilassi antibiotica giornaliera. Le infezioni ricorrenti, nonostante la profilassi o la presenza di esiti cicatriziali importanti o progressivi richiedono preferibilmente il reimpianto ureterale. Quando il reflusso è accompagnato da alte pressioni di riempimento o di svuotamento vescicale, è necessario ridurre tali pressioni mediante terapia farmacologica e/o presidi comportamentali. Talvolta il reflusso si risolve con questo trattamento ma in caso contrario, può essere indicato il reimpianto ureterale. Questa tecnica quasi sempre elimina il reflusso e minimizza il rischio di future pielonefriti, con riduzione della morbidità e della mortalità per malattia renale secondaria al reflusso e alle complicanze infettive a correlate.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

MALFORMAZIONI RENALI E GENITOURINARIE VESCICA Le anomalie congenite della vescica comprendono l’estrofia, l’agenesia, la duplicazione, la persistenza dell’uraco, la sindrome megavescicale, che può essere un difetto mioneurale primitivo (v. anche Sindrome Megacistica nel Cap. 216) e i diverticoli vescicali. Estrofia: in questa anomalia vescicale maggiore, grave e facilmente diagnosticabile, la vescica è aperta nella regione sovrapubica (senza tetto) e le urine fuoriescono direttamente dagli orifizi ureterali. La mucosa vescicale si continua con la cute dell’addome e le ossa pubiche sono separate. La prognosi per il mantenimento di una funzione renale normale è buona. La vescica può quasi sempre essere ricostruita e riposizionata nella pelvi, ma è invariabilmente presente un reflusso vescico-ureterale. Per la correzione di un reservoir vescicale che non si espande a sufficienza o che ha una contrazione inefficace, possono essere effettuati l’ureterosigmoidostomia (desueta n.d.t.) o altri tipi di ricostituzione della continenza urinaria. Bisogna poi procedere alla ricostruzione dei genitali. Diverticoli vescicali congeniti I diverticoli vescicali predispongono alle infezioni delle vie urinarie e si possono associare a reflusso vescico-ureterale. La diagnosi si effettua con la cistografia e la cistoscopia. Può essere necessaria l’ablazione chirurgica dei diverticoli e la ricostruzione della parete vescicale.

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Disordini mioneurogeni

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 216. DISORDINI MIONEUROGENI SINDROME DELLA MEGAVESCICA Una sindrome non ben compresa, di una vescica voluminosa, a pareti sottili, lisce senza evidenza di ostruzione dello sbocco, che di solito si verifica nelle ragazze. I sintomi di presentazione sono riferibili a IVU ed è frequente la presenza di reflusso vescico-ureterale. L’urografia a vescica vuota può rivelare vie escretrici superiori di aspetto normale, mentre la cistouretrografia può dimostrare reflusso con dilatazione massiva dei tratti superiori. Il reimpianto ureterale e la cistoplastica riduttiva possono essere efficaci, anche se alcuni pazienti traggono consistenti benefici dalla terapia farmacologica, dalla cateterizzazione intermittente o dalla derivazione urinaria, generalmente tramite condotto iliaco o colico.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

MALFORMAZIONI RENALI E GENITOURINARIE PENE E URETRA Il pene nel maschio e l’uretra nei maschi e nelle femmine possono essere congenitamente assenti. Altre anomalie comprendono l’ipospadia, l’epispadia, il pene bifido, le curvature o le malrotazioni congenite del pene, il micropene, le valvole dell’uretra, i restringimenti, lestenosi o le duplicazioni uretrali, la stenosi del meato urinario, la fimosi e la parafimosi. Ipospadia: si tratta di una anomala posizione del meato uretrale causata dalla mancata canalizzazione e fusione dell’abbozzo uretrale. Nella femmina, l’uretra si apre nella parete vaginale. Nel maschio, le pliche prepuziali non si sviluppano lungo tutta la circonferenza del pene e formano un cappuccio dorsale. L’orifizio uretrale può essere localizzato nella parte inferiore dell’asse del pene, a livello della giunzione penoscrotale, tra le pieghe scrotali o nel perineo. All’ipospadia di solito si associa una curvatura ventrale del pene, più evidente durante l’erezione, dovuta a tessuto fibroso che corre lungo il decorso del corpo spongioso. La prognosi per una correzione funzionale ed estetica è buona. Durante il primo anno di vita, si può riparare lo stiramento ventrale del pene e può essere costruita una neouretra, utilizzando la cute del pene o delle pliche laterali. Epispadia: Questo difetto di fusione dorsale dell’uretra può essere parziale (nel 15% dei casi) o completo, associandosi nella forma più grave a estrofia vescicale. L’epispadia è più frequente nei maschi. Nell’epispadia parziale, il controllo urinario può essere soddisfacente. La ricostruzione isolata del pene può associarsi a incontinenza persistente. È spesso necessaria la ricostruzione del tratto di efflusso vescicale per raggiungere un completo controllo urinario. Valvole uretrali: Pliche congenite dell’uretra agiscono come valvole dell’uretra prostatica (valvole dell’uretra posteriore). Le complicanze sono dovute all’ostruzione urinaria, che può essere grave e portare a una disfunzione miogena della vescica, a danno massivo del tratto superiore e a insufficienza renale. I sintomi e i segni includono un mitto debole e intermittente, un’incontinenza da eccessivo riempimento e IVU. La diagnosi viene effettuata mediante cistouretrografia. Il trattamento iniziale è endoscopico. Il trattamento chirurgico precoce previene il deterioramento progressivo della funzione renale. Un’altra anomalia, il diverticolo dell’uretra anteriore, si comporta come una valvola (valvola dell’uretra anteriore) e viene anch’esso trattato endoscopicamente. Restringimenti uretrali: Sebbene nel maschio questa sia una patologia più spesso acquisita, tipicamente a seguito di un trauma da schiacciamento o da cavalcata (v. anche Traumi uretrali, Cap. 232), vi possono essere pure forme congenite. I restringimenti acquisiti in genere si presentano con sanguinamento uretrale postminzionale e possono guarire spontaneamente o evolvere in vere e proprie stenosi. La gestione iniziale è l’uretrotomia endoscopica. Stenosi del meato uretrale: la stenosi del meato uretrale associata a ipospadia è la più comune forma di stenosi uretrale congenita, sebbene sia più frequentemente una condizione acquisita, come esito cicatriziale di un intervento di circoncisione precoce. La meatotomia è indicata in caso di mitto file:///F|/sito/merck/sez19/2612388b.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.19

Anomalie congenite

significativamente deviato o intermittente. Fimosi e parafimosi: la fimosi è un restringimento congenito o acquisito (infiammatorio) della cute prepuziale, che non può essere retratta all’indietro a scoprire il glande. La parafimosi è l’impossibilità della cute prepuziale, retratta e stringente, a essere riportata distalmente sul glande. In entrambi i casi è indicata la circoncisione chirurgica. Può essere necessaria un’incisione dorsale preliminare. La prognosi è eccellente.

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Traumi della via urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 232. TRAUMI DELLA VIA URINARIA TRAUMA URETRALE Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Il trauma uretrale esterno costituisce circa il 5% delle lesioni genitourinarie. La maggior parte dei traumi uretrali maggiori è da trauma chiuso. Le rotture dell’uretra posteriore coinvolgono il diaframma urogenitale e sono di solito associate a fratture pelviche, mentre i traumi dell’uretra anteriore sono spesso dovuti a lesioni a cavallo del perineo. I traumi uretrali penetranti sono meno comuni. Le lesioni iatrogene si verificano in seguito a endoscopia o cateterizzazione dell’uretra. Le potenziali complicanze di un trauma uretrale acuto comprendono formazione di stenosi, infezione, disfunzione erettile e incontinenza.

Diagnosi Una storia di trauma perineale o di frattura pelvica dovrebbe indicare la possibilità di trauma uretrale. Prima che un catetere uretrale venga inserito, il meato deve essere attentamente ispezionato. Sangue al meato uretrale è il miglior segno di trauma uretrale. L’uretrografia retrograda è utilizzata per la diagnosi e la classificazione: le contusioni spiegano l’allargamento uretrale e non causano fuoriuscita del contrasto. Le rotture parziali provocano perdita periuretrale, con una certa percentuale di contrasto che entra in vescica. Le rotture complete sono caratterizzate da perdita della continuità uretrale e prevengono il riempimento della vescica o dell’uretra prossimale.

Terapia Sebbene il trauma uretrale spesso presenti problemi complessi, si può ottenere un esito favorevole con un’attenta valutazione e un adeguato trattamento, che viene scelto dopo che il trauma è stato identificato e accuratamente classificato. Le contusioni possono essere trattate con sicurezza con un catetere di Foley transuretrale per 10 giorni. Il trattamento delle rotture uretrali è piuttosto controverso. Il drenaggio con cistostomia sovrapubica è l’opzione più semplice e si può utilizzare senza pericolo. In casi selezionati di rottura uretrale posteriore, si può tentare il riallineamento uretrale primario. In generale, tuttavia, la terapia chirurgica definitiva è ritardata di circa 3 mesi, finché il tessuto cicatriziale uretrale non si è stabilizzato e il paziente è guarito dalle lesioni associate.

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Traumi della via urinaria

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

MALFORMAZIONI RENALI E GENITOURINARIE TESTICOLI E SCROTO Lo scroto può non svilupparsi da uno o da entrambi i lati, associandosi spesso a criptorchidismo. Gli emangiomi congeniti dello scroto possono richiedere la rimozione chirurgica in caso di sanguinamento o progressivo aumento di volume. L’idrocele congenito comunica con la cavità addominale attraverso una pervietà del dotto peritoneo-vaginale, spazio potenziale per accogliere un’ernia, ma può risolversi spontaneamente con l’obliterazione della comunicazione durante l’infanzia. Un idrocele comunicante che persiste dopo i 9-12 mesi di solito richiede la correzione chirurgica. La trasposizione peno-scrotale è un’anomalia estetica singolare, trattabile chirurgicamente, caratterizzata da una posizione più cefalica dello scroto e più caudale del pene. Testicoli ritenuti (criptorchidismo): la discesa prenatale incompleta o impropria di uno o di entrambi i testicoli si verifica in circa l’1% dei maschi. Generalmente la funzione ormonale è normale. Tuttavia, il mancato trattamento di un testicolo ritenuto può provocare una compromissione progressiva della spermatogenesi e un aumentato rischio di carcinoma, che può manifestarsi durante l’adolescenza o in età adulta. Il vero testicolo ritenuto rimane nella cavità addominale o in sede retroperitoneale, a causa di anomalie meccaniche o ormonali. Un testicolo non completamente disceso (testicolo maldisceso o bloccato), rimane nel canale inguinale, che è ostruito meccanicamente. Un testicolo ectopico si trova fuori del canale inguinale, in sede sovrapubica, dentro il peritoneo o lungo la faccia interna della coscia. I testicoli rmobili o retrattili possono raggiungere lo scroto (p. es., durante un bagno caldo), ma successivamente retrarsi nel canale inguinale. Alcuni testicoli ectopici o non completamente discesi divengono evidenti via via che la crescita lineare procede attraverso la prima infanzia; la ritenzione testicolare si rende evidente dal momento che il testicolo rimane fisso all’anello inguinale esterno invece che nello scroto. L’intervento non è necessario per i testicoli rmobili (retrattili) fino a quando la lunghezza dei cordoni spermatici è sufficiente a far rimanere i testicoli in posizione scrotale senza trazione (quando il riflesso cremasterico non è attivo). L’ipermobilità di solito si risolve con la pubertà. La gonadotropina corionica umana (HCG) 250-1000 UI IM, 2-3 volte/sett. per almeno 6 sett. può indurre la discesa dei testicoli bilateralmente. Le dosi raccomandate sono 250 UI per i bambini di età compresa da 3 a 12 mesi, 500 UI da 1 a 6 anni, e 1000 UI per quelli con più di 6 anni, fino a una dose massima rispettivamente di 2500 UI, 5000 UI, e 10000 UI. Il trattamento chirurgico dei testicoli non discesi mono o bilateralmente di solito prevede l’orchidopessi a circa 1 anno di età. Ritardare l’intervento oltre i 2 anni può danneggiare la spermatogenesi, fattore critico quando entrambi i testicoli sono ritenuti. L’orchiectomia è in genere il trattamento di scelta quando in età postpuberale si scopre un testicolo ritenuto monolaterale. Torsione testicolare: la torsione del testicolo sul suo cordone, spontanea o posttraumatica, può dipendere da uno sviluppo anomalo della tunica vaginale e del cordone spermatico. I sintomi immediati sono dolore locale violento, nausea e vomito seguiti da edema e indurimento scrotale. La torsione deve essere differenziata da condizioni infiammatorie intrascrotali, traumi e tumori del file:///F|/sito/merck/sez19/2612389.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.20

Anomalie congenite

testicolo. Una scintigrafia scrotale con radioisotopi o un eco-color Doppler scrotale sono importanti per la diagnosi. L’intervento chirurgico immediato, senza attendere la conferma radiologica, è indicato quando la diagnosi di torsione non può essere scartata all’esame clinico, poiché l’esplorazione chirurgica entro alcune ore offre la sola speranza di salvare il testicolo. Si esegue anche una fissazione del testicolo controlaterale per prevenirne la torsione, che si è torto (v. anche Esame Obiettivo nel Cap. 256).

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE NEL TRASPORTO RENALE SINDROME DI FANCONI Disordine ereditario o acquisito, associato spesso a cistinosi, con caratteristiche alterazioni della funzione del tubulo renale prossimale, che comportano glicosuria, fosfaturia, aminoaciduria e perdita di bicarbonato.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Fisiopatologia, sintomi e segni Diagnosi e terapia

Eziologia ed epidemiologia La forma ereditaria della sindrome di Fanconi si accompagna di solito ad altri disordini genetici, e in particolare alla cistinosi, malattia autosomica recessiva (v. Tab. 269-5). Gli eterozigoti possono mostrare accumulo di cistina nelle cellule, ma assenza di altre manifestazioni cliniche e di laboratorio. La sindrome di Fanconi può anche essere associata alla malattia di Wilson, all’intolleranza ereditaria al fruttoso, alla galattosemia, alle glicogenosi, alla sindrome di Lowe e alla tirosinemia. La forma acquisita della sindrome di Fanconi può essere causata dall’uso di 6mercaptopurina o di tetracicline scadute, da trapianto renale, da mieloma multiplo, da amiloidosi, da intossicazione da metalli pesanti o altri agenti chimici o da deficit di Vitamina D.

Fisiopatologia, sintomi e segni Questa anomalia è caratterizzata da vari difetti della funzione tubulare prossimale, compreso il deficit di riassorbimento tubulare di glucoso, fosfato, aminoacidi, bicarbonato, acido urico, acqua, potassio e sodio. L’aminoaciduria è generalizzata e, a differenza della cistinuria, l’escrezione aumentata di cistina costituisce una componente secondaria. L’alterazione fisiopatologica di base è sconosciuta. Nella forma ereditaria di sindrome di Fanconi le caratteristiche cliniche principali, acidosi tubulare prossimale, rachitismo ipofosfatemico, ipokaliemia, poliuria e polidipsia, compaiono di solito nell’infanzia. Nella forma nefropatica associata a cistinosi è frequente il ritardo di accrescimento staturo-ponderale. L’esame della retina mostra chiazze di depigmentazione. Inoltre si sviluppa una nefrite interstiziale che porta a insufficienza renale progressiva, a volte letale prima dell’adolescenza.

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Anomalie congenite

Nell’adulto con sindrome di Fanconi acquisita sono presenti acidosi tubulare renale (tipo prossimale), ipofosfatemia, ipokaliemia e sintomi conseguenti all’osteopatia (osteomalacia) e debolezza muscolare.

Diagnosi e terapia La diagnosi si basa sulla presenza delle alterazioni della funzione renale, particolarmente glicosuria, fosfaturia e aminoaciduria. Nella cistinosi, l’esame con la lampada a fessura può evidenziare cristalli di cistina nella cornea. Non esiste un trattamento specifico, oltre alla rimozione della tossina nefrotossica, dove necessario. Il sodio bicarbonato per bocca riduce l’acidosi. La soluzione di Shohl, assunta alla dose di 2-3 mEq/kg/die o di 5-15 ml dopo i pasti e prima di coricarsi può essere sostituita da una soluzione di bicarbonato di sodio, meglio tollerata. Può essere necessaria la supplementazione di potassio. Il rachitismo ipofosfatemico può essere trattato come descritto più avanti. Il trapianto renale ha avuto buoni successi nell’insufficienza renale; tuttavia, quando la causa sottostante è la cistinosi, il danno può continuare a progredire in altri organi e provocare, alla fine, il decesso.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 269-5.ANOMALIE DEL METABOLISMO DEGLI AMINOACIDI Malattia

Aminoacido interessato

Difetto enzimatico

Diagnosi prenatale* Studio del DNA

Manifestazioni cliniche

Terapia

Fenilchetonuria

Fenilalanina

Fenilalanina idrossilasi

Sintomi Apporto neurologici, ritardo controllato di mentale fenilalanina

Tirosinemia tipo I (epatorenale)

Tirosina e metionina

Fumarilacetoacetato Dosaggio idrolasi enzimatico; livelli elevati di succinilacetone; studio del DNA

Sindrome di Fanconi, cirrosi epatica, insufficienza epatica fulminante

Tirosinemia tipo II (oculocutanea)

Tirosina

Tirosina aminotransferasi

Studio del DNA

Ritardo mentale, Apporto cheratite, dermatite controllato di fenilalanina e di tirosina

Albinismo

Tirosina

Tirosinasi

Studio del DNA

Assenza di pigmento a carico di cute, capelli, occhi

Alcaptonuria

Tirosina

Omogentisinico ossidasi

Studio del DNA

Artrite, urine scure Nessuna

Istidina

l-istidinα-ammonio liasi (fegato e cute)

Dosaggio enzimatico

Manifestazioni Dieta a basso neurologiche; di contenuto frequente benigna proteico, apporto controllato di istidina Come sopra

Apporto controllato di fenilalanina, tirosina e metionina; trapianto epatico

Protezione della cute e degli occhi dalle radiazioni ultraviolette

Istidinemia Forma classica

Variante

Istidina

l-istidina ammonio liasi (soltanto fegato)

Come sopra Malattia delle urine a sciroppo d’acero (chetoaciduria a catene ramificate)

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Classica

Leucina Isoleucina

Decarbossilasi dei chetoacidi a catena ramificata

Dosaggio enzimatico; studio del DNA

Valina

Ipertono, odore particolare delle urine e della perspiratio, convulsioni, coma, morte

Apporto controllato di aminoacidi a catena ramificata, dialisi peritoneale e/o emodialisi per gli episodi acuti

Alloisoleucina

Intermittente

Gli stessi V. sopra, ma della classica persiste una certa attività enzimatica

Sintomi solo in condizioni di stress (febbre, infezioni)

Come per gli episodi acuti, non è necessaria alcuna misura negli intervalli tra gli episodi

Intermedia

Gli stessi Grado di attività della classica enzimatica tra la forma classica e l’intermittente

Ritardo mentale, sintomi neurologici; con lo stress si sviluppa un quadro eclatante

Apporto di proteine limitato alle richieste o apporto controllato di aminoacidi a catena ramificata

Tiamino-sensibile

Gli stessi Cofattore che della classica stabilizza l’enzima

Simile al quadro lieve della forma intermedia

Tiamina in grosse dosi; è necessaria anche una dieta

Valinemia

Valina

Valina aminotransferasi

Ritardo di crescita Apporto controllato di valina

Omocistinuria

Metionina

Cistationina βsintetasi

Dosaggio enzimatico

1. Sensibile alla piridossina

Anomalie scheletriche, ectopia del cristallino, ritardo mentale, malattia tromboembolica

1. Dosi massicce di piridossina

Accumulo di cistina in ogni parte del sistema reticoloendoteliale, GB, cornea; sindrome di Fanconi, insufficienza renale

Terapia sostitutiva per la sindrome di Fanconi; trapianto per l’insufficienza renale

2. Resistente alla piridossina

Cistinosi

Cistina

Proteina della Accumulo di membrana cistina mediante lisosomiale difettosa marcatura con 35S

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2. Supplementi di metionina e di cistina (apporto controllato), supplementi di acido folico

Cisteamina

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Cistationinemia

Metionina

Cistationasi

Dosi elevate di Ritardo mentale (?), molti individui piridossina non hanno sintomi clinici

Glicinemia (non chetotica)

Glicina

Sistemi di scissione Dosaggio enzimatica della enzimatico nei glicina villi coriali (non sugli amniociti)

Convulsioni, ritardo mentale

β-alaninemia

β-alanina

β-alaninα-αchetoglutarato aminotransferasi

Convulsioni, Piridossina (?) sonnolenza, morte

Prolinemia, tipo I

Prolina

Prolina ossidasi

Nefrite ereditaria, sordità neurogena ?

Può essere un tratto benigno

Prolinemia, tipo II

Prolina

∆1Pirrolin-5carbossilato deidrogenasi

Convulsioni, ritardo mentale

Dieta a basso contenuto proteico, basso apporto di prolina e di acido glutammico

Idrossiprolinemia

Idrossiprolina Idrossiprolina ossidasi

Ritardo mentale, sintomi a livello del SNC

Dieta a basso contenuto proteico (?), benigna (?)

Lisinemia

Lisina

Lisinαchetoglutaratoreduttasi

Apporto Debolezza muscolare, ritardo controllato di mentale, benigna lisina (?) in alcuni casi

Intolleranza alle Lisina proteine con lisinuria Arginina

Trasportatore degli aminoacidi dibasici

Vomito, coma

Citrullina

Saccaropinuria

Aminoadipico semialdeideglutammato reduttasi

Ritardo mentale

Apporto controllato di lisina

Manifestazione frequente della sindrome cerebroepato-renale di Zellweger

Apporto ridotto di acidi grassi a catena molto lunga

Lisina

Iperpipecolicacidemi Lisina a

Pipecolato ossidasi

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Livello di acidi grassi a catena molto lunga, sintesi di plasmalogeno

Dieta a basso contenuto proteico, stricnina (?), benzoato di sodio

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Deficit di Nacetilglutammato sintetasi

Ammoniaca

N-acetilglutammato sintetasi

Deficit di carbamil fosfato sintetasi

Ammoniaca

Carbamilfosfato sintetasi

Deficit di ornitintranscarbamilasi

Tutti gli aminoacidi, soprattutto la glutamina

Citrullinemia

Citrullina

Letargia, coma, vomito

Dieta a basso contenuto proteico, arginina, sodio benzoato, sodio fenilacetato

Studio del DNA

Vomito, letargia, acidosi, coma, morte

Dieta a basso contenuto di proteine; miscela di aminoacidi essenziali, analoghi chetoacidi degli aminoacidi; arginina, sodio benzoato, sodio fenilacetato

Ornitina transcarbamilasi

Studio del DNA

Vomito ricorrente, irritabilità, letargia, coma, convulsioni, legato al cromosoma X, mortale nei maschi

Dieta a basso contenuto di proteine; miscela di aminoacidi essenziali, analoghi chetoacidi degli aminoacidi; arginina, sodio benzoato, sodio fenilacetato

Sintetasi dell’acido argininsuccinico

Dosaggio enzimatico,

Vomito, coma, convulsioni

Dieta a basso contenuto proteico; miscela di aminoacidi essenziali, analoghi chetoacidi degli aminoacidi; arginina; sodio benzoato; sodio fenilacetato

studio del DNA

Argininsuccinicoaci demia

Acido Argininsuccinasi argininsuccini co ed altri aminoacidi dibasici

Dosaggio enzimatico

Convulsioni, ritardo mentale, coma, vomito, epatomegalia, tricoressi nodosa

La stessa di quella per la citrullinemia, sopra

Argininemia

Arginina

Dosaggio enzimatico, studio del DNA

Ritardo mentale, convulsioni, spasticità

Miscele di aminoacidi essenziali

Arginasi

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Ornitinemia

Ornitina

Ornitinchetoacido transaminasi

Dosaggio enzimatico

Atrofia girata della Dieta a basso coroide e della contenuto retina proteico e a basso contenuto di arginina; supplemento di prolina

Sindrome da iperornitinemia, iperammoniemia e omocitrullinemia

Ornitina

Difetto di trasporto nei mitocondri

Convulsioni, ritardo mentale

Dieta a basso contenuto proteico

Sarcosina deidrogenasi

Ritardo mentale (?), nessun sintomo

Può essere un tratto benigno, non è indicato nessun trattamento

?

Ritardo mentale e ? fisico, convulsioni, tricoressi nodosa

Ammoniaca Omocitrullina

Sarcosinemia

Sarcosina

Glutammicoacidemi Acido a glutammico

Piroglutammico acidemia

Acido 5-ossiprolina piroglutammic glutation sintetasi o

Dosaggio enzimatico

? Acidosi, emolisi aumentata, vomito episodico, ritardo mentale Vomito, letargia, Apporto acidosi, ritardo controllato di mentale, odore di leucina; glicina piedi sudati, morte neonatale

Isovalericoacidemia Leucina

Isovaleril-CoA deidrogenasi

Dosaggio enzimatico

β-Idrossiisovalerico- Leucina aciduria

β-metilcrotonil-CoA carbossilasi

Dosaggio Ritardo mentale, enzimatico, atrofia muscolare, acido isovalerico cattivo odore di urine

Deficit di HMG-CoA Leucina liasi

3-idrossi-3Dosaggio Acidosi, metilglutaril CoA liasi enzimatico; ipoglicemia, acido 3-idrossi- ipotonia, letargia 3- metilglutarico, acido 3metilglutarico e acido 3idrossiisovalerico aumentati nelle urine materne

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Apporto controllato di leucina

Dieta a basso contenuto proteico, apporto controllato di leucina, controllo della ipoglicemia

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α-metilacetoacetico aciduria

Isoleucina

Propionico acidemia Treonina (forma di glicinemia chetotica) Isoleucina Metionina

Deficit multiplo di carbossilasi

Acetil CoA tiolasi

Dosaggio enzimatico

Episodi di acidosi, Dieta a basso coma; ritardo contenuto mentale proteico, apporto controllato di isoleucina

Propionil-CoA carbossilasi

Studio del DNA

Acidosi, letargia, coma, ritardo mentale e fisico

Studio del DNA

Biotina 510 mg/ Acidosi, eruzioni cutanee, alopecia, die ipotonia, difetto dell’immunità cellulare T e B, sordità

Studio del DNA

Acidosi, letargia, coma, ritardo mentale e fisico

1. Deficit di apoenzima

Valina

2. Deficit di coenzima

Leucina

1. Olocarbossilasi sintetasi

Isoleucina 2. Biotinidasi Valina

Dieta a basso contenuto proteico, apporto controllato di treonina, valina, isoleucina, metionina e carnitina

Metionina Treonina Metilmalonico Isoleucina acidemia (forma di glicinemia chetotica) Valina Treonina Metionina

Metilmalonil-CoA mutasi 1. Deficit di apoenzima 2. Deficit del cofattore (vitamina B12)

1. Dieta a basso contenuto proteico, apporto controllato di isoleucina, valina, treonina, metionina e carnitina 2. Dosi massicce di vitamina B12

Metilmalonil-CoA racemasi (?) Metilmalonico acidemiαomocistinuria

Isoleucina Valina Treonina

Metilmalonil-CoA Dosaggio mutasi e enzimatico omocisteina: metiltetrα- idrofolato metil transferasi

Come sopra al punto 1 Ritardo mentale e di crescita, convulsioni, anemia megaloblastica

Idrossicobalamina

Metionina * Le ricerche progrediscono così rapidamente che presto le tecniche di biologia molecolare potranno essere disponibili per la diagnosi di molte più alterazioni.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE NEL TRASPORTO RENALE RACHITISMO IPOFOSFATEMICO (Rachitismo vitamina D-resistente) Disordine familiare o, più raramente, acquisito, caratterizzato da ipofosfatemia, da deficit del riassorbimento intestinale di Ca e da rachitismo o osteomalacia, non responsivo alla Vitamina D.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il rachitismo ipofosfatemico familiare è ereditato come carattere dominante legato al sesso. Le femmine colpite hanno una malattia ossea meno grave di quella che si riscontra nel sesso maschile e possono presentare soltanto ipofosfatemia. Alcuni sporadici casi di rachitismo ipofosfatemico acquisito sono associati, talvolta, a tumori benigni di origine mesenchimale (rachitismo oncogeno).

Fisiopatologia La principale alterazione fisiopatologica consiste nel ridotto riassorbimento renale di fosfato, associato a riduzione dell’assorbimento intestinale di Ca e fosfato, con livelli normali di vitamina D e paratormone. Si conoscono due tipi di rachitismo ipofosfatemico. Nel tipo I, lo scarso livello plasmatico di 1,25-diidrossi-vitamina D3 è determinato dalla sua ridotta sintesi renale. Nel tipo II il livello plasmatico di 1,25-diidrossi-vitamina D3 è normale o elevato e la malattia è dovuta a una ridotta risposta delle cellule bersaglio a tale sostanza.

Sintomi, segni e diagnosi La malattia si presenta con una varietà di alterazioni, che vanno dalla sola ipofosfatemia al rachitismo grave o all’osteomalacia con incurvamento delle gambe e altre deformità ossee, pseudofratture, dolore osseo e bassa statura. I movimenti possono essere limitati dalla presenza di escrescenze ossee nei punti di attacco dei muscoli. Il rachitismo della colonna vertebrale o della pelvi, caratteristico delle forme carenziali di deficit di vitamina D, raramente si riscontra nel rachitismo ipofosfatemico. Si possono avere craniostenosi e convulsioni. file:///F|/sito/merck/sez19/2612391b.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.26

Anomalie congenite

L’età d’insorgenza della malattia è in genere < 1 anno. La fosforemia è ridotta, la calcemia è normale e la fosfatasi alcalina è spesso elevata. I livelli sierici di diidrossivitamina D3 vengono misurati per distinguere i due tipi (I e II) di rachitismo ipofosfatemico. Quando si interpretano questi livelli, si deve sempre valutare la fosfatemia al momento del prelievo. Bassi livelli di fosfato dovrebbero far aumentare i livelli della 1,25-diidrossivitamina D3. Il rachitismo ipofosfatemico deve essere distinto dal rachitismo vitamina-D dipendente, malattia autosomica recessiva caratterizzata da aspetti clinici simili, ma con presenza di ipocalcemia, ipofosfatemia lieve o assente, elevata frequenza di tetania e convulsioni, rachitismo della colonna vertebrale e della pelvi, anch’esso molto comune (v. anche Cap. 3).

Terapia La terapia del rachitismo ipofosfatemico di tipo I consiste nella somministrazione PO di fosfato, come soluzione di fosfato neutro, 1-3 g/die in dosi refratte, più calcitriolo (1,25 diidrossi-vitamina D3) da 0,015 a 0,02 µg/kg/die come dose iniziale a 0,03-0,6 µg/kg/die fino a un massimo di 2 µg/kg/die come dose di mantenimento. Si ha aumento della concentrazione plasmatica di fosfato e riduzione della fosfatasi alcalina, guarigione del rachitismo e accelerazione della velocità di crescita. L’ipercalcemia, l’ipercalciuria e la compromissione della funzionalità renale possono complicare il trattamento. Il rachitismo ipofosfatemico di tipo II risponde poco alla terapia e la somministrazione di fosfato viene effettuata solo per ridurre il grado di ipofosfatemia. Negli adulti con rachitismo neoplastico, si osserva un notevole miglioramento con la rimozione della massa neoplastica, in genere un tumore mesenchimale a piccole cellule, secernente un fattore umorale che riduce il riassorbimento tubulare prossimale di fosfato.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE NEL TRASPORTO RENALE MALATTIA DI HARTNUP Malattia rara dovuta ad alterazione dell’assorbimento e dell’escrezione di triptofano e di altri aminoacidi, caratterizzata clinicamente da eruzione cutanea e da anomalie del SNC. La malattia di Hartnup è ereditata con modalità di tipo autosomico recessivo. La consanguineità è un comune fattore eziologico. Gli eterozigoti sono fenotipicamente normali. Si verifica malassorbimento da parte dell’intestino tenue di triptofano, fenilalanina, metionina e di altri aminoacidi monoaminocarbossilici. L’accumulo degli aminoacidi non assorbiti nel tratto intestinale aumenta il loro metabolismo da parte della flora batterica. Alcuni prodotti di degradazione del triptofano come indolo, chinurenina e serotonina sono assorbiti a livello intestinale e compaiono nelle urine. Il riassorbimento renale degli aminoacidi è pure difettoso e causa un’aminoaciduria generalizzata, che interessa tutti gli aminoacidi neutri tranne la prolina e l’idrossiprolina. Inoltre è anche alterata la trasformazione del triptofano in niacinamide. Una scarsa assunzione di alimenti precede quasi sempre la comparsa della sintomatologia, dovuta alla deficienza di niacinamide e simile alla pellagra, specialmente per quanto riguarda l’eruzione cutanea sulle parti del corpo esposte al sole. Le manifestazioni neurologiche sono atassia cerebrale e disturbi psicologici. Sono frequenti anche il ritardo mentale, la bassa statura, la cefalea, i collassi o gli svenimenti. Anche se il disordine è presente dalla nascita, i sintomi si possono manifestare durante l’infanzia, la fanciulezza o l’età adulta. Inoltre la sintomatologia può peggiorare con l’esposizione alla luce solare, la febbre, i farmaci o altri stress. La diagnosi viene effettuata documentando l’escrezione urinaria caratteristica degli aminoacidi. Gli indoli e gli altri prodotti di degradazione del triptofano escreti con le urine forniscono un’ulteriore conferma della malattia. La prognosi è buona e la frequenza delle crisi si riduce di solito con l’età. Le crisi possono essere prevenute mantenendo un’adeguata nutrizione e integrando la dieta con niacinamide o niacina (20 mg/ die PO). Gli attacchi vengono trattati con nicotinamide (da 50 a 400 mg/die PO).

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE NEL TRASPORTO RENALE IMINOGLICINURIA FAMILIARE Difetto autosomico recessivo benigno del riassorbimento tubulare renale degli iminoacidi e della glicina. Negli omozigoti vi è un’escrezione anomala di iminoacidi (prolina e idrossiprolina) e di glicina, mentre gli eterozigoti presentano soltanto glicinuria. I livelli plasmatici degli aminoacidi sono normali, ma l’assorbimento intestinale di prolina può essere ridotto. L’iminoaciduria è un reperto normale nel neonato.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE AUTOSOMICHE Molte differenti sindromi sono determinate da trisomie complete o parziali (dovute alla traslocazione di parti delle braccia corte o lunghe dei cromosomi) e da delezioni di vari cromosomi; qui sono trattate soltanto le più comuni entità cliniche.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE AUTOSOMICHE SINDROME DI DOWN (Trisomia 21; trisomia G; mongolismo) Disordine cromosomico che di solito comporta ritardo mentale, una facies caratteristica e molte altre caratteristiche specifiche, incluse microcefalia e bassa statura.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Prognosi

L’incidenza globale tra i nati vivi è di circa 1/ 800, ma c’è una marcata variabilità che dipende dall’età materna: per madri con meno di 20 aa l’incidenza è di circa 1/2000, mentre per madri con più di 40 aa sale complessivamente a circa 1/ 40 (v. anche Tab. 247-1). Poco più del 20% dei bambini con sindrome di Down nasce da madri con più di 35 aa. La sindrome di Down deriva da una trisomia 21, da una traslocazione o da un mosaicismo. Trisomia 21: in circa il 95% dei casi, si riscontra la presenza di un extra cromosoma 21, che nel 95% dei casi è di origine materna. Traslocazione (t): alcuni soggetti con sindrome di Down presentano 46 cromosomi, ma in realtà possiedono il materiale genetico di 47 cromosomi. Il cromosoma 21 sovrannumerario è stato traslocato o attaccato su di un altro cromosoma. t (14;21) è la più comune traslocazione, nella quale il cromosoma 21 aggiuntivo è attaccato al cromosoma 14. In circa la metà dei casi, entrambi i genitori hanno un cariotipo normale, il che indica che nel bambino colpito si è avuta una traslocazione de novo. Nell’altra metà dei casi, un genitore (quasi sempre la madre), sebbene fenotipicamente normale, ha soltanto 45 cromosomi, uno dei quali è traslocato [t(14;21)]. Teoricamente una madre portatrice di traslocazione ha 1 probabilità su 3 di avere un figlio con sindrome di Down, ma per cause sconosciute il rischio reale è più basso (circa 1:10); se il padre è portatore il rischio è solo di 1:20. t (21;22) è la seconda più comune traslocazione. Una madre portatrice ha un rischio di circa 1:10 di avere un bambino con sindrome di Down: il rischio è perfino minore se il padre è portatore. In casi estremamente rari, un genitore può avere una t(21;21). In questi casi ci si aspetta che il 100% della prole vivente sarà affetta dalla sindrome di Down.

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Anomalie congenite

Mosaicismo: il mosaicismo si verifica quando due differenti tipi cellulari sono presenti nella stessa persona. La sindrome di Down da mosaicismo deriva probabilmente da un errore nella separazione cromosomica durante la divisione cellulare (non disgiunzione) nell’embrione in accrescimento. Nella maggior parte dei casi si riscontrano due linee cellulari, una normale e una con 47 cromosomi. La percentuale relativa di ciascuna linea cellulare è molto variabile sia da soggetto a soggetto sia, nello stesso individuo, tra i differenti tessuti e organi. La prognosi riguardo all’intelligenza presumibilmente dipende dalla percentuale di cellule con trisomia 21 che si trovano nel cervello. Sono stati segnalati parecchi individui con sindrome di Down da mosaicismo, con segni clinici facilmente riconoscibili e intelligenza normale. L’incidenza del mosaicismo nella sindrome di Down è sconosciuta. Se un genitore ha un mosaicismo della linea germinale per la trisomia 21, il rischio di avere un secondo figlio affetto è maggiore.

Sintomi e segni I neonati tendono a essere tranquilli, piangono raramente e presentano ipotonia muscolare. Sono comuni le pliche nucali in sovrannumero e possono essere individuate all’ecografia fetale come edema della nuca. Lo sviluppo psicofisico è ritardato; il quoziente di intelligenza medio (QI) è circa 50. La microcefalia, un occipite appiattito e la bassa statura sono i segni caratteristici. La rima palpebrale è inclinata lateralmente verso l’alto e di solito è presente epicanto all’angolo interno degli occhi. Sono di solito visibili le macchie di Brushfield (macchie grigie o bianche simili a grani di sale, situate perifericamente all’iride) che scompaiono durante i primi 12 mesi di vita. Il naso è a sella, la bocca spesso rimane aperta a causa della lingua grossa e protrudente, fissurata e priva del solco centrale, le orecchie sono piccole e tonde. Le mani sono corte e tozze e spesso presentano un singolo solco palmare (solco scimmiesco); le dita sono corte, con clinodattilia (incurvatura) del V dito, che spesso ha soltanto 2 falangi. Il piede può presentare un’ampia distanza fra il I e il II dito e il solco plantare spesso si prolunga all’indietro. Le mani e i piedi mostrano impronte dermiche particolari (dermatoglifi). In circa il 40% dei neonati colpiti si riscontra una cardiopatia congenita, che più comunemente interessa il setto interventricolare o il canale atrioventricolare. Inoltre c’è un aumento di incidenza di quasi tutte le altre anomalie congenite, in particolare di atresia duodenale. Molte persone affette da sindrome di Down sviluppano disturbi tiroidei, difficilmente diagnosticati, a meno che non vengano eseguiti test ematici. Inoltre, sono frequenti disturbi dell’udito e della vista. È pertanto indicato lo screening sistematico di queste funzioni. All’autopsia, sono costanti nei pazienti adulti con sindrome di Down i tipici reperti microscopici, a livello cerebrale, della malattia di Alzheimer, e molte persone sviluppano anche i segni clinici. Alcune donne affette sono fertili; ma hanno il 50% di probabilità di dare alla luce un bambino affetto da sindrome di Down. Comunque, molti feti di madre affetta da s. di Down vengono abortiti spontaneamente. Tutti gli uomini con sindrome di Down sono sterili.

Prognosi L’aspettativa di vita è ridotta a causa della cardiopatia e del rischio aumentato di sviluppare leucemia acuta. Molti individui colpiti sopravvivono fino all’età adulta, ma il processo di invecchiamento sembra essere accelerato, con decesso verso il V o VI decennio di vita.

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Anomalie congenite

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE AUTOSOMICHE Trisomia 18 (Sindrome di Edwards; trisomia E) Disordine cromosomico derivante da un extra cromosoma 18, che produce molte anomalie di sviluppo, incluso un grave ritardo mentale. La trisomia 18 si riscontra in 1/6000 nati vivi, ma molte gravidanze di feti colpiti non vengono portate a termine. Più del 95% dei bambini colpiti presenta una trisomia 18 completa; il 95% degli extracromosomi sono di derivazione materna. L’età materna avanzata aumenta il rischio. Il rapporto maschi-femmine è di 1:3. Il neonato affetto è considerevolmente piccolo per l’età gestazionale e presenta ipotonia e marcata ipoplasia della muscolatura scheletrica e del grasso sottocutaneo. Il pianto è flebile e la risposta ai suoni è ridotta. Dall’anamnesi è possibile rilevare movimenti fetali deboli, polidramnios, placenta piccola e presenza di una singola arteria ombelicale. Le caratteristiche fenotipiche, arcate orbitarie ipoplasiche, rime palpebrali corte, bocca e mandibola piccole, nel loro insieme danno al volto un aspetto emaciato. Sono comuni microcefalia, occipite prominente, orecchie malformate con impianto basso e sterno corto. Di frequente riscontro è il tipico pugno stretto con il dito indice sovrapposto al III e IV dito. Manca la piega distale del V dito ed è presente un tipico aspetto ad arco basso delle creste dermiche delle dita delle mani. Le unghie delle dita sono ipoplasiche, l’alluce è spesso, corto e dorsiflesso. Di comune riscontro sono piedi torti e ricurvi. Inoltre sono frequenti gravi cardiopatie congenite e anomalie dei polmoni, del diaframma, della parete addominale, dei reni e degli ureteri. Altre anomalie possibili sono ernia e/o diastasi dei muscoli retti, criptorchidismo e pliche cutanee ridondanti nella regione posteriore del collo. Raramente i bambini affetti sopravvivono per più di alcuni mesi; meno del 10% è ancora vivo all’età di un anno. Nei bambini che sopravvivono si riscontrano grave ritardo e infermità mentale.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE AUTOSOMICHE Trisomia 13 (Sindrome di Patau; trisomia D) Disordine cromosomico derivante da un extra cromosoma 18, che produce molte anomalie di sviluppo, incluso un grave ritardo mentale. La trisomia del cromosoma 13 si riscontra in circa 1/10000 nati vivi; in circa l’80% dei casi si tratta di trisomie 13 complete. L’età materna avanzata aumenta il rischio e il cromosoma extra è di solito di origine materna. Sono caratteristiche di questa sindrome anomalie della linea mediana. Sono comuni gravi anomalie anatomiche dell’encefalo, specialmente oloprosencefalia (fusione dei lobi frontali dell’encefalo), la labioschisi, la palatoschisi, la microftalmia, i colobomi (fissurazioni) dell’iride e la displasia retinica. Gli archi sopraciliari sono poco profondi e le rime palpebrali sono oblique. Le orecchie hanno un basso impianto e sono malformate. La sordità è comune. I bambini tendono a essere piccoli per l’età gestazionale. Spesso si riscontrano solco scimmiesco, polidattilia e unghie delle dita strette e iperconvesse. Circa l’80% dei casi presenta anomalie cardiovascolari congenite gravi; è frequente la destrocardia. Altri difetti della linea mediana comprendono difetti del cranio e dei seni dermici. Spesso si ritrova un’abbondanza di cute lassa nella regione posteriore del collo. Frequentemente vi sono anomalie dei genitali in ambedue i sessi: nel maschio il criptorchidismo e le malformazioni dello scroto, nella femmina l’utero bicorne. Durante i primi mesi di vita sono frequenti episodi di apnea. Il ritardo mentale è grave. La maggior parte dei bambini (70%) è così gravemente compromessa, che muore entro i primi 6 mesi di vita; meno del 10% sopravvive oltre il primo anno.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE AUTOSOMICHE SINDROMI DA DELEZIONE Sindromi cliniche derivanti dalla perdita di parti di cromosomi. La delezione 5p- (sindrome del grido di gatto), causata dalla delezione del braccio corto del cromosoma 5, è caratterizzata da un pianto di timbro alto, o "miagolio di gatto", udibile nell’immediato periodo neonatale, persistente per diverse settimane e destinato poi a scomparire. I neonati affetti sono di basso peso alla nascita e presentano microcefalia, simmetria facciale e/o tipica faccia a luna piena con ipertelorismo, rima palpebrale antimongolica o obliqua in basso, con o senza epicanto, strabismo e naso a base allargata. Le orecchie sono spesso malformate e con impianto basso; frequentemente presentano un condotto uditivo esterno ristretto con appendici preauricolari. Sono presenti vari gradi di sindattilia. Inoltre si riscontrano spesso malformazioni cardiache. I bambini presentano ipotonia e marcata compromissione dello sviluppo psicomotorio. Molte persone sopravvivono fino all’età adulta ma sono gravemente disabili. La delezione 4p- (sindrome di Wolf-Hirschhorn) determina un grave ritardo mentale. Si possono riscontrare un naso largo o a becco di uccello, difetti della linea mediana del cuoio capelluto, ptosi e colobomi, palatoschisi, ritardo dell’età ossea e, nei maschi, ipospadia e criptorchidismo. La mortalità è molto elevata durante l’infanzia; i rari soggetti che sopravvivono sono a rischio di sviluppare infezioni, epilessia e gravi handicap. La sindromi geniche contigue comprendono microdelezioni e delezioni submicroscopiche dei geni contigui su segmenti particolari di molti cromosomi. Sono individuabili utilizzando sonde fluorescenti e tecniche di allungamento cromosomico. Esempi relativamente comuni sono riportati nella Tab. 261-4. Quasi tutti i casi sono sporadici. Spesso le microdelezioni non possono essere evidenziate con le comuni metodiche citogenetiche, ma la loro presenza può essere confermata da sonde del DNA specifiche per le zone delete. Le delezioni telomeriche (delezioni di entrambe le estremità di un cromosoma) sono responsabili di molti casi non specifici di ritardo mentale con caratteristiche dismorfiche.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI SINDROME DELLA TRIPLA X (47,XXX) Anomalia dei cromosomi sessuali nella quale ci sono tre cromosomi X, con conseguente sviluppo di un fenotipo femminile. Circa 1/1000 femmine apparentemente normali presenta cariotipo 47,XXX. Altre anomalie fisiche sono rare. Talvolta si verificano sterilità e disturbi mestruali. Quando venga fatto il confronto con i fratelli si riscontra un lieve ritardo intellettivo con un QI mediamente poco < 90 e associato a problemi scolastici. L’età materna avanzata aumenta il rischio; l’extra cromosoma X è in genere di origine materna.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI RARE ANOMALIE DEL CROMOSOMA X Anomalia dei cromosomi sessuali nella quale ci sono tre cromosomi X, con conseguente sviluppo di un fenotipo femminile. Sebbene raramente, sono state osservate alcune femmine con cariotipo 48, XXXX e 49,XXXXX. Non esiste un fenotipo costante. Il rischio di ritardo mentale e di malformazioni congenite aumenta in maniera spiccata con l’aumento del numero dei cromosomi X, specialmente quando essi sono > 3. Con molta probabilità lo squilibrio genetico precoce nella vita embrionale, verificatosi prima dell’inattivazione del cromosoma X, può causare uno sviluppo anomalo.

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Anomalie congenite

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 261. ANOMALIE CONGENITE Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI SINDROME 47,XYY (Sindrome di Klinefelter; 47,XXY) Anomalia dei cromosomi sessuali nella quale ci sono due cromosomi Y e un X, con conseguente sviluppo di un fenotipo maschile. La sindrome 47,XYY si riscontra in circa 1/ 1000 maschi. Le persone affette tendono a essere più alte della media con una riduzione da 10 a 15 punti del QI rispetto ai loro familiari. I disturbi fisici sono scarsi, mentre si riscontrano con maggior frequenza disturbi minori del comportamento, iperattività, deficit di attenzione e difficoltà di apprendimento.

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DEL COMPORTAMENTO DISTURBI DI ALIMENTAZIONE Generalmente i genitori dei bambini di età compresa tra i 2 e gli 8 anni si lamentano che il loro bambino non mangia a sufficienza o mangia i cibi inappropriati. Un bambino può rimanere a lungo con il cibo in bocca o rispondere con il vomito ai tentativi di alimentazione forzata. Una riduzione dell’appetito in genere rallenta il normale accrescimento. I genitori vanno istruiti riguardo alle modalità di accrescimento dei bambini piccoli e rassicurati circa l’altezza e il peso attuali del loro bambino. Al momento del pasto, i genitori devono mostrare il minimo coinvolgimento emotivo mettendo il cibo di fronte al bambino; il cibo deve essere tolto dopo 15 o 20 minuti senza fare commenti riguardo a quanto è stato mangiato. Questa tecnica insieme con l’eliminazione delle merende tra i pasti, riesce in genere a bilanciare appetito, quota di cibo introdotta e necessità nutrizionali del bambino. Se si sospetta che il disturbo alimentare sia parte di un atto coercitivo o di ansietà circa la salute del bambino, è necessario raccogliere una anamnesi più dettagliata per individuare il trattamento adeguato (v. Valutazioni, sopra).

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DEL COMPORTAMENTO DISTURBI DEL CONTROLLO SFINTERICO

Sommario: Introduzione ENURESI NOTTURNA Terapia ENCOPRESI E COSTIPAZIONE Terapia

Molti bambini imparano il controllo dell’evacuazione tra i 2 e i 3 anni di età e quello della minzione tra i 3 e i 4. A 5 anni un bambino normale può attendere ai suoi bisogni fisiologici autonomamente. Tuttavia circa il 30% dei bambini di 4 anni e il 10% di quelli di 6 anni non ha raggiunto il controllo notturno. Per prevenire il problema è necessario valutare la prontezza al controllo sfinterico nel bambino piccolo (di solito tra i 18 e i 24 mesi); p. es., il bambino riesce a mantenere il controllo urinario per diverse ore, mostra interesse a sedersi volentieri sul vasetto o chiede di essere cambiato se bagnato e quando è in grado di obbedire a semplici comandi verbali. Controllo degli sfinteri: il metodo del tempo è il più comune approccio per insegnare il controllo sfinterico. Quando si ritiene che il bambino è pronto, lo si fa familiarizzare con il vasetto e lo si fa sedere per poco tempo, vestito, su di esso. Il bambino poi si esercita abbassandosi i pantaloni, sedendosi sul vasetto per 5 o 10 minuti, e rivestendosi. Lo scopo dell’esercizio va spiegato più volte, mentre si attira l’attenzione del bambino ponendo pannolini bagnati o sporchi nel vasetto. Il genitore deve anticipare il bisogno di mingere del bambino e offrire un rinforzo positivo per ogni minzione portata a termine. L’ira o la punizione per un insuccesso o per un incidente sono controproducenti. Comunque, per i bambini con orari imprevedibili, il rinforzo positivo è difficile da attuare e l’addestramento deve essere differito fino a quando il bambino stesso sia in grado di anticipare la minzione. L’esempio con la bambola è il secondo metodo per insegnare il controllo sfinterico. Quando si ritiene che il bambino è pronto, gli viene insegnato passo passo il procedimento, esprimendo un rinforzo positivo nei confronti della bambola, perché resta asciutta e completa con successo i vari passaggi del processo della minzione. Quindi il bambino simula più volte il procedimento con la bambola, assumendo il ruolo del genitore come rinforzo positivo. Infine il bimbo effettua lui stesso i vari passaggi mentre il genitore provvede a lodarlo e a premiarlo. Quando il bambino non si vuole sedere sul vasetto, è opportuno che provi ancora dopo il pasto. Se questa resistenza si prolunga per giorni, la migliore strategia è quella di rimandare l’esercizio di diverse settimane. La modifica del comportamento con una ricompensa offerta per ogni evacuazione riuscita sul vasetto, è stata utilizzata sia nei bambini normali che ritardati. Una volta che il bambino ha imparato, l’elargizione della ricompensa viene gradatamente ridotta, file:///F|/sito/merck/sez19/2622409.html (1 of 4)02/09/2004 2.47.35

Problemi di sviluppo

sino alla completa sospensione. Vanno evitate le prove di forza, in quanto sono estremamente dannose e possono provocare una tensione nel rapporto genitorebambino. Comportamenti ripetitivi tipo pressione-resistenza devono essere trattati come già descritto in precedenza a proposito delle situazioni di circolo vizioso.

ENURESI NOTTURNA (Bagnare il letto) (v. anche Cap. 215.) L’enuresi notturna, a un’età in cui il controllo volontario degli sfinteri dovrebbe essere raggiunto, colpisce il 30% dei bambini a 4 anni, il 10% all’età di 6 anni, il 3% all’età di 12 e l’1% all’età di 18. È più comune nei maschi, sembra essere familiare e talvolta si associa a disturbi del sonno (v. sopra). L’enuresi costituisce solamente un ritardo della maturazione sfinterica, che si risolve nel tempo. Solamente l’1-2% dei casi presenta un’eziologia organica, di solito una IVU. Cause rare, come anomalie congenite, disordini dei nervi sacrali, diabete mellito o insipido, o masse pelviche, possono essere escluse con un’attenta anamnesi, con l’esame obiettivo, con l’esame delle urine e con l’urinocoltura. Risultati patologici possono indicare la necessità di ECO renale, di un’esame urografico EV con cistouretrografia, di un consulto urologico o di altro tipo. L’enuresi è occasionalmente causata da una psicopatologia individuale o familiare di media o discreta gravità, richiedendo in questi casi un intervento di tipo psicologico. L’enuresi secondaria, in cui viene perso il controllo sfinterico, già acquisito in precedenza, durante il sonno, solitamente è dovuta a un evento o a una condizione psicologicamente stressante. La probabilità di un’eziologia organica (p. es., IVU, diabete mellito) è maggiore rispetto all’enuresi notturna primaria.

Terapia Considerata la frequenza, relativamente elevata, di risoluzione spontanea del disturbo, fino ai 6 anni si può soprassedere al trattamento. Dopo i 6 anni, il tasso di risoluzione spontanea si riduce al 15%, di conseguenza altri fattori (p. es., imbarazzo) indicano il trattamento. La psicoterapia motivazionale è il tipo di approccio più comune. Il bambino assume un ruolo attivo urinando prima di coricarsi, registrando le notti asciutte e quelle bagnate, cambiandosi da solo gli indumenti e la biancheria del letto quando sono bagnati, e parlando egli stesso al medico. Il bambino non deve assumere liquidi da 2 o 3 h prima di coricarsi. Il rinforzo positivo viene dato per le notti asciutte (p. es., premi adeguati all’età). Si deve rassicurare il bambino sull’eziologia e sulla prognosi dell’enuresi, in modo da eliminare la vergogna e il senso di colpa. I dispositivi sonori di allarme per l’enuresi si sono dimostrati il trattamento più efficace. Due ricerche, condotte su soggetti di età compresa tra 5 e 15 aa hanno riportato una percentuale di successo del 70%, con una percentuale di recidiva limitata al 10-15%. Questi dispositivi di allarme sono facili da usare, non costano eccessivamente, e vengono innescati dalle prime gocce di urina. Lo svantaggio è costituito dal tempo necessario per ottenere un successo completo. Nelle prime settimane, il bambino si sveglierà dopo aver svuotato la vescica; nelle settimane successive progressivamente si otterrà una inibizione parziale della minzione e, alla fine, il bambino si sveglierà con un riflesso condizionato in risposta alle contrazioni vescicali, prima che la minzione avvenga. Dopo l’ultimo episodio di enuresi, si deve continuare a usare il dispositivo per altre 3 settimane. A causa degli effetti collaterali, della sua potenziale letalità, dopo ingestione file:///F|/sito/merck/sez19/2622409.html (2 of 4)02/09/2004 2.47.35

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accidentale, e del successo più duraturo degli allarmi sonori, l’imipramina non è più considerata il trattamento di scelta dell’enuresi. Se gli altri trattamenti falliscono e la famiglia è molto favorevole al suo uso, si può utilizzare l’imipramina (10-25 mg PO prima di coricarsi, incrementando la dose di 25 mg settimanalmente fino a un massimo di 50 mg nei soggetti da 6 a 12 aa e 75 mg in quelli > 12 aa). Se l’imipramina è efficace, solitamente si ha una risposta nella prima settimana di trattamento, fatto questo vantaggioso, specialmente se per la famiglia del bambino è importante ottenere rapidamente una risposta. In un paziente senza enuresi da 1 mese, il farmaco va gradualmente diminuito entro 24 sett. e poi interrotto. Per l’elevata frequenza delle recidive, la percentuale di guarigione a lungo termine si riduce al 25% dei casi. Se si verifica una recidiva, va tentato un ciclo di terapia che duri 3 mesi. Durante la terapia è opportuno controllare l’emocromo ogni 2-4 sett. per rilevare una rara complicanza rappresentata dall’agranulocitosi. In alcuni bambini di età 6 anni con episodi frequenti di enuresi notturna, si è dimostrata efficace, usata per tempi brevi (da 4 a 6 sett), la desmopressina acetato spray nasale (contenente un analogo sintetico di ormone antidiuretico). Il dosaggio iniziale raccomandato è una spruzzata per narice (totale, 20 µg) prima di coricarsi. Se questa dose risulta efficace può, talvolta, essere ridotta a una sola spruzzata (10 µg); se invece è inefficace può essere incrementata fino a due spruzzate per ogni narice (totale 40 µg). Le reazioni avverse sono rare, specialmente alle dosi raccomandate, e possono includere mal di testa, nausea, congestione nasale, epistassi, faringodinia, tosse, arrossamento e lievi crampi addominali.

ENCOPRESI E COSTIPAZIONE L’encopresi (incontinenza fecale in assenza di difetti organici o malattie) si verifica in circa il 17% dei bambini di 3 anni e nell’1% di quelli di 4. La causa in genere è la resistenza all’educazione al controllo degli sfinteri, ma talvolta è rappresentata da una incontinenza fecale dovuta a stipsi cronica. La costipazione è caratterizzata dal passaggio difficoltoso e infrequente delle feci, dalla durezza delle feci o da una sensazione di evacuazione incompleta. Le altre cause di stipsi comprendono eccessiva ritenzione delle feci, dovuto al timore di andare in bagno, resistenza all’educazione al controllo degli sfinteri, ragade anale, anomalie congenite, p. es., lesioni del midollo spinale, imperforazione anale (dopo la correzione chirurgica) e anomalie collegate, malattia di Hirschsprung (v. la voce Anomalie Gastrointestinali nel Cap. 261), ipotiroidismo, malnutrizione, paralisi cerebrale e disturbi psicopatologici nel bambino o nei familiari.

Terapia Le tappe iniziali prevedono: istruire i genitori e il bambino sulla fisiologia della encopresi o costipazione cronica, consigliare ai genitori di non rimproverare il bambino, che non può controllare i movimenti intestinali, e di arginare le reazioni emotive di coloro che sono coinvolti. Si deve utilizzare la radiografia dell’addome per documentare la presenza di un eccessiva massa fecale. Se i dati anamnestici e l’esame fisico orientano verso la diagnosi specifica della malattia, si devono eseguire clisteri intestinali, per garantire la regolarità delle evacuazioni. Il trattamento iniziale prevede da uno a quattro cicli del seguente schema: 1o giorno clistere di ipofosfato per adulti (2 alla volta se il bambino ha 7 anni); 2o giorno supposta di bisacodile (10 mg) per via rettale; 3o giorno capsula di bisacolide (5 mg) PO. Per valutare l’efficacia del trattamento è utile eseguire una rx addome di controllo. Il trattamento successivo (mantenimento) prevede la somministrazione di complessi multivitaminici (2/die) associati a olio minerale leggero, a dosi di 15-30 ml PO bid per 4-6 mesi (o più, se è necessario

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mantenere un’evacuazione quotidiana). Sono necessari complessi multivitaminici extra, in quanto l’olio minerale interferisce con l’assorbimento delle vitamine. (Nota: evitare l’olio minerale nei lattanti e nei soggetti debilitati per il rischio di inalazione.) È necessario offrire una dieta ricca di fibre, senza forzare il bambino a ingerirla. Inoltre, al momento opportuno e per non più di 10 min, bid, il bambino deve essere messo seduto sul water (preferibilmente dopo i pasti). Se necessario, dopo il trattamento iniziale, nei casi gravi si possono somministrare lassativi per bocca (p. es., senna, 5-10 ml/die) per 2-3 sett, poi a giorni alterni per 1 mese. Sono frequenti le ricadute che, se identificate precocemente, vanno trattate con lassativi per via orale per 1-2 sett. L’olio minerale viene eliminato gradualmente, dopo 4-6 mesi di svuotamento intestinale regolare. Se lo schema fallisce, sono indicate ulteriori valutazioni riguardo la dieta e la peristalsi intestinale.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ANSIA DI SEPARAZIONE Dagli 8 ai 18-24 mesi, è normale che il bambino pianga quando il genitore lascia la stanza o si avvicina un estraneo. L’entità di questo comportamento è variabile. Alcuni genitori, specialmente con il loro primo figlio, sospettano la presenza di un disturbo emotivo e rispondono diventando protettivi ed evitando le separazioni e le situazioni nuove. Un genitore (più spesso il padre), pensando che il bambino è viziato, può cercare di modificare il comportamento del figlio rimproverandolo e punendolo. Per prevenire queste reazioni, è necessario che il medico esponga ai genitori la possibilità di comparsa di questo comportamento durante la visita di controllo dei 6 mesi. Ai controlli successivi, il medico deve rivalutare la risposta dei genitori al comportamento e ovviare a un’impropria gestione del problema (cioè, la risposta del genitore aumenta lo stress del bambino, portando a una situazione di circolo vizioso), offrendo soluzioni specifiche. Inoltre può essere necessaria una valutazione più approfondita. Una separazione prevista e necessaria del bambino dal genitore (p. es., nel trattamento chirurgico elettivo) va effettuata preferibilmente a un’età inferiore ai 6 mesi o superiore ai 3 anni.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DEL COMPORTAMENTO PAURE E FOBIE La paura del buio, dei mostri, degli insetti e dei ragni è di frequente riscontro all’età di 3-4 anni, mentre la paura della morte o di ferirsi è comune nei bambini più grandi. Le storie paurose, i film o gli spettacoli televisivi spesso possono turbare i bambini e intensificare le loro paure. Le affermazioni fatte dai genitori in momenti di collera o di burla possono essere interpretate alla lettera dai bambini in età prescolare e possono causare inquietudine. Un bambino inizialmente timido può reagire a situazioni nuove con la paura o l’isolamento; tuttavia si adatterà senza difficoltà se rassicurato e posto ripetutamente di fronte a nuove esperienze, senza pressioni. Le fobie inducono uno stato d’ansia persistente, irreale, ma intensa, nel reagire a stimoli o a situazioni esterne. Le paure tipiche di alcune fasi di sviluppo, devono essere differenziate da quelle connesse a tensioni familiari o a conflitti interiori (fobie). Se la fobia è intensa, sproporzionata al potenziale danno ad essa connesso, e interferisce con l’attività del bambino o se il bimbo non risponde positivamente alle semplici rassicurazioni, è allora necessario consultare uno psichiatra. Fobia della scuola: i bambini di 6 e 7 anni possono rifiutarsi di andare a scuola o accusare nausea, vomito o altri sintomi che possano giustificare il rimanere a casa. Il bambino può reagire così per paura della severità o dei rimproveri dell’insegnante o il timore dei dispetti dei compagni. Più spesso il bambino presenta un comportamento di dipendenza e influenzabile a causa di un genitore iperprotettivo, mostrando attraverso la fobia della scuola una forma di ansia da separazione. La fobia della scuola nei bambini da 10 a 14 anni indica una psicopatologia più grave, che richiede la valutazione e il trattamento psichiatrico. Se si individua l’ansia di separazione come base del problema, non è necessario eseguire test costosi, fuorvianti e talvolta dolorosi, per ricercare una malattia organica. Nei bambini più piccoli è necessario l’immediato ritorno a scuola, per ovviare a cadute nel rendimento scolastico. In base alla situazione familiare, possono essere indicati qualche minimo intervento terapeutico o il riferimento a professionisti della salute mentale. Le ricadute si possono verificare a seguito di periodi di vacanza o di malattia. Per il preadolescente o il giovane adolescente, l’immediato rientro a scuola non è così urgente, e il trattamento si basa sui risultati di una dettagliata valutazione di salute mentale.

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DEL COMPORTAMENTO IPERATTIVITA' L’ipercinesia non è facilmente definibile, in quanto l’affermazione che un bambino è iperattivo spesso riflette il livello di tolleranza di chi viene disturbato dal suo comportamento. Tuttavia molti bambini particolarmente attivi, con capacità attentive inferiori rispetto alla media, possono creare problemi di gestione. L’ipercinesia può derivare da svariate cause sottostanti (p. es., disordini emozionali, disfunzioni del SNC, una componente genetica) o può essere l’esasperazione di un temperamento normale. A 2 anni i bambini sono di solito attivi e raramente stanno fermi; a 4 anni è comune un’attività intensa e rumorosa. Questi comportamenti sono correlati con lo stadio di sviluppo in atto, ma frequentemente portano a conflitti fra genitori e figli e causano apprensione nei genitori. Un comportamento estremamente iperattivo associato a disturbi motori, percettivi o psicologici è patologico e merita valutazioni più approfondite (v. Disturbi dell’attenzione, oltre). Gli adulti di frequente tentano di contenere l’ipercinesia con rimproveri e punizioni, ma queste soluzioni generalmente provocano l’effetto contrario. Può essere utile invece non richiedere al bambino di restare seduto a lungo o trovare nella scuola un insegnante esperto nel trattare i bambini ipercinetici.

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DI APPRENDIMENTO Impossibilità di acquisire, trattenere o generalizzare attitudini specifiche o di fissare delle informazioni a causa di deficit di attenzione, memoria, percezione o ragionamento.

Sommario: Introduzione Epidemiologia ed eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

I disturbi di apprendimento comprendono problemi cognitivi nelle acquisizioni del vivere quotidiano, nelle attitudini sociali, nelle capacità linguistiche (di comunicazione), e scolastiche. L’incapacità di apprendimento è un problema specifico, che presuppone abilità cognitive normali, compromettendo specificatamente la lettura (p. es., dislessia), l’aritmetica (p. es., discalculia), la sillabazione, l’espressione scritta o la scrittura (disgrafia) e nel capire e/o utilizzare le capacità verbali e non verbali (p. es., disfasia, espressione linguistica) . Il deficit di attenzione è un disturbo collegato ma distinto dall’incapacità di apprendimento (v. oltre).

Epidemiologia ed eziologia Sebbene non si conosca un numero preciso di studenti con disturbi di apprendimento, è noto che circa il 3-15% della popolazione scolastica degli Stati Uniti necessita di particolari servizi educativi. I maschi ne sono colpiti maggiormente rispetto alle femmine, con rapporto di 5:1. Non è stata individuata una singola causa di disturbi di apprendimento; comunque, spesso deficit neurologici di base sono evidenti o molto sospetti. Sono spesso chiamate in causa anche dell’influenze genetiche. Altri possibili fattori causali comprendono malattie materne o l’uso di farmaci ototossici durante la gravidanza, complicanze durante la gravidanza e il parto (p. es., minaccie di aborto, tossiemia gravidica, travaglio prolungato, parto precipitoso) e problemi neonatali (p. es., la prematurità, il basso peso neonatale, l’ittero, l’asfissia perinatale, la postmaturità, il distress respiratorio).

Sintomi e segni I segni fisici e comportamentali si possono manifestare a qualsiasi età, p. es.,

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bambini con disturbi di apprendimento spesso presentano diverse anomalie fisiche minori e disturbi di comunicazione. Comunque, disturbi di apprendimento lievi o moderati, generalmente, non vengono individuati fino all’età scolare, quando il bambino è costretto a fronteggiarsi con il rigore dell’apprendimento scolastico. La maggior parte dei bambini con disturbi di apprendimento presenta disturbi neurologici o ritardo di sviluppo neurologico; spesso mostra disturbi della motilità spontanea o della coordinazione motoria. I disturbi precoci di apprendimento vengono in genere individuati principalmente per un’incapacità nell’apprendimento associativo (p. es., nominare i colori, etichettare, contare, nominare le lettere). I disturbi o i ritardi nell’espressione linguistica o nella comprensione sono segni predittivi di disturbi potenziali in periodi successivi a quello prescolastico. Altri segni precoci di incapacità di apprendimento sono tempi brevi di attenzione, irrequietezza motoria, facile distraibilità, limitata scorrevolezza verbale, disturbi nella percezione e produzione dei discorsi, scarsa memoria, disturbi della motilità fine (p. es., difficoltà nello scrivere in stampatello o nel copiare) e variabilità nel tempo delle capacità del comportamento. I disturbi comportamentali includono difficoltà nel controllo degli impulsi, comportamenti privi di un preciso scopo o iperattività, problemi disciplinari, comportamenti di evitamento o di isolamento, timidezza, paura eccessiva e aggressività. I disturbi cognitivi (cioè, nel pensiero, nel ragionamento e nella risoluzione dei problemi) sono caratteristici disturbi di apprendimento. Sebbene i processi cognitivi di base e le capacità di apprendimento dipendono dall’età e variano con le capacità cognitive (QI), la maggior parte dei disturbi di apprendimento è intrinsecamente correlata a deficit delle funzioni cerebrali e delle relazioni tra le differenti funzioni cognitive. Si possono riscontrare disturbi del ragionamento, come problemi di concettualizzazione, astrazione, generalizzazione e organizzazione/pianificazione delle informazioni per la risoluzione dei problemi. Si possono riscontrare disturbi della percezione visiva e uditiva, incluse difficoltà di cognizione dello spazio, difficoltà di orientamento (p. es., localizzazione degli oggetti, memoria spaziale, consapevolezza della posizione e dello spazio), difficoltà di attenzione visiva, di memoria e di discriminazione e analisi dei suoni. Le funzioni della memoria, comprendenti la memoria a breve e a lungo termine, le strategie mnemoniche (ripetizione), il ricordo e il recupero delle parole possono essere compromesse I sottotipi dei disturbi di apprendimento vanno dall’incapacità linguistica generale con difficoltà nella comprensione e nell’uso del linguaggio parlato e scritto, a incapacità specifiche come la disnomia (p. es., richiamare alla memoria parole e informazioni a richiesta) e i disordini visuospaziali non verbali. Altri sottotipi comprendono i problemi di lettura (p. es., dislessia fonologica [analisi e ricordo dei suoni]e di superficie [riconoscimento visivo della forma e della struttura delle parole]) e di calcolo (p. es., acalculia [disturbo nella formazione dei concetti di base e incapacità ad acquisire l’abilità di calcolo]e ageometria [problemi dovuti a disturbi nel ragionamento matematico]). Possono, inoltre, esistere sottotipi aggiuntivi; comunque, quasi tutti i disturbi dell’apprendimento sono complessi o misti, associati ad altri disturbi determinati da deficit in più di un sistema.

Diagnosi Sono necessarie valutazioni mediche, intellettive, educative, linguistiche e psicologiche, al fine di determinare deficit o discrepanze tra le capacità e i processi cognitivi come attenzione, percezione, memoria, e ragionamento. Sono inoltre necessarie valutazioni del comportamento sociale ed emozionale, al fine di pianificare il trattamento e monitorizzare i progressi. file:///F|/sito/merck/sez19/2622413b.html (2 of 4)02/09/2004 2.47.40

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La valutazione medica comprende una anamnesi familiare dettagliata, i precedenti medici, scolastici e dello sviluppo del bambino, un esame obiettivo generale e un esame neurologico tradizionale e dello sviluppo neuropsicologico (v. anche Cap. 165). Il livello di sviluppo nei bambini più piccoli deve essere valutato secondo criteri standardizzati. La valutazione intellettiva include i test di intelligenza verbali e non. Spesso è necessario effettuare uno studio generale delle funzioni neuropsicologiche per valutare le modalità preferenziali con cui il bambino elabora le informazioni (p. es., olisticamente o analiticamente, visualmente o uditivamente) e le funzioni dell’emisfero sinistro e destro; i bambini con problemi di linguaggio, di lettura e di apprendimento generalizzato tendono ad avere maggiori difficoltà con le funzioni controllate dall’emisfero sinistro. Le valutazioni educative evidenziano la capacità e la difficoltà nel leggere, scrivere, pronunciare e nelle capacità aritmetiche. Le valutazioni di lettura misurano la capacità di decodificare e di riconoscere le parole, di comprendere i passaggi e di leggere fluentemente. I compiti scritti sono utili per valutare la composizione delle parole, la sintassi e la scorrevolezza delle idee. La capacità aritmetica va attribuita sulla base della abilità di calcolo, della conoscenza delle operazioni e della comprensione dei concetti matematici. Le valutazioni linguistiche stabiliscono l’integrità della comprensione del linguaggio, del processo fonologico e della memoria verbale. La valutazione psicologica identifica i disturbi della condotta, la scarsa autostima, i disordini ansiogeni e le depressioni della prima fanciullezza, che di frequente accompagnano i disturbi dell’apprendimento. Bisogna valutare l’attitudine del bambino verso la scuola, le sue motivazioni, le relazioni con i suoi compagni e la fiducia in sé stesso.

Terapia Nei centri di trattamento il disturbo viene affrontato dal punto di vista educativo mediante terapia medica, comportamentale e psicologica. La valutazione diagnostica (come descritto sopra) aiuta a classificare il disturbo del bambino e a determinare il programma di insegnamento più efficace, per fornire un approccio riparatore, di compenso o strategico (insegnando al bambino come imparare). Tale valutazione è di fondamentale importanza, in quanto un metodo educativo sbagliato può aggravare il disturbo di apprendimento in maniera globale o specifica. Molti bambini richiedono programmi educativi specialistici in un solo campo, continuando a frequentare regolarmente la propria classe. Altri invece necessitano di programmi educativi individuali e intensivi. Sarebbe preferibile far partecipare per il maggior tempo possibile questi bambini alle classi regolari. Molti rimedi usati per i disturbi di apprendimento (p. es., eliminare gli additivi dal cibo, usare antiossidanti o megadosi di vitamine) non si sono dimostrati efficaci. Allo stesso modo, i farmaci hanno effetti minimi sui successi scolastici, sull’intelligenza e sulle capacità generali di apprendimento, sebbene alcuni (p. es., gli psicostimolanti) possano aumentare l’attenzione, la concentrazione, consentendo al bambino di rispondere meglio ai programmi educativi (v. Disturbi dell’attenzione, oltre). Sono ancora dibattute e non ampiamente provate alcune terapie come la stimolazione sensoriale e il movimento passivo, la terapia integrata neurosensoriale attraverso esercizi posturali, l’esercizio dei nervi acustici per ripristinare i processi visuopercettivi e la coordinazione sensomotoria.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO DISTURBI DI APPRENDIMENTO DISLESSIA Disturbo specifico della lettura nel decodificare la singola parola, di solito dovuto a disturbi congeniti del processo fonologico o nella comprensione dei fonemi.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia ed eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Sono contemporaneamente interessate forme differenti di linguaggio scritto, come pronuncia, scorrevolezza (velocità e accuratezza) e comprensione della lettura. I dislessici non hanno difficoltà nel capire il linguaggio parlato. Nessuna definizione di dislessia è universalmente accettata e la sua incidenza reale non è nota. Si stima che circa il 15% dei bambini delle scuole pubbliche riceve istruzione particolare per disturbi di lettura e di questi una percentuale compresa tra il 3 e il 5% probabilmente è affetta da dislessia. La dislessia non è legata al sesso, sebbene interessi con maggior frequenza i maschi delle femmine. I bambini con disturbi di lettura, più che dislessia vera e proprio, possono presentare disturbi nell’apprendimento delle parole. Comunque, i loro disturbi di solito dipendono dalla difficoltà nella comprensione del linguaggio sia scritto che parlato o da ridotte capacità cognitive.

Fisiopatologia ed eziologia I disturbi del processo fonologico o il deficit nella comprensione dei fonemi determinano deficit nella discriminazione, fusione, memoria e analisi dei suoni. Spesso vi contribuiscono disturbi nella memoria uditiva, nella percezione dei discorsi e nel nominare o trovare le parole. L’incapacità a imparare regole derivate dal linguaggio scritto è spesso considerata parte della dislessia. Per esempio, i bambini colpiti possono avere difficoltà nell’individuare le parole base o la radice delle parole o quali lettere nella parole seguono le altre e formano specifiche associazioni suono-simbolo, tipo modelli vocali, sillabe e termine delle parole. La dislessia si considera determinata da fattori cerebrali intrinseci, ma non se ne conoscono le cause sottostanti. È stata individuata una forte componente genetica nella dislessia, infatti questo disturbo tende a ricorrere all’interno di nuclei familiari. Sono stati collegati alla dislessia gli accidenti cerebrovascolari, la prematurità e le complicanze intrauterine. L’alessia, in cui l’incapacità di leggere è quasi completa, può anche originare da un insulto diretto o da un trauma file:///F|/sito/merck/sez19/2622415.html (1 of 4)02/09/2004 2.47.41

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cerebrale. La dislessia deriva principalmente da una specifica disfunzione corticale, determinata da anomalie dello sviluppo neurologico. Si sospetta la presenza di lesioni che colpiscono l’integrità o l’interazione delle specifiche funzioni cerebrali. Sono stati ipotizzati anche l’asimmetria dell’emisfero sinistro e destro, la scarsità di neuroni e un’emisfero temporale sinistro troppo piccolo. La maggior parte dei ricercatori concorda nel ritenere che la dislessia sia da riferire all’emisfero sinistro e sia associata a carenze o disfunzioni delle aree cerebrali responsabili delle associazioni verbali (area di Wernicke) e della produzione dei suoni e del linguaggio (area di Broca) e della loro interconnessione attraverso il fascicolo arcuato. Disfunzioni o carenze del giro angolare, nell’area occipitale mediana del cervello e nell’emisfero destro sembrano produrre problemi nel riconoscimento delle parole. Sono anche state chiamate in causa, ma non ancora provate disfunzioni all’interno del cervelletto o tra questo e il sistema vestibolare. I deficit di sviluppo non linguistico quali i problemi visuo-percettivi non sono più considerati da tempo fattori primari per la dislessia. Comunque, i disturbi del processo visivo possono interferire con l’apprendimento delle parole. Sono stati coinvolti eventuali disturbi della memoria visiva per i dettagli e lentezza del processo visivo. Recentemente è stato ipotizzato un disturbo specifico della visione dovuto a un deficit nel sistema magnocellulare. Sono stati anche coinvolti, ma non provati, disturbi dei movimenti oculari. Comunque, non sussistono evidenze forti per distinguere un sottotipo di dislessia su base visiva.

Sintomi e segni La maggior parte dei dislessici non viene individuata fino all’asilo o alla prima classe elementare, quando inizia l’apprendimento simbolico. Tuttavia, la dislessia si presenta nei bambini di età prescolare con un ritardo nella produzione del linguaggio, problemi di articolazione delle parole e difficoltà nel ricordare i nomi delle lettere, dei numeri e dei colori, in particolare nei bambini con anamnesi familiare positiva per problemi di lettura e di apprendimento. I bambini con problemi del processo fonologico presentano spesso difficoltà a comporre i suoni, a segmentare le parole, a identificare le posizioni dei suoni all’interno delle parole, a dividere le parole in elementi pronunciabili e a invertire l’ordine dei suoni nelle parole. Il ritardo o l’esitazione nella scelta delle parole (difficoltà a trovare la parola giusta), nella sostituzione delle parole o nel nominare lettere o immagini sono spesso segno precoce di dislessia. Sono frequenti disturbi della memoria uditiva a breve termine e delle sequenze uditive. Molti dislessici confondono le lettere e le parole di simile configurazione o hanno difficoltà a selezionare visivamente o a individuare pattern di lettere e gruppi (associazione suono-simbolo) all’interno delle parole. Inversioni o confusioni visive tendono a verificarsi frequentemente nel corso dei primi anni della scuola elementare. Comunque, molti errori di lettura e scrittura si verificano per problemi di ritenzione o recupero, cosa che comporta nel dislessico dimenticanza o confusione dei nomi delle lettere e delle parole, con strutture simili; di conseguenza, d diventa b, m diventa w, h diventa n, was diventa saw, on diventa no.

Diagnosi Devono essere valutati gli scolari con storia di ritardo di acquisizione e uso del linguaggio, che non migliorano nell’apprendimento delle parole a metà o alla fine delle prime classi elementari o che non leggono come previsto per il loro livello di capacità verbali o intellettive di qualunque grado. Spesso, il migliore indice diagnostico è l’incapacità dello scolaro a reagire agli approcci tradizionali e tipici alla lettura durante il primo periodo della scuola elementare. L’immaturità o l’incapacità a prestare attenzione in maniera prolungata, a osservare selettivamente i particolari, ad apprendere in maniera comparativa (p. es., file:///F|/sito/merck/sez19/2622415.html (2 of 4)02/09/2004 2.47.41

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associazione di suoni e simboli) e ad analizzare i suoni, è spesso confuso con un disturbo del processo fonologico. Un atteggiamento attendistico non è consigliabile se si manifestano elementi e segni precoci di dislessia (v. sopra) e se esiste una storia familiare. Poiché dislessia non significa semplicemente "difficoltà di lettura", gli scolari che manifestano problemi precoci nell’apprendimento delle parole necessitano di una valutazione linguistica, uditiva e cognitiva della lettura. L’obiettivo è individuare problemi sottostanti (la dimostrazione di disordini del processo fonologico è essenziale per la diagnosi) e fornire al bambino il più efficace approccio educativo. Le valutazioni delle capacità di lettura devono evidenziare gli errori nel riconoscimento delle forme. Un test completo valuta il riconoscimento e l’analisi delle parole, la fluidità (correttezza e rapidità nel riconoscimento delle parole e nella lettura di un passo) e la comprensione della lettura e dell’ascolto. Le tecniche di decifrazione vengono esaminate valutando la capacità dello scolaro di nominare i suoni delle lettere e le combinazioni suono-simbolo, di frammentare le parole negli elementi pronunciabili e di integrare i suoni per formare parole. Le valutazioni di lettura devono inoltre indirizzarsi verso la comprensione del vocabolario, la conoscenza delle parole, il significato delle tecniche di pensiero e di ragionamento e la conoscenza da parte dello scolaro del processo di lettura. Le valutazioni linguistiche e uditive indagano il linguaggio parlato e le deficienze fonologiche, che sono indipendenti dal livello intellettivo e consistono nel deficit di elementi sonori (fonemi) del linguaggio parlato. Vengono anche valutate le funzioni ricettive ed espressive del linguaggio. Controllare le abilità cognitive, p. es., l’attenzione, la memoria e il ragionamento, è essenziale per una diagnosi specifica. Le valutazioni psicologiche sono in genere necessarie per evidenziare i problemi dell’affettività ed escludere disturbi psichiatrici, che possono entrambi esacerbare i disordini di lettura. È necessaria una completa conoscenza dei precedenti familiari di disordini psicologici. Inoltre devono essere effettuati un controllo oculistico (rifrazione) e uditivo (acuità). Per quanto la maggior parte delle valutazioni pediatriche e neurologiche sia insufficiente per la diagnosi, spesso si evidenziano altri segni come immaturità di sviluppo neurologico o anomalie neurologiche; di conseguenza con la valutazione neurologica si possono escludere eventuali altri disturbi (p. es., convulsioni). Dallo studio dei profili emersi dai test psicologici e dall’associazione di gruppi di errori, recentemente sono stati individuati sottogruppi di dislessie. I sottogruppi consentono di suddividere gli studenti con disturbi di lettura in due gruppi distinti, che riflettono differenti disfunzioni a carico del SNC (v. Tab. 262-4). Inoltre si può forse migliorare l’efficacia del trattamento utilizzando approcci specifici per ognuno di essi.

Prognosi e terapia Imparare a leggere è un’attività complessa che associa il riconoscimento delle parole con la comprensione di una parola e di una sequenza. L’insegnamento al riconoscimento delle parole può essere diretto o indiretto. L’insegnamento diretto è esplicito (p. es. l’insegnamento di meccanismi fonici specifici separatamente da altri metodi di lettura). L’insegnamento indiretto è implicito (p. es., integrazione, come materiale supplementare, delle capacità foniche nei programmi di lettura). L’insegnamento della lettura è stato anche suddiviso in una tecnica cosidetta "dall’alto in basso" (insegnando a leggere a partire dalla parola completa o dall’approccio completo al linguaggio) o "dal basso in alto" (insegnando a leggere seguendo una gradualità gerarchica dal singolo suono, alla parola, alla frase). Le istruzioni iniziali per il dislessico sono file:///F|/sito/merck/sez19/2622415.html (3 of 4)02/09/2004 2.47.41

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dirette e di tipo dall’alto verso il basso e devono insistere sulle capacità di decifrazione e di analisi delle parole seguendo il sistema alfabetico-fonico. Sono chiamati in causa approcci multisensoriali che comprendono l’apprendimento della parola completa basato sulla fonetica e i processi di integrazione visiva, uditiva e tattile per insegnare i suoni, le parole e le frasi. Non sono indicati programmi specifici di fonetica, di lettura di base e di linguaggio. L’insegnamento di tecniche combinatorie consiste nel far esercitare gli scolari a unire i suoni per formare le parole, a dividere le parole in parti più piccole e a identificare la posizione dei suoni nelle parole. Insegnare agli scolari come identificare l’idea principale, rispondere alle domande, isolare fatti e dettagli e leggere deduttivamente sono esempi di tecniche combinatorie per la comprensione della lettura. Le terapie indirette sostituiscono o si aggiungono all’insegnamento della lettura, ma in genere non riguardano l’insegnamento al riconoscimento e alla decifrazione delle parole o alla comprensione della lettura. Ne sono un’esempio esercizi optometrici (p. es., terapia visiva, lenti colorate, lenti meno-più), disegno, esercizi percettivi, esercizi di integrazione uditiva, biofeedback, terapia di integrazione neurosensoriale, e chinesiologia applicata. La maggior parte delle terapie indirette non è stata scientificamente comprovata e di conseguenza non può essere raccomandata. Sono state anche proposte terapie farmacologiche, anch’esse non convalidate. Per esempio, l’uso di antiistaminici e di farmaci per l’attività motoria si basa su una teoria che intende stabilizzare alcune funzioni cerebrali, che possono perturbare le funzioni vestibolari viso-uditive. È stato anche indagato l’uso del piracetam, a causa della sua supposta capacità di migliorare alcune funzioni cognitive superiori. Molti dislessici possono sviluppare tecniche di lettura funzionale mediante l’insegnamento diretto, sebbene la dislessia sia un problema cronico e molti dislessici non raggiungeranno mai un grado di istruzione completa. Approcci supplementari come nastri registrati, lettori e scrivani sono usati per migliorare l’apprendimento nel dislessico nella scuola superiore. Alcune persone con determinati disturbi di lettura possono superare un problema a esordio precoce, se la causa è un ritardo maturativo, mentre altre, con disturbi del linguaggio o deficit cognitivi, non riescono a superare questi problemi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 262-4. SOTTOTIPI SPECIFICI DI DISLESSIA /b> Sottotipo

Deficit primario (i)

Fonologica

Decodifica della parola e processo fonologico

Profonda (duplice)

Decodifica della parola, processo fonologico e recupero

Di superficie

Apprendimento di tutta la parola

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Problemi di sviluppo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 262. PROBLEMI DI SVILUPPO RITARDO MENTALE Un quoziente intellettivo significativamente basso (QI da < 70 a 75) con conseguenti limitazioni in una o più delle seguenti attività: comunicazione, cura di sé, autosufficienza, abilità sociali, compiti nella comunità, autocontrollo, salute e sicurezza, attività scolastica, tempo libero e lavoro.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Prognosi e terapia

Nel 1992, l’Associazione Americana per il Ritardo Mentale ha cambiato la definizione di ritardo mentale che possa meglio riflettere, nel caso di persona con funzioni intelletive limitate, l’adattamento all’ambiente e l’interazione con gli altri. La classificazione del RM basata sul solo QI (lieve da 52 a 68; moderato da 36 a 51; grave da 20 a 35; gravissimo, < 20) è stata sostituita da quella basata sul livello di sostegno richiesto dall’individuo con RM (v. Tab. 262-5). Il nuovo approccio focalizza l’attenzione sui punti di forza e sulle debolezzedell’individuo, correlandole alle richieste e alle attitudini della famiglia e della comunità. Circa il 3% dell’intera popolazione presenta un valore di QI inferiore a 2 deviazioni standard rispetto a quello medio riscontrato nella popolazione generale p. es., con un QI compreso tra 70 e 75. Le forme meno gravi di ritardo mentale (che richiedono supporto limitato o intermittente) si riscontrano spesso nelle classi socio-economiche più basse, mentre le forme più gravi si riscontrano in tutte le classi socio-economiche e nelle famiglie con qualsiasi livello di istruzione. Un bambino che presenta un apprendimento lento viene raramente individuato prima dell’ingresso nella scuola, momento in cui si rendono evidenti i problemi educativi e comportamentali. Circa il 14% dei bambini testati in età scolastica necessita di un sostegno educativo intermittente. Prima di lasciare la scuola, molti si inseriscono nella popolazione normale e possono mantenersi autonomamente, se trovano un lavoro che richiede solamente conoscenze intellettive di base e manualità.

Eziologia L’intelligenza viene determinata da fattori genetici multipli e da fattori ambientali, e l’effetto di entrambi può essere indistinguibile. Quando entrambi i genitori sono ritardati, il 40% della loro prole presenta ritardo mentale; quando 1 genitore è ritardato, il 20% della prole è ritardata. La percentuale di prole ritardata può essere modificata da un intervento precoce (v. Prevenzione, oltre). Nel 60-80% dei casi, l’origine del RM è sconosciuta, tuttavia l’eziologia è più facilmente

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identificabile nei casi gravi. Fattori prenatali: fattori cromosomici e genetici, infezioni congenite, agenti teratogeni (farmaci o altri prodotti chimici), malnutrizione, radiazioni o altre cause sconosciute, che compromettono l’impianto dell’ovulo e l’embriogenesi, possono causare ritardo mentale. Le anomalie cromosomiche sono cause di ritardo mentale più comuni rispetto alle anomalie congenite del metabolismo e alle anomalie neurologiche mostrate nella Tab. 262-6 (v. anche Anomalie cromosomiche nel Cap. 261). L’analisi cromosomica ad alta risoluzione può spesso individuare queste anomalie. Le trisomie comportano la presenza di un cromosoma sovrannumerario (47 invece di 46). La sindrome di Down può essere il risultato di una trisomia 21 o (meno frequentemente) di una traslocazione dal gruppo 13-15 al cromosoma 21. Il ritardo mentale può derivare da una delezione parziale di un cromosoma (p. es., del cromosoma 5 nella sindrome del grido di gatto), da anomalie dei cromosomi sessuali (p. es., sindrome di Klinefelter [XXY], sindrome di Turner [XO]) o da vari mosaicismi. Individui che presentano lieve ritardo mentale familiare possono avere la sindrome dell’X-fragile, che si riscontra in 1 su 1000 nascite, interessando con maggior frequenza il sesso maschile. Le caratteristiche fisiche associate sono rappresentate da: dimensioni della testa normali o aumentate, macroorchidismo, mascella prominente e protrusione delle orecchie. Anche i disordini metabolici di origine genetica o i disordini neurologici possono causare ritardo mentale (v. Tab. 262-6). I bambini ritardati con ipotonia idiopatica devono essere sottoposti a screening metabolici per deficit degli enzimi perossisomiali e per altri disordini neuromuscolari. Un test risultato positivo influenza la consulenza genetica, la prognosi e il trattamento. Le infezioni congenite, la maggiore causa di ritardo mentale, sono dovute al virus della rosolia, al citomegalovirus (una causa molto comune, da 1/600 a 1/1000 nati vivi), al Toxoplasma gondii e al Treponema pallidum. Anche altre infezioni virali, attive durante la gravidanza, sono state di volta in volta invocate come possibili cause di RM, ma senza aver ottenuto conferme sicure. L’esposizione a farmaci in età prenatale (v. Farmaci in gravidanza nel Cap. 249) può causare ritardo mentale, p. es. nella sindrome feto-alcolica (v. anche Cap. 250 e sotto Patologia metabolica nel neonato nel Cap. 260) e nella sindrome da idantoina (fenitoina), che può svilupparsi in almeno l’11% dei bambini le cui madri hanno ricevuto idantoina durante la gravidanza. Le ultime sindromi possono includere ritardo di crescita prenatale e postnatale, microcefalia, anomalie craniofacciali, ipoplasia delle unghie o delle falangi distali e cardiopatie congenite. La malnutrizione in una donna gravida può compromettere lo sviluppo del cervello fetale, comportando ritardo mentale. Questo fattore è il problema più importante nei paesi in via di sviluppo, dove le carestie e la fame sono comuni. La malnutrizione con deprivazione ambientale (mancanza di stimoli fisici, emotivi e cognitivi indispensabili per la crescita, lo sviluppo e l’adattamento sociale), possono costituire le più comuni cause di ritardo mentale in ogni parte del mondo. Fattori perinatali: le complicanze perinatali da prematurità, le emorragie del SNC, la leucomalacia periventricolare, il parto podalico o con applicazione di forcipe, i parti gemellari, la placenta previa, la preeclampsia e la asfissia neonatale possono aumentare il rischio di ritardo mentale. L’incidenza di ritardo mentale è aumentata nei bambini piccoli per l’età gestazionale; inoltre il deficit intellettivo è spesso correlato con la causa che ha provocato il difetto di crescita intrauterino. I bambini prematuri (< 32 sett. di età gestazionale), con peso < 1,5 kg, presentano dal 10 al 50% di probabilità di essere ritardati, in relazione all’età gestazionale, agli eventi perinatali e al tipo di cure. I bambini di età gestazionale < 28 sett. e peso < 1 kg sono esposti a un rischio maggiore. È necessario valutare periodicamente i progressi nello sviluppo nei neonati ad alto rischio. Il risultato dello sviluppo dei bambini che hanno subìto eventi negativi, anche lievi, in epoca perinatale, è spesso direttamente correlato con l’ambiente in cui crescono.

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Problemi di sviluppo

Fattori postnatali: le encefaliti e le meningiti virali e batteriche (inclusa la neuroencefalopatia associata alla AIDS), l’avvelenamento (p. es., da piombo e mercurio), la grave malnutrizione e gli incidenti che provocano gravi danni cerebrali o asfissia possono comportare ritardo mentale.

Sintomi e segni Le caratteristiche tipiche sono un basso QI associato a limitazioni nelle abilità sociali, linguistiche e nelle capacità di autoadattamento. Possono essere presenti convulsioni, disordini psichiatrici, e comportamentali. Un adolescente mentalmente ritardato può sviluppare depressione quando venga rifiutato dagli altri studenti a scuola o quando realizzi che gli altri lo vedono come un diverso e ipodotato. I disturbi comportamentali sono la causa della maggior parte delle visite psichiatriche e il problema più comune delle persone con RM istituzionalizzate. Una persona mentalmente ritardata con disturbi comportamentali può reagire a stress normali con una reazione esplosiva, accessi d’ira e con un comportamento psichicamente aggressivo. Queste reazioni sono spesso episodiche e di solito scatenate da fattori precipitanti. I fattori predisponenti a comportamenti inaccettabili comprendono assenza di pratica di comportamenti socialmente responsabili, indisciplinatezza, rinforzo di comportamenti dannosi, danni cerebrali e compromissione della capacità di comunicazione. Il sovraffollamento, la mancanza di personale di sostegno e la carenza di attività occupazionali contribuiscono al RM in ambienti istituzionalizzati. Quando le condizioni di vita migliorano e vengono attuati esercizi specifici e appropriate attività occupazionali, l’incidenza di problemi comportamentali diminuisce notevolmente.

Diagnosi La diagnosi consiste nello stabilire la presenza di ritardo mentale e nel cercare di individuarne le cause sottostanti. L’accurata valutazione della causa di base può contribuire a individuare la prognosi, suggerire programmi educativi e di esercizio, aiutare nel counseling genetico e alleviare il senso di colpa dei genitori. L’anamnesi (inclusa quella perinatale, dello sviluppo, neurologica e familiare) può aiutare a individuare bambini a rischio di ritardo mentale. In questi bambini devono essere effettuate molto precocemente valutazioni visive e uditive, emocromo ed esame urine. Se i risultati non sono determinanti, vanno eseguite valutazioni periodiche, che includano test di screening per lo sviluppo psicomotorio ed esame clinico routinario e neurologico. Nei bambini ad alto rischio o con sospetto ritardo di sviluppo, vanno effettuati test specifici per stabilire il grado di sviluppo e di intelligenza (v. Tab. 262-7). Esistono test intellettivi standardizzati, in grado di individuare e misurare capacità intellettive sotto la media; tuttavia tali test sono soggetti a errore e devono essere interpretati con cautela quando non confermati dai reperti clinici. Le malattie, le difficoltà linguistiche o le differenze culturali possono inficiare i risultati dei test a qualunque età del bambino. Inoltre anche questi test presentano un "middleclass bias", ma in generale sono attendibili nella stima delle capacità intellettive del bambino, soprattutto in quelli più grandi. Una valutazione più semplice, il Denver Developmental Screening Test aggiornato, in grado di fornire una valutazione complessiva per bambini fino ai 5 anni di età, può essere eseguita dal medico stesso o da un suo assistente. Questo test deve essere usato soltanto come screening e non sostituisce i test di intelligenza standardizzati, che devono essere eseguiti da psicologi specializzati. Vanno anche eseguite valutazioni dello sviluppo neurologico (Prechtl o Milani-Comparetti) e un esame fisico. I disordini genetici del metabolismo possono essere suggeriti dalle loro file:///F|/sito/merck/sez19/2622421.html (3 of 6)02/09/2004 2.47.43

Problemi di sviluppo

manifestazioni cliniche (ritardo di accrescimento, letargia, vomito, convulsioni, ipotonia, epatosplenomegalia, tratti grossolani del viso, odore anomalo delle urine, macroglossia). Ritardi isolati nel mantenimento della posizione seduta o nella deambulazione (capacità motorie grossolane) e nella prensione, nel disegno o nella scrittura (capacità motorie fini) possono indicare disturbi neuromuscolari. In base al sospetto vanno eseguite specifiche analisi di laboratorio (v. Tab. 262-8). I disturbi del linguaggio e delle capacità personali e sociali possono essere determinati da problemi emozionali, deprivazione ambientale, disturbi di apprendimento o sordità più che dal ritardo mentale. Le difficoltà di comunicazione possono rendere difficile interpretare i disturbi del pensiero e le delusioni in una persona mentalmente ritardata. Comunque, la comparsa relativamente rapida di un’affettività piatta e di allucinazioni suggerisce la schizofrenia.

Prevenzione La consulenza genetica (v. anche Cap. 247) può aiutare i genitori a comprendere le cause e il rischio di ricorrenza del ritardo mentale. I fratelli dei soggetti affetti devono essere informati sul rischio di avere figli ritardati. Durante la gravidanza, l’amniocentesi o il prelievo di villi coriali sono presidi indispensabili per evidenziare errori metabolici e cromosomici congeniti, lo stato di portatore e difetti del SNC (p. es. mielodisplasia, anencefalia). Anche l’ECO può evidenziare difetti del SNC. Il livello sierico di α-fetoproteina è un utile esame di screening per la mielodiplasia e la sindrome di Down. La diagnosi prenatale consente alla coppia di considerare la possibilità di aborto e di pianificazione familiare. L’amniocentesi è inoltre indicata per tutte le donne gravide di età > 35 anni (a causa del loro rischio elevato di partorire un bambino con sindrome di Down) e per tutte le donne con una storia familiare di mucopolisaccaridosi, galattosemia, malattia di Tay-Sachs o malattia delle urine a sciroppo d’acero. L’uso della vaccinazione antirubeolica ha quasi completamente eliminato la rosolia congenita come causa di ritardo mentale nelle nazioni sviluppate. È in studio anche un vaccino per l’infezione da virus citomegalico. I seguenti fattori hanno aiutato a ridurre l’incidenza di ritardo mentale: i continui miglioramenti e l’aumento della disponibilità di cure ostetriche e neonatali (p. es., unità di terapia intensiva neonatale regionali) e l’uso dell’exanguinotrasfusione e delle immunoglobuline anti-RhO per prevenire la malattia emolitica del neonato (v. Eritroblastosi fetale nel Cap. 252). Comunque, nonostante il progressivo decremento del ritardo mentale causato da questi fattori, l’aumento della sopravvivenza dei neonati di peso molto basso ne ha fatto rimanere costante la prevalenza.

Prognosi e terapia L’aspettativa di vita può essere ridotta a seconda della gravità dell’eziologia. In genere tanto più grave è il ritardo mentale e ridotta la motilità, tanto più alta è la mortalità. La vulnerabilità di sviluppo a causa di un insulto perinatale può essere superata se il bambino vive in un ambiente adatto all’apprendimento. Intraprendere un programma di intervento precoce nella prima infanzia può prevenire o diminuire la gravità del ritardo mentale. Tuttavia si devono stabilire metodi realistici per prendersi cura del bambino. Sono cruciali il sostegno e l’assistenza alla famiglia. Entrambi i genitori, se possibile, devono essere immediatamente informati del forte sospetto o della certezza della diagnosi di ritardo mentale e avere tempo sufficiente per file:///F|/sito/merck/sez19/2622421.html (4 of 6)02/09/2004 2.47.43

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comprendere le cause, le implicazioni, la prognosi e le possibilità educative del loro bambino. Un supporto informativo è essenziale per l’adattamento familiare. Il compito di coordinare e di interpretare i risultati delle consulenze specialistiche spetta al medico di famiglia. Se il medico di famiglia non può garantire un intervento di coordinazione dei vari specialisti, deve indirizzare la famiglia in un centro dove un’équipe multidisciplinare si occupi di valutare e gestire il bambino con disturbo dello sviluppo psicomotorio; il medico deve comunque provvedere a fornire continuativamente la sua assistenza e il suo supporto professionale. Un programma globale e individualizzato può essere pianificato soltanto con l’aiuto di specialisti del campo. Non appena si sospettano ritardi significativi nello sviluppo devono essere effettuate valutazioni formali sullo sviluppo neurologico. Tutti i casi di ritardo di sviluppo da moderato a grave, di alterazioni progressive, di deterioramento neuromuscolare o di sospetti disturbi convulsivi vanno affidati a un neurologo. Ortopedici, fisioterapisti ed ergoterapisti devono assistere alla valutazione e al trattamento del bambino con una paralisi cerebrale o con deficit motori importanti. In caso di gravi ritardi del linguaggio o di deficit uditivi, possono essere di aiuto logoterapisti e audiologi. Utile anche la collaborazione di dietologi, assistenti sociali, insegnanti, oftalmologi, psichiatri e dentisti. Il grado di competenza sociale del bambino ritardato è tanto importante quanto la funzione cognitiva, dal momento che determina il tipo di sostegno a esso necessario. È inoltre importante la presenza di handicap fisici, di disturbi della personalità e di disturbi psichiatrici. Qualunque sforzo deve essere fatto per far vivere il bambino a casa o in comunità. La presenza di un bambino ritardato in famiglia può essere distruttiva. La famiglia deve avere un supporto psicologico e può necessitare di aiuto giornaliero p. es. centri di terapia diurni, collaboratori familiari (personale non specializzato, che aiuta nelle faccende domestiche e ad accudire al bambino) e famiglie per l’adozione temporanea. Quando possibile, un bambino dovrà essere accudito in un centro diurno o andare in una scuola normale. Un adulto ritardato deve essere ospitato per lunghi periodi di tempo in centri di assistenza o in ostelli organizzati sotto forma di comunità o in case di cura. L’istituzionalizzazione di una persona mentalmente ritardata deve essere decisa dalla famiglia, di solito dopo approfondite discussioni con medici e altri professionisti. Alle persone mentalmente ritardate, con disturbi psichiatrici concomitanti, vanno forniti appropriati farmaci antipsicotici e antidepressivi a dosaggi simili a quelli utilizzati nei pazienti non ritardati. Può essere di aiuto la psicoterapia associata a cure specifiche e al consulto psichiatrico, volto ad alleviare il senso di inadeguatezza della persona o a modificare scopi non realistici. Raramente sono efficaci i farmaci psicoattivi senza la contemporanea psicoterapia o le modifiche dell’ambiente circostante. Tipi di sostegno: i bambini lievemente ritardati necessitano un sostegno intermittente o limitato, in base alla variabilità delle richieste ambientali. Quelli con ritardo lieve e meno pronunciato possono raggiungere dal 4o al 6o grado di abilità nella lettura. Sebbene presenti difficoltà nella lettura, la maggior parte di questi bambini può acquisire un livello di istruzione sufficiente alla vita di tutti i giorni e provvedere alle proprie necessità di base. I traguardi educativi e le capacità occupazionali e sociali sono variabili in base al livello di operatività del bambino. I soggetti lievemente ritardati necessitano di minimi controlli e sostegni specifici, di speciali programmi educativi e, di frequente, di condizioni di vita e situazioni lavorative protette. Spesso sono socialmente immaturi e ingenui e presentano una ridotta capacità di interazione sociale. Poiché il loro modo di pensare è concreto e spesso non adeguato alla generalizzazione, presentano difficoltà di adattamento a situazioni nuove; la loro scarsa capacità di giudizio, la mancanza di previsione e l’ingenuità li espongono alla delinquenza. Sono rari i crimini gravi, ma il soggetto leggermente ritardato può commettere atti impulsivi, spesso come membro di un gruppo e talvolta per ottenere una posizione simile agli altri. Di solito sono esenti da difetti fisici grossolani, ma possono presentare un’incidenza di epilessia più elevata della norma. I bambini con ritardo lieve, ma più pronunciato, e quelli con ritardo moderato presentano ovvi deficit motori e del linguaggio. Questi bambini richiedono un

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sostegno limitato. Con adeguati programmi di istruzione e di sostegno continuativo, gli adulti lievemente e moderatamente ritardati possono condurre una vita più o meno indipendente nella comunità. Alcuni richiedono un sostegno giornaliero limitatamente ad alcuni aspetti del vivere. Altri possono vivere con un sostegno specifico in comunità familiari, mentre i soggetti con gravi limitazioni fisiche o disturbi comportamentali hanno bisogno di una maggiore supervisione. La maggior parte richiede un sostegno a lungo termine in un ambiente di lavoro protetto. I bambini molto, o gravemente, ritardati necessitano di un sostegno che interessi tutti gli aspetti della vita (v. Tab. 262-5). Molti non riescono a camminare e presentano minime capacità di linguaggio.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 262-5. LIVELLI DI SOSTEGNO PER I RITARDATI MENTALI Livello di sostegno

Descrizione

Intermittente

Non richiede sostegno costante

Limitato

Richiede un sostegno di varia intensità, p. es. assistenza in ambiente protetto

Esteso

Richiede un continuo consistente sostegno giornaliero

Massimo

Richiede alti livelli di sostegno per tutte le attività della vita quotidiana

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TABELLA 262-6. CAUSE GENETICHE E CROMOSOMICHE DI RITARDO MENTALE* Anomalie cromosomiche

Disturbi genetici del metabolismo

Sindrome del grido di gatto Disordini autosomici recessivi: Sindrome di Down

Disturbi neurologici di origine genetica Disordini autosomici dominanti:

Aminoacidurie e acidemie Distrofia miotonica

Sindrome dell’X fragile

Disordini perossisomiali: Neurofibromatosi

Sindrome di Klinefelter

Galattosemia Sclerosi tuberosa

Mosaicismi Trisomia 13 (sindrome di Patau)

Malattia con urine a sciroppo d’acero

Disordini autosomici recessivi:

Fenilchetonuria Microcefalia primitiva

Trisomia 18 (sindrome di Edwards)

Difetti lisosomiali: Malattia di Gaucher

Sindrome di Turner Sindrome di Hurler (mucopolisaccaridosi) Malattia di Niemann-Pick Malattia di Tay-Sachs Disordini recessivi legati all’X: Sindrome di Lesch-Nyhan (iperuricemia) Sindrome di Hunter (una variante di mucopolisaccaridosi) Sindrome oculocerebrorenale di Lowe *Questa lista di disordini non è completa

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TABELLA 262-7. TEST PER LO SVILUPPO SPECIFICO E PSICOLOGICO PER BAMBINI CON RITARDO MENTALE Test

Età

Test di screening dello sviluppo di Denver-modificato

5 aa

Profilo di sviluppo per l’intervento precoce

da 2 mesi a 3 aa

Scala di Bayley dello sviluppo infantile (II edizione)

< 42 mesi

Test di intelligenza Stanford- Binet

da 2 aa all’età adulta

Scala di intelligenza di Wechsler per il da 3 aa e 10 mesi periodo infantile e prescolare a 6 anni e 7 mesi Scala di intelligenza di Wechsler per i da 6 aa a 16 aa e bambini-modificata* 11 mesi *Deve essere somministrata da psicologi specializzati

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TABELLA 262-8. TEST PER ALCUNI CASI DI RITARDO MENTALE Cause sospette Singole anomalie maggiori o multiple anomalie minori, storia familiare di ritardo

Test indicati Analisi cromosomica TC e/o RMN cranio*

Ritardo di crescita, ipotonia idiopatica, disordini genetici del metabolismo

Test per HIV in bambini ad alto rischio Anamnesi nutrizionale e psicosociale Test per malattie da accumulo o disordini perossisomiali (aminoacidi ed enzimi urinari ed ematici) Enzimi muscolari SMA 12/60 Età ossea, rx scheletro

Convulsioni

EEG TC e/o RMN cranio* Dosaggio ematico di calcio, fosforo, magnesio, aminoacidi, glucoso e livelli di piombo

Anormalità del cranio (p.es. chiusura prematura delle suture, microcefalia, macrocefalia, craniostenosi, idrocefalo); atrofia cerebrale, malformazioni cerebrali, emorragie del SNC, tumori, calcificazioni endocraniche da Toxoplasmosi, infezioni da citomegalovirus o sclerosi tuberosa

Rx cranio TC e/o RMN cranio* Sierologia per TORCH Urinocoltura per virus Analisi cromosomica

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*Dopo valutazione neurologica SMA (Sequential Multiple Analyzer) = analizzatore multiplo sequenziale, TORCH = toxoplasmosi, rosolia, citomegalovi rus, herpes

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE FERITE Sommario: Epidemiologia Cause predisponenti Prevenzione INCIDENTI DA VEICOLI A MOTORE Epidemiologia Prevenzione degli incidenti TRAUMI CRANICI Epidemiologia Classificazione Storia naturale, sintomi e segni Accertamenti Terapia Prognosi e riabilitazione TRAUMI SPINALI Sintomi, segni e diagnosi Trattamento ALTRI TRAUMI GRAVI

Epidemiologia Gli incidenti costituiscono la causa più comune di morte in età pediatrica, provocando più decessi rispetto al cancro, alle malformazioni congenite, alla polmonite, alla meningite e alle cardiopatie unite insieme. La causa degli incidenti varia in base all’età e alla sede (p. es., incidenti domestici, urbani vs rurali, da freddo vs da caldo). Quasi 1000 decessi/anno si verificano nel bambino con meno di 1 anno di età per cadute, ustioni, annegamenti, soffocamento. In 18 stati degli USA, l’annegamento è la causa più importante di morte per incidente nei bambini da 1 a 4 anni, e in tutti gli USA, le ustioni e gli incendi sono le cause più comuni di morte in questa fascia d’età. In età adolescenziale, la causa più importante di morte sono gli incidenti su veicoli a motore e la seconda causa più importante sono gli omicidi dovuti all’aumento della violenza nella società (v. anche Cap. 275). Gli incidenti rappresentano anche la causa principale d’invalidità nei bambini. Per ogni decesso per incidente, 1000 bambini vanno incontro a incidenti non fatali.

Cause predisponenti Gli incidenti sono l’esito di varie circostanze, molte delle quali prevedibili e specialmente nel bambino più piccolo, spesso scatenate dalla curiosità infantile. Alcuni fattori predispongono il bambino piccolo al rischio di incidenti. Gli incidenti file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (1 of 9)02/09/2004 2.47.46

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

si verificano più frequentemente quando il bambino ha fame o è stanco (p. es. prima del pasto o del riposino), quando è sotto il controllo di un sostituto del genitore, quando si trova in un ambiente nuovo (p. es. un recente trasloco o vacanza della famiglia) o se è un bambino iperattivo. Gli incidenti sono più probabili quando i genitori vanno di fretta o sono occupati o non prevedono i pericoli connessi con il grado di sviluppo del loro bambino. Infine, i bambini sono spesso le vittime innocenti di ambienti non sicuri e/o del comportamento inadeguato degli adulti. Questa osservazione è confermata dalla frequenza delle ferite da arma da fuoco, degli incidenti automobilistici causati da guidatori ubriachi, degli incidenti domestici che potrebbero essere prevenuti utilizzando sistemi di allarme sensibili al fumo e al calore, e degli annegamenti determinati dall’assenza di recinti attorno alle piscine.

Prevenzione Insegnare ai genitori e ai figli a comportarsi in maniera sicura è l’unica misura preventiva. La protezione passiva non è sufficiente. I bambini possono essere protetti da alcuni pericoli potenziali e essere istruiti a una pronta reazione riguardo a rischi inevitabili. Dal momento che i bambini imitano le azioni dei genitori, questi devono dare un buon esempio di precauzione (p. es. usando cinture di sicurezza) e insegnare a evitare situazioni rischiose. Diverse misure di prevenzione degli incidenti sono mostrate nella Tab. 263-1. Il medico può aiutare a prevenire gli incidenti istruendo i genitori, fornendo loro informazioni, dando egli stesso un buon esempio, anticipando le potenziali situazioni ad alto rischio (p. es. suggerendo che una madre intenta a curare un bambino malato, può ottenere aiuto dall’altro figlio).

INCIDENTI DA VEICOLI A MOTORE Epidemiologia Negli USA le lesioni riportate negli incidenti su motoveicoli rappresentano la maggior causa di morte fra i gruppi di tutte le età, con un’incidenza di 4/100000 bambini con < 1 anno, 7/ 100000 bambini da 1 a 14 anni, e un aumento di incidenza a 40/100000 nell’età compresa tra i 15 e i 24 anni. Un bambino senza cintura di sicurezza può essere l’unica vittima di una brusca frenata, che non provoca danno alla vettura né agli altri passeggeri.

Prevenzione degli incidenti Per ridurre l’incidenza e la severità delle ferite negli incidenti con veicoli a motore, tutti i passeggeri devono indossare la cintura di sicurezza. Le leggi degli Stati Uniti variano, ma molti stati hanno reso obbligatoria la cintura anche per i bambini. È estremamente pericoloso che un adulto, assicurato con la cintura di sicurezza, tenga in braccio un bambino che non lo è; in caso di incidente, l’adulto può non essere in grado di tenere stretto il bambino, che verrà spinto con notevole forza anche a basse velocità (p. es. trattenere un bambino di 4,5 kg, che viaggia a 48 km/h, richiede una forza atta a sollevare dal suolo un peso di 135 kg di 30 cm). Se l’adulto è senza cintura, potrà egli stesso essere scaraventato in avanti, lasciando andare il bambino contro le strutture interne della macchina con una forza uguale al peso dell’adulto moltiplicato per (la velocità)2/2. L’efficacia della cintura nel ridurre i traumi è innegabile; il suo uso riduce la mortalità del 4050% e la frequenza di incidenti gravi del 45-55%. In una macchina, il sedile posteriore è il posto più sicuro per tutti i bambini (< 12 anni), in particolare quando la macchina è dotata di airbag del sedile anteriore. (Il rilascio/attivazione degli airbag comporta la morte del lattante e del bambino.) file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (2 of 9)02/09/2004 2.47.46

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Per essere efficaci i sistemi di sicurezza, per il trasporto su veicoli a motore per bambini, devono essere applicati nel modo giusto. Il bambino deve indossare una cintura adeguata alla sua età e al suo stadio di sviluppo. La cintura deve essere applicata alla vettura seguendo le istruzioni della casa produttrice, altrimenti può peggiorare la traiettoria della caduta del bambino in caso di scontro. Un seggiolino da macchina per bambino deve essere posto sul sedile posteriore, rivolto verso la parte posteriore del veicolo, ed è idoneo per bambini fino a 9 kg di peso. I seggiolini da automobile per bambini da da 9,5 a 18,2 kg devono essere posizionati in modo da guardare in avanti, essere dotati di cinture di sicurezza per le spalle e di protezione del grembo, e fornire anche stabilità alla testa. I bambini che pesano > 18,6 kg devono indossare in ogni occasione la cintura; le cinture per le spalle devono essere utilizzate anche per il grembo, a meno che le cinture per le spalle attraversino il viso o il collo (di solito quando i bambini sono alti meno di 134 cm). Se si verifica questo problema, i bambini devono essere trasportati in un seggiolino aggiuntivo, fino a che la cintura per le spalle non gli calzerà in maniera appropriata. Molti seggiolini sono stati approvati dalla National Highway Traffic Safety Administration; un elenco di modelli approvati è stato redatto dalla Accademia Americana di Pediatria e dal Consiglio Nazionale per la Sicurezza del Traffico e delle Autostrade. Quelli che rispettano gli standard federali per gli incidenti sono dotati di marchio di approvazione.

TRAUMI CRANICI Epidemiologia Un’alta percentuale di casi di morte per traumi durante l’età pediatrica è dovuta ai traumi cranici e alle loro complicanze. Le lesioni al SNC in via di sviluppo possono provocare ritardo delle funzioni fisiche, cognitive e emotive. Il trauma cranico rappresenta il secondo tipo di trauma più comune per cui un bambino viene ricoverato in ospedale. Il maggior numero di traumi cranici si verifica nei bambini di età < 1 anno e in quelli > 15 anni. L’incidenza è più alta nei ragazzi che nelle ragazze. I traumi nei bambini piccoli sono dovuti per lo più a cadute accidentali in casa. Per i bambini che vivono in città le cadute dall’alto sono la causa maggiore di morte evitabile. Nella città di New York una campagna per prevenire le caduta dalle finestre, ha determinato in 1 anno la riduzione del 96% di tali incidenti.

Classificazione La maggior parte dei traumi cranici è dovuta a traumi lievi, senza perdita di coscienza, senza segni di concussione, di contusione o di fratture. Di gran lunga più gravi ma meno frequenti sono gli incidenti associati a un importante danno cerebrale, che comporta danno assonale diffuso e vari tipi di ematomi (epidurale, subdurale, intraparenchimale, intraventricolare). Si verificano spesso anche fratture craniche, associate o meno a un danno cerebrale. Una commozione è una disfunzione neuronale transitoria, rapidamente reversibile, associata a perdita di coscienza, che si verifica immediatamente dopo il trauma cranico. Una contusione è un colpo localizzato o una lacerazione di tessuto cerebrale, accompagnata da emorragia parenchimale e/o da edema locale. Le aree più colpite sono la superficie ventrale dei lobi frontali e le parti inferolaterali di lobi temporali. Il danno assonale diffuso deriva da forze di accelerazione/decelerazione che tagliano e strappano gli assoni (sostanza bianca), distruggendo le guaine file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (3 of 9)02/09/2004 2.47.46

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mieliniche. Ne deriva spesso edema cerebrale diffuso con tendenza all’emorragia. Il danno assonale diffuso è uno dei danni cerebrali gravi più comuni nell’infanzia, riscontrandosi molto più spesso degli ematomi intracranici. Un ematoma epidurale è una raccolta di sangue tra la dura madre e la superficie ossea del cranio derivante da un danno arterioso o venoso. Un ematoma subdurale è una raccolta di sangue al di sotto della dura madre, di solito associato a una contusione significativa del cervello. Le emorragie intraventricolari, intraparenchimali e subaracnoidee sono raccolte di sangue, rispettivamente, nel sistema ventricolare cerebrale, nel tessuto cerebrale o nello spazio subaracnoideo. Le fratture craniche si verificano quando l’integrità ossea del cranio è distrutta. Le fratture possono essere lineari, depresse, comminute e si possono verificare in qualsiasi punto del cranio, incluse le ossa occipitali, temporo-parietali, frontali e della base. Gli urti sul viso possono determinare fratture facciali delle ossa nasali, dei seni paranasali o delle regioni orbitali. Nei bambini, le meningi possono rimanere intrappolate in una frattura cranica lineare e produrre una frattura sporgente. Questa è in realtà una cisti leptomeningea, che si sviluppa entro un tempo compreso tra 3 e 6 sett. dal trauma e può essere la prima evidenza della frattura lineare, verificatasi al momento dell’incidente.

Storia naturale, sintomi e segni Dal momento che la modalità dell’incidente e il decorso dei sintomi successivi a esso sono estremamente importanti, i dettagli relativi al trauma devono essere attentamente riferiti dai familiari e dai testimoni. La dinamica del trauma, la sede del danno, i sintomi specifici e i segni risultanti, incluse le conseguenze sullo stato di coscienza del paziente sono di particolare rilievo per il trattamento. I traumi cranici minori senza perdita di coscienza o segni neurologici specifici possono essere associati a vomito, pallore, irritabilità o letargia. La persistenza di questi sintomi per > 6 mesi o il peggioramento dei sintomi possono indicare un danno più grave e una valutazione più approfondita deve essere effettuata prima possibile. I pazienti con una concussione spesso non presentano segni neurologici specifici, ma amnesia che riguarda sia l’incidente che il tempo immediatamente precedente a esso (amnesia anterograda). Nei pazienti con contusioni cerebrali, i segni neurologici e i sintomi dipendono dalla precisa localizzazione della contusione. Si possono associare disturbi della forza, della sensibilità, un’alterazione del sensorio e un aumento della pressione endocranica, in particolare se la zona contusa è estesa. Il danno assonale diffuso comporta edema cerebrale diffuso, inoltre il bambino presenta un livello di coscienza globalmente compromesso. Spesso ne derivano sequele a lungo termine. L’aumento della pressione intracranica per l’edema cerebrale può determinare anomalie pupillari, bradicardia, ipertensione e disturbi respiratori ed emodinamici. Negli ematomi epidurali, i sintomi neurologici sono di solito dovuti alla compressione del cervello, piuttosto che alla sua lesione diretta. I sintomi classici degli adulti (perdita di coscienza, intervallo di lucidità e poi peggioramento neurologico) spesso non si verificano nel bambino. Agli ematomi subdurali sono comunemente associate iperemia ed edema cerebrale, che comportano un’alterazione dello stato di coscienza e segni di file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (4 of 9)02/09/2004 2.47.46

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ipertensione endocranica. Sono frequenti anche deficit focali che possono essere permanenti. L’incidenza di convulsioni secondarie alla contusione è elevata. Benché la maggior parte degli ematomi subdurali si presenti in forma acuta, occasionalmente il sangue si può accumulare più gradualmente nello spazio subdurale attraverso piccole lesioni delle vene frontali e cortico-parietali, nel punto in cui esse passano nel seno sagittale. Gli ematomi subdurali cronici possono anche comportare sintomi da ipertensione endocranica. Le emorragie intraventricolari, intraparenchimali, e subaracnoidee sono di solito associate ad alterazione dello stato mentale a causa del danno neuronale associato e dell’ipertensione endocranica. Compaiono frequentemente convulsioni e anche movimenti involontari. Le fratture craniche possono essere o meno associate a segni neurologici o ad altri sintomi. La palpazione del cranio può rilevare una depressione o un rigonfiamento generalizzato, già notato dai genitori. Le convulsioni (focali) possono derivare da una contusione sottostante alla sede della frattura, in particolare se la frattura ha determinato depressione di un frammento osseo.

Accertamenti Dopo aver chiarito il meccanismo lesivo e la ricostruzione degli eventi successivi a esso, è di fondamentale importanza effettuare un esame clinico per accertare la gravità della lesione cerebrale. È d’obbligo valutare attentamente lo stato mentale del paziente utilizzando la Glasgow Coma Scale (v. Tab. 175-1) o, per bambini con < 1 anno, la sua versione pediatrica (v. Tab. 263-2), le risposte pupillari, i segni vitali e i segni di ogni lesione associata. Un punteggio GCS 12 indica un grave trauma cranico; un punteggio GCS < 8 indica la necessità di intubazione e di ventilazione assistita, in quanto i riflessi di protezione delle vie respiratorie sono di solito compromessi ed è molto probabile che vi sia ipertensione endocranica (una lieve iperventilazione diminuisce la pressione endocranica). Un punteggio GCS 6 indica chiaramente la necessità di monitoraggio della pressione endocranica anche se in molti centri si inizia il monitoraggio con un GCS 7. Dal momento che l’esame del fondo oculare può fornire una prova evidente di abuso su minore (cioè, sindrome del bambino maltrattato), questi bambini devono essere esaminati attentamente per individuare eventuali emorragie retiniche. Le fratture craniche sono indici generalmente inattendibili per valutare la gravità della lesione a carico del SNC; un approfondito esame neurologico è di maggiore aiuto. Ciò nonostante, la presenza di una frattura non è di solito riconducibile a una lesione minore del capo e i pazienti con certi tipi di fratture possono essere a più alto rischio di problemi intracranici. Le fratture che incrociano l’arteria meningea media (osso temporale) possono essere associate a un ematoma epidurale. Dal momento che l’osso occipitale e la base del cranio (ossa della base) sono spessi e un forza maggiore è necessaria per fratturarli, le fratture di queste aree indicano un impatto molto violento. Le fratture della base del cranio spesso non sono visibili né alla rx né alla TC cranio; comunque, i segni associati comprendono la fuoriuscita di LCR dal naso o dalle orecchie, la presenza di sangue dietro la membrana del timpano (o all’interno del dotto auricolare, se la membrana del timpano è stata lacerata), ecchimosi sul retro dell’orecchio (indizio di Battle) o nell’area periorbitale (occhi di procione) o di liquido nei seni frontali/ mascellari (visto alla TC). Le fratture depresse del cranio richiedono una valutazione immediata, poiché esse sono più facilmente associate a contusioni del tessuto nervoso sottostante. La valutazione neurochirurgica è necessaria per stabilire se il frammento deve essere sollevato chirurgicamente. Le fratture craniche lineari semplici sono di solito visibili alla rx diretta del cranio. Tali fratture di solito non destano preoccupazione a meno che vi si associano disturbi neurologici o se si riscontrano in un lattante. In tali casi, si deve valutare il rischio di comparsa di cisti leptomeningea e considerare la possibilità di abuso su file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (5 of 9)02/09/2004 2.47.46

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minore.

Terapia La maggior parte dei bambini con trauma cranico lieve può essere controllata a domicilio da genitori se attendibili. I bambini che al momento dell’osservazione presentano un’alterazione dello stato di coscienza o quelli che hanno presentato perdita di coscienza anche per un breve periodo di tempo, che presentano specifiche fratture craniche (occipitale, depressa, a cavallo dell’arteria meningea media), e segni neurologici focali o diffusi devono essere osservati in ospedale. In particolare se le circostanze inducono a sospettare una condizione di maltrattamento, i bambini devono essere tenuti in osservazione (v. Cap. 264). I bambini con trauma cranico devono essere attentamente monitorizzati riguardo ogni modificazione delle condizioni neurologiche, compreso lo stato mentale, i segni vitali, i riflessi pupillari, i segni focali o di lateralizzazione e le convulsioni. La TC cranio deve essere effettuata nei bambini con alterazione dello stato di coscienza (GCS 14), vomito persistente, modificazioni neurologiche focali, segni clinici di una frattura cranica della base e convulsioni. Sebbene non si possa far nulla per modificare il danno primario, bisogna evitare l’alterazione cerebrale secondaria prevenendo l’ipossia, l’ipercapnia, l’ipotensione e una pressione endocranica troppo elevata con un accurato ed energico trattamento. L’edema cerebrale, che provoca un’ipertensione endocranica, richiede un immediato trattamento per prevenire un’ulteriore interferenza con la diffusione dell’O2 e con il metabolismo cellulare. Il trattamento di un bambino con grave lesione alla testa deve essere praticato per tappe. Di primaria importanza all’inizio è mantenere libere le vie aeree, perché sia l’ipossia che l’ipercapnia aumentano la pressione endocranica dovuta al peggioramento dell’iperemia cerebrale. Se si ha un punteggio Glasgow < 8, il bambino deve essere sottoposto a intubazione, sotto specifico controllo medico (per ridurre al minimo l’aumento acuto della pressione endocranica, che si verifica con la procedura d’intubazione), utilizzando un sedativo (tiopentale se il bambino è emodinamicamente stabile o etomidato in caso contrario), lidocaina EV (da 1 a 2 mg/kg) e un miorilassante. Non si deve effettuare intubazione nasotracheale alla cieca. Dopo l’intubazione si deve iniziare la ventilazione meccanica e si devono utilizzare l’emogasanalisi, l’ossimetria pulsata e il monitoraggio della PCO2 di fine espirazione, per stabilire l’adeguatezza dell’ossigenazione e della ventilazione in corso. I liquidi intravenosi, cioè soluzioni glucosaline, devono essere somministrati in quantità pari ai 3/ 4-4/5 del mantenimento, se non c’è ipotensione sistemica o shock ipovolemico. (Deve sempre essere garantito un adeguato volume intravascolare e una situazione di euvolemia.) Dal momento che i lattanti e i bambini, dopo un trauma cranico, spesso secernono un’aumentata quantità di ADH e sono perciò a rischio di ritenzione di acqua libera, con conseguente peggioramento dell’edema cerebrale, è consigliata una blanda restrizione idrica. I fluidi ipotonici (specialmente destroso al 5% in acqua) sono controindicati a causa dell’eccesso di acqua libera che contengono. Il monitoraggio deve prevedere il mantenimento di livelli sierici di sodio a 140 mEq/l. Bambini con punteggio Glasgow < 8, con o senza segni di edema o di emorragia cerebrale alla TC cranio, all’inizio devono essere moderatamente iperventilati per mantenere la PCO2 tra 34 e 36 mm Hg. Una bassa PCO2 può determinare un diminuita perfusione cerebrale con un rischio aumentato di ischemia cerebrale. In seguito, deve essere attentamente considerata la possibilità di monitoraggio della pressione intracranica (PIC), per stabilire l’indicazione a interventi più specifici per ridurre una pressione endocranica eccessivamente elevata e mantenere la pressione di perfusione cerebrale a livelli > 50 mm Hg e preferibilmente > 70 mm Hg (PA media meno PIC). La pressione endocranica deve essere mantenuta a meno di 15 mm Hg, impedendo l’aumento della PCO2 al di sopra della norma (un’elevata PCO2 comporta vasodilatazione cerebrale), controllando il dolore, conservando una normotermia (lievemente inferiore ai 36°C), e file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (6 of 9)02/09/2004 2.47.46

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utilizzando, se necessario, miorilassanti. Ugualmente, si deve mantenere la pressione arteriosa a livelli adeguati a garantire la pressione di perfusione cerebrale tra 50 e 70 mm Hg. Si deve sollevare la testa dal letto di 30°, mantenendo il capo in posizione assiale per migliorare il drenaggio venoso cerebrale. Piccole dosi di mannitolo al 20% tra 0,25-0,5 g/kg possono essere utilizzate per ridurre gli aumenti della pressione endocranica o per aumentare la osmolalità sierica a 295-305 mOsm/kg. Anche la furosemide alla dose di 1 mg/ kg EV è d’aiuto nella riduzione dell’acqua corporea totale, in particolare quando deve essere evitata l’ipervolemia transitoria associata con il mannitolo. Nelle prime 24 h dopo il trauma cranico, la furosemide può anche essere preferita come presidio per aumentare la osmolalità sierica. Il desametasone non si è dimostrato efficace nei traumi cranici e non è più raccomandato. È stata inoltre dimostrata l’inefficacia, nonché la pericolosità di un coma farmacologico indotto da pentobarbitale o della ipotermia. L’ipotermia può essere utilizzata in casi selezionati. È importante valutare frequentemente un bambino che ha subito un trauma cranico. Se le condizioni del bambino peggiorano, si deve eseguire un’altra TC per individuare eventuali lesioni trattabili chirurgicamente e/o le cause del peggioramento. Pupille fisse e dilatate, perdita dei riflessi oculovestibolari e postura decerebrata non indicano necessariamente una condizione di danno irreversibile, se viene effettuata una terapia adeguata. Un trattamento rapido e appropriato, che includa il mantenimento di una ventilazione polmonare adeguata e di una buona perfusione cerebrale, può ridurre il rischio di ipertensione endocranica e di complicanze secondarie. Le convulsioni aumentano la pressione endocranica e devono essere trattate prontamente, all’inizio con il lorazepam, successivamente con la fenitoina. Si deve prendere in considerazione l’uso profilattico della fenitoina in caso di contusione o emorragia cerebrale. Per prevenire le conseguenze a livello cardiovascolare (p. es. ipotensione, bradicardia), una dose di carico EV di 20 mg/ kg in 2 boli separati da 10 mg/kg ciascuno deve essere somministrata a una velocità massima di 2 mg/kg/min (fino a 50 mg/min). La dose iniziale di mantenimento EV è di 3-6 mg/kg/die divisa bid. Comunque, nei bambini con danno cerebrale sono richieste dosi più elevate di fenitoina. D’altra parte, per aggiustare il dosaggio è fondamentale la valutazione dei livelli ematici di fenitoina. Alcuni bambini richiedono da 7 a 8 mg/kg/die. La durata del trattamento è variabile e dipende dalla natura della lesione e dai risultati dell’EEG. Le convulsioni si verificano in circa il 5% dei bambini con età > 5 anni e nel 10% di quelli con età < 5 anni durante la prima settimana dopo il trauma. Chirurgia: negli ematomi epidurali, l’evacuazione deve essere effettuata rapidamente per prevenire il deterioramento neurologico. In questi casi la prognosi è buona. Negli ematomi subdurali, una valutazione neurochirurgica precoce è fondamentale per stabilire l’indicazione all’evacuazione dell’ematoma e per collaborare alla gestione della ipertensione endocranica. Gli ematomi cronici subdurali possono richiedere drenaggi subdurali ripetuti, drenaggio chirurgico o shunt.

Prognosi e riabilitazione Il grado di recupero funzionale dipende dall’età del paziente, dalla durata del coma, dalla presenza di emorragia cerebrale e dalla sede maggiormente interessata dal trauma. Dei 5 milioni circa di bambini, che ogni anno riportano traumi cranici (in USA n.d.t.), 4000 vanno incontro a morte e 15000 richiedono un’ospedalizzazione prolungata. Di quelli che presenterà traumi gravi, in cui il coma persiste per più di 24 h, il 50% avrà sequele neurologiche maggiori. Il 2-5% rimarrà gravemente handicappato. La percentuale di mortalità per trauma cranico nei bambini con punteggio di Glasgow di 5, 6 o 7 è inferiore a 10%; i bambini con meno di 5 anni di età (specialmente i lattanti) hanno un tasso di mortalità superiore rispetto ai bambini più grandi. Per i bambini che sopravvivono, di solito il recupero funzionale è buono, ma spesso è necessario un periodo prolungato di file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (7 of 9)02/09/2004 2.47.46

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riabilitazione, in particolare per le funzioni cognitive ed emotive e i servizi riabilitativi devono essere pianificati per tempo, già al momento del ricovero. Problemi comuni durante il ricovero sono l’amnesia retrograda, mutamenti comportamentali, labilità emotiva, disturbi del sonno, diminuzione delle capacità intellettive ed esiti convulsivi (V. anche Cap. 175) I gruppi di sostegno per il danno cerebrale possono assistere in maniera significativa le famiglie dei bambini con danno cerebrale e possono essere uno strumento di coordinazione dell’assistenza medico-chirurgica e del supporto educativo e riabilitativo necessari.

TRAUMI SPINALI Tali traumi non sono rari in età pediatrica, sebbene il tasso minore di traumi spinali si registri in bambini con meno di 10 aa di età. Nei bambini con meno di 8 anni, i traumi spinali cervicali si verificano più comunemente sopra C-4; in quelli con più di 8 anni tali traumi sono più comuni tra C5 e C8. Di crescente importanza è il riconoscimento dei traumi spinali senza evidenza di segni radiologici (Spinal Cord Injury Without evidence Of Radiologic Anomaly, SCIWORA). Questo tipo di trauma è quasi esclusivo dell’età pediatrica ed è determinato da una trazione spinale diretta, con concussione e danno vascolare spinale. In caso di danno neurologico, da sezione anatomica o funzionale del midollo (più comune nei bambini con meno di 8 anni), la prognosi è peggiore.

Sintomi, segni e diagnosi I sintomi e i segni di danno spinale sono descritti nel Cap. 182. L’ipotensione è comune e solitamente associata a bradicardia. Si deve considerare come paziente con danno spinale, ogni soggetto, che ha avuto un incidente su veicolo a motore e che è stato trascinato per molti metri o che ha avuto un trauma da immersione. In questi casi è indicata una valutazione neuroradiologica approfondita, incluse TAC a sezione sottile, RMN o mielografia.

Trattamento I traumi spinali cervicali richiedono stabilizzazione precoce. Un collare pediatrico della giusta misura, che prevenga la flesso/estensione del capo, deve essere applicato e lasciato in sede, fino a che non venga esclusa la possibilità di danno spinale. Se il paziente non è in grado di indicare la sede del dolore o obbedire ai comandi, il collare deve rimanere in sede fino a che non vengano definitivamente esclusi danni osseo, legamentoso o spinale. Per prevenire un’eccessiva flessione del collo e garantire la sua posizione neutra, i collari pediatrici, per bambini 3 anni, di regola devono essere forniti di una indentazione in corrispondenza dell’occipite. È fortemente controindicato il trazionamento della colonna cervicale, come parte delle manovre di stabilizzazione durante l’intubazione. Un fattore critico, in caso di sospetto trauma spinale, è il mantenimento di una ossigenazione/ ventilazione e di un circolo adeguati. Dal momento che l’ipotensione può determinare ischemia spinale, un bolo (20 ml/kg) di cristalloidi (soluzione fisiologica o Ringer lattato) deve essere infuso rapidamente nel paziente ipoteso. Si possono effettuare boli addizionali di liquidi, per mantenere una pressione normale e può essere considerata la possibilità di aggiungere un αfarmaco adrenergico. Una infusione continua di noradrenalina o adrenalina può essere iniziata a dosi di 0,1 µg/kg/min. Inoltre se, nelle prime 8 ore dopo il file:///F|/sito/merck/sez19/2632427.html (8 of 9)02/09/2004 2.47.46

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trauma, è stato utilizzato il Solu-Medrol, può essere di aiuto l’uso ulteriore di questo farmaco con un bolo iniziale (30 mg/kg), seguito da una dose EV di 5,4 mg/kg/h per 23 h (dati basati su adulti con traumi spinali). I bambini con traumi spinali importanti, come con altre forme di traumi maggiori devono essere trasferiti al più presto possibile in un centro specializzato per traumi pediatrici.

ALTRI TRAUMI GRAVI I traumi da sezione sono la più comune forma di trauma pediatrico. In aggiunta ai traumi cranici e spinali, in età pediatrica si riscontrano comunemente anche traumi addominali e toracici occulti. È necessario considerare la possibilità di lacerazioni/rotture spleniche, lacerazioni epatiche, contusioni renali, contusioni polmonari, pneumotrace/ emotorace e, nei bambini più piccoli, di ematomi duodenali. Questi traumi possono non essere evidenti al momento della valutazione iniziale, ma avere conseguenze devastanti. D’altra parte una TC addominale e toracica sono indicate, ogni volta che il meccanismo del trauma suggerisca l’applicazione di una forza meccanica significativa sul bambino. Ogni evidenza di instabilità circolatoria (aumento del battito cardiaco, decremento del polso, riempimento capillare > 2 s con o senza ipotensione) suggerisce una perdita di volume ematico esterna o interna al distretto intravascolare e deve essere rapidamente trattata con infusione di 1 o 2 boli (20 ml/kg) di cristalloidi (soluzione fisiologica o Ringer lattato), seguita da 10 ml/kg di sangue (emazie concentrate), se è presente compromissione del circolo. È fondamentale effettuare una valutazione chirurgica, dal momento che, per determinare la causa (dell’instabilità del circolo), può essere richiesta l’esplorazione chirurgica (addominale o toracica).

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE AVVELENAMENTI AVVELENAMENTO DA FERRO

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e prognosi Terapia

A causa dell’esistenza di molte preparazioni contenenti ferro (Fe), la loro ingestione rappresenta un problema pediatrico frequente, ma raramente letale. Pochi casi di grave avvelenamento da ferro sono riportati annualmente dai centri antiveleni, probabilmente a causa delle piccole quantità di ferro elementare contenute nella maggior parte delle preparazioni commerciali (v. oltre). Tuttavia, il ferro elementare esplica un effetto tossico sull’apparato GI, cardiovascolare e sul SNC. La dose di ferro elementare letale PO si aggira fra i 200 e 250 mg/kg, ma anche 130 mg di ferro elementare possono risultare fatali. In base al peso corporeo, dosi < 20 mg di Fe elementare/ kg non sono tossiche, dosi tra 2060 mg sono lievemente o moderatamente tossiche e dosi > 60 mg/kg comportano danni più gravi e rischio di decesso. Ci sono in commercio più di 100 preparati contenenti ferro; tuttavia, i preparati più frequentemente prescritti sono quelli contenenti ferro solfato (20% di ferro elementare) e ferro gluconato (12% di Fe elementare). Il Fe fumarato (33% di Fe elementare) si trova in associazione con molte vitamine sia per gli adulti che per i bambini.

Sintomi e segni Diarrea, vomito, leucocitosi e iperglicemia di solito si verificano quando la concentrazione sierica del Fe supera 300 µg/dl (> 54 µmol/l). Se durante le prime 6 h non si sviluppa alcun sintomo, il paziente è a bassissimo rischio. I quattro stadi dell’avvelenamento da ferro sono illustrati nella Tab. 263-9.

Diagnosi e prognosi Qualora sia possibile, si deve determinare la concentrazione ematica di Fe dopo l’ingestione. Se il valore iniziale del Fe sierico è elevato possono rendersi necessarie delle misurazioni seriate, al fine di stabilire il decorso clinico dell’avvelenamento. Se il ferro sierico è > 110 µg/dl (> 20 µmol/l) ma < 350 µg/dl (< 63 Inizialmente, il metallo deve essere rapidamente rimosso dallo stomaco. Se il paziente è sveglio e cosciente, si può provocare il vomito con lo sciroppo di ipecacuana. Comunque, il vomito indotto dall’ipecacuana non consente di distinguere se il vomito è prodotto dal solo emetico o in parte dal metallo. La file:///F|/sito/merck/sez19/2632443.html (1 of 2)02/09/2004 2.47.47

Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

lavanda gastrica è di uso limitato, per la difficoltà di utilizzare un tubo di lavaggio gastrico di calibro sufficientemente ampio in un bambino piccolo. La somministrazione di lavaggi con fluidi contenenti deferoxamina fosfato o bicarbonato di sodio è controindicata. L’irrigazione di tutto l’intestino, con 0,5 l/h di soluzioni di lavaggio contenenti polietinelglicole ed elettroliti, può essere iniziata e continuata per diverse ore dopo l’ingestione. Il carbone attivo non adsorbe il ferro, per cui il suo uso non è indicato. La deferoxamina, che chela il Fe libero, deve essere utilizzata in ogni paziente con livelli di Fe 350 µg/dl ( 63 µmol/l) e presenza di sintomi GI, o con livelli di Fe 500 µg/dl ( 90 µmol/l) o in presenza di sintomi quando non è disponibile la concentrazione di ferro.µmol/l), è molto improbabile che ci sia Fe libero, per cui il paziente non deve essere ospedalizzato a meno che non sia sintomatico. Se il Fe sierico è > 350 µg/dl o se sono presenti sintomi, può essere necessaria l’ospedalizzazione. La larga disponibilità di test per il dosaggio del Fe sierico ne consente l’uso per stabilirne la potenziale tossicità (v. Tab. 263-10). Il cambiamento di colore delle urine, dal giallo al classico color vino rosé, a seguito della somministrazione di deferroxamina 50 mg/kg IM, indica la presenza di ferro libero. La radiografia dell’addome può rilevare tavolette non digerite di ferro e concrezioni di ferro, ma non consente la visualizzazione di vitamine contenenti ferro, di preparazioni liquide di ferro, o di tavolette di ferro masticate. La prognosi è buona, ma quando si verifica shock e coma la mortalità si aggira intorno al 10%. In totale la mortalità per avvelenamento da ferro è intorno all’1%.

Terapia Inizialmente, il metallo deve essere rapidamente rimosso dallo stomaco. Se il paziente è sveglio e cosciente, si può provocare il vomito con lo sciroppo di ipecacuana. Comunque, il vomito indotto dall’ipecacuana non consente di distinguere se il vomito è prodotto dal solo emetico o in parte dal metallo. La lavanda gastrica è di uso limitato, per la difficoltà di utilizzare un tubo di lavaggio gastrico di calibro sufficientemente ampio in un bambino piccolo. La somministrazione di lavaggi con fluidi contenenti deferoxamina fosfato o bicarbonato di sodio è controindicata. L’irrigazione di tutto l’intestino, con 0,5 l/h di soluzioni di lavaggio contenenti polietinelglicole ed elettroliti, può essere iniziata e continuata per diverse ore dopo l’ingestione. Il carbone attivo non adsorbe il ferro, per cui il suo uso non è indicato. La deferoxamina, che chela il Fe libero, deve essere utilizzata in ogni paziente con livelli di Fe 350 µg/dl ( 63 µmol/l) e presenza di sintomi GI, o con livelli di Fe 500 µg/dl ( 90 µmol/l) o in presenza di sintomi quando non è disponibile la concentrazione di ferro. Nel paziente normoteso, la deferoxamina può essere somministrata alla dose di 90 mg/kg IM, seguita da dosi di 90 mg/kg q 4-12 h fino a 6 g/die a seconda della risposta clinica e di laboratorio alla terapia. Molti medici preferiscono la somministrazione EV alla dose di 15 mg/kg/h. In una intossicazione grave ciò può non essere adeguato, poiché 1 g di deferoxamina chela soltanto 85 mg di Fe. L’exanguinotrasfusione ha un valore teorico nella gestione del paziente con avvelenamento grave da ferro; infatti per essere efficace, deve essere iniziata molto presto, prima dello spostamento intracellulare del ferro.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-10. LIVELLI EMATICI DI FERRO* Livelli sierici 0-100µg/dl (0-18µmol/l)

Tossicità Nessuna

100-350µg/dl (18-631µmol/ Avvelenamento ben determinato; tossicità l) lieve 350-500µg/dl (63- 90µmol/l) Tossicità grave 500-1000µg/dl (90179µmol/l)

Tossicità molto grave

>1000µg/dl (> 179µmol/l)

Potenzialmente letale

*2-4h dopo l’ingestione. Modificata da da Medical Toxicology , edited by MJ El lenhorn e P. Barceloux. New York, Elsevier, 1987, p.1025 Copyright 1987 da Elsevier Science Publishing Co., Inc.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE PERTOSSE (Tosse abbaiante) Malattia batterica acuta altamente contagiosa causata da Bordetella pertussis e caratterizzata da una tosse parossistica o spasmodica che solitamente termina con un atto inspiratorio stridente ad alta tonalità (l’urlo).

Sommario: Epidemiologia Sintomi e segni Complicanze e diagnosi Prognosi e profilassi Terapia

Epidemiologia La trasmissione avviene a seguito dell’aspirazione della B. pertussis (un coccobacillo gram-negativo, piccolo, non mobile) immessa nell’aria dal paziente soprattutto durante lo stadio catarrale e parossistico precoce. La trasmissione mediante oggetti contaminati è rara. I pazienti non sono più contagiosi dopo la 3a sett. della fase parossistica. La pertosse è endemica in tutto il mondo; la sua incidenza negli USA è aumentata alla fine degli anni 80. Causa epidemie locali ogni 2-4 anni. Colpisce tutte le età, ma il 38% dei casi riguarda lattanti di meno di 6 mesi, e il 71% bambini di età inferiore ai 5 anni. Gli adolescenti e gli adulti sono stati recentemente riconosciuti come fonte rilevante di pertosse. La malattia non conferisce immunità naturale permanente, tuttavia un eventuale secondo episodio è più lieve e spesso misconosciuto. La parapertosse è causata dalla B. parapertussis, che è simile alla B. pertussis; la parapertosse può essere clinicamente indistinguibile dalla pertosse ma è generalmente meno grave e più raramente mortale.

Sintomi e segni Il periodo di incubazione varia da 7 a 14 giorni (massimo 3 sett.). La Bordetella pertussis invade la mucosa di naso-faringe, trachea, bronchi e bronchioli aumentando la secrezione del muco, che è inizialmente fluido e poi viscido e denso. La malattia non complicata dura circa da 6 a 10 sett. e si compone di tre stadi: catarrale, parossistico e della convalescenza. L’inizio dello stadio catarrale è insidioso, generalmente con starnuti, lacrimazione o altri segni di coriza, anoressia, svogliatezza; e una fastidiosa ed

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Infezioni nei bambini

estenuante tosse notturna che gradualmente diventa diurna. La febbre è rara. Lo stadio parossistico inizia dopo 10-14 giorni quando la tosse peggiora per gravità e numero di accessi. Da 5 a 15, o più, colpi di tosse violenti e ravvicinati si verificano durante una singola espirazione e sono seguiti dall’urlo, una rapida e profonda inspirazione. Dopo una breve pausa di respiro normale, si può avere un altro attacco parossistico. Durante o alla fine degli attacchi parossistici, può essere espulsa una grossa quantità di muco viscido (in genere deglutito nei lattanti e nei bambini ma a volte emesso dal naso in grosse bolle). Caratteristico è il vomito conseguente all’attacco parossistico o alle difficoltà di emissione del muco denso. Nei lattanti le crisi di soffocamento (con o senza cianosi) possono essere più frequenti dell’urlo. Lo stadio della convalescenza inizia generalmente entro 4 sett.; gli attacchi parossistici diventano meno frequenti e gravi, il vomito diminuisce e le condizioni generali del paziente migliorano. La durata media della malattia è di circa 7 sett. (da 3 sett. a 3 mesi). Gli attacchi parossistici di tosse possono ripresentarsi per mesi, di solito causati dall’irritazione dovuta a infezioni delle alte vie respiratorie. I GB oscillano fra valori di 15000-20000/µl, ma possono essere normali o superare 60000/µl; il 60-80% è solitamente costituito da piccoli linfociti.

Complicanze e diagnosi Le complicanze respiratorie sono le più frequenti, compresa l’asfissia nei lattanti. La broncopolmonite (frequente anche negli anziani) può essere fatale a qualsiasi età. L’enfisema, interstiziale e sottocutaneo, e il pneumotorace sono complicanze poco frequenti dell’aumentata pressione intratoracica durante l’attacco parossistico. Possono esitare bronchiettasie, specialmente in bambini debilitati, e un enfisema residuo. Si può avere atelettasia se un tappo di muco occlude un bronchiolo. Una lesione tubercolare primaria può estendersi se contemporaneamente si verifica la pertosse. Le convulsioni sono frequenti nei lattanti, ma rare nei bambini più grandi. Per gravi parossismi e conseguente anossia si possono verificare emorragie cerebrali, oculari, cutanee e mucose. L’emorragia o l’edema cerebrale e l’encefalite tossica possono provocare paralisi spastica, ritardo mentale o altri disturbi neurologici. Durante l’attacco parossistico per azione traumatica dell’incisivo inferiore si può ulcerare il frenulo della lingua. A volte possono comparire anche ernia ombelicale e prolasso rettale. L’otite media è frequente. I tamponi nasofaringei sono positivi per la B. pertussis nell’80-90% dei casi nella fase catarrale e in quella parossistica precoce. Migliori risultati si ottengono con l’uso di tamponcini di cotone sterile montati su uno specillo di calibro 28 rivestito di zinco che arrivi attraverso le narici fino al nasofaringe. Si deve usare un terreno standard preparato di fresco Bordet-Gengou o all’agar-carbone, contenente penicillina o cefalexina per inibire la crescita di altri batteri. La ricerca degli Ac fluorescenti specifici nelle secrezioni nasofaringee diagnostica accuratamente la pertosse ma non è sensibile come la coltura. Può essere impiegata anche la Polymerase Chain Reaction (PCR) per Bordetella pertussis. Lo stadio catarrale è spesso difficilmente distinguibile dalla bronchite o dalla influenza. Le infezioni da adenovirus e la tubercolosi devono essere considerate nella diagnosi differenziale, poiché entrambe possono simulare la pertosse. Una linfocitosi 70% in un bambino di età superiore a 3 anni afebbrile o con modico rialzo termico con tosse sospetta spesso suggerisce la diagnosi di pertosse ma non è distinguibile da una sindrome pertussoide da adenovirus. La diagnosi differenziale con la parapertosse si può fare con gli esami colturali o con la tecnica degli Ac fluorescenti.

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Infezioni nei bambini

Prognosi e profilassi La pertosse è una malattia seria nel bambino di età inferiore ai 2 anni; la mortalità è circa dell’1-2% nel bambini di età inferiore a 1 anno (più alta nel primo mese di vita) La maggior parte delle morti è causata da broncopolmonite e complicanze cerebrali (v. sopra). La pertosse è fastidiosa ma raramente grave nei bambini più grandi e negli adulti, fatta eccezione che per gli anziani. La vaccinazione è trattata in Vaccinazioni nell’Infanzia al Cap. 256. L’immunizzazione passiva è poco efficace e non è raccomandata. I pazienti devono essere isolati dai bambini recettivi per almeno 4 sett. dall’inizio della malattia o fino alla risoluzione dei sintomi. Se l’isolamento è dubbio o difficoltoso, la terapia orale con eritromicina (preferibilmente estolato), 12,5 mg/ kg PO q 6 h (massimo 2 g/die), iniziata durante il periodo di incubazione, e continuata per 10-14 giorni, solitamente eradica il germe dal nasofaringe, diminuendo in tal modo l’infettività e bloccando probabilmente l’infezione nei contatti. Comunque, l’efficacia non è stata ancora interamente stabilita, e non è stato accertato alcun beneficio terapeutico se somministrata dopo la comparsa degli accessi di tosse.

Terapia Per i bambini gravemente ammalati si raccomanda l’ospedalizzazione per valutare la progressione della malattia e prevenire e trattare le complicanze. Sono raccomandati pasti piccoli e frequenti. Se il vomito è grave può essere necessaria una terapia parenterale reidratante per reintegrare le perdite di acqua e sodio. Nel lattante, l’aspirazione per rimuovere le secrezioni dalle vie aeree superiori può essere determinante per la sopravvivenza e a volte bisogna ricorrere alla tracheostomia o alla intubazione nasotracheale. L’O2-terapia è indicata quando persiste cianosi nonostante l’aspirazione delle secrezioni. Poiché ogni disturbo può scatenare gravi crisi parossistiche con anossia, i bambini seriamente ammalati devono essere tenuti in una camera silenziosa e oscurata e disturbati il meno possibile. Grande attenzione deve essere rivolta ai fabbisogni nutrizionali del bambino perché una malnutrizione preesistente o che si sviluppa durante l’affezione può peggiorare la prognosi. Espettoranti, sedativi della tosse e una lieve sedazione hanno dubbia efficacia e devono essere usati con cautela e non in tutti i bambini affetti. Per il trattamento del bambino con una forma grave di pertosse è stata consigliata terapia con farmaci come teofillina o albuterolo e corticosteroidi; tuttavia ulteriori studi controllati sono necessari per stabilire la loro efficacia e il loro rischio potenziale. Gli antibiotici somministrati nello stadio catarrale possono migliorare la malattia. Dopo la comparsa dei parossismi, gli antibiotici solitamente non hanno alcun effetto apprezzabile ma sono raccomandati per limitare la diffusione. Il farmaco di scelta è l’eritromicina da 40 a 50 mg/kg PO q 6 h per 14 giorni. Gli antibiotici devono essere usati anche in presenza di qualsiasi complicanza batterica come broncopolmonite e otite media. Non è necessario il riposo a letto per i bambini più grandi con malattia lieve.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE BATTERIEMIA OCCULTA Presenza di batteri patogeni vitali nel circolo ematico di un bambino febbrile che non presenta foci apparenti d’infezione e che, per le sue buone condizioni generali, può essere curato a domicilio.

Sommario: Eziologia ed epidemiologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia ed epidemiologia Una batteriemia occulta è causata dallo Streptococcus pneumoniae nel 65-75% dei casi; i restanti casi sono causati da altri batteri, inclusi Neisseria meningitidis, Salmonella Sp e Staphylococcus aureus. L’incidenza di batteriemia dovuta a Haemophilus influenzae tipo b (Hib) si è ridotta in modo considerevole nelle nazioni dove il vaccino coniugato Hib è parte della vaccinazione routinaria dell’infanzia. Una batteriemia occulta viene diagnosticata nel 4-17% dei bambini febbrili di età compresa fra 1 e 24 mesi; la maggior parte dei casi si verifica tra il 6o e il 24o mese. Il bambino che sta sufficientemente bene da essere trattato a domicilio, ma nel quale viene poi diagnosticata una batteriemia, ha usualmente un’età < 24 mesi. L’incidenza non dipende dal sesso o dalla razza.

Sintomi, segni e diagnosi La batteriemia occulta spesso si associa a IRS, faringite o a febbre isolata; d’altra parte, la percentuale di bambini con tali condizioni che è effettivamente affetta da batteriemia è molto bassa. Poiché la diagnosi si esegue isolando il germe dal sangue, una diagnosi immediata non può essere fatta quando si vede il bambino per la prima volta. Le colture solitamente diventano positive in 24-48 h e i campioni possono spesso essere contaminati da germi cutanei. Le tecniche diagnostiche rapide disponibili (p. es, VES, proteina C-reattiva) non sono sufficientemente sensibili per l’utilizzazione clinica. Test non specifici possono aiutare a determinare la probabilità di batteriemia. Nella maggior parte dei bambini con batteriemia i GB sono elevati e pertanto questo è un esame sensibile; tuttavia, solo circa il 10% dei bambini con una conta leucocitaria > 15000/µl presenta batteriemia (quindi la specificità è bassa). Gli indici di fase acuta come la VES e la proteina C-reattiva aggiungono poche informazioni. Un’analisi delle urine con < 5 GB/campo ad alto ingrandimento e assenza di nitriti e di esterasi leucocitaria aiutano a escludere IVC. Una

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combinazione di fattori di rischio, p. es., età compresa fra 1 e 24 mesi, temperatura > 38,5°C, conta dei GB elevata (> 15000 /µl e > 5000 /µl forme immature), e alterazioni dell’esame delle urine, aumentano la probabilità di batteriemia ma solo fino al 10-25%. Varie scale cliniche a punteggio sono state sviluppate, come i criteri di Rochester per basso rischio di infezione batteriche gravi durante l’infanzia (v. Tab. 265-1). Una batteriemia occulta deve essere distinta da sepsi, sepsi neonatale, e shock settico. (Per la trattazione di queste infezioni, v. Cap. 156, e Sepsi neonatale e Meningite neonatale in Infezioni neonatali nel Cap. 260.)

Prognosi e terapia Indipendentemente dal fatto che i bambini siano stati trattati con antibiotici o meno prima della conferma della batteriemia, circa il 10-15% svilupperà una meningite. Dei bambini sottoposti a terapia antibiotica prima che venga confermata la diagnosi di batteriemia, la maggior parte presenterà un miglioramento clinico e una piccola percentuale avrà una batteriemia persistente. Invece, dei bambini che non ricevono antibiotici prima della conferma della batteriemia, una minoranza migliorerà clinicamente, e circa lo stesso numero di quelli che ricevono antibiotici prima della conferma della batteriemia svilupperà un’infezione batterica localizzata, febbre prolungata, e batteriemia persistente. In alcune strutture si consiglia di iniziare il trattamento con ceftriaxone IM o amoxicillina PO mentre si attendono i risultati delle emocolture nei bambini di età compresa tra i 3 e i 24 mesi che presentano una temperatura > 40°C (> 104°F) e una conta di GB > 15000/µl. Altri ritengono che non sia necessario il trattamento se si garantisce un’attenta osservazione. In entrambi i casi è necessario uno stretto controllo e una stretta osservazione del bambino specialmente per le prime 72 h. Circa il 50% dei pazienti ambulatoriali in cui si sospetta una batteriemia presenta un’infezione trattabile, solitamente otite media o polmonite, e starà già ricevendo quasi sicuramente terapia antibiotica orale al momento in cui la batteriemia viene confermata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 265-1. CRITERI DI ROCHESTER PER BASSO RISCHIO DI INFEZIONI BATTERICHE GRAVI NELL'INFANZIA Il lattante ha generalmente un buon aspetto Il lattante è stato precedentemente in buona salute Nato a termine (>37 settimane di gestazione) Non ha ricevuto antimicrobici in età prenatale Non è stato trattato per iperbilirubinemia inspiegata (ovvero, bilirubina indiretta >12 mg/ dl) Non ha ricevuto farmaci antimicrobici Non è stato precedentemente ricoverato in ospedale Non ha avuto malattie croniche o altre malattie sottostanti Non è stato ricoverato più a lungo della madre Nessun’evidenza di infezione cutanea, dei tessuti molli, dell’osso, delle articolazioni o dell’orecchio Valori di laboratorio Globuli bianchi in un campione di sangue periferico da 5000 a 15000/µl Conta assoluta delle forme immature ≤ 1500/µl ≤10 globuli bianchi per campo ad alto ingrandimento (x 40) all’esame microscopico del sedimento urinario ≤ 5 globuli bianchi per campo ad alto ingrandimento (x 40) all’esame microscopico di uno striscio fecale (solo per lattanti con diarrea)

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE INFEZIONE DELLE VIE URINARIE Presenza di batteriuria significativa (p. es., > 103 colonie/ml in un campione prelevato mediante cateterizzazione), sia asintomatica sia associata a sintomi di cistite, pielonefrite o setticemia.

Sommario: Introduzione Eziologia ed epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e Terapia

Le vie urinarie, dai reni alla vescica, normalmente sono sterili, malgrado le possibili e frequenti contaminazioni batteriche provenienti dall’uretra distale. I meccanismi che garantiscono la sterilità comprendono l’acidità urinaria, un flusso urinario senza ostacoli, un normale meccanismo di svuotamento, sfinteri ureterovescicali e uretrale integri e le barriere immunologica e mucosa. L’alterazione di uno di questi meccanismi e il ristagno urinario sono i maggiori fattori predisponenti delle infezioni delle vie urinarie (IVU).

Eziologia ed epidemiologia In presenza di anomalie del tratto urinario, molti organismi possono causare un’infezione. Nel caso di vie urinarie normali sono quasi sempre responsabili ceppi di Escherichia Coli con fattori di adesione specifici per l’epitelio di transizione della vescica e dell’uretere. L’E. Coli è responsabile di > 75% dei casi di IVU nell’età pediatrica. I restanti casi sono dovuti ad altri enterobatteri gram specialmente Klebsiella, Proteus mirabilis, e Pseudomonas aeruginosa. Enterococchi (streptococchi di gruppo D) e stafilococchi coagulasi-negativi (p. es., Staphylococcus saprophyticus) sono i germi gram + più frequentemente implicati. Funghi e micobatteri sono cause rare. Gli adenovirus sono implicati nella cistite emorragica. L’1-2% dei neonati va incontro a IVU e il rapporto maschio-femmina è 5:1. Le infezioni nei maschi spesso sono associate a batteriemia. I fattori predisponenti sono malformazioni e ostruzioni delle vie urinarie, prematurità, cateteri vescicali e mancata circoncisione; importanti malformazioni renali sono presenti nel 20-40% di neonati con IVU. Dopo il periodo neonatale, le IVU si verificano nel 2-5% dei bambini piccoli e nel 5% dei bambini in età scolare. Il rapporto femmina-maschio aumenta con l’età ed è > 10:1 dopo i 4 anni. Le infezioni nelle bambine di solito sono ascendenti e non associate a batteriemia. La maggior incidenza nelle femmine è da attribuire alla brevità dell’uretra. Altri fattori predisponenti in questo gruppo di età comprendono i cateteri vescicali, la stipsi, la malattia di Hirschsprung, e le

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malformazioni delle vie urinarie (p. es., ostruzioni, vescica neurologica e duplicazioni ureterali). Altri fattori di rischio sono deficit di IgA, diabete, traumi e, negli adolescenti, i rapporti sessuali. Il 5-15% dei bambini in età scolare con IVU presenta malformazioni delle vie urinarie che richiederanno l’intervento chirurgico; il 30-40% presenta un reflusso vescicoureterale che richiederà una profilassi antibiotica. L’incidenza del reflusso varia in modo inversamente proporzionale all ‘età in cui si è verificato il primo episodio di IVU.

Sintomi e segni Nel neonato, la sintomatologia non è specifica e spesso simula quella della sepsi neonatale. Scarsa alimentazione, diarrea, arresto dell’accrescimento, vomito, un lieve ittero, letargia, febbre e ipotermia possono suggerire una IVU. Anche i lattanti e i bambini piccoli presentano una sintomatologia aspecifica. Alcuni bambini sono asintomatici e la diagnosi viene effettuata nel corso di esami di routine; altri presentano sintomi di tipo gastrointestinale (p. es., vomito, diarrea, dolore addominale). In bambini di età > 2 anni, si può presentare il quadro classico della cistite o della pielonefrite, sebbene fino al 40% delle IVU possano decorrere in modo asintomatico. I sintomi della cistite includono disuria, pollachiuria, ematuria, ritenzione urinaria, dolore in sede sovrapubica, prurito, incontinenza, urine maleodoranti, enuresi. I sintomi della pielonefrite possono includere quelli della cistite associati a febbre alta, brividi, dolore e dolorabilità costo-vertebrale.

Diagnosi La diagnosi richiede la dimostrazione mediante coltura di una batteriuria significativa in un campione di urine raccolto in modo appropriato. Se il campione di urine è ottenuto mediante puntura sovrapubica della vescica, la presenza di qualsiasi batterio gram - è significativa, come lo sono più di 1000 stafilococchi coagulasi-negativi/ml di urina. Nel campione prelevato mediante cateterizzazione >103colonie/ml sono solitamente significative. Campioni urinari prelevati in modo asettico durante la fase intermedia della minzione sono significativi nei soggetti di sesso maschile se la conta delle colonie è > 104; nei soggetti di sesso femminile se la conta delle colonie è > 105. I campioni conservati sono inattendibili e non devono essere impiegati per diagnosticare le IVU. Tutti i bambini con sospetta IVU devono anche essere attentamente visitati per evidenziare eventuali masse addominali, aumento di volume dei reni, anomalie uretrali, dolorabilità dell’angolo costo-vertebrale o segni di malformazioni del tratto lombo-sacrale della colonna. Una ridotta intensità del mitto urinario può essere il solo sintomo di ostruzione o di vescica neurogena. Devono essere sempre annotati PA, peso, altezza. Devono essere controllati l’Htc, l’azotemia e la creatininemia. Esame microscopico delle urine: l’esame microscopico delle urine è utile ma non decisivo. La piuria (> 5 GB/campo a forte ingrandimento in un campione di urine centrifugate) solitamente indica IVU ma è assente nel 60% delle IVU confermate dalla coltura. La colorazione di Gram delle urine può essere una procedura sensibile per l’identificazione di una IVU. La presenza di un batterio/10 campi con obiettivo a immersione a olio (1000 ⋅) in un campione di urine non centrifugate, o > 10 GB/µl in un campione di urine centrifugate, è correlabile con la presenza di più di 105 batteri/ml di urine alla coltura. Metodi di identificazione chimica: test chimici per rilevare la presenza di batteri (p. es., il test ai nitriti e alla esterasi leucocitaria) sono utili solamente per lo screening, ma un test ai nitriti positivo su un campione di urine appena emesse è fortemente indicativo di IVU. file:///F|/sito/merck/sez19/2652474.html (2 of 5)02/09/2004 2.47.50

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Urinocoltura: le urine devono essere poste in coltura il più presto possibile o conservate a 4°C (40°F) se si prevede un ritardo > 10-20 min. La migliore coltura delle urine è in piastre di agar-sangue con incubazione a 37°C (98,6°F) per 2448 h. Le urine sono strisciate sulla piastra mediante apposite anse quantitative batteriologiche. Quando le urine sono prelevate tramite puntura sovrapubica o cateterizzazione, se ne devono porre in coltura rispettivamente 0,001 ml e 0,1 ml. Dei campioni ottenuti in modo asettico a metà della minzione, sono sufficienti per la coltura 0,001 ml. Nei laboratori le colture si effettuano di solito su piastre di agar-sangue ma sono sensibili anche particolari kit (p. es., strisce reattive preparate su vetro o su carta che s ‘immergono nelle urine). A volte, può esservi una IVU nonostante una conta colonie bassa; ciò può verificarsi quando è già stata eseguita una terapia antibiotica, o in presenza di urine molto diluite (peso specifico < 1,003), o per ostruzione al flusso di urine grossolanamente infette. La ripetizione della coltura aumenta il valore diagnostico di un risultato positivo. Esami che differenziano infezioni del tratto superiore da quelle del tratto inferiore: distinguere le infezioni delle alte vie urinarie da quelle delle basse vie può essere difficile. Quando un bambino presenta febbre alta, dolorabilità all’angolo costo-vertebrale, importante piuria con cilindri urinari, è molto probabile che abbia la pielonefrite. D’altra parte, quando per la diagnosi differenziale sono state utilizzate, a scopo di ricerca, tecniche sensibili (p. es., washout della vescica, potere di concentrazione, rilevamento di batteri ricoperti di anticorpi) si è riscontrato che molti bambini con IVU asintomatiche o con sintomi di cistite avevano infezioni delle alte vie urinarie. Tali test non sono indicati nell’abituale pratica clinica. Diagnostica per immagini del tratto urinario: le vie urinarie di tutti i bambini con una IVU accertata devono essere studiate mediante ecografia, scintigrafia o ureterografia endovenosa (UEV) per evidenziare malformazioni importanti, e mediante cistoureterografia minzionale (CUGM) per individuare un significativo reflusso, che si riscontra nel 20-50% dei bambini con IVU. Il reflusso di urine infette nella pelvi renale o la presenza di urine infette a monte di un’ostruzione può provocare una pielonefrite cronica, con cicatrici renali, scarso accrescimento del rene e insufficienza renale. L’urografia o l’ecografia possono essere eseguite in qualsiasi momento, ma si raccomanda di eseguirle entro la prima sett. dalla diagnosi di IVU nei bambini più piccoli. La CUGM di solito si ritarda di 3-6 sett. per permettere al reflusso transitorio di solito associato alla cistite di guarire, in modo da ottenere una migliore valutazione della funzionalità delle valvole ureterovescicali. Alcuni medici rimandano l’esecuzione dell’esame radiografico soltanto dopo la seconda infezione nelle bambine > 3 anni. Per il reflusso vescicoureterale, la CUGM è il miglior test anatomico. Tuttavia, una CUGM nucleare al pertecnetato di tecnezio 99m libera una dose di radiazione alle gonadi che rappresenta l’1% di quella della CUGM radiografica; è abbastanza sensibile nell’individuare un reflusso e può essere raccomandata come test iniziale. Quando né la CUGM radiografica né quella radionucleare mostrano presenza di reflusso, può essere eseguita un’ecografia renale per escludere anomalie anatomiche; quando c’è un reflusso, le alte vie urinarie sono meglio valutabili con una UEV, o con una scintigrafia che impieghi un agente corticale (p. es., il glucoeptonato di tecnezio 99m) che libera una dose di radiazioni più bassa dell’UEV e può risultare più sensibile nella individuazione di cicatrici renali. L’ecografia è attualmente la procedura di scelta per seguire lo sviluppo renale nel bambino con reflusso accertato. Il reflusso vescicoureterale (RVU) può essere classificato in gradi come stabilito dalla International Reflux Study Committee: ●

Grado I: sono coinvolti soltanto gli ureteri



Grado II: il reflusso raggiunge i calici



Grado III: l’uretere e la pelvi renale sono dilatati



Grado IV: la dilatazione è aumentata e l’angolo acuto a livello dei fornici è obliterato

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Grado V: l’uretere, la pelvi, e i calici sono marcatamente dilatati, e le impronte papillari frequentemente sono assenti

Prognosi e Terapia Nel complesso la prognosi delle infezioni delle vie urinarie è buona. Nei soggetti adeguatamente curati l’evoluzione verso l’insufficienza renale è rara, a meno che non esista un’anomalia delle vie urinarie non correggibile. Ricorrenze si verificano in circa il 50% dei pazienti con IVU sintomatica o asintomatica ma sono più comuni in quelli con anomalie urologiche. Lo scopo del trattamento è quello di preservare la funzionalità del parenchima renale e di ridurre al minimo la morbilità acuta. Nel neonato, dopo aver eseguito emocoltura e urinocoltura, la terapia deve essere iniziata per via parenterale con ampicillina e un aminoglicoside a dosaggi appropriati per la sepsi neonatale (v. Tab. 260-6). Se l’emocoltura è negativa, la risposta clinica è buona e le urinocolture, ripetute a 48-72 h dall’inizio della terapia, sono negative, si può usare un antibiotico idoneo PO (p. es., ampicillina, amoxicillina o una cefalosporina scelte sulla base delle sensibilità) per completare i 10 giorni di trattamento. Un’altra urinocoltura deve essere ripetuta dopo 7-10 giorni dalla fine della terapia. Una mancata risposta suggerisce la presenza di un germe resistente o una lesione ostruttiva e richiede una valutazione urgente. Dopo il periodo neonatale, i bambini possono essere trattati con antibiotici per via orale a meno che non abbiano febbre alta, stato tossico o vomito, nel qual caso è consigliato il trattamento per via parenterale. Gli antibiotici iniziali di prima scelta sono ampicillina, amoxicillina, trimethoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMX) o una cefalosporina (v. Tab. 265-2). Questi assicurano un’adeguata copertura per l’E. Coli. Modificazioni della terapia devono essere guidate dai risultati delle colture e dell’antibiogramma. I bambini ricoverati per pielonefrite acuta e segni di sepsi devono ricevere ampicillina e un aminoglicoside o una cefalosporina di terza generazione quale il cefotaxime o il ceftriaxone per via parenterale. La durata del trattamento per IVU è di 7-10 giorni, sebbene molti bambini più grandi con IVU non complicata possano essere trattati con successo con un ciclo più breve di antibiotici. L’urinocultura deve essere ripetuta 2-3 giorni dopo l’inizio della terapia antibiotica se l’efficacia non è ancora evidente e in tutti i bambini 7-10 giorni dopo la sospensione degli antibiotici per documentare l’efficacia del trattamento. La mancata sterilizzazione delle urine dopo 48 h di terapia antibiotica può essere dovuta alla presenza di un germe resistente, a una lesione ostruttiva, o a una scarsa compliance. A causa del rischio di recidive, le urinocolture devono essere ripetute 3-4 volte durante il primo anno dalla diagnosi e almeno 2 volte l’anno durante i 2-3 anni successivi (od ogni volta che il bambino presenta sintomi compatibili con una IVU). La profilassi antibiotica è indicata nei bambini con reflusso di grado II o superiore per ridurre le recidive e prevenire il danno renale. Nitrofurantoina 2 mg/ kg/die o TMP/SMX (2mg/kg/ die di TMP) vengono somministrati per via orale una volta al giorno, di solito alla sera. Il reflusso vescicoureterale deve essere trattato sulla base del grado (v. sopra, Diagnosi). I bambini con un quadro radiografico normale o con un RVU di I grado possono essere seguiti mediante l’esecuzione di periodiche urinocolture. Nei bambini con reflusso di II e III grado è indicata una profilassi antibiotica. Se viene diagnosticato un reflusso di IV o V grado o un’anomalia maggiore a carico del rene, è indicata una consulenza urologica, poiché può essere necessario l’intervento chirurgico (v. Cap. 216).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE EPIGLOTTITE ACUTA (Sopraglottite) Infezione e infiammazione rapidamente progressive dell’epiglottide e dei tessuti circostanti che possono portare a ostruzione respiratoria improvvisa e morte.

Sommario: Introduzione Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Profilassi e terapia

L’incidenza si è ridotta drasticamente negli ultimi dieci anni. L’infezione è solitamente causata da batteri capsulati. Prima della vaccinazione di massa, l’H. influenzae tipo b era la causa più comune. Attualmente, gli agenti causali includono S. pneumoniae, S. aureus, H. influenzae non tipizzabile, H. parainfluenzae, e streptococchi β-emolitici.

Fisiopatologia L’infezione, trasmessa per via respiratoria, all’inizio può presentarsi come una rinofaringite. Il processo infiammatorio può poi estendersi e interessare il tessuto sopraglottico con marcata infiammazione dell’epiglottide nonché della vallecula, delle pieghe ariepiglottiche, delle aritenoidi e delle false corde. La batteriemia è comune nell’infezione da H. influenzae tipo b. La flogosi dell’epiglottide provoca un’ostruzione meccanica delle vie respiratorie, il lavoro respiratorio aumenta e possono conseguirne ipercapnia e ipossia. È ostacolata anche l’emissione delle secrezioni. Tutti questi fattori possono determinare un’asfissia fatale in alcune ore.

Sintomi e segni L’esordio è solitamente acuto e fulminante. In un bambino in pieno benessere improvvisamente compaiono faringodinia, raucedine e di solito febbre elevata. Rapidamente insorgono disfagia, difficoltà respiratoria caratterizzata da dispnea, tachipnea e stridore inspiratorio; il bambino s’inclina in avanti e iperestende il collo per favorire la respirazione. All’esame obiettivo, il bambino può apparire moribondo o agitato e in grave distress respiratorio. Sono rilevabili profondi rientramenti inspiratori a livello giugulare, sopraclavicolare, intercostale ed epigastrico. All’auscultazione del torace si apprezza bilateralmente una riduzione

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della penetrazione d’aria e la presenza di ronchi. La faringe di solito è iperemica. Può essere presente una concomitante polmonite da H. influenzae di tipo b, occasionalmente con empiema. Raramente localizzazioni metastatiche dell’infezione a livello di articolazioni, meningi, pericardio o tessuto sottocutaneo evolvono in un ascesso o in cellulite.

Diagnosi Appena si sospetta l’affezione il paziente deve essere immediatamente ospedalizzato. La visualizzazione diretta della epiglottide è diagnostica, ma la manipolazione può dare origine a una improvvisa e fatale ostruzione delle vie aeree. La visualizzazione deve essere eseguita soltanto da personale appropriatamente addestrato, capace di assicurare la pervietà delle vie aeree qualora ve ne fosse la necessità. Se la laringoscopia diretta conferma la diagnosi evidenziando un’epiglottide rosso carne, rigida ed edematosa è necessario posizionare immediatamente una via aerea artificiale (v. oltre, Terapia). L’agente eziologico può poi essere coltivato dalle secrezioni del tratto respiratorio superiore e di solito anche dal sangue. La diagnosi differenziale include il croup (v. Tab. 265-7 e alla voce Infezioni virali, di seguito) e la tracheite batterica (v. oltre). La Difterite (v. sopra) deve essere presa in considerazione soltanto nei soggetti non vaccinati.

Profilassi e terapia L’epiglottite causata da H. influenzae tipo b può essere prevenuta con i vaccini coniugati altamente efficaci anti Haemophilus influenzae tipo b (Hib) nei lattanti 2 mesi. Poiché l’ostruzione completa delle vie aeree può verificarsi all’improvviso, deve subito essere assicurata la ventilazione, preferibilmente con l’intubazione nasotracheale, e iniziata la terapia antibiotica parenterale specifica. La rapidità di intervento è di vitale importanza. L’intubazione nasotracheale è solitamente necessaria finché il paziente non è rimasto stabile per 24-48 ore (di solito il tempo totale di intubazione è < 60 ore). In alternativa deve essere eseguita una tracheotomia. Per il trattamento d’emergenza dei bambini con epiglottite, ogni ospedale deve avere un protocollo preciso che richieda la collaborazione del pediatra, dell’otorinolaringoiatra e dell’anestesista. Occorre un’assistenza infermieristica qualificata poiché le secrezioni possono ostruire le vie aeree anche dopo l’intubazione o la tracheostomia. L’infiammazione è efficacemente controllata con la terapia antibiotica per via parenterale. Inizialmente si deve usare un antibiotico resistente alla β-lattamasi poiché è frequente una resistenza dell’H. influenzae di tipo b all’ampicillina. Si possono usare cefalosporine di terza generazione o cloramfenicolo alla dose di 75-100 mg/kg/die EV. Raramente, vengono isolati ceppi di H. influenzae di tipo b resistenti al cloramfenicolo, e in questi casi dovrebbero essere usate le cefalosporine di terza generazione. Se il germe risulta sensibile all’ampicillina, essa deve essere somministrata alla dose di 200 mg/kg/die in 4 dosi refratte EV. I sedativi dovrebbero essere evitati, anche se per proteggere il tubo nasotracheale può essere necessaria un’iniziale miorisoluzione mediante bloccanti neuromuscolari. Ciò deve essere eseguito da un medico esperto in intubazione tracheale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 265-7. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA EPIGLOTTITE E CROUP Epiglottite

Croup

Esordio acuto e fulminante

Esordio acuto

Tosse abbaiante insolita

Tosse abbaiante caratteristica

L’epiglottide è notevolmente edematosa e rosso ciliegia

L’epiglottide può essere eritematosa

La radiografia del collo mostra un’epiglottide di volume aumentato e la distensione dell’ipofaringe

La radiografia del collo mostra un restringimento sottoglottico e un’epiglottide di normali dimensioni

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE TRACHEITE BATTERICA (Croup pseudomembranoso) Infezione della trachea causata da diversi batteri. Questa infezione non è comune e colpisce bambini di ogni età. S. aureus, streptococchi β emolitici di gruppo A, e H. influenzae tipo b sono i germi più frequentemente coinvolti. L’esordio della malattia è improvviso ed è caratterizzato da stridore respiratorio, febbre alta e spesso abbondanti secrezioni purulente. Il bambino sembra affetto da epiglottite con grave stato tossico e distress respiratorio che può aggravarsi rapidamente fino a richiedere l’intubazione. La tracheite batterica è diagnosticata con la laringoscopia diretta che mostra secrezioni purulente e infiammazione nell’area sottoglottica, o con la radiografia del collo in proiezione laterale che mostra un restringimento sottoglottico con membrane ruvide e purulente. È necessaria una terapia antibiotica con farmaci efficaci contro S. aureus, streptococchi, e H. influenzae tipo b. Il cefuroxime EV è appropriato come terapia empirica. Una volta posta la diagnosi microbiologica definitiva, deve essere somministrata una terapia antibiotica specifica, solitamente per 10-14 giorni. Una tracheite batterica grave deve essere trattata come l’epiglottite. Le complicanze includono broncopolmonite, sepsi, e cellulite o ascesso retrofaringeo. La stenosi sottoglottica secondaria a intubazione prolungata è insolita. La maggior parte dei bambini, trattata in modo appropriato, guarisce senza sequele.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI BATTERICHE IPERTROFIA ADENOIDEA Aumentato volume del tessuto adenoideo dovuto a iperplasia linfoide. L’ipertrofia adenoidea si verifica nei bambini e può essere sia fisiologica che secondaria a infezioni o ad allergia. Tipicamente esita nell’ostruzione delle tube di Eustachio e/o delle coane. L’ostruzione delle tube di Eustachio può determinare otite media (versamento nell’orecchio medio) acuta ricorrente, cronica, o secretoria (sierosa). L’ostruzione delle coane può causare respirazione a bocca aperta, apnea ostruttiva durante il sonno, voce iponasale e rinorrea purulenta; l’ostruzione può provocare sinusite cronica. È frequente l’adenoidite cronica. Nell’otite media sierosa persistente e nell’otite media cronica l’adenoidectomia è spesso indicata per ridurre le riacutizzazioni e migliorare i risultati della timpanoplastica. Nell’otite media acuta ricorrente, l’indicazione all’adenoidectomia dipende dalla durata del mal d’orecchio dopo l’inizio della terapia antibiotica, dalla perforazione della membrana timpanica, dalla frequenza con la quale è richiesta la miringotomia e dalla gravità della sintomatologia sistemica associata. Nell’ostruzione delle coane, l’indicazione all’adenoidectomia dipende dall’entità dell’ostruzione e dall’età del paziente, poiché l’iperplasia linfoide raggiunge il massimo alla pubertà. Nella rinorrea purulenta (o sinusite ricorrente o persistente nonostante un adeguato trattamento antibiotico) l’adenoidectomia può essere indicata in bambini attentamente selezionati e per il resto sani.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI ROSEOLA INFANTUM (Esantema improvviso; pseudorosolia) Infezione virale acuta dei lattanti o dei bambini molto piccoli caratterizzata da febbre alta, assenza di segni o sintomi di localizzazione e comparsa di un’eruzione rubeoliforme assieme o subito dopo la risoluzione della febbre.

Sommario: Eziologia, sintomi e segni Diagnosi e terapia

Eziologia, sintomi e segni La causa abituale è l’Herpes virus umano tipo 6 (HHV-6) e, meno frequentemente, l’HHV-7. La malattia si presenta il più delle volte in primavera e in autunno. Sono state riportate piccole epidemie locali. Si stima che il periodo d’incubazione sia di 5-15 giorni. Compare improvvisamente una febbre di 39,5-40,5°C che dura per 3-5 giorni senza alcuna causa evidente. Durante tale periodo sono frequenti le convulsioni, specialmente quando la temperatura aumenta. Nonostante la febbre alta, il bambino è di solito clinicamente vivace e attivo. Di solito a partire dal 3o giorno è presente leucopenia con linfocitosi relativa. Si può avere spesso linfoadenopatia cervicale o retroauricolare e la milza può essere lievemente ingrandita. Generalmente al 4o giorno la febbre cala rapidamente e compare l’esantema maculare o maculopapulare, prevalentemente sul torace e sull’addome e, in minor misura, sul viso e sugli arti; può durare da alcune ore a 2 giorni. In questa fase la temperatura è normale, il bambino si sente bene e ha un comportamento normale. L’eruzione evanescente nei casi più lievi può passare inosservata. Nel 70% delle infezioni da HHV-6, non appare il tipico esantema.

Diagnosi e terapia Se è noto che la roseola è presente nella comunità, si può pensare ad essa quando un bambino di età compresa fra 6 mesi e 3 anni presenta una temperatura costantemente elevata senza causa apparente e rimane vivace e attivo. La diagnosi può essere sospettata se si possono escludere pielonefrite, otite media, meningite, sepsi e polmonite batterica. Dopo la comparsa dell’eruzione, può essere formulata una diagnosi presuntiva. La diagnosi è confermata dall’esame colturale, dalla PCR Polymerase Chain Reaction) e dai test sierologici, ma queste tecniche non sono raccomandate di routine. La terapia è sintomatica e prevede l’uso di antipiretici per mantenere il bambino in uno stato di benessere. Per la terapia delle convulsioni v. Cap. 172.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI ERITEMA INFETTIVO (Quinta malattia; infezione da parvovirus B19) Infezione virale acuta dei lattanti o dei bambini molto piccoli caratterizzata da febbre alta, assenza di segni o sintomi di localizzazione e comparsa di un’eruzione rubeoliforme assieme o subito dopo la risoluzione della febbre.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

Infezione virale acuta contagiosa caratterizzata da lievi sintomi generali e da un’eruzione maculare o maculopapulare che inizia sulle gote e si diffonde poi soprattutto alle zone esposte degli arti. La malattia è causata dal parvovirus umano B19. Si verifica principalmente durante la primavera; sono comuni epidemie localizzate tra bambini e adolescenti. Il parvovirus B19 è anche un’importante causa delle crisi aplastiche che si verificano nei pazienti con patologia emolitica cronica, come l’anemia falciforme. La diffusione avviene per via respiratoria; l’infezione può verificarsi senza segni o sintomi.

Sintomi e segni Il periodo d’incubazione è di 4-14 giorni. Le manifestazioni tipiche sono febbre non elevata, leggero malessere generale e un eritema indurato e confluente sulle gote (aspetto a "guance-schiaffeggiate"). Entro 1-2 giorni, compare un’eruzione simmetrica che è più evidente alle braccia, alle gambe e al tronco, e che spesso risparmia le palme delle mani e le piante dei piedi. L’eruzione è maculopapulare, con tendenza alla confluenza; forma aree chiazzate leggermente rilevate, ad andamento reticolato o merlettato, spesso più evidente sulle aree esposte delle braccia. La malattia generalmente dura 5-10 giorni, ma l’eruzione può ripresentarsi varie settimane più tardi, esacerbata da luce solare, esercizio fisico, calore, febbre o stress emotivi. Talvolta, negli adulti affetti da questa malattia, vengono segnalati anche lieve dolore e tumefazione articolare che possono persistere o ricorrere per settimane o mesi. I pazienti immunodepressi possono sviluppare delle infezioni prolungate con grave anemia. Come la rosolia, anche l’eritema infettivo può essere trasmesso attraverso la placenta, determinando talvolta la nascita di un bambino morto o una grave anemia del feto con edema diffuso (idrope fetale). Il rischio di morte fetale è < 10% dopo infezione materna nella prima metà della gravidanza ed è ancor più bassa durante la seconda metà.

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Diagnosi e terapia L’aspetto e la diffusione dell’eruzione sono gli unici elementi diagnostici; tuttavia, la rosolia e alcune infezioni da enterovirus possono presentare caratteristiche simili. La rosolia può essere esclusa mediante test sierologici; anche una storia di esposizione è utile per la diagnosi. La viremia da parvovirus B19 di solito dura 712 giorni e può essere individuata mediante tecniche di immunoprecipitazione o di biologia molecolare. La presenza di anticorpi specifici di tipo IgM nella fase acuta tardiva o all’inizio della convalescenza può supportare fortemente la diagnosi. Questi test diagnostici non sono consigliati di routine. È necessaria solo una terapia sintomatica.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI VARICELLA (Varicella) Infezione virale acuta, che abitualmente inizia con lievi sintomi generali seguiti, dopo breve tempo, da un’eruzione che si presenta a gittate ed è caratterizzata da macule, papule, vescicole e croste.

Sommario: Eziologia e epidemiologia Sintomi e segni Complicanze Diagnosi e prognosi Profilassi Terapia

Eziologia e epidemiologia La varicella e l’herpes zoster sono provocati dal virus varicella-zoster; la varicella rappresenta la fase acuta invasiva del virus e l’herpes zoster (fuoco di S. Antonio) la riattivazione della fase latente del virus. Si ritiene che la varicella, che è estremamente contagiosa, sia trasmessa mediante goccioline infette ed è maggiormente infettiva durante il breve periodo prodromico e la prima fase dell’eruzione. Il periodo d’incubazione è di 1416 giorni e la trasmissione è considerata possibile da 10 a 21 giorni dopo l’esposizione. Quando le lesioni comparse per ultime hanno formato la crosta, il paziente non può più trasmettere la malattia. Un isolamento per 6 giorni dopo la comparsa delle prime vescicole è solitamente sufficiente per controllare i possibili contagi incrociati. La trasmissione indiretta (da terze persone immuni) non avviene. Le epidemie si presentano in inverno e all’inizio della primavera, a cicli di 3-4 anni (tempo necessario perché si sviluppi un nuovo gruppo d’individui suscettibili). La suscettibilità alla malattia è alta dalla nascita fino al momento in cui la si contrae, ma alcuni lattanti possono avere una parziale immunità, probabilmente acquisita per via transplacentare, fino all’età di 6 mesi.

Sintomi e segni 11-15 giorni dopo il contagio, 24-36 h prima della comparsa della prima serie di lesioni cutanee, possono comparire lieve cefalea, febbre modesta e malessere generale. Il periodo prodromico, solitamente inosservato nei bambini piccoli, compare più spesso nei bambini di età maggiore di 10 anni ed è abitualmente più grave negli adulti.

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L’eruzione iniziale, di tipo maculare, può essere accompagnata da un arrossamento evanescente. Tale eruzione evolve in poche ore nelle caratteristiche vescicole a lacrima, pruriginose, contenenti liquido chiaro che spiccano sulle loro areole rossastre; a questo punto la diagnosi è fatta. Le tipiche lesioni della varicella progrediscono da macula a papula e a vescicola e cominciano a formare la crosta nell’arco di 6-8 h. Le lesioni si presentano a ondate successive, con la comparsa di alcune macule al momento in cui le prime gittate iniziano a formare la crosta. Nei casi gravi l’eruzione può essere generalizzata; altrimenti, il volto e gli arti sono parzialmente risparmiati. Quando sono presenti soltanto poche lesioni, la sede più frequente è la parte alta del tronco. Le lesioni ulcerate possono essere presenti anche sulle mucose dell’orofaringe e del tratto respiratorio alto, interessare la congiuntiva palpebrale e la mucosa rettale e vaginale. Nella bocca le vescicole si rompono immediatamente, sono indistinguibili da quelle della stomatite erpetica e causano spesso dolore alla deglutizione. Le vescicole laringee o tracheali possono causare una dispnea grave. Le lesioni sono spesso presenti sul cuoio capelluto e provocano tumefazione e dolorabilità dei linfonodi suboccipitali e cervicali posteriori. La fase acuta della malattia dura di solito da 4 a 7 giorni. Nuove lesioni solitamente cessano di apparire a partire dal 5o giorno, la maggior parte è diventata crostosa a partire dal 6o giorno e la maggior parte delle croste scompare in meno di 20 giorni dall’inizio.

Complicanze Infezioni streptococciche secondarie delle vescicole possono portare a erisipela, sepsi, nefrite acuta emorragica o, raramente a fascite necrotizzante. Anche gli stafilococchi possono infettare le vescicole e causare piodermite o impetigine bollosa. La varicella grave si può complicare con polmonite negli adulti, nei neonati e nei pazienti immunocompromessi, ma questa complicanza è rara nei bambini. Anche miocardite, artrite transitoria o epatite e complicanze emorragiche sono state descritte. La varicella emorragica deve far avanzare il sospetto di una porpora trombocitopenica associata, sepsi batterica secondaria, sottostante tumore maligno, o immunodeficienza. L’encefalite post-varicella si verifica in < 1/ 1000 casi. Analogamente all’encefalite post-morbillosa, tende a verificarsi verso la fine della malattia o 1-2 sett. dopo la guarigione. Una delle complicanze neurologiche più comuni è l’atassia cerebellare acuta postinfettiva. Sono state descritte anche mielite trasversa, paralisi dei nervi cranici e manifestazioni cliniche simili alla sclerosi multipla. L’encefalite può essere fatale, ma la prognosi per una completa guarigione delle complicanze del SNC è generalmente buona ed è di gran lunga migliore nella varicella che nel morbillo. La sindrome di Reye, una complicanza rara ma grave, può iniziare da 3 a 8 giorni dopo l’inizio dell’eruzione (v. oltre Sindrome di Reye in Infezioni varie).

Diagnosi e prognosi Il riscontro dell’antigene virale nelle lesioni mediante immunofluorescenza, la coltura o i reperti sierologici confermano la diagnosi. Nella diagnosi differenziale andranno prese in considerazione impetigine, eczema infetto, punture e morsi d’insetto, eruzioni da farmaci, dermatite da contatto, porfiria eritropoietica (hydroa estivale) e, talvolta, infezioni da virus coxsackie e infezioni disseminate da herpes simplex. La varicella nei bambini è solitamente benigna; tuttavia, casi gravi e fatali possono raramente verificarsi. Il rischio di una malattia grave o fatale aumenta negli adulti e nei pazienti con depressione dell’immunità T cellulare (p. es., neoplasia linforeticolare) o in quelli sottoposti a terapia con corticosteroidi o a chemioterapia.

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Profilassi La varicella può essere prevenuta o il decorso della malattia attenuato somministrando immunoglobuline anti-zoster (ZIG) IM, derivate dai sieri di pazienti convalescenti da herpes zoster oppure immunoglobuline anti-varicellazoster (VZIG), preparate da pool di plasma contenenti alti titoli di anticorpi specifici. La dose raccomandata è di 125 U/10 kg (una fiala da 125 U è da circa 1,25 ml), fino a un massimo di 625 U. Per essere efficaci tali preparazioni devono essere somministrate entro 96 h dalla esposizione; il loro uso è ristretto ai soggetti a rischio di contagio affetti da leucemia, sindromi da immunodeficienza o altre patologie gravi debilitanti e alle donne in gravidanza a rischio di contagio. Anche i neonati di madri colpite da varicella 5 giorni prima del parto o 2 giorni dopo sono candidati a tale profilassi. Elevate dosi di globuline umane possono modificare l’andamento della malattia, se somministrate IM poco dopo il contagio, ma la quantità necessaria è tale (0,6-1,2 ml/kg) che non sono generalmente raccomandate. I preparati, IM o EV, di immunoglobuline specifiche anti varicellazoster non hanno invece valore terapeutico dopo l’inizio della malattia. In alcuni bambini, l’acyclovir è stato impiegato in modo profilattico dopo l’esposizione alla varicella per 1 sett. a cominciare da 7 giorni dopo l’esposizione. Ulteriori studi sono necessari per determinare la sua efficacia. Un vaccino con virus della varicella vivo attenuato è raccomandato dalla American Academy of Pediatrics per la vaccinazione universale di tutti i bambini sani senza una storia attendibile di varicella. Una dose è raccomadata in età compresa tra i 12 e i 18 mesi. Per i bambini di età superiore a 18 mesi privi di immunità contro la varicella, una dose può essere somministrata in qualsiasi momento tra i 19 mesi e i 13 anni. Gli adolescenti sani di età superiore a 13 anni e i giovani adulti che non sono stati immunizzati e che non hanno una storia di infezione varicellosa devono ricevere due dosi di vaccino distanziate di 4-8 sett. La Advisory Committee on Immunization Practices raccomanda inoltre di vaccinare gli adulti a rischio di contagio (v. anche Cap. 152). La valutazione della sierologia prima della vaccinazione negli adulti per determinare lo stato immunitario è facoltativa e nella maggior parte dei casi non ha un favorevole rapporto costo-beneficio. Il vaccino è controindicato nei pazienti con malattie concomitanti da moderate a gravi, nei pazienti immunocompromessi, nelle donne in gravidanza, nei pazienti che assumono terapia steroidea ad alto dosaggio e in quelli che ricevono salicilati. I familiari dei pazienti immunocompromessi possono raramente trasmettere il ceppo varicelloso vaccinale; se un’eruzione si verifica dopo la vaccinazione di un familiare di un paziente immunocompromesso, qualsiasi successivo contatto deve essere interrotto. La varicella può insorgere, in soggetti immunocompetenti, in seguito alla vaccinazione, tuttavia è solitamente di grado lieve (meno di 10 papule o vescicole) e di breve durata con pochi, o senza alcun sintomo sistemico di accompagnamento.

Terapia Le forme lievi necessitano solo di una terapia sintomatica. Compresse umide si possono applicare per limitare il prurito, che può essere assai intenso, e per impedire il grattamento, che può portare a infezione diffusa e cicatrici. Nei casi gravi, gli antiistaminici sistemici possono essere impiegati. A causa della frequenza delle sovrainfezioni da stafilococchi o streptococchi delle vescicole, i pazienti devono lavarsi spesso con acqua e sapone e vestire con biancheria pulita; le mani devono essere mantenute pulite e le unghie tagliate corte. Non bisogna applicare antisettici sulle singole lesioni, a meno che esse non presentino infezioni secondarie. Le sovrainfezioni stafilococciche o da streptococchi β-emolitici vengono trattate con antibiotici specifici per via sistemica. È stato riscontrato che l’acyclovir per via orale riduce lievemente la durata e la gravità della varicella quando somministrato a ospiti immunocompetenti entro file:///F|/sito/merck/sez19/2652496.html (3 of 4)02/09/2004 2.47.55

Infezioni nei bambini

24 h dalla comparsa dell’eruzione. Tuttavia, data la natura comunemente benigna della malattia, non è raccomandato sistematicamente nei bambini sani con varicella non complicata. L’acyclovir per via orale deve essere considerato nelle persone sane a rischio di malattia da moderata a grave, compresi i bambini di 12 anni, in quelli con dermopatie (in particolare eczema) o pneumopatia cronica, e in quelli che ricevono terapia con salicilati o terapia steroidea intermittente o per via aerosolica. La dose è 80 mg/kg suddivisa qid con una dose massima di 3200 mg. Ai pazienti con immunodepressione nota, deve essere prescritto acyclovir EV alla dose di 1500 mg/m2/die suddiviso q 8 h. Molti specialisti raccomandano 30 mg/kg/die EV suddivisi q 8 h per i bambini che sono immunocompromessi e di età inferiore a 1 anno. Le immunoglobuline anti-Zoster possono essere impiegate per attenuare la malattia (v. sopra, Profilassi).

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI INFEZIONE DA VIRUS RESPIRATORIO SINCIZIALE Infezioni virali delle basse vie respiratorie (compresa la bronchiolite e la polmonite) nei lattanti e nei bambini piccoli.

Sommario: Introduzione Eziologia e epidemiologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Il virus respiratorio sinciziale (VRS) è una delle più importanti cause di infezione del tratto respiratorio inferiore e può essere fatale. Spesso, la morte improvvisa di un lattante con patologia respiratoria è attribuita a infezioni da VRS. Negli adulti e nei bambini più grandi sani, il VRS di solito causa infezioni respiratorie lievi, ma può anche causare broncopolmonite e riacutizzazioni di bronchiti croniche. Le persone anziane e quelle con malattie polmonari di base sono piuttosto suscettibili alle infezioni da VRS.

Eziologia e epidemiologia Il VRS è un virus a RNA, classificato come un pneumovirus. Sono stati identificati sierologicamente 2 sottogruppi (A e B). Dal punto di vista biologico e di comportamento, il VRS somiglia ai virus influenzali e parainfluenzali più che ad altri gruppi tassonomicamente a esso correlati; tuttavia è distinto da questi sia dal punto di vista sierologico che per altre caratteristiche (p. es., per la sua mancata crescita su uovo o la sua mancata produzione di emoagglutinine),. Il VRS è associato a un’epidemia improvvisa di malattie respiratorie acute che si verifica annualmente in inverno o all’inizio della primavera. Come l’influenza, esso incrementa morbilità e mortalità per bronchiti e polmoniti. La ricorrenza annuale di sottogruppi del VRS indica che si verificano reinfezioni con malattia. Sebbene circa il 70% delle persone abbia anticorpi sierici contro il VRS già all’età di 5 anni, le infezioni continuano a verificarsi in persone di tutte le età. Lo scarso effetto protettivo degli anticorpi sierici contro l’infezione è dimostrato dalla malattia che si riscontra nei bambini di età inferiore ai 6 mesi (p. es., quelli con displasia broncopolmonare, v. Cap. 260); sebbene essi posseggano anticorpi materni, essi sviluppano una malattia grave delle basse vie aeree, responsabile di un numero rilevante di morti.

Sintomi e segni

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Le manifestazioni cliniche della infezione da VRS variano e in genere differiscono con l’età, con una precedente esposizione al VRS e con affezioni preesistenti (in particolare respiratorie). Vi sono pochi segni diagnostici specifici. Dispnea, tosse e sibili sono i sintomi preponderanti; essi di solito compaiono diversi giorni dopo i segni di interessamento delle alte vie respiratorie, tra i quali nei lattanti è compresa la febbre. Un’apnea può verificarsi nei piccoli lattanti e può precedere altri sintomi e segni di infezione da VRS. Broncopolmonite e bronchiolite sono spesso visibili alla radiografia del torace. La conta leucocitaria è solitamente normale, ma aumenti si verificano e il numero dei granulociti può essere modicamente aumentato. Nei bambini più grandi e negli adulti le infezioni da VRS possono essere inapparenti o presentarsi come una semplice IRS afebbrile (comune raffreddore); tuttavia, possono anche simulare un’influenza e sono responsabili di circa il 15% dei ricoveri ospedalieri per esacerbazioni acute di bronchite cronica.

Diagnosi Benché le colture siano raramente necessarie il VRS può essere isolato dalle secrezioni respiratorie in colture tissutali specifiche. Poiché il virus non tollera il congelamento e lo scongelamento, a meno che non sia protetto da terreni speciali, è difficile conservarlo o spedirne campioni. A causa delle difficoltà interpretative, la valutazione sierologica di routine non è raccomandata. I neonati spesso hanno anticorpi materni, i bambini possono mostrare nel siero anticorpi acquisiti dalla prima fase del VRS, i bambini piccoli possono non mostrare un aumento dei livelli anticorpali e gli adulti possono presentare una lieve affezione senza alcun incremento nel titolo anticorpale. L’ELISA è una metodica agevole e rapida per rilevare gli antigeni del VRS nelle secrezioni. Ha una sensibilità e una specificità dell’80-90% nella maggior parte dei laboratori. La ricerca dell’antigene del VRS, mediante immunofluorescenza, nelle cellule infette delle vie respiratorie ha una sensibilità dell’88% e una specificità del 100% quando il substrato contiene un sufficiente numero di cellule.

Terapia Le infezioni lievi e asintomatiche sono probabilmente molto frequenti e si risolvono senza particolari cure. La forma grave dei lattanti e dei bambini richiede ricovero ospedaliero e stretta osservazione per assicurare una respirazione idonea. L’ipossiemia è comune nei bambini con infezione da VRS. La determinazione dell’O22 nel sangue arterioso e/o l’ossimetria forniscono un’informazione oggettiva riguardo la gravità dell’infezione e la necessità di una terapia intensiva. In alcuni studi eseguiti su lattanti con bronchiolite o polmonite da VRS, l’uso della ribavirina (un farmaco antivirale) ha ridotto la diffusione virale e ha accelerato la guarigione dei pazienti con malattia grave. Altri studi non hanno mostrato un tale miglioramento. La ribavirina viene somministrata mediante un generatore di aereosol a particelle piccole come soluzione di 6 g in 300 ml di acqua sterile (20 mg/ml) per 12-20 ore. La durata della terapia è solitamente di 3-5 giorni, ma può essere più lunga in alcuni pazienti. Comunque, reazioni cutanee e altri sintomi legati all’esposizione si sono manifestati nel personale sanitario. Le donne in gravidanza devono evitare l’esposizione alla ribavirina. In generale, il farmaco deve essere riservato ai pazienti ad alto rischio con una valutazione caso per caso. Gli adulti con broncopolmonite e con bronchite acuta possono anch’essi richiedere assistenza respiratoria.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI BRONCHIOLITE Infezione virale acuta delle basse vie respiratorie caratterizzata da distress respiratorio, dispnea prevalentemente espiratoria, sibili e rantoli crepitanti che colpisce i lattanti e i bambini piccoli.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Spesso la bronchiolite compare in forma epidemica e interessa soprattutto i bambini di età inferiore a 18 mesi, con un picco di incidenza nei lattanti di età inferiore a 6 mesi, età di maggiore incidenza delle infezione da virus respiratorio sinciziale (VRS) e da virus parainfluenzale tipo 3. L’incidenza annuale nel primo anno di vita sembra essere di 11 casi/100 bambini.

Eziologia e fisiopatologia Gli agenti eziologici più frequenti della bronchiolite sono il VRS e il virus parainfluenzale tipo 3; cause meno frequenti sono i virus influenzali A e B, i parainfluenzali 1 e 2 e gli adenovirus. I rinovirus, gli enterovirus, il virus del morbillo e il Mycoplasma pneumoniae non sono cause frequenti. I virus responsabili diffondono dalle alte vie respiratorie alle medie fino ai piccoli bronchi e ai bronchioli, causando necrosi epiteliale. L’edema e l’essudato conseguenti provocano una parziale ostruzione che è più pronunciata in fase espiratoria e che conduce all’intrappolamento d’aria negli alveoli. L’ostruzione completa e il riassorbimento dell’aria intrappolata possono determinare zone multiple di atelettasia.

Sintomi e segni Di solito il bambino con bronchiolite ha avuto una precedente infezione delle alte vie respiratorie (IRS) seguita dalla improvvisa comparsa di distress respiratorio con tachipnea, tachicardia e tosse stizzosa. L’aggravarsi del distress respiratorio si manifesta con cianosi periorale, rientramenti sottocostali, intercostali e soprasternali e respiro sibilante udibile. Spesso il bambino appare marcatamente letargico, ma la febbre non è sempre presente. L’eventuale vomito e la diminuita assunzione orale di liquidi può provocare disidratazione. Con l’affaticamento il respiro può divenire sempre più superficiale e inefficace, fino a provocare acidosi

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respiratoria. Alla percussione il torace è iperfonetico, e l’auscultazione rivela respiro ansimante, espirazione prolungata e spesso fini rantoli crepitanti; la radiografia del torace mostra polmoni iperdiafani, diaframma abbassato e prominenza ilare. La presenza di infiltrato può essere dovuta ad atelettasia o a polmonite da VRS, che è abbastanza frequente nei lattanti con bronchiolite da VRS.

Diagnosi I primi dati di laboratorio non sono utili per la diagnosi. Circa 2/3 dei bambini presentano 10000-15000/µl leucociti. La maggior parte presenta il 50-75% di linfociti. Nei casi gravi l’azotemia e gli elettroliti sierici mostrano il tipo e il grado della disidratazione; l’emogasanalisi evidenzia verosimilmente ipossia. La diagnosi eziologica specifica si può fare con l’isolamento del virus o con tecniche di diagnosi rapida come l’immunofluorescenza e il metodo ELISA per l’antigene del VRS (v. Infezione da Virus Respiratorio Sinciziale sopra). La diagnosi differenziale si pone soprattutto nei confronti dell’asma, che è senz’altro più probabile nei bambini di età superiore a 18 mesi, specialmente se hanno presentato precedenti episodi di "wheezing" e se hanno un’anamnesi familiare positiva per diatesi allergica. Il reflusso gastroesofageo con aspirazione del contenuto gastrico può manifestarsi con una sintomatologia analoga a quella della bronchiolite; numerosi episodi in un lattante possono far sospettare questa diagnosi. Anche l’inalazione di un corpo estraneo occasionalmente causa "wheezing" e deve essere sospettato se l’anamnesi e l’epidemiologia sono suggestive e se l’esordio è stato improvviso e non preceduto da segni di infezione delle alte vie respiratorie (p. es., rinite).

Prognosi e terapia La maggior parte dei bambini può essere trattata a domicilio e guarisce in 35 giorni senza alcuna conseguenza. La mortalità è inferiore all’1% se il trattamento medico è adeguato. Indicazioni per il ricovero sono il distress respiratorio ingravescente, la cianosi, l’affaticamento e la disidratazione. I bambini affetti da condizioni patologiche preesistenti come malattie cardiache, immunodeficienza, o displasia broncopolmonare, che li rendono ad alto rischio di malattia grave o complicata, devono essere seguiti con attenzione e considerati candidati per una ospedalizzazione precoce. Riconoscere e trattare l’ipossia è molto importante. In ospedale si deve eseugire l’emogasanalisi arteriosa poiché non è possibile valutare accuratamente l’entità dell’ipossia clinicamente. Adeguate concentrazioni di O2 (PaO2 > 60 mm Hg) si possono ottenere con una miscela di O2 al 30-40% erogato con tenda o maschera facciale. L’intubazione endotracheale è indicata se si verifica una progressiva ritenzione di CO2, se il bambino non riesce a eliminare le secrezioni bronchiali o se l’ipossia non risponde alla somministrazione di O2. Dopo l’intubazione la somministrazione di O2 deve essere continuata, le secrezioni polmonari devono essere eliminate (attraverso il drenaggio posturale e l’aspirazione tracheale) e le basse vie respiratorie devono essere umidificate con nebulizzatore a ultrasuoni. L’idratazione può essere mantenuta con frequenti somministrazioni di piccole quantità di liquidi chiari. Ai bambini più compromessi i liquidi devono essere somministrati inizialmente EV, e il grado di idratazione deve essere controllato monitorando la quantità e il peso specifico delle urine e il livello sierico degli elettroliti. I cortisonici non forniscono alcun beneficio, e i sedativi sono controindicati. Gli antibiotici devono essere evitati a meno che non si abbia una superinfezione

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batterica (rara evenienza). I broncodilatatori in genere si dimostrano inefficaci, anche se raramente alcuni bambini possono presentare una qualche risposta. La ribavirina, 6 g diluiti in 300 ml di soluzione sterile, somministrata per aerosol a piccole particelle per 12-18 h/ die per 3-5 giorni, può essere presa in considerazione nei bambini ospedalizzati che sono prematuri, che presentano condizioni sottostanti tali da renderli ad alto rischio per gravi malattie o che presentano una malattia grave. Poiché la ribavirina può precipitare nel tubo di ventilazione, occorre prendere delle precauzioni (p. es., usando filtri e valvole a senso unico). I bambini sotto ventilazione meccanica devono essere trattati con la ribavirina solo in centri specializzati nel suo uso.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VIRALI MONONUCLEOSI INFETTIVA Malattia acuta provocata dal virus di Epstein-Barr, caratterizzata da febbre, faringite e linfoadenopatia;

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Epidemiologia Sintomi e segni Complicanze Esami di laboratorio e diagnosi Diagnosi differenziale Prognosi e terapia

Eziologia e fisiopatologia Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un herpes virus ubiquitario le cui cellule ospiti sono principalmente i linfociti B e le cellule del nasofaringe degli esseri umani e di alcuni primati. Dopo l’iniziale replicazione nel nasofaringe, il virus infetta i linfociti B che sono indotti a secernere immunoglobuline. Queste immunoglobuline comprendono anticorpi chiamati anticorpi eterofili che sono utili dal punto di vista diagnostico (v. oltre Esami di laboratorio e diagnosi). I linfociti B trasformati dal EBV sono il bersaglio di una risposta immunitaria multiforme. La risposta immunitaria umorale (produzione di anticorpi eterofili) documenta l’infezione primaria da EBV; la risposta immunitaria cellulare, consistente in parte in una induzione di linfociti T CD8 positivi attivati, è in gran parte responsabile della linfocitosi atipica conseguente all’infezione primaria da EBV. La risposta immunitaria cellulo-mediata gioca un ruolo importante nella prevenzione della ulteriore proliferazione dei linfociti B trasformati dal EBV durante l’infezione primaria e nella inversione dell’attivazione delle cellule B policlonali indotta dal EBV. Dopo l’infezione primaria, il EBV rimane all’interno dell’ospite per tutta la vita e viene eliminato in modo intermittente dall’orofaringe. Il virus è individuabile nelle secrezioni orofaringee del 15-25% degli adulti sani sieropositivi per il EBV. L’eliminazione orofaringea aumenta in frequenza e in quantità nei pazienti immunodepressi (p. es., i trapiantati e le persone con infezione da HIV). La riattivazione del EBV è generalmente asintomatica, contrariamente a quella del virus herpes simplex o del virus varicella-zoster. Il EBV è relativamente labile, non è stato isolato da fonti ambientali e non è molto contagioso. Soltanto il 5% dei pazienti ha avuto un recente contatto con una persona colpita da mononucleosi infettiva. Nella maggior parte dei casi si ritiene che il periodo di incubazione sia di 30-50 giorni. Il contagio può aversi per trasfusione di emoderivati ma molto più frequentemente si verifica per contatto orofaringeo (bacio) tra una persona non

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infetta e un portatore sano di EBV che secerne il virus dall’orofaringe in maniera asintomatica. Durante la prima infanzia il contagio si verifica più frequentemente nei ceti socioeconomici bassi e in condizioni di sovraffollamento. Il EBV è stato anche associato al linfoma di Burkitt africano (v. Cap. 139), ad alcune neoplasie delle cellule B nei pazienti immunodepressi (specialmente i trapiantati, quelli con infezione da HIV o con atassia-teleangectasia), e al carcinoma nasofaringeo (v. Cap. 87). Queste associazioni sono basate sull’evidenza sierologica di un’accresciuta attività del EBV e sulla dimostrazione di antigeni nucleari (Epstein-Barr Nuclear Antigens, EBNA) e di DNA del EBV in biopsie tumorali. È stato postulato che il EBV giochi un ruolo in alcuni linfomi a cellule B trasformando e stimolando in modo policlonale i linfociti B, rendendoli più suscettibili a una successiva traslocazione cromosomica e a un’evoluzione verso una linfoproliferazione oligoclonale o monoclonale. Negli ultimi anni, molti studiosi hanno individuato pazienti con la sindrome da stanchezza cronica, una malattia caratterizzata da stanchezza, disfunzione cognitiva lieve e, in alcuni casi, da febbre moderata e linfoadenopatia (v. anche Cap. 287). Sebbene alcuni abbiano ipotizzato un ruolo del EBV nella patogenesi della sindrome da stanchezza cronica, tale ipotesi è supportata solo da minime evidenze oggettive. Quindi, gli studi sierologici specifici della infezione da EBV non sono indicati per la valutazione dei sintomi limitati al solo affaticamento. In qualche caso è stata riscontrata l’associazione tra l’infezione cronica da EBV e una sindrome caratterizzata da febbre, polmonite interstiziale, pancitopenia e uveite. Questi pazienti debbono essere distinti da quelli affetti dalla sindrome da stanchezza cronica, i quali non hanno sintomi o segni oggettivi.

Epidemiologia Circa il 50% dei bambini ha avuto l’infezione primaria da EBV prima dei 5 anni. Nella maggior parte di questi bambini, l’infezione è subclinica. Negli adolescenti o negli adulti, può essere subclinica o può essere riconosciuta come mononucleosi infettiva. In studi prospettici condotti su studenti universitari, l’infezione primaria da EBV è stata riconosciuta come mononucleosi infettiva nel 30-70% dei casi di sieroconversione, ma in analoghi studi tra i volontari dei Corpi di Pace Internazionali e le reclute militari, l’infezione non si è manifestata clinicamente in una proporzione che raggiunge il 90% dei casi. Anche in età adulta l’infezione primaria da EBV può causare i tipici sintomi della mononucleosi infettiva.

Sintomi e segni La tetrade costituita da affaticamento, febbre, faringite e linfoadenopatia è comune; tuttavia, i pazienti possono presentare tutti o solo alcuni di questi sintomi. Di solito il paziente presenta un malessere che dura da parecchi giorni a 1 settimana, seguito da febbre, faringite e adenopatia. L’affaticamento è solitamente massimo nelle prime 2-3 sett. Di solito la febbre raggiunge il suo picco nel pomeriggio o nella prima sera, con una temperatura di circa 39,5°C (103°F), benché possa raggiungere anche i 40,5°C (105°F). Quando l’affaticamento e la febbre sono i segni dominanti (la cosiddetta forma tifoide), l’inizio e la risoluzione possono essere più lenti. La faringite può essere grave, dolorosa ed essudativa e può assomigliare alla faringite streptococcica. La linfoadenopatia può coinvolgere qualsiasi gruppo di linfonodi ma è di solito simmetrica; l’adenopatia cervicale anteriore e posteriore è spesso rilevante. L’ingrandimento di un solo linfonodo o di un gruppo di linfonodi può essere l’unica manifestazione; in questi casi, gli studi degli anticorpi eterofili possono evitare la biopsia linfonodale o aiutare l’interpretazione di aspetti istopatologici allarmanti. La splenomegalia, presente in circa il 50% dei casi, è massima durante la 2a e la 3a sett. ed è abitualmente limitata a una punta di milza palpabile sotto il margine file:///F|/sito/merck/sez19/2652502.html (2 of 5)02/09/2004 2.48.01

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costale sinistro. Possono essere anche presenti una lieve epatomegalia e un dolore alla percussione epatica. Segni meno frequenti sono le eruzioni maculopapulari, l’ittero, l’edema periorbitale, e l’enantema palatale.

Complicanze Sebbene la maggior parte dei casi si risolva senza problemi, le complicanze possono essere gravi. Le complicanze a livello del SNC comprendono l’encefalite, le convulsioni, la sindrome di Guillain-Barré, la neuropatia periferica, la meningite asettica, la mielite, le paralisi dei nervi cranici e le psicosi. L’encefalite associata al EBV può presentarsi con manifestazioni cerebellari, o può essere globale e rapidamente progressiva, mimando l’encefalite da herpes simplex. Diversamente da quest’ultima, l’encefalite associata al EBV è di solito autolimitata. Le complicanze ematologiche sono solitamente autolimitate e non richiedono trattamenti specifici. Comprendono granulocitopenia, trombocitopenia e anemia emolitica. Modesta granulocitopenia o trombocitopenia si osservano transitoriamente in circa il 50% dei pazienti; meno frequentemente si verificano casi gravi, associati a infezioni batteriche o emorragie. L’anemia emolitica è generalmente dovuta agli anticorpi specifici anti-i. Lasplenomegalia e l’edema capsulare possono causare la rottura della milza, che richiede la splenectomia. Sebbene la maggior parte dei pazienti accusi dolore addominale, la rottura della milza può essere occasionalmente non dolorosa e il paziente può presentare solo ipotensione. L’anamnesi di un trauma è presente solo in circa la metà dei casi. Le complicanze polmonari comprendono l’ostruzione delle vie aeree o un infiltrato polmonare interstiziale. L’ostruzione delle vie aeree causata dalla linfoadenopatia faringea o paratracheale rende necessaria l’ospedalizzazione e un eventuale intervento chirurgico, se la somministrazione di corticosteroidi non riesce a controllare il processo. Gli infiltrati polmonari interstiziali sono riscontrati più frequentemente nei pazienti pediatrici, sono di solito individuati alla radiografia e restano clinicamente silenti. Le complicanze epatiche sono rivelate da alterazioni dei test di funzionalità epatica. In circa il 95% dei casi si riscontrano elevati livelli di transaminasi (circa 2-3 volte superiori al normale, con un ritorno al livello basale in 3-4 sett.). Se si riscontrano ittero o aumenti più sostenuti degli enzimi epatici, bisogna ricercare altre cause di epatite. Sporadicamente si osservano casi gravissimi di infezione da EBV, ma in quetsi casi a volte è presente una familiarità per queste infezioni. In particolare, la sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X (sindrome di Duncan), è stata descritta in diverse famiglie (v. anche Cap. 147). In tali famiglie, l’infezione primaria da EBV può essere associata a una linfoproliferazione incontrollata, anemia aplastica o ipogammaglobulinemia.

Esami di laboratorio e diagnosi Sebbene la sindrome clinica della mononucleosi infettiva e le sue caratteristiche epidemiologiche possano essere così stereotipate da far sembrare certa la diagnosi, la sovrapposizione con altre malattie giustifica l’esecuzione di test di laboratorio. Nella maggior parte dei pazienti, si osserva una lieve leucocitosi, di solito accompagnata da una linfocitosi relativa e assoluta più pronunciata, causata da linfociti attivati che presentano differenti gradi di atipicità morfologica. I linfociti atipici possono essere assenti o possono rappresentare fino all’80% della conta file:///F|/sito/merck/sez19/2652502.html (3 of 5)02/09/2004 2.48.01

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differenziale dei GB. Alcuni linfociti possono avere delle caratteristiche morfologiche così bizzarre da far sospettare una malattia ematologica maligna. Tuttavia, l’eterogeneità di questi linfociti atipici distingue l’infezione da EBV dalla leucemia, che presenta una maggiore omogeneità morfologica dei linfociti atipici. Gli anticorpi eterofili sono diretti contro gli antigeni presenti sugli eritrociti di pecora, di cavallo e di bovino. Questi anticorpi possono essere identificati solamente nel 50% dei pazienti di età inferiore a 5 anni ma sono presenti nel 90% degli adolescenti e degli adulti con infezione primaria da EBV. Il test standard che utilizza i livelli di Ac eterofili, in cui il siero è preassorbito dagli antigeni di rene di cavia (Forssman), è meno sensibile, più laborioso e di minore valore diagnostico rispetto all’ampia varietà di test di agglutinazione su cartine (monospot) esistenti in commercio. Il titolo degli anticorpi eterofili aumenta durante la 2a e 3a settimana di malattia. Per cui, se la diagnosi di mononucleosi infettiva è fortemente sospetta sulla base del quadro clinico ma il test degli anticorpi eterofili è negativo, è ragionevole ripetere il test dopo 7-10 giorni dalla comparsa dei sintomi. Gli anticorpi eterofili possono persistere da 6 a 12 mesi dopo la guarigione dalla malattia. Gli anticorpi eterofili sono di solito evidenziati quando i pazienti sviluppano i sintomi e presentano una infezione primaria da EBV; essi possono anche essere utilizzati a scopo diagnostico. Se una sindrome clinica tipica è accompagnata da anticorpi eterofili individuabili, gli esami sierologici specifici del EBV non sono indicati. Tuttavia, nei bambini di 4 anni, nei quali gli anticorpi eterofili possono non essere mai evidenziabili, gli anticorpi contro l’antigene del capside del EBV (VCA) sono utili. Per l’utilizzo appropriato degli anticorpi specifici è necessario conoscere il momento della loro comparsa in rapporto all’infezione primaria da EBV. Gli anticorpi anti EBV-VCA compaiono solitamente nel periodo d’incubazione. Gli anticorpi IgG anti-VCA rimangono per tutta la vita a livelli sufficientemente elevati da rendere di solito inutile la loro determinazione per sapere se un paziente presenta una infezione primaria da EBV o un’altra malattia e una pregressa infezione da EBV. Invece, gli anticorpi IgM anti-VCA sono presenti in tutti i pazienti con un’infezione primaria da EBV e scompaiono 23 mesi dopo la guarigione; quindi, la dimostrazione di questi anticorpi è diagnostica di infezione primaria da EBV. Poiché alcuni laboratori commerciali non sono in grado di eseguire la ricerca degli anticorpi IgM anti-VCA, può essere utile in caso di diagnosi incerta rivolgersi a un laboratorio specializzato. Gli anticorpi contro gli antigeni precoci di 2 tipi (diffuso e ristretto) sono denominati rispettivamente anticorpi anti-EAD e anticorpi anti-EAR. Gli anticorpi anti-EAD si riscontrano nel 70% circa degli adolescenti e degli adulti con mononucleosi infettiva e sono associati a manifestazioni cliniche più gravi e al carcinoma nasofaringeo. Gli anticorpi anti-EAR sono meno frequenti e sono associati al linfoma di Burkitt africano. Gli anticorpi anti-EBNA generalmente compaiono più tardi nell’infezione primaria da EBV rispetto agli anticorpi anti-VCA e possono essere più facilmente individuabili degli anticorpi IgM anti-VCA.

Diagnosi differenziale La faringite, la linfoadenopatia e la febbre possono essere clinicamente indistinguibili dai sintomi causati dagli streptococchi β-emolitici di gruppo A; tuttavia, la presenza di questi microrganismi nell’orofaringe non esclude la mononucleosi infettiva. Quando gli anticorpi eterofili sono assenti, la sindrome mononucleosica può essere dovuta al citomegalovirus (CMV). Benché il CMV causi meno frequentemente una faringite grave, può provocare tanto una linfocitosi atipica quanto epatosplenomegalia ed epatite. La diagnosi di infezione primaria da CMV dipende dalla dimostrazione degli anticorpi IgM anti-CMV o dall’isolamento del virus dal sangue periferico (v. Infezione da Citomegalovirus sotto Infezioni da Herpesvirus al Cap. 162). Anche il Toxoplasma gondii, il virus dell’epatite B o quello della rosolia e i linfociti atipici che compaiono nelle reazioni avverse da farmaci, possono simulare una mononucleosi eterofilo-negativa. Una malattia simile alla mononucleosi è stata osservata anche nella infezione primaria da HIV. Nella maggioranza di questi casi, le altre caratteristiche cliniche sono utili per formulare una corretta diagnosi.

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Prognosi e terapia La mononucleosi infettiva è di solito autolimitata. La durata della malattia è variabile; la fase acuta dura circa 2 sett. Generalmente il 20% dei pazienti può rientrare a scuola o al lavoro entro 1 sett. e il 50% entro 2 sett. I pazienti sono generalmente in grado di riprendere le proprie attività dopo questo periodo ma a volte la completa risoluzione dell’astenia richiede parecchie settimane. Solo nell’12% dei casi l’astenia dura mesi. Il decesso si verifica in meno dell’1% dei casi ed è generalmente dovuto a complicanze dell’infezione primaria da EBV (p. es., encefalite, rottura della milza, ostruzione delle vie aeree). La terapia è di supporto. Salvo in caso di complicanze, non sono di solito necessari test di laboratorio supplementari poiché la guarigione non è correlata alla persistenza o al titolo degli anticorpi eterofili, alla presenza di linfociti atipici nel sangue periferico, o all’aumento degli enzimi epatocellulari. Ai pazienti deve essere consigliato di rimanere a letto durante la fase acuta ma devono essere mobilizzati rapidamente quando la febbre, la faringite e il malessere scompaiono. A causa del rischio di rottura della milza, si deve evitare di sollevare pesi o di praticare sport da contatto per 2 mesi, anche se non c’è un’evidente splenomegalia. A causa della rara associazione dell’EBV con la sindrome di Reye, il paracetamolo è preferibile all’aspirina come analgesico e antipiretico. I corticosteroidi si sono dimostrati efficaci per accelerare la defervescenza e migliorare la faringite, ma devono essere usati soltanto per il trattamento delle complicanze specifiche come l’ostruzione imminente delle vie respiratorie. La loro efficacia nel trattare la trombocitopenia e l’anemia emolitica è meno chiaramente stabilita. La somministrazione PO o EV dell’acyclovir riduce l’escrezione orofaringea del EBV, ma non esistono evidenze convincenti che giustifichino il suo utilizzo nei casi non complicati. Non è stata ancora stabilita la sua utilità nei pazienti con grave infezione o sindromi linfoproliferative delle cellule B associate a trapianto d’organo.

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 265. INFEZIONI NEI BAMBINI INFEZIONI VARIE FEBBRE DI ORIGINE SCONOSCIUTA Una temperatura rettale (o un suo equivalente) ≥ 38,5°C (≥ 101,3°F) misurata in ≥ 4 occasioni separate nell’arco di ≥ 2 sett. in un bambino in cui nessuna causa è evidente dopo aver raccolto un’approfondita anamnesi ed effettuato uno scrupoloso esame obiettivo.

Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi, segni, diagnosi e prognosi

Altrimenti, in alcune strutture viene diagnosticata la FUO (Fever of Unknown Origin) con temperatura rettale ≥ 38,3°C per ≥ 8 giorni nelle condizioni sopradescritte. Viene esclusa la maggior parte delle malattie febbrili di breve durata autolimitantesi che rappresenta circa il 30% delle visite ambulatoriali pediatriche negli USA. Per la scarsità dei dati la FUO nei bambini non è così bene delineata come negli adulti, ma sono evidenti alcune differenze.

Eziologia Come per la FUO negli adulti, l’eziologia della FUO nei bambini dipende in parte dalla località; i dati qui esposti sono basati su studi eseguiti su una popolazione di bambini che vive nelle regioni temperate degli USA. La FUO nei bambini è causata con maggiore probabilità dalla presentazione inusuale di una malattia comune che dalla presentazione comune di una malattia rara. Un’infezione è responsabile di circa il 50% delle FUO nei bambini; si ritiene che quasi il 50% di queste sia dovuta a virus e il 65% si verifica in bambini ≥ 6 anni. Il tipo di infezione varia con l’età: le infezioni dell’apparato respiratorio superiore e quelle virali sono più comuni nei bambini di età < 2 anni, mentre l’endocardite e la mononucleosi infettiva sono più comuni in quelli di età > 6 anni. I bambini tendono ad avere più frequentemente malattie virali e batteriche comuni, mentre negli adulti si verificano più frequentemente TBC, ascessi occulti e patologie da agenti rari. Il HIV può causare FUO in bambini e adulti. Le patologie del tessuto connettivo (Connective Tissue Disease, CTD) e le malattie infiammatorie sono responsabili del 20% circa dei casi di FUO nei bambini. Ancora, l’età può aiutare nella diagnosi differenziale. L’80% dei bambini con CTD e malattie infiammatorie che presentano FUO, compresi quasi tutti quelli con malattia infiammatoria intestinale (malattia di Crohn del piccolo o del grosso intestino, colite ulcerosa), ha un’età superiore ai 6 anni. Anche l’artrite reumatoide giovanile e il LES possono causare FUO. Le neoplasie causano circa il 10% delle FUO nei bambini di tutte le età (la leucemia e il linfoma sono le più comuni). Invece, negli adulti, le neoplasie

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determinano il 20% delle FUO con una prevalenza dei tumori solidi (p. es., linfoma, carcinoma renale, epatoma, carcinomatosi disseminata). Cause varie (p. es., sindrome della febbre periodica, febbre da farmaci, disautonomia familiare, febbre fittizia, sindrome di Behçet, tiroidite) determinano < 10% delle FUO nei bambini. Nonostante approfondite ricerche, la causa della FUO rimane sconosciuta nel 10-20% dei bambini (5-10% degli adulti).

Sintomi, segni, diagnosi e prognosi Sintomi aspecifici (p. es., anoressia, astenia, brivido, sudorazione) sono comuni e hanno scarso valore diagnostico differenziale, e prognostico, ma è importante rilevarli insieme a segni obiettivi quali perdita di peso o scarso accrescimento. Invece, sintomi e segni cutanei quali prurito, eruzioni o alterazioni della pigmentazione, indicano verosimilmente una malattia grave (p. es., tumori o CTD) così come dolore toracico, dispnea, soffio cardiaco significativo, artropatia e cianosi (p. es., endocardite batterica, LES),. Un’anamnesi approfondita, compresi contatti con persone affette da malattie infettive, esposizione ad animali domestici o selvatici, storia di viaggi, morsicature d’insetti, diete inusuali e il background etnico, possono fornire indizi preziosi. Poiché i genitori possono inizialmente omettere o dimenticare dettagli importanti, è utile la ripetizione della raccolta dell’anamnesi. Esami obiettivi ripetuti sono importanti, perché il 25% dei pazienti possono sviluppare segni e sintomi cruciali (v. oltre) dopo la prima valutazione. Il ricovero ospedaliero può facilitare esami obiettivi approfonditi e ripetuti. In > 80-90% dei casi può essere evidenziata una causa, in genere una comune malattia dei bambini. Nei bambini sono necessarie procedure diagnostiche complesse meno frequentemente che negli adulti con FUO. L’impiego di esami routinari come l’emocromo completo e la radiografia del torace può aiutare a escludere un’anemia cronica, una IVU e la polmonite. Una VES elevata e un rapporto albumina/globuline invertito si riscontra in circa il 75% dei pazienti con HIV, CTD o neoplasie, ma solo nel 10% dei pazienti con malattie virali o benigne. Emocolture, test cutaneo con derivato proteico purificato (Purifie Protein Derivative, PPD) e urinocolture devono probabilmente essere effettuate in tutti i pazienti; alcuni pazienti selezionati devono essere sottoposti a una radiografia dei seni paranasali. Test sierologici per Epstein-Barr virus, cytomegalovirus, toxoplasmosi, o HIV possono essere molto utili in alcuni pazienti, ma uno screening anticorpale su vasta scala (p. es., febrile agglutinin panel) non lo è. L’esame del midollo osseo può aiutare nella diagnosi di infezione (mediante colture, in particolare nelle infezioni da Salmonella, o mediante esame istologico mostrando un aumento del rapporto mielo/eritroide); di alcune neoplasie (mediante esame istologico); e di CTD (mediante esame istologico, che mostra una predominanza plasmacellulare). Le biopsie tissutali (p. es., di linfonodi, di lesioni cutanee, del fegato) possono essere utili in alcuni bambini. La laparotomia, l’angiografia selettiva e tecniche radionuclidiche (tecnezio e gallio) sono necessarie meno frequentemente che negli adulti. L’ecografia e la TC sono talvolta utili. I bambini con malattia sistemica o disturbi dell’accrescimento possono richiedere un più esteso impiego delle tecniche di laboratorio. In una qualche fase della malattia l’80% dei bambini con FUO riceve antibiotici e quasi il 100% antipiretici. Tuttavia, queste terapie possono ritardare la diagnosi mascherando la malattia di base. La prognosi è in rapporto alla eziologia della FUO. Il tasso atteso di guarigione completa per i bambini affetti da FUO è > 80%, ma alcuni studi riportano un tasso di mortalità del 5-10%.

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Infezioni nei bambini

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Neoplasie

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 266. NEOPLASIE Le neoplasie infantili sono trattate anche in altre parti del Manuale (p. es., le leucemie nel Cap. 138 e i tumori cerebrali nel Cap. 177).

TUMORE DI WILMS (Nefroblastoma) Tumore embrionario maligno del rene, costituito da combinazioni variabili di elementi di blastomatosi, stromali ed epiteliali.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il tumore di Wilms di solito si manifesta in bambini d’età < 5 anni, ma a volte anche in bambini più grandi e raramente in età adulta. In circa il 4% dei casi il tumore di Wilms compare contemporaneamente in entrambi i reni. In alcuni casi è stato riconosciuto un difetto genetico (WT1, il gene soppressore del tumore di Wilms). Alcune anomalie congenite (p. es. aniridia ed emi-ipertrofia) si associano a un’incidenza più alta di tumore di Wilms.

Sintomi, segni e diagnosi Il segno clinico che si riscontra più frequentemente è una massa addominale palpabile; gli altri sono il dolore addominale, l’ematuria, la febbre, l’anoressia, la nausea e il vomito. L’ematuria, che compare nel 15-20% dei casi, indica l’interessamento del sistema collettore. L’ipertensione può essere secondaria a ischemia da compressione del peduncolo o del parenchima renale. L’ecografia addominale documenta la natura cistica o solida della massa e mostra se sono coinvolte la vena renale o la vena cava. La TC addominale è necessaria per stabilire l’estensione del tumore e la sua diffusione ai linfonodi regionali, al rene controlaterale o al fegato. Raramente sono richieste l’arteriografia renale, la cavografia, la pielografia retrograda o l’urografia escretoria. Al momento della diagnosi iniziale è necessaria la radiografia del torace (e possibilmente la TC) per escludere metastasi polmonari.

Prognosi e terapia La prognosi dipende dalle caratteristiche istologiche del tumore, dallo stadio di quest’ultimo al momento della diagnosi e dall’età del paziente (la prognosi è migliore se il paziente è più giovane). È indicata l’esplorazione chirurgica immediata della lesione, potenzialmente

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Neoplasie

asportabile, e del rene controlaterale. La chemioterapia con actinomicina. D e vincristina, con o senza radioterapia, è subordinata allo stadio del tumore. I bambini con la malattia in stadio più avanzato sono trattati anche con la doxorubicina. Il Gruppo di Studio Americano per il tumore di Wilms ha stabilito dei criteri per la stadiazione e ha fornito delle linee guida per la terapia.

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Neoplasie

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 266. NEOPLASIE Le neoplasie infantili sono trattate anche in altre parti del Manuale (p. es., le leucemie nel Cap. 138 e i tumori cerebrali nel Cap. 177).

NEUROBLASTOMA Tumore maligno solido frequente nell’infanzia, che origina di solito dalle ghiandole surrenali ma anche da qualsiasi altra parte della catena simpatica extra-surrenalica, compresa quella in sede retroperitoneale o toracica.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Circa il 75% dei bambini con neuroblastoma ha meno di 5 anni. In un sottogruppo di pazienti è presente una predisposizione familiare. Circa il 65% dei neuroblastomi è a partenza addominale mentre il 15-20% compare a livello toracico; il rimanente 15% interessa altri distretti come il collo e la pelvi. Molto raramente il neuroblastoma si può manifestare come tumore primitivo del SNC. La maggior parte dei neuroblastomi produce catecolamine, rilevabili per la presenza di livelli elevati di metaboliti urinari. Il ganglioneuroma, che si verifica per lo più negli adulti, è una variante benigna, altamente differenziata, del neuroblastoma.

Sintomi, segni e diagnosi La sintomatologia all’esordio dipende dalla sede e dallo stadio del tumore; p. es., si possono riscontrare una massa addominale palpabile o dei problemi respiratori dovuti a un interessamento toracico. Talora, i segni e i sintomi d’esordio possono essere causati da localizzazioni secondarie: un’epatomegalia può dipendere da metastasi epatiche, un dolore osseo da metastasi ossee e la comparsa di pallore (anemia), petecchie (piastrinopenia) e leucopenia da metastasi midollari. Altre sedi metastatiche meno comuni sono la cute e il cervello. Entro la massa tumorale si possono verificare emorragia e necrosi e un tumore addominale può oltrepassare la linea mediana. I bambini possono talora manifestare delle sindromi paraneoplastiche come opsoclono-mioclono, diarrea secretoria o ipertensione arteriosa. Essi possono anche presentare dei deficit neurologici focali dovuti all’estensione diretta del tumore nel canale midollare. Gli esami diagnostici, utili per determinare la natura e l’estensione del tumore primitivo, sono l’ecografia e la TC. Per la ricerca di metastasi si ricorre ai seguenti accertamenti: aspirato midollare da sedi differenti, radiografia dell’intero scheletro, scintigrafia ossea, TC e talvolta scintigrafia con 131Imetaiodobenzilguanidina. La concentrazione urinaria di acido vanilmandelico (VMA) è elevata in 65% dei pazienti; questa e un livello alto di acido omovanillico permettono di individuare più del 90% dei pazienti. A tale scopo, le analisi si eseguono su raccolte di urine delle 24 ore, anche se di solito può bastare l’esame su una piccola quota urinaria. Quando il tumore viene asportato, una parte di esso deve essere sottoposta ad analisi dell’indice mitotico (una misura file:///F|/sito/merck/sez19/2662531b.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.03

Neoplasie

quantitativa del contenuto cromosomico) e dell’amplificazione dell’oncogene MYCN. La diagnosi differenziale deve considerare il tumore di Wilms, le masse renali, il rabdomiosarcoma, l’epatoblastoma, i linfomi nonché i tumori a partenza dall’apparato genitale.

Prognosi e terapia La possibilità della rimozione chirurgica della massa tumorale primitiva migliora molto la prognosi. Sono fattori di prognosi positiva l’età al di sotto di 1 anno, uno stadio basso e l’assenza di amplificazione dell’oncogene MYCN. Il trattamento chemioterapico è generalmente necessario per i bambini più grandi (cioè, al di sopra dell’anno di vita) o per i bambini con tumore in stadio avanzato. Vengono utilizzati chemioterapici come la vincristina, la ciclofosfamide, la doxorubicina, il cisplatino, il carboplatino e l’etoposide; la radioterapia è talora necessaria per neoplasie avanzate.

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Fibrosi cistica

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 267. FIBROSI CISTICA (Mucoviscidosi; malattia fibrocistica del pancreas; fibrosi cistica del pancreas) Malattia ereditaria delle ghiandole esocrine, che interessa preminentemente l’apparato GI e respiratorio ed è in genere caratterizzata da malattia polmonare cronica ostruttiva, insufficienza pancreatica esocrina e concentrazione elevata di elettroliti nel sudore.

Sommario: Incidenza ed eziologia Anatomia patologica e patogenesi Sintomi, segni e complicanze Diagnosi ed esami di laboratorio Prognosi Terapia

Incidenza ed eziologia La fibrosi cistica (FC), la più frequente malattia ereditaria a esito letale nella popolazione bianca, si verifica negli USA in circa 1/3300 nati vivi di razza bianca, 1/15300 di razza nera e 1/32000 di razza asiatico-americana; il 30% dei pazienti è costituito da adulti. Circa il 3% della popolazione bianca è portatore del gene della FC, che si trasmette con modalità autosomica recessiva. Il gene responsabile è stato localizzato a livello di 250000 paia di basi del DNA genomico sul braccio lungo del cromosoma 7. Esso codifica per una proteina associata alla membrana detta proteina regolatrice transmembrana della fibrosi cistica (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator, CFTR). La mutazione genetica più comune, ∆F508, determina l’assenza di un residuo fenilalaninico nella posizione 508 della proteina CFTR e si riscontra in circa il 70% degli alleli della FC; più di 600 mutazioni meno frequenti danno luogo al rimanente 30%. Sebbene la funzione precisa della CFTR sia sconosciuta, essa sembra far parte di un canale del cloro AMPcdipendente e sembra che regoli il trasporto di Cl e Na attraverso le membrane epiteliali. Gli eterozigoti possono mostrare lievi anomalie del trasporto epiteliale ma sono asintomatici. Le persone affette da assenza congenita bilaterale dei dotti deferenti o da altre cause di azoospermia ostruttiva presentano una frequenza aumentata di mutazioni in uno o entrambi i geni CFTR oppure una mutazione a penetranza incompleta (5T) in una regione non codificante della CFTR. Queste persone generalmente non manifestano alcun disturbo respiratorio o pancreatico e possono avere nel sudore concentrazioni di Cl normali, al limite o elevate.

Anatomia patologica e patogenesi Quasi tutte le ghiandole esocrine sono interessate in modo più o meno grave. Le ghiandole coinvolte sono di 3 tipi: quelle che vengono progressivamente ostruite file:///F|/sito/merck/sez19/2672533.html (1 of 7)02/09/2004 2.48.04

Fibrosi cistica

da materiale eosinofilo vischioso o solido presente nel lume (pancreas, ghiandole intestinali, dotti biliari intraepatici, colecisti, ghiandole sottomascellari); quelle che hanno un’istologia anomala e producono secrezioni in eccesso (ghiandole tracheobronchiali e di Brunner); quelle che sono istologicamente normali ma secernono in eccesso Na e Cl (ghiandole sudoripare, parotidee e salivari minori). Le secrezioni duodenali sono vischiose e contengono un mucopolisaccaride anomalo. L’infertilità si verifica nel 98% dei soggetti adulti di sesso maschile per alterato sviluppo dei dotti deferenti o per altre forme di azoospermia ostruttiva. Alcune donne affette non sono in grado di concepire a causa della viscosità delle secrezioni cervicali, ma molte altre riescono a portare la gravidanza a termine. Comunque, l’incidenza di complicanze in gravidanza è aumentata. È stato dimostrato che i polmoni sono istologicamente normali alla nascita. Il danno polmonare inizia probabilmente con una ostruzione diffusa nelle vie aeree di piccolo calibro a causa delle secrezioni mucose abnormemente spesse. L’ostruzione e l’infezione delle vie aeree determinano episodi di bronchiolite e formazione di secrezioni mucopurulente occludenti. Le alterazioni bronchiali sono più comuni di quelle parenchimali. L’enfisema non è rilevante. Data l’evoluzione della lesione polmonare, le pareti bronchiali s’ispessiscono, le vie aeree si riempiono di secrezioni viscose e purulente, si formano aree atelettasiche e i linfonodi ilari si ingrandiscono. L’ipossiemia cronica determina ipertrofia muscolare delle arterie polmonari, ipertensione polmonare e ipertrofia del ventricolo destro. Molte delle lesioni polmonari possono essere provocate dall’infiammazione immunomediata conseguente al rilascio di proteasi da parte dei neutrofili nelle vie aeree. Il liquido di lavaggio broncoalveolare, anche nelle prime epoche di vita, contiene un numero abbondante di neutrofili e concentrazioni aumentate di elastasi neutrofila libera, DNA e interleuchina-8. Negli stadi precoci della malattia, lo Staphylococcus aureus è l’agente patogeno più frequentemente isolato nel tratto respiratorio, ma, con il progredire della malattia, lo diventa lo Pseudomonas aeruginosa. Una variante mucoide dello Pseudomonas si trova unicamente nella fibrosi cistica. La colonizzazione da parte della Burkholderia cepacia interessa fino al 7% dei pazienti adulti e può essere associata a un rapido deterioramento polmonare.

Sintomi, segni e complicanze L’ileo da meconio, causato dall’ostruzione dell’ileo da parte di meconio viscoso, è la manifestazione più precoce (v. in Malformazioni gastrointestinali nel Cap. 261) ed è presente nel 15-20% dei neonati affetti. Spesso è associato a volvolo, perforazione o atresia e, con rare eccezioni, è sempre seguito dagli altri segni di FC. La FC può anche essere associata a ritardata emissione neonatale di meconio e alla sindrome del tappo di meconio, una forma transitoria di ostruzione dell’intestino terminale secondaria alla presenza di uno o più tappi di meconio ispessito al livello dell’ano o del colon. Nei neonati senza ileo da meconio, l’esordio della malattia si ha frequentemente con un tardivo recupero del peso della nascita e un aumento ponderale inadeguato a 4-6 sett. di vita. I lattanti con FC, se allattati con latte di soia o con latte materno, possono presentare ipoproteinemia con edemi e anemia secondari a malassorbimento di proteine. Il 50% dei pazienti si presenta con sintomi respiratori, di solito tosse cronica e respiro sibilante insieme a infezioni polmonari ricorrenti o croniche. La tosse è il sintomo più molesto, spesso accompagnata da espettorato, conati di vomito, vomito e disturbi del sonno. Con il progredire della malattia, compaiono rientramenti intercostali, uso dei muscoli respiratori accessori, torace a botte, dita a bacchetta di tamburo e cianosi. L’interessamento delle vie respiratorie superiori determina poliposi nasale e sinusite cronica o ricorrente. Gli adolescenti possono presentare ritardo di crescita, pubertà ritardata e ridotta tolleranza all’esercizio fisico. Le complicanze polmonari negli adolescenti e negli adulti sono:

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Fibrosi cistica

pneumotorace, emottisi e insufficienza cardiaca destra secondaria a ipertensione polmonare. L’insufficienza pancreatica si evidenzia clinicamente nell’85-90% dei pazienti, si manifesta in genere precocemente e può essere progressiva. I sintomi sono rappresentati da frequenti scariche di feci abbondanti, maleodoranti e untuose, da addome voluminoso e da ridotto accrescimento con tessuto sottocutaneo e massa muscolare poco rappresentati, nonostante un appetito normale o vorace. Il prolasso rettale si verifica nel 20% dei lattanti e dei bambini non trattati. Vi possono essere manifestazioni cliniche dovute a carenza di vitamine liposolubili. L’eccessiva sudorazione durante un periodo caldo o per febbre può causare episodi di disidratazione ipotonica e insufficienza circolatoria. Nei climi secchi i lattanti possono andare incontro ad alcalosi metabolica cronica. La formazione di cristalli di sale e il sapore salato sulla pelle sono molto suggestivi di FC. Nel 10% dei pazienti adulti si verifica un diabete insulino-dipendente e nel 4-5% degli adolescenti e adulti si ha una cirrosi biliare multilobulare con varici e ipertensione portale. La presenza di dolore addominale cronico e/o ricorrente può essere correlata a invaginazione, ulcera peptica, ascesso periappendicolare, pancreatite, reflusso gastro-esofageo, esofagite, patologia colecistica o a episodi di parziale ostruzione intestinale secondaria a feci abnormemente viscose. Alcune complicanze infiammatorie possono essere la vasculite e l’artrite.

Diagnosi ed esami di laboratorio La diagnosi di FC è suggerita dai suoi tipici segni clinici e di laboratorio e confermata dal test del sudore (v. più avanti). In un paziente che presenta uno o più elementi clinici indicativi di FC o ha un fratello con FC, la diagnosi può anche essere confermata dalla identificazione di due mutazioni note della FC. L’analisi delle mutazioni (ricerca delle mutazioni della FC) può essere usata per la diagnosi prenatale e per identificare i portatori nelle famiglie di un bambino affetto. L’analisi delle mutazioni può essere ugualmente utilizzata per l’identificazione dei portatori nella popolazione generale, ma non è ancora raccomandata per uno screening di massa. La diagnosi è di solito confermata nella prima o seconda infanzia, ma il 10% dei pazienti sfugge alla diagnosi fino all’adolescenza o all’inizio dell’età adulta. L’insufficienza pancreatica si manifesta con la presenza di secrezioni duodenali abnormemente viscose, con assenza o riduzione dell’attività enzimatica e una concentrazione diminuita di HCO3- ; la tripsina e la chimotripsina sono assenti o ridotte nelle feci. I test di assorbimento dei grassi, inclusa l’escrezione dei grassi nelle feci di 72 h, mostrano indirettamente il quadro della funzionalità esocrina del pancreas. I pazienti con funzione pancreatica esocrina normale non rispondono allo stimolo della secretina EV con la produzione di HCO3-. Circa il 40% dei pazienti più grandi presenta una curva glicemica di tipo diabetico per insufficiente o tardiva risposta all’insulina, ma solo il 10% sviluppa un diabete mellito connesso alla FC. Nei pazienti con steatorrea si trova a digiuno una diminuzione dei livelli ematici di carotenoidi, vitamina A ed E, acidi grassi essenziali e colesterolo. Le proteine sieriche totali sono inizialmente normali, ma con il progredire della malattia si verifica la riduzione dell’albumina e l’aumento delle α1-, α2-e γ-globuline. Nei neonati con FC, la concentrazione sierica della tripsina immunoreattiva è elevata. La misurazione di questo enzima, associata al test del sudore e all’analisi della mutazione, costituisce la base dei programmi di screening neonatale per la FC in molte parti del mondo. I segni radiologici polmonari possono essere d’aiuto nella diagnosi. L’iperespansione toracica e l’ispessimento della parete bronchiale sono i segni più precoci. Successivamente sono visibili infiltrati, aree di atelettasia e

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adenopatia ilare. Con il progredire della malattia si verificano atelettasie segmentarie o lobari, formazione di cisti, bronchiettasie, aumento di volume dell’arteria polmonare e del ventricolo destro. Sono caratteristiche le opacità ramificate, digitiformi, espressione di bronchi dilatati ostruiti da secrezioni mucoidi. In quasi tutti i casi, le radiografie e le TC dei seni paranasali evidenziano una opacizzazione persistente. I test di funzionalità respiratoria mostrano ipossiemia e riduzione della capacità vitale forzata (Forced Vitality Capacity, FVC), del volume espiratorio forzato in 1 secondo (Forced Expiratory Volume in 1 second, FEV1) e del rapporto FEV1/ FVC e aumento del volume residuo e del rapporto del volume residuo/capacità polmonare totale. Il 50% dei pazienti manifesta una iperreattività delle vie aeree. Test del sudore: la diagnosi è confermata da un valore elevato della concentrazione di Cl nel sudore. L’unico test del sudore attendibile è il test quantitativo ottenuto mediante ionoforesi pilocarpinica: si stimola farmacologicamente la parte prescelta, si misura la quantità di sudore e la sua concentrazione di Cl. Nei pazienti con quadro clinico sospetto o con anamnesi familiare positiva, una concentrazione di Cl > 60 mEq/l conferma la diagnosi; è verosimile che meno di 1:1000 pazienti con FC presenta una concentrazione di Cl nel sudore < 50 mEq/l. Risultati falsamente negativi sono rari ma si possono avere in presenza di edemi o ipoprotidemia o per la raccolta di una quantità di sudore inadeguata. Risultati falsamente positivi sono da attribuire in genere a errori tecnici o all’uso di metodi non adeguati. Un aumento transitorio della concentrazione di Cl nel sudore può essere associato a situazioni di deprivazione ambientale (maltrattamento, trascuratezza) e si può verificare in pazienti affetti da anoressia nervosa. Sebbene i risultati siano già attendibili dopo le prime 24 ore di vita, può essere difficile ottenere un’adeguata quantità di sudore (> 75 mg su carta da filtro o > 15 µl con capillare) prima di 3-4 sett. di vita. Benché la concentrazione di Cl nel sudore di regola aumenti lievemente con l’età, il test è ancora valido negli adulti. Una piccola percentuale di pazienti, definita come affetta da FC atipica, presenta bronchite cronica da Pseudomonas, normale funzione pancreatica e concentrazioni di Cl nel sudore normali o intermedie. I pazienti affetti da FC presentano un aumento delle differenze di potenziale transepiteliale nasale secondario a un riassorbimento elevato di Na attraverso l’epitelio, che è relativamente impermeabile al Cl. Questa osservazione può essere utile dal punto di vista diagnostico quando i valori di Cl nel sudore sono al limite o normali e le due mutazioni della FC non sono identificate.

Prognosi Il decorso, ampiamente influenzato dal grado di interessamento polmonare, è molto variabile. D’altra parte, il peggioramento è inevitabile, portando a debilitazione e infine alla morte, dovuta di solito all’associazione di cuore polmonare e insufficienza respiratoria. La prognosi è molto migliorata negli ultimi 5 decenni, specialmente per l’attuazione di una terapia aggressiva prima dell’inizio dei danni polmonari irreversibili. La sopravvivenza media è di 31 anni. Una più lunga sopravvivenza si osserva in modo significativo nei pazienti senza insufficienza pancreatica. La colonizzazione precoce dello Pseudomonas mucoide, il sesso femminile, l’esordio con sintomi respiratori e l’iperreattività delle vie aeree sono associati a una prognosi talvolta peggiore. Il FEV1, adattato all’età e al sesso, è il miglior indice predittivo della mortalità.

Terapia È essenziale un programma terapeutico globale e intensivo, gestito da personale file:///F|/sito/merck/sez19/2672533.html (4 of 7)02/09/2004 2.48.04

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medico con esperienza specifica, che operi con altri medici, infermieri, nutrizionisti, fisioterapisti, consulenti e assistenti sociali. Lo scopo della terapia è quello di mantenere un adeguato stato nutrizionale, prevenire o trattare in modo aggressivo le complicanze polmonari e le altre, incoraggiare l’attività fisica e provvedere a un sostegno psichico e sociale adeguato. Con un supporto appropriato, la maggior parte dei pazienti può ottenere un buon inserimento a scuola e in famiglia. Malgrado la miriade di problemi, sono impressionanti i successi nel campo del lavoro e sentimentale dei pazienti. Per l’insufficienza pancreatica: si devono fornire gli enzimi pancreatici sostitutivi in polvere (ai lattanti) o in capsule al momento di tutti i pasti. Le preparazioni enzimatiche più efficaci contengono lipasi pancrreatica in microsferule o micropastiglie gastroresistenti, sensibili al pH. Nei lattanti si inizia in genere con una dose di lipasi pari a 2000-4000 U/120 ml di latte artificiale o per poppata al seno. Dopo la prima infanzia, si utilizza un dosaggio adeguato al peso iniziando con una quantità di lipasi pari a 1000 U/kg/pasto per i bambini al di sotto dei 4 anni e 500 U/kg/ pasto per quelli con più di 4 anni. Di solito, metà della dose standard viene data con gli spuntini. Si devono evitare dosi di lipasi > 2500 U/kg/pasto o 10000 U/kg/giorno perché dosaggi enzimatici elevati sono stati associati a fibrosi del colon. Nei pazienti con elevate richieste enzimatiche, l’uso di un anti-H2 o di un inibitore della pompa protonica può migliorare l’efficacia dell’enzima. La terapia dietetica comporta l’assunzione di calorie e proteine sufficienti a promuovere la crescita normale (può essere richiesto dal 30 al 50% in più dei fabbisogni dietetici giornalieri raccomandati) (v. Tab. 1-3), un’assunzione totale di grassi da normale a elevata per aumentare la densità calorica della dieta, quella di complessi multivitaminici in quantità doppia rispetto ai fabbisogni giornalieri raccomandati, supplementi di vitamina E in forma idrosolubile e supplemento di sale durante i periodi di stress termico e incremento della sudorazione. I lattanti sottoposti a terapia antibiotica ad ampio spettro e i pazienti che hanno interessamento epatico ed emottisi devono ricevere un supplemento di vitamina K. Le formule costituite da idrolisati proteici e con acidi grassi a catena media devono essere usate nei lattanti con grave insufficienza pancreatica al posto delle formule di latte adattato. Per aumentare l’apporto calorico si possono somministrare polimeri del glucoso e acidi grassi a catena media. Nei pazienti che non mantengono uno stato nutrizionale adeguato, l’integrazione enterale mediante sonda nasogastrica, gastrostomia o digiunostomia può far riprendere la crescita normale e stabilizzare la funzione polmonare (v. Nutrizione enterale in Supporto nutrizionale nel Cap. 1). Per l’occlusione intestinale nell’ileo da meconio non complicato: l’ostruzione può essere talvolta rimossa per mezzo di clisma con mezzo di contrasto radiopaco iperosmolare o iso-osmolare; in alternativa, può essere necessaria l’enterostomia chirurgica per drenare il meconio viscoso del lume intestinale. Dopo il periodo neonatale, gli episodi di parziale ostruzione intestinale (sindrome da ostruzione intestinale distale) possono essere trattati con clisma con mezzo di contrasto radiopaco iperosmolare o iso-osmolare oppure con acetilcisteina o con la somministrazione per via orale di una soluzione isotonica per il lavaggio intestinale. Un lassativo, come il lattuloso, o un procinetico, come la metoclopramide, possono essere utili per prevenire tali episodi. Per le manifestazioni polmonari: il trattamento comprende la prevenzione della ostruzione delle vie aeree e la profilassi e il controllo delle infezioni polmonari. La profilassi delle infezioni polmonari prevede la vaccinazione contro la pertosse, l’Haemophilus influenzae, la varicella, il morbillo e la vaccinazione annuale antiinfluenzale. Nei pazienti non vaccinati può essere somministrata l’amantadina per la profilassi dell’influenza A. Non è stato dimostrato nessun aumento della suscettibilità o della morbilità per infezioni pneumococciche per cui non si consiglia di routine la vaccinazione per lo pneumococco. Ai primi segni di impegno respiratorio si raccomanda la fisioterapia respiratoria, comprendente il drenaggio posturale, le percussioni,le vibrazioni e la tosse assistita (v. Cap. 65). Nei pazienti più anziani possono essere efficaci delle tecniche alternative di drenaggio delle vie aeree come cicli di respirazione attiva, il drenaggio autogenico, il sistema a valvola oscillatoria, la maschera per la file:///F|/sito/merck/sez19/2672533.html (5 of 7)02/09/2004 2.48.04

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pressione espiratoria positiva e la terapia con corazza meccanica. Per l’ostruzione reversibile delle vie aeree è opportuno che siano somministrati broncodilatatori per aerosol e/o per via orale e corticosteroidi per aerosol. L’O2 terapia è indicata per i pazienti con grave insufficienza respiratoria e ipossiemia. In genere, non è indicata la ventilazione meccanica per i pazienti con insufficienza respiratoria cronica. Essa deve essere utilizzata nei pazienti in buone condizioni che presentano un’insufficienza respiratoria acuta, in associazione alla chirurgia polmonare, o nei pazienti in attesa di trapianto polmonare che presentano insufficienza respiratoria ipercapnica. Può anche essere di beneficio la ventilazione non invasiva a pressione positiva con maschera nasale o facciale. Non si devono utilizzare respiratori a pressione positiva intermittente perché possono causare pneumotorace. Gli espettoranti orali sono molto usati, ma non si conosce bene la loro efficacia. I sedativi della tosse devono essere sconsigliati. È stato dimostrato che la somministrazione giornaliera a lungo termine di dornase alfa (deossiribonucleasi ricombinante umana) per via inalatoria riduce la velocità di deterioramento della funzionalità polmonare e diminuisce la frequenza degli attacchi respiratori acuti gravi e ricorrenti. Il pneumotorace può essere trattato con il drenaggio mediante toracostomia. La toracotomia a cielo aperto o la toracoscopia con resezione delle bolle pleuriche e abrasione della superficie pleurica costituiscono i trattamenti efficaci del pneumotorace ricorrente. L’emottisi massiva o ricorrente viene trattata con l’embolizzazione delle arterie bronchiali coinvolte. Terapia farmacologica: i corticosteroidi per via orale sono indicati nei lattanti con forme protratte di bronchiolite e in quei pazienti con broncospasmo refrattario, aspergillosi broncopolmonare allergica e complicanze infiammatorie (p. es., artrite e vasculite). L’uso a lungo termine della terapia corticosteroidea a giorni alterni può rallentare il deterioramento della funzionalità polmonare; tuttavia, a causa delle complicanze da steroidi, essa non è raccomandata come trattamento di routine. I pazienti che ricevono corticosteroidi devono essere monitorizzati attentamente per l’eventuale comparsa di alterazioni del metabolismo glucidico e di rallentamento dell’accrescimento. È stato dimostrato che l’ibuprofene, somministrato in dosi sufficienti a raggiungere una concentrazione massima plasmatica compresa tra 50 e 100 µg/ ml per diversi anni, riduce la velocità di deterioramento della funzionalità respiratoria, soprattutto nei bambini dai 5 ai 13 anni. La dose appropriata deve essere individualizzata mediante studi di farmacocinetica. Gli antibiotici devono essere utilizzati nei pazienti sintomatici per i batteri patogeni del tratto respiratorio, sulla base di esami colturali e antibiogrammi. Una penicillina penicillinasi-resistente (p. es., cloxacillina o dicloxacillina) o una cefalosporina (p. es., cefalexina) sono i farmaci di scelta per lo stafilococco. L’eritromicina, l’amoxicillina-clavulanato, l’ampicillina, le tetracicline, il trimetoprim/ sulfametoxazolo o, a volte, il cloramfenicolo possono essere usati da soli o in combinazione per una terapia ambulatoriale protratta di affezioni respiratorie causate da microrganismi diversi. La ciprofloxacina è efficace contro ceppi sensibili di Pseudomonas. Per le riacutizzazioni polmonari gravi, specialmente nei pazienti colonizzati dallo Pseudomonas, si consiglia la terapia antibiotica per via parenterale, che spesso richiede il ricovero ospedaliero ma che può essere effettuata con sicurezza a casa in pazienti attentamente selezionati. Si usa l’associazione di un aminoglicoside (tobramicina, gentamicina) con una penicillina anti Pseudomonas EV. Può essere utile anche la somministrazione endovenosa di cefalosporine e antibiotici monobattamici con attività anti Pseudomonas. È necessario monitorizzare la concentrazione ematica degli aminoglicosidi e modificare il dosaggio per avere un livello massimo di 8-10 µg/ml (11-17 µmol/l) e valori minimi < 2 µg/ml (< 4 µmol/l). Generalmente la dose iniziale di tobramicina o gentamicina è di 7,5-10 mg/kg/die in tre somministrazioni, tuttavia dosi più alte (da 10 a 12 mg/kg/die) possono essere richieste per ottenere concentrazioni sieriche accettabili. Possono essere necessarie dosi elevate di alcune penicilline per ottenere dei livelli ematici adeguati dato file:///F|/sito/merck/sez19/2672533.html (6 of 7)02/09/2004 2.48.04

Fibrosi cistica

l’incremento della clearance renale. L’obiettivo della terapia delle infezioni polmonari deve essere quello di migliorare la situazione clinica in modo tale da non rendere necessaria la somministrazione continuativa di antibiotici. Tuttavia, per alcuni pazienti ambulatoriali con frequenti riacutizzazioni respiratorie, può essere indicata la loro somministrazione per un lungo periodo. In pazienti selezionati può essere utile una terapia cronica con tobramicina per aerosol. La terapia aerosolica con ribavirina deve essere considerata nei lattanti con infezione da virus respiratorio sinciziale. I soggetti con insufficienza cardiaca destra sintomatica devono essere sottoposti a terapia con diuretici, riduzione di sale nella dieta e O2. Chirurgia: la chirurgia può essere indicata per le bronchiettasie localizzate o le atelettasie non suscettibili di terapia medica, la poliposi nasale, la sinusite cronica, il sanguinamento di varici esofagee da ipertensione portale, colelitiasi, ostruzione intestinale per volvolo o invaginazione che non possono regredire con la terapia medica. Il trapianto di fegato è stato eseguito con successo in pazienti con interessamento epatico allo stadio terminale. I trapianti di cuore-polmoni e dei due polmoni sono stati effettuati con successo in pazienti con malattia cardiopolmonare avanzata.

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Considerazioni generali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI NUTRIZIONE ENTERALE La nutrizione enterale attraverso un sondino può essere adottata nei pazienti con tratto GI funzionante per integrare l'alimentazione orale o per sostituirla del tutto. Quest'ultima modalità è indicata per i pazienti che necessitano di un supporto calorico e proteico intensivo e che non possono o non vogliono assumere supplementi nutritivi per via orale. La nutrizione enterale è più sicura e più economica della nutrizione parenterale totale (NPT) ed è il metodo preferito quando è preservata l'integrità del tratto GI. Le indicazioni generali comprendono l'anoressia prolungata, la grave malnutrizione energetico-proteica, i traumi cranici e del collo o i disturbi neurologici che impediscono una soddisfacente alimentazione per via orale, gli stati di coma o di depressione mentale, l'insufficienza epatica e le patologie gravi (per esempio le ustioni) con elevate richieste metaboliche. Le indicazioni specifiche possono comprendere la preparazione preoperatoria dell'intestino nei pazienti gravemente malati o malnutriti, la chiusura di fistole enterocutanee, l'adattamento del piccolo intestino dopo una resezione intestinale massiva e le malattie associate al malassorbimento, come il morbo di Crohn. La soluzione nutritiva viene introdotta direttamente all'estremità superiore del piccolo intestino o subito al di sopra di essa, attraverso un sondino nasogastrico o nasoduodenale o, meno comunemente, attraverso una stomia (gastrostomia o digiunostomia). La scelta della via di somministrazione dipende dalle circostanze individuali, ma la disponibilità di una grande varietà di sondini morbidi di piccolo calibro per l'alimentazione nasogastrica e nasoduodenale ha fatto di questi la via di somministrazione preferita. Per via enterale, oltre ai supplementi alimentari ad alto contenuto energetico e proteico, vengono frequentemente somministrate delle diete elementari (chimicamente definite). Queste forniscono le sostanze nutritive essenziali in una forma facilmente assimilabile, non richiedono o richiedono un minimo processo digestivo e hanno un residuo minimo. I componenti delle diete elementari selezionate sono elencati nella Tab. 1-8. L'alimentazione per via nasogastrica o nasoduodenale viene generalmente iniziata con una soluzione al 25% di peso/volume; si somministra 1 kcal/ml, inizialmente alla velocità di 50 ml/h e, poi, alla velocità di 125 ml/h (3000 kcal/24 h), raggiunta con incrementi successivi di 25 ml/h. L'alimentazione attraverso la digiunostomia viene iniziata con una soluzione al 10% di peso/ volume somministrata alla velocità di 50 ml/h, incrementata ogni volta di 25 ml/h, fino a raggiungere il fabbisogno giornaliero di liquidi. La concentrazione viene aumentata quindi del 5%peso/volume/die fino a che non si raggiunge la tolleranza massima (generalmente una concentrazione del 20% di peso/volume; 0,8 kcal/ml a 125 ml/h, per un totale di 2400 kcal/die). Le complicanze della nutrizione enterale di solito non sono né frequenti né gravi e possono essere evitate con un attento monitoraggio. Fino al 20% dei pazienti può presentare diarrea e disturbi GI per l'intolleranza dell'intestino a uno dei componenti nutrizionali principali o all'osmolarità della soluzione. L'esofagite è rara se si usa un sondino morbido di piccolo calibro; l'inalazione tracheobronchiale, una complicanza grave, può essere evitata ponendo molta attenzione ai dettagli tecnici. I disturbi elettrolitici, il sovraccarico idrico e la sindrome da iperosmolarità devono essere evitati con un monitoraggio giornaliero file:///F|/sito/merck/sez01/0010016.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.05

Considerazioni generali

del bilancio idroelettrolitico, dell'osmolarità e dell'azotemia.

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Patologia gastrointestinale

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 268. PATOLOGIA GASTROINTESTINALE REFLUSSO GASTROESOFAGEO Reflusso di contenuto gastrico nell’esofago. (V. anche Reflusso gastroesofageo nel Cap. 20.) Per il reflusso gastroesofageo, soprattutto in caso di esofagite o aspirazione, la dose di ranitidina (4 mg/kg/die PO) o famotidina (0,5-1 mg/ kg/die PO) deve essere divisa almeno q 12 h e preferibilmente q 8 h. È preferibile un inibitore della pompa protonica (omeprazolo o lansoprazolo), perché la monosomministrazione giornaliera è più facile da effettuare e più efficace. Può essere necessario un trattamento a lungo termine, soprattutto perché senza un trattamento continuo la percentuale di ricadute è molto elevata. Il gastroenterologo pediatra deve indicare se è necessario l’intervento chirurgico in caso di reflusso grave. Le recidive e le complicanze possono presentarsi come negli adulti.

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Patologia gastrointestinale

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 268. PATOLOGIA GASTROINTESTINALE DIVERTICOLO DI MECKEL Un’estroflessione sacculare congenita dell’ileo distale.

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Complicanze e terapia

Il diverticolo di Meckel si riscontra in circa il 2% dei pazienti adulti trattati chirurgicamente, di solito localizzato tra i 91,5 e i 183 cm dalla valvola ileocecale, con una lunghezza che varia dai 2,5 ai 15,2 cm.

Patogenesi All’inizio della vita fetale il dotto vitellino si estende dall’ileo terminale fino all’ombelico e al sacco vitellino; questo dotto si oblitera normalmente entro la 7a sett. L’assenza di atrofia provoca diverse anomalie: una banda fibrosa che si estende dal diverticolo fino all’ombelico, una cisti ombelicale, una fistola ileoombelicale e il diverticolo di Meckel (il più comune), che si forma quando tutto il dotto è obliterato a eccezione della parte più vicina all’ileo. Provenendo dal margine antimesenterico dell’intestino, questo diverticolo congenito vero contiene tutte le tuniche di un intestino normale. Almeno il 25% dei diverticoli rimossi chirurgicamente contengono tessuto eterotopico dello stomaco, con cellule parietali secernenti HCl, del pancreas o dell’intestino.

Sintomi, segni e diagnosi Nei bambini si verificano ripetuti episodi di grave emorragia di sangue rosso vivo a causa della formazione di un’ulcera peptica nell’ileo adiacente. Le emorragie tendono a divenire acute e abbondanti ma di solito non gravi abbastanza da provocare shock. Negli adolescenti e negli adulti è molto comune l’ostruzione intestinale, che si manifesta con crampi e vomito; essa è provocata da aderenze, invaginazione, angolazione da ritenzione di corpi estranei, volvolo, tumori o incarcerazione in un’ernia (ernia di Littre). La diverticolite acuta del diverticolo di Meckel può presentarsi a qualsiasi età (v. anche Cap. 33). È caratterizzata da dolore addominale localizzato e dolorabilità al di sotto o a sinistra dell’ombelico; è spesso accompagnata da vomito ed è simile all’appendicite eccetto che per la localizzazione del dolore. La diagnosi è difficile e di solito si basa sui sintomi e sui segni, che sono più comuni nei lattanti e nei bambini. Occasionalmente, il diverticolo può essere visto mediante una radiografia con bario dell’intestino tenue. La presenza di cellule secretorie di acido permette l’uso della scintigrafia con pertecnetato di tecnezio; questo esame è diagnostico in circa il 50% dei casi che presentano emorragia file:///F|/sito/merck/sez19/2682543b.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.06

Patologia gastrointestinale

rettale.

Complicanze e terapia L’occlusione intestinale è una complicanza pericolosa poiché la torsione e la gangrena possono essere fatali se l’intervento chirurgico non viene eseguito prontamente. Per la terapia dell’occlusione intestinale v. Cap. 25. Un diverticolo sanguinante con un’area indurita nell’ileo adiacente richiede la resezione di questa parte dell’intestino e del diverticolo. Un diverticolo sanguinante senza area di indurimento ileale richiede solamente l’asportazione del diverticolo. Non è necessario rimuovere i diverticoli asintomatici, di piccole dimensioni, riscontrati incidentalmente durante una laparotomia. Ogni volta che si riscontra un’appendice normale durante una esplorazione per appendicite si deve sospettare un diverticolo di Meckel.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE IPERTIROIDISMO Condizione che deriva da un eccesso di produzione di ormone tiroideo. L’ipertiroidismo neonatale si verifica raramente ma è potenzialmente pericoloso per la vita. Si riscontra nei lattanti di madri con morbo di Graves in atto o pregresso (v. Cap. 8). Le madri in genere hanno anche titoli elevati di immunoglobuline stimolanti il recettore tiroideo del TSH (TRAb). Questi anticorpi attraversano la placenta e determinano iperfunzione della tiroide fetale (morbo di Graves intrauterino), che può causare morte del feto in utero o nascita prematura. Dopo la nascita, il bambino elimina le immunoglobuline così che la malattia è generalmente transitoria. Tuttavia, il tasso di clearance è variabile; pertanto, il morbo di Graves neonatale può avere un esordio immediato o ritardato e durare da settimane a mesi. Le immunoglobuline stimolanti la tiroide comprendono diverse categorie anticorpali, con un effetto prevalentemente stimolante il metabolismo tiroideo. I segni e i sintomi comprendono problemi di alimentazione, ipertensione, irritabilità, tachicardia, esoftalmo, gozzo, protrusione frontale e microcefalia. Sono sintomi aggiuntivi precoci una crescita insufficiente, vomito e diarrea, mentre conseguenze a lungo termine sono la prematura fusione delle suture craniali (craniostenosi) e il ritardo di sviluppo. I lattanti affetti in genere guariscono entro 3 o 4 mesi, anche se il decorso clinico occasionalmente può durare più di 6 mesi. L’ipertiroidismo persistente può causare craniostenosi precoce, alterazione dell’intelligenza, ritardo di crescita (bassa statura) e in seguito iperattività durante l’infanzia. La mortalità può raggiungere valori del 10-15%. Il trattamento con farmaci antitiroidei e/o β-bloccanti deve essere attentamente monitorizzato e interrotto non appena la malattia ha finito il suo decorso. (Per la terapia del morbo di Graves in gravidanza, v. Malattie della tiroide nel Cap. 251.) L’ipertiroidismo giovanile, di solito conseguenza del morbo di Graves, è caratterizzato da gozzo diffuso, tireotossicosi e, raramente, oftalmopatia infiltrativa. La tiroidite cronica autoimmune deriva dall’azione di anticorpi stimolatori. Questi anticorpi sono immunoglobuline dirette contro componenti delle cellule tiroidee, compreso il recettore per il TSH, che determina ipersecrezione di ormone tiroideo. L’ipertiroidismo può successivamente essere sostituito da ipofunzione tiroidea. La terapia si effettua con propiltiouracile o metimazolo. Possono essere necessari anche i β-bloccanti finché la funzione tiroidea non si è normalizzata. Il propiltiouracile o il metimazolo vengono titolati per mantenere una situazione di eutiroidismo e sono interrotti dopo 18-24 mesi. La maggior parte dei pazienti rimarrà quindi in remissione. Comunque, alcuni pazienti presenteranno delle recedive e sarà necessario o un ripristino della terapia già descritta e l’ablazione con iodio radioattivo (131I) o la tiroidectomia.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE BASSA STATURA CAUSATA DA CAUSE ETEROGENEE La bassa statura può conseguire a insufficienza renale cronica. In questi bambini, la terapia con GH (v. sopra), associata a un buon regime nutrizionale e al controllo metabolico, determina un miglioramento notevole dell’altezza standard. Non è stato riportato alcun effetto deleterio da GH sulla funzione renale; si è dimostrato che il GH è efficace prima del trapianto renale, nei bambini sottoposti a dialisi. Non è chiaro se il GH possa opporsi agli effetti inibitori sulla crescita dei glucocorticoidi esogeni dopo il trapianto renale. La bassa statura può essere causata dalla sindrome di Turner, un’alterazione genetica che si verifica nei soggetti fenotipicamente femmine, caratterizzata dalla perdita di tutto o una parte del cromosoma X in tutti o in alcuni tessuti del corpo. La bassa statura è un reperto comune (per le altre stigmate, v. Sindrome di Turner in Alterazioni cromosomiche nel Cap. 261). Raramente le ragazze con bassa statura e disgenesia gonadica sono prive di altre stigmate caratteristiche della sindrome di Turner. Pertanto, si deve considerare la valutazione del cariotipo quando si esamina una ragazza bassa con nessuna causa evidente di bassa statura. La bassa statura delle ragazze con sindrome di Turner non è dovuta al deficit di GH descritto prima, ma piuttosto la scarsa crescita sembra essere causata da una displasia scheletrica intrinseca. La decisione di trattare queste pazienti non viene basata sul test di provocazione del GH ma sulla diagnosi di sindrome di Turner. La terapia con GH alle dosi di 0,05-0,06 mg/kg/die SC determina effettivamente un aumento dell’altezza definitiva. L’incremento dell’altezza è variabile e dipende dall’età della paziente all’inizio della terapia; tuttavia molte pazienti hanno raggiunto i percentili inferiori dell’altezza di donne normali. La terapia con GH viene continuata finché il trattamento sostitutivo con estrogeni non viene iniziato per l’induzione della pubertà, generalmente quando l’età ossea raggiunge i 12-13 anni. Altre condizioni che possono determinare bassa statura sono la bassa statura senza deficit di GH (variante normale di bassa statura), il ritardo puberale costituzionale, il ritardo di accrescimento intrauterino, altre anomalie cromosomiche e genetiche (p. es., la sindrome di Down, la sindrome di PraderWilli (v. oltre), la sindrome di Noonan), altre displasie scheletriche, il rachitismo ipofosfatemico e il deficit di accrescimento indotto dai glucocorticoidi. In questi casi la terapia con GH continua a essere sperimentale. I pazienti con ritardo di crescita dovuto a resistenza al GH (p. es., quelli con sindrome di Laron) presentano un ritardo di crescita proporzionato, livelli elevati di GH, livelli bassi di IGF-I e IGFBP-3 e un fenotipo differente. L’alterazione primitiva è un difetto qualitativo o quantitativo del recettore del GH o un difetto della sintesi di IGF-I. Oltre a un grave deficit di crescita, benché non ci sia ritardo di accrescimento intrauterino, ci possono essere anomalie cranio-facciali come bozze frontali, sella nasale ipoplasica e cavità orbitarie poco profonde. Questi pazienti non rispondono al trattamento con GH ma a quello con IGF-I con normalizzazione della crescita. Può causare ritardo di crescita la deprivazione emotiva estrema (v. anche Disturbi dell’accrescimento nel Cap. 262); essa determina una inibizione ipotalamico-ipofisaria reversibile. È tipico rilevare che l’ambiente familiare è alterato e il bambino, che appare vittima di abusi e trascuratezza, manifesta

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Malattie endocrine e metaboliche

atteggiamenti accattivanti. La crescita normale del bambino riprende rapidamente dopo che egli viene allontanato dall’ambiente oppressivo.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE ERRORI CONGENITI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI ALTERAZIONI DEL METABOLISMO DEL FRUTTOSO Errore congenito del metabolismo del galattoso caratterizzato da elevati livelli di galattoso nel sangue, derivanti da alterazioni genetiche nella trasformazione del galattoso in glucoso.

Sommario: INTOLLERANZA EREDITARIA AL FRUTTOSO FRUTTOSURIA ESSENZIALE DEFICIT DI FRUTTOSO-1,6-DIFOSFATASI

INTOLLERANZA EREDITARIA AL FRUTTOSO L’ereditarietà è autosomica recessiva. L’incidenza è di 1/20000 in Svizzera, dove il difetto è stato descritto per la prima volta. L’ingestione di grandi quantità di fruttoso o di saccaroso (che per idrolisi dà luogo a glucoso e fruttoso) causa ipoglicemia, sudorazione, tremori, confusione, nausea, vomito, dolore addominale ed eventualmente convulsioni e coma. L’ingestione prolungata di fruttoso può causare acidosi tubulare renale prossimale, con perdita urinaria di fosfati e di glucoso, cirrosi e deterioramento mentale. La diagnosi viene suggerita dall’insorgenza dei sintomi nell’infanzia con l’assunzione di fruttoso. Essa viene confermata dall’assenza dell’enzima nella biopsia epatica o dalla riduzione della glicemia da 5 a 40 min dopo la somministrazione di fruttoso, 250 mg/kg EV. Si deve somministrare glucoso EV non appena si documenta la caduta della glicemia. La diagnosi e l’identificazione dei portatori eterozigoti del gene mutato possono essere ottenute mediante l’analisi diretta del DNA. La terapia consiste nell’escludere dalla dieta il fruttoso (contenuto essenzialmente nella frutta dolce), il saccaroso e il sorbitolo. L’esclusione di dolci e frutta fa sì che i denti di questi bambini in genere non siano cariati. L’ipoglicemia provocata dal fruttoso si controlla con il glucoso.

FRUTTOSURIA ESSENZIALE Difetto genetico della fruttochinasi che comporta l’escrezione benigna e asintomatica di fruttoso nelle urine. L’ereditarietà è autosomica recessiva. L’incidenza è di circa 1/130000. L’utilizzazione anomala del fruttoso ingerito determina la presenza di livelli ematici e urinari alterati, che possono portare a una diagnosi errata di diabete mellito (il fruttoso riduce il solfato di rame ma non reagisce con la glucosoossidasi). Non è richiesta nessuna terapia.

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Malattie endocrine e metaboliche

DEFICIT DI FRUTTOSO-1,6-DIFOSFATASI L’ereditarietà è autosomica recessiva. L’incidenza è sconosciuta. Il disturbo determina ipoglicemia a digiuno, chetosi e acidosi e può essere mortale nei neonati. Una malattia febbrile può scatenare questi episodi. Il blocco enzimatico porta all’accumulo di alcuni aminoacidi, acido lattico e chetoacidi, precursori della gluconeogenesi. I sintomi possono essere risolti dalla somministrazione di glucoso per via orale, oppure EV se l’ipoglicemia è grave. La tolleranza al digiuno in genere migliora con l’età.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE ERRORI CONGENITI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI PENTOSURIA Difetto benigno della L-xiluloso-reduttasi caratterizzato dall’escrezione di Lxiluloso nella urina. L’ereditarietà è autosomica recessiva. Il disturbo si verifica quasi esclusivamente fra gli Ebrei Ashkenazi (incidenza: 1:2500). La presenza di l-xilulosooso nelle urine può condurre a una diagnosi errata di diabete mellito. Non è necessaria alcuna terapia.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE ERRORI CONGENITI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI DIFETTI DEL METABOLISMO DEL PIRUVATO

Sommario: Introduzione DEFICIT DEL COMPLESSO DELLA PIRUVATO DEIDROGENASI DEFICIT DI PIRUVATO CARBOSSILASI

Il piruvato è coinvolto nella via metabolica dei carboidrati, dei grassi e degli aminoacidi. Livelli elevati di piruvato e lattato possono essere dovuti a glicogenosi, alterazioni del metabolismo del fruttoso (v. prima), malattie mitocondriali (v. Anomalie del DNA mitocondriale nel Cap. 286), molti altri disturbi genetici (v. più avanti Alterazioni del metabolismo degli aminoacidi) e alle patologie trattate di seguito.

DEFICIT DEL COMPLESSO DELLA PIRUVATO DEIDROGENASI Sono state riportate forme autosomiche recessive e legate al sesso. Il complesso enzimatico possiede molte subunità differenti e diverse alterazioni genetiche possono causare il deficit. Le manifestazioni cliniche comprendono acidosi lattica, atassia, ritardo psicomotorio e lesioni cistiche della corteccia cerebrale, del tronco cerebrale e dei gangli della base. La diagnosi viene confermata dalla dimostrazione dell’assenza dell’attività enzimatica nei fibroblasti cutanei. Non esiste alcun trattamento efficace, anche se si può tentare con una dieta a basso contenuto di carboidrati o chetogenica e con la supplementazione di tiamina.

DEFICIT DI PIRUVATO CARBOSSILASI L’ereditarietà del deficit di piruvato carbossilasi è autosomica recessiva. L’incidenza è < 1/250000, ma può essere più alta in alcune popolazioni indiane d’America. Il ritardo psicomotorio è di solito la manifestazione clinica principale. Altri squilibri metabolici possono comprendere l’iperammoniemia, la chetoacidosi, livelli plasmatici elevati di lisina, citrullina, alanina e prolina e aumentata escrezione di α-chetoglutarato. La diagnosi viene confermata dalla dimostrazione della riduzione dell’attività enzimatica nei fibroblasti cutanei. Non esiste alcun trattamento efficace.

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Malattie endocrine e metaboliche

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE ALTERAZIONI DEL METABOLISMO DEGLI AMINOACIDI Classicamente, le alterazioni del metabolismo degli aminoacidi sono quelle del catabolismo. I difetti del trasporto degli aminoacidi a livello del tubulo renale (v. Anomalie del trasporto renale nel Cap. 261) o della mucosa GI (p. es., malattia di Hartnup) sono anche difetti metabolici, poiché sono causati da difetti enzimatici. Nell’ambito delle anomalie del catabolismo si evidenziano elevati livelli plasmatici di vari metaboliti, che non si riscontrano nelle anomalie del trasporto. Queste alterazioni sono determinate geneticamente. Le caratteristiche salienti delle varie alterazioni del catabolismo degli aminoacidi sono riportate nella Tab. 269-5. In questo capitolo viene trattata solo la fenilchetonuria.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE ALTERAZIONI DEL METABOLISMO DEGLI AMINOACIDI FENILCHETONURIA CLASSICA (Fenilalaninemia; oligofrenia fenilpiruvica) Errore congenito del catabolismo, caratterizzato da un’assenza dell’attività della fenilalanina-idrossilasi e dall’incremento della fenilalanina plasmatica, spesso responsabile di ritardo mentale.

Sommario: Epidemiologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Epidemiologia e patogenesi La fenilchetonuria classica (PKU) si trova nella maggior parte dei gruppi etnici, ma è rara negli Ebrei Ashkenazi e nei negri. L’incidenza negli USA è di circa 1/16000 nati vivi. La PKU classica è trasmessa come tratto autosomico recessivo. L’eccesso di fenilalanina, un aminoacido essenziale, è normalmente eliminato dall’organismo mediante l’idrossilazione a tirosina. È essenziale per questa reazione l’enzima fenilalanina-idrossilasi. Se questo è inattivo, la fenilalanina si accumula nel sangue ed è escreta immodificata principalmente nelle urine; una parte subisce la transaminazione ad acido fenilpiruvico, che può essere ulteriormente metabolizzato ad acido fenilacetico, fenillattico e oidrossifenilacetico, tutti escreti nelle urine.

Sintomi e segni I sintomi sono abitualmente assenti nel periodo neonatale. È raro che il bambino sia letargico o che si nutra poco. Il sintomo più importante è il ritardo mentale, generalmente grave, che si verifica nella gran parte dei pazienti non trattati. I lattanti affetti tendono ad avere un colore di pelle, di capelli e di occhi più chiaro rispetto ai membri della famiglia non colpiti. Alcuni possono avere un rash simile all’eczema infantile. Si sviluppano molti segni e sintomi neurologici, specialmente a carico dei riflessi. Sono comuni nei bambini più grandi convulsioni di tipo piccolo e grande male; l’incidenza delle anomalie elettroencefalografiche è del 75-90%. I bambini manifestano iperattività notevole e psicosi e spesso hanno uno odore corporeo spiacevole "di topo" causato dalla presenza di acido fenilacetico nelle urine e nel sudore.

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Malattie endocrine e metaboliche

Diagnosi La diagnosi prenatale è possibile nella maggior parte dei casi che presentano una storia familiare; il DNA isolato da cellule amniotiche coltivate o da campioni di villi coriali viene analizzato con i polimorfismi di lunghezza dei frammenti di restrizione e i profili vengono confrontati con quelli dei genitori e del probando. In alcune famiglie, può essere effettuato anche lo studio diretto della mutazione. In genere, a causa della mancanza di sintomi neonatali, l’accertamento di laboratorio è d’obbligo per la rilevazione del deficit. La diagnosi precoce dipende dal reperto di alti livelli plasmatici di fenilalanina e livelli di tirosina normali o bassi. Non si può fissare l’esatto livello plasmatico che serve da linea di demarcazione tra la PKU classica e le sue varianti (v. più avanti), sebbene sia stato proposto un livello di 20 mg/dl (1,2 mM/l). La distinzione tra l’iperfenilalaninemia grave e la PKU classica (v. più avanti) non può essere fatta soltanto con il dosaggio della fenilalanina plasmatica. Una differenziazione precisa richiede il dosaggio dell’attività della fenilalanina-idrossilasi epatica, che è praticamente assente nella PKU classica e presente, invece, in quantità variabili dal 5 al 15% della norma nelle iperfenilalaninemie. Il fegato è normalmente l’unico organo dove si trovano quantità misurabili di fenilalanina-idrossilasi. Sono comunque necessari metodi di differenziazione più validi. Dopo aver consumato una modesta quantità di latte (la sorgente di fenilalanina) per almeno 48 h, tutti i neonati devono essere sottoposti ad analisi di screening per la PKU. Di solito è usato il test di inibizione di Guthrie. Un ceppo di Bacillus subtilis fenilalanina-dipendente viene coltivato in un mezzo di coltura, in cui si pongono dischi di carta da filtro impregnati con alcune gocce di sangue capillare e altri dischi contenenti varie quantità di fenilalanina (controlli). La zona di accrescimento del bacillo intorno ai dischi contenenti il campione di sangue è proporzionale al contenuto di fenilalanina. Un altro test di screening consiste nell’aggiungere alcune gocce di una soluzione di cloruro ferrico al 10% a un campione di urine o a un pannolino umido (sono disponibili in commercio test a strisce di carta). Un forte colore azzurro-verde è indice di acido fenilpiruvico nelle urine. Se il lattante presenta una storia familiare di PKU, si effettua il test sulle urine dopo il periodo neonatale a intervalli regolari per 1 anno, in genere ogni settimana. Dopo 4-6 sett. di vita possono comparire nelle urine i metaboliti della fenilalanina in concentrazioni anomale: essi comprendono l’acido fenilpiruvico, l’acido fenillattico e l’acido o-idrossifenilacetico. I test di screening devono essere confermati da esami più esatti che utilizzano metodi fluorimetrici o la cromatografia su colonna a scambio ionico.

Terapia La terapia ha lo scopo di limitare ai bambini l’apporto alimentare di fenilalanina, soddisfacendo le richieste di aminoacidi essenziali, senza eccedere, permettendo così un accrescimento e uno sviluppo normali, ma prevenendo l’accumulo di fenilalanina e dei suoi prodotti terminali anomali. Dal momento che tutte le proteine naturali contengono circa il 4% di fenilalanina, è impossibile soddisfare le richieste proteiche senza superare la richiesta di fenilalanina. Quindi, la parte proteica della dieta deve essere costituita da idrolisati di caseina (trattati in modo da rimuovere la fenilalanina) e da miscele di aminoacidi. Il Lofenalac, ampiamente usato negli USA, è un alimento completo tranne che per la sua carenza di fenilalanina ed è usato al posto del latte. Sono raccomandati alimenti naturali a basso contenuto proteico come la frutta, le verdure e alcuni cereali. Il fabbisogno di fenilalanina viene fornito da quantità determinate di proteine naturali e dal contenuto residuo di fenilalanina del Lofenalac (75 mg/ 100 g di polvere secca). Il fabbisogno secondo il peso corporeo si riduce con l’età, variando da 40-70 mg/kg/die durante i primi mesi di vita a 20-40 mg/kg/die alla fine del primo anno. Sono disponibili in commercio prodotti dietetici privi di fenilalanina; essi facilitano il controllo dei livelli ematici di fenilalanina e file:///F|/sito/merck/sez19/2692558c.html (2 of 3)02/09/2004 2.48.11

Malattie endocrine e metaboliche

permettono qualche piccola libertà nell’uso di prodotti naturali. L’Analog XP, il Phenex I, Phenex II e il Phenyl-Free sono altri cibi completi privi di fenilalanina (disponibili in USA); il PKU-1, il PKU-2, il PKU-3 e il Maxamum non contengono grassi e quindi forniscono meno calorie rispetto ad altri preparati. È necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici di fenilalanina. Il trattamento deve iniziare durante i primi giorni di vita per prevenire il ritardo mentale. Se precoce e ben eseguito, esso consente uno sviluppo normale e previene le alterazioni del SNC. Se viene iniziato dopo l’età di 2-3 anni può essere efficace soltanto nel controllare l’estrema iperattività e le convulsioni intrattabili. Ancora non è ben nota la sua durata. Sebbene in passato si considerasse sicuro sospendere la terapia quando la mielinizzazione era praticamente completa, le evidenze di riduzione del quoziente intellettivo (QI) e di sviluppo di problemi comportamentali e di apprendimento hanno portato a riconsiderare questa raccomandazione. I dati correnti indicano che la restrizione dietetica deve essere mantenuta per tutta la vita. La fenilchetonuria materna, se lasciata senza trattamento, ha importanti effetti sul feto. Nella maggior parte dei casi si hanno neonati con ritardo mentale e fisico e c’è un’alta incidenza di microcefalia e cardiopatia congenita. Il controllo dei livelli ematici di fenilalanina della madre prima della gravidanza può prevenire queste complicanze e l’esperienza indica che tale trattamento è efficace.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE FORME VARIANTI DI IPERFENILALANINEMIA La tirosinemia neonatale (dello sviluppo) può essere la causa di livelli elevati di fenilalanina. Si distingue per i livelli anormali di tirosina nel plasma. Le forme lievi e gravi di iperfenilalaninemia sono trasmesse come tratti autosomici recessivi. Anche se ridotta, l’attività della fenilalanina-idrossilasi è più alta nelle forme varianti che nella PKU classica. Le forme lievi in genere presentano livelli plasmatici < 8-10 mg/dl con una dieta normale; le forme gravi sono associate a livelli maggiori. Le differenze dalla PKU classica sono descritte prima. I dati disponibili indicano che il livello di fenilalanina deve essere mantenuto al di sotto di 6 mg/dl con la terapia dietetica. I pazienti devono essere trattati come quelli con PKU classica. Il deficit di tetraidrobiopterina può anche essere la causa di iperfenilalaninemia. Può aversi come risultato sia di un difetto della sintesi di biopterina, che di un deficit della diidropteridina-reduttasi, che riduce la biopterina alla sua forma attiva, la tetraidrobiopterina. La tetraidrobiopterina è un cofattore della sintesi della dopamina e della serotonina; il deficit di questi neurotrasmettitori può spiegare i sintomi neurologici. La terapia dietetica può correggere l’iperfenilalaninemia, ma il grave deterioramento neurologico continua perché permane la carenza dei neurotrasmettitori. In aggiunta al trattamento dietetico, la terapia sostitutiva con levodopa, carbidopa, 5-OH triptofano e tetraidrobiopterina, può essere di beneficio se iniziata in età precoce.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO DIFETTI EREDITARI DEL TESSUTO CONNETTIVO CUTIS LAXA Malattia rara caratterizzata da lassità della cute che si dispone in larghe pieghe.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Diagnosi differenziale e terapia

Due forme sono relativamente benigne e vengono ereditate come autosomiche dominante e recessiva rispettivamente, l’ultima caratterizzata da ritardo dello sviluppo e lassità articolare. Una forma ereditaria potenzialmente letale, con complicanze cardio-respiratorie, è autosomica recessiva. La cutis laxa acquisita si verifica raramente dopo una malattia febbrile o l’esposizione a un farmaco specifico; quest’ultima evenienza comprende la reazione di ipersensibilità alla penicillina e i figli di madri trattate con penicillamina. Il difetto di base è sconosciuto. In tutte le forme, l’esame istologico della cute evidenzia la frammentazione dell’elastina.

Sintomi, segni e diagnosi Nelle forme ereditarie, la lassità della cute può essere presente alla nascita o può svilupparsi successivamente laddove la cute è normalmente lassa e pendente in pliche, soprattutto al volto; i bambini affetti hanno un viso triste o "churchilliano". È caratteristico un naso adunco. Sono comuni ernie e diverticoli GI. L’enfisema polmonare progressivo può innescare il cuore polmonare nei pazienti gravemente colpiti. La cutis laxa acquisita è clinicamente distinta dalle forme genetiche (inizio tardivo, distribuzione e aspetto delle anomalie cutanee, assenza del naso a uncino). Di solito compare nei bambini o negli adolescenti dopo una malattia grave che comporta febbre, polisierosite o eritema multiforme. Negli adulti può svilupparsi in maniera insidiosa, portando talvolta al decesso per rottura dell’aorta o per complicanze polmonari.

Diagnosi differenziale e terapia Nella cutis laxa tipica sono assenti la fragilità del derma e l’ipermobilità articolare della sindrome di Ehlers-Danlos. Aree localizzate di cute lassa possono talora riscontrarsi in altre patologie, p. es. nella sindrome di Turner (v. Cap. 261), in cui le pieghe cutanee lasse alla base del collo delle femmine affette sono tese e costituiscono lo pterigio quando il bambino cresce, e nella neurofibromatosi (v.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Cap. 183), in cui si sviluppano occasionalmente dei neuromi plessiformi penduli unilaterali, con configurazione e struttura tissutale che li distinguono da quelle della cutis laxa. Non esiste una terapia specifica. La chirurgia plastica è meno efficace nella forma acquisita di cutis laxa; tuttavia, essa migliora notevolmente l’aspetto in quella ereditaria; la cicatrizzazione non presenta generalmente complicanze, ma la lassità del derma può recidivare. Le complicanze cardio-respiratorie vanno trattate in modo adeguato.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO DIFETTI EREDITARI DEL TESSUTO CONNETTIVO MUCOPOLISACCARIDOSI Condizioni caratterizzate da un aumento dell’escrezione urinaria di mucopolisaccaridi e da manifestazioni sistemiche variabili, che comprendono una facies caratteristica, displasia dello scheletro, deficienza mentale, opacità della cornea ed epatosplenomegalia.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Ciascun tipo ha aspetti clinici ben distinti, un difetto biochimico specifico su base genetica, una prognosi prevedibile ed è identificato da un mucopolisaccaride urinario in eccesso (v. Tab. 270-4). Sono stati identificati i difetti enzimatici primitivi. Tutte le forme hanno una trasmissione autosomica recessiva, con l’eccezione del tipo II, che è legato al cromosoma X.

Sintomi, segni e diagnosi Le manifestazioni cliniche non sono generalmente evidenti alla nascita. Nell’infanzia e nell’adolescenza si evidenziano bassa statura, displasia ossea, irsutismo e anomalie dello sviluppo; la diagnosi viene ulteriormente suggerita dalla caratteristica facies grossolana, con labbra spesse, bocca aperta e sella nasale piatta. Il ritardo mentale diviene evidente a seconda della forma, in genere dopo i primi anni di vita. L’anamnesi familiare è utile per la diagnosi. La diagnosi può essere effettuata prima della nascita esaminando l’attività enzimatica di cellule amniotiche in coltura o campioni di villi coriali prelevati mediante biopsia. Essendo comuni i risultati falsamente negativi e positivi, gli esami di screening postnatali su urine devono essere interpretati attentamente. Nella prima infanzia i test possono essere negativi anche in soggetti affetti in modo grave. La diagnosi viene confermata mediante la valutazione dell’attività enzimatica specifica nei leucociti, nei fibroblasti in coltura o, in alcuni tipi, nel siero. Le alterazioni radiologiche dello scheletro sono tipiche della disostosi multipla; hanno una diversa gravità a seconda del tipo e possono essere sufficientemente specifiche da permettere una diagnosi precisa. Comunque, questi reperti radiologici variano notevolmente nel periodo dell’infanzia, per cui vanno interpretati con prudenza.

Terapia Non è disponibile nessuna terapia efficace. I tentativi di reintegrare l’enzima file:///F|/sito/merck/sez19/2702575.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.15

Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

mancante con infusioni di plasma o con innesti cutanei hanno avuto soltanto un successo scarso e temporaneo. Il trapianto di midollo ha determinato in alcuni casi una remissione biochimica, ma le funzioni intellettive rimangono alterate e la mortalità e la morbilità sono alte.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 270-4. MUCOPOLISACCARIDOSI GENETICHE Tipo

Malattia

Manifestazioni cliniche Mucopoli e prognosi saccaridi urinari in eccesso

Deficit enzimatico

MPS I H

Sindrome di Hurler*

Opacità precoce della cornea; manifestazioni gravi; decesso generalmente prima dei 10 anni

Dermatan α-L-iduronidasi solfato (precedentemen te detto fattore correttivo di Eparan Hurler) solfato

MPS I S

Sindrome di Scheie

Rigidità articolare; opacità della cornea; insufficienza aortica, intelligenza normale; ? aspettativa di vita normale

Dermatan α-L-iduronidasi solfato

Sindrome composta HurlerScheie

Fenotipo intermedio tra Hurler e Scheie

Dermatan α-l-iduronidasi solfato

Sindrome di Hunter (forma grave e forma lieve)

Cornea limpida, decorso più lieve della MPS I H, ma con decesso generalmente prima dei 15 anni

MPS I H/S

MPS II

Eparan solfato

Eparan solfato Dermatan Iduronato-2solfatasi solfato Eparan solfato

Nella forma lieve sopravvivenza fino a 3050 anni; intelligenza discreta MPS III

Sindrome di Sanfilippo (molteplici forme)

Fenotipo identico: lievi effetti somatici e gravi effetti sul SNC

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Eparan solfato

Eparan solfato solfatasi N-acetil-α-Dglucosaminidasi in alcune forme

Manuale Merck - Tabella

MPS IV

MPS IV

Sindrome di Morquio

Gravi alterazioni ossee caratteristiche; opacità della cornea; insufficienza aortica

Cheratan Nsolfato acetilgalattosam ina-6-solfatasi

Sindrome di Morquio, tipo A (forma grave, intermedia e lieve)

Gravi alterazioni ossee caratteristiche; opacità della cornea; insufficienza aortica

Cheratan Nsolfato acetilgalattosam ina-6-solfatasi

β-galattosidasi

B

Sindrome di Moderate alterazioni Morquio, tipo ossee che provocano B nanismo e allineamento vertebrale difettoso; alcune ramificazioni viscerali

MPS V

Vacante

MPS VI

Sindrome di Gravi alterazioni ossee e Dermatan Arilsolfatasi B solfato Maroteaux- corneali; intelligenza Lamy (forma normale grave e lieve)

MPS VII

Deficit di βglucuronidasi (più di 1 forma allelica?)

Dermatan β-glucuronidasi Epatosplenomegalia; solfato disostosi multipla; inclusioni nei GB; ritardo mentale

*Altri difetti metabolici rari come le mucolipidosi ricordano clinicamente la sindrome di Hurler, ma possono essere dif ferenziati da un punto di vista biochimico. MPS = mucopolisaccaridosi. Modificata da Heritable Disorders of Connective Tissue, ed. 4, da VA McKusick. St. Louis, CV Mosby Co., 1972; pubbli cazione autorizzata.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOPOROSI (Ossa di marmo) Disturbi caratterizzati dall’aumento della densità ossea e da anomalie del modellamento scheletrico. Possono essere distinte in categorie sulla base della predominanza della sclerosi ossea o dei difetti del modellamento scheletrico: osteosclerosi, displasia craniotubulare e iperostosi craniotubulare. Alcuni disordini sono relativamente benigni mentre altri hanno un decorso progressivo e fatale. La distorsione della faccia, dovuta a iperaccrescimento osseo, è talora grave. I problemi odontoiatrici (malocclusione) richiedono interventi specializzati di ortodonzia. Può essere necessaria una decompressione chirurgica in caso di aumento della pressione intracranica o di incarceramento dei nervi facciali o uditivi.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOPOROSI DISPLASIA CRANIOTUBULARE Anomalo modellamento osseo con minima sclerosi ossea. La displasia metafisaria (malattia di Pyle) è una malattia rara, autosomica recessiva, spesso confusa, sul piano semantico, con la displasia craniometafisaria (v. più avanti). Le persone affette sono clinicamente normali, a parte un valgismo del ginocchio, considerando che scoliosi e fragilità ossea si verificano occasionalmente. La diagnosi viene fatta in genere casualmente in seguito a radiografie eseguite per altri motivi. In contrasto con i segni clinici lievi, le alterazioni radiologiche sono notevoli. Le ossa lunghe sono iposviluppate e le corticali generalmente sottili. Le ossa tubulari delle gambe presentano un ingrossamento svasato a "beuta di Erlenmeyer" specialmente nelle porzioni distali dei femori; il cranio viene risparmiato, a eccezione di una prominenza sopraorbitaria; l’angolo mandibolare è ottuso; le ossa della pelvi e della gabbia toracica sono espanse. La displasia cranio-metafisaria è relativamente comune tra questi disordini. L’ereditarietà è autosomica dominante. Durante l’infanzia si sviluppa una protuberanza paranasale, il cui progressivo ingrossamento, unitamente all’ispessimento del cranio e della mandibola, determina la deformazione della mascella e della faccia. L’ingrossamento osseo porta a compressione e a deficit dei nervi cranici, in particolare del 7o e dell’8o paio. La malocclusione della mandibola può creare disturbi, mentre l’obliterazione parziale dei seni predispone a infezioni respiratorie ricorrenti. La statura e le condizioni generali di salute sono normali, ma può verificarsi un progressivo aumento della pressione endocranica, che è una rara ma grave complicanza. Le alterazioni radiologiche sono proporzionali all’età e iniziano a diventare evidenti dall’età di 5 anni. Il principale reperto radiologico a carico del cranio è la sclerosi, massima alla base, anche se tutto il cranio è in qualche modo interessato. Le ossa lunghe hanno metafisi ingrossate, con una configurazione a clava, particolarmente evidente all’estremità inferiore del femore. Tuttavia, queste alterazioni sono molto meno gravi rispetto a quelle della malattia di Pyle (v. sopra). La colonna e la pelvi non sono interessate. La displasia fronto-metafisaria, evidente nella prima infanzia, si trasmette in forme diverse: autosomica dominante e legata al sesso. Il margine sopraorbitario è prominente e somiglia a una visiera da cavaliere. La mandibola è ipoplasica, con un restringimento anteriore. Sono comuni le anomalie dei denti e la sordità, che si sviluppa nell’età adulta a causa del restringimento sclerotico dei forami acustici interni e dell’orecchio medio. Le ossa lunghe delle gambe sono lievemente curvate. Le contratture progressive delle dita possono simulare l’AR. L’altezza e le condizioni generali sono normali. Radiograficamente è evidente l’iperaccrescimento osseo della regione frontale; la volta cranica presenta aree di sclerosi. I corpi vertebrali sono displasici, ma non sclerotici. Le creste iliache presentano una brusca svasatatura e la pelvi risulta deformata. Le epifisi prossimali del femore sono appiattite, con ingrossamento delle teste femorali e coxa valga. Le ossa delle dita sono ipomodellate, con file:///F|/sito/merck/sez19/2702579b.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.16

Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

erosioni e riduzione dello spazio articolare.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOPOROSI IPEROSTOSI CRANIOTUBULARE Iperaccrescimento osseo che determina alterazione dei contorni e aumento della densità dello scheletro. L’iperostosi endostiale (malattia di van Buchem) è in genere ereditata come autosomica recessiva, ma è stata riportata una varietà lieve autosomica dominante. L’iperaccrescimento e la distorsione della mandibola e della fronte diventano evidenti nella seconda infanzia. In seguito, la compressione dei nervi cranici porta a paralisi del facciale e a sordità. L’aspettativa di vita è normale, come normale è la statura; le ossa non sono fragili. Le principali manifestazioni radiologiche sono l’ingrossamento e la sclerosi della volta e della base cranica e della mandibola. Nella diafisi delle ossa tubulari si riscontra ispessimento endostiale. Può essere utile la decompressione chirurgica dei nervi intrappolati. La sclerosteosi è una condizione autosomica recessiva prevalente soprattutto nelle popolazioni del Sud-Africa. L’iperaccrescimento e la sclerosi dello scheletro, particolarmente del cranio, si sviluppano fin dalla prima infanzia. L’altezza e il peso sono spesso eccessivi; i sintomi di esordio possono essere sordità e paralisi del facciale dovute alla compressione dei nervi cranici. La deformazione della faccia, evidente dall’età di 10 anni, può diventare in seguito molto grave. Negli adulti, la pressione intracranica elevata può causare cefalea e si sono verificati diversi casi di morte improvvisa per incuneamento del midollo allungato nel forame magno. La sindattilia cutanea o ossea del 2o e 3o dito distingue la sclerosteosi da altre forme di iperostosi craniotubulare. Le principali manifestazioni radiologiche sono l’ingrossamento e la sclerosi della volta cranica e della mandibola. I corpi vertebrali sono risparmiati, anche se i loro peduncoli hanno una maggiore densità. Le ossa della pelvi sono sclerotiche ma con contorni normali. La corticale delle ossa lunghe è sclerotica e iperostosica, le diafisi sono iposviluppate. Può essere utile un intervento chirurgico per ridurre la pressione intracranica. La displasia diafisaria (malattia di Camurati-Engelmann) è un disordine autosomico dominante relativamente ben conosciuto che si presenta nella seconda infanzia con dolori muscolari, astenia e ipoplasia, specialmente alle gambe. Questi sintomi si risolvono generalmente all’età di 30 anni. Complicanze occasionali sono la compressione dei nervi cranici e l’aumento della pressione endocranica. Alcuni pazienti sono gravemente compromessi, mentre altri sono praticamente asintomatici. Il principale reperto radiologico è un marcato ispessimento del periostio e della superficie midollare della corticale della diafisi delle ossa lunghe. I canali midollari e i contorni ossei sono irregolari. Gli arti e la colonna sono di solito risparmiati. Raramente viene interessato il cranio con ingrossamento della volta e sclerosi della base. Le alterazioni radiologiche sono variabili. I corticosteroidi possono essere utili per ridurre i dolori ossei e per migliorare l’efficienza muscolare.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOCONDROSI Disordini che colpiscono le epifisi, caratterizzati da un’alterazione non infiammatoria, non infettiva del normale processo di accrescimento osseo che si verifica nei vari centri di ossificazione durante la loro massima attività di sviluppo. L’eziologia è sconosciuta e il substrato genetico non è semplice. Differiscono per distribuzione anatomica, decorso e prognosi; la loro importanza è legata alle complicanze ortopediche che determinano. Osteocondrosi rare sono la malattia di Freiberg (testa del 2o metatarso), la malattia di Panner (capitello dell’omero), la malattia di Sever (calcagno) e la malattia di Sindling-Larsen-Johansson (rotula).

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOCONDROSI MALATTIA DI LEGG-CALVE'-PERTHES Necrosi asettica idiopatica dell’epifisi prossimale del femore. La malattia di Legg-Calvè-Perthes è la più frequente delle osteocondrosi, ha un massimo di incidenza tra i 5 e i 10 anni con una predilezione per i maschi ed è generalmente unilaterale. I sintomi principali sono dolore all’articolazione dell’anca e disturbi dell’andatura, generalmente a insorgenza graduale e progressione lenta. I movimenti articolari sono limitati e i muscoli della coscia possono divenire ipoplasici. Gli esami radiologici evidenziano inizialmente appiattimento e in seguito frammentazione della testa del femore, che contiene aree di ipertrasparenza e di sclerosi. La diagnosi differenziale comprende le patologie scheletriche ereditarie, soprattutto la displasia epifisaria multipla. In ogni caso atipico bilaterale o familiare è d’obbligo uno studio dello scheletro per escludere queste condizioni, dal momento che la prognosi e il trattamento ottimale sono diversi. Vanno esclusi anche l’ipotiroidismo, l’anemia a cellule falciformi e i traumi. Nei casi non trattati si ha generalmente un decorso prolungato, ma autolimitantesi, di 2-3 anni. Anche quando la condizione diventa infine quiescente, residua una deformazione della testa del femore e dell’acetabolo che predispone a un’osteoartrosi degenerativa secondaria. Nei casi trattati le sequele sono meno gravi. La terapia ortopedica comprende riposo prolungato a letto, trazioni mobili, cinghie e contenzione della testa del femore mediante gessature e docce. Alcuni esperti propongono l’osteotomia subtrocanterica con fissazione interna che permette una precoce deambulazione.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOCONDROSI MALATTIA DI OSGOOD-SCHLATTER Osteocondrite del tubercolo tibiale. La patologia è di solito unilaterale, si verifica tra i 10 e i 15 anni ed è più comune nei ragazzi. Si ritiene che l’eziologia sia traumatica, per eccessiva trazione da parte del tendine della rotula su un’inserzione epifisaria immatura. Le manifestazioni principali sono dolore, tumefazione e dolorabilità presso il tubercolo tibiale nel punto di inserzione del legamento rotuleo. Non ci sono disturbi sistemici. Le radiografie laterali delle ginocchia mostrano frammentazione del tubercolo tibiale. La risoluzione è in genere spontanea entro settimane o mesi. Le sole misure necessarie sono quelle atte ad alleviare il dolore e a far evitare sport ed esercizi fisici eccessivi, specialmente quelli che prevedono di piegare eccessivamente il ginocchio. L’immobilizzazione mediante ingessatura, le iniezioni intralesionali di idrocortisone, la rimozione chirurgica di corpi liberi, la trapanazione e gli innesti sono procedure a cui si ricorre raramente.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOCONDROSI MALATTIA DI SCHEUERMANN Condizione relativamente comune, in cui mal di schiena e cifosi si associano ad alterazioni localizzate dei corpi vertebrali. Il disturbo si manifesta durante l’adolescenza, più comunemente nei maschi. Probabilmente rappresenta un gruppo di condizioni con manifestazioni simili, ma a eziologia e patogenesi incerte. Si ritiene responsabile della malattia un’osteocondrite delle cartilagini dei piatti vertebrali superiore e inferiore, ma talora il fattore causale è un trauma. Alcune persone affette mostrano una predisposizione familiare. I sintomi d’esordio sono una postura "a spalle curve" e un persistente mal di schiena. Alcune persone affette hanno un aspetto marfanoide, con sproporzione tra la lunghezza del tronco e quella degli arti. I casi lievi vengono spesso riconosciuti durante visite scolastiche di screening per la deformità della colonna. Il principale reperto clinico è un aumento della normale cifosi toracica, che può essere diffusa o localizzata. Il decorso è lungo (molto variabile, spesso parecchi anni), ma lieve; una volta raggiunto lo stato di quiescenza, spesso persiste un insignificante disallineamento della colonna vertebrale. Le radiografie laterali della colonna vertebrale mostrano un incuneamento anteriore dei corpi vertebrali, generalmente nei tratti dorsale inferiore e lombare superiore. Negli stadi tardivi i piatti vertebrali diventano irregolari e sclerotici. Il disallineamento del rachide è in prevalenza di natura cifotica, ma a volte è presente una deformità in scoliosi. Nei casi atipici, bisogna escludere una displasia scheletrica generalizzata e la tubercolosi spinale. I casi lievi, non progressivi, possono essere trattati riducendo il sovrappeso ed evitando le attività fisiche intense. Occasionalmente, quando la cifosi è più grave, sono indicati la fasciatura della colonna o il riposo in posizione supina su letto rigido. La stabilizzazione e la correzione chirurgica del disallineamento sono necessarie raramente per i casi progressivi.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL TESSUTO CONNETTIVO LE OSTEOCONDROSI MORBO DI KÖHLER Rara forma di osteocondrite che colpisce l’osso navicolare del tarso. La malattia interessa i bambini, più frequentemente i maschi, tra i 3 e i 5 anni. Il piede diventa tumefatto e dolorante, con massima dolorabilità sull’arco longitudinale mediale. Il sovrappeso e la deambulazione accentuano i sintomi, determinando disturbi dell’andatura. La condizione ha un decorso cronico, ma raramente dura più di 2 anni. Radiograficamente l’osso navicolare appare inizialmente appiattito e sclerotico, successivamente diventa frammentato, prima che inizi la riossificazione. La condizione è unilaterale, ma sono utili radiografie comparative del lato non affetto per la valutazione della progressione della malattia. Sono richiesti riposo, controllo del dolore e attenzione nell’evitare carichi eccessivi. Nei casi acuti, può essere utile per qualche settimana un’ingessatura al di sotto del ginocchio, ben modellata sotto l’arco longitudinale.

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Disturbi di naso e gola

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 272. DISTURBI DI NASO E GOLA (V. anche §7; i problemi del setto nasale sono trattati nel Cap. 86, le tonsilliti nel Cap. 87 e le stomatiti e altri problemi orali nel Cap. 105.)

ANGIOFIBROMA GIOVANILE Tumore benigno che origina dal tessuto connettivo nella volta rinofaringea e che si sviluppa quasi esclusivamente nei maschi alla pubertà. L’angiofibroma può ostruire la cavità nasale, infiltrarsi nei seni paranasali e invadere l’orbita e la fossa cranica. È rosso e compatto ed è composto da tessuto fibroso e da numerosi vasi a parete sottile senza elementi contrattili. L’epistassi è il sintomo principale. Sulla radiografia, la fessura pterigomascellare appare frequentemente slargata dal tumore nella fossa infratemporale. L’estensione del tumore può essere visualizzata mediante TC o RMN. La fonte di rifornimento di sangue e l’estensione intracranica vengono visualizzate con l’angiografia bilaterale selettiva delle carotidi interna ed esterna. Sebbene gli angiofibromi di solito regrediscano con l’età, spesso la terapia è necessaria. L’embolizzazione angiografica seguita da exeresi è un metodo risolutore, ma la radioterapia può essere il trattamento di scelta per i pazienti con metastasi intracraniche estese. L’estrogenoterapia con dietilstilbestrolo alla dose di 5 mg PO tid per 6 sett. prima dell’asportazione può ridurre le dimensioni e la vascolarizzazione del tumore ma può causare effetti collaterali indesiderati (p. es., ginecomastia) e in genere non è utilizzata.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

PSICOSI DELL’INFANZIA Le psicosi si manifestano con alterazioni di tutti i settori della funzione mentale: del comportamento, dell’apprendimento e della affettività. Sono relativamente rare (4-10 casi/ 10000 bambini), ma pongono problemi importanti per il trattamento. Si possono differenziare in quattro categorie maggiori, ciascuna differente per l’età di insorgenza, il decorso e la prognosi: autismo, disordine pervasivo dello sviluppo a esordio infantile, psicosi disintegrativa infantile e schizofrenia infantile.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

AUTISMO (Sindrome di Kanner) Sindrome della prima infanzia caratterizzata da una profonda incapacità a sviluppare relazioni sociali, disordini del linguaggio con deterioramento dell’intelletto, ecolalia con inversione dei pronomi (in particolare l’uso del "tu" al posto dell’"io" o del "me" quando si riferisce a sé stesso), fenomeni rituali e compulsivi (presenza di atteggiamenti reiterativi), nella maggior parte dei casi uno sviluppo intellettivo alterato con ritardo mentale.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni, diagnosi e prognosi Terapia

L’autismo è da due a quattro volte più comune nei maschi che nelle femmine. Il tasso di concordanza è significativamente più grande nei gemelli monozigoti che nei dizigoti, indicando l’importanza di fattori genetici. La sindrome è definita dalle manifestazioni comportamentali. Il livello della funzione cerebrale o la presenza o assenza di danno neurologico sono considerati a parte con un sistema diagnostico multiassiale. La TC ha differenziato un sottogruppo di bambini autistici con ventricoli slargati e la RMN ha di recente identificato un sottogruppo di adulti autistici con ipoplasia del verme cerebellare. Alcuni casi di autismo sono stati associati alla sindrome della rosolia congenita, alla malattia da citomegalovirus, alla fenilchetonuria e alla sindrome dell’X fragile.

Sintomi, segni, diagnosi e prognosi L’autismo si manifesta di solito nel primo anno di vita; l’esordio si verifica entro i tre anni. La sindrome è caratterizzata da un estremo distacco (perdita dell’interesse per l’ambiente, assenza di manifestazioni affettive, rinuncia a fissare un oggetto, incapacità di creare delle relazioni), insistenza negli atteggiamenti ripetitivi (resistenza al cambiamento, rituali, morboso attaccamento agli oggetti familiari, atti ripetitivi), disordini del linguaggio (che variano dal mutismo totale al ritardo nell’inizio del parlare, al marcato rifiuto dell’uso del linguaggio) e dal rendimento intellettivo irregolare. I bambini autistici si valutano molto difficilmente con i test psicodiagnostici. Nella valutazione del quoziente intellettivo standard, essi di solito mostrano meno ritardo nello sviluppo intellettivo che nel linguaggio e possono mostrare in certi settori un livello intellettivo appropriato per l’età, mentre in altri un notevole ritardo. Nondimeno, un test per la valutazione del QI condotto da un esaminatore esperto è molto utile per

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

formulare la prognosi. I bambini con un QI < 50 hanno quasi costantemente una cattiva prognosi; invece circa la metà di quelli con un QI più alto hanno una prognosi migliore. Questa è fortemente determinata dalla quantità di parole utili che il bambino possiede all’età di 7 anni. I sintomi tendono a essere costanti durante tutto il periodo dello sviluppo, con alcuni soggetti che presenteranno sintomi schizofrenici (manie e allucinazioni) durante l’adolescenza o la prima giovinezza. L’esame neurologico generalmente non evidenzia segni focali (p. es., andatura incoordinata, scosse miocloniche, movimenti stereotipati), sebbene il 20-40% dei bambini (specialmente quelli con un QI < 50) può presentare convulsioni prima dell’adolescenza. L’EEG di solito è aspecifico.

Terapia Soltanto l’applicazione sistematica della terapia del comportamento, tecnica che deve essere insegnata ai genitori, aiuta a trattare la maggior parte dei bambini malati gravemente a casa o a scuola. I benefici di questa terapia sono considerevoli per i bambini autistici che mettono alla prova la pazienza della maggior parte dei genitori amorevoli e della maggior parte dei maestri più scrupolosi. I butirrofenoni hanno vantaggi limitati, principalmente nel controllare le più gravi forme di comportamento aggressivo e autodistruttivo; non guariscono la psicosi. La fenfluramina, un antagonista serotoninergico, non è più disponibile. Sono stati utilizzati parecchi altri farmaci psicotropi, ma c’è scarsa evidenza della loro efficacia. La logoterapia deve essere iniziata precocemente. Per il bambino muto ancora non è stabilito il valore del linguaggio simbolico. I bambini con QI vicino alla norma o più alto, ricevono spesso beneficio dalla psicoterapia e da un’educazione speciale.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DISTURBO PERVASIVO DELLO SVILUPPO A ESORDIO INFANTILE Sindrome simile all’autismo ma con esordio più tardivo (da 36 mesi a 12 anni). Il disturbo è caratterizzato da un’alterazione nei rapporti sociali (p. es. eccessiva riservatezza, alterazione dell’affettività, incapacità nel fare amicizia) e manierismi bizzarri comprendenti movimenti insoliti, gesti strani e un linguaggio inusuale. Benché la patologia si evidenzi interamente dopo i 36 mesi di età, alcuni segni possono apparire prima. Come nell’autismo, mancano le manie e le allucinazioni. Eccetto che per l’età di esordio più avanzata il disordine sembra essere una variante dell’autismo. Spesso coesiste e i sintomi si sovrappongono a quelli della sindrome di Tourette, di tipo ossessivo-compulsivo, e della sindrome da deficit dell’attenzione. La terapia e la prognosi sono analoghe a quelle descritte prima per l’autismo.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DISTURBO DISINTEGRATIVO DELL’INFANZIA È un insieme eterogeneo di sindromi a esordio dopo i 3 anni e con un precedente sviluppo normale. Alcuni casi di disturbi disintegrativi dell’infanzia possono essere identificati successivamente come sindromi neurodegenerative specifiche (p. es. malattia da virus lenti [v. anche la voce Malattie virali del Sistema Nervoso Centrale nel Cap. 162], degenerazione cerebromaculare giovanile); altri casi non hanno una causa identificabile. Tipicamente, il bambino si sviluppa normalmente fino all’età di 3-4 anni (sviluppo normale del linguaggio, del controllo degli sfinteri, di un adeguato comportamento sociale). Segue, quindi, un periodo di modificazioni vaghe e cambiamenti dell’umore, in cui il bambino diventa irritabile e lamentoso, seguito da una marcata regressione con perdita delle tappe dello sviluppo già acquisite. Il bambino regredisce in tutte le aree dello sviluppo fino a un livello notevolmente ridotto. Il decorso è inesorabilmente grave e il bambino richiederà cure per tutta la vita. Nei casi a eziologia oscura la longevità può non essere ridotta. Non esiste alcun trattamento specifico.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

SCHIZOFRENIA INFANTILE Stati psicotici generalmente a esordio dopo i 7 anni e con analogie comportamentali con la schizofrenia nell’adulto. (V. anche Cap. 193.)

Sommario: Introduzione Terapia

L’evidenza suggerisce che situazioni ambientali stressanti possano rendere manifesta la malattia nei bambini con una predisposizione genetica. Sono state ipotizzate ma non dimostrate delle alterazioni del metabolismo della dopamina. La prevalenza di questa malattia aumenta con l’età. Mentre l’autismo e il disordine pervasivo dello sviluppo sono sindromi ben differenti dalle forme schizofreniche degli adulti, la schizofrenia dell’infanzia costituisce un continuum con la schizofrenia dell’adolescente e dell’adulto. È caratterizzata da chiusura, apatia, impoverimento affettivo, disordini del pensiero (blocco e perseverazione), idee di persecuzione, allucinazioni, illusioni e disordini del controllo del pensiero. La diagnosi è basata sugli aspetti clinici suddetti.

Terapia È necessario un trattamento combinato farmacologico e psicoterapico. Le fenotiazine (p. es., tiotixene 0,10-0,40 mg/kg/die) e i butirrofenoni (p. es., aloperidolo 0,05-0,15 mg/kg/die) possono essere efficaci nel controllare i sintomi psicotici acuti, ma le ricadute sono frequenti. (Attenzione: poiché questi farmaci possono indurre in questi bambini sintomi di tipo extrapiramidale, devono essere usati con cautela.) L’ospedalizzazione è utile nel trattamento delle fasi acute; alcuni bambini richiedono un trattamento prolungato in istituti psichiatrici. Possono essere necessari dei sistemi educativi specialistici, p. es., terapia giornaliera, per i bambini molto vivaci perché l’oscillazione di questo disturbo compromette in modo significativo lo sviluppo del bambino. Poichè il trattamento a domicilio è diventato relativamente raro, la presenza di membri familiari, amici e azioni sociali che forniscono una tregua della cura è di estremo valore nel trattamento dei bambini con schizofrenia.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DEPRESSIONE INFANTILE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

(V. anche il Cap. 189 e la Depressione negli adolescenti, più avanti) L’esistenza della depressione nell’infanzia è accettata dalla maggior parte degli esperti. Le gravi alterazioni dell’umore, paragonabili a quelle osservate negli adulti, compreso il disordine bipolare, sono relativamente rare nei bambini. La depressione nei bambini in età scolare e persino prescolare è stata oggetto di maggiore riconoscimento negli ultimi anni. Sono più probabili i disordini gravi nelle famiglie con depressione e questo indica una componente genetica, con una più elevata incidenza di depressione tra i familiari dei soggetti affetti rispetto alla popolazione generale.

Sintomi, segni e diagnosi Le manifestazioni fondamentali della depressione infantile sono simili a quelle presenti negli adulti ma sono correlate a preoccupazioni tipiche dei bambini, come i compiti e il gioco. I sintomi comprendono un aspetto triste, apatia e chiusura, ridotta capacità di provare piacere, sensazione di rifiuto, turbe somatiche (cefalea, dolore addominale, insonnia), episodici comportamenti da sciocco, da pagliaccio e persistenti autodenigrazione e senso di colpa. Reazioni depressive croniche sono associate ad anoressia, perdita di peso, abbattimento e idee di suicidio. La depressione può essere "mascherata" da iperattività e da comportamento aggressivo e antisociale. Sono abbastanza comuni accessi di irritabilità e aggressività, piuttosto che uno stato d’animo depresso. Quando questi aspetti coesistono con i sintomi affettivi tipici dell’adulto e i segni di depressione, la diagnosi più appropriata è di disturbo dell’umore e non di adattamento o comportamento. I disturbi dell’umore possono verificarsi in bambini con ritardo mentale, ma possono essere mascherati da sintomi somatici e alterazioni comportamentali. Una storia di disturbi ciclici e l’anamnesi familiare positiva per malattia bipolare possono aiutare nella diagnosi differenziale.

Terapia

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

La valutazione dell’ambiente familiare e sociale è necessaria per identificare situazioni stressanti che possono aver determinato la depressione. Bisogna mettere in atto misure appropriate dirette alla famiglia e alla scuola insieme al trattamento diretto del bambino, cercando di aumentare la sua autostima e le sue funzioni. Una breve ospedalizzazione può essere necessaria nelle crisi acute. Non sono stabiliti né le indicazioni né l’intervallo delle dosi di antidepressivi per la depressione della preadolescenza; sono preferibili dosi minime e incrementi successivi. Sebbene non siano stati fatti studi controllati, quasi tutti i medici ritengono che gli antidepressivi triciclici (p. es. imipramina da 1 a 2,5 mg/kg/die) siano utili coadiuvanti al trattamento. Farmaci recenti, come la fluoxetina e il bupropion, vengono sempre più utilizzati, ma non è stata stabilita la loro efficacia e sicurezza nei bambini. Considerata la variazione individuale nella farmacocinetica degli antidepressivi triciclici, il monitoraggio della concentrazione plasmatica è utile per definire il dosaggio ottimale. Si ritiene che un livello ematico di 150-250 ng/ml ricada nell’ambito di efficacia terapeutica, sebbene nei bambini non sia stato ancora stabilito. Prima di iniziare la terapia con antidepressivi triciclici, sarà necessario eseguire un ECG. Durante il trattamento si devono controllare le caratteristiche del PR e del QRS. I medici devono essere pronti a cogliere lo "switching" (cioè, il passaggio dalla depressione a uno stato maniacale), poiché la depressione a esordio infantile è comunemente un precursore del disturbo bipolare.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DEPRESSIONE NEGLI ADOLESCENTI Una depressione lieve interessa fino al 10% degli studenti delle scuole superiori, una moderata il 5-6% e una grave l’1-2%. La frequenza della diagnosi aumenta quando si utilizza un test standard per la depressione e gli adolescenti raramente rifiutano tali questionari. C’è un contributo genetico significativo alla depressione dell’adolescente e prima compare la depressione in un genitore, più precocemente essa probabilmente comparirà nell’adolescente. Più di metà dei comportamenti suicidi degli adolescenti deriva dalla depressione. La varietà dei sintomi è molto simile a quella degli adulti, ma i segni di depressione sono modificati dalle circostanze della vita dell’adolescente. Per esempio, l’abuso di sostanze è spesso l’automedicazione per la depressione. Gli adolescenti più giovani possono essere meno capaci di spiegare i sentimenti interiori o gli umori per motivi di sviluppo, mentre i giovani della media e tarda adolescenza possono credere che fare così è debolezza. La depressione durante l’adolescenza è trascurata almeno tanto quanto succede in altri gruppi di età. La depressione deve essere presa in considerazione quando un giovane, che prima si comportava bene, inizia ad andare male a scuola, si isola o commette azioni da delinquente. Le categorie diagnostiche e il trattamento della depressione dell’adolescente sono simili a quelli della depressione dell’adulto.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

TURBE PSICHIATRICHE DELL’ADOLESCENZA Gli adolescenti non presentano patologia psichiatrica più frequentemente degli altri gruppi di età. L’errata convinzione che la psicopatologia sia tipica dell’adolescenza porta a una sopravvalutazione o una sottovalutazione (se tutti gli adolescenti sono "disturbati" il sintomo è normale). Studi di controllo hanno dimostrato che gli adolescenti ricoverati in clinica per disturbi di comportamento sono diversi dalla maggioranza dei loro coetanei e rimangono tali se non vengono sottoposti a cure adeguate.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

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DISTURBI DI ADATTAMENTO Per reazione di adattamento si intende una risposta acuta a stress ambientali da parte di un adolescente che ha di base una buona capacità di adattamento; i sintomi si attenuano con il venir meno dello stress scatenante. Tale diagnosi è spesso erroneamente attribuita a difficoltà croniche di adattamento e a più serie patologie psichiche, per riluttanza ad assegnare un marchio e una prognosi sfavorevoli ai bambini e agli adolescenti. Questa diagnosi è giusta solo quando c’è un piccola evidenza di tale patologia di base e quando la situazione ambientale è veramente determinante. Il divorzio e il trasferimento di domicilio sono esempi di eventi che possono scatenare un disturbo dell’adattamento.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

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DISTURBO DA STRESS POST-TRAUMATICO Sommario: Introduzione Terapia

Il disturbo da stress post-traumatico (PostTraumatic Stress Disorder, PTSD) può conseguire a eventi traumatici importanti (p. es., un disastro naturale o artificiale, l’osservazione di eventi fatali), immediatamente dopo o diverse settimane dopo, anche in giovani generalmente forti. Il PTSD differisce dal disturbo dell’adattamento per la maggiore gravità sia del trauma responsabile che della risposta sintomatica. Si possono verificare ricordi traumatici dell’evento, sforzi per sopprimerlo e stati persistenti di ansia con sintomi occasionali bizzarri, talora settimane dopo l’evento. Gli adulti comunemente sottostimano l’effetto di questi eventi sui giovani e i genitori possono imprudentemente scoraggiare il bambino dal raccontare le sue osservazioni e sensazioni.

Terapia Il trattamento può comportare la terapia del singolo, di gruppo o della famiglia. Rassicurare il bambino o i genitori riguardo la normale tensione provocata da eventi gravi può essere di aiuto, come anche riuscire a farsi raccontare l’evento dal bambino stesso, valutandone attentamente il grado di tensione. Dopo un’adeguata liberazione di emozioni, il bambino deve essere incoraggiato a suggerire, in termini appropriati alla sua esperienza e maturità, come un differente approccio degli eventi avrebbe potuto determinare un esito migliore, consentendo così la chiusura dell’evento e dando speranza per il futuro. I farmaci antidepressivi sono talora utili se la difficoltà persiste. Un precoce supporto di gruppo può minimizzare il PTSD successivo e deve comprendere una ricostruzione dettagliata dell’evento attraverso il gruppo, uno sfogo emotivo adeguato, la comprensione delle risposte tipiche al disastro e l’enfasi sulla comprensione appropriata reale degli eventi terrorizzanti. La difficoltà dei medici soccorritori e preposti al trattamento può essere notevole e si può risolvere mediante un’analisi sistematica, in cui gli eventi e le loro conseguenze emozionali vengono rivalutati in modo supportivo dai partecipanti.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DISTURBI DA SOSTANZE D’ABUSO (V. anche il Cap. 195.) Le sostanze d’abuso hanno coinvolto le persone più giovani, compresi i preadolescenti. Qualcuno indica l’uso di tutte le sostanze illegali nei preadolescenti come cattivo uso; l’abuso di sostanze è l’uso ripetuto con conseguenze deleterie. L’uso quotidiano di marijuana e la sperimentazione di una varietà di composti varia di anno in anno, anche se l’alcol rimane la principale sostanza d’abuso. L’abuso di eroina, cocaina, crack, metanfetamina e altri stimolanti è meno comune ma degno di nota. Le cifre riportate possono essere sottostimate. Sebbene sia diverso il tipo di droga, il profilo dell’adolescente o del bambino dedito ad essa è sempre lo stesso: mediocre a scuola, più attratto dal divertimento, più predisposto ad avere lavoro e soldi. C’è in genere una progressione di uso dall’alcol e tabacco, che riflette la loro relativa accessibilità, alla marijuana e quindi ad altri composti. L’uso di alcol aumenta nella media e tarda adolescenza e l’entità del consumo è relativamente stabile negli anni successivi. Molti individui abusano delle varie droghe già prima dei 20 anni, nonostante l’inserimento di programmi preventivi nelle scuole e nelle comunità. L’uso di tabacco continua a predire l’abuso di altre sostanze. È necessario richiedere, in modo confidenziale, nel corso di una visita di routine, informazioni dettagliate sull’abuso di alcol e di altre sostanze, specialmente se ci sono problemi scolastici o disturbi comportamentali, nel caso di giovani precedentemente ben adattati o nel caso di famiglie con precedenti casi di uso di stupefacenti. A livello di comunità, la pubblicità negativa dell’esperto (p. es., alcune campagne contro il fumo) che usa modelli efficaci può indurre un cambiamento comportamentale ma richiede uno sforzo crescente e diffuso per essere sostenuta. A livello di individuo, la terapia di gruppo o individuale e/o i farmaci antidepressivi possono aiutare i pazienti con depressione o disforia che abusano di sostanze nello sforzo di automedicarsi.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

ALTERAZIONI DEL COMPORTAMENTO SOCIALE Tipologia ricorrente o persistente di comportamento che comprende aggressività verso persone e animali, distruzione di proprietà, inganno o furto e gravi violazioni di regole. La prevalenza del disturbo della condotta è apparentemente in aumento. L’esordio si ha in genere nella tarda infanzia o nella prima adolescenza e il disturbo è più comune nei maschi che nelle femmine. Tra gli adolescenti con disturbi della condotta, c’è un riscontro frequente di comportamenti antisociali dei genitori, di un disturbo della personalità antisociale e di abuso di sostanze. I bambini con disturbo della condotta sono privi di sensibilità verso i sentimenti e il benessere degli altri, tendono a percepire male l’atteggiamento degli altri come se fosse minaccioso e a reagire in modo aggressivo con pochi scrupoli. Tollerano male la frustrazione e sono generalmente imprudenti. L’idea del suicidio è comune e i tentativi di suicidio devono essere considerati seriamente, come se fossero almeno un comportamento di grave disadattamento. I comportamenti aberranti si diversificano tra i sessi: i maschi tendono alla lotta, al furto e al vandalismo; le femmine sono più propense alla menzogna, alla fuga e alla prostituzione. Entrambi tendono con molta probabilità a usare e abusare di sostanze e ad avere difficoltà a scuola. Il disturbo di opposizione ribelle presenta qualche similitudine in quanto esso comporta un atteggiamento negativo, rabbioso e ribelle verso le autorità, ma non c’è nessun aspetto persistente di aggressione o violazione dei diritti degli altri. Il disturbo di ribellione può evolvere in un’alterazione del comportamento sociale. Probabilmente più di metà dei giovani con disturbi della condotta cambiano tali atteggiamenti all’inizio dell’età adulta, ma circa un terzo dei casi continua a presentarli, rientrando nei criteri di definizione del disturbo della personalità antisociale. Altri giovani sviluppano disturbi dell’umore o da ansia, alterazioni psicosomatiche e correlate all’uso di sostanze e psicosi dell’adulto a esordio precoce. I bambini con disturbi del comportamento sociale tendono ad avere un’incidenza più alta di quella attesa di patologia medica e psichiatrica rispetto ai controlli. Il trattamento dei problemi medici, neurologici o psichiatrici può far aumentare l’autostima e l’autocontrollo. I moralismi e gli ammonimenti che incutono paura sono inefficaci e dovrebbero essere evitati. Spesso, soltanto l’allontanamento da un ambiente dannoso, la disciplina esterna e sistemi di costante rieducazione comportamentale danno speranze di successo.

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DISTURBI SOMATOFORMI Tipologia ricorrente o persistente di comportamento che comprende aggressività verso persone e animali, distruzione di proprietà, inganno o furto e gravi violazioni di regole. (V. anche Medicina psicosomatica nel Cap. 185.) Questi disturbi spesso esordiscono all’inizio dell‘adolescenza, si verificano insieme, non vengono diagnosticati e possono essere involontariamente rinforzati da un vigoroso intervento medico. Il disturbo di conversione si verifica quando un conflitto psichico irrisolto viene espresso come sintomo somatico, spesso come una malattia neurologica. L’incidenza nell’infanzia è uguale in entrambi i sessi ma è maggiore nelle ragazze verso la metà dell’adolescenza. Lo sviluppo successivo di un disturbo doloroso è frequente. I disturbi di somatizzazione comprendono vari sintomi in pazienti, quasi tutti di sesso femminile, che fanno della malattia un modo di vita. I disturbi di conversione e somatizzazione si verificano più frequentemente se i genitori o altri membri della famiglia hanno gli stessi sintomi, dando un modello per la sintomatologia all’adolescente. Ciascun disturbo può ottenere sia un vantaggio primario (mantenendo il conflitto inconscio di base) sia un vantaggio secondario (evitando una situazione indesiderata o ottenendo un’attenzione in più). Sebbene una volta sinonimo di isteria, entrambe le condizioni in realtà compaiono in un’ampia varietà di patologie psichiche, in particolare nella depressione, ma anche nella schizofrenia, nel ritardo mentale e in numerosi disturbi della personalità. La diagnosi non si effettua per esclusione. I sintomi suggeriscono una condizione medica o neurologica apparentemente precipitata da un conflitto affettivo o evento stressante, non prodotto a livello conscio e non spiegabile con una condizione medica o l’uso di una sostanza. Se si sospetta un disturbo somatoforme, la valutazione affettiva deve procedere contemporaneamente a un esame fisico attento con esami di laboratorio rapidi e significativi, evitando valutazioni estese e segrete, che conferiscono incertezza diagnostica e possono essere viste dal paziente come una conferma di un problema fisico. L’esame neuropsichiatrico o psicologico può aiutare a determinare le forze e le debolezze di questi bambini e adolescenti ma è spesso privo di progetti per la salute. Una visita psichiatrica formale spesso risulta sgradita perché potrebbe dare una risposta ai sintomi del paziente (e della famiglia). La terapia comporta lo sviluppo di un rapporto positivo medico-paziente con frequenti, relativamente corte visite mediche, rassicurazione, attente rivalutazioni e indagini in aree non mediche. Tale approccio può risolvere la sottostante ansia e liberare il paziente da una molteplicità di preoccupazioni. La rassicurazione e il supporto dei membri della famiglia aiutano a minimizzare i sintomi fisici come un

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Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

"biglietto" per cure mediche continue. Si devono evitare interventi medici o chirurgici risoluti, che possono far rafforzare la sintomatologia, senza indicazioni inequivocabili. Nello stesso tempo, questi pazienti spesso subiscono la conseguente patologia organica, pertanto è saggio non definire la somatizzazione come "solo funzionale" o "solo nella tua testa".

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Manuale Merck 19. PEDIATRIA 274. SITUAZIONI PSICHIATRICHE NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA (V. anche Disturbi dell’identità di genere nel Cap. 192 e Disturbi dell’ attenzione nel Cap. 262.)

DISTURBO BIPOLARE (Psicosi maniaco-depressiva)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e terapia Terapia

Il disturbo bipolare è raro prima della pubertà. Alcuni bambini manifestano marcate variazioni dell’umore (temperamento ciclotimico), ma queste non raggiungono le proporzioni della psicosi, eccetto quando sono dovute all’esposizione a tossine o farmaci.

Sintomi, segni e terapia Le manifestazioni di depressione negli adolescenti, specialmente quando sono accompagnate da episodi di stordimento o psicosi, spesso annunciano l’esordio di un disturbo bipolare. Negli adolescenti la mania è di solito confusa con la schizofrenia perché spesso sembra un attacco psicotico di eccitazione. Un quadro ciclico di depressione ritardata e di psicosi accelerata con una buona funzione mentale prima e tra le crisi sollecita fortemente la diagnosi di disturbo bipolare.

Terapia Essendo la prevenzione degli episodi disgreganti psicotici importante, il litio, il valproato o la carbamazepina devono essere iniziati dopo un singolo episodio maniacale o uno stato psicotico misto in un adolescente o in un giovane adulto con una storia familiare di disturbo bipolare. Si deve ancora stabilire se il litio può prevenire le recidive; non ci sono dati sui possibili effetti tossici sullo sviluppo, particolarmente dei reni, della tiroide e del cervello nei bambini. Il valproato è preferito al litio da molti medici per le conoscenze sul suo uso nell’epilessia, ma può causare danno epatico, soprattutto nei bambini più piccoli. I livelli ematici sono migliori usando le dosi superiori dell’intervallo terapeutico (da 50 a 100 µg/ ml). La carbamazepina è efficace alla concentrazione di 4-12 µg/ml, ma gli effetti collaterali neurologici ed ematologici sono talora problematici. Il vigabatrin e la lamotrigina sono utili occasionalmente perché non cross-reagiscono con altri farmaci anticomiziali. La prevenzione degli episodi psicotici disgreganti a scuola o in altri ambienti pubblici è importante per il possibile imbarazzo e le ripercussioni sociali. Garantire l’adesione al tratamento è la sfida più grande con i pazienti adolescenti, che spesso subiscono episodi ripetuti prima di accettare la necessità file:///F|/sito/merck/sez19/2742593b.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.31

Situazioni psichiatriche nell’infanzia e nell’adolescenza

di un intervento medico. La necessità di un programma terapeutico può essere rivalutata dopo almeno un anno di trattamento efficace. Gli antidepressivi possono anche essere indicati, ma di solito devono essere associati a un farmaco antimaniacale per prevenire la possibile evoluzione verso la mania.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA I più comuni problemi di salute degli adolescenti riguardano la crescita e lo sviluppo, continuando nell’adolescenza i malesseri dell’infanzia e la ricerca di nuove esperienze (che comporta problemi come la gravidanza dell’adolescente, incidenti e violenze, compreso il suicidio, v. Suicidio in bambini e adolescenti nel Cap. 274).

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA ACCRESCIMENTO E SVILUPPO (V. anche la malattia di Osgood-Schlatter sotto la voce Le osteocondrosi nel Cap. 270.) Le visite mediche periodiche sono importanti per valutare la crescita e lo sviluppo e per fornire informazioni e consulenze riguardanti comportamenti rischiosi per la salute. Per le vaccinazioni nell’adolescente v. la voce Vaccinazioni nell’infanzia nel Cap. 256. La crescita fisica dell’adolescente comprende la maturazione somatica e sessuale. L’età dell’inizio della pubertà e la rapidità dello sviluppo variano per ogni soggetto e sono influenzate da fattori genetici e ambientali. Oggi la pubertà inizia più precocemente rispetto a un secolo fa, forse per una migliore nutrizione, per le migliori condizioni di salute e di vita; per esempio, l’età del menarca negli USA è diminuita di 2 mesi per decennio tra il 1850 e il 1950, sebbene si sia attualmente stabilizzata. La crescita somatica nei maschi e nelle femmine comprende il raggiungimento dell’altezza e del peso definitivi, crescita muscolare e scheletrica e aumento di volume di tutti gli organi a eccezione dei linfatici, che diminuiscono di volume, e del cervello, che raggiunge il peso massimo durante l’adolescenza. La maggiore rapidità di crescita nei maschi si ha tra i 13 e i 15 anni e mezzo di età; si può attendere un incremento di 10,16 cm nell’anno di maggiore sviluppo. Per le ragazze la fase più rapida dello sviluppo comincia verso gli 11 anni, può raggiungere una crescita di 9 cm nell’anno di maggior sviluppo ed è quasi completa a 13 anni e mezzo. Il fatto che il maschio ha un periodo di crescita più lungo spiega per quale motivo in genere i ragazzi siano più alti e più robusti delle ragazze quando la crescita è completa. All’età di 18 anni, rimane una crescita di circa 2 cm per i maschi e poco meno per le femmine, per cui la crescita è completa al 99%. Un adolescente può svilupparsi precocemente, un altro più tardi, ma entrambi possono raggiungere la stessa altezza. La maturazione sessuale generalmente procede con una sequenza stabilita in entrambi i sessi. Nei maschi lo sviluppo sessuale ha inizio con la crescita dello scroto e dei testicoli, seguita dall’allungamento del pene e dall’ingrandimento delle vescicole seminali e della prostata. Successivamente iniziano a comparire i peli pubici. La peluria ascellare e facciale appare 2 anni dopo quella pubica. La fase di rapido sviluppo in altezza compare un anno dopo l’inizio della crescita testicolare. L’età media della prima eiaculazione (tra i 12 anni e mezzo e i 14 anni negli USA) è influenzata da fattori psicologici, culturali e biologici. La prima eiaculazione avviene circa 1 anno dopo la rapida crescita del pene. La ginecomastia mono- o bilaterale è comune negli adolescenti e di solito si risolve entro 1 anno. Nella maggior parte delle femmine, la tumefazione mammaria è il primo segno visibile di maturazione sessuale, seguita da vicino dall’inizio dello scatto di crescita. Subito dopo, compaiono i peli pubici e ascellari. Il menarca si ha di solito circa 2 anni-2 anni e mezzo dopo l’inizio dello sviluppo delle mammelle e quando è rallentato l’accrescimento in altezza dopo il picco. Le fasi della crescita delle mammelle e dello sviluppo dei peli pubici si possono descrivere con il metodo di Tanner (v. Fig. 235-1 e 235-2). Se la sequenza delle modificazioni sessuali è alterata, la maturazione può essere anormale e il medico deve prendere in considerazione le eventuali cause patogene.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA ACCRESCIMENTO E SVILUPPO MATURAZIONE SESSUALE RITARDATA (V. anche Bassa statura da ipopituitarismo nel Cap. 269.) Nei ragazzi, il ritardo della pubertà si ha quando il volume testicolare non aumenta verso i 13 anni e mezzo o non ci sono peli pubici verso i 15 anni o se intercorrono > 5 anni tra l’inizio e il completamento dello sviluppo dei genitali. Nelle ragazze, si ha la pubertà ritardata se manca lo sviluppo delle mammelle entro i 13 anni o non ci sono peli pubici a 14 anni, se l’intervallo è > 5 anni tra l’inizio della crescita del seno e il menarca o se le mestruazioni non si sono verificate all’età di 16 anni. La bassa statura può essere indice di maturazione ritardata in entrambi i sessi. Le cause principali di maturazione sessuale ritardata sono riportate nella Tab. 275-1.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA ACCRESCIMENTO E SVILUPPO SCOLIOSI IDIOPATICA Deviazione laterale della colonna vertebrale. Il 60 o 80% dei casi si verifica nelle ragazze. Il 2-3% dei bambini di 10-16 anni presenta scoliosi idiopatica. La scoliosi può essere sospettata la prima volta quando una delle spalle sembra più alta dell’altra o quando i vestiti non pendono diritti ed è spesso scoperta con visite di routine. Un sintomo iniziale può essere il fastidio riferito in regione lombare dopo essere stati seduti o in piedi per un lungo periodo. Questo può essere seguito da dolori muscolari alla schiena nelle aree più soggette a carico come il tratto lombosacrale. Il dolore non è comune negli adolescenti con scoliosi idiopatica e pertanto richiede una valutazione ulteriore. La deviazione vertebrale è più pronunciata quando l’adolescente si piega in avanti. La maggior parte delle curve è convessa a destra nel tratto toracico, e a sinistra in quello lombare, cosicché la spalla destra è più alta di quella sinistra. Un’anca può essere più prominente dell’altra. L’esame radiologico deve essere eseguito in proiezioni antero-posteriore e laterale con il paziente in piedi. Le complicanze sono correlate al tipo di curva. Più accentuata è la curva, più facilmente la scoliosi peggiora dopo la maturità scheletrica. La prognosi dipende dalla sede e dalla gravità della scoliosi e dall’età d’esordio dei sintomi. Meno del 10% dei casi richiede un trattamento attivo. È indicata una visita ortopedica tempestiva e il trattamento comprende la prevenzione delle ulteriori deformità (p. es., con un corsetto o una cinghia di Milwaukee) o la correzione chirurgica della deformità. La scoliosi e il suo trattamento possono interferire con l’immagine "del sé" dell’adolescente; indossare un busto può ingenerare la consapevolezza del proprio stato. Il ruolo del medico di base per gli adolescenti con scoliosi, in collaborazione con un ortopedico, consiste nella diagnosi e nel consigliare le opportunità di trattamento e correzione.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA ACCRESCIMENTO E SVILUPPO DISLOCAZIONE DELL’EPIFISI DELLA TESTA FEMORALE Movimento del collo femorale verso l’alto e in avanti sull’epifisi femorale. Questo disturbo si osserva spesso negli adolescenti in sovrappeso, di solito maschi. La causa è sconosciuta ma si può riferire agli effetti dell’ormone della crescita e degli estrogeni sullo spessore della cartilagine epifisaria. L’esordio di solito è insidioso e i sintomi sono correlati con lo stadio di lussazione. All’inizio ci può essere rigidità dell’anca che migliora a riposo, seguita da andatura claudicante, poi dolore all’anca che s’irradia in basso sulla superficie antero-mediale della coscia fino al ginocchio. Molti pazienti presentano unicamente dolore al ginocchio e la vera patologia dell’anca può essere misconosciuta finché il processo non peggiora. L’esame obiettivo dell’anca nei primi stadi della malattia può non rivelare dolore o limitazione funzionale. Negli stadi più avanzati ci può essere dolore al movimento dell’anca interessata, con limitazione della flessione, dell’abduzione e della rotazione mediale, dolore al ginocchio senza segni d’interessamento specifici e un’andatura zoppicante. La gamba interessata viene ruotata esternamente. Se è compromessa la circolazione del sangue nella zona colpita ci può essere necrosi avascolare e schiacciamento dell’epifisi. Poichè la terapia diviene più difficile negli stadi avanzati, la diagnosi precoce è fondamentale. Si devono effettuare esami radiologici di entrambe le anche, con proiezioni antero-posteriore e "a zampe di rana" laterale. L’esame radiografico dell’anca colpita mostra un allargamento della linea epifisaria o una lussazione posteriore e inferiore della testa del femore. Una visita ortopedica è importante per confermare la diagnosi e valutare la necessità di un intervento chirurgico. Lo scivolamento dell’epifisi prossimale del femore è di solito progressivo e richiede l’attenzione del chirurgo non appena la diagnosi viene fatta.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA GRAVIDANZA DELL'ADOLESCENTE Sommario: Introduzione Cura prenatale Aspetti psicosociali Prevenzione

Negli USA, > 1 milione di adolescenti va incontro a gravidanza ogni anno; l’85% di queste gravidanze non sono volontarie. Delle gravidanze involontarie dell’adolescenza, il 53% esita in aborto. Nel 1996, negli USA, si è stimato che sono nati da madri adolescenti 505514 bambini. Il 69% delle madri adolescenti non sono sposate. Le conseguenze materne della gravidanza dell’adolescente possono essere un minor grado d’istruzione, l’aumentato rischio di disoccupazione e una percentuale maggiore di gravidanze ripetute.

Cura prenatale Il trattamento prenatale deve comprendere una rigorosa terapia medica e psicosociale nel progettare insieme all’adolescente il suo futuro. Le adolescenti in gravidanza, specialmente quelle molto giovani non sottoposte a cure prenatali, possono avere un’incidenza di anemia e di tossiemia più alta che nelle donne ventenni, ma, se ricevono le opportune cure durante la gravidanza, le adolescenti non dovrebbero avere una maggiore morbilità ostetrica rispetto alle donne dello stesso substrato sociale. I neonati di madri giovani (specialmente quelle di età < 15 anni) hanno un’ incidenza aumentata di prematurità e basso peso alla nascita.

Aspetti psicosociali Gli adolescenti sono in una fase di cambiamento e la gravidanza o il matrimonio possono aggiungere stress emotivo. Le ragazze in gestazione e i loro partner tendono ad abbandonare la scuola o la normale occupazione, aggravando così i propri problemi economici, riducendo la loro autostima e compromettendo le relazioni interpersonali. Il ricorso all’aborto non rimuove i problemi psicologici della gravidanza non voluta sia per le ragazze che per il loro partner. Si può avere una crisi emozionale quando c’è certezza della gravidanza, quando si prende la decisione di abortire, nel periodo successivo all’aborto e nel periodo in cui il bambino sarebbe dovuto nascere e negli anniversari di quella data. È necessario un attento follow-up che comprenda un consulto familiare, un’assistenza psicosociale e l’educazione sessuale per la ragazza e il suo compagno.

Prevenzione file:///F|/sito/merck/sez19/2752598b.html (1 of 2)02/09/2004 2.48.35

Condizioni fisiche dell’adolescenza

Nonostante lo svolgimento di pratiche sessuali, molti adolescenti non sono completamente informati sulla contraccezione, sulla gravidanza e sulle malattie sessualmente trasmesse. È necessario consigliare le adolescenti, sessualmente attive, metodi contraccettivi (v. Cap. 246). Sono motivo di preoccupazione l’irregolarità nell’assunzione della pillola, i rapporti sessuali non programmati e spontanei, che complicano l’uso dei contraccettivi, la tendenza al verificarsi di "incidenti", i pregiudizi nei confronti della pillola e, inoltre, la scelta limitata dei metodi di controllo delle nascite, dal momento che il diaframma, in particolare, richiede una pianificazione dei rapporti sessuali e deve essere posto prima del rapporto. Gli impianti sottocutanei (capsule di polisiloxone contenenti levonorgestrel) agiscono in modo continuato per 5 anni. Anche se, all’inizio, possono causare più effetti collaterali rispetto ai contraccettivi orali, essi assicurano la compliance e gli adolescenti manifestano percentuali maggiori di soddisfazione e uso continuativo di essi. Nonostante numerose difficoltà, gli adolescenti possono usare tecniche contraccettive in modo molto più efficace con una guida professionale adeguata.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck 19. PEDIATRIA 275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA INCIDENTI E ATTI DI VIOLENZA Gli incidenti (dovuti in gran parte a scontri con motoveicoli) sono la causa principale di morte durante l’adolescenza (v. anche Traumi nel Cap. 263). Gli incidenti non mortali, p. es. ustioni o fratture multiple, sono responsabili di un numero significativo di ospedalizzazioni. La violenza è diventata una causa importante di malattia e morte. Molti fattori contribuiscono all’incremento del rischio di violenza tra gli adolescenti, compresi quelli sessuali, il coinvolgimento in bande, l’accesso ad armi da fuoco, l’uso di sostanze e la povertà. È necessaria un’attenta anamnesi perché sono comuni pregressi problemi comportamentali negli adolescenti che sono colpiti da gravi incidenti. Una storia importante di problemi comportamentali, quali fughe da casa, depressione o svogliatezza, richiede un approccio biopsicosociale per la valutazione e il trattamento.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 214-1. CILINDRI URINARI Tipi

Descrizione

Significato Clinico

Cilindri semplici Ialini

Matrice mucoproteica secreta Non specifici; presenti normalmente nell’urina, ma in numero maggiore dai tubuli quando il flusso urinario è basso

Cerei

Matrice contenente proteine sieriche; si formano nel nefrone distale

Presenti nell’insufficienza renale avanzata

Cilindri composti Matrice proteica variabilmente ricolma di GR. Hanno spesso un aspetto rosso-arancione

Praticamente patognomonici di glomerulonefrite proliferativa; raramente, si possono ritrovare nella necrosi corticale e nelle lesioni tubulari acute

Matrice proteica variabilmente ricolma di cellule tubulari

Riscontrati nelle lesioni tubulari acute, glomerulonefrite e sindrome nefrosica

Leucocitari

Matrice proteica variabilmente ricolma di leucociti

Indicativi di pielonefrite, ma possono essere indice di altre cause di infiammazione tubulo-interestiziale; si possono riscontrare nella fase essudativa della glomerulonefrite proliferativa

Granulosi

Goccioline tubulari proteiche nel cilindro ialino

Presenti in qualsiasi forma di nefrite che causi lesioni tubulari

Grassi

Goccioline di grasso libere o cellule tubulari con goccioline di grasso in una matrice proteica

Si possono riscontare in vari tipi di patologie tubuloi-nterstiziali, ma una grande quantità è suggestiva di sindrome nefrosica e di malattia di Fabry

Misti

Cilindri ialini con cellule varie, Riscontrati solitamente nella quali emazie, leucociti e glomerulonefrite proliferativa cellule tubulari

Vari

Cristalli o batteri

Ematici

Cellule epiteliali

Pseudocilindri Ammassi di urati, leucociti, batteri e artefatti

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Il tipo di cristallo può suggerire la malattia metabolica o la causa dell’urolitiasi; i cilindri batterici sono patognomonici di pielonefrite batterica Importante non confonderli con i cilindri veri

Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 214-2. ELEMENTI URINARI FIGURATI Cellule del sangue

Cellule estranee

Eritrociti

Batteriche

Leucociti

Micotiche

Plasmacellule

Parassitarie Neoplastiche

Cellule del sistema GU Epiteliali Tubulari renali

Cristalli Ossalato Fosfato

Transizionali Urato Epidermoidali Farmaci Sperma Adattata da The Urinary System, by WH Chapman et al. Philadelphia, WB Saunders Company, 1973, p.236.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 214-3. CRITERI CLINICI E DI LABORATORIO PER LA DIAGNOSI DELL'INFEZIONE DELLE VIE URINARIE Diagnosi

Criteri Clinici

Criteri di Laboratorio >105 CFU/ml di germi patogeni urinari in 2 CMC a >24h di distanza; con o senza >10 GB/µ

Batteriuria asintomatica

Assenza dei sintomi urinari

IVU acuta non complicata nelle donne

Disuria, urgenza minzionale, >102 CFU/ml di germi dolore soprapubico; assenza patogeni urinari nel CMC; di infezione nelle ultime 2sett; >10GB/µl assenza di febbre o di dolore lombare

Pielonefrite acuta non complicata

Febbre, brividi; dolore lombare all’esame obiettivo; esclusione di altre diagnosi; assenza di storia o di manifestazioni di anomalie urologiche

>104CFU/ml di germi patogeni urinari nel CMC; >10GB/µl

IVU complicata

Qualsiasi combinazione dei sintomi descritti sopra; uno o più fattori associati all’IVU complicate

>105CFU/ml di germi patogeni urinari nel CMC; >10GB/µl

IVU ricorrente nelle donne

Più di 2 episodi d’infezione acuta non complicata con colture positive negli ultimi 12 mesi; assenza di anomalie strutturali o funzionali

>105CFU/ml di germi patogeni urinari nel CMC; >10GB/µl

CFU: (Colony Forming Units), unità formanti colonie; CMC: coltura del mitto centrale.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 214-4. LOCALIZZAZIONE DELLE INFEZIONI DEL TRATTO URINARIO Metodi

Commenti

Valutazione clinica

Segni tipici di pielonefrite, ascessi perinefritici, cistite, prostatite, uretrite

Esame dell’urina

Cilindri batterici patognomonici di pielonefrite; i cilindri leucocitari suggeriscono infiammazione tubulointerstiziale non specifica; i frammenti di tessuto possono indicare necrosi papillare

Coltura

Minzioni controllate più secrezioni prostatiche o sperma; metodi di washout vescicale o cateterizzazione uretrale per distinguere un’infezione del tratto superiore da una del tratto inferiore

differenziale

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 214-5. TEST DI FUNZIONALITA' RENALE Funzione Filtrazione glomerulare

Test specifico

Indagini di Laboratorio

Clearance dell’insulina

Creatinina clearance

125I-iotalamato

Creatinina plasmatica

99Tc-DTPA

Urea plasmatica

51Cr-EDTA

Mezzi di contrasto non anionici Flusso renale plasmatico

Clearance del PAH 125I-Hippuran

Trasporto tubulare Tm glucoso (riassorbimento) prossimale Tm PAH (secrezione) Trasporto tubulare Osmolarità massima urinaria o plasmatica distale Capacità acidificante (pH urinario, TA, NH4+)

Fosfato, urato plasmatico Aminoacidi urinari Osmolarità urinaria massima Carico acido e di HCO3

DTPA=acido dietilentriaminopentoacetico; EDTA=acido etilendiaminotetraacetico; PAH=paraaminiippurato; Tm=trasporto massimo; TA=acido titolabile. Modificata da The Urinary System, da WH Chapman et al. Phladelphia, WB Saunders Company, 1973, pag. 239, riproduz ione autorizzata.

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Incontinenza urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 215. INCONTINENZA URINARIA Perdita involontaria di urina.

INCONTINENZA TRANSITORIA L’incontinenza transitoria non è comune tra le persone più giovani ma lo è tra gli anziani, in cui deve sempre essere presa in considerazione. Richiede la diagnosi e il trattamento solo della causa sottostante. L’incontinenza transitoria non trattata può divenire persistente ma non deve essere considerata cronica semplicemente perché è presente da lungo tempo. L’IVU sintomatica è una causa di incontinenza transitoria, soprattutto nelle giovani donne, se disuria e urgenza minzionale sono così gravi da non riuscire a raggiungere il bagno prima di urinare. Le donne sessualmente attive con disuria persistente, nonostante la negatività dell’esame chimico delle urine e un’adeguata terapia estrogenica, possono avere un IVU dovuta a Chlamydia trachomatis e devono essere testate o trattate con doxiciclina. L’IVU asintomatica, che è molto più frequente nelle persone anziane, di solito non provoca incontinenza. Uretriti atrofiche e vaginiti in donne in post-menopausa spesso causano una sintomatologia a carico del tratto inferiore della via urinaria. L’uretrite atrofica provoca un assottigliamento dell’epitelio e della sottomucosa dello strato interno uretrale, che può provocare irritazione locale e perdita della tenuta della mucosa. L’incontinenza associata a uretrite atrofica è caratterizzata di solito da urgenza minzionale e, talvolta, da un senso di disuria urente. La terapia si basa sugli estrogeni con o senza progestinici (v. Cap. 238). Nelle persone anziane, l’assunzione di alcol e l’uso di sostanze medicinali (v. Tab. 215-1) sono le principali cause di incontinenza transitoria. Le malattie psichiatriche che causano incontinenza non sono state ben studiate ma probabilmente sono meno comuni nelle persone anziane che in quelle più giovani. L’intervento iniziale è diretto verso il disturbo psichiatrico, di solito depressione o nevrosi di lunga data. In un paziente con delirio, l’incontinenza si riduce una volta che la causa sottostante del delirio sia stata identificata e curata. Una diuresi eccessiva è causata dall’assunzione di grandi quantità di liquidi, dall’uso di diuretici (inclusi caffeina e alcol) e d’alterazioni metaboliche (p. es., iperglicemia, ipercalcemia). L’incontinenza notturna può essere causata o peggiorata da patologie associate con un’eccessiva diuresi notturna, come scompenso cardiaco, insufficienza venosa periferica, ipoalbuminemia ed edema periferico da farmaci. Una ridotta mobilità può impedire al paziente di raggiungere il bagno; questa può essere il risultato di una limitazione fisica, di una restrizione (p. es., paziente allettato o su una sedia) o di fattori più subdoli ma correggibili (p. es., ipotensione ortostatica o postprandiale, lesioni dei piedi, scarpe scomode, diminuzione del visus, paura di cadere). Se la mobilità non si può aumentare, un pitale o una comoda a fianco del letto possono migliorare o risolvere l’incontinenza. Il fecaloma causa incontinenza urinaria, soprattutto nei pazienti anziani. Il meccanismo può coinvolgere la stimolazione dei recettori per gli oppiodi o disturbi meccanici vescicali o uretrali. I pazienti con fecaloma solitamente presentano sintomi di urgenza minzionale o incontinenza da rigurgito (iscuria file:///F|/sito/merck/sez17/2151950a.html (1 of 2)02/09/2004 2.49.34

Incontinenza urinaria

paradossa), tipicamente associata a incontinenza fecale. La rimozione del fecaloma ristabilisce la continenza.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 215-1. FARMACI CHE PROVOCANO INCONTINENZA Tipo di farmaco

Esempi

Effetti potenziali

Alcool

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Poliuria, pollachiuria, urgenza minzionale, sedazione, delirio, immobilità

Diuretici

Furosemide, bumetanide, (non tiazidici), teofillina, caffeina

Poliuria, pollachiuria, urgenza minzionale

Anticolinergici

Antiistaminici, benzotropina, diciclomina, disopiramide, triessifenidil

Ritenzione urinaria e iscuria, delirio, fecaloma

Farmaci psicoattivi

Amitriptilina, desipramina

Azioni anticolinergiche, sedazione

Antipsicotici

Aloperidolo, tioridazina

Azioni anticolineriche, sedazione, rigidità, immobilità

Sedativi e ipnotici

Diazepam, flurazepam

Sedazione, delirio, immobilità

Antidepressivi (triciclici)

Analgesici narcotici Oppioidi

Ritenzione urinaria, fecaloma, sedazione, delirio

Bloccanti αadrenergici

Prazosina, terazosina, doxazosina

Rilasciamento uretrale e incontinenza da sforzo (donne)

Agonisti αadrenergici

Decongestionanti nasali (epinefrina)

Aumento del tono prostatico, ritenzione urinaria (uomini)

Calcioantagonisti

Nifedipina, dialtiazem

Diminuzione della contrattilità del detrusore; ritenzione urinaria; nicturiada edema periferico; fecaloma

Vincristina Analoghi delle prostaglandine

Ritenzione urinaria Misoprostol

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Rilasciamento uretrale e incontinenza da sforzo

Manuale Merck - Tabella

ACE inibitori

Captopril, benazepril, lisinopril, enalapril

Tosse (può precipitare o peggiorare lo sgocciolamento da sforzo)

Adattata da Kane RL, Ouslander JG, Abrass IB: Essentials of Clinical Geriatrics. New York, McGraw-Hill, 1989, p. 149.

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Incontinenza urinaria

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INCONTINENZA STABILIZZATA Sommario: Introduzione Diagnosi Esami di laboratorio Terapia

Se la perdita persiste dopo che sono state esaminate le cause d’incontinenza transitoria, si deve considerare l’incontinenza stabilizzata dovuta a disturbi del tratto inferiore della via urinaria (v. Tab. 215-2). Generalmente il malfunzionamento del tratto inferiore della via urinaria è simile nelle persone anziane e nei giovani, sebbene le persone anziane raramente sviluppino fistole o una diminuzione della compliance del detrusore. L’iperattività del detrusore (contrazioni vescicali involontarie) è la principale causa d’incontinenza nelle persone anziane ed è comune anche nelle persone più giovani. È caratterizzata da una minzione impellente. L’urgenza di urinare insorge improvvisamente. Il volume di urine perse varia di solito da una quantità modesta a una grande nicturia e incontinenza notturna sono comuni, la sensibilità e i riflessi sacrali sono conservati e il controllo volontario dello sfintere anale è integro. Il volume residuo postminzionale generalmente è scarso; un volume residuo > 50-100 ml sta a indicare: ostruzione dello sbocco (sebbene il residuo postminzionale possa essere nullo nella fase precoce della ostruzione), ampio diverticolo vescicale, ristagno di urina in un cistocele (nelle donne) o un’iperattività del detrusore con contrattilità danneggiata (DHIC, Detrusor Hyperactivity with Impaired Contractility). L’iperattività del detrusore nell’anziano può coesistere con un danno della contrattilità, dando luogo a DHIC. La DHIC è associata a tenesmo vescicale, pollachiuria, diminuzione del mitto, significativo residuo urinario e trabecolatura della vescica; inoltre può mimare l’ipertrofia prostatica negli uomini o l’incontinenza da sforzo nelle donne. Poiché nella DHIC la contrazione vescicale è debole, la ritenzione urinaria è comune e può interferire con la terapia decontratturante delle vescica. L’incompetenza dello sbocco vescicale è la causa più comune di incontinenza nelle giovani donne e la seconda causa nelle donne anziane. L’incompetenza dello sbocco vescicale si manifesta come incontinenza da sforzo: una perdita istantanea (senza contrazione vescicale) durante le manovre da sforzo come la tosse, il riso, il piegarsi o il sollevamento di pesi. Di solito è dovuta a lassità dei muscoli o dei legamenti pelvici. Una causa meno comune è il deficit dello sfintere interno, solitamente dovuto a un trauma operatorio ma può anche essere la conseguenza di atrofia uretrale; una perdita si può verificare anche alzandosi o sedendosi delicatamente. La perdita associata a sforzo può verificarsi con ritenzione urinaria ma non come conseguenza d’incompetenza dello sbocco vescicale. L’incontinenza da sforzo negli uomini è di solito dovuta a lesione dello sfintere dopo prostatectomia radicale.

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Incontinenza urinaria

L’ostruzione dello sbocco vescicale è la seconda causa d’incontinenza negli uomini, ma molti uomini con ostruzione non sono incontinenti. Cause comuni comprendono l’iperplasia prostatica benigna, la neoplasia della prostata e la stenosi uretrale. Nelle donne, l’ostruzione dello sbocco è rara ma può verificarsi in quelle che hanno subito un precedente intervento chirurgico per incontinenza o che hanno un voluminoso cistocele che prolassa e angola l’uretra durante lo sforzo della minzione. In entrambi i sessi, se si sviluppa iperattività secondaria del detrusore, l’incontinenza da urgenza può verificarsi e se sopraggiunge uno scompenso del detrusore, può conseguirne iscuria paradossa. L’ostruzione dovuta a patologia neurologica è invariabilmente associata a lesione del midollo spinale. Le interruzioni nei collegamenti con il centro pontino della minzione (v. Fig. 215-1), dove il rilasciamento del collo viene coordinato con la contrazione della vescica, causano una dissinergia detrusore-sfintere. Piuttosto che rilasciarsi durante le contrazioni della vescica, il collo si contrae, provocando una grave ostruzione all’efflusso con importante trabecolatura, diverticoli e deformazione ad "albero di Natale" della vescica; idronefrosi, e insufficienza renale. L’ipoattività del detrusore, sufficiente a causare ritenzione urinaria e iscuria paradossa, si verifica in circa il 5% delle persone incontinenti. Le cause comprendono lesione dell’innervazione vescicale (p. es., da compressione discale o da coinvolgimento tumorale) o la neuropatia diabetica, anemia perniciosa, morbo di Parkinson, alcolismo e tabe dorsale. Negli uomini con ostruzione cronica del collo vescicale, il muscolo detrusore può essere sostituito da tessuto fibroso e connettivale, cosi che la vescica non riesce a svuotarsi anche quando l’ostruzione è rimossa. Nelle donne, l’ipoattività del detrusore è di solito idiopatica. I sintomi di grave ipoattività del detrusore (p. es., urgenza minzionale, pollachiuria, nicturia) possono simulare quelli dell’iperattvità del detrusore e si deve escludere la presenza di ritenzione urinaria prima di iniziare il trattamento. Gradi meno gravi di "astenia vescicale" sono comuni nelle donne anziane. Sebbene un’astenia di grado moderato non provochi incontinenza, può complicarne il trattamento se esistono anche altre cause d’incontinenza. Nella persone anziane, i problemi funzionali (p. es., ambiente, attività mentale, grado di mobilità, abilità manuale, fattori medici, motivazione) si sovrappongono spesso a disfunzioni del tratto inferiore della via urinaria. Questi fattori possono contribuire a stabilizzare l’incontinenza, ma raramente la causano.

Diagnosi Un diario minzionale, tenuto dal paziente o da chi l’assiste, della durata di 4872 h, registra il volume e l’ora di ogni minzione e gli episodi d’incontinenza (v. Tab. 215-3). Il diario minzionale è uno dei più importanti elementi della valutazione. Fornisce importanti indizi della causa sull’incontinenza e aiuta a ideare un piano terapeutico. L’urgenza minzionale motoria non è un sintomo sensibile o specifico di iperattività del detrusore, ma l’urgenza minzionale sensitiva (l’improvvisa sensazione che la minzione sia imminente indipendentemente dall’intervallo e dalla quantità della perdita che segue) lo è. Se e quanto un paziente con iscuria perda, dipende dal volume vescicale, dall’entità della sensazione di avvertimento, dall’accessibilità a un bagno, dal grado di mobilizzazione del paziente e se riesce a sopraggiungere il rilasciamento dello sfintere che lo accompagna. Per pazienti con nessun preavviso di diuresi imminente (spesso chiamata incontinenza riflessa o inconscia), un’improvvisa emissione di urina in assenza di manovre da sforzo è quasi invariabilmente dovuta a iperattività del detrusore. La pollachiuria (> 7 minzioni/die) può essere dovuta all’abitudine di urinare prima che la vescica si riempia, all’incontinenza da rigurgito, alla sensazione di urgenza minzionale, a una vescica stabile ma scarsamente capace, alla file:///F|/sito/merck/sez17/2151950b.html (2 of 8)02/09/2004 2.49.36

Incontinenza urinaria

depressione, all’ansia o all’eccessiva produzione di urine (p. es., dovuta al diabete, all’ipercalcemia o all’assunzione di grandi quantità di liquidi). Viceversa, le persone incontinenti possono limitare fortemente l’assunzione di liquidi e quindi non urinare frequentemente, anche se hanno iperattività del detrusore. La nicturia dovrebbe sempre essere quantificata e può ingannare (p. es., due episodi possono essere normali per una persona che dorme 10 h, ma non per una che ne dorma 4). In generale, le persone giovani espellono la maggior parte dei liquidi assunti durante la giornata prima di andare a dormire, mentre molte persone anziane sane li espellono per lo più durante la notte. La nicturia è causata da un’eccessiva diuresi, da disturbi del sonno o da disfunzione vescicale (v. Tab. 215-4). La capacità funzionale vescicale è definita come il maggior volume d’urina di una singola minzione, registrato sul diario minzionale e può fornire un’importante indicazione: se il volume della maggior parte della minzione notturna è molto minore rispetto alla capacità funzionale, il paziente ha o un problema legato a un disturbo del sonno (il paziente urina perché è in ogni caso sveglio) o un problema vescicale. Qualunque ne sia la causa, la nicturia è spesso curabile. I sintomi ostruttivi e irritativi non sono specifici d’iperplasia prostatica benigna o di ostruzione dello sbocco vescicale, specialmente negli uomini anziani. Circa 1/3 degli uomini con indicazione alla prostatectomia per sintomi ostruttivi, non hanno ostruzione; hanno, invece, un’iperattività del detrusore, che non migliorerà o che può essere peggiorata dall’intervento chirurgico. Il punteggio della scala sintomatologica di patologia prostatica può essere impiegato per verificare la gravità dei sintomi, ma non deve essere adoperato per individuare o diagnosticare l’iperplasia prostatica benigna (v. Cap. 218). L’esame obiettivo è importante per escludere cause d’incontinenza transitoria, per scoprire gravi condizioni sottostanti e cause d’incontinenza stabilizzata, e per valutare malattie concomitanti e capacità funzionale. L’esame neurologico è utile per identificare la presenza di delirio, demenza, ictus, morbo di Parkinson, compressione del midollo spinale e neuropatia (del sistema nervoso autonomo o periferico). Inoltre, devono essere ricercate deformità della colonna vertebrale o fossette suggestive per la presenza di disrafia, distensione vescicale (indicativa di astenia vescicale o ostruzione dello sbocco) e incontinenza da sforzo. L’esplorazione rettale dovrebbe verificare la presenza di fecaloma, masse, noduli prostatici, riflessi sacrali e la simmetria delle creste glutee. Le dimensioni della prostata, determinate dall’esplorazione, sono scarsamente correlate con l’entità dell’ostruzione all’efflusso. Il resto dell’esplorazione rettale è in realtà un dettagliato esame neuro-urologico poiché le stesse radici nervose sacrali (S2-4) innervano lo sfintere uretrale esterno e lo sfintere anale. Mettendo un dito nel retto del paziente, l’esaminatore verifica l’innervazione motoria mentre il paziente si contrae volontariamente e rilascia lo sfintere anale. L’altra mano viene posta sull’addome del paziente per controllare la contrazione della muscolatura addominale, che può simulare quella dello sfintere. Molti pazienti anziani neurologicamente sani non riescono a contrarre lo sfintere volontariamente. Comunque, il successo della contrazione dello sfintere è un’evidenza contraria alla presenza di una lesione midollare. L’innervazione motoria può essere valutata ulteriormente esaminando il riflesso anale (S4-5) e quello bulbocavernoso (S2-4). Tuttavia, l’assenza di questi riflessi (specialmente di quello anale) non è necessariamente patologica, né la loro presenza esclude un’ipoattività del detrusore (p. es., dovuta a neuropatia diabetica). Alla fine, l’innervazione afferente è valutata esaminando la sensibilità perineale. L’esame della pelvi dovrebbe essere eseguito in tutte le donne incontinenti. La lassità dei muscoli pelvici può causare cistocele, enterocele, rettocele o prolasso uterino. Una protuberanza della parete anteriore quando la parete posteriore è stabilizzata indica un cistocele, mentre un rilievo della parete posteriore indica un rettocele o un enterocele. La lassità dei muscoli del pavimento pelvico è poca indicativa delle cause dell’incontinenza, a meno che non sia grave (in cui il prolasso può angolare l’uretra e causare ostruzione). L’iperattività detrusoriale può verificarsi in presenza di cistocele e l’incontinenza da sforzo può verificarsi in assenza di cistocele.

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Si deve ispezionare la vagina alla ricerca di segni di vaginite atrofica, caratterizzata da friabilità della mucosa, petecchie, telangectasie o ragadi vaginali. L’atrofia vaginale (non associata all’incontinenza) è caratterizzata da perdita delle pliche rugose e da mucosa sottile e lucente. Un indice di maturazione citologica che mostra il 100% di cellule parabasali indica atrofia ma non necessariamente vaginite atrofica. Le prove da sforzo, quando eseguite correttamente, hanno una sensibilità e una specificità > 90%. A vescica piena, il paziente assume una posizione il più verticale possibile, stende le gambe, rilascia la zona perineale ed esegue un solo vigoroso colpo di tosse. Una perdita immediata che inizia e si arresta con la tosse costituisce un risultato positivo. Un risultato falsamente negativo si può verificare se il paziente non si rilassa, la vescica non è piena, il colpo di tosse non è forte o il test è eseguito nella posizione verticale in una donna con un voluminoso cistocele. Una perdita ritardata o persistente è indicativa d’iperattività sfinteriale (scatenata dalla tosse) piuttosto che d’incompetenza dello sbocco vescicale. Eseguire il test quando il paziente ha un’improvvisa urgenza minzionale, può provocare un risultato falsamente positivo. L’osservazione della minzione fornisce molte informazioni sulla funzione vescicale e uretrale. Se l’osservazione non è possibile, il flusso può essere misurato da una macchina flussimetrica (uroflussimetro) o da un trasmettitore audio portatile (come quello impiegato per monitorizzare la stanza dei bambini a casa). Il paziente dovrebbe porre una mano sull’addome per valutarne la contrazione durante la minzione, specialmente se si sospetta l’incontinenza da sforzo ed è previsto un trattamento chirurgico, poiché la contrazione è indice di debolezza del detrusore che può predisporre il paziente a ritenzione postoperatoria. Il volume residuo postminzionale può essere misurato mediante cateterizzazione o ecografia. Il residuo postminzionale più la diuresi fornisce una stima della capacità vescicale totale e una valutazione sommaria della sensibilità propriocettiva vescicale. Un residuo postminzionale > 50-100 ml è indice di atonia vescicale o ostruzione dello sbocco vescicale, ma una quantità inferiore non esclude nessuna delle due diagnosi, soprattutto se il paziente si è sforzato per urinare o ha urinato in due tempi.

Esami di laboratorio Si devono valutare l’esame chimico delle urine, l’azoto ureico e la creatininemia. Gli elettroliti devono essere misurati se il paziente è confuso; se è presente disuria, si deve effettuare l’urinocoltura e, se il diario minzionale è indicativo di poliuria, si devono misurare le concentrazioni sieriche di glucoso e Ca++ (e albumina, per consentire di calcolare i livelli di Ca++ libero nei malati malnutriti). La citologia urinaria o la citoscopia devono essere eseguite in un paziente con ematuria sterile, con disturbi sovrapubici o perineali o ad alto rischio di carcinoma vescicale (p. es., inspiegata, recente insorgenza di urgenza minzionale o d’incontinenza, esposizione a coloranti industriali). La valutazione urodinamica andrebbe presa in considerazione se non si riesce a scoprire la causa dell’incontinenza. Sebbene sia dibattuto il suo esatto ruolo, l’esame urodinamico multicanale è probabilmente giustificato quando l’incertezza diagnostica può influire sulla terapia, quando la terapia empirica ha fallito e si possono tentare altri approcci, o quando è previsto il trattamento chirurgico.

Terapia La terapia dell’iperattività del detrusore inizia con misure semplici, quali il trattamento dell’edema periferico, regolando la cadenza o la quantità file:///F|/sito/merck/sez17/2151950b.html (4 of 8)02/09/2004 2.49.36

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dell’assunzione di liquidi o fornendo accanto al letto una comoda o un pitale. Tuttavia, il fondamento del trattamento è la terapia comportamentale. Regimi di rieducazione vescicale, comprese le tecniche che sedano la sensazione di urgenza minzionale, possono aumentare gli intervalli tra le minzioni. Per esempio, in un paziente che è incontinente ogni 3 h, il regime comprende diuresi ogni 2 h durante il giorno e la soppressione dell’urgenza minzionale tra gli intervalli. Una volta che il paziente ha mantenuto il controllo della diuresi durante il giorno per 3 giorni consecutivi, l’intervallo tra le minzioni può essere aumentato di 1/2 h e il processo ripetuto finché non si ottenga un risultato soddisfacente o la continenza. Il biofeedback può essere aggiunto, ma la sua utilità non è chiara. In un paziente che non può seguire il regime di rieducazione, si impiega una tecnica d’incitamento alla diuresi. Questa riduce la frequenza di episodi d’incontinenza fino al 50% in pazienti anziani ricoverati. Al paziente viene chiesto se ha necessità di urinare a intervalli di 2 h; un paziente che risponde sì viene accompagnato al bagno; dopo la minzione gli viene dato un incoraggiamento, cioè un rinforzo positivo (il rinforzo negativo è evitato). L’incitamento alla diuresi non deve essere proposto in quei pazienti che sbagliano a rispondere. Se il diario minzionale rivela nicturia e incontinenza notturna, si deve ricercarne la causa (v. Tab. 215-4). La diuresi attribuibile a scompenso cardiaco si deve diminuire con la terapia diuretica. L’edema periferico senza scompenso cardiaco o l’ipoalbuminemia (p. es., insufficienza venosa) possono essere trattate con calze elastiche ed elevazione delle gambe durante il giorno. La diuresi non dovuta a edema periferico può rispondere a un cambiamento delle modalità d’assunzione dei liquidi o alla somministrazione di un diuretico a rapida azione nel tardo pomeriggio o in prima serata. Per il paziente con iperattività del detrusore con deficit della contrattilità e contrazioni non inibite provocate solo a grandi volumi, la cateterizzazione, appena prima di andare a letto, rimuove il residuo urinario, aumentando la capacità funzionale vescicale e probabilmente restituendo continenza e sonno. La terapia farmacologica può migliorare la terapia comportamentale ma non sostituirla, poiché i farmaci generalmente non eliminano le contrazioni non inibite (v. Tab. 215-5). I farmaci a rapida insorgenza d’azione (p. es., ossibutina) possono essere impiegati in via profilattica se l’incontinenza si verifica in momenti prevedibili. Occasionalmente, la combinazione di basse dosi di due farmaci con azioni complementari (p. es., ossibutina e imipramina) ottimizza i benefici e minimizza gli effetti collaterali. Alcuni di questi farmaci possono essere instillati in vescica ma soltanto in pazienti che si possono cateterizzare da soli. Tutti i farmaci che provocano rilasciamento della vescica possono causare ritenzione urinaria. L’induzione intenzionale di ritenzione urinaria e l’impiego di cateterizzazione intermittente possono essere ragionevoli in pazienti la cui incontinenza (p. es., DHIC) resiste agli altri rimedi e in cui la cateterizzazione intermittente è eseguibile. La cistoplastica di ampliamento incrementa la capacità vescicale anastomizzando sezioni di intestino o di stomaco alla vescica. Questa terapia è riservata a casi gravi d’iperriflessia intrattabile del detrusore, specialmente quelli associati a una scarsa elasticità della vescica contratta ed è controindicata in pazienti cagionevoli. Garze e speciali indumenti intimi possono essere necessari per l’incontinenza refrattaria. Sono disponibili molti prodotti e la scelta può essere modellata sul paziente. Gli uroprofilattici possono essere utili per alcuni uomini ma spesso provocano lacerazioni cutanee e una diminuzione della motivazione a essere asciutti; inoltre possono non essere adatti a chi ha un pene piccolo o retratto. Nuovi dispositivi esterni di raccolta possono essere efficaci nelle donne. I cateteri uretrali a permanenza non sono raccomandati per l’iperattività del detrusore, poiché di solito peggiorano le contrazioni. Se è necessario un catetere (p. es., per permettere la guarigione di un’ulcera da pressione in un paziente con iperattività del detrusore refrattaria), se ne dovrebbe impiegare uno con palloncino piccolo per minimizzare l’irritazione e il conseguente sgocciolamento intorno al catetere. Se le contrazioni vescicali persistono, si può impiegare l’ossibutinina. I farmaci con più potenti effetti collaterali anticolinergici (p. es., supposte di belladonna) dovrebbero essere evitati negli anziani.

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L’incompetenza dello sbocco vescicale può essere diminuita da un calo ponderale in un paziente obeso, dalla terapia delle condizioni precipitanti (p. es., vaginite atrofica, tosse) e, occasionalmente, mediante l’inserzione di un pessario. Gli esercizi dei muscoli pelvici (p. es., esercizi di Kegel) sono spesso efficaci, specialmente se eseguiti al momento dello sforzo. I pazienti devono contrarre i muscoli pelvici ma non i muscoli della coscia, addominali o dei glutei; è spesso necessario istruire una seconda volta il paziente e il biofeedback può essere d’aiuto. Nelle donne < 75 anni, l’indice di guarigione è del 10-25% e si ottengono miglioramenti in un ulteriore 40-50%, specialmente se la paziente è motivata, esegue gli esercizi come prescritto e riceve istruzioni scritte e/o visite di controllo di incoraggiamento. Non si sa se anche le donne > 75 anni possono raggiungere un simile risultato. I pessari, disponibili in molte dimensioni e forme, possono essere utili se il paziente desidera ritardare l’intervento chirurgico o ha un rischio operatorio elevato. I diaframmi contraccettivi possono migliorare l’incontinenza da sforzo nelle donne giovani. I tamponi sono talvolta utili nelle donne anziane. Stanno cominciando a essere disponibili anche dispositivi più moderni. Una terapia addizionale non farmacologica consiste in un regime di pulizia e di assunzione di liquidi che mantenga il volume vescicale al di sotto della soglia dello sgocciolamento. Questo approccio è spesso adatto a donne anziane, il cui deficit sfinteriale è spesso più lieve ed è il risultato dell’atrofia. La terapia farmacologica con un α-agonista adrenergico (p. es., fenilpropanolammina a lento rilascio 25-75 mg bid) può essere di beneficio, specialmente quando somministrata insieme a estrogeni. Questi farmaci sono efficaci in donne con deficit dello sfintere interno (v. oltre). L’imipramina 10-25 mg da 1 volta/die a qid può essere impiegata in pazienti con incontinenza da sforzo e urgenza minzionale in assenza di ipotensione posturale. L’intervento chirurgico per la correzione dell’ipermobilità uretrale può essere necessario se le altre metodiche di trattamento falliscono o sono inaccettabili. La colporrafia anteriore ha meno probabilità di guarire l’incontinenza di quante ne abbiano altre tecniche di sospensione del collo vescicale. Molte donne anziane non riescono a sopportare l’intervento di Marshall-Marchetti-Krantz, che comporta una lunga chirurgia addominale e un prolungato ricovero. Un intervento sovrapubico alternativo, la colposospensione secondo Burch, richiede una chirurgia meno invasiva, corregge la lassità della parete anteriore vaginale e ottiene ottimi risultati. Tuttavia, l’intervento può peggiorare la debolezza della parete posteriore vaginale e causare stranguria e ritenzione urinaria in alcune donne che non hanno una sufficiente mobilità e capacità vaginale. Gli interventi di sospensione del collo vescicale per via vaginale (p. es., gli interventi secondo Pereyra, Stamey e Raz) sono procedure relativamente minori ma ottengono spesso risultati meno duraturi dell’intervento di Burch. Un differente approccio (sling pubovaginale) è spesso richiesto per i deficit dello sfintere interno; la morbosità è più elevata ed è più probabile che la ritenzione urinaria cronica venga aggravata rispetto all’intervento con correzione dell’ipermobilità uretrale. Altri trattamento per il deficit sfinteriale, specialmente per gli uomini che hanno subito una prostatectomia, comprendono l’impianto di uno sfintere artificiale. Selezionando i pazienti, circa il 70% riacquista la continenza; dei rimanenti, molti usano solo una o due garze al dì, ma nel 20-40% dei pazienti può essere necessario un nuovo intervento chirurgico o la revisione del precedente. Un altro approccio è costituito dall’iniezione periuretrale di dispositivi di espansione. Con la glutaraldeide legata con legame crociato a collagene bovino, si verifica un miglioramento a breve termine o la guarigione nel 50-95% delle donne ma negli uomini in una percentuale molto più bassa. Sebbene si stia ricorrendo all’impiego di dispositivi di espansione (l’iniezione richiede solo anestesia locale e poco tempo), il loro successo di solito richiede molti trattamenti iniettivi. L’esperienza con persone > 75 anni è limitata e la ritenzione urinaria (che spesso porta alla cateterizzazione) è un rischio. Negli uomini, se falliscono tutti gli interventi, possono essere utili un uroprofilattico, una pinza peniena, una guaina per il pene (come la protesi di McGuire, simile a un supporto impiegato dagli atleti) o una guaina autoadesiva file:///F|/sito/merck/sez17/2151950b.html (6 of 8)02/09/2004 2.49.36

Incontinenza urinaria

(specialmente se foderata con un gel polimerico o cellulosa). Sono disponibili alcuni dispostivi di raccolta per donne. Garze sottili con gel polimerico superassorbente possono assorbire più rapidamente le più piccole quantità di urine perse, di solito per incontinenza da sforzo. È in fase di studio la stimolazione elettrica, una promettente alternativa per le donne. Negli uomini l’ostruzione dello sbocco vescicale è trattata con bloccanti αadrenergici (p. es., prazosina 1-2 mg da bid a qid, terazosina da 1 a 10 mg/die, doxazosina da 1 a 8 mg/die), che alleviano la sintomatologia e possono migliorare il volume del residuo postminzionale, la resistenza all’efflusso e il flusso urinario. La finasteride, inibitore della 5α-reduttasi, 5 mg/die, diminuisce le dimensioni della prostata, ma la riduzione dei sintomi può essere ritardata per mesi. Alcuni studi hanno suggerito una terapia combinata con un bloccante α-adrenergico, ma mancano prove certe. Se persistono sintomi fastidiosi, vengono eseguite la resezione transuretrale della prostata (Transurethral Resection of the Prostate, TURP) o la prostatectomia sovrapubica o retropubica. Approcci alternativi (p. es., incisione del collo vescicale con prostatotomia bilaterale) hanno reso praticabile la decompressione chirurgica anche in pazienti molto delicati. Le endoprotesi uretrali costituiscono un promettente approccio terapeutico non farmacologico, ma mancano i dati dei controlli a lungo termine. Le possibili complicanze comprendono migrazione dell’endoprotesi e urgenza minzionale (di solito diminuiscono dopo poche settimane o mesi). Nuove promettenti tecniche transuretrali comprendono ipotermia a microonde, laser terapia e ablazione con ago, ma mancano dati a lungo termine. Nelle donne, la terapia chirurgica di solito è indicata in caso di voluminoso cistocele e l’intervento di sospensione dello sbocco vescicale si dovrebbe eseguire se coesiste ipermobilità uretrale. Se il collo vescicale è incompetente o la pressione di chiusura uretrale è < 10 cm H2O, può essere richiesto un differente approccio chirurgico per evitare di causare insufficienza dello sfintere. L’ostruzione primaria del collo vescicale è facilmente correggibile anche nel paziente più delicato. Una stenosi dell’uretra distale si può dilatare e trattare con estrogeni. Interventi più estesi possono essere necessari se è presente stenosi meatale; alternativamente, la dilatazione può essere ripetuta frequentemente. Tuttavia, molte donne che si sottopongono a dilatazione, non hanno stenosi uretrale ma un detrusore ipoattivo; per queste donne, la dilatazione di solito non è utile e può essere dannosa. L’ipoattività del detrusore viene trattata riducendo il volume residuo, eliminando l’idronefrosi (se presente) e prevenendo la sepsi urinaria. Per prima cosa, viene impiegato un catetere a permanenza per decomprimere la vescica per 714 giorni, mentre sono eliminate le potenziali cause che contribuiscono alla lesione del detrusore (p. es., fecaloma, effetti sfavorevoli dei farmaci). Se la decompressione non ristabilisce completamente la funzione vescicale, possono essere utili le tecniche per aumentare la diuresi: la minzione in due tempi o l’effettuazione della manovra di Credé (applicazione di una pressione in regione sovrapubica durante la minzione) o la manovra di Valsalva. Il betanecolo 40-200 mg/ die in dosi frazionate è talvolta utile in un paziente la cui vescica si contrae scarsamente, per la somministrazione di un farmaco anticolinergico che non può essere interrotto (p. es., un antidepressivo triciclico). Si deve monitorare il volume residuo così da poter interrompere il betanecolo se inefficace. Se il detrusore non si contrae per nulla dopo la decompressione, è probabile che ogni intervento sia inutile e il paziente dovrebbe sottoporsi a cateterizzazione intermittente o aver posizionato un catetere uretrale a permanenza. La profilassi antibiotica o con metenammina mandelato per le IVU è probabilmente giustificata nella cateterizzazione intermittente se la persona ha frequenti IVU sintomatiche, una cardiopatia valvolare o una protesi ortopedica; questa profilassi non è utile con un catetere a permanenza. Se la cateterizzazione intermittente è eseguita in

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Incontinenza urinaria

ambiente medico, deve essere impiegata una tecnica sterile piuttosto che pulita per la prevalenza e virulenza dei batteri in questi ambienti.

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TABELLA 215-2. INCONTINENZA STABILIZZATA CAUSATA DA ALTERAZIONI DEL TRATTO INFERIORE DELLA VIA URINARIA Diagnosi urodinamica Iperattività del detrusore

Alcune cause neurogene Sclerosi multipla

Alcune cause non neurogene Ostruzione o incompetenza uretrale

Ictus Cistite Morbo di Parkinson Carcinoma vescicale Malattia di Alzheimer Calcolo vescicale Incompetenza del Prostatectomia radicale* sbocco lesione del motoneurone inferiore (rara)

Ipermobilità uretrale (IUS tipi1 e 2) Incompetenza dello sfintere (IUS tipo 3) Chirurgia prostatica

Ostruzione dello sbocco

Lesione del midollo spinale con dissinergia detrusore-sfintere

Ingrandimento della prostata Carcinoma prostatico Cistocele voluminoso Stenosi uretrale anteriore Dopo sospensione del collo vescicale

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Ipoattività detrusoriale

Compressione discale

Idiopatica (comune nelle donne)

Plessopatia Lesione chirurgica (p.es., resezione anteroposteriore)

Ostruzione cronica dello sbocco

Neuropatia del sistema autonomo (p.es., da diabete mellito, alcolismo, deficit di vitamina B12) *Altri interventi chirurgici sulla prostata raramente causano incontinenza neurogena. IUS=incontinenza urinaria da sforzo. Adattata da Resnick NM: "Urinary incontinence, A treatable disorder", in Geriatric Medicine, ed.2, pubblicata da JW Rowe. Boston, Little Brown and Company, 1988, p.250; riproduzione autorizzata.

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TABELLA 215-3. DIARIO MINZIONALE DI UNA PERSONA INCONTINENTE Data

14-01

15-01

Ora

Diuresi (ml)

Paziente asciutto o bagnato

15:30 245

Bagnato

17:45 215

Asciutto

19:55 155

Asciutto

22:00 155

Bagnato

22:10 35

Asciutto

2:55

275

Asciutto

5:45

305

Asciutto

7:20

205

Asciutto

9:30

?

Asciutto

Volume approssimativo dello sgocciolamento

Commenti

Scarso

15ml

11:00 205

Asciutto

12:30 185

Asciutto

13:20 245

Asciutto

15:15 165

Bagnato

Scarso

17:40 175

Bagnato

Scarso

20:00 220

Bagnato

Scarso

Il rumore di acqua corrente ha precipitato l’episodio Movimenti intestinali

Il rumore di acqua corrente ha precipitato l’episodio

22:05 135 Asciutto Adattata da DuBeau CE, Resnick NM: ‘‘Evaluation of the causes and severity of geriatric incontinence: A critical appraisal.’Urology Clinics of North America 18:243 256, 1991.

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TABELLA 215-4. CAUSE DI NICTURIA Diuresi eccessiva Nicturia correlata all’età Eccesso o assunzione tardiva di liquidi o alcol Ingestione di diuretici, caffeina, teofilline Edema periferico Scompenso cardiaco Ipoalbuminemia Malattia vascolare periferica Farmaci (p.es., indometacina, nifedipina) Difficoltà legate al sonno Insonnia Dolore (p.es., artrite) Dispnea Depressione Farmaci (caffeina, ipnoinducenti a breve azione, come il triazolam) Alcol Disfuzioni vescicali e del tratto inferiore della via urinaria Scarsa capacità vescicale

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Iperattività detrusoriale Patologia prostatica Incontinenza da rigurgito Diminuita distensibilità vescicale Urgenza sensoriale

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Malattie della prostata

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 218. MALATTIE DELLA PROSTATA IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA (Ipertrofia prostatica benigna) Iperplasia adenomatosa benigna della ghiandola prostatica nella sua porzione periuretrale causa di gradi variabili di ostruzione dello sbocco vescicale.

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Una delle principali difficoltà nello stabilire la prevalenza dell’iperplasia prostatica benigna (IPB) è stata la mancanza di una comune definizione. Basandosi su studi autoptici, la prevalenza della diagnosi istologica di IPB aumenta dall’8%, negli uomini di età tra 31 e 40 anni, fino al 40-50% negli uomini di età compresa tra 51 e 60 anni ed è > 80% negli uomini con più di 80 anni. Tuttavia, basandosi su criteri clinici negli uomini tra i 55 e 74 anni senza tumore della prostata, la prevalenza di IPB è del 19% usando come criteri un volume prostatico > 30 ml e un elevato punteggio alla scala sintomatologica prostatica internazionale. Tuttavia, la prevalenza è solo del 4% se i criteri sono un volume prostatico > 30 ml, un punteggio elevato, un flusso urinario massimo < 10 ml/s e un volume di residuo postminzionale > 50 ml.

Eziologia e fisiopatologia L’eziologia è sconosciuta, ma possono essere implicate modifiche nell’equilibrio ormonale associate all’invecchiamento. Nella regione periuretrale della prostata si hanno noduli fibroadenomatosi multipli, originati probabilmente nelle ghiandole periuretrali piuttosto che nella vera prostata fibromuscolare (capsula chirurgica), che viene spostata perifericamente dalla crescita progressiva dei noduli. L’iperplasia può interessare le pareti laterali della prostata (iperplasia del lobo laterale) o il tessuto nel margine inferiore del collo della vescica (iperplasia del lobo medio). Istologicamente, il tessuto è ghiandolare con proporzioni varianti di stroma fibroso interposto. Quando il lume dell’uretra prostatica viene compromesso, vi è ostruzione progressiva del deflusso di urina con ipertrofia del detrusore della vescica, trabecolazione, formazione di diverticoli e di pseudodiverticoli. Lo svuotamento incompleto della vescica causa stasi e favorisce le infezioni con modificazioni infiammatorie secondarie nella vescica (prostatite cronica, v. oltre) e nella via urinaria superiore. La stasi urinaria può predisporre alla formazione di calcoli (v. Cap. 221). Un’ostruzione prolungata, anche se incompleta, può provocare idronefrosi e compromettere la funzione renale.

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Malattie della prostata

Sintomi, segni e diagnosi Pollachiuria progressiva, minzione imperiosa e nicturia sono dovuti allo svuotamento incompleto e al rapido riempimento della vescica. La diminuzione del calibro e della forza del mitto urinario provocano iscuria. Ne possono derivare sensazioni di svuotamento incompleto, sgocciolamento finale, incontinenza da rigurgito (iscuria paradossa) quasi continua o ritenzione urinaria completa. Lo sforzo per urinare può causare congestione delle vene superficiali dell’uretra prostatica e del trigone, che possono rompersi e provocare ematuria. La ritenzione urinaria acuta completa può essere precipitata da tentativi prolungati di trattenere l’urina, dall’immobilizzazione, dall’esposizione al freddo, da agenti anestetici, da farmaci anticolinergici e simpatico-mimetici o dall’ingestione di alcol. I sintomi possono essere quantificati dalle sette domande dell’American Urological Association Symptom Score (v. Tab. 218-1). All’esplorazione rettale la prostata generalmente è ingrandita, di consistenza gommosa e frequentemente presenta perdita del solco mediano. Tuttavia le dimensioni della prostata, determinate dall’esplorazione rettale, possono essere ingannevoli. Una prostata che risulta piccola all’esplorazione rettale può essere sufficientemente grande da causare un’ostruzione uretrale. La vescica urinaria distesa può essere palpabile o evidenziabile con la percussione all’esame obiettivo. L’antigene prostatico specifico (PSA) sierico è lievemente aumentato nel 30-50% dei pazienti con IBP, in rapporto alla grandezza della prostata e al grado di ostruzione (v. Neoplasia della prostata nel Cap. 233). Gli uomini con sintomi di IPB lievi o moderati di solito non necessitano di ulteriori indagini. Sintomi più gravi, la presenza di ematuria o di IVU giustificano un’ulteriore valutazione da parte di uno specialista urologo. L’urografia endovenosa può rivelare uno spostamento verso l’alto delle porzioni terminali degli ureteri ("amo da pesca") e un difetto alla base della vescica, compatibile con un ingrandimento della prostata. Se l’ostruzione è prolungata, si verifica una dilatazione degli ureteri e idronefrosi. La cistoscopia mediante cateterizzazione uretrale o l’ecografia postminzionale misurano la quantità di urina residua; la prima tecnica inoltre permette un drenaggio preliminare per stabilizzare la funzione renale e un adeguato controllo delle IVU. L’ecografia transrettale, se indicata per la presenza di elevati livelli sierici di PSA, permette la valutazione delle dimensioni della ghiandola, può essere d’aiuto nel decidere l’approccio chirurgico più appropriato, e differenzia tra contrattura del collo vescicale, prostatite cronica e altri fenomeni ostruttivi. Si dovrebbe evitare qualsiasi manovra strumentale fino a che non sia stata decisa la terapia definitiva, poiché la manipolazione può provocare un’ostruzione maggiore, trauma e infezione. Una prostata indurita e dolente è indice di prostatite, mentre una prostata nodulare, dura e lapidea solitamente indica la presenza di carcinoma o, talvolta, di calcoli prostatici.

Terapia Quando l’IPB è associata a IVU o a iperazotemia dovute all’ostruzione dello sbocco vescicale, la terapia iniziale dovrebbe essere medica, diretta a stabilizzare la funzionalità renale, a interrompere i farmaci colinergici e simpaticomimetici e a eradicare l’infezione. Nell’ostruzione avanzata dello sbocco vescicale può essere desiderabile un drenaggio con catetere uretrale o sovrapubico. La vescica distesa, cronicamente ostruita, dovrebbe essere svuotata lentamente per cercare di evitare la diuresi post-ostruttiva. Per alcuni pazienti con sintomatologia ostruttiva lieve o moderata, i bloccanti α-adrenergici come la terazosina possono migliorare la minzione. La finasteride inibitore della 5α-reduttasi può ridurre le dimensioni della prostata, migliorando la minzione nel tempo (mesi), specialmente in pazienti con una ghiandola voluminosa (> 40 ml). Tutti questi pazienti devono evitare farmaci anticolinergici e narcotici, che possono provocare ostruzione. file:///F|/sito/merck/sez17/2181965.html (2 of 3)02/09/2004 2.49.38

Malattie della prostata

La terapia definitiva è chirurgica. Sebbene di solito siano conservate la potenza sessuale e la continenza, circa il 5-10% dei pazienti andrà incontro a qualche complicanza postchirurgica. Si preferisce la resezione transuretrale della prostata (TURP). Le prostate più grandi (di solito > 75 g) possono richiedere l’intervento chirurgico a cielo aperto usando l’approccio sovrapubico o retropubico che consente l’enucleazione del tessuto adenomatoso dal di dentro della capsula chirurgica. L’incidenza di impotenza e incontinenza è molto più elevata che dopo TURP. Tutte le metodiche chirurgiche richiedono drenaggio postoperatorio con catetere per 1-5 giorni. Approcci chirurgici alternativi comprendono: endoprotesi uretrali, termoterapia a microonde, termoterapia con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità, resezione con laser, elettrovaporizzazione e vaporizzazione a radiofrequenza; i loro ruoli non sono stabiliti.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 218-1. SCALA DI PUNTEGGIO SINTOMATOLOGICO DELL’IPERPLASIA PROSTAITA BENIGNA DELL’AMERICAN UROLOGICAL ASSOCIATION Nell’ultimo mese o attualmente

Mai

50 anni negli USA; l’incidenza aumenta ad ogni decennio di vita. Ci sono circa 209000 nuovi casi all’anno negli USA (dati del 1997). Il sarcoma della prostata è raro, presentandosi fondamentalmente nei bambini. Possono inoltre verificarsi carcinoma prostatico indifferenziato, carcinoma a cellule squamose e carcinoma duttale transizionale, che rispondono meno alle usuali misure di controllo. Senza dubbio, le influenze ormonali giocano un ruolo nell’eziologia dell’adenocarcinoma ma quasi certamente nessun ruolo nel sarcoma, nel cancro indifferenziato, nel carcinoma a cellule squamose o nel carcinoma duttale a cellule di transizione. Il tumore della prostata è ghiandolare, simile nell’aspetto istologico alla normale prostata. La proliferazione di piccole cellule e grandi nucleoli sono caratteristici. Il grading si basa sul quadro architettonico ed è comunemente riportato come "Gleason score": il grado primario (quello più frequente) (1-5) più il grado secondario (quello successivo al più frequente) (1-5); così, varia da 2 (molto ben differenziato) a 10 (molto scarsamente differenziato). La stadiazione è definita nella Tab. 233-1.

Sintomi, segni e diagnosi Il carcinoma della prostata in genere progredisce lentamente e può non provocare sintomi. Nelle fasi avanzate della malattia, si possono presentare sintomi di ostruzione vescicale, uretrale ed ematuria. Metastasi alla pelvi, alle coste e ai corpi vertebrali, possono essere causa di dolore osseo. Il tumore prostatico localmente avanzato può mostrare un’estensione dell’indurimento alle vescicole seminali e fissità della ghiandola lateralmente. Il carcinoma della prostata dovrebbe essere sospettato sulla base di reperti anomali all’esplorazione rettale, di lesioni ipoecogene all’ecografia transrettale e di elevati livelli sierici dell’antigene prostatico specifico (Prostate-Specific Antigen, PSA). Tuttavia, la diagnosi necessita di conferma istologica, molto comunemente mediante agobiopsia transrettale TRUS-guidata, che può essere effettuata in ambulatorio senza anestesia. L’interessamento dei linfatici perineurali, se presente, è diagnostico. Il carcinoma può essere diagnosticato incidentalmente quando vengono riscontrate modificazioni maligne in un campione tessutale prelevato durante l’intervento chirurgico per sospetta ipertrofia prostatica benigna. Il tumore prostatico frequentemente provoca metastasi ossee osteoblastiche. La loro scoperta alla scintigrafia ossea o alla radiografia è di solito diagnostica in presenza di una prostata di consistenza marmorea. file:///F|/sito/merck/sez17/2332057.html (1 of 3)02/09/2004 2.49.39

Neoplasie genitourinarie

L’ecografia transrettale (Transurethral UltraSonography, TRUS) può fornire informazioni per la stadiazione, in particolare, quelle relative all’infiltrazione della capsula e all’invasione delle vescicole seminali. La fosfatasi acida sierica elevata al test di Roy (un metodo enzimatico) correla bene con la presenza di metastasi, soprattutto linfonodali. Questo enzima può essere elevato anche nell’iperplasia prostatica benigna (lieve rialzo dopo un vigoroso massaggio prostatico), mieloma multiplo, morbo di Gaucher e anemia emolitica. I protocolli di ricerca stanno valutando il potenziale ruolo, nella stadiazione e nella prognosi, del test della PCR a trascriptasi inversa (Reverse Transcriptase-Polymerase Chain Reaction, RT-PCR) per le cellule tumorali prostatiche in circolo. Sebbene i livelli della fosfatasi acida e del PSA diminuiscano dopo il trattamento e aumentino in caso di recidiva, il PSA è il marker più sensibile per il controllo dell’evoluzione tumorale e della risposta alla terapia. Tuttavia, poiché il PSA sierico è moderatamente elevato nel 30-50% dei pazienti con iperplasia prostatica benigna (dipendendo dalle dimensioni prostatiche e dal grado di ostruzione) e nel 25-92% di quelli con tumore prostatico (dipendendo dal volume del tumore), si sta ancora valutando il suo ruolo nella diagnosi precoce e nella stadiazione. Livelli significativamente elevati di PSA indicano un’estensione extracapsulare del tumore o metastasi. Nuovi test che determinano la proporzione del PSA libero versus quello legato possono far diminuire la frequenza delle biopsie in pazienti senza tumore. La consistenza lapidea o un nodulo della prostata alla esplorazione rettale suggeriscono una neoplasia maligna che deve essere differenziate dalla prostatite granulomatosa, dai calcoli prostatici e da altre più insolite patologie prostatiche. Tuttavia, una prostata normale all’esplorazione rettale non esclude la presenza di carcinoma.

Prognosi e terapia In molti pazienti, sono possibili un controllo locale a lungo termine e anche la guarigione. Tuttavia, la potenzialità della guarigione, anche in pazienti con neoplasia clinicamente localizzata, dipende da fattori come grado, stadio e livelli di PSA prima del trattamento. Per pazienti con tumori a basso grado di malignità, confinati nell’organo, la sopravvivenza è praticamente identica a quella dei controlli della stessa età senza tumore prostatico. Alcuni pazienti più anziani con tumore localizzato alla prostata, soprattutto se è ben differenziato, possono non richiedere nessun trattamento (cioè, attenta osservazione), poiché il rischio di morte da altre cause è maggiore di quello da neoplasia prostatica. Molti pazienti, tuttavia, scelgono di sottoporsi a terapia definitiva con prostatectomia radicale o radioterapia. La prostatectomia è probabilmente ottimale per i pazienti più giovani con una lunga aspettativa di vita; questi presentano il minor rischio di incontinenza urinaria (il 2% circa) e circa il 50% saranno in grado di conservare la capacità erettile (se almeno uno dei fasci neurovascolari può essere risparmiato). La radioterapia può offrire risultati paragonabili, specialmente in pazienti con bassi livelli di PSA prima del trattamento. La radioterapia standard esterna a fasci di raggi generalmente rilascia 70 Gy (7000 rad) in 7 sett.. Tecniche tridimensionali conformi liberano senza pericoli dosi che si avvicinano a 80 Gy (8000 rad) e i dati iniziali indicano che la percentuale di controllo locale è maggiore. Si sta valutando se l’irradiazione interstiziale (impianti di semi) sia in grado di produrre risultati equivalenti. Un paziente asintomatico con un tumore localmente avanzato o metastasi può beneficiare della terapia ormonale con o senza radioterapia adiuvante. La terapia ormonale raramente utilizza estrogeni esogeni, che presentano un rischio di complicanze cardiovascolari e tromboemboliche. L’orchiectomia bilaterale o la castrazione farmacologica con agonisti del fattore di rilascio dell’ormone luteinizzante (LH-RH) diminuiscono il testosterone sierico in modo equivalente. Alcuni pazienti possono beneficiare dell’aggiunta di antiandrogeni per il blocco

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Neoplasie genitourinarie

androgenico totale. La radioterapia locale è di solito palliativa in pazienti con metastasi ossee sintomatiche. Non c’è nessuna terapia standard per il tumore prostatico refrattario alla terapia ormonale. Sono in corso di studio agenti citotossici e biologici che possono offrire palliazione e prolungare la sopravvivenza. Tuttavia, la loro superiorità sulla terapia steroidea da sola non è stata provata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 233-1. STADIAZIONE DEL TUMORE PROSTATICO Sistema di stadiazione Whitmore A

B

C

Caratteristiche del tumore

AJCC/ TNM T1

Clinicamente non evidenziabile alla palpazione o con metodiche per immagini

T1a

Reperto incidentale in del5% di tessuto asportato

T1c

Identificato mediante agobiopsia eseguita per la presenza di elevati livelli di antigene prostatico specifico

T2

Palpabile o visibile in modo attendibile alle indagini con metodica per immagini; confinato alla prostata

T2a

Coinvolge un lobo

T2b

Coinvolge entrambi i lobi

T3

Si estende attraverso la capsula prostatica

T3a

Estensione extracapsulare (unilaterale o bilaterale)

T3b

Invade le vescicole seminali

AJCC = American Joint Committee on Cancer; TNM = Tumor node metastasis

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TABELLA 215-5. FARMACI PER L’IPERATTIVITA’ DEL DETRUSORE Farmaco

Meccanismo

Dosaggio*

Ossibutinina

Combinazione di azione 7,5-20mg/die (2,5-5mg PO 3 - 4volte miolitica sulla muscolatura liscia al dì) ed anticolinergica

Propantelina

Anticolinergico

Diciclomina

Combinazione di azione 30-60mg/die (10-20mg PO tid) miolitica sulla muscolatura liscia ed anticolinergica

Tolterodina

Antagonista muscarinico M3

24mg/die (1-2mg PO bid)

Imipramina

Antidepressivo

10-100mg/die (10-25mg PO 1 - 4volte al dì)

Doxepina

Antidepressivo

10-75mg (10-25mg PO 1 - 3volte al dì)

Nifedipina

Calcioantagonista

10-90mg/die (10-30mg PO 1 - 3volte al dì)

Diltiazem

Calcioantagonista

30-270mg/die (30-90mg PO 1 - 3volte al dì)

Flavoxatu

Azione miolitica sulla muscolatura liscia

300-800mg/die (100-200mg PO 3 4volte al dì)

22,5-150mg/die (7,5-30mg PO 3 5volte al dì)†

*Ogni farmaco è somministrato in dosi frazionate, ad eccezione degli antidepressivi, che possono essere somministrati in monodose giornaliera. †Dosi più alte sono occasionalmente tollerate ed efficaci; somministrare a digiuno. Alcuni dati di studi non verificati indicano che dosi magiori di 1200mg/die possono essere efficaci con effetti secondari tollerabili; l’efficacia di ogni dose non è stata supportata da trial randomizzati controllati.

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Disordini mioneurogeni

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 216. DISORDINI MIONEUROGENI Il normale controllo urinario e della minzione sono il risultato di complesse interazioni della muscolatura liscia, di quella striata, del controllo cerebrale e del sistema nervoso autonomo. La via urinaria è soggetta a disordini congeniti e acquisiti della muscolatura e dell’innervazione (v. anche Cap. 215 ed Enuresi notturna alla voce Disturbi del comportamento nel Cap. 262), che possono provocare un inadeguato controllo urinario, stasi urinaria, infezione, urolitiasi (v. Cap. 221) e danno renale.

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Disordini mioneurogeni

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 216. DISORDINI MIONEUROGENI DISFUNZIONE URETERALE Le alterazioni del muscolo liscio ureterale o dell’innervazione ureterale possono causare dilatazione ureterale, segmentaria o completa, e ostruzione. Tuttavia, il megauretere (grave dilatazione ureterale monolaterale o bilaterale) non provoca ostruzione o reflusso. La dilatazione ureterale con relativa atonia si può sviluppare nel tratto a monte di un difetto segmentario nella trasmissione peristaltica dovuto a mancanza di continuità del muscolo liscio o della propagazione dell’impulso nervoso (segmento adinamico). La prognosi dipende dall’integrità neuromuscolare dell’uretere prossimale. Il trattamento è chirurgico.

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Uropatie ostruttive

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 217. UROPATIE OSTRUTTIVE (Ostruzione urinaria) Alterazioni strutturali o funzionali della via urinaria che impediscono il normale flusso di urina, talvolta provocando una disfunzione renale (nefropatia ostruttiva).

Sommario: Introduzione Eziologia e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

L’uropatia ostruttiva è comune a tutte l’età. L’idronefrosi (la nefropatia che ne consegue) si ritrova al riscontro autoptico in circa il 4% dei pazienti, con eguale distribuzione tra i sessi. L’uropatia ostruttiva è più comune negli uomini > 60 anni a causa dell’aumentata incidenza d’iperplasia prostatica benigna e neoplasia prostatica. Negli USA circa 2 persone su 1000 sono ricoverate in ospedale per uropatia ostruttiva.

Eziologia e fisiopatologia L’uropatia ostruttiva può essere acuta o cronica, parziale o completa e monolaterale o bilaterale. Si può verificare ad ogni livello dai tubuli renali (cilindri, cristalli) fino al meato uretrale esterno (v. Tab. 217-1) e può dar luogo a un aumento della pressione endoluminale, a stasi urinaria, a IVU e a formazione di calcoli. Nel maschio, l’ostruzione uretrale può essere secondaria a iperplasia prostatica benigna, neoplasia prostatica, prostatite cronica con fibrosi, corpo estraneo, contrazione del collo vescicale o a valvole uretrali congenite. Le stenosi uretrali e meatali possono essere acquisite o congenite. Nella donna, le ostruzioni uretrali sono rare, ma possono essere secondarie a neoplasia, terapia radiante, interventi chirurgici o manovre strumentali urologiche (di solito dilatazioni ripetute). La nefropatia ostruttiva (insufficienza renale o lesione tubulo-interstiziale) può essere dovuta a un aumento della pressione intratubulare, a ischemia locale o, spesso, a IVU associata. L’infiltrazione da parte di linfociti T e macrofagi in risposta alla flogosi, la risposta autoimmune alla mucoproteina da reflusso urinario di Tamm-Horsfall e gli ormoni vasoattivi possono svolgere un ruolo nella lesione renale. I reperti istopatologici consistono nella dilatazione dei dotti collettori e dei tubuli distali e nell’atrofia tubulare cronica con un piccolo danno glomerulare. L’uropatia ostruttiva senza dilatazione può verificarsi quando i tumori o la fibrosi retroperitoneale inglobano il sistema collettore, quando l’uropatia ostruttiva è lieve e la funzione renale non è compromessa ed entro 3 giorni dall’insorgenza dell’uropatia ostruttiva, quando il sistema collettore è relativamente non distensibile e meno probabile che si dilati. Nel 2% dei bambini che sviluppano

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Uropatie ostruttive

uropatia ostruttiva sono di solito presenti anomalie congenite della via urinaria.

Sintomi e segni I sintomi e i segni variano in base alla sede, al grado e alla rapidità di insorgenza dell’uropatia ostruttiva. Il dolore è comune, dovuto alla distensione della vescica, del sistema collettore o della capsula renale. Le lesioni dell’uretere superiore o della pelvi renale provocano dolore al fianco o dolenzia, mentre l’ostruzione dell’uretere distale provoca dolore che si può irradiare al testicolo ipsilaterale o alle grandi labbra. Il dolore può essere intenso in caso di ostruzione ureterale completa acuta (p. es., un calcolo ureterale). Una dilatazione acuta provocata da un rene collocato in basso o insorta dopo un carico di liquido (p. es., assunzione di birra, diuresi osmotica da mezzo di contrasto in corso di urografia endovenosa) provoca un dolore intermittente poiché la produzione di urina aumenta fino a un livello maggiore del flusso nella zona dell’ostruzione. Il dolore solitamente è minimo o assente con parziale o lento sviluppo di uropatia ostruttiva (p. es., ostruzione del giunto ureteropelvico, tumore pelvico). In un adulto, un’ostruzione ureteropelvica insospettata può causare idronefrosi. Può essere palpabile una massa nella zona del fianco, particolarmente nell’idronefrosi massiva della prima e della seconda infanzia. L’anuria è fortemente indicativa di uropatia ostruttiva in assenza di shock, sindrome emolitica-uremica o glomerulonefrite rapidamente progressiva. Sebbene la diuresi si possa ridurre in ogni malattia renale, l’anuria si verifica molto spesso nell’uropatia ostruttiva completa bilaterale. Una diuresi normale o una poliuria non escludono un’uropatia ostruttiva parziale. Nonostante una GFR ridotta, nicturia o poliuria possono essere la conseguenza della lesione della capacità del rene di concentrare le urine e del riassorbimento di Na. Con l’uropatia ostruttiva monolaterale e un rene controlaterale normale, la concentrazione plasmatica di creatinina è di solito quasi normale e l’anuria e l’insufficienza renale acuta sono rare. La perdita della funzione renale probabilmente è dovuta a una contrazione vasale o ureterale mediata dall’attivazione del sistema nervoso autonomo. Altri reperti clinici comprendono ipertensione, iperkaliemia secondaria a una forma di acidosi tubulare renale tipo 4 e perdita di sale che predispone a una deplezione di ECF. In un paziente con uropatia ostruttiva di lunga data, l’esame chimico delle urine può essere normale o rivelare la presenza di pochi GB o GR. Tuttavia, un’uropatia ostruttiva completa o parziale bilaterale grave può indurre insufficienza renale acuta o cronica.

Diagnosi L’uropatia ostruttiva dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti con insufficienza renale non spiegata altrimenti. L’anamnesi può essere indicativa di sintomi d’iperplasia prostatica benigna, di pregressa neoplasia o di urolitiasi. La cateterizzazione vescicale dovrebbe essere eseguita inizialmente se vi sono segni di ostruzione del collo vescicale (p. es., dolore sovrapubico, vescica palpabile o insufficienza renale non spiegata in un uomo anziano). Per un’ulteriore indagine di possibili cause e della gravità delle patologie prostatiche e vescicale, viene eseguita la cistouretroscopia insieme con cistouretrografia se si sospetta un’ostruzione uretrale (p. es., stenosi, valvola).

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Uropatie ostruttive

L’ecografia addominale è l’indagine iniziale di scelta in molti pazienti (v. anche le descrizioni delle indagini diagnostiche del sistema urinario nel Cap. 214) poiché evita le potenziali allergie e le complicanze tossiche dei mezzi di contrasto. Tuttavia, la percentuale di falsi positivi è del 25% se si considerano nella diagnosi soltanto i criteri minimi (visualizzazione del sistema collettore). La combinazione di ecografia, rx diretta addome e, se necessario, TC, permette la diagnosi di uropatia ostruttiva in > 90% dei pazienti. L’ecografia-duplex Doppler può di solito diagnosticare l’uropatia ostruttiva monolaterale scoprendo un aumento dell’indice di resistenza (un riflesso dell’incremento delle resistenze vascolari renali) nel rene interessato. Prima dell’urografia, della scintigrafia renale o della cistografia retrograda, il paziente dovrebbe urinare assumendo un diuretico adatto (p. es., furosemide 0,5 mg/kg EV) per verificare il grado dell’idronefrosi e confrontare il ritardo nel tempo di riempimento. L’urografia può identificare la sede dell’uropatia ostruttiva, può scoprire le condizioni associate (p. es., necrosi papillare dei calici frusta da pregressa infezione) e ha una percentuale molto bassa di falsi positivi. Tuttavia, l’urografia è scomoda e richiede mezzo di contrasto. L’urografia è in primo luogo impiegata per evidenziare uropatia ostruttiva quando sono presenti calcoli ramificati, cisti renali o pararenali multiple (ecografia e TC di solito non possono differenziare le cisti o i calcoli dall’idronefrosi), quando la TC non può identificare il livello dell’ostruzione, e quando si sospetta che un’uropatia ostruttiva acuta sia causata da calcoli, escara papillare o coagulo. L’uropatia ostruttiva acuta non può dilatare il sistema collettore, ma, se presente può essere individuata un’ostruzione meccanica (p. es., calcolo). La pielografia anterograda o retrograda è di solito impiegata per risolvere piuttosto che diagnosticare l’uropatia ostruttiva. Tuttavia, un tardivo riempimento può confermare un’anomalia funzionale o anatomica, quando l’anamnesi è fortemente indicativa, sebbene l’idronefrosi possa essere assente. La sola disidratazione può prolungare il tempo di svuotamento. Quando un rene viene giudicato come non funzionante dalla pielografia, può essere studiato mediante scintigrafia per identificare il parenchima renale funzionale. Se le indagini per un dolore lombare o al fianco rilevano idronefrosi senza evidenza di uropatia ostruttiva, si esegue la renografia minzionale non invasiva. Se il renogramma è negativo o equivoco ma il paziente è sintomatico, si deve eseguire uno studio perfusionale pressorio del flusso mediante inserzione percutanea di un catetere nella pelvi renale dilatata, seguita dalla perfusione di liquidi nella pelvi a 10 ml/min. Se è presente uropatia ostruttiva, il marcato aumento della diuresi dovrebbe ritardare il washout del radioisotopo durante la scintigrafia renale, piuttosto che dilatare il sistema collettore all’urografia o aumentare la pressione della pelvi renale a > 22 mm Hg durante la perfusione. Un renogramma o uno studio perfusionale che causi dolore simile a quello inizialmente lamentato dal paziente, è interpretato come positivo. Se lo studio perfusionale è negativo, il dolore probabilmente non riconosce una causa renale. Risultati falsi-positivi e falsi-negativi sono comuni in entrambe le indagini.

Prognosi e terapia Molti casi possono essere corretti; un ritardo nella terapia può provocare un danno renale irreversibile. La prognosi varia a seconda della patologia sottostante responsabile dell’uropatia ostruttiva e della presenza o assenza di IVU. In generale, l’insufficienza renale acuta dovuta a calcolo ureterale è reversibile, con il ristabilimento di un’adeguata funzione renale. Nell’uropatia ostruttiva cronica progressiva, la disfunzione renale può essere parziale o irreversibile. La prognosi per la funzione renale è migliore quando si inizia prontamente una terapia adeguata. file:///F|/sito/merck/sez17/2171962.html (3 of 4)02/09/2004 2.49.42

Uropatie ostruttive

La terapia consiste nella rimozione dell’ostruzione mediante terapia medica (p. es., terapia ormonale per il tumore della prostata), strumentale (p. es., endoscopia, litotripsia) o chirurgica. Se la funzione renale è compromessa, se l’infezione persiste oppure se il dolore è notevole è necessario un pronto drenaggio dell’idronefrosi. Nel caso di grave ostruzione, di infezione o di calcoli (per la terapia, v. anche il Cap. 221) può essere necessario un drenaggio temporaneo. In molti casi può essere usata la tecnica percutanea; l’ostruzione delle basse vie urinarie può richiedere drenaggio con catetere o diversione urinaria. In pazienti selezionati, può essere inserito un catetere uretrale "a coda di maiale" per un drenaggio acuto o a lungo termine. Il trattamento intensivo delle infezioni urinarie e il trattamento dell’insufficienza renale sono imperativi. In un paziente con dolore e renogramma con test al diuretico positivo, si deve prendere in considerazione la terapia chirurgica. Tuttavia, non è necessaria nessuna terapia in un paziente asintomatico con un renogramma con test al diuretico positivo ma funzione renale normale o con un renogramma con test al diuretico negativo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 217-1. CAUSE DI UROPATIA OSTRUTTIVA Meccanismi di ostruzione del lume della via urinaria Cristalli di acido urico (nei tubuli renali) Urolitiasi (pelvi renale o uretere) Coagulo (pelvi renale o uretere) Papille renali (pelvi renale o uretere) Palla micotica (pelvi renale o uretere) Anormalità funzionali o anatomiche Disfunzione della giunzione uretero-pelvica o ureterovescicale, disfunzione del collo vescicale Stenosi: fimosi, stenosi meatale, parafimosi Polipo (uretere) Diverticolo (uretra) Valvola anteriore o posteriore (uretra) Patologia neurologica o farmaci (vescica) Frattura a cavaliere (uretra) Frattura pelvica (uretra) Compressione da masse o processi intrinseci

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Manuale Merck - Tabella

Vasi sanguigni: aneurisma, vaso aberrante, uretere retrocavale, tromboflebite della vena ovarica nel puerperio Tratto GI: morbo di Crohn, diverticolite, ascesso appendicolare, neoplasie (compresa quella pancreatica), ascesso, cisti Retroperitoneo: fibrosi (idiopatica, chirurgica, da farmaci), TBC, sarcoidosi, linfoma, neoplasia metastatica, linfocele, ematoma, lipomatosi pelvica Sistema riproduttivo femminile: gravidanza, prolasso uterino, neoplasia, ascesso, cisti del dotto di Gartner, ascesso salpingo-ovarico Altre: ascesso periuretrale, iperplasia prostatica benigna

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Malattie della prostata

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 218. MALATTIE DELLA PROSTATA PROSTATITE La prostatite acuta batterica è caratterizzata da brividi, iperpiressia, pollachiuria e urgenza minzionale, dolore perineale e lombare, sintomi di vario grado di ostruzione urinaria, disuria o bruciore alla minzione, nicturia, talvolta macroematuria e spesso artralgia e mialgia. La prostata è dolorante, tumefatta e indurita focalmente o diffusamente, ed è solitamente calda se palpata delicatamente nel retto. Gli esami di laboratorio di conferma comprendono piuria all’esame chimico delle urine, urinocoltura positiva e talvolta emocoltura positive. La coltura delle secrezioni prostatiche evidenzia solitamente grandi quantità di batteri patogeni (più comunemente batteri enterici, gram –). Tuttavia, per il rischio di batteriemia, una prostata infiammata in fase acuta non dovrebbe essere massaggiata fino a che non siano stati raggiunti adeguati livelli ematici di un antibiotico appropriato. Poiché solitamente la cistite acuta accompagna immediatamente la prostatite acuta, il batterio patogeno spesso può essere identificato tramite coltura dell’urina raccolta con la minzione. La terapia comprende misure di supporto quali riposo a letto, analgesici, emollienti delle feci e idratazione. La terapia iniziale con fluorochinolonici due volte al dì è di solito efficace e può essere somministrata fino a che non siano noti i risultati colturali e l’antibiogramma. Se vi è una risposta clinica soddisfacente, il trattamento viene continuato per circa 30 gg per prevenire lo sviluppo di una prostatite batterica cronica. Se si sospetta una sepsi, dovrebbero essere somministrati EV antibiotici ad ampio spettro che coprano batteri gram – e gram + (p. es., una combinazione di ampicillina e gentamicina) fino a quando non siano noti i risultati dell’antibiogramma. Se la risposta clinica è adeguata, il paziente continua la terapia EV finché diventa afebbrile per 24-48 h e in seguito viene convertito alla terapia orale. In caso di ritenzione urinaria acuta è preferibile l’attuazione di una cistostomia sovrapubica per drenare la vescica anziché il posizionamento di un catetere uretrale (per il pericolo di batteriemia). Raramente, si sviluppa un ascesso prostatico che di solito si deve trattare per via chirurgica. La prostatite batterica cronica ha una sintomatologia variabile, ma la caratteristica sono le IVU recidivanti dovute allo stesso germe patogeno delle secrezioni prostatiche. Alcuni pazienti sono asintomatici tranne che per la batteriuria, che recidiva tra un ciclo e l’altro di antibiotici. La maggior parte dei pazienti, comunque, ha dolore perineale e lombare, pollachiuria, urgenza minzionale e stranguria. Il coinvolgimento del contenuto scrotale provoca un intenso fastidio localizzato, tumefazione, eritema e grave dolorabilità alla palpazione (v. Epididimite nel Cap. 219). Alla palpazione rettale, la prostata può essere moderatamente dolente e irregolarmente indurita o molliccia, ma questi non sono reperti specifici. Le secrezioni possono essere abbondanti. Possono essere identificati numerosi GB, spesso in ampie aggregazioni e macrofagi carichi di lipidi (corpi grassi ovali), ma il numero di GB non permette di differenziare la prostatite batterica da quella non batterica. I batteri gram – sono la causa più comune, ma anche gli enterococci e le chlamidie sono stati associati a infezione cronica. La terapia orale con fluorochinolonici è più efficace del trimethoprim-sulfametossazolo ed è di solito somministrata bid per 4-12 sett. La prostatite batterica cronica spesso recidiva e generalmente è trattata con un secondo ciclo di antibiotici. Un fluorochinolonico costituisce la terapia di scelta. La prostatite non batterica cronica è perfino più frequente della prostatite batterica. La causa è sconosciuta. I sintomi simulano quelli della prostatite file:///F|/sito/merck/sez17/2181966.html (1 of 2)02/09/2004 2.49.43

Malattie della prostata

batterica cronica; i GB e i corpi grassi ovali sono solitamente aumentati nelle secrezioni batteriche. Tuttavia, una storia di IVU è rara. Si richiedono colture di localizzazione nel tratto inferiore della via urinaria di secrezioni uretrali, vescicali e prostatiche per la diagnosi per escludere un batterio patogeno. Semicupi caldi, farmaci anticolinergici e massaggio prostatico periodico forniscono un qualche sollievo (specialmente nella prostatite congestizia). Gli antibiotici non risolvono la sintomatologia, ma i FANS possono essere utili. La prostatodinia è una condizione di natura non infettiva, né infiammatoria di uomini giovani. I sintomi mimano quelli della prostatite. Di solito, non sono presenti segni di infezione o infiammazione all’esame delle urine o delle secrezioni prostatiche. La terapia è empirica e palliativa. La vesciculite seminale (infiammazione delle vescicole seminali) può causare dolore ed emospermia. Quest’infezione, poco comune, è impossibile da diagnosticare con le tecniche colturali. Raramente l’ecografia transrettale consente l’aspirazione, che conferma le vescicole seminali quali fonte dell’emospermia. La terapia è palliativa.

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE DISORDINI DELLO SCROTO EPIDIDIMITE

Sommario: Introduzione Terapia

L’orchi-epididimite (infiammazione dell’epididimo e del testicolo) può essere una complicanza di IVU con prostatite o uretrite, una sequela della gonorrea, una complicanza di intervento chirurgico sulla prostata o un risultato di un’infezione secondaria a un catetere a permanenza. Si presenta come una tumefazione dolorosa, dolente alla palpazione con edema scrotale ed eritema. Di solito sono coinvolti batteri gram – e Chlamydia trachomatis. L’epididimite tubercolare, la gomma luetica e le patologie micotiche (actinomicosi, blastomicosi) attualmente sono rare negli USA, con l’eccezione dei pazienti immunocompromessi (p. es., HIV). L’epididimite batterica acuta è di solito una complicanza della batteriuria, dell’uretrite o della prostatite batterica e può essere monolaterale o bilaterale. È caratterizzata da febbre, dolore e rigonfiamento scrotale. L’esame obiettivo rivela tumefazione, indurimento, eritema e dolorabilità marcata di una porzione o di tutto l’epididimo interessato e a volte del testicolo adiacente. Quando l’infiammazione interessa il dotto deferente, ne deriva una deferentite; quando invece sono interessate anche le strutture dell’intero cordone spermatico, la diagnosi è quella di funiculite. L’organismo infettante può di solito venire identificato mediante urinocoltura. Negli uomini < 35 anni, la maggior parte dei casi è dovuta a un’infezione da patogeni trasmessi per via sessuale, soprattutto Neisseria gonorrhoeae e C. tracomatis. La maggior parte di questi uomini ha un’uretrite dimostrabile. Nella diagnosi differenziale bisogna considerare la torsione del testicolo (v. Disordini Renali e Genitourinari nel Cap. 261) nei pazienti di età < 30 anni. Negli uomini di età > 35 anni, la maggior parte dei casi è dovuta a batteri coliformi gram –. Questi uomini hanno piuria, urina infetta e anormalità urologiche oppure sono stati recentemente sottoposti a procedure urologiche. È indicata una valutazione genitourinaria. L’epididimite e l’orchi-epididimite non batterica hanno un’eziologia sconosciuta ma non sono rare. Esse possono essere secondarie a spandimento retrogrado. L’esame dell’urina è spesso normale e le colture urinarie del liquido prostatico sono negative. I sintomi sono simili a quelli dell’epididimite batterica.

Terapia Il trattamento consiste nel riposo a letto, elevazione scrotale, impacchi ghiacciati sullo scroto, analgesici e terapia antimicrobica per 7-10 giorni. Se si sospetta una sepsi, può essere utile la somministrazione parenterale di un aminoglicoside o di una cefalosporina di terza generazione, fino a che non siano noti l’organismo infettante e l’antibiogramma. Gli esami colturali sono importanti per stabilire se la terapia è adeguata. A meno di un ascesso, di un piocele o di un infarto file:///F|/sito/merck/sez17/2191970.html (1 of 2)02/09/2004 2.49.44

Malattie dell’apparato genitale maschile

testicolare, non è generalmente richiesto il drenaggio chirurgico. In generale, è indicata una completa valutazione urologica; tuttavia, i pazienti con epididimite trasmessa per via sessuale raramente necessitano di una valutazione anatomica. L’epididimite batterica ricorrente, secondaria a uretrite cronica o prostatite incurabili, occasionalmente può essere prevenuta dalla legatura del deferente (vasectomia). Talvolta, l’epididimite cronica richiede un’epididimectomia per la risoluzione dei sintomi, sebbene in alcuni pazienti possa persistere un forte disagio. I pazienti che devono portare un catetere uretrale a permanenza sono predisposti a sviluppare epididimite ricorrente e orchi-epididimite. Si dovrebbe prendere in considerazione la vasectomia profilattica bilaterale nei pazienti con episodi ricorrenti per anomalie strutturali. Possono essere utili il posizionamento di una cistostomia sovrapubica o l’istituzione di un regime di autocateterizzazione. Il trattamento dell’epididimite non batterica è simile, salvo per il fatto che la terapia antimicrobica non è efficace. Il blocco nervoso del cordone spermatico con una soluzione anestetica locale può fornire un sollievo sintomatologico.

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE Le anormalità dei genitali esterni maschili creano un disagio psicologico e talvolta sono gravi (v. Pene e Uretra e Testicoli e Scroto alla voce Anomalie Renali e Genitourinarie nel Cap. 261).

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE DISORDINI DEL PENE (v. anche Cap. 164 e Neoplasia del Pene nel Cap. 233) La balanopostite (infiammazione generalizzata del glande e del prepuzio) è frequentemente causata da infezioni batteriche e micotiche sotto il prepuzio del maschio non circonciso. Tale infiammazione predispone a stenosi meatale, fimosi, parafimosi e neoplasie. La balanopostite è di solito diagnosticata all’esame obiettivo da un esaminatore esperto. La malattia viene trattata con un miglioramento dell’igiene personale e, talvolta, con farmaci antimicotici. La circoncisione può essere indicata nelle complicanze o nei casi recidivanti o resistenti alla terapia. La balanitis xerotica obliterans è un’area indurita e pallida vicino alla punta del glande, che circonda il meato e spesso provoca stenosi. È la conseguenza di un’infiammazione cronica. Si possono utilizzare farmaci antibatterici topici e antiinfiammatori. Nei casi gravi può essere indicata la meatotomia o una plastica chirurgica riparativa (meatoplastica). L’eritroplasia di Queyrat, è un’area ben circoscritta, di pigmentazione vellutatarossastra, che si trova di solito sul glande o sulla corona. Solitamente si verifica in uomini non circoncisi. Questa lesione precancerosa può essere istologicamente identica alla malattia di Bowen ma è in grado di diffondersi solo localmente. Si dovrebbe prendere in considerazione l’esame bioptico; la terapia consiste nell’applicazione del fluorouracile 5% in crema, nell’escissione locale o nella laser terapia. È indicato un attento follow-up. Altre rare lesioni peniene comprendono quelle dovute a TBC, le malattie micotiche del pene e l’herpes zoster.

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

NEOPLASIA DEL PENE Il carcinoma del pene di solito si verifica in maschi non circoncisi che praticano una scarsa igiene locale. L’Human papillomavirus, in particolare i tipi 16 e 18, può svolgere un ruolo in alcuni casi. Lesioni precancerose con differenti presentazioni cliniche sono state descritte, vale a dire, l’eritroplasia di Queyrat, il morbo di Bowen e papulosi bowenoide. L’eritroplasia di Queyrat e il morbo di Bowen evolvono verso carcinoma squamoso invasivo nel 5-10% dei pazienti, ma ciò non è stato riportato nella papulosi bowenoide. Queste tre lesioni sono dal punto di vista istologico praticamente le stesse e possono essere più adatti i termini neoplasia intraepiteliale o carcinoma in situ. La maggior parte dei carcinomi squamosi origina nel glande, nel solco coronale o al di sotto del prepuzio. Sono fungiformi ed esofitici o ulcerati e infiltranti. Questi ultimi metastatizzano più comunemente dei primi, di solito ai linfonodi inguinofemorali superficiali e profondi e pelvici. La circoncisione o la rimozione con laser possono essere efficaci per le lesioni iniziali, ma la penectomia totale, spesso con linfoadenectomia ileoinguinale, è necessaria per le lesioni più grandi. La penectomia parziale è appropriata se il tumore può essere escisso completamente con margini adeguati, lasciando un moncone penieno che permetta una minzione soddisfacente; questi pazienti possono avere le funzioni sessuali. Il ruolo della radioterapia è controverso. La chemioterapia per la malattia in fase avanzata ha avuto un successo limitato.

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE DISORDINI DEL PENE PRIAPISMO Erezione dolorosa, persistente e anomala, non accompagnata da desiderio sessuale o da eccitazione.

Sommario: Introduzione Prognosi e terapia

I meccanismi del priapismo sono poco conosciuti, ma probabilmente coinvolgono un insieme di anormalità vascolari e neurologiche. Come causa più frequente viene indicata la trombosi vascolare pelvica. Il priapismo può essere secondario a una prolungata attività sessuale; a leucemia, ad anemia drepanocitica o ad altre discrasie ematologiche; a ematoma o neoplasia pelvica; a malattie cerebrospinali (p. es., sifilide o neoplasia); a infezione e infiammazione genitale (p. es., prostatite, uretrite o cistite), specialmente se complicate da calcoli vescicali. Diversi farmaci possono provocare priapismo (p. es., trazodone; clorpromazina; metaqualone; prazosina; tolmatamide; alcuni antiipertensivi, anticoagulanti e i corticosteroidi). Un’altra causa può essere la terapia iniettiva per disfunzioni dell’erezione (v. Cap. 220). I corpi cavernosi raramente sono del tutto trombizzati e, solitamente, contengono soltanto sangue venoso scuro, denso come l’olio per motori. Non sono invece interessati il corpo spongioso e il glande del pene.

Prognosi e terapia La prognosi per il recupero della funzione sessuale non è favorevole, a meno che il trattamento non sia pronto ed efficace. Il trattamento, generalmente, è difficoltoso e qualche volta privo di successo. Gli estrogeni sono inefficaci. Alcuni casi (specialmente quelli dovuti alla terapia della disfunzione erettile) rispondono a farmaci vasoattivi somministrati direttamente nei corpi. Il priapismo neurologico può essere alleviato con l’anestesia caudale o spinale continua. I corpi cavernosi possono essere decompressi tramite l’introduzione di aghi di grosso calibro (12 o 16 gauce) con svuotamento e irrigazione, anche se di solito la tumescenza recidiva. La creazione di una fistola tra il glande e il corpo cavernoso con un ago da biopsia ha dato buoni risultati. La derivazione semipermanente tramite uno shunt con la vena safena da uno o entrambi i corpi cavernosi o uno shunt cavernoso-spongioso può dare una detumescenza per un lasso di tempo tale da permettere di ristabilire una circolazione pelvica normale. Si devono trattare le cause sottostanti, come la terapia medica per la malattia drepanocitica, che possono essere efficaci nel risolvere il priapismo.

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Malattie dell’apparato genitale maschile

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE DISORDINI DEL PENE MALATTIA DI PEYRONIE Fibrosi delle guaine cavernose che comporta retrazione della fascia di rivestimento dei corpi cavernosi, non diversamente dalla retrazione di Dupuytren, che dà luogo a un’erezione deviata e dolorosa. L’eziologia è sconosciuta. La malattia si presenta nei maschi. La retrazione provoca solitamente la deviazione del pene eretto verso il lato interessato, talvolta provoca erezioni dolorose e frequentemente impedisce la penetrazione. Il processo fibrotico può avanzare nel corpo cavernoso, compromettendo la tumescenza distalmente. Si può verificare una risoluzione spontanea nel giro di molti mesi. Una forma minore di malattia di Peyronie, che non causi disfunzione sessuale, non necessita di terapia. I risultati del trattamento non sono prevedibili. L’ablazione chirurgica della placca fibrotica e la sua sostituzione con un impianto può avere un buon esito così come può causare un’ulteriore deturpazione e un aggravamento del difetto. Le iniezioni locali di verapamile e corticosteroidi ad alto potere antiinfiammatorio possono essere efficaci, ma non lo è l’assunzione orale di corticosteroidi. Per assicurare la potenza sessuale, può essere impiantata una protesi.

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE DISORDINI DELLO SCROTO (V. anche Complicanze alla voce Parotite epidemica in Infezioni Virali nel Cap. 265.) Le patologie scrotali possono essere dovute all’infiammazione della parete o del suo contenuto, a trauma (v. oltre), a neoplasie del testicolo o dei suoi annessi (v. Cap. 233) o a disturbi meccanici che coinvolgono il contenuto scrotale o le strutture adiacenti (v. Torsione testicolare in Difetti Renali e Genitourinari nel Cap. 261). Gli ascessi scrotali possono complicare l’orchi-epididimite (v. oltre, alla voce Epididimite,), specialmente quando si ritarda la terapia. Alcuni ascessi si drenano spontaneamente, ma molti richiedono la terapia chirurgica, di solito orchiectomia con drenaggio. La stenosi uretrale e il diverticolo possono essere accompagnati dalla formazione di ascessi con tumefazione dello scroto, dolore, eritema e spandimento di urina nello scroto e nel perineo. Sono spesso indicati l’incisione e il drenaggio e anche gli antibiotici, ma la diversione urinaria mediante cistostomia sovrapubica è necessaria solo nei casi più gravi con presenza di ascesso. Le stenosi persistenti di solito possono essere trattate con successo mediante dilatazione o endoscopia (uretrotomia interna). In casi difficili o recidivanti, può essere collocata per via endoscopica un’endoprotesi permanente. Talvolta è indicata la chirurgia a cielo aperto. L’idrocele, frequente causa di tumefazione scrotale, è il risultato di un accumulo eccessivo di fluido sterile dentro la tonaca vaginale dovuto a iperproduzione (infiammazione del testicolo o dei suoi annessi) o a diminuito riassorbimento (ostruzione linfatica o venosa nel funicolo o nello spazio retroperitoneale). Di solito, si presenta come una tumefazione scrotale non dolente che può essere transilluminata. Alcuni uomini hanno dolore o fastidio a causa del suo effetto massa. In molti casi non vi sono segni di flogosi; tuttavia, l’idrocele infiammatorio con epididimite può essere doloroso. L’idrocele può essere congenito. Il trattamento di un idrocele persistente, sintomatico, è chirurgico (idrocelectomia). L’aspirazione è una misura temporanea, ma associata a iniezione di farmaci sclerosanti può essere risolutiva. Con l’aspirazione vi è il rischio di un’infezione secondaria. Il piocele dello scroto non è sterile e di solito rappresenta una complicanza di una grave epididimite (v. oltre). L’ematocele (raccolta di sangue nella tonaca vaginale) è di solito secondario a trauma. A differenza dell’idrocele, è una tumefazione dolente e non è transilluminabile. Il trattamento è chirurgico, se l’ematocele è cospicuo e non si riassorbe con il trattamento conservativo o se è associato a lacerazione della tonaca albuginea. Lo spermatocele (cisti spermatica) di solito si presenta al polo superiore del testicolo, in prossimità dell’epididimo, come una massa cistica dello scroto. Un voluminoso spermatocele può essere difficile da differenziare da un idrocele, che anche è cistico, non dolente e transilluminabile. L’ecografia può aiutare nella diagnosi. La rimozione chirurgica è indicata nel caso in cui aumenti di volume e

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Malattie dell’apparato genitale maschile

sia fastidioso per il paziente. L’ernia inguinale può estendersi fino alla cavità scrotale. L’ernia deve essere differenziata dall’idrocele o dall’ematocele. Nel caso di ernia inguinale, non si riesce a palpare il funicolo sopra la massa mentre, in presenza di idrocele o di ematocele, le normali strutture funicolari sono di solito palpabili al di sopra della massa. La massa spesso può essere ridotta quando il paziente giace supino. Per definizione, un’ernia inguinale congenita comprende un idrocele (dotto vaginale persistente). Si raccomanda l’intervento chirurgico, poiché l’ernia può progredire e può andare incontro a intasamento e strozzamento. Il varicocele (insieme di vene ectasiche di solito nell’emiscroto Sx apprezzabili palpatoriamente come un "pacchetto di vermi") è visibile in ortostatismo e dovrebbe svuotarsi in clinostatismo. L’intervento chirurgico può essere indicato nel trattamento dell’infertilità associata (v. Cap. 245) o nel varicocele sintomatico (p. es., in caso di presenza di dolore o di una sensazione di pesantezza scrotale). Il linfedema dello scroto può essere causato da compressione venosa o linfatica addominale, da un tumore intra-addominale, da cirrosi con ascite, da filariasi o dalla malattia di Milroy (linfedema idiopatico). Si presenta come una tumefazione non dolente del sacco scrotale. Il trattamento consiste in un sospensorio scrotale, sebbene nei casi gravi possano rendersi necessarie resezione e scrotoplastica.

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Malattie dell’apparato genitale maschile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 219. MALATTIE DELL’APPARATO GENITALE MASCHILE TRAUMI DELL’APPARATO GENITALE Sebbene possano verificarsi lesioni penetranti e perforanti del pene o dello scroto, quelle più gravi sono per lo più causate da traumi da schiacciamento e da avulsione della cute o dei genitali. I traumi testicolari, per esempio, sono generalmente secondari a colpi in corso di combattimenti fisici (p. es., un calcio). Le lesioni da strappamento possono verificarsi tra i lavoratori dell’industria e i braccianti, quando gli indumenti vengono intrappolati nei macchinari. L’avulsione del pene può verificarsi in seguito all’uso di vari strumenti (p. es., anelli penieni, accessori di aspirapolveri) o a traumi eccessivi durante rapporti sessuali. La cute avulsa dovrebbe essere conservata, raffreddata e reinnestata il più presto possibile. Lo sbrigliamento deve essere conservativo. Può essere necessario un trapianto di cute. Anche se il pene è completamente sezionato, può essere riattaccato con successo. Quando vi è avulsione dell’intero scroto, il trattamento prevede l’affondamento, se possibile, dei testicoli sotto la cute della coscia o del basso addome, nella speranza di mantenere la spermatogenesi e la funzione ormonale. Questo tipo di intervento chirurgico è di solito possibile poiché l’apporto ematico al testicolo è differente da quello della cute dei genitali, ma soltanto se il funicolo spermatico è intatto. Ferite da armi da fuoco e altre lesioni penetranti richiedono sbrigliamento e drenaggio. Piccoli ematomi ed ematoceli possono essere causati da traumi esterni dello scroto e possono venire trattati in modo conservativo, mentre la rottura della tonaca albuginea di solito richiede una pronta esplorazione e una riparazione chirurgica.

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Disfunzione erettile

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 220. DISFUNZIONE ERETTILE (Impotenza) L’incapacità di ottenere o mantenere un’erezione soddisfacente per il coito.

Sommario: Introduzione Eziologia Diagnosi Terapia

Il termine impotenza è stato sostituito da quello meno dispregiativo di disfunzione erettile. Si stima che negli USA ne siano affetti da 10 a 20 milioni di uomini di età > 18 anni. La prevalenza è del 52% negli uomini tra i 40 e i 70 anni di età e aumenta con essa. Tuttavia, gli uomini possono godere dell’attività sessuale per tutta la durata della vita; sebbene la quantità e la forza dell’eiaculato e della tensione muscolare diminuisca, la disfunzione erettile non è inevitabile con l’invecchiamento, anche nei settantenni e ottantenni.

Eziologia Raramente la disfunzione erettile è primaria (l’uomo non è mai stato in grado di ottenere o sostenere erezioni), che è quasi sempre dovuta a fattori psicologici (senso di colpa sessuale, paura dell’intimità, depressione, grave stato o ansioso) e meno frequentemente dovuta a fattori biologici (di solito associata a bassi livelli di testosterone che riflettono disordini dell’asse ipotalamo-ipofisirio-gonadico). La disfunzione erettile secondaria si verifica quando un uomo che precedentemente poteva ottenere e sostenere erezioni, non è più in grado di farlo. Più del 90% di questi casi è di natura organica. La principale causa di disfunzione erettile è vascolare; altre ampie categorie patogenetiche comprendono disordini ormonali, l’uso di farmaci e malattie neurologiche. Una disfunzione erettile transitoria di qualunque eziologia può provocare difficoltà psicologiche secondarie che confondono il problema. La disfunzione erettile può essere legata alla situazione, che coinvolge un luogo, un particolare partner, alcuni fallimenti percepiti come competitivi o deficit dell’autostima. Non si possono trascurare i fattori psicologici che possono accompagnare patologie organiche e si devono sempre considerare. Questi possono essere la causa o la conseguenza della disfunzione erettile. Patologie vascolari: i principali tipi di problemi vascolari che possono dar luogo a una disfunzione erettile, sono la malattia aterosclerotica delle arterie peniene, l’inadeguata impedenza del deflusso venoso (fughe venose) o una combinazione di entrambe. Con l’età e le malattie sottostanti (p. es., aterosclerosi, ipertensione), la dilatazione dei vasi arteriosi e il rilasciamento dei muscoli lisci decresce, diminuendo la quantità di sangue che entra nel pene. Le fughe venose rendono difficoltoso per il sangue rimanere nel pene durante l’erezione. Le patologie che accelerano l’aterosclerosi (p. es., diabete, fumo, ipertensione) aumentano la prevalenza della disfunzione erettile. Le nuove conoscenze di alcuni dei regolatori del tono vascolare (p. es., ossido nitrico) possono condurre file:///F|/sito/merck/sez17/2201971.html (1 of 3)02/09/2004 2.50.13

Disfunzione erettile

alle future terapie. Patologie ormonali: problemi ormonali (p. es., prolattina elevata, ipotiroidismo e ipertiroidismo, sindrome di Cushing) possono causare disfunzione erettili. Sebbene l’ipogonadismo (testosterone basso e bassa biodisponibilità di testosterone) sia associato a una diminuzione della libido, il legame tra testosterone e capacità erettile non è chiaro. Farmaci: i farmaci sono responsabili di circa il 25% dei casi (v. Tab. 220-1). Malattie neurologiche: le malattie neurologiche (p. es., accidente cerebrovascolare, epilessia del lobo temporale, patologia sensoriale e del sistema nervoso autonomo, lesioni del midollo spinale) sono spesso correlate in maniera causale alla disfunzione erettile. Il 40% degli uomini sottoposti a resezione transuretrale della prostata, va incontro a problemi erettili. Resezioni chirurgiche della prostata più estese possono essere associate a una più elevata prevalenza di disfunzione erettile. Anche l’eiaculazione retrograda (il liquido prostatico che inverte il flusso verso la vescica) è conseguenza frequente della resezione transuretrale della prostata.

Diagnosi Una valutazione medica generale comprende un’anamnesi positiva per assunzione di farmaci, alcol, fumo, diabete, ipertensione e aterosclerosi; l’esame dei genitali per la ricerca di bande o placche fibrose (malattie di Peyronie) e la valutazioni di segni di patologie vascolari, ormonali o neurologiche. Le indagini di laboratorio dovrebbero comprendere la misurazione del glucoso plasmatico, della funzione tiroidea e del testosterone sierico (totale e biodisponibile [testosterone non legato globulina legante l’ormone sessuale]). I livelli dell’ormone luteinizzante, dell’ormone follicolo stimolante e della prolattina possono essere utili; è difficile porre correttamente la diagnosi di ipogonadismo soltanto con la concentrazione di testosterone totale. Quando l’eziologia è incerta, può essere di un qualche aiuto il test della tumescenza peniena notturna (Nocturnal Penile Tumescence, NPT) ma di solito non nei pazienti anziani, che possono avere NPT anormale ma erezioni valide o NPT normale ma erezioni non valide. Episodi di NPT spesso accompagnano i movimenti rapidi degli occhi del sonno (Rapid Eye Movement, REM). Il paziente può essere monitorato per le erezioni notturne in uno speciale laboratorio del sonno. L’assenza di erezioni notturne sta fortemente a indicare una base organica. Tuttavia, la presenza di erezioni notturne non necessariamente indica la presenza di erezioni valide da svegli. Può essere utile valutare gli indici vascolari. Per esempio, l’indice di pressione penieno-brachiale (la PA sistolica nel pene diviso la PA sistolica nel braccio) può indicare il rischio di un altro evento vascolare principale (p. es., ictus, IMA), anche in pazienti asintomatici. È vitale vagliare la presenza di depressione, che non sempre può essere palese. Negli uomini anziani, la "Beck Depression Scale" o la "Yesavage Geriatric Depression Scale" sono semplici e facili da effettuare. Si devono studiare anche le relazioni personali. Se è presente un conflitto o la comunicazione con un partner è difficile, può essere d’aiuto una consulenza psicologica.

Terapia Nei casi in cui si trova una causa (p. es., prolattinoma, ipotiroidismo), la terapia

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Disfunzione erettile

deve essere diretta contro la patologia sottostante. La rassicurazione dopo un attento esame obiettivo e i necessari esami di laboratorio sono un primo fondamentale passo. L’istruzione è importante per dissipare i falsi miti e la cattiva informazione. Si deve fare ogni sforzo per coinvolgere la partner del paziente. Si dovrebbero presentare al paziente opzioni appropriate in modo che lui e la sua partner possano scegliere quella di loro preferenza. Un anello costrittivo, che può essere di metallo o di plastica o una fascia di cuoio con fibbia (come quelli venduti nei sexy-shop), aiutano i pazienti con fughe venose. Tuttavia, questi anelli sono inutili se il paziente non ha un’erezione. La terapia delle disfunzioni organiche può prevedere l’impiego del sistema vacuum, un dispositivo a forma di ampolla che usa la pressione negativa per convogliare sangue nel pene, con una fascia o anello collocato alla base del pene per mantenere l’erezione; può essere adatto a pazienti con una relazione stabile che hanno rapporti una o due volte a sett. Una contusione ecchimotica del pene, punta del pene fredda o mancanza di spontaneità sono alcuni svantaggi di questa metodica. La terapia iniettiva peniena impiegando alprostadil (PGE1) può dare luogo a un’erezione con una durata media di circa 60 min. I rischi comprendono ematoma del pene, sanguinamento nel pene e priapismo (v. Cap. 219). La quantità di materiale iniettato dovrebbe essere dosata dal medico al livello adatto a minimizzare il priapismo; il paziente può quindi effettuare l’autoiniezione a casa. L’incidenza di priapismo è inferiore con PGE1 intrauretrale che con iniezioni peniene. Il sildenafil è un farmaco orale messo in commercio recentemente. Promuove l’erezione potenziando l’effetto dell’ossido nitrico sulla muscolatura liscia vasale, aumentando così il flusso ematico verso il pene. Crea una risposta erettile più normale poiché funziona soltanto in un concomitante contesto sessuale. Il farmaco deve essere preso 30-60 min prima del rapporto ed è controindicato in persone che assumono nitrati; causa cefalea in circa il 16% dei consumatori. La terapia chirurgica per il posizionamento di una protesi peniena può far ristabilire l’erezione ma implica il rischio dell’anestesia, di infezione e di malfunzionamenti della protesi. In alcuni studi, non è stata dimostrata la superiorità della terapia farmacologica con l’ α-bloccante yohimbina rispetto al placebo. Si è dimostrato efficace nella disfunzione erettile psicogena; tuttavia, l’ipertensione e le alterazioni epatiche rendono il suo impiego non ideale. La terapia con testosterone per l’ipogonadismo può provocare marcati miglioramenti nella libido. Le formulazioni di testosterone iniettive o transdermiche sono preferibili alle formulazioni orali, che comportano un significativo rischio di disfunzione epatica. Gli effetti sfavorevoli possono comprendere policitemia (e aumentato rischio di ictus), ginecomastia, aumento della prostata e ritenzione di Na e acqua. L’Htc deve essere esaminato per lo meno ogni 3 mesi e devono essere effettuati periodicamente l’esame della prostata, la determinazione dell’antigene prostatico specifico e gli esami di funzionalità epatica. Se l’ematocrito è 54%, il testosterone deve essere interrotto o il paziente deve sottoporsi a salassi se desidera continuarlo. La terapia comportamentale e le altre terapia per l’ansia e la depressione e una consulenza psicologica per disfunzioni relazionali devono essere parte della terapia. Si devono prendere in considerazione le problematiche del partner (p. es., vaginite atrofica, sesso sicuro). La disfunzione erettile non è inevitabile o inalterabile.

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Manuale Merck - Tabella

220-1. ALCUNI FARMACI CHE POSSONO CAUSARE DISFUNZIONE ERETTILE Classe

Farmaci

Antiipertensivi Farmaci ad azione centrale

Clonidina, alcaloide della Rauwolfia

Diuretici

Tutti i tiazidici, probabilmente i diuretici dell’ansa, spironolattone

Bloccanti dei gangli

Esametonio, trimetofan

Bloccanti adrenergici

Guanetidina, propanololo

Falsi trasmettitori

Metildopa

Psicotropi

Inibitori della monoaminaossidasi, triciclici, fenotiazine, benzodiazepine

Depressori del SNC

Sedativi, narcotici, ansiolitici, alcol, oppiacei, cocaina

Varie

Bloccanti colinergici ad alte dosi, estrogeni, cimetidina, farmaci antineoplastici

Adattata da Dale DC, Federman DD: Scientific American Medicine. New York, Scientific American Inc., 1997, 3:II:11.

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Calcolosi urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 221. CALCOLOSI URINARIA (Nefrolitiasi; urolitiasi)

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Profilassi Terapia

Negli USA, circa 1 adulto su 1000 viene ricoverato ogni anno per calcolosi urinaria, che si ritrova anche nell’1% di tutti gli esami autoptici. I calcoli variano di dimensione e vanno dai nuclei cristallini microscopici fino a calcoli di diversi centimetri di diametro. Un calcolo grande, quale un calcolo a corna di cervo, può prendere una forma tale da riempire virtualmente un intero sistema caliceale renale.

Eziologia e patogenesi Negli USA circa l’80% dei calcoli è composto di Ca, principalmente ossalato di calcio; il 5% è di acido urico; il 2% di cistina; il rimanente è di fosfato di ammonio e magnesio (struvite o calcoli "da infezione"). Circa il 5% dei pazienti che forma calcoli di ossalato di calcio ha un iperparatiroidismo primario. Altre cause meno frequenti sono la sarcoidosi, l’intossicazione di vitamina D, l’ipertiroidismo, l’acidosi tubulare renale, il mieloma multiplo, il cancro metastatizzato e l’iperossaluria primaria. Calcoli di acido urico si sviluppano con l’aumento dell’acidità urinaria, che cristallizza l’acido urico indissociato. Calcoli di cistina sono diagnostici di cistinuria (v. Anomalie nel Trasporto Renale nel Cap. 261). Calcoli di fosfato di ammonio magnesico (struvite) indicano la presenza di una IVU causata da batteri che decompongono l’urea. I calcoli devono essere trattati come corpi estranei infetti. Diversamente da altri tipi di calcoli, quelli di fosfato di ammonio magnesico si ritrovano principalmente nelle donne. La patogenesi è in relazione a fattori che incrementano la sovrasaturazione delle urine per i sali che formano calcoli (p. es., iperescrezione di sali, urine acide o una diuresi ridotta); a nuclei preformati (p. es., i cristalli di acido urico e altri calcoli) e a un’anormale quantità di inibitori della crescita dei cristalli. L’ipercalciuria idiopatica (Ca urinario > 300 mg/die [> 7,5 mmol/die] negli uomini, > 250 mg/die [> 6,2 mmol/die] nelle donne) è ereditaria. È presente nel 50% degli uomini e nel 75% delle donne che formano calcoli di Ca ed è il principale fattore di rischio di calcolosi calcica negli USA. L’ipocitruria (citrato urinario < 350 mg/die [< 1820 µmol/die]) da sola o con altre alterazioni favorisce la formazione di calcoli poiché il citrato normalmente si lega al Ca urinario come sale solubile di calcio citrato. L’iperossaluria (ossalato urinario > 40 mg/die [> 440 µmol/die]) può essere primaria o causata da un’eccessiva ingestione di cibi contenenti ossalato (p. es., rabarbaro, spinaci, cacao, noccioline, pepe, tè) o da un eccessivo riassorbimento

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Calcolosi urinaria

di ossalati dovuto a diverse malattie intestinali (p. es., sindrome da eccessiva crescita batterica, pancreatite cronica o patologia biliare) o a chirurgia del tratto ileodigiunale. La storia clinica e la quantità di ossalato nelle urine potranno aiutare a determinarne la causa. Nell’iperuricosuria (acido urico urinario > 750 mg/die [> 4 mmol/die] nelle donne o > 800 mg/die [> 5 mmol/die] negli uomini), i cristalli di acido urico forniscono un nucleo sul quale i cristalli di ossalato di calcio possono orientarsi e accrescersi. In questi pazienti, possono formarsi calcoli che sembrano essere calcoli puri di Ca o calcoli misti di Ca e acido urico poiché il nucleo di acido urico non è valutabile con i comuni esami di laboratorio. L’iperuricosuria è quasi sempre dovuta a un’assunzione eccessiva di purine (nella carne, pesce e pollame).

Sintomi e segni Sebbene molti siano asintomatici, i calcoli di solito provocano dolore, sanguinamento, ostruzione e infezione secondaria. Si può avere dolore dorsale o colica renale quando i calcoli ostruiscono uno o più calici, la pelvi renale oppure l’uretere. La colica renale è tipicamente lancinante e intermittente; origina solitamente al fianco o nella regione renale e si irradia attraverso l’addome lungo il decorso dell’uretere, frequentemente nella regione genitale e nel lato interno della coscia. I calcoli vescicali possono provocare dolore sovrapubico. I sintomi GI (nausea, vomito, distensione addominale, il quadro clinico di ileo) possono dissimulare l’origine urinaria. Brividi, febbre, ematuria e pollachiuria sono frequenti, particolarmente quando un calcolo scende nell’uretere. Il rene interessato può momentaneamente non funzionare nella colica renale acuta dovuta a calcolo ureterale, anche dopo che il calcolo è passato spontaneamente.

Diagnosi Il paziente con un singolo calcolo di Ca richiede una valutazione limitata (p. es., misurazione della concentrazione del Ca plasmatico in due occasioni per ricercare un iperparatiroidismo, un aumento dell’assunzione di liquidi > 2 l/die, un’urografia per ricercare anomalie anatomiche quali rene a spugna midollare). Un’attenta anamnesi del regime alimentare per ricercare fattori predisponenti reversibili (p. es., dieta iperproteica, supplementi di vitamina C o D) può essere d’aiuto. Un’estesa valutazione metabolica dell’ipercalciuria, iperuricosuria o ipocitraturia non è giustificata poiché la terapia specifica per ognuna di queste alterazioni metaboliche non deve essere instaurata in assenza di calcolosi sintomatica. I sintomi insieme alla dolorabilità al fianco o all’angolo costo-vertebrale, la maggiore sensibilità nelle regioni lombari e inguinali o dolore genitale senza evidenza di lesione localizzata, sono indicativi di colica renale da calcoli. La diagnosi differenziale comprende appendicite, colecistite, ulcera peptica e pancreatite, gravidanza ectopica e aneurisma dissecante. Analisi delle urine: l’urina può essere normale malgrado la presenza di calcoli multipli. È comune un’ematuria macroscopica o microscopica. Si può notare piuria con o senza batteri. Un calcolo può avere un colore o aspetto caratteristico e nel sedimento possono essere identificate diverse sostanze cristalline, ma la composizione dei calcoli dovrebbe essere determinata dalla cristallografia. La sola eccezione è la presenza dei tipici cristalli ad anello benzenico di cistina in un campione concentrato e acidificato, che suggerisce fortemente una cistinuria. Metodiche per immagini: la maggior parte dei calcoli urinari è evidenziabile alla rx. Tuttavia, calcoli di acido urico puri, rari calcoli di xantina, alcuni calcoli di cistina e alcuni "calcoli da concentrazione proteica" (composti in gran parte di matrice proteica) sono radiotrasparenti. I depositi piramidali di calcio dentro il

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Calcolosi urinaria

parenchima renale consentono la diagnosi di nefrocalcinosi e suggeriscono la presenza di acidosi tubulare renale tipo I, sarcoidosi, ipervitaminosi D, morbo di Cushing, mieloma multiplo, iperparatiroidismo, neoplasie metastatiche o sindrome latte-alcali. L’ecografia renale può essere utile. L’urografia retrograda o endovenosa può dimostrare calcoli opachi e non opachi, e anche l’estensione e il grado dell’ostruzione presente. La TC spirale, senza contrasto, è utile nel dipartimento di emergenza per valutare un dolore acuto lombare o addominale, per aiutare a identificare un calcolo, il grado di ostruzione o un’altra causa di dolore (p. es., aneurisma aortico, appendicite).

Profilassi Gli studi della storia naturale della malattia litiasica hanno dimostrato che, in un paziente che ha avuto un primo calcolo di Ca, la probabilità di formare un secondo calcolo è del 15% a 1 anno, del 40% circa a 5 anni e del 50% circa a 10 anni. La misura delle sostanze formanti il calcolo nelle urine e la storia clinica sono necessarie per programmare la profilassi, cominciando con il recupero e l’analisi del calcolo. In < 3% dei pazienti non si riscontrano anormalità metaboliche. Questi pazienti apparentemente non possono tollerare normali quantità di sali formanti calcoli nelle loro urine senza che si verifichi cristallizzazione. I diuretici tiazidici, le basi di potassio e un aumentato l’apporto di liquidi possono ridurre il loro tasso di produzione di calcoli. Per i pazienti con ipercalciuria, i diuretici tiazidici (triclormetiazide 2 mg bid) abbassano l’escrezione urinaria di Ca e la sovrasaturazione con l’ossalato di Ca; la produzione di nuovi calcoli diminuisce drasticamente. I pazienti con calcoli sono invitati ad aumentare la loro assunzione di liquidi fino a 3 l/die. Un’assunzione supplementare di alcali di potassio è richiesta se il K plasmatico scende sotto 3,5 mEq/l. Una dieta povera di Ca e il fosfato di cellulosa sodica dovrebbe essere assunta con cautela, poiché vi è la possibilità di causare un bilancio di calcio cronicamente negativo. L’ortofosfato PO non è stato studiato a fondo. Per pazienti con ipocitruria, l’assunzione orale di alcali (citrato di potassio 25-50 mEq/l bid) di solito aumenta il citrato urinario. La profilassi per i pazienti con iperossaluria varia. I pazienti con malattie dell’intestino tenue possono essere trattati con una dieta a basso contenuto di ossalato e di grassi; carico di Ca e con colestiramina. L’iperossaluria primaria ha risposto alla piridossina 5-500 mg/die PO, probabilmente aumentando l’attività delle transaminasi responsabili della conversione del gliossilato, il più immediato precursore dell’ossalato a glicina. Nell’iperuricosuria, deve essere ridotta l’assunzione di carne, pesce e pollame. Se la dieta non può essere modificata, si può somministrare allopurinolo 300 mg ogni mattina, per abbassare la produzione di acido urico. Aumentare il pH urinario tra 6 e 6,5 con farmaci alcalinizzanti orali (p. es., citrato di potassio 4080 mEq/die in 2 o 3 dosi frazionate) e l’aumento dell’assunzione di acqua sono di solito efficaci.

Terapia Sebbene le terapie efficaci possano prevenire la formazione di calcoli, la terapia medica è indicata soltanto in un paziente con malattia metabolica in fase attiva (formazione di nuovi calcoli, ingrandimento di un vecchio calcolo, passaggio di sabbia renale). I piccoli calcoli solitari, non complicati da infezione o da ostruzione, non richiedono una terapia specifica. La terapia dei batteri che decompongono l’urea e di ogni causa metabolica può ovviare alla necessità della terapia chirurgica. Se non fosse possibile eradicare l’infezione, potrebbe essere necessaria una terapia antiinfettiva cronica. I sintomi della colica possono essere mitigati da narcotici (morfina da 10 a 15 mg oppure meperidina, 100 mg IM q 34 h), mentre gli antispastici non sono molto efficaci.

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Calcolosi urinaria

La litotripsia a onde d’urto (SWL, Shock Wave Lithotripsy) può sostituire la chirurgia a cielo aperto in molti casi di calcolosi sintomatica della pelvi renale o dell’uretere. La SWL è la monoterapia usuale dei calcoli sintomatici < 2 cm di diametro. La nefrolitotomia percutanea o l’ureteroscopia possono essere impiegate per la rimozione di calcoli più grandi, rispettivamente renali o ureterali. I calcoli incuneati nella pelvi renale o nell’uretere possono richiedere la SWL o la rimozione chirurgica, soprattutto quando associati a un’infezione. I calcoli lungo l’intero decorso dell’uretere possono essere aggrediti per via endoscopica dal basso (uretroscopia) o dall’alto (per via percutanea). Se il calcolo è abbastanza piccolo da essere rimosso intatto, si può eseguire la rimozione con cestello con visione diretta sotto controllo ureteroscopico. Per calcoli ureterali più grandi, una forma di litotripsia intracorporea con frammentazione del calcolo (litotripsia elettroidraulica, laser litotripsia, litotripsia pneumatica) può frammentare il calcolo in pezzi più piccoli, che possono essere estratti. I calcoli di acido urico nella via urinaria superiore o inferiore si possono talvolta dissolvere con l’alcalinizzazione prolungata dell’urina, ma non è possibile la dissoluzione chimica di altri calcoli.

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Insufficienza renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 222. INSUFFICIENZA RENALE (v. anche Malattia Renale e Diabete Mellito nel Cap. 251 e Alterazioni Renali ed Elettrolitiche nel Cap. 38).

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA (IRA) Condizione clinica associata a rapido (giorni o settimane), costante deterioramento della funzione renale (uremia), con o senza oliguria.

Sommario: Classificazione ed eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi Profilassi e terapia

Classificazione ed eziologia L’insufficienza renale acuta (IRA) può essere classificata come prerenale, postrenale e renale. Le cause prerenali e postrenali (v. Tab. 222-1) sono potenzialmente reversibili se diagnosticate e trattate precocemente; sono curabili anche alcune cause renali che provocano glomerulopatia e nefropatia tubulointerstiziale acute, come l’ipertensione maligna, le glomerulonefriti, le vasculiti, infezioni batteriche, le reazioni a farmaci e le malattie metaboliche (p. es., ipercalcemia, iperuricemia). L’uremia prerenale è responsabile di circa il 50-80% dei casi di IRA; l’inadeguata perfusione renale è il risultato di una deplezione del volume extracellulare o di una patologia cardiaca. L’uremia postrenale è responsabile di circa il 5-10% dei casi; ne sono la causa diversi tipi di ostruzione delle vie escretrici del sistema urinario. Le cause renali intrinseche di IRA solitamente sono associate a ischemia renale prolungata (emorragia, intervento chirurgico) o a una nefrotossina. Nefrite tubulo-interstiziale acuta e glomerulonefrite acuta possono presentarsi anche come IRA. In molti pazienti, non si riesce a identificare nessuna specifica causa di IRA. I fattori che provocano l’IRA e quelli che la mantengono possono essere differenti.

Fisiopatologia Prerenale: l’oliguria (diuresi < 500 ml/die) è dovuta a una GFR ridotta e a un maggiore riassorbimento di sodio e di acqua, normali risposte a un inadeguato volume di sangue circolante. Postrenale: l’ostruzione dello sbocco vescicale è probabilmente la causa più frequente di un arresto improvviso e spesso totale dell’emissione di urina negli adulti. Le patologie sottostanti comprendono l’iperplasia prostatica benigna, la

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Insufficienza renale

neoplasia della prostata o della cervice e le malattie retroperitoneali. Per provocare uremia, devono essere ostruite entrambe le vie escretrici renali o una sola in un paziente funzionalmente monorene. Le cause di ostruzione intraluminale, meno frequente, sono calcolosi renale bilaterale, necrosi papillare, coaguli ematici e carcinoma vescicale; le cause extraluminali comprendono fibrosi retroperitoneale, neoplasia colorettale e altre condizioni neoplastiche. Nei bambini, sono possibili cause i difetti congeniti che provocano ostruzione delle vie escretrici renali e urinaria. Renale: i meccanismi che sembrano responsabili dell’ipofiltrazione comprendono una marcata diminuzione del flusso sanguigno renale, una riduzione della permeabilità glomerulare, un’ostruzione tubulare da rigonfiamento cellulare e interstiziale o ostruzione da frammenti cellulari e una diffusione del filtrato glomerulare attraverso l’epitelio tubulare danneggiato. Questi fattori sono interdipendenti, ma non sono tutti necessariamente presenti in ogni paziente; inoltre, variano da paziente a paziente e talvolta persino nello stesso paziente. L’importanza di questi fattori fa risaltare l’inadeguatezza del termine necrosi tubulare acuta, in precedenza molto impiegato, nella descrizione dell’anormalità di base. Il sistema vascolare renale è molto sensibile all’endotelina, un potente vasocostrittore che riduce il flusso ematico renale e la GFR. Gli anticorpi antiendotelina o gli antagonisti dei recettori dell’endotelina possono proteggere il rene dall’IRA ischemica. Le modificazioni strutturali dei tubuli dipendono dal tipo di lesione e dalla sua entità, ma edema e infiammazione del tessuto interstiziale sono sempre presenti. Con l’ischemia, si formano spesso vacuoli nelle membrane apicali delle cellule del tubulo prossimale con perdita dell’orletto a spazzola, perdita della polarità e distruzione delle loro aderenti giunzioni. Sebbene l’integrità strutturale generale dei vasi appare normale, le cellule epiteliali glomerulari di solito appaiono rigonfie al microscopio elettronico. L’IRA di qualsiasi eziologia è spesso accompagnata da ipocalcemia, iperfosfatemia e iperparatiroidismo secondario. La fisiopatologia di questi effetti è la perdita temporanea della capacità di produrre calcitriolo da parte del rene danneggiato e la ritenzione di fosfati. L’ipocalcemia può essere grave in pazienti con IRA da mioglobinuria, apparentemente dovuta a una combinazione degli effetti del deposito di Ca nella muscolatura necrotica, della riduzione della produzione di calcitriolo e della resistenza del tessuto osseo all’ormone paratiroideo (PTH). Durante la ripresa dall’IRA, può sopravvenire ipercalcemia quando aumenta la produzione di calcitriolo, quando il tessuto osseo diviene responsivo al PTH e quando i depositi di Ca vengono mobilizzati dal tessuto danneggiato.

Sintomi e segni Sintomi e segni sono correlati alla perdita della funzione escretoria e dipendono dal grado di disfunzione renale, dalla gravità dell’insufficienza renale e dall’eziologia. Nell’IRA acquisita in comunità, l’unico reperto può essere l’emissione di urine color coca-cola, seguita da oliguria o anuria. In pazienti ricoverati in ospedale, l’IRA di solito è correlata a alcuni recenti eventi traumatici, chirurgici o medici e i sintomi e i segni si riferiscono a questi eventi. Una diuresi relativamente conservata di 1-2,4 l/ die è comune. Può essere presente oliguria; l’anuria è indice di occlusione arteriosa bilaterale, di uropatia ostruttiva, di necrosi corticale acuta o di glomerulonefrite rapidamente progressiva. L’uremia prerenale può essere suggerita da ogni alterazione che diminuisca la perfusione renale (v. Tab. 222-1). Patologie dell’arteria renale possono essere asintomatiche, sebbene un’occlusione parziale raramente provochi un soffio.

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Insufficienza renale

In assenza dei fattori renali, si dovrebbe prendere in considerazione l’uremia postrenale. Una storia di difficoltà minzionale o di ridotto mitto urinario, un rene ingrandito o una vescica palpabile suggeriscono un’ostruzione uretrale o del collo vescicale. La patologia intrinseca renale che provoca un danno tubulare acuto può avere tre fasi. La fase prodromica varia nella durata a seconda dei fattori causali (p. es., la quantità di tossina ingerita, la durata e la gravità dell’ipotensione). La fase oligurica dura in media da 10 a 14 giorni, ma può variare da 1-2 giorni a 6-8 sett. La diuresi varia di solito da 50 a 400 ml/die. Tuttavia, molti pazienti non sono mai oligurici. I pazienti non oligurici presentano una minore mortalità, morbosità e minore bisogno di dialisi. Durante questa fase, la creatinina sierica aumenta di norma da 1 a 2 mg/dl al giorno (da 90 a 180 µmol/l) e l’azoto ureico da 10 a 20 mg/dl (da 3,6 a 7,1 mmol/l). Tuttavia, i livelli sierici di azoto ureico possono ingannare se intesi come un indice precoce della funzionalità renale poiché sono frequentemente elevati in presenza di un aumento del catabolismo proteico quale risultato di interventi chirurgici, traumi, ustioni, reazioni a trasfusione ed emorragia interna o GI. La fase postoligurica è associata a un ritorno graduale della diuresi alla normalità; comunque, i livelli sierici di creatinina e di urea possono non diminuire per parecchi giorni. La disfunzione tubulare può persistere e si manifesta con perdita di Na, poliuria (possibilmente massiva) non rispondente a vasopressina o acidosi metabolica ipercloremica. Edema, sindrome nefrosica o segni di arterite della cute e della retina sono indicativi di una glomerulonefrite, spesso senza una storia di malattia renale intrinseca (v. Cap. 224). L’emottisi può suggerire la granulomatosi di Wegener o la sindrome di Goodpasture; un rash cutaneo può essere indice di poliarterite o di LES. Nefrite tubulo-interstiziale e allergia ai farmaci sono suggerite da una storia di ingestione di farmaci e da un rash cutaneo maculo-papulare o purpurico.

Diagnosi Un aumento progressivo giornaliero della creatinina sierica è diagnostico di IRA. Devono essere escluse per prime le cause prerenali o postrenali immediatamente reversibili. La correzione di un’anormalità emodinamica sottostante con riduzione dell’IRA conferma l’eziologia prerenale. Per le cause postrenali, il potenziale di recupero della funzione renale è spesso inversamente proporzionale alla durata dell’ostruzione. Quando si sospetta una uropatia ostruttiva vengono eseguite l’esplorazione rettale e vaginale e un tentativo di cateterizzazione vescicale (v. Cap. 217). Le analisi chimiche dell’urina e del siero in una fase ancora iniziale di IRA possono aiutare a differenziare le varie cause. L’indice più discriminante è l’indice di insufficienza renale (v. Tab. 222-2). Gli esami ematici consigliati comprendono il dosaggio sierico di creatinina, CO2, Na, K, Ca, BUN, acido urico e CK; TAS e titolo del complemento; anticorpi antinucleo e anticorpi contro il citoplasma dei neutrofili; Na e creatinina urinari; emocolture e urinocolture. I dati di laboratorio caratteristici sono di iperazotemia progressiva, acidosi, iperkaliemia e iponatriemia. Si presenta solitamente un modesto incremento quotidiano della creatininemia (da 1 a 2 mg/dl [90-180 µmol/ l]) e della azotemia (da 10 a 15 mg/dl [3,6-7,2 mmol di urea/l]). Un aumento della creatinina sierica > 2 mg/dl al giorno, suggerisce una sovrapproduzione da rabdomiolisi. L’acidosi è di solito moderata, con una CO2 plasmatica tra 15 e 20 mmol/l. La concentrazione di K sierico aumenta lentamente. Tuttavia, quando il metabolismo è marcatamente accelerato (p. es., trauma, sepsi, interventi chirurgici, terapia steroidea) o la produzione di urea è incrementata (p. es., dall’infusione di aminoacidi), l’azotemia può aumentare da 30 a 100 mg/dl/die (da 10,7 a 35,7 mmol/l di urea/die) e il K sierico da 1 a 2 mmol/l al dì. L’iponatriemia è di solito moderata (Na 125-135 mmol/l) ed è in relazione all’eccesso di acqua. Il quadro ematologico è quello di anemia normocromica-normocitica di gravità moderata (v. Cap. 127), con un Htc del 25-30%.

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Insufficienza renale

Il sedimento urinario può dare preziosi indizi eziologici. Per esempio, il sedimento è solitamente irrilevante nell’uremia prerenale e forse nell’uropatia ostruttiva, sebbene si osservino frequentemente GB, GR e cilindri (cellule tubulari e granulose). In caso di nefropatia renale primitiva, il sedimento si caratterizza per la presenza di cellule tubulari, di cilindri cellulari tubulari e di molti cilindri granulari scuri. Gli eosinofili urinari sono indice di una nefrite tubulo-interstiziale allergica; i cilindri ematici lo sono invece di glomerulonefrite o vasculite. La rx diretta addome può rivelare il 90% dei calcoli urinari radiopachi. Si può utilizzare l’ecografia, ma la sua sensibilità è dell’80-85%. Questi esami non sempre confermano un’ostruzione poiché il sistema collettore non è sempre dilatato, specialmente se l’insorgenza è stata acuta, se l’uretere è inglobato (p. es., nella fibrosi o neoplasia retroperitoneale) o se il paziente è ipovolemico. Se si sospetta fortemente un’ostruzione, le indagini anterograde o retrograde con mezzo di contrasto possono stabilire la sede dell’ostruzione e indicare la terapia. Una cateterizzazione uretrale postminzionale valuta l’ostruzione dello sbocco vescicale. L’ecografia e la TC sono utili, dal momento che dimensioni normali o aumentate del rene sono elementi che lasciano supporre un processo reversibile, là dove dimensioni diminuite indicano un’insufficienza renale cronica. L’arteriografia o la cavografia possono essere indicate se vi è un’evidenza clinica di un’eziologia su base vascolare. Il ruolo della RMN non è ancora ben definito, ma può essere utile in caso di intolleranza al mezzo di contrasto. Gli studi scintigrafici di solito sono utili solo per escludere un ostruzione dell’arteria renale poiché le immagini sono di difficile interpretazione quando la funzione renale è notevolmente compromessa. La biopsia renale può essere eseguita se la diagnosi rimane dubbia.

Prognosi L’IRA e le sue immediate complicanze (p. es., ipervolemia, acidosi metabolica, iperkaliemia, uremia, diatesi emorragica) sono trattabili, ma il tasso di sopravvivenza rimane intorno al 60% nonostante una terapia nutrizionale e dialitica più aggressiva. Un ulteriore miglioramento sembra poco probabile a causa delle condizioni comunemente associate quali sepsi, insufficienza polmonare, grandi ferite, ustioni, complicanze chirurgiche e coagulopatia da consumo.

Profilassi e terapia L’IRA può essere spesso prevenuta mediante un appropriato mantenimento di un normale bilancio idrico, del volume sanguigno e della PA durante e dopo un intervento di alta chirurgia; mediante infusioni adeguate di NaCl isotonico in pazienti con gravi ustioni; mediante pronte trasfusioni nell’ipotensione emorragica. Quando è necessario un farmaco vasoattivo, la dopamina, somministrata EV da 1 a 3 µg/kg/min, può aumentare il flusso sanguigno renale e la diuresi, ma non vi sono evidenze cliniche di risoluzione dell’IRA. In caso di IRA incipiente, la furosemide associata al mannitolo o alla dopamina possono ristabilire un flusso urinario normale o trasformare l’IRA da oligurica a non oligurica, ma vi sono scarse evidenze che venga ridotta la percentuale di mortalità. Si dovrebbe cercare di non fare disidratare il paziente che necessita di una colecistografia o il paziente con insufficienza renale che necessita di un’urografia, particolarmente quelli con mieloma multiplo. L’urografia e l’angiografia dovrebbero essere evitate nei pazienti con insufficienza renale, a causa dell’alta incidenza di peggioramento della funzione renale. La più alta incidenza nei pazienti anziani è correlata con il naturale deterioramento della GFR con

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Insufficienza renale

l’invecchiamento. Prima della terapia citolitica in pazienti con particolari patologie neoplastiche (p. es., leucemia, linfoma), si dovrebbe prendere in considerazione un pretrattamento con allopurinolo, insieme all’alcalinizzazione dell’urina (bicarbonato di sodio PO o acetazolamide) e all’aumento del flusso urinario, somministrando una quantità maggiore di liquidi PO o EV al fine di ridurre la formazione di cristalli di urati. La dialisi (v. Cap. 223) migliora il bilancio idro-elettrolitico e consente un’adeguata nutrizione. Non vi è consenso sul momento in cui iniziare la dialisi, su quanto frequentemente eseguirla o sul fatto che migliori la percentuale di guarigione o di sopravvivenza. Tuttavia, l’emodialisi con membrane biocompatibili (p. es., polisulfone, poliacrilonitrile, polimetilmetacrilato) piuttosto che con membrane di cuprophan può migliorare il recupero della funzione renale e riduce il tasso di mortalità. L’IRA dovrebbe essere trattata con terapia conservativa senza dialisi soltanto quando questa non sia disponibile o quando il decorso dell’IRA è privo di complicanze e la sua insorgenza è < 5 giorni. Si deve aggiustare la posologia di tutte le sostanze escrete per via renale (p. es., digossina, alcuni antibiotici). L’assunzione di acqua dovrebbe essere limitata a un volume pari alla diuresi più le perdite extrarenali misurate, più una concessione di circa 500 ml/die per perdite insensibili. L’assunzione di acqua può essere ulteriormente modificata per mantenere la sodiemia entro valori normali. Il peso corporeo è un indicatore dell’assunzione di liquidi; ci si aspetta una perdita di peso di più di 0,5 kg al giorno in pazienti che non assumano le calorie basali necessarie e qualsiasi aumento di peso deve essere attribuito a liquidi in eccesso. L’assunzione di Na e K è ridotta al minimo, eccetto in caso di deficit preesistenti o di perdite GI. Per ridurre la perdita di azoto, è stata raccomandata la somministrazione PO o EV di aminoacidi essenziali in aggiunta al glucoso o a carboidrati altamente concentrati; ma vi sono rischi di iperidratazione, di iperosmolarità e di infezioni. Sali di Ca (carbonato, acetato) assunti prima dei pasti aiutano a mantenere il fosforo < 5,5 mg/dl (< 1,78 mmol/l). Per aiutare a mantenere il K sierico < 6 mmol/ l senza dialisi, viene somministrata una resina a scambio cationico, il polistirensolfato sodico, 15 g PO o per via rettale da 1 volta/die a qid come sospensione acquosa o in uno sciroppo (p. es., 70% sorbitolo). Raramente vi è la necessità di un catetere vescicale a permanenza; questo dovrebbe essere utilizzato soltanto se necessario poiché costituisce un aumentato rischio di IVU e di sepsi. Quando si rileva un’ostruzione, la conseguenza può essere una poliuria caratterizzata dall’escrezione di grandi quantità di Na, K, Mg e altri soluti. Si possono verificare ipokalemia autolimitantesi, iponatremia, ipernatremia, ipomagnesiemia o una marcata riduzione del volume del ECF con collasso vascolare periferico. In molti pazienti, una diuresi intensa dopo la risoluzione dell’ostruzione è una risposta fisiologica all’espansione del ECF verificatasi durante l’ostruzione e non compromette l’equilibrio idrico. Una somministrazione di sali e di liquidi troppo sollecita dopo la risoluzione dell’ostruzione può prolungare la diuresi. Nella fase postoligurica, è imperativa una stretta sorveglianza dell’equilibrio idroelettrolitico per prevenire alterazioni potenzialmente gravi o persino letali del volume extracellulare, dell’osmolarità, dell’equilibrio acido-base e del bilancio del K.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 222-1. PRINCIPALI CAUSE DI INSUFFICIENZA RENALE ACUTA Tipo e causa

Esempi

Prerenali Deplezione del ECF

Diuresi eccessiva, emorragia, perdite GI, accumulo di liquido transcellulare (ascite, peritonite, pancreatite, ustioni)

Bassa gittata cardiaca

Cardiomiopatia, infarto miocardico, tamponamento pericardico, embolia polmonare

Basse resistenze vascolari sistemiche

Sepsi, insufficienza epatica

Aumento della resistenza vascolare renale

Insufficienza epatica, FANS, ciclosporina, tacrolimus, anestesia, ostruzione dell’arteria renale, trombosi della vena renale

Postrenali Ostruzione ureterale

Ostruzione vescicale

Intrinseca: calcoli, coaguli, frammenti di tessuto renale, edema, neoplasia Estrinseca: neoplasia, fibrosi retroperitoneale, trauma uereterale in corso di intervento chirurgico Meccanica: ipertrofia o tumore prostatico, neoplasia vescicale, stenosi o valvole uretrali Neurogena: farmaci anticolinergici, lesione del motoneurone alta o bassa

Renali Lesioni tubulari acute

Ischemia: intervento chirurgico, emorragia, ostruzione arteriosa o venosa, FANS, ACE- inibitori, ciclosporina, tacrolimus, mezzi di contrasto, amfotericina B Tossine: aminoglicosidi, antibiotici β-lattamici, amfotericina B, foscarnet, mezzi di contrasto, ciclosporina, tacrolimus, emoglobinuria, mioglobinuria, metalli pesanti, metotraxate, cisplatino Precipitazione intrarenale: ipercalcemia, urati, sulfamidici, acyclovir, proteine del mieloma

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Manuale Merck - Tabella

Glomerulonefrite acuta

Associata ad ANCA: glomerulonefrite a semilune, poliarterite nodosa, granulomatosi di Wegener Glomerulonefrite da anticorpi anti MBG: sindrome di Goodpasture Immunocomplessi: glomerulonefrite lupica, glomerulonefrite postinfettiva, glomerulonefrite da crioglobulinemia

Nefrite tubulointerstiziale acuta

Reazioni a farmaci (β-lattamine, FANS, sulfamidici, ciprofloxacina, diuretici tiazidici, furosemide, cimetidina, fentoina, allopurinolo), pielonefrite, necrosi papillare

Nefropatia vascolare acuta

Vasculite, ipertensione maligna, microangiopatia trombotica, sclerodermia, embolia ateromatosa

ANCA:=Antineutrophil cytoplasmic antibodies, anticorpi contro il citoplasma dei neutrofili.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 222-2. INDICI DIAGNOSTICI NELL’INSUFFICIENZA RENALE ACUTA Indici

Postrenali

Pre- renali

Renali

GNA

U/P osmolarità

>1,5

11,5

11,5

11,5

Na urinario (mmol/l)

40

>40

0,02

2

30 min). L’anticoagulazione è monitorata e il dosaggio dell’eparina è individualizzato. Pazienti con intervento chirurgico recente o concomitante sanguinamento possono aver bisogno di un dosaggio inferiore di eparina, che aumenta il rischio di coagulazione. Alcuni sistemi non utilizzano eparina, ma l’eparinizzazione regionale del circuito extracorporeo o l’anticoagulazione regionale con sodio citrato.

TECNICHE DI EMOFILTRAZIONE CONTINUA Varie tecniche di emofiltrazione ed emodialisi-emofiltrazione sono utili nel trattamento di pazienti instabili in IRA con insufficienza organica e sistemica multipla, eccessiva necessità di liquidi (p. es., iperalimentazione, infusione in pompa-siringa di farmaci vasopressori) o stati di shock. Nell’ultrafiltrazione continua lenta, il sangue perfonde, a una normale pressione arteriosa, una membrana di emofiltrazione di polisulfone o poliacrilonitrile. Il principale vantaggio di questa tecnica è la capacità di rimuovere fino a 14 l/die di liquidi. Tuttavia, le clearance dei piccoli soluti (p. es., urea, creatinina) possono essere inadeguate e richiedere un’emodialisi aggiuntiva. L’emofiltrazione arterovenosa continua implica la rimozione dei soluti uremici basata sulla convenzione tramite applicazione del vuoto nella membrana o tramite occlusione parziale della linea di deflusso del sangue. L’ultrafiltrato in eccesso (grandi volumi) è rimpiazzato con infusione di soluzioni bilanciate di elettroliti. L’emofiltrazione veno-venosa continua (v. Fig. 223-1) prende sangue dalle vene succlavia, giugulare interna o femorale ed è utilizzata una pompa ematica per perfondere la membrana. Il principale vantaggio è un miglior controllo della PA. Tutte queste tecniche (ultrafiltrazione continua lenta, emofiltrazione arterovenosa continua, emofiltrazione veno-venosa continua) hanno una scarsa clearance dei piccoli soluti. Per ottenere una migliore clearance dei piccoli soluti, sono stare sviluppate l’emodialisi veno-venosa continua (Continuous Veno-Venous Hemodialysis, CVVHD) e l’emodiafiltrazione veno-venosa continua (continuous Venovenous HemoDiafiltration, CVVHDF). Queste tecniche richiedono una pompa per il sangue (in modo analogo all’emofiltrazione veno-venosa continua) per perfondere la membrana. Le soluzioni di dialisi peritoneale vengono impiegate per perfondere la parte della membrana permettendo la diffusione (CVVHD) e il trasporto per diffusione e per convenzione (CVVHDF). La CVVHDF può essere particolarmente utile in pazienti ipercatabolici con IRA in cui il trasporto convettivo di soluti azotati è insufficiente.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 223-1. COMPLICANZE DELLA TERAPIA DIALITICA Complicanza Meccanica

Emodialisi Trombosi, infezione, ed emorragia della fistola arterovenosa Stenosi o trombosi della vena succlavia o della vena cava superiore dovuta all’uso prolungato di cateteri venosi in succlavia e giugulare interna

Dialisi peritoneale Ematoma del tratto intorno al catetere Sanguinamento intraddominale Perforazione di un viscere Perdita del dialisato intorno al catetere Dissezione del liquido nella parete addominale Ostruzione del catetere da parte di coagulo, fibrina, omento o rivestimento fibrotico

Infettiva

Cellulite o ascesso dell’accesso vascolare Colonizzazione del catetere venoso centrale temporaneo

Infezione peritoneale al’interfaccia cutanea del catetere Ascesso del tragitto pericateterale

Batteriemia Cardiovascolare Ipotensione da eccessiva ultrafiltrazione

Ipotensione Edema polmonare

Aritmia Aritmia Embolia gassosa Tamponamento pericardico Trombosi della vena succlavia

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Manuale Merck - Tabella

Polmonare

Dispnea da reazione Atelettasia anafilattica alla membrana dell’emodialisi Versamento pleurico Ipoalbuminemia

Metabolica

Ipo- e ipernatremia

Iperglicemia

Ipo- e iperkaliemia

Polmonite

Ipercalcemia Ipermagnesiemia Varie

Febbre da batteriemia, pirogeni o da dialisato surriscaldato

Sclerosi peritoneale

Emorragia (GI, intracranica, retroperitoneale, intraoculare)

Convulsioni

Prurito Convulsioni Crampi muscolari Insonnia Demenza Sindrome del tunnel carpale Depositi di amiloide

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Ipotermia

Ernie addominali e inguinali

Dialisi

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 223. DIALISI Il processo di rimozione delle tossine direttamente dal sangue (emodialisi) o indirettamente mediante il liquido peritoneale (dialisi peritoneale) utilizzando la diffusione attraverso una membrana semimpermeabile o l’ultrafiltrazione.

DIALISI PERITONEALE La dialisi peritoneale è meno stressante dell’emodialisi in pazienti con IRC emodinamicamente instabili ed è prontamente adattabile per un impiego domiciliare. La dialisi ambulatoriale peritoneale e la dialisi peritoneale a ciclo continuo domiciliare permettono ai pazienti di avere una maggior flessibilità in termini di orari e spostamenti e, in alcuni casi, permettono un lavoro a tempo pieno. Il peritoneo, che è costituito da un foglietto viscerale e da uno parietale, ha una superficie approssimativamente come la ASC (da 1 a 2 m2 negli adulti) ed è permeabile a soluti di peso molecolare 30000 dalton. Il flusso totale del sangue splancnico è di 1200 ml/min a riposo, ma soltanto 70 ml/min vengono a contatto con il peritoneo. Così, le concentrazioni dei soluti nel dialisato peritoneale si equilibrano lentamente. La clearance di molecole piccole è una funzione della quantità di flusso del dialisato e del tempo di contatto. Dato che le molecole più grandi non raggiungono mai l’equilibrio, la loro clearance è principalmente una funzione del tempo di contatto peritoneale. Il liquido di dialisi viene introdotto all’interno dello spazio peritoneale e periodicamente drenato e reimmesso, in modo alternante. L’accesso avviene tramite cateteri di silicone morbido o di poliuretano poroso. Possono essere impiantati in sala operatoria sotto visione diretta o a letto del paziente inserendoli tramite un mandrino appositamente realizzato o sotto visione mediante peritoneoscopia. La maggior parte dei cateteri è dotata di un manicotto, che permette l’ancoraggio all’interno della cute o della fascia preperitoneale, costituendo teoricamente una barriera impermeabile e insuperabile per i batteri e prevenendo la formazione di uno strato di microrganismi lungo il catetere. Facendo trascorrere 10-14 giorni dall’impianto del catetere prima del suo impiego, si migliora la cicatrizzazione e si riduce la frequenza di precoci perdite pericatetere di dialisato. I cateteri a due manicotti sono migliori di quelli con un manicotto singolo. Anche una sede di uscita diretta caudalmente diminuisce l’incidenza di infezioni della sede di uscita. Le complicanze della dialisi peritoneale sono elencate nella Tab. 223-1. Non vi sono controindicazioni assolute, mentre quelle relative sono: cellulite della parete addominale, comunicazione toraco-addominale anormale, protesi vascolari intraaddominale di impianto recente, ferite addominali recenti. La dialisi peritoneale manuale intermittente (IPD) richiede un set di infusionedrenaggio a Y. Negli adulti, buste da 1,5 a 3 l di dialisato (nei bambini, 30-45 ml/ kg) sono scaldate a 37°C (98,6°F), infuse in 10 minuti, lasciate a dimora nella cavità peritoneale per 10 min e quindi drenate in circa 10 min. Possono essere necessari scambi multipli in un periodo che va da 12 a 48 h, a seconda delle necessità del paziente. Questa tecnica è la forma più semplice di dialisi peritoneale e ottiene la più alta clearance dei soluti. È utile soprattutto nel trattamento dell’IRA. La dialisi peritoneale ambulatoriale continua (CAPD) utilizza tempi estremamente lunghi di permanenza in situ del liquido. Un tipico paziente adulto

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Dialisi

infonde da 1,5 a 3 l (i bambini 30-45 ml/ kg) di dialisato nella cavità peritoneale. La soluzione può rimanere per 4 h durante il giorno e 8-12 h alla notte. Questa soluzione è drenata manualmente e rimpiazzata quattro volte al giorno. Il lavaggio del set di infusione a Y prima del riempimento teoricamente lava via nella busta ogni possibile agente contaminante dopo aver effettuato la connessione. Questo metodo ha ridotto l’incidenza di peritonite e permette al paziente di staccarsi dal sistema di infusione e dalla sacca durante gli intervalli tra gli scambi. L’IPD automatizzata con cycler impiega un sistema automatico che si svolge per cicli di infusione e rimozione del dialisato. Può essere impiegata in pazienti ricoverati con IRC per ridurre la necessità di assistenza infermieristica. È anche utile per pazienti domiciliari in IRC. Il cycler è generalmente programmato per azionarsi quando il paziente va a letto e il trattamento avviene mentre il paziente dorme. La dialisi peritoneale a ciclo continuo (Continuous Cycling Peritoneal Dialysis, CCPD) impiega scambi lunghi senza un cycler automatizzato durante il giorno e scambi brevi con cycler automatico durante la notte. L’ingombrante attrezzatura impedisce di muoversi durante la notte. Alcuni pazienti necessitano di una combinazione di CAPD e CCPD per ottenere adeguate clearance.

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Dialisi

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 223. DIALISI Il processo di rimozione delle tossine direttamente dal sangue (emodialisi) o indirettamente mediante il liquido peritoneale (dialisi peritoneale) utilizzando la diffusione attraverso una membrana semimpermeabile o l’ultrafiltrazione.

CONSIDERAZIONI SUL TRATTAMENTO NON DIALITICO Sommario: Introduzione Trattamento delle patologie concomitanti

La dialisi periodica richiede la cooperazione tra nefrologo, psichiatra o assistente sociale, infermieri specializzati, nutrizionista e frequentemente l’équipe dei chirurghi dei trapianti. Idealmente, la gestione del paziente inizia quando si presenta una malattia renale progressiva, irreversibile ma prima che sia necessaria la dialisi o il trapianto. Si possono valutare le energie e le debolezze psicosociali dei pazienti in un’atmosfera di non crisi, partecipare alla scelta della terapia e realizzare un accesso vascolare in tempo, così da consentire la sua maturazione. Dieta: generalmente, i pazienti in trattamento emodialitico dovrebbero assumere una dieta ad alto contenuto proteico (1-1,2 g/kg/die o 1,5-2,0 g/kg/die nei bambini più grandi) introducendo 30-35 kcal/kg di peso secco stimato/die (nei bambini, 4070 kcal/kg/die a seconda dell’età e dell’attività). Il Na e il K sono limitati a 2 g ciascuno e può essere necessario limitare l’assunzione di fosforo. L’assunzione di liquidi è limitata a 500-1000 ml/die oltre la quantità di diuresi misurata ed è di solito controllata dall’aumento di peso interdialitico. I pazienti in trattamento dialitico peritoneale richiedono una più libera assunzione di proteine (1,25-1,5 g/kg) per rimpiazzare le perdite peritoneali (10-20 g/die). La sopravvivenza è maggiore tra i pazienti che mantengono un’albumina sierica > 3,5 g/dl. Vengono ristrette anche le assunzioni di Na (3-4 g), K (4 g) e di liquidi (da 1 a 1,4 l/die è quella tipica in un adulto di 70 kg). Farmaci: pazienti in trattamento dialitico cronico ricevono comunemente supplementi multivitaminici (per rimpiazzare le perdite dialitiche stimate del complesso di vitamine idrosolubili B, acido folico e vitamina C). L’epoetin alfa (eritropoietina umana ricombinante) è la principale terapia per l’anemia dell’insufficienza renale (v. Cap. 222). A molti pazienti con carenza di ferro viene somministrato ferro supplementare. Poiché l’assorbimento orale del ferro è limitato, molti pazienti necessitano ferro destrano EV durante la seduta di emodialisi. Se una dose test (di solito 25 mg) è tollerata, la dose rimanente di 100 mg è somministrata lentamente durante tutto il trattamento. (Per i bambini di peso < 15 kg, consultare le istruzioni contenute nella confezione.) Questa viene ripetuta durante le successive nove sedute emodialitiche. Le riserve di ferro sono quindi rivalutate misurando la sideremia, la capacità ferro-legante o la ferritina sierica. Le politrasfusioni causano sovraccarico di ferro (v. Cap. 128) in alcuni pazienti in dialisi, a cui non devono essere somministrati supplementi di ferro. Se si è sviluppata urolitiasi da ossalato di calcio in un paziente in dialisi, si devono sospendere i supplementi dietetici di vitamina C, poiché l’acido ossalico è

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Dialisi

un prodotto secondario del suo metabolismo. Il trattamento dell’iperfosfatemia dell’IRC è controverso. Pazienti che hanno un prodotto calcio fosforo (Ca ⋅ P) > 70 sono a rischio per lo sviluppo di depositi di calcio extraosseo. Molti nefrologi usano carbonato o acetato di calcio come leganti del fosforo, iniziando con dosi di 500 mg di calcio elementare PO ad ogni pasto (dosaggio pediatrico, 20-50 mg/kg/die). Questi farmaci hanno sostituito i gel di idrossido di alluminio e alluminio carbonato, che causano osteomalacia da alluminio, anemia microcitica (ferro resistente) e probabilmente demenza dialitica. I pazienti che assumono leganti del fosforo a base di calcio devono essere controllati per il possibile sviluppo di ipercalcemia, in particolar modo quei pazienti con osteomalacia da alluminio. Si può verificare stipsi. L’osteomalacia correlata all’alluminio può essere diagnosticata tramite agobiopsia ossea con speciali colorazioni per l’alluminio. Il carico corporeo di alluminio può essere stimato con la somministrazione di una dose test di desferoxamina mesilato e con la misurazione dell’incremento dell’alluminio sierico o plasmatico. L’osteomalacia da alluminio e la demenza dialitica rispondono a dosi intermittenti di desferoxamina mesilato EV o intraperitoneale. Per i pazienti ipocalcemici nonostante la normalizzazione dei valori di fosforemia con la terapia con sali di calcio e per quelli con un’osteite fibrosa cistica refrattaria, può essere indicato il calcitriolo. La somministrazione EV di calcitriolo 0,5 µg ad ogni emodialisi o un bolo orale tre volte a settimana sono efficaci. Il calcitriolo EV 0,01-0,05 µg/kg tre volte a settimana è stato utilizzato nei bambini sottoposti a dialisi. Alcuni sostengono l’uso abituale di calcitriolo poiché inibisce direttamente le paratiroidi, prevenendo così l’osteite fibrosa cistica. Nella cura di ogni paziente con insufficienza renale, è necessario considerare che la funzione escretrice renale dei farmaci è danneggiata. I comuni farmaci che richiedono un adeguamento del dosaggio comprendono aminoglicosidi, vancomicina e digossina. L’emodialisi riduce le concentrazioni sieriche di alcuni farmaci. Quindi, il dosaggio degli aminoglicosidi deve essere rivisto anche dopo emodialisi. Stipsi: la stipsi spesso interferisce con il drenaggio del catetere nella dialisi peritoneale. Molti pazienti richiedono lassativi osmotici (p. es., sorbitolo) o di massa (psyllium idrocolloide). I lassativi contenenti Mg o fosforo devono essere evitati. Ipertensione: l’ipertensione è meglio controllata con la dialisi peritoneale continua piuttosto che con IPD o l’emodialisi; i pazienti sottoposti a dialisi peritoneale continua raramente richiedono farmaci antiipertensivi. In circa l’80% dei pazienti emodializzati, l’ipertensione può essere controllata semplicemente riducendo l’acqua corporea attraverso l’ultrafiltrazione. Nel rimanente 20% è necessaria la somministrazione di farmaci antiipertensivi (v. nel Cap. 199). Pazienti che assumono ACE inibitori (p. es., captopril, enalapril, lisopril) o bloccanti del recettore dell’angiotensina, possono richiedere un monitoraggio più stretto della potassiemia per prevenire un’iperkaliemia potenzialmente letale. I farmaci antiipertensivi che frequentemente provocano ipotensione ortostatica (prazosina, terazosina, doxazosina, guanetidina, guanadrel) sono talvolta necessari ma è meglio evitarli.

Trattamento delle patologie concomitanti Poiché le complicanze cardiovascolari sono responsabili del 50% della mortalità dei pazienti in dialisi, l’attenzione ai fattori di rischio è importante. La prognosi è migliore quando la PA postdialitica è normale e se il paziente non fuma. La prevenzione delle complicanze dell’accesso vascolare influisce significativamente sulla quantità di emodialisi che possono essere erogate; i cateteri temporanei di solito non consentono il flusso sanguigno richiesto per raggiungere la clearance ottimale. Misurazioni periodiche della pressione di ricircolo e dell’ambiente del circuito venoso evidenziano un’insufficienza precoce dell’accesso e così file:///F|/sito/merck/sez17/2231989.html (2 of 3)02/09/2004 2.50.32

Dialisi

permettono, prima della trombosi, interventi quali angioplastica e posizionamento di stent. I sintomi e i segni di encefalopatia uremica acuta (v. Cap. 222) generalmente regrediscono dopo vari giorni di dialisi (raramente fino a 2 sett.). Lo squilibrio associato a cambiamenti osmotici prodotti dall’emodialisi può provocare convulsioni. I pazienti in trattamento dialitico vengono anticoagulati regolarmente e possono sviluppare problemi quali ematoma sottodurale ed emorragia intracerebrale. Poiché l’insufficienza renale favorisce l’aterosclerosi, si possono avere episodi di ictus cerebrale su base trombotica. La demenza dialitica è caratterizzata da perdita progressiva della memoria, disprassia, spasmi facciali, attacchi mioclonici ed EEG caratteristico. Si associa ad alte concentrazione cerebrali di alluminio, che possono essere dovute a molteplici cause (p. es., alta concentrazione nel liquido di dialisi, antiacidi contenenti alluminio). Nei pazienti dializzati le patologie psichiatriche funzionali variano dalla schizofrenia e depressione maniacale al comportamento disadattato (v. oltre e § 15). È bene che si faccia un’attenta valutazione neurologica e psichiatrica prima di decidere che il disordine è funzionale e prima di tentare la terapia sintomatica.

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Dialisi

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 223. DIALISI Il processo di rimozione delle tossine direttamente dal sangue (emodialisi) o indirettamente mediante il liquido peritoneale (dialisi peritoneale) utilizzando la diffusione attraverso una membrana semimpermeabile o l’ultrafiltrazione.

ASPETTI PSICOSOCIALI DEL TRATTAMENTO DIALITICO CRONICO I pazienti in trattamento dialitico cronico, insieme con i loro familiari, sono costantemente vulnerabili a crisi mediche, sociali ed emotive. Il loro atteggiamento e quello del personale della dialisi, influisce sulla qualità di vita e sulla sopravvivenza del paziente. I programmi di dialisi che incoraggiano al massimo l’indipendenza del paziente e il ritorno ai precedenti interessi, sono molto efficaci nel diminuire i problemi psicosociali del paziente. Le dialisi, spesso programmate a discrezione di altri, influenzano il lavoro o il programma scolastico del paziente e le attività di svago; un lavoro regolare può essere precluso. I pazienti adulti in trattamento dialitico possono diventare dipendenti dai loro figli adolescenti o possono non essere in grado di vivere da soli. Si modificano i consueti ruoli e le responsabilità familiari per cui si vengono a creare sensi di colpa e d’inadeguatezza; è spesso necessario un sostegno economico per l’alto costo del trattamento, delle medicazioni, delle diete speciali e del trasporto. Stress può essere causato dalla fine della minzione e dalle ridotte energie fisiche; dalla perdita o alterazione della funzione sessuale; dal diverso aspetto fisico dovuto alla chirurgia per l’accesso vascolare, al catetere peritoneale, ai segni di aghi, alle malattie ossee, alla neuropatia, alla miopatia o ad altri segni di deterioramento fisico; in ultimo dalla paura di morire. I bambini con un ritardo di crescita possono sentirsi isolati e diversi dai loro coetanei. Il trattamento dialitico cronico (specialmente quello domiciliare) può aumentare la dipendenza del paziente, ridurre le sue capacità fisiche e lavorative e causare capovolgimenti dei ruoli nella famiglia. Le relazioni coniugali sono particolarmente vulnerabili. Molti patrocinano la dialisi domiciliare soltanto se i pazienti possono assumere una maggiore responsabilizzazione della loro cura. Pazienti con molti differenti tipi di personalità possono adattarsi alla dialisi. I tratti della personalità prima della malattia che migliorano la prognosi riguardo a un favorevole adeguamento alla dialisi cronica, comprendono adattabilità, indipendenza, autocontrollo, tolleranza alle frustrazioni e ottimismo. Sono importanti anche la stabilità emotiva, l’incoraggiamento familiare, un valido supporto da parte del personale della dialisi e la partecipazione del paziente e della famiglia alle decisioni. Sesso, grado di educazione e altri fattori socioeconomici sono meno importanti. L’età non è un indicatore critico dell’adattamento a lungo termine; tuttavia, i giovani adulti e gli adolescenti trovano che la dialisi complica ulteriormente le problematiche tipiche dell’età, dell’identità, dell’indipendenza e dell’immagine corporea. Le fasi dell’adattamento possono includere ottimismo ed euforia in pazienti con miglioramento fisico all’inizio della dialisi; depressione, disillusione e scoraggiamento quando si realizza la realtà a lungo termine della malattia e del trattamento e, in ultimo, l’inizio dell’adattamento a lungo termine. I pazienti che rifiutano aiuto rimuovono la realtà della dipendenza dalla macchina

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Dialisi

e della situazione che minaccia la loro stessa vita. I pazienti possono non venire sopraffatti e possono riprendere le loro attività. La mancanza del rifiuto invece può provocare grave ansia o depressione, psicosi o suicidio. Tuttavia, se il rifiuto è totale, il paziente può rifiutare la necessità del trattamento e morire. Le personalità dipendenti possono accettare più facilmente la loro condizione, ma una dipendenza eccessiva può far sì che si esiga molto dagli altri impedendo così la riabilitazione. Alcuni pazienti possono compiacersi del ruolo di "malato", trovandone un guadagno secondario e non essere più in grado di liberarsene. Personalità indipendenti possono non adattarsi alla terapia dialitica e al ruolo di malato e possono rifiutare i consigli medici e la terapia. Tuttavia, il carattere indipendente può favorire la riabilitazione sociale e la responsabilizzazione del paziente. La depressione, risposta normale a una perdita, può essere particolarmente pronunciata. Senso di colpa, ostilità e ambivalenza si verificano in quei pazienti che nella macchina vedono un miracolo e un mostro. Possono sentirsi grati e nello stesso tempo risentiti verso quelle persone dalle quali dipendono e possono essere ambivalenti riguardo alla voglia di vivere. Alcuni pazienti in dialisi esprimono con il comportamento i loro sentimenti (p. es., mediante la non compliance con la dieta e la terapia, arrivando tardi o saltando la dialisi) o possono diventare risentiti verso l’équipe terapeutica o l’assistente della dialisi domiciliare. Tuttavia, molti pazienti esprimono i loro sentimenti e dirigono le loro energie in modo produttivo. Possono ritornare a lavorare, riprendere i precedenti interessi o diventare membri di associazioni per seguire i pazienti in dialisi. La cura di sé e la dialisi domiciliare aiutano i pazienti a riguadagnare un senso di controllo e d’indipendenza consentendo loro di essere fortemente responsabili della loro terapia e d’integrare questa nella loro vita in modo più flessibile. Le reazioni con cui i familiari fronteggiano questo trattamento sono uguali a quelle dei pazienti. Poiché il personale della dialisi è intensamente coinvolto dai pazienti (specialmente da quelli che peggiorano gradualmente), alcuni di loro talvolta affrontano questa situazione con il rifiuto. Questo può portare ad aspettative poco realistiche da parte del personale e impedire il raggiungimento di obiettivi realistici di riabilitazione. La consulenza psicosociale in caso di depressione e di problemi comportamentali o di tematiche riguardanti la sensazione di perdita o l’adattamento, è di beneficio per molti pazienti in dialisi e per le loro famiglie. Per questi servizi sono disponibili nefrologi, assistenti sociali, psicologi e psichiatri.

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie) Diversi processi patologici che colpiscono principalmente il glomerulo e comprendono le glomerulonefriti, ma non sono limitati solo a queste. Le malattie glomerulari possono essere primitive, o secondarie a malattia sistemica. Le principali categorie patogenetiche sono l’infiammatoria (sindrome nefritica) e l’emodinamica (sindrome nefrosica). La sindrome nefritica acuta è utilizzata quale sinonimo di glomerulonefrite acuta (GN). Il prototipo è la GN poststreptococcica. Esistono anche patologie nefritiche croniche (p. es., sindrome nefritica-proteinurica cronica). La sindrome nefrosica è costituita da un gruppo di sintomi, segni e dati di laboratorio dovuti a un aumento della permeabilità della parete dei capillari glomerulari. Molte malattie renali possono causare sindrome nefrosica, e sindrome nefritica e nefrosica possono verificarsi insieme. Nell’ambito di ogni gruppo esistono similitudini strutturali, funzionali e cliniche a causa delle scarse modalità con cui il tessuto renale risponde a un insulto, e dei sintomi e dei segni che la malattia renale può provocare. Sebbene le differenze anatomopatologiche possano fornire una chiave di riconoscimento delle malattie glomerulari, le correlazioni tra alterazioni morfologiche e caratteristiche cliniche sono inattendibili quali fattori di previsione della prognosi e della risposta alla terapia. In alcuni pazienti con malattia glomerulare, le manifestazioni extrarenali indicano la malattia che ne è la causa (p. es., vasculite sistemica, infezione). I marker sierologici, quali anticorpi antistreptococcici, anticorpi anti- membrana basale glomerulare (MBG), autoanticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (AntiNeutrophil Cytoplasmic Autoantibodies, ANCA), anticorpi anti-nucleo, crioglobuline, fattore nefritico C3, ipocomplementemia o aggregati di IgA e fibronectina, indicano una specifica malattia glomerulare o per lo meno aiutano a restringere la diagnosi differenziale (v. Fig. 224-1).

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFRITICA La classica sindrome nefritica include ematuria, ipertensione, insufficienza renale ed edema. Frequentemente, singoli componenti della sindrome sono assenti. La sindrome nefritica può essere acuta e transitoria (p. es., GN postinfettiva), fulminante con rapida insufficienza renale (p. es., glomerulonefrite rapidamente progressiva [GNRP]) o asintomatica (p. es., nefropatia da IgA). Le alterazioni anatomopatologiche, e quindi le manifestazioni cliniche, spesso variano nel tempo.

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFRITICA SINDROME NEFRITICA ACUTA (Glomerulonefrite acuta; glomerulonefrite postinfettiva) Sindrome caratterizzata dal punto di vista anatomopatologico da diffuse modificazioni infiammatori nei glomeruli e, dal punto di vista clinico, da insorgenza acuta di ematuria con cilindri ematici, lieve proteinuria e, spesso, ipertensione, edema e iperazotemia.

Sommario: Eziologia Anatomia patologica e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Prognosi Terapia CAUSE SECONDARIE NON BATTERICHE DI SINDROME NEFRITICA ACUTA

Eziologia Il prototipo di una sindrome nefritica acuta è la glomerulonefrite poststreptococcica (GNPS) dovuta a infezione con alcuni ceppi di streptococchi nefritogeni di gruppo A β-emolitico, come il tipo 12 (associata a faringite) e il tipo 49 (associata a impetigo). L’incidenza della GNPS è in diminuzione negli USA e in Europa. In molte altre parti del mondo dove si verificano epidemie, circa il 5-10% dei pazienti con faringite e circa il 25% di quelli con infezioni cutanee sviluppano GNPS. La malattia è molto comune nei bambini > 3 anni e nei giovani adulti, ma il 5% dei pazienti è di età > 50 anni. Tra l’infezione e l’insorgenza della GN trascorre un periodo di latenza di 1-6 sett. (in media, 2 sett.).

Anatomia patologica e patogenesi Le lesioni sono confinate principalmente ai glomeruli, che diventano dilatati e ipercellulari, inizialmente con neutrofili o eosinofili e successivamente con cellule mononucleate. L’iperplasia delle cellule epiteliali è un frequente aspetto iniziale e transitorio. Si può verificare microtrombosi; se la lesione è grave, le alterazioni emodinamiche provocano oliguria, frequentemente accompagnata da semilune epiteliali (che si formano nello spazio di Bowman a causa dell’iperplasia delle cellule epiteliali, probabilmente mediata da fattori di crescita da parte dei macrofagi attivati). Le cellule endoteliali e mesangiali aumentano di numero, le regioni mesangiali spesso sono ampliate notevolmente dall’edema e contengono neutrofili, cellule necrotiche, detriti cellulari e depositi subepiteliali di materiale

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Malattie glomerulari

elettron-denso. La microscopia a immunofluorescenza di solito mostra depositi granulari di immunocomplessi con IgG e complemento. Alla microscopia elettronica, questi depositi hanno la forma di semilune o di gobbe e sono localizzati nell’area subepiteliale. La presenza di questi depositi inizia una reazione flogistica mediata dal complemento (descritta nel Cap. 231) che provoca la lesione glomerulare. Sebbene si presuma che gli immunocomplessi contengano un antigene di provenienza streptococcica, non è stato ritrovato nessun antigene di tale natura.

Sintomi e segni Le manifestazioni di esordio variano da un’ematuria asintomatica (in circa il 50% dei casi) e una lieve proteinuria, a una nefrite conclamata con macro- o microematuria (color coca cola, marrone, nero fumo o francamente ematica), proteinuria, oliguria, edema, ipertensione e insufficienza renale. Nel 10% degli adulti e nell’1% dei bambini, la glomerulonefrite acuta evolve in GNRP. Nei pazienti con malattia remittente, la proliferazione cellulare renale scompare entro alcune settimane, ma la gravità della risposta infiammatoria varia grandemente ed è comune una sclerosi residua. La maggior parte dei bambini (dall’85 al 95%) mantiene o recupera una normale funzionalità renale, soprattutto se la malattia è stata acquisita nel corso di un infezione streptococcica. Poco comunemente, nei casi sporadici e negli adulti, si verifica soltanto un recupero parziale. Ematuria o proteinuria possono persistere per anni.

Esami di laboratorio e diagnosi Si possono eliminare proteine > 0,5-2 g/m2/ die; un rapporto proteine/creatinina in un campione di urina casuale può essere < 2 (normale, 0,1-0,3). Il sedimento urinario contiene GR, GB dismorfici e cellule tubulari renali; sono caratteristici i cilindri contenenti GR e Hb e sono comuni i cilindri leucocitari e i cilindri granulari (goccioline proteiche). Il titolo anticorpale contro l’agente infettivo responsabile aumenta nella maggior parte dei pazienti nell’arco di 1-2 settimane. L’incremento di anticorpi contro gli antigeni streptococcici può essere misurato: il titolo antistreptolisinico-O (ASLO) è il miglior indicatore delle infezioni del distretto respiratorio superiore, mentre l’antiialuronidasi e l’antideossiribonucleasi B lo sono della piodermite. Il C3 e il C4 sono generalmente diminuiti durante la fase attiva della malattia (v. Tab. 224-1). I livelli ritornano alla normalità entro 6 o 8 sett. nell’80% dei casi di GNPS, ma praticamente in nessun caso di GN membranoproliferativa (GNMP). È solitamente presente crioglobulinemia che persiste per diversi mesi, mentre gli immunocomplessi circolanti sono riscontrabili soltanto per poche settimane. La funzione tubulare è frequentemente alterata dalle modificazioni flogistiche dell’interstizio, provocando una riduzione della capacità di concentrazione urinaria, della escrezione acida e vari disturbi dello scambio di soluti nel nefrone. Poiché vi è una certa capacità intrinseca di ipertrofia glomerulare, tali difetti della funzione tubulare si verificano solitamente prima che si notino riduzioni della GFR. Tuttavia, con un’ulteriore alterazione glomerulare, si riduce la superficie totale di filtrazione, diminusce la GFR e si verifica iperazotemia. La GFR può essere valutata dalle modificazioni della concentrazione di creatinina sierica o direttamente tramite misurazioni della clearance della creatinina. Sebbene la GFR ritorni a essere normale nel giro di 1-3 mesi, la proteinuria può persistere da 6 mesi a 1 anno, mentre l’ematuria microscopica per diversi anni. Alterazioni del sedimento urinario possono recidivare temporaneamente in seguito a modeste infezioni delle vie respiratorie. Una storia di faringodinia, impetigo o una coltura che provi un’infezione 1-6 sett. file:///F|/sito/merck/sez17/2241993b.html (2 of 4)02/09/2004 2.50.38

Malattie glomerulari

prima dell’insorgenza della sindrome, e un elevato titolo sierico di anticorpi antistreptococcici aiutano nella diagnosi. I cilindri ematici sono patognomonici di ogni forma di GN ma, in associazione al quadro clinico, sono fortemente indicativi di sindrome nefritica acuta. L’ecografia può aiutare a differenziare una malattia acuta (di solito reni normali o leggermente ingranditi) da un’esacerbazione di una malattia cronica (reni piccoli).

Prognosi La prognosi dipende dall’età del paziente, dal fatto che l’infezione sia sporadica o epidemica e dallo stato della lesione renale quando regredisce lo stimolo infiammatorio. La prognosi è generalmente buona se l’iniziale danno renale non è grave e si può rimuovere o ridurre la fonte di antigenemia. In molti pazienti i sintomi e i segni scompaiono gradualmente. Nei casi gravi, possono verificarsi ipertensione, con o senza scompenso cardiaco ed encefalopatia ipertensiva. Un marcato declino della GFR o lo sviluppo di una sindrome nefrosica (in circa il 30% dei pazienti, soprattutto in quelli con depositi subepiteliali) insieme a proliferazione extracapillare estesa (formazione di semilune) e necrosi, indicano una rapida progressione verso l’insufficienza renale terminale. Per pochi pazienti, l’inizio della malattia si presenta con anuria, ipervolemia grave e iperkaliemia; se il paziente non viene sottoposto a trattamento dialitico, può sopraggiungere la morte.

Terapia La terapia antibiotica delle infezioni prima che si sviluppi GNPS non sembra prevenire la GNPS. Se è presente un’infezione batterica al momento della diagnosi, bisognerebbe istituire una terapia antibiotica e dovrebbero essere trattate alcune altre cause secondarie (v. Tab. 224-2 e 224-3). I farmaci immunosoppressori sono inefficaci e i corticosteroidi possono peggiorare la condizione. Se vi sono iperazotemia e acidosi metabolica, vengono limitate le proteine della dieta. L’assunzione di Na viene limitata soltanto quando siano presenti sovraccarico circolatorio, edema o ipertensione grave; i diuretici (p. es., tiazidici, diuretici dell’ansa) possono essere d’aiuto nel trattamento dell’eccesso di volume del ECF. L’ipertensione richiede un trattamento vigoroso (v. Cap. 199). Una grave insufficienza renale può giustificare la dialisi (v. Cap. 223).

CAUSE SECONDARIE NON BATTERICHE DI SINDROME NEFRITICA ACUTA La sindrome nefritica acuta può verificarsi anche dopo infezioni virali, parassitarie e talvolta micotiche. Le manifestazioni cliniche e anatomopatologiche renali di queste forme possono essere simili a quelle della GNPS (con gobbe subepiteliali) o della GNMP tipo I (con depositi mesangiali e subendoteliali). È possibile un ampio spettro di coinvolgimento renale; le manifestazioni sistemiche spesso simulano altre malattie (p. es., o poliarterite nodosa, embolia renale, nefrite interstiziale da antibiotici). Si può verificare GN da LES ma questo si presenta più comunemente con la sindrome nefrosica (v. oltre). Queste altre forme di sindrome nefritica acuta sono generalmente più facili da diagnosticare della GNPS, poiché hanno di solito un periodo di latenza molto più breve o si manifestano quando il processo infettivo è attivo e visibile. Tuttavia, la nefrite causata da endocardite subacuta è difficile da diagnosticare, soprattutto in caso di emocolture negative.

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Malattie glomerulari

La gravità delle manifestazioni cliniche è in relazione alla durata dell’infezione; p. es., la sindrome nefritica acuta secondaria a protesi vascolare infetta ha una buona prognosi se l’infezione può essere eradicata (di solito Staphylococcus epidermidis). Questo richiede spesso la rimozione della protesi e la terapia antibiotica. Tuttavia, l’insufficienza renale può essere irreversibile in pazienti con una preesistente patologia renale o quando la terapia viene ritardata e la lesione è estesa.

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Malattia renale immunologicamente mediata

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 231. MALATTIA RENALE IMMUNOLOGICAMENTE MEDIATA (Malattia renale immunitaria) Malattia renale glomerulare, vascolare e tubulo-interstiziale mediata dai meccanismi immunitari dell’ospite.

Sommario: Introduzione Patogenesi Diagnosi Terapia

La causa della malattia renale immunologicamente mediata è la presenza di uno stimolo antigenico che scatena una reazione immunitaria (v. anche Cap. 146 e 148). La lista degli antigeni associati a questa patologia è ampia e in continua espansione (v. Tab. 231-1). Questi antigeni sono catalogati come renali o non renali (sulla base della loro origine intra o extra renale), e propri (self) o estranei (cioè, endogeni o esogeni). Spesso l’antigene responsabile è sconosciuto.

Patogenesi Per causare una malattia renale immunologicamente mediata, un antigene deve localizzarsi nel rene e scatenare una risposta flogistica e immunitaria locale. Gli antigeni renali hanno una localizzazione intrinseca, essendo proteine costituenti del rene. Gli antigeni non renali richiedono un meccanismo di deposizione (impianto) nel rene. Gli antigeni renali fungono da bersaglio fisso per il legame anticorpale, così come alcuni antigeni non renali che circolano e si depositano (impiantano) nel rene. Di solito, antigeni non renali che causano malattia renale sono di origine ematica e si attaccano a un anticorpo specifico, per formare immunocomplessi che circolano fino al rene. A seconda delle loro caratteristiche fisiche e chimiche, gli immunocomplessi hanno dei siti di localizzazione particolari nel rene: mesangio glomerulare, membrana basale glomerulare (MBG), lo strato delle cellule endoteliali all’interno della MBG, lo strato delle cellule epiteliali all’esterno della MBG (v. Fig. 224-2). Per esempio, nella nefropatia da IgA (malattia di Berger), gli immunocomplessi contengono IgA e la loro localizzazione preferita è il mesangio a causa delle grandi dimensioni della molecola dell’IgA. Gli antigeni batterici uniti in immunocomplessi con le IgG tendono a localizzasi all’interno della MBG o sul versante epiteliale della MBG per le loro minori dimensioni. Una volta localizzatisi, gli antigeni e gli immunocomplessi instaurano e continuano la lesione renale flogistica e immunitaria, di solito mediante una o più dei classici tipi di reazione immunitaria (v. Tab. 231-2). Tipi più rari comprendono malattie mediate da IgE, da attivazione diretta del complemento e da immunodeficienza (p. es., AIDS, deficit congeniti delle componenti del complemento). Il quadro istopatologico della lesione dipende dalla localizzazione e dal tipo di risposta immune.

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Malattia renale immunologicamente mediata

Malattia renale mediata da IgE (reazione di ipersensibilità di tipo I, immediata o anafilattica) (v. Tab. 231-2): la risposta immune mediata dalle IgE è scatenata quando un linfocita T, già sensibilizzato a un determinato antigene, ne viene nuovamente a contatto rilasciando le interleuchine pro- allergiche IL-4 e IL-5, che aumentano la produzione di IgE e attivano i mastociti e i basofili. Il rivestimento di IgE dei basofili e dei mastociti in presenza di allergeni causa il rilascio di proteine vasoattive (p. es., istamina) e chemiochine (p. es., IL-4), che causano vasospasmo, sintesi delle prostaglandine, coagulazione mediata dalle piastrine, trombosi e deposizione di fibrina. In diverse malattie renali infiammatorie si verifica deposizione di IgE e infiltrazione eosinofila. In particolare, la reazione di ipersensibilità mediata dalle IgE è in parte alla base della malattia renale allergica tubulo-interstiziale dovuta alle penicilline, specialmente meticillina, che è associata a eosinofilia, infiltrazione eosinofila nel rene, depositi di IgE, sensibilità ai corticosteroidi e, frequentemente, rapido miglioramento dopo l’interruzione del farmaco responsabile. Malattia renale da anticorpi citotossici (ipersensibilità di tipo II): la malattia da anticorpi anti-MBG (sindrome di Goodpasture) ne è il prototipo. Il danno renale è causato dalla deposizione lineare di anticorpi specifici diretti contro il collagene tipo IV della MBG. L’anticorpo si attacca al suo antigene e forma un immunocomplesso che attiva il sistema del complemento, un gruppo di proteine plasmatiche e di membrana aventi proprietà enzimatiche, chemiotassiche, di legame e di regolazione. L’attivazione del complemento, attraverso C1 (via classica) o C3 (via alternativa), forma una proteina chiamata complesso di attacco di membrana (CAM), costituito dai componenti da C5 a C9 del complemento. Il CAM può provocare danno tissutale direttamente, creando canali nella membrana o indirettamente, richiamando altre cellule infiammatorie a partecipare alla risposta immunitaria. Per esempio, il frammento C5-7 del complemento attrae i neutrofili nel luogo dell’infiammazione; i neutrofili rilasciano lisosomi, causano ulteriore danno tissutale e possono direttamente danneggiare e penetrare la MBG. Inoltre, producono specie reattive dell’O2 (cioè, radicali liberi, superossido) ed eicosanoidi e interagiscono con le piastrine per attivare il sistema della coagulazione e stimolare la deposizione di fibrina. Così, nella malattia da anticorpi anti-MBG, gli anticorpi citotossici si localizzano lungo la MBG in una distribuzione lineare simile a quella del complemento sebbene questa sia più irregolare o segmentata. L’istopatologia è caratterizzata da distruzione necrotizzante dell’architettura glomerulare e da depositi di fibrina in semilune fibroepiteliali. Anche gli anticorpi contro il citoplasma dei neutrofili (ANCA, antineutrophil cytoplasmic antibodies) provocano una malattia renale mediata da anticorpi citotossici e giocano un ruolo nella glomerulonefrite di Wegener e in altre malattie renali vascolari. Sebbene caratterizzate come pauci-immuni per la virtuale assenza di componenti immunitari all’immunofluorescenza, le malattie renali associate agli ANCA sono meglio classificate nell’ambito della malattia renale immunologicamente mediata poiché gli ANCA svolgono un ruolo eziologico. Sebbene esistano diversi tipi di ANCA, ognuno dei quali riconosce uno specifico componente del citoplasma dei neutrofili (p. es., mieloperossidasi; lisozima; elastasi; proteinasi 3; lattoferrina; catepsine B, D e G), molti sieri contenenti ANCA sono specifici per un solo antigene. In pratica tutti i C-ANCA sono specifici per la proteinasi 3 e i P-ANCA per la mieloperossidasi. La granulomatosi di Wegener è il prototipo della malattia renale mediata da ANCA; quasi tutti i casi di granulomatosi di Wegener sono associate ad ANCA. Sebbene gli eventi che promuovono la produzione di ANCA siano sconosciuti, è stato proposto che l’azione degli ANCA sugli antigeni citoplasmatici dei neutrofili attivi questi ultimi. Le integrine della superficie cellulare sono iperregolate, provocando il richiamo e la migrazione dei neutrofili attraverso l’endotelio vascolare del rene e degli altri organi coinvolti dal processo vasculitico. L’adesione dei neutrofili alle cellule endoteliali provoca un’iperespressione dei ligandi della superficie endoteliale (p. es., molecola-1 di adesione intracellulare e molecola-1 di adesione endotelio-leucociti). Questi ligandi rafforzano il legame tra neutrofili attivati ed endotelio, dando luogo a vari eventi flogistico-immunologici, compresa la produzione di radicali liberi dell’O2, degranulazione lisosomiale, attivazione dei linfociti T con liberazione di linfochine e conseguente danno delle cellule endoteliali.

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Malattia renale immunologicamente mediata

L’endotelio vascolare glomerulare è particolarmente vulnerabile. Sebbene raramente si evidenziano depositi di immunoglobuline, è stato proposto che gli ANCA uniti in complessi con la proteinasi 3 o la mieloperossidasi possano legarsi all’endotelio lungo la MBG a causa della carica cationica degli autoantigeni proteinasi 3 o mieloperossidasi. La deposizione di immunocomplessi ANCAantigene lungo la MBG inizia e propaga la lesione mediata dagli ANCA. L’analisi istopatologica delle lesioni cliniche della granulomatosi di Wegener mette in evidenza una glomerulonefrite progressiva a semilune rapidamente necrotizzante e granulomi di linfociti T nel rene e nel tratto respiratorio. L’attivazione dei neutrofili da parte degli ANCA può anche essere patogenetica nelle forme di glomerulonefrite necrotizzante idiopatica e glomerulonefrite rapidamente progressiva (senza coinvolgimento del tratto respiratorio) e nella poliarterite microscopica, una forma comune di vasculite renale a carico dei piccoli vasi del rene (e di altri organi) senza granulomi o depositi di immunoglobuline. Malattia renale mediata da immunocomplessi (reazione di ipersensibilità tipo III): gli immunocomplessi si localizzano nel mesangio, nella parete dei capillari glomerulari o nell’interstizio renale e spesso possono essere evidenziati in circolo. La biopsia renale evidenzia anticorpi e complemento localizzati in questi siti con un aspetto "granuloso irregolare". I meccanismi sottostanti possono essere analoghi a quelli che si verificano nei modelli sperimentali animali in cui la somministrazione parenterale di una proteina eterologa stimola la produzione di anticorpi che si combinano con l’antigene a formare immunocomplessi sia all’interno del rene, dopo che l’antigene si è fissato, sia nel circolo per essere successivamente depositati. L’antigene depositato attira a sé il suo specifico anticorpo dal circolo e quindi si forma localmente un immunocomplesso. Alternativamente, se si formano immunocomplessi circolanti, come aumenta la produzione di anticorpi, aumenta la dimensione degli immunocomplessi circolanti, che favorisce la rimozione dalla circolazione da parte delle cellule reticolo- endoteliali o la localizzazione nel mesangio o nella parete dei capillari glomerulari. Sembra che gli immunocomplessi di piccole dimensioni si depositino di meno e gli immunocomplessi voluminosi sono di preferenza rimossi dagli organi reticoloendoteliali (milza, fegato e sistema linfatico), rendendo minima la loro localizzazione nel rene. Una varietà di sostanze endogene ed esogene può fungere da antigene nella formazione di immunocomplessi. Per esempio, proteine endogene nucleari possono dar luogo a immunocomplessi DNA-antiDNA nella nefrite lupica o gli antigeni della parete cellulare dello streptococco possono formare immunocomplessi nella glomerulonefrite post-streptococcica. Vi sono dati crescenti che gli immunocomplessi vengono depositati mediante una varietà di meccanismi. Alcuni antigeni hanno un’affinità specifica per la MBG. Altri antigeni depositati possono essere antigeni nativi alterati o virus che accedono al tessuto renale dal circolo. Indipendentemente dal tipo o dalla fonte dell’antigene, vari fattori sembrano influenzare la localizzazione, che comprendono la liberazione di sostanze vasoattive che aumentano la permeabilità vascolare; le dimensioni, la forma e il rapporto antigene:anticorpo dell’immunocomplesso; la presenza di recettori per il C3b attivato sulle cellule epiteliali glomerulari e per il frammento Fc delle IgG sulle cellule interstiziali e mesangiali. Gli immunocomplessi sono deposti nella parete capillare glomerulare, principalmente in sede subepiteliale; la localizzazione degli immunocomplessi con attivazione del complemento è alla base della patogenesi della glomerulonefrite rapidamente progressiva da immunocomplessi. L’attivazione del complemento stimola vari fenomeni immunologici, comprendenti l’attrazione dei neutrofili con rilascio dei lisosomi e di altri linfociti con liberazione di citochine. Praticamente, si possono osservare tutti i tipi di quadri istopatologici renali, inclusa la malattia a lesioni minime e le glomerulonefriti mesangioproliferativa, membranosa, membranoproliferativa, mesangiocapillare e rapidamente progressiva (v. Cap. 224). Malattia renale da immunità cellulo-mediata (tipo IV o ipersensibilità ritardata): il prototipo è il trapianto renale. Nei trapianti renali da gemelli identici, file:///F|/sito/merck/sez17/2312046.html (3 of 6)02/09/2004 2.50.39

Malattia renale immunologicamente mediata

gli antigeni del rene trapiantato possono essere identici a quelli dell’ospite e non viene indotta nessuna risposta immunitaria. Tuttavia, in quasi tutti i trapianti da non gemelli, il rene presenta antigeni non self che promuovono una risposta immunitaria (soprattutto cellulo-mediata). Gli antigeni HLA sulle cellule dei reni trapiantati vengono trattati dai monociti e dai macrofagi, che rilasciano interleuchina-1 e attivano i linfociti T helper. I linfociti T helper attivati stimolano altri linfociti T in presenza di interleuchina-2, trasformandoli in linfociti T citotossici che possono attaccare gli antigeni estranei del rene trapiantato, dando luogo a un’infiammazione immunitaria cellulo-mediata. Se l’ospite è stato presensibilizzato verso gli antigeni del rene trapiantato, il trapianto può scatenare una reazione iperacuta (un attacco anticorpo-mediato all’endotelio capillare renale), provocando ischemia renale acuta, infarto e perdita del trapianto. La malattia renale da immunità cellulo-mediata sembra svolgere un ruolo nella glomerulonefrite cronica post-streptococcica (GNPS). I linfociti stimolati dall’esposizione agli antigeni della parete streptococcica possono cross-reagire con gli antigeni glomerulari renali, provocando una progressiva apoptosi cellulare e sclerosi del parenchima renale. Malattia renale direttamente mediata dal complemento: la lesione renale può verificarsi in apparente assenza di antigene o anticorpo. C3 e properdina sono depositate nel mesangio e nella parete capillare glomerulare. Con l’immunofluorescenza, non è possibile evidenziare i componenti iniziali del complemento e le immunoglobuline. La via alternativa del complemento si può attivare quando la properdina scinde il C3, usando, quali cofattori, il proattivatore C3, la convertasi del proattivatore C3 e il C3 nativo. Queste molecole sono normali costituenti sierici e l’attivazione della via alternativa procede di solito a un ritmo controllato, senza un eccessivo deposito renale di C3 attivato. Non è chiaro il meccanismo tramite cui l’attivazione del complemento viene alterata, dando luogo alla deposizione renale di C3. La metà circa dei pazienti che sviluppano una malattia renale immunologicamente mediata, associata in modo preponderante al deposito di C3, ha una proteina sierica che può clivare direttamente il C3 in C3b attivo. Questa molecola, il fattore nefritico C3 è un autoanticorpo IgG stabile al calore, con peso molecolare di 150000. Il C3b si può depositare nel mesangio fagocitico del glomerulo, nel subendotelio o nei siti leganti del C3b nella parete capillare e può indurre una lesione locale infiammatoria immunitaria. L’attivazione diretta del complemento causa una malattia caratterizzata dalla proliferazione di elementi cellulari dentro il corpuscolo renale e da un ispessimento della parete dei capillari. Queste modificazioni visibili alla biopsia renale sono definite come GN membranoproliferativa (GNMP) che può essere di tipo I, II o III. Quella di tipo I è caratterizzata da depositi di C3 principalmente subendoteliali lungo il versante della parete capillare e quella di tipo II si associa con depositi densi intramembranosi. Il tipo III è un’insieme dei due quadri. HIV: l’infezione da HIV può essere associata a malattia renale progressiva. L’assunzione di droghe EV, un importante fattore di rischio, non è presente in tutti i casi. La proteinuria con glomerulosclerosi focale segmentaria rapidamente evolutiva da HIV sembra essere più probabile nei maschi, in chi vive in città, nei neri consumatori di droghe EV, mentre nefropatia da HIV non proteinurica, più lentamente progressiva si verifica principalmente in pazienti bianchi omosessuali sieropositivi. L’istopatologia è caratterizzata in fase iniziale da glomerulosclerosi focale segmentaria e depositi focali di IgM e C3. In una fase più tardiva, la biopsia renale mostra un collasso più esteso di interi glomeruli. L’interstizio renale è spesso infiltrato da molti linfociti CD8+ CD2+. La presenza di strutture tuboreticulari all’interno delle cellule endoteliali glomerulari è indice di un ruolo dell’attacco diretto del virus o di particelle virali che reagiscono come antigeni depositati nel causare malattia renale immunologicamente mediata nella nefropatia da HIV. Inoltre, in pazienti con HIV il coinvolgimento renale tipo lesione da immunocomplessi è probabilmente il risultato della presenza in circolo di immunocomplessi contro il rene associati a batteri, virus o neoplasia, che scatenano una malattia renale mediata da immunocomplessi e dell’eccessiva immunità anticorpo-mediata dal momento che nell’infezione da HIV è stata

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Malattia renale immunologicamente mediata

descritta l’ipergammaglobulinemia policlonale. Deficit congeniti dei componenti del complemento: forse, essendo il risultato di un alterato rimaneggiamento di proteine autologhe circolanti, questi deficit sono associati a diverse, rare malattie renali su base immunologica. In pazienti con carenza di fattore H sono state descritte una sindrome simil LES e una sindrome emolitico-uremica con necrosi della corticale renale. I meccanismi non sono chiari, ma alterazioni in eccesso o in difetto del sistema immune possono essere un fattore predisponente.

Diagnosi La biopsia renale e l’esame al microscopio ottico del tessuto colorato forniscono il miglior metodo di diagnosi di malattia renale immunologicamente mediata, di stima della prognosi e di scelta della terapia. Tuttavia, dato che diversi meccanismi immunitari possono dar luogo a modificazioni morfologiche simili, la microscopia a immunofluorescenza, utilizzando anticorpi specifici marcati con fluoresceina, è spesso utile nel caratterizzare il tipo e la localizzazione dei componenti immunologici nel rene. Il tipo e il quadro dei depositi di complemento aiutano a porre la diagnosi. La deposizione di complemento segue solitamente il quadro della deposizione di immunocomplessi e di immunoglobuline, o di entrambi. Tuttavia, nella GNMP tipo II, il deposito di C3 in assenza di immunoglobulina, il deposito di C1q o di C4 possono avvenire mediante l’attivazione della via alternativa. La microscopia elettronica consente di visualizzare alterazioni submicroscopiche nello spessore e nella composizione delle strutture glomerulari e tubulari ed evidenzia la presenza e la localizzazioni di depositi immuni. L’esame chimico delle urine per scoprire proteinuria ed elementi formati è spesso utile. La sindrome nefrosica (v. Cap. 224) è praticamente presente in tutte le forme di malattia renale immunologicamente mediata. Nelle urine vengono riscontrate abbondanti proteine e, frequentemente, cellule epiteliali tubulari cariche di lipidi (corpi ovali grassi a "croce maltese" alla microscopia a luce polarizzata). La proteinuria in ambito nefrosico di solito indica un meccanismo sottostante immunologico, sebbene la sindrome nefrosica si possa verificare anche in caso di malattia renale non immunologica (p. es., diabete mellito). Una lesione che causi necrosi, come nella lesione acuta di tipo citotossico della malattia da anticorpi anti-MBG, provoca un’ematuria significativa. La lesione da immunocomplessi (p. es., glomerulonefrite postinfettiva) è associata a ematuria e a cilindri ematici. Ematuria, leucocituria, cilindri ematici e di cellule epiteliali, sono associati alla forma attiva di nefrite da LES e ad altre collagenopatie vascolari. Le GNMP e le glomerulonefriti membranose sono associate a una significativa proteinuria. La GNMP di solito produce ematuria, ma la glomerulonefrite membranosa lo fa raramente. La GN a lesioni minime e la GN a sclerosi focale possono dare solo proteinuria. Gli esami sierologici possono individuare la presenza di anticorpi citotossici nella malattia renale da anticorpi citotossici (p. es., anticorpi anti-MBG o antiHLA). Gli immunocomplessi circolanti si possono ritrovare in una varietà di malattie renali mediate da immunocomplessi come documentabile con test del legame con C1q o con il test cellulare di Raji. Gli ANCA circolanti possono essere evidenziati nella malattia renale da ANCA (p. es., granulomatosi di Wegener). Gli alterati livelli delle proteine del complemento spesso differenziano i tipi di malattia renale su base immunitaria. Quando è predominante l’attivazione della via alternativa (p. es., nella GNMP e frequentemente nella GNPS), il consumo di complemento inizia con l’attivazione di C3; così, i primi componenti del complemento (C1q, C4 e C2) non sono diminuiti. Nell’attivazione della via classica (p. es., nel LES), il consumo inizia con i componenti iniziali, che sono di conseguenza diminuiti. La presenza del fattore nefritico C3 con C3 diminuito, ma file:///F|/sito/merck/sez17/2312046.html (5 of 6)02/09/2004 2.50.39

Malattia renale immunologicamente mediata

con C1q, C4 e C2 normali, in pratica stabilisce la diagnosi di GNMP con attivazione della via alternativa. Altre indagini sierologiche utili sono p. es., il rilievo di un aumento del titolo anticorpale contro gli antigeni streptococcici nella GNPS. Altre glomerulonefriti postinfettive possono essere diagnosticate con esami sierologici, quali un test positivo per la sifilide, la presenza di antigene dell’epatite o titoli anticorpali in aumento nei confronti di un gran numero di organismi infettivi. L’AIDS può essere diagnosticato mediante tecniche polimerasiche che evidenziano anticorpi antiHIV o l’antigene HIV. I test di istocompatibilità possono aiutare a diagnosticare alcune forme di malattia renale immunologicamente mediata. Per esempio, la GNPS è stata associata con HLA-B12, la nefropatia da IgA con HLA-B35 e HLA-DR4, e la sindrome da anticorpi anti MBG o di Goodpasture con HLA-DR2.

Terapia La terapia varia a seconda della patogenesi. Quando i meccanismi immunitari sono stati compresi meglio, sono diventate disponibili più alternative terapeutiche, ma molte di queste patologie renali rimangono resistenti alla terapia. I principi della terapia comprendono la modulazione dei meccanismi immunitari dell’ospite mediante la rimozione di antigene, di anticorpi o di immunocomplessi; mediante l’induzione dell’immunosoppressione per mezzo di farmaci e la somministrazione di farmaci antiinfiammatori e, in alcuni casi, anticoagulanti e inibitori delle piastrine (v. Tab. 224-3). Se l’antigene non può essere eliminato, lo scopo è quello di ridurre la sua carica e di creare anticorpi in eccesso per favorire la naturale rimozione reticolo-endoteliale degli immunocomplessi. La plasmaferesi è utile nella malattia da anticorpi anti-MBG, nel rigetto acuto di allotrapianto e nel LES. La plasmaferesi deve essere effettuata in combinazione con i corticosteroidi e con la terapia immunosoppressiva di mantenimento. Poche malattie (p. es., LES, rigetto acuto di trapianto e probabilmente la glomerulonefrite membranosa) rispondono alla somministrazione quotidiana o a dosaggi elevati (cioè metilprednisolone succinato sodico 10-15 mg/kg EV somministrato settimanalmente o mensilmente) di corticosteroidi. L’azatioprina o il micofenolato insieme ai corticosteroidi possono fornire un ulteriore beneficio nel rigetto di trapianto e nel LES. La ciclofosfamide è il farmaco di scelta nella granulomatosi di Wegener e probabilmente nella glomerulonefrite membranosa e nel LES. La ciclosporina, il tacrolimus e il micofenolato si sono dimostrati estremamente efficaci nei trapianti renali e hanno trovato applicazioni in altre forme di malattie renali immunologiche. Il rigetto acuto di trapianto renale è trattato con anticorpi monoclonali contro i linfociti T (anticorpi anti-OKT3) o con anticorpi, indotti in animali, contro i linfociti T umani (ATG). Gli antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, aspirina e ticlopidina) vengono raccomandati soltanto per la GNMP di tipo I. Nelle GNMP di tipo II, è difficile ridurre i livelli di anticorpi citotossici, in quanto rimane presente l’antigene stimolante.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 231-1. ANTIGENI ASSOCIATI A MALATTIA RENALE IMMUNOLOGICAE Renali Self (endogeni) Membrana basale glomerulare (particolarmente collagene tipo IV) Estranei (esogeni) Antigeni del trapianto (HLA) Non renali Self (endogeni) Acidi nucleici Antigeni citoplasmatici dei PMN Antigeni tumorali Crioglobuline Estranei (esogeni) Batterici (p.es., streptococco βemolitico ) Virali (p.es., HIV) Allergeni (p.es., pungiglione di ape, pollini, vaccini) Farmaci (p.es., meticillina)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 231-2. QUADRI DELLE MALATTIE RENALI IMMUNOLOGICAMENTE MEDIATE Tipo di risposta immunitaria

Malattie renali associate

Antigene o causa

Quadri della deposizione dei componenti immunitari Ig

Citotossica anticorpo mediata (ipersensibilità tipoII)

Complemento

Malattia anti-MBG

MBG

Lineari lungo Lineare lungo la la MBG MBG (talvolta assente)

Malattia anti-MBT

Antigeni tubulari

Rigetto iperacuto

Antigeni HLA di classeI

Lineari lungo Lineari lungo la MBT MBT

GN di Wegener

MPO citoplasmatica dei neutrofili

Vasali e perivasali diffuse Pauciimmune

Fibrina Extracapillare

Vascolare

Pauci-immune

Semilune fibroepiteliali

GN da Da immunocomplessi immunocomplessi (p. es., poststreptococcica, (ipersensibilità malattia da siero, tipoIII) epatiteB, LES)

Vari antigeni esogeni ed endogeni

Granulari Granulari nella Minimi nella parete parete capillare o capillare o nell’interstizio nell’interstizio

Cellulo-mediata

Antigene HLA di classeII

Granulare diffuso

(ipersensibilità tipo IV o ritardata)

Rigetto cronico di allotrapianto renale

Antigeni renali GN cronica

Granulare diffuso Intra e perivasale Variabili Intra e perivasale

Variabili

IgE-mediata (ipersensibilità tipoI, immediata o anafilattica)

Malattia immune tubulo- interstiziale

Attivazione diretta del complemento (via alternativa)

GN Immunicomplessi, fattore membranoproliferativa nefriticoC3

Spesso C3, Raro assenti; IgG subendoteliale o occasionali intramembranoso nel mesangio

AIDS

GN focale segmentale HIV

IgM focale e segmentale

Focale e segmentale

-

Deficienza congenita dei componenti del complemento

Sindrome lupica

Deficit del complemento

Focale mesangiale

Focale mesangiale

-

Sindrome emoliticouremica

Deficit del fattoreH

Varie (p.es., penicillina)

-

Interstiziale

Necrosi ischemica e da coagulazione

-

-

-

MBG=membrana basale glomerulare; MBT=membrana basale tubulare; GN=glomerulonefrite; MPO=mieloperossidasi. Modificata da Bellanti JA=Immunology III. Philadelphia, WB Saunders Company, 1985, p.443.

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Tabella 224-3. TERAPIA DELLE GLOMERULOPATIE Malattia

Trattamento

Glomerulonefrite acuta postinfettiva

Antibioticoterapia specifica per l’infezione

Glomerulonefrite associata ad ANCA

Alte dosi di metilprednisolone EV;per il mantenimento ciclofosfamide e prednisone per via orale; se fulminante, la stessa terapia della GN da anticorpi anti-MBG

Glomerulonefrite da immunocomplessi

La stessa della glomerulonefrite associata ad ANCA

Glomerulonefrite da anticorpi Plasmaferesi + prednisone di mantenimento + ciclofosfamide anti MBG Nefropatia da IgA

ACE inibitori per l’ipertensione e la riduzione della proteinuria. IgEV per l’insufficienza renale rapidamente progressiva; corticosterodi per la malattia a lesioni minime o GNRP

Glomerulonefrite a lesioni minime (MCD)

Inizialmente prednisone seguito da terapia di mantenimento con prednisone a giorni alterni; resistenza ai corticosteroidi o frequenti recidive

Glomerulosclerosi focale segmentale

Di solito resistente ai corticosteroidi; trial di prednisone con o senza ciclofosfamide o ciclosporina

Glomerulonefrite membranosa

Alte dosi EV di prednisone alternato mensilmente con clorambucil

Glomerulonefrite membranoproliferativa

Nessuna terapia specifica disponibile; trial di farmaco citotossico + prednisone o ciclosporina ad alte dosi a giorni alterni

Glomerulonefrite mesangiale Particolarmente resistente ai corticosteroidi; trial di corticosteroidi ad alte dosi a gg alterni proliferativa Glomerulonefrite Lupica

Corticosteroidi PO + ciclofosfamide mensilmente

Porpora di SchönleinHenoch

Non disponibile una terapia specifica; trial con la plasmaferesi

Porpora trombotica trombocitopenica /sindrome emolitico-uremica

Plasmaferesi + antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo e acido acetilsalicilico)

ANCA=Antineutrophil Cytoplasmic Antibodies anticorpi contro il citoplasma dei neutrofili; MBG= membrana basale glomerulare;I gEV: immunoglobuline EV; GNRP: glomerulonefrite rapidamente progressiva.

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Manuale Merck - Tabella

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TABELLA 224-1. LIVELLI DI COMPLEMENTO SIERICO NELLE MALATTIE GLOMERULARI Malattia Glomerulare

Livelli di C3

Livelli di C4

GN acuta postinfettiva

↓↓

N

GNRP pauci-immune

N

N

GNMP tipo I

↓↓

No↓

GNMP tipo II

↓↓

N

GN mesangioproliferativa

N

N

Crioglobulinemia

No↓

↓↓

Glomerulonefrite lupica

↓ o ↓↓

↓ o ↓↓

Nefropatia associata a HIV



↓↓

GSFS/GNM/MCD/ IgA

N

N

Diabete/ amiloidosi

N

N

Malattia da anti-MBG

N

N

GN=glomerulonefrite; GNRP=glomerulonefrite rapi damente progressiva; GNMP=glomerulonefrite membran oproliferativa; GSFS=glomerulosclerosi focale segmen taria; GNM= glomerulonefrite membranosa; MCD=Minimal Change Disease, malattia a lesioni min ime; IgA=nefropatia da IgA; Anti-MBG=anticorpi contro la membrana basale glomerulare; N=normali; ↓=diminuiti; ↓↓=marcatamente diminuiti.

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TABELLA 224-2. MALATTIE ASSOCIATE A SINDROME NEFRITICA ACUTA Malattie glomerulari primitive Glomerulonefrite membranoproliferativa Glomerulonefrite mesangiocapillare Malattia da depositi densi intramembranosi Glomerulonefrite mesangioproliferativa Nefropatia da IgA Malattie glomerulari secondarie (associate a malattia multisistemica) Glomerulonefrite postinfettiva Infezioni batteriche Infezione da streptococco b-emolitico di gruppo A Infezioni stafilococciche Streptococcus pneumoniae Micoplasma Ascessi viscerali (Escherichia coli, Pseudomonas, Proteus, Klebsiella,Clostridium) Infezioni virali HBV, EBV, HZV, citomegalovirus

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Morbillo Parotite epidemica Coxsackievirus Infezioni da parassiti Schistosomiasi (S. haematobium, S. mansoni) Toxoplasmosi Malaria (P. falciparum, P. malariae) Altri agenti infettivi Rickettsie Funghi (Candida albicans, Coccidioides immitis) Malattie collageno-vascolari Poliarterite nodosa LES Granulomatosi di Wegener Porpora di Henoch-Schönlein Discrasie ematologiche Porpora trombotica trombocitopenica/ sindrome emolitico-uremica Crioglobulinemia mista da IgG-IgM Malattia da siero Malattie della membrana basale glomerulare

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Sindrome di Alport Sindrome di Goodpasture Malattia della membrana basale sottile

HBV = virus dell'epatite B; EBV = virus di Epstein-Barr; HZV = herpes zoster virus

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFRITICA GLOMERULONEFRITE RAPIDAMENTE PROGRESSIVA (Glomerulonefrite a semilune) Una sindrome caratterizzata, istologicamente, da necrosi focale e segmentale e da proliferazione di cellule epiteliali (semilune) nella maggior parte dei glomeruli e, clinicamente, da insufficienza renale fulminante con proteinuria, ematuria e cilindri ematici.

Sommario: Eziologia, incidenza e classificazione Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Terapia

Eziologia, incidenza e classificazione La glomerulonefrite rapidamente progressiva (GNPR) è poco frequente. La patogenesi è di solito sconosciuta e le cause immediate sono varie (v. Tab. 224-4 e Fig. 224-1). La microscopia a immunofluorescenza e la biopsia possono classificare la GNRP, sebbene in alcuni casi i dati di laboratorio indichino più di una sindrome. La GNRP pauci-immune costituisce il 50% di tutti i casi di GNRP ed è caratterizzata dall’assenza di immunocomplessi o depositi di complemento nel tessuto glomerulare. Gli ANCA sono un marker sierologico della GNRP "pauciimmune" associata a vasculite sistemica o a una mancanza di evidenza di malattia extrarenale. I pazienti hanno anticorpi diretti contro la proteinasi 3 dei GB (ANCA citoplasmatici o C-ANCA), anticorpi antimieloperossidasi (ANCA perinucleari o P-ANCA) o entrambi. La GNRP da immunocomplessi costituisce il 40% dei casi di GNRP e sembra essere idiopatica, ma, in alcuni pazienti, sono state chiamate in causa la penicillamina, la sifilide e le neoplasie. Vi è di solito evidenza di malattia sistemica, come LES, porpora di Henoch-Schönlein e crioglobulinemia mista. In alcuni pazienti, la GNRP si può sovrapporre a un’altra malattia renale primitiva (p. es., GNMP, nefropatia da IgA, nefropatia membranosa). La malattia autoimmune da autoanticorpi anti-MBG costituisce il 10% dei casi di GNRP ed è idiopatica. L’antigene primitivo è un componente del collagene tipo IV. Anche i linfociti T autoreattivi possono contribuire alla formazione di anticorpi anti-MBG contro i glomeruli e gli alveoli. Gli anticorpi anti-MBG sono presenti nel sangue e possono essere osservati sulla MBG alla microscopia a immunofluorescenza. Nel 60-90% dei pazienti, l’anticorpo cross-reagisce con la membrana basale alveolare polmonare e provoca un’alveolite che causa

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Malattie glomerulari

emorragia polmonare (v. Cap. 77). Il danno renale con interessamento polmonare (p. es., influenza, esposizione a idrocarburi, fumo cronico di sigarette) indica una concomitante lesione polmonare, che consente agli anticorpi circolanti di accedere agli alveoli.

Anatomia patologica La proliferazione focale delle cellule epiteliali glomerulari, talvolta con numerosi neutrofili sparsi, forma una massa cellulare a semiluna che riempie lo spazio di Bowman nel 50-100% dei glomeruli renali. Il gomitolo glomerulare solitamente sembra essere ipocellulare e collassato. La necrosi nel gomitolo o della semiluna non è frequente, ma può anche essere il principale reperto. In tali pazienti è importante effettuare un’attenta ricerca della presenza istologica di una vasculite. L’edema interstiziale è spesso un impressionante reperto precoce. È diffuso e associato con infiltrazione di diversi tipi di cellule infiammatorie; quando l’edema è esteso, predominano le cellule mononucleate. Le iniziali alterazioni dei tubuli comprendono la formazione di vacuoli e di goccioline ialine e nei tubuli distali, occasionalmente, la presenza di cilindri ialini ed ematici. A mano a mano che la malattia progredisce si verifica atrofia e ispessimento della MBG. L’interstizio diventa diffusamente fibrotico mentre diminuisce il numero di cellule infiammatorie. Una deposizione lineare di IgG (solitamente associata a una segmentaria di C3) lungo la MBG è la più importante anomalia osservata al microscopio a fluorescenza, ma questo quadro non è costante né specifico, verificandosi anche nella nefropatia diabetica e nella GN fibrillare. Tuttavia, in queste, il deposito di IgG non è specifico e sono assenti le semilune, gli anticorpi circolanti anti-MBG; inoltre gli altri reperti istologici sono caratteristici (glomerulosclerosi diabetica, fibrille alla microscopia elettronica nella GN fibrillare). Depositi diffusi e irregolari di IgG e C3, con proliferazione delle cellule intraglomerulari e formazione di semilune, si riscontrano comunemente in pazienti con grave GNRP da immunocomplessi. In altri casi, non si sono evidenziati depositi di IgG o di complemento. Tuttavia, è presente fibrina all’interno delle semilune, indipendentemente dal quadro della fluorescenza.

Sintomi e segni La presentazione clinica può essere simile a quella della malattia acuta non progressiva, ma l’insorgenza è generalmente più insidiosa. Debolezza, fatica e febbre sono i sintomi più importanti; sono comuni anche nausea, vomito, anoressia, artralgie e dolori addominali. Circa il 50% dei pazienti ha edema e una storia di malattia acuta simil influenzale nelle 4 sett. precedenti l’esordio dell’insufficienza renale, di solito seguita da una grave oliguria. Pochi pazienti hanno una storia di proteinuria. L’ipertensione è poco frequente e raramente grave. A volte la GNRP si associa a manifestazioni polmonari (sindrome polmonare, renale v. Tab. 224-5).

Esami di laboratorio e diagnosi È tipica l’insufficienza renale di entità variabile. L’ematuria è sempre presente ed è spesso macroscopica. Si riscontrano invariabilmente cilindri ematici ed è frequente un sedimento "telescopico" (cilindri leucocitari, granulosi, cerei e larghi). L’anemia, a volte grave, è un reperto costante e la leucocitosi è comune.

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Malattie glomerulari

La GNRP "pauci-immune" è suggestiva in pazienti con significativi titoli di ANCA. La granulomatosi di Wegener è associata ai C-ANCA nel 90% dei casi, mentre la GN idiopatica necrotizzante è associata ai P-ANCA in circa l’80% dei casi. La poliarterite microscopica presenta una distribuzione relativamente uguale di CANCA e P-ANCA. La GNRP da immunocomplessi è suggerita da un aumento dei titoli di anticorpi anti- streptococchi, dagli immunocomplessi circolanti o dalla crioglobulinemia. L’ipocomplementemia è comune nella GNRP da immunocomplessi, ma poco frequente nella nefrite da anticorpi anti-MBG. Un esame sierologico positivo per la ricerca di anticorpi anti-MBG circolanti è utile; gli anticorpi tendono a scomparire entro 3-6 mesi. All’ecografia o alle indagini radiologiche (senza contrasto), i reni inizialmente possono apparire ingranditi, ma diventano progressivamente più piccoli. La biopsia renale nelle fasi iniziali del decorso di una sospetta GNRP è essenziale per stabilire la diagnosi, la prognosi e programmare il trattamento. Si devono eseguire anche gli esami sierologici e le indagini per malattie infettive.

Terapia Se la sindrome è idiopatica, la remissione spontanea è rara. L’80% dei pazienti non trattati progredisce verso l’insufficienza renale terminale entro sei mesi. È comune anuria irreversibile; senza dialisi nel giro di poche settimane sopraggiunge la morte. Tuttavia, la funzione renale può migliorare con la terapia, se GN postinfettiva, LES, granulomatosi di Wegener o poliarterite nodosa ne sono la causa. Pazienti che recuperano una funzione renale normale hanno modificazioni istologiche, principalmente nei glomeruli, che consistono soprattutto in ipercellularità con poca o nessuna sclerosi dentro il gomitolo glomerulare o nelle cellule epiteliali; l’interstizio mostra una fibrosi minima. Si ha una prognosi sfavorevole nei pazienti > 60 anni con insufficienza renale oligurica o nei pazienti in cui il 75% dei glomeruli contiene semilune. Quando all’esame istologico si riscontra una malattia grave con semilune senza distruzione glomerulare estesa, senza lesioni tubulo-interstiziali, senza malattia infettiva o multisistemica, la terapia farmacologica deve essere istituita precocemente (creatinina sierica < 5 mg/dl [< 440 µmol/l]), quando l’efficacia è massima. Pazienti senza malattia da anticorpi anti-MBG, che inizialmente necessitano di dialisi, possono trarre beneficio anche da questa terapia. La terapia con boli di metilprednisolone (1 g/die EV in 30 min per 3-5 giorni seguiti da prednisone 1 mg/ kg/die PO) può ridurre i livelli sierici di creatinina o ritardare la dialisi per > 3 anni nel 50% dei pazienti con GNRP pauci-immune o da immunocomplessi. I pazienti ANCA-positivi possono trarre beneficio dall’aggiunta di ciclofosfamide 1,5-2 mg/kg/die. Boli mensili di ciclofosfamide possono diminuire gli effetti sfavorevoli, ma il loro ruolo non è definito. Quando la risposta alla terapia farmacologica è inefficace o incompleta, la plasmaferesi è utilizzata per rimuovere gli anticorpi liberi, gli immunocomplessi intatti e i mediatori della flogosi (p. es., fibrinogeno, complemento). La plasmaferesi, impiegando uno scambio giornaliero di 4-l, per 14 giorni viene considerata la terapia di scelta nella malattia da anticorpi anti-MBG. In generale, scambi di 3-4 l sono eseguiti quotidianamente per 4-6 giorni per la GNRP pauciimmune o da immunocomplessi. Il prednisone e la ciclofosfamide rendono minima la formazione di nuovi anticorpi. È essenziale uno stretto controllo durante la plasmaferesi per la possibilità di contrarre infezioni potenzialmente letali e per degli effetti sfavorevoli del farmaco. Successivamente si dovrebbe passare alla dialisi di mantenimento per il trattamento della condizione renale primaria. Il trapianto renale comporta il rischio di recidiva della malattia primitiva nel rene trapiantato.

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Malattie glomerulari

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Tabella 224-4. CLASSIFICAZIONE SIEROLOGICA DELLA GLOMERULONEFRITE RAPIDAMENTE PROGRESSIVA Glomerulonefrite rapidamente progressiva pauci-immune (40%) Arterite sistemica necrotizzante (p.es., poliarterite nodosa) Granuloma necrotizzante polmonare (p.es., granulomatosi di Wegener ) Malattia limitata al rene (p.es., glomerulonefrite a semilune idiopatica) Glomerulonefrite rapidamente progressiva da immunocomplessi (40%) Cause postinfettive Anticorpi antistreptococcici (p.es., glomerulonefrite poststreptococcica) Ascesso viscerale o sepsi Endocardite infettiva Nefrite da protesi vascolare Epatite viraleB Collagenopatie vascolari Anticorpi anti-DNA (p.es., glomerulonefrite lupica) Immunocomplessi da IgA (p.es., glomerulonefrite nella porpora di Henoch- Schönlein) Crioglobuline miste IgG-IgM (p.es., glomerulonefrite da crioglobulinemia)

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Altre malattie da immunocomplessi Nefropatia da IgA Glomerulonefrite membranoproliferativa Glomerulonefrite idiopatica Glomerulonefrite da anticorpi anti-MBG (20%) Senza emorragia polmonare (p.es., glomerulonefrite da anticorpi anti-MBG) Con emorragia polmonare (p.es., sindrome di Goodpasture)

MBG= membrana basale glomerulare.

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Tabella 224-5. MALATTIE ASSOCIATE ALLA SINDROME POLMONARE- RENALE Insufficienza cardiaca congestizia con uremia

Crioglobulinemia mista

Glomerulonefrite rapidamente Reazioni ai farmaci (p.es., alla progressiva pauci- immune penicillamina) Poliarterite nodosa Sindrome di Goodpasture Trombosi della vena renale Porpora di Henoch-Schönlein con embolia polmonare Angioite da ipersensibilità

Endocardite batterica del cuore destro

Malattia del legionario e altre infezioni polmonari

Sarcoidosi

Connettivite mista

Nefropatia da silicone Lupus eritematoso sistemico Granulomatosi di Wegener

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFRITICA SINDROME RENALE EMATURICA-PROTEINURICA PRIMITIVA Gruppo di patologie di solito caratterizzate da ematuria macroscopica ricorrente, lieve proteinuria e alterazioni glomerulari.

Sommario: Introduzione Patogenesi Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia

La nefropatia da IgA, la più importante malattia renale primitiva, si verifica a qualsiasi età, ma è più comune nei bambini e nei giovani adulti. È sei volte più frequenti nei maschi rispetto alle donne; è rara nei neri. La sua prevalenza, confrontata con quella di tutte le altre glomerulopatie primitive, è del 5% negli USA, del 10-20% nell’Europa meridionale e in Australia e del 30-40% in Asia. Altre malattie possono presentarsi come sindrome ematurica-proteinurica asintomatica (v. Tab. 224-6).

Patogenesi In circa il 50% dei pazienti con ematuria ricorrente si dimostrano significativi depositi mesangiali di IgA e in circa la metà di questi pazienti vi è un aumento delle IgA sieriche. Sono state documentate alterazioni delle sottopopolazioni linfocitarie. I dati suggeriscono che la nefropatia da IgA si verifichi per aumentata produzione o per la ridotta clearance dei complessi polimerici IgA-antigene che sono presenti nel mesangio e attivano la via classica del complemento. Si suppone che le IgA polimeriche derivino dalle superfici delle mucose ricche di IgA.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio La presentazione più comune è l’ematuria macroscopica persistente o ricorrente (nel 90% dei bambini coinvolti) o l’ematuria microscopica asintomatica con proteinuria (non nefrosica) di lieve entità. L’ematuria può essere lieve o grave ma di solito è dismorfica. Qualche volta si verifica proteinuria senza ematuria. Sebbene molti pazienti non siano veramente asintomatici al momento in cui viene scoperta per la prima volta l’alterazione urinaria, pochi sintomi vengono immediatamente attribuiti al rene.

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Malattie glomerulari

La funzione renale all’inizio è normale, ma può sopravvenire una malattia renale sintomatica. Alcuni pazienti possono presentarsi con insufficienza renale acuta o cronica, grave ipertensione o sindrome nefrosica. La sindrome renale ematuricaproteinurica primitiva abitualmente inizia 1 o 2 giorni dopo una malattia febbrile delle mucose delle prime vie respiratorie, dei seni paranasali, dell’intestino, mimando così una nefrite, eccetto che per l’esordio dell’ematuria che è concomitante alla malattia febbrile e che può essere accompagnato da dolore lombare. Una lieve proteinuria (< 1 g/die) è tipica, ma la SN può svilupparsi nel 20% dei pazienti con nefropatia IgA. L’ematuria microscopica, di solito con GR. dismorfici, è sempre presente, ma i cilindri ematici sono rari, per lo meno all’inizio. L’escrezione urinaria di repligene e interleuchina-6 è aumentata. La creatininemia e le concentrazioni del complemento sono di solito normali, ma le concentrazioni di IgA sono aumentate. I complessi IgA sieriche-fibronettina possono essere elevati, ma questo reperto è di dubbio significato. L’ipertensione è insolita al momento della diagnosi.

Diagnosi L’ematuria macroscopica è la caratteristica usuale della nefropatia da IgA e della sindrome di Alport, mentre la microematuria persistente è più comune nella nefropatia da membrana basale sottile. La GN mesangioproliferativa è associata a un quadro di lesioni glomerulari caratterizzato da ipercellularità di diversi gradi o di allargamento della matrice mesangiale; comunemente, vengono scoperti depositi mesangiali di immunocomplessi. Molte altre ben caratterizzate patologie eredofamiliari, immunologiche e infettive (v. Tab. 224-6) corrispondono alla descrizione morfologica. La nefropatia da IgA può essere differenziata da altre cause di ematuria renale primitiva mediante studio all’immunofluorescenza del tessuto della biopsia renale che mostra un deposito granulare di IgA e C3 nel mesangio aumentato, con foci di lesioni segmentali proliferative o necrotizzanti. Tuttavia, depositi mesangiali di IgA si possono verificare anche in altre malattie (p. es., porpora di HenochSchönlein, cirrosi epatica cronica alcolica).

Prognosi e terapia La nefropatia da IgA di solito progredisce lentamente; l’insufficienza renale e l’ipertensione si sviluppano entro 10 anni nel 15-20% dei casi. La progressione fino all’insufficienza renale terminale si verifica nel 25% dei pazienti dopo 20 anni. Quando la nefropatia da IgA viene diagnosticata nei bambini, la prognosi è di solito buona. Qualora l’ematuria persista, allora invariabilmente si sviluppano ipertensione, proteinuria e insufficienza renale. Esordio della malattia in età avanzata, ipertensione, proteinuria grave persistente, assenza di ematuria macroscopica ricorrente, elevati livelli sierici di creatininemia, sclerosi glomerulare avanzata o formazione di semilune, e malattia tubulo-interstiziale sono tutti elementi prognostici sfavorevoli. La terapia con ACE-inibitori per l’ipertensione viene iniziata precocemente e può essere di beneficio anche a pazienti normotesi con proteinuria > 1 g/die. Se il deterioramento della funzione renale continua, si può provare l’olio di pesce. I corticosteroidi sono riservati solo a pazienti con malattia a lesioni minime documentata dalla biopsia. Si richiedono dosi iniziali molto elevate (per 2-3 mesi negli adulti, per 1 mese nei bambini) e quindi si scala, ma soltanto la terapia a lungo termine (2 anni) è utile, e i benefici devono essere soppesati con la tossicità. Le immunoglobuline EV (IgEV) possono essere di beneficio (> 2 ml/min/ mese) nella lesione funzionale acuta. La GNRP viene trattata con corticosteroidi in bolo EV seguiti da prednisone per via orale, ciclofosfamide EV o PO e/o plasmaferesi; questo trattamento provoca una riduzione della creatininemia e della proteinuria, ma non delle lesioni istologiche, e nella metà dei pazienti la malattia progredisce dopo l’interruzione della terapia. file:///F|/sito/merck/sez17/2242000.html (2 of 3)02/09/2004 2.50.47

Malattie glomerulari

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TABELLA 224-6. MALATTIE ASSOCIATE A SINDROME EMATURICA- PROTEINURICA ASINTOMATICA Malattie glomerulari primitive Glomerulonefrite mesangioproliferativa Depositi mesangiali di IgA (nefropatia da IgA) Depositi mesangiali di IgM (nefropatia da IgM) Depositi mesangiali di IgG (nefropatia da IgG) Depositi mesangiali di C3 Glomerulonefrite membranoproliferativa Glomerulopatia secondaria (associata a malattia multisistemica) Eredofamiliare Sindrome di Alport Malattia di Fabry Nefropatia da membrana basale sottile Malattia depranocitica Immunologiche Porpora di HenochSchönlein LES Vasculiti sistemiche file:///F|/sito/merck/tabelle/22406.html (1 of 2)02/09/2004 2.50.48

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Granulomatosi di Wegener Sindromi da deficit del complemento Infettive Endocardite batterica Glomerulonefrite acuta postinfettiva in fase di risoluzione

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFRITICA SINDROME NEFRITICA-PROTEINURICA CRONICA (Glomerulonefrite cronica; malattia glomerulare lentamente progressiva) Sindrome causata da varie patologie a differente eziologia, caratterizzata istologicamente da una diffusa sclerosi glomerulare e, clinicamente, da proteinuria, cilindruria, ematuria e di solito anche da ipertensione, con un’insidiosa perdita della funzione renale negli anni.

Sommario: Introduzione Eziologia Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi e terapia

L’incidenza nella popolazione generale è sconosciuta, ma al riscontro autoptico è dello 0,5-1%.

Eziologia L’eziologia è varia. La malattia glomerulare primitiva viene identificata in circa il 50% dei pazienti con insufficienza renale terminale che si sottopongono a nefrectomia bilaterale; in questo 50%, le alterazioni istologiche sono indicative di sclerosi focale e segmentale nel 28%, di GN non specifica nel 28%, di GNMP nel 25%, di estesa malattia a semilune nel 15% e di grave glomerulonefrite membranosa (GNM) nel 4%. Il reperto istologico di immunoglobuline e complemento variamente distribuiti nei glomeruli, è un segno indiretto di un’eziologia immunologia. Sono state ricercate, senza riscontri, eziologie di natura infettiva, tossica o metabolica. Si è chiamata in causa la coagulazione intrarenale sulla base del riscontro nelle urine, nel sangue e nel parenchima renale di fibropeptidi provenienti dall’attivazione del sistema di coagulazione. Tuttavia, non si sa se la loro presenza sia causale o secondaria alla lesione.

Anatomia patologica In molti glomeruli vi è un aumento del materiale extracellulare compresa la matrice mesangiale, la MBG e anse capillari collassate, senza una significativa file:///F|/sito/merck/sez17/2242001.html (1 of 3)02/09/2004 2.50.48

Malattie glomerulari

ipercellularità. Sono spesso presenti sinechie glomerulari organizzate (adesione delle cellule epiteliali nello spazio di Bowman) e possono interessare più del 50% dell’architettura glomerulare. Alla microscopia a immunofluorescenza i depositi d’immunoglobuline sono rarissimi se non addirittura assenti. L’interstizio è interessato a seconda dello stadio della malattia, ma spesso sembra essere coinvolto precocemente e in modo esteso con infiltrazione e fibrosi. È anche presente atrofia tubulare. Le lesioni vascolari sono aspecifiche, mimando alterazioni nefrosclerotiche e possono essere provocate dall’ipertensione. Una malattia renale progressiva e irreversibile è indicata dalla presenza di sclerosi glomerulare grave diffusa, di sinechie in diversi glomeruli, da un’interstiziopatia non proporzionata al grado di alterazione glomerulare e da un significativo aumento del materiale extracellulare.

Sintomi e segni La sindrome rimane asintomatica per anni e così in molti pazienti non viene scoperta. Un paziente può presentarsi con sintomi di uremia dovuta all’insufficienza renale terminale (nausea, vomito, dispnea, prurito, astenia). Durante tutto il decorso della sindrome, si possono presentare ricorrenti episodi di macroematuria (raramente) e proteinuria, che probabilmente sono il segno di una nefropatia progressiva da IgA o di altre forme di ematuria renale idiopatica o riaccensioni di malattie renali lentamente progressive o episodi isolati, non collegabili di sindrome nefritica. Può essere presente, di solito in caso di moderata insufficienza renale, edema declive dovuto a SN. L’ipertensione di qualsiasi grado è frequente e solitamente si accompagna a insufficienza renale, ma a volte precede un significativo rialzo dei valori dell’azotemia.

Esami di laboratorio La proteinuria, reperto significativo, è solitamente in un range non nefrosico. Ematuria dismorfica e cilindri ematici sono spesso presenti ma possono essere assenti anche in corso di malattia conclamata. Cellule tubulari finemente o grossolanamente granulari e cilindri ialini sono di solito presenti in discreto numero nel sedimento urinario, a secondo della gravità della malattia. Ampi cilindri di amiloide compaiono solo quando vi è un una significativa cicatrizzazione interstiziale e un’atrofia tubulare con dilatazione. Quando viene distrutto più del 50% della massa renale funzionante, si verifica un rialzo dei livelli di azotemia e creatininemia; con il progredire della malattia, possono manifestarsi anemia, acidosi metabolica, iperfosforemia e altre alterazioni biochimiche presenti nell’insufficienza renale cronica.

Diagnosi e terapia La malattia può essere scoperta in corso di indagini mediche di routine in pazienti asintomatici con funzione renale normale, se si fa eccezione per la proteinuria e (in alcuni casi) l’ematuria. Prima che la funzione renale sia significativamente compromessa, la biopsia può aiutare a differenziare tra un’ematuria ricorrente idiopatica, una malattia non glomerulare (malattia tubulo-interstiziale) e una sindrome nefritica proteinurica cronica. Glomerulosclerosi focale e segmentaria, GNM, GNMP e GN da IgA sono le malattie più comunemente confuse con questa sindrome. La biopsia renale è raramente indicata quando i reni si rimpiccioliscono e diventano cicatriziali, poiché dall’esame istologico si possono ricavare scarse informazioni eziologiche. Non vi sono prove di una terapia in grado di fermare la progressione della malattia. Probabilmente sono utili un’adeguata terapia farmacologica antiipertensiva e una giudiziosa restrizione, al bisogno, dell’apporto di Na. Le file:///F|/sito/merck/sez17/2242001.html (2 of 3)02/09/2004 2.50.48

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restrizioni dietetiche (riduzione di proteine e fosfato) e l’assunzione di ACEinibitori possono rallentare la progressione in altre malattie renali e possono essere utili in molte malattie glomerulari croniche. La terapia dei sintomi dell’uremia è trattata nel Cap. 222, Insufficienza renale cronica.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA Quadro predittivo dovuto a un grave, prolungato aumento della permeabilità capillare per le proteine.

Sommario: Introduzione Eziologia e classificazione Sintomi e segni Complicanze Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

La principale caratteristica è la proteinuria (> 2 g/m2/die o un rapporto proteine/ creatinina > 2 in un campione casuale di urine), ma sono anche frequenti ipoalbuminemia (< 3 g/dl), edema generalizzato, lipiduria e iperlipidemia.

Eziologia e classificazione La sindrome nefrosica (SN) si presenta in ogni età ma ha una prevalenza maggiore nei bambini rispetto agli adulti. Nei bambini, è più comune tra 1 e 1/2 e 4 anni. Vi è una preferenza per i giovani di sesso maschile, ma nei pazienti più anziani vi è una maggiore uguaglianza di distribuzione per quanto riguarda il sesso. Si ritiene che la proteinuria si verifichi mediante un’alterazione funzionale di due meccanismi: la barriera di selezione per la dimensione lascia passare proteine di grandi dimensioni, e la barriera di selezione per la carica non riesce a trattenere le proteine a basso peso molecolare. Le malattie che causano SN sono elencate nella Tab. 224-7. Le cause primitive comprendono malattia a lesioni minime, glomerulosclerosi focale segmentaria (GSFS), glomerulonefrite membranosa (GNM), glomerulonefrite membranoproliferativa (GNMP) e glomerulonefrite mesangioproliferativa (GN). La SN può essere anche dovuta a cause secondarie.

Sintomi e segni Un segno precoce della SN è l’urina "schiumosa" dovuta alla presenza di proteine. Altre caratteristiche comprendono anoressia, malessere, palpebre gonfie, lucentezza retinica, dolore addominale e deperimento muscolare. Può verificarsi anasarca con ascite e versamento pleurico.

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L’edema regionale si può presentare come difficoltà respiratoria (versamento pleurico o edema laringeo), dolore toracico retrosternale (versamento pericardico), rigonfiamento scrotale, ginocchia gonfie (idroartrosi), addome rigonfio (ascite); nei bambini il dolore addominale può essere dovuto a edema del mesentere. Più frequentemente, l’edema è mobile (p. es., nelle palpebre di mattina e nelle caviglie dopo deambulazione). L’edema può mascherare la perdita di massa muscolare. Linee bianche parallele nei letti ungueali possono essere dovute a edema subungueale. Gli adulti possono essere ipo- normo- o ipertesi a secondo del grado di produzione di angiotensina II. Si possono sviluppare oliguria o insufficienza renale acuta, dovute a ipovolemia e a diminuita perfusione renale. Nei bambini si può notare ipotensione ortostatica e persino shock.

Complicanze Le conseguenze biochimiche della grave proteinuria costituiscono il principale problema clinico. Una prolungata SN può dare luogo a carenze nutrizionale, compresa malnutrizione proteica che ricorda il kwashiorkor, fragilità dei capelli e delle unghie, alopecia, accrescimento difficoltoso, demineralizzazione ossea, glicosuria, iperaminoaciduria di vari tipi, carenza di K+, miopatia, diminuzione del Ca totale, tetania e ipometabolismo. Si riscontrano anche peritoniti spontanee e un aumento di infezioni opportunistiche. Si ritiene che l’alta incidenza di infezioni sia dovuta alla perdita urinaria di immunoglobuline. I disordini della coagulazione, insieme a una minore attività fibrinolitica e a episodi di ipovolemia, costituiscono un serio rischio trombotico (in particolare trombosi della vena renale). L’ipertensione con complicanze cerebrali e cardiache è più probabile nei pazienti con diabete e con collagenopatie vascolari.

Esami di laboratorio Urine: le analisi iniziali delle urine dimostrano marcata proteinuria > 2 g/m2/die o un rapporto proteine/creatinina > 2 in un campione casuale di urina. Il sedimento urinario si solito contiene cilindri ialini, granulari, grassi, cerei e cilindri di cellule epiteliali. La lipiduria è determinata per mezzo della colorazione Sudan di cilindri contenenti granuli di lipidi, identificando i macrofagi e le cellule tubulari renali contenenti goccioline grasse (corpi grassi ovali) e ritrovando cristalli anisotropi (corpi grassi doppiamente rifrangenti) con il microscopio a luce polarizzata. Possono anche essere presenti microematuria e cilindri ematici, a seconda della causa della malattia glomerulare. I leucociti sono evidenti nelle malattie essudative e nel LES. Al microscopio elettronico si possono osservare fibrille amiloidi con nefropatia da amiloidosi. La concentrazione urinaria K+ di solito è alta nella fase di accumulo dell’edema nefrosico. La concentrazione di Na+ spesso è < 1 mmol/l (il rapporto K+/Na+ > 1). La secrezione di aldosterone è elevata in questo stadio, ma può essere normale in altri momenti malgrado la continua presenza di edema. Le concentrazioni di creatinina o di azoto ureico sierico variano in accordo al grado di danno renale. Sangue: l’ipoalbuminemia è determinata mediante misurazione chimica o elettroforesi quantitativa. L’albumina è spesso < 2,5 g/dl e nei bambini è talvolta < 1 g/dl. Nella sindrome nefrosica vengono perse con le urine alcune proteine trasportatrici. Sono abitualmente bassi i livelli delle α e γ globuline, delle altre immunoglobuline, degli ormoni surrenalici e tiroidei, della ceruloplasmina, della transferrina, delle proteine ASO e del complemento. L’iperlipidemia è documentata dall’aumento del livello del colesterolo totale e dei trigliceridi. Livelli di lipidemia > 10 volte la norma sono associati a grave ipoalbuminemia da aumentata produzione lipidica e diminuita eliminazione.

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Le coagulopatie sono comuni, forse a causa della perdita urinaria dei fattori IX e XII e dei fattori trombolitici (urochinasi e antitrombina III), degli aumentati livelli sierici del fattore VIII, del fibrinogeno e delle piastrine. Diagnosi La diagnosi è suggerita dal quadro clinico e dai dati di laboratorio e confermata dalla biopsia renale. Una grave proteinuria è essenziale per la diagnosi. La separazione dell’intervallo tra proteinuria nefrosica e non nefrosica è arbitraria. Tuttavia, le patologie che coinvolgono principalmente la vascolarizzazione glomerulare o tubulo-interstiziale di solito non provocano una proteinuria molto grave. Raramente l’insufficienza renale è una modalità di presentazione della SN ma si può verificare dopo una malattia prolungata. Tuttavia, i pazienti con SN da cause secondarie frequentemente presentano insufficienza renale all’esordio o subito dopo. Una proteinuria grave nel paziente con SN spesso indica una malattia in fase avanzata e è quindi un segno infausto. I pazienti dovrebbero essere sottoposti a indagini per la ricerca delle comuni malattie sistemiche sottostanti (p. es., diabete mellito, amiloidosi, mieloma multiplo, LES). Si dovrebbe pensare a un’eziologia neoplastica e farmacologica nei pazienti che hanno avuto un calo ponderale e nei pazienti anziani. Le altre cause di proteinuria in un range non nefrosico sono trattate nel Cap. 214.

Prognosi La prognosi dipende dall’eziologia. Remissioni complete si possono verificare se la SN è dovuta a una malattia curabile, che si verifica in circa il 50% dei casi nei bambini, ma in percentuale inferiore negli adulti. La prognosi generalmente è favorevole nelle malattie che rispondono alla terapia corticosteroidea (v. Terapia, oltre). Alcune malattie che provocano SN guariscono spontaneamente anche dopo 5 anni. In tutti i casi, la prognosi può essere peggiorata da infezioni, ipertensione, insufficienza renale significativa, ematuria o trombosi delle vene cerebrali, polmonari, periferiche o renali. Vi è un’alta incidenza di recidiva di SN nei reni trapiantati in paziente con GSFS, LES, nefropatia da IgA e specialmente GNMP di tipo II, ma meno in quelli con il tipo I. La recidiva si verifica anche in alcuni pazienti trapiantati con GNM e GN mesangioproliferativa.

Terapia Il trattamento è diretto ai processi patogenetici sottostanti e dipende dalla patologia renale (v. Tab. 224-3). La terapia di supporto prevede una dieta che contenga circa 1 g/kg/die di proteine di alta qualità biologica, che povera di acidi saturi e colesterolo ma ricca di fibre. Un’integrazione di proteine è necessaria soltanto se il paziente è malnutrito. La restrizione proteica è necessaria soltanto se la creatinina sierica è elevata e un’assunzione eccessiva di proteine aggrava la proteinuria. Le statine, farmaci ipolipidizzanti (p. es., pravastatina, lovastatina, simvastatina, atorvastatina) possono essere necessarie per controllare l’ipercolesterolemia; questi pazienti hanno un’alta incidenza di rabdomiolisi, che giustifica il controllo periodico della creatinin-fosfochinasi. Gli ACE-inibitori di solito riducono la proteinuria ma possono aggravare l’iperkaliemia in pazienti con insufficienza renale da moderata a grave. Dovrebbe essere attuato un esercizio graduale. L’assunzione di K+ dovrebbe essere di circa 1 mmol/kg/die. Se è presente iponatremia, viene ristretto l’apporto di liquidi. Se è presente una diuresi valida e file:///F|/sito/merck/sez17/2242002.html (3 of 4)02/09/2004 2.50.49

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l’edema regredisce, può essere liberalizzato l’apporto Na+. Se è presente ascite, possono essere di aiuto pasti piccoli e frequenti. Per il controllo dell’edema sintomatico, si raccomanda la restrizione dell’assunzione di Na+ (< 100 mmol/ die). I tiazidici o i diuretici dell’ansa possono essere utili, ma possono compromettere la funzione renale e predisporre alla trombosi. Se l’ipovolemia è grave e potenzialmente letale, può essere giustificata un’infusione di plasma o di albumina. L’ipertensione dovrebbe essere trattata, di solito con un ACE-inibitore e diuretici e occasionalmente con altri farmaci. La trombosi è frequente e dovrebbe essere presa in considerazione (particolarmente la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare); l’anticoagulazione profilattica può essere utile se l’albuminemia è < 2,5 g/dl o è presente tromboembolia. Le infezioni possono essere letali (specialmente la batteriuria, l’endocardite e la peritonite): devono essere ricercate e trattate prontamente. L’eliminazione degli antigeni infettivi (p. es., endocardite da stafilococco e Streptococcus viridans, nefrite da protesi vascolare, malaria, sifilide, schistosomiasi) può far guarire dalla SN. Un’attenta desensibilizzazione può far regredire la SN dovuta a nefroallergeni (p. es., veleno di quercia o edera, antigeni di insetti). La rimozione delle nefrotossine (p. es., oro, penicillamina, FANS) può essere seguita dalla guarigione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 224-7. MALATTIE ASSOCIATE A SINDROME NEFROSICA Malattie glomerulari primitive Malattia a lesioni minime Glomerulosclerosi focale segmentaria Glomerulonefrite membranosa Glomerulonefrite membranoproliferativa Glomerulosclerosi mesangioproliferativa Cause insolite: Nefropatia da IgA, glomerulonefrite rapidamente progressiva, glomerulonefrite fibrillare Malattie renali secondarie Metaboliche Diabete mellito, amiloidosi Immunitarie LES, porpora di Henoch-Schönlein, poliarterite nodosa, sindrome di Sjögren, sarcoidosi, malattia da siero, eritema multiforme Neoplastiche Leucemia, linfoma, linfoma di Hodgkin, mieloma multiplo, carcinoma (bronchiale, mammella, colon, stomaco, rene), melanoma Da nefrotossine o farmaci Oro, penicillamina, FANS, litio, eroina Da allergeni Puntura di insetti, veleno di serpente, antitossine, veleno di file:///F|/sito/merck/tabelle/22407.html (1 of 2)02/09/2004 2.50.50

Manuale Merck - Tabella

edera, veleno di quercia Infettive Batteriche, glomerulonefrite postinfettiva, nefrite da protesi vascolare, endocardite infettiva, lebbra, sifilide Virali, virus epatiteB, virus di Epstein Barr, herpes zoster virus, HIV Da protozoi,malaria Da elminti, schistosomiasi, filariasi Eredofamiliari Sindrome nefrosica congenita (tipo finlandese) sindrome di Alport, malattia di Fabry Altre Tossemia gravidica, ipertensione maligna, rigetto di trapianto

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA MALATTIA A LESIONI MINIME (Nefrosi lipoidea) Una malattia (principalmente nei bambini) caratterizzata dall’improvvisa insorgenza di edema, grave proteinuria altamente selettiva, normale sedimento urinario, normale funzione renale e PA nella norma.

Sommario: Eziologia e fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e fisiopatologia La malattia a lesioni minime (Minimal Change Disease, MCD) idiopatica è la più comune causa di SN nei bambini di età compresa tra i 4 e gli 8 anni (90%) ma si verifica anche negli adulti (20%). La distribuzione geografica delle malattie predisponenti (p. es., schistosomiasi in Egitto, malaria in Nigeria) influisce sulla prevalenza di questa malattia. La MCD è associata a linfoma a cellule T, morbo di Hodgkin e nefrite tubulointerstiziale da FANS. Si ritiene che sia causata da uno squilibrio delle sottopopolazioni di linfociti T e da un’alterata regolazione dell’immunità cellulomediata che induce la produzione di una citochina con attività permealizzante. L’attività di questa citochina è migliorata dalla soppressione dei linfociti T nelle infezioni virali (morbillo), dai cortisonici e dai farmaci citotossici. L’alterazione morfologica è evidente soltanto al microscopio elettronico, che dimostra edema endoteliale con diffuso rigonfiamento (scomparsa) dei processi pedicellari dei podociti epiteliali (v. Fig. 224-2). Sebbene la scomparsa non si osservi in assenza di proteinuria, un’elevata proteinuria si può verificare con processi pedicellari normali. L’ipercellularità mesangiale è presente in circa il 5% dei casi.

Sintomi, segni e diagnosi La MCD è caratterizzata da SN, in assenza di ipertensione o iperazotemia. Si manifesta microematuria in circa il 20% dei pazienti. Può verificarsi iperazotemia nelle forme secondarie non idiopatiche e nei pazienti > 60 anni. La proteinuria della MCD è altamente selettiva per l’albumina. Nei bambini, a meno di una manifestazione atipica, un ciclo terapeutico di corticosteroidi conferma la diagnosi. Se è presente resistenza alla terapia file:///F|/sito/merck/sez17/2242005.html (1 of 2)02/09/2004 2.50.51

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corticosteroidea con difetti tubulari che causano glicosuria, aminoaciduria, acidosi tubulare renale e perdita di fosforo, la diagnosi può essere di GSFS piuttosto che di MCD. Nei bambini resistenti alla terapia corticosteroidea e negli adulti, la MCD è diagnosticata mediante l’esame al microscopio elettronico di una biopsia renale.

Prognosi e terapia La prognosi è buona. La remissione spontanea si verifica nel 40% dei casi. L’evoluzione verso l’insufficienza renale è rara (5%). L’80-90% dei pazienti risponde alla terapia corticosteroidea iniziale (prednisone 60 mg/m2/ die PO per 4-6 sett. nei bambini e 1-1,5 mg/kg/ die PO per 6-8 sett. negli adulti), ma il 40-60% di chi risponde alla terapia va incontro a recidiva. I pazienti rispondenti (cioè, scomparsa della proteinuria o diuresi valida se è presente edema) devono continuare a prendere prednisone per altre 2 sett. e passare a un dosaggio di mantenimento per minimizzare la tossicità (2-3 mg/kg a giorni alterni per 4-6 sett. nei bambini e 8-12 sett. negli adulti, scalando la dose durante i successivi 4 mesi). Una terapia iniziale più prolungata e un più lento scalare del prednisone diminuiscono la percentuale di recidive. La resistenza alla terapia corticosteroidea può essere dovuta alla sottostante sclerosi focale. Nei pazienti che non rispondono alla terapia corticosteroidea (< 5% nei bambini; > 10% negli adulti), nei pazienti che presentano ricadute frequenti e nei pazienti che sono corticosteroidi dipendenti, una prolungata remissione può essere ottenuta con un farmaco citotossico per via orale (di solito, ciclofosfamide da 2 a 3 mg/kg/die per 12 sett. o clorambucil 0,15 mg/kg/die per 8 sett.). Tuttavia questi farmaci possono provocare soppressione gonadica (più seria negli adolescenti prepuberi) e la ciclofosfamide può causare cistite emorragica e sopprimere la funzione midollare e linfocitaria. Il dosaggio dovrebbe essere controllato con frequenti emocromi e la cistite esclusa mediante analisi delle urine. Gli adulti, particolarmente se anziani o ipertesi, sono predisposti alle complicanze iatrogene da questi farmaci citotossici. Un’altra alternativa è la ciclosporina PO, 5 mg/kg/die in due dosi frazionate, regolata per ottenere una concentrazione nel sangue intero tra 150 e 300 µg/l (125-250 nmol/l) misurata con metodo radioimmunologico con anticorpo monoclonale. La completa remissione si verifica in più dell’80% dei pazienti e la terapia è di solito continuata per 1-2 anni per prevenire recidive. Per i pazienti resistenti, le terapie alternative prevedono l’utilizzo di ACE-inibitori, tioguanina, levamisole a lento rilascio o azatioprina. I rischi della terapia dovrebbero essere bilanciati dai vantaggi della ridotta proteinuria, possibilmente senza influenzare i risultati di altre manifestazioni della SN.

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SINDROME NEFROSICA GLOMERULOSCLEROSI FOCALE SEGMENTARIA Una malattia caratterizzata dall’insidiosa insorgenza di proteinuria, lieve ematuria, ipertensione e iperazotemia principalmente negli adolescenti, ma anche nei giovani e negli adulti di media età.

Sommario: Eziologia e istologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia NEFROPATIA ASSOCIATA A HIV

Eziologia e istologia La glomerulosclerosi focale segmentaria (GSFS) è la terza causa più comune di SN negli adulti (20-30%) ed è frequente specialmente nei maschi di razza nera. La G ISFS è idiopatica ma è associata all’uso di droghe EV e si ritrova nel 20% delle persone HIV positive non omosessuali. Vi sono dati indicanti che un fattore circolante, che non è un’immunoglobulina, funge da mediatore dell’aumento della permeabilità glomerulare alle proteine. Quest’alterata permeabilità per le proteine può indurre la successiva sclerosi. La GSFS inizia nei glomeruli iuxtamidollari (che non sono facilmente visibili nel campione bioptico). La ialinizzazione segmentaria, con depositi di IgM e C3 si verifica in un quadro nodulare e grossolanamente granulare con perdita diffusa dei processi pedicillari dei podociti. Può presentarsi una sclerosi globale, che conduce ad atrofia glomerulare.

Sintomi, segni e diagnosi I pazienti con GISFS comunemente si presentano con ematuria, ipertensione e disfunzione renale con SN, sebbene una proteinuria sintomatica in un range non nefrosico sia talvolta il solo segno. La proteinuria è tipicamente non selettiva. I livelli di IgG sono frequentemente diminuiti. La diagnosi viene confermata dalla biopsia renale.

Prognosi e terapia La prognosi è buona. La remissione spontanea si verifica nel 40% dei casi. L’evoluzione verso l’insufficienza renale è rara (5%).

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L’80-90% dei pazienti risponde alla terapia corticosteroidea iniziale (prednisone 60 mg/m2/ die PO per 4-6 sett. nei bambini e 1-1,5 mg/kg/ die PO per 6-8 sett. negli adulti), ma il 40-60% di chi risponde alla terapia va incontro a recidiva. I pazienti rispondenti (cioè, scomparsa della proteinuria o diuresi valida se è presente edema) devono continuare a prendere prednisone per altre 2 sett. e passare a un dosaggio di mantenimento per minimizzare la tossicità (2-3 mg/kg a giorni alterni per 4-6 sett. nei bambini e 8-12 sett. negli adulti, scalando la dose durante i successivi 4 mesi). Una terapia iniziale più prolungata e un più lento scalare del prednisone diminuiscono la percentuale di recidive. La resistenza alla terapia corticosteroidea può essere dovuta alla sottostante sclerosi focale. Nei pazienti che non rispondono alla terapia corticosteroidea (< 5% nei bambini; > 10% negli adulti), nei pazienti che presentano ricadute frequenti e nei pazienti che sono corticosteroidi dipendenti, una prolungata remissione può essere ottenuta con un farmaco citotossico per via orale (di solito, ciclofosfamide da 2 a 3 mg/kg/die per 12 sett. o clorambucil 0,15 mg/kg/die per 8 sett.). Tuttavia questi farmaci possono provocare soppressione gonadica (più seria negli adolescenti prepuberi) e la ciclofosfamide può causare cistite emorragica e sopprimere la funzione midollare e linfocitaria. Il dosaggio dovrebbe essere controllato con frequenti emocromi e la cistite esclusa mediante analisi delle urine. Gli adulti, particolarmente se anziani o ipertesi, sono predisposti alle complicanze iatrogene da questi farmaci citotossici. Un’altra alternativa è la ciclosporina PO, 5 mg/kg/die in due dosi frazionate, regolata per ottenere una concentrazione nel sangue intero tra 150 e 300 µg/l (125-250 nmol/l) misurata con metodo radioimmunologico con anticorpo monoclonale. La completa remissione si verifica in più dell’80% dei pazienti e la terapia è di solito continuata per 1-2 anni per prevenire recidive. Per i pazienti resistenti, le terapie alternative prevedono l’utilizzo di ACE-inibitori, tioguanina, levamisole a lento rilascio o azatioprina. I rischi della terapia dovrebbero essere bilanciati dai vantaggi della ridotta proteinuria, possibilmente senza influenzare i risultati di altre manifestazioni della SN.

NEFROPATIA ASSOCIATA A HIV Questa variante della GSFS di solito si verifica in pazienti neri HIV-positivi che fanno uso di eroina ed è rara nei bianchi. La microscopia ottica mostra un collasso dei capillari e tubuli dilatati, ma sono assenti fibrosi interstiziale e atrofia tubulare. Le inclusioni reticolo-tubulari, simili a quelle osservate nel LES, si riscontrano nelle cellule endoteliali. La nefropatia associata a HIV si può verificare in presenza di una sintomatologia di AIDS conclamato o del complesso correlato con l’AIDS. All’esordio, si trovano spesso un lieve rialzo dell’azotemia e una grave proteinuria; all’ecografia i reni sono ingranditi con una forte ecogenicità. La pressione arteriosa nella norma e i reni persistentemente ingranditi differenziano questa variante. La prognosi è infausta e dipende dalla malattia sottostante. La terapia è palliativa e di supporto.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA GLOMERULONEFRITE MEMBRANOSA Una condizione (principalmente degli adulti) caratterizzata da insidiosa insorgenza di edema, proteinuria elevata, normale sedimento urinario, normale funzione renale e PA normale o elevata.

Sommario: Eziologia e istologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e istologia La glomerulonefrite membranosa (GNM) colpisce principalmente gli adulti ed è la più comune causa di SN nei pazienti > 40 anni. È di solito idiopatica ma può essere dovuta a farmaci (oro, penicillamina), infezioni (virus dell’epatite B), malattie autoimmuni (LES) o neoplasie (linfoma di Hodgkin o non Hodgkin; leucemia linfatica cronica; tumori solidi del polmone, colon, stomaco, mammella o rene; melanoma). Sebbene rara, la GNM nei bambini è di solito dovuta al virus dell’epatite B o al LES. Alla microscopia elettronica, gli immunocomplessi appaiono come depositi densi (v. Fig. 224-2). Nelle prime fasi della malattia si presentano depositi subepiteliali densi, con protrusioni acuminate (spike) di lamina densa tra i depositi. Più tardi appaiono depositi all’interno della membrana basale (MBG) e si verifica un suo marcato ispessimento. Vi è un diffuso quadro granulare di IgG lungo la MBG, ma non vi sono proliferazione cellulare, essudazione o necrosi.

Sintomi, segni e diagnosi L’insorgenza della SN è insidiosa. Di solito i pazienti si presentano con edema e proteinuria in range nefrosico e talvolta con microematuria e ipertensione. Soltanto il 20% dei pazienti presenta proteinuria non nefrosica. I livelli di C3 e C4 sono normali. La GFR è normale o diminuita. Le proteinuria è variabilmente selettiva. Alla presentazione iniziale si possono osservare condizioni associate (p. es., malattia cronica da immunocomplessi o collagenopatia vascolare, infezioni croniche, neoplasie). Una ricerca per una neoplasia occulta (nel 2% dei casi) deve essere intrapresa, particolarmente, in un paziente che presenti calo ponderale, anemia di n.d.d. ,sangue occulto nelle feci, o sia anziano. Si deve prendere in considerazione anche la GNM indotta da farmaci. Le complicanze comprendono trombosi della vena renale, embolia, nefrite interstiziale e glomerulonefrite rapidamente progressiva (GNRP). La biopsia renale conferma la diagnosi.

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Malattie glomerulari

Prognosi e terapia Il decorso è relativamente benigno in molti pazienti: circa un 25% subisce remissione spontanea, un 25% sviluppa una proteinuria persistente non nefrosica, un 25% sviluppa una SN persistente e un 25% evolve fino all’insufficienza renale terminale. Donne, bambini e giovani adulti con proteinuria non nefrosica e quelli con funzione renale normale 3 anni dopo la diagnosi tendono ad avere una lieve progressione della malattia. I pazienti asintomatici con proteinuria non nefrosica non devono essere trattati poiché la loro prognosi a lungo termine è buona. Tuttavia, la funzione renale deve essere controllata periodicamente per valutare la possibile evoluzione della malattia. I pazienti con proteinuria nel range nefrosico, che sono asintomatici o che hanno edema che può essere controllato dai diuretici, devono essere seguiti, poiché circa 50% avrà una remissione parziale o completa entro 3-4 anni. I farmaci immunosoppressori devono venire presi in considerazione soltanto per pazienti con SN sintomatica e per quelli ad alto rischio di progressione della malattia: uomini > 50 anni con proteinuria 10 g/die, pazienti con aumentata βmicroglobulinuria e quelli con un creatininemia elevata all’esordio. Sembra che i farmaci citotossici somministrati per via orale quotidianamente piuttosto che in boli EV siano più efficaci (l’80% di remissioni parziali o complete). Di solito, la ciclofosfamide (1,5 mg/kg/die) o il clorambucil (0,2 mg/kg/die) vengono somministrati per 6-12 mesi insieme al prednisone (60 mg/die o 120 mg a giorni alterni). Per i pazienti che non tollerano i farmaci citotossici, può essere di beneficio la ciclosporina 4-6 mg/kg/die per 4 mesi. Terapie aggiuntive a lungo termine di non provato valore, comprendono gli ACE-inibitori, le immunoglobuline EV e i FANS.

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Malattie glomerulari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA Una malattia non comune (soprattutto dei bambini) che si presenta con SN e microematuria o, meno frequentemente, con sindrome nefritica acuta.

Sommario: Eziologia e istologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e istologia La glomerulonefrite membranoproliferativa (GNMP) sembra essere costituita da un gruppo eterogeneo di patologie immunologiche. Alcuni dati supportano una predisposizione genetica; sono ad alto rischio famiglie o fratelli di pazienti con malattia drepanocitica, lipodistrofia parziale, deficit congenito del complemento e sindrome di Down. Sebbene caratteristicamente sia una malattia renale primitiva idiopatica, la GNMP si può manifestare in pazienti con malattia sistemica (p. es., LES, crioglobulinemia mista, epatite cronica attiva), malattia neoplastica (p. es., leucemia linfatica cronica, linfomi, nefroblastomi) o patologie infettive (endocardite batterica, ascessi viscerali, HIV, malaria, schistosomiasi). Vi sono due forme di GNMP idiopatica, sulla base delle differenze ultrastrutturali nel glomerulo: il tipo I (GN mesangiocapillare) è responsabile dell’80-85% dei casi e il tipo II (malattia dei depositi densi) del 15-20%. Uomini e donne sono colpiti in egual misura. La GNMP è più comune nella razza bianca piuttosto che in altre razze. Durante gli ultimi due decenni, l’incidenza del tipo I è diminuita significativamente, probabilmente a causa delle migliori condizioni di vita, delle migliori condizioni igienico-ambientali e della ridotta incidenza e gravità delle patologie infettive. Il tipo II si verifica soprattutto nei pazienti più giovani. La sua incidenza è rimasta immodificata e la sua patogenesi è sconosciuta. Nella GNMP tipo I, si assiste a una disseminazione dei depositi densi subepiteliali, in modo predominante C3 e IgG o IgM, e della matrice mesangiale tra le cellule endoteliali e la MBG. La duplicazione della MBG produce il classico aspetto a "binario di tram" o "a doppio contorno" (v. Fig. 224-2). Nella GNMP tipo II, depositi elettron-densi contenenti C3 sostituiscono parzialmente la lamina densa con un caratteristico aspetto a nastro che produce un ispessimento della MBG. La glomerulosclerosi che evolve nell’insufficienza renale in entrambi i tipi, sembra essere causata da una deposizione cronica di immunocomplessi nei glomeruli, sia nella parete capillare che nel mesangio. Nella GNMP tipo I si verifica l’attivazione della via classica del complemento, mentre nella GNMP tipo II viene attivata la via alternativa.

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Malattie glomerulari

Sintomi, segni e diagnosi La GNMP si presenta con SN nel 60-80% dei casi ed è di solito accompagnata da microematuria. Proteinuria non nefrosica si può manifestare fino al 30% dei pazienti. La nefrite acuta è il sintomo di presentazione nel 10-20% dei casi. Talvolta, si verificano ematuria macroscopica, iperazotemia e ipertensione. I pazienti con GNMP possono essere asintomatici, con soltanto ematuria e proteinuria. Sono tipiche le fluttuazioni spontanee nella gravità del quadro clinico. L’ipocomplementemia, di origine multifattoriale, è considerata soltanto un marker. L’anemia normocromica-normocitica è inaspettatamente frequente in relazione all’insufficienza renale terminale. Il consumo piastrinico e l’attivazione del potente fattore di crescita piastrinico derivato si verificano in molti pazienti con GNMP. I test sierologici per LES, virus dell’epatite B e C e crioglobulinemia sono giustificati per ricercare le malattie sistemiche che sono comuni cause di GNMP. La diagnosi dipende dal reperto della biopsia renale. Nella GNMP tipo I, l’insufficienza renale è comunemente associata a elevate concentrazioni di creatininemia e alla presenza di lesioni tubulo-interstiziali al momento della biopsia, seguite da ipertensione persistente e proteinuria grave. Spesso non si riesce a differenziare la presentazione del tipo II e del tipo I, sebbene la sindrome nefritica acuta possa presentarsi più frequentemente nel tipo II.

Prognosi e terapia La GNMP tipo I spesso evolve lentamente; la tipo II più rapidamente. In generale, la prognosi a lungo termine è scarsa. L’insufficienza renale terminale si verifica nel 50% dei pazienti dopo 3-5 anni e nel 75% a 10 anni; a 5 anni, soltanto il 25% presenta una funzione renale normale. La remissione spontanea si verifica nel < 5% dei casi. La GNMP tipo I recidiva nel 30% dei pazienti con trapianto di rene; la tipo II nel 90%. In pazienti con proteinuria non nefrosica, probabilmente non è indicata una terapia specifica poiché la prognosi a lungo termine è relativamente benigna. Nei bambini con SN, la terapia con prednisone 2,5 mg/kg a giorni alterni (dose massima 80 mg) per 1 anno, seguita da una riduzione a scalare del dosaggio fino a 20 mg per 3-10 anni, può esitare in una funzione renale stabile. Tuttavia, la terapia corticosteroidea può provocare un’importante ritardo di crescita e ipertensione e, negli adulti, non ha mostrato significativi benefici. Negli adulti, dipiridamolo (225 mg/die) con aspirina (975 mg/die) per 1 anno stabilizzano la funzione renale a 3-5 anni, ma i risultati a lungo termine sono incerti. Può essere necessaria una terapia prolungata. Terapie alternative comprendono α-interferon con corticosteroidi per la malattia associata al virus dell’epatite C e la plasmaferesi per la concomitante grave crioglobulinemia o GNRP. Gli ACE-inibitori possono diminuire la proteinuria ed essere d’aiuto nel controllo dell’ipertensione.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA GLOMERULONEFRITE MESANGIOPROLIFERATIVA Una malattia con proteinuria di varia gravità e spesso con ematuria alla presentazione, iniziata da deposizione o formazione nel mesangio di immunocomplessi.

Sommario: Eziologia e istologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e istologia Sebbene l’incidenza sia sconosciuta, questa patologia si ritrova nel 5-10% delle biopsie renali eseguite per proteinuria, ematuria o iperazotemia. La GN mesangioproliferativa è caratterizzata da normali reperti alla microscopia ottica; la microscopia elettronica e a immunofluorescenza rivelano aumento delle cellule mesangiali e della matrice che contiene depositi di IgM o e di C3.

Sintomi, segni e diagnosi Si manifestano vari gradi di proteinuria, spesso con ematuria. La SN si verifica in > 75% dei casi, l’ematuria microscopica nel 20% e l’ipertensione lieve nel 35%. Un’insufficienza renale moderata si riscontra nel 25-50% dei pazienti al momento della diagnosi. Gli immunocomplessi circolanti sono presenti nel 50-70% dei casi. Poche caratteristiche cliniche o di laboratorio possono differenziare questa patologia dalle altre cause di proteinuria con o senza ematuria. Devono essere escluse la nefrite lupica mesangiale, nefropatia da IgA, porpora di HenochSchönlein e GN postinfettiva in fase di risoluzione. La diagnosi è posta dall’esame istologico della biopsia renale.

Prognosi e terapia Pazienti che si presentano con grave proteinuria hanno una prognosi peggiore poiché di solito evolvono verso l’insufficienza renale e, in alcuni casi, verso l’uremia conclamata. Altri indicatori prognostici sfavorevoli al momento della diagnosi sono iperazotemia, microematuria, glomerulosclerosi segmentaria e un marcato aumento della matrice cellulare e ipercellularità. Gli adulti con proteinuria grave possono rispondere ad alte dosi di prednisone per via orale (60 mg/die o 120 mg a giorni alterni). Sebbene le remissioni si

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verifichino nel 20-60% dei casi, recidive frequenti, remissioni parziali e dipendenza dai glucocorticoidi non sono insolite. La resistenza alla terapia steroidea è più probabile in presenza di ematuria. Una remissione tardiva della SN nei bambini steroido-resistenti è comune.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA SINDROMI NEFROSICHE CONGENITE La sclerosi mesangiale diffusa è rara, ma negli USA è più comune del tipo finlandese. La sua modalità di trasmissione ereditaria è sconosciuta. Un paziente con grave proteinuria dovrebbe essere sottoposto a nefrectomia bilaterale; la dialisi deve essere iniziata precocemente nel decorso della malattia per migliorare i deficit nutrizionali e rallentare la progressione dell’insufficienza renale. La malattia di solito recidiva nel rene trapiantato. La SN tipo finlandese è autosomica recessiva e rapidamente progressiva e generalmente richiede la dialisi entro un anno. Molti pazienti muoiono entro 1 anno, ma pochi pazienti sono stati sostenuti dal punto di vista nutrizionale fino a che non si è verificata l’insufficienza renale e quindi trattati con dialisi o trapianto.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 224. MALATTIE GLOMERULARI (Glomerulopatie)

SINDROME NEFROSICA MALATTIE MULTISISTEMICHE CHE SI PRESENTANO CON SINDROME NEFROSICA Una malattia con proteinuria di varia gravità e spesso con ematuria alla presentazione, iniziata da deposizione o formazione nel mesangio di immunocomplessi.

Sommario: Introduzione NEFROPATIA DIABETICA Epidemiologia e patogenesi Diagnosi Prognosi e terapia GLOMERULONEFRITE DA LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO Incidenza e istologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Diverse malattie si presentano con proteinuria marcata (v. Tab. 224-7). La nefropatia diabetica e la nefrite da LES sono trattate oltre a causa della loro rilevanza clinica.

NEFROPATIA DIABETICA (V. anche Sintomi e segni in Diabete mellito nel Cap. 13.)

Epidemiologia e patogenesi La nefropatia diabetica (ND) è la causa più comune di insufficienza renale terminale negli USA. La prevalenza dell’insufficienza renale tra i pazienti con diabete mellito tipo II è molto probabilmente sottostimata al 20-30%; l’insufficienza renale è particolarmente frequente nella razza nera, negli Asiatici e negli Ispanici con diabete mellito tipo II. Dei pazienti con uremia, circa il 20-30% ha un diabete mellito tipo I e il 70-80% diabete mellito tipo II. La patogenesi è complessa, ma i meccanismi responsabili possono essere anomalie ormonali e metaboliche e alterazioni emodinamiche renali con iperfunzione e ipertrofia. L’iperfiltrazione, una precoce alterazione funzionale, è soltanto un indicatore relativo dell’evoluzione verso l’insufficienza renale. file:///F|/sito/merck/sez17/2242010c.html (1 of 4)02/09/2004 2.50.55

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L’iperglicemia causa la glicosilazione delle proteine glomerulari, che possono essere responsabili della proliferazione delle cellule mesangiali, dell’espansione della matrice e della lesione dell’endotelio vascolare. La MBG classicamente diviene più spessa. Sono caratteristiche le lesioni di glomerulosclerosi intercapillare diffusa o nodulare. Vi è una marcata ialinosi delle arteriole afferenti ed efferenti come anche arteriosclerosi; possono essere presenti fibrosi interstiziale e atrofia tubulare. Soltanto l’espansione della matrice mesangiale sembra essere correlata all’evoluzione verso l’insufficienza renale terminale.

Diagnosi La ND evolve in un periodo che va da 10 a 25 anni. All’esordio si manifesta iperfiltrazione senza microalbuminuria che progredisce fino a provocare una GFR del 20-50% e una microalbuminuria > 300 mg/24 h. La GFR rimane entro la norma con una lesione renale iniziale e una lieve ipertensione; si deteriora con un’ipertensione franca, con proteinuria maggiore di 0,5 g/die. La proteinuria elevata e un progressivo declino della funzione renale precedono l’insufficienza renale terminale. Altre anomalie a carico della via urinaria comprendono necrosi papillare, vescica neurogena e idronefrosi con ostruzione funzionale, ascessi perirenali, pielonefrite acuta, batteriuria e cistite. L’acidosi tubulare renale tipo IV è comune. Proteinuria, un sottofondo di retinopatia diabetica, ipertensione e una storia di diabete mellito per > 10 anni suggeriscono la diagnosi. Si devono considerare altre patologie renali se vi è proteinuria elevata con storia di diabete da breve tempo, macroematuria, cilindri ematici o un rapido declino della GFR. La biopsia renale può confermare la diagnosi.

Prognosi e terapia Una terapia precoce può ritardare la progressione della malattia. Sebbene l’ipertrofia renale, l’iperfiltrazione e le alterazioni istologiche siano reperti tipici, non sono in grado di indicare quali pazienti svilupperanno ND e richiedono una terapia precoce. Elementi che predicono lo sviluppo di una ND e la necessità di terapia comprendono microalbuminuria e ipertensione. Una PA anche appena sopra la norma (< 140/90 mm Hg) o moderatamente elevata (< 150/95 mm Hg) può accelerare il danno renale. Una storia di grave vasculopatia (evidenziata dall’ictus), IMA o gangrena periferica lascia prevedere una scarsa sopravvivenza. La SN di solito precede l’insufficienza renale terminale di 3-5 anni. È indicata una terapia aggressiva. La restrizione proteica ritarda l’evoluzione verso l’uremia, probabilmente alterando l’emodinamica intrarenale e riducendo la GFR. La restrizione di Na e fosforo rallenta la progressione verso l’insufficienza renale. Una tipica dieta restrittiva dovrebbe contenere 0,6 g/kg di peso corporeo di proteine, 2 g di Na, 0,5-1 g di fosforo e 1 g di Ca. Il controllo glicemico (Hb glicosilata < 7,5%) riduce la microalbuminuria ma non ritarda la progressione della malattia una volta che la ND si sia stabilita. Gli ACE-inibitori (p. es., captopril) rallentano la progressione della malattia renale e hanno un effetto antiproteinurico e nefroprotettore. Sono anche indicati nei pazienti normotesi con malattia renale incipiente. Se una tosse persistente o un’iperkaliemia impediscono l’utilizzo degli ACE-inibitori, possono essere sostituiti da alcuni calcioantagonisti (diltiazem e verapamil) a causa del loro sovrapponibile effetto antiproteinurico e nefroprotettore. I calcioantagonisti diidropiridinici (nifedipina, felodipina, amlodipina) devono essere evitati nei pazienti diabetici file:///F|/sito/merck/sez17/2242010c.html (2 of 4)02/09/2004 2.50.55

Malattie glomerulari

poiché possono peggiorare la proteinuria e la funzione renale. Gli ACE-inibitori e i calcioantagonisti nondiidropiridinici hanno un effetto antiproteinurico e nefroprotettore maggiore quando utilizzati in combinazione e il loro effetto antiproteinurico è aumentato dalla restrizione di sale. Il peptide C e gli analoghi della somatostatina possono essere preziosi nel controllo delle complicanze diabetiche. I pazienti con uremia dovuta a diabete sono potenziali candidati al trapianto renale. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni, per i pazienti con diabete tipo II che ricevono un trapianto di rene, è di quasi il 60% confrontato con soltanto il 2% per quelli in dialisi. La sopravvivenza del rene trapiantato è > 85% a 2 anni. Tuttavia, questi studi non prendono in considerazione pazienti con gravi complicanze diabetiche che sono pertanto ad alto rischio di morte. Il trapianto rene-pancreas in pazienti senza gravi complicanze diabetiche ha avuto successo.

GLOMERULONEFRITE DA LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (v. anche Cap. 50)

Incidenza e istologia La GN lupica si può presentare con sindrome nefritica (v. Tab. 224-2) ma è più comune con sindrome nefrosica. Esame chimico delle urine alterato e iperazotemia si verificano in circa il 50% dei pazienti con LES. L’incidenza totale è probabilmente > 90%, poiché la biopsia renale in pazienti con sospetto di LES, senza evidenza clinica di malattia, spesso rivela una GN proliferativa focale o diffusa. Molti pazienti mostrano una GN da immunocomplessi. La malattia è classificata dal punto di vista istologico come mesangiale (10-20% dei casi), proliferativa focale (10-20%), proliferativa diffusa (40-70%) e membranosa (10-20%). L’istologia e le caratteristiche cliniche e la prognosi differiscono per ciascuna categoria, sebbene si verifichi una sostanziale sovrapposizione. Gli immunocomplessi nella GN lupica sono composti da antigeni nucleari (specialmente DNA), IgG, anticorpi anti-nucleo con alta affinità a fissare il complemento e anticorpi anti- DNA. I depositi subendoteliali, intramembranosi o subepiteliali, sono caratteristici. Ovunque si depositino immunocomplessi, la colorazione a immunofluorescenza è positiva per il complemento e per IgG, IgA e IgM in proporzioni varie. A causa delle limitate risposte del rene agli insulti, i differenti tipi di GN lupica sono simili alle altre glomerulopatie. Per esempio, la GN lupica membranosa e quella proliferativa diffusa sono istologicamente simili rispettivamente alla glomerulonefrite membranosa idiopatica e alla GN membranoproliferativa tipo I. I reperti della microscopia a immunofluorescenza ed elettronica che indicano una GN lupica sottostante, includono strutture tubuloreticolari nelle cellule endoteliali e depositi immuni lungo le membrane basali dei tubuli e nei piccoli vasi sanguigni.

Sintomi, segni e diagnosi Molte delle alterazioni renali si manifestano entro 1 anno dalla diagnosi di LES; quando viene diagnosticato o sospettato il LES, è indicata una ricerca della nefropatia. Il più comune segno è la proteinuria; si manifestano anche microematuria e cilindri ematici. Di solito, la creatininemia si eleva progressivamente nei primi anni dopo la diagnosi. Una discesa dei livelli sierici di file:///F|/sito/merck/sez17/2242010c.html (3 of 4)02/09/2004 2.50.55

Malattie glomerulari

complemento o un rialzo del titolo degli anticorpi anti-DNA sono indicativi di un’aumentata attività immunologica e di una possibile progressione del danno renale. La biopsia renale è importante nel definire il tipo di GN lupica, la prognosi e la terapia.

Prognosi e terapia Isolati esami di laboratorio sono indicatori appena attendibili di un decorso sfavorevole della malattia, sebbene un calo dei livelli sierici di complemento o un rialzo del titolo degli anticorpi anti-DNA giustifichi un’intensificazione del controllo dei segni diretti di deterioramento renale. Sedimento urinario di tipo nefritico, proteinuria grave o progressivo aumento della creatininemia sono inquietanti e indicano la necessità della terapia. Alla biopsia renale, un alto grado di proliferazione, necrosi fibrinoide, semilune o estesi depositi subendoteliali di immunocomplessi sono segni di una cattiva prognosi e indicano la necessità di una terapia aggressiva. La prognosi e le indicazioni per la terapia della GN membranosa lupica sono scarsamente definite e controverse. La terapia di solito abbina farmaci citotossici e corticosteroidi. La ciclofosfamide è di solito somministrata in boli EV (ogni mese per 6 mesi e successivamente, ogni tre mesi per 6 mesi) iniziando con 0,75 g/m2 e, presumendo che i GB siano > 3000 µl, aumentando fino a un massimo di 1 g/m2 in soluzione salina in 3060 minuti. Il prednisone 60-80 mg/die viene scalato fino a 20-25 mg a giorni alterni in 6-12 mesi. La ciclofosfamide e il prednisone vengono comunemente somministrati finché la remissione della nefrite non si sia mantenuta per almeno 1 anno. Le recidive sono di solito trattate con un aumento del dosaggio del prednisone. Una possibile più sicura alternativa alla ciclofosfamide per la terapia di mantenimento è l’azatioprina per via orale (2 mg/kg/die), che presenta un minor rischio di neoplasia tardiva e nessun rischio di disfunzione delle gonadi. L’azatioprina può essere impiegata anche come terapia iniziale in pazienti che rifiutano o che non riescono a tollerare la ciclofosfamide.

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Malattia tubulo-interstiziale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 225. MALATTIA TUBULO-INTERSTIZIALE In molte malattie renali si hanno anomalie tubulo-interstiziali. Inoltre, più di una condizione associata a infiammazione tubulo-interstiziale (p. es., diabete mellito, IVU) può essere presente in un unico paziente. In circostanze selezionate, la nefrite tubulo-interstiziale è predominante, provocando una sindrome con diverse eziologie (v. Tab. 225-1).

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Malattia tubulo-interstiziale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 225. MALATTIA TUBULO-INTERSTIZIALE NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE ACUTA Sindrome caratterizzata da insufficienza renale acuta che interessa principalmente i tubuli e il tessuto interstiziale.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia La causa più comune è la tossicità da ipersensibilità alla terapia farmacologica. Soltanto pochi farmaci (dei > 80 farmaci associati a questa sindrome) sono responsabile della maggior parte dei casi (v. Tab. 225-2 e 226-1). Il riconoscimento di un’eziologia farmaco-correlata è importante dal momento che un grave danno renale è spesso prevedibile o reversibile. Possono anche essere responsabili la sarcoidosi, la Legionella, la leptospirosi, lo Streptococco, le infezioni virali e alcune erbe cinesi.

Sintomi, segni e diagnosi L’insorgenza dopo terapia farmacologica può verificarsi dopo diverse settimane da una singola somministrazione, così come dopo 3-5 giorni da una seconda assunzione. Il tempo di latenza varia da 1 giorno con la rifampicina a 18 mesi con un FANS. La presentazione di una nefrite tubulo-interstiziale acuta varia, ma l’insufficienza renale acuta, con o senza oliguria, correlata temporalmente con un farmaco responsabile o un infezione è caratteristica. La febbre si verifica in molti casi e può essere accompagnata da un rash orticarioide. Il sedimento urinario di solito rivela GB, GR e cilindri leucocitari ma è talvolta poco significativo. Sia eosinofilia che eosinofiluria (impiegando la colorazione di Hansel) si manifestano in > 75% dei casi. La proteinuria di solito è minima. Nella malattia indotta da FANS, febbre, rash e eosinofilia sono di solito assenti, ma proteinuria nel range nefrosico con minime alterazioni glomerulari vengono spesso osservate (sono osservata anche con ampicillina, rifampicina, interferon o ranitidina). Molti pazienti sviluppano segni di disfunzione tubulare come poliuria (difetto di concentrazione), deplezione di volume (difetto nella conservazione di Na), iperkaliemia (difetto nella escrezione di K) e acidosi metabolica (difetto nella escrezione acida). I reni sono solitamente ingranditi a causa dell’edema interstiziale e captano con avidità il gallio radioattivo o i leucociti marcati con radionuclidi. Tuttavia, una scintigrafia al gallio-67 negativa non esclude la diagnosi. La diagnosi implica la sospensione del farmaco sospettato di essere responsabile e l’osservazione della risposta. Nessun’altra indagine è richiesta se

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Malattia tubulo-interstiziale

la funzione renale inizia a migliorare entro diversi giorni. La biopsia renale è la sola metodica decisiva per la diagnosi. Le indicazioni includono una diagnosi dubbia o un’insufficienza renale progressiva. I glomeruli sono solitamente normali. Il reperto più precoce è l’edema interstiziale, seguito di solito da infiltrazione interstiziale di linfociti, plasmacellule, eosinofili e piccole quantità di leucociti polimorfonucleati. Nei casi gravi, si possono osservare le cellule infiammatorie invadere lo spazio tra le cellule allineate lungo la membrana basale tubulare (tubulite); in altri campioni, si possono osservare reazioni granulomatose secondarie a meticillina, sulfamidici, micobatteri e miceti. La presenza di granulomi non caseosi è indicativa di sarcoidosi. La microscopia a immunofluorescenza ed elettronica raramente evidenziano qualche alterazione patognomonica.

Prognosi e terapia La funzione renale di solito si ristabilisce (specialmente durante le prime 6-8 sett.) quando il farmaco responsabile viene sospeso, sebbene sia comune qualche residuo segno cicatriziale. La terapia è consigliata per una grave, persistente oliguria. La terapia corticosteroidea (p. es., prednisone 1 mg/kg/die per 3 giorni, diminuito nei successivi 7-10 giorni) può accelerare il recupero della funzione quando la nefrite tubulo-interstiziale acuta è causata da reazione di ipersensibilità o immunologica. La guarigione, tuttavia, può essere incompleta, con persistenza di iperazotemia. In questi pazienti, infiltrati interstiziali diffusi piuttosto che a macchia, ritardano la risposta al prednisone e l’IRA persistente (> 3 sett.) è indicativa di un danno irreversibile. Le alterazioni istologiche sono solitamente reversibili, se la causa viene riconosciuta e rimossa; tuttavia, alcuni casi gravi progrediscono fino alla fibrosi e all’insufficienza renale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 225-2. FARMACI ASSOCIATI A NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE DA IPERSENSIBILITA’ Penicilline semisintetiche (specialmente meticillina, ampicillina, nafcillina, oxacillina, carbenicillina) Sulfamidici Rifampicina Diuretici (specialmente tiazidici, furosemide) Allopurinolo Azatioprina Antipirina Anticonvulsionanti (specialmente fenitoina) Oro Fenilbutazone

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Malattia tubulo-interstiziale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 225. MALATTIA TUBULO-INTERSTIZIALE NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE CRONICA Una patologia renale cronica in cui le alterazioni localizzate o generalizzate nell’area tubulo-interstiziale sono predominanti sulle lesioni glomerulari o vascolari. Macroscopicamente, i reni sono piccoli e atrofizzati. La nefrite tubulo-intestiziale cronica dovuta a tossine, malattie metaboliche e disordini ereditari produce una malattia simmetrica e bilaterale; ma in caso di eziologia differente, la cicatrizzazione renale può essere ineguale e interessare soltanto un rene. Ad eccezione della pielonefrite o dell’uropatia ostruttiva, le strutture pelviche possono non essere interessate. Tuttavia, molti disordini (p. es., nefropatia da analgesici, anemia falciforme, uropatia ostruttiva, diabete mellito) possono essere associati a danno papillare renale, a dilatazione caliceale e a una cicatrice corticale sovrastante. Istologicamente, i glomeruli variano da una situazione di normalità fino alla distruzione completa. I tubuli possono essere assenti o atrofizzati. I lumi tubulari variano nel diametro, ma possono mostrare una marcata dilatazione con formazione di cilindri omogenei producendo un aspetto simile a quello della tiroide. L’interstizio contiene gradi variabili di cellule infiammatorie e fibrosi. Le aree non cicatrizzate appaiono quasi normali. Alcuni aspetti clinici sono comuni in tutti i tipi di nefropatia tubulo-interstiziale cronica. Generalmente, sono assenti i sintomi che indicano la progressione della malattia renale. Abitualmente non è presente edema, la proteinuria è minima, l’ematuria non è frequente e la PA è normale o soltanto mediamente elevata negli stadi iniziali. Quando presenti, grave proteinuria o marcata ematuria suggeriscono una malattia glomerulare quale complicanza. Possono essere presenti segni di disfunzione tubulare simili a quelli della nefrite tubulointerstiziale acuta. Il 5-10% dei casi di insufficienza renale cronica (IRC) è provocato dalla nefrite tubulo-interstiziale cronica.

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Malattia tubulo-interstiziale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 225. MALATTIA TUBULO-INTERSTIZIALE NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE CRONICA NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE DA FARMACI La nefropatia da analgesici è preponderante nelle donne (picco di incidenza è tra i 50 e i 55 anni) e, negli USA, è associata a circa il 3-5% dei casi di insufficienza renale terminale dovuta a nefrite tubulo-interstiziale cronica. La causa probabile è l’abituale utilizzazione di composti analgesici (p. es., acetaminofene e aspirina), forse mediante l’ossidazione dell’acetaminofene con formazione di radicali liberi nella midollare con un danno della risposta antiossidante. I sintomi di solito si sviluppano soltanto dopo che è stata assunta una dose cumulativa di analgesico di 2-3 kg. Dolore lombare ed ematuria si verificano ma vengono spesso trascurati per la presenza di disturbi quali cefalea, malessere, calo ponderale e dispepsia. Sono frequenti ipertensione, lieve proteinuria e capacità di concentrazione urinaria danneggiata. Una proteinuria nefrosica indica una glomerulosclerosi focale, che può essere associata a nefropatia da analgesici. La diagnosi precoce è difficile; la TC è superiore all’urografia e all’ecografia. I principali reperti sono un diminuito volume renale e contorni irregolari. La presenza di calcificazioni papillari ha una sensibilità del 92% e una specificità del 100% per la diagnosi precoce. I FANS possono indurre necrosi papillare. I pazienti hanno un’aumentata incidenza di neoplasie uroepiteliali. La ciclosporina e il tacrolimus (immunosoppressori utilizzati nei trapianti e nella terapia di alcune malattia autoiimuni) sono associate a una particolare forma di nefrite tubulo-interstiziale cronica che consiste in fibrosi a strisce che coinvolge i raggi midollari in combinazione con obliterazione e sclerosi delle arteriole afferenti. I farmaci antineoplastici (p. es., cisplatino, nitrosouree, raramente, carbonplatino) possono causare anche una malattia dose-dipendente. La terapia con litio comunemente provoca una forma lieve di diabete insipido nefrogeno, mentre una nefrite tubulo-interstiziale cronica progressiva è rara in assenza di concentrazioni sieriche tossiche.

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Malattia tubulo-interstiziale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 225. MALATTIA TUBULO-INTERSTIZIALE NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE CRONICA NEFRITE TUBULO-INTERSTIZIALE METABOLICA E TOSSICA La nefropatia acuta da urati è caratterizzata da insufficienza renale oligurica o anurica dovuta alle deposizione di urati entro i tubuli. Questa è di solito secondaria a una sovrapproduzione e iperescrezione di urati nei casi di linfoma, leucemia o malattia mieloproliferativa (p. es., policitemia vera), soprattutto dopo che la chemioterapia o la radioterapia hanno indotto una rapida lisi cellulare. La diagnosi dovrebbe essere sospettata in ognuna di queste situazioni quando l’insufficienza renale acuta (IRA) si sviluppa con una marcata iperuricemia (> 15 mg/dl). Sintomi a carico della via urinaria sono assenti. L’esame chimico delle urine può essere normale o mostrare molti cristalli di urato. La prognosi per il completo recupero della funzione renale è eccellente se la terapia viene istituita rapidamente. L’allopurinolo 600-900 mg/die più un carico di soluzione salina per mantenere una diuresi > 2,5 l/die funge da profilassi in pazienti che si accingono a sottoporsi alla chemioterapia o alla radioterapia per una neoplasia con rapido turnover cellulare. Quando, nonostante questa terapia, si verifica l’IRA, è indicata l’emodialisi per rimuovere l’eccesso di urati circolanti. La nefropatia cronica da urati si riscontrava comunemente con i tofi gottosi ma adesso è rara, probabilmente a causa della terapia sintomatica con farmaci uricosurici o allopurinolo. L’iperuricemia cronica può condurre alla deposizione di cristalli di urato di sodio nell’interstizio della midollare con flogosi cronica secondaria, fibrosi e insufficienza renale. Sono comuni un sedimento urinario non significativo e iperuricemia non proporzionata al grado di insufficienza renale (p. es., uricemia 9 mg/dl con creatininemia < 1,5 mg/dl, 10 mg/dl con creatininemia di 1,5-2 mg/dl e 12 mg/dl con insufficienza renale avanzata). Tuttavia, il problema primario in molti pazienti è probabilmente l’intossicazione da piombo (v. oltre). Molte patologie tubulo-interstiziale sono associate a diminuzione dell’escrezione di urati e così si ha una maggiore incidenza di iperuricemia e gotta. La terapia dovrebbe focalizzarsi sul trattamento dei molti fattori che contribuiscono a questa malattia e non solo ad abbassare la concentrazione sierica di acido urico. Un aumento dell’escrezione renale di ossalato può indurre un’IRC progressiva in pazienti con malattie ereditare da eccesso di produzione di ossalato (iperossaluria primaria tipo I e II), malattie GI acquisite (p. es., bypass ileale chirurgico per obesità con aumentato assorbimento intestinale) o metabolismo di sostanze esogene in ossalato (p. es., ingestione di glicole etilenico, anestesia con metossiflurano, abbondanti dosi di acido ascorbico). L’ossalato è altamente insolubile quando combinato con il Ca. L’escrezione urinaria di quantità di ossalato maggiori del normale supera rapidamente il prodotto di solubilità dell’ossalato di calcio. Il calcio ossalato precipita e può provocare nefrolitiasi, IRA o danno tubulo-interstiziale cronico. Si possono manifestare ematuria, colica renale da calcoli di ossalato, IVU e piuria, ipertensione e acidosi tubulare renale. Nell’acidosi tubulare renale, l’ossalato di calcio cristallizza nel lume dei tubuli e nell’interstizio e viene circondato da una reazione flogistica (che può comprendere cellule giganti) e da fibrosi interstiziale. In pazienti con iperossaluria primaria che evolve in insufficienza renale terminale, la correzione del difetto metabolico di base necessita di un trapianto combinato rene-fegato. Quando possibile, le cause sottostanti devono essere corrette. Cibi ad alto contenuto di ossalato (p. es., tè, cioccolato, spinaci, rabarbaro) devono essere evitati e l’assunzione di liquidi deve essere incrementata per aumentare la diuresi. Un aumento dell’assunzione orale di Ca legante l’ossalato nell’intestino e

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Malattia tubulo-interstiziale

un’integrazione di piridossina (3-3,5 mg/kg/ die) promuovono la conversione del glicossilato in glicina piuttosto che in ossalato. L’ipercalcemia di qualsiasi eziologia può provocare nefrite tubulo-interstiziale cronica, secondaria a necrosi delle cellule dei tubuli e ostruzione intratubulare. La nefrocalcinosi e la nefrolitiasi sono spesso reperti associati. La correzione dell’ipercalcemia può diminuire significativamente il danno renale, che suggerisce la presenza di una componente funzionale. L’intossicazione cronica da piombo di solito provoca ipertensione, danneggiamento della funzione tubulare quale iperuricemia (gotta saturnina) dovuta a diminuita escrezione di urati e talvolta aminoaciduria o glicosuria renale. Sono comuni l’atrofia tubulare progressiva e la fibrosi interstiziale. Saldatori, lavoratori delle fabbriche di batteria da cucina e bevitori di alcol di contrabbando sono a rischio elevato. La diagnosi di solito viene posta con la dimostrazione di un elevato livello di piombo nell’escrezione urinaria dopo un’infusione standard di acido edetico. Anche la fluoroscopia evidenzia un’aumentata concentrazione ossea di piombo, che riflette l’esposizione cumulativa a questo metallo. La guarigione può non essere completa se la lesione renale è irreversibile. La terapia consiste nella rimozione della fonte di esposizione al piombo e nell’aumento dell’escrezione di piombo mediante somministrazione a lungo termine di farmaci chelanti (p. es., acido edetico). La tossicità da cadmio è di solito causata da esposizione industriale ed è associata a una disfunzione tubulare quale proteinuria ad alto peso molecolare (p. es., β2-microglobulina), aminoaciduria e glicosuria renale; una diminuzione della GFR è caratteristica ed è associata alla gravità della disfunzione tubulare e della dose di cadmio. La diagnosi è indicata da un’anamnesi lavorativa positiva per esposizione al metallo, aumentata escrezione urinaria di β2-microglobulina e aumentati livelli di cadmio urinari (> 7 µg/g di creatinina). Ridurre al minimo l’esposizione al cadmio è la più importante misura terapeutica; tuttavia, in molti casi, la proteinuria tubulare è irreversibile. Non c’è una specifica terapia per l’insufficienza renale cronica. La terapia chelante non è stata efficace negli uomini e può in realtà aumentare la nefrotossicità del cadmio. Le patologie che provocano perdita di K possono essere associate a una nefropatia consistente in lesione della concentrazione urinaria e formazione di vacuoli nelle cellule del tubulo prossimale con scarse alterazioni nelle cellule del tubulo distale. Nelle biospie renali dei pazienti con ipokaliemia cronica sono state ritrovate alterazioni tipiche della flogosi interstiziale cronica e fibrosi; si possono formare anche cisti renali. La terapia consiste nella correzione delle cause sottostanti e nella somministrazione integrativa di K PO.

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Nefropatia tossica

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 226. NEFROPATIA TOSSICA Ogni alterazione renale funzionale o morfologica provocata da farmaco o agente chimico o biologico, ingerito, iniettato, inalato o assorbito.

Sommario: Eziologia Fisiopatologia Diagnosi e terapia

Eziologia Molti dei farmaci clinicamente importanti e dei prodotti chimici che producono nefrotossicità (v. Tab. 226-1) hanno un’azione tossica diretta sulle cellule. Altri agenti possono produrre lesioni renali tramite meccanismi indiretti (v. Tab. 226-2) spesso non chiariti neppure dalla conoscenza della biochimica dell’agente. Nella Fig. 226-1 sono mostrati gli effetti di alcuni antibiotici sulle diverse porzioni del nefrone. La nefrotossicità può anche verificarsi quando i normali elettroliti circolanti raggiungono concentrazioni anormali (p. es., da ipokaliemia, iperkaliemia, ipomagnesiemia o iperuricemia). I farmaci che dipendono principalmente dal rene per la loro eliminazione (v. Tab. 226-3) devono essere utilizzati attentamente nei pazienti con malattia renale nota. Il legame proteico influenza sostanzialmente la farmacocinetica e la tossicità cellulare in molti organi. Nell’insufficienza renale, il legame proteico dei farmaci acidi è ridotto a causa della perdita di proteine plasmatiche. L’insufficienza renale interessa anche l’ossidazione e la riduzione dei farmaci, la coniugazione di glucuronide, solfato e glicina; l’acetilazione e l’idrolisi. Negli ospedali la causa principale di insufficienza renale da nefrotossicità (il 25% circa di tutte le insufficienze renali acute) è l’impiego di antibiotici, soprattutto aminoglicosidi (streptomicina, kanamicina, neomicina, gentamicina, tobramicina, amikacina, sisomicina). Questi farmaci si legano ai fosfolipidi anionici delle cellule del tubulo prossimale e sono trasformate in proteine anioniche (megalina); successivamente vengono sottoposte a endocitosi e si accumulano nei lisosomi, inibendo probabilmente la loro funzionalità. Anche gli aminoglicosidi aumentano i livelli di enzimi e proteine urinarie e diminuiscono la creatinina clearance. A meno che la tossicità non sia grave, di solito si verifica l’insufficienza renale non oligurica. Sembra che gli aminoglicosidici abbiano un’azione tossica sinergica con altri farmaci direttamente e prevedibilmente nefrotossici (p. es., polimixina B, amfotericina B). Poiché questi farmaci si accumulano, la tossicità può essere tardiva o si può presentare precocemente in corso di una terapia ripetuta. La tetraciclina scaduta può produrre una sindrome simile a quella di Fanconi. (V. anche Nefrite Tubulo-Interstiziale da Farmaci nel Cap. 225.) Tutti i mezzi di contrasto radiologici hanno un certo grado di nefrotossicità, in particolare quando somministrati per via endoarteriosa. I fattori di rischio predisponenti sono ipoperfusione, shock cardiogeno, disidratazione, insufficienza renale preesistente, età > 60 anni, monorene, nefropatia diabetica, mieloma, iperuricemia, scompenso cardiaco ed esposizioni multiple a intervalli ravvicinati. Gli analgesici sono responsabili del 2-5% delle insufficienze renali terminali negli USA e del 13-20% in Australia e in Sud Africa. In generale, sono potenzialmente file:///F|/sito/merck/sez17/2262017.html (1 of 3)02/09/2004 2.51.08

Nefropatia tossica

nefrotossici tutti gli analgesici antinfiammatori ad azione periferica, mentre non lo è la maggior parte degli analgesici ad azione centrale. I salicilati sono direttamente nefrotossici se sovradosati e hanno un ruolo sinergico nella nefropatia mista da analgesici; sono comuni componenti di molti farmaci. Praticamente, tutti gli analgesici antiinfiammatori non steroidei (che sono inibitori, di potenza diversa, della prostaglandina-sintetasi) possono produrre un danno epiteliale tubulare renale, ipoperfusione, necrosi papillare e nefrite tubulointerstiziale cronica. Molti di questi farmaci sono attualmente disponibili come prodotti da banco. La maggior parte dei metalli pesanti si accumula in segmenti del nefrone prossimale per la presenza dei siti di trasporto o di legame quali i gruppi solfidrile. Gli effetti tossici del piombo sono causati dal picacismo, esposizione industriale, contaminazione di acqua, vino o alcol, lavoro in miniera, inalazione di fumo o di benzina per auto con piombo. Il piombo tetraetile penetra attraverso la cute integra e i polmoni. La sindrome da intossicazione cronica da piombo comprende reni rimpiccioliti, uremia, ipertensione, anemia con punteggiamento basofilo, encefalopatia, neuropatia periferica e sindrome di Fanconi. Acutamente, si possono avere coliche da piombo. Sta diminuendo la nefrotossicità da Hg, bismuto e tallio; ma è ancora prevalente quella da cadmio, rame, oro, uranio, arsenico e ferro. La nefrotossicità da ferro è associata a miopatia prossimale in pazienti con emocromatosi e altre forme di sovraccarico di ferro (v. Cap. 128), p. es., in pazienti in dialisi politrasfusi e nelle anemie emolitiche (p. es., talassemia). I solventi che causano nefrotossicità e i farmaci che provocano malattia da immunocomplessi sono elencati nella Tab. 226-1. Piante insolite e molecole di animali possono causare necrosi tubulare acuta (p. es., colecisti cruda di carpa erbivora in sushi, Ctenopharyngodon idella), sindrome nefrosica da antigeni (p. es., veleno di edera, di quercia) o fibrosi interstiziale (p. es., sindrome nefrosica da antigeni, ocratossina da funghi e guerra chimica, erbe quali Aristolochia pistolochia).

Fisiopatologia Il rene ha molte caratteristiche uniche che lo rendono vulnerabile ad agenti tossici. Ha il più alto apporto ematico/g rispetto a qualsiasi altro tessuto del corpo (circa 3,5 ml/g/min contro circa 0,07 ml/g/min della maggior parte degli organi a eccezione del polmone). Gli agenti in circolo vi giungono quindi circa 50 volte più che in altri tessuti. Alterazioni della distribuzione ematica possono accelerare la tossicità, p. es., mediante la costrizione di un letto vascolare più grande. Il rene ha la più ampia area di superficie endoteliale/g, con 2 letti capillari completi. Il primo letto (glomerulare) ha la più alta pressione idrostatica e la più grande frazione di filtrazione. I soluti liberi lasciano il circolo per mezzo della filtrazione, alla velocità di 100 ml/min, cioè a una velocità molto più alta della media degli altri organi. Il rene, di conseguenza, riceve un campione sproporzionato di sostanze assorbite portate dal circolo arterioso. La riduzione fisiologica del filtrato glomerulare, per formare urina concentrata, può esporre le superfici del lume delle cellule fino a concentrazione di molecole filtrate superiore a 300 volte o a una concentrazione di molecole secrete 1000 a quella plasmatica. L’area di superficie esposta è enorme per la presenza di un fine orletto a spazzola sulle cellule tubulari prossimali. Un meccanismo di flusso controcorrente aumenta la concentrazione di ioni del liquido interstiziale delle midollare (e quindi aumenta la concentrazione urinaria) fino a 4 volte la concentrazione plasmatica. Nessun altro liquido tissutale raggiunge tali concentrazioni. Il trasporto tubulare separa i farmaci dalle proteine leganti, che sono un comune mezzo di protezione per altre cellule. Il trasporto transcellulare espone unicamente la parte interna della cellula e i suoi organuli a prodotti chimici non conosciuti. I siti leganti (p. es., i gruppi sulfidrilici) possono facilitare l’entrata ma file:///F|/sito/merck/sez17/2262017.html (2 of 3)02/09/2004 2.51.08

Nefropatia tossica

ritardare l’uscita (p. es., metalli pesanti). L’uscita può essere ridotta dal riassorbimento prossimale o distale o da entrambi, di una tossina (p. es., ocratossina A [1/3 distale, 2/3 prossimali]). Un’inibizione generalizzata (p. es., alcalinizzazione, acidificazione) può alterare il trasporto in entrambe le direzioni. Il blocco dei recettori per il trasporto può alterare l’esposizione tissutale (p. es., diuresi per il blocco del recettore dell’adenosina A). Il rene ha il più alto consumo di O2 e di glucoso/g ed è, di conseguenza, vulnerabile alle tossine che interagiscono con i sistemi energetici cellulari. Quale principale sede di deposito di immunocomplessi, il rene è particolarmente suscettibile a lesioni immunologiche. Il 2% delle cellule glomerulari e il 5% di quelle mesangiali esprimono la molecola Ia che si lega a un antigene formando un complesso che attiva i linfociti provocando una reazione immunitaria di tipo cellulare. Il mesangio è un sito di invasione per monociti, fagociti e altre cellule biologicamente attive che migrano dal sangue. Gli eventi immunologici nel mesangio possono anche controllare eventi fisiologici dell’apporto vascolare, p. es., attraverso la stimolazione dei recettori per l’angiotensina, probabilmente mediata dal rilascio di linfochine da parte dell’apparato iuxtaglomerulare.

Diagnosi e terapia La diagnosi richiede un’ampia conoscenza dei farmaci, della tossicologia e delle possibili esposizioni ad agenti tossici nel lavoro, durante il tempo libero e gli hobby, nei tentativi di suicidio o di omicidio e nei cibi e nelle bevande (v. Tab. 2264). Per le linee guida del trattamento, v. le descrizioni delle sindromi provocate da uno specifico agente tossico (p. es., insufficienza renale acuta e cronica, sindrome nefrosica, acidosi tubulare, nefrite tubulo-interstiziale) e la § 23. Sono stati utilizzati particolari dializzatori ad alti flussi per rimuovere il metotrexate e sono state impiegate membrane speciali contro un dialisato di albumina per rimuovere tossine con legame all’albumina plasmatica. Gli antiossidanti sono stati proposti per il trattamento della lesione renale da ossidazione. Le misure generali comprendono rimozione dell’agente lesivo, mediante l’induzione di vomito, il miglioramento dell’escrezione (p. es., chelanti, diuretici) quando la funzionalità renale è ancora integra e la rimozione diretta dal circolo ematico con il metodo più efficace (solitamente emodialisi con dializzatore ad ampia superficie, emoperfusione su carbone vegetale o resine, plasmaferesi o sorbaferesi). Può esservi l’indicazione a una terapia di combinazione; p. es., nell’avvelenamento da metanolo, la dialisi dovrebbe essere associata all’infusione di etanolo per competere per l’alcol deidrogenasi, diminuendo così il metabolismo del metanolo che può produrre tossine neurologiche e oculari più pericolose. Può essere indicata l’infusione di bicarbonato per l’acidosi dovuta alla produzione di acido formico. La terapia di combinazione può salvare sia la vita che la vista negli avvelenamenti con livelli elevati di metanolo o di altri solventi che producono acidosi lattica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 226-2. AGENTI INDIRETTAMENTE NEFROTOSSICI Agente

Meccanismo

Glicol etilenico, metossiflurano

Acido ossalico

Fenciclidina (PCP) e amfetamine

Rabdomiolisi

Metisergide

Fibrosi retroperitoneale

Alcaloidi della segala cornuta

Grave costrizione arteriolare

Eroina

Piombo, tossine micotiche e stafilococciche o altri contaminanti associati al suo uso illecito

Farmaci uricosurici e chemioterapici per neoplasie emopoietiche

Ostruzione, intra o extrarenale, con cristalli di acido urico

Vitamina D, latte, alcali, analoghi della vitamina D

Nefrocalcinosi e litiasi

Difenile e alcuni pesticidi

Cisti e displasia

Avvelenamento da funghi e colchicina

Diarrea e perdita di liquidi

Anilina, p-fenetidina e molti Formazione di metemoglobina farmaci, cibi e agenti industriali Fenacetina e farmaci ossidanti

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Deficit di G6PD

Manuale Merck - Tabella

Tabella 226-3. ALCUNI FARMACI ELIMINATI PRINCIPALMENTE PER VIA RENALE Acetoessamide

Isoniazide

Acyclovir*

Kanamicina†

Amantadina

Litio*

Amikacina†

Metotrexate*

Ampicillina*

Metoclopramide

Atenololo

Nadololo

Cefalosporine‡

Neomicina†

Cimetidina

Netilmicina

Clofibrato†

Nizatidina

Colistina†

Penicilline§

Cicloserina

Procainamide*

Digossina

Ranitidina

Etambutolo

Streptomicina*

Famotidina

Sulfinpirazone*

Flucytosina

Tetraciclina*

Ganciclovir

Ticarcillina*

Gentamicina†

Tobramicina†

Imipenem/cilastatin

Vancomicina

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Manuale Merck - Tabella

* Raramente nefrotossici †Rischio di nefrotossicità significativa ‡Esclusi cefoperazone, cefpiramide e ceftriaxone § Esclusi cloxacillina, dicloxacillina, ossacillina e nafcillina Modificata da Reidenbenrg MM, Drayer DE: "Drug ther apy in renal failure." Annual Review of Pharmacology and toxicology 20:45-54, 1980 1980 da Annual Review Inc. riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 226-4. DOMANDE DA PORRE NELLA DIAGNOSI DELLA NEFROPATIA TOSSICA RENALE Il paziente è stato esposto a radiazioni >20 Gy (2000 rads) o ha ricevuto molteplici dosi di mezzo dicontrasto? In caso di unica somministrazione di mezzo di contrasto, il paziente presenta fattori di rischio (p.es., disidratazione)? Il pazienti ha contatto con idrocarburi insoliti (p.es., pesticidi, coloranti, solventi, smacchiatori, o fertilizzanti)? Il paziente è esposto a cibi non regolari, erbe, piante medicinali, medicine naturali, o alcol (p.es., di contrabbando) o droghe da strada con i loro contaminanti (p.es.,, aspirare colla)*? Il paziente assume medicazioni senza prescrizione (analgesici, lassativi, diuretici, unguenti)? Il paziente prende a prestito prescrizioni di farmaci da altre persone? Il paziente vive a valle di una fonte di polluzione o beve acqua di una fonte la cui falda è contaminata (vi sono 400 depositi industriali, fonti a iniezione profonda in 22stati degli USA)? Qual’è l’anamnesi allergica del paziente o la storia familiare di malattie immunologiche? Il paziente è stato desensibilizato con antigeni misti o sconosciuti (p.es., polvere di casa, alberi, erbe, veleno di quercia ed edera)? *Pazienti con nefropatia da erbe cinesi, da diete vegetariane per dimagrire hanno proteinuria a basso peso molecolare.

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Infezioni delle vie urinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 227. INFEZIONI DELLE VIE URINARIE INFEZIONI BATTERICHE (v. anche Cap. 157)

Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Diagnosi Prevenzione Terapia

Normalmente la via urinaria è sterile e molto resistente alla colonizzazione batterica. Tuttavia, l’IVU è la più comune infezione batterica in tutti i gruppi di età. Nei neonati, le IVU sono più frequenti nei maschi che nelle femmine e spesso si associano a batteriemia. Ciò è presumibilmente correlato alla maggiore frequenza di anomalie congenite delle vie urinarie nei bambini di sesso maschile. Tra gli 1 e i 5 anni, l’incidenza della batteriuria è dello 0,03% circa nei maschi e dell’1-2% nelle femmine; aumenta a circa il 5% nelle bambine > 10 anni. Poiché nella pre-adolescenza l’incidenza è rara, i bambini con IVU frequentemente hanno anomalie congenite o acquisite della vie urinarie. Nei bambini < 10 anni, circa il 30-50% delle IVU è associato a reflusso vescico-ureterale (RVU) e a cicatrici renali, che possono condurre all’insufficienza renale se non trattate (v. oltre, pielonefrite cronica). La batteriuria è rara negli adolescenti di sesso maschile. La batteriuria asintomatica si verifica nel 5% delle ragazze in età adolescenziale, ma non è associata ad anomalie urologiche. Tra i 20 e i 50 anni, le IVU sono circa 50 volte più frequenti nelle donne. L’incidenza aumenta negli uomini e nelle donne > 50 anni; il rapporto uomo: donna diminuisce come risultato dell’aumentata frequenza di patologie prostatiche.

Eziologia e patogenesi I batteri aerobi gram – (v. Tab. 227-1) provocano la maggior parte delle IVU. Sono poche le IVU contratte per via ematica, ma circa il 95% si verifica quando i batteri risalgono dall’orifizio vaginale, già colonizzato, e dall’uretra alla vescica e, nel caso di pielonefrite acuta non complicata, fino all’uretere e poi fino al rene. L’Escherichia coli è il batterio più frequentemente isolato, responsabile di circa l’80% delle infezioni acquisite in comunità e lo Staphylococcus saprophyticus di circa il 10%. Nei pazienti ricoverati, l’E. coli è responsabile di circa il 50% dei casi; le specie gram – Klebsiella, Proteus, Enterobacter e Serratia di circa il 40% e i cocchi gram + Enterococcus faecalis e Staphylococcus sp (saprophyticus, aureus) del rimanente. L’incidenza di batteriemie nosocomiali attribuite a IVU è di circa 73/100000. Le complicanze delle IVU si verificano nell’ambito di una lesione urologica, di file:///F|/sito/merck/sez17/2272021.html (1 of 9)02/09/2004 2.51.11

Infezioni delle vie urinarie

solito dovuta a manovre strumentali o a ostruzione (anomalie anatomiche, disfunzione neurogena, calcoli, cateterizzazione). Sebbene l’ostruzione da sola non provochi IVU, la sua presenza è un fattore predisponente e rende più difficile sradicare le IVU con terapia medica. Le IVU negli uomini < 50 anni sono spesso dovute ad anormalità urologiche. Tuttavia, IVU non complicata può manifestarsi in uomini più giovani senza anomalie che hanno un rapporto anale non protetto, un pene non circonciso, un rapporto non protetto con una donna la cui vagina è colonizzata da patogeni urinari e AIDS (conta dei linfociti CD4+ < 200/µl). Tra le suore, la batteriuria è significativamente meno frequente (0,4-1,6% dai 15 ai 54 anni) che tra le donne sessualmente attive, indicando un ruolo del rapporto sessuale nello sviluppo di IVU acute non complicate nelle donne. L’impiego di spermicida con un diaframma è legato a un aumentato rischio di IVU nelle donne, probabilmente poiché lo spermicida induce alterazioni della flora vaginale, consentendo la proliferazione di E. coli. La batteriuria è più frequente nei pazienti anziani di sesso maschile per la presenza di patologie minzionali e di un significativo residuo vescicale di urina; nella donna per uno scarso riempimento vescicale dovuto a prolasso uterino, per la formazione di cistocele e per la contaminazione del perineo per la presenza di incontinenza fecale; in entrambi i sessi per patologie neuromuscolari e un aumento di manovre invasive e di cateterizzazione vescicale. I pazienti diabetici con vescica neurogena, o che hanno subito una cateterizzazione, hanno un aumento dell’incidenza e gravità delle infezioni. Poiché la gravidanza può provocare stasi urinaria da ostruzione funzionale e anatomica degli ureteri e della vescica, l’IVU durante la gravidanza deve essere considerata come complicata. Uretrite: l’infezione batterica dell’uretra si verifica quando i microrganismi che la raggiungono colonizzano acutamente o cronicamente le numerose ghiandole del bulbo e la porzione pendula dell’uretra maschile e l’intera uretra femminile. I microrganismi patogeni trasmessi per via sessuale Chlamydia trachomatis, Neisseria gonorrhoeae e herpes simplex sono causa comune di disuria negli uomini e nelle donne. Le uretriti non gonococciche possono essere associate a infezione del contenuto scrotale (v. Epididimite nel Cap. 219). Cistite: negli uomini l’infezione batterica della vescica è di solito complicata ed è generalmente dovuta a un’infezione ascendente dell’uretra o della prostata o si verifica secondariamente a una manovra strumentale uretrale. Nelle donne, di solito un rapporto sessuale precede la cistite non complicata. Prostatite: l’infezione batterica cronica della prostata è la più comune causa di IVU ricorrenti negli uomini; è dovuta a un’invasione retrograda dell’infezione nella vescica. Pielonefrite acuta: il termine pielonefrite si riferisce all’infezione batterica del parenchima renale e non dovrebbe essere utilizzato per descrivere ogni nefropatia tubulo-interstiziale, a meno che non sia documenta un’IVU. Nelle donne circa il 20% delle batteriemie acquisite in comunità sono attribuite a pielonefrite. La pielonefrite è poco frequente negli uomini con una via urinaria normale. In pazienti che hanno infezioni ricorrenti e nessun’anomalia strutturale, i normali meccanismi di difesa possono essere diminuiti. Nel 30-50% delle donne con una via urinaria normale, la pielonefrite si verifica per via ascendente, nonostante la dinamica del flusso urinario e l’interposizione della giunzione vescico-ureterale. La cistite da sola o difetti anatomici possono provocare reflusso. Questa tendenza è molto aumentata quando la peristalsi è inibita (p. es., durante la gravidanza, dall’ostruzione, da endotossine di batteri gram –). Sebbene l’ostruzione (stenosi, calcoli, neoplasie, ipertrofia prostatica, vescica neurogena, RVU) predisponga all’infezione, molte donne con pielonefrite non hanno difetti dimostrabili funzionali o anatomici della via urinaria. La pielonefrite o l’ascesso focale possono essere dovuti a IVU per via ematogena, che è poco frequente e di solito è il risultato di una batteriemia con germi virulenti

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(p. es., le Salmonelle, S. aureus). La pielonefrite è molto comune nelle ragazze o nelle donne gravide dopo manovre strumentali o cateterizzazione vescicale. Il rene di solito è ingrandito per l’infiammazione da PMN e per l’edema. L’infezione è focale; inizia nella pelvi e nella midollare; si estende nella corticale come un cuneo che si fa strada. Le cellule della flogosi cronica compaiono entro pochi giorni e possono svilupparsi ascessi midollari e subcorticali. È comune la presenza di tessuto parenchimale tra i foci di infezione. Arterie, arteriole e glomeruli sono considerevolmente resistenti all’infezione. La necrosi papillare può essere evidente nella pielonefrite acuta associata a diabete, nell’ostruzione, nella malattia drepanocitica o nella nefropatia da analgesici. Sebbene nei bambini la pielonefrite acuta sia frequentemente associata a cicatrice renale residua, negli adulti una simile cicatrice non è evidenziabile in assenza di reflusso od ostruzione. Pielonefrite cronica (nefrite tubulo-interstiziale infettiva cronica): quest’infezione piogena cronica del rene, a focolai, spesso bilaterale, provoca atrofia e deformità caliceale con cicatrizzazione del parenchima sovrastante. Causa insufficienza renale terminale in circa il 2-3% dei pazienti trattati con dialisi o con trapianto. La pielonefrite cronica si verifica soltanto in pazienti con importanti anomalie anatomiche, quali uropatia ostruttiva, calcoli di struvite o, molto frequentemente, RVU (nel 30-45% dei bambini con IVU sintomatica). Il RVU è di solito un difetto congenito, risultato dell’incompetenza della valvola uretero-vescicale, molto spesso dovuta a un corto segmento intramurale. Il RVU può essere acquisito in pazienti con una vescica flaccida da lesione del midollo spinale. Il quadro istologico è aspecifico ed è simile a quello di altre patologie che causano nefropatia tubulo-interstiziale cronica. L’alterazione più specifica è una cicatrice parenchimale associata a retrazione della papilla adiacente. Le lesioni renali (dette anche nefropatia da reflusso) sono provocate principalmente dal reflusso di urina infetta attraverso gli ureteri e nel parenchima renale attraverso i dotti di Bellini nella punta delle papille, spargendosi all’esterno lungo i tubuli collettori (detto reflusso intrarenale). Nelle lesioni intrauterine, una concomitante displasia renale con difetti di perfusione può essere responsabile della formazione della cicatrice piuttosto che dell’IVU. È improbabile che l’infezione, in assenza di reflusso intrarenale, provochi lesione renale. Gli orifizi papillari del dotto collettore normalmente sono ampiamente aperti nei poli superiori e inferiori dei bambini, ma una normale crescita di solito provoca una spontanea cessazione del reflusso intrarenale all’età di 6 anni. L’effetto è quello che quasi tutte le nuove lesioni nei bambini con RVU si verificano prima degli 8 anni e praticamente soltanto in associazione a nuove IVU. In confronto, il reflusso ad alta pressione da ostruzione può provocare lesioni a qualunque età. La pielonefrite xantogranulomatosa è un’insolita variante della pielonefrite cronica che si verifica di solito nelle donne di mezza età con una storia di IVU ricorrenti. È una complicanza dell’ostruzione da calcoli renali ed è di solito associata a infezioni da Proteus. Il rene è ingrandito e sono frequenti la fibrosi perirenale e l’aderenza alle adiacenti strutture retroperitoneali. La malattia è quasi sempre monolaterale e sembra rappresenti una risposta immune abnorme all’infezione con cellule giganti, macrofagi ripieni di lipidi e fenditure di colesterolo, responsabili del colore giallo del tessuto infetto. Nei bambini si manifestano due modalità di presentazione. La più comune colpisce bambini e bambine in egual misura e interessa l’intero rene. L’altra forma, che è più comune nelle ragazze, è localizzata e può simulare una neoplasia.

Sintomi e segni Uretrite: l’esordio è graduale e i sintomi sono lievi. Uomini con uretrite di solito si presentano con secrezione uretrale, che è purulenta quando è dovuta a N. gonorrhoeae e mucoide biancastra quando è aspecifica (v. anche Cap. 164). Le donne di solito si presentano con disuria, pollachiuria e piuria.

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Cistite: l’insorgenza è di solito improvvisa. La cistite generalmente provoca pollachiuria, disuria, stranguria, iscuria e riduzione della diuresi. È comune la nicturia con dolore in regione ipogastrica o lombare. L’urina è spesso torbida e in circa il 30% dei pazienti è presente macroematuria. Un paziente con vescica neurogena o catetere a permanenza di solito non presenta una sintomatologia riferibile alla vescica in caso di IVU, ma può presentare sintomi e segni di una pielonefrite, oppure una febbre di origine sconosciuta (che può essere il primo segno di sepsi). Negli anziani, le IVU sono spesso asintomatiche. Prostatite: la prostatite batterica acuta è caratterizzata da brividi, febbre, pollachiuria, dolore perineale e lombare, vari sintomi di ostruzione minzionale, disuria, nicturia e talvolta macroematuria. La ghiandola prostatica è dolente, focalmente o diffusamente ingrandita e indurita. La prostatite cronica è più silente della prostatite acuta; il paziente di solito si presenta con batteriuria ricorrente o febbricola con fastidio in regione lombare o pelvica. Pielonefrite acuta: generalmente, l’insorgenza della sintomatologia è rapida e caratterizzata da brividi, febbre, dolore lombare, nausea e vomito. Sintomi di infezione delle basse vie urinarie (p. es., pollachiuria, disuria), si verificano contemporaneamente in circa 1/3 dei pazienti. Se la resistenza addominale è assente o lieve, a volte si può palpare un rene dolente, ingrossato. Nel lato infetto è generalmente riscontrabile una dolorabilità costovertebrale. Nei bambini, i sintomi sono spesso scarsi e meno caratteristici. Pielonefrite cronica: i sintomi e i segni (p. es., febbre, dolore lombare o addominale) spesso sono vaghi e inconsistenti. Nella pielonefrite xantogranulomatosa, la sintomatologia di presentazione può comprendere dolore lombare, febbre, malessere, anoressia e calo ponderale. All’esame obiettivo di solito si può palpare una massa renale monolaterale.

Diagnosi La differenziazione clinica tra IVU del tratto superiore e inferiore è impossibile in molti pazienti. Indagini che prevedono la cateterizzazione ureterale e una tecnica di washout vescicale hanno dimostrato che circa il 30-50% dei pazienti con sintomi di IVU del tratto inferiore ha anche un’infezione renale silente. La migliore tecnica non invasiva per differenziare le infezioni vescicali da quelle renali sembra essere la risposta a un breve ciclo di terapia antibiotica (v. oltre, Terapia). L’urografia può essere d’aiuto nella valutazione delle infezioni ricorrenti in uomini sintomatici, nelle donne, con una storia di infezioni nell’infanzia, di sospetta nefrolitiasi, di infezioni recidivanti o ematuria asintomatica e nei bambini. Le indagini urologiche non sono necessarie di routine nelle donne con IVU ricorrenti sintomatiche o asintomatiche, poiché spesso non influenzano la terapia. Uretriti: nelle donne, le uretriti e le vaginiti sono responsabili della maggior parte dei sintomi urinari quando le urinocolture sono negative per la presenza di batteri. Le vaginiti associate con Candida albicans, Trichomonas vaginalis o vaginiti batteriche possono provocare disuria e stranguria al passaggio dell’urina attraverso le labbra vaginali infiammate. Sebbene il sintomo predominante possa essere la disuria, in molte donne si manifestano anche perdite vaginali maleodoranti e dispareunia. Le uretriti causate da malattia sessualmente trasmessa, come C. trachomatis, N. gonorrhoeae o herpes simplex virus, provocano una sintomatologia più lieve, hanno un’insorgenza graduale e provocano disuria senza altri sintomi urinari. L’ematuria è praticamente sempre assente all’esame chimico delle urine di metà mitto. Cistite: la presenza di macroematuria è fortemente indicativa di cistite batterica. L’esame microscopico delle urine (per batteri e GB) e l’urinocoltura confermano la diagnosi; quasi tutti i pazienti hanno piuria e fino al 50% microematuria. La file:///F|/sito/merck/sez17/2272021.html (4 of 9)02/09/2004 2.51.11

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coltura di un campione di urina di metà mitto generalmente evidenzia il batterio responsabile, ma circa il 30% dei pazienti con simili sintomi di cistite non ha una batteriuria significativa (< 105 colonie/ml). Un esame chimico delle urine o una colorazione Gram che danno esito negativo non escludono la cistite batterica acuta nei casi con bassa conta delle colonie. Nelle donne, la diagnosi differenziale comprende altre comuni infezioni genitali che provocano disuria, come vulvovaginite (miceti, Trichomonas, vaginite batterica) o malattie trasmesse per via sessuale che coinvolgono l’uretra e la cervice (infezione da C. trachomatis, N. gonorrhoeae, herpes simplex virus). Prostatite: poiché la cistite acuta di solito accompagna la prostatite acuta, i batteri patogeni spesso possono essere identificati dall’urinocoltura. Per il rischio di batteriemia, il medico non deve massaggiare una ghiandola prostatica in fase acuta di infiammazione finché non venga raggiunta la concentrazioni ematica di un antibiotico adatto. La prostatite cronica può essere più silente e di solito si presenta soltanto come batteriuria ricorrente o con febbricola e fastidio in regione lombare o pelvica. La prostatite cronica è la causa più comune negli uomini di IVU ricorrenti, sintomatiche ed è dovuta a penetrazione retrograda dell’infezione nella vescica. La diagnosi viene posta dalla positività delle colture dopo massaggio prostatico. L’area periuretrale viene pulita e successivamente il paziente urina. I 5-10 ml iniziali (VB1) e un campione di metà mitto (VB2) vengono prelevati per una coltura quantitativa. Il paziente smette di urinare prima che la vescica sia vuota e la prostata viene massaggiata. Ogni fuoriuscita di secrezioni prostatiche e i primi 5-10 ml delle urine successiva (VB3) vengono messe in coltura. L’interpretazione dell’esame richiede che l’urina della vescica (VB2) sia < 103/ml per consentire l’identificazione del, frequente, piccolo numero dei microrganismi di origine prostatica. La prostatite cronica viene sospettata quando VB3 presenta > 12 GB per campo ad alta risoluzione. La coltura delle urine o delle secrezioni prostatiche sono quasi sempre positive nella prostatite cronica, ma le colture negative non escludono la diagnosi. Pielonefrite acuta: i tipici sintomi e segni di sepsi e di pielonefrite (dolore lombare, febbre, rigidità, disuria) con reperti di leucocitosi, piuria e batteriuria alla colorazione Gram delle urine supportano fortemente la diagnosi (v. Tab. 214-3). Le infezioni della pelvi renale e del parenchima non possono essere differenziate clinicamente; di solito sono colpite entrambi le sedi. Il reperto di neutrofili in un tubulo è l’equivalente istologico dei cilindri leucocitari nelle urine. L’esame obiettivo talvolta evidenzia una certa rigidità addominale, che deve essere differenziata da quella provocata da patologie intraperitoneali. Sono necessarie speciali colorazioni per differenziare i cilindri leucocitari e i cilindri tubulari renali. I cilindri leucocitari, quando presenti, sono patognomonici di pielonefrite ma si osservano anche nella glomerulonefrite o nella nefrite tubulo-interstiziale non infettiva. Il pH urinario può essere alcalino per la presenza di organismi che scindono l’urea; la proteinuria è minima (< 0,6 g/m2/ die, rapporto proteine/ creatinina urinaria < 0,6). La pielonefrite acuta deve essere differenziata da altre patologie intraaddominali (p. es., appendicite, urolitiasi) che possono presentarsi con dolore lombare, febbre, rigidità e qualche volta sintomi di cistite. Nelle donne, si devono considerare anche la malattia infiammatoria pelvica, la gravidanza ectopica e la rottura di una cisti ovarica. Pielonefrite cronica: una storia di IVU e di pielonefrite acuta ricorrente è d’aiuto ma raramente si riesce a ottenerla, eccetto che nei bambini con RVU. Talvolta si manifestano IVU ricorrenti e un tipico quadro di disfunzione renale, che sono fortemente indicativi della diagnosi, stabilita principalmente dalla urografia. La cicatrizzazione parenchimale provoca irregolarità del contorno renale, con parziale o quasi completa perdita di parenchima renale visibile tra i calici e la capsula renale. La cicatrizzazione focale è raramente assente all’urografia. Può essere presente dilatazione uretrale, che riflette le alterazioni indotte dal reflusso cronico di grave entità. Queste anomalie sono specifiche di pielonefrite batterica cronica, sebbene non necessariamente d’infezione con germi comuni. Alterazioni simili possono verificarsi nella TBC della via urinaria (v. Tubercolosi file:///F|/sito/merck/sez17/2272021.html (5 of 9)02/09/2004 2.51.11

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Genitourinaria nel Cap. 157), che è fortemente indicativa di concomitante anomalia del tratto inferiore della via urinaria (p. es., stenosi uretrale, vescica contratta). Un cistouretrogramma minzionale può non mostrare reflusso, che frequentemente scompare spontaneamente (dopo la pubertà) a causa dell’aumento della lunghezza della porzione sottomucosa dell’uretere terminale. Tuttavia, la cistoscopia mostra segni di pregresso reflusso a livello degli orifizi ureterali. La proteinuria è assente, minima o intermittente anche quando la cicatrizzazione renale è in fase molto avanzata. Il sedimento urinario è di solito scarso, ma si ritrovano cellule epiteliali renali, cilindri granulari e talvolta leucocitari. Si possono riscontrare difetti nella capacità di concentrazione e acidosi ipercloremica prima dell’iperazotemia. Soltanto una cistouretrografia minzionale anormale indica la diagnosi in un paziente con proteinuria altrimenti non spiegata (talvolta nel range nefrosico) e insufficienza renale. In questi casi, la biopsia renale evidenzierà una glomerulosclerosi focale tipica della nefropatia da reflusso in fase avanzata. Il decorso è estremamente variabile, ma la malattia caratteristicamente progredisce molto lentamente; molti pazienti hanno un’adeguata funzione renale per 20 anni dopo l’insorgenza. Le frequenti esacerbazioni della pielonefrite acuta, sebbene controllate, di solito danneggiano ulteriormente l’architettura e la funzione renale. L’ostruzione continua predispone o perpetua la pielonefrite e aumenta la pressione pelvica, che provoca un danno renale diretto. La cicatrizzazione renale nella vita intrauterina può essere scoperta dall’ecografia prenatale. Nei pazienti più anziani, la formazione di cicatrici renali si verifica comunemente con il danno ischemico da nefrosclerosi. Tuttavia, le cicatrici sono distribuite casualmente e i calici sono normali, non smussati né dilatati. Nella pielonefrite xantogranulomatosa, gli esami ematici rivelano reperti aspecifici comprendenti anemia e lieve disfunzione epatica. Sebbene l’esame chimico delle urine e l’urinocoltura indichino la presenza di IVU, la diagnosi è confermata dall’indagine radiologica. L’urografia è anormale ma generalmente non diagnostica e la TC viene preferita per la valutazione di una sospetta pielonefrite xantogranulomatosa e per escludere una neoplasia renale.

Prevenzione Nelle donne che vanno incontro a 3 episodi di IVU per anno, urinare subito dopo un rapporto sessuale o evitare l’uso di diaframma possono essere d’aiuto. Bere succo di mirtillo può ridurre la piuria e la batteriuria. Se questi metodi non hanno successo, la profilassi con un antibiotico per via orale a basso dosaggio praticamente elimina l’incidenza di recidive di IVU: p. es., trimethoprimsulfametossazolo 40/200 mg PO/die o tre volte a settimana, trimethoprim 100 mg al giorno o tre volte a settimana o una capsula al dì di un fluorochinolonico (p. es., ciprofloxacina, norfloxacina, ofloxacina, lomefloxacina, enoxacina) o nitrofurantoina (macrocristalli) 50 o 100 mg/ die. Dopo un rapporto sessuale possono essere efficaci il trimethoprim-sulfametossazolo o un fluorochinolonico. Se l’IVU recidiva dopo 6 mesi di questa terapia, la profilassi può essere istituita di nuovo per 2 o 3 anni. Un’efficace profilassi di IVU nelle donne gravide è simile a quella delle altre donne. Le pazienti idonee per questa profilassi sono quelle con pielonefrite acuta durante una precedente gravidanza, le pazienti con batteriuria durante la gravidanza che hanno avuto una recidiva dopo trattamento e le pazienti che necessitano di profilassi per IVU ricorrenti prima della gravidanza. La profilassi antibiotica per le donne in post-menopausa è simile a quella descritta sopra. In aggiunta, la terapia estrogenica sistemica o topica riduce marcatamente l’incidenza di IVU ricorrenti.

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Terapia Gli obiettivi dell’impiego di antibiotici nell’IVU sono l’eradicazione dell’organismo infettante, la prevenzione o il controllo della batteremia e delle susseguenti complicanze sistemiche, ed evitare la ricorrenza di IVU sintomatiche. È importante anche il rapporto costi- beneficio e l’evitare seri effetti sfavorevoli. L’uropatia ostruttiva, le anomalie anatomiche e le lesioni neuropatiche GU possono richiedere una correzione chirurgica. Il drenaggio mediante catetere di una via urinaria ostruita aiuta a controllare prontamente l’IVU. Talvolta, un ascesso corticale renale o perinefritico necessita di drenaggio chirurgico. Se possibile, è necessario rimandare l’indagine strumentale della via urinaria inferiore in presenza di urina infetta. La sterilizzazione delle urine prima delle manovre strumentali e una successiva terapia antibiotica per 3-7 giorni possono prevenire la sepsi urinaria potenzialmente fatale. Uretrite e cistite: i sintomi di uretrite o cistite possono scomparire senza terapia antibiotica (alcuni pazienti si autocurano soltanto con carico idrico e/o non si fanno visitare da un medico). Negli uomini, il trimethoprim-sulfametossazolo o un fluorochinolonico vengono somministrati per 10-14 giorni poiché cicli più brevi sono associati a recidive frequenti. Nelle donne sintomatiche, un ciclo di 3 giorni di trimethoprim-sulfametossazolo o di un fluorochinolonico tratta efficacemente la cistite acuta ed eradica i potenziali batteri patogeni nel serbatoio vaginale e gastrointestinale. Le β-lattamine sradicano meno efficacemente i batteri patogeni dai due serbatoi e sono associati a una maggiore frequenza di resistenza antibiotica e a percentuali di ricorrenza più elevate. La risposta al ciclo di terapia di tre giorni aiuta a determinare quali pazienti richiedano ulteriori indagini e terapia. La terapia monodose provoca percentuali di recidiva più elevate e non è raccomandata. Cicli più lunghi di terapia (7-14 giorni) vengono prescritti per pazienti con storia di IVU recente, diabete mellito o con sintomi che durano da > 1 sett.. Donne precedentemente sane senza sintomi di vaginite sono trattate come descritto sopra e non necessitano di esame chimico delle urine né di urinocoltura, a meno che la sintomatologia non continui dopo la terapia. Se l’esame chimico delle urine e l’urinocoltura sono negative, non viene prescritta un’ulteriore terapia antibiotica. Se in una donna sessualmente attiva è presente piuria ma non batteriuria, l’uretrite da C. trachomatis è diagnosticata in via presuntiva e un ciclo più lungo di tetraciclina o sulfamidici viene prescritto alla paziente e al suo partner sessuale. Una paziente sintomatica con un esame chimico delle urine positivo e un microrganismo, evidenziato in coltura, sensibile al ciclo di terapia antibiotica di tre giorni, è trattato per un’infezione renale con un ciclo di 14 giorni di trimethoprim-sulfametossazolo o di un fluorochinolonico. Alcune pazienti con bassa conta delle colonie sviluppano una sindrome uretrale acuta dovuta a trauma o a infiammazione dell’uretra, talvolta causata da malattia gonococcica, tubercolare o da miceti. La cistite ricorrente associata a pneumaturia (passaggio di aria nell’urina) è un indizio di fistola enterovescicale. Sono comuni variazioni dei microrganismi responsabili o infezioni polimicrobiche. La causa più comune di cistite ricorrente negli uomini è la prostatite batterica cronica. Sebbene la prostatite acuta possa rispondere a 10-14 giorni di terapia, anche la recidiva è comune, probabilmente dovuta alla scarsa penetrazione tissutale di molti antibiotici e ai calcoli prostatici che possono ostruire il drenaggio e agire da corpi estranei nel prevenire la sterilizzazione del tessuto. Molti organismi patogeni colonizzano il vestibolo vaginale (apparentemente dovuti a un inadeguato meccanismo di difesa locale) per lungo tempo; la cistite ricorrente è talvolta secondaria a una piccola fistola vescico-vaginale che altrimenti è di per sé asintomatica. Una forma insolita di cistite, la cistite enfisematosa, è caratterizzata da sintomi di infezione con pneumaturia ed è dovuta a un’infezione da germi che formano gas che coinvolge la sottomucosa

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della parete vescicale. La batteriuria sintomatica nei pazienti diabetici, nelle persone anziane o in quelle con cateterizzazione vescicale cronica, di solito non dovrebbe essere trattata con antibiotici. Tuttavia, nelle donne gravide vengono ricercati attivamente batteri asintomatici e trattati come un’IVU sintomatica. Comunque, pochi antibiotici possono essere usati con sicurezza. Le β-lattamine per via orale, i sulfamidici e la nitrofurantoina sono considerati sicuri nelle prime fasi della gravidanza, ma i sulfamidici devono essere evitati in prossimità del parto a causa di un loro possibile ruolo nello sviluppo del kernicterus. Il trimethoprim causa tossicità fetale in studi condotti su animali; manca un dato simile negli umani. I fluorochinolonici vengono evitati per la possibilità di un danno al tessuto cartilagineo fetale. Quando durante la gravidanza viene diagnosticata la pielonefrite, sono misure appropriate il ricovero in ospedale e la terapia parenterale con una β-lattamina con o senza un aminoglicoside. Una terapia può essere indicata anche in un’IVU asintomatica in pazienti neutropenici, in quelli con un recente trapianto renale, in pazienti in lista per un indagine strumentale della via urinaria (dopo rimozione di un catetere vescicale che è stato lasciato in situ per < 1 sett.), in bambini con RVU di grado grave e in pazienti con un calcolo di struvite che non può essere rimosso e con frequenti sintomi di IVU. La terapia tipica consiste di un antibiotico idoneo sulla base dei risultati della coltura per 3-14 giorni o la terapia soppressiva cronica per problemi ostruttivi intrattabili (p. es., calcoli, reflusso). Prostatite: l’infezione acuta può rispondere a 10-14 giorni di terapia con trimethoprim-sulfametossazolo o con un fluorochinolonico, ma le recidive sono frequenti per la scarsa penetrazione tissutale di molti antibiotici e per la presenza di anomalie anatomiche (p. es., calcoli prostatici). Per la prostatite recidivante o cronica, possono essere necessarie 4-12 sett. di terapia antimicrobica. Tuttavia, si può verificare una percentuale di fallimento fino al 40% e spesso vengono scoperti organismi resistenti (p. es., E. faecalis, P. aeruginosa). La terapia a questo stadio comprende una prolungata soppressione con antibiotici, ripetizione della terapia per ogni recidiva e rimozione chirurgica della ghiandola prostatica infetta sotto copertura antibiotica. Pielonefrite acuta: la terapia ambulatoriale con antibiotici orali (trimethoprimsulfametossazolo o un fluorochinolonico per 14 giorni) è possibile se il paziente non ha nausea o vomito, nessun segno di deplezione di volume, né infezione batterica e nessuna evidenza di sepsi ed è affidabile nel seguire i consigli medici. Altrimenti, i pazienti devono essere ricoverati e deve essere somministrata loro una terapia parenterale in accordo con il quadro di sensibilità locale del ceppo coinvolto. I regimi più utilizzati comprendono ampicillina più gentamicina, trimethoprim-sulfametossazolo e un fluorochinolonico e cefalosporine ad ampio spettro (p. es., ceftriaxone). L’Aztreonam, le combinazioni di β-lattamine/inibitori delle β-lattamasi (ampicillina-sulbactam, ticarcillina-clavulanato, piperacillinatazobactam) e l’imipenem-cilastatin sono generalmente riservate ai pazienti con pielonefrite più complicata (p. es., ostruzione, calcoli, batteri resistenti) o recenti manovre strumentali delle vie urinarie. La terapia parenterale viene continuata finché non si verificano scomparsa della febbre e altri segni di miglioramento clinico. In > 80% dei pazienti, questo miglioramento si verifica entro 72 h. La terapia orale viene iniziata e il paziente può essere dimesso e continuare il ciclo di 14 giorni di terapia. Nei casi complicati, le correzioni urologiche dei difetti anatomici possono essere necessarie e associate a un prolungamento della terapia antibiotica. Pielonefrite cronica: in assenza di ostruzione dimostrabile o di pielonefrite acuta ricorrente, non si è ancora chiaramente stabilito se la batteriuria renale silente sia dannosa. Di conseguenza, non sono indicati cicli ripetuti di terapia antibiotica. Le complicanze della uremia o l’ipertensione devono essere trattate in modo appropriato. Se non si può eliminare l’ostruzione e se le infezioni ricorrenti sono frequenti, è utile una terapia antibiotica a lungo termine (p. es., trimethoprimsulfametossazolo, trimethoprim, fluorchinolonici, nitrofurantoina). Per la pielonefrite xantogranulomatosa, deve essere somministrato un ciclo iniziale di antibiotici per il controllo dell’infezione locale, seguita da nefrectomia in

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blocco con rimozione di tutto il tessuto coinvolto e chiusura di tutte le fistole.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 227-1 PATOGENI DELLA VIA URINARIA Batteri GramEscherichia coli Proteus Klebsiella Enterobacter Pseudomonas Serratia Anaerobi Gram+ Enterococci Staphylococcus saprophyticus Staphylococcus aureus

Organismi insoliti Parassiti Echinococcus Schistosoma haematobium o mansoni Protozoi Trichomonas Miceti Candida Blastomyces Coccidioides immitis Organismi acido resistenti Mycobacterium tuberculosis

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 227. INFEZIONI DELLE VIE URINARIE INFEZIONI MICOTICHE (v. anche Cap. 158.)

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Eziologia Infezioni micotiche del tratto urinario interessano principalmente la vescica e i reni. La Candida sp, il miceto più comune, è un normale saprofita nel genere umano ed è frequentemente isolato dalla cavità orale, dal tratto GI, dalla vagina e dalla cute lesionata. Tuttavia, tutti i miceti invasivi (p. es., Cryptococcus neoformans, Aspergillus sp, Mucoraceae sp, istoplasmosi, blastomicosi, coccidioidomicosi) possono infettare i reni in un quadro di infezione micotica sistemica o disseminata. L’IVU del tratto inferiore con Candida è principalmente dovuta alla presenza di catetere. In generale, molte infezioni micotiche correlate alla presenza di catetere di Foley sono successive alla batteriuria e alla terapia antibiotica, sebbene la Candida e le infezioni batteriche frequentemente siano concomitanti. La candidosi renale si realizza di solito per diffusione ematica e comunemente trae origine dal tratto GI. Si verifica anche infezione per via ascendente dai tubi nefrostomici, da altri dispositivi a permanenza e dalle endoprotesi. Sono pazienti ad alto rischio quelli immunodepressi per neoplasie, AIDS, chemioterapia o farmaci immunosoppressivi. La principale fonte nosocomiale di candidemia in questi pazienti è un catetere a permanenza intravascolare. Il trapianto renale aumenta il rischio a causa della combinazione di catetere a permanenza, endoprotesi, antibiotici, perdite perianastomotiche, ostruzione e terapia immunosoppressiva.

Sintomi e segni Molti pazienti con presenza di candida nelle urine sono asintomatici ma hanno fattori predisponenti facilmente identificabili. È controverso il fatto che la Candida possa causare uretrite sintomatica (lieve prurito uretrale, disuria, secrezione acquosa). Negli uomini un’eziologia micotica per questi sintomi deve essere presa in considerazione soltanto quando tutte le altre cause di uretrite non gonococcica siano state escluse. L’uretrite da candida è rara nelle donne e i sintomi di disuria di solito sono dovuti al contatto dell’urina con il tessuto periuretrale infiammato. La prostatite da C. albicans non è frequente nei pazienti diabetici e di solito si riscontra in seguito a manovre strumentali.

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La cistite dovuta a Candida può dar luogo a pollachiuria, urgenza minzionale, disuria e dolore suvrapubico. L’ematuria è comune e, nei pazienti con diabete scarsamente controllato, sono state descritte pneumaturia e cistite enfisematosa. Una o più "fungus ball" o bezoari possono essere ritrovati nel lume vescicale; la loro formazione può avvenire localmente o nel tratto superiore della via urinaria e talvolta causa ostruzione uretrale. Molti pazienti con candidosi renale ematogena non presentano sintomi riferibili a patologia renale a eccezione di una febbre resistente agli antibiotici, presenza di candida nelle urine e deterioramento inspiegato della funzione renale. L’infezione ascendente comunemente porta alla formazione di "fungus ball" nell’uretere e nella pelvi renale. Frequentemente queste masse sono associate a ematuria e provocano ostruzione urinaria. Talvolta, si verifica necrosi papillare e possono formarsi ascessi intrarenali e perirenali. Possono essere presenti le manifestazioni cliniche della disseminazioni in altre strutture (SNC, cute, occhi, fegato, milza).

Diagnosi La presenza inspiegata di candida nelle urine deve suggerire uno studio di eventuali anomalie delle strutture della via urinaria. I pazienti con candida urinaria accertata clinicamente, possono avere una positività asintomatica di candida nelle urine, uretrite e prostatite, cistite (con o senza formazione di bezoari o gas), candidosi renale primaria e candidosi disseminata ematogena. Diversamente dalle IVU batteriche, sono sconosciuti i livelli ai quali la presenza di candida nelle urine riflette una vera IVU da Candida e non una semplice colonizzazione di un catetere o contaminazione del campione di urina. La cistite viene di solito diagnosticata in pazienti ad alto rischio in presenza di flogosi vescicale o irritazione e presenza di candida nelle urine. Talvolta si osserva passaggio di materiale di derivazione fungina. La cistoscopia e l’ecografia renale e vescicale possono aiutare a scoprire la formazione di bezoari e la presenza di un’ostruzione. La presenza di febbre e di candida nelle urine, talvolta la presenza di necrosi papillare e il passaggio di "fungus ball", suggeriscono la diagnosi di candidosi renale ascendente. Sebbene la funzione renale si deteriori frequentemente, raramente si manifesta una grave insufficienza renale in assenza di ostruzione postrenale. La diagnostica per immagini della via urinaria può essere d’aiuto nello studio del grado di coinvolgimento. Le emocolture per Candida sono frequentemente negative.

Terapia La candida urinaria può rispondere alla fluorocitosina 50-150 mg/kg/die PO q 6 ore per 1-2 sett. ma spesso è resistente. Tra i più recenti antimicotici derivati azolici, il fluconazolo sembra il migliore per le IVU micotiche, per la sua alta biodisponibilità, per la sua monodose giornaliera e l’eccellente penetrazione nell’urina e nel LCR. La fluorocitosina o il fluconazolo 200 mg/ die PO devono essere prescritti in caso di presenza di candida nelle urine sintomatica. La cistite sintomatica in un paziente non cateterizzato può essere trattata con fluorocitosina o fluconazolo per 1-4 sett. Eccellenti risultati sono stati ottenuti anche con una dose singola di amfotericina B 0,3 mg/kg EV. In presenza di un catetere a permanenza, la fluorocitosina e il fluconazolo possono ridurre ma raramente debellare la micosi urinaria; le irrigazioni vescicali possono avere successo. In pazienti con candidosi renale, l’amfotericina B e il fluconazolo ad alte dosi ( 400 mg/die) sono ugualmente efficaci nella terapia primaria dell’infezione file:///F|/sito/merck/sez17/2272028.html (2 of 3)02/09/2004 2.51.12

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invasiva da C. albicans e C. tropicalis. Anche quando l’amfotericina B è utilizzata nelle fasi iniziali, il fluconazolo per via orale deve essere istituito precocemente nel corso della terapia. Tuttavia, alcune specie di Candida meno comuni non sono sensibili al fluconazolo.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 227. INFEZIONI DELLE VIE URINARIE INFEZIONI PARASSITARIE (v. anche Cap. 161.) Malattie parassitarie quali filariasi, tricomoniasi, leishmaniosi, malaria e schistosomiasi provocano frequentemente patologie renali e del tratto inferiore della via urinaria in molte persone al di fuori degli USA. La tricomoniasi è comune anche negli USA. La filariasi coinvolge il sistema linfatico la cui ostruzione produce chiluria ed elefantiasi cronica che può interessare lo scroto e le gambe. Esiste un’associazione nota tra loiasi (infezione da Loa loa) e oncocerchiasi (infezione da Onchocerca volvulus) e forme di glomerulonefrite membranosa e membranoproliferativa. Una relazione causale non si è stabilita poiché frequentemente coesistono infezioni come la malaria. Per la diagnosi e la terapia, v. Infezioni da Nematodi nel Cap. 161. La tricomoniasi è una causa frequente di vaginite nelle donne e può causare uretrite e prostatite negli uomini. Diagnosi e terapia sono trattate nei Cap. 164 e 238. La leishmaniosi viscerale (kala-azar) può causare una nefropatia clinica manifestata da microematuria e lieve proteinuria. La biopsia renale rivela malattia glomerulare con aumento delle cellule mesangiali e della matrice e depositi elettron densi. Una relazione causale tra nefropatia, ematuria e proteinuria e leishmaniosi è incerta poiché molti pazienti hanno anche una grave malnutrizione e infezioni intercorrenti. Per la diagnosi e la terapia della leishmaniosi, v. Cap. 161. La malaria causa vari disturbi renali. Nell’infezione da Plasmodium falciparum, la manifestazione renale più frequente (in circa l’1% dei pazienti) è l’insufficienza renale acuta associata a necrosi tubulare acuta da emolisi intravascolare o massiccia parassitemia. Si possono riscontrare lesioni glomerulari transitorie, lieve proteinuria e microematuria, mentre di solito sono assenti ipertensione ed edema. Le lesioni istologiche assomigliano a quelle delle altre malattie da immunocomplessi. Molti pazienti guariscono 4-6 sett. dopo la terapia antimalarica; la sindrome nefrosica e l’insufficienza renale progressiva sono rare. La nefropatia da malaria quartana (causata da P. malariae) si verifica principalmente nei bambini e nei giovani adulti e si presenta di solito con sindrome nefrosica. Negli adolescenti e negli adulti, è comune l’insufficienza renale con sindrome nefrosica. I reperti istologici sono caratteristici di glomerulonefrite da immunocomplessi. La remissione spontanea di una sindrome nefrosica stabilizzata da malaria quartana è molto rara. L’insufficienza renale è progressiva e conduce all’uremia in circa 3-5 anni. La terapia antimalarica o corticosteroidea induce una remissione o una lenta progressione dell’insufficienza renale soltanto in pazienti con glomerulopatia lieve. La schistosomiasi causa lesioni urinarie che coinvolgono la vescica, gli ureteri distali e le vescicole seminali e frequentemente i deferenti, la prostata, la vagina e gli annessi ovarici. Queste manifestazioni si verificano in circa il 2-5% dei pazienti nei 3 mesi dopo l’infezione iniziale. I sintomi sono la pollachiuria e, talvolta, la disuria. La diagnosi viene posta con il ritrovamento di uova nelle urine. In questo stadio, le alterazioni urinarie sono completamente reversibili con la file:///F|/sito/merck/sez17/2272029.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.13

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terapia. Le sequele croniche si presentano come sindromi renali e del tratto urinario. L’ostruzione ureterale è il più comune problema urologico e, se di grado grave, è associata a nefropatia ostruttiva. Tuttavia molti sintomi urinari sono causati dalle lesioni vescicali ulcerative e fibrosanti, e dal carcinoma. Una complicanza comune, il RVU transitorio, si può verificare durante la fase di attività della malattia e con infezione batterica secondaria da lieve a grave. Come nelle altre IVU croniche, si verifica urolitiasi, particolarmente con le infezioni da Proteus. I reperti clinici nelle infezioni da S. mansoni comprendono proteinuria da moderata fino a un range nefrosico, ematuria e cilindri ematici. La malattia glomerulare associata a schistosomiasi è di solito descritta come proliferativa, con una scarsa espansione del mesangio, ma con occasionale ispessimento della membrana basale glomerulare. L’immunofluorescenza mostra depositi mesangiali contenenti immunocomplessi. Le più comuni lesioni istopatologiche sono quella membranoproliferativa e la sclerosi focale segmentaria. La gravità della malattia e l’evoluzione sono correlate alla presenza di fibrosi epatica, forse dovuta a un aumentato carico di antigeni schistosomiali presenti nella circolazione sistemica. In alcune aree endemiche di schistosomiasi, l’incidenza riportata dei casi di amiloidosi renale è circa 3 volte quella dei controlli. La presentazione clinica abituale è quella della sindrome nefrosica e la biopsia renale dimostra la sovrapposizione delle lesioni istopatologiche dell’amiloidosi e della glomerulopatia schistosomiale. Una forma occulta di glomerulopatia si verifica con S. haematobium. La terapia di scelta è costituita dal praziquantel (percentuale di guarigione, 80%). Lesioni stabilizzate possono regredire a seconda della specie di schistosoma, dell’organo coinvolto, della durata dell’infezione e del grado di lesione presente. La terapia può non essere efficace nell’amiloidosi renale stabilizzata e nella malattia glomerulare.

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Infezioni delle vie urinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 227. INFEZIONI DELLE VIE URINARIE CISTITE INTERSTIZIALE La cistite interstiziale (CI)è una malattia vescicale cronica che si presenta principalmente nelle donne. L’eziologia è sconosciuta. La parete vescicale mostra un’infiltrazione flogistica con ulcere e cicatrici della mucosa che provocano contrazione della muscolatura liscia, diminuzione della capacità urinaria, ematuria, pollachiuria e stranguria. Il carcinoma in situ può mimare la CI e deve essere escluso. La distensione vescicale fornire un eccellente seppur transitorio sollievo. Agenti intravescicali (dimetilsulfossido) e la terapia orale con farmaci anticolinergici e antidepressivi triciclici offrono un qualche sollievo. Raramente si può effettuare la cistoplastica d’incremento. Molto raramente si richiede la cistectomia con diversione urinaria.

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Malattie nefrovascolari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 228. MALATTIE NEFROVASCOLARI (V. anche Ipertensione Nefrovascolare nel Cap. 199) I disturbi vascolari del rene causano alterazioni renali da ridotto flusso ematico dovuto all’occlusione parziale o completa dei gradi, medi o piccoli vasi renali (v. oltre). Le malattie vascolari che in primo luogo interessano i glomeruli (il più comune tipo di interessamento nefrovascolare) sono trattate nel Cap. 224. Le vasculiti sistemiche che coinvolgono i glomeruli (granulomatosi di Wegener, poliarterite nodosa, vasculiti da ipersensibilità [ p. es., porpora di HenochSchönlein, crioglobulinemia mista essenziale, malattia da siero]) e patologie che provocano ostruzione vascolare da deposizione di fibrina (p. es., porpora trombotica trombocitopenica–sindrome emolitico–uremica) sono trattate altrove nel Manuale.

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Malattie nefrovascolari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 228. MALATTIE NEFROVASCOLARI (V. anche Ipertensione Nefrovascolare nel Cap. 199)

OSTRUZIONE DELL’ARTERIA RENALE Sommario: Introduzione Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi Terapia

Sebbene rara, l’ostruzione è la più frequente patologia che interessi le arterie renali. È dovuta molto frequentemente a un’embolia da trombosi intramurale (aritmie atriali, pregresso IMA, vegetazioni di endocardite batterica) o embolia ateromatosa (v. oltre). Le cause meno comuni sono gli emboli adiposi o neoplastici. La trombosi delle arterie renali può seguire un trauma (intervento chirurgico, angiografia, angioplastica) dei vasi aterosclerotici sottostanti, o una fissurazione intimale, o rottura di un aneurisma dell’arteria renale. Una dissezione acuta dell’arteria renale (un’altra causa di ostruzione) è meno frequente di quella dell’aorta, ma più comune di quella di altre arterie periferiche. Una sottostante malattia aterosclerotica o la fibrodisplasia generalmente predispongono alla dissezione traumatica o spontanea, anche se l’angioplastica sta diventando una causa frequente. Una rapida e completa ostruzione dell’arteria renale principale o di uno dei suoi rami per 2 ore di solito provoca infarto. Questo scenario è caratteristico degli emboli ematici dilatabili o della trombosi completa dell’arteria renale. L’infarto è tipicamente a forma di cuneo e si irradia esternamente a partire dal vaso interessato. L’ostruzione arteriosa per < 2 ore di solito provoca insufficienza renale acuta (v. Cap. 222). Un’ostruzione parziale da lesioni ateromatose che si sviluppi lentamente, di solito a livello dell’orifizio dell’arteria renale, provoca generalmente atrofia renale (v. Insufficienza renale cronica nel Cap. 222).

Sintomi, segni ed esami di laboratorio Le ostruzioni parziali dell’arteria renale sono frequentemente asintomatiche e non vengono individuate. Ostruzioni di questo tipo possono provocare ipertensione grave dovuta a infarto segmentale o a ischemia renale senza infarto. Se si sospetta un infarto renale, devono essere ricercati attentamente segni di embolia extrarenale (p. es., lesioni cutanee, deficit neurologici focali). Con l’occlusione completa, si sviluppa un forte dolore fisso al fianco e una dolorabilità localizzata. Si possono avere febbre, nausea e vomito. L’occlusione completa di una sola arteria in un monorene o di entrambe le arterie causerà anuria totale e insufficienza renale acuta. In questi casi, l’ipertensione è rara o transitoria. Le indagini di laboratorio di routine spesso non sono d’aiuto, sebbene la leucocitosi e la creatininemia elevata si possano verificare in un’embolia massiva

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o in una malattia bilaterale. L’ematuria franca o microscopica si manifesta soltanto nel 30% dei casi, forse per la diminuzione del flusso ematico nelle aree infartuate. Un rialzo dell’LDH plasmatico (spesso più di 5 volte il limite superiore della norma con un lieve o nessun rialzo delle transaminasi) e un’aumentata escrezione urinaria di LDH sono altamente indicative di infarto renale.

Diagnosi La diagnosi conclusiva di ostruzione arteriosa renale avviene di solito mediante arteriografia renale, ma la TC spirale con mezzo di contrasto EV ha uguale sensibilità e specificità. Il flusso ematico renale alla scintigrafia renale è diminuito o assente nel lato della malattia tromboembolica principale. Sebbene la scintigrafia non sia invasiva, la qualità dell’immagine non è soddisfacente per gli scopi chirurgici. Anche l’ecografia-Doppler duplex è sensibile e specifica ma porta via tempo ed è altamente dipendente dall’esperienza dell’operatore. Il valore della RMN è incerto. Una storia di fibrillazione atriale, IMA recente o trauma o pregressi episodi embolici; sintomi e segni; virtuale assenza della funzione escretrice nel lato colpito e un normale sistema collettore sono forti evidenze di infarto renale. Un’escrezione danneggiata per l’ostruzione dell’uretere richiede ulteriori indagini, quali l’ecografia o urografia. Nelle ostruzioni parziali dell’arteria renale senza significative alterazioni della funzione renale, la malattia tromboembolica renale viene diagnosticata raramente poiché sono più comuni altre cause. La diagnosi differenziale dell’insufficienza renale acuta seguita a un trauma importante comprende rabdomiolisi, sepsi e ipotensione prolungata. Pazienti con aneurismi aortici o aterosclerosi grave possono avere un danno renale da embolia ateromatosa piuttosto che una trombosi acuta dell’arteria renale. Poiché la terapia è differente per questa patologie, è fondamentale una rapida diagnosi (in modo più efficace attraverso la visualizzazione renale) per preservare quanto più possibile il parenchima renale.

Terapia La terapia anticoagulante o trombolitica miglioreranno da sole la funzione renale soltanto se l’ostruzione è incompleta e se si inizia una trombolisi efficace entro 90180 min (il normale tempo di tolleranza all’ischemia). Tuttavia, raramente si ottengono una diagnosi e terapia così rapide. La trombolisi con streptochinasi o urochinasi somministrate per infusione intra-arteriosa piuttosto che EV è di solito efficace nei pazienti a basso rischio con tessuto renale vitale. Sebbene la terapia possa migliorare la funzione renale, un ritorno allo stato precedente la malattia è insolito e la mortalità precoce e tardiva rimane alta a causa dell’embolizzazione extrarenale e della sottostante cardiopatia aterosclerotica. L’intervento chirurgico per ristabilire la pervietà vascolare è associato a una più elevata percentuale di mortalità, ma non a un recupero della funzione renale significativamente migliore. Tuttavia, la terapia chirurgica, particolarmente se eseguita entro le prime ore, è la terapia di scelta nei pazienti con trombosi dell’arteria renale posttraumatica. La rivascolarizzazione chirurgica può essere presa in considerazione nei pazienti con insufficienza renale grave che non hanno un recupero funzionale in 4-6 sett.. Così l’embolectomia tardiva è utile soltanto in pochi pazienti. La profilassi con anticoagulanti di solito consiste in eparina EV seguita da warfarin PO.

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Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 228. MALATTIE NEFROVASCOLARI (V. anche Ipertensione Nefrovascolare nel Cap. 199)

OSTRUZIONE DELLE ARTERIOLE E DELLA MICROVASCOLARIZZAZIONE RENALE MALATTIA RENALE ATEROEMBOLICA Una sindrome clinica che implica un deterioramento rapido o lento della funzione renale, a seconda della quantità di materiale ateromatoso che ostruisce le arteriole renali.

Sommario: Eziologia e patogenesi Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi e terapia

Eziologia e patogenesi L’embolizzazione renale ha un’incidenza maggiore con l’età. La fonte non cardiaca più importante di emboli renali è la rottura delle placche ateromatose aortiche (ateroemboli). L’embolia ateromatosa renale può verificarsi spontaneamente nell’ambito di un’aterosclerosi erosiva diffusa o essere conseguenza di un intervento di chirurgia vascolare, angioplastica o arteriografia. Gli emboli ateromatosi sono di solito non dilatabili, hanno una forma irregolare e la tendenza a provocare ostruzioni incomplete con atrofia ischemica secondaria piuttosto che infarto renale. Spesso ne risulta una reazione da corpo estraneo, che causa proliferazione intimale, formazione di cellule giganti e proliferazione e ulteriore restringimento del lume vascolare. La risposta istopatologica probabilmente contribuisce al deterioramento della funzionalità renale che spesso si verifica progressivamente in 3-8 sett. dopo l’embolia ateromatosa.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio Molti pazienti che si presentano con embolia renale ateromatosa spontanea hanno iperazotemia e mostrano un’insufficienza renale lentamente progressiva, mentre quelli con embolia ateromatosa dopo manovre vascolari possono sviluppare insufficienza renale acuta oligurica. Di solito i pazienti con insufficienza renale non hanno sintomatologia riferibile al rene, sebbene in alcuni casi si verifica ipertensione mediata da angiotensina II. L’esame chimico delle urine è di solito negativo con minima proteinuria; tuttavia, talvolta si manifesta proteinuria di entità nefrosica. Durante la fase acuta si possono verificare eosinofilia, eosinofiluria e ipocomplementemia transitoria. L’embolia comunemente colpisce altri organi addominali (p. es., pancreas, tratto GI). Segni di embolizzazione periferica diffusa (p. es., livedo reticularis, noduli muscolari dolenti, gangrena franca) sono fortemente indicativi della diagnosi ma spesso non sono presenti. L’embolizzazione retinica può provocare cecità file:///F|/sito/merck/sez17/2282032.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.16

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improvvisa e all’esame del fundus si possono osservare placche arancioni nell’arteriole.

Diagnosi e terapia L’embolia ateromatosa renale si deve sospettare nei pazienti > 60 anni con insufficienza renale idiopatica, specialmente se sono presenti segni di arteriosclerosi avanzata. La malattia è di solito insidiosa e mancano le caratteristiche cliniche dell’infarto renale. Il momento esatto dell’embolizzazione è difficile da determinare nei pazienti con ateroembolia che si verifica spontaneamente piuttosto che in seguito a intervento di chirurgia vascolare, angioplastica, angiografia o anticoagulazione (p. es., warfarin, farmaci fibrinolitici). La diagnosi può essere difficile nei pazienti con malattia spontanea o reperti clinici atipici. In alcuni pazienti, il sedimento urinario comprende ematuria e, raramente, cilindri ematici. Con questi reperti, possono essere sospettate una glomerulonefrite acuta o una vasculite, in modo particolare se sono presenti manifestazioni extrarenali. L’embolia ateromatosa renale può essere confusa con la poliarterite a causa del coinvolgimento di molteplici organi. Sembra che la biopsia renale percutanea scopra circa il 75% dei casi. I cristalli di colesterolo presenti all’interno dell’embolo si dissolvono durante la fissazione del tessuto, lasciando i patognomonici coaguli biconcavi, a forma di buchi di ago nel vaso ostruito. Non vi è alcun trattamento che possa rendere reversibile l’insufficienza renale. La probabilità di embolia ateromatosa renale durante un intervento chirurgico che coinvolge un’aorta ateromasica, può essere ridotta al minimo da un’attenta tecnica chirurgica.

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Malattie nefrovascolari

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 228. MALATTIE NEFROVASCOLARI (V. anche Ipertensione Nefrovascolare nel Cap. 199)

OSTRUZIONE DELLE ARTERIOLE E DELLA MICROVASCOLARIZZAZIONE RENALE NECROSI CORTICALE RENALE È una rara forma di infarto arterioso caratterizzato da necrosi e successiva calcificazione dei tessuti corticali con risparmio delle aree sottocapsulari, nelle regioni iuxta-midollari e nella midollare.

Sommario: Introduzione Sintomi Terapia

La necrosi corticale renale si può presentare a qualsiasi età. Nelle donne, le complicanze della gravidanza (p. es., distacco di placenta, placenta previa, emorragia uterina, sepsi puerperale, embolia amniotica, morte intrauterina, preeclampsia) sono responsabili del 50% dei casi e la sepsi batterica del 30%. Altre cause comprendono la sindrome emolitica-uremica, il rigetto renale iperacuto, le ustioni, la pancreatite, i traumi, i morsi di serpenti e gli avvelenamenti (p. es., fosforo, arsenico). Circa il 10% dei casi si presenta nella prima e nella seconda infanzia. Nei neonati, > 50% dei casi è dovuto a distacco prematuro della placenta; la successiva causa più frequente è la sepsi batterica. Nei bambini altre cause frequenti sono infezioni, disidratazione, shock e sindrome emolitico-uremica. Cause probabili includono vasospasmo, attivazione del meccanismo di coagulazione, endotossine, lesione immunologica e lesione diretta delle cellule endoteliali. La lesione assomiglia alla reazione generalizzata di Shwartzmann che si verifica nei modelli sperimentali animali.

Sintomi Può essere difficile distinguere la necrosi corticale da altre forme di insufficienza renale acuta, però bisognerebbe prendere in considerazione questa diagnosi quando si presenta anuria improvvisa con macroematuria e dolore al fianco in uno qualsiasi dei quadri clinici descritti sopra. Anche in assenza di sepsi sono comuni febbre e leucocitosi. L’urina contiene molte proteine e GR; si possono notare con una certa frequenza GB e GR, cellule renali e grandi cilindri. Se misurati precocemente, i livelli sierici di LDH e di AST sono elevati. Negli stadi precoci, è frequente ipertensione di medio grado o persino ipotensione. Tuttavia, nei pazienti che riguadagnano una certa funzione renale residua, è caratteristico il riscontro di un’ipertensione accelerata o maligna. La diagnosi di certezza si ottiene con una biopsia che dimostri la necrosi corticale a focolai o diffusa, ma sono utili anche le indagini radiologiche renali. Inizialmente, radiografie seriate mostrano reni ingranditi, che diminuiscono di dimensione per ridursi a circa il 50% della norma in 6-8 sett. A questo stadio, appare la calcificazione, spesso lineare e particolarmente marcata nella file:///F|/sito/merck/sez17/2282033.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.16

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giunzione corticomidollare.

Terapia Il trattamento non è diverso da quello di altre forme di insufficienza renale acuta, sebbene l’anuria prolungata e i fattori precipitanti possano complicare il quadro clinico. Se vi è una funzione residua si ricorre a tutti i mezzi appropriati, inclusa la dialisi di mantenimento, per permettere il recupero funzionale. Alcuni pazienti, dopo diversi mesi, possono recuperare una funzionalità sufficiente a interrompere la dialisi di mantenimento; tuttavia, di solito sono necessari la dialisi cronica o il trapianto renale.

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OSTRUZIONE DELLE ARTERIOLE E DELLA MICROVASCOLARIZZAZIONE RENALE NEFROANGIOSCLEROSI ARTERIOLARE BENIGNA Una patologia di solito associata a ipertensione cronica e caratterizzata da interessamento vascolare, glomerulare e tubulo-interstiziali.

Sommario: Eziologia e istopatologia Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia e istopatologia La nefroangiosclerosi si verifica con l’invecchiamento ma è esacerbata dall’ipertensione cronica. L’incidenza complessiva della malattia renale progressiva in pazienti con ipertensione cronica è bassa. Molti dei pazienti affetti hanno una lieve ipertensione. Tuttavia, tre fattori aumentano il rischio di sviluppare nefroangiosclerosi: razza nera, ipertensione moderata-grave e altra malattia renale sottostante (p. es., nefropatia diabetica). Due processi contribuiscono alla formazione delle lesioni vascolari nell’ipertensione cronica: l’ipertrofia della media e l’ispessimento intimale fibroblastico che causa restringimento del lume; successivamente materiale simil ialino (costituenti delle proteine plasmatiche) viene deposto nella parete arteriolare danneggiata e quindi più permeabile. Le alterazioni più comuni e specifiche sono un grave coinvolgimento delle arteriole afferenti con ialinizzazione, degenerazione della lamina elastica interna e delle membrane basali, e la necrosi fibrinoide dell’intero vaso. La lamina elastica interna è di solito logorata e può essere duplicata. I glomeruli possono mostrare una sclerosi focale totale e focale segmentaria. La sclerosi focale totale è dovuta al danno ischemico e alla perdita della funzionalità dei nefroni, mentre la sclerosi focale segmentaria è dovuta a un ingrandimento che è probabilmente una risposta di compensazione alla perdita di nefroni. Il coinvolgimento vascolare e glomerulare è associato a una nefrite interstiziale spesso grave, probabilmente legata all’ischemia e con un processo immunologico attivo che può essere causato da alterazioni nell’espressione degli antigeni sulla superficie delle cellule epiteliali tubulari.

Esami di laboratorio I pazienti possono mostrare un lento progressivo rialzo dell’azotemia e della creatininemia. L’iperuricemia (indipendente dalla terapia diuretica), un reperto file:///F|/sito/merck/sez17/2282034.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.17

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relativamente precoce, probabilmente riflette il ridotto flusso ematico provocato dalla vasculopatia. L’esame chimico delle urine generalmente rivela scarse cellule o cilindri. L’escrezione delle proteine è di solito < 1 g/die ma è talvolta in un range nefrosico. I pazienti con marcata proteinuria frequentemente hanno una nefropatia vascolare sovrapposta.

Diagnosi La diagnosi è suggerita dalle caratteristiche cliniche dell’ipertensione cronica di solito accompagnata da retinopatia, ipertrofia del ventricolo sinistro, urine relativamente normali all’esame chimico, reni piccoli e insufficienza renale lentamente progressiva con aumento della proteinuria (tipicamente non nefrosica). Diverse condizioni escludono altre possibili diagnosi: l’ipertensione precede la proteinuria o l’insufficienza renale e non è evidente nessun’altra causa di malattia renale. La biopsia renale aiuta a stabilire una diagnosi corretta, ma è raramente necessaria.

Prognosi e terapia Sebbene la nefroangiosclerosi benigna è una delle diagnosi più comuni nei pazienti con insufficienza renale terminale, in assenza di fattori di rischio la velocità di progressione è generalmente lenta; soltanto pochi pazienti con ipertensione idiopatica primitiva sviluppano una nefropatia progressiva. Tuttavia, così tanti pazienti soffrono di ipertensione cronica che i pochi a rischio di insufficienza renale costituiscono un gran numero di quelli che evolveranno verso l’uremia. L’insufficienza renale progressiva è direttamente correlata alla gravità dell’ipertensione e all’adeguatezza del suo controllo. Pazienti con glomerulopatie primitive hanno una sopravvivenza migliore di quelli con insufficienza renale terminale. La prognosi peggiore nei pazienti uremici (anche nei diabetici) riflette ampiamente le vasculopatie extrarenali associate. La cura dell’ipertensione per ottenere una PA diastolica < 90 mm Hg di solito previene un danno renale continuativo e gli ACE-inibitori possono essere più protettivi di altri farmaci antiipertensivi.

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OSTRUZIONE DELLE ARTERIOLE E DELLA MICROVASCOLARIZZAZIONE RENALE NEFROANGIOSCLEROSI ARTERIOLARE MALIGNA Un’endoarterite proliferativa necrotizzante delle arteriole renali con necrosi fibrinoide glomerulare associata a ipertensione grave e insufficienza renale rapidamente progressiva.

Sommario: Introduzione Anatomia patologica e patogenesi Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

La nefroangiosclerosi maligna si verifica in < 1% dei pazienti ipertesi, molto più frequentemente nei pazienti di razza nera che nei bianchi. Negli uomini, l’apice dell’incidenza si ha verso i 40-50 anni; nelle donne, invece, circa 10 anni prima. La maggior parte dei casi si presenta come patologia cardiovascolare rapidamente evolutiva durante il decorso di un’ipertensione cronica non trattata (ipertensione maligna). Sebbene l’ipertensione idiopatica sia la causa predisponente più comune, la nefroangiosclerosi può essere dovuta anche a un’ipertensione secondaria legata a glomerulonefrite acuta, insufficienza renale cronica, stenosi dell’arteria renale, vasculite renale e raramente a endocrinopatie (feocromocitoma, aldosteronismo primario, sindrome di Cushing).

Anatomia patologica e patogenesi Le alterazioni anatomopatologiche, incluse le dimensioni dei reni, variano grandemente e ciò dipende, presumibilmente, dalla durata del decorso clinico e dalla presenza di una malattia preesistente. La necrosi fibrinoide dell’arteriola afferente con l’estensione al glomerulo è il segno distintivo della nefroangiosclerosi arteriolare maligna. Le arterie interlobari, e le arteriole più piccole, sviluppano caratteristicamente un’endoarterite proliferativa con ispessimento intimale dovuto a sottili strati concentrici di collagene, che in pratica spesso obliterano il lume vascolare. Questi strati conferiscono il classico aspetto a bulbo di cipolla. Questa lesione è probabilmente indistinguibile da quelle presenti nella porpora trombotica trombocitopenica, nella sindrome emoliticouremica e nella sclerodermia. La risposta iniziale a un’ipertensione lieve-moderata è la vasocostrizione arteriosa e arteriolare per mantenere a un livello relativamente costante la perfusione tissutale. Con un’ipertensione che aumenta fino a essere grave, alla fine viene meno il sistema di autoregolazione e il rialzo della PA porta al danno della parete arteriolare e capillare. La mancanza di autoregolazione a livello cerebrale conduce all’edema e alla manifestazione clinica della encefalopatia

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ipertensiva.

Sintomi, segni e diagnosi La sintomatologia è data dai diversi gradi di interessamento cerebrale, cardiaco e renale. La maggior parte dei sintomi è correlata all’encefalopatia ipertensiva dovuta all’edema cerebrale e comprende insorgenza insidiosa di cefalea, irrequietezza, confusione, sonnolenza, visione offuscata, nausea e vomito. Se presenti, i sintomi neurologici, quali crisi epilettiche e coma, possono essere dovuti a sanguinamento intracerebrale e a lacune infartuali. Questi reperti sono differenti dalla sintomatologia focale neurologica dell’accidente cerebrovascolare ischemico o emorragico, che in genere ha un esordio improvviso. La TC si deve effettuare per escludere queste patologie. All’esame obiettivo, si riscontra neuroretinopatia (emorragie, essudati e spesso papilledema). Il cuore è ingrandito, con evidenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Insufficienza ventricolare sinistra ed edema polmonare sono frequenti, mentre non lo sono angina e IMA. Sono presenti gradi diversi di insufficienza renale. I reperti urinari includono proteinuria (a volte nell’ambito nefrosico) ed ematuria microscopica. Si possono trovare scarsi cilindri ematici, eccetto nelle sindromi renali dovute a glomerulonefrite proliferativa. Sono frequenti alterazioni ematologiche (p. es., anemia emolitica microangiopatica e coagulazione intravasale disseminata). Sono tipici i livelli estremamente elevati di renina e di aldosterone. La diagnosi si basa sul reperto di una PA diastolica costantemente > 120 mm Hg, di neuroretinopatia e di altri aspetti clinici di coinvolgimento cardiaco e renale.

Prognosi e terapia Circa il 50% dei pazienti non trattati muore entro 6 mesi e la maggior parte dei rimanenti entro 1 anno. La morte è solitamente causata da uremia (60%), insufficienza cardiaca (20%), accidenti cerebrovascolari (20%) o IMA (1%). Le percentuali di sopravvivenza dopo terapia sono del 75-85% circa a 1 anno, del 60-70% a 5 anni e del 45-50% a 10 anni. L’insufficienza renale tende ad abbassare le percentuali di sopravvivenza. Sebbene alcuni pazienti abbiano remissioni spontanee, una terapia antiipertensiva aggressiva con sensibile riduzione della PA (v. Cap. 199) e il trattamento dell’insufficienza renale riducono notevolmente la mortalità e la morbosità. Anche con una terapia antiipertensiva efficace, molti pazienti presentano un danno vascolare medio-grave e sono a rischio continuo di malattia coronarica, cerebrovascolare e renale. I paziente con insufficienza renale progressiva possono essere tenuti in vita con la dialisi e talvolta avere un miglioramento della funzione renale tale da permettere la sospensione del trattamento dialitico. Il sanguinamento intralesionale o subaracnoideo e gli infarti lacunari di solito non sono trattati con una riduzione aggressiva della PA.

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OSTRUZIONE DELLE ARTERIOLE E DELLA MICROVASCOLARIZZAZIONE RENALE SCLERODERMIA RENALE

Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Diagnosi e terapia

Sebbene i dati dei riscontri autoptici suggeriscano che il 60-80% dei pazienti con sclerodermia ha un coinvolgimento renale, la malattia si manifesta clinicamente in un numero minore di pazienti. Tuttavia, circa il 50% dei pazienti ha alcuni segni di disfunzione renale (p. es., lieve proteinuria, lieve rialzo della creatininemia, ipertensione). Il rischio di sviluppare la malattia renale è maggiore nei neri, nei pazienti con coinvolgimento cutaneo diffuso e rapidamente progressivo e in quelli che assumono corticosteroidi ad alti dosaggi. La crisi renale sclerodermica, una chiara complicanza della sclerodermia renale, si presenta nel 10-15% dei pazienti e di solito si manifesta entro i 5 anni dalla diagnosi di sclerodermia. L’insufficienza renale è responsabile di circa il 40% delle morti da sclerodermia.

Anatomia patologica Le lesioni arteriose obliteranti interessano in modo preminente le arterie interlobulari e i glomeruli. Nella fase acuta si osservano trombi di fibrina e aree di necrosi fibrinoide. Con la cicatrizzazione, si verifica un ispessimento intimale mucoide e concentrico a bulbo di cipolla della parete vasale, in modo simile alle alterazioni osservate nella nefroangiosclerosi maligna e nella sindrome emoliticouremica.

Sintomi, segni e diagnosi Il coinvolgimento renale nella sclerodermia può comprendere una lieve proteinuria con scarse cellule o cilindri, ipertensione da lieve a grave e iperazotemia. Almeno uno di questi segni si riscontra in circa il 50% dei pazienti con sclerodermia, ma possono essere reperti concomitanti. Si può manifestare ematuria microscopica. La crisi renale sclerodermica è un’emergenza medica che è spesso preceduta da una rapida evoluzione della malattia cutanea. Tutti i pazienti con malattia

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cutanea diffusa dovrebbero avere valutazione della loro creatininemia e della loro proteinuria ogni 4 mesi durante i primi 5 anni dalla diagnosi di sclerodermia. La rapida insorgenza di insufficienza renale è l’elemento principale per la diagnosi.

Diagnosi e terapia I reperti extrarenali della sclerodermia (p. es., malattia polmonare o gastrointestinale, autoanticorpi specifici) e la recente insorgenza di ipertensione grave e di insufficienza renale progressiva sono altamente indicativi di sclerodermia renale. La biopsia renale non è conclusiva per la diagnosi, poiché le lesioni vascolari sono indistinguibili da quelle di altre forme di microangiopatia trombotica (p. es., nefroangiosclerosi arteriolare maligna, porpora trombotica trombocitopenica, sindrome emolitico-uremica, nefrite da radiazioni, rigetto cronico di trapianto, anticoagulanti lupici). Poiché la sclerodermia renale è una forma di stenosi arteriosa intrarenale bilaterale, la creatininemia aumenterà in alcuni pazienti che assumono ACEinibitori. Così all’inizio della terapia, si raccomanda uno stretto controllo della creatininemia. Se il controllo pressorio è inadeguato con un ACE-inibitore da solo, si può aggiungere un calcioantagonista diidropiridinico (p. es., felodipina, amlodipina). Pazienti che sviluppano uremia possono essere trattati con successo con la dialisi peritoneale o l’emodialisi, sebbene, in quest’ultima, la vasculopatia periferica possa limitare gli accessi vascolari. Il ricorso al trapianto renale è spesso limitato dalla gravità delle manifestazioni extrarenali e da una percentuale di recidiva del 20%. Nella crisi renale sclerodermica, il controllo della PA, se iniziato prima che il danno vascolare sia irreversibile, può stabilizzare o migliorare la funzione renale in una percentuale di pazienti che può arrivare al 70%. Un ACE-inibitore è il farmaco di scelta con una buona risposta in circa il 90% dei pazienti, con minore probabilità di insufficienza renale progressiva e con un aumento della sopravvivenza a 1 anno. Se la crisi renale sclerodermica non è trattata, entro 12 mesi si verifica insufficienza renale avanzata.

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OSTRUZIONE DELLE ARTERIOLE E DELLA MICROVASCOLARIZZAZIONE RENALE NEFROPATIA DA MALATTIA DREPANOCITICA Malattia renale in persone con anemia drepanocitica, causata dalla presenza di GR falciformi nei capillari dei vasi retti della midollare renale.

Sommario: Introduzione Terapia

La nefropatia drepanocitica è comune negli anziani con malattia drepanocitica. Provoca congestione e stasi, aree focali di emorragia o necrosi, flogosi interstiziale e fibrosi, atrofia tubulare e infarto papillare. Aumenti della GFR e del flusso ematico in pazienti giovani sono apparentemente mediati soprattutto dall’azione vasodilatatrice delle prostaglandine poiché i FANS fanno regredire queste alterazioni. Anche la sintesi glomerulare di ossido nitrico può avere un ruolo. Alla fine del secondo decennio, la GFR è ritornata normale ed è al disotto dei valori normali nei pazienti > 30 anni. La perdita della funzione dei vasi retti midollari provoca varie manifestazioni cliniche (p. es., capacità di concentrazione danneggiata). L’ematuria microscopica o macroscopica associata a dolore, dovuta a infarti papillari, è comune in quei pazienti con malattia drepanocitica o tratto falciforme. Il sanguinamento renale è generalmente modesto, unilaterale e autolimitantesi. Il danneggiamento della perfusione midollare conduce a un deterioramento della capacità di concentrazione urinaria e a una lieve poliuria e nicturia. La lesione è simile ma meno grave nei pazienti con tratto falciforme e con malattia da Hb S-C. Il progressivo peggioramento della nefropatia drepanocitica può condurre all’uremia. La nefropatia è di solito associata a proteinuria (circa il 4% in un ambito nefrosico) e, all’esame bioptico, alla glomerulosclerosi focale segmentaria. Due terzi dei pazienti con proteinuria in ambito nefrosico progrediscono fino all’insufficienza renale terminale. Una glomerulopatia simile si può riscontrare nel tratto falciforme, ma l’incidenza è minore e l’insufficienza renale progressiva si verifica più tardi (50 versus 23 anni dalla diagnosi).

Terapia I pazienti sintomatici possono essere trattati riducendo la formazione di cellule falciformi nella midollare mediante idratazione (riduzione dell’osmolarità midollare), somministrazione di sodio bicarbonato (l’alcalinizzazione ritarda la falcizzazione) ed emotrasfusioni per diminuire la concentrazione di Hb S. Nei casi

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refrattari, urea 40 mg PO qid ha avuto successo. L’urea probabilmente agisce inibendo il gelificarsi dell’Hb falciforme deossigenata. Il danneggiamento della capacità di concentrazione urinaria può essere transitoriamente corretto dalle emotrasfusioni nei pazienti con < 10 anni ma è irreversibile nei pazienti più anziani. Nessuna terapia specifica previene la lesione glomerulare nella malattia drepanocitica. La dialisi e il trapianto renale possono essere il trattamento dell’uremia. Gli ACE-inibitori sono associati a 50% di riduzione della proteinuria. Non è stato provato che gli ACE-inibitori abbassino la pressione intraglomerulare o la permeabilità e diminuiscano la progressione dell’insufficienza renale.

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TROMBOSI DELLA VENA RENALE Un coagulo di sangue nella vena renale che causa insufficienza renale acuta o cronica, con diverse manifestazioni cliniche ma di solito associate a sindrome nefrosica.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

L’incidenza della trombosi venosa renale idiopatica (TVR) è difficile da stabilire poiché i pazienti generalmente sono asintomatici e l’insufficienza renale è assente o lieve. Negli adulti, la TVR idiopatica si verifica quasi sempre in pazienti che hanno una sindrome nefrosica, di solito da glomerulopatia membranosa. La tendenza a formare trombi a questo livello può essere in parte dovuta alla perdita di liquidi attraverso il glomerulo nella sindrome nefrosica; l’emoconcentrazione nella circolazione postglomerulare può quindi favorire la trombosi in pazienti che hanno uno stato di ipercoagulabilità da bassa concentrazione plasmatica di antitrombina III (provocata da un’aumentata escrezione renale), aumentate concentrazioni di fibrinogeno, sindrome da anticorpi anticardiolipina, deficit di proteine C e S e attivazione piastrinica. L’importanza di questi difetti della coagulazione non è nota, ma le anormalità piastriniche possono essere il fattore patogenetico primario. Meno frequente, la TVR secondaria (di solito associata a rallentamento del flusso ematico renale) è causata da neoplasie maligne renali che si estendono nelle vene renali (di solito carcinoma a cellule renali), compressione estrinseca della vena renale o della vena cava inferiore (p. es., anomalie vascolari, neoplasie, malattia retroperitoneale, legatura della vena cava inferiore, gravidanza), contraccettivi orali, trauma o, raramente, tromboflebite migrante. Sia la TVR primaria che la secondaria possono essere monolaterali o bilaterali e possono interessare la vena cava inferiore.

Sintomi, segni e diagnosi L’insorgenza insidiosa è molto comune e non provoca sintomatologia riferibile al rene. Un’embolia polmonare può essere l’unico indizio della presenza di trombosi della vena renale o di altre vene profonde. Una scintigrafia polmonare ventilatoria e perfusionale anormale è indicativa di embolia polmonare nel 10-30% dei pazienti con TVR; molti pazienti non presentano sintomatologia polmonare. L’esordio acuto provoca sintomi e segni di infarto renale: dolore lombare,

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ematuria microscopica o franca, un marcato aumento dell’LDH plasmatico (senza alterazioni delle transaminasi) e aumentate dimensioni del rene alla radiografia. La TVR è diagnosticata mediante cavografia con angiografia selettiva renale, TC o RMN. L’ecografia Doppler può fornire un metodo accurato e non invasivo di screening se le vene renali possono essere ben visualizzate. Nei bambini, la TVR idiopatica è di solito associata a diarrea, deplezione di volume extracellulare e stato di ipercoagulabilità. L’infarto emorragico del rene si può manifestare, con insufficienza renale acuta oligurica.

Prognosi e terapia L’effetto della trombosi venosa renale sulla funzione del rene varia, a seconda se è interessato un solo rene o entrambi, dello sviluppo della circolazione collaterale o della ricanalizzazione del trombo e del precedente stato della funzione renale. La morte è rara e solitamente è correlata alla TVR idiopatica oppure a complicanze quali l’embolia polmonare. La terapia della TVR stabilizzata consiste nell’anticoagulazione con eparina e successivamente con warfarin. Questo regime dovrebbe minimizzare la formazione di nuovi trombi, può favorire la ricanalizzazione di coaguli già esistenti e migliorare la funzione renale. Il warfarin probabilmente dovrebbe essere continuato fino alla scomparsa della sindrome nefrosica. La trombolisi con farmaci fibrinolitici non è stata frequentemente descritta in letteratura e non è raccomandata. La trombectomia chirurgica raramente viene presa in considerazione ma può essere utile nella TVR bilaterale e nell’insufficienza renale che non risponde agli anticoagulanti, in alcuni casi di infarto completo o per ragioni legate alla patologia primaria. La nefrectomia viene eseguita soltanto in alcuni casi di infarto completo o per ragioni riferibili alla malattia primaria.

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Sindromi da anomalie del trasporto renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 229. SINDROMI DA ANOMALIE DEL TRASPORTO RENALE ACIDOSI TUBULARE RENALE Alterata capacità di secernere ioni idrogeno nel nefrone distale o di riassorbire −

ioni bicarbonato (HCO3 ) in quello prossimale, che conduce all’acidosi metabolica cronica, con o senza deplezione di K, nefrocalcinosi e rachitismo o osteomalacia.

Sommario: Classificazione e fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Classificazione e fisiopatologia L’acidosi tubulare renale (ATR) tipo I (distale) è di solito un disordine sporadico negli adulti e una malattia familiare nei bambini. I casi sporadici possono essere primitivi (quasi sempre nelle donne) o secondari (p. es., a una malattia autoimmune con ipergammaglobulinemia, specialmente la sindrome di Sjögren; a terapia con amfotericina B o con litio; a trapianto renale; a nefrocalcinosi; a rene a spugna midollare o a ostruzione renale cronica). I casi familiari possono essere autosomici dominanti e sono spesso associati a ipercalciuria. Nell’ATR tipo I la capacità di creare un gradiente di ioni idrogeno lungo il nefrone distale è compromessa cosicché il pH urinario non è mai < 5,5. L’ATR tipo II (prossimale) accompagna varie malattie ereditarie (p. es., la sindrome di Fanconi, l’intolleranza al fruttoso, la malattia di Wilson, la sindrome di Lowe), il mieloma multiplo, la carenza di vitamina D e l’ipocalcemia cronica con iperparatiroidismo secondario. Si può presentare dopo trapianto renale, dopo intossicazione da metalli pesanti e dopo trattamento con alcuni farmaci, inclusi acetazolamide, sulfamidici, tetraciclina scaduta e streptozocina. Nell’ATR tipo II, la capacità dei tubuli prossimali di riassorbire HCO3- è diminuita, cosicché il pH urinario è > 7 con normali livelli plasmatici di HCO3- ma può essere < 5,5 con bassi livelli plasmatici di HCO3-. L’ATR tipo III è una combinazione del tipo I e II ed è molto rara. L’ATR di tipo IV è una patologia rara, associata a una lieve insufficienza renale in pazienti adulti con diabete mellito o interstiziopatia renale (LES, uropatia ostruttiva, anemia falciforme). Può essere provocata da farmaci che interferiscono con l’asse renina-aldosterone-tubuli renali (p. es., FANS, ACEinibitori, diuretici risparmiatori di K, trimethoprim). Un deficit di aldosterone o una mancata risposta dei tubuli distali all’aldosterone provocano l’ATR tipo IV. Questa riduce l’escrezione di K, provocando iperkaliemia, che diminuisce la produzione di ammoniaca e l’escrezione acida del rene. Il pH urinario di solito è normale.

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Sindromi da anomalie del trasporto renale

Sintomi e segni L’ATR di tipo I e di tipo II si associano ad acidosi metabolica cronica, lieve contrazione di volume e ipokaliemia. L’ipokaliemia può produrre astenia muscolare, iporiflessia e paralisi. Nell’ATR di tipo I vi è una diminuita escrezione di citrato nell’urina, un’aumentata mobilizzazione di Ca osseo e ipercalciuria, con conseguente osteopenia, dolore osseo e calcoli di Ca o nefrocalcinosi. Si possono sviluppare danno renale parenchimale e insufficienza renale. L’ATR di tipo IV è di solito asintomatica, con soltanto un’acidosi modesta, ma, se si verifica una gravissima iperkaliemia, si possono presentare aritmia cardiaca o paralisi.

Diagnosi Sono presenti bassi livelli di HCO3- plasmatico e pH ematico basso con un livello normale di anioni indeterminati (anion gap). La ATR di tipo I viene confermata da un test di carico acido: il cloruro di ammonio, 100 mg/kg PO, generalmente riduce il pH urinario a < 5,2 entro 3-6 ore, ma nell’ATR tipo I il pH urinario rimane > 5,5. L’ATR tipo II è diagnosticata mediante un test di titolazione del HCO3: il bicarbonato di sodio viene infuso lentamente EV, oppure somministrato PO, per far aumentare il HCO3- plasmatico. Nell’acidosi tubulare di tipo II, l’HCO3apparirà nell’urina (pH urinario > 6,5) prima ancora che l’HCO3- plasmatico raggiunga valori normali. Nell’ATR di tipo IV vi sono bassi livelli plasmatici di aldosterone (oppure una diminuita risposta all’aldosterone) e diminuita escrezione urinaria di K e ammoniaca.

Terapia La somministrazione di sodio bicarbonato mitiga i sintomi e previene o stabilizza l’insufficienza renale e la malattia ossea. Negli adulti con ATR di tipo I, 80200 mg/kg/die (da 1 a 3 mEq/kg/die) PO in dosi frazionate, elimineranno l’acidosi e ridurranno la formazione di calcoli. Nei bambini, vi può essere la necessità che la dose totale giornaliera sia 2-3 volte maggiore per correggere i livelli di HCO3 sierico. Nell’ATR di tipo II, non si riescono a ristabilire i normali livelli di HCO3plasmatico. La terapia sostitutiva con HCO3- dovrebbe superare il carico acido della dieta (1-3 mEq/kg/die). L’eccesso di HCO3- aumenterà le perdite di potassio bicarbonato nell’urina. Le soluzioni contenenti citrato possono sostituire il bicarbonato di sodio e possono essere tollerate meglio. Può essere richiesta una terapia supplementare di K o potassio citrato in pazienti che diventano ipokaliemici quando assumono il sodio bicarbonato ma non viene consigliato in pazienti con normali o elevati livelli di K sierico. Nell’ATR di tipo IV, l’iperkaliemia viene trattata con l’idratazione e a volte con diuretici che eliminano potassio. Pochi pazienti necessitano di una terapia sostitutiva con mineralcorticoidi.

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Sindromi da anomalie del trasporto renale

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 229. SINDROMI DA ANOMALIE DEL TRASPORTO RENALE GLICOSURIA RENALE (Glucosuria renale) Escrezione di glucoso nell’urina in presenza di livelli normali o bassi di glucoso ematico e in assenza di altre anomalie della funzione renale. La glicosuria renale può essere associata con molti difetti tubulari renali che implicano aminoaciduria e ATR. La sola glicosuria renale, con una funzione renale altrimenti normale, è solitamente ereditata quale tratto autosomico dominante, ma talvolta anche come tratto recessivo. Si verificano circa due casi di glicosuria renale isolata per ogni 1000 casi di glicosuria dovuta a diabete mellito. Il trasporto massimo (massima concentrazione alle quale il glucoso può essere riassorbito) è ridotto e lo zucchero si perde nell’urina. Il trasporto intestinale di glucoso è normale, tranne che nella rara forma di malassorbimento di glucoso-galattoso (v. Intolleranza ai Carboidrati nel Cap. 30). La glicosuria renale è asintomatica e senza serie sequele. Pochi pazienti sviluppano diabete mellito, che dovrebbe essere escluso quando si stabilisce la causa di glicosuria. La diagnosi viene posta dimostrando la presenza di glucoso nell’urina dopo un digiuno di una notte in un paziente con normale tolleranza al glucoso. Indagini specifiche per il glucoso (p. es., test di ossidazione del glucoso) differenziano la glicosuria da altri disordini che causano escrezione urinaria di altre sostanze riducenti. Non è necessario alcun trattamento.

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE CISTICHE Malformazioni displasiche renali con cisti singole o multiple da < 1 cm a > 10 cm di diametro. I gruppi principali sono illustrati nella Tab. 230-1. Le malattie più comuni con il maggiore impatto clinico sono le malattie policistiche renali, la nefrononoftisi, la malattia cistica midollare e il rene a spugna midollare.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 230-1 PRINCIPALI GRUPPI DI NEFROPATIE CISTICHE Gruppo

Tipo

Malattie policisitiche

Autosomica dominante e recessiva

Displasie renali

Multicistiche, focali e segmentarie, familiare, secondaria a ostruzione del tratto inferiore della via urinaria

Cisti corticali

Semplici (cisti solitarie e multiple), glomerulari diffuse, microcisti

Cisti midollari

Nefronoftisi e malattia cistica midollare, rene a spugna midollare

Cisti in patologie ereditarie

Sindrome di Meckel, sindrome epatorenale di Zellweger, distrofia toracica di Jeune, complesso della sclerosi tuberosa, malattia di von Hippel-Lindau

Malattie varie

Infiammatorie, neoplastiche ed extraparenchimali

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE CISTICHE Malformazioni displasiche renali con cisti singole o multiple da < 1 cm a > 10 cm di diametro. MALATTIE POLICISTICHE RENALI Disordini ereditari caratterizzati da numerose cisti renali bilaterali che causano aumento della dimensione dei reni, mentre riducono il tessuto renale funzionante.

Sommario: Introduzione MALATTIA POLICISTICA RENALE AUTOSOMICA DOMINANTE Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

La malattia policistica renale può essere autosomica recessiva (v. Difetti Renali e Genitourinari nel Cap. 261) o autosomica dominante (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease, ADPKD). L’interessamento renale è caratterizzata da dilatazioni cistiche di tutte le parti del nefrone, compreso lo spazio di Bowman. Le cisti sono rivestite da epitelio e contengono liquido derivato dal filtrato glomerulare e modificato dall’azione delle cellule epiteliali tubulare. Non sono ben compresi i meccanismi che portano allo sviluppo della malattia policistica e dell’ingrossamento progressivo delle cisti. Le cisti renali dovute a entrambi i tipi di malattia, possono essere scoperte durante la vita fetale, in utero.

MALATTIA POLICISTICA RENALE AUTOSOMICA DOMINANTE L’incidenza è di circa 1/1000 persone. La penetranza è essenzialmente completa; tutti i pazienti che vivono fino a 80 anni hanno qualche segno della malattia. Circa il 5-10% dei pazienti con insufficienza renale terminale ha ADPKD.

Sintomi e segni L’ADPKD spesso è inizialmente asintomatica ma può essere scoperta nell’infanzia dall’ecografia. Progredisce lentamente nell’arco di molti anni. L’esordio clinico si presenta all’inizio o a metà della vita adulta, sebbene la malattia possa non venire scoperta se non all’autopsia. I sintomi sono solitamente in relazione con gli effetti delle cisti (p. es., fastidio o dolore lombare, ematuria, infezione e coliche legate a nefrolitiasi) o possono essere in relazione alla perdita della funzione renale con sintomi di uremia. Un’infezione cronica si sovrappone frequentemente e contribuisce alla perdita progressiva della funzione renale. In circa il 33% dei casi, vi sono cisti nel fegato che però non intaccano la funzionalità epatica. Al momento della diagnosi si riscontra ipertensione in circa file:///F|/sito/merck/sez17/2302042b.html (1 of 3)02/09/2004 2.51.30

Disordini renali ereditari e congeniti

il 50% dei pazienti. Malformazioni di determinati distretti vascolari, compresi aneurismi intracranici e dilatazione della radice aortica, possono rappresentare alterate espressioni e funzioni del gene PKD nelle cellule muscolari lisce delle arterie e nei miofibroblasti. Circa il 4% di giovani e fino al 10% dei pazienti più anziani presentano aneurismi intracranici associati. La rottura di un aneurisma cerebrale si verifica nel 65-75% dei pazienti affetti, di solito prima dei 50 anni, specialmente in pazienti con ipertensione poco controllata. Nel 25-30% dei pazienti con ADPKD si possono scoprire all’ecocardiogramma anomalie valvolari (molto spesso prolasso della valvola mitrale e insufficienza aortica). Sebbene molti pazienti siano asintomatici, le lesioni cardiache possono evolvere e diventare abbastanza gravi da rendere necessaria una sostituzione valvolare. La profilassi antibiotica si può effettuare con prudenza, soprattutto nei pazienti con soffi auscultabili.

Diagnosi Nei casi avanzati la diagnosi è ovvia, poiché i reni sono massivamente ingranditi e palpabili. L’esame dell’urina dimostra proteinuria leggera e gradi variabili di ematuria, ma sono poco frequenti cilindri ematici. La piuria è comune anche in assenza di infezione batterica. A volte, l’urina è francamente ematica, evidentemente a causa di un’emorragia da una cisti rotta o da un calcolo che si è dislocato. L’iperazotemia è progressiva. I reperti dell’urografia endovenosa sono caratteristici, con reni ingranditi che mostrano contorni irregolari per le numerose cisti, che comprimono e allungano i calici, l’infundibulo e la pelvi, conferendo un aspetto a ragno. L’ecografia e la TC renale ed epatica mostrano un tipico aspetto "tarlato" dovuto alle cisti che spostano il tessuto funzionale; queste metodiche possono porre la diagnosi negli stadi iniziali della malattia, prima che possano essere notate le tipiche modificazioni alla urografia endovenosa. La diagnosi differenziale include le cisti solitarie o multiple del rene che non alterano una porzione del parenchima renale tale da causare uremia. Un’accurata diagnosi genetica può essere prontamente disponibile. La metodica del DNA ricombinante ha localizzato una mutazione genica (PKD1) nel braccio corto (p) del cromosoma 16 nell’85% delle famiglie con ADPKD, specificatamente in due marker: il complesso α-globina e il gene per la fosfoglicerato-chinasi. Molte delle rimanenti famiglie hanno un difetto genetico sul cromosoma 4 (PKD2), ma sono state descritte poche famiglie non correlate con difetti dei due loci.

Prognosi e terapia Circa il 50% dei pazienti con ADPKD1 diviene uremico tra i 55 e 60 anni, in confronto ai 70 anni dei pazienti non ADPKD1. Non frequentemente, l’ADPKD si manifesta clinicamente nei bambini piccoli anche se il genitore affetto ha una malattia con esordio nella vita adulta. Come in molte altre malattie renali, l’ADPKD ha un decorso accelerato nella razza nera manifestandosi circa 10 anni prima. Altri fattori che predicono un’evoluzione rapidamente progressiva della malattia renale, comprendono la diagnosi a un’età molto giovane, il sesso maschile, le dimensioni renali aumentate e la presenza di ipertensione, cisti epatiche (nelle donne), ematuria franca e IVU (negli uomini). Senza dialisi o trapianto, i pazienti muoiono per l’uremia o per le complicanze dell’ipertensione (circa il 10% dei pazienti muore di emorragia intracranica da rottura di un aneurisma). Un efficace trattamento delle infezioni urinarie e dell’ipertensione secondaria può prolungare la vita in modo significativo. Il trattamento dell’uremia, quando presente, è simile a quello effettuato nelle altre malattie renali (v. il Cap. 222). Con la dialisi, i pazienti con ADPKD conservano livelli di Hb più elevati rispetto a tutti gli altri gruppi di paziente con insufficienza renale. Il trapianto è realizzabile, ma l’impiego di genitori o fratelli come donatori non può essere realizzato viste le file:///F|/sito/merck/sez17/2302042b.html (2 of 3)02/09/2004 2.51.30

Disordini renali ereditari e congeniti

caratteristiche genetiche della malattia. Si raccomanda una consulenza genetica.

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE CISTICHE Malformazioni displasiche renali con cisti singole o multiple da < 1 cm a > 10 cm di diametro. NEFRONOFTISI E MALATTIA CISTICA MIDOLLARE Un gruppo di malattie cistiche geneticamente determinato, caratterizzato da compromissione cistica della midollare e dall’insorgenza insidiosa dell’uremia. La nefrononoftisi, ereditata come tratto autosomico recessivo, si manifesta di norma nei primi due decenni di vita. In alcuni pazienti, è associata a degenerazione retinica pigmentosa (la sindrome da displasia retinico-renale). La malattia cistica midollare, ereditata come tratto autosomico dominante, è simile come sintomatogia alla nefrononoftisi ma si presenta più tardi nel corso della vita. L’insufficienza renale terminale si verifica di solito tra i 20 e 50 anni. Circa il 15% dei casi non presenta nessuna storia familiare, suggerendo la presenza di una nuova mutazione sporadica o l’evenienza di una malattia autosomica recessiva soltanto in un bambino. I reni in tutte le varianti (v. Tab. 230-2) sono raggrinziti, con una corticale assottigliata e spesso affetta da alterazioni cistiche nella midollare circondata da tessuto cicatriziale e fibrosi interstiziale. La poliuria dovuta a un difetto di concentrazione renale, vasopressina-resistente, è spesso il sintomo più precoce. In alcuni pazienti una uremia non spiegabile costituisce il primo indizio. La perdita urinaria di Na si verifica frequentemente e in genere è tanto grave da richiedere l’assunzione di diverse centinaia di mEq/die di Na per prevenire la deplezione del volume extracellulare. Nei bambini sono comuni il ritardo di crescita e l’evidenza di malattia ossea. In molti pazienti questi problemi si sviluppano lentamente nell’arco di diversi anni e sono così ben compensati che non vengono riconosciuti come anormali sino a che non appaiono importanti sintomi uremici. Gli esami ematochimici evidenziano un’insufficienza renale cronica. La proteinuria è minima o assente e il sedimento urinario non è significativo. L’ecografia o l’urografia mostrano un contorno renale liscio e dimensioni normali o reni piccoli e, spesso, cisti multiple piccole e talvolta più grandi alla giunzione corticomidollare. La TC a scansioni sottili è ancora più sensibile, evidenziando cisti piccole come quelle di 5 mm di diametro. Poiché le cisti possono essere poche e piccole, possono passare inosservate in alcune o in tutte le indagini diagnostiche per immagini. La progressione della malattia è variabile in dipendenza dal grado della disfunzione renale all’esordio. Di solito, la progressione è lenta ma inesorabile. Quando sopraggiunge l’uremia, il suo trattamento è simile a quello effettuato per altre cause di insufficienza renale cronica (v. Cap. 222). Il trapianto può avere molto successo.

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Disordini renali ereditari e congeniti

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 230-2. VARIANTI DELLA MALATTIA CISTICA MIDOLLARE Variante

Incidenza

Ereditarietà

Nefronoftisi giovanile

50%

Autosomica recessiva; cromosoma 2q13

Malattia cisitca midollare dell’adulto

35%

Autosomica dominante

Displasia renaleretinica

15%

Autosomica recessiva

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE CISTICHE Malformazioni displasiche renali con cisti singole o multiple da < 1 cm a > 10 cm di diametro. RENE A SPUGNA MIDOLLARE Dilatazione congenita dei dotti collettori renali dovuta a ectasia dei tubuli o displasia nella regione pericaliceale della piramide renale.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il rene a spugna produce stasi urinaria e nefrocalcinosi. È più frequente nei pazienti con sindrome di Ehlers-Danlos, emi-ipertrofia congenita e sindrome di Beckwith-Wiedemann.

Sintomi, segni e diagnosi La condizione normalmente è asintomatica fino a che non sopravvengano coliche renali dovute a urolitiasi (il più comune sintomo d’esordio), ematuria o infezioni. In più del 50% dei reni colpiti si riscontra nefrocalcinosi. Di solito vi è evidenza di acidosi tubulare renale distale incompleta (una franca acidosi metabolica è rara) e di una diminuzione della capacità di concentrazione renale senza poliuria sintomatica. Questo disordine deve essere differenziato dalla malattia cistica renale, dalla necrosi papillare, dalle cisti da pielonefrite, dalla TBC e da altre condizioni che causano nefrocalcinosi. La diagnosi può essere effettuata con l’urografia, che mostra le cavità piramidali riempite di materiale di contrasto, ricordando "un bouquet di garofani." Spesso si osservano anche concrezioni intraduttali di fosfato di calcio. L’ecografia non è utile perché le cisti sono piccole e localizzate profondamente nella midollare.

Prognosi e terapia La prognosi a lungo termine è eccellente. Sebbene l’ostruzione indotta da calcolo possa ridurre la GFR, quest’effetto è di solito transitorio. La nefrocalcinosi può essere progressiva, ma non vi è alcuno specifico trattamento medico efficace. La terapia è indicata soltanto per le IVU (utilizzando un antibiotico efficace) e per le formazioni di calcoli ricorrenti. Come per la calcolosi calcica idiopatica, la terapia varia a secondo delle anomalie metaboliche sottostanti. Frequentemente i tiazidi (p. es., idroclorotiazide 25 mg/bid) e l’assunzione di molti liquidi possono inibire la formazione di calcoli e ridurre le complicanze ostruttive. file:///F|/sito/merck/sez17/2302044a.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.32

Disordini renali ereditari e congeniti

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE NON CISTICHE Molti dei disordini renali geneticamente trasmessi producono anormalità funzionali o strutturali o entrambe. Quelle che interessano principalmente i difetti del trasporto tubulare (v. Cap. 229) o i difetti metabolici con coinvolgimento renale come la malattia di Fabry (v. Lipidosi nel Cap. 16) sono trattate altrove nel Manuale.

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE NON CISTICHE NEFRITE EREDITARIA (Sindrome di Alport) Una patologia ereditaria eterogenea caratterizzata da ematuria, alterata funzione renale, sordità neurosensoriale e anomalie oculari. Sebbene esistano varietà autosomiche recessive, la forma più comune di nefrite ereditaria è quella dominante, legata al cromosoma X, che implica una mutazione nel gene COL4A5, che codifica la catena α-5 del collagene tipo IV. Filamenti alterati di collagene tipo IV vengono prodotti e viene perso un antigene comunemente presente sulla membrana basale glomerulare. In molte famiglie si verificano ispessimento e fluidificazione della membrana basale glomerulare e tubulare con multilaminazione della lamina densa in una distribuzione focale o locale. Le donne sono solitamente asintomatiche e hanno una scarsa compromissione funzionale, mentre la maggiore parte dei maschi sviluppa un’insufficienza renale tra i 20 e i 30 anni di età. L’insorgenza della malattia può essere simile a quella di una glomerulonefrite acuta. La malattia è scoperta dal reperto di ematuria macroscopica o di episodi ricorrenti di ematuria franca. L’urina può contenere piccole quantità di proteine, GR e cilindri di vari tipi. La sindrome nefrosica si presenta raramente. Non vi sono modificazioni istologiche distintive al microscopio ottico o a immunofluorescenza. Sebbene non disponibile su vasta scala, l’immunoistochimica per la catena α-5 nella cute normale e, in particolare, l’analisi genetica possono divenire le tecniche diagnostiche di scelta. È frequentemente presente sordità neurosensoriale, che di solito interessa le frequenze più alte. Sebbene alcuni pazienti con una storia familiare possano avere la sola sordità neurosensoriale senza malattia renale, questi possono trasmettere la malattia renale alla generazione successiva. Si possono verificare anche disturbi oculari, quali cataratta (la più comune), lenticono anteriore, sferofachia, nistagmo, retinite pigmentosa e cecità, ma meno frequentemente della sordità. Altre manifestazioni non renali comprendono polineuropatia e trombocitopenia. Il trattamento è indicato soltanto quando si ha uremia; la sua terapia è la stessa effettuata nelle altre cause di insufficienza renale cronica (v. Cap. 222). Anche il trapianto ha avuto successo. È consigliabile un consulto genetico.

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE NON CISTICHE MALATTIA DELLA MEMBRANA BASALE SOTTILE (Ematuria familiare benigna) Una malattia, spesso familiare (probabilmente con trasmissione ereditaria autosomica dominante), in cui l’unico reperto istopatologico è un assottigliamento diffuso della membrana basale glomerulare (p. es., spessore di 150-225 nm versus 300-400 nm nella persone sane).

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

La prevalenza è valutata intorno al 5-9%.

Sintomi, segni e diagnosi Molti pazienti sono asintomatici e, alle indagini, effettuate in genere per altri motivi, presentano microematuria, lieve o assente proteinuria, e funzione renale normali. Talvolta, la proteinuria o l’ematuria franca sono il segno iniziale. Il dolore lombare ricorrente, simile a quello della nefropatia da IgA, costituisce un raro sintomo di esordio. La malattia della membrana basale sottile può di solito essere differenziata da altre cause di ematuria (p. es., nefropatia da IgA, nefrite ereditaria) mediante l’anamnesi e la presentazione clinica. I pazienti con nefropatia da IgA di solito non hanno un’anamnesi familiare positiva per ematuria e quelli con nefrite ereditaria di solito hanno un’anamnesi familiare positiva per manifestazioni extrarenali (sordità, disordini oculari) negli uomini, insufficienza renale ed ematuria. A causa delle iniziali similitudini istologiche, può essere difficile differenziare la malattia della membrana basale sottile dalla nefrite ereditaria. Una storia di trasmissione padre-figlio non viene osservata nella nefrite ereditaria legata al cromosoma X, e i pazienti con malattia della membrana basale sottile non presentano generalmente manifestazioni extrarenali o un’importante anamnesi familiare per insufficienza renale. L’incubazione di tessuto renale con anticorpi anti membrana basale glomerulare di solito rivela assenza di colorazione nella nefrite ereditaria e la presenza di colorazione nella malattia della membrana basale sottile.

Prognosi e terapia

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Disordini renali ereditari e congeniti

La prognosi a lungo termine è eccellente. I pochi pazienti che evolvono verso l’insufficienza renale progressiva di solito mostrano glomerulosclerosi focale e segmentaria alla biopsia renale, forse come reperto concomitante. Per i pazienti che presentano frequenti episodi di ematuria franca o dolore lombare, la somministrazione di ACE-inibitori può essere di beneficio, forse attraverso la diminuzione della pressione intraglomerulare.

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Disordini renali ereditari e congeniti

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 230. DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI NEFROPATIE NON CISTICHE NAIL-PATELLA SYNDROME (SINDROME UNGHIA-ROTULA) (Osteo-onicodisplasia; onico-osteodisplasia; artro-onicodisplasia;) È un raro disordine ereditario del tessuto mesenchimale caratterizzato da anomalie ossee, delle articolazioni, delle unghie della mano e dei piedi e dei reni. Questa malattia autosomica dominante è legata al locus del gruppo sanguigno ABO. La più frequente displasia scheletrica è l’ipoplasia unilaterale o bilaterale oppure l’assenza della rotula, la sublussazione delle teste radiali ai gomiti e creste iliache accessorie bilaterali. Le unghie della mano e dei piedi sono assenti o ipoplasiche con formazione di cicatrici depresse con rugosità. Possono verificarsi anormalità oculari, ma non sordità. Le modificazioni istologiche renali al microscopio ottico non sono specifiche e si presentano con ispessimento localizzato della parete capillare. Possono presentarsi depositi glomerulari focali non specifici di IgM e C3, nelle aree sclerotiche. Le modificazioni ultrastrutturali caratteristiche sono rappresentate da aree localizzate di rarefazione della membrana basale glomerulare con depositi intramembranosi con l’aspetto e la periodicità del collageno. La disfunzione renale si verifica in circa la metà dei pazienti e si manifesta con proteinuria e, raramente, con ematuria. La proteinuria è solitamente minima, ma talvolta può raggiungere livelli da sindrome nefrosica. La malattia viene diagnosticata dai tipici reperti clinici e radiografici e può essere confermata dalla biopsia renale. Un terzo circa dei pazienti con interessamento renale progredisce lentamente fino all’insufficienza renale, il cui trattamento è lo stesso che si effettua nelle altre cause di insufficienza renale cronica (v. Cap. 222). Sono stati eseguiti con successo trapianti senza evidenze di recidiva della malattia nel rene trapiantato. La consulenza genetica è indicata.

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Traumi della via urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 232. TRAUMI DELLA VIA URINARIA L’apparato genitourinario è implicato in circa il 10-15% di tutti i traumi addominali. I traumi genitourinari sono causati da forze esterne che provocano un trauma chiuso o penetrante (molto comunemente, incidenti stradali, cadute o ferite da arma da fuoco o da arma bianca) o da lesioni iatrogene. Sono spesso subdoli e richiedono un alto indice di sospetto per un precoce riconoscimento. L’utilizzazione di algoritmi diagnostici e terapeutici minimizza le complicanze e preserva le funzionalità degli organi.

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Traumi della via urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 232. TRAUMI DELLA VIA URINARIA TRAUMA RENALE Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

I traumi renali sono responsabili di circa il 65% di tutte le lesioni genitourinarie. Le cause sono il trauma chiuso (nell’80%), il trauma penetrante (aumentato in tempo di guerra e nelle aree ad alta densità criminale) e le lesioni iatrogene (dovute alla chirurgia, alla litotripsia extracorporea a onda d’urto o alla biopsia renale). Le complicanze comprendono sanguinamento persistente, fuoriuscita di urina, formazione di ascessi e ipertensione.

Diagnosi La diagnosi richiede un’anamnesi dettagliata e l’esame obiettivo, con esami di laboratorio e radiologici specifici. È importante valutare il meccanismo della lesione, ogni indicazione clinica suggestiva di trauma renale (p. es., segni della cintura di sicurezza, contusioni lombari, fratture delle ultime coste), PA iniziale e Htc e la presenza di ematuria. La valutazione diagnostica procede utilizzando la radiologia, una stretta osservazione o l’esplorazione chirurgica. Tutti i pazienti emodinamicamente stabili dovrebbero essere sottoposti ad accertamenti radiologici per un’accurata valutazione della estensione del trauma renale. Fa eccezione il paziente adulto che, dopo un trauma chiuso, ha una PA stabile, ematuria microscopica e non presenta segni clinici di trauma lombare. La scelta della metodica per immagini deve essere concordata con l’équipe traumatologica e dipende dalla situazione clinica. L’urografia e la TC forniscono un’adeguata informazione riguardo i reni, ma la TC è preferibile nei pazienti politraumatizzati. Il ruolo diagnostico dell’angiografia è diminuito con l’avvento della TC, ma l’angiografia può aiutare a identificare un sanguinamento vascolare prima dell’embolizzazione. Basandosi sulla valutazione diagnostica, il trauma renale può essere classificato come lesione renale minore, che comprende contusioni e lacerazioni superficiali, o come lesione renale maggiore, che include lacerazioni che si estendono fino alla porzione profonda della midollare del rene (con o senza coinvolgimento del sistema collettore) così come la lesione vascolare renale.

Terapia Un approccio diagnostico aggressivo combinato, è essenziale per un esito favorevole. Ciò implica una valutazione coordinata clinica e di laboratorio in tutti i pazienti, con l’utilizzo selettivo delle indagini radiografiche e della terapia chirurgica. Quando vi è indicazione alla chirurgia renale, una stretta attenzione

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Traumi della via urinaria

alle varie tecniche ricostruttive è fondamentale per evitare la perdita del rene. Un’isolata lesione renale minore da trauma chiuso in un paziente che si presenta soltanto con microematuria può essere trattata con la sola osservazione. I pazienti con ematuria franca che hanno contusioni o lacerazioni minori devono essere posti a stretto riposo a letto finché le urine non si schiariscono del tutto. I traumi penetranti di solito richiedono l’esplorazione chirurgica, a eccezione dei casi in cui sia stata effettuata un’accurata stadiazione della lesione renale e non vi siano altre lesioni intraaddominali che richiedano trattamento chirurgico. Le lesioni iatrogene renali raramente richiedono terapia chirurgica.

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Traumi della via urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 232. TRAUMI DELLA VIA URINARIA TRAUMA VESCICALE Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

La vescica rende conto di circa il 20% dei traumi esterni genitourinari. I traumi vescicali esterni sono causati da trauma chiuso o penetrante del basso addome o della pelvi, di solito da incidenti stradali o cadute. Le lesioni vescicali iatrogene sono provocate dall’endoscopia, laparoscopia o chirurgia pelvica a cielo aperto. Complicanze specifiche della lesione vescicale comprendono infezione, incontinenza e instabilità vescicale.

Diagnosi I traumi chiusi vescicali dovrebbero essere sospettati dopo traumi esterni addominali o pelvici in ogni paziente che si presenta con ogni tipo di ematuria. Segni clinici suggestivi comprendono: dolorabilità addominale o distensione, frattura pelvica e instabilità minzionale. La cistografia viene impiegata per confermare la diagnosi e classificare il trauma vescicale. Le rotture extraperitoneali costituiscono il più comune tipo di trauma vescicale maggiore e sono di solito associate a fratture pelviche. Le rotture intraperitoneali coinvolgono la cupola e di solito si verificano in presenza di distensione vescicale al momento del trauma. Le contusioni rappresentano lesioni della parete vescicale senza perdita urinaria e possono dar luogo a una dislocazione mediale della vescica.

Terapia La mortalità è circa del 20% ed è correlata all’estensione delle lesioni associate. La scelta del trattamento dipende dal tipo di trauma vescicale e dalla gravità delle lesioni associate. Le rotture extraperitoneali devono essere riparate per via chirurgica, a meno che non siano piccole e non interessino il meccanismo sfinteriale urinario nella regione del collo vescicale. In questi casi, un ampio catetere transuretrale può fornire il drenaggio sufficiente per la guarigione. Le rotture intraperitoneali richiedono un’immediata esplorazione e riparazione chirurgica. Le contusioni vescicali possono essere trattate con drenaggio tramite catetere transuretrale.

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Traumi della via urinaria

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Traumi della via urinaria

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 232. TRAUMI DELLA VIA URINARIA TRAUMA URETERALE Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

I traumi ureterali esterni costituiscono circa l’1% di tutti i casi di trauma genitourinario. I traumi penetranti da ferite da arma da fuoco sono la causa più comune. Nei bambini, il trauma ureterale chiuso si verifica come conseguenza di iperestensione della colonna in seguito a una rapida decelerazione, di solito durante un incidente automobilistico. Soprattutto le lesioni iatrogene sono la causa più frequente di trauma ureterale e sono provocate dall’ureteroscopia, dall’isterectomia per via addominale o dalla resezione colica anteriore bassa. Complicanze del trauma ureterale comprendono infezione, fistola e stenosi. Una diagnosi precoce di trauma ureterale e un’attenta ricostruzione dell’uretere sono importanti nel minimizzare le complicanze e preservare la funzione renale.

Diagnosi La diagnosi di trauma ureterale richiede un alto indice di sospetto poiché i sintomi e i segni iniziali non sono specifici. L’ematuria è assente in 30% dei casi. Le iniziali indagini per immagine utilizzano l’urografia. Se i risultati non sono conclusivi, deve essere eseguita l’ureteropielografia retrograda. Talvolta la diagnosi è posta in sala operatoria in corso di laparotomia esplorativa. In caso di diagnosi tardiva, i reperti clinici comprendono ileo prolungato, perdita urinaria, ostruzione urinaria, anuria e sepsi.

Terapia Il trattamento dipende dal tempo impiegato per la diagnosi, dal meccanismo della lesione e dalle condizioni generali del paziente. Quando la condizione è diagnosticata immediatamente, una pronta riparazione chirurgica è la terapia preferita. In un paziente instabile o quando il trauma ureterale è scoperto dopo un intervento chirurgico, il primo passo è inserire un tubo nefrostomico percutaneo per deviare le urine. Gli studi di diagnostica per immagini sono eseguiti successivamente per caratterizzare ulteriormente la lesione e programmare un’appropriata riparazione chirurgica. Le tecniche ricostruttive comprendono il reimpianto ureterale, l’anastomosi ureterale primaria, un lembo vescicale anteriore, l’interposizione ileale e l’autotrapianto.

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Traumi della via urinaria

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.) Le neoplasie dell’apparato GU possono presentarsi a qualsiasi età. Includendo il cancro della prostata, sono responsabili di circa il 42% delle neoplasie maligne negli uomini e del 4% nelle donne.

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

CARCINOMA RENALE (Ipernefroma; adenocarcinoma del rene)

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

L’adenocarcinoma renale rappresenta circa il 2% dei tumori dell’età adulta. Il rapporto uomini:donne è valutato 3:2. La maggior parte dei tumori solidi renali è maligna.

Sintomi, segni e diagnosi L’ematuria, macroscopica o microscopica, è il più comune segno di esordio, seguita da dolore al fianco, massa palpabile e FOI. Talvolta si verifica ipertensione dovuta a ischemia segmentale o a compressione del peduncolo, e policitemia secondaria ad accresciuta attività dell’eritropoietina. Il numero di carcinomi renali scoperti incidentalmente è in progressivo aumento a causa di un incrementato impiego dell’ecografia e della TC addominale. A volte, una neoplasia renale può essere sospettata in base al risultato di una scintigrafia ossea o renale. L’urografia endovenosa o l’ecografia confermano la presenza della massa e la TC fornisce informazioni riguardanti la sua densità, l’estensione locale e il coinvolgimento linfonodale e venoso. La RMN offre ulteriori informazioni riguardo l’estensione alle strutture adiacenti, particolarmente la vena renale e la vena cava e ha largamente sostituito la cavografia della cava inferiore. L’aortografia e l’arteriografia selettiva renale possono essere utilizzate per definire la natura del tumore renale e per fornire una descrizione più accurata del numero di arterie renali presenti e del disegno vascolare in preparazione all’intervento chirurgico, in particolare in caso di intervento che preveda di risparmiare il rene. È essenziale una rx del torace, poiché le metastasi polmonari si presentano frequentemente.

Prognosi e terapia Il carcinoma renale metastatizzato ha una prognosi infausta, poiché è radioresistente e i tradizionali farmaci chemioterapici, singolarmente o in combinazione, e i farmaci progestinici non sono efficaci. In alcuni pazienti, l’immunoterapia riduce le dimensioni del tumore e aumenta la sopravvivenza. L’impiego di interleuchina-2 è stato approvato per il carcinoma renale metastatizzato; si stanno studiando varie combinazione di questo farmaco e di altri agenti biologici. È estremamente rara la remissione spontanea delle lesioni file:///F|/sito/merck/sez17/2332055b.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.44

Neoplasie genitourinarie

metastatiche dopo nefrectomia che di per sé non giustifica tale intervento. La nefrectomia radicale transaddominale con rimozione dei linfonodi regionali è il trattamento standard e offre una possibilità ragionevole di guarigione nei casi di tumore localizzato. La chirurgia nephron-sparing (nefrectomia parziale) può essere possibile e appropriata in alcuni pazienti, anche in pazienti selezionati con rene controlaterale normale. Il coinvolgimento neoplastico della vena renale e della vena cava, senza metastasi linfonodali e a distanza, costituisce uno stadio della malattia potenzialmente curabile chirurgicamente.

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

NEOPLASIA RENALE SECONDARIA Il parenchima renale può essere la sede di tumori secondari (spesso multipli) metastasi di tumori solidi (in particolar modo polmone, mammella, stomaco, organi ginecologici, intestino e pancreas). Le cellule leucemiche maligne proliferanti e i linfomi possono invadere i reni che appaiono più grandi, spesso in maniera asimmetrica. Malgrado l’esteso interessamento interstiziale, sono poche le alterazioni funzionali. La proteinuria è assente o non significativa e un aumento della concentrazione di urea o di creatinina nel sangue è raro, a meno che non si verifichino delle complicanze (p. es., nefropatia da acido urico, ipercalcemia, infezione batterica). L’urografia può rivelare allungamento caliceale e restringimento dovuto a infiltrazione diffusa, e la TC può essere indicativa di un tumore infiltrante. Il trattamento dovrebbe consistere nella terapia sistemica della neoplasia primitiva e non chirurgica.

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

NEOPLASIA DELLA PELVI RENALE E DELL’URETERE I tumori della pelvi renale e dell’uretere sono istologicamente simili (cioè di solito a cellule transizionali, talvolta a cellule squamose). L’ematuria è il segno principale e il dolore di tipo colico può accompagnare l’ostruzione. La diagnosi si stabilisce trovando un difetto di riempimento all’urografia o alla pielografia retrograda. La TC può essere d’aiuto nel differenziare un calcolo radiotrasparente da un tumore o da un coagulo e può aiutare nella stadiazione. La citologia urinaria può essere diagnostica. L’ureteroscopia e la nefroscopia possono essere d’aiuto nella valutazioni dei tumori più piccoli o a basso grado. Per i tumori operabili localizzati, la prognosi è buona. Sono indicate cistoscopie periodiche di follow-up, in quanto i tumori tendono a recidivare nella vescica e, se individuati in uno stadio precoce, possono essere trattati con folgorazione, resezione transuretrale o con lavaggi vescicali con vari farmaci. Il trattamento è di solito rappresentato da nefroureterectomia radicale, incluso un lembo di vescica. Talvolta è indicata ureterectomia parziale (p. es., neoplasie dell’uretere distale, diminuita funzionalità renale, monorene).

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

TUMORI DELLA VESCICA Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il rapporto uomini:donne nell’incidenza del cancro della vescica è circa 5:2 e vi sono circa 54500 nuovi casi/anno negli USA (valutazione del 1997). Le sostanze cancerogene urinarie conosciute comprendono fenacetina, ciclofosfamide, β-naftilamina, p-aminodifenile (coloranti dell’anilina), alcuni prodotti chimici intermedi della lavorazione della gomma, i metaboliti del triptofano. Il fumo è il più comune fattore di rischio e la causa sottostante del 50% dei nuovi casi. L’irritazione cronica (p. es., nella schistosomiasi, con la presenza di calcoli vescicali) predispone al cancro della vescica.

Anatomia patologica Il carcinoma a cellule di transizione è l’isotipo più comune. La neoplasia può variare, presentarsi come un tumore papillare superficiale ben differenziato o come una neoplasia poco differenziata e altamente invasiva. Il carcinoma a cellule squamose è meno frequente e, di solito, è associato a infestazione parassitaria o flogosi cronica della mucosa. L’adenocarcinoma può presentarsi come un tumore primitivo, ma dovrebbe essere esclusa una diffusione metastatica da un carcinoma intestinale.

Sintomi, segni e diagnosi La microematuria può essere il primo segno. Anche piuria, disuria, stranguria e pollachiuria sono frequenti segni iniziali. Il dolore pelvico si manifesta a malattia avanzata. Si può palpare una massa sovrapubica all’esame bimanuale. I difetti di riempimento della vescica alla cistografia o nella fase cistografica della urografia sono indicativi di una neoplasia vescicale. La citologia urinaria è frequentemente positiva per cellule tumorali. La diagnosi è posta tramite cistoscopia e biopsia o resezione transuretrali. L’esame bimanuale sotto anestesia, la TC, l’ecografia e la RMN pelviche aiutano a stabilire la stadiazione.

Prognosi e terapia file:///F|/sito/merck/sez17/2332056b.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.46

Neoplasie genitourinarie

In pazienti con neoplasie superficiali, la morte da tumore vescicale è molto rara. In pazienti con lesioni che invadono in profondità la muscolatura vescicale, la sopravvivenza è bassa (circa il 50% a 5 anni), ma la chemioterapia adiuvante può migliorare questi risultati. Il carcinoma a cellule squamose della vescica ha una prognosi cattiva poiché di solito è altamente infiltrante e dà segni in uno stato più avanzato. Le neoplasie superficiali in fase iniziale (compresa l’invasione superficiale della muscolare vescicale) possono essere completamente asportate mediante resezione transuretrale e folgorazione. Le recidive nella stessa o in altre sedi vescicali, sono relativamente comuni e possono essere ridotte da ripetute instillazioni di farmaci chemioterapici come il thiotepa (ora impiegato raramente), la mitomicina C o la doxirubicina. L’instillazione del bacillo di Calmette-Guérin (BCG) tiene sotto controllo le neoplasie vescicali superficiali, in particolare il carcinoma in situ e altri carcinomi a cellule di transizione di alto grado. La terapia con instillazioni vescicali può essere il trattamento di pazienti selezionati le cui neoplasie non possono essere completamente resecate. La fotoradiazione è disponibile in pochi centri (in protocolli di studio) per il trattamento di casi altamente selezionati di carcinoma vescicale superficiale. Un pigmento fotosensibile derivato dell’ematoporfirina viene iniettato EV e captato soprattutto dalle cellule neoplastiche. La luce laser rossa attiva il pigmento, mediando il rilascio di sostanze chimiche altamente reattive che distruggono le cellule neoplastiche. L’ottimizzazione dei criteri di selezione, il dosaggio e i risultati a lungo termine non sono ancora stati determinati. Le neoplasie che invadono in profondità la parete vescicale all’interno o infiltrandola, di solito, richiedono una cistectomia parziale (circa il 5% dei pazienti) o radicale. Per pazienti che non possono o non vogliono sottoporsi a cistectomia radicale, che necessitano di una contemporanea diversione urinaria, la radioterapia da sola o in combinazione con la chemioterapia può essere curativa. La diversione urinaria di solito implica l’incanalamento dell’urina in una stomia addominale mediante un condotto ileale e la sua raccolta in una sacca esterna. Stanno cominciando a essere sempre più comuni diversi metodi alternativi (neovescica ortotopica, diversione cutanea continente) e per alcuni pazienti sono appropriati. In entrambi i metodi, viene costruito un reservoir interno con le anse intestinali. Nel caso della neovescica ortotopica, il reservoir è connesso all’uretra. Il paziente svuota questo reservoir rilasciando i muscoli del pavimento pelvico e aumentando la pressione addominale in maniera da far passare l’urina dall’uretra in un modo quasi naturale. Molti pazienti mantengono il controllo della minzione durante il giorno, ma si possono verificare alcuni episodi di incontinenza notturna. In caso di diversione cutanea continente, il reservoir è connesso a una stomia addominale continente. Il paziente svuota il reservoir con autocateterizzazione a intervalli regolari durante tutto il giorno. Le neoplasie metastatiche necessitano di chemioterapia. Diverse differenti combinazioni di farmaci sono attive contro questo tipo di tumore, ma relativamente pochi pazienti sono curati. Raramente, la cistectomia e la diversione urinaria sono effettuate per scopi palliativi.

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

NEOPLASIA URETRALE Il carcinoma uretrale è raro, si verifica sia negli uomini che nelle donne e può essere a cellule squamose, di transizione o, talvolta, un adenocarcinoma. I sintomi sono costituiti da ematuria e da tumefazione locale. Possono presentarsi sintomi ostruttivi. Nell’uomo, è comune una storia di stenosi uretrale. Nella donna, la diagnosi è suggerita dalla presenza di masse friabili e sanguinanti nel meato uretrale esterno. Per poter differenziare tra carcinoma dell’uretra, prolasso uretrale e caruncola uretrale è a volte necessaria una biopsia escissionale. La prognosi dipende dalla precisa localizzazione nell’uretra e dall’estensione del tumore. La radioterapia, la chirurgia radicale o entrambe hanno dato risultati variabili.

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Neoplasie genitourinarie

Manuale Merck 17. DISORDINI GENITOURINARI 233. NEOPLASIE GENITOURINARIE (v. anche Cap. 142.)

NEOPLASIE DEL TESTICOLO Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Prognosi

L’origine e la natura delle masse scrotali deve essere determinata con accuratezza poiché molte masse testicolari sono maligne e le masse extratesticolari benigne. Le neoplasie testicolari sono responsabili di molti tumori solidi nei maschi < 30 anni. L’incidenza è di 2,5-20 volte maggiore nei pazienti con criptorchidismo, anche se il testicolo non disceso è stato portato giù per via chirurgica. Anche il testicolo disceso normalmente è a rischio di tumore. La causa delle neoplasie testicolari è sconosciuta.

Anatomia patologica I tumori maligni del testicolo originano dalla cellula germinativa primordiale e si differenziano in seminoma, teratoma, carcinoma embrionale, tumore del seno endodermico (tumore del sacco vitellino) e coriocarcinoma. Combinazioni istologiche sono comuni, p. es., il teratocarcinoma contiene il teratoma più il carcinoma embrionale. Sono rari i tumori stromali di cellule specializzate del testicolo. I tumori che originano nell’epididimo, nelle appendici testicolari e nel funicolo spermatico sono di solito fibromi benigni, fibroadenomi, tumori adenomatosi e lipomi. I sarcomi, più comunemente il rabdomiosarcoma, si presentano saltuariamente, soprattutto nei bambini.

Sintomi, segni e diagnosi L’abituale segno di presentazione è una massa scrotale, talvolta associata a dolore. Molti pazienti notano la massa in occasione di un trauma minore. Un’emorragia intratumorale può produrre dolore localizzato e dolorabilità alla palpazione. Ogni massa scrotale fissa nel testicolo è motivo di immediato sospetto clinico di tumore testicolare. L’esame obiettivo e l’ecografia possono localizzare la lesione nel testicolo. La diagnosi viene stabilita con l’esplorazione inguinale chirurgica, esposizione e clampaggio del funicolo prima di manipolare ed esporre il testicolo anormale. Gli esami diagnostici dovrebbero includere test radioimmunologici per l’αfetoproteina e la β-gonadotropina umana corionica. Questi marker, quando elevati, indicano la presenza di tumore; sono preziosi nel follow-up dei pazienti file:///F|/sito/merck/sez17/2332059c.html (1 of 2)02/09/2004 2.51.48

Neoplasie genitourinarie

con tumori testicolari accertati, specialmente dei tipi non seminomatosi. La rx del torace e la TC addominale e pelvica sono importanti per la stadiazione e il controllo a distanza. La linfoangiografia pedidea si esegue raramente.

Prognosi La prognosi dipende dall’istologia e dell’estensione del tumore. Le percentuali di sopravvivenza sono > 95% a 5 anni per i seminomi e i tumori non seminomi localizzati al testicolo o con metastasi retroperitoneali di piccole dimensioni. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni per tumori con estese metastasi retroperitoneali o polmonari o con altre metastasi viscerali è peggiore e varia con la sede, le dimensioni e l’istologia delle metastasi. L’orchiectomia radicale (inguinale), pietra angolare della terapia, fornisce importanti informazioni istopatologiche (in particolare la proporzione dei vari tipi istologici e la presenza di invasione vascolare intratumorale o linfatica) per pianificare l’ulteriore terapia. Questi parametri possono accuratamente predire il rischio di metastasi occulte linfonodali, così i pazienti a basso rischio, con indagini radiologiche e marker tumorali normali, possono essere i candidati per protocolli di sorveglianza, specialmente i pazienti con neoplasie delle cellule germinali non seminomatose piuttosto che quelli con seminoma. Altrimenti, la terapia standard per il seminoma è l’irradiazione dopo orchiectomia monolaterale, di solito 25-40 Gy (2500-4000 rad) alle regioni ileoinguinale ipsilaterale e paraaortica fino al diaframma (e talvolta le regioni mediastinica e sopraclaveare sinistra, a seconda dello stadio clinico). Per le neoplasie a cellule germinali non seminomatose, la terapia standard è la dissezione linfonodale retroperitoneale. I pazienti con tumefazioni linfonodali retroperitoneali di dimensioni intermedie possono richiedere dissezione dei linfonodi retroperitoneali e chemioterapia, ma si sta dibattendo quale sia la sequenza ottimale. I pazienti con tumefazioni linfonodali maggiori di 10 cm, con metastasi linfonodali al disopra del diaframma o metastasi viscerali, richiedono una chemioterapia di combinazione basata sul platino, seguita dall’intervento chirurgico sulla massa residua. Questa terapia di solito ottiene un controllo a lungo termine del tumore.

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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE LESIONI CUTANEE PRIMITIVE Le lesioni primitive sono le prime alterazioni cutanee che non hanno già subito evoluzione naturale, né alcun cambiamento da manipolazione. Esse rappresentano il migliore indizio ai fini della diagnosi. La macula è una lesione piana, di forma variabile, piccola (< 10 mm) e discromica. Le macchie sono larghe macule (> 10 mm). Esse includono efelidi, nevi, tatuaggi, macule vino-porto ed eruzioni per infezione da rickettsia, morbillo, rosolia e alcune reazioni allergiche da farmaci. La papula è una lesione solida, con diametro solitamente < 10 mm. Le placche sono lesioni a piastra > 10 mm, che possono derivare dalla confluenza di più papule. Esse includono le verruche volgari, alcuni nevi, la psoriasi, il sifiloma, il lichen planus, alcune eruzioni da farmaci, le punture d’insetto, le cheratosi seborroiche e attiniche, alcune lesioni da acne e le neoplasie cutanee. Il nodulo è una lesione solida, palpabile, di 5-10 mm che può essere a volte elevata. I noduli di maggiori dimensioni (≥ 20 mm) vengono chiamati tumori. Essi comprendono cisti cheratiniche, piccoli lipomi, fibromi, eritema nodoso, alcuni linfomi e altre neoplasie. La vescicola è una lesione circoscritta e rilevata, a contenuto sieroso, di diametro < 5 mm; se è di dimensioni ≥ 5 mm, viene chiamata bolla. Sia le vescicole che le bolle vengono comunemente determinate da sostanze irritanti primarie, dermatite allergica da contatto, traumi fisici, ustioni, punture d’insetto o infezioni virali (herpes simplex, varicella, herpes zoster); altre cause includono le eruzioni da farmaci, il pemfigo, la dermatite erpetiforme, l’eritema multiforme, l’epidermolisi bollosa e il pemfigoide. Le pustole sono lesioni superficiali, rilevate, a contenuto purulento. Possono derivare dall’infezione o dall’evoluzione siero-purulenta di vescicole o bolle. Alcune cause determinanti sono l’impetigine, l’acne, le follicoliti, i foruncoli, il carbonchio cutaneo, alcune forme di micosi profonda, l’idrosadenite suppurativa, il kerion, la miliaria pustolosa e la psoriasi pustolosa palmo-plantare. I pomfi (orticaria) sono lesioni transitorie, rilevate, determinate da un improvviso edema localizzato. Essi sono espressione di reazioni allergiche, p. es., da farmaci, da punture o morsi d’insetto, da calore, da freddo, da pressione e da reazione solare. La presenza di ampie aree di edema localizzato nel tessuto sottocutaneo definisce il quadro dell’edema angioneurotico. Porpora è un termine generico che si riferisce a zone di stravaso ematico. Le petecchie sono piccoli focolai di stravaso, ben delimitati, mentre le ecchimosi sono aree più vaste e confluenti. Il termine ematoma si riferisce a un’area di imponente emorragia nella cute e nei tessuti sottostanti. Le teleangectasie sono vasi sanguigni superficiali dilatati. Si manifestano in corso di rosacea, in alcune patologie sistemiche (atassia teleangectasica, sclerodermia) o in terapia a lungo termine con cortisonici fluorurati topici; la maggior parte dei casi ha origine idiopatica. La teleangectasia può inoltre manifestarsi come parte di affezioni ereditarie, come nell’atassia teleangectasica e nell’emorragia teleangectasica ereditaria.

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Diagnosi delle malattie cutanee

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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE LESIONI CUTANEE SECONDARIE Le lesioni cutanee secondarie si manifestano quando le lesioni primarie subiscono un’evoluzione naturale (p. es., la rottura di una vescicola) o vengono toccate dal paziente (p. es., il grattamento di una vescicola). Le squame sono un agglomerato di lamelle derivanti dallo sfaldamento dello strato corneo epidermico. Le più comuni lesioni squamose si riscontrano nella psoriasi, nella dermatite seborroica, nella tinea versicolor, nelle dermatomicosi superficiali, nella pityriasis rosea e nelle dermatiti croniche di diversa origine. Le croste sono lesioni costituite dall’essiccamento di liquidi come siero, sangue o pus. In effetti, le croste si formano in molte malattie infiammatorie e infettive della cute. L’erosione è una perdita circoscritta di una parte o di tutta l’epidermide. Si riscontra spesso nelle manifestazioni da herpesvirus e nel pemfigo. Le ulcere sono una perdita localizzata dell’epidermide e di almeno una parte del derma. Di fatto, le ulcerazioni possono risultare, attraverso meccanismi facilmente intuibili, da traumi fisici o da infezioni batteriche acute. Invece, le cause meno ovvie di ulcerazione cutanea comprendono alcune infezioni batteriche o micotiche croniche, diverse vasculopatie periferiche e neuropatie, sclerodermia sistemica e tumori. L’escoriazione è un’area lineare o depressa, crostosa, causata dal grattamento, dallo sfregamento o dalla detersione troppo vigorosa. La lichenificazione è una zona di ispessimento della cute con accentuazione della tipica quadrettatura. La dermatite atopica e il lichen simplex cronico (dermatite localizzata da grattamento) sono tipiche cause di lichenificazione. L’atrofia è un assottigliamento "a carta di sigaretta" della cute. Si manifesta in età senile, nel LED, dopo terapie topiche a lungo termine con potenti corticosteroidi e a volte in alcune ustioni. Le cicatrici sono zone di tessuto fibroso che rimpiazza la cute normale dopo distruzione di parte del derma. Le cicatrici possono essere causate da ustioni, ferite o, meno comunemente, da malattie pregresse (p. es., LED).

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento. In genere, le autorità mediche competenti non concordano sull’uso dei termini sinonimi eczema e dermatite. Spesso, eczema viene riferito a dermatiti vescicolari, ma alcuni limitano eczema al significato di dermatite cronica. Inoltre, alcuni attribuiscono a dermatite la dermatite spongiosa, in quanto la spongiosi (edema intraepidermico) è una sua caratteristica istologica.

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

DERMATITE ATOPICA Infiammazione superficiale della cute, cronica e pruriginosa, frequentemente correlata a storia familiare o personale di malattie allergiche (p. es., febbre da fieno, asma).

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e decorso Complicanze Diagnosi Terapia

Eziologia La suscettibilità è di origine genetica, ma la patologia viene indotta da vari agenti e fattori ambientali. Molti allergeni inalanti e alimentari evocano, mediante scarificazione o test intradermico, reazioni di tipo orticarioide e infiammatorio generalmente poco rilevanti; la sospensione, in genere, non causa la remissione, se non talvolta, nei giovani pazienti. I pazienti con dermatite atopica mostrano abitualmente un livello sierico di reagine (IgE) anticorpali molto elevato, una spiccata eosinofilia nel sangue periferico e alti livelli di fosfodiesterasi AMPc nei GB. Comunque l’origine e il significato di questi segni ematochimici rimangono a tutt’oggi sconosciuti.

Sintomi, segni e decorso La dermatite atopica esordisce a volte già nei primi mesi di vita, con eritema, essudazione, lesioni crostose al viso, al cuoio capelluto, alle estremità e nella zona sottostante il pannolino. Nella seconda infanzia e negli adulti, la dermatite atopica diventa più localizzata e cronica, con tipiche lesioni lichenificate, eritematose, localizzate nelle fosse antecubitale e poplitea e su collo, polsi e palpebre. Il decorso è imprevedibile. Sebbene questa dermatite migliori spesso all’età di 3 o 4 anni, le esacerbazioni sono comuni durante l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. Il prurito è costante e il grattamento e lo sfregamento che ne conseguono, instaurano un circolo vizioso caratterizzato da prurito-grattamento-eruzionenuovo prurito. Questa dermatite può anche assumere un carattere generalizzato (v. oltre). Comunemente si possono manifestare infezioni batteriche e linfoadeniti regionali. L’uso frequente di farmaci brevettati o galenici espone questi pazienti a file:///F|/sito/merck/sez10/1110850.html (1 of 3)02/09/2004 2.53.21

Dermatiti

molte sostanze allergeniche topiche, che possono aggravare e complicare la dermatite atopica e spesso seccare ulteriormente la cute di questi pazienti. Sono comuni le intolleranze ad agenti irritanti ambientali; inoltre, si ritiene che stress emotivi e bruschi cambiamenti di temperatura e umidità, infezioni cutanee batteriche, profumi, ammorbidenti e indumenti di lana, siano generalmente in grado di esacerbare il quadro clinico.

Complicanze I pazienti affetti da molti anni da dermatite atopica, possono sviluppare cataratte nel 2o o 3o decennio di vita. Le cataratte possono essere un segno di atopia o il risultato dell’uso prolungato, sistemico e topico, di farmaci corticosteroidei. L’herpes simplex può talvolta indurre un’eruzione vescicolare generalizzata, dolente, a volte accompagnata, nei pazienti atopici, da una grave forma febbrile (eczema erpetico). Gli acari della polvere, la tappezzeria e i tappeti possono esacerbare la dermatite atopica

Diagnosi La diagnosi si basa sulla distribuzione e sulla durata delle lesioni e spesso su una storia familiare di atopia o sulla presenza di lesioni lichenificate. Poiché spesso è molto difficile effettuare una diagnosi differenziale con la dermatite seborroica infantile e con la dermatite da contatto a qualunque età, il medico deve esaminare accuratamente il paziente prima di porre la diagnosi definitiva. Inoltre, il medico deve essere cauto nel non attribuire tutti i successivi problemi cutanei alla diatesi atopica.

Terapia Per quanto possibile, devono essere evitati contatti con agenti lesivi e farmaci topici. I corticosteroidi in crema o unguento, applicati tre volte al giorno, rappresentano una terapia tra le più efficaci. Poiché i corticosteroidi topici sono molto costosi, la terapia può essere integrata o alternata con vaselina bianca, oli vegetali idrogenati (olio da cucina), o vaselina idrogenata (a meno che il paziente sia allergico alla lanolina). Questi emollienti, associati alla terapia corticosteroidea, aiutano a idratare la cute, obiettivo importante del trattamento. Nei bambini, va evitato l’uso prolungato e diffuso di creme o unguenti corticosteroidei ad alta potenza, in quanto potrebbe portare a un blocco surrenalico. Gli adulti possono trarre beneficio dal trattamento con radiazioni ultraviolette B, psoraleni più raggi ultravioletti A ad alta intensità (PUVA, v. Psoriasi nel Cap. 117), oppure con una ristretta banda di raggi ultravioletti A senza l’ausilio di psolareni. A causa dei potenziali effetti collaterali a lungo termine, la PUVA è raramente indicata nei bambini e nei giovani. I bagni vanno limitati, in quanto esacerbano la sintomatologia, perciò i saponi detergenti non sono consigliabili su aree affette da dermatite poiché possono disidratare e irritare la cute. Al contrario, le sostanze oleose garantiscono una migliore lubrificazione cutanea; è consigliabile l’applicazione di corticosteroidi o unguenti emollienti entro 3 min. dal bagno, prima che la cute si asciughi, al fine di aumentarne l’efficacia. Gli antiistaminici possono dare un certo sollievo, ma sono spesso sedativi e anticolinergici. La doxepina, è un antidepressivo triciclico, possiede una spiccata file:///F|/sito/merck/sez10/1110850.html (2 of 3)02/09/2004 2.53.21

Dermatiti

attività antiistaminica e anche un utile effetto psicoterapeutico sui pazienti con prurito. La dose iniziale è di 25-50 mg PO, prima di coricarsi. La crema di doxepina al 5% può essere applicata qid, ma l’assorbimento percutaneo può avere ripercussioni sistemiche. Può essere utile anche l’idrocloruro di idrossizina a dosi di 25 mg tid o qid (in pediatria, 2 mg/kg/die in dose frazionata q 6 h). La difenidramina a 25-50 mg è consigliata prima di coricarsi, quando il prurito generalmente aumenta. Le unghie devono essere corte, in modo da ridurre al minimo le lesioni da grattamento e le conseguenti infezioni secondarie, nel cui caso si consiglia una penicillina penicillinasi-resistente oppure una cefalosporina qid. L’uso dei cortisonici orali deve essere considerato l’ultima risorsa ma, se ne viene iniziata la somministrazione, sono consigliate 1-2 sett. di terapia. Nanismo, osteoporosi e altri effetti collaterali, come l’effetto rebound dopo brusca sospensione, sono una frequente conseguenza dell’uso prolungato dei cortisonici sistemici. L’uso dei corticosteroidi a giorni alterni può essere utile nel ridurre l’insorgenza di effetti collaterali(p. es., negli adulti 20-40 mg di prednisone a mattine alterne). La dose iniziale deve essere mantenuta per molte settimane, quindi lentamente diminuita in concomitanza dell’inizio della terapia topica. Nei rari casi diffusi, resistenti o invalidanti, sono risultati efficaci i trattamenti sperimentali, come quello con ciclosporina emulsionata PO di 1,5-2,5 mg/kg bid negli adulti. Il tacrolimus è un unguento immunosoppressivo topico privo di effetti sistemici e può essere utilizzato nei bambini e negli adulti con grave dermatite atopica. Gli inibitori della 4-fosfodiesterasi, di recente scoperta, potrebbero diventare una terapia importante. Se la dermatite atopica resiste al trattamento domiciliare, l’ospedalizzazione, che comporta un cambiamento ambientale e maggiori cure e attenzioni dermatologiche e psicologiche verso il paziente, determina spesso un rapido miglioramento.

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Malattie a carattere desquamativo

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 117. MALATTIE A CARATTERE DESQUAMATIVO PSORIASI Malattia frequente, cronica e recidivante, caratterizzata da papule e placche di varia grandezza, ricoperte da squame argentee, ben delimitate e secche.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Il grado di gravità della psoriasi è variabile: da una-due lesioni a una dermatosi disseminata, a volte associata a esfoliazione o artrite deformante. La causa resta a tutt’oggi sconosciuta, ma le fini squame sono state sempre attribuite a un aumento della proliferazione epidermica e a una concomitante infiammazione dermica. La risposta della psoriasi alla terapia immunosoppressiva con ciclosporina suggerisce che il fattore patogenetico primario possa essere immunologico. Circa il 2-4% della popolazione di razza bianca è colpita da psoriasi; l’incidenza è decisamente minore nella razza nera. Di solito, colpisce individui di età compresa fra i 10 e i 40 anni, ma può presentarsi ad ogni età. La familiarità della psoriasi è di comune riscontro. Fatta eccezione per il marchio psicologico di una malattia cutanea antiestetica, lo stato generale di solito non è compromesso, almeno fino all’insorgenza di un’artrite psoriasica o di una psoriasi eritrodermica o di una psoriasi pustolosa.

Sintomi e segni L’inizio è di solito graduale. Il tipico decorso consiste in un alternarsi di remissioni ed esacerbazioni (talora acutissime) con una durata e una estensione molto variabili. I fattori determinanti l’improvvisa manifestazione clinica includono il trauma locale (fenomeno di Köbner, per cui le lesioni compaiono lungo l’area traumatizzata)e, occasionalmente, una irritazione (varianti del fenomeno di Köbner), una grave ustione solare, una viremia, delle reazioni allergiche ai farmaci (p. es., clorochina, antimalarici, litio, β-bloccanti o interferone−α) e interruzione di terapie sistemiche con corticosteroidi. Alcuni pazienti (specialmente i bambini) spesso hanno un’eruzione psoriasica dopo infezioni acute da streptococco β-emolitico di gruppo A. La psoriasi generalmente colpisce il capillizio (comprese le regioni retroauricolari), le superfici estensorie degli arti (soprattutto gomiti e ginocchia), la zona sacrale, i glutei e il pene. Le unghie, le sopracciglia, la regione ombelicale, le ascelle, la regione ano-genitale possono anch’esse essere coinvolte. In alcuni casi la dermatosi assume un carattere generalizzato. Le tipiche lesioni sono nettamente demarcate, variamente pruriginose, di forma ovoidale o circinata, di tipo eritemato-papuloso o a placche, ricoperte da squame spesse, argentee, micacee o traslucide e leggermente opalescenti. Le papule tendono talora a estendersi e confluire, formando placche di aspetto anulare e girato, sebbene questo effetto sia più comune nel linfoma cutaneo a cellule T. file:///F|/sito/merck/sez10/1170881b.html (1 of 4)02/09/2004 2.53.22

Malattie a carattere desquamativo

Tali lesioni guariscono senza esiti cicatriziali e senza alterare la crescita dei capelli. L’interessamento ungueale, nel 30-50% dei casi, è simile a un’infezione micotica, con depressioni puntiformi e butterate della lamina, perdita di colore ed eventuale scollamento dei margini latero-distali del letto ungueale (onicolisi) e possibile ispessimento con detriti ipercheratosici in sede subungueale. L’artrite psoriasica (v. Cap. 51) è spesso simile alla AR e può essere ugualmente mutilante, sebbene nel siero non sia presente il fattore reumatoide. La psoriasi eritrodermica (dermatite psoriasica esfoliativa) può essere refrattaria alla terapia. L’intera superficie cutanea ha uno sfondo eritematoso coperto da fini squame; le lesioni caratteristiche psoriasiche possono essere mascherate o del tutto assenti. Può portare a una debilitazione generale e alla necessità di ricovero ospedaliero. La psoriasi pustolosa è una varietà caratterizzata dalla comparsa di pustole sterili su tutta la superficie cutanea (tipo von Zumbusch) o in sede palmo-plantare (psoriasi di Barber); in questa varietà possono mancare le tipiche lesioni psoriasiche.

Diagnosi La psoriasi può essere confusa con la dermatite seborroica, con il carcinoma squamocellulare in situ (malattia di Bowen, prevalentemente localizzata al tronco), con la sifilide secondaria, con le dermatofitosi, con il lupus eritematoso cutaneo, con l’eczema, con il lichen ruber planus, con la pitiriasi rosea o con forme circoscritte di dermatite da grattamento (lichen simplex cronico). Comunque la diagnosi, anche con la semplice ispezione, risulta raramente difficoltosa; p. es., le lesioni con contorni netti, secchezza e facilità di scollamento e con l’aspetto delle larghe squame argentee, sono generalmente distinguibili dalla comune forfora grassa e dalle squame giallastre della dermatite seborroica. Sebbene i risultati ottenuti con la biopsia delle classiche aree siano solitamente caratteristici, le lesioni atipiche presentano aspetti anomali tali da rendere l’esame bioptico poco utile; altre patologie cutanee possono avere aspetti istologici psoriasiformi, che rendono a volte equivoca o difficoltosa la diagnosi all’esame microscopico.

Prognosi e terapia La prognosi dipende dalla estensione e dalla gravità dell’iniziale coinvolgimento del distretto cutaneo. In genere, più è precoce l’età d’insorgenza, maggiore sarà il livello di gravità. Le forme acute tendono a regredire, ma è eccezionale una remissione totale. Nessuna terapia è risolutiva, anche se in alcuni casi si può ottenere un controllo discreto e adeguato della malattia. In pazienti con un numero limitato di lesioni sarebbe auspicabile cominciare con l’utilizzo di farmaci più semplici quali lubrificanti, cheratolitici, corticosteroidi topici, derivati della vitamina D, antralina. L’esposizione alla luce solare risulta benefica, anche se talvolta piccole ustioni possono provocare esacerbazioni. Gli antimetaboliti per via sistemica (p. es., methotrexate, v. oltre) vanno riservati ai pazienti con grave coinvolgimento cutaneo e articolare. I farmaci immunosoppressivi (p. es., ciclosporina, tacrolimus, mycophenolate mofetil) sono stati usati in casi gravi e recidivanti, ma questi farmaci non sono attualmente approvati negli USA per il trattamento della psoriasi. I corticosteroidi sistemici non vanno mai usati a causa dei loro effetti collaterali, che comprendono una grave esacerbazione e delle lesioni pustolose sia durante la terapia (anche con aumento delle dosi) che in seguito. Creme lubrificanti, oli vegetali idrogenati (olio da cucina), vaselina bianca (da file:///F|/sito/merck/sez10/1170881b.html (2 of 4)02/09/2004 2.53.22

Malattie a carattere desquamativo

soli o con corticosteroidi, catrame, acido salicilico o antralina) vanno applicati due volte/die, dopo un bagno e a cute ancora umida. In alternativa creme o unguenti a base di catrame vanno cosparsi alla sera e risciacquati al mattino, per poi esporre l’area trattata a fonti naturali o artificiali di radiazioni ultraviolette tipo B (lunghezza d’onda 280-320 nm) con progressivi e lenti aumenti dei tempi di esposizione. L’antralina può dare buoni risultati, con un’applicazione iniziale di crema o unguento allo 0,1%, aumentando all’1% se tollerato. I derivati antralinici possono essere irritanti e quindi vanno usati con cautela a livello delle pieghe cutanee; inoltre macchiano le lenzuola, i vestiti e anche la cute. Molti di questi svantaggi possono essere evitati mediante una breve terapia topica, nella quale l’antralina viene risciacquata (con un bagno) 20-30 minuti dopo l’applicazione. Un nuovo preparato antralinico con liposomi incapsulati potrebbe evitare molti di questi inconvenienti. Gli steroidi topici sono usati in alternativa o come adiuvanti delle medicazioni a base di catrame minerale e antralinici. Come adiuvanti sono generalmente impiegati due volte al giorno, a volte in associazione con il catrame e gli antralinici applicati prima del riposo notturno. I corticosteroidi risultano molto efficaci soprattutto con medicazione occlusiva polietilenica o incorporati in cerotti con flurandrenolide. Conviene eseguire la medicazione occlusiva alla sera, applicando invece durante il giorno la crema corticosteroidea senza occlusione. La scelta della concentrazione iniziale dello steroide dipende, in larga misura, dall’estensione delle lesioni. Il triamcinolone acetonide allo 0,1% (o equivalenti, v. Cap. 110) è un composto di potenza moderata, a prezzo contenuto e ampiamente utilizzato. Con il miglioramento delle lesioni, i corticosteroidi vanno applicati con minore frequenza o a più bassa concentrazione, in maniera da ridurre al minimo il rischio di atrofie locali, formazione di strie o teleangectasie. Idealmente, dopo circa 3 sett., un blando unguento dovrebbe sostituire il glucocorticoide per 1-2 settimane (come periodo di mantenimento), onde prevenire la tachifilassi. L’uso dei corticosteroidi topici è tuttavia dispendioso, in quanto la copertura dell’intera superficie corporea richiede generalmente un intero tubo di preparato (circa 30 g). L’utilizzo di potenti corticosteroidi fluorurati topici in occlusiva su ampie superfici del corpo può causare effetti sistemici e aggravare la psoriasi, così come i corticosteroidi per via generale. Per piccole lesioni, spesse e localizzate, oppure molto ostinate, si rivela efficace l’applicazione serale, da rimuovere al mattino, di cerotti impregnati di corticosteroidi ad alta potenza senza occlusione o di cerotti di flurandrenolide. La recidiva da terapia steroidea topica è spesso più precoce rispetto a quella osservata in seguito ad altre terapie. I periodi di mantenimento, come già suggerito, possono ridurre l’insorgenza di recidive e la mancanza di risposta alla terapia stessa. Alternare la terapia steroidea al calcipotriolo, il più recente derivato topico della vitamina D3, può ridurre od ovviare a questo problema. Le squame del cuoio capelluto spesse possono essere particolarmente difficili da trattare. Una sospensione di acido salicilico al 10% in olio minerale può essere frizionata sul cuoio capelluto con uno spazzolino da denti o con le mani, al momento di coricarsi, coprendo la testa con una cuffia da doccia (per permetterne la penetrazione ed evitarne lo spargimento) e sciacquata il mattino successivo con uno shampoo al catrame (o altro). Durante il giorno possono essere applicate sul cuoio capelluto soluzioni corticosteroidee, cosmeticamente più accettabili. Nelle forme resistenti sia del capillizio che della cute, si possono eseguire infiltrazioni intralesionali superficiali con triamcinolone acetonide, in sospensione diluita con soluzione salina fino a 2,5-5 mg/ml, in quantità dipendente dalla estensione e dalla gravità della lesione. Le infiltrazioni possono determinare un’atrofia locale, generalmente reversibile. I corticosteroidi sistemici solitamente sono controindicati. La terapia con psolarene e raggi ultravioletti (PUVA) è solitamente efficace nel trattamento di una psoriasi estesa. La somministrazione orale di methoxalene è seguita, dopo diverse ore, dall’esposizione della cute all’azione di raggi file:///F|/sito/merck/sez10/1170881b.html (3 of 4)02/09/2004 2.53.22

Malattie a carattere desquamativo

ultravioletti a grande lunghezza d’onda (330-360 nm) in speciali centri fototerapici. Il dosaggio di methoxalene e l’esposizione agli ultravioletti va calcolata in base alla fotosensibilità del paziente. Potrebbero verificarsi gravi ustioni se la dose del farmaco o le radiazioni UVA risultassero inappropriate. Sebbene il trattamento sia meno confuso della terapia topica e possa determinare remissioni per molti mesi, i cicli di trattamento possono aumentare l’incidenza di cancro cutaneo indotto da raggi ultravioletti (soprattutto in individui con pregresse storie di avvelenamenti da arsenico, di radiodermiti o altri tumori cutanei). Con le dovute precauzioni, gli effetti indesiderati sugli occhi e altri organi sembrano trascurabili. La terapia orale con retinoidi, associata al PUVA, diminuisce la dose di luce UV necessaria a indurre le remissioni. Nel trattamento delle forme più gravi e invalidanti di psoriasi, soprattutto la grave psoriasi artropatica, la psoriasi generalizzata eritrodermica o la forma pustolosa, tutte resistenti all’azione dei comuni agenti topici o del PUVA, il methotrexate PO rappresenta il farmaco di scelta. Il methotrexate sembra interferire con la rapida proliferazione delle cellule epidermiche. Le funzioni ematica, renale ed epatica vanno monitorizzate. Gli schemi terapeutici sono vari, quindi la terapia a base di methotrexate richiede il controllo di medici esperti nel suo uso per il trattamento della psoriasi. L’etretinate e l’isotretinoina possono essere particolarmente efficaci nelle forme gravi e ostinate, comprese la psoriasi pustolosa e quella palmo-plantare ipercheratosica. Le donne devono comunque essere avvertite della necessità di evitare gravidanze durante l’assunzione del retinoide per via orale e per almeno due anni dopo l’assunzione di etretinate, a causa della potenziale teratogenicità e della ritenzione a lungo termine di questi composti nel corpo. Le donne con progetto di gravidanza alla sospensione della terapia con isotretinoina orale devono aspettare da 3 a 6 mesi. La terapia a lungo termine può determinare iperostosi scheletrica idiopatica diffusa. La ciclosporina resta un farmaco molto efficace e comunque, non è stata ancora approvata negli USA per il trattamento della psoriasi, in quanto può potenzialmente provocare gravi effetti collaterali sistemici. Il calcipotriolo, derivato della vitamina D3, è disponibile negli USA, mentre i derivati sistemici della vitamina D3 sono in fase di studio.

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

DERMATITE NUMMULARE Dermatite cronica caratterizzata da lesioni di forma nummulare, vescicolari, crostose e desquamanti, solitamente pruriginose.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Terapia

L’eziologia è sconosciuta. La dermatite nummulare compare principalmente in soggetti di età media ed è spesso associata a cute molto secca, in special modo durante la stagione invernale.

Sintomi e segni Le lesioni discoidi esordiscono con chiazze pruriginose costituite da vescicole confluenti e da papule che, in seguito a trasudazione di siero, danno luogo a formazioni crostose. Le lesioni sono eruttive e tendono a diffondersi, hanno un aspetto prominente a livello delle superfici estensorie degli arti e dei glutei, ma possono anche comparire sul tronco. Le esacerbazioni e le remissioni possono alternarsi e le lesioni tendono quindi a ricomparire nelle sedi già guarite.

Terapia Nessuna terapia garantisce un efficace risultato. Gli antibiotici per via orale (la cloxacillina o la cefalexina da 250 mg qid) unitamente a impacchi umidi, risultano molto utili nei casi con una notevole componente essudativa e purulenta. Le lesioni meno infiammate rispondono alle tetracicline (sebbene l’effetto non sia necessariamente antibatterico) somministrate PO, 250 mg qid. Il corticosteroide, in crema o in unguento, deve essere applicato tre volte al giorno. Prima del riposo notturno si applica una crema corticosteroidea in medicazione occlusiva con una pellicola di polietilene o con bende impregnate di flurandrenolide. Le infiltrazioni intralesionali corticosteroidee possono dare beneficio a quelle poche lesioni che non rispondono alla terapia. Nelle forme diffuse e resistenti alle terapie e nelle recidive, possono essere di aiuto le radiazioni ultraviolette B oppure le radiazioni ultraviolette A con psolareni orali (PUVA terapia). A volte viene richiesta la somministrazione orale di corticosteroidi, ma occorre evitarne la terapia a lungo termine; in questi casi una ragionevole dose di partenza è file:///F|/sito/merck/sez10/1110853a.html (1 of 2)02/09/2004 2.53.23

Dermatiti

rappresentata da 40 mg di prednisone a giorni alterni, in modo da ridurre eventuali effetti collaterali. Nei casi più gravi è stato testato un basso dosaggio di ciclosporina PO (da 3 a 5 mg/kg/die).

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Dermatiti

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 111. DERMATITI (Eczema) Infiammazione cutanea superficiale, caratterizzata istologicamente da edema dell’epidermide e clinicamente da lesioni vescicolose (in fase acuta), eritema scarsamente delimitato, edema, trasudato, croste, squame, solitamente pruriginosa e a volte con lichenificazione da grattamento o sfregamento.

DERMATITE CRONICA PALMO-PLANTARE Sommario: Introduzione Diagnosi e terapia

Le mani e i piedi sono frequentemente sedi di eruzioni di tipo infiammatorio; le mani in quanto soggette a traumi sia meccanici che chimici, i piedi perché posti in condizione caldo-umida nelle scarpe. Le eruzioni tendono comunemente a cronicizzare, rendendo difficile al paziente lo svolgimento delle normali attività sociali e lavorative. La dermatite da contatto (v. sopra) è molto comune. Molti allergeni o irritanti (agenti caustici, saponi alcalini, detergenti in genere, solventi organici, polveri domestiche e non, farmaci topici), possono causare o perpetuare tale dermatite. Occasionalmente, una dermatite da contatto di aspetto orticariode si verifica entro 10-20 min., come reazione ad alimenti freschi. In ogni dermatite dei piedi, va attentamente ricercata l’eventuale sensibilità a sostanze usate nella fabbricazione delle calzature, in quanto tale sensibilità deve condizionarne la scelta. L’"eczema delle casalinghe", che colpisce le donne che immergono frequentemente le mani in acqua, ha numerose cause. La sintomatologia peggiora con il lavaggio frequente di piatti, indumenti e bambini, poiché la ripetuta esposizione a detergenti anche delicati, all’acqua o la prolungata sudorazione causata da guanti di gomma, possono irritare una cute già infiammata o provocare una dermatite da contatto. Il pompholyx è una condizione cronica, pruriginosa, caratterizzata dalla comparsa di vescicole indovate profondamente e localizzate ai lati delle dita e a livello palmo-plantare. La desquamazione, l’eritema e la trasudazione spesso seguono l’eruzione vescicolosa. Questa condizione è conosciuta anche con il nome di disidrosi, termine improprio poiché la sudorazione può essere ridotta, normale o perfino eccessiva. Sebbene la maggior parte dei casi sia idiopatica, va sempre ricercata la causa (p. es., infezione micotica, reazione intradermica, reazione allergica, atopia). La psoriasi, localizzata alle mani, può presentare sul dorso una cute tipicamente spessa, con lesioni papulose o a placche, ricoperte da squame di colore argento, mentre in sede palmare l’aspetto può essere atipico. Sebbene il pitting delle unghie sia caratteristico della psoriasi, esso può essere riscontrato in altre dermatosi. Le eruzioni resistenti a livello palmo-plantare sono caratterizzate da pustole

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Dermatiti

sterili profonde di origine sconosciuta, resistenti a qualunque terapia, possono essere associate a una psoriasi in altra sede (di Barber o psoriasi pustolosa). Le infezioni micotiche sono più comuni a livello dei piedi che delle mani. Nei pazienti affetti da dermatiti delle mani, va comunque ricercata una eventuale infezione micotica dei piedi. (v. Infezioni da dermatofiti nel Cap. 113)

Diagnosi e terapia La diagnosi viene effettuata tramite esame al microscopio del materiale raschiato in soluzione di idrossido di potassio al 20%. Il trattamento deve essere volto a eliminare la causa, qualora ciò sia possibile. I principi generali di terapia, elencati nella Tab. 111-2, sono utili nel caso in cui non si trovi la causa specifica.

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie).

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

Trichophyton, Epidermophyton, e Microsporum sono i più coinvolti, ma la differenziazione clinica tra i vari dermatofiti è difficile. La trasmissione avviene, in genere, tra persona e persona o da animale a persona. Verosimilmente gli animali domestici non sono i soli responsabili. Alcuni dermatofiti producono una infiammazione scarsa o nulla o una risposta immune; in molti casi il microrganismo persiste, causando esacerbazioni e remissioni intermittenti, con guarigione centrale ed estensione periferica. In altri casi, l’infezione acuta causa l’improvvisa comparsa di vescicole e bolle in sede plantare, oppure forma nello scalpo lagune infiammate (Kerion), dovute a un’intensa reazione immunologica verso il micete; solitamente, l’infezione è seguita da remissione o da guarigione.

Diagnosi La diagnosi viene espressa clinicamente a seconda della sede affetta ed è confermata dall’esame microscopico diretto delle squame immerse in una soluzione di idrossido di potassio e dall’esame colturale che permette l’isolamento del micete patogeno nel materiale prelevato(v. anche Indagini diagnostiche Speciali nel Cap. 109).

Terapia La maggior parte delle infezioni cutanee risponde molto bene ai preparati topici antimicotici, come gli imidazolici (miconazolo, clotrimazolo, econazolo, chetoconazolo), il ciclopirox, la naftifina o la terbinafina. I casi resistenti, o quelli con coinvolgimento diffuso, richiedono l’utilizzo di una terapia sistemica. I farmaci sistemici più innovativi comprendono itraconazolo e fluconazolo, triazolici orali e terbinafina, allilamina di seconda generazione. Questi farmaci sembrano essere più sicuri e più efficaci del chetoconazolo (v. anche Principi di terapia generale nel Cap. 158), un derivato imidazolico orale ad ampio spettro che sia efficace nelle infezioni da dermatofiti, sebbene l’occasionale tossicità

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Micosi cutanee

epatica (grave o anche fatale) ne limiti l’utilizzo. L’itraconazolo interagisce con molti farmaci comunemente prescritti. La terbinafina ritarda lo svuotamento gastrico e gli effetti collaterali GI si manifestano nel 3-5% dei pazienti. Un’alterazione del gusto compare meno frequentemente e gli effetti collaterali epatici ed ematologici sono rari. Comunque, la funzionalità epatica deve essere valutata all’inizio del trattamento e quindi monitorata periodicamente. I nuovi antimicotici sono più efficaci della griseofulvina nelle dermatofitosi, tranne forse nella tinea capitis. Fino a poco tempo fa, la griseofulvina era il farmaco sistemico antimicotico di più ampio utilizzo, ma il suo uso come farmaco di prima scelta nel trattamento delle dermatomicosi sta diminuendo a causa dei nuovi farmaci disponibili. Negli adulti si preferisce la forma micronizzata di griseofulvina (250 mg PO bid o qid) meglio se somministrata durante un pasto ad alto contenuto lipidico. La forma ultramicronizzata di griseofulvina viene meglio assorbita e va somministrata in dose singola o frazionata per un totale di 250-330 mg PO nella tinea corporis, cruris o capitis e di 500-660 mg PO nella tinea pedis. Il farmaco può essere spesso causa di cefalea e occasionalmente di disturbi GI, fotosensibilità, eruzioni cutanee o leucopenia. Inoltre, è stato riportato edema angioneurotico. Sono state segnalate vertigini e raramente esacerbazioni di lupus eritematoso o riduzioni transitorie dell’udito. Gli imidazoli topici associati alla griseofulvina orale aumentano le percentuali di guarigione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 111-2. PRINCIPI GENERALI DI TRATTAMENTO DELLA DERMATITE CRONICA DELLE MANI E DEI PIEDI La diagnosi è necessaria; se possibile, rimuovere la causa. I corticosteroidi in crema o unguento, tre volte al giorno possono ridurre il prurito, ma la risoluzione della dermatite richiede una medicazione occlusiva, per tutta la notte, con calzanti in polietilene (oppure buste di plastica nonpermeabili ai piedi) ben chiusi ai polsi (o caviglie) con nastro di cellofan dopo una quarta applicazione della crema. La cloxacillina orale o la cefalexina 250mg qid va somministrata in caso di infezione secondaria. I lavori domestici con uso di acqua vanno limitati, e guanti di cotone bianco devono essere indossati sotto quelli di gomma. Occasionalmente, può giovare un ciclo di 14 giorni con prednisone orale, iniziando con 40mg/die e riducendo lentamente il dosaggio. Nel contempo, il paziente viene sollecitato nel seguire i consigli di routine descritti precedentemente, per ridurre la possibile riacutizzazione da interruzione della terapia steroidea. Se la dermatite è duratura e disabilitante oppure, se i benefici della terapia steroidea orale sono limitati, può essere utile un breve periodo di ricovero ospedaliero. Ciò allontanerà il paziente dal suo ambiente, favorirà una terapia intensiva, e darà la possibilità di effettuare accurati patch-test, colture e ulteriori accertamenti diagnostici. La PUVA terapia nella regione palmo-plantare è spesso molto efficace. I retinoidi orali (etretinato 25-50mg/die) che rappresentano l‘ultima risorsa nella psoriasi grave o nelle lesioni eruttive pustolose con le dovute precauzioni, sono di notevole aiuto.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.) La specifica causa batterica di un’infezione cutanea deve essere identificata quando le infezioni sono clinicamente atipiche, o resistenti ai primi tentativi di terapia (v. Indagini diagnostiche speciali nel Cap. 109). È noto che numerosi batteri, normalmente presenti sulla cute (p. es., micrococchi, difteroidi e il Propionibacterium acnes), sono utili nell’interpretare i risultati colturali. Un’infezione batterica può essere la causa primaria di una lesione cutanea, oppure l’infezione stessa o la colonizzazione possono essere secondarie ad altra dermopatia. In genere, le infezioni primarie (p. es., l’erisipela, l’impetigine) rispondono prontamente alle terapie antibiotiche sistemiche, mentre le forme secondarie tendono a risolversi più lentamente, richiedendo regimi terapeutici più complessi (v. Impetigine ed ectima in Infezioni batteriche nel Cap. 265). Le infezioni ricorrenti devono far nascere nel medico il sospetto di una patologia sistemica, specialmente diabete o uno stato di immunodeficienza.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

CELLULITE Infiammazione acuta, diffusa e invasiva dei tessuti solidi caratterizzata da iperemia, infiltrazione leucocitaria ed edema, senza necrosi cellulare né suppurazione. (v. anche Cellulite orbitaria nel Cap. 92)

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Decorso e prognosi Terapia

Eziologia Streptococcus pyogenes (streptococco β emolitico gruppo A) è la causa più comune di cellulite superficiale; il diffondersi della infezione si verifica a causa della streptochinasi, della DNasi e della ialuronidasi, enzimi prodotti dall’organismo, che demoliscono gli elementi cellulari che altrimenti conterrebbero e localizzerebbero l’infiammazione. I gruppi B, C, D o G streptococco β-emolitico sono cause meno comuni. Lo Staphylococcus aureus provoca talvolta una cellulite superficiale, generalmente meno estesa di quella da streptococco e, di solito, solo in associazione a una ferita aperta o a un ascesso cutaneo. La cellulite superficiale provocata da altri microrganismi, in primo luogo bacilli aerobi gram –, si verifica di rado (generalmente solo in particolari circostanze). I bacilli aerobi gram – (p. es., Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa) possono esserne responsabili in caso di granulocitopenia, di ulcere dei piedi nei soggetti diabetici o nei casi di grave ischemia tissutale. Le celluliti che si verificano in seguito a un morso di animale, possono essere causate da insoliti batteri, specialmente dalla Pasteurella multocida dei cani e dei gatti. Una patologia originata dall’immersione in acqua dolce può essere dovuta alla cellulite da Aeromonas hydrophila, mentre in acqua salata tiepida si può sviluppare la cellulite da Vibrio vulnificus.

Sintomi e segni L’infezione è più comune agli arti inferiori. Un’alterazione cutanea (p. es., un trauma, un’ulcerazione, una tinea pedis o una dermatite) precede spesso l’infezione; inoltre, le aree di linfedema o di edemi di altra origine sembrano particolarmente predisposte. Le cicatrici da rimozione della vena safena eseguita per interventi di chirurgia cardiaca o vascolare, sono una sede consueta della cellulite ricorrente, specialmente in presenza di una tinea pedis. Spesso, tuttavia, non è possibile individuare una condizione predisponente o la porta d’ingresso dei germi. I segni principali sono eritema locale e gonfiore, associati spesso a file:///F|/sito/merck/sez10/1120857.html (1 of 3)02/09/2004 2.53.51

Infezioni batteriche cutanee

linfangite e linfoadenopatia regionale. La cute è calda, rossa ed edematosa, spesso con una superficie infiltrata che assomiglia alla buccia di un’arancia (cute a buccia d’arancia). I bordi sono di solito poco delimitati, fatta eccezione per la erisipela (v. oltre), un tipo di cellulite con margini sollevati e nettamente demarcati. Le petecchie sono frequenti, mentre larghe aree di ecchimosi sono piuttosto rare. Le vescicole e le bolle possono svilupparsi e rompersi, occasionalmente con necrosi della porzione di cute interessata. Manifestazioni sistemiche (febbre, brividi, tachicardia, mal di testa, ipotensione e delirium) possono precedere anche di diverse ore le manifestazioni cutanee; ma molti pazienti non presentano alcun segno clinico. È comune la leucocitosi, ma non come reperto costante.

Diagnosi La diagnosi dipende solitamente dai segni clinici. Fino alla formazione di pus o all’apertura di una ferita, il microrganismo responsabile diviene difficilmente isolabile, anche mediante aspirazione o biopsia cutanea. Talvolta si hanno emocolture positive. I test sierologici, specialmente le misurazioni di titoli crescenti di anti-DNAsi B, confermano l’origine streptococcica, ma sono superflui nella maggior parte dei casi. Sebbene la cellulite e la trombosi venosa profonda di solito si distinguano facilmente da un punto di vista clinico, molti medici le confondono quando c’è edema degli arti inferiori (v. Tab. 112-1).

Decorso e prognosi Talvolta si formano ascessi locali, che richiedono incisione e drenaggio. Le complicanze gravi, ma rare, comprendono lo sviluppo di infezioni necrotizzanti sottocutanee (v. oltre) e la batteriemia con focolai metastatici di infezione. Anche senza antibiotici, la maggior parte dei casi di cellulite superficiale si risolve spontaneamente, tuttavia, sono comuni le recidive nella stessa area, talvolta con danni gravi ai vasi linfatici, con ostruzione cronica linfatica, con edema marcato e, raramente, con elefantiasi. Con la terapia antibiotica, tutte queste complicanze sono di difficile insorgenza. I sintomi e i segni di cellulite superficiale si risolvono di solito dopo alcuni giorni di terapia antibiotica.

Terapia Per la cellulite streptococcica, la penicillina è il farmaco di scelta. Per i casi lievi ambulatoriali, è sufficiente somministrare penicillina V 250-500 mg PO qid oppure in dose singola di 1,2 milioni U di benzatin penicillina IM. Per le infezioni gravi, che richiedono il ricovero ospedaliero, sono indicate 400000 U EV di penicillina G acquosa q 6 h. Per i pazienti allergici alla penicillina è indicata l’eritromicina, 250 mg PO qid, come alternativa efficace nelle infezioni lievi, mentre nei casi più gravi occorre somministrare clindamicina per via parenterale, 150-300 mg EV q 6 h. Anche se lo S. aureus causa raramente la tipica cellulite, molti medici preferiscono usare antibiotici attivi anche verso tale microrganismo: per le infezioni lievi dicloxacillina (250 mg PO qid), per le infezioni gravi oxacillina o nafcillina (1 g EV q 6 h.). Per i pazienti allergici alla penicillina o per quelli in cui si sospetta un’infezione da S. aureus meticillina-resistente, la vancomicina (1 g EV q 12 h) è il farmaco di elezione. Quando è presente del pus o una ferita è aperta, la scelta antibiotica deve essere guidata dalla colorazione di Gram. L’immobilizzazione e il sollevamento della zona interessata aiutano nella riduzione dell’edema; inoltre, le medicazioni fredde e umide portano sollievo al dolore locale. Nei pazienti neutropenici la cellulite richiede antibiotici efficaci contro i bacilli file:///F|/sito/merck/sez10/1120857.html (2 of 3)02/09/2004 2.53.51

Infezioni batteriche cutanee

aerobi gram – (p. es., la tobramicina 1,5 mg/kg EV q 8 h e la piperacillina 3 g EV q 4 h), finché non sono disponibili i risultati della coltura. La penicillina è il farmaco di scelta per P. multocida, un aminoglicoside (p. es., la gentamicina) è efficace contro A. hydrophila, mentre le tetracicline sono gli antibiotici di scelta per il V. vulnificus. La cellulite ricorrente degli arti inferiori può essere prevenuta trattando una tinea pedis concomitante, che spesso elimina la fonte batterica che alberga nel tessuto infiammato e macerato. Se questa terapia non ha successo o non è indicata, si può prevenire la cellulite recidivante con 1,2 milioni U di benzatin penicillina IM al mese o con penicillina V o eritromicina (250 mg PO qid per 1 sett./mese).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 112-1. DIFFERENZE TRA CELLULITE E TROMBOSI VENOSA PROFONDA ALL’ESAME CLINICO Manifestazione

Cellulite

Trombosi venosa profonda

Temperatura cutanea

Calda

Normale o fredda

Colore cutaneo

Rosso

Normale o cianotico

Superficie cutanea

A buccia d‘arancia

Levigata

Linfangite e linfoadenite regionale

Frequente

Assente

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

LINFANGITE ACUTA Infiammazione acuta dei vasi linfatici sottocutanei, di solito provocata dallo Streptococcus pyogenes.

Sommario: Sintomi, segni e diagnosi Decorso e terapia

Sintomi, segni e diagnosi Gli streptococchi penetrano molto spesso nei vasi linfatici attraverso un’abrasione, una ferita o un’infezione (di solito la cellulite) su un’estremità. Strie rossastre, irregolari, calde e tumefatte originano in un arto e si dirigono in senso prossimale a partire da una lesione periferica verso i linfonodi regionali, che si presentano classicamente ingrossati e dolenti. Manifestazioni sistemiche (p. es., febbre, brividi scuotenti, tachicardia e cefalea) sono comuni e spesso più gravi di quanto le lesioni cutanee farebbero pensare e, talvolta, precedono qualsiasi segno di significativa infezione locale. Reperto comune è la leucocitosi, a volte anche di grado notevole. La diagnosi si basa sui sintomi e sui segni clinici. Come nella cellulite, l’isolamento del microrganismo responsabile è difficile, a meno che non ci sia pus, una ferita aperta o una batteriemia.

Decorso e terapia Una batteriemia con foci metastatici di infezione può verificarsi spesso con rapidità impressionante. Raramente si sviluppano cellulite con suppurazione, necrosi e ulcerazione lungo il decorso dei vasi linfatici interessati. La maggior parte dei casi risponde rapidamente alla terapia antibiotica (v. Cellulite, oltre).

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

LINFOADENITE Infiammazione dei linfonodi.

Sommario: Eziologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia Una linfoadenite può essere provocata da qualsiasi germe patogeno (batteri, virus, protozoi, rickettsie o funghi). L’interessamento linfonodale può essere generalizzato, con infezioni sistemiche o limitato ai linfonodi regionali che drenano una zona infetta. L’espansione generalizzata dei linfonodi è frequente nella mononucleosi infettiva, nelle infezioni da citomegalovirus, nella toxoplasmosi, nella brucellosi, nella sifilide secondaria e nella istoplasmosi disseminata. La linfoadenopatia regionale si riscontra nella malattia streptococcica, nella TBC o malattia da micobatteri non tubercolari, ma anche in tularemia, peste, malattia da graffio di gatto, sifilide primaria, linfogranuloma venereo, cancroide e herpes simplex genitale.

Sintomi, segni e diagnosi L’ingrossamento linfonodale dovuto a edema e a infiltrazione di leucociti, caratteristica principale della linfoadenite, può essere asintomatico o può provocare dolore e gonfiore. In alcune infezioni la cute sovrastante è infiammata, talvolta con cellulite; può verificarsi la formazione di ascessi che, diffondendosi alla cute, possono causare fistole. La linfoadenite e le cause che la producono sono, di solito, evidenti clinicamente. Talvolta, tuttavia, si rendono necessarie l’aspirazione e la coltura del materiale linfonodale o una biopsia escissionale.

Terapia La terapia dipende dall’agente causale. Di solito, con la risoluzione dell’infiammazione primitiva, l’ingrossamento linfonodale si risolve, anche se talvolta persiste una linfoadenopatia grave. Impacchi caldi e umidi possono aiutare ad alleviare i sintomi di linfonodi acutamente dolorosi. L’ascesso richiede drenaggio chirurgico (v. Cap. 155).

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Infezioni batteriche cutanee

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

ERISIPELA Cellulite superficiale con marcato coinvolgimento dei vasi linfatici causata dallo streptococco β-emolitico gruppo A (o raramente dal gruppo C o G).

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Un focolaio infettivo può essere provocato da un’infezione micotica interdigitale del piede. Le gambe rappresentano la sede anatomica più frequente.

Sintomi, segni e diagnosi La lesione appare ben delimitata, lucida, eritematosa, edematosa, indurita e tesa; a volte possono svilupparsi vescicole e bolle. Il volto (spesso bilateralmente), le braccia e le gambe sono le sedi più comuni, sebbene non in questo ordine. Sono presenti talora piastroni circondati da un alone eritematoso e linfoadenopatia regionale. Inoltre, sono frequenti ipertermia, brividi e malessere generale. L’erisipela talvolta assume un carattere recidivante che porta a linfedema cronico. La diagnosi generalmente si basa sul semplice esame obiettivo. È piuttosto difficile isolare l’agente patogeno dalla lesione, anche se a volte, a tale scopo, può essere utile l’emocoltura. Inoltre, la colorazione batterica con immunofluorescenza diretta può identificare il microrganismo responsabile, ma la diagnosi si basa generalmente sulla morfologia clinica. L’erisipela del viso va differenziata dall’herpes zoster, dall’edema angioneurotico e dalla dermatite da contatto; e quella delle braccia o delle mani da rare forme erisipeloidi (v. Erisipelotricosi nel Cap. 157). Un carcinoma infiammatorio diffuso delle mammelle può essere confuso con l’erisipela.

Terapia La penicillina V o l’eritromicina PO alla dose di 500 mg qid per ≥ 2 sett., risultano efficaci. Nei casi acuti, 1,2 milioni di penicillina G EV q 6 h da un rapido miglioramento e va sostituita dalla terapia orale dopo 36-48 ore. In casi con resistenza a questi antibiotici, è stata usata la cloxacillina o la cefalexina. Dolori locali possono trovare sollievo con impacchi freddi e analgesici. Un focolaio micotico può richiedere terapia a lungo termine con itraconazolo o terbinafina allo scopo di prevenire recidive.

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Infezioni batteriche cutanee

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

ASCESSI CUTANEI Raccolte localizzate di pus che provocano un rigonfiamento fluttuante del tessuto molle circondato da eritema. I batteri isolati dagli ascessi cutanei sono solitamente i saprofiti dell’area cutanea interessata (v. anche Follicoliti, Foruncoli e Pustole, oltre). Negli ascessi del tronco, degli arti, delle ascelle, del capo o del collo, il batterio aerobico più comune è lo S. Aureus. Comunque, le specie anaerobiche più frequenti sono lo Peptococcus e lo Propionibacterium. Gli ascessi della regione perineale (inguinale, vaginale, dei glutei e perirettale) contengono microrganismi rinvenuti nelle feci, di solito anaerobi, da soli o in combinazione con aerobi o anaerobi. Gli aerobi più frequentemente interessati sono gli streptococchi α-emolitici e gli streptococchi non emolitici. Le specie di Peptococcus, Peptostreptococcus, Lactobacillus, Bacteroides e Fusobacterium sono gli anaerobi più spesso isolati. Questi ascessi di solito conseguono a traumi cutanei di piccola entità. Segni concomitanti variabili sono una cellulite locale, linfangite, linfoadenopatia regionale, febbre e leucocitosi. Di solito, la colorazione di Gram, la coltura e la terapia antibiotica non sono necessarie, a meno che il paziente non abbia segni di infezione sistemica, di immunodepressione o ascessi facciali nell’area drenata dal seno cavernoso. Il trattamento consiste nella incisione dell’area fluttuante, con drenaggio del pus mirando a rimuovere meticolosamente eventuali altre localizzazioni e con successive irrigazioni con NaCl allo 0,9%. Alcuni medici fanno un impacco all’interno della cavità con una garza che, grazie a uno stoppino, verrà rimossa dopo 24-48 h. Il riscaldamento e il sollevamento della parte interessata possono accelerare la risoluzione dell’infiammazione tissutale.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

FOLLICOLITE Infezione batterica superficiale o profonda e infiammazione dei follicoli piliferi, solitamente provocata dallo S. aureus ma occasionalmente da altri microrganismi quali lo P. aeruginosa (follicolite da bagno caldo). Una pustola superficiale o un nodulo infiammatorio circondano il follicolo pilifero. L’affezione può associarsi o derivare da altre forme di piodermite. I peli infetti possono essere facilmente rimossi, ma rapidamente compaiono nuove papule. Una follicolite può assumere un andamento cronico in quelle aree con follicoli piliferi numerosi o particolarmente profondi, come a livello della barba (sicosi della barba). Un’infiammazione o un’irritazione cronica di grado lieve e priva di infezione significativa può manifestarsi nella zona della barba, quando dei peli duri fuoriescono dal follicolo, curvano e rientrano nella cute (pseudofollicolite della barba, v. Cap. 116). La terapia sistemica della follicolite acuta è simile a quella della impetigine (v. Impetigine ed Ectima nel Cap. 265 in Infezioni batteriche). Antibiotici e antisettici topici (p. es., la clorexidina) possono risultare utili sussidi alla terapia sistemica, ma non vanno usati senza di essa. Tra l’altro, una terapia tempestiva con antibiotici sistemici può prevenire un’infezione cronica.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE CISTI CHERATINICHE (Cisti sebacea; steatoma) Formazioni cistiche benigne, a lenta crescita, contenenti materiale follicolare, cheratinico, sebaceo, frequentemente riscontrate nel cuoio capelluto, nelle orecchie, nel viso, sul dorso o sullo scroto.

Sommario: Introduzione Terapia

La cisti risulta solida, globulare, mobile e duro-elastica alla palpazione; è asintomatica, salvo in caso di infezione. L’incisione di una cisti rivela il tipico contenuto di aspetto caseoso, spesso con odore fetido, formato da detriti epiteliali e materiale grasso; all’interno della cisti predomina in molti casi un materiale cheratinico e talvolta depositi di calcio. Può verificarsi un’infezione batterica secondaria con formazione di raccolta ascessuale. I milii sono piccole cisti cheratiniche, superficiali, indovate per lo più al viso e allo scroto.

Terapia Per le cisti, viene praticata una piccola incisione per evacuare il contenuto e rimuovere la parete cistica con una curette o con un emostato. L’escissione chirurgica da una buona garanzia di successo. Una grande cisti recidiva frequentemente, a meno che la parete cistica non venga asportata completamente. Le cisti suppurate o infette possono essere incise e drenate, introducendo una garza e rimuovendola gradatamente in 7-10 giorni. Può essere necessaria la somministrazione di antibiotici PO quali la cloxacillina o l’eritromicina. Per i milii si procederà all’eliminazione del contenuto attraverso una piccola apertura effettuata con un ago oppure con la lama da bisturi 11.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

FORUNCOLI (Foruncoli) Noduli acuti, fragili, con infiammazione perifollicolare, risultante da infezione stafilococcica. La condizione spesso si presenta in giovani soggetti sani. Sono state riportate piccole epidemie tra adolescenti abitanti in quartieri affollati con igiene relativamente scarsa, oppure per contatto con pazienti infetti. I foruncoli colpiscono più frequentemente il collo, il viso, la regione toracica e i glutei, ma possono essere molto più dolorosi nelle zone dove la cute è strettamente adesa ai piani sottostanti (p. es., le dita, il naso e le orecchie). Il nodulo iniziale si trasforma in pustola di 5-30 mm di diametro, con area centrale di necrosi tissutale ed essudato sieropurulento. I foruncoli possono ripresentarsi. Il materiale per la coltura si ricava da pazienti con singoli foruncoli sul naso o al centro del viso, da pazienti con foruncoli multipli e da pazienti immunodepressi. La terapia consiste nell’incisione e nel drenaggio o nell’applicazione di sapone liquido contenente clorexidina gluconata con alcol isopropilico o 2-3% di cloroxilenolo, che può avere effetto profilattico ma non terapeutico. Un singolo foruncolo viene trattato con compresse calde, a intermittenza, per permettere alla lesione di maturare e drenare spontaneamente. Un paziente con un foruncolo sul naso o sulla zona centrale del viso e i pazienti con foruncoli multipli, vanno trattati con antibiotici sistemici. In genere, viene prescritta una penicillina penicillinasiresistente, come la cloxacillina 250-500 mg PO qid o una cefalosporina, come la cefalexina allo stesso dosaggio. Nelle foruncolosi ricorrenti, la terapia orale con gli antibiotici va continuata per 1-2 mesi. I pazienti con foruncolosi ricorrenti vanno valutati per i fattori predisponenti, che includono obesità, diabete, esposizione occupazionale o industriale a fattori incidenti e alla contaminazione nasale di S. aureus.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

IDROSADENITE SUPPURATIVA Infiammazione locale, dolente, delle ghiandole apocrine che provoca ostruzione e rottura dei dotti escretori

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Di solito, lo S. aureus viene coinvolto per primo, ma i microrganismi gram – come il Proteus possono predominare nei casi cronici.

Sintomi, segni e diagnosi La lesione può essere confusa con un foruncolo, ma risulta essere più persistente e viene diagnosticata principalmente per la localizzazione e il decorso. Clinicamente, le lesioni si presentano come tipici noduli rosso-violacei, fragili, simili ai foruncoli, ma insorgono nelle ghiandole sudoripare apocrine delle zone pilifere, incluse (in frequenza decrescente) le ascelle, l’inguine, l’area periareolare e perianale. Il dolore, la fluttuazione, la suppurazione e la formazione di tragitti fistolosi sono caratteristici segni clinici nei pazienti affetti da diversi anni dalla patologia. In altri casi cronici, la coalescenza dei noduli infiammatori è causa della formazione di cordoni fibrotici palpabili, in sede ascellare. La condizione assume spesso un carattere estensivo e invalidante; se questo accade nell’area pubica o genitale, può derivarne un notevole impaccio alla deambulazione e uno sgradevole odore. Sebbene una biopsia incisionale possa essere un ausilio diagnostico, la diagnosi viene comunque emessa dopo l’esame clinico. Le colture batteriche possono essere utili nella emissione della diagnosi.

Terapia I pazienti predisposti devono evitare sostanze irritanti come gli antiperspiranti. I casi più semplici vanno trattati con incisione e drenaggio, impacchi caldo-umidi e terapia antibiotica sistemica protratta(v. Foruncoli, sopra). L’infiltrazione intralesionale di corticosteroidi può essere efficace in lesioni isolate. Invece, l’escissione chirurgica e l’innesto riparativo delle aree colpite possono essere necessari nelle forme persistenti. In alcuni pazienti si è dimostrata efficace l’isotretinoina PO 2 mg/kg/die anche se, dopo tutto, le recidive sono frequenti. Anche l’etretinato (0,7-1,5 mg/kg/die PO) può essere efficace, ma la recidiva si instaura rapidamente alla sospensione della terapia. Si consiglia di usare questi farmaci con una certa cautela (v. Terapia in Acne nel Cap. 116). file:///F|/sito/merck/sez10/1120863b.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.02

Infezioni batteriche cutanee

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

CARBONCHIO Raggruppamento di più foruncoli determinato da un’infezione stafilococcica che si diffonde al sottocutaneo; ne risulta una suppurazione profonda, spesso con uno sfaldamento locale esteso, che guarisce lentamente lasciando un’ampia cicatrice. Il carbonchio si localizza più frequentemente a livello del collo e della nuca e colpisce prevalentemente il sesso maschile. Sebbene si manifesti nelle persone sane, il diabete mellito, le malattie debilitanti e l’età avanzata sono i fattori predisponenti. Il favo si sviluppa più lentamente rispetto ai singoli foruncoli e può essere accompagnato da febbre e prostrazione. La terapia è la stessa dei foruncoli multipli (v. sopra).

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

PARONICHIE Infezione acuta o cronica del tessuto periungueale.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Nella paronichia acuta, i microrganismi responsabili sono generalmente lo S. aureus, lo Pseudomonas o la specie Proteus e a volte la Candida albicans (v. Cap. 113) o l’herpes simplex virus. Questi microrganismi penetrano attraverso una fenditura dell’epidermide provocata da un lembo di cuticola ungueale, un trauma sulla plica ungueale o un’irritazione cronica (p. es., da acqua e detergenti). La paronichia cronica solitamente si manifesta in soggetti il cui lavoro richiede un contatto prolungato con l’acqua (p. es., camerieri, baristi, lavapiatti) o è secondaria alla suzione del dito. È causata da infezioni miste da batteri e miceti, in genere da C. albicans.

Sintomi, segni e diagnosi Talvolta le infezioni si limitano al margine ungueale (piega laterale e prossimale), altre volte si estendono a tutto il letto ungueale arrivando alla suppurazione. Raramente il processo infettivo penetra in profondità nel dito, con necrosi dei tendini ed estensione dell’infezione lungo le guaine tendinee. Alla fine, una perionissi cronica può evolvere in onicodistrofia. La paronichia acuta può esordire come lembo di cuticola o endoproliferazione ungueale e sviluppare un ascesso nella piega paronichiale adiacente al letto ungueale stesso. Ciò determina la rapida insorgenza di dolore, di tumefazione ed eritema intorno all’unghia delle dita sia delle mani che dei piedi. La paronichia cronica è relativamente insidiosa nell’esordio. Nell’infiammazione cronica ricorrente, i residui subungueali vanno messi in coltura per batteri e per la C. albicans o la C. parapsilosis.

Terapia Un’infezione acuta viene trattata con bende o impacchi caldi, associati ad antibiotico sistemico (p. es., dicloxacillina 250 mg PO qid, cefalexina 250 mg PO qid). I frammenti accumulati sono dolorosi e la raccolta purulenta (ascesso) va drenata con cautela con la punta di una lama da bisturi ns11. L’infezione che si estende lungo le guaine dei tendini necessita di un immediato intervento chirurgico, drenaggio e di rimandare il paziente da uno specialista di chirurgia della mano. file:///F|/sito/merck/sez10/1120864b.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.03

Infezioni batteriche cutanee

Nelle infezioni croniche ricorrenti, l’unghia va tagliata fino al punto del suo distacco dalla cute sottostante. Se in colture ripetute non è presente la C. albicans, è consigliabile applicare la tintura di iodio diluita (2 gocce bid), per aiutare a mantenere le aree subungueali e periungueali asciutte e libere da infezione. Se invece è presente la C. albicans va applicata una lozione (p. es., la ciclopiroxolamina o il miconazolo) o una pomata antimicotica (p. es., il chetoconazolo) tid al perinichio e alle aree subungueali. I casi che non rispondono alla terapia possono necessitare di antimicotici orali a base di triazolo, itraconazolo o fluconazolo. Dato che il tratto GI rappresenta una probabile fonte di C. albicans, è consigliabile la somministrazione di nistatina PO 500000 U qid. Spesso nelle donne si associa una vaginite da candida, che va controllata e trattata contestualmente. Le unghie marcatamente distrofiche o alterate vanno asportate. Inoltre, mantenere le mani asciutte aiuta a prevenire le recidive.

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE (v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

ERITRASMA Infezione superficiale della cute, localizzata a livello delle pieghe cutanee, causata dal Corynebacterium minutissimum.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Si manifesta molto comunemente negli adulti, specialmente in soggetti affetti da diabete. L’incidenza è elevata nei paesi tropicali.

Sintomi, segni e diagnosi L’eritrasma somiglia a un’infezione micotica cronica o all’intertrigine. Gli spazi interdigitali dei piedi, solitamente il III e il IV, sono colpiti da desquamazione, fissurazione e modesta macerazione. Nella regione genitocrurale, le chiazze, specialmente quelle a contatto con lo scroto, sono ben marcate e anche se inizialmente irregolari e di colorito rosa; in seguito diventano brunastre con una fine desquamazione. L’eritrasma può interessare ampiamente le ascelle, le pieghe sottomammarie e addominali e il perineo, particolarmente nelle donne obese di media età o nei pazienti con diabete mellito. È fondamentale la diagnosi differenziale con l’epidermofizia. La diagnosi viene stabilita con la luce di Wood, che evidenzia per l’eritroplasma una fluorescenza di tipico colore rosso-corallo.

Terapia Una pronta guarigione segue al trattamento con eritromicina o tetraciclina alla dose di 250 mg qid per 14 giorni, ma sono frequenti le recidive a distanza di 612 mesi. Anche i saponi antibatterici possono controllare l’infezione. In genere, i preparati topici a base di eritromicina, subito disponibili in commercio e usate nella terapia dell’acne, sono comunque efficaci.

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Infezioni batteriche cutanee

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). TINEA CORPORIS (Tinea del corpo) La specie Trichophyton ne è solitamente la causa. La lesione è caratterizzata da placche anulari papulo-squamose di colorito rosa-rossastro, che tendono a risolversi al centro e a espandersi in periferia. La diagnosi differenziale include la pityriasis rosea, le tossidermie, la dermatite nummulare, l’eritema multiforme, la tinea versicolor, l’eritrasma, la psoriasi e la sifilide secondaria. Una variante si manifesta con placche nummulari squamose coperte da piccole papule o pustole. Per lesioni di lieve, media entità, un imidazolico (ciclopirox, naftifina o terbinafina) in crema, lozione o gel va applicato due volte al giorno per almeno i 7-10 giorni successivi alla scomparsa delle lesioni. Le varianti infiammatorie di tinea corporis generalmente rispondono prontamente alle medicazioni topiche antimicotiche specifiche. Le lesioni estese e resistenti si manifestano nei pazienti infettati da Trichophyton rubrum e nei soggetti con malattie sistemiche debilitanti. Per una tinea corporis estesa o resistente, la terapia più efficace è a base di itraconazolo o terbinafina per via orale (v. sopra).

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). TINEA PEDIS (Tinea del piede; piede dell’atleta) La tinea pedis è abbastanza comune. Le infezioni da Trichophyton mentagrophytes iniziano generalmente a livello del III e IV spazio interdigitale e poi si estendono alla superficie plantare dei piedi. Gli spazi interdigitali dei piedi appaiono spesso macerati, con bordi squamosi, a volte vescicolari. Le forme eritematose acute, con molte vescicole e bolle, sono comuni durante la stagione calda. Un’infezione alle unghie, può provocare distrofie e distorsioni. Il T. rubrum produce desquamazione e lichenificazione plantare, con una distribuzione a "mocassino". L’intensità del prurito, del dolore, dell’infiammazione e dell’eruzione vescicolare può essere lieve o grave. La Tinea pedis può complicarsi con infezione batterica secondaria, cellulite o linfangite. Spesso può essere confusa con una semplice macerazione (da iperidrosi o da calzature che macerano i piedi), dermatite da contatto (per ipersensibilità verso i componenti delle scarpe, in modo più spiccato verso i collanti), eczema o psoriasi. L’itraconazolo e la terbinafina sono gli antimicotici più efficaci nella tinea pedis già comprovata, ma potrebbero avere anche un lieve effetto immediato nel trattamento di un’infezione infiammatoria acuta, a causa della reazione immune cellulo-mediata. Entrambi i farmaci possono essere usati nel trattamento di infezioni croniche e nella prevenzione di acute esacerbazioni. Le infezioni interdigitali possono essere successivamente trattate con agenti topici. Il trattamento sistemico per unghie compromesse (onicomicosi) può richiedere una terapia di molti mesi, con difficile risoluzione se sono coinvolte le unghie dei piedi. A causa delle caratteristiche cheratolitiche di questi nuovi farmaci, l’itraconazolo (200 mg/die per 1 mese) o la "pulse therapy" con 200 mg bid 1 sett./mese per 12 mesi, spesso risolvono una tinea pedis non complicata. Le recidive possono essere ridotte dall’uso concomitante di antimicotici topici. Una buona igiene dei piedi è decisamente indispensabile. Gli spazi interdigitali devono essere ben asciugati dopo il bagno, tamponando delicatamente la cute macerata, mentre successivamente è consigliabile applicare una polvere antimicotica assorbente (p. es., miconazolo). Si suggerisce l’utilizzo di calzature che lascino facilmente traspirare la cute, soprattutto durante le stagioni calde; molti pazienti trovano un notevole beneficio nel camminare a piedi nudi. Nell’eruzione vescicolare, le bolle possono essere drenate ai margini, senza che il tetto cheratinico venga rimosso. Gli agenti assorbenti includono la semplice acqua di rubinetto o la soluzione diluita di Burow (medicazioni in occlusiva due volte al giorno). La terapia topica è insufficiente per la risoluzione del quadro clinico, comunque è possibile ottenerne un controllo con un trattamento prolungato. Le recidive sono frequenti se la terapia viene effettuata in maniera discontinua.

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Micosi cutanee

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). TINEA UNGUIUM (Tinea delle unghie) Questa forma di onicomicosi è abitualmente causata da funghi del genere Trichophyton. L’infezione delle unghie delle mani è più rara di quella localizzata ai piedi. Le unghie appaiono ispessite e opache e i detriti si accumulano sotto il bordo libero dell’unghia, scollandola e determinandone la possibile distruzione. È particolarmente importante distinguere l’infezione da Trichophyton dalla psoriasi, in quanto la terapia farmacologica per la tinea ungueale è specifica e a lungo termine. Quando la griseofulvina viene usata nella terapia delle onicomicosi, una cura a lungo termine viene completata in < 20% dei casi. Di conseguenza, la terapia sistemica con itraconazolo orale o terbinafina orale, resta probabilmente il trattamento di scelta. L’itraconazolo a 200 mg PO bid 1 sett./mese per 4 mesi o la terbinafina a 250 mg/ die raggiungono un alto tasso di risoluzione nelle onicomicosi delle mani e dei piedi. In particolare, per le onicomicosi delle dita delle mani, la durata della terapia con terbinafina è di 6 sett., mentre delle dita dei piedi, è di 12 sett. Non è necessario proseguire la terapia fino alla totale caduta dell’unghia alterata, in quanto questi farmaci restano confinati al letto ungueale e continuano la loro azione anche dopo la sospensione della somministrazione orale. Di contro, le terapie topiche per le infezioni ungueali sono raramente efficaci, tranne per il tipo bianco superficiale, nel quale l’infezione si manifesta esclusivamente sulla superficie ungueale.

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). TINEA CAPITIS (Tinea del cuoio capelluto) La tinea capitis colpisce principalmente i bambini. È contagiosa e può diventare epidemica. L’infezione da Trichophyton tonsurans è la causa più comune negli USA; invece, le altre specie di Trichophyton (p. es., Trichophyton violaceum) sono comuni in altre parti del mondo. L’infezione da T. tonsurans del cuoio capelluto determina un inizio subdolo. L’infiammazione è di basso grado e persistente; le lesioni non sono anulari o nettamente demarcate, difatti simulano la dermatite seborroica. Sono presenti caratteristiche macchie nere sul cuoio capelluto, dovute ai capelli spezzati e possono subentrare infezioni infiammatorie. Le specie di Trichophyton possono persistere negli adulti. Il Microsporum audouinii e il M. canis, un tempo predominanti, sono attualmente l’agente eziologico di tinea capitis meno frequente negli USA. Le lesioni del M. audouini sono rappresentate da placche grigiastre, piccole, desquamanti, con capelli spezzati e opachi. L’infezione può essere limitata a una piccola area o estendersi e confluire sino a interessare l’intero capillizio; altre volte, placche ad anello si estendono oltre il margine del cuoio capelluto. Il M. canis e il M. gypseum causano solitamente una reazione flogistica, con caduta dei capelli infetti. Talvolta può verificarsi la comparsa di un grosso granuloma infiammato, rilevato sul piano cutaneo (kerion), che potrebbe essere scambiato per un ascesso o un pioderma e che tende rapidamente alla guarigione. Il Trichophyton, un endotrix, produce catene di artrospore che possono essere diagnosticate mediante esame microscopico del capello, ma non danno alcuna fluorescenza alla luce di Wood. La diagnosi di infezione da Microsporum è facilitata dall’esame del cuoio capelluto con la luce di Wood, in quanto i capelli infetti rivelano una fluorescenza verde brillante. Anche il Microsporum è di tipo ectotrix, con spore che formano una guaina attorno al fusto del pelo, osservabile al microscopio. Anche le colture del fungo possono essere importanti per stabilire la diagnosi. I bambini con infezione da Trichophyton devono essere trattati con griseofulvina in soluzione micronizzata 10-20 mg/kg/die o griseofulvina ultramicronizzata 510 mg/kg/die nel cibo o nel latte, per almeno 4 sett. o fino alla scomparsa di tutti i segni dell’infezione. Durante la cura della tinea capitis, va applicata sul cuoio capelluto una crema con imidazolo o ciclopirox per prevenirne la diffusione, in special modo verso altri bambini e va usato quotidianamente uno shampoo con solfuro di selenio al 2,5%.

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Micosi cutanee

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). TINEA CRURIS (Epidermofizia inguinale) La tinea cruris può essere causata da vari dermatofiti ed è molto più frequente nel sesso maschile. Generalmente, una lesione ad anello si estende dalla faccia interna delle cosce, con partenza dalla piega crurale. Possono essere interessati entrambi i lati. Inoltre, sono presenti lesioni da grattamento e fenomeni di lichenificazione. La tinea cruris può venire complicata da macerazione, miliaria, sovrainfezione batterica o da Candida e reazioni locali alla terapia. Molto spesso la micosi assume un carattere ricorrente, con miceti che persistono indefinitamente sulla cute di individui predisposti. Le riacutizzazioni della dermatite si osservano soprattutto in estate e anche gli abiti stretti e l’obesità tendono a favorire la crescita dei microrganismi. L’infezione può essere confusa con la dermatite da contatto, la psoriasi, l’eritrasma o la candidiasi. Generalmente, nelle dermatofitosi l’interessamento dello scroto è limitato o assente, sebbene, esso sia spesso infiammato a causa di una intertrigine da candida o di un lichen simplex cronico. Spesso risulta efficace la terapia topica con una crema o una lozione, come nella tinea corporis. In alcuni casi è necessaria una terapia a base di itraconazolo 200 mg/die oppure di terbinafina 250 mg/die PO, per 3-6 sett.

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). TINEA DELLA BARBA (Tinea della barba; epidermofizia di Barber) L’infezione micotica della barba, è veramente rara. Di solito essa è sostenuta da batteri (v. Follicolite nel Cap. 112), anche se esistono forme micotiche, in special modo tra i braccianti agricoli. L’agente causale va sempre individuato con studi microbiologici. La terbinafina orale è la terapia di scelta ma, se le lesioni sono fortemente infiammate, viene associata una breve cura con prednisone (per ridurre la sintomatologia e forse diminuire la possibile cicatrice), iniziando con dosi di 40 mg/die PO (per adulti) e diminuendo la dose in 2 sett.

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA DERMATOFITI (Epidermofizia) Infezioni causate da dermatofiti, funghi in grado di parassitare esclusivamente strutture morte, ricche di materiale cheratinico (strato corneo, peli, unghie). DERMATOFITIDI O REAZIONI IDICHE Queste lesioni non micotiche hanno una morfologia variabile e insorgono in qualunque distretto cutaneo in corso di dermatofitosi acute vescicolari o infiammatorie; sono quindi il risultato di una ipersensibilità verso il micete. Sebbene a volte sia causata da un’infezione da dermatofita o da una reazione idica, la dermatite vescicolo-palmare è generalmente causata da altri fattori (v. Dermatite cronica palmo-plantare nel Cap. 111) La terapia di una reazione idica si avvale di una corretta diagnosi e di un trattamento della concomitante infezione dermatofitica. Una crema o una lozione corticosteroidea topica e un antiistaminico orale (p. es., idrossizina idrocloridrata 25 mg qid) possono svolgere una funzione lenitiva.

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Micosi cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 113. MICOSI CUTANEE INFEZIONI DA LIEVITI TINEA VERSICOLOR Infezione causata dal Pityrosporum orbicolare (prima denominato Malassezia furfur), generalmente asintomatica e caratterizzata da aree squamose, con colorazione variabile dal bianco al marrone.

Sommario: Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Sintomi e segni La tinea versicolor è frequente nei giovani. Queste piccole lesioni finemente desquamanti e di colorito variabile dal bianco al marrone, tendono a confluire e sono di frequente localizzate al petto, al collo, all’addome e, occasionalmente, al viso. La desquamazione è messa in evidenza dal semplice grattamento. Il paziente nota la comparsa delle lesioni soltanto in estate dal momento che non si abbronzano, ma si manifestano come chiazze solari ipopigmentate di varia misura. Il prurito è raro e abitualmente compare solo quando il paziente è accaldato.

Diagnosi La diagnosi è semplice, dati l’aspetto clinico e il riscontro, tramite esame microscopico, del materiale desquamante, di gruppi di spore e ife corte e rotonde. La tendenza evolutiva si può evidenziare con la luce di Wood, in base alla fluorescenza dorata o alle modifiche di colore delle lesioni. La diagnosi non necessita di conferma con coltura del microrganismo, che risulterebbe di difficile esecuzione senza gli speciali terreni.

Terapia Numerosi farmaci topici sono efficaci nel trattamento della tinea versicolor; tra questi il solfuro di selenio, gli imidazolici, lo zinco piritione e le combinazioni di acido salicilico e zolfo. Soluzioni di solfuro di selenio usate senza diluizione al 2,5%, in shampoo (Attenzione: tenere lontano dalla portata dei bambini), vanno applicate su tutte le lesioni (incluse quelle al cuoio capelluto, ma escluse quelle ai genitali) per 3-4 giorni, prima di andare a dormire e risciacquate accuratamente al mattino. Se si manifesta irritazione, la lozione va risciacquata dopo 20-60 minuti o va sospesa la terapia per alcuni giorni. Se l’irritazione è molto grave, si può applicare zinco piritione al 2% oppure lo zolfo micropolverizzato al 2% con acido salicilico al 2%, in uno shampoo base al momento di coricarsi per 2 sett. o ancora imidazoli topici bid per 2 sett. (v. file:///F|/sito/merck/sez10/1130869.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.12

Micosi cutanee

Infezioni da Dermatofiti, sopra). L’itraconazolo orale per un breve periodo (200 mg/die per 7 giorni) è efficace e ben tollerato. Anche il chetoconazolo PO è efficace, ma il trattamento sistemico a lungo termine per questa affezione, solitamente di scarsa importanza, è raramente indicato a causa della potenziale tossicità. Comunque, in alcuni studi, una compressa da 200 mg per 1-5 giorni si è dimostrata efficace nel risolvere la tinea versicolor per diversi mesi. Le lesioni possono non tornare a pigmentarsi sino a che il fungo non scompare e il paziente si espone nuovamente alla luce solare. L’eventuale recidiva è abbastanza comune, poiché il microrganismo responsabile dell’infezione è un normale ospite della cute. Il capillizio può costituirne il serbatoio.

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Infezioni virali cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 115. INFEZIONI VIRALI CUTANEE L’herpes simplex e l’herpes zoster, sebbene possano essere considerati virosi cutanee, sono trattate nel Cap. 162.

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Infezioni virali cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 115. INFEZIONI VIRALI CUTANEE VERRUCHE (Verruche) Tumori epiteliali comuni e contagiosi, causati da almeno 60 tipi di papillomavirus umani (HPV). (v. anche Verruche genitali nel Cap. 164.)

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Le verruche sono comuni ad ogni età, ma interessano soprattutto i bambini e sono meno frequenti nelle persone anziane. Le verruche possono presentarsi come lesioni singole o multiple e si estendono per autoinoculazione. L’aspetto e la grandezza dipendono dalla localizzazione, dal grado di irritazione e dal trauma cui sono sottoposte. Il decorso può essere variabile. Può verificarsi una completa regressione dopo molti mesi, ma più spesso le verruche persistono per anni, recidivando nello stesso punto o in aree diverse. Alcune verruche possono divenire maligne (v. Tab. 115-1). L’importanza dell’immunità umorale e cellulo-mediata non è stata ancora chiarita. Molti pensano che poiché le particelle virali delle verruche si osservano solamente nella parte superficiale dell’epitelio (dallo strato granulare verso il corneo), esse abbiano una scarsa probabilità di approfondirsi tanto da essere efficaci come antigeni. Comunque, i pazienti con immunosoppressione da trapianto d’organo o da altre cause, possono sviluppare infezioni cutanee generalizzate causate da molti tipi di virus, tra i quali il papillomavirus umano (HPV), il citomegalovirus, l’herpes simplex virus e il virus varicella-zoster. Ciò suggerisce l’importanza di alcuni meccanismi immunitari. Inoltre, la scomparsa spontanea di verruche multiple in pazienti immunocompetenti, che successivamente sviluppano un’immunità perenne, necessita di ulteriori studi e spiegazioni.

Sintomi e segni Le verruche comuni (verruche volgari) sono praticamente universali in tutta la popolazione. Sono lesioni nettamente delimitate, rotonde o di forma irregolare, a superficie rugosa, di colore giallo-bruno o grigio-nerastro, di consistenza dura o nodulare, di diametro variabile da 2 a 10 mm. Si localizzano più frequentemente a livello di zone soggette a traumi (p. es., dita, gomiti, ginocchia, viso), ma possono diffondersi ovunque. Le verruche periungueali (intorno al letto ungueale) sono comuni come le verruche plantari (a livello della pianta dei piedi); appaiono piatte a causa della pressione e sono circondate da epitelio corneificato. Possono essere estremamente dolenti e possono essere distinte dai corni e dai calli per la

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Infezioni virali cutanee

loro tendenza al gemizio ematico, quando la superficie viene asportata. Le verruche a mosaico sono placche formate dalla coalescenza di una miriade di piccole verruche plantari, molto vicine tra di loro. Le verruche filiformi sono lunghe, strette, "a foglia", abitualmente localizzate alle palpebre, al viso, al collo alle labbra. Questa variante, morfologicamente differente dalla comune verruca, è di natura benigna ed è facile da trattare. Le verruche piane sono piccole papule, piatte o poco rilevate, giallo-brunastre e sono più comuni nei bambini e nei giovani, il più delle volte sul viso e lungo le linee di grattamento per autoinoculazione. Le varianti delle verruche a forma inusuale (p. es., le verruche peduncolate o a cavolfiore), sono molto frequenti sulla testa e sul collo, specialmente nella regione del capillizio e della barba.

Diagnosi I virus delle verruche hanno una catena circolare a doppia elica di DNA, con circa 8000 coppie di basi. Ciascun tipo è indicato da un numero e, in generale, causa lesioni clinicamente distinte (v. Tab. 115-1). Per qualificare un tipo separato vi deve essere un’ibridizzazione crociata del DNA inferiore al 50%; per i sottotipi, deve essere invece superiore al 50%. Sebbene il DNA sia caratteristico, la maggior parte dei HPVs, compresi quelli di origine bovina, ha anche un antigene proteico comune che può essere dimostrato istologicamente su tessuto fissato con un test positivo per tutti i tipi di HPV, molto utile per la diagnosi. Quando i HPV divengono oncogeni, comunque, non danno più una colorazione positiva, né sono più riconoscibili al microscopio elettronico. Con le moderne tecniche di ibridizzazione molecolare, si può individuare il DNA oncogenico del papilloma nelle verruche maligne. La tipizzazione del DNA attualmente è disponibile solamente in alcuni speciali laboratori di ricerca, ma essa è importante per la prognosi delle verruche genitali e le loro conseguenze.

Terapia La terapia dipende da fattori legati alla lesione (localizzazione, estensione, tipo e durata) e al paziente (età, stato immunitario e desiderio di guarigione). La maggior parte delle verruche comuni scompare spontaneamente entro 2 anni o con un semplice trattamento senza esito cicatriziale (quale una soluzione colloidale contenente acido salicilico al 17% e acido lattico al 17%, applicata giornalmente, dopo un delicato raschiamento eseguito dal paziente stesso o da un familiare), oppure con il congelamento della verruca (evitandone la cute perilesionale) per 15-30 s con azoto liquido. Questo procedimento spesso è curativo, ma può essere necessaria un’ulteriore applicazione dopo 2 o 3 sett. La diatermocoagulazione con curettage è molto utile nel caso di una o più lesioni, ma possono residuare cicatrici. Anche la laser terapia può rivelarsi utile, ma anch’essa può dar luogo a cicatrici. In circa il 35% dei pazienti si verificherà la comparsa di recidive o di nuove verruche entro un anno dalla terapia, per cui le metodiche che residuano in cicatrici vanno evitate il più possibile. Le verruche plantari necessitano di una macerazione più vigorosa, mediante l’applicazione locale per diversi giorni di un cerotto all’acido salicilico al 40%. La verruca può quindi essere eliminata per frammentazione quando è ancora umida e soffice; la rimozione è seguita dalla distruzione per congelamento o per causticazione (p. es., con acido tricloracetico al 30% o al 70%). Altri trattamenti distruttivi (p. es., il laser a CO2 o vari altri acidi) sono efficaci in molti casi; per le verruche filiformi può essere sufficiente il semplice taglio alla base o il curettage. La roentgenterapia non ha alcuna indicazione nel trattamento delle verruche, in quanto ne esalta l’invasività. Le verruche piane spesso possono essere trattate con l’applicazione giornaliera di tretinoina (crema a base di acido retinoico allo 0,05%), ma se non si verifica

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uno sfaldamento sufficiente alla rimozione, si può associare sequenzialmente, un altro irritante quale il benzoil perossido al 5% o una crema all’acido salicilico al 5%. Il 5-fluorouracile topico (in crema all’1% o al 5%) è stato utilizzato nel trattamento delle verruche piane. Una risoluzione spontanea può far seguito a un’infiammazione non provocata delle lesioni. Inoltre, sono disponibili diversi nuovi metodi il cui valore a lungo termine e i relativi rischi non sono del tutto conosciuti. Tra questi, l’iniezione intralesionale di piccole quantità di una soluzione allo 0,1% di bleomicina in soluzione fisiologica che spesso produce necrosi e guarigione, anche delle più ostinate verruche plantari. Comunque, le segnalazioni del fenomeno di Raynaud e del danno vascolare delle dita in corrispondenza del punto in cui le verruche sono state infiltrate con bleomicina, suggeriscono una maggior cautela nonostante la popolarità e l’efficacia che questa tecnica ha riscontrato tra alcuni esperti. L’isotretinoina orale o l’etretinato sono stati utilizzati nel trattamento di verruche molto estese, anche nella finora incurabile epidermodisplasia verruciforme, con notevole miglioramento o totale scomparsa. Questi farmaci vanno usati da medici esperti nel loro uso che ne conoscano i possibili effetti collaterali, specialmente lo sviluppo di anomalie fetali nell’uso in gravidanza. Anche l’interferone, specialmente l’interferone-α, intralesionale (tre volte/sett. per 3-5 sett.) o IM, ha risolto le verruche intrattabili della cute e dei genitali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 115-1. TIPI DI VIRUS DELLE VERRUCHE E LORO CORRELAZIONI CLINICHE Forma clinica

Tipo di papillomavirus umano

Correlazioni clininche

Comune (palmare,plantare, periungueale)

1, 2, 4, 7

Benigna

Piana

3, 10

Benigna

Genitale (v.Cap. 164), anche in bocca nell’area perianale, nella vescica nei polmoni

6, 11

Nelle donne, il 28% presenta una cervicodisplasia associata a cellule coilocitiche

16, 18, 33

Si trovano in oltre il 50% delle donne con carcinoma invasivo della cervice; il tipo 16 si trova nell’80% degli uomini e delle donne con papulosi bowenoide dei genitali esterni.Le lesioni solitamente scompaiono spontaneamente, ma in seguito possono svilupparsi neoplasie

6 a, b, c, d, e

Il condiloma gigante di BuschkeLowenstein è spesso maligno; inoltre si riscontra nella displasia cervicale e nei tumori laringei

Molti 3458

La maggior parte sono associate a neoplasie cervicali intraepiteliali (v. Cap.241)

Dei macellai (chi lavora la carne)

7, 10

Verruche comuni, solitamente benigne

Epidermodisplasia verruciforme maligna

5a, b; 8

Spesso maligna; cofattori sono la luce solare e la radioterapia, specie nel tipo 5

Epidermodisplasia verruciforme

14, 7, 9, 10, 12, La maggior parte sembra benigna, 14, 17 19, 20, tranne forse i tipi14, 17 e 20. 23 25

Verruche cutanee in pazienti 8 o altri immunosoppressi e trapiantati

Spesso maligne; la luce solare è un cofattore

Papillomi laringei

Possono diventare maligni; possono verificarsi nei neonati a seguito del passaggio nel canale vaginale e negli adulti come conseguenza di contatti sessuali oro-genitali; possono diffondere ai polmoni in forma neoplastica

6, 11, 16, 30

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Infezioni virali cutanee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 115. INFEZIONI VIRALI CUTANEE MOLLUSCO CONTAGIOSO Infezione da poxvirus caratterizzata da papule ombelicate al centro, del diametro di 2-10 mm, dello stesso colore della cute e di consistenza cerea. La trasmissione avviene per contatto diretto, spesso di tipo venereo. Numerose piccole papule possono comparire in qualunque distretto cutaneo, il più delle volte nella regione genitale e pubica. Abitualmente le lesioni sono asintomatiche, almeno fino a quando non si manifesta una infezione secondaria, oppure la diagnosi avviene casualmente nel corso di visite per malattia sessualmente trasmessa. Le lesioni possono essere facilmente diagnosticate per la presenza della caratteristica ombelicatura centrale, piena di un materiale biancastro, semisolido che, con la colorazione Giemsa, mostra la presenza di grosse cellule contenenti inconfondibili corpuscoli eosinofili (corpuscoli o granuli del mollusco). La malattia si diffonde per autoinoculazione ma talvolta, dopo alcuni mesi, si assiste a una sua risoluzione spontanea. Un mollusco gigante può crescere di volume fino a sviluppare un diametro 2-3 volte maggiore di quello iniziale. Aree di dermatite eczematosa possono circoscrivere molti molluschi, soprattutto nei bambini; ma a tutt’oggi la causa resta sconosciuta. Di solito, un trattamento di successo richiede la distruzione di ogni lesione tramite congelamento; rimuovendo l’area centrale della papula con un ago o con uno schiacciacomedoni o con la punta di una lama da bisturi n. 11 o con l’applicazione di acido tricloracetico (soluzione al 25-40%).

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE DERMATITE PERIORALE Eruzione eritemato-papulosa, di origine sconosciuta, che insorge in sede periorale e mentoniera. La patologia insorge principalmente in donne di età compresa fra i 20 e i 60 anni. Può ricordare vagamente sia l’acne che la rosacea. Una zona di cute normale separa le lesioni dalla zona di transizione della regione buccale. I corticosteroidi topici ne peggiorano il quadro clinico. La tetraciclina, 1 g/die in dosi frazionate tra i pasti, è tra le terapie più efficaci. Il dosaggio va ridotto gradualmente dopo un mese ai livelli minimi. I pazienti con una lieve dermatite periorale che sono riluttanti ad assumere antibiotici orali, possono provare il trattamento con metronidazolo topico allo 0,75% in gel o in crema bid. Invece, i casi resistenti e deturpanti il viso possono risolversi con la isotretinoina orale(v. Acne, sopra).

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE IPERTRICOSI (Irsutismo) Eccessiva crescita pilifera. (v. anche Virilismo adrenalinico nel Cap. 9 e Amenorrea nel Cap. 235.)

Sommario: Introduzione Terapia

È comune la diatesi familiare e la frequenza è maggiore nelle popolazioni di origine mediterranea. Nelle donne e nei bambini può essere implicato uno squilibrio endocrino (p. es., virilismo cortico-surrenalico, adenoma basofilo della ipofisi, tumori ovarici mascolizzanti, sindrome di Stein-Leventhal). Si può inoltre manifestare un’ipertricosi in corso di porfiria cutanea tarda. L’irsutismo è frequente dopo la menopausa, come effetto collaterale legato a terapia con corticosteroidi o androgeni, con alcuni antiipertensivi (p. es., minoxidil) e con ciclosporina.

Terapia Le patologie sistemiche concomitanti vanno trattate. L’unico trattamento locale sicuro e permanente si effettua con la distruzione del singolo follicolo pilifero con una tediosa elettrolipolisi o con il laser (terapia fotodinamica). Viene largamente impiegata, come misura temporanea, la depilazione con pinzette, rasoi o cere depilatorie. I depilatori chimici sono ben tollerati se si seguono scrupolosamente le indicazioni, ma talvolta possono irritare la cute. La decolorazione dei peli può dare risultati estetici soddisfacenti in caso di peli sottili. Nelle donne con particolari tipi di endocrinopatie, può essere provato un inibitore degli androgeni (come lo spironolattone o il ciproterone acetato). Occorre però consultare un ginecologo e un endocrinologo.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE ALOPECIA (Calvizie) Parziale o totale perdita di peli.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

L’alopecia può derivare da fattori genetici, dall’invecchiamento, da malattie locali o sistemiche. (La dermatite seborroica e la psoriasi sono le patologie che più comunemente interessano il cuoio capelluto, ma provocano molto raramente alopecia.) Alopecia non cicatriziale: l’alopecia non cicatriziale inizialmente non determina una palese atrofia. L’alopecia maschile è un’affezione molto comune. C’è un’incidenza familiare e la concomitante presenza di androgeni, anche se la causa eziologica resta sconosciuta. La perdita di capelli comincia dalla aree frontali-laterali, oppure dal vertice. Se compare negli adolescenti tale alopecia assume rapidamente un carattere esteso. Non è infrequente osservarla nelle donne. Solitamente, questa forma resta confinata a un diradamento dei capelli nelle aree frontale, parietale e del vertice; l’alopecia totale è rara. L’alopecia tossico-medicamentosa abitualmente è temporanea e può seguire, dopo 3 o 4 mesi, a forme febbrili gravi (p. es., scarlattina). Può anche comparire in corso di mixedema, di ipopituitarismo o di sifilide primaria, dopo gravidanza e con alcuni farmaci, soprattutto con farmaci citotossici a dosi elevate di Vit. A o di retinoidi e con vari preparati a base di tallio. L’alopecia areata è caratterizzata dall’improvvisa perdita di capelli in aree circoscritte, in genere in individui senza alcuna evidente patologia cutanea o affezione sistemica. Il capillizio e la barba sono le aree maggiormente coinvolte, anche se comunque l’alopecia può interessare qualunque zona pilifera. Raramente possono essere coinvolte tutte le zone pilifere del corpo (alopecia universale). La prognosi è grave nelle forme estese o con comparsa antecedente l’adolescenza, ma le forme circoscritte in piccole aree possono risolversi in pochi mesi, anche senza alcun trattamento, sebbene si possano verificare delle recidive. In alcuni casi, nel siero del paziente si ritrovano anticorpi (Ab) antimicrosomiali, antitireoglobulina, antimucosa gastrica e antimidollare surrenale. La tricotillomania (capelli strappati) è abituale in bambini con habitus neurotico; a volte spesso rimane non diagnosticata per lungo tempo. I capelli sono spezzati e di differente lunghezza. La ricrescita, piuttosto ispida, è ben visibile, anche se la diagnosi differenziale con l’alopecia areata resta comunque difficile. Alopecia cicatriziale: l’alopecia cicatriziale è il risultato di una infiammazione e di una distruzione dei tessuti. Se i peli cadono a seguito di atrofia o retrazione cicatriziale, sull’area colpita si può evidenziare una leggera ricrescita. In seguito file:///F|/sito/merck/sez10/1160879.html (1 of 3)02/09/2004 2.54.18

Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

all’azione di un agente lesivo (p. es., ustioni, traumi fisici, radiodermiti atrofiche), la causa della cicatrice è in genere ben evidente o comunque di facile individuazione. Il lupus eritematoso cutaneo, il lichen planus, le infezioni batteriche o micotiche croniche profonde, le ulcere profonde fattizie, i granulomi (p. es., la sarcoidosi, la gomma luetica, la TBC) o la tinea capitis in fase infiammatoria (il kerion, il favo) possono determinare alopecia cicatriziale. Alcuni tumori del cuoio capelluto, a crescita lenta, possono estendersi gradualmente, residuando una cicatrice. Raramente, l’alopecia cicatriziale è idiopatica.

Diagnosi L’esame microscopico dei capelli strappati permette una conta in fase anagen e telogen, consentendo la diagnosi differenziale fra alcune forme di alopecia non cicatriziale. Questa tecnica, che fornisce utili informazioni diagnostiche, richiede esperienza e preparazione. Tutti i capelli vengono strappati (circa 40-60 peli) da una determinata area del capillizio. Normalmente l’80-90% dei capelli si trova in fase di crescita (anagen); mentre il restante 10-20% è in fase di riposo (telogen). I capelli in fase anagen presentano guaine saldamente attaccate a livello del bulbo, mentre quelli in fase telogen appaiono privi di guaine e presentano un bulbo atrofico. Le alopecie post-partum e quelle conseguenti a malattie sistemiche sono caratterizzate da un aumento della percentuale di capelli in fase telogen, mentre nelle forme secondarie alla somministrazione di farmaci antimitotici o all’uso di composti contenenti tallio, non si hanno modificazioni di tale percentuale. Il capello anagen in fase terminale può rompersi facilmente, in quanto il fusto diventa molto più sottile. L’alopecia areata è caratterizzata dalla presenza di capelli a punto esclamativo. Prelievi bioptici del cuoio capelluto consentono di differenziare varie forme di alopecia (p. es., alopecia areata, tricotillomania). L’esame istologico o l’immunofluorescenza consentono di diagnosticare un LES, un lichen plano pilaris (lichen planus del capillizio) e una sclerodermia. Anche lesioni metastatiche, responsabili di forme cicatriziali di alopecia, possono essere diagnosticate mediante un prelievo bioptico. L’esame dermatologico in corso di alopecia cicatriziale va esteso a tutta la cute e alle mucose, per poter ricercare eventuali lesioni cutanee associate. La biopsia andrebbe eseguita su un’area interessata da processi infiammatori ancora attivi, abitualmente prelevando il frammento dalla periferia della zona decalvata. Non vanno trascurati gli esami colturali per batteri e funghi.

Terapia Le possibilità terapeutiche per un’alopecia maschile sono limitate e includono, in ordine di maggior efficacia, la soluzione topica di minoxidil al 2 e al 5%, , la finasteride orale 1 mg/die e l’intervento chirurgico (trapianto dei capelli). Questi trattamenti vanno effettuati da soli o in associazione. La finasteride orale, un inibitore della 5-α reduttasi di tipo II, è la più efficace terapia non chirurgica. Nell’alopecia areata, la sospensione diluita di triamcinolone acetonide (2,5-5 mg/ ml) può essere iniettata nel derma se le lesioni sono piccole, anche se i risultati possono essere temporanei. L’induzione sperimentale di una leggera dermatite allergica da contatto ha evidenziato alcuni benefici, così come si è verificato con altre sostanze topiche irritanti. Sebbene la clomipramina abbia un beneficio a breve termine nei pazienti con tricotillomania, una modifica comportamentale può determinare benefici duraturi o anche guarigione. Nell’alopecia cicatriziale, il trattamento deve essere rivolto a eliminare la causa determinante.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE GHIANDOLE SEBACEE PSEUDOFOLLICOLITE DELLA BARBA Piccole pustole da irritazione causata dai peli, che costituiscono una reazione da corpo estraneo più che un’infezione vera e propria. L’estremità distale del pelo penetra nella cute prima di uscire dal follicolo oppure il pelo, una volta uscito, si ripiega su se stesso per penetrare nuovamente nella cute, irritandola. La pseudofollicolite della barba (peli incarniti) è più frequente tra i neri. L’unico trattamento realmente efficace è quello di lasciar crescere la barba. È proposto anche l’uso di rasoi particolari, che danno risultati variabili. Inoltre, si possono usare creme depilatorie a base di tioglicato ogni 2 o 3 giorni, ma spesso con risultati irritanti. L’applicazione locale di tretinoina (acido retinoico) allo 0,05% come crema o lozione oppure una crema di benzoilperossido al 10%, risulta efficace nei casi lievi e moderati; il trattamento può risultare irritante e viene usato a giorni alterni per poi passare all’applicazione giornaliera.

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Malattie a carattere desquamativo

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 117. MALATTIE A CARATTERE DESQUAMATIVO Le malattie desquamanti comprendono gli eczemi (v. Cap. 111) o le dermatosi papulosquamose stesse. A differenza degli eczemi, le malattie papulosquamose presentano generalmente margini netti e marcati segni di disordini epiteliali, come secchezza, croste, fissurazioni ed escoriazioni.

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Malattie a carattere desquamativo

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 117. MALATTIE A CARATTERE DESQUAMATIVO PITIRIASI ROSEA Lieve infiammazione cutanea, di causa sconosciuta, caratterizzata da lesioni squamose a decorso autolimitante.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La pitiriasi rosea può comparire a qualunque età, ma è più frequente nei giovani. I tentativi di isolamento dell’agente infettivo hanno portato al ritrovamento di un micoplasma, un picornavirus e un herpesvirus umano tipo 7. Nei paesi a clima temperato, la sua incidenza è maggiore in primavera e in autunno.

Sintomi e segni La chiazza madre (la lesione primaria), in genere di 2-7 cm di diametro, insorge più spesso al tronco e solitamente precede di 5-10 giorni un’eruzione generalizzata. È lievemente eritematosa, di colore rosa o fulvo, di forma circinnata od ovale, ha un bordo squamoso, lievemente rilevato (collare) e può essere confusa con una dermatite anulare superficiale (tinea corporis). Molte piccole chiazze simili, di diametro variabile da 0,5 a 2 cm, compaiono successivamente alla chiazza madre e a volte possono continuare a comparire per settimane, con distribuzione centripeta, solitamente a livello del tronco. Sul dorso, le lesioni dispongono il maggior asse parallelamente ai piani di clivaggio della cute, assumendo una tipica distribuzione radiata dalla colonna vertebrale, che conferisce l’aspetto ad albero di Natale. Negli individui di razza nera, l’eruzione può essere inizialmente papulosa, con una fine desquamazione. A volte, la distribuzione è anomala e le lesioni si localizzano agli arti e occasionalmente al volto. La sintomatologia sistemica è spesso assente, ma sporadicamente vengono riferiti leggero malessere generale, cefalea e un prurito talvolta intenso. La remissione spontanea in 4-5 sett. è la regola, sebbene l’eruzione possa persistere per 2 mesi e la recidiva sia decisamente rara.

Diagnosi e terapia La pitiriasi rosea va differenziata dalla tinea corporis, pityriasis versicolor, tossidermie, psoriasi, parapsoriasi, pitiriasi lichenoide cronica, lichen planus e soprattutto dalla sifilide secondaria. Deve essere effettuato un test sierologico per la sifilide quando sono coinvolti il palmo delle mani o la pianta dei piedi, quando la chiazza madre non è presente o quando il quadro clinico è complicato da un’atipia morfologica. La parapsoriasi a placche va considerata nei casi in cui la presunta pityriasis rosea non si risolve nell’arco di 10 sett. Esistono due forme di parapsoriasi: la prima a piccole placche, benigna e la seconda a grandi placche,

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Malattie a carattere desquamativo

precursore del linfoma cutaneo a cellule T. Non esiste alcun farmaco specifico ma, ad ogni modo, il più delle volte il quadro clinico si risolve senza alcuna terapia. Il paziente va rassicurato circa la risoluzione spontanea delle lesioni. Vanno evitate la luce solare e le fonti di luce artificiale, in quanto aggravano la malattia. Le creme cortisoniche di lieve e moderata potenza mitigano l’eritema e il prurito. Lesioni infiammate e prurito possono anche essere trattate con crema base evanescente di mentolo allo 0,25%, preparazioni topiche contenenti la pramoxina come anestetico locale, con o senza corticosteroide topico e terapia antiistaminica orale. Il prednisone (10 mg PO qid fino al termine della sintomatologia pruriginosa e poi in dosi scalari per 14 giorni) deve essere impiegato solo nelle forme più gravi di prurito.

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Malattie a carattere desquamativo

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 117. MALATTIE A CARATTERE DESQUAMATIVO PITYRIASIS RUBRA PILARIS Rara malattia cronica, caratterizzata da eritema, desquamazione e ispessimento (cheratodermia) della cute. La pityriasis rubra pilaris ha due forme cliniche: la prima ereditaria, a carattere autosomico dominante con esordio durante l’infanzia e la seconda, rara, con esordio in età adulta e nessuna diatesi familiare. Importanti aspetti clinici sono la presenza di papule follicolari cheratiniche intervallate da isole di cute sana. Il coinvolgimento del palmo delle mani, della pianta dei piedi e del capillizio può essere anche molto grave. Tra l’altro, i casi gravi possono evolvere in eritrodermia e richiedere ricovero ospedaliero. La terapia può essere difficile. I retinoidi sistemici (isotretinoina, etretinate, retinolo) e il methotrexate e l’azatioprina sono stati utilizzati con successo. A volte, vengono usati i corticosteroidi topici, ma i risultati sono spesso deludenti.

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Reazioni infiammatorie

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 118. REAZIONI INFIAMMATORIE (v. anche Papule e placche orticarioidi pruriginose in gravidanza nel Cap. 252.)

NECROLISI EPIDERMICA TOSSICA Grave malattia cutanea in cui l’epidermide si stacca in lamine, lasciando ampie aree disepitelizzate.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La necrolisi epidermica tossica (NET) si manifesta spesso negli adulti. I sulfamidici, i barbiturici, i FANS, la fenitoina, l’allopurinolo e la penicillina rappresentano i farmaci maggiormente responsabili, mentre molti altri sono stati implicati più raramente. La somministrazione di farmaci viene rifiutata da circa 1/5 dei pazienti. In circa un terzo dei casi, l’eziologia resta oscura a causa delle gravi malattie e terapie concomitanti. La NET rappresenta una delle poche reali emergenze dermatologiche; il tasso di mortalità è del 61%.

Sintomi e segni La NET generalmente inizia con un eritema doloroso localizzato, che si estende rapidamente. A livello dell’eritema si presentano flittene flaccide, oppure l’epidermide si distacca in larghe lamine in seguito a un lieve sfregamento o trazione (segno di Nikolsky). Lo scollamento epidermico si accompagna a malessere, brividi, mialgie e febbre. La diffusione delle aree di erosione, comprese tutte le superfici mucose (occhi, bocca, genitali), si verifica entro 2472 ore e il paziente può aggravarsi velocemente. Le aree di cute colpite spesso sono simili a ustioni di secondo grado. La mortalità è causata dallo squilibrio idroelettrolitico, dal coinvolgimento di vari organi (p. es., polmonite, emorragia gastrointestinale, glomerulonefrite, epatite, infezioni).

Diagnosi Una diagnosi precoce è importante, per poter sospendere tempestivamente la somministrazione di eventuali farmaci non appropriati. Prima che si verifichino l’eritema diffuso e lo scollamento epidermico, può essere difficile distinguere la NET da altre eruzioni morbilliformi da farmaci o dall’eritema multiforme minor e dalla sindrome di Stevens-Johnson (eritema multiforme major). Spesso si pensa che la NET rappresenti una continuazione di queste ultime due malattie. Sebbene la NET somigli moltissimo alla SSSS (v. Cap. 112), la differenziazione da quest’ultima viene facilitata dall’età del paziente, dall’aspetto clinico e dal livello della separazione epidermica, osservabile sulla porzione escissa tramite biopsia. file:///F|/sito/merck/sez10/1180888.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.26

Reazioni infiammatorie

Terapia I pazienti vanno ospedalizzati; un’eccellente assistenza infermieristica e una stretta osservazione sono essenziali. I farmaci sospetti vanno sospesi immediatamente. I pazienti vanno isolati per minimizzare il rischio di un’infezione esogena e vanno trattati come gli ustionati gravi (v. anche Cap. 276), proteggendo la cute e le aree disepitelizzate dai traumi e dalle infezioni e, soprattutto, reintegrando le perdite di liquidi e di elettroliti. Sebbene controverso, l’uso dei corticosteroidi sistemici somministrato precocemente si è dimostrato efficace. L’idea consiste nel bloccare l’ulteriore danno immunologico alla cute, ma i corticosteroidi sistemici non ridaranno comunque vita ai cheratinociti morti, né revocheranno la distruzione cutanea programmata. Alcuni casi gravi necessitano corticosteroidi ad alte dosi, per via parenterale, per diversi giorni; molti specialisti consigliano 80-200 mg/die EV di prednisolone (o equivalente), sebbene altri ne raccomandino 500-1000 mg/die EV. Questo tipo di terapia corticosteroidea è stata associata a molti effetti collaterali e va quindi somministrata sotto stretto controllo medico. Spesso i corticosteroidi sembrano potenziare la tendenza alle sepsi da gram – o di altro tipo, aumentando l’indice di mortalità; quindi, se questi farmaci venissero usati, un breve decorso sarebbe più sicuro. Una setticemia, la più comune causa di morte, è spesso associata a infezioni polmonari e va diagnosticata e trattata prontamente. Spesso è necessaria una consulenza oftalmologica poiché vi può essere un marcato incrostamento della congiuntiva. Una consulenza urologica è consigliabile per prevenire una fimosi.

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Reazioni infiammatorie

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 118. REAZIONI INFIAMMATORIE (v. anche Papule e placche orticarioidi pruriginose in gravidanza nel Cap. 252.)

ERITEMA NODOSO Infiammazione del derma profondo e del sottocutaneo (panniculite), caratterizzata da fragili noduli rossi, prevalentemente a livello della regione pretibiale, ma che a volte interessa le braccia o altre aree del corpo.

Sommario: Introduzione Terapia

Negli adulti, le cause più comuni sono rappresentate da infezioni streptococciche e dalla sarcoidosi; nei bambini, l’eritema nodoso è spesso determinato da focolai di IRS, specialmente da streptococchi. Le cause meno comuni (fatta eccezione per le aree endemiche) comprendono la lebbra, la coccidioidomicosi, l’istoplasmosi, la tubercolosi primaria, la ornitosi, il linfogranuloma venereo e la colite ulcerativa. La malattia può anche essere dovuta a una reazione da farmaci (sulfamidici, ioduri, bromuri, contraccettivi orali). I noduli cambiano gradualmente di colore passando dal rosa al blu al marrone e assumendo un aspetto simile a quello di una contusione. Sono frequenti febbre e artralgie, mentre un’adenopatia ilare è condizione meno frequente. Questa manifestazione colpisce in prevalenza i giovani e può recidivare per mesi o anni. Va effettuata una ricerca approfondita per individuare l’infezione sistemica o il farmaco responsabili. In molti casi, nessuna causa viene definita. Il più comune parametro di laboratorio rilevato è un aumento della VES.

Terapia Il riposo a letto aiuta a diminuire il dolore provocato dai noduli. Nel caso si sospetti una infezione streptococcica sottostante, il paziente può beneficiare di una terapia antibiotica (p. es., penicillina per un anno). Se non si evidenziano infezioni concomitanti o una eziologia iatrogena, può essere di grande aiuto e sollievo l’aspirina, anche se spesso le lesioni continuano a recidivare. Quando sono presenti poche lesioni, può essere di giovamento sintomatico l’infiltrazione intralesionale di triamcinolone acetonide (2,5-5 mg/ml). Lo ioduro di potassio, alla dose di 300-600 mg/ die fino a 8 sett., è stato annoverato come trattamento alternativo. La somministrazione sistemica di corticosteroidi rappresenta spesso il solo mezzo di controllo delle lesioni, ma può anche mascherare una patologia sistemica sottostante.

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Reazioni infiammatorie

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Reazioni infiammatorie

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 118. REAZIONI INFIAMMATORIE (v. anche Papule e placche orticarioidi pruriginose in gravidanza nel Cap. 252.)

GRANULOMA ANULARE Dermatosi idiopatica benigna e cronica, caratterizzata dalla comparsa di papule o noduli che si allargano in maniera centrifuga fino a formare una struttura anulare intorno alla cute normale o leggermente depressa. Le lesioni sono giallo-brunastre, eritematose, azzurrognole, oppure del colore della cute normale e possono essere presenti in numero di uno o più elementi. Sono in genere asintomatiche e si localizzano in sedi acrali su piedi, gambe, mani, dita. Tale patologia è riscontrabile sia nei bambini che negli adulti. Non si associa solitamente a malattie sistemiche, ma tra gli adulti che presentano molte lesioni, c’è un’incidenza maggiore per un anormale metabolismo glucidico. In circa il 5% dei casi, l’esposizione alla luce solare ha provocato una eruzione improvvisa delle lesioni. Generalmente la risoluzione è spontanea e nessun trattamento è necessario. Oltre ad assicurare e spiegare al paziente la benignità della malattia, per accelerarne la regressione sono utili steroidi topici ad alta potenza applicati ogni notte con medicazione occlusiva in polietilene, cerotti contenenti corticosteroidi (flurandrenolide), oppure infiltrazioni corticosteroidee intralesionali (v. Cap. 110).

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Reazioni alla luce solare

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 119. REAZIONI ALLA LUCE SOLARE Sommario: Introduzione Esposizione solare Fisiopatologia

La cute può rispondere all’eccessiva esposizione solare in molti modi: ustioni, alterazioni croniche (dermatoeliosi) o fotosensibilità.

Esposizione solare Sebbene il sole emetta un’ampia gamma di raggi ultravioletti (UV) ed elettromagnetici (cioè, UVA, da 320 a 400 nm; UVB, da 280 a 320 nm; UVC, da 10 a 280 nm), solamente gli UVA e gli UVB raggiungono la superficie terrestre. Le caratteristiche e la quantità di queste radiazioni variano enormemente con le stagioni e con il modificarsi delle condizioni atmosferiche. L’esposizione cutanea alla luce solare dipende da molteplici fattori, p. es., indumenti, abitudini di vita, lavoro e condizioni geografiche, come altitudine e latitudine. I raggi che provocano le ustioni(< 320 nm) vengono filtrati dal vetro (p. es., le finestre) e in gran parte dal fumo e dallo smog. La maggior parte dei raggi che provocano ustioni riesce a penetrare piccole nuvole, nebbia o 30 cm di acqua limpida, causando gravi reazioni cutanee in molte persone, che spesso non si accorgono di ciò che sta accadendo. La neve, la sabbia e il cielo limpido, riflettendo i raggi solari, ne potenziano l’intensità. L’ozono della stratosfera, che filtra i raggi UV con corte lunghezze d’onda, si è esaurito a causa dei clorofluorocarboni creati dall’uomo (p. es., nei congelatori e negli aerosol). Una diminuzione del livello di ozono, quindi, determina un aumento involontario all’esposizione ai raggi UVA e UVB.

Fisiopatologia Le lampade abbronzanti utilizzano la luce artificiale, composta in prevalenza dai raggi UVA più che dagli UVB; vanno comunque supposti alcuni effetti deleteri a lungo termine. Anche le fonti di luce contenenti solo UVA danneggiano la cute. Dopo l’esposizione alla luce solare, l’epidermide si ispessisce e i melanociti producono una maggiore quantità di melanina, fornendo in questo modo una protezione naturale per la successiva esposizione. Inoltre, si producono alterazioni funzionali delle cellule epidermiche di Langerhans, importanti dal punto di vista immunologico. Gli individui differiscono molto nella reazione alla luce solare. La pigmentazione non si verifica nella cute degli albini a causa di un difetto nel metabolismo melaninico, né nelle aree vitiligoidee per la totale assenza di melanociti. La razza nera e le altre non bianche risultano meno sensibili all’esposizione solare degli individui con carnagione chiara, ma non sono immuni agli effetti nocivi del sole e

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Reazioni alla luce solare

possono ustionarsi in seguito a un’esposizione prolungata. Gli individui con capelli biondi o ramati risultano essere particolarmente sensibili. Tra l’altro, si verifica un’irregolare deposito di melanina negli individui con capelli chiari e con lentiggini.

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Reazioni alla luce solare

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 119. REAZIONI ALLA LUCE SOLARE EFFETTI CRONICI DELLA LUCE SOLARE Sommario: Introduzione Terapia

La prolungata esposizione al sole invecchia la cute(dermatoeliosi, invecchiamento estrinseco) e generalmente si manifesta con rughe ed elastosi (colorazione giallastra con piccoli noduli gialli) e iperpigmentazione a chiazze. Gli effetti atrofici presenti in alcuni individui sembrano mimare quelli conseguenti a radioterapia (radiodermite cronica). Le cheratosi attiniche sono lesioni cheratosiche precancerose che rappresentano una frequente, fastidiosa conseguenza di molti anni di esposizione solare. Individui con capelli biondi o rossi e un fototipo cutaneo di Fitzpatrick tipo I e II sono particolarmente sensibili (v. Tab. 119-1); la razza nera viene colpita raramente. Le cheratosi sono solitamente color rosa, scarsamente delimitate e squamose o crostose alla palpazione, ma possono essere anche di colore grigio chiaro o scuro. Vanno differenziate dalle cheratosi seborroiche verrucose di colore marrone (v. Cap. 125), non precancerose, che aumentano di numero e grandezza con l’età e si manifestano anche in aree del corpo non esposte al sole. L’incidenza del carcinoma squamocellulare e del basalioma (v. Cap. 126) nei soggetti con carnagione chiara è direttamente proporzionale alla quantità di sole annualmente assorbita. Queste lesioni sono soprattutto frequenti in coloro che si sono lungamente esposti al sole da bambini e da adolescenti e negli sportivi, negli agricoltori, nei contadini, nei marinai e nei frequenti nuotatori. Anche il melanoma maligno (v. Cap. 126) ha un’incidenza crescente nel tempo, probabilmente dovuta a un aumentata esposizione solare.

Terapia Se sono presenti solo poche cheratosi attiniche, la crioterapia (congelamento con azoto liquido) risulta il trattamento più rapido e soddisfacente. Se invece ci sono troppe lesioni da trattare, il 5-fluoruracile topico (5-FU) applicato sulla zona interessata per la notte o due volte al giorno per 2-4 sett. da sorprendenti risultati. Per le lesioni al viso, molti medici consigliano una soluzione di 5-FU in glicole propilenico all’1%, mentre altri preferiscono la crema di 5-FU al 2% o 5%. Il trattamento con il 5-FU topico provoca una rapida reazione con eritema, desquamazione e ustione, spesso coinvolgendo le zone precedentemente prive di cheratosi attiniche. Se la reazione è troppo rapida, l’applicazione può essere sospesa per 2 o 3 giorni. La terapia con 5-FU non dà significativi effetti collaterali se non per questa sgradevole e incomoda reazione, che può venire mascherata dai cosmetici ed eliminata con i corticosteroidi topici. Il 5-FU non va usato nella terapia dei carcinomi basocellulari, eccetto nei casi in cui l’esame bioptico rivela una forma superficiale e multifocale.

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Reazioni alla luce solare

Varie associazioni terapeutiche, compresi i peeling chimici, α-idrossiacidi topici, 5FU e tretinoina, sono stati usati nel tentativo di migliorare l’aspetto cosmetico di un danno cronico da sole. Prove cliniche in doppio cieco con placebo hanno fornito qualche supporto all’uso topico di α-idrossiacidi, tretinoina e peeling chimici per migliorare rughe profonde e fini, una pigmentazione irregolare, grigiore, ruvidità e lassità, ma non le teleangectasie. Il laser resurfacing rappresenta un’ulteriore alternativa terapeutica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 119-1. TIPI DI PELLE E RISPETTIVA SENSIBILITA' AI RAGGI SOLARI Tipo di pelle

Colore naturale della pelle

Sensibilità alla luce ultravioletta

Effetti dell’esposizione solare

I

Bianco

Elevata sensibilità Si ustiona facilmente, non mostra IIP, non abbronza mai

II

Pallido

Alta sensibilità

Si ustiona facilmente, tracce di IIP, abbronzatura minima e con difficoltà

III

Chiaro

Discreta sensibilità

Ustione minima, lieve IIP, abbronzatura graduale ed uniforme (marrone chiaro)

IV

Marrone chiaro

Lieve sensibilità

Ustione minima, moderato IIP, sempre buona abbronzatura (marrone)

V

Bruno

Poca sensibilità

Rara ustione, forte IIP, intensa abbronzatura (marrone scuro)

VI

Bruno scuro o nero

Minima sensibilità Nessuna ustione, forte IIP, intensa abbronzatura (nero scuro)

IIP=(Immediate Pigment Darkening) imbrunimento immediato del pigmento. Tratta da Fitzpatrick TB, Eisen AZ, Wolf K, et al: Dermatologia in medicina generale, ed.4. New York, McGraw Hill, 1993, p.1694.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

CHERATOSI SEBORROICHE (Verruche seborroiche) Lesioni epiteliali superficiali iperpigmentate, solitamente verrucose, ma talvolta simili a papule lisce. L’origine è sconosciuta. Compare solitamente in pazienti di media età o negli anziani ed è molto frequente al tronco e in sede temporale; nella razza nera, specialmente se di sesso femminile, piccole cheratosi si localizzano frequentemente nella regione malare del volto (dermatosis papulosa nigra). Le verruche seborroiche crescono lentamente e hanno dimensioni variabili. Possono essere rotondeggianti od ovalari e di color carneo, bruno o nerastro; abitualmente sembrano "incollate sulla cute" e presentano una superficie cerea, verrucosa, vellutata, squamosa o crostosa. Non si tratta di una lesione precancerosa e non necessita di alcuna terapia, tranne nei casi complicati da prurito, da irritazione o esteticamente fastidiosi. Le lesioni possono essere rimosse, lasciando piccole cicatrici o non lasciandone affatto, per mezzo di un "curettage", previa iniezione locale di lidocaina, oppure con crioterapia ad azoto liquido o neve CO2 carbonica.

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI CARCINOMA SQUAMOCELLULARE Tumore cutaneo che deriva dalle cellule dello strato malpighiano, localizzato solitamente nelle zone fotoesposte. Il carcinoma squamocellulare (il secondo tipo più comune di neoplasia cutanea) può insorgere su cute normale, su aree di preesistente cheratosi attinica, di leucoplachia o su cicatrici da ustioni. L’incidenza negli USA è tra 80000 e 100000 casi clinici annui. Le manifestazioni cliniche sono estremamente varie. Il tumore può esordire come papula o placca eritematosa, coperta da squame o croste. Può evolvere in lesione nodulare, a volte con superficie verrucosa. Talvolta, la massa della lesione si localizza sotto la cute circostante. In alcuni casi si ulcera e invade i tessuti sottostanti. La percentuale di carcinomi squamocellulari, su cute fotoesposta, che metastatizzano è discretamente bassa. Comunque, circa 1/3 delle neoplasie della lingua o della mucosa metastatizzano prima che se ne faccia diagnosi. La diagnosi differenziale va fatta con molte lesioni benigne e maligne, tra cui il basalioma, il cheratoacantoma, la cheratosi attinica, la verruca volgare e la cheratosi seborroica. La biopsia è indispensabile. Generalmente, la prognosi per le piccole lesioni rimosse precocemente e adeguatamente è eccellente. Il trattamento è uguale a quello del basalioma (v. sopra), ma la terapia e il follow-up vanno monitorizzati con cura dato il maggior rischio di metastasi. I carcinomi squamocellulari delle labbra e delle altre giunzioni mucocutanee vanno escissi chirurgicamente, anche se a volte, la guarigione si rivela difficoltosa. Le recidive, come nei carcinomi basocellulari, vanno trattate con la chirurgia di Mohs.

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI MELANOMA MALIGNO (Melanoma) Tumore maligno melanocitico, a insorgenza in una zona pigmentata: cute, mucose, occhi e SNC.

Sommario: Introduzione Diagnosi Prognosi e terapia

Negli USA, annualmente, si contano circa 25000 nuovi casi di melanoma maligno, che causano circa 6000 decessi. Purtroppo, questa incidenza sta aumentando rapidamente. L’esposizione solare è un’aggravante, così come la diatesi familiare, la presenza di lentigo maligno, di un nevo melanocitico gigante congenito e della sindrome del nevo displastico. Questa neoplasia è rara tra i neri. Circa il 40-50% dei melanomi maligni insorge da nevi pigmentati (v. anche Nevi e Nevi displastici nel Cap. 125); quasi tutti i rimanenti insorgono da cellule melanocitiche della cute normale. I rarissimi melanomi maligni dell’infanzia insorgono quasi sempre da nevi giganti iperpigmentati già presenti alla nascita (nevi congeniti giganti). Di solito, i nevi di Sutton (Halo nevi) regrediscono spontaneamente, ma raramente evolvono in melanomi. Sebbene i melanomi siano più comuni durante la gravidanza, ciò non aumenta la probabilità di trasformazione maligna di un nevo. Frequentemente, la dimensione o la forma dei nevi si modifica durante la gravidanza. I segni di trasformazione maligna devono essere ricercati attentamente: cambiamenti nella dimensione, nel colore, soprattutto diffusione della pigmentazione eritematosa bluastra-biancastra alla cute normale circostante, modificazione della superficie, della consistenza o della forma e soprattutto segni di infiammazione nella cute circostante, con possibile sanguinamento, ulcerazione, prurito o dolore. I melanomi maligni variano in forma, grandezza e colore (per lo più pigmentato), con diversa tendenza alla invasione e alle metastasi. Questa neoplasia può diffondere rapidamente, risultando fatale nel giro di pochi mesi dalla sua identificazione, mentre la percentuale di guarigione a 5 anni delle lesioni molto superficiali e precocemente individuate è vicina al 100%. Inoltre, la guarigione dipende dalla precocità di diagnosi e di trattamento. In questa sede, sono descritti quattro tipi fondamentali di melanoma. La lentigo maligna-melanoma deriva dalla lentigo maligna (lentigo pre-maligna di Hutchinson o melanoma maligno in situ). È localizzata al viso o in altre aree fotoesposte, solitamente in pazienti anziani come macule a forma irregolare, asintomatiche, di 2-6 cm di diametro, di colorito marrone o bruno, ricoperte da chiazze irregolari brune o nere, diffuse irregolarmente sulla superficie. Nella lentigo di Hutchinson, entrambi i melanociti benigni e maligni restano confinati all’epidermide; mentre, quando i melanociti maligni invadono il derma, la lesione è chiamata melanoma lentigo maligna e può dare luogo a metastasi. Il melanoma superficiale rappresenta i 2/3 del totale dei melanomi maligni.

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Tumori maligni

Solitamente asintomatico, viene spesso diagnosticato quando è più piccolo della lentigo maligna-melanoma e colpisce più comunemente le gambe nelle donne e il dorso negli uomini. Questo melanoma è di solito una lesione a placca, a bordi irregolari, infiltrati e rilevati, di colore marrone-bruno, ma che spesso evidenziano piccole chiazze eritematose, bianche, nere e blu, oppure a volte noduli rilevati di colore blu-nerastro. Si possono notare piccole incisure ai margini, insieme a un’estensione o al cambio di colore. L’istologia rileva la presenza di melanociti atipici, con tipica invasione dermica ed epidermica. Il melanoma nodulare costituisce il 10-15% di tutti i melanomi maligni. Colpisce qualunque parte del corpo e si manifesta sotto forma di papula rilevata, scura, oppure di placca di colore variabile dal bianco perla al grigio, al nero. Occasionalmente, la lesione può contenere piccole quantità di pigmento o sembrare una neoplasia vascolare. Finché la lesione non si ulcera, il melanoma nodulare è asintomatico, tuttavia il paziente viene generalmente allertato circa la rapida crescita della lesione. Il melanoma acrale-lentiginoso, sebbene raro, è tuttavia la forma più comune di melanoma nella razza nera. Insorge a livello palmo-plantare e subungueale e presenta una caratteristica immagine istologica simile alla lentigo malignamelanoma. I melanomi maligni si localizzano anche nella mucosa orale, nelle regioni genitali e nella congiuntiva. Il melanoma delle mucose (in special modo i melanomi in sede ano-rettale), che risulta più comune nelle razze non bianche, ha una prognosi infausta.

Diagnosi I due sistemi di classificazione utili nella valutazione dei melanomi di stadio I sono (1) spessore del melanoma misurato dallo strato granuloso della epidermide fino alla maggiore profondità d’invasione tumorale, come suggerisce Breslow e (2) livello anatomico di invasione, come descritto da Clark. Nella classificazione di Clark, il livello I è rappresentato dall’epidermide; il livello II si estende fino al derma papillare; il livello III infiltra ulteriormente nel derma papillare, espandendosi in questo strato; il livello IV si estende al derma reticolare; e il livello V raggiunge lo strato adiposo sottocutaneo. Un aumentato spessore di Breslow e una maggiore profondità d’invasione (livello di Clark) sono indice di una cattiva prognosi. La diagnosi differenziale viene effettuata con i carcinomi basocellulari, le cheratosi seborroiche, i nevi displastici, i nevi blu, i dermatofibromi, i nevi, gli ematomi (in special modo localizzati su mani e piedi), i laghi venosi, i granulomi piogenici e le verruche volgari. Se sussiste un dubbio diagnostico, dovrà essere effettuata una biopsia cutanea fino alla parte più profonda del derma, con leggera estensione oltre i margini della lesione. La biopsia deve essere escissionale nelle piccole lesioni e incisionale per quelle più ampie. Attraverso l’analisi delle sezioni seriate, l’anatomopatologo può determinare lo spessore massimo del melanoma. L’intervento chirurgico radicale non deve precedere la diagnosi istologica. Le linee di condotta per selezionare le lesioni pigmentate da escindere o da sottoporre a biopsia, devono tenere conto di una recente estensione, di un imbrunimento, di un sanguinamento o di una ulcerazione. Questi segni indicano, di solito, che il melanoma ha già invaso la cute in profondità. Una diagnosi più precoce si può ottenere da biopsie di lesioni con colori variegati (p. es., nero o bruno con sfumature rosse, bianche o blu), con una rilevazione irregolare, visibile o palpabile, con bordi frastagliati o bizzarre incisure. Il dermatoscopio, un oftalmoscopio modificato, usato con un particolare olio a immersione per esaminare le lesioni pigmentate, può essere utile nella distinzione del melanoma dalle lesioni benigne. Valutazione istologica: la terapia e la prognosi dipendono ampiamente dai criteri istologici che definiscono lo spessore massimo del melanoma, misurato file:///F|/sito/merck/sez10/1260910b.html (2 of 3)02/09/2004 2.54.32

Tumori maligni

istologicamente con un micrometro ottico. Adeguati campioni bioptici sono necessari per la classificazione istologica. I melanomi che insorgono nel SNC e quelli subungueali non sono classificabili con questo sistema. Il grado d’infiltrazione linfocitaria, che rappresenta il sistema immunologico di difesa del paziente, può correlarsi con il livello d’invasione e con la prognosi. Le possibilità di guarigione sono massime quando l’infiltrazione linfocitaria è limitata alle lesioni più superficiali mentre diminuiscono con l’invasione di cellule tumorali a livelli più profondi.

Prognosi e terapia Al momento della diagnosi, il tipo clinico di tumore rappresenta un parametro meno importante per il tasso di sopravvivenza rispetto allo spessore (v. Tab. 1261). La metastasi del melanoma si diffonde sia per via linfatica che per via ematica. La metastasi locale provoca la formazione di papule vicine o noduli satelliti, pigmentati o acromici. Si possono anche avere metastasi dirette alla cute o agli organi interni e, occasionalmente, possono essere riscontrati linfonodi ingranditi o noduli metastatici, prima ancora di identificare la lesione primaria. I melanomi che originano dalle mucose hanno una prognosi peggiore, anche se quando vengono identificati sembrano ben circoscritti. Il trattamento consiste nell’escissione chirurgica. Sebbene l’ampiezza di escissione dei margini sia controversa, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che un margine laterale di 1 cm libero da neoplasia sia adeguato per lesioni < 1 mm di spessore. Lesioni più spesse necessitano di una chirurgia più radicale e una biopsia sui linfonodi-sentinella. La lentigo maligna-melanoma e la lentigo maligna solitamente vengono trattate con un’ampia escissione locale e, se necessario, con un successivo innesto cutaneo. La radioterapia intensiva è molto meno efficace della chirurgia. È consigliabile un’escissione precoce della lentigo maligna, prima che la lesione assuma dimensioni maggiori; la maggior parte delle altre metodiche terapeutiche (a eccezione della criochirurgia controllata) solitamente non raggiunge i follicoli profondi, che devono essere rimossi. I melanomi nodulari o superficiali vengono solitamente trattati con un’escissione locale ampia che si estende in profondità sino alla fascia. Qualora vi sia un coinvolgimento linfonodale, viene consigliata la linfadenectomia terapeutica. I melanomi maligni spessi e le metastasi regionali o a distanza possono essere trattati con chemioterapia (dacarbazina o con nitrosuree carmustina e lomustina). Comunque, la prognosi è infausta. Attualmente sono in fase di studio il cis-platino e altri farmaci. I risultati ottenuti con l’uso del vaccino BCG (bacillo di Calmette-Guérin) per alterare la risposta immunitaria del paziente sono stati scoraggianti, ma le nuove forme d’immunoterapia (p. es., interleuchina-2 e cellule killer attivanti le linfochine) sembrano essere promettenti. Attualmente sono in fase di studio, per un possibile uso terapeutico, vaccini che usano gli antigeni stessi del melanoma.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

NEVI (Pigmentati, melanocitici o nevi nevocitici) Lesioni pigmentate circoscritte di tipo maculoso, papuloso o nodulare, composte da aggregati di cellule neviche o di melanociti.

Sommario: Introduzione Terapia

Quasi tutti gli individui presentano lesioni neviche che compaiono generalmente durante l’infanzia o l’adolescenza. I nevi possono essere sia grandi che piccoli; dal color carneo al giallo bruno, al nero; piani o rilevati; a superficie liscia, coperti da peli o verrucosi; sessili o peduncolati (per la classificazione, v. Tab. 125-1). Durante la gravidanza e l’adolescenza, frequentemente compaiono altri nevi e quelli già esistenti possono aumentare di volume e diventare più scuri. Sebbene sia improbabile che il nevo diventi maligno, circa il 40-50% dei melanomi maligni (v. Cap. 126) origina dai melanociti dei nevi.

Terapia Poiché i nevi sono molto frequenti e i melanomi sono rari, è del tutto ingiustificato rimuoverli a scopo profilattico. Comunque, nel caso in cui si verifichi uno sviluppo improvviso, si consiglia l’escissione chirurgica del nevo e il successivo esame istologico (specialmente se esso presenta bordi irregolari); l’asportazione è consigliabile anche nei casi in cui la lesione diventa più scura o si infiamma, se mostra cambiamenti di colore irregolari, se comincia a sanguinare, a ulcerarsi o se diventa pruriginosa o dolente. Se il nevo è troppo grande per una semplice escissione, va effettuata una biopsia abbastanza profonda per poter fare un’accurata diagnosi microscopica. Questo esame va effettuato prima di procedere a un’ampia asportazione, per evitare errate diagnosi cliniche di melanoma. La semplice escissione o la biopsia non aumentano la probabilità di metastatizzazione se la lesione si dimostra maligna, ma evitano una chirurgia demolitiva nel caso di lesione benigna. I nevi possono essere rimossi per motivi estetici senza timore di una successiva trasformazione maligna, comunque è sempre opportuno che tutti i nevi rimossi vengano esaminati istologicamente. I nevi pelosi vanno escissi in maniera adeguata, piuttosto che essere rimossi con una biopsia mediante "shaving", altrimenti, si avrà sicuramente una ricrescita dei peli.

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Tumori benigni

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 125-1. CLASSIFICAZIONE DEI NEVI Tipo

Caratteristiche cliniche

Istologia

Commenti

Lentigo

Uniformemente pigmentata, dal marrone al nero, piatta, a margini netti, di 2- 4mm

Aumentato numero di melanociti nella giunzione dermoepidermica

Più scura, rada, grande e disseminata della lentiggine; non si scurisce ne si moltiplica con l’esposizione al sole

Nevo giunzionale

Dal marrone chiaro al nerastro, generalmente piatto ma a volte rilevato, di 1-10mm

Raggruppamento di melanociti nella giunzione epidermica

Di solito palmoplantare, e ai genitali; i nevi melanocitici quasi sempre derivano da nevi giunzionali

Nevo composto

Solitamente scuro, lievemente o molto rilevato, di 3-6mm

Nidi di melanociti nella giunzione dermoepidermica e nel derma

Nevo Color carne o nero, intradermico rilevato, liscio in superficie, peloso verrucoso, di 36mm Vintiligine perinevica o nevo di Sutton

Nevo solitamente composto o intradermico, circondato da anello di cute depigmentata, di 35 mm

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Melanociti e cellule neviche confinate quasi esclusivamente nel derma Simile al nevo composto o all’intradermico, ma con infiammazione e perdita di melanociti nell’alone

Di solito risolve spontaneamente, anche se in rari casi subisce trasformazione melanomatosa

Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

NEVI DISPLASTICI Lesioni pigmentate, spesso discretamente grandi, con bordi generalmente irregolari e mal definiti; di colorito variabile dal bruno a toni più scuri, con componenti maculari o papulari.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

I nevi displastici sono abbastanza comuni. Un semplice nevo displastico presenta un piccolo rischio per il melanoma e comunque, non identifica la persona come potenziale portatore. La tendenza a sviluppare un nevo displastico può essere ereditaria (autosomica dominante) od occasionale, senza alcuna associazione familiare. La sindrome del nevo displastico-melanoma si riferisce alla presenza di nevi displastici multipli e di melanoma in due o più parenti di primo grado. Questi pazienti hanno un rischio maggiore (25 X) di sviluppare un melanoma.

Sintomi, segni e diagnosi Sebbene i rilievi clinici possano suggerire la diagnosi (v. Tab. 125-2), va ricordato che i criteri diagnostici e istologici sono ancora in fase di studio. Anche se la diagnosi del nevo displastico è clinicamente semplice, questi pazienti possono avere numerosi nevi atipici, rendendo il monitoraggio più complesso. È necessario raccogliere un’anamnesi familiare con particolare riferimento a nevi e a melanomi (ritenuti avere probabile origine da un nevo displastico o congenito) o ad altre forme di neoplasie cutanee. Se l’anamnesi suggerisce la presenza di un melanoma, vanno esaminati anche i parenti di primo grado. Individui con nevi displastici che fanno parte della famiglia con diatesi di melanoma (cioè, due o più parenti di primo grado con melanomi cutanei), hanno un alto rischio nel corso della vita di sviluppare un melanoma. Non è noto se esiste un rischio di melanoma maggiore negli individui con nevi displastici ma senza una storia familiare di melanoma. È consigliabile esaminare l’intera cute (compreso il cuoio capelluto) del paziente sospettato di avere uno o più nevi displastici. Una biopsia viene eseguita su uno o più lesioni apparentemente atipiche. I pazienti con nevi displastici multipli e una storia personale o familiare di melanoma, vanno esaminati periodicamente. I nevi displastici sono generalmente più grandi degli altri (> 6 mm di diametro),

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Tumori benigni

originariamente di forma rotonda (a differenza di molti melanomi), ma possono inspiegabilmente avere margini frastagliati e lieve asimmetria. I melanomi sono di colore molto irregolare, non solo scuro e bruno, ma anche nero, rosso e blu, con aree di risoluzione centrale. I nevi displastici sono istologicamente meno omogenei dei loro complementari non displastici, presentano un disordine strutturale e un’atipia dei melanociti.

Terapia Le lesioni che fanno pensare a un melanoma (v. nevi, sopra, e melanoma maligno nel Cap. 126) vanno escisse chirurgicamente. I pazienti con nevi displastici devono evitare l’eccessiva esposizione solare e usare schermanti solari con FPS 15; inoltre, vanno istruiti sull’autoesame da effettuare per verificare eventuali cambiamenti dei nevi preesistenti e riconoscere gli aspetti clinici di un melanoma. Per effettuare questi cambiamenti, gli esami ordinari di follow-up possono essere associati a fotografie a colori della maggior parte del tegumento.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 125-2. CARATTERISTICHE CLINICHE DEL NEVO DISPLASTICO E DEI NEVI Criteri

Nevo

Nevo displastico

Diametro

Da 1 a 10mm

Da 5 a 12mm

Colore

Color carne, giallobruno, o nero

Bruno fino al marrone scuro, con sfondo rosato

Sede

Qualunque area corporea

Più frequentemente su cute fotoesposta, a volte su aree coperte (p.es., glutei, petto, capillizio)

Numero di lesioni

Circa 10

Possibile>100

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 126-1. SOPRAVVIVENZA A 5 ANNI NEL MELANOMA MALIGNO, IN FUNZIONE DELLO SPESSORE Spessore del tumore (mm)*

Sopravvivenza a 5 anni (%)

3,0

46

*La valutazione dello spessore del tumore è molto difficoltosa in presenza di segni istologici di regressione.

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Malattie bollose

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 120. MALATTIE BOLLOSE (v. anche Herpes gravidico nel Cap. 252.)

PEMFIGO Affezione cutanea rara, a eziologia autoimmune e a prognosi potenzialmente infausta, caratterizzata dalla formazione di bolle intraepidermiche ed estese erosioni a livello di cute apparentemente sana e delle mucose .

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Il pemfigo si manifesta solitamente in individui di mezza età o negli anziani, ed è raro nei bambini. Tale patologia si manifesta con una particolare incidenza in alcune zone del Sud America, specialmente in Brasile. Durante la fase attiva del pemfigo, il siero e la cute contengono anticorpi IgG prontamente dimostrabili nel sito epidermico danneggiato. Questi anticorpi possono indurre lo stesso processo patologico in vivo e in vitro.

Sintomi e segni Le lesioni primarie sono rappresentate da bolle flaccide, di dimensioni variabili, ma spesso la cute e le mucose vengono ripulite dal tetto, lasciando erosioni dolorose. Le lesioni si localizzano generalmente nella mucosa buccale, dove si rompono e permangono come lesioni croniche, spesso dolenti, per un periodo variabile, prima che la cute si infetti. Le bolle insorgono caratteristicamente su cute apparentemente sana, successivamente si rompono residuando aree disepitelizzate che si ricoprono di croste. Può essere coinvolta qualunque area dell’epitelio squamoso stratificato, ma l’estensione delle lesioni cutanee e l’interessamento delle mucose sono estremamente variabili (p. es., le lesioni possono interessare l’orofaringe e la porzione superiore dell’esofago). Generalmente il prurito è assente. In alcune varietà superficiali (p. es., pemfigo foliaceo), le bolle possono non essere prominenti e solitamente non sono presenti in sede orale. Le lesioni possono localizzarsi al viso, con grandi squame crostose che fanno pensare a una combinazione di dermatite seborroica e lupus eritematoso cutaneo subacuto. Inoltre, il pemfigo foliaceo può simulare una dermatite esfoliativa, una psoriasi, un’eruzione da farmaci o altre forme di dermatite.

Diagnosi In tutti i casi di manifestazioni bollose o di ulcerazioni croniche delle mucose si deve sospettare un pemfigo. La diagnosi differenziale va posta nei confronti di file:///F|/sito/merck/sez10/1200894.html (1 of 3)02/09/2004 2.54.42

Malattie bollose

altre lesioni ulcerative croniche del cavo orale e di altre dermatosi bollose (p. es., pemfigoide bolloso, il pemfigoide benigno delle mucose [cicatriziale, v. Cap. 96], le eruzioni da farmaci, la necrolisi epidermica tossica, l’eritema multiforme, la dermatite erpetiforme e la dermatite da contatto di tipo bolloso). Nel pemfigo volgare, l’epidermide si distacca facilmente dagli strati sottostanti (segno di Nikolsky) e la biopsia generalmente evidenzia un tipico distacco delle cellule epidermiche sovrabasali. Nel pemfigo foliaceo il distacco non si verifica nella regione sovrabasale, ma piuttosto nelle porzioni superficiali dello strato spinoso granuloso. Il test di Tzanck (v. Indagini diagnostiche speciali nel Cap. 109) è spesso diagnostico se associato alla colorazione di Wright o Giemsa su un campione di cellule ottenute dal raschiamento alla base della lesione. Le cellule acantolitiche, reperto tipico del pemfigo, sono cellule libere tra loro, simili a quelle basali, con un grande nucleo centrale e citoplasma denso. I test di immunofluorescenza diretta (IFD), a livello della cute perilesionale o delle mucose, sono i più attendibili e mostrano invariabilmente, la presenza di IgG sulla superficie delle cellule epidermiche o epiteliali. Il test di immunofluorescenza indiretta (IFI) solitamente evidenzia anticorpi specifici del pemfigo nel siero dei pazienti, anche quando le lesioni sono localizzate soltanto al cavo orale. Il titolo anticorpale può essere correlato alla gravità della malattia.

Terapia Il pemfigo è una malattia grave a lungo decorso, con una risposta alla terapia imprevedibile e complicanze da effetti collaterali da farmaci praticamente inevitabili. In questi casi, è consigliabile consultare un dermatologo particolarmente competente in questa patologia. Lo scopo del trattamento, sia immediato che a distanza, è di bloccare l’eruzione di nuove lesioni. Il trattamento specifico dipende dall’estensione e dalla gravità della malattia. La terapia cardine è rappresentata dalla somministrazione di corticosteroidi sistemici: alcuni pazienti con poche lesioni possono rispondere a basse dosi di prednisone PO (p. es., 20-30 mg/die), ma la maggioranza necessita di dosi molto superiori. I pazienti che non presentano una forma estesa possono essere trattati ambulatorialmente. Invece, l’ospedalizzazione e le dosi massive di corticosteroidi sono indicate nei pazienti che presentano una forma diffusa, che altresì sarebbe fatale se non trattata adeguatamente. La dose iniziale di prednisone, 30-40 mg bid PO (o equivalente), va ripetutamente raddoppiata se continuano ad apparire nuove lesioni dopo 5-7 giorni. Possono divenire necessari dosaggi molto alti. Il dosaggio dei corticosteroidi va ridotto qualora non compaiano nuove lesioni per 7-10 giorni; inizialmente la dose totale giornaliera va somministrata ogni mattina, quindi a mattine alterne. La dose di mantenimento, necessaria per molti pazienti, deve essere la più bassa possibile; può essere interrotta dopo mesi o anni se non compare alcuna lesione entro un periodo di controllo di diverse settimane senza terapia. Il metotrexate, la ciclofosfamide, l’azatioprina, l’oro o la ciclosporina, usati singolarmente o in associazione a corticosteroidi, riducono la necessità di utilizzo dei soli cortisonici, minimizzando perciò gli effetti indesiderati provocati da una terapia cortisonica a lungo termine, anche se questi farmaci presentano gravi rischi. La plasmaferesi, combinata con un farmaco immunosoppressivo, riduce il titolo anticorpale, rappresentando quindi una terapia efficace. Le infezioni cutanee, in fase attiva, vanno trattate con antibiotici per via sistemica. Possono essere necessari procedimenti di isolamento protettivo: un profuso utilizzo di talco sulla cute del paziente e sulle lenzuola ne impedisce l’adesione in caso di essudazione; possono risultare utili medicazioni idrocolloidi. Per prevenire l’infezione secondaria, inoltre, si può applicare una crema alla file:///F|/sito/merck/sez10/1200894.html (2 of 3)02/09/2004 2.54.42

Malattie bollose

sulfadiazina d’argento sulle erosioni.

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Malattie bollose

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 120. MALATTIE BOLLOSE (v. anche Herpes gravidico nel Cap. 252.)

PEMFIGOIDE BOLLOSO Eruzione bollosa, pruriginosa, ad andamento cronico, osservata generalmente negli anziani.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Il pemfigoide bolloso è considerato una malattia autoimmune, in quanto gli anticorpi diretti contro la membrana basale dell’epidermide (sede del danno istologico) si ritrovano, in genere, nel siero e nella cute.

Sintomi, segni e diagnosi Le caratteristiche bolle tese insorgono su cute apparentemente sana o eritematosa, a volte si associano a lesioni edematose anulari, di colorito rosso scuro con o senza piccole vescicole perilesionali. Occasionalmente, si può avere una rapida risoluzione delle lesioni del cavo orale. Il prurito è comune e, solitamente, non si hanno altri sintomi. Il pemfigoide bolloso va differenziato dal pemfigo, dall’eritema multiforme, dalla dermatosi a IgA lineari, dalle reazioni da farmaci, dal pemfigoide benigno delle mucose, dalla dermatite erpetiforme e dall’epidermolisi bollosa acquisita. Come in molte altre malattie bollose, la biopsia evidenzia la presenza di vescicole subepidermiche. Il riscontro di anticorpi IgG sierici sulla membrana basale mediante il test IFI, in genere, conferma la diagnosi. All’immunofluorescenza diretta, le IgG, il complemento o ambedue, si legano alla membrana basale della cute perilesionale.

Terapia L’eruzione solitamente migliora in seguito all’assunzione di prednisone PO, 4060 mg ogni mattina. La dose può essere ridotta fino a un livello di mantenimento dopo diverse settimane. Negli anziani le sporadiche nuove lesioni vanno tenute in scarsa considerazione, in quanto aumentando la dose di prednisone (come nel pemfigo) aumentano più i rischi che i benefici. A volte, la patologia risponde all’associazione di tetraciclina e nicotinamide. Altre opzioni terapeutiche comprendono corticosteroidi per via topica e infiltrazione intralesionale, il dapsone, la sulfapiridina, l’eritromicina e la tetraciclina per le loro proprietà antiinfiammatorie più che per quelle antibiotiche. La maggior parte dei pazienti non richiede l’azatioprina, la ciclofosfamide, la ciclosporina o la plasmaferesi. Come nel pemfigo, i farmaci più raccomandati sono quelli a basso contenuto di file:///F|/sito/merck/sez10/1200895.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.43

Malattie bollose

corticosteroidi. I più usati ed efficaci tra questi farmaci, l’azatioprina e la ciclofosfamide, necessitano di 4-6 sett. prima che gli effetti clinici siano manifesti.

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Malattie bollose

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 120. MALATTIE BOLLOSE (v. anche Herpes gravidico nel Cap. 252.)

DERMATITE ERPETIFORME Eruzione cronica caratterizzata dalla presenza di grappoli di vescicole intensamente pruriginose, di papule e di lesioni simil-orticarioidi.

Sommario: Introduzione Sintomi, segni clinici e diagnosi Terapia

Tale patologia colpisce principalmente individui di età compresa tra i 30 e i 40 anni ed è rara nella razza nera e negli asiatici. I depositi di IgA si trovano a livello di quasi tutta la cute apparentemente sana e di quella perilesionale. Nel 7590% dei pazienti e in alcuni dei loro familiari è stata trovata un’enteropatia asintomatica da sensibilità al glutine. Anche l’incidenza di una patologia tiroidea è in aumento. Gli ioduri possono esacerbare la malattia, anche quando i sintomi sono sotto controllo con dapsone.

Sintomi, segni clinici e diagnosi L’esordio è generalmente graduale. Lesioni vescicolari papulose e orticarioidi compaiono con distribuzione, il più delle volte simmetrica, sulle superfici estensorie (gomiti, ginocchia, sacro, glutei, occipite). Le vescicole e le papule si riscontrano in circa 1/3 dei pazienti. Il prurito e il bruciore sono intensi e il grattamento spesso maschera le lesioni primitive, con formazione di eczemi della cute circostante, portando all’erronea diagnosi di eczema. Il quadro istopatologico tipico si osserva soltanto nelle lesioni recenti e nella cute perilesionale: all’apice delle papille dermiche si rinvengono microvescicole infiltrate da neutrofili. I test di immunofluorescenza diretta positivi per depositi di IgA a livello degli apici delle papille dermiche della cute apparentemente sana e di quella perilesionale, risultando positivo rappresentano una importante conferma diagnostica.

Terapia La stretta osservanza di una dieta priva di glutine per un lungo periodo (p. es., 612 mesi) può tenere sotto controllo la malattia in molti pazienti, eliminando o riducendo la concomitante terapia farmacologica. Di solito, si ottiene una riduzione della sintomatologia, incluso il prurito, in 1-3 giorni di terapia con dapsone 50 mg, PO bid o tid, oppure con un’unica dose da 100 mg. Se non si verifica alcun miglioramento, la dose può essere aumentata settimanalmente fino a 100 mg qid. La terapia di mantenimento nella maggior parte dei pazienti può essere di 50-150 mg/die. Sebbene meno efficace, la sulfapiridina può essere file:///F|/sito/merck/sez10/1200896.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.44

Malattie bollose

usata come terapia alternativa; la dose orale iniziale è di 2-4 g/die mentre la dose di mantenimento è di 1-2 g/die. La colchicina è un altro farmaco da usare in alternativa. I pazienti trattati con il dapsone o con la sulfapiridina vanno sottoposti a controlli dell’emocromo ogni settimana per 4 sett. e q 2-3 sett. per le successive 8 sett., infine q 12-16 sett., poiché l’agranulocitosi può insorgere in ogni momento. L’anemia emolitica e la metemoglobinemia sono i più frequenti effetti collaterali riscontrabili. Queste patologie possono assumere una forma grave in persone con ereditata deficienza di G6PD. Raramente si possono avere fenomeni tossici a livello del SNC o del fegato. La sulfapiridina deve essere usata nel caso in cui la terapia con il dapsone sia causa di una considerevole emolisi e di importanti problemi cardiopolmonari o di una neuropatia periferica. Generalmente, la sulfapiridina non induce un’emolisi significativa.

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Malattie bollose

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DERMATOSI A IGA LINEARI Rara malattia bollosa distinguibile dal pemfigoide bolloso e dalla dermatite erpetiforme per i depositi lineari di IgA nella zona della membrana basale. Nella dermatosi a IgA lineari, le lesioni vescicolari o bollose si presentano frequentemente con disposizione erpetiforme. Compare prevalentemente nelle zone flessorie. Come nella dermatite erpetiforme, l’intensità del bruciore e del prurito nelle lesioni cutanee sono aspetti clinici importanti, ma non c’è una concomitante enteropatia da sensibilità al glutine. Il dapsone rappresenta il farmaco di scelta. Altre opzioni di trattamenti comprendono i glucocorticoidi per via sistemica, topica e intralesionale, la ciclofosfamide, l’azatioprina, la colchicina, le tetracicline e la nicotinamide e la ciclosporina.

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Disturbi della cheratinizzazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 121. DISTURBI DELLA CHERATINIZZAZIONE ITTIOSI Cute secca.

Sommario: Introduzione Terapia

L’ittiosi ha manifestazioni cliniche che variano da una lieve ma fastidiosa secchezza a una più grave forma, con squame e lamelle sfiguranti. Molte dermatosi ittiosiche sono ereditarie; l’ittiosi è uno dei sintomi di alcune rare sindromi ereditarie e di molte patologie sistemiche. La xerodermia (xerosi) è la forma più lieve di ittiosi, non è congenita e non si associa a patologie sistemiche. Si manifesta in genere a livello degli arti inferiori e colpisce individui di età media o anziani e più frequentemente durante la stagione invernale e in coloro che usano lavarsi troppo spesso. Il prurito è lieve o moderato ed è associato a dermatite da detergenti o altri agenti irritanti. Le ittiosi ereditarie sono caratterizzate dall’eccessivo accumulo di squame sulla superficie cutanea e vengono classificate secondo criteri clinici e genetici (v. Tab. 121-1). La consulenza di un dermatologo è necessaria per ottenere un parere genetico e una guida alle terapie. L’ittiosi è uno dei sintomi della sindrome di Refsum (una rara atassia ereditaria con polineurite e sordità, causata da un difetto nell’enzima idrossilasi dell’acido fitanico) e della sindrome di SjögrenLarsson (ritardo mentale ereditario e paralisi spastica): entrambe queste sindromi sono autosomiche recessive. Un’ittiosi acquisita può essere una precoce manifestazione in alcune malattie sistemiche (p. es., lebbra, ipotiroidismo, linfoma, AIDS). La desquamazione secca può essere fine e localizzata al tronco e agli arti, oppure spessa e diffusa. La biopsia della cute ittiosica, di solito, non è di alcun aiuto per la diagnosi; comunque, esistono eccezioni, come in corso di sarcoidosi, dove appaiono squame ispessite sulle gambe e la biopsia mostra solitamente tipiche lesioni granulomatose.

Terapia In qualunque forma di ittiosi, è consigliabile ridurre il numero di bagni. Si consiglia l’uso dei saponi nelle sole pieghe cutanee. I prodotti a base di esaclorofene non vanno usati, a causa dell’elevato assorbimento e della tossicità. Un emolliente (preferibilmente vaselina bianca, olio minerale o lozioni contenenti urea o αidrossi acidi) va applicato due volte al giorno, specialmente dopo il bagno (per 10 min per idratare lo strato corneo) mentre la cute è ancora umida. Per rimuovere l’eccesso di olio, sarà sufficiente asciugarsi con un panno assorbente. L’ittiosi causata da una patologia sistemica sottostante può migliorare lievemente mediante lubrificazione con glicole propilenico. Comunque, il miglioramento è maggiore se viene corretta la causa primaria.

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Disturbi della cheratinizzazione

Per rimuovere le squame nell’ittiosi volgare, nell’ittiosi X-linked e nell’ittiosi lamellare, è particolarmente efficace un preparato contenente glicole propilenico in acqua al 50% in occlusiva (p. es., pellicola o buste di plastica sottile) ogni notte dopo aver idratato la cute. Nei bambini bastano due applicazioni quotidiane, evitando i bendaggi occlusivi durante la notte. Successivamente, una volta ottenuta la diminuzione delle squame, saranno sufficienti medicazioni saltuarie. Altri farmaci utili sono l’acido salicilico al 5% o 6 % in gel, la vaselina idrofila con acqua (in parti uguali), il cold cream oppure α-idrossiacidi (p. es., acido lattico, glicolico e piruvico) in diverse basi. I pazienti con ipercheratosi epidermolitica (eritrodermia congenita ittiosiforme bollosa) necessitano di cloxacina (250 mg PO, tid o qid), a lungo termine o di eritromicina (250 mg PO, tid o qid) fino alla remissione della desquamazione spessa delle pieghe cutanee, per prevenire una sovrainfezione con dolore e pustole maleodoranti. L’uso regolare di saponi contenenti clorexidina può inoltre ridurre la carica batterica. La terapia più efficace nella maggior parte delle ittiosi è quella a base di retinoidi sintetici orali. L’etretinate (v. Psoriasi nel Cap. 117) è efficace nell’ipercheratosi epidermolitica e nell’ittiosi X-linked. Nell’ittiosi lamellare si ottengono buoni risultati utilizzando una crema contenente tretinoina allo 0,1% (vitamina A acida, acido retinoico) o isotretionina orale e una dose ridotta al minimo. Il trattamento a lungo termine ( 1 anno) con l’isotretinoina orale ha provocato esostosi ossee in alcuni pazienti; è possibile, quindi, la comparsa tardiva di altri effetti collaterali. (Attenzione: I retinoidi orali sono controindicati in gravidanza a causa della teratogenicità, mentre l’etretinate deve essere evitato nelle donne in età fertile a causa della teratogenicità e della lunga emivita.)

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 121-1. CARATTERISTICHE CLINICHE E GENETICHE DI ALCUNE ITTIOSI EREDITARIE Patologia

Ittiosi volgare

Tipo di trasmissione ereditaria e prevalenza Autosomica dominante 1:300

Ittiosi legata al Legata al cromosoma X cromosoma X

Insorgenza

Tipo di squame

Infanzia

Fini

Solitamente Atopia; dorso e cheratosi superfici pilare estensorie; risparmiate quelle flessorie; abituali lesioni palmoplantari

Nascita o infanzia

Grandi, scure (a volte fini)

Frequente su Opacità collo e tronco; corneali sede palmoplantare intatta

Nascita

Larghe, grossolane

Gran parte della superficie corporea; sede palmoplantare

1:6000 (maschi) Ittiosi Autosomica lamellare recessiva (Eritrodermia 1:300000 ittiosiforme congenita non bollosa; collodion baby)

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Distribuzione Patologie associate

Ectropion

Disturbi della cheratinizzazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 121. DISTURBI DELLA CHERATINIZZAZIONE CHERATOSI PILARE Alterazione della cheratinizzazione caratterizzata dalla formazione di veri tappi cheratinici che occludono gli orifizi dei follicoli piliferi. Compaiono piccole papule, multiple, follicolari, cheratosiche e puntiformi, soprattutto a livello della superficie laterale degli arti superiori, delle cosce e dei glutei; possono anche evidenziarsi lesioni al volto, soprattutto nei bambini e sono più evidenti nel periodo invernale e, a volte, migliorano durante l’estate. La causa è sconosciuta, ma esiste spesso un’eredità autosomica dominante. Il problema è soprattutto estetico, anche se la lesione può dare prurito o raramente produrre, in alcuni pazienti, pustole follicolari. La terapia di solito non è necessaria ed è spesso insoddisfacente. Tuttavia, vaselina idrofila e acqua (in parti uguali), cold cream o vaselina con acido salicilico al 3%, possono aiutare a levigare le lesioni. Particolarmente efficaci risultano inoltre l’acido salicilico in gel al 5% o 6% (v. sopra), lozioni o creme tamponate di acido lattico (lattato d’ammonio), creme di urea e tretinoina in crema allo 0,1%.

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Disturbi della cheratinizzazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 121. DISTURBI DELLA CHERATINIZZAZIONE CALLI E CORNI CUTANEI (Tiloma; heloma; clavi) Area superficiale e circoscritta di ipercheratosi localizzata in zone sottoposte a traumi ripetuti (callo); ipercheratosi dolorosa, di forma conica, che si localizza frequentemente in corrispondenza del dorso delle articolazioni interfalangee delle dita dei piedi e tra le dita stesse (corno).

Sommario: Introduzione Diagnosi Profilassi e terapia

I calli e i corni sono causati dalla pressione o dalla frizione esercitata in genere dall’esterno su prominenze ossee. I calli in genere si trovano a livello delle mani e dei piedi, ma possono localizzarsi anche in altre sedi, soprattutto in individui che svolgono professioni che comportano traumi ripetuti in un’area particolare (p. es., mandibola e clavicola in un violinista). I corni sono della grandezza di un pisello o lievemente più grandi: i corni "duri" compaiono su prominenze ossee, soprattutto sulle dita dei piedi e sulla superficie plantare; i corni "morbidi" si localizzano fra un dito e l’altro. Inoltre, possono essere dolenti, se sottoposti a pressione.

Diagnosi I calli possono essere differenziati dalle verruche plantari o dai corni asportando la parte cornea della cute. Dopo essere stato limato, il callo mostra segni di cute intatta, mentre la verruca (v. anche Cap. 115) appare nettamente delimitata, a volte con un tessuto soffice, macerato o una zona centrale di dotti nerastri (sanguinamento puntiforme) formatasi in seguito a trombosi capillare. Il corno, una volta messo a nudo, appare come una massa traslucida, giallo-brunastra, ben delimitata, che interrompe la normale struttura del derma papillare.

Profilassi e terapia Sebbene difficili da evitare, le pressioni sulle superfici colpite vanno ridotte e, se possibile, ridistribuite. Per le lesioni dei piedi, le scarpe morbide e comode sono importanti; imbottiture o cuscinetti di giuste forme e dimensioni, bendaggi protettivi di schiuma di gomma o pelle, archi plantari di sostegno o barre metatarsali potrebbero essere d’aiuto per la ridistribuzione della pressione. L’intervento chirurgico è necessario solo raramente. Il tessuto ipercheratosico può essere rimosso con agenti cheratolitici (p. es., acido salicilico in soluzione colloidale al 17%, oppure acido salicilico al 40%), evitando il contatto con la cute sana. Una limetta per unghie a bordo smerigliato o una pietra pomice, impiegati subito dopo il bagno, sono di più pratico utilizzo. file:///F|/sito/merck/sez10/1210899.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.50

Disturbi della cheratinizzazione

I pazienti con tendenza a formare calli e corni dovrebbero sottoporsi a regolari sedute presso un podologo; invece, i pazienti con insufficienza circolatoria periferica, specialmente se associata a diabete mellito, richiedono una particolare attenzione da parte dello specialista(v. Occlusione arteriosa periferica nel Cap. 212).

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Ulcere da pressione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 122. ULCERE DA PRESSIONE (Piaghe torpide; ulcere da decubito; ulcere trofiche) Necrosi ischemica e ulcerazione dei tessuti che ricopre una sporgenza ossea soggetta a una prolungata pressione contro oggetti esterni (p. es., individui costretti a letto o su sedie a rotelle, soggetti portatori di apparecchi gessati o stecche ortopediche).

Sommario: Introduzione Eziologia Profilassi Terapia

Le piaghe da decubito sono molto frequenti nei soggetti con ridotta o assente sensibilità, negli emaciati, nei defedati, nei paralizzati, negli allettati per lunghi periodi. I tessuti che ricoprono la regione sacrale, l’ischiatica, la gran trocanterica, la malleolare esterna e la calcaneare sono i più colpiti; anche altre aree possono essere coinvolte a seconda della posizione del paziente. Le piaghe da decubito possono coinvolgere anche le strutture muscolari e ossee.

Eziologia I fattori intrinseci comprendono la perdita delle sensazioni dolorifiche e tattili (che normalmente inducono il paziente a cambiare posizione per alleviare la pressione sulle zone compresse) e lo scarso spessore della cute o del tessuto adiposo sottocutaneo e del tessuto muscolare che ricopre le sporgenze ossee molto prominenti. L’atrofia da immobilità, la malnutrizione, l’anemia e le infezioni sono anch’essi fattori determinanti. Infatti, nel paziente paralizzato, essendo leso il controllo vasomotorio centrale, si ha una riduzione del tono vascolare e un rallentamento del tempo di circolo. Quindi, fenomeni spastici del microcircolo terminale, specialmente nei paraplegici spinali, conducono a un furto ematico della zona colpita e quindi a una compromissione circolatoria. Tra i fattori estrinseci, il più importante è la pressione dovuta agli insufficienti cambiamenti di posizione del paziente; inoltre contribuiscono la frizione meccanica e l’irritazione esercitata da supporti adattati male, dalle grinze delle lenzuola o da quelle degli indumenti. L’intensità e la durata di tale pressione determinano l’estensione dell’ulcera. In un paziente immobilizzato, una pressione notevole è già in grado di compromettere la circolazione locale in meno di 3 ore, causando un’anossia tissutale locale che, se non bloccata, progredisce verso la necrosi della cute e del tessuto sottocutaneo. L’umidificazione della cute, determinata p. es., dalla perspirazione o dall’incontinenza, può condurre alla macerazione cutanea e predisporre all’insorgenza delle ulcere da pressione. Gli stadi di formazione dell’ulcera da decubito corrispondono agli strati tissutali (v. Tab. 122-1).

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Ulcere da pressione

Profilassi La miglior terapia è la prevenzione, dando sollievo pressorio alle aree sensibilizzate. Il paziente immobilizzato a letto va rigirato almeno q due ore finché non venga dimostrata una tolleranza a periodi più lunghi di immobilità (per assenza di arrossamento). I materassi ad acqua, quelli rigonfi d’aria con pressione intermittente, quelli con particelle di caucciù o gel di silicone, aiutano a ridurre la pressione sulle aree più sensibili, ma non esimono dalla necessità di variare il decubito q 2 ore circa. Quando il massimo sollievo pressorio è richiesto, altri sistemi, compresi i materassi ad aria, vanno usati. Un telo operatorio (Stryker) facilita il cambio di posizione in pazienti con lesioni del midollo spinale. Imbottiture protettive (p. es., di pelle d’agnello o equivalenti sintetici) vengono impiegate per foderare busti o altri apparecchi gessati, in modo da proteggere le zone più sporgenti; in corrispondenza della sede dei potenziali punti di pressione, deve essere ritagliata un’apertura nel gesso. I pazienti costretti sulla sedia a rotelle possono sviluppare ulcere da pressione, quindi, devono cambiare posizione o essere spostati q 10-15 minuti, anche se utilizzano gli speciali cuscini per ridurre la pressione. L’ispezione della cute va effettuata in condizioni di illuminazione adeguata. Le zone sottoposte a pressioni vanno esaminate per rilevare eventuali eritemi o traumi almeno una volta al giorno. Inoltre, è necessario istruire i pazienti e i loro familiari a una routine giornaliera di osservazione e palpazione dei siti sensibili, per impedire la comparsa di ulteriori ulcere da decubito. Un’igiene meticolosa è indispensabile per prevenire i fenomeni di macerazione e di sovrainfezione secondaria. Giacere su una pelle di pecora aiuta a mantenere la cute del paziente in buone condizioni e a minimizzare le aree di decubito. Infatti, involucri protettivi, cuscini e pelli d’agnello vengono impiegati per creare una separazione protettiva fra le varie superfici corporee. Buona igiene e cute asciutta aiutano a prevenire la macerazione. Lenzuola e indumenti vanno cambiati frequentemente; la biancheria del letto deve essere soffice, pulita, priva di pieghe o di particelle. Sono essenziali gli impacchi con acqua calda e una perfetta asciugatura dopo il bagno. Speciali precauzioni dovranno essere usate per pazienti incontinenti. Molte zone possono essere trattate con talco comune. Deve essere evitata l’eccessiva sedazione, mentre va incoraggiata l’attività fisica. La fisioterapia, qualora possibile, può essere eseguita per mezzo di mobilizzazione attiva o passiva. L’idroterapia può essere utile. Diete ben bilanciate, ricche di proteine, sono di primaria importanza. È stato dimostrato che il supporto di vitamina C e di zinco favorisce la guarigione.

Terapia L’ulcera è come un’iceberg: possiede una piccola superficie visibile e una base più estesa e sconosciuta, perciò non esiste alcun modo per determinare l’estensione del danno tissutale. Le ulcere da decubito in fase iniziale (stadio 1 e 2) richiedono tutte le misure profilattiche enunciate precedentemente per prevenire la necrosi tissutale. L’area colpita deve rimanere esposta, priva di alcuna pressione e asciutta. La riattivazione circolatoria per mezzo di un lieve massaggio, accelera il processo riparativo. Le ulcere che non sono avanzate oltre il 3o stadio possono guarire

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Ulcere da pressione

spontaneamente se è stata rimossa la pressione e se la regione colpita non è estesa. I nuovi gel idrofili e le medicazioni idrocolloidali accelerano la guarigione. Le ulcere del 4o stadio necessitano di uno sbrigliamento o di chirurgia più invasiva. Quando le ulcere sono ripiene di pus o di materiale necrotico, microsfere di polimeri di destrano o di più recenti polimeri idrofili, possono accelerare lo sbrigliamento senza ricorrere alla chirurgia. Uno sbrigliamento conservativo del tessuto necrotico viene realizzato con forbici e pinze chirurgiche. Per alcune ulcere l’azione detergente del perossido di idrogeno all’1,5%, come pure un bagno caldo a getti rotatori, può agevolare lo sbrigliamento. Le ulcere più avanzate, con interessamento del grasso sottocutaneo e dei muscoli, necessitano di un trattamento chirurgico di pulizia e di riparazione. Il tessuto osseo interessato può richiedere la rimozione chirurgica e può essere necessaria anche una disarticolazione. La formazione di tessuto di granulazione che segue lo sbrigliamento può ritenersi una buona base per innesti cutanei a coperture di piccole aree. Il metodo di scelta per la riparazione è rappresentato da un lembo cutaneo a tutto spessore, che vada a coprire le grosse prominenze ossee quali i trocanteri, l’ischio e il sacro, dato che il tessuto cicatriziale non riesce a sopportare la pressione esercitata su queste sedi. Per ottenere un’adeguata guarigione, il paziente può aver bisogno di un letto adatto alla ridistribuzione del peso, come p. es., quelli ad aria compressa. Per la cellulite è necessaria una penicillina penicillinasi-resistente o una cefalosporina. La coltura solitamente non aiuta nella scelta di un antibiotico e tra l’altro la crescita è spesso polimicrobica. Sono in fase di preparazione molte nuove medicazioni e agenti topici. Non esistono polveri, gel o medicazioni riconosciute come superiori ad altri preparati, in quanto alcuni sono idrofili e fortemente occlusivi; un uso prolungato aumenta il rischio di infezione come da Pseudomonas. Altri farmaci risultano dolorosi, tutti sono costosi e studi clinici di controllo atti a valutare i pro e i contro di varie medicazioni spesso non sono disponibili. I suggerimenti validi per la cura dei decubiti sono spesso frutto della pratica quotidiana degli infermieri dei reparti geriatrici, anche se la consulenza di un chirurgo plastico è comunque necessaria.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 122-1. STADI DI FORMAZIONE DELLE PIAGHE DA PRESSIONE Stadio

Caratteristiche

1

Eritema cutaneo che non scompare alla digitopressione

2

Parziale ispessimento epidermico o perdita del derma, presentando in superficie un’abrasione, vescicola o cratere superficiale

3

Danno a pieno spessore o necrosi profonda fino alla fascia sottostante, presentando un profondo cratere con o senza insediamento nel tessuto circostante

4

Distruzione a pieno spessore, necrosi, danno muscolare, osseo, o delle strutture di sostegno; può esserci coinvolgimento delle cavità, osteomielite o artrite settica

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Disturbi della pigmentazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 123. DISTURBI DELLA PIGMENTAZIONE IPOPIGMENTAZIONE Riduzione congenita o acquisita della sintesi della melanina. I tre tipi principali di ipopigmentazione sono la vitiligine, l’albinismo e l’ipopigmentazione postinfiammatoria. La vitiligine colpisce l’1-2% della popolazione e la causa è sconosciuta; sebbene sia acquisita, ha a volte carattere familiare (autosomico dominante, con penetranza incompleta ed espressione variabile). Può seguire a un insolito trauma fisico, in special modo del capo. L’associazione fra vitiligine e morbo di Addison, anemia perniciosa, diabete mellito, distiroidismi e la presenza nel siero di alti titoli di anticorpi antitireoglobulina, anti-cellule parietali gastriche e contro le strutture adrenocorticali, hanno portato a formulare un’ipotesi di origine autoimmune e neurochimica. Alcuni pazienti, affetti da questa patologia, presentano anticorpi antimelanina. La vitiligine è caratterizzata da aree ben delimitate e acromiche del tutto prive di melanociti, spesso simmetriche. La depigmentazione può coinvolgere uno o due chiazze o coprire la quasi totalità della superficie cutanea. I capelli nelle aree di vitiligine sono generalmente bianchi. Le lesioni cutanee si evidenziano alla luce di Wood. Le lesioni sono inclini all’ustione, quindi necessitano l’uso di indumenti protettivi, l’abolizione di esposizione solare e ripetute applicazioni di creme con fattore di protezione solare (FPS) di ≥ 15. La terapia è a scopo estetico. I corticosteroidi topici possono essere di giovamento solo in alcuni casi, come pure sono stati usati psoralenici orali e topici con gli ultravioletti A (PUVA), ma il trattamento è prolungato e i risultati sono variabili. La chellina, un furanocromo, può essere usata in combinazione con la PUVA, e comunque, sono necessari 100-200 trattamenti per raggiungere un risultato soddisfacente. La meladinina, un estratto della placenta umana, ha avuto svariati successi in India e nell’Estremo Oriente. I cosmetici coprenti sono, per la maggior parte dei pazienti, molto più soddisfacenti quando la guarigione è dubbia. Le piccole lesioni possono essere camuffate con creme cosmetiche o soluzioni autoabbronzanti, che non vengono rimosse a contatto con gli indumenti e che durano diversi giorni. L’albinismo è una malattia ereditaria autosomica recessiva alquanto rara, consistente in una impossibilità da parte dei melanociti a sintetizzare melanina. Ne esistono varie forme. Nell’albinismo tirosinasi-negativo i capelli e i peli sono bianchi, la cute pallida e l’iride rosa; sono frequenti nistagmo e difetti di rifrazione. Gli albini vanno facilmente incontro a ustioni da sole, sviluppando spesso neoplasie cutanee (v. Cap. 126). Pertanto devono evitare l’esposizione ai raggi solari, usare occhiali da sole e creme fotoprotettive con un FPS ≥ 15 durante il giorno. L’ipopigmentazione postinfiammatoria insorge spesso in seguito alla guarigione di patologie infiammatorie (in special modo dermatosi bollose), ustioni e infezioni cutanee e appare anche su cicatrici e atrofie cutanee. Sebbene la pigmentazione sia ridotta, la cute non è mai bianco-avorio come nella vitiligine e inoltre c’è una tendenza alla risoluzione spontanea. I cosmetici coprenti risultano molto soddisfacenti.

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Disturbi della pigmentazione

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Disturbi della sudorazione

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 124. DISTURBI DELLA SUDORAZIONE IPERIDROSI Iperattività delle ghiandole sudoripare che causa un aumento della normale perspiratio insensibilis.

Sommario: Introduzione Terapia

L’iperidrosi può favorire l’insorgenza di svariate dermatosi (infezioni fungine o da piogeni; dermatiti da contatto). Nel corso di reazioni febbrili è spesso presente una iperidrosi generalizzata. Una endocrinopatia (p. es., ipertiroidismo) o, occasionalmente, un’affezione del SNC possono causare una iperidrosi. Generalmente si localizza in individui sani e può essere confinata nell’area palmoplantare, regione ascellare o inguinale o inframammaria. Le iperidrosi palmoplantari eccessive possono avere un’origine psicogena. Nell’iperidrosi, la cute delle parti colpite appare spesso di colore roseo o biancobluastro. Nei casi più gravi, la cute, in particolare quella dei piedi, appare macerata, fissurata e desquamante. La bromidrosi è una patologia caratterizzata dal cattivo odore della cute, dovuta a processi di decomposizione organica del sudore e dei detriti cellulari ad opera di batteri e lieviti.

Terapia Nell’iperidrosi generalizzata, occorre trattare la concomitante patologia sistemica, in quanto la iperidrosi stessa può essere refrattaria. I farmaci sistemici anticolinergici hanno solo effetto temporaneo e i loro effetti collaterali (p. es., secchezza della bocca, visione sfocata, difficoltà alla minzione) sono problematici. Nelle forme localizzate, solitamente è efficace la soluzione al 20-25% di cloruro di alluminio esaidrato in alcol etilico assoluto, applicata sulle ascelle asciutte, sulle regioni palmari o plantari al momento di coricarsi e ben ricoperta con una sottile pellicola di polietilene. Al mattino, si rimuove la pellicola di polietilene e la zona viene abbondantemente lavata. Due applicazioni solitamente proteggono l’area per 1 sett. Se la medicazione occlusiva di cloruro di alluminio si rivela irritante, si può tentare il trattamento senza di essa. Questa soluzione non va applicata su cute infiammata, lesa, umida o rasata di recente. Al contrario, in alcuni pazienti può rivelarsi efficace la iontoforesi con acqua. Può dare buoni risultati anche una soluzione acquosa di metanamina (disponibile in alcuni stati) al 5%. Soluzioni topiche contenenti glutaraldeide o formaldeide sono efficaci ma risultano irritanti. Se il trattamento con cloruro di alluminio fallisce, una grave iperidrosi ascellare può essere migliorata con l’escissione chirurgica delle ghiandole sudoripare presenti nella volta del cavo ascellare. La bromidrosi si risolve spesso con un’accurata pulizia: sono generalmente efficaci i bagni giornalieri con un sapone liquido contenente clorexidina e file:///F|/sito/merck/sez10/1240903b.html (1 of 2)02/09/2004 2.54.52

Disturbi della sudorazione

l’applicazione di preparati (presenti nelle comuni creme antiperspiranti) a base di cloruri di alluminio. Tuttavia, può rendersi necessaria l’associazione di creme o lozioni topiche antibatteriche (p. es., clindamicina, eritromicina), e può anche rendersi necessaria una tricotomia ascellare.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

FIBROMI PENDULI (Molluschi penduli) Lesione comune, peduncolata, molle, di piccole dimensioni, di colorito carneo o iperpigmentato, abitualmente multipla, spesso localizzata al collo e alle regioni ascellari e inguinali. I fibromi penduli sono solitamente asintomatici ma possono essere irritanti. I fibromi che vanno incontro a irritazione sono antiestetici e possono essere rimossi con il congelamento con azoto liquido, elettrofolgorazione o escissione con bisturi o forbici.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

LIPOMI Noduli sottocutanei soffici e mobili ricoperti da cute normale. I pazienti possono presentare lesioni singole o multiple. I lipomi si verificano più frequentemente nel sesso femminile che in quello maschile e compaiono più comunemente a livello del tronco, della nuca e degli avambracci. Raramente sono sintomatici, ma a volte possono causare dolore. Solitamente la diagnosi è clinica, ma se la lesione presenta una crescita rapida è consigliabile effettuare una biopsia, sebbene raramente i lipomi subiscano trasformazione maligna. Normalmente il trattamento non è necessario, ma le lesioni fastidiose possono essere escisse chirurgicamente o essere rimosse mediante liposuzione.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

ANGIOMI Lesioni vascolari circoscritte che interessano la cute e i tessuti sottocutanei, raramente il SNC, dovute a un’iperplasia dei vasi ematici e linfatici.

Sommario: Introduzione NEVO FLAMMEO EMANGIOMA CAPILLARE EMANGIOMA CAVERNOSO SPIDER ANGIOMA LINFANGIOMA

Gli angiomi comprendono i nevi vascolari, gli emangiomi e i linfangiomi.

NEVO FLAMMEO (Macchia vino-porto) Lesione piana, di colorito rosa o rosso, talora purpureo, presente fin dalla nascita. I nevi flammei rappresentano un’ectasia vascolare e sono comunemente localizzati alla nuca e al cuoio capelluto. Il nevo flammeo dell’area trigeminale può essere un componente della sindrome di Sturge-Weber. La lesione abitualmente non tende a schiarire, sebbene piccole chiazze maculari rosse del naso e delle palpebre possano scomparire in pochi mesi. Il trattamento con i dye laser a tonalità pulsata offre in molti casi risultati eccellenti. La lesione può venire nascosta con una crema cosmetica opacizzante e coprente, in grado di simulare il colore della cute del paziente.

EMANGIOMA CAPILLARE (Macchia a fragola) Lesione vascolare, rilevata, di colorito rosso vivo, composta da proliferazioni di cellule endoteliali. Un’emangioma capillare è abbastanza comune, insorge subito dopo la nascita e tende lentamente ad accrescersi durante i primi mesi di vita. Solitamente, circa il 50-95% dei casi va incontro a involuzione spontanea entro 5-9 anni; la

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Tumori benigni

regressione normalmente è completa, ma a volte residuano una pigmentazione brunastra, cicatrici o rughe. Il trattamento è controverso: molti medici preferiscono trattare gli emangiomi capillari agli esordi per prevenire il successivo ingrandimento della lesione; altri ritengono che la terapia non sia indicata fino a quando la lesione non presenti problemi estetici o sia localizzata in prossimità dell’occhio o di un orifizio corporeo (p. es., uretra, ano), interferendo con la normale funzione di tali strutture. Quando il trattamento è necessario, va somministrato il più presto possibile prednisone per via orale, da 1 a 3 mg/kg bid o tid, per almeno ≥ 2 sett. Se inizia la risoluzione, il prednisone va gradatamente ridotto; se ciò non avviene, il farmaco va sospeso. Al trattamento possono succedere complicanze come ulcerazioni posttraumatiche o ipertrofia localizzata del tessuto da un persistente angioma del SNC (v. Malformazioni arterovenose in Alterazioni vascolari nel Cap. 182), del viso o di un’estremità. A meno che non si verifichino complicanze potenzialmente letali o tali da indurre una compromissione degli organi vitali, l’escissione chirurgica o altre procedure demolitive vanno evitate, in quanto determinano frequentemente la formazione di cicatrici più importanti di quanto non avvenga con la spontanea involuzione della lesione.

EMANGIOMA CAVERNOSO Lesione vascolare, rilevata, di colore rosso-purpureo, costituita da vasti laghi vascolari. I vasi sanguigni e frequentemente i linfatici spesso sono maturi, nel qual caso la lesione può contenere numerosi shunt arterovenosi e malformazioni vascolari. Esso tende raramente alla risoluzione spontanea. Un’involuzione parziale può far seguito a un’ulcerazione, a un trauma o a un’emorragia. La terapia dipende dal tipo della lesione. Occasionalmente, nei bambini, il prednisone per via orale (come per l’emangioma capillare) induce una risoluzione spontanea. Inoltre, va presa in considerazione l’escissione chirurgica, specialmente se l’emangioma causa un aumento della crescita di un arto. I piccoli noduli superficiali possono essere escissi singolarmente o distrutti con l’elettrocoagulazione.

SPIDER ANGIOMA (Angioma stellare) Lesione vascolare, di color rosso vivo, debolmente pulsante, consistente in un’arteriola centrale con sottili proiezioni simili alle zampe di un ragno. Gli angiomi stellari non sono congeniti. Una o più lesioni possono essere presenti in bambini o in adulti, senza essere correlate ad alcuna patologia internistica. La maggior parte dei pazienti con cirrosi epatica sviluppa molti spider nevi che possono anche divenire di considerevoli dimensioni. Molte donne sviluppano le lesioni durante la gravidanza o in corso di assunzione di contraccettivi orali. Le lesioni sono asintomatiche e solitamente risolvono spontaneamente, circa 69 mesi dopo il parto o dopo l’interruzione dei contraccettivi. La compressione esercitata sul vaso centrale produce una temporanea scomparsa della lesione. Il trattamento solitamente non è necessario. Se le lesioni non si risolvono spontaneamente o se la terapia è necessaria per ragioni estetiche, l’arteriola centrale può essere distrutta con terapia al laser, che determina un risultato cosmetico superiore comparato all’elettrocoagulazione, se pur con un ago sottile.

LINFANGIOMA

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Tumori benigni

Lesioni rilevate, formate da dilatazioni cistiche dei vasi linfatici; sono solitamente di colorito bruno giallastro ma occasionalmente rossastre o violacee, se nel loro contesto vengono inglobati vasi ematici. Comunque, la puntura della lesione dà esito a liquido incolore. Sebbene una terapia non sia generalmente necessaria, il linfangioma può essere rimosso con un’escissione profonda. Questo atto chirurgico richiede la rimozione di gran parte del derma e di tessuto sottocutaneo, in quanto il linfangioma cresce in profondità al di sotto della superficie. Sono comuni le recidive anche dopo l’intervento chirurgico.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

GRANULOMA PIOGENICO (Granuloma teleangectasico) Nodulo vascolare di colore scarlatto, bruno o blu scuro, composto da una proliferazione di capillari in uno stroma edematoso. Il termine "granuloma piogenico" è improprio: difatti la lesione non è di origine batterica e non è costituita da un vero granuloma, ma piuttosto da tessuto di granulazione. Lo sviluppo è piuttosto rapido, spesso in corrispondenza di un trauma recente e probabilmente rappresenta una risposta vascolare e fibrosa al trauma stesso. Non esiste una predilezione di sesso, né di età. L’epidermide sovrastante è sottile e la lesione tende a essere friabile, sanguina facilmente e non impallidisce alla pressione. La base può essere peduncolata e circondata da un collaretto di epidermide. A volte le lesioni sono simili ai melanomi o ad altri tumori maligni e quindi ne devono essere accuratamente differenziate. Nel corso della gravidanza, i granulomi piogenici tendono a diventare più grandi ed esuberanti, p. es., tumori gengivali in gravidanza o epulide teleangectasica. La terapia consiste nella rimozione tramite escissione chirurgica o curettage ed elettrocoagulazione, anche se spesso le lesioni recidivano.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

DERMATOFIBROMA (Istiocitoma fibroso) Lesione papulo-nodulare di piccole dimensioni, di consistenza solida e di colorito dal rosso al bruno, formata da tessuto fibroblastico e di solito localizzata all’estremità distale degli arti inferiori. I dermatofibromi sono lesioni abbastanza frequenti, ma tuttora la loro origine è sconosciuta. Solitamente sono solitari e asintomatici, ma possono essere multipli e causare intenso prurito. Comunque, la terapia (escissione chirurgica in anestesia locale) non è necessaria.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

CHERATOACANTOMA Lesione nodulare, rotondeggiante, solida, solitamente di colorito carneo, con bordi nettamente inclinati, con un caratteristico cratere centrale contenente materiale cheratinico. L’esordio è rapido e solitamente entro 1 o 2 mesi la lesione raggiunge le sue massime dimensioni, che possono anche superare i 5 cm. Sedi frequenti sono le aree fotoesposte, il volto, l’avambraccio e il dorso della mano. Solitamente, entro pochi mesi si assiste a un’involuzione spontanea. Talvolta questa lesione è di difficile differenziazione clinica e istologica dal carcinoma a cellule squamose. Se esiste qualche dubbio circa la diagnosi, va effettuata o una biopsia escissionale oppure una biopsia a tutto spessore della lesione. L’involuzione spontanea può residuare in cicatrici; l’intervento chirurgico o le infiltrazioni intralesionali con fluorouracile o corticosteroidi, in genere, portano a un migliore risultato estetico e inoltre l’escissione permette la conferma istologica della diagnosi.

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Tumori benigni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 125. TUMORI BENIGNI (v. anche Verruche nel Cap. 115, Cisti cheratiniche nel Cap. 116 e Verruche genitali nel Cap. 164.)

CHELOIDE Proliferazione abnorme del tessuto fibroblastico che origina in un’area precedentemente lesa o, in alcuni casi, spontaneamente. I cheloidi sono più frequenti nella razza nera. Essi insorgono più frequentemente nella parte superiore del dorso e del torace e sulle aree deltoidee, dove possono essere la conseguenza di un’acne grave. I cheloidi sono lucenti, lisci, duri, spesso cupoliformi e di colorito roseo. Un corticosteroide (p. es., triamcinolone acetonide fino a 40 mg/ml [max 10 mg/lesione]) iniettato mensilmente alla base della lesione (per mezzo di una siringa Luer-Lok o altri sistemi di infiltrazione) può spianare il cheloide, anche se spesso risulta inefficace. L’escissione chirurgica o con il laser, seguita dall’infiltrazione intralesionale con corticosteroidi, rappresenta un tentativo per prevenire la recidiva. Una medicazione con gel silastico costituisce un’ulteriore opzione terapeutica.

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI Le neoplasie cutanee, generalmente curabili, rappresentano il più comune tipo di cancro; spesso insorgono in aree cutanee fotoesposte (v. anche Cap. 119). L’incidenza è maggiore in individui con attività all’aria aperta (sportivi, bagnini) ed è inversamente proporzionale alla quantità di pigmento presente nella cute: difatti, le persone con pelle chiara sono maggiormente esposte. Questi tumori possono anche insorgere alcuni anni dopo l’esposizione a raggi X o radiodermiti o ingestione di arsenico. Le neoplasie cutanee sono rappresentate dal carcinoma basocellulare, dal carcinoma squamocellulare, dal melanoma maligno, dal Paget mammario ed extramammario (solitamente vicino l’ano), dal sarcoma di Kaposi, dai tumori degli annessi cutanei e dal linfoma cutaneo a cellule T (micosi fungoide, v. Cap. 139).

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI CARCINOMA BASOCELLULARE (Ulcus rodens) Ulcera superficiale, erosiva che deriva dalle cellule basali dell’epidermide con aspetto istologico simile. Il carcinoma basocellulare è la neoplasia cutanea più comune, con > 400000 nuovi casi ogni anno negli USA. È più comune in individui con carnagione chiara, esposti spesso al sole e, di contro, è molto raro nella razza nera. L’aspetto clinico e il comportamento biologico degli epiteliomi basocellulari sono molto variabili. Può infatti esordire con lesioni molto piccole, lucenti, solide o noduli quasi traslucidi; o con papule o noduli crostosi e ulcerati; oppure placche piane, dure, di aspetto cicatriziale; o ancora, piccole papule o placche rosse, a margini netti, difficili da distinguere dalla psoriasi o da una dermatite localizzata. Molto spesso il carcinoma esordisce con papule lucenti, a crescita lenta e, dopo mesi o anni, appare circondato da un bordo lucido e perlaceo, con vasi ingorgati prominenti (teleangectasie) sulla superficie e una ulcerazione centrale. Sono ricorrenti emorragie e comparsa di formazioni crostose, mentre la lesione continua la sua lenta evoluzione. Spesso, i carcinomi alternano la fase crostosa alla guarigione, facendo diminuire la preoccupazione del medico e del paziente circa l’importanza della lesione stessa. Il carcinoma basocellulare sviluppa metastasi solo raramente, ma può invadere i tessuti sani circostanti. Raramente può sopraggiungere la morte a causa dell’invasione del carcinoma o dell’infiltrazione delle strutture vitali o degli orifizi (occhi, orecchie, bocca, struttura ossea, dura madre). La terapia va eseguita da uno specialista in seguito a biopsia ed esame istologico. L’aspetto clinico, la sede, l’estensione e i reperti istologici determinano la scelta del trattamento; curettage, elettrocoagulazione, escissione chirurgica, crioterapia o, occasionalmente, irradiazione. Le forme recidivanti (che rappresentano il 5% circa del totale), i tumori estesi, i tumori ricorrenti a causa della localizzazione, i tumori sclerodermiformi a bordi sfumati, vengono trattati con la chirurgia di Mohs (escissione cutanea e contemporaneo controllo microscopico). Il fluorouracile topico è spesso associato a una diffusione dermica della neoplasia, sotto un’epidermide apparentemente sana, pertanto tale farmaco non va usato per il trattamento locale di queste neoplasie.

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI CARCINOMA SQUAMOCELLULARE Tumore cutaneo che deriva dalle cellule dello strato malpighiano, localizzato solitamente nelle zone fotoesposte. MORBO DI BOWEN (Carcinoma intraepiteliale squamocellulare) Carcinoma squamocellulare superficiale in situ. Il morbo di Bowen è meno comune del carcinoma basocellulare o del carcinoma squamocellulare. La lesione è unica o multipla e spesso assomiglia alle chiazze localizzate della psoriasi, delle dermatiti o di una infezione dermatofitica. Si presenta di colore rosso-bruno, coperto da squame o croste e lievemente infiltrato. La terapia ricalca quella del carcinoma basocellulare (v. sopra). La papulosi bowenoide somiglia alle cheratosi seborroiche del pene o della vulva, ma queste ultime sono causate dal papillomavirus tipo umano e sono ben distinte dal morbo di Bowen. La papulosi bowenoide risponde alla terapia locale conservativa, che comprende la crioterapia, l’elettrocoagulazione, la laserchirurgia e il 5-fluoruracile topico.

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Tumori maligni

Manuale Merck 10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE 126. TUMORI MALIGNI MALATTIA DI PAGET DELLA MAMMELLA Raro tipo di carcinoma, che si manifesta come una dermatite unilaterale in sede areolare o periareolare e che rappresenta la diffusione all’epidermide di una concomitante neoplasia dei dotti mammari. Il morbo di Paget può interessare anche sedi extramammarie, principalmente inguinocrurali e perianali (malattia di Paget extramammaria). Si ritiene che molti casi extramammari di malattia di Paget prendano origine dalle ghiandole apocrine. L’eritema, l’essudazione e la componente crostosa ricordano molto una dermatite, tuttavia, il medico deve sospettare un carcinoma, in quanto la lesione è unilaterale, a margini definiti e non resistenti alla terapia topica. La biopsia della lesione mostra criteri istologici tipici. Va ricercato in tutti i casi un carcinoma sottostante. La terapia viene determinata dal chirurgo, anche se le affezioni della mammella solitamente richiedono una mastectomia.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 142-1. ALTERAZIONI CROMOSOMICHE ASSOCIATE A NEOPLASIE Neoplasia

Alterazione del cromosoma

Leucemia mieloide Leucemia mieloide cronica

t(9;22)

Leucemia mieloide acuta con maturazione

t(8;21)

Leucemia promielocitica acuta

t(15;17)

Leucemia non linfocitica acuta con aumento dei basofili

t(6;9)

Leucemia monocitica acuta

11q-

Leucemia mielo monocitica acuta con eosinofilia

inv16

Leucemia mieloide acuta secondaria a terapie

-7 o del (7q) o -5 o del (5q)

Linfomi maligni Burkitt

t(8;14)

Non Hodgkin

t(14;18), t(11;14)

Leucemia linfocitica Leucemia linfoblastica acuta

t(1;19), t(8;14), t(8;22)

Leucemia linfocitica cronica

t(11;14), t(14;19), t(2;14), +12

Malattie mieloproliferative Tumori solidi Adenocarcinomi

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+1

Manuale Merck - Tabella

Tumore del polmone a piccole cellule

3p-

Rene

3p-

Utero

1q-

Prostata

10q-

Vescica

-9 o inv9, 11, 5

Ovaio

t(6;14)

Colon

17q-,18p-

Sarcomi Liposarcoma, mixoide

t(12;16)

Sarcoma sinoviale

t(X;8)

Rabdomiosarcoma (alveolare)

t(2;13)

Condrosarcoma mixoide extrascheletrico

t(9;22)

Tumore di Ewing

t(11;22)

Neuroepitelioma periferico

t(11;22)

Disgerminoma testicolare e ovarico

inv12

Retinoblastoma

13q -

Tumore di Wilms

11p-

Altri

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Manuale Merck - Tabella

Neuroblastoma

1p-

Melanoma maligno

6q- o inv 6

Mesotelioma

3p-

t=traslocazione; q=braccio lungo del cromosoma; inv=inversione; p=braccio corto del cromosoma; =delezione; +=extra cromasoma.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-2. Classificazione, ereditarietà e caratteristiche associate dei disordini da immunodeficienza primaria Malattia

Caratteristiche associate

Deficit delle cellule B (anticorpali) Agammaglobulinemia legata al cromosoma X

Infezioni da piogeni dopo i 6 mesi di età

Deficit di Ig con iper-IgM (XL)

Neutropenia, linfoadenopatie

Deficit di IgA

Autoimmunità; allergie respiratorie o alimentari; in fezioni respiratorie; spesso asintomatica

Deficit di sottoclassi delle IgG

Deficit di IgA

Deficit anticorpali con Ig normali o elevate

---

Immunodeficienza con timoma

Anemia aplastica

Immunodeficienza variabile comune

Autoimmunità

Ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia

Prematurità

Deficit delle cellule T (cellulari) Deficit prevalenti delle cellule T Sindrome di Di George

Ipocalcemia, faciestipica, anomalie dell’arco aortico, cardiopatie

Candidosi mucocutanea cronica

Endocrinopatie

Immunodeficienza combinata con Ig (sindrome di Nezelof)

bronchiettasie

Deficit di nucleoside fosforilasi (AR) Deficit delle cellule natural killer

Infezioni gravi da virusherpes

Linfocitopenia CD4 idiopatica

Spesso asintomatica

Deficit combinati delle cellule T e B Immunodeficienza combinata grave (AR o XL) Deficit di adenosina deaminasi (AR)

Alterazioni scheletriche

Disgenesia reticolare

Pancitopenia

Sindrome del linfocita nudo

Assenza degli HLA

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Manuale Merck - Tabella

Atassia-teleangectasia (AR)

Dermatite, deterioramento neurologico

Sindrome di Wiskott-Aldrich (XL)

Eczema, trombocitopenia

Nanismo ad arti corti

Ipoplasia della cartilagine e dei capelli, varicella grave

Sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X

Infezioni gravi da virus di Epstein-Barr

Disordini dei fagociti Difetti del movimento cellulare Sindrome da iper-IgE

Infezioni stafilococciche, eczema, dermatite

Difetto di adesività leucocitaria di tipoI (AR)

Ritardato distacco del cordone ombelicale, leucocito si, periodontite

Difetti dell’attività microbicida Malattia granulomatosa cronica (XL o AR)

Linfoadenopatie

Deficit di G6PD dei neutrofili

---

Deficit di mieloperossidasi (AR)

---

Sindrome di Chédiak-Higashi (AR)

Albinismo oculocutaneo, granuli giganti nei neutrofi li

Disordini del complemento Difetti dei componenti complementari Deficit di C1q

Immunodeficienza combinata; sindrome simillupica

C1rs C1s

Sindrome simil-lupica, glomerulonefrite

C4 C2 C3

(ACD) Infezioni da piogeni

C5 C6 Infezioni da Neisseria C7

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Manuale Merck - Tabella

C8 Nessuna dimostrata C9 Difetti delle proteine di regolazione Deficit di C1-inibitore (AD)

Angioedema, LES

Deficit di fattoreI (C3b-inattivatore) (ACD)

Infezioni da piogeni

Deficit di fattoreH (ACD)

Sindrome emolitico-uremica, glomerulonefrite

Deficit di fattoreD (ACD)

Infezioni da piogeni

Deficit di properdina (XL)

Infezioni da Neisseria

XL=legata al cromosoma X; Ig=immunoglobuline; AR=autosomica recessiva; ACD=autosomica codominante; AD=autosomica dominante.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-3. Disordini da immunodeficienza secondaria Fattori predisponenti

Fattori specifici

Neonati e prematuri

Immunodeficienza fisiologica da immaturità del sistema immunitario

Malattie ereditarie e metaboliche

Anomalie cromosomiche (p.es. sindrome di Down) Uremia Diabete mellito Malnutrizione Deficit di vitamine e di minerali Enteropatie protido-disperdenti Sindrome nefrosica Distrofia miotonica Anemia falciforme

Agenti immunosoppressivi

Radiazioni Corticosteroidi Globuline antilinfocitaria o antit imocitaria Anticorpi monoclonali anti- cellule T

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Manuale Merck - Tabella

Malattie infettive

Rosolia congenita Esantemi virali (p.es. morbillo, varicella) Infezione da HIV Infezione da cytomegalovirus Mononucleosi infettiva Malattie batteriche acute Malattie gravi da micobatteri o da funghi

Malattie infiltrative ed ematologiche Istiocitosi Sarcoidosi Morbo di Hodgkin e linfomi Leucemie Mieloma Agranulocitosi e anemia aplastica

Chirurgia e traumi

Ustioni Splenectomia Anestesia

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Manuale Merck - Tabella

Miscellanea

LES Epatite cronica attiva Cirrosi alcolica Invecchiamento Farmaci anticonvulsivanti Malattia del trapianto contro l'ospite

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA. 147-4. QUADRI CLINICI CARATTERISTICI DI ALCUNI DISORDINI DA IMMUNODEFICIENZA PRIMARIA Gruppo di età Neonati e lattanti con meno 6 mesi

Caratteristiche cliniche Ipocalcemia, cardiopatia, facies insolita

Sindrome di Di George

Cianosi, cardiopatia, fegato mediano

Asplenia congenita

Ritardato distacco del cordone ombelicale, leucocitosi, infezioni ricorrenti

Sindromi da deficit di adesività leucocitaria

Diarrea, polmonite, candidosi orale, ritardo di accrescimento

Immunodeficienza combinata grave

Eruzione maculopapulare, alopecia, linfoadenopatia, epatosplenomegalia

Immunodeficienza combinata grave con malattia del trapianto contro l'ospite

Melena, secrezione auricolare, eczema

Sindrome di Wiskott-Aldrich

Albinismo oculocutaneo, infezioni ricorrenti, neutropenia

Sindrome di Chédiak-Higashi

Infezioni ricorrenti da piogeni, sepsi

Deficit di C3

Gengivite cronica, ulcere aftose e infezioni cutanee ricorrenti, neutropenia grave

Neutropenia congenita grave

Lattanti e bambini Mononucleosi infettiva grave e da 6mesi a 5anni progressiva

Bambini con più di 5 anni e adulti

Diagnosi

Sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X

Malattia paralitica dopo immunizzazione antipoliomielitica orale

Agammaglobulinemia legata al cromosoma X

Infezioni stafilococciche cutanee e sistemiche ricorrenti

Sindrome da iper-IgE

Candidosi orale persistente, distrofia un gueale, endocrinopatie

Candidosi mucocutanea cronica

Dermatomiosite progressiva con encefalite cronica da echovirus

Agammaglobulinemia legata al cromosoma X

Infezioni senopolmonari, deterioramento neurologico, teleangectasia

Atassia-teleangectasia

Linfoadenopatie, dermatite, ostruzione ant rale, polmonite, osteomielite delle piccole ossa

Malattia granulomatosa cronica

Meningite ricorrente da Neisseria

Deficit di C5, C6, C7 o C8

Infezioni senopolmonari, malassorbimento, splenomegalia, autoimmunità

Immunodeficienza variabile comune

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Manuale Merck - Tabella

Adattata da Stiehm ER, Conley ME: "Immunodeficiency diseases: general considerations", in Immunologic Disorders in Infants and Children, ed.4, edito da ER Stiehm. Philadelphia, WB Saunders Company, 1996, p212; riprodotta con autoriz zazione.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 148-1. Dosaggio, somministrazione e preparazioni di alcuni antagonisti H1 Farmaco

Via di Dosaggio abituale negli somministrazione adulti

Dosaggio abituale nei bambini

Preparazioni disponibili

Alchilamine Bromfeniramina maleato

PO

4-8mg q 4-6h

3anni: 2,5mg al Capsule (rilascio controllato) momento di coricarsi o 5mg tid Piperidine Azatadina maleato

PO

1-2mg bid

Solo > 12anni

Compresse 1mg‡

Ciproeptadina HCl

PO

4mg tid o qid

0,25-0,5mg/kg/die frazionati q 8-12h

Compresse 4mg‡

(non >0,5mg/ kg/die)

Sciroppo 2mg/5ml

Non sedativi Astemizolo

PO

10mg una Solo >12anni volta al giorno

Compresse 10mg‡

Cetirizina

PO

5-10mg una Solo >12anni volta al giorno

Compresse 5 e 10mg

Loratadina

PO

10mg una Solo >12anni volta al giorno

Compresse 10mg

Fexofenadina

PO

60mg bid

Compresse 60mg

Solo >12anni

*Fuori dagli USA vengono impiegate dosi massime più alte: 14 anni: 3 cp

Doxiciclina

100 mg PO bid × 7 giorni

2 mg /kg/die PO × 7 giorni

Clindamicina

900 mg PO tid × 3-5 giorni

20-40 mg /kg/die PO in 3 dosi × 3-5 giorni

Meflochina

1250 mg PO una volta

25 mg/kg PO una sola volta (se < 45 kg)

Alofantrina

500 mg PO q 6 h × 3 dosi, ripetere dopo 1 sett

8 mg/kg PO q 6 h × 3 dosi (se < 40 kg), ripetere dopo 1 sett.

Primachina

15 mg base (26,3 mg sale) PO die14giorni, o 45 mg base (79 mg sale) PO una volta/sett8sett.

0,3mg/kg base (0,5mg/kg sale) PO die14giorni,o 0,9mg/kg base (1,5mg/kg sale) PO una volta/sett.8 sett.

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10 mg base/kg (max 600 mg base) PO, quindi 5 mg base/kg 6 h dopo, quindi 5 mg base/kg a 24 e 48 h

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 161-4. FARMACI USATI PER LA CHEMIOPROFILASSI DELLA MALARIA

Profilassi di routine Dose nell'adulto Farmaco Pirimetaminasulfadoxina (Fansidar)

Dose pediatrica

Trattamento presuntivo per i viaggiatori di aree con clorochino resistenza Dose Dose negli adulti pediatrica 3cp (75mg 14anni: 3cp orale singola

1cp (25 mg pirimetamina e 500 mg sulfadoxina) PO una volta/ sett.

14anni: 1cp/sett.

Clorochina fosfato (Aralen)

300mg base (500 mg sale) PO una volta/ sett.

5mg/kg base (8,3mg/ kg sale) PO una volta/ sett; il massimo è la dose degli adulti di 300mg base

Non viene raccomandata per trattamenti presuntivi di malaria acquisita in aree di nota resistenza alla clorochina

Idrossiclorochina solfato (Plaquenil)

310mg base (400mg sale) PO una volta/ sett.

5mg/kg base (6,5mg/ kg sale) PO una volta/ sett.; il massimo è la dose degli adulti di 310mg base

Non viene raccomandata per trattamenti presuntivi di malaria acquisita in aree di nota resistenza alla clorochina

Meflochina (Lariam)

228 mg base (250mg sale) PO una volta/ sett.

15/19kg: 1/4cp/sett. 20/30kg: 1/2cp/sett. 31/45kg: 3/4cp/sett. >45kg: 1cp/sett.

Non viene raccomandata per trattamenti presuntivi di malaria

Doxiciclina

100mg PO al giorno

Solo se>8anni: 2mg/ kg/die; il massimo è la dose degli adulti

Le tetracicline non sono raccomandate per il trattamento presuntivo della malaria

Proguanil (Paludrine)

200mg PO al giorno in combinazione a clorochina settimanale

10anni: 200mg/die

Non viene raccomandato per il trattamento presuntivo della malaria

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Manuale Merck - Tabella

Primachina

15 mg base 0,3mg/kg base (26,3 mg sale) (0,5mg/ kg sale) PO PO al giorno al giorno14giorni, o 14 die, o 45 mg base (79 mg sale) PO a sett x 8 sett.

0,9mg/kg base (1,5mg/ kg sale) PO a sett.x 8 sett.

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Raccomandata solo per la prevenzione delle recidive di P. vivax e P. ovale

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 173-1. MODI PER MIGLIORARE IL SONNO Regolare ritmo del sonno

L'ora di andare a letto e del risveglio devono essere le stesse ogni giorno, compresi i fine settimana.

Stabilire una routine al momento di coricarsi

Una serie di attività, lavarsi i denti, lavarsi, puntare la sveglia, possono conciliare il sonno.

Ambiente che induce La camera da letto deve essere buia, silenziosa e ragionevolmente fresca; il sonno deve essere frequentata solo per il sonno e l'attività sessuale, e non per mangiarci, leggere, guardare la TV. Tende pesanti o una mascherina possono eliminare la luce, mentre tappi per le orecchie e altri sistemi antirumore diminuiranno i suoni disturbanti. Cuscini

Cuscini tra le ginocchia o sotto la vita possono aumentare il comfort. Per le persone con problemi di schiena, può essere utile la posizione supina con un grande cuscino sotto le ginocchia.

Esercizio regolare

L'esercizio fisico favorisce il sonno e riduce lo stress ma, se effettuato a tarda sera, può stimolare i sistemi cardiovascolare e nervoso e interferire con l'addormentamento.

Rilassamento

Lo stress e le preoccupazioni disturbano il sonno. Leggere o un bagno caldo prima di coricarsi possono aiutare a rilassarsi. Possono essere usate tecniche quali la visualizzazione di immagini, il rilassamento progressivo muscolare e gli esercizi respiratori.

Evitare di assumere stimolanti e diuretici

Si dovrà evitare l'assunzione di bevande alcoliche o a base di caffeina, il fumo, mangiare cibi addizionati di caffeina (p.es., cioccolato), anoressizzanti e diuretici, specialmente in prossimità dell'ora di coricarsi.

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 173-2. IPNOTICI DI USO COMUNE Farmaco

Emivita (h)

Benzodiazepine

1,5-2,3

Vantaggi e svantaggi Dosi >15mg possono comportare insonnia da rimbalzo

Dose* (mg) 7,515

Midazolam Triazolam

1,5-3

Utile per l’insonnia iniziale; le dosi alte inducono amnesia anterograda

0,1250,25

Oxazepam

6-9,5

Di lento assorbimento; utile per l'insonnia da mantenimento del sonno

10-30

Temazepam

8-9

Utile per l'insonnia iniziale; pochi effetti residui a 10 mg

10-20

Lorazepam

10-20

Sedazione a durata intermedia

Estazolam

16-18

Alcuni effetti residui nel range del dosaggio

0,5-2

Nitrazepam†

25-35 Utile per il trattamento dei risvegli frequenti qualora sia accettabile una certa sedazione durante il giorno

2,510

Diazepam †

30-56 Si accumula per la lenta eliminazione del farmaco e dei suoi metaboliti

2,510

Quazepam

Flurazepam†

Clorazepate †

39

Non è indicato l'uso prolungato; può essere utile per il risveglio precoce

40-100 Utile per i risvegli frequenti qualora sia accettabile una certa sedazione durante il giorno 55-70

Utile nell'insonnia associata all'ansia

2-4

7,515 15-30

7,5-22,5

Imidazopiridina Zolpidem

1,5

Pochi effetti residui con dosi fino a 30mg

16

Il dosaggio pieno prima di coricarsi migliora l'insonnia dei pazienti affetti da depressione e da risvegli precoci; forti proprietà anticolinergiche

5-10

Antidepressivi‡ Amitriptilina

Doxepina

11-23

Sedativo; forti proprietà anticolinergiche

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50100

50-100

Manuale Merck - Tabella

Altri Idrato di cloralio

Meprobamato

4-10

Sedazione di durata intermedia; può avere effetti GI residui

6-17

Blanda sedazione; utile nell'anziano; può avere effetti residui

5001000 800

Ipnotici che non necessitano di prescrizione Difenidramina§, pirilamina, ecc

Blanda sedazione per la maggior parte, ma perdita dell'effetto sedativo dopo 3-4giorni di somministrazione; forti proprietà anticolinergiche (secchezza delle fauci, alterazioni della vista, ritenzione urinaria, stipsi), che sono particolarmente problematiche nell'anziano e nei pazienti affetti da glaucoma, iperplasia prostatica e demenza

*Per i pazienti anziani, spesso sono sufficienti dosi iniziali della ½ di quella minima. †Il farmaco non deve essere somministrato nell'anziano in quanto presenta emivita lunga in relazione all'età. ‡Gli antidepressivi non devono essere somministrati se non è presente depressione. §Il farmaco deve essere evitato nell'anziano per le sue forti proprietà anticolinergiche.

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25-50

Manuale Merck - Tabella

TABELLA 178-2. NERVI CRANICI Nervo

Funzione

Esempi di disfunzione

Olfattorio (1°)

Conduce gli stimoli per l'olfatto

Ottico (2°)

Conduce gli impulsi per Amaurosi transitoria (cecità la visione monoculare transitoria)

Anosmia

Cause della disfunzione Trauma cranico; neoplasie della fossa cranica anteriore, della cavità nasale e dei seni paranasali; sinusiti paranasali Lesione omolaterale della carotide interna, embolia delle arterie retiniche

Neurite retrobulbare

Malattia demielinizzante acuta o lesioni vascolari dei nervi ottici, encefalomielite postinfettiva o disseminata, uveite posteriore

Neuropatia ottica tossico-carenziale

Deprivazione nutrizionale grave; deficit vit.B12; ingestione di metanolo; somministrazione di cloramfenicolo, etambutolo, isoniazide, streptomicina, sulfamidici, digitale, clorpropamide, segale cornuta, disulfiram o mercurio

Emianopsia bitemporale

Estensione soprasellare di un adenoma ipofisario, craniofaringioma, aneurisma sacculare nel seno cavernoso, meningioma del tuberculum sellae

Oculomotore (3°)

Alza le palpebre, muove i globi oculari, regola la quantità di luce che penetra negli occhi e regola la focalizzazione

Paralisi

Aneurisma dell'arteria comunicante posteriore, ernia transtentoriale da massa intracranica (p.es., ematoma subdurale, tumore, ascesso), infarto del mesencefalo, mononeurite multipla (p.es., diabete)

Trocleare (4°)

Muove l'obliquo superiore

Paralisi

Trauma cranico, neuropatia ischemica associata spesso a vasculopatia delle piccole arterie (p.es., diabete), menigioma tentoriale, pinealoma

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Manuale Merck - Tabella

Trigemino (5°)

Conduce la sensibilità Nevralgia del della superficie oculare, trigemino delle ghiandole lacrimali, del cuoio capelluto, della fronte e della palpebra superiore

Possibile compressione della radice nervosa da parte di anse arteriose o venose

Conducono la Neuropatia sensibilità dai denti, trigeminale gengive, labbra e dalla cute del volto; muovono i muscoli masticatori

Meningiomi, schwannomi, tumori metastatici e della base del cranio, lesioni del seno cavernoso o della fessura orbitaria superiore

Abducente (6°)

Muove il retto laterale

Ipertensione endocranica, vasculopatia, carcinoma nasofaringeo, carcinoma, tumore cerebrale o pontino, trauma, infezioni o tumori delle meningi, encefalopatia di Wernicke, sclerosi multipla, infarto del ponte, mononeurite multipla

Faciale (7°)

Muove i muscoli mimici; Paralisi di Bell innerva le ghiandole lacrimali e salivari; conduce la sensibilità Sindrome di gustativa dei 2/3 Ramsay Hunt anteriori della lingua Paralisi facciale

Idiopatica; rigonfiamento del nervo da malattie immunitarie o virali

Conduce la sensibilità per l'equilibrio e quella uditiva

Malattia di Meniere

Sconosciute

Vertigine di posizione parossistica benigna

Aggregazione degli otoliti nel canale semicircolare, concussione labirintina, otite media, chirurgia dell'orecchio, occlusione dell'arteria vestibolare anteriore

Neurite vestibolare

Possibile infezione virale

Disturbi o perdita dell'udito

Tumori dell'angolo pontocerebellare, neurinomi dell'acustico, possibili infezioni virali

Branca oftalmica

Branche mascellare e mandibolare

Vestibolococleare (8°)

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Paralisi

Herpes zoster Malattia di Lyme, sarcoidosi, tumori invadenti l'osso temporale, neurinomi dell'acustico, infarti e tumori del ponte, sindrome di GuillainBarré, febbre uveoparotidica (sindrome di Heerfordt), sindrome di MelkerssonRosenthal

Manuale Merck - Tabella

Glossofaringeo (9°) Conduce stimoli sensitivi dal faringe, tonsille, parte posteriore della lingua e dalle arterie carotidi; muove i muscoli della deglutizione e delle ghiandole salivari; coadiuva la regolazione della pressione arteriosa

Nevralgia del glossofaringeo Neuropatia del glossofaringeo

Sconosciute

Tumori o aneurismi nella fossa cranica posteriore o nel forame giugulare

Vago (10°)

Muove i muscoli fonetici e della deglutizione, trasmette impulsi al cuore e ai muscoli lisci dei visceri

Disfagia e disfonia

Processi infettivi o neoplastici delle meningi, tumori e lesioni vascolari midollari (p.es., sindrome midollare laterale), malattia del motoneurone, herpes zoster

Accessorio (11°)

Volge il capo, alza le spalle

Paralisi completa o parziale dello sternocleidomastoi deo e del trapezio

Tumori della base cranica, dell'angolo pontocerebellare e delle meningi

Neuropatia dell'accessorio

Idiopatica

Atrofia e fascicolazioni della lingua

Lesioni intramidollari (p.es., malattia del motoneurone, tumori, poliomielite), lesioni delle meningi della base o delle ossa occipitali (p.es., platibasia, malattia di Paget del basicranio), trauma chirurgico (p.es., endoarteriectomia)

Ipoglosso (12°)

Muove la lingua

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 208-1. PROCEDURE CHE RICHIEDONO LA PROFILASSI ANTIBIOTICA PER L‘ENDOCARDITE Procedure relative al cavo orale Estrazioni dentarie Procedure periodontali, compresa la chirurgia Implantologia e reimpianto di denti avulsi Cure canalari Posizionamento di fasce subgengivali, ma non braccetti metallici Iniezione di anestetico locale all'interno del legamento Pulizia dei denti

Altre procedure Tonsillectomia o adenectomia Chirurgia che coinvolge la mucosa respiratoria Broncoscopia con broncoscopio rigido Scleroterapia per varici esofagee Dilatazione di stenosi esofagee CPRE con ostruzione biliare Chirurgia del tratto biliare Chirurgia che coinvolge la mucosa intestinale Chirurgia prostatica Cistoscopia

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Dilatazione uretrale

Adattata da Dajani AS, Taubert KS, Wilson W, et al: "Prevention of bacterial endocarditis." JAMA 277:1794-1801, 1997.

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TABELLA 261-1. ETÀ D'INSORGENZA E CAUSE COMUNI DI SCOMPENSO CARDIACO IN ETÀ PEDIATRICA In utero (rare) Compromissione della funzione di pompa del cuore e della sua capacità a mantenere il flusso anterogrado (più che shunt od ostruzioni) Tachicardia intrauterina sostenuta Anemia cronica con conseguente sovraccarico di volume Insufficienza miocardica secondaria a miocardite

Dalla nascita alle prime ore di vita Ciascuna delle cause riportate sopra Anemia cronica grave (intrauterina) Tachicardia sopraventricolare parossistica intrauterina o neonatale Asfissia perinatale con danno miocardico Grave insufficienza tricuspidale o polmonare da ipossia Sindrome del ventricolo sinistro ipoplasico Difetti metabolici (p.es. ipoglicemia, ipotermia, grave acidosi metabolica) Grave stenosi aortica o polmonare Malformazioni artero-venose sistemiche o placentari Difetti valvolari strutturali

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Manuale Merck - Tabella

Primo mese di vita Ciascuna delle cause riportate sopra Trasposizione dei grossi vasi Coartazione aortica, con o senza anomalie associate Ritorno venoso polmonare anomalo, soprattutto con ostruzione venosa polmonare Fistole artero-venose sistemiche Shunt sinistro-destri nel prematuro (p.es., dotto arterioso pervio)

Prima infanzia (in particolare dalle 6 alle 8 settimane) Difetto del setto interventricolare, ventricolo unico Tronco arterioso comune Pervietà del dotto arterioso Difetti del canale atrio-ventricolare Ventricolo unico Ritorno venoso polmonare anomalo Malattie metaboliche rare (malattie da accumulo di glicogeno)

Seconda infanzia Malattia reumatica acuta con cardite Cardiopatia reumatica Miocardite virale Endocardite batterica Sovraccarico di volume in corso di malattie non cardiache

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TABELLA 261-3. SINDROMI CRANIO-FACCIALI COMUNI Sindrome

Caratteristiche tipiche

Sindrome di Waardenburg

Sordità, albinismo parziale (in genere piebaldismo); eterocromia dell’iride; lateralizzazione del canto mediale

Sindrome di Pierre Robin

Micrognazia con glossoptosi; schisi del palato molle

Sindrome di Treacher Collins

Malformazioni dell’orecchio esterno, ipoplasia malare, rima palpebrale antimongolica, fissurazioni palpebrali, coloboma della palpebra inferiore, ipoacusia trasmissiva

Sindrome di Goldenhar Asimmetria facciale, malformazioni monolaterali dell’orecchio esterno con appendici e fistole preauricolari, ipoacusia trasmissiva, microftalmia, lipodermoide epibulbare, macrostomia con ipoplasia mandibolare, anomalie vertebrali

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TABELLA 261-4. ESEMPI DI SINDROMI GENICHE CONTIGUE Sindrome

Delezione cromosomica

Descrizione

Sindrome di Alagille

20p.12

Colestasi, riduzione del calibro del dotto biliare, anomalie cardiache, stenosi delle arterie polmonari, vertebre a farfalla, embriotoxon posteriore dell’occhio

Sindrome di Angelman

15q11 (cromosoma materno)

Convulsioni, atassia, scoppi di riso improvvisi, tremore delle mani, grave ritardo mentale

Sindrome di DiGeorge (anomalia di DiGeorge, sindrome velo-cardiofacciale, sindrome della tasca faringea, aplasia timica, v. Cap.147)

22q11.21

Ipoplasia o assenza del timo e delle paratiroidi; frequenti difetti cono-truncali del cuore, palatoschisi, ritardo mentale e disturbi psichiatrici, suscettibilità alle infezioni

Sindrome di LangerGiedion (sindrome tricorino-falangea tipoII)

8q24.1

Esostosi, epifisi coniche, capillizio rado, naso a bulbo, ritardo mentale

Sindrome Miller-Dieker

17p13.3

Lissencefalia; naso corto e all’insù; grave ritardo di crescita; convulsioni; grave ritardo mentale

Sindrome di Prader-Willi (v. Cap. 269)

5q11 (cromosoma paterno) o

Ipotonia neonatale, obesità, ipogonadismo, mani e piedi piccoli, ritardo mentale

Sindrome di RubinsteinTaybi

16p13-

Pollici e alluci grandi, naso e columella prominenti, ritardo mentale

Sindrome di Smith Magenis

17p11.2

Brachicefalia, ipoplasia della porzione centrale del viso, prognatismo, voce rauca, bassa statura, ritardo mentale

Sindrome di Williams

7q11.23

Stenosi aortica, ritardo mentale, faccia da elfo, ipocalcemia transitoria durante il periodo infantile

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TABELLA 261-5. CAUSE E CARATTERISTICHE DELLO PSEUDOERMAFRODITISMO MASCHILE Cause

Caratteristiche

Inadeguata produzione di androgeni

Comprende alcune rare forme di alterazione della steroidogenesi e certi tipi di disgenesia gonadica (che possono avere un cariotipo diverso da 46,XY)

Inadeguata risposta agli androgeni

Comprende (1) la sindrome da femminilizzazione testicolare (sindrome da insensibilità agli androgeni); (2) il deficit della steorido 5a-reduttasi II, determinata da un disordine genetico del cromosoma 2, che comporta una inadeguata conversione di testosterone in diidrotestosterone; e (3) resistenza periferica agli androgeni (forma recettore-positivo) in cui viene a mancare l’azione degli androgeni pur in presenza di un adeguato legame recettoriale.

Persistenza di Determina ambiguità dei genitali interni con sviluppo di un utero elementi mülleriani nonostante la presenza di testicoli (ernia inguinale dell’utero)

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TABELLA 263-1. MISURE DI PREVENZIONE DEI TRAUMI Tenere i materiali velenosi lontano dalla portata dei bambini Usare contenitori e tappi di sicurezza per tutti i farmaci Usare cinture e seggiolini di sicurezza per bambini in automobile Usare caschi per andare in bicicletta Installare e controllare periodicamente gli allarmi antifumo Non usare girelli Installare recinzioni fornite di serrature attorno alle piscine Usare coperture di sicurezza per prese elettriche Usare le armi in maniera sicura, tenere le armi scariche e chiuse nei loro contenitori Tenere l’acqua della caldaia a temperatura < 49°C

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TABELLA 263-3. SINTOMI DELL'AVVELENAMENTO DA PARACETAMOLO I Stadio (0-24h): pochi sintomi sistemici o di irritazione GI si verificano entro 12-24h, anche nei pazienti che hanno ingerito grandi quantità. Il paziente non è compromesso.

II Stadio (24-72h): sono comuni i intomi GI, in particolare nausea e vomito ed è presente un’alterazione dei test di funzionalità epatica. AST e ALT, bilirubina e tempo di protrombina aumentano in successione. La funzionalità renale può essere compromessa anche se l’azotemia rimane normale.

III Stadio (72-96h): il vomito continua e i livelli di AST e ALT, bilirubina e tempo di protrombina raggiungono il valore massimo. Compaiono i segni di insufficienza epatica. In questa fase può comparire insufficienza renale. Sono stati segnalati casi isolati di insufficienza renale, in assenza di insufficienza epatica.

IV Stadio (> 5 giorni): risoluzione del danno epatico o decesso per insufficienza epatica.

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TABELLA 263-4. FONTI COMUNI DI PIOMBO Fonti di alte dosi Ingestione ripetuta di patatine contenenti coloranti Corpo estraneo metallico contenente piombo trattenuto nello stomaco (p.es., pallottola, peso per le tende, peso per pescare, piccolo giocattolo) o negli spazi articolari Conservare cibi e bibite contenenti sostanze acide (frutta, succhi di frutta, bevande contenenti cola, pomodori, succhi di pomodoro, vino, sidro) in contenitori inappropriati contenenti piombo (p.es., contenitori da trasporto di manifattura industriale) Bruciare legno trattato con vernice contenente piombo o i rivestimenti delle batterie in camini domestici o stufe Usare rimedi della medicina popolare contenenti piombo Usare bicchieri di piombo Bere whiskey o vino contaminati da piombo Inalare i fumi di combustione della benzina super Essere esposti per lavoro al piombo senza adeguata protezione (p.es., maschere di respirazione, ventilatori, apparecchi per l’eliminazione delle polveri di piombo)

Fonti di basse dosi Essere esposti a polveri contaminate dal piombo o a macchie contaminate dal piombo sugli oggetti domestici (p.es., miniblind)

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TABELLA 263-7. SCHEDA DEI TEST DIAGNOSTICI PER UN BAMBINO CON UNA PBE ELEVATA DURANTE LA VALUTAZIONE DI SCREENING Se il risultato del test di screening è:

Eseguire test diagnostici su sangue venoso entro:

10-19µg/dl (0,5-0,9µmol/ l)

3 mesi

20-44µg/dl (0,95- 2,1µmol/l)

1 mese- 1 settimana*

49-59µg/dl (2,15- 2,85µmol/l)

48 h

60-69µg/dl (2,9- 3,35µmol/l)

24 h

≥ 70µg/dl (≥ 3,4µmol/l)

Immediatamente come prelievi d’urgenza

*Più alta è la PbE di screening, più urgente è la necessità di eseguire test diagnostici PbE=concentrazione ematica del piombo. Da Centers from Disease Control and Prevention: Screen ing Young Children for Lead Poisoning: Guidance for State and Local Public Health Officials. Atlanta, Centers from Disease Control and Prevention, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-9. SINTOMI DELL'AVVELENAMENTO DA FERRO I Stadio (entro 6h): possono comparire vomito, ematemesi, diarrea profusa, irritabilità, dolore addominale, letargia e coma. L’irritazione della mucosa GE può portare a gastrite emorragica. Se i livelli sierici di Fe sono elevatipossono verificarsi tachipnea, tachicardia, ipotensione e acidosi metabolica. Lpresenza di shock e coma nelle prime 6h è un segno prognosticamente sfavorevole

II Stadio (6-24h dopo l’ingestione): periodo di latenza, che dura fino a 24 dopo l’ingestione, con apparente miglioramento delle condizioni generali

III Stadio (12-48h dopo l’ingestione): possono comparire shock, ipoperfusione, convulsioni e ipoglicemia. I livelli sierici di Fe possono essere normali. Possono verificarsi aumento della ALT conseguente al danno epatico, febbre, leucocitosi, disturbi della coagulazione, inversione dell’onda T all’ECG, disorientamento, irrequietezza, letargia, convulsioni, coma, shock, acidosi e morte

IV Stadio 2-5settimane dopo, se si verificano complicanze tardive): compaiono sintomi e segni da ostruzione pilorica, antrale o intestinale, da cirrosi epatica o da danno al SNC

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TABELLA 263-15.GUIDA ALLA RIANIMAZIONE PEDIATRICA - DOSAGGI DEI FARMACI Età (aa)

Prematuro

A ter mine

612 mesi

1a

2 aa 3 aa 4 aa

5 aa

6 aa 7 aa

8 aa

9 aa 10 aa

Peso (kg)

≤2

3,5

7

10

12

14

16

18

20

22

25

28

0,5•

1,0•

1,5•

2•

2,5•

3,0•

3,0•

3,5•

4,0•

4,5

5

5

11 aa

12 aa

13 aa

14 aa

15 aa

16 aa

30

35

40

45

50

55

60

6

7

8

9

10

10

10

20

20

20

20

20

20

Farmaci per bradiaritmie Atropina (0,1 mg/ ml)

Dose EV/TET/ IO•ml (0,02 mg/ kg) Frequenza

Ripetere stessa dose q 5 min fino a raggiungere la dose massima

Dose max. cum. EV/IO• ml Adrenalina 1:10000 (0,1 mg/ml)* o 1:1000 (1 µg/ml) †

5•

5•

5•

Dose EV/IO• ml (0,010,03 mg/ kg)

0,5*•

1,0*•

1,0*•

Dose TET ml (0,1 g/kg)

0,5*

1,0*

0,7

10•

10•

10•

10•

10•

10•

10

10

15

15

Di attacco 1,0* • 1,0* • 1,4* • 1,6* •

1,0

1,0

Frequenza

1,4

1,6

1,8* • 2,0* • 2,2*

1,8

2,0

2,0

2,5*

3,0* 3,0*

3,5*

4,0* 4,5*

5,0*

5,5* 6,0*

2,5

3,0

3,0

3,0

3,0

3,0

3,0

3,0

3,0

Ripetere dose TET a intervalli di 3-5 min EV/IO/TET

Infusione Conc. finale

Dose EV/IO• ml/ h (0,1 µg/kg/min) file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (1 of 9)02/09/2004 2.59.04

Aggiungere 2,5 ml (1:1000) = 2,5 mg a 48 ml di SG 5%= 50 µg/ml

Aggiungere 1 ml (1:1000) = 1mg a 99 ml di SG 5% = 10µg/ml

1•

2•

4•

6•

7•

8•

9•

11•

12•

13

3

3

4

4

5

5

6

7

7

Manuale Merck - Tabella

↑ progressivamente fino alla dose max. Quando raggiunta, aumentare conc. della soluzione per somministrare un vol. minore di liquidi

Frequenza Dose max. EV/ IO• ml/h (1,0 µg/ kg/min)

10•

20•

40•

60•

70•

80•

90•

110 • 120 • 130

30

30

40

40

50

50

60

70

70

30

35

40

45

50

55

60

Sostanze per i disturbi metabolici Bicarbonato Conc. finale di sodio (4,2% o 8,4%) Dose EV/IO• ml/ (12 mmol/kg)

4,2% (0,5 mmol/ml) 8•

14•

28•

8,4% (1 mmol/ml) 10•

Frequenza

12•

16•

18•

22

25

28

Dipende dal deficit di basi misurato a intervalli frequenti

Conc. finale Dose EV/IO• ml (20 mg/kg)

20•

Dose standard ripetibile q 10 min in caso di arresto cardiaco protratto

Dose max. cum. Cloruro di calcio (10% [100 mg/ ml])

14•

10%[100 mg/ml] 0,4•

0,7•

1,5•

2,0• 2,5•

3,0•

3,0•

Frequenza

3,5• 4,0•

4,5

5

5

5

5

5

5

5

5

5

Ripetere 1 in 10 min

Dose max. cum.

Dipende dal deficit di calcio misurato

Sostanze per l’ipotensione Dopamina (40 mg/ml)

Aggiungere 1,5 ml (60 mg) a 98 ml di SG 5% = 600 µg/ml

Conc. finale Dose EV/IO• ml/ h (5,0 µg/kg/min)

1,0•

Frequenza

file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (2 of 9)02/09/2004 2.59.04

1,7•

3,5•

5•

6•

7•

8•

9•

10•

Aggiungere 5 ml (200 mg) a 95 ml di SG 5% = 2000 µg/ml 11

3,7

4,2

4,5

Aumentare progressivamente fino alla dose massima

5,2

6

6,7

7,5

8,2

9

Manuale Merck - Tabella

Dose max. EV/ IO• ml/h (20 µg/ kg/min) Dobutamina (250 mg / 20 ml)

4•

14•

20•

24•

0,5•

0,8•

1,7•

2,4• 2,9•

Frequenza Dose max. EV/ IO• ml/h (20 µg/ kg/min) Albumina (5% [50 mg/ml]

28•

36•

3,4•

3,8•

4,8•

8,4•

17•

24•

29•

34•

20•

35•

70•

38•

100• 120• 140• 160•

17

18

21

24

27

30

33

36

Aggiungere 20 ml (250 mg) a 230 ml di SG 5% = 1000 µg/ml 5,2

3,0

3,4

3,6

4,2

4,8

5,4

6,0

6,6

7,2

43•

48•

52

30

34

36

42

48

54

60

66

72

180• 200• 220

250 280 300

350 400

450

500 550

600

350 400

450

500 550

600

350 400

450

500 550

600

350 400

450

500 550

600

Ripetibile a seconda del grado di ipoperfusione 20•

35•

70•

100• 120• 140• 160•

180• 200• 220

250 280 300

Ripetibile a seconda del grado di ipoperfusione 20•

35•

70•

100• 120• 140• 160•

Frequenza Dose EV/IO• ml (10 µl/kg)

15

5% (50 mg/ml)

Frequenza Plasma (fresco Dose EV/IO• ml congelato o (10 µl/kg) conservato)

44

Aumentare progressivamente fino alla dose massima

Frequenza Sangue (intero Dose EV/IO• ml (10 ml/kg) o emazie concen trate)

40•

4,3• 4,8•

Conc. finale Dose EV/IO• ml (0,5 g/kg)

Soluzione fi siologica (NaCl 0,9%

32•

Aggiungere 4 ml (50 mg) a 96 ml di SG 5% = 500 µg/ml

Conc. finale Dose EV/IO• ml/ h (2,0 µg/kg/min)

7•

180• 200• 220

250 280 300

Ripetibile a seconda del grado di ipoperfusione 20

Frequenza

file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (3 of 9)02/09/2004 2.59.04

35

70

100

120

140

160

180

200

220

250 280 300

Ripetibile a seconda dell’evidenza di ipoperfusione

Manuale Merck - Tabella

Farmaci per tachiaritmie Adenosina (6 mg / 2ml)

Conc. finale Dose EV ml (0,1 mg/kg) Frequenza

Dose max. cum. EV ml (0,25 mg/ kg) Bretilio Dose EV ml (5 tosilato (50 mg/ mg/kg) ml)

Aggiungere 1ml (3 mg) a 2 ml di soluzione fisiologica = 1mg/ml 0,2

0,4

0,7

Digossina (50 Conc. finale µg/ml o 250 µg/ ml) Dose d’attacco EV ml 10-20 µg/ kg = ½ dose totale

1,6

1,8

2,0

2,2

0,8

0,9

1,0

1,2

1,3

1,5

1,7

1,8

2,0

Ripetere q 2 min e raddoppiare la dose fino al massimo

0,9

1,7

2,5

3,0

3,5

4,0

4,5

5,0

5,5

2,0

2,3

2,5

2,9

3,3

3,7

4,0

4,0

4,0

0,2

0,4

0,7

1,0

1,0

1,5

1,5

2,0

2,0

2,0

2,5

2,8

3

3,5

4

4,5

5

5,5

6

Se persiste la fibrillazione ventricolare, raddoppiare la dose soprastante seguita da defibrillazione 1,2

2,0

4,0

6,0

7,0

8,5

9,5

11,0 12,0 13,0

50 mg/ml 0,4

1,0

15

17

18

21

24

27

30

33

36

1,8

1,0

1,0

1,0

1,0

1,2

1,4

2,7

3,0

250 mg/ml 2,6

0,75

0,9

0,9

1,0

1,1

1,2

1,3

1,5

1,7

Ripetere metà della dose di cui sopra 8 h e 16 h dopo per completare la dose totale di digitalizzazione EV

Dose di manteni mento EV Dose d’attacco EV/TET /IO•ml (1 mg/kg)

1,4

0,5

Frequenza

Lidocaina (20 mg/ml)

1,2

Ripetere q 2 min e aumentare la dose di 0,05 ml/kg fino a un massimo di 0,25 ml/kg

Frequenza Dose max. cum. EV ml (30 mg/ kg)

1,0

3 mg/ml

48 mg/kg/die in 2 dosi frazionate

0,1•

file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (4 of 9)02/09/2004 2.59.04

0,1•

0,4•

0,5• 0,6•

0,7•

0,8•

125-250 mg /die in 2 dosi frazionate

0,9• 1,0•

1,0

1,2

1,4

1,5

1,7

2,0

2,2

2,5

Manuale Merck - Tabella

Conc. finale Dose EV/IO• ml/ h (20 µg/kg/min)

Aggiungere 5 ml (100 mg) a 45 ml di SG 5% = 2 mg/ml 1•

2•

4•

6•

7•

Frequenza Dose max. EV/ IO• ml/h (50 µg/ kg/min)

8•

10•

11•

Aggiungere 20 ml (400 mg) a 30 ml di SG 5% = 8 mg/ml

12•

13

4

4

4

5

6

7

7

8

9

11

13

15

17

19

20

22

1,2

1,4

1,6

1,8

2,0

2,2

2,4

Aumentare progressivamente fino alla dose massima 3•

5•

10•

_

_

_

_

_

_

_

_

_

_

_

_

Verapamil (2,5 Conc. finale mg/ ml) non nei b. con WPW, Dose EV ml nei lattanti < 6 (0,05 mg/kg) mesi, o con β bloccanti Frequenza Dose max. cum. EV ml (0,3 mg/ kg)

15•

18•

21•

24•

27•

30•

33

9

10

2,5 mg/ml 0,2

0,2

0,3

0,3

0,4

0,4

0,4

1,0

1,1

Ripetere stessa dose q 15 min fino a raggiungere la dose massima 1,2

1,4

1,7

1,9

2,1

2,4

2,6

3,0

3,3

3,6

4,2

4,8

5,4

6,0

6,6

7,2

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

2

2

2

2

2

Farmaci per convulsioni ‡ Diazepam (10 mg/2 ml)

Conc. finale Dose in ml (0,040,2 mg/ kg) EV / IO• ml (infusione lenta)

5 mg/ml 0,1•

0,15•

0,3•

Frequenza Dose max. cum. EV /IO• ml Diazepam (rettale 10

0,4• 0,5•

0,6•

0,6•

0,7• 0,8•

0,9

Ripetere stessa dose q 15-30 min fino a raggiungere la dose massima 0,2•

Conc. finale

file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (5 of 9)02/09/2004 2.59.04

0,3•

1,0•

1,0• 1,0•

1,5•

1,5•

1,5• 2,0•

Aggiungere 1ml (5 mg) a 9ml di soluzione fisiologica = 0,5mg/mlr

2,0

2

2

2

2

5 mg/ml

Manuale Merck - Tabella

mg/2 ml)

Dose in ml (0,2 mg/kg)

0,8

1,4

3

4

Frequenza Fenobarbi tale Conc. finale (30 mg/ml o 120 mg/ml) Dose d’attacco EV ml (20 mg/ kg) in 20 min

5

5,5

6,5

7

8,5

1,0

1,0

1,0

1,5

1,5

2,0

2,0

2,0

2,0

7

8

9

10

Stessa dose ripetibile q 5 min e aggiungere anticonvulsivante a lenta azione 30 mg/ml 1,3

2,3

120 mg/ml 4,6

1,6

2,0

Dose di mantenimento EV

2,3

2,6

3

3,3

3,6

4,1

4,6

5,0

6

7

35 mg/kg/die in dosi frazionate a seconda del livello ematico

Fenitoina (100 Conc. finale mg/ 2 ml) Dose d’attacco EV ml (15 mg/ kg) in 20 min in soluzione fisiologica

8

50 mg/ml 0,8

1,4

3

4

5

Dose di mantenimento EV

5,5

6,5

7

8

9

7,5

8,5

9,0

10,5 12,0 13,5

15,0 16,5

18,0

6,0

7,0

4-8 mg/kg/die in dosi frazionate a seconda del livello ematico

Sostanze varie Ammino fillina Conc. finale (500 mg/10 ml) Dose di carico EV ml (0-6 mesi: 7 mg/kg; 6 mesi: ≥6 mg/kg) in 20 min

50 mg/ml 0,25

file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (6 of 9)02/09/2004 2.59.04

0,5

0,8

1,2

1,4

1,7

1,9

2,1

2,4

2,6

3,0

3,4

3,6

4,2

4,8

5,4

6,5

Manuale Merck - Tabella

Infusione Conc. finale

Aggiungere 2ml (100mg) a 98ml di SG 5% = 1mg/ml

_

Dose EV ml/h (6 mesi-7 aa: 1 mg/ kg; 8-16 aa: 0,60,8 mg/kg/ h)

_

7

10

12

14

16

Dose max. EV ml/h Furosemide (40 mg/4 ml)

0,2

0,4

0,7

1,0

4

4

5

5

6

6

6

7

7

1,0

1,5

1,5

2,0

2,0

2,0

2,5

3,0

3,0

3,5

4,0

4,5

5,0

5,5

6,0

Ripetere q 2-4 h secondo necessità

Idrocorti sone Conc. finale (100 mg /2 ml)

50 mg/ml 0,5

0,7

1,5

2,0

2,4

2,8

125 mg/ml 3,2

Dose di manteni mento EV ml

3,6

4,0

4,4

2

2,2

2,4

2,8

3,2

3,6

4,0

4,4

4,8

75

90

100

110

125 135

150

Come sopra, divisa in 4 dosi/die

Conc. finale Dose EV ml (0,5 g/kg) (infusione rapi da)

Naloxone (0,4 mg/ ml)

22

10 mg/ml

Frequenza

Dose d’attacco EV ml (10 mg/ kg)

20

A seconda della teofillinemia

Conc. finale Dose EV ml (1 mg/kg)

Mannitolo (20%)

18

Aggiungere 10ml (500mg) a 90ml di SG 5% = 5mg/ml

0,2 g/ml 5

9

20

25

30

35

40

45

50

55

60

70

Frequenza

Può essere ripetuto se necessario. Consultare un centro di III livello

Conc. finale

0,4 mg/ml

file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (7 of 9)02/09/2004 2.59.04

Manuale Merck - Tabella

Dose EV/TET ml (0,1 mg/kg)

0,5

0,8

1,7

2,5

3

3,5

Frequenza

4

4,5

5

5

5

5

5

5

5

5

5

5

5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

1,0

1,0

1,0

1,0

1,0

0,34 0,34

0,34

Ripetere stessa dose q 23 min secondo necessità

Farmaci da inalazione Adrenalina racemica (2,25%)

Salbutamolo (5 mg/ml)

Conc. finale Dose in ml

Dose da aggiungersi a 3 ml di NaCl 0,9% per nebulizzazione 0,1

0,1

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

0,5

Frequenza

Ripetere q 30 min secondo necessità

Conc. finale

Dose da aggiungersi a 3 ml di soluzione fisiologica per la nebulizzazione

Dose di attacco ml (0,020,03 ml/ kg)

0,1

0,1

0,15

0,2

0,25

0,3

0,4

0,5

0,6

0,65

0,75 0,85 0,9

1,0

Mantenimento (0,01 ml/kg)

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,15 0,15

0,2

0,2

0,2

0,25 0,25 0,3

0,34 0,34 0,34

Frequenza Dose max. ml

Ripetere dose di mantenimento q 30 min fino a raggiungere la dose massima 0,1

0,2

0,4

0,6

0,7

0,8

0,9

1,0

1,2

1,3

1,5

1,5

1,8

2

2

2

2

2

•La somministrazione dei farmaci attraverso la via intraossea va limitata ai bambini6aa *Adrenalina 1:10000 0,1mg/ml. † Adrenalina 1:1000 1,0mg/ml. ‡ Intubare per depressione respiratoria o convulsioni di durata>30minuti. TET=tubo endotracheale; IO=accesso intraosseo; EV=accesso endovenoso; WPW=sindrome di Wolf-Parkinson-White; cum.=cumulativo; SG=soluzione glucosata; vol. =volume; conc.=concentrazione. Note file:///F|/sito/merck/tabelle/26315.html (8 of 9)02/09/2004 2.59.04

2

Manuale Merck - Tabella

1. Le dosi sono state arrotondate per difetto quando necessario, per facilitarne la somministrazione evitando il sovradosaggio. 2. Le dosi di attacco possono essere seguite da infusione continua dello stesso farmaco se necessario. 3. Le velocità di infusione sono espresse generalmentein ml/h. I farmaci devono essere mischiati completamente in una siringa e somministrati attraverso pompa EV se disponibile. Poiché in al cune pompe la velocità di infusione non supera i 99ml/h, una volta raggiunto l’effetto desiderato si può diminuire la concentrazione del farmaco per permettere la somministrazione ad un volume minore. 4. Bisogna fare attenzione ad alcuni farmaci; p.es., il verapamil è sconsigliato nei bambini con WPW, nei pazienti che ricevono b-bloccanti o nei lattanti 50%. Questo dipende principalmente dalla gravità dell'epatopatia associata piuttosto che dal sanguinamento stesso; l'emorragia è spesso fatale nei pazienti affetti da una grave insufficienza epatocellulare (p. es., una cirrosi alcolica in stadio avanzato), mentre i pazienti con una buona riserva epatica, di solito riescono a superare l'episodio. I pazienti che sopravvivono hanno, comunque, un elevato rischio di nuovi sanguinamenti, pari al 50-75% durante i primi 1 o 2 anni. Le ripetute endoscopie e la terapia farmacologica riducono significativamente questo rischio, ma il loro effetto complessivo sulla mortalità a lungo termine sembra essere solo marginale, probabilmente a causa della malattia epatocellulare di base.

Terapia L'emorragia da varici è un'emergenza potenzialmente fatale. Il trattamento è diretto verso tre aspetti correlati: la perdita ematica, le alterazioni epatiche associate e le varici stesse. La terapia della perdita ematica comprende il trattamento di tipo rianimatorio, le trasfusioni di sangue e il monitoraggio, preferibilmente in un'UTI. Le alterazioni epatiche associate (p. es., la coagulopatia, l'encefalopatia porto-sistemica, lo squilibrio elettrolitico) sono frequenti, specialmente nei pazienti affetti da una cirrosi alcolica; influenzano in maniera importante l'esito e richiedono un trattamento individualizzato. L'endoscopia d'urgenza del tratto GI superiore è fondamentale per escludere le altre cause di emorragia acuta (p. es., ulcera peptica) e per trattare direttamente le varici con la legatura endoscopica o con la scleroterapia. L'endoscopia operativa richiede una notevole esperienza, ma può salvare la vita al paziente. In alternativa o contemporaneamente, la pressione portale può essere ridotta ricorrendo alla terapia farmacologica. La vasopressina, 0,1-0,4 U/min EV, che causa una vasocostrizione splancnica, è stata usata con successo, anche se la possibile insorgenza di un'ischemia miocardica o mesenterica rappresenta un grosso rischio. Questo può essere ridotto somministrando contemporaneamente la nitroglicerina, per via sublinguale o EV o utilizzando la glipressina, un suo analogo sintetico. Più recentemente, la somatostatina EV e il suo analogo sintetico, l'octreotide, si sono dimostrati altrettanto efficaci e molto più sicuri. L'octreotide è da preferire perché ha un'azione più duratura rispetto al suo omologo naturale; di solito, una dose iniziale di 50 mg è seguita dall'infusione di 50 mg/h. La compressione meccanica delle varici sanguinanti con una sonda di Sengstaken-Blakemore o con una delle sue varianti è associata a una considerevole morbilità ed è stata largamente sostituita dalle terapie endoscopica e farmacologica. Se l'emorragia persiste o recidiva nonostante queste misure, si può ricorrere a delle procedure chirurgiche per abbassare la pressione portale. Il tradizionale shunt porto-cavale o una delle sua varianti, è sempre più frequentemente

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

sostituito dallo shunt porto-sistemico intraepatico transgiugulare (Transjugular Intrahepatic Portal-systemic Shunting, TIPS), una procedura radiologica invasiva che consiste nel posizionamento di una protesi metallica nel fegato, tra la circolazione venosa portale e quella sovraepatica. Questo tipo di shunt è associato a una minore mortalità immediata rispetto allo shunt chirurgico, ma lo stent va spesso incontro a stenosi o si occlude nel tempo, richiedendo revisioni periodiche. I vantaggi a lungo termine sono sconosciuti. Le terapie a lungo termine, endoscopica o farmacologica, possono ridurre il rischio di sanguinamento nei pazienti che sopravvivono al primo episodio di rottura delle varici. La prima prevede una serie di sedute di legatura o di scleroterapia per chiudere tutte le varici e quindi una sorveglianza endoscopica a intervalli di pochi mesi per il trattamento terapeutico di qualunque recidiva; la legatura è in genere preferita alla scleroterapia per i suoi minori rischi. La terapia farmacologica si avvale dei b-bloccanti; questi riducono la pressione portale principalmente riducendo il flusso portale, anche se l'effetto è molto variabile nei diversi pazienti. Si può preferire la somministrazione di propanololo due volte al giorno o di nadololo una volta al giorno, con un dosaggio mirato a ridurre la frequenza cardiaca di circa il 25% (di solito, 80-160 mg/die per entrambi). L'associazione dell'isosorbide mononitrato, 20-40 mg bid, può ridurre ulteriormente la pressione portale. Il trattamento combinato a lungo termine, con l'endoscopia e la terapia farmacologica, può essere più efficace rispetto a uno solo dei due, anche se la differenza non è poi così notevole. Per i pazienti che non rispondono a questi trattamenti si deve prendere in considerazione lo shunt porto-sistemico intraepatico transgiugulare o lo shunt chirurgico. Il trapianto di fegato può essere indicato solo in circostanze particolari. I pazienti con varici dimostrate, ma che non hanno ancora sanguinato, devono probabilmente essere trattati con i b-bloccanti, data la crescente evidenza di una significativa riduzione del rischio di sanguinamento con questi farmaci. La profilassi endoscopica non ha dimostrato avere, invece, alcun valore. Il sanguinamento dalla gastropatia congestizia è trattato mediante la riduzione farmacologica della pressione portale. Anche in questo caso, se la terapia fallisce, si deve prendere in considerazione lo shunt. L'ipersplenismo causa, solo raramente, dei problemi correlati alla trombocitopenia o alla leucopenia. Non è necessario alcun trattamento speciale e la splenectomia deve essere evitata.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ASCITE Liquido libero nella cavità peritoneale.

Sommario: Eziologia Fisiopatologia Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Eziologia Nelle epatopatie, l'ascite rappresenta un processo morboso ad andamento cronico o subacuto, che non è presente nelle malattie acute (p. es., l'epatite virale non complicata, le intossicazioni da farmaci, l'ostruzione biliare). La causa più comune è la cirrosi, specialmente quella a eziologia alcolica. Altre cause di origine epatica sono l'epatite cronica, le gravi epatiti alcoliche in assenza di cirrosi e l'ostruzione delle vene sovraepatiche (sindrome di Budd-Chiari). Di solito, la trombosi della vena porta non determina ascite, a meno che non sia presente un danno epatocellulare. Le cause extraepatiche dell'ascite includono lo stato anasarcatico secondario a malattie sistemiche (p. es., lo scompenso cardiaco, la sindrome nefrosica, l'ipoalbuminemia grave, la pericardite costrittiva) e a processi patologici intraaddominali (p. es., la carcinomatosi, la peritonite tubercolare). L'ipotiroidismo talvolta è causa di un notevole ascite, mentre la pancreatite di rado determina la presenza intraperitoneale di un'abbondante quantità di liquidi (ascite pancreatica). Talvolta, i pazienti con insufficienza renale, specie quelli in emodialisi, vanno incontro alla formazione di un versamento peritoneale di difficile spiegazione (ascite nefrogena).

Fisiopatologia I meccanismi che producono l'ascite sono complessi e non completamente conosciuti. I due fattori più importanti nelle epatopatie sono (1) la bassa pressione osmotica del siero causata dall'ipoalbuminemia e (2) l'ipertensione portale; questi fattori sembrano contribuire in maniera sinergica all'alterazione delle forze di Starling, che regolano lo scambio dei liquidi attraverso la membrana peritoneale. Può essere implicata anche un'ostruzione dei linfatici epatici. Nonostante la volemia sia in genere normale o addirittura aumentata, il rene si comporta come se fosse ridotta e ritiene, con avidità, il Na; la concentrazione urinaria di Na è tipicamente < 5 mEq/l. Questo ha portato al concetto che la ritenzione renale di Na sia causata da una "effettiva" riduzione del volume ematico circolante, causata dall'iniziale perdita di liquidi nella cavità peritoneale (teoria dell'underfill). Tuttavia, altre evidenze suggeriscono che il rene gioca un ruolo fondamentale nell'iniziare il processo, forse attraverso dei meccanismi umorali o nervosi, e che l'ascite è il risultato e non la causa della ritenzione di Na (teoria dell'overflow). Alcune osservazioni mediano queste 2 teorie, indicando che il volume ematico centrale è diminuito nonostante un incremento del volume file:///F|/sito/merck/sez04/0380391.html (1 of 3)02/09/2004 3.02.20

Aspetti clinici delle malattie del fegato

intravascolare totale. Quest'ultimo sembra essere causato, in parte, da una vasodilatazione arteriolare periferica generalizzata. Ulteriori anomalie fisiopatologiche e meccanismi neuroumorali sembrano giocare un ruolo nella genesi della ritenzione renale di Na e dell'ascite. Questi includono l'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, un aumento del tono simpatico, il furto intrarenale del sangue che va alla corticale, l'aumentata formazione di ossido nitrico e l'alterata formazione o l'alterato metabolismo dell'ormone antidiuretico, delle chinine, delle prostaglandine e del fattore natriuretico atriale. Il ruolo specifico e l'interrelazione di queste anomalie rimangono incerti.

Sintomi, segni e diagnosi L'ascite massiva può causare un senso di fastidio addominale aspecifico e dispnea, ma i versamenti meno pronunciati, solitamente, sono asintomatici. La diagnosi di ascite viene posta clinicamente in base all'ottusità mobile che si evoca alla percussione dell'addome, anche se l'ecografia o la TC possono mettere in evidenza quantità inferiori di liquido ascitico. Nei casi avanzati l'addome è teso, la cicatrice ombelicale è appianata o estroflessa e alla palpazione si apprezza il segno del fiotto. Solitamente, l'esame obiettivo differenzia l'ascite dall'obesità, dalla distensione meteorica dell'addome, dalla gravidanza, dai tumori ovarici o da altre masse addominali, ma occasionalmente può essere necessario uno studio radiologico o una paracentesi diagnostica. Nelle epatopatie e nelle malattie degli organi addominali, l'ascite di solito è isolata o di entità sproporzionata rispetto agli edemi periferici; nelle malattie sistemiche (p. es., l'insufficienza cardiaca) di solito si verifica l'opposto. Se esistono dubbi sulla causa, si deve procedere a una paracentesi diagnostica (v. Cap. 19). Si estraggono circa 50-100 ml di liquido e se ne valutano, a seconda dei quesiti clinici, l'aspetto macroscopico, il contenuto di proteine e di cellule ematiche, la citologia, la presenza di germi con l'esame colturale, la colorazione acido-resistente e/o il contenuto in amilasi. Nella maggior parte delle malattie il liquido è chiaro e di color paglierino. L'aspetto torbido e un elevato numero di polimorfonucleati (> 300-500 cellule/ml) indicano un'infezione, mentre il carattere sieroematico del liquido solitamente depone per una neoplasia o per la TBC. Il raro reperto di ascite lattescente (chiloso) è il più delle volte secondario a linfomi. Una concentrazione proteica < 3 g/dl depone per un'epatopatia o per una malattia sistemica; un più alto contenuto di proteine è suggestivo di un processo essudativo (p. es., neoplasia, infezione). Tuttavia, nella cirrosi si osserva, talvolta, una concentrazione di proteine nel liquido ascitico > 4 g/dl. Un indice più affidabile di ascite da ipertensione portale, rispetto al contenuto proteico totale, è rappresentato da un gradiente di concentrazione tra l'albumina sierica e quella ascitica > 1,1 g/dl. A volte, l'ascite cirrotica, specialmente negli alcolisti, si infetta senza una causa apparente (peritonite batterica spontanea). La diagnosi clinica può essere difficile, dato che il versamento maschera i segni della peritonite. Pertanto, nei cirrotici con un peggioramento inspiegabile delle condizioni generali e con febbre, devono essere eseguiti precocemente una paracentesi diagnostica e un esame colturale del liquido prelevato, soprattutto se il paziente lamenta un fastidio addominale; la presenza di > 300-500 polimorfonucleati/ml di liquido giustifica la terapia. La sopravvivenza dipende dalla precoce e vigorosa somministrazione di antibiotici.

Terapia Il riposo a letto e la restrizione del Na alimentare sono i capisaldi della terapia. Un apporto di 20-40 mEq di Na/die con la dieta, per quanto non gradevole, aumenta solitamente la diuresi nell'arco di pochi gg e di rado provoca gravi squilibri elettrolitici. Nei casi in cui non si ha risposta alla rigida restrizione del Na, bisogna file:///F|/sito/merck/sez04/0380391.html (2 of 3)02/09/2004 3.02.20

Aspetti clinici delle malattie del fegato

usare i diuretici. Lo spironolattone, a dosi di 100-300 mg/die PO in 2 o 3 dosi frazionate, è di solito efficace senza causare le notevoli perdite di K, spesso associate all'uso di tiazidici o di altri diuretici analoghi. Se tutto ciò non si dimostra efficace, si deve aggiungere un diuretico tiazidico o un diuretico dell'ansa (p. es., idroclorotiazide, 50-100 mg/die PO o furosemide, 40-160 mg/die PO, in dosi frazionate). Non è necessaria una restrizione dei liquidi, a meno che la natriemia non scenda al di sotto dei 130 mEq/l. La risposta al trattamento può essere valutata attraverso i controlli del peso corporeo e della natriuria. Una perdita di 500 g di peso/die rappresenta la risposta ottimale, dato che il liquido del compartimento ascitico non può essere mobilizzato molto più rapidamente. Un'intensa diuresi induce infatti una perdita di liquidi a spese del compartimento intravasale, specie quando non sono presenti degli edemi periferici; ne possono derivare un'insufficienza renale o degli squilibri elettrolitici (p. es., ipokaliemia), che possono precipitare l'encefalopatia porto-sistemica. La persistenza dell'ascite è solitamente legata a un'insufficiente restrizione del Na alimentare. La paracentesi terapeutica rappresenta un approccio alternativo. La rimozione giornaliera di 4-6 l è sicura, se contemporaneamente si inietta EV albumina a basso contenuto di Na (circa 40 g/ paracentesi) per prevenire la deplezione del volume intravascolare. Anche una singola paracentesi totale sembra essere sicura. Il trattamento con la paracentesi terapeutica abbrevia il ricovero con un rischio relativamente modesto di squilibri elettrolitici o di insufficienza renale; comunque, i pazienti devono continuare ad assumere i diuretici anche perché tendono a riaccumulare liquido più rapidamente dei pazienti trattati con la terapia tradizionale. Le tecniche per l'infusione autologa di ascite (p. es., lo shunt peritoneo-venoso di LeVeen) sono gravate da frequenti complicanze. Il loro ruolo nel trattamento dell'ascite refrattaria è controverso. Lo shunt porto-sistemico intraepatico transgiugulare può trattare con successo l'ascite refrattario riducendo la pressione portale, ma è una procedura invasiva e relativamente complessa il cui ruolo non è ancora del tutto chiaro.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTRI SINTOMI E SEGNI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTERAZIONI SISTEMICHE L'anoressia, l'affaticabilità e l'astenia, causate da una disfunzione epatocellulare, sono sintomi comuni. Si può avere febbre, specialmente nell'epatite virale o in quella alcolica, ma i brividi sono rari e, quando presenti in un paziente itterico, devono far pensare a un'ostruzione delle vie biliari con colangite. L'anoressia e la nausea di grado notevole sono di riscontro particolarmente comune nell'epatite virale e nell'epatite alcolica. Il notevole peggioramento dello stato generale e lo svilupparsi di un habitus cirrotico (cioè, arti emaciati e addome prominente) denunciano spesso una cirrosi in fase avanzata.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTRI SINTOMI E SEGNI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTERAZIONI CUTANEE ED ENDOCRINE I pazienti affetti da un'epatopatia cronica possono avere diverse alterazioni cutanee. I nevi a ragno (spider nevi), l'eritema palmare e le contratture di Dupuytren sono comuni, specialmente nella cirrosi alcolica. Nell'emocromatosi, il deposito di ferro e di melanina rende la cute di color grigio ardesia o bronzino. La colestasi cronica spesso è la causa di una pigmentazione scura della cute, delle escoriazioni da grattamento legate al continuo prurito e dei depositi cutanei di lipidi (xantelasmi o xantomi). Le disfunzioni endocrine sono comuni. Spesso nella cirrosi sono presenti un'intolleranza al glucoso, un iperinsulinismo, una resistenza all'insulina e un'iperglucagonemia; gli elevati livelli sierici di insulina riflettono una ridotta degradazione epatica dell'ormone, piuttosto che una sua aumentata secrezione, mentre il contrario vale per i livelli di glucagone. I test di funzionalità tiroidea devono essere interpretati con cautela, a causa dell'alterato metabolismo epatico degli ormoni tiroidei e delle alterazioni delle proteine plasmatiche a cui si legano. Nel metabolismo degli ormoni sessuali si verifica un profondo sconvolgimento. Nelle donne affette da un'epatopatia cronica comunemente si verificano un'amenorrea e una riduzione della fertilità. Nei maschi affetti da una cirrosi, specialmente negli alcolisti, si può avere sia un ipogonadismo (atrofia testicolare, impotenza, diminuzione della spermatogenesi) che una femminilizzazione (ginecomastia, habitus fisico di tipo femminile). Le basi biochimiche di tutto ciò non sono ancora del tutto chiare. Spesso, è diminuita la riserva di gonadotropine dell'asse ipotalamo-ipofisario. I livelli di testosterone circolante sono bassi, principalmente a causa di una diminuita sintesi, ma anche a causa di un'aumentata conversione periferica a estrogeni. Solitamente, i livelli degli estrogeni minori sono diminuiti, ma i livelli di estradiolo sono variabili e scarsamente correlati con la femminilizzazione clinica. Tutte queste alterazioni sono più marcate nelle epatopatie alcoliche che nelle altre forme di cirrosi a diversa eziologia; alcune evidenze indicano un effetto tossico diretto dell'etanolo sui testicoli.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTRI SINTOMI E SEGNI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTERAZIONI EMATOLOGICHE Le malattie del fegato comportano molte alterazioni ematologiche. È frequente l'anemia, nella cui patogenesi sono implicati le emorragie, il deficit alimentare di acido folico, l'emolisi, l'inibizione midollare da alcol e l'epatopatia cronica di per sé. La leucopenia e la trombocitopenia accompagnano di frequente l'ipersplenismo nell'ipertensione portale, mentre la leucocitosi si verifica nella colangite, nei tumori, nell'epatite alcolica e nella necrosi epatica fulminante. Le turbe della coagulazione sono comuni e complesse. La sintesi epatica dei fattori della coagulazione risulta spesso compromessa a causa dell'alterata funzionalità del parenchima o dell'insufficiente assorbimento della vitamina K, necessaria per la sintesi dei fattori II, VII, IX e X. Ne risulta un allungato tempo di protrombina che può essere corretto, a seconda della gravità del danno epatocellulare, mediante la somministrazione parenterale di fitonadione (vitamina K1) alla dose di 5-10 mg/die per 2 o 3 gg. In molti pazienti, contribuiscono alle turbe della coagulazione, anche la trombocitopenia, la coagulazione intravasale disseminata e la disfibrinogenemia.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO ALTRI SINTOMI E SEGNI DELLE MALATTIE DEL FEGATO MODIFICAZIONI CIRCOLATORIE L'insufficienza epatica acuta e la cirrosi in fase avanzata possono causare uno stato circolatorio ipercinetico, con aumento della gittata cardiaca e tachicardia. I pazienti cirrotici che presentano dei circoli collaterali possono andare incontro a una desaturazione del sangue arterioso e alla deformazione a bacchetta di tamburo delle dita. L'ipotensione si verifica, generalmente, nell'insufficienza epatica avanzata e può contribuire all'instaurarsi dell'insufficienza renale. La patogenesi di queste alterazioni circolatorie è poco chiara, anche se la vasodilatazione arteriosa periferica probabilmente gioca un ruolo nello stato iperdinamico e nell'ipotensione. Per le alterazioni specifiche del circolo epatico (p. es., sindrome di Budd-Chiari) v. Cap. 46.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

LESIONI DELLE VENE SOVRAEPATICHE SINDROME DI BUDD-CHIARI

Sommario: Introduzione Anatomia patologica Sintomi e segni Diagnosi Terapia

Rara sindrome causata dall'ostruzione delle vene sovraepatiche, generalmente dovuta a trombosi delle vene sovraepatiche maggiori. L'occlusione congenita delle vene sovraepatiche o dei loro osti può causare la sindrome di Budd-Chiari, ma di solito la trombosi è acquisita, in relazione a uno stato di ipercoagulabilità. Questo si verifica nelle malattie mieloproliferative, come la policitemia vera, l'anemia a cellule falciformi, l'emoglobinuria parossistica notturna e i difetti ereditari dei normali inibitori della coagulazione (antitrombina III, proteina C, proteina S, Fattore V di Leiden) e in presenza di anticorpi antifosfolipidi e forse degli ormoni sessuali femminili (contraccettivi orali, gravidanza). Una compressione diretta, forse accompagnata da una tendenza alla trombosi, è associata ai traumi addominali, alle lesioni suppurative del fegato e all'interessamento neoplastico della regione delle vene epatiche, specialmente nei casi di carcinoma epatocellulare primario e di carcinoma renale. In molti casi, la causa è sconosciuta.

Anatomia patologica L'ostruzione si può verificare in qualunque punto delle vene sovraepatiche o può originare nella porzione intraepatica della vena cava inferiore. L'ostruzione è in genere causata da trombi e a volte da corde fibrose, briglie o membrane che sono, presumibilmente, il residuo di trombi o un'infiammazione proliferativa. Negli stadi acuti, il fegato si presenta edematoso, aumentato di dimensioni, con superficie liscia e violaceo. Dal punto di vista microscopico c'è un'importante congestione dei sinusoidi e la distruzione degli epatociti nella zona 3. Nei casi cronici, si verificano la fibrosi e la rigenerazione nodulare con la conseguente perdita della normale architettura epatica. L'ipertensione portale può causare la splenomegalia e lo sviluppo di circoli collaterali porto-sistemici. In circa il 20% dei casi si verifica una trombosi secondaria della vena porta. Il lobo caudato è spesso risparmiato, perché dotato di un sistema di drenaggio autonomo nella vena cava inferiore, e aumenta di dimensioni solo più tardi per un meccanismo di compenso.

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Lesioni vascolari

Sintomi e segni I pazienti si presentano in genere con dolore addominale, un fegato ingrandito, liscio e dolorabile, un'ascite importante e resistente alla terapia e un ittero lieve. L'esordio acuto può portare a un'insufficienza epatica e all'exitus. Più frequentemente, la sindrome di Budd-Chiari evolve, nei mesi, in una fase cronica, caratterizzata da un vago dolore addominale e dai segni dell'ipertensione portale con splenomegalia e cirrosi. Il lobo caudato spesso diventa palpabile come una tumefazione epigastrica. La pressione applicata sul fegato non riesce a distendere le vene giugulari (reflusso epato-giugulare negativo). L'ostruzione della vena cava inferiore produce un importante edema della parete addominale, associato a un aspetto tortuoso delle vene (che vanno dalla pelvi verso l'alto, oltre l'ombelico fino al margine costale) e un edema importante delle gambe.

Diagnosi Le anomalie biochimiche non sono caratteristiche. La scintigrafia epatica mostra un'aumentata captazione da parte del lobo caudato. La flebografia epatica definisce l'estensione della trombosi e l'eventuale interessamento della vena cava. La biopsia epatica identifica la congestione e la scomparsa degli epatociti della zona 3. L'ecografia mostra le alterazioni delle vene sovraepatiche e l'aumento di volume del lobo caudato. L'esame Doppler evidenzia l'alterazione del flusso ematico. La RMN evidenzia la mancanza del drenaggio venoso epatico e qualunque anomalia della vena cava inferiore o della vena porta.

Terapia Lo shunt decompressivo porto-cavale latero- laterale deve essere precocemente preso in considerazione nel trattamento, se la vena porta e la vena cava inferiore sono pervie. Il trattamento conservativo con la trombolisi è riservato ai pazienti che hanno un'ostruzione incompleta delle vene sovraepatiche o in cui il miglioramento clinico è rapido. In quelli che hanno una malattia acuta, fulminante o una malattia all'ultimo stadio, è necessario il trapianto di fegato. La terapia anticoagulante deve essere continuata a lungo termine.

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Fegato grasso

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 39. FEGATO GRASSO (Steatosi epatica) Eccessivo accumulo di lipidi negli epatociti, che rappresenta la più comune risposta del fegato a un insulto lesivo.

Sommario: Introduzione Eziologia Patogenesi Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Il fegato occupa una posizione centrale nel metabolismo dei lipidi. Un piccolo gruppo di acidi grassi liberi (Free Fatty Acid, FFA) di rapido utilizzo, introdotti con gli alimenti o rilasciati nel sangue dai chilomicroni o dalle cellule adipose, fornisce quasi tutta l'energia richiesta da un animale a digiuno. Gli FFA sono captati dal fegato ed entrano a far parte del pool epatico, che è in parte sintetizzato dal fegato stesso. Alcuni FFA sono ossidati a CO2 nel fegato a scopo energetico, ma la maggior parte viene rapidamente incorporata in lipidi complessi (p. es., trigliceridi, fosfolipidi, glicolipidi, esteri del colesterolo). Alcuni di questi lipidi complessi entrano a far parte di un pool, a lenta utilizzazione, che comprende i lipidi strutturali delle cellule epatiche e dei loro depositi. La maggior parte dei trigliceridi entra in un pool attivo, dove si combina con delle apoproteine specifiche formando le lipoproteine che vengono secrete nel plasma (p. es., lipoproteine a bassissima densità [Very Low Density Lipoproteins, VLDL]). Il fegato è anche responsabile della degradazione dei lipidi (p. es., le lipoproteine a bassa densità, i chilomicroni residui). Una steatosi epatica si verifica quando l'accumulo dei lipidi supera il normale 5% del peso del fegato. Nel tipo macrovescicolare, grosse gocce di grasso rigonfiano le cellule epatiche, spostando il nucleo alla periferia della cellula, come negli adipociti. I trigliceridi sono i grassi che si accumulano più di frequente, perché hanno l'indice di turnover più alto tra tutti gli esteri degli acidi grassi epatici. La captazione epatica degli FFA dal tessuto adiposo e dalla dieta non ha limiti, mentre l'impiego degli FFA per l'ossidazione, l'esterificazione e la secrezione delle VLDL è limitato. Nel fegato grasso microvescicolare, si accumulano piccole gocce di grasso nelle cellule, che sembrano schiumose e con nuclei centrali. I trigliceridi si raccolgono in organelli subcellulari (p. es., reticolo endoplasmico), riflettendo un disturbo metabolico diffuso. Il danno mitocondriale limita l'ossidazione degli FFA, mentre la sintesi delle apoproteine necessarie per la secrezione delle VLDL è ridotta, causando un accumulo di trigliceridi. Nella fosfolipidosi, sono i fosfolipidi che si accumulano in occasione dell'uso di certi farmaci (p. es., l'amiodarone). Le cellule epatiche sono grandi e schiumose.

Eziologia

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Fegato grasso

La steatosi diffusa del fegato, spesso a distribuzione zonale, è associata a molte situazioni cliniche. Nei paesi sviluppati, l'alcolismo, l'obesità e il diabete sono le più comuni cause di steatosi macrovescicolare. Altre cause includono la malnutrizione (specialmente la dieta povera di proteine dei bambini affetti dal kwashiorkor), i disordini metabolici congeniti (del glicogeno, del galattoso, della tirosina o dell'omocisteina), i farmaci (p. es., i corticosteroidi) o le malattie sistemiche febbrili. Il fegato grasso microvescicolare si verifica nella steatosi epatica della gravidanza, nella sindrome di Reye, per la tossicità di alcuni farmaci (acido valproico, tetracicline, salicilato) o per dei difetti metabolici congeniti (degli enzimi del ciclo dell'urea o che coinvolgono l'ossidazione mitocondriale degli FFA). La steatosi focale è molto meno frequente e di più difficile riconoscimento. I noduli, formati dagli epatociti grassi, sono sottocapsulari. Di solito, sono un reperto accidentale all'ecografia o alla TC, presentandosi come delle lesioni multiple, occupanti spazio, del fegato. Possono formarsi nei pazienti apparentemente ad alto rischio per questa condizione (p. es., pazienti obesi o alcolisti).

Patogenesi I trigliceridi si accumulano nel fegato a causa di un aumentato input dovuto a una maggiore sintesi da parte dagli FFA o a una ridotta secrezione, sotto forma di VLDL, da parte degli epatociti. L'aumentata sintesi di trigliceridi può essere causata da un aumentato trasporto o disponibilità degli FFA (dalla dieta o mobilizzati dal tessuto adiposo), da un incremento della sintesi di acetilcoenzimaA o da una riduzione dell'ossidazione degli FFA nel fegato. La ridotta eliminazione dei trigliceridi implica un ridotto legame con le apolipoproteine, i fosfolipidi e il colesterolo e causa una ridotta secrezione di VLDL. I numerosi, possibili meccanismi coinvolti nella patogenesi della steatosi epatica possono operare isolatamente o insieme. Nell'obesità, sono aumentate la distribuzione dei grassi alimentari o la mobilizzazione dal tessuto adiposo. La ridotta ossidazione degli FFA può contribuire alla steatosi epatica indotta dal tetracloruro di carbonio, dal fosforo giallo, dall'ipossia e da alcune carenze vitaminiche (niacina, riboflavina e acido pantotenico). Un blocco nella produzione e nella secrezione delle lipoproteine è spesso la causa principale dell'accumulo dei trigliceridi nel fegato. L'alterata sintesi delle apolipoproteine è il fattore patogenetico più importante in numerosi tipi di steatosi epatica tossica o di quella indotta da un insufficiente apporto dietetico di proteine. L'inibizione tossica della sintesi proteica può portare alla steatosi epatica attraverso l'inibizione della sintesi o della traduzione del mRNA. Nella steatosi microvescicolare, piccole gocce di trigliceridi, FFA, colesterolo e fosfolipidi si raccolgono negli organelli subcellulari. Il difetto di base è sconosciuto, anche se i reperti anatomopatologici e clinici, prodotti da cause diverse, sono in qualche modo simili. La base biochimica può essere rappresentata da un'interferenza nella via ossidativa mitocondriale, che riduce l'ossidazione degli FFA e altera la sintesi delle apolipoproteine per l'assemblaggio delle VLDL. La steatosi epatica può risultare anche da un accumulo di altri lipidi neutri. Il grasso e il colesterolo (visti al microscopio a luce polarizzata come cristalli romboidali birifrangenti) sono presenti nella malattia di Wolman e nella malattia da accumulo degli esteri del colesterolo. La vacuolizzazione steatosica può essere moderata o importante. Nella malattia di Niemann-Pick, la sfingomielina fosfolipidica si accumula negli epatociti e nelle cellule del Kupffer. Le cellule appaiono schiumose.

Anatomia patologica

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Fegato grasso

Quando l'accumulo dei grassi è rilevante, il fegato tende a essere grossolanamente aumentato di volume, con superficie liscia e pallida. Microscopicamente, l'architettura generale può essere conservata. I trigliceridi si accumulano sotto forma di grosse gocce che si fondono e spingono il nucleo dell'epatocita in periferia. Nell'esempio tipico, la steatosi epatica alcolica, le cellule epatiche sono piene di vacuoli di grasso che spingono il nucleo alla periferia, apparendo come grosse cellule adipose (v. la trattazione del fegato grasso sotto Anatomia patologica, nel Cap. 40). Nella steatosi epatica microvescicolare, le piccole gocce di grasso si raccolgono nel reticolo endoplasmatico e nei lisosomi secondari che non si fondono. L'epatocita ha un citoplasma schiumoso e un nucleo centrale. In caso di alterazione della sintesi proteica da epatotossine o da malnutrizione proteica, i lipidi tendono ad accumularsi nella zona 1 (periportale). Il grasso microvescicolare tende a raccogliersi nella zona 3 (centrale).

Sintomi, segni e diagnosi La steatosi epatica macrovescicolare viene scoperta più frequentemente all'esame obiettivo, per il riscontro di un'epatomegalia non dolorabile, liscia e uniforme in un paziente diabetico, alcolista od obeso. Può causare fastidio e dolore al quadrante superiore destro dell'addome e ittero o può essere l'unica alterazione fisica riscontrata dopo una morte improvvisa, inaspettata e, presumibilmente, dovuta a cause metaboliche. C'è una scarsa correlazione tra la steatosi epatica e le alterazioni dei test biochimici di funzionalità epatica comunemente eseguiti. Si può verificare un lieve aumento a carico della fosfatasi alcalina o delle transaminasi. L'ecografia e specialmente la TC possono mostrare il grasso in eccesso. La diagnosi di certezza di steatosi epatica si fa solo con la biopsia epatica. Poiché questo accumulo di grasso nel fegato può costituire l'unica spia di un danno da epatotossine, della presenza di una malattia non diagnosticata o di una malattia metabolica, la diagnosi richiede un'ulteriore valutazione del paziente. Il fegato grasso non alcolico (steatosi epatica non alcolica) è un accumulo, diagnosticato sempre più frequentemente, di grassi nel fegato delle donne che tendono a essere obese o diabetiche. Si verifica anche dopo un intervento di bypass digiunale, con la malnutrizione e in associazione a certi farmaci (p. es., i glucocorticoidi, gli estrogeni sintetici, l'amiodarone, il tamossifene). Può essere presente un'epatomegalia. La diagnosi istologica si basa sulla modificazione grassa macrovescicolare e sull'infiammazione lobulare, a volte associata a fibrosi e ai corpi ialini di Mallory. La condizione è spesso identificata mediante una biopsia epatica eseguita per altre ragioni, di solito in pazienti asintomatici che presentano un aumento dell'aminotransferasi plasmatica di due o tre volte il valore normale. Per la diagnosi, deve essere evidente una scarsa assunzione di alcol. Il fegato grasso microvescicolare si manifesta con affaticamento, nausea e vomito presto seguiti dall'ittero, dall'ipoglicemia, dal coma e da una coagulazione intravascolare disseminata.

Prognosi e terapia La steatosi epatica macrovescicolare è potenzialmente reversibile e, in genere, non è pericolosa di per sé. È reversibile anche in caso di patologie potenzialmente fatali (p. es., nella steatosi epatica della gravidanza, il parto precoce può salvare la vita della paziente). La steatosi epatica alcolica può essere associata all'infiammazione e alla necrosi (epatite alcolica) e a un danno permanente sotto forma di cirrosi. Il fegato grasso microvescicolare si manifesta in maniera acuta, ma è reversibile se il paziente sopravvive. file:///F|/sito/merck/sez04/0390396.html (3 of 4)02/09/2004 3.02.27

Fegato grasso

Non si dispone di alcuna terapia specifica, se non quella consistente nell'eliminazione delle cause o nel trattamento delle anomalie che sostengono la steatosi epatica. Neanche l'obesità e il diabete mellito sembrano condurre alla cirrosi in presenza di una steatosi epatica. Sebbene le epatotossine come l'alcol o il tetracloruro di carbonio (che provoca anche una necrosi) possano, alla fine, causare una cirrosi, non ci sono prove certe che la steatosi epatica di per sé conduca alla cirrosi. Si devono verificare anche altri eventi. Il fegato grasso non alcolico di solito ha una buona prognosi, senza un'evoluzione istologica o clinica. In alcuni casi, può mostrare un'accentuata fibrosi e un'evoluzione verso la cirrosi. Il trattamento include il calo ponderale per i pazienti obesi, anche se questo non si è dimostrato particolarmente vantaggioso. Casi aneddotici indicano un benefico effetto con una terapia a base di acido ursodeossicolico.

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Epatopatia alcolica

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 40. EPATOPATIA ALCOLICA IPERTENSIONE PORTALE Gruppo di sindromi cliniche e di alterazioni anatomopatologiche del fegato causate dall'alcol (etanolo).

Sommario: Patogenesi Metabolismo dell'alcol Anatomia patologica Sintomi, segni e diagnosi Esami di laboratorio Prognosi e terapia

Patogenesi I fattori principali sono la quantità dell'alcol assunto, lo stato nutrizionale del paziente e i tratti genetici e metabolici. Di solito esiste una correlazione lineare tra la gravità dell'alcolismo, in funzione della durata dell'abuso e della quantità assunta, e lo sviluppo di un'epatopatia, anche se non tutti quelli che ne abusano sviluppano un danno epatico significativo. L'equivalente di 10 g di alcol è rappresentato da 30 ml di whiskey a 40°, 100 ml di vino al 12% o 250 ml di birra al 5%. Anche solo 20 g di alcol (circa 200 ml di vino o 60 ml di whiskey) nella donna o 60 g (circa 1200 ml di birra al 5%) nell'uomo, se consumati giornalmente per diversi anni, possono produrre un danno epatico. Per esempio, l'assunzione di 150-200 g di alcol per 10-12 gg causa una steatosi epatica anche in un uomo per il resto in salute. Per sviluppare un'epatite alcolica, i pazienti devono consumare 80 g di alcol al giorno per almeno un decennio, mentre la soglia media per sviluppare una cirrosi è di 160 g al giorno per 8-10 anni. La durata dell'assunzione è importante. L'alcol è causa di una malnutrizione, in quanto fornisce calorie prive di costituenti alimentari essenziali, riduce l'appetito e determina un malassorbimento attraverso un'azione tossica sul tratto GI e sul pancreas. La sola malnutrizione non causa la cirrosi, ma uno o più fattori nutrizionali possono accelerare l'effetto dannoso dell'alcol. L'alcol è un'epatotossina il cui metabolismo crea profonde alterazioni nella cellula epatica. La diversa suscettibilità individuale (solamente dal 10% al 15% degli alcolisti sviluppa una cirrosi) o la maggiore suscettibilità delle donne all'epatopatia alcolica (anche quando i valori sono aggiustati sulle dimensioni corporee più piccole) indicano che entrano in gioco anche altri fattori. Uno di questi può essere rappresentato dal fatto che nella mucosa gastrica delle donne c'è una ridotta quantità di alcol deidrogenasi e quindi un metabolismo ridotto. È frequente, poi, la tendenza dell'epatopatia alcolica a manifestarsi in determinate famiglie. Quindi, anche i fattori genetici possono essere coinvolti nel metabolismo dell'alcol, come dimostra il deficit nell'ossidazione dell'alcol presente in alcune persone. Alcuni tipi di istocompatibilità HLA sono stati associati con l'epatopatia alcolica. Lo stato immunologico non sembra aiutare nella definizione della suscettibilità all'alcol, ma i meccanismi immunologici (in particolare i mediatori delle citochine) possono svolgere un ruolo importante nella risposta infiammatoria e nelle lesioni epatiche.

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Metabolismo dell'alcol L'alcol viene assorbito rapidamente dall'intestino e più del 90% viene metabolizzato dal fegato attraverso dei meccanismi ossidativi che coinvolgono soprattutto l'alcol-deidrogenasi (ADH) e alcuni enzimi microsomiali (il sistema microsomiale etanolo-ossidante). L'alcol non può essere immagazzinato e deve perciò essere metabolizzato. L'alcol-deidrogenasi produce, come catabolita più importante, l'acetaldeide, che è poi ulteriormente ossidata ad acetato. L'acetaldeide può essere tossica per il fegato e per altri organi. La conversione dell'alcol ad acetaldeide e di quest'ultima ad acetato o ad acetil coenzima A implica la produzione di nicotinammide adenin dinucleotide ridotta (NADH), che passa nei mitocondri, aumentando il rapporto NADH/nicotinammide adenina dinucleotide e quindi lo stato di ossidoriduzione del fegato. Per questo motivo, il metabolismo dell'alcol promuove uno stato intracellulare ridotto che interferisce con il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e con altri aspetti del metabolismo intermedio. L'ossidazione dell'alcol è accoppiata, poi, con la riduzione del piruvato a lattato, che causa a sua volta iperuricemia, ipoglicemia e acidosi. Infine, è accoppiata anche con la riduzione dell'acido ossalacetico ad acido malico. Ciò può spiegare la ridotta attività del ciclo dell'acido citrico, la ridotta glicogenogenesi e l'aumentata sintesi degli acidi grassi che si associa al metabolismo dell'alcol. Con il consumo dell'alcol aumenta l'a-glicerofosfato; il glicerolo prodotto promuove un'aumentata sintesi di trigliceridi e causa iperlipidemia. Sebbene il consumo di O2 rimanga normale dopo l'ingestione di alcol, si verifica una deviazione metabolica dell'O2 utilizzato per la scomposizione degli acidi grassi verso la reazione di ossidazione dell'alcol ad acetato. Questo spostamento può spiegare la ridotta ossidazione dei lipidi e l'aumentata formazione dei chetoni che si verificano dopo l'ingestione di alcol. Il metabolismo dell'alcol può anche indurre nel fegato una condizione ipermetabolica con un conseguente danno da ipossia nella zona 3 (l'area intorno alle venule epatiche terminali). L'effetto finale è uno stato ossiriduttivo ridotto, una sintesi proteica inibita e un'aumentata perossidazione lipidica. Non è noto se gli alcolisti metabilizzano l'alcol in modo diverso dai non alcolisti. È evidente, comunque, che l'ingestione cronica di alcol porta a un adattamento del fegato con ipertrofia del reticolo endoplasmatico liscio e aumento dell'attività degli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci. L'alcol induce il sistema microsomiale che ossida l'etanolo e che è, in parte, responsabile del metabolismo dell'alcol stesso. L'alcol induce anche il P-450 microsomiale che è coinvolto nel metabolismo dei farmaci. Perciò, nei grandi consumatori di alcol aumenta la tolleranza all'alcol e ai farmaci (p. es., sedativi, tranquillanti e antibiotici) e si sviluppano adattamenti neurologici. Il risultato è una complessa interazione tra i farmaci, gli altri agenti chimici e l'alcol.

Anatomia patologica Le alterazioni anatomopatologiche del fegato associate all'uso prolungato dell'alcol variano dal semplice accumulo di grassi neutri negli epatociti, alla cirrosi e al carcinoma epatocellulare. Risponde soltanto a criteri di convenienza l'idea, largamente accettata, di una sequenza di alterazioni, steatosi epatica-epatite alcolica-cirrosi. I reperti solitamente si sovrappongono e molti pazienti presentano le caratteristiche dell'intero spettro. La lesione chiave può essere rappresentata dalla fibrosi intorno alle venule epatiche terminali e forse allo spazio perisinusoidale. Dal punto di vista anatomopatologico, è preferibile formulare una diagnosi di epatopatia alcolica e descrivere poi il quadro specifico associato in ciascun paziente. Il fegato grasso o steatosi (v. anche Cap. 39) sembra costituire la prima e la più frequente risposta all'ingestione dell'alcol. Il fegato è aumentato di volume; la

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superficie di taglio è giallognola. L'aumentato grasso epatico deriva dalla dieta, dalla mobilizzazione degli acidi grassi liberi dal tessuto adiposo e dalla sintesi dei lipidi nel fegato che sono inadeguatamente degradati o escreti. Nella maggior parte degli epatociti, tranne che nelle aree di rigenerazione, si osservano goccioline di grasso di varie dimensioni. Queste tendono a confluire tra loro formando grossi globuli (macrovescicolari) che spesso occupano l'intero citoplasma. Il grasso si accumula nelle zone 3 (centrozonale) e 2 (mediozonale). Le cisti di grasso rappresentano probabilmente gli aspetti tardivi della degenerazione steatosica. Queste cisti sono in genere localizzate in sede periportale e sono formate dalla fusione del grasso contenuto in numerosi epatociti. Altri reperti includono la trasformazione idropica negli stadi iniziali del danno epatico da alcol e i grandi mitocondri sferici. La prima (epatociti rigonfi, simili a palloni) è causata da un difettoso rilascio di proteine e lipoproteine. Queste cellule degenerano e si disintegrano. L'epatite alcolica comprende la trasformazione grassa macrovescicolare, la necrosi (spesso focale) e una risposta infiammatoria al danno; può essere presente anche una cirrosi istologicamente accertata. I corpi di Mallory (ialini alcolici) sono delle inclusioni citoplasmatiche formate da proteine fibrillari, osservate all'interno degli epatociti rigonfi; queste cellule non contengono grassi o ne contengono molto pochi. Con la colorazione ematossilinaeosina, i corpi di Mallory appaiono come aggregati irregolari di materiale purpureo. Pur essendo caratteristici dell'epatopatia alcolica, i corpi di Mallory si osservano anche in alcuni casi di malattia di Wilson, di cirrosi dei bambini indiani, di cirrosi che fa seguito agli interventi di bypass del piccolo intestino, di cirrosi biliare primitiva (o altre cause di prolungata colestasi), di diabete mellito, di obesità patologica e di epatocarcinoma. In risposta alla necrosi degli epatociti e alla formazione dei corpi di Mallory, si sviluppa localmente una reazione polimorfonucleata. Nella zona 3 dell'acino epatico, si deposita del tessuto connettivo a livello dei sinusoidi e intorno agli epatociti. Le fibre collagene infiltrano anche lo spazio di Disse, formando una membrana continua al di sotto dell'endotelio sinusoidale. Si sviluppano, inoltre, delle lesioni venose, come l'importante sclerosi intorno alle venule epatiche terminali, definita necrosi ialina sclerosante o sclerosi ialina centrale. Questa lesione può portare all'ipertensione portale ancor prima dell'instaurarsi della cirrosi e può rappresentare una delle più precoci manifestazioni della cirrosi stessa. La sola occlusione cicatriziale delle vene (come si verifica nella malattia veno-occlusiva) può condurre allo sviluppo di un'ipertensione portale senza una cirrosi evidente. L'epatite alcolica, con la necrosi e il diffuso infiltrato infiammatorio, è spesso considerata come la tappa intermedia tra la steatosi e la cirrosi epatica. La necrosi cellulare e l'ipossia centrozonale (zona 3) possono stimolare la formazione di collagene. La fibrosi, comunque, deriva dalla trasformazione in fibroblasti delle cellule di deposito dei grassi di Ito. Allora, la fibrosi può portare alla cirrosi senza che nel frattempo si verifichi un'epatite alcolica. Circa il 20% dei forti bevitori va incontro a una cirrosi epatica, in cui il fegato è finemente nodulare con un'architettura scompaginata da setti fibrosi e da noduli. Sebbene l'infiltrato infiammatorio e la steatosi siano caratteristici, il quadro istologico può occasionalmente ricordare quello di un'epatite cronica attiva. Se l'alcolista ha smesso di bere e il fegato va incontro a una risposta rigenerativa strutturale, il quadro clinico può essere quello di una cirrosi mista (v. Cap. 41). In meno del 10% degli alcolisti si verifica un aumento dei depositi epatici di ferro, indipendentemente dal fatto che il fegato sia normale, steatosico o cirrotico. Il ferro si deposita nelle cellule parenchimali e nelle cellule del Kupffer. Non c'è relazione con la quantità di ferro contenuto nelle bevande alcoliche assunte o con la durata dell'abuso di alcol. Gli altri depositi corporei di ferro non sono aumentati in modo significativo. La cirrosi alcolica rappresenta la malattia allo stadio terminale e colpisce il 1020% dei soggetti forti bevitori cronici. La cirrosi micronodulare è evidente, anche se questa può avere per un lungo periodo le caratteristiche della steatosi epatica e dell'epatite alcolica. La rigenerazione cellulare si verifica a partire delle cellule epatiche sopravvissute. La cirrosi può evolvere lentamente verso un quadro aspecifico, macronodulare. Il fegato diventa piccolo e raggrinzito.

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Sintomi, segni e diagnosi Le diverse modalità di consumo dell'alcol, la suscettibilità individuale agli effetti epatotossici dell'alcol e la variabilità del danno tissutale sono responsabili di quadri clinici estremamente diversi. Per lungo tempo non ci sono manifestazioni specifiche. In linea di massima, i sintomi possono essere correlati alla quantità di alcol assunta e alla durata complessiva dell'abuso di alcol. I primi sintomi compaiono così di solito tra i 30 e i 40 anni e i problemi più gravi si presentano intorno ai 40 anni. I pazienti affetti da steatosi epatica sono in genere asintomatici. Nel 33% dei casi il fegato si presenta ingrandito, liscio e a volte dolorabile. Spesso le indagini biochimiche di routine sono normali, a eccezione della g-glutamil transpeptidasi (GGT), frequentemente elevata. Possono essere evidenti gli spider vascolari e gli aspetti dell'iperestrogenismo e ipoandrogenismo tipici dell'alcolismo. L'epatite alcolica può essere sospettata su base clinica, ma la diagnosi dipende dall'esame di una biopsia. La lesione istologica può essere osservata in tutte le fasi cliniche dell'epatopatia alcolica. I pazienti con epatopatia alcolica possono presentare astenia, febbre, ittero, dolore al quadrante addominale superiore destro, un soffio epatico, un'epatomegalia dolente e una leucocitosi, come i pazienti con sepsi, colecistite od ostruzione meccanica extraepatica delle vie biliari. Anche la cirrosi può essere relativamente asintomatica, può assumere le caratteristiche di un'epatite alcolica o può essere dominata dalle complicanze: l'ipertensione portale con la splenomegalia, l'ascite, la sindrome epato-renale, l'encefalopatia epatica o anche il carcinoma epatocellulare.

Esami di laboratorio Sebbene a volte possano essere suggestivi, i test biochimici ed ematologici di routine non sono specifici e non permettono una diagnosi definitiva. Nell'epatopatia alcolica possono esistere varie anomalie morfologiche dei GR, quali le cellule a bersaglio, i macrociti, le cellule a elmetto e gli stomatociti. Il volume corpuscolare medio (MCV) solitamente è aumentato e ciò può rappresentare un utile marker dell'abuso di alcol, perché ritorna lentamente alla norma dopo la sospensione dell'assunzione di alcol. La trombocitopenia è frequente, sia per gli effetti tossici diretti dell'alcol sul midollo osseo, sia per l'effetto secondario dell'ipersplenismo. Nell'epatite alcolica, le transaminasi sono moderatamente aumentate (circa 250 U/l). La bilirubinemia coniugata, in realtà, aumenta in ospedale. L'attività della ALT sierica è ridotta (a causa della deplezione di piridossal 5'fosfato) rispetto a quella della AST (AST:ALT > 2). L'attività della GGT sierica può essere utile per accertare il consumo di alcol. Il valore clinico della GGT non è nella sua specificità, ma nell'essere marcatamente aumentata nei pazienti che bevono un'eccessiva quantità di alcol o che sono affetti da un'epatopatia alcolica. Il MCV, la GGT e la fosfatasi alcalina rappresentano la migliore combinazione di esami di routine per l'identificazione di un abuso cronico di alcol. Talvolta sono utili la scintigrafia epatica e l'ecografia. La diagnosi di certezza, particolarmente nell'epatite alcolica, si basa comunque solo sulla biopsia epatica (v. Cap. 37). Negli alcolisti si possono verificare, infatti, anche altre forme di epatopatia. Prognosi e terapia Con l'astinenza, il danno epatico non fibrotico può regredire e, comunque, migliora la sopravvivenza dei pazienti con epatite alcolica, fibrosi e cirrosi. L'entità dell'epatite alcolica sembra essere determinata dal grado della fibrosi

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associata e della necrosi delle cellule epatiche. La possibile reversibilità della necrosi ialina sclerosante è sconosciuta. In teoria il trattamento dell'epatopatia alcolica è semplice e immediato. In pratica è, invece, difficile perché i pazienti devono sospendere l'assunzione di alcolici. Dopo i ripetuti attacchi della malattia, le disastrose conseguenze sociali (p. es., la perdita del lavoro, la minaccia di divorzio) e l'analisi dei fatti da parte di un medico col quale si sia stabilito un rapporto di fiducia, molti pazienti smettono di bere. È importante ricordare al paziente che una buona parte delle lesioni causate dall'epatopatia alcolica è reversibile. Per il resto, il trattamento si basa su procedure di supporto non specifiche. La sospensione acuta dell'assunzione di alcol richiede un trattamento di supporto, il controllo del bilancio idro-elettrolitico e l'uso di sedativi (p. es., le benzodiazepine), attentamente dosate in base alla gravità dei sintomi da astinenza. La sedazione eccessiva nei pazienti con epatopatia grave può precipitare un'encefalopatia epatica. (V. anche Alcolismo nel Cap. 195.) Un supporto generale e nutrizionale dà buoni risultati nel tempo. L'utilità dei corticosteroidi nell'epatopatia alcolica è dibattuta, mostrando, forse, maggiori effetti nelle patologie più gravi, in particolare in presenza di un'encefalopatia epatica. L'uso degli agenti antifibrinogenici (p. es., colchicina, penicillamina) non ha dimostrato una particolare efficacia, mentre il propiltiouracile, nel trattamento del possibile stato di ipermetabolismo dell'epatopatia alcolica, fornisce dei benefici, ma non ha mai conquistato una generale approvazione. I traumi, le infezioni, le emorragie GI, i deficit nutritivi, la ritenzione di liquidi e l'encefalopatia epatica richiedono una speciale attenzione, come trattato altrove nel Manuale.

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Epatopatia cronica

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 41. EPATOPATIA CRONICA FIBROSI Accumulo di tessuto connettivo nel fegato, dovuto a uno squilibrio tra la produzione e la degradazione della matrice extracellulare e accentuato dal collasso e dalla condensazione delle fibre preesistenti.

Sommario: Eziologia Patogenesi Diagnosi e terapia

Eziologia La fibrosi è una comune risposta al danno o alla necrosi epatocellulare, che può essere provocata da un'ampia varietà di fattori, p. es., qualunque processo che disturbi l'omeostasi epatica (specialmente l'infiammazione, le lesioni tossiche o le alterazioni della vascolarizzazione epatica) e le infezioni del fegato (virali, batteriche, fungine e parassitarie). Spesso si associano alla fibrosi diverse tesaurismosi dovute a errori congeniti del metabolismo, incluse le anomalie dei lipidi (malattia di Gaucher), le malattie da accumulo di glicogeno (specialmente i tipi III, IV, VI, IX e X), il deficit di a1-antitripsina, l'accumulo di sostanze esogene come nel caso delle sindromi da sovraccarico di ferro (emocromatosi) e delle malattie da accumulo di rame (malattia di Wilson), le malattie da accumulo di metaboliti tossici (come nella tirosinemia, fruttosemia e galattosemia) e le patologie dei perossisomi (sindrome di Zellweger). Numerose sostanze chimiche e numerosi farmaci causano la fibrosi, in particolare l'alcol, il metotrexato, l'isoniazide, l'ossifenisatina, il metildopa, la clorpromazina, il tolbutamide e l'amiodarone. I disturbi della circolazione epatica (p. es., l'insufficienza cardiaca cronica, la sindrome di Budd-Chiari, la malattia veno-occlusiva, la trombosi della vena porta) e l'ostruzione cronica del deflusso biliare possono causare nel tempo una fibrosi. Infine, esiste anche una fibrosi epatica congenita che è una malformazione autosomica recessiva.

Patogenesi Il fegato normale è formato da epatociti e sinusoidi distribuiti all'interno di una matrice composta da collagene (maggiormente di tipo I, III e IV), da proteine non collagene, incluse le glicoproteine (p. es., la fibronectina, la laminina) e da diversi proteoglicani (p. es., l'eparan-solfato, il condroitin-solfato, il dermatan-solfato e lo ialuronato). I fibroblasti, normalmente osservati solo negli spazi portali, possono produrre collagene, grosse glicoproteine e proteoglicani. Anche le altre cellule epatiche (in special modo gli epatociti, le cellule di deposito dei grassi [Ito], le cellule endoteliali e le cellule del Kupffer) possono produrre le diverse componenti della matrice extracellulare. Le cellule di deposito dei grassi, localizzate al di sotto dell'endotelio dei sinusoidi nello spazio di Disse, sono i

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precursori dei fibroblasti, capaci di proliferare e produrre un eccesso di matrice extracellulare. Lo sviluppo della fibrosi, a partire dal deposito attivo di collagene, è una conseguenza del danno delle cellule epatiche, particolarmente la necrosi, e delle cellule infiammatorie. I fattori specifici che vengono rilasciati da queste cellule non sono conosciuti, ma è verosimile che siano una o più citochine o i prodotti della perossidazione lipidica. Le cellule del Kupffer e i macrofagi attivati producono le citochine infiammatorie. Nuovi fibroblasti si formano intorno alle cellule epatiche necrotiche e l'aumentata sintesi del collagene conduce a una cicatrizzazione. La fibrosi può derivare da una fibroneogenesi attiva e da una difettosa degradazione del collagene normale o alterato. Le cellule endoteliali, le cellule di Ito e del Kupffer svolgono un importante ruolo nella distruzione del collagene tipo I, di diversi proteoglicani e del collagene denaturato. Un'alterazione nell'attività di queste cellule può modificare l'entità della fibrosi. Inoltre, per gli istopatologi il tessuto fibroso può diventare più evidente per il collasso e la fusione passivi delle fibre preesistenti. Quindi, l'aumentata sintesi e/o la ridotta degradazione del collagene causano una deposizione attiva di un'eccessiva quantità di tessuto connettivo che altera la funzione epatica: (1) La fibrosi pericellulare danneggia la nutrizione cellulare e causa un'atrofia epatocellulare. (2) All'interno dello spazio di Disse, il tessuto fibroso si accumula intorno ai sinusoidi e ostruisce il libero passaggio di sostanze dal sangue agli epatociti. (3) La fibrosi intorno alle venule epatiche e agli spazi portali altera la vascolarizzazione del fegato. La resistenza venosa attraverso il fegato aumenta dai rami della vena porta fino ai sinusoidi e, alla fine, alle vene sovraepatiche. Tutti e 3 questi punti possono essere interessati. Le bande fibrose che uniscono gli spazi portali con le vene centrali favoriscono anche la formazione di circoli anastomotici: il sangue arterioso, bypassando i normali epatociti, viene deviato nelle vene sovraepatiche efferenti, danneggiando ulteriormente la funzione epatica e accentuando la necrosi epatocellulare. L'estensione di questi processi determina l'importanza della disfunzione epatica: p. es., nella fibrosi epatica congenita, le larghe bande fibrose interessano in prevalenza le regioni portali, ma generalmente risparmiano il parenchima epatico. La fibrosi epatica congenita, allora, si presenta con ipertensione portale, ma con una funzione epatocellulare conservata.

Diagnosi e terapia Anche se la fibrosi è comune a varie epatopatie croniche, il quadro clinico che più rispecchia la fibrosi epatica è quello dell'ipertensione portale (v. Cap. 38). La diagnosi istologica dipende dall'esame di una biopsia epatica. Colorazioni speciali (p. es., blu di anilina, tricromo, coloranti d'argento) possono evidenziare il tessuto fibroso. Dal momento che la fibrosi è un segno del danno epatico, il suo trattamento è generalmente rivolto alla causa di base.

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Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 41. EPATOPATIA CRONICA CIRROSI BILIARE PRIMITIVA Malattia dovuta a cause sconosciute caratterizzata da una colestasi cronica e da una progressiva distruzione dei dotti biliari intraepatici.

Sommario: Patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi e prognosi Terapia

Patogenesi Sono stati definiti 4 stadi tipici della sua evoluzione. Nello stadio I c'è una lesione florida dei dotti biliari con infiammazione a placche e distruzione dei setti e dei dotti biliari interlobulari. Si possono formare dei granulomi. Nello stadio II si verifica una proliferazione duttulare: gli spazi portali diventano distorti, l'infiammazione si estende al parenchima, i dotti biliari proliferano intensamente e si sviluppa una fibrosi periportale. Nello stadio III continua la cicatrizzazione con una minore proliferazione dei dotti biliari e minori segni di infiammazione. Dei tralci fibrosi collegano gli spazi portali e nella zona 1 si osservano la colestasi e i corpi ialini di Mallory. Nello stadio IV è presente una cirrosi dura, regolare e con intensa impregnazione biliare e noduli di rigenerazione, difficile da distinguere dalle altre forme di cirrosi, in assenza dei granulomi e delle lesioni patognomoniche dei dotti biliari. Questa classificazione istologica presenta, da una parte, il problema dovuto alla considerevole sovrapposizione dei quadri, soprattutto tra gli stadi II e III e, dall'altra, quello dell'eventuale mancata corrispondenza tra lo stadio e lo stato clinico (p. es., un paziente in stadio III può essere asintomatico).

Sintomi e segni Sebbene la cirrosi biliare primitiva (CBP) possa colpire entrambi i sessi e un ampio range di età, > 90% dei casi si verifica in donne tra i 35 e i 60 anni. Si presenta di solito in modo insidioso. Circa il 50% dei pazienti è asintomatico alla presentazione, con anomalie che vengono rilevate durante lo screening bioumorale eseguito di routine. Nell'altro 50% dei pazienti, i sintomi iniziali sono rappresentati dal prurito e/o da un aspecifico senso di stanchezza, che possono precedere gli altri sintomi di mesi o di anni. Nel 50% dei pazienti il fegato è duro e aumentato di volume, ma non dolente; nel 25% dei casi c'è una splenomegalia; circa il 15% presenta xantomi cutanei (xantelasmi); il 10% un'iperpigmentazione. L'ittero è presente nel 20% dei pazienti alla presentazione, mentre negli altri è più tardivo. Sono possibili le deformità delle dita a bacchetta di tamburo, le affezioni metaboliche ossee (p. es., l'osteoporosi), la neuropatia periferica, l'acidosi file:///F|/sito/merck/sez04/0410406.html (1 of 3)02/09/2004 3.02.30

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tubulare renale e la steatorrea (dovuta a un'insufficienza secretoria del pancreas e dalla colestasi). In una fase successiva, si possono sviluppare tutte le caratteristiche e le complicanze della cirrosi. La CBP si associa spesso a malattie autoimmuni (p. es., AR, sclerodermia, sindrome "sicca" e tiroidite autoimmune).

Esami di laboratorio I reperti iniziali sono rappresentati dalla colestasi, con un aumento sproporzionato della fosfatasi alcalina e della g-glutamiltranspeptidasi rispetto alla bilirubina e alle aminotransferasi sieriche. Infatti, la bilirubina sierica è spesso normale nelle fasi iniziali della malattia. Il colesterolo sierico e le lipoproteine sono generalmente elevati. L'albumina sierica è normale all'inizio della malattia. Di solito, aumentano anche le globuline, in particolare le IgM sieriche che sono caratteristicamente molto elevate. Gli anticorpi antimitocondriali, contro un componente della membrana interna dei mitocondri (in > 95% dei pazienti), sono importanti dal punto di vista diagnostico, ma possono essere osservati anche in alcuni pazienti con epatite cronica attiva "autoimmune".

Diagnosi e prognosi La diagnosi differenziale comprende l'ostruzione biliare extraepatica, l'epatite cronica attiva, la colangite sclerosante primitiva e la colestasi indotta da farmaci. È necessario escludere precocemente la presenza di ostruzioni extraepatiche, potenzialmente curabili. Sono necessarie l'ecografia e, a volte, la CPRE. La biopsia epatica può essere diagnostica, ma spesso è aspecifica. Raramente è necessario procedere alla laparotomia diagnostica. Il decorso della CBP è progressivo, ma variabile. La malattia non compromette la qualità della vita per molti anni. I pazienti che sono asintomatici alla presentazione tendono a sviluppare i sintomi in 2-7 anni. Una lenta progressione della malattia suggerisce una sopravvivenza prolungata. Alcuni pazienti hanno dei sintomi molto lievi per 10-15 anni. Altri peggiorano in 3-5 anni. Un aumento della bilirubinemia, l'associazione con le malattie autoimmuni e le alterazioni istologiche gravi indicano una prognosi infausta. Se la bilirubina è > 6 mg/dl (100 mmol/l), la sopravvivenza è < 2 anni. La prognosi è infausta quando scompare il prurito, gli xantomi si riducono di volume e diminuisce il colesterolo sierico. Gli eventi terminali sono simili a quelli delle altre forme di cirrosi: ipertensione portale e varici esofagee, ascite, insufficienza epato-renale e insufficienza epatica.

Terapia Non esiste alcuna terapia specifica. Il prurito può essere controllato con la colestiramina a dosi di 6-12 g/die, PO, in dosi frazionate. L'osteoporosi è particolarmente difficile da trattare e possono essere utili gli estrogeni. La steatorrea può rendere necessaria la somministrazione di supplementi di Ca e di vitamine A, D e K per prevenire le carenze. Le complicanze della CBP sono trattate come quelle degli altri tipi di cirrosi. Sono stati usati i corticosteroidi, ma in genere vengono evitati perché peggiorano l'osteoporosi. Nella maggior parte dei trial, altri potenti farmaci immunosoppressori non hanno migliorato la qualità né l'aspettativa di vita. La colchicina, alla dose di 0,6 mg bid, riduce la fibrosi e può avere un modesto effetto. L'acido ursodeossicolico, alla dose di 10 mg/kg/die migliora la biochimica epatica, aumenta la sopravvivenza e ritarda il trapianto di fegato. La CBP rappresenta, infatti, una delle maggiori indicazioni al trapianto di fegato. I risultati sono eccellenti.

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Epatopatia cronica

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Epatite

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 42. EPATITE Processo infiammatorio del fegato caratterizzato da una necrosi diffusa o parcellare che colpisce tutti i lobuli.

EPATITE VIRALE ACUTA Sommario: Introduzione Epidemiologia Anatomia patologica Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Profilassi Terapia Varianti dell'epatite virale acuta

Infiammazione epatica diffusa causata da specifici virus epatotropi. (V. anche Infezione neonatale da virus dell'epatite B in Infezioni neonatali nel Cap. 260) Questo importante e frequente gruppo di malattie a diffusione mondiale ha in comune gli aspetti clinici, biochimici e morfologici, ma ha differenti eziologie virali. Eziologia e caratteristiche virali Sono responsabili della malattia almeno 6 tipi distinti di virus (Tab. 42-2). Le infezioni del fegato dovute ad altri virus (p. es., il virus di Epstein-Barr, il virus della febbre gialla e il citomegalovirus) sono considerate malattie a parte e, di solito, non vengono comprese nel gruppo delle epatiti virali acute. Il virus dell'epatite A (HAV) è un picornavirus a singola elica di RNA. L'antigene virale è riscontrabile nel siero, nelle feci e nel fegato soltanto durante l'infezione acuta. Gli anticorpi IgM appaiono precocemente nel corso della malattia, ma scompaiono nel giro di diverse settimane, seguiti dalla comparsa di anticorpi protettivi IgG (anti-HA) che persistono, di solito, per tutta la vita. Quindi gli anticorpi IgM rappresentano un marker dell'infezione acuta, mentre gli anticorpi IgG anti-HA indicano semplicemente una pregressa esposizione al HAV e l'immunità nei confronti delle infezioni ricorrenti. Il HAV scompare sempre dopo un'infezione acuta; a differenza dell'epatite da virus di tipo B e C, per il HAV non è nota la condizione di portatore cronico e non sembra che questo virus abbia un ruolo nell'induzione dell'epatite cronica attiva o della cirrosi. Il virus dell'epatite B (HBV) è l'agente eziologico più complesso e più estesamente caratterizzato. La particella infettiva Dane è costituita da una porzione centrale ("core") e dal suo rivestimento di superficie. Il core contiene un filamento circolare di DNA a doppia elica e la DNA-polimerasi e si replica all'interno dei nuclei degli epatociti infettati. Il rivestimento di superficie viene

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applicato al core nel citoplasma, dove, per motivi sconosciuti, viene prodotto in grande quantità; può essere rilevato nel siero con metodi immunologici, sotto forma di antigene di superficie dell'epatite B (HbsAg), in precedenza detto antigene Australia. Almeno 3 distinti sistemi antigene-anticorpo sono intimamente correlati al HBV: 1. L'HBsAg è associato al rivestimento di superficie del virus; la sua presenza nel siero è in genere la prima evidenza di un'infezione acuta da HBV e implica la contagiosità del sangue. (Numerosi sottotipi antigenici sono di interesse epidemiologico, ma di scarso significato clinico.) L'HBsAg compare caratteristicamente durante il periodo di incubazione, in genere 1-6 sett. prima dei segni clinici e biochimici della malattia e scompare durante la convalescenza. Il rispettivo anticorpo di protezione (anti-HBs) compare soltanto alcune settimane o mesi più tardi, dopo la guarigione clinica e generalmente persiste per tutta la vita; quindi, la sua presenza nel siero indica una pregressa epatite da HBV e la relativa immunità. In circa il 10% dei pazienti, l'HBsAg persiste dopo l'infezione acuta e l'anti-HBs non viene prodotto; questi pazienti possono sviluppare un'epatite cronica o diventare portatori asintomatici del virus. 2. L'antigene core (HBcAg) è associato alla frazione interna del virus. Può essere riscontrato negli epatociti infetti, ma non è rilevabile nel siero, se non con tecniche speciali che distruggono la particella Dane. L'anticorpo corrispondente all'HBcAg (anti-HBc), in genere, compare all'inizio della malattia clinica; in seguito, il titolo sierico diminuisce gradualmente, di solito nel corso di anni o di tutta la vita. La sua presenza con l'anti-HBs non ha alcun significato speciale oltre quello di indicare una pregressa infezione da HBV. È osservato regolarmente anche nei portatori cronici di HBsAg che non hanno avuto una risposta anti-HBs. Nell'infezione cronica, gli anti-HBc appartengono principalmente alla classe delle IgG, mentre nell'infezione acuta predominano quelli della classe delle IgM. Occasionalmente, questi ultimi sono i soli marker di una recente infezione da HBV, caratterizzando il "periodo finestra" tra la scomparsa dell'HBsAg e la comparsa dell'anti-HBs. 3. L'antigene "e" (HBeAg) sembra essere un peptide derivato dalla porzione centrale del virus. Viene riscontrato solamente nel siero HBsAg-positivo e tende a seguire parallelamente la produzione della DNA polimerasi virale. La sua presenza riflette, perciò, una più attiva replicazione virale ed è generalmente associata a una maggiore contagiosità del sangue e a una maggiore probabilità di progressione verso un'epatopatia cronica. Per contro, la presenza del corrispondente anticorpo (anti-HBe) indica una contagiosità di grado relativamente minore e, di solito, preannuncia un esito benigno. Il virus dell'epatite D (HDV), o agente delta, è un singolare virus a RNA difettivo che si può replicare solamente in presenza dell'HBV e mai da solo. Compare sia come una coinfezione nel corso di un'epatite B acuta o come superinfezione nel corso di un'epatite cronica stabilizzata, sempre di tipo B. Gli epatociti infettati contengono le particelle delta rivestite dall'HBsAg. La prevalenza del HDV varia molto dal punto di vista geografico, con sacche endemiche in diverse nazioni. I tossicodipendenti sono relativamente ad alto rischio, ma il HDV (contrariamente al HBV) non è ancora diffuso nella comunità omosessuale. Clinicamente, le infezioni da HDV si manifestano con un'epatite acuta insolitamente grave (fino al 50% delle epatiti HBV fulminanti può essere associato a una coinfezione da HDV), con un'esacerbazione acuta nei portatori cronici di HBV (superinfezione) oppure con un decorso relativamente aggressivo di un'epatite B cronica. Il virus dell'epatite C (HCV) è la causa, oggi riconosciuta, della maggior parte dei casi di quella che era precedentemente chiamata epatite non-A, non-B (NANB). Questo virus a singola elica di RNA, correlabile alla famiglia dei flavivirus, causa la maggior parte delle epatiti NANB post-trasfusionali e sporadiche. Esistono numerosi sottotipi di HCV con sequenze aminoacidiche variabili (genotipi); questi sottotipi variano nella distribuzione geografica e svolgono un ruolo nella virulenza della malattia. Il HCV può anche modificare il suo corredo aminoacidico nel tempo all'interno della persona infettata (quasi specie); questa tendenza impedisce lo sviluppo di un vaccino.

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La maggior parte dei casi di epatite C è subclinica, anche nella fase acuta. L'infezione ha un tasso di cronicità molto più alto (circa il 75%) di quello dell'epatite B. Quindi, l'epatite C è spesso scoperta dal casuale ritrovamento degli anti-HCV in persone apparentemente sane. Il virus dell'epatite E (HEV) è un virus a RNA responsabile di epidemie di epatite acuta, spesso trasmesse dall'acqua. Le epidemie si sono verificate esclusivamente nei paesi in via di sviluppo. L'infezione può essere grave, specialmente nelle donne gravide, ma non cronicizza e non se ne conosce lo stato di portatore cronico. Il virus dell'epatite G (HGV) è un nuovo agente simile ai flavivirus che è stato identificato in alcuni casi di epatite non A-E. Il HGV può, a quanto pare, essere trasmesso dal sangue ed essere responsabile di alcuni casi di epatite cronica. Il ruolo del HGV e di altri agenti non identificati nei casi di epatite inspiegabile rimane poco chiaro.

Epidemiologia La diffusione del HAV si verifica soprattutto per contagio oro-fecale; anche il sangue e le altre secrezioni possono essere contagiose. La diffusione del virus con le feci si verifica durante il periodo di incubazione e, di solito, cessa alcuni gg dopo la comparsa dei sintomi; quindi, la contagiosità è spesso già finita quando viene posta la diagnosi di epatite A. Le epidemie da contaminazione dell'acqua e degli alimenti, si verificano specialmente nei paesi sottosviluppati. Anche l'ingestione dei frutti di mare crudi può essere, talvolta, responsabile dell'infezione. Sono frequenti anche i casi sporadici, di solito da ascrivere al contagio interpersonale diretto. La maggior parte delle infezioni decorre in modo sub-clinico o non viene diagnosticata, e la titolazione dell'anti-HA nella popolazione ha mostrato un'esposizione al virus molto diffusa che varia con l'età, la classe socio-economica, la localizzazione geografica e altri fattori. In alcuni paesi, più del 75% degli adulti è stato esposto all'infezione. Il HBV viene spesso trasmesso per via parenterale, generalmente attraverso il sangue o i suoi derivati infetti. Lo screening per l'HBsAg eseguito di routine sui donatori di sangue ha ridotto drasticamente le infezioni post-trasfusionali da HBV, mentre la trasmissione attraverso aghi infetti condivisi dai tossicodipendenti, rimane un problema rilevante. Il rischio è aumentato nei pazienti sottoposti a dialisi o trattati nei reparti oncologici, così come nel personale ospedaliero che viene in contatto con il sangue. Un contagio non parenterale si può verificare tra i partner, sia omo- che eterosessuali e nelle istituzioni chiuse (p. es., le prigioni e le istituzioni per le persone con ritardo mentale), anche se la contagiosità è notevolmente inferiore rispetto a quella del HAV e, spesso, la via di infezione resta sconosciuta. Il ruolo della trasmissione attraverso la puntura degli insetti non è chiaro. Molti casi di epatite B acuta si verificano sporadicamente senza una fonte d'infezione nota. La titolazione dell'anti-HBs ha dimostrato che le pregresse infezioni da virus B non riconosciute clinicamente sono frequenti, ma molto meno rispetto a quelle da HAV. I portatori cronici di HBV rappresentano un serbatoio di infezione a livello mondiale. La prevalenza varia ampiamente in base a diversi fattori, compreso quello geografico (p. es., < 0,5% della popolazione dell'America del Nord e dell'Europa del Nord, > 10% in alcune regioni dell'Estremo Oriente). La trasmissione verticale da madre a figlio ne è parzialmente responsabile, specialmente nelle regioni dove la prevalenza è alta (v. Malattie epatiche nel Cap. 251). Il HBV è associato a un ampio spettro di epatopatie che va da uno stato subclinico di portatore, all'epatite acuta, all'epatite cronica, alla cirrosi e al carcinoma epatocellulare. Il virus mostra anche un'associazione, non ancora chiarita, con vari disordini che non interessano in modo preminente il fegato e che comprendono la poliarterite nodosa e altre collagenopatie vascolari, la glomerulonefrite membranosa, la crioglobulinemia mista essenziale e

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l'acrodermatite papulosa dell'infanzia. Il ruolo patogenetico del HBV in questi disordini non è chiaro, ma in alcuni pazienti è presente una precipitazione tissutale di immunocomplessi che contengono l'antigene virale. Il HCV è responsabile di almeno l'80% dei casi di epatite post-trasfusionale e di una buona parte dei casi di epatite acuta sporadica. È implicato anche in molti casi di epatite cronica, di cirrosi criptogenetica e di carcinoma epatocellulare non correlato al HBV. L'infezione è più frequentemente acquisita per via ematica, con le trasfusioni o con l'uso di droghe EV. La trasmissione sessuale e la trasmissione verticale da madre a neonato si possono verificare ma, al contrario del HBV, sono relativamente rare. Una piccola parte delle persone che sembrano guarite diventa portatrice cronica di HCV e spesso ha un'epatite cronica subclinica o addirittura una cirrosi. La prevalenza varia con i fattori geografici e gli altri fattori epidemiologici, compreso il precedente uso di droghe. Il HCV è associato alla crioglobulinemia mista essenziale, alla porfiria cutanea tardiva (circa il 60-80% dei pazienti con porfiria ha il HCV, ma solo pochi pazienti con HCV sviluppano la porfiria) e forse alla glomerulonefrite e ad altre malattie "immunitarie"; i meccanismi sono poco chiari. Inoltre, fino al 25% dei pazienti affetto da un'epatopatia alcolica ospita anche il HCV. Le ragioni di questa associazione, sorprendentemente frequente, non sono chiare, perché il concomitante abuso di alcol e droga è presente solo in una parte dei casi. Il HCV può agire sinergicamente amplificando i danni epatici indotti dall'alcol e viceversa. Il HEV è responsabile di occasionali epidemie di epatite acuta nelle aree sottosviluppate; queste appaiono simili, dal punto di vista epidemiologico, alle epidemie da HAV. Si verificano anche casi sporadici, probabilmente attraverso la trasmissione enterica. Rimangono peraltro inspiegati alcuni casi di epatite acuta e cronica sporadici, che sono senz'altro causati da HGV o da altri agenti sconosciuti non-A, non-E. L'infezione da HAV ha un periodo di incubazione di circa 2-6 sett.; quella da HBV di circa 6-25 sett.; l'infezione da HCV, di circa 3-16 sett. Sono colpiti tutti i gruppi di età, anche se l'infezione da HAV è più comune nei bambini e nei giovani.

Anatomia patologica Indipendentemente dall'agente causale, tutti i lobuli epatici presentano un'irregolare scomparsa delle cellule, una necrosi epatocellulare acidofila e un infiltrato infiammatorio di mononucleati. Le zone di rigenerazione si evidenziano istologicamente anche durante le fasi precoci. Poiché, in genere, l'impalcatura reticolare del connettivo di sostegno degli epatociti rimane intatta, si verifica quasi sempre una completa riparazione istologica del danno, a eccezione dei casi in cui la necrosi estesa interessa interi lobuli. Nella maggior parte dei casi l'istopatologia è simile, indipendentemente dal virus specifico; l'epatite B può occasionalmente essere diagnosticata per la presenza di epatociti a vetro smerigliato (a causa del citoplasma ripieno di HBsAg) e con speciali colorazioni immunologiche per i componenti virali. Comunque, questi reperti sono paradossalmente rari nell'epatite acuta di tipo B, mentre sono molto più tipici nelle infezioni croniche da HBV. La responsabilità del HCV può talvolta essere accertata attraverso sottili indizi morfologici.

Sintomi e segni L'epatite è una malattia i cui caratteri possono variare da quelli di una sindrome influenzale di modesta gravità a quelli dell'insufficienza epatica fulminante e fatale, sulla base della risposta immunitaria del paziente e di altri fattori virusospite non ancora chiariti (v. Varianti dell'epatite virale acuta , oltre). La fase prodromica generalmente ha un inizio brusco con grave anoressia (il

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disgusto per le sigarette è una manifestazione precoce caratteristica), malessere, nausea, vomito e spesso febbre. Occasionalmente compaiono eruzioni orticarioidi e artralgie, specialmente nell'infezione da HBV. Dopo 3-10 gg, le urine divengono scure e poi compare l'ittero (la fase itterica). Generalmente, a questo punto regrediscono i sintomi sistemici e il paziente si sente meglio nonostante l'ittero ingravescente. Possono manifestarsi i segni della colestasi. L'ittero raggiunge la massima intensità nell'arco di 1-2 sett., per poi recedere gradualmente nelle successive 2-4 sett. della fase di guarigione. L'esame obiettivo evidenzia un ittero variabile. Il fegato solitamente è ingrandito e spesso è dolorabile, ma il suo margine inferiore si mantiene morbido e liscio. Nel 15-20% dei pazienti è presente una modesta splenomegalia. Nei casi non complicati non si rilevano i segni caratteristici dell'epatopatia cronica.

Esami di laboratorio Il notevole aumento delle aminotransferasi è la caratteristica peculiare della malattia. I valori elevati compaiono molto precocemente nella fase prodromica, raggiungono l'acme prima che l'ittero diventi della massima intensità e diminuiscono lentamente durante la fase di guarigione. Le AST e ALT sono generalmente intorno a valori di 500-2000 UI/l, anche se c'è una scarsa correlazione con la gravità clinica. L'ALT è caratteristicamente più elevata dell'AST, ma tale dato è di limitata utilità solo nella differenziazione dall'epatopatia alcolica in cui, di solito, si verifica l'inverso. I pigmenti biliari in genere compaiono nelle urine prima dell'insorgenza dell'ittero: il loro precoce rilievo è un elemento diagnostico importante. L'entità dell'iperbilirubinemia è variabile e i valori delle diverse frazioni non hanno un significato clinico. La fosfatasi alcalina è solo modicamente elevata a eccezione dei casi con colestasi grave. Un marcato prolungamento del tempo di protrombina è poco frequente ma, se presente, indica una forma grave. La conta dei GB è solitamente bassa o normale e lo striscio del sangue periferico evidenzia spesso alcuni linfociti atipici.

Diagnosi Nella fase prodromica l'epatite può simulare diverse malattie simil-influenzali ed è quindi difficile da diagnosticare. (Per l'approccio all'ittero, v. il Cap. 38.) Un'epatite tossica o da farmaci si distingue principalmente in base ai dati anamnestici. Una faringodinia prodromica, una linfoadenopatia diffusa e la marcata linfocitosi atipica depongono a favore della mononucleosi. L'epatite alcolica è sospettata sulla base dei dati anamnestici, della gradualità di insorgenza della sintomatologia e della presenza di nevi a stella (spider nevi) o di altri segni di epatopatia cronica. Inoltre, i valori delle aminotransferasi raramente superano le 300 UI/l, anche nei casi gravi e, contrariamente all'epatite virale, l'AST è generalmente più elevata dell'ALT. Di solito le neoplasie e le ostruzioni extraepatiche si distinguono facilmente dall'epatite, ma talvolta si possono avere delle difficoltà. In genere la biopsia epatica non è necessaria, ma la si deve prendere in considerazione se la diagnosi è dubbia, se il decorso clinico è atipico o insolitamente prolungato, se sono presenti anche spider nevi, eritema palmare o altri segni di epatopatia cronica o se si sviluppano delle complicanze (p. es., encefalopatia, ritenzione di liquidi). L'epatite A viene diagnosticata rilevando gli anticorpi IgM; come sottolineato precedentemente, le IgG anti-HA sono solo un semplice marker di un'infezione pregressa e non indicano un'infezione da HAV in corso. L'epatite B viene diagnosticata con precisione identificando l'HBsAg nel siero, con o senza il concomitante anti-HBc. La mancata identificazione dell'HBsAg non esclude completamente l'epatite B, poiché l'antigenemia può essere transitoria; in tali casi la presenza isolata delle IgM anti-HBc può permettere la diagnosi. La diagnosi di epatite C è basata sulla presenza di anticorpi sierici (anti-HCV), che non sono protettivi e implicano un'infezione attiva. I test sierologici di prima file:///F|/sito/merck/sez04/0420410.html (5 of 8)02/09/2004 3.02.34

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generazione erano spesso falsamente positivi, ma i nuovi esami di seconda e terza generazione sono più affidabili. Gli anticorpi anti-HCV compaiono spesso diverse settimane dopo l'infezione acuta e quindi un esame negativo non esclude una recente infezione. Alcuni laboratori possono scoprire e quantificare l'HCVRNA con notevole precisione, ma questa procedura non è ancora disponibile su larga scala.

Prognosi L'epatite si risolve in genere spontaneamente dopo 4-8 sett. Una prognosi favorevole è meno sicura nell'epatite B che non nell'epatite A, particolarmente nei soggetti anziani e nelle forme post-trasfusionali, in cui la mortalità può raggiungere il 10-15%. Il decorso clinico dell'epatite C è spesso fluttuante, talvolta con un andamento altalenante delle aminotransferasi sieriche per mesi o anni. A eccezione dei casi fulminanti, l'epatite A si risolve sempre; a volte si possono verificare delle recidive precoci, ma non si sviluppano mai epatopatie croniche progressive o cirrosi. Una cronicizzazione si verifica invece nel 5-10% delle infezioni da HBV. Si possono avere una lieve infiammazione persistente, un'epatite cronica attiva con una cirrosi finale e uno stato sub-clinico di portatore cronico. L'infezione cronica da HBV può causare alla fine un carcinoma epatocellulare (v. Carcinoma epatico primitivo nel Cap. 47). L'epatite C ha la maggiore probabilità di cronicizzazione, fino al 75-80% dei casi, anche se (paradossalmente) la malattia inizia di solito in forma apparentemente lieve. Abitualmente, l'epatite cronica che ne deriva è di natura benigna e spesso decorre in modo sub-clinico, ma, alla fine, anche nel corso di decenni, si può sviluppare una cirrosi in circa il 20% dei pazienti. Il carcinoma epatocellulare è un rischio nella cirrosi indotta dal HCV, mentre la comparsa del tumore è rara nei casi di infezione cronica senza cirrosi (diversamente dall'infezione da HBV).

Profilassi L'igiene personale è utile per prevenire la diffusione del HAV. Il sangue dei pazienti con epatite acuta deve essere maneggiato con attenzione e le feci dei pazienti con epatite A devono essere considerate contagiose. Anche se una volta era molto popolare, l'isolamento del paziente è stato troppo enfatizzato; è di scarsa utilità nel prevenire la diffusione del HAV e non è di alcun valore nell'epatite HBV o HCV. Il rischio di infezioni post-trasfusionali viene ridotto evitando le trasfusioni non necessarie, utilizzando donatori volontari piuttosto che pagati ed eseguendo uno screening di tutti i donatori per l'HBsAg e l'anti-HCV. Lo screening è quasi universalmente disponibile e ha notevolmente ridotto, anche se non eliminato, le epatiti B e C iatrogene. Il valore della profilassi passiva con le preparazioni di g-globuline è ancora dibattuto; i titoli anticorpali molto variabili sono responsabili in parte dell'attuale incertezza al riguardo. Le immunoglobuline sieriche standard, in passato dette globuline sieriche immuni, forniscono una buona protezione contro l'epatite A clinicamente evidente e devono essere somministrate alle persone che vivono nello stesso domicilio dei soggetti con epatite accertata; si consiglia, in genere, una dose di 0,02 ml/kg IM, ma alcuni esperti consigliano 0,06 ml/kg (3-5 ml per gli adulti). Le immunoglobuline vengono generalmente somministrate ai viaggiatori che programmano una prolungata visita nelle zone endemiche, sebbene il vaccino anti-HAV, disponibile da poco tempo, sia probabilmente una scelta migliore. Le immunoglobuline non sono clinicamente efficaci contro l'epatite C. Le immunoglobuline per l'epatite B (HBIG) contengono dei titoli anticorpali contro il HBV molto più alti, ma l'elevato costo ne limita l'uso. Le HBIG (0,06 ml/kg IM entro 24 ore e di nuovo dopo 1 mese) devono essere somministrate ai soggetti esposti accidentalmente, tramite una puntura d'ago, a sangue positivo per l'HBsAg e possibilmente a coloro che hanno avuto contatti sessuali regolari con soggetti in cui sia stata accertata l'infezione acuta (0,06 ml/ file:///F|/sito/merck/sez04/0420410.html (6 of 8)02/09/2004 3.02.34

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kg IM entro 2 sett. dall'ultimo contatto); contemporaneamente deve essere eseguita anche la vaccinazione. Le HBIG hanno mostrato un'efficacia del 70% anche nella prevenzione dell'infezione cronica da HBV nei neonati nati da madri HBsAg positive; devono essere somministrati 0,5 ml IM entro 12 h dalla nascita, insieme a una profilassi attiva con la vaccinazione. La vaccinazione contro il HBV produce quasi sempre una risposta anti-HBs nei soggetti normali e una drastica riduzione (circa il 90%) dell'incidenza delle infezioni da HBV; i pazienti dializzati, i cirrotici e altri soggetti immunocompromessi rispondono meno bene. Le poche persone sane che non hanno una risposta anti-HBs non mostrano difetti immunonologici evidenti. I vaccini disponibili sono sicuri e gli effetti collaterali sono minimi. Le campagne di vaccinazione sono influenzate dai costi elevati. La vaccinazione post-esposizione (insieme alle HBIG) è raccomandata per i neonati di madri HBsAg positive. La vaccinazione deve essere eseguita (sempre insieme alle HBIG) anche dopo un'esposizione, tramite puntura d'ago, a sangue noto come HBsAg positivo e negli sposi o nelle persone che hanno rapporti sessuali regolari con soggetti che hanno un'infezione acuta accertata. La vaccinazione non è efficace per il trattamento di un'infezione da HBV già in atto. La profilassi vaccinica dovrebbe essere idealmente somministrata prima dell'esposizione a tutti i neonati e gli adolescenti. Una vaccinazione su così larga scala dovrebbe ridurre drasticamente il numero dei portatori di HBV nel mondo, l'enorme onere della malattia e, alla fine, l'elevata prevalenza del carcinoma epatocellulare nelle regioni geografiche altamente endemiche. Per raggiungere questo obiettivo epidemiologico è necessario disporre di un vaccino più economico. Come minimo, la vaccinazione è raccomandata per le persone che hanno un aumentato rischio di contrarre l'epatite B, p. es., i pazienti e il personale ospedaliero delle unità di dialisi, il personale medico e sanitario esposto al sangue, i dentisti e gli igienisti dentali, i ricoverati e il personale delle istituzioni per malati mentali e gli omosessuali maschi. I neonati e gli adolescenti senza specifici fattori di rischio sono vaccinati in numero sempre maggiore mano a mano che i costi diminuiscono. Recentemente è divenuto disponibile il vaccino contro il HAV; è sicuro ed efficace e fornisce una protezione più prolungata (probabilmente per diversi anni) rispetto alla profilassi immunitaria con le globuline. I viaggiatori verso aree endemiche devono quindi sottoporsi alla vaccinazione. Non esiste un vaccino contro il HCV.

Terapia Nella maggior parte dei casi non è necessario alcun trattamento speciale. Solitamente l'appetito ritorna dopo i primi giorni e non è necessario che il paziente resti confinato a letto. Le inutili limitazioni della dieta e dell'attività non hanno alcuna base scientifica. Non è necessario un apporto aggiuntivo di vitamine. Nei casi ordinari i corticosteroidi sono controindicati. La maggior parte dei pazienti può tranquillamente tornare al lavoro dopo che l'ittero si è risolto, anche se l'AST o l'ALT non sono tornate del tutto a valori normali.

Varianti dell'epatite virale acuta L'epatite anitterica, una forma minore simil-influenzale senza ittero, può essere l'unica manifestazione clinica dell'epatite acuta, specialmente nei bambini con infezione da HAV e nelle infezioni da HCV. Questa forma è di gran lunga più frequente dell'epatite "tipica", ma la diagnosi di solito non viene fatta, a meno che non si ricerchino le caratteristiche elevazioni dell'AST e dell'ALT. L'epatite recidivante si verifica in una minoranza di pazienti durante la fase di guarigione. Non implica la cronicità e la prognosi rimane generalmente buona.

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Tuttavia, le recidive ripetute e le fluttuazioni delle aminotransferasi sono relativamente comuni nelle infezioni da HCV e di solito vanno incontro a cronicizzazione. A volte, malgrado il processo infiammatorio tenda a regredire, persiste un'epatite colestatica con ittero, valori elevati della fosfatasi alcalina e prurito. Può essere necessario differenziare questa forma dall'ostruzione delle vie biliari extraepatiche. Di regola il processo si risolve spontaneamente. Il prurito può essere alleviato con la somministrazione di colestiramina alla dose giornaliera di 8-16 g PO. L'epatite fulminante è una sindrome rara che solitamente si verifica nelle infezioni da HBV o nelle lesioni indotte dagli agenti tossici o dai farmaci; il HAV ne è solo raramente responsabile e il ruolo del HCV è ancora incerto. Un rapido deterioramento clinico con l'instaurarsi di un'encefalopatia epatica rende evidente la gravità del processo; in alcuni casi, nell'arco di poche ore si sviluppa uno stato di coma, a volte associato a edema cerebrale. Si assiste alla necrosi massiva del parenchima epatico con una riduzione delle dimensioni dell'organo (atrofia gialloacuta). Sono comuni le emorragie, espressione dell'insufficienza epatocellulare e della coagulazione intravasale disseminata. L'allungamento progressivo del tempo di protrombina è un segno prognostico infausto. Spesso si sviluppa un'insufficienza renale funzionale che solitamente precede la morte. La sopravvivenza è rara negli adulti, nonostante i massicci interventi terapeutici; nei bambini, invece, la prognosi è meno infausta. Una meticolosa assistenza e un accurato trattamento delle complicanze specifiche sono necessari per avere le migliori speranze di guarigione. Gli interventi terapeutici (p. es., le dosi massicce di corticosteroidi, l'exsanguino-trasfusione, la terapia con prostaglandine) non si sono dimostrati efficaci. Il trapianto epatico di emergenza ha un successo parziale e può salvare la vita del paziente, sebbene la selezione e i problemi logistici rappresentino ancora una sfida. È da notare che, in genere, i pazienti che sopravvivono spontaneamente, guariscono del tutto, senza riportare un danno epatico permanente. La necrosi confluente è una rara variante istologica, caratterizzata da zone di collasso e di necrosi che interessano più aree portali e/o più aree centrolobulari adiacenti. Clinicamente può essere indistinguibile dalla comune epatite virale, ma viene sospettata in base alla progressione insidiosa piuttosto che all'insorgenza improvvisa e in base alla graduale insorgenza di una ritenzione idrica o di un'encefalopatia. L'implicazione prognostica della necrosi confluente è dibattuta; i pazienti con epatite cronica attiva probabilmente derivano da questo sottogruppo, sebbene la maggior parte dei pazienti con necrosi confluente recuperi completamente. La terapia con corticosteroidi è controversa, ma è generalmente ritenuta inappropriata nei casi di provata eziologia virale.

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO CARCINOMA EPATICO PRIMITIVO CARCINOMA EPATOCELLULARE (Epatoma) Tumore epatico che origina da epatociti maligni.

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Il carcinoma epatocellulare, sebbene sia molto più raro del carcinoma metastatico, nella maggior parte dei paesi rappresenta la più frequente neoplasia primitiva, e un'importante causa di morte in certe zone dell'Africa e del Sud-Est asiatico. L'infezione da virus B dell'epatite cronica (HBV) è ampiamente responsabile dell'elevata prevalenza del tumore in aree endemiche; il rischio è più che centuplicato nei portatori del HBV e l'incidenza del tumore generalmente va di pari passo con la prevalenza geografica del HBV. Nei portatori del HBV, che sono in prevalenza asintomatici, il DNA virale viene, alla fine, incorporato nel genoma ospite degli epatociti infetti. Ciò porta a una trasformazione maligna, anche se il meccanismo preciso è sconosciuto. Anche i carcinogeni ambientali possono avere un certo ruolo; p. es., si ritiene che l'ingestione di cibo contaminato con delle aflatossine fungine contribuisca all'elevata incidenza dell'epatoma nelle regioni subtropicali. Più recentemente, anche l'epatite cronica da infezione con il virus C (HCV) è stata riconosciuta come un importante fattore nella genesi del carcinoma epatocellulare. Il meccanismo della carcinogenesi è sconosciuto perché il HCV è un RNA virus e (diversamente dal HBV) non viene incorporato nel genoma dell'ospite. Il tumore può evolvere dalla fibrogenesi piuttosto che dall'infezione da HCV in sé perché la cirrosi si è già sviluppata in quasi tutti i casi. Nel Nord America, in Europa e in altre aree a bassa prevalenza, la maggior parte dei pazienti presenta una cirrosi di base non correlata all'infezione da HBV o da HCV. La cirrosi alcolica, quella criptogenetica e specialmente quella emocromatosica hanno tutte una tendenza alla trasformazione maligna, sebbene, curiosamente, il rischio nella cirrosi biliare primitiva sia minore. Come già detto, si può raramente verificare una trasformazione maligna degli adenomi epatici. Gli altri pazienti non presentano alcuna evidente epatopatia di base.

Sintomi e segni Le più comuni manifestazioni cliniche sono rappresentate dal dolore addominale, dal calo ponderale, dalla presenza di una tumefazione nel quadrante superiore destro e dal peggioramento inspiegabile delle condizioni generali, precedentemente stabili, in un paziente affetto da cirrosi. La febbre è relativamente comune e può simulare un'infezione. Occasionalmente, la prima file:///F|/sito/merck/sez04/0470431.html (1 of 3)02/09/2004 3.02.35

Tumori del fegato

manifestazione è data da un addome acuto dovuto alla rottura o all'emorragia del tumore. Si possono verificare, a volte, delle manifestazioni metaboliche sistemiche come l'ipoglicemia, l'eritrocitosi, l'ipercalcemia e l'iperlipemia. Solitamente i reperti obiettivi non sono tipici. Un'epatomegalia ingravescente o dolorosa, un rumore da sfregamento epatico o un soffio suggeriscono la diagnosi, specialmente nei pazienti con cirrosi conosciuta o residenti nelle aree dove il HBV è endemico.

Diagnosi Tranne che per la presenza dell'a-fetoproteina nel siero, gli esami biochimici sono di scarso aiuto diagnostico. L'a-fetoproteina scompare subito dopo la nascita; la sua presenza negli adulti indica una differenziazione degli epatociti e pertanto viene osservata più frequentemente nel carcinoma epatocellulare. Valori > 400 mg/l sono tipici ma peraltro rari, tranne che nel teratocarcinoma del testicolo, un tumore molto meno comune. Valori più bassi sono meno specifici e si possono osservare anche in corso di una rigenerazione epatocellulare (p. es., nell'epatite). La maggior parte degli epatomi, nelle aree geografiche dove il HBV è endemico, è alla fine associata a elevati livelli di a-fetoproteina, anche se negli stadi iniziali della malattia i valori sono spesso normali; nelle aree a bassa prevalenza, i livelli elevati sono meno frequenti. Un aumento della des-gcarbossiprotrombina sierica, un precursore della protrombina, può essere un altro marker biochimico per il carcinoma epatocellulare, ma sono necessari ulteriori dati per stabilirne l'esatto valore clinico. L'ECO, la TC e la RMN dell'addome sono importanti ausili diagnostici e possono talvolta mettere in evidenza dei carcinomi subclinici; lo screening ecografico nei portatori cronici di HBV viene eseguito con questo intento in alcune aree a elevata prevalenza (p. es., il Giappone). L'esame è meno valido nei pazienti affetti da una cirrosi di base, poiché i risultati sono più difficili da interpretare. L'arteriografia epatica evidenzia spesso dei reperti caratteristici del tumore e deve essere presa in considerazione per confermare una diagnosi fortemente sospetta e per delineare l'anatomia vascolare quando è programmato l'intervento chirurgico. La biopsia epatica conferma la diagnosi in un'alta percentuale di casi, specialmente se eseguita sotto guida ecografica; il rischio è generalmente basso, a meno che il tumore sia intensamente vascolarizzato o necrotico.

Prognosi e terapia La prognosi del carcinoma epatocellulare è solitamente infausta e il trattamento insoddisfacente. La resezione chirurgica fornisce la speranza migliore, ma è possibile soltanto in alcuni casi. Nei pazienti con piccoli tumori localizzati, si può ottenere un aumento della sopravvivenza con la resezione, ma la diagnosi è di solito tardiva e la morte si verifica spesso entro pochi mesi. Il tumore non è radiosensibile e i risultati della chemioterapia solitamente sono scarsi, anche quando vengono usate l'infusione diretta nell'arteria epatica o la chemioembolizzazione. Non è ancora dimostrato se l'identificazione dei soggetti ad alto rischio mediante uno screening eseguito di routine possa diminuire la mortalità della malattia. L'uso del vaccino contro il HBV dovrebbe avere, alla fine, un effetto benefico, specie nelle aree endemiche (v. Cap. 42). Delle percentuali leggermente migliori di sopravvivenza a lungo termine sono state riportate dopo il trapianto del fegato, ma ciò può riflettere degli errori di selezione nei pazienti con tumori localizzati, relativamente piccoli. La maggior parte degli esperti rimane diffidente circa l'indicazione al trapianto per un tumore maligno. Quando il trattamento aggressivo diventa inappropriato la terapia deve essere rivolta alla riduzione del dolore e delle sofferenze (v. Cap. 294).

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Tumori del fegato

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Epatite

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 42. EPATITE Processo infiammatorio del fegato caratterizzato da una necrosi diffusa o parcellare che colpisce tutti i lobuli.

EPATITE CRONICA Sommario: Introduzione Eziologia e patogenesi Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Prognosi Terapia

Guppo di epatopatie collocabili tra l'epatite acuta e la cirrosi. Un'epatite che dura per 6 mesi viene, di solito, definita "cronica", anche se in modo arbitrario. La complessa terminologia ha creato molta confusione. Fino a poco tempo fa, i casi erano classificati istologicamente come cronici persistenti, lobulari cronici o come epatite cronica attiva, con decorsi clinici e sequele generalmente diversi. Con la maggiore conoscenza delle numerose cause di epatite cronica, comunque, si è recentemente consolidata la tendenza a specificare l'eziologia insieme alle alterazioni istologiche, quando conosciute (p. es., epatite C cronica con infiammazione periportale lieve, epatite autoimmune con cirrosi precoce).

Eziologia e patogenesi Il virus dell'epatite B (HBV) e il virus dell'epatite C (HCV) sono le principali cause di epatite cronica; il 5-10% dei casi di epatite B (con o senza una coinfezione da virus dell'epatite D) e circa il 75% dei casi di epatite C diventano cronici. L'infezione da virus dell'epatite A o da virus dell'epatite E non ne è mai responsabile. Il meccanismo della cronicizzazione non è certo, ma l'effetto citopatico diretto del virus sembra avere un ruolo secondario, specialmente nell'infezione da HBV; la lesione epatica sembra causata soprattutto da una reazione immuno-mediata dell'ospite verso l'infezione. Anche il ruolo dell'epatite G non è chiaro nell'epatite cronica. Diversi farmaci possono causare un'epatite cronica, compresi l'isoniazide, la metildopa, la nitrofurantoina e probabilmente l'acetaminofene (v. Cap. 43). La patogenesi varia con il farmaco e può riflettere un'alterata risposta immune, dei metaboliti intermedi citotossici o dei difetti metabolici geneticamente determinati. La rara malattia di Wilson si può presentare come un'epatite cronica e deve essere presa in considerazione nei bambini e nei giovani affetti (v. in Rame, nel Cap. 4). Il deficit di a1-antitripsina causa più frequentemente una cirrosi inattiva

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Epatite

ma, occasionalmente, può esitare in un'epatite cronica (v. Cap. 41). Molti casi sono idiopatici, spesso con rilevanti aspetti di tipo immune che caratterizzano una variante specifica della malattia (epatite autoimmune). In questi pazienti vi sono evidenti indizi, tra cui i marker immunologici, clinici e sierologici, che indicano come i responsabili del danno epatocellulare siano i meccanismi immunologici: un'associazione degli aplotipi HLA-B8 e DR3; una vasta infiltrazione periportale di linfociti T e di plasmacellule; complessi difetti in vitro dell'immunità cellulo-mediata e delle funzioni immunoregolatrici; una risposta alla terapia con corticosteroidi o con farmaci immunosoppressori. Tuttavia, manca la prova sicura di un meccanismo autoimmune, in quanto non è stata dimostrata la presenza di autoanticorpi diretti specificamente contro gli antigeni delle cellule epatiche.

Sintomi e segni Le caratteristiche cliniche sono variabili. Circa 1/3 dei casi fa seguito a un'epatite acuta, ma il più delle volte compare insidiosamente come processo morboso apparentemente primitivo. Molti pazienti sono asintomatici, specialmente nell'epatite C cronica. Sono frequenti il malessere generale, l'anoressia e l'astenia, talvolta con febbricola e un fastidio maldefinito ai quadranti superiori dell'addome. L'ittero è variabile e spesso assente. Alla fine si possono presentare i segni dell'epatopatia cronica (p. es., splenomegalia, spider nevi e ritenzione idrica), ma in molti pazienti la malattia rimane in uno stadio sub- clinico per molti anni o anche decenni. Nella variante autoimmune compaiono spesso delle manifestazioni multisistemiche o di tipo "immunologico", specialmente nelle giovani donne. Queste possono interessare praticamente qualsiasi organo e comprendono l'acne, l'amenorrea, le artralgie, la colite ulcerosa, la fibrosi polmonare, la tiroidite, la nefrite e l'anemia emolitica. Una minoranza di pazienti sviluppa dei segni predominanti di colestasi, suggerendo la presenza di una cirrosi biliare primitiva.

Esami di laboratorio Questi dimostrano la presenza di un'infiammazione epatocellulare attiva con un'elevazione predominante delle aminotransferasi e con livelli variabili della bilirubinemia e della fosfatasi alcalina. I livelli dell'ALT e dell'AST sono generalmente compresi tra le 100 e le 500 UI/l, anche se possono occasionalmente superare le 1000 UI/ l, creando confusione con l'epatite acuta; in questi casi, possono indirizzare verso la corretta diagnosi altri esami di laboratorio che indicano lo stato di cronicità (p. es., il basso livello sierico dell'albumina). Talvolta il quadro è dominato dagli aspetti laboratoristici della colestasi. Nella variante autoimmune è frequente la presenza di marker sierici di tipo "immunologico" come gli anticorpi anti-nucleo e anti-muscolo liscio (antiactina), le cellule LE, il fattore reumatoide, gli anticorpi diretti contro i microsomi epatici e renali e un'impressionante elevazione delle IgG. Questi marker sono di solito assenti nelle epatiti croniche secondarie a virus o a farmaci. La presenza dell'antigene di superficie del HBV o dell'anti-HCV nel siero indica, rispettivamente, l'eziologia virale di tipo B o C.

Diagnosi La malattia deve essere differenziata dall'epatopatia alcolica, dall'epatite virale acuta recidivante e dalla cirrosi biliare primitiva. I dati clinici e di laboratorio sono utili, ma per la diagnosi definitiva è essenziale la biopsia epatica. Nei casi lievi si può avere solo una necrosi epatocellulare minore e un'infiltrazione cellulare infiammatoria, di solito nella regione portale, con una normale architettura acinare e scarsa o assente fibrosi. Questi casi evolvono solo raramente in file:///F|/sito/merck/sez04/0420416.html (2 of 4)02/09/2004 3.02.36

Epatite

un'epatopatia clinicamente importante o nella cirrosi. Nei casi più gravi, la biopsia mostra una necrosi periportale tipica, con infiltrati di cellule mononucleari (la cosiddetta necrosi parcellare) accompagnata da una fibrosi periportale di grado variabile e dalla proliferazione dei duttuli biliari. L'architettura lobulare può essere distorta per la presenza di zone di collasso e di fibrosi e, accanto ai caratteri di un'epatite persistente, si possono rilevare i segni di una cirrosi franca. Nella maggior parte dei casi non può essere indentificata un'eziologia specifica, sebbene i casi dovuti al HBV possano essere differenziati per la presenza di epatociti a vetro smerigliato e per mezzo di speciali colorazioni per i componenti del HBV. Le forme autoimmuni, di solito hanno una più marcata infiltrazione di linfociti e di plasmacellule.

Prognosi La prognosi è molto variabile. Quando l'eziologia è farmacologica, la malattia può regredire completamente con la sospensione del farmaco responsabile. I casi dovuti al HBV o al HCV tendono a essere lentamente progressivi e, di solito, sono relativamente resistenti alla terapia. I casi autoimmuni generalmente migliorano in modo sostanziale con la terapia. I pazienti possono sopravvivere per diversi anni o decenni, se trattati in maniera adeguata, anche se in molti casi, alla fine, si sviluppano l'insufficienza epatocellulare, la cirrosi o entrambe.

Terapia Il trattamento comprende la sospensione dei possibili agenti farmacologici causali e il trattamento delle complicanze (p. es., l'ascite, l'encefalopatia). L'epatite autoimmune viene trattata con i corticosteroidi associati o meno all'azatioprina. Tali farmaci sopprimono la reazione infiammatoria, forse in parte alterando positivamente la risposta immunitaria, e hanno aumentato la sopravvivenza a lungo termine. Nella maggior parte dei pazienti i sintomi si attenuano, le alterazioni biochimiche in gran parte si risolvono e l'infiammazione istologica regredisce. Comunque, la fibrosi può progredire malgrado l'apparente miglioramento clinico e laboratoristico e i tentativi di interruzione della terapia di solito portano a una ricaduta; la maggior parte dei pazienti richiede un trattamento di mantenimento con piccole dosi e a lungo termine. Le dosi dei farmaci devono essere controllate da uno specialista. La terapia per le epatiti croniche B e C è ancora in fase di studio. I corticosteroidi sono controindicati, perché incrementano la replicazione virale. L'interferone-a è oggi ampiamente usato per sopprimere la replicazione virale, ma i risultati generali sono relativamente deludenti. Nell'infezione da HBV, vengono di solito somministrati 5-10 milioni UI di interferone-a SC tre volte alla settimana, per 46 mesi; la risposta si manifesta con un aumento acuto e transitorio dei livelli delle aminotransferasi. Molti pazienti hanno una recidiva alla sospensione del farmaco, ma il 35-40% ha una scomparsa permanente dell'attività infiammatoria, accompagnata dallo sviluppo di anticorpi anti-e e dalla caduta del livello sierico di HBV-DNA. Questa risposta è molto più frequente nei pazienti non cirrotici affetti da un'epatopatia di breve durata. Nell'epatite C cronica, l'interferone-a, a un dosaggio di 3 milioni di UI SC tre volte alla settimana, inibisce inizialmente l'infiammazione in circa il 50% dei pazienti (diversamente dall'infezione da HBV, non c'è il tipico aumento degli enzimi sierici). I soggetti che rispondono vengono di solito trattati per 12 mesi, anche se molti presentano una recidiva quando la terapia viene interrotta; la soppressione a lungo termine della malattia si verifica solo nel 20-25% di tutti i casi. La risposta dipende in parte dalla carica virale, dal genotipo virale e dalla condizione istologica della malattia. La terapia combinata con interferone e ribavirina per via orale (1200 mg/die in 2 dosi frazionate) può dare una maggiore percentuale di risposte prolungate, ma sono necessari ulteriori studi. Oltre ad avere un'efficacia limitata, l'interferone-a è costoso, deve essere file:///F|/sito/merck/sez04/0420416.html (3 of 4)02/09/2004 3.02.36

Epatite

somministrato per via iniettiva, provoca degli effetti collaterali che nella maggior parte dei pazienti sono lievi e di tipo simil-influenzale, ma in una minoranza di casi sono più gravi. La terapia deve essere controllata da uno specialista. Sono stati valutati o sono in corso di valutazione altri farmaci antivirali e immunomodulatori contro il HBV e il HCV, ma nessuno si è dimostrato particolarmente promettente, ad eccezione della combinazione di interferone e ribavirin. Il trapianto di fegato non è generalmente indicato per l'epatopatia in stadio terminale causata dal HBV, perché, di solito, si verifica un'aggressiva ricorrenza di malattia che porta a una precoce insufficienza del trapianto. Di contro, il trapianto ha molto più successo nei casi di epatite C avanzata, perché nonostante l'infezione da HCV recidivi sempre, il decorso clinico è generalmente indolente e le percentuali di sopravvivenza a lungo termine sono relativamente elevate.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO REAZIONI DI VARIO TIPO EPATOPATIE CRONICHE Dei quadri di danno epatico indistinguibili dall'epatite cronica, possono essere prodotti dall'isoniazide, dalla metildopa e dalla nitrofurantoina. La malattia può iniziare come un'epatite acuta o in maniera più insidiosa e può progredire fino alla cirrosi. Un quadro simile all'epatite cronica è stato recentemente descritto in corso di trattamento cronico con paracetamolo, anche a dosi di soli 3 g/die; gli alcolisti sembrano particolarmente suscettibili e la malattia deve essere sospettata negli alcolisti con un insolito aumento dei livelli di transaminasi, specialmente dell'AST (i valori raramente superano le 300 UI nella sola epatite alcolica). Il farmaco cardiaco amiodarone, provoca occasionalmente una lesione epatica cronica istologicamente simile a quella causata dell'epatopatia alcolica, compresa la presenza dei corpi di Mallory; la fosfolipidosi di membrana ne è un fattore patogenetico. Come riferito prima, la clorpromazina può raramente indurre una colestasi cronica con una fibrosi biliare. Una sindrome simile alla colangite sclerosante si può sviluppare per l'infusione epatica intra-arteriosa di chemioterapici, specialmente di fluxoridina. I pazienti sottoposti a trattamento a lungo termine con metotrexato (in genere per psoriasi o per artrite reumatoide) possono sviluppare un insidioso danno progressivo da cicatrizzazione epatica; i test di funzionalità epatica sono generalmente poco significativi, e per la diagnosi è necessaria la biopsia epatica. Anche se la fibrosi da metotrexato è raramente importante dal punto di vista clinico, la maggior parte degli esperti raccomanda la biopsia quando la dose cumulativa del farmaco raggiunge i 1,5-2,0 g e, occasionalmente, nel tempo. Gli arsenicali possono indurre una fibrosi epatica non cirrotica con ipertensione portale, mentre una cicatrizzazione cronica del fegato si verifica, a volte, anche in individui sani, fanatici consumatori di enormi quantità di vitamina A o di niacina. In molti paesi tropicali e subtropicali, le epatopatie croniche e il carcinoma epatocellulare sono causati dall'ingestione di cibi contenenti dei metaboliti fungini, noti come aflatossine. Oltre che alla colestasi (v. sopra), considerevoli evidenze associano l'uso dei contraccettivi orali all'occasionale sviluppo di adenomi epatici benigni e, molto raramente, di carcinomi epatocellulari (v. Carcinoma epatico primitivo nel Cap. 47). Anche l'iperplasia focale nodulare, una lesione amartomatosa simile a un adenoma, può aumentare sotto l'influenza dei contraccettivi orali, anche se l'associazione non sembra causale. Gli adenomi e l'iperplasia focale nodulare decorrono spesso in forma subclinica, ma possono manifestarsi con un'improvvisa rottura ed emorragia intraperitoneale che richiedono una laparotomia di emergenza. Nelle donne che fanno uso di contraccettivi può anche svilupparsi una trombosi delle vene sovraepatiche, con sindrome di BuddChiari, come effetto di una più generale trombofilia. Questi farmaci aumentano anche la litogenicità della bile, causando un aumento nell'incidenza della colelitiasi.

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO CARCINOMA EPATICO PRIMITIVO Il più comune tipo di carcinoma epatico primitivo è il carcinoma epatocellulare. Il carcinoma fibrolamellare, il colangiocarcinoma, l'epatoblastoma e l'angiosarcoma sono poco frequenti, se non addirittura rari.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO L'interazione tra i farmaci e il fegato può essere così distinta: (1) metabolismo epatico dei farmaci; (2) effetti delle epatopatie sul metabolismo dei farmaci; (3) epatotossicità dei farmaci.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO METABOLISMO DEI FARMACI (v. anche Eliminazione nel Cap. 298) Il fegato svolge un ruolo centrale nel metabolismo della maggior parte dei farmaci che richiedono di solito una biotrasformazione per la loro attivazione farmacologica o per l'escrezione. In genere, il metabolismo avviene in 2 fasi. Le reazioni della fase I convertono il farmaco originario in un metabolita mediante l'ossidazione, la riduzione o l'idrolisi. Le reazioni della fase II creano un prodotto secretorio polare accoppiando il farmaco o il metabolita a un substrato endogeno (p. es., glucuronide, solfato). L'ossidazione in fase I avviene principalmente attraverso il sistema delle mono-ossigenasi epatiche (funzioni miste di ossidazione), un complesso sistema enzimatico microsomiale che ruota intorno alla proteina dell'eme, il citocromo P-450. Questo sistema è controllato geneticamente ed è molto sensibile all'induzione (stimolazione) o all'inibizione da parte di numerosi fattori (p. es., farmaci, insetticidi, erbicidi, fumo, caffeina). Perciò, il metabolismo epatico dei farmaci negli individui sani è molto variabile. Molti farmaci stimolano il loro stesso catabolismo attraverso l'induzione del P450. Poiché l'effetto è di solito aspecifico, viene incrementata anche la trasformazione di altri farmaci con conseguenze potenzialmente importanti; p. es., un soggetto sottoposto contemporaneamente a terapia con anticoagulanti orali e con fenobarbitale può andare incontro a un'emorragia improvvisa se il secondo farmaco, che è un potente induttore enzimatico, viene sospeso. Anche l'etanolo si comporta come un farmaco induttore, con il ben noto risultato della tolleranza che gli alcolisti mostrano nei confronti dei sedativi e di altri farmaci. Per contro, alcuni farmaci (p. es., la cimetidina, il chetoconazolo) inibiscono l'attività del P-450 diminuendo così il metabolismo epatico di altri farmaci. La biodisponibilità di un farmaco è controllata anche dalla capacità del fegato a rimuoverlo dalla circolazione. Ciò dipende sia dal flusso ematico epatico sia dall'efficienza degli epatociti a rimuovere il farmaco (tasso di estrazione). Se quest'ultimo è molto alto, la clearance del farmaco dipende principalmente dal flusso ematico del fegato (p. es., propranololo, lidocaina), mentre il flusso ha un'importanza relativamente modesta per i farmaci rimossi più lentamente (p. es., teofillina, warfarin, diazepam). Comunque, per la maggior parte dei farmaci la rimozione è intermedia, poiché risente delle variazioni sia del flusso epatico che della capacità di estrazione.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO EFFETTI DELL'EPATOPATIA SUL METABOLISMO DEI FARMACI L'epatopatia può avere complessi effetti sulla rimozione, la biotrasformazione e la farmacocinetica dei farmaci. I fattori patogenetici comprendono le alterazioni dell'assorbimento, della capacità di legame proteico nel plasma, dell'intrinseca capacità di estrazione e clearance epatica, del flusso ematico del fegato e della presenza di shunt vascolari, dell'escrezione biliare, della circolazione enteroepatica e della clearance renale. I risultati complessivi su ogni singolo farmaco sono imprevedibili e non sono ben correlati con il tipo di malattia, con la sua gravità o con i test di funzionalità epatica. Pertanto, non si possono utilizzare regole generali per modificare le dosi dei farmaci nel paziente affetto da un'epatopatia. Si possono verificare anche modificazioni della farmacodinamica, specialmente nelle epatopatie croniche; p. es., la sensibilità cerebrale ai narcotici e ai sedativi è spesso aumentata. Quindi, dosi apparentemente piccole nei pazienti cirrotici possono aggravare l'encefalopatia. Il meccanismo di questo effetto è poco chiaro, ma probabilmente coinvolge l'alterazione dei recettori cerebrali dei farmaci.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO EPATOTOSSICITÀ CAUSATA DA FARMACI I farmaci sono un'importante causa di danno epatico. I meccanismi sono variabili, complessi e, nella maggior parte dei casi, poco compresi. Alcuni farmaci hanno un effetto tossico diretto, con un danno generalmente prevedibile, correlato alla dose e caratteristico per ogni farmaco. Altri farmaci producono, invece, un danno solo di rado e in soggetti predisposti; il danno è generalmente imprevedibile e non dose-dipendente. Anche se questa suscettibilità è in genere definita come "ipersensibilità", mancano le prove che si tratti di una vera reazione allergica ed è, quindi, da preferire il termine di idiosincrasia. La distinzione tra tossicità diretta e idiosincrasia è meno chiara di quanto si ritenesse in passato; p. es., in pazienti predisposti, alcuni farmaci considerati precedentemente come allergeni sembrano indurre un danno diretto delle membrane cellulari attraverso l'azione di metaboliti intermedi tossici. Nessuna classificazione del danno epatico causato dai farmaci è completamente soddisfacente. La maggior parte dei casi acuti può essere suddivisa in reazioni epatocellulari, colestatiche (con o senza infiammazione) e di tipo eterogeneo. Alcuni farmaci possono causare un danno cronico, comprese le neoplasie. Nell'emolisi indotta dai farmaci con iperbilirubinemia di tipo non coniugato, si può verificare un ittero lieve, ma senza un vero danno epatico e con normali esami di funzionalità epatica.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO EPATOTOSSICITÀ CAUSATA DA FARMACI NECROSI EPATOCELLULARE La necrosi epatocellulare è concettualmente divisa in tossica diretta e idiosincrasica, anche se questa distinzione può essere artificiosa. Forma da tossicità diretta: la maggior parte delle epatotossine ad azione diretta produce una necrosi epatica dose-correlata, spesso con effetti anche su altri organi (p. es., i reni). Il danno può presentarsi in varie forme; p. es., il tetracloruro di carbonio e gli idrocarburi correlati causano una grave necrosi nella zona 3 (centrozonale) e una degenerazione grassa; il fosforo induce primariamente un danno nella zona 1 (periportale); l'ingestione di funghi delle varie specie di Amanita causa una necrosi emorragica fatale; la tetraciclina ad alte dosi EV, in special modo durante la gravidanza, produce una diffusa infiltrazione grassa a piccole gocce, con un quadro clinico che ricorda quello dell'epatite. Il sovradosaggio acuto dell'analgesico non narcotico acetaminofene è diventato un'importante causa di insufficienza epatica fulminante (v. anche Avvelenamento da paracetamolo nel Cap. 263). Dosi superiori ai 10-15 gg o di 4 g/die per parecchi giorni in un adulto causano una deplezione epatica di glutatione, che normalmente inattiva i farmaci legando i metaboliti intermedi potenzialmente tossici. Quando questo meccanismo è saturo, i metaboliti intermedi che rimangono liberi si legano a macromolecole epatiche e producono una necrosi, principalmente nella zona 3 del lobulo; i danni microvascolari sembrano essere un importante meccanismo precoce della lesione. Il danno epatico spesso non è evidente fino a 2-5 gg dopo l'ingestione di acetaminofene, allorché si sviluppa l'evidenza clinica e biochimica di una necrosi epatocellulare acuta. La mortalità aumenta quando la dose supera i 25 giorni; negli alcolisti, dosi molto più piccole possono essere fatali per l'induzione del P450 da parte dell'etanolo che aumenta la formazione di metaboliti tossici intermedi, insieme al deficit alimentare del glutatione. L'acetilcisteina, che ripristina i depositi di glutatione, previene la necrosi epatica e può salvare la vita del paziente qualora la terapia inizi entro 10-12 h dall'avvelenamento; un ritardo di oltre 16-20 h rende molto meno efficace il trattamento. L'acetilcisteina non è tossica e può essere somministrata PO (140 mg/kg seguiti da 70 mg/kg q 4 h per 3 gg) o EV (300 mg/kg in 20 h, con il 50% della dose somministrata nei primi 15 min). Recenti evidenze riconoscono il ruolo causale dell'acetaminofene anche nelle lesioni epatiche croniche. Forma idiosincrasica: i farmaci possono produrre una necrosi epatocellulare acuta, indistinguibile dall'epatite virale dal punto di vista clinico, biochimico e istologico. Questo tipo di reazione sembra essere diverso da quello sopra citato di necrosi tossica ed è generalmente considerato idiosincrasico; comunque, il meccanismo è poco chiaro e probabilmente varia da farmaco a farmaco. Gli agenti lesivi sono numerosi e comprendono l'isoniazide, la metildopa, gli inibitori delle monoaminossidasi, l'indometacina, il propiltiouracile, la fenitoina, il diclofenac e l'anestetico alotano. Di questi, l'isoniazide e l'alotano sono quelli studiati più a fondo. L'isoniazide causa un'elevazione, lieve e in genere transitoria, delle aminotransferasi in circa il 20% dei pazienti. L'epatite franca si verifica nel'1-2% dei casi e può essere fatale. I soggetti con più di 35 anni e quelli che assumono

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Farmaci e fegato

anche rifampicina sembrano essere i più suscettibili; sebbene l'incidenza dell'epatotossicità sembra sia maggiore con gli acetilatori lenti, il ruolo dello stato di acetilatore è ancora dibattuto. A differenza della maggior parte delle epatiti da farmaci che si manifestano entro alcune settimane dall'inizio dell'assunzione del farmaco, il danno causato dall'isoniazide può comparire anche dopo un anno e quindi la connessione causale può sfuggire. Se non si interrompe la somministrazione del farmaco, si possono sviluppare un'epatite cronica attiva e la cirrosi. È ancora incerto se il danno sia causato da un meccanismo di ipersensibilità o dai metaboliti epatotossici, ma la maggior parte delle evidenze depone per questa seconda ipotesi (v. anche la trattazione degli effetti tossici dell'isoniazide in Profilassi e trattamento della Tubercolosi nel Cap. 157). La rara epatite indotta da alotano tende a verificarsi dopo una ripetuta esposizione all'anestetico, a intervalli relativamente brevi; una febbre inspiegabile nel postoperatorio, dopo l'esposizione, può costituire un segnale d'allarme. Il meccanismo del danno non è chiaro; possono svolgere un ruolo rilevante la formazione di composti intermedi tossici, l'ipossia cellulare, la perossidazione dei lipidi e i disturbi immunologici. L'obesità sembra essere un fattore di rischio, probabilmente perché i metaboliti dell'alotano si accumulano nel tessuto adiposo. Solitamente l'epatite si sviluppa da alcuni gg a 2 sett. dopo l'esposizione, è preannunciata da febbre ed è spesso grave. Nel distinguerla dall'epatite virale post-trasfusionale vengono in aiuto il più breve periodo di latenza, la negatività dei test sierologici per le epatiti B e C, la presenza occasionale di un'eosinofilia o di un rash cutaneo e, a volte, lievi differenze istologiche. La mortalità è elevata, ma in genere i sopravvissuti guariscono completamente. Il metossiflurano e l'enflurano, anestetici dello stesso gruppo, possono produrre la stessa sindrome.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO EPATOTOSSICITÀ CAUSATA DA FARMACI COLESTASI Diversi farmaci possono produrre un danno eminentemente colestatico. Abitualmente, la patogenesi è poco chiara, ma ci sono almeno 2 forme clinicamente distinte indotte dalla fenotiazina e dagli steroidi: la colestasi da fenotiazina è una reazione infiammatoria periportale, spesso associata a un brusco esordio clinico, a febbre e a elevati livelli delle aminotransferasi e della fosfatasi alcalina. La differenziazione dall'ostruzione extraepatica può essere difficile persino con la biopsia epatica. Il danno sembra dovuto a un'idiosincrasia e in alcuni casi si verificano l'eosinofilia e gli altri segni caratteristici delle reazioni da ipersensibilità. Altri rilievi, comunque, depongono per un'azione tossica diretta sui canalicoli epatici, forse attraverso un'interferenza con l'ATPasi di membrana. Questo tipo di colestasi si verifica in circa l'1% dei pazienti trattati con clorpromazina e meno frequentemente in quelli trattati con altre fenotiazine. In genere si ha una risoluzione completa quando il farmaco viene sospeso, anche se raramente si può verificare la progressione verso una malattia simile alla cirrosi biliare cronica, nonostante la sospensione. Un quadro clinico simile può essere prodotto dagli antidepressivi triciclici, dal clorpropamide, dal fenilbutazone, dall'estolato di eritromicina e da molti altri farmaci; non è stata chiaramente accertata la possibilità di una progressione fino al danno epatico cronico per queste sostanze. La colestasi da steroidi è una reazione colestatica pura, con un'infiammazione epatocellulare scarsa o inesistente. È frequente l'insorgenza graduale della colestasi non accompagnata da sintomi sistemici. La fosfatasi alcalina è elevata, ma i livelli delle aminotransferasi sono in genere poco espressivi e la biopsia del fegato dimostra solamente una stasi centrozonale di bile con scarsa reazione portale o sovvertimento epatocellulare. La sospensione del farmaco permette una risoluzione completa. Questo tipo di colestasi è prodotto dai contraccettivi orali, dal metiltestosterone e dai farmaci correlati, la maggior parte dei quali è costituita da steroidi C-17 alchilati. Circa l'1-2% delle donne che assume contraccettivi orali sviluppa questa sindrome; queste percentuali sono diverse nelle varie parti del mondo, forse a causa di fattori genetici. La reazione sembra dovuta a un'esasperazione degli effetti fisiologici degli ormoni sessuali sulla formazione di bile, piuttosto che a un'ipersensibilità immunologica o a una citotossicità di membrana. L'interferenza con il flusso canalicolare, con la disfunzione dei microfilamenti e con l'alterata fluidità di membrana può contribuire al danno, ma l'esatto meccanismo che sta alla base della colestasi è incerto. La colestasi da steroidi è strettamente correlata alla colestasi della gravidanza (v. Malattie epatiche nel Cap. 251). Le donne che sviluppano una colestasi della gravidanza, possono sviluppare successivamente una colestasi, in seguito all'uso di contraccettivi orali; similmente, le donne che sviluppano una colestasi da contraccettivi orali possono in seguito sviluppare una colestasi gravidica.

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Farmaci e fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 43. FARMACI E FEGATO EPATOTOSSICITÀ CAUSATA DA FARMACI REAZIONI DI VARIO TIPO Alcuni farmaci (p. es., l'acido aminosalicilico, le sulfonammidi, diversi altri antibiotici, la chinidina, l'allopurinolo, l'acido valproico, l'aspirina) causano forme miste di disfunzione epatica, una reazione granulomatosa o varie lesioni epatiche difficili da classificare. Non di rado, la lovastatina e i farmaci correlati alla regolazione del colesterolo producono delle elevazioni subcliniche delle aminotransferasi, anche se le lesioni epatiche maggiori sono rare. Anche molti farmaci antineoplastici causano un danno epatico con meccanismi variabili.

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Epatopatie postoperatorie

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 44. EPATOPATIE POSTOPERATORIE Lievi alterazioni della funzionalità epatica possono manifestarsi dopo interventi chirurgici maggiori e sono legate agli effetti, ancora poco conosciuti, degli anestetici e dello stress operatorio. I pazienti con un'epatopatia ben compensata (p. es., una cirrosi inattiva) generalmente tollerano bene gli interventi chirurgici. Tuttavia, i pazienti con un'epatopatia preesistente possono avere dopo l'intervento un peggioramento dell'insufficienza epatica; p. es., la laparotomia può precipitare un'insufficienza epatica acuta in un paziente affetto da epatite virale o alcolica. Nei pazienti senza una preesistente epatopatia, l'ittero postoperatorio può assumere diverse forme. La più frequente è un'iperbilirubinemia mista multifattoriale, dovuta a una complessa interazione tra l'aumentato carico di bilirubina e la ridotta clearance epatica. Ciò si verifica, in genere, dopo interventi chirurgici maggiori o dopo traumi che richiedono numerose trasfusioni. L'emolisi, la sepsi, il riassorbimento degli ematomi e le trasfusioni di sangue possono contribuire a un aumento della produzione del pigmento; simultaneamente, l'ipossiemia, l'insufficienza circolatoria e altri fattori scarsamente compresi condizionano la funzione epatica. Il risultato è variabile, ma spesso si verifica un grave ittero con innalzamento delle aminotransferasi e della fosfatasi alcalina. Un'insufficienza epatica conclamata è rara e la sindrome si risolve, di solito lentamente, ma completamente. Un'ipotensione transitoria durante l'anestesia o a causa di uno shock perioperatorio può causare una necrosi epatica acuta della zona 3 (centrozonale), evidenziata da un rapido e notevole aumento dei livelli delle aminotransferasi (spesso > 1000 U/l). L'ittero è, di solito, lieve. Questa cosiddetta epatite ischemica riflette una lesione ipossica e non una necrosi infiammatoria e generalmente si risolve entro alcuni giorni, a meno che non siano presenti dei fattori complicanti. La vera epatite postoperatoria solitamente è dovuta a una trasmissione virale, specialmente del virus dell'epatite C, attraverso le trasfusioni, e deve essere differenziata dalle malattie citate prima. Queste ultime, di solito, raggiungono l'acme entro alcuni gg dall'intervento, mentre l'epatite C si sviluppa dopo 2 sett. Fino a poco tempo fa, l'epatite virale postoperatoria era più frequente di quanto si pensasse, in quanto, nella maggior parte dei casi, sub-clinica o anitterica. Lo screening di routine dei donatori di sangue per l'epatite C ha drasticamente diminuito questo rischio. Anche gli anestetici contenenti alotano o sostanze correlate possono causare un'epatite postoperatoria, e devono essere considerati come agenti causali se l'epatite si sviluppa entro 10 gg dall'intervento, specialmente se preceduta da una febbre inspiegabile (v. Cap. 43). Le reazioni colestatiche sono frequentemente causate da un'ostruzione biliare dovuta a complicanze intra-addominali o a farmaci somministrati nel postoperatorio. Occasionalmente, si sviluppa una colestasi intraepatica nei pazienti che sono stati sottoposti a interventi chirurgici maggiori, specialmente addominali o cardiovascolari (colestasi intraepatica benigna postoperatoria). La patogenesi è sconosciuta, ma solitamente la malattia si risolve lentamente senza trattamento; l'ecografia è utile nel differenziarla dall'ostruzione meccanica. Occasionalmente, un ittero colestatico postoperatorio è causato da una colecistite acuta alitiasica o da una pancreatite acuta. I pazienti trattati per un prolungato periodo di tempo con la nutrizione parenterale totale (NPT), possono sviluppare nel periodo postoperatorio una sindrome colestatica progressiva, solitamente con una componente di flogosi file:///F|/sito/merck/sez04/0440423.html (1 of 2)02/09/2004 3.02.47

Epatopatie postoperatorie

epatocellulare (colestasi da NPT). Questa sindrome viene osservata raramente prima di 3 sett. di NPT, ma il rischio aumenta con la durata della terapia; i lattanti sono particolarmente suscettibili. Nonostante le intense ricerche, la patogenesi è ancora incerta. La biopsia epatica solitamente mostra un aspetto misto, non specifico, di infiammazione-colestasi, talvolta con una fibrosi progressiva. La sindrome regredisce con la sospensione della NPT, ma può anche condurre a un'insufficienza epatica o a una fibrosi irreversibile.

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Granulomi epatici

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 45. GRANULOMI EPATICI Epatopatia infiltrativa multifattoriale con o senza infiammazione e fibrosi.

Sommario: Introduzione Eziologia Fisiopatologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Nonostante i granulomi epatici siano spesso definiti epatite granulomatosa, non rappresentano una vera epatite. Si osservano in circa il 3-10% delle biopsie epatiche. I granulomi possono essere dei reperti incidentali privi di significato, ma più spesso rispecchiano una malattia clinica rilevante, solitamente un'affezione sistemica piuttosto che un'epatopatia primaria.

Eziologia Vi sono molte cause per i granulomi epatici. Le malattie infettive sono quelle più importanti: batteriche (p. es., la TBC e altre infezioni microbatteriche, la brucellosi, la tularemia, l'actinomicosi, la febbre da graffio di gatto); fungine (p. es., l'istoplasmosi, la criptococcosi, la blastomicosi); parassitarie (p. es., la schistosomiasi, che è la causa più importante dei granulomi a livello mondiale; la toxoplasmosi; la larva migrans viscerale); virali, che sono le meno frequenti (p. es., la mononucleosi infettiva, il citomegalovirus); da rickettsie (p. es., la febbre Q) e molte altre (p. es., la sifilide). La sarcoidosi rappresenta la più importante causa non infettiva; l'interessamento epatico si verifica in circa i 2/3 dei pazienti con sarcoidosi e occasionalmente è la manifestazione clinica dominante. Diversi farmaci ne possono essere responsabili (p. es., la chinidina, i sulfamidici, l'allopurinolo, il fenilbutazone). I granulomi epatici si possono osservare anche nella polimialgia reumatica e in altre collagenopatie vascolari; nel morbo di Hodgkin, talvolta senza alcuna altra evidenza morfologica del linfoma e in molte altre condizioni sistemiche. I granulomi sono meno comuni nelle epatopatie primarie. Di queste, la cirrosi biliare primitiva rappresenta la sola causa importante; i granulomi periportali sono tipici in questa malattia, specialmente negli stadi iniziali, e sono in genere accompagnati da altri caratteristici aspetti istologici. Occasionalmente, si osservano dei piccoli granulomi in altre epatopatie, più frequentemente associati a gocce di grasso (lipogranulomi), ma non hanno alcun significato clinico. In molti casi non si riesce a stabilire l'eziologia. Alcuni pazienti presentano febbre ricorrente, mialgie, affaticamento e altri sintomi sistemici che spesso recidivano in maniera intermittente per anni. È ancora dibattuto se questa epatite granulomatosa idiopatica costituisca una sindrome specifica o una variante della sarcoidosi.

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Granulomi epatici

Fisiopatologia La formazione del granuloma non è completamente compresa. Le lesioni vengono considerate come un tentativo di protezione dell'ospite verso agenti irritanti endogeni o esogeni scarsamente solubili. I meccanismi immunologici convertono le cellule del sistema fagocitario mononucleare in una tipica raccolta di cellule epitelioidi che costituiscono un granuloma; si ritiene che le cellule giganti multinucleate derivino dalla fusione dei macrofagi. Nel fegato, i granulomi spesso stimolano una reazione epatocellulare minima, talvolta, assente, e sono semplicemente un indizio morfologico del processo sistemico che ne è alla base; l'epatopatia non è clinicamente apparente e la funzionalità epatica è ben conservata. Comunque, quando i granulomi sono parte di una reazione infiammatoria più ampia che interessa il fegato (p. es., una reazione ai farmaci, la mononucleosi infettiva), solitamente sono presenti le evidenze cliniche e biochimiche della disfunzione epatocellulare. Talvolta, si osserva una risposta infiammatoria aggressiva intorno ai granulomi che porta a una progressiva fibrosi epatica e all'ipertensione portale. Questo è tipico della schistosomiasi e talvolta si verifica nelle estese infiltrazioni sarcoidosiche.

Sintomi e segni Le caratteristiche cliniche rispecchiano l'eziologia che ne è alla base. I granulomi di per sé sono generalmente asintomatici; anche nel caso di un'estesa infiltrazione causano, in genere, soltanto una modesta epatomegalia e un ittero lieve, quando presente. Le usuali manifestazioni iniziali dell'eziologia infettiva sono la febbre, il malessere e gli altri sintomi sistemici; una FUO prolungata è particolarmente comune nella TBC e nelle infezioni fungine. L'anamnesi è fondamentale per stabilire l'eziologia farmacologica. Varie caratteristiche sistemiche possono indicare una sarcoidosi, una collagenopatia vascolare, un linfoma e le altre cause. Di solito mancano i segni di un'epatopatia primaria e l'epatosplenomegalia è solitamente modesta o assente, tranne che nella schistosomiasi.

Diagnosi Nella maggior parte dei casi, gli esami della funzionalità epatica sono solo leggermente alterati, di solito con un aumento sproporzionato della fosfatasi alcalina. La bilirubinemia è generalmente normale, o solo leggermente aumentata, a meno che non coesista un danno epatocellulare. I valori degli enzimi possono simulare un'epatite virale se si verifica un'estesa necrosi epatocellulare (p. es., nella mononucleosi infettiva o nelle reazioni da farmaci). Una reazione preminentemente colestatica, specialmente se di lunga durata, indica una cirrosi biliare primitiva. Altre anomalie di laboratorio dipendono dalla causa specifica. La biopsia epatica è essenziale per la diagnosi e deve essere presa in considerazione ogni volta che si sospetta un'affezione granulomatosa sistemica, anche in assenza di un interessamento epatico evidente. La biopsia dimostra i granulomi e può fornire la prova istologica dell'eziologia specifica (p. es., le uova di schistosoma, il caseum della TBC, gli organismi fungini, la cirrosi biliare primitiva). Comunque, l'aspetto morfologico spesso non è specifico e la diagnosi deve essere ricercata con studi appropriati (p. es., esami colturali, test cutanei, studi rx e di laboratorio e altri esami tissutali). È importante accertare l'eziologia infettiva, specialmente nei pazienti con una FUO, anche se spesso è molto difficile. Una parte del campione bioptico a fresco va sottoposto a esame colturale; talvolta la causa viene dimostrata con le colorazioni speciali per i bacilli acido-resistenti, i funghi e gli altri microrganismi, anche se i risultati negativi non file:///F|/sito/merck/sez04/0450424.html (2 of 3)02/09/2004 3.02.49

Granulomi epatici

escludono l'eziologia infettiva.

Prognosi e terapia I granulomi epatici, a eziologia infettiva o da farmaci, regrediscono completamente dopo un'appropriata terapia. I granulomi della sarcoidosi possono scomparire spontaneamente o persistere per anni, solitamente senza un'importante epatopatia clinica, ma occasionalmente si possono sviluppare una fibrosi progressiva e l'ipertensione portale (cirrosi sarcoidale). Nella schistosomiasi, una progressiva cicatrizzazione portale è la regola (cirrosi parassitaria); la funzione epatica solitamente viene conservata, ma l'ipertensione portale ingravescente conduce a una marcata splenomegalia e al rischio di emorragie da varici esofagee. Il trattamento dipende dalla causa di base. In mancanza di una diagnosi eziologica, generalmente è meglio osservare il paziente piuttosto che trattarlo alla cieca con antibiotici o con altre terapie. La terapia antitubercolare può essere giustificata in un paziente con una febbre prolungata, con un quadro clinico compatibile con tale malattia e con un decorso sistemico sfavorevole. I pazienti con una sarcoidosi epatica progressiva possono trarre beneficio dalla terapia con corticosteroidi, sebbene non sia chiaro se questi farmaci possano prevenire la fibrosi epatica; i corticosteroidi non sono indicati nella maggior parte dei pazienti con sarcoidosi e devono essere somministrati soltanto se possono essere escluse con certezza la TBC e le altre malattie infettive. I corticosteroidi solitamente fanno regredire la febbre ricorrente nei pazienti con la sindrome dell'epatite granulomatosa idiopatica.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

Lesioni dell'arteria epatica Le anomalie congenite dell'arteria epatica sono frequenti. Le principali varianti sono la sostituzione dell'arteria epatica di destra o di sinistra, un'arteria epatica destra o sinistra accessorie o un'arteria epatica comune che origina dall'arteria mesenterica superiore. Di solito non sono clinicamente significative, ma possono essere importanti per il chirurgo e interessanti per il radiologo vascolare. L'occlusione dell'arteria epatica è rara, ma può essere causata da una trombosi, da un'embolia, da un trauma addominale o da una legatura chirurgica. L'occlusione può causare un infarto ischemico del fegato, ma le conseguenze cliniche non sono prevedibili a causa della variabilità individuale della vascolarizzazione del fegato e dell'entità del circolo collaterale. La trombosi è generalmente causata da un'arterite. Circa il 60% dei casi di poliarterite nodosa coinvolge l'arteria epatica e le sue branche e l'occlusione trombotica porta all'infarto epatico nel 15% dei casi. La trombosi dell'arteria epatica può anche complicare una lesione traumatica, il trapianto di fegato o la perfusione angiografica del fegato con farmaci antitumorali. L'infarto epatico si può verificare, senza trombosi, nello shock, nell'insufficienza congestizia o nella tossiemia della gravidanza. Gli aneurismi dell'arteria epatica non sono rari. Solitamente sono sacciformi e multipli e si presentano con dolore addominale, ittero ed emobilia. Quando raggiungono dimensioni notevoli, possono causare un'ostruzione meccanica extraepatica della via biliare. Se non vengono trattati, fino al 75% degli aneurismi dell'arteria epatica si rompe nel dotto epatico comune, nel peritoneo (causando un addome acuto) o nei visceri cavi adiacenti, con un'elevata mortalità. Le lesioni, solitamente, sono secondarie a un'infezione, all'arteriosclerosi, a traumi o alla poliarterite nodosa. Gli aneurismi sono diagnosticati mediante la TC con mezzo di contrasto e mediante l'arteriografia. Quando identificati, devono essere embolizzati per via angiografica; se questo approccio fallisce, è necessaria la legatura chirurgica dell'arteria epatica.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

LESIONI DELLE VENE SOVRAEPATICHE MALATTIA VENO-OCCLUSIVA Una lesione obliterativa delle venule epatiche e dei piccoli collaterali venosi, ma non dei rami maggiori delle vene sovraepatiche. La patologia veno-occlusiva causa una necrosi ischemica, una congestione e la cirrosi. La lesione delle venule epatiche è causata dagli alcaloidi della pirrolizidina prodotti dalle piante di Crotalaria e di Senecio contenute nei cespugli del tè (p. es., i tè alle erbe fatti con gli arbusti nativi di un'area; p. es., delle Indie Occidentali), da altre epatotossine (dimetilnitrosamina, aflatossina, azatioprina e altri farmaci antineoplastici), dalle radiazioni o come parte di una reazione immunologica del trapianto verso l'ospite. La malattia veno-occlusiva si presenta acutamente, con un'ascite a insorgenza improvvisa e un'epatomegalia dolente e a superficie liscia. Il paziente può guarire spontaneamente o morire per un'insufficienza epatica acuta o presentare un'ascite ricorrente, un quadro di ipertensione portale e alla fine una cirrosi. Non c'è terapia specifica, a parte la sospensione di qualsiasi tossina lesiva. Il trattamento dell'ipertensione portale associata è simile a quello della sindrome di Budd-Chiari.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

LESIONI DELLA VENA PORTA Le anomalie congenite della vena porta (p. es., l'atresia) sono causate da un'anomala occlusione delle vene vitelline e delle loro anastomosi ventrali. La trasformazione cavernomatosa della vena porta, che si sviluppa precocemente dopo la nascita, è causata dalla trombosi post-partum dovuta all'onfalite, seguita dalla ricanalizzazione e dalla formazione di nuovi canali. Gli aneurismi della vena porta sono estremamente rari. L'iperplasia nodulare rigenerativa è una malattia rara in cui foci di cellule epatiche iperplastiche sono presenti in tutto il fegato, in associazione al quadro di ipertensione portale. Questi noduli di cellule epatiche rigenerate sono presumibilmente dovuti a una vasculite e causano una lesione ischemica e la compressione delle vene centrali. L'iperplasia nodulare rigenerativa è associata alla RA, alle malattie mieloproliferative, all'uso di steroidi anabolici, al trapianto di rene e all'insufficienza cardiaca. L'aspetto clinico dominante è l'ipertensione portale.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

LESIONI DELLA VENA PORTA TROMBOSI DELLA VENA PORTA

Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi e terapia

La trombosi della vena porta (Portal Vein Thrombosis, PVT) si può manifestare in qualsiasi punto del suo decorso. Anche se l'eziologia può essere identificata in meno del 50% dei pazienti, la PVT può essere associata a infezioni locali o sistemiche (p. es., pileflebite suppurativa, colangite, linfadenite suppurativa dei linfonodi adiacenti, pancreatiti, ascesso epatico). La PVT si verifica nel 10% dei pazienti con cirrosi e spesso si associa a un carcinoma epatocellulare. La PVT può complicare la gravidanza (specialmente l'eclampsia) e le condizioni che provocano una stasi nella vena porta (p. es., ostruzione delle vene sovraepatiche, insufficienza cardiaca cronica, pericardite costrittiva). L'estensione alla vena porta di neoplasie gastriche, pancreatiche o di altro tipo può condurre alla PVT. Come nella sindrome di Budd-Chiari, la PVT è causata anche dalle condizioni ematologiche responsabili di una trombofilia. Può, infine, essere una complicanza della chirurgia epato-biliare o di una splenectomia.

Sintomi e segni Gli effetti della PVT dipendono dalla localizzazione e dall'estensione della trombosi, da quanto rapidamente questa si sviluppa e dalla natura dell'epatopatia di base. La PVT può causare un infarto del fegato o un'atrofia segmentaria. Se associata a trombosi della vena mesenterica, può essere potenzialmente letale. In circa 1/3 dei pazienti, in cui la PVT si instaura lentamente, si formano dei circoli collaterali e, nel tempo, si ricanalizza la vena porta (trasformazione cavernomatosa della vena porta). Nonostante ciò, ne deriva un'ipertensione portale. La disidratazione e i diversi eventi infiammatori possono causare una PVT nei neonati, ma l'ipertensione portale può non manifestarsi fino alla tarda fanciullezza, in base allo sviluppo dei circoli collaterali. L'aspetto clinico predominante della PVT può dipendere dalla malattia di base (p. es., il carcinoma epatocellulare), ma spesso la patologia esordisce con un'emorragia da varici esofagee. Le emorragie recidivanti vengono in genere ben tollerate perché la funzione epatocellulare è spesso normale. La splenomegalia è caratteristica, specialmente nei bambini. Non c'è una particolare tendenza all'ascite.

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Lesioni vascolari

Diagnosi e terapia La PVT deve essere sospettata quando è presente un'ipertensione portale e la biopsia epatica è normale. L'ecografia o la TC sono utili, ma la diagnosi deve essere fatta con l'angiografia (p. es., la splenoportografia, la fase venosa di un'arteriografia dell'arteria mesenterica superiore) o con la RMN. Nella PVT acuta, l'anticoagulazione è di solito tardiva (perché il coagulo si è già organizzato), anche se può prevenire la propagazione del trombo. Il trattamento deve essere conservativo nei casi cronici. La sclerosi endoscopica delle varici esofagee è la terapia definitiva di prima scelta. La decompressione chirurgica del sistema portale è problematica, perché frequentemente non ci sono vene utilizzabili per una shunt appropriato. Se la vena splenica è pervia, lo shunt spleno-renale distale rappresenta il trattamento di scelta. Se anche questo fallisce, si deve eseguire uno shunt mesocavale. Dal momento che le vene di piccolo calibro favoriscono la trombosi dello shunt, questo tipo di intervento deve essere ritardato il più possibile nel bambino.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

LESIONI DEI SINUSOIDI EPATICI La dilatazione dei sinusoidi si verifica nello scompenso cardiaco destro e può essere accentuata dall'uso degli steroidi anabolizzanti. La peliosi epatica è rara ed è caratterizzata dalla presenza di piccoli spazi cistici ripieni di sangue, distribuiti in maniera irregolare nel parenchima epatico. Il meccanismo può essere rappresentato da un indebolimento primario dell'endotelio sinusoidale o da una necrosi focale degli epatociti. La peliosi epatica è associata all'uso di aziatoprina, steroidi androgeni anabolizzanti e contraccettivi orali. È solitamente asintomatica e viene diagnosticata incidentalmente, anche se le lesioni possono andare incontro alla rottura.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

DISORDINI ASSOCIATI A MALATTIE SISTEMICHE INSUFFICIENZA CIRCOLATORIA Nello scompenso cardiaco acuto e nello shock, le alterazioni ischemiche del fegato sono frequenti. Il segno più precoce può essere l'aumento delle transaminasi, fino a livelli suggestivi di un'epatite acuta (chiamata talvolta epatite ischemica). I reperti istologici sono la congestione e la necrosi degli epatociti nella zona 3 (centrale). L'infiammazione è, in genere, modesta e l'architettura lobulare è conservata. Il collasso circolatorio o l'insufficienza congestizia sono gli aspetti clinici predominanti. Nell'insufficienza cardiaca cronica il fegato è, in genere, di consistenza molto aumentata. Al taglio si nota un aspetto a noce moscata causato dalla coesistenza di aree congeste e scure a livello della zona 3, intervallate ad aree pallide, a volte grassose, a livello della zona 1 (periportale). La fibrosi è frequente, ma la cirrosi è rara. La sua patogenesi richiede episodi prolungati e ripetuti di scompenso cardiaco. Si osservano congestione e scomparsa degli epatociti. Nei casi gravi si sviluppa un collegamento delle aree necrotiche nella zona 3. La terapia è diretta al trattamento della patologia cardiaca di base.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

DISORDINI ASSOCIATI A MALATTIE SISTEMICHE ANEMIA A CELLULE FALCIFORMI Il danno epatico causato da un alterato flusso ematico sinusoidale è frequente nell'anemia a cellule falciformi (v. Anemie causate da difettosa sintesi emoglobinica nel Cap. 127). I trombi ostruiscono i sinusoidi, specialmente nella zona 3, e portano alla congestione sinusoidale e alla necrosi focale. Anche se fondamentalmente si tratta di una lesione ischemica, la sua presentazione clinica può mimare un'epatite acuta virale o tossica. L'anemia a cellule falciformi può essere associata alla sindrome di Budd-Chiari. Il dolore addominale, i calcoli pigmentati (che sono frequenti) e l'ittero (dovuto all'emolisi e all'epatopatia) determinano un quadro clinico complesso.

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Lesioni vascolari

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 46. LESIONI VASCOLARI Lesioni trombotiche, occlusive e infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che decorrono nel fegato o vicino a esso.

DISORDINI ASSOCIATI A MALATTIE SISTEMICHE TELEANGIECTASIA EMORRAGICA EREDITARIA Le teleangiectasie, gli emangiomi, la fibrosi e la cirrosi si possono verificare nella teleangiectasia emorragica ereditaria o malattia di Rendu-Osler-Weber (v. anche Cap. 134). La presenza degli shunt artero-venosi può causare un'epatomegalia con un fremito palpabile e un soffio vascolare continuo. L'insufficienza cardiaca ad alta gittata può essere grave e può compromettere ulteriormente la funzione epatica.

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO TUMORI BENIGNI DEL FEGATO I tumori benigni del fegato sono relativamente comuni, ma in genere decorrono in modo sub- clinico. La maggior parte dei casi è evidenziata casualmente con l'ecografia (ECO) o con altri esami per immagini. Altri sono scoperti a causa di un'epatomegalia, di disturbi al quadrante addominale superiore destro o di un'emorragia intraperitoneale. I test di funzionalità epatica sono in genere normali o soltanto lievemente alterati. Talvolta, la diagnosi si fa solo alla laparotomia esplorativa, anche se gli esami per immagini e l'arteriografia possono dare importanti informazioni preoperatorie. L'adenoma epatocellulare è la neoplasia epatica benigna più importante. Si verifica soprattutto nelle donne in età fertile e la sua prevalenza è aumentata in seguito al diffuso uso dei contraccettivi orali, che hanno un ruolo nella sua patogenesi (v. anche Cap. 43 e 246). La maggior parte degli adenomi è asintomatica. Raramente, gli adenomi si presentano come un problema acuto chirurgico causato dall'improvvisa rottura e dal sanguinamento nella cavità peritoneale. Anche se gli adenomi non sono in genere considerati una condizione precancerosa, sono stati recentemente descritti alcuni casi in cui si è verificata una trasformazione maligna. Gli adenomi correlati all'assunzione di contraccettivi spesso regrediscono in seguito alla sospensione del farmaco. L'iperplasia nodulare focale è un'alterazione localizzata, simile a un tumore, che istologicamente può somigliare a una cirrosi macronodulare. I contraccettivi orali sono stati coinvolti nell'aumento di volume di questo amartoma, ma non ne sono la causa. Esistono anche altre lesioni nodulari non neoplastiche del fegato. Si stima che piccoli emangiomi asintomatici siano presenti nell'1-5% degli adulti. Spesso hanno un caratteristico aspetto all'ECO, alla TC o alla RMN e non richiedono alcun trattamento. Nei lattanti, gli emangiomi voluminosi sono, occasionalmente, evidenziati dalle coagulopatia da consumo o dalle alterazioni emodinamiche associate. Si possono osservare anche adenomi dei dotti biliari e raramente vari tumori mesenchimali.

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO TUMORI BENIGNI DEL FEGATO CISTI EPATICHE Le cisti epatiche non sono dei tumori, ma vengono trattate qui per convenienza. Le cisti isolate vengono, di solito, diagnosticate incidentalmente all'ECO o alla TC e non hanno un significato clinico. Il raro fegato policistico congenito determina negli adulti una progressiva epatomegalia bozzoluta (talvolta massiva). Nonostante ciò, la funzione epatica è ben conservata e non si sviluppa un'ipertensione portale. Invece, la correlata fibrosi epatica congenita è caratterizzata da una proliferazione cistica dei dotti biliari microscopici, da una fibrosi epatica e da un'ipertensione portale progressiva; la condizione, spesso, viene erroneamente diagnosticata come una cirrosi criptogenetica. Ambedue le varianti sono comunemente associate alla malattia policistica dei reni e di altri organi (v. Nefropatie cistiche nel Cap. 230). Le altre cisti epatiche includono le cisti idatidee (v. Malattia idatidea nel Cap. 161); la rara malattia di Caroli, caratterizzata da una dilatazione cistica segmentaria dei dotti biliari intraepatici (spesso complicata dalla formazione di calcoli e dalla colangite) e i veri tumori cistici (rari).

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO METASTASI EPATICHE Sommario: Introduzione Sintomi e segni Diagnosi Terapia

La neoplasia metastatica è di gran lunga la più comune tra le neoplasie epatiche maligne. Il fegato costituisce un terreno fertile per le metastasi che si diffondono per via ematica; il polmone, la mammella, il colon, il pancreas e lo stomaco sono le più frequenti sedi primitive, anche se praticamente ne può essere responsabile qualunque organo. La diffusione al fegato costituisce non di rado la manifestazione clinica iniziale di un cancro insorto altrove.

Sintomi e segni Sono frequenti le manifestazioni non specifiche della malignità (p. es., perdita di peso, anoressia, febbre). Il fegato è caratteristicamente aumentato di volume e di consistenza e può essere dolente; un'epatomegalia massiva con noduli facilmente palpabili indica uno stadio avanzato di malattia. Soffi vascolari epatici e un dolore simil-pleuritico, a cui corrisponde un rumore di sfregamento, non sono frequenti, ma sono comunque caratteristici. A volte è presente una splenomegalia, soprattutto nei casi di carcinoma primitivo pancreatico. È frequente la concomitanza dell'ascite, causata dalla diffusione peritoneale del tumore, mentre, all'inizio, l'ittero è in genere modesto o assente, a meno che non coesista un'ostruzione della via biliare da parte del tumore. La fosfatasi alcalina, la g-glutamil-transpeptidasi e a volte la LDH aumentano solitamente per prime o in misura maggiore rispetto agli altri test di funzionalità epatica; i livelli delle aminotransferasi sono variabili. Negli stadi terminali, il progressivo incremento dell'ittero e dell'encefalopatia epatica indica l'exitus imminente.

Diagnosi La diagnosi delle metastasi epatiche solitamente non presenta problemi nelle fasi avanzate, ma spesso si rivela difficile nei pazienti che non hanno una malattia conclamata. Diverse tecniche per immagini diffusamente utilizzate per la diagnosi (v. anche Cap. 37) sono spesso molto suggestive, ma non riescono a evidenziare in maniera affidabile le metastasi di dimensioni ridotte o a discriminare sempre un tumore dalla cirrosi o da altre cause benigne di un quadro anomalo. Comunque, l'ECO, la TC e la RMN sono, di solito, più accurate della scintigrafia; la maggior parte dei centri usa l'ECO come metodica di indagine principale. L'ecografia e i test di funzionalità epatica sono ampiamente usati nello screening di routine per la presenza di metastasi nei pazienti affetti da neoplasie maligne conosciute, perché spesso il trattamento dipende dalla presenza o meno di tale diffusione, ma le basse sensibilità e specificità limitano il valore di tali indagini.

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Tumori del fegato

La biopsia epatica fornisce la diagnosi definitiva e deve essere eseguita se esiste un dubbio o se è necessaria la conferma istologica per le decisioni terapeutiche. La biopsia dà risultati positivi in circa il 65% dei casi; un ulteriore 10% può essere identificato con l'esame citologico del liquido aspirato e queste percentuali possono aumentare se la biopsia viene eseguita sotto guida ecografica. Alcuni autori preferiscono effettuare la biopsia sotto visione diretta, per via laparoscopica, anche se questa metodica è più complessa.

Terapia Il trattamento delle metastasi epatiche solitamente è inutile. In base alla localizzazione del tumore primitivo, la chemioterapia sistemica può determinare una temporanea riduzione delle dimensioni delle metastasi e prolungare la vita del paziente, ma certamente non cura la malattia. Alcuni centri consigliano, in casi selezionati, l'infusione di chemioterapici attraverso l'arteria epatica; vi è sicuramente una maggiore risposta terapeutica a fronte di una minore tossicità sistemica rispetto alla chemioterapia somministrata EV, ma la sopravvivenza non migliora in maniera evidente. La radioterapia del fegato, occasionalmente, può alleviare una grave sintomatologia dolorosa, ma per il resto è sconsigliata. Alcuni chirurghi resecano le metastasi isolate, specialmente se la localizzazione primitiva è a carico del colon, sebbene questa indicazione non sia universalmente accettata. La malattia estesa è trattata al meglio con la palliazione per il paziente e con il supporto psicologico per la famiglia (v. Cap. 294).

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO CARCINOMA EPATICO PRIMITIVO ALTRE NEOPLASIE PRIMITIVE DEL FEGATO Il carcinoma fibrolamellare è una variante distinta del carcinoma epatocellulare, caratterizzata morfologicamente da epatociti maligni organizzati in un tessuto fibroso lamellare. Interessa generalmente soggetti giovani e non è associato a una cirrosi preesistente, al HBV o al HCV, né ad altri fattori di rischio conosciuti. I livelli di a-fetoproteina sono elevati solo raramente. La prognosi è migliore rispetto a quella dell'epatocarcinoma e alcuni pazienti sopravvivono diversi anni dopo la resezione del tumore. Il colangiocarcinoma, un tumore che origina dall'epitelio biliare, è comune in Cina, dove si pensa che un fattore predisponente sia rappresentato dall'infestazione del fegato da parte di trematodi. Altrove, è meno frequente del carcinoma epatocellulare. Si può inoltre verificare una sovrapposizione istologica tra le due forme. Occasionalmente i pazienti affetti da una colite ulcerosa di vecchia data e da una colangite sclerosante possono sviluppare un colangiocarcinoma. L'epatoblastoma è una neoplasia maligna frequente nei lattanti. Si presenta occasionalmente con un quadro di pubertà precoce dovuta alla produzione ectopica di gonadotropine, ma in genere viene diagnosticato sulla base del peggioramento delle condizioni di salute e della presenza di una tumefazione a livello del quadrante addominale superiore destro. Il raro angiosarcoma ha richiamato l'attenzione a causa della sua associazione all'esposizione industriale al cloruro di vinile. La diagnosi di questi tumori si basa sul reperto istologico. La terapia in genere è di scarso valore e la prognosi è infausta.

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Tumori del fegato

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 47. TUMORI DEL FEGATO CARCINOMA EPATICO PRIMITIVO NEOPLASIE EMATOLOGICHE E FEGATO L'interessamento epatico nella leucemia e nelle malattie ematologiche correlate è frequente, a causa dell'infiltrazione da parte delle cellule tumorali. La diagnosi è chiara sulla base del quadro ematologico e la biopsia epatica non è necessaria. La diagnosi di linfoma epatico, specialmente del morbo di Hodgkin, è più complessa. La conoscenza dell'interessamento epatico è importante per la stadiazione e per le implicazioni terapeutiche, ma sfortunatamente esiste una scarsa correlazione tra i reperti clinici, biochimici e istologici. L'epatomegalia e l'alterazione dei test di funzionalità epatica possono rispecchiare una reazione non specifica al morbo di Hodgkin presente in altra sede, piuttosto che un vero interessamento epatico e la biopsia spesso mostra infiltrati mononucleari focali o granulomi di incerto significato. Il ruolo della laparoscopia o della biopsia a cielo aperto è ancora dibattuto.

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE Sommario: Fisiologia del metabolismo degli acidi biliari Anatomia delle vie biliari

Fisiologia del metabolismo degli acidi biliari La bile si forma nel fegato come una soluzione isosmotica di acidi biliari, elettroliti, bilirubina, colesterolo e fosfolipidi. Il flusso di bile è prodotto dal trasporto attivo dei sali biliari e degli elettroliti e dal movimento passivo obbligato dell'acqua. Il fegato sintetizza acidi biliari idrosolubili dal colesterolo non idrosolubile, ma i meccanismi precisi non sono completamente compresi. Gli acidi colico e chenodesossicolico si formano nel fegato in un rapporto di circa 2:1 e costituiscono l'80% degli acidi biliari. Dopo una completa coniugazione nell'epatocita, sia con la glicina che con la taurina, gli acidi biliari coniugati sono escreti con la bile che confluisce nel sistema dei dotti intraepatici e quindi nel dotto epatico prossimale o comune. Circa il 50% della bile secreta a digiuno passa nella colecisti attraverso il dotto cistico; il resto defluisce nel dotto biliare comune o distale. Sino al 90% dell'acqua contenuta nella bile colecistica viene assorbita come una soluzione elettrolitica, principalmente attraverso le vie intracellulari della mucosa della colecisti. La bile che resta nella colecisti è quindi una soluzione concentrata, composta fondamentalmente da acidi biliari e da sodio. Durante il digiuno, gli acidi biliari vengono concentrati nella colecisti ed è presente solo un modesto flusso di bile, dipendente dagli acidi biliari, proveniente dal fegato. Quando il cibo entra nel duodeno, inizia una delicata sequenza ormonale e nervosa. La colecistochinina e forse altri peptidi ormonali GI (p. es., il peptide di rilascio della gastrina) vengono secreti dalla mucosa duodenale; la colecistochinina stimola la contrazione della colecisti e il rilasciamento dello sfintere biliare. La bile defluisce nel duodeno, si mescola con il cibo qui contenuto e svolge le sue varie funzioni: (1) I sali biliari solubilizzano il colesterolo della dieta, i grassi e le vitamine liposolubili per facilitarne l'assorbimento in forma di micelle miste. (2) Gli acidi biliari inducono una secrezione di acqua da parte del colon, quando vi giungono, promuovendone, così, lo svuotamento. (3) La bilirubina viene secreta nella bile sotto forma di prodotti di degradazione dei composti dell'eme derivanti dai GR distrutti. (4) Farmaci, composti ionici e prodotti endogeni sono secreti nella bile e in seguito eliminati dall'organismo. (5) Sono secrete con la bile anche varie proteine importanti per il funzionamento GI. Il cibo, entrando nel duodeno, stimola la contrazione della colecisti, liberando gran parte del pool corporeo (totale, 3-4 g) di acidi biliari nel piccolo intestino. Gli acidi biliari sono scarsamente assorbiti per diffusione passiva nel piccolo intestino prossimale; la maggior parte del pool raggiunge l'ileo terminale, dove il 90% viene assorbito nel circolo portale attraverso un processo di trasporto attivo. I sali biliari vengono efficientemente estratti dal fegato, prontamente modificati e nuovamente secreti nella bile. Gli acidi biliari vanno incontro a una circolazione enteroepatica da 10 a 12 volte al giorno. Durante ciascun passaggio, una piccola quantità di acidi biliari primari file:///F|/sito/merck/sez04/0480433.html (1 of 2)02/09/2004 3.03.08

Malattie delle vie biliari extraepatiche

raggiunge il colon, dove i batteri anaerobi contenenti la 7a-idrossilasi formano i sali biliari secondari. L'acido colico viene allora convertito in acido desossicolico, che viene ampiamente riassorbito e coniugato. I prodotti coniugati dell'acido chenodesossicolico vengono convertiti nel colon nella forma secondaria degli acidi biliari, l'acido litocolico. Quest'acido biliare secondario insolubile viene parzialmente riassorbito; il resto è perso con le feci.

Anatomia delle vie biliari Se si escludono le funzioni di riassorbimento della colecisti normale e di deposito della bile mediato dagli sfinteri, il sistema duttale extraepatico è un condotto passivo. Non esistono, infatti, fibre muscolari lisce funzionali nelle pareti del coledoco. Le secrezioni duttali, stimolate dalla secretina, contengono un'elevata concentrazione di bicarbonato e contribuiscono in modo variabile al volume biliare totale. L'ampolla di Vater è formata dai segmenti intramurali terminali dei dotti biliare e pancreatico, dai 2 o 3 segmenti sfinterici e dal tessuto lasso che li circonda. Lo sfintere di Oddi avvolge ambedue i dotti o il loro tratto comune, mentre ciascun dotto possiede un proprio sfintere separato (incostante). Gli sfinteri possiedono un "tono" basale che arriva fino a 10 mm Hg e un'attività fasica di picco che è indipendente dall'attività della muscolatura liscia duodenale. Questi muscoli rispondono a quantità estremamente piccole di ormoni, di peptidi GI, di anticolinergici e di altri farmaci. C'è ancora molto da conoscere su queste strutture fondamentali, così finemente regolate, situate in corrispondenza della confluenza, molto importante dal punto di vista nutrizionale, della bile, del succo pancreatico e del cibo. La normale funzione sfinterica provoca al momento giusto la liberazione degli enzimi pancreatici e della bile durante il passaggio del cibo; durante il digiuno, invece, viene facilitato il riempimento della colecisti. I due sistemi sono normalmente indipendenti (cioè, la bile non refluisce nel dotto pancreatico).

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE COLEDOCOLITIASI Formazione o presenza di calcoli nella via biliare.

Sommario: Introduzione Diagnosi Terapia

I calcoli contenuti nella via biliare, sebbene più rari di quelli della colecisti, rappresentano la causa più comune dell'ittero ostruttivo di origine extraepatica e possono causare un'infezione grave o letale (colangite), una pancreatite o un'epatopatia cronica. Un albero biliare ostruito viene rapidamente colonizzato, di solito da batteri gram -. La colangite che ne risulta diventa un'importante fonte di batteriemia e di infezione sistemica. Solitamente è indicata una precoce decompressione chirurgica o endoscopica. I calcoli che sono passati dalla colecisti nel dotto biliare comune, possono facilmente passare nel duodeno o restare silenti per lunghi periodi nel coledoco o possono ostruire parzialmente il coledoco terminale, causando dolore transitorio o persistente, ittero, pancreatite o infezione. Queste complicanze sono di solito precedute da episodi ricorrenti di coliche. Tuttavia, possono presentare un'ostruzione duttale anche i pazienti (solitamente i soggetti anziani), i cui calcoli nella colecisti non hanno mai causato una colecistite o una colica. Molti calcoli del coledoco vengono scoperti e rimossi nel corso degli interventi per colelitiasi. La maggior parte dei calcoli che non vengono evidenziati nonostante la diligente ricerca durante l'intervento, causa un'ostruzione clinica nei mesi o negli anni successivi.

Diagnosi Le considerazioni diagnostiche sulla coledocolitiasi sono essenzialmente quelle dell'ittero ostruttivo di origine extraepatica, causato da calcoli, neoplasie o stenosi benigne. La coledocolitiasi può essere facilmente sospettata dal punto di vista clinico, ma di solito necessita di una conferma strumentale prima di decidere la terapia. I sintomi sono, di solito, associati a un'alterazione degli esami epatici che indicano un'ostruzione (elevati livelli di bilirubina e fosfatasi alcalina). La presenza di dolore addominale, ittero e febbre o brividi (triade di Charcot) fa pensare alla colangite, che richiede un intervento di emergenza. Diversi esami strumentali, quali la CPRE, la colangiografia percutanea transepatica (CPT), la TC e l'ecografia, forniscono dettagli variabili e accurati. La scelta dell'esame dipende dall'abilità e dalla disponibilità locale e ognuno di essi ha i propri sostenitori. Praticamente, un'ostruzione extraepatica e la presenza di calcoli vengono quasi sempre evidenziate dalla colangiografia diretta che però, eseguita sia tramite una CPRE che una CPT, presenta una ridotta, ma definita incidenza di sepsi e di insuccesso. L'ecografia e la TC evidenziano con grande affidabilità la dilatazione duttale, come prova dell'ostruzione, anche se file:///F|/sito/merck/sez04/0480437.html (1 of 2)02/09/2004 3.03.09

Malattie delle vie biliari extraepatiche

l'ostruzione da calcoli è spesso associata a dotti non dilatati. Come deve procedere una solerte valutazione che sia anche efficace per quanto riguarda i costi? L'impressione clinica di un'ostruzione extraepatica è, di solito, piuttosto accurata; si basa sull'anamnesi, sull'esame obiettivo e su semplici esami di laboratorio e può indirizzare a un'ulteriore valutazione definitiva. Ogni volta che è probabile la presenza di un'ostruzione extraepatica, l'albero biliare e il suo contenuto devono essere visualizzati, di solito, con una colangiografia diretta. L'ecografia è spesso l'esame per immagini iniziale, usato quando il quadro clinico è dubbio. Questo esame può indicare la necessità di una biopsia epatica per valutare la colestasi intraepatica e, almeno inizialmente, può evitare la necessità di esami più invasivi.

Terapia Nonostante il loro comportamento variabile, i calcoli coledocici rappresentano una fonte potenziale di gravi malattie e devono essere rimossi quando vengono scoperti. In caso di colangite, devono essere rimossi endoscopicamente o chirurgicamente dopo l'inizio dell'terapia antibiotica. La sfinterotomia retrograda endoscopica (SRE) è un'applicazione terapeutica della CPRE in cui i tessuti molli e le fibre sfinteriche della papilla e della porzione intraduodenale sono sezionati con l'elettrocauterio, per consentire il passaggio dei calcoli coledocici nel duodeno. Il dotto viene liberato con successo nel 90% delle procedure. La mortalità (0,3-1,0%) e la morbilità (3-7%) sono inferiori a quelle riportate con il trattamento chirurgico. La morbilità precoce è dovuta all'emorragia, alla pancreatite, alla perforazione e alla colangite. Le complicanze tardive includono una recidiva della stenosi e la formazione di nuovi calcoli nel coledoco. Per i pazienti anziani affetti da una coledocolitiasi e precedentemente colecistectomizzati, la SRE rappresenta, se disponibile, il procedimento di scelta. Quando questi pazienti presentano una colangite acuta o una pancreatite da litiasi biliare, la decompressione endoscopica di solito provoca un notevole miglioramento clinico, che si verifica anche dopo la decompressione chirurgica. La SRE è la terapia sempre più preferita nei pazienti con una colecisti normale e un'ostruzione duttale causata da un calcolo. Se il paziente ha un'età < 60 anni o se ha una storia di colecistite, la terapia più razionale è rappresentata da una colecistectomia elettiva. Per la maggior parte dei pazienti anziani che non hanno mai sofferto di una colecistopatia acuta, la colecistectomia può essere rimandata a dopo una SRE (p. es., rimozione dei calcoli duttali) e una sfinterotomia risolutive. I sintomi si ripresenteranno in < 5% dei pazienti ogni anno. Quando i calcoli restano nella via biliare nonostante tutti gli sforzi compiuti per trovarli durante l'intervento chirurgico, vengono spesso scoperti con una colangiografia effettuata nel postoperatorio attraverso il tubo a T di drenaggio esterno. Raramente è necessario un nuovo intervento. Se il diametro del tubo a T è > 14 mm, lo si può lasciare in sede per 4-6 sett., mentre la via biliare matura. I piccoli calcoli possono essere eliminati spontaneamente, mentre gli altri calcoli possono essere estratti meccanicamente, con una certa sicurezza dopo questo periodo di tempo. La SRE viene riservata agli insuccessi dell'estrazione meccanica, ai calcoli di grosse dimensioni e ai casi in cui è stato usato un tubo a T di piccolo calibro.

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Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE COLANGITE SCLEROSANTE PRIMITIVA Sindrome colestatica cronica caratterizzata da una fibrosi infiammatoria dei dotti biliari intra- ed extraepatici che porta alla stenosi e, alla fine, all'occlusione dei dotti biliari con lo sviluppo di una cirrosi.

Sommario: Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Prognosi e terapia

Eziologia La causa della colangite sclerosante primitiva (CSP) è sconosciuta. Le teorie patogenetiche comprendono le tossine, gli agenti infettivi e le anomalie della regolazione immunitaria. Sebbene sia stato sospettato anche l'eccesso di rame, i pazienti non hanno risposto alla terapia chelante con penicillamina, suggerendo in questo modo che l'elevata concentrazione epatica di rame sia un fenomeno secondario (come nella cirrosi biliare primitiva). Anche se il cytomegalovirus e il reovirus tipo 3 possono interessare i dotti biliari intraepatici, ci sono poche evidenze che questi virus siano presenti in tutti i pazienti affetti da CSP. L'alterazione dei meccanismi immunitari sembra essere la causa più probabile; anche l'HLA-B8 e l'HLA-DR3, spesso presenti in corso di malattie autoimmuni, sono stati associati alla CSP. Inoltre, la distruzione dei dotti biliari che si verifica in caso di CSP, coinvolge anche i linfociti T e sono state notate alterazioni in molte funzioni del sistema immunitario.

Sintomi e segni La CSP interessa in genere maschi di giovane età ed è comunemente associata a una malattia infiammatoria dell'intestino, specialmente la colite ulcerosa. L'inizio è generalmente insidioso con l'insorgenza graduale e progressiva di affaticamento, prurito e ittero. Gli episodi di colangite ascendente con dolore al quadrante superiore destro dell'addome e febbre, sono poco frequenti. Alcuni pazienti presentano un'epatosplenomegalia o i reperti della cirrosi. La fase terminale è caratterizzata da una cirrosi scompensata con ipertensione portale, ascite e insufficienza epatica.

Diagnosi La maggior parte dei pazienti con CSP presenta un'elevazione della fosfatasi alcalina sierica che può essere accompagnata da un modesto aumento delle

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transaminasi. L'elevazione della bilirubina sierica è variabile. Diversamente dalla cirrosi biliare primitiva, nella CSP il test per gli anticorpi anti-mitocondrio è negativo. La diagnosi viene posta più rapidamente mediante una colangiografia percutanea o, preferibilmente, mediante una CPRE. Delle brevi stenosi multiple, con dilatazioni sacciformi a carico dei dotti biliari intra- ed extraepatici, danno all'albero biliare un aspetto irregolare a corona di rosario. La diagnosi è anche supportata dal reperto bioptico epatico che mostra la proliferazione dei dotti biliari, la fibrosi periduttale, l'infiammazione e la scomparsa dei dotti biliari. Con il progredire della malattia, la fibrosi si estende dalle regioni portali e, alla fine, causa una cirrosi biliare.

Prognosi e terapia Alcuni pazienti possono essere asintomatici per molti anni. Questi casi possono richiedere solo un controllo continuo (p. es., esame clinico ed epatico di routine e test biochimici per il fegato 2 volte/anno). In genere però la malattia è progressiva. La terapia di supporto è indicata per i sintomi della colestasi cronica (v. Ittero nel Cap. 38) e per le complicanze della cirrosi (v. Cap. 41). Le colangiti batteriche ricorrenti sono trattate, se necessario, con una terapia antibiotica. Le stenosi importanti possono essere trattate con una dilatazione transepatica o endoscopica, con o senza il posizionamento di una protesi. Nel trattamento della CSP, la proctocolectomia per i pazienti affetti anche da colite ulcerosa non è efficace. I corticosteroidi, l'aziatoprina, la penicillamina e il metotrexato hanno dato risultati variabili e sono associati a importanti effetti tossici. L'acido ursodesossicolico può ridurre il prurito e migliorare i parametri biochimici, ma non ha dimostrato di poter alterare la storia naturale della malattia. Il trapianto di fegato è la sola terapia ovvia. Dei pazienti con CSP, il 7-10% sviluppa un colangiocarcinoma. Non si sa quale sia il momento ottimale per eseguire il trapianto, al fine di prevenire questa complicanza.

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Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE TUMORI DELLA VIA BILIARE Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Terapia

Quasi il 50% dei casi di ostruzione biliare extraepatica non è dovuto alla presenza di calcoli ma, più frequentemente, alla presenza di neoplasie maligne. La maggior parte dei tumori origina dalla testa del pancreas, attraverso cui decorre normalmente la parte distale del coledoco (v. Tumori del pancreas nel Cap. 34). Meno frequentemente i tumori possono originare dall'ampolla, dal dotto biliare, dalla colecisti o dal fegato. Ancor più raramente, le vie biliari possono venire ostruite da neoplasie metastatiche o da masse linfomatose. Anche i tumori benigni, solitamente i papillomi o gli adenomi villosi, si possono sviluppare nelle vie biliari e causare un'ostruzione.

Sintomi, segni e diagnosi I segni e i sintomi dell'ostruzione sono di solito progressivi; ittero, dolenzia addominale variabile, anoressia, perdita di peso, prurito e una massa o una colecisti palpabile. La febbre e i brividi sono rari. La diagnosi di un'ostruzione maligna delle vie biliari viene fatta con l'ecografia, la TC o la colangiografia diretta. Si può ottenere senza rischi una citologia specifica nell'85% dei tumori pancreatici, mediante un'aspirazione transaddominale diretta del tumore con un ago sottile. A volte può essere utilizzata un'ago-biopsia epatica per stabilire la presenza di metastasi.

Terapia I singoli reperti e circostanze indicano il miglior approccio terapeutico. L'esplorazione chirurgica è il metodo più diretto per accertare la resecabilità e le caratteristiche istologiche specifiche e per permettere l'esecuzione di un efficace bypass interno per il deflusso biliare. La maggior parte delle neoplasie è rappresentata da adenocarcinomi e generalmente non è resecabile in maniera radicale, con l'occasionale eccezione del carcinoma ampollare primario o del coledoco, né risponde significativamente alla radioterapia. Recentemente, alcuni regimi farmacologici hanno fornito una speranza di trattamento palliativo. Un'alternativa al trattamento chirurgico è rappresentata dal posizionamento per via endoscopica di protesi flessibili, attraverso le stenosi duttali neoplastiche, per fornire un drenaggio interno della bile. Risultati simili sono ottenuti con l'impianto di protesi relativamente più grandi attraverso le stenosi neoplastiche o con un drenaggio esterno della bile, eseguiti con un approccio transepatico. Queste procedure di drenaggio, non chirurgiche, sono riservate alla risoluzione file:///F|/sito/merck/sez04/0480440a.html (1 of 2)02/09/2004 3.03.10

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sintomatica del prurito, della sepsi o del dolore. Fortunatamente, molti pazienti con ostruzioni maligne non vanno incontro a questi problemi.

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Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE ALTRE CAUSE DI OSTRUZIONE EXTRAEPATICA Altre condizioni, oltre alla calcolosi e alle neoplasie, possono essere occasionalmente responsabili di un'ostruzione della via biliare extraepatica. La causa principale è un trauma duttale, avvenuto in corso di intervento chirurgico. La colecistectomia laparoscopica è responsabile dell'aumentata incidenza delle lesioni della via biliare. La fibrosi conseguente a una pancreatite cronica può causare una stenosi del coledoco nel suo decorso attraverso la testa del pancreas. Raramente, l'ostruzione della via biliare può essere dovuta a una compressione estrinseca da parte di un coledococele o di una pseudocisti pancreatica contigua. La colangite sclerosante primitiva (CSP) può causare una compressione duttale extraepatica, ma anche le stenosi duttali intraepatiche sono importanti. Nel sud-est asiatico, il Clonorchis sinensis è un'importante causa di ittero ostruttivo con infiammazione duttale intraepatica, stasi prossimale, formazione di calcoli e colangite. Raramente, l'Ascaris lumbricoides, un parassita intestinale, migra all'interno del dotto biliare comune e causa un'ostruzione (v. Ascariasi nel Cap. 161). Nei pazienti HIV-positivi che presentano un dolore addominale e un'alterazione in senso ostruttivo degli esami della funzione epatica è stata descritta una colangiopatia o una colangite AIDS-correlata. La colangiografia diretta spesso rivela delle anomalie della via biliare intra- ed extraepatica che possono ricordare molto da vicino la CSP o la stenosi papillare. Si pensa che l'eziologia della malattia sia infettiva. Gli organismi che sono stati implicati includono le specie del cytomegalovirus, del Cryptosporidium e, più recentemente, dei Microsporidia.

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Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE COLESTEROLOSI DELLA COLECISTI Deposito di esteri di colesterolo nei macrofagi della lamina propria della colecisti, evidenziato da piccole strie gialle sullo sfondo di una mucosa arrossata e colorata di bile (colecisti a fragola). L'incidenza e la causa dei depositi di colesterolo sono sconosciute. Nonostante la colesterolosi non sia associata a un'eccessiva saturazione della bile né a ipercolesterolemia, nel 50% dei pazienti si formano calcoli di colesterolo. La colecistografia orale solitamente mostra una colecisti funzionante. Polipi unici o multipli si possono trovare in qualunque punto della colecisti e non risentono della posizione assunta dal paziente. Il dolore è irregolarmente attribuito a questa condizione. Le escrescenze polipoidi possono proiettarsi all'interno del lume con una continua deposizione di lipidi. Nel caso di pazienti con una sintomatologia evidente e/o una colelitiasi si può prendere in considerazione l'intervento di colecistectomia.

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Malattie delle vie biliari extraepatiche

Manuale Merck 4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 48. MALATTIE DELLE VIE BILIARI EXTRAEPATICHE DIVERTICOLOSI DELLA COLECISTI (Adenomatosi) I seni di Rokitansky-Aschoff, normalmente costituiti da invaginazioni digitiformi della mucosa della colecisti, diventano più evidenti con l'età e possono estendersi negli strati muscolari o sierosi come variabili diverticoli cistici. Il loro aspetto alla colecistografia varia da una fine dentellatura generalizzata ad ampie evaginazioni locali. Questi seni possono essere associati con la colecistite cronica e con il conseguente aumento della pressione endoluminale. L'indicazione alla colecistectomia è data dal verificarsi di una colecistite acuta o cronica.

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Obesità

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

5. OBESITÀ L'eccessivo accumulo di grasso corporeo.

Sommario: Introduzione Epidemiologia Eziologia Sintomi e segni Diagnosi Complicanze Prognosi e terapia

Tradizionalmente, l'obesità era definita come un peso corporeo superiore del 30% a quello ideale o desiderabile, secondo le tabelle degli standard altezzapeso (v. Tab. 1-5). Attualmente, si è soliti definirla in termini di indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) [peso (in chilogrammi) diviso per il quadrato dell'altezza (in metri)].

Epidemiologia Negli USA la prevalenza dell'obesità è elevata e sta aumentando. Nel corso del passato decennio, la prevalenza totale è cresciuta dal 25 al 33%, con un incremento di 1/3. La prevalenza varia significativamente in base al sesso, all'età, allo stato socio-economico e alla razza (v. anche Obesità nel Cap. 275). La prevalenza è del 35% nelle donne e del 31% negli uomini e raddoppia tra i 20 e i 55 anni. Tra le donne, l'obesità è strettamente associata allo stato socioeconomico, essendo due volte più frequente tra le donne che hanno uno stato socioeconomico inferiore rispetto a quelle con uno stato più elevato. Sebbene non vi siano differenze significative nella prevalenza tra uomini bianchi e neri, l'obesità è di gran lunga più comune tra le donne nere rispetto alle bianche, fino a raggiungere percentuali del 60% tra le donne nere di media età in confronto al 33% delle donne bianche.

Eziologia Da un certo punto di vista, la causa dell'obesità è semplice (si consumano meno energie di quante se ne assumono). Ma da un altro punto di vista, è elusiva, coinvolgendo la regolazione del peso corporeo, principalmente del grasso corporeo. Come sia ottenuta questa regolazione non è ancora completamente chiaro. Il peso è regolato con grande precisione. Per esempio, nel corso della vita, una persona media consuma almeno 60 milioni di kcal. Un aumento o una perdita di 10 kg, che rappresentano 72000 kcal, implica un errore di circa lo 0,001%. Si

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Obesità

ritiene che la regolazione del peso corporeo venga attivata non solo nelle persone di peso normale, ma anche tra molte persone obese, in cui l'obesità è attribuita a un diverso valore soglia su cui è regolato il peso. I fattori che determinano l'obesità possono essere distinti in genetici, ambientali e regolatori. Fattori genetici: le recenti scoperte hanno aiutato a spiegare come i geni possano causare l'obesità e come possano influenzare la regolazione del peso corporeo. Per esempio, le mutazioni nel gene ob hanno causato un'obesità massiva nei topi. La clonazione del gene ob ha portato all'identificazione della leptina, una proteina codificata da questo gene; la leptina è prodotta nelle cellule del tessuto adiposo e serve per controllare il grasso corporeo. L'esistenza di questa proteina supporta l'idea che esista una regolazione del peso corporeo, in quanto la leptina agisce come un segnale tra il tessuto adiposo e l'area del cervello che controlla il metabolismo energetico e che, quindi, influenza il peso corporeo. L'entità delle influenze genetiche sull'obesità umana è stata valutata con studi sui gemelli, sulle adozioni e sulle famiglie. Nei primi studi sui gemelli, l'ereditabilità dell'BMI è stata stimata molto alta, circa l'80%, e questo valore viene citato ancora frequentemente. I risultati degli studi sull'adozione e sulle famiglie, tuttavia, concordano su un'ereditabilità del 33% circa, che è generalmente considerata più ragionevole rispetto a quella degli studi sui gemelli. Le influenze genetiche possono essere più importanti nel determinare la distribuzione regionale del grasso piuttosto che il grasso corporeo totale, soprattutto per quanto riguarda i depositi di grasso viscerali critici (v. oltre). Determinanti ambientali: il fatto che le influenze genetiche spieghino solo il 33% delle variazioni nel peso corporeo significa che l'ambiente esercita un'enorme influenza. Quest'influenza è ampiamente illustrata dal notevole incremento della prevalenza dell'obesità durante lo scorso decennio. Lo stato socioeconomico ha un'importante influenza sull'obesità, particolarmente tra le donne. La correlazione negativa tra lo stato socioeconomico e l'obesità riflette una causa di base. Gli studi longitudinali hanno mostrato che l'appartenenza fin dalla nascita a uno stato socioeconomico basso è un potente fattore di rischio per l'obesità. I fattori socioeconomici influenzano in maniera molto importante sia l'assunzione che il dispendio di energia. L'abbondante assunzione di cibo è associata con l'obesità. Per molti anni, si è ritenuto che degli oscuri disturbi del metabolismo causassero l'obesità, mentre l'assunzione del cibo era normale. Tuttavia, il metodo dell'acqua marcata con gli isotopi stabili sia dell'idrogeno che dell'ossigeno, mostra che le persone obese hanno una grande spesa energetica, che richiede a sua volta una grande assunzione di cibo. Questa grande assunzione di cibo di solito comprende un'abbondante assunzione di grassi, che predispone già da sola all'obesità. Uno stile di vita sedentario, come quello prevalente nelle società occidentali, è un altro importante fattore ambientale che favorisce l'obesità. L'attività fisica non solo richiede un dispendio di energia, ma aiuta anche a controllare l'assunzione del cibo. Gli studi su animali suggeriscono che l'inattività fisica contribuisce all'obesità attraverso un effetto paradossale sull'assunzione del cibo. Sebbene l'assunzione di cibo aumenti con l'aumentare delle richieste energetiche, può non ridursi in modo proporzionale, quando l'attività fisica si riduce a livelli minimi; in alcune persone, quindi, la riduzione dell'attività fisica può in realtà causare un aumento dell'assunzione del cibo. Fattori regolatori: la gravidanza è la principale causa dell'obesità in alcune donne. Sebbene la maggior parte presenti un peso di poco aumentato a distanza di un anno dal parto, circa il 15% aumenta di 9 chili per ogni gravidanza. Un aumento delle cellule adipose e della massa del tessuto adiposo durante l'infanzia e la fanciullezza e, per alcune persone gravemente obese, anche durante l'età adulta, predispone all'obesità. Questo incremento può essere pari a 5 volte il numero delle cellule adipose delle persone di peso normale. La dieta riduce solo le dimensioni delle cellule adipose e non il loro numero. Di conseguenza, le persone con un tessuto adiposo ipercellulare possono tornare a un peso normale solo attraverso una marcata riduzione del contenuto lipidico di file:///F|/sito/merck/sez01/0050062.html (2 of 6)02/09/2004 3.07.50

Obesità

ciascuna cellula adiposa. Tale riduzione e gli eventi associati a livello della membrana plasmatica, pongono un limite biologico alla capacità di perdere peso e possono spiegare la difficoltà a raggiungere un peso normale. In un numero esiguo di persone l'obesità è causata dai danni cerebrali dovuti a un tumore (specialmente il craniofaringioma) o a un'infezione (particolarmente se interessa l'ipotalamo). Qualunque siano gli altri fattori dell'obesità, la via comune finale del bilancio calorico, si fonda sul comportamento mediato dal SNC. Recentemente i farmaci sono stati aggiunti all'elenco dei fattori che causano l'obesità, per l'aumentato uso della farmacoterapia. Un aumento di peso può essere causato dagli ormoni steroidei e dalle quattro maggiori classi di farmaci psicoattivi: antidepressivi tradizionali (triciclici, tetraciclici, inibitori delle monoammino ossidasi), benzodiazepine, litio e farmaci antipsicotici. Limitare l'uso della terapia farmacologica per prevenire l'aumento di peso può rappresentare un serio dilemma terapeutico. I fattori endocrini sono stati tradizionalmente considerati come un'importante causa dell'obesità. L'iperinsulinismo dovuto alle neoplasie pancreatiche, l'ipercortisolismo della sindrome di Cushing, la disfunzione ovarica della sindrome dell'ovaio policistico e l'ipotiroidismo sono fattori implicati in alcuni casi di obesità, ma le cause endocrine interessano solo un numero esiguo di persone obese. I fattori psicologici, una volta considerati un'importante causa di obesità, sono ora largamente ritenuti limitati a due modelli alimentari anormali. Gli attacchi di bulimia incontrollata sono caratterizzati dal consumo di grandi quantità di cibo in breve tempo, accompagnato da un soggettivo senso di perdita del controllo durante l'attacco e da un successivo senso di afflizione (v. Cap. 196). Diversamente dai pazienti affetti dalla bulimia nervosa, in questi pazienti non si innescano comportamenti compensatori, come il vomito; quindi i loro attacchi di bulimia causano un'eccessiva assunzione calorica. Si pensa che gli attacchi di bulimia incontrollata si verifichino nel 10-20% delle persone che prendono parte a programmi di riduzione del peso. La sindrome da alimentazione notturna consiste in anoressia al mattino e iperfagia serale con insonnia. Si verifica in circa il 10% delle persone che cercano di ridurre la loro obesità.

Sintomi e segni I sintomi e i segni dell'obesità sono una conseguenza diretta della grande massa di tessuto adiposo. Prevalente è l'apnea del sonno, una seria patologia spesso non diagnosticata, caratterizzata dall'arresto momentaneo della respirazione durante il sonno, che si ripete spesso fino a un centinaio di volte a notte (v. Sindromi da apnea nel sonno nel Cap. 173). Nella sindrome ipoventilatoria da obesità (sindrome pickwickiana), le difficoltà respiratorie causano un'ipercapnia, un ridotto effetto della CO2 sul centro del respiro, l'ipossia, il cuore polmonare e un rischio di morte prematura. L'obesità può causare disturbi ortopedici a carico sia delle articolazioni di sostegno che delle altre. I disturbi cutanei sono particolarmente frequenti; l'aumento del sudore e delle secrezioni cutanee, trattenuti nelle grosse pieghe della cute, crea un terreno di coltura favorevole alla crescita dei funghi e dei batteri e allo sviluppo di infezioni. Il livello di psicopatologia generale, valutato con i test psicologici, non è diverso tra le persone obese e le altre. Tuttavia, per alcune giovani donne nelle classi socioeconomiche superiori e medie, vi è un legame tra i problemi psicologici e l'obesità. L'attuale punto di vista è che il forte pregiudizio e la discriminazione alla quale sono soggette le persone obese, siano all'origine di questi problemi. Oltre ai disturbi dell'alimentazione descritti prima, i problemi psicologici includono il disprezzo per l'immagine corporea, una condizione in cui le persone percepiscono il loro corpo come grottesco e disgustoso. Queste donne credono

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Obesità

che gli altri le vedano con ostilità e disprezzo e ciò le fa sentire a disagio e ostacola i loro rapporti sociali.

Diagnosi L'obesità rappresenta un'estremità della curva di distribuzione del grasso corporeo, in assenza di un punto di passaggio fisiologicamente definito. Ai fini pratici, è sufficiente il test del colpo d'occhio: se una persona sembra grassa, la persona è grassa. Per una misurazione quantitativa dell'obesità, viene usato il BMI, definendo arbitrariamente l'obesità come un BMI > 27,8 per gli uomini e > 27,3 per le donne. La particolare distribuzione del grasso corporeo è importante per la diagnosi di certe patologie, per esempio, la gobba di bufalo nell'ipersurrenalismo e il peculiare accumulo dei liquidi nell'ipotiroidismo. Il riconoscimento del significato della distribuzione del grasso corporeo, particolarmente del deposito di grasso viscerale, ha sensibilmente migliorato la comprensione della obesità. Clinicamente, questa distribuzione è valutata dal rapporto polso/anca, con un elevato rischio di obesità della parte superiore del corpo quando il rapporto è > 1,0 per l'uomo e > 0,8 per le donne. Il rischio, tuttavia, è direttamente proporzionale alla grandezza del rapporto, indipendentemente dal sesso; la maggiore mortalità e morbilità degli uomini è una funzione del loro maggior rapporto polso/anca.

Complicanze Le deleterie conseguenze dell'obesità sono importanti. Recenti stime attribuiscono 280000 morti all'anno negli USA alla sovranutrizione, che è quindi seconda solo al fumo di sigaretta come causa di morte. Si pensa che molte delle alterazioni metaboliche dell'obesità siano causate dal grasso viscerale addominale, che determina un'aumentata concentrazione degli acidi grassi liberi nel circolo portale e, di conseguenza, una diminuzione della clearance dell'insulina epatica, l'insulino-resistenza, l'iperinsulinemia e l'ipertensione. Questa sequenza di eventi causa il diabete, la dislipidemia e, in ultimo, la malattia coronarica. Le complicanze dell'obesità mettono in luce un paradosso. La maggior parte delle persone che si sottopone a un trattamento per l'obesità è di sesso femminile, nonostante che le donne abbiano molte meno probabilità di soffrire delle complicanze dell'obesità, rispetto agli uomini. Gli uomini, che avrebbero maggiore necessità di un trattamento, di solito non seguono alcuna terapia.

Prognosi e terapia La prognosi per l'obesità non è favorevole; se non trattata, tende ad aumentare. Con la maggior parte delle terapie, si può ottenere un calo ponderale, ma la maggior parte delle persone ritorna al peso precedente il trattamento, entro 5 anni. Negli ultimi anni, gli scopi e i metodi della terapia dell'obesità sono cambiati radicalmente come risultato di due sviluppi. Il primo è rappresentato dalla dimostrazione che un modesto calo ponderale, del 10% o forse anche del 5% del peso corporeo, è sufficiente a controllare, o almeno a migliorare, la maggior parte delle complicanze dell'obesità. Quindi, non c'è ragione di perseguire il tradizionale scopo di tornare al peso corporeo ideale, che è così raramente

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Obesità

raggiunto e, se raggiunto, è così raramente mantenuto. La "soluzione del 10%" è diventata l'obiettivo della maggior parte dei programmi di trattamento. Il secondo sviluppo, dovuto al difficile mantenimento del calo ponderale ottenuto durante la terapia, è il passaggio dall'obiettivo rappresentato dalla perdita del peso a quello della gestione del peso, al fine di raggiungere il migliore peso possibile in un quadro di salute generale. I programmi di gestione del peso possono essere divisi in tre categorie principali. I programmi fai da te sono il ripiego per la maggior parte degli obesi che cerca aiuto. Il medico può aiutare i pazienti obesi ad acquisire familiarità con questi programmi. Essi includono i gruppi autogestiti, come l'Overeaters Anonymous e il Takje Off Pounds Sensibly (TOPS); i programmi di comunità e quelli aziendali; i libri e gli articoli di riviste e i prodotti per dimagrire, come le preparazioni per la sostituzione del pasto. I programmi non clinici sono delle iniziative commerciali, molto popolari, che hanno una struttura creata dalla società madre e che si basano su incontri settimanali condotti da consulenti di diversa formazione, integrati da materiale illustrativo di istruzioni e guida, preparati in collaborazione con degli operatori sanitari. Questi programmi di solito forniscono non più di 1 anno di terapia e il loro costo varia approssimativamente da 12 dollari alla sett. per la Weight Watchers a 3000 dollari ogni 6 mesi di trattamento per altri programmi. L'efficacia di questi programmi commerciali è difficile da valutare, perché essi pubblicano pochi risultati statistici e hanno una percentuale molto alta di persone obese che rinunciano. Tuttavia, la loro pronta disponibilità li ha resi popolari. I medici possono assistere i pazienti aiutandoli a scegliere i programmi con diete a basso contenuto di grassi ed enfatizzando l'attività fisica. I programmi clinici vengono forniti da operatori sanitari autorizzati, spesso all'interno di un programma commerciale per la perdita di peso, ma anche da soli o come un gruppo che lavora privatamente. I programmi per la gestione del peso utilizzano quattro modalità: la dieta con i consigli nutrizionali, la terapia comportamentale, i farmaci e la chirurgia. Dieta: attualmente la dieta tradizionale è prescritta di rado; sono invece enfatizzati i cambiamenti a lungo termine delle abitudini. La maggior parte dei programmi insegna ai clienti come fare dei sicuri, sensibili e graduali cambiamenti nei modelli alimentari. Questi cambiamenti includono l'aumento dell'assunzione di carboidrati complessi (frutta, vegetali, pane, cereali e pasta) e la riduzione dell'apporto di grassi e carboidrati semplici. Le diete a contenuto calorico molto basso, che forniscono 400-800 kcal/die, sono diventate impopolari, quando è diventato evidente che i pazienti riacquistano rapidamente grossa parte del peso che hanno perduto. Terapia comportamentale: la maggior parte dei programmi non clinici (commerciali), per la perdita del peso, utilizza la terapia comportamentale. Essi si basano sull'analisi del comportamento, prendendo in considerazione il comportamento che deve essere modificato, i suoi precedenti e le sue conseguenze. Il più importante comportamento da modificare è il modo di alimentarsi, col tentativo di diminuire la velocità del mangiare. Successivamente si dà grande importanza alla modificazione delle abitudini alimentari, da quelle relativamente remote (p. es., fare la spesa) a quelle più immediate (p. es., la facile disponibilità di spuntini ad alto contenuto calorico in casa). Il terzo passo consiste nel rinforzare questi comportamenti. L'automonitorizzazione, con una dettagliata annotazione, è usata per stabilire quali comportamenti devono essere modificati e rinforzati. L'educazione alimentare è sempre più importante in questi programmi terapeutici, così come lo sono le misure per aumentare l'attività fisica. La terapia cognitiva è stata applicata per superare l'autofallimento, gli atteggiamenti disadattati nei confronti della riduzione del peso comuni tra le persone obese e per fornire un training nella prevenzione delle ricadute per gli usuali strappi osservati in ogni programma di gestione del peso.

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Obesità

Farmaci: i notevoli benefici legati al calo ponderale anche modesto e le difficoltà nel mantenere il peso raggiunto hanno riacceso l'interesse nella farmacoterapia dell'obesità, anche perché con i nuovi farmaci c'è una minore possibilità di abuso rispetto a quelli usati negli anni '70. Tuttavia, la recente scoperta di una malattia valvolare cardiaca generalizzata nei pazienti trattati con fenfluramina da sola o in combinazione con la fentermina (spesso riportata come fen-fen) ha gettato un'ombra sulla terapia farmacologica dell'obesità. La fenfluramina non dovrebbe essere più usata anche se non è chiaro quale effetto avrà la sfortunata scoperta sulla prescrizione dei farmaci che riducono l'appetito. La sibutramina è stata recentemente approvata come farmaco per la riduzione dell'appetito, ma l'esperienza è limitata. I farmaci che possono essere acquistati senza prescrizione medica anche se di solito innocui, sono di dubbia efficacia ed è meglio evitarli. Chirurgia: per le persone con obesità molto grave (BMI > 40) e per quelle con obesità meno grave, ma con complicanze serie o pericolose per la vita, l'intervento chirurgico rappresenta il trattamento di scelta. Questo può esitare in un importante calo ponderale che di solito è mantenuto per più di 5 anni. Gli interventi più comuni (la gastroplastica con bendaggio verticale e il bypass gastrico) riducono radicalmente il volume gastrico creando una tasca gastrica di non più di 25 ml di volume. Subito dopo l'intervento chirurgico, la perdita di peso è rapida, ma poi rallenta gradualmente in un periodo di 2 anni. Il calo ponderale è direttamente proporzionale all'entità dell'obesità e generalmente varia tra i 40 e i 60 kg. È accompagnato da un netto miglioramento delle complicanze mediche, dell'umore, dell'autostima, dell'immagine corporea, dei livelli d'attività, dei rapporti interpersonali e dell'efficienza professionale. In mani esperte, la mortalità preoperatoria e operatoria è di solito < 1% e le complicanze operatorie < 10%.

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Considerazioni generali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI NUTRIZIONE NELLA MEDICINA CLINICA Sommario: Introduzione VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE Anamnesi Esame obiettivo Misurazioni antropometriche Esami per immagini e esami di laboratorio

L'alimentazione influenza la pratica clinica in tutte le branche della medicina ed è importante in tutte le fasi della vita. La nutrizione clinica è l'applicazione dei principi della scienza della nutrizione e della pratica medica alla diagnosi, alla terapia e alla prevenzione delle malattie dell'uomo causate dalla carenza, dall'eccesso o dagli squilibri metabolici delle sostanze nutritive. La malnutrizione e gli altri stati carenziali, come il marasma, il kwashiorkor, la xeroftalmia e il rachitismo, sono le principali cause di morbilità e mortalità, non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche nei paesi industrializzati in condizioni di privazione (v. Cap. 2). La malnutrizione si verifica nella dipendenza da alcol e droghe, nelle malattie prolungate di varia eziologia e come complicanza di alcune procedure mediche e chirurgiche. L'alimentazione è compromessa in molte malattie sistemiche, a volte con gravi effetti collaterali sullo stato di salute. Quindi, molti centri medici hanno creato dei gruppi di supporto nutrizionale in cui collaborano medici, chirurghi, infermieri, dietisti, farmacisti e tecnici di laboratorio. Questi gruppi identificano i pazienti che necessitano di un supporto nutrizionale, determinano il loro stato nutrizionale, raccomandano una dieta terapeutica e si occupano del follow-up a lungo termine. Se non si può mantenere un apporto nutritivo adeguato per via orale, è necessario somministrare una nutrizione enterale o parenterale a seconda dei casi. I fattori nutrizionali possono avere un ruolo nello sviluppo di diverse malattie croniche degenerative, come il cancro, l'ipertensione e la malattia coronarica. Diete speciali sono importanti nel trattamento di molte malattie metaboliche ereditarie, come la galattosemia e la fenilchetonuria.

VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE La valutazione dello stato nutrizionale deve essere parte di ogni valutazione generale dello stato di salute e comprende la raccolta anamnestica, l'esame obiettivo e selezionati esami di laboratorio (v. anche Cap. 2). Problemi pertinenti possono essere rappresentati dal tasso di crescita e di sviluppo nei lattanti e nei bambini, dalla composizione dell'organismo nei bambini e negli adulti o file:///F|/sito/merck/sez01/0010012.html (1 of 4)02/09/2004 3.08.36

Considerazioni generali

dall'evidenza di specifiche carenze o eccessi delle sostanze nutritive essenziali in ogni paziente.

Anamnesi L'anamnesi nutrizionale è inevitabilmente intrecciata con l'anamnesi medica, che può spesso fornire degli indizi sulla natura della patologia nutrizionale. Per esempio, una storia di emorragia GI può spiegare un'anemia sideropenica; il trattamento dell'acne con la vitamina A può portare a una tossicità da vitamina A che si manifesta con cefalea, nausea e diplopia; e un aumento di volume della tiroide può essere dovuto a una carenza di iodio. Le condizioni che predispongono alle malattie nutrizionali comprendono un grave sottopeso, un grave sovrappeso, un recente calo ponderale, l'alcolismo, il malassorbimento, l'ipertiroidismo, la febbre protratta, la sepsi, le diete di moda, l'uso delle droghe e le malattie psichiatriche. La raccolta dell'anamnesi nutrizionale deve includere le notizie sul cibo assunto nell'arco delle 24 ore e un questionario sulla frequenza dei pasti, che ponga domande circa i cibi o le categorie di cibo più frequentemente assunti. Informazioni più dettagliate si possono ottenere da un diario alimentare, in cui il paziente registra cosa ha mangiato in un periodo di 3 giorni, o una dieta pesata a libitum, in cui il cibo viene scelto dal paziente e pesato ogni giorno per 3-7 giorni. L'ultimo metodo è il più accurato ed è di solito riservato alle ricerche cliniche.

Esame obiettivo L'esame obiettivo può fornire le prove di una patologia nutrizionale. Ciascun apparato dell'organismo può essere interessato da una patologia nutrizionale. Per esempio, il sistema nervoso centrale (SNC) è interessato nella pellagra, nel beriberi, nella carenza o nell'eccesso di piridossina e nella carenza di vitamina B12. Il gusto e l'olfatto sono interessati nella carenza di zinco. L'ipertensione, il diabete e la malattia coronarica sono associati all'obesità. Il sistema GI può essere alterato in caso di malnutrizione e di alcolismo. La cavità orale (labbra, lingua, denti, gengive e mucosa buccale) è interessata in caso di carenza delle vitamine del complesso B e nello scorbuto. Gli effetti della malnutrizione sulla cute possono includere eruzioni cutanee, petecchie emorragiche, ecchimosi, discromie, edema e secchezza. Le ossa e le articolazioni vengono colpite nel rachitismo, nell'osteomalacia, nell'osteoporosi e nello scorbuto.

Misurazioni antropometriche Generalmente, durante l'esame obiettivo, vengono misurati l'altezza e il peso. Le altre misurazioni antropometriche comprendono lo spessore della piega cutanea e la circonferenza del braccio misurata nella sua parte centrale. L'altezza e il peso sono fondamentali per una valutazione del peso e delle proporzioni corporee ideali. Il range del peso ideale, che si avvicina al peso usualmente osservato all'età di 25 anni, è riportato nella Tab. 1-5. Questa tabella include anche il peso al di sopra del quale una persona è considerata obesa. L'indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI), peso (kg)/altezza (m)2, è una guida per la composizione corporea ideale. Valori > 27 = obeso; 2527 = sovrappeso; 20-25 = normale; 18-20 = magro e < 18 = sottonutrito. I valori < 12 sono incompatibili con la vita. L'intervallo del BMI considerato generalmente normale corrisponde all'intervallo del peso ideale nella Tab. 1-5. Gli standard per la crescita e l'aumento del peso dei lattanti, dei bambini e dei file:///F|/sito/merck/sez01/0010012.html (2 of 4)02/09/2004 3.08.36

Considerazioni generali

ventenni sono trattati nell' Accrescimento e sviluppo fisico nel Cap. 256 e nella Normale crescita e sviluppo nel Cap. 275. È importante anche la distribuzione del grasso corporeo. Negli uomini e nelle donne, la prevalente distribuzione del grasso nella parte superiore del corpo (addome e spalle) è più strettamente associato alle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, all'ipertensione e al diabete mellito, di quanto non lo sia la distribuzione nella parte inferiore del corpo (fianchi e gambe). La plica del tricipite (Triceps Skinfold, TSF) fornisce una stima delle riserve di grasso. In media, circa il 50% del tessuto adiposo è sottocutaneo. La plica cutanea, che consiste di un doppio strato di cute e di uno strato di grasso sottocutaneo, viene misurato con uno speciale compasso, in diversi punti. Possono essere utilizzati i punti sottoscapolare, toracico inferiore, iliaco e addominale, ma quello deltoideo del tricipite viene usato più frequentemente perché è più facilmente accessibile e di solito non è edematoso. La TSF varia da 0,5 a 2,5 cm (media, 1,2 cm) nei maschi adulti in buona salute e da 1,2 a 3,4 cm (media, 2,0 cm) nelle femmine adulte in buona salute. Quando la TSF è < 50% delle classi I e II del NHANES (National Health and Nutrition Examination Surveys) si ritiene che la paziente abbia esaurito le riserve di grasso; se la TSF è del 100% al di sopra del valore standard, il paziente viene considerato obeso. L'area muscolare dell'arto superiore, calcolata nella sua parte centrale, è utilizzata per stabilire la massa muscolare magra. È derivata dalla TSF e dalla circonferenza del braccio, che viene misurata nello stesso punto della TSF, con il braccio destro del paziente in posizione di riposo. La circonferenza media del braccio è di circa 32 ± 5 cm per i maschi e di 28 ± 6 cm per le femmine. La formula per calcolare l'area muscolare del braccio in cm2 è Questa formula corregge l'area del braccio per il grasso e per l'osso. I valori medi dell'area muscolare del braccio sono 54 ± 11 cm 2 per i maschi e 30 ± 7 cm 2 per le femmine. Un valore inferiore del 35% rispetto al valore standard (a seconda dell'età) indica una deplezione della massa corporea magra (v. Tab. 2-4).

Esami per immagini e esami di laboratorio Gli esami per immagini e gli esami biochimici di laboratorio sono utili nella valutazione dello stato nutrizionale. Le rx del torace e dello scheletro sono usate per accertare la funzione cardiopolmonare e la densità ossea. I disturbi GI secondari alla malnutrizione possono essere studiati radiologicamente utilizzando dei mezzi di contrasto. La TC e la RMN sono utili per visualizzare i tessuti molli. La moderna strumentazione analitica, con la cromatografia liquida ad alta pressione, il dosaggio radioimmunologico degli enzimi o la fotometria a fiamma ha notevolmente migliorato la sensibilità e la specificità degli esami biochimici per la determinazione dello stato nutrizionale. La misurazione dei livelli plasmatici o dell'escrezione urinaria delle proteine, dei lipidi, degli elettroliti, degli oligoelementi minerali e delle vitamine può fornire dei dati sulle riserve corporee di queste sostanze nutritive. I test sugli enzimi dipendenti dalle sostanze nutritive possono essere eseguiti sia sui globuli rossi che sui globuli bianchi e lo stato immunitario può essere valutato con la determinazione del numero dei linfociti, dei livelli di immunoglobuline e della risposta dei linfociti ai mitogeni e con l'esecuzione di test cutanei (v. Tab. 1-6). I valori comunemente utilizzati per classificare lo stato nutrizionale dei pazienti sono illustrati nella Tab. 1-7.

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Considerazioni generali

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Considerazioni generali

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI ADDITIVI E CONTAMINANTI ALIMENTARI L'aggiunta di sostanze chimiche agli alimenti per facilitarne la lavorazione e la conservazione, per migliorarne le proprietà analettiche e per controllare i contaminanti naturali è rigidamente regolata. Sono permessi soltanto gli additivi alimentari che sono risultati sicuri a specifici livelli d'azione dopo rigorosi esami di laboratorio. I problemi di salute imputati agli additivi alimentari sono stati insignificanti e largamente aneddotici. Tuttavia, non sono stati accertati gli effetti collaterali, a lungo termine, sullo stato di salute, degli additivi consentiti e dei contaminanti. I benefici degli additivi, inclusi il ridotto deterioramento dei cibi e la presentazione al pubblico di una varietà, la più vasta possibile, di cibi attraenti, devono essere soppesati con i rischi conosciuti. I problemi che ne conseguono sono frequentemente complessi. L'uso dei nitriti nelle carni conservate ne è un esempio. I nitriti inibiscono lo sviluppo del Clostridium botulinum e conferiscono un sapore gradevole. Tuttavia, si sa che i nitriti vengono convertiti nell'organismo in nitrosamine, sostanze note come cancerogene per gli animali. D'altra parte, la quantità di nitriti aggiunti alla carne conservata è piccola se confrontata con la quantità di nitrati presenti naturalmente negli alimenti e convertiti in nitriti dalle ghiandole salivari. Inoltre, la vitamina C assunta con gli alimenti può ridurre la formazione di nitriti nel tratto GI. Un altro problema è rappresentato dall'ipersensibilità (allergia) ai cibi associata ad alcuni additivi, specialmente ai coloranti, osservata in un piccolo numero di persone. Tuttavia, la maggior parte di queste reazioni è causata da alimenti naturali (v. Allergia e intolleranza agli alimenti nel Cap. 148). Anche i livelli dei veleni o delle sostanze contaminanti nocive, come i residui dei pesticidi, sono rigidamente controllati. Le sostanze contaminanti non possono essere eliminate completamente da alcuni alimenti senza danneggiare l'alimento stesso. Per numerose sostanze alimentari sono stati stabiliti i livelli considerati sicuri dal FDA (livelli di tolleranza). Per esempio, il livello di tolleranza dell'aflatossina residua (un derivato fungino che si trova principalmente nelle arachidi, soprattutto se non sono fresche, e che è un noto cancerogeno epatico negli animali) è di 20 ppb per le arachidi e per i prodotti da esse derivati, ma di 0,5 ppb per il latte. Il livello di tolleranza è di 0,5 ppb per il piombo nel latte condensato e di 1,0 ppm per il mercurio nel pesce, nelle ostriche, nei molluschi, nelle cozze e nel frumento. In generale, questi livelli non hanno causato malattie o effetti collaterali negli esseri umani.

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Malnutrizione

Manuale Merck 1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

2. MALNUTRIZIONE Sommario: Introduzione Diagnosi precoce Diagnosi

La malnutrizione è causata dallo squilibrio tra i fabbisogni dell'organismo e l'assunzione delle sostanze nutritive, che può portare a sindromi da carenza, da dipendenza e da tossicità o all'obesità. La malnutrizione comprende la sottonutrizione, in cui le sostanze nutritive sono assunte in difetto e la sovranutrizione, in cui le sostanze nutritive sono assunte in eccesso. La sottonutrizione può essere causata da un'assunzione inadeguata; dal malassorbimento; dall'eccessiva perdita sistemica delle sostanze nutritive dovuta alla diarrea, all'emorragia, all'insufficienza renale o all'eccessiva sudorazione; dall'infezione; o dalla dipendenza da droghe. La sovranutrizione può essere causata dall'iperalimentazione; dall'insufficiente esercizio fisico; dall'eccessiva prescrizione di diete terapeutiche, compresa la nutrizione parenterale; dall'eccessiva assunzione di vitamine, particolarmente di piridossina (vitamina B6), di niacina e di vitamine A e D e dall'eccessiva assunzione di oligoelementi minerali. V. anche le trattazioni sull'obesità nel Cap. 5, sulla carenza e sulla tossicità delle vitamine e dei minerali nei Cap. 3 e 4 e sui disturbi dell'alimentazione nel Cap. 196.

La malnutrizione (sottonutrizione e sovranutrizione) si sviluppa per stadi, che di solito richie-dono un tempo considerevole. Per prima cosa, si modificano i livelli delle sostanze nutritive nel sangue e/o nei tessuti, seguiti dalle modificazioni intracellulari delle funzioni biochimiche e della struttura. In ultimo, si manifestano i sintomi e i segni; ne può derivare una morbilità e una mortal-ità (v. FIG. 2-1).

Diagnosi precoce La chiave per una diagnosi precoce è rappresentata dalla consapevolezza che, in alcune circostanze, le persone hanno un elevato rischio di sottonutrizione (v. Tab. 2-1) o di sovranutrizione (v. Tab. 2-2). La sottonutrizione è associata alla povertà e alle privazioni sociali, verificandosi soprattutto tra i poveri, inclusi alcuni immigrati che provengono da paesi in via di sviluppo. Il rischio di sottonutrizione è aumentato anche in certi periodi della vita di una persona, cioè, nell'infanzia, nei primi anni della fanciullezza, nell'adolescenza, nella gravidanza, nell'allattamento e nella vecchiaia. La sovranutrizione è associata con uno stile di vita sedentario e con la continua disponibilità di cibo, tipici dei paesi più ricchi. Le persone che si trovano nelle seguenti circostanze possono essere a rischio di malnutrizione. Infanzia e fanciullezza: a causa dell'elevata richiesta di energia e di sostanze nutritive essenziali, i lattanti e i bambini sono particolarmente a rischio di

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Malnutrizione

sottonutrizione. La malnutrizione proteico-energetica nei bambini che consumano quantità inadeguate di proteine, di calorie e di altre sostanze nutritive è una forma di sottonutrizione particolarmente grave che causa un ritardo di crescita e di sviluppo (v. oltre). La malattia emorragica del neonato, una patologia potenzialmente fatale, è dovuta alla carenza di vitamina K (v. Deficit di vitamina K nel Cap. 3). Le carenze di ferro, di acido folico, di vitamina C, di rame, di zinco e di vitamina A si possono verificare in neonati e in bambini non adeguatamente alimentati. Nell'adolescenza, il fabbisogno nutrizionale aumenta perché aumenta il tasso di crescita. Infine, l'anoressia nervosa, una forma di inedia, può affliggere le ragazze adolescenti (v. Cap. 196). Gravidanza e allattamento: durante la gravidanza e l'allattamento aumenta il fabbisogno di tutte le sostanze nutritive. Le aberrazioni dell'alimentazione, incluso il picacismo (consumo di sostanze non nutritive, come la creta e il carbone), sono frequenti nella gravidanza (v. Anemia sideropenica nel Cap. 127). Anche l'anemia da carenza di acido folico è frequente nelle donne in gravidanza, specialmente in quelle che hanno assunto dei contraccettivi orali. In queste donne è attualmente raccomandata la somministrazione di supplementi di acido folico per prevenire i difetti del tubo neurale (spina bifida) nel feto. Se la mamma è vegetariana, un neonato allattato esclusivamente al seno può sviluppare una carenza di vitamina B12. Una mamma alcolista può avere un bambino handicappato e sottosviluppato per una sindrome fetale da alcol, che è dovuta agli effetti dell'etanolo e della malnutrizione sullo sviluppo fetale (v. Sindrome fetoalcolica nel Cap. 260). Età avanzata: un diminuito senso del gusto e dell'odorato, la solitudine, gli handicap fisici e mentali, l'immobilità e le malattie croniche possono ostacolare l'assunzione di una adeguata alimentazione nell'età avanzata. Anche l'assorbimento è ridotto, contribuendo probabilmente, alla carenza di ferro, all'osteoporosi (correlata anche alla carenza di calcio) e all'osteomalacia, dovuta alla mancanza di vitamina D e di esposizione alla luce del sole (v. Carenza e dipendenza da Vitamina D nel Cap. 3). Con l'invecchiamento, indipendentemente dalle malattie o dalle carenze alimentari, si verifica una progressiva riduzione della massa corporea magra, che si aggira intorno ai 10 kg negli uomini e di 5 kg nelle donne. Ciò spiega la riduzione del metabolismo basale, del peso corporeo totale, della massa scheletrica e dell'altezza, nonché dell'aumento del grasso corporeo (in percentuale rispetto al peso corporeo) da circa il 20% al 30% negli uomini e dal 27% al 40% nelle donne. Queste variazioni, insieme alla ridotta attività fisica, determinano un minor fabbisogno energetico e proteico rispetto agli adulti più giovani. Malattie croniche: nei pazienti affetti da malattie croniche, gli stati di malassorbimento (compresi quelli dovuti a interventi chirurgici) tendono a compromettere l'assorbimento delle vitamine liposolubili, della vitamina B12, del calcio e del ferro. Le malattie del fegato compromettono l'immagazzinamento delle vitamine A e B12 e interferiscono col metabolismo delle proteine e delle fonti energetiche. I pazienti con malattie renali, compresi quelli sottoposti a dialisi, tendono a sviluppare una carenza di proteine, ferro e vitamina D. Alcuni pazienti affetti dal cancro e molti affetti dalla AIDS sono anoressici, il che complica la terapia. Nei pazienti che ricevono una nutrizione parenterale domiciliare per lungo tempo (v. Nutrizione parenterale nel Cap. 1), più frequentemente dopo resezioni intestinali totali o subtotali, devono essere evitate, in modo particolare, le carenze di vitamine e di minerali. Il medico deve assicurarsi che siano assunti in maniera adeguata la biotina, la vitamina K, il selenio, il molibdeno, il manganese e lo zinco. Diete vegetariane: la forma più comune di vegetarianismo è l'ovo-lattovegetarianismo, in cui vengono evitate le carni e il pesce, ma vengono mangiate le uova e i derivati del latte. Il solo rischio è la carenza di ferro. Gli ovo-lattovegetariani tendono a vivere più a lungo e sviluppano meno frequentemente delle condizioni croniche invalidanti rispetto alle persone che mangiano carne. Comunque, il loro stile di vita include, di solito, un regolare esercizio fisico e l'astensione dall'alcol e dal tabacco, che possono contribuire al loro migliore stato

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Malnutrizione

di salute. I vegetariani non consumano prodotti animali e tendono a sviluppare una carenza di vitamina B12 che può essere corretta mediante assunzione degli estratti di lievito e dei cibi orientali fermentati. Anche l'apporto di calcio, ferro e zinco tende a essere basso. Una dieta fruttariana, che consiste solamente di frutta, è carente di proteine, sali e molte sostanze micronutrienti ed è sconsigliabile. Diete di moda: molte diete commerciali sono seguite dalla gente per migliorare lo stato di benessere o per ridurre il peso corporeo. In questi pazienti, i medici devono fare attenzione ai segni precoci della carenza o della tossicità delle sostanze nutritive. Queste diete hanno causato, infatti, evidenti carenze di vitamine, di minerali e di proteine con disturbi cardiaci, renali e metabolici, in alcuni casi fatali. Le diete a contenuto calorico molto basso (< 400 kcal/die) non possono sostenere uno stato di buona salute per molto tempo. Bisogna ricordare, inoltre, che i supplementi di alcuni oligoelementi minerali, prescritti in alcune di queste diete, hanno provocato degli stati di tossicità. Alcol o tossico-dipendenza: i pazienti con problemi di alcol o di tossicodipendenza sono notoriamente inattendibili, quando interrogati sulle loro abitudini alimentari, rendendo così necessaria una prudente raccolta anamnestica dai familiari e dai conoscenti. La dipendenza causa uno stile di vita in cui l'adeguata nutrizione ha un'importanza secondaria. Anche l'assorbimento e il metabolismo delle sostanze nutritive è alterato. Elevati livelli di alcol sono tossici e possono causare dei danni tessutali, particolarmente del tratto GI, del fegato, del pancreas, del cervello e del sistema nervoso periferico. I bevitori di birra che continuano a nutrirsi regolarmente possono aumentare di peso, ma gli alcolisti che consumano 1 litro di liquori forti al giorno dimagriscono e diventano sottonutriti. I tossicodipendenti sono di solito emaciati. L'alcolismo è la causa più comune della carenza di tiamina negli USA e può essere responsabile della carenza di magnesio, di zinco e di altre vitamine (v. Carenza e dipendenza di tiamina nel Cap. 3).

Diagnosi La diagnosi della malnutrizione è basata sui risultati dell'anamnesi medica e nutrizionale, dell'esame obiettivo e di esami di laboratorio selezionati (v. Valutazione dello stato nutrizionale nel Cap. 1). I dati ottenuti sono confrontati con i valori normali del peso per l'altezza, dell'indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI), dell'apporto alimentare, dei reperti obiettivi e dei normali livelli plasmatici delle sostanze nutritive e delle sostanze che risentono del normale apporto delle sostanze nutritive stesse, come l'emoglobina, gli ormoni tiroidei, la transferrina e l'albumina. Anamnesi: un'anamnesi positiva per uno scarso appetito, per dei disturbi GI e per un recente e consistente calo ponderale suggerisce una possibile malnutrizione. Un'anamnesi positiva per sanguinamenti può indicare una carenza di ferro. L'uso cronico di alcol, di cocaina, di eroina, di immunosoppressori o di alcuni antibiotici e di anticonvulsivanti deve far sorgere dei dubbi circa l'adeguatezza dell'apporto vitaminico e minerale. Un'anamnesi nutrizionale può rivelare un'alimentazione capricciosa, la mancanza di varietà nei cibi e l'inadeguata o eccessiva assunzione di calorie e di sostanze nutritive essenziali. Esame obiettivo: alcune significative modificazioni della composizione corporea e della funzione d'organo possono suggerire come causa la malnutrizione. Devono essere esaminate la cute, per la presenza di secchezza, desquamazione, atrofia, petecchie ed ecchimosi, e la bocca per la presenza di una stomatite angolare, una glossite, di gengive gonfie o sanguinanti e di denti cariati. Anche la depigmentazione dei capelli e la coilonichia indicano una malnutrizione. La muscolatura deve essere esaminata per determinarne le dimensioni, la forza e la dolorabilità. Un esame neurologico può evidenziare disorientamento, andatura anomala, riflessi alterati e anomalie dei neuroni sensitivi o motori. Il dolore alle ossa e alle articolazioni, l'osteopenia e le alterazioni della forma o delle dimensioni delle ossa (p. es., il rosario rachitico) file:///F|/sito/merck/sez01/0020024.html (3 of 4)02/09/2004 3.08.42

Malnutrizione

possono indicare un'attuale o una pregressa malnutrizione. Le misurazioni antropometriche sono essenziali per la diagnosi. La Tab. 1-5 riporta gli intervalli del peso corporeo ideale e il peso soglia per l'obesità (20% circa del peso ideale medio). Lo stato nutrizionale può essere classificato sulla base del BMI (v. Tab. 2-3). La plica del tricipite (Triceps Skinfold, TSF) valuta la quantità di grasso corporeo entro il 20% ed è quindi utile per determinare le riserve energetiche dell'organismo. Basandosi sull'area muscolare del braccio, che rappresenta una misura approssimativa della massa corporea magra, la massa muscolare può essere classificata come adeguata, al limite, depleta o deperita (v. Tab. 2-4). Esami di laboratorio: per la diagnosi di malnutrizione sono utili un emocromo, la misurazione di alcune proteine plasmatiche che riflettono l'adeguatezza dell'apporto nutrizionale aminoacidico (albumina, prealbumina e transferrina) e la misurazione dei lipidi plasmatici e delle lipoproteine correlate (v. Tab. 1-6). Anormali livelli di elettroliti possono indicare una carenza minerale o un difetto nell'omeostasi ionica. Le vitamine lipo- e idrosolubili possono essere misurate nel plasma e nelle urine. I test cutanei che utilizzano gli antigeni sono impiegati per valutare l'immunità cellulo-mediata. Possono essere utili anche i diversi esami per immagini (rx, TC e RMN). Nelle persone sottonutrite l'intervento chirurgico rappresenta un ulteriore stress. Impiegando degli indicatori dello stato di malnutrizione, è stato creato un indice nutrizionale prognostico (INP), che rappresenta un modello lineare predittivo della morbilità e della mortalità postoperatoria. La formula per l'INP utilizza l'albumina sierica (A) in g/dl, la TSF in mm, la transferrina sierica (TFN) in mg/dl e la risposta da ipersensibilità ritardata (Delayed Hypersensitivity, DH) (da 0 a 2), misurata dai test di inibizione della migrazione, della trasformazione e della citotossicità dei leucociti. INP % = 158 - 16,6 (A) - 0,78 (TSF) - 0,2 (TFN) - 5,8 (DH) Per esempio, un paziente ben nutrito con A = 4,8, TSF = 14, TFN = 250 e DH = 2 ha un INP di 158,0-152,2 o il 5,8% di possibilità di complicanze. Un paziente denutrito con degli indici anormali (A = 2,8, TSF = 180, DH = 1), ha un INP di 158,0-95,3 o il 62,7% di possibilità di complicanze.

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2. MALNUTRIZIONE DIGIUNO Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio Terapia

Modificazioni strutturali e funzionali dovute alla totale mancanza di assunzione di energia e di sostanze nutritive essenziali. L'inedia è la forma più grave di malnutrizione. Può derivare dal digiuno, dalla carestia, dall'anoressia nervosa, da gravissime patologie del tratto GI, dall'ictus o dal coma. La risposta del metabolismo basale all'inedia cerca inizialmente di preservare le fonti energetiche e i tessuti corporei. Comunque, alla fine, l'organismo utilizzerà i suoi tessuti come fonte di energia, determinando una distruzione degli organi viscerali e dei muscoli e l'estrema riduzione del tessuto adiposo. L'inedia totale è fatale in 8-12 sett.

Sintomi e segni In volontari adulti, un digiuno di 30-40 giorni, ha causato un notevole calo ponderale (25% del peso iniziale), una riduzione del metabolismo e della percentuale e quantità delle proteine tissutali catabolizzate, di circa il 30%. Nell'inedia molto prolungata, la perdita di peso può raggiungere il 50% negli adulti e anche di più nei bambini. La perdita di peso degli organi è massima a livello del fegato e dell'intestino, moderata a livello del cuore e dei reni e minima a livello del sistema nervoso. L'emaciazione è maggiormente evidente dove normalmente si trovano i depositi di grasso. La massa muscolare diminuisce e le ossa diventano sporgenti. La cute diventa sottile, secca, anelastica, pallida e fredda. I capelli diventano secchi, radi e cadono facilmente. Viene coinvolta la maggior parte dei sistemi. Frequenti sono l'acloridria e la diarrea. Le dimensioni del cuore e la gittata cardiaca sono ridotte; la frequenza cardiaca rallenta e la pressione arteriosa diminuisce. La frequenza respiratoria e la capacità vitale diminuiscono. Il disturbo endocrino principale è l'atrofia gonadica, con la perdita della libido negli uomini e nelle donne e l'amenorrea nelle donne. Le capacità intellettive rimangono integre, ma sono frequenti l'apatia e l'irritabilità. Il paziente si sente debole. La capacità di lavoro è diminuita a causa della riduzione delle masse muscolari e, alla fine, è peggiorata dall'insufficienza cardiorespiratoria. L'anemia è di solito lieve, normocromica e normocitica. La riduzione della temperatura corporea contribuisce frequentemente alla morte. Nell'edema da fame, le proteine sieriche sono di solito normali, ma la perdita del grasso e dei muscoli causa un aumento dell'acqua extracellulare, una riduzione della pressione osmotica tissutale e una cute anelastica. L'immunità cellulomediata è compromessa e la guarigione delle ferite è ritardata (v. Immunodeficienza correlata a malnutrizione nel Cap. 147). file:///F|/sito/merck/sez01/0020028.html (1 of 2)02/09/2004 3.08.43

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Esami di laboratorio Quando i lipidi vengono rilasciati dal tessuto adiposo per essere utilizzati come fonte energetica, i livelli sierici degli acidi grassi aumentano. La glicemia diminuisce, mantenuta a livelli inferiori della norma dalla sintesi epatica di glucoso che utilizza gli aminoacidi di origine muscolare. All'inizio, con il catabolismo muscolare, aumenta il livello plasmatico degli aminoacidi, ma in seguito, mano a mano che l'inedia procede, il livello si riduce, con una riduzione maggiore degli aminoacidi essenziali rispetto a quelli non essenziali. L'insulina plasmatica è bassa, il glucagone è elevato e l'albumina sierica rimane quasi normale fino a quando l'organismo non ricorre al catabolismo muscolare per ottenere gli aminoacidi necessari per la sintesi di nuove proteine nel fegato. In generale, comunque, durante l'inedia c'è una riduzione del catabolismo proteico, come evidenziato dalla riduzione dell'urea urinaria e del nitrogeno totale.

Terapia L'apporto di cibo deve essere, inizialmente, limitato almeno fino a quando non ricomincia una normale funzione intestinale. Negli adulti, l'alimentazione deve essere leggera e i pasti liquidi devono essere inizialmente limitati a circa 100 ml, per evitare la diarrea. È consigliata una formula costituita dal 42% di latte scremato in polvere, dal 32% di olii commestibili e dal 25% di saccaroso, con supplementi di elettroliti, vitamine e minerali. In assenza dei segni specifici della carenza delle sostanze micronutrienti, deve essere fornita una quantità pari al doppio dei fabbisogni giornalieri raccomandati (RDA), elencati nella Tab. 1-3. Per il trattamento delle carenze specifiche, v. Cap. 3 e 4. La dieta viene gradualmente aumentata fino a circa 5000 kcal/die, ottenendo un aumento ponderale, pari a 1,5-2 kg alla settimana. Se persiste la diarrea, in assenza di infezioni, può essere sospettata una temporanea intolleranza al lattoso. Di solito, lo yogurt è ben tollerato, perché il lattoso è parzialmente idrolizzato a glucoso e galattoso. Nei pazienti che non rispondono, può essere necessaria un'alimentazione enterale o, nei casi di malassorbimento grave, una nutrizione parenterale (v. Nutrizione parenterale nel Cap. 1). Per correggere le carenze, che sono spesso multiple, non basta la semplice prescrizione di una dieta equilibrata, ma sono necessarie istruzioni dettagliate. Appena il paziente riprende peso, si possono manifestare i segni clinici di una patologia da carenza dovuta allo squilibrio nell'assunzione delle vitamine e degli oligoelementi minerali. Per evitare questi problemi, il paziente deve continuare ad assumere le sostanze micronutrienti in dosi doppie rispetto all'RDA fino a quando il recupero non è completo.

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2. MALNUTRIZIONE MALNUTRIZIONE PROTEICO-ENERGETICA Sommario: Introduzione Classificazione ed eziologia Epidemiologia Fisiopatologia Sintomi e segni Esami di laboratorio Diagnosi Terapia Prognosi

Una sindrome da carenza causata dall'inadeguata assunzione di sostanze macronutrienti. La malnutrizione proteico-energetica (MPE) o malnutrizione proteico-calorica, è caratterizzata non solo dal deficit energetico dovuto al ridotto apporto di tutte le sostanze macronutrienti, ma anche dalla carenza di molte sostanze micronutrienti. Questa sindrome è un esempio dei vari livelli di inadeguata assunzione delle proteine e/o delle calorie, compresi tra l'inedia (mancata assunzione di cibo) e l'adeguata nutrizione. Questo tipo di malnutrizione anche se esemplificata drammaticamente dai neonati e dai bambini di alcuni paesi in via di sviluppo, si può verificare in persone di ogni età e di ogni paese.

Classificazione ed eziologia Clinicamente, la MPE si presenta in tre forme: atrofica (sottile, disidratata), umida (edematosa, tumefatta) e una forma combinata intermedia. La forma clinica dipende dal rapporto tra le fonti energetiche proteiche e quelle non proteiche. Ciascuna di queste tre forme può essere classificata come lieve, moderata e grave. Il grado è determinato calcolando il rapporto percentuale tra il peso e i valori standard internazionali del rapporto atteso peso/altezza (valore normale, 90-110%; MPE lieve, 85-90%; moderata 75-85%; grave < 75%). La forma asciutta, il marasma, deriva da un digiuno quasi completo con carenza sia delle proteine che delle sostanze nutritive non proteiche. Il bambino con marasma consuma delle quantità di cibo molto piccole (perché spesso sua madre non riesce ad allattarlo al seno) ed è molto magro per la perdita della massa muscolare e del grasso corporeo. La forma umida è chiamata kwashiorkor, che nel mondo africano significa "primo bambino-secondo bambino." Questo termine si riferisce al fatto che il primo bambino sviluppa una MPE quando nasce il secondo bambino che lo sostituisce al seno materno. Il bambino svezzato viene alimentato con poca

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pappa di avena che ha poche qualità nutrizionali (in confronto al latte materno) e non riesce a crescere. La carenza di proteine è di solito più marcata del deficit energetico e provoca un edema. I bambini affetti dal kwashiorkor tendono a essere più grandi d'età rispetto a quelli affetti dal marasma e tendono a sviluppare la malattia dopo lo svezzamento. La forma combinata di MPE è chiamata kwashiorkor marasmico. I bambini affetti da questa forma hanno alcuni edemi e una maggiore quantità di grasso corporeo rispetto a quelli affetti dal marasma.

Epidemiologia Il marasma è la forma predominante di MPE nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Si associa a mancanza o a interruzione precoce dell'allattamento al seno e alle conseguenti infezioni, specialmente quelle che determinano le gastroenteriti infantili. Queste infezioni sono causate dalla scarsa igiene e dall'inadeguata conoscenza di come si allevano i bambini, prevalenti nelle regioni povere e in rapida crescita, dei paesi in via di sviluppo. Il kwashiorkor è meno comune e generalmente si manifesta come kwashiorkor marasmico. Questo tende a essere confinato nelle parti del mondo (zone rurali dell'Africa, isole dei Caraibi e del Pacifico) in cui le derrate principali e gli alimenti da svezzamento, come l'igname, la cassava, le patate dolci e le banane verdi, sono poveri di proteine e troppo ricchi di amido.

Fisiopatologia Nel marasma, l'apporto calorico è insufficiente per il fabbisogno energetico dell'organismo che utilizza, quindi, le proprie riserve. Il glicogeno epatico viene consumato in alcune ore e, poi, per mantenere un adeguato livello glicemico, vengono utilizzate, per la gluconeogenesi, le proteine dei muscoli scheletrici. Nello stesso tempo, i trigliceridi contenuti nei depositi di grasso vengono scissi per formare gli acidi grassi liberi che provvedono al fabbisogno energetico della maggior parte dei tessuti, ad eccezione del sistema nervoso. Comunque, quando il digiuno quasi totale è prolungato, gli acidi grassi liberi vengono ossidati incompletamente a chetoni che possono essere utilizzati dal cervello e da altri organi come fonte energetica. Allora, nella grave carenza energetica del marasma, l'adattamento è facilitato da un aumento dei livelli di cortisolo e di ormone della crescita e da una riduzione della secrezione di insulina e degli ormoni tiroidei. Poiché gli aminoacidi vengono mobilizzati dai muscoli per fornire al fegato i substrati per la sintesi delle proteine, i livelli delle proteine plasmatiche diminuiscono meno nel marasma che nel kwashiorkor. Nel kwashiorkor, l'assunzione relativamente maggiore dei carboidrati e la ridotta assunzione delle proteine, causano una ridotta sintesi delle proteine viscerali. L'ipoalbuminemia che ne consegue, causa gli edemi declivi, mentre la ridotta sintesi di b-lipoproteine causa una steatosi epatica. La secrezione insulinica è inizialmente aumentata, ma poi nel corso della malattia si riduce. La mobilizzazione dei grassi e il rilascio degli aminoacidi dai muscoli si riducono anch'essi, cosicché un minore substrato aminoacidico è disponibile per il fegato. Nel marasma e nel kwashiorkor, c'è una scarsa risposta insulinica al carico glucidico, probabilmente dovuta alla carenza di cromo (v. Cromo nel Cap. 4). In un maschio adulto, medio, la sintesi totale delle proteine corporee è di circa 300 g/die o di 5 g/kg/die. Le perdite giornaliere obbligatorie sono soltanto di 6075 g (9-12 g di nitrogeno) poiché il 75-80% viene riutilizzato. L'RDA delle proteine per un adulto è di circa 0,8 g/kg di peso corporeo; i lattanti e i bambini necessitano invece di 1-2 g/kg/die (v. Tab. 1-3). Quindi, i bambini necessitano di una quantità più elevata di aminoacidi essenziali nella loro dieta rispetto agli adulti (v. Tab. 1-1).

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Negli stati di deficit proteico, si verificano delle modificazioni enzimatiche di adattamento nel fegato, aumenta l'attività dell'aminoacido-sintetasi e diminuisce l'ureagenesi, con conseguente conservazione dell'azoto e ridotta escrezione nelle urine. Inizialmente si mettono in moto dei meccanismi omeostatici per mantenere i livelli plasmatici dell'albumina e delle altre proteine di trasporto. Alla fine, però la velocità di sintesi dell'albumina, diminuisce e i livelli plasmatici decrescono, causando una riduzione della pressione osmotica e l'edema. Nel deficit proteico grave, sono alterati l'accrescimento, la risposta immune, la riparazione tissutale e la produzione di alcuni enzimi e ormoni.

Sintomi e segni I bambini affetti da marasma sono affamati, presentano un'importante calo ponderale, un ritardo dell'accrescimento e la perdita del grasso sottocutaneo e dei muscoli. Il kwashiorkor è invece caratterizzato da un edema generalizzato, da una dermatosi a "squame dipinte", da assottigliamento, decolorazione e arrossamento dei capelli, da steatosi epatica con epatomegalia e da una capricciosa apatia associata a una ritardata crescita. Episodi alterni di sottonutrizione e nutrizione adeguata possono causare un drammatico aspetto dei capelli a "bandiera a strisce". Quasi invariabilmente, in tutte le forme di MPE, si verificano delle infezioni causate da batteri diversi che provocano polmoniti, diarrea, otiti medie, disturbi genitourinari e sepsi. Le infezioni si verificano a causa di un'immunodepressione simile, in parte, a quella della AIDS dovuta all'infezione da HIV. Tuttavia, a differenza dell'immunodeficienza della AIDS, il difetto è qui dovuto principalmente alla malnutrizione e può essere risolto con una terapia nutrizionale.

Esami di laboratorio Nei casi di MPE lieve o moderata si può verificare una modesta riduzione dell'albumina plasmatica e dell'escrezione urinaria di urea, dovuta alla ridotta assunzione alimentare di proteine e di idrossiprolina, che rispecchiano la ridotta crescita. L'aumentata escrezione urinaria di 3-metilistidina indica il catabolismo muscolare. Nel marasma e nel kwashiorkor aumenta la percentuale dell'acqua corporea e di quella extracellulare. Gli elettroliti, specialmente il potassio e il magnesio, sono ridotti; i livelli di alcuni enzimi e dei lipidi circolanti sono bassi e l'azotemia è diminuita. Di solito, sono presenti anche un'anemia dovuta alla carenza di ferro e un'acidosi metabolica. La diarrea è frequente e, alcune volte, è aggravata dal deficit delle disaccaridasi intestinali, specialmente della lattasi. Il kwashiorkor è caratterizzato da bassi livelli plasmatici di albumina (10-25 g/l), di transferrina, di aminoacidi essenziali (specialmente a catena ramificata), di blipoproteine e di glucoso. I livelli plasmatici del cortisolo e dell'ormone della crescita sono elevati, mentre le secrezioni di insulina e del fattore di crescita insulino-simile sono ridotte. Nella Tab. 2-5 sono riportati, a titolo di esempio, i reperti biochimici osservati nei bambini della Tailandia del nord in buona salute e in quelli affetti da MPE.

Diagnosi La diagnosi differenziale comprende la mancata crescita dovuta a malassorbimento, a malattie congenite, all'insufficienza renale, a patologie endocrine o a sindromi da privazione. Le alterazioni cutanee del kwashiorkor differiscono da quelle della pellagra, che interessano le zone del corpo esposte alla luce con una distribuzione simmetrica. L'edema presente nella nefrite, nella nefrosi e nell'insufficienza cardiaca, è accompagnato dagli altri segni di queste malattie e risponde al trattamento specifico. L'epatomegalia può essere file:///F|/sito/merck/sez01/0020029.html (3 of 5)02/09/2004 3.08.46

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differenziata da quella dovuta ai disordini del metabolismo del glicogeno e alla fibrosi cistica.

Terapia Per i bambini e per gli adulti che hanno una MPE grave, il primo passo è rappresentato dalla correzione dello squilibrio idroelettrolitico e dal trattamento delle infezioni con gli antibiotici. Le più comuni alterazioni elettrolitiche sono l'ipokaliemia, l'ipocalcemia, l'ipofosfatemia e l'ipomagnesemia. Il secondo passo, che può essere posticipato di 24-48 h nei bambini (per evitare un peggioramento della diarrea), consiste nel fornire le sostanze macronutrienti con una dieta adeguata. Le formule basate sul latte rappresentano la terapia di scelta. La quantità viene gradualmente aumentata durante la prima settimana per arrivare al pieno dosaggio di 175 kcal/kg con 4 g di proteine/kg nei bambini e di 60 kcal/ kg con 2 g di proteine/kg negli adulti. Terapia idroelettrolitica: inizialmente, ai bambini affetti dalla MPE devono essere somministrati liquidi EV. Sebbene l'acqua corporea totale sia aumentata, è spesso presente un'ipovolemia, specialmente nei bambini con una storia di grave diarrea. La soluzione reidratante che deve essere somministrata all'inizio è la soluzione di Darrow, costituita da lattato 0,17 M, soluzione salina e soluzione glucosata al 5%, nel rapporto di 1:2:3 parti del volume totale a cui sono, poi, aggiunti 50 ml di soluzione glucosata al 50% per ogni 500 ml. Questa soluzione fornisce 78 mEq/l di sodio e 55 mM/l di glucoso. La disidratazione deve essere compensata durante le prime 8-12 h di terapia. Per esempio, un bambino di 5 kg con una disidratazione del 10% deve ricevere un totale di 500 ml di liquidi in 12 ore. Dopo le prime 12 ore, può essere aggiunto all'infusione del potassio, fino a ottenere una concentrazione di 20 mM/l. Un bambino gravemente disidratato può ricevere EV fino a 20 ml/kg della soluzione iniziale (2% del peso corporeo) durante la prima ora di terapia per aumentare la volemia e di conseguenza il flusso ematico renale e la diuresi. Durante il 2o giorno, se il bambino non riesce ad alimentarsi per via orale o ha una diarrea persistente, si somministra EV, alla velocità di 10 ml/ kg/h, una soluzione normale, nel rapporto di 1:2:6 e che contiene 20 mEq di potassio/l finché non viene iniziata la terapia orale, di solito in 3a giornata. Per 7 giorni viene somministrato IM un supplemento di magnesio, alla dose di 0,4 mEq/kg/die, mentre le vitamine del complesso B, a un dosaggio doppio rispetto all'RDA, vengono somministrate per via parenterale nei primi 3 giorni (v. Tab. 1-3). Negli adulti, per la reidratazione orale, si può usare la soluzione della World Health Organization contenente 90 mEq/l di sodio, 20 mEq/l di potassio, 80 mEq/l di cloro, 30 mEq/l di bicarbonato e 111 mM di glucoso/l, somministrata in dosi frazionate durante le 24 ore. Dieta: quando la diarrea è grave, il paziente deve rimanere a digiuno completo per 48 h. Non appena la diarrea diminuisce (di solito durante le prime 48 h), si sospende la terapia EV e si inizia l'alimentazione per via orale. Nelle fasi precoci della MPE, è più facile somministrare il fabbisogno calorico e proteico con una formula di latte artificiale, se necessario, attraverso un sondino. Una formula di latte intero condensato può essere arricchita con l'aggiunta di olio di mais e di maltodestrina in modo da fornire 100 kcal, 4 g di proteine, 5,5 g di lipidi e 8,2 g di carboidrati ogni 100 ml. L'apporto calorico delle sostanze macronutrienti è rappresentato dal 16% di proteine, dal 50% di lipidi e dal 34% di carboidrati. Questa formula fornisce anche 2,7 mEq/ kg di sodio, 5 mEq/kg di potassio, 7,3 mEq/kg di calcio, 6,2 mEq/kg di fosforo e 1,4 mEq/kg di magnesio al giorno. Per soddisfare il fabbisogno del bambino, viene arricchita anche con zinco, manganese, rame, iodio, fluoro, molibdeno e selenio. Dopo 4 sett., la formula può essere sostituita con il latte intero e con dei cibi solidi, quali le uova, la frutta, la carne, l'olio di fegato di merluzzo e il lievito.

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Un gruppo di bambini tailandesi affetti da MPE è stato alimentato a volontà per un periodo di 12 sett. Il massimo apporto, pari a 165 kcal/kg e 6 g di proteine/kg e il massimo tasso di crescita sono stati raggiunti dopo 3 sett. di terapia. L'apporto è stato poi ridotto gradualmente fino a raggiungere le 125 kcal/kg e i 4 g di proteine/kg alla 12a sett. A quel punto, i bambini hanno raggiunto il 90% del peso previsto in base all'altezza. Nel trattamento dei bambini affetti dalla MPE è importante anche la somministrazione del ferro. La maggior parte di essi ha delle diminuite riserve di ferro nel midollo osseo al momento del ricovero che scompaiono del tutto entro 46 sett. se non si somministra un supplemento di ferro. Poiché l'assorbimento del ferro per via orale è scarso nella MPE, si deve prendere in considerazione la somministrazione del ferro IM o per via orale ad alte dosi (100-200 mg/die di ferro elementare). Il ferro IM aumenta immediatamente le riserve di ferro nel midollo osseo. Negli adulti affetti dalla MPE, una lieve anemia può essere trattata con la somministrazione del ferro per via orale. La maggior parte degli adulti affetti da una MPE può assumere la formula per bocca fin dall'inizio. Per la terapia integrativa può essere usata una formula commerciale per via orale (v. Tab. 1-8).

Prognosi Nei bambini la mortalità varia tra il 5% e il 40%. Percentuali di mortalità inferiori sono osservate nei bambini sottoposti a un trattamento intensivo. La morte nei primi giorni di trattamento è, di solito, dovuta a squilibri elettrolitici, infezioni con sepsi, ipotermia o insufficienza cardiaca. I segni prognostici sfavorevoli sono rappresentati dal torpore, dall'ittero, dalle petecchie, dai bassi livelli sierici di sodio e dalla diarrea persistente. Un segno prognostico favorevole è rappresentato invece dalla scomparsa dell'apatia, degli edemi e dell'anoressia. Il recupero è più rapido nel kwashiorkor che nel marasma. Non sono ben documentati gli effetti a lungo termine della malnutrizione nei bambini. Quando il trattamento è adeguato, il fegato recupera completamente senza evolvere verso la cirrosi. In alcuni bambini persistono il malassorbimento e l'insufficienza pancreatica. L'immunità umorale è compromessa in modo variabile mentre l'immunocompetenza cellulo-mediata è marcatamente compromessa, ma entrambe tornano alla norma con la terapia. Il grado di ritardo mentale è correlato alla durata, alla gravità e all'età di comparsa della malnutrizione. Alcuni studi prospettici indicano che un certo grado, relativamente lieve, di ritardo mentale può persistere fino all'età scolare. Negli adulti, la MPE non trattata può essere causa di morbilità e a volte di mortalità, anche se i dati sulla mortalità sono scarsi. La terapia è generalmente efficace a eccezione dei casi in cui si verifica un'insufficienza d'organo.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI CROMO L'evidenza che il cromo (Cr) sia un oligoelemento minerale essenziale negli animali è stata ottenuta nei ratti alimentati con una dieta basata sul lievito Criptococcus. Essi hanno sviluppato un'anomala tolleranza al glucoso che è stata contrastata dall'aggiunta di lievito di birra, che si pensava contenesse un fattore di tolleranza per il glucoso. In seguito è stato riportato che il fattore attivo del lievito di birra è proprio il cromo trivalente (CrCl3). Inoltre, è stato riportato che il cromo si lega all'insulina formando un complesso dotato di maggiore attività. Comunque, la rilevanza degli studi animali sulla carenza di cromo rimane controversa per quanto riguarda gli effetti del cromo sull'uomo. Il fattore di tolleranza al glucoso non è mai stato isolato e la sua struttura non è mai stata determinata. Il recettore per l'insulina è stato purificato e caratterizzato senza trovare alcuna evidenza che il cromo sia una componente delle sue subunità, una cromoproteina accessoria per il legame dell'insulina o un secondo messaggero nella mediazione degli effetti dell'insulina sulle cellule. A differenza del ferro, dello zinco, del rame, del molibdeno e del selenio, il cromo non è stato trovato in nessuna metalloproteina biologicamente attiva. Quindi, l'apparente attività biologica del cromo nel promuovere la tolleranza al glucoso rimane inspiegata. Il fabbisogno stimato di cromo negli uomini è di circa 1 mg/die, ma solo l'1-3% del cromo trivalente viene assorbito. Negli USA, l'assunzione di cromo varia da 20 a 50 mg/die, con livelli plasmatici da 0,05 a 0,50 mg/l (1,0-9,6 nmol/l). Il Food and Nutrition Board del NAS/NRC afferma che una sicura e adeguata assunzione di cromo per un adulto va dai 50 ai 200 mg/die. Carenza: un'evidente carenza di cromo, associata all'intolleranza al glucoso e alla neuropatia periferica, si è verificata in quattro pazienti sottoposti a una NPT da lungo tempo. Tre di loro hanno risposto alla terapia con cromo trivalente, alla dose di 150-250 mg, con una riduzione della neuropatia periferica e un aumento della tolleranza al glucoso. Tossicità: il cromo trivalente può causare un'irritazione cutanea se somministrato a dosi elevate per via parenterale, ma non è tossico a dosi inferiori somministrate per bocca. Alcune persone possono essere esposte al cromo esavalente (CrO3) sul posto di lavoro. È irritante per la cute, per i polmoni e per il tratto GI e può causare la perforazione del setto nasale e il carcinoma del polmone.

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Malnutrizione

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2. MALNUTRIZIONE DEFICIT DI CARNITINA L'aminoacido carnitina è un derivato metilato e poi ulteriormente modificato, della lisina; è necessario per il trasporto nei mitocondri degli esteri dell'acetilcoenzima A a catena grassa lunga (CoA). La carnitina palmitoiltransferasi catalizza la transesterificazione del gruppo grasso acetilico dal CoA sulla carnitina, che viene poi trasportata attraverso le membrane interne del mitocondrio. Una seconda transesterificazione all'interno del mitocondrio rigenera l'acetil CoA a catena grassa per la b-ossidazione. I cibi animali sono ricchi di carnitina perché le cellule animali la possono sintetizzare. Il fabbisogno umano di carnitina è quindi soddisfatto, in parte, dalla biosintesi endogena e, in parte, dall'assunzione alimentare. Una dieta ordinaria fornisce circa 100-300 mg/die mentre la biosintesi ne fornisce altri 300-600 mg/ die. Il deficit di carnitina può causare necrosi muscolare, mioglobinuria, miopatia da accumulo di lipidi, ipoglicemia, steatosi epatica e iperammoniemia con dolore muscolare, fatica e confusione. Il deficit di carnitina può essere causato da una ridotta capacità di biosintesi; da ridotti livelli di carnitina-palmitoiltransferasi; dalla alterazione dei meccanismi cellulari che permettono il trasporto della carnitina; dall'eccessiva perdita di carnitina con la diarrea, la diuresi o l'emodialisi; dalle aumentate richieste di carnitina negli stati di chetosi e dall'elevato fabbisogno per l'ossidazione dei grassi e dall'inadeguato apporto durante una NPT a lungo termine. Alcune carenze sono causate da mutazioni geniche che interessano gli enzimi necessari per la biosintesi, il trasporto o il metabolismo della carnitina (p. es., la carenza di carnitina-palmitoiltransferasi, la metilmalonilaciduria, la propionilacidemia e l'isovalerilacidemia) e possono essere corrette con la somministrazione di lcarnitina, 25 mg/kg PO q 6 h. Anche la diminuita sintesi causata dalle gravi epatopatie e le eccessive perdite dovute alla dialisi nell'insufficienza renale cronica, possono ridurre i livelli di carnitina. L'ipoglicemia e la debolezza muscoloscheletrica, associate all'evidenza biochimica di un deficit di carnitina durante la NPT a lungo termine, sono reversibili con la terapia a base di carnitina.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE Nelle società tecnologicamente avanzate il deficit vitaminico è dovuto nella maggior parte dei casi alla povertà, alle diete di moda, a un uso erroneo dei farmaci (v. Interazioni tra sostanze nutritive e farmaci nel Cap. 1), all'alcolismo cronico o alla nutrizione parenterale prolungata. La dipendenza da vitamine deriva da un difetto genetico nel metabolismo della vitamina o nel legame tra il coenzima vitamina-correlato e il suo apoenzima. In alcuni casi, le dosi massicce di vitamine, anche 1000 volte più elevate dell'RDA migliorano il funzionamento della via metabolica alterata. Persone con una dipendenza da vitamina sono state identificate per la vitamina D, per la tiamina, per la niacina, per la vitamina B6, per la biotina e per la vitamina B12 (v. Tab. 1-2). I deficit di vitamina B12 e di acido folico sono trattati nelle Anemie megaloblastiche macrocitiche nel Cap. 127. La terapia megavitaminica è una causa della tossicità vitaminica (ipervitaminosi) per le vitamine A, D, E, C e B6, per la niacina e per l'acido folico (folato). Le fonti, le dosi terapeutiche usuali e i fabbisogni alimentari sono elencati nelle Tab. 1-2, 1-3 e 1-4.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE TOSSICITÀ DA VITAMINA A Sommario: Introduzione Sintomi, segni e diagnosi Prognosi e terapia

Un apporto eccessivo di vitamina A può causare una tossicità acuta o cronica. La tossicità acuta nei bambini può essere causata dall'assunzione di grosse dosi della vitamina (> 100000 mg o 300000 UI); si manifesta con un aumento della pressione intracranica e vomito, che possono portare a morte se l'ingestione non viene interrotta. Dopo la sospensione, la guarigione è spontanea, senza danni residui; sono stati riportati solo due casi mortali. Gli esploratori artici, entro poche ore dall'ingestione di diversi milioni di unità di vitamina A, contenute nel fegato di orso polare o di foca, hanno sviluppato sonnolenza, irritabilità, cefalea e vomito, seguiti da una desquamazione cutanea. Le compresse megavitaminiche contenenti vitamina A, quando assunte per molto tempo, hanno a volte indotto una tossicità acuta. La tossicità cronica si sviluppa nei bambini più grandi e negli adulti, di solito, in seguito all'assunzione, per mesi, di dosi maggiori di 33000 mg/ die (100000 UI). Nei lattanti che assumono dosi da 6000 a 20000 mg (20000-60000 UI)/die di vitamina A idrosolubile, lo stato tossico si può manifestare entro poche settimane. Sono stati riportati anche dei casi di difetti congeniti nei neonati di madri che avevano assunto l'acido 13-cis-retinoico (isotretinoina) durante la gravidanza, per problemi cutanei (v. Farmaci in gravidanza nel Cap. 249). Dosi massicce (50000-120000 mg o 150000-350000 UI) di vitamina A o dei suoi metaboliti vengono somministrate giornalmente anche ai pazienti affetti da acne globulare. Anche se efficace per il disturbo dermatologico, questa terapia comporta un notevole rischio di tossicità, da vitamina A, per il paziente. Poiché nell'organismo il carotene viene metabolizzato lentamente a vitamina A, la sua eccessiva ingestione non causa una tossicità da vitamina A, ma produce una carotenemia (livelli ematici di carotene > 250 mg/dl [> 4,65 mmol/l]). Questa condizione è di solito asintomatica, ma può causare una carotenosi in cui la cute (ma non le sclere) assume un colorito giallo intenso, specialmente a livello della palma delle mani e della pianta dei piedi. La carotenosi si può verificare anche in corso di diabete mellito, di mixedema, di anoressia nervosa, probabilmente per un'ulteriore riduzione della velocità di conversione del carotene in vitamina A.

Sintomi, segni e diagnosi I segni precoci sono rappresentati dai capelli radi e ruvidi, dall'alopecia delle sopracciglia, dalla pelle secca e rugosa e dalle labbra spaccate. In seguito, diventano preminenti una grave cefalea, il pseudotumor cerebri e l'astenia generalizzata. Sono frequenti l'iperostosi corticale e le artralgie, soprattutto nei file:///F|/sito/merck/sez01/0030036.html (1 of 2)02/09/2004 3.08.51

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

bambini. Si possono manifestare anche un'epatomegalia e una splenomegalia. I normali livelli plasmatici di retinolo sono compresi tra i 20 e gli 80 mg/dl (0,72,8 mmol/l). Nella tossicità da vitamina A, i livelli plasmatici a digiuno possono superare i 100 mg/dl (3,49 mmol/l) e arrivare fino a 2000 mg/dl (69,8 mmol/l). La diagnosi differenziale può essere difficile perché i sintomi sono vari e bizzarri, anche se, di solito, includono la cefalea e il rash cutaneo.

Prognosi e terapia La prognosi è ottima sia per gli adulti che per i bambini. I segni e i sintomi di solito scompaiono entro 1-4 sett. dall'interruzione dell'assunzione di vitamina A. Tuttavia, la prognosi per il feto di una madre che assume delle mega-dosi di vitamina A è riservata.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE DEFICIT E DIPENDENZA DA VITAMINA D RACHITISMO EREDITARIO VITAMINA D-DIPENDENTE Il tipo I (pseudodeficit di vitamina D) è una sindrome autosomica recessiva, caratterizzata da un grave rachitismo, da normali livelli plasmatici di 25(OH)D3 e da livelli di poco inferiori alla norma di 1,25(OH)2D3, da livelli di calcemia bassi o normali, da ipofosfatemia e da aminoaciduria generalizzata. Questa malattia deriva dall'assenza o dalla riduzione della 1a-idrossilasi nei reni e risponde a quantità fisiologiche di 1,25-(OH)2D3 (1-2 mg/die) somministrate EV o PO. Il tipo II esiste in differenti forme ed è dovuto a delle mutazioni del recettore del 1,25(OH)2D3. Questo recettore, che è un fattore di trascrizione per il 1,25(OH)2 D3, causa l'espressione di una varietà di geni che controllano il metabolismo dell'intestino, del rene, dell'osso e delle altre cellule. La mancanza di un recettore funzionale determina un elevato, ma inefficace livello di 1,25(OH)2D3. Alcuni pazienti rispondono a dosi molto elevate di 1,25(OH)2D3 (10-40 mg/die), mentre altri non rispondono affatto.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE DEFICIT DI VITAMINA E Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Terapia

La vitamina E (tocoferolo) è un termine generico che indica un gruppo di composti che hanno un anello 6-cromanolico, una catena laterale isoprenoide e l'attività biologica dell'a-tocoferolo. Il gruppo della vitamina E comprende i tocoferoli a-, b-, g-e d che differiscono per la diversa metilazione dell'anello cromanolico. Il d-a-tocoferolo è il solo stereoisomero presente naturalmente e il più potente per quanto riguarda l'attività biologica (1,49 UI/mg); il dl-a-tocoferolo, del tutto sintetico, è completamente racemico e ha un'attività biologica inferiore (1,1 UI/mg) rispetto al d-a-tocoferolo. Lo standard internazionale è rappresentato dal dl-a-tocoferolo acetato (1,0 UI/ mg). In generale, i tocoferoli agiscono come antiossidanti per prevenire la perossidazione lipidica degli acidi grassi polinsaturi nelle membrane cellulari. L'attività antiossidante dell'a-tocoferolo è simile a quella della glutatione perossidasi, che contiene selenio (v. Selenio nel Cap. 4). Nell'uomo, i livelli plasmatici di tocoferolo variano con i livelli plasmatici dei lipidi, che ne condizionano la ripartizione tra il plasma e il tessuto adiposo, che è il principale deposito dei tocoferoli. Normalmente, il livello plasmatico di atocoferolo è compreso tra i 5 e i 10 mg/ml (11,6-23,2 mmol/l). Le patologie causate dalla carenza di vitamina E variano molto in base alla specie. La carenza può causare dei disordini della riproduzione; delle anomalie dei muscoli, del fegato, del midollo osseo e della funzione cerebrale; l'emolisi dei globuli rossi; i difetti dell'embriogenesi; e la diatesi essudativa, un disordine della permeabilità capillare. Si può verificare anche una distrofia muscolare scheletrica che, in certe specie, è accompagnata dalla miocardiopatia. Nell'uomo, le principali manifestazioni della carenza di vitamina E sono (1) una lieve anemia emolitica dovuta a un'aumentata emolisi degli eritrociti e (2) i disturbi spinocerebellari (v. sotto Patologie cerebellari e spinocerebellari nel Cap. 179), che si verificano principalmente nei bambini che hanno un malassorbimento dei grassi dovuto all'abetalipoproteinemia, alla patologia epatobiliare colestatica cronica, al morbo celiaco o alle anomalie genetiche del metabolismo della vitamina E. La retinopatia dei prematuri, detta anche fibroplasia retrolenticolare (v. Retinopatia della prematurità nel Cap. 260), può migliorare con una terapia a base di vitamina E, così come possono migliorare alcuni casi di emorragia intraventricolare e sottoependimale del neonato.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Eziologia I neonati presentano alla nascita uno stato di relativa carenza di vitamina E, con livelli plasmatici di a-tocoferolo inferiori a 5 mg/ml (11,6 mmol/l). Quanto più piccoli e prematuri sono i neonati e tanto maggiore è il grado della carenza. Nei neonati prematuri questa carenza persiste durante le prime settimane di vita e può essere attribuita a un limitato trasferimento placentare della vitamina E, al basso livello tissutale alla nascita, alla relativa carenza dietetica, al malassorbimento intestinale e alla rapida crescita. Quando matura l'apparato digestivo, l'assorbimento di vitamina E migliora e aumentano i livelli plasmatici di vitamina E. Nei bambini e negli adulti la causa della carenza di vitamina E è, di solito, il malassorbimento. Anche le anomalie genetiche del trasporto della vitamina E possono comunque svolgere un ruolo importante.

Sintomi e segni L'anemia emolitica nei neonati prematuri può essere una manifestazione della carenza di vitamina E. Questi neonati hanno dei livelli di emoglobina che variano da 7 a 9 g/dl, dei bassi livelli plasmatici di vitamina E, una reticolocitosi e un'iperbilirubinemia. L'abetalipoproteinemia (sindrome di Bassen-Kornzweig), dovuta all'assenza genetica dell'apolipoproteina B, causa un grave malassorbimento dei grassi e steatorrea, con una neuropatia progressiva e una retinopatia nei primi due decenni di vita (v. Abetalipoproteinemia nel Cap. 16). I livelli plasmatici di vitamina E, di solito, non sono dosabili. I bambini affetti da un'epatopatia colestatica cronica o dalla fibrosi cistica presentano la sindrome neurologica da carenza di vitamina E. I suoi segni sono rappresentati dall'atassia spinocerebellare con la perdita dei riflessi tendinei profondi, l'atassia del tronco e degli arti, la perdita della sensibilità vibratoria e del senso di posizione, l'oftalmoplegia, la debolezza muscolare, la ptosi e la disartria. Negli adulti con malassorbimento, l'atassia spinocerebellare dovuta alla carenza di vitamina E è estremamente rara, probabilmente perché gli adulti hanno delle grandi riserve di vitamina E nel tessuto adiposo. I reperti clinici della carenza di vitamina E sono elencati nella Tab. 3-3. In una rara forma genetica di carenza di vitamina E non associata al malassorbimento dei grassi, il fegato sembra mancare di una proteina che normalmente trasferisce il d-a-tocoferolo dagli epatociti alle lipoproteine a bassissima densità. Quindi non possono essere mantenuti dei livelli plasmatici normali di a-tocoferolo.

Esami di laboratorio e diagnosi I neonati prematuri con un deficit di vitamina E presentano una debolezza muscolare, una creatinuria e una pigmentazione ceroide con necrosi alla biopsia muscolare. È osservata anche un'emolisi da perossidi. I livelli plasmatici di tocoferolo sono < 4 mg/ml (< 9,28 mmol/l). Negli adulti, la carenza di vitamina E deve essere presa in considerazione quando i livelli plasmatici di tocoferolo sono < 5 mg/ml (< 11,6 mmol/l) con un'aumentata suscettibilità dei globuli rossi al perossido di idrogeno. Se è presente un'iperlipemia, il livello di a-tocoferolo è aumentato e la sua carenza viene diagnosticata quando il livello è < 0,7 mg/g (< 1,6 mmol/g) nel plasma grasso, che corrisponde a < 5 mg/ml (< 11,6 mmol/8 l) in una persona normolipidemica. Nelle persone con deficit di vitamina E che seguono una dieta priva di creatinina possono essere presenti un'eccessiva creatinuria e dei livelli plasmatici di creatinfile:///F|/sito/merck/sez01/0030042.html (2 of 3)02/09/2004 3.09.00

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

fosfochinasi aumentati. Nelle persone con patologia spinocerebellare possono essere assenti gli assoni mielinici di grosso calibro in periferia e le colonne posteriori del midollo spinale possono essere degenerate.

Terapia La dose preventiva di a-tocoferolo è di 0,5 mg/ kg per i neonati a termine e di 510 mg/kg per i neonati prematuri. Nei casi di malassorbimento con un'evidente carenza, devono essere somministrati PO 15-25 mg/kg/die di a-tocoferolo sotto forma di d-a-tocoferilacetato idrosolubile (1 mg = 1,4 UI). Dosi molto maggiori (superiori a 100 mg/kg/ die PO in dosi frazionate) sono necessarie per trattare la neuropatia iniziale o per superare il difetto di assorbimento e di trasporto nell'abetalipoproteinemia. Questo trattamento ha alleviato i sintomi nei pazienti giovani e ha arrestato la neuropatia nei pazienti più anziani. Nella forma genetica di carenza di vitamina E senza malassorbimento dei grassi, le megadosi di a-tocoferolo (100-200 UI/die) migliorano la carenza e prevengono le sequele neurologiche.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI SELENIO Il selenio (Se) è un componente dell'enzima glutatione-perossidasi che metabolizza gli idroperossidi derivati dagli acidi grassi polinsaturi. Il selenio fa anche parte degli enzimi che deiodizzano gli ormoni tiroidei. Generalmente, il selenio agisce come un antiossidante, insieme alla vitamina E. I livelli plasmatici variano da 8 a 25 mg/dl (1,0-3,2 mmol/l), in base all'assunzione di selenio. In un recente studio su pazienti con una storia di carcinoma cutaneo a cellule basali o squamose, il selenio somministrato alla dose di 200 mg/die è sembrato in grado di ridurre la mortalità dovuta a qualunque tipo di cancro e l'incidenza del carcinoma polmonare, colorettale e prostatico. Tuttavia, non è riuscito a prevenire la comparsa del cancro della cute né ha influenzato in modo significativo le cause complessive della mortalità. Questi risultati richiedono ulteriori studi. Carenza: la carenza di selenio è rara tra gli uomini, anche in Nuova Zelanda e in Finlandia, dove la sua assunzione è di 30-50 mg/die, rispetto a quella di 100250 mg/die degli USA e del Canada. In Cina, dove l'assunzione di selenio varia dai 10 ai 15 mg/die, la carenza di selenio si verifica in associazione con la malattia di Keshan, una cardiomiopatia endemica virale che affligge i bambini e le giovani donne di quel paese. Questa miocardiopatia può essere prevenuta, ma non curata, con dei supplementi di 50 mg/die di selenite. I pazienti sottoposti a una NPT per un lungo periodo hanno sviluppato una carenza di selenio con dolore e dolorabilità muscolare che hanno risposto alla somministrazione di seleniometionina. Tossicità;: a dosi elevate (> 900 mg/die), il selenio produce una sindrome tossica caratterizzata da dermatite, perdita dei capelli, alterazioni delle unghie e neuropatia periferica associata a livelli plasmatici elevati, > 100 mg/dl (> 12,7 mmol/l).

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE INTOSSICAZIONE DA VITAMINA E Gli adulti hanno assunto dosi relativamente elevate di vitamina E (400-800 mg/ die di d-a-tocoferolo) per mesi o per anni senza nessun danno apparente. Occasionalmente, si possono manifestare debolezza muscolare, fatica, nausea e diarrea nelle persone che ne assumono 800-3200 mg/die. L'effetto tossico più significativo della vitamina E a dosi > 1000 mg/die è l'antagonismo nei confronti dell'azione della vitamina K e il potenziamento dell'effetto degli anticoagulanti dicumarolici orali, che può causare un'evidente emorragia.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE INTOSSICAZIONE DA VITAMINA K Il fillochinone (vitamina K1) non è tossico anche a un dosaggio 500 volte superiore all'RDA (0,5 mg/kg/die). Il menadione, invece, che è un precursore della vitamina K, ha una tossicità limitata dovuta alla sua reazione con i gruppi sulfidrilici; può causare anemia emolitica, iperbilirubinemia e ittero nucleare nei neonati. Il menadione, quindi, non deve essere usato per trattare la carenza di vitamina K.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE DEFICIT DI RIBOFLAVINA Sommario: Introduzione Sintomi, segni ed esami di laboratorio Diagnosi e terapia

La riboflavina (vitamina B2), sotto forma di flavin-mononucleotide o di flavinadenin-dinucleotide, agisce come un coenzima essenziale in molte reazioni di ossido-riduzione coinvolte nel metabolismo dei carboidrati. La carenza causa delle lesioni orali, oculari, cutanee e genitali. La carenza primitiva di riboflavina è associata a un consumo inadeguato di latte e di altri prodotti animali. Le carenze secondarie sono più frequenti nelle diarree croniche, nelle epatopatie, nell'alcolismo cronico e nelle situazioni postoperatorie in cui la terapia infusionale manca di supplementi vitaminici.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio I segni più comuni sono il pallore e la macerazione della mucosa agli angoli della bocca (stomatite angolare), il colore vermiglio delle labbra (cheilosi), la formazione di ferite superficiali, lineari, che possono lasciare delle cicatrici una volta guarite. Quando queste lesioni vengono infettate dalla Candida albicans, danno luogo a delle formazioni esuberanti, bianco-grigiastre (perlèche). La lingua può essere di colore magenta. Le lesioni cutanee colpiscono generalmente le pieghe nasolabiali, le ali del naso, le orecchie, le palpebre, lo scroto e le grandi labbra. Queste zone diventano rosse, squamose e grasse e il materiale sebaceo si accumula nei follicoli piliferi caratterizzando il quadro della dissebacea o ittiosi. Raramente si può verificare una neovascolarizzazione della cornea e una cheratite epiteliale che causano lacrimazione e fotofobia. L'ambliopia nutrizionale può rispondere al trattamento con la somministrazione di riboflavina. Un'escrezione urinaria < 30 mg di riboflavina/ g di creatinina è associata ai segni clinici della carenza di riboflavina. Un segno precoce è l'aumentata attivazione, da parte della riboflavina, della glutatione-reduttasi dei GR.

Diagnosi e terapia Le lesioni descritte non si verificano soltanto nella carenza di riboflavina. La cheilosi può dipendere da un carenza di vitamina B6, da edentulia o da protesi dentarie mal realizzate. La dermatite seborroica e le lesioni oculari possono essere presenti in un gran numero di condizioni. La diagnosi della carenza di

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

riboflavina non può quindi basarsi soltanto sull'anamnesi e sulla presenza di lesioni caratteristiche. Per la diagnosi sono necessarie delle analisi di laboratorio, l'esclusione delle altre cause e un approccio terapeutico ex iuvantibus. La riboflavina viene somministrata alla dose di 10-30 mg/die PO, in dosi frazionate, fino a quando non si ottiene una risposta evidente; quindi la dose viene ridotta a 2-4 mg/die fino alla guarigione. La riboflavina può essere somministrata anche IM alla dose di 5-20 mg/die, singola o frazionata.

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE CARENZA DI NIACINA Sommario: Introduzione Eziologia Sintomi e segni Diagnosi e terapia

I derivati della niacina (acido nicotinico) comprendono il nicotinammide adenin dinucleotide (NAD, coenzima I) e la nicotinammide adenin dinucleotide fosfato (NADP, coenzima II) che sono i coenzimi delle reazioni di ossidoriduzione. Giocano un ruolo di vitale importanza nel metabolismo cellulare.

Eziologia Le gravi carenze di niacina e di triptofano, un precursore da cui l'organismo può sintetizzare la niacina, sono le principali cause di pellagra. La carenza primitiva di solito si verifica in zone dove il mais (granturco) rappresenta l'elemento principale della dieta. La niacina è presente nel mais in una forma legata che non viene assimilata nell'intestino, a meno che non sia stata precedentemente trattata con degli alcali, come nella preparazione delle focacce. Le proteine del mais mancano anche di triptofano. Inoltre può contribuire alla carenza lo squilibrio aminoacidico, dal momento che la pellagra è comune in India tra le persone che mangiano un miglio ad alto contenuto di leucina. La carenza secondaria si verifica nella diarrea, nella cirrosi epatica, nell'alcolismo e in seguito al prolungato uso postoperatorio di infusioni nutritive prive di vitamine. La pellagra si può verificare durante una terapia prolungata con isoniazide (il farmaco sostituisce la nicotinammide nel NAD), nei carcinoidi maligni (il triptofano è usato per formare la 5-idrossitriptamina) e nella malattia di Hartnup (v. Anomalie nel trasporto renale nel Cap. 261).

Sintomi e segni La pellagra è caratterizzata da alterazioni della cute e delle mucose e da sintomi a carico del SNC e del tratto GI. La sindrome completa da carenza avanzata comprende un rash fotosensibile simmetrico, la stomatite scarlatta e la glossite, la diarrea e delle alterazioni mentali. I sintomi possono comparire isolati o in combinazione. Sono riconoscibili quattro tipi di lesioni cutanee, di solito bilaterali e simmetriche: ●

lesioni acute consistenti in un eritema, seguito da vescicole, bolle, croste e

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

desquamazione; è comune un'infezione secondaria, specialmente in seguito all'esposizione alla luce solare (trauma attinico); ●





intertrigine, anch'essa acuta, caratterizzata da arrossamento, macerazione, abrasione e infezione secondaria nelle aree intertriginose; ipertrofia cronica in cui la cute è ispessita, anelastica, fissurata e profondamente pigmentata nei punti soggetti a pressione; spesso si sviluppa un'infezione secondaria e la lesione, quando inizia a guarire, presenta un bordo perlaceo di epitelio in via di rigenerazione a margini netti; lesioni croniche atrofiche con pelle secca, squamosa, anelastica, in eccesso rispetto alla superficie che ricopre (osservate nei vecchi pellagrosi).

La distribuzione delle lesioni, nei punti esposti a traumi, è più caratteristica di quanto non lo sia il loro aspetto. La luce solare determina la formazione del collare di Casal e di lesioni a forma di farfalla sul viso. Le alterazioni delle mucose interessano soprattutto la bocca, ma possono anche interessare la vagina e l'uretra. La glossite e la stomatite scarlatte sono caratteristiche della carenza acuta. Sono colpiti per primi la punta e i margini della lingua e la mucosa intorno al dotto di Stenone. Mano a mano che la lesione progredisce, l'intera lingua e tutta la mucosa orale diventano rosso brillante, con successivi infiammazione della bocca, aumento della salivazione ed edema della lingua. Possono comparire delle ulcerazioni, specialmente sotto la lingua, sulla mucosa del labbro inferiore e lateralmente ai molari. Queste lesioni sono spesso ricoperte da una patina grigiastra contenente i microrganismi di Vincent. I sintomi gastrointestinali, che sono vaghi negli stadi precoci, includono il bruciore alla bocca, al faringe e all'esofago e disturbi e distensione addominale. Successivamente si possono manifestare nausea, vomito e diarrea. Quest'ultima è grave, spesso ematica, a causa dell'iperemia e delle ulcerazioni GI. I sintomi a carico del SNC comprendono la psicosi organica, caratterizzata da alterazioni della memoria, disorientamento, confusione e confabulazione (in alcuni pazienti predominano l'eccitazione, la depressione, la mania e il delirio; in altri si hanno reazioni paranoidi) e la sindrome encefalopatica, caratterizzata da obnubilamento del sensorio, rigidità a ruota dentata degli arti e riflessi incontrollabili di suzione e di prensione. È difficile differenziare queste alterazioni del SNC da quelle provocate dalla carenza di tiamina.

Diagnosi e terapia La carenza di niacina deve essere distinta dalle altre cause di stomatite, glossite, diarrea e demenza. La diagnosi è facile quando i reperti clinici comprendono le lesioni della cute e della bocca, la diarrea, il delirio e la demenza. Più spesso, però, la condizione è meno evidente e l'anamnesi di una dieta carente in niacina e triptofano è particolarmente significativa. L'escrezione urinaria di N´metilniacinamide (NMN) e di piridone sono ridotte. Un'escrezione di NMN < 0,8 mg/ die indica una carenza di niacina. Spesso si verificano contemporaneamente delle carenze di più vitamine del gruppo B e di proteine; quindi, è necessaria una dieta bilanciata. Devono essere somministrati PO dei supplementi di niacinamide di 300-1000 mg/die, in dosi frazionate. Nella maggior parte dei casi sono sufficienti 300-500 mg/die. Per trattare gli stati di carenza viene generalmente usata la niacinamide, poiché la niacina, a differenza della prima, può causare vampate, prurito, bruciore o parestesie; tuttavia, la niacinamide non possiede le proprietà ipolipemizzanti e vasodilatanti della niacina. Quando non è possibile la terapia orale, a causa della diarrea o per la mancanza di cooperazione del paziente, si somministrano 100250 mg SC bid o tid. Negli stati di encefalopatia sono consigliate dosi di 1000 mg file:///F|/sito/merck/sez01/0030050.html (2 of 3)02/09/2004 3.09.09

Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

PO, più 100-250 mg IM. Devono essere somministrate anche le altre vitamine del complesso B a dosi terapeutiche.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE CARENZA E DIPENDENZA DA VITAMINA B6 Sommario: Introduzione Sintomi e segni Esami di laboratorio e diagnosi Terapia

La vitamina B6 comprende un gruppo di composti tra loro correlati: la piridossina, il piridossale e la piridossammina. Tali composti sono metabolizzati e fosforilati nell'organismo a piridossalfosfato, il quale agisce come coenzima in molte reazioni, incluse quelle di decarbossilazione e transaminazione degli aminoacidi, di deaminazione degli idrossiaminoacidi e della cisteina, di conversione del triptofano a niacina e del metabolismo degli acidi grassi. Conseguentemente la vitamina B6 svolge un ruolo importante nei processi metabolici che avvengono nel sangue, nel SNC e nella cute. La vitamina B6 è importante nella eritropoiesi perché il piridossalfosfato è necessario per la formazione dell'acido damminolevulinico, la reazione che limita la velocità della biosintesi dell'eme. La carenza primaria è rara, perché molti cibi contengono la vitamina B6. Tuttavia, in seguito all'inavvertita distruzione della vitamina B6 nel latte artificiale è stata descritta un'epidemia di convulsioni nei lattanti. La carenza secondaria può essere causata da malassorbimento, alcolismo, uso di contraccettivi orali, inattivazione chimica da parte di alcuni farmaci (p. es., idrazide dell'acido isonicotinico, cicloserina, idralazina e penicillamina), perdite eccessive e aumento del metabolismo.

Sintomi e segni Carenza: la deossipiridossina, antagonista della vitamina B6, causa una dermatosi seborroica, una glossite, una cheilosi, una neuropatia periferica e una linfopenia. La carenza di vitamina B6 può causare convulsioni nei lattanti e anemia negli adulti (generalmente normocitica, ma occasionalmente microcitica). Dipendenza: diversi disordini recessivi o legati al cromosoma X, interessano diversi apoenzimi della vitamina B6 e producono sintomi come convulsioni, deficit mentali, cistationinuria, anemia sideroblastica (sovraccarico di ferro), orticaria, asma e aciduria xanturenica.

Esami di laboratorio e diagnosi Non esistono, allo stato attuale, dei test di laboratorio universalmente accettati

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

per la determinazione dello stato della vitamina B6. Il valore nel sangue intero del piridossalfosfato è un indice migliore rispetto ai livelli plasmatici. L'attività delle transaminasi glutammico-piruvica e ossalacetica degli eritrociti è diminuita nella carenza di vitamina B6, ma questa alterazione non è diagnostica a causa dell'ampio intervallo di valori riscontrati nelle persone sane.

Terapia I disordini di base, come l'uso di farmaci inattivanti la piridossina (anticonvulsivanti, corticosteroidi, estrogeni, isoniazide, penicillamina e idralazina) o come il malassorbimento, devono essere corretti. Negli stati di dipendenza nei lattanti, il fabbisogno giornaliero (normalmente 0,4 mg) è aumentato di parecchie volte (fino a 10 mg). Per le convulsioni piridossinadipendenti, la dose iniziale è di 50-100 mg IM o EV al giorno per 1 sett., seguita da una dose orale ridotta di 25 mg, somministrata nel corso di 1 sett. La carenza negli adulti risponde, di solito, a dosi di piridossina di 50-100 mg/die PO. Nelle condizioni che comportano un aumento del metabolismo, come l'ipertiroidismo e il diabete, sono necessarie quantità superiori rispetto a quelle raccomandate. Per la carenza di piridossina associata a farmaci come l'isoniazide, possono essere necessari 100 mg/die. Nelle condizioni di dipendenza negli adulti, possono essere necessarie dosi di piridossina di 200-600 mg/die.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE TOSSICITÀ DELLA VITAMINA B6 L'ingestione di megadosi di piridossina (2-6 g/ die per periodi di 2-40 mesi), erroneamente assunta per la tensione premestruale, può causare una progressiva atassia sensoriale e una profonda alterazione del senso di posizione e di vibrazione degli arti inferiori. Sono interessate, in minor misura, le sensibilità tattile, termica e dolorifica. Il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso motorio non vengono alterati. Dopo l'interruzione dell'assunzione di piridossina, il recupero è lento e, in alcuni pazienti, soltanto parziale.

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE CARENZA E DIPENDENZA DA BIOTINA La biotina funziona come un coenzima per il trasporto dell'anidride carbonica ed è quindi essenziale per il metabolismo dei grassi e dei carboidrati. Un enzima specifico lega la biotina al suo apoenzima. Carenza: il bianco dell'uovo crudo contiene un antagonista della biotina, l'avidina. Il prolungato consumo del bianco d'uovo crudo può portare a una dermatite e a una glossite che rispondono rapidamente alla somministrazione di 150-300 mg di biotina al giorno. Una carenza si può verificare anche durante i trattamenti con NPT a lungo termine senza biotina. Dipendenza: nei bambini con carenza di più carbossilasi biotina-dipendenti, sono stati riportati ritardo dello sviluppo fisico e mentale, alopecia, cheratocongiuntivite e difetti dell'immunità delle cellule T e B. Le carenze sono dovute a delle mutazioni nella olocarbossilasi sintetasi (l'enzima richiesto per legare la biotina alle quattro carbossilasi necessarie per il metabolismo) o nella bioti nidasi (l'enzima richiesto per rimuovere la biotina dagli stessi enzimi durante il catabolismo). Per la diagnosi è utile la determinazione dell'escrezione urinaria dei diversi acidi organici. I bambini con anomalie della sintesi di olocarbossilasi e di biotinidasi rispondono bene a dosi elevate di biotina (5-20 mg/die).

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Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

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3. CARENZA, DIPENDENZA E TOSSICITÀ DELLE VITAMINE CARENZA DI ACIDO PANTOTENICO L'acido pantotenico è una vitamina diffusamente distribuita negli alimenti e un componente essenziale del coenzima A, che funziona come cofattore nel trasporto dei gruppi acile in molte reazioni enzimatiche. Gli adulti probabilmente necessitano di circa 4-7 mg/die, corrispondenti a livelli ematici nel sangue intero di 100-180 mg/dl (4,56-8,21 mmol/l), ma l'RDA non è stato ancora ufficialmente stabilito. La carenza di acido pantotenico è osservata raramente negli uomini. In volontari adulti sottoposti a una dieta carente in acido pantotenico si sono manifestati malessere, disturbi addominali e sindrome dei piedi urenti associata a parestesie, che hanno risposto alla somministrazione di acido pantotenico. Nella pratica clinica tuttavia, questi sintomi non specifici raramente rispondono alla somministrazione della vitamina.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI Sei macrominerali sono necessari in quantità che variano da 0,3 a 2,0 g/die (v. Cap. 14). Quattro di loro (sodio, potassio, calcio e magnesio) sono cationi e due (fosfato e cloro) sono anioni. Nove oligoelementi minerali (microminerali) sono necessari agli uomini in piccole quantità (microgrammi o milligrammi al giorno): ferro, iodio, fluoro, zinco, cromo, selenio, manganese, molibdeno e rame. (Per le fonti e i fabbisogni giornalieri v. Tab. 1-2, 1-3 e 1-4.) A eccezione del fluoro e del cromo, ognuno di questi minerali è un componente di un sistema enzimatico o endocrino. Tutti gli oligoelementi minerali sono tossici a livelli elevati e alcuni (arsenico, nichel e cromo) sono stati implicati nella carcinogenesi. A eccezione delle carenze di ferro, zinco e iodio, le carenze di minerali non si verificano spesso negli adulti che seguono una dieta regolare; tuttavia, i lattanti sono molto vulnerabili a causa della loro rapida crescita e delle ampie variazioni nell'assunzione. L'uso delle diete artificiali per il trattamento degli errori congeniti del metabolismo e lo sviluppo dell'alimentazione parenterale e della dialisi renale, che presentano tutte dei rischi iatrogeni, hanno messo in evidenza l'importanza nutrizionale degli oligoelementi minerali. La tossicità può derivare da una loro eccessiva assunzione, per esempio, negli "alimenti salutari" reclamizzati come una forma di protezione contro le malattie croniche. Alcune volte la carenza e la tossicità dei minerali sono causate da malattie ereditarie.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI FERRO Il ferro (Fe) è un componente dell'emoglobina, della mioglobina e di molti enzimi dell'organismo. Il ferro-eme, che si trova principalmente nei prodotti animali, è assorbito molto meglio del ferro non eme, che ammonta a più dell'85% del ferro contenuto in una dieta media. Tuttavia, l'assorbimento del ferro non eme è aumentato quando viene assunto insieme alle proteine animali e alla vitamina C. Il fabbisogno di ferro, il suo metabolismo e l'anemia da carenza di ferro sono trattate nelle Anemia causata da insufficiente eritropoiesi nel Cap. 127. La patologia da sovraccarico di ferro è trattata nel Cap. 128. Carenza: la carenza di ferro, che può causare uno stato anemico, è la più frequente carenza nutrizionale nel mondo. Può derivare da un'inadeguata assunzione del ferro nei lattanti, nelle ragazze adolescenti e nelle donne gravide. Qualunque persona, però, può andare incontro a una carenza di ferro per una continua perdita di sangue. Tutte le persone affette da una carenza di ferro devono essere trattate con dei supplementi di ferro. Tossicità: l'eccesso di ferro è tossico e causa vomito, diarrea e danni all'intestino. Il ferro si accumula nell'organismo quando una persona segue per troppo tempo o con dosaggi eccessivi una terapia con ferro, quando riceve ripetute trasfusioni o quando è un alcolista cronico. La malattia da sovraccarico di ferro (emocromatosi) è una malattia ereditaria potenzialmente fatale, anche se curabile, in cui il ferro viene assorbito in eccesso; affligge più di 1 milione di americani.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI IODIO La principale funzione dello iodio (I) nell'organismo è di fornire un substrato per la sintesi degli ormoni tiroidei, la tiroxina e la triiodotironina, che sono essenziali per una normale crescita e un normale sviluppo. La ghiandola tiroide, che pesa da 15 a 20 g, contiene l'80% dello iodio di tutto l'organismo che ammonta a circa 15 mg negli adulti. Lo ioduro, la forma ionica dello iodio, è rapidamente assorbito dal tratto GI e distribuito nei liquidi extracellulari. La concentrazione plasmatica di ioduro a digiuno è di circa 1 mg/ l (7,88 nmol/l). Negli adulti, circa l'80% dello ioduro ingerito e assorbito è captato dalla ghiandola tiroide grazie a una pompa ioduro ATP-dipendente (v. Sintesi e rilascio degli ormoni tiroidei nel Cap. 8). Lo ioduro si trova nella terra e nell'acqua di mare ed è ossidato dalla luce del sole in iodio, che è vaporizzato nell'aria. La concentrazione di ioduro va da 50 a 60 mg/l (394-473 nmol/l) nell'acqua di mare ed è di 0,7 mg/m 3 (5,51 nmol/l) nell'aria. Parte di questo ioduro ritorna sulla terra attraverso la pioggia, ma la maggior parte viene persa nella stratosfera. Questi eventi spiegano la continua deplezione in iodio del suolo, la mancata cattura da parte delle piante e la continua carenza di iodio negli uomini, particolarmente nei paesi posti a maggiori altitudini dove il sale da cucina non viene arricchito con lo ioduro. Nelle zone con carenza di iodio, la concentrazione dello ioduro nell'acqua da bere è < 2 mg/l (< 15,8 nmol/l), mentre nella zone vicino al mare, l'acqua da bere contiene 410 mg/l (31,5-78,8 nmol/l). L'abituale assunzione di ioduro nelle persone sane è di 100-200 mg/die, principalmente sotto forma di sale da cucina iodato (70 mg/g). Carenza: la carenza di iodio si verifica quando l'assunzione di ioduro è < 20 mg/ die. Nella carenza moderata, la ghiandola tiroide, sotto l'influenza dell'ormone stimolante la tiroide, si ipertrofizza nel tentativo di concentrare lo ioduro al suo interno e dà vita a un gozzo colloide. La maggior parte di questi pazienti è eutiroidea. La grave carenza di iodio può causare, invece, il mixedema, endemico tra gli adulti, e il cretinismo, endemico tra i neonati. Vari disturbi metabolici nella sintesi degli ormoni tiroidei possono causare un ipotiroidismo sia adulto che infantile. Ma in tutto il mondo, la carenza endemica di iodio rappresenta ancora la causa principale di ipotiroidismo. Una grave carenza di iodio materno ritarda la crescita fetale e lo sviluppo cerebrale. Il cretinismo endemico si può verificare in una delle due forme (neurologica o mixedematosa), in base al rapporto tra la carenza di iodio e l'alterazione genetica. Ai lattanti affetti da una carenza di iodio vengono somministrati la l-tiroxina (3 mg/ kg/die) per una settimana e 50 mg di ioduro per ripristinare rapidamente uno stato eutiroideo. La somministrazione dello iodio deve continuare poi nel tempo. I livelli plasmatici dell'ormone stimolante la tiroide vengono monitorati fino a quando non tornano ai valori normali, cioè, < 5 mUI/ml. Agli adulti affetti dalla carenza di iodio viene somministrato iodio alla dose di 1500 mg/die (circa 10 volte la quantità raccomandata) per diverse settimane al fine di ripristinare il contenuto di iodio della ghiandola impoverita e permettere la sintesi della tiroxina. Tossicità: la tossicità cronica da iodio si verifica quando l'assunzione di ioduro è 20 volte maggiore rispetto al fabbisogno quotidiano, cioè, 2 mg/die. In alcune zone, particolarmente in Giappone, gli abitanti assumono più di 50-80 mg/ die,

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Carenza e tossicità dei minerali

con un notevole aumento dei livelli plasmatici. Alcune di queste persone sviluppano un gozzo, ma la maggior parte rimane eutiroidea. Alcuni sviluppano un mixedema e alcuni sviluppano paradossalmente un ipertiroidismo (fenomeno di Jod-Basedow). Un'aumentata captazione di iodio da parte della tiroide può causare l'inibizione della sintesi dell'ormone tiroideo (effetto di Wolff-Chaikoff) e alla fine un gozzo o un mixedema. Con dosi molto elevate di ioduro, si possono verificare un sapore di ottone, un aumento della salivazione, un'irritazione gastrica e delle lesioni cutanee acneiformi.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI FLUORO Il fluoruro è la forma ionica del fluoro (F), largamente distribuita in natura. Le ossa e i denti contengono la maggior parte del fluoro dell'organismo. I pesci di mare e il tè sono buone fonti di fluoro, ma la fonte principale è rappresentata dall'acqua da bere. Carenza: alcuni autori non considerano il fluoro come un minerale essenziale, in quanto uno stato di carenza, corretto con la sola somministrazione del minerale, non è stato mai osservato. Tuttavia, il Food and Nutrition Board della National Academy of Sciences-National Research Council (NAS/NRC) considera il fluoro essenziale per la prevenzione delle carie dentali e probabilmente per l'osteoporosi. La fluorizzazione delle acque che contengono una quantità di fluoro inferiore al livello ideale di 1 ppm, riduce significativamente l'incidenza della carie dentale. Tossicità: un accumulo del fluoro in eccesso (fluorosi) si verifica nei denti e nelle ossa in proporzione all'entità e alla durata dell'assunzione di fluoro. Ne sono comunemente colpite le popolazioni che consumano un'acqua contenente > 10 ppm di fluoro. La fluorosi è più evidente nei denti permanenti che si sviluppano durante il periodo dell'elevata assunzione di fluoro. I denti decidui sono interessati solo quando l'assunzione è molto elevata. Le alterazioni precoci consistono in chiazze bianco-gessose, irregolarmente distribuite sulla superficie dello smalto; queste chiazze si macchiano di giallo o di marrone, producendo un caratteristico aspetto variegato. La fluorosi grave indebolisce lo smalto e dà origine a una superficie bucherellata. Le alterazioni delle ossa, caratterizzate dall'osteosclerosi e dall'esostosi della colonna e dal ginocchio valgo, di solito si osservano solo negli adulti, dopo una prolungata ed eccessiva assunzione di fluoro.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI ZINCO L'organismo contiene 2-3 g di zinco (Zn), concentrati soprattutto nelle ossa, nei denti, nei capelli, nella cute, nel fegato, nei muscoli, nei leucociti e nei testicoli. Un terzo dei 100 mg /dl (15,3 mmol/l) di zinco presenti nel plasma è legato debolmente all'albumina, mentre i 2/3 circa sono strettamente legati alle globuline. Vi sono più di 100 metalloenzimi di zinco, tra cui le nicotinammide adenina dinucleotide (NADH) deidrogenasi, le RNA e DNA polimerasi, i fattori della trascrizione del DNA, la fosfatasi alcalina, la superossido dismutasi e l'anidrasi carbonica. L'assunzione dello zinco con la dieta, da parte degli adulti in buona salute, varia da 6 a 15 mg/die con un assorbimento del 20% circa. La carne, il fegato, le uova e il pesce (specialmente le ostriche) sono delle buone fonti di zinco. L'RDA è di 0,2 mg/kg/die per gli adulti. Carenza: i segni e i sintomi della carenza di zinco includono l'anoressia, il ritardo della crescita, il ritardo della maturazione sessuale, l'ipogonadismo e l'ipospermia, l'alopecia, i disturbi autoimmunitari, le dermatiti, la cecità notturna, i disturbi del gusto (ipogeusia) e la ritardata guarigione delle ferite. I primi segni della carenza di zinco nei bambini poco nutriti sono la crescita subottimale, l'anoressia e l'alterazione del gusto. Le più gravi manifestazioni della carenza di zinco sono state riportate nei nani iraniani. Questi maschi adolescenti, che consumavano grandi quantità di argilla, presentavano un ritardo della crescita e dello sviluppo sessuale e poi anemia, ipogonadismo, epatosplenomegalia, cute rugosa e letargia mentale. Dopo il trattamento con una dieta ben bilanciata, contenente un'adeguata quantità di zinco per 1 anno, sono comparsi i peli pubici, gli organi sessuali sono aumentati di dimensioni, la crescita lineare è stata riacquistata e la pelle è tornata normale. L'anemia ha risposto alla somministrazione di ferro. La carenza di zinco si sviluppa in alcuni pazienti affetti da cirrosi perché viene perduta la capacità di ritenere lo zinco. I segni biochimici associati alla carenza di zinco comprendono i ridotti livelli plasmatici dello zinco (< 70 mg/dl [< 10,7 mmol/l]), della fosfatasi alcalina, dell'alcol deidrogenasi nella retina (che giustifica la cecità notturna) e del testosterone plasmatico, la compromessa funzione dei linfociti T, la ridotta sintesi del collagene (che causa una scarsa guarigione delle ferite) e una ridotta attività della RNA polimerasi in diversi tessuti. La valutazione clinica della lieve carenza di zinco è difficile perché molti dei segni e dei sintomi non sono specifici. Tuttavia, se una persona malnutrita ha un livello plasmatico di zinco ai limiti inferiori, si alimenta con una dieta ricca di fibre e di fitati incluso il pane integrale (che riduce l'assorbimento di zinco) e ha una ridotta sensibilità gustativa, un alterata risposta linfocitaria ai mitogeni e una ridotta funzione dell'ormone gonadico, deve essere sospettata una carenza di zinco e deve essere tentato un trattamento con dei supplementi di zinco (15-25 mg/die). La carenza materna può determinare una anencefalia nel feto. La carenza secondaria si verifica nelle epatopatie, negli stati di malassorbimento e durante la nutrizione parenterale prolungata. Si possono osservare nictalopia e letargia mentale. L'acrodermatite enteropatica, un raro disordine ereditario autosomico recessivo, fino a qualche tempo fa fatale, è causata da un malassorbimento di zinco. Il difetto riguarda l'incapacità di formare una proteina di trasporto che file:///F|/sito/merck/sez01/0040056b.html (1 of 2)02/09/2004 3.09.17

Carenza e tossicità dei minerali

permetta l'assorbimento dello zinco nell'intestino. Di solito, i sintomi iniziano dopo che il neonato è stato svezzato dal latte materno. Questa malattia è caratterizzata da una dermatite simil-psoriasica, dalla perdita dei capelli, da una paronichia, da un ritardo di accrescimento e dalla diarrea. La terapia con il solfato di zinco, alla dose di 30-150 mg/die, determina una remissione completa. Tossicità: l'assunzione di grosse quantità di zinco (200-800 mg/die), di solito attraverso cibi acidi o bevande contenuti in recipienti zincati, può causare vomito e diarrea. Dosi di zinco che variano da 100 a 150 mg/die interferiscono con il metabolismo del rame e causano ipocupremia, microcitosi dei GR e neutropenia. La febbre da inalazione di fumi metallici, detta anche febbre dei fonditori o tremori da zinco, è un rischio industriale dovuto all'inalazione dei vapori di ossido di zinco che causano dei danni neurologici.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI MANGANESE Il manganese (Mn) è un componente di numerosi sistemi enzimatici, comprese la glicosiltransferasi manganese-specifica e la fosfoenolpiruvato carbossichinasi, ed è essenziale per la normale struttura del tessuto osseo. L'assunzione con la dieta è molto variabile, dipendendo soprattutto dall'entità del consumo di alimenti ricchi di tale elemento, come i cereali non raffinati, le verdure a foglia verde e il tè. L'usuale assunzione di questo minerale è di 2-5 mg/die e l'assorbimento è del 510%. Un caso di carenza di manganese nell'uomo è stato riportato in un volontario che aveva ricevuto una dieta purificata contenente 0,1 mg/die di manganese. Ha presentato una dermatite transitoria, un'ipocolesterolemia e un incremento dei livelli di fosfatasi alcalina. Ha perso circa il 60% delle sue riserve corporee di manganese in 2 sett., ma non si sono verificate ulteriori perdite durante altre 4 sett. di dieta carente. Il deficit di manganese non è stato documentato nella letteratura clinica. L'intossicazione da manganese è abitualmente limitata alle persone che estraggono e raffinano questo minerale; l'esposizione prolungata causa dei sintomi neurologici che assomigliano al morbo di Parkinson o alla malattia di Wilson.

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Carenza e tossicità dei minerali

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI MOLIBDENO Il molibdeno (Mo) è un metallo di transizione che forma ossidi ed è un componente del coenzima pterina, essenziale per l'attività della xantina ossidasi, della solfito ossidasi e dell'aldeide ossidasi. Una carenza di solfito ossidasi, su base genetica, è stata descritta nel 1967 in un bambino con ritardo mentale, convulsioni, opistotono e dislocazione del cristallino. Questa malattia era legata alla mancata formazione del coenzima del molibdeno, nonostante l'adeguata presenza di molibdeno. La tossicità da solfito dovuta alla carenza di molibdeno è stata notata in un paziente trattato per un lungo periodo con una NPT e che presentava tachicardia, tachipnea, cefalea, nausea, vomito e coma. Lo studio metabolico ha mostrato degli elevati livelli di solfito e di xantina e dei bassi livelli di solfato e di acido urico nel sangue e nelle urine, permettendo la diagnosi. La somministrazione di ammonio molibdato, 300 mg/die EV, ha portato a una pronta guarigione. Sia le carenze di molibdeno su base genetica che quelle nutrizionali, sono rare. L'assunzione di molibdeno varia da100 a 500 mg/die e deriva principalmente dalle carni di organo, dai cereali integrali e dai legumi. Il Food e Nutrition Board of the NAS/NRC ha stabilito che una sicura e adeguata assunzione di molibdeno è pari a 75-250 mg/die per gli adulti e a 25-75 mg/die per i bambini di età compresa tra 1 e 6 anni.

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI RAME Il rame (Cu) è un metallo pesante i cui ioni non legati sono tossici. Quasi tutto il rame dell'organismo è presente come componente delle proteine ramate, riducendo così quasi a zero la concentrazione in vivo degli ioni di rame non legati. I meccanismi genetici controllano i processi attraverso cui il rame è incorporato nelle apoproteine e quelli che evitano gli accumuli tossici di rame. Quasi tutte le diete contengono 2-3 mg di rame, di cui solo una metà circa viene assorbita. Tutto il rame assorbito in eccesso rispetto al fabbisogno metabolico viene eliminato nella bile, probabilmente attraverso i lisosomi epatici. In media, un adulto ha nel suo organismo circa 150 mg di rame, di cui 10-20 mg si trovano nel fegato e il resto è distribuito in maniera ubiquitaria.

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI RAME CARENZA ACQUISITA DI RAME In individui geneticamente normali, è raro che anomalie acquisite, ambientali o alimentari, causino un deficit di rame clinicamente significativo. Le sole cause riportate di tale deficit sono il kwashiorkor; la diarrea infantile persistente, di solito associata a un'alimentazione basata solo sul latte; un grave malassorbimento, come nella sprue; una nutrizione parenterale totale priva di rame e un'assunzione eccessiva di sali di zinco come supplemento dietetico. La terapia deve essere diretta al trattamento del deficit, di solito con l'aggiunta quotidiana di 2-5 mg di ione rame.

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI RAME CARENZA EREDITARIA DI RAME La carenza ereditaria di rame (sindrome di Menkes) si verifica nei lattanti maschi che hanno ereditato un gene mutato legato al cromosoma X, con un'incidenza di circa 1 ogni 50000 nati vivi. La malattia è caratterizzata da un deficit di rame nel fegato e nel siero e, in modo ancora più significativo, dal deficit di proteine essenziali contenenti il rame, comprese la citocromo-c ossidasi, la ceruloplasmina e la lisil ossidasi. Clinicamente la malattia è caratterizzata da un grave ritardo mentale; da capelli radi, sottili o nodosi; e da molte altre anomalie, alcune delle quali possono essere correlate alla carenza di specifiche proteine contenenti il rame. Non si conoscono terapie chiaramente efficaci. Il valore del rame istidinato, che in alcuni casi ha prolungato la vita nei neonati affetti, non è chiaro a causa dell'eterogeneità del fenotipo e del genotipo.

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4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI RAME TOSSICOSI DA RAME Durante un prolungato contatto con recipienti, tubature o rubinetterie di rame, in un cibo o in una bevanda acidi si possono disciogliere dei milligrammi di rame, sufficienti a causare una sintomatologia, autolimitantesi, caratterizzata da nausea, vomito e diarrea. Se vengono ingeriti sali di rame in quantità pari al grammo, di solito con intento suicida, o se vengono applicate delle compresse sature di sali di rame su vaste aree ustionate, l'anemia emolitica e l'anuria, indotte dal rame, sono di solito fatali. Terapia: se si ingerisce del rame in quantità pari ad alcuni grammi, la morte può essere prevenuta eseguendo immediatamente una lavanda gastrica e poi somministrando IM 300 mg di dimercaprolo (BAL). La somministrazione orale di 1-4 g/die di penicillamina può promuovere l'escrezione del rame assorbito attraverso l'area cutanea ustionata (v. anche Tab. 307-2 e i sali di rame nella Tab. 307-3). La cirrosi del fanciullo indiano, la cirrosi del fanciullo non indiano e la tossicosi da rame idiopatica sono probabilmente delle malattie identiche in cui l'eccesso di rame nel fegato causa una cirrosi con i corpi ialini di Mallory. Tutte sembrano essere causate dall'ingestione di latte che è stato bollito o conservato in recipienti di rame corrosi o in recipienti di ottone, anche se recenti studi suggeriscono che la tossicosi da rame idiopatica si può verificare solo nei neonati con un difetto genetico non conosciuto. La terapia con penicillamina è molto efficace ed è stato riferito che alcuni neonati in India sono stati bene anche dopo la sospensione della penicillamina.

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